Sei sulla pagina 1di 5

ETA’ GIOLITTINA

Dopo la morte di Umberto I divenne re d’Italia Vittorio Emanuele III, che decise di abbandonare la
politica reazionaria del padre per ritornare alla legalità costituzionale.

Nel 1901, quindi, il re affidò l’incarico di formare il governo a Giuseppe Zanardelli, ovvero
l’esponente più in vista delle sinistra.

Nel 1903, però, Zanardelli dovette ritirarsi a causa di una malattia e fu chiamato a capo del governo
Giovanni Giolitti, che mantenne la carica per circa un decennio, che passò alla storia con il nome di
età Giolittina.

Giolitti era di orientamento liberale e appartenente alla sinistra costituzionale e riuscì a trovare un
equilibrio promuovendo da un lato una legislazione sociale e dall’altro una politica volta a favorire
lo sviluppo industriale; concedendo, inoltre, ampia libertà di sciopero.

Giolitti si preoccupò anche di prevenire le agitazioni sociali con delle riforme; egli infatti credeva
che il miglioramento delle condizioni lavorative coincidesse con un progresso di tutto il paese.

Nel corso del suo governo, quindi, venne perfezionata la legislazione che andava a favore dei
lavoratori anziani, infortunati o invalidi; vennero emanate nuove norme sul lavoro delle donne e
quello minorile; venne esteso l’obbligo dell’istruzione elementare fino al compimento del
dodicesimo anno di età; venne stabilito il diritto al riposo settimanale.

Inoltre, per dare un’opportunità ai lavoratori di candidarsi alle elezioni, venne stabilità un’indennità
parlamentare, ovvero un compenso spettante ai deputati per svolgere la loro carica politica.

Giolitti, inoltre, si adoperò per migliorare le retribuzioni dei lavoratori, le quali accrescevano le
possibilità di acquisto, che determinavano più richiesta di beni di consumo e di conseguenza un
aumento della produzione.

In tutto questo furono anche importanti interventi nella sanità pubblica, come la distribuzione del
chinino contro la malaria e le numerose riforme igenico-sanitarie portarono a un deciso aumento
demografico.

Inoltre le rimesse degli emigranti, ovvero il denaro che gli emigranti mandavano alle famiglie
rimaste in patria, facilitarono il risanamento dell’economia, permettendo un netto incremento delle
entrate dello Stato.

In questo modo, a parte le disgrazie abbattutesi sul paese come l’eruzione del Vesuvio nel 1906 e il
terremoto di Messina nel 1908, fu possibile mantenere il bilancio del paese.

Tutto questo fece in modo che la lira assunse un certo prestigi, al punto di essere preferita alle
monete d’oro in circolazione sul mercato internazionale.

Questa favorevole situazione finanziaria accrebbe il risparmio e di conseguenza i depositi presso le


banche, le quali poterono finanziare numerose imprese.

Diversi generi d’industria raddoppiarono il loro fatturato e in particolare si affermò l’industria


automobilistica, che ebbe la sua maggior espressione nella Fiat, fondata a Torino da Giovanni
Agnelli.
Durante l’età Giolittiana furono anche effettuati numerosi lavori pubblici, come l’estensione della
rete stradale e ferroviaria; l’apertura del traforo del Sempione; l’inizio dei lavori per l’acquedotto
pugliese.

Giolitti, inoltre istituì il monopolio sulle assicurazioni sulla vita, che fino ad allora erano gestite da
società private e nel 1912 venne istituito il nuovo Istituto Nazionale per le Assicurazioni (INA).

Nonostante queste novità e modernizzazioni, però, sotto certi punti di vista l’Italia rimaneva ancora
un paese molto arretrato, in cui dilagava ancora l’analfabetismo; la tubercolosi faceva più di 75 mila
vittime all’anno e la disoccupazione e la povertà erano presenti quasi ovunque.
LA POLITICA INTERNA (SOCIALISTI E CATTOLICI)

Durante il suo governo Giolitti cercò di inserire nello Stato le masse di contadini e lavoratori che ne
erano esclusi e che esprimevano la loro protesta nel movimento socialista e in quello cattolico.

Fu per questo che Giolitti cercò un accordo con il partito socialista, infatti nel 1903 offrì a Filippo
Turati, il capo della corrente, l’invito a entrare nel suo primo governo, ma l’iniziativa non ebbe il
successo sperato, infatti anche se il partito socialista iniziò ad avvicinarsi alla politica di Giolitti,
non entrò mai in una collaborazione concreta con il governo.

Giolitti, inoltre, ritenne necessario anche un avvicinamento con la chiesa cattolica, con l’obbiettivo
di un reciproco appoggio davanti al pericolo della “marea rossa”.

L’intesa con i cattolici sfociò in un accordo segreto definito patto Gentiloni, nel 1913, in base al
quel i cattolici avrebbero sostenuto i deputati liberali alle elezioni, in cambio dell’abbandono della
politica anticlericale.

Questo patto precedette di poco uno dei provvedimenti più importanti del governo Giolitti, ovvero
l’estensione del diritto di voto.

Questa nuova legge, emanata il 30 giugno del 1912, ammetteva al voto tutti i cittadini di sesso
maschile, purché avessero compiuto 21 anni e fossero in grado di leggere e di scrivere; o con
servizio militare svolto se analfabeti; o al compimento di 30 anni se analfabeti senza servizio
militare.

All’interno del cattolicesimo Italiano, intanto, stava prendendo importanza il sacerdote Romolo
Murri, fondatore nel 1900 di un movimento che poi prese il nome di Democrazia Cristiana Italiana.

Murri voleva una conciliazione tra democrazia e religione, ma questo movimento non trovò il
consenso né di Papa Leone 13, né del suo successore Pio 10, tanto che Murri venne scomunicato nel
1909.

Nel frattempo, in Sicilia, un altro sacerdote di nome Luigi Sturzo credeva nella necessità di un
partito laico-cristiano, a carattere democratico e popolare, pienamente autonomo dalle autorità
ecclesiastiche.

Vi era inoltre un altro movimento sindacale d’ispirazione cattolica, legato a Guido Miglioli e alle
sue leghe bianche, che operavano prettamente nelle campagne.

La politica di Giolitti, però, non fu esonerata dalle critiche: in primo luogo per ciò che riguardava la
corruzione l’intimidazione, infatti si serviva spesso dei prefetti e della polizia per eliminare i suoi
avversari e creare una camera di soli deputati “giolittiani di ferro”, disposti a obbedirgli fedelmente.

Questi suoi metodi elettorali erano diffusi soprattutto nel sud, ma vennero denunciati dallo storico e
socialista Gaetano Salvemini.
LA POLITICA ESTERA (LA GUERRA DI LIBIA)

Con Giolitti non cambiò solo la politica interna, ma anche quella esterna.

I governi precedenti, infatti, credevano che tutti i problemi di natura estera potessero essere risolti
con la triplice alleanza, ovvero il patto che garantiva all’Italia l’aiuto di Germania e Austria in caso
di attacco.

Protetti da questo patto gli Italiani si erano quindi spinti fino in Africa, provocando l’ostilità della
Francia e dell’Inghilterra, ma la sconfitta in Adua dimostrò all’Italia che qualsiasi impresa coloniale
non sarebbe più stata possibile senza il favore di queste due potenze.

Perciò la politica di Giolitti si adoperò a ristabilire buoni rapporti con Francia e Inghilterra e a
considerate la triplice alleanza un patto puramente difensivo.

Questo avvicinamento a Francia e Inghilterra mirava a un’espansione coloniale dell’Italia e anche


se indeboliva la triplice alleanza, rafforzava la posizione Italiana in Europa.

Nel 1911 l’Italia sbarcò in zona dell’Africa settentrionale che non era ancora stata occupata dalle
potenze occidentali e dato che non eravamo più il paese debole di 15 anni prima, la missione aveva
avuto un’accurata preparazione militare.

I sostenitori più accanititi di un intervento in Africa furono i seguaci di un movimento politico


chiamato nazionalismo, a opera di Enrico Corradini.

Il 29 settembre 1911 l’Italia dichiarò guerra alla Turchia, sotto il cui dominio si trovava la Libia e
pochi giorni dopo un corpo di spedizione sbarco a Tripoli, occupando tutta la fascia costiera fino a
Tobrul, sconfiggendo il nemico nella battaglia di Ain Zara.

Più difficile e lenta fu la conquista dell’interno e al fine di costringere la Turchia alla pace, nel
maggio del 1912 il governo Italiano decise di attaccarla direttamente .

Un corpo di spedizione occupò diverse isole dell’Egeo, che insieme formavano il Dodecaneso,
ovvero “dodici isole”, mentre il comandante Enrico Millo nella notte tra il 18 e il 19 luglio
penetrava nello stretto di Dardanelli, dimostrando che ormai neppure Costantinopoli poteva ritenersi
sicura.

Il sultano, così, chiese l’armistizio e firmò la pace a Losanna, in basa alla quale la Turchia
riconosceva all’italia il possesso della Tripolitania e della Cirenaica.

L’occupazione della Libia, però, non portò i vantaggi economici che in molti si erano aspettati,
perché quell’ampia fascia di territorio era perlopiù desertica e povera di materie prime, fatta
eccezione per i giacimenti di petrolio che furono scoperti solo successivamente.

L’operazione in Libia, però, ebbe diverse conseguenze in campo politico, infatti i nazionalisti si
spinsero contro il governo, considerandolo debole e indeciso.

La guerra, inoltre, aveva provocato una spaccatura all’interno del partito socialista, tra i riformisti,
che avevano approvato il conflitto attratti dalla promessa del suffragio universale e tra la
maggioranza del partito, che l’aveva combattuta in nome del pacifismo socialista e della sua
avversione per le guerre.
La spaccatura divenne irreparabile quando vennero espulsi dal partito Leonida Bissolanti e Ivanoe
Bonomi, che si erano apertamente schierati in favore della guerra libica.

In risposta questi diedero vita al partito socialista riformista Italiano, mentre gli altri rimasero nel
Partito socialista, guidato da Filippo Turati e da Benito Mussolini.

Il governo Giolitti iniziava indebolirsi, così tra oppositori decisi e pochi alleati, nel marzo del 1914
Giolitti lasciò il posto a Antonio Salandra, che credeva di poter mettere da parte quando avrebbe
voluto, senza troppe difficoltà.

Questa volta, però, le cose non andarono come lui aveva predetto, infatti indebolimento si tradusse
in una situazione sociale che vedeva proteste sociali e contadine, che trovarono sfogo nella
proclamazione di uno sciopero generale su base nazionale che si protrasse per sette giorni, con un
risultato di 17 morti e 400 feriti.

Questa venne per l’appunto definita “settimana rossa”

Potrebbero piacerti anche