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ETA’ GIOLITTIANA

Alla fine del diciannovesimo secolo l’Italia entra in una forte crisi data dal fallimento del tentativo
di colonizzazione dell’Abissinia, Etiopia. Il 9 marzo 1896 il Presidente del Consiglio Francesco Crispi
si dimette, la caduta del governo e l’aumento del prezzo del pane creano ovunque manifestazioni
e proteste.
Il nuovo governo in carica, presieduto da Antonio di Rudinì, in liberal conservatore siciliano, per
reprimere i fasci siciliani impiega le forze di polizia e l’esercito. In Toscana, Napoli e Milano
proclama lo stato di assedio. In particolare, a Milano la situazione ha un esito tragico, l’8 – 9
maggio 1898 i manifestanti sono affrontati dai reparti dell’esercito guidati dal generale Bava-
Beccaris, che reprime violentemente la folla. Il re Umberto I apprezza il gesto e il generale viene
nominato senatore.
Intanto il Parlamento di Antonio di Rudinì e poi di Luigi Pelloux presentano nuove misure
repressive che intendono limitare la libertà di stampa e di associazione; per questo si oppongono
un gran numero di parlamentari liberali, guidati da Giuseppe Zanardelli e Giovanni Giolitti.
Sulla scena politica il 29 luglio 1900 avviene un colpo di scena: l’anarchico Gaetano Bresci uccide il
re Umberto I per vendicare l’eccidio di Milano. A Umberto I succede il figlio Vittorio Emanuele III,
il quale da l’incarico di primo ministro al liberale Zanardelli, il quale come ministro dell’interno
sceglie Giolitti.
Giolitti vuole lasciarsi la “crisi di fine secolo” alle spalle, con l’attuazione di un programma volto a
realizzare l’integrazione delle masse nella cornice dello Stato liberale. Stato e Governo devono
presentarsi in modo arbitrario-neutrale nelle lotte sociali, senza intervenire in modo brutale. Lo
Stato si deve presentare aperto e tollerante nei confronti dei radicali e dei socialisti per rafforzarlo.
Dopo la morte di Zanardelli nel 1903, Giolitti diventa Presidente del Consiglio, carica che nei dieci
anni seguenti occupa tre volte. Con Giolitti l’Italia si trova in un periodo di crescita economica
perché i salari industriali e agricoli aumentano dal 35% al 50%, questo porta ad un crescente
stimolo ai consumi e alla produttività italiana. Per migliorare le condizioni di lavoro e di vita delle
masse, Giolitti inaugura una nuova politica sociale.
Nel 1902 viene istituito l’Ufficio del Lavoro per facilitare con il compito di studiare proposte
possibili per facilitare proposte di lavoro. Nello stesso anno vengono introdotto limiti all’impiego
delle donne nelle fabbriche e viene perfezionata la legge sul lavoro dei bambini, create
assicurazioni obbligatorie contro gli infortuni per i lavoratori dell’industria e nel 1912 nasce l’INA
(Istituto Nazionale Assicurazioni).
Giolitti agisce anche sulle scuole e nel 1904 viene prolungato l’obbligo scolastico con le classi
quinte e seste e statalizza la scuola elementare, creando una progressiva diminuzione
dell’analfabetismo. Rivoluziona anche i servizi pubblici, come l’erogazione del gas, elettricità e
trasposti, rendendoli a carico del comune con tariffe meno care del settore privato.
Nel 1905 viene approvata la nazionalizzazione delle ferrovie la cui proprietà passa nelle mani dello
Stato.
Un risultato dei governi di inizio ‘900, che hanno una connotazione territoriale specifica è quella
chiamata questione meridionale: il ritardo nello sviluppo socio-economico delle regioni che prima
dell’Unità hanno fatto parte del Regno delle due Sicilie. Nonostante l’economia meridionale abbia
settori dinamici e floridi, come intorno a Napoli e nel salernitano, le produzioni industriali non
decollano mentre l’attività agricola principale è la produzione del grano, coltivata nelle aziende
latifondistiche del Mezzogiorno. La crescita economica del Meridione ha ritmi decisamente più
lenti rispetto al Nord. Una minore concentrazione di competenza tecniche spiegano queste
differenze di velocità nei processi di crescita. Inoltre bisogna tenere in considerazione la
formazione di gruppi criminali organizzati, come in Sicilia la mafia e nel napoletano la camorra. In
Sicilia la mafia, suggerisce Leopoldo Franchetti, si è formata dopo l’abolizione delle istituzioni
feudali, così i feudi si misero in proprio operando sul mercato compiendo estorsioni, furti di
bestiame e offrendo forzosamente la protezione ai proprietari terrieri o ai commercianti. In epoca
post unitario non si compiono operazioni efficaci per estirparli.
La costruzione del sistema elettorale rappresentativo promuove l’operatività di questi gruppi
intimidendo gli elettori per indirizzarli verso determinati candidati ricavandone benefici personali
ed economici. Questi gruppi criminali comportano un pesante costo aggiuntivo per l’economia
meridionale nei confronti della quale svolgono un’azione essenzialmente parassitaria; essi creano
un danno netto e non trascurabile, rendendo le attività imprenditoriali meno redditizie, in tutti i
campi: industriale, commerciale e agricolo.
Una delle accuse più forti mosse a Giolitti è quella di non aver fatto niente per estirpare le
organizzazioni criminali nel Mezzogiorno, anzi di aver tollerato che alcuni politici del suo
schieramento facessero uso dei servigi dei malviventi per intimidire gli elettori e votare alla parte
interessata, per questo alcuni critici arrivano a chiamarlo il Ministro della malavita”.
D’altra parte Giolitti avvia un piano legislativo importante per aiutare l’economia meridionale.
Nel 1902 approva una legge per la costruzione dell’acquedotto pugliese, nel 1904 vengono
approvati i provvedimenti speciali per Napoli, che prevedono l’esenzione decennale di dazi
doganali per tutte le attrezzature che possono servire all’impianto di nuove industrie nella città di
Napoli. Inoltre stabilisce che almeno un ottavo delle nuove carrozze ferroviarie vengono acquistate
presso le industrie operanti a Napoli. Nello stesso anno vengono presi provvedimenti anche per la
Basilicata, e nel 1906 vengono estesi alle altre province meridionali. Alcuni esempi dei
provvedimenti adottati sono: sistemazione degli impianti idrici, sistemazione delle strade nei centri
abitati, sgravi fiscali per le aziende agricole. Gli effetti economici delle riforme attuate da Giolitti
furono:
- sostegno da parte dello Stato alle industrie siderurgiche e meccaniche,
-norme di protezione e previdenza sociale ai lavoratori ed aumento delle retribuzioni, di
conseguenza aumento della domanda dei beni di consumo;
- riduzione delle tariffe sui mezzi pubblici;
- aiuti decisivi all’economia agricola e industriale del sud.
Dal 1899 al 1914 l’economia italiana attraversa una stagione felice, caratterizzata da un
andamento positivo per principale indicatore economico, il PIL (Prodotto Interno Lordo).

Dal punto di vista politico, Giolitti vuole includere stabilmente la Sinistra italiana (radicali e
socialisti moderati) con i liberali. Questa manovra si rivelò inefficace. I socialisti giudicano troppo
debole l’azione di governo e ritirano il loro sostegno schierandosi con l’opposizione; le tecniche
clientelari e personalistiche continuano ad essere largamente diffuse.
Il partito socialista si attesta su una linea riformista guidata da Filippo Turati, lo stesso cerca di
spiegare il riformismo come il sostegno ad un governo borghese progressista, per passare
all’ultimo e definitivo periodo: quello della “conquista”.
Dal 1903 i deputati socialisti ritirano l’appoggio al governo Zanardelli e non lo rinnovano neppure
ai seguenti governi presieduti da Giolitti. Nel 1904 si impone la corrente Intransigente e tra il 16-
21 settembre viene organizzato il primo sciopero generale della storia d’Italia, ma il governo
Giolitti non perde il potere.
Negli anni successivi i riformisti riprendono la guida del partito socialista conservandola fino al
1911: la linea è quella di non concedere la fiducia ai governi borghesi ma di appoggiarli quando
presentano disegni di legge. Così il partito socialista si collega stabilmente nelle organizzazioni
sindacali, sia agrarie che industriali, nel 1901 nasce Federterra, nel 1906 Confederazione
generale del lavoro (CGL).

Tra il 1911 e il 1913 Giolitti gioca le sue carte più audaci: si apre un forte rilancio della
nazionalizzazione. Il 1911 è stato l’anno del 50esimo anniversario dell’Unità d’Italia e la
circostanza viene celebrata col massimo impegno in alcune città italiano come Torino, Firenze e
Roma. Le celebrazioni culminano nel modo più spettacolare con l’inaugurazione del grande
monumento a Vittorio Emanuele II collocato a Roma detto il Vittoriano. Il monumento fu mostrato
a Vittorio Emanuele III e Giolitti fece il discorso ufficiale.
Sempre nel 1911, sfruttando una grave crisi scoppiata nell’Impero Ottomano, Giolitti decide di
attaccarlo militarmente per impossessarsi della Libia. L’impresa è sostenuta da importanti gruppi
finanziari italiani e da piccoli gruppi nazionalisti radicali. Giolitti senza consultare il Parlamento
manda un ultimatum all’Impero Ottomano e nell’ottobre del 1911 autorizza l’attacco militare. La
guerra è durissima ma il 18 ottobre 1912 l’Impero Ottomano decide il trattato di pace e riconosce
la sovranità italiana sulla Libia.
La vittoria è stata più di immagine che di sostanza, anche perché la Libia non era un luogo
appetibile economicamente, ma rappresentava un riscatto e l’idea di Nazionalismo bellicista e
virilista.

Su un altro fronte Giolitti fa partire la riforma elettorale approvata dal Parlamento nel 1912.
Secondo la nuova legge diventano elettori gli uomini di oltre 21 anni capaci di leggere e scrivere,
gli uomini analfabeti di oltre 30 anni che abbiano fatto il servizio militare. Così nel 1913 ci sono le
prime elezioni a suffragio universale maschile.

Dal 7 al 10 luglio del 1912 sono stati espulsi autorevoli esponenti del partito socialista che negli
anni precedenti avevano sostenuto la necessità di una trasformazione del partito in senso
riformista. Gli espulsi tra cui Bonomi e Bissolati fondarono un partito autonomo (partito
socialista-riformista italiano) ma la maggioranza resta all’interno del partito socialista italiano,
cioè alla sinistra radicale e rivoluzionaria guidata in questo momento da Benito Mussolini e nel
novembre del 1912 assume anche la direzione del giornale del partito “Avanti”. Per evitare che i
socialisti si impongano alle elezioni i candidati liberali stringono un accordo elettorale con i
cattolici.
Il cattolicesimo politico si organizza con la costituzione dell’unione elettorale cattolica e nel
tempo sale al pontificio Pio X. Nonostante Pio X fosse contrario alla costituzione di un partito
cattolico è tuttavia favorevole ad una partecipazione dei Cattolici alle elezioni politiche
antisocialiste.
Nell’imminenza delle elezioni del 1913, il presidente dell’unione elettorale cattolica, Vincenzo
Ottorino Gentiloni, invita a votare per i propri candidati altrimenti per i candidati liberali. Grazie al
patto Gentiloni i risultati elettorali segnano un successo dei liberali che prendono il 60% dei seggi
mentre i socialisti solo il 10%.
All’apparenza i risultati sono del tutto favorevoli a Giolitti, che nell’immediato resta in carica come
Presidente del Consiglio, ma la situazione non è stabile, lo stesso Giolitti critica i liberali-cattolici
che hanno appoggiato il patto Gentiloni perché non li considera dei veri liberali.
Alla fine decide di uscire dal governo dando le dimissione di Presidente del Consiglio.

Subentra il nuovo governo affidato ad Antonio Salandra, esponente della Destra liberale, che
resterà in carica negli anni più importanti per l’Italia, l’Europa e del mondo interno, prima guerra
mondiale.

PRIMA GUERRA MONDIALE


Alle porte della prima guerra mondiale l’Europa si trovava in un periodo di pace e di benessere
economico nonostante i vari problemi legati all’espansionismo di alcuni stati come la Germania. La
goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato l’attentato del 28 giugno 1914 all’arciduca Francesco
Ferdinando D’Asburgo, erede al trono austro-ungarico, in visita a Sarajevo in Bosnia. L’arciduca è
stato ucciso per mano di un nazionalista serbo, Gravilo Princip. La Germania incoraggiò subito
l’impero austro-ungarico a dichiarare guerra alla Serbia, contando sul suo aiuto in caso di un
allargamento del conflitto.
L’opinione pubblica europea mostra un atteggiamento non sconvolto e quasi nessuna delle grandi
capitali europee si oppone all’idea di un conflitto. Dunque ci appare sconcertante conoscendo i
futuri svolti della guerra. Dal 1914 al 1918 sono in 70 milioni a vestire l’uniforme e a partecipare
alla guerra e all’incirca 10 milioni morirono in battaglia o per le ferite riportate. Altri 30 milioni
rimasero gravemente feriti, 8 milioni invalidi.
Nell’agosto del 1914 non molti hanno chiaro che tipo di guerra sia, l’idea è ancora quello di uno
scontro cavalleresco con armature lucenti traendo ispirazione da una cultura bellica fatta di letture
che parlano delle battaglie da Omero a Ariosto a romanzi storici ottocenteschi.

La guerra che scoppia nell’agosto del 1914 pone le potenze della Triplice Intesa (Francia,
Inghilterra e Russia) alleate alla Serbia, contro gli imperi centrali (Germania, Austria-Ungheria e
Impero ottomano).
Sul fronte occidentale l’iniziativa più importante viene presa dalla Germania che occupa il Belgio,
paese neutrale, per arrivare ad attaccare la Francia. Il senso della manovra sta nel fatto che i
francesi, contando sulla neutralità belga, non hanno fortificato la frontiera perché non pensavano
ad un attacco. L’esercito così entra in Francia e arriva quasi a Parigi, ma la controffensiva francese
blocca i tedeschi e li costringe ad una parziale ritirata. Da novembre 1914 il fronte tedesco si
stabilizza lungo la linea Belgio-Francia ad Arras e Verdun, restando sino alla fine della guerra.
Sul fronte orientale sono i russi che inizialmente danno la sensazione di riuscire a sconfiggere le
linee tedesche e quelle austroungarico ma i tedeschi bloccano l’offensiva russa con le vittore di
Tannenberg e dei Laghi Masuri e si spingono verso la Polonia, dentro i confini dell’Impero Russo e
nel 1915 definitivamente la occupano mentre l’esercito austro-ungarico occupa la Serbia.
Già nell’autunno del 1914 l’ipotesi di una guerra lampo viene abbandonata perché diventa una
guerra di posizione, ovvero di trincea.
Allo scoppio della guerra, nonostante la Triplice Alleanza sia ancora in vigore, il governo italiano
presieduto da Salandra opta per la neutralità dichiarando che non era stato preventivamente
informato dell’ultimatum alla Serbia. Altri 2 motivi sostanziali sono:
 L’Italia non è sicura di poter ottenere le “terre irredente” (Trento e Trieste), appartenenti
all’Austria-Ungheria.
 L’esercito non era ancora pronto per affrontare una guerra.
Tra i neutralisti vi erano molti liberali, tra cui Giolitti, anche i socialisti assumevano una posizione
di neutralità assoluta; tra i socialisti il direttore dell’”Avanti” Benito Mussolini con un articolo
pubblicato del 18 ottobre 1914 ha manifestato il suo nuovo orientamento ad intervenire e per
questo dovette dare le dimissioni e fondò un nuovo giornale “Il Popolo d’Italia”, a fine novembre
1914 fu espulso dal partito socialista italiano (PSI).
Tra gli interventisti democratici spicca Gaetano Salvemini. Vi è un interventismo liberale
rappresentato da Luigi Albertini direttore del “Corriere della Sera”. Vi è infine un interventismo
nazionalista che fonde l’idea della guerra su tematiche patriottiche.
Nel maggio del 1915 l’Italia decide di entrare in guerra affianco degli stati della Triplice Intesa con
il patto segreto di Londra del 26 aprile del 1915, il quale prevedeva che l’Italia entrasse in guerra
al fianco dell’Intesa entro un mese, ed in cambio avrebbe ottenuto in caso di vittoria, il Trentino, il
Tirolo meridionale, la Venezia Giulia con gli altopiani carsico-isontini e con l’intera penisola istriana
escluso Fiume. Dopo l’approvazione in Parlamento, il 23 maggio 1915 il governo presenta la
dichiarazione di guerra all’Austria-Ungheria e il 24 maggio si aprono le ostilità con a capo
dell’esercito Luigi Cadorna.

A pochi mesi dall’inizio della guerra appare chiaro che non è una guerra rapida, i combattimenti si
fronteggiano scavando trincee nel terreno ( fosse lunghe per decine di chilometri), fortificate e
protette da armi tecnologicamente sofisticate: fucili a ripetizione, mitragliatrici, bombe a mano,
granate, gas asfissianti, aerei da combattimento. Le trincee sono protette da barriere di filo
spinato. La tecnica dell’assalto di sfondamento alle trincee nemiche provoca un mare di morti.
Nelle trincee i soldati sprofondano nel fango tra topi e pulci, si mischia l’odore della carne in
putrefazione dei corpi morti con l’odore degli escrementi dei vivi. Niente di più lontano dall’idea di
guerra cavalleresca.

In Europa l’esperienza bellica è dovunque. I civili non combattenti devono lavorare, come anche le
donne, vengono impiegate per lavori prima riservati agli uomini. Tutte le industrie che producono
materiale bellico, dagli elmetti alle granate, alle navi da guerra, hanno una spinta notevolissima,
arricchendo i profitti degli imprenditori.
Nelle zone rurali la situazione è tragica con raccolti scarsi, clima freddo e prezzi altissimi sui
prodotti alimentari. Sui civili si commettono aggressioni e maltrattamenti da parte di soldati
stranieri. A casa, nelle retrovie, lontano dalle trincee le madre e i figli vivono pesanti difficoltà.
Contro la brutalità della guerra solo poche voci si fanno sentire, i pochi partiti socialisti che hanno
rifiutato la guerra con i paesi neutrali indicono due conferenze in Svizzera nel 1915 e nel 1916 per
chiedere di cessare il fuoco, ma senza risultati. Anche il Papa Benedetto XV, divenuto Papa il 3
settembre 1914 esprime subito tutta la sua contrarietà alla guerra, dichiarandola un’inutile strage.
Gli appelli cadono nel vuoto.

Tra il 1915 e il 1917 il quadro del conflitto si amplia ulteriormente con l’ingresso in guerra del
Portogallo, Romania e Grecia affianco dell’Intesa. In questo anno i tedeschi riescono a sconfiggere
i russi.
Sul fronte italiano gli austroungarici si dispongono lungo la linea del fiume Isonzo e del Carso. Nel
1916 gli austroungarici tendono una controffensiva dal Trentino chiamata spedizione punitiva
perché si vuole infliggere una punizione agli italiani per non aver rispettato gli impegni presi con la
triplice alleanza. L’esercito italiano riuscì a bloccare l’attacco ma dovette arretrare.
Sul fronte medio-orientale un corpo di soldati franco inglese cerca di sbarcare in Turchia per
bloccare l’Impero Ottomano ma le truppe sono costrette alla ritirata. L’impero ottomano è
entrato in guerra affianco della Germania e dell’Austria-Ungheria per la sua storica ostilità contro
la Russia. Nel maggio del 1915 il governo ottomano decide di trasferire le popolazioni armene dal
fronte in Siria per evitare che gli indipendentisti armeni aiutassero le truppe russe. L’operazione
affidata a truppe speciali portò alla massacro di uomini, donne e bambini. Si è trattato di un vero e
proprio genocidio pianificato dal governo turco, i morti oscillano tra 300.000 e 1 milione e solo
370.000 giunsero in Siria.

Sul mare i tedeschi attaccavano sia le navi mercantili sia i porti e i navigli britannici e francesi. Alla
fine di ottobre 1914 erano più di 40 le navi franco-inglese attaccate o catturate. Tra il dicembre del
1914 e i primi mesi del 1915 la marina britannica si organizza e riesce a localizzare e neutralizzare
gli incrociatori-corsari tedeschi. Il governo inglese sfrutta il vantaggio predisponendo il blocco
navale nel mare del Nord, impedendo alle navi mercatili tedesche di raggiungere i porti della
Germania. Questo tuttavia genera un traffico di contrabbando attraverso l’Olanda e la Scandinavia
che sono paesi neutrali. Per reagire al blocco navale britannico i tedeschi cominciano ad usare i
sommergibili contro le navi mercantili dirette in Gran Bretagna.
Il 7 maggio 1915 un sommergibile tedesco affonda il transatlantico inglese Lusitania, in servizio tra
New York e Liverpool con a bordo circa 2000 persone. Nel gennaio 1917 il governo tedesco
autorizza il rilancio della guerra sottomarina e affondando diverse navi statunitense. All’inizio
d’aprile gli Stati Uniti dichiarano guerra alla Germania e ai suoi alleati. L’ingresso in guerra è
sostenuto dal presidente Wilson sulla base delle relazioni economiche tra gli stati uniti e i governi
inglesi e francesi. Per queste ragioni quando Wilson chiede al Congresso la fiducia sulla
dichiarazione di guerra alla Germania ottiene facilmente la maggioranza e nella primavera del
1918 le truppe statunitense cominciarono ad arrivare sui teatri di battaglia europei.

Nel corso dell’inverno 1916/1917 sui diversi fronti di battaglia si è diffusa una grande stanchezza
fisica e psicologica che porta a scioperi nelle retrovie e casi di ammutinamento al fronte. La crisi
più grave è quella che investe la Russia nel marzo del 1917 in cui scoppia una prima rivoluzione
che conduce all’abdicazione dello zar e alla nomina di un governo provvisorio che opta comunque
alla continuazione della guerra. Tale decisione porta ad una seconda rivoluzione, guidata dalla
frazione bolscevica del partito socialista. A conclusione della quale viene pubblicata una
costituzione di una repubblica socialista e stipulato un Trattato di pace con la Germania firmato il 3
marzo 1918.
Il crollo del fronte russo permette all’esercito tedesco di avere tempo per avanzare verso
l’Occidente. Contemporaneamente gli austro-ungarici tentano uno sfondamento totale delle
offensive italiane, con l’avanzata presso il villaggio di Caporetto, in Friuli, 24 ottobre 1917. Il fronte
italiano non regge e gli austro-tedeschi avanzano per decine di chilometri occupando gran parte
del Veneto, finché l’esercito italiano non riesce a riorganizzarsi sul fiume Piave e ferma l’avanzata
austro-tedesca. La sconfitta di Caporetto ha notevoli conseguenze, il capo di stato maggiore
Cadorna viene sostituito dal generale Armando Diaz e questo genera un mutamento della
gestione delle truppe. Si comunicano ai soldati nuovi temi nazionali patriottici, alimentati dalla
retorica dell’estrema protezione della propria terra contro la possibile e definitiva invasione
nemica. Inoltre migliorano le condizioni dei soldati al fronte, con maggiori rifornimenti alimentari e
nuove opportunità di distrazione durante gli intervalli nei combattimenti.
Nella primavera del 1918 gli austro-tedeschi cercano di chiudere definitivamente la guerra.
L’esercizio tedesco prepara una grande offensiva contro il fronte francese arrivando ad invadere
quasi Parigi, mentre il fronte austriaco organizza un’offensiva contro la linea del Piave.
Le forze nemiche sono ad un passo dalla vittoria ma l’arrivo dei soldati statunitensi è un aiuto
decisivo poiché che permette un cambio dei soldati su tutti i fronti europei. Così nell’agosto del
1918 le forze anglo-franco-statunitensi lanciano una grande contro-offensiva sul fronte
occidentale con l’uso dei primi carri armati e i tedeschi sono costretti ad arretrare.
Nel settembre 1918 la Germania avvia le trattative per l’armistizio. Inoltre i francesi costringono
alla resa i bulgari e gli inglesi piegano gli ottomani.
Alla fine dell’ottobre 1918 anche l’esercito italiano sconfigge gli austro-tedeschi nella battaglia di
Vittorio Veneto. Con questa vittoria l’Austria chiede l’armistizio, firmato il 3 novembre 1918.
Queste notizie creano una crisi politica in Germania e il 9 novembre scoppia una rivoluzione a
Berlino. L’imperatore Guglielmo II è costretto a fuggire e viene proclamata la Repubblica. I nuovi
rappresentanti del governo firmano l’armistizio e la fine della guerra.
Nel gennaio 1918 sono stati fissati i 14 punti di Wilson per il nuovo assetto politico europeo, quali:
la totale libertà di navigazione, la rinuncia alla diplomazia segreta, il disarmo generale,
l’autodeterminazione dei popoli. Il fondamento dei 14 punti di Wilson è una pace senza vincitori,
ovvero una pace senza rivalse vendicative. Questo non avvenne perché la Francia e l’Inghilterra
volevano vendicarsi della Germania, ritenuta responsabile della guerra. L’Italia inoltre voleva
ottenere ciò che le era stato promesso con il Trattato di Londra.
Le trattative di pace furono lunghe e difficili. La conferenza di pace si apre a Versailles il 18 gennaio
1919 e dopo un anno e mezzo di trattative si decise che:
- la Germania dovette restituire l’Alsazia e la Lorena alla Francia,
- le colonie tedesche furono distribuite tra Regno Unito, Francia e Giappone,
- altri territori ritornarono alla Polonia
La Germania dovette risarcire le potenze vincitrici e i danni subiti durante i conflitti, abolire la
coscrizione obbligatoria e rinunciare alla flotta da guerra.
La frantumazione dell’impero austro-ungarico portò alla nascita di:
- Repubblica d’Austria,
- Repubblica d’Ungheria,
- Repubblica di Cecoslovacchia,
- Regno di Romania,
- Regno di Jugoslavia
L’Italia ottenne le terre irredente, Trento, Trieste e Istria.
La Repubblica socialista di Russia non venne riconosciuta, invece venne riconosciuta
l’indipendenza della Finlandia, dell’Estonia, della Lettonia e della Lituania.
Di ciò che restava dell’Impero Ottomano, Mustafà Kemal, un ex ufficiale, combatté una durissima
guerra contro le forze militari greche che occupavano parte della Turchia. Kemal proclama la
decadenza del sultano e nel 1923 annuncia la costituzione della Repubblica di Turchia. Altri trattati
ridisegnano la mappa del Medio Oriente, ex impero ottomano, che si basa sulla formazione di stati
indipendenti sottoposti al controllo della Francia o del Regno Unito, come Palestina,
Transgiordania, Iraq, Kuwait, Siria e Libano.
In Palestina si formano nuovi insediamenti ebraici sollecitati dalla dichiarazione del ministro degli
esteri britannico, Arthur Balfour che nel novembre 1917 comunica la decisione del governo
britannico di aiutare il movimento sionista, affinché sia costituita una patria nazionale per il popolo
ebraico, al fine di poter usare la comunità ebraica palestinese come un possibile appoggio nel
governo palestinese.

Da molti punti di vista le decisioni prese nel patto di Versailles e nei trattati successivi non
rispecchiano lo spirito dei 14 punti di Wilson, la pace non è stata raggiunta senza prezzo, i vincitori
hanno voluto consumare le loro rivincite. Nel 1920 nasce l’idea di Wilson di costituire la Società
delle Nazioni con sede a Ginevra, un organismo sopranazionale dove gli stati aderenti si
impegnano a rispettare l’integrità territoriale e l’indipendenza politica degli stati membri.
La Società vieta il ricorso alla guerra per la risoluzione dei conflitti internazionali e l’utilizzo di
conferenze diplomatiche. Al momento di ratificare la decisione, gli Stati Uniti rifiutano di
approvare l’adesione, la mancata adesione è stata voluta dalla maggioranza dei repubblicani che
andarono contro Wilson che era democratico; inoltre la mancata adesione doveva favorire un
maggiore senso di indipendenza degli Stati Uniti verso l’Europa in caso di ulteriori conflitti.
Tutto ciò portò la Società delle Nazioni a nascere fin da subito come un organismo debole e ad una
precarietà del nuovo sistema geopolitico internazionale.

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