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Marco Munafò

2. La politica di Giolitti mosse dal consapevole bisogno di liquidare le pesanti eredità


degli anni precedenti attraverso il contenimento della spesa pubblica, la diffusione
dell'istruzione, l'espansione dell'industria e il potenziamento dell'agricoltura. Dica il
candidato per quali ragioni, nazionali e internazionali, l'età giolittiana si concluse con la
partecipazione dell'Italia al primo conflitto mondiale.

Per questa seconda traccia, v'invio una scaletta sui punti principali. L'aspetto critico-
valutativo tocca a voi.

La figura di Giolitti all’interno della politica italiana e in un quadro internazionale pre-conflitto ha


contraddistinto una vera e propria cerniera, a mio parere, fra tradizione e innovazione. I suoi numerosi
governi, alcuni di breve durata, hanno contribuito all’ edificazione di un’identità nazionale e internazionale
dell’ Italia in uno scenario in continuo movimento e alla ricerca di affermazioni tecnologiche. L’avvento
delle industrie e delle cooperative che andavano quasi a soppiantare il modo di vivere l’agricoltura in
maniera patriarcale portarono anche ad una nuova frammentazione ideologica della penisola italiana
riproponendo il fenomeno della “ questione meridionale”. La politica giolittiana si può inquadrare come
una politica mite, tesa al contenuto piuttosto che agli ideali. Gli scopi principali della sua politica flettono
soprattutto al decollo industriale, alle riforme agricole, scolastiche, al rapporto con le grandi potenze
europee (triplice alleanza e non solo) cercando anche il contatto con le forze riformiste. Giovanni Giolitti
diviene primo ministro in seguito ad una breve parentesi Di Rudinì subentrato a Crispi ormai messo in
minoranza con conseguente crisi istituzionale e ribaltamento del fronte politico. L’ approccio al governo
dello statista virava su altre vie rispetto a quello del suo predecessore Crispi più propenso all’espansione
coloniale ed alla repressione nelle rivolte. Proprio delle repressioni iniziarono a contraddistinguere questa
prima esperienza di Giolitti ai vertici della politica italiana, come primo ministro, che si dimostrò tollerante
nei confronti della gente scesa in piazza a manifestare contro l’aumento dei beni di prima necessità.
Giravano voci anche di una possibile introduzione di una tassazione di tipo progressiva per poter arginare la
crisi che faceva fronte, tra l’altro fomentate anche dallo scandalo della banca romana che vide Giolitti
protagonista; le forze della sinistra storica erano implicate all’interno di emissione di banconote
contrassegnate da matricole doppie. In seguito a questi scandali Giolitti fu costretto alle dimissioni e a lui
successe nuovamente Crispi che tentò invano una nuova incursione bellica in Libia con effetti disastrosi ad
Adua e conseguenti dimissioni. Da qui sino ai primi anni del ‘900 si susseguiranno una decina di governi in
uno scenario che vede l’Italia in un periodo di forte tensione sociale e politica grazie anche all’assassinio di
Umberto I. Nel 1903 torna in politica Giolitti, come ministro degli interni del neogoverno Zanardelli. L’
ideologia politica dello statista è cambiata poiché passa alla sinistra con nuove ideologie soprattutto nei
confronti delle manifestazioni; il governo doveva svolgere una sorta di arbitrato alle lotte sindacali che
portò all’approvazione degli scioperi e la nascita della CGIL (confederazione generale italiana del lavoro) nel
1906 con l’obiettivo di migliorare le condizioni dei lavoratori con conseguenti miglioramenti nella
produzione e nel mercato. In realtà ciò fece aumentare il numero degli scioperanti. In campo scolastico la
sua politica si mosse contro il forte analfabetismo che colpiva la popolazione con la costituzione di una
scuola “classista”. Questo approccio scolastico prevedeva una suddivisione di istruzione, come raccontato
da Gaetano Salvemini, in livelli. I “giovinetti” del proletariato potevano avere un’istruzione fino ai 13 o 14
anni poiché dovevano andare ad aiutare la conduzione agricola familiare, i “giovinetti” della media
borghesia avevano un’istruzione fino ai 18 anni poiché hanno bisogno di una preparazione per carriere
minori e i ceti nobili un’istruzione superiore fino ai 21 anni che garantivano ruoli dirigenziali.

Marco Munafò
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Successivamente Giolitti subentrò a Zanardelli: per più di 10 anni manterrà la politica italiana. La nuova
politica adottata da Giovanni Giolitti fu definita del “doppio volto” per il suo atteggiamento poco repressivo
nei confronti degli scioperi ma anche perché aperto e democratico ai problemi del nord e conservatore e
corrotto nei confronti del sud. Queste idee politiche portarono l’Italia al proporsi di una nuova “Questione
meridionale”. L’arretratezza del paese era evidente su ogni fronte e i flussi migratori verso i paesi più
industrializzati e del nuovo continente da parte di gente meridionale aumentava sempre più. Il divario tra
nord e sud era incentivato anche dalle differenze sul fronte del nucleo familiare; nel meridione la famiglia
era di tipo patriarcale e l’organizzazione dei lavori coinvolgeva anche i bambini e le donne che svolgevano i
lavori domestici. Al nord la famiglia si era ridotta grazie all’avvento delle fabbriche dove non era necessaria
l’unione delle forze familiari. Al sud Giolitti aveva provato a rilanciare il paese con sgravi fiscali per i ceti
agricoli e con la costruzione dell’acquedotto pugliese (poi concluso in epoca fascista da Mussolini) nella
zona partenopea, ma era passivo per quanto riguarda una possibile riforma agraria che avrebbe gravato sui
latifondisti con conseguente perdita di consensi.

La conservazione di consensi era un chiodo fisso nella politica di Giolitti che si sublimò anche nelle riforme a
sostegno delle industrie siderurgiche meccaniche e tessili con la costituzione del triangolo industriale
Genova-Torino-Milano. Dal punto di vista consensuale Giolitti tenta anche di avvicinare il Partito Socialista
Italiano capeggiato da Filippo Turati ad un’ unione in governo. Il leader socialista fu costretto a declinare
l’offerta poiché ciò avrebbe fortemente rafforzato l’ala massimalista in governo. Tuttavia Giolitti riuscì a far
riavvicinare socialisti e liberali e la conseguente formazione delle camere del lavoro che appoggiarono
fortemente il ceto proletario all’interno delle fabbriche. Nonostante ciò nel 1909 si crearono tensioni
sociali a cause dell’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità, il fallimento degli accordi con i socialisti,
le pressioni dei moti nazionalisti che facevano capolino in politica costrinsero Giovanni Giolitti alle
dimissioni. Due anni dopo lo statista tornò alla carica con due progetti un po’ discordanti tra di loro: la
ripresa dell’iniziativa coloniale con la conquista della Libia e l’introduzione del suffragio universale maschile.
Con queste due proposte lui intendeva conquistare i socialisti moderati e nazionalisti. A trarne frutto
sarebbero stati anche gli industriali e i finanzieri che avrebbero potuto usufruire, attraverso il Banco di
Roma, dei frutti economici derivati dalla penetrazione finanziaria in Libia. Per quanto concerne la politica
estera Giolitti si muoveva su tre punti: la riconferma della triplice alleanza con Austria e Germania del 1882,
l’avvicinamento alla Francia per il controllo del Mediterraneo e il monitoraggio della zona balcanica per
possibili controlli della zona. Il monitoraggio italiano nei Balcani poneva la penisola in contrasto con gli
interessi dell’intesa che portarono la Germania a parlare di “giri di valzer” a proposito dell’atteggiamento
diplomatico italiano. I rapporti con la Francia portarono alla stipulazione di una tolleranza territoriale per
quanto riguarda il Marocco per i francesi e la Libia per l’Italia. Gli scontri con l’intesa si riproposero alla
volontà dell’ Italia a una soluzione pacifica nei confronti delle crisi marocchine. Nel 1911 la possibilità di
invadere la desideratissima Libia fece capolino poiché l’impero ottomano era indebolito dagli scontri
balcanici delle neonate nazioni sotto i moti nazionalisti della “Mano Nera” che causeranno successivamente
le cause per lo scoppio del primo conflitto mondiale. Successivamente l’Italia inviò un ultimatum dove
chiedeva alla Turchia il permesso di penetrare il corno d’Africa ma il successivo rigetto portò l’Italia a
dichiarare guerra. Questa decisione ebbe pochi sostegni come quello di Giovanni Pascoli che sperava che le
ricchezze ottenute potessero essere spartite tra la popolazione ma l’opinione pubblica e i socialisti
rappresentavano la maggioranza dell’opposizione. Difatti nemmeno lo stesso Giolitti era convinto di questa
sua scelta ma la facile penetrazione e le numerose vittorie lo rassicurarono. Purtroppo giunto a Tripoli
l’esercito fu contrastato e fu necessario un aumento dei soldati al fronte. La conclusione del conflitto fu
sancita dal trattato di Losanna con la Turchia che prevedeva la sovranità italiana in Libia. Ma questa
effimera conquista non portò alcun tipo di vantaggi alla nazione arrivando ed essere definita “uno

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scatolone di sabbia” da Salvemini. In seguito a questi l’ala riformista del partito socialista acquistava
sempre più consensi. Giolitti che rischiava di uscire sconfitto dalle elezioni successive, seppur con
l’integrazione del suffragio universale maschile, firmò il patto Gentiloni che prevedeva il voto dei cattolici in
cambio di leggi favorevoli alla chiesa; ciò si opponeva al divieto dei cattolici alla vita politica sancito dal non
expedit di Pio IX. Nelle elezioni del 1913 i liberali di Giolitti ottennero la maggioranza ma le posizioni interne
erano eterogenee per via della presenza dei deputati di orientamento cattolico. Allo scopo di rinsaldare la
maggioranza politica, Giolitti, l’anno dopo, diede le dimissioni con l’intento di essere rieletto
successivamente ma il suo trucco non funzionò. Dopo di lui ci fu il governo Salandra che nel ’15 entrerà in
guerra a fianco dell’intesa dopo un periodo di neutralità.

Al termine di quest’ Italia “giolittiana” il paese aveva certamente un volto nuovo, l’economia non era di
certo alle pezze, la scuola garantiva un’istruzione elementare per tutti e la creazione del triangolo
industriale e l’incremento delle cooperative agricole contribuivano fortemente alle ricchezze del paese. Era
un’ Italia non certo preparatissima militarmente ma ben disposta sul piano internazionale; far parte della
triplice alleanza giocava, certamente, a suo favore. È difficile scovare all’interno di tante riforme la
prospettiva di un conflitto di proporzioni mondiali all’interno della politica di Giolitti ma ritengo che ciò che
l’abbia spinta ad entrare in guerra, seppur un anno dopo e con alleati diversi, sia stato il forte desiderio di
ricavare ricchezze dalla conquista di nuovi territori. La nazione aveva sempre cercato di emergere in campo
europeo per poter competere con le grandi potenze ma né Crispi né lo stesso Giolitti erano riusciti in
questo intento pur avendo ottenuto la sovranità in Libia. Si può ritenere, a questo punto, che il pregio di
Giolitti risieda nell’ aver posto delle buone fondamenta economiche nello stato e nei cittadini l’aumento
della cultura base e l’estensione del diritto al voto a tutti i maschi abbia contribuito alla consapevolezza di
poter avere di più dal proprio paese e di poter, nel caso dei ceti più abbienti, ricavare ricchezze da questo
conflitto. Ciò esprimendosi il linea generale, senza considerare le opposizioni dei moti nazionalisti e dei
socialisti, poiché la decisione di entrare in guerra era presa dal governo mosso dai desideri sopracitati,
tenendo poca considerazione degli uomini costretti a lasciare il proprio lavoro e le proprie famiglie per
andare a combattere una guerra che non faceva certamente i loro interessi e che avrebbe prodotto dei
danni così grandi da favorire l’avvento di un uomo forte e devastante per il nostro Paese come Benito
Mussolini.

Marco Munafò

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