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STORIA

L’età giolittiana (1901-1914)

Giolitti al governo

Nel 1901 il re Vittorio Emanuele II nominò presidente del Consiglio Giuseppe Zanardelli,
Zanardelli abolì la pena di morte con il nuovo codice penale, che venne affiancato dal
ministro degli Interni Giovanni Giolitti, nato nel 1842 a Mondovì vicino a Cuneo.
Giolitti era un uomo politico pratico, moderato, esperto conoscitore della macchina
burocratica statale grazie all’esperienza che aveva acquisito ricoprendo cariche
nell’amministrazione e burocratica dello Stato, Giolitti aveva una nuova concezione dei
rapporti tra Stato e società: il governo deve mantenere una posizione di neutralità rispetto ai
completi nel mondo del lavoro, anziché considerare le organizzazioni sindacali con ostilità e
agire sempre in favore dei padroni, lo Stato avrebbe dovuto valutare la possibilità di un
confronto allargato a tutte le parti in causa. .
Zanardelli, ormai vecchio, lasciò che fosse Giolitti a prendere le decisioni più importanti, ciò
gli permise di controllare i rapporti tra lo stato e le varie classi sociali.
e quando nel 1903 rassegnò le dimissioni , fece sì che Giolitti stesso gli subentrasse come
primo Ministro. Dal 1901 Giolitti esercitò un’influenza così autorevole sulla vita politica
dell’Italia che questo periodo viene comunemente definito età giolittiana.
Durante il governo di Giolitti fu introdotta una nuova legislazione sociale, con la finalità di
tutelare il lavoro delle donne e limitare quello minorile; fu istruito il consiglio superiore del
lavoro, che aveva la funzione di mediare tra i lavoratori e avanzare proposta in maniera di
legislazione sociale; introdusse inoltre una norma sulla municipalizzazione, in base alla
quale si gestivano i servizi pubblici, sottraendoli ai privati e assegnate ai comuni.
In realtà Giolitti non resse direttamente il governo per tutti questi anni: faceva parte del suo
modo di far politica l’abbandonare nei momenti di crisi il potere nelle mani di uomini di fiducia
(come Alessandro Fortis nel 1905-06 e Luigi Luzzati nel 1910-11), o di avversari politici (
come Sidney Sonnino nel 1906 e nel 1909-10) in questo modo, tuttavia, continuava la
propria opera. Una volta dimostrata l’incapacità di amici ed avversari nella gestione del
potere, tornava infatti al governo.

Il decollo industriale dell’Italia


Giolitti dialogando con Turati, sarà in grado di varare nuove leggi per lo sviluppo
dell’economia del paese; l’età giolittiana coincise, in larga misura, con il decollo della
rivoluzione industriale in Italia, ciò fu possibile perché giolitti permise allo stato di
intervenire nelle politiche industriali. I progressi più evidenti si registrarono nell’industria
siderurgica, lavorazione dei metalli (nascita dei grandi stabilimenti di Terni e dell’Ilva
di Piombino, protagonista della nascita dell'industria siderurgica in italia), nell’industria
elettrica, si assistette alla nascita della EDISON, impresa che produce e distribuisce la luce
in italia, affinchè le altre industrie possano funzionare al meglio; e nell’industria meccanica
(sorsero nuove aziende come la Fiat, l’Alfa Romeo e la Lancia). Nel settore tessile,
un notevole sviluppo si verificò nell’industria del cotone. Inoltre si scoprirono anche i
primi giacimenti petroliferi,e quindi vi fu la scoperta del petrolio.
Queste industrie avevano sede soprattutto nel cosiddetto triangolo industriale, formato da
Torino, Milano e Genova.
L’agricoltura crebbe soprattutto nella pianura Padana dove vennero migliorate le tecniche
produttive.
Il sud restò sostanzialmente latifondista, basato sul sistema feudale, dove i contadini non
avevano terre e venivano sfruttati, proprio per questo Giolitti sarà definito il ministro della
malavita (da Salvedini), egli infatti non volle fare nulla per cambiare le sorti del mezzogiorno,
ma al contrario fece accordi con i latifondisti (accordi fatti con la criminalità e quindi con la
mafia) del sud affinché nulla cambiasse nella loro economia e permettesse a Giolitti il
consenso elettorale e quindi i voti.

Le caratteristiche dell’economia italiana


Intanto in Italia settentrionale e centrale si diffusero le camere del lavoro, nel 1906 a Milano
fu fondata la confederazione generale del lavoro (CGdL), successivamente nacque la
Federterra; nacquero pure le società di mutuo soccorso, mentre nelle campagne si
assistette alla nascita delle leghe bianche, a cui si deve la fondazione delle cosiddette casse
rurali. Ben presto Giolitti presentò un progetto di nazionalizzazionedelle ferrovie, una scelta
che aveva molteplici motivazioni, tra cui la volontà di porre fine alla cattiva gestione delle
società private e in particolare l'esigenza da parte dei grandi gruppi industriali di ridurre i
costi del trasporto; attraverso la nazionalizzazione, lo Stato avrebbe garantito le risorse
necessarie per potenziare l'intero sistema ferroviario;
il 1 luglio 1905 nacquero le ferrovie dello Stato.
Lo sviluppo economico e industriale dell’Italia fu favorito dall’intervento statale, attraverso un
processo di ammodernamento, voluto da un gruppo di capitalisti che investì in varie
fabbriche. Furono importanti le commesse statali nei trasporti ferroviari, nel settore
meccanico e siderurgico .
La politica protezionistica ,attuata con l’imposizione di alte tasse sui prodotti esteri, favorì
notevolmente lo sviluppo delle industrie del nord, mentre danneggio il sud che vide chiuse le
porte dei mercati esteri per i propri prodotti tipici (olio,vino,agrumi). Un contributo notevole
allo sviluppo fu esercitato anche dalle grandi banche che finanziarono le industrie nuove. in
questo periodo nacquero le grandi banche miste (Banca Commerciale e Credito Italiano ),
fondate con l’aiuto di grandi capitali esteri, soprattutto tedeschi, che raccoglievano i risparmi
inattivi dei privati e li rimettevano in attività proprio nella produzione industriale. In questo
periodo nascerà la Banca d’Italia, che farà molti prestiti ai capitalisti, le banche saranno
anche istituti dove i cittadini conservano i propri risparmi.

Luci e ombre dello sviluppo


lo sviluppo industriale portò notevoli miglioramenti nel livello medio di vita degli italiani. I
segni più evidenti si videro nelle città: l’illuminazione elettrica,i trasporti urbani e gli altri
servizi pubblici mutarono il modo di vivere della gente. L’arrivo dell’acqua corrente e del gas
in molte case rappresentò un notevole progresso.
Le condizioni igieniche generali migliorano, anche grazie alle innovazioni in campo merito e
sanitario. La popolazione si spostò dalle campagne alle città, sedi delle principali industrie.
Nel triangolo industriale si concentrò in questo periodo più della metà di tutta la popolazione
industriale italiana.
Di conseguenza la vita delle città comportò nuovo disagi per gli abitanti e soprattutto per
quelli delle classi operaie costretti a vivere in quartieri generalmente sovraffollati, malsani e
degradati. Nelle case il sovraffollamento rimaneva un lusso e i servizi igienici erano nella
maggior parte dei casi in comune.

Socialisti riformisti e socialisti massimalisti (rivoluzionari)


All’interno del Partito Socialista Italiano (PSI) si distinsero due correnti: quella riformista,
guidata da Filippo Turati, che voleva cambiare la società gradualmente attraverso riforme,
dialogando con il Parlamento e dunque dando un appoggio, condizionato, a Giolitti. I
massimalisti, guidati da Benito Mussolini, ritenevano che per cambiare la società fosse
necessario ricorrere alla rivoluzione, senza scendere a patti con i governi borghesi furono i
massimalisti a sostenere il primo sciopero generale nazionale nel settembre del 1904
Per reazione Giolitti indisse nuove elezioni nelle quali gli elettori, spaventati dalla minaccia
rossa, premiarono i liberali.

Il doppio volto di Giolitti


L’azione di governo di Giolitti fu caratterizzata da una profonda contraddizione. Il suo modo
di fare politica venne definito del “doppio volto”: un volto aperto e democratico nell’affrontare
i problemi del Nord; un volto conservatore e corrotto nello sfruttare i problemi del Sud.
Al Nord Giolitti consentì gli scioperi ed ebbe una posizione neutrale nei confronti dei
sindacati. Secondo lui non esisteva in Italia un reale pericolo rivoluzionario, a meno che il
governo non avesse spinto i lavoratori alla rivoluzione armata, questo sarebbe accaduto se i
lavoratori non avessero trovato altre forme legali di protesta, come lo sciopero. Oltre a
consentire gli scioperi varò alcune riforme per migliorare le condizioni di vita degli operai:
l’orario di lavoro fu abbassato ad un massimo di dieci ore, venne riorganizzata la Cassa
nazionale per l’invalidità e la vecchiaia dei lavoratori, vennero presi dei provvedimenti per
tutelare la maternità delle lavoratrici e dei fanciulli (età minima per il lavoro elevata a dodici
anni). Con la lotta sindacale si ottenne anche un aumento dei salari dei lavoratori che
poterono così cominciare ad acquistare non solo prodotti alimentari, ma anche prodotti
industriali (macchine da cucire, biciclette etc.). Di conseguenza nel nord si andò diffondendo
quel benessere economico tipico delle società di massa.
Altre riforme di Giolitti riguardarono la statalizzazione delle ferrovie e la nazionalizzazione
delle assicurazioni sulla vita. Purtroppo non attuò una riforma tributaria e non affrontò la
drammatica questione meridionale.
L’azione di Giolitti nei confronti del meridione ebbe carattere sporadico, tolta la costruzione
dell’acquedotto pugliese, gli interventi si limitarono a “leggi speciali” per porre rimedio a
situazioni particolari, come nel caso dei vari terremoti che si succedettero in questo periodo.
Gran parte del denaro destinato al sud alimentò clientele e corruzione. Di fronte agli scioperi
del sud Giolitti non fu affatto neutrale. Fece intervenire duramente le forze dell’ordine,
attuando una pesante repressione con numerose vittime. Il Sud per Giolitti era politicamente
un serbatoio di voti da controllare in modo spregiudicato con vari mezzi: attraverso i prefetti
(i rappresentanti dello stato
nelle province), che per suo ordine impedivano i comizi degli oppositori di governo, per
mezzo delle forze dell’ordine che arrestavano i sindacalisti, ricorrendo alle minacce e ai
brogli per fare eleggere parlamentari a lui fedeli.
Per tutto questo Giolitti fu aspramente criticato dall’opposizione.
La conquista della Libia
Giolitti ritenne opportuno riprendere la politica coloniale per tre motivi:
- voleva dimostrare ai nazionalisti di poter aumentare il prestigio internazionale
dell’Italia,
- voleva assecondare i maggiori gruppi industriali e finanziari che avevano interessi
economici in Libia,
- voleva accontentare l’opinione pubblica che riteneva necessario conquistare nuove
terre per dar lavoro ai braccianti del Sud e a tutti gli emigranti.
Rispetto ai governi precedenti Giolitti cambiò obiettivo, non più l’Etiopia, ma la Libia, situata
di fronte alle coste della Sicilia. Inoltre l’Italia aveva ottenuto dalla Francia il diritto di
conquistare la Libia, poiché aveva accettato che la Francia conquistasse Tunisia e Marocco.
Nel 1911 l’Italia dichiaro guerra alla Turchia per conquistare la Libia, la resistenza libica era
impenetrabile, il governo italiano continuava a mandare uomini, ma inutilmente, alla fine gli
italiani decisero di attaccare direttamente la Turchia, che dunque accettò di firmare il Trattato
di Losanna, con il quale cedeva il dominio sulla Libia all’Italia.
Presto gli italiani si accorsero che i soldi e le vite spese per ottenere la Libia non sarebbero
stati ripagati, infatti la Libia non era fertile e non aveva grandi ricchezze minerarie ( dei
giacimenti di petrolio non se ne sapeva nulla), gli italiani in quest’occasione si macchiarono
di crimini orribili.

Il suffragio universale maschile


La principale riforma democratica dell’età giolittiana fu l’approvazione nel maggio 1912 di
una nuova legge elettorale, che introduceva il suffragio universale maschile, cioè la
concessione del voto a tutti i cittadini maschi che avessero compiuto trent’anni, tuttavia per
votare serviva un minimo livello di alfabetizzazione e un livello minimo di censo. .
Potevano votare già a ventuno anni quelli che avevano adempiuto al servizio militare o che
sapevano leggere e scrivere. Giolitti voleva allargare l’elettorato per ottenere più voti dai
socialisti e dai cattolici.

Giolitti e i cattolici
I cattolici sono sempre più attivi nella vita della società attraverso l’Opera dei Congressi, che
si occupava di assistenza caritativa e di animazione culturale, erano sorti i sindacati cattolici,
le cosiddette cooperative bianche, ma soprattutto venne fondata l’Azione Cattolica, che
inquadrava i cittadini cattolici sotto la guida di papi e vescovi.
Nel 1913 Giolitti stipulò con l’Unione elettorale cattolica il patto Gentiloni, ex presidente del
consiglio italiano, con il quale i cattolici s’impegnavano a votare quei candidati liberali che
avrebbero protetto la Chiesa, furono voti fondamentali per ottenere la maggioranza alle
elezioni successive, (i voti dei cattolici in cambio di nuove riforme sulla chiesa).

1914: finisce l’età giolittiana


La guerra in Libia aveva indebolito il governo Giolitti. Molti lo criticano e l’economia era di
nuovo in crisi. In questo contesto Giolitti diede le dimissioni, pensava probabilmente che
sarebbe stato richiamato al governo come era successo in passato. Al re indicò come suo
successore Antonio Salandra, un conservatore che represse duramente scioperi e disordini
restituendo al paese un’atmosfera di forte tensione.
1 Guerra mondiele

LE RAGIONI DELL’IMMANE CONFLITTO


1) La questione balcanica:
I conflitti nazionali dei Balcani costituivano il maggior motivo di tensione dello stato
asburgico. I Balcani erano dei territori al nord della Grecia, Sui quali avevano interessi
geopolitici tutti gli imperi europei, inoltre questo luogo era abitato da molte etnie.
Altro motivo di tensione era l’impero Ottomano, nel 1912 fu la Serbia (insieme alla Grecia,
alla Bulgaria e al Montenegro) a dichiarare guerra alla Turchia (prima guerra balcanica). La
pace di Londra del 1913 sancì la vittoria della lega balcanica e l’impero Ottomano dovette
cedere la Macedonia alla lega.
La Bulgaria, che faceva parte della lega, attaccò la Serbia per garantirsi il controllo delle
regioni macedoni (seconda guerra balcanica). La Serbia, appoggiata dalla Turchia e dalla
Romania, uscì ancora vincitrice e rafforzata e divenne sempre più un pericolo per l’impero
asburgico.
2) Cambiamento del clima politico-sociale:
La politica aggressiva ed espansionistica di Guglielmo II entrò in conflitto con l’impero
britannico, che sentì minacciata la propria supremazia in campo coloniale e commerciale.
Con la cosiddetta Weltpolitik, politica mondiale, il kaiser ambiva attrarre nuove risorse per la
crescita industriale, e inoltre voleva l’egemonia sui mari, infatti nell'ultimo decennio del XIX
secolo, i tedeschi avevano triplicato le spese militari e ingrandito la loro flotta.
I tedeschi estero i loro possedimenti anche nel continente africano (Camerun, Togo e
Tanganica), aumentando così i motivi di tensione con l’Inghilterra, che voleva mettere in
collegamento le sue colonie dal Sudafrica all’Egitto. Altro motivo di tensione fu quello relativo
al fatto che l'imperatore volle accontentare i gruppi nazionalisti che auspicavano al
pangermanesimo, ovvero alla riunificazione di tutti i popoli tedeschi in un unico stato. Negli
ambienti finanziari e industriali tedeschi si era diffuso il timore per le lotte dei lavoratori e per
le rivendicazioni popolari poiché la guerra poteva essere intesa come un’utile valvola di
sfogo dei conflitti sociali.
Erano particolarmente tesa le relazioni diplomatiche tra Germania e Francia, a causa della
guerra franco prussiana del 1870, che aveva rappresentato per la Francia non solo un grave
danno economico, ma anche una cocente umiliazione nazionale, e aveva favorito la
diffusione tra i francesi di un marcato sentimento antitedesco è un desiderio di rivalsa, detto
il revanscismo.
3) Declino dell’egemonia inglese:
L’impero britannico aveva da sempre svolto il ruolo di grande potenza nel controllo e nella
garanzia degli equilibri politico-diplomatici. Questo ruolo cominciò a declinare agli inizi del
‘900, venendo contesa e sostituita da economie nazionali agguerrite, come quella tedesca e
americana, che volevano estendere la propria influenza nei mercati internazionali. Tra il
1906-7 si era concluso il ciclo espansivo risalente alla fine dell’Ottocento: ora, gli stati
potevano acquisire territori solamente sottraendoli agli altri. Questa situazione non fece altro
che diffondere la visione della guerra come unica soluzione per ristabilire l’ordine europeo e
mondiale; le grandi potenze si prepararono per una corsa agli armamenti, la quale divenne
un affare economico in cui i potenti gruppi industriali investirono somme quantità di denaro.
4) Crisi Dell'ordine Europeo:
Il timore che l’Europa venisse dominata dalla Germania spinse la Gran Bretagna,la Francia
e la Russia (che voleva estendere i propri confini a spese dell’impero turco) ad un’alleanza
politico- militare. In Europa si crearono così due sistemi di alleanze contrapposti: Germania,
Austria e Italia, Francia, Gran Bretagna e Russia. Questo sistema di alleanze fece in modo
che se un solo stato ne avesse attaccato un altro, tutta l’Europa sarebbe entrata in guerra in
difesa dell’uno o dell’altro.
5) La competizione coloniale:
Nei primi anni del 900, gli Stati erano in competizione tra loro per il dominio dei territori extra
europei ed erano giunti in più casoni è un passo dal conflitto, principalmente a causa della
scarsa chiarezza nella definizione delle rispettive zone di influenza. La rivalità era
particolarmente accesa fra le due maggiori potenze coloniali, Francia e Gran Bretagna, ma
gravi attriti si erano verificati tra Gran Bretagna e Russia, interessate alle stesse regioni
asiatiche; inoltre le due crisi marocchine avevano irrigidito i rapporti tra Francia e Germania.

LA CULTURA DEL NAZIONALISMO E DELLA VIOLENZA:


1) Trasformazione dell’idea di nazione:
L’ingresso delle masse in campo politico favorì lo sviluppo dei movimenti reazionari,
nazionalisti e autoritari. I secondi, a partire dall’inizio del secolo, acquisirono molta
importanza, conquistano parti della massa che erano lontane al centro del potere, come la
borghesia cittadina e il proletariato. Così, in questo contesto, le idee di patria e nazione si
distaccarono da quelle dell’800 e si trasformarono in pulsioni antidemocratiche, aggressività
espansionistica, razzismo e desiderio di imporsi.
CONCETTI: Popolo-nazione/nazionalismo: l’insieme di persone che parlano la stessa
lingua, che hanno le stesse tradizioni culturali e che vivono in uno stesso territorio viene
definito come popolo- nazione. Questo concetto emerse intorno alla fine del 700 e agli inizi
dell’800 durante il movimento romantico. In origine l’idea di nazione si proponeva di
promuovere un movimento di liberazione di tutti i popoli. Fu nell’età dell’imperialismo che gli
ideali nazionali si trasformarono divenendo sempre più aggressivi.
Il caso della Germania è il più noto in quanto vi erano delle correnti-pangermaniste che
fecero sì che al concetto di “idea nazionale” si sostituisse quello di “nazionalismo”, il quale
contiene il concetto di imperialismo. La prima guerra mondiale può essere considerata il
frutto di queste idee che pian piano si diffusero in tutto il mondo.
2) L’alleanza tra nazionalisti e liberali:
Si venne a stabilire, per comunanza d’intenti, un’alleanza tra nazionalisti e liberali
conservatori, arrivando, da entrambe le parti, a volere:
- un’aristocrazia dominatrice anziché la democrazia e lo spirito d’uguaglianza; la
guerra anziché la pace;
- la selezione dei migliori anziché la massificazione.
In questo clima di contraddizioni, inevitabilmente si andarono a creare, nei vari paesi,
atteggiamenti che tendevano a considerare la guerra come ottima possibilità di sviluppo e
affermazione internazionale. Questo fu possibile grazie all'ideologia imperialistica diffusa in
Europa secondo cui, ogni nazione aveva una missione storica da compiere, ovvero ribadire
la superiorità della propria civiltà sulle altre nazioni, anche attraverso l'uso delle armi. Il
movimento operaio ebbe grandissime difficoltà nell’opporre la propria cultura pacifista e
internazionalista, talmente era forte la tendenza alla guerra.
3) Gli intellettuali di fronte alla guerra:
Di fronte all’ormai dilagante cultura della guerra, anche gli intellettuali espressero il loro
ruolo. Il dubbio che si domandavano questi era “l’uomo di cultura doveva stare lontano da
tutto il tumulto degli eventi e continuare i suoi studi e le sue attività oppure doveva
partecipare attivamente alla vita pubblica mettendo il proprio ingegno al servizio contro il
comune nemico?”.
Possiamo raggruppare il loro pensiero in due posizioni:
​ a) La prima posizione era rappresentata da Rolland e Croce, secondo cui gli
intellettuali
avrebbero dovuto servire la patria continuando a fare il loro “mestiere”, quello di
intellettuale che sta sopra la mischia.
​ b) La seconda posizione, invece, era rappresentata da Thomas Mann (scrittore
tedesco),
secondo il quale la guerra era una missione ed una necessità per rompere
l’accerchiamento delle altre nazioni europee. La guerra era da interpretare come lo
scontro dei valori tedeschi, eroismo e civiltà, con quelli volgari e utilitaristici, come
Francia e Inghilterra.

4) Il casus belli:
Il 28 giugno 1914, le tensioni arrivarono ad un punto critico quando uno studente serbo,
Gavrilo Princip,Faceva parte dell'associazione nazionalista Mlada Bosna (“Giovane Bosnia”),
considerata un’organizzazione terroristiica, assassinò Francesco Ferdinando, l’arciduca
erede al trono asburgico a Sarajevo → atto terroristico passato alla storia come: attacco di
Sarajevo.

3. I PRINCIPALI EVENTI DELLA GUERRA:

L’occasione dell’attentato permise all’impero Asburgico e alla Germania di dare inizio alle
ostilità, mentre l’impero Asburgico voleva annientare il pericolo Balcanico, la Germania,
sperando in un atteggiamento neutrale della Gran Bretagna, sperava di annientare la
Francia ancora prima che la Russia fosse pronta a schierare tutte le sue truppe.
1) L’ultimatum dell’Austria alla Serbia:
Il 23 luglio l’impero asburgico lanciò un ultimatum alla Serbia, il quale prevedeva la
dichiarazione di guerra da parte dell’Impero Asburgico verso la Serbia se quest’ultima non
avesse accettato tutte le condizioni che l’Austria desiderava imporle (mettere fine alla
propaganda antiaustriaca orale o scritta, i dipendenti statali incaricati di tale attività
dovevano essere rimossi dai pubblici uffici e i funzionari austriaci dovevano partecipare alle
indagini sull’attentato).
La Serbia decise di accettare tutte le condizione tranne l’ultima e così, nonostante essa si
dimostrò favorevole al dialogo, il governo austriaco dichiarò guerra alla Serbia il 28 luglio
1914 e cominciò il bombardamento della sua capitale, Belgrado.
2) L’allargamento del conflitto:
La Russia si schierò dalla parte dello stato serbo per contrastare l’allargamento austriaco nei
Balcani, pochi giorni dopo lo scoppio del conflitto, lo zar autorizzò la mobilitazione
dell'esercito, questo fece partire il sistema di alleanze militari che trascinarono in guerra tutta
l'Europai; subito dopo la Germania dichiarò guerra alla Russia e alla Francia, di cui la Gran
Bretagna prese le difese durante lo scontro. L’Italia decise di restare neutrale ritenendo
l’invalidità della Triplice alleanza con Germania e Austria in quanto patto di carattere
difensivo e non offensivo.
Schieramento di intesa: Francia, Gran Bretagna, Russia
Imperi centrali: Germania, Austria Ungheria, Giappone
3) Le strategie di guerra:
La strategia tedesca: basata sul piano SCHLIEFFEN, Dal cognome del generale che l'aveva
elaborata nel 1905. Si pensava di attaccare la Francia passando per il Belgio ed arrivare
all’invasione di Parigi in brevissimo tempo, per poi spostare immediatamente le truppe sul
fronte russo (dal momento che l’idea era quella che i russi ci avrebbero messo più tempo per
spostare le loro truppe che la Germania ad arrivare a Parigi per poi disporsi sul fronte
russo).
La strategia anglo-francese: mirava ad aggravare la situazione tedesca sul piano delle
risorse. Si sapeva che se la guerra non fosse stata “lampo”, la Germania avrebbe potuto
perdere per scarsità di risorse. Così si predispose il blocco navale inglese che doveva
isolare la Germania dal punto di vista dell’approvvigionamento delle risorse.
4) La corsa agli armamenti
La guerra ebbe l'effetto di accelerare lo sviluppo di nuove tecnologie: il camion, il telefono, la
radio, la motocicletta, l'automobile e l'aeroplano, erano stati tutti inventati prima della guerra,
ma a partire dal 1914 il loro impiego al fronte li trasformo strumenti bellici.
Le armi conobbero lo sviluppo più significativo: il carro armato, il sommergibile e la
mitragliatrice, Quest'ultimo provocò enormi perdite agli attaccanti in ogni battaglia, ma la
principale causa di morte fu l'artiglieria, in grado di superare persino le linee nemiche: ogni
offensiva era infatti preceduta da un bombardamento che poteva durare diversi giorni,
condotto da migliaia di cannoni, e da cui era difficile sopravvivere.
L'arma più disumana sperimentata sui campi di battaglia furono però i gas, utilizzati per la
prima volta nella seconda battaglia di Ypres, il 22 aprile nel 1915, quando nuvole di gas
spinte dal vento verso le linee nemiche soffocavano, ustionavano o accecavano le vittime;
tutti gli altri eserciti allora si affrettarono a imitarli e la maschera antigas divennero un
accessorio indispensabile a ogni soldato.
5) La prima fase della guerra:
L’esercito belga riuscì a resistere all’attacco tedesco per quel tanto necessario al governo
francese di organizzare una difesa adeguata che consentì all’esercito tedesco di arrivare a
soli pochi chilometri da Parigi. L’esercito francese riuscì ad allontanare l’esercito tedesco dal
suolo nazionale dopo una grandissima battaglia sul fiume Marna (settembre 1914) e nella
battaglia delle Fiandre (ottobre-novembre 1914) . Così i tedeschi furono costretti ad arretrare
scontrandosi ancora due volte con l’esercito franco-inglese sui fiumi Asine e Somme.
La sconfitta dei tedeschi fu determinata da due fattori principali: l’avanzata troppo rapida e
l’inaspettata invasione della Prussia da parte della Russia, che necessitava di maggiori
truppe, le quali vennero sottratte al fronte occidentale.

La strategia tedesca della guerra lampo era diventata ormai un’ipotesi lontana, ben presto la
guerra tra Francia e Germania si trasformò in guerra di posizione, ovvero guerra in cui gli
eserciti rimangono fermi, protetti da barriere di difesa.
Come risposta alla strategia inglese di ostacolare i rifornimenti degli Imperi centrali, i
tedeschi scatenarono una terribile guerra sottomarina. Gli U-Boat tedeschi iniziarono ad
affondare ogni nave transitante nelle acque da loro presidiate in modo da cercare sia di
isolare la Gran Bretagna (specie dai rifornimenti americani) e sia per cercare di rompere il
loro isolamento. La guerra sottomarina ebbe una grande crescita che coinvolse non solo le
navi militari, ma anche quelle passeggere appartenenti a paesi neutrali. Il caso più
clamoroso fu quello della Lusitania, su cui viaggiavano 198 americani. La risposta
americana fu durissima: il presidente Wilson minacciò l’entrata in guerra dell’America contro
la Germania se si fossero ripetuti altri incidenti di questo tipo. E così la Germania fu costretta
a ridurre la sua aggressività sul fronte sottomarino, che perse tutta la sua importanza.

4. L’INTERVENTO ITALIANO:
1) I motivi principali della neutralità italiana nei primi anni di guerra:
​ a) Il primo di questi motivi è quello riguardante il carattere esclusivamente difensivo
della Triplice alleanza; infatti la Germania e l’Austria non vennero attaccate, ma
furono loro le “attaccanti”.
​ b) Inoltre l’Italia non era stata consultata riguardo all’ultimatum austriaco alla Serbia,
per tanto essa non si sentiva presa in considerazione nella questione.
​ c) L’impero austriaco si rifiutava di dare compensi territoriali all’Italia nel caso in cui
l’Austria fosse uscita rafforzata nell’area balcanica (articolo 7 del trattato).
​ d) Altro motivo non trascurabile è che in Italia serpeggiavano sentimenti
antiaustriaci.
2) L’Italia fra neutralismo e interventismo:
All’interno dell’Italia si erano formati due gruppi idealmente contrapposti riguardo l’entrata o
meno in guerra: gli interventisti, che erano favorevoli all’entrata in guerra, e i neutralisti,
quelli non a favore della guerra:
- Il movimento neutralista era composto dai Socialisti moderati, che ritenevano che la
guerra fosse estranea agli interessi dell’Italia; dai Cattolici, che desideravano non
partecipare alla guerra sia per motivi morali che per no schierarsi contro un’altra
potenza cattolica come l’Austria; dai Giolittiani, i quali sostenevano che il sistema
italiano fosse troppo debole per poter affrontare una guerra e dicevano che l’Italia
avrebbe potuto trarre vantaggi con delle operazioni diplomatiche più che con l’entrata
in guerra.
- Il movimento interventista, invece, era composto dai Socialisti rivoluzionari, come
Benito Mussolini, secondo cui la guerra avrebbe aperto le porte alla rivoluzione
socialista; dagli Irredentisti, che pensano che bisogni annettere ad un unico stato tutti
i territori limitrofi e confinanti se c’è qualche comunanza di tipo nazionale e la guerra
è un buon motivo per agire; dai Nazionalisti e Futuristi, come D’Annunzio, che
portavano avanti un’ideologia antidemocratica, antiparlamentare ed espansionistica;
dai Socialisti Conservatori, come Sonnino e Salandra (destra), che ritenevano che la
guerra fosse l’unica soluzione atta a soffocare le tensioni sociali e per dare allo stato
un carattere più autoritario.
Nacque anche il sentimento di irredentismo ovvero in attesa di essere liberate, tutte quelle
terre abitate da Italofoni che si trovavano sotto l'amministrazione austriaca.il concetto di
irredentismo sia dall'ora diffuso anche fuori dai confini della penisola, danno Nova tutti quei
fenomeni di richiesta di ridefinizione Territoriale di uno Stato nei confronti di un altro. Leggere
necessaria per completare l'unità d'Italia era nel Trentino, la Venezia Giulia e Trieste. Nel
corso del 900, di irredentismo è divenuto un concetto tanto versatile ad essere impiegato in
ambiti geografici e storici lontani da quello italiano.

3) Il patto di Londra:
La svolta interventista si ebbe nel 1915, quando Sonnino, in accordo con Salandra, stipulò
segretamente, all’insaputa del parlamento, il patto di Londra con cui l’Italia si impegnava ad
entrare in guerra schierata dalla parte della Triplice Intesa, avendo in compenso alcuni
territori tra cui il Trentino,l’Alto Adige, Trieste, la Dalmazia, alcuni territori albanesi e la
penisola istriana (escusa la città di fiume) in caso di vittoria. Salandra diede le sue dimissioni
in quanto Giolitti, essendo ancora all’oscuro del patto di Londra, ribadì la sua scelta
neutralista in parlamento. Ma il re Vittorio Emanuele III non accettò le sue dimissioni e lo
investì di poteri eccezionali (amministrare la guerra), scavalcando la volontà del parlamento.
Così il 20 maggio 1915, il parlamento, per evitare maggiori conflitti interni, diede il suo
sostegno al governo (a eccezione dei socialisti), che il 23 maggio dichiarò guerra all’Austria
e le operazioni militari ebbero inizio la mattina del 24 maggio 1915.
La dichiarazione di guerra venne interpretata dagli storici come un tentativo di risolvere le
tensioni del paese con un atto di forza appena rivestito di legalità.

1. LO STALLO DEL 1915-16


1) Una logorante guerra in trincea:
Come sappiamo, la strategia tedesca di una guerra lampo fallì e si trasformò in una guerra
di logoramento, in cui milioni di soldati si contrapponevano lungo chilometri di trincee senza
mai affrontarsi in battaglie campali. La trincea rappresentava quel periodo di stallo che
ricoprì il 1915- 16 in cui nessuno dei paesi in guerra era in grado di imporsi e di vincere il
conflitto. Vivere in trincea significava non solo combattere con il nemico, ma anche con
l'umidità, la sporcizia e le malattie, infatti i soldati trascorrevano le giornate in compagnia di
topi, pidocchi e ogni sorta di parassita; inoltre erano vicino a rifiuti, escrementi e molto
spesso anche i cadaveri restavano in prossimità dei cunicoli e delle buche in cui si
attestavano le linee di difesa. Queste condizioni igienico sanitarie facilitarono il diffondersi
delle vere e proprie epidemia.
Le condizioni in cui soldati erano costretti a vivere e morirono provocarono ribellioni e
ammutinamenti in molti eserciti. La paura che questo qui parliamo di questo e il via a una
rivoluzione spinse comandante e soffocarle nel terrore, ordinando fucilazioni fra i soldati. Per
tutte queste ragioni l'esperienza della prima guerra mondiale fu per i combattenti la più
spaventosa di tutte le guerre precedenti.
Gli imperi centrali, circondati pressoché da tutti i fronti, erano quelli a soffrire di più di questa
situazione. Gli effetti del blocco commerciale stavano riducendo la Germania in una
situazione drammatica, che l'avrebbe condotta inesorabilmente a perdere.
Così essa cercò di rompere l’isolamento dando luogo a due battaglie: quella di Verdun (durò
5 mesi) e quella di Jutland. La strategia della prima fu quella di concentrare gran parte delle
armate su un unico punto, tuttavia, questa strategia non si rivelò vincente.
Gli anglo-francesi non solo non persero le posizioni ma anzi, lanciarono un contro-attacco
che fece arretrare notevolmente i tedeschi fino alla Somme, dove ci fu una carneficina di più
di un milione di soldati.
Quanto alla battaglia dello Jutland, fu invece il tentativo tedesco della battaglia navale.
L’esito non fu troppo differente dal tentativo terrestre. I tedeschi adottarono nuovamente la
strategia della guerra sottomarina totale, l’unica che aveva dato dei risultati. Questa strategia
si rivelò ancora una volta vincente, ma, se da una parte metteva a durissima prova
l’economica nemica, dall’altra faceva correre il rischio dell’entrata in guerra dell’America
contro la Germania, ma i tedeschi erano convinti di concludere la guerra prima che l’America
iniziasse l’offensiva.
Sul fronte italiano, Luigi Cadorna, fra il 1915 e il 1917, lanciò offensive sul fiume Isonzo, con
l'intento di conquistare Trieste e poi Vienna; le offensive non ottennero alcun successo ma al
contrario, l’Austria attaccò l’Italia con l’attacco detto “strafexpedition” (spedizione punitiva
contro l’alleato traditore), che portò all’occupazione dell’Altopiano di Asiago. La condizione di
impreparazione dell’esercito italiano costrinse Antonio Salandra a dare le dimissioni, nel
giugno dello stesso anno.
Intanto sul fronte orientale, i russi si scontrano sia con gli austro-ungarici, sia con i tedeschi;
contro i primi ottennero un importante successo nella battaglia di Leopoli, al contrario, il
tentativo di penetrare in Prussia si rivelò fallimentare e l'esercito russo fu sconfitto sia
Tannenberg sia presso i laghi Masuri.
La Gran Bretagna decise di attaccare l'impero ottomano, sulla penisola di Gallipoli, che vide
impiegate anche truppe australiane, neozelandesi e indiane, non ebbero però successo e le
truppe ottomana, guidata dal comandante Mustafa Kemal, riuscirono a fermare la Gran
Bretagna; anche in questo caso il conflitto si trasformò in una guerra di trincea.

2) Conseguenze socio-politico-economiche della guerra:


Per affrontare le difficoltà della guerra nelle varie nazioni si formarono dei governi
d’emergenza: in Francia con Aristide Briand, in Italia con Borselli, in Gran Bretagna con
George (appoggiato dai conservatori, dai liberali e da una parte di laburisti) e in Austria con
Carlo I.
In tutta questa situazione lo stato divenne il motore del sistema industriale, che aveva il
compito di organizzare la produzione in base alle necessità sempre maggiori della guerra.
Come scrisse Riccardo Bachi, lo stato è l’imprenditore della guerra, è diventato il perno di
tutta l’economia, la quale fa riferimento principalmente all’azienda economica militare. Così
le aziende vennero inevitabilmente militarizzate e lo stato improntò la maggior parte della
produzione allo sforzo bellico. Questo determinò uno sviluppo notevolissimo di: attività
produttive, investimenti e formazione di imprese enormi. A questo proposito abbiamo la
diffusione a scopo bellico di strumenti civili come il motore a scoppio, il telegrafo, l’energia
elettrica ecc... Uno dei motivi per cui i profitti aumentarono così notevolmente è legato al
fatto che lo stato aveva limitato le libertà sindacali e militarizzato il lavoro in fabbrica. Per
poter far tutte queste iniziative lo stato dovette chiedere prestiti (ai cittadini e ad altri stati,
come l’America), stampare valuta senza corrispondenza aurea ed aumentare le tasse. La
conseguenza inevitabile e scontata fu l’aumento del debito pubblico e dell’inflazione.
Per mantenere elevati ritmi di produzione, le donne entrarono massicciamente a lavorare
nelle fabbriche, raggiungendo in questi anni una presenza numerica rilevante.
Oltre che in fabbrica, le donne sostituirono gli uomini in altre funzioni come poliziotta, alla
guida dei tram delle ambulanze e persino come medici, ingegneri, professioni
tradizionalmente maschili e dalle quali erano escluse in quanto in genere non avevano
accesso all'istruzione universitaria, in questo periodo nacquero i movimenti delle suffragette .
Ai civili lo Stato richiesto di servire la patria anche sottoscrivendo prestiti di guerra, cioè
buoni del tesoro che avrebbero fidanzato la prosecuzione dell'ostilità; dopo alcuni anni
dall'inizio del conflitto, anche il razionamento dei beni primari e la requisizione dei prodotti
agricoli divennero una consuetudine e molti paesi.tutte queste iniziative furono portata avanti
attraverso una propaganda ossessiva e con metodi polizieschi.
3) La svolta del 1917:

L’avvenimento che portò l’uscita dalla guerra della Russia fu la rivoluzione russa scoppiata
nel 1917. La situazione politico-sociale della Russia non era delle migliori; infatti vi erano
manifestazioni contro la guerra da parte dei soldati e della popolazione, i quali pagarono
duramente l’impreparazione tecnica e strategia dei comandi russi. Nel 1917 scoppiò una
rivolta degli operai a Pietrogrado che provocò l’abdicazione dello zar Nicola I. Aleksandr
Kerenskij, presidente delgoverno provvisorio, decise di continuare la guerra, e scatenò
un’offensiva a Galizia, che fu un fallimento; i soldati russi fraternizzarono con quelli tedeschi
e austriaci e tornarono alle loro case. Fu questo l’esplicito segno dell’avversione dei soldati
alla guerra, che fece sì che la Russia ottenesse il consenso degli alleati e degli avversari ad
uscire dalla guerra.

4) Entrata in guerra degli Stati Uniti (1918):


Il 6 aprile 1917, gli Stati Uniti d'America guidati da Woodrow Wilson, entrarono in guerra
contro la Germania. Il presidente e il congresso decisero l'intervento a causa dei continui
attacchi alle navi mercantili americane che commerciavano con la Gran Bretagna da parte
dei sommergibili tedeschi; a causa della ripresa da parte dei tedeschi della guerra
sottomarina tedesca gli Stati Uniti entrarono in guerra al fianco della Triplice Intesa (Francia,
Inghilterra). Lo scopo principale degli Stati Uniti era quello di tutelare i loro capitali prestati ai
paesi dell’Intesa . Inoltre il governo degli Stati Uniti tendeva a sostenere le nazioni come la
Francia e l’Inghilterra, che avevano un sistema politico liberaldemocratico, rispetto a quelle
dell’Alleanza.
Alle forze dell'intesa si unirono poco dopo anche la Grecia e il Brasile.
5) Le disastrose condizioni delle popolazioni e la risposta al disfattismo:
La situazione che si era andata creare aveva prodotto una stanchezza generale da parte del
popolo e dei soldati in guerra, la cui permanenza li ha portati a non avere più le forse per
combattere. Una guerra che non vede né vincitori, né vinti per due anni non porta
soddisfazioni, ma solo voglia di PACE. Le condizioni dei soldati erano ormai disastrose;
soldati malnutriti, esposti a malattie e spinti a diserzioni di ogni tipo. Ormai il disfattismo
serpeggiava tra tutti gli ordini militari; i comandanti dovevano combattere contro il nemico e
contro gli oppositori interni. La risposta francese a questo disfattismo di massa fu quella di
effettuare un cambiamento ai vertici dell’esercito, e il nuovo primo ministro avviò una politica
di tipo autoritario per soffocare ogni sommossa. In Germania, invece, si passò a rafforzare i
poteri militari ed a militarizzare le industrie.

6) La disfatta italiana di Caporetto:


La Germania e l’Austria concentrarono parte dei loro eserciti per attaccare l’Italia, ritirando
quelli sul fronte russo. L’esercito italiano era sfiancato, stanco e demoralizzato dagli
incessanti sforzi che gli erano derivati dall’essere sotto il comando di Luigi Cadorna.
Errori strategici e scarsa resistenza si aggiunsero alla stanchezza, tanto che il 24 ottobre
1917 il nemico prese Caporetto, costringendo l’esercito italiano a ritirarsi. Le perdite umane
furono numerosissime, circa 400.000 uomini. L’esercito passò sotto il comando del generale
Armando Diaz, il quale, per ottenere maggior fiducia, promise delle terre ai contadini dopo la
fine del conflitto. L'attacco austriaco sul fiume Piave, fu stroncato nella storica battaglia di
Vittorio Veneto, qui la resistenza austriaca fu breve: dietro il fronte, la coesione interna
dell'impero stava venendo meno.
2.LA FINE DELLA GRANDE GUERRA
1) La fine della guerra:
Gli imperi centrali sapevano che con l’arrivo delle forze americane la vittoria sarebbe stata
più difficile, volevano quindi chiudere a loro favore la guerra prima dello sbarco delle truppe
nemiche d’oltreoceano. Nel marzo 1918, gli stati centrali attaccarono sul fronte occidentale,
nella regione di San Quintino e nei pressi di Marna le linee dell’Intesa furono sfondate.
Nonostante ciò, le truppe anglo-francesi seppero riorganizzarsi, per evitare che il nemico
andasse oltre, sotto il comando di Ferdinand Foch. Il 18 luglio, con l’arrivo delle truppe
americane scattò la controffensiva dell’Intesa: vi furono le due battaglie di Amiens e di
Vittorio Veneto che segnalarono la disfatta degli imperi centrali.
La guerra si era conclusa e iniziarono le rese (Bulgaria, Turchia) ed in particolare è
importante l’armistizio tra Austria ed Italia, firmato a Villa Giusti (presso Padova) il 4
novembre 1918.
2) I trattati di pace:
- Il trattato di Brest-Litovsk, la Russia perse circa 800.000 km², cui si aggiunsero
l'obbligo di pagare alla Germania e all'Austria Ungheria un'indennità di 6 miliardi di
marchi;
- Conferenza di Parigi, Inizio della negoziazione per il nuovo assetto europeo a cui
parteciparono il presidente americano, francese e inglese.ho con questo trattato si
imposta una pace punitiva, nella ferma volontà di far pagare alla Germania i suoi
alleati il costo della guerra;
- trattato di Saint Germain, di Neuilly, del Trianon, il primo fu sottoscritto tra l'impero
austro ungarico e l'Austria, il secondo tra l'impero austro ungarico e la Bulgaria,
mentre l'ultimo tra l'impero austro ungarico e l'Ungheria; si assistette alla costituzione
di due Stati indipendenti, l'Austria e l'Ungheria, inoltre videro la luce e la
Cecoslovacchia e il regno dei serbi, Croati e sloveni (regno di Jugoslavia)
- Trattato di Sèvres e l’accordo Sykes-Picot, attraverso il quale si assistette allo
smembramento dell'impero ottomano, ridotto alla sola penisola anatolica; inoltre il
Medioriente finì sotto il controllo della Francia e della Gran Bretagna.
- Trattato di Losanna e nascita della Turchia, riconoscimento della Repubblica di
Turchia, cui venne confermata la piena sovranità sulla penisola anatolica. L'accordo
fisso anche lo scambio di popolazioni tra Grecia e Turchia.
3) La conferenza di Versailles e le sue conseguenze:
Nel gennaio 1919 si aprì a Versailles (in Francia), la conferenza di pace, alla quale presero
parte attiva solo i paesi vincitori (Francia, G.B., Stati Uniti e Italia), mentre i paesi vinti
vennero convocati solo per firmare i trattati di pace. All’interno della conferenza possiamo
distinguere due posizioni contrastanti:
- Quella di Wilson che sosteneva il principio democratico dell’autodeterminazione dei
popoli;
- Quella di Clemenceau che prevedeva l’usuale pratica delle annessioni territoriali per
risolvere il disfacimento dei grandi imperi passati, voleva, inoltre, dar vita ad un
nuovo equilibrio europeo incentrato su l'egemonia della Francia e della Gran
Bretagna.
Tra le due prevalse la linea di Clemenceau, che mirava al blocco della Germania, costretta a
firmare il trattato di Versailles che prevedeva la restituzione alla Francia dell’Alsazia e della
Lorena e una grossa indennità di denaro. Infine, per merito di Wilson, nacque anche la
“Società delle nazioni” (fondata il 28 aprile 1919) con lo scopo di dirimere le eventuali
controversie internazionali per mantenere la pace ed evitare nuove guerre.
Wilson teorizzò i 14 punti:
- le nazioni devono commerciare liberamente;
- autodeterminazione dei popoli
4) Le eredità della guerra:
Con la fine della guerra, eserciti centinaia di migliaia di soldati vennero smobilitati in pochi
mesi milioni di uomini tornarono a casa con il problema di reinserirsi nella vita sociale. La
produzione industriale durante gli anni del conflitto aveva raggiunto ritmi elevatissimi, ma era
stata anche pesantemente indirizzata alle commesse belliche degli Stati. Pertanto, quando
la domanda di armi cessò, non fu facile per le industrie convertire in tempi rapidi la
produzione in altri beni necessari per la popolazione. Si verificò così una generalizzata fase
di recessione che colpì anche alcuni paesi vincitori, e determinò un aumento del tasso di
disoccupazione. Dopo la fine della guerra si assistette all'abbandono dei provvedimenti
precedenti con il risultato di produrre un immediato aumento dell'inflazione e quindi il costo
della vita aumentò, andando a penalizzare i contadini e ceti medi.
La prima guerra mondiale videro dei coalizzarsi dall'uso della violenza non solo in
combattimento, ma anche con la creazione di enormi campi di prigionia, dove le condizioni
di vita dei prigionieri di guerra erano terribili. Proprio durante gli anni della guerra fu portata a
termine dai turchi il genocidio degli Armeni, che portò di fatto l'annientamento di un'intera
comunità .
La guerra determinò anche cambiamenti positivi, fra questi vi fu l'accelerazione del processo
di emancipazione femminile; le donne non svolsero soltanto comune attività lavorativa, ma
anche mansioni più delicate, come l'assistenza ai feriti, in tutti i paesi belligeranti furono
infatti costituite associazioni volontarie di soccorso. L'impegno femminile consentire alle
donne di uscire dalle mura domestiche e operare all'interno di una cerchia sociale più vasta.
L'immagine tradizionale femminile, entrò in crisi.
Non fu più possibile rappresentare le donne come sono le madri mogli e figlie e nello stesso
tempo il ruolo dominante del maschio venne a poco a poco scalzato dall'avanzamento della
figura femminile. Quasi tutti ritenevano che, una volta terminato il conflitto, la situazione
sarebbe dovuta ritornare come prima e le donne avrebbero dovuto ricominciare a svolgere
ruoli esclusivamente femminile; tuttavia l'aver raggiunto una piena indipendenza economica
è l'aver acquisito la compro sapevolezza delle proprie capacità, indusse un numero sempre
crescente di donne a rifiutare di obbedire alle regole della società maschilista e lottare per
una maggiore considerazione di autonomia.
LA RIVOLUZIONE RUSSA 1. L’IMPERO ZARISTA
1.1 La Russia zarista tra arretratezza e modernizzazione:
Le cause che portarono la caduta dell’impero degli zar del 1917 vanno ricercate all’interno
delle profonde trasformazioni che la società russa attraversò nei primi anni del 1900.
Nel 1861 si ebbe l’abolizione della schiavitù e l’affrancamento di milioni di contadini (85%
della popolazione russa). Nonostante ciò, al’interno della società russa vi erano gravi
disuguaglianze: la maggior parte dei contadini viveva i condizioni miserabili, mentre i grandi
proprietari terrieri, insieme ai kulaki (contadini agiati), possedevano circa il 40% delle terre, il
restante era diviso in piccoli appezzamenti tra milioni di contadini poveri. La classe operaia
era ancora poco numerosa, e l’operaio in se veniva sottopagato e costretto a lavorare più
ore del previsto. Le poche industrie presenti in Russia erano sorte grazie ai finanziamenti
stranieri oppure erano sostenute dallo stato.
1.2 I partiti di opposizione e gli obiettivi della lotta politica:
Per quanto riguarda il campo politico, si può dire che nella Russia dei primi del Novecento vi
era un governo di tipo assolutistico, in cui il potere dello zar si pensava fosse legittimato da
Dio, non vi era un parlamento e l’attività politica era comandata dalla polizia. Nonostante ciò,
anche in Russia si formarono dei partiti politici di opposizione, quali:
Il partito costituzionale democratico: conosciuto anche come partito dei cadetti,
rappresentava tutta la borghesia, cioè la classe dei capitalisti e dei grandi proprietari fondiari
diventati capitalisti. Essi miravano alla formazione di un parlamento elettivo sul modello
occidentale.
Il partito social rivoluzionario: rappresentava i piccoli proprietari, i contadini piccoli e medi, la
piccola borghesia e gli strati di operai soggetti all'influenza della borghesia. Esso mirava ad
una società fondata sulla valorizzazione delle tradizioni comunitarie del mondo contadino.
Il partito operaio socialdemocratico russo (Posdr): era di orientamento marxista e riteneva
che il processo rivoluzionario poteva compiersi solo in seguito ad uno sviluppo del
capitalismo industriale. Dal 1903 il partito si divise in due parti:
1) I bolscevichi, secondo i quali lo zarismo andrebbe capovolto attraverso un’azione
rivoluzionata e sostituito con il socialismo
2) I menscevichi, che mirano a una riforma in senso democratico dello stato zarista,
alleandosi con la borghesia e altri partiti (socialrivoluzionari e cadetti).
Per i menscevichi in Russia non si può applicare la teoria di Marx (rivoluzione, instaurazione
del socialismo attraverso l'azione della classe operaia) perché la Russia è un paese ancora
prevalentemente contadino, quindi prima bisogna che anche in Russia si realizzi in pieno la
rivoluzione industriale e borghese e solo poi si può pensare a una rivoluzione operaia e
socialista. Per i bolscevichi invece, si può saltare questa fase e passare direttamente al
socialismo realizzando una alleanza tra operai e contadini.

1.2 La rivoluzione del 1905:


Nel 1905, a San Pietroburgo, ci fu un grande sciopero seguito da una manifestazione
pacifista popolare in cui si chiedevano migliori condizioni lavorative (8 ore giornaliere e un
minimo salario garantito) e la convocazione di un’assemblea costituente. La reazione delle
truppe dello zar fu terribile: venne aperto il fuoco sulla folla, provocando un alto numero di
vittime. Quest’episodio, ricordato come la “domenica di sangue”, fece sì che i partiti di
opposizione si unissero per chiedere a gran voce la democratizzazione dello stato. Nel
frattempo si formavano a San Pietroburgo i soviet dei lavoratori, che rappresentavano
250mila operai e i contadini occupavano le terre dei nobili.
Nell'ottobre dello stesso anno lo zar fu costretto a cedere l’istituzione di un parlamento (la
Duma), dotato di poteri legislativi ed eletto da tutte le classi sociali. Ottenuto ciò che
volevano, i liberali abbandonarono gli altri partiti oppositori, i quali chiedevano riforme più
sostanziali.
La risposta dello zar fu prima di limitare i poteri della Duma, poi di scioglierla. Ma negli anni
1907 e 1912 la Duma fu rieletta a suffragio più ristretto in modo che venissero garantiti gli
interessi dei grandi proprietari. L’elemento più significativo di questa rivoluzione fu la nascita
dei soviet dei lavoratori, seppur ebbero vita breve, dal momento che il governo arrestò i suoi
massimi esponenti, tra cui Lev Trockij.
1.3 Le riforme di Stolypin e i rapporti sociali nelle campagne:
Il primo ministro Stolypin si rese conto che la repressione non avrebbe avuto senso se non
fosse stata accompagnata da una politica riformatrice per quanto riguarda le terre. Così dal
1906-11 attuò una serie di riforme con lo scopo di favorire lo sviluppo di un ceto medio
agrario in gradi di garantire una maggiore stabilità sociale. Fino ad allora le terre
appartenevano ai grandi proprietari o ai mir (comunità di villaggio che retribuivano gli stessi
contadini che lavoravano tali terre). Il programma di Stolypin mirava alla creazione di una
libera proprietà contadina, che consentiva ai capofamiglia di poter possedere una parte di
terra assegnata loro dalla comunità.
L’aspetto negativo di questa riforma andò a discapito dei contadini e a favore dei grandi
proprietari terrieri, in quanto i primi, del tutto privi di qualsiasi mezzo per far fruttare la propria
terra, furono costretti a cederla di nuovo ai contadini più ricchi o ai grandi proprietari terrieri, i
quali, avendo ceduto in precedenza alcuni appezzamenti di terra ai contadini e vendo
ricevuto un rimborso dallo stato, poterono riacquistare le stesse terre a prezzo più basso. I
kulaki furono coloro che beneficiarono maggiormente della riforma; quasi 30.000 kulaki
possedevano 80 milioni di ettari. LA conseguenza inevitabile fu la disoccupazione; infatti i
contadini, senza lavoro e senza di che vivere, si trasformarono in braccianti o cercarono
lavoro in città. Ma purtroppo le poche industrie non erano in grado di poterli assumere. Così
crebbero i conflitti sociali.

2. LA CADUTA DELLO ZAR

2.1 Le ripercussioni della grande guerra:


In Russia, come in altri paesi, vi era una diffusa ostilità nei confronti della guerra. Erano ostili
tutte le formazioni socialiste e poco convinti i soldati. Nei tre anni di guerra la Russia portò
gravissime perdite; la causa di ciò va ricercata nel fatto che i comandanti militare, grandi
incapaci, mandavano le truppe allo sbaraglio, senza una precisa strategia d’attacco, senza
un’organizzazione logica e senza vere dei mezzi di trasporto adeguati per
l’approvvigionamento e le forniture di materiale bellico. Per quanto riguarda la popolazione
civile russa, anch’essi erano in una situazione disastrosa. Sembra evidente che lo stato
zarista si trovò del tutto impreparato ad affrontare l’evento bellico, dal momento che avrebbe
dovuto provvedere a razionalizzare la produzione in funzione dell'emergenza bellica. Nel
1916 la Duma fu sciolta per non essersi allineata con la corte e più il tempo trascorreva più
cresceva l’astio del popolo nei confronti dello zar e del governo.
2.2 La rivoluzione di febbraio: l’abdicazione dello zar:
Nell’8 marzo del 1917 ci fu, a Pietrogrado, una rivolta degli operai e dei soldati appoggiata
dalle truppe della capitale che si rifiutarono di sparare contro i rivoltosi. Questo episodio
ebbe una conseguenza del tutto inaspettata: lo zar Nicola abdicò. Altra importante
conseguenza fu la divisione del potere tra governo provvisorio e del soviet di Pietrogrado:
​ Il governo provvisorio era controllato dai liberali moderati, guidati dal principe L’vov e
dal social rivoluzionario Kerenskij. Il suo programma mirava a presentarsi agli alleati
dell’Impresa come l’unico posseditore del potere dopo la caduta dello zar. Per cui il
suo scopo era quello di continuare la guerra e di proclamare un’Assemblea
costituente;
​ Il soviet di Pietrogrado, invece, era controllato dai socialisti delle diverse correnti
(social rivoluzionari, menscevichi e bolscevichi). Il soviet rappresentava le classi
lavoratrici e di gran parte dell'esercito, composto da contadini poveri, e mirava alla
pace immediata e alla distribuzione delle terre.
2.3 Il rientro di Lenin dall’esilio e le “Tesi di aprile”:
Durante la rivoluzione di febbraio, Lenin ed altri dirigenti bolscevichi erano in esilio in
Svizzera, così l’egemonia del potere era nelle mani dei menscevichi. All’interno dei
bolscevichi vi erano delle divergenze; infatti una minoranza “di sinistra” era intenzionata a
creare subito un governo rivoluzionario provvisorio per attuare delle riforme sociali, mentre la
maggioranza più moderata riuscì ad imporsi col passare delle settimane. Nella prima
conferenza panrussa fu approvata la proposta di Stalin, che prevedeva di realizzare il
governo provvisorio, in modo che esso provvedesse a soddisfare le esigenze degli operai e
dei contadini rivoluzionari.
Il 3 aprile del 1917 Lenin fece ritorno dall’esilio. La sua posizione politica era più vicino alla
minoranza di sinistra, infatti, il giorno seguente, in una riunione di partito, lesse il breve
scritto delle “Tesi di aprile”, in cui era contenuto il suo pensiero. Lenin era convinto che il
governo provvisorio dovesse cadere e che la guerra dovesse concludersi. Egli riteneva
fosse giunto il momento di superare il dualismo di potere tra il governo provvisorio ed i soviet
e così nella conferenza panrussa del partito, Lenin ottenne il favore dei delegati e fece
approvare una mozione in cui lacondanna del governo provvisorio coincideva con
l’obbiettivo di un rapido passaggio di tutti i poteri ai soviet.

3. LA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE

3.1 La crisi di luglio: disgregazione dell’esercito e delegittimazione del governo:


Il nuovo governo provvisorio guidato da Kerenskij (il quale era stato ritenuto l’uomo adatto
per ricomporre il dualismo di potere) intraprese un’offensiva militare in Galizia, la quale si
rivelò un disastro. L’esercitò si disfò e i contadini, convinti ormai che il governo non avrebbe
più risolto la questione delle terre, attaccarono le proprietà dei signori.
Il governo era ormai privo di credibilità. Nel momento in cui ci fu un vuoto di potere (quando
Lenin fu costretto a mettersi al sicuro in Finlandia) il comandante supremo dell’esercito
Kornilov provò ad imporre una dittatura militare e a far fuori i soviet. Il suo tentativo fallì
grazie all’aiuto dei soldati rivoluzionari di Pietrogrado.

Nel frattempo l’inflazione cresceva enormemente; la quantità di carta moneta in circolazione


era raddoppiata ed i prezzi erano raddoppiati dodici volte tanto. La rivolta dell’esercito era un
avvenimento che stava a significare la mancata legittimazione dei gruppi dirigenti che si
erano sostituiti al potere zarista (ricordiamo la rivolta dei 20.000 marinai sul golfo di
Finlandia).
Nelle elezioni di settembre per la Duma di Mosca, grazie alle parole d’ordine di Lenin, i
bolscevichi ottennero la maggioranza. Le parole d’ordine che riassumevano la strategia del
partito erano: il passaggio del potere ai soviet, la terra ai contadini, la liberazione delle
nazionalità oppresse, la pace immediata senza annessioni e senza indennità.
3.2 La scelta rivoluzionaria e la presa del Palazzo d’inverno:
Il giorno dopo il ritorno segreto di Lenin dalla Finlandia, il comitato centrale bolscevico si
riunì e approvò la soluzione rivoluzionaria, che mirava a far fuori Kerenskij, impadronirsi del
potere, riunirsi in un’Assemblea costituente. Venne eletto per la prima volta un politburo
(ufficio politico) al quale erano assegnate le massime scelte politiche e operative. I soviet
erano diventati ormai l’unico punto di riferimento politico, l’unica forza nella quale la
popolazione si riconosceva.
I bolscevichi, a questo punto, nominarono un comitato militare rivoluzionario.
Il 7 novembre i rivoluzionari guidati da Trockij si impadronirono della città. Così, i
rivoluzionari stabilirono il Consiglio dei commissari del popolo dopo aver sciolto il governo
provvisorio e arrestato i suoi membri. Il nuovo governo rivoluzionario era condotto da Lenin,
Trockij era commissario agli esteri e Stalin alle nazionalità. La parte pratica di questo nuovo
governo emerse nel novembre 1917, quando furono emanati i primi decreti, che stabilivano
di giungere al più presto ad una pace senza indennità e annessioni; di dare la terra ai
contadini mediante i soviet di villaggio; di riconoscere l’uguaglianza di tutti i popoli della
Russia e il loro diritti all’autodecisione e di tutelare gli operari e gli impiegati delle fabbriche.
3.3 L’uscita dalla guerra: la pace di Brest-Litovsk:
Per quanto riguarda l’uscita dalla guerra della Russia la reazione delle forze alleate fu quella
di schierarsi dalla parte dell’opposizione al nuovo governo, il quale si trovò davanti ad una
scelta drammatica: affrontare un’estenua guerra contro l’esercito tedesco oppure
concentrarsi sulla difesa dello stato sovietico, accettando le condizioni di pace dei tedeschi?
Continuare la guerra con i tedeschi avrebbe significato non solo andare contro il volere della
maggioranza di operai, contadini e soldati (col risultato che i bolscevichi sarebbero stati
travolti), ma anche dover contemporaneamente sostenere una guerra contro i tedeschi e
un'altra contro l'Armata bianca dei controrivoluzionari zaristi. La conseguenza sarebbe stata
la sconfitta e il ritorno dello zarismo.
Quindi Lenin dovette accettare la pace di Brest-Litovsk, che avvenne il 3 marzo del 1918 con
condizioni pesantissime per la Russia, la quale dovette riconoscere l’indipendenza
dell’Ucraina, cedere la Bielorussia ai tedeschi, rinunciare alla Polonia, ai paesi baltici e alla
metà degli impianti industriali.
LA COSTRUZIONE DELL’UNIONE SOVIETICA 1. IL PERIODO DEL
COMUNISMO DI GUERRA

1.1 Lo scoppio della guerra civile e la vittoria bolscevica:


In questo periodo di tensioni che comprendeva l’intera Unione Sovietica, la repubblica dei
soviet si trasformò in un governo dittatoriale, comandato dalla figura di Stalin. Inoltre, i
bolscevichi si trovarono in una situazione molo difficoltosa sia interna che esterna; dovettero
affrontare una guerra civile che durò dal 1918 al 1921 e che portò massacri da entrambe le
parti, ma nonostante ciò i bolscevichi riuscirono a far prevalere il proprio programma e ad
avere il controllo dello stato.
Per quanto riguarda la situazione interna, essa era caratterizzata da numerose sommosse. I
ceti avversi alla rivoluzione, oltre ai proprietari rivoluzionari, erano i kulaki, i quali non
volevano né la nazionalizzazione delle terre, né alimentare le città con derrate imposte dal
governo.
Per quanto riguarda, invece, la situazione esterna, gli alleati che intendevano vendicarsi
dell’uscita dalla guerra della Russia andarono in soccorso dell’Armata bianca, contrapposta
all’armata rossa dell’esercito rivoluzionario.
Le armate bianche tentarono un’azione di accerchiamento su Mosca e Pietrogrado tra il
1918-19.
I contadini si trovarono costretti ad aderire al programma delle forze controrivoluzionarie per
evitare di perdere i vantaggi sulle terre. Evento importantissimo di questo periodo fu la
fucilazione dello zar e di tutta la sua famiglia, avvenuta il 17 luglio 1918. L’Armata rossa,
guidata da Trockij, sconfisse pian piano le forza controrivoluzionarie; l’ultimo scontro fu
quello con la Polonia (voleva approfittare della crisi russa per conquistare l’Ucraina) messo a
tacere dal trattato di Riga (1921).
1.2 Il “cordone sanitario” e la nascita del Komintern:
Per limitare il “contagio bolscevico”, o più semplicemente la diffusione del socialismo in
Europa, le potenze europee costituirono un “cordone sanitario”. Infatti in molte parte
d’Europa, e non solo, il movimento operaio si ispirò alle vicende russe, cosicché tutti
volevano fare come in Russia.
Gli stessi bolscevichi si presentavano come propaganda di un movimento rivoluzionario che
mirava alla sconfitta del capitalismo europeo e alla costruzione di una società socialista
mondiale. Ma come dimostrò il fallimento della rivoluzione in Occidente (1919-20), la
rivoluzione socialista non aveva possibilità concrete per diffondersi in tutta l’Europa.
Nonostante ciò, nel 1919 il Partito bolscevico (cambiò nome in Partito comunista per
differenziarsi dai socialdemocratici) convocò la Terza internazionale (Komintern).
Fu in questi anni che vi erano i primi segnali evidenti di una società che andava verso il
totalitarismo; il primo di questi è sicuramente l’accentramento del potere nelle mani dei
leader del Partito bolscevico, oppure il soffocamento di ogni autonomia delle forze sociali per
rimettere ordine all’interno della società.
1.3 I primi passi del governo: accentramento del potere e questione agraria:
Il secondo segnale riguarda la questione agraria. Per sostenere l’approvvigionamento delle
città costrette alla fame durante la guerra civile, il governo attuò dei provvedimenti economici
(designati con l’espressione “comunismo di guerra”) che risultarono pesantissimi per i
contadini poveri, i quali sarebbero dovuti essere tutelati. Tra questi ricordiamo la requisizione
dei prodotti agricoli, che non lasciò alle famiglie rurali neanche il giusto per sopravvivere.
Le conseguenze di questo provvedimento furono:
a) il mercato nero;
b) una netta contrapposizione tra città e campagna;
c) una divaricazione tra operai e contadini.
Operai e bolscevichi andavano a staccarsi sempre più dai bolscevichi. Questa situazione
portò un feroce malcontento tra i sostenitori della rivoluzione, causando ribellioni e tensioni.
1.4 Fine del “comunismo di guerra” e nascita dell’Urss:
Dal 1921 si poté respirare un po’ di aria tranquilla, traducibile con l’abbandono dell’economia
di guerra. Il governo bolscevico attuò una nuova politica economica (Nep), nella qual si
volevano far convivere i principi del socialismo con la crescita di libere forze economiche
nelle campagne e nel commercio. Nel 1922 l’assetto istituzionale dello stato prese il nome di
Urss (Unione delle repubbliche socialiste sovietiche).
1.5 La terza internazionale e la nascita dei partiti comunisti:
Vi furono due tendenze all’interno delle formazioni che aderirono alla Terza internazionale:
Una con sede ad Amsterdam, fedele al sindacalismo rivoluzionario e ad una concezione di
democrazia popolare detta comunismo dei consigli;
L’altra, con sede a Berlino, fedele alle posizioni di Lenin e Trockij.
Lenin, con un opuscolo (l’estremismo, malattia infantile del comunismo), divulgò la sua idea
di voler superare l’estremismo sindacalista e di abbandonare il sindacalismo rivoluzionario.
Per aderire all’Internazionale vennero stabilite, al secondo congresso di Mosca, le 21
condizioni, che consistevano nella conformazione da parte dei partiti al modello bolscevico,
puntando alla dittatura del proletariato. Essi dovevano accettare il “centralismo democratico”,
ovvero dovevano garantire la solidarietà con l’Unione Sovietica e mirare alla rivoluzione,
differenziandosi nettamente dai socialdemocratici (il che comportava mandar via dal partito
tutte le correnti riformiste). Vi furono così rotture e scissioni nel movimento operaio europeo,
che comportarono la nascita di Partiti comunisti:
- In Francia la maggioranza del Partito accettò le condizioni e si trasformò in Partito
comunista al congresso di Tours (1920);
​ - In Italia il partito comunista nacque dalla separazione di una parte del partito
socialista al congresso di Livorno (1921);
​ - In Germania il partito comunista si formò dall’unione della lega si Spartaco con i
socialisti indipendenti.
1.6 Accumulazione o pianificazione: i contrasti sulla Nep:
Superata la fase del comunismo di guerra (centralizzazione dell’economia), si introdusse
un’economia di mercato. Ad esempio, i contadini potevano vendere liberamente i loro
prodotti dopo aver pagato un’imposta in natura; venne ripristinata parzialmente la proprietà
privata e la moneta riprese a circolare normalmente. La borghesia industriale e commerciale
poté riprendere il suo ruolo. Insomma, la Nep permise il risanamento finanziario e la fine
dell’inflazione.
Il massimo teorico di questa organizzazione fu Nikolaj Bucharin, il quale era a favore
dell’iniziativa privata. La sua era una politica che mirava al processo di accumulazione di
risorse nelle campagne, tale da suscitare la domanda di prodotti industriali, in modo che un
settore fosse legato all’altro e viceversa. La sua strategia era sintetizzata nello slogan
“contadini arricchitevi”. Contro questa vi fu l’opposizione di sinistra, comandata da Trockij, il
quale sosteneva che un processo di industrializzazione si potesse ottenere tramite la
pianificazione economica centralizzata. Era inoltre contrario all’autonomia economica dei
kulaki.
1.7 L’ascesa di Stalin e la ridefinizione degli equilibri nel partito:
La malattia e la morte di Lenin (1924) portarono il ridimensionamento dei ruoli all’interno del
Partito. Stalin si trovò ai vertici del Partito proprio in questo momento. Questa ridefinizione
assunse diverse forme: quella del dibattito politico, quella dell’eliminazione degli avversari e
quella della lotta personale. I due contendenti principali furono Trockij e Stalin:
Trockij godeva di una gran fama dal momento che aveva guidato l’Armata Rossa, ma
nonostante ciò si trovò in minoranza. Nel 1925 diede le dimissioni, mantenendo solo le
cariche di partito. La sua sconfitta coincise con la temporanea sconfitta del programma di
pianificazione economica alternativo alla Nep. Egli sosteneva che la rivoluzione sovietica
fosse sopravvissuta per merito della rivoluzione mondiale guidata dai partiti comunisti.
Stalin, pur essendo meno popolare tra le masse, ricopriva la carica di segretario del comitato
centrale del partito dal 1922. Per sconfiggere Trockij si alleò con Bucharin così il potere si
concentrò nelle sue mani e in quelle di Zinov’ev e Kamenev. Stalin non credeva nella
rivoluzione mondiale e sosteneva che il socialismo si potesse costruire in un solo paese.
1.8 Stalin padrone incontestato dello stato sovietico:
La lotta tra Stalin e Trockij stava arrivando agli sgoccioli.
Nel 1926 Zinov’ev e Kamenev passarono dalla parte di Trockij, cosicché Stalin poté
accusarli tutti quanti di avventurismo, causando così la loro espulsione dal partito. Nel 1927
Trockij fu confinato ad Alma Ata e due anni dopo fu esiliato. Costretto alla fuga per via della
condanna a morte, si stabilì a Città del Messico, dove verrà assassinato dai sicari di Stalin
nel 1940.
Stalin rimase l’unico padrone incontrastato del partito e dell’intero paese.
1.9 Il primo piano quinquennale:
Dopo essersi liberato fisicamente di tutti i suoi oppositori, Stalin si concentrò sul problema
dell’industrializzazione, dal momento che la Nep era entrata in crisi.
Stalin diede inizio al primo piano quinquennale (1928-32) volto a creare l’industrializzazione
forzata del paese. Per far ciò occorreva estrarre dalle campagne tutte le risorse disponibili,
creazione aziende collettive che controllassero la produzione agricola e che la mandassero
agli edifici statali.
I kulaki vennero sterminati in quanto classe e vennero espropriati con la forza dei loro beni.
Dato incredibile: con lo sterminio dei kulaki, 2600000 aziende private vennero raggruppate in
230000 aziende collettive; nelle prime (kolchoz) la terra e i prodotti erano di proprietà
comune, nelle seconde (sovchoz) la terra era di proprietà statale.
Con questi provvedimenti la produzione triplicò (venivano fissati per ogni settore e azienda
le quantità da produrre ogni anno), ma fin dall’inizio furono evidenti limiti e contraddizioni che
avrebbero influenzato negativamente il sistema sovietico fino alla sua caduta. Fra questi
troviamo: troppa importanza alla quantità anziché alla qualità, l’eccessiva rigidità del
sistema, il disinteresse totale per i bisogni dei consumatori, compresi quelli che alleviassero i
disagi quotidiani del consumatore.
Il 1928 fu sì un anno di svolta rispetto al passato, ma creò una serie di conseguenze
devastanti, quali: le inefficienze, i clientelismi e gli sprechi, tipiche caratteristiche del regime
staliniano.

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