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TESINA DI STORIA

L’ETA’ GIOLITTIANA

Giovanni Giolitti è considerato uno dei più grandi statisti italiani, forse solo
dopo Cavour. Il periodo della sua massima influenza nella politica nazionale
andò dal 1903 al 1914, anni in cui fu Presidente del Consiglio.
La politica di Giolitti era caratterizzata da un liberalismo riformista; egli cioè,
riteneva necessario portare tutte le forze politiche sul piano della legalità e
inserirle nella struttura dello Stato liberale.
Del socialismo Giolitti pensava di frenarne lo slancio rivoluzionario,
lasciandogli libertà di azione e andando incontro alle richieste delle classi
lavoratrici. Delle forze cattoliche invece,egli si servì per contrapporle a quelle
socialiste, come dimostrò nelle elezioni del 1913 il “patto Gentiloni”, secondo
il quale i cattolici si impegnarono ad appoggiare i candidati giolittiani.
Giolitti affrontò i problemi dell’Italia con grande intelligenza ma anche senza
scrupoli; la sua politica infatti, venne chiamata del “doppio volto”: un volto
aperto e democratico nell’affrontare i problemi (soprattutto quelli del Nord
Italia) e un volto corrotto e senza scrupoli nell’affermare i problemi del Sud.
Lo statista piemontese quindi, manovrò e manipolò le elezioni in modo
scorretto, specialmente nel Sud Italia, dove ciò era possibile a causa
dell’assenza della maturità politica; per questo motivo il Sud non ebbe mai
rappresentanti politici in grado di tutelare i suoi interessi e di conseguenza fu
sempre sottomesso e sfavorito rispetto al Nord.
Proprio per quanto riguarda il Sud, egli sfruttò la situazione facendo ricorso ai
prefetti (cioè i rappresentanti del governo) e controllando le elezioni politiche.
I prefetti infatti, aiutavano gli uomini legati a Giolitti a essere eletti in
Parlamento e questo poteva avvenire in vari modi: ad esempio, impedendo
agli avversari di tenere i comizi elettorali o addirittura falsificando i risultati
elettorali. In questo modo Giolitti riusciva ad avere in Parlamento un buon
numero di deputati a lui fedeli, che gli garantivano la maggioranza dei voti. A
questo proposito, celebre è la condanna da parte di un grande storico, il
molfettese Gaetano Salvemini, che definì Giolitti “Ministro della malavita”.
Comunque Giolitti raggiunse grossi risultati sia in politica interna che estera,
dando un notevole impulso alla vita economica e sociale del Paese.
Per quanto riguarda la politica interna, nel campo della legislazione sociale, fu
resa obbligatoria l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, furono
organizzate la Cassa Nazionale per l’invalidità e vecchiaia e la Cassa di
maternità; fu tutelato il lavoro delle donne e dei bambini.
Per l’ emigrazione, che stava diventando un fenomeno imponente soprattutto
nel Sud, fu creato un commissariato nel 1901.
Nel campo finanziario si ebbe il pareggio del bilancio e anche un’eccedenza
attiva: cioè la lira giunse ad essere preferita alla sterlina inglese.
Furono approvate opere pubbliche come il traforo della Galleria del
Sempione, l’acquedotto pugliese; furono fatte opere di bonifica per
combattere la malaria e furono costruite nuove strade e ferrovie. Furono presi
provvedimenti per migliorare l’istruzione e combattere l’analfabetismo.
Per soddisfare le richieste dei socialisti, cui aveva strappato il consenso per la
guerra di Libia, Giolitti introdusse il suffragio universale maschile: cioè il
numero degli elettori salì da 3 milioni e mezzo a circa 8 milioni.
Notevoli furono i progressi nell’agricoltura: divennero fonte di ricchezza le
esportazioni di ortaggi e frutta, mentre si affermavano nuove colture
(zucchero e tabacco). L’industria ebbe un grande sviluppo: accanto a quella
tessile (della lana, della seta e del cotone) progredì l’industria siderurgico-
meccanica. Inoltre i rapporti di amicizia con la Germania favorirono
l’importazione di ferro e carbone.
Sorse l’industria automobilistica (la Fiat fu fondata nel 1889), che si impose
sul mercato internazionale. Si sviluppò l’industria idroelettrica, che divenne
fondamentale in un Paese come l’ Italia, privo di carbone.
La costruzione di strade e ferrovie fecero migliorare le comunicazioni e si
sviluppò la marina mercantile.
Per cui si può dire che l’età giolittiana nel complesso fu un’età veramente
prospera per l’Italia nel campo economico.
La politica estera di Giolitti, invece, segnò l’avvicinamento ad altre potenze in
campo europeo come Francia e Inghilterra.
Giolitti, che aveva già posto le basi per la conquista della Libia, riteneva
giunto il momento di dichiarare guerra alla Turchia, a cui quel territorio
africano apparteneva. Egli ritenne opportuno riprendere la politica coloniale
per due principali motivi: 1) voleva dimostrare ai nazionalisti che il suo era un
governo in grado di aumentare il prestigio internazionale dell’Italia; 2) voleva
accontentare l’opinione pubblica, che riteneva necessario conquistare nuove
terre per dare lavoro al Sud.
Dopo i primi successi però, iniziarono le difficoltà: la guerra italo-turca in
Libia infatti, indebolì il suo governo anche se comunque fu riconosciuta la
sovranità italiana su questo Stato africano.
Molti erano coloro che criticavano Giolitti, mentre l’economia tornava ad
attraversare un momento di crisi; così egli preferì dare le dimissioni per
sfuggire ai continui attacchi dei suoi oppositori.
Nel 1914 l’età giolittiana era veramente finita.

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