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GIOVANNI ARTERO

GIOVANNI BOERO
un proletario torinese nel “secolo
breve” del movimento operaio

1
Si ringrazia il “Centro studi Piero Gobetti” di Torino che ha consentito
l’utilizzo del “Fondo Giovanni Boero”

2
Parte 1 Le radici nell’Ottocento
Dalla campagna alla città, 5; la comunità italiana di Marsiglia dalla
discriminazione alla solidarietà operaia internazionale, 7
Parte 2 Scorci di vita operaia nella “Belle epoque”
Ritorno a Torino (1901-1903), 15; L'altro movimento operaio a
Torino: i libertari, 17; Tre biografie: Ilario Margarita, Maurizio
Garino, Pietro Ferrero, 23; “Elvezia repubblica borghese”, 29;
Lavoratore migrante in Svizzera (1902-09), 34
Parte 3 Tra guerra e rivolte
Torino socialista nella “grande guerra”, 37; Il ’17 e la tradizione
«insurrezionalista» torinese, 40; La FIOM nel ’17 e la “corrente
Garino-Boero”, 45; La sezione “astensionista” torinese, 54; Il 1919 e
il congresso di Bologna del PSI,58
Parte 4 Nell'emigrazione antistalinista in Francia (1923-39), 60
Parte 5 Torino dalla guerra alla ricostruzione
Resistenza e “Stella Rossa”, 67; Stalin sotto la Mole, 72; Boero tra
Torino e Parigi, 82; Torino nella ricostruzione capitalistica, 85
Appendice 1 Intervento al XVI congresso del PSI, 89
Appendice 2 Le autobiografie dei militanti proletari in Italia, 99

Premessa
In questo lavoro dedicato a Giovanni Boero occupa un posto centrale
la Torino proletaria del secolo scorso, costituita da una massa di
“autentici operai che pur distinguendosi nella lotta hanno lasciato
dietro di sé minor copia di documenti”1 e che rischiano di essere
ridotti a semplice scenario, oscurati dalle vicende della “grande
storia”. Per uscire dalle strettoie di una storia dei gruppi dirigenti e far
riemergere “i capipopolo della "città proletaria" all'epoca venerati,
oggi caduti nell'oblio o, a maggior ragione, la folla dei loro "anonimi
compagni”2 occorre - come si tentato di fare in questa ricerca -
ricostruire il contesto delle biografie, gli ambienti in cui le loro vite si
sono svolte3.
1
L.Valiani Il Partito socialista italiano dal 1900 al 1918 In "Il movimento
operaio e socialista", 1965, p. 263
2
L. Gestri, Le ceneri di Pisa, 2001, p. 12-13.
3
Da alcuni anni è in rete la banca dati ABMO (Archivio Biografico del
Movimento Operaio), “in progress”. Anche L. Lanzardo, Personalità operaia
e coscienza di classe, comunisti e cattolici nelle fabbriche torinesi del
dopoguerra, 1989; A. Ballone, Uomini, fabbrica e potere, 1987; M. Boarelli
La fabbrica del passato. Autobiografie di militanti comunisti, 2007; P. Crespi
Capitale operaia: storie di vita raccolte tra le fabbriche di Sesto San
Giovanni , 1979; Id. La memoria operaia, 1979 Id. con F. Ferrarotti La
parola operaia : cento anni di storie di vita operaia, 1892-1992, 1984;
3
Scrivere le biografie dei militanti proletari è problematico anzitutto
perché spesso la fonte principale è poliziesca4, inadatta quindi a tener
conto degli ideali dei militanti, cui si aggiunge la scarsità di
testimonianze autobiografiche per la difficoltà di operai e contadini ad
esprimersi con la scrittura in tempi in cui la scuola elementare era la
soglia del loro ingresso nel mondo del lavoro 5. Occorre tener conto
anche che alle origini in Italia la “classe operaia” consisteva in una
eterogenea aggregazione di pochi autentici operai di fabbrica e una
massa di lavoratori semi-artigiani, di sartine, lavandaie, cocchieri,
panettieri, muratori, e soprattutto di lavoratori agricoli: braccianti,
obbligati, mezzadri. E Giovanni Boero è un tipico proletario che
emigra dalla campagna alla città senza possedere le “professionalità”
richieste dalla nascente industria cittadina.

La documentazione su Giovanni Boero è costituita dal fascicolo


personale presso il Casellario Politico Centrale contenente rapporti di
polizia dal 1918 al 1923 e segnalazioni di informatori operanti in
Francia fino al 1942 e, per quanto riguarda la Francia, dai Rapports
mensuels des préfets et des commissaires spéciaux negli “Archives
Nationales”. Al “Centro Piero Gobetti” di Torino è depositato un
fondo nominativo di sei faldoni contenenti (a parte periodici e
opuscoli dal 1926 al 1959) lettere, biglietti, articoli, appunti, e in
particolare alcuni quaderni manoscritti di memorie scritte in terza
persona, che si fermano all’agosto 1917, poi trascritti in 258 pagine
dattiloscritte, su cui si tornerà nell’appendice dedicata ad approfondire
il tema delle autobiografie dei militanti proletari.

Comunisti! Autobiografie e memorie dei rossi in una regione bianca, in


“Venetica”, 2000
4
I 152.000 fascicoli personali dal 1880 al 1967 del CPC (Casellario politico
centrale) conservati nell’Archivio Centrale dello Stato a Roma e i Fondi
Prefettura e Questura (A8: “sovversivi”). negli Archivi di Stato nelle varie
province
5
Ved. le considerazioni in merito di Mauro Boarelli in La fabbrica …, cit.

4
Parte 1. Le radici nell’Ottocento
Dalla campagna alla città industriale
Giovanni Boero nasce6 nel settembre 1878 a Villanova d’Asti e,
compiendo un percorso comune a molti giovani proletari dell’epoca,
approda in città all’inizio degli anni ’90, spinto dalla crisi agricola che
colpisce l’Italia negli anni di fine Ottocento a causa principalmente
dell’arrivo sui mercati europei, grazie allo sviluppo dei trasporti
navali, di cereali prodotti nelle Americhe e in Russia a prezzi
insostenibili dall’agricoltura del vecchio continente. 7
L’agricoltura astigiana fino all’inizio del ‘900 occupa il 73% della
popolazione attiva, di cui l’80% piccoli proprietari per la conforma-
zione collinare che non si presta alla costituzione di aziende agricole
di vaste dimensioni come quelle della pianura padana irrigua. La
forma tipica è quella della conduzione diretta del contadino-
proprietario che deriva dalla lottizzazione del latifondo ecclesiastico e
nobiliare e da suddivisioni di patrimoni familiari. 8 Dopo l’infezione
della fillossera nel 1886, dal 1887 l’agricoltura vitivinicola astigiana è
duramente colpita dalla guerra commerciale con la Francia che,
reagendo alla tariffa doganale adottata dall’Italia, rialza i propri dazi
sull’importazione di merci italiane con grave danno, nel caso in
questione, per i produttori di vino del Monferrato che lo esportavano
in quel paese.
La crisi induce molti giovani proletari delle campagne ad abbandonare
i loro paesi per sfuggire alla miseria rurale e cercare una collocazione
più adeguata nelle città:“Non furono i miraggi del divertimento –
come molti benpensanti allora affermavano – che ci spinsero noi
giovani braccianti a lasciare il paese per la città. Ma la fame, le
privazioni che costringevano a cercare nei centri ove cominciavano
ad affermarsi i primi nuclei industriali, un'occupazione più stabile e
sicura. Per me nat[o in Piemonte] la fuga non poteva che essere
Torino. Questa città che vide sorgere le prime fabbriche esercitava
allora una grande influenza su tutta la regione, era un polo di
attrazione”9
A Torino nel 1880, superata la crisi provocata dal trasferimento della
capitale, su una popolazione di 300.000 abitanti gli addetti all'industria
6
da Battista Boero e Maddalena Pinello
7
In Italia l’importazione di grano cresce da 1,5 milioni di quintali nel 1880 a
10 nel 1887 con una riduzione della produzione granaria che dai 51 milioni
di quintali precipita a 43 milioni; contemporaneamente si ha un crollo dei
prezzi che passano da 33 lire del 1878-1880 a 23 del 1887.
8
V. Rapetti, Uomini, colline e vigneto in Piemonte da metà Ottocento agli
anni Trenta, 1984
9
B. Santhià, Con Gramsci all'Ordine Nuovo, 1956, pag.12
5
(compresi i lavoratori a domicilio e parte degli artigiani) costituivano
una quota del 20-30 %. La maggior parte delle imprese risultava già
allora concentrata nei settori metallurgico e tessile con il 40% e il 19%
delle imprese cittadine rispettivamente. Accanto al vecchio comparto
statale (Arsenale militare, Manifattura tabacchi, Officine ferroviarie)
che continuava a rappresentare il più consolidato nucleo produttivo
cittadino, cresceva un tessuto di imprese private assai dinamiche che
avevano dato vita a stabilimenti di medie dimensioni con maestranze
operaie dalle 100 alle 300 unità e che negli anni tra la fine degli anni
'80 e i primi anni '90, nonostante la rottura commerciale con la Francia
e la crisi bancaria, riuscirono a consolidare il primo nucleo del
capitalismo d'impresa destinato a soppiantare le produzioni statali e a
fornire alla città il suo volto industriale, ma questo processo di
sviluppo entra in conflitto con una società connotata da relazioni
sociali fortemente gerarchiche, da un sistema politico-istituzionale
elitario e da retaggi politici e culturali di tipo tradizionale.
Inizia a modificare questo quadro la crescita, vista come minaccia del
rapporto paternalistico tra élites liberali e associazionismo operaio, di
un proletariato proto-industriale accanto al “ceto operaio sobrio e
previdente” della tradizione sabauda. Nella primavera-estate 1889
attraversano Torino agitazioni di fabbrica e proteste operaie con
dimensioni e intensità mai raggiunte prima, che si intrecciano con il
progetto politico e organizzativo della federazione del POI che si era
costituita proprio sulla tesi della centralità delle lotte economiche per
lo sviluppo del socialismo come movimento politico, sostenendo un
duro confronto con l'anarchismo intransigente tradizionalmente
diffidente verso il concetto stesso di lotta di classe come lotta
rivoluzionaria. Nell’ambiente operaio la parola d'ordine della
fondazione della Borsa del lavoro ebbe grande successo, raccogliendo
nell'estate del 1891 l'adesione dei più forti sodalizi a partire
dall'Associazione Generale Operaia (AGO) che, forte di 6.000 soci,
aveva un'immagine pubblica quasi istituzionale, e tutt'altro che
scontata era la sua adesione al progetto, presentato comunque con
caratteri di moderazione tali da essere accettabile ai liberali e
nell'estate, non appena avviata l'organizzazione delle sezioni per arti e
mestieri, la Camera del lavoro passa rapidamente da poco più di 700 a
quasi 4.000 aderenti10
10
Vedi P. Spriano Storia di Torino operaia e socialista, 1958; P. P. Bellomi
Lotte di classe, sindacalismo e riformismo a Torino 1898-1910 in “Storia del
movimento operaio, del socialismo e delle lotte sociali in Piemonte”, v. 2,
1979; M. Grandinetti Il tempo della lotta e dell' organizzazione: linee di
storia della CdL di Torino, 1992; Il sogno della città industriale: Torino tra
Ottocento e Novecento, 1994; M. Scavino, Con la penna e con la lima.
6
La comunità italiana di Marsiglia dalla discriminazione alla
solidarietà operaia internazionale
In questo ambiente politico e sociale si inserisce Giovanni Boero che
la polizia inizia a tenere sotto osservazione 11 ma nel 1898 in seguito
alla politica repressiva del governo Di Rudinì, culminata nei moti
milanesi, Boero emigra con un fratello più giovane a Marsiglia. Qui
viene a contatto con il sottofondo di una grande città in pieno sviluppo
che attira ondate di nuova manodopera, in particolare dall’Italia. I
centomila emigrati italiani sono in prevalenza operai del porto e
dell’edilizia ma la rappresentanza ufficiale della colonia è costituita da
un ceto di commercianti e contremaîtres (caporali) che assoldano
manodopera italiana e sono patrioti «perché questo offre il vantaggio
di [far] lavorare di più e di pretendere di meno» 12 La maggioranza è
indifferente all'Italia che li ha obbligati a una emigrazione forzata e
non sembra preoccupata che di guadagnarsi da vivere, integrandosi nel
paese di accoglienza e se è poco sensibile all’azione socialista lo è
ancor meno alle manifestazioni offerte dalle istituzioni ufficiali
italiane13
Già nel 1893 in seguito alle persecuzioni del governo Crispi si rifugia
a Marsiglia Giacinto Menotti Serrati14 che invia corrispondenze a “La
lima”, giornale socialista di Oneglia15 e all’organo centrale del PSI
“Lotta di classe”. Nel maggio 1895, privo di mezzi per vivere, torna in

Operai e intellettuali nella nascita del socialismo torinese, 1999.


11
Così lo descrive la scheda nel Casellario Politico Centrale: “nell'opinione
pubblica riscuote cattiva fama, di carattere violento, poca educazione, di
aperta intelligenza, di cultura mediocre....è lavoratore assiduo”
12
G.M. Serrati “la Lima”«Qui in Provenza dicevano un tempo trabaia com
an negre, ora dicono trabaia com an italien». Vedi G. Sanna Il riscatto dei
lavoratori: storia dell'emigrazione italiana nel Sud-Est francese (1880-1914)
2011; T. Vertone Socialistes et mouvement ouvrier italiens dans la région
marseillaise pendant la seconde moitié du xixe siècle, in “Gli italiani nella
Francia del Sud e in Corsica, 1860-1980”, fascicolo. monografico dei “Qua-
derni di Affari sociali internazionali “ 1988
13
«ne se montrent pas enthousiastes de fétes organisées en l'honneur du
gouvernement italien, et l'anniversaire du "statut" ne les émeut pas
davantage … soit insouciance, soit tout autre motif, la plupart restent
indifférents aux appels du Comité (socialiste italien) et que les réunions les
mieux préparées, celles pour lesquelles on a fait le plus de réclame
n'ont jamais pu réunir plus de quelques centaines de personnes» Rapporto
del Commissario speciale di Marsiglia del 16.11.1900, in Archivi diparti-
mentali delle Bouches-du-Rhone (d’ora in poi A.d.B-R).
14
A. Rosada Serrati nell'emigrazione, 1972; A. Natta Serrati. Vita e lettere
di un rivoluzionario, 2001;
7
Italia ed è subito arrestato e, dopo qualche mese di prigione, temendo
una nuova condanna, nell'autunno 1897 torna a Marsiglia da cui invia
corrispondenze all' “Avanti!” 16.
Così Boero racconta, in terza persona, le prime impressioni 17:
“L’esilio Da ogni parte d’Ita1ia i profughi a gruppi ed isolati varcano
le Alpi, o per le vie del mare passano le frontiere. Germania, Svizzera,
Francia sono i tre principali punti d’approdo. Da Torino e Genova
salpano per la Francia parecchi compagni fra i quali gli anarchici
Moglia Ercole e Felice Ferrero, Giovanni ed un suo fratello più
giovane. Marsiglia, il primo porto; ed è qui che facciamo sosta. .
Entrando in Francia fummo presi da un vago sentimento per questa
terra che risvegliava alla nostra memoria un passato orgoglioso di
lotte e di rivoluzioni per la libertà Ci raffiguravamo però che la
situazione dei lavoratori fosse economicamente molto migliore della
realtà. Credevamo che i motti: “Libertà, egalità, Fraternità” fossero
realmente praticati e che fossero quindi meno disparate le classi
sociali Ma scendendo sul porto incontriamo una turba di uomini e di
ragazzi di tutte le età e di tutte le razze Europei, asiatici ed africani,
tutti laceri o scalzi, cercando una occupazione qualsiasi per
guadagnarsi un pane. S’avvicinano, s’impossessano delle nostre
misere valige” …[pag.36]
Nelle elezioni comunali del 1895 l'opposizione socialista è divisa tra
“opportunisti” e collettivisti, i primi guidati dall’«indipendente»
Flaissières che conquista per la prima volta il Comune, mentre per i
«collettivisti» simpatizzano i socialisti italiani come Serrati, che
informa con palese delusione sul congresso regionale di Le Ciotat
dove è respinta la tattica elettorale intransigente a favore del “caso per
caso” e che viene espulso dalla Francia alla fine del 1897 per aver
lottato contro Flaissières. Nel 1898 i socialisti italiani della regione
marsigliese ricevono l’apporto dei “fuorusciti” della repressione di
Milano, tra cui Benuzzi, ex insegnante dalla lunga esperienza politica,
il falegname Montanari, dall’austero stile di vita, dall’ intransigente
oratoria della tradizione anarchica e vicino agli operai della periferia
di Marsiglia, le sezioni di St-Henri et St Mauront, un terzo dei
socialisti italiani della regione. Agli “operaisti” Montanari e Danni si

15
“La Lima”, 27 agosto, 19 novembre 1893, 14 gennaio, 24 gennaio, 21
novembre 1894 e 3 febbraio 1895.
16
“Avanti!” del 20 ottobre e 8 e 20 novembre 1897. Corrispondenze sul caso
Dreyfus, sulle scuole italiane e bozzetti di vita sulla miseria dei lavoratori
italiani e i bambini lustrascarpe
17
dalla autobiografia
8
oppongono i “legalitari” Molinelli, Garnero e Campolonghi 18, a cui
vengono rimproverati i rapporti amichevoli 19 con il console Carcano e
il regio delegato Ferrari e lo stile di vita (la «vie large qu'il mène»).20
Campolonghi si lega ai socialisti francesi, collabora al giornale
socialista “Petit Provencal” e fonda “l'Emigrato” in lingua italiana
(poi “l'Emigrato socialista”)21. Svolge una intensa propaganda tra gli
immigrati italiani, finalizzata all'unità d'azione con i lavoratori
francesi e all'educazione politica socialista tramite la lotta sindacale,
secondo i principi dell'Unione socialista italiana in Francia (USI).
“L'Emigrato socialista” e i manifesti sono lo strumento, le riunioni di
partito e i comizi alla “Bourse du travail” sono il mezzo organizzativo
per fare passere il messaggio.
I socialisti di lingua italiana in Francia sono concentrati nel sud-est, in
particolare nella regione marsigliese. Nel novembre 1900 la
Fédération des Bouches-du-Rhóne conta sette sezioni di cui sei nel
capoluogo22 Il 3° congresso dell'«Unione Socialista Italiana» in
Francia (Marsiglia, 6 maggio 1900), con 13 sezioni del litorale del
sud-est più quelle di Parigi e Lione, stabilisce che i «socialisti italiani
in Francia impegneranno i compagni a entrare nelle associazioni
economiche francesi» e approva un Comitato esecutivo federale e un
Segretariato centrale di cinque membri residenti a Marsiglia con il
compito della corrispondenza composto da Boero, Mellini, Benuzzi e
Garnero, in cui Boero è il solo a criticare la politica francese («ne se
prive pas de critiquer l’Administration francaise»).
Conferenze franco-italiane si svolgono il 10 luglio e il 13 agosto
1898. Andrea Costa tiene una serie di comizi da settembre a novembre
a Marsiglia, La Ciotat e Tolone sul tema dell'unità dei lavoratori
francesi e italiani nei sindacati professionali e a La Ciotat a novembre
si svolge il primo congresso del partito socialista di lingua italiana in
Francia sotto la presidenza di Costa. In occasione dello sciopero dei
muratori nel maggio 1899, seguita da quello degli sterratori, alla
18
1876-1944. Giornalista, dall’iniziale socialismo evolve verso il radicalismo
e la massoneria, vive esule in Francia durante il fascismo. L. Campolonghi,
Pontremoli. Una cittadina italiana fra l'80 e il 900, 1928, 1962, 1988
19
Rapporto del 7.3.1901 del commissario speciale di Marsiglia al Ministero
dell'Interno, in A.d.B-R.
20
Rapporto del 16.11.1900, in A.d.B-R.
21
Rapporto 5.6.1899 del commissario speciale di Marsiglia, in Archivi, cit.
22
gli Affamati, l'Avanti, La Propaganda, Saint-Henri, Saint-Mauront, Sainte-
Marguerite; la settima è quella di La Ciotat, (città a pochi chilometri da
Marsiglia con una numerosa colonia di sardi che lavorano nei cantieri navali e
alle Messaggerie Marittime), con 100 iscritti, seconda solo alla sezione Saint-
Henri che ne conta più di 300. Le altre sezioni hanno da 30 a 60 iscritti.
9
“Bourse du travail” intervengono Montanari, Campolonghi e Benuzzi
per chiedere la solidarietà dei francesi seguendo la deliberazione
dell'Internazionale: politicizzare gli emigrati incitandoli a entrare nei
sindacati professionali per condurre una lotta comune con i lavoratori
francesi. Per evitare nuove espulsioni si adotta la tattica di esporre in
primo piano i socialisti francesi nelle riunioni pubbliche
Il deputato Giuseppe De Felice da luglio a novembre 1899 interviene
in una ventina di riunioni nei quartieri di immigrati italiani di
Marsiglia. Dopo il 1898 si manifestano nelle riunioni socialiste
italiane tre aspetti nuovi: la propaganda contro il governo italiano più
sfumata; la priorità data ai problemi dell'educazione politica e
sindacale degli immigrati; la presenza alle riunioni degli eletti
socialisti marsigliesi (deputati, consiglieri generali e municipali).
Nella riunione del 5 maggio 1899 l’ordine del giorno stilato da
Campolonghi afferma che i muratori italiani sono «de tout coeur» coi
loro compagni francesi in sciopero 23. Il 6 alla manifestazione unitaria
la polizia arresta tre italiani per “atteinte à la liberté du travail”. Nel
comizio unitario del 14 alla “Bourse du travail” prendono la parola
operai francesi e italiani per reclamare la liberazione immediata dei
compagni arrestati e si vota all'unanimità la decisione di soccorrere le
famiglie. In questo comizio mentre Campolonghi si mostra moderato,
altri come Mignasi invitano alla lotta a oltranza.
Lo sciopero generale del porto dell’agosto 1900 è un esempio del
grande passo avanti fatto dagli operai dei due paesi. Una parte del
padronato accetta le condizioni degli scioperanti sperando che gli
operai italiani accedano alle loro proposte, invece il 21 agosto «après
que le ouvriers italiens ont déclaré se solidariser absolument avec les
ouvriers francais, l'article relatif à l'application du décret Millerand
est rayé des revendications ouvrières» constata il Commissario 24.
In occasione degli scioperi dell'estate 1900 dei portuali, carrettieri,
panettieri, falegnami e addetti dell'industria olearia, gli operai italiani
partecipano in massa alle manifestazioni «mostrandosi tra i più
determinati partigiani della resistenza a oltranza» e gli operai
francesi abbandonano la richiesta della limitazione della manodopera
straniera.
L’unione tra operai del porto italiani e francesi, che rappresenta una
delle maggiori preoccupazioni delle autorità francesi e del consolato
italiano a Marsiglia, nata con lo sciopero dell’agosto 1900, è sancita a

23
Rapporto del 6.5.1899 del commissario di Marsiglia, in A.d.B-R.
24
Rapporto del 6.9.1900, in A.d.B-R. I decreti Millerand dell’agosto 1899
fissavano un massimo dal 5 al 30% nell'impiego di manodopera straniera nei
lavori pubblici di comuni, dipartimenti e Stato.
10
settembre dalla creazione del Sindacato internazionale dei Portuali.
Secondo il commissario speciale, è «avec l'élement italien et les
cotisations versées par lui que l'organisation put étre menée à bien.
En effet, tandis que chez la plupart des Francais on constate dès le
début, soit de la méfiance, soit de la nonchalance, les Italiens
adhèrent en masse»
Il Sindacato internazionale dei Portuali in pochi mesi diventa un
esempio di solidarietà proletaria per le altre categorie ed è il motore
degli scioperi del porto scoppiati nel febbraio-marzo 1901, quando
conta più di 3.200 aderenti mentre il sindacato “giallo” dei portuali
finanziato dal padronato, reclutato negli ambienti sottoproletari e
malavitosi e collegato ad ambienti politici di estrema destra ne conta
solo 350.
Uno sciopero scoppia il 26 febbraio 1901 quando le Messaggerie
Marittime rifiutano l'assunzione di operai italiani iscritti al Sindacato
internazionale. Una delegazione dei portuali si reca in Prefettura per
chiedere il licenziamento dei caporali delle Messaggerie il Marittime
colpevoli della discriminazione. I padroni non accettano e Sindacato
internazionale proclama lo sciopero presentando tre rivendicazioni:
nessuna discriminazione nell'assunzione e licenziamento immediato
dei quattro caporali che l'hanno attuata; riduzione della durata del
lavoro a 9 ore in estate e 8 in inverno senza riduzione di salario;
soppressione del Sindacato francese e obbligo di aderire al Sindacato
internazionale 25
Il 1. marzo 1901, mentre lo sciopero del porto è generale, il sindacato
“giallo” incita alla ripresa del lavoro e denuncia una pretesa congiura
dei nemici della Francia e del Sindacato internazionale. Nei manifesti
affissi alle banchine del porto e in città si fa appello agli «operai
francesi indipendenti», ricordando che «l’onore della Francia e gli
interessi sacri di Marsiglia devono passare davanti agli interessi
personali» oltre a render omaggio alla buona volontà dei padroni che
si son fatti carico di accettare la richiesta di applicazione del decreto
Millerand26 sulla riduzione della manodopera straniera.27
L’azione unitaria ha uno straordinario impatto sul movimento operaio
e migliaia di scioperanti sfilano in centro. Alla manifestazione del 20
marzo, che si svolge pacificamente, si uniscono i rappresentanti di

25
Statistique des grèves et des recours à la conciliation et à l'arbitrage
survenus pendant l'année 1901. Rapporto del prefetto delle Bouches-du-
Rhóne , cit. da P. Milza in Francais et Italiens à la fin du XIXe siècle,1981
26
Sul decreto Millerand: M. G. Meriggi L' Internazionale degli operai : fra
la caduta della Comune e gli anni '30, 2014.
27
Rapporto del 11.3.1901 Commissario centrale, in A.d.B-R
11
altri mestieri 28 mentre a quella del 22 marzo vi sono scontri colle
forze dell’ordine con feriti da ambo le parti. Due operai italiani sono
condannati per oltraggio e resistenza 29 ma lo sciopero dei portuali
prosegue fino al 9 aprile. Le provocazioni del sindacato “giallo” e la
repressione della manifestazione del 22 suscitano la solidarietà degli
altri sindacati di mestiere che dichiarano lo sciopero generale per
l’ultima settimana di marzo, con la paralisi dell'attività economica e
della vita della regione per l’adesione allo sciopero di 22.000 operai. 30
Nel movimento degli scioperi della città di Marsiglia come in quello
che si svolge contestualmente al cementificio Romain Boyer et Cie di
la Bédoule, presso Marsiglia, gli scioperanti italiani non subiscono
nessun flessione. A partire dalla dichiarazione di quest'ultimo
sciopero, il 27 febbraio 1901, dei 1.000 operai del cementificio Boyer
750, di cui 650 italiani, scendono in sciopero. I 250 che non
scioperano, quasi tutti francesi, si uniscono agli scioperanti una
settimana dopo.
Il 24 marzo l'arresto di 11 italiani, tra cui il presidente del comitato di
sciopero Boggio, provoca degli incidenti con la polizia. Un corteo di
1500 persone cerca di sbarrare la strada ai gendarmi perché li
rilascino, con feriti da ambo le parti 31. I nuovi arresti inaspriscono il
movimento e i francesi prendono la direzione del comitato unitario per
evitare guai peggiori. Il 9 aprile il cementificio Boyer accetta le
richieste del comitato di sciopero.
Gli scioperi di Marsiglia e del cementificio Boyer del febbraio-marzo
indicano che al termine del XIX secolo gli operai italiani si sono non
solo integrati definitivamente nella classe operaia locale, ma sovente
si pongono alla testa delle lotte.Lo stereotipo dell’immigrato italiano
“casseur de grèves” non ha più presa sulla mentalità operaia locale, al
contrario “krumiri” e “gialli” sono parte degli operai locali manipolati
dal padronato. In meno di due anni la classe operaia dei due paesi ha
raggiunto un alto livello di solidarietà e di maturità sindacale e
politica. La discriminazione nell’assunzione tra operai locali e

28
Rapporto del 21.3.1901 Commissario centrale di Marsiglia, in A.d.B-R
29
Rapporto del 29.3.1901 Prefetto delle Bouches-du-Rhóne, in A.d.B-R
30
P. Milza, Francais et Italiens..., cit, p. 852
31
come il presidente del consiglio d'amministrazione della società Boyer
segnala al prefetto: «en suite à l'attitude du groupe des grévistes italiens,
qui sous la conduite de quelques meneurs de méme nationalité empéche la
reprise du travail désiré par nos ouvriers francais» Rapporto del 24.3.1901
del commissario di polizia di la Bédoule, in A.d.B-R.
12
immigrati, a lungo tra le principali rivendicazioni degli operai
francesi, è abbandonata diventando una delle ragioni principali che
spingono gli operai dei due paesi a scioperare.
I “fuorusciti” del ‘98 hanno un grande ruolo nell'emancipazione dei
loro compatrioti ma gli operai italiani della regione marsigliese già
prima avevano coscienza di classe ed esperienze di lotta; svolgendosi
su un terreno già preparato il lavoro di propaganda dei “fuorusciti”
produce in poco tempo effetti sul piano economico e sindacale.
Le autorità francesi e il consolato italiano, che per arginare le
agitazioni operaie pensavano di servirsi dei “moderati”, dopo il
successo degli scioperi espellono anche loro, tra cui Luigi
Campolonghi che il 12 marzo 1901, non più considerato «un élément
d'ordre et d'équilibre» nella colonia italiana, è arrestato durante lo
sciopero della Bédoule e accompagnato alla frontiera di Ventimiglia
da cui raggiunge Roma dove collabora a “L’Avanti” 32
Morgari e altri sono espulsi nonostante l’intervento dei deputati
socialisti marsigliesi come Aristide Boyer, che nell’ottobre 1900
denuncia che il deputato socialista Vittorio Lollini 33 è stato espulso su
richiesta dal consolato italiano, provocando un incidente politico-
diplomatico. Nonostante le espulsioni lo sciopero si intensifica e i
socialisti italiani proseguono la propaganda tra gli immigrati con
successo sul piano sindacale anche se gli iscritti al Partito rimangono
pochi rispetto alla colonia italiana di Marsiglia 34.
Riprendiamo il racconto di Boero35:
Azione sindacale “Il gruppo centrale "affamati” dava la sua massima
attività. Nei suoi locali del Beul, Carderis tutte le settimane (sabato
sera e domeniche) si tenevano riunioni e festicciole familiari. Celà
s'indirizzavano tutti i compagni di passaggio. Vi furono Andrea Costa,
De Felice Giuffrida, Gallini, Morgari. Ad ogni occasione era per noi
un mezzo per far proseliti fra gli immigrati. Ma lo spirito fervente di
lotta e di battaglia non si incontrava sovente fra gli intervenuti a feste

32
Rapporto dell’11.3.1901 del Commissario speciale di Marsiglia, A.d.B-R.
L. Campolonghi Vita d'esilio, 1902, che contiene una lettera di Andrea Costa
rievocante il loro giro di conferenze tra i migranti italiani nel “Midiì” della
Francia
33
Tra i fondatori del PSI. Modena 1860-Roma 1924
34
Secondo il Rapport 3396 del 16.11.1900, ci sono 900-1000 socialisti
italiani iscritti a Marsiglia e dipartimento su 98.631 Italiani censiti nel
dipartimento (P. Milza, Franeais et Italiens … cit., p. 842)
35
Dall’autobiografia,
13
e conferenze educative. Era sui cantieri e sulla piazza che trovavamo
sovente l’individuo isolato pronto a qualunque sacrificio, ed a questi
era rivolta la propaganda sindacale. Sul gran parte della Juliette
eravi di continuo gran fermento fra i lavoratori ivi addetti. Fra questa
massa di lavoratori di tutte le lingue e di tutte le razze trovavamo il
mezzo di farci comprendere ed eravamo ben compresi. Fra il rumore
delle immense gru ed il complicato congegno d’approdo; fra il
rumoroso macchinario di carico e scarico ed il viavai del personale e
dei passeggeri, noi comprendevamo i bisogni e le necessità di questi
oscuri 1avoratori e rivolgevamo loro la parola di solidarietà … “
[pag.43]

14
Parte 2. Scorci di vita operaia nella “Belle epoque”

“La giornata di lavoro era allora di dieci ore al giorno. Tenendo


conto dell'ora e mezzo accordata per il pranzo e di un'ora di
andata e ritorno, faceva una giornata di dodici ore e mezzo. E il
lavoro dei giovani era pagato, se lo era, in modo ridicolo: molti
padroni proponevano due anni di apprendistato senza salario per
insegnare un mestiere .... L'Europa pletorica, dove ricchezza e
benessere erano aumentati negli ultimi trent’anni dal 1880 in
proporzioni senza precedenti, fondava il suo regime sociale su vecchie
iniquità formando così nelle sue grandi città una strato sociale a cui il
progresso non recava nessuna reale speranza e non procurava che un
minimo di coscienza. E per il suo stesso eccesso di vigore era trascinata
verso le soluzioni di violenza, Respiravamo l'aria opprimente
dell'anteguerra: gli avvenimenti annunciavano la catastrofe: incidente
di Agadir,; l'Italia con l'aggressione alla tripolitania iniziava la
spartizione dell'impero ottomano e il poeta futurista Marinetti
descriveva lo splendore dei visceri fumanti al sole su un campo di
battaglia l'impero d'Austria annetteva la Bosnia e lo zar continuava
chiedendo in prestito denaro alla repubblica francese, a far impiccare e
deportare gli uomini dell'intellighenzia. Il mondo di quell'epoca aveva
una struttura compiuta, così durevole in apparenza che non vedervi la
possibilità di un cambiamento reale; in piena ascesa, in pieno
progresso, stritolava tuttavia delle masse sul suo cammino: la dura
condizione operaia non migliorava che molto lentamente ed era
senza uscita per l'immensa maggioranza dei proletari. In margine a
questi, gli spostati trovavano tutte le porte chiuse, salvo quelle
dell'avvilimento banale. Insolenti ricchezze si accumulavano con
orgoglio al di sopra di queste folle: da questa situazione nascevano
inesorabilmente la criminalità, le lotte di classe con il loro corteo
di scioperi sanguinosi, le battaglie insensate di Uno contro tutti36

Ritorno a Torino (1901-1903)


Nel 1901 Boero dopo l'espatrio a Marsiglia durato tre anni (1898-
1901) torna a Torino. Nel 1900 il PSI aveva a Torino una estesa base
elettorale: oltre ai due deputati (Quirino Nofri e Morgari), 17
consiglieri comunali e 3 provinciali ed è accusato di badare
essenzialmente alla lotta politica e amministrativa trascurando la lotta
economica e di fabbrica. Nel giugno 1902 si accresce di altri nove

36
Victor Serge, Memorie di un rivoluzionario, trad. it. 1956 …2017

15
consiglieri comunali provenienti dalle file della borghesia
professionale e accademica. Nel 1897 i socialisti a Torino raccolsero
5.400 voti su 20.000: un torinese su quattro votava PSI. In una città
dove la classe operaia crebbe nel ventennio 1881-1901 solo dal 28 al
29% della popolazione attiva, fu decisiva per i successi elettorali
l'alleanza con la piccola borghesia impiegatizia, esercente ed
intellettuale, che a differenza di altre città non aveva una formazione
democratica che la rappresentasse (in provincia di Torino contro i
48.000 voti costituzionali e 14.000 socialisti si hanno appena 3.000
voti radicali) ma votava direttamente per i candidati socialisti. Di
estrazione borghese erano quasi tutti i quadri e i candidati nelle
elezioni. Nofri e Morgari erano dirigenti di quelle associazioni
mutualistiche che, col loro fitto e ramificato tessuto, fungevano da
tramite fra gli interessi economici della classe operaia e dei ceti
piccolo-borghesi. L'equilibrio era destinato a rompersi con i primi anni
del '900 quando la nascita della grande industria avrebbe dilatato la
massa operaia. Tra la fine del 1901 e l'inizio del 1902, la Camera del
lavoro conta 6500 operai organizzati, numero comunque modesto in
rapporto al totale della massa lavoratrice cittadina e se confrontato ai
28.000 d Milano. Il nuovo secolo per i socialisti torinesi inizia con la
ricostruzione a metà febbraio 1900 della Camera del lavoro, con un
graduale processo di riorganizzazione delle leghe.
Così prosegue Boero37:
“ La famiglia di Giovanni ne fece le lievi spese necessarie all’unione
(7 lire). Luigia, tale era il nome della sposa, era sarta di mestiere e
trovò lavoro Giovanni si accinse a rappresentante di una casa di
credito, e tutte il giorno visitava 1e famiglie operaie, offrendo loro i
suoi articoli. Luigia prendeva due lire al giorno e Giovanni non aveva
stipendio fisso ma ricavava quel che le fosse possibile. Però gli
avvenimenti accaduti e le vicende degli scioperi li trascinarono nel
vortice E nella mischia diedero ogni loro attività, trascorrendo da
marzo a dicembre nella battaglia più intensa, restando ancora privi di
mezzi e disoccupati. Il 2 dicembre nacque dalla loro unione una
bambina alla quale fu post un none che doveva rispecchiare la loro
fede: Versaglia.
Natale Era il 25 Dicembre. Gianni ancora disoccupato batteva il
lastrico. La casa fredda. Focolare spento. Non pane non carbone La
puerpera giaceva in letto segnando sette la febbre. Giovanni passa
nella sua corsa sotto il porticato di via Po. Vede nel gran bazar
milanese dei gruppi di compratori che attendevano d’essere serviti

37
dalla autobiografia
16
Si offre al proprietario, viene assunto come provvisorio per la vendita
dei giocattoli in occasione delle feste, Passa la giornata, più gaio; ed
alla sera, alle ore nove rientra nella sua cameretta con in tasca 5 lire,
importo della giornata di lavoro. Luigia, che già era impressionata
per la lunga assenza, fece un sorriso di benvenuto. Giovanni incaricò
la buona suocera per procurarle fuoco e nutrimento e, qualche istante
dopo, una modesta cena ritrovava la piccola famigliola a festeggiare
il lieto evento. Sul tardi un compagno entrò con una bottiglia e
pasticcini e si fece quindi il battesimo della neonata. I due mesi più
duri d’inverno passarono meno peggio Nella crudezza di gennaio
nell’Italia settentrionale, a Torino il termometro scende a -16,-18,-20
gradi. I grandi bazar tenevano all’aperto i banchi dell’esposizione.
Giovanni vi faceva i dieci passi consecutivi, da destra a sinistra, dalle
otto di mattina alle nove di sera in attesa di compratori ed a
sorveglianza dei giocattoli ivi esposti. Tre lire al giorno. Mani e piedi
irrigiditi e rigonfi per i geloni, stomaco semivuoto, naso rosso e
barbettina brillantata da gocce agghiacciate. Eppure la soddisfazione
era grande, nella certezza di procurare ogni sera il calore per la
camera ed il pane ed il latte per la famiglia. Quanto poteva durare?
Passò gennaio, passò febbraio. Gli ultimi giorni di Carnevale furono
ancora prodighi per il venditore di trombette e coriandoli
Ma venne la quaresima. Nel bazar ritornava il servizio normale et il
personale d’occasione era rimesso nella strada. Quindi, Giovanni
ancora disoccupato. Luigia faceva del suo possibile, prendendo
qualche vestito da farsi in casa Ma lavoro scarso ed entrate minime o
insufficienti per i bisogni della casa. “
[pag. 92-94]
Trova da impiegarsi al cotonificio Poma, tristemente noto. Scrive
Gramsci "La ditta Poma gareggiava con quella Mazzonis 38. Il
'fabricòn' era diventato sinonimo di ergastolo. In una canzone
socialista dialettale il 'fabricòn' ricorreva e ricorre tuttora nel
ritornello e si è dolorosamente conficcato nel cervello del proletariato
torinese"

L' altro movimento operaio torinese: i libertari


“ … Avevamo un po' paura di diventare degli arrivisti quando
consideravamo parecchi dei nostri maggiori che avevano figurato
come rivoluzionari, e ora ... Il socialismo dava un senso alla vita. Le
manifestazioni erano inebrianti, sotto le pesanti bandiere rosse. …
Poco a poco entrammo in conflitto non già con il socialismo, ma con

38
Sull'impresa Mazzonis, F.Levi , L' idea del buon padre: il lento declino di
un'industria familiare, 1984
17
tutti quegli interessi per nulla socialisti che brulicano attorno al
movimento operaio - gli brulicano attorno e lo penetrano e lo
conquistano e lo insudiciano. Si fissavano gli itinerari dei cortei in
modo da contentare certi padroni di caffeucci affiliati alle Leghe
operaie. La politica elettorale ci rivoltò più di tutto perché toccava
l'essenza stessa del socialismo … Noi avremmo voluto un socialismo
ardente e puro; ci saremmo accontentati di un socialismo
combattivo: ed era la grande epoca del riformismo. Dove andare, cosa
fare con quel bisogno di assoluto, quel desiderio di combattere, quella
sorda volontà di evadere malgrado tutto dalla città e dalla vita senza
evasione possibile?. Il socialismo era riformismo, parlamentarismo,
dottrinarismo arcigno … Avevamo bisogno di un assoluto, di una
regola di vita. La lotta di classe ci avrebbe presi tutti se ce
l'avessero fatta capire, se fosse stata una vera lotta ...
L'anarchismo ci prendeva per intero perché ci chiedeva tutto, ci
offriva tutto: non c'era un solo angolo della vita che non rischiarasse,
almeno così ci sembrava. Si poteva essere cattolici, protestanti,
liberali, radicali, socialisti, anche sindacalisti senza nulla cambiare
della propria vita … l'anarchismo esigeva anzitutto l'accordo tra gli
atti e le parole … Di Marx non sapevo quasi nulla. Nel
sindacalismo denunciavamo uno statalismo futuro, temibile come
qualsiasi altro. L'«operaismo» come reazione contro i politicanti
(che erano soprattutto avvocati preoccupati di carriere
parlamentari) ci sembrava ottuso, e che portasse in sé i germi di un
arrivismo da intellettuali ... Una vera ondata di furore e di
disperazione saliva. Fuorilegge anarchici sparavano sulla polizia e
si facevano saltare le cervella; altri, sopraffatti prima di essersi
ficcati nella testa l'ultima pallottola, andavano alla ghigliottina
sghignazzando. «Uno contro tutti!» «Non ho messo la mia causa in
nulla!» «Tanto peggio per i padroni, per gli schiavi, tanto peggio per
me!». … Così finiva in Francia la seconda esplosione dell'anarchismo:
la prima, non meno disperata, era stata quella degli anni 1891-1894,
segnata dagli attentati di Ravachol, di Émile Henry, di Vaillant, di
Caserio. Gli stessi tratti psicologici e gli stessi elementi sociali si
ritrovano nei due episodi: lo stesso idealismo esigente, in uomini
elementari la cui energia non può trovare uno sfogo nella conquista di
una dignità e di una coscienza più alte, perché in verità non c'è via
d'uscita a loro portata e si sentono in un vicolo chiuso, si battono
come degli arrabbiati, soccombono ... Tra le vaste sintesi di Pétr
Kropotkín e di Élísée Reclus e l'esasperazione di Albert Libertad,
la decadenza dell'anarchismo nella giungla capitalista era evidente;
Kropotkin si era formato in una Europa completamente diversa, meno
stabile, dove l'ideale della libertà sembrava avere un avvenire, in
18
cui si credeva alla rivoluzione e all'educazione. Reclus si era
battuto per la Comune; tanta generosa forza vinta lo aveva
penetrato di fiducia per il resto della vita; credeva al potere
rinnovatore della scienza. Alla vigilia della guerra europea, la scienza
lavora solo ad accrescere le possibilità di sviluppo di un ordine
tradizionalmente barbaro. Si sente l'avvicinarsi di un'era di
violenza: nessuno vi sfuggirà. … In Italia in ”Pagine libere” (1
gennaio 1911) un giovane agitatore socialista, Benito Mussolini,
faceva l’elogio dei desperados anarchici39

“La storia di Torino operaia e socialista» negli anni '910 può essere
scritta come storia di una generazione, della sua cultura, dei suoi
valori, delle sue opzioni politiche e organizzative perché è proprio
l'elemento generazionale il «filo rosso» che attraversa un' esperienza
… la Camera del Lavoro di Corso Siccardi numero 12, che oggi non
c'è più, nel salone della birreria, alla sera, era il ritrovo del fior fiore
politico di Torino, e noi, pur abitando molto lontano, si veniva anche
lì. Non sempre, ma ogni tanto si veniva.. Un tavolo con tutti i
socialisti, che discutevano di tutte le loro cose; l'altro tavolo, con gli
amministratori della Cooperativa. Poi il tavolo dei libertari. Il tavolo
dove sedevano gli anarchici, soprattutto giovani. C'erano però anche
degli anziani, tra i quali il professor Cavilli, teorico, che veniva da
Genova. Credo che fosse un filosofo. E allora soprattutto le
discussioni vertevano sulle teorie. Si tirava fuori Carlo Marx,
Bakunin, «Kraputin», e via via. Di Lenin non se ne parlava ancora...
Se n'è poi parlato nel 1914 , '15, con i congressi di Zimmerwald, di
Kiental. .Si discuteva molto a quel tempo. E noi giovani ci
appassionavamo. Magari per un pelo arrivavamo alle
contrapposizioni nette. Prendiamo per esempio la formula "A ognuno
secondo i suoi bisogni". Formula anarchica, però accettata anche da
Marx. I socialisti invece dicevano "No!, noi siamo per la formula a
ognuno secondo il suo lavoro". E allora c'erano delle discussioni che
duravano ore, e che finivano a mezzanotte, e al mattino dopo noi
giovani eravamo già sul lavoro alle sette... Da quel lato lì non si
sentivano i sacrifici, perché eravamo giovani” 40
I circoli rionali socialisti, la Camera del lavoro, sono punto d’aggrega-
zione di una «comunità» proletaria che si autoconferma attraverso la
propria circolazione culturale C'è il primato dell' elemento pedagogico
che caratterizza quella generazione di militanti operai, che ne

39
V. Serge, “Memorie di un rivoluzionario” cit.
40
M.Revelli, Maurizio Garino: storia di un anarchico, «Mezzosecolo», n. 4,
1980/82
19
costituisce il connotato forse più originale. Nel programma del Circolo
di cultura «Francisco Ferrer", steso dalla Commissione Esecutiva, è
espresso al primo punto, l'intento di «dare incremento, sia pure sotto
l'egida del Razionalismo, a tutte quelle iniziative e manifestazioni del
pensiero che valgono ad integrare, con l'istruzione generica,
l'educazione di classe. Non la semplice mobilitazione sugli obiettivi
materiali, non la semplice pratica sindacale e l'istintivo spirito di
rivolta, ma l'educazione di classe, la formazione individuale del
militante operaio attraverso un'intensa preparazione culturale,
costituisce la chiave politico-organizzativa per comprendere quello
specifico tratto di storia del movimento operaio torinese che copre il
decennio che precede l'avvento del fascismo. È la cultura. ben
esemplificata dalla Scuola Moderna (positivistica e idealistica
insieme, razionalista, umanitaria; attenta alla formazione
dell'individuo ma non «individualistica»; laica ed anticlericale ma
carica di connotati etici); è questa cultura, affermatasi e consolidatasi
immediatamente a ridosso della crisi dell'egemonia giolittiana e
riformista, intorno al 1900-1910, la protagonista principale
dell'esperienza operaia torinese nel decennio successivo. Ed è la
generazione dei giovani che intorno al 1910 si affacciavano alla vita
politica, la protagonista delle esperienze conflittuali torinesi culminate
con l'occupazione delle fabbriche del settembre 1920 e con
l'elaborazione consigliare. Sono loro il «propellente» di un unico ciclo
che va dalle manifestazioni di protesta per la fucilazione di Francisco
Ferrer in Spagna nel 190941 agli scioperi autonomi del 1911
nell'industria dell'auto, alla rivolta contro l'entrata in guerra
Col 1910 la Scuola Moderna nasce come espressione di una lotta
accanita tra «cultura razionale» e «sportismo»: «Pareva allora che
l'ambente locale fosse prematuro e inadatto, malgrado la prevalenza
operaia, e ciò per l'influenza dello sportismo, che raggiungeva la sua
prima efficienza; Infatti le società ricreative e sportive sorgevano
come i funghi ed i giovani operai passavano spesso le poche ore
libere lasciate dal lavoro Erano molte le corse ciclistiche, podistiche,
le gare di ballo, che dette società indicevano sorrette ed incitate da
altre, ove lo zampino della, borghesia era palese, logico poiché
41
V. Serge, Memorie di un rivoluzionario... cit. “ … il 13 ottobre 1909
venimmo a conoscenza della fucilazione di Francisco Ferrer il fondatore della
scuola moderna di Barcellona. … Da un capo all'altro del continente
l'assassinio giuridico di Ferrer provocò in ventiquattr'ore uno scoppio di
proteste furiose da parte di intere popolazioni: a Parigi, il movimento fu
spontaneo; da tutti i sobborghi affluirono verso il centro, a centinaia di
migliaia, operai e popolo minuto, mossi da una terribile indignazione. I
gruppi rivoluzionari seguivano più che non guidassero quelle masse ...
20
riusciva in tal modo a distrarre l'osservazione operaia,
opprimendola egualmente facile immaginare quanto fosse difficile in
un tale ambiente, seminarvi il benefico seme della cultura
razionale."Chi, come noi,in questi tempi, affrontando serenamente le
più ridicole ingiurie,affrontando il sogghigno beffardo di molta gente
che paternamente ci consigliava, di tacere,può dire a quale grado di
depravazione morale sia giunta la massa proletaria, .Difficilissimo si
presentava dunque, il nostro compito. La lotta tra cultura razionale e
sportismo: si tratta in realtà di uno scontro per l'egemonia tra due
strutture di socializzazione alternative tra due modi diversi di
circolazione dei valori sociali e di definizione dell'aggregazione, l'uno
fondato sull'autogoverno culturale dell'identità di classe, l’altro
caratterizzato da simboli comunicativi "interclassisti» e da forme di
interazione ludico-competitive (vicine aI moderno tifo), tendenti a
definire tipi di aggregazione di massa indipendenti dalla collocazione
di classe; in un certo senso «inediti», affidati alla pura e semplice
«attività», all'effimero campo dell' associazionismo di evasione. Ma
nell'emergere dello «sportismo» e nella minacciosa insidia da esso
portata all'integrità di classe, vi era il segno dell' avanzare d’una
modernità massificata disgregatrice delle precedenti identità sociali e
connessa con i più profondi processi di trasformazione sociale e
industriale. Nel passaggio dal paleo-capitalismo libero concorrenziale
ottocentesco al «capitalismo maturo» si ha la modificazione
qualitativa dei meccanismi di socializzazione a livello di massa, nella
trasformazione delle forme di produzione dell'identità sociale, il dato
qualificante dell'epoca, il prodotto più specifico, sul piano socio-
culturale, della modernizzazione capitalistica a cavallo tra i due secoli.
All'antica «autarchia culturale» comunitaria; all'operatività dei
tradizionali canali di comunicazione del «sapere identificante» (la
tradizione orale del mestiere; il consolidarsi del gergo a livello di
quartiere; l'accumulazione folklorica, sotto forma di proverbi, canzoni,
luoghi comuni, motti di spirito, leggende; aneddoti; norme di
comportamento, ecc., di una: struttura popolare separata), si
sostituisce una crescente «eterogenizzazione culturale», un'impetuosa
tensione centrifuga accompagnata dalla moltiplicazione dei centri
propulsori degli stimoli culturali, dei processi di identificazione La
comunità proletaria prima separata viene ora tratta all’interno del
«mercato culturale unificato», e da questo dissolta. Entra a far parte
dell'opinione pubblica. La lotta della Scuola Moderna contro le forme
nuove di socializza-zione è il tentativo di combattere sul terreno della
modernità per il monopolio deIla socializzazione proletaria, per
mantenere all' interno dei confini di classe la circolazione culturale, e
per assicurarsene in il controllo sottraendola alle forme di mercato
21
«interclassiste» o borghesi, alla Chiesa ed alle stesse istituzioni pub-
bliche preposte all'istruzione. Uno scontro «strategico» in cui si finiva
per accettare, in molti casi, le stesse «regole del gioco» imposte
alI'epoca: in primo luogo l'organizzazione della competizione e
l'acquiescenza allo "spirito ludico". Lo scientismo che caratterizzò con
forza l’industrialismo nascente, o meglio l’ideologia industrialista di
cui il primo socialismo è fortemente impregnato. Mescolato,
altrettanto fortemente, ad un forte radicale idealismo, spinto fino ai
limiti dell’irrazionalismo più estremo (si pensi ai riferimenti non
marginali, a Nietzsche e Stirner) cui era attribuito il ruolo di
rappresentare la prometeica rivolta ideale contro l'inerte oggettività del
capitalismo in un intreccio dinamico ed esplosivo da cui scaturiranno
tutte le turbolente vicende dell' anarchismo d'inizio secolo,
disseminate lungo l' intero ventaglio che va dalla corrente più
coerentemente socialista e proletaria all'anarco-sindacalismo, alla
degenerazione fascista. In quell'interesse appassionato per la
conoscenza «positiva; in quella domanda di «sapere; di «scoprire il
mondo», c'è anche una domanda di identità autonoma. Quasi che
scoprendo il mondo con i propri strumenti di classe, si scoprisse,
contemporaneamente, se stessi." si disvelasse la propria identità
collettiva, contrapponendo se stessi alla classe dominante. Ci si
costruisse, in un certo senso, in classe antagonista. Si tratta di un' élite
di uomini rari per qualità e per morale; che quella cultura, così
tecnicizzata e insieme raffinata fosse adeguata ad un «personale
politico" formato da espertissimi tecnici industriali, artigiani provetti
nel lavoro e, insieme portati per carattere e formazione alla critica e al
rigore etico, risulta evidente dalla composizione del gruppo dirigente
della Scuola Moderna. Garino cita nomi rimasti celebri nella memoria
operaia torinese….., quel Casassa di cui traccia un indimenticabile
ritratto: «….lo nominavamo Satana, perché sempre con la sua
cravatta alla Lavallière lui non voleva assolutamente sottomettersi
allo sfruttamento, ma essendo un artigiano e perciò enciclopedico,
era capace di fare qualunque lavoro:" costruiva navi mercantili,
modellini eh! costruiva….aveva le mani molto raffinate.. Questo
nostro vecchio compagno si intendeva molto di mineralogia, perché
aveva fatto anche il minatore, e quindi tutti i libri che uscivano in quel
tempo sull'argomento, lui li acquistava per potersi approfondire.
Infatti, nelle gite che facevamo in quelle montagne, lui sapeva
distinguere ogni sorta di minerale, qualunque pezzo di porfido in cui
inciampasse; lui diceva: "Ecco, questo proviene dagli strati geologici
di un milione di anni fa, perché contiene questo e quest'altro; L'altro
grande protagonista del racconto è la Barriera; il quartiere operaio
aggregato, quando ancora la ristrutturazione urbanistica e sociale degli
22
anni trenta non l'aveva scomposto e dissolto nell'indifferenziata
struttura sociale interclassista delle periferie urbane: prima che un
luogo geografico, essa è uno spazio culturale: l'ambito del
riconoscimento e della verifica dell'identità; il contesto entro cui l'in-
dividuale si fa e si scopre collettivo nella verifica delle proprie
omogeneità etiche e culturali e nella sperimentazione della propria
separatezza - anche territoriale - dal resto del tessuto urbano. La
barriera è un «organismo, sembra vivere e pulsare di vita propria.
Sembra anche, «trasformare» gli uomini che si inseriscono,
incorporarli alla propria dimensione di paesaggio animato,e renderli,
in un certo senso, parte di un corpo collettivo omogeneo. Garino
parlerà più volte dello «spirito della barriera», ad indicare
quell'atmosfera densa di valori sociali e culturali, di atteggiamenti e di
norme di comportamenti, quel «clima» prodotto dalla lunga pratica
d'interrelazioni consolidate, di conoscenza e di esperienza sociale,
espressione d'una comune memoria e d'un comune destino, che farà
della gente della barriera un composto umano particolarmente
disponibile all'azione collettiva spontanea. La quale appunto, sembra
comporsi e addensarsi, scaturendo dalla stessa struttura materiale,
fisica, «ecologica del paesaggio urbano, lungo le linee immaginarie di
flussi sociali che, dalle fabbriche e dai luoghi di socializzazione caldi -
lungo le direttrici dei grandi corsi e, prima ancora, lungo i capillari dei
vicoli e delle strade minori –convergono verso le piazze e gli spazi
delegati all’assembramento e al rito della costituzione in folla. 42

Tre biografie:
Ilario Margarita43 Nato nel 1887 in provincia di Torino, nel 1906 è
condannato a tre mesi per “minacce, istigazione a delinquere,
incitamento all’odio di classe” e nel 1909 a 4 mesi per il numero
unico “Senza Patria”. Nel 1914 è tra i fondatori del “Fascio Libertario
Torinese” e nel 1916 partecipa al convegno anarchico clandestino di
Firenze. Si susseguono le condanne: nel 1916 un mese e 10 giorni per
aver “preso parte ad una dimostrazione contro la guerra”, nel 1917
tre anni per istigazione alla diserzione, amnistiati nel 1919. Collabora
all’«Avvenire Anarchico» di Pisa e ad altri giornali. Abile oratore,
prende spesso la parola, a nome degli anarchici o dell’USI, nelle
agitazioni operaie del biennio rosso. Nel 1920 partecipa

42
M.Revelli, Maurizio Garino … cit.
43
Imperato‘Barricata’ una vita militante “Bollettino Archivio Pinelli”, 1998
bfscollezionidigitali.org/index.php/Detail/Object/Show/object_id/1356
Dizionario biografico degli anarchici italiani, t. II, Pisa, 2004

23
all’occupazione delle fabbriche; l’anno seguente è per pochi mesi
segretario dell’USI di Brescia. Nel 1922 è tra gli organizzatori degli
Arditi del Popolo torinesi ed è arrestato per concorso in tentato
omicidio di un agente di PS (avendo nascosto nella sua abitazione
l'aggressore). Nel 1923 dopo essere stato prosciolto espatria
stabilendosi prima a Parigi e poi a Marsiglia. Nel 1925 è a Cuba,
presso la comunità degli anarchici italiani, partecipando alle attività
della Camera del Lavoro dell’Avana. Nel 1927, all’epoca
dell’esecuzione di Sacco e Vanzetti, che conosce personalmente e
visita in carcere, per sfuggire alle persecuzioni contro gli anarchici del
generale Machado, emigra clandestinamente negli USA dove, con lo
pseudonimo di Ilario di Castelred, assume la direzione de “L’Adunata
dei Refrattari” e, dal 1928 al 1930, del quindicinale di Boston
“L’Aurora”. Nel 1931 si trasferisce a Barcellona, dove frequenta il
sindacato anarchico degli edili (CNT); nel 1932 è arrestato e dopo tre
mesi di carcere è espulso. Dopo una breve permanenza a Tolosa
rientra clandestinamente a Barcellona, partecipando, nel luglio del
1936, all’insurrezione popolare contro i generali golpisti e
arruolandosi prima nella Colonna Ortiz e poi nella Colonna Italiana
(Ascaso) mentre la sua compagna Giuditta Zanella (Verona 1885-
Torino 1962) combatte nella Colonna Durruti. Rifugiatosi in Francia
nel 1939, è internato a Argeles sur Mer e Gurs. L’anno successivo,
trasferito in una compagnia di lavoro e liberato dopo l’occupazione
nazista, riesce a raggiungere a piedi il Belgio, dove chiede il rimpatrio
al consolato di Bruxelles. Rientrato in Italia viene condannato a
cinque anni di confino alle Tremiti per attività antifascista all’estero;
nel 1942 è condannato a tre mesi di reclusione per contravvenzione
agli obblighi del confino. Liberato nel settembre 1943, combatte in
una formazione partigiana operante in Val di Lanzo (Torino).
Partecipa a Milano il 23-25 giugno 1945 come delegato della
Federazione Comunista Libertaria Piemontese al Congresso
Interregionale Comunista Libertario Alta Italia e a Carrara il 15-19
settembre al Congresso Nazionale costitutivo della FAI. Anche dopo
la liberazione, ormai sessantenne, continua ad essere strettamente
sorvegliato dalla PS. Alla fine del 1946 esce dalla Federazione
Anarchica Piemontese fondando un Gruppo Autonomo d’Iniziativa
Anarchica ed è tra i promotori della ricostituzione dell’U.S.I..
Partecipa, in rappresentanza del Gruppo “Bakunin” di Torino, al
Convegno Nazionale di Senigallia del 7-9 dicembre 1962. Negli anni
1963-64 pubblica quattro numeri unici: “La Rivendicazione Sociale”
(3 numeri.) e “Rivoluzione Libertaria” (1 numero), incentrati sulla
repressione degli anarchici cubani da parte di Fidel Castro Pur
rimanendo un anarchico “tradizionale”, assume nel dopoguerra
24
posizioni di rigido anticomunismo (“La posizione dell’anarchico sta
sempre dalla parte dove si difende la libertà. … Per questo motivo ...
continuo a mantenermi diritto sul terreno dell’anarchismo, senza
farmi mai prendere dalle infatuazioni marxiste autoritarie e senza
cadere davanti ad infatuazioni di altro carattere”) che lo fanno
scivolare su posizioni riformiste di difesa della democrazia,
interpretata non come male minore ma come baluardo di libertà.
Ultima partecipazione a un congresso internazionale anarchico è nel
1968 a Carrara. Muore a Torino nel 1972

Maurizio Garino44 Nasce nel 1892 in Sardegna, ma nel 1895 la


famiglia si trasferisce a Torino. Falegname, poi modellista meccanico.
Nel 1908 aderisce al Fascio Giovanile Socialista Torinese. Si avvicina
all’anarchismo durante l’agitazione pro Ferrer, nell’autunno 1909.
Agli inizi del 1910 è uno dei fondatori della “Scuola Moderna”,
finalizzata alla formazione dei militanti operai. Dopo la firma della
convenzione tra la FIOM e il Consorzio automobilistico torinese
(gennaio 1912) contestata dai disorganizzati perché in cambio del
“sabato inglese” abolisce le tolleranze e introduce la trattenuta
sindacale obbligatoria, aderisce al “sindacalista rivoluzionario”
Sindacato Unitario Meccanici, ma lo sciopero che proclama si risolve
in una grave sconfitta e l’esperienza negativa della divisione sindacale
lo induce a farsi portatore nel Fascio Libertario Torinese, con Ferrero,
della scelta unitaria a favore della FIOM, anche dopo la costituzione,
nel novembre 1912, dell’USI. Il grande conflitto nel settore d’auto
della primavera 1913, risoltosi favorevolmente per la FIOM, segna
l’eclissi del SUM, a cui farà seguito una sezione torinese dell’USI
guidata da Ilario Margarita. Nel giugno 1914 ha un ruolo di primo
piano negli scioperi della Settimana rossa dopo l’arresto viene tuttavia
prosciolto. Lo scoppio della guerra lo vede su posizioni rigidamente
antiinterventiste. Il suo attivismo politico e sindacale lo costringe a
cambiare continuamente posto di lavoro (Fonderie Subalpine,
Acciaierie FIAT, Officine Savigliano ecc.). Dichiarato abile (anche se
riformato alla visita di leva), ottiene l’esonero come “operaio
specialista”. Contrario alla partecipazione al Comitato di
mobilitazione industriale, la partecipazione ad azioni rivendicative gli
costa l’esonero (ma verrà poco dopo nuovamente riformato) e il posto

44
U. Marzocchi, Maurizio Garino, «Umanità nova», 19.6.1977; M.Revelli,
Maurizio Garino … , «Mezzosecolo», cit. Il sogno nelle mani: Torino 1909-
1922: passioni e lotte rivoluzionarie nei ricordi di Maurizio Garino, Milano,
2011; bfscollezionidigitali.org/index.php/Detail/Object/Show/object_id/846

25
di lavoro. Nell’aprile 1919 è tra i fondatori dell’Unione Comunista
Anarchica Italiana (UCAI) e al Congresso di Firenze entra nel
Consiglio generale in rappresentanza degli anarchici torinesi. Nel
giugno 1920 interviene con Ferrero al Congresso anarchico
piemontese proponendo il medesimo odg del Congresso camerale e se
ne farà portatore anche al Congresso bolognese dell’UAI (1°-4 lug.
1920). Durante il ventennio subisce arresti e persecuzioni. Prende
parte alla Resistenza e, arrestato nell’ottobre 1944, è rilasciato grazie
a uno scambio di prigionieri. Dopo la Liberazione partecipa alla vita
del movimento libertario piemontese. Muore a Torino nell’aprile 1977

Pietro Ferrero 45 Nato nel 1892 in una famiglia operaia, il padre


fondatore della “Cooperativa lime”, lavora come piastrellista ma nel
tempo libero si forma una cultura da autodidatta. Si avvicina al
“Circolo di studi sociali” del quartiere Barriera di Milano sorto nel
1905, che sull’onda dell’agitazione pro-Ferrer dell’ottobre 1909 si
distingue nella lotta al riformismo del socialismo torinese chiuso in
una logica elettorale. Nel 1910 è con Maurizio Garino tra i fondatori
della Scuola Moderna, un circolo culturale con lezioni e dibattiti per e
tra giovani operai, cui partecipano anche studenti universitari. Nel
gennaio 1912, dopo l’accordo tra FIOM e Consorzio automobilistico
torinese contestata dai “disorganizzati” perché in cambio del “sabato
inglese” abolisce le tolleranze e introduce la trattenuta sindacale
obbligatoria, aderisce al Sindacato Unico Metallurgico sorto ad opera
dei “sindacalisti rivoluzionari” e partecipa a loro sciopero risoltosi
dopo più di due mesi con una grave sconfitta. Per l’esperienza
negativa della divisione sindacale si fa portatore nel Fascio Libertario
Torinese della scelta unitaria a favore della FIOM, del cui mensile «La
Squilla», supplemento al «Metallurgico federale» diventa redattore
responsabile. Non aderisce all’USI costituita da Ilario Margarita nel
novembre 1912, reputando dannosa la divisione dei lavoratori in
sindacati diversi perché “compito dei rivoluzionari è di spingere le
masse proletarie su obiettivi rivoluzionari all’interno dello stessa
organizzazione sindacale” e riesce a stabilire un dialogo con i giovani
socialisti conferendo un'impronta più classista al movimento operaio
45
P. C. Masini, Anarchici e comunisti nel movimento dei Consigli a Torino, 1951, p. 12, 17
R. De Felice, I fatti di Torino del dicembre 1922, “Studi storici”,1963, 1; P. Spriano,
L'occupazione delle fabbriche, 1964; F. Repaci, La strage di Torino, 1972,
pp. 27-30; G. Carcano, Strage a Torino, 1973
.

26
torinese. Il nuovo conflitto della primavera del 1913 nel settore
dell’auto, chiuso favorevolmente dalla FIOM segna il ritorno di
numerosi anarchici ai “federali” i cui iscritti a Torino passano dai
1.759 del primo trimestre del 1913 ai 3.125 del secondo semestre.
Durante la guerra lavora come operaio militarizzato all’Arsenale; nel
1918 è assunto come meccanico alla FIAT ma resta in produzione
poco tempo perchè nel 1919 un’assemblea di commissari di reparto
delle fabbriche metallurgiche torinesi lo elegge a grande maggioranza
segretario della FIOM strappando la carica ai riformisti, segno della
crescente influenza dei “rivoluzionari” a Torino, in contrasto con
l'orientamento riformista della FIOM nazionale guidata da Buozzi di
cui egli diviene antagonista in tutti i congressi che si svolgono tra il
1920 e il 1922. Come segretario dopo lo “sciopero” delle multe (14-
23 novembre 1919) ha un ruolo essenziale nella costituzione delle
Commissioni Interne, nella nascita e nello sviluppo dei consigli di
fabbrica e nella grande mobilitazione del 3 dicembre che rivela la
forza del movimento operaio torinese. Nel dicembre 1919 al
Congresso straordinario della CdL di Torino presenta con Garino, una
mozione a favore dei Consigli, ritenuti “ai fini dei principi comunisti
antiautoritari, organi assolutamente antistatali e possibili cellule
della futura gestione della produzione agricola e industriale”. Il 27
marzo 1920 redige con Garino il manifesto “Per il congresso dei
consigli" pubblicato sull’”Ordine Nuovo” e nel movimento anarchico
sostiene le tesi dei Consigli operai quali germe libertario della
rivoluzione sociale. Nel marzo-aprile 1920 il cosiddetto "sciopero
delle lancette" evidenzia la combattività del movimento consiliare ma
anche il suo isolamento dalle centrali sindacali e infatti i principî
ispiratori e la conduzione di quello sciopero gli sono contestati al
convegno nazionale della FIOM di Genova del maggio 1920, in cui
non solo difende “l’esperimento” consiliare dagli attacchi dell’ex
segretario torinese Uberti e di Bruno Buozzi, ma mette sotto accusa
“la impreparazione degli Organismi centrali nazionali”, dichiarando:
“La rivoluzione si fa dalle masse, che agiscono per istinto. Bisogna
lasciarle tentare”. Accusato di voler subordinare il sindacato ai
consigli, considerati dalla maggioranza "organi incompetenti e
prigionieri degli egoismi d'officina", respinge il sospetto di voler
esautorare la FIOM e accusa i dirigenti nazionali di non impegnarsi
abbastanza per la cessazione delle lavorazioni belliche. Al Congresso
piemontese dell’UAI (anarchici) del giugno 1920 e a quello nazionale
(Bologna 1°-4 lug. 1920) propone con Garino il medesimo odg
presentato al Congresso della CdL di Torino. Nell’agosto 1920
interviene al Convegno della FIOM in cui si decide la tattica
dell’ostruzionismo nel tentativo di indurre gli industriali ad accogliere
27
il memoriale della Federazione. La risposta imprenditoriale con la
serrata dà il via all’occupazione delle fabbriche di settembre, di cui è
tra gli animatori, recandosi nei vari stabilimenti per mantenere i
contatti con gli operai armati. Fautore di una linea intransigente,
rifiuta ogni soluzione di compromesso e attorno a lui si coagula
l’opposizione alla linea dei dirigenti federali, propensi a mantenere la
vertenza sul terreno sindacale e a chiuderla con il compromesso
giolittiano sul “controllo operaio”. Al Convegno nazionale della
FIOM di Milano del 16-21 settembre difende la posizione
rivoluzionaria del Consigli di fabbrica opponendosi alla decisione di
sgomberare le fabbriche in seguito all'accordo tra D'Aragona e Giolitti
e il suo odg ottiene 42.140 voti contro i 148.740 di quello di Buozzi.
Al Congresso straordinario della FIOM dell’ottobre 1921 difende la
sezione di Torino dall’accusa di aver leso i diritti dell’opposizione
socialista e sollecita una nuova ondata di agitazioni per ottenere la
liberazione di quanti si trovano in carcere per reati commessi durante
l'occupazione. Al Convegno del giugno 1922 l’anomalia del caso
torinese viene posta ancora sul tappeto ma le posizioni dei torinesi,
che grazie all'accresciuto peso dei comunisti guadagnando più ampi
consensi, non ottengono comunque la maggioranza. Intanto il
fascismo conquista il potere e a Torino il 17-18 dicembre 1922
squadre fasciste si concentrano per vendicare due camerati uccisi dal
tranviere comunista Francesco Prato che aveva sparato per difendersi
da un’aggressione. La rappresaglia provoca quattordici morti,
numerosi feriti e la devastazione delle sedi operaie. Sorpreso alla
Camera del Lavoro, occupata dalle camicie nere, viene bastonato con
gli altri militanti sindacali presenti all’interno del locale, poi è lasciato
andare ma in seguito decide di tornarvi perché depositario della cassa
della FIOM. E’ nuovamente aggredito e dopo atroci sevizie è appeso
per i piedi a un camion e trascinato a lungo per i viali. Il suo corpo,
irriconoscibile, viene abbandonato. Gli squadristi autori degli eccidi
restano impuniti. I funerali sanciscono la sconfitta del proletariato
torinese di fronte al fascismo.

28
“Elvezia repubblica borghese”46: l’emigrazione in Svizzera

L'emigrazione assume in Italia caratteri di massa nel decennio 1880-


90. Gli emigranti partono ignorando lingua, costumi, leggi, tariffe, e si
affidano a speculatori o “caporali”. Solo nel 1888 il governo Crispi
interviene con una legge mentre nel 1901 è istituito il Commissariato
Generale dell’emigrazione. Nel 1900 nasce in campo cattolico
l’”Opera di assistenza degli operai emigranti” patrocinata dal vescovo
di Cremona Bonomelli e lo stesso anno al sesto Congresso del PSI
(Roma 8-11 settembre) la questione dell’emigrazione viene posta
all’OdG. Per i socialisti l’emigrazione temporanea in Europa 47 è un
fenomeno positivo perché crea ricchezza e diminuisce la
disoccupazione48 senza privare il paese di energie come invece accade
per l’emigrazione permanente. I socialisti sono persuasi che non si
può arrestare il fenomeno, ma si può disciplinarlo per farne un fattore
di emancipazione e di progresso sociale e civile 49.
Sotto il patrocinio dell'Umanitaria di Milano sorgono i Segretariati per
l’assistenza all’emigrazione50 nelle località in cui era particolarmente
rilevante. L’intervento in favore dell’emigrazione italiana non era
dettato solo da motivi umanitari: nel settore edilizio vari scioperi in
Svizzera e Germania si concludono con un insuccesso a causa dell’
46
“… Ma tu che ci discacci con una vil menzogna / repubblica borghese un
dì ne avrai vergogna … Elvezia il tuo governo schiavo d'altrui si rende … “
(Pietro Gori, Addio Lugano bella - 1895)
47
Le statistiche ufficiali (“Bollettino dell'emigrazione” n. 8, 1903) davano
222.725 unità nel 1902 ma secondo Alessandro Schiavi andavano più che
raddoppiate. Vedi F. Assante Il movimento migratorio italiano dall’Unita
nazionale ai giorni nostri 1978
48
perché “i lavori che offre il mercato dell'Europa continentale
diventano come una fonte di reddito fisso e sul quale si fa conto, per una
grande massa della nostra classe lavoratrice, così che, un fenomeno
determinato da condizioni anormali, tende a diventare normale ed a
entrare come fatto ordinario nella vita della nazione". G. Montemartini
in “Resoconto del 2. Congresso dell'Emigrazione temporanea tenutosi in
Milano nei giorni 13 e 14 gennaio 1907 promosso dalla «Società Umanitaria»
49
Era l'opinione dei socialisti, espressa nell' OdG votato al congresso di
Firenze, che riprendeva la mozione Ellenbogen al congresso di Stoccarda del
1907 dell'Internazionale (10. congresso nazionale del PSI, Firenze, 19-22
settembre 1908. Il Partito Socialista Italiano e la politica dell'emigrazione.
Angiolo Cabrini relatore).
50
D.Franchetti "Il segretariato di emigrazione della CdL di Varese. (1904-
1924)" In "Emigrazione e territorio", 1999; P. Corti "Il segretariato biellese
dell'emigrazione. Strutture organizzative, tradizione migratoria, spazi
istituzionali" In "Democratici e socialisti nel Piemonte dell'Ottocento", 1995
29
intervento di crumiri italiani per cui il movimento operaio italiano
poteva conservare i rapporti con quello europeo solo adoperandosi a
debellare il crumiraggio. I Segretariati e sindacati di categoria come la
“Federazione dell’edilizia” proposero di costituire un ufficio di
coordinamento da affidare all’Umanitaria 51, coinvolgendo studiosi e
organizzatori del mondo socialista.
Lo statuto fissava come scopo l'istituzione di uffici per l’emigrazione
temporanea in Europa nei paesi da cui partiva l’emigrazione e in
quelli verso cui era diretta, ma si puntò anche sulla propaganda da
svolgere all’interno per far conoscere le condizioni di lavoro e la
legislazione sociale dei paesi di destinazione e per informarli della
situazione del mercato del lavoro, onde evitare i luoghi in cui erano in
corso scioperi dei lavoratori, ciò che implicava accordi con le
organizzazioni operaie dei paesi europei.
Fu istituito anche un corpo di ispettori che avrebbero visitato durante
l’inverno i centri di emigrazione per assumere le necessarie
informazioni sul presunto esodo della stagione estiva e sulla sua
destinazione, diffondere notizie, fornire gli indirizzi delle persone e
delle organizzazioni cui fare riferimento nelle varie località,
adoperarsi per l’istituzione di scuole popolari e di scuole professionali,
cercare di fondare nuovi segretariati. All’estero avrebbero dovuto
occuparsi del collocamento e della tutela degli emigranti,
assumendone anche il patrocinio.
Erano state previste due agenzie sul confine italo-svizzero e due su
quello svizzero-tedesco, con funzione sia di patronato che di statistica,
per individuare i luoghi di destinazione; esse furono istituite a Basilea
(gestito dalla comunità italiana), a Chiasso (affidato alla Camera del
lavoro di Lugano), a Losanna (curato dalla “Federazione muraria di
lingua italiana” che assunse una grande importanza per l’apertura del
Sempione), e a Bellinzona. La funzione degli uffici di confine era di
aiuto agli emigranti nelle pratiche ferroviarie, facendo loro ottenere le
tariffe preferenziali cui avevano diritto, fornendo loro informazioni e
in qualche caso fungeva da ufficio di collocamento, suscitando le
diffidenze degli organizzatori operai.
La propaganda invernale stava dando buoni risultati: gli italiani
avevano finalmente perso la fama di crumiri, di cinesi d’Europa e di
rompi-sciopero.
Nel 1895-96 aumenta enormemente il movimento di emigrazione
temporanea dei lavoratori italiani verso la Svizzera. L'emigrazione di

51
M. Punzo La Società' Umanitaria e l'emigrazione. dagli inizi del secolo
alla prima guerra mondiale, in A. Riosa “Il socialismo riformista a Milano
agli inizi del secolo”, 1981
30
artigiani e operai specializzati - tessitori, sarti, calzolai - nelle città
(Ginevra, Losanna, Zurigo) viene sostituita dalla massiccia invasione
della manovalanza edile e degli sterratori e carriolanti nei lavori
ferroviari e stradali, appannaggio degli italiani 52.
Questo imponente movimento migratorio poneva grossi problemi alla
federazione dei sindacati, la “Gewerkschaftsbund” (GSB), che non
poteva non preoccuparsi delle ripercussioni sindacali e politiche del
movimento migratorio italiano 53.
La forza stessa del movimento con cui si sono riversati oltre i confini
del paese e trovati insieme in un clima nuovo e più libero, apre i
gruppi più raggiungibili alla propaganda socialista e sindacale verso
una grande fioritura di interessi e organizzazioni. Nell'ottobre del 1896
fallisce, anche per l'intervento dei crumiri, il grande sciopero edile di
Losanna, con conseguenti espulsioni e finisce il mito di una Svizzera
libera e tollerante verso le lotte sindacali e si rende evidente quanto
poco a fondo nelle masse emigranti sia andata l'organizzazione
socialista
L'attività di propaganda e organizzazione politica tra gli emigranti
italiani inizia con la fondazione ad opera di Camillo Prampolini, F.
Rossi e Anna Kuliscioff, della sezione dell'Unione socialista italiana
in Svizzera (USIS) nell'agosto 1893, in occasione del congresso
socialista internazionale di Zurigo 54 All'inizio composta
esclusivamente di profughi politici, l'Unione decide di non limitarsi
alla pura propaganda di principi ma di indirizzarsi verso quella che
allora era chiamata l'attività economica sacrificando l'interpretazione
che stava a cuore agli esuli politici stanziati nelle grandi città.

52
G. De Michelis, L'emigrazione italiana nella Svizzera. In “ Bollettino
dell'emigrazione”, 1903, n. 12; Le cifre ufficiali dicevano che gli emigrati
italiani dal 1895 al 1901 erano triplicati.
53
G.D.H. Cole, Storia del pensiero socialista. La Seconda Internazionale
(1889-1914), 1968, parte Il, p. 109 sgg. G. Pedroli, Il socialismo nella Sviz-
zera italiana (1880-1922), 1963. Corrispondenza da Berna de “L’Avanti!”,
14.9.1899.
54
C. M. Serralunga-Langhi, L'emigrazione italiana in Svizzera, 1896, in
“La Lotta di classe”, 23.2.1895; G.M. Serrati, in “L'Avvenire del
Lavoratore”, 30.9.1905; E. Ragionieri, Italiani all'estero ed emigrazione
dei lavoratori italiani: un tema di storia del movimento operaio, “
Belfagor”, novembre 1962, p. 654.
31
L'USIS si dota di un organo di stampa: “L’Eco dell'operaio”55 che nei
locali italiani - vino, bocce, morra - ha venditori e lettori, riceve
corrispondenze, svolge propaganda contro il crumiraggio tentando di
attenuare il drammatico divario fra le masse già sindacalizzate e la
babele dei nuovi arrivati. Nonostante l'ambivalenza tra italiani in
Svizzera e svizzeri di lingua italiana, è l'emigrante italiano che han il
maggior rilievo, portando sulle pagine del giornale una realtà di
situazioni e lotte di lavoro che si estende alla Svizzera e oltre
(l'emigrante abbonato a “Il Socialista” poteva passare in Germania o
Francia e lì aprire nuove vendite e abbonamenti) in contrasto con il
carattere ristretto, di lotte municipali e polemiche locali delle notizie
ticinesi. “Il Socialista”, allineato sulle posizioni di Turati per un'azione
di rivendicazione concrete, nei confronti del PSS esprime la sua
delusione: «gli interessi cantonali e regionali e specialmente i dibattiti
della politica minuta» assorbono le energie migliori; manca un
«programma massimo» ed esistono «tendenze troppo opportuniste».
Per il Ticino il problema politico é posto in termini di lotta di classe:
«non ci sono che due partiti logici al mondo, il conservatore e il
socialista. Fra i due c'è un abisso: la lotta di classe».
Nel 1897 Vergnanini crea a Ginevra il Segretariato italiano per
l'emigrazione; nominato anche segretario dell'USLI, sosteene la
priorità della propaganda in campo economico. Afferma che la
questione operaia è strettamente questione dell'organizzazione
operaia: il rafforzamento della coscienza sindacale elimina la necessità
della formazione di una coscienza politica; obiettivo degli emigranti
italiani è l'unione con quelle del GSB. 56.
Il congresso dell'Internazionale a Londra ne1896 aveva invitato a
separare le organizzazioni sindacali da quelle politiche e in Italia nel
1895 il PSI aveva rifiutato l'originaria forma basata su affiliazioni
collettive di sindacati e gruppi e aveva seguito il modello tedesco della
affiliazione individuale. Sia i seguaci della tradizione svizzera
dell'operaismo democratico che gruppi anarchicheggianti, erano per
ignorare la distinzione tra organizzazione politica e sindacale, e dare
come fondamento dell'USLI nuclei liberi di scegliersi qualsiasi

55
Con la cessazione dell'anarchico“L'Italiano all'estero” di Ginevra,
giornali di lingua italiana in Svizzera sono il ticinese “Eco dell'Operaio”
fondato dal Congresso di Lucerna del giugno 1897 e “Il Socialista”,
organo della Federazione muraria, del GSB e dell'Unione socialista di lingua
italiana USLI (nuovo nome dell'USIS) fondato a Lugano nel settembre 1897.
56
Su “Il Socialista” tra gennaio e aprile 1898 si dibattono i rapporti fra USLI
e GSB e le delibere del congresso di quest'ultimo che insiste per una fusione
dell'USLI nelle organizzazioni sindacali svizzere
32
etichetta politica57. Altri condividevano la distinzione, ma la
intendevano guidata da un medesimo nucleo centrale, criticando chi
vedeva l'USLI come un partito organizzato in sezioni basate su un
programma politico socialista 58 Vergnanini come membro del PSI
non poteva non vedere con piacere lo sviluppo di una organizzazione
politica tra lavoratori. italiani emigranti aderente al PSI ma esisteva il
problema della presenza dei ticinesi. Soprattutto è sempre piú a
contatto col GSB e condivide la loro convinzione che la battaglia piú
importante è quella contro il crumiraggio59.
Nell'autunno del 1897 si arriva a una soluzione di compromesso;
l'USLI comprenderà sindacati, leghe di resistenza, e sezioni socialiste
con programma socialista ma sarà legata al GSB accogliendo solo
sindacati a loro volta aderenti al GSB e sezioni i cui membri devono
essere iscritti al sindacato60. In cambio il GSB si dichiara pronto a
intervenire e fianco degli scioperanti di lingua italiana 61.
L'aumento continuo dell'emigrazione italiana comporta la necessità di
una organizzazione che sappia guidarla e interpretarne le esigenze, ma
proprio a questo proposito nascono le maggiori intenzioni di dare una
interpretazione restrittiva delle funzioni dell'USLI. Impressionante è
per i dirigenti svizzeri nell'USLI e nel GSB l’ondata degli emigranti
del sud «Questi infelici che vengono per la prima volta in questi paesi,
incapaci di spiegarsi anche in italiano, restano come storditi. Allo
domenica girano in torme, avvoltolati in grandi sciarpe a colori,
ancora abbronzati dal sole, e sui loro scarni visi si legge ma storia
infinita di dolori» 62
Negli anni 1898-1902 il ciclo edilizio si avvia ad una fase discendente
e per la concorrenza degli emigranti le tariffe scendono «a livello
italiano»63. È questo il problema dei lavoratori svizzeri e la
Commissione esecutiva, travolta dai contrasti con l'elemento svizzero
- un decreto federale dà all'Unione tutta la colpa dei disordini del
maggio in Svizzera - dalle espulsioni e dalle difficoltà economiche,
cede al GSB. Al congresso del giugno 1899 si delibera di aderire alla
57
Ceresio su “Il Socialista” 9 e 23.4.1899; S. Viglongo su “Il Nuovo Avvenire
del Lavoratore” del 30.11.1899
58
“Il Socialista”, cit., 2 aprile 1898: articolo da Zurigo di “Uno”.
59
Ibidem, 17.6.1899: relazione sulle condizioni degli emigranti italiani in
Svizzera presentata al congresso dell'USLI di Berna; la storia dell'USLI in
“Nuovo Avvenire del Lavoratore” 19.8.1899
60
“Il Socialista”, cit., 16.7 e 6.8 1898.
61
Ibidem, 1.10.1898 e 11.2.1899.
62
“Il Socialista”, 28.1. 1898.
63
Ibidem, anche 27.5.1899.
33
linea del Partito operaio svizzero, concentrando l'attività sulla lotta
economica64. Il Socialista rinuncia alla sua testata troppo chiara:
diventa L'Avvenire del Lavoratore, organo de'll'USLI, del GSB, della
Federazione muraria, e della Federazione dei sindacati professionali
del Ticino. Gli emigranti vengono limitati all’organizzazione
economica lasciando l'attività politica socialista agli svizzeri di lingua
italiana: scetticismo e sfiducia han seguito i moti delle bande di
maggio 1899 e dal loro fallimento si sviluppa tra gli emigranti il
movimento anarchico.

Lavoratore migrante in Svizzera 1903-1909


Lasciamo la parola a Boero:
“Nuovo espatrio (Svizzera 1903- 1909) Privo di mezzi di viaggi.
Luigia possedeva una macchina da cucire, Il Monte di pietà poteva
diventare utile. Impegnata la macchina Giovanni ricavava .20 lire.
Occorrevano 16 lire per il viaggio. 4 lire lasciate alla compagna por i
suoi bisogni immediati ed eccolo in viaggio
Losanna
Giovanni non scende sicuramente al ritrovo dei diplomatici nei grandi
Hotel di Ouchy, ma si orienta versa punti industriali; meno eleganti
ma più confacenti alle sue necessità. Bussigny, piccolo villaggio a 12
Km da Losanna. Qui si trova una grande fornace a mattoni
(briquetterie) ed una fabbrica ti di cioccolata Kohler. Essendo
primavera, ferve il lavoro. alla briquetterie ed ecco Giovanni
impastare mattoni
'Paese che vai, sfruttamento che trovi”.
Dopo pochi mesi necessari ad economie con un salario di f. 3,50 per
10 are di lavoro, un modesto vaglia pestale di 50 franchi giunge a
Torino e Luigia può raggiungere il suo compagno con la bambina e la
vecchia mamma [pag. 96].
……..
Già sono passati tre anni che noi godevamo delle arie salubri della
Svizzera. In casa di Giovanni i bambini sorgevano come i funghi. Un
nuovo maschietto era nato da pochi mesi al quale si pose nome
Libero, Alla fine dell’anno nasceva anche "Ribelle" 65. Ma la salute
era buona e lo spirito sempre più battagliero; Avanti. Nelle fabbriche
di cioccolato il fermento era assai grande e il bisogno di migliorare la
propria situazione era sentito fra gli operai. Passò l’inverno e noi si
lavorava alla costituzione di una cassa di resistenza Cercavamo di
rafforzare il sindacato con nuove adesioni. Libri ed opuscoli di

64
“Il Socialista”, 17.6.1899
65
Morta a 18 mesi. Il 19.6.1904 nasce in Svizzera la figlia Anita
34
propaganda si distribuivano e la propaganda elementare svolta fra
questi lavoratori montanari. Non eravamo soli in questa bisogna Da
Orbe [nel cantone del Vaud] il sindacato lavorava alacremente nel
medesimo senso. La primavera del 1907 prometteva bene. Come noi
lavoravano pure con lena i sindacati edili e terrazzieri [ pag.118]
………..
Luigia era pure malaticcio e doveva assentarsi dal lavoro. Una
battaglia terribile si svolgeva nell'animo di Giovanni. Pure nella sua
profonda convinzione del dovere compiuto, seppe padroneggiarsi,
rispondendo con energia e con fierezza alle accuse poliziesche ed alle
insidie padronali. Gli operai erano con lui solidali e sorpassò così la
stagione invernale. Nel mese di maggio 1908 quando i fiori
inghirlandano le siepi e tutta la natura è gaia e vivace in casa di
Giovanni giace un corpicino: Libero di 2 anni non è più. Ai funerali
civili presero parte con una commuovente manifestazione d’affetto i
compagni di fabbrica. Un rappresentante della Confederazione
Generale del Lavoro italiana, il Compagne Carlo Gariglio portò il
suo conforto onorando la sepoltura della sua presenza. Anno di
miseria e di tristezza. Giovanni non è consueto restare al lavoro a
dispetto dei padroni. E’ estate, la stagione buona, il coraggio non
manca, bisogna reagire. Vi era a Bussigny un pittore italiano: Vaglio.
Si offre viene assunto e Giovanni maneggia il pennello. La vita
all'aria di campagna gli riempie i polmoni di ossigeno. La natura del
mestiere lo rende più gaio e fino ad ottobre compie il lavoro senza
ostacoli. Ma l’inverno non è propizio per le pittura. Il lavoro manca e
con esso manca il pane .Ancora alla ricerca di un nuovo padrone.
Ritornare alla fabbrica Kohler nemmeno per sogno. Qualche amico
indica quale via d’uscita una nuova fabbrica di cioccolate
recentemente aperta presso Lucerna. Bisogna fare la valigia e partire
Viaggio attraente e maestoso attraverso la Svizzera (per chi non
conosca i crampi della fame). Alte vette e rocce massicce fra schiere
di pinete dalle chiome ricoperte di nevi argentate. Pascoli e praterie
fra valli rocciose e terreni spumosi. Quivi ha sede il grande
stabilimento Anglo-Suisse-Milke-Chocolate “Luserna” che occupa
all’incirca 1500 operai. In questa località dominano i preti.
Contrariamente alla religione di Losanna (cantone Vaud) che era
protestante, con tendenze molto 1iberali e democratiche, qui domina
l’autocrazia con spirito intollerante ed autoritario. Oltre alla fabbrica
di cioccolato vi è pure una fabbrica di seggiole e qualche fabbrica di
mobili (ebanisterie). Il paese è quindi completamente infeudato ai
preti e sono essi che forniscono la manodopera a buon mercato. A
mezzo dell’Opera del cardinale Bonomelli di Cremona essi
ingaggiano e trasportano le pecorelle da ogni paese di emigrazione,
35
specialmente dall’Italia. Sono numerose le giovani ragazze che
vengono dalla Lomelliana e dalla Lombardia. Parecchie di Brescia,
di Bergamo, e di Cremona. I giovani vengono dai monti e molti dal
canton Ticino. In un gran casone, un vecchio monastero, sono
ricoverate le ragazze. [pag.130-133]
………….
Nuovo dolore famigliare e tristi conseguenze. Ribe1le, il bambino di
18 mesi che per oltre un anno sopportava una grave malattia si
aggravò rapidamente e morì fra atroci dolori. La direzione dello
stabilimento venuta a conoscenza invia un prete per sgranare i rosari
e per condoglianze. Luigia, con modi urbani, fa comprendere che la
sua presenza è inutile emette il prete alla porta. Scandalo in comune.
L'ufficio di stato civile è composto di nere sottane e quindi si deve fare
consegna dello stato civile del matrimonio e del morticino. Giovanni è
invitato a presentarsi dalle autorità comunali facente funzione di
queste è un alto prelato, grasso ed elegante nei suoi ricchi panni neri
e scarpe di seta. Il prelato con aria austera e terribile riceve Giovanni
in una camera scura ermeticamente chiusa che sa di sacrestia. Egli
parla forte, con frasi brevi e taglienti, ma parla in lingua tedesca e
Giovanni non capisce niente. Comprende solo che il reverendo lancia
a lui gravi accuse e dure minacce [pag.138]

Nel giugno 1909 Boero ritorna a Torino dopo sei anni trascorsi in
Svizzera, dal 1903 al 1909, prima a Losanna poi nel cantone di
Lucerna. Viene assunto come verniciatore all'Azienda Tranviaria
Municipale 66 da poco istituita dal comune di Torino, dove si impegna
a creare un sindacato dei lavoratori 67 e riprende l’attività politica a
contatto con il deputato socialista torinese Oddino Morgari

66
Nel 1906 il Comune riscatta le linee a trazione elettrica in concessione alla
Soc.An.Elettricità Alta Italia (SAEAI) dando origine all’ATM; negli anni '20
si aggiungono le linee in concessione alla Société Belge-turinoise des
Tramways (SBT) e alla Società Torinese di Tramways e ferrovie economiche
(STT)). A. Accattatis, Linee tranviarie a Torino: l'evoluzione della rete
tranviaria cittadina dalla SBT al GTT, 2007; S. Musso Il trasporto pubblico
a Torino nel secolo dell'industria: ATM, SATTI, GTT, 2007; Politiche della
municipalizzazione: la nascita di AEM, ATM, IACP 1895-1907 a c. S. Musso
- Archivio Storico della città di Torino, 2007
67
R. Coriasso Sindacato e servizi pubblici agli inizi del Novecento. Il caso
dei tranvieri torinesi (1907-1916) in "Società e storia", n. 43 (1989)
36
Parte 3.Tra guerra e rivolte (1915-20)

Torino socialista nella “grande guerra”


Allo scoppio della Grande Guerra nell’agosto 1914 l’Italia si dichiara
neutrale tra i due blocchi ma all’inizio del 1915 è sempre più evidente
la determinazione del governo Salandra ad entrare in guerra, e la
Direzione nazionale del PSI il 21 febbraio indice manifestazioni per la
neutralità nelle principali città con comizi e cortei a cui seguono
scontri con interventisti e polizia a Milano, Napoli e Reggio Emilia
dove è ucciso un dimostrante. A causa di questi incidenti il governo
proibisce tutte le manifestazioni ma in pratica osteggia solo quelle
neutraliste e in occasione del 1. Maggio proibisce i tradizionali cortei
per timore che si trasformino in manifestazioni contro la guerra.
Nel 1915 a Torino c’è un profugo ogni 10 abitanti: la città conta 450
mila abitanti e ospita 40 mila italiani sfollati, fuggiti dall’Europa
centrale dove il conflitto già divampa e l’entrata in guerra provoca
l'afflusso di un'enorme immigrazione operaia, con l’industria bellica
che produce 36 mila posti di lavoro alla FIAT.
Dal punto di vista politico la situazione a Torino è netta: mentre gli
operai sono schierati contro la guerra, gli studenti, figli della borghesia
e del ceto medio, manifestano per l’intervento e da gennaio
moltiplicano le manifestazioni patriottiche con cadenza quasi
settimanale 68 per spingere il governo ad entrare in guerra. Cresce così
la tensione nella base operaia, tanto che la sezione socialista torinese
diretta dagli “intransigenti” proclama lo sciopero generale il 17
maggio
Gli operai occupano le strade formando barricate, il prefetto passa i
poteri all'autorità militare e la giornata si conclude con 14 feriti e un
morto tra i dimostranti e l’arresto di esponenti sindacali e politici: i
membri dell’Esecutivo della Sezione rimangono in carcere più di tre
mesi e sono poi condannati n Corte d'Assise. La Camera del lavoro è
devastata e occupata dall'esercito fino al 25 maggio.
Boero, che per la classe di leva cui appartiene è esentato dal servizio
militare, rappresenta nella sezione torinese – con Pietro Rabezzana 69 e
Francesco Barberis - la tendenza degli «intransigenti rigidi», caratte-
rizzati dal legame con la tradizione e una forte diffidenza nei confronti
degli intellettuali. A luglio, con l’Esecutivo della Sezione in carcere, si
68
G. L.Gatti Interventisti e neutralisti tra il 1914 e il 1915, in ”Nell'interesse
supremo della scienza e della Nazione: l'Università di Torino nella Grande
Guerra” Torino 2016; C. Ravera Torino 1914-1917: pane e pace in “La
donna in Italia”, 1961
69
Giovanni Artero Pietro Rabezzana dall’interventismo garibaldino all’in-
ternazionalismo proletario, 2012
37
svolgono le elezioni per il suo rinnovo: vince di misura sulla lista
riformista di Buozzi, quella dei «rigidi»70 che si oppone a intrattenere
durante la guerra rapporti con le istituzioni statali e a partecipare ai
comitati di mobilitazione e di assistenza.
La Sezione è dominata da un gruppo improntato a un “massimalismo
tradizionale … [che] si esprime attraverso una serie di negazioni piú
che di affermazioni e punta fortemente sulla diffidenza della base
operaia tradizionale verso gli « intellettuali » o verso i « giovani
puritani »; rivendica - bordighianamente - il sentimento contro la
cultura. Il gruppo conserverà una certa egemonia fino almeno ai fatti
dell'agosto 1917, e prende spicco attraverso le figure di Francesco
Barberis, di Pietro Rabezzana, di Elvira Zocca, di Giovanni Boero, di
Gillio Cattaneo, di Luigi Gilodi e di altri operai. Sono essi ad
innalzare subito la bandiera dell'intransigenza piú assoluta, non
contaminata da alcun compromesso civile o sociale con le forze
borghesi, ottenendo in un primo momento l'appoggio di Oddino
Morgari” 71
Nel primo anno di guerra son chiamati alle armi i giovani come Tasca,
Togliatti, Terracini, Santhià e gli iscritti della Sezione torinese
diminuiscono ma ci sono gli esonerati Antonio Gramsci, Ottavio
Pastore e Giuseppe Romita, e nella FIOM Mario Montagnana,
l'anarchico Maurizio Garino, Gino Castagno, Mario Guarnieri
Per il 1° maggio 1916 il Prefetto proibisce il tradizionale comizio e
corteo ma la mattina del 1 ° maggio parte un corteo non autorizzato e
12 manifestanti, tutti operai tranne Pietro Rabezzana e l'anarchico
Ilario Margarita, sono arrestati: è sciopero in città e il segretario
nazionale Costantino Lazzari di ritorno dal convegno di Kienthal,
parla in un circolo alla folla festante. Nel maggio-giugno 1916
Giuseppe Bianchi, richiamato sotto le armi, lascia la direzione del
«Grido del Popolo» del popolo” a Maria Giudice 72, internazionalista
intransigente, e Pietro Rabezzana diventa responsabile della pagina
torinese dell’«Avanti!» avendo come redattori Ottavio Pastore,
Antonio Gramsci, Leo Galetto. Nella Sezione torinese l'attenzione si
sposta sul collegamento interna-zionalista e i giovani si fanno
protagonisti di propaganda clandestina «zimmerwaldista».
70
comprende Giovanni Boero, Pietro Rabezzana, Francesco Barberis, Oddino
Morgari, Luigi Gilodi, Elvira Zocca e altri.
71
P. Spriano, op.cit.
72
Scheda di Franca Pieroni Bortolotti in “Il movimento operaio italiano.
Dizionario biografico” e di M .A. Serci in “Dizionario biografico degli
italiani”. Vittorio Poma Una maestra tra i socialisti. L’itinerario politico di
Maria Giudice , in “Rivista milanese di economia” 1991; Jole Calapso, Una
donna intransigente, 1996; Giovanni Artero, Apostoli del socialismo, 2009
38
Nel secondo semestre del 1916 le Commissioni Interne d'officina, che
pur non riconosciute dal padronato sono tollerate, si riuniscono alla
Camera del Lavoro e promuovono vertenze, agitazioni, accordi che
nel 1917, per l'aumento dei ritmi di lavoro, la disciplina militare, la
riduzione dei cottimi, acquistano maggiore slancio e capillarità.
La vita della Sezione si fa più difficile ma l'attività non cessa 73 La
polizia sequestra manifestini di intonazione anarco-insurrezionalista e
cerca i divulgatori nei circoli giovanili socialisti ma gli autori del
volantino sono alcuni operai libertari capeggiati da Ilario Margarita.
La paternità è anarchica, ma non si distinguono nettamente da quelli
socialisti. Un manifesto dei giovani del PSI han un tono meno
barricadiero ma anch'essi dicono: «L'ora dell'azione è venuta. Una
seconda campagna d'inverno spaventa tutte le popolazioni:
seminiamo e la raccolta sarà bella»74.
Ad ottobre sulla scelta della partecipazione socialista all’Ente
autonomo comunale dei consumi, l’esecutivo «rigido» è battuto e si
dimette e a novembre l’esecutivo che viene eletto esclude i «rigidi» e
comprende Rita Montagnana e Romita ma l'intensificarsi dello sforzo
produttivo, dei ritmi di lavoro nelle fabbriche, l'aumento del costo
della vita, portano all’esasperazione delle masse e prevale la protesta
popolare, l'appello alla pace, la penetrazione di parole d'ordine di
rivolta tra le masse operaie. I «rigidi», costituitisi in frazione
all’interno della sinistra della Sezione, aumentano la penetrazione
delle loro parole d'ordine tra le masse (sulla pagina torinese
dell'«Avanti!» quasi ogni giorno c'è la notizia di «comizi privati» nei
circoli tenuti da Boero, Rabezzana, Giudice, Gilodi).
A fine anno in un’assemblea della Sezione75 l’affermazione di Turati
alla Camera del 17 dicembre sulla necessità di difendere i confini
della patria in una mozione viene disapprovata e un compagno
risponde a Turati: «L’ultimo proletario austriaco è più stimabile del
primo borghese italiano». Un altro assicura che «Torino socialista ha
superato la questione della patria». Rabezzana aggiunge che «tutta la
sezione senza equivoci si è espressa sulla questione della
nazionalità ... non bisogna perdere tempo e lavorare attivamente per
una insurrezione generale, impadronirsi delle bombe, che si
fabbricano in grande quantità in tante officine di Torino, per
adoperarle contro i soldati»76

73
Rapporto Questore Torino del 25.9.1916 al Prefetto ACS Guerra, busta 31
74
ACS, Guerra, busta 31, rapporto del 27.10.1916
75
“Il Grido del popolo” 6.1.1917
76
Rapporto Commissario di P.S. del rione Monviso. ACS Guerra Busta 31
39
Il ’17 e la tradizione «insurrezionalista» torinese
Il 12 febbraio 1917 al congresso provinciale di Torino Barberis
presenta un’OdG che auspica che «il PSI, con tutti i partiti o le
frazioni di partito rimasti fedeli al socialismo, abbandonasse la
vecchia Internazionale e lavorasse alla ricostituzione e alla afferma-
zione di una nuova Internazionale» e Rabezzana nega le nazionalità in
nome dell’Unione internazionale.
Al «convegno di consultazione» indetto dal PSI il 25 febbraio a Roma
Rabezzana porta, con Barberis e Maria Giudice, un mandato vincolan-
te: «Tagliare tutti i ponti con la borghesia, ordinando a tutti gli iscritti
di ritirarsi da qualsiasi comitato sia esso di assistenza o di
mobilitazione civile... I compagni che tengono pubbliche cariche nelle
amministrazioni comunali e provinciali [debbono] tenersi pronti
all’abbandono immediato e simultaneo di tali cariche» ed è perciò tra
i portatori dei quattordicimila mandati per Bordiga contro i
diciassettemila a favore della direzione.
Dopo la rivoluzione di febbraio su Lenin cominciano a circolare le
accuse di essere un agente tedesco, per ciò fautore di una «pace
immediata» ma è proprio questo accanimento a suscitare tra i socialisti
le prime simpatie. La sezione socialista nel marzo 1917 elegge un
nuovo Esecutivo con Romita segretario che sconfigge per pochi voti i
“rigidi” che però trascinano spesso l'Esecutivo sulle loro posizioni 77 e
preparano per il 1. maggio 1917 una grande manifestazione, con la
parola d'ordine dell’azione generale del proletariato per far cessare la
guerra, seguendo l'esempio russo, che il prefetto respinge concedendo
la facoltà di tenere nei circoli dei comizi privati. Si arrestano però per
propaganda antibellica una quarantina di dimostranti operai, la
maggior parte metallurgici delle officine ausiliarie, giovani e
giovanissimi.
In maggio, con 65 000 operai e 15 000 operaie dipendenti militari, la
situazione dell'ordine pubblico è così pericolosa che il prefetto
propone che si proclami la provincia di Torino zona di guerra 78. A
Torino il 6 maggio parla il riformista Ugo Guido Mondolfo, scettico
sullo «sbocco definitivo del collettivismo poiché manca una
organizzazione economica diffusa, c'è il feudalesimo e molta della
popolazione è addirittura nomade».

77
A. Monticone, Il socialismo torinese e i fatti dell'agosto 1917, « Rassegna
storica del Risorgimento», 1958 n.1, p. 58
78
ACS, Guerra, busta 31, rapporti di commissari di P.S., telegrammi del
prefetto di Torino da maggio a luglio 1917. R. De Felice, Ordine pubblico e
orientamenti delle masse popolari italiane nella prima metà del 1917,
«Rivista storica del socialismo», n. 20, sett.-dic. 1963, p. 479.
40
A giugno i «rigidi» si recano tra le masse e accolgono dai gruppi
operai piú intransigenti l'idea che un moto popolare che parta dalle
officine sia determinante per affrettare la fine della guerra. Barberis il
2 giugno consiglia gli operai di sabotare la guerra «incrociando le
braccia nelle officine per impedire che ulteriormente materiale bellico
venga prodotto»79 e calcola che «se arrestano il lavoro i 300.000
operai di Torino e Milano`, potrebbe venire imposta al governo la fine
della guerra». I metallurgici nell’assemblea del 31 maggio danno
mandato al Direttivo di proclamare lo sciopero «alla prima
provocazione delle classi dirigenti»80. Le autorità raccolgono una serie
di manifestini, diffusi anche in provincia, sul tema della rivoluzione
russa, di iniziativa spontanea di operai non necessariamente inquadrati
nell'organizzazione socialista.
Giugno e luglio sono pervasi dai richiami alla rivoluzione russa, «a
fare come in Russia», gli anarchici invitano i «compagni socialisti
rivoluzionari» a intervenire alle loro riunioni. Nel rapporto del 16
luglio 1917 il prefetto Verdinois afferma: La frazione rigida non
rappresenta un organismo vero e proprio di consociati ma una
accozzaglia acefala dei più scalmanati contro la guerra, frammisti
agli anarchici pure iscritti al P.S. E al seguito di Rabezzana, Giudice,
Barberis, accozzaglia che cresce e diminuisce di numero a seconda
degli argomenti che vengono trattati nelle assemblee ma che finora
rimane minoranza, sebbene minoranza capace al momento opportuno
di travolgere un’assemblea e spingerla a deliberazioni gravi nei
riflessi dell’ordine pubblico.
La direzione del PSI a luglio fissa per settembre la convocazione del
congresso (poi rinviato per un anno ancora). Tre membri della
frazione torinese, Pietro Rabezzana, Giovanni Boero e Arturo Terrini
trasmettono il programma al segretario del partito Costantino Lazzari,
Di qui può datare la formazione di una «frazione massimalista» che ha
a Milano, Napoli, Firenze e Torino i suoi maggiori esponenti e che si
prepara a dare battaglia non solo contro la tradizionale destra
parlamentare e sindacale, ma contro il segretario del partito Lazzari,
centrista, con punte polemiche anche verso Serrati.
All’inizio di agosto, tre settimane prima dello scoppio della rivolta, la
frazione torinese dei «rigidi» tiene riunioni separate, ma esse si
muovono unicamente attorno all’attività interna di partito da condurre,
escludendo assolutamente ogni preparazione concreta all’insurrezione.
Morgari, Romita e Serrati il 13 agosto 1917 ricevono alla Casa del

79
3 giugno 1917 (ACS, Guerra, busta 31).
80
ACS, Guerra, busta 31, 8 giugno 1917; M. Montagnana, Ricordi di un
operaio torinese New York 1944, Roma 1949.
41
popolo i rappresentanti dei Soviet di Pietrogrado che stavano
compiendo un giro di propaganda noi paesi dell'Intesa. Si tiene anche
un comizio affollatissimo, il primo dall'inizio della guerra.
Il 21 agosto la situazione precipita e si contano almeno 80 fornai
chiusi: gruppi di donne manifestano davanti alla Prefettura e al
Municipio, mentre il giorno successivo iniziano le battaglie in strada.
Nel quartiere Vanchiglia la folla attacca la caserma delle guardie, che
sparano ferendo tre dimostranti, gli scontri si allargano in tutta la città,
mentre sempre più operai scendono in sciopero. Il 23 lo sciopero è
spontaneo e chiaramente preinsurrezionale in tutta la città, i negozi
vengono saccheggiati, in tutti i quartieri vengono erette barricate, gli
scontri a fuoco si moltiplicano, i roghi cominciano ad essere appiccati
in punti nevralgici della città. È in questa giornata che si contano i
primi due morti della rivolta, uccisi dalle guardie in Piazza Statuto.
Il 24 è la giornata culminante dell'insurrezione. Nella mattinata tutti i
quartieri operai periferici sono in mano al popolo insorto (verranno
definiti la "cintura rossa"), mentre il centro città è presidiato dall'
esercito; gli operai spingono tutt'intorno al centro, cercando di
convincere i soldati tramite manifesti, volantini e donne infiltrate, o
perlomeno di disarmarli, ma i risultati del tentativo di fraternizzazione
con i soldati sono del tutto deludenti, in quanto tra le forze armate è
mancato un lavoro di propaganda e un centro ideologico ed
organizzativo.
Gli sconti spontanei sono ormai dilagati in tutta la città, ma gli insorti,
male o per niente armati, si scontrano con la forza pubblica che
utilizza mitragliatrici e tank. A sud della città un dimostrante e un
soldato restano uccisi in barriera Nizza, mentre la battaglia continua in
San Paolo. Ma è a nord che la lotta è più dura: sulla Dora ed in Corso
Vercelli l'esercito riesce infine ad espugnare le barricate erette dai
rivoltosi, mentre in Corso Novara i dimostranti hanno la meglio,
occupano il commissariato di Corso Mosca, superano Porta Palazzo e
si dirigono verso il centro.
Secondo il cronista di "Stato Operaio": "La folla sente che può vincere
e lotta con furore, con eroismo: semina le strade di morti e di feriti.
Ma la riscossa della forza pubblica è terribile. Entrano in campo le
automobili blindate e si scagliano a corsa folle per le vie gremite,
scaricando le mitragliatrici all'impazzata sulla gente che fugge, su
coloro che resistono, nelle finestre delle case, nelle porte, nei negozi
alla cieca. I morti non si contano e l'attacco dei rivoltosi è respinto
ancora una volta. In questo momento la folla si spezzetta nel dedalo
delle vie che stanno tra il centro e Corso Regina Margherita e lungo
questo corso. Cento combattimenti individuali e di piccoli gruppi

42
hanno luogo e gli operai e le donne operaie dimostrano cento volte il
loro coraggio, il loro eroismo".
Nel pomeriggio gli scontri continuano e un gruppo di donne disarmate
cerca di frenare l'avanzata dei carri armati in Corso Regina: i tank
continuano ad avanzare, mentre le donne vi si lanciano sopra,
aggrappandosi alle mitragliatrici e cercando di convincere i soldati a
buttare le armi. I carri armati sono costretti ad arrestarsi. Solo verso
sera, con carri armati e mitragliatrici, le truppe riescono a fermare gli
scontri nelle zone più agguerrite. Il bilancio al termine di questa
giornata è pesante: 21 morti tra i manifestanti, tre tra le forze di
polizia, un centinaio di feriti e millecinquecento arresti.
Sabato 25 agosto si notano i primi segni del rifluire del moto operaio,
gli scontri si susseguono ancora in tutta la città ma i manifestanti non
tentano più di arrivare al centro, si limitano a difendere i propri
quartieri; la domenica l'insurrezione è praticamente battuta, risulta
evidente l'impossibilità di continuarlo. Qualche tafferuglio ancora, in
Borgo Vanchiglia e alla Barriera di Milano, ma sonò gli ultimi
sprazzi. I ribelli sono ormai vinti.
I moti insurrezionali dell'agosto 191781 sono una delle pagine piú
drammatiche della prima guerra mondiale in Italia e nonostante la
censura, se ne parlerà sulla stampa per il restante corso della guerra
anche se i morti non hanno raggiunto i 50 e i feriti i 20082 I militari
caduti furono tre e i feriti una trentina 83. Gli arrestati denunciati furono
in complesso 822, di cui 326 processati per direttissima (con 264
condanne, 29 assoluzioni; 33 processi «pendenti»). Il procuratore del
re, su 496 imputati, ne inviò al tribunale ordinario 96 per citazione
diretta e 236 dinanzi al giudice istruttore. 182 operai ex «esonerati»,
pur prosciolti, furono chiamati alle armi, 84 successivamente aumentati
a 300 inquadrati in tre centurie per tenerli sotto controllo e isolarli
dalle altre truppe.
Sul carattere politico dei moti la polemica che si svolge ad ottobre alla
Camera dei deputati chiarisce che non si può imputare alla mancanza
di pane la sommossa. Rivolta spontanea tesa al fine di dare una
scrollata decisiva allo stato di guerra e alle sue condizioni. Incerta la
valutazione del numero di operai e popolani che vi presero parte. Si
può, comunque, parlare di molte migliaia, per quanto riguarda la
preparazione delle barricate, la partecipazione agli scontri di strada, le
81
G. Carcano, Cronaca di una rivolta : i moti torinesi del '17, 1977.
82
Monticone, Il socialismo torinese … cit., p. 86, nata 3.
83
telegramma (ACS, Guerra, busta 31) del comando torinese CCRR.
84
Relazione Commissione d'inchiesta per Caporetto. Dall'Isonzo dl Piave,
Roma 1919, vol. 1, p. 494, nota i.
43
azioni piú decise di carattere militare. E questa avanguardia si
ingrossa naturalmente quando la sommossa in alcuni quartieri assume
l'aspetto di una marea incalzante nelle dimostrazioni, nella corsa verso
il centro, fino a decine di migliaia. Che questa folla fosse pressoché
disarmata e che fosse assai poco istruita e attrezzata per combattimenti
di strada è mostrato a sufficienza dall'esiguo numero di vittime tra i
militari e gli agenti di polizia che la fronteggiavano. La quasi totalità
della massa lavoratrice è solidale coi rivoltosi e persino al centro della
città si è dovuta attendere la domenica per vedere sorgere una
manifestazione patriottica di simpatia coll'esercito quando questo è
riuscito a stroncare la resistenza delle «barriere» sovversive.
Nonostante la sospensione dei moti nella notte tra sabato e domenica,
furono arrestati quasi tutti i membri delle commissioni esecutive della
sezione socialista e della Camera del Lavoro, molti segretari di Leghe
e Circoli e parecchi altri compagni tra i più noti: finiscono in carcere
Giuseppe Romita, Maria Giudice, Elvira Zocca, Pietro Rabezzana,
Virgilio Boccigoani, Giuseppe Pianezza, Luigi Borghi, Luigi
Chignoli, Ottavio Pastore, Alessandro Uberti, Mario Montagnana,
Saverio d’Alberto, Anselmo Acutis, Leopoldo Cavallo, Antonio
Oberti e altri: ventiquattro in tutto. Gli arresti tuttavia proseguiranno
raggiungendo, in pochi giorni, il migliaio. Pianezza, che era in carcere
sin dal 13 per aver incitato la folla a rovesciare la monarchia, sarà
condannato a tre anni e un mese di carcere. La Giudice resterà in
galera sino a guerra finita. Barberis, successivamente preso, sarà
condannato a sei anni e verrà amnistiato solo nel 1919. Rabezzana
sarà condannato a quattro anni di carcere che però non scontò
interamente. Francesco Barberis, nascosto nei locali dell'ACT, verrà
arrestato solo nell'ottobre.
L’insurrezione dell’agosto 1917 va inserita nel contesto della storia
dal movimento operaio torinese, a una tradizione “esplosiva” di
manifestazioni di piazza, di sciopero, di scontri violenti: del 1904, del
1909, del 1915; però nell'agosto 1917 il fattore nuovo è dato dalla
rivoluzione russa, dall'eco enorme che l'esempio dei proletari di
Pietroburgo e di Mosca ha sui lavoratori torinesi, dalla convinzione
che, qua come là, si possa dare una spallata a tutto l'edificio sociale.
Sono queste notizie a radicare negli operai piú decisi la convinzione
che sia possibile rovesciare il corso della guerra.
Una delle caratteristiche del movimento torinese è il fatto che il grido
dei lavoratori torinesi «Viva Lenin!» sia così unanime, carico di
speranza, da resiste alle differenziazioni. Nella simpatia verso i
bolscevichi, nell'aspirazione ad una nuova Internazionale sono uniti
Gramsci e Boero, Morgari e De Giovanni, i socialisti e gli anarchici,
perlomeno sino al 1919.
44
Nel 1917 si registra una più vigorosa opposizione alla guerra. La
stampa borghese incomincia a parlare di bolscevizzazione e di
«pericolo di un sabotamento proletario della guerra». Materiale di
propaganda socialista internazionalista e pacifista viene distribuito
clandestinamente talvolta anche fra le truppe al fronte. Le autorità
militari erano anche molto preoccupate per la frequenza con cui
andavano ripetendosi incidenti nei principali stabilimenti militari.

La FIOM nel 1918-20 e la “frazione” Boero-Garino


La Federazione Italiana Operai Metallurgici nasce come sindacato
esclusivamente operaio85 nel 1901 ma il sindacalismo metallurgico è
già attivo in Italia a fine Ottocento con leghe di mestiere che nel 1898
fondano «Il Metallurgico». La lega dei tornitori in metallo nel suo
statuto del 1892 stabiliva che si poteva iscrivere “qualunque operaio,
uomo o donna, italiano o straniero, che da tre mesi fosse adibito a
una macchina”. La discriminante basata non più sul mestiere ma sulla
collocazione alla macchina utensile indica come per alcuni settori dei
metallurgici si era già realizzato il passaggio dalla manifattura alla
fabbrica moderna: “se un tempo una Lega mista mal rispondeva agli
interessi della classe, ora è dannoso il funzionamento delle varie
categorie affini in tante sezioni, in quanto una sola categoria non
organizzata può fiaccare la resistenza di tutte le altre. Ciò non
avverrebbe quando tutti gli operai affini fossero tenuti assieme
compatti in un’unica sezione” 86 Ma questa ipotesi organizzativa
basata sul settore d’appartenenza e non più sul mestiere fatica ad
affermarsi e per l’immediato il modello sindacale metallurgico si
adegua alla presenza di un proletariato privo di elevati livelli
professionali.
La meccanizzazione in molte lavorazioni di fabbrica introdotta in età
giolittiana non porta una generalizzata dequalificazione della forza
lavoro nel settore metalmeccanico, dove fino alla grande guerra
ristrette categorie di operai provvisti di una elevata qualificazione
rimangono ancora indispensabili negli stabilimenti: "Nel primo
decennio del secolo le figure di operai polivalenti, capaci di lavorare
su qualsiasi tipo di macchina erano ormai scomparse. Da ciò uscì
valorizzata l'abilità parziale dell'operaio applicata alle macchine
utensili specializzate, in particolar modo del tornitore e del

85
la “I” stava per “Italiana” e non per “Impiegati”, inclusi alla rifondazione
nel 1946. M. Antonioli-B. Bezza La FIOM dalle origini al fascismo, 1901-
1924, 1978; M. Antonioli Sindacato e progresso: la Fiom tra immagine e
realtà (1901-1914), 1983
86
E.Verzi "I metallurgici d'Italia nel loro sindacato", Roma, 1907, pag.10
45
fresatore ...nell'industria dell'auto del primo novecento la stessa
mansione, per esempio la tornitura, poteva essere eseguita a diversi
livelli di qualificazione e l'operaio veniva definito sulla base del pezzo
e della lavorazione in cui aveva trovato la propria specializzazione:
poteva così essere un fresatore d'ingranaggi o un tornitore di cilindri.
I modelli americani di tornio permettevano il calcolo automatico delle
combinazioni degli ingranaggi mentre il lavoro ai trapani, alle
piallatrici, alle limatrici e alle mole richiedeva solo un basso grado di
attenzione e non comportava nè apprendistato nè livelli diversi di
categoria tra operai"87 “Prima dell’avvento su larga scala delle
macchine utensili aggiustatori e montatori erano al vertice dei valori
professionali nelle fabbriche meccaniche, come coloro che
effettuavano quei lavori di precisione e rifinitura che erano influenzati
solo indirettamente dai nuovi macchinari. I lavoratori della
metalmeccanica che risultarono più vulnerabili ai contraccolpi della
meccanizzazione furono però i tornitori, i fresatori e in generale gli
addetti alle macchine utensili via via più perfezionate – torni a
revolver, trapani, fresatrici - che sostituivano pialle, lime, e che
potevano essere maneggiate facilmente da ragazzi e operai privi di
qualifica.” 88 Nel comparto meccanico la divisione del lavoro, più
avanzata che in altri settori, provoca un proliferare di mestieri e in
ciascuno di essi di categorie che, con esasperate differenziazioni sulla
base del mestiere, raggruppano categorie in parte emergenti dai
processi di innovazione tecnologica, in parte sono espressione di
abilità semiartigianali non ancora del tutto dimenticate nelle fabbriche
di quegli anni89. Del 1906 è il primo contratto collettivo in Italia,
stipulato tra la Fiom e la Fabbrica automobilistica “Itala” di Torino
che regola questioni come la commissione interna, l’orario di lavoro
di 10 ore, la struttura della paga.
Bruno Buozzi diventa nel 1911 segretario di una FIOM in crisi in
seguito alle lotte di corrente. Il conflitto fra sindacalisti e socialisti
attraversa un momento decisivo nella primavera del 1912, quando a
87
G.Maifreda. "Lavoro e fabbrica nella Milano del XX secolo"., "Storia
della Camera del lavoro di Milano", vol.5., 2006, pag. 33
88
C.Grassini “continuamente l’industria tende a introdurre nell’officina quel
proletariato rurale fissando paghe miserrime” “Il metallurgico”, 1906 n.1
89
Su Torino operaia: S. Musso L'operaio dell'auto a Torino: struttura e lotte
dal periodo giolittiano alla fine della prima guerra mondiale “Classe” 14 ott.
1977 p. 87-142; S. Musso Gli operai di Torino: 1900-1920, 1980; S. Ortaggi
Il prezzo del lavoro: Torino e l'industria italiana nel primo '900, 1988; D.
Jalla, S. Musso Territorio, fabbrica e cultura operaia a Torino (1900-1940),
1981; A. Ballone, C. Dellavalle, M. Grandinetti Il tempo della lotta e dell'
organizzazione: linee di storia della Camera del Lavoro di Torino, 1992
46
Torino gli operai dell'industria automobilistica, rifiutando un accordo
stipulato tra la FIOM e il consorzio degli industriali dell'automobile,
scioperano per sessantaquattro giorni sotto la guida di organizzatori di
parte sindacalista. L’esito è fallimentare e l'anno seguente la FIOM
riconquista il proprio prestigio riuscendo, dopo un nuovo sciopero di
tre mesi, a stipulare un accordo con valore di contratto collettivo, che
prevede, fra l'altro, la riduzione di tre ore dell'orario settimanale di
lavoro. Su questa linea riformista si pone Mario Guarnieri 90 entrato
con Buozzi e Emilio Colombino nella Segreteria al Congresso
nazionale FIOM del giugno 1916, che sostiene la partecipazione ai
comitati di mobilitazione industriale e pubblica 91 una serie di articoli
per smentire che gli operai metallurgici godano di una situazione
economica privilegiata.
All'assemblea della sezione torinese della FIOM del 26 febbraio 1918
mentre il segretario Emilio Colombino riferisce sulle ottime
condizioni finanziarie dell' organizzazione (c'è un fondo di cassa di
250.000 lire) c’è chi grida: «È ora di fare sciopero!». Maurizio Garino
attacca la relazione di Colombino ӏ ora di finirla con la borghesia e
gli industriali, il momento è propizio per la rivoluzione perché i
governanti, preoccupati dell'andamento della guerra, non saranno
capaci di domare l'insurrezione”. 92 Si vota la sfiducia al consiglio, ma
partecipano solo centocinquanta soci e la maggioranza dei metal-
lurgici organizzati sostiene la direzione del gruppo riformista Buozzi-
Guarnieri-Castagno93. Ad essa si contrappone il gruppo «massima-

90
Ostiano (CR) 1886-Torino 1974. Dopo l’impegno nella federazione delle
cooperative e alla Camera del lavoro di Cremona, a Biella conosce Buozzi
che lo invita a collaborare alla FIOM come direttore de “Il Metallurgico”.
Dopo la scissione del PSI del 1922, aderisce al PSU di Turati e Matteotti. Nel
1925 dirige l'ufficio stampa della FIAT e collabora a “La Stampa”.
91
”Avanti!” 23, 26, 27 febbraio 1918
92
«La Squilla» 1918, n. 29 dice che la sezione FIOM si trova bersagliata da
«profeti improvvisati che la criticano sistematicamente», evoca lo spettro
della scissione del 1911-12 e accusa gli oppositori di essere sindacalisti
rivoluzionari. I soci della FIOM in Piemonte sono 12 456 e le sezioni 24.
93
Torino 1893-1971. Apprendista meccanico, poi disegnatore tecnico. Nel
1909, con Angelo Tasca e Giuseppe Romita, fonda il primo fascio giovanile
socialista torinese. Dal 1910 nel direttivo della FIOM e dal 1919 nell’esecuti-
vo della Camera del lavoro di Torino. Nel 1919 organizza il sindacato dei
tecnici dell’industria e dirige lo sciopero dei capitecnici di Torino. Costretto
ad emigrare in Francia e Belgio dal 1922 al 1925, quando torna in Italia è
vigilato della polizia. Nel dopoguerra è membro del Comitato centrale Del
PSI e della FIOM. Consigliere al Comune di Torino nel 1948 è eletto
senatore e nel 1958 deputato. Nel 1964 aderisce al PSIUP
47
lista» rappresentato da Boero, Garino e Giovanni Parodi 94 ancora in
minoranza a settembre al convegno piemontese della Federazione ma
dove si coglie l'attesa di tempi migliori mista alla cura di salvaguar-
dare i salari reali minacciati dal rincaro dei prezzi. Il 23 aprile 1918
Guarnieri organizza uno sciopero alle officine FIAT per il “sabato
inglese” che è ottenuto nel febbraio 1919. Ad aprile la FIOM
provinciale firma col Consorzio industriale un nuovo concordato che
fissa aumenti di paga per gli operai dell'automobile e introduce novità
normative di notevole valore come la costituzione di due nuove
commissioni paritetiche, una a livello di reparto, l'altra tra sindacalisti
operai e padronali, che debbono regolare le tariffe di cottimo, nonché
la creazione di una Cassa disoccupazione i cui fondi verranno
amministrati dalla FIOM. Tali risultati sindacali indicano la
confluenza di prospettive collaborazioniste tra la FIOM e gli
imprenditori e Garino protesta contro il nuovo accordo95 che è
comunque approvato quasi all'unanimità per lo spettro della
disoccupazione nel dopoguerra.
Sia Alessandro Uberti che Buozzi tengono distinte azione sindacale e
azione politica: Uberti, appena scarcerato, e rieletto segretario della
sezione metallurgica torinese, afferma: «L'organizzazione torinese
non solo non rinnega i suoi principi, ma si mantiene sempre piú in
armonia colle idealità socialiste, non rinunziando affatto per le
conquiste economiche alle lotte politiche» e quando si affaccia il
problema della «Commissionissima» per lo studio dei problemi tecnici
94
Acqui 1889-Torino 1962. Operaio militarizzato durante la guerra, per aver
svolto «propaganda antinazionale» è inviato al fronte. Nel 1919 si schiera con
i «rigidi» della sezione socialista ed è delegato al Congresso di Bologna del
1919 per la tendenza «astensionista», ciò che non gli impedisce di collaborare
con gli «ordinovisti» nelle lotte operaie del 1919-20 sino all’occupazione
delle fabbriche nel corso della quale presiede il Consiglio di fabbrica della
FIAT. E’dalla fondazione membro del Comitato centrale del PCdI.
Incriminato per reati connessi all'occupazione delle fabbriche, nel 1923 è
condannato a cinque anni ed emigra in URSS. Rientrato in Italia nel gennaio
1927, è arrestato e condannato dal Tribunale speciale a 21 anni. Scarcerato
nel 1937 in seguito ad indulto, espatria clandestinamente in Francia. Nel
1940 è arrestato e, evaso dal campo di internamento, partecipa
all’organizzazione comunista italiana nel mezzogiorno della Francia. Rientra
clandestinamente a Milano dove è arrestato nel 1944; dopo due mesi evade e
passa in Liguria dove fa parte del Triumvirato insurrezionale. Dopo la
Liberazione membro del Direttivo della FIOM e della CGIL.
95
In «Avanti!» 22.4.1918: “Tutta questa azione conduce a diminuire la
combattività della classe operaia: l'organizzazione diventa troppo buro-
cratica, mastodon-tica e corporativistica, specialmente coi nuovi istituti
delle casse di disoccupazione”
48
del dopoguerra, da costituire tra governo imprenditori e sindacalisti,
Buozzi è contrario e l’intera Sezione torinese della FIOM respinge la
linea collaborazionista di Rigola e della CGdL 96 anche se alla vigilia
del Convegno Regionale Metallurgico del 22 settembre 1918 lo
scontro tra tendenze all’interno della Sezione FIOM di Torino è assai
acceso e si deve ricorrere al referendum di lista per la nomina dei
delegati
Una questione che tende sin d'ora a riproporsi in termini nuovi è
quella delle Commissioni Interne di fabbrica. Un gruppo di operai
della “Carrozzeria Farina” pone la questione 97: «La C.I. dovrebbe
rappresentare la classe operaia oppure la organizzazione?» Tre
membri di C.I. chiamati in causa rispondono «Noi rappresentiamo la
massa dello stabilimento Farina e non l'organizzazione, perché
fummo nominati dalla massa e non dalla Lega».
È un'indicazione preziosa, e tutti gli elementi che abbiamo potuto
raccogliere confermano questo sintomo. Il 1918 è l'anno in cui le CI,
pur attraverso un travaglio continuo (spesso si sciolgono, vengono
«rinominate» in occasione di una richiesta salariale o normativa) si
fanno le ossa, e vivono della continua pressione, del costante alimento
della massa lavoratrice. Neppure nel 1918 le CI del settore
metallurgico ottengano un riconoscimento legale generale, tant'è vero
che uno dei primi punti rivendicativi all'ordine del giorno del
Congresso nazionale Fiom ad ottobre sarà appunto il riconoscimento e
la regolamentazione delle CI. Del resto, in un rapporto del prefetto di
Torino del 10 giugno 1918, si afferma: Nell'adunanza degli operai
delle industrie metallurgiche tenutasi nei locali della Federazione
metallurgica la sera del 25 volgente, venne deciso che le ulteriori
vertenze economiche che dovessero sorgere, dovranno, anche se si
trattasse di soli gruppi di operai, essere deferite per la soluzione alla
Commissione Interna che resta in permanenza delegata a trattare con
gli industriali'.
La CI esiste, dunque, almeno in ogni grande stabilimento metalmec-
canico, è tollerata dalla parte industriale, ma rimangono motivo di
dibattito funzionamento, compiti, limiti e rapporti con la direzione e
l'organizzazione. Il mandato dei membri di CI è tutt'altro che pacifico
e inconcusso. Il ricordo di Mario Guarnieri è abbastanza probante nel
precisare lo «status» delle C.I. durante la guerra e la loro precaria esi-
stenza: “Si riconobbe alle maestranze il diritto di presentare richieste
di miglioramenti e di farsi patrocinare presso gli industriali singoli e
96
C. Artesani, Ai compagni, «La Squilla», 12.9.1918. Gruppo parlamentare
socialista e CGL sono favorevoli alla partecipazione, la Direzione del PSI è
contraria
97
«Avanti!» 21-23 settembre 1918
49
presso i Comitati di Mobilitazione Industriale dalle C.I. La Fiom volle
allora tentare di ottenere dal governo un provvedimento che rendesse
obbligatoria, per ogni stabilimento soggetto alla mobilitazione,
l'istituzione delle C.I. permanenti; ma la richiesta fu avversata
recisamente dalle rappresentanze industriali, le quali consentirono
soltanto che il governo consigliasse la istituzione della C.I. Dove però
queste tentarono di funzionare sul serio, se non furono appoggiate da
un movimento sindacale importante e temuto, dovettero affrontare
non soltanto la reazione degli industriali ma anche quella delle
autorità militari, che si inducevano con facilità a considerare i
membri delle C.I. come dei « sobillatori » e si affrettavano a
richiamarli sotto le armi, se erano degli «esonerati», oppure a farli
licenziare se non avevano obblighi militari od erano soltanto dei
mobilitati”98.
Perciò le C.I. vogliono essere riconosciute, alla fine della guerra. È,
anzitutto, il «riconoscimento» della loro natura di organi nati colla
lotta operaia, quello che si chiede. E deve essere il «riconoscimento»
di maggiori compiti loro spettanti nell'ambito dello stabilimento. La
vita difficile della CI non è solo tale perché soggetta a rappresaglie,
ma perché non riesce a conquistare una sua autonomia di funzioni.
Ancora nell'ottobre 1918 alla Savigliano un memoriale operaio
presenta alla direzione questa richiesta: «Per dirimere le controversie
di carattere disciplinare e gli eventuali reclami sui prezzi dei cottimi
la ditta sentirà un giorno stabilito la CI, appositamente nominata
dagli operai».
Da questo momento prendono forma su iniziativa del sindacato dei
metalmeccanici, insieme alle Camere del Lavoro, una serie di
rivendicazioni dai toni anche rivoluzionari da cui scaturirono i
numerosi scioperi e occupazioni (si stimarono più di 400 mila
occupanti) avvenute nel biennio 1919-20 99
Con questi presupposti, la stagione contrattuale nel periodo successivo
alla guerra divenne allora più intensa e rivendicativa: vengono firmati
i primi accordi nazionali con gli industriali per le otto ore lavorative;
aumenti salariali; sei giorni di ferie pagati; miglioramenti per gli
straordinari e il lavoro notturno, diritti ottenuti dai metalmeccanici e
successivamente estesi ad altre categorie. Si raggiunse perfino il
“riconoscimento dell’intervento operaio al controllo tecnico e
finanziario dell’amministrazione dell’azienda“, ed insieme anche la

98
M. Guarnieri, I consigli di fabbrica, 1946, p. 15.
99
P. Spriano L'occupazione delle fabbriche. Settembre 1920, 1964; I. Granata
Crisi della democrazia. La Camera del lavoro di Milano dal biennio rosso al
regime fascista, 2006, p. 17-20
50
costituzione e sperimentazione dei primi Consigli di Fabbrica 100 in
particolare a Torino, epicentro del sindacalismo rivoluzionario
sostenuto dallo stesso Gramsci, nella quale operarono figure centrali
della Fiom quali il segretario della sezione torinese Pietro Ferrero e il
sindacalista  Maurizio Garino, entrambi anarchici.
All’interno della Sezione torinese della FIOM Maurizio Garino 101 è,
con Ferrero, tra gli oppositori della linea sia della segreteria sezionale
che di quella federale e lo scontro di tendenze è così acceso che al
Convegno Regionale Metallurgico del 22 settembre 1918 si deve
ricorrere al referendum di lista per la nomina dei delegati.
Da parte riformista si sottolinea come sia “strano che nei delegati a
questo convegno si debba includere dei compagni anarchici (quale
Garino) che non possono essere favorevoli che alla assoluta
autonomia della Organizzazione”. Preoccupazione principale del
gruppo dirigente è la possibile saldatura tra il “gruppo libertario”,
fautore dell’autonomia sindacale ma in realtà deciso a “nascondere
dietro il paravento dell’unità sindacale il [suo] sogno di conquista”, e
la corrente massimalista, i “rigidi”, convinta della subalternità del
sindacato al partito102. In effetti, agli inizi del 1919 l’opposizione alla
linea del Comitato Direttivo si sta coagulando in un blocco anarco-
massimalista e le Commissioni Interne, riconosciute dall’accordo del
20 febbraio, tendono a superare le loro prerogative sfuggendo al
controllo dell’organizzazione e in qualche modo sostituendosi ad essa.
Dall’agosto 1919, a iniziare dalla FIAT Centro, le Commissioni
interne procedono alla elezione dei commissari di reparto che danno
vita ai Consigli di Fabbrica, ciascuno dei quali nomina un Comitato
esecutivo che a sua volta assume le funzioni di Commissione interna.
Il 17 ottobre la prima riunione dei Comitati esecutivi dei Consigli
costituisce un Comissariato centrale dei Consigli.
In quanto segretario della Sezione metallurgica Ferrero ha un ruolo di
primo piano nei movimenti successivi, dallo “sciopero delle multe”
(14-23 novembre), alla mobilitazione di protesta del 23 dicembre per
l’aggressione ai deputati socialisti a Roma, allo “sciopero delle
lancette” del marzo-aprile 1920, sfociato in uno sfortunato sciopero

100
P. Spriano L'Ordine Nuovo e i Consigli di Fabbrica, 1973
101
P.C. Masini, Anarchici e comunisti nel movimento dei Consigli a Torino,
Torino 1951; G. L[attarulo] - R. A[mbrosoli], I consigli operai. Un’intervista
con il compagno Maurizio Garino, «A rivista anarchica», apr. 1971; M. Gari-
no, L’occupazione delle fabbriche nel 1920, «Era nuova», 1° apr. 1950; Id.
L’incendio della Camera del Lavoro di Torino (1922), in Dall’antifascismo
alla resistenza. Trenta anni di storia italiana, 1961.
102
G. Gotta, Ognuno al suo posto, «La Squilla», 19.10. 1918
51
generale. Nel dicembre 1919 Ferrero partecipa al Congresso
straordinario della CdL di Torino e presenta, con Garino, una mozione
a favore dei Consigli, ritenuti “ai fini dei principi comunisti
antiautoritari, organi assolutamente antistatali e possibili cellule della
futura gestione della produzione agricola e industriale”. Quando, nel
maggio 1920, si tiene a Genova il Convegno nazionale della FIOM,
Ferrero non solo difende “l’esperimento” consiliare dagli attacchi
dell’ex segretario torinese Uberti e di Bruno Buozzi, ma mette sotto
accusa “la impreparazione degli Organismi centrali nazionali”,
dichiarando: “La rivoluzione si fa dalle masse, che agiscono per
istinto. Bisogna lasciarle tentare”103
Il 1° novembre 1919 l’assemblea della Sezione torinese della FIOM
approva “a grande maggioranza” l’odg. Boero-Garino, favorevole alla
“costituzione dei Consigli operai di fabbrica, mediante l’elezione dei
Commissari di reparto”104, mettendo in minoranza il vecchio Consiglio
Direttivo ed eleggendone uno nuovo, provvisorio, al cui interno
Ferrero, pare su indicazione di G. che declina un primo invito, assume
le funzioni di segretario. Contestualmente, viene istituita una
Commissione di studio sui consigli, alla quale partecipano anche G. e
Ferrero, e che tiene spesso le sue riunioni nei locali de «L’Ordine
nuovo». Da qui nasce anche la consuetudine con gli ordinovisti e con
Gramsci, che scriverà dei due anarchici in termini estremamente
positivi105, e una collaborazione che si esprimerà nel manifesto Per il
Congresso dei Consigli di fabbrica, apparso ne «L’Ordine nuovo» del
27 marzo 1920. Al Convegno straordinario della FIOM a Firenze del
9-10 nov.1919) Boero e Garino riescono a ottenere che i vertici
federali consentano all’“esperimento dei Consigli di fabbrica” intesi
come “la continuazione dell’opera delle Commissioni interne
coordinata con quella dell’organizzazione”106
Nel corso del "biennio rosso" Guarnieri su “Il Metallurgico” e su
quotidiani. cerca di sensibilizzare l'opinione pubblica riguardo alle
conquiste del sindacalismo riformista tentando di evitare il propagarsi
della conflittualità, attirandosi violenti attacchi da Serrati, nel 1920
ripresi da Gramsci su “L'Ordine nuovo”, che sull'”Avanti!”, lo accusa
di tradire la causa della classe operaia favorendo comportamenti
compromissori cercando di ricondurre i consigli di fabbrica
nell'ambito del "controllo sindacale". Nel congresso straordinario della

103
M. Antonioli, B. Bezza, La FIOM dalle origini al fascismo, cit., p. 589
104
p. t. [P. Togliatti[, L’Assemblea della Sezione Metallurgica Torinese,
«L’Ordine nuovo», 8.11.1919)
105
Cosa intendiamo per demagogia, «Avanti!», ed. piemontese, 28.8.1920
106
M. Antonioli, B. Bezza, cit. p. 575.
52
Camera del lavoro di Torino del dicembre 1919 il suo ordine del
giorno ottiene 26.000 voti contro i 38.000 di Giovanni Boero
Nel dicembre dello stesso anno Ferrero partecipa al Congresso
straordinario della cdl di Torino e presenta una mozione a favore dei
Consigli, ritenuti “ai fini dei principi comunisti-antiautoritari, organi
assolutamente anti-statali e possibili cellule della futura gestione della
produzione agricola e industriale”. Quando, nel maggio 1920, si tiene
a Genova il Convegno nazionale della FIOM, difende la linea
conflittuale dei metallurgici torinesi e “deplora la mancanza di
solidarietà del Comitato centrale e della Confederazione del lavoro”..
Protagonista dell’occupazione delle fabbriche, nel settembre 1920, al
Congresso nazionale della FIOM a Milano appoggia l’odg Ferrero e
rimprovera ai dirigenti nazionali di avere illuso “la massa operaia che
non distingue se il movimento fosse sindacale o politico, aveva
creduto che voi sareste andati fino in fondo, che voi l’avreste condotta
al gran gesto rivoluzionario”
Nel primo congresso dopo la guerra la Fiom conta 47.192 iscritti e
102 sezioni. Inizia la stagione della contrattazione collettiva. Il 20
febbraio 1919 si raggiunge un accordo con l’Associazione industriali
di categoria che prevede la riduzione di orario a 8 ore giornaliere e 48
settimanali, il riconoscimento delle Commissioni interne e la loro
istituzione in ogni fabbrica; la nomina di una Commissione per il
miglioramento della legislazione sociale e di un’altra per studiare la
riforma delle paghe e del carovita. Ma l’ala più oltranzista del
padronato cerca la prova di forza nell’agosto del 1920, quando la
trattativa viene interrotta e cominciano le serrate. La risposta operaia
si concretizza nell’occupazione delle fabbriche che coinvolge più di
400.000 metallurgici in tutta Italia e altri 100.000 di altre categorie.
Momenti di tensione,  alcuni dei quali sfociano battaglie in cui si
contano morti e feriti, precedono l’accordo del 19 settembre 1920.
Mentre «Il Metallurgico» titola“La vittoria del proletariato
metallurgico. L’organizzazione padronale debellata”, l'esperienza
delle occupazioni e dei consigli si conclude con la vittoria dei
riformisti sui rivoluzionari (anarchici e socialisti) al referendum del 24
settembre107.

La Sezione “astensionista” torinese


107
Su Torino operaia dopo l’avvento del fascismo: G. Sapelli Fascismo,
grande industria e sindacato: il caso di Torino, 1975; S. Musso Il sindacato
fascista di fronte al cottimo e alla razionalizzazione “Giornale di diritto e di
relazioni industriali”, n.17, 1983, p. 94-153; S. Musso La gestione della forza
lavoro sotto il fascismo: razionalizzazione e contrattazione collettiva
nell'industria metallurgica torinese, 1987
53
Nell’estate 1918 il governo consente al PSI di tenere il Congresso
nazionale. Dai congressi di Reggio Emilia (1912) e Ancona (1914) la
Direzione del PSI è espressa dalla corrente “intransigente” che
sostituisce la precedente guida riformista del Partito. Allo scoppio
della guerra è segretario nazionale Costantino Lazzari che tenta una
difficile mediazione tra le varie anime del partito coniando la formula
“né aderire né sabotare”. La guerra comunque provoca lacerazioni e
l’invio al fronte di numerosi iscritti. Dopo più di quattro anni
dall’inizio del conflitto, mentre la maggioranza delle sezioni è a
favore della frazione intransigente, sono in disaccordo con la
Direzione, oltre ai riformisti della «Critica Sociale», il gruppo
parlamentare (GPS) e il Consiglio della CGdL che intende partecipare
alle commissioni governative nel dopoguerra.
Il 29 maggio 1918 viene arrestato il direttore dell’ “Avanti!” Serrati. Il
capo d'imputazione su cui si basa il mandato di cattura del Tribunale
militare di Torino è il discorso «incendiario», sobillatore, pronunciato
il 12 maggio del 1917 in cui avrebbe incitato gli ascoltatori «a
insorgere compatti al momento opportuno». Serrati al processo
afferma che il suo arresto è un atto politico del governo per colpire la
frazione “intransigente”.
Ad agosto l'«Avanti!» pubblica un editoriale di Giovanni Boero,
leader della frazione a Torino in assenza di Rabezzana e Barberis, che
è una professione di rivoluzionarismo e di attesa messianica: Un
raggio di luce da Oriente illumina le nostre fronti. La fiera da lungo
tempo narcotizzata si ridesta. Il suo ruggito si ripercuote nell'eco
delle selve e dall'uno all'altro capo dell'emisfero l'urlo delle masse
pare che risponda al nostro appello con un motto: Presente!...
Attendiamo i prossimi avvenimenti tellurici!108
Alla frazione massimalista si richiamano, nell'assemblea che elegge i
delegati al Congresso, i quattro quinti dei soci torinesi: La sezione
torinese richiama le deliberazioni di Reggio, di Ancona, di Zim-
merwald e di Kienthal, riconferma il carattere di intransigente
indipendenza e separazione del movimento socialista e di recisa
avversione alla guerra, qualunque carattere essa rivesta; dichiara che
tale sentimento non potrà variare né attenuarsi per le altre vicende
militari dell'Italia. Richiede che il Partito punti ai postulati massimi
della dottrina socialista, facendosi obbedire dal gruppo parlamentare
e dalle amministrazioni pubbliche, e imponendo alle organizzazioni
proletarie classiste un atteggiamento piú consono alla propria
integrale emancipazione.109 E l'ordine del giorno dei torinesi

108
«L’Avanti!», 28.8.1918
109
«L’Avanti!», 29.8.1918
54
costituisce addirittura la base della riunione preparatoria nazionale'
della frazione.
Boero a Roma dall’1 al 5 settembre 1918 partecipa al XV Congresso,
delegato con Ottavio Pastore, Elvira Zocca, Leo Galetto, Antonio
Oberti e Bordel-Marchetti, quest'ultimo in rappresentanza della
minoranza riformista. Turati si trova al congresso come l'imputato
principale, e per l'atteggiamento tenuto nella crisi di Caporetto e per la
esclamazione patriottica, ripetuta. nel febbraio del 1918 alla Camera
(«Al Monte Grappa è la patria!»). Si arriva anche a proporre
l'espulsione dal partito di Turati, senonché al congresso si esiterà:
basta agli intransigenti rivoluzionari una vittoria schiacciante (l'ordine
del giorno Salvatori ha 14.000 voti, 2500 quello centrista di
Tiraboschi, 2500 Modigliani dei destri) e, del resto, la vecchia
direzione ha con sé la maggioranza dei delegati. Il partito è orientato a
sinistra, e la nuova direzione.(Lazzari, Vella, Bombacci, Serrati,
Bacci, Belloni, Marabini, Sangiorgio, Repossi, Gennari, Alfani,
Farini, Voghera) è il frutto dell'alleanza tra la direzione uscente
(Lazzari, Serrati, Bombacci e Bacci) e i nuovi capi della frazione nata
a Firenze, da Repossi a Gennari. Sia Repossi che Gennari avrebbero
voluto che si giungesse all'espulsione dei destri, ma si acconciano ad
un compromesso ed entrano in direzione.
Si stringono piú stretti contatti tra i delegati torinesi e Bordiga ma la
sinistra piú intransigente non trova una piattaforma che la differenzi
da Lazzari e Serrati. Il momento però è, tale che la spinta ad essere
uniti di fronte alla svolta finale della guerra, e a quello che appare il
sicuro sviluppo rivoluzionario, attutisce anche il dissidio di fondo
insanabile con i «destri».
A Torino il ritorno dei delegati si accompagna con un fervore nuovo
di attività e propositi. Tutti approvano il «patto» stipulato tra il PSI e
la CGL che sancisce il principio secondo cui gli scioperi economici
vanno diretti dagli organi confederali e quelli politici dal partito; a
detta di un informatore, Boero e Pastore invitano gli intervenuti ad
un'assemblea socialista, il 18 ottobre, ad esprimere un voto di
solidarietà e di concordia che porti immediatamente la fusione
completa di tutte le forze organiche delle sezioni sindacali e dei
circoli socialisti allo scopo di trovarsi pronti all'imminente azione
generale che infallentemente sarà impegnata da tutte le forze dei
lavoratori italiani, mentre De Giovanni, segretario della CdL,
aggiunge: «È giunta l'ora che il popolo proletario chieda ragione ai
governanti e agli imperialisti del nefando delitto che si chiama guerra
e che per ben cinque anni ha seminato atroci dolori».
La grande esperienza sociale e politica della guerra ha trasferito la
lotta proletaria dal piano delle contese locali a un piano nazionale ed
55
internazionale, puntata sull'obiettivo di trasformazioni rivoluzionarie
dello Stato. Non appena, nella seconda metà d'ottobre, viene reso noto
lo svolgimento di pratiche relative all'armistizio nel campo socialista,
gruppo parlamentare, CGL, direzione, vanno a gara nel redigere
appelli, manifesti, proclami alle masse. Si stampano alla macchia
volantini di tripudio per l'imminente fine del conflitto e di esortazione
ad accelerarne la conclusione. Si teme dall'autorità pubblica uno
sciopero generale, ma è tempo di sollievo piú che di protesta: sono
finiti i sacrifici piú duri, non c’è piú lo spettro di un nuovo inverno di
guerra. Il 4 novembre per le vie del centro di Torino sfila una grande
manifestazione e cortei operai si snodano dalla periferia. Il 12 decine
di migliaia i dimostranti accorrono alla Camera del Lavoro dal cui
balcone parlano Boero, l’anarchico Armando Borghi, il sindacalista
Bruno Buozzi. Si chiede la liberazione dei compagni in carcere, si
rivendica la cessazione del regime da caserma nelle fabbriche, si grida
«Viva la Russia, Viva la rivoluzione!» e le parole d'ordine delle otto
ore, del riconoscimento delle Commissioni Interne, dell’amnistia,
della pace fatta “dai popoli per i popoli.”
“Il primo grande comizio all'aperto in corso Siccardi si ebbe il 12
novembre [1918], quando la guerra era ormai cessata su tutti i fronti,
con l'armistizio franco-tedesco. Memorabile questo episodio: dal
balcone della Camera del lavoro parlava Giovanni Boero, segretario
della sezione socialista; piccolo e magro, con occhi cerulei, Boero
aveva già una lunga esperienza di militante. Con Morgari aveva,
nell'ottobre del 1909, organizzato a Torino la celebre manifestazione
dei «fischietti» contro l'arrivo dello zar alla stazione. L'imperatore di
Russia, che aveva già dovuto rinunciare a venire in Italia nel 1903
per le accoglienze ostili che gli avevano preparato i socialisti, dovette
accontentarsi di visitare il «nostro» sovrano a Racconigi. Boero si era
soprattutto imposto nella sezione torinese durante la guerra, con la
sua intransigenza. Parlava dunque dal balcone di corso Siccardi con
la sua voce stridula e chiara. Diceva cose infiorate, ma semplici, che
andavano dritte al cuore dei semplici. Fra questi c'erano i soldati
inviati per mantenere l'ordine. Boero lì affascinava. Uno di essi,
dimenticando la sua funzione di soldato in servizio di polizia, lasciò
cadere il fucile che teneva tra le mani. Ci fu un momento di
scompiglio fra i suoi compagni. Una piccola fessura, da cui
traspariva tutta la luce che era in quegli animi e che non attendeva
che di essere liberata. Un altro episodio significativo per l'uomo
Boero e per i tempi: a causa della mia funzione di cronista operaio,
ma anche, e forse soprattutto, per la simpatia e il comune entusiasmo
che ci legava, io ero solito accompagnare il segretario della sezione
socialista. in tutti i suoi giri di partito. Un mattino, non saprei
56
precisare il giorno, c'era da impartire l'ordine immediato di sciopero.
Il giornale era già stampato e non c'era il tempo di diramare
comunicati scritti od orali. Che fece «Barbetta»? Prendemmo un taxi
amico e ci facemmo accompagnare a tutti i capolinea dei tram. Senza
neppure scendere e senza troppe parole, Boero avvertiva che la
Sezione socialista aveva decretato lo sciopero e che i tram non
dovevano uscire. Ciò bastava a far capire agli operai che essi non
dovevano recarsi al lavoro. Ma per maggiore sicurezza si fece anche
il giro delle officine, avvertendo i guardiani di non aprire i cancelli e
di non dare il segnale dell'entrata con le sirene. Tale era il prestigio
dell'uomo, ma soprattutto tale era l'autorità del segretario della
Sezione socialista, nella quale il proletariato torinese riconosceva la
sua massima gerarchia. “110
Alle elezioni del nuovo esecutivo della sezione del PSI, pochi giorni
dopo, trionfa la lista dei “rigidi” con Pietro Rabezzana, Francesco
Barberis, Luigi Gilodi, Giovanni Boero che è designato segretario e
«inneggia alla libera Russia e lancia il grido ribelle a tutti i bol-
scevichi del mondo perché continuino sulla strada maestra». Assume
la responsabilità della sezione senza dare indicazioni politiche, molte
riunioni sono dedicate all'assistenza dei compagni in carcere.

Il 1919 e il congresso di Bologna


All'inizio del 1919 Boero scrive per il quotidiano del partito un
editoriale orientato in senso astensionista111, anche se ciò non significa
l'adesione totale alla tendenza bordighiana del gruppo dei ”rigidi” ma
l'accostamento ad essa soprattutto di Boero e Parodi che in ogni caso
parteciparono al movimento consiliare, in particolare Boero che
collabora all'”Ordine nuovo” nel 1919.
Al XVI Congresso del PSI, che si svolge a Bologna dal 5 all'8 ottobre
1919, la delegazione torinese è composta da Barberis, Frola, Pagella,
Pastore, Rabezzana e Romita per i massimalisti (con cui ha consentito
pure l'«Ordine nuovo» e che sono uniti sino ai «rigidi» più anziani, o
«vecchi», anche in quanto si riconoscono nella tradizione socialista),
Boero e Giovanni Parodi per i comunisti astensionisti (rigidi
«giovani»). Boero intervenne a nome dei delegati settentrionali
aderenti alla frazione astensionista, soffermandosi sulla necessità della
preparazione rivoluzionaria delle masse, da lui giudicata incompatibile
con la partecipazione dei deputati socialisti ai lavori parlamentari.
Rivendica la necessità non solo di modificare il programma di
110
A. Leonetti “Un comunista”, 1977, p.35-36
111
G. Boero, Grido d'allarme, «Avanti!», ed. piemontese, del 13.3.1919
57
Genova, chiedendo a tutti i congressisti di proclamare francamente se
intendono "seguirlo [il nuovo programma] fino alla fine, o se lo
accettano pro forma per poi tradirlo al primo avvenimento", ma anche
di mutare nome: "oggi apparteniamo al partito comunista, e il Partito
Socialista Italiano non può essere che una sezione del comunismo
internazionale". Oppone le grandi possibilità dell'epoca storica aperta
dalla rivoluzione russa a quelle, ridotte, che potevano giustificare una
tattica meno audace, e, sulla scorta delle esperienze di Germania e
Ungheria, mostra come in un simile ciclo storico l'unità tanto cara ai
massimalisti rappresenti non un elemento di forza, ma una ragione di
debolezza. Valendosi del bilancio pratico del proletariato torinese
durante la guerra, mette in evidenza l'urgente necessità di svolgere
un'attiva propaganda nell'esercito e dedicare maggiori energie che in
passato all'agitazione in mezzo ai contadini osservando: "Si è detto
che i nostri contadini non si trovano nelle condizioni di quelli di
Russia, e che quindi non verranno a noi perché vogliono la terra
divisa in proprietà. Così sarà se non diremo loro che queste piccole
proprietà saranno più di danno che di vantaggio". Concludendo,
indica fra i grandi insegnamenti della rivoluzione russa quello di non
aver esitato di fronte alla creazione di un "militarismo russo", e
oppone la rivendicazione fondamentale della dittatura, del terrore e
dell'organizzazione armata della classe operaia, al vile
parlamentarismo in cui non solo la destra ma il centro massimalista
affogano" 112
Il 16 novembre 1919 si svolgono dopo sei anni dalle precedenti, le
prime elezioni politiche a suffragio universale maschile con il sistema
proporzionale basato su collegi pluri-provinciali al posto dei
tradizionali collegi uninominali, appannaggio dei ”“notabili” che,
divisi in varie liste “liberali”, ottengono solo metà dei seggi. Notevole
l’affermazione dei partiti organizzati: il PSI ottiene un terzo dei voti
con 156 deputati su 508 e il Partito Popolare, espressione dei cattolici,
che si presenta per prima volta, ne ottiene 100.
Nell’estate 1920 partecipa al movimento dei consigli durante
l'occupazione delle fabbriche e collabora a «L'Ordine Nuovo». Ad
ottobre il fallimento dell'occupazione delle fabbriche induce Boero e
gli astensionisti di Torino ad esprimersi per l'immediata uscita dal PSI,
proposta che viene osteggiata da Bordiga. Nel gennaio 1921 al
Congresso di Livorno del PSI partecipa alla scissione e alla
fondazione del Partito Comunista d’Italia e al congresso della CGdL
tenuto anch'esso a Livorno, chiamato alla presidenza, rappresenta la

112
da “Storia della sinistra comunista” 1964, 1972 ecc. vol. II.
58
minoranza comunista113 Candidato del PCd’I nelle elezioni politiche
del maggio 1921, Boero non è eletto

113
E. Soave, Appunti sulle origini teoriche e pratiche dei Consigli di
fabbrica a Torino, in “Rivista storica del socialismo” 1964, n. 21, pp. 1-20.
59
Parte 4. Nell’emigrazione antistalinista in Francia
Dal 1921 coloro che si erano messi in vista nelle lotte del “biennio
rosso” espatriano in numero crescente per sfuggire ai “bandi” delle
camicie nere: all'inizio i militanti di base, dal 1925 e soprattutto dopo
le leggi eccezionali dell’ottobre 1926, quadri e dirigenti. La scelta
della Francia, terra d’esilio tradizionale per l’ospitalità che la
Repubblica offre agli esuli, è motivata dall’esistenza di una numerosa
colonia italiana in cui ritessere i legami politici. 114 Inoltre è
abbondante, dopo i vuoti causati dalla guerra, l’offerta di lavoro in
agricoltura, nelle miniere e nelle officine per gli operai e i contadini,
che trovano in Francia migliori condizioni rispetto all’Italia. La
colonia di emigrati italiani in Francia è numerosa e radicata: 800 mila,
di cui 200 mila a Parigi e altrettante nel Lionese e sulla costa del
Mediterraneo, di cui il 10% emigrati politici.
“L'utopia è stata il filo conduttore di quella libera scuola di vita che
fu l'emigrazione, quasi sempre forzata, di innumerevoli persone
rappresentative, quasi un campione, di una piccola Italia in Francia.
Le loro provenienze geografiche, i loro mestieri, le loro persone
fisiche, le loro famiglie: donne, uomini, ragazze e ragazzi. Il Sud con
Di Vittorio, capopopolo contadino e Nitti uomo di stato; il Centro
Italia con Dozza, l'Emilia della cooperazione; l'Est con i Fontanot dei
cantieri navali di Monfalcone sul golfo di Trieste; l'Ovest con i suoi
montanari, i suoi contrabbandieri, gli operai torinesi e biellesi. ... Un
baratro si era aperto sotto i piedi di un popolo e con esso stava
precipitando un bel pezzo di XX secolo; il tentativo di alcuni fu di
risalirlo. 115
Anche Boero, come già nel 1899, nell'aprile 1923 emigra in Francia e
vi rimane per tutto il periodo del fascismo, lavorando come decoratore
e cambiando spesso dimora: Reims116, Mont Saint-Charles (Marna),
Sucy-en-Brie (Seine et Oise) dalla fine del 1924, infine Ivry sur Seine
poco prima dello scoppio della guerra. Come iscritto al PCd’I ne
condivide tutte le traversie fino all’espulsione ed è opportuno
tracciare un quadro della situazione dei comunisti italiani in Francia.
Col crescere della pressione fascista sui “sovversivi”, aumenta il
numero dei comunisti espatriati in Francia e il PCd'I, pur tentando di
114
P. Milza Les italiens en France de 1914 à 1940, 1987. A. Garosci, Storia
dei fuorusciti, 1953. S. Tombaccini, Storia dei fuorusciti italiani in Francia,
1988; L. Di Lembo, L'organizzazione dei socialisti italiani in Francia, in: G.
Arfe L'emigrazione socialista nella lotta contro il fascismo, 1982 p. 234
115
C. Gobetti Tra utopia e storia in “L' Italia in esilio: l'emigrazione italiana
in Francia tra le due guerre” 1984.
116
Alla fine del 1923 secondo la testimonianza di Arturo Colombi, in Vita di
militante: dalla prima guerra mondiale alla caduta del fascismo, 1975, p.100
60
opporsi a questa emorragia che indebolisce il Partito, nel marzo 1921
cerca di organizzarli nella Federazione Comunista delle sezioni
italiane in Francia, che raggruppa duecento aderenti e che a settembre
aderisce al PCF. All'inizio del 1923, in osservanza delle decisioni del
IV Congresso dell'I.C., il PCF procede alla dissoluzione della
Federazione Comunista Italiana e nascono i gruppi di lingua italiana
del PCF. Con la decisione, adottata al V congresso dell’I.C., della
bolscevizzazione - la riorganizzazione basata sulle cellule di fabbrica -
gli emigrati comunisti italiani sono messi in contatto diretto con i
militanti francesi. Nel luglio 1925, il PCF conta 6000 italiani nelle sue
fila, organizzati in 250 gruppi che fanno capo a 25 comitati di zona.
Le opposizioni (Monatte e Rosmer in Francia, Bordiga in Italia) sono
eliminate e nei congressi di zona dei gruppi di lingua si manifestano le
lotte di tendenza del PCd'I.
Tra i problemi determinati dalla bolscevizzazione vi è quello della
lingua utilizzata nelle cellule comuni (francesi-stranieri) che
impedisce a molti italiani di partecipare alla vita politica del PCF, ma
dietro la questione organizzativa sta la volontà di riprendere il
controllo dei gruppi di lingua, in particolare quello di Parigi, sotto
l'influsso della tendenza bordighista. Militanti italiani e polacchi
chiedono di soprassedere alla riorganizzazione e i bordighisti del
Comitato di zona di Parigi prendono la testa della fronda, ma sono
battuti ed espulsi. Molti militanti italiani rifiutano di partecipare alle
cellule di fabbrica e abbandonano il partito comunista. Un anno dopo
al suo V Congresso il PCF fa marcia indietro sullo scioglimento dei
gruppi di lingua e i comunisti stranieri, pur partecipando alle cellule di
fabbrica, possono di nuovo organizzarsi in gruppi di lingua per
discutere i loro problemi.
Sul piano sindacale i comunisti italiani aderiscono alla CGTU che
conta a metà degli anni '20 ventimila italiani nelle sue file, organizzati
in comitati intersindacali di lingua. Parallelamente, in base alla nuova
tattica dell'I.C., i gruppi di lingua formano nella primavera del 1925
dei Comitati Proletari Antifascisti che mirano a raggruppare nelle loro
file le varie tendenze dell'antifascismo in esilio, ma il progetto fallisce
a causa del settarismo dominante.
Nell'aprile 1925 Onorato Damen, Bruno Fortichiari, Ottorino Perrone,
Luigi Repossi, Mario Lanfranchi costituiscono il “Comitato d’Intesa”
in vista del 3. congresso del PCd'I che si terrà a Lione nel gennaio
1926; dopo questo congresso e il IX Esecutivo Allargato dell'I.C,
(1928) che impone la condanna di Trotsky,, le mediazioni sono
impossibili.
Nonostante le misure disciplinari, la Sinistra mantiene un radicamento
nel PCd'I facendo leva sui quadri intermedi politico-sindacali
61
fuorusciti (Ottorino Perrone, Bruno Bibbi, Enrico Russo, ecc.) per
conservare in prospettiva uno spazio nel Partito, anche quando
vengono meno le ultime possibilità di azione e la Sinistra si organizza
in Frazione.
Con le leggi del novembre 1926 viene instaurato in Italia un regime
apertamente dittatoriale, e una nuova ondata di militanti prende la via
della Francia dove nel frattempo al Cartello delle sinistre succede un
governo di centro-destra che agisce con maggiore severità nei
confronti dell'emigrazione comunista italiana.
Conformemente alle decisioni del IV Congresso dell'I.C. e in seguito
alla nuova situazione politica, il PCd'I alla seconda conferenza del
Partito del gennaio 1928 e alla prima conferenza dell'emigrazione
comunista italiana di giugno, rimette in discussione la linea sull'
emigrazione e riprende la direzione dei gruppi di lingua che da rifugio
per gli esiliati comunisti italiani, diventano ora la “seconda linea” del
Partito..
Nel corso del 1928-30 l'emigrazione diviene fondamentale per il PCd'I
in quanto punto d'appoggio vitale sul piano finanziario, politico e
militante, che gli permette di continuare la lotta clandestina in Italia
attraverso il reclutamento di militanti disposti a tornare in Italia,
selezionando così nuovi quadri. D'altro canto la tendenza all'integra-
zione nel paese di accoglienza porta molti militanti a resistere al
ritorno in Italia prospettato dal Partito.
Alla fine degli anni '20 si manifesta un calo dell'organizzazione
comunista nell'emigrazione italiana sia per la repressione governativa
sia per la politica settaria, che isola il movimento comunista dal resto
del movimento operaio.117
Nel settembre 1928 l’I. C. al VI Congresso diagnostica la crisi finale
del capitalismo deducendo la necessità di un’offensiva rivoluzionaria
con una politica aggressiva contro la socialdemocrazia definita “social
fascista”, con un orientamento di “classe contro classe” che provoca
una devastante spaccatura all’interno del movimento operaio. La
nuova linea si risolve in un calo degli effettivi della maggior parte dei
partiti comunisti, e favorisce la formazione di gruppi di opposizione
comunista.
Alla fine del 1929 il PCd'I decide di applicare all'Italia la svolta:
117
L'organizzazione comunista conta 100 militanti nel 1921, 3.500 nel 1923,
6.000 nel 1925, 22.000 nel 1928 in 30 dipartimenti, riuniti in 210 gruppi di
lingua. Nel 1928 i Comitati Proletari Antifascisti hanno 3.000 aderenti,
10.000 sono gli iscritti italiani alla CGTU rispetto ai 20.000 della metà degli
anni '20. I gruppi di lingua del Soccorso Rosso Internazionale hanno 3.000
iscritti. La stampa comunista dell'emigrazione ha una tiratura di 15.000 copie
nel 1924 e nel 1928 non supera le 9.000.
62
giudica rivoluzionaria la situazione in Italia e scopre una radicalizza-
zione delle masse; pertanto rivolge un appello per uno 'sciopero
generale politico', destinato a preparare in tempi brevi l'insurrezione
operaia che sfocerà nella dittatura del proletariato. Solo Paolo
Ravazzoli, Pietro Tresso (Blasco) e sua moglie Barbara, Mario
Bavassano e sua moglie Teresa Recchia, Alfonso Leonetti e Ignazio
Silone rifiutano tale linea. I disaccordi politici inducono questi
militanti a prendere contatto nell'aprile del 1930 con l'opposizione
internazionale di sinistra creata da Trockij. Nel giugno 1930,
Ravazzoli, Leonetti e Tresso sono espulsi dal PCd'I e da allora
passano all'opposizione trockista. Ravazzoli in seguito, entra nel PSI.
Tresso si integra nel movimento trockista francese fino a quando è
assassinato nel 1941.
Nel 1930 una nuova scissione interviene in campo socialista quando al
Congresso di Marsiglia, alla fusione con i riformisti del PSULI voluta
dal PSI di Nenni non partecipa un nucleo capeggiato da Angelica
Balabanoff, composto per lo più di militanti operai. Questo residuo
partito, pur ridotto a piccole cifre 118 prosegue l’attività (6 congressi
dal 1928 al 1937) fino alla guerra che ne segna la fine definitiva. Sul
P.S.I. massimalista esprimono un giudizio positivo repubblicani,
anarchici, bordighiani, trockisti, giellisti e Angelo Tasca entrato a far
parte del P.S.I.-I.O.S.
Anche Boero è contrario alla «svolta» del 1929-1930 e aderisce nel
1933 al Comitato di opposizione di Leonetti, Ravazzoli e Tresso, sul
cui «Bollettino d'Informazione» dei Bolscevico-Leninisti italiani si
firma “Barba-Gianni”, e collabora a varie pubblicazioni: all’«Avanti!»
dei socialisti massimalisti, a «L'Operaio» e anche a «Il Nuovo
Avanti!» dei socialisti riformisti.
Mosche bianche sono i dissidenti, i comunisti senza partito, una
minoranza che si fa strada fra luci e ombre, errori e iniquità, ma non
abdica, nella situazione di emarginazione in cui si trova, ad alcuni
inviolabili principi morali: "Opportunisti poltroni." Non eravamo
ancora "vipere lubrìche" e "agenti di Hitler"... Ma proprio in con-
seguenza della politica del "socialfascísmo" che noi combattemmo, da
"nemici del partito" ci trovammo di colpo "agenti dell'hitlerismo."
Che fare? Lasciare che questa montagna di bugie, d'insulti, di
calunnie passasse senza una risposta, quanto meno senza un
chiarimento? [Mancando il] "diritto di dire no." decidemmo di
prendere contatto con l'opposizione internazionale che veniva allora
organizzandosi intorno all'opposizione bolscevica. leninista russa, di

118
Secondo un’informativa del 1934 gli iscritti sarebbero 684, di cui 60 a
Parigi
63
cui Trockíj era il capo. L'espulsione di Trockij dal territorio sovietico,
la deportazione di grandi rivoluzionari come Rakovski in Siberia,
l'allontanamento prima di Zinov'ev e poi di Bucharin dalla direzione
dell'Internazionale comunista ed altre cose ancora ci persuasero che
la frazione staliniana al potere in Unione Sovietica voleva
"stravincere," ... ci parve fosse nel giusto l'opposizione di sinistra
che dal 1923 faceva capo a Trockij. Di qui la nostra decisione di
entrare in contatto con l'opposizione bolscevico-leninista, tramite
Alfred Rosmer, il capo riconosciuto dell'opposizione di sinistra in
Francia e che a Parigi faceva uscire "La Vérité": senza collegamento
internazionale, del resto, l'azione di piccoli gruppi di opposizione
nazionale era condannata all'impotenza.....All'incontro con Rosmer
segui subito la nostra collaborazione alla "Vérité": grave colpa, il
maggior peso della quale cadde su me e su Pia Carena, grazie al cui
lavoro sarà anche possibile, di lí a poco, la pubblicazione del
"Bollettino dell'Opposizione italiana," dall'aprile del 1931 al giugno
del 1933…. Eravamo ai primi del giugno del '30 quando io e
Ravazzoli fummo convocati per incontrare un membro della
segreteria del partito, Gallo (Litigi Longo). Egli ci fece leggere una
dichiarazione che noi dovevamo sottoscrivere [che] condannava le
pubblicazioni della "Vérité " come un tessuto di calunnie contro il
PCI . Naturalmente rifiutammo di firmare e ciò comportò la nostra
condanna all'espulsione con tutto ciò che ne seguiva: miseria,
clandestinità, persecuzione, linciaggio politico e morale. Accettammo
questa prospettiva con amarezza ma con grande fermezza e il 20
giugno "L'Humanité," pubblicava un comunicato della segreteria del
partito italiano in cui si dava l'annuncio dell'espulsione di Feroci
(Leonetti), Santini (Ravazzoli) e Blasco (Tresso). Le espulsioni di
Mario Bavassano e di Teresa Recchia seguirono subito dopo: quella
di Ignazio Silone un anno piú tardi. Bisognava rimettersi al lavoro per
non cadere nella disperazione e nella vacuità. Creammo cosí la
Nuova Opposizione Italian (NOI), sezione dell'Opposizione interna-
zionale di sinistra (bolscevico-leninista), la cui attività e la cui storia
è consegnata nel "Bollettino" che essa fece presto apparire. … La
"svolta del '30" non fu una "lotta per il potere" per noi. Eravamo -
tutti noi dell'opposizione - membri del Comitato centrale e dell'Ufficio
politico; taluni membri anche della segreteria; altri erano dirigenti
della Confederazione generale del lavoro e membri della direzione
dell'Internazionale sindacale rossa. Avremmo potuto benissimo
rimanere ai nostri posti di direzione se non avessimo scelto l'opposi-
zione e ciò che essa comportava. Fu dunque una lotta "politica" e,
prima di tutto, una lotta di principi. E fu anche, in questo senso, una
lotta di costume … Espulsi, dovemmo subito porci il problema della
64
sussistenza. In Francia eravamo stati, e tanto piú lo eravamo ora, dei
clandestini. Denunciati dagli organi della stampa comunista con i
nostri cognomi e relativi pseudonimi non potevamo certo presentarci
agli uffici di polizia francese per chiedere un permesso di soggiorno:
ciò avrebbe significato farci accompagnare subito alla frontiera.
Trovarsi di punto in bianco fuori dal partito, in terra straniera, senza
documenti e senza mezzi, perseguitati da due polizie, l'italiana e la
francese, e improvvisamente messi al bando dagli stessi compagni di
ieri, significava davvero trovarsi in un mare di pericoli senza un
punto di salvataggio, anche se non mancavano il coraggio e la
passione per farvi fronte. ... Nell'emigrazione trovammo aiuti e prove
di solidarietà tra i "bordighisti," che noi avevamo combattuto e con i
quali avevamo ancor ora forti dissensi in quanto tacciati di "trockisti"
(i maggiori disaccordi vertevano sull'analisi del fascismo e
sull'impiego delle parole d'ordine di tipo democratico nel periodo di
transizione sulla via del potere). Ma tra "scomunicati" ed "eretici" c'è
una solidarietà che nasce dalla condizione stessa di trovarsi fuori
legge. Eppoi i "bordighisti" erano emigrati di vecchia data; in
generale provenivano da coloro che erano dovuti fuggire dall'Italia
sia dopo la sconfitta dell'occupazione delle fabbriche, sia dopo le
tremende lotte contro lo squadrismo degli anni '20 e '21. Erano tutti
elementi fortemente politicizzati ed erano rimasti ancorati alle loro
posizioni di estrema sinistra, definita appunto "bordighista. ... [Boero]
fa parte di quel mondo di fuoriusciti definiti «comunisti senza partito»
che patirono vite grame e di stenti, messi all' indice dagli stalinisti di
Mosca, del PCd’I e del PCF che li dipingono come traditori e spie.
Teresa Recchia, torinese, compagna di Bavassano, è l' emblema di
quei travagli: muore a 34 anni in un ospedale di Parigi ed è proprio
Boero a commemorarla in uno dei fogli dei senza partito”.119
Nel 1934 l'assalto all'Assemblea nazionale da parte delle ligues
nazionaliste in febbraio e la reazione del movimento operaio francese
mettono in moto un processo di ricomposizione unitaria e uno dei
primi passi di questo processo è in agosto il Patto d'unità d'azione tra il
PSI e il PCd'I. Un anno dopo in seguito alla tattica del Fronte
popolare adottata al VII. Congresso dell'IC e all'ingresso dell' URSS
nella Società delle Nazioni, si riconosce l'impraticabilità di una azione
di frazione ma già da tempo ritenevano vano perseverare in quella
posizione militanti della Sinistra come Michelangelo Pappalardi 120

119
A. Leonetti Un comunista, 1977
120
nel 1923 aveva partecipato all'Ottobre tedesco prendendo contatti con la
KAPD (Partito Comunista Operaio di Germania); trasferitosi in Francia alla
fine del 1923, si era dimesso dal partito, pur continuando a mantenere contatti
65
Il nuovo corso dei `fronti popolari' permette al movimento comunista
di uscire dall'isolamento e la vittoria elettorale che porta il socialista
Léon Blum al governo e soprattutto il movimento di occupazione delle
fabbriche suscitano la speranza negli emigrati italiani, che vi
partecipano in massa. Questa ripresa delle lotte sociali si traduce in
una crescita spettacolare degli iscritti alle organizzazioni operaie
francesi: dal 1936 al 1937, la CGT riunificata vede il numero degli
iscritti stranieri passare da 50.000 a 400.000. Le organizzazioni
antifasciste italiane traggono vantaggio da questo afflusso di adesioni
nuove, a partire dal 1934 anche i gruppi di lingua italiana del PCF
conoscono un nuovo sviluppo per raggiungere i 5.000 nel 1936.
Queste adesioni avvengono sulla base di un indirizzo nazionalista del
PCd'I, che nel 1936 lancia l'appello ai “fratelli in camicia nera”. Si
fonda infine nell'estate 1937 l'Unione Popolare Italiana (UPI) sotto la
presidenza onoraria di Edouard Herriot, che nel 1924 i comunisti
italiani avevano denunciano come responsabile dello scioglimento
delle Centurie Proletarie e dell'espulsione di 400 emigrati comunisti.
Boero, dopo l’esperienza nella Union Communiste con Bavassano e
Recchia nel 1936 si avvicina alla organizzazione trotskista italiana e
nel 1938 si riavvicina ai socialisti massimalisti, anche perché intanto
si sono intensificate le divisioni e le diaspore nella sinistra comunista.
Nel 1940 manda articoli per l'organo del Partito Operaio Comunista
(POC), che li pubblica anche dopo la sua espulsione dalla Quarta
Internazionale
Scoppia la guerra, Trockij è ucciso a Città del Messico; con l'occupa-
zione tedesca della Francia Boero s'impegna nella Resistenza, sostiene
la lotta armata e prende parte alla liberazione di Parigi nell’agosto
1944.

con l'ambiente comunista di sinistra. D. Erba Ottobre 1917 - Wall Street 1929
:… la tendenza di Michelangelo Pappalardi , 2005

66
Parte 5 Torino tra guerra e ricostruzione

Torino operaia nella Resistenza e “Stella Rossa”


A Torino nel 1941 dopo vent'anni riprendono, favorite dalla grande
concentrazione industriale, le lotte operaie che sfoceranno negli
scioperi del marzo di due anni dopo121. Al loro scoppio fu fondamentale
l'azione del PCI ma sia i giovani che si iscrivono al PCI ritenendolo un
partito intransigente nella difesa degli interessi proletari, sia i
vecchi militanti che pensano al partito rivoluzionario che avevano
conosciuto, criticano l’azione moderatrice del Partito durante il
governo Badoglio, che l'ancor limitata organizzazione del PCI 122 non
riesce a controllare, consentendo così lo sviluppo di gruppi
“dissidenti” di matrice comunista (bordighisti, trotschisti), anarchica
ma anche espressione spontanea della massa operaia, come il Partito
Comunista Integrale "Stella Rossa"
Su quest’ultima formazione torneremo più avanti, anche se Boero non vi
ha partecipato di persona, per una comune mentalità operaista che
caratterizza l’ambiente sociale e politico del proletariato torinese
collegandone le generazioni dall’inizio del secolo agli anni ’50 del ‘900.
In Italia nel periodo tra gli anni ‘80 dell'Ottocento e gli anni ‘50 del
secolo scorso nasce e si consuma la vicenda dell'operaio professionale
come figura del proletariato industriale. Nei primi decenni il processo
di formazione comporta l’assorbimento di valori di una società legata
a un mondo contadino vissuto secondo la tradizione. Alla figura del
contadino-operaio, dominante dalle origini alle soglie degli anni '40,
fa seguito l'operaio di fabbrica dal secondo conflitto mondiale alla fine
degli anni '60. È in tale quadro che la fabbrica diventa scuola di
impegno, documento di momenti drammatici quali la guerra e la
resistenza.
Alcune ricerche sul “caso di studio” della Torino operaia hanno messo
in evidenza l'importanza di elementi specifici di una "cultura operaia"
che non necessariamente coincide con una socialista (comunista). Per
gli operai torinesi entrati in fabbrica prima della guerra «l'orgoglio di
essere operai ha valenze che non sono quelle celebrate dal movimento
121
G. Vaccarino II movimento operaio a Torino nei primi mesi della crisi
italiana in “Problemi della Resistenza Italiana” 1966; R. Luraghi Il
movimento operaio torinese durante la Resistenza, 1958; G. Alasia Un
giorno del '43: la classe operaia sciopera, 1983; G. Quazza Operai e
contadini nella crisi italiana del 1943-44, 1974; A. Ballone Torino operaia,
1939-1962, 2003
122
Ai primi di marzo 1943 alla Fiat Mirafiori i militanti del PCI sono solo una
ottantina su 21 mila operai, alla Lancia una trentina, all'Aeronautica 72 e alla
Viberti una sessantina
67
operaio, è un diploma di merito nei confronti dei compagni non
occupati o occupati malamente, è un punto d'onore per la conquista di
una ragazza da marito, è una patente di buona volontà e di serietà,
mai l'inizio di una presa di coscienza politica» 123 E’ un comune
orizzonte esistenziale a rendere cattolici e comunisti più vicini di ciò
che sembri, emerge da uno studio sui militanti della CISL: “nella
pratica della vita quotidiana, nella vertenzialità in fabbrica, nel
lavoro delle commissioni interne molte volte … si delinea un clima di
sostanziale collaborazione” 124
Del resto, per gli operai comunisti «la centralità del lavoro non è un
ossequio alle direttive del partito, che tutt'al più la ribadiscono, ma
risale molto più indietro nel tempo» 125 una sottolineatura importante,
poiché disegna una dinamica differente da quella che vorrebbe se
operasse in presenza di un "centro" che distribuisce, per così dire,
"ideologia" e una base che la fa propria: Fondata su
un'organizzazione produttiva che precede quella dominata
dall'“operaio-massa", la centralità del lavoro è strumento
d’identificazione, rivendicazione della propria insostituibilità nel
processo produttivo, anche il luogo di costruzione della solidarietà
collettiva e del rifiuto della promozione sociale (e della carriera)
"Stella Rossa" 126 si era formata alla fine del 1942 ed aveva alla sua
testa per lo più anziani come Pasquale Rainone ("Marco") e Temistocle
Vaccarella ("Bianco"); molti tra loro sono nei primi gruppi di difesa
operaia che spontaneamente iniziano la lotta il 26 luglio con la
manifestazione di fronte alle carceri per chiedere la liberazione degli
operai imprigionati e dopo l'8 settembre sono i primi a recuperare
nelle caserme le armi, a formare gruppi di difesa nelle fabbriche e a
distribuire volantini che incitano i lavoratori ad organizzarsi e
combattere, costituendo delle formazioni partigiane in montagna.
Il movimento, strutturato come «partito leninista» con una disciplina
che non tollera «deviazioni piccolo borghesi», nell'inverno 1943 ha ot-
tocento tesserati che diventano duemila nel giugno 1944 ed è radicato
alla Fiat dove conta 500 militanti. Alla Lancia e alla Spa sono presenti
massicciamente proprio quando i comunisti incontrano difficoltà a

123
A. Ballone I muscoli della storia: militanti e organizzazioni operaie a
Torino 1945-1955 , 1987; L. Lanzardo, Personalità operaia e coscienza di
classe, comunisti e cattolici nelle fabbriche torinesi del dopoguerra, 1989
124
M. Filippa, S. Musso, T. Panero Bisognava avere coraggio : le origini
della Cisl a Torino, 1945-52 , 1991
125
M.Flores, N.Gallerano Sul PCI: un'interpretazione storica Bologna, 1992
126
A. Peregalli L'altra Resistenza. Il PCI e le opposizioni di sinistra 1943-45,
1991; R. Gobbi, Operai e Resistenza, 1973
68
penetrare nelle grandi fabbriche. Il PCI è preoccupato per le posizioni
radicali della propria base e per contrastare i movimenti dissidenti
di sinistra non esita a denigrare Vaccarella accusandolo di “rapporti
con funzionari dell'OVRA, oggi agente al servizio della Gestapo”
mentre Secchia127 accomuna il Partito Comunista Integrale al
Partito Comunista Internazionalista e a «Bandiera Rossa» di Lelio
Basso, nonostante S.R. avesse definito gli internazionalisti di
«Prometeo» «intellettuali, che non essendo gomito a gomito con le
esigenze della diuturna realtà del momento e della massa, non
trovano sufficienti accoliti tra il proletariato lavoratore»
A sua volta” Stella Rossa” critica il PCI per la collaborazione con
il governo Badoglio e l'adesione al CLN ma non mette in discussione
lo stalinismo, a cui si richiama, e contrappone alla teoria della
"democrazia progressiva" quella leninista della distruzione del
meccanismo statale borghese. Definisce fascismo e democrazia forme
diverse del dominio del capitale anche se il nazismo è il nemico
principale del momento. Battuti i tedeschi 128e i fascisti si dovranno
regolare i conti coi democratici: la caduta del fascismo dovrà portare la
classe lavoratrice a riappropriarsi delle posizioni conquistate nel
biennio rosso e ad abbattere la struttura borghese per assumere tutto il
potere
Essi associano alla forza dalla classe operaia europea quella
dell'Armata Rossa che avanza da Est, e pensano all'appoggio che il
primo "Stato socialista" avrebbe fornito. La vittoria sovietica e del
proletariato italiano porterebbe alla formazione di uno Stato unico «che
si estenderà a tutta l'Europa e a gran parte dell'Asia», ultima tappa
«verso l'estensione del comunismo a tutto il mondo».
Per “Stella Rossa” le categorie dei tecnici, impiegati, professionisti,
laureati temono di perdere con la rivoluzione i loro privilegi. La
differenziazione salariale e di status operata dal capitalismo influisce,
sull'andamento della lotta rivoluzionaria e perciò è necessario
prospettare una società comunista fondata sull’ uguaglianza
economica in cui «il lavoro è per ogni individuo non solo obbligo, ma
l'indice e il misuratore del valore del singolo».

Avventurieri politici, «Il grido di Spartaco», 26.12.1943: «"Stella Rossa" vive


127

all'infuori della grande battaglia contro l'hitlerismo che stanno conducendo i


popoli liberi e il nostro popolo che vuole riconquistare la libertà.. Gli avventurieri
ed i provocatori devono essere isolati ed additati al disprezzo di tutti gli operai».
128
”Stella Rossa” tenta di distinguere tra proletari tedeschi arruolati nella
Wehrmacht e nazisti: “Noi non combattiamo contro il tedesco, soltanto la
borghesia conduce la guerra contro altri popoli per dilaniarli e poi
asservirli, noi combattiamo esclusivamente i soldati di Hitler”
69
Parte dei militanti partecipa anche all'attività del PCI nelle fabbriche,
dove i rappresentanti delle due organizzazioni si trovano fianco a
fianco 129 e nelle fabbriche i suoi militanti distribuiscono sia i volantini
comunisti che i loro.
SR sostiene che lo sciopero è un fatto meramente passivo, essendo una
«pura e semplice astensione dal lavoro». Per coinvolgere i lavoratori è
necessario trasformare il livello raggiunto dalla lotta di classe, sino a
porre alle masse l'obbiettivo dell'esproprio della fabbrica. I lavora-
tori dovranno proclamare la «gestione collettiva dell'azienda», con
l'assunzione della direzione tecnico-amministrativa da parte dei rappre-
sentanti degli operai, dei tecnici e degli impiegati, che formano il
Consiglio di fabbrica.
Nell’aprile 1944 la "svolta di Salerno" con la scelta governativa di
Togliatti ridà slancio a SR. Vaccarella, che si era incontrato a maggio
con gli internazionalisti, cui aveva chiesto di essere presentato a
Fortichiari, Repossi, Basso, parte il 12 giugno 1944 per Milano per
partecipare ad una riunione coi movimenti di sinistra ivi operanti (il
gruppo legnanese «II Lavoratore» dei fratelli Venegoni, «Bandiera
Rossa» di Lelio Basso appena confluito nel PSIUP). La sera del 19
Vaccarella viene ritrovato crivellato da colpi di pistola.
Quando viene ucciso gli iscritti a “Stella Rossa” sono oltre duemila
contro i cinquemila del PCI. I loro punti di forza sono nelle grandi
fabbriche: la Fiat Grandi Motori e Mirafiori, dove passa da
centoventi iscritti a cinquecento.
Non si parla, in ogni caso, di collaborazione con il CLN, considerato
sempre un organismo borghese ma di un «male necessario» per
cacciare i nazisti. vinta la guerra, si dovrà giungere ad «una
soluzione proletaria della crisi».
Per il PCI è molto importante recuperare i militanti integralisti, che
sono per lo più operai. Da quando «Stella Rossa» ha accettato come
«male necessario» la funzione dei CLN le divergenze sono solo su
ciò che si dovrà fare nel dopoguerra e diventa sempre più
contraddittorio voler continuare una politica rivoluzionaria
richiamandosi all'URSS. Risulta quindi facile al PCI dimostrare che i
rapporti di forza che si sarebbero instaurati nel dopoguerra
dipendevano dagli spazi conquistati e che quindi è meglio accantonare
le discussioni ideologiche e formare un unico e grande partito. Il PCI
accanto alla "unità delle forze antifasciste" propone un leninismo in

R. Del Carria, Proletari senza rivoluzione, 1970, p. 337, e Resistenza e


129

democrazia, di S. Corvisieri 1976, p. 139 presentano «Stella Rossa» come


un'ala interna del PCI.
70
versione staliniana per convincere che i "principi" non sono stati
abbandonati, ma si è semplicemente adottato un espediente tattico.
Le trattative, dal settembre 1944 al gennaio 1945, si concludono con la
confluenza di «Stella Rossa» nel PCI dopo riunioni per convincere i
militanti, suggerendo loro di praticare una forma di "entrismo"
all'interno del partito; non pochi rimangono fuori del partito ma quando
la DC estromette le sinistre dal governo molti si iscrivono.
Nel Nord lo spazio politico a sinistra del PCI è occupato dal Partito
Comunista Internazionalista che ha una certa presenza nelle più grandi
fabbriche di Milano e Torino e federazioni attive in molte città.
Durante la clandestinità Onorato Damen, che cura la pubblicazione di
“Prometeo”, ha dei rapporti con il Movimento Comunista d'Italia
meglio noto col nome Bandiera Rossa130 ma senza sviluppi per le
divisioni soprattutto a proposito della “questione sovietica”. Il Movi-
mento Comunista pretendeva si essere “più sovietico” mentre per i
comunisti internazionalisti la rivoluzione di Ottobre era stata tradita
dal “termidoro staliniano”. Torino è l'unica città del Nord dove
ottiene un certo consenso, con la costituzione all'inizio del 1946 della
federazione promossa dall'ex partigiano Anselmi, nome di battaglia
del professor Adolfo Garro ex militante del PCI. Il gruppo il 28
febbraio 1946 si pone alla testa di una manifestazione di disoccupati
che protestano davanti all'ufficio di collocamento e il giorno seguente
la Federazione Torinese del PCI diffida i disoccupati a seguire persone
“equivoche”. La sera del 1° marzo c’è una contestazione del
“Veglione” dei giornalisti che “L'Unità” attribuisce al Movimento
Comunista e la Questura ne perquisisce la sede sequestrando il
materiale di propaganda e arrestando Garro quale “mandante morale”
dei disordini che resta in carcere 23 giorni. Il Movimento Comunista
si presenta alle elezioni del 10 novembre 1946 e prende 323 voti
mentre il PCI ne ha 104.623 e lo PSIUP 85.277.

R. Gremmo I comunisti di Bandiera Rossa. L'opposizione rivoluzionaria


130

del “Movimento Comunista d'Italia” (1944-1947) Biella.


71
Stalin sotto la Mole: il PCI a Torino
Centro dell'attività clandestina del PCI a Torino durante la guerra è la
fabbrica, in particolare alcune officine Fiat dove molti futuri dirigenti
del partito sono alla guida di un'organizzazione che dalla fabbrica si
dirama alla città.131 Gli iscritti passano dai 700 del marzo1943, ai
2.400 di dicembre; nel 1944 dai 3.000 di marzo, ai 12.000 di
dicembre; nel 1945 dai 45.000 di giugno, ai 66.000 di settembre e il
partito si trova di fronte alla necessità di organizzarli 132. Vengono
costituite 18 sezioni133, di cui 2 di fabbrica ma le iscrizioni sono fatte
nelle cellule, dove si svolge l'attività di base. L’inquadramento degli
iscritti in un tessuto organizzativo capillare fa del PCI un partito
saldamente ancorato alla base ma ad evitare il rischio che essa
influenzi le strutture intermedie se ne ridisegna l'organizzazione nel
1946 con una struttura piramidale e la formazione dei quadri.
Il principale momento di mobilitazione sono le campagne elettorali,
quando la commissione elettorale della sezione organizza gli attivisti
di cellula per condurre un lavoro capillare di propaganda caseggiato
per caseggiato, con la distribuzione di volantini, l'affissione di
manifesti e la preparazione di comizi: la mobilitazione elettorale
rappresenta un momento di grande tensione ideale, in cui la
prospettiva vicina della vittoria elettorale si unisce all'aspettativa di un
riscatto sociale.
La vita di sezione rinasce anche per la preparazione dei congressi
provinciali, con la riunione dei rappresentanti delle cellule e delle

131
Levi, Rugafiori, Vento Il triangolo industriale tra ricostruzione e lotta
di classe. 1945-48, 1974. Sulla centralità operaia A. Ballone, Il militante
comunista, in Agosti, I muscoli della storia, 1978; R. Martinelli, Storia del
Partito comunista italiano. Il partito nuovo, 1995, p. 18. Nel 1946-47 la
percentuale di operai iscritti in Piemonte è la più alta: 71%, contro il 69
della Liguria, il 59 della Lombardia e il 51 della Campania. La composizione
sociale degli iscritti a Torino è di 53% operai, 33 braccianti e salariati agricoli, 4
artigiani e 4 casalinghe. Su 49 000 iscritti al Pci nel 1951 40.000 sono operai
132
R. Gianotti, L'organizzazione del partito alla Fiat Mirafiort: 1941-
1980, in «Annali Feltrinelli», 1982; C. Dellavalle, La classe operaia
piemontese nella guerra di liberazione, R Yedid Jodice, L'organizzazione del
«partito nuovo»: il Pci torinese nel 1945-1956, in A. Agosti e G. M. Bravo,
Storia del movimento operaio, del socialismo e delle lotte sociali in
Piemonte, vol.3 e 4, 1980 e 1981; L. Lanzardo, Classe operaia e partito
comunista alla Fiat., 1971; Id. Personalità operaia e coscienza di classe, 1989;
A. Ballone Uomini fabbrica e potere, 1987
133
G. Arian Levi, Il Lingotto. Storia di un quartiere operaio «Quaderni
del movimento operaio», n. 2, 1974; C. Canteri, Memorie del nostro '900:
circoli comunisti, lotte e vita nella Torino capitale operaia, 1908-1975 , 2004
72
organizzazioni di massa (Udi, Anpi, Arci, Fronte della gioventù,
sindacati), in cui si realizza l'incontro tra i diversi ambienti che
orbitano attorno alla sezione. Il numero delle sezioni passa da 26 nel
1947 a 38 nel 1951 e 47 nel 1954, quando il Partito è già nella lunga
fase della flessione degli iscritti. Il periodo più duro comincia nel 1947
con l'estromissione dal governo, prosegue con la sconfitta del Fronte
popolare nell'aprile 1948, l'attentato a Togliatti di luglio, la firma del
Patto atlantico nel 1949, la guerra di Corea nel 1950 ma nel 1949 i
comunisti governano ancora il comune di Torino con i socialisti e il
Partito ha una posizione di prevalenza incontrastata tra le maestranze
della Fiat. Fino al 1948 in fabbrica gli operai comunisti mantengono
una indiscussa capacità di mobilitazione pur non mancando problemi
fra «partito», «classe» e direzione sindacale rispetto alla funzione
degli organismi di base (cellule, commissioni interne e consigli di
gestione) che tendono ad affermare una linea indipendente dalle
direttive provenienti dall'alto.
Nel 1949 il PCI torinese è diviso tra il partito dei politici e quello dei
«contrattualisti». I primi hanno il loro nucleo nei dirigenti della
Federazione provinciale e nei vecchi quadri passati attraverso il
carcere, il confino e l'esilio e si identificano con l'apparato: al 6.
congresso provinciale del dicembre 1947 i funzionari sono 17 su 49
nel Comitato federale e al 7. congresso del gennaio 1951 sono oltre
quaranta. La seconda tendenza ha il punto di forza negli organismi
rappresentativi delle fabbriche: nel 1950-51 la Fiom ottiene nelle
Commissioni interne della Fiat 103 seggi su 155, 100 su 165 nel 1952,
100 su 160 nel 1953 e 1954. In fabbrica il corpo militante del
sindacato si confonde con quello del partito: sono i militanti comunisti
a mantenere la rete dei legami organizzativi nei reparti e nelle officine
e nel 1950 si calcolano in 568 gli attivisti o collettori su cui può
contare la Cgil alla Fiat. Dal 1949 la direzione dell’azienda punta a
ristabilire il suo controllo all'interno della fabbrica e fino al 1955
conduce una battaglia senza tregua con la maggioranza social-
comunista alla testa delle Commissioni Interne.
La lotta per il Piano del lavoro (1949-50) pone il problema della piena
occupazione: la Fiat, dove la produzione di automobili passa dalle 86
mila unità alle 120 mila in un anno, può essere costretta ad assumere
migliaia di lavoratori se vengono contrastati il taglio dei tempi e la
pratica degli straordinari, ma è difficile un rifiuto generale degli
straordinari se i trattamenti restano bassi: «La lotta per la piena
occupazione richiede perciò l'impostazione di rivendicazioni salariali,
di revisione dei tempi di lavorazione e di revisione del sistema del
cottimo, quale è oggi applicato alla FIAT … per impedire che a
Torino si creasse una sorta di zona privilegiata, che desse luogo a
73
una aristocrazia operaia, per mantenere unito il fronte di lotta
nazionale del proletariato” Nella seconda metà del 1950 alla Fiat si
verificano fermate in tutte le sezioni contro il taglio dei tempi, per gli
aumenti salariali e la revisione del superpremio. Nel giugno 1950
scoppia la guerra di Corea, vista come il primo passo verso una nuova
guerra, e tra i comunisti si impone l'idea che il dominio dei monopoli è
destinato a rafforzarsi impedendo qualsiasi crescita della produzione e
dei consumi. Nel 1951-52 si verifica una caduta della domanda estera
e negli stabilimenti Fiat tra il settembre 1951 e il marzo 1952 si lavora
ad orario ridotto.
Ai comunisti questo appare come il segnale di una crisi più grave: il
7° congresso provinciale (Torino, 5-7 gennaio 1951) è aperto da
Mario Montagnana, che indica l'obiettivo strategico: «sotto la guida,
nel campo internazionale, dell'URSS, del partito comunista bolscevico
e del suo grande capo Stalin (i congressisti si alzano in piedi e
applaudono a lungo) e, nel campo nazionale, del glorioso PCI e del
suo amato capo, il compagno Togliatti (ancora prolungati applausi)
milioni e milioni di uomini, amanti della Pace, rafforzano, giorno per
giorno, le loro organizzazioni e sapranno salvare la Pace, bene
supremo dell'umanità». Il vicesegretario Pietro Secchia traccia un
quadro allarmante della situazione con la terza guerra mondiale in
incubazione. E’ un partito che guarda all'organizzazione interna della
fabbrica come al nucleo più prezioso delle conquiste realizzate nella
fase precedente. Il Comitato federale passa a 65 membri; degli eletti al
precedente congresso, 33 sono confermati (tra questi, i funzionari
sono 21; mentre sono 20 su 32 tra i nuovi eletti); l'esecutivo passa da
15 a 21 membri, tutti funzionari. Al congresso precedente, nel
dicembre 1947, i veterani, padri fondatori o antifascisti, erano 11 su
15 nell'esecutivo; ora sono solo otto; tutti gli altri si sono iscritti nel
periodo dal 1940 al 1945. Coloro che sono arrivati nel partito dal 1946
in poi sono assenti a questo livello; nel Comitato federale sono 4 su
75. In segreteria Luciano Gruppi, Aventino Pace, Dante Conte (l'unico
veterano), Sergio Garavini. Il partito è diviso tra chi, Mario
Montagnana, ritiene «il senso di delusione che ha avuto luogo il 18
aprile ed il 14 luglio» ormai superato e vorrebbe riprendere l'offensiva
perchè «possibile è la vittoria», mentre l’altra anima, come Celeste
Negarville, guarda alla politica delle alleanze.
Nell'aprile 1951 al «Convegno nazionale contro il supersfruttamento»
indetto dalla CGIL esponenti torinesi della Fiom presentano un
documento che collega il salario alla produttività ma Di Vittorio è
contro tale rivendicazione: noi sosteniamo che il salario deve
permettere al lavoratore di vivere degnamente e di mantenere e far
vivere degnamente la propria famiglia. Questa parola d'ordine
74
rappresenta un progresso, perché dai premi di carattere individuale
permette di passare ... al cottimo collettivo, che è un passo avanti, pur
restando ferme le riserve di principio che noi facciamo per ogni
retribuzione del lavoro ad incentivo. Pastore 134 dice: «ad ogni
aumento della produttività deve corrispondere un miglioramento per i
lavoratori»: ecco, compagni torinesi, la vostra parola d'ordine, in
ultima analisi, somiglia troppo a quella di Pastore.. Bisogna stare
attenti a non cadere in questi errori e bisogna realizzare una svolta
nel concetto dei premi". Dopo il Convegno la Cgil nazionale lancia
una vertenza che nel giugno 1952 si conclude con la rivalutazione
degli assegni familiari senza aumenti salariali. 135
Nel corso del 1951 il partito punta sul rafforzamento organizzativo in
fabbrica: la fabbrica o il territorio: è un vecchio dilemma della politica
comunista in Italia. Per anni dopo il 1947, dopo il passaggio
all'opposizione sul piano nazionale, si sono scontrati nel partito a
Torino gli operaisti che vedevano nella fabbrica il dato prioritario e «i
municipalisti». Alla fine l'elettorato decide facendo perdere alla
sinistra la maggioranza in tutti i più importanti comuni del nord alle
elezioni amministrative del 10 giugno 1951. A Torino si ferma al 39,%
dei voti; recupera due punti rispetto alle politiche del 1948. Dopo
essere usciti dal governo, i comunisti ora escono dall'amministrazione
della città. La fabbrica è l'ultimo bastione che resta sotto la loro
influenza. La partita si fa ancora più dura e difficile.
Nel settembre 1951 la Fiat reagisce alla crisi produttiva con riduzioni
di orario cui rispondono prima fermate di protesta, poi scioperi nelle
sezioni; infine la Fiom il 24 ottobre proclama lo sciopero mentre
l’azienda non fa concessioni e il 4 novembre rilancia con un’ulteriore
riduzione di orario e il licenziamento di 118 operai al Lingotto. L'8
novembre a Mirafiori ci sono scontri tra operai comunisti e iscritti alla
Cisl e la direzione chiama la polizia 136. Il 14 novembre gli attivisti
comunisti che avevano costituito la sezione sindacale di fabbrica sono
licenziati «per motivi disciplinari». Viene proclamato per il 15
novembre uno sciopero di protesta con esito deludente e allo sciopero
il 6 gennaio 1952 per il licenziamento di Santhià aderiscono a
Mirafiori solo la metà degli operai.
Il disegno politico è fallito e sarebbe logico metterlo in discussione ma
vengono invece posti sotto accusa gli esecutori" 137. Torino viene

134
Giulio Pastore (1902-1969) fondatore della CISL
135
così commentato in dialetto: “i piemunteis an giuté i meridiunai, i terun......
a Turin a l'aviu un fieul o dui fieul, a l'aviu nen set, ot o des”
136
«La Stampa», 9.11.1951
137
L. Gruppi Testimonianze di un postero, 1992
75
considerata bisognosa di aiuto sul piano organizzativo sul modello
delle brigate di «costruttori» (gli udarnik ) sovietici e a Mirafiori
arrivano per decisione del centro funzionari di partito provenienti da
altre regioni (Emilia, Toscana, Liguria, Lombardia): Luigi Orlandi che
viene da Bologna diventa responsabile dell'organizzazione; al lavoro
di massa va Noberasco, un funzionario genovese. La mobilità dei
dirigenti senza riguardo per il legame con la realtà locale era una
pratica corrente, la democrazia interna si riduce a una formalità
necessaria per coprire la decisione già assunta al vertice. Il 25 marzo
all'assemblea degli attivisti D'Onofrio che rappresenta la segreteria
nazionale è D'Onofrio tira le conclusioni in puro stile staliniano: la
spina dorsale del partito è formata da 400.000 quadri, «noi vogliamo
rafforzare la spina dorsale di altri 200.000 dirigenti». Il partito si
occupa del partito. Tutto il resto viene dopo, anche le esigenze della
classe operaia.
Nel marzo 1953 muore Stalin e per i comunisti si innesca un dramma
collettivo vissuto come la morte del padre 138 Stalin aveva a che
vedere con la vittoria della causa a cui i comunisti avevano legato la
loro vita, è una figura reale e mitica al tempo stesso «È il capo dei
comunisti di tutto il mondo» e come tale suscita sentimenti di assoluta
fedeltà; gli si attribuisce una sollecitudine particolare verso «i figli del
bisogno e della lotta». La sua stessa reputazione di crudeltà viene letta
in termini positivi. Stalin, «Baffone», «Barbisùn», è il giustiziere
chiamato a vendicare i torti subiti dal popolo. Il bisogno di una
certezza assoluta è così forte che qualsiasi verifica diretta appare
superflua; solo i resoconti favorevoli e entusiasti di ciò che accade
nell'Unione sovietica sono ritenuti veritieri; i giudizi negativi sono
respinti come opera di detrattori malevoli.
La morte di Stalin prolunga in forma cristallizzata le illusioni del
passato e gli schemi dogmatici. Le categorie mentali della cultura
staliniana, la certezza ideologica spinta fino al rifiuto della realtà,
impediscono ai dirigenti di cogliere le novità della situazione. Via via
che la realtà locale sembra sfuggire alla presa e si rivela ostile, cresce
l'attaccamento al faro lontano nella tempesta, al sogno socialista e alla
138
P. Spriano, Le passioni di un decennio, 1986, p. 153 «Appena uscito dalle
rotative il giornale di quel 6 marzo 1953, andammo a diffonderlo all'alba ai
cancelli d'entrata del primo turno alla Fiat. Gli operai piangevano. Non
riuscivano a frenare la commozione. Nessuna altra occasione, né la morte di
Togliatti, né quella di Berlinguer eguagliarono quel sentimento di strazio,
quasi di panico, proprio della perdita del padre, che la scomparsa di Stalin
suscitava nei militanti, nei lavoratori che avevano identificato in lui la causa
del loro riscatto»

76
persona che quel sogno incarna. Sul terreno politico la modalità
staliniana del ragionamento trionfa incontrastata. Si parte spesso nei
comizi dall'esempio dell'Unione sovietica. E il discorso ha un
ordinamento caratteristico: «E stato un periodo particolare. Si parlava
come Stalin, si scriveva come Stalin: A-B-C; 1, 2, 3». Ma già c’erano
state nel corso del tempo manifestazioni dedicate ad alimentare il mito
del socialismo realizzato: nel marzo 1952 l'associazione Italia-Urss
organizza un convegno sulla vita nella fabbrica sovietica. Tra i relatori
Paolo Robotti, Rossana Rossanda, Vittorio Foa.
L'uomo è morto, il simbolo invece viene immediatamente rilanciato.
Nei documenti del partito circola l'idea dell'immortalità: «Stalin è
morto, compagne e compagni di Torino, ma ci ha lasciato la
immortale eredità della Sua opera, del Suo pensiero, del Suo
esempio». La federazione torinese suggerisce di popolarizzare «i
grandi insegnamenti di Stalin diffondendo nelle assemblee di cellula
le sue opere». Sono presi accordi con i socialisti e con il sindacato
«per effettuare sospensioni e fermate in tutti gli stabilimenti, durante
le quali devono essere fatte brevi commemorazioni di Stalin, ordini
del giorno, delegazioni alla C.d.L. e alla Federazione». C'è
nell'esperienza quotidiana dei militanti un'apoteosi che si prolunga in
qualche manifestazione di culto rituale. L'«Unità» del 10 marzo dà
notizia del modo in cui Stalin è stato onorato «in molte case della
periferia di Torino: i lavoratori avevano allestito piccole «camere
ardenti»139
Tre mesi dopo, a giugno, si svolgono le seconde elezioni politiche
della Repubblica. Il PCI a Torino città ottiene il 27,4%, un punto in
più rispetto al 1948 ma alcuni in meno rispetto alle elezioni del 1946
(il 33% dei voti). Nella riunione del 24-25 giugno della Commissione
d'organizzazione Secchia ammette «un indietreggiamento nei centri
industriali per cui le nostre difficoltà maggiori le troviamo tra la
classe operaia» e, riguardo a Torino, Negarville dice: “Abbiamo
notevoli aumenti nel centro della città, tra gli strati borghesi e non
siamo andati avanti nelle zone operaie ".La linea promossa da Secchia
aveva dato scarsi risultati proprio sul suo terreno, la fabbrica e le lotte
operaie e Togliatti al Comitato centrale del 2 luglio 1953 dice: “La
mia impressione è che noi abbiamo ottenuto maggior risultato
elettorale là dove siamo riusciti a dare questo carattere nuovo al
nostro partito. Abbiamo invece stentato a ottenere successi … là dove
questo carattere nuovo non c'è, oppure abbiamo un quadro … che
139
e ancora “In corso Regina un grande ritratto di Stalin circondato da fiori e
da pagine de “l'Unità”. Ieri mattina gli inquilini dello stabile con una
brevissima cerimonia hanno deposto fiori dinanzi all'effigie dell'Uomo più
amato del mondo”
77
rimane legato a vecchie forme di lavoro ristretto, settarie e
burocratiche, che non sa dare al partito questo viso nuovo che gli
consente di comunicare con il popolo, perché non respinge, perché è
gioioso e quindi attira le masse popolari” Il bersaglio della critica è
Secchia. Il declino dell'operaismo è cominciato.
Tra il 1953 e il 1954 a Torino città si passa da 41 mila a 38 mila
iscritti. Nel 1950 le cellule sui luoghi di lavoro raccolgono il 73%
delle adesioni; nel 1951 si scende al 66%, nel 1953-54 al 56%.
L'iscrizione fuori della fabbrica è considerata meno pericolosa; d'altra
parte le riunioni della cellula dovrebbero avvenire dopo l'orario di
lavoro quando tutti hanno voglia di tornarsene a casa. Il congresso
provinciale del maggio 1954 vede la scomparsa di Lenín e Stalin tra i
ritratti sul palco. Resiste Togliatti, compare Gramsci. La generazione
dei fondatori si assottiglia; nel Comitato federale gli iscritti prima del
1943 sono ormai solo 29 su 85, la generazione della Resistenza arriva
al 50%; i funzionari sono 51, 4 i parlamentari e 34 esterni («in
produzione»). Nell'esecutivo i 17 membri sono tutti funzionari: 12 del
partito, 4 del sindacato (e Negarville è senatore); in segreteria oltre a
Sulotto, segretario della Camera del lavoro, tutti gli altri sono del
partito.
Nel 1954 la federazione pubblica un opuscolo sul tema dei monopoli:
il capitalismo è giunto alla fase imperialistica basata sullo
«sfruttamento, la rovina e l'impoverimento della maggioranza della
popolazione» e presenta un ritratto di Torino «capitale industriale» in
decadenza, con il ritiro dal settore delle grandi produzioni e il
manifestarsi di «una seria disoccupazione operaia». Invece dal 1953 si
ha una ripresa di sviluppo produttivo che è sottovalutata dai comunisti
che denunciano la stagnazione del monopolio. Il rinnovo degli
impianti alla Fiat e una politica di investimenti comincia nel 1953 a
dare i suoi frutti140 anche se le novità possono assumere un carattere
negativo: il progresso tecnico tende a rendere più intenso il lavoro, il
«taglio dei tempi» è un fatto reale. I comunisti fino al 1956 e anche
oltre non sembrano vedere lo sviluppo e i vantaggi che ne conseguono
per i dipendenti e nel 1952 presentano la “vetturetta” che per andare
incontro a un più vasto numero di potenziali acquirenti dovrebbe
produrre la Fiat, la quale ha già avviato la progettazione della «600» e
che reagisce infastidita all'iniziativa
Nell’inverno 1954 la Fiat sospende 959 dipendenti tra Grandi Motori e
Aeritalia per sbloccare le commesse americane e a gennaio Valletta
annuncia di voler costituire una unità separata per la produzione

La Fiat produce 115.000 auto nel 1951, 145.000 nel 1953, 176.000 nel
140

1954. Dal 1952 al 1953 il fatturato aumenta del 18% e l'utile raddoppia
78
aeronautica con «operai e impiegati sufficientemente scelti», cioè
politicamente fidati. Alle elezioni per le C.I. del 1955 alla Fiat la Fiom
crolla dal 63 al 36%, la Uil passa dall'11 al 22%, la Cisl dal 25 al 40%
(le autorità americane a quel punto danno il via libera a una commessa
di 70 velivoli): «non si tratta di un mutamento di fede … difficile non
cogliere un segno della razionalità operaia e della percezione dei
propri interessi immediati ... i lavoratori preferiscono allora lasciar
fare a chi ha qualche possibilità di movimento in fabbrica, di
mediazione con la direzione, a chi promette contratti aziendali …
I comunisti noti sono ormai delle mosche bianche, sempre più
separati dai nuovi operai»141 Nella politica della Fiat a quel tempo non
c'era solo il bastone della disciplina e della discriminazione politica.
C'era la carota dello sviluppo che si traduceva anche in aumenti
salariali e in maggiori provvidenze per i dipendenti. Su questa base
ricompariva e si sviluppava una forma di orgoglio aziendale tra le
maestranze. Se ne trovano tracce perfino nell'Inchiesta alla Fiat del
1958. Ai «licenziati di rappresaglia» sono rivolte una serie di
domande. Una di queste è: «Cosa rappresenta la Fiat per Torino?» In
più una risposta la supremazia della Fiat appare schiacciante.
Esempio: «La meta per chi viene da fuori, l'invidia per chi lavora in
piccole aziende il «Dio in terra» per Torino». Detto con rabbia o
sarcasmo, al di là del tono resta il contenuto letterale. Si può parlare
forse di una rabbiosa, forzata ammirazione
Prima ancora del XX congresso del PCUS le elezioni del 1955 alla
Fiat142 smuovono le acque; la sconfitta ha fatto esplodere il disagio
alla luce del sole. La classe operaia votando «come voleva il padrone»
ha tolto di mezzo l’assioma di una presenza comunista maggioritaria
tra gli operai di Torino in particolare della grande fabbrica.
Il 9. congresso della federazione torinese 143 alla fine del 1956 è
segnato dall'invasione sovietica dell'Ungheria e dalla sconfitta alla
Fiat. nella base permanevano forti dubbi, sia sulla nuova strategia
della «via italiana al socialismo» unita all'abbandono del modello
sovietico, sia sulle proposte di modifica organizzativa. In diverse parti
della federazione la necessità di rinnovare l'organizzazione e di
favorire una maggiore democrazia all'interno si scontrava con i vecchi
modelli di riferimento: il partito leninista e l'avanguardia operaia". La
discussione sulla democrazia interna al partito porta ad un confronto

141
R. Gianotti, L'organizzazione del partito alla Fiat Mirafiori cit.
142
F. Onofri, Classe operaia e partito, 1957, p. 152 definisce il voto alla Fiat
«i nostri fatti di Poznan»
143
l'«apparato federale» tra partito e sindacati» nel 1954 è composto da 63
«funzionari politici» e da 16 «collaboratori tecnici»
79
tra la base e i vertici della federazione dell'apparato dei funzionari,
avvertiti in larghi strati della base come elemento estraneo e lontano
dai sentimenti e dalla vita dei militanti. Era emerso che in diversi casi
il distacco dei funzionari e della classe dirigente del partito verso la
vita delle sezioni aveva prodotto un senso di inferiorità nei militanti
che si sentivano considerati come «minorenni della politica
Il rappresentante della Commissione interna di Mirafiori fa notare la
difficoltà dei militanti di cellula e della 16. sezione «Bravin» a capire
quella che ritenevano «teoria astratta», che poco aveva a che fare con i
problemi e la vita di un «Partito marxista-leninista». Le migliori
condizioni di lavoro degli operai, la legge Novella-Foa sui
licenziamenti collettivi, il riconoscimento delle commissioni interne e
dei contratti di lavoro, la lotta alle misure disciplinari: alla Fiat:
«questi [erano] i problemi che secondo [loro si dovevano] discutere in
questo Congresso», insieme al fatto che non ci si dovesse più «diluire
nelle masse» come invece era stato fatto negli ultimi tempi".
L'erosione degli iscritti in città raggiunge i picchi negativi di 30.481
nel 1956 e 22.768 nel 1957. Il diminuito peso del partito in fabbrica
sposta l'attenzione sulla necessità di promuovere un allargamento della
base attraverso una riforma delle strutture organizzative in cui la
sezione acquista nuova importanza per il processo di trasformazione
socio-economica e demografica dovuto alla prima immigrazione dal
sud e dalle campagne piemontesi 144. Le prime grandi ondate di arrivi
in città si registrano dal 1954, con 43.002 unità per giungere alle
75.000 del 1960. Ma già alla fine della guerra si erano registrati flussi
di immigrazione ragguardevoli: a parte il 1946 con 33.000 arrivi, fino
al 1953 si era avuta una media di 20.000 all'anno. La fine della guerra
ridà libertà di movimento: i fuoriusciti del 1926 possono tornare nelle
proprie case e si riaprono i collegamenti tra campagna e città e tra
Nord e Sud. Fin dal 1946 a Torino erano cominciati ad arrivare
immigrati in cerca di lavoro prevalentemente dal Piemonte 145, dal
Veneto e dal Friuli, dalla Sardegna, e quelli anche dalla Puglia e dalla
Sicilia146 Sono i pionieri delle migrazioni interne postbelliche, contro
144
G. Fofi L'immigrazione meridionale a Torino, 1963; Immigrazione e
industria, 1962; L'immigrazione meridionale a Torino: primi risultati
dello studio condotto dal Cris, 1963.
145
Fino alla seconda metà degli anni '50 la corrente migratoria più rile-
vante è quella tra la campagna del Piemonte e il capoluogo, con 14.000
unità annue a partire dal 1953. Sugli effetti della fuga dalle campagne
piemontesi N. Revelli, Il mondo dei vinti, 1976.
146
Fin dal 1946 arrivano a Torino 500 siciliani ogni anno, mentre dal 1950
in poi inizia a ingrossarsi il flusso migratorio dalla Puglia (3-4.000), secondo
solo a quello piemontese, con correnti annuali di 11.000 unità
80
cui si rivolgono le prime forme di razzismo e chiusura campanilistica
dei torinesi, in parte attenuatesi nel decennio successivo.
Il disorientamento politico e culturale aperto dal riflusso del dopo
‘55 si segnala come un cambiamento di prospettiva esistenziale non
limitato alla militanza e alla politica, ma che annuncia l'esigenza di
parte della classe operaia di integrarsi nella società. All'universo
comunista è difficile accettare i mutamenti sociali e culturali in
corso, l'apertura a forme di cultura che dichiarano la loro avversione
di principio ai modelli morali e culturali del partito.
L'organizzazione del partito non è in grado di coinvolgere le donne,
i giovani e il "ceto medio" e la diffusione delle sezioni è una prova
di questa chiusura. Se confrontiamo la crescita della popolazione
col numero di nuove sezioni aperte negli anni '50 appare evidente
come la Federazione fatica a tenere il passo con la città. Mentre To-
rino passava da 720.000 abitanti circa nel 1951 a 1.025.000 nel
1961, le sezioni della Federazione passavano in città da 38 a 47, con
una crescita di appena una decina. Certamente non è da
sottovalutare lo sforzo organizzativo che ci fu dietro l'apertura di
ogni nuova sezione, in termini di denaro e di impegno di validi
attivisti; tuttavia, anche alla luce delle ripetute autocritiche mosse
dalla stessa Federazione riguardo alla propria debolezza
organizzativa, è difficile credere che l'aumento di oltre 300.000
abitanti fosse stato adeguatamente compensato dall'apertura di
appena 10 sedi rionali.
Al 10° Congresso provinciale del 1960 riguardo allo «stato del
partito» si faceva notare che, al di là delle riscontrate «posizioni
settarie e reazioniste, vi sono quelle dei compagni che, pur non
avendo precise posizioni politiche, si estraniano dall'attività di
cellula e di sezione, restando in posizione di attesa» Si criticava
insomma la diffusa mancanza di iniziative nelle strutture di base,
dovuta ad una direzione politica carente, ad «organismi dirigenti (di
sezione) troppo largamente rappresentativi», «alla difficoltà di
portare avanti una più ampia politica di quadri», che spesso o si
trasferivano oppure rallentavano l'attività per l'età: inoltre spesso
«rimane(va) escluso dalle attività di sezione il quadro attivo operaio
di fabbrica, decisivo ai fini di un'azione politica a livello rionale».
Nello stesso documento si faceva notare che mentre a livello
nazionale il rapporto iscritti e votanti era di 1:3,5, a Torino si
raggiungeva un rapporto medio di 1:7, che si abbassava ancora di
più nei quartieri più densamente popolati. Nel 1960 la Federazione
del Pci a Torino arrivò a contare meno della metà degli iscritti del
1950, precisamente 30.280 tra città e provincia; nelle fabbriche la

81
maggior parte si era iscritta per la prima volta durante le lotte della
fine della guerra147.

Boero tra Torino e Parigi


Nel dopoguerra continua a vivere a Ivry sur Seine, nella banlieue di
Parigi, in cui risiede dalla fine degli anni ’30, intervallando qualche
soggiorno a Torino e in Piemonte.
Aderisce al “Partito Comunista Internazionalista” (PCInt) di Onorato
Damen e Amadeo Bordiga, sollecitato dall’amico di gioventù Luigi
Gilodi148, animatore della sezione torinese, ma spinto anche dall’
assassinio nella primavera-estate del 1945 dei comunisti dissidenti
Mario Acquaviva e Fausto Atti ad opera degli stalinisti. Sul loro
organo "Battaglia Comunista" pubblica149 tre articoli nel 1946 e due
anni dopo un appassionato resoconto sulla conclusione del lungo
sciopero dei minatori francesi.150
Nell'agosto 1946 tiene una conferenza a Perosa Argentina (Torino)
sulle «premesse storiche e ideologiche del Partito» in occasione delle
costituzione di un gruppo locale e il 3 settembre interviene alla
Camera del Lavoro di Torino contro la fissazione dei prezzi calmierati
a un livello superiore al reale potere d'acquisto dei salari, subendo
un'aggressione da esponenti del PCI.
Con Gilodi nel 1948 scrive “Marxismo Dottrina del proletariato.
Franche parole di due vecchi operai ai loro compagni di lotta e di
lavoro. M.U.R.O.” Si tratta di una lettura piuttosto pedestre della
dottrina marxista di cui a titolo di documentazione riportiamo
l’incipit.151
147
Nel 1962 dei delegati al congresso provinciale il 46,5% (201 su 423), si
erano iscritti al partito tra il 1943 e il 1945. Solo il 5,7% tra il 1954 e il
1958, mentre ancora 1'8,7% tra il 1921 e il 1942.
148
Nato nel 1883 in provincia di Vercelli, calzolaio. Iscritto al PSI dal 1914
nella sezione torinese, amministratore dell’Alleanza Cooperativa. Nel 1920
aderisce alla frazione astensionista con Boero e Parodi ed entra nel PCd’I
dalla fondazione mantenendosi fedele alla componente bordighista anche
dopo il 1924. Assegnato al confino nel 1926 e nel 1934 condannato al
confino, è vigilato fino al marzo 1942. Durante la Resistenza cade in mano ai
tedeschi che lo deportano a Mauthausen. Muore a Torino nel 1963
149
Rafforziamo la base «Battaglia Comunista» a. II, n. 18, 2-15 giugno
1946;
Vita di Partito. Dalle Sezioni «Battaglia Comunista» n. 24,1-7 sett. 1946;
L'episodio della Caproni «Battaglia Comunista», n. 26, 28 sett.-5 ott. 1946
150
Barba, Una lezione terribile «Battaglia Comunista», n. 43, 7-14 dic. 1948
151
Dattiloscritto di 22 p., in “Fondo Boero”, al Centro studi Piero Gobetti di
Torino e in “Archives Georg Scheuer”, presso l’IISG di Amsterdam :
82
Partecipa in rappresentanza della Sezione di Torino del PCInt alla
Conferenza di Bruxelles del 25 e 26 maggio 1947 che riunisce gruppi
comunisti di consigli olandesi (Spartacusbund e Gruppi di comunisti
internationalisti), il gruppo bordighista francese dissidente
«Internationalisme» animato da Marc Chirik 152, così come personaggi
come Georg Scheuer153, dirigente durante la guerra dei RKD
(Revolutionäre Kommunisten. Deutschlands) e CR (Communistes-
révolutionnaires). In una lettera à Marc Chirik del giugno 1947 si
stupisce che la partecipazione del suo gruppo non sia menzionata. Pur

“Nessuna dottrina, dopo Cristo, affonda le sue radici sul profondo suolo
vergine dell’elemento sano che costituisce l’umanità: la classe lavoratrice.
E’ dalla forza del lavoro che assurge vita e progresso tutto il sistema della
vita sociale. Marx ed Engels colmarono il vuoto. Per il proletariato, più non
hanno ragione d’essere tutte le dottrine che nascono ed assorbono la linfa
impura dello stagno d’una società decrepita, che infesta con suoi miasmi la
vita del mondo. La nuova dottrina marxista pone 1e sue basi fondamentali
sul terreno solido e tenace della classe proletaria. E’ questa l’unica dottrina
del proletariato. Or sono cento anni, nel 1848,.Karl Marx e Federico Engels
lanciarono al mondo il messaggio augurale
PROLETARI Di TUTTI 1 PAESI UNITEVI
Il commercio e l’industria, svi1uppandosi continuamente favorirono
1'estensione deg1i stabi1irnenti di produzione, Il vapore e 1a macchina
rivoluzionarono i mezzi di produzione Alle modeste manifatture venne,
sostituita 1a grande industria moderna. Ad ogni tappa dell‘evo1uzione
percorsa dalla borghesia corrispose un nuovo progresso po1itico.
L’evoluzione continua un suo corso. Da1 dispotismo feuda1e alle
associazioni comunali. Dalle repubbliche comunali al Terzo stato. Il terzo
Stato vegeta sotto 1’oppressione delle monarchie, Dai principati e dalle
Nobiltà alle monarchie asso1ute. La borghesia, seguendo lo svi1uppo della
grande industria s'impossessò del potere po1itico, e quindi del mercato
mondia1e. Dal potere politico la borghesia escluse 1e classi sottomesse I
governi moderni non sono che 1'espressione degli interessi borghesi.
Il governo non è che un comitato Amministrativo della società borghese. La
borghesia ha rotto ogni 1egame di solidarietà umana. Del sentimento
re1igioso ne fece un’arma di sfruttamento, ha spento lo spirito cavalleresco
delle antiche generazioni, ha distrutto il sentimento socievo1e bonario del
piccolo borghese. Ogni cosa venne sommersa nella fredda palude del
calcolo, del gretto egoismo e del guadagno, non 1asciando sussistere che
l’interesse del denaro. La dignità morale non ha più valore. Alle 1ibertà
civili oppose la libertà di sfruttamento. In breve: alla forma velata dello
sfruttamento nel periodo del clero e della nobiltà, la borghesia ha eretto a
sistema un metodö di sfruttamento diretto, brutale e ontoso. La borghesia ha
tolto ogni aureola alle professioni 1iberali: Medici, Giuristi, preti e poeti,
letterati e scienziati, di tutti ne fede una turba di salariati . La borghesia non
può sussistere che alla condizione di rivoluzionare incessantemente i metodi
83
non avendo «alcun mandato imperativo», a nome del suo gruppo
«[aveva] sottolineato la necessità dell’azione diretta intransigente di
classe, unica via per la ripresa del movimento rivoluzionario del
prolétariato»154
Sul settimanale “L’internazionale” di Foggia pubblica un’analisi del
libro di Victor Kravchenko “Ho scelto la libertà” (1947); un “Appello
alla Unità rivoluzionaria”, ristampa dell’articolo “Dalli al trotskista”
Nel 1949 ha contatti con il Partito Operaio Comunista (POC),
dissidente dalla IV Internazionale, collegato con il gruppo di Grandizo
Munis155 e Natalia Trotsky156, sul cui organo «L'Internazionale»,
pubblica alcuni scritti teorici (sull’Internazionale operaia e il
marxismo) riguardanti la sua ipotesi - criticata come «libertaria» - di
un'internazionale su basi rigorosamente operaie 157.
“Un' immagine degli anni Cinquanta ce lo mostra con la barba
bianca, magro nel doppio petto inappuntabile, mentre nel cortile di
una casa appoggia una mano sul bordo di una seggiola. È una foto
d'altri tempi, la foto sopravvissuta di un uomo di un' epoca
scomparsa”. 158
Negli estremi scorci della vita avverte, col peso degli anni, la
disillusione e lo scoraggiamento rispetto alla possibilità dell'
affermarsi delle idee per cui si era battuto da quando era ragazzo. Il 16
maggio del 1958 per protesta contro il putsch militare di Algeri di tre
giorni prima che avrebbe spianato la strada alla Quinta Repubblica
presidenzialista di De Gaulle, si suicida con il gas all'età di 79 anni,
nella sua casa a Ivry-sur-Seine.
Nel testamento chiede di essere sepolto avvolto con uno striscione
rosso e che tanto il testamento che le sue memorie scritte venissero
seppelliti con lui. Ma grazie all' interessamento di Alfonso Leonetti,

di produzione. Questi costanti rivolgimenti tecnici e scientifici sconvolgöno


ugualmente tutto il sistema sociale, Questa agitazione continua, questa
perpetua incertezza sono 1a perfetta distinzione dell’epoca borghese […]
152
Ucraina 1907-Parigi 1990 Militante e teorico marxista
153
Vienna 1915 – 1996 Partecipa alla conferenza di fondazione della IV
Internazionale nel 1938, tra il 1943 e il 1946 è membro dei RKD (comunisti
rivoluzionari tedeschi) presenti in Francia.
154
Jober (G. Boero), «Rectificatif. Autour de la conférence internationale de
contact»in “Internationalisme” n° 24, 15 juillet 1947.
155
Messico 1912- Parigi 1989
156
Ucraina 1882- Parigi 1962. Seconda moglie di Trotsky
157
L'internazionale operaia «L'Internazionale» a. V (Serie II), n. 4, 16
9.1949 e n. 6, 16.10.1949; Marxismo? «L'Internazionale» n. 7, 7 .11.1949
158
M. Novelli Il comunista senza patito di Villanova “La Reubblica”
18.7.2013
84
un altro grande vecchio piemontese del movimento comunista non
allineato con Mosca, le sue carte sono custodite al Centro studi Piero
Gobetti di Torino.

Torino nella ricostruzione capitalistica


Nel corso degli anni '50 il Pci torinese si trova ad affrontare una crisi
organizzativa ed un calo di partecipazione della base derivata dalla sua
radicata identità operaia combinata con la diffusione di un nuovo
clima culturale che costringe le minoranze comuniste in uno stato di
quasi isolamento politico e culturale, impegnando i comunisti torinesi
in una strenua difesa del proprio ruolo 159. L'ottica operaista contribuiva
ad inibire i tentativi di apertura mentre forme di rigidità nella
mentalità e nel comportamento dei militanti rallentavano la
comprensione dei problemi che esulavano dalla questione operaia.
La rete aziendale della FIOM alla Fiat maciullata nel 1955 è il punto
di rottura e il momento di svolta di una nuova fase di lotta 160.
Alla Fiat non si sciopera più dal 1954 al 1961 e comincia la stagione
del silenzio operaio, rappresentata nella letteratura da Marcovaldo di
Calvino (1963) e Una nuvola d'ira di Arpino (1962) e analizzata da
Adalberto Minucci e Saverio Vertone in “Il grattacielo nel deserto”
(1960). Il dominio monopolistico sulla città si impone con i suoi
moduli improntati all’americanismo. Gli operai sono come schiacciati
sullo sfondo di una società in cui il benessere è un'aspirazione diffusa
ma inappagata.
L'idea della disciplina industriale trasferita alla città non è nuova a
Torino e già alla fine del 1953 dilaga una sottomissione che non può
essere volontaria. Vittorio Valletta in un rapporto del gennaio 1954,
trasmesso dalla Fiat all'ambasciatrice americana, signora Luce parla
con il linguaggio del vincitore: “Fino al 1947 il comunismo era a
Torino, più che altrove, padrone della situazione: le sue adunate

159
«L'anticomunismo è una scelta politica totalizzante: con funzione
strettamente repressiva. Tende ad invadere il privato, a uniformare
opinioni, percezioni, costumi, a definirsi come aspirazione globale a
proibire. Si colpiscono contemporaneamente gli individui, le
organizzazioni dell'opposizione, i simboli ideologici, il dissenso, le
figure e le immagini» . V.A. Ballone, Uomini, fabbrica e potere. Storia
dell'Associazione nazionale perseguitati e licenziati per rappresaglia politica
e sindacale, Milano, 1987, p. 245.S. Bellassai, La morale comunista.
Pubblico e privato nella rappresentazione del Pci (1947-19.56), Roma,
2000. Marino Autobiografia PCI stalinista
160
Il 1955 è al centro di interpretazioni e studi: R. Gianotti, Lotte e organizza
zioni di classe alla FIAT, 1970; L. Lanzardo, Classe operaia e partito comu-
nista alla Fiat, 1971; A. Ballone I comunisti a Torino 1919-1972, 1974.
85
oceaniche vedevano scendere in piazza 80/100 mila persone vocianti
e minacciose, con bandiere e cartelli ingiuriosi che non potevano non
impressionare l'opinione pubblica. Gli scioperi politici si
susseguivano col ritmo di uno o due al mese... nelle aziende
spadroneggiavano i caporioni rossi; ogni sciopero, sia politico che
sindacale, paralizzava in pieno la vita cittadina e vedeva l'adesione
totalitaria di tutti i lavoratori ... Oggi la situazione è ben diversa: i
comunisti ... cercano ora di far quasi ignorare la loro appartenenza al
partito. Le imponenti adunate di un tempo si riducono a modesti
comizietti di poche centinaia di persone, faticosamente racimolate dai
promotori, che non di rado si vedono costretti a rinviare le
manifestazioni per mancanza di aderenti .. Le posizioni acquisite
vengono via via perdute senza nulla poter opporre, così come per i
consigli di gestione e le commissioni interne, che costituivano le
roccaforti del partito nel mondo del lavoro”
Battista Santhià dice cose simili ma opposte nei giudizi: “nelle grandi
fabbriche sono stati adottati metodi coercitivi spietati, vessatori,
concepiti per oltraggiare, per offendere la dignità...Il controllo,
l'inquisizione sul lavoratore comincia ancora prima della sua
assunzione. Si vorrebbe avere, insomma, la garanzia che il
lavoratore da assumere non abbia nulla a che spartire con la locale
sezione del nostro partito, non voglia saperne di socialismo, di
C.G.I.L” 161 Presenta i meccanismi con cui l'azienda esercita la sua
pressione sugli operai (la retribuzione legata al cottimo, la
sorveglianza, gli informatori, i trasferimenti) ma critica anche le
organizzazioni operaie: ”Nelle Commissioni interne e nei Comitati di
attivisti sindacali l'impegno necessario a un dibattito proficuo e
approfondito si ha ben raramente quando non sono in gioco specifici
interessi della categoria Persino in centri industriali avviene così che
il lavoratore organizzato, e a maggior ragione quello non iscritto alla
organizzazione sindacale unitaria, non prenda parte alle assemblee e
riunioni, ai comizi davanti alla fabbrica, nella convinzione che si
tratti delle «solite cose» udite già mille volte. “
Con gli anni '50 si conclude un ciclo che aveva visto la presenza come
attore sulla scena della storia dell'operaio militante politico e sindacale.
Ma la fine di una storia naturalmente non è la fine della storia. Un
nuovo ciclo di ricostruzione capitalistica si apre, che produce un
massiccio fenomeno di immigrazione dalle campagne piemontesi, dal
Veneto e dal Meridione; la riorganizzazione della grande fabbrica con
l'introduzione spinta del sistema fordista porta alla sostituzione

B. Santhià, Arbitrio padronale e solidarietà operaia nelle fabbriche,


161

«Rinascita», n. 8-9, agosto-settembre 1953, p. 467


86
dell'operaio professionale con l'operaio-massa. Ciò ha una risposta nelle
lotte degli anni ’70 in fabbrica e nella società che si traducono in un
periodo di conquiste economiche e di spazi politici e culturali, via via
annullate nella attuale fase di deindustrializzazione e terziarizzazione,
che vede gli operai sui tetti delle fabbriche per impedire lo
smantellamento degli impianti industriali e per reclamare il lavoro. Il
"triangolo industriale" non è più dagli anni '70 protagonista della
vicenda economica nazionale, né punto di riferimento privilegiato delle
lotte operaie. Il più colpito è lo zoccolo duro siderurgico e
meccanico. L'identità di classe è venuta così perdendo di vivezza dopo
un lungo periodo di consolidata ascesa, di conquiste di libertà e di spazi
culturali. Così alla soglia degli anni '80 si consolida una fase di
transizione che dalle originarie forme coesive di solidarietà conduce
a reticoli solidaristici minori. Gli stessi universi simbolici della
tradizione operaia si trasfigurano in modelli di comportamento
fondati su aspettative di rapida soddisfazione. ai temi del
cambiamento cede a poco a poco alla lenta corrosione delle attese non
soddisfatte. aprendo varchi alle strategie improvvisate di piccoli
gruppi, a forme individuali di autonomia e di lotta. Nel decennio
degli anni '80 il movimento operaio si dibatte nei conflitti e nei problemi
della industrializzazione avanzata, fase che fa emergere la figura
problematica dell'operaio della transizione postindustriale.
La transizione coglie l’universo operaio alle soglie dei XXI secolo: le
categorie classificatorie, gli schemi interpretativi, non rendono conto oggi
delle complessità di una realtà sociale che sembra quasi mistificare se
stessa: le differenze di ceto e di classe appaiono ricomposte in un'unità
fittizia attraverso i consumi, in un' un'illusoria uguaglianza. Una
situazione in cammino si dibatte dentro realtà di fabbrica dominate da
criteri di puro economicismo, prive dei valori che in passato
accompagnavano un’etica di impresa e i progetti della classe operaia.
La vocazione al cambiamento cerca forme nuove di realizzazione. La
partecipazione sindacale e personale ai problemi del processo
produttivo denotano una frattura in seno ad una realtà che ha subito
la scomparsa della dimensione del futuro all’interno di uno sviluppo
economico privo di razionalità: “Nel 1953, Dante Bartolini, operaio
licenziato, scriveva una canzone che cantava ancora con
convinzione, Socialismo è la nostra speranza / Di chi lavora questa
è la storia / Non è lontana la grande vittoria / Lavoratori, avanti
così. «Non è lontana la grande vittoria». La differenza principale fra
il 1953 e il 2004 è il linguaggio. Gli operai facevano le stesse cose -
scioperi, blocchi, picchetti, persino scontri fisici con la gerarchia
aziendale. Ma usavano altre parole. Nel 1953, li licenziavano a
migliaia, ma erano persuasi che la loro non era solo una lotta
87
difensiva; si sentivano come l'avanguardia di una nuova e più giusta
società. Difendere il posto di lavoro significava tenere aperta una
visione del futuro. «Storia» faceva rima con «vittoria», il passato
fondava il futuro; e anche se la lotta del 1953 era finita sostanzialmente
con una sconfitta, questa certezza - passata attraverso l'autunno caldo,
i consigli di fabbrica e le lotte degli anni settanta - non era ancora
scalfita cui quarto di secolo più tardi.…fra gli anni settanta e i primi
anni ottanta, il linguaggio era ancora quello dell'identità di classe e
della politica operaia. Nel 2004, di grande vittoria non si parlava
proprio: le parole, i riferimenti culturali erano altri. La lotta era
altrettanto dura, ma il linguaggio e la visione erano diversi … La
vittoria sperata era solo non farsi ributtare indietro, non perdere
quello che ancora si era conquistato, non tornare nel passato. La
cosa che veramente era scomparsa, fra il principio degli anni ottanta e
l'inizio del terzo millennio, era un'idea del futuro”162.

A. Portelli, Acciai speciali : Terni, la Thyssen-Krupp, la globalizzazione,


162

Roma, 2008
88
Discorso di Giovanni Boero al XVI Congresso nazionale del PSI,
Bologna, 5-8 ottobre 1919
QUARTA SEDUTA -
Compagni! Innanzitutto vi chiedo un po' di tolleranza. Se avete
rispetto per i maggiori esponenti crediamo che nel Congresso anche
gli umili abbiano il diritto di essere sentiti. Si é già molto parlato su
questo comma. La massima parte dei congressisti ha creduto che la
proposta di modifica del programma del 1892 fosse qui venuta non
per matura considerazione ma per spirito eccessivo di volontaria
violenza da una parte del congressisti; non solo, ma dai rappresentanti
di una parte d'Italia, di una regione del Meridione. Io vengo qui ad
esprimere il pensiero non del Meridionale, ma del Settentrione che
condivide col compagno Bordiga, il suo pensiero completo, nitido, qui
sinceramente da lui spiegato. E non per il suo spirito rivoluzionario, il
quale trionfa in questo momento, non perché la necessità delle cose,
la maturità degli eventi indicano al P.S. Internazionale il dovere di
cambiare tattica da quanto fu l'azione del passato. La rivoluzione del
'48, la rivoluzione della Comune non potevano considerarsi quali
rivoluzioni rnarxistiche appunto perché mancava la maturità storica: la
ragione acché il programma di Marx avesse la possibilità di attua-
zione. Il socialismo in quei tempi era all'inizio sconosciuto, non era
sviluppato il progresso nelle industrie. Il proletariato non esisteva, ai
primordi il principio delle organizzazioni. Passammo dunque un
periodo di 30, 40 e più anni, nel quale la evoluzione della storia ha
fatto si che la concezione di Marx si fosse avvérata: l’accentramento
del capitale e la forte organizzazione del proletariato. Ed ora non
assistiamo più alle rivoluzioni nelle quali la borghesia giocava nel suo
interesse, ma abbiamo la perfetta rivoluzione proletaria Questa Era
dischiusasi in quest'ora cosi grave é necessario che da noi sia tenuta in
considerazione non solo per quanto succede in Italia, ma per gli
avvenimenti di tutta l'Europa, di tutto il mondo. Se fu quindi
indispensabile propagare il verbö rivoluzionario, sviluppare la téoria
Marxistica nel primo periodo del nostro Partito, nell'ora in cui il
proletariato ancora non era assurto in forza vitale; se fu naturale che il
proletariato alla sua adolescenza si fosse servito di tutti i partiti, di
tutti i mezzi di lotta anche a mezzo della borghesia per difendere i
propri interessi, per propagare il proprio ideale, entrando pur anche
nelle istituzioni borghesi: per sondare, studiare,scoprire tutto il marcio
che é in mezzo ad essa; per acquistare coscienza, acquistare
ammaestramento nell'interesse della propria causa, ora più non
valgono questi mezzi Siamo al fatto compiuto Non è più teoria, è fatto
latente, fatto stabile. Noi vediamo che la predicazione teorica di un
tempo non ha più valore per la conquista immediata del potere da
89
parte del proletariato, il quale aspira alla realizzazione dell'ideale
comunista "il verbo fatto carne". Vi é nel mondo un'oasi dove già
queste nuove idee si sono potentemente affermate. Quando nel fatto
fisiologico noi vediamo affermarsi una parte di qualche nostra
aspirazione, non dobbiamo abbandonare questo principio a se stesso;
dobbiamo cercare il mezzo perché ogni molecola, ogni cellula si
raggruppi in questo piccolo corpo formato, perché trionfi dalle forze
avversarie essendo figlio dell'opera nostra, figlio della nostra idea,
delle nostre aspirazioni Anticamente non era possibile questa azione.
La disorganizzazione, non solo del proletariato locale, ma
internazionale; l' impossibilità di stabilire rapporti fra gli operai del
diversi paesi: la forza della borghesia nel passato non dava la
possibilità di una azioni pratica per la difesa delle rivoluzioni
precedenti; ma ora si impone l'azione fattiva e diretta; e tutti noi lo
conosciamo; ed é tanto vero che lo riconosciamo, in quanto che noi
stessi abbiamo accettato il programma redatto a Mosca per la difesa
della nuova istituzione, "la Repubblica del Soviet" Se dobbiamo
svolgere un'opera fattiva in favore, non solo del proletariato russo, ma
di difesa del principi comunisti, non possiamo perdere dietro a ciò che
fu l'opera del passato e non sarebbe nemmeno possibile, poiché ci
troveremmo in uno stridente contrasto: continuare l'opera lunga e
sfibrante per le piccole riforme, mentre la borghesia tenta di soffocare
ciò che é il primo inizio del nostri esperimenti. (Applausi). Dobbiamo
dunque cominciare per formare qualche cosa di stabile. Il nostro
Partito glorioso per l'opera sua svolta. per molti anni, dopo avere dato
cosi maestoso esempio di forza e di coerenza in un grave periodo
come quest’ultimo, seguito da un grande numero di masse, fortemente
organizzate, ché già destarono il timore della borghesia, deve quindi
innanzi tutto non fermarsi su ciò ché fu il programma del passato ma
cominciare dalla trasformazione del titolo e del programma dél
Partito. Noi non crediamo che ciò possa considerarsi quale atto di
spregio per il partito stesso; riteniamo anzi che appunto da questo atto
audace possa veramente scaturire il principio per l’attuazione del
nuovo programma. Il titolo di oggi é il portato del programma del
1892. Oggi apparteniamo al Partito Comunista ed il PSI non può
essere se non che una sezione del comunismo internazionale.
(Applausi). Siamo conseguenti: dopo il titolo dobbiamo accettare il
programma. Programma chiaro ed esplicito, poiché esso indica che
possono aderire al PC Internazionale solo coloro che abbandonano i
sistemi di lotta della democrazia. E cosi chiaro ed esplicito che, nella
elencazione degli aderenti a questo Partito sono enumerati appunto
tutti i maggiori esponenti del massimalismo, tutte le frazioni, i gruppi,
le sezioni delle organizzazioni comuniste internazionali. Credete voi
90
che a questo partito possano aderire tutte le frazioni? Destre e sinistre?
Ognuno di voi può farsi la propria convinzione, ma noi crediamo che
si debba sinceramente dichiarare dinnanzi al Congresso se intendiamo
seguire questo programma fino alla fine o se lo accettiamo pro forma
per poi tradirlo al primo avvenimento. Questo non deve accadere, ecco
dove è necessario spiegarsi schiettamente. Si è parlato delle diverse
condizioni rivoluzionarie a seconda la località dell'una all'altra parte
del mondo, le quali possono influire sul procedere e sull'esito di un
battaglia. Io espongo qui brevemente il mio pensiero: la maturità del
proletariato per un movimento rivoluzionario non cade giù dal cielo
per virtù di un qualche spirito. Ma essa avviene quando questo
proletario sarà educato a questa funzione storica e saprà cogliere il
momento favorevole. La Borghesia (e tutti lo constatiamo) ha
compiuto l'ultimo suo sforzo con questa guerra micidiale, la borghesia
è riuscita all'apice del suo progresso, ed al massimo stadio
dell'accentramento del capitale. Non è possibile che essa possa fare
altre importanti evoluzioni Il compito ora spetta ai lavoratori. Se vi
furono dunque delle differenze fra i movimenti rivoluzionari di
Russia, d’Ungheria e di Germania, non possiamo tutto attribuire alle
diverse condizioni del paese. Questi paesi erano vinti, erano soffocati
la Russia, la Germania e l'Ungheria. Ciò che dobbiamo però constatare
è la diversa scuola praticata nei diversi paesi, la quale ha influito
immensamente sulle masse operale, rendendole atte alla vittoria nella
Russia e vinte negli altri paesi. L'errore più grave che riscontriamo in
questo caso sono appunto le teorie esposto in principio e l’azione
svolta in precedenza dai dirigenti degli organi politici ed economici in
dati paesi. Secondo noi, la rivoluzione ha vinto in Russia perché colà
si agiva con spirito rivoluzionario, sostenuto e propagato da dirigenti
degli organismi politici ed economici. E’ caduta nelle altre parti dove
questo non era. La educazione della massa ha fatto sì che non ha
potuto maturare ove mancava lo spirito vivificatore, perché le
medesime condizioni di vita si verificavano dall'una all'altra parte. In
Germania é accaduto il disastro perché vi é stato un grande errore di
tattica. E questo errore dei dirigenti tedeschi non é limitato agli
organismi tedeschi, ma é seguito purtroppo anche da molti dirigenti
delle organizzaziöni di altri paesi e specialmente dell'Italia stessa. Non
faccio accuse, compagni, perché ognuno ha la sua fede e la sua
coscienza; esprimo il mio pensiero. Io credo che se il proletariato della
Germania non fosse stato educato con troppo ottimismo verso l'azione
legale, e troppo pessimismo per l'aziono rivoluzionaria; se la classe
operaia della Germania non fosse stata indotta a fidare troppo sul
valore dei propri dirigenti, noi forse non avremmo avuto la guerra
prima e, forse, non avremmo avuto il seguito dei Noske e dej
91
Scheidemann. E per l'Ungheria. L’Ungheria è stata soffocata dalle
truppe dell'Intesa. L'Ungheria anche se aveva questa preparazione
rivoluzionaria, fu perö organizzata all'ultimo istante. Maldestri i suoi
capi; insufficienti i quadri di resistenza; deficienza di rapporti
internazionali; mancanza di una organizzazione tecnica precedente. E'
stata soffocata dalla Borghesia; ma noi possiamo anche batterci il
petto e dire che qualche .colpa di questo sofföcamento, di questa
sopraffazione é anche nostra. Se noi avessimo accolti i primi appelli
lanciati dalla Russia, i disperati appelli degli Ungheresi, forse questa
sciagura non dovremmo accusare. Io ricordo l'anno scorso un grande
appello al Congresso di Roma dei popoli di Russia; a me pare che di
fronte ad esso qualunque compagno, ogni socialista che avesse
mantenuto lo spirito battagliero e di solidarietà, avrebbe dovuto
abbandonare tutte le teorie del legalismo democratico, svolgendo
un'azione pratica per correre veramente in difesa di questo glorioso
proletariato. Non si é fatto. Per quattro giorni si svolsero lunghe
discussioni sull'operato del gruppo parlamentare e tutto ebbe fine. Ora
siamo nel medesimo campo, compagni. Si presunta la medesima
situazione. Da una parte vi sono i sostenitori dell'antico sistema,
dell'antico programma. Questi vi dicono che l'antico programma dà
diritto di appartenenza nel partito a tutti. Si ripetono gli stessi fatti dei
Congressi di Reggio Emilia e di Ancona. Tutti, anche allora,
sostenevamo il diritto di appartenenza al Partito con questo
programma. Un colpo di forza del Congresso ci ha tolto dai piedi il
marasma e si é proseguito talmente sulla nuova strada, cha il Partito
non si é trovato con maggior debolezza, ma si é rafforzato. Ora siamo
nelle medesime condizioni. A questo programma ognuno può aderire:
vi possono aderire coloro che riconoscono nel bolscevismo il seguito
delle teorie marxiste; coloro che diffamano il bolscevismo e di esso
dicono raca, e che non riconoscano in esso un programma comunista.
Ciò é molto equivoco, compagni. Ed allora dobbiamo esporre
lealmente il nostro pensiero. Se in questo programma del Partito del
1892 non esiste una precisa linea di condotta, noi dobbiamo per forza
di cose stabilirla in questo Congresso. Non é luogo di fare discussioni
lunghe, rendere inutile una discussione di cosi alta importanza. In
questo Congresso si deve delineare una via di azione precisa.
Abbiamo il programma della frazione massimalista elezionista. In
esso si espongono trasformazioni per l'azione futura; ma in questa
modifica del programma, si afferma che la differenza del programma
astensionista si riscontra solo in ciò che riguardä la partecipazione alle
elezioni politiche. I compagni elezionisti espongono un programma di
lavoro, di azione rivoluzionaria e non comprendono che esiste un
antagonismo fra le due azioni. Noi siamo più logici, lo hanno
92
riconosciuto i compagni stessi; non solo nella teoria, ma anche nella
pratica. Siamo contrari alle teorie anarchiche (i compagni nostri ve lo
hanno spiegato perché non possiamo aderire a queste teorie), e siamo
contrari alla idea sindacalista perché il nostro principio non ha basi
solamente economiche, ma basi politiche. Ciò che ci separa é tutto il
nostro sistema di azione di classe, che ci spinge fuori di ogni
partecipazione alle istituzioni borghesi, mettendoci sulla linea d'azione
comune adeguata alle condizioni del momento attuale, non d'Italia
sola ma dell'Europa nel dopo guerra. Noi possiamo continuare l'opera
di propaganda fra gli operai, esponendo programmi di azione
immediata: e d'altra parte fare opera di pompieri spegnendo I'incendio,
che abbiamo provocato per mandare al Parlamento i rappresentanti del
Partito. Io posso domandare a voi cosa questi compagni potranno fare.
Essi faranno l'opera che ha detto il compagno Lazzari: "l'opera che
dovettero fare sempre" Dunque, nulla che possa differenziare di
quanto fu l'opera passata, del gruppo parlamentare. I nostri compagni
dovranno interessarsi di ciò che avviene nel campo borghese; ciò é
indispensabile. Io vorrei vedere qualunque di voi che con tanto
pensiero rivoluzionario avesse in animo di foggiare l'aula parlamen-
tare quale centro del movimento insurrezionale. Là dentro si
esporranno ed avranno sicuro dibattito le proposte di legge per le
riforme tributarie, vi saranno leggi del lavoro cha avranno diritto ad
una parola pro e contro; vi saranno alleanze politiche da stabilirsi fra
gli Stati che più si conciliano colla esigenze politiche dello Stato
borghese. Tutte queste condizioni, che possono parere di poco valore,
assorbiranno tutta la attività, tutto il valore del gruppo parlamentare, di
tutti i nostri migliori compagni; per lo che, il programma massimo di
azione resterà perfettamente abbandonato, non essendo possibile
l'ambiguità, l'azione di piazza e l'attività parlamentane. Ritenendo
questo fatto inevitabile noi non possiamo assolutamente accettare
detto programma. Affermate che noi siamo del tecnici, siamo dei
programmatici e non abbiamo esposto un programma di azione.
Studiammo nel lungo periodo di tempo trascorso nel Partito i
programmi di azione quali essi furono, e trovammo che fu utile un
tempo conseguire e sviluppare I'azione opportuna. Vediamo ora che
tutto il lavoro necessario del passato non sarà più possibile al nostri
tempi. S'impone la preparazione tecnica fra gli operai. Parte
sostanziale del nostre programma: in primo luogo, noi intendiamo che
escludendo la partecipazione alla lotta elettorale, il proletariato dovrà
sviluppare in altro modo tutta la forza che ha nelle sue mani per la
creazione delle nuove istituzioni. Se continueremo ad illudere il
proletariato sul benefici che sene potranno ottenere, soffocheremo
completamente tutto I'ardore rivoluzionario per la conquista del più
93
alti diritti e per la conquista della, completa redenzione del lavoro.
Questo non lo vogliamo. Insegneremo al proletariato che la conquista
dei pubblici poteri non si compie attraverso la rappresentanza politica
in seno ad una istituzione borghese. Indicheremo al proletariato che
deve fidare nelle sole sue forze, iniziando un'aziono vigorosa per la
istituzione duna diretta rappresentanza da nominarsi solo dai
lavoratori per ogni singola categoria. Dunque, non rappresentanza
nelle istituzioni borghesi, ma nelle istituzioni proletarie Noi dobbiamo
svalorizzare ciò che é il Parlamento tutto, ciò che forma la roccaforte
della borghesia. Fintantoché questo non si farà, continueremo a
coltivare l'illusione che per mezzo del Parlamento sia possibile la
trasformazione dei pubblici poteri. Questo non è concepibile, disse il
compagno Treves «fossimo 50 o 100 rappresentanti al Parlamento, noi
non potremmo far niente di differente da quello che é stato fatto fino
ad oggi». Quindi poiché da quella parte non é possibile il
raggiungimento dei nostri scopi, é necessaria la lotta violenta contro la
borghesia, e questa violenza é specificata nel nostro programma.
Questo programma non lo dobbiamo abbandonare. In questo è il
nostro principio... Non si può smentire nemmeno dalle interruzioni e
dagli urli dei compagni. Dal nostro programma parte il principio dei
consigli operai, la formazione dei commissariati dei lavoratori, non
per dopo il trionfo della rivoluzione, ma in precedenza, onde aver
preparati i mezzi tecnici, pratici, per prendere le redini ed assumere la
gestione della nuova società. Guai a noi se continueremo ad attendere
il momento, attendere che scocchi l'ora della Rivoluzione per
preparare i nostri quadri. Compagni quell'ora non sarà troppo lontana,
ma ci troverà impreparati, come furono impreparati gli operai di
Germania, e come sono stati impreparati gli operai di Ungheria. Noi
chiediamo dunque che il Partito prenda da questo Congresso una
posizione netta per la lotta del proletariato internazionale, scegliendo
una direttiva che favorisca l'istituzione di nuovi organi del proletariato
stesso, perché i lavoratori possano veramente prepararsi al possesso
delle istituzioni dominate dalla borghesia. (Applausi). Non menomate
il valore politico dei consigli, ai quali si attribuisce solo funzione
economica. Noi non veniamo qui a dirvi che si debbano formare i soli
consigli degli operai, ma vi diciamo che si debbono istituire i
Commissariati per tutti i rami dell'attività sociale. E non solo per ciò
che riguarda l'attività sociale dal nostro paese, ma vogliamo appunto
iniziare il lavoro di sondaggio e di preparazione con i compagni
dell'estero. Abbiamo parlato ed abbiamo salutato il compagno
Morgari, ma la funzione che egli compie ora dovrebbe esserlo più
vasta e completa, per raggiungere la maggiore unità e concordia, con
tutti i proletari degli altri paesi, che aderiscono al nostro programma,
94
non solo per quanto possa valere la forza numerica degli aderenti al
nostro Partito, ma perché possano gli sfruttati degli altri paesi salutare
il proletariato italiano nell'ora dell'aziono decisiva. (Mormorii), Noi
dobbiamo avere la sicurezza che dal proletariato non possa mancare
questa solidarietà (rumori, conversazioni nella sala, segni di
stanchezza).
………
MAIEROTTI. - Ha diritto di parlare'.
Voce. - Libertà di parola assoluta a tutti gli oratori!
BOERO. - Sarò brevissimo. Si é detto che le condizioni dell'Italia
possono esser differenti da quelle di altri paesi; si é detto che potrebbe
all'Italia accadere come all' Ungheria. E appunto per evitare questo
che noi non possiamo attendere. Se questo non comprendete, farete
ciò che a voi pare, noi che lo sentiamo profondamente, vi dichiariamo
che se attendiamo l'ora che incalza senza prepararci all'azione,
toccherà certo anche a noi la stessa sorte. Vi serva questo a
dimostrarvi che i vostri urli sono poco logici. Abbiano detto: La
preparazione dei Consigli, dei Commissariati del proletariato per tutti i
rami. Dobbiamo avere degli uomini di fiducia nostri, che dirigano le
istituzioni nostre, per preparare una situazione di solidarietà con il
proletariato comunista estero, per la preparazione; per tutto ciò che
sarà necessario; per l'alimentazione; per il materiale di offesa e di
difesa. Questo si impone, non per l'ultimo momento, ma é dovere che
si provveda in precedenza. I fatti appoggiano le nostre asserzioni.
Abbiamo visto il movimento contro il caro-viveri, movimento
puramente economico, ma abbiamo bensì visto che, se a questo si
fosse dato carattere politico, non una Sezione era preparata alla
necessità del momento. (Applausi). Si impone dunque che questa
preparazione pratica, tecnica di mezzi, sia sentita da questo Congresso
e venga compresa nei programmi che qui saranno esposti.
Preparazione dei Consigli, preparazione per il materiale, per
l'importazione e l'esportazione degli alimenti; e preparazione della
difesa. Qualche compagno ci dipinge quali ingenui, barricadieri, con
le bombe in tasca e con il pugnale alla mano. Abbiamo un molto
differente pensiero. Sappiamo che é il proletariato in divisa che dovrà
appoggiare la rivoluzione; e noi che sosteniamo questa tesi non
attendiamo il domani per la preparazione dell'esercito. Noi l'abbiamo
fatta, benché non siamo dei meridionali; e vi cito due casi
semplicemente: a Torino, nei momenti di sciopero, furono mandati i
fanti della brigata Sassari. Dopo non molti giorni la brigata Sassari era
ricacciata da Torino. Perché? (Vivi applausi). E' la verità. Mandano
allora il 50. fanteria. Dopo poco tempo rinviano anche questo: tutti
erano conquistati alla nuova idea ed intervenivano ai comizi nostri. La
95
brigata Calabria ugualmente. In un periodo di pochi mesi sono tre
reggimenti che si portano via perché propagandati da noi. E ciò senza
bombe e senza pugnali, ma colla volontà della preparazione materiale.
e spirituale. Quando un sassarese, un sergente, osò nel suo paese
condannare un soldato, proveniente da Torino, per le sue idee
conquistate da noi, questo sergente fu severamente punito con la pena
di morte da parto dei compagni che vendicarono il milite e l'idea da
essi professata. Cosi si conquistano le armi. Compagni! Noi non
veniamo a dirvi di prepararci allo barricate e allo bombe. Per la
preparazione di ciò che noi vogliamo non occorrono deputati: i
deputati non servono, poiché servono le rappresentanze del
proletariato nei suoi consessi diretti, i quali dovranno provvedere a
questa azione. (Approvazioni). Nei vecchi organismi i dirigenti sono
coloro che agiscono a loro piacimento: bastano tre individui per
esempio, dei ferrovieri italiani, per tradire tutta la massa dei lavoratori.
(Applausi).
Voce. - Quelli non sono deputati!
BOERO. - Sono organismi del passato con tutto il loro vecchiume che
viene a galla.: sono i nodi che vengono al pettine. Abbiamo bisogno
dunque della preparazione in questo campo; preparazione che non sia
come quella dei ferrovieri. come quella della marina, nelle mani di un
Capitano Giulietti che gira l'organizzazione a destra e a sinistra a suo
talento. (Commenti).
Abbiamo bisogno di rinnovare tutto; tutte queste organizzazioni: l’
organizzazione dej postelegrafonici anche, perché domani possono
rendersi utili al nostro scopo. Ed in questa opera grandiosa cercare la
collaborazione dej tecnici, dei quali tanto abbiamo bisogno. Lavoratori
del callo, ma anche lavoratori della penna! Quanti ingegneri, quanti
uomini d'intelletto e di studio, abbiamo bisogno che siano con noi, per
dare l'opera loro fattiva, e la loro capacitä, per la preparazione di
questi nuovi organismi. Ma per fare questo, compagni, non basta
questo ordine del vostro programma, perché con esso possono entrare
nel Partito tutti : da destra a sinistra, e, ha detto il compagno Barberis,
«può venire anche il Papa... ». (Rumori).
Noi vogliamo anche che la tecnica sia la massima importanza per il
Partito. Abbiamo bisogno di portare nelle campagne, non dej candidati
con un grandissimo programma pii o meno democratico o
massimalista, dobbiamo portarci fra i contadini ed insegnare ad essi il
modo di aprire gli occhi al nuovo orizzonte. (Rumori e conversazioni
grida di: basta, basta).
Voce. - Concludi, concludi!
EOERO - Si é detto che 1. nostri contadini noti si trovano nelle
condizioni del contadini di Russia, e che questi non vengono a noi
96
perche vogliono la terra divisa in proprietà. Certo, cosi sarà, se non
diremo loro che queste piccole proprietà saranno più di danno che di
interesse (rumori, interruzioni vivaci) se non dite loro che il
Comunismo é... (interruzioni vivacissime, battibecchi fra l'una e l'altra
frazione nella sala. Il Presidente scampanella lungamente finche si
riesce ad avere un po' di calma).
Non mi dilungo più oltre, ma lasciatemi concludere. Se noi dobbiamo
esporre i programmi pratici di ciò che é nello nostre aspirazioni, é
logico e giusto che qui portiamo tutto le questioni che possono
sorgere. Voi vi servirete del contadini per la campagna elettorale, e
parlerete a loro nel comizi per lo elezioni; noi ci serviremo di quei
comizi per propagandare loro la necessità di nominare i propri consigli
dei contadini in ogni singolo paese. (nuove interruzioni). Questo
vogliamo che avvenga fin d'ora. E solo con questo mezzo, quando la
diretta rappresentanza dei contadini sarà riconosciuta, ed il Partito
avrà la forza. d'imporsi a ciò che possono essere le istituzioni della
borghesia, solo in questo modo il programma dell'elezionismo avrà
valore con liste elettorali composte di soli lavoratori. Nel programma
vostro si dà adito a soddisfare ambizioni personali, interessi
individuali locali che, se ad un tempo si potevano tollerare, sono
assolutamente biasimevoli nel periodo attuale. (Rumori, proteste).
LO SARDO. - Domando la parola per una mozione d'ordine.
BOERO. - Occorrono degli uomini per la diffusione del nuovo
programma Comunista. Noi lo abbiamo accettato; dobbiamo
svilupparlo nelle masse. Abbiamo aderito a questo Partito Comunista
Internazionale, dobbiamo far conoscere lo spirito di questo
programma. Se non lo facciamo tradiremo nel medesimo tempo la
deliberazione presa. (Approvazioni). Se noi andremo e prospetteremo
un programma senza specificare ciò che esso voglia dire in merito al
nuovo ordine della rivoluzione comunistica, noi faremo opera inutile e
non riusciremo certamente a trascinare con noi il fattore principale
della rivoluzione, cioè il militarismo: elemento massimo conquistato
nella Russia. Per questo é necessario che tutti gli uomini del Partito,
che abbiano possibilità e conoscenza degli individui fra i tecnici e fra i
corpi armati, possano incominciare l'opera loro per la preparazione
della guardia di difesa rivoluzionaria. Solo in questo modo noi avremo
esplicato il nostro compito, preparando l'attuazione completa del
programma di Mosca. E' inutile ripetere che i Commissariati dei
lavoratori debbono essere eletti con lista speciale composta pretta-
mente di operai, di lavoratori delle braccia e del pensiero: nelle nostre
istituzioni, non nei parlamenti, dovendo svalutare tutte le istituzioni
borghesi che non servono che per lo sfruttamento e da salvaguardia
del diritti del capitalisti. (Approvazioni, applausi e rumori). Ed io
97
concludo con questa affermazione votata dalla Seziona di Torino, in
una delle ultime assemblee: "Considerate le grandi difficoltà per
I'assunzione, del potere, la difficile opera di preparazione pér la
funzione pratica del nuovo esercizio: considerata la condizione
instabile del momenti cha attraversiamo con la probabilità di eventuali
sorprese di rivolgimenti politici, riteniamo che i Commissari designati
dovranno sollecitamente dedicarsi per una più profonda e pratica
organizzazione tecnica, trovandosi al momento opportuno saldamente
provvisti di elementi ed all'altezza del loro compito per la precisa
effettuazione del grande ed urgente problema degli approvvigiona-
menti e di tutto chi che riguarda la conquista dei pubblici poteri". In
queste conclusioni non vi può essere errore di scelta, negando la
possibilità della conquista del pubblici poteri per mezzo della lotta
elettorale, noi riteniamo che l'azione immediata si debba svolgere
nella formazione tecnica degli organi proletari per la gestione di tutti i
rami delle attività sociali. Per conseguenza noi accettiamo
completamente la mozione presentata dal compagno Bordiga.
(Applausi).

98
Le autobiografie dei militanti proletari in Italia

In questo libro abbiamo utilizzato l’autobiografia di Giovanni Boero


custodita al Centro Piero Gobetti di Torino, che consiste in alcuni
quaderni manoscritti di sue memorie con la trascrizione dattiloscritta
di 258 pagine, che si ferma all’agosto 1917. La sua scrittura, in terza
persona, è influenzata dalla "letteratura d'appendice”, il lessico è
limitato e non mancano alcune ripetizioni ma nonostante ciò (o forse
proprio per questo) è significativa.
Intendiamo a questo punto approfondire l’analisi del “genere
letterario” delle autobiografie, che è stato definito un “contratto
storicamente variabile tra l'autore e il lettore in cui non viene
certificata la verità, ma l'autenticità: la menzogna, la dimenticanza, la
deformazione non minano l'autenticità del racconto, garantita
dall'identità tra autore e narratore”. 163
Le autobiografie, un tempo ignorate come fonti, sono in grado di
contribuire in modo rilevante alla conoscenza storica 164, ma vanno
lette tenendo presente che un racconto autobiografico per definizione
compie delle scelte165 e talora censura : l'autore racconta ciò che
decide di raccontare al lettore attraverso il filtro della memoria:
“L’utilizzo in ambito storiografico di una narrazione autobiografica
pone il problema che l’autore è insieme anche la propria fonte: ciò
che ne scaturisce non è quindi «la» verità; è «una» verità” 166

163
P.Lejeune, Il patto autobiografico Bologna 1986, ed. or. 1975
164
M. Gribaudi Storia orale e struttura del racconto autobiografico
«Quaderni storici», 1978, n. 39; Id., Percorsi individuali ed evoluzione
storica: quattro percorsi operai attraverso la Francia dell'Ottocento, Ibid.,
2001, n.106. L. Passerini, Storia e soggettività. Le fonti orali della memoria,
Firenze, 1988; R. Caputo, M. Monaco, Scrivere la propria vita.
L'autobiografia come problema critico e teorico, Roma, 1997; P.Gabrielli,
Mondi di carta. Lettere, Autobiografie, Memorie, Siena, 2000; Q. Antonelli,
A. Iuso Vite di carta Napoli, 2000; F. Ferrarotti Storia e storie di vita, Roma
1981 e 995.
165
«Come il romanzo, la storia trasceglie, semplifica, organizza, racchiude
un secolo in una pagina. E questa sintesi propria del racconto non è meno
spon-tanea di quella prodotta dalla nostra memoria quando rievochiamo gli
ultimi dieci anni della nostra vita» P. Veyne "Come si scrive la storia", 1973,
p. 11
166
M. Revelli Maurizio Garino: storia di un anarchico, "Mezzosecolo",
1984
99
Negli anni settanta e ottanta la “microstoria”167 ha spezzato il pre-
giudizio che solo la vita di protagonisti «eccellenti» fosse degna di
essere raccontata, con "la scoperta che la storicità ...non è riservata
agli ambienti acculturati".168 Così sono emerse storie di vita di oscuri
personaggi. La società in cui i militanti proletari scrivevano la propria
storia era segnata da un forte squilibrio nel possesso delle competenze
linguistiche169: la scrittura ha rappresentato uno strumento di
emancipazione, ma è stata anche all'origine di nuove forme di
controllo sui ceti subalterni tramite la scuola, fondate sulle differenti
possibilità cognitive e comunicative offerte dalla lettura e dalla
scrittura 170
Inoltre va considerato che all'interno stesso delle organizzazioni che
propugnano l'emancipazione dei ceti subalterni si riproducono i
rapporti di potere e la gerarchizzazione. 171
A questo punto elenchiamo le autobiografie dei militanti proletari
italiani utilizzate per anno di pubblicazione:
1930 Rinaldo Rigola Rinaldo Rigola e il movimento
operaio nel biellese:autobiografia
1931 Giovanni Germanetto Le memorie di un barbiere
1944 Mario Montagnana Ricordi di un operaio torinese
1960 Paolo Moro Non vogliamo morire: un popolo in movimento
1967 La vita dei braccianti romagnoli ad Ostia in un diario inedito
d'un operaio In “Rassegna Storica del Risorgimento”, fasc. 1, 1967
1968 Diario di un'operaia di fabbrica. - Bologna : Edizioni dehoniane,
167
C. Ginzburg, Microstoria:due o tre cose che so di lei, in "Quaderni
storici", n. 86, 1994 (ora in Il filo e le tracce, Milano 2006).
168
D. Roche, Così parlò Ménétra. Milano 1992, p. 23.
169
F. Giagnotti “Storie individuali e movimenti collettivi: i dizionari
biografici del movimento operaio”, Milano, 1988; Martyn Lyons La culture
littéraire des travailleurs. Autobiographies ouvrières dans l'Europe du XIX
siècle,«Annales» luglio-ottobre 2001
170
D.Marchesini, Città e campagna nello specchio dell' alfabetismo (1921-
51) in Fare gli italiani, Bologna 1993; E. De Fort, Scuola e analfabetismo
nell' Italia del '900, Bologna 1995. D. Roche, Il popolo di Parigi. Cultura
popolare e civiltà materiale alla vigilia della rivoluzione, Bologna 1986;
G.Contini, Operaismo e innovazione. Militanza politica e alfabetizzazione
imperfetta, in "Problemi del socialismo", n. 2-3, 1988
171
“il rapporto fra classe dominante e subalterna non esaurisce il terreno
dello scontro di potere [ma] penetra anche dentro la classe subalterna
distinguendo al suo interno dominanti e dominati. Il verticismo della
storiografia operaia è anche frutto di caratteristiche proprie della classe
operaia” V. Foa, Storia come autobiografia, in “Dieci interventi sulla storia
sociale”, p. 49.
100
1970 Roberto Bandiera Il passo del Reno
1971 Stefano Schiapparelli Ricordi di un fuoruscito
1971 Luigi Allegato Socialismo e comunismo in Puglia.
Ricordi di un militante 1904-24
1972 Amerigo Clocchiatti Cammina frut
1972 Salvatore Cacciapuoti, Storia di un operaio napoletano
1973 Giuseppe Gaddi Ogni giorno tutti i giorni
1973 Reclus Malaguti, Lo scontro di classe
1974Teresa Noce Rivoluzionaria professionale
1975 Arturo Colombi Vita di un militante: dalla 1.guerra
mondiale alla caduta del fascismo
1976 Emma Turchi, La felicità è la lotta
1976 Antonio Antonuzzo Boschi, miniera, catena di montaggio:
la formazione di un militante della nuova CISL
1977 Alessandro Vaia, Da galeotto a generale
1977 Vittorio Vidali Giornale di bordo
1977 Antonio Roasio, Figlio della classe operaia
1978 Giulio Cerreti I ragazzi della fila rossa
1978 Tommaso Di Ciaula Tuta blu : ire, ricordi e sogni di un
operaio del Sud
1979 Giovanni Guastalli Il boscaiolo: vita dura di un sindacalista
CGIL dal '21 al '78
1980 Paolo Robotti Scelto dalla vita
1980 Leonardo Speziale Memorie di uno zolfataro
1981 Italo Nicoletto, Anni della mia vita: 1909-1946
1981Cesare Collini La svolta vincente
1982Gino Cavicchioli Autobiografia di un comunista dell’Alfa Romeo
1982 Aldo Magnani Sessant'anni di un militante comunista reggiano
1983 Giovanni Pesce Il giorno della bomba
1984 Valerio Dalle Grave Sindacalista di valle
1984 Maurizio Garino storia di un anarchico, "Mezzosecolo",
(poi Il sogno nelle mani: Torino 1909-1922, 2011)
1988 Gaetano Seminara Una vita, un'idea: autobiografia di un
operaio comunista
1988 Amato Bei Ricordi di un operaio comunista
1991 Giuseppe Alberganti Autobiografia di un sovversivo
1993 Gelmino Ottaviani Cipolle e libertà : ricordi e pensieri di un
operaio metalmeccanico alla soglia della pensione
1994 Gaspare Bono La lista del gallo : autobiografia di un proletario
siciliano
1995 Giuseppe Schiavon, Autobiografia di un sindaco
1997 Irea Gualandi L'utopia e il reale
1997 Giovanni Mandelli La mia vita in Walter Mandelli Ricordi
101
di fonderia
1997 Mauro Capecchi Autobiografia di un operaio comunista 1913-67
1997Danilo Bigongiari Parola di un operaio “antico” La mia
fabbrica
1997 Emilio Lupichini Ricordi di un operaio : diario di una vita
per la politica, 1920-1968
1998 Donato Antoniello Da Mirafiori alla S.A.L.L. Una storia
Operaia
2000 Norma Guerri Quando divenni operaia
2003 Giuseppe Gaeta Un proletario nella storia
2004 Piero Baral (a c.) Diario di Ada operaia in manifattura :
cronaca di lotta operaia in val Chisone
2005 Venanzio Bizzarri Da Maresca a Hallstahammar : memorie
di un ottuagenario operaio, partigiano, ingegnere
2005 Franco Buttignon Prigioniero della logica : diario di
un metalmeccanico 1973-2004
2005 Domenico Marchioro Autobiografia giovanile: un
vecchio militante delle lotte operaie
2006 Gino Montemezzani Come stai compagno Mao?
2006 Franca Smiderle Diario di un'operaia
2007 Giovanni Domaschi Le mie prigioni e le mie evasioni : memorie
di un anarchico veronese dal carcere e dal confino fascista
2009 Carlo Soricelli La classe operaia è andata all'inferno : Diario
di un metalmeccanico
2010 Maria Pia Trevisan L' operaia che amava la sua fabbrica:
anni di Mivar e di impegno : quasi un'autobiografia
2011 Gaetano Gervasio Un operaio semplice : storia di un sindacali-
sta rivoluzionario anarchico (1886-1964)
2011 Gino Maistrello On sparaso difarente
2015 Carmine Cannelonga Professione: perseguitato politico:
autobiografia di un bracciante pugliese
2017 Arturo Ferraris In memoria di un giovane operaio
torinese vittima del terrore fascista
In questo elenco, naturalmente non esaustivo, compaiono solo le
autobiografie pubblicate: altre sono presenti negli archivi che
raccolgono scritti (diari, epistolari, memorie) di gente comune sorti
nel corso degli anni ’80: l’Archivio Diaristico di Pieve S. Stefano,
l’Archivio Ligure di Scrittura Popolare di Genova, l’Archivio di
Scrittura Popolare di Trento.
Si tratta di testi di vari livelli di scrittura, ispirazione ideologica, ecc.,
che meritano un approfondimento che non può qui trovare posto.

102
Le “storie di vita” consentono di acquisire documenti non
raggiungibili coi metodi tradizionali di ricerca 172. Non sono solo
cronaca di cose succedute nell’arco di un esistenza, ma anche riflessione,
colloquio con se stesso e coll’intervistatore:“Nel caso di un intervista
l’intervistato non si limita all’autobiografia, ma nar-rando se stesso
ad un' altro comunica all’interno di un rapporto a due. Spesso
intervistatore e intervistato sono figure sociali differenti (oltre ad
appartenere a tempi storici distanti)”173
Permettono anche di scoprire i rapporti che legano un'esperienza
singola a una più ampia realtà culturale e storica. Il vissuto quotidiano
dell'operaio si dilata oltre i confini della fabbrica, si prolunga nel
sindacato, nel partito, nel quartiere, nel circolo, nella famiglia, nella
cooperativa, seguendo trame personali.
Anche qui elenchiamo per anno di pubblicazione le più importanti
raccolte di interviste aventi a riferimento ambienti operai:
1957 Edio Vallini, Operai del Nord.
1971 Danilo Montaldi Militanti politici di base.
1974 Pietro Crespi Esperienze operaie : contributo alla socio-
logia delle classi subalterne.
1978 Luisa Passerini, Storia orale : vita quotidiana e cultura
materiale delle classi subalterne.
1979 Pietro Crespi. Capitale operaia : storie di vita raccolte tra le
fabbriche di Sesto San Giovanni.
1980 Ritanna Armeni, Paola Piva Noi vivremo del lavoro : viaggio
al tramonto di un mito.
1981 Sesa Tatò A voi cari compagni : la militanza sindacale ieri
e oggi: la parola ai protagonisti
1984 Luisa Passerini Torino operaia e fascismo : una storia orale.
1985 Franco Alasia Biografie operaie, in “Milano e il suo terriitorio”
p. 415-452
1986 Paola Nava La fabbrica dell'emancipazione: operaie della
Manifattura tabacchi di Modena.
1986 Nadia Caiti Una storia, tante storie : operaie della Bloch
a Reggio Emilia, 1924-1978.
1988 Gilberto Cavicchioli, Testimonianze di socialismo mantovano:
1900-1950.

172
D. Bertaux Racconti di vita : la prospettiva etnosociologica; Milano,
1999; G. Contini, A. Martini; Verba manent: l'uso delle fonti orali per la
storia contemporanea, Roma, 1993; B. Bonomo Voci della memoria : l'uso
delle fonti orali nella ricerca storica, Roma 2013 G. Contini, Fonti orali,
fonti scritte: un confronto, in" Classe", n. 18, 1980, pp. 285-328
173
M.Revelli Maurizio Garino: storia di un anarchico, cit.
103
1988 Marco Mietto, Maria Grazia Ruggerini Storie di fabbrica:
operai metallurgici a Reggio Emilia negli anni '50.
1989 Liliana Lanzardo Personalità operaia e coscienza di classe:
comunisti e cattolici nelle fabbriche torinesi del dopoguerra.
1994 Maria Pia Trevisan Racconti di donne in fabbrica. 1994
F. Ferrarotti - P.Crespi La parola operaia: cento anni di storie
di vita operaia, 1892-1992.
1995 G. Garigali, Memorie operaie : vita, politica e lavoro a
Milano 1940-1960
1997 Lorenzo Bertucelli Nazione operaia : cultura del lavoro e vita
di fabbrica a Milano e Brescia, 1945-1963
1997 Pietro Crespi La memoria operaia.
2007 Mauro Boarelli La fabbrica del passato : autobiografie
di militanti comunisti (1945-1956).
2007 Anna Turra Storie dalla SNIA : esodi del Novecento.
2008 Tiziana Calzà La fabbrica, il lavoro e la memoria: l'industria
ad Arco raccontata dagli operai, 1930-2007.
2010 Alessandro Casellato, Gilda Zazzara Veneto agro: operai
e sindacato alla prova del leghismo, 1980-2010
2011 Aris Accornero Quando c'era la classe operaia : storie di vita
e di lotte al Cotonificio Valle Susa.
Le auto-rappresentazioni seguono moduli narrativi ricorrenti e
utilizzano stereotipi che rinviano ad identità collettive e sono rivelatori
di atteggiamenti culturali, visioni del mondo, interpretazioni della
storia comuni e diffuse; abbiamo quindi provato a scomporre le
biografie seguendo alcuni filoni e proponendo spunti anche se
frammentari ed episodici.

Il contesto familiare
Ogni autobiografia operaia riflette gli intrecci e condizionamenti dovuti
al rapporto con l'ambiente fisico, con il reticolo di scambi nel
quartiere o nel caseggiato. I valori del gruppo famigliare, i modelli
di solidarietà acquisiti alle origini dell'esistenza personale svolgono
un ruolo influente di connessione e di definizione di una esperienza di
vita, costituendo l'intelaiatura di supporto del racconto biografico.
A titolo esemplificativo riportiamo alcuni “incipit”:
“Figlio di braccianti agricoli del vercellese, nacqui ultimo di tre
fratelli e certo il meno sfortunato, perchè mentre io emettevo i primi
vagiti, mio fratello di otto anni cominciava la dura vita dei campi. La
mia famiglia, come tutte le famiglie dei braccianti della provincia,

104
viveva nella più nera miseria. Mio padre lavorava 120-180 giornate
all'anno, la mamma dalle 40 alle 60.”174
“Sono nato in una famiglia di mezzadri, quarto di tredici figli che la
mia povera mamma aveva cominciato a procreare dal 1901 175
“Nacqui in un casolare coperto di paglia a solo piano terra senza
pavimenti nelle stanze in aperta campagna nelle ultime abitazioni di
Padova. La mia infanzia la trascorsi nell'aperta campagna” 176
“Ero il quarto di dodici figli quando dovetti andare a garzone...mi
fecero lasciare gli studi prima della quinta elementare. In casa
lavorava solo mio padre, tornitore meccanico. Mia madre aveva
comperato a rate una macchina per fare le calze e cercava di
guadagnare qualche lira affaticandosi a manovrare un volante dalla
mattina alla sera. Il pane non era “libero”. Dopo che avevamo
ricevuto la nostra porzione veniva rinchiuso nella credenza”177
“sono nato in un paese della provincia di Vercelli. Mio padre e mia
madre era operai tessili: Sono l’ultimo di sei figli. Quattro di essi
morirono prima che io nascessi: Neanche mio padre ho conosciuto:
morì che avevo appena sei mesi. A nove anni cominciai a lavorare
presso la fornace Cerruti nel periodo delle vacanze scolastiche.
Lasciai la scuola dopo la 5. elementare e all’età di 13 anni (nel 1914)
fui assunto in qualità di apprendista fabbro per 10 ore al giorno a 5
centesimi orari di paga”178
[i miei nonni] "vivevano in una catapecchia in mezzo alla campagna,
in una frazione di Gussola. Erano braccianti giornalieri poveri, che
avevano conosciuto anche gli stenti dell'emigrazione. Mangiavano
quasi sempre polenta, solo qualche volta la minestra, e la carne
l'assaggiavano quando tiravano il collo a una gallina in occasione
delle grandi feste. Non avevano luce elettrica e alla sera accendevano
un lumino ad olio perché la lampada a petrolio costava troppo. I soldi
che guadagnavano bastavano appena per non morire di fame"179.

L’ideologia del lavoro


Le fonti orali ci permettono di ricostruire il significato che i lavoratori
diedero al lavoro il quale, oltre che un'esperienza personale e parte
importante dell'identità sociale, è stato incorporato nell'ideologia del
movimento operaio: nata con il socialismo, diventa ideologia
spontanea degli operai industriali. Posto al centro di un progetto di
174
A.Roasio “Figlio della classe operaia”, cit.
175
R.Malagutti “Lo scontro di classe”, cit.
176
G.Schiavon “Autobiografia di un sindaco”, cit.
177
S. Cacciapuoti “Storia di un operaio napoletano”, cit.
178
S. Schiapparelli “Ricordi di un fuoruscito”, cit.
179
A. Vaia Da galeotto a generale, cit.
105
trasformazione politica, il lavoratore dai margini della società é stato
collocato al centro, investito di un compito palingenetico.
Oberti si definisce “taborettista”, da intendersi come falegname
specializzato, quale il più diffuso “ebanista” o “stipettaio”, ma in
prevalenza ha lavorato nei reparti falegnameria di fabbriche del settore
metalmeccanico.
All’epoca dominava una rappresentazione dell’operaio come uomo
forte, virile: il modello dell’operaio che “forgia ferro e fuoco” è
ripreso dalle canzoni popolari della fine degli anni ’20: “Ferriera”
(Cherubini-Bixio), “La canzone dell’operaio” (Attanasio-Staffelli),
“Fischia la sirena” (Simi-Neri).
Esisteva un orgoglio per la propria appartenenza professionale 180 che
è stato particolarmente sviluppato, ad esempio, in categorie come i
metallurgici visti come “operai evoluti, istruiti, dallo spirito vivo e
deciso, ribelle e maturo nella sua contestazione...erano definiti
“giovani e focosi la massima parte” in un rapporto del Questore di
Milano del 1862, dieci anni dopo il “Secolo” si rivolgeva ai
meccanici come ad operai “istruiti e intelligenti” 181. Il primo
segretario della FIOM sosteneva che gli operai metallurgici avrebbero
dovuto farsi aristocrazia operaia assumendo il ruolo sociale previsto
dalla loro collocazione produttiva182 e il sindacalista Fernando
Santi:"l'operaio metallurgico intelligente, orgoglioso della sua dignità
professionale, che sta a testa alta davanti al padrone, rispettato e
rispettoso, che legge l'Origine della specie e frequenta l'Università
Popolare e i loggioni della stagione lirica, che ammira la tecnica
tedesca e odia il Kaiser.”

Il quartiere - la borgata
Con lo sviluppo industriale si formarono nei pressi degli stabilimenti
gruppi di case e quartieri abitati in prevalenza dagli operai che vi
lavorano ed in cui la vita si svolge in un “«clima» prodotto dalla lunga

180
Sulle figure professionali operaie si veda: R. Coriasso Giacche blu: i
lavoratori del gas, 1901-1977, Milano, 1991; Id. Lavoro e energia:
lavoratori elettrici e sindacato, 1884-1945, Milano, 1988; A. Marianelli, I
lavoratori del vetro, Milano, 1983; G. .M. Longoni L' arte dei cappellai:
lavoro, imprese, organizzazioni tra 19. e 20. secolo, Sesto S.Giovanni, 2001;
F. Della Peruta, S. Misiani, A..Pepe Il sindacalismo federale nella storia
d'Italia, Milano, 2000 (sulle categorie: vetrai, tipografi, edili, ferrovieri, ecc.)
181
D.Bigazzi Fierezza del mestiere e organizzazione di classe: gli operai
meccanici milanesi (1880-1900), "Società e Storia", 1978, n.1, pag.87-88;
G. Maifreda. "Lavoro e fabbrica nella Milano del XX secolo", "Storia della
Camera del lavoro di Milano", vol.5., Milano, 2006.
182
E. Verzi "I metallurgici d'Italia nel loro sindacato", Roma, 1907
106
pratica d'interrelazioni consolidate, di conoscenza e di esperienza
sociale, espressione d'una comune memoria e d'un comune destino,
che farà della gente della barriera un composto umano
particolarmente disponibile all'azione collettiva spontanea 183”
Molti sono gli studi e le monografie locali, ma qui ci limitiamo a
fornire qualche spunto riguardante la realtà torinese:
“Gli abitanti delle borgate naturalmente erano i più poveri; operai delle
«boite», ferrovieri, tramviari, lavoranti della fabbrica di ghiaccio e dei
vetri, mugnai, contadini, braccianti, ecc. Tra essi numerosi erano gli
analfabeti e moltissimi, quasi tutti, coloro che si ubriacavano almeno un
giorno alla settimana. Erano uomini che vivevano nelle difficoltà economiche,
che lavoravano 70 e più ore la settimana o passavano mesi di disoc-
cupazione per le continue crisi di produzione che colpivano le fab-
briche. In questo caso andavano a fare i contadini, gli ortolani, i
carrettieri, s'aggiustavano come potevano, insomma; ma spesso, molto
spesso, non ci riuscivano. Qualcuno tirava avanti con i pochi centesimi
che guadagnava la figlia sarta o la moglie lavandaia. Ma il risultato, più o
meno, era sempre il solito: quello di rasentare la miseria, di continuare a
vivere male. Questa era la nostra barriera di Nizza al principio del
secolo. Eppure, malgrado queste sue povere condizioni, aveva già dato vita
a due circoli popolari.... Nel primo si riunivano gli appassionati di musica
che si fregiavano del nome de «L'Internazionale»,nel secondo si
riunivano i ferrovieri...” 184
“La Barriera di Milano era prevalentemente operaia. Si può dire
che l'influsso socialista è nato lì, e poi è stato alimentato in certo
qual modo dall'immigrazione di contadini del vercellese, del
biellese, cioè delle zone nord del Piemonte. Questa massa di
immigrati andava ad abitare in Barriera di Milano, ma, mentre le
altre barriere, come quella del Lingotto (Mirafiori era soltanto una
cascina allora) assorbivano l'immigrazione che arrivava da
Pinerolo, mentre Borgo San Paolo assorbiva la parte di montanari e
contadini che veniva dalla Val di Susa, dalla Val di Giaveno, si
può dire che quelli del vercellese erano i più combattivi, i più
rivoluzionari, specialmente anarchici, perché nel vercellese
c'erano numerose roccaforti anarchiche. Invece in Borgo San
183
M. Revelli Maurizio Garino cit.
184
C. Canteri Memorie del nostro '900 : circoli comunisti, lotte e vita nella
Torino capitale operaia : il Circolo Marx e il Circolo Garibaldi, Torino,
Barriera di Nizza, 1908-1975, Milano 2004; L. Gambino, L'espansione urbana
e i sobborghi operai; Due barriere e un «sobborgo di seconda fascia» attorno al
1900: Campidoglio, barriera di Nizza e Lingotto, in “Il sogno della città industriale
Torino tra Ottocento e Novecento, 1994; G. Levi Il lingotto : storia di un
quartiere operaio (Torino, 1922-1973), 1975
107
Paolo e Borgo Vittoria erano più numerosi i socialisti, perché
contribuivano a tenere su la massa socialista anche alcuni borghesi. E
in questa massa socialista del centro sono venuti fuori Tasca e
Togliatti” 185

La scelta socialista
La memorialistica spesso restituisce una immagine monolitica della
scelta socialista che alla fine del XIX secolo, anche se non coinvolse
la totalità degli operai industriali e solo marginalmente il mondo
contadino, fu un fenomeno di massa complesso e drammatico. La
formazione dei primi movimenti operai e socialisti è strutturalmente
legata alla centralità della motivazione etica: «Le questioni che
provocavano la massima intensità della passione collettiva erano
molto spesso quelle che ponevano in discussione le consuetudini
tradizionali, la giustizia, l'indipendenza e l'economia famigliare e non
tanto dirette questioni salariali»186. Lo sviluppo industriale aveva rotto
i tradizionali rapporti comunitari e solidaristici producendo nuovi
rapporti sociali e nuove forme di mentalità imprenditoriale 187.
Anche durante il regime fascista, al di sotto di una coltre di mitologia
(il destino imperiale di Roma, ecc.), si svolgeva una comunicazione
sociale e una spontanea attività proletaria in continuità con la cultura
del movimento operaio prefascista, che negli anni della crisi
economica del 1929 assunse forme nuove di anticapitalismo e
soprattutto di filosovietismo (l'Urss dei primi piani quinquennali - di
cui conosciamo adesso anche i tragici risvolti - contrapposta al
dissesto delle società occidentali).
Il mito dell’URSS
L’identità politica dei militanti che abbracciarono il comunismo tra gli
anni trenta e gli anni cinquanta si costruì sul mito dell'Unione
Sovietica e di Stalin188. Erano elementi mitici, ma in larga parte
spontanei, e facevano parte di quella continua "invenzione" del
socialismo dal basso in opposizione al fascismo, che era nata ben
prima di questo e aveva una moralità peculiare, che dava luogo a un
aspetto e a una configurazione nuova dell'immaginario socialista.

185
Maurizio Garino in R. Armeni, P. Piva Noi vivremo del lavoro, cit.
186
E.P.Thompson "Società patrizia cultura plebea", Torino, 1981.
187
R. Williams,Cultura e rivoluzione industriale : Inghilterra 1780-1950 ,
Torino 1968; K. Polanyi La grande trasformazione : le origini economiche e
politiche della nostra epoca , Torino, 1976
188
B. Baczko, Staline: fabrication d'un charisme, in, Les imaginaires
sociaux. Mémoires et espoirs collectifs, Paris 1984.
108
Milioni di persone in tutto il mondo scoprirono la possibilità di un
radicale mutamento sociale e si mobilitarono per realizzarlo, ma era
anche sterile, imponeva un modello già pronto, offriva uno spazio
ristretto di progettazione189
Quella generazione di comunisti torinesi facendo un bilancio tra gli
incerti e terribili inizi della rivoluzione comunista degli anni ’20 e il
mondo del “socialismo reale” quale appare negli anni ’60, dopo la
“attraversata del deserto” degli anni ’30, non può che compiacersi dei
risultati ottenuti (la vittoria in guerra, l’industrializzazione, le imprese
spaziali) che loro appare consolidata e intangibile. Ccon l’eccezione
di Felicita Ferrero190 non condanna apertamente le purghe staliniane, si
limita a parlare di “momenti altamente drammatici”, le rivolte di
Berlino Est (1953), della Polonia e dell’Ungheria (1956) vengono
rimosse

189
P. Spriano “L’amore per il padre” in Le passioni di un decennio, Milano,
1986; P. Hollander Pellegrini politici : intellettuali occidentali in Unione
Sovietica, Cina e Cuba, Bologna, 1988; M. Flores, F. Gori, Il mito dell'Urss.
La cultura occidentale e l'Unione Sovietica, Milano 1990; P.P. D'Attorre,
Nemici per la pelle. Sogno americano e mito sovietico nell'Italia
contemporanea, Milano 1991; L'Urss il mito e le masse, "Annali della
Fondazione G. Brodolini e della Fondazione F. Turati", n. 3, Milano 1991 G..
C. Marino, Autoritratto del Pci staliniano. 1946-1953, Roma 1991.
190
Felicita Ferrero, Un nocciolo di verità, Milano 1978
109

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