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DIBATTITO TRA INTERVENTISTI E NEUTRALISTI

Allo scoppio della prima guerra mondiale, l’Italia si proclama neutrale,


poiché non vuole partecipare all’interno della Triplice Alleanza. Dunque
il governo, guidato da Salandra, consultandosi, ovviamente, con il re
Vittorio Emanuele III, prende tempo proclamando la propria neutralità.

La Triplice Alleanza era un’alleanza militare tendenzialmente difensiva,


stipulata da Depretis nel 1882, con la Germania e l’Austria-Ungheria,
col ne di sostenere l’imperialismo e proteggersi reciprocamente
rispetto alle politiche estere di Inghilterra e Francia.

L’Italia (il governo italiano) nutre però molti dubbi riguardo


quest’alleanza, così prende tempo proclamandosi neutrale.

Infatti, allo scoppio della guerra, l’Italia si spacca, si divide: si dividono i


partiti, sia l’uno contro l’altro, sia al loro interno, si dividono gli
intellettuali, le forze sociali, si dividono i cittadini e l’opinione pubblica;
si accende un duro dibattito, si apre una frattura radicale tra neutralisti
(coloro che la guerra non la vogliono) e interventisti (coloro che, invece,
voglio l’ingresso in guerra dell’Italia).

I primi, i neutralisti, sono caratterizzati dal dire “no” all’intervento


dell’Italia in questa guerra.

Tra di loro spicca Giovanni Giolitti, personaggio chiave della politica


italiana a inizio 1900. Giolitti non è contrario alla guerra in nome di un
idealismo, ma in nome del pragmatismo, il quale è la sua cifra politica.
Secondo il politico infatti, l’ingresso in guerra dell’Italia sarebbe una
catastrofe sia dal punto di vista economico, che dal punto di vista
sociale, in quanto l’Italia non è né economicamente né militarmente
preparata alla guerra. Dunque, per Giolitti, non si dovrebbe scegliere la
guerra né a anco dell’Alleanza, né a anco dell’Intesa (Inghilterra e
Francia), posizione quale sta avendo crescita in Italia. Per di più,
rimanendo neutrale, l’Italia potrebbe avere dei vantaggi sia economici
che politici, avendo contatti economici-commerciali con tutti i paesi in
contesa; oppure si potrebbe fare un’alleanza commerciale con l’Intesa,
sostenendola economicamente. Ma schierarsi politicamente e
militarmente con una delle due fazioni, secondo Giolitti, signi ca
trascinare il paese in una crisi economica e sociale da cui sarà di cile
sollevarsi. In più, Giolitti ha capito, come molti altri analisti, che, con
questa guerra, l’impero Asburgico, attraversato da spinte etniche e
nazionalistiche, rischia di cadere.

Tra gli altri neutralisti troviamo anche i socialisti. Gli italiani socialisti
sono contrari alla guerra e nel 1914 hanno fatto anche manifestazioni.
Sono contrari perché è la guerra della borghesia che manda a morire i
proletari, gli operai, i contadini. È la guerra della macelleria sociale. Ma,
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pur essendo contrari, i socialisti moderano la propria posizione contro
la guerra, nasce, infatti, tra di loro, il motto “non boicottiamo né
appoggiamo”.

Anche gli anarchici non vogliono la guerra in quanto la vedono come


macelleria sociale, ma hanno una posizione di erente da quella dei
socialisti, in quanto credono che questa opposizione alla guerra vada
combattuta nel mondo del lavoro, attraverso le classi subalterne.

In ne, tra gli interventisti, troviamo la Chiesa, contraria alla guerra sia
perché mossa da idealità, dato che questa, molto probabilmente, sarà
un massacro e porterà a una drammaticità sociale che sconvolgerà
l’Europa, sia per motivazioni pragmatiche: l’idea di uno schieramento a
favore dell’Intesa, con i russi, ortodossi, gli inglesi, anglicani,
parlamentaristici e liberali, e i francesi, laici, illuministi e tecnologici, non
fa impazzire la conservatrice Chiesa Cattolica; che, per di più, non
vuole schierarsi contro l’Impero Asburgico, l’ultimo grande impero
cattolico del mondo. In aggiunta, con questa guerra ci sarà confusione,
disastro sociale, e potrebbe avanzare una nuova forza in Europa,
tramite i socialisti e i comunisti, i quali vogliono la repubblica, lo stato
ateo-materialista. Il comunismo è il grande nuovo nemico della Chiesa
Cattolica. I cattolici sono, quindi, contrari alla guerra. “Fermate
quest’inutile strage” Benedetto XV.

Invece tra gli interventisti, coloro che la guerra la vogliono troviamo,


innanzitutto, il Governo (Salandra e Sonnino), il quale ritiene che questa
guerra si debba combattere, e si debba combattere a anco dell’Intesa,
in quanto permetterebbe l’espansione dell’Italia (posizione simile ai
nazionalisti).

Poi troviamo i Nazionalisti e gli Irredentisti: i primi vogliono la guerra per


fare dell’Italia una grande nazione, imperiale, egemone nel
Mediterraneo e nell’Adriatico; gli altri la vogliono per ottenere nalmente
il Friuli Venezia Giulia, il Trentino Alto-Adige e eventualmente anche
pezzi dell’Istria. Queste due forze trovano il consenso anche dei liberali
e dei moderati.

Tra gli interventisti troviamo anche molti intellettuali, tra cui spiccano
Salvemini, il quale, spinto dall’ideologia democratica, sostiene la guerra
contro gli imperi centrali (Germania e Austria), in quanto regimi
conservatori, autocratici e antidemocratici, e D’Annunzio, il quale reputa
che la guerra sia liberatoria, energetica, che farà la storia dell’Italia, che
porterà indipendenza, sovranità e grandezza all’Italia.

Poi ci sono i futuristi, i quali credono che la guerra sia ciò che svecchia
la storia, ciò che fa sì che i popoli non si addormentino. La guerra è
velocità e modernità. Marinetti descrive la mitragliatrice come una
“dama capricciosa”, la trincea come un luogo d’amore.

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Tra gli altri interventisti troviamo anche i socialisti massimalisti, i quali
vogliono la guerra in quanto è quell’evento che può svecchiare l’Italia e
abbattere il vecchio regime liberale parlamentare uscito dal
Risorgimento, vedono la guerra come elemento di rivoluzione, che
spazzerà via i vecchi equilibri. Tra questi spicca la gura importante di
Benito Mussolini, che per questa posizione viene espulso dal partito
socialista, di cui era il direttore del giornale (“Avanti!”).

Anche la Con ndustria, l’organizzazione del padronato italiano, sostiene


l’ingresso in guerra dell’Italia. Gli imprenditori vogliono la guerra per i
tra ci commerciali-economici, la vogliono per trarne vantaggi.
L’industria vede nella guerra un a are. Lo Stato sosterrà l’industria nel
trasformarsi in industria bellica. Ci sarà un legame tra banche, industria
e governi intorno alla guerra: la banca nanzierà la guerra, lo Stato
nanzia le aziende e la guerra. La guerra farà girare del denaro.

In ne, tra gli interventisti, troviamo molti giornali di spicco, tra cui il Sole
(che anni dopo sarebbe diventato il Sole 24 Ore) e il Corriere della Sera.

Tutto ciò porta nel 1915 ad avere un Italia delle grandi manifestazioni
pro guerra: piazze piene e tricolori; le “giornate radiose” di maggio.

A ne maggio Salandra e Sonnino volano a Londra e rmano, in segreto


rispetto al Parlamento, per di più formato da socialisti e cattolici,
l’ingresso dell’Italia in guerra al anco dell’Intesa. In cambio avranno
sostegno economico e le terre del Trentino Alto-Adige, del Friuli
Venezia-Giulia, l’Istria e la Dalmazia. Tornano col Parlamento contrario e
il patto rmato. Il Re, Vittorio Emanuele III, spinge Salamandra a
rimanere in Parlamento no a quando non si sarebbe votato il Patto di
Londra e l’ingresso in guerra. Così, i cattolici e qualche liberale, di
fronte al Re, non se la sentono di votare contro: l’Italia a ne maggio
entra in guerra a anco dell’Intesa.

Fonti: libro di testo, wikipedia, skuola.net


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