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Boom o miracolo economico

In seguito al drammatico scenario del dopoguerra e della successiva grande opera di ricostruzione
del paese tra la seconda metà degli anni 50 e la prima metà degli anni 60, il tessuto economico,
produttivo e sociale dell'Italia viene attraversato da una trasformazione radicale. Ma saranno in
particolare i sei anni che vanno dal 1957 al 1963 a caratterizzare la massima espansione di questo
processo, a cambiare l'economia sostanzialmente agricola della nazione, in quella di una nuova
potenza industriale europea.
I censimenti della popolazione del 1951 e del 1961 segnalano il sorpasso, nel 1961 gli occupati
nell'industria sono il 38%, superando quelli dell'agricoltura. 30% che invece solo 10 anni prima
rappresentavano il 42,2% della popolazione lavorativa.
Finalmente ora l'Italia può ridurre quel divario con Francia, Germania e Inghilterra. Che esisteva fin
dai tempi della sua Costituzione in Stato unitario nel 1861.

Cominciano gli anni del cosiddetto boom o miracolo economico reso possibile dall'insieme di molti
fattori, fra i quali anche la presenza di manodopera abbondante è superiore alla domanda che
permette alle imprese di contenere le rivendicazioni salariali e quindi di abbassare i costi di
produzione, che inoltre aumenta con l'adozione nelle aziende di tecnologie moderne.

La relativa stabilità dei prezzi delle materie prime che l'Italia è costretta a comprare all'estero.

Anche la scoperta sul territorio nazionale di giacimenti di nuove fonti energetiche, come il gas
naturale, frutto del prezioso lavoro svolto nel dopoguerra dall'ENI, l'ente nazionale idrocarburi, e
dal suo presidente Enrico Mattei, risulta essere un prezioso elemento per la crescita.
È un fattore strategico che assicura al sistema paese una relativa autosufficienza, il riduce
sensibilmente la sua dipendenza dalle politiche economiche e commerciali delle multinazionali del
petrolio, le cosiddette 7 sorelle.

Vanno infine considerati il basso costo del denaro e soprattutto la stabilità monetaria garantita
dalla Banca d'Italia. Entrambi costituiscono un forte stimolo per gli investimenti. nel 1960, che il
Financial Times ha assegnerà alla lira l'Oscar per la moneta più stabile dell'anno.

Se la prima fase dell'industrializzazione italiana alla fine del diciannovesimo secolo aveva
riguardato esclusivamente quello che viene definito il triangolo industriale, cioè Lombardia,
Piemonte e Liguria, ora il miracolo economico coinvolge, anche se in varie misure, l'intero
territorio nazionale. Tutti i settori e tutte le attività sono in crescita e richiamano sempre più
manodopera. Il flusso migratorio dal Sud al Nord del paese assume così proporzioni imponenti, in
10 anni coinvolge quasi 9 milioni di italiani che cambiano gradualmente identità, abitudini e
costumi. Non senza fatica e spesso apprezzo di forti tensioni sociali.

Ma le fabbriche producono di tutto, navi, turbine, motori di ogni genere, oggetti tecnologici e dal
design raffinato. Auto da sogno. Macchine, moto da corsa che mietono successi. La rete dei
trasporti è in continua espansione. Ma si inaugura il primo tratto dell'autostrada del sole. Un aereo
a reazione interamente progettato e costruito in Italia, il Fiat g 91 nel 58 risulta primo in un
concorso internazionale indetto dall'Alleanza atlantica. Nel mondo si afferma l'immagine del made
in Italy come è sinonimo di qualità.

Dal 57 al 63 la produzione di autoveicoli aumenta di 5 volte. Con i modernissimi impianti dello


stabilimento Fiat Mirafiori di Torino. Nel 55 comincia la produzione in grande scala del 600, la
piccola utilitaria che motorizza gli italiani diventando una delle icone del Book. La segue due anni
dopo, la 500 ancora più piccola ed economica. Di studenti, operai, chiunque può permettersela,
magari pagandolo a rate, per godersi la propria libertà e andare in vacanza d'estate su quelle
spiagge affollate. Che si registra già il tutto esaurito. No? Nel nord-est sorgono invece industrie
specializzate nella produzione di quegli apparecchi, chiamati elettrodomestici che la gente ha
imparato a conoscere dai film americani. In 5 anni i frigoriferi passano da 370.000 unità a un
milione e mezzo e i televisori che erano 80.000 nel 54, quando la Rai comincia le sue trasmissioni
dopo soli quattro anni, sono più di un milione. Gli storici fissano la fine del miracolo economico
dopo il 1963, quando lo scenario comincia gradualmente a mutare. Il la congiuntura economica
non è più favorevole, l'inflazione accelera, la competitività diminuisce. Le rivendicazioni sindacali
alzano il costo del lavoro. Bilancia dei pagamenti peggiora e inesorabilmente anche i profitti
crollano.

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Tra la fine degli anni 50 e l'inizio dei 60, l'Italia uscita dalla Seconda guerra mondiale da vent'anni
di dittatura fascista come un paese in rovina, conobbe un impetuosa crescita economica.

L'affermarsi della grande industria provoca altri cambiamenti epocali nel paese, gli enormi flussi
migratori che erano ripresi dopo la fine del conflitto mondiale proseguono ma ora si indirizzano
verso il nord del paese piuttosto che verso altri paesi europei. Tra il 1951 e il 1971 oltre 9 milioni di
italiani sono coinvolti in migrazioni interregionali, crescono in maniera tumultuosa le grandi città,
quelle del classico triangolo industriale Torino, Milano e Genova, ma anche le altre. Grandi città
del Centro Italia, gli occupati nel settore terziario saliranno nel censimento del 61 al 30% della
popolazione lavorativa e la crescita economica cambia anche il paesaggio delle regioni del nord-est
e di alcune regioni del centro, come l'Emilia Romagna e le Marche.

Le campagne, specie quelle meridionali, subirono un inverso fenomeno di spopolamento e di


abbandono delle tradizionali attività agricole nelle città investite dai flussi migratori. La rapida
crescita contribuì in molti casi al miglioramento delle condizioni abitative. 1951 al 61 le case degli
italiani che hanno allo stesso tempo elettricità, acqua e servizi igienici interni passano dal 7,4 al
30%, ma spesso divenne sinonimo di disordine e speculazione edilizia, con la nascita di nuove aree
urbane non regolate. Veri e propri quartieri ghetto per i migranti e lavoratori, come ad esempio le
corree milanesi. Nelle grandi città del Nord industriale il razzismo nei confronti dei meridionali
raggiunse punte allarmanti, spesso alimentato da giornali e riviste locali. Non pochi erano i cartelli,
non si affitta ai meridionali. La signora, dal suo punto di vista femminile. Le dirò che io non ho
proprio dei preconcetti contro i meridionali, naturalmente se c'è ne fosse un po meno.

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