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Parte terza

L’ECONOMIA CONTEMPORANEA (1970-oggi)


22 UNA NUOVA RIVOLUZIONE: I PROBLEMI DEMOGRAFICI
-22.1 I caratteri dell’economia contemporanea
Dopo la Seconda guerra mondiale iniziò un lungo periodo di nuove trasformazioni, che va sotto il
nome di terza rivoluzione industriale.
Sono trasformazioni molto più profonde di quelle delle altre rivoluzioni, l’avvento dell’informatica fa
del mondo un “villaggio globale”, collegato in rete mediante internet.
Gli anni dalla fine della guerra ai nostri giorni hanno vista una crescita senza precedenti, accrescendo
enormemente le risorse a disposizione dell’umanità contrariamente alle teorie sostenute da
Malthus. Si registra oltre ad un incremento della popolazione mondiale anche un incremento più
consistente delle principali produzioni alimentari.
Possiamo dividere il periodo in esame in due fasi:
-una di vigorosa espansione;
-una successiva di rallentamento.
Dopo la guerra, prima di tutto, fu necessario procedere alla ricostruzione economica dei paesi
coinvolti nel conflitto. Gli Usa in primis aiutarono alleati ed ex nemici nello sforzo della ricostruzione.
Effettuata rapidamente la ricostruzione, prese avvio una lunga fase di sviluppo. Si trattò di un periodo
di elevata crescita economica e di grandi conquiste tecnologiche, che consentirono di mantenere una
popolazione in continuo aumento.
A partire dagli anni Settanta l’economia mondiale rallentò senza però esaurirsi, anzi molti paesi
asiatici, fra i quali spiccano la Cina e l’India fecero registrare una crescita straordinaria e un
miglioramento delle condizioni di vita.
Altra caratteristica fu la contrapposizione fra due modelli economici:
-l’economia di mercato (Usa, Europa Occidentale e Giappone);
-l’economia pianificata (Urss, Europa orientale e Cina).
Si trattò di una vera sfida fra sistemi economici e politici diversi, condotta sotto la guida delle due
“superpotenze” dell’epoca, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, che difendevano e cercavano
d’imporre il loro modello. Il crollo dell’economia pianificata segno il predominio dell’economia di
mercato.

-22.2 L’esplosione demografica


La popolazione mondiale non è mai cresciuta come negli ultimi sessanta anni.
La crescita demografica più consistente fu realizzata dall’Africa mentre il peso della popolazione
europea è continuato a diminuire.
Il regime demografico moderno con bassi tassi di natalità e bassi tassi di mortalità, si è ormai
affermato nella maggior parte delle nazioni del mondo. La vita media si è portata a 80 anni, dai 65-70
a metà secolo XX. Sia i paesi con un elevato numero di anziani sia quelli con una popolazione molto
giovane devono mantenere classi di età non produttive o poco produttive. Il nucleo familiare ha
subito profonde modificazioni, la famiglia del XXI secolo è composta mediamente da tre unità.

Le cause del forte incremento demografico oltre a quelle dei secoli precedenti (alimentazione, igiene,
ecc.), che hanno continuato a avere un ruolo importantissimo, vanno ricercate principalmente nei
progressi della medicina e della chirurgia. Si sono diffusi nuovi medicinali, si è
diffuso l’uso dei vaccini, ma soprattutto si sono diffusi i trapianti di organi. Le epidemie sono quasi
scomparse.

-22.3 Urbanesimo e grandi migrazioni


All’inizio del XXI si erano formati enormi agglomerati urbani (Parigi, New York, Tokyo). La
popolazione urbana ormai supera il 75% di quella complessiva nelle nazioni più progredite e il 30-
40% in quelli più poveri. I nuovi arrivati si sistemano negli slum (bidonville, favela), ossia squallide
baraccopoli di periferia.
Le migrazioni assunsero nuove caratteristiche, con l’entrata in funzione della Comunità economica
europea (1958) vi fu una forte corrente migratoria dai paesi del Mediterraneo verso quelli
dell’Europa centrale e settentrionale che durò fino agli anni 70. A partire dagli ultimi decenni del
secolo XX, nei paesi dell’Europa occidentale risultò sempre più difficile reperire manodopera per lo
svolgimento di lavori domestici o per l’assistenza agli anziani o per effettuare lavori pesanti, divenne
perciò necessario accogliere immigrati.
Anche gli Stati Uniti sono stati interessati da un’ondata migratoria che sta cambiando le
caratteristiche demografiche di quel Paese. Nel 1965 fu approvata una nuova legge
sull’immigrazione, che eliminò il sistema delle quote introdotto negli anni Venti stimolando
enormemente l’ingresso degli emigrati.
Il flusso migratorio è continuato ininterrottamente fino ai nostri giorni, tanto che nel primo decennio
di questo secolo gli immigrati regolari sono stati, in media, oltre un milione all’anno, vale a dire più
che in qualsiasi altro decennio della storia americana.

23 UNA NUOVA RIVOLUZIONE: I SETTORI PRODUTTIVI


-23.1 Agricoltura e mezzi di sussistenza
Nei decenni successivi alla Seconda guerra mondiale si svilupparono tutti i settori produttivi, grazie
all’incessante progresso tecnologico.
La produzione agricola è aumentata considerevolmente grazie all’introduzione di nuove macchine e
all’uso sempre più esteso di insetticidi e di fertilizzanti, all’introduzione di nuovi metodi di
allevamento e di nuove varietà di grano, mais e riso, nonché mediante la diffusione dell’irrigazione.
Dopo la guerra il numero degli addetti all’agricoltura diminuì enormemente, fino a portarsi nei paesi
maggiormente sviluppati, sotto il 5% della popolazione attiva. L’incremento riguardò soprattutto i
paesi asiatici. Nei paesi ricchi si diffuse l’obesità.
Gli effetti furono diversi nelle varie aree del mondo:
 Nei paesi industrializzati la produzione agricola divenne eccedente e i prezzi mostrarono una
tendenza a diminuire. Fu necessario l’intervento da parte dei governi per proteggere i redditi
degli agricoltori attraverso soprattutto barriere non tariffarie (controlli) e politiche di sostegno dei
redditi agricoli;
 Nei paesi asiatici la produzione riuscì a soddisfare le esigenze della popolazione. Alcune grandi
zone come la Cina e l’India, diventate autosufficienti, furono anche in grado di esportare prodotti
agricoli;
 Nell’Unione Sovietica e nei paesi orientali a economia pianificata dopo un iniziale incremento
della produzione agricola vi fu, dopo gli anni Settanta, un crollo che li costrinse a importare generi
alimentari dall’estero. La proprietà collettiva della terra, la carenza di fertilizzanti e la scarsa
utilizzazione delle nuove tecniche furono responsabili di risultati così deludenti;
 Nei paesi più poveri soprattutto in quelli africani, si andò spesso incontro a crisi alimentari e
periodi più o meno lunghi di malnutrizione.
L’allevamento del bestiame fece registrare una crescita inferiore all’incremento della popolazione
mondiale. Il fatto è che gli uomini sono in concorrenza con gli animali per ciò che concerne
l’alimentazione e questo è stato l’ostacolo più grande.

-23.2 Industria e tecnologia


Lo sviluppo industriale fu condizionato dal progresso della scienza e della tecnica.
 La metallurgia si rinnovò profondamente e si diffuse la produzione di leghe leggere;
 L’industria chimica iniziò a produrre fibre artificiali e sintetiche e numerose materie plastiche
che pian piano sostituirono il metallo in molti settori (automobili, aeroplani, astronavi);
 L’industria elettrica diventò indispensabile, oggi l’elettricità è ottenuta per due terzi da centrali
termiche e per il resto in parti quasi uguali da centrali idroelettriche e nucleari. Il petrolio
continuò ad alimentare numerosi metodi di trazione e diverse macchine che lo utilizzano per la
combustione. Anche l’estrazione del gas naturale, soprattutto in Cina e negli Stati Uniti,
costituisce un importante fonte di energia;
 L’industria automobilistica è diventata l’industria simbolo di questo periodo. L’utilizzazione delle
autovetture richiede l’esistenza di un efficiente rete stradale e ciò diede impulso alla costruzione
di grandi autostrade;
 L’industria aereonautica produsse una gran quantità di aerei sia per scopi commerciali che
turistici, fu necessario costruire giganteschi aeroporti in tutto il mondo e finirono i viaggi per
mare sulle lunghe distanze. Si diffusero anche i treni ad alta velocità.
Tra le nuove industrie possiamo annoverare le centrali nucleari, che producono energia elettrica
attraverso l’utilizzo di uranio arricchito (uranio 235), e le industrie aereospaziali che determinarono
una lotta per la conquista dello spazio che contrappose Stati Uniti e Unione Sovietica. La conquista
dello spazio contrappose per qualche decennio gli Stati Uniti all’Unione Sovietica. Dopo che
quest’ultima riuscirono a mettere in orbita il primo satellite artificiale e lanciare il primo uomo nello
spazio nel 1957; gli americani a avviarono allora il costoso programma spaziale “Apollo” che nel 1969
portò due uomini sulla luna.

-23.3 La rivoluzione informatica


Le innovazioni più rivoluzionarie ebbero luogo nel campo dell’elettronica, lo sviluppo della tecnologia
si basò su alcune fondamentali scoperte. Tale tecnologia nata negli Stati Uniti, si sviluppo nel corso
degli anni Sessanta e Settanta e vi fu una tendenza crescente alla miniaturizzazione e alla produzione
di microelettronica. La produzione di componenti e apparati elettronici, progressivamente utilizzati in
quasi ogni ramo produttivo, diede vita a un’attività industriale che raggiunse livelli di primo piano.
L’elettronica di consumo si sviluppò soprattutto negli Stati Uniti ed in Giappone e riguardò prodotti
come la televisione e successivamente videoregistratori e fotocamere.
Lo sviluppo dell’elettronica è normalmente associato a quello del calcolatore e quindi
dell’informatica. Il primo calcolatore apparve negli anni 40 con il grande elaboratore. Negli anni
Settanta apparvero i minielaboratori e nel decennio successivo i microelaboratori (personal
computer) che trasformarono radicalmente l’informatica. La rivoluzione informatica aveva preso
piede. Sono nate così grandi società nel campo dell’elettronica di consumo, in quello del software e
nel mondo dei social network (Philips, Sony, Apple, Microsoft). Le trasformazioni indotte dalla
tecnologia hanno portato a una disoccupazione tecnologica grazie all’introduzione di nuove
apparecchiature “labour saving”.

-23.4 Verso una nuova rivoluzione tecnologica


A seguito di due rivoluzioni industriali basate sull’utilizzo in primis del carbone e successivamente del
petrolio, ci si avvia verso l’utilizzo di una nuova forma di energia ma stavolta rinnovabile nonostante
ancora la maggior parte dell’economia dipende dall’impiego dei combustibili fossili.
Quindi, negli ultimi anni si è preso coscienza della necessità di ricorrere a fonti energetiche
rinnovabili, queste sono alla base di quella che si chiama economia verde o green economy.
Si prevede in particolare la diffusione delle cellule fotovoltaiche e nel campo dei trasporti dei veicoli
elettrici, che sostituiranno il motore a scoppio.
Insomma, è in atto una nuova rivoluzione tecnologica che dovrebbe gradualmente portare
all’impiego di fonti di energia rinnovabili. L’Unione Europea ha dottato la cosiddetta strategia 2020
con la quale entro il 2020 i paesi europei dovranno: ridurre almeno del 20% l’emissione di gas serra
rispetto al livello del 1990, una riduzione del 20% del consumo di energia previsto, accrescendo
l’efficienza energetica e una produzione di almeno il 20% dell’energia consumata con fonti
rinnovabili. Va tuttavia osservato che il passaggio alle fonti energetiche rinnovabili richiederà ancora
del tempo, durante il quale esse saranno utilizzate assieme ai combustibili fossili.

-23.5 La terziarizzazione dell’economia


L’elemento che maggiormente ha caratterizzato questo periodo è stato lo sviluppo del settore
terziario diventato il settore predominante dell’economia. Si parla di terziarizzazione dell’economia,
di deindustrializzazione o anche di società postindustriale. Aumentano notevolmente i servizi
pubblici e privati a disposizione della collettività. Permane il problema del calcolo della quota del Pil
da attribuire agli stessi, e anche della misurazione della loro produttività. Si determina una maggiore
presenza delle donne nel mondo del lavoro.
Il settore terziario ha messo a disposizione delle persone, delle imprese e delle istituzioni una vasta
gamma di servizi.
Il commercio interno fu caratterizzato da una rapida diffusione di supermercati, centri commerciali,
discount e dalla diffusione del commercio elettronico tramite gli acquisti via internet. Il commercio
estero dopo le difficoltà degli anni Trenta fu agevolato nella maggior parte dei paesi da una politica di
libero scambio, dal ripristino di un sistema di cambi fissi e dalla costituzione di organizzazioni
internazionali.
Il sistema bancario ha subito profonde trasformazioni. Le banche estesero la loro attività a una vasta
gamma di servizi rivolti a molti soggetti, col processo di concentrazione si formarono grandi gruppi
bancari e le banche aprirono filiali all’estero diventando esse stesse multinazionali. Dagli anni
Settanta dappertutto si affermò la banca universale, ossia un tipo di azienda di credito in grado di
servire qualsiasi servizio ai clienti. Si diffuse la carta di credito e quindi la moneta elettronica.
Il turismo diventò di massa e acquistò notevole rilevo economico grazie all’aumento medio del
reddito e all’evoluzione dei mezzi di trasporto.

24 LA RICOSTRUZIONE DELL’ECONOMIA MONDIALE


24.1 Gli accordi politici: Yalta e Onu
I danni della guerra all’apparato industriale dei paesi che avevano subito bombardamenti o sul cui il
territorio si era combattuto si mostrarono subito inferiori a quanto fosse potuto sembrare. Gli Alleati
cominciarono a progettare l’economia mondiale del dopoguerra, il loro obiettivo era sviluppare la
cooperazione internazionale che era mancata durante il periodo precedente e aveva reso difficile la
fuoriuscita dalla depressione degli anni Trenta. Evitare:
-sovrapproduzione;
-disoccupazione.
Due delle intese più importanti furono quelle di Yalta e di San Francisco.
 Alla conferenza di Yalta (1945) si incontrarono il presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosvelt, il
primo ministro britannico Winston Churchill e Josif Stalin per l’Unione Sovietica. Questa portò alla
divisione del mondo in due zone di influenza:
-Americana Europa occidentale e Giappone
-Sovietica Europa orientale e paesi asiatici

La Germania venne divisa in due Stati: a ovest la Repubblica Federale Tedesca e a est la
Repubblica Democratica Tedesca
Si estese sull’Europa quella che Churchill chiamò “cortina di ferro”, ed era iniziata la cosiddetta
Guerra fredda fra Stati Uniti e paesi occidentali da una parte e Unione Sovietica e il suo blocco
dall’altra. Berlino fu divisa in quattro zone una controllata dai Sovietici e le altre tre da Francesi
Inglesi e Americani; fu eretto un lungo muro che divideva la parte est dalla parte ovest che rimase
in piedi quasi 30 anni.
 A San Francisco nacque nel 1947 l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) con lo scopo di
mantenere la pace e la sicurezza, realizzare cooperazione internazionale in campo economico,
sociale, culturale e umanitario e promuovere il rispetto delle libertà fondamentali e dei diritti
dell’uomo. I paesi aderenti aumentarono progressivamente fino a comprendere tutti gli Stati
indipendenti della Terra. I cinque paesi vincitori della guerra (USA, Unione Sovietica, Gran
Bretagna, Francia e Cina) si riservarono il “diritto di veto”.

-24.2 Gli accordi economici: Bretton Woods e Gatt


 A Bretton Woods  i rappresentanti di 44 paesi ripristinarono, nel 1944 un sistema monetario
internazionale basato sui cambi fissi. Si diede vita a un nuovo gold exchange standard stabilendo
la sola convertibilità in oro del dollaro da parte delle banche centrali. Ogni paese doveva definire
in oro la propria moneta dichiarandone la parità, in modo da poter determinare il cambio fra
tutte le monete, questa, poteva oscillare entro una banda dell’1% in più o in meno ed era
compito delle banche centrali d’intervenire sul mercato dei cambi per assicurare il rispetto di tali
limiti. Quando la banca centrale non possedeva una sufficiente quantità di valuta straniera
poteva attingere al Fondo monetario internazionale (Fmi). Sorse anche la Banca Mondiale, che
era stata istituita per finanziare la ricostruzione postbellica.
 A Ginevra nel 1947, 23 paesi firmarono il General Agreement on Tariffs and Trade (Gatt). Questo
si proponeva come obbiettivo la fine degli accordi bilaterali e l’affermazione della multilateralità
nei rapporti commerciali internazionali, mediante l’applicazione della clausola della nazione più
favorita e la progressiva riduzione delle barriere doganali. Nel corso della sua esistenza si tennero
diversi lunghi negoziati o round, i più importanti furono: il Kennedy Round, il Tokyo Round e
l’Uruguay round. Al termine di quest’ultimo i rappresentanti di 125 paesi formarono la World
Trade Organization (Wto), il cui scopo principale era favorire il commercio internazionale
attraverso la liberalizzazione dei traffici. Anche se inizialmente il Gatt era un accordo provvisorio
data la volontà di creare un’Organizzazione internazionale del commercio (International Trade
Organization, Ito) anche se poi durò quasi mezzo secolo poiché il Congresso degli Stati Uniti non
approvò mai il trattato istitutivo dell’Ito.

-24.3 Il Piano Marshall


Durante la guerra, gli Stati Uniti avevano rifornito i loro alleati di materiale bellico e altri beni di
prima necessita, venduti con lunghe dilazioni nei pagamenti. Alla fine del conflitto risultarono
creditori netti di oltre 40 miliardi. L’Europa, che versava in condizioni drammatiche, non avrebbe mai
potuto ripagare il suo debito.
Gli Americani maturarono allora la convinzione che fosse nel loro interesse favorire la ricostruzione
di tutti i paesi alleati e sconfitti destinati a diventare loro partner economici, decisione scaturita dal
farro che la Germani sconfitta ancora una volta non avrebbe potuto pagare i debiti. Essi,
sovvenzionarono finanziariamente gli aiuti dell’Unra (United Nations Relief and Rehabilitation
Administration).
Nel 1948 fu approvato dal Congresso l’Erp (European Recovery Program) meglio noto come Piano
Marshall, la cui gestione fu affidata all’Eca (Economic Cooperation Administration) un organismo del
governo con sede a Washington. I paesi europei che non aderirono all’Erp, si associarono nell’ Oece
(Organizzazione europea per la cooperazione economica). I governi dei vari paesi formulavano un
piano di interventi con le loro richieste e lo inviavano all’ Oece, che lo esaminava e lo trasferiva
all’Eca in America. Il governo americano acquistava sul proprio mercato i beni richiesti, contribuendo
così ad uno sbocco della propria produzione, e li inviava in Europa. A loro volta questi ultimi li
vendevano a imprese e famiglie e con il ricavato ricostruivano il loro paese.
Il Piano Marshall, in conclusione, riuscì ad aiutare l’Europa nella sua ricostruzione. L’Oece terminato il
suo compito continuò a promuovere la cooperazione fra i diciotto paesi. Questi stessi paesi
costituirono nel 1950 l’Uep (Unione europea dei pagamenti)
L’Uep fu sciolta e si trasformò nel 1961, in Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo
economico) con l’ulteriore partecipazione anche di Stati Uniti e Canada, con lo scopo di favorire
l’espansione economica degli stati membri e lo sviluppo del commercio estero su base multilaterale.

-24.4 L’economia mista e il Welfare State


Alla fine della Seconda guerra mondiale, la contrapposizione fra modello capitalista e socialista e la
necessità di evitare movimenti rivoluzionari, portarono all’affermazione in molti paesi dell’Europa
occidentale di un’economia mista, attuata attraverso riforme politiche, sociali ed economiche. Era un
tipo di economia in cui convivono imprese pubbliche e imprese private in concorrenza fra di loro.
Furono nazionalizzati importanti rami dell’economia e si avviò una politica di pianificazione.
Le nazionalizzazioni non furono statizzazioni. Le imprese continuarono a operare in un regime di
libero mercato e goderono di una loro autonomia, pur essendo di proprietà pubblica. In Italia fu
nazionalizzata, per esempio, la produzione e la distribuzione dell’energia elettrica e venne costituito
l’Enel.
La pianificazione (in Italia programmazione) fu adottata in alcuni paesi europei in forma molto
diversa da quella sovietica. Essa non fu coercitiva ma solamente indicativa e si fondò su un accordo
fra le parti sociali (imprenditori e sindacati). Essa fu più incisiva in Francia, dove si predisposero
diversi piano quadriennali, mentre fu meno efficace in Gran Bretagna ed in Italia dove andò pian
piano perdendo importanza.
Gli interventi più consistenti furono quelli che portarono alla nascita del Welfare State o Stato
sociale, che si proponeva di assicurare l’assistenza a ogni cittadino “dalla culla alla bara”. Già si
ricordano le prime forme in Germania introdotte da Bismark.
Il Welfare State moderno nacque in Gran Bretagna grazie a William Beveridge secondo il quale era
necessario giungere a quella che chiamava “liberazione del bisogno”.
Il progetto si basava su tre pilastri fondamentali:
1. un efficiente sistema di previdenza sociale;
2. un sistema di assistenza sanitaria gratuita;
3. una politica economica basata sul pieno impiego.
Lo Stato sociale si rivelò molto costoso, le spese dello stato per garantirlo ruotano attualmente
intorno al 65-70% della spesa pubblica complessiva.
25 DALLA GOLDEN AGE ALLA CRISI
-25.1 La “golden age”
Con il nome “golden age” gli storici fanno riferimento al periodo di crescita economica continua e
stabile, che riguardò tutti i paesi sviluppati e andò dal 1970 al 1973.
Nell’ “età dell’oro”, la crescita del Pil procapite raggiunse livelli mai registrati prima, soprattutto in
Giappone, Germani e Italia.
Se si fa a uguale a 100 il Pil pro capite del 1950 dei principali paesi, il Giappone, la Germania e l’Italia
riuscirono a raddoppiarlo in appena 10 anni, mentre Stati Uniti e Gran Bretagna impiegarono più di
trent’anni. La rincorsa della Gran Bretagna iniziata due secoli prima era sostanzialmente terminata e
ormai gli Stati Uniti erano il paese da cui prendere esempio.
La nuova contrapposizione era fra gli Stati Uniti da un lato e l’Unione Sovietica e il Giappone
dall’altro. Con l’Unione Sovietica si trattò di un confronto politico, ideologico, militare e anche
tecnologico. Il Giappone risultò viceversa un temibile avversario economico.
La crescita riguardò tutti i settori, l’uomo vide aumentare i beni a sua disposizione, capaci di
soddisfare nuovi bisogni, molti dei quali indotti più alla moda e dalla pubblicità che dalle sue reali
esigenze e si diffuse il consumismo. Erano il “fordismo” ed il “tayolorismo” che ormai dagli Usa si
diffondevano nelle nazioni più progredite.
Il commercio internazionale riprese a pieno ritmo e fece registrare un fortissimo incremento, grazie al
trasporto delle merci in pratici e capaci “containers”. Le imprese multinazionali crebbero di numero e
dispiegarono la loro capacità produttiva e di vendita nei principali paesi.

-25.2 I fattori della crescita


I fattori della crescita furono:
 La disponibilità di una tecnologia pronta ad essere utilizzata grazie all’accumulo di innovazioni tra
le due guerre mondiali che non si erano diffuse;
 Il ruolo dello Stato che assunse il compito di stabilizzare la domanda e garantire l’occupazione
estendendo le sue funzioni;
 La cooperazione internazionale grazie alla nascita di numerose organizzazioni;
 La formazione del capitale umano garantito da vasti programmi di alfabetizzazione attuati in
tutti i paesi sviluppati;
 La disponibilità di capitali e sistemi di cambi fissi;
 I bassi prezzi delle materie prime e bassi salari che consentirono di contenere i prezzi di vendita

-25.3/4 La crisi: la fine del sistema di cambi fassi e gli shock petroliferi
Il periodo di intenso sviluppo economico s’interruppe all’inizio degli anni Settanta per via di una
profonda crisi scaturita da due eventi:
1. Il crollo del sistema monetario internazionale che fu causato da un lato dall’incremento delle
richieste di cambio in oro dei dollari posseduti dai vari paesi, che portò alla diminuzione delle
riserve auree americane; e dall’altro dall’incapacità dei paesi europei di garantire la parità con
l’oro delle proprie monete e quindi del derivante obbligo di svalutarle o rivalutarle nel caso della
Germania. Ciò indusse Richard Nixon nel 1971 a dichiarare l’inconvertibilità del dollaro, ponendo
così fine al nuovo gold exchange standard. Da allora i cambi divennero fluttuanti ossia
determinati in base alla domanda e all’offerta di valute;
2. Lo shock petrolifero del 1973 negli anni Settanta le rivalità fra i Palestinesi e lo Stato di Israele
(nato nel 1948 con l’appoggio dei paesi occidentali) si acuirono scaturirono e portarono allo
scoppio nel 1973 della quarta guerra arabo israeliana. I paesi produttori ed esportatori di petrolio
decisero di penalizzare gli Stati che appoggiavano Israele, ridussero allora la produzione di
petrolio e ne aumentarono il prezzo. I paesi industrializzati subirono uno shock e avviarono una
politica di risparmio energetico. Nel 1979 si verificò un secondo shock petrolifero quando la
produzione iraniana venne a mancare a causa della rivoluzione islamica. L’aumento del prezzo del
petrolio fece crescere i costi di produzione e mise a disposizione dei paesi esportatori di una
grande quantità di petrodollari. Questi furono depositati in banche europee e americane che li
prestarono ai paesi in via di sviluppo (non potendoli investire nelle imprese occidentali in crisi)
formando un loro colossale indebitamento. Il peso per i paesi debitori si fece insopportabile e
risultò impossibile per loro pagare, intervennero allora il Fondo monetario internazionale e la
Banca Mondiale e così il debito contratto con banche private divenne pubblico.
-25.5 Stagflazione e disoccupazione
L’inflazione galoppante che caratterizzò gli anni Settanta e Ottanta ebbe diverse cause:
a) L’aumento del prezzo del petrolio
b) L’aumento dei salari
c) L’aumento della domanda dei beni
Per la prima volta in un lungo periodo inflazionistico si verificò in tempo di pace e
contemporaneamente a una fase negativa del ciclo economico, sicché si coniò il termine
stagflazione, proprio per indicare la coesistenza di stagnazione e inflazione.
La disoccupazione assunse dimensioni simili a quelle dell’immediato dopoguerra. Aumentarono
dappertutto le libertà di assumere e di licenziare dipendenti e la possibilità di stipulare contratti a
tempo determinato.
La tecnologia continuava a realizzare notevoli progressi e l’automazione industriale, fece parlare
alcuni economisti di “jobless growth”.

-25.6 Dal fordismo al postfordismo


A partire dagli anni Settanta, il modello fordista entrò in crisi per diverse ragioni. Innanzitutto, la
possibilità di realizzare economie di scala si andava esaurendo. La produzione, difatti, una volta
spinta fino a sfruttare interamente gli impianti esistenti, richiedeva la costruzione di nuovi impianti,
la cui capacità produttiva non sarebbe stata interamente utilizzata, provocando un aumento dei costi
unitari. Inoltre, i mercati si stavano saturando per via della stabilizzazione della domanda a livelli più
bassi.
Si andò affermando allora il nuovo modello della produzione snella (lean production) che venne
sperimentato per primo dalla fabbrica automobilistica giapponese Toyota. Questo si fondava su una
maggiore flessibilità operativa. Con il decentramento produttivo le grandi imprese avrebbero affidato
determinate operazioni o lavorazioni ad aziende più piccole sulle quali scaricavano il rischio di
impresa. Con la delocalizzazione, le imprese trasferivano alcune fasi del processo produttivo o
l’intero processo dove vi erano condizioni più favorevoli. Si applicarono anche differenti modalità
lavorative basate sul lavoro di gruppo e su una pluralità di mansioni affidate al dipendente. Diminuì,
però, la sicurezza del posto di lavoro e i lavoratori furono costretti a cambiare spesso occupazione.
Questo modello più leggero, agile e capace di adattarsi alle variabili esigenze della produzione prese
il nome di modello postfordista, e stimolò la nascita di moltissime piccole e medie imprese, i
cosiddetti “clusters industriali”.

26 NEOLIBERISMO E GLOBALIZZAZIONE
-26.1 Le politiche neoliberista
Con la svolta degli anni Settanta si modificò il ruolo dello Stato nell’economia. Mentre Keynes ritenne
che l’intervento statale era l’unico modo per rimediare alle carenze del capitalismo e del mercato, e
quindi di assicurare pieno impiego dei fattori produttivi, i liberisti ritenevano che il mercato sarebbe
stato capace di risolvere autonomamente la crisi, e perciò che lo Stato dovesse limitarsi alle sue
funzioni essenziali predisponendo solo un insieme di regole generali e che quindi esso stesso era il
problema, così come affermava Ronald Reagan.
A partire dalla Grande depressione degli anni Trenta le teorie keynesiane presero il sopravvento su
quelle liberiste che non erano più considerati idonei ad affrontare i problemi delle complesse
economie moderne.
Esauritasi la fase espansiva del dopoguerra, i neoliberisti (reaganismo negli Stati Uniti dal nome del
presidente Reagan e thatcherismo in UK dal nome del primo ministro Thatcher) ripresero il
sopravvento con teorie rielaborate e più sofisticate di quelle precedenti. Per risolvere il problema
dell’inflazione essi ritenevano necessario un sostegno della domanda attuando una politica dal lato
dell’offerta. Secondo questa teoria era necessario: attuare una decisa deregolamentazione dei
mercati e anche forti sgravi fiscali.

-26.2 La globalizzazione
Le politiche neoliberiste favorirono la globalizzazione dell’economia, con cui si intende il fenomeno
che ha portato alla formazione di un mercato mondiale dei fattori della produzione, dei prodotti, dei
servizi e dei capitali. Questo fenomeno non fu del tutto nuovo, si può ricordare che già durante la
Belle Epoque si era formato un vasto mercato mondiale di molti beni e servizi, oltre che dei capitali e
della manodopera.
Questa fu caratterizzata dal trionfo delle imprese multinazionali ormai trasformatisi in imprese
transnazionali, nelle quali le unità che svolgono la loro attività all’estero godono di una più ampia
autonomia operativa. La conseguenza fu un’enorme intensificazione degli scambi e degli investimenti
internazionali, causa di una crescente interdipendenza delle diverse economie.
Le classi medie hanno incrementato i loro consumi e crescono a ritmo elevato, esse costituiscono
l’elemento propulsivo dello sviluppo economico e sociale di un paese.
La globalizzazione ha sia ricevuto:
-consensi  può condurre un mondo più ricco, più libero e più equo, contribuendo a ridurre la
distanza fra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo e uniformando prezzi e salari a livello mondiale;
-critiche  farà aumentare l’inquinamento e provocherà un’ulteriore distruzione di risorse naturali.
Di recente la globalizzazione sta assumendo caratteristiche nuove, si stanno formando delle unioni
economiche a carattere continentale in grado di rappresentare interessi più vasti. (es: Unione
Europea).

-26.3 La globalizzazione finanziaria


Particolare importanza riveste la globalizzazione finanziaria, cioè la formazione di un mercato
mondiale di capitali, capaci di muoversi in tempo reale grazie alla tecnologia informatica. Ciò ha
prodotto un’espansione senza precedenti dell’economia finanziaria contrapposta all’economia reale
(costituita dalla produzione e dalla vendita di beni e servizi). Si parla anche di finanziarizzazione
dell’economia per indicare il ruolo predominante che la finanza ha assunto nell’economia dei
principali paesi (Usa, UE, ecc.).
I capitali in cerca di investimenti che provengono principalmente dalle banche e dagli investitori
istituzionali (=società o enti obbligati, per legge o per il loro statuto, a impiegare fondi disponibili in
titoli o in immobili: fondi comuni, fondi pensione, ecc.) sono gestiti dai manager di queste istituzioni
che con le loro decisioni influenzano l’andamento dei mercati. Molti investimenti assunsero carattere
speculativo, nel senso che i titoli erano acquistati solo per essere rivenduti dopo breve tempo e
lucrare la differenza di prezzo, oppure per essere collocati in un altro luogo dove valevano di più
(arbitraggio).
I titoli trattati sui mercati finanziari, inoltre, non sono più soltanto azioni e obbligazioni di società
impegnate in attività produttive oppure titoli di Stato. Specialmente dopo il 2000, gli strumenti
finanziari si sono moltiplicati per il gran numero di derivati che sono stati immessi sul mercato (=titoli
il cui valore dipende da un valore sottostante, che può essere qualsiasi cosa).
Un particolare tipo di derivati è costituito dai titoli emessi in seguito a operazioni di cartolarizzazione
alle quali ricorrono le banche per mobilizzare i loro crediti. Gli investitori che hanno acquistato i
derivati emessi in seguito alla cartolarizzazione possono a loro volta cederli ad un’altra società
veicolo, che emetterà nuovi titoli.
L’economia finanziaria è aumentata in misura eccezionale nel primo decennio di questo secolo. La
finanziarizzazione ha coinvolto anche le grandi imprese industriali e commerciali. Gli investitori,
difatti, hanno investito parte dei fondi disponibili in pacchetti azionari di grandi imprese, tanto che
oggi sembra che posseggano più della metà dei titoli quotati nelle Borse mondiali. Perciò i manager
delle grandi imprese hanno innanzitutto soddisfatto gli interessi degli azionisti, sacrificando quelli
degli altri portatori di interessi verso l’impresa (stakeholders), come dipendenti, fornitori, clienti,
banche finanziatrici e comunità locali.

-26.4 La crisi del 2008-09


Sembra che verso la metà degli anni Novanta una serie di elementi abbia concorso a imprimere un
diverso andamento al ciclo economico. Agli inizi del nuovo secolo la Borsa americana conobbe una
forte espansione. Fra il 2002 e il 2004, grazie al credito facile accordato dalle banche si moltiplicarono
gli investimenti in titoli speculativi.
Le famiglie furono sostenute nei loro consumi da prestiti facili mediante i cosiddetti mutui subprime.
Questi venivano elargiti per l’acquisto della casa a soggetti che non erano in grado di addossarsi
impegni finanziari continuativi, ed erano garantiti da un’ipoteca sulla proprietà acquistata e perciò
ritenuti sicuri dalle banche perché il prezzo delle abitazioni era in aumento per la forte domanda. Le
banche provvedevano poi a rimettere sul mercato questi crediti emettendo su di essi vari titoli
derivati, venduti a investitori di tutto il mondo.
Nel 2007 la domanda di case cominciò a diminuire, mentre molte famiglie non riuscirono più a
pagare le rate del mutuo e persero la loro abitazione. Nell’autunno del 2008, vi fu il crollo delle
quotazioni di Borsa di tutto il mondo e il panico si diffuse fra i risparmiatori. Scoppiò nuovamente una
crisi borsistica che poi si estese all’attività produttiva. Le banche ridussero i loro finanziamenti così i
risparmiatori limitarono l’acquisto dei beni con ingente danno per le industrie che non riuscivano più
a vendere i loro prodotti.
Lo Stato richiamato in causa dovunque dovette intervenire per salvare molte banche e imprese in
difficoltà. Tutte queste forme di sostegno furono effettuate mediante il ricorso all’indebitamento,
con un conseguente notevole aumento del debito pubblico dei principali paesi industrializzati.
Questa volta, al contrario di quanto era avvenuto durante la depressione degli anni Trenta, i governi
dei principali paesi cercarono di operare congiuntamente per individuare e adottare rimedi atti a
combattere la crisi, anche perché, a causa della globalizzazione dei mercati, le economie dei diversi
paesi erano molto più interdipendenti in passato.

-26.5 La crisi del 2012-13


La crisi sembra non arrestarsi e assume nuove forme o, se si preferisce, s’intreccia con nuove crisi
che si cumulano con quelle precedenti, tanto da sembrare che essa si autoalimenti.
Nel 2011 furono colpite principalmente alcune nazioni europee, come la Grecia, la Spagna, il
Portogallo, l’Irlanda e, infine, l’Italia.
La Grecia fu particolarmente coinvolta poiché il suo governo aveva tenuto nascosto l’enorme debito
pubblico e l’elevato deficit del bilancio statale. Le agenzie di rating (=società private che valutano la
solvibilità dei titoli privati e pubblici) continuavano a declassare i titoli pubblici greci, considerati a
rischio di insolvenza, facendo ulteriormente precipitare la situazione. Intanto la crisi dei debiti
sovrani si estendeva all’Irlanda, alla Spagna e al Portogallo, che stavano vivendo momenti difficili in
seguito alla crisi del 2008-09.
Nell’estate del 2011 maturò anche la crisi italiana, il cui debito pubblico complessivo era giunto al
120% del Pil. Questo debito risaliva agli anni Ottanta. I governi non erano stati in grado di ridurlo per
timore di assumere scelte impopolari. I titoli si poterono collocare sul mercato solo garantendo
rendimenti più alti, con un aggravio di costi per lo Stato che doveva pagare interessi più elevati per
continuare a finanziarsi.
Furono adottate dappertutto, su spinta dell’Unione Europea, misure recessive per risanare i conti
pubblici, come un aumento della pressione fiscale e un duro taglio alle spese, con conseguente
impossibilità di sostenere la domanda globale. L’economia reale continuava a peggiorare con una
riduzione della produzione e un incremento della disoccupazione.

27 SVILUPPO E SOTTOSVILUPPO
-27.1 Lo sviluppo ineguale
L’eccezionale sviluppo dell’economia mondiale nella seconda metà del Novecento produsse un
ulteriore forte divario fra paesi ricchi e paesi poveri. Solo nell’ultimo ventennio il divario è cominciato
a diminuire, sia in termini assoluti, anche se risulta comunque molto più elevato di quanto fosse
all’inizio del processo di industrializzazione. Nel 2010, difatti, la differenza fra il Pil pro capite
americano e quello africano si era ridotta a meno di nove volte, la differenza con l’Asia a circa cinque
volte, mentre era rimasta immutata quella con l’America Latina.
Negli ultimi tempi il mondo sembra potersi dividere in tre diverse parti: i paesi sviluppati, i paesi in
via di sviluppo e i paesi arretrati.
A partire dagli anni Novanta è stato messo a punto un nuovo indice, l’Indice di sviluppo umano (Hdi).
Esso tende a misurare non solo la ricchezza ma anche il benessere e si basa su parametri che
riguardano tre dimensioni fondamentali dello sviluppo:
-il livello culturale (tasso di alfabetizzazione e accesso all’istruzione)
-la durata della vita (speranza di vita alla nascita)
-la quantità di ricchezza disponibile (Pil pro capite).
Questo può variare tra 0 e 1 e l’Italia con 0,881 occupa il venticinquesimo posto. Le principali
economie del mondo sviluppato continuano ad essere l’Unione europea, gli Stati Uniti e il Giappone.
Per indicare i maggiori cinque stati emergenti è stato coniato l’acronimo Brics (Brasile, Russia, India,
Cina, Sud Africa). I principali ministri delle finanze e i governatori delle banche centrali delle maggiori
potenze cominciarono a riunirsi periodicamente nel 1975 prima nel G6 e successivamente nel G7, G8
e attualmente G20.

-27.2 Il processo di decolonizzazione


Il processo che va sotto il nome di decolonizzazione interessò in particolare l’Asia e l’Africa. Dopo la
Seconda guerra mondiale la decolonizzazione ricevette un forte impulso. Gli indipendentisti delle
varie colonie organizzarono movimenti politici per rivendicare l’indipendenza che si basavano sui
valori di libertà, democrazia e autodeterminazione dei popoli affermati nella Carta Atlantica e nella
Carta delle Nazioni Unite. Gli stessi ambienti dei paesi colonialisti cominciarono a non ritenere più
vantaggiose le colonie dal punto di vista economico.
Il primo paese a ottenere l’indipendenza fu l’India. A metà degli anni Settanta quasi tutte le nazioni
europee avevano concesso l’indipendenza alle loro colonie. I nuovi Stati indipendenti conservarono
legami economici e culturali con le ex potenze coloniali, ad esempio quelle sotto il dominio
britannico scelsero di rimanere nel Commonwealth.

-27.3 Le strategie economiche dei paesi in via di sviluppo


Le politiche dei paesi in via di sviluppo (Pvs) presentano vari punti in comune. Quasi tutti i Pvs
individuarono, dopo la Seconda guerra mondiale o al momento dell’indipendenza, strategie di
sviluppo:
 L’intervento diretto dello Stato che aveva due esempi ai quali rifarsi: la pianificazione di tipo
sovietico oppure le varie forme di economia miste introdotte nell’Europa occidentale. Si
procedette, in genere, alla liberalizzazione dell’economia e alla privatizzazione di diverse imprese;
 L’adozione di politiche di sviluppo basate sulla sostituzione delle importazioni (import
substitution) e in alcuni paesi sulla promozione delle esportazioni (export promotion);
 Ricorso ai prestiti esteri sia sotto forma di aiuti sia sotto forma di prestiti commerciali da parte
delle banche estere;
 Diffusione delle conoscenze scientifiche e tecnologiche in tutti i campi. Accesso a tali conoscenze
nei campi della medicina e dell’agricoltura, anche grazie all’attività degli organismi internazionali.
Per l’agricoltura si parlò, negli anni Settanta, di rivoluzione verde, per indicare la diffusione di
varietà di riso, grano e altri cereali.
La riduzione della domanda di beni da parte dei paesi avanzati, molti dei quali ricorsero a forme di
protezione per le loro industrie in crisi, colpì le esportazioni dei Pvs. La conseguenza fu che molti di
questi paesi riuscirono a esportare di meno e dovettero pagare molto di più il petrolio importato a
causa dell’aumento di quest’ultimo per la crisi.
La globalizzazione coinvolse anche i Pvs, alcuni dei quali ne trassero beneficio, mentre alti se ne
giovarono molto di meno. L’allargamento dei mercati finanziari internazionali, favoriti dalla
liberalizzazione, attirò un nuovo flusso di investimenti esteri. Infine, le rimesse degli emigrati
divennero sempre più consistenti e costituirono un’importante fonte di entrata per i paesi più poveri,
da dove partivano (e continuavano a partire) numerose persone in cerca di fortuna.

28 LE ECONOMIE SVILUPPATE: STATI UNITI E GIAPPONE


-28.1 L’egemonia degli Stati Uniti
Durante il conflitto gli Stati Uniti sfruttarono a pieno la loro capacità produttiva e incrementarono la
produzione agricola e industriale per soddisfare la forte domanda bellica. La tecnologia americana fu
esportata ovunque e in Europa prese avvio una sorta di processo di “americanizzazione” che si
rifaceva all’economia statunitense come al modello da imitare (American way of life).
Gli Stati Uniti erano definitivamente la maggior potenza, militare economica e politica del Pianeta, si
sentivano responsabili della grande missione di combattere il comunismo mondiale e affermare e
diffondere i loro principi.
Il dollaro, posto alla base del sistema monetario internazionale, divenne la moneta dei pagamenti
internazionali privilegiando l’America. La crescita riguardò tutti i settori dall’agricoltura al commercio
estero e a quello interno, dalle banche al turismo. Le imprese continuarono a ingrandirsi le
corporations divennero più numerose e si diffuse l’impresa multidivisionale (composta da più settori
con autonomia funzionale e gestionale), si realizzò la separazione fra la proprietà, estremamente
frazionata, e il management aziendale. Nacquero anche società specializzate nell’acquisto di aziende
o di parti di esse (mercato delle aziende). Alcune delle corporations diedero vita a un gran numero di
conglomerate, ossia imprese che operavano contemporaneamente in diversi settori.
Il punto debole dell’egemonia americana risiedeva nella sua dipendenza dalle importazioni per
l’approvvigionamento delle materie prime soprattutto delle fonti energetiche (petrolio).

-28.2 La reaganomics
Negli anni Settanta, la fase di stagflazione portò alla vittoria di Ronald Reagan alle elezioni del 1980 e
all’adozione della politica neoliberista che da quel presidente prese il nome di: reaganomics.
Si cercò di incentivare la domanda con la diminuzione delle imposte, specialmente sui redditi medio-
alti, e si sostenne l’offerta mediante misure significative di deregolamentazione per dare maggiore
libertà alle imprese.
La deregolamentazione riguardò soprattutto il sistema bancario, le banche si orientarono verso il tipo
di banca universale, con l’abolizione della distinzione fra banche commerciali e banche
d’investimento.
Le disuguaglianze sociali aumentarono a causa soprattutto della riduzione delle imposte sui redditi
più elevati, sia per i tagli dei fondi per l’assistenza ai disoccupati e agli indigenti.
Le elevate spese per la difesa, ritenute necessarie per contrastare l’Unione Sovietica, ebbero una
funzione propulsiva dell’economia e servirono anche a evitare la sovrapproduzione di beni di
consumo. Queste però non consentirono di diminuire il deficit statale e a partire dagli anni Ottanta
gli Stati Uniti divennero debitori, perché importavano capitali indebitandosi verso l’estero.
Nonostante qualche difficoltà l’economia americana continuò a crescere e nella seconda metà degli
anni Novanta conobbe un lungo ciclo espansivo che fece scomparire il disavanzo del bilancio statale e
ridurre il debito pubblico.

-28.3 La crisi e le trasformazioni della società americana


La fase espansiva continuò anche negli anni successivi, nonostante la breve crisi seguito all’attacco
terroristico alle Torri gemelle di New York e la bolla speculativa originata dalla new economy
(tecnologie della produzione e attività produttive connesse. La crescita fu sostenuta da una forte
espansione del credito, concesso con troppa facilità, anche per la deregolamentazione del sistema
bancario. Ancora una volta, come nel 29, gli Stati Uniti e il mondo dovettero affrontare una crisi di
sovrapproduzione, manifestatasi con la caduta dei consumi e con l’impossibilità di assorbire la gran
quantità di manufatti che l’apparato industriale era in grado di produrre.
Gli Stati Uniti, comunque, stanno uscendo meglio degli altri paesi dalla crisi anche perché possono
contare sulla recente rivoluzione tecnologica dello shale gas, ce li ha resi quasi indipendenti per
questo tipo di combustibile. Intanto, la società americana sta subendo profonde trasformazioni. Il
sogno americano (“american dream”), ossia la convinzione diffusa che negli Stati Uniti vi fossero
opportunità di lavoro e di profitto per chiunque avesse capacità e voglia d’impegnarsi, è cominciato a
venir meno. La società americana sembra ormai fatta per proteggere gli interessi della parte più
agitata della popolazione e per escludere dai benefici della crescita economica una parte consistente
dei cittadini. Anche la composizione della popolazione si sta modificando a causa della forte
immigrazione, caratterizzata dall’arrivo di numerosi individui provenienti dall’America Latina e
dall’Asia. Particolarmente numerosi gli ispanici (persone di razza mista con un cognome di origine
spagnola). Gli Stati Uniti si avviano a diventare definitivamente un paese multiculturale e
multiraziale.

-28.4 Il miracolo economico giapponese


Il Giappone divenne, nel corso degli anni Ottanta, la seconda potenza economica mondiale per il Pil
prodotto. Nonostante dopo la guerra le speranze nel futuro fossero molto basse e la nazione umiliata
e sconfitta vide diminuire drasticamente la sua produzione, a partire dal 1950 fino al 1973 il
Giappone conobbe il suo miracolo economico.
L’eccezionale sviluppo economico giapponese si basò su diversi fattori:
 La guerra di Corea (1950-52) durante la quale il Giappone fu in grado di rifornire le truppe
americane di materiale bellico, in cambio di dollari;
 Gli americani aiutarono il Giappone a risollevarsi per farne il fedele alleato asiatico contro il
comunismo;
 La disponibilità di una tecnologia avanzata I Giapponesi seppero profittare meglio degli altri per
due ragioni: disponevano di un capitale umano di alto livello e avevano un elevato volume di
risparmio;
 La partecipazione al commercio internazionale Il Giappone seppe inserirsi sul mercato mondiale
come paese esportatore di prodotti ad alta tecnologia di ottima qualità;
 L’azione dello Stato il governo tenne bassi i tassi d’interesse e indusse le banche a finanziare le
imprese, ridusse le imposte, concesse sgravi fiscali alle imprese che investivano nella ricerca, varò
misure protezionistiche, realizzò un imponente riforma agraria;
 La collaborazione fra governo e imprese I ministeri predisponevano direttive concordate con gli
imprenditori che in genere le applicavano diligentemente;
 La collaborazione fra le singole imprese si formarono i keiretsu, ossia gruppi di imprese senza
struttura gerarchica con partecipazioni azionarie incrociate e con incarichi direttivi intrecciati;
 La collaborazione fra il management e i dipendenti I manager garantivano la sicurezza del posto
di lavoro e prevedevano una serie di benefici in cambio della fedeltà dei dipendenti;

-28.5 Il decennio perduto del Giappone


Negli anni Novanta vi fu una grave crisi. Le cause dell’inversione di tendenza sono da ricercarsi
proprio nella crescita precedente, durante la quale le esportazioni verso gli Stati Uniti erano
aumentate e il governo aveva adottato una politica di espansione del credito, mediante la riduzione
dei tassi d’interesse. I Giapponesi effettuarono investimenti in titoli azionari e in immobili. Nella
seconda metà degli anni Ottanta i prezzi degli immobili quasi raddoppiarono e l’economia sembrava
solida. La bolla speculativa scoppiò nel 1990 e il Giappone entrò in crisi con le conseguenze solite di
tali casi. Per contrastare la crisi fu varato un piano di grandi lavori pubblici il costo del denaro fu
portato a livelli bassissimi e si avviò un processo di deregolamentazione.

29.L’UNIONE EUROPEA
-29.1 Il Mercato comune
Nel secondo dopoguerra si avviò un processo d’integrazione economica fra i paesi europei che
successivamente portò alla nascita dell’Unione Europea. I paesi che aderirono ai vari organismi via
via costituiti furono chiamati a cedere una parte della loro sovranità.
All’inizio gli sforzi principali furono concentrati sull’ampliamento dei mercati, ritenuti troppo limitati.
Si reputava che solo mercati più ampi e imprese di maggiori dimensioni potessero assicurare
economie di scala e un aumento della produttività.
Il primo passo verso l’integrazione fu compiuto da i paesi che diedero vita al Benelux (Belgio-‐
Olanda-‐Lussemburgo) nata nel 1948 come un unione doganale che decise la libera circolazione di
beni al suo interno.
Nel 1951 fu fondata, con il trattato di Parigi, la Ceca (comunità europea del carbone e dell’acciaio),
alla quale parteciparono oltre ai paesi del Benelux la Francia, la Germania occidentale e l’Italia. Essa
era un’unione doganale per il minerale ferroso, il carbone, il coke e l’acciaio ed esercitava il controllo
sulla loro produzione e vendita.
Nel 1957, con i trattati di Roma, i sei paesi della Ceca diedero vita alla Comunità economica europea
(Cee) o Mercato comune europeo (Mec) e alla Comunità europea per l’energia atomica (Ceea o
Euratom). La prima si prefiggeva la creazione di un mercato comune tramite la libera circolazione
delle merci, dei lavoratori dei capitali e dei servizi; la seconda si proponeva di promuovere lo sviluppo
delle ricerche e la diffusione delle conoscenze in materia nucleare. La crescita economica dei paesi
durante l’età dell’oro fu veramente imponente. La Gran Bretagna non vi aderì perché non voleva
rinunciare al Commonwealth.
Tuttavia, non era contraria a semplici aree di libero scambio e promosse assieme ai paesi scandinava
l’Associazione europea di libero scambio (EFTA, European Free Trade Association). La Gran Bretagna
chiese di essere ammessa al mercato comune uscendo dall’Efta, l’ingresso avvenne solo nel 1973.
La crescita economica dei paesi della comunità durante l’età dell’oro ha dell’incredibile tanto che gli
indicatori economici mostrano un andamento che ha del “miracoloso”.
Una notevole importanza riveste la politica agricola comunitaria (Pac) che si proponeva
d’incrementare la produttività dell’agricoltura e di assicurare un equo tenore di vita ai ceti agricoli.
Così furono sostenuti i redditi degli agricoltori e protetta la produzione dalla concorrenza estera. Con
i paesi del Terzo Mondo, in particolare gli ex possedimenti coloniali, la Comunità europea sviluppò
diverse convenzioni, a partire da quella di Yaoundé nel Camerun che prendeva forme di cooperazione
commerciale, tecnica e finanziaria con diciotto Stati africani, in gran parate ex colonie francesi e
belghe.

-29.2 L’Unione Europea e l’euro


Le crisi petrolifere degli anni Settanta e il crollo del sistema dei cambi fissi colpirono in modo
particolare i paesi dell’Europa occidentale. I principali problemi dell’economia europea erano la
disoccupazione (11%) e l’inflazione.
La necessità di combattere l’inflazione portò all’adozione di politiche restrittive del credito, che
scaturirono effetti positivi e un primo sintomo di ripresa e alla definizione dell’unione monetaria
come obbiettivo. Nel 1979 fu compiuto il primo passo con la fondazione del Sistema monetario
europeo (Sme) che prevedeva la fissazione di una parità fra le monete aderenti che fu calcolata in
una nuova unità di conto, l’Ecu (European Currency Unit) composta di un paniere di monete
europee. Con la possibilità di oscillazioni del 2,25 per cento in più o in meno. Lo Sme conseguì
modesti risultati fino a quando entrò in crisi nel 1992 e l’Italia e il Regno Unito ne uscirono.
Nel 1992 venne stipulato il Trattato di Maastricht, con il quale la Comunità economica europea si
trasformò in Unione Europea, con lo scopo di perseguire l’unione politica, economica e monetaria. Fu
decisa l’introduzione di una moneta unica, l’euro (entrò vigore nel 1999 come moneta di conto e nel
2002 come moneta effettiva), e stabiliti rigidi criteri di convergenza, ai quali i paesi che volevano
adottare la nuova moneta si dovevano attenere (frenare l’inflazione, riduzione di deficit e debito
pubblico). Questi criteri miravano a mantenere la stabilità della moneta.

Fu creata la Banca Centrale Europea, che ha il compito di definire e attuare la politica monetaria
dell’aria dell’euro (Eurozona) e di detenere e gestire le riserve degli stati membri. Essa si propone
innanzitutto di garantire il potere d’acquisto dell’Euro e la stabilità dei prezzi. Il consiglio direttivo
della BCE è composto dai governatori delle banche degli stati aderenti all’euro.

-29.3 La lenta crescita della Gran Bretagna


Nel secondo dopoguerra la Gran Bretagna si trovò in grande difficoltà. Durante il conflitto aveva
accumulato un pesante debito estero e fu costretta a chiedere un prestito a Stati Uniti e Canada
per pagare le importazioni.
Il nuovo governo laburista mise mano a una serie di nazionalizzazioni ma l’80% delle industrie
rimasero in mano ai privati. Molto importanti furono i provvedimenti tesi a realizzare il Welfare
State che avviarono un vasto programma di edilizia pubblica, forme di assistenza ai lavoratori e ai
cittadini e il miglioramento del sistema dell’istruzione.
L’economia riprese a crescere lentamente fino alla dura crisi petrolifera che bloccò nuovamente
l’economia britannica. Negli anni Ottanta la politica neoliberista di Margaret Thatcher portò alla
privatizzazione di molte industrie statali, alla riduzione della spesa pubblica, con conseguente
peggioramento della qualità dei servizi, e a un processo di ristrutturazione industriale. Comportò la
chiusura delle fabbriche inefficienti e un aumento della disoccupazione. Le privatizzazioni fecero
aumentare la partecipazione dei risparmiatori al capitale delle società fornendo capitali freschi alle
imprese.
Negli anni Ottanta e Novanta si svilupparono nuovi settori in particolare l’elettronico. La Gran
Bretagna dal 1975 iniziò a sfruttare ricchi giacimenti di petrolio scoperti nel Mare del Nord. Negli
ultimi anni Novanta conobbe una crescita accelerata che le consentì di recuperare il ritardo
accumulato nei confronti degli altri paesi. La City di Londra diventò il centro finanziario mondiale.
La Gran Bretagna decise di non aderire all’euro e conservare la sterlina.
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-29.4 L’economia francese


In Francia la popolazione era rimasta praticamente invariata nei cinquant’anni precedenti,
l’economia era chiusa verso l’esterno e riusciva a sostenersi solo con misure protezionistiche. Lo
Stato, non aveva né gli strumenti né la volontà per impegnarsi a fondo in un’efficace politica
economica.
All’indomani della liberazione la Francia fu capace di uno slancio nazionale e di riprendersi
rapidamente. La ricostruzione fu realizzata a tempo di record. L’obbiettivo fu la modernizzazione
sotto la guida dello Stato. Così la Francia si indirizzò verso una forma di economia mista con la
creazione di un ampio settore pubblico. Il primo passo fu la nazionalizzazione e successivamente
l’introduzione della pianificazione economica di Jean Monnet mediante l’approvazione di piani
quadriennali. Lo Stato promosse anche l’apertura dell’economia verso l’esterno. La popolazione
rinnovato il clima di fiducia riuscì finalmente a crescere e si incrementò del 60%.
La crisi petrolifera indusse la Francia a puntare sulle centrali nucleari per la produzione di energia
elettrica, in questo campo, è ora seconda solo agli Stati Uniti. Dopo la crisi la politica economica fu
caratterizzata da un alternarsi di privatizzazioni e nazionalizzazioni. Oggi la Francia ha un’economia
prospera, lo Stato conserva una considerevole presenza nell’economia. L’efficienza della pubblica
amministrazione è garantita da una classe di funzionari molto preparati formati in prestigiose
scuole, la più famosa è l’Ena.

-29.5 Le due Germanie


La Germania rimase senza governo fino al 1949. Gli occupanti cominciarono subito a smantellare
l’industria degli armamenti e altre industrie pesanti, così da impedire alla Germania di ricostruire
un apparato produttivo e una concentrazione economica capace di dar via a un altro conflitto.
Furono smembrate le grandi imprese e le grandi banche, nel 1948 gli Americani introdussero una
nuova moneta, il Deutsche Mark, senza consultare i Sovietici. Questo provvedimento acuì i
contrasti fra le potenze occupanti e portò alla definitiva divisione della Germania in due Stati
separati:
 La Germania occidentale, Repubblica federale tedesca (Americani)  Era la parte più
industrializzata e meglio dotata di risorse naturali. Il clima della Guerra fredda indusse gli
Americani a interrompere gli smantellamenti e a avviare un programma di ricostruzione e
sviluppo, inserendola nel Piano Marshall, con lo scopo di trasformarla in un alleato in
funzione anticomunista. Da allora ebbe inizio il miracolo economico tedesco. La Repubblica
Federale Tedesca si ispirò a un’economia sociale di mercato, cioè una forma di economia
mista basata sul libero mercato che prevede un’incisiva azione pubblica per perseguire la
giustizia sociale e la solidarietà fra le diverse componenti della collettività. Questo modello fu
completato con la cogestione ovvero la partecipazione dei lavoratori mediante
rappresentanti eletti. La crescita economica tedesco-occidentale si basò principalmente sulle
esportazioni, che aumentarono notevolmente. La Germania occidentale esportava beni ad
alto contenuto tecnologico, il cui valore arrivò ad un quarto della produzione complessiva.
Essa si poté giovare di un continuo flusso di lavoratori immigrati. L’economia della Germania
occidentale diventò la più solida di tutta l’Europa.
 La Germania orientale, Repubblica Democratica Tedesca (Sovietici)  Nacque come uno
Stato accentrato e attuò, sull’esempio sovietico, l’economia pianificata. Essa costituiva la
parte meno sviluppata della Germania. Fino al 1973 la sua crescita fu solo di poco inferiore a
quella della Germania occidentale ed essa si pose tra le nazioni più ricche e avanzate del
Blocco Sovietico. Partita da una situazione meno favorevole subì un’emorragia di
manodopera che spesso mise in crisi la continuità del lavoro nelle fabbriche. La pianificazione
puntò sull’industria pesante e i Tedeschi dell’est soffrirono di un’insufficiente disponibilità di
beni di consumo.

-29.6 La riunificazione tedesca


Dopo il crollo del muro di Berlino (1989), la riunificazione fu realizzata nel 1990 dopo la fine del
regime comunista nella Germania orientale. Avvenne pacificamente per annessione, i territori
orientali chiesero di entrare a far parte della Repubblica Federale Tedesca come nuovi Lander. Il
costo dell’operazione fu molto elevato, i Tedeschi dell’Est indussero il governo a fissare la
conversione del marco orientale con quello occidentale alla pari, mentre valeva molto di meno.
Per affrontare le spese ingenti il governo dovette ricorrere a nuove imposte, per la
modernizzazione delle infrastrutture e il risanamento dell’apparato industriale della parte
orientale.
Negli anni Novanta, perciò l’economia rallentò la sua crescita e furono necessari dolorosi
interventi di ristrutturazione produttiva e di riduzione delle spese pubbliche.

30.L’ECONOMIA ITALIANA
-30.1 La ricostruzione
Le condizioni dell’Italia, alla fine del secondo conflitto mondiale, erano disastrose. Essa subì ingenti
danni al patrimonio abitativo e dei trasporti, mentre relativamente pochi furono quelli registrati
dall’apparato industriale. Nell’ immediato dopoguerra il Pil procapite crollò nel 1945 al 55% di
quello del 1939.
Negli anni della ricostruzione la nuova classe politica repubblicana dovette affrontare alcuni
immediati problemi come:
 La ripresa della produzione fu rapida e possibile grazie agli aiuti americani giunti prima tramite
Unrra e poi con il Piano Marshall che finanziò sia il governo che poi distribuì gli aiuti alle
imprese, sia direttamente le imprese. Il governo italiano vendeva i beni presi dal piano
Marshall sul mercato nazionale e con il ricavato, confluito in un apposito fondo lire,
provvedeva alle spese per la ricostruzione. Le imprese italiane ottennero dagli Stati Uniti
prestiti per l’acquisto di attrezzature, all’incirca due terzi dei prestiti andarono alle tre regioni
del triangolo industriale e solo poco più del 9% al mezzogiorno.
 L’inflazione che fu causata dalla scarsità di beni che non riuscendo a soddisfare la domanda
fecero lievitare i prezzi, dalla massiccia emissione di biglietti di banca e di Stato e
dall’introduzione da parte degli americani dell’”amlira” che avendo un valore superiore
rispetto alla lira fece aumentare i prezzi. La lotta all’inflazione fu condotta con la cosiddetta
linea Einaudi, costituita da una serie di misure prese dal ministro del Bilancio, Luigi Einaudi, che
miravano alla riduzione della circolazione monetaria.
Si elevò il tasso ufficiale di sconto rendendo i prestiti più cari, si aumentarono le riserve
obbligatorie delle banche in modo che non potessero investire parte dei depositi raccolti.
La scelta fondamentale del governo, costituito dal partito della Democrazia cristiana, fu di optare
per un’economia aperta fondata sul libero mercato. La scelta era obbligata perché secondo gli
accordi di Yalta il passaggio all’economia aperta era inevitabile per un paese costretto ad importare
materie prime e combustibili. L’Italia aderì al Fondo monetario internazionale (FMI) e alla Banca
Mondiale. Non vi furono nazionalizzazioni dato che in Italia esisteva già un consistente settore, basti
pensare alle numerose imprese controllate dall’Iri. In mano pubblica era pure l’Agip (Azienda
generale italiana petroli) che fu rilanciata da Enrico Mattei. Mattei promosse anche la costituzione
dell’Eni (ente nazionale idrocarburi) che doveva assicurare all’Italia il rifornimento delle fonti di
energia. Le imprese pubbliche operavano sotto forma di società per azioni, possedute dallo Stato.
Perciò fu istituito il Ministero delle partecipazioni statali.
Nel 1950 furono varati due importanti provvedimenti:
 La riforma agraria con l’espropriazione di 800 mila ettari di terre ai grandi proprietari, che
vennero indennizzati, e la loro assegnazione a famiglie di braccianti agricoli. Si venne a formare
una piccola proprietà coltivatrice, che per non costituire un ostacolo all’ammodernamento
dell’agricoltura, si organizzò in un vasto movimento cooperativo;
 La Cassa per il Mezzogiorno (poi sostituita con una agenzia per il Mezzogiorno soppressa nel
1993) che doveva finanziare opere straordinarie di pubblico interesse nelle regioni meridionali.
Nei primi anni rivolse il sostegno soprattutto all’agricoltura e successivamente alla creazione di
industrie. Grazie a questo si ridusse il divario Nord-Sud.

-30.2 Il miracolo economico


Dal 1950 al 1973 furono gli anni del miracolo economico, durante i quali il Pil procapite aumentò del
5,8% l’anno. La crescita fu accompagnata da profondi mutamenti strutturali che consistettero
nell’esodo dalle campagne e dal conseguente aumento degli addetti all’industria e al settore
terziario (industrializzazione e terziarizzazione).
L’agricoltura si modernizzò, grazie all’aiuto dello Stato e mediante una rapida meccanizzazione e
una più diffusa utilizzazione dei concimi chimici. Lo sviluppo dell’agricoltura inoltre, fornì forza
lavoro a basso costo all’industria.
Le principali industrie erano quelle dedite alla produzione di automobili, di elettrodomestici e di
fibre sintetiche. Si affermò la grande impresa sull’esempio americano, che fu organizzata secondo
criteri della fabbrica fordista. La bilancia dei pagamenti si portò in attivo a partire dal 1957 grazie
alle accresciute esportazioni, alle rimesse degli emigrati e per lo sviluppo del turismo. L’Italia era
diventata in pochi decenni una nazione industrializzata. Il ritardo del Mezzogiorno riuscì a essere
parzialmente ridotto. L’intervento statale, attraverso l’azione della Cassa del Mezzogiorno, consentì
la nascita di grandi industrie anche tecnologicamente avanzate. Esse, però, riuscirono ad assorbire
poca manodopera, sicché la disoccupazione rimase molto elevata e per molte persone la soluzione
era costituita dall’emigrazione. La modernizzazione del Mezzogiorno è stata però passiva e non
riuscì ad avviare un autonomo percorso di crescita.
Dopo la Seconda guerra mondiale, riprese l’emigrazione dalle regioni meridionali. Gli emigranti
partirono per le Americhe e per l’Europa. Vi fu pure una massiccia migrazione interna verso le zone
del triangolo industriale. Negli anni 50-60 si trasferirono dal sud al centro-nord del Paese circa due
milioni di persone, con problemi di sistemazione e adattamento nelle città di arrivo. L’emigrazione
degli anni del miracolo economico riguardò la manodopera generica priva d’istruzione, richiesta in
molte fabbriche.
Ricapitolando le ragioni del miracolo economico furono:
-gli aiuti americani
-la scelta per un’economia aperta orientata alle esportazioni
la disponibilità di manodopera a basso costo
-bassi prezzi internazionali delle materie prime e delle fonti energetiche
-il ruolo dello Stato Ruolo che finanziò lo sviluppo di determinati settori e fu presente in numerosi
rami economici con le imprese pubbliche
-un solido sistema bancario capace di fornire finanziamenti necessari, anche mediante nuovi istituti
di credito destinati ai finanziamenti industriali a medio e lungo termine.

-30.3 L’Italia nella crisi degli anni Settanta


L’economia italiana risentì della crisi petrolifera del 1973 e rallentò la sua crescita. Una delle
conseguenze fu la forte inflazione, per via dell’aumento del prezzo del petrolio furono varate
diverse misure per il risparmio energetico. L’Italia cominciò a utilizzare sempre di più il gas naturale
fornito soprattutto dall’Algeria e dalla Russia.
La crisi fu affrontata grazie all’intervento dello Stato. Il sostegno alle imprese fu attuato in vari
modi. Fu decisa la fiscalizzazione degli oneri sociali. I salvataggi avvennero tramite la Gepi (Società
per le gestioni e partecipazioni industriali), un’agenzia pubblica, incaricata di concedere
finanziamenti agevolati alle aziende industriali in difficoltà transitorie.
Fu costituita anche la Cassa integrazione guadagni, incaricata di versare, per un certo periodo, una
parte dello stipendio ai lavoratori licenziati o momentaneamente sospesi dal lavoro per riduzione
della produzione.
I redditi delle famiglie furono sostenuti mediante l’allargamento del Welfare, furono introdotte le
pensioni sociali, riformato il sistema pensionistico, istituito il Servizio sanitario nazionale gratuito. La
conseguenza fu un aumento della spesa pubblica. Fu necessario aumentare il prelievo fiscale,
mediante la riforma del sistema tributario, che prevedeva l’introduzione dell’Iva e dell’Irpef. Fu
necessario ricorrere all’indebitamento pubblico che superò la soglia del 100% del Pil annuo. Per
ridare competitività alle imprese sui mercati internazionali si fece ricorso a svalutazioni della lira.
La lotta all’inflazione fu adottata con una politica restrittiva del credito, fu deciso il divorzio fra
Banca d’Italia e Tesoro che liberava l’istituto di emissione dall’obbligo di sottoscrivere i titoli di Stato
invenduti. Un altro provvedimento fu la riduzione della scala mobile, ossia un sistema di
adeguamento automatico dei salari e stipendi al costo della vita.
D’altra parte, la riduzione dell’inflazione era, assieme al risanamento dei conti pubblici, fra le
condizioni previste dal trattato di Maastricht per poter entrare nell’euro. Per raggiungere questi
obbiettivi all’inizio degli anni Novanta furono attuate varie misure dall’aumento della pressione
fiscale all’abolizione di privilegi pensionistici.
Negli anni 90, dopo aver trasformato le banche si procedette ad un serie di privatizzazioni. Le
privatizzazioni portarono nelle casse dello stato quasi 140miliardi di euro. Gli acquirenti furono sia
imprenditori nazionali che stranieri, alcuni dei quali con scopi speculativi, cioè con l’intenzione di
rivendere successivamente le imprese acquistate. Lo stato conservò tuttavia importanti quote di
partecipazione e rimase l’azionista di riferimento di molte grandi aziende. Anche il sistema bancario
fu privatizzato con la riforma attuata dal Testo Unico Bancario del 1993 che ridusse le categorie di
banche a due: quelle sotto forma di società per azioni e le banche cooperative. Si adottò il sistema
della banca universale e vi furono numerose fusioni fra banche che formarono i grandi gruppi.

-30.4 Imprese e distretti industriali


Dopo la crisi degli anni Settanta le grandi imprese procedettero a una ristrutturazione produttiva.
Per risparmiare sul costo della manodopera, diventato più rigido con le normative successive
all’autunno caldo, ricorsero sempre di più all’automazione dei processi produttivi, sostituendo i
lavoratori con le macchine e successivamente con i computer. Anche in Italia il modello fordista
cominciava a tramontare per cui si ricorse sempre di più all’automazione dei processi produttivi, al
decentramento e alla delocalizzazione. I rami più produttivi continuarono ad essere quello
meccanico e il cosiddetto “made in Italy”, formato da un’insieme di imprese di medie dimensioni
che operavano nel comparto tessile-‐abbigliamento-‐ calzature producendo beni destinati alle
fasce alte del mercato e all’esportazione.
Aumentava il peso delle piccole e medie imprese che ebbero il compito di trainare l’economia del
Paese. La loro presenza, diffusa sul territorio, pose fine allo storico predominio del triangolo
industriale. Le Pmi ispirate al modello giapponese di lean-production si dimostrarono anche in
Italia adatte ai settori leggeri a moderata intensità di capitale e capaci di competere sui mercati
internazionali, tanto che le loro esportazioni contribuirono a riequilibrare la bilancia dei pagamenti.
Si dimostrarono, per la loro struttura flessibile, in grado di resistere alla crisi. La nuova
caratteristica fu la nascita di concentrazioni in aree geografiche di più Pmi, che si dissero distretti
industriali. Questi furono riconosciuti dal legislatore come degni di tutela per il patrimonio
economico che costituivano con una legge del 1991.
Nel momento in cui le grandi imprese si trovarono in difficoltà e dovettero procedere a drastiche
ristrutturazioni e le piccole imprese non riuscivano a crescere, furono le medie imprese a far
registrare i maggiori successi. Queste cominciarono ad affermarsi negli anni Ottanta, divennero le
nuove protagoniste del sistema industriale italiano.

-30.5 Le difficoltà dell’economia italiana


A partire dagli anni Settanta la crescita rallentò notevolmente, realizzando fino alla vigilia della crisi
del 2008-‐2009 un misero incremento del 1,2% annuo. Vi erano alcuni problemi strutturali che non
consentivano all’economia italiana di crescere allo stesso ritmo degli altri paesi.
Un primo problema è la perdita di competitività del Paese che non può più ricorrere a svalutazioni
competitive dopo la sua adesione all’euro e che non si è dimostrato in grado di migliorare la qualità
e di accrescere la produttività del lavoro e del capitale. Il suo modello di specializzazione a livello
internazionale non risulta più all’altezza delle sfide globali, perché la struttura delle esportazioni è
rimasta in larga misura immutata. L’Italia ha risentito sempre di più della concorrenza dei paesi in
via di sviluppo, che possono fare affidamento su bassi costi di produzione.
Inoltre, difettiamo di fattori produttivi che favoriscano la crescita dei settori ad elevata tecnologia,
in primo luogo di un adeguata presenza di manodopera qualificata. Un altro enorme problema è
costituito poi dall’enorme debito pubblico nonostante le pesanti misure adottate dal governo che
aumentano sempre di più. Un'altra causa dell’elevato indebitamento è l’evasione fiscale.
L’Italia soffre pure di una consistente disoccupazione accompagnata da una elevata precarizzazione
del rapporto di lavoro.

31. LA FINE DELL’ECONOMIA PIANIFICATA IL BLOCCO SOVIETICO


31.1 I limiti della pianificazione
Fra i paesi che avevano combattuto la Seconda guerra mondiale, l’Unione Sovietica fu quello che
subì i maggiori danni. Dopo la guerra fu ripresa la pianificazione, che puntò come in precedenza
sull’industria e sugli armamenti, per la paura di essere accerchiata, anche se ormai aveva messo fra
se e l’Europa i cosiddetti “Stati satelliti”. Morto Stalin nel 1953, il nuovo segretario generale del
partito comunista Nikita Chruschev (1953-‐64) dichiarò di voler portare la produzione di numerose
derrate alimentari al livello degli Stati Uniti, per ovviare al problema della scarsa produttività
agricola sovietica. Si continuarono a predisporre piani che sacrificavano la produzione di beni di
consumo, a vantaggio di quelli strumentali e degli armamenti oltre che dell’esplorazione dello
spazio. Tuttavia, anche l’Unione Sovietica partecipò alla generale fase di sviluppo dell’economia
mondiale e il suo Pil pro capite crebbe. A mano a mano che l’attività economica diventava più
ampia e articolata, i limiti della pianificazione centralizzata sovietica risultarono più evidenti. I
principali limiti erano:
 Difficoltà di coordinamento fra l’attività delle diverse fabbriche, poiché
l’approvvigionamento di materie prime e semilavorati di una fabbrica dipendeva dal
funzionamento di altre fabbriche per cui se un anello della catena non funzionava
entrava in crisi l’intero sistema.
 Difficoltà di prevedere la quantità di beni da produrre, sicché vi poteva essere un loro
eccesso o una scarsità.
 Fissazione dei prezzi al consumo senza tenere della dovuta considerazione dei costi di
produzione.
 Difficoltà di introdurre innovazioni tecnologiche, poiché non vi era lo stimolo alle
invenzioni e alle innovazioni.
Per completare il quadro dell’economia sovietica, bisogna ricordare che non vi era disoccupazione,
ma la produttività del lavoro era bassissima. Anche in agricoltura la produttività era molto bassa,
ma durante gli anni Settanta grazie agli investimenti destinati all’agricoltura la produzione di
derrate alimentari aumentò notevolmente, ma non fu capace di rendere autosufficiente l’Unione
Sovietica. L’agricoltura inoltre, sacrificata alle necessità della pianificazione industriale, continuava
ad avere un numero eccessivo di addetti.

33.1. I tentativi di riforma in Unione Sovietica


Michail Gorbacev passò alla guida dell’Unione Sovietica dal 1985 al 1991. Pose mano a riforme
volte a conferire maggiore autonomia alle imprese, sulla stessa onda, ma più incisive, di quelle
attuate precedentemente dai dirigenti sovietici, basate sul concetto di profitto sul capitale come
criterio di valutazione della produttività. Queste prevedevano:
 La trasparenza o pubblicità (glasnost), volta a realizzare forme democratiche di gestione del
potere pubblico, attraverso la libertà di espressione e d’informazione, in maniera tale da
consentire una libera discussione dei problemi del Paese e una ricerca delle soluzioni.
 La ristrutturazione, che richiamava in qualche modo la Nep e si concretizzò in provvedimenti
legislativi che resero le imprese statali più libere di fissare le loro quote di produzione. Lo
scambio di beni fra le imprese doveva avvenire al prezzo di mercato e non più ai prezzi imposti
e si costituì la Borsa merci di Mosca (speculazioni). Fu consentita l’iniziativa privata per creare
piccole e medie imprese nei settori del commercio e della produzione, furono assegnate terre
ai contadini e ridimensionato il potere del Partito comunista, con la graduale riduzione del
ruolo dei suoi funzionari a vantaggio dei dirigenti statali.

Il tentativo di Gorbacev di conservare il sistema socialista attraverso una sua radicale


trasformazione risultò fallimentare. Secondo alcuni il suo errore sarebbe stato di puntare più sulle
riforme politiche che su quelle economiche. Infatti le riforme prettamente politiche portarono al
crollo del Partito comunista e alla disintegrazione dell’Unione Sovietica. Cominciò a formarsi una
categoria di oligarchi aventi uno stretto legame col governo che gli garantiva protezioni e benefici
favorendone l’arricchimento spropositato. Il deficit del bilancio statale era straordinariamente
cresciuto per via delle enormi spese di difesa. Ai normali elevati costi per conservare imprese
inefficienti e tenere basso il livello dei prezzi al consumo, si aggiunsero le spese per far fronte ad
alcuni eventi eccezionali come l’incidente della centrale nucleare di Chernobyl. La liberalizzazione di
alcuni prezzi li fece aumentare facendo conoscere ai russi due fenomeni loro estranei: l’inflazione e
la disoccupazione.

33.2. Il crollo dei regimi comunisti


Dopo la Seconda guerra mondiale i paesi liberati dall’Armata Rossa entrarono a far parte del
Comecon (1949) (in contrapposizione al Piano Marshall), adottando il sistema politico ed
economico dell’Unione Sovietica. Questo si proponeva di coordinare lo sviluppo economico dei
paesi membri, realizzare un efficiente divisione del lavoro e favorire gli scambi, risultando uno
strumento di dominio con cui i Sovietici si imposero sui paesi satelliti.
L’incapacità dell’economia pianificata di migliorare le condizioni di vita fece crescere il
malcontento, e le condizioni per la caduta dell’Unione Sovietica maturarono con le riforme di
Gorbacev che diedero maggiore forza ai gruppi che si opponevano ai regimi comunisti.
Il 1989 fu l’anno della svolta, vi fu una transizione pacifica a catena verso governi non comunisti di
Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia (si divise in Repubblica ceca e Repubblica slovacca). L’evento
simbolico della fine del regime fu il crollo del Muro di Berlino, che fu distrutto nella notte fra il 9 e il
10 novembre 1989 da una moltitudine di Tedeschi dell’est che si riversò nella parte occidentale
della città senza che le autorità tedesco-orientali osassero intervenire. In rapida successione
caddero tutti gli altri regimi comunisti, in modo pacifico o in seguito a violente agitazioni di piazza. Il
Comecon, che non era mai stato così efficace, fu sciolto ufficialmente nel 1991.
33.3. La crisi della transizione
Il tentativo di riforme di Gorbacev non riuscì e le repubbliche slave (Russia, Ucraina e Bielorussia)
dichiararono nel 1991, lo scioglimento dell’Unione Sovietica. Nacquero così 15 repubbliche
indipendenti tra le quali la nuova Federazione russa era ovviamente la più grande.
La transizione al capitalismo fu lunga e difficile e la fretta con cui fu attuata portò a risultati
disastrosi. I primi provvedimenti riguardarono la liberalizzazione del commercio interno e di quello
estero e l’apertura del mercato russo al commercio internazionale e agli investimenti esteri.
La privatizzazione delle imprese statali fu l’operazione più difficile. Tale compito fu affidato a una
Commissione statale che trasformò le imprese pubbliche in società cedendo parte delle azioni a
poco prezzo ai lavoratori delle imprese stesse. Furono distribuiti voucher gratuiti ai cittadini, che li
avrebbero potuti trasformare in azioni delle imprese privatizzate. Lo scopo non fu raggiunto perché
i proprietari dei voucher preferirono venderli ai vecchi dirigenti che divennero ricchissimi. Lo Stato
mantenne comunque la proprietà di numerose attività strategiche (telecomunicazioni, energia,
armi)
Esplose una violenta inflazione che si trasformò in iperinflazione a causa della liberalizzazione dei
prezzi e dell’enorme emissione di biglietti per supplire alle imminenti necessità dello Stato. Vi
furono per conseguenza grandi mutamenti nella distribuzione del reddito, che all’epoca dell’Unione
Sovietica era abbastanza equa. L’agricoltura fu ancora una volta sacrificata e vi fu un inquietante
calo demografico (droga, malattie veneree, omicidi, suicidi).
Nell’Europa orientale il processo di transizione risultò meno traumatico. La transizione Russa fu la
più complessa fra quelle degli altri paesi dell’Unione Sovietica, per via del costo dell’enorme
apparato industrial-militare e dalla prevalenza della monocultura industriale. Anche il sistema
provvidenziale ereditato dall’Urss non poté essere utilizzato, poiché era affidato alle grandi imprese
statali che si occupavano direttamente di assistere i lavoratori.

33.4. La ripresa dell’economia russa


La crisi della transizione fu superata verso la fine degli anni Novanta, dopo un’ulteriore crisi
valutaria del rublo che fu sottoposto ad attacchi speculativi e si svalutò rispetto alle altre monete.
Con il nuovo secolo la Federazione Russa conobbe una forte ripresa economica grazie a due fattori:
 Consistenti esportazioni di petrolio e di gas naturale oltre che di metalli e legname, i cui prezzi
sul mercato mondiale erano in crescita
 La debolezza del rublo che favoriva le esportazioni e scoraggiava le importazioni, sostenendo
in tal modo le industrie nazionali.
I consumi privati ripresero a crescere e con essi la produzione. Le grandi industrie russe finirono
nelle mani di pochi gruppi privati, ma lo Stato conservò parecchie grandi aziende, specialmente nel
settore energetico, ad esempio la Gazprom che è il maggiore estrattore di gas naturale, venduto a
molti paesi. Oltre alla banca centrale (Banca di Russia) lo stato mantenne anche il controllo di
diverse banche, nate o ristrutturate in seguito alla riforma del sistema bancario sovietico. Nel 2012
la Russia entrò nella WTO e quindi si impegnò a liberalizzare il proprio commercio estero. Lo
sviluppo economico interessò principalmente la regione di Mosca (e qualche altra grande città)
dove i livelli di reddito si avvicinarono a quelli di altri paesi europei, mentre gran parte del paese
rimase indietro, soprattutto nelle zone rurali e nei territori asiatici. Il Pil pro capite Russo
nonostante i sicuri progressi realizzati dopo la crisi della crisi di transizione, nel 2016 era al 45% di
quello americano. La Federazione russa è uno dei principali paesi emergenti e una delle maggiori
potenze industriali del mondo.

34. IL RISVEGLIO DELL’ASIA


34.1. La Cina comunista
L’asia nel suo complesso produceva, nel 1820, secondo i calcoli di Angus Maddison, quasi il 60% del
P.I.L. mondiale. Nel 1950 la sua quota si era ridotta a meno del 20%, per riportarsi al 44% nel 2008.
Questi dati mostrano come il continente Asiatico avesse perso molto terreno di fronte all’avanzata
della rivoluzione industriale in occidente e come, negli ultimi decenni abbia saputo realizzare una
crescita per certi versi inaspettata. Nel contesto asiatico la Cina rappresenta un caso particolare.
Caratterizzata da un lungo periodo d’isolamento chiusa ai rapporti internazionali. Verso la metà
dell’ ottocento fu costretta però ad aprirsi al commercio internazionale dalle potenze occidentali
stipulando dei trattati ineguali simili a quelli giapponesi (basse tariffe doganali ecc..). l’economia
cinese anche a causa di alcuni problemi interni collassò. Con la fine dell’ultima dinastia imperiale
cinese (1911) fu instaurata la repubblica e iniziò una profonda guerra interna tra P.N. e P.C.. Uno
scontro che portò al trionfo dei comunisti di Mao Zedong che nel 1949 instaurò la repubblica
popolare cinese (confinando i nazionalisti nell’isola di Taiwan). La storia economica della Cina
comunista si può dividere in due fasi. Economia pianificata (1949-1978) e l’economia socialista di
mercato. La realizzazione del comunismo passò attraverso varie fasi:
 La Cina seguì l’esempio dell’Unione Sovietica
 Successivamente a causa di grandi divergenze tra i leader del paese nel 1960 prese
una strada diversa.
Come in Unione Sovietica, furono introdotti i piani quinquennali che puntarono sull’industria
pesante, a scapito della produzione di beni di consumo. Le grandi imprese e le banche furono
nazionalizzate (senza indennizzo) le piccole invece furono spinte a formare delle cooperative.
L’agricoltura costituiva il settore più importante dell’economia. In Cina fu attuata la riforma agraria
più grande che la storia ricordi (1950-1952) 80 mln di ettari di terreni confiscati ai proprietari
terrieri e distribuiti ai contadini. Essendo gli appezzamenti troppo piccoli il governo promosse la
costituzione di cooperative agricole, alla quale le famiglie conferivano i loro poderi (160 famiglie,
150 ettari di terreno, condizioni non migliorarono più di tanto). Tra il 1958 e il 1960 i dirigenti del
P.C. lanciarono il grande balzo in avanti un piano economico-sociale che richiese una generale
mobilitazione della popolazione per trasformare il paese in una moderna società industriale, con
l’intento di raggiungere i paesi sviluppati (soprattutto G.B.):
 Industria: decentramento e lavoratori coinvolti nella gestione
 Agricoltura: nelle campagne si formarono le comuni agricole, una sorta di comunità di
villaggio organizzate in brigate (ex cooperative) e squadre (unità operative).
Nonostante i sacrifici imposti alla popolazione e gli errori (14 milioni di morti per carestia) il grande
balzo in avanti trasformò il volto della Cina da paese rurale a industrializzato. La crescita economica
subì un rallentamento all’epoca della cosiddetta rivoluzione culturale un vasto movimento politico
ed economico voluto da Mao (1966-1969). In sostanza fu una lotta interna al partito, nel quale si
contrapponevano differenti visioni sul proseguo della rivoluzione. Questa rivoluzione si basò
principalmente sulla mobilitazione dei giovani riuniti in gruppi denominati guardie rosse. Essi
imperversarono in tutto il paese per imporre il pensiero di Mao sventolando il libretto rosso
contenente le massime del loro leader. Il Pil pro capite cinese raddoppiò fra il 1950 e la metà degli
anni 70 non andando però oltre il 5% di quello americano e il 7% di quello britannico. Ma il solo
fatto che l’economia cinese fosse riuscita a tenere il passò con quelle occidentali fu un successo in
un paese che doveva mantenere la popolazione più numerosa al mondo che nel frattempo si
triplicò passando da 550 mln a quasi un miliardo

34.2. Le riforme cinesi e l’economia socialista di mercato


Dopo la morte di Mao (1976) il suo successore Deng Xiaoping avviò un graduale processò di
liberalizzazione dell’economia. Il sistema politico fu conservato ma si cominciò a passare
all’economia di mercato sotto il controllo dello Stato. Dal 1978 furono attuate riforme in tutti i
settori, che introducevano elementi di capitalismo nel sistema. I riformatori cinesi si proposero di
far aumentare i redditi individuali e i consumi. Furono introdotti degli incentivi salariali volti a
stimolare maggior impegno nei lavoratori e fu abbandonato il concetto di egualitarismo perseguito
fino a quel momento. Si conservarono i piani quinquennali che presero il nome di linee guida, che
continuarono ad avere un ruolo importante nell’organizzazione economica. La prima riforma
riguardò l’agricoltura. Il sistema delle comuni fu abbandonato e si torno alle piccole aziende
familiari. Le famiglie una volta pagato il canone potevano vendere le eccedenze sia allo Stato sia sul
libero mercato che era stato ripristinato. La produzione di cereali in appena dieci anni aumentò di
circa il 30% e i raccolti raddoppiarono. La popolazione attiva nell’agricoltura crollò dal 70% (1995) al
28% (2016). Anche il settore industriale subì profonde modifiche. Le imprese erano state pubbliche
fino a quel momento. Dal 1978 in poi iniziarono a nascere le prime imprese a livello familiare. Le
imprese vennero progressivamente privatizzate e cominciarono a conquistare man mano fette più
ampie di mercato. Le imprese statali, costituirono grandi gruppi capaci di competere sui mercati
internazionali e furono autorizzate a vendere liberamente la quantità di prodotti che eccedeva
quella stabilita dal piano, al quale dovevano comunque attenersi. Il governo cinese decise di attirare
investimenti esteri e quindi aprì diverse zone economiche speciali. Le Zes sono regioni o città dotate
di una legislazione particolare in materia economica, con lo scopo di attirare gli investitori, offrendo
loro agevolazioni di ogni tipo. Il sistema bancario fu riformato e nacquero numerose banche
private, anche se il ruolo di quelle pubbliche rimase preponderante. Furono riaperte le borse. La
moneta (yuan) non è liberamente convertibile in valuta estera e il cambio viene fissato dallo stato
molto basso rispetto al dollaro per avere una maggiore competitività. La Cina grazie anche al basso
costo della manodopera riuscì a diventare nel 2009 il primo esportatore mondiale superando la
Germania. I prodotti nel tempo si sono caratterizzati per l’alta tecnologia. Fra il 1980 e il 1996 il
valore delle esportazioni aumentò di otto volte, e di altre sei entro il 2007, attestandosi intorno al
37% del Pil, risultato sicuramente favorito dall’ingresso della Cina nella Wto nel 2001. A partire dagli
anni Novanta la bilancia commerciale risulta costantemente attiva. Grazie alle importazioni la Cina
si trovò con enormi disponibilità di valuta estera, una parte della quale investita nell’acquisto di
titoli pubblici americani, rendendo i legami tra i due molto forti, con la Cina che risulta uno dei più
grandi creditori. In Cina si è ormai affermata una economia mista detta appunto socialista di
mercato. Forse anche per questo la Cina poté affrontare al meglio la grande recessione dei primi
anni del XXI secolo. È stata in grado di varare un vasto programma di intervento pubblico con grossi
interventi in infrastrutture. Secondo i dati in valori costanti della Banca Mondiale, il Pil complessivo
cinese ha superato quello americano nel 2013, diventando l’economia più grande del mondo
(secondo i dati in valori correnti invece gli usa conservano il primato)

34.3 L’India indipendente


Il subcontinente indiano conquistò l’indipendenza nel 1947. Al momento dell’indipendenza
nacquero due stati: India e Pakistan. L’India (a maggioranza induista) diede vita a una repubblica
federale. Il Pakistan (a maggioranza mussulmana) risultò composto dalle province nordoccidentali
(attuale Pakistan) e dal Bengala orientale, separatosi nel 1971 con il nome di Bangladesh. La
dominazione coloniale aveva lasciato all’india la conoscenza diffusa della lingua inglese, una
moderna burocrazia e una buona dotazione di infrastrutture che si riveleranno utili per lo sviluppo
successivo. L’india adottò una strategia di industrializzazione fondata su tre elementi strettamente
collegati:
 La sostituzione delle importazioni
 Il protezionismo
 L’intervento statale nell’economia (piano di Bombay 1944) il governò si orientò verso
l’elaborazione di piani quinquennali.
L’attività industriale fu divisa in 3 gruppi:
 Imprese pubbliche (industria pesante)
 Le imprese a partecipazione pubblica (destinate a diventare pubbliche)
 Imprese private (industria leggera, beni di consumo)
Sul finire degli anni Sessanta iniziò un progetto di nazionalizzazione delle banche con lo scopo di
diffonderle anche nelle zone rurali. L’ agricoltura rimase al settore privato ma fu ampiamente
sostenuta dallo stato. Nonostante le innovazioni nel campo non si riuscì ad evitare due gravi
carestie per via di una insufficienza alimentare.

34.4 Riforme e liberalizzazioni in India


Negli anni Settanta si cominciò a pensare ad alcune riforme economiche. Furono introdotte le
prime liberalizzazioni e fu riformato il settore pubblico. Nel 1991 fu attuata la prima vera
liberalizzazione dell’economia:
 il ruolo dello stato
 Ridimensionato Liberalizzato il commercio estero
 Riforma finanziaria
 Privatizzazione
Una conseguenza della liberalizzazione fu la nascente e potente industria del software che poté
basarsi su giovani e eccellenti ingegneri. A partire dalla metà degli anni Ottanta l’india conobbe una
crescita straordinaria. Nonostante ciò i problemi dell’india restano numerosi:
 Pil troppo basso
 Popolazione troppo numerosa
 Analfabetismo
Nonostante questi problemi l’india è destinata a diventare uno dei colossi dell’economia mondiale
se manterrà questa crescita.
34.5 Le tigri asiatiche
Degne di nota sono le cosiddette tigri asiatiche (Hong Kong, Taiwan, Singapore, Corea del Sud) dove
vivono quasi 90 milioni di persone. L’economia di questi paesi è orientata alla produzione e
all’esportazione di prodotti altamente tecnologici. Il loro Pil pro capite è cresciuto moltissimo e oggi
si trova a livello di quelli più sviluppati. Hong Kong è stata una colonia britannica fino al 1997
quando passò alla Cina e diventò una regione autonoma speciale. La sua posizione di ‘‘porta verso
la Cina’’ le ha consentito di svolgere il ruolo di intermediario negli scambi tra Cina e resto del
mondo. È riuscita ad attrarre ingenti investimenti esteri è diventata una piazza finanziaria tra le
migliori al mondo e ha potuto contare su un inesauribile serbatoio di manodopera per le sue
industrie proveniente dalla Cina comunista. Singapore fu colonia britannica fino al 1959 e grazie alla
sua posizione strategica è diventata uno dei maggiori porti mondiali. La sua economia è simile a
quella di Hong Kong, con la differenza che lo stato ha avuto un peso più importante nel favorire la
crescita. Corea del sud lo sviluppo è stato promosso dai governi autoritari che hanno puntato sui
settori tradizionali ad alta intensità di capitale. Un ruolo molto importante lo hanno avuto i chaebol
gruppi imprenditoriali familiari, simili ai keiretsu giapponesi, con la differenza di non avere una
banca all’interno, che controllano grandi conglomerate e sono sostenuti dallo stato. Taiwan (Cina
nazionalista ex Formosa) è stata retta da un regime autoritario a partito unico fino agli anni Ottanta.
Ha puntato su piccole imprese altamente competitive orientate all’esportazione e negli ultimi
tempi, ha effettuato cospicui investimenti all’estero (specialmente in Cina). Le economie dei paesi
asiatici si avviano ad essere (se già non lo sono) le protagoniste del XXI secolo. Ormai il baricentro
dell’economia globale si sta spostando da occidente a oriente. Come il secolo XIX è stato il secolo
dell’Inghilterra e il XX quello degli usa, il XXI sarà il secolo dell’asia e dei suoi grandi paesi emergenti.

35 AMERICA LATINA E AFRICA


35.1 Stato e populismo in America Latina
La Grande depressione aveva colpito pesantemente l’America Latina. Durante la Seconda
guerra mondiale, però, molti paesi latinoamericani fecero registrare una debole ripresa, basata su
dei consumi interni e sui rifornimenti alle nazioni impegnate nel conflitto. Negli anni Trenta e
Quaranta, l’intervento dello Stato era aumentato ed era stata perseguita una politica
protezionistica, i governi erano intervenuti in tutti i settori dell’economia. Anche quando, dopo la
guerra, i principali paesi del mondo avviarono una politica di libero scambio, i governi populisti
dell’America Latina restarono legati al protezionismo e all’intervento statale. Gli anni successivi al
conflitto furono un periodo di crescita. I paesi latinoamericani subivano il dominio economico e
politico degli Stati Uniti. Ciò nonostante, essi continuarono la politica d’intervento statale.
L’industria fu certamente il settore più dinamico. Essa si basò sullo sfruttamento delle risorse
naturali e su una manodopera non qualificata, l’industria si limitò a rifornire il mercato interno e
non fu in grado di espandersi su quello internazionale. La strategia di potenziare
l’industrializzazione sostitutiva delle importazioni fu appoggiata dalla borghesia latinoamericana. La
stessa agricoltura, nonostante le continue riforme agrarie, non riuscì a progredire
significativamente, vi era una bassa produttività a causa dei prezzi tenuti artificialmente bassi. Gli
effetti negativi furono una forte inflazione e il deterioramento delle finanze statali, con un’elevata
pressione fiscale. L’inflazione fu un costante fattore di instabilità. Le politiche populistiche imposero
il ricorso all’indebitamento pubblico e all’aumento della circolazione monetaria.
Con la crisi degli anni Settanta quella latino-americana divenne iperinflazione e molti paesi
dovettero continuamente svalutare la loro moneta o sostituirla con una nuova. L’America Latina è
stata caratterizzata un consistente incremento demografico, al quale contribuì la ripresa
dell’immigrazione proveniente dall’Europa. La sua popolazione si è quadruplicata e continua a
registrare un forte incremento. La situazione peggiorò con la crisi degli anni Settanta. Molti paesi
furono costretti ad indebitarsi a tassi di interesse molto più elevati e il debito estero complessivo
aumentò di sette volte. Si verificò una consistente fuga dei capitali all’estero, ossia il trasferimento
in altri paesi dei capitali privati.

35.2 Le liberalizzazioni
In seguito alla crisi degli anni Settanta, i governi mutarono la loro politica economica e
attuarono forme di deregolamentazione e di privatizzazione. Gli acquirenti delle imprese messe in
vendita erano sia imprenditori nazionali che imprenditori stranieri. I loro investimenti furono di
natura speculativa ed essi puntarono più su risultati di breve periodo (per rivendere le aziende
acquistate). Negli ultimi decenni è stata abbandonata la politica protezionistica e i paesi
latinoamericani sono entrati prima nel Gatt e poi nella Wto, partecipando al commercio
internazionale. Sul finire del secolo diversi paesi dell’America Latina diedero vita al Mercosur
(Mercato comune del Sud, 1995). L’America Latina è attualmente una economia terziarizzata, con
profondi squilibri fra i diversi paesi e fra i vari ceti sociali. Ciò ha comportato una massiccia
emigrazione verso gli USA. Nell’area si segnalano due economie emergenti, quelle del Messico e del
Brasile, entrambe oggi sono economie terziarizzate, ma nonostante lo sviluppo realizzato i due
paesi presentano ancora un Pil pro capite modesto se confrontato con quello degli Usa.

35.3 Il ritardo dell’Africa


Fino alla metà dell’Ottocento, la maggior parte del continente Africano era ancora sconosciuta e
inesplorata. Gli abitanti di molte regioni praticavano un’agricoltura di sussistenza. Dal 1880, l’Africa
fu conquistata dalle potenze europee che costituirono proprie colonie. I colonialisti introdussero i
diritti di proprietà e sfruttarono la manodopera locale nelle piantagioni e nelle miniere. Con la fine
del colonialismo, fra gli anni 50 e 60 del 900’, si formarono i nuovi Stati indipendenti, nella maggior
parte dei casi grati artificialmente e privi di una chiara identità nazionale. La golden age fu
caratterizzata dall’intervento statale in economia, ritenuto indispensabile per garantire la
modernizzazione dei nuovi Stati nati dall’indipendenza. L’azione dei governi conservò alle ex colonie
la loro funzione di esportatrici di materie prime in cambio di manufatti. Si formarono gruppi che
trassero vantaggio da questi traffici, mentre la popolazione viveva nell’ignoranza e nella miseria. I
paesi occidentali e quelli comunisti fecero a gara per sostenere i nuovi Stati africani. I governi fecero
affidamento su questi aiuti e il Pil pro capite crebbe in tutto il continente. Il primo shock petrolifero
costrinse gli altri a indebitarsi per acquistare il petrolio di cui avevano bisogno. Si formò un ingente
debito estero. In molti paesi furono adottate politiche neoliberiste, che portarono alla
liberalizzazione del mercato e alla privatizzazione delle imprese pubbliche, ma la crescita del Pil pro
capite si arrestò. Nel primo decennio del nuovo secolo, grazie all’alto costo delle materie prime
esportate, il Pil pro capite dell’Africa crebbe a ritmi sostenuti.
35.4 I problemi del continente africano
L’Africa presenta molti problemi. L’incremento demografico è stato più elevato che in qualsiasi altra
area del mondo. Secondo alcuni studiosi, la popolazione africana era uguale, agli inizi del
Novecento, a quella di tre secoli prima quando cominciò la tratta degli schiavi verso le Americhe. La
vita media è dappertutto molto bassa, tranne nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, dove si
avvicina ai livelli europei. Un altro problema dell’Africa è la scarsità di acqua che provoca recenti
periodi di siccità, come quelli degli anni Settanta e Ottanta. La siccità è sempre accompagnata dalle
carestie alle quali si cerca di far fronte grazie agli aiuti internazionali. Le continue guerre
costituiscono un ulteriore ostacolo alla crescita dell’economia africana. La maggior parte dei paesi è
stata scossa da guerre civili e colpi di Stato, che sembrano verificarsi con maggiore frequenza nei
paesi a basso reddito o con una crescita molto lenta. Pare anche che il possesso o la scoperta di
risorse naturali invece di consentire ai paesi che ne dispongono di svilupparsi, fomentano guerre e
rivolte. Molti paesi africani, infine hanno grande difficoltà a partecipare al mercato internazionale.
Quelli che non hanno accesso al mare sono quasi sempre circondati da paesi altrettanto poveri e
privi di efficienti sistemi di trasporto. Perciò soffrono della condizione di Stati interni, che non
riescono a inserirsi nei traffici mondiali e sono condannati alla povertà anche quando dispongono di
risorse da esportare. Né la partecipazione al Wto produce qualche consistente beneficio, per la
scarsa capacità contrattuale dei paesi africani nei lunghi negoziati che precedono la stipulazione
degli accordi commerciali. Nonostante i problemi che affliggono l’Africa vi sono segni di vitalità, a
cominciare da quello demografico che nell’immediato crea enormi problemi, ma in futuro può
diventare un fattore di sviluppo specialmente per l’esistenza di una popolazione molto giovane.
Non bisogna dimenticare che gli Africani hanno dovuto affrontare, dopo l’indipendenza, una fase
molto difficile.

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