Sei sulla pagina 1di 32

10/09/23, 17:15 Sofia-gnoli-moda-dalla-nascita-della-haute-couture-a-oggi

Capitolo 1. Tra haute couture francese e moda italiana

1.1 Da Rose Bertin a Charles Frederick Worth

Tra la seconda metà dell'Ottocento e gli inizi del Novecento non esiste ancora una moda italiana
indipendente da quella d'Oltralpe. Eccetto il periodo Rinascimentale, in cui l'Italia era maestra al mondo.
Dai tempi di Luigi XIV la moda femminile si era “francesizzata” e – fino alla metà del Novecento – le novità
provenivano in gran parte da Parigi. Anche se provenivano dall'America o l'Inghilterra, Francia centro di
diffusione. Da Parigi – dalla seconda metà del Settecento – si diffondevano, ogni anno, per le maggiori
capitali europee, le emissarie inanimate della moda d'Oltralpe: bambole di moda, - che verranno sostituite
dalla grande diffusione dei giornali - abbigliate secondo l'ultima moda della corte di Francia. Quest'ultima
era il centro della moda – fino alla Rivoluzione francese - insieme ai personaggi di alto lignaggio, infatti il
sarto era un creatore anonimo, non esisteva. Solo occasionalmente emerge qualche nome.

Primi sarti italiani: Agostino → di Eleonora da Toledo; Matteo Lenzi, secondo Settecento, operava a Lucca e
si firmava “sarto da donna”; Elena Bestini, sempre a Lucca, che cuciva le fogge alla “moda di Francia”.
Fu a Parigi che si affermò, per prima, la figura del sarto come ideatore di fogge. Leroy, sarto dell'imperatrice
Giuseppina Bonaparte. Dieci anni prima, Rose Bertin, modista di Maria Antonietta, ottenne l'appello di
“ministro della moda”. Nel 1770 apre il magasin de mode Au Grand Mogol, divenne la modista prediletta
della regina. Gli affari vanno bene, con lei il lusso ha sostituito il fasto. Si inizia così a giocare con il gusto e la
fantasia. Maria Antonietta sostituisce i tessuti iperdecorati, del rococò, con tessuti lievi e leggeri, ma non
meno costosi.
Prima che il sarto raggiungesse la dignità di creatore, ci volle comunque un secolo. Continuarono a seguire
le direttive imposte dal regolamento di corte. E' con Charles Frederick Worth che nasce la figura del
couturier, creatore di fogge, intorno alla metà dell'Ottocento.

Worth. Nasce nel 1825 a Bourne, in una famiglia della media borghesia. Iniziò a lavorare in un negozio di
tessuti a Londra. Metà degli anni '40, si trasferisce a Parigi e viene assunto nel grande magazzino di tessuti
Gagelin. Dopo cinque anni diventa il responsabile del reparto sartoria; fino a quando, nel 1853, con il
collega Ernest Walles e il nuovo proprietario Octave-Francois Opigez-Gageli, entra in società. Sciolta per
dissensi nel 1858.
Worth si mise in proprio, finanziato da un socio di origine svedese, Otto Bobergh, e aprì un atelier. Il suo
debutto lo ebbe due anni dopo, quando la moglie si presentò dalla principessa Pauline, proponendo i
modelli del marito a prezzi convenienti. Ne acquistò due e uno lo indossò ad un ricevimento, dove suscitò
l'ammirazione dell'imperatrice Eugenia de Montijo – consorte di Napoleone III – che divenne cliente.
Nominato poi suo fornitore ufficiale. Nel 1870 ha clienti come la Regina Vittoria, Elisabetta d'Austria, la
contessa di Castiglione e la Regina Margherita. E' con lui che il couturier inizia ad essere considerato un
artista. Worth è il primo a far sfilare i modelli in anticipo rispetto alla stagione; ad applicare etichette con la
sua griffe all'interno dell'abito; a proporre sempre nuove fogge cambiando tessuti, guarnizione e modelli; a
utilizzare indossatrici per presentare i suoi capi. La moda è entrata nell'era moderna. Allo stesso tempo
impresa creativa e spettacolo pubblicitario. Con Worth il principio che, era la cliente a indirizzare il sarto
secondo i propri gusti, cambia. Un'ascesa completa da quando viene nominato sarto imperiale nel 1864. In
seguito alla guerra franco prussiana, non riacquistò la supremazia precedente; rimase comunque il sarto di
grande dame, influenzando la moda.
Negli ultimi decenni dell'Ottocento fu abbandonata, grazia a lui, la silhoutte romantica – crinolina – e si
impose un nuovo tipo di linea verticalizzante. La figura femminile era modulata, accentuata artificialmente.

1.2 Una moda di pure arte italiana

Un'autentica moda italiana risale al Novecento, ma ci sono dei primi tentativi che risalgono al
Risorgimento:
- 1847 nel periodico trimestrale “Moda nazionale” dichiarazione di indipendenza dalla Senna che detta le
leggi del buon gusto;

about:blank 1/32
10/09/23, 17:15 Sofia-gnoli-moda-dalla-nascita-della-haute-couture-a-oggi

- 1848, iniziativa prosegue con maggior senso critico, il giornalista Luigi Cicconi su “Mondo Illustrato”, si
proclamava fautore dell'indipendenza dalle mode straniere che, solo con i loro nomi, contaminano la lingua
italiana e suggerì un patriottico vestito all'italiana, in velluto – unica stoffa prodotta solo dalle fabbriche di
Genova e di Vaprio. Un'iniziativa di tipo economico e politico. Questione di una moda italiana venne
riproposta più volte;
- 1872 costituita la Società italiana per l'emancipazione delle mode e su “Emporio Pittoresco” e
“Illustrazione Universale” si proclamò la ribellione alle mode di Francia. Un fenomeno circoscritto;
- Dibattito sulla necessità di una moda italiana viene ripreso all'inizio del Novecento, durante le celebri
esposizioni di Milano – 1906 - e di Torino -1911 -;
- All'Esposizione Internazionale di Milano la sarta lombarda Rosa Genoni si fece promotrice di una moda
italiana svincolata dal quella d'Oltralpe. Presenta una collezione ispirata alle opere di noti artisti italiani
Rinascimentali e impiegò esclusivamente tessuti italiani. Quello ispirato alla Primavera del Botticelli – in raso
di seta rosa pallido, con sopravveste di tulle color avorio – le valse il Gran Premio per la sezione Arte
Decorativa da parte della Giuria Internazionale;

Rosa Genoni nasce a Sondrio nel 1867, prima di ottenere un successo personale aveva lavorato presso una
delle più note case di moda milanesi: H. Haardt et Fils, dove venivano riprodotti modelli francesi rubati o
acquistati nei più famosi atelier parigini: Paquin, Worth, Doucet ecc. Tentativo della Genoni non ebbe una
grande risonanza, esclusa la fondazione, nel 1909 in Lombardia, del comitato per “Una moda di pura arte
italiana” a cui aderirono importanti imprenditori legati al tessile e all'abbigliamento.

Altre iniziative di moda inserite nell'ambito dell'Esposizione Internazionale di Torino, del 1911 in occasione
del cinquantenario dell'Unità di Italia, venne realizzato il Palazzo della moda. Intento di voler creare una
moda italiana. Ma comunque le più note case di moda italiane – Bellenghi, Chiostri Salimbeni, Calò e Emma
Paoletti di Firenze, Pontecorvo e Maria Berardelli di Roma, De Gasperi, Rosa & Patriarca – continuano a
seguire la moda francese, acquistando i diritti di riproduzione di modelli o copiandoli dalle riviste. I più
importanti editori di periodici femminili avevano agenzie di corrispondenza francese che li rifornivano delle
ultime mode. Garbini, Sonzogno e Treves proponevano più versioni di una stessa testata – con costi diversi –
per vari tipi di pubblico. Es. “Monitore della moda” con cinque edizioni e “Margherita Giornale delle Signore
Italiane” edito dai fratelli Treves, del 1878 all'indomani dell'incoronazione della regina Margherita. Editing di
lusso, stampato su carta finissima, era rivolto al pubblico sofisticato dell'alta borghesia. Prezzo di copertina
poteva essere diminuito per l'edizione senza figurini ed annessi colorati. Dal 1888 pubblicarono “L'eco della
moda” una rivista più economica che presentava gli stessi figurini di “Margherita” con la differenza che
veniva pubblicati tre mesi dopo. In questi periodici veniva tramandato il messaggio francese, nonostante
fossero presenti anche dei figurini italiani. Questa predominanza che si ritrova anche nel lessico della moda,
termini che non hanno ancora un loro equivalente italiano. Es. tailleur. Per questo considerati utopistici i
tentativi di una moda italiana.

1.3 Verso la semplificazione delle fogge

Fino agli anni dieci del Novecento, la silhoutte rimase legata alla tradizione precedente. Le più importanti
innovazioni di questo periodo sono un riflesso dello stile Liberty – in Italia – che ha corrispettivi in altri
paesi. E' uno stile che si diffonde nei primi anni del Novecento sull'onda dell'industrializzazione e della
diffusione della classe borghese, con il proposito di cancellare il ricorso – guardare al passato – tipico
dell'Ottocento. Attingere le sue fonti d'ispirazione direttamente dalla natura; linearismo e carattere
metamorfico e naturalistico che caratterizzano questa arte.
Campo dell'abbigliamento: Liberty ha dato vita ad una silhoutte somigliante ad un fiore con uno stelo
ondulante, la donna assume una linea a S – stretta da un busto attillato che portava il ventre in dentro e il
seno e il posteriore all'infuori.
Nei primi del Novecento non si assiste a cambiamenti radicali nella moda, ma si percepiva già il bisogno di
libertà – da costrizioni ottocentesche – nelle donne. Tentativi fatti già nella seconda metà dell'800, dal
movimento per l'emancipazione femminile:
- 1868 Stoccarda, riunito il Congresso nazionale delle donne tedesche per promuovere un abito più pratico;

about:blank 2/32
10/09/23, 17:15 Sofia-gnoli-moda-dalla-nascita-della-haute-couture-a-oggi

- 1881 Londra, Rational Dress Society che interveniva sull'abito femminile in nome della salute e dell'igiene;
- Anni 50 dell'Ottocento, Amelia Bloomer, pioniera del movimento americano per l'emancipazione; propose
di far indossare dei pantaloni femminili ante litteram – pantaloni alla turca da indossare sotto una gonna
lunga fino al ginocchio -; l'America gridò allo scandalo, mentre in Europa non ebbe molto eco;

1.4 Paul Poiret: il sultano della moda

Intorno al 1908, come stava accadendo nelle arti decorative, nel campo della moda si passò a un periodo
che opponeva la verticalità pseudoclassica alla curvilineità gotica tipica dell'Art Nouveau. Grazie alla linea
verticale, addio a busti, corsetti e tournure e si affermò la moderna biancheria intima.
Uno dei maggiori interpreti di questa rivoluzione nel campo dell'abbigliamento femminile è Poiret. Indicato
come il liberatore del corpo femminile; per motivi estetici più che etici.

Poirot nasce nel 1879, nel quartiere parigino di Les Helles, figlio di un mercante di tessuti. Lavorò in una
fabbrica di ombrelli e poi presento i suoi bozzetti a Madame Chèruit - premiere nella maison di couture di
Raudnitz Sceurs – che lo ingaggiò come disegnatore. Nel 1898 passa nella sartoria di Jacques Doucet, un
vero maestro per lui. Nel 1901 inizia a lavorare da Worth, collaborazione che non durò molto perché le sue
clienti non erano abituate ad uno stile innovativo e stravagante. Es. reazione della principessa russa
Bariatinsky quando si vede presentare un kimono nero, orrore davanti ad una creazione di gusto
orientaleggiante.
Nel 1903 si mette in proprio, una piccola sede a rue Auber. Uno dei fili conduttori del suo stile fu proprio
l'amore per l'Oriente. Es. modello Confucius una reinterpretazione del kimono; un soprabito di lana
bordeaux decorato con piccoli ricami e medaglioni cinesi. Rappresentava la sintesi tra mondo cinese e
giapponese. Presto la maison raggiunse la notorietà è nel 1906 si spostò in un'altra sede a rue Pasquier. Tra
le sue prime clienti: Gabrielle Rejane – attrice e grande ambasciatrice del gusto a Parigi -; Ida Rubinstein;
Isadora Duncan; Marchesa Casati ecc. Sua moglie sarà la sua musa.
Nel 1906, ispirandosi alle tuniche fluide e scollate indossate dalle Merveilleuses, creò il suo primo abito
privo di corsetto. Una scelta estetica piuttosto che etica, infatti le libererà dal corsetto ma le imprigionerà
con altro. Es. la jupe entravèe, la gonna ad anfora stretta alle caviglie che impediva quasi di camminare.
Il successo lo portò a trasferirsi, nel 1909, in una sede con molti più spazi a rue d'Antin. In quell'atelier
organizzò molte feste e anche quasi delle performance teatrali; un'occasione per far accettare i suoi capi un
po' controversi. La più grandiosa: La fete de la mille et deuxieme – ballo in maschera nel 1911 – che afferma,
in Europa, il successo del gusto orientaleggiante.
Il 1911 anno fondamentale per la sua carriera. Dopo un viaggio a Vienna, dove era entrato in contatto con il
laboratorio di arti applicate, fondò l'Atelier Martine dedicato alla decorazione di interni e poi lanciò una
linea di profumi: Rosine. Il successo di Poiret, dopo la fine della Grande guerra, era destinato al tramonto.
Collezioni postbelliche sempre più elaborate e lussuose, al contrario del nuovo modello femminile uscito dal
conflitto. Le donne si erano abituate all'indipendenza e alla libertà.
Costretto dalle difficoltà finanziare, nel 1926 liquidò la sua azienda e morì a 65 anni quasi dimenticato.
Nonostante tutto però, la sua influenza la subirono molti designer come Elsa Schiaparelli; Gianni Versace.

1.5 Mariano Fortuny e Maria Monaci Gallenga

Mariano Fortuny y Madrazo. Pittore, scenografo, costumista, inventore, scenografo, ma soprattutto sarto-
artista. Nasce nel 1871, figlio d'arte, visse la giovinezza tra Parigi e Roma finchè nell'89 divenne veneziano.
All'inizio del '900 aprì una piccola officina di stampa su seta, veli e scialli stampati con decorazioni che si
rifacevano all'arte cretese, battezzati knossos. Ma anche tessuti con fantasie orientaleggiante, classiche e
rinascimentali. Nel 1909 brevettò un tipo di stampa policroma utilizzando anche, oltre a coloranti naturali,
polveri d'oro e argento realizzare con rame e alluminio.
Prima fonte d'ispirazione fu l'arte classica, le dedicò il suo più celebre modello: il delphos. Un lungo cilindro
confezionato in leggerissimo satin o taffetà di seta plissettata che avvolgeva, sottolineandola, la figura
femminile. Particolare tipo di plissè con cui veniva realizzato, che venne brevettato nel 1909 e costituì la
base anche per un altro celebre indumento: il peplos. Una casacca, ispirata alle vesti delle Korai, che

about:blank 3/32
10/09/23, 17:15 Sofia-gnoli-moda-dalla-nascita-della-haute-couture-a-oggi

terminava con orli irregolari in diagonale guarniti con perline in vetro di Murano, affinchè spiombasse
meglio. Le vesti di Fortuny, solitamente confezionate in colori sfumati come il verde acqua e il rosa pallido,
producevano iridescenze inusuali e mettevano in evidenza ogni forma del corpo; giudicate impudiche.
Indossate da Isadora Duncan, Eleonora Duse e la marchesa Casati. Attirarono l'interessa anche di artisti
come Proust e D'Annunzio che fanno indossare queste vesti alle loro protagoniste.
Muore nel 1949, la moglie cede la loro dimora che attualmente è il Museo Fortuny. Fu il primo in Italia a
coniugare arte e moda, tecnica manuale e creatività. Dopo di lui un contributo simile fu dato dalla milanese
Rosa Giolli Menni – tecnica della pittura batik per realizzare abiti e oggetti di arredo - e dalla romana Maria
Monaci Gallenga.

Monaci Gallenga, nata nel 1880, in una famiglia della borghesia intellettuale. Si concentrò su tessuto
stampato con una tecnica da lei brevettata: uso di pigmenti metallici. La stampa dei suoi tessuti – velluti,
georgette e crespi di seta dai colori preziosi – veniva fatta a mano con matrici di legno sul pezzo già finito. Si
adattava il disegno alla forma.
Nel 1913 espone nelle mostre della Secessione Romana. Sostenne il programma dell'Ente nazionale per
l'artigianato e la piccola industria – ENAPI – volto a promuovere l'immagine del prodotto italiano. Aprì la
Bottega italiana in via Veneto, uno spazio molto moderno a metà tra un negozio e una galleria d'arte, dove,
oltre a vendere le proprie creazioni, organizzava anche mostre di altri artisti. La sua attività in favore della
produzione italiana prosegue fino agli anni '20. Fonda a Parigi la Boutique Italienne con i migliori prodotti di
arte e di artigianato italiano, attiva fino al 1934. Archivio Gallenga rilevato dal sarto teatrale e
cinematografico Umberto Tirelli.

Capitolo 2. La guerra e la garconne

2.1 La flapper e la garconne

Prima guerra mondiale: i paesi coinvolti furono costretti ad impiegare le donne nell'agricoltura, nelle
industrie e nel terziario. Sconvolgendo la tradizionale divisione dei sessi. Necessità di lavorare in settori fino
ad allora riservati agli uomini → bisogno di un nuovo tipo di abbigliamento. Comodo e consono al ruolo.
Eliminati i vari strati di biancheria e il busto, che impediva i movimenti in scioltezza. Nella moda dell'epoca si
ricorda il tailleur e il grembiule, fino a quel momento limitato all'ala dei domestici.
Negli anni '20 il nuovo modello di donna emancipata si affermò sempre di più. Nei paesi anglofoni chiamato
flapper – to flap, sbatter d'ali degli uccellini che imparano a volare – e in Francia garconne. Merito di questo
nome a Desmond Coke → nel suo romanzo The Standford of Merton; una giovane donna moderna,
anticonvenzionale, che beveva, fumava e ballava il charleston, ricordando, con il fruscio degli abiti, un
uccellino con le sue ali. In Francia il merito andò a Victor Margueritte che pubblicò, nel 1922, il romanzo le
Garconne letto da moltissime donne affascinate dalla storia di una studentessa della Sorbona, che rubava i
vestiti all'uomo.
Espressioni più originali della moda di quel decennio furono: l'accorciarsi degli orli delle gonne, arrivano a
coprire il ginocchio facendo assumere alla gamba un ruolo importante ; revival del sandalo; soppressione
delle maniche; il taglio dei capelli alla garconne. Inoltre la moda si fece meno inaccessibile e più
democratica, i suoi maggiori interpreti continuarono ad essere francesi: Chanel, Patou, Jeanne Lanvin.

Jeanne Lanvin, nata a Parigi nel 1867, fu la prima couturiere ad inaugurare una linea per bambini accanto a
quella femminile. Jeune Fille, collezione infantile inaugurata nel 1909 e dedicata alla figlia. Importanza della
figlia come modello di ispirazione che emerge anche dal logo, di Paul Iribe, che rappresenta madre e figlia
stilizzate mentre vanno ad un ballo in maschera. Alla sua morte, nel 1946, la maison passa alla figlia che ne
affidò la direzione artistica allo stilista Antonio Canovas, poi altri designer ancora. Proprietà del marchio
negli anni '90 è passata alla l'Oreal, poi nel 2001 alla manager taiwanese Shaw Lan Wang e alla direzione
creativa è arrivato l'israeliano Albert Elbaz, che ha fatto tornare Lanvin ai suoi antichi fasti.
Per Elbaz la bellezza di un capo risiede nei particolari, spesso le sue creazioni danno, volutamente, una
sensazione di non finito.

about:blank 4/32
10/09/23, 17:15 Sofia-gnoli-moda-dalla-nascita-della-haute-couture-a-oggi

Jean Alexander Patou, nato nel 1880 a Parigi. Nel 1910 apre una piccola sartoria e nel 1914 crea una casa di
moda con il suo nome. Negli anni '20 le sue creazioni semplici e sportive erano internazionalmente
conosciute. Modelli dai colori sobri, essenziali e moderni; attirarono l'attenzione di attrici ma soprattutto la
vera icona del suo stile fu la tennista Suzenne Lenglen. Novità: logo con le iniziali del suo nome – JP – che
appose come dettaglio decorativo sulle sue creazioni, il primo in assoluto. Nel 1930 lancia il suo profumo
Joy. Muore nel 1936 e la sua attività passa all'amico e socio Raymond Barbas. Successivi collaboratori anche
Jean-Paul Gaultier e Christian Lacroix. Patou e Chanel i maggiori esponenti del nascente sportswear.

2.2 Chanel e la donna moderna

Chanel non era una sarta, ma una creatrice di moda. Non disegnava i modelli, li scolpiva, prendendo stoffa e
tagliando; se il modello va qualcuno lo cuce, se no ricomincia da capo. Si deve a Chanel lo stile immortale
della gonna in tweed, della maglia con il filo di perle, dell'abitino nero, del tailleur senza collo profilato in
passamaneria; dei bottoni gioiello; scarpe bicolori che lasciano il calcagno scoperto ecc.
Nata nel 1883 a Saumur in Francia, in una famiglia poverissima, dopo un'adolescenza trascorsa in
orfanotrofio a 18 anni comincia a lavorare a Moulins, in un negozio di biancheria e corredi da sposa. Periodo
in cui debutta come cantante nei caffè, che la porta a conoscere, per vie traverse, Etienne Balsan ufficiale di
cavalleria borghese; il suo primo amante.

Nel 1909 adibisce a piccola modisteria uno spazio che le mette a disposizione Balsan, in quel periodo
conobbe Arthur Capel, ovvero Boy, il suo più grande amore. Fin dall'inizio i sobri copricapi di Chanel si
differenziavano da quelli iper decorati tipici dei primi anni del '900. Grande successo nel mondo parigino.
Nel 1910, finanziata da Capel, apre la prima modisteria a rue Cambon; inizia a vendere i suoi primi cappelli
con l'etichetta Chanel Mode. Nel 1913 inaugura una seconda modisteria presso la località di Deauville, una
località balneare. Osserva l'abbigliamento da mare degli uomini e inizia a creare maglioni simili, poi
reinterpretò il blazer di Boy.
Durante la guerra Boy le aprì una botique a Biarritz, impresa che andava benissimo. Incomincia a creare
anche capi di abbigliamento. La sua prima rivoluzione: l'utilizzo di un materiale inconsueto, la maglia di
jersey. Le sue fan furono subito numerose e incominciarono a diffondersi copie dei suoi modelli, cosa che
assolutamente non la infastidiva. Regalavano pubblicità, ma non solo, senza di loro non riuscirebbe a
soddisfare la domanda. Per le sue creazioni utilizzò tinte molto sobrie – beige, nero e bianco -.
Nel 1919 ingrandì il suo atelier a rue Cambon e la maison era suddivisa in questo modo: piano terra reparto
profumi; primo piano salone di rappresentanza; secono piano il suo appartamento; terzo piano lo studio e
in cime gli atelier. E' del 1921 il lancio del profumo Chanel n'5. Intorno alla metà degli anni '20 diventa
l'amante del Duca di Westminster che le insegnò ad amare il tweed scozzese; sempre a questo periodo
risale la conoscenza con Churchill e introdusse i pantaloni femminili, soprattutto per il mare, dando il via alla
moda del pigiama da spiaggia. Creò la petite robe noire, il piccolo abito nero – modello #817 - che riscosse
tanto clamore.
Negli anni '30 iniziò a realizzare linee di gioielli e bigiotteria, lanciò la moda di lunghe catene dorate e perle
accostate a pietre colorate. Vere o false, non aveva importanza, il gioiello ha un valore ornamentale. Allo
scoppio della guerra chiuse la maison per riaprirla solo nel 1954 – la relazione con un ufficiale nazista era
stato di ostacolo nel dopoguerra – riuscì solo grazie alle entrare di Chanel n'5. Lancia, in piena epoca new
look, il famoso tailleur dalla linea smilza che venne presto adottato da tutto il jet set internazionale:
Jacqueline Kennedy, Grace di Monaco ecc. Nel 1957 vince il Neiman Marcus Award – l'Oscar della moda – e
muore nel 1971. Dopo la sua scomparsa si sono succeduti molti direttori creativi, fino al 1982 con l'arrivo di
Karl Lagerfeld come direttore artistico; ha lasciato invariato il segno inconfondibile di Chanel pur
apportando delle continue innovazioni.

2.3 Madeleine Vionnet: la purezza della linea

Impresse nella moda internazionale un'ineguagliata impronta classicheggiante con un tocco atemporale. Si
è dimostrata nemica della moda, della superficialità delle stagioni.

about:blank 5/32
10/09/23, 17:15 Sofia-gnoli-moda-dalla-nascita-della-haute-couture-a-oggi

Nata nel 1875 a Loiret, in una famiglia modesta, a undici anni cominciò a lavorare come apprendista sarta. A
23 si trasferì a Londra; moda ancora caratterizzata da pesanti crinoline e da busti schiacciaventre. Rimane
affascinata da Isadora Duncan e dai sui abiti peplo, si fece, così, pioniera del movimento di liberazione dalle
costrizioni dell'abbigliamento femminile. Trovò un impiego nella sartoria di Kate Reilly – specializzata nella
riproduzione di modelli francesi – risale ad allora il suo interesse per gli abiti fluidi, dal taglio in sbieco. Torna
a Parigi e nel 1902 incomincia a lavora nell'atelier delle Sorelle Callot. Madame Gerber – da cui imparò
molto – la nominò poi premiere. Nel 1907 lavora come modellista nella maison di Doucet, che le diede carta
bianca. Ispirandosi all'ultima esibizione della Duncan, creò abiti senza costrizioni.
Nel 1912 apre la sua casa di moda, temeva che nessuno potesse apprezzare i suoi modelli. Allo scoppio
della guerra viaggia in Europa. Nel 1918 ricominciò. Durante il suo viaggio in Europa aveva conosciuto
Thayaht – artista futurista inventore della tuta – che collaborò con lei tra il 1919 e la metà degli anni '20. Fu
lui l'artefice del logo Vionnet, un peplo greco, un'ideale sintesi tra classicità e modernità.
Fin dagli esordi fu acclamata per i suoi abiti tagliati in sbieco che esaltavano le curve naturali, senza trucco.
Spesso partiva da diverse figure geometriche e cercava diversi modi per assemblarle, giocava con l'elasticità
dei tessuti. Non pensava mai al disegno, bisogna creare con le dita, infatti drappeggiava intorno al
manichino. Non amava le cuciture, i ganci e i bottoni, preferiva i nodi. Sovvertì le regole sartoriali,
innovazioni nella tecnica del taglio e dell'ornamento.

In seguito allo scoppio della Seconda guerra mondiale decise di ritirarsi definitivamente. Nel 1952 donò il
suo archivio, composto da abiti, modelli di tela e album fotografici, all'UFAC – unione francese di arte e
costume – e fino alla sua morte, nel 1975, si dedicò attivamente a questo istituto. Spingeva le sue clienti a
fare donazioni, ad arricchire la collezione. Nel 1988 la griffe che porta il suo nome fu acquistata dalla
famiglia francese de Lummen, poi nel 2009 ha ceduto il marchio a Matteo Marzotto e Gianni Castiglioni.
Oltre ad aver creato nel 1924 la Madeleine Vionnet Inc. per la vendita di abiti over size con l'orlo sfatto da
adattare al cliente, Vionnet fu tra le prime a depositare il copyright dei suoi modelli. Ogni capo portava
un'etichetta con la sua impronta digitale.

2.4 Le “battaglie della moda”

Negli anni '20 nonostante i tentativi dell'Italia, la Francia continuava a dettar legge. I modelli parigini erano i
soli ad essere illustrati nelle riviste femminili.
Marzo 1919 si inaugurò a Roma, in Campidoglio, il Primo congresso nazionale dell'industria del commercio
dell'abbigliamento. Obiettivo: liberarsi dell'assoluto dominio francese in fatto di moda. Si chiuse dopo due
giorni con l'approvazione di un ordine del giorno: nomina di una commissione che avrebbe dovuto
presentare, al governo, lo schema dell'organizzazione di un Istituto nazionale dell'abbigliamento e di un
Ente della moda. Il progetto cadde nel nulla. Nel congresso emersero due pionieri delle battaglie della moda
italiana: Fortunato Albanese e Lydia De Liguoro.

Fortunato Albanese. Si era battuto per una moda nazionale. Presentò al ministero dell'Industria un
opuscolo Per una moda italiana. Relazione Il perché del Congresso Nazionale fra le Industrie
dell'Abbigliamento. Tenne alcune conferenze sul tema.

Lydia De Liguoro. Nel maggio del 1919 da vita alla rivista “Lidel” pseudonimo del suo nome, ma anche sigla
delle diverse rubriche: Letture, illustrazioni, Disegni, Eleganza, Lavoro. L'obiettivo: far apprezzare alle donne
ogni nostra cosa bella e degna. Aderì anche al Fascio femminile nazionale di Milano, una lega contro il lusso
per sopperire alla crisi economica provocata da conflitto. Al Secondo Congresso indetto a Roma, sostenne –
davanti agli industriali allarmati – che bisognava combattere il lusso d'importazione straniera. Alcune
iniziative di questa lega: rivista genovese “La Chiosa” che indisse un referendum per adottare un tipo unico
di vestito, il tailleur; quello della contessa Rucellai che indisse un ballo dove presentarsi esclusivamente con
la tuta di Thayaht; Marinetti che nel 1919 elaborò il manifesto Contro il lusso femminile.
Nel 1920 nel padiglione Moda della Fiera campionaria di Milano, accanto ai modelli delle maison francesi,
sfilarono anche quelli italiani. Si diffusero poi i primi grandi magazzini a prezzo fisso, uno dei primi fu La
Rinascente fondata nel 1917 dalla famiglia Borletti; 1919 si formò l'UPIM – Unico Prezzo Italiano Milano - .

about:blank 6/32
10/09/23, 17:15 Sofia-gnoli-moda-dalla-nascita-della-haute-couture-a-oggi

Questi grandi magazzini, al contrario di quelli americani che si rivolgevano ad una clientela ricca e
altolocata, erano la meta preferita della donna media. Solo dopo la fine della guerra una definitiva
affermazione.

2.5 Contaminazioni: l'influenza del Futurismo

I futuristi fecero della moda un fondamentale campo di indagine per rompere i vecchi equilibri. Compito:
rispecchiare la dinamicità, l'energia e la velocità caratteristiche dei tempi moderni. Le loro idee
sull'abbigliamento espresse in vari articoli e manifesti. Es. Manifesto futurista del vestito da uomo, 1913
redatto da Giacomo Balla, che bandiva tutte le tinte neutre, sbiadite, fantasia ecc..

Nel 1920 Volt – Vincenzo Fani – elaborò il Manifesto della moda femminile futurista. Tre punti fondamentali:
genialità, ardire ed economia. Inoltre si proponeva – in questo periodo di crisi – l'abbandono dei materiali
costosi e la loro sostituzione con materiali poveri come la gomma, carta, stagnola, pelle di pesce. Sempre in
questo anno, Marinetti fu l'autore del manifesto Contro il lusso femminile. Si scagliava contro la mania lusso,
che affligge molte donne e che consiste nel desiderare gioielli, stoffe ecc.
Le creazioni di moda futuriste ebbero molto più successo all'estero che in Italia. Es. in Francia. Perchè?
Perchè i casi di interazione tra movimenti artistico-letterari di punta e creatori di moda erano giunti in alcuni
paesi a esiti felici.

Thayaht, nel 1919, creò la tuta. Un capo di abbigliamento legato – per la poca stoffa – alla mentalità di
economia povera dell'immediato dopoguerra. Per quanto possa essere innovativa, l'intervento futurista,
nella moda, rimarrà circoscritto ad un unico episodio. Nello stesso anno intraprende un rapporto con il
mondo della moda es. con Vionnet per la quale disegna abiti e tessuti molto dinamici. Nel 1928 inizia a
collaborare con il regime, prima disegnatore di nuovi cappelli e poi con la rivista Moda; si schierò sempre
più a favore di moda nuova e nazionale.
Nel 1932 con il fratello Ram, autori del Manifesto per la trasformazione dell'abbigliamento maschile, dove è
rivendicato l'interesse da parte dell'industria abbigliamentaria e una maggiore libertà nel vestire. Altri
manifesti futuristi es. Manifesto futurista del cappello italiano – firmato da Marinetti, Monarchi, Somenzi;
affermata la superiorità della razza italiana e il primato mondiale del cappello italiano, molti si erano fatti
influenzare dagli americani e andavano in giro a “testa nuda” -, poi Manifesto futurista sulla cravatta
italiana – firmato da Renato di Bosso e Ignazio Scurto, veniva bandita la cravatta definita un autentico
cappio e sostituita con una patriottica anticravatta di metallo leggerissimo -.

Capitolo 3. Femme fatale o angelo del focolare?

3.1 Matrimoni regali

I ruggenti anni '20 si concludono con la crisi del 1929. Si affermò un nuovo tipo di donna, la “donna sirena”,
alle sfilate fu messo in mostra il punto vita, il seno messo nuovamente in risalto e allungamento delle gonne
ben oltre il ginocchio. Con due matrimoni, nel 1930, la Casa Reale e la famiglia del Duce, contribuirono
all'affermazione della moda italiana. Nozze sfarzose quelle tra il principe ereditario Umberto di Savoia e
Maria Josè del Belgio, il cui abito era interamente italiano – sartoria Ventura - escluso il velo offerta del
popolo belga. Nozze più borghesi tra il conte Galeazzo Ciano e la figlia del Duce Edda Mussolini, che
indossava un abito prodotto dalla sartoria Montorsi.
Primi tentativi di creare uno stile italiano erano dettati da motivi nazionalistici, successivamente il fattore
diventa economico. Per farlo, il regime approvò, nel 1932, una legge che – con 3 milioni – costituiva l'Ente
autonomo per la mostra permanente nazionale della moda. Doveva organizzare i vari settori, creare una
produzione di moda che avrebbe avuto tutto il suo ciclo in Italia. Diminuire le importazioni dalla Francia.

3.2 Pagine di moda

Fondamentali i rotocalchi femminili, che in questi anni si moltiplicano in Italia. Stampa che dimostra

about:blank 7/32
10/09/23, 17:15 Sofia-gnoli-moda-dalla-nascita-della-haute-couture-a-oggi

l'atteggiamento poco coerente del fascismo verso la donna. Non la chiamava garconne, ma donna crisi, e a
questo modello voleva opporre il florido modello di sposa e madre esemplare. Promosse una campagna
anti-magrezza per arginare quel numero enorme di donne che: stavano attente al cibo, mangiavano
scondito ecc. Spingevano le donna a nutrirsi, sostenendo che la formosità era preferita dagli uomini e che, la
donna crisi, non riusciva a procreare una prole sana e forte. Es. rivista Lidel, la parola d'ordine diventa
snellezza e non magrezza. Ma anche La Donna – 1906 – Sovrana che poi divenne Grazia nel 1938, Moda il
periodico ufficiale della Federazione nazionale fascista degli industriali dell'abbigliamento che, nel 1941 fu
sostituita da Bellezza, lussuosa rivista in carta patinata.
Anche riviste come Vita femminile e Dea, esprimevano la voce del regime. Vita femminile, era un mensile di
varietà, moda e cultura fondato nel 1922 a Roma e diretto da Ester Lombardo. Forse la rivista che più si
interessò all'industria della moda. Dea, anche essa mensile nata nel 1933, si proponeva di valorizzare il
prodotto italiano e di arginare la concorrenza straniera.

Nonostante questi tentativi, si arrivò con il tempo a censurare le riviste – venivano omessi i nomi di creatori
di moda parigina, per poi, dal 1937, includere solo modelli italiani -, le donne italiani più abbienti
continuarono a procurarsi riviste straniere e ad indossare abiti italiani solo durante le occasioni ufficiali del
regime.

3.3 Il modello hollywoodiano e il telefoni bianchi

Grande veicolo di diffusione della moda è anche il cinema. Fino agli anni '30 gli abiti di scena erano costruiti
dallo stesso scenografo o dalla sarta di scena, ora nasce la figura del costumista. Il problema del cinema
nazionale era proprio la mancanza di miti, il Duce aveva fatto convergere tutto su di se. Per questo le star di
Hollywoodiane si imposero come modelli da imitare anche in Italia. Negli anni '30, più famosi delle grandi
firme francesi, erano i costumisti Adrian, Travis Banton, Howard Greer, Edith Head, Orry Kelly ecc. che
decretavano internazionalmente la tendenza della stagione. I costumisti erano importanti tanto quante le
star di hollywood, se dicevi Garbo pensavi ad Adrian. I costumisti non potevano ispirarsi troppo ai modelli
creati dai grandi artisti francesi, dovevano “saper prevedere il futuro” in quanto il film sarebbe uscito mesi
dopo.
In America, in quasi tutti i grandi magazzini, vennero creati reparti cinema, affinchè si potessero acquistare
le copie degli abiti di film di successo. Imprenditore Bernard Waldman fondò il Modern Merchandising
Bureau, società che acquistava i diritti di riproduzione di questi abiti e li metteva in vendita nelle catene di
negozi Cinema Fashion. Uno ad es. è Macy's a New York. Gli abiti venivano prodotti in contemporanea a
quelli realizzati per il set, così che fossero già pronti dopo l'uscita dei film ed erano utilizzati dei materiali
meno pregiati, proprio per diminuire i costi.

Adrian Adolph Greenburg, nato nel 1903 nel Connecticut, uno dei maggiori costumisti di Hollywood e il
capocostumista alla Metro Goldwyn Mayer dal '28 al '41 durante il quale realizzò costumi per film come
Pranzo alle 8 o Scandalo a Filadelfia. Fu lui a dare vita al look di alcune delle maggiori attrici degli anni ' 30
come Greta Garbo e Joan Crawford. Joan che era caratterizzata da delle forme particolari – busto
imponente e gambe poco slanciate – enfatizzò ancora di più la larghezza delle sue spalle con l'utilizzo di
tailleur dalle ingombranti spalline ed ebbe un grandissimo successo. A farci capire l'influenza del cinema,
Elsa Schiaparelli propose un modello simile e non suscitò nessuno scalpore. Il cinema portò in voga il trench
foderato di lana a disegno scozzese – con la Garbo – ma anche copricapi come il basco. Il suo più grande
successo di influenza è il taglio alla paggio – in un epoca di pettinature alla garconne - che impose
prepotentemente la voga delle mezze lunghezze.
Nel 1941 dopo aver vestito la Garbo in Non tradirmi con me, si ritira da suo incarico alla MGM e aprì un
atelier di moda a Wilshire Boulevard. E occasionalmente collaborò con il cinema.

Travis Banton, capocostumista alla Paramount dal '27 al '38, ha il merito per aver realizzato i tailleur dal
taglio maschile per Marlene Dietrich. Fonte d'ispirazione per grandi artisti Yves Saint Laurent e Giorgio
Armani.

about:blank 8/32
10/09/23, 17:15 Sofia-gnoli-moda-dalla-nascita-della-haute-couture-a-oggi

I film italiani erano un surrogato di quelle figure mitiche, sempre perché si cercava una proprio moda/stile.
La maggior parte dei film di quegli anni aderiva al genere “telefoni bianchi”, per l'apparecchio che decorava
le scene di attrici come la Garbo. Versione italiana erano più popolari e descrivevano un mondo provinciale
dove c'erano intrighi d'amore e vincite alla lotteria es. Grandi magazzini, Contessa di Parma. Quest'ultimo
film è esemplificativo per quanto riguarda la nazionalizzazione della moda, era pervaso dalla ridicolizzazione
della moda e della lingua francese in contrapposizione a quella italiana. Protagoniste Elisa Cegani e Maria
Denis vestite dalla sartoria Mary Mattè e dalla pellicceria Viscardi. Anche film storici in costume
influenzarono lo stile italiano del decennio.

3.4 Elsa Schiaparelli: l'arte è di moda

Caratterizzata da uno stile eccentrico, opposto a quello sobrio di Chanel, Elsa Schiaparelli è stata l'altra
protagonista della moda internazionale degli anni '30. Le sue opere sono state fonte di ispirazione per
grandi creatori di moda: Adrian, Yves Saint Lauren, Giorgio Armani, Dolce & Gabbana ecc.

Nata nel 1890 a Roma, una famiglia di grandi intellettuali piemontesi. Trascorre l'infanzia a Roma, nel 1913
fa un viaggio a Londra e incontra il conte che poi diventerà il marito. Dopo la scoppio della Prima guerra
mondiale si trasferiscono a Nizza e poi a New York. Durante il viaggio conosce Gabriella Picabia – moglie di
Francesco Picabia – che faceva parte dell'avanguardia dadaista. Nacque una grande amicizia e questo la
inserì nel mondo di avanguardia.
Inizia a lavorare tra traduzioni e commercio, poi viene assunta dalla creatrice di moda Nicole Groult – sorella
di Poiret – come venditrice di abiti. Nel '22 si separa dal marito e si trasferisce a Parigi con la figlia e inzia a
frequentare il bel mondo, grazie alla sua educazione internazionale non ha difficoltà. Inizia ad avvicinarsi
alla moda dopo aver incontrato Paul Poiret, infatti risale a quegli anni il suo debutto, fa realizzare abiti e
indumenti sportivi. Nel 1927 ottiene un successo internazionale e apre un atelier chiamato Pour le sport.
Nello stesso anno lanciò una serie di golf fatti a mano, da signore armene, con grandi fiocchi sul davanti.
Dopo il successo ne propose diversi modelli cambiando i temi.
Nel 1933, in seguito al successo, apre una succursale a Londra e lancia sul mercato tre profumi. Tra le sue
clienti più affezionate c'erano Greta Garbo, la duchessa di Windsor e Katharine Hepburn. Ed è proprio in
quegli anni che, la sua attrazione verso il mondo dell'arte emerse sempre di più: collabora, per la
realizzazione di sue collezioni, con alcuni artisti es. Jean Cocteau , Salvador Dalì. Con quest'ultimo creò
tailleur con tasche rifinite da bocche femminili, borse a forma di telefono ecc. I suoi bijoux, creati in
collaborazione con Jean Schlumberger e artisti come Elsa Triolet e Jean Clement, avevano come protagonisti
scarafaggi, libellule e aspirine.
Fu la prima creatrice di moda a ideare le collezioni intorno a un unico tema e a trasformare le sfilate in veri
e propri spettacoli, anticipando due tendenze. Es. per la collezione primavera-estete del '35 il tema erano le
chiusure lampo, nell'autunno-inverno lanciò la collezione Stop, Look and Listen. Utilizzò anche il tema del
circo, che venne rivisitato da molti stilisti: Alexander McQueen, Christian Dior. Nel 1938 lanciò Shocking –
profumo contenuto in un flacone a forma di silhouette femminile, ispirato al busto dell'attrice Mae West.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale, dopo aver lanciato la linea Cash and Carry – guarnita di tasche
per le donne che non indossavano borse – si sposta in America dove rimane fino al '45. Poi torna a Parigi e
continua a gestire l'atelier fino alla sua chiusura nel '54. Nello stesso anno pubblica una sua autobiografia,
Shocking life. Muore a Parigi nel 1973 e cedette la griffe con il suo nome – attiva nel campo delle licenze e
dei profumi – alla famiglia Sassoli de' Bianchi. Nel 2006 il marchio è stato acquistato dall'imprenditore Diego
Della Valle. Nel 2012 protagonista della mostra – insieme a Minuccia Prada – Schiapparelli and Prada:
Impossible Converations.

3.5 Una questione scottante: lo sport

Incoerenza del regime, per quanto riguarda la figura della donna, si accentuò negli anni '30 con la questione
dello sport. Provocò un'enorme frattura tra il modello femminili elaborato dalla cultura del regime e quello
cattolico. In opposizione ai cattolici, il regime favorì lo sviluppo dell'educazione fisica femminile attraverso
gare e concorsi. Donne sportive occupavano spesso le pagine delle riviste femminili. Anche nel campo

about:blank 9/32
10/09/23, 17:15 Sofia-gnoli-moda-dalla-nascita-della-haute-couture-a-oggi

dell'illustrazione della moda c'è l'esaltazione della donna sportiva.


Opinione cattolica: attività fisica coincideva con la sterilità. La stampa cattolica - “Famiglia Cristiana” - si
opponeva inutilmente denunciando lo sport come uno dei peggiori nemici della donna e della famiglia.
Sport diventa sempre di più un fenomeno di massa, ne vengono esclusi gli strati più umili e arretrati della
popolazione femminile. Nell'ambiente alto borghese e aristocratico, diventa quasi una moda; nei
programmi mondani vennero inseriti diversi sport come le regate di vela, concorsi ippici ecc.

Capitolo 4. L'autarchia

4.1 L'Ente nazionale della moda

Nasce a Torino nel 1932. I motivi per cui scelsero il Piemonte furono: l'appoggio dato dalla Casa Savoia;
un'importante città industriale; alle spalle una lunga tradizione in fatto di moda ed eleganza – vicino alla
capitale francese -. Lo scopo di questo Ente era quello di nazionalizzare tutti il ciclo di produzione della
moda – dal progetto alla confezione – attraverso una mostra nazionale che si sarebbe dovuta tenere due
volte l'anno, primavera e autunno. Fin dalla prima mostra, nel '33, emersero innumerevoli lacune:
- per la presentazione della moda estiva, aprile era troppo in là. Quindi doveva essere inaugurata almeno a
febbraio, in modo tale da dare il tempo, alle sartorie, di acquistare i modelli da riprodurre per l'estate;
- la mostra con le collezioni invernali, doveva tenersi almeno ad agosto piuttosto che a ottobre;
- mancanza di infrastrutture adeguate, sia artistiche, che industriali e commerciali;
- per l'affermazione di una moda italiana, necessaria l'istruzione professionale al disegno, i nostri sarti
continuavano a recarsi in Francia;
Nella seconda metà del 1935 – sullo sfondo della guerra di Etiopia – la battaglia per l'autarchia divenne
preminente, in tutti i campi, anche quello della moda. Nel 1935 venne promulgata la legge n 1293 che
modificò la costituzione dell'Ente autonomo per la mostra permanente nazionale della moda, e anche il
nome, in Ente nazionale della moda. Un Ente che ha moltissimo potere es. Disciplina della produzione e
riproduzione di modelli di vestiario e accessori per l'abbigliamento, il primo articolo invitava a denunciare
chiunque presentasse o preparasse modelli di vestiario, all'Ente nazionale della moda. Venne stilata una
lista di 300 sartorie italiane, ognuna aveva l'obbligo di contrassegnare, tutti gli anni, – almeno il 25% dei
prodotti - con la “marca di garanzia”, ovvero il talloncino che attestava l'italianità di ideazione e confezione.
Inoltre, ogni ditta, a proprie spese, doveva inviare una foto del modello, un campione del materiale
utilizzato e pagare un tot per ogni capo a cui era concessa la marca. Proteste e scetticismo, la marca di
garanzia perse subito valore perché concessa troppo largamente.
Ester Lombardo, direttrice della rivista Vita femminile, propose di creare un'altra marca, in modo tale da
distinguere gli abiti di alta moda da quelli delle casi minori. La “marca d'oro”. Inoltre, sempre la Lombardo,
si lamentava della fotografia di moda. Alle riviste non era concesso pubblicare foto e modelli di abiti
francesi, ma c'erano anche poche immagini – e anche abbastanza brutte – di sfilate italiane; non venivano
inviate le foto fatte ai modelli e poi girate all'Ente, perché protette dal segreto professionale.
Una della iniziative promosse dall'Ente, nel '36, fu il Commentario Dizionario Italia della Moda di Cesare
Meano. Il linguaggio di moda venne epurato da tutti i termini stranieri es. tailleru → completo a giacca; golf
→ panciotto a maglia; pois → pallini; pantaloni → calzoni. Nelle riviste si assistette ad un'italianizzazione
generale.
In questi anni la pelliccia era pubblicizzatissima, ovviamente prodotto italiano, ed era proposta di tutti i tipi
e in tutte le stagioni, anche in estate. Era quasi impossibile sfogliare le riviste e non trovare un abito con una
rifinitura in pelliccia. Alla fine degli anni '30, però, erano ancora molte le pellicce importate. Per quanto
riguarda gli impianti di produzione, l'Italia era all'avanguardia, venivano prodotte pellicce di agnello
camuffato da castoro, di coniglio tinto da leopardo, da lontra, da persiano; venivano utilizzati anche lo
scoiattolo, il topo e il gatto.

4.2 Salvatore Ferragamo: il “calzolaio dei sogni”

Fu lui, con la suola ortopedica, ad inventare la novità non caduta. Lo stesso Ente nazionale della moda non
lesinava le esaltazioni nei suoi confronti.

about:blank 10/32
10/09/23, 17:15 Sofia-gnoli-moda-dalla-nascita-della-haute-couture-a-oggi

Salvatore Ferragamo, nato nel 1898 a Bonito – un paese di Napoli -, a quattordici anni emigrò negli Stati
Uniti. Inizio anni '20, apre una bottega di calzature e riparazione a Santa Barbara, in California; qui che
incomincia a collaborare con il cinema. Nel '23 si trasferisce ad Hollywood dove apre l'Hollywood Boot Shop
e iniziano a rivolgersi a lui, molti grandi divi dell'epoca Gloria Swanson, Joan Crawford, Pola Negri.
Nel 1927 torna in Italia, a Firenze, e aprì un laboratorio di calzatura su misura. Rischia il fallimento dopo il
'29, ma alla fine degli anni '30 raggiunge il culmine della notorietà grazie alla scarpa ortopedica con la suola
di sughero. La prima cliente fu la duchessa Visconti di Modrone, che si fece convince a stento, il giorno dopo
arrivarono una dopo l'altra le amiche. In poche settimane le scarpe a zeppa divennero il suo modello più
popolare. Comode. Si ricorda anche il sandalo invisibile – tomaia di naylon trasparente – che gli valse, nel
'47, l'Oscar della moda.
E' negli anni '50 che risale la prima parziale meccanizzazione della produzione. Nel 1960, alla sua morte,
lascia l'azienda alla moglie e all'unica figlia che aveva iniziato a lavorare con lui. Da allora, Fiamma
Farragamo, è stata la responsabile della creazione, produzione e vendita delle scarpe da donna e di tutto il
settore pelle. In seguito alla nascita e all'affermazione del pret -a- porter – primi anni '60 – si proseguì verso
una totale industrializzazione e la produzione si estese anche all'abbigliamento per uomo e donna e agli
accessori. Nel '67 Fiamma riceve l'Oscar della moda, a lei si deve l'ideazione del modello di calzatura Vara –
1978 contraddistinto dal fiocco gros-grain – del celebre Gancino – guarnizione di scarpe, borse,
abbigliamento -. Il gruppo Ferragamo continua ancora ad essere di proprietà della famiglia, l'attività si è
estesa anche ai profumi, trasformandosi in un marchio di lusso.
Nel 1995 è stato inaugurato il Museo Ferragamo a Firenze in Palazzo Spini Feroni – collezione di oltre dieci
mila modelli di calzature, piccola raccolta di scarpe antiche, abiti e accessori – tra le attività del museo ci
sono anche organizzazione e promozione di mostre, incontri di studio ed eventi dedicati alla cultura
contemporanea della moda. Massimiliano Giornetti, nel 2010, nominato direttore artistico della griffe.

4.3 I tessuti autarchici

Industria italiana un calo di produzione in seguito al '29, soprattutto quella tessile. Il settore cotoniero e
quello serico furono quelli più colpiti, mentre le fibre artificiali oggetto di grande incremento. Un
procedimento che si era andato a svilupparsi durante il primo dopoguerra.
Nel 1916 Società seta artificiale di Padova che, insieme ad altre aziende, diede vita al gruppo CISA-Viscosa;
nel '39 la SNIA-Viscosa assunse il controllo della CISA-Viscosa, divenendo la maggior produttrice italiana ed
europea di fibre tessili artificiali. Un problema delicato era quello delle materie prime. L'Italia poteva
provvedere per la canapa, la seta e il lino, ma non per il cotone, la lana e la juta. Sempre maggior spazio
all'industria chimica e quindi alla produzione di tessuti artificiali. Nel '35 viene riformata l'industria tessile,
alcune direttive, come l'utilizzo obbligatorio di una percentuale di fibre artificiali nella lavorazione di fibre
naturali – cotone e lana - 33% di fibra naturale. Tessuti autarchici, il rayon – aspetto simile alla seta, infatti
per un certo periodo venne chiama seta artificiale - e i suoi derivati il lanital, la cisalfa, la ginestra, lo sparto,
il gelso. La ginestra veniva utilizzata sia allo stato puro che mescolata ad altre fibre, in sostituzione del
cotone o della juta. Importante anche l'orbace, una ruvida lana tipica della Sardegna, scelta dal regime per
le uniformi delle organizzazioni civili. Particolarmente resistente e impermeabile all'acqua.
Il rayon provocò una vera e proprio rivoluzione nell'abbigliamento femminile, per la maglieria e per le calze
anche se fino agli anni '20 aveva un grosso limite: la rottura delle calze. Venne poi usato dall'industria
italiana in tutte le sue varianti, da solo o misto ad altre fibre es. lana. In Italia, i primi impianti sperimentali
del nuovo tessuto sorsero nel 1905 a Torino, poi a Pavia e Padova. Nel '25 l'Italia raggiunse il secondo posto
come produttrice di rayon e il primato mondiale per l'esporto.

4.4 La moda alla vigilia della guerra

Fine anni '30, attività dell'Ente della moda si fa sempre più pressante. Nel '39 entra in vigore una legge che
accennava alla “marca d'oro” che poi fu applicata solamente dal '41. Ma le grandi case di moda
continuarono a trarre ispirazione dalla moda francese, riproducendo i loro modelli con piccole varianti. Le
piccole sartorie, che non avevano i mezzi degli atelier per acquistare i modelli francesi, si rifornivano dalle

about:blank 11/32
10/09/23, 17:15 Sofia-gnoli-moda-dalla-nascita-della-haute-couture-a-oggi

modelliste che approdavano a Parigi due volte l'anno per comprare un tot di modelli e poi li rivendevano. La
più conosciuta era Maria Pezzi. Un negozio molto popolare dell'epoca era quello dei cartamodelli, Casa Line.

Mostra dell'abbigliamento autarchico a Torino il 1940 – iniziativa per la promozione di una moda italiana –
aderirono diverse case di moda:Biki, Fercioni, Ventura e le Sorelle Borti. Pellicce ancora molto in uso,
calzature con la zeppa in sughero ma anche la moda dei turbanti – ispirate alle dive di Hollywood es. Garbo
ne Il velo dipinto -. La mostra si sarebbe dovuto concludere l'8-9 giugno con il Congresso nazionale
dell'abbigliamento e dell'autarchia, ma clima politico teso a causa della guerra, quindi non si fece.
Riuscirono comunque ad ottenere 130 relazioni che affrontavano problemi legati all'organizzazione della
moda, quelli tecnici – pubblicazioni adeguate, taglie tipiche, preparazioni di fotografie e disegni – quelli
giuridici, protezione dei modelli dalla contraffazione. Anche l'eccessiva concessione della marca di garanzia
e la situazione della confezione di serie che aveva delle difficoltà per la mancanza di una catena di grandi
magazzini, ma anche a causa della resistenza del pubblico che non voleva lasciare la confezione su misura.

Capitolo 5. La moda di guerra e la “donna fiore”

5.1 La moda durante la Seconda guerra mondiale

1940, le truppe invadono Parigi e la moda perse il suo centro di diffusione per ben quattro anni. Durante il
conflitto i paesi anglosassoni vararono una moda di stato, che imponeva capi semplici, versatili ed
economici. A ogni persona, il governo, distribuiva una tessera con 20 tagliandi e un cappotto ne richiedeva
14. Regolato da un sistema di punti in base alla lavorazione e alla quantità di materiali. Etichetta CC41 era
segno di affidabilità – Civilian Clothing 1941 - . Negli Stati Uniti le restrizioni furono minori.
In Italia inizialmente si favoriva l'acquisto, minimizzando ogni difficoltà, in modo tale da incrementare la
moda e le attività lei connesse. Ma alla fine del '41 il regime introdusse la disciplina del tesseramento e dei
punti anche per l'acquisto dei capi di vestiario, esclusi i cappelli. Il sistema del tesseramento funzionava così:
ogni cittadino aveva la sua carta – 5 tipi che variavano in base al sesso e all'età - a base di punti, avevano
durata annuale e per evitare che venissero utilizzati tutti in una volta, il regime stabilì che ogni quadrimestre
si potesse utilizzare un tot di punti.
Le donne dovettero modificare il loro guardaroba. Gli orli tornarono a sfiorare il ginocchio, si diffuse la moda
delle giacche attillate con le spalline – sembravano evocare le uniformi militari -. Uno dei capi più in voga fu
il teilleur o abito da giacca che poteva essere modificato – con accessori – per le diverse occasioni della
giornata. Sparirono le calze di seta, c'erano apposite vernici per le gambe.
L'austerità nell'abbigliamento veniva compensata con un trucco marcato e acconciature elaborate. In
questo periodo, sulla rivista Dea, nacque la rubrica La moda in tempo di guerra che ogni mese affrontava un
tema in particolare. Venivano dati suggerimenti su come riutilizzare, riciclare abiti e come confezionarne di
nuovi con vecchie lenzuola. La guerra ha sollecitato la creatività e ha portato alla nascita di una moda
autentica italiana, ma anche americana e inglese, proprio per la mancanza della Francia. Si inizia ad
affermare una generazioni di stilisti inglesi – Norman Hartnell, Charles James, Claire McCardell – e italiani –
Salvatore Ferragamo, Roberta di Camerino e Giuliano Fratti -.

Giuliano Fratti, inizia a lavorare giovanissimo nell'industria di famiglia, realizzava etichette in tessuto per le
sartorie. Diventa famoso come creatore di bottoni, fibbie, guarnizioni e bijoux in materiali poveri come
sughero, rafia, corda e paglia uniti a pietre. Grazie a questo clima di emergenza la creatività italiana, insieme
ad un'antica tradizione di artigianato, esplose dando i suoi frutti.

Durante la guerra, anche per mancanza di tessuto, gli abiti si accorciarono e la Chiesa si inasprì nei confronti
della moda femminile. Indossavano abiti più discinti perché carenza di materie prime e nuova dimensione
della donna, sempre più emancipata. La Chiesa e il regime, nel 1941, promossero una campagna contro i
pantaloni da donna.
Nel dopoguerra la Francia aveva la necessità di riacquistare i suoi clienti europei. Per cercare di dare un
nuovo impulso alla moda, venne organizzato il Theatre de la Mode: l'idea era quella di far girare per il
mondo bambole di moda per far conoscere le ultime tendenze. Presentati a Parigi e poi un tour presso

about:blank 12/32
10/09/23, 17:15 Sofia-gnoli-moda-dalla-nascita-della-haute-couture-a-oggi

Londra, Vienna, Stoccolma, Barcellona ecc. Intanto a Milano, sulle ceneri dell'Ente nazionale della moda,
venne costituito a Milano, nel '49, il Centro italiano della moda. Aveva la sede nella Galleria San Babila di
Milano e l'obiettivo era quello di unire l'industria tessile e la moda, attraverso una serie di sfilate e
manifestazioni. Es. a Venezia, dove venne invitato anche Dior, sollevò un po' di polemiche.

5.2 Christian Dior e il new look

Vero rilancio della moda francese nel 1947, quando Dior presenta la sua prima collezione Corolle – fatta di
corsetti, fianchi imbottiti, gonne gonfie lunghe al polpaccio – evocava il fascino delle vie sottili degli anni '30.
Una linea romantica, opulenta e sinuosa che rappresentava la felicità ritrovata dopo la guerra. La nuova
silhouette lanciata da Dior, che avrebbe influenzato la moda internazionale, venne chiamata new look –
caporedattrice Harper's Bazaar -. Uno dei maggiori protagonisti della moda del '900.

Christian Dior, nato nel 1905 in Normandia, apparteneva ad una famiglia borghese. Il padre, dopo aver
cercato di ostacolarlo, gli finanziò una galleria d'arte. Dopo che il padre subì un crac finanziario, Dior dovette
cominciare a guadagnarsi da vivere e - dopo aver preso lezioni di disegno – iniziò la sua attività come
disegnatore di modelli di abiti. Lavorò per case di moda come Piguet e Lelong.
Intorno alla quarantina, incontra Marcel Boussac che era in cerca di un nuovo talento per rilanciare
l'industria del tessuto. Gli finanziò una casa di moda con il suo nome e, fin dalla prima collezione del '47,
ottenne una fama internazionale. Nello stesso anno ricevette l'Oscar della moda.
Il new look però suscitò anche molte polemiche: era considerato immorale tutto quello spreco di stoffa in
un periodo in cui le industrie non si erano ancora riprese; inoltre le femministe vedevano
quell'abbigliamento come al ritorno al passato, al ruolo sociale tradizionale delle donne. Novità apportate
da Dior:
- nel '48 aprì a New York una succursale della maison, dove venivano realizzati modelli per il mercato
americano e venduto modelli di carta a negozi e sartorie;
- iniziò ad avvalersi delle licenze per la produzione di calze, cravatte, profumi e ad associarsi con validi
partner per le diverse specializzazioni;
- con Dior il creatore di moda si cominciò ad affrancare dal settore artigianale per inserirsi in quello
industriale, nella produzione in serie;
- cambiava le sue linee molto frequentemente;
Dopo la sua morte improvvisa, la direzione artistica fu assegnata ad un giovanissimo Yves Saint Laurent che,
nel '58, presentò con enorme successo la collezione Trapeze. Jhon Galliano fu poi sostituito dall'inglese Bill
Gaytten.

5.3 Balenciaga: il “Picasso della moda”

Nato nel 1895 in Spagna, iniziò ad interessarsi alla moda dalla madre. Importante anche la marchesa di
Casa-Torres che lo sollecitò a seguire la sua strada. A 12 comincia a lavorare come apprendista in una
sartoria, finchè nel 1913 non fu assunto nel reparto sartoria del Magazin du Louvre di San Sebastian. Nel
1919 apre la sua prima sartoria e divenne subito famoso per la sua capacità di riprodurre modelli francesi, la
chiude nel '31 per il clima di incertezza a causa della caduta della monarchia spagnola. La riapre qualche
anno dopo e le da un nuovo nome, Eisa. Grandissimo successo, apre diverse succursali fino che chiude
durante la guerra civile spagnola.
Nel 1937 inaugurò una maison a Parigi – affiancato da Nicolas Bizcarrondo e Vladzio d'Attainville, che
diventeranno sui soci – ed è il momento di creare modelli propri, creazioni originali. Prime collezioni
inosservate, grande successo arriva nel 1939. Ricordato per i suoi tagli magistrali, per i raffinati ricami in
passamaneria e per l'uso straordinario dei colori. Il suo colore preferito rimase sempre il nero, utilizzato sia
per gli abiti da giorni che per quelli da sera. Durante la guerra lascia la maison aperta, nonostante le
difficoltà, e nel secondo dopoguerra continua ad essere uno dei massimi nomi dell'haute couture francese.
Nel '47 lancia la collezione Cocoon – linee arrotondate e rastremate verso il fondo – conserva la sua
immagine di eleganza aristocratica e rifiutò di allargare la produzione per amplificare la propria fama. I suoi
defilè molto austeri, al contrario di quelli di Dior. E sempre una differenza con Dior, Balenciaga apportava

about:blank 13/32
10/09/23, 17:15 Sofia-gnoli-moda-dalla-nascita-della-haute-couture-a-oggi

alle sue collezioni, cambiamenti impercettibili ma fondamentali.


Lo osannavano da Dior, Mona Bismark, l'Harper's Bazaar. Al 1950 risalgono le linee a sacco e a palloncino; al
'51 le giacche e le camicie senza collo. Uno dei pochi ad aver fatto dell'abito un oggetto senza tempo, come
Chanel. Nella seconda metà degli anni '60 di fronte all'affermazione del pret-a-porter si ritirò sempre più in
se stesso per poi chiudere definitivamente.

Capitolo 6. Roma Hollywood sul Tevere

6.1 Vacanze romane

Piano Marshall, trasferimento gratuito di beni dagli Stati Uniti all'Europa, si concluse nel '52. L'Italia era una
sorta di colonia dell'America. Già nel '51 la situazione economica era tornata al livello di quella precedente
alla guerra; l'industria tessile italiana attraversò un grande periodo di crescita, cruciale per il futuro sistema
della moda italiana.
Con le sue bellezze, l'Italia, attirava numerosi visitatori. Harper's Bazaar gli dedica il servizio d'apertura The
new Italy. In questi anni '50 poveri e allo stesso tempo pieni di speranza nel progresso, nella crescita
economica, la moda italiana ricevette la sua consacrazione internazionale. Stile di quegli anni, dettato da
Dior che aveva sancito il ritorno di una silhouette a corolla – tutta curve e crinoline – fu sontuoso e
nostalgico con frequenti richiami al gusto Ottocentesco. Una concezione estetica che condannava qualsiasi
tipo di spigolosità. Come testimoniano le bellezze vincitrici dei concorsi es. Gina Lollobrigida – con il film
Pane, amore e fantasia uno stile fatto di abitini sdruciti e aderenti, più nastrini tra i capelli- , Sophia Loren –
con il film La donna del fiume diffuse la voga della cintura dalla vita altissima - e Silvana Magano – con il film
Riso amaro, calze nere, golfini attillati, sottovesti e cappelli di paglia -. Un nuovo tipo di femminilità,
seducente e rassicurante nelle sue rotondità.
Legame con l'America e con il cinema hollywoodiano si creò soprattutto a Roma negli studi di Cinecittà –
creato nel '37 in via Tuscolana – l'Italia era vista, nell'immaginario americano, come il prototipo del paese
dell'evasione e delle vacanze a Roma. Quindi approdate nella capitale – attrici, principesse, first lady –
iniziarono a frequentare le nuove sartorie – Emilio Schuberth, Fernanda Gattinoni, Maria Antonelli,
Simonetta Visconti – la moda italiana, esclusa quella di Roberto Cappuccio, era fatta di caratteri simili. Infatti
molti creatori di moda, come le Sorelle Fontana, Simonetta Visconti e altri, si servissero degli stessi
disegnatori a cottimo, che spesso lavoravano per altre case di moda.

6.2 Le Sorelle Fontana e il battesimo della moda italiana

Le Sorelle Fontana – Zoe, Micol e Giovanna – nacquero in provincia di Parma. Una passione per la moda fin
da piccole, l'aveva trasmessa la madre con la sua piccola sartoria. Si trasferiscono a Roma e dopo un periodo
di apprendistato aprirono una piccola sartoria. Per un certo periodo, come voleva la tradizione, replicavano
– con qualche piccola modifica – i modelli francesi, successivamente si mettono a fare moda italiana.
Quando nel 1951 il marchese Giovanni Battista Giorgini organizzò a Firenze le prime passerelle collettive di
moda italiana, davanti alla stampa internazionale, loro furono tra le più illustri rappresentanti. Iniziano a
fare numero viaggi all'estero in cui presentano i propri modelli.
Le loro creazioni, si distinguevano per l'alta sartoria, ma anche per le linee romantiche e ottocentesche
impreziosite da ricami e applicazioni di strass, perle e merletti. Un'interpretazione tutta personale del new
look di Dior. Avevano clienti come Jacqueline Kennedy, Audrey Hepburn, Liz Taylor e molteplici furono i
contatti con il mondo del cinema. Prima esperienza cinematografica, del '48, realizzarono gli abiti di Nelly
Corradi in La Signora dalle camelie; nel '53 gli abiti di Ava Gardner per La contessa scalza – si instaurò un
rapporto fortissimo – indossava i loro abiti sia sul set che fuori.
Negli anni '60 inaugurarono una linea di pret-a-porter a cui si aggiunsero linee di pelletteria, ombrelli,
foulard, bigiotteria e biancheria da bagno e da tavola. Il profumo Micol del 1991. Nel '71 le Sorelle Fontana,
pur continuando la loro produzione di alta moda e p-a-p, si ritirano dalle manifestazioni ufficiali di alta
moda. Nel 1994 Micol Fontana ha creato l'omonima fondazione che ha l'obiettivo di promuovere la
creatività dei giovani artisti italiani con concorsi e borse di studio.

about:blank 14/32
10/09/23, 17:15 Sofia-gnoli-moda-dalla-nascita-della-haute-couture-a-oggi

6.3 Emilio Schuberth o del fasto romano

Nato a Napoli nel 1904, si trasferì a Roma dove lavorò come apprendista presso la sartoria Montorsi e
successivamente, nel '38, aprì una modisteria che ampliò nel '40 facendola diventare un atelier. Nei suoi
abiti si fondono opulenza ottocentesca e glamour hollywoodiano; infatti le sue clienti più fedele furono
soubrette e attrici: Sophia Loren, Gina Lollobrigida, Valentina Cortese. Ma anche l'imperatrice Soraya.
Nel 1951 partecipa alla prima sfilata organizzata da Giorgini a Firenze. I suoi modelli erano noti per gli
originali procedimenti di realizzazione – accostati insieme spago e filo di seta, paglia e strass – ma anche per
i nomi stravaganti es. Schubert ha sognato Chopin. Le sue creazioni molto appariscenti, oltre alle lodi,
hanno ricevuto anche critiche. Stringe un accordo con Delia Biagiotti, per l'esportazione di una linea di
moda pronta firmata da lui: Miss Schuberth. Alla sua morte, nel 1972, le figlie hanno donato l'intero archivio
paterno all'Università di Parma.

6.4 Roberto Capucci: lo scultore della seta

Nato a Roma, nel 1930, dopo gli studi artistici apre – nel 1950 – il suo primo atelier. Il suo debutto avviene
l'anno dopo, quando partecipa – non ufficialmente, visto la sua giovane età – alla sfilata di Giorgini a
Firenze; vestì la moglie e le figlie di Giorgini e da lì ottenne il suo primo successo.
Interesse per la sperimentazione, le geometrie e i volumi architettonici sono i fili conduttori del suo stile.
Celebre abito Nove gonne, ispirato ai cerchi concentrici prodotti da un sasso lanciato in acqua. Nel 1958
lanciò la linea “a scatola” basata su volumi scultorei e astratti. Un'antitesi al new look di Dior. Poi fu la volte
delle gonne lampione e dei colli sovrapposti – addirittura nove -. Nel '62 apre un atelier a Parigi e vediamo
come la sua attività di sarto – in questo periodo – si concentra sulla sperimentazione di fibre sintetiche e
high tech → tra il '65 e il '66 nascono abiti ricamati da rosari fosforescenti e quelli interamente rivestiti di
plastica trasparente. Stile riconducibile a Pierre Cardin e Andrè Courregas.
Nel '68, dopo aver chiuso l'atelier parigino, continua le sperimentazioni con materiali insoliti – paglia, corda,
rafia e sassi – e nell'82, per aver una maggiore autonomia nella ricerca, decide di staccarsi dalle istituzioni
della moda e si dedica a tempo pieno alla ricerca artistica, organizzando sfilate secondo i suoi ritmi. Dagli
anni '80 le sue creazioni si fanno sempre più scultoree e sperimentali, con forme inusuali fatte di
sovrapposizioni, di petali, di ventagli, di trionfi barocchi. Le sue clienti più rinomate la Mangano, Gloria
Swan, Esther Williams, Marilyn Monroe e anche Rita Levi Montalcini.
Nel 1995, in occasione del centenario della Biennale di Venezia, è stato uno dei venti artisti presenti. Ha
partecipato con dodici abiti scultura, ispirati ai minerali. E i suoi abiti, a partire dagli anni novanta, sono stati
al centro di molte mostre e grandi esposizioni internazionali.

Capitolo 7. Le signore dello stile italiano

7.1 Lo “snob appeal” e Irene Brin

Caratteristica della moda romana nel dopoguerra → stretto legame tra moda e nobiltà, molte nobildonne
decisero di dedicarsi alla moda – donna Aurora dei principi Giovanelli; donna Stefania dei principi Colonna
di Sciarra; marchesa Olga di Gresy; baronessa Clarette Gallotti; principessa russa Irene Galitzine; -.
Questo legame molto enfatizzato dalla stampa dell'epoca, es. Irene Brin maestra di un giornalismo frivolo e
colto. Nata nel 1911 a Bordighera, in una famiglia borghese, esordì – con il nome di Maria Vittoria Rossi e
successivamente altri nomi d'arte – nel 1932 sulle pagine del quotidiano “Il Lavoro”. Ha segnato la cronaca
di moda dagli anni '30 agli anni '60 e ha inventato un nuovo tipo di giornalismo. Scrisse per moltissime
riviste: Settima Incom; Bellezza; Europeo; Harper's Bazaar; ma scrisse anche molti volumi: Usi e costumi
1922-1940; Il galateo; I segreti del successo.

7.2 Gabriella di Robilant: una pioniera dello sportswear

Contessa Gabriella di Robilant, fondatrice nel 1932 della griffe Gabriellasport. Nasce a Firenze e dopo il
matrimonio – con Andrea di Robilant - si trasferisce a Venezia. Qui incontra molti personaggi importanti, tra

about:blank 15/32
10/09/23, 17:15 Sofia-gnoli-moda-dalla-nascita-della-haute-couture-a-oggi

i quali Jean Patou che, insieme a Chanel, influenzò molto la futura scelta di dedicarsi alla moda.
Nei primi anni '30, dopo essersi separata dal marito, iniziò a dedicarsi alla moda facendo realizzare, da
sartine veneziane, abiti semplici, pratici e sportivi che si ispiravano proprio ai due maggiori esponenti dello
sportswear. Nel 1931 fu invitata a Milano, da Niki una nota profumeria, a presentare i suoi modelli e fu un
cosi grande successo che si trasferì nel capoluogo lombardo e fondò l'atelier Gabriellasports. Presto arrivò
anche il successo internazionale, nel '37, invitata negli Stati Uniti a presentare i suoi modelli. Nel '42 poi, si
trasferì a Roma e lì rilevò la sede della sartoria Ventura – quella ufficiale di Casa Savoia – e cominciò a
realizzare capi di alta moda, spesso acquistando i modelli francesi.
L'attività di Gabriellasport continuò per tutta la durata della guerra, anche quando Madama Anna – storica
direttrice della sartoria Ventura, che rimase a lavorare lì – sospese il suo lavoro per le leggi razziali. Nel
dopoguerra l'atelier ebbe il suo periodo più felice, si affermarono nuovi nomi nella moda romana che
attraevano il jet set. In seguito al suo secondo matrimonio, Gabriella si trasferisce a Palermo e l'atelier
rimane in mano a Madama Anna che poi dovrà licenziare per la sua poca attenzione verso le spese;
rischiava il fallimento. La sostituisce con Ferdinando Sarmi, che non durò molto, e cominciò a dirigere da
sola l'atelier. Dopo un po', stanca di fare avanti e indietro tra Roma e Palermo, decise di chiudere la sua casa
di moda dando vita a molte proteste da parte delle sartine che rimasero senza lavoro.

7.3 Simonetta: “The Glamorous Countess”

Simonetta dei duchi Colonna di Cesarò, nata a Roma nel 1922, aprì il suo primo atelier nel '46. Le sue prime
creazione erano segnate dall'etichetta Simonetta Visconti – cognome del marito – in seguito al divorzio e al
successivo matrimonio, cambiò l'etichetta in Simonetta. Creazione che riscossero un grande successo per il
suo piglio elegante e sportivo. I suoi modelli finirono su Bellezza – che li definì i più interessanti nel
panorama dell'epoca – e anche su Vogue dove posò indossando dei suoi modelli. I department store
americani iniziarono a sommergerla di ordinazioni e le americane in viaggio a Roma diventarono le sue
clienti più fedeli. I suoi abiti sono protagonisti nella prima sfilata organizzati da Giorgini a Firenze.
Le collezioni, famose per le linee raffinate ed essenziali, venivano esaltate da singoli dettagli es. un tipo
particolare di scollatura o un nodo ricorrente; nelle sue creazioni è sempre stato saldo il legame con la
moda francese. Le sue clienti più fedeli furono: Audrey Hepburn, Jacqueline Kennedy, Clare Boothe, Lauren
Bacall. Nel '57 lanciò una linea di moda pronta e venne eletta tra le dieci donne più elegante; nel '62 si
trasferì a Parigi dove aprì l'atelier Simonetta e Fabiani. Prima collezione creata insieme Dauphin → abiti che
mostravano linee con spalle arrotondate, colli e scialle, esili busti e volumi spostati sul dietro. Ma dopo il
primo successo, l'atelier parigino non riuscì a decollare. Fino alla morte del marito, nel '73, rimase a Parigi
per poi ritirarsi dalla moda e negli anni '80 si dedicò alla vita spirituale in India. Anni '90 torna in Europa; nel
2008 scrive un'autobiografia Una vita al limite e poi celebrata alla mostra Simonetta. La prima donna della
moda italiana.

7.4 Giovanna Caracciolo e Irene Galitzine: le principesse della moda

Principessa Giovanna Caracciolo, apre l'atelier Carosa a Roma nel '47, insieme alla contessa Barbara Rota
Angelini Desalles – lei si ritirò dopo pochi anni – mentre Giovanna continuò fino agli anni '70. I suoi modelli
– influenzati da un gusto sartoriale francese – hanno aiutato all'affermazione internazionale della moda
italiana. Nel '51 partecipa alla sfilata di Giorgini e da li comincia a presentare i suoi modelli anche all'estero. I
suoi sarti preferiti erano Balenciaga e Yves Saint Laurent. Partecipò ad una serie di iniziative per
pubblicizzare la moda italiana: sbarcarono con il transatlantico Cristoforo Colombo; partecipò a diverse
manifestazioni televisive. Coinvolti anche Dalì; Elsa Maxwell e Marilyn Monroe.
Il suo innato buon gusto e lo stile sobrio ed essenziale, fanno di lei una delle sartorie più frequentate tra gli
anni '50 e '60. Inoltre da un apporto decisivo alle nascenti linee di moda italiana → Quirino Conti, Ibi farkas
ecc. Quando l'alta moda venne compromessa dal pret -a- porter si ritirò dalla sua attività, fino a quando nel
'74 chiuse l'atelier.

Principessa russa Irene Galitzine, nata nel 1916, dopo un periodo di apprendistato dalle Sorelle Fontana –
indossatrice e addetta alle pubbliche relazioni – nella seconda metà degli anni '40, apre una sartoria dove

about:blank 16/32
10/09/23, 17:15 Sofia-gnoli-moda-dalla-nascita-della-haute-couture-a-oggi

faceva riprodurre, in modo minuzioso, i modelli francesi. Grande passo nel '59, quando debuttò – insieme a
Federico Forquet – con la sua prima collezione italiana sulla passerella della Sala Bianca di Palazzo Pitti a
Firenze. Capi studiati in funzione di esistenze vere, per le vacanze a Capri, lavoro d'ufficio ecc. Nel '59
ricevette il premio Filene's Talent Award - uno dei più importanti riconoscimenti della stampa americana –
come migliore creatrice dell'anno.
Vero successo nel 1960, lanciò un completo → pantaloni e casacche – con collo e polsi ricamati – in
shantung di seta dai colori sgargianti. Ispirato da uno spettacolo di Broadway. L' Harper's Bazaar lo battezzò
pijama palazzo che conquistò star del cinema, regine e first lady; si trasformò nell'irrinunciabile divisa del jet
set. Una serie di premi internazionali nel corso degli anni.

7.5 I drappeggi di Fernanda Gattinoni e il nitore estetico di Maria Antonelli

Fernanda Gattinoni, nata nel 1907, famosa per i suoi abiti drappeggiati. Si trasferì a Londra con la famiglia,
dove iniziò a lavorare come apprendista da Molyneux. Fine anni '30 rientra in Italia, a Roma, dove trova
impiego presso la sartoria Ventura. Madame Anna la nominò sua assistente personale, dove diventa preso
la sarta prediletta dell'aristocrazia romana. Quando la sartoria Ventura chiude i battenti durante la Seconda
guerra mondiale, lei si mette in proprio nel '44 e apre una sua sartoria. Prima cliente famosa → Clara
Calamai.
Il suo stile → amore per il drappeggio e inclinazione alla sobrietà. La sua semplicità risale agli anni di
apprendistato a Londra, mentre il drappeggio alle sperimentazione, fatti a Parigi in quel periodo, da
Madame Grès. Il vero segreto è l'essenzialità. Ha vestito molte attrici: Kim Novak, Lucia Bosè, Anna
Magnani, Lana Turner, Ingrid Bergman e Audrey Hepburn. Esperienze cinematografiche. In seguito alla
realizzazione di alcuni abiti per la Hepburn – stile impero – ne rimase così affascinata che dedicò un'intera
collezione – Natascia -al gusto neoclassico. Lei, al contrario di molti, si è rifiutata di partecipare alla sfilata di
Firenze.
Quando negli anni '60 la moda boutique comincia a rubare spazio all'alta moda, non si da per vinta, da vita
ad una linea di pret -a- porter. Negli anni '80 è affiancata dal figlio che, quando muore, viene sostituito, nella
direzione artistica, da Guillermo Mariotto. Inoltre, l'unica tra le sue colleghe, che avevano aperto durante il
periodo del conflitto, a tenere parte l'attività fino al 2002, anno della sua morte. Redini passate a Stefano
Dominella.

Maria Antonelli, nata nel 1903, inizia a lavorare presto come apprendista da Battilocchi, sartoria romana
famosa. Inizio anni '40 si mette in proprio, primo periodo → le sue creazioni risentono dell'influenza
francese, successivamente se ne distacca. Fin dall'inizio vestì grandi attrici come Anna Magnani e Alida Valli.
Assente alla prima sfilata di Giorgini, inizia a partecipare da quella successiva. Nel '58 inaugurò Antonelli
Sport, la sua linea rest fashion.
Il suo stile → tagli rigorosi, raffinatezza dei dettagli. Ricerca la figura che ogni donna vorrebbe, aggraziata in
uno slancio verticale.

7.6 Le regine della Scala

Durante la prima sfilata di Giorgini, presentarono i loro modelli quattro sartorie milanesi: Marucelli,
Noberasco, Vanna e Veneziani.

Jole Veneziani, nacque nel 1901 a Taranto, un periodo di apprendistato presso una ditta francese di pelli per
pellicceria e poi, nel '37, intraprese una sua attività → laboratorio di pelliccerie a cui poi aggiunse un reparto
sartoria.
Stile → spoglio, essenziale. Proprio per questo suo aspetto è stata molte volte avvicinata a Capucci. Le
pellicce ricorrono molto spesso nelle sue collezioni. Il suo successo andò a scemare quando nel '68 – alla
serata inaugurale del Teatro alla Scala – vennero scagliate uova e pomodori marci sulle pellicce. Finita
un'epoca. Fu tra le prime a capire che il mercato americano desiderava qualcosa di semplice, nel '51 crea la
la seconda linea Veneziani Sport, una sorta di pret -a- porter.

about:blank 17/32
10/09/23, 17:15 Sofia-gnoli-moda-dalla-nascita-della-haute-couture-a-oggi

Germana Maruccelli – la sarta forse più impegnata nell'affermazione di una moda italiana autonoma da
quella francese – fin dal '43 elabora temi svincolati dall'influenza d'Oltralpe. Nasce in Toscana, nel 1905,
figlia d'arte imparò i rudimenti nella sartoria della madre; lavorò per le sartorie Failli di Firenze e Gastaldi di
Genova e per un periodo svolse il lavoro di modellista, rivedendo in Italia modelli acquistati o copiati a
Parigi. Nel '38 inaugurò il suo atelier a Milano, che chiuse durante la guerra, e lo riapri nel '45. Nel '48
abbandonò i ricami e decorazioni tradizionali per utilizzare gli accostamenti astratti del Pittore Zuffi; es
collezioni Optical e Alluminio; poi la linea Impero – ispirata ai dipinti di Botticelli -; linea Fraticello; linea
Pannocchia.
Stile → una linea molto originale e definita. Nelle sue creazioni l'arte ha un ruolo centrale; assimilata alla
figura di Elsa Schiaparelli. Secondo la sua filosofia, gli abiti dovevano racchiudere: architettura, perché è
spazio; pittura perché è colore; musica perché è armonia; scultura perché è forma; poesia perché crea e
qualifica. La Maruccelli si affermò a Milano, città dello sviluppo industriale e del design.
Dal 1972 diminuisce le sue partecipazioni alle manifestazioni ufficiali della moda, pur continuando a
sperimentare nuove linee fino all'anno della sua morte.

Altre grandi protagoniste della moda milanese degli anni '50 e '60: Biki e Gigliola Curiel. Biki, nel 1933, fonda
– insieme e Gina Cicogna – una maison di lingerie, poi battezzata Domina da D'Annunzio. Poi estese la
produzione anche agli abiti, dandole il nome di Biki. Curò il restyling di Maria Callas. Gigliola Curiel, fondò la
sua maison dopo la Seconda guerra mondiale e tra gli anni '50 e '60 raggiunse la notorietà. Celebri piccoli
abiti neri – curiellini -.

Capitolo 8. Firenze e la Sala Bianca

8.1 Giorgini e la Sala Bianca

Giovanni Battista Giorgini, nato nel 1898 a Forte dei Marmi, attività di buyer per alcuni grandi magazzini
americani iniziando ad esportare negli Usa manufatti di artigianato italiano come biancheria per la casa,
merletti, vetro, ceramica. Dopo la seconda guerra mondiale, emerge l'idea di un lancio internazionale della
moda italiana → sfilata collettiva di sartorie. La cifra necessaria enorme, quindi decide di organizzare una
sfilata in Italia, subito dopo la presentazione delle collezioni parigine, così che i buyer americani dovessero
solo prolungare il viaggio. Molti ostacoli → Americani credevano poco nell'italian style; sartorie italiane che
acquistavano i loro modelli a Parigi temevano che quest'ultima avesse sbarrato loro le porte. Alla fine riuscì,
attraverso una lettera, a convincere le case di moda italiane. A quella manifestazione vennero mostrati 180
modelli e parteciparono 13 case di moda italiane → Simonetta Visconti; Fabiani; Sorelle Fontana; Schuberth;
ecc.
Manifestazione organizzata in questo modo: 12 febbraio presentazione di abiti da giorno, rest fashion –
moda per il tempo libero – e accessori; 13 pausa e il 14 modelli di sera e il gran finale → invitata tutta
l'aristocrazia fiorentina. Successo enorme, critica entusiasta e produzioni italiane – costi -50% rispetto a
quelli parigini – registrarono un tutto esaurito. Giorgini ne organizzò una seconda a luglio, questa volta gli
furono concessi i saloni del Grand Hotel di Borgo Ognissanti, sempre commenti molto entusiasti. Dopo
questi successi gli fu concessa la Sala Bianca di Palazzo Pitti dal '52. Sfilarono accanto a nove case di alta
moda, sedici ditte di moda botique e per il tempo libero – la maglieria, la moda-mare -; → un tipo di
prodotto che non aveva equivalenti nella moda francese, fu la carta vincente della moda italiana.
Sulle passerella della Sala Bianca, negli anni '50, assunsero importanza, oltre alla moda botique, anche gli
accessori → cappelli, il cappellificio La Familiare, Canessa, Cartoni ecc. Calzature e pelletteria, oltre a
Ferragamo, anche Magli di Bologna, Sacchetti e Gucci di Firenze e Dal Co di Roma. Settore borse →
protagonista assoluta, Roberta Camerino. Altro obiettivo di Giorgini, era quello di stabilire un'intesa solida
tra moda e industria, infatti ogni casa di moda presentò almeno due modelli fatti con tessuti prodotti
dall'Italviscosa → per la promozione ogni industria italiana pagava 50.000 lire e forniva gratuitamente il
tessuto. Incrementarono le esportazioni di tessuto italiano.
Prima manifestazione in Sala Bianca, 22/26 luglio '52 → Antonelli, Capucci, Ferdinandi, Giovanelli Sciarra,
Polinober, Marucelli, Vanna e Veneziani per l'alta moda; Emilio Pucci, Mirsa, Avolio, Luisa Spagnoli, Gaber e
altri per lo sportswear e la moda botique. In seguito nasce la rivalità tra Roma e Firenze, molte case di moda

about:blank 18/32
10/09/23, 17:15 Sofia-gnoli-moda-dalla-nascita-della-haute-couture-a-oggi

romane decisero di abbandonare la pedana fiorentina, un comportamento incostante di partecipazione.


Molto spesso presentavano i loro modelli a Roma e non a Firenze. Una rivalità che rischiava di essere supera
da Milano come nuovo centro della moda. Elsa Robiola si chiedeva, negli anni '60, se non fossero troppi i
centri della moda → le sartorie romane elessero Palazzo Venezia come contrapposizione di Palazzo Pitti a
Firenze. Controversie interne che non permettono di battere la moda francese.
Tutte diedero un enorme contributo alla moda italiana: Roma → legame con le star di Hollywood; Firenze →
prima manifestazione internazionale di moda italiana; Venezia → Franco Marinotti che diede vita a Palazzo
Grassi al Centro internazionale delle arti e del costume – dalla metà degli anni '50 fino alla fine degli anni
'60 – dove si tennero una serie di rassegne di moda con creatori italiani – Veneziani, Schuberth, Simonetta,
Marucelli – anche nomi internazionali – Balmain e Maggy Rouff -. Inoltre, collaborazione delle case di moda
con le maggiori aziende produttrici di fibre artificiali: SNIel '54A-Viscosa; Italviscosa ecc.; Milano → il suo
legame con l'industria le permise di imporsi come capitale del pret -a- porter.

8.2 Emilio Pucci: “The Prince of Prints”

Emilio Pucci, dell'azzardato accostamento di colori ha fatto uno dei tratti distintivi del suo stile. Nel '47 la
fotografa dell'Harper's Bazaar, Toni Frissell, ammirò l'eleganza della tuta da scii dell'amica – scopre poi che
era opera di Pucci – tornata in America ne parlò con la fashion editor del giornale – Diana Vreeland – che le
commissiono un servizio sulle sue creazioni. Uscì nell '48, un successo istantaneo → departament store
americani lo sommersero di ordinazioni; Saks, Lord & Taylor.

Nato nel 1914, a Napoli, studia Scienze Politiche e poi si arruola nell'aviazione italiana durante la Seconda
guerra mondiale. Nel '49 – mentre era in vacanza a Capri – fece realizzare una serie di abiti sportivi,
addirittura i complimenti da Chanel. Decide di aprire una botique caprese La Canzone del Mare, tappa
obbligata di tutto il jet set che passava sull'isola → Garbo; Monroe; J. Kennedy. Modelli di Pucci realizzati a
Firenze nel palazzo di famiglia con le sete stampate di Ravasi; le giacche, uniche, erano confezionate dalla
baronessa Clarette Gallotti o Tessitrice dell'Isola.
Nel '51 fu uno dei prima a partecipare alla sfilata di Giorgini, con una collezione dedicata alla rest fashion.
Nel '54 ricevette l'Oscar della moda dal department store Neiman Marcus. Sempre in quel periodo, brevettò
i suoi primi abiti in sottilissimo jersey di seta; cominciò a fare uso di fibre sintetiche: poliestere e lycra.
Stile → brillantezza dei colori e la ricchezza delle stampe dei tessuti, il tutto su modelli semplici dalla linea
essenziale. Anni '50 prevalgono i motivi figurativi – collezione Siciliana; collezione Palio di Siena; decennio
successivo sempre più su uno stile geometrico che rifletteva le tendenze artistiche contemporanee. Alla fine
degli anni '70 affiancò alla linea boutique una linea d'alta moda. Primo creatore di moda italiana a
cimentarsi con il total look → un accordo di collaborazione con la casa di porcellane Rosenthal, firmò poi
linee di calze, di cravatte, di borse, di lingerie, di moda maschile, di uniformi per le hostess delle linee aeree
Braniff e Quantas. Dal '63 entra in politica come deputato del Partito liberale; dagli anni '80 realizzò solo
pret -a- porter. Muore nel '92 e la figlia si occupa della griffe e nel 2000, la quota maggioritaria, è stata
acquisita dalla holding di lusso LVMH – Louis Vuitton Moet Hennessy -.
In Palazzo Pucci è stata creata la Fondazione Emilio Pucci, in cui è archiviata una quantità di stampati.

8.3 Gli ultimi fuochi d'artificio e l'inizio del tramonto della Sala Bianca

Molte le griffe che si lamentavano della scarsa visibilità data loro dalla Sala Bianca – passerella collettiva non
soddisfaceva il desiderio di autonomia -; nonostante tutto, fino alla fine degli anni '60, rimase il migliore
lancio di trampolino: Federico Forquet; Pino Lancetti; Valentino; Krizia; Missoni. Ritiro di Giorgini nel '65 a
segnare il declino delle sfilate fiorentine. Direzione di Palazzo Pitti che passa in mano a Emilio Pucci.

Federico Forquet aveva debuttato alla Sala Bianca, nel '62, con uno stile nitido e lineare che aveva appreso
da un apprendistato con Balenciaga. Nato a Napoli nel 1931, si avvicinò alla moda nei primi anni '50. Dopo
aver lavorato presso Balenciaga, torna in Italia e si stabilisce a Roma → collabora con Alberto Fabiani , poi
collabora con Irene Galitzine – stanca di fare moda francese, decise di fare una linea italiana – e insieme
crearono il pigiama palazzo. Si mette poi in proprio – entra in società con Bebe Pozzi – e aprì una sartoria

about:blank 19/32
10/09/23, 17:15 Sofia-gnoli-moda-dalla-nascita-della-haute-couture-a-oggi

con il suo nome. Divenne preso uno dei sarti preferiti di: regina Anna Maria di Grecia e di icone dello stile
come Marella Agnelli e Diana Vreeland.
Nel '72 chiude l'atelier, non furono estranei gli eventi del '68 che portarono cambiamenti in ogni campo.

Pino Lancetti, di origine umbra trapiantato a Roma, ha eletto l'arte a leitmotiv delle sue creazioni. Da
piccolo voleva diventare pittore. Nasce nel 1932 e muore nel 2002, dopo aver frequentato a Perugia
l'Istituto d'Arte Bernardino di Betto si trasferisce nella capitale e lavora come disegnatore presso alcuni
grandi nomi → Carosa, Antonelli, Simonetta e De Luca. Per quest'ultima, concentrata sulla riproduzione di
modelli francesi, Lancetti creò, nel '56, una collezione ispirata a Modigliani.
Nel '61 si mise in proprio e partecipò alla sfilata alla Sala Bianca, riconoscimento internazionale arriva, però,
nel '63, con la linea militare → ispirata alle divise della Prima guerra mondiale. Caratteristiche ricorrenti
nella sua produzione: amore per il folclore e per le epoche passate; riferimento alla pittura, che si vede nelle
fantasie di tessuti, da Picasso a Klimt. Spesso definito sarto-pittore. Collezione ispirata a Picasso, rimasta
celebre, del '68, presentata a Villa Medici; nel'72 linea di pret -a- porter; dopo licenze per linee di profumi,
bijoux e accessori con il suo nome.
Tra le clienti più affezionate → Irene Brin, Palma Bucarelli, Silvana Mangano. Nel 2000 ha ceduto la maison a
un gruppo finanziario guidato da Ugo Paci.

Mila Schon, - nome d'arte di Maria Carmen Nutrizio - nata in Dalmazia nel '19, negli anni '40 si trasferisce a
Milano dove aprì un piccolo atelier nell '56. Fin dalla sfilata a Palazzo Pitti, si fece notare per uno stile
spoglio e geometrico, per i soprabiti e i piccoli tailleur double-face, ammirazione da parte di Marella Agnelli.
Nel '66, in occasione del Black and White Ball, M. Agnelli e Lee Radziwill indossarono due sue creazioni. Un
caftano ricamato con cerchi e righe in perle e paillettes color argento e un abito a tunica ricamato con
motivi a onda e giacchino di piquet bianco ornato con fili di lurex. Quello stesso anno riceve il Neiman
Marcus Award per il colore. Dal '72 prime collezioni di pret -a- porter femminile e maschile, a cui affiancò
una linea completa di accessori.
Ha firmato le divise di hostess di alcune compagnie aeree internazionali. Nell'86 la multinazionale
giapponese Itochu ha acquistato tutto il pacchetto azionario, però la parte creativa e organizzativa è rimasta
in mano a Mila. Nel '95 l'azienda ha abbandonato l'alta moda per dedicarsi al pret -a- porter, finchè dal '89
nuova strategia → da vita alle sue creazioni con un ufficio stile formato da giovani creativi di tutto il mondo.
Filo conduttore della griffe → il rigore nel taglio e la grande essenzialità; costante rapporto tra ricerca
artistica e progettazione che emerge soprattutto nelle collezioni ispirate a Klimt, alla cultura Bauhaus o alle
sperimentazioni di Fontana.

Roberta Camerino, debuttato ufficialmente nel '46 come creatrice di borse e accessori, presentò, nel '63 la
sua colleziona in Sala Bianca. Nata a Venezia, nel 1920, vero nome Giuliana Coen, il suo nome d'arte deriva
da una canzone ascoltata al suo primo ballo.
Costretta a fuggire per le leggi razziali, va in Svizzera, da vita ad una piccola produzione di borse in velluto
ricamato. Torna a Venezia → crea un laboratorio di pelletteria nella sua casa in Santa Maria Formosa, da qui
comincia a realizzare le sue borse, usando velluti veneziani tessuti su antichi telai a mano con armatura in
cotone e pelo in seta. Anni '50 effetto trompe-l'oeil che riproduceva sul tussuto cinghie e chiusure
tridimensionali. Le sue borse divennero note in tutti il mondo.
Tra le più famose: Bagonghi – amata da Grace di Monaco, Elsa Maxwell – chiamata così da Roberta, per la
sua forma piccola e panciuta e per quella grossa maniglia che le ricordava l'omonimo personaggio
immaginario circense; la Brigitte, un baluetto contraddistinto da un borsellino in metallo dorato applicato
all'esterno, rappresentava l'accessorio dell'accessorio. La borsa si imporrà come accessorio di moda.
Seconda metà degli anni '60 si dedica anche all'abbigliamento, abiti stampati con effetti trompe-l'oeil.
Vestiti dalla linea essenziale, in jersey di lana o poliestere, in tessuto stampato con fantasie che
riproducevano: gonne a pieghe, giacche e camicette con fiocchi e doppi polsini o eleganti smoking da sera.
L'idea la prende dal fatto che non c'erano più persone di servizio, che aiutavano le donne ad indossare abiti
con mille bottoncini, quindi i suoi abiti bastava infilarli pur sembrando raffinatissime mise.
Le sono state dedicate molte esposizioni: dal '80 quando il Whitney Museum Di New York le dedico la
retrospettiva Roberta di Camerino: a Celebration of Thirty Years of Design, fino al 99 quando le sue creazioni
sono state esposte al Fashion Institute of Technology di New York. Nel '95 ha donato abiti e accessoriu alla

about:blank 20/32
10/09/23, 17:15 Sofia-gnoli-moda-dalla-nascita-della-haute-couture-a-oggi

Galleria del Costume di Palazzo Pitti e nel 2008 ha ceduto il marchio e l'azienda al Sixty Group.

8.4 “Rosso” Valentino

Valentino Clemente Garavani, couturier e stilista italiano, natoa Voghera nel 1932. Inizio anni '50 si
trasferisce a Parigi – frequenta un corso alla Chambre Syndicale de la Couture – e poi viene assunto, come
apprendista, da Jean Dessès. Nel '57, quando Guy Laroche – capo dell'ufficio stile – decise di mettersi in
proprio, Valentino lo seguì. Nel '59 torna in Italia e apre il suo primo atelier – Via Condotti - e nello stesso
anno presentò Ibis, che passò inosservata. Incontrò Giancarlo Giammetti – sarebbe diventato suo socio e
amministratore delegato della maison – e nel '60 trasferisce la sua maison in Via Gregoriana.
Debutta davanti alla stampa internazionale nel '62, quando partecipa alla sfilata a Palazzo Pitti, nonostante i
suoi modelli fossero stati mostrati l'ultimo giorno, all'ultima ora – proprio perché giovane – ottenne un
grandissimo successo. Da allora un'ascesa straordinaria, nel '66 – dopo aver abbandonato la passerella della
Sala Bianca – cominciò a sfilare nel suo atelier. L'anno successivo → lancia la sua linea maschile; premiato
con il Neiman Marcus Award. Nel '67 compare il logo che lo contraddistingue, la “V”, apposto su abiti e
accessori come dettaglio decorativo, due anni dopo anche una linea di pret -a- porter, che dal '75 decide di
presentare a Parigi e nell'89 iniziò a far sfilare lì anche la linea di alta moda.
Nel 1991 organizzò a Roma, presso l'Accademia Valentino di piazza Mignanelli e il Museo del Campidoglio,
la mostra per festeggiare i trent'anni di carriera. Valentino. Trent'anni di magia. Nel '98 cede il marchio
all'HDP – Holding di partecipazione, guidata da Maurizio Romiti – pur continuando ad occuparsi dell'aspetto
creativo. Nel 2000 premiato con il Lifetime Achievement Award dal CFDA. Nel 2002 la Velentino SPA è
passata nelle mani del gruppo Marzotto e dal 2007 è controllata dal fondo di private equity Permira.
Clienti più affezionate → Gloria Guinnes; Elizabeth Taylor, Sophia Loren, Sharon Stone e Jacqueline Kennedy,
che divenne la sua musa ispiratrice negli anni '60. A lei dedicò la famosa collezione Bianca – del '68 – e J.
Kennedy decise di indossare un Valentino nel suo matrimonio con Aristotele Onassis.
Stile → perfetta conoscenza delle tecniche sartoriali dovuta alla sua formazione di couturier; pieghe
impareggiabili; plissè intarsiati; raffinati temi animalier, un ricorrente riferimento al mondo dell'arte: Klimt,
Franz Winterhalter, pittori del rinascimento ecc. Una delle collezioni più note, ispirate all'arte, è quella
dedicata a Josef Hoffmann, architetto della Wiener Werkstatte. Altra caratteristica dello stilista è la passione
per quella particolare sfumatura di rosso, che ha preso il suo nome.
Nel 2007, prima di dire addio alla direzione artistica, ha festeggiato i suoi 45 anni con una grande mostra
Valentino a Roma. 45 Years of Style. Alessandra Facchinetti nominata direttore creativo, poi nel 2008 al suo
posto → Maria Grazia Chiuri e Pier Paolo Piccioli.

Capitolo 9. La democratizzazione della griffe

9.1 Gli anni sessanta: verso il pret -a- porter

Soglia degli anni Sessanta in Italia → produzione di massa – vedi frigoriferi, auto, lavatrici – ne viene
coinvolta anche la moda, che diventa un fenomeno sempre più massiccio, erano, infatti, aumentati i negozi
di moda per uomo, bambino e donna, rispetto agli anni '50 e aumentano anche i grandi magazzini con
reperti di abbigliamento. L'alta moda stava cedendo alla confezione in serie. Nel '57 l'Italia era entrata nel
Mercato europeo comune.

Scompare la necessità di ostentare lusso e ricchezza, un nuovo concetto di eleganza: essenzialità e rigore.
Basta con l'euforia revivalistica, torna la passione per l'attualità con la sua mutevolezza. In questo contesto,
il diffondersi in maniera sempre più massiccia dell'industrializzazione, portò una democratizzazione dei beni
di consumo → affermazione pret -a- porter. Inizia quel processo che trasforma l'alta moda in una vetrina
propagandistica.
Crisi dell'alta moda per Elsa Robiola → troppa libertà alle donne, ogni stile è concesso; manca un creatore
come Dior che sa tenere le redini dell'eleganza mondiale; mentalità delle clienti mutata, si gira per il mondo
e ci si accorge che non in tutti paesi si presta tanta attenzione al vestire. Paure di essere prese in giro;
Crisi dell'alta moda per Germana Marucelli → esistono troppe sartorie rispetto alle persone che possono

about:blank 21/32
10/09/23, 17:15 Sofia-gnoli-moda-dalla-nascita-della-haute-couture-a-oggi

permettersi di vestire alta moda; mentalità cambiata, oggi la clientela che richiede l'alta moda è poca,
preferisce il semplice .

Scomparsa la maggiorata, il prototipo di bellezza degli anni '60 è la donna-bambina: tra una donna grissino
vagamente androgina e un'adolescente maliziosa alla Brigitte Bardot → importante, la giovinezza, ora le
madri voglio assomigliare alle figlie e non più viceversa. Ad alimentare l'affermarsi di questo prototipo →
Lolita, romanzo – poi portati in scena - di Vladimir Nabokov e il film Baby Doll – La bambola viva.
L'industria italiana cercò di adeguarsi al nuovo modello adolescenziale es. nel '65, il Gruppo finanziario
tessile, inaugura la linea Ventenni. Sviluppo della moda a Milano in questi anni, città dell'industria, del
design e delle nuove sperimentazioni, sede del nascente pret -a- porter. Nuovo sistema produttivo che
aveva avuto dei precursori in: Emilio Pucci, Antonelli sport, Veneziani sport. Inoltre negli anni '60 la moda
abbandonò il binomio star e aristocrazia, uno nuovo arte e vite. Stile → prima di tutto il colore; l'arte
contemporanea nelle due correnti più sofisticate: pop art e optical art → interpolazione di colori diversi e
anticonvenzionali, mescolanza voluta di simboli grafici opposti; i pois accoppiati; le righe. Un taglio sintetico
e funzionale, squadrato, scorciando le gonne, eliminando gli orpelli. Vede scomparire la linea curva e
romantica, preferisce una linea dritta, quasi stilizzata, simile alle sperimentazioni spaziali.
Stile futuribile, interpreti internazionali: Andrè Courreges, - nel '64 presentò la sfilata Space Age, fece
scendere in passerella donne-aliene con mini abiti e body aderentissimi realizzati con materiali sintetici es.
plastica e vinile. Acessori. Parrucche argentee e occhiali da sole ridotti a fessure per dare la sensazione di
postallunaggio - Pierre Cardin - uno dei primi a realizzare abiti in plastica e nuovi tessuti stretch - e Paco
Rabenne.

Francisco Rabaneda y Cuervo, stilista spagnolo, in arte Paco Rabenne. Figlio della capocucitrice di una filiale
della masino di Balenciaga, dopo aver passato anni a realizzare accessori e bijoux per celebri case di moda –
Balenciaga e Givenchy – creò una griffe con il suo nome. Nel '66 presenta la sua prima collezione 12 robes
importables en materiaux → uno scandalo. Creazioni realizzate con materiali inusuali – alluminio, plastica,
plexigass, carta e fibre ottiche – molte critiche.
La nuova moda assistette all'imporsi di una nuova silhoutte essenziale, con un punto di vista non
evidenziato e le gambe messe in primo piano. Minigonna → emblema della femminilità che andò ad
affermarsi. Simbolo della donna emancipata.

9.2 Yves Saint Laurent: tra hauter couture e street-style

Yves Mathieu Saint-Laurent, stilista algerino-francese, nato nel 1936 e morto a Parigi nel 2008. Nel '53,
accompagnato dalla madre, si reca a Parigi dove presentò i suoi disegni nell'ambito del concorso indetto da
Secretariat Internetional de la Laine – in giuria Dior e Fath - dopo poco, conobbe Michel de Brunhoff –
direttore dell'edizione francese di Vogue – che, pur avendo notato il suo talento, gli suggerì di tornare a
studiare e ritornare a Parigi una volta diplomato. SI ripresenta a de Brunhoff nel '55, con 50 shizzi, e per le
sue capacità lo presenta a Dior che lo assume e lo elesse suo delfino. Nel '57, alla sua morte, Yves ne
diventa l'erede.
Nel '58 presenta la collezione Trapeze – prima per la maison Dior – un trionfo; quando nel '60 lancia la
collezione Beat – cancellò per sempre il modello jolie madame – arrivò lo scandalo, oltre ai volant, nastri e
altro, erano presenti anche chiodi di coccodrillo con intarsi in visone → riferimento ai bomber dei biker.
Considerato troppo provocatorio e viene allontanato dalla maison di Dior. Yves, con Pierre Bergè, creò una
maison con il suo nome. Formarono la prima coppia omosessuale della moda → binomio stilista-manager.
Atelier inaugurato nel '61 e finanziato da J. Mark Robinson. Prima collezione presentata nel '62 e la stampa
osannò i suoi tailleur e fu sommerso da ordinazioni. Se Chanel ha dato la libertà alle donne, lui ha dato il
potere: lo smoking, la sahariana, l tailleur pantalone, l'impermeabile con la cintura ne sono la
dimostrazione. Senza la minima traccia di androginia, regalando un'impronta femminile. Alcuni di quei temi
saranno il filo conduttore del suo stile, insieme al nude look. Le sue icone: Betty Catroux, Nan Kempner,
Paloma Picasso e Letitia Casta. Sua musa: Catherine Deneuve, inizia a vestirla nel '67, quando gli venne
commissionato di vestirla in Bella di giorno
Contributo allo stile del Novecento → sublimato l'animal print, folk e il new romantic: aver legato l'arte alla

about:blank 22/32
10/09/23, 17:15 Sofia-gnoli-moda-dalla-nascita-della-haute-couture-a-oggi

moda, fin da quando nel '65 presentò la collezione Mondrian a cui seguirono altri omaggi alla pop art, a
Picasso, a Matisse e al Cubismo. Per questo stima dei suoi colleghi, es. Roberto Capucci. Nel 2002 ultima
sfilata, grandissimo successo, si festeggiavano anche i suoi 40 anni di attività; da allora si è concentrato
principalmente sull'attività della sua fondazione, promuovendo mostre retrospettive: Smoking forever ecc.

9.3 La Swinging London: tra musica e moda

Londra, anni ''60, nuova mecca dello stile, fino ad allora nota per la raffinata sartoria maschile di Savile Row.
La nuova anglomania che dilagò tra i teenager del mondo era basata sullo stile di strada e i Beatles ne
furono i protagonisti. Nel '61 – anno di debutto dei B. - Mary Quant – che nel '55 aveva apero una botique a
Chelsea, con il marito e al socio - iniziò a proporre la minigonna. Nel giro di dieci anni divenne proprietaria
di un “impero della moda giovanile” , in questo contesto i vestiti erano solo una parte di un total look → +
taglio di capelli a caschetto, trucco giusto, labbra pallide e ciglie finte, il corpo giusto – giovane e sottile – e
l'atteggiamento giusto. Quant e Courreges disputavano su chi avesse inventato la minigonna, la Quant
sosteneva che fosse opera delle ragazze di strada e non suo.
Barbara Hulanicki, designer di origine polacca, fonda nel '64 Biba – botique che si sarebbe trasformata in un
luogo di culto internazionale – insegna nero e oro in stile Art Nouveau; proponeva abiti retrò, un misto di
decò e di tardo vittorianesimo vs rispetto allo stile della Quant.
Fu così che Londra rubò lo scettro della moda a Parigi. La moda francese continuava a rivolgersi ad un'elite e
si basava sull'haute couture su misura; in Inghilterra e negli Usa si stava affermando il ready to wear –
espressione coniata da Jean-Claude Weill nel '49, per eliminare l'accezione negativa con cui veniva
considerata la moda confezionata – poi tradotta in francese in pret -a- porter.

In Italia → mutamento causato dalla nuova corrente stilistica, drastica. Le prime a captare le nuove
tendenze dello stile internazionale e a tradurle in modo: boutique d'avanguardia di Milano es. Cose, Gulp e
Fiorucci.
Cose, fondata da Nuccia Fattori nel '63, e fin dall'inizio diventa un punto di riferimento. Prima proponeva
creazioni originali successivamente comincia a collaborare con: Walter Albini e Cinzia Ruggieri e poi a
vendere abiti firmati da nomi della boutique e del pret -a- porter internazionale es. Biba, Paco Rabanne.
Gulp, inaugurato da Gabriella Barassi, arredamento molto all'avanguardia – spazio, illuminato da faretti, era
privo di pareti divisorie , i soffitti irregolari e gli abiti appesi al centro o in scatole bianche lungo le pareti –
nel '66 abiti futuribili in lurex, poi i vestiti fosforescenti, le mise in pelle e il nude look. La boutique si
trasformò nella meta preferita di cantanti come Mina, Ornella Vanoni.
Fiorucci, aperta nel '67 da Emilio Fiorucci, lui aveva iniziato la sua attività lavorando presso i negozi di
pantofole del padre; nel '62 un enorme successo quando lancia sul mercato galosce in plastica colorata. Nel
'65, a Londra, viene folgorato dall'anti-moda inglese → la moda non scendeva più dall'alto, ma dal basso e
nel '67 apre un negozio, a Milano, dedicato alla moda giovane. Un successo così grande che vennero aperte
succursali a Londra, NY, LA; divenne un fenomeno di costume. Rappresentava la giovinezza senza la politica,
l'anticonformismo. Tratti distintivi → provocazione, trasgressione, bric -a- brac degli stili che prendevano
spunto dalla moda di strada; t-shirt stampate; jeans aderentissimi. Marchio ceduto, negli anni 90, alla
multinazionale giapponese Edwin.

9.4 Il ready to wear americano: i casi di Roy Halston e di Diane von Furstenberg

Nella seconda metà dell'Ottocento gli imprenditori americani si interessano all'abbigliamento confezionato
in vendita nei grandi magazzini/cataloghi per corrispondenza; anni '30 del Novecento Fashion Avenue aveva
un altissimo numero di imprese, ma – escluse le mode ispirate al cinema es. Cinema Fashion – Parigi
continuava a regnare. Tutto cambia in seguito all'occupazione, da parte dei tedeschi, di Parigi durante la
Seconda guerra mondiale. Iniziano a sorgere le varie mode nazionali.
American look → moda decontratta e informale, con frequenti richiami allo sportswear. Claire McCardell,
Bonnie Cashin, Roy Halston, Diane von Fusrstenberg e successivamente Calvin Klein, Ralph Lauren.
Promotori di uno stile nitido ed essenziale, pur non privo di un tocco glamour.

about:blank 23/32
10/09/23, 17:15 Sofia-gnoli-moda-dalla-nascita-della-haute-couture-a-oggi

Roy Halston Frowick, creazioni sexy e rigorose, casual e raffinatissimo, impresso un segno indelebile allo
stile degli anni '70. Ispirazione per molti stilisti successivi: Donna Karan e Calvin Klein. Nasce nell'Iowa nel
'32, a 18 anni si trasferisce a Chicago e iniziò a lavorare presso un parrucchiere, uno dei più noti, Andrè
Basil, aveva il compito di realizzare cappelli per impreziosire le acconciature. Nel '58, a NY, incontra la
modista Lily Dachè che lo ingaggia e un anno dopo venne assunto dal reparto modisteria del department
store Bergdorf Goodman. Riconoscimento internazionale nel '61, quando J. Kennedy indossa un suo
cappellino, il pillbox → soprannominato così per le dimensioni ridotte, il cappello più venduto degli States.
La sua, una storia simile a quella di altri, es. Chanel. Lo chemisier #704 in ultrasuede – tessuto sintetico
ingualcibile, simile al camoscio – creato nel '72 divenne la divisa prediletta di molte americane. Non esaltò
mai quel tipo di moda “trend” e di cambiamento ed esaltò uno stile della moda che durava nel tempo. Tra i
suoi miti: Chanel, Saint Laurent, Balenciaga, Charles James con cui collaborò.
Nel '68 fonda una griffe con il suo nome e aprì uno Showroom e da allora emersero le produzioni
caratteristiche del suo stile: chemisier agli abiti a toga, caftani, cardigan di cashmere, scolli asimmetrici,
celebri abiti da sera tagliati in sbieco che incantarono icone come Liza Minnelli, Bianca Jagger, Liz Taylor.
Inizio anni '70 – al culmine del successo – cede la sua griffe e il suo talento alla Norton Simon. Il suo nome
era ovunque, abiti, accessori, complementi d'arredo, profumo dal sinuoso flacone a goccia, divise dello staff
della Braniff Internationl Airlines, uniformi degli atleti americani. L'inizio della fine, vendere il proprio
marchio era stato un errore → fu oggetto di varie acquisizioni e lui perse la carica di presidente. Muore nel
1990 di AIDS.

Diane von Furstenberg, un'altra grande rappresentante dell'American Style, belga di nascita ma newyorkese
di adozione donò alle donne una divisa, trasformando la vestaglietta - un tempo emblema dello stile
piccolo borghese – in un capo glamour, regalandole un nuovo nome: wrap dress. Dopo il matrimonio con il
principe Egon si trasferiscono a NY – anni in cui era animata da Warhol, Liza Minnelli, Roy Halston con cui si
diede alla vita sociale – nel '70 ottiene un incontro con la direttrice dell'edizione americana di Vogue, voleva
mostrarle dei capi da lei disegnati e che aveva fatto realizzare in Italia da Angelo Ferretti. Vestiti
semplicissimi, con uno scollo a V, che si stringevano a vita con una cintura. Poco dopo presentò la sua prima
collezione, la chiave del successo fu il fatto che si fece promotrice di una moda comoda, giovane e a buon
mercato. Nel '73 nasce il wrap dress, un vestitino a portafoglio in jersey di cotone a prova di piega;
distribuito in moltissimo department store. Divenne un simbolo dell'emancipazione femminile – a righe,
stampato, con diverse fantasie – senza ganci, zip o bottoni, si indossava in un attimo.
Il suo marchio divenne un impero di abiti, accessori, profumi, gioielli, tessuti e scarpe; arrivò anche il
paragone con Chanel. Poco dopo un fase discendente, mercato ormai saturo di wrap dress, così vendette la
licenza per i vestiti e si trasferì a Parigi, per poi ritornare negli anni '90 in America. Ritorna e si accorge che la
sua griffe era ovunque, aveva perso valore; decide di rifarsi e di vendere una linea di capi assemblabili e
coordinati – Silk Assets – su un canale televisivo. Era il '97, ritorna il successo che non l'abbandonerà più.
Nel 2006 eletta presidentessa del Council of Fashion Designers of America.

9.5 La contestazione giovanile e l'antimoda

Nel '68 con la contestazione giovanile e le vicende politico-economiche, la moda cambia radicalmente.
Emerse l'abito cattivo → un tipo di abbigliamento da cui viene cancellata ogni traccia del rigore formale del
periodo precedente. Anni 70: disoccupazione, inflazioni sempre più alte, insoddisfazione nei confronti della
vita nella società industriale e tecnologica. Ne risente l'industria italiana dell'abbigliamento; con l'ascesa del
confezionato, molti atelier – Antonelli, Forquet, Carosa, Schuberth – non riuscendo a reggere il passo,
chiusero. Avviene il passaggio dal ricco al povero, dal perbenismo borghese all'ostentazione della povertà;
non cambia solo l'abito ma anche le menti contemporanee.
Rivoluzione giovanile, con il suo carattere anticapitalistico e anticonsumistico, portò l'antimoda una
reazione alla visibilità sempre maggiore assunta dalla moda. Antimoda ha attraversato diversi momenti →
seconda metà degli anni '60, in coincidenza con il movimento hippy – preferirono materiali naturali come
cotone, lino, canapa e uno stile etnico o revivalistico – che considerava la moda come un sistema imposto
dalla società per limitare la libertà, favorevoli all'abbandono della moda ufficiale e all'invenzione di uno stile
personale. Vs tutto ciò che evocava modernità e industrializzazione e – vs alla moda spaziale – si rifaceva

about:blank 24/32
10/09/23, 17:15 Sofia-gnoli-moda-dalla-nascita-della-haute-couture-a-oggi

alla civiltà etnica o al passato. In voga il batik, tie-and-dye, gonne lunghe ma anche un abbigliamento
razionale ispirato ad una possibile guerriglia urbana con jeans, eskimo, pantaloni di velluto; antimoda
divenne anche oggetto di ispirazione per i creatori di moda che la commercializzarono, autenticità che
appunto finisce quando diventa “moda”.
Affermarsi del gusto folcloristico porta ad un diminuire nell'acquisto dei prodotti italiani, in favore di
prodotti importati e a costo bassissimo. Negozi di moda in dieci anni quadruplicano e il legame tra moda e
industria diventa sempre più forte → attività della Camera nazionale della moda italiana stipula numerosi
accordi tra creatori di moda e industria.

9.6 Dal couturier allo stilista: Walter Albini

Nuova figura professionale nel contesto nascente del pret -a- porter: lo stilista. Da non confondere con il
couturier. Infatti non crea l'abito per un cliente, ma deve decidere chi saranno i suoi clienti, ovvero il
mercato a cui rivolgersi. Non controlla il lavoro dell'azienda, ma deve conoscerne le potenzialità. Si diffonde
un sistema in cui un ideatore-progettista proponeva una linea di modelli a un'azienda a cui era legato da un
contratto professionale. Precursore, pioniere di questa figura è Walter Albini.
Un ruolo fondamentale nella moda italiana, nonostante la sue breve carriera a causa di una morte
prematura. Frequenta l'Istituto d'arte Italo Cremona a Torino → alcuni anni a Parigi dove conobbe Mariuccia
Mandelli che aiutò nelle collezioni Krizia → inizò poi a progettare collezioni per griffe come Gianni Baldini,
Billy Ballo, Cadette e Trell. Lui, più che una moda, proponeva uno stile, anzi, tanti stili per ognuna delle
aziende con la quale collaborava. Fili conduttori del suo stile → legami con i moduli della cultura figurativa
degli anni '20 e '30; riferimenti alle atmosfere descritte dai romanzi di Fitzgerald; riferimenti al cinema
hollywoodiano degli anni d'oro; riferimenti ai creatori francesi dei primi decenni del Novecento: Chanel.
Nostalgico amore per quel periodo, anni '25 – '35, che sosteneva che non ci fosse più niente da scoprire
dalla moda, meglio raffinare l'antico e il suo buon gusto. Nel '68 presentò alla Sala Bianca, cinque collezioni
per i marchi: B. Ballo, Krizia maglia, Montedoro, Pricess Luciana e Trell.
Incontro con Luciano Papini, fondamentale, proprietario di una piccola azienda di abbigliamento e iniziano a
collaborare. Fine anni '60 creano il marchio Misterfox e presentò, negli anni '70, una collezione Misterfox
ispirata agli anni '20 → Anagrafe 16 mise di cui 8 nere – vedove – e 8 bianche – spose – un successo
straordinario. Insofferenza verso la passerella collettiva di Firenze, decide quindi di far sfilare i suoi abiti a
Milano e seguito poco dopo da Ken Scott, Missoni e Krizia. Volevano mostrare l'intera collezione senza
niente di affrettato. Sfilare a Milno però comportava dei problemi: organizzazione e coinvolgimento della
stampa e dei buyer; difficoltà di affrontare il mercato con un'unica linea di abbigliamento. Per questo Albini
firmò, insieme al suo socio, un contratto con Aldo Ferrante, Franco Tositti e Gigi Monti – titolari Effietiemme
una delle prime società italiane di distribuzione di pret -a- porter – Ferrante affidò ad Albini il compito di
progettare le collezioni di alcuni marchi sotto il loro controllo: Basile, Callaghan e Escargots.
Primi anni '70: collezioni per Callaghana – jersey – Basile – capispalla – Misterfox – abiti da sera – Escargots
– maglieria – il tema delle collezioni e la sfilata erano gli stessi per tutti e cinque i marchi e le etichette dei
capi erano “Walter Albini per”. Nel '72, ormai famoso, ruppe con la Effetiemme e diede vita alla Albini SRL e
alla sua nuova linea W.A. Presenta un anteprima a Londra, ma il vero debutto è a Venezia, nel '73, città del
cuore dello stilista. La W.A – secondo i due soci – doveva essere la prima linea che creava e distribuiva abiti,
accessori e articoli per la casa di fascia alta, mentre la Misterfox sarebbe diventata la seconda linea. Ma
proventi di quest'ultima troppo bassi, perciò dopo il successo ci fu la rottura della società con Papini. Albini
strinse un accordo con Giuseppe Della Schiava – tessuti stampati su suo disegno – decide di debuttare
nell'alta moda, con una sfilata che presentò a Roma nel '74. Non un grande successo, quindi torna alle sue
precedenti collaborazioni ma con meno grinta.
Metà degli anni 70 → crea una linea di arredamento, si fa promotore di un concetto di total look che si era
già visto nella cura che attribuiva agli accessori, considerati fondamentali. Nel '78 si mise in società con
Mario Ferrari per al produzione di una linea Walter Albini, ma la stampa lo trascurò per altri astri nascenti.
Muore poco dopo nell'83 e il suo archivio è diviso tra l'Università di Parma e la Collezione di Marisa Curti a
Milano.

Capitolo 10. Il made in Italy

about:blank 25/32
10/09/23, 17:15 Sofia-gnoli-moda-dalla-nascita-della-haute-couture-a-oggi

10.1 La nascita del made in Italy

Tra anni '70 e '80 moda italiana attraversa un grande cambiamento, dovuto anche: spostamento di poli
produttivi e il consolidarsi dei rapporti tra industria e stilismo. Trionfo del fenomeno “made in Italy” che
sancì la vittoria della moda italiana e dei suoi protagonisti: Armani, Valentino, Ferrè, Versace.
Stile italiano → caratterizzato da sfaccettature e tipi di formazione molto diversi, si pensi ai maggiori
rappresentati e alle loro formazioni. Made in Italy, binomio moda-industria, stava per nascere e il suo
stratega fu Beppe Modenese - un public relation man, con una grande esperienza di organizzatore di eventi
di moda – nel '78 contribuì alla creazione del Modit → rassegna di pret -a- porter che avrebbe designato
Milano come il nuovo polo della moda internazionale. I primi a sfilare: W. Albini, Laura Biagiotti, Mario
Valentino, Claudio La Viola, Ken Scott poi si unirono anche Armani, Missoni, Fendi, Ferrè, Krizia e Versace,
più Moschino, Gigli e Dolce&Gabbana. Successo enorme, si forma il Centro sfilate che poi cambiò il nome in
Milano Collezioni. Inizia così il nuovo assetto della moda italiana: Roma, capitale dell'alta moda, e Milano,
città industriale, fulcro del pret -a- porter. In Italia si erano finalmente accorti che la moda è anche disegno
industriale e che l'arredamento, l'architettura e la creazione di un capo di moda o di un accessorio hanno lo
stesso valore.
Successo del made in Italy, bisogna considerare la relazione tra il settore dell'abbigliamento e quelli
correlati, la filiera tessile, punto di forza italiano. Gli stilisti entrano in contatto diretto con i fornitori di
materie prime e di semilavorati orientandone scelte di prodotto, materiali, colore. Questo nuovo rapporto
diretto porta a nuovi stimoli, competitività, produzione, innovazione ecc.
Nel 1980 Ronald Reagan: paladino delle libertà degli individui e della resistenza contro lo Stato interventista;
in questo periodo rifiuto della dimensione politica e recupero del privato, bisogno di ristabilire le distanze
nelle attività della vita quotidiana, nella cultura e nel vestire. Richiesta di varianti vestimentarie per le nuove
funzioni che emergono es. sport a livello di massa. Valori dominanti divengono ricchezza e presenzialismo.
Restaurazione che coinvolse anche la moda: tornano di moda gli abiti lunghi e i gioielli, look e ostentazione
divennero la nuova linea guida di questo decennio → ricami elaborati, fiocchi, scollature e volant, revival
della pratica sartoriale e anche il recupero di atmosfere che alludevano all'haute couture degli anni '50.
Maggiori rappresentanti: Christian Lacroix, Gianfranco Ferrè. Stretta relazione tra imprenditori e stilisti
diede origini, negli anni '80, al fenomeno delle griffe trasformando gli stilisti in star che apponevano la loro
firma ovunque – abiti, lenzuola ecc. - Griffe del momento, Blumarine, Mariella Burani e Laura Biagiotti.

Modello femminile del momento era una Fashion victim, si afferma una mascolinità più disinvolta e a
proprio agio; una tipologia femminile dotata di un'energia e di una forza quasi virili → massima espressione
nel power-look della donna in carriera. Si va ad enfatizzare un corpo eroico ed erotico messo in evidenza dai
tacchi alti e spalline marcate. Stereotipo della carrer-woman esaltato da Armani, ma anche un'audace
esibizione del corpo attraverso abiti aderentissimi di Versace. Per ottenere questo corpo, scolpito, bisogna
essere frequentatrici di palestre, come Cindy Crawford, Claudia Schiffer e Naomi Campbell. In questo clima
avvengono diversi eventi: 1987 crollo della borsa di NY; 1989 cadde il muro di Berlino; 1991 Guerra del
Golfo; 1992 Tangentopoli. La moda non ne risentì subito, ma era evidente che la ricchezza degli anni '80 era
un bluff.
Si era consolidato il nuovo sistema moda, frammentazione dei canoni. Era in voga sia lo stile da donna
manager, l'eleganza sartoriale classica e il look sexy e aggressivo di Versace. Ogni creatore si rivolgeva a un
diverso tipo di donna e aveva un preciso segmento di mercato. Processo di frammentazione legato a quello
delle mode giovanili, cultura anticonformista che manifesta ogni sua direzione di marcia nell'abbigliamento,
nei gusti, nei comportamenti e nei valori.

10.2 Due esempi: Max Mara e Genny

Max Mara, fondata da Achille Maramotti negli anni '50, tra le prime fabbriche di confezioni italiane e
trasformarsi in industria del pret -a- porter. Riuscì ad applicare, con successo, le idee dell'haute couture alla
produzione industriale. Fin dagli esordi, decise di specializzarsi in uno dei campi più difficili della moda: i
capospalla. Primo capo di abbigliamento dell'azienda risale al '51 ed era la riproduzione di un impermeabile
di origine inglese. Successo immediato, la Maramotti Confezioni, fondata nel '51, nel '55 cambiò il nome in

about:blank 26/32
10/09/23, 17:15 Sofia-gnoli-moda-dalla-nascita-della-haute-couture-a-oggi

Max Mara. Nell'organizzazione dell'azienda si ispira alle industrie di confezioni degli Usa, i sistemi di
produzione vennero velocizzati: dalle 18 ore a 2 ore per realizzare un capospalla. Anni '50 le collezioni della
griffe erano ispirate all'haute couture francese – Balenciaga, Chanel, Dior – e negli anni '60 sull'onda dello
swinging London inizia a rivolgersi anche ai giovani → nel '65 collezione Pop che anticipava la nascita dello
Sportmax.
Pecularietà della griffe: collaborazione con noti design; epoca in cui si stava sviluppando la figura dello
stilista e Maramotti la utilizzò in modo originale. Infatti non si legò mai ad uno stilista in particolare e volle
dare vita ad una produzione con un'identità propria. Si legò a Graziella Fontana, Legerfeld, Moschino,
Dolce&Gabbana, Luciano Soprani ecc. Anche Anne Marie Beretta che iniziò a proporre cappotti dalla linea
più femminile, rispetto ai classici Max Mara. Nell'81 è lei a creare un evergreen della griffe, il cappotto
doppiopetto color cammello in lana e cashmere, con maniche a kimono oversize, battezzato 101801. A
partire dagli anni '60 una giovane stilista – Laura Lusuardi – iniziò a collaborare con l'azienda, per poi
diventare fashion coordinator, coordinatrice del lavoro degli stilisti affinchè rimanesse coerente con
l'immagine dell'azienda.
Max Mara ha sempre investito molto in campagne pubblicitarie, firmate da grandi fotografi internazionali.
Nel 2006 celebrato il suo 55 anniversario con la mostra Coats! Max Mara 55 anni di moda italiana, prima
tappa a Berlino. Nel 2011 era guidata dai tre figli.

Genny, azienda creata dal marito – Arnaldo - di Donatella Girombelli nel '61, lei è stata la mente
dell'azienda. Da piccola officina artigianale si è trasformata in uno dei maggiori nomi del made in Italy. Nel
'68 assunse il volto di un'organizzazione industriale con la creazione del primo stabilimento. Fu Donatella a
scoprire un giovanissimo Versace, lo vide nel '74 a Firenze con la sua prima collezione – Florentine flowers –
e conclusero un contratto. Lui era interessato al pret -a- porter industriale.
Nel '73 creano la linea Byblos – obiettivo; quello di creare una linea per giovani e distaccarsi dalla prima
produzione – primi stilisti di questa linea Alan Cleaver e Keith Varty. Nel '75 nasce il marchio Complice dai
contenuti moda più evidenti rispetto alla maggiore classicità e all'impronta sartoriale che distingueva la
linea Genny. Nel '77 Genny debutto alla sfilata collettiva di Firenze, due anni dopo fu una delle prime a
sfilare a Milano e fu allora che Donatella chiamò Claude Montana a disegnare la linea Complice, fino all'87.
Dopo la morte del marito, prese la presidenza e portò ad un'espansione sempre maggiore. Si intensificò la
politica di rafforzamento: apertura dello showroom newyorkese; boutique monogriffe in Europa e in
Oriente; sviluppo di licenze per la produzione e la distribuzione di pellicce, calzature, profumi, pelletteria e
in fine, nel '87, con la trasformazione in holding finanziaria. Negli anni chiamare altri stilisti a lavorare a
Complice, Dolce&Gabbana, Rebecca Moses, Josephus Thimister. Nel 2001 cedette la sua azienda al gruppo
Prada, che poi la cedette, nel 2011, al gruppo Facchini con la direzione artistica di Gabriele Colangelo.

10.3 Giorgio Armani: il re del cross-dressing

Giorgio Armani, nato nel 1934 a Piacenza, nel '57 interrompe l'università e inizia a lavorare alla Rinascente
prima come vetrinista e poi come buyer. Venne notato da Nino Cerruti che nel '64 lo assume alla Hitman –
azienda di abbigliamento maschile – trascorre lì sette anni in cui impara: meccanismi di funzionamento del
mercato; le esigenze della clientela; la sua conoscenza del tessuto; progettazione dell'abito. Nel '73 apre
uno studio stilistico a Milano – in corso Venezia - con Sergio Galeotti suo socio fino alla morte. Tra il '73 e il
'74 disegna collezioni come stilista free lance per varie aziende di moda – Courlande o Gibi – finchè nel '75
da vita alla Giorgio Armani SPA, lancia poi una linea di pret -a- porter maschile e femminile con il suo nome.
Prima sfilata femminile → Hotel Plaza di Milano.
Fin dall'inizio il suo interesse era rivolto alla giacca, un tipo rilassante, informale, meno rigorosa e che lascia
intuire il corpo e la sua sensualità. Modelli di Armani → grande attenzione prestata al tessuto e
all'accostamento inconsueto di materiali; inconsueto utilizzo di colori come il beige, grigio e le sfumature
terra gli valsero il Neiman Marcus Award nel '79. Nel '78 firmò un contratto con il GFT per la distribuzione e
produzione delle sue collezioni; poi esperienza cinematografica, realizza il guardaroba di R. Gere in
American Gigolò, un film, che sancì il suo riconoscimento internazionale attraverso le sua giacche
destrutturate . Sul set conobbe quella che sarà la sua musa, Lauren Hutton. Nella formazione di Armani, il
cinema riveste un ruolo importante → presta i suoi in più di 150 film e si cimenta anche come produttore –

about:blank 27/32
10/09/23, 17:15 Sofia-gnoli-moda-dalla-nascita-della-haute-couture-a-oggi

Il mio viaggio in Italia di Scorsese – si è sempre impegnato a fare abiti, quasi mai costumi tranne in un unico
film The Untouchables in cui porta all'estremo alcune tendenze del suo stile → anni '20 e '30 – in cui è
ambientato il film – sono un riferimento ricorrente nel suo stile, si riflette anche nello stile pubblicitario,
spesso in bianco e nero, e per gran parte degli anni '80 e '90 fotografate da Aldo Fallai. No revival. La sua
ispirazione viene dagli anni '30 silhoutte magra, pulita, slanciata. Uno dei fili conduttori del suo stile è il
completo pantalone, che ha conferito scioltezza agli uomini e rigore alle donne.
Nel '81, conscio di doversi rivolgere a fasce di mercato diverse, crea la linea giovane Emporio Armani, nell'82
consacrazione internazionale. Il Time gli dedicò la copertina. Nell'83 premio come miglior stilista
internazionale dal CFDA. Nel corso degli anni rafforza gli uffici commerciali e il marketing della società. Nel
200 ha festeggiato i 25 anni di attività con una mostra; nel 2001 ha inaugurato lo spazio Armani Teatro
progettato da Tadao Ando. Fine anni '90 e inizio del Duemila, gruppo Armani → obiettivo integrarsi
verticalmente: sotto il proprio diretto controllo i principali aspetti delle attività di design, produzione,
distribuzione, e vendita al dettaglio.

10.4 Gianni Versace: la sublimazione del corpo

Cantore di una sessualità senza falsi pudori, non si scontrava con i limiti imposti dalla realtà. Spregiudicato
nell'invenzione, nella contaminazione di diversi generi storici e nell'accostamento di materiali inusuali.
Creatività sfrontata, coniuga lo stile di strada con l'haute couture.

Gianni Versace, nato a Reggio Calabria nel 1964, si avvicina alla moda fin da piccolo, la madre aveva una
delle sartorie più importanti della città specializzata nella riproduzione di modelli francesi. Quando arriva a
Milano deve dimenticare tutto quello che aveva imparato, termini diversi e altre tecnologie, in realtà poi
scopre che il verto artista è l'artigiano. Lui si considera un sarto. Grande influenza anche la sua terra
d'origine, tra i ruderi della Magna Grecia, lo dimostra il suo stile → testa di medusa; logo della griffe; il suo
amore per le fogge classicheggianti, che rese il drappeggio e la massima esaltazione del corpo, una delle sue
peculiarità. Uno studio sul panneggio approfondito esaminando i capolavori di creatrici sartoriali: Madame
Vionnet e Madame Gres. Curiosità nei confronti del passato anche verso altre epoche come quella
bizantina, Rinascimento e il Settecento.
Bisanzio, protagonista della collezioni '91-'92 e '97-'98, sfruttarono caratteristiche particolari del suo modo
di lavorare: applicazioni pesanti di materiali metallici. Altro elemento fondamentale nel suo percorso
creativo, l'utilizzo spregiudicato dei jeans, sportivi gli sembravano banali, ma ricamati, pieni di strass e
decori erano divertenti. Passato e presente, tradizione e innovazione, emergono anche dalla
reinterpretazione di un classico del XX secolo → abito nero di Versace, il davanti rimane formale e accollato,
mentre diventa provocante lasciano la schiena scoperta.
Nel '72 si trasferisce a Milano e subentrò ad Albini come stilista per Calaghan; poi assunto da Genny – prima
per la linea principale e poi per Complice e Alma – nel '78 insieme al fratello Santo e Claudio Luti fonda
Gianni Versace, quell'anno presenta anche la sua collezione da donna alla Permanente e poi la collezione
maschile. Nell'82 presentò per la prima volta i suoi capi in maglia metallica – pietra miliare della griffe –
molto orgoglioso di questo tessuto. Drappeggia il metallo, arrivano le pieghe, le geometrie e l'oroton – in
tinta unita o stampata – apparve in quasi ogni collezione di Versace → drappeggi degli abiti badajera estate
dell'84; collezione ispirata a Klimt '85-'86; abiti dai drappeggi asimmetrici '97-'98. Versatilità e passione per
materiali innovati emergono anche dall'uso provocatorio di materiali come plastica, vinile, accostati a sete e
swaroski → '95 collezione abiti di plastica e PVC – cloruro di polivinile – per evocare il Palazzo di cristallo di
Londra. Questa collezione rievoca le sperimentazioni della Schiaparelli.
Pur avendo fondato una sua griffe continua a effettuare consulenze stilistiche disegnando collezioni per:
Luisa di Firenze. Nell'85 creò la linea Istante; nell'89 la linea di alta moda pronta Atelier Versace e la linea
giovane Versus; nel '93 inaugura Signature – linea per la casa -; nel '97 linea cosmetica Versace make up. Fu
il massimo sostenitore del fenomeno delle top modell, statuarie e bellissime modelle come Claudia Schiffer,
Naomi Campbell. Nel '93 il CFDA premiato come miglior stilista. Collaborazione con il teatro e la musica -
veste rock star come Madonna ed Elton John – e creò molti costumi per il teatro fin dall'82 con
Josephlegende di Strauss, lo vede come un laboratorio in cui sperimentare. In questo ambito, incontro
importante con Maurice Bejart con cui collabora dall'84 realizzando i costumi per il balletto Dionysos e

about:blank 28/32
10/09/23, 17:15 Sofia-gnoli-moda-dalla-nascita-della-haute-couture-a-oggi

continua fino all'anno della sua morte. La gestione della griffe tenuta da Santo e Donatella.

10.5 Gianfranco Ferrè: l'architetto delle forme

Nato nel 1944 a Legnano, si laurea in architettura al Politecnico di Milano e inizia ad occuparsi di moda nel
'69, creando accessori e bijoux. E' entrato nel mondo della moda casualmente, proprio per modellare. Le
sue creazioni vennero notate da Rosy Biffi – proprietaria di una boutique d'avanguardia e nota talent scout -
incantate dalle sue creazioni, due grandi giornaliste – Anna Piaggi e Anna Riva -, li fecero fotografare per
Arianna e Grazia. Fu allora che Albini e Christiane Bailly iniziarono a commissionargli accessori e bijoux per
le loro collezioni. Numerosi viaggi in India, dove studia l'artigianato e le potenzialità produttive per
un'azienda genovese di abbigliamento. La sua avventura creativa è iniziato proprio con la scoperta
dell'Oriente, India, Cina e Giappone → semplicità assoluta e mille sfumature di colori, modi di
drappeggiarlo; un rapporto immediato e naturale con il corpo in movimento. Questo gli ha insegnato “il
senso del corpo” la sua fisicità e i suoi movimenti come elementi di riferimento durante la costruzione
dell'abito. Eliminare il superfluo, pur non rinunciando al lusso.
Nel '74 debutta nel pret -a- porter disegnando Baila, linea di abbigliamento di Franco Mattioli imprenditore
che poi divenne suo socio. Nel '78 diedero vita alla Gianfranco Ferrè e lanciò una linea di pret -a- porter al
femminile e di accessori a suo nome. Successo enorme. Conquistati dai bottoni, dalle asole fatte a mano e
dagli orli cuciti con il sopragitto. Meriti: aver creato dei veri vestiti da vacanza; aver rispolverato un certo
chic naturale da Portofino, senza snobbismo; rigore delle linee, pulizia dei colori e manca di ciaffi. Nell'82
debutta con una linea maschile, nell'83 partecipa alla creazione del piano didattico della nascente Domus
Academy di Milano dove, fino all'89, diresse il corso di Design dell'abito. Nell'84 creazione del profumo
femminile Gianfranco Ferrè; due anni dopo, fragranza maschile – con lo stesso nome – a cui si sono poi
aggiunte Ferrè by Ferrè, Gieffeffe, GFF. Nell'87 lanciò la linea Studio ooo.1 by Ferrè per uomo e donna,
prodotta e distribuita da Marzotto.
Nell'86 presenta a Roma la sua prima collezione di alta moda → cerca di portare gli schemi più moderni,
recuperare gli artigiani in tutta Itallia. Era al terzo anno della collezione nell'alta moda quando venne
nominato da LVMH, nell'89, direttore artistico della maison Dior, fino all'96. Si è calato in quel compito dopo
aver studiato negli archivi di Dior. Lascia quando decide di doversi dedicare alla propria azienda; nel '95
lancia la linea giovane GFF e poi inaugura la linea Gianfranco Ferrè Jeans e una collaborazione con il gruppo
Ittierre → partner industriale per la produzione e distribuzione delle linee giovanili. Una progettazione
architettonica dell'abito, linee decise, colori forti e nitidi; importante anche la camicia bianca che Ferrè ha
trasformato da indumento base nel guardaroba maschile, a strumento di seduzione per la donna. Un uso
universale.
Nel 2002 la quota maggioritaria della Gianfranco Ferrè SPA, acquisita dal gruppo finanziario IT Holding; ha
comunque continuato ad essere presidente e direttore artistico fino alla sua morte, nel 2007. Nel 2008
Fondazione Gianfranco Ferrè che custodisce l'archivio del grande designer. Direzione artistica della maison
è passata da Lars Nillson a Tommaso Aquilano e Roberto Raimondi, dal 2011 in mano a Stefano Citron e
Federico Piaggi.

10.6 Krizia e Missoni: fra tradizione e innovazione

Mariuccia Mandelli, nata a Bergamo nel 1932, dopo un periodo come maestra elementare, insieme
all'amica Flora Dolci da vita ad un'azienda di abbigliamento. Nel'54 nasce Krizia, nome preso in prestito dai
Dialoghi di Platone. Nel '57 – al Samia di Torino – la sua prima collezione ufficiale → subito notati da buyer
di department store soprattutto per i tessuti stampati a grandi frutti. Nel '64 debutta sulla passerella della
Sala Bianca, grande successo, una collezione in bianco e nero che ricevette il premio Critica della moda. Nel
'67 nasce Krizia maglia – linea dedicata alla maglieria – pezzo forte della griffe. Tra i suoi collaboratori Albini
e Lagerfeld.
Nel 2011 linee prodotte e distribuite dall'azienda: Krizia, Krizia maglia, Krizia Top; altre prodotte in licenza:
Krizia Poi, Poi by Krizia, Krizia Jeans, Per Te by Krizia, Krizia Uomo. Nel '95 - per festeggiare i 40 anni della sua
attività – Triennale di Milano ospita una retrospettiva della stilista. Stile → amore per i volumi complessi
degli abiti; geometrie strutturate; uso ardito della maglia; spesso protagonisti gli animali – prima una

about:blank 29/32
10/09/23, 17:15 Sofia-gnoli-moda-dalla-nascita-della-haute-couture-a-oggi

pecora, poi nel '74 il gatto, l'anno dopo la volpe, nel '76 il serpente, le scimmie i cammelli ecc -; ispirazioni
artistiche – Magritte. Klimt, Fontana, Burri -; suggestioni orientali; uso architettonico del plissè.

Missoni, azienda creata, nel '53, la coppia Ottavio e Rosita Missoni. Prima grande cliente, Biki e poi nel '58 la
Rinascente. Hanno restituito alla maglieria una grande fantasia. Nel '66 presentano la loro prima collezione
– al Teatro Gerolamo di Milano – completa di maglieria disegnata con la collaborazione di Khanh. Abiti da
sera in maglia di lurex stampati a motivi astratti. Anno dopo, sulla passerella del Palazzo Pitti presentando
un involontario nude look che creò scandalo → i reggiseni trasparivano da molti modelli, quindi Rosita li
fece levare alle indossatrici, non tenendo conto dell'effetto luci-trasparenza. Nel '69 incontro con Diana
Vreeland – direttrice di Vogue americano – aprì loro le porte dei department store statunitensi es.
Bloomingdale's inaugurò una boutique Missoni nella sede di NY. Nello stesso il grande successo, quello che
gli americani chiamaraono → put-together: sovrapposizioni di colori, punti e fantasie solo apparentemente
casuali. Nel '73 hanno ricevuto il NMA.
Sull'onda del successo, metà degli anni '70, decisero di estendere la produzione ai tessuti per
l'arredamento, accessori e gioielli. Nel '76 inaugurano la loro prima boutique a Milano. La loro maglieria:
caratteristici disegni a zig zag, a righe, fiammati, ondulati, realizzata in colori inconsueti come il tamarindo,
l'ocra, il glicine e il pervinca; ormai diventata internazionale e uno status symbol. Nel '78 celebrano i 25 anni
di carriera con la mostra retrospettiva Missoni 25° e nel '94 festeggiano i 40 anni dell'azienda con la mostra
Missonologia a Firenze e poi a Milano. Nel '97 hanno affidato la guida dell'azienda ai tre figli → Angela alla
direzione artistica per le linee donna; Vittorio responsabile commerciale; Luca responsabile tecnico. Per
celebrare i 50 anni, nel 2003, una grande sfilata al Life Ball di Vienna.

10.7 Le nuove leve: Moschino, Gigli e Dolce&Gabbana

Franco Moschino, Romeo Gigli e Dolce&Gabbana hanno debuttato a poche stagioni di distanza. Le nuove
leve del made in Italy. Due tipi di femminilità completamente opposti alla career-woman degli anni '80,
proposta da Romeo Gigli e Dolce&Gabbana.

Moschino, stile ironico e provocatorio con il quale ha cercato di reinterpretare l'estetica del Novecento con
capi carichi di humor; es. tailleur ispirati a Chanel con girandole al posto dei bottoni. Quando disegna pensa
a realizzare ciò che gli piace, non alle esigenze del cliente o ad una donna ideale. Nato ad Abbiategrasso nel
1950, si è avvicinato alla moda attraverso l'illustrazione. Frequenta l'Accademia delle Belle Arti di Brera, poi
collabora come illustratore per riviste di moda – Linea Italiana, Harper's Bazaar – e poi dal '72 fino al '77 per
Gianni Versace. Nel '78 debutta come stilista per la linea Cadette; '83 prima collezione con il suo nome
prodotto da Aeffe e presentata alla Fiera di Milano; nell'86 linea maschile, l'anno successivo il suo primo
profumo e nell '88 linea giovane Cheap and Chic. Nel '93 festeggiati i dieci anni di carriera con la mostra –
alla Permanente di Milano – X anni di Kaos.
Dopo la sua morte, nel '94, la più stretta collaboratrice, Rossella Jardini, è diventata direttore creativo.
Proprietaria della griffe è la Moschino SPA, società che nel '99 è stata acquistata da Aeffe SPA - produttrice
di moschino fin dagli esordi – e da Sportswear International SPA.

Romeo Gigli, nato nel 1949 vicino a Faenza, si avvicina alla moda verso la fine degli anni '70 quando – dopo
essersi trasferito a NY – va a lavorare per il sarto maschile Dimitri. Tra l'83 e l'84 – tornato in Italia – realizza
una collezione che presenta a casa sua a Milano → emersero alcuni motivi che saranno caratterizzanti del
suo stile: tessuti maschili e predilezione per il folk. Interessi anche verso l'arredamento. Debutto ufficiale
nell'85, prima collezione di pret -a- porter femminile a cui poi sono seguite linee di moda maschile,
calzature e accessori. L'86 Millenovecentoventi: collezione che alludeva ad un'estetica eterea ed
impalpabile sottolineata da grandi cappotti chiusi al fondo, da nastri, che inducevano una camminata a
piccoli passi; stesso anno, chiamato a disegnare il marchio Callaghan fino al'95.
Dall'89 inizia a presentare a Parigi, la prima che fa sfilare è la collezione ispirata all'imperatrice Teodora.
Anno dopo: collezione Cristalli – abiti dalla linea impero, impreziositi da dettagli tribali, tintinnanti di cristalli
-; nel 91 nasce la linea giovanile G Gigli e nel 99 la IT Holding acquisì la quota maggioritaria di Gigli. Nel 2009
ha realizzato i costumi per il balletto Nearly Ninety Di Chunningham.

about:blank 30/32
10/09/23, 17:15 Sofia-gnoli-moda-dalla-nascita-della-haute-couture-a-oggi

Dolce&Gabbana, griffe fondata a Milano nel 85 da Domenico Dolce – 1958 - e Stefano Gabbana -1962 -.
Domenico si avvicina giovanissimo alla moda, lavora nell'azienda d'abbigliamento del padre, e poi si
trasferisce a Milano dove conosce Stefano nell'80. Due anni dopo aprono uno studio di consulenza stilistica,
collaborano con diverse aziende fino all'85, quando furono invitati da Beppe Modenese e presentarono – a
Milano Collezione Nuovi Talenti – la loro prima collezione → presentano una donna del Sud, sensuale e
mediterranea è infatti il filo conduttore del loro stile, la patria di Domenico Dolce, la Sicilia. Nell'86
presentarono la collezione Donne vere, ispirata alla Sicilia. Stile → spesso ispirazione delle protagoniste dei
film del neorealismo: Anna Magnani, Silvana Mangano, Claudia Cardinale. Temi ricorrenti: stile lingerie con
corsetti e reggiseni neri in vista; animal print; stile lesbo-chic; glamour hollywoodiano. Nel'89 presentano la
loro prima collezione uomo; nel '92 un profumo a loro nome e due anni dopo linea giovanile D&G. In questo
stesso periodo, nascita dei profumi, linee di cravatte, foulard, occhiali, pelletteria, intimo e moda mare.
Clienti più note: Nicole Kidman, Liv Tyler, Kyilie Minogue, Madonna per cui hanno elaborato moltissimi
costumi. Nel 2005, per festeggiare i 20 anni di carriera, hanno lanciato il libro 20 years of Dolce&Gabbana. Il
loro successo è dato dal fatto che sono complementari, Domenico-Mani e Stefano-Occhi.

Capitolo 11. La globalizzazione

Capitolo 12. All'alba del terzo millennio

12.1 La moda dopo l'11 settembre: dai BRICs alla fast fashion

A settembre New York era in fibrillazione per la settimana della moda, spensieratezza che finì con il crollo
delle Torri Gemelle che portò ad una crisi – picco con la bancarotta della Lehman Brothers – che portò
vantaggio ad altri paesi, chiamati con l'acronimo BRICs – Brasile, Russia, India e Cina – che si sono imposti
come nuovi mercati. Ha fatto saltare i fenomeni inventati dagli esperti di marketing e da luogo al fenomeno
della fast fashion → le sue maggiori griffe: H&M – svedese -; Mango e Zara – spagnole -.
Riproducono con alcune varianti i capi di maggior successo delle grandi case di moda, utilizzando pubblicità
simili alle loro. Concetto che si diffonde → il lusso – le griffe – sono ormai a portata di tutti; confermata dalla
collaborazione di famosi stilisti con gruppi della fast fashion. Es. H&M che collabora con Lagerfeld, Versace,
Marni. Questo concetto – abbordabilità della moda – ha costituito, negli anni '60, la base del pret -a- porter
divenuto la seconda linea di molti stilisti d'alta moda es. Giorgo Armani con la linea Emporio Armani. La fast
fashion mise in difficoltà, per il basso prezzo, le seconde linee di molti stilisti.
Primo decennio del Duemila, primi segni di cambiamento, la fast fashion non basta più e in alcuni
consumatori è nata l'esigenza del ritorno a una moda che privilegi la qualità. Lucy Siegle si lamenta di come
la produzione di fast fashion vada a danneggiare il pianeta e inoltre che sarebbe il caso di acquistare meno
capi ma di migliore qualità.

12.2 Il valore dell'heritage tra recupero dell'artigianato e moda etica

Vincere la concorrenza secondo Silvia Venturini → metterci creatività e passione. Il boom industriale ha
generato un fortissimo desiderio di personalizzazione, riportando così sotto la luce mestieri antichi per
rispondere al desiderio di unicità e autenticità. Mestieri che devono essere riscoperti.
E' in questa direzione che si è svolta, negli ultimi anni, l'attività di Altaroma → progetti come
Unlimited/Limited – ideato dalla Venturini – una vetrina per nuovi designer e stilisti che hanno reso
l'artigianato, insieme al recupero delle tecniche sartoriali, il filo conduttore del loro lavoro. Concetto di
heritage, cioè “eredità culturale” di un marchio, divenuto sempre più attuale.
Iniziativa di Padra → “made to measure” un servizio dedicato alla clientela maschile, che offre la possibilità
di ordinare un guardaroba su misura. Un progetto in sintonia con la rivalutazione del fatto a mano da
Miuccia Prada: oggi in pochi vogliono fare artigianato. Campagne pubblicitarie di molte griffe che
sostengono l'iniziativa es. Gucci ha scelto le immagini dei suoi laboratori di un tempo, con artigiani in
camice bianco. Un altro aspetto del revival della tradizione è il recupero degli archivi storici che si sono
moltiplicati → quello di Ferragamo che lo creò lui stesso nel '95 a Firenze; il Museo Gucci del 2011; museo in
3D, del 2011, inaugurato da Valentino. Non bisogna confondere l'heritage con una nostalgia del passato; la

about:blank 31/32
10/09/23, 17:15 Sofia-gnoli-moda-dalla-nascita-della-haute-couture-a-oggi

vera heritage si costruisce sui veri valori e le vere tradizioni che sono state tramandate.
Uno degli aspetti fondamentali dell'heritage è la valorizzazione dell'artigianalità → sociologo americano
Richard Sennet L'uomo artigiano, esalta il lavoro a d'arte delle piccole imprese. Su sua ispirazione il Museo
Ferragamo ha organizzato, nel 2010, la mostra A regola d'arte. Artigiani, però, non intesi come lavoratori in
nero sottopagati; inoltre è ricondotto – oltre alle strategie di comunicazione di vari marchi – anche quei
paesi in via di sviluppo → moda etica o slow fashion, in contrapposizione alla produzione su larga scala.
Potenziamento della moda etica – rispettosa dei lavoratori e dell'ambiente – alla quale la Francia ha
dedicato una fiera annuale – dal 2004 – l'Ethical Fashion Show; anche campagne pubblicitarie di diffusione
internazionale Clean clothes e Made in Dignity.
Moda della responsabilità – di Carla Lunghi e Eugenia Montagnini – saggio che mostra i diversi aspetti che
compongono la moda etica, tre aspetti principali:
- lo moda biologica che riguarda l'ecosostenibilità;
- la moda solidale, attenta alle condizioni lavorative;
- la moda dell'usato concentrata sull'importanza del riciclo;

12.3 Verso il nuovo Rinascimento della moda italiana

Dopo un fermo negli anni '90 – esclusi Antonio Marras e Ennio Capasa – nel corso del primo decennio del
Duemila è emersa una generazione di creatori italiani eterogenei. Un grande impulso è stato il concorso
Who is on Next – ideato nel 2005 da Altaroma – e Maria Luisi Frisa si è concentrata sulla categoria dei nuovi
talenti. Rispetto ai loro colleghi belgi o inglesi – popolari negli anni '90 – i nostri designer non riflettono sul
design in maniera astratta → ibridano le tecniche sartoriali con l'industria e altre discipline della cultura
contemporanea. Molti, pur effettuando consulenze per altri, si sono creati propri marchi: Marco De
Vincenzo; Maurizio Galante; Giambattista Valli e Sergio Zambon. Altri sono diventati direttori artistici di
griffe internazionali: Riccardo Tisci; Marco Zanini. Altri hanno mantenuto la loro linea pur essendo art
director di noti brand: Tommaso Aquilano e Roberto Rimoni, Gabriele Colangelo e Francesco Scognamiglio.

about:blank 32/32

Potrebbero piacerti anche