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Boldini,Poiret,Genoni
Introduzione:
Il 14 aprile 1900 fu inaugurata a Parigi l’Exposition Universelle 🡪 la manifestazione
celebrava la modernità fondata sul progresso, la scienza e la tecnica, ma soprattutto le sue
origini in quell’Ottocento che aveva visto il trionfo della borghesia. Questo enorme evento
contò 51 milioni di visitatori provenienti da tutto il mondo. Furono selezionate una ventina
di maison de haute couture per l’evento.
Ad accoglierli, sopra la Porte monumentale in Place de la Concorde, la statua Parisienne:
un’elegante figura femminile che lo scultore Vauthier decise di vestire all’ultima moda.
Il programma iconografico della porta culminava in quella figura femminile di cui veniva
riconosciuto il moderno ruolo di consumatrice con il compito di guidare la produzione. La
scelta di eleggere a simbolo dell’esposizione una giovane donna elegantissima era poco
convenzionale, ma perfetta per comunicare la posizione della Francia nell’industria del lusso
e della moda.
In quegli anni, l’haute couture francese era un fenomeno di immenso successo mediatico,
culturale e commerciale. All’Esposizione Universale di Parigi, l’industria dell’haute couture
aveva fatto il proprio ingresso ufficiale e Jeanne Paquin, autrice del vestito della
Parisienne, era una delle più famose couturière della capitale, ma anche presidente della
sezione moda dell’Esposizione stessa.
La Parisienne raccontava però anche un’altra storia: quella di un artista che ricorreva alla
moda contemporanea per raccontare la propria idea di modernità.
La Parigi di fine secolo era infatti il luogo in cui la moda vedeva il proprio trionfo, ma anche
dove si riconosceva un indiscutibile primato nell’arte. La varietà dei linguaggi (dal
naturalismo al simbolismo e all’impressionismo) componeva un panorama artistico
cosmopolita di enorme attrazione.
Inoltre, all’ufficialità dell’annuale Salon si erano affiancate le gallerie private che
assicuravano la promozione di nuovi talenti.
In questo contesto, i protagonisti dei settori più sensibili al cambiamento e alla modernità
(come editori, creatori di moda, artisti, fotografi, mercanti d’arte, critici e letterati) cercavano
di inventare vere e proprie forme di collaborazioni tra arte e moda, capaci di far
dialogare i due mondi.
Anche l’Italia aveva partecipato all’Exposition universelle del 1900 con un proprio
padiglione in cui sono stati esposti sculture di gesso, mosaici e citazioni dell’architettura
gotica veneziana. Quest’ultimo revival non era casuale: le antiche glorie artistiche erano uno
dei temi aggreganti su cui il Regno d’Italia stava costruendo la propria identità nazionale.
Tutto ciò era presente nella proposta di una moda italiana che traesse ispirazione dalla
grande arte del passato che Rosa Genoni presentò a un’altra Expo, quella milanese del
1906, di cui tratta la terza microstoria. Si era resa conto del valore che l’estro creativo aveva
nella determinazione degli andamenti del sistema della moda, ma nei primi decenni del ‘900
il suo progetto non ebbe seguito, si svilupperà successivamente.
La fotografia aveva fatto una sua prima comparsa nel 1880 su “L’art et la mode”. Nel
decennio successivo, “La mode pratique” (rivista nata nel 1891) cominciò a utilizzarla in
modo regolare.
Diversi disegnatori si servirono della fotografia in modo strumentale per le loro illustrazioni.
Questo presentava inizialmente due problemi, ben presto superati: da un lato la difficoltà di
riprodurre l’immagine su un giornale, dall’altro la necessità di disporre dell’abito finito, di
una modella, di uno studio fotografico e di un fotografo specializzato.
Nel primo numero di “Les Modes”, la gran parte delle immagini connesse alla moda erano in
realtà ritratti di attrici famose firmati da Nadar o Reutlinger. Le foto erano scattate in
studio, su sfondi neutri o poco appariscenti ed erano pubblicate sia in bianco e nero, sia a
colori.
Inoltre, al contrario del figurino disegnato che proponeva un’immagine stereotipata della
donna, la fotografia consentiva di presentare una resa molto realistica di entrambe. La moda
fotografata era quindi una moda indossata e la scelta delle modelle rispondeva a un preciso
progetto culturale, sociale e mediatico.
Già nell’ottobre 1901, la rivista aveva avuto un tale successo che si decise di incrementare
la distribuzione, diventando presto il giornale mondano per eccellenza. Era diventata
un’ambita vetrina per il bel mondo e per le celebrità dello spettacolo, ma soprattutto per un
grande numero di case di moda.
Nel primo numero le maison che presentarono i propri modelli erano solo due: Laferrière e
Redfern, ma nei mesi successivi se ne aggiunsero molte altre (tra cui Doucet…).
Nel tempo molte altre si aggregarono: da Lanvin a Worth, fino a Chanel e Poiret:
praticamente tutte le aziende di moda parigine pubblicarono i propri modelli su “Les Modes”
🡪 idea della rivista anche come spazio pubblicitario.
Giovanni Boldini e “Les Modes”:
“Les Modes” era anche una rivista d’arte. Nel primo numero fu pubblicato un articolo
dedicato a “Jean” Boldini, scritto da Robert de Montesquiou e illustrato con quattro
ritratti.
De Montesquiou affrontava l’arte del ritratto e il complesso rapporto fra pittore e modello:
Boldini era a suo parere l’esempio perfetto del ritrattista moderno, un vero pittore di donne,
capace di trasferire sulla tela la “vivacità della Parigina”. L’autore estendeva il concetto a
tutto il cosmopolita universo di Boldini, affermando che “Parisianisme” non indicava
l'appartenenza a un luogo, ma una cultura, uno stile di vita. Il Parisianisme di Boldini era
sinonimo di modernità, ma soprattutto di Modernità al femminile.
Le donne raffinate e colte, interessate i nuovi modelli delle più famose sartorie parigine, ai
gioielli, ai mobili, cui si rivolgeva la rivista erano le stesse che Boldini ritraeva.
Questo artista fu riproposto più volte nei numeri successivi della rivista, ad esempio in
ottobre la copertina e una pagina interna furono dedicati a due ritratti di Boldini e oltre a
questo, ne seguirono molti altri.
L’ormai famoso Giovanni Boldini non fu però l’unico artista proposto dalle pagine di “Les
Modes”.
L’articolo dedicato a lui faceva parte di una rubrica dal titolo “Les peintres de la femme” e nei
mesi successivi fu dedicata ad altri artisti, scelti per la loro particolare attenzione nei
confronti del mondo femminile e per l’abilità nel ritrarre “la donna contemporanea”.
Tutte le numerose illustrazioni delle copertine e degli articoli erano fotografie o riproduzioni
fotografiche di opere d’arte. Era la prima volta che tutto questo accadeva in un giornale
femminile.
● Nel 1846, la Goupil, Vibert & Cie era entrata nel mercato dei dipinti e dei disegni
originali, inaugurando a Parigi una galleria d’arte. Due anni dopo, venne aperta a
New York un’altra galleria.
● Nel 1861, fu creata la società con Vincent van Gogh (zio omonimo del pittore) che
aveva una galleria a L’Aja (Olanda).
Il metodo provocò molte reazioni critiche, tra cui quella di Zola, ma il lavoro di divulgazione
fatto da Groupil fu così importante per la diffusione di una nuova cultura delle immagini. Le
stampe non venivano più conservate come rarità preziose, ma incorniciate e appese ai muri
di casa.
Groupil proponeva diverse edizioni: alcune più costose e lussuose, altre accessibili per tutti
gli altri.
🡪l’arte di tutti i tempi è a disposizione di tutti! Certamente non si tratta degli
originali, ma l’immagine più vicina all’originale che la tecnica consentiva.
Come avrebbe detto anche Benjamin, quelle immagini non possedevano più l’aura degli
originali, ma permisero alla borghesia di fine secolo di conoscere l’arte antica e moderna, di
studiarla e di circondarsene.
Nel 1884, Adolphe Groupil si ritirò lasciando l’azienda nelle mani dei soci Léon Boussod e
René Valadon (Boussod, Valadon & Cie) e Michel Manzi diventò direttore degli ateliers
di Asnières.
Quest’ultimo aveva iniziato a fare ricerca su un procedimento di tipoincisione. In pochi anni
furono perfezionati i metodi di fotoincisione e si arrivò alla scoperta della tipoincisione in
bianco e nero e della cromotipoincisione a colori che potevano essere usate nella stampa di
libri e riviste 🡪 era l’inizio del libro illustrato.
Boussod, Valadon & Cie cominciò a proporre lussuosi volumi ricchi di immagini, a volte
ripubblicati a prezzi più accessibili.
Il nuovo sistema non poteva passare inosservato agli editori della stampa periodica. Fu così
che la collaborazione cominciò ad essere richiesta da importanti testate come “L’Illustration”
e “Le Figaro Illustré”. Successivamente, anche gli eredi di Groupil incominciarono a
pubblicare riviste proprie.
Il primo fu “Le Figaro Salon” (un notiziario del Salon), cui seguirono “Les Lettres et Les
Arts” e “Paris Illustré”.
Cambiamenti: Adolphe Groupil, che aveva conservato il ruolo di socio finanziatore, era
morto nel 1893 e qualche anno dopo era venuto a mancare anche Léon Boussod. La società
fu divisa in due parti, ognuna con specializzazioni diverse, ma entrambe con il titolo di
“Successeurs de Goupil & Cie”:
1. La Boussod, Valadon & Cie, che si dedicò al commercio di quadri e oggetti d’arte;
2. J.Boussod, Manzi, Joyant & Cie, che continuò l’attività di mercanti di stampe.
Fra le iniziative editoriali di Manzi e Joyant, furono certamente quelle dedicate al teatro,
all’arte e alla moda a incontrare maggiormente gli interessi del pubblico, in particolare “Les
Modes”.
Era ovvio che Giovanni Boldini fosse chiamato a partecipare all’impresa e ottenne grande
successo con quadri di piccolo formato che rappresentavano salotti o parchi popolati di
sculture e di personaggi in abiti d’epoca. La moda di quella pittura di genere, però, passò e la
collaborazione tra Boldrini e Goupil s’interruppe, ma probabilmente non del tutto. Il pittore
ferrarese cambiò soggetti e si costituì una nuova popolarità, dedicandosi ai ritratti.
Michel Manzi acquistò da lui sette ritratti femminili raffiguranti celebrità del tempo o di
sconosciute e decise di lanciarli attraverso le pagine della rivista di moda con l’aiuto dello
stesso Robert de Montesquiou.
I ritratti furono riprodotti in fotoincisioni a colori che furono pubblicate su “Les Modes” ed
elencate con titoli generici nei cataloghi di vendita della Maison Goupil, precisando le
tirature e i prezzi.
Ma… il rapporto commerciale fra il pittore e gli eredi Goupil non si limitò ai sette ritratti.
L’operazione Boldini faceva parte di una più ampia strategia della Manzi, Joyant & Cie,
consapevole del fatto che il mercato delle stampe era cambiato e che era quindi necessario
trovare altri pubblici, differenziare l’offerta e inventare nuove forme di comunicazione e di
promozioni.
Per cinque anni, offrirono al pubblico un calendario che comprendeva conferenze, concerti,
esposizioni e spettacoli teatrali recensiti da “La Théatre”. Per esempio, ci fu una mostra sui
fiori artificiali, una sugli arazzi antichi…
Nell’autunno 1907, si riuscì a esporre il sontuoso corredo di nozze della principessa Marie
Bonaparte, futura sposa del principe Giorgio di Grecia (figura in quel momento al centro
di molti pettegolezzi della cronaca). Sicuramente la direzione era consapevole del fatto che la
curiosità suscitata dai media attorno a questo corredo avrebbe contribuito al successo della
mostra e alla popolarità dell’Hotel des Modes.
Fin dalla sua inaugurazione il segno distintivo dell'Hotel des Modes fu però l'arte. Vennero
create una galleria di stampe inglesi e una galleria di ritratti femminili che iniziava con i
“Peintres de la femme” e si completava nelle sale più piccole con incisioni da Saint-Aubin e
dai maestri del XVIII secolo.
Un’intera sala era dedicata alle stampe tratte dalle opere di Giovanni Boldini🡪 perfetto
amalgama tra arte, bellezza femminile e moda.
La moda dipinta:
in occasione della mostra inaugurale, fu tentato un esperimento: la moda della stagione fu
presentata attraverso quadri di alcuni pittori, incaricati da Michel Manzi di rappresentare
sulla tela i modelli di griffes famosissime, sempre con l’obiettivo di unire strettamente arte e
moda.
Anche Giovanni Boldini fece parte del progetto: scelse come modelle due celebrità del
teatro contemporaneo, Geneviève Lantelme e Marthe Règnier, vestite rispettivamente
da Doucet e Paquin.
Non fu però il solo pittore parigino a rispondere all’appello di Manzi, ci furono anche:
Antonio de la Gandara, Gaston de La Touche…
All’inaugurazione dell’Hotel des Modes, i sei grandi dipinti sulle pareti del salone centrale
davano una straordinaria rappresentazione delle ultime tendenze della moda, destinata a
colpire l’immaginario delle visitatrici.
L'esperimento era ambizioso, ma il suo risultato dimostrava che solo la sensibilità estetica
degli artisti era adeguata a comunicare la moda di lusso (haute couture). Importante da
sottolineare, però, che questo richiedeva un’inusuale disponibilità da parte degli artisti che
avrebbero dovuto dedicare il proprio tempo e la propria creatività alla moda. Infatti, Boldini
all'inaugurazione presentò un ritratto realizzato due anni prima. La fama dei pittori non era
un fattore secondario per raggiungere l'obiettivo di attirare l'attenzione delle signore.
In secondo luogo, il mezzo scelto non era concorrenziale con la fotografia che invece aveva
tempi di realizzazione molto più rapidi, era facile da riprodurre e da stampare sui giornali e i
costi non erano paragonabili a quelli del dipinto. Inoltre, attraverso disegni e fotografie si
poteva far conoscere a un vasto pubblico la gran parte dei modelli, mentre la loro
rappresentazione pittorica concentrava la comunicazione su pochissimi capi.
In realtà il procedimento era sempre lo stesso: fare indossare i propri modelli alle dive del
palcoscenico e poi diffonderne le fotografie attraverso le riviste.
Michel Manzi non abbandonò l’idea di fare della moda il tema forte dell’attività espositiva
dell’Hotel des Modes. L’Exposition des Toilettes dello stesso anno (1907) ne riempì gli
spazi di manichini vestiti con le ultime creazioni. La mostra era organizzata in due parti,
rispettivamente curate dalla rivista “Le Théatre” e da “Les Modes”. Avevano aderito
all'evento quasi la totalità delle sartorie di lusso a Parigi.
Da un lato, c'erano le toilette di scena indossate dalle attrici del momento; dall'altro, una
scelta dei modelli di stagione raggruppati per casa di moda.
Solo le clienti abituali della maison de couture potevano vedere i nuovi modelli dal vero,
mentre tutte le altre li scoprivano disegnati o fotografati sui giornali o indossati dalle attrici
sul palcoscenico. Nessuno, comunque, poteva avere una visione complessiva della moda di
stagione dal vero, se non facendo il giro di tutte le sartorie (!).
Quest'ultima iniziativa ebbe grande successo.
L'obiettivo commerciale di Manzi e Joyant prefissatosi con l'apertura dell'Hotel des Modes
non è mai esplicitato sulla rivista. Queste sono alcune delle possibili motivazioni:
- Certamente era un modo per sostenere il nome e il lavoro delle riviste di proprietà
della società e per creare una sorta di comunità di stile e di gusto intorno ai due
giornali;
- era anche un modo per offrire a tutte le aziende di moda parigine che pubblicavano i
propri modelli su “Les Modes” un modo alternativo per far conoscere a potenziali
clienti le proprie creazioni;
- poteva essere considerato anche un modo per conquistare un nuovo pubblico: quello
delle donne;
L'idea di fondo era quella di rimettersi nella tradizione di Adolphe Goupil aprendo
una galleria d'arte, ma solo a patto di non entrare in aperta concorrenza con gli altri
“Successori di Goupil & Cie”.
I dipinti originali esposti all'Hotel des Modes erano quindi destinati a essere riprodotti e
venduti in forma di stampa. Quasi tutti i quadri che avevano fatto parte della mostra
inaugurale entrarono a far parte dell’arredo dell'Hotel, al pari di molti degli oggetti ancora
presenti.
Il caso di Boldini è emblematico: vennero esposte sino alla fine le sue opere, ad esempio le
due grandi tele, i ritratti…
L'ultima esposizione, nell'autunno 1913, li vide ancora al loro posto.
La fine di un esperimento:
dopo qualche anno, le dame del bel mondo chiedevano alla moda nuovi modelli di gusto e
nuovi capi. Albert Flament, nel delineare i tipi ideali di donna che caratterizzavano l’opera
di alcuni “peintres de la femme” (pittori della donna) contemporanei scrisse l’ironico
epitaffio della donna di Boldini.
Ormai si poteva riderne, perché era già stata sostituita dalla “ragazza moderna”.
Anche la formula della rivista entrò in crisi nello stesso periodo. La fotografia aveva ormai
fatto il suo ingresso in tutte le redazioni e il pubblico si era abituato, non rappresentava più
una novità.
Nel 1912, l’editore Lucien Vogel fece uscire il primo numero della “Gazette du Bon Ton”,
un mensile destinato a un pubblico esclusivo che scelse di comunicare la moda solo
attraverso il disegno🡪 ritorno alle origini settecentesche della stampa di moda.
L’Hotel di rue de la Ville-l’Eveque (Hotel des Modes) cominciò ad alternare le sempre meno
frequenti esposizioni di moda con un numero crescente di manifestazioni.
Assunto il nome di Galerie Manzi-Joyant, cominciò a organizzare mostre d’arte
contemporanea in cui furono esposte opere di Monet, Degas, Pissarro, Cezanne e tanti altri,
ma vennero fatte anche mostre personali e retrospettive di grandi artisti, come
Toulouse-Lautrec, vendite all’asta di importantissime collezioni…
La morte di Michel Manzi nell’aprile 1915 e lo scoppio della Prima guerra mondiale
provocarono la crisi definitiva della società Manzi, Joyant & Cie, che fu sciolta nell’ottobre
1917 e messa in liquidazione.
Le opere di Boldini erano già state messe in vendita.
Comunicazione e mecenatismo. Paul Poiret e gli artisti
Molti dei grandi couturier parigini ebbero legami con l’arte: Dior, ad esempio, esercitò la
professione di gallerista molti anni prima di affermarsi nella moda e per tutta la sua vita
coltivò l'amicizia con gli artisti con cui aveva condiviso la giovinezza.
Paul poiret aprì la sua prima sartoria nei primi anni del Novecento, quando si stava ancora
discutendo intorno al dilemma se considerare la moda o meno una forma di arte applicata.
Il giovane aspirante couturier era un innovatore, consapevole che la società in cui viveva
stava cambiando e che la moda doveva cogliere e anticipare il mutamento. Le
donne cui voleva rivolgersi non erano quelle che frequentavano le esclusive case di moda in
cerca di lusso e affermazione, ma giovani sicure della propria ricchezza e del proprio fascino;
donne che stavano affinando armi di seduzione molto diverse da quelle ottocentesche; donne
che non avevano più bisogno di farsi guidare ciecamente dalla tirannia di un couturier.
Poiret aveva capito che la modernità che stava esplodendo intorno a lui non poteva lasciare
intatto il modo di vestire femminile e apriva le strade impreviste per l’industria della moda.
Cominciò a inventare nuove silhouette, nuovi immaginari, nuovi modelli di gusto da
proporre alle giovani donne della Belle Epoque.
Probabilmente fu proprio la ricerca del nuovo e delle forme della modernità che
lo avvicinò agli artisti. “ I pittori mi sono sempre piaciuti, mi sento alla pari con loro. Mi
sembra che facciamo lo stesso mestiere e che possiamo dirci colleghi”.
Così come molti pittori cercavano nuovi linguaggi nelle sculture africane(Picasso), Poiret era
attratto dall abbigliamento etnico: i costumi tradizionali, ma soprattutto le culture
extraeuropee. Lo affascinavano le forme ampie e geometriche del kimono e delle vesti arabe,
i leggeri tessuti indiani dai colori accesi. E fu lo studio del colore il primo
collegamento con i pittori d’avanguardia.
Li aveva conosciuti a Chatou, dove lui andava per fare canottaggio e loro per dipingere, in
particolare erano Maurice de Vlaminck e André Derain, quelli che al Salon d’Automne
del 1905 Louis Vauxcelles avrebbe definito “Fauves” per il loro modo di usare il colore.
Nel 1941 Matisse avrebbe dichiarato “Per me il colore è una forza. I miei dipinti si
compongono di quattro o cinque colori che si cozzano l'uno contro l’altro, che comunicano
una sensazione di energia”.
Gli artisti divennero punti di riferimento e compagni di viaggio sia nella sua vita privata sia
nella sua avventura nella moda. Di Matisse acquistò opere; Andrè Derain lo ritrasse negli
anni difficili del servizio militare.
Il suo interesse per i giovani che stavano rivoluzionando il linguaggio artistico dell’Occidente
non si fermò qui: era amico di Picabia e di sua moglie Gabrielle; conobbe inoltre Picasso,
Braque, Apollinaire e tanti altri, che invitò alle sue cene e alle sue feste.
Fu proprio ad una sua festa, “La Milleduesima notte” del 24 giugno 1911, che conobbe Kees
van Dongen, con il quale scoprì di avere in comune l’amore per l’Oriente e per le feste in
costume.
Da quel momento Poiret acquistò diverse opere del pittore olandese e van Dongen ritrasse
modelle con abiti del couturier e si fece decorare la casa dall’atelier Martine. Nel 1931
pubblicarono insieme un libro su Deauville.
Disegnatori e fotografi
Nel 1906 P. si rivolse a Bernard Naudin per disegnare la comunicazione integrata(=carta
intestata, inviti alle sfilate, comunicati alle clienti)della rinnovata e ingrandita maison.
Voleva cambiare il modo di vestire delle donne, ma anche le regole dell’industria della moda,
a cominciare dall’informazione, ma era necessario trovare un linguaggio moderno e adeguato
alla moda. Poiret quindi non guardò all’ infinito numero di figurinisti che lavoravano per le
riviste o per gli atelier, ma si rivolse ad un disegnatore che sapeva cogliere lo spirito di quei
tempi.
All’epoca Nudin collaborava con prestigiose testate satiriche e Poiret capì che poteva essere
adatto al suo scopo, così gli chiese di disegnare delle intestazioni di lettere.
Due anni dopo fece lo stesso con Paul Iribe, disegnatore satirico, nel momento in cui decise
di presentare una collezione d'avanguardia e cambiare l’immagine della propria griffe.
I pochoir di Iribe ricordavano da un lato le tavole del “Journal des dames et des modes” della
fine del XVIII sec, e dall’altro le stampe giapponesi. Se il figurino tradizionale suggeriva gli
elementi essenziali di un modello e la fotografia ne rendeva sia la realtà materica sia la
vestibilità, i pochoir di Iribe offrivano la sostanza immateriale della moda di Poiret, suggerita
soprattutto dalle longilinee modelle con gli occhi a mandorla.
Poi fu la volta di Lepape, artista meno conosciuto rispetto ai primi due. Il couturier decise di
ribaltare l’approccio: non erano la fama o lo stile dell’artista a dare lustro alla moda, ma la
griffe del grande couturier che, attraverso la propria immagine e la propria fama, dava spazio
all’espressione artistica.
Anche con la fotografia Poiret si mosse con lo stesso principio. Nel 1911, sulla prestigiosa
rivista “Art et Décorations”, egli venne illustrato con disegni di Lepape e con un servizio
fotografico.
Lucien Vogel, capo redattore, insieme a Poiret,scelse come fotografo Edward Steichen che
in quegli anni era a Parigi per un progetto sull’arte contemporanea. Non era un fotografo di
moda(lo sarebbe diventato negli anni 20) e il suo approccio era libero da tutte le regole che i
professionisti di quel settore avevano messo a punto. Steichen faceva muovere le modelle
liberamente negli spazi della nuova maison in Avenue d’antin e fissò le loro movenze e i loro
gesti in immagini che da un lato danno l’idea della normale attività un atelier(l’allacciatura di
un vestito,il controllo allo specchio, l’apertura di una porta), dall’altra propongono tagli
fotografici inediti che a volte costruiscono geometrie particolari o ritratti di gruppo pittorici.
Molto più casuale fu l’incontro con Man Ray, un giovane artista americano arrivato a Parigi
nel 1921 che gli fu presentato da Gabrielle Picabia. In quel momento Poiret necessitava di
fotografie originali delle indossatrici e delle sue creazioni, qualcosa d’insolito, diverso dalla
banalità esibite dai comuni fotografi di moda. Nello scatto più famoso di quelle giornate,
Man Ray mise in posa la modella davanti ad una delle prime versioni di Maiastra di
Constantin Brancusi, che il couturier aveva acquistato dall’artista stesso. Il risultato fu
l’immagine di un abbigliamento opulento e raffinato che ormai non era più moda.
Quelle poche fotografie gli portarono fortuna e furono anche la causa involontaria della
scoperta delle rayografie di cui il couturier fu il primo acquirente.
I colleghi artisti
Nel 1930 Poiret scrisse che si sentiva collega degli artisti e infatti con i pittori e i fotografi non
erano semplici committenze, ma modalità inusuali per portare nella moda lo spirito dell’arte
e contemporaneamente per mettere a disposizione dell’arte uno spazio nuovo per
l'invenzione e la sperimentazione. Poiret però si sentiva anche un mecenate, non solo perché
acquistava opere per la propria collezione, ma perché offriva agli artisti una possibilità per
esprimersi e per trarre vantaggio dalla visibilità di cui la moda disponeva. Il supporto
attivo che egli offrì agli artisti per tutta la sua vita fu importante come la sua
attività di collezionista. Ebbe la sensazione di conoscerli a fondo e soprattutto fece in
modo che il loro lavoro avesse il giusto riconoscimento e un'adeguata notorietà, che
avrebbero, di conseguenza, riverberato su di lui e sulla sua maison un’aria di cultura e
mecenatismo impossibile da ottenere con il solo lavoro nella moda.
La Galerie Barbazanges
Nell’Ottobre del 1909 Poiret aveva trasferito la propria maison de couture nell’antico Hotel
du Gouverneur des Pages del XVIII sec.
La proprietà comprendeva diversi immobili e un grande giardino.Lo spazio a disposizione
era immenso e il couturier utilizzò il palazzo principale per le attività dell’atelier, ma anche
per tutte le iniziative che inventò in quegli anni per differenziare la propria offerta di moda.
Aveva un ingresso al 107, Rue de Faubourg Saint Honoré, riservato ai fornitori.
Per il secondo immobile, al 109, Poiret ebbe un’ispirazione originale: aprirvi una galleria
d’arte. Gli spazi erano adatti:un grande ingresso che dava l’accesso ad alcune piccole stanze e
ad un mezzanino, ma soprattutto a un immenso salone senza finestre coperto con una
vetrata. Li affittò a Henri Barbazanges conservando il diritto di organizzare una o due
mostre l’anno.
La galleria inaugurò nel 1910 con una mostra dedicata a Jean-Louis Boussingault, André
Dunoyer de Segonzac e Luc- Albert Moreau, tre giovani pittori realisti che Poiret apprezzava
ed evidentemente voleva lanciare.
Fu poi la volta dei disegnatori. Nel 1911, infatti fu dedicata una mostra a Bernard Boutet de
Monvel, Georges Lepape, Jacques e Pierre Brissaud, tutti collaboratori di Poiret, di cui
furono esposti sia dipinti che tavole di moda.
Nel programma della galleria non mancarono però i grandi nomi dell’avanguardia. Nel 1912
Poiret invitò Robert Delaunay e Marie Laurencin a condividere la galleria con due mostre
personali. Delaunay espose una quarantina di opere fra cui vedute di monumenti gotici alla
maniera di Cézanne e le serie delle Torre Eiffel.
Uno degli obiettivi della mostra era di mostrare la superiorità internazionale
dell’avanguardia parigina, minacciata dai futuristi italiani che nello stesso periodo
esponevano alla Galleria Bernheim-Jeune.
Nel 1919 la Galerie Barbazanges propose un’esposizione dei lavori teatrali di due artisti:
Natalia Goncharova e Michail Larionov, all'epoca già molto noti a Parigi. Per l’occasione
venne organizzato un Gran Gala durante il quale venne messo in scena un atto unico di Max
Jacob.
Pittura, musica,danza,teatro: in quegli anni, gli spazi della Galleria assunsero il ruolo di
vetrina di un progetto di arte globale in cui Poiret era coinvolto in prima persona.
Nel marzo 1920 la galleria ospitò la prima esecuzione de La musique d’ameublement di Satie
e Milhaud. Il concerto comprendeva sia musiche di igor Stravinskij e del gruppo Les Six, sia
la messa in scena di Ruffian toujours, truand jamais di Max Jacob.
C'era però anche una novità assoluta: la musica tappezzeria=era l’intuizione di una
musica che facesse da piacevole sfondo alla vita normale nei luoghi pubblici. L’idea era però
estranea all’esperienza musicale dei primi decenni del Novecento e il tentativo non riuscì.
La Galerie Barbazanges seguì un percorso prevalentemente dedicato all'arte contemporanea,
con qualche digressione nell’arte antica; non mancarono però esposizioni eccezionali che per
motivi diversi hanno lasciato il segno nella storia dell'arte.
Nel 1919 ci fu Paul Gauguin: Exposition d’Oeuvres inconnues, in cui furono esposte e
messe in vendita una trentina di opere inedite della fine del periodo detto di Pont-Aven.
Il Salon d’Antin
Nessuna delle mostre organizzate dalla Galerie fu però importante come quella che si svolse
nei suoi locali dal 16 al 31 Luglio 1916.
All’inizio della guerra Poiret era stato richiamato, la sua famiglia si era rifugiata in
Normandia e la maison de couture era stata chiusa. Passata però la prima ondata di slancio
patriottico erano state riaperte le boutique del profumo e della linea Martine, mentre gli
atelier avevano ricominciato a lavorare. Si dovette aspettare la fine del 1915 perchè l’attività
mostrasse i primi segni di ripresa.
Fu in quel periodo che il critico d’arte André Salmon ottenne da Paul Poiret lo spazio per
organizzare una manifestazione di avanguardia dedicata alla pittura, alla poesia e alla
musica.
La mostra ebbe un'importanza eccezionale, dato che fu “l’unica collettiva disponibile,
dall'inizio della guerra, per gli artisti d’avanguardia.”
Vi parteciprono tutti, da Modigliani a Derain, da Kisling a Leger, da Matisse a Rouault, da
Lhote a van Dongen a de Waroquier.
L’intera manifestazione però passò alla storia per un altro motivo: per la prima volta vi fu
esposto al pubblico Les demoiselles d’Avignon di Picasso, che fece scandalo nonostante
fosse stato realizzato nove anni prima.
Quando, successivamente, la critica decise di trasformare quest’opera nel punto d’origine
dell’arte figurativa del 900, il Salon d’Antin assunse un ruolo chiave nella storia dell’arte
contemporanea, dimenticandosi delle numerose presenze di altri artisti, sia il ruolo di
Poiret.
Qual’era stato questo ruolo?
Nel 1923, nella prefazione al catalogo dell'esposizione dedicata alla collezione del couturier, il
critico precisò l'informazione che aveva fornito nel 1916 al momento dell’inaugurazione della
mostra, quando si era limitato ad elogiare “colui senza il quale non ci sarebbe stato il Salon
d'Antin.
Ma scorrendo il catalogo delle opere esposte è possibile cogliere il ruolo che il couturier ebbe
nell’organizzazione della manifestazione: fra gli artisti presenti figurano molti di quelli che
facevano parte del suo entourage e alcune opere hanno uno stretto legame con lui. Persino la
presenza di Picasso potrebbe essere stata favorita dalla sua liaison con Paquerette, una delle
indossatrici della Maison.
Poiret si considerava un collega degli artisti e non un semplice mecenate. Nella sua attività
aveva sempre cercato di avere una parte attiva e non si era mai accontentato di giocare il
ruolo del semplice finanziatore.
Fino a quel momento Poiret aveva collaborato con artisti nella sua attività professionale, li
aveva frequentati, aveva comprato le loro opere, ma in quegli anni di guerra probabilmente
voleva offrire il proprio contributo, materiale e teorico, alla ripresa della cultura artistica
parigina.
Il dopoguerra
Poiret nel 1917 fu costretto a ipotecare alcune proprietà e a venderne altre. Egli si rese conto
che le vendite non erano state sufficienti a compensare né le spese nè i mancati guadagni
degli anni di guerra e che la sua attuale situazione finanziaria non era in grado di garantirgli
una rapida ripresa dell’attività.
Segnato dal trauma bellico e dalla morte dei due figli, partì per una vacanza in Marocco e
solo al ritorno si dedicò al rilancio della propria azienda.
Fu ridiscusso inoltre il suo coinvolgimento economico nella galleria: Henti Barbazanges
trovò un nuovo socio in Louis-Cesar Hodebert, con il quale fondò la Barbazanges-Hodebert
et Cie. Successivamente, nel 1923, quando ormai la decadenza divenne evidente, anche la
galleria cambiò regime societario: Henri si ritirò dall'impresa e e hodebert continuò da solo.
Il mutamento fu però celebrato in grande stile con una mostra in cui era esposta una parte
della collezione del couturier, in modo da creare grande attenzione intorno all’evento.
La situazione professionale di Poiret era però ormai giunta ad un punto molto prossimo al
dissesto definitivo. L’anno dopo fu costretto a vendere tutte le sue proprietà e a trovare
un'altra sede per la casa di moda.
Per partecipare alla Exposition International del 1925 egli vendette l'Atelier Martine, ma
anche quel tentativo di rilanciare la propria maison non andò a buon fine. Fu anzi a rovina
finanziaria.
Nel novembre dello stesso anno l’intera collezione d’arte del couturier venne messa all’asta.
Fu la fine anche del suo ruolo di mecenate, ma non di amante dell’arte.Ormai ridotto in
miseria, non potendo più finanziare si mise a dipingere.
Trent’anni dopo,nel 1974, il Musée Jacquemart André organizzò la mostra Poiret le
Magnifique: era la prima volta che un museo rendeva omaggio ad un creatore di moda
dedicandogli una mostra.
La documentazione dell’avventura professionale di Poiret fu affiancata e quasi surclassata
dalle testimonianze di quel mondo artistico con cui aveva coltivato rapporti e di cui si era
sentito collega.