Controcultura, anticonformismo e
autogestione
Tesina di Irma Misic
La questione dello stile punk si pone e nasce con i Sex Pistols (vestiti da capo a piedi da
Viviene Westwood1, oggi stilista di grande successo), per venire poi imitata nel resto dei
Paesi europei: la cravatta, simbolo di una classe più ambiente, era ora snodata, le t-shirt,
capo d'abbigliamento di grande consumo, venivano strappate e decorate di motti,
diventavano cartelloni di denuncia; le giacche riempite di toppe e spille da balia, accessori
di poco prezzo. Gli oggetti più irrilevanti e più impropri sono portati all'interno dello stile
punk, gli oggetti d'uso comune assumono nuovi significati, mentre altri li perdono.
L'esibizione, la provocazione, non passa più per il corpo nudo, ma per un corpo vestito
con simboli e oggetti conditi di nuovo significato, elementi decontestualizzati.
Il look si pone così come manifesto delle proprie idee.
I punk si pongono al mondo come ''alieni'', termine che Philopat stesso, maggiore
scrittore su argomenti del movimento, userà più volte per descriverli e autodescriversi;
colui che dietro il suo giubbotto aveva scritto “Costretti a Sanguinare” (citazione in
1 Nel libro “Il sogno Inglese” di Jon Savage, il giornalista racconta dettagliatamente la nascita della famosa band, ma
soprattutto gli antefatti e accenni sulla vita di Malcolm McLaren e Vivienne Westwood, i due stilisti e proprietari del
negozio “SEX”, un piccolo negozietto a King's Road, luogo d'incontro per i primi punk e soprattutto il posto dove si può
ritenere che lo stile punk sia nato.
italiano di “We Must Bleed” dei Germs)2. Quello che indossano, la corazza esteriore, è per
questi un'unità di base per relazionarsi con il contesto; riflettono alienazione e
disuguaglianza, sovversione alla cultura dominante e al consumo di massa.
I primi punk in Italia o avevano vestiti e oggetti importati o acquistati in Inghilterra, o
imitavano ciò che vedevano. Per i punk italiani Londra è una "città dove ogni esperienza
underground diventa un segnale, c'è una produzione pazzesca di modelli diversificati di
vita, tutto diventa una moda, le sottoculture si mischiano sulla strada ai più stravaganti
individui. I punk sono dappertutto da Oxford Street a Camden, da King's Road a
Portobello"3. L'imitazione era nel maggior caso delle volte un crearsi abiti da soli, un vero
e proprio processo di bricolage mandato avanti con l'etica Do It Yourself (DIY, fai da te). I
consigli principalmente circolavano con le punkzine e\o nei centri sociali da punk a punk.
L'importanza dello stile, in Italia in primis ma anche in altri luoghi, appare cruciale in un
movimento come al punk che mira al distinguersi dalla massa, diventava un metodo di
riconoscimento attraverso la condivisione di uno stile comune che suppone un altrettanto
condiviso sistema di valori e credenze.
La questione dello stile quindi si pone sia come segno distintivo di distacco da ciò che è la
cultura dominante, ed è allo stesso momento segno di appartenenza al movimento;
nonché come segno di un non-assoggettamento ai dettami della moda perchè il proprio
look è costruito individualmente.
In contemporanea allo stile nascono i primi motti, gli slang, del movimento, quali "punk is
attitude not fashion" e "no future", inni allo stravolgimento di una società assopita dalla
cultura di massa, dal consumo, dal mainstream, oltre che incitamenti a contrastare alcuni
fenomeni come disoccupazione e precarietà abitativa. Il movimento punk non mira alla
mera distruzione dell'ordine costituito, ma anche alla comunicazione del disagio sociale
dei giovani di quegli anni, ed è una protestata mandata avanti anche con il proprio look;
uno stile assemblato per alludere a cosa come il primitivismo urbano, il crollo di fiducia in
un linguaggio comune. 4
Non si può partire dall'analisi del movimento punk staccandolo dalla questione dello stile,
che torno a ribadire non si intende una questione di moda intesa come “fashion”, ma
piuttosto la ricerca, assunzione e affermazione di uno stile individuale ma anche comune.
Il look viene in questo caso a porsi come manifesto delle proprie idee, contro la
concezione della cultura dominante di una moda mainstream in cui ci si veste e consuma
passivamente, si comprano vestiti e oggetti dettati da una moda non più dettata dalle
persone ma da pochi stilisti e marchi. Vi è nel punk la presa di posizione, la scelta, di
abbigliarsi come meglio si crede, senza porsi problemi di un conseguente stravolgimento
dell'ordine comune.
Ci sono comunque contraddizioni insite nel movimento stesso, il DIY viene principalmente
adottato dalla corrente anarcho-punk, di cui i capostipiti sono i Crass. Il leader, Penny
Rimbaud, criticò duramente i Sex Pistols e il loro look ''non-genuino'' ma opera di un
progetto a tavolino di due stilisti già rinomati in Inghilterra, nonché ogni loro esibizione,
considerata parte di un progetto puramente commerciale. Non vi era in loro, secondo
Rimbaud e i suoi seguaci, nulla di vero, neanche la provocazione, ma era tutto studiato
come piano di marketing. Nel movimento anarcho-punk lo stile è più essenziale, trionfano
il nero e richiami al militarismo, ma non mancano le t-shirt di denuncia sociale, essendo
una corrente principalmente attivista ed interessata a questioni come il rispetto per gli
animali, la denuncia al controllo sociale, la promozione dell'anarco-pacifisimo. Ponendosi
totalmente contro la produzione e consumo di massa, prediligono il fai da te e l'etica DIY,
producendosi da soli i vestiti, le toppe, le giacche.
Nel corso degli anni il punk è stato sempre più assorbito dalla cultura dominante, in
primis lo stile è stato adottato da parecchie case di moda. Citando il titolo della canzone
dei Crass “Punk Is Dead” (questa critica lo stile creato ''a tavolino'' dei Sex Pistols) la
moda ha ucciso il punk nel momento in cui se ne è appropriata. Se prima l'etica DIY era
fondata sul concetto del ''dal produttore al consumatore'' ora in molte realtà questa è un
elemento di consumo, a partire da luoghi come “La Montagnola” di Bologna e negozi
come “Lopposto” di Forlì. Qui abiti ispirati al fai-da-te anni '70\'80 da una ventina di anni
sono esposti, pre fabbricati da case di moda inglesi, e venduti a caro prezzo al pubblico.
Crolla così la questione etica del crearsi un proprio stile con poco, rendendo vestiti del
genere un prodotto da “mercatini” e negozi a portata di tutti: ecco così che nascono i
controsensi di ragazzi con pantaloni decorati di toppe e cerniere ma frequentanti un
ambiente in netto contrasto con quello promosso dal movimento punk.
Quello che viene ripreso dalla strada viene reso ''agibile'' a tutti e ''trasformato'' per
essere avvicinato al concetto di ''bellezza''; tutto ciò è possibile svuotando di significato lo
stile, privandolo di ardori rivoluzionari, adattandolo a logiche di mercato. La moda,
eliminando l'identità dello stile sottoculturale del punk, crea un trend. Ciò che rimane non
è più l'ESSENZA, ma l'ATMOSFERA della ribellione.
Vivienne Westwood per prima ha portato capi d'abbigliamento punk sulle passerelle, ed
ancora oggi la “musa” del punk crea collezioni e promuove le proprie sfilate ispirate al
look punk; arrivando a portare alla ribalta “seditionaries” cioè la prima collezione di Sex,
gli abiti visti addosso ai Sex Pistols nelle loro esibizioni e che furono inizialmente creati
appositamente per loro. Lei che ha fatto della spilla da balia l'emblema dello stile punk,
oggi riesce a renderla “fashion”, e questo elemento non è solo ripreso da lei, ma da stilisti
come Versace (che certamente con il punk ha poco in comune). Un esempio è l'abito
“Safety-Pin” che lo stilista è riuscito a portare sul tappeto rosso con l'attrice Elizabeth
Hurley5 (riesumato recentemente da Lady Gaga, un diva che ha fatto dell'essere ''mostro''
una riuscitissima campagna di marketing).
Ma non solo grandi stilisti, anche marchi più “alla mano” hanno adottato lo stile punk per
le loro collezioni, e qui si potrebbero citare tutti i negozi che siamo abituati a vedere nelle
nostre città, marchi come Terranova, H&M, OVS ecc. Questi hanno riproposto i ''must'' del
look punk in chiave grande consumo; ecco che il tartan, le minigonne, le t-shirt sono
esposte e alla portata di tutti. A conti fatti si potrebbe affermare che il punk è
effettivamente morto, ma ci sono ancora luoghi dove il movimento, incluso lo stile,
passano da punk a punk. E ne sono l'esempio i centri sociali autogestiti, gli eventi inerenti
alla cultura do it yourself, i luoghi dove ancora viene promossa un'etica contro il consumo
di massa e dove non è contemplato uno stile punk senza i significati insiti nel look. Posti
dove la t-shirt è il proprio capo, con i propri motti scritti sopra e non più una fotocopia
della t-shirt che tutti possono comprare in un negozio come Terranova.
Gli eventi inerenti alla cultura del do it yourself ruotano attorno a spazi dove non trovano
posto promoter, organismi governativi e poliziotti. Posti come il “CAPOLINEA” 6 di Faenza o
“Atlantide” di Bologna, “Spartaco” di Ravenna e altri in giro per l'Italia hanno sempre
promosso l'etica DIY, con mercatini di vestiti da punk a punk, corsi ed eventi di
promozione del fai-da-te e la diffusione di manifesti, punkzine, bollettini scritti da
5 http://stylefluidtrendz.blogspot.it/2013/02/punk-fashion-at-new-yorks-metropolitan.html
6 Il Capolinea è lo storico centro sociale di Faenza (RA). Dopo varie chiusure, ha ufficialmente riaperto nel 2010 e
promosso da allora, come ha sempre fatto dal 1999, concerti punk, autoproduzioni di band locali, mercatini di scambio e
baratto. Un esempio è l'evento “Fattoamano Fattoameno” (http://csacapolinea.noblogs.org/post/2014/11/17/domenica-7-
dicembre-fattoamano-fattoameno/), celebrato come ''festa dell'autoproduzione e dello scambio''. Sempre dal sito cito:
“Capolinea inoltre è: Biblioteca dell’evasione, Ciclofficina, Sala prove, Palestra di giocoleria”. Attivo
''controculturalmente”, una nota di merito va all'organizzazione ogni anno del ''Noi non Ci Sanremo Festival”, presa in
giro di quello che si definisce “il grande festival della musica italiana”.
chiunque avesse voglia di esprimere la propria opinione o dare consigli.
Inoltre con la diffusione dei social network e la facilità con cui chiunque ora può aprire un
proprio blog, chi produce vestiti punk o oggetti DIY si può autopromuovere da sé,
creando propri spazi virtuali di diffusione dei propri creati e delle proprie idee. Non ultimi i
gruppi su Facebook, creati per specifici target, che danno la possibilità agli ancora
presenti punk di tutta Italia di incontrarsi, scambiarsi idee, barattare oggetti e\o vestiti,
adeguando così ciò che il movimento poteva essere negli anni in cui ha iniziato la propria
diffusione a ciò che può diventare oggi, una realtà in cui abbattute le barriere spaziali non
restano che le idee a circolare.
Il 1977 italiano non è il 1977 inglese. E' un anno che si pone fra gli anni '80 e il periodo
della “rivoluzione dietro l'angolo” e della speranza di costruire un futuro migliore. Si
sviluppa una realtà intrisa di competitività, portata all'esasperazione da industriali che il
movimento pone come ''nemici''. Inoltre vi era il fenomeno della disoccupazione che
trasformava le città italiane.
Il punk inglese è considerato come un atteggiamento nichilista e disfattista che affonda le
sue radici nelle pessime condizioni di vita dei giovani che appartengono alla working class
britannica; il punk italiano invece non è legato tanto ad un fenomeno di classe sociale,
quanto ad una condizione esistenziale giovanile legata al particolare contesto socio-
politico del paese. Nel panorama italiano il punk è mezzo, è tramite, è politicizzato e
irriverente e non si limita alla semplice provocazione ma ad una radicale scelta di vita
alternativa7.
Il punk in Italia viene portato da un programma televisivo RAI di allora: Odeon, tutto
quanto fa spettacolo. Questo per primo manda in onda ciò che era il nascente fenomeno
intriso di ribellione individuale e di rivolta in strada8.
Nonostante il servizio fu poi decisivo per la formazione di molte band e di molte
personalità dell'ambiente9, il punk per l'italiano medio arriva in Italia già mediato,
manipolato, citando la puntata di odeon relativa al movimento “Il punk fa ribrezzo”. Il
movimento, che vuole sovvertire i valori centrali di un mondo caratterizzato da sobrietà,
bigottismo, ambizione e conformismo, viene “adattato” a “moda” musicale e stilistica. Il
punk viene minimizzato, rimane ai più sconosciuto della sua essenza, non vengono
considerati i metodi di trasformazione dello scopo come messaggio e\o manifesto, non si
indaga sul perchè dell'utilizzo di una determinata musica, percepita come solo rumore e
non come espressione di frustrazione sociale.
Ma c'è chi grazie a quel servizio scopre l'esistenza di un mondo al quale può appartenere,
un gruppo nel quale si identifica, una protesta da portare avanti. Ed è così che i primi
punk decidono di aprire locali e negozi che diventano un punto di ritrovo per chi come
loro decide di definirsi e anzi si identifica nel punk e nel movimento che è.
In Italia, più che in altri paesi, si assiste a un connubio fra punk e aree di movimento non
convenzionali: anarchici, antimilitaristi, animalisti, antisessisti e vegetariani.
Negli anni '80 il movimento in Italia ha il suo apice, quando in seguito ad una lotta
politica e popolare contro la decisione del governo italiano di far installare alla Nato nelle
campagne del centro ragusano i missili americani Cruise, diventano i promotori della
protesta, con un raduno dove parteciparono anche gli inglesi Crass 10.
7 "La PROVOCAZIONE è ben altra cosa, non il costume del sabato o la discoteca-ghetto, E' L'ATTITUDINE, come vivi
da quando apri gli occhi la mattina a quando li richiudi di notte. Non è un'etichetta che compri sui dischi. E allora chi
continua a parlare di punk e perchè? Chi ne parla è un estraneo altrimenti avrebbe vergogna a usare una parola inventata
da altri per inscatolare e soffocare/definire chi questa cosa se la vive e basta, qualsiasi nome abbia.”
Rosso Veleno, scritto nel primo numero di "Xerox" (una delle prime punkzine italiane) nel 1979
8 https://www.youtube.com/watch?v=z7Zd_GrLhxI
9 Citando il libro “Hard core. Introduzione al punk italiano degli anni Ottanta” di Nozza Diego, il programma fu decisivo
per la formazione dei Blue Vomit. Lo stesso programma viene più volte citato in più interventi in “Lumi di Punk” di
Philopat.
10 Dell'evento, organizzato da “Punkaminazione” (punkzine), parla il capitolo “La guerra di Comiso” del libro “Costretti a
E' a partire da quegli anni che il punk resiste e si radica nell'esperienza dei centri sociali,
delle occupazioni, delle autoproduzioni letterali (punkzine) e musicali.
In Italia il termine DIY, che è l'abbreviazione dello slogan “Do It Yourself”, si può tradurre
in due modi: autogestione ed autoproduzione. Centrale nella filosofia DIY è l'opposizione
a ogni forma di discriminazione: vige il concetto di uguaglianza, fra tutti gli individui
indifferentemente dalla propria etnia, genere o orientamenti sessuali. Questo viene
ritenuto fondamentale per creare una società realmente libera dove tutti possano
collaborare nel fine comune di una esistenza migliore. Nell'etica DIY il mondo odierno
viene descritto come corrotto da interessi economici e di potere, che prevalgono su ogni
cosa ed individuo, da modellare secondo questi canoni. C'è una forte critica ai mass
media, considerati come strumenti al servizio dei potenti. La visione unanime del
movimento punk nell'etica DIY sta nel combattere ad ogni costo il sistema, preservando
la libertà individuale.
Autoproduzione è un fatto di qualità, di rapporto con le cose, di imparare a fare e
gestire, ma a fianco di questo c'è anche un fondamento ideologico, che è, almeno
all'inizio, sostanzialmente il rifiuto del mercato, del sistema produttivo. Rifiuto, in
sostanza, di considerare la cultura come merce.
Il punk non è una moda, né una sottocultura, né una banda spettacolare giovanile,
è un movimento che porta con sé ideali molto forti, di rottura contro la tradizione e
di rifiuto verso le ideologie degli anni passati. Il punk in Italia si distingue da quello
inglese per il non ricadere del nichilismo, rifiutando lo slogan di NO FUTURE che
portavano avanti esponenti anglosassoni come i Sex Pistols; citando Philopat: “Il
‘no future’ così come lo avevamo inteso fino ad allora non significava più un punto
di arrivo ma un punto di partenza”11. In molti si adoperano per costruire il nuovo e
lo fanno con i loro mezzi (poveri) e le loro idee (antagoniste, radicali e di rifiuto),
tenendosi ai margini di determinati ambienti che sembrano legittimare l’importanza
delle cose mediante la visibilità spettacolare. Nelle idee punk traspare quindi un
cinico realismo che vuole vedere in faccia la durezza della realtà, ma non per
questo ne vuole essere soffocato: i punk si oppongono ad una vita massificata.
Questo permetterà al movimento di non fermarsi agli anni in cui nasce, la filosofia
del DIY permane ai giorni nostri è ed ciò che mantiene accesa la fiamma di un
movimento che per molti pare morto; e probabilmente lo sarebbe se, come nel
caso anglosassone, fosse stato mero frutto di un idea subordinata alle necessità del
marketing e della moda.
Le autoproduzioni rappresentano la costruzione di un'economia interna,
un'economia alternativa a quello che era l'establishment tradizionale, una protesta
contro le grandi case di produzione (editoriali e discografiche) che lasciavano poco
(nullo) spazio di espressione a chi aveva qualcosa da dire ma non aveva la
possibilità economica per farlo. Nasce e cresce, si sviluppa, la pretesa di un'idea
libera di circolare, essere creata e diffusa, anche senza dover pagare un caro
prezzo. Citando Helena Velena e il suo intervento in “Lumi di Punk”: “Ci ponevamo
il problema di un'economia che mettesse in contraddizione quella ufficiale, per fare
funzionare tutte le cose al nostro interno senza avere a che fare con l'altro mondo”.
Le autoproduzioni diventano espressioni dirette e vitali del punk, del suo modo di
essere ed esistere, suonare, parlare, scrivere. Sono strumenti concreti del
movimento, espressione di intenti stilistici e politici, di inquietudini, di tensioni fra
conformismo e devianza.
Alla fine degli anni '70, ma soprattutto negli anni '80, iniziano a fiorire in Italia vari
spazi autogestiti: I Centri Sociali. Questi sono considerati come zone liberate ed
sanguinare”, romanzo punk di Philopat.
11 Marco Philopat, Costretti a sanguinare, Milano, Shake, 1997
autonome in cui costruire reti di relazioni fra individui a partire dall’autogestione
degli spazi e delle manifestazioni organizzate al loro interno; si configurano come
spazi liberati, strappati al degrado urbano, spazi dove è possibile vivere forme di
aggregazione spontanee e creative.
I Centri Sociali, seguendo la filosofia del DIY, si vogliono opporre alle logiche
dell'industria dello spettacolo e della merce e vogliono proporre un modo
alternativo di fare cultura, organizzando in proprio eventi socioculturali come
concerti, rassegne cinematografiche, proiezioni video, mostre artistiche e
quant'altro; offrendo a prezzi modici libri, cd musicali, riviste, il tutto spesso
autoprodotto. Ecco che quindi in Italia autogestione e autoproduzione vanno di pari
passo, l'una necessaria all'altra.
L'etica dei Centri Sociali è rappresentata dal loro simbolo: un cerchio squarciato da
una saetta, che sta a significare una realtà chiusa (come può essere quella
cittadina) dilatata dalla forza aggregativa spontanea, come fonte di crescita sociale
e culturale, che si oppone al nichilismo eterodiretto e a una logica di massificazione
passiva12.
Hanno sempre promosso un pensare fuori dalla logica di mercato e si sono
anteposti allo spettacolo mainstream. Esempi sono l'antifestival “Noi non ci
Sanremo”, portato avanti da anni dal Capolinea di Faenza, o l'”anti-Mtv-Day” del
XM24 di Bologna, che nasce in un contesto molto specifico: Bologna 2002, quando
lʼMTV Day era una manifestazione che già da due o tre anni funestava in un certo
giorno di settembre l'amata città e l'AntiMTVday voleva offrire un'alternativa; era
un festival punk hardcore legato al mondo DIY nello stesso giorno in cui la tv
generalista di quegli anni organizzava la sua grande manifestazione autocelebrativa
pochi metri più in là.13
I Centri Sociali quindi conservano l’aspetto di zone liberate ed autonome in cui
costruire reti di relazioni fra individui a partire dall’autogestione degli spazi e delle
manifestazioni organizzate al loro interno.
Specifico che i Centri Sociali non sono luoghi esclusivi, limitati solo “ai punk”, ma
spazi in cui ognuno è invitato a entrare e scoprire cosa hanno da offrire, ed ogni
aggregazione sociale ci porta il proprio contributo.
12 Andrea Tiddi, Il cerchio e la saetta - Autogestioni nello spazio metropolitano, Genova, Costa & Nolan, 1997.
13 http://www.vice.com/it/read/anti-mtv-day è una recente intervista a chi ha ''inventato'' l'evento. Sull'anti Mtv Day inoltre
è stato pubblicato un libro, principalmente fotografico, che documenta l'esperienza di 10 anni di attività (
http://antimtvday10zine.tumblr.com/ )
Clash e cosi via, non erano altro che dei fantocci: a loro faceva piacere illudersi di
derubare le grosse case discografiche, ma nella realtà era la gente a essere derubata.
Non aiutavano altri se non se stessi, dando vita a un'altra moda facile”. L'allontanamento
dei Crass dall'illusione ebbe un riscontro anche estetico dettato dall'esigenza di
distinguersi da quella scomoda e superficiale moda: "Decidemmo di vestirci di nero per
protestare contro il pavoneggiarsi narcisistico della moda punk, iniziammo ad utilizzare
video e filmati durante i nostri spettacoli, ci dedicammo alla stampa di volantini per
spiegare le nostre posizioni e pubblicammo un giornale "International Anthem". E per
smentire le voci messe in giro dalla stampa, secondo cui non eravamo che degli estremisti
di destra e/o di sinistra, decidemmo di attaccare dietro il palco ai nostri concerti, una
bandiera col simbolo dell'anarchia"14.
Ispirati dai Crass, quindi, i punk milanesi una comunità organizzata con tanto di etichetta
musicale e punkzine indipendenti. Nasce il "Virus", uno dei primi centri sociali italiani, nel
1982 e diventa il principale luogo di diffusione della prima scena punk italiana. Le
decisioni sulla programmazione musicale, culturale e sulle iniziative politiche sono prese
secondo modalità assembleari, come ancora oggi accade nella gran parte dei centri sociali
odierni.
Oltre ai concerti, il collettivo del "Virus" porta avanti un impegno di autoproduzione, con
realtà rivolte all'esterno come la casa editrice "Antiutopia Produzioni", la distributrice
"Virus Diffusioni" e "Punkaminazione", una rivista addetta all'organizzazione di concerti
gestita dalle varie comunità punk sparse per l'Italia. E' una vera e propria punkzine che
mescola interventi teorici, informazioni sui concerti, aggiornamenti sulle nuove uscite
discografiche, sulle manifestazioni ed è grazie a questa che band di tutta Europa verranno
a suonare in Italia.
Due azioni del centro sociale sono importanti: una contro le droghe ("Milano da Pere") e
una contro le discoteche ("Milano da bere"). La prima nasce dalla consapevolezza che il
centro rischia di imboccare una strada sbagliata e l'intento del collettivo è impedirne
l'assunzione. La seconda è per contrastare le discoteche che vendono a caro prezzo la
musica di gruppi punk; gli eventi vengono attaccati con volantini come il celebre
"Espansioni di azioni immagini e rumori" che in dieci punti riassume gli scopi del centro
sociale.
Delle manifestazioni di grosso impatto a cui il Virus partecipa ne spiccano due in modo
particolare:
- la mobilitazione contro l'installazione di missili statunitensi presso la base militare di
Comiso nell'estate del 1983, con il volantino che recita "COMISO BASE DI MORTE - I
governanti italiani prostituiscono il paese e lo fanno penetrare da c**** nucleari
statunitensi";
- la mobilitazione "Chaos Tag" sostenuta da migliaia di punk europei contro la
manifestazione organizzata dai nazi skin ad Hannover il 2 agosto 1984 15
Il Virus è piazzato nel centro di Milano, questo porta a problemi con gli abitanti degli
stabili adiacenti che iniziano a diffondere denunce contro quella realtà; giornali e riviste
non aiutano la situazione. Il 5 maggio 1984 a causa dell'incontro tra gli interessi
economici del proprietario dello stabile e della volontà dell'Amministrazione comunale,
viene sgomberato il Virus per eliminare una realtà scomoda.16
In realtà la chiusura del centro sociale non comporterà un fermarsi del movimento punk,
della sua voglia di farsi sentire e di creare spazi autogestiti, infatti negli anni seguire
apriranno vari centri sociali occupati in parecchie città italiane, fino ad arrivare ai giorni
nostri dove in quasi ogni città, di provincia o grande centro, è presente almeno un luogo
del genere.
14 http://vimeo.com/112844617 è un estratto video del leader dei Crass, Penny Rimbaud, che si esprime sull'argomento,
tratto dal documentario There Is No Authority But Yourself http://youtu.be/gK1T-3nw4_A
15 Marco Philopat, Costretti a sanguinare, Milano, Shake, 1997
16 https://www.youtube.com/watch?v=KRbgJ8qPbSw e per gli avvenimenti dalla chiusura in poi c'è un vecchio video
recentemente “rimasterizzato” “Punx Creatività e Rabbia” https://www.youtube.com/watch?v=nbxYO-iQ7xc
4. “PUNKZINE”
Con il termine “punkzine” si indica un giornalino (-zine sta appunto per ''magazine'' in
inglese) autoprodotto che tratta interamente di punk. Il termine viene coniato nella scena
anarcho-punk inglese per distinguersi da quello che sono le fanzine, il prefisso ''fan''
rimandava a una concezione di schiavitù e uno seguire passivamente musicisti e
personalità e non si rispecchiava con quello che il movimento punk voleva esprimere 17.
La punkzine non comprenderà solo interviste a gruppi musicali o foto di concerti, ma un
ampio trattamento di tematiche sociali, dove ognuno sarà libero di scrivere, poesie,
recensioni e articoli inerenti alle varie scene locali. Il tutto è condito dall'irriverente
estetica DIY, con collage, sovrapposizioni, scritte a mano alternate a stampe, lettere una
diversa dall'altra: una celebrazione del caos.
Quella che si può considerare la prima punkzine è stata “Punk”, creata nel 1976 a New
York, ha contribuito a “catalogare” il genere musicale di gruppi come Ramones
nell'omonimo genere. Nello stesso anno nasce “Sniffin' Glue” in Inghilterra, che verrà
fotocopiata e distribuita al concerto dei Ramones a Londra; è considerata “pioniera”
dell'etica DIY 18.
Nell'ottobre del '77 esce in 1000 copie “DUDU”, foglio di agitazione dadaista, che prende il
nome dalla fusione di DADA+PUNK, farcita di disperazione e rabbia. Nel gennaio del '78
cambia nome e diventa “POGO” , vi sono novità anche nella grafica e nei contenuti che si
avvicinano sempre più all'universo punk.
E' il primo esempio di rivista con uno stile radicalmente nuovo, appunto quello della
punkzine, e gli argomenti trattati sono influenzati dal movimento del '77 e dai Circoli
giovanili, c'è inoltre spazio per la musica: è la prima rivista in Italia a pubblicare
integralmente in Italiano i testi delle canzoni dei Sex Pistols, dei Clash, delle Slits.
Come nelle altre punkzine americane e inglesi, la grafica e lo stile comprendono collage,
interventi grafici a mano libera, alterni a parti stampate, immagini una sopra l'altra.
I contenuti sono vari, ci sono interviste a gruppi locali o stranieri, recensioni, consigli per i
giovani punk che si approcciano non solo alla musica ma al movimento in sé: spiegazioni
su come crearsi dei vestiti spendendo poco, consigli su come formare una band e si parla
largamente dell'etica DIY, del fai da te come imperativo.
Si sperimenta così un diverso tipo di estetica e vengono rappresentate quelle che sono
definite dai giovani punk delle mere icone: lattine di birra, fumetti, città alla “Blade
Runner”, le magliette con la A cerchiata.
Dopo “Pogo”,a Milano nasce nel febbraio del '79 “Xerox”, interamente stampata con la
fotocopiatrice e in puro stile fai da te. Lo stile grafico è più essenziale e originale; i
contenuti sono molto più pungenti e critici: si parla meno di musica, mentre c'è più spazio
per la trattazione dei problemi legati alla condizione dei punk italiani. Si sottolinea che il
punk italiano ha una propria identità, diversa dal modello inglese.
Con “Attack”, Bologna '81, si apre un nuovo periodo in cui nasceranno molte altre
punkzine, tra le più famose: “T. V. O. R.” (Teste Vuote Ossa Rotte) che tratta
principalmente della scena hard core italiana e americana; “Anti Utopia” che sarà la
punkzine del collettivo che gestirà il Virus a Milano ed è principalmente un giornale
politico e sociale; “PUNKamINazione”, che più che una vera e propria punkzine sarà un
bollettino di coordinamento tra le varie realtà punk italiane e quindi molto importante per
i collegamenti su tutto il territorio italiano20.
Non si è certi di quante punkzine siano state scritte in quegli anni e negli anni successivi,
soprattutto a Milano. La facilità con cui potevano essere create, oltre al fatto che chiunque
poteva scrivere di cosa volesse, porta a credere che il circuito sia ben più esteso di quello
che si sa. Attualmente invece sono principalmente state sostituite dalle webzine, cioè
riviste autoprodotte online, e dai blog.
5. CONCLUSIONE
Nell'analisi di quello che è il movimento punk bisogna sempre cercare un'obiettività: sia
che lo si rappresenti, sia che lo si inizi a conoscere. Troppo spesso si rischia di ricadere in
stereotipi e pregiudizi legati alla devianza per quello che riguarda il porsi all'esterno di
esso, mentre per chi ci si approccia verso l'interno non se ne colgono tutte le sfumature e
si cerca solo un'identità passeggera, ma sulla questione dell'identità e dei gruppi si
cadrebbe in un ambito più legato a quello che riguarda la psicologia sociale. Poichè certo
per chi è un adolescente, l'idea di una lotta contro il contesto genitoriale e di un distacco
dal mondo degli adulti che non gli appartiene è una strada allettante; quella della
ribellione giovanile. Così come per la società la via più facile di comprendere il diverso è
l'additarlo a nemico, renderlo nell'immagine comune causa di tutti i mali, i quali spesso
sono causati in primis da un'asimmetria creata dalla società stessa fra dominati e
dominanti.
Se consideriamo la teoria dell'etichettamento, una persona considerata deviata sarà
etichettata come tale, di conseguenza tramite la mancata accettazione da parte della
società e l'isolamento la reiterazione della devianza sarà ovvia.
19 http://issuu.com/greenagermagazine/docs/tesi_def_lalla
20 Marco Philopat, Costretti a sanguinare, Milano, Shake, 1997 . Nel libro sono presenti estratti, fotografie e scansioni delle
principali punkzine, presenti anche in Lumi di punk - La scena italiani raccontata dai protagonisti, Milano, Agenzia X,
2006 dello stesso autore.
Ma il punk non è questo. Il desiderio di rottura che nasce è dovuto al non rispecchiarsi
nella società di appartenenza, e in particolare nella società odierna, nel concetto di
mainstream, della cultura come mercificazione, della moda come dettame di grandi case
stilistiche che decidono a tavolino cosa è ''bene'' vestire e cosa è ''male''.
Non si può analizzare il movimento punk senza capire bene tutti i punti, soprattutto nel
contesto italiano. Perchè nel movimento stesso si rischia di ricadere in contraddizioni,
come si vede nel caso dei Sex Pistols e della spettacolarizzazione della loro sovversione,
che può essere interpretata come una mera manovra di marketing. Il punk si sta
assorbendo, nella società odierna, perchè la società tende a voler controllare ciò che
vuole andarle contro. Un esempio è l'industria della moda, che ora confeziona vestiti che
parecchio si avvicinano a quello che è il DIY. Sono sempre più accettate le modificazioni
corporee e i piercing, e anzi quasi diventano un elemento ''fashion''.
Ma non per questo si può ritenere che la lotta del punk sia stata persa, ogni sgombero di
un centro sociale (dove poi gli edifici sono stati di nuovo abbandonati o dove poi il luogo è
stato ritrasformato in locali per la medio borghesia) ha comportato il crearne degli altri; il
Virus può essere considerato letteralmente un virus, che si è insediato nelle fasce
giovanili di Milano per poi diffondersi in tutta Italia con la sua etica DIY ancora attuale.
Ancora esiste l'autoproduzione, spesso facilitata dall'avvento della tecnologia e di
internet. La diffusione non si limita più ai volantini, ma ad interventi online, sui social
network, attraverso le punkzine online (“blogzine”). Questo ha permesso al movimento
maggiore visibilità, senza mai distaccarsi dal ricordo del passato: sono presenti infatti
online (e quasi sempre in free streaming) documentari e video dei primi anni del punk in
Italia. Molti autori scelgono di condividere materiale, interviste, libri sull'argomento; come
nel caso di “Agenzia X” che si impegna a una diffusione di ebook gratuiti e consultabili da
tutti.
Quindi, nel celebre diverbio fra “Il punk è vivo” e “Il punk è morto”, si può ritenere che il
punk è ancora vivo, nella misura in cui si sceglie il movimento per la sua natura
ideologica, per la sua etica DIY totalmente antimercato, se si sceglie di promuovere le
scene locali, l'ideologia dell'autogestione, perchè ancora oggi sono presenti molte delle
problematiche italiane che c'erano alle origini del punk in italia: la concentrazione dei
mezzi di comunicazione in poche mani, una logica del consumo spietata più che mai, una
forte differenza fra chi detiene il potere e chi lo subisce, l'andamento comune dei
dominanti di seguire il loro utile senza tenere conto di tutte le fasce della popolazione a
loro subordinate. Ritengo quindi che un movimento che decide e porta avanti iniziative
contro questa configurazione presente nel nostro Paese, non può essere ritenuto
deviante. Infine, se ci si discosta dalla vulgata comune e di lieve terrorismo mediatico che
accompagna spesso la definizione dei punk, si scopre un movimento dove principi
fondamentali sono l'uguaglianza (di diritti, di informazione, di parola, di espressione),
contro il sessismo e il razzismo, il pacifismo e una critica al degrado urbano attuale.
6. Bibliografia
Jon Savage, Il sogno inglese - Quando i Sex Pistols e il Punk Rock diedero alle
fiamme il Regno Unito; Arcana, 2002
Diego Nozza, Hard core - Introduzione al punk italiano degli anni Ottanta; CRAC
Edizioni, 2011
Marco Philopat, Lumi di punk - La scena italiani raccontata dai protagonisti, Milano,
Agenzia X, 2006
http://stylefluidtrendz.blogspot.it/2013/02/punk-fashion-at-new-yorks-
metropolitan.html
http://csacapolinea.noblogs.org/post/2014/11/17/domenica-7-dicembre-
fattoamano-fattoameno/
http://www.vice.com/it/read/anti-mtv-day
http://antimtvday10zine.tumblr.com/
http://en.wikipedia.org/wiki/Punk_zine
http://en.wikipedia.org/wiki/Sniffin%27_Glue
8. Video
Odeon - Punk Rock a Londra 1977: https://www.youtube.com/watch?
v=z7Zd_GrLhxI