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C H A R L E S F R I E D R I C K W O R T H

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Charles Friedrick Wroth nacque in Inghilterra nel 1825 da una famiglia borghese, iniziò la sua carriera professionale
intraprendendo un apprendistato presso le ditte di tessuti londinesi Swan & Edger e Lewis & Allenby prima di recarsi a
Parigi nel 1845.

A Parigi lavorò inizialmente come commesso alle vendite a La Ville de Paris e successivamente come addetto alle
vendite da Gagelin. Ben presto, fu messo a capo del reparto scialli e mantelli e qui incominciò ad introdurre la prima
innovazione: utilizzare una commessa come modella (la sua futura compagna Marie) per presentare i capi. Insieme a
questi, per risaltarli, decise di realizzare die semplici abiti che da subito attirarono l’attenzione delle clienti che
iniziarono a volerli.

Fu così che nei reparti dei magazzini fecero la comparsa le nouvatés confectionnées. Gagelin fu la sola ditta a
presentare nel 1851 all’Esposizione Universale di Londra una produzione di capi pronti, riscontrando pareri
principalmente negativi dalla giuria, ancora non pronta a questa grande rivoluzione. Nel 1855 all’Esposizione
Universale di Parigi, i tempi sembrarono già più maturi e il successo arrivò nella vincita della medaglia per la sezione
“Confezione di articoli di abbigliamento e di fantasia”.
Questi risultati positivi portarono nel 1853 Worth ad entrare in società con il nuovo proprietario del magazzino, ma nel
1858 il sodalizio si sciolse.

Nel 1860 aprì in Rue de la Paix (zona leggermente decentrata rispetto alle raffiche aree della Parigi aristocratica) la
Worth et Bobergh. La nuova Maison vendeva stoffe e proponeva abiti esclusivi progettati da Worth. Questa fu la nascita
dell’ haute couture.
La scelta non competeva più ad una confusa signora, ma veniva delegata a qualcuno che si accollava questo compito
rendendolo professione.

L A S O C I E T A ’ D E L S E C O N D O I M P E R O

Quella del Secondo Impero era una corte di parvenu che governava una società di borghesi ai limiti della legalità; la
riedificazione di Parigi voluta dal barone Haussmann si rivelò una prodigiosa fonte di speculazione e le ricchezze si
costruivano in tempi rapidissimi.
Secondo le parole di Emile Zola “La città era una grande orgia di milioni e di donne. Il vizio scorreva mei rivoli delle
strade… Parigi era diventata una città folle del suo oro e della sua carne”.

Questa società cercava di dare al proprio denaro un’immagine capace di rendere visibili i propri tronfi; il colpo di Stato
del 1851 aveva trasformato un socialista in un imperatore, che con lui aveva portato al potere un intera classe dirigente
affamata di ricchezza e di lusso, che però necessitava di mascherare. Da un lato vennero recuperate le vecchie
etichette di corte, dall’altro c’era la necessità di un nuovo modello estetico e comportamentale da seguire: l’imperatrice
fece sua l’estetica dell’ultimo periodo dell’Ancien Règime e la moda si adeguò e la crinolina raggiunse dimensioni
esagerate per adeguarsi al desiderio di revival.

L A M O D A D I W O R T H

Worth si inserì in questo contesto, proponendo vestiti più semplici, in cui i maestri tagli s’incaricavano di scaturire una
struttura perfetta. La sua fama iniziale derivò da un modello da sera dall’aspetto lieve, confezionato con un tessuto
pesante ricoperto di tulle di seta. La novità del doppio strato non contraddiceva l’intento sociale, anzi lo faceva risultare
ulteriormente lussuoso; l’ingombro del vestito veniva mascherato e la sua pesantezza annullata da questa nuvola
leggera.

Per raggiungere un successo innegabile era, però, necessario conquistare l’imperatrice e utilizzare l’immagine della
corte per accreditarsi nei confronti del pubblico borghese. L’obiettivo fu raggiunto nel 1860, Marie Worth fu mandata da
una vera aristocratica, la moglie dell’ambasciatore austriaco a Parigi, per esporre alcuni figurini, la quale ordinò due
modelli suscitando un interesse che aprì le porte dell’alta società.

Raggiunta la fama ora Worth poteva incominciare ad apportare i primi veri cambiamenti: utilizzando la nuova vetrina
costituita dalle corse dei cavalli, presentò un nuovo coprispalle in merletto di dimensioni ridotte e un cappello che
lasciava vedere l’acconciatura. Si trattava di particolari per la prima volta non imposti dal capriccio di qualche signora
alla moda, ma da un sarto. Gli abiti realizzati da Worth in questo periodo non hanno però alcun tipo di riscontro su
riviste, erano ancora talmente esclusivi da non avere testimonianze visive (solo dai ritratti di corte è possibile cogliere
alcuni elementi stilistici, ad esempio stelline argentate applicate sul tulle di Elisabetta d’Austria).

Il 1864 fu l’anno dell’affermazione: Worth divenne fornitore ufficiale dell’imperatrice. A questo punto poteva porre
proposte davvero innovative:

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- Per Eugenia, che aveva una forte passione per le passeggiate, tolse l’impaccio creando un abito il cui orlo di fermava
alla caviglia.
- Modifico la forma della crinolina, riducendola drasticamente sul davanti spostando l’ampiezza sul dietro che assunse
la forma di un breve strascico. La diminuzione del tessuto nella gonna fu compensata dall’introduzione di una
sopragonna lunga fino al ginocchio. Nel 1869 la crinolina si ridusse ulteriormente raggiungendo le dimensioni di un
piccolo seggiolino che sosteneva il retro della gonna, il tournure.

D A L S E C O N D O I M P E R O A L L A T E R Z A
R E P U B B L I C A

La proposta di Worth divenne vincente negli anni 70: la vecchia classe dirigente venne spiazzata via dalla guerra
Prussiana e Parigi fu sottoposta ad un lungo assedio e all’esperienza della Comune.
In questi frangenti Worth fu costretto a chiudere la Maison, che per riaprì subito dopo trovandosi davanti una borghesia
immutata: chiedeva di trovare nuove forme di lusso e il passato divenne sempre più di moda. La posizione di Worth
divenne ancora più centrale e assoluta, con la fine della corte francese ora il couturier assunse il compito di arbitrio
unico del gusto e della moda e divenne interprete estetico dei nuovi modi di vita.

I L T R I O N F O D E L R E V I V A L

In questi anni l’ispirazione venne da quadri celebri, nello specifico per ricavare dettagli: le forgie rimanevano quelle
consolidate, però i tessuti, i particolari e le decorazioni si arricchivano di richiami al passato. Dal 1500 e dal 1600
furono ripresi i colletti a lettura e le ampie maniche, mentre il 1700 rappresentò per Worth una fonte di ispirazione
inesauribile per quanto riguarda gli engageants, i fichu e i nastri da collo.

Tutta questa ricchezza fece sparire la linea verticale dei primi anni ottanta e fece tornare di moda la tournure. Non era
più il rigonfiamento di criniera, ma una piccola gabbia metallica dalla struttura squadrata destinata a sostenere un vero
e proprio ampliamento posteriore della gonna.

G L I A N N I N O V A N T A

All’inizio degli anni ’90 Jean Philippe, il figlio maggiore di Worth, assunse la maggior parte dei compiti creativi. In
questo periodo si diffuse un ampio interesse nei confronti del Giapponismo, Worth non ne fu un grande promotore
tuttavia adottò per i proprio abiti decori, tessuti e ricami riferiti a quella corrente. Il tema ricorrerà anche negli anni
successivi, concessione fatta anche per il nascente gusto Art Nouveau.

Abbandonata per una seconda volta la tournure, la figura femminile assunse quell’andamento verticale già visto nei
decenni precedenti. La donna fu alleggerita e prese una forma a campana. L’ispirazione è probabile provenisse dal
movimento Reform che si stava affermando in quegli anni.
Pur conservando il busto steccato l’abito si alleggerì e si semplifico. La gonna a campana con il breve strascico venne
a volte accompagnata con corpetti aderenti.

Furono di fatto i primi sentori di una nuova epoca, ma i movimenti secessionisti che avrebbero scosso i primi anni del
novecento non erano ancora giunti, e Worth sapeva che le signore che si vestivano da lui volevano essere alla moda
senza troppe rivoluzione e per questo furono bloccate nuovi revival.
Fu presa come struttura base quella dell’abito Impero molto semplice, abbinate alle maniche a gigot, che dando alla
spalla una forma arrotondata dovevano controbilanciare la semplicità delle linee dell’abito.

Charles Frederik Worth morì nel 1895, lasciano la ditta nelle mani del figlio e successivamente del nipote, che negli anni
continuarono a conservare una posizione di rilievo nel panorama dell’haute couture.

I L R U O L O D E L C O U T U R I E R

Harper’s Bazar scrisse sul finire del 1800 “il nome di nessun francese contemporaneo era più conosciuto di quello di
Worth”. Per arrivare a questo risultato Worth aveva lavorato con impegno e consapevolezza.
Era riuscito già dai primi anni del suo operato a significare qualcosa per le signore dell’aristocrazia; volevano le sue
idee, si affidavano con fiducia, per loro la firma sul loro era sufficiente per garantire qualità.

Worth decise di comunicare tutto questo utilizzando i segni di altri professionisti del gusto e dell’estetica: gli artisti. Egli
modificò il proprio aspetto professionale in modo eccentrico e si atteggiò sempre da tiranno nei confronti delle sue
clienti. Questo travestimento era finalizzato a rafforzare l’idea di originalità del prodotto e di conseguenza di proprietà
intellettuale.

Fino a quel momento le mode nascevano per il diffondersi ed essere copiate, ora autentico diventava solo l’abito cucito
all’interno della maison e corredato dall’etichetta. L’autenticità era la parte più importante del valore dell’oggetto: il
Couturier non era più solamente un artigiano, ma rivendicava un ruolo da lavoratore intellettuale. Worth convinse le sue

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clienti di essere le elette di un paradiso per pochi che imponeva rigidi rituali ed era aperto solo a presentazioni
attraverso rete sociale.

Questa idolatrazione ed esclusività erano necessarie per il successo della Maison, come già accennato fino al
Secondo Impero non sono i grandi couturier che decretano le mode, quindi il sistema commerciale che nel tempo
Worth riuscì a costruire si articolava in modo armonico attraverso una complessa trama di clienti. Wroth riuscì a
piazzarsi in una posizione privilegiata e riuscì a coordinare le esigenze di Aristocrazia e Borghesia, che decretavano le
mode, e il demi monde, che lanciava i trend e le proposte più eccentriche.

L E C L I E N T I D E L L A M A I S O N W O R T H

Le clienti di Worth erano le più disparate donne di corte dell’epoca (leader nella moda e nell’eleganza), spaziavano
dall’imperatrice Eugenia, alla zarina di Russia, all’imperatrice d’Austria. Ma fra le sue clienti ci furono numerosissime
attrici, cantanti e cortigiane di successo e rappresentarono un tramite indispensabile col grande pubblico, attraverso il
pettegolezzo e l’ammirazione di parlava di loro e delle loro parure.

Attraverso sistemi di comunicazione e diffusione (riviste, eventi mondani) studiati nel minimo dettaglio, la moda di Worth
arrivò ad un pubblico vastissimo, fino a stregare l’America, dalla quale sempre più donne iniziano a recarsi a Parigi per
rinnovare il proprio guardaroba.

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A N T I M O D E E A B I T I D ’ A R T I S T A
M O V I M E N T I R E F O R M

Preoccupati dal processo di omologazione in atto si iniziò un dibattito culminato nel 1851 con l’Esposizione Universale
di Londra; in questa occasione furono esposti oggetti dal gusto revival. Le reazioni furono all’inizio di richiamo ai
principi originari della cultura borghese: la sobrietà, la funzionalità, il modello di vita operoso.

Nel 1851 Mrs. Bloomer decise di adottare un abbigliamento più pratico e comincio ad indossare gonnellini con
pantaloni alla turca; la provocazione ebbe un’eco clamorosa, in moltissimi gridarono allo scandalo. Amelia Bloomer
perseguiva già da moltissimi anni il voto per le donne e insieme a questo un abbigliamento che consentisse loro di
muoversi senza problemi (convinzioni pericolose e sconvenienti al tempo).
Ma l’Occidente non poteva ancora accettare che una donna indossasse l’indumento simbolo della mascolinità, ma in
fono nemmeno le donne erano pronte per affrontare questo tabù, perciò Amelia Bloomer dovette abbandonare questa
idea.

Nel 1881 la Rational Dress Society in Inghilterra riaprì il dibattito circa la comodità delle vesti femminili, in particolare
concentrandosi sulll’immagine del busto che impediva il movimento ed era spesso causa di
malformazioni. Si tentò dunque di legare la riforma dell’abbigliamento femminile al processo di emancipazione della
donna, cogliendo la crescente attenzione preoccupazione della borghesia più tradizionale nei confronti dell’igiene e
della salute personale.
Secondo questa associazione l’invalidità sociale si manifestava attraverso un invalidità fisica delle donne, ma solo
quando ci si rese conto che l’uso del busto potesse privare le donne del loro compito più altro, la procreazione, i medici
iniziarono ad essere ascoltati e il busto cadde in disuso.

I P R E R A F F A E L I T I

Alla fine degli anni 40 nacque il gruppo dei Preraffaelliti. Questi pittori iniziarono ad ideare degli abiti coerenti con la loro
ideologia rappresentativa; Dante Gabriel Rossetti ideò indumenti morbidi con ampie maniche drappeggianti sul corpo
che riprendevano le iconografie delle madonne quattrocentesche. Altri si concentrarono su vesti vesti medievali, altri
ancora in seguito all’apertura del canale d SUEZ e il conseguente ingresso di merce orientale in Europa rimasero
affascinati dalla possibilità di creare una sintesi fr mail gusto occidentale e raffinatezze nipponiche

Questo gruppo coinvolse anche William Morris che creò l’Art and Crafts, un movimento nato con lo copi di ridiscutere
alla base il gusto delle arti decorative e il modello di produzione capitalistica per combattere la spersonalizzazione del
lavoro. Questo immettendo sul mercato oggetti che avessero tutte le caratteristiche di un prodotto unico nel suo genere
pur essendo riproducibili industrialmente.
Era la proposta di società in cui il lavoro e la creatività artigianale erano la base di una coesione sociale e fondamento
stesso di convivenza.

I L K I I N S T L E S K L E I D

Il progetto di una riforma del modello culturale borghese si diffuse in tutta Europa, lo scopo era creare un modello che
rispettava la bellezza del corpo e rispecchiava l’armonia fra soggetto e natura.
Il progetto di un modello che rivoluzionasse lo spazio della vita quotidiana era finalizzato ad una sorta di missione
educativa, indurre l’abitudine ad un gusto più colto e raffinato, quindi costringere la società borghese a operare un vero
e proprio salto culturale. La rivoluzione del sistema delle arti applicate, che avrebbe dato origine al moderno design,
aveva infatti anche l’obiettivo di intervenire sul sistema produttivo industriale spersonalizzato che si andava affermando.

L’idea di Morris, si diffuse presto infatti nei paesi d’aria tedesca e provoca la nascita di diversi movimenti secessionisti.
Nel 1900 Friedrich Deneken organizzò una mostra dedicata all’abbigliamento, era la prima volta che degli indumenti
venivano esposti in un museo e questo sancita il loro diritto ad essere considerati opere d’arte. L’iniziativa ebbe così
tanto successo che negli anni seguenti esposizioni analoghe furono organizzate in altre città contribuendo alla
diffusione della moda Reform.

Certamente più rivoluzionari furono i risultati raggiunti da Gustav Klimt a Vienna, i suoi vestiti sono vicinissimi al gusto
dei suoi quadri e suggeriscono l’idea di una versione occidentale della morbidezza degli indumenti etnici orientali. A
Vienna esisteva un vero e proprio luogo dedicato alla ricerca sull’abito d’artista la Wiener Werkstatte; una vera e propria
scuola di arti applicate fondata da Hoffman nel 1903, che dal 1911 ebbe un laboratorio dedicato ad hoc per la moda.
Il clima Viennese ispira fortemente Poiret, quindi si può dire che la scuola viennese contribuì in modo importantissimo a
modificare la moda Parigina

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A B I T O A L L A G R E C A

Schliemann negli anni ’70 aveva riportato alla luce Troia, Micene e Tirinto e le foto di sua moglie ricoperta di monili del
tesoro di Priamo fecero il giro del mondo, suscitando stupore e curiosità ovunque.
Era inevitabile che tutto ciò avesse un impatto anche sulla moda, l’idea di un ritorno all’abito delle origini si andava
diffondendo in ambiti culturali molto lontani e diversi tra loro, ma il vero interprete moderno dell’abito greco fu Mariano
Fortuny.

Mariano Fortuny reinventò il modello del chitone e lo tradusse in una tunica, il Delphos, di straordinaria bellezza. La
ricerca di Fortuny si seste ai sistemi di taglio degli indumenti orientiate e alla creazione di tessuti adatti. Grazie a lui non
ritrattava più di costumi di scena, ma di vestiti che furono indossati per decenni da donne appartenenti ai più diversi
gruppi di élite sociale e culturale.
In tutti i modelli di Fortuny l’equazione corpo/donna/bellezza era raggiunta, aveva creato un alternativa all’abito con
corsetto che avrebbe lentamente, ma inesorabilmente condizionato le future trasformazioni vestimentarie.

M O V I M E N T I F U T U R I S T I

Il primo decennio del nuovo secolo vide nascere una nuova forma di ricerca; la avanguardia.
Il gruppo futurista comunico la propria idea della modernità e dell’arte attraverso un manifesto pubblicato su un
quotidiano francese. I diversi manifesti che seguirono il primo riguardarono tutti i campi d’azione della nuova ideologia.
I miti futuristi erano la metropoli, la macchina e la tecnologia, di fatto una rottura completa con le estetiche del revival; la
macchina, la luce elettrica, il cinema, i rumori delle tecnologie erano le forme d’arte del presente, la nuova bellezza.

Gli artisti futuristi incominciarono ad adottare il colore e l’asimmetria. Balla realizzò per se stesso abiti innovativi in cui
forme e ritmi cromatici dovevano conferire effetti dinamici. Nel 1914 fu pubblicato Le vetement masculin futuriste.
Manifeste, in cui Balla prese le distanze dall’aspetto desolante, funerario e deprimente del costume del momento.

Negli anni successivi i futuristi diedero forma concreta alle loro ideologie, aprendo diversi laboratori in cui realizzare
oggetti d’arte applicata dalle forme eccentriche e innovative, ma la collaborazione tra futurismo e moda fu pressochè
assente, anche perché la ricerca si dedicò in modo molto più teorico che pratico.

C O S T R U T T I V I S M O E R I V O L U Z I O N E
R U S S A

La Russia post rivoluzionaria aveva un sogno, costruire una società completamente nuova. Dopo il 1917 lo scopo era
creare un abbigliamento per tutti che non comunicasse più i segni della distinzione di classe, uno scopo che richiedeva
un ripensamento produttivo: abiti per le masse equivale ad una produzione industriale di massa e la Russia non aveva
ancora una tradizione nel campo della confezione.

Il nuovo percorso incominciò nel 1919 con la creazione di laboratori, che ricevettero l’ordine di dare una nuova forma
estetica alla società sovietica. L’arte deve essere presente in ogni ambito della vita quotidiana, deve sviluppare il gusto
e il senso artistico del popolo. L’arte, per Stalin, appartiene al popolo e l’abbigliamento aveva ricevuto lo scopo di
produrre abiti semplici con stoffe a buon mercato che avessero legami con la tradizione popolare russa.

Nonostante la grande adesione da parte di sarte e artisti al progetto rivoluzionario, il progetto si scontrò con la realtà
dei fatti: l’arretratezza del sistema produttivo sovietico non consentiva una vera produzione di massa; perciò la maggior
parte dei progetti rimasero irrealizzati. Nonostante ciò, molte delle idee sviluppate nella prima fase rivoluzionaria
trovarono la strada della moda attraverso la produzione delle maison parigini.

La prima guerra mondiale portò una rivoluzione nell’abbigliamento femminile: le gonne si accorciarono, la linea si fece
sempre più diritta, il taglio si semplificò in modo deciso. Le nuove forme d’arte e il gusto recò, erano ingrato di mettere
a disposizione della moda una nuova concezione della decorazione dell’abito e furono numerose le case di moda che
crearono il contributo degli artisti (questo lavoro interesso molti dei russi trasferitasi a Parigi in seguito alla Rivoluzione
d’ottobre)

T H A Y H A T

Thayaht o Ernesto Michahelles faceva parte di una ricca famiglia cosmopolita che visse a Firenze. Nel suo periodo di
formazione compi molti viaggi per il mondo e questo sicuramente influenzò la sua creatività, definita spesso poliedrica.
Nel 1920 propose la tuta, indumento già esistente ma che lui riprese e riadattò alle nuove esigenze della guerra. Si
trattava di un indumento comodo, composto da camicia e pantaloni abbottonato davanti e sostenuto da una cintura;
utilizzabile per ogni occasione e in qualsiasi stagione.

Si trattava di una rivoluzione e per questo lui già nel 1919 collaborava con Madame Vionnet, la quale con lui nel 1922 la
depositò il brevetto della tuta da donna (realizzata per quelle donne avventuriere che nel dopoguerra iniziarono a salire

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su aree e praticare sport) che era una sorta di camicione da uomo allacciato in vita con una cintura realizzato con in
tessuti raffinati della haute couture francese.

S O N I A D E L A U N A Y

Nata in Russia e vissuta tra la Germania e la Francia, sin da subito si era dedicata al cubismo e nel 1906 studio pittura
con Pablo Picasso.
Il primo incontro con il mondo della moda, lo ebbe in ambito familiare, dove iniziò a confezionare abiti per se stessa. Fu
dopo un viaggio in Spagna che maturò il coraggio di iniziare una carriera nel mondo dell’abbigliamento; nel 1922
cominciò a progettare abiti simultanei attraverso stoffe decorate con forme e colori che creavano giochi ottici
simultanei.

Gli abiti suscitarono molto successo in Francia ma anche all’estero e negli Stati Uniti. Da qui nacque l’idea di aprire un
atelier, che ben presto si specializzò nella realizzazione di tessuti attraverso stampe a matrici incise.
I suoi clienti erano le più grandi maison parigine, che le commissionavano tessuti in esclusiva realizzati su misura per
lei da industriali tessili.

La vera rivoluzione apportata da Sonia Delaunay, non è nell’abbigliamento in se, ma nella ricerca del decoro, in cui fu
senza alcun dubbio una vera e propria pioniera. In un intervista espresse lei stessa il desiderio di rendere il tessuto
come la sua massima e più sincera espressione artistica, attraverso l’illusione e la commistione di colori riusciva a
creare un nuovo mondo di forme, proprio come se i colori fossero note e lei un abile musicista.

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P A U L P O I R E T
( 1 8 7 9 - 1 9 4 4 )
G L I E S O R D I

Agli inizi del 900 l’haute couture rappresentava il modello di punta della moda. All’ Esposizione Universale di Parigi
esposero più di dieci maison di ottima qualità e una ventina di onorevole reputazione.

Poiret era figlio di un commerciante di tessuti, terminate le scuole inizio a lavorare per una ditta che produceva ombrelli,
ma ben presto si rese conto che la sua vera passione era la moda; iniziò infatti a vedere i propri figurini e le idee di
moda e poco dopo trovò il suo primo impiego presso Doucet. Qui imparò l’importanza dell’ultimo tocco, che poteva
rendere un abito perfetto, ma doveva essere aggiunto sulla persona che doveva indossarlo. Doucet vista la spiccata
estrosità dei disegni di Poiret lo indirizzò alla confezione di abiti teatrali, ma poco dopo fu licenziato.

Trovò lavoro da Worth e tentò in vano di rinnovare l’immagine della maison, essendosi reso conto che gran parte della
clientela fidelizzata era ormai invecchiata e non significava più in un buon ritorno di immagine. Tentò l’impresa con un
tailleur dalle linee semplici, ma il progetto non andò in porto poiché i proprietari non avevano ben in mente cosa
volessero ed era chiaro che questo rapporto lavorativo non avrebbe dato i suoi frutti.

M A I S O N P O I R E T

Nel 1903 Poiret aprì la sua maison, ma non aveva una vera fama personale a cui legare il proprio esordio. Doveva
attirare l’attenzione necessaria per iniziare il suo progetto di moda, e con questo scopo pensò di utilizzare le sue vetrine
e di allestirle con delle vere e proprie esposizioni (autunno pieno di foglie, inverno magia della neve).

La sua moda nacque sotto il segno della semplificazione e dell’innovazione delle linee. Il suo primo capo fu un mantello
kimono, chiamato Confucius, che sancì l’inizio dell’influenza orientale orientale sulla moda occidentale. Questa
influenza si leggeva nella decorazione e nella confezione oltre che nella forma stessa del capo.
Certamente Poiret non fece nulla di nuovo, la moda giapponesista aveva già preso largo piede nelle vetrine parigine,
ma lui face di più: occidentalizzò un capo già presente nei guardaroba occidentali come biancheria da letto, e lo
trasformò in un soprabito.

La sua rivoluzione più grande avvenne subito dopo l’allargamento della sua maison e dopo il matrimonio con. La
moglie Denise che divenne la sua musa. Qui Poiret eliminò il busto che costringeva il corpo femminile e il primo abito
senza corsetto fu indossato dalla moglie.
E’ vero però dire che Poiret non eliminò definitivamente il busto, ma lo sostituì con una guaina più lunga, ma in ogni
caso questo fu un grosso passo avanti in vista di una progressiva naturalizzazione delle forme femminili.

I S P I R A Z I O N E N E O C L A S S I C A

Poiret da quel momento incominciò a lavorare sulla nuova linea e trovò la sua ispirazione negli anni del direttorio,
prendendo gli elementi fondamentali di tale modello vestimentario ottenne un modello diritto a vita che fu abbinato a
suggestioni orientali e stoffe colorate.
Egli apportò alla tavolozza dei tintori delle grandi modifiche, fino a quel momento si apprezzavano solo sfumature del
rosa cipria e colori pastello, ora invece con Poiret si iniziarono ad usare colori come il rosso, il viola, il blu. Il modello
chiave della collezione fu il Josephine, abito impero con rete oro e rosa appuntata sono il seno.

Avendo attuato una grande rivoluzione, Poiret doveva trovare il modo per comunicarla nel modo più efficace possibile.
Decise di agire da solo trovando un artista in grado di comunicare il suo messaggio secondo le nuove necessita del
Couturier; nel 1908 uscì Le robe del Paul Poiret racontèes par Paul Iribe. Il linguaggio grafico usato non poteva essere
diverso, l’ispirazione alle stampe giapponesi erano evidenti: bidimensionalità, colore piatto e uniforme, figure alte. Con
questo progetto Poiret dichiarava la propria attenzione per il mondo delle arti figurative.

L ’ I M M A G I N E P O I R E T

Ad Iribe fu affidata anche la realizzazione del marchio a forma di rosa della maison. Poiert in seguito decise di trasferire
anche la maison in una nuova sede, un hotel particulier e ristrutturarlo per poter garantire una cornice adeguata al suo
progetto moda e ai suoi modelli.
Il parco di questa nuova sede fu utilizzato da Poiret come secondo marchio e fu utilizzato per decorare scatole o
addirittura per ospitare sfilate, eventi e feste.

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O R I E N T A L I S M O

Tra il 1909 e il 1910 iniziò a Parigi la stagione del Ballet Russes, la danza iniziava ad aprirsi alla sperimentazione di
storie e luoghi esotici da favola, ma ciò che più colpi gli spettatori furono i costumi e le scene che in un tripudio di
dettagli diventarono i veri e propri mirabolanti protagonisti dei palchi parigini.

Tutti notarono una grandissima somiglianza tra i nuovi costumi di scena e i modelli di Poiret, infatti da questo momento
in poi scomparirono dalle sue collezioni i richiami al Direttorio e si fecero sempre più forti quelli delle culture etniche.

La donna che Poiret iniziava ad avere in mente era una signore del bel mondo che non doveva avere alcun rapporto
con la vita reale, non doveva essere più madre, ma femme fatale oggetto di desiderio e di lusso.
L’iconografia Art Nouveau ne aveva offerto una traduzione naturalistica e favolosa. Poiret presentò la prima jupe-culotte,
realizzazione che non passò inosservata, ma Poiret non voleva essere rivoluzionario si trattava di un paio di pantaloni
da donna da harem da portare come abito da casa.

L’immagine di una donna colta affinata a contatto con l’idea di Oriente che veniva dalle Mille e una notte era l’immagine
di lusso che Poiret voleva vendere alle proprie clienti. Il nuovo album in cui tutto questo doveva essere espresso fu
affidata a Lepape, che era molto più sensibile al colore e alla pittura giapponese.
Il nuovo album invitava le donna ad una vita pigra, morbida e lussuosa circondata da cuscini e tende colorate.

L A F E S T A D E L L A M I L L E D U E S I M A N O T T E

Poiret utilizzò qualsiasi mezzo a sua disposizione per far parlare i giornali. Nel 1911 riorganizzò presso il suo atelier una
festa in costume che ebbe del leggendario che aveva come unico scopo mettere in scena la sua immaginazione.
La casa era coperta di pesanti tendaggi, sembrava veramente il palazzo di Aladino. Autentiche musiche persiane
risuonavano per gli ambienti finemente decorati con cuscini, luci nascoste. Vi erano scimmie, serpenti, pappagalli.
Gli ospiti venivano serviti da uomini e donne di colore con ogni sorta di bevande, avvolti da odori di incenso.

L A S E C E S S I O N E V I E N N E S E E L ’ A T E L I E R
M A R T I N E

Per lui la comunicazione era la base del suo successo, ed effettivamente non stette mai seduto aspettando che il suo
successo aumentasse. Nel 1910 organizzò un imponente iniziativa facendo un tour tra le più importanti città d’Europa
per promuovere le sue collezioni.
Durante questo viaggio ebbe la possibilità di entrare in contatto con realtà diverse da quella francese e diversi
movimento artistici. L’esperienza russa gli offrì una serie di elementi decorativi popolari, fu però l’incontro con Gustav
Klimt a suggestionarlo maggiormente.

La suggestione fu tale da scaturire in lui la condizione che la confezione di abiti facesse parte di un più generale
movimento di gusto e questo aveva guidato il comportamento di Poiret ancora di più verso gli artisti. Nel 1911 aprì
l’atelier Martine, uno spazio in cui un gruppo di ragazzine dava libero spazio alla creatività nelle arti applicate. Secondo
Poiret questa iniziativa poteva fornire una ventata di novità nell’ambito della moda infatti, la ricerca del nuovo poteva
venire solo da chi non era stato ancora plasmato dalla cultura figurativa dominante o da rigidi metodi di insegnamento.
L’atelier Martine fu dotato di un punto vendita e partecipò a varie esposizoni, ma la sua produzione ebbe sempre un
tratto un pò dilettantesco e quindi non raggiunse mai quel valore di rottura estetica che Poiret sognava.

Destino diverso ebbero l’atelier di cartonage Colin per la realizzazione di oggetti pubblicitari e il profumo, il primo
creato da un couturier (la scatola e la boccetta furono curate da Colin e Martine. Queste iniziative ebbero molto
successo sulle riviste specializzate e sancirono maggiormente il successo di Poiret che fu a pieno titolo accettato nel
mondo degli artisti.

Nel 1913 Poiret e la moglie partiranno alla volta degli Stati Uniti per pubblicizzare la maison sul mercato americano, fu
un periodo molto felice e il successo fu elevato.

G L I A N N I D I G U E R R A

Durante gli anni di guerra la Francia tentò di salvare la produzione di moda, che poteva essere un valido sostegno allo
sforzo bellico. Nel 1915 al Ritz Carlton di New York fu organizzata da Vogue una presentazione della moda francese a
sostegno della Francia alla quale Poiret sfilò.
Nel 1996 lanci u n profumo patriottico Mam’zelle Victoire, sperando potesse essere di buon auspicio.

I L D O P O G U E R R A

Poiret usciva dall’esperienza duramente provato economicamente, l’azienda versava in serie difficoltà. Si prese una
pausa e partì alla volta del Marocco da cui tornò carico di voglia di fare e di idee.

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Installò nel proprio giardino una rena magrebina, che chiamo Oasis, e cercò di riunire tutte le vecchie glorie della Belle
Epoque parigina. Le sue collezioni divennero sempre più sapienti e lussuose e questo non fece altro che relegare la
sua produzione all’ambito teatrale, molto probabilmente il pubblico dell’haute couture si stava allontanando dalla sua
idea di lusso sfrenato e si stava avvicinando alla moda à la garconne di Chanel.
Nel 1924 dovette affidare la Maison a una società di banchieri ma le idee che propose furono sempre apprezzate dalla
critica ma non dal pubblico che disertò la Maison, che dal 1927 continuò senza di lui.
Dal 1930 si dedicò alla pittura fino alla sua morte.

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C O C O C H A N E L
( 1 8 8 3 - 1 9 7 1 )

G L I I N I Z I

Chanel da sempre fu un personaggio caratterizzato dalla personalità difficile, terrorizzato dalla solitudine e impegnato
in una continua battaglia contro il mondo. Chanel raccontò sempre la sua vita come una sorta di favola che di volta in
volta modificava per nascondere parti del suo passato che la ferivano. Fonti d’ispirazione durante la sua carriera furono
la sua vita, le persone che amò e gli ambienti che frequentò, ai quali rubò gli indumenti per dare forma
all’abbigliamento di un modello ideale di donna emancipata.

Nacque nel 1883 da padre venditore ambulante e la madre, che morì poco dopo aver messo al mondo il quinto figlio. Il
padre la abbandonò e insieme alla sorella fu mandata in un orfanotrofio a Aubazine. A diciotto anni dovette lasciar
l’orfanortrofio e si rifugiò presso il pensionato di Notre-Dame a Moulins, dove in cambio del suo lavoro ricevette un
educazione in arti domestiche.

Gabrielle e Adrienne, passarono un anno a lavorare per un piccolo negozio di biancheria e maglieria, prima di decidere
di mettersi in proprio e aprire una piccola attività, questo permise loro di iniziare a frequentare la vita sociale (Chanel
tentò al carriera di cantate di cui però rimase soltanto il soprannome Coco). Fu in questo clima che incontrò Etienne
Balsan, che la convinse a trasferirsi a Royallieu; Chanel scoprì così un altro mondo quello delle scuderie e delle corse e
ebbe modo di sperimentare: lo sport professionale e il mondo delle irregolari (le compagne socialmente irregolari di
giovani ricchi o aristocratici).

Molto probabilmente fu in questa realtà che Chanel maturò il suo concetto di abbigliamento, certamente in tale
processo ebbero un ruolo molto importante le divise collegiali della sua infanzia, le uniforme cavallerizze degli uomini e
il mondo opposto delle cocotte con il loro modo di vestire eccessivo e fantasioso. Per distinguersi a loro era necessario
per Chanel evitare questi segni e lei conosceva solo un altro modo di abbigliamento: quello maschile (Chanel dirà: mi
sono lanciata in questo mestiere per far passare di moda quello che non mi piaceva)

Chanel non si cimentò subito con gli abiti, ma iniziò modificando i cappelli. Eliminava decorazioni superflue, riduceva le
forme. Chiese a Etienne di aprirle una modisteria e nel 1909 la ottenne, riscuotendo un successo immediato.
Sostenitore dell’iniziativa era stato un amico inglese di Etienne Arhtur Capel, che con il suo aiuto economico fece si che
Chanel affitto la sua prima sede nel 1910 a Parigi .

A Parigi Chanel scoprì l’esistenza di una produzione artistica d’avanguardia e ne rimase affascinata in particolare dopo
aver visto La sagra della primavera, musicata da Stravinskij. Questi stimoli le fecero rifletter sulla modernità.
Poco dopo nel 1913 la minaccia razzista si faceva sempre più insistente e Chanel, così come buona parte della Parigi
bene, decise di rifugiarsi a Deauville in Normandia. Coco e Arthur Capel (Boy) intuirono che quella località poteva
essere il luogo in cui iniziare una vera attività di moda.
Le signore erano le stesse di Parigi, ma le loro esigenze erano un pò diverse: gli sport e la spiaggia. L’aria di spiaggia e
l’influenza delle signore inglesi facevano desiderare un abbigliamento un pò più confortevole.

Chanel per ovviare alla mancanza di abbigliamento sportivo, si rivolse all’abbigliamento maschile in particolare ai
marinai che lavoravano indossando pantaloni comodi e maglioncini. Provò quindi innanzitutto a realizzare per se capi di
maglia diritti e comodi e poi lentamente a produrli per venderli. Alla sua prima esperienza da sarta riscosse un
successo immediato.

L A G U E R R A

La prima guerra mondiale era scoppiata, Deuville si svuotò ma Chanel rimase sotto consiglio di Capel. La cittadina
della Normandia divenne la meta di fuga precipitosa dalla capitale e avendo lasciato la maggior parte dei propri averi
nella grande città, le donne iniziarono a rifarsi il guardaroba nell’unica boutique aperta, quella di Chanel.
Quando gli alberghi iniziarono a essere trasformati in ospedali, c’era bisogno di qualcuno che riconvertisse vecchie
divise in camici e Chanel se ne prese carico.

Chanel intuì che le città francesi, senza gli uomini occupati al fronte, dipendevano ormai dalle donne. La vita si
riorganizzo intorno alle donne, che avevano necessità di un abbigliamento semplice e comodo per lavorare; il freddo e
buio della case iniziò a legittimarle nel cercare rifugio solitario nei bar di sera. E Chanel seppe trarre vantaggio per
diffondere il suo messaggio, il suo negozio divenne un punto d’incontro.

Biaritz, cittadina basca era diventata come Deuville una città rifugio per gli imboscati e per quelli che stavano
approfittando della guerra per arricchirsi, Boy Capel e Chanel decisero di ripetere l’esperimento e questa volta di aprire
una vera e propria boutique, che ebbe un successo immenso.

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La Francia si rese conto sin dall’inizio del conflitto bellico dell’importanza strategica dell’haute couture che poteva
rappresentare una fonte di sostegno essenziale per il bilancio del paese. Il problema era rappresentato però
dall’irriperibilità dei materiali per confezionare gli abiti. Chanel in tale proposito pensò di proporre a Rodier, uno degli
industriali tessili più importanti della Francia specializzato nella produzione di jersey per calze, di fare un jersey con
fibre nobili inutilizzate (forse per mancanza di domanda) da utilizzare per l’abbigliamento. Poteva diventare un nuovo
modello di eleganza.
Dal 1916 la stampa internazionale iniziò a parlare di lei anche se per qualche tempo rimase un outsider nella moda
parigina postbellica del revival, che però da li a poco sarebbe andata svanendo.

L A M O D A D E L D O P O G U E R R A

Per Chanel con la fine della guerra si verificò un arricchimento della sua produzione: ai modelli in jersey cominciarono
ad aggiungersi abiti da sera più fantasiosi in tessuti usuali e femminili (seta, raso, velluto).
Esempio fu um abito con i cerchi, nel tulle nero più leggero, posato su un fondo stretto di crèpe de chine, basato sul
concetto di ribaltamento della crinolina, rilanciata int degli anni, che non veniva messa più sotto per gonfiare la gonna,
ma sopra un abito diritto quasi come una specie di gabbia trasparente.

G L I A R T I S T I E L E A V A N G U A R D I E

Nel 1920 Chanel acquistò una casa a Garches, quartiere di lusso di Parigi, qui inziò a venire in contatto con l’ambiente
degli artisti avendo come guida i Sert: Proust, Monet, Renoir, Signac.
Chanel si trovò quindi al centro della società degli artisti internazionali e comincia a capire cosa stavano facendo per
rinnovare la cultura occidentale, a Venezia fu presentata ai Ballet Russes, il teatro l’aveva sempre affscianata, e tornata
a Parigi finanziò la ripresa di La sagra della primavera e ospitò Stravinskij a casa sua.
Qui iniziò una collaborazione tra Chanel e Cocteau, che le chiese di creare i costumi per un opera teatrale ispirata alla
nuova moda della vacanze in Costa azzurra, lei propose veri indumenti sportivi e significò un vero e proprio omaggio a
chi aveva competenza in materia e fu molto apprezzato dalla critica.

Il rapporto di Chanel con gli artisti, non le fece perdere contatto con il mondo della moda che lentamente si stava
americanizzando e stava lasciando alle spalle l’Ottocento per rientrare nel nuovo secolo.

I L P R O F U M O E L ’ I N F L U E N Z A R U S S A

Chanel conobbe Dimitrij, nipote dello zar emerito e vissero insieme per un anno; fu probabilmente lui ad introdurre in un
ambiente ignoto ricco di regole e comportamenti affascinanti, ma soprattutto dovette essere lui a farli cambiare idea sul
profumo (visto da lei come un artificio per nascondere una cattiva igiene).
Qui nacque la collaborazione fra Chanel e Beaux, da cui nacque il profumo più famoso del XX secolo, Coco scelse dal
nome agli ingredienti e il profumo fu chiamato N^5. Fu il primo prodotto della Maison ad imboccare la strada
dell’industria, infatti Chanel stipulò un accordo con le profumerie Bourjois per creare una nuova società della quale
Chanel non dovette occuparsi in cambio del 10 percento dei ricavati.

Ma l’influenza russa non si fermò solo li, la si vide soprattutto negli abiti che Chanel propose in quegli anni, vennero
ripresi alcuni elementi decorativi geometrici tipici della cultura popolare russa e anche alcuni veri e propri indumenti
marinareschi contadini. Chanel riusciva a rendere la povertà lusso.
L’influenza russa si vide anche nell’utilizzo di dettagli di pelliccia, provò a tradurre le pellicce in mantelle
occidentalizzandole.

Nel 1925 all’Exposition International des Arts Decoratifs fu il trionfo dello stile a la garconne.
Nel 1926 Chanel presentò un abitino nero, utilizzabile in tutte le occasioni che ottenne così tanto successo da venir
ritenuto un simbolo dell’eta moderna al apri di un automobile.

S T I L E I N G L E S E , G I O I E L L I E B I J O U X

Il vestito nero può essere considerato il risultato finale del lavoro di semplificazione cui Chanel sottopose l’abito intero.
L’ispirazione ancora una volta venne da un suo amante, il duca di Westminster attraverso cui sperimentò lo stile di vita
dell’aristocrazia inglese, le sue abitudini e i suoi tessuti, come il tweed di Scozia e i bottoni dorati.
Le collezioni tra il 1927 e il 1930 si specializzarono nei completi composti da giacca dritta di modello maschile, gonna e
blusa coordinata.

Le collezioni i di Chanel nonostante l’ispirazione maschile, erano collezioni da donna comode, semplici, morbide e
piacevoli da indossare. Quando il suo modello arrivò all’estremo rigore allora Chanel si lasciò andare all’uso di gioielli
più vistosi. Ma seppe andare molto oltre, accompagnando i maglioni con gioielli quali nessuna signora della società
inglese avrebbe osato portare se non con abiti da cerimonia.
Per Chanel i gioielli avevano la funzione di decorare e rendere femminile l’abito, oltre che individualizzare il modo di
portarlo e non aveva assolutamente nulla a che fare con vistoso sciupo. Per Chanel non era necessario si trattasse di
diamanti veri, un gioiello falso aveva lo stesso valore di uno vero anzi forse aveva maggiore valore estetico.
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Nel 1924 Chanel aprì un laboratorio con Etienne de Beaumont, con il quale iniziò la produzione di gioielli falsi “copiati”
da quelli veri.

L O S T I L E D E G L I A N N I 2 0

Alla fine degli anni '20 lo stile Chanel era stato raggiunto: il risultato era un uniforme per la donna borghese moderna.
Chanel negli anni si era comportata come una cavia e aveva filtrato dentro di se tutti gli stili che la società le offriva. Il
problema effettivo era rompere con il passato in un momento in cui la società non aveva ancora modificato il proprio
modo di pensare.
L’autodeterminazione affettiva e l’autonomia economica derivata dal lavoro, in aggiunta alla parità di genere potevano
essere raggiunte solo nel momento in cui fosse diventato socialmente accettabile il fatto che le donne avessero gli
stessi diritti e comportamenti degli uomini.

Chanel si trovava in una situazione talmente disgraziata da essere privilegiata: non aveva avuto alcuna famiglia e
l’autonomia economica aveva sin da sempre rappresentato una necessità per la sopravvivenza. Essendole preclusi i
comportamenti femminili, non poteva fare altro che adottare regole di vita maschili.
Il compito che affidò al suo lavoro fu inventare un abbigliamento femminile che andasse bene a quelle che si vestivano
per lavorare il cui unico lusso era quello di non sottostare alle regole.

Ma chi erano le sue clienti?


Inizialmente le donne di Deuville, che iniziarono a sentire i segni di cambiamento. La guerra aveva offerto loro
l’occasione di emancipazione irripetibile e Chanel si era trovata al loro fianco fornendo loro una moda che smettesse di
decorare le donne e fornisse loro l’identità e il ruolo di cui il nuovo secolo aveva bisogno.

Alla fine della guerra si trattava solo di costruire il nuovo e in questo le fu prezioso il rapporto con le avanguardie
artistiche. Chanel spostò l’attenzione della produzione industriale sull’attività che il prodotto finale doveva favorire e che
l’indumento era chiamato a svolgere.
Fu così che arrivo alla conclusione che se un vestito non sta bene sulla spalla, non potrà mai stare bene. Che ogni
articolazione del corpo risiede nella schiena e che perciò è essenziale inserirvi quanta più stoffa possibile.

Chanel inventò un uniforme da donna che eliminava tutti gli abbellimenti e le variazioni della moda antica. Niente
fronzoli e niente colori arditi.
Sicuramente Coco non era cosciente di aver attuato nei confronti dell’abbigliamento lo stesso lavoro che il Movimento
Moderno faceva sull’architettura e il Design, osservando ciò che Adolf Loos fece con il Bauhaus si ha la stessa
impressione.

I L C I N E M A E L ’ A M E R I C A

Il crollo della borsa di New York del 1929 fece risvegliare gli Stati Uniti non solamente più poveri, ma anche molto
austeri; la spensieratezza che aveva caratterizzato il dopoguerra era stata di colpo cancellata.
Chanel si accorse che lo stile di vita del decennio non sarebbe nato ne a Parigi ne in Europa, ma negli Stati Uniti, in
particolare nel mondo del Cinema. In quegli anni ci si rese conto che un film godeva di una portata mediatica, mai
sperimentata fino ad ora.

Nel 1931 Chanel decise di fare la sua esperienza Americana e partì alla volta di Hollywood per rendersi conto
dell’ambiente e per capire quello che avrebbe dovuto fare per conquistare il mercato emergente.
Chanel comprese come si girasse un film, ma capì che disegnare i capi per una trasposizione cinematografica voleva
dire creare abbigliamenti che due anni più tardi, durante le proiezioni in Europa dovessero ancora andare di moda.

Il cinema stava proponendo un idea collettiva di donna tanto emancipata da poter recuperare seduzione e sex appeal,
ormai persi da moltissimo tempo. Tornata dagli USA, fece una collezione ispirata a quanto aveva visto, utilizzando
tessuto poco costosi e tagli facili, ma non ebbe successo. Anche le esperienze del cinema non ebbero il successo
sperato, ma sicuramente furono delle pubblicità incredibile e contribuirono ad aumentare il prestigio del nome nel
mondo della moda.

Da questa esperienza Chanel ne ricavò la vera comprensione di quale fosse il compito dell’haute couture, essa non
doveva abbassare i prezzi e rincorrere il mercato di massa, ma bensì il suo compito era mantenere attiva l’invenzione
creativa della moda e la sua elitarietà. La ricchezza non era svanita dal mondo ma si era concentrata nelle mani di
poche persone e per questo pubblico era necessario inventare cose nuove, cose che non avessero un aspetto
monacale che lei aveva ricercato negli anni venti.

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B I J O U X D E D I A M A N T S

Nel 1932 l’International Diamond Guild chiese a Coco Chanel di disegnare dei gioielli. L’esposizione prese il nome di
Bijoux de Diamants, il motivo che la aveva spinta ad abbandonare l’idea di immaginare solo gioielli falsi, nasceva dalla
considerazione e comprensione del periodo di crisi appena passato.
In quegli anni rinasceva il desiderio di autenticità e il diamante rappresentava la pietra pi preziosa a parità di peso. Il
lusso nella nuova era era un investimento in un bene sicuro.

L’amore per la bigiotteria non fu abbandonato da parte di Chanel, che nel 1927 affidò al duca di Venezia, della Cerda,
la gestione del laboratorio di bigiotteria della Maison.
La dimensione dei gioielli raggiunse dimensioni esorbitanti, l’ispirazione fu alle epoche più disparate. Chanel fu in
grado attraverso questa collaborazione di trasformare in lusso anche pietre di vetro colorato.
Il gioiello, così come il profumo, divenne un altro modo della Maison di attirare tutti quei clienti che erano affascinati
dall’universo Chanel, ma non potevano permettersi un abito.

M O D A A N N I 3 0

Il panorama di quegli anni era molto variegato e Chanel rappresentava soltanto una delle tante alternative di stile
vestimentario possibile. Vionnet era nota per la sua sapienza sartoriale e Schiapparelli per la sua fantasia provocatoria
e il mercato chiedeva sempre più novità.

Chanel cercò di seguire le tendenze iniziando sperimentare con tulli, stampe floreali, colori e payettes. Ma nonostante
questo la sua moda stava iniziando a passare in secondo rilievo e non rappresentava più la moda di punta, se non
nella produzione di accessori.

L A R O T T U R A D E L 1 9 3 6

La gestione problematica della Maison nei confronti dei malcontenti operai del 1936 non facilitò le cose per Chanel.
Quando il suo lavoro fu messo in pericolo da scioperi di tutti i lavoratori della sua impresa, lei reagì con rabbia
licenziando trecento persone che rivendicavano diritti garantiti.

In quegli anni Chanel era diventata una nazionalista di destra, antisemita, anticomunista e xenofoba, forse per via della
influenza con il suo compagno del tempo. Chanel si stava scontrando con l’eccesso di fantasia degli anni 30 e stava
perdendo. Chanel incominciava a non capire più le donne e non fornire più soluzioni alternative alla sempre maggiore
concorrenza di Vionnet e Schiapparelli.

I L R I T O R N O A L L A M O D A

Nel 1939 la Francia dichiarò guerra alla Germania, Chanel chiuse la Maison, lasciando aperta solo la boutique che
vendeva i profumi. Si sentiva che non avesse più niente da dire nella moda e che la società aveva assunto una forma
che non riusciva più a fare combaciare con il suo modo di fare i vestiti.

Chanel negli anni della guerra si rifugiò a Ritz dove ebbe una relazione con un ufficiale nazista molto più giovane di lei;
alla fine della guerra dopo la Liberazione partì per la Svizzera dove rimase per nove anni in esilio volontario.
Chanel era scomparsa, cancellata dal mondo della moda, le uniche cose che resistevano erano i tessuti e il profumo.

Nel 1953 con una lettera ad Harper’s Bazaar Chanel comunicava al mondo il suo desiderio di riprendere il suo lavoro
come stilista, ma le due collezioni attesissime dalla critica e dai giornali non ebbero il successo sperato. Una cosa però
era certa Chanel era riuscita a rendere il suo stile unico e riconoscibile e questo si iniziava a sentire e ad aspirare il
lavoro di altre Maison.

I L T A I L L E U R C H A N E L

Il tailleur Il modello di tailleur disegnato da Coco Chanel ha uno stile inconfondibile: gonna sotto il
ginocchio, giacca corta e bottoni dorati. Amatissima la sua variante in tweed, il tailleur stile Chanel è entrato
nella storia grazie anche a Jacqueline Kennedy

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M A D A L A I N E V I O N N E T
( 1 8 7 6 - 1 9 7 5 )

I L L A V O R O D I P R E M I E R E

Madalaine Vionnet abbandonò gli studi molto presto per imparare il mestiere di sarta e altrettanto presto trovò lavoro
nella Maison Vincent a Parigi, dove diventò premiere.

Nel 1895 partì per l’Inghilterra per seguire il marito, ma ben presto divorziò e ricominciò la sua vita a Londra.
Erano gli anni in cui in Inghilterra si stava svolgendo un aspro dibattito sulla riforma dell’abbigliamento sostenuto dal
Rational Dress Society. Corpo e abito erano diventati il centro di un dibattito.

Agli inizi del Novecento Madalaine tornò a Parigi e trovò nuovamente impiego come premiere alla Maison Callot, il suo
compito era di fatto quello di realizzare i modelli in tela degli abiti disegnati per la casa.
Nel 1907 divenne modellista presso la Maison Doucet, in cui iniziò a proporre abiti senza busto, che non furono accolti
in maniera ottimale, a tal punto da relegare la creatività della sarta solo al campo del deshabillès.

L ’ A T E L I E R

Nel 1912 Madalaine Vionnet aprì il proprio atelier. L’apertura di questo atelier fu una singolare storia di donne che si
ritrovarono insieme a tentare un operazione da uomini: diventare imprenditori di un’idea.
Madalain fu protagonista di una storia di donne per valorizzarne la cultura, la capacità creativa e la bellezza, una storia
di emancipazione concreta senza forzature.

Nel 1914 Vionnet chiuse l’atelier e ricominciò a viaggiare, soggiornando a lungo a Roma.

L O S B I E C O E L A G E O M E T R I A

Riprese l’attività e si ripresentò a Parigi con abiti in sbieco, era come se negli anni precedenti avesse attraversato un
percorso personale ignaro delle tendenze che si erano viste nella moda di quegli anni.
Molto probabilmente anche lei, come Chanel, aveva incominciato a ricercare un modello vestimentario su cui elaborare
l’abbigliamento della donna moderna.

Vionnet ricominciò da capo tornando all’antico abito mediterraneo (robe a la grecque) e lavorando con il tessuto senza
tagliarlo secondo le forme del corpo, ma montandolo in maniera che potesse seguire autonomamente le fattezze
corporee.
Una delle sue prime realizzazione in questo senso fu un abito realizzato in quattro quadrati in tessuto utilizzati in
diagonale e sospesi alle spalle con uno spigolo per ciascuno. Quattro cuciture lo tenevano insieme e una cintura
annodata in vita era il massimo intervento di costrizione.

Altra novità che Vionnet propose in questi anni fu il taglio in sbieco, taglio che prevede l’uso della stoffa in obliquo. La
chiave segreta dei suoi abiti era lo studio e l’utilizzo della geometria.
Madalaine studiò qualsiasi tipologia di abito bidimensionale conosciuta, per ottenere e giungere a un processo creativo
secondo cui si partiva dal risultato finale modellato sul manichino e si giungeva ad ottenere il sistema di costruzione.
Lei stessa dichiarò di essersi impegnata, come per la donna, nella liberazione del tessuto da qualsiasi tipo di
costrizioni.

Le chiavi del nuovo abito diventano quindi la materia tessile e il corpo, entrambi valorizzati nelle loro potenzialità
espressive.

L A R I C E R C A D E L L ’ A R M O N I A

Proporzione, armonia, perfezione erano gli obiettivi finali di un lavoro che usa il tessuto come materia scultorea.
Nel 1912 fu organizzata a Parigi una mostra di pittura cubista; in tutti i movimenti di avanguardia ci si poneva come
obiettivo quello di rappresentare la costruzione nascosta e razionale del reale e per questo era presente quasi sempre
uno studio delle forme geometriche.

Dopo la guerra Vionnet decise spesso di collaborare con personalità che provenivano dal mondo dell’arte, in primis fu
Thayaht. Questo fa pensare che la couturier fu molto interessata alle innovazioni, in particolare a quelle sulle geometrie
e sulle proporzioni.
A Thayaht fu affidata la realizzazione di tutta l’immagine grafica dell’azienda e da tale sodalizio nacque anche la
versione haute couture della tuta da lavoro nel 1922. Da Thayaht, Vionnet venne a conoscenza delle teorie
proporzionali dell’artista americano Hambridge che credeva che esistesse una simmetria dinamica fra gli oggetti,
ovvero un legame tra i rapporti proporzionali e i numeri irrazionali (crescita delle conchiglie).

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Nel 1921 la Maison Vionnet sperimentò la struttura proporzionale nei ricami, e successivamente sfruttando le teorie di
Policleto e il Modulo di le Corbusier, decise di progettare le sue opere su un manichino da artista; ovvero una forma
umana le cui misure non corrispondevano a taglie reali ma ad uno schema promozionale perfetto.
Nella visione della couturier, il suo lavoro doveva essere paragonato a quello di un geometra, la moda è il risultato della
composizione e scomposizione di forme geometriche e l’aderenza dell’abito al corpo era il risultato di un calcolo
accurato dell’elastcità delle stoffe.

Qui giocò un ruolo essenziale l’utilizzo del taglio a sbieco, questo tipo di taglio permetteva a Vionnet di non dichiarare
esplicitamente la costruzione geometrica dei suoi capi. Erano il taglio a sbieco e il comportamento del materiali ad
originare sul corpo petali, volute e drappeggi.
A tutto questo studio sulla caduta dei materiali Vionnet affiancò uno studio su come poter ricamare con il filo sullo
sbieco senza creare tensioni ed effetti fisici indesiderati. Iniziò a lavorare sull’abito finito invitò una tecnica chiamata
vermicelle au droit, in cui ogni punto veniva fissato nel drittofilo e le minuscole perline erano collocate con l’aiuto di un
uncinetto.

5 0 A V E N U E M O N T A I G N E

Nel 1922 Vionnet propose ai proprietari delle Gallerie Lafayette un’accordo commerciale per poter acquistare un hotel
particulier da adibire a nuova sede della Maison.

Nel realizzare la nuova sede si diede molta importanza oltre all’aspetto estetico anche alla funzionalità del luogo di
lavoro, Vionnet non aveva infatti dimenticato il suo passato di lavoratrice e per questo introdusse una serie di
innovazioni che riguardano i rapporti contrattuali, sia le condizioni di lavoro (si cuciva su delle sedie). Nell’edificio
c’erano una mensa, un infermeria e un dentista e i dipendenti godevano di una cassa di soccorsi per le malattie,
congedi di maternità e ferie pagate.
Nonostante questo Vionnet non fu indenne agli scioperi del 1936, a cui le sue dipendenti parteciparono per un giorno
per solidarietà con la società francese.

I L C O P Y R I G H T

Vionnet condusse un altra battaglia riuscendo a imporre il copyright del modelli. Uno dei principali problemi dell’alta
moda era la diffusione delle imitazioni; la legge infatti difendeva solamente la produzione artistica ma fino ad allora le
creazioni dei couturier con venivano similare a quelle degli artisti.

Dopo la sentenza la Maison procedette di conseguenze: fece uscire articoli che spiegavano il modo per riconoscere gli
originali (attraverso l’etichetta, impronta e il numero del modello) e documentò sistematicamente tutti i capi della Maison
con fotografia accompagnate da numero e dalla data di realizzazione.

P R E T - A - P O R T E R

Il successo di Vionnet fu immediato, ma la vera sfida era rappresentata dal mercato americano. Per l’occasione fu
fondata una azienda a parte la Madaleine Vionnet Inc., specializzata nella realizzazione capi one-size-fit-all (capi con
l’orlo sfatto per permettere aggiustamenti in lunghezza), un’assoluta novità nel settore moda. Nonostante il successo
ottenuto l’esperimento non fu portato avanti.
Nel 1926 Vionnet tentò un nuovo esperimento realizzando quaranta capi in tre taglie, ma l’impresa non ebbe
nuovamente successo dimostrando che i tempi non erano ancora maturi perché l’alta moda potesse fare il proprio
ingresso nel mercato del ready-to-wear.

S T I L E A N N I 2 0

Negli anni venti la donna aveva trovato nel modo di vestirsi a la garconne la divisa per lavorare e fare sport, e il nuovo
ideale di bellezza veniva dagli Stati Uniti: lo sweat heart.
Vionnet non seguì la tendenza ma la reinterpretò nei propri modi, ammorbidendo il parallelogramma con lo sbieco,
aggiungendo frange e giocando con i ricami. Sempre di più le sue realizzazioni erano studiate per seguire e
accarezzare le forme naturali del corpo.

Lentamente Vionnet diventò la moda, il suo successo divenne sempre più ampio e il numero di clienti diventò sempre
più numeroso, ma lei non fece mai nulla per diventare un personaggio alla moda; anzi lavorò sempre come una sarta in
solitario e nel suo laboratorio.

G L I A N N I 3 0

Negli anni ’30 tutto quello che era andato di moda in velocità mai vista divento antiquato, ora non si cercava più una
certa fanciullezza ma bensì una gioventù più matura, quella del cinema Hollywoodiano.
Vionnet divenne icona di stile, imitata da tutti con i suoi abiti bianchi che mettevano in risalto la bellezza statuaria del
corpo modellato nel decennio passato con lo sport, tutti iniziarono a sperimentare con lo sbieco.
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L A G O N N A A M P I A

Nel 1934 Vogue pubblicò la moda del momento, e rappresentò lo stile Vionnet attraverso un vestito dalla gonna ampia.
Da quel momento in poi i due modelli, quello scollato e quello con la gonna mia procedettero in parallelo.

Negli anni successivi gli abiti si fecero sempre più lussuosi e sensibili al gusto hollywoodiano. La vita segnata dal
spazio a larghe gonne che potevano essere sostenuto utilizzando diversi accorgimenti tessili. Furono anni in cui si
sperimentò moltissimo con i tessuti e il merletto. Sperimentò con nuovi metodi di decoro e tintura.
La collezione del 39 fu l’ultima collezione portata in scena dalla Maison che chiuse subito dopo per lo scoppio della
Seconda guerra mondiale.

Madaleine Vionnet nel 1952 donò all’UFAC quello che era rimasto del suo lavoro.

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E L S A S C H I A P A R E L L I
( 1 8 9 0 - 1 9 7 3 )

U N A G I O V I N E Z Z A I N Q U I E T A

Elsa Schiaparelli ebbe una vita privilegiata, nacque a Roma da una famiglia di intellettuali piemontese. Sin da piccola
questo la ostacolerà nel perseguire le sue vere doti e potenzialità,
In un primo momento decise di dedicarsi alla recitazione, ma le fu vietato, in seguito decise di pubblicare un libro di
poesie che fu accolto dalla famiglia come un fulmine a ciel sereno. Il rapporto con la sua famiglia rimase molto
conflittuale (Elsa arrivò a condurre uno sciopero della fame vero e proprio)

Insieme ad una amica desiderosa di occuparsi e studiare i bambini orfani, si trasferì a Londra, qui la accolte un
atmosfera ricca di contrasti. A Londra i movimento d’innovazione si affiancavano ai tratti culturali della regina Vittoria e
questo la affascinò. Nel 1919 allo scoppiò della guerra si rifugiò a Nizza dove si sposò ed ebbe un figlio, ma il
matrimonio si rivelò un fallimento e subito dopo la morte di suo padre decise di emigrare negli Stati Uniti.

Qui conobbe Gabrielle Buffet, che rappresentò il suo punto di forza nella metropoli statunitense, iniziò a lavorare per lei
e ad occuparsi della bambina. New York le fece credere che la sua vita fosse destinata a lavori sartiali e avventurosi.
Fu così che decise di trasferirsi a Parigi, per meglio curare la figlia gravemente malata di poliomelite, ma la vita non
sembrava volersi porre su un binario più sicuro.

A Parigi Gabrielle introdusse Schiap al mondo Dada e conobbe Poiret che dopo un incontro nel suo atelier, la ispirò a
tentare una nuova avventura ed affacciarsi sul mondo della moda. Scelse uno dei settori che negli anni venti stava
aprendosi per assecondare la crescente partecipazione femminile allo sport.

L O S P O R T E L A M A G L I A

Negli anni venti la cultura del corpo e dell’attività sportiva divennero una moda diffusa, quasi a diventare competenze
normali fra le signore della buona società.
Suzanne Lenglen, famosa tennista, fece scandalo entrando sui campi da gioco indossando un completo composto da
una gonna a pieghe corta, una blusa, calze di seta bianca e una fascia colorata intorno alla testa.

Elsa Schiaparelli comprese che questa poteva essere una strada di sicuro futuro e cominciò a realizzare
dell’abbigliamento sportivo. La prima vera collezione fu presentata nel 1927, si trattava di una linea di maglieria dai
brillanti colori che si ispirava al futurismo.

I L G O L F A R M E N O

Il modello che la lanciò definitivamente nella moda fu un golf particolare. Lo aveva visto addosso ad un’amica e aveva
scoperto che era stato eseguito da una donna armena. Era un particolare punto a maglia che permetteva di realizzare
un capo più consistente di quelli tradizionali europei e soprattutto di inventare effetti di disegno utilizzando i due fili di
colore diverso (disegnò un golf con un grande fiocco sul davanti).

Fu lei stessa a indossare la maglia in pubblico e immediatamente attirò l’attenzione sulla novità, la nuova idea s’impose
in fretta e la fantasia di Elsa si scatenò e sui golf comparvero cravatte da uomo, nodi, fazzoletti da collo, scialli, schemi
per cruciverba. Negli anni seguenti la ricerca sul trompe-l’oeil si radicalizzò e la maglia divenne l’immagine del copro,
allora Elsa la riempì di tatuaggi con cuori trafitti e scritte allusive come fosse il petto di un marinaio.

Il successo fu tale che Schiaparelli fu obbligata ad assumere un responsabile per questo settore.

D A L L O S P O R T A L L ’ H A U T E C O U T U R E

Nel 1928 Schiaparelli trasferì la sua attività che chiamò “Schiaparelli Pour le Sport”. Erano abiti sportivi ben costruiti, ma
colorati e decorati con immagini e scritte.

Sperimentò sul costume dal bagno, che negli anni si era ridotto sempre di più e si era ridotto elimando la copertura d
braccia e gambe e aprendosi in profonde scollature sulla schiena. Anche per lo sci cerca ò soluzioni più eleganti
proponendo completi molto colorati es estendendo a questo sport i pantaloni normalmente utilizzati da cavallerizzo.

Schiaparelli elaborò idee molte precise a proposito del modo in cui dovevano essere concepiti i vestiti. La sua
ignoranza in materia era somma; il suo coraggio, pertanto, senza limiti e folle. Non aveva padroni e aveva solo la sua
libertà, sentiva che i vestiti dovevano ispirarsi all’architettura e alle linee dritte e le gonne sempre più corte.

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Il problema era come sempre fare breccia nei cuori del bel mondo, era necessario che la moda e le sue proposte
venissero notati nei luoghi deputati ai riti dell’alta società.
Probabilmente per questo Elsa scelse di indossarli personalmente a party e occasioni mondane. Ma per poterlo fare
doveva essere accettata alla pari dalla società del lusso, una condizione che fu resa possibile dal fatto che lei non
veniva dal chiuso mondo, ma da quello dell’aristocrazia degli artisti internazionali.
Cercava in questo modo il contatto diretto con i proprio committenti per influenzali e condividerne le esigenze sociali,
diventando così la compagna di festa e la consigliera di bellezza.

L A M O D A S E C O N D O S C H I A P A R E L L I

All’inizio degli anni trenta la moda tornava a essere un bene rarissimo che si poteva comunicare attraverso il lusso e
l’estrosità di cui Schiaparelli si mostrò maestra.

La sua ipotesi nasceva da un’idea fondamentalmente femminista, il suo scopo era comunicare la donna del nuovo
decennio e per questo gli abiti dovevano proteggere la donna da attacchi degli uomini. Di giorno quando li indossa
trovava confronto nei numero, la sera sfoderava le antiche armi della seduzione. L’universo femminile cominciava a
costituire un mondo autonomo di cui l’uomo era la controparte.

Per la battaglia quotidiana si trattava di creare una divisa guerriera utilizzando particolare presi dall’abbigliamento da
uomo, nacque così la silhouette grattacielo costituita da linee dritte verticali, spalle larghe e squadrate.
Avendo realizzato un così grande saccheggio nei confronti del guardaroba maschile, era essenziali reinserire la
femminilità che non doveva essere perduta. Esempio di questa ricerca furono i cappelli che assunsero le forme più
inconsuete ed estrose trasformandosi in veri e propri strumenti di comunicazione.

Dal 1931 Schiaparelli iniziò ad ingrandire la sua attività, ingrandendo sia la sede, che venne ridecorata coerentemente
con lo stile innovativo della sua moda, sia lo staff. Propose negli anni diverse linee, quella a cono, quella a scatola,
quella a temporale. E sperimentò inoltre una grandissima quantità di materiali.
Nelle sue mani , le stoffe sintetiche diventarono chic e si deve a lei il fatto di aver fatto diventare di moda il rayon; fu la
prima ad utilizzare anche il latex e il cellophane.

L E C O L L E Z I O N I A T E M A

Nel 1935 trasferì nuovamente la maison e aprì la Boutique Schiap, uno spazio che divento l’ingresso della clientela
nell’atelier. La formula pronto da portar via le procurò una fama immediata.
Elsa Schiaparelli raccolse l’eredità di Poiret: la sua produzione non si limitò alla sartoria , ma spaziò in tutti i campi dai
profumi ai bijoux, dall’abbigliamento sportivo a quello su misura. Per l’inaugurazione fu creata una stampa a pagine di
giornale che parlavano di Schiaparelli.

La vera novità però fu nelle collezioni che divennero quattro ad anno e cominciarono ad essere concepite ognuno
attorno ad un tema, in modo che non si pensasse solo all’abito, ma anche all’intera immagine che doveva
accompagnare il lancio della collezione nelle boutique.
Una collezione fu ispirata alle zip e creò un successo di vendite e di critica grandissimi, specie negli Stati Uniti. Altre
furono ispirate agli eskimesi, al volo, a Leonardo da Vinci, all’abito alla greca e persino al fronte popolare (da lei molto
sostenuto, infatti le sue operaie non parteciparono agli scioperi del 1936)

I L R A P P O R T O C O L S U R R E A L I S M O

Elsa non aveva mai seguito i metodi e i contenuti tradizionali dell’alta moda, voleva che le donne fossero se stesse,
osassero essere femminili, fantasiose ed estrose. La forma di lusso che offriva alle sue clienti era permettere loro di non
seguire le regole del senso comune. C’era un qualcosa nella sua maniera di fare moda che somigliava al sovvertimento
delle regole degli artisti dada e surrealisti.

Le collezioni a partire dal 1936 si articolarono su un doppio filone: da un lato Schiaparelli si concentrò sull’elaborazione
di alcuni temi decorativi e dall’altra Cocteau e Dal crearono dei singoli capi.
Dal rielaborò il tema del richiamo sessuale attraverso la ricerca di gesti grafici che richiamassero le bocche, i tacchi e
segni erotici. La sfrontatezza di questi elementi decorativi dichiaravano finalmente quello che la forma rigorosa del
tailleur aveva sempre cercato di mascherare: la forte carica erotica del corpo femminile che era imprescindibile
dall’abito.

Elsa giunse alla conclusione che la persona sociale risiedeva negli abiti e solo in quelli. La moda era un metro e solo
l’abito può dare un significato a questo essere inanimato, chiamato corpo, e introdurlo nell’unico spazio di vita
possibile: quello della comunicazione sociale.

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L A M O D A , L ’ I N C O N S C I O ,
L ’ I M M A G I N A Z I O N E

La donna era per lei un’insieme complesso composto da una forma anatomica, uno stato sociale e un mondo interiore.
Il nuovo ruolo che le donne avevano assunto negli anni trenta doveva essere rappresentato attraverso una struttura
sintattica razionale e stabile (la divisa che lei stessa aveva ideato).
Rimaneva perciò da analizzare l’inconscio e si trattava perciò di ricorrere ad altri universi linguistici e di adottare altri
modelli iconografici per esprimere altri significati.

L’obiettivo di tutto ciò era liberare l’immaginazione poetico e di dare sfogo al mondo dei sogni e lo si poteva ottenere
attraverso una rottura dei vincoli razionali. Schiaparelli scoprì che questo metodo le era congeniale per creare un
linguaggio vestimentario che comunicasse la dimensione interiore della donna.

Capì che quello che la stimolava maggiormente era considerare il corpo della donna e la forma dell’indumento come
una specie di pagina bianca su cui scrivere il flusso delle fantasticherie (Marcel Duchamp)
Figlie di questa teorie furono le collezioni ispirate al circo, al mito della natura, alle costellazioni e alla commedia
dell’arte. Con queste collezioni Elsa si era messa nelle vesti di una maga che era riuscita a ricreare abiti dal sapore
fantastico senza finire nel costume.

L A G U E R R A

Mentre Hitler e Stalin minacciava l’Europa e le potenze europee erano divise fra la paura del comunismo e del nazismo,
Elsa Schiaparelli ideò ancora due collezioni, una in onore del cinquantesimo anno dalla costruzione della Tour Eiffel e
una sulla musica.

Durante la guerra Elsa prese la decisione politica di non chiudere l’atelier, ma bensì continuò a lavorare, producendo
una collezione di trenta abiti per rendere più semplice la vita delle donne che si erano nuovamente abituate alle nuove
condizioni di vita e necessitavano di capi comodi, ampi e capienti. In questa collezione Elsa non abbandonò il suo
amore per la decorazione inserendo sui capi la Linea Maginot…

Subito dopo l’invasione Elsa Schiaparelli si trasferì negli Stati Uniti e dopo essere stata una cittadina attiva e aver
partecipato al programma di aiuti e aver fatto da volontaria per la Croce Rossa Internazionale, tornò in Francia nel
1944. Qui partecipò a tutte le iniziative messe a punto per far rinascere l’haute couture francese. Subito dopo la guerra
tentò la strada logica della semplicità e della praticità, ma non ebbe successo; decise allora di ricominciare da dove
aveva interrotto la sua ricerca.

Ma ormai i tempi erano cambiati e la società che emergeva dalle tragedie della guerra era totalmente diversa: la moda
d’avanguardia degli anni trenta non era adatta ai nuovi desideri di opulenza e apparenza.

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C H R I S T I A N D I O R
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Tutte le storie di Dior cominciano nel 1947, quando con una sola sfilata cambiò la moda femminile dell’Occidente.
Questo evento giustificò la nascente idea del couturier demiurgo che con un solo gesto trascina dietro di se folle
desiderose di farsi giudicare sulla strada dell’eleganza.

Iniziò a farsi strada l’idea di una moda tiranna, che giocava capricciosamente così da far risultare completamente
obsoleto quello che solo pochi mesi prima era stato osannato come un miracolo di bellezza.

L A P A S S I O N E P E R L ’ A R T E

Christian Dior nacque nel 1905 in una solida famiglia borghese. Agli inizi degli anni venti, Dior era uno studente di
buona famiglia che scopriva il privilegio di essere nell’età della follia nell’affascinante nuova Parigi.
Frequentava con un gruppo di amici diverse gallerie d’arte, passava le sere al bar, al cinema, al teatro. Acquisito il bac,
decise di intraprendere la carriera diplomatica e qui conobbe alcuni dei suoi più grandi compagni di sempre: il primo
nucleo di amici omosessuali si era formato.

Fu lo stesso gruppo di amici che lo accompagnarono lungo tutta la sua carriera, con cui divise molte delle sue imprese.
Con loro compì un vero e proprio percorso estetico che si concluse nel raggiungimento di un estetica più romantica e
meno radicale. Nel 1929 aprì una galleria d0arte in collaborazione con Jean Bonjean, nella quale tentò di comunicare in
prima istanza la nuova estetica raggiunta (eleganza, sentimento)

D I S E G N A T O R E D I M O D A

Tutto procedeva nel migliore dei modi, ma la fortuna si capovolse. Gli effetti della crisi del ’29 si fecero sentire e il
fallimento della galleria fu inevitabile. I clienti del mercato dell’arte erano scomparsi, travolti o spaventati dalla crisi.
Furono gli anni di miseria che culminarono con Dior che si ammalò di tubercolosi e dovette curarsi sulle isole baleari.

La realtà economica della Francia alla metà del decennio era durissima e non offriva alcuna possibilità. L’unico settore
che ancora resisteva era quello della moda. Dior si cimentò e riuscì attraverso la vendita di sue illustrazioni a risanare i
debiti di famiglia e concedere un periodo di studio.

Creando un suo stile illustrativo Dior incominciò a ottenere successo e furono molte le riviste che iniziarono a rendersi
conto del suo potenziale. Nel 1938 iniziò a lavorare presso Piguet.

D I O R , L A G U E R R A , L ’ H A U T E C O U T U R E

Al momento dell’armistizio la Francia risultò divisa in due e Dior si ritrovò nella zona non occupata dai tedeschi. La
moda si riorganizzò da Cannes, infatti continuò ad illustrare e ormai fu chiaro che il buon gusto della Francia libera si
era andato a localizzare nella bella e affascinante Cosa Azzurra.

Le sfilate del 1940 furono le ultime ad essere presenziate dai buyer; dal momento in cui la Francia fu occupata da
nazisti tutti i paesi alleati cessarono i rapporti con Parigi e la sua moda. Era la fine di uno dei canali commerciali più
importanti dell’haute couture, con la conseguenza di un drastico ridimensionamento della sua clientela.
A questo si aggiunse il problema dei materiali; la Germania ben presto comincia. Requisire ogni tipo di materie prime,
derate alimentari e combustibili, ma anche lana, cotone e cuoio.

La moda per la Francia rappresentava anche un fattore di prestigio e fu questo che dovette attirare l’attenzione del
governo nazista, infatti fu spesso dichiara l’attenzione di trasferire nelle nuove capitali del Reich tutte queste attività.
Solo dopo un ampia opposizione di Luciene Lelong la Francia ottenne indietro i suoi archivi e un briciolo di
indipendenza; un certo numero di case di moda poteva disporre di una quantità di materiali per riprendere la
produzione.

In Francia però la composizione sociale era mutata, non esisteva più una componente straniera nel paese. Il vero
pubblico era rappresentato da due nuove categorie: la prima era composta dalle mogli o dalle figlie die
collaborazionisti e l’altra dai cosiddetti BOF (Beure, Eufs, Fromage), cioè quelli che con il mercato nero stavano
costruendo enormi ricchezze.
Grazie a loro e ai prezzi molto elevati, gli affari delle maison prosperavano e i bilanci furono in crescita per tutto il
periodo di guerra.

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I L T H E A T R E D E L A M O D E

Nel 1944 Robert Ricci decise di organizzare una manifestazione a sostegno del programma di aiuti, una manifestazione
che mostrasse la vitalità che continuava a esistere nelle industrie della moda. Furono spedite in giro per il mondo
bambole-manichino con volti in bronzo per far conoscere le ultime tendenze di moda; la partecipazione fu grande e
anche il successo fu enorme e si era riusciti a riunire tutte l’industria della moda intorno ad un progetto per il futuro e la
ripresa economica.

Il theatre de la moda passò per Londra, Leeds, Copenaghen, Vienna e gli Stati Uniti. Rimase sempre una maestosa
operazione di promozione che segnò la fine della guerra e che presto sarebbero finiti i suoi effetti sulla vita quotidiana.

D I O R E B O U S S A C

Le molte case di moda che avevano chiuso avevano lasciato dei vuoti. Dior e Balmain colsero il cambiamento e si
misero in società per fondare un atelier, ma il tentativo fallì. Balmain iniziò da solo e Dior rimase da Lelong in attesa di
un occasione migliore.

Il primo incontro tra Dior e Boussac fu casuale, egli aveva aveva valutato che il momento era propizio per investire in
questo settore e guadagnare con il cotone e con la produzione tessile.
La prima idea doveva essere stata quella di partire da una vecchia azienda che aveva avuto una buona fama senza
mai toccare le vette dei grandi. L'assunzione di Dior decretò decreto invece qualcosa di diverso qualcosa che fosse
più in sintonia con immaginario collettivo. Boussac e Dior esposero il proprio progetto: creare una maison innovativa
nel gusto e nell’aspetto, piccola ed elitaria, capace di produrre uno stile diverso.

L'immagine era perfetta. Era tutto quello che una maison doveva rappresentare: poteva essere il centro propulsore di
un modello di raffinatezza da estendere a una società più allargata.
Stipulato l'accordo iniziale, l'impostazione dell'impresa passò nelle mani del couturier, che cominciò a dare forma al
proprio progetto. Due decisioni delicate e fondamentali furono prese: la prima, quella dei collaboratori da cui
dipendeva il successo, la seconda, l’'edificio di sede che poteva costituire un veicolo attraverso cui comunicare il gusto
della maison.

Suzanne Luling fu scelta per curare l’immagine e canalizzare l’attenzione mediatica.


La sede fu il Plaza, in particolare un hotel particulier in Avenue Montaigne, che fu ristrutturato con boiserie bianche,
mobili laccati e tinte grigie.

L A M A I S O N D I O R

Mentre si lavorava alla collezione, procedeva febbrilmente l'attività di promozione in cui vennero coinvolte amiche e
conoscenti di Dior, utilizzarono le loro conoscenze nell'alta società per contattare quelle che avrebbero potuto essere le
future clienti ideali della maison. Tutta la Parigi che contava parlava del nuovo astro nascente Dior, si era creato il clima
di attesa perfetto.

La straordinarietà dell'impresa aveva colpito la fantasia degli imprenditori (tra cui anche un produttore di seta cinese,
essenziale nel periodo post bellico), molti dei quali offrirono a Dior il proprio contributo. Egli propose di costituire
insieme una società per i profumi con il nuovo nome della griffe l'idea fu approvata da Boussac e si cominciò a lavorare
anche intorno a questa realizzazione (Dior decise di chiamare il suo profumo Miss Dior).

L A R E S T A U R A Z I O N E D E L L U S S O : I L N E W
L O O K

Alla prima sfilata di Dior nel 1947, c'era tutto il bel mondo e c'erano anche dei giornalisti che contavano.
La proposta di Dior aveva delle caratteristiche revival e si spirava un modello vestimentario storico preciso reso più
aggraziato. L’idea veniva dal desiderio di modellare il corpo della donna secondo una silhouettes che enfatizzava le
curve al busto piccole arrotondato faceva riscontro una gonna ampia, lunga fino al polpaccio, spesso a pieghe
sagomate.

Dior offriva in questo modo una nuova immagine femminile, recuperando il senso più tradizionale del termine, ma
anche un'immagine di lusso, costruita attraverso la quantità dei materiali utilizzati. L'intento di Dior era certamente è
stato di cancellare la guerra. Si erano evitate tutte le finezze sartoriali che avevano costretto il mondo al modello stretto
e corto in auge durante il conflitto mondiale.
Tutto ciò non fu facile, poiché questa missione richiedeva abilità annuali ormai dimenticate e tessuti adatti praticamente
introvabili.

Le spettatrici della sfilata, furono rapite dalla novità. Carmen Snow fu la madrina della nuova linea: fu lei a definirla New
Look, un nome che immediatamente sarebbe stato adottato da tutti. Di fronte alla presa di posizione entusiastica delle

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signore della moda, i buyer non poterono fare altro che riprendere la navi dalla quale erano appena scesi per ritornare
a Parigi.
Il Tailleur Bar divenne il simbolo del nuovo stile: fotografato e richiesto da tutte le clienti.

La seconda collezione confermo la linea New Look accentuandone le caratteristiche. La lunghezza e l'ampiezza delle
gonne, ottenute con incredibili metraggi di tessuto definirono un lusso scandaloso in un momento in cui molte cose fra
le quali i tessili e l'industria non avevano ancora ripreso a produrre in cui i disastri della guerra erano sotto gli occhi di
tutti.

L'obiettivo era la clientela americana, gli Stati Uniti vincitori della guerra stavano attraversando un periodo di grande
sicurezza economica e di modernizzazione spinta. La società di massa che stava sostituendo la borghesia aveva
bisogno di essere guidata alla ricerca di un proprio stile di vita e mentre l'Europa si americanizzava perfetto degli aiuti
alleati e dei mezzi di comunicazione più moderni l'America guardava all’Europa per apprendere la sua cultura. La
capitale francese tornava ad essere un punto di riferimento per gli intellettuali e gli artisti d’oltre oceano; Dio Intuì che
per l'Immaginario collettivo la moda era francese e che solo puntando sulla francesi ta la cultura poteva ritornare
all'antico primato. Era quindi un'operazione culturale quella che veniva promossa.

L'America voleva una moda che comunicasse sui valori piccolo borghesi, la sua ricchezza, la sua diffidenza nei
confronti di tutto ciò che poteva avere un aspetto rivoluzionario. Dior offrì l’immagine di una donna-fiore, fragile, tanto
raffinata quanto priva di ironia e di fremiti femministi.
Una donna irreale che sembrava ricordare sua madre, ossessionata dalle forme e dalle apparenze.
Dior ha rappresentato tutto questo scegliendo in un lato il lusso più comprensibile e dall'altro i segni più convenzionali
dell'abito da principessa da grande dama. Due avendo avuto un passato nelle arti figurative, elimino dai suoi modelli
quell'idea di avanguardia che aveva contraddistinto lo stile degli anni 30. L'immagine di moda doveva passare il
messaggio che la couture e aveva il potere di trasformare qualsiasi donna reale nella donna tipica delle riedizioni
cinematografiche di Cenerentola.

Nelle stagioni successive il riferimento storico divenne ancora più esplicito e più sapiente. Ormai fissata la silhouettes di
base, gli abiti avevano strutture asimmetriche o effetti di sovrapposizione geometrici attraverso cui venivano restituite
suggerite le linee costruttive dei modelli di fine Ottocento.
La collezione “Milieu de siècle” non aveva più una sola linea, ma un'infinita variazione su tutti i temi a seconda dei
modelli, alternando i tessuti per ottenere effetti asimmetrici a forbice a mulino a vento gonne a campana, da leggi.
Anche qui, per la sera, abiti da favola di tulle alternato a satin, fittamente ricamati con materiali luminosi. Persino il
modello da sposa recuperava la sua matrice ottocentesca, ricordava molto da vicino i modelli da ballo delle prime
collezioni di Worth.

L A D O N N A D I O R

Dior vesti questo mondo del sogno e nessuno dei protagonisti si sottrasse al suo potere alla sua legittimazione
(Margaret, principessa inglese, commissionò un suntuoso abito da gala per la festa del suo 21º compleanno).
D'altra parte, le stesse caratteristiche costruttive dei suoi capi erano pensate per comunicare l'idea di uno stile di vita
lussuoso ed elitario. Erano difficili da indossare, erano pesanti e ingombranti.
Questo però non costituiva un ostacolo, al contrario diventava un elemento di fascino. La Caffè society era desiderosa
di apparire, non aveva necessità di agire.

L ’ A M E R I C A

Nel 1947 si e con gli Stati Uniti, dove si era formato un club di donne contraria new look. Era difficile accettare che
qualcuno potesse pensare di imporre alle donne americane, che avevano acquistato il diritto di votare, di guidare e di
lavorare, dei vestiti sostenuti con le stecche di balena dei cappelli che passano appena dalle porte e dei guanti lunghi
e dei fili di perle. Era come tornare indietro di mezzo secolo.

L'arrivo del couturier, le sue conferenze stampa, il giro di visite furono riprese ed enfatizzati dai mass-media. Chi aveva
organizzato il viaggio di Dior, aveva le idee molto chiare e perseguiva uno scopo preciso l'abolizione della legge L 85
che durante la guerra aveva regolato la produzione vestimentaria negli Stati Uniti.

Promuovere il New Look attraverso il suo creatore era indispensabile per un progetto commerciale di successo nel
continente americano.
Il successo dell'operazione dimostra senza possibilità di equivoci il potere dei mass-media anche sulla moda. Il
risultato fu che non solo i grandi magazzini di lusso imboccarono la strada di Dior, ma anche l'industria di confezione
poté concentrarsi sulla nuova linea.
Dior aveva capito che la scelta stilistica della scomodità aveva rischiato di mettere in crisi la diffusione del mio look e a
partire dal 1948 cominciò ad insistere su caratteristiche come la morbidezza.

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I L M E R C A T O D E L L A M O D A

L'America era un mercato molto differente da quello con cui le maison degli anni 30 avevano avuto stretti rapporti. Nel
1940 gli Stati Uniti avevano interrotto i legami commerciali con la moda francese, infatti New York non aveva più
bisogno di Parigi. Il pubblico statunitense era meno esigente di quello delle calze parigine, l'abitudine ad indossare
ready-to-wear aveva sollecitato maggiormente il desiderio di cambiare piuttosto che quello di avere un vestito perfetto.
Il boom economico di cui godette l'America della fine degli anni 40 avvicinò all'acquisto di moda a fasce di pubblico
sempre maggiori, si configurava quindi uno stato sociale con esigenze nuove che non voleva rinunciare all'abito
confezionato.

Di ora torno in Francia e si aprì l'ipotesi di aprire a New York una casa di confezioni di grande classe e Boussac finanziò
totalmente l'iniziativa.
Nel frattempo era iniziato un lavoro sulle licenze.
Certamente dopo il viaggio americano di Dior i risultati commerciali sarebbero meglio la migliorati se i prodotti fino
all’ora in licenza fossero stati venduti con il marco del couturier. La ridiscussione del contratto portò calze, cravatte
sotto il marchio della maison parigina.

Si giunse alla conclusione che era preferibile concentrare a Parigi la creazione di tutte le collezioni, anche quelle
americane, in modo da evitare di trasferimenti stagionali dello studio New York e affidare in loco solo la loro
fabbricazione. Per arginare il mercato delle copie i venditori accreditati si iniziarono a vendere i modelli degli abiti delle
collezioni. Nel 1954 Christian Dior rappresentava da solo il 49% delle esportazioni di couture verso gli Stati Uniti.

L ’ I M M A G I N E D E L L A H A U T E C O U T U R E

Per sostenere tutto ciò, era necessario l’haute couture ora continuasse a spettacolo (nel nostro mondo privo di
meraviglia il couturier giocava ancora fare l’incantatore).
La novità che più aveva colpito l'immaginario collettivo era stato repentino allungamento delle gonne alla caviglia (Dior
utilizzò la lunghezza delle gonne nelle stagioni successive per indicare i mutamenti, i giornali lo seguirono in questo in
questo gioco tanto che l’attesa sui centimetri da terra era spesso argomento di discussione)

Dior scelse di sviluppare in ogni collezione solo due temi, e le denominazioni scelti avevano per scopo di suggerire
immagini grafiche zig-zag, verticale, ovale, muguet. Anche i singoli modelli erano accompagnati da un nome che
faceva riferimento agli ispirazione o all'immaginario del pubblico.

La presentazione teatrale della sfilata era preparata con metodo e seguendo rituale sempre uguale che vedeva Dior al
centro dell'intero progetto. L'ideazione dipendeva solamente da lui, dal suo gusto.
Il lavoro creativo si svolgeva nella casa di campagna: nella prima fase l'intero gruppo partecipava e buttava giù idee di
ogni tipo, terminata la fase progettuale iniziava la selezione dei disegni insieme al suo staff. La composizione della
sfilata dipendeva dallo spettacolo finale dalla sua regia. Ogni collezione comprendeva dai 170 ai 200 modelli

L'evento veniva organizzato nei più piccoli particolari e provato su un pubblico ristretto è amico fino alla sera prima.
La riuscita era essenziale perché su questo spettacolo si giocava ogni volta il nome della griffe.
La produzione Dior rappresentava quasi la metà delle esportazioni della couture parigina e la collezione di alta moda
era essenziale per conquistare l'attenzione della gente comune: la sapiente composizione del suo pubblico garantiva
che dal giorno dopo i quotidiani cominciassero a raccontare discutere e enfatizzare l'evento della nascita di una nuova
linea.

L O S T I L E D I O R

A 10 anni dalla prima collezione, nel 1957, la fama di Christian di or era giunta al culmine. Morì improvvisamente mentre
era in vacanza a Montecatini.

Marcel Boussac dirà che la maison Dior continuerà e per non rompere la tradizione la creazione resterà nelle mani
dell'équipe costituita da Monsieur di or stesso. Ciascuno svolge la loro ruolo a cui Dior lo aveva allenato e preparato, le
collezioni future avranno le migliori possibilità di essere il riflesso esatto di quello che Dior avrebbe amato e desiderato
creare. Ma l’immagine di Dior da questo momento verrà legata al nome di Yves Saint Laurent.

La responsabilità che Saint Laurent si trovò ad affrontare era enorme. La questione in oggetto non era solo l'impero
Dior, ma tutta la moda francese: stava nascendo il pret-à-porter e l'alta moda doveva prendere atto di un nuovo modello
di consumo. Saint Laurent presentò la sua prima collezione nel 1958 era costituita sulla figura geometrica del trapezio e
la seconda collezione riprese lo stile Dior, gonfiando le gonne a cupola o a palloncino.
Il successo fu enorme.

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L A M O D A I T A L I A N A
La moda italiana, dopo un passato glorioso, era diventata in età borghese è un paese marginale.
In due momenti di revanche nazionalista si tentò di stabilire le basi per una moda italiana una prima volta sotto la regina
Margherita e una seconda in epoca fascista.
Solo nel secondo dopo guerra si incominciarono a creare le condizioni per avviare un discorso di tipo innovativo
internazionale

G L I S T A T I U N I T I E L A M O D A I T A L I A N A

Il processo di rinnovamento fu favorito dal rapporto che il paese intrecciò con gli Stati Uniti. Alla fine dell'ostilità, gli
alleati cominciarono a fornire generi alimentari e materie prime.
Attraverso un complesso sistema di crediti, l'America mise a disposizione finanziamenti e macchinari, l’obiettivo era
trasformare le modalità di consumo che l'Italia seguiva. La chiusura delle frontiere dopo la crisi del 1929 è stato il vero
problema la loro riapertura poteva significare la ripresa delle esportazioni.
In questo modo l'Italia si venne a trovare in posizione di completa virtù apertura alle nuove correnti e con una struttura
industriale flessibile, costituita in prevalenza da piccole ditte artigianali nel settore tessile-abbigliamento.

Anche se durante la guerra l'industria della moda americana si era legata all'influenza francese e aveva iniziato a
produrre un'alta moda di altissima qualità è uno sport adatto a tutte le occasioni non marcato degli Stati Uniti c'è ancora
posto per altri prodotti.
I primi viaggi di osservatori e buyer americani in Italia alla ricerca di articoli da acquistare risalgono all'immediato dopo
guerra nello specifico a Roma e a Milano, l'Italia stava diventando interessante non solo per i suoi paesaggi, ma anche
per il suo fermento culturale.

L A S A R T O R I A D I A L T A M O D A

I nomi famosi nel periodo più belli co erano stati sostituiti da imprese giovani: Sorelle Fontana, Antonelli, GabriellaSport,
Marucelli, Veneziani. Tutti in sintonia con lo spirito di rinnovamento e rilancio del paese che animò l'intera opera di
ricostruzione (lanciarsi in un'avventura nuova che facesse recuperare il tempo perduto sulla strada della modernità.

Ma l'invenzione del nuovo necessitava di punti di riferimento anche nel campo della moda così si è ripreso ad andare a
Parigi, ma contemporaneamente si dava spazio all'invenzione è la creazione di collezioni. In questa prima fase la
capacità progettuale estremamente limitata tanto da giustificare l'acquisto di schizzi da disegnatori occasionali o
professionisti (unica vera forza creativa italiana era Emilio Pucci).
Nel corso del decennio il problema fu superato attraverso contatti di esclusiva che legarono alcuni designer a una
singola casa di moda, così da favorire la definizione di un'identità di stile e precisa.

Il compito che il mercato americano aveva assegnato alla produzione italiana era stato quello di fornire alta moda a
prezzo ridotto e sportswear di gusto europeo (fascia alta del ready-to-wear)
L'Italia era capace di produrre un genere di abiti che si adattavano perfettamente all’America, i tessuti italiani erano
interessanti gli abiti da sera meravigliosamente confezionati con sede di altissima qualità a costi relativamente bassi.

M O D A , B O U T I Q U E E A C C E S S O R I

Il problema era dare una veste estetica alta a una competenza artigianale di cui il paese possedeva risorse infinite, ma
disseminate. Alcune aziende, come Ferragamo e Gucci, avevano già queste caratteristiche.
Accanto ad esse però lasciava nuove imprese che fondarono un loro successo su una singolare collaborazione di
antica nobiltà e alta borghesia con artigiani, contadine e vecchie botteghe. L'elite aristocratica si dedicò a questo
numero per ragioni economiche: la guerra aveva messo in crisi anche le situazioni per patrimoniali e di privilegio
tradizionali.

Il caso più noto è quello di Emilio Pucci si era ritrovato zeppo di debiti e quindi aveva cominciato a disegnare e
produrre sandali, abitucci con gli artigiani di Capri. Nel giro di poco tempo riuscì ad elaborare un vero stile per lo
sportswear. Pucci silver se all'industria tessile che fu in grado di mettergli a disposizione stoffe di cotone e di seta
oppure al Cantini, stampati con decine di tinte da aziende comasche come la pensi e Mario Boselli.

La nascita della moda italiana fu l'operazione di carattere culturale: utilizzare competenze artigianali sia blasonate sia
popolari e inventare un prodotto che non avesse caratteristiche etniche, ma che contenesse un’ idea d’Italia distillata
per un pubblico straniero (immagine di paese del mare, dell'arte, delle vacanze, della musica, del sole).
Il rischio che la moda doveva evitare era di venire fagocitata da questi luoghi comuni.

La proposta che scaturì da questo gruppo di raffinati creatori di moda fu un tipo di abbigliamento sportswear, ma essi
lo rivestirono di un contenuto artigianale di un gusto che riproponeva le tradizioni di un paese antico è una cultura

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estetica che affondava le proprie radici in una produzione artistica tra le più famose del mondo. La loro sapienza fu tale
che riuscirono persino a giocare con ironia e levità sul folklore del paese del sole delle contrade.
Il Neiman Marcus Fashion Award venne assegnato a Salvatore Ferragamo (1947) ed Emilio Pucci (1954). Gli italiani si
sono imposti negli stati uniti con la maglieria e con la calzatura.

T E S S U T I I T A L I A N I

Il secondo fattore che Vogue riteneva eccitante erano i tessuti. Quando gli alleati cercarono di identificare i comparti
produttivi non totalmente danneggiati, sì esatto conto che l'industria tessile poteva essere uno dei più importanti
esistevano già, infatti, distretti che si erano specializzati dall’ottocento.
La seta in Lombardia, il cotone la lana e poi gli artificiali e i sintetici in Lombardia, Piemonte e Veneto. In particolare il
comparto delle fibre chimiche, fortemente sostenuto dal fascismo, presentava caratteristiche di grande industria
moderna.

Nuova fondamentale nello sviluppo dell'intero settore fu svolto dalla SNIA viscosa sotto la direzione di Franco Marinotti,
che già alla fine degli anni 40 organizzato a promuovere l'organizzazione di sfilate di moda Venezia.
La moda doveva diventare il veicolo proporzionale privilegiato dei nuovi tessuti artificiali e l'ipotesi che abbigliamento e
tessuti potessero affrontare insieme dal la sfida del mercato convinse molti.

In quegli anni nacquero numerosi accordi che prevedevano rapporti privilegiati tra case di moda e aziende.
Lo scopo era dar vita una sinergia economica fra i due partner, ma soprattutto favorire il dialogo sia sulla parte creativa
dei due settori sia su quella tecnica.
Il connubio con le case di moda forniva spunti creativi nuovi entrambi settori: I sarti potevano lavorare con materiali
esclusivi di primissima qualità dette sultani stampatori potevano partecipare direttamente all'invenzione della moda,
cogliendone tutti gli stimoli e sperimentando le novità senza il timore dei costi.

Gli italiani cominciarono ad acquistare pagine sulle riviste specializzate per presentare i modelli di sartoria con
indicazione del leggibile del marchio del tessuto utilizzato. Si tratta di una forma di comunicazione rivolta agli
innumerevoli consumatori di stoffa ancora presenti sul mercato della moda.

L A P R O M O Z I O N E D E L L A M O D A I T A L I A N A

Giovanni Battista Giorgini comprava il meglio della produzione artigianale italiana per i grandi magazzini dislocati sulle
tue coste degli Stati Uniti. Era una professione che gli consentiva di conoscere alla perfezione la realtà dei due paesi,
sia dal punto di vista degli stili di vita che della produzione.

Nel 1950 egli intuì che era giunto il momento di investire sull'abbigliamento italiano il 12 febbraio 1951 organizzò la
prima manifestazione internazionale di moda italiana presso villa Torrigiani (casa sua). Di fronte ai buyer di quattro
magazzini e ad alcune giornaliste sfilarono 10 firme di alta di alta moda (Sorelle Fontana, Marucelli, Veneziani) e quattro
per la boutique (Emilio Pucci).
Il successo fu tale che l’evento si ripetè, ma in location molto più ampie: in occasione delle due edizioni successive
presso il Grand Hotel di Firenze e nel 1952 presso la sala Bianca di Palazzo Pitti.

Da quel momento palazzo Pitti diventò la sede ufficiale della passerella del made in Italy, ma, ben presto, cominciarono
a sorgere i primi problemi: alcune delle sartorie romane decisero di presentare le collezioni stagionali nella propria città,
dando vita a un nuovo polo.

L A C O M U N I C A Z I O N E

Nel giro di poco tempo Firenze divenne una meta abituale non solo per i p.a. buyer ma anche per giornalisti di moda
italiani e stranieri. Nel numero di metà agosto del 1951 Life mise la moda italiana in copertina: le novità italiane
cominciano a comparire anche sulle riviste specializzate come Vogue e Harper’s Bazaar.
Dissero sono poco di più di due anni, ma la couture di Roma, Firenze e Milano è stato un vulcano di idee bellissime
tutte eseguite con materiali inventivi e superbamente lavorati.

Ormai la moda non era più solo un affare di sartoria di grido, ma era un sistema produttivo sempre più complesso.
Il clima creato dal successo della moda italiana favorì la nascita di nuove testate: la più importante fu certamente
Novità, ma naturalmente le riviste femminili come Grazie e Annabella riservarono alla moda uno spazio sempre più
importante.

Una vera comunicazione di moda, che però necessità di professionisti che in Italia mancavano di una vera tradizione. I
servizi di moda richiedevano ormai un uso della fotografia più intense specializzato di quanto non fosse avvenuto negli
anni 30. Alla domanda rispose una nuova generazione di fotografi: Gianni della Valle, Federico Carella, Pasquale de
Antonis. Allo stesso modo si affermò la prima generazione di modelle professioniste, che gradualmente sostituirono le
nobildonne cui la moda italiana era inizialmente ricorsa per presentare i propri modelli.

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Nel febbraio 1956, il Centro per la Moda Italiana organizzò una crociera a New York, sulla Cristoforo colombo, cui
parteciparono case di moda milanesi e romane. Gli abiti furono presentati da otto bellissime gentildonne ad un party
sulla nave e in altri eventi di gala, in televisione.
Via erano previste anche presentazioni a New York, Chicago, San Francisco, Los Angeles, Dallas, Washington, Boston.

Forma di comunicazione più spettacolare di cui godette la moda italiana fu offerta dal grande schermo. Cina città fu
messa in funzione nell'immediato dopo guerra e diventò un popolo di estrema importanza per il cinema degli anni 50.
Da un lato utilizzata dalle Major americane dall'altra e una parte fondamentale nella ricca produzione italiana di quegli
anni. Nel giro di poco tempo Roma divenne una delle capitali dell'industria cinematografica mondiale.

Le sorelle fontana furono probabilmente tra le più abili nel servirsi di questo potenziale: dall'abito di nozze di Linda
Christian per il matrimonio con il più bello idolatrato dei divi americani, Tyron Power ai modelli di scena per Ava Garner.
Emilio Schubert vestì le nuove dive italiane come Sophia Loren e Gina Lollobrigida. Dal suo atelier uscirono anche
lussuosi abiti commissionati dalle più famose soubrette dell'epoca.
Tutte le sartorie romane vantavano fare al lavoro la nuova clientela nobili celebri dello star system: il sodalizio con il
cinema consentì alla moda italiana di uscire dalle pagine delle riviste specializzate.

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