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DALLA SINISTRA STORICA ALLA CRISI DI FINE SECOLO

LA SINISTRA STORICA AL POTERE

Nel 1875, la destra storica riuscì ad ottenere il pareggio del bilancio, ma determinando un
malcontento largamente diffuso tra la popolazione (soprattutto nel meridione) e un’insoddisfazione
dei professionisti e degli industriali, anch’essi colpiti dalla pesante imposizione fiscale che invece
lasciava quasi esenti i grandi proprietari terrieri.
Dal 1878, l’Italia ebbe come protagonista un nuovo re, Umberto I. Durante il suo regno l’Italia fu
attraversata da importanti cambiamenti che avrebbero comportato un ammodernamento dello stato e
l’inizio di uno sviluppo industriale.
Il malcontento nei confronti della destra si era già manifestato alle elezioni politiche del 1874,
quando essa era riuscita a vincere con un margine molto basso di voti, ma nel meridione la sinistra
aveva ottenuto una vittoria schiacciante. A determinare la fine del governo di Destra non furono
comunque le elezioni, infatti l’ultimo governo di Minghetti fu battuto in parlamento dal voto
contrario di un eterogenea opposizione che vedeva unite la sinistra e parte della destra. Vittorio
Emanuele II chiamò allora al governo Depretis.

DEPRETIS

Il governo di Depretis prevedeva diverse riforme.


Riforma scolastica: si estese nel 1877 l’obbligo dell’istruzione elementare a tre anni.
Riforma elettorale: il diritto di voto si svincolava dal censo e si legava al titolo di studio
Riforma fiscale: abolizione della tassa sul macinato. (ciò comunque non servì a migliorare le
condizioni della popolazione. Il conseguente aggravarsi del deficit del bilancio statale, richiese
l’introduzione di altre imposte su beni di consumo.
Riforma sociale: nel 1883 fu istituita la Cassa nazionale per gli infortuni del lavoro.
Non venne attuato il decentramento amministrativo.

TRASFORMISMO

Nel 1882 si costituì un accordo fra destra e sinistra. L’obiettivo fondamentale era evitare attacchi ad
una politica moderata e di centro che consolidasse lo stato liberale e monarchico. Ciò non seppe
dare luogo a un solido schieramento delineato attorno a precisi obiettivi. La conseguenza principale
di tale situazione politica fu un sostanziale immobilismo governativo; e ben presto questo sistema
sarebbe diventato una vera e propria forma di clientelismo, costellata anche casi di corruzione.

DECOLLO DELL’ECONOMIA NEGLI ANNI 80

Sul finire degli anni Settanta dell’Ottocento, lo sviluppo industriale italiano era ancora molto
arretrato e la principale attività produttiva era l’agricoltura; perciò il divario con l’Europa era molto
grande. Le vie di comunicazione e i mezzi di trasporto erano carenti, così come le fonti energetiche.

Fu all’incirca intorno agli anni Ottanta che cominciò una lenta crescita industriale in Italia. Lo
Stato, si fece protagonista di numerose commesse pubbliche, prevalentemente destinate al settore
siderurgico. Si cercò di creare un vivace sistema bancario e creditizio, in grado di finanziare la
crescita industriale: si ripristinò la convertibilità in oro della lira; si abbandonò il programma
liberoscambista facendosi promotori di una politica protezionista, in tal modo le industrie italiane
poterono godere di un sistema economico protetto dalla concorrenza straniera. Ci fu inoltre lo
sviluppo della moderna industria siderurgica e la nascita delle aziende quali (acciaierie di Terni,
Edison, Fiat). Principalmente attorno alle tre città di Torino, Milano e Genova.

SVOLTA DEMOGRAFICA E EMIGRAZIONE

Nonostante lo sviluppo industriale e l’accrescimento della ricchezza nazionale, l’Italia restava


ancora per parte un paese povero, il cui problema più importante era la miseria dei contadini.
Quest’ultima fu resa più acuta dal forte incremento demografico. Gran parte di questo aumento fu
assorbito dall’emigrazione verso i paesi europei e le lontane terre d’america.

ISOLAMENTO DELL’ITALIA E TRIPLICE ALLEANZA

Lo stato italiano non era entrato nel sistema delle grandi potenze europee. Dopo la terza guerra
d’indipendenza combattuta a fianco della Prussia, che aveva consentito l’annessione del veneto,
esso infatti rimase isolato a livello internazionale. Nel 1881 la Francia occupò la Tunisia, dove
prosperava una colonia di italiani e che quindi rientrava nelle mire espansionistiche di Roma. Ciò
compromise i rapporti tra Francia e Italia. Alla sinistra storica non rimaneva che cedere alle forti
insistenze del cancelliere Bismarck, che voleva L’italia alleata della Germania e dell’Austria.
Questo poteva essere l’unico modo per cui l’Italia si inserisse nuovamente nel gioco delle alleanze
tra le grandi potenze europee. Così, il governo Depretis siglò, nel 1882, la triplice alleanza.
Germania, Austria e Italia concordavano così il reciproco intervento unito nel caso in cui una delle
tre nazioni fosse stata attaccata da qualsiasi altra potenza.
Cominciarono inoltre ad affluire in Italia ingenti capitali tedeschi, che contribuirono a finanziare
l’industria nascente.

COLONIALISMO

Il governo italiano decise di muovere i primi passi sulla via dell’espansionismo coloniale, entrando
a far parte della spartizione del continente africano. (ciò fu determinato anche dalla diffusione di un
forte sentimento nazionalista tra politici e militari). Ma l’Italia non era ancora pronta a cimentarsi in
un’espansione coloniale a causa soprattutto dell’impreparazione dell’esercito. Inoltre, la mancanza
di un solido apparato industriale non consentiva di sostenere uno sforzo bellico per un lungo
periodo.

CRISPI

Quando Agostino Depretis morì, gli successe come presidente del consiglio Francesco Crispi. Egli
fu un fervido nazionalista che salito al potere si propose di accentrare i poteri nell’esecutivo
sottraendo il margine decisionale che il parlamento aveva guadagnato in seguito al trasformismo e
concentrò nelle sue mani le cariche di presidente del consiglio, ministro degli interni e degli esteri.
Riforma della legge comunale e provinciale: i sindaci dei comuni furono resi elettivi.
Riforma del codice penale: venne approvato un nuovo codice penale in cui venne abolita la pena di
morte
Approvazione di una legge sulla pubblica sicurezza, i poteri delle forze di polizia aumentarono.
Venne portata avanti una politica anticlericale, mediante l’abolizione dell’insegnamento della
religione come materia nelle scuole.
Portò inoltre avanti con determinazione la sua politica colonialista.
Nel 1891 però, a causa delle preoccupazioni della maggioranza governativa per i crescenti costi
delle spedizioni coloniali, Crispi fu messo in minoranza parlamentare e costretto alle dimissioni.
GIOLITTI

Durante il momentaneo ritiro di Crispi dalla scena politica, a guidare il governo italiano fu Giovanni
Giolitti.
Nel 1892 venne fondato il Partito dei lavoratori italiani
Nel 1891 sorse il movimento politico della democrazia cristiana, e cominciarono a nascere i primi
sindacati cattolici.
Altro evento che segnò la politica italiana di quei due anni fu la rivolta dei Fasci siciliani, un
movimento di protesta contadino e operaio, sorto in seguito alla disastrosa situazione determinata
dall’ingente tassazione statale e alla crisi dell’industria dello zolfo. Senza un’ideologia politica, essi
erano uniti dalla rivendicazione di salari più alti e di un’equa distribuzione della terra. Di fronte a
tale rivolta Giolitti tenne un atteggiamento prudente evitando di ricorrere alla forza.
Ad aggravare la precaria situazione del nuovo capo di governo fu lo scandalo della Banca
romana. Giolitti fu infatti tacciato di essere il responsabile politico della situazione di corruzione
della banca. Accusato di ciò e di non essere in grado di tenere a bada la ribellione dei fasci siciliani
e delle rivolte sociali che animavano il paese, Giolitti fu messo in minoranza e fu costretto a
dimettersi nel 1893.

CRISPI

Caduto Giolitti, Crispi tornò alla guida del paese.


Adottò immediatamente misure severissime nei confronti dei fasci siciliani, proclamando lo stato di
assedio in Sicilia. Ci furono così arresti di massa. Crispi decise inoltre di sciogliere il partito
socialista dei lavoratori.
Le opposizioni, allora, si organizzarono dando origine alla Lega delle libertà, in cui si allearono
socialisti, repubblicani e radicali. Alle elezioni del 1895 i voti dei socialisti furono quasi triplicati,
facendo emergere come la svolta autoritaria non aveva avuto gli effetti sperati da Crispi, ma anzi
aveva forse agito in direzione opposta, aumentando i consensi dei suoi oppositori.
Crispi riprese inoltre la politica di espansione coloniale, promovendo una campagna militare contro
l’Etiopia, ma lo scontro si risolse in un vero e proprio disastro.
Crispi dovette dimettersi e scomparire definitivamente dalla scena politica italiana, concludendo il
periodo di governo della sinistra storica e dando inizio a quella che sarebbe passata alla storia come
la “crisi di fine secolo”.

LA CRISI DI FINE SECOLO


RIVOLTE

La penisola era attraversata da profonde tensioni sociali che dettero luogo nel 1897 a tumulti e
sommosse al grido di “pane e lavoro”. Furono eseguite centinaia di arresti e morti.
L’episodio più clamoroso avvenne a Milano, il 6 maggio 1898, quando il generale Beccaris dà
ordine di sparare sulla folla causando 82 morti. In seguito alle proteste il re chiama al governo
Pelloux, che presenta una serie di leggi eccezionali volte a limitare il diritto di sciopero e di
associazione, respinte grazie all’ostruzionismo parlamentare. Il 29 luglio 1900 Umberto I venne
assassinato a Monza dall’anarchico Gaetano Bresci, e il nuovo re, Vittorio Emanuele III, avvia una
politica di pacificazione, chiamando al governo Zanardelli.

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