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Dopo il 1848, l’Italia attraversò uno sviluppo economico minore al resto d’Europa.

Il fatto che l’Italia fosse


sotto il dominio austriaco non aiutò il processo di sviluppo economico in quanto era presente una
politica doganale che non permetteva commerci liberi con l’estero e poi le condizioni delle ferrovie e
delle strade erano pessime.

Poi c’era l’Impero austriaco che scaricava sul regno lombardo-veneto gran parte dei costi della propria
amministrazione e per questo parte dei profitti non poteva essere utilizzata. Quindi gli elementi frenanti
dell’economia lombardo-veneta erano la dominazione straniera e l’assolutismo. Solamente la Sardegna
aveva un regno con una politica costituzionale. Proprio per merito suo iniziò una politica riformatrice che
permise al Piemonte di migliorare la sua situazione economica potenziando ferrovie e strade, abolendo i
dazi doganali e potenziando il porto di Genova. Il Piemonte rappresentava la conferma del fatto che le
verità del liberalismo, ovvero libertà costituzionali, indipendenza e unità e diritto economico, erano
giuste e praticabili. Lo statuto piemontese era inoltre molto innovatore e ciò venne esportato anche fuori
dal Piemonte da Cavour, un nobile piemontese sostenitore di un’aristocrazia modernizzatrice.

gli eventi che caratterizzarono il Risorgimento italiano

Per approfondimenti sul Risorgimento italiano vedi qui

Figura di Cavour per l’Italia: rivoluzione politica

Nel 1830 Cavour era favorevole alla svolta rivoluzionaria per la ripresa italiana. Per fare ciò, Cavour fece
numerosi viaggi per conoscere anche le situazioni degli altri Paesi: a Londra Cavour conobbe un
parlamento e ascoltò i dibattiti riguardo la rivoluzione industriale e il modo in cui essa dovesse essere
supportata. Ritornato in Italia, s’accorse che la politica di Carlo Alberto era troppo chiusa allo scambio,
rispetto ad altri paesi. Cosi decise di entrare in politica nel 1849 come deputato in parlamento e da
subito decise di abolire i privilegi ecclesiastici in tutto il regno. Nel 1850 pronunciò un discorso per
difendere questa legge e dire di essere a favore di una politica riformatrice con l’obiettivo di porre il
Piemonte in testa a tutte le forze italiane. Egli divenne portavoce del liberalismo moderato e fu proprio
questo ad affermare la borghesia come una classe in grado di dirigere l’unificazione di un paese. Cavour
voleva uno stato nazionale a monarchia costituzionale, liberista in campo economico e liberale su quello
sociale, un paese aperto anche ad un riformismo sociale facendo tornare intorno alla politica tutta la
borghesia.

Nel 1857 si formò la Società nazionale italiana di Cavour dove confluirono sia democratici che liberali e
dove confluì lo stesso Garibaldi. Cavour nel 1850 venne anche eletto ministro dell’agricoltura e delle
finanze sotto il governo di Massimo D’Azeglio. Il governo di D’Azeglio era poco deciso ed andava
sostituito. Così Vittorio Emanuele II gli affidò la formazione di un altro governo.

Per approfondimenti sulla figura di Cavour vedi qui


Le guerre per l’indipendenza e formazione del Regno d’Italia

Dopo gli accordi con Cavour, Napoleone III provò ad abbandonare l’alleanza appena formata. Nel regno
del Piemonte la politica di Cavour intanto perdeva favori perché non si capiva la ragione della
concessione di Nizza e della Savoia alla Francia. Sembrava che tutto stesse per fallire quando l’Austria
fece un errore: dopo una serie di scontri, nel 1859 l’Austria dichiarò ostilità agli stati sardi. Così
Napoleone III fu costretto ad inviare 100.000 uomini mentre gli austriaci passavano il Ticino. Vi furono
una serie di battaglie vinte dai piemontesi, anche per merito di Garibaldi. Per merito di queste battaglie il
governo austriaco risultò compromesso. Nel 1859 Napoleone III firmò un armistizio con l’Austria, la pace
di Villafranca. Con l’armistizio l’Austria cedeva alla Francia la Lombardia e nei regni dell’Italia centrale
dovevano tornare i sovrani spodestati. Cavour rimase deluso dal comportamento di Napoleone e per un
breve periodo si allontanò dalla politica, con la formazione di governi provvisori. Cavour, tornato al
governo, sfruttò la situazione dandogli Nizza e la Savoia e ottenendo l’annessione degli stati dell’Italia
centrale. Questa guerra causò l’inizio del movimento che portò all’Unità d’Italia: i fermenti nelle zone
non ancora libere dall’assolutismo crescevano sempre di più per poter accelerare l’unificazione. In
questo contesto riprese il movimento democratico guidato da Mazzini. Nell’Aprile del 1860 scoppiò una
rivolta a Palermo organizzata da Crispi e Rosolino. Intanto Garibaldi cominciò ad arruolare volontari per
una spedizione con il segreto assenso del governo. I volontari arruolati salparono dal porto di Quarto. A
Marsala, in Sicilia, si scontrarono con le truppe borboniche e vinsero. L’esercito intanto continuava a
crescere e di lì a un mese l’esercito arrivò a Napoli. La paura era che Garibaldi continuasse e invadesse
anche lo stato pontificio. Per evitare questo Vittorio Emanuele II invase lo stato pontificio e sconfisse le
truppe del papa. Il 17 marzo 1861 venne proclamata la fondazione del regno di Italia e Vittorio Emanuele
II ne ebbe la corona. Cavour morì in giugno.

Per approfondimenti sulle guerre di indipendenza e l'Unità d'Italia vedi qui

L’organizzazione ed i caratteri dello stato unitario

Dopo l’unificazione, si svolsero le prime elezioni politiche ma votarono in pochissimi perché potevano
votare solo i cittadini abbienti con più di 25 anni di età. La piccola minoranza votante era composta da
proprietari fondiari, imprenditori agricoli, industriali, aristocratici, militari di alto grado, funzionari di
stato e professionisti. La leva su cui faceva il nuovo stato era una base sociale molto limitata e la
maggioranza della popolazione non aveva diritti politici. Nel nuovo Stato il personale politico era
prevalentemente piemontese. Si erano tutti formati alla scuola di Cavour e la maggioranza aveva già
provato a governare il passato regno di Sardegna nel decennio di preparazione all’unità. Vittorio
Emanuele II mantenne il proprio nome, proprio come se non fosse cambiato nulla.

Il gruppo dirigente si divise così in due nel Parlamento: a destra sedevano i moderati ed i liberali
conservatori che volevano continuare a seguire i metodi di Cavour mentre a sinistra c’erano i progressisti,
democratici di insegnamenti mazziniani e garibaldini. Nel 1861 la legge comunale piemontese fu estesa a
tutta Italia e nacque la figura del prefetto. Egli era il rappresentante del governo in ogni provincia e fu
l’unico modo per realizzare il controllo amministrativo diretto dal centro. Egli tutelava l’ordine pubblico,
dirigeva gli organismi sanitari provinciali, la scuola ed i lavori pubblici, nominava i sindaci e i deputati
provinciali. Rispondeva al ministro degli interni. La libertà che i piemontesi avevano proposto non
sembrò uguale per tutti: per questo dal 1861 scoppiarono forti insurrezioni contro i piemontesi. A causa
di ciò si sviluppò il fenomeno del brigantaggio per cercare di far capire al nuovo stato quali erano i propri
bisogni. Anche i democratici rimasero disinteressati a ciò che le masse di contadini chiedevano quindi
questo causò una forte sfiducia nei confronti del nuovo governo. È proprio in questo clima che si
inserisce lo stato pontificio per far insorgere i cittadini e farli ritornare allo stato borbonico precedente.

La difficile integrazione nazionale

Insieme ai bersaglieri che repressero le rivolte dei briganti, al sud vennero portate anche le ferrovie: lo
Stato italiano voleva costruire una rete stradale e ferroviaria su tutto il paese. Vennero abolite le barriere
doganali per far diventare l’Italia un unico grande mercato. Questo mercato era dominato dal sistema
manifatturiero settentrionale e gli stessi gruppi imprenditoriali investirono anche nella costruzione delle
ferrovie. Questo significa che ciò che doveva unire il paese ma in realtà non fece altro che accentuarne le
differenze e le distanze. Fu così che il sud fu condannato ad essere una regione prevalentemente
agricola. In più il lavoro a domicilio e l’artigianato locale scomparvero a causa delle manifatture
meccanizzate, facendo perdere moltissimi posti di lavoro. L’Italia rimaneva comunque un paese
prevalentemente agricolo, anche se nel post-unità si andò verso un’industrializzazione. I contadini non
erano proprietari delle terre che lavoravano, terre concentrate nelle mani di pochi. Gli italiani erano
dunque coloni, mezzadri, braccianti che lavoravano a giornata.

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