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STORIA CONTEMPORANEA

MONINA DAMS ROMA TRE


Storia Contemporanea
Universita degli Studi Roma Tre
141 pag.

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STORIA CONTEMPORANEA
DIFFERENZA TRA STORIA E STORIOGRAFIA
STORIA
 Vicende, periodi del passato
 La storia è soggettiva, le vicende non si possono cambiare, non modificabile
STORIOGRAFIA
 Metodi di strumenti per narrare la storia
 Oggettiva
 Le vicende narrate dallo storico hanno la propria interpretazione, deve
rimanere il piu’ possibile neutrale nel raccontare le vicende.
 Uso delle fonti: tendere verso l’oggettività, aspirare a queste fonti a
disposizione ricostruendo anche grazie alla conoscenza dello storico
GLI ANNALI: Il nome del gruppo - che viene di solito indicato semplicemente Les
Annales - deriva dalla rivista, fondata nel 1929 da Marc Bloch e Lucien Febvre,
Annales d'histoire économique et sociale, tuttora esistente e pubblicata dal 1994
con il titolo di Annales. Histoire. Sciences sociales.
L’APOLOGIA DELLA STORIA: Apologia della storia o Mestiere di storico è un'opera
incompiuta di Marc Bloch. Si presenta come uno dei maggiori classici della
riflessione di metodologia storica del Novecento. (Diritti umani, sociale, rispetto
ect.)
ANACRONISMO: L'anacronismo è un'incoerenza cronologica che consiste nella
rappresentazione, raffigurazione o narrazione di oggetti, persone, avvenimenti o
menzioni posteriori al periodo in cui è ambientata la narrazione principale.
LA SVOLTA LINGUISTICA: E’ una riflessione di carattere letterale che tende a
cambiare il concetto stesso di verità, la Verità è un dato ontologico? Esiste una
verità a prescindere dall’essere detta e pensata? La scoperta. La verità ha una forte
idea religiosa, ovvero verità ontologica, possibilità di pensarla ma senza senso se
non comunicata, quindi viene comunicata nel linguaggio. Apre un campo molto
vasto sulla Verità come svolta linguistica. La svolta culturalista: cos’è la cultura? Si
può leggere in vari modi, esistono tre sinonimi cultura-relazione-comunicazione.
Mettersi in relazione con un'altra persona per comunicare, queste tre parole sono
collegate tra loro. Attenzione per lo storico verso una dimensione culturale, ovvero
linguaggio, forme comunicative che le persone umane avevano tra di loro. Non ci si
riferisce solo al linguaggio parlato o scritto, esiste il linguaggio cinematografico,
linguaggio architettonico, linguaggio del corpo, dei segni, immagini fisse o in
movimenti. Tutti i sensi hanno un linguaggio, anche il gusto o l’olfatto. Anche
questo aspetto modifica il metodo storiografico, orienta la storia verso le relazioni
simboliche. Storia delle mentalità, dimensione che riguarda la mentalità, le
attrezzature che diventano decisive. (Paura, morte, sensazione, valore simbolico dei
colori che orientava delle vicende storiche).

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La tecnologia della comunicazione crea nuove fonti, diventa un potenziale per lo
storico che può utilizzarle dal Novecento in poi. Ogni epoca ha un fattore di
bellezza, lo storico deve sempre tenere conto dei valori di bellezza di quel periodo e
non trascriverli in base al periodo storico attuale, poiché nel passare del tempo ogni
valore, ogni pensiero, sviluppi hanno avuto un cambiamento. Sul piano storico
bisogna comprenderli e non scandalizzarsi.
TEMA DELLE FONTI
 Vecchie e nuove fonti
Le fonti sono le prove, il rapporto che lo storico ha è fondamentale per collocarle nel
periodo. Erano considerate fonti solo quelle ufficiali, lo storico “orco” si basa invece
su tutte le fonti che ha a disposizione.
La chiave della selezione delle fonti diventa enorme, tramite televisione, cinema,
radio, pittura, dove c’è un intervento antropico allora si parla di fonte in qualsiasi
ambito dell’agire umano. Bisogna avere una certa familiarità con le fonti.
La dottrina delle fonti
Le fonti hanno un valore estrinseco e intrinseco
 Estrinseco è il valore del supporto della comunicazione (del mezzo che veicola
quella fonte), inteso come costo di produzione. Nel caso di oggetti già esistenti
in natura, il loro costo di estrazione, raccolta e lavorazione. Elementi di carattere
tecnico che fanno parte di questo valore, come la fotografia (il grandangolo, un
filtro, il metodo di stampa), l’inchiostro. Lo storico da valore a tutte queste
caratteristiche, deve essere decodificato.
 Intrinseco è esattamente il messaggio della fonte, ovvero cosa c’è al suo
interno. Il messaggio è a interpretazione dello storico, bisogna creare un
percorso di lettera collocandolo nel posto giusto, ad esempio se è vero o falso.
 Fonte fotografica e iconografica: E’ un modo di pensare, le radici delle
fotografia risalgono al V secolo a.C con il rapporto verso il mondo e la realtà, la
macchina fotografica è reale? E’ un interpretazione soggettiva e neutrale.
Evidenzia un istante ma non da messaggi su cosa è successo prima o dopo.
L’immagine fissa non può essere fedele. Può documentare dei fatti, possono
essere presenti degli elementi oggettivi dando informazioni allo storico ed è una
rappresentazione di eventi basata su 3 livelli: indizi, ovvero vedere i dettagli
della foto, i segnali ovvero i soggetti presenti nella fotografia, rappresentazione
simbolica ovvero ciò che porta a qualcosa che riporta a dei simboli di quel
periodo collocando e interpretandoli. C’è anche l’interpretazione del fotografo
che scatta, che da una codificazione artistica. Nella dimensione digitale è
soggetta una manipolazione volontaria e involontaria, essa era presente anche
nell’analogico. Delle volte venivano effettuati dei fotomontaggi con la rimozione
di alcuni politici ad esempio. La fotografia ha anche un grande valore didattico
utilizzandola per i bambini nelle scuole per notare nelle foto il “ieri” con una
testimonianza.

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 Fonte cinematografica: A differenza della fotografia, una fonte cinema ha
delle immagini in movimento che non è paragonabile alla fotografia anch’essa
molto complessa da decodificare. Il documento filmico è valido per il periodo in
cui è stato prodotto. (es. film del fascismo mi fornisce informazioni sull’anno e il
periodo in cui è stato prodotto, mi da informazioni sulla memoria del fascismo e
su come è visto oggi esso.) Anche quest’ultima è una fonte diretta delle volte
anche in modo involontario per visionare degli elementi del territorio di un’area.
E’ anche indiretta attraverso l’immaginario collettivo della produzione. C’è anche
un'altra dimensione molto importante valida anche per la fotografia ovvero che
entrambe possono diventare uno strumento di propaganda. Lo storico per poter
codificare il film, ne deve conoscere la storia attraverso dei linguaggi artistici, la
produzione del film anche per capire chi è che ha commissionato il lavoro, chi ha
pagato. Negli anni 60 i film non erano visti come fonte per gli storici poiché c’era
una mentalità ancora indietro dove solo il documentario era considerata una
fonte reale da poter utilizzare, escludevano il film che ricostruiva vicende
accadute descrivendolo come finzione e una fonte letteraria ma non storica. I
francesi negli anni 70 ribaltano questo discorso e inseriscono anche quest’ultimi
nelle fonti storiche.
 Corpo: Il linguaggio del corpo è piu’ facile da decifrare, ad esempio la cura del
corpo, i vestiti, il corpo cambia anche in base al periodo, all’economia, al trucco
che si utilizza. Per lo storico anche questo è importante per collocare il periodo e
analizzarlo. Il linguaggio del corpo delle salme, ad esempio nei genocidi che sono
importantissimi come fonte.
 Fonti orali: Intesa come la scrittura popolare oppure attraverso le
testimonianze o le interviste, utilizzata spesso per raccontare degli avvenimenti
ad esempio dei bombardamenti dando una visione di chi l’ha provata sulla
propria pelle. La scrittura popolare sono anche intesi come diari di persone che
anche essendo persone molto semplici hanno voluto scrivere la loro vita. Anche
le cartoline mandate durante la guerra diventano fondamentali come fonti. Lo
storico o l’autore dell’intervista ha davanti a sé la fonte vera e propria,
ascoltando e diventando parte attiva di quella fonte, si deve auto-codificare per
capire la caratteristica. Anche la maniera in cui si pone un autore di un intervista
da molti effetti su chi deve essere intervistato, il modo in cui ci si veste incide
sulla “tranquillità” nell’intervistato.
 Digitale: Il primo elemento con cui dal passaggio digitale influisce sulla
storiografia è nei cambiamenti. Le dinamiche riguardano le categorie del tempo
e dello spazio. Scambi sociali, tramite un acquisto di uno di questi apparecchi
digitali. Il digital born pongono allo storico dei problemi molto diversi, sia di
valore estrinseco che intrinseco, attraverso grandi procedimenti e tramite dei
software devono decodificare una fonte, a differenza della fotografia o
cinematografia.
GENEALOGIE:
 Genealogia politica: è lo stato nazione, come nasce? Il concetto di stato è
un’organizzazione delle comunità molto antica, dal feudalesimo. La nazione è un
artificio politico nato dagli uomini in un determinato politico. Nasce prima la

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nazione o il nazionalismo? La nazione prima di esistere è stata pensata,
nazionalismo e poi nasce la nazione. I processi storici che consentono ciò
all’inizio dell’Ottocento è avvenuto nella storia del mondo occidentale un punto
decisivo, la svolta e la fine dell’antico regime e l’inizio dell’età contemporanea
che segna l’inizio di una nazione. La rivoluzione francese fu uno degli
avvenimenti che portò al cambiamento. Bisogna conoscere un elemento,
modifica l’assetto e propone una nuova forma politica e dell’organizzazione e
sociale dell’epoca. I re e i sovrani comandavano nel regime in quanto delegati
direttamente da dio, erano gli unti di dio. Esercitava il suo comando non perché
deciso dal popolo (dimensione sacra di illegittimità). Era visto come un semi-dio
in grado anche di guarire le malattie. La rivoluzione francese interruppe questo
“processo” proponendo la repubblica, ma mettendo in discussione il divino. La
legittimità del comando passa dal cielo alla terra, quindi mondana, più laica.
Questo passaggio d’epoca non è un dettaglio, si crea un vero vuoto di potere sia
nel popolo che nella nazione. Si costruisce intorno ad un processo di tipo
culturale storico da parte dell’illuminismo che prima era riferita soltanto ad
una parte del popolo degli intellettuali, poeti ect. Nasce l’idea di nazione, appena
esso compare nel giro di pochi tempi diventerà un sentimento che porterà alle
guerre. Popolo-nazione: sovranità popolare e nazionale, tendono a sovrapporsi.
La nazione è per primo, la nazione armata cioè che rientra il cittadino uomo
armato. Con questi si aprono tre concetti, cittadinanza, uomo inteso come
nazione prevalentemente maschile, armato uomo militare. La nazione
accompagnata dallo stato poi creerà lo stato-nazione. La nazione ha molte cose
in comune con la religione, terra promessa, culto dei morti. Come si sacralizza
la nazione? Molti più simboli, bandiere nazionali, templi e un discorso pubblico
che darà senso alla nazione che diventerà tradizionalità. La nazione è
assolutamente vera perché smuove dei meccanismi. Gli storici hanno concepito
la storia-nazione come concepimento naturale, solo negli anni ’80 è emerso
l’aspetto di scavare nei linguaggi e come si fossero costruiti i percorsi di
appartenenza (simboli, templi come detto prima). Gli studiosi Eric Hobsbawm e
Terence Ranger nell’83 scrissero un libretto “l’invenzione di una tradizione”.
Si individuano queste fasi di nazionalismo:
 Nazionalismo letterario: dimensione nazione suscita interessi letterari, dove si
iniziano a sviluppare studi sul linguaggio nazionale;
 Nazionalismo borghese: al centro del discorso del processo di unificazione
nazionale: Mazzini. Pensiero politico della nazione, quello che sta alla base del
Risorgimento.
 Nazionalismo di massa, con l’affermazione della stato-nazione negli ultimi due
stati, Italia e Germania quindi in tutta Europa, si affermerà la società di massa,
l’idea del nazionalismo mobilitano la massa.
 Nazionalismo d’integrazione che ha caratterizzato le prime rivoluzioni moderne
ovvero quella quelle inglesi e americane (1776) e francesi (1789).
 Nazionalismo risorgimentale che riguarda le unificazioni nazionali che
caratterizzano l’indipendenza.

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 Nazionalismo secessionista ovvero aree di comunità che si interpretano come
unite per ragione di religione e lingua, ma cercano di staccarsi da un contesto
più ampio.
 Nazionalismo di adozione che verrà utilizzato fino a diventare un modello
utilizzato in tutto il mondo (modello euro americano).
Il capitalismo
E’ stato così definito da Marx, è un sistema economico che si basa sul capitale,
ovvero delle risorse monetarie che vengono investite privatamente in un progetto di
carattere economico. Il capitale che si è accumulato viene investito. Per
l’affermazione del capitalismo tutto inizia dalla prima rivoluzione industriale che si
colloca nella fine del Settecento e inizio dell’Ottocento. Tutta la parte prima viene
chiamata proto-industrializzazione. La prima rivoluzione industriale con il rinnovo e
la nascita della macchina a vapore. Soltanto in alcune aree Europee ci sono delle
condizioni per avviare un processo per l’investire dei capitali.
Come nasce il capitalismo? L’attività più produttiva era l’agricoltura, in altre aree
artigianato ma piuttosto limitati. Nell’economia agricola, con lo sviluppo
demografico, popolazione europea cresce in maniera significativa, aumentano le
esigenze di sfamarsi e bisogna attrezzarsi per vendere i loro prodotti nelle città.
L’agricoltore inizia a mettere da parte il capitale e lo investe per costruire attraverso
l’uso dei telai la produzione di tessuti, una prima mini industria. Questi telai
aumentano e dalla stalla si crea un magazzino, creando così una prima fabbrica. I
capitali vengono investiti per ampliare e aumentare l’economia. Con il vapore,
anche i telai diventano a vapore. Accumulazione del capitale, processo sia
economico ma anche culturale, tutto si muove a passo. Idea d’impresa, idea di
nazione. Economia e stato-nazione diventano le due fondamentali. Il lavoro degli
operai era di carattere artigianale, era una classe operaia iniziale, aristocrazia
operaia. Si inizieranno a creare dei rapporti tra “datori di lavoro” e operai. La
seconda rivoluzione industriale si colloca dopo il 1870 il sistema era in progressione
con l’accelerazione del sistema capitalistico ed è determinata da una stretta
relazione tra scienza e economia. I grandi imprenditori capitalistici spesso erano gli
stessi scienziati e ingegneri. Attraverso la produzione, si svolgono delle scoperte ad
esempio l’elettricità che è fondamentale, motore a scoppio e la chimica. (ad es.
acciaio). La scienza si mette a disposizione dello sviluppo tecnologico e segna una
fortissimo processo di industrializzazione, questa nuova relazione introduce si in
qualità che quantità dei grandi numeri. Diventa decisiva lo sviluppo del trasporto
dei mezzi (treno, l’uso del telefono).

STORIA CONTEMPORANEA LEZIONE 5


La prima parte dell’Ottocento piena di contraddizioni ma anche un grande
progresso sociale ed economico. Momenti emblematici di accelerazione dei processi
della Rivoluzione industriale e Rivoluzione francese: La Rivoluzione industriale a
livello economico e i moti europei del 1848.
In questo periodo vi è il momento apice della borghesia, che diventa la classe apice
insieme al proletariato per portare avanti questa trasformazione economica.

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VALORI BORGHESI
 Progresso economico e sviluppo scientifico
 Meritocrazia
 Libera iniziativa
 Concorrenza tecnica
I valori non sono condivisi perché gli illuministi vengono ripudiati dalla classe
aristocratica parassitaria che è legata al settore agricolo.
Fin dai primi tempi, la piccola borghesia che comprendeva gli artigiani e
commercianti, la borghesia industriale e agricola (alta) che comprendeva magnatie
proprietari terrieri.
Valori comuni a tutti i tipi di borghesia poiché la classe è accomunata dagli stessi
valori, nonostante la piccola borghesia non si possa permettere tanti lussi come
l’alta borghesia. Nonostante ciò essi aspiravano ad adottare questo stile di vita.
Grazie alla società di massa avranno l’opportunità di riuscire nel loro intento
nonostante il portafogli magro.
VALORI MORALI
 Austerità
 Moderazione
 Pudicizia
Valori molto tradizionali provenienti dalla Rivoluzione francese. Il modello della
famiglia era quella patriarcale e secondi molti la povertà era un peccato. Ad un
certo punto la borghesia venne fortemente influenzata dalla corrente positivista:
una fede nel progresso scientifico che poi degenerò nel processo d’applicazione
della scienza in ogni ambito. A sua volta il positivismo fu influenzato dalle idee
evoluzionistiche di Darwin che per primo parla di creazione di vita a livello
scientifico. In seguito divenne anche intriso di valori sociali. Molti aristocratici
diventarono borghesi poiché si integrò nel nuovo mondo economico di metà
dell’Ottocento. La maggioranza di persone sono però ancora cittadini per secoli e
secoli. Dalle Rivoluzioni industriali si cominciarono a sviluppare anche gli altri due
settori fino a prelevare sul primo. Ciò però dipendeva anche dalla genesi economica
del paese, ad es. in Italia solo nel 1960.
VARI TIPI DI SCENARI AGRICOLI
 Bracciantato
 Salariato agricolo
 Piccola proprietà agricola
 Mezzadria: il proprietario affida al contadino il proprio terreno e il 50% dei
prodotti (solo nominale)
 Serie di doveri nel corso dell’anno
Proletariato di fabbrica
Sotto proletariato

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La cultura borghese era molto articolata per i propri vantaggi ma anche la classe
operaia sviluppa una propria cultura:
 Coscienza della propria classe sociale
 Cultura tecnica
 Storia della classe operaia
La classe operaia ha più esigenze di organizzarsi in gruppi per le proprie
rivendicazioni nella seconda metà dell’Ottocento.

Due fasi principali associazionismo:


 Cooperazione
 Mutuo soccorso (gli operai mettevano da parte stipendio e creavano casse
comuni per dare una mano ai loro fratelli operai in difficoltà)
Si cominciarono a organizzare seriamente in associazioni nel 1860 i sindacati,
anticipati dalle trade Unions (sindacati di mestiere in Italia ovvero CDGL, nel 1906).
Il proletariato cominciò a identificarsi con le ideologie di Karl Marx espresse nel
manifesto del partito (agire politico), comunista del 1848, soprattutto nel conetto
della proprietà privata. Il marxismo si svilupperà nella stesura del “capitale” che si
basa interamente sul concetto di “conflitto di classe”. Purtroppo esso degenererà in
un socialismo utopistico che abolisce la proprietà privata e prevede l’intervento
dello stato in tutti gli ambiti.
Genealogie culturali:
 Il liberalismo, basato sulla libertà.
 Il socialismo
 Mondo cattolico
LA GLOBALIZZAZIONE
Sul piano della genealogie culturali, le culture urbane delle società di massa e dei
consumi. All’epoca ci fu una rivoluzione tecnologica molto importante, con varie
scoperte anche chimiche. Questo modificò la percezione del tempo e dello spazio,
maggiormente lo spazio con l’inizio dell’utilizzo del treno, aereo ect.
Fino agli anni 90 la pittura aveva rispettato le regole della prospettiva che era stata
introdotta da Leon Battista Alberti, con le avanguardie, cubismo ect, con la
globalizzazione cambia la mentalità, un grande approccio. Il concetto di
globalizzazione come espressione viene introdotta nel vocabolario negli anni 80 del
900, gli economisti utilizzarono questo termine. Si potrebbe parlare di
globalizzazione anche nella scoperta dell’America. Come momento simbolico, la
pubblicazione del libro nel 1872 “Il giro del mondo in 80 giorni” che racconta la
scommessa del fare il giro del mondo. Questo scrittore riprese alcune informazioni
attraverso varie tecnologie (i mezzi con cui si sposta) per dimostrare il giro del
mondo. Perché si fa riferimento a questo libro? Perché i fenomeni diventano
percepiti come veicolo per il “sogno”, pensarlo come uno spazio unito globale.

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STORIA CONTEMPORANEA LEZIONE 6
Avvento della società di massa: massa non basta solo a livello quantitativo,
masse intese come qualità della vita pubblica sociale, politica, ect. ovvero quando
prendono parte del processo, di vita politica, alla vita sociale attraverso le metropoli
prevalentemente urbane, culturale e sociale attraverso i mezzi di comunicazione.
Integrazione nazionale, tradotto come nazionalizzazione.
La nazionalizzazione delle masse e integrazione nazionale è tutto il movimento
che tende a costruire nella cultura, scuola ad esempio, l’esercito ma anche con altre
mille forme. Il concetto di nazione veniva basato esclusivamente con i totalitarismi
ad es. fascismo e nazismo ma non è così.
SOCIETA’ DI MASSA VERSO LA SOCIETA’ DEI CONSUMI
 La crescita demografica produce più lavoro, si mangia di più e produce un
salto di qualità della sanità pubblica che modificano l’approccio. Dal 1750-1914
vide triplicare la popolazione. Nascita delle metropoli.
 Processo di urbanizzazione: è l’espansione delle città e l’imporsi, presso la
popolazione di uno Stato o di una regione, di stili di vita specificatamente urbani.
L’urbanesimo invece nella migrazione su larga scala della popolazione rurale
verso le città.
 Ceto medio: Si collocava a metà tra la borghesia e il proletariato, si distinse
come l’espressione più rappresentativa della società di massa, nella veste di
consumatore. Guardava lo stile di vita dell’alta e media borghesia (appartamenti
lussuosi, vestiti sfarzosi, vita mondana) come proprio modello, anche se poi si
accontentava dei surrogati che la nuova produzione gli metteva a disposizione
con prezzi accessibili. Viene definito come “piccola borghesia”. Ebbe riflessi
anche in ambito politico, dove il ruolo si rafforzò.
 Vita politica: il processo di standardizzazione dei cicli politici tendono a
diventare simili, le risposte dei governi alle risposte sociali, scioperi, estensioni
del mercato, estensione del suffragio elettorale maschile, in molti paesi lo
avevano in maniera molto ristretto, basato sul censo, solo per chi aveva un certo
reddito o per chi aveva un’istruzione maggiore. Nel 1882 ci fu una riforma che
aggiunse una legge, chi aveva la quinta elementare poteva votare arrivando
all’8% della popolazione potette votare. In Italia nel 1912 il suffragio semi-
universale (si parla solo di uomini) e in tutti i paesi Europei. L’Inghilterra e
l’Olanda furono gli ultimi ad approvare questo suffragio. Nel 1945 voto anche per
le donne in Italia.
 Processo di riconoscimento delle masse è dei partiti di massa, si introduce il
problema di relazione tra politica e le masse. La risposta è nella costruzione del
partito di massa, specie quello tedesco, sono in primo luogo permanenti e non
solo per le elezioni, si diffondono nel territorio in maniera locale, centralizzato
con chi predispone materiali per la propaganda. Ha origine nella fine
dell’Ottocento e inizio Novecento. Nell’epoca delle masse tende ad emergere un
nuovo linguaggio emotivo, si ricorre a slogan, frasi ripetitive e linguaggio
simbolico. Diventano i principali elaboratori di questi linguaggi e simboli,
utilizzati per avere più efficacia nella trasmissione del pensiero.

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 Lotte operaie: Si organizzarono sindacati e partiti socialisti per rivendicare gli
aumenti dei salari, il riconoscimento del loro ruolo da parte dello Stato e degli
imprenditori in modo tale di avere delle condizioni di lavoro stabilite, la tutela dei
diritti legati al lavoro ovvero orari più umani, protezione delle donne, e dei
bambini, assistenza sanitaria. Queste lotti di classe erano dimostrate con
scioperi e manifestazioni di piazza, i datori di lavoro risposero con violenza
sostenuti dalle forze dell’ordine e anche dall’esercito. Agli inizi del Novecento
furono organizzati degli scioperi generali nazionali.
 Prime forme di legislazione sociale, Stato del benessere è un concetto più
sistematico, sono i provvedimenti di legislazione sociale, leggi del sociale. Es.
disoccupazione, maternità, assicurazione, sicurezza nelle fabbriche,
sfruttamento minorile. Arriva fino ad oggi. Nella Germania degli anni ‘80, molto
spesso non venivano adottate da molti datori di lavoro, tutta via iniziò un
percorso che prevedeva la presenza della legislazione sociale. Anche questa
forma aiutò nell’inclusione di quelle “categorie” escluse. Il governo quindi, varò
leggi antisciopero, introducendo forme di previdenza sociale, ovvero dei fondi
gestiti da enti statali per sostenere economicamente i lavoratori non più in grado
di svolgere in maniera costante l’attività lavorativa. Le prime pensioni,
assicurazioni contro gli infortuni e riduzione orari di lavoro. Lavoro minorile in età
scolare fu vietato.
 Introduzione del servizio militare obbligatorio, in un momento in cui
aumentavano scioperi ect. il servizio militare aiutava a dare dei principi e dei
valori. Durava tre anni e faceva vivere ai ragazzi un’esperienza di partecipazione
alla vita nazionale, segnata da valori e idea della patria.
 La scuola divenne scuola statale, istruzione obbligatoria e gratuita. Fino alla
fine dell’Ottocento era prevalentemente gestita da istituti religiosi, venne
introdotta poi quella gratuita e statale presa al “comando” dallo Stato. Questo
processo fu un altro agente di legislazione come quello del servizio militare.
Nella scuola si introduceva un altro meccanismo, lo sviluppo economico. Sono
fondamentali, perché costruiscono percorsi professionali che servono per non
rimanere arretrati. Permise anche di abbattere l’analfabetismo e diminuì
drasticamente e la percentuale diminuì. “Legge Casati”.
 Nacquero i giovani in ambito politico, una federazione giovanile politica, si
inizia a concepire il fatto che un giovane potessero avere una dimensione
distinta da quella degli adulti. Nacquero alcune organizzazioni giovanili, davano
occasioni di svago , di formazione e azione politica. (Ad es. scoutismo che dava
autonomia ai giovani.)
 Emerge anche la questione femminile, la rivendicazione della parità dei
sessi, erano escluse in campo politico non potevano votare e farsi votare. Era
negato l’accesso alle università, in alcuni lavori, stipendi inferiori ect. Nasce un
movimento per l’emancipazione femminile, le così dette suffragiste
venivano chiamate suffragette in maniera dispregiative. Le suffragiste erano
anche molto violente. Richiedendo anche alcuni diritti come il salario, la
maternità ect. La stampa femminile si estese molto, si inizia a costruire
attraverso il mercato una nuova immagine della donna. Anna Maria Mozzoni è
stata una giornalista italiana, attivista dei diritti civili e pioniera del movimento di
emancipazione delle donne in Italia.

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 Vita economica si afferma la società urbanizzata. Grazie all’incremento
demografico si ebbe la necessità di sviluppare i trasporti e le nuove tecnologie.
L’illuminazione elettrica rese le città percorribili, mobilità grazie ai nuovi trasporti
con tram, le prime metropolitane. E’ la popolazione che consuma, ed ha un ruolo
decisivo il ceto medio.
 Taylorismo: Organizzazione scientifica del lavoro, ideata dall'ingegnere
americano F.W. Taylor (1856-1915). Il termine indica tutti gli aspetti di un lavoro,
sia manuale sia impiegatizio, organizzato secondo criteri ripetitivi, parcellizzati e
standardizzati. Questo porterà alla catena di montaggio, un singolo movimento,
passaggio che porta alla riproduzione in serie aumentando e raddoppiando la
produzione e quindi l’economia. L’operaio diventa non specializzato, una classe
operaia di massa. Questa operazione ha degli aspetti positivi e negativi, entrano
in fabbrica anche delle persone non specializzate e con esperienza alle spalle,
quindi con il taylorismo si estese. L’alienazione di Marx, il lavoratore si estrania
da se stesso, identificandosi con gli oggetti da lui prodotti. Creazione di grandi
magazzini, i nostri “centri commerciali” diventando il luogo-simbolo della società
de consumo di massa. A Parigi il primo grande magazzino, affermato anche in
Germania, Regno Unito e soprattutto negli Usa. In Italia invece rimase molto la
tradizione del piccolo negozio a conduzione familiare. Mise in moto anche una
concorrenza sui prodotti, creando la pubblicità come strumento. La pubblicità
diventa un processo di modernizzazione, l’arte della comunicazione.
 Vita culturale: Nacque il “tempo libero”, grazie alle lotte sindacali per dare
tempo libero dal lavoro per investire. Si costruiva il mercato del tempo libero
sempre in base alle possibilità economiche, si struttura con sport, turismo ad
esempio. Risale la diffusione di alcuni prodotti culturali di massa, appendici,
editoria popolare come libri rivolto ai giovani che erano dei grandi best seller.
(es. La capanna di zio Tom, Pinocchio.) Forme di consumo culturali. Ad es. fino
alla fine dell’Ottocento non si andava al mare per il tempo libero, prima ci si
andava solo per problemi curativi, prendere il sole per curare delle patologie,
solo i pescatori erano obbligati e avevano il consenso per stare al mare. Inizio
Novecento, inizia a diventare un riferimento e un tempo libero.
LA RIVOLUZIONE DELLE COMUNICAZIONI/MEZZI
 La stampa: Si approfittò del far viaggiare informazioni attraverso il telegrafo
via filo o elettrico, modificando il ruolo del giornalismo e della stampa. In
Europa nacquero le prime agenzie di informazione internazionale, fornivano
giornali con estrema rapidità, notizie dai luoghi più distanti. In Francia con i
giornali ad alta tiratura “Le Figaro” che nel 1866 diventò quotidiano, “Le
Petite Journal” che passò a numerose copie al giorno. A Londra si affermarono
i giornali popolari. In Germania una legislazione più restrittiva in maniera di
libertà di stampa rallentava la formazione di testate giornalistiche. In Italia
invece lo sviluppo della stampa si realizzò soltanto dal primo decennio del
Novecento, per i forti ritardi di industrializzazione ma soprattutto alto livello
di analfabetismo. Con il nuovo secolo la stampa italiana ebbe nuove iniziative
e molti giornali si trasformarono in imprese moderne importato dagli Usa.

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 Il telefono: In un primo tempo era destinato a usi specialistici e limitato solo
ad alcuni ambiti professionali, ci volle del tempo prima che diventasse
accessibile a un pubblico più ampio. La prima centrale telefonica fu
inaugurata nel 1878 a New Haven negli Stati Uniti.
 Fotografia: Tra gli anni Venti e Trenta dell’Ottocento fu perfezionata la
camera oscura già nota da secoli e fu ideato il dagherrotipo, ovvero un
metodo inventato nel 1837 che consisteva nell’impressione tramite vapori di
sodio, di una lastra d’argento o rame argentato dentro una camera oscura,
rimaneva impressa l’immagine in positivo. Nel 1888 George Eastman lanciò
sul mercato un nuovo apparecchio chiamato Kodak. La nuova macchina
fotografica era più maneggevole e il rullino consentiva di scattare fino a 100
foto. La fotografia diventò amatoriale ed entrò nelle case borghesi e popolari.
 Telegrafia senza fili: La radio si svilupperà soltanto negli anni Venti del
Novecento, ma intanto si sviluppò il telegrafo senza fili o radiotelegrafo.
Quest’ultimo fu un passaggio decisivo per la produzione sperimentale delle
onde elettromagnetiche.

STORIA CONTEMPORANEA LEZIONE 7


SPARTIZIONE DELL’AFRICA
Negli anni successivi al 1870 l’Europa delle grandi e medie potenze fu protagonista
di una seconda espansione coloniale che in pochi decenni assoggettò gran parte del
mondo. Alle antiche potenze coloniali ormai in declino (Spagna, Portogallo ,Paesi
Bassi) e alle due ancora pienamente attive (Gran Bretagna e Francia) se ne
aggiunsero delle nuove, Germania, Russia, il Belgio e l’Italia. La corsa verso
l’accaparramento delle colonie caratterizzò l’età dell’imperialismo ed ebbe come
centro nevralgico il continente africano.
L’Africa prima della spartizione aveva delle basi operative europee di carattere
commerciale sulle zone costiere e qualche insediamento ma nel complesso aveva la
propria indipendenza. Ad esercitare influenza sull’Africa erano gli Arabi e la religione
islamica. Dal punto di vista economico era molto arretrata, in alcuni Stati dell’ovest
avevano beneficiato della tratta degli schiavi ma quando essa si esaurì le spinte
dello sviluppo vennero dal commercio lecito con l’Europa. L’abolizione della tratta
degli schiavi aveva cancellato un mercato orribile però con la ricerca di nuove
strade per garantire i guadagni. Al centro del loro commercio c’erano i prodotti
agricoli frutto di lavoro di piccoli coltivatori. L’espansione coloniale europea in Africa
si intensificò nella seconda metà dell’Ottocento per varie ragioni. Tra esse figurano
motivazioni commerciali, militari e ideologiche. In quegli anni si stavano formando e
affermando gli Stati-nazione e le élite politiche avevano bisogno di rafforzare il
proprio prestigio e la propria forza agli occhi non solo dell’opinione pubblica interna.
Colonizzare altre terre significava espandere la propria potenza e affermarsi sul
piano internazionale. Da qui lo sviluppo dei vari imperi coloniali. L’espansione
coloniale in Africa fu legata anche a motivazioni di stampo razzista-paternalista. Gli
europei bianchi si ritenevano superiori agli altri popoli non-europei e perciò
ritenevano di avere il compito di “civilizzare” gli africani. È così che nel corso

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dell’800 si afferma una nuova forma di colonialismo, più complessa, in cui
confluiscono fattori economici e politici.
CONFERENZA DI BERLINO (1884-1885)
Dal 15 novembre 1884 al 26 febbraio 1885 si tenne la Conferenza di Berlino. Suoi
principali obiettivi furono: la definizione dei criteri condivisi per la spartizione
dell’Africa tra le potenze europee; la formalizzazione delle acquisizioni territoriali già
avvenute; la definizione di regole per acquisire nuovi territori. La Conferenza di
Berlino venne in pratica indetta per ridurre i pericoli di conflitto fra le potenze
coloniali impegnate a disputarsi il dominio dell’Africa. Tale Conferenza si può dire
che rappresenti uno spartiacque nella storia dell’Africa: il continente africano non
sarebbe stato più lo stesso dopo l’implementazione della spartizione delle sue terre.
I Paesi che avviarono dunque la forma moderna del colonialismo furono: Belgio,
Germania, Francia, Portogallo e Spagna, cui poi si aggiunsero gli inglesi e gli italiani.
L’Africa non aveva alcun potere, né alcuna sovranità: l’eurocentrismo e il
paternalismo erano al loro apice. Durante la Conferenza di Berlino venne regolato
anche il commercio europeo nelle zone dove scorrono i fiumi Congo e Niger. Inoltre,
la Conferenza permise a Leopoldo II del Belgio di acquisire un suo dominio africano
personale, che prese il nome di Stato Libero del Congo, ma di “libero” non vi era
nulla, almeno dalla prospettiva della popolazione locale del Congo.
ITALIA IN AFRICA
All’appello delle potenze presenti in Africa mancava soltanto l’Italia. La Tunisia era
considerata allora il primo e naturale sbocco espansionistico dell’Italia. Il governo
italiano individuò come possibile meta di espansione l’Area del Mar Rosso dove la
Gran Bretagna era disposta a cedere qualche piccolo spazio. Nel 1882 il governo
italiano acquistò la baia di Assab sulla costa eritrea e nel 1885 occupò il Massaua.
Nel 1890 l’Eritrea fu ufficialmente dichiarata colonia italiana. Si pensò a un
espansione anche per l’Etiopia ma le operazioni militari fallirono con la sconfitta in
due battaglie contro l’esercito etiopico. Il 1 marzo 1896 morirono oltre 6000 militari
tra italiani e ascari. La sconfitta di Adua oltre a determinare la caduta del governo di
Francesco Crispi rappresentò la prima grande disfatta di un esercito europeo nelle
guerre coloniali. La politica coloniale italiana riprenderà vita nel 1911 con
l’aggressione alla Libia.
IL CANALE DI SUEZ
Inaugurato il 17 novembre 1869 consentiva la navigazione diretta dal Mediterraneo
al Mar Rosso e dunque all’accesso all’Oceano indiano. Per raggiungere l’Asia le navi
non erano più costrette a circumnavigare l’Africa o a trasportare merci via terra. I
collegamenti marittimi tra Europa e Asia si abbreviarono di diverse settimane
favorendo il commercio e l’espansione coloniale. I lavori di scavo e di sistemazione
erano durati più di 10 anni ed erano stati condotti da una Compagnia internazionale
controllata da inglesi e francesi. Il canale artificiale misurava 164 chilometri per 53
metri di larghezza e 8 di profondità. Fu una colossale impresa che ebbe un rilievo
simbolico come dimostrazione della capacità tecnica e ingegneristica dell’Europa.
L’apertura comportò ad un interesse europeo e della Gran Bretagna in primo luogo,

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verso l’Egitto e l’Africa orientale e sud-orientale e contribuì ad accelerare
l’espansione coloniale in Asia.
DIFFERENZA TRA IMPERIALISMO E COLONIALISMO: Imperialismo è un
fenomeno nettamente collocato nell’Occidente in quanto definisce le teorie e le
pratiche di potenza e di dominio coloniale elaborate dalle classi dirigenti e
intellettuali occidentali. Colonialismo invece indica l’interazione tra gli occidentali e
le popolazioni assoggettate a quel dominio e comprende dunque anche le società
coloniali. Questa distinzione ha poi ispirato le recenti interpretazioni chiamate post-
coloniali: studiano dall’interno le società coloniali e guardano il fenomeno dal punto
di vista dei popoli colonizzati facendo emergere l’intreccio tra le culture del
colonialismo occidentale e le culture colonizzati.
IMPERIALISMO
Età dell’imperialismo: Il significato originario del termine imperialismo indica il
dominio di un monarca o di una potenza su un vasto impero i cui confini superano
quelli territoriali di uno Stato unitario dal punto di vista etnico, religioso, nazionale. Il
riferimento più consueto è all’Impero romano.
E’ un termine che può essere utilizzato con diversi significati e per diverse epoche
della storia dell’umanità, si è sovrapposto con il colonialismo identificandosi nel
fenomeno storico della creazione e della più grande espansione dei moderni imperi
coloniali. Questa espressione è stata utilizzata per la prima volta negli anni
Sessanta dell’Ottocento in Francia per criticare i progetti espansionistici e autoritari
di Napoleone III diffondendosi nel decennio successivo in Gran Bretagna.
Imperialismo diventò sinonimo di politica di espansione a livello mondiale condotta
dalle grandi potenze. La politica di potenza si sviluppava in maniera aggressiva
verso l’esterno nei campi dell’economia, delle relazioni internazionali, della cultura
e nelle conquiste territoriali. Si accompagna a questo anche il riferimento al
carattere autoritario delle politiche imperialiste verso l’interno. Insieme al
colonialismo, identificano un intero periodo storico che va dalla conclusione del
processo di formazione degli Stati nazionali e dall’impostazione di nuove relazioni
internazionali fino alla Prima guerra mondiale. Lo storico austriaco Heinrich
Friedjung a introdurre la definizione di età dell’imperialismo.
INTERPRETAZIONE ECONOMICA E POLITICA
Il fenomeno più generale dell’imperialismo e con esso quello del colonialismo sono
stati oggetto molti studi per individuarne le cause. L’interpretazione economica
prevaleva per lungo tempo, secondo il nuovo processo che consisteva nella volontà
di acquisire il controllo diretto delle materie prime e nella ricerca di nuovi mercati
per poi investire con alti profitti i capitali finanziari che si erano accumulati. Con
l’avanzare degli studi si è notato che questi aspetti economici non hanno poi avuto
poi un rilievo così decisivo. Le classi dirigenti dell’epoca ovvero statisti, intellettuali,
imprenditori, amministratori erano convinti che l’espansione coloniale fosse
un’esigenza imprescindibile per la sopravvivenza economica e questo influenzò
molto le scelte politiche dei governi.

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L’interpretazione politica invece, individuava le cause dell’imperialismo nella ricerca
del prestigio internazionale e della sicurezza da parte delle nazioni. Per le
burocrazie statali e i governi dell’epoca l’espansione coloniale era un simbolo di
forza e potenza, non adottarla significava essere esclusi dai paesi che contava a
livello internazionale. L’imperialismo sarebbe stato dettato da circostanze esterne.
INTERPRETAZIONE CULTURALE
Ci sono vari elementi caratterizzanti a livello culturale: etnocentrismo, razzismo,
esotismo e nazionalismo.
Il primo elemento caratterizzante dell’imperialismo, è l’etnocentrismo è la base
delle politiche di potenze, della stessa cultura agonistica, della forza, è l’idea che
l’Europa bianca dell’epoca fosse superiore alle altre culture.
Derivava il fondamento dell’epoca del razzismo, la distinzione delle razze. All’epoca
si creavano delle gerarchie di razze, era una cultura molto diffusa e radicata non
significa che non ci fosse che nessuno si “ribellasse” da questo, diffuso nell’Europa,
non conoscevano il diverso da sé, la quantità di neri era molto ridotta, ma non
giustifica la non conoscenza, essa contribuisce a spiegare una certa diffusione della
concezione del razzismo. Fu alimentata da alcune forme politiche. Due tendenze di
razzismo erano: un razzismo di tipo storico e culturale, si esprimeva attraverso una
superiorità culturale, di scienza. L’altro razzismo era un razzismo di tipo biologico,
che porterà al concetto di razza ariana, il nazismo. Quindi questa superiorità era
basata proprio dal gene quindi un fattore biologico. Il razzismo di quell’epoca era
sorretto dall’idea che l’uomo bianco fosse superiore a quelli di colore.
Un altro elemento è il così detto social darwinismo, è una corrente di pensiero i cui
sostenitori applicano allo studio delle società umane i principi darwiniani della «lotta
per la sopravvivenza» e della selezione naturale del più adatto, sostenendo che
questi debbano essere la regola delle comunità umane. Quindi è la Nazione, che in
base alla propria superiorità, deve dominare militarmente, economicamente e
culturalmente.
I MODELLI DI DOMINIO COLONIALE
I regimi erano diversi fra loro, variavano a seconda delle regioni coinvolte.
Variavano anche i modelli organizzativi e politici di questi regimi che assumevano la
forma del dominio diretto o indiretto, di centralizzazione o decentramento
amministrativo, di assimilazione o di segregazione. Erano tra loro combinate, è
possibile distinguere quello prevalente nel colonialismo francese e britannico.
Quello francese era più diretto e formale, ovvero gestito direttamente dallo Stato
senza l’intermediazione o la delega di un autogoverno locale. Prevaleva la
centralizzazione amministrativa cioè che attraverso la presenza di funzionari
seguiva una catena di comando che arrivava fino a Parigi. I rapporti con le
popolazioni assoggettate erano di tipo assimilazionista ovvero fondato sul principio
dell’uguaglianza, era in realtà disegnato intorno all’idea che la propria “superiore”
civiltà avrebbe condotto all’elevamento dei popoli coloniali. Si trattava di un

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arroganza culturale, espressa da gestione autoritaria che portò nei possedimenti
francesi una condizione di ribellione.
Invece il modello britannico fu molto più flessibile, con un impero più esteso e
differenziato. Di questo ne facevano parte le precedenti colonie “bianche” (Canada,
Australia, Nuova Zelanda) che alla fine dell’Ottocento erano avviate verso
l’autogoverno. L’amministrazione britannica tendeva a rispettare le tradizioni e
culture locali e utilizzava il sistema del dominio indiretto cioè che affidava ai capi
locali indigeni funzioni di governo del territorio, anche se con la supervisione di
funzionari coloniali della madre patria. Questo favorì a dei periodi di convivenza,
specialmente in India.
La violenza nei confronti delle popolazioni indigene fu un dato caratterizzante nel
dominio coloniale, si usava forza sia in ambito di tradizioni e culture europee. L’uso
della forza raggiunse livelli di brutalità e a ciò conseguirono delle campagne di
pacificazione finalizzate al controllo dell’intero territorio e alla repressione delle
frequenti rivolte, con veri e propri massacri: alcune etnie vennero sterminate. La
violenza culturale fu altrettanto pesante perché intere civiltà entrarono in crisi e
scomparvero senza lasciare traccia. I processi di modernizzazione forzata sia
dell’economia, dei costumi, della religione e degli usi linguistici erano veramente
forti. Dal punto di vista economico, i benefici furono la costruzione d’infrastrutture
(ferrovie, strade, porti). Quelli coloniali furono i regimi economici più sfruttati che
impoverivano le risorse materiali dei territori e utilizzavano la manodopera locale a
fronte di salari irrisori o con il lavoro forzato non pagato. In alcuni paesi colonizzati
si innescarono processi di sviluppo che dipendevano dalle esigenze dei paesi
colonizzatori e del mercato internazionale, in altre parole alcuni dovettero orientare
la propria produzione verso un solo prodotto in funzione della domanda prevalente
(solo caffè o solo gomma o zucchero ect.) Il Senegal ad esempio si specializzò nella
produzione delle arachidi. Gli effetti furono devastanti costringendoli a importare
generi di prima necessità a costi molto più alti.

STORIA CONTEMPORANEA LEZIONE 8


Verso la Prima Guerra Mondiale
L’Europa della Belle époque
Belle époque: In francese significa epoca bella, ovvero felice. Si deve questo nome
al clima spensierato che si diffuse nelle città europee tra la fine del XIX secolo e il
primo quindicennio del XX, conseguenza del maggior benessere, diffusione dei
servizi pubblici, accesso ai beni in precedenza riservati a pochi.
Questa fase fu contraddittoria, se da una parte era ancora al centro degli equilibri
mondiali e viveva di progressi scientifici e tecnologici, dall’altra parte si stavano
affermando alcune potenze extraeuropee che avrebbero sancito la fine
dell’egemonia europea. Impero austro-ungarico e russo erano in piena crisi e molti
Stati in particolare Francia, Germania e Regno Unito iniziarono a porre attenzione al
riarmo, alla modernizzazione dell’esercito facendo presagire la catastrofe della
Prima Guerra Mondiale.

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LA CRISI DELL’EGEMONIA EUROPEA
Geopolitico: indica la relazione tra gli spazi della geografia (fisica e umana) e la
politica. E’ la disciplina che studia tale relazione.
Europa ancora nel centro del mondo, esercitava la sua supremazia politica,
militare ,economica e culturale su gran parte del piano.
Con l’affermazione di nuove potenze cresceva la conflittualità tra gli Stati sia dentro
che all’esterno internazionale.
 1898- Guerra tra Stati Uniti contro la Spagna, vinta dagli Stati Uniti per il
controllo di Cuba, la vittoria degli USA portò a un controllo dell’Oceano pacifico
fino all’Asia. Concetto del mito della frontiera, conquista dell’ovest. Intorno agli
anni 80 del 900, esaurisce, raggiungono la California ed inizia una nuova
esigenza espansiva, le nuove spinte economiche inducevano a guardare oltre
all’espansione del territorio. Questo può essere visto anche per la guerra tra Usa
e Spagna. La costruzione del canale di Canapa, rappresenta sia in ambito
commerciale una svolta fondamentale, consentendo alla flotta americana ad
avere un controllo diretto degli oceani. Si conclude la costruzione nel 1914. Le
potenze europee utilizzavano principalmente la conquista territoriale, era un
tentativo di acquisire il territorio per un impero. Gli Stati Uniti utilizzano
l’imperialismo informale, controllano le materie prime e il flusso delle merci e
non sono interessati alla conquista oltremare, vogliono il controllo delle
“materie”.
 1904-05 Giappone- E’ una nuova potenza che emerge, avrà un impatto meno
evidente sull’Europa, esercita la sua affluenza verso l’Asia, a differenza degli USA
rientrava in quella cultura razzista, guardava gli africani come popolo inferiore.
Pericolo giallo: Di fronte alla crescita della popolazione giapponese e al rapido
aumento demografico delle nazioni asiatiche, in particolare della Cina, giornali,
romanzi e trattati pseudoscientifici diffusero nei Paesi occidentali il timore di un
imminente declino della “civiltà bianca” a favore delle “razze gialle”. In questo
periodo l’idea dello scontro tra le razze era la principale chiave di lettura dei
fenomeni politici internazionali. Sconfitta della Russia contro il Giappone. Più
avanti nel tempo il Giappone conquisterà la Cina.
Percorso con le cause della prima guerra mondiale, Hannah Ardent individua due
momenti chiave nello sviluppo di questa tendenza arrivando a due fenomeni:
 Il nazionalismo da una parte, si può già iniziare a chiamare totalitarismo. E’
una base ideologica del concetto di nazione che si articola in forme di
esclusione o nazionalismo di destra.
 Francia caso Dreyfus, ufficiale francese che venne condannato
ingiustamente per aver trasmesso informazioni riservate alle ambasciate
tedesche. Iniziato nel 1894 ma la discussione pubblica sarà nel 1898-1899. Nel
1898 si aprì un forte dibattito su questo caso. Paura e xenofobia nei confronti
dello straniero.
 Colonialismo: Guerra anglo-borea, inglesi attaccano i boeri sia per prestigio sia
per l’oro, con quest’ultima nascono i campi di concentramento.

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 Cultura imperialista
Sempre nel 1899 le elezioni politiche videro prevalere le forze progressiste e
portarono al termine una coalizione repubblicana aperta al contributo dei
socialisti. Il nuovo governo tentò di arginare, si ha l'influenza della destra estrema
mettendo fuori legge organizzazioni e avviando l'epurazione dell'esercito sia quella
dei gruppi clericali aprendo un durissimo contenzioso con la chiesa cattolica. Molte
congregazioni religiose furono sciolte l'istruzione fu resa completamente laica
furono riviste le norme sui beni ecclesiastici, infine fu revocato il concordato tra
stato francese e Vaticano (era stato stipulato nell’autunno tra Napoleone e Papa Pio
VII).
La chiesa cattolica fu equiparata a ogni altra associazione privata e questo portò
alla totale separazione tra Stato e chiesa.
Il problema delle forti disuguaglianze sociali fu solo in parte attenuato da delle
riforme realizzate dai governi tra il 1906 e il 1910 che affrontarono con mano
pesante l'opposizione dei sindacati e delle organizzazioni dei lavoratori. Il conflitto
sociale provocò la rottura della coalizione repubblicana e il prevalere delle
forze moderate che tra il 1912-14 portarono al potere il loro leader Raymond
Poincarè. Alla vigilia della Guerra, la Francia come il resto delle altre potenze
europee volse l’attenzione al riarmo e modernizzazione esercito.
 Gran Bretagna- Con la morte nel 1901 della regina Vittoria e l’ascesa al trono
del figlio Edoardo VII segnarono la fine dell’epoca vittoriana, I conservatori, al
governo attuarono una moderata politica di riforme che mantennero inalterate
le tradizionali gerarchie sociali. La fragilità di questi conservatori si
manifestarono quando proposero in accordo con gli ambienti della grande
industria, di introdurre una tariffa imperiale ovvero un’imposta sulle merci
provenienti dai Paesi che facevano parte dell’Impero britannico come forma di
protezionismo (favorire i prodotti nazionali contro quelli esteri introducendo delle
tasse di ingresso alla frontiera). I liberali nel 1905 si opposero a questo e
conquistarono il governo attuando delle riforme sociali incisive, introduzione
della pensione della vecchiaia (1908) e forme assicurative contro malattie e
disoccupazione (1911). Queste misure finanziate da una politica fiscale che
colpì i patrimoni più ricchi. L’azione di questi liberali fu favorita dal Partito
laburista nato nel 1906 che mirava a un passaggio graduale senza scosse
rivoluzionarie, al socialismo di Stato per migliorare le condizioni delle classe
operaia. L’opposizione dei Camera dei Lord portò a un grande conflitto
costituzionale che si concluse nel 1911 quando grazie alla mediazione del
nuovo re Giorgio V, i lord furono costretti ad accettare che i privilegi fossero
ridotti. Le riforme sociali però non frenarono le agitazioni operaie né il
movimento delle suffragiste, più note come suffragette.
 Germania 1890-1914 nell’Età guglielmina- L’impero tedesco assunse una
centralità nel Vecchio continente grazie al suo sviluppo economico. Nel 1890
l’imperatore Guglielmo II licenziò Bismarck dando avvio a una nuova politica
estera più caratterizzata da un’aggressiva Weltpolitik (politica mondiale)
fondata sull’idea del primato tedesco, potenziamento della flotta da guerra e

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sulla volontà di ritagliarsi uno spazio maggiore nella spartizione delle risorse
globali. Guglielmo II inaugurò un nuovo corso autoritario e personalistico
dando prova di voler governare da sé con solo l’aiuto del cancelliere. Questo
favorì il diffondersi di tendenze militaristiche, antidemocratiche e
nazionaliste. L’opposizione più rilevante fu il Partito socialdemocratico, poteva
contare su un numero alto di iscritti solide organizzazioni di tipo sindacale e
associativo e importati risultati elettorali, l’influenza però fu sempre scarsa.
L’intensificarsi della propaganda bellicista vide la maggior parte gli
intellettuali che dovevano sostenere la necessità del conflitto. Affermare il
proprio ruolo nella storia e nella propria diversità rispetto a Francia e Inghilterra.
Cosa succede in Italia? Età giolittiana, non governerà solo ed esclusivamente
Giolitti nel quindicennio dal 1901 alla Prima Guerra Mondiale, lascerà un segno,
eponimo, nome che segna un epoca. Che caratteristiche ha? E’ il primo tentativo di
democrazia nel nostro paese, nella storia italiana, il primo segno che da Giolitti è
quello di modernizzarsi, il conflitto sociale si dice tra capitale e lavoro, tra padroni e
operai. Siamo nell’epoca in cui si sviluppano i sindacati ect. Il 1904 primo grande
sciopero in Italia, momento di grande conflitto sociale, c’era già stato il conflitto e
i governi non si schieravano mai con gli operai ma bensì sui “datori di lavoro”.
Giolitti rivendica una posizione neutrale ovvero non schierarsi su capitale e lavoro.
Le caratteristiche sono quelle di un vera e propria legislazione sociale, 1902 Giolitti
manda una legge femminile e minorile a 12 anni per il lavoro. Prima già
lavoravano anche in regola dagli 8 anni. Fu limitato a un massimo di 12 ore il lavoro
femminile. Iniziarono ad introdurre il congedo per la maternità. L’Italia si stava
modernizzando, nascita della Fiat, si inizia a impiantare industria chimica. E’ un
Italia piena di contraddizione, arretratezza esisteva molto di più nel meridione.
Sorge la questione meridionale, dopo la formazione del Regno d’Italia.
Emigrazione: il nord aveva avviato un processo di industrializzazione, il sud invece
emigrò molto di più. Nel 1921 emigrarono 50 milioni di italiani. Circa 14 milioni
restarono all’estero, in questa fase erano orientati verso le Americhe. L’argentina di
oggi è più del 50% di origini italiane. Fenomeno nel 1905 la statizzazione delle
ferrovie, fu molto importante, strategia anche militare.
Altri momenti importanti 1912 suffragio universale.
Nel 1911 lo Stato prende il monopolio sulle assicurazioni sulla vita, erano
sostanzialmente le pensioni, non come la concepiamo ora ma a quei tempi era in
mano ai privati il contesto pensioni, lo stato decise di costruire un istituto
prendendosi le responsabilità.
Due movimenti si andavano affermando: il Psi, dominato dalla lotta tra riformisti e
rivoluzionari, e il movimento cattolico che scese in campo a seguito del Patto
Gentilioni (1913) e conquistò una larga rappresentanza in Parlamento.
Grazie alla sua abilità Giolitti riuscì a garantirsi a lungo il controllo del Parlamento: in
pochi anni si susseguirono tre suoi governi che vararono varie riforme, sotto il suo
governo l’Italia dichiarò guerra alla Turchia e occupò la Libia. (1911)

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LA GUERRA DI LIBIA E IL GIUBILEO DELLA PATRIA
Le mire espansionistiche italiane su parte dell’Africa settentrionale, posta sotto la
sovranità dell’impero turco sono in parte assecondate nel dicembre 1900 quando
il ministro degli Esteri Emilio Visconti Venosta raggiunge un’intesa sul
Mediterraneo con la Francia con cui si spartiscono le aree di interesse dei due paesi
europei: alla Francia il Marocco e all’Italia Tripoli. Questo accordo viene ratificato e
rafforzato nel giugno 1902 dai nuovi ministri degli Esteri di entrambe. Nello
stesso anno si riceve il via libera anche dall’Inghilterra. La preparazione alla guerra
di Libia avviata fin dal 1887 con l’accordo italo-tedesco al secondo trattato
della Triplice alleanza fa un passo in avanti nell’ottobre del 1909 con degli
accordi segreti di Raconigi con i quali la Russia riconosce legittimità alle
aspirazioni italiane. Il 29 settembre 1911 il re Vittorio Emanuele III senza
consultare il Parlamento dichiara guerra alla Turchia, nei giorni seguenti un
corpo di spedizione italiani di 35.000 uomini sbarca sulle coste libiche occupando
Tripoli, Bengasi e aree circostanti. La guerra riceve in Italia un ampio consenso:
oltre al nazionalismo, sono favorevoli gli ambienti cattolici moderati che
colgono questa occasione per conciliare il cattolicesimo e patriottismo in una
“guerra santa” contro gli infedeli islamici. A favore della guerra si schiera tutta la
dirigente italiana. Consensi anche dalla sinistra: tra il sindacalismo rivoluzionario tra
gli esponenti riformisti del Partito socialista (PSI). L’opposizione è da parte dei
socialisti, dalla Confederazione generale del lavoro (CGL) alcune minoranze
cattoliche. Le operazioni belliche procedono con difficoltà, 23 ottobre le truppe
italiane sconfitte dell’esercito turco a Sciara Sciat. La conquista della Libia
risulta ben più difficile di ciò che si pensava, per la resistenza che questi hanno. Il
governo italiano manda altre truppe e instaura nella regione un regime di
occupazione violento che si macchia di crimini. Nonostante gran parte del
territorio libico sia fuori dal controllo italiano il 5 novembre un Regio decreto
convertito poi in legge del Parlamento pone la Tripolitania e la Cirenaica sotto la
sovranità piena ed intera del Regno d’Italia. Tra l’aprile e il maggio del 1912 le
operazioni militari coinvolgono anche il Mar Egeo dove la marina italiana
bombarda i forti turchi dei Dardanelli e occupa Rodi e atre 11 isole minori. La
guerra si conclude nell’ottobre del 1912 con il trattato di Losanna (anche detto
pace di Ouchy) che impone il ritiro delle truppe turche ma non prevede la
cessione formale della Libia all’Italia da parte del governo ottomano. Secondo
questo trattato l’Italia dovrebbe restituire le isole dell’Egeo ma non lo fa. Dopo la
Prima Guerra Mondiale nel 1923 queste diventeranno possedimenti dell’Italia.
GIUBILEO DELLA PATRIA
L’anno 1911 è una data simbolo che celebra il cinquantenario della nascita del
regno d’Italia avvenuta a Torino il 17 marzo 1861. La stampa parlava di
giubileo di patria e di festa della nazione. Si ricordano gli eroi e le gesta del
Risorgimento, vengono utilizzati congressi, esposizioni, mostre per illustrare i
progressi sia economici, culturali e civili compiuti dallo Stato. E’ un’occasione per
esprimere un moto di orgoglio nazionale e nazionalistico. C’è l’esaltazione
del Risorgimento già iniziata nel 1909 con la commemorazione della Seconda
guerra di indipendenza (1859) e proseguita nel 1910 con la commemorazione

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della spedizione dei Mille. Nella primavera del 1910 si era inaugurato a Palermo
il monumento alla Libertà, nell’agosto dello stesso anno a Torino il centenario della
nascita di Cavour. Si raggiunge l’apice nel 1911 con cerimonie in tutte le città e
l’apertura di tre grandi esposizioni: Torino quella dedicata alla tecnica e
all’industria, Firenze quella dedicata al ritratto e a Roma l’esposizione
consacrata alle belle arti. Non a caso esse siano le tre città prescelte capitali che
l’Italia aveva avuto tra il 1861 e il 1871. Si mobilitano tutte le istituzioni del paese,
anche il mondo della stampa contribuisce, intellettuale e accademico. La festa
della nazione non è condivisa da tutti, si astengono da quest’ultima i
repubblicani ma anche i socialisti e una parte dei cattolici. I socialisti
organizzano manifestazioni, scioperi e comizi rivendicando il suffragio universale.
Gli ambienti intellettuali antigiolittiani denunciano la decadenza morale e
inefficienze del paese.

STORIA CONTEMPORANEA LEZIONE 9


Elementi che caratterizzano la Prima guerra mondiale
 Riarmo: Rientrava nell’affermazione del prestigio, avere navi di acciaio,
rafforzamento dell’esercito ect. Le protagoniste sono Germania e Gran Bretagna.
Si contendevano questo riarmo sia per le forze che per l’esercito. Si inserirono
con un percorso di crisi internazionali, due crisi marocchine che ebbero come
oggetto di contesa il Mar Rosso. (1905 e 1991) In queste due occasioni la
possibilità che scoppiasse un conflitto mondiale fu molto alto. Si riuscì a
intervenire con la conferenza di pace per evitare che lo scontro si trasformava
da diplomatico a militare. L’altro elemento fu protagonista l’Italia, decide nel
1911 di sbarcare le truppe con guerra contro la Turchia.
 Guerra civile europea si intende una guerra interna, non contro un nemico
esterno ma all’interno dello stesso paese, cultura ect. Ernest Nolte la definisce
così per sottolineare il carattere ideologico dello scontro fra nazismo e
comunismo. E’ una guerra che tende ad essere totale. Età della catastrofe.
 Guerra di massa, la Prima Guerra Mondiale è la prima grande prova della
società di massa. Milioni di contadini e uomini, inseriti in questo meccanismo di
guerra che era anche un’apertura al mondo ma che finiva nell’imbuto della
trincea, era un mondo tragico pieno di violenza e di morte. Nascono uffici di
propaganda (foto di guerra). Viene anche nominato il “fronte interno”, cioè nei
confronti della comunità nazionale che vengono coinvolti con forme di
propaganda finalizzata a indirizzare l’opinione pubblica. Diede luogo alla
militarizzazione della società in cui a chi manifestava qualche dubbio era negato
il diritto di parola.
 Economia di guerra pianificata e centralizzata in netto contrasto con
l’ideologia liberale. Donne coinvolte che sostituirono gli uomini nelle campagne e
nelle fabbriche; L’economia di guerra comportò il razionamento dei beni
alimentari e impose sacrifici enormi alle popolazioni.
 Guerra ad alta tecnologia, fu la guerra dell’acciaio e della chimica, mise a
frutto le invenzioni e scoperte della Seconda rivoluzione industriale. Questo
sviluppo porta al modificare il modo di combattere e aumentò le capacità
distruttiva delle armi. Sperimentare delle nuove, ricerca scientifica più applicata

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con sperimentazioni. Alcune create appositamente per la guerra, ad esempio il
telefono da campo.
 Una guerra di logoramento ovvero una guerra di posizione,
fondamentalmente difensiva. Piano Schlieffen, azione rapida e incalzante per
neutralizzare in breve tempo le armate nemiche, quindi una guerra di
movimento.
 Il ruolo della propaganda, non si combatteva solo in campo militare ma anche
politico, economico e psicologico dell’opinione pubblica. Tutti i governi
potenziarono la propaganda che sfruttò anche come mezzo di comunicazione il
cinema. Ad esempio grande società di produzione Ufa che ebbe realizzato i più
importanti film di cinema tedesco degli anni Venti.
FASI MILITARI DELLA GUERRA
La scintilla che scatenò la prima guerra mondiale fu colpita a Sarajevo, in Bosnia,
dove l'arciduca Francesco Ferdinando, in pace con l'impero austro-ungarico, venne
ucciso a colpi d'arma da fuoco insieme a sua moglie Sophie, dal nazionalista serbo
Gavrilo Princip il 28 giugno 1914. Poiché la potente Russia appoggiava la Serbia,
l'Austria-Ungheria aspettava di dichiarare guerra fino a quando i suoi leader non
ricevettero l'assicurazione del capo tedesco Kaiser Guglielmo II. I leader austro-
ungarici temevano che un intervento russo avrebbe coinvolto anche l'alleato della
Russia, la Francia e forse anche la Gran Bretagna. Convinto che l'Austria-Ungheria si
stava preparando per la guerra, il governo serbo ordinò all'esercito serbo di
mobilitarsi e fece appello alla Russia per l'assistenza. Il 28 luglio, l'Austria-Ungheria
dichiarò guerra alla Serbia e la tenue pace tra le grandi potenze dell'Europa svanì
rapidamente. Secondo un'aggressiva strategia militare nota come Schlieffen Plan, la
Germania iniziò a combattere la prima guerra mondiale su due fronti, invadendo la
Francia attraverso il Belgio neutrale ad ovest e affrontando la Russia a est. Il 4
agosto 1914, le truppe tedesche varcarono il confine con il Belgio. Nella prima
battaglia della prima guerra mondiale, i tedeschi assalirono la città fortificata di
Liegi, usando le armi più potenti del loro arsenale, enormi cannoni da assedio, per
catturare la città entro il 15 agosto. Lasciando la morte e la distruzione nella loro
scia, compreso il le fucilazioni di civili e l'esecuzione di un prete belga, accusato di
incitamento alla resistenza civile, i tedeschi avanzarono attraverso il Belgio verso la
Francia. Nella prima battaglia della Marna, combattuta dal 6 al 9 settembre 1914, le
forze francesi e britanniche affrontarono l'invasione dell'esercito tedesco, che era
penetrato in profondità nella Francia nord-orientale, entro 30 miglia da Parigi. Le
truppe alleate controllarono l'avanzata tedesca e montarono con successo un
contrattacco, riportando i tedeschi a nord del fiume Aisne. La sconfitta significò la
fine dei piani tedeschi per una rapida vittoria in Francia. Entrambe le parti
scavarono trincee e il Fronte Occidentale fu teatro di una guerra infernale di
logoramento che durò più di tre anni. Le truppe tedesche e francesi soffrirono quasi
un milione di morti nella sola Battaglia di Verdun . Sul fronte orientale della prima
guerra mondiale, le forze russe invasero le regioni tedesche della Prussia orientale e
della Polonia, ma furono fermate dalle forze tedesche e austriache nella battaglia di
Tannenberg, alla fine dell'agosto del 1914. Nonostante la vittoria, l'assalto della
Russia aveva costretto la Germania a spostare due corpi dal fronte occidentale a

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quello orientale, contribuendo alla perdita tedesca nella battaglia della Marna. Dal
1914 al 1916, l'esercito russo fece diverse offensive nel Fronte Orientale della prima
guerra mondiale, ma l'Armata Rossa non fu in grado di sfondare le linee tedesche.
La sconfitta sul campo di battaglia, combinata con l'instabilità economica e la
scarsità di cibo e altri elementi essenziali, portò ad un crescente malcontento tra la
maggior parte della popolazione russa, in particolare gli operai e i contadini colpiti
dalla povertà. Questa maggiore ostilità era diretta verso il regime imperiale dello
zar Nicola II e della sua impopolare moglie di origine tedesca, Alexandra. La
ribollente instabilità della Russia esplose nella rivoluzione russa del 1917, guidata
da Vladimir Lenin e dai bolscevichi, che pose fine al dominio zarista e bloccò la
partecipazione della Russia alla prima guerra mondiale. La Russia raggiunse un
armistizio con le Potenze Centrali all'inizio del dicembre 1917, liberando le truppe
tedesche per affrontare i restanti alleati sul fronte occidentale. Gli Stati Uniti
rimasero ai margini della prima guerra mondiale, adottando la politica di neutralità
favorita dal presidente Woodrow Wilson, mentre continuava ad impegnarsi nel
commercio e nella navigazione con i paesi europei su entrambe le parti del conflitto.
La neutralità, tuttavia, era sempre più difficile da mantenere di fronte
all'aggressione sottomarina della Germania contro le navi neutrali, comprese quelle
che trasportavano passeggeri. La Germania affondò quattro navi mercantili
statunitensi e il 2 aprile Woodrow Wilson apparve davanti al Congresso e invocò una
dichiarazione di guerra contro la Germania. Dopo un fallito attacco ai Dardanelli (lo
stretto che collegava il Mar di Marmara con il Mar Egeo), le forze alleate guidate
dalla Gran Bretagna lanciarono un'invasione terrestre su vasta scala della penisola
di Gallipoli nell'aprile del 1915. L'invasione si rivelò anche un triste fallimento, e nel
gennaio del 1916 le forze alleate furono messe in scena in ritirata dalle rive della
penisola, dopo aver subito 250.000 vittime. Il giovane Winston Churchill, allora
primo signore dell'Ammiragliato britannico, si dimise dal comando dopo la fallita
campagna di Gallipoli nel 1916, accettando una commissione con un battaglione di
fanteria in Francia. La prima battaglia dell'Isonzo ebbe luogo nella tarda primavera
del 1915, poco dopo l'entrata in guerra dell'Italia dalla parte alleata. Nella
Dodicesima Battaglia dell'Isonzo, conosciuta anche come la Battaglia di Caporetto
(ottobre 1917), i rinforzi tedeschi aiutarono l'Austria-Ungheria a ottenere una
vittoria decisiva. Dopo la battaglia di Dogger Bank, nel gennaio 1915, in cui gli
inglesi organizzarono un attacco a sorpresa sulle navi tedesche nel Mare del Nord,
la marina tedesca scelse di non affrontare la potente flotta reale britannica,
preferendo riposare la maggior parte della sua strategia navale sui suoi U-Boot. Il
più grande impegno navale della Prima guerra mondiale, la Battaglia dello Jutland
(maggio 1916) lasciò intatta la superiorità navale britannica sul Mare del Nord. Con
la Germania in grado di rafforzare le proprie forze sul fronte occidentale dopo
l'armistizio con la Russia, le truppe alleate lottarono per tenere a bada un'altra
offensiva tedesca fino a quando i rinforzi promessi dagli Stati Uniti non fossero stati
in grado di arrivare. Il 15 luglio 1918, le truppe tedesche lanciarono quella che
sarebbe diventata l'ultima offensiva tedesca della guerra, attaccando le forze
francesi (unite da 85.000 soldati americani e alcune forze di spedizione
britanniche), nella Seconda battaglia della Marna. Gli alleati respinsero con
successo l'offensiva tedesca e lanciarono la loro controffensiva solo tre giorni dopo.
Dopo aver subito enormi perdite, la Germania fu costretta a richiamare un'offensiva

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pianificata più a nord, nella regione delle Fiandre che si estende tra la Francia e il
Belgio. La Seconda Battaglia della Marna trasformò decisamente l'ondata di guerra
verso gli alleati, che riuscirono a riconquistare gran parte della Francia e del Belgio
nei mesi successivi. Nell'autunno del 1918, le Potenze Centrali si stavano
disfacendo su tutti i fronti. Nonostante la vittoria turca a Gallipoli, le successive
sconfitte da parte di forze invasori e di una rivolta araba si erano unite per
distruggere l'economia ottomana e devastare la sua terra; i turchi firmarono un
trattato con gli alleati alla fine di ottobre 1918. L'Austria-Ungheria, che si dissolve
dall'interno a causa dei crescenti movimenti nazionalisti tra la sua variegata
popolazione, raggiunse un armistizio il 4 novembre. Di fronte alla diminuzione delle
risorse sul campo di battaglia, al malcontento sul fronte interno e alla resa dei suoi
alleati, la Germania fu finalmente costretta a firmare l'armistizio l'11 novembre
1918, che terminò la prima guerra mondiale.

RIVOLUZIONE RUSSA
Due importanti avvenimenti tra il 1914 e 1921-22 da una parte Rivoluzione
russa e dall’altra la questione del nuovo assetto geopolitico con la scomparsa
dei 3 imperi, alle conseguenze sociali e politiche della guerra.
Il socialismo nel corso degli anni si è diviso in due grandi correnti: riformista e
rivoluzionaria, la prima iniziò a pensare che questa trasformazione socialista era
attraverso una gradualità quindi non in maniera violenta. La seconda i rivoluzionari,
proponevano una trasformazione basata su delle rivoluzioni, presa del potere con
violenza. Alcuni avevano un’idea più orientata dalla violenza immediata, altri più a
lungo.
Questo caratterizzò la maggioranza dei riformisti, in Italia prevalse anche il
riformista. I movimenti sindacali erano principalmente riformisti perché erano
impegnati nel negoziare nel lavoro (con i padroni e azione del governo).
Dalle minoranze socialiste rivoluzionarie nasceranno i partiti comunisti, il
passaggio che si produrrà era quello della rivoluzione del 1917 in Russia. La
Russia zarista era un paese poco industrializzato, un paese che veniva da una
tradizione assolutista quella degli zar e veniva da una condizione di grande povertà,
esclusivamente agricolo che si fondava sul potere delle signorie terriere, aveva un
esercito forte che aveva potere.
Il socialismo non era il frutto di una condizione arretrata del paese, questo
tipo di ribellione erano considerati dalla cultura Marxista delle rivoluzioni
spontanee che non avrebbero mai determinato dei veri e propri assetti sociali. La
rivoluzione attraverso il pensiero di Marx era tutto attorno al sistema
capitalistico. Si sarebbe istaurato un governo liberale.
Il luogo per eccellenza di una ribellione era la Germania, aveva un sistema
economico fortemente sviluppato, borghesia ben radicata, invece tutte le previsioni
del pensiero socialista furono sconvolte dai Russi.
Quando si parla di Rivoluzione Russa bisogna parlare di varie fasi:
1905- A San Pietroburgo l’esercitò aprì il fuoco su centinaia di manifestanti che
chiedevano riforme sociali. L’episodio noto come domenica di sangue, diede vita ai
moti rivoluzionari del 1905, anch’essi repressi. Lo zar dovette però concedere
l’apertura di un Parlamento elettivo, la Duma.

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1914- Russia entra in guerra contro Germania e Austria, la guerra non è ben
accolta dall’esercito, contadini coinvolti che si oppongono, le risorse impiegate per
la guerra mettevano in ginocchio poi il popolo.
1917- Nel febbraio, questo movimento di popolo che inizia a ribellarsi al potere
zarista, si indisse un grande sciopero generale che sfociò in forme rivoluzionari. Lo
zar tentò di reprimere questi moti ma l’esercito che attaccò i dimostranti non riuscì
a frenare questa ribellione che diventò una vera e propria rivoluzione. Nel 27
febbraio, il popolo prese possesso della città di Mosca e questa rivoluzione si
estese in altre parti del paese.
Inizia una fase in cui quella Duma aveva poco valore, ora diventa il punto di
riferimento politico, prende il controllo del governo creandone uno provvisorio.
Il governo provvisorio presieduto da Georgij L’vov (1861-1925) e formato da
esponenti di varie forze politiche, tra cui le più importanti erano il Partito
costituzional-democratico, detto anche Partito dei cadetti, di orientamento liberale,
filo-occidentale e favorevole a una monarchia costituzionale, il Partito socialista
rivoluzionario e i menscevichi. Il partito socialista formato da bolscevichi e
menscevichi, si crea la contraddizione che quei soviet organi popolari dal basso
nati dal 1905 cercano un nuovo protagonismo.
I soviet si erano ricostituiti, le assemblee di operai e contadini che erano
nati nel corso della Rivoluzione del 1905 e che nello stesso anno erano
stati soppressi da Nicola II dopo la domenica di sangue. Il soviet di
Pietrogado autoproclamandosi soviet degli operai e dei soldati, acquisì un ruolo
preminente perché faceva sentire la sua pressione sul governo e perché esercitava
un’influenza sulle truppe di stanza nella capitale e su settori vitali dell’apparato
industriale, come le ferrovie. In un primo tempo il controllo sui soviet fu
esercitato dai menscevichi e da altre formazioni socialiste minori, mentre i
bolscevichi erano in netta minoranza. L’affermazione dei soviet produsse un vero e
proprio dualismo di potere in quanto il governo provvisorio doveva concordare con
loro ogni decisione.
Si inserisce la forza e la scelta della corrente bolscevica, la figura principale fu
Lenin per il nuovo movimento rivoluzionario.
Lenin era il leader del movimento socialista, era in esilio, veniva perseguitato
dallo zar, si nascose in Svizzera, costruì una scuola importante. Tornando in patria,
grazie all’aiuto della Germania che pensava che far tornare un leader in patria era
modo di far uscire la Russia dalla guerra e supportò Lenin per il ritorno.
Lenin guida la corrente e il partito bolscevico e produse le “tesi d’aprile” dove
sostiene e invoca tutto il potere ai soviet, dà il potere di controllare quel
potere che si era manifestato attorno. Propose anche l’immediata uscita
della Russia dalla guerra e la nazionalizzazione delle terre per soddisfare
la principale rivendicazione dei contadini.
Riesce a organizzare il partito bolscevico, il colpo di Stato.
Questo secondo momento rivoluzionario costruirà la storia della Russia per oltre 70
anni, avviene ad ottobre ma si dice che avvenne a novembre, la Russia zarista
adottava un calendario differente del resto del mondo Occidentale, quello Giuliano e
non quello Gregoriano. Quello Giuliano era 14 giorni indietro e quindi c’era una
sfasatura. Quella che era stata rivoluzione ottobre era per l’Europa novembre.

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Il partito bolscevico molto organizzato tra la notte del 24-25 iniziò a
occupare dei punti strategici sia di Mosca che di Pietrogrado,
cannoneggiamento dell’incrociatore Aurora e conquistò la sede del governo
provvisorio. I bolscevichi prendono potere. Nel governo c’era anche la figura di
Stalin e Lenin ne era il capo. Inizia la storia dell’Unione Sovietica. Il nome si
adotterà nel 1922, questa fase del 1917-1922 è una fase rivoluzionaria che va
a dare modalità d’azione e i primi atti del movimento bolscevico socialista. I
contadini con i territori consegnati, il governo era nato con un atto di forza dopo i
primi suoi atti da molti consenti sia ai contadini che ai lavoratori. Nello stesso tempo
c’è un tentativo di creare un’assemblea costituente, ma il governo si opporrà,
il governo si consolida da una parte di violenza.

DALLA GUERRA MONDIALE ALLA GUERRA CIVILE


Nel giro di pochi giorni il nuovo governo varò una serie di importanti decreti. In
primo luogo venne stabilito il controllo operaio delle fabbriche, in secondo luogo
vennero confiscate tutte le grandi proprietà terriere e ai soviet fu affidato il compito
di distribuirle fra i contadini. Le banche furono nazionalizzate, infine fu riconosciuta
l’uguaglianza di tutte le nazionalità dell’ex imperatore russo e il loro diritto
dell’autodeterminazione, cioè dotarsi di propri organi rappresentativi. Sembrava che
tutto questo aveva portato alla Russia a diventare uno Stato federale con un’estesa
delega dei poteri verso il basso, cioè verso i soviet dei lavoratori e gli organi locali.
In realtà, nei mesi seguenti si verificò proprio il contrario, con l’accentramento delle
decisioni nelle mani del partito e dello Stato.

LA DITTATURA DEL PARTITO BOLSCEVICO


Il 25 novembre 1917 si svolsero le elezioni per l’Assemblea costituente da
cui i bolscevichi uscirono sconfitti. Essi reagirono sciogliendo l’Assemblea e
sostituendola con la Repubblica dei soviet degli operai, dei soldati e dei contadini.
Iniziava così la dittatura di un partito e dei suoi dirigenti.

FINE DELLA GUERRA


Di fronte all’ulteriore avanzata dell’esercito tedesco, la Russia il 3 marzo 1918
firmò la pace di Brest-Litovsk. Il prezzo pagato dal nuovo Stato socialista per
ottenere la pace fu altissimo: oltre a versare un indennizzo di sei miliardi di marchi
all’Impero tedesco, la Russia perse un terzo della popolazione e diversi territori: una
parte della Polonia, le regioni balcaniche (Estonia, Lettonia e Lituania), la Finlandia e
l’Ucraina nonché alcune province al confine con la Turchia che passarono all’Impero
ottomano. Concessioni così dolorose scatenarono infatti forti opposizioni anche nel
Partito bolscevico, ma Lenin riuscì a imporre la propria volontà.

GUERRA CIVILE
La Russia conobbe tra il 1918 e il 1921 una guerra civile che mise a dura prova
tutto il paese e che fu accompagnata da un crescendo di atrocità. Oltre agli
avversari interni, soprattutto militari rimasti fedeli allo zar (Armate bianche per il
colore dell’uniforme imperiale) la neonata Repubblica socialista dovette affrontare
anche l’attacco di truppe straniere, che penetrarono in profondità nel territorio
russo. Lenin si trovò a fronteggiare con la Legione cecoslovacca, formata da

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prigionieri di guerra che marciarono verso est assumendo il controllo di un’ampia
regione degli Urali e il Volga giungendo verso il luogo della prigionia dello zar e della
sua famiglia. Per paura che gli ex monarchi venissero liberati, i bolscevichi
dovettero fucilare la famiglia intera dei Romanov tra il 16-17 luglio 1918.
Le misure autoritarie del governo si inasprirono: i giornali liberali e borghesi furono
chiusi, menscevichi espulsi dai soviet, arrestati gli oppositori politici, repressi
scioperi e le rivolte. Minacce dal governo bolscevico venivano anche dall’Ucraina
dove la Rada aveva proclamato la nascita della Repubblica Ucraina (25
gennaio 1918) e dove oltre alle truppe tedesche erano attivi un esercito
indipendentista e gruppi di irregolari; e da nord, dove un corpo di spedizione franco-
inglese marciava verso Pietrogrado.

TERRORE BIANCO E TERRORE ROSSO


Il fronte dei bianchi era diviso al suo interno da rivalità personali e da visioni
politiche contrastanti. Mentre la maggior parte degli ufficiali si batteva per la
restaurazione dello zarismo, gli esponenti dei partiti messi fuori legge dai
bolscevichi volevano una Russia liberale e democratica. L’esercito dei bianchi
aveva molti generali ma pochi soldati. Il grosso delle sue truppe era costituito
dai cosacchi (nomadi tatari che vivono nelle steppe della Russia meridionale) e da
altre minoranze nazionali, da sempre ostili al governo centrale russo. Al terrore
bianco cioè alle violenze penetrate dalle forze che si battevano per rovesciare il
nuovo regime fece da contraltare il terrore rosso scatenato dal governo
bolscevico. Le vittime della guerra civile furono 6 milioni in gran parte civili, decine
di migliaia di ebrei furono uccisi nelle zone occupate dai bianchi e dai nazionalisti
ucraini. Nel 1919 le Armate bianche arrivarono ad assediare il governo
bolscevico. I rossi a quel punto guidati dal commissario alla Guerra Trockij
riuscirono ad organizzare e contrattaccare. Nel gennaio 1918 si formò l’Armata
rossa, l’esercito bolscevico. Nel giro di pochi mesi arrivò a contare 4 milioni di
uomini, con una severa disciplina militare che aboliva la libertà conquistata negli
anni precedenti. Ogni reparto era sottoposto al controllo di un commissario politico
che doveva vigilare sulla fedeltà alla Rivoluzione degli ufficiali e verificarne i risultati
nella condotta della guerra.
Dopo l’armistizio con la Polonia, che nel frattempo aveva smosso guerra ai
bolscevichi, nel 1921 l’Armata rossa riuscì a piegare anche i bianchi.

COMUNISMO DI GUERRA
Con un’economia sull’orlo del collasso la svalutazione e l’esplosione del mercato
nero, fu introdotto il cosiddetto “comunismo di guerra”: tutte le imprese vennero
statalizzate e fu introdotta una disciplina militare. Imprese agricole e
industriali e commerciali, grandi e piccole furono statalizzate. Nel luoghi di lavoro
militari fu introdotta la disciplina militare con turni molto lunghi e dure misure
punitive per i trasgressori. All’origine c’erano anche delle motivazioni
ideologiche: si voleva accelerare il processo di abolizione della proprietà privata e
del mercato libero, in cui i bolscevichi vedevano l’origine delle differenze di classe.
Questo portò a uno scontro tra bolscevichi e contadini che non volevano cedere
allo Stato le proprie terre né a vendere i propri frutti del loro lavoro a prezzi bassi
fissati dal governo. Di fronte alle resistenze dei contadini furono create squadre di

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operai armati e contadini poveri che procedettero con brutalità alla requisizione
forzata dei raccolti.

DALLA NEP ALLA MORTE DI LENIN


L’atteggiamento dei bolscevichi si era irrigidito fin dalla primavera del 1918: era
stata reintrodotta la pena di morte e per controllare le persone considerate
sospette, creata, alla fine del 1917 una polizia politica dotata di poteri
amplissimi, la Ceka. L'organo della polizia politica lievitò dai circa 12.000 membri
del 1918 ai 180.000 del 1921. Furono aperti i primi campi di prigionia che servivano
a neutralizzare gli oppositori e a nasconderli al resto della società. La dialettica
politica sopravvisse solo all'interno del ristretto gruppo dirigente del partito
bolscevico e più precisamente nel suo organo direttivo istituito sempre nel 1919:
l'ufficio politico. Il partito comunista accentrò tutte le decisioni su di sé e sulle
strutture statali che divennero sue emanazioni. Si moltiplicarono gli uffici e gli
organi amministrativi e nacque una classe dirigente, legata alla burocrazia di Stato
e titolare di molti privilegi rispetto al resto della società, con l'accesso a merci e ben
introvabili per i cittadini comuni. Si affermò così un regime a partito unico. In
questo regime crebbe rapidamente il numero dei funzionari e impiegati giovani con
una scarsa preparazione tecnica e teorica ma che non apparivano compromessi con
regime zarista. Fu sfruttando le aspirazioni di carriera e il pragmatismo di questo
folto ceto burocratico che Stalin come vedremo riuscì a diventare padrone assoluto
del partito e del paese.

NEP
Nel marzo 1921, dopo la repressione delle proteste dei marinari di Kronstad, Lenin
decise un mutamento di rotta abbandonando il comunismo di guerra e
promuovendo la NEP con l’obiettivo di rianimare il mercato interno e la
produzione. Nep (Nuova Politica Economica), essa favorì il rilancio
dell’economia russa e servì a garantire ai bolscevichi un certo margine di consenso
tra operai e contadini. Nel giro di un paio d’anni la produzione industriale e il reddito
nazionale raggiunsero e superarono libelli d’anteguerra. A questo successo
contribuirono i risultati positivi della produzione agricola che conobbe un vero e
proprio boom. Nelle campagne la Nep favorì il ceto dei kulaki ovvero i contadini
ricchi anche se spesso erano considerati tali solo perché possedevano macchinari o
bestie. Nelle città i consumi aumentarono e comparve un nuovo ceto i cosiddetti
nepmen, commercianti e piccoli imprenditori che cercavano di sfruttare le
opportunità offerte dalla Nep.

ISOLAMENTO INTERNAZIONALE DELLA RUSSIA COMUNISTA


Intorno al nuovo Stato sovietico si venne a creare un cordone sanitario: i Paesi
confinanti di fatto isolarono la Russia. Solo la Germania sottoscrisse un
accordo con i bolscevichi, il Trattato di Rapallo (16 aprile 1922) che
prevedeva l’avvio di relazioni diplomatiche, la rinuncia tedesca alle
riparazioni della guerra (che i bolscevichi non accettavano) e nelle sue
clausole segrete una collaborazione in campo militare in violazione dei

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Trattati di Versailles. La Nep aveva incoraggiato la ripresa delle relazioni
commerciali con l’estero e tuttavia i rapporti con gli altri Stati non si erano
normalizzati.

NASCITA DELL’URSS
La Russia sovietica si chiude sempre di più in se stessa, il 30 dicembre 1922 le
quattro Repubbliche socialiste che erano state fondate negli sterminati territori
dell’ex Impero russo e quindi, Repubblica sovietica russa, quella ucraina, quela
bielorussa e quella transcaucasica (comprendente Armenia, Georgia e Azerbaigian)
diedero vita all’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS) con capitale a
Mosca, entrata in vigore nel gennaio 1924, l’Urss era uno Stato federale. Il
potere legislativo era esercitavo dal Soviet supremo, formato da delegati di tutte le
Repubbliche e il quale a sua volta eleggeva il Consiglio dei commissari del popolo,
cioè il governo dell’Urss nonché il comitato esecutivo il cui presidente era lo Stato.
Lo Stato federale aveva una competenza di difesa e sicurezza, rapporti
internazionali e commercio con l’estero.

KOMINTERN
Nel dicembre del 1919 fu fondata a Mosca l’organizzazione dei partiti
comunisti di tutto il mondo nota come Terza internazionale o Komintern
con Zinov’ev come Presidente. Si produsse la spaccatura tra i comunisti che
volevano portare la rivoluzione e la dittatura del proletariato in altri Paesi,
rovesciando l’ordine costituito, e i socialisti, che preferivano agire in un altro
contesto democratico e promuovere riforme a favore dei lavoratori. Sulla spinta
della Rivoluzione d’ottobre in tutto il mondo partiti e movimenti comunisti nacquero
da scissioni dei partiti socialisti preesistenti. Negli anni Venti e Trenta però i
comunisti erano nella maggior parte delle minoranze: la maggior parte degli
operai e degli elettori di sinistra continuò a votare per i partiti socialisti e
socialdemocratici.

MORTE DI LENIN
Nel maggio del 1922 Lenin subì il primo ictus che ne ridusse notevolmente le
forze, recuperate parzialmente nei mesi successivi fu colpito dal secondo attacco
nel marzo dell’anno dopo. La sua morte il 21 gennaio 1924 aprì una lotta per la
leadership all’interno del gruppo dirigente bolscevico. Stalin riuscì a sfruttare a suo
vantaggio l’emozione suscitata dalla morte del compagno.

SOCIETA’ E CULTURA
 Sperimentazioni artistiche
 Ruolo delle donne conquistarono almeno sul piano giuridico la parità con gli
uomini, entrando nel lavoro.
 Introdotto il divorzio
 Promosse campagne contro l’alfabetismo
 Apertura di scuole primarie
 Potenziamento delle strutture sanitarie e vaccinazioni
 Investimento su architettura, poesia, letteratura e musica
 Avanguardia artistica: Il Costruttivismo

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 Contraddizione che l’arte dovesse servire solo ai fini della politica
 Cinema popolare nella Russa sovietica
 Dziga Vertov il creatore del cine-occhio

STORIA CONTEMPORANEA LEZIONE 10


LE CONSEGUENZE DELLA GUERRA
Le perdite arrecate dalla Prima guerra mondiale furono incalcolabili. I morti furono
quasi 9 milioni e l’economia entrò in una crisi gravissima. La riconversione
dell’economia di guerra in economia di pace fu lunga e difficile; disoccupazione
diffusa e l’inflazione rimase a lungo molto alta e mese in difficoltà le categorie a
reddito fisso. Il sistema del commercio internazionale messo in crisi dalla divisione
del mondo in due blocchi nel corso del conflitto era tutto da rifondare. Dal punto di
vista psicologico, la guerra aveva assuefatto alla crudeltà e alla morte e aveva
attenuato la sensibilità nei confronti della violenza.
Era aumentata la brutalizzazione della politica: avversari politici erano considerati
alla stregua di nemici da annientare. Nei primi anni del dopoguerra si abbatterono
alcune epidemie e quella più nota fu l’influenza spagnola che dal 1918 al 1919
causò più morti della guerra. Provocava febbre altissima, dolori alle ossa e mal di
testa, colpiti gli individui in buona salute tra i venti e quarant’anni.
La frustrazione fu il sentimento dominante negli anni successivi alla guerra. I
contadini e gli operai avevano maturato una nuova coscienza della propria
importanza per il destino dei propri paesi e aspiravano ad avere un ruolo politico.
Milioni di persone si iscrissero a partiti e sindacati, molti lavoratori si spostarono a
sinistra, mentre tanti ex combattenti animati da sentimenti nazionalistici e ostili alla
lotta di classe predicata da socialisti, ingrossarono le file dei movimenti di destra. La
nascita dell’Unione Sovietica rafforzò la convinzione che la conquista del potere da
parte del proletariato fosse una prospettiva concreta. La minaccia di una rivoluzione
rossa terrorizzava le forze moderate e conservatrici che si mobilitarono per
fermarla.
Alcuni paesi come Italia, Germania, le forze della sinistra si erano già spaccate dal
1914 a proposito dell’intervento della guerra. Tale frattura si approfondì con
termini: socialisti e comunisti. Mentre i primi si batterono per la democrazia e le
riforme sociali, operando a livello parlamentare e sindacale, i secondi cercarono di
fare come in Russia nella certezza che il capitalismo fosse vicino al suo crollo e
fosse imminente l’epoca della rivoluzione mondiale.
LA CRISI DELLO STATO LIBERALE
Le classi dirigenti che avevano portato l’Europa in guerra persero credibilità. Le
vecchie strutture dello Stato liberale (lo Stato cioè cui obiettivo è garantire la libertà
ai cittadini) erano diventate inadeguate. Lo Stato aveva accresciuto il suo potere
nella società, intervenendo grazie a una burocrazia più folta e articolata, ma ciò non
si era tradotto in politiche capaci di conquistare il consenso di più vaste fasce

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sociali. Nella maggior parte dei casi la soluzione fu la nascita di regimi totalitari
o autoritari.
L’EUROPA DOPO I TRATTATI DEL 1919-20
Dalla conferenza di Versailles (1919-20) uscì un’Europa ridisegnata, la Prima guerra
mondiale sancì l’uscita definitiva di due Imperi centenari: quello austro-ungarico e
quello ottomano. La situazione si fece instabile a causa delle durissime condizioni
imposte dalla Germania che era stata considerata la responsabile dello scoppio
della guerra. Nonostante la nascita della Società delle Nazioni, un organismo
internazionale che negli intenti del presidente americano Wilson avrebbe voluto
evitare altre guerre, il nuovo assetto dell’Europa non dava vere garanzie per la
conservazione della pace nel Vecchio Continente.
I Quattordici punti di Wilson:
La conferenza di Versailles si protrasse per oltre un anno e mezzo. Si scontrarono
due visioni:
 La pace democratica proposta dal presidente statunitense Woodrow Wilson che
puntava a portare principi del liberalismo nelle relazioni internazionali;
 La pace punitiva nei confronti della Germania.
Il progetto riprendeva quattordici punti (dal nome dato dal suo discorso) che Wilson
aveva pubblicato nel 1918 come condizioni Per trattare più la pace con gli imperi
centrali. Essi includevano l'abolizione della diplomazia segreta, la liberalizzazione
non e dei commerci mondiali e della navigazione, la limitazione dei armamenti,
infine la proposta di fondare una Società delle Nazioni a garanzia della pace e
dell'integrità territoriale degli stati. Entrando più nello specifico miravano a
ridisegnare il volto dell’Europa e dell’ex impero ottomano sulla base dei principi di
nazionalità e autodeterminazione dei popoli.
Wilson proponeva la creazione di uno stato polacco con accesso al mare,
l'indipendenza della Romania, la piena autonomia dei popoli già sottomessi
all'impero austro-ungarico (croati, sloveni, cechi e slovacchi), la cessione all’Italia
delle regioni già austriache ma abitate in larga maggioranza da italiani, cioè
Trentino, Trieste e l’Istria.
LA NASCITA DELLA SOCIETA’ DELLE NAZIONI
Alla proposta di Wilson si opposero Francia e Regno Unito che imposero i propri
obiettivi strategici. Gli sforzi di Wilson ebbero successo, invece rispetto alla Società
delle Nazioni di cui a Versailles venne approvato lo Statuto che iniziò nella sede di
Ginevra il 10 gennaio 1920. Nella Società delle Nazioni fecero parte 42 Stati, in
essa doveva dirimere le controversie internazionali, poteva imporre sanzioni
economiche e decidere l’intervento militare contro gli Stati che ne avessero
attaccati altri. Proprio gli Stati Uniti non entrarono a farne parte e ciò tolse forza
alla nuova organizzazione.

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CONSEGUENZE PER LA GERMANIA DOPO IL TRATTATO DI VERSAILLES
 Germania cedette tutte le proprie colonie a Regno Unito, Francia e Giappone
 Abolire il servizio di leva
 Risarcire i danni causati dalla guerra agli Stati vincitori
L’intento di Francia e Giappone era quello di impedire al nemico di risollevarsi
e tornare ad avere un ruolo importante sulla scena europea e mondiale. Per
una larga fetta di opinione tedesca questa fu una grande umiliazione
esagerata e ingiusta.
NUOVI STATI E CONFINI IN EUROPA
La sconfitta ebbe pesanti conseguenze anche per le potenze alleate della Germania.
 Impero austro-ungarico cessò di esistere
 Austria ridotta a un piccolo Stato di abitanti
 Ungheria perse il 67% del suo territorio e più della metà degli abitanti
Ad essere avvantaggiati della fine dell’Impero austro-ungarico furono i popoli slavi
che con la formazione della Repubblica cecoslovacca e Regno di Jugoslavia;
Romania e Italia allargarono i propri confini.
La nuova carta geografica disegnata a Versailles rispondeva anche alla volontà di
creare una serie di “Stati cuscinetto” intorno all’Unione sovietica, al fine di tenere
la minaccia comunista lontana dal cuore dell’Europa. Furono sostenute le
Repubbliche che durante la guerra si erano staccate dall’Impero russo con
l’appoggio della Germania: Finlandia, Estonia, Lettonia e Lituania.
FINE IMPERO OTTOMANO E MOVIMENTO NAZIONALISTA TURCO
Un’altra vittima della guerra fu l’Impero ottomano. Il trattato di Sèvres nell’agosto
1920 aveva sancito delle durissime perdite territoriali. La Turchia quindi doveva
pagare per la pace un prezzo altissimo. Si sviluppò un forte movimento nazionalista
turco. In concorrenza con il Parlamento ottomano nacque la Grande assemblea
nazionale che si proponeva la liberazione del Paese dalla truppe straniere e la
fondazione di un nuovo Stato turco. Le potenze vincitrici si affrettarono e
mandarono delle truppe greche di penetrare la Turchia, ne seguì una guerra che si
concluse nel 1922 con la vittoria delle truppe di Kemal. Gli eserciti stranieri furono
respinti dalla Turchia e la parte occidentale dell’Armenia fu riconquistata e migliaia
di civili armeni furono uccisi.
PROBLEMI APERTI DOPO VERSAILLES
Nelle potenze sconfitte nacquero movimenti nazionalistici ed estremisti, che
approfittarono con la crisi sociale provocata dalla guerra per emergere. Ci furono
scontri per quanto riguarda la complessa realtà europea, si ritrovarono a vivere
come minoranze linguistiche. La guerra sancì la fine della centralità europea.
Tutti gli Stati scelsero l’isolazionismo, questo impedì la creazione di un equilibrio
internazionale stabile.

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RIVOLTE IN EUROPA CENTRALE E LA NASCITA DELLA REPUBBLICA DI
WEIMAR
La Rivoluzione russa portò a spingere le forze dell’estrema sinistra a cercare uno
sbocco rivoluzionario. In Ungheria la caduta dell’impero austro-ungarico decretò la
nascita della Repubblica (17 novembre 1918), il nuovo governo formato da
socialisti e liberal-democratici dovettero affrontare le severe conseguenze della
guerra. La crisi economica favorì la nascita di consigli operai sul modello dei
soviet russi che decisero di occupare le fabbriche.
 Nascita della Repubblica Sovietica Ungherese (21 marzo 1919)
 Austria, 12 novembre 1918, Repubblica democratica
 Béla Kun dimissioni il 1 agosto 1919, truppe rumene entrarono a Budapest e
imposero a capo dello Stato Miklòs Horthy, leader delle forze controrivoluzionarie
ungheresi che scatenò dure rappresaglie contro i comunisti e instaurò un regime
autoritario.
 Germania, con la rivoluzione del 1918 aveva portato alla fuga ingloriosa
dell’imperatore Guglielmo II e alla nascita della Repubblica. I consigli degli
operai e dei soldati, riuniti a Berlino il 10 novembre nominarono un governo
provvisorio formato da socialisti con a capo Friedrich Ebert. Molte fabbriche
furono occupate. Questa situazione poteva ricordare la Russia nel 1917, ma le
differenze sono: un ceto medio più robusto rispetto alla Russia e classi dirigenti
con potere più forte. I social democratici non volevano una rivoluzione ma
riformare la società tedesca in senso democratico tramite un’Assemblea
costituente. Di fronte al rischio di una rivoluzione, Lega di Spartaco fondata
nel 1916 che diventerà poi il Partito comunista tedesco, e la Uspd, il
partito della sinistra socialdemocratica. Entrarono in dissenso con Lenin
poiché erano contrari che il Partito comunista assumesse il monopolio del potere
e esautorasse la rappresentanza del popolo com’era accaduto in Russia.
Alla fine del 1918 si registrò un aumento di episodi di violenza. I
socialdemocratici cercavano di stabilizzare la situazione, esponenti degli alti
comandi dell’esercito complottavano per abbattere il governo e ripristinare il regime
autoritario. La situazione precipitò quando i comunisti berlinesi scatenarono
un’insurrezione popolare (5-6 gennaio 1919). Il governo reagì con un’energica
repressione. Subito dopo la repressione si svolsero le elezioni per l’Assemblea
costituente. La Spd si affermò come primo partito (Partito socialdemocratico)
ma non ottenne maggioranza assoluta. Si alleò quindi con un partito cattolico il
Zentrum e con i partiti democratici-borghesi. Tale accordo portò l’elezione di
Ebert come presidente della Repubblica e la nascita di un governo di coalizione.
L’Assemblea costituente si riunì a Weimar simbolo della città tedesca e la
Costituzione di Weimar promulgata nell’agosto del 1919 era molto avanzata dal
punto di vista sociale e prevedeva il suffragio universale (maschile e femminile).
CRISI ECONOMICA E INFLAZIONE
La Repubblica però nacque debole, segnata dalla guerra civile e dai compromessi
che la nuova democrazia aveva dovuto fare con il vecchio ordine. A pesare erano
state soprattutto le clausole del Trattato di Versailles. Queste riparazioni di guerra

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portarono a riserve auree (ovvero quantità di oro e altri metalli preziosi che lo
Stato conservava nei propri depositi come garanzia del valore delle banconote che
emette), tedesche all’esaurimento. Le gravi difficoltà di commercio estero
paralizzavano l’industria. Nel 1923 Francia e Belgio in reazione del ritardo
pagamento di una rata delle riparazioni, inviarono delle truppe per occupare la
regione carbonifera della Ruhn ovvero una delle principali fabbriche tedesche.
Gli abitanti reagirono con forme di resistenza, abbandonando le fabbriche, ma al
governo non restò che stampare sempre più banconote. Il valore del marco
crollò e l’inflazione salì. Si ritrovò a cancellare i propri risparmi e tornare al baratto.
RAFFORZAMENTO DELL’ESTREMA DESTRA E GLI ESORDI DI HITLER
La Germania con una crisi morale vede sorgere un gran numero di formazioni di
politiche di estrema destra note come movimento Volkisch. Tra il 1919 e il
1922 quasi 400 persone uccise per attentati terroristici compiuti dalla destra. Uno
dei più clamorosi, ministro degli Esteri, industriale ebreo Walther Rathenau.
L’agitazione della destra si tradusse con alcuni tentativi del Colpo di Stato, di cui il
più celebre per mano del leader di un piccolo partito nazionalista: Adolf Hitler.
I responsabili di questo terrorismo furono carcerati e Hitler con una pena di soli
cinque anni poi ridotti a nove mesi per buona condotta. Scrisse in quel periodo il suo
manifesto, “La mia battaglia”. Una volta scarcerato cambiò strategia, abbandonò
l’idea del colpo di Stato e puntò a impadronirsi del potere per vie legali ovvero
partecipando alle elezioni ma al contempo intimidendo con la violenza gli avversari
politici.
CULTURA DI WEIMAR
 Numerosi movimenti: dall’architettura al cinema, dalla musica alla letteratura,
dalle scienze esatte alle scienze sociali
 Espressionismo
 Nuova oggettività sviluppata dal 1925
 Movimento moderno in ambito architettonico e del design
 Cultura intellettuale, il cabaret
 Fuga con l’arrivo di Hitler al potere
DOPOGUERRA IN FRANCIA E NEL REGNO UNITO
REGNO UNITO
Nel dicembre del 1918 prime elezioni aperte alle donne (età superiore ai 30
anni, dal 1928 la soglia fu abbassata a 21).
Il principale problema erano i conti dello Stato, finiti in rosso per la guerra. Le
politiche di contenimento della spesa pubblica e gli scarsi investimenti a favore
delle imprese determinarono un aumento della disoccupazione. Le Trade Unions
ovvero i sindacati inglesi, reagirono proclamando una serie di grandi scioperi e nel
1920 superarono gli otto milioni di iscritti. Nel 1922 Lloyde George indusse i
conservatori che miravano ad adottare delle misure protezionistiche a favore dei
prodotti inglesi. Per la prima volta nella storia inglese sale al governo colui che

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proveniva dalla working class (classe operaia), James Ramsay MacDonald.
Cominciò a profilarsi il quadro politico che tuttora caratterizza il Regno Unito con
l’alternanza al governo di laburisti e conservatori e i liberali relegati a un ruolo
secondario.
Per quanto riguarda la politica estera, con i Trattati di Washington del 1922 fu
sancita la parità navale tra la flotta americana e quella inglese. L’altra
questione era la richiesta di maggior autonomia da parte delle colonie, i dominions.
Nel 1926 fu istituita una comunità di Stati autonomi e con pari diritti, legati
alla fedeltà alla Corona britannica: il Commonwealth che includeva Regno Unito,
Sudafrica, Australia, Nuova Zelanda, Canada, Terranova e Irlanda. Non risolse la
questione irlandese, perché quest’ultima aspirava a uno Stato indipendente.
Cercarono l’indipendenza approfittando dell’impegno inglese in guerra ma furono
subito sconfitti. Crearono un governo clandestino e proclamarono la Repubblica
d’Irlanda e si protrassero fino a quando l’Inghilterra accettò la nascita dello
Stato libero d’Irlanda.
Fuori dal Commonwealth restarono tutte le colonie africane e asiatiche, che
continuavano ad essere soggette all’Impero britannico. In particolare l’India dove
nel 1919 i soldati inglesi uccisero o ferirono più di mille persone che
manifestavano (strage di Amritsar). Per recuperare almeno una parte il
consenso della popolazione, gli inglesi cedettero alle autorità locali alcuni poteri
(agricoltura, industria, istruzione e sanità). Ormai il movimento indipendentista
indiano era decollato. A promuovere le agitazioni era il Partito del Congresso di cui
nel 1921 divenne presidente Mohandas Gandhi. La fine della guerra aveva
lasciato al Regno Unito e alla Francia il controllo di vasti territori strategici già
appartenenti all’Impero ottomano: i protettorati.
L’Egitto ottenne l’indipendenza nel 1922, mentre l’Iraq assegnato agli inglesi
per la ricchezza dei suoi giacimenti di petrolio attirava pure gli interessi dei
francesi. La rivalità delle due potenze fu appianata con il Trattato di Mossul
(1926) che concedeva lo sfruttamento dei pozzi iracheni a compagnie inglesi nella
misura del 52% a compagnie americane e francesi per circa il 21%.
FRANCIA
La Francia uscì dalla guerra in condizioni economiche molto gravi. Grandi agitazioni
sociali attraversarono il Paese. Nelle elezioni del 1919 i socialisti aumentarono i
voti ma persero molti seggi poiché non si coalizzarono con i radicali. La linea dura
nei confronti della Germania fu proseguita da Raymond Poincarè che contava
sulle riparazioni tedesche per far ripartire l’economia. Proseguivano scioperi,
promossi dal sindacato di sinistra. Il partito socialista, si spaccò sulla scelta di
aderire alla Terza internazionale (organizzazione internazionale di coordinamento
fra i partiti comunisti del mondo guidata dall’Unione Sovietica) guidata dai
bolscevichi e di darsi un obiettivo rivoluzionario. Nel 1920 si fondò il Partito
comunista francese, i socialisti nel 1924 si unirono ai radicali con i quali vinsero
le elezioni. Due fattori sulla vincita della sinistra: aumento delle imposte dirette,
limitazione dei diritti sindacali e il fallimento della linea intransigente

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verso la Germania. Intanto l’economia migliorò, specie nei settori industriali più
moderni.
ITALIA NEL DOPOGUERRA
Tra i Paesi vincitori l’Italia era quello uscito più malconcio dalla guerra. L’economia
era paralizzata: la produzione industriale dopo il boom degli anni del conflitto, era
crollata, il costo della vita era aumentato di quattro volte rispetto al 1913. La
smobilitazione produsse più di 2 milioni di disoccupati. Molti soldati reduci di
guerra si sentivano traditi; L’esito delle trattative di pace in Italia non alzava il
morale della popolazione. Alla Conferenza di Versailles il primo ministro italiano
Vittorio Emanuele Orlando e il ministro degli Esteri Sidney Sonnino chiesero in
aggiunta a Trento, Trieste, Alto Adige e Istria anche la Dalmazia prevista dal Patto
di Londra del 1915 e Fiume città abitata in prevalenza da italiani ma controllata da
truppe alleate. L’insuccesso di queste richieste portò Orlando a dimettersi, subentrò
Francesco Saverio Nitti.
La delusione per quanto avveniva a Versailles diffuse nel paese una forte ostilità
verso gli ex alleati. Lo scrittore Gabriele D’Annunzio che durante la guerra si era
creato la fama di poeta-soldato, lanciò lo slogan della “vittoria mutilata” che
fece breccia nell’opinione pubblica. Confortato dal sostegno dei settori
nazionalistici, passò all’azione. Guidò su Fiume il 12 settembre 1919 un corpo
composto da soldati e reduci, occupando la città adriatica e proclamò la nascita
della Reggenza del Carnaro. Il temporeggiamento del governo Nitti screditò le
autorità italiane e diede coraggio ai legionari. A Fiume l’ala più aggressiva del
movimento nazionalista italiano sperimentò la tattica del “fatto compiuto” cioè
dei colpi di mano che di lì a poco sarebbe stata proseguita dal fascismo. Nella
primavera del 1920 Nitti , accusato di scarsa fermezza, si dimise. Giolitti negoziò la
definizione dei confini orientali con il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Nel
novembre 1920 le due parti sottoscrissero il Trattato di Rapallo: l’Italia
rinunciava alla Dalmazia ma otteneva Zara, un parte della Carniola e l’Istria; Fiume
diveniva città libera sotto amministrazione internazionale. Giolitti a questo punto
non esitò a inviare l’esercito per evacuare Fiume. Legionari attaccati prima via terra
e poi bombardati dal mare. Il 31 dicembre 1920 d’Annunzio firmò la resa.
Con la crisi economica e sociale del dopoguerra si mandò in frantumi
l’ordinamento politico nato con il Risorgimento e l’Unità. Masse popolari avevano
già fatto sentire la loro in precedenza. L’esperienza del combattimento e la
solidarietà nata nelle trincee avevano dato a molti contadini e proletari la
convinzione di poter diventare soggetti attivi nella vita politica. Le notizie dalla
Russia davano quasi la conferma di costruire una società socialista, con le fabbriche
e le terre di proprietà comune e i rapporti tra le classe rivoluzionati. La piccola e
media borghesia soffriva gli effetti dell’inflazione e dell’impoverimento generale. La
classe dirigente liberale non seppe adeguarsi alla nuova situazione, restò dell’idea
che del governo doveva occuparsene una cerchia stretta di notabili, mentre il
suffragio universale stava sancendo la nascita della democrazia di massa. Una
grande novità fu la nascita nel gennaio del 1919 del Partito popolare italiano
per iniziativa del sacerdote siciliano Luigi Sturzo. Il Ppi si presentò con un Appello

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al pese di ispirazione democratica, si rifaceva alla dottrina sociale favorita dalla
volontà del Vaticano di arginare l’avanzata dei socialisti.
Il 16 novembre 1919 si tennero in Italia le prime elezioni svolte con il sistema
proporzionale. Rispecchiava la frammentazione politica del Paese e determinò una
fase di grande instabilità. I governi così formati erano tutti deboli, anche per i
dissidi interni al gruppo liberale, in tre anni ce ne furono cinque.

IL BIENNIO ROSSO
Il biennio 1919-20 fu caratterizzato da un’ondata di scioperi nelle fabbriche e di
proteste nelle campagne. Gli operai chiedevano il rinnovo dei contratti, i braccianti
del Nord un sistema più equo di reclutamento della manodopera, quelli del Sud la
fine del latifondo e la distribuzione delle terre incolte. Nel 1920 le proteste si
intensificarono e proseguirono con occupazioni di terre nel Centro-Sud. Due
milioni di contadini aderirono alle leghe cattoliche e socialiste. Più frequenti furono
gli interventi della forza pubblica contro scioperi e manifestazioni. Nel frattempo in
molti impianti “triangolo industriale” (Torino-Genova-Milano) erano nati i
consigli di fabbrica- il primo in uno stabilimento torinese della Fiat. Si trattava di
organismi eletti dagli operai allo scopo di coordinare le lotte. Nel settembre quasi
tutte le fabbriche metallurgiche furono occupate dagli operai. Giolitti a questo punto
intervenne, convinse gli industriali a concedere agli operai aumenti salariali e il
parziale controllo della produzione, dall’altro fece pressione sui sindacati perché
non appoggiassero l’occupazione degli impianti. L’accordo fu preso il 27
settembre 1920 fu un successo per i lavoratori ma sancì la sconfitta politica dei
consigli e del Partito socialista. L’occupazione delle fabbriche portò a tanta paura in
vasti settori della società italiana e spinsero i ceti medi a fare blocco con l’alta
borghesia in funziona antisocialista. Ciò diede fiato alla reazione fascista.
MOVIMENTO FASCISTA
Il 23 marzo 1919 Mussolini fondò i Fasci di combattimento, il movimento si
propose come protettore degli interessi dei proprietari terrieri con le squadre
d’azione fasciste che attaccavano leghe contadine e sedi sindacali.
Le squadre erano composte da agrari, ex soldati, borghesi impoveriti, disoccupati e
sbandati, studenti convinti che il socialismo fosse una forza nemica della nazione.
Nel luglio 1920 si ebbero i primi due atti di squadrismo:
 La distruzione della tipografia dell’”Avanti!” di Roma
 L’assalto all’Hotel Balkan di Trieste
In autunno le violenze si moltiplicarono, grazie ai finanziamenti degli agrari il
movimento fascista si espanse rapidamente nelle campagne e nei centri legati alla
produzione agricola – dapprima in pianura Padana poi in Toscana, Umbria e Puglia.

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Il fascismo fece breccia anche nella piccola e media borghesia urbana, che era stata
interventista e aveva assimilato l’idea della “vittoria mutilata”.
A capo delle federazioni fasciste emersero i ras (alta autorità politica e militare
dopo il negus cioè l’imperatore. In Italia stava a significare in senso dispregiativo i
gerarchi e i capi locali del movimento fascista). Questa abitudine alla violenza
propria dei reduci e la nuova mentalità maturata nella guerra contribuirono a
trasformare la lotta politica in battaglia di strada.
A parte alcuni episodi di resistenza armata, le organizzazioni locali del movimento
operaio rispettarono la linea legalitaria scelta dal Partito socialista e dai sindacati e
furono vittime inermi delle aggressioni fasciste. Giolitti si illuse di poter usare i
fascisti per indebolire i socialisti e il Partito popolare e così riprendere le redini della
situazione.
FONDAZIONE DEL PARTITO COMUNISTA D’ITALIA
Nel gennaio 1921 si tenne a Livorno il congresso del Partito socialista. Si
fondò il Partito comunista d’Italia, con la frazione di Amadeo Bordiga e il gruppo
torinese raccolto attorno all’ordine Nuovo uscendo dal Psi. La divisione tra socialisti
e comunisti stava segnando l’intero movimento socialista internazionale,
indebolendo la sinistra italiana di fronte all’offensiva fascista.
Nel maggio 1921 si svolsero nuove elezioni politiche, le prime con suffragio
universale maschile perfetto (aperto a tutti gli uomini di 21anni anche se
analfabeti). Esse consegnarono un quadro parlamentare ancor più instabile e
frammentato di quello del 1919. I liberali si presentarono in lista nel cosiddetto
“Blocco nazionale” che comprendeva anche i Fasci di combattimento. In questo
modo il movimento di Mussolini ottenne una clamorosa legittimazione da parte delle
vecchie classi dirigenti del Paese. Nel luglio 1921 Giolitti si dimise, primo ministro
divenne il liberal-socialista Ivanoe Bonomi.
Il 3 agosto 1921 Bonomi indusse socialisti, sindacati e fascisti a stipulare il Patto
di pacificazione che avrebbe dovuto fermare le violenze ma Mussolini fondò il
Partito nazionale fascista di cui Mussolini fu proclamato “duce”. I fascisti lanciarono
un’offensiva per conquistare quelle zone dell’Italia centrale e settentrionale dove
incontravano maggiori resistenze.
LA MARCIA SU ROMA (OTTOBRE 1922)
La situazione era vicina alla paralisi, la maggioranza parlamentare sempre più
precaria. I fascisti erano riusciti a diventare protagonisti della vita politica, ma gran
parte dell’opinione pubblica era stanca dei continui attacchi violenti. Nell’ottobre
1922 i collaboratori più fidati progettarono con Mussolini la Marcia su Roma che
doveva far convergere nella capitale le squadre d’azione fasciste dopo aver
occupato uffici e centrali telefoniche. Si trattava di un vero e proprio Colpo di
Stato che prese colpo tra il 27-28 ottobre 1922.
Fu un atto politicamente enorme ma modesto dal punto di vista militare. Mussolini
poteva così presentarsi il 30 ottobre al sovrano e ottenere da lui (re Vittorio

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Emanuele III che sosteneva Mussolini l’uomo in grado di poter prendere in
mano il Paese) l’incarico di formare un nuovo governo.
LA GRANDE CRISI DEL 1929 E IL NEW DEAL
Con la fine del secondo mandato presidenziale del democratico Woodrow Wilson
cessò la spinta riformatrice della “progressive era” ovvero l’età progressista dei
primi vent’anni del Novecento e iniziò la “nuova era” repubblicana, caratterizzata
dal liberismo radicale in economia, dall’ulteriore riduzione del ruolo dello Stato in
maniera di protezione sociale, da provvedimenti di buon costume dettati da una
morale conservatrice e infine dal disimpegno rispetto ai problemi internazionali.
Gli Usa avevano subito perdite contenute e vantavano di crediti per miliardi di
dollari non solo con la Germania, ma anche con i Paesi vincitori. Il sistema
economico si sviluppava in modo impetuoso, tanto che la borsa di New York scalzò
la City di Londra nel ruolo di capitale finanziaria del mondo. L’esito delle trattative di
pace di Versailles avevano aumentato di molto il loro peso politico-diplomatico nei
confronti dell’Europa.
Washington invertì la rotta e imbarcò la strada dell’isolazionismo. Nel marzo 1920 il
Senato a maggioranza repubblicana respinse l’adesione alla Società delle Nazioni.
Nel novembre dello stesso anno Wilson fu sconfitto alle elezioni presidenziali. Da
questo momento gli Usa preferirono agire da soli privilegiando la formula degli
accordi bilaterali con singoli Paesi. I trattati multilaterali come quelli relativi alle
riparazioni di guerra della Germania furono l’eccezione.
Sul piano economico gli Usa puntarono a rafforzare la propria presenza nei mercati
mondiali approfittando sia della sempre più alta interdipendenza economica tra i
Paesi, sia del proprio ruolo di grande Paese creditore. Dovevano assicurarsi che le
rotte commerciali non fossero messe in pericolo da nuove guerre. Per queste ragioni
nel 1922 si fecero promotori dei Trattati di Washington con i quali le cinque
maggiori potenze marittime (Usa, Regno Unito, Giappone, Francia e Italia) e si
impegnarono a mantenere le proprie flotte entro limiti concordati e a non
modificare gli equilibri nell’oceano Pacifico. Stabilirono in particolar modo la parità
tra la flotta statunitense e quella britannica, segnando così la fine della supremazia
del Regno Unito sui mari. Gli Usa riuscirono a imporre anche l’integrità territoriale
della Cina e il principio della “porta aperta” cioè la libertà di accesso ai porti cinesi
per le imbarcazioni di ogni Paese.
STRAORDINARIO SVILUPPO ECONOMICO
C’era un prepotente sviluppo economico, l’economia statunitense dopo la fine della
Prima guerra mondiale crebbe a ritmi incalzanti con un aumento del prodotto
interno lordo del 2% e un tasso di disoccupazione basso. Dal 1922 al 1929 i salari
reali dell’industria salirono del 17%. I dati più notevoli vennero dagli indici della
produzione: elettricità e acciaio raddoppiò, petrolio aumentato dell’80%, beni di
consumo durevoli come automobili, frigoriferi, case e radio anche. Il boom diffuse
nella società euforia.

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Raggiunsero primi nel mondo lo stadio del “grande consumo di massa”, ci fu
un’impennata delle vendite grazie alla grande distribuzione e all’uso capillare della
pubblicità che diventò un’attività industriale di enormi dimensioni. Stile di vita
migliore e benestante rispetto a prima, acquisto di automobili, cucine a gas ect. Alta
anche la domanda di abitazioni che portò a un’urbanizzazione accelerata e a sua
volta favorì l’edilizia e la crescita della motorizzazione privata, ma anche dei
trasporti pubblici. Oltre a merci e investimenti, iniziarono ad esportare un nuovo
stile di vita: American way of life, ovvero incentrato sul benessere diffuso. Una delle
grandi rappresentazioni furono anche i grattacieli visti a Manhattan.
CATENA DI MONTAGGIO
Col forte aumento della produttività, con l’applicazione dei principi
dell’organizzazione scientifica del lavoro di Frederick Taylor. Taylorismo: catena di
montaggio, permise di ridurre i tempi morti nella produzione e sfruttare al massimo
gli impianti con conseguente abbattimento dei costi. Le prime catene di montaggio
furono fatte costruire dall’imprenditore Henry Ford per ridurre il tempo di
fabbricazione del modello t (da venti a un’ora e mezza) aumentandone la
produzione da poche migliaia a diversi milioni. La catena di montaggio privò il
lavoro del suo aspetto creativo e artigianale e tolse agli operai ogni forma di
controllo sul processo produttivo ma consentì di impiegare forza lavoro non istruita
o poco qualificata.
IL FORDISMO
Ford promosse una strategia aziendale ricca di implicazioni sociali, il fordismo.
Decise di accordare ai suoi dipendenti uno stipendio più alto della media per creare
un clima non conflittuale in fabbrica in modo da prevenire gli scioperi e la diffusione
dei sindacati, ma per mettere anche i lavoratori nella condizione di comprare i
prodotti dell’azienda. Così favoriva vendite e spingeva i dipendenti a sentirsi parte
del ceto medio. Nel settore automobilistico Alfred Sloan introdusse il sistema
manageriale che rivoluzionò l’organizzazione del lavoro. Rendeva autonome le varie
fasi della produzione separando la produzione di fabbrica dagli altri ambiti del
lavoro aziendale, ricerca, pianificazione, controllo, pubblicità, che furono affidati a
uffici specializzati. Tale divisione dei compiti portò a sperimentare nuove strategie
di marketing.
RADIO E CINEMA
Si affiancò alla crescita dei consumi anche una cultura di massa, basata sulla
condivisione dei gusti, simboli e messaggi da parte di milioni di persone. Si diffuse
grazie a due nuovi potenti strumenti: radio e cinema.
I fondamenti della radiofonia risalivano alla seconda metà dell’Ottocento ma le
prime esperienze coronate furono compiute da Guglielmo Marconi. Gli anni seguenti
videro dei perfezionamenti della tecnica che fu sfruttata nella Prima guerra
mondiale. Presto ci si accorse anche del suo potere di creare consenso e mobilitare
le persone.

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Il cinema che si era affermato ai primi del Novecento trovò la sua patria negli Stati
Uniti che sviluppò una vera e propria industria cinematografica. A Hollywood sorsero
le principali compagnie di produzione e nacque lo star sistem. Il cinema si rivelò
presto un grande affare ma anche uno strumento di espressività artistica che nel
1928 arricchì il proprio linguaggio con l’introduzione del suono.
POLITICA E AFFARI DAL 1920 AL 1929
La nuova fase di boom economico vide al potere il Partito repubblicano che dominò
la scena politica dal 1920. Il primo presidente della new era repubblicana fu Warren
G. Harding che impresse una svolta isolazionistica alla politica estera. Gli successe
John Calvin Coolidge che fu confermato presidente nel 1924. Lui lasciò libero sfogo
al mercato e ridusse al minimo la spesa pubblica e l’intervento assistenziale dello
Stato, in questo modo riuscì a pareggiare il bilancio del governo federale e a ridurre
le imposte sul reddito a tutto vantaggio dei ceti più ricchi. Il vero campione del
liberismo fu Herbert Hoover dal marzo 1929 al 1933. Le sue proposte erano state
recepite da Coolidge, che per favorire il libero mercato dovette rinunciare ad alcuni
poteri previsti dalla Costituzione, come quello di istituire un’autorità governativa per
il controllo dei prezzi. Le politiche liberiste aiutarono la crescita economica ma
limitarono la concorrenza.

PAURA ROSSA, XENOFOBIA


Nel Paese si diffuse una vera ossessione anticomunista, la paura rossa (red scare).
Perquisizioni e arresti divennero abituali, attività sindacale fu criminalizzata e gli
scioperi impediti dalla polizia. La politica repressiva assecondava gli interessi delle
grandi imprese ma nutriva anche di slogan di stampo nazionalista come “American
first” che suonavano graditi al ceto medio. In nome della difesa dell’identità
nazionale la stampa conservatrice creò un clima xenofobo (paura dello straniero)
che additava gli stranieri come i responsabili della degenerazione morale e del
declino della razza bianca. Le regole sull’immigrazione si fecero più restrittive.
Aumento alle adesioni del Ku Klux Klan (Kkk) un movimento razzista che era stato
fondato nel 1915 con l’obiettivo di difendere con ogni mezzo la supremazia della
razza bianca americana. Riuscì a condizionare le amministrazioni locali trovando un
fertile terreno nella diffusione presso la popolazione bianca più povera che cercava
un capro espiatorio per il proprio disagio sociale.
PROIBIZIONISMO E NUOVI STILI DI VITA
 Proibizionismo: Campagna per la repressione del consumo di alcol promossa da
un nugolo di leghe e associazioni forti soprattutto nei centri rurali.
 Conseguenza di favorire corruzione tra la polizia e gli amministratori, terreno
fertile alla criminalità organizzata (mafia italiana, irlandese ed ebraica)
 Nuovi stili di vita: si ballava il charleston, consumazione di vite sregolate,
ragazze con minigonne e caschetto ai capelli.
 Favore culturale con espressione artistica tramite letteratura, arti e cinema:
1930 sale piene.

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GIOVEDI NERO E LA GRANDE DEPRESSIONE
Il 24 ottobre 1929 i titoli delle azioni quotate alla borsa di New York persero ogni
valore. L’America si svegliò di colpo dal sogno dorato della prosperità permanente.
Primo segnale con le operazioni allo stock exchange (scambio di azioni, mercato
finanziario detto anche borsa valori) subirono un forte rallentamento dopo anni di
crescita ininterrotta. Giovedì 24 ottobre 1929 il giovedì nero, con la paura che prese
il sopravvento che determinò il crollo della borsa. I fallimenti susseguirono a decine
di migliaia di banche che chiusero i battenti. La drastica riduzione delle tasse
versate allo Stato, l’interruzione dei prestiti alle imprese e quindi l’aumento della
disoccupazione. Alla crisi borsistica contribuirono soprattutto le contraddizioni del
prepotente sviluppo del decennio precedente: in primo luogo la disuguale
distribuzione del reddito che aveva consentito l’arricchimento di pochi e limitato la
crescita del mercato interno. A ciò si aggiunsero l’inadeguatezza del sistema
bancario e la riduzione del mercato estero.
Si produsse una crisi di sovrapproduzione: la domanda delle merci era molto
inferiore all’offerta. Aziende reagirono con licenziamenti massicci,, che causarono
un’ulteriore diminuzione del potere d’acquisto delle famiglie. Poiché tutti volevano
vendere ma nessuno comprava, il valore delle azioni crollarono.
Il presidente Hoover tentò di arginare il disastro accordandosi con le imprese, col
mondo della finanza e i sindacati per impedire un ulteriore calo. Il libero mercato
aveva imboccato una strada senza via di uscita. La stagnazione dei consumi aveva
provocato deflazione (scarsa domanda dei beni) che a sua volta causava
disoccupazione; disoccupati spendevano di meno e quindi calo dei consumi. Hoover
si trovò costretto a prendere misure stataliste; concesse alle imprese prestiti a tassi
agevolati e stanziò oltre 400 milioni di dollari per realizzare opere pubbliche. Anche
questo non funzionò.
Istituì nel 1932 la Reconstruction Finance Corporation, un ente pubblico che doveva
finanziare le imprese per la costruzione di nuove infrastrutture soprattutto ferrovie, i
fondi però rimasero buona parte nelle casse degli istituti di credito e non furono
sbloccati per attività produttive.
Non volle rinunciare a proseguire al pareggio di bilancio ovvero la parità fra entrate
e uscite dello Stato quindi rifiutò di stanziare fondi federali a favore dei poveri e dei
disoccupati, bloccò l’aumento degli investimenti dello Stato per le opere pubbliche e
nel 1932 si oppose forza alle richieste di aiuto avanzate dagli ex combattenti della
Prima guerra mondiale.
La miseria portò a un forte peggioramento del livello di vita. Aumentarono malattie
fisiche e psichiche, episodi di violenza e criminalità, donne prime ad essere espulse
dal lavoro che dovettero farsi carico della famiglia senza alcun aiuto dello Stato.
LA CRISI GLOBALE E L’EUROPA
La crisi coinvolse per prima l’America Latina la cui economia si basava per interno
sull’esportazione di materie prime e prodotti alimentari negli Stati Uniti.
Successivamente toccò i Paesi europei, il sistema dei cambi tra monete allora in

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vigore, il gold standard (sistema che ancora il valore delle monete alle riserve di oro
possedute dalle banche nazionali, il tasso di cambio tra le valute è fisso e non
dipende dalle oscillazioni di mercato, né può essere modificato) rendeva l’economia
di ogni Paese strettamente dipendente da quella di tutti gli altri.
Nel maggio 1931 fallì la grande banca viennese Kreditanstalt che controllava i due
terzi dell’industria austriaca e faceva credito a buona parte dell’Europa centrale. Il
contagio arrivò anche a Austria e Germania. In pochi mesi in tutta l’Europa calava
drasticamente la produzione, gli investimenti, i redditi e i risparmi. Il dato più
preoccupante riguardava la disoccupazione, che in Germania passò dal 13% al 44%.
Dal 1929 al 1931 il commercio mondiale si ridusse di un terzo, le esportazioni
americane passarono da 5,2 a 1,6 miliardi di dollari. Gli Stati Uniti di Hoover
istituirono la tariffa Hawley-Smoot che aumentò del doppio i dazi sulle merci
straniere in ingresso negli Usa. Uno dopo l’altro i principali governi adottarono la
stessa misura protezionistica, innalzando le tariffe doganali. In questo modo tornò in
primo piano il duplice problema delle riparazioni di guerra imposte dalla Germania
dal Trattato di Versailles e dei debiti di guerra contratti con gli Usa dalle potenze
europee vincitrici. La Conferenza economica mondiale di Londra del 1933 vide
fallire i tentativi di dare una risposta unitaria alla crisi.
A partire dal 1932-33 tutti i Paesi si ritrovarono a fronteggiare la crisi per conto
proprio e adottò misure diverse a seconda dei governi in carica. La Germania fino al
1932 e la Francia fino al 1936 scelsero di conservare il gold standard. Di fronte
all’aumento dell’inflazione imposero i tagli alla spesa pubblica e ai salari. Il Regno
Unito nel 1931 e la Francia nel 1936 decisero di abbandonare il gold standard e
quindi svalutare la moneta. Questo consentì di ridurre i prezzi dei prodotti esportati
rendendoli più competitivi sul mercato internazionale. Andò meglio per il Regno
Unito che adottò la preferenza imperiale decisa nella Conferenza a Ottawa (1932).
Un’altra strada scelta dall’Italia fascista e la Germania nazista fu l’isolamento dal
mercato mondiale e la drastica limitazione delle importazioni (autarchia). Il
commercio mondiale conobbe un vero e proprio tracollo, in Gran Bretagna i primi
segnali di ripresa si ebbero già nel 1933 ma per la maggior parte dei Paesi l’uscita
dalla crisi fu più lenta e trainata dalle spese statali per il riarmo.
LE CONSEGUENZE POLITICHE
In Germania fu una delle cause dell’ascesa al potere di Hitler che ottenne ampi
consensi proponendo l’autosufficienza economica e il rigetto del Trattato di
Versailles.
Nel Regno Unito si produsse una spaccatura nelle forze di sinistra, disoccupati saliti;
sussidi a loro favore, assieme al ristagno delle entrate fiscali, rischiavano di
mandare in dissesto le finanze statali. Le proteste dei sindacati portarono
all’espulsione del primo ministro MacDonald e di altri moderati dal Partito laburista.
Nel 1931 diede vita a un nuovo governo con i liberali e i conservatori.
In Francia infine la crisi contribuì ad accrescere la già endemica instabilità politica
determinando il susseguirsi di ben 17 governi tra la fine del 1929 e il giugno 1936.

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L’AVVENTO DI ROOSEVELT
Alle elezioni del 1932 il destino politico di Hoover che prima del 1929 sembrava
destinato a un grande successo, era segnato. Anche perché Roosevelt fin dalla sua
prima dichiarazione pubblica durante la campagna elettorale rivelò la sua forte
personalità, dichiarò che il suo intento era offrire un nuovo corso al popolo
americano, era la promessa del New Deal. Mostrò subito il suo carisma e impostò la
campagna elettorale come una lotta della speranza contro la disperazione, della
sicurezza contro l’incertezza. Conquistò tutti gli Stati salvo sei e sopravanzò
l’avversario di oltre 7 milioni di voti (costretto dal Partito repubblicano a
ripresentarsi). Divenuto presidente nel marzo del 1933 si circondò di un gruppo
stretto di prestigiosi collaboratori “brains trust” (gruppo dei cervelli) che elaborò
l’ideologia e il programma del New Deal. Nello staff come ministro del Lavoro,
Frances Perkins (1880-1965), la prima donna a far parte del governo degli Stati
Uniti.
INVESTIMENTI STATALI
Rooselvet riorganizzò il sistema bancario nel marzo 1933 rivolgendosi direttamente
via radio con il primo dei discorsi del caminetto, abbandonò il gold standard
nell’aprile 1933, favorendo la riapertura del credito e finanziò opere pubbliche e
sussidi che attenuarono il fenomeno della disoccupazione.

RIFORME SOCIALI
Una nuova legge sull’industria del giugno 1933 concesse alle imprese di fare
cartello (accordo tra più produttori di un bene o servizio, finalizzato a limitare la
concorrenza e a controllare le condizioni di vendita, il livello di prezzi, l’entità della
produzione, le zone di distribuzione ect.) a patto che difendessero i diritti dei
lavoratori.
AGRICOLTURA E ABOLIZIONE DEL PROIBIZIONISMO
L’agricoltura americana fu colpita più di altri settori della crisi economica.
Nel 1933 fu creato un ente federale incaricato di pianificare i prestiti di Stato alle
imprese rurali e aprirono l’Agricoltural Adjustment Administration per coordinare le
politiche agricole. Dalle misure adottate con il New Deal beneficiarono però i grandi
agricoltori, mentre i contadini e i braccianti furono per lo più costretti a emigrare
nelle altre città.
Il governo avviò anche il complicato iter per l’abolizione del proibizionismo, la
vendita e il consumo di alcolici tornarono legali. Sulle bevande alcoliche fu applicata
una tassa i cui proventi sommati a tagli di spesa per il governo federale,
consentirono di raggiungere il pareggio di bilancio. Questo successo rafforzò il
consenso attorno a Roosevelt.
CRITICHE

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Le critiche al New Deal non giunsero soltanto dal fronte conservatore, che difendeva
i principi dell’individualismo e del liberismo, ma anche da un composito movimento
populista e dal mondo sindacale, che rivendicarono interventi sociali più drastici.
SECONDO NEW DEAL
Le critiche da sinistra spinsero Roosevelt a lanciare il “Secondo New Deal” con
accenti più progressisti, adottando provvedimenti nel campo della legislazione
sociale (pensioni), aumentando gli investimenti statali nelle opere pubbliche che
intervenendo a favore dei diritti sindacali degli operai, aumentando nell’estate
1935, la tassazione sulle grandi ricchezze.
SECONDO MANDATO
Nelle elezioni presidenziali del novembre 1936 Roosevelt ebbe una vittoria ancora
più schiacciante. Ma il suo secondo mandato fu complicato dal riacutizzarsi della
crisi economica. Alla vigilia del conflitto mondiale, il New Deal si presentava come la
più valida risposta democratica della grande crisi.
DAL LIBERISMO AL KEYNEISMO
Il piano di Roosevelt venne criticato da conservatori, che difendevano i principi
dell’individualismo e del liberismo, vedendo come “socialiste” le misure del New
Deal, e dal fronte progressista che rivendicavano interventi sociali più drastici.
Proprio il mondo sindacale organizzò una serie di scioperi, repressi poi dalla polizia.
Di fronte a queste tensioni sociali, Roosevelt nel 1935 si spostò più verso sinistra
con il “secondo New Deal”: adottò provvedimenti nel campo della legislazione
sociale (pensioni), aumentò gli investimenti statali nelle opere pubbliche,
intervenendo a favore dei diritti sindacali degli operai e aumentando la tassazione
sulle grandi ricchezze. Grazie a questi nuovi provvedimenti egli stravinse di nuovo
alle elezioni del 1936.
Nel 1937 ci fu una ripresa della crisi economica, data dalla crescita economica
troppo lenta e dalle politiche riproposte di riduzione della spesa pubblica. Ma la
ripresa economica avvenne rapidamente. Il New Deal fu la più valida risposta
democratica alla crisi economica e sociale, che preparò la strada all’egemonia degli
Stati Uniti. Il New Deal adottò misure keynesiane (dall’economista britannico
Keynes), secondo cui il governo doveva investire sugli stipendi, sull’impegno
pubblico, aumentando la domanda di consumo. Era dunque necessario intervenire
sulla domanda per favorire la spesa pubblica, investendo sulle infrastrutture di
lungo periodo. Il New Deal non mise in discussione il sistema capitalistico, come
sostenevano i conservatori, ma tentò di rilanciarlo su basi più solide.
Il crollo dell’economia mondiale del 1929 dimostrò l’incapacità del mercato di
trovare un equilibrio da sé: era necessaria l’intromissione dello Stato. Questo
diventò soggetto attivo, indiretto e diretto, dello sviluppo economico. Questo ruolo
dello Stato è noto come keynesismo.
Nonostante il New Deal abbia risollevato l’economia, questa potrà dirsi
definitivamente risollevata con l’aumento della produzione bellica in vista della
Seconda Guerra Mondiale.

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STORIA CONTEMPORANEA LEZIONE 11
LA VIA ITALIANA AL TOTALITARISMO
Con l'emergere, nel XX secolo, dei regimi comunista, fascista e nazista il lessico
delle scienze storico-sociali si arricchisce di un termine nuovo: quello di
“totalitarismo”. L'assetto politico che alcuni Paesi europei assumono nel periodo
compreso tra i due conflitti mondiali come risposta estrema alla crisi delle liberal-
democrazie trova una sua sedimentazione teorica nel concetto di totalitarismo.
Il Totalitarismo si instaura in un’epoca di società di massa.
Le ragioni storiche sono:
 La Prima guerra mondiale è stato un vero e proprio scontro tra due civiltà
diverse: una imperiale europea e una tradizionale democratica. È stata una
guerra totale perchè aveva costruito una sorta di assuefazione alla violenza e
imbarbarisce la vita politica.
 Il rapporto tra stato ed economia: in occasione della Prima guerra gli Stati
prendono il controllo dell’economia e tentano di prendere un controllo
anche della società poichè non potevano esprimere proteste.
Regimi totalitari le caratteristiche:
 Si basano su processo di mobilitazione permanente delle masse
(integrazione delle masse nella vita pubblica) e della loro nazionalizzazione.
 L’idea che la società democratica e liberare sia una società corrotta. C'è il
mito di un uomo nuovo che doveva nascere dal risanamento di una società
corrotta, malata (credere nei processi democratici), costruisce il mito della
costruzione di questo uomo nuovo con il rifiuto delle vecchie società. Il dominio
di questi nuovi regimi e idee doveva essere totale e nessuno spazio poteva
essere lasciato alla società civile, questo concetto viene cancellato.
 È un regime gerarchico che interviene fortemente sulla vita privata e non solo
sulla vita pubblica. La propaganda sarà capillare e studiata nei minimi
dettagli. Le scuole saranno uno dei principali luoghi dove i totalitarismi
costruiscono la loro propaganda e i docenti dovranno giurare fedeltà al
regime e non a caso quando in Italia arriverà il nazionalismo, il primo
provvedimento contro gli ebrei sarà quello di negare agli ebrei di insegnare
(compresi studenti).
 Partito unico (negazione dei partiti, negano lo stato liberare e la democrazia.)
Cancellano lo stato di diritto, ovvero gli Stati che adottano delle leggi che
difendono i diritti basilari di un individuo. Cancellando questo stato producono
delle leggi repressive che vietano ad esempio la formazione (libertà di
espressione e opinione).
 Legge suprema del capo: formalizza il principio del capo, cioè che il capo
diventi la fonte vera di legittimazione di tutto il potere. l’affermazione del
capo è funzionale e si afferma in termini assoluti. Questi leader carismatici e
indiscussi si presentano non solo come la loro posizione politica ma anche nella

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propaganda, nel riconoscimento pubblico. Il capo diventa una figura mitica e
offre il proprio corpo (corpo della nazione).
 Gerarchia sociale e culturale: società viene divisa in serie A/B/C ecc. Iniziano
a crearsi discriminazione di tipo politico, sociale e raziale. “chi non è
fascista non è italiano”. Si costruisce il mito della razza ariana nel razismo.
(nazismo è un tipo di razzismo)
L’elemento di differenziazione fra i tre regimi è stato il soggetto ideologico del
cambiamento, che ha fatto da bussola per la costruzione di un’idea: per l’Italia
fascista il soggetto è la Nazione, intesa come Nazione fascista, sia in termini
ideologici che razziali ; in Germania il soggetto è la razza (folk), intesa come razza
ariana tedesca, sia in termini razziali che biologici; nell’Unione Sovietica il soggetto
è la classe operaia.
La nazionalizzazione della massa non nasce durante i regimi totalitari,
bensì ne viene solo fatto un forte uso rispetto al passato.
Il totalitarismo trova le sue origini nella Prima guerra mondiale, che fu un grande
laboratorio di punti totalitari: il regime di guerra favorì la costruzione delle
regioni che portarono all’instaurarsi dei totalitarismi. Sia fascismo che
nazismo che comunismo si nutrirono della guerra e della contrapposizione,
dell’endiadi, “amico/nemico”. É proprio grazie all’identificazione di un nemico
che si rafforza l’identificazione nazionale. Nel nazismo il nemico era il diverso,
che si identificò con l’ebreo.
Secondo Hannah Arendt per analizzare i totalitarismi è necessario considerare
altri due concetti: in primo luogo lo slittamento del concetto di nazione, che
perse ogni legame con l’idea di libertà: in secondo luogo il concetto di umanità, si
perde contatto con il senso di umanità. Questo processo di disumanizzazione si
inserisce già nel colonialismo, in modo particolare esso ha inizio nella Guerra anglo-
boera.
IL FASCISMO
I parametri per definire se un periodo sia negativo o positivo sono: il numero di
morti, che indica il rispetto che si ha per la vita; e i sistemi politici, dove la
democrazia è il parametro di evoluzione progressiva.
Il periodo che comprende le due Guerre può dirsi evoluto, perché vede una
modernizzazione economica, medica e della gestione della cosa pubblica, ma non
evoluto da un punto di vista politico, sociale e culturale. Questo intreccio fra
modernizzazione e visione arcaica è, e fu, fondamentale per la raccolta di
consenso, e fa parte di ogni sistema dittatoriale. Il Fascismo è stato espressione
della modernità e fu un fenomeno urbano.
Il fascismo di Mussolini sembrò bilanciare populismo, conservatorismo e
spinte innovatrici, e sembrò dar risposta alle richieste postbelliche, cosa
che il liberalismo non riuscì a fare. Fu un’ideologia che investì ogni aspetto
della società.

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Tuttavia, nonostante il fascismo si sia opposto al vecchio sistema liberale,
esso presenta dei tratti che lo ricollocano proprio nella tradizione liberale: il rispetto
formale delle regole; il pluripartitismo iniziale in cui egli si formò; la divisione dei
poteri costituzionali, poiché il re restava a capo dello Stato . A tal proposito,
l’avvento del fascismo fu determinato proprio da un compromesso conservatore con
i vecchi gruppi di potere (esercito, industria, corona, Chiesa, una parte del ceto
politico, etc): la classe dirigente nazionale, che aveva perso fiducia in quella
liberale, dopo il “biennio rosso” temeva la diffusione dei partiti si sinistra, e si
affidò a Mussolini per riportare ordine.
SOPPRESSIONE DELLA LIBERTA’ E LA VIOLENZA
La transizione da Stato liberale a regime dittatoriale avvenne nel periodo fra il
1922 e il 1925, il cosiddetto “ventennio fascista”, in cui vennero smantellate
le istituzioni democratiche.
Questa prima fase di consolidamento è stata definita dagli storici “normalizzazione”,
in cui Mussolini chiarì il disprezzo per il Parlamento e legalizzò la violenza,
integrando gli squadristi dentro la Milizia volontaria di sicurezza nazionale nel 1923
(MVSM); questa doveva individuare e colpire gli oppositori, incutendo poi timore alla
popolazione.
Sempre in questa prima fase Mussolini istituì il Grand consiglio del fascismo,
un organo istituzionale pubblico di raccordo fra il Partito e il governo,
sottraendo l’attività dell’esecutivo al Parlamento.
Questi due atti rappresentarono i primi passi verso un regime totalitario.
Successivamente annientò lo Stato di diritto, ovvero l’insieme delle norme
che garantisce i diritti degli individui, e limitò la libertà di stampa: il suo
intento era abbattere la democrazia per la creazione di una nuova forma di Stato.

LEGGE ELETTORALE E OMICIDIO MATTEOTTI


Per potere attuare la nuova forma di Stato dovette prima conquistare il potere
secondo le regole dello Stato liberale.
A tale scopo nel 1923 fece una riforma elettorale, la legge Acerbo, che cancellò
la legge elettorale democratica a favore di un sistema maggioritario: uno
strumento artificioso per aumentare il consenso e ottenere la maggioranza.
Infatti nelle elezioni del 1924 vinse, e i fascisti raggiunsero il controllo totale
del Parlamento. Tuttavia il consenso popolare era reale: il regime fu facilitato ad
instaurarsi dal tessuto culturale e politico molto fragile, visto che si trattava di una
nazione giovane e non si era consolidata una cultura dello Stato; nonostante
manipolazioni e violenze, che il deputato libera-democratico Amendola e il
socialista Matteotti denunciarono, il fascismo acquisì grandi consensi
(“fabbrica del consenso”), soprattutto fra ceto medio e sul terreno coloniale-
imperialista, dove era diffusa un’esigenza di ordine e stabilità. Il governo venne
messo per un momento in crisi quando Matteotti venne ucciso il 10 giugno

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1924: il delitto suscitò sdegno e il governo venne messo in crisi; le opposizioni
abbandonarono il Parlamento, dando via alla “secessione dell’Aventino”, che,
nonostante il valore morale, fu di scarsa efficacia.
Mussolini nel 1925 durante un discorso in Parlamento si assunse tutta la
responsabilità “politica, morale, storica” dell’omicidio e annunciò la
soppressione del sistema parlamentare.
LE LEGGI FASCISTISSIME
Nello stesso anno, dopo aver abolito la libertà di associazione politica, consolidò la
dittatura con l’emanazione delle Leggi fascistissime, da cui nacque la figura
del “duce”: queste aumentarono i poteri di Mussolini e abolirono la separazione
tra potere legislativo (Parlamento) e quello esecutivo (governo).
I vecchi sindaci diventarono podestà e la figura del prefetto rappresentava lo Stato
nelle province.
Nel 1928 istituì la nuova legge elettorale che sostituì le elezioni
democratiche (plebiscito del duce).
Lo Stato finì per identificarsi con il potere fascista e perse la neutralità
politica e, inoltre, il gran consiglio del fascismo prese il posto del Parlamento.
FINE DELLA LIBERTA’ POLITICA E REPRESSIONE DELLO STATO
Lo Stato ormai controllava ogni angolo della società: nel 1930 venne creata
l’Ovra, una polizia politica che vedeva riunirsi tutte le milizie in un vero e proprio
esercito fascista, incaricata di controllare i cittadini. Negli stessi anni fu istituito il
tribunale speciale per la difesa dello Stato (1926), reintrodotta la pena di morte,
decisa la pena del confino e prevista la confisca dei beni per oppositori.
Inoltre, tutti gli impiegati statali dovettero prendere la tessera del Partito
fascista (pena= perdita lavoro o forti discriminazioni).
IL FASCISMO, PRIMO ESEMPIO DI REGIME TOTALITARIO E LA SCUOLA
SOTTO IL FASCISMO
L’intento di Mussolini era quello di dar vita ad una nuova epoca storica, ad una
nuova civiltà caratterizzato da un nuovo tipo di uomo, l’uomo fascista: forte,
coraggioso, destinato a sottomettere i “deboli”. Il fascismo concepì dunque la
politica come una mobilitazione costante delle masse; non bisognava solo
fascistizzare lo Stato, bensì anche “fascistizzare gli italiani”. Fu il primo esempio di
regime “totalitario”, ovvero in grado di controllare l’intera società, sia nella vita
pubblica che in quella privata, piegando gli scopi dell’individuo a quelli dello Stato.
Per farlo, Mussolini, si servì di una riforma scolastica, in quanto il regime puntava
soprattutto sui giovani per rigenerare gli italiani. Nel 1923 venne realizzata dal
ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Gentile la “riforma Gentile”, tramite
cui il controllo politico della scuola da parte del Partito fascista venne rafforzato. Nel
1928 vennero fascistizzati i manuali delle scuole elementari e secondari e gli
insegnanti furono obbligati a giurare fedeltà al regime.

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L’ARRUOLAMENTO DELLA SOCIETA’
Nel suo “arruolamento” della società, Mussolini istituì organizzazioni giovanili,
femminili, ricreative (Opera nazionale balilla, Opera nazionale dopolavoro,
Gioventù italiana del littorio, Fasci femminili) e creò dei riti pubblici , come il
“sabato fascista” (1935), volti a cementare la coesione nazionale e propagandare i
valori fascisti.
SISTEMA CORPORATIVO E SOPPRESSIONE DEI SINDACATI
Nel suo progetto di edificare uno Stato nuovo, cercando di limitare lo scontro di
classe, istituì le corporazioni: riorganizzare il mondo del lavoro in un “sistema
corporativo” secondo categorie professionali, e in cui i produttori devono
concorrere al progresso nazionale. Il corporativismo esprimeva la necessità di
porre l’economia sotto il controllo dello stato e fu proposto come soluzione
come alternativa al liberismo e al socialismo.
Nel 1926 venne istituito il ministero delle corporazioni e i deputati
rappresentavano tutte le categorie.
I sindacati vennero soppressi e sostituiti dalle due confederazioni del lavoro: una
degli imprenditori e una dei lavoratori. Lo sciopero divenne reato e per
regolare le controversie fra imprenditori e dipendenti fu istituita la Magistratura
del lavoro. Tutti questi provvedimenti vennero raccolti nella Carta del lavoro nel
1927 e venne affidato allo Stato il compito di conciliare i diversi interessi delle due
categorie (in realtà era per controllare in modo ferreo il mondo del lavoro). Tuttavia
il sistema corporativo si dimostrò inefficace e nel 1939 Mussolini istituì la
Camera dei fasci e delle corporazioni, al posto della Camera dei deputati, in cui
erano presenti il Partito nazional fascista e le varie corporazioni (vari settori della
produzione); e non era più elettiva: il potere politico venne completamente sottratto
ai cittadini.
LA MACCHINA DELLA PROPAGANDA
Il progetto totalitario richiedeva una capillare attività propagandistica: i mezzi di
informazione vennero messi al servizio di un imponente macchina di propaganda; e
fu aperto un apposito Ministero, il Minculpop, che ricorse spesso alla censura e
al controllo dei mezzi di comunicazione. Venivano scelti gli argomenti da
trattare e da evitare, tramite il sistema delle “veline”. Anche radio e cinema
vennero sfruttati per la propaganda: nel 1924 venne creato l’istituto nazionale
L’unione cinematografica educativa (Luce) che produsse documentari e
cortometraggi celebrativi, i “cinegiornali”. In ambito letterario ed estetico regime
scelse una politica culturale eclettica, garantendosi il sostegno di molti studiosi e
artisti (Pirandello, Marconi, Volpe, etc), che furono attratti da generoso
mecenatismo e dalla promozione di iniziative, come l’Enciclopedia italiana. Spesso
gli intellettuali si misero al sevizio del progetto totalitario, esaltando la
figura del duce; ma oltre al mito del duce ne vennero proporsi altri: quello della
romanità; il fascio littorio diventò il simbolo del regime ; fu imposto il saluto
romano con il braccio teso; il mito della rivoluzione fascista. Anche alcuni

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obiettivi politici diventarono miti, come la crescita demografica. Il principio del capo,
inteso come affermazione del corpo del capo, e il linguaggio del corpo sono due
elementi caratteristiche del fascismo, e dei regimi totalitari in generale.
UN TOTALITARISMO IMPERFETTO
Ma il fascismo può dirsi davvero un totalitarismo?
Esso infatti non si compì appieno: continuavano a esistere due poteri alternativi al
Partito: la Chiesa e il re. La contesa più complicata era quella con la Chiesa: questa
rappresentava una concorrente soprattutto da un punto di vista spirituale.
La dimensione spirituale era propria del fascismo, che veniva vissuto come una
religione, tendando di ricostruire lo spirito della nazione secondo i propri
valori. Mussolini era consapevole della forza della Chiesa e scese a patti con il
Vaticano, raggiungendo uno degli obiettivi più importanti nella costruzione del
regime e facendosi artefice della soluzione del conflitto tra Stato e Chiesa. L’11
febbraio 1929 furono firmati i Patti lateranensi, che rafforzarono la presenza
della Chiesa cattolica nel paese. Questa riconobbe lo Stato italiano con capitale
Roma, e viceversa; Lo stato risarcì il pontefice per la perdita del vecchio Stato
pontifico; vennero regolati i rapporti fra Chiesa cattolica e Regno d’Italia;
venne riconosciuta la sovranità della Chiesa sullo “Stato della Città del
Vaticano” e la religione cattolica divenne l’unica religione di Stato. I Patti
lateranensi posero fine alla “questione romana”, secondo cui il Vaticano dal
1873 non riconosceva lo Stato italiano. (Va tuttavia detto che già prima dei Patti vi
furono dei progressi da questo punto di vista: nel 1913 con il Patto Gentiloni, un
accordo tra Chiesa e liberali, veniva garantito il voto ai cattolici; nel 1919 nacque il
Partito popolare italiano, che rappresenta il partito politico della chiesa; e nel 1911
i militanti del Vaticano avevano partecipato al conflitto in Libia, prendendo parte ad
un progetto politico italiano) Ma oltre al potere contendente della Chiesa, un altro
limite, di carattere più formale, intaccò il progetto totalitario: la monarchia.
Mussolini, a differenza di Hitler che assunse tutte le cariche, era a capo del governo
ma non dello Stato, che invece restava Vittorio Emanuele III; il capo dello Stato era
pur sempre a capo dell’esercito. Quando Mussolini salì al potere, l o fece tramite
un compromesso che li consigliò di mantenere una facciata monarchica : il
re dunque era solo di facciata e la monarchia non era un vero e proprio limite,
tuttavia rappresentava solo un’alternativa a livello concettuale. Dunque, proprio
perché continuavano a esistere altri due poteri, alcuni studiosi parlano di
“totalitarismo frenato, o imperfetto”, seppure solo nominalmente. Emilio Gentile,
alla domanda totalitarismo perfetto o imperfetto, propose l’espressione “via italiana
al totalitarismo”, secondo cui il fascismo restò dunque solo un progetto.
ECONOMIA DALLA FASE LIBERISTA A QUELLA STATALISTA ALLA
RURALIZZAZIONE
Le misure prese dal regime per trasformare l’economia in senso corporativo
fallirono, perché incisero solo sull’assetto dello Stato, mentre il sistema di
produzione rimase immutato. D’altra parte il governo realizzò interventi
importanti in economia, ottenendo successi importanti che furono esaltati dalla
propaganda: seppure nei suoi esordi la politica economica del fascismo fu

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importunata dal liberismo, nell’estate del 1925 fu operata una svolta
protezionistica, in direzione dell’intervento dello Stato, e nel 1926 Mussolini lanciò
la campagna di “quota novanta” per la rivalutazione della lira, obiettivo vitale
del fascismo, sulla sterlina. Tuttavia fu un successo per il regime, ma aggravò le
situazioni dei lavoratori, danneggiando imprese esportatrici ma favorendo quelle
che operavano sul mercato interno.
Altri successi sul piano economico riguardarono le opere di bonifica dei territori
paludosi (ruralizzazione), un maggiore intervento dello Stato nell’economia e la
soluzione dell’autarchia, ovvero la limitazione delle importazioni e il ritorno a
un’economia di autosufficienza; queste misure adottate attenuarono per l’Italia
gli effetti della crisi economica mondiale di quegli anni.
Il programma di “ruralizzazione”, tuttavia, basato sulla “battaglia del grano” e
sulla bonifica delle aree paludose, era destinato a fallire: l’Italia aveva già
imboccato la strada della modernizzazione e dello sviluppo industriale. Inoltre
si rinunciò ad affrontare la questione meridionale. La battaglia del grano aveva
come fine quello di rendere autosufficiente l’Italia nella produzione cerealicola e,
seppure l’obiettivo venne quasi raggiunto, ciò produsse squilibri economici e
ambientali: erosione del suolo e impedimento della diversificazione delle colture;
tuttavia durante la crisi internazionale venne garantita una base alimentare al
Paese. La “battaglia del grano”, come tutte le imprese fasciste, venne esaltata
da campagne di stampa come un magnifico successo.
Il regime rafforzò l’intervento statale con un programma di opere
pubbliche, di cui le bonifiche furono l’iniziativa più importante. Fu proprio dopo la
crisi internazionale de 1929 che il regime accentuò l’intervento dello Stato
nell’economia, lanciando la parola d’ordine dell’autarchia: l’Italia doveva
soddisfare da sé le proprie esigenze di materie prime e prodotti di
consumo, limitando al massimo le importazioni sperimentando nuovi materiali o
surrogati. Gli effetti più gravi della crisi internazionale si registrarono sul sistema
bancario e per non far crollare il sistema finanziario, nel 1931 fu creato l’Istituto
mobiliare italiano (Imi), che sostituì le banche nell’erogare prestiti alle industrie
in crisi, e nel 1933 venne aperto l’Istituto per la ricostruzione industriale
(Iri), che acquisì maggioranza delle azioni delle banche, acquisendo controllo delle
aziende da esse partecipate. Questi due interventi favorirono la ripresa, nella
seconda metà degli anni trenta, ma questa venne sfruttata per avviare il riarmo,
non a favore della popolazione.

IMPERIALISMO E RAZZISMO (POLITICA ESTERA DEL FASCISMO)


Fin dagli inizi, la premessa del fascismo era la forte idea di nazione e la
concezione autoritaria di questa. Oltre al ceto medio, il consenso si acquisì sul
terreno coloniale-imperialista, e fu proprio grazie al sogno imperialista che, ad
esempio, il fascismo si fece strada in Meridione. L’ascesa del movimento era stata
favorita dal mito della “vittoria mutilata”, secondo cui l’Italia non ottenne i
territori che chiedeva a causa dell’opposizione degli Usa, di cui i fascisti avevano
fatto il cavallo di battaglia dichiarando di puntare alla revisione dei trattati di pace e

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di avere ambizioni espansionistiche. Francia e Regno Unito supportavano
l’Italia in quanto era riuscita a estinguere la minaccia bolscevica. Tuttavia,
fino agli anni Trenta, il fascismo si nutrì più di retorica che di fatti, seguendo una
linea diplomatica di accordo con le potenze democratiche, ma nel 1934 cambiò la
sua posizione. Rigettò lo “spirito di Locarno”, ovvero il clima seguito dalla
conferenza di pace avvenuta nel 1925 in cui i rapporti fra vincitori e vinti si
distesero, rivendicando il proprio “spazio vitale”: rivolse le sue mire
espansionistiche verso i Balcani e verso l’Africa.
La politica estera di Mussolini era guidata da due miti: il sogno della civiltà
fascista e il perseguimento della potenza imperiale romana; grazie all’ascesa
di Hitler egli iniziò a credere che il suo sogno potesse realizzarsi.
Dopo aver riportato sotto il proprio controllo la Libia negli anni 20, si dedicò alla
conquista dell’Etiopia; i nazionalisti chiedevano di rivendicare la disfatta di Adua,
avvenuta con Crispi. Sebbene la Società delle Nazioni cercò di impedire
l’impresa con sanzioni commerciali, questa venne resa possibile anche dall’aiuto
della Germania nazista verso l’Italia. Nell’ottobre 1935 le truppe italiane
invasero l’Etiopia da nord e da sud-est; inglesi e francesi non intervennero. La
guerra durò sette mesi e si concluse con la sconfitta degli etiopi e il 9 maggio
1936 venne proclamato l’Impero italiano. Finita la guerra i fascisti imposero
un regime di occupazione militare spietato: bombardamenti, gas letali, stragi; il
mito degli “italiani brava gente” si è dimostrato falso. Fu proprio con la conquista
dell’Etiopia e con la proclamazione dell’Impero, che il fascismo raggiunse l’apice
del consenso. Tuttavia fu proprio questa conquista, e la conseguente auto-
celebrazione, che diedero una percezione errata della forza italiana: Mussolini infatti
inasprì gli aspetti totalitari.
Nel frattempo in Germania era nato il Terzo Reich. Nonostante il consenso
massimo si sia raggiunto con il sogno imperialista, la vera chiave di diffusione del
fascismo fu la normalità; il consenso in generale era basato sul conformismo.
(minoranza fascista, gli altri si sono solo conformati)
Dopo la conquista dell’Etiopia, Mussolini puntò a nuove guerre , iniziando a
incrinare la popolarità. Nonostante l’iniziale contrasto, Mussolini si avvicinò alla
Germania nazista di Hitler e nell’ottobre del 1936 venne sottoscritto l’Asse
Roma-Berlino: un patto di amicizia a livello politico. Un anno dopo l’Italia uscì
dalla Società delle Nazioni. Nel frattempo il legame con la Germania si faceva
sempre più forte e nel 1939, dopo aver occupato l’Albania, che divenne colonia
italiana, il duce rafforzò i rapporti con Hitler firmando, nel 1939, il Patto
d’acciaio: un’alleanza diplomatica e militare, non solo politica, con la Germania.
Mussolini prese così la strada che lo condusse agli squilibri internazionali; e nel
frattempo fra gli italiani cresceva il dissenso, poiché desideravano la pace.
LEGGI RAZZIALI
Dopo la vittoria in Etiopia e la proclamazione dell’Impero, venne esaltata l’idea della
difesa e della rigenerazione della “razza italica”. Diversamente dal nazismo, che
si costruisce sulla dimensione del razzismo biologico, fin dagli inizi nel fascismo

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era in auge un razzismo di stirpe, culturale, che mirava ad una “rivoluzione
antropologica”, per creare una nuova “razza”, nuovo uomo, di dominatori. In più
vi era il pregiudizio, tipico delle nazioni liberali e democratiche, che le
popolazioni africane fossero inferiori. L’antisemitismo non faceva parte
dell’ideologia fascista. Le cose cambiarono in seguito alla Guerra in Etiopia: il
confine fra il razzismo biologico nazista e quello di stirpe fascista era labile, e
iniziava a diventare sempre più sfumato; diventando sempre più coerente con gli
aspetti del regime totalitario e con la logica dell’uomo nuovo, il razzismo di stirpe
sfociò in quello biologico. Venne dunque emanata una legislazione razzista,
comprendente provvedimenti antisemiti, culminati nelle leggi antiebraiche del
novembre 1938. I provvedimenti razziali, presi nel 1938, vennero messi insieme
nel 1939 in un testo unico: “Il fascismo e il problema della razza”.
Certamente rilevante fu l’influenza di Hitler, ma Mussolini aveva le sue idee: che le
comunità ebraiche fossero sostenitrici dell’antifascismo e la necessità di
creare una “razzia italica” pura. Con le leggi del 1938 gli italiani ebrei furono
privati dei diritti dei cittadini.
L’ANTIFASCISMO
L’antifascismo nacque in seguito alla presa autoritaria del potere da parte di
Mussolini. Inizialmente fu un’opposizione debole, a causa delle
divisioni del Partito socialista e perché hanno sottovalutato la capacità dei
fascisti nel suscitare consenso. L’errore dei liberali e dei cattolici fu, poi, quello di
credere di poter utilizzare il fascismo in funzione antisocialista.
Fu Giovanni Amendola a spostare l’area liberal-democratica su posizioni
antifasciste, e anche il Partito popolare si schierò contro il fascismo , grazie al
fondatore Luigi Sturzo. Sia Amendola che Sturzo, però, pagarono le loro scelte a
duro prezzo, scappando dall’Italia.
Dopo l’assassinio di Matteotti e le leggi fascistissime la contrapposizione fra
fascismo e antifascismo si inasprì: gli oppositori si ritirarono sull’”Aventino” con
risultati fallimentari e il tentativo comunista di mobilitare le masse venne represso
dal regime. Il movimento fu costretto alla clandestinità. Benedetto Croce nel
maggio 1925 sfidò il regime pubblicando sul “Mondo” di Amendola, il Manifesto
degli intellettuali antifascisti in cui si rivendica la libertà di pensiero e di
espressione. Anche il partito comunista venne coinvolto nella riflessione antifascista
e, dopo la fallita mobilitazione delle masse, cambiò politica con una nuova strategia
di alleanza: con le Tesi di Lione del gennaio 1926, coinvolse, oltre che agli
operai, anche il mondo contadino in vista di una rivoluzione. Le tesi furono il frutto
dell’elaborazione politica di Antonio Gramsci.
Di fronte alla repressione e alle difficoltà, sia per il Partito popolare, che le forze
liberali democratiche, si spostarono all’estero, con due ondate migratorie (1922-
25, 1924-27). Nell’aprile 1927 in Francia, furono costituite associazioni di
oppositori: la Concentrazione di azione antifascista che riuniva socialisti,
repubblicani e democratici; i comunisti non aderirono perché contrari alle
strategie, agli obiettivi che ritenevano insufficienti e perché seguirono i dettami
della Terza Internazionale che rifiutava la collaborazione con socialisti. Carlo

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Rosselli fondò l’Organizzazione Giustizia e Libertà nel 1929. In Italia,
invece, la lotta clandestina fu proseguita al Pci.
Ma con l’avvento del nazismo e di altri regimi autoritari in Europa, il movimento
antifascista accentuò il proprio carattere internazionale, producendo un
riavvicinamento tra i suoi componenti: tra socialisti e comunisti. Anche la Terza
Internazionale cambiò rotta, decidendo nel 1935 di collaborare con le forze
socialiste e democratiche, secondo fini antifascisti. Il Psi e il Pci strinsero un
patto d’unità d’azione , all’insegna di un classismo capitalista, e rafforzarono la
collaborazione durante la Guerra civile spagnola. Da metà degli anni Trenta, il
fascismo iniziò a covare al suo interno una nuova leva di antifascisti e parecchi
aderirono al movimento antifascista.
IL NAZISMO
Il periodo della stabilizzazione
A metà degli anni Venti la Germania visse gravi problemi economici e sociali,
dovuti dalle difficoltà del dopoguerra, soprattutto vi era un’altissima inflazione. Il
malcontento era sfociato in atti di violenza e tentativi di colpo di Stato, come
quello che fece Hitler nel 1923. Prima della crisi del ’29, lo Stato democratico era
riuscito a far fronte all’inflazione e alla crisi postbellica adottando misure nuove: una
nuova moneta, che arginò l’inflazione; il piano di Dawes del 1924 che attenuò i
risarcimenti, assicurando nuovi prestiti, nei confronti dei vincitori; l’espansione
economica dovuta all’aumento delle esportazioni.
Questa apparente stabilità, in un primo momento, diede fiducia nel sistema
repubblicano, diminuendo consenso del movimento ultranazionalista Völkisch. Alla
morte di Hebert, fu eletto il conservatore e antidemocratico Hidenburg, che diede
speranza ai gruppi nazionalistici e ai comandi dell’esercito.
POLITICA ESTERA (ROTTURA DELL’ISOLAMENTO)
Nel periodo di stabilizzazione i maggiori successi si registrarono nella politica
estera: il ministro degli Esteri Stresemann puntò alla distensione dei rapporti
con le altre potenze, favorendo la realizzazione di accordi internazionali sulla
questione del debito e promosse il Piano Dawes, che prevedeva anche
l’evacuazione della Ruhr, e nel 1925 il Patto di Locarno, in cui la Germania
accettava i confini stabiliti dalla Guerra e che consentì nel 1926 alla
Germania di entrare nella Società delle Nazioni. Nello stesso anno firmò patto
di amicizia con l’Unione Sovietica, per smorzare timori di invasione bolscevica.
Stresemann dimostrò che era possibile rivedere i Patti di Versailles e
promosse il dialogo fra le potenze europee.

CRISI DELLA REPUBBLICA DI WEIMAR


Il sopraggiungere della crisi economica internazionale rigettò la Germania
nell’instabilità e la Repubblica di Weimar, minata da tentazioni autoritarie di
destra e programmi rivoluzionari di sinistra, dopo la rottura dell’isolamento

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compiuta dal liberale Stresemann, si dimostrò incapace di far fronte alle
difficoltà; anche a causa degli scarsi margini di manovra, dovuti alle
riparazioni di guerra e all’obbligo di mantenere stabile il valore del marco.
Il presidente Hindenburg sciolse il Reichstag, il Parlamento tedesco, e indisse le
elezioni.
SUCCESSO ELETTORALE DEI NAZISTI, FINE DEFINITIVA DELLA REPUBBLICA
DI WEIMAR E HITLER CANCELLIERE
Il Partito nazionalsocialista di Hitler ebbe un grande successo nelle elezioni del 14
settembre 1930 e il numero di iscritti crebbe notevolmente, così come la sua
milizia armata, la SA, guidata da Rohm; quest’ultima iniziò a moltiplicare le
violenze nei confronti degli avversari politici: socialdemocratici, sindacalisti e
comunisti. Inizialmente Hitler sfruttò i margini di manovra della democrazia,
accettando la competizione elettorale per conquistare la fiducia delle classi
dirigenti. Tuttavia le gerarchie militari disapprovavano il partito e Hitler non salì al
potere. Il cancelliere, leader del centro cattolico, Bruning propose la riduzione dei
salari ma i dazi protezionistici vanificarono tali misure, facendo scendere ancora i
consumi, diminuendo la produzione industriale e aumentando la
disoccupazione. Mentre il malcontento aumentava e la situazione economica si
aggravava, il nazismo aumentava e alle elezioni del 1932 diventarono il primo
partito. In un paese sull’orlo della guerra civile esplose la violenza delle milizie
naziste e alle elezioni successive i nazisti persero consenso, ma Hitler non si
fermò. Ogni tentativo di compromesso avanzato dal presidente Hidenburg (gli
chiese ad es. di entrare nel governo come ministro ma lui voleva di più) si infranse
contro la volontà di Hitler di prendere il potere e nel gennaio 1933, al leader
nazista fu affidato l’incarico di cancelliere.
LE CAUSE DEL SUCCESSO NAZISTA (CRISI ECONOMICA E DESIDERIO DI
RISCATTO/FRAGILI BASI DELLA REPUBBLICA DI WEIMAR E DIVISIONE TRA
PARTITI POLITICI)
Gli storici concordando nell’indicare come causa principale dell’avvento del nazismo
la grave crisi economica, infatti, più aumentava la disoccupazione, più cresceva il
consenso. Alla base della crisi vi erano le disastrose conseguenze della guerra,
la crisi finanziaria internazionale, e la mancanza di un piano comune
d’intervento da parte degli Stati più forti; inoltre vi erano problematiche interne
legate alla concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi industriali.
La propaganda nazista si concentrò solamente sulle pesanti riparazioni
imposte dal Trattato di Versailles e fece breccia sull’opinione pubblica con l’idea
che tutti i mali provenissero dai nemici esterni e traditori, in primo luogo i socialisti
e gli ebrei. Ciò che garantì a Hitler un gran consenso fu la sua impostazione
populista, che lo propose come paladino dell’identità tedesca, sollevando un
moto di nazionalismo. I primi a seguirlo furono, infatti, reduci di guerra,
disoccupati, studenti e poi negozianti, imprenditori e impiegati, che videro
in Hitler un uomo forte e carismatico, in grado di risollevare la Germania.
Ma oltre alle cause economiche, contribuirono all’affermazione del nazismo le fragili
basi della democrazia di Weimar e le divisioni fra i partiti politici. La tradizione

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parlamentare era recente, e indebolita da tentazioni autoritarie. Analogamente a
quanto accaduto in Italia, in Germania la classe dirigente, la gerarchia militare,
ebbe la presunzione di credere d poter sfruttare il nazismo per riportare
l’ordine e sconfiggere il comunismo. Ingenuamente anche alcuni comunisti lo
sostennero nella speranza che portasse ad una rivoluzione del proletariato; e così
i cattolici per il loro ideale patriottico sacrificarono i principi democratici, in
nome del riscatto della Germania.
LA NASCITA DELLA DITTATURA
Hitler richiamava l’unità nazionale, la rivincita e l’antisemitismo, che ormai era un
elemento culturale di lunga durata.
Appena salito al potere, egli cercò di far crescere il consenso con nuove
elezioni, smantellando la democrazia e mettendo fuori legge forze politiche
opposte, imponendo il partito unico. Inizialmente formò un governo di
coalizione, con partiti ultranazionalistici e di centro: aveva bisogno di un grande
successo elettorale.
Solamente due giorni dopo la formazione del nuovo governo Hidenburg sciolse il
Reichstag e indisse nuove elezioni; la campagna elettorale si svolse in un clima
di violenza organizzata nei confronti degli oppositori. Il punto di non ritorno vero la
dittatura si ebbe tra il 27 e 28 febbraio 1933 quando Hitler approfittò
dell’incendio della sede del Parlamento, accusando i comunisti di aver
complottato contro lo Stato, per emettere un decreto di emergenza che abolì
lo Stato di Diritto, sospendendo gran parte dei diritti civili, instaurando il
potere assoluto. I comunisti vennero inviati nei campi di concentramento: il
primo venne costruito nel 1933 e fu Dachau. Il controllo delle polizie venne
affidato al governo centrale. Grazie al sostegno dei nazionalisti, venne approvata la
legge che conferiva al governo pieni poteri: il governo nazista poteva
approvare le leggi senza il consenso del Parlamento. L’unico limite al potere
assoluto di Hitler restava il presidente del Reich Hidenburg. La Repubblica di
Weimar, e con essa la democrazia, erano terminate.
RISTRUTTURAZIONE DELLO STATO
Dopo aver instaurato la dittatura, iniziò la ristrutturazione dello Stato.
La costituzione di Weimar venne mantenuta per dare una parvenza di legalità
agli atti arbitrari. Ogni principio democratico venne cancellato e tutti i poteri
vennero accentrati nelle mani del cancelliere, compreso quello legislativo. Inoltre
Hitler smantellò la struttura federale della Germania : con la “legge per la
ricostruzione del Reich”, del gennaio 1934, abolì tutti i poteri regionali
trasferendoli nelle mani del governo. Il centralismo serviva a evitare eventuali
contrasti. Iniziò poi a prendere i primi provvedimenti di stampo antisemita,
licenziando tutti i funzionari “di razza non ariana”. Il termine “ariano” fu
introdotto a inizio Ottocento per identificare il gruppo delle lingue indo-europee,
ma venne ripreso in senso biologico-razziale dal francese Gobineau nel suo
saggio, in cui sosteneva che la “razza bianca e pura” fosse superiore in quanto

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l’unica capace di elevare al di sopra del materialismo e del piacere sensibile; fu lo
scrittore inglese Chamberlain che esaltò nel popolo tedesco il frutto migliore
della “pura razza ariana”.
Nei suoi primi provvedimenti, Hitler mise al bando i partiti, accusandoli di essere
“nemici del popolo e dello Stato”, e nel 1933 sancì che il partito
nazionalsocialista era l’unico partito in Germania. Ai cattolici venne vietato di
fare politica con un concordato con il Vaticano, in cambio della garanzia che le
istituzioni e le associazioni ecclesiastiche fossero rispettate. Anche i sindacati
furono soppressi e sostituiti dal Fronte del lavoro tedesco, controllato dal partito.
Non tollerando le libertà sindacali, Hitler si assicurò anche il consenso della
grande industria.
PROPAGANDA E MOBILITAZIONE DI MASSA
Ebbe poi inizio una forte azione di propaganda; venne istituito il Ministero per
la Propaganda.
Bisognava indottrinare le masse, mobilitandole contro i nemici dello Stato,
promuovendo una cultura “autenticamente tedesca”. La “germanicità” andava
difesa, e per farlo, vennero bruciati libri di autori democratici, pacifisti,
marxisti ed ebrei. Va detto che l’idea della mobilitazione e rieducazione del
popolo è tipica del totalitarismo, distinguendolo da autoritarismo conservatore,
secondo cui il popolo non deve occuparsi di politica. “Führer” (“capo”) fu il
termine adottato per indicare Hitler come capo assoluto dello Stato tedesco,
sottolineando il suo dominio incontrastato e il suo ruolo di condottiero che doveva
portare popolo tedesco verso nuova epoca, verso il terzo impero: Terzo Reich.
Seppure il partito fosse nato come movimento di massa, diffuso fra persone di
estrazione sociale medio-bassa, che vedevano nel partito un’occasione di riscatto e
carriera, esso aveva un’impostazione gerarchica. Al centro del programma di
mobilitazione vi era l’idea di comunità nazionale : per arginare soprattutto la
tradizione socialista, l’impressione di far parte di una comunità forte e coesa faceva
sì che la differenza di classe non contasse più.
EPURAZIONE DEL PARTITO NAZISTA
L’ulteriore atto per la conquista del potere totale, Hitler lo compì all’interno del suo
stesso partito, che andava epurato. Le Sa, nel clima di impunità, avevano
commesso numerosi crimini, inimicandosi gli industriali, una parte della
classe dirigente tedesca e dell’esercito, sulla base di un’impostazione
anti-capitalistica e anti-borghese. Hitler non poteva inimicarsi questi gruppi, e
inoltre temeva la concorrenza del capo della Sa, Rohm, diventato troppo influente.
Durante la notte del 10 giugno 1934, detta la “notte dei lunghi coltelli”,
fece uccidere Rhom e decine dei suoi fedelissimi, grazie al sostegno degli atti
comandi dell’esercito, delle SS (squadre di protezione) e della Gestapo (polizia
segreta di Stato).
POTERE ASSOLUTO E NASCITA DEL TERZO REICH

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Il totalitarismo di Hitler divenne perfetto nel 1934 quando Hitenburg morì ed
egli assunse il potere assoluto: Stato e governo. Egli realizzò il “principio del
capo” tipico della dottrina nazista. Egli diventò la suprema guida della
comunità nazionale: in una situazione di crisi la Germania iniziò a identificarsi
nella figura del salvatore. Nel rapporto diretto fra Führer e popolo si compì il
passaggio definitivo al Terzo Reich: il Terzo Impero, dopo il Sacro romano
impero di Carlo Magno e quello nato nel 1871.
POLITICA ECONOMICA NAZISTA
La prima emergenza tedesca era risolvere la disastrosa situazione economica,
ma la vera preoccupazione di Hitler era preoccuparsi delle risorse necessarie per il
riarmo, per raggiungere il suo obiettivo: la guerra. Il ministero dell’Economia
Schacht scelse la strada dell’indebitamento per investire in grandi opere che
diedero lavoro ai tanti disoccupati. Anche il riarmo servì all’economia: grazie ad
un piano di investimenti che permise di nascondere le spese per il riarmo,
aggirando il Trattato di Versailles, e all’introduzione della leva obbligatoria, che
ridusse la disoccupazione. In breve tempo i dati economici migliorarono.
Il ministro dell’Economia, dopo aver proposto un’apertura nei confronti del
mercato mondiale, venne emarginato da Hitler, che prediligeva un’economia
estera di chiusa e di autarchia, mettendo anche in difficoltà gli imprenditori, in
vista della ormai decisa guerra.
LE LEGGI DI NORIMBERGA
Giunto al potere, Hitler attuò il suo programma di difesa della razza, basato
sull’affermazione della “razzia ariana” e sulle discriminazioni dei “diversi”: in
primo luogo gli ebrei. Il 15 settembre 1935 promulgò le Leggi di Norimberga,
le cosiddette “leggi razziali” che abolivano ogni forma di diversità; inoltre
venne adottata una nuova bandiera nazionale, al cui centro vi era la croce
uncinata, che identificava la Germania con il nazismo. Il problema della difesa
della razza, poi, portò il regime a mettere in pratica aberranti politiche eugenetiche,
mirate al miglioramento biologico della razza umana. (sterilizzazione dei soggetti
con malattie ereditarie e soppressione malati di mente e disabili).
LA “NOTTE DEI CRISTALLI” E LA VIOLENZA CONTRO GLI EBREI
L’antisemitismo raggiunse il suo apice, prima della guerra, nella cosiddetta “notte
dei cristalli”, per le vetrine dei negozi frantumate: nella notte fra il 9 e il 10
novembre 1938 migliaia di ebrei vennero arrestati e inviati nei cambi di
concentramento, e alcuni uccisi, anticipando lo sterminio avviato durante la
guerra. Il regime impose l’idea che gli ebrei fosse portatori di un virus che
avrebbe portato il popolo ariana alla degenerazione genetica. Il razzismo fu
presente fin dall’inizio nella dottrina nazista, compariva già nel Mein Krampf. A
differenza del razzismo di stirpe italiano, quello tedesco era puramente biologico.
Il consenso a queste violenze di stato si ottiene grazie a liturgie pubbliche,
cerimonie, adunate, miti e simboli finalizzati all’indottrinamento della
popolazione, alla mobilitazione delle masse e alla propaganda.

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Sull’adesione della popolazione incisero, poi, l’apparato repressivo e terroristico e la
violenza. Questa non era solo mezzo di lotta politica, ma valore e strumento adatto
a selezionare i degni rappresentanti della razza ariana. La cultura nazista della
violenza deriva dalla Prima Guerra Mondiale, e poi alimentata dal coma di
guerra civile: i valori “virili” della tradizione militarista attrassero soprattutto i
giovani. Gli operai vennero conquistati con la lotta alla disoccupazione e da
altre misure adottate in loro favore; il mondo contadino ricevette riconoscimento
simbolico; la grande impresa favorita da investimenti statale e disciplina; il ceto
medio protetto da minaccia proletariato.
MITI COLLETTIVI E PROPAGANDA
Fra i miti più importanti vi era quello della “comunità del popolo” . Le liturgie
pubbliche servivano a imprimere nella mente i simboli del nazismo, trasmettendo
senso di partecipazione e di appartenenza alla comunità. L’indottrinamento e la
mobilitazione erano garantite da organizzazioni giovanili e femminili. La
propaganda fu essenziale per la raccolta di consenso e tutti i mezzi di
comunicazione vennero sfruttati: stampa sotto controllo, agli intellettuali
vennero imposti stili e contenuti, i cineasti si misero al servizio del regime.
LO SPAZIO “VITALE” E LA GUERRA INEVITABILE
Per quanto riguarda la politica estera del nazismo, essa si fondò sull’obiettivo di
garantire alla Germania uno “spazio vitale”, previsto già nel Mein Krampf,
ovvero l’estensione territoriale di cui un gruppo umano avrebbe bisogno per
poter assicurare le risorse materiali necessarie al suo sviluppo; esso dipende dalla
capacità di crescita demografica ed economica ed Hitler lo riprese in ottica
razzista, ovvero per affermare il diritto degli ariani a ingrandire il loro Impero a
scapito delle razze inferiori. Tutte le popolazioni di lingua tedesca dovevano essere
riunite in una “Grande Germania”: per farlo bisognava sottomettere gli slavi,
considerati razza inferiore, e il comunismo. La politica estera era fondata sull’idea
che la guerra fosse inevitabile, e fu uno degli elementi fondanti del regime nazista.
Furono proprio le rivendicazioni territoriali che portarono allo scoppio della
Seconda guerra mondiale.
La guerra è un elemento connaturato delle politiche totalitarie, che mirano a
costruire un popolo guerriero, investendo in un’economia bellica, teorizzando la
presenza del nemico e prefissandosi obiettivi geopolitici di conquista. Anche il
clima interno tedesco verteva versa il conflitto: si continuava a parlare di nemici, sia
politici che ebrei. Hitler iniziò a pianificare la guerra già nel 1923 durante la
prigionia. Il totalitarismo è, dunque, il chiaro responsabile dello scoppio della
guerra.
IL COMUNISMO
L’Urss dalla morte di Lenin al 1939
LA LOTTA PER IL CONTROLLO DEL PARTITO E L’ASCESA DI STALIN

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La sensazione di accerchiamo rafforzò l’autoritarismo dei dirigenti sovietici e
l’accentramento del potere all’interno del Partito comunista. Alla morte di
Lenin, seppure egli avesse provato a tenere insieme le diverse anime del partito, vi
fu una feroce guerra interna al partito per la successione e Stalin ottenne
la guida dell’URSS. Nello scontro emersero due tendenze di politica
economica: quella di Trockij, che puntava allo sviluppo accelerato dell’industria,
grazie ad un impegno forzato di manodopera; e quella di Bucharin, che mirava a
creare un sistema economico misto, pubblico e privato. Stalin approfittò di
questa contrapposizione e concluse lotta per la successione in modo
spregiudicato, emarginando i suoi avversari.
IL SOCIALISMO IN UN SOLO PAESE E LA VITTORIA DI STALIN NEL PCUS
Trockij rivendicava l’originario progetto politico bolscevico della
“rivoluzione permanente”, lunga e che avrebbe dovuto partire dalla Russia per
espandersi ad altri Paesi. Stalin a questa idea contrappose il “socialismo in un
solo Paese”, ovvero il consolidamento dei risultati della rivoluzione entro i confini
nazionali. Grazie ai consensi egli riuscì a imporre la propria linea. Trockij fu
esiliato e alla fine degli anni Venti Stalin era diventato padrone assoluto del
partito. Tuttavia questa scelta portò all’isolamento internazionale dell’URSS e
al divieto dei comunisti di tutto il mondo di sostenere alcun governo borghese.
INDUSTRIALIZZAZIONE FORZATA E PIANI QUINQUENNALI
Una volta salito al potere Stalin operò una svolta economica: mantellò la Nep,
che aveva favorito gli interessi dei contadini ricchi e degli speculatori,
dando autonomia ai privati; lo Stato doveva tornare e controllare l’economia.
Al centro del suo programma vi era l’industrializzazione forzata (riprende in
parte idea di Trockij), che avvenne con la gestione centralizzata e lo
sfruttamento intensivo della forza lavoro. Nel 1928 fu varato il primo piano
quinquennale per favorire l’industrializzazione, che diede risultati eccezionali,
sebbene a vantaggio dell’industria pesante e meno del benessere collettivo. Tra il
1929 e il 1933 la produzione industriale sovietica aumentò notevolmente e il
secondo piano quinquennale confermò la ripresa, garantendo anche quella
agricola.
STACHANOVISMO
Nonostante i successi nella produzione, l’industria non vide aumentare la
produttività, a dispetto dalla propaganda fondata sullo stacanovismo, ovvero la
propaganda sovietica che esaltava gli operai più produttivi con differenza salariali.
Ciò avvenne perché questo modello non teneva in considerazione la
razionalizzazione dell’attività produttiva, e a causa delle misure punitive adottate
nelle fabbriche. L’industrializzazione modificò il paesaggio sociale: grandi
masse si spostarono dalle campagne, dove era in corso la collettivizzazione forzata
della terra, alle città, ingrossando così il numero di operai e permettendo una
militarizzazione del lavoro. I lavoratori erano incentivati dalla possibilità di
mobilità sociale e, infatti, si formò una nuova élite che consolidò il regime
staliniano.

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LA COLLETTIVIZZAZIONE DELLE CAMPAGNE
Nel 1929 iniziò la collettivizzazione forzata delle campagne, ovvero la
cessione alla collettività della terra coltivata, che mirava ad annientare il ceto
dei kulaki, i contadini che coltivavano terre di loro proprietà, e a modernizzare
l’agricoltura trasformando i contadini in “operai agricoli”, riuniti in fattorie
statali: i kolchoz. Si diffusero forme di resistenza che vennero represse con
la forza. Tuttavia, di fronte alla crisi agraria del 1930, Stalin fece un passo
indietro consentendo ai contadini di abbandonare i kolchoz, anche se dopo
pochi mesi la collettivizzazione riprese con violenza.

NEMICI INTERNI E I GULAG


In questo contesto si inserì la repressione di Stalin nei confronti degli
oppositori. La persecuzione delle opinioni discordanti trovò il suo compimento nel
sistema dei campi di lavoro coatto, i Gulag, in cui recluse migliaia di dissidenti.
Oltre a portare ordine politico, l’altra finalità dei Gulag era quella di produrre a
costi bassissimi infrastrutture e materie prime privilegiate, da esportare nei
paesi occidentali in cambio di valuta forte. I campi di lavoro furono un importante
strumento redditizio, pilastro dell’economia sovietica.
CARESTIA DEL 1932-1933
Nel 1932 vi fu una crisi economica che portò ad una forte carestia che durò
dal 1932 al 1933 e che Stalin nascose agli occhi del mondo, precludendosi di
ricevere aiuti internazionali.
IL CONGRESSO DEI VINCITORI E LE PURGHE STALIANIANE
Nel 1934 venne fatto il “congresso dei vincitori” per celebrare i successi
economici del primo piano quinquennale e per annunciare il secondo; tuttavia
emersero differenze di opinioni rispetto ai ritmi da dare al progresso industriale
e prevalse l’idea più moderata di Kirov, ma i risultati furono truccati e Kirov
venne ucciso. La feroce repressione staliniana si rivolse, dunque, anche contro
esponenti dello stesso Partito comunista, che Stalin presentava come socialsiti:
furono predisposti “processi-farsa” che condussero alle cosiddette “purghe
staliniane”, in cui venne ucciso anche Bucharin. Si diffuse il panico e la
repressione coinvolse tutti gli apparati dello Stato.
LO STALINISMO E IL CULTO DELLA PERSONALITA’
Alla pari dei regimi totalitari, anche quello sovietico si basava sul “culto della
personalità”. La propaganda raffigurò Stalin come erede di Lenin e come
l’artefice del benessere e del progresso; lo stalinismo fu l’identificazione del
Paese con la guida di Stalin: una dittatura dai forti tratti personalistici. Un
altro aspetto totalitario dello stalinismo fu il progetto di “educare” il popolo
all’obbedienza e ai principi di un’unica visione: l’ideologia marxista-leninista.
Inoltre tutte le voci dissonanti furono soffocate.

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Tuttavia gli storici si sono chiesti se sia corretto includere lo stalinismo nella
categoria del totalitarismo. Chi ha risposto no sostiene che definito totalitarismo
vorrebbe dire accomunarlo con il regime nazista, che tuttavia parte da un
principio inconciliabile: se il nazismo parte dal razzismo fino allo sterminio di massa ,
lo stalinismo parte dalla lotta di classe in vista dell’uguaglianza sociale.
Mentre, per gli studiosi che ritengono si possa parlare di totalitarismo, gli elementi
comuni riguardano: l’intento di creare un uomo nuovo, riplasmando la mentalità
delle persone; la divinizzazione dello Stato; l’eliminazione dell’autonomia
della società rispetto al potere ; l’annientamento dei diritti individuali; il
ricorso a forme di repressione e violenza; e la figura del capo. Lo storico
inglese Hobsbawm ha negato che i regimi comunisti siano stati totalitari, in quanto
non sarebbero riusciti a indottrinare la gente. Altri invece hanno presentato lo
stalinismo come un tradimento del marxismo rivoluzionario. Il dibattito è
ancora aperto.
LE RAGIONI DEL CONSENSO AL REGIME STALINIANO
Lo stalinismo, aldilà della propaganda, volta soprattutto a raffigurare Stalin come
artefice del benessere, raggiunse un reale consenso: grazie all’educazione mirata
a identificarsi col regime; alla ripresa industriale; e al richiamo del nazionalismo
russo.
L’INTERNAZIONALE COMUNISTA: DAL SOCIAL-FASCISMO AI FRONTI
POPOLARI
L’isolamento dell’URSS, dato dall’idea di “rivoluzione in un solo Paese”, portò
l’Internazionale comunista a difendere gli interessi del solo Stato sovietico,
emarginando gli altri partiti comunisti, che furono costretti alla clandestinità.
Ma con la crisi del ’29 venne rilanciata l’idea di una rivoluzione mondiale.
Stalin impose la tesi del social-fascismo, secondo cui i partiti socialisti riformisti
erano strumenti della classe dominante contro i lavoratori. Venne vietata dunque
qualsiasi forma di collaborazione fra comunisti europei con la sinistra riformista.
Ma la mancata collaborazione contribuì al successo di Hitler e di Mussolini, che
trovarono un’opposizione frammentata al suo interno. Quindi, davanti al fallimento
di questa strategia, Stalin nel 1935 chiamò i comunisti a collaborare con le
socialdemocrazie e i partiti democratici per promuovere governi
antifascisti, anche con partiti della borghesia. Questa nuova linea dei “fronti
popolari” segnò le linee della politica del movimento comunista
internazionale, e in Spagna e in Francia le coalizioni del fronte popolare vinsero
le elezioni nel 1936.
LA POLITICA ESTERA DELL’URSS NEGLI ANNI VENTI E TRENTA
Per rompere il proprio isolamento l’URSS cercò di instaurare rapporti
amichevoli con altri Paesi. Grazie al clima collaborativo dei fronti popolari,
l’URSS siglò un patto di mutua assistenza con la Francia, che impegnava i
due paesi a intervenire militarmente in caso di aggressioni. Analogamente
avvenne con la Cecoslovacchia.

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Prima nel Trattato di Rapallo del 1922 e poi con il Patto di Berlino del 1926,
l’Unione Sovietica rafforzò la cooperazione economica con la Germania di
Weimar, imponendo di restare neutrali in caso di attacco. Tuttavia i rapporti
peggiorarono con l’avvento al potere di Hitler. Nel 1934 l’Unione Sovietica
entrò nella Società delle Nazioni.
VERSO LA CATASTROFE
FINE DELLE DEMOCRAZIE E DIFFUSIONE DEL FASCISMO, ANNI TRENTA:
In Europa gli anni Trenta furono segnati da incertezza e spinte autoritarie. La crisi
economica del 1929 provocò recessione e disoccupazione: diventò chiara
l’interdipendenza dei Paesi e che un singolo Stato non era in grado di far fronte
ai problemi economici. Tuttavia gli Stati ne approfittarono per riaffermare le
proprie sovranità e affrontarono la crisi in modi diversi. La necessità di far fronte
alla crisi fece crescere il peso dei governi e delle istituzioni pubbliche:
tramontò la concezione liberale che aveva dominato l’800 e gli Stati iniziarono a
intervenire nell’economia e nella società. Ci furono due tipi di risposte alla
crisi: quella totalitaria, dai regimi fascista, nazista e stalinista, e quella
democratica, in Usa, Uk e alcuni Paesi del Nord Europa.
Mentre i regimi totalitari usarono lo Stato per piegare le società ai propri obiettivi
ideologici, i democratici iniziarono a discutere misure che dopo il 1945
avrebbero portato alla nascita dei moderni sistemi di welfare: “Stato del
benessere” dica le politiche volte a garantire e migliorare la qualità degli cittadini.
[furono le teorie di Keynes che introdussero l’idea che lo Stato dovesse garantire
prestazioni ai cittadini con riforme che guardavano settori della sanità,
dell’istruzione, dell’assistenza, della previdenza].
La politica economica dell’Unione Sovietica, grazie ai suoi successi, aveva
diffuso idea che lo Stato dovesse assume direzione della democrazia; anche
se i cittadini dell’Urss avevano pagato il loro prezzo per conseguire risultati.
Nel primo dopoguerra vi era un clima di guerra civile latente. Le questioni
dei confini e delle minoranze etniche, affrontate a Versailles, erano rimaste
irrisolte. Il nazionalismo era ancora ben vivo, soprattutto negli Stati delle
nazioni sconfitte che volevano una rivalsa. Inoltre vi era la minaccia di una
Rivoluzione su modello sovietico.
In questo clima alcuni gruppi sociale, come proprietari e media borghesia,
reclamavano ordine. Le classi dirigenti si affidarono ad organizzazioni
paramilitari di destra, di ex combattenti. Tali gruppi furono il terreno di
nascita del fascismo e del nazismo.
Scelsero la strada della democrazia una minoranza di Stati (Francia, Regno Unito,
Irlanda, Stati scandinavi, tranne Finlandia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera,
Cecoslovacchia). Nel resto si instaurarono regimi autoritari, che avevano le loro
basi in: autoritarismo, nazionalismo esasperato, antisemitismo, militarismo,
antidemocrazia e antisocialismo. Anche se diversi fra loro, richiamano ritorno

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all’ordine per fuggire alle minacce rivoluzionarie di sinistra e furono favoriti dalla
mancanza di una forte leadership a livello mondiale.
L’Austria, reduce dello smantellamento dell’Impero asburgico, nel dopoguerra visse,
come l’Ungheria, una forte crisi economia, sociale e morale che favorì gruppi
di estrema destra. Si affermarono movimenti sia fascisti, sia nazisti. Dopo le
violenze sui socialisti e sui Sindacati, nel 1934, tali gruppi instaurarono un
regime autoritario, al cui potere vi era Dollfuss. Egli mantenne un ceto
pluralismo e non seguì i modelli totalitari italiano e tedesco, ma sì ispirò al
tradizionalismo cattolico e al corporativismo; inoltre difese l’indipendenza
austriaca.
In Ungheria, dopo la Repubblica Sovietica Ungherese (1919), si costituì il regime
autoritario di Horty. Formalmente restava una monarchia ma non vi era alcun re.
I rapporti sociali e tradizionali furono perseverati e gerarchie militari vennero
sostenute. La sua avvicinano al fascismo e al nazismo si dimostrò con l’adozioni
delle leggi antisemite, nel 1938, e con l’alleanza con l’Asse durante la
guerra. Venne proposto un programma populista, nazionalistico, antisemita e
anticapitalistico; che tuttavia non prese piede a causa delle divisioni interne.
Anche negli Stati balcanici si assiste al fallimento delle democrazie
parlamentari e all’instaurazione di regimi autoritari. Dittature di destra si
imposero in Bulgaria, con Boris III, in Jugoslavia con le rivendicazioni
nazionaliste delle diverse etnie, in particolare croati, e in Romania.
La costituzione di regimi autoritari coinvolse anche gli Stati dell’area baltica, in
cui il nazionalismo era diffuso fra classi colte e studenti. In Lituania,
Lettonia e Estonia, tramite colpi di Stato, cercarono di fermare l’affermazione
di forze di sinistra e di movimenti fascisti. Si trattò di regimi autoritari di tipo
presidenziale, che prevedevano forme minime di pluralismo. Analogamente in
Polonia il sentimento antitedesco e antirusso animò tendenze autoritarie e si
instaurò regime dittatoriale di vocazione nazionalista e patriottica. In
Finlandia il regime parlamentare venne minacciato fa movimenti fascisti.
Invece nell’Europa occidentale i movimenti fascisti ebbero un ruolo
marginare, sia perché non aspiravano alla rivendicazione di territori, in quanto
vincitori o non partecipanti, sia per la forza dei sistemi parlamentari e
democratici. Tuttavia vi furono eccezioni: il Belgio vide nascita
disorganizzazione fasciste; nei Paesi bassi l’estrema destra rimase
emarginata, così come in Danimarca, Svezia, Norvegia, Svizzera e Regno Unito. In
Francia, nonostante vi fossero alcuni movimenti fascisti, questi non furono
minaccia per il sistema democratico e restarono organizzazioni terroristiche
segrete. Diversamente nei Paesi iberici, più arretrati socialmente ed
economicamente nel primo trentennio del Novecento, ci furono diverse dittature
militari. In Portogallo nel 1926 un colpo di stato abbettè la Repubblica
instaurando dittatura militare. Nel 1932 Salazar instaurò un una dittatura
isolazionistica e tradizionalistica ispirata al fascismo italiano. In Spagna ci fu
un tentativo di dittatura militare ma nel 1931 venne proclamata
nuovamente Repubblica.

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POLITICA ESTERA DI HITLER E ALLEANZA CON MUSSOLINI
La politica estera adottata da Hitler nel 1933 portò alla rottura del fragile
equilibrio costruito a Versailles. Il primo atto della politica revisionistica, ovvero
basata su revisione degli accordi internazionali, fu il ritiro dalla Conferenza di
Ginevra per il controllo della corsa agli armamenti: mirava a ricostruire
l’esercito. Subito dopo la Germania uscì dalla Società delle Nazioni . Lo scopo
di Hitler era costruire una Grande Germania: riunificare tutti i tedeschi in un
unico grande Reich. Nel 1934, dopo un tentativo di presa di potere in Austria da
parte dei nazisti austriaci, il fronte dei paesi vincitori si ricompattò. Mussolini,
intimorito dall’espansionismo di Hitler, inviò delle divisioni al confine italo-
austriaco. Nel 1935 Hitler iniziò a rimilitarizzare la Renania, sconfessando il
Trattato di Locarno, e a ripristinare la coscrizione obbligatoria. Francia, Regno
Unito e Italia, nella Conferenza di Stresa (1935), condannarono il riarmo
tedesco e si fecero garanti dell’indipendenza dell’Austria. Fu l’ultima
iniziativa comune delle tre potenze vincitrici.
In seguito alla Guerra di Etiopia (1935) le relazioni internazionali mutarono:
l’Italia venne isolata e si avvicinò alla Germania, che le diede sostegno
diplomatico ed economico; gli vennero inflisse anche sanzioni economiche
dalla Società delle Nazioni . Nella guerra in Etiopia era emersa la fragilità
dell’Impero.
L’alleanza italo-tedesca fu formalizzata nell’ottobre 1936, con l’Asse Roma-
Berlino, in cui si riconobbero le rispettive mire espansionistiche e territori.
L’alleanza si rafforzò con l’adesione italiana nel 1937 al Patto anti-komintern,
contro l’URSS e il comunismo nel mondo, firmato anche dal Giappone nel
1936. L’Italia uscì dalla Società delle Nazioni nel dicembre 1937. Il vincolo
sempre più stretto diede origine alla promulgazione delle leggi razziali in Italia
nel 1938.
FRONTI POPOLARI
A metà degli anni Trenta la politica estera sovietica, e quindi, i partiti comunisti,
conobbero un cambio decisivo di rotta. La politica del social-fascismo, secondo
cui i partiti socialisti erano strumenti della classe dominante formando un blocco
social-fascista antriproletariato, si era dimostrata fallimentare; aveva impedito
qualsiasi accordo tra forze di sinistra, contribuendo alla vittoria dei nazisti. La
politica aggressiva di Hitler era una minaccia per l’Unione Sovietica. Stalin corse
ai ripari cambiando la politica estera isolazionistica. A metà anni Trenta iniziò
a puntare al rafforzamento del sistema europea di sicurezza collettiva, in funzione
antitedesca. Nel 1934 entrò nella Società delle Nazioni e stipulò un accordo
militare con la Francia. Nel 1935 al VII congresso della Terza Internazionale
venne abbandonata la tesi del social-fascismo in favore dei fronti popolari;
aumentò l’influenza del Partito comunista. In Francia e Spagna si crearono
coalizioni comuniste, socialiste e democratiche. In Spagna la conseguenza fu
lo scoppio della Guerra civile, mentre in Francia fu la formazione di un
governo unitario delle sinistre. Qui dopo la crisi del 1929 la situazione fu
molto instabile. 15 governi in 6 anni, fra centro-destra e centro-sinistra.

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Scoppiarono scontri violenti che portarono alla paralisi politica. Grazie ad una
coalizione fra sindacati e partiti di sinistra, che temevano minaccia fascista, nel
1936 il Fronte popolare, acquisì la maggioranza. Nel 193 socialisti e
comunisti avevano firmato un patto d’unità d’azione.
Tuttavia il governo del Fronte popolare ebbe vita breve: alla vittoria del fronte il
socialista Blum diventò a capo del governo , con un programma di riforme
sociali, che non posero pieno rimedio alla crisi economica. I comunisti diedero
appoggio esterno. Dopo la firma degli accordi di Palazzo Matignon nel giugno
1936, che prevedevano riforme sociali ai favori dei lavorati, i datori di lavoro
reagirono con la fuga di capitali all’ estero e una decisiva ostilità, che si tradusse
nella paralisi degli investimenti. I provvedimenti economici di Blum, anche a causa
della dizione interna alla coalizione, furono insufficienti a frenare inflazione; il
franco venne svalutato due volte. Dopo le dimissioni di Blum, nel 1937, e due
tentativi del fronte popolare, nel 1938 si formò un governo più moderato che
ottenne pieno potere in campo economico e cancellò le conquiste
sindacali.
LA GUERRA CIVILE SPAGNOLA
Uno dei regimi di impronta fascista che si instaurò in Europa tra le due guerre fu
quello spagnolo. Esso si impose al termine della sanguinosa Guerra Civile, innescata
nel 1936 da un colpo di Stato militare contro la vittoria del fronte popolare nelle
elezioni politiche.
La guerra civile, secondo gli storici, fu una prova generale della Seconda guerra
mondiale. In primo luogo perché fu uno scontro armato tra fascismo e
antifascismo: Italia e Germania intervennero a sostegno dei nazionalisti,
mentre la coalizione repubblicana fu sostenuta dall’URSS. Secondariamente
ebbe un forte valore ideologico: la guerra fu un confronto fra due visioni del
mondo incompatibili, il nazismo e l’autoritarismo a destra, la prospettiva di una
rivoluzione sociale a sinistra. In Terzo luogo fu una guerra totale: le popolazioni
civili vennero coinvolte e colpite. Fu un importante capitolo della “guerra civile
europea”, combattuta fra il 1914 e 1945, in nome o contro la democrazia.
A distinguerla dalla Seconda Guerra Mondiale fu l’esito: prevalsero le forze
reazionarie e fasciste; ciò fu dovuto dal fatto che le potenze liberal-democratiche,
cioè Francia e Uk, decisero di non intervenire.
Dal 1923 al 1930 la Spagna aveva conosciuto la dittatura del generale Primo de
Rivera, un conservatore, che faceva perso sulla classe dei grandi proprietari terrieri
e sulla Chiesa cattolica. Le elezioni del 1931 videro l’affermazione dei partiti di
orientamento repubblicano. La Spagna era prevalentemente un Paese
agricolo e la terra era nelle mani di pochi. Anche per questo i comunisti, che si
rivolgevano agli operai, non trovarono grande riscontro; al contrario degli anarchici,
che controllavano l’organizzazione sindacale Cnt. Questo ultimo gruppo
inasprì i conflitti politici. Dopo le dimissioni di Primo de Rivera, perché incapace
di far fronte alla crisi, alle elezioni vinse la coalizione re repubblicani di sinistra e
socialisti. La nuova costituzione introdusse la Repubblica. La Catalogna

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ricevette maggiore autonomia e i Paesi Baschi affermarono orientamento
laico. La questione sociale non venne risolta e il governo si divise sulla riforma
agraria: i repubblicani volevano la formazione di un folto ceto di piccoli
proprietari, i socialisti volevano la gestione collettiva delle terre. Mentre i
contadini iniziarono a occupare i latifondi. A fronte di questi cambiamenti, alla
violenza degli anarchici, la colazioni di destra nel blocco nazionale. E per far fronte a
questa deriva autoritaria e militarista, le forze di sinistra si riunirono
nell’alleanza del Fronte popolare che nelle elezioni prevalse su quello nazionale.
La violenza diffusa portò alla nascita di movimenti di matrice fascista e la vittoria
del fronte popolare condusse al tentativo di colpo di Stato del 1936 del
generale Franco; l’esercito prese il controllo di gran parte della Spagna
occidentale.
Iniziava la guerra civile spagnola.
Nella prima fase prevalse il governo repubblicano, sostenuto da forze armate
e mobilitazione popolare. Il conflitto diventò sempre più violento e assunse una
dimensione internazionale. Potenze democratiche non intervennero, secondo
politica interna; Mussolini favorì i militari ribelli e inviò un contingente con
aerei e cannoni; Hitler iniziò squadriglia di aviazione e rifornimenti bellici.
Fra i bombardamenti spietati sui civili da parte dei tedeschi si ricorda quello su
Guernica nel 1937. Solo l’Unione Sovietica inviò aiuti al fronte
repubblicano, a sostegno del quale giunsero volontari da tutto il mondo,
specialmente comunisti. Tanti anche ebrei, italiani e tedeschi che combatterono il
fascismo; “Oggi in Spagna domani in Italia”.
La mobilitazione internazionale per la Spagna democratica ebbe rilevanza
propagandistica e morale ma non fu sufficiente. Il punto più alto della resistenza fu
la vittoriosa difesa di Madrid nel 1936 dalle forze franchiste. Nei mesi
seguenti crebbero difficoltà dei repubblicani a cui si aggiunsero le divisioni interne
del fronte antifascista, che degenerarono nel 1937 , quando a Barcellona
anarchici e comunisti si scontrarono. Franco approfittò di questa spaccatura,
che privò le forze fedeli alla Repubblica dell’appoggio della borghesia progressista,
per riunire il fronte con il sostegno dell’aristocrazia terriera, della Chiesa
cattolica e dei ceti medi. Le forze di destra vennero raccolta nella Falange
nazionalista.
L’entusiasmo del fronte repubblicano era ormai svanito; grazie anche al sostegno
italo-tedesco i nazionalisti proseguirono nella loro avanzata, lenta ma
inarrestabile. Nel 1938 isolarono Madrid dalla Catalogna e nel 1939
conquistarono Barcellona e poi Madrid. Alla fine della guerra seguì una feroce
repressione: repubblicani vennero fucilati o esiliati. La Spagna impiegò molti
anni per ricostruire propria economia e il regime franchista durò fino alla
morte nel 1975.
Con la guerra civile spagnola l’Europa si avvicinò al conflitto. L’alleanza Italia
Germania ne uscì rafforzata , mentre le potenze democratiche avevano
mostrato di non saper arginar l’avanzata del fascismo.

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Il Regno Unito si trovava in una fase di transizione: disponeva ancora del suo
immenso Impero, che però iniziava a scricchiolare. Il laburista MacDonald aveva
risposto alla crisi del 1929 con misure tradizionali senza ottenere grandi
risultati. Nel 1931 formò un governo di unità nazionale con i conservatori e i
liberali. Ciò portò alla scissione del partito laburista e alle elezioni del 1931
però alla vittoria dei conservatori, che sostennero MacDonald fino al suo ritiro nel
1935. Il nuovo governo decise di abbandonare il gold standard, con la seguente
svalutazione della sterlina che uscì di scena come moneta di riferimento per il
commercio mondiale. Questa misura sancì la fine del “secolo inglese” in
campo economico. Inoltre MacDonald, e i successivi governi di Baldwin e
Chamberlain, adottarono un programma di riduzione della spesa pubblica, con
taglio a sussidi e salari, che ridusse il prelievo fiscale sugli stipendi pubblici.
Venne creato poi uno spazio commerciale preferenziale all’interno del
Commonwealth. La politica economica proteggeva le merci inglesi dalla
concorrenza internazionale.
Chamberlain, premier del Regno Unito dal 1937, fu il più convinto
assertore della linea dell’appeasement verso la Germania nazista: fare
concessioni a Hitler per forzare la sua carica aggressiva. Il leader della frazione di
minoranza del Partito conservatore, Winston Churchill, riuscì a prevedere le cose più
di quanto fece Chamberlain, sostenendo che bisognasse opporsi in modo
intransigente all’espansionismo tedesco.
La politica dell’appeasement e la crisi politica francese furono due delle
condizioni che reso possibile l’annessione dell’Austria nel 1938, nota come
Anschluss: “connessione”, il progetto nazista di assorbire l’Austria per dar vita
alla Grande Germania. Mussolini, ormai alleato di Hitler, non vi si oppose. Il 13
marzo 1938 l’Austria diventò Ostmark, “Marca orientale” con Hitler capo di
stato e un plebiscito appoggiò l’Anschluss (durò fino al 1945).
Chiusa la questione dell’Austria, Hitler si dedicò al territorio dei Sudeti : la
regione della Cecoslovacchia, confinante con la Germania, abitata da una
popolazione di lingua tedesca. Egli avanzò richieste sempre più tassative al
governo cecoslovacco, anche grazie alla mobilitazione dei nazisti locali.
Inizialmente venne concessa maggior autonomia alla minoranza tedesca ma
Hitler non si accontentò: puntava all’annessione e allo smembramento dello
Stato cecoslovacco, che era legato da alleanze alla Francia e all’Unione Sovietica.
La Repubblica centro-europea confinava con Polonia e Ungheria, vicini ostili,
che avanzavano richieste territoriali. L’atteggiamento inglese frenò la Francia
nell’intervenire.
Nel 1938 Hitler rivendicò il territorio e per evitare una guerra si tenne una
conferenza tra le potenze europee. Nella Conferenza di Monaco, svoltasi il 29
e 30 settembre 1938, in cui parteciparono Francia, Italia, Germania e Uk, si
accettarono le richieste tedesche, con la cessione dei Sudeti alla Germania. Il
successo convinse Hitler a preparare un attacco segreto per invadere la
Cecoslovacchia. Infatti nel marzo 1939 la Germania, venendo meno agli impegni,

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invase la Cecoslovacchia: Boemia e Moravia diventarono protettorato del
Terzo Reich e la Slovacchia divenne stato fantoccio della Germania.
La Conferenza di Monaco sancì il crollo della politica di sicurezza comune ed
ebbe un’altra grave conseguenza: l’Unione Sovietica, che non venne invitata,
siglò un patto con la Germania per spartire il territorio della Polonia.
LA SECONDA GUERRA MONDIALE
CAUSE E CARATTERISTICHE DELLA GUERRA (PROGETTO ESPANSIONISTA E
RAZZISTA DI HITLER)
La Seconda guerra mondiale fu l’effetto dell’ideologia e della determinazione
politica di Hitler e dei suoi seguaci. Hitler non aveva fatto mistero di voler vendicare
l’umiliazione patita dai tedeschi nella Prima guerra e di voler fare della Germania un
Impero egemone nell’Europa continentale. L’idea che la razza ariana fosse
migliore dell’umanità e quindi per natura destinata ad assoggettare i popoli
inferiori si concretizzò in un preciso progetto di politica estera (il nuovo
ordine europeo) che si articolava nei punti seguenti:
 L’unificazione dei popoli di lingua e cultura tedesca all’interno di un solo Stato, il
Terzo Reich;
 La creazione di uno spazio vitale per i tedeschi in Europa orientale e
l’assoggettamento delle popolazioni slave;
 La creazione di nuovi regimi autoritari e fascisti in Europa, l’appoggio a quelli già
esistenti, e la lotta senza quartiere al comunismo in tutto il mondo;
 Il mantenimento di rapporti cordiali con le nazioni etnicamente affini a quella
tedesca, in primo luogo con gli inglesi e gli scandinavi;
 La soluzione di ciò che i capi nazisti definivano il problema ebraico- cioè la
pericolosità degli ebrei per la salute della società ariana per mezzo della
discriminazione civile degli ebrei tedeschi e poi dello sterminio pianificato di tutti
gli ebrei d’Europa;
Hitler dopo aver lavorato per anni al riarmo e al potenziamento dell’esercito si
sentiva ormai pronto per realizzare il suo progetto. Con l’aggregazione
dell’Austria e dei Sudeti aveva attuato il primo punto, con l’occupazione di Boemia e
Moravia nel marzo 1939 era stata il passo per l’attuazione del secondo punto. Il
sostegno militare a Franco in Spagna, il Patto anti-Komintern con Giappone e
Italia e l’Asse con Mussolini servivano a rinsaldare i rapporti con i regimi affini e
a colpire le forze comuniste e democratiche. Le leggi ebraiche non avevano
lasciato dubbi riguardo il carattere violentemente antisemita del regime
nazista, anche se pochi immaginavano un esito criminale di immani
proporzioni come fu la Shoah.
ALTRE CAUSE
In Germania la prospettiva di un Terzo Reich potente e ingrandito incontrò ampi
consensi nelle masse. Hitler sapeva su chi potesse contare; il leader nazista seppe
inoltre sfruttare gli errori di valutazione e l’indecisione dei Paesi
democratici. Giocò a favore di Hitler, l’isolamento dell’Urss dovuto alla linea del

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“comunismo in un solo Paese” voluta da Stalin, in parte all’anticomunismo dei
governi occidentali. I dirigenti francesi e inglesi e quelli sovietici agirono in ordine
sparso: i primi sperarono che l’espansione verso est distogliesse Hitler dalla
volontà di attaccare anche sul fronte occidentale; da parte sua Stalin si
affrettò a firmare un accordo separato con Hitler nella speranza di poter
sventare la minaccia nazista.
UNA GUERRA IDEOLOGICA
La guerra fu in primo luogo a carattere ideologico, il conflitto 1914-18 era in
senso nazionalistico e patriottico, la propaganda vi aveva avuto un ruolo
fondamentale. Si parlò di una guerra di tipo tradizionale, invece quella
scoppiata dal 1939 al 1945 fu una lotta tra visioni del mondo opposte e
inconciliabili. Nella fase più acuta si parla di scontro mortale tra fascismo e
antifascismo. Si formò un’alleanza del tutto inedita tra i Paesi capitalisti
democratici (Francia e Inghilterra) e l’unico Stato comunista, l’Unione Sovietica.
Quando il conflitto divenne mondiale con l’attacco giapponese a Pearl Harbor
l’alleanza tra liberal democratici e comunisti incluse anche gli Stati Uniti. Si trattò di
un’alleanza temporanea.
I nazifascisti addussero una ragione ideologica per i loro piani a danno dell’Urss:
la lotta contro il comunismo. Sia Mussolini che Hitler avevano conquistato
consensi presso i ceti medi e la grande industria dei loro Paesi promettendo la
Pace sociale, la fine della lotta di classe e l’inquadramento disciplinato dei
lavoratori. La guerra all’Urss fu propagandata come una naturale
prosecuzione della repressione delle forze politiche e sindacali di sinistra. I
nazisti inoltre, vedevano nel bolscevismo un prodotto dell’ebraismo, ovvero uno
strumento di cui fantomatiche centrali di potere ebraiche si sarebbero
servite per conquistare il mondo.
UNA GUERRA CIVILE EUROPEA
La Seconda guerra mondiale spiega il ruolo della propaganda, ci fa capire come
non fosse solo uno scontro fra Stati, ma anche una guerra civile europea che divise
ogni società in filofascisti e antifascisti. In tutti gli Stati gli invasori nazifascisti
trovarono sostenitori e alleati, i collaborazionisti. Contro di loro ci furono i
comunisti, socialisti democratici e liberali, cattolici, conservatori. Erano
accumunati dalla volontà di contrastare le dittature fasciste e il progetto
nazista del Nuovo ordine europeo. Fenomeno della Resistenza. Emerge così
un’altra differenza tra Prima guerra mondiale e la Seconda, nella Prima la
contrapposizione principale, all’interno dei singoli Paesi era stata tra patrioti
nazionalisti e pacifisti internazionalisti; nella Seconda fu “imposta” al mondo
dal regime nazista e dal militarismo giapponese, fu quindi una lotta per la
sopravvivenza e la libertà. In tutti i Paesi ci furono scontri tra fascisti e
antifascisti, entrambi ritenevano di essere patrioti e di interpretare la volontà della
nazione.
GUERRA ECONOMIA E SCIENZA

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La guerra può essere letta anche come uno scontro tra due tendenze di politica
economica. La prima sostenuta dagli Stati Uniti andava verso l’aggregazione di
tutte le economie nazionali in un’unica enorme area di libero scambio. La seconda
invece perseguita dal regime fascista in Italia e da quello nazista tedesco che
puntava su un capitalismo nazionale.
Portò a una mobilitazione senza precedenti, l’economia di guerra comportò
un allargamento del ruolo dello Stato: approvvigionamento di materie prime
alla produzione industriale, orari di lavoro al razionamento di beni di consumo.
La Germania riuscì a resistere più a lungo del previsto, perché nel 1944-45 si
approfittò del lavoro schiavistico di prigionieri o lavoratori stranieri, ma
anche perché il ministro della Produzione bellica, l’architetto Albert Speer coordinò
ogni aspetto dell’economia.
Anche la scienza fu messa a servizio della guerra, furono sperimentate nuove
armi, per la gestione di dati portò allo sviluppo dei calcolatori elettronici.
Inventati nuovi materiali e dispositivi che poi entrarono in commercio.
UNA GUERRA DI MOVIMENTO
La guerra di logoramento fu sostituita dalla guerra di movimento. A rendere
possibile ciò, furono le innovazioni tecnologiche e scientifiche applicate in ogni
settore degli armamenti. Aumento delle capacità di carico degli aerei di
guerra, potevano contenere grandi quantità di bombe, infliggere dei danni
gravissimi. Anche i carri armati furono potenziati resi più indistruttibili. Una
nuova funzione fu quella marina, grandiose operazioni aereonavali come lo sbarco
in Normandia e Sicilia furono possibili grazie a queste flotte capaci di trasportare in
pochi giorni migliaia di uomini.
UNA GUERRA TOTALE, UN GENOCIDIO PIANIFICATO
I tre aspetti della Seconda guerra mondiale ne fecero un conflitto totale. Crollò
l’intero edificio di quello che in futuro sarebbe stato chiamato il diritto
internazionale, il punto estremo della violenza distruttrice di origine ideologica fu il
genocidio pianificato condotto su scala industriale, degli ebrei, nonché di
molte migliaia di rom, omosessuali e disabili nei campi di concentramento nazisti.
IL RAZZISMO E LA GIUSTIFICAZIONE IDEOLOGICA DELLA VIOLENZA
Le ragioni di tanta violenza furono due:
 L’ideologia razzista degli Stati artefici della guerra, ovvero Germania, Giappone e
Italia.
 Imporre una particolare visione del mondo e annientare quella precedente e
avverse.
Il diritto a esistere era negato, fu così anche per le nazioni democratiche: se fino
alla Conferenza di Monaco i governi liberali occidentali avevano pensato di poter
in qualche modo convivere con Hitler o Mussolini, nel 1939 divenne loro chiaro che
non era possibile.

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ACCORDO TRA NEMICI: PATTO MOLOTOV-RIBBENTROP
Il 23 agosto 1939 fu firmato il patto russo-tedesco di non aggressione noto
come Patto Molotov-Ribbentrop dal nome dei due ministri Esteri firmatari.
(Patto tra Germania e Russia) Doveva valere dieci anni e impegnava i due Paesi a
non attaccarsi, prevedeva anche un protocollo segreto che in caso di
intervento tedesco in Polonia, l’Urss avrebbe potuto occupare la parte orientale di
tale Paese (fino al fiume Bug) nonché tutti i territori che la Russia aveva perduto nel
1918 con gli accordi di Brest-Litovsk: i tre Stati baltici, la Finlandia e la Bessarabia
(regione stretta tra Romania e Ucraina). Questo tranquillizzava Hitler per
concentrarsi sul fronte occidentale.
SPARTIZIONE POLONIA E ATTACCO RUSSO IN FINLANDIA
Hitler sfruttò una serie di incidenti, provocati a Danzica e sul confine dai nazisti
locali per lanciare un ultimatum alla Polonia. Scaduto questo, la Polonia scattò
senza una dichiarazione di guerra il 1 settembre 1939. Due giorni dopo
Francia e Regno Unito dichiararono guerra alla Germania. La seconda guerra
mondiale era iniziata.
I tedeschi annientarono l’esercito polacco e arrivarono a Varsavia. Polonia divisa
in due: le regioni occidentali abitate da minoranze di lingua tedesca furono
annesse al Terzo Reich, mentre la popolazione polacca fu deportata in quelle
centro-meridionali, ribattezzate Governatorato generale con capitale Cracovia.
Dal 17 settembre le truppe sovietiche occuparono la parte orientale della
Polonia, con feroci repressioni, fucilazioni e deportazioni di massa. Nelle
fosse di Katyn i sovietici trucidarono in segreto migliaia di prigionieri.
Poche settimane dopo (20 novembre 1939) l’Urss aggredì la Finlandia, che
non le aveva concesso l’uso di alcune basi militari e fu espulsa quindi dalla
Società delle Nazioni. Quella fu chiamata “guerra d’inverno” i finlandesi
resistettero, mettendo a nudo l’impreparazione dell’Armata rossa che ancora
non si era ripresa. Nel marzo 1940 ci fu un accordo: Finlandia cedette all’Urss
l’istmo di Carelia e la Carelia orientale, due territori strategici per la difesa di
Leningrado, ma mantenne la propria indipendenza. A giugno i sovietici
conquistarono Estonia, Lettonia e Lituania.
GUERRA STRAMBA
Fino al maggio 1940 questa prima fase di conflitto venne chiamata guerra
stramba ovvero guerra finta poiché le armi tacevano. Governi francesi e
inglesi aspettarono eventi, ritenevano che sul fronte occidentale si sarebbe ripetuta
la situazione del 14-18 ovvero la guerra di logoramento perché assumevano
un atteggiamento attendista. Quindi non approfittarono dell’impegno tedesco in
Polonia per sferrare un attacco alla Germania. Tra loro il generale Charles De
Gaulle, negli anni Trenta si era imbattuto invano per aumentare il numero e
l’efficienza delle unità corazzate francesi.

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ATTACCO TEDESCO A NORD E LA CAMPAGNA DI FRANCIA
Nell’aprile 1940 la guerra raggiunse il nord Europa. Il 10 giugno, i norvegesi
capitolarono. A Oslo fu insediato un governo filonazista, guidato da Vidkun
Quisling. Il 10 maggio 1940 scattò l’attacco: tedeschi occuparono i Paesi
Bassi, il Belgio e il Lussemburgo. Si ricorse anche a bombardamenti su
insediamenti finalizzati a terrorizzare la popolazione, quello che rase al suolo
la città olandese di Rotterdam. In maggio sia Belgio che i Paesi Bassi capitolarono.
I tedeschi si poterono concentrare sulla campagna di Francia, la strategia era
basata su due punti: la penetrazione nel territorio francese attraverso la foresta
delle Ardenne; la virata verso la Manica; in questo modo la Francia si ritrovava
chiusa in una sacca con i nemici ovunque.
LA CADUTA DELLA FRANCIA
I francesi capendo il disastro, sostituirono il capo di Stato maggiore dell’esercito
ma ormai era tardi. Hitler che pensava di poter fare accordi con gli inglesi, ordinò
ai comandi di fermare le truppe. Questo permise agli inglesi di organizzare una
colossale operazione di salvataggio, grazie alla quale 300 000 soldati furono portati
al sicuro in Inghilterra (29 maggio-4 giugno 1940). I tedeschi intanto il 14
giugno entrarono a Parigi. Il 18 giugno De Gaulle lanciò dai microfoni di Radio
Londra le dimissioni del primo ministro Reynaud. Subentrò l’anziano Pétrain
esponente della destra nazionalista, che chiese l’armistizio. La capitolazione della
Francia fu firmata il 22 giugno 1940 a Rethondes. La Francia fu divisa in due
parti: quella centro-settentrionale fu posta sotto il controllo diretto dell’esercito
tedesco, al governo francese che spostò la sua sede a Vichy, in Alvernia
restarono l’amministrazione della sola parte meridionale e la sovranità delle colonie.
Alsazia e Lorena furono annesse al Terzo Reich.
LA FRANCIA DI VICHY E IL COLLABORAZIONISMO
Il regime di Pétain segnò la fine della Terza repubblica, nata nel 1871 e la fine
della democrazia con una nuova Costituzione. Quello di Pétain fu un governo
fascista, caratterizzato da sentimenti antidemocratici, reazionari e
antisemiti; collaborò anche con SS nella lotta antisemita. Presto Pétain perse
il controllo del governo che passò sotto dominio tedesco, ma riuscì a resistere
alla richiesta di Hitler di entrare in guerra a fianco della Germania.
L’ITALIA ENTRA IN GUERRA E LA GUERRA “PARALLELA”
L’Italia inizialmente scelse la linea della “non belligeranza”, nonostante avesse
riconfermato l’alleanza non scese in campo Soprattutto a causa dell’impreparazione
dell’esercito, dopo l’Etiopia. Quando si profilò il crollo della Francia, L’Italia fiduciosa
in una vittoria imminente che le avrebbe garantito conquiste territoriali, scese in
guerra il 10 giugno 1940. Nonostante fosse una scelta impopolare, il 10 giugno
1940 Mussolini dal balcone di Piazza Venezia annunciò che l’Italia aveva
dichiarato guerra alla Francia e al Regno Unito. Mussolini inoltre dichiarò che

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la guerra sarebbe stata “parallela” a quella tedesca: rivendicando la supremazia
italiana sul Mediterraneo, con la conquista della Grecia e di una parte dei Balcani e
l’allargamento dell’Impero. Tuttavia l’esercito italiano subì gravi sconfitte in
Egitto e in Somalia britannica, a causa della controffensiva inglese. Finì così il
dominio imperiale fascista, durato appena cinque anni. Mussolini fu costretto a
chiedere aiuto ai tedeschi, grazie al quale riuscì a respingere le truppe inglesi.
LA BATTAGLIA D’INGHILTERRA
In Inghilterra Chamberlain fu sostituito da Wilson Churchill che abbandonò la
politica dell’appeasement, decidendosi ad attaccare la Germania nazista. Per
piegare il Regno Unito Hitler lanciò nel 1942 un’offensiva aerea che venne
intensificata dall’attacco della Royal Air Force a Berlino. Furono i tedeschi a
inaugurare i bombardamenti su civili durante la Guerra civile Spagnola; essi
rivoluzionarono le strategie di guerra e la percezione dei civili. L’obiettivo era sia
colpire installazioni industriali e militari, sia demoralizzare gli avversari. I
tedeschi distrussero la città di Coventry e bombardarono Londra diverse
volte; i britannici reagirono potenziando postazioni di avvistamento e di difesa,
facendo evacuare bimbi e vecchi nelle campagne, intensificando produzione di
apparecchi. La battaglia di Inghilterra terminò a fine maggio 1941, quando la
Germania passò alla guerra sottomarina per bloccare rifornimenti a Uk (fino al
1941 la Uk ha tenuto testa ai tedeschi).
LA CAMPAGNA DI GRECIA E LA GUERRA NEI BALCANI E LA FINE DELLA
“GUERRA PARALLELA”
Il capitolo più umiliante per Mussolini fu il disastro della campagna in Grecia.
Spaventato dall’espansione tedesca nei Balcani, cercò di creare un’area di influenza
italiana: dall’Albania invase a nord Montenegro e a sud la Grecia, dove
incontrò resistenza favorita dall’aiuto inglese. A quel punto dovette chiedere
intervento tedesco per ottenere il controllo del territorio. Nel maggio 1941 Hitler
assieme a italiani, bulgari rumeni e ungheresi, conquistò la Jugoslavia e la
Grecia. Quest’ultima passò sotto amministrazione italo-tedesca. La Jugoslavia
venne divisa, eccetto la Croazia che diventò Stato filonazista con Pavelic. Questo
avviò una pulizia etnica contro serbi, musulmani e ebrei, a cui si opposero forze di
resistenza con i nazionalisti serbi, i cetnici, i comunisti di Tito. Il fallimento della
“guerra parallela” mise a nudo le fragilità dell’Italia fascista che non era affatto
grande potenza. Mussolini aveva perso qualsiasi autonomia e dipendeva
dalle scelte di Hitler.
L’OPERAZIONE BARBAROSSA
A metà del 1941 le forze naziste (al contrario delle italiane) erano euforiche e
dopo la conquista della Polonia, la sconfitta della Francia, l’allineamento della
Romania, Ungheria Bulgaria, l’occupazione dei Balcani e l’isolamento inglese,
rimaneva solo la Russia da sconfiggere. L’attacco tedesco contro i sovietici,
“l’operazione barbarossa” scattò il 22 giugno 1941: le armate tedesche
penetrarono profondamente nel territorio russo, con tattica della guerra di
movimento. Dalla Polonia attaccarono la Russia su tre direttrici: nord verso

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Leningrado, al centro verso Mosca, a sud verso la bassa Ucraina e Stalingrado. La
guerra si trasformò da “guerra lampo” a guerra di logoramento. Stalin prese la
guida dalle operazioni di difesa appellandosi al movimento partigiano e Hitler
rispose con una serie di stragi indiscriminate di civili. Ma le truppe tedesche, ormai
alle porte di Mosca, dovettero fermarsi al rigido inverno russo; i russi approfittarono
per lanciare controffensiva, allontanando gli avversari. Hitler mancò l’obiettivo e
la Germania passò in svantaggio. Ad aggravare la situazione fu la tattica della “terra
bruciata” adottata dai russi: la distruzione delle infrastrutture civili. L’Urss si riprese:
gran parte degli impianti industriali vennero trasferiti oltre gli Urali e subentrarono
forze fresche, oltre che armamenti più efficienti come il carro armato.
DA GUERRA EUROPEA A CONFLITTO MONDIALE
Roosevelt aveva preso posizione contro la Germania, revocando la legge che
imponeva al suo Paese la neutralità e dichiarato di voler fare degli Stati Uniti
l’arsenale della democrazia. Nel marzo 1941 il Land-Lease act (legge affitti e
prestiti) autorizzò il governo a prestare o vendere forniture belliche al Regno
Unito e all’Unione Sovietica senza prendere subito il pagamento ma
rimandando a dopo il conflitto. Il 14 agosto 1941 Roosevelt scrisse insieme
a Churchill la Carta atlantica che conteneva la condanna delle dittature fasciste
e annunciava i principi liberal-democratici. Essi dovevano regolare le relazioni
internazionali; rinunciare ai guadagni territoriali per i vincitori; diritto dei popoli
all’autodeterminazione; cooperazione internazionale; libertà dei mari e dei
commerci; rinuncia all’uso della forza per la soluzione delle controversie. Il 7
dicembre 1941 350 aerei e alcuni sommergibili giapponesi attaccarono la base
americana di Harbor nelle isole Hawaii uccidendo 2400 soldati. Il giorno dopo Stati
Uniti e Regno Unito dichiararono guerra al Giappone. I due schieramenti erano
completi: da una parte le forze dell’Asse (Germania, Italia, Giappone) e
dall’altra l’alleanza antifascista (Regno Unito, Usa, Urss, altri 23 Stati che il
1 gennaio 1942 con il Patto di Washington si impegnavano a non firmare
alcuna pace col nemico comune).
AVANZATA GIAPPONESE NEL PACIFICO E NEL SUD-EST ASIATICO
Lo scopo del Giappone era mandare un colpo agli Stati Uniti così che loro non
potessero reagire subito, per guadagnare tempo. La forza industriale e militare degli
Stati Uniti fu sottovalutata anche dalla Germania e Italia che dichiararono guerra
agli Usa (11 dicembre 1941). I giapponesi avevano occupato l’Indocina francese.
L’intervento giapponese aiutò la Germania perché costrinse gli inglesi a distogliere
una parte delle proprie truppe dal fronte mediterraneo per inviarle in Asia.
L’avanzata giapponese nel Sud-est asiatico doveva servire per estendere il
territorio dell’Impero del Giappone che comprendeva già Corea, Manciuria e
tutte le regioni costiere della Cina, inoltre doveva assicurare le materie prime
per sviluppare l’attività industriale. Fu accompagnata da una campagna
propagandistica, rivola a movimenti di liberazione nazionale dei Paesi invasi
che presentavano l’iniziativa contro il colonialismo europeo. L’occupazione
nipponica del Sud-est asiatico fu caratterizzata dallo sfruttamento feroce delle
popolazioni locali, sul modello di quanto già avvenuto in Cina negli anni Trenta.

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MOBILITAZIONE STATUNITENSE E LE BATTAGLIE DEL PACIFICO
Negli Stati Uniti l’attacco giapponese scatenò indignazione. Roosevelt disse che il
7 dicembre 1941 sarebbe passato come il giorno dell’infamia. L’America si
cominciò a mobilitare alla guerra con carri armati e aeroplani. Riuscirono grazie
alla mobilitazione di uomini e mezzi, a fermare l’avanzata giapponese con le
battaglie del Mar dei Coralli e delle Midway, utilizzando una controffensiva che ebbe
inizio con lo sbarco dei marines sull’isola di Guadalcanal, che si concluse con la
vittoria degli Usa. Gli statunitensi salirono verso nord-ovest ottenendo controllo
del Pacifico occidentale.
LA SVOLTA STALINGRADO/ALAIMEIN
Nel corso del 1942 la supremazia delle forze dell’Asse era al suo culmine: a
occidente la Germania e alleati controllavano quasi tutta l’Europa continentale.
Contava poi, sulla collaborazione di Stati neutrali come Turchia e Spagna; mentre
sotto profilo commerciale della Svezia.
A cavallo fra il 1942 e 1943 però ci fu la svolta, grazie alla ripresa dell’Urss
e agli aiuti forniti da Usa. Gli alleati presero definitivamente l’iniziativa militare
con le grandi vittorie di Stalingrado e El Alamein. A Stalingrado avvenne la prima
grande sconfitta militare della Germania nazista nel febbraio 1943, che permise
l’inizio dell’avanzata dei sovietici; che li avrebbe portati a Berlino due anni dopo.
Le forze dell’Asse subirono anche una bruciante sconfitta in America settentrionale,
nella battaglia di El Alamein in Egitto. Gli americani sbarcarono anche in
Marocco e Algeria costringendo le truppe italo-tedesche a capitolare; temendo la
penetrazione anche in Francia i tedeschi occuparono a sud la Repubblica di Vichy.
Nel 1943 la situazione a favore dell’Asse dunque si rovesciò: nel Mediterraneo gli
Alleati incalzavano eserciti italo-tedeschi attraverso colonie africane, mentre a est i
sovietici poterono spostare il fronte fuori dai confini nazionali. Nel gennaio 1943
Churchill e Roosevelt si incontrarono a Casablanca e il presidente americano
decise di impegnare gran parte delle forze contro la Germania, piuttosto che
nel Pacifico, con bombardamenti e lo sbarco in Italia. L’Urss sollecitava
l’apertura di un secondo fronte per proseguire la guerra, che stava
proseguendo da sola.
LO SBARCO ALLEATO IN SICILIA
Il 10 luglio 1943 gli anglo-americani sbarcarono in Sicilia con la più grande azione
aeronavale: l’operazione Husky. Nel giro di poco più di un mese conquistarono
tutta l’isola. Molti paesi accolsero i soldati nemici come liberatori, piuttosto che
come invasori. La prospettiva dello sbarco nella penisola e la perdita della Sicilia
misero definitivamente in crisi il regime fascista.
LA CADUTA DEL FASCISMO E LA DIVISIONE DELL’ITALIA
L’Italia attaccata e sconfitta dall’esercito in Grecia, Africa e Russa cadde in
un’inflazione, facendo fiorire la borsa nera, ovvero il mercato clandestino dei beni
di prima necessità. Gli intensi bombardamenti anglo-americani causavano sempre

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di più vittime e il malcontento cresceva. La gente iniziò a fischiare i cinegiornali
dell’Istituto Luce che esaltavano vittorie inesistenti e propagandavano la vittoria
finale. All’interno dello stesso Partito tutti pensavano che Mussolini fosse il
responsabile della disfatta imminente. Guardavano Vittorio Emanuele III come
l’unica figura in grado di portare l’Italia fuori la guerra. Tre autorevoli fascisti
uscirono contro il duce: Dino Grandi, Giuseppe Bottai, Galeazzo Ciano. Nella
notte del 24-25 luglio 1943 il Gran consiglio del fascismo rappresentato da Dino
Grandi decise che si ridimensionava il peso di Mussolini e che il potere della guerra
si attribuiva al re. Mussolini venne arrestato e dimesso il pomeriggio del 25 luglio.
Alcuni fascisti finirono agli arresti, il Partito nazionale fascista venne sciolto.
GOVERNO DEI 45 GIORNI
Il governo di Badoglio e la caduta di Mussolini è noto come governo dei 45 giorni.
La fine del fascismo fu una gioia popolare, in tutte le città furono distrutti i simboli.
Il regime sembrava essere svanito nel nulla. Le forze antifasciste iniziarono a
riorganizzarsi, i prigionieri politici furono liberati dalle carceri. Badoglio ribadì però
che la guerra non era finita e che avviava delle trattative segrete con gli anglo-
americani per giungere ad un armistizio. Hitler intuì questo e per dare sostegno
mandò delle truppe tedesche in Italia (operazione Alarico).
8 SETTEMBRE ITALIA DIVISA IN DUE
L’armistizio fu firmato il 3 settembre 1943 a Cassabile in Sicilia, ma annunciato
in radio solo l’8 settembre. L’Italia usciva dalla guerra, rompendo l’alleanza con la
Germania. Italia nel caos, Badoglio e il re fuggirono a Brindisi, occupata dagli Alleati.
L’Italia fu divisa in due: gli anglo-americani sbarcati a Salerno e Taranto
controllavano la parte meridionale della penisola. Il resto del territorio era in mano
ai tedeschi sulla linea Gustav. Le truppe italiane lasciate a loro stesse. La
Wehrmacht catturò 600.000 soldati e li deportò nei campi di concentramento in
Germania. Il grosso della flotta italiana invece, fece rotta verso Malta dove si
consegnò agli inglesi. Ci furono tentativi di resistenza. Un episodio tragico nelle isole
greche di italiani che non vollero arrendersi ai tedeschi si manifestò con un attacco
via terra con bombardamenti e furono trucidati dopo aver disposto le armi (14-28
settembre 1943).
LIBERAZIONE MUSSOLINI E LA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA
Il 12 settembre 1943 dei paracadutisti italiani liberarono Mussolini e lo
portarono in Germania. Il 23 settembre Mussolini annunciò la costituzione della
Repubblica sociale italiana (Rsi) con sede a Salò sul lago di Garda. Si trattava di
uno strumento passivo delle forze di occupazione tedesche. Gli aderenti al Rsi si
chiamavano repubblichini dagli antifascisti. Il rinato Partito fascisti con l’aggettivo
repubblicano, con Alessandro Pavolini come segretario diede vita alle formazioni
armate, le Brigate nere. Nella Repubblica di Salò operarono milizie come la
famigerata Decima Mas (unità della marina italiana specializzata in missioni di
siluramento, significa “motobarca armata Svan). I gerarchi furono condannati a

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morte. I tedeschi diffidavano degli alleati di Salò. Le forze armate della Repubblica
sociale comandate da Graziani, furono inviate per la lotta ai partigiani.
LA SVOLTA DI SALERNO
Nell’Italia liberata, il Regno del Sud, il governo Badoglio, che il 13 settembre 1943
dichiarò guerra alla Germania , esercitava sovranità limitata. Il 9 settembre
1943 si costituì il Comitato di liberazione nazionale (Cln), composto da forze
antifasciste. Inizialmente il Cln si oppose al governo Badoglio e al re, ritenendoli
complici del fascismo, ma Palmiro Togliatti, segretario del Pci, tornato da Mosca nel
marzo 1944, in un discorso, noto come “la svolta di Salerno”, sostenne la
necessità di cessare avversità verso Badoglio e il re, in nome di uno scopo
comune: liberare il paese. Si formò il secondo governo Badoglio, detto governo
di unità nazionale, composto dai rappresentati dei partiti del Cln.
ULTIMO FRONTE DI GUERRA IN ITALIA
Nel gennaio 1944 gli americani sbarcarono ad Anzio, a sud di Roma, ma
l’operazione non fu decisiva. Solo in maggio, dopo scontri e bombardamenti, gli
Alleati riuscirono a forzare la linea Gustav, avanzando e liberando l’Italia centrale: il
4 giugno Roma fu liberata. 8 giorni dopo Badoglio si dimise. Nacque un secondo
governo di unità nazionale, guidato da Bonomi. Vittorio Emanuele III nominò il
figlio Umberto luogotente generale del Regno, ovvero assunse le funzioni del Capo
di Stato. Nell’estate del 1944 l’avanzata alleata portò a liberazione dell’Italia
centrale, ma nell’autunno 1944 l’avanzata si fermò su una nuova linea di
difesa tedesca: la linea Gotica, sull’Appennino tosco- emiliano, al nord della quale
di concentrò la Resistenza dei partigiani. L’Italia settentrionale visse l’ultimo
inverno sotto occupazione tedesca e dittatura fascista, in quanto le truppe
anglo- americane avevano deciso di aprire nuovo fronte in Francia.
RESISTENZA IN ITALIA
La Resistenza italiana si inserisce nel contesto della Seconda Guerra Mondiale. Il suo
inizio coincide con l’Armistizio dell’8 settembre 1943, mentre il termine
coincide con la data della liberazione, il 25 aprile 1943. Il primo segno di
resistenza di ebbe l’8 settembre quando militari e civili cercarono di fermare
l’occupazione tedesca.
Claudio Pavone individua tre elementi che caratterizzano il fenomeno: si tratta di
una guerra di liberazione nazionale e di resistenza allo straniero (richiamo al
risorgimento); è stata una guerra di classe, in quanto i resistenti più attivi facevano
riferimento alle sinistre italiane, e perché la vera protagonista fu la classe operaia:
oltre a voler scacciare lo straniero si voleva fare la rivoluzione con l’intento di non
ripristinare il vecchio regime; infine è stata una guerra civile, combattuta fra
italiani contro la Repubblica Sociale italiana. Questa rappresenta un problema per
gli storici che non hanno voluto definirla tale, perché avrebbe voluto dire
legittimarla. Tuttavia la dimensione della guerra civile propone l’imperativo
categorico di cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, dotando il fenomeno di una forte
moralità.

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NASCITA DEL MOVIMENTO PARTIGIANO IN ITALIA
Mentre si costituiva la Rsi, nell’Italia del Nord nacquero le formazioni partigiane,
spesso poco armate, ma protette dalla popolazione. Le formazioni partigiane
s’infoltirono e assunsero una struttura precisa. Fra di loro vi erano molti giovani:
vecchia e nuova generazione antifascista si erano riunite. Anche le donne diedero
loro apporto: messaggi, assistenza, protesta, armi.
I quartieri generali dei partigiani si trovavano in covi di montagna; nelle città erano
ridotti alla clandestinità e operavano tramite piccole cellule di azione: Gruppi di
azione patriottica (Gap) e Squadre di azione patriottica (Sap), composti
prevalentemente da comunisti. L’attentato più clamoroso dei Gap fu quello del 23
marzo 1944 in Via Rasella, in cui uscissero una trentina di soldati tedeschi e a cui
le SS risposero con la strage delle fosse Ardeatine lo tesso giorno.
PRINCIPALI FORMAZIONI PARTIGIANE E LA LORO COLLOCAZIONE POLITICA
Quasi la metà era di orientamento comunista (brigate Garibaldi), per il quale la
lotta antifascista rappresentava il preludio a un mutamento radicale della società a
favore delle classi subalterne. La seconda componente, per importanza, era quella
delle brigate di giustizia e libertà, legate al partito d’azione che si prospettava
un trasformazione sociale in senso democratico. Altri gruppi furono di matrice
socialista (brigate Matteotti), cattolica, monarchica; nonché formazioni
autonome, apolitiche, guidate da ex ufficiali. Il referente politico dei
movimenti partigiani era il Comitato di liberazione nazionale (Cln). Molti
partigiani venivano da ceti popolari e subalterni e vedevano l’URSS come
modello.
L’Italia, dunque, fra il 1943 e il 1945, fu teatro di una guerra civile fra seguaci del
fascismo e italiani della Resistenza, dove erano vive le aspettative rivoluzioni.
SUCCESSI DEI GRUPPI PARTIGIANI E LE RAPPRESAGLIE CONTRO I CIVILI
Nel 1944 il movimento partigiano si irrobustì e liberano importanti città come
Firenze. La Resistenza è il mito fondatore dell’Italia repubblicana, assieme
all’antifascismo: la Repubblica deve la sua costituzione alla resistenza.
Tuttavia, nonostante ve ne sia il mito, riguardo al fenomeno vi è una mancanza di
spirito critico. Va infatti detto che si è trattato di un fenomeno di minoranza: il
suo apice fu il 25 aprile quando contava 250.000 militanti, non tutti armati. Anche
se il contributo non fu decisivo, divenne una spina nel fianco per i tedeschi,
favorendo l’avanzata degli Alleati. In alcune zone periferiche, come il Friuli, la
scarsa presenza o la fuga dei nazifascisti portò alla nascita di “repubbliche
partigiane” che miravano a istituire governi democratici e popolari.
I nazifascisti repressero la Resistenza con rappresaglie feroci; si scagliarono anche
sui civili, che reputavano responsabili della presenza dei partigiani. Interi villaggi
furono massacrati: Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Le stragi seguivano
strategia: spaventare partigiani e provocare l’odio dei civili nei loro
confronti.
LA RESISTENZA IN EUROPA

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La Resistenza al nazifascismo ebbe una dimensione europea e assunse forme
diverse nei vari Paesi. In alcuni paesi ci si limitò al sabotaggio, agli attentati e
alla stampa clandestina; in altri ci furono vere formazioni combattenti. In
Francia De Gaulle, con il Comitato dei francesi liberi, operò nelle forze militari
alleate in funzione antifascista. In URSS la Resistenza ebbe un carattere di
massa e coinvolse sia civili che soldati, in sintonia con l’Armata Rossa. In Ucraina e
Bielorussia ci furono formazioni partigiane antisovietiche di orientamento
nazionalista. L’esercito partigiano di maggior successo fu quello jugoslavo che liberò
vaste regioni del Paese. In questo ultimo esempio vi furono contrasti interni: i
partigiani di Tito volevano Repubblica socialista federale, mentre i nazionalisti,
monarchi e anticomunisti volevano rifondare Regno iugoslavo egemonizzato dai
Serb. In Grecia il conflitto fra partigiani comunisti, legati all’URSS, e partigiani
liberali monarchici, diede inizio a una Guerra civile che durò dal 1944 al 1949.
COLLABORAZIONISMO E PERSECUZIONE DEI CIVILI
Ai movimenti di Resistenza si contrapposero coloro che combatterono al fianco
delle forze dell’Asse: i collaborazionisti. Esempi furono: Francia di Pètain,
Quisling in Norvegia e la Repubblica di Salò di Mussolini . Anche le masse
furono collaborazioniste. Le motivazioni erano diverse: l’adesione all’ideologia
della Grande Germania, l’anticomunismo, l’antisemitismo, l’opportunismo
e la paura. Ovunque i nazisti reagirono con brutalità, anche verso i civili,
considerati responsabili della presenza partigiana.
DALLO SBARCO IN NORMANDIA ALLA BOMBA ATOMICA
Nel giugno 1944 gli Alleati sferrarono colpo decisivo al Terzo Reich, sbarcando in
Normandia e penetrando in Francia. L’ultima fase dello scontro fu condizionata
dalla volontà di Usa e URSS di sfruttate la vittoria per ridisegnare l’ordine
geopolitico internazionale.
SBARCO IN NORMADIA E LIBERAZIONE FRANCIA
Alla fine del 1943, nella Conferenza di Teheran, Churchill Roosevelt e Stalin
decisero di aprire un secondo fronte in Francia e, dunque, di accerchiare la
Germania, di cui decisero i confini.
Nel 1944 Usa e Uk accerchiavano da sud tramite Italia, da ovest dalla Francia e i
Russi sul fronte orientale.
Il 6 giugno 1944, il D-Day, sul fronte occidentale gli Alleati sbarcarono in
Normandia. Oltre ad essere stata la più grande operazione aeronavale della storia,
fu un evento di propaganda: lo sbarco venne trasmesso dagli americani grazie ad
una forte copertura mediatica che, da fatto, lo rese evento. Gli Usa stavano già
lavorando sulla costruzione di un immaginario.
GERMANIA ACCERCHIATA
In agosto gli Alleati sbarcarono in Provenza e la Germania era ormai accerchiata e
Hitler, scappato ad un attentato da parte da un gruppo di alti ufficiali nazisti, giocò
senza successo le sue ultime carte: l’offensiva di Ardenne, una a Budapest e gli

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attacchi dei missili sull’Inghilterra. I nazisti tentano anche, inutilmente, di giungere a
una pace separata con gli anglo-americani in funzione antisovietica.
Nonostante l’imminente disfatta, ci vollero ancora undici mesi perché Germania e
Giappone capitolassero. Furono i mesi più cruenti; Hitler ordinò resistenza ,
arruolando ogni maschio dai 6 ai 60 anni, con scarsi risultati.
CONFERENZA DI JALTA
Nel frattempo, tra il 4 e l’11 febbraio 1945, a Jalta, in Crimea, Stalin Roosevelt e
Churchill si riunirono per discutere l’assetto postbellico dell’Europa. I tre
stabilirono la dizione della Germania in 4 zone di occupazione (Uk, Usa, URSS,
Francia) e ne fissarono i confini sul fiume Oder, estendendo Polonia. Inoltre si decise
la divisione dell’Europa in due aree d’influenza: una anglo-americana e una
sovietica; il nuovo ordine geopolitico, definitivo “ordine di Jalta”, durò fino al 1989
e corrispondeva, di fatto, alla posizione raggiunta dai rispettivi eserciti. La Grecia
finì sotto l’influenza inglese e la Jugoslavia dimostrò, grazie ai partigiani di Tito, di
potersi controllare da sola.
RESA DELLA GERMANIA E LA FINE DI HITLER
Hitler proclamò la guerra totale arruolando la “milizia popolare”, in più ordinò la
distruzione delle fabbriche, delle infrastrutture e città in caso di
occupazione. Tra febbraio e aprile l’esercito crollò su tutti i fronti e molte città
tedesca furono colpite da bombardamenti a tappeto. Molti tedeschi cominciarono un
esodo verso ovest. Il 13 aprile Vienna crollò e l’ultima grande battaglia sul fronte
europeo fu quella per Berlino, che fu conquistata a caro prezzo dai soldati sovietici;
questi trovarono meno resistenza rispetto ai soldati anglo-americani e riuscirono a
liberare Auschwitz. Il 30 aprile 1945 Hitler si tolse la vita e il 2 maggio il
Partito nazista venne sciolto.
Il nuovo governo ad interim, ovvero provvisorio, firmò la resa incondizionata il 7
maggio e due giorni dopo le armi tacquero.
FINE DELLA GUERRA E BOMBA ATOMICA
L’8 maggio con l’occupazione della Germania nazista finì la guerra.
Tuttavia, mentre il conflitto si era concluso in Europa, le ostilità continuarono in
Oriente, dove le forze statunitensi avanzavano nel Pacifico, dove avevano già
conquistato Nuova Guinea, isole Gilbert e Marshall e le Filippine. Gli americani
ebbero la meglio sulla resistenza giapponese e conquistarono le isole di Iwo e
Okinawa, fra febbraio e giugno; attorno all’evento vi fu intensa campagna
propagandistica. Il Giappone subì bombardamenti a tappeto ma non si arrese: vi
furono continui attacchi dei kamikaze contro le navi americane.
Il nuovo presidente degli Usa, Harry Truman, decise di lanciare un attacco
atomico sul Giappone sulle città di Hiroshima e Nagasaki , il 6 e 9 agosto
1945. L’attacco fu rivolto verso i civili e voleva produrre maggior danno possibile
per piegare resistenza e convincere Giappone alla resa. Infatti il Giappone firmò la
resa il 2 settembre 1945. La Seconda guerra mondiale era finita. L’umanità
entrava in una nuova epoca: l’era atomica.

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I fisici che lavorarono al progetto atomico, “Progetto Manhattan”, iniziato nel
1942, di cui primo fu Robert Oppenheimer, ebbero poi forte crisi di coscienza e si
rifiutarono di collaborare alla creazione di ordigni più distruttivi. Anche lo scienziato
italiano Enrico Fermi vi partecipò; il progetto fu portato a compimento nei
laboratori dei deserti del New Mexico, a Los Alamos.
LA SHOAH
Il genocidio degli ebrei non è stato il solo della storia. Basti pensare ai nativi
americani; in quel caso, però, gran parte del numero di morti fu imputato alle
malattie e le uccisioni non rientrarono mai in un programma così organizzato e
scientifico, come quello nazista. Lo strumento fu il “campo di concentramento”,
noto come Lager. Le sue funzioni erano segregare i dissidenti (ebrei, testimoni
di Geova), chiunque fosse ritenuto pericoloso e i deviati (prostitute, omosessuali,
rom, etc); rinchiudere i prigionieri di guerra e disporre lavoratore-schiavo per
industrie tedesche. Se ne distinguono almeno
cinque tipi: “di lavoro”, in cui il fine non era l’annientamento; “di detenzione” per
prigionieri di guerra; “di concentramento” per gli ebrei prima del campo di
sterminio; “di transito”; “di sterminio”.
I lager nazisti costituiscono la pagina più atroce del Novecento. L’organizzazione su
scala industriale dello sterminio e la volontà di annientare un intero gruppo
etnico rendono il genocidio unico nella storia, frutto di un’ideologia che traeva
alimento dall’odio, dalla povertà delle masse, dall’invidia per il presunto
successo sociale del popolo ebraico.
Lo sterminio è detto Olocausto, che deriva dal greco “bruciato per intero”, o
Shoah, un parola ebraica che ricorre nella Bibbia come “sciagura”,
“devastazione”. Il genocidio fu l’esito estremo di un antisemitismo dalla radici
antiche, su cui si innestarono aberranti distorsioni del darwinismo, già a cavallo fra i
due secoli, e che trovò sfogo nel sentimento di umiliazione e rancore dei
tedeschi per la sconfitta subita nella Prima guerra mondiale, attribuita al nemico
interno.
Lo scopo di Hitler era edificare una società omogenea dal punto di vista
razziale. “La politica della razza” si tradusse presto in una vera e propria
persecuzione. Il primo gesto fu “la giornata del boicottaggio”, poi le Leggi
antisemite, Leggi di Norimberga 15 settembre 1935. L’odio popolare
dilagò nella “notte dei cristalli”. La guerra liberò i nazisti da ogni remora e
l’egemonia sul continente europeo li mise in condizione di porsi il “problema
ebraico” a livello continentale. Attraverso una serie di tappe, fu definito il piano di
sterminio. Questo genocidio venne compiuto tramite tre modalità: esecuzioni di
massa, deportazioni, camere a gas.
La prima tappa verso il genocidio fu l’operazione T4: l’eliminazione di minorati
fisici e psichici tedeschi e austriaci. Le critiche della chiesa cattolica e luterana e di
parte della popolazione civile riuscirono a interrompere questo programma.

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Non arrivarono invece le critiche sulla persecuzione degli ebrei, che con
l’occupazione della Polonia e l’attacco all’URSS subirono grandi deportazioni di
massa. In Polonia, che contava una consistente popolazione ebraica, gli ebrei
vennero rinchiusi in grandi ghetti dopo le loro condizioni di vita diventarono
intollerabili. In URSS, invece, dove erano presenti circa 5 milioni di ebrei, le unità
speciali delle SS, oltre alle truppe tedesche, iniziarono a sperimentare metodi più
efficienti per le uccisioni di massa, come le fosse.
Nel 1941 fu aperto il primo campo di sterminio in Polonia, dove gli ebrei
venivano uccidi con il monossido di carbonio. Diventava operativa la cosiddetta
“soluzione finale” ratificata a Wannsee: lo sterminio di milioni di ebrei. Ancora oggi
gli storici discutano su quale sia stato il momento in cui fu presa la decisione di
annientare tutti gli ebrei d’Europa. Nella Conferenza di Wannsee, il 20 gennaio
1942, l’ordine era già stato impartito.
All’inizio i massacri riguardarono la popolazione ebraica delle zone orientali, poi si
estero in Europa occidentale e centrale. Entro l’estate del 1942 il meccanismo di
sterminio era operante in tutta Europa.
Tra la fine del 1942 e l’inizio del 1943 si affacciò la prospettiva di una sconfitta
della Germania. Ma questo fatto spinse i nazisti ad accelerare lo sterminio con
maggiore determinazione. Nel 1943 vennero uccisi gli ultimi sopravvissuti dei
ghetti polacchi. Mentre gli ebrei di Varsavia si ribellarono.
Nel pieno della controffensiva sovietica le strutture dei Lager iniziarono a essere
demolite, per cercare di nascondere la realtà. Nell’autunno 1944 Himmler ordinò
di interrompere le stragi, di distruggere le restanti camere a gas e
smantellare i forni crematori; decine di migliaia di prigionieri furono costretti alle
“marce della morte”: trasferimenti a piedi durante i quali chi si fermava veniva
ucciso. Il tentativo di occultamento dei tedeschi non riuscì, se non in parte: le
atrocità commesse furono scoperte e fotografate dai soldati alleati che liberarono i
Lager. (fotografo di Mauchausen)
Molti conoscevano la sorte degli ebrei nei campi di sterminio: non solo le SS che
dirigevano i Lager, ma anche aziende tedesche che ne sfruttavano il lavoro forzato,
oltre a molti cittadini tedeschi e polacchi.
Migliaia di persone parteciparono allo sterminio negli Stati alleati alla Germania o
nei regimi collaborazionisti, compresa l’Italia.
I numeri dei morti sono impressionanti: 10 milioni complessivi, di cui 6 milioni
di ebrei; tra gli altri oppositori politici, rom, omosessuali, etc. All’arrivo dei treni i
deportati scendevano in un piazzale dove avveniva la “selezione”. Gli “abili”
sopravvivevano mentre gli altri venivano portati nelle camere a gas. I sopravvissuti
venivano marchiati sull’avambraccio e avviati al lavoro forzato. I nazisti decisero
di nascondere il genocidio e tentarono di distruggere tutte le tracce materiali,
nonché documenti che riguardavano “la soluzione finale”.
In Italia, inizialmente, nonostante la promulgazione delle leggi antisemite, gli ebrei
non vennero deportati nel Lager. Ma con l’occupazione tedesca dell’Italia centro

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settentrionale, nel settembre 1943, e con la proclamazione della Repubblica
sociale, la popolazione ebraica subì rastrellamenti anche nel nostro Paese.
Fra il 1943 e il 1944 la caccia agli ebrei fu portata avanti da nazisti e milizie
armate di Mussolini. Nel ghetto di Roma, dove viveva la più antica comunità
ebraica italiana, avvennero rastrellamenti e deportazioni.
A destare polemiche fu l’atteggiamento di papa Pio XII, accusato di aver fatto
davvero poco per difendere la popolazione ebraica di Roma.
Al termine della guerra si pose il problema di giudicare i crimini del regime nazista.
Nel novembre 1945 a Norimberga si tenne un processo contro i principali
criminali di guerra nazista. Venne introdotta, accanto ai tre capi d’accusa
tradizionali (complotto, crimini contro la pace e crimini di guerra), l’accusa di
crimini contro l’umanità e venne giudicata la responsabilità individuale degli
imputati. Gli Alleati processarono nazisti anche nei mesi precedenti, ma molti
riuscirono a sfuggire alla giustizia e diversi condannati uscirono di prigione dopo
pochi anni. A questi casi, nello specifico a quello di Eichmann, si ispirò Hannah
Arendt nella “banalità del male”.
Il criminale nazista Adolf Eichmann viveva in Argentina sotto falso nome e nel
1960 venne processato per crimini contro l’umanità, condannato a morte e
impiccato. Eichmann non mostrò nessun rimorso per i crimini commessi e si
difese sostenendo di non essere stato altro che esecutore degli ordini che gli
venivano impartiti: era un puro ingranaggio della macchina dello Stato nazista. La
filosofia della Arendt vide in Eichmann la personificazione della “banalità del
male”: la prova della disumanizzazione raggiunta dalle società totalitarie, in cui le
questioni etiche fondamentali venivano silenziate in nome di una razionalità
tecnica cieca. Il processo di Eichmann, infatti, era un osservatorio per
approfondire il concetto di “crimine contro l’umanità”. La Arendt propose la
pena di morte per il criminale nazista, così da far garantire credibilità ad Israele.
Il caso di Eichmann, infatti, fu un punto di svolta perché favorì l’emergere
della memoria del genocidio, che fino ad allora non era stata al centro
della coscienza collettiva. Da quel momento la memoria dell’Olocausto
divenne l’elemento costituito di una nuova identità ebraica.
La memoria è sempre stata difficile e contrastata: sia per la riluttanza dei testimoni
a rievocare cosa avevano vissuto, sia per la difficoltà di chi raccontò a farsi
ascoltare. Negli ultimi decenni l’editoria, il cinema, la televisione e il teatro
hanno svolto un ruolo importante nel raccontare la Shoah, che
nell’immaginario collettivo ha assunto la sua consistenza. Ma l’oblio e
l’antisemitismo rimangono pericoli reali, testimoniati dalla diffusione di tesi
negazioniste e dal proliferare in Europa di gruppi di estrema destra di
stampo razzista e antisemita.
LEGGI RAZZIALI
Fino agli anni Trenta l’antisemitismo ha un ruolo marginale nella storia dell’Italia
unita: elaborazione di ristretti circoli intellettuali del mondo cattolico e nazionalista.
Anche nella prima fase del regime fascista gli ebrei hanno un ruolo di primo piano.

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Nella seconda metà degli anni Trenta la situazione cambia con l’incremento dei
segnali di un montante antisemitismo, sfocia nel 1938 in una politica
discriminatoria. Il 14 luglio 1938 si apre una violenta campagna stampa
antiebraica con la pubblicazione del “Manifesto degli scienziati razzisti” (il
vero titolo è Il fascismo e il problema della razza) in cui si afferma il concetto di
razza puramente biologico e che gli ebrei non appartengono alla razza italiana.
Nell’agosto 1938 esce il primo fascicolo della rivista “La difesa della razza” diretta
da Telosio Interlandi, una delle riviste più aggressive del razzismo fascista che
pubblica fino al 1943. Nel settembre 1938 il Consiglio dei ministri esamina e
approva i primi schemi dei provvedimenti legislativi per la campagna razzista
antiebraica e nei giorni successivi vengono firmati dal re e da Mussolini e
promulgati ufficialmente. Si tratta di: espulsione degli stranieri di razza ebraica e
provvedimenti sulla scuola. Il regime fascista decide di colpire per primi gli ebrei
stranieri che erano più facili da perseguire. Si giunge poi alla vera e propria
approvazione dei provvedimenti legislativi razzisti e antiebraici. Nelle
settimane successive applicate le disposizioni “arianizzanti” attraverso circolari
ministeriali. Ebrei italiani privati dal regime fascista dei diritti di cittadinanza e
obbligati a una segregazione razziale all’interno del loro Paese. Obiettivo è di
“arianizzare” le scuole e università italiane, vietare matrimoni, stabilire limitazioni
nella proprietà dei beni. Tutti i cittadini italiani di origine ebraica licenziati dagli enti
pubblici e espulsi dall’esercito. Alcuni di questi emigrano verso Stati Uniti, Sud
America e in Palestina, mentre altri decidono di convivere con questa
discriminazione.
EREDITA’ DELLA GUERRA
L’Europa uscì sconvolta dalla guerra: infrastrutture distrutte, disoccupazione, esodi
forzati, popoli alla fame. La Germania amministrata dalle potenze vincitrici era
distrutta, Regno Unito e Francia in grave difficoltà anche se avevano vinto la guerra,
Usa e Urss si dividevano in due zone di influenza inserendo i Paesi europei in
alleanze multilaterali, l’asse geopolitico dell’economia mondiale si spostò sul
Pacifico.
EUROPA ANNO ZERO E POPOLI IN MOVIMENTO CON NUOVI CONFINI
La Seconda guerra mondiale lasciò uno scenario desolato, con 56 milioni di morti
causati dal conflitto e più di due terzi erano cittadini europei. Solo la Cina e il
Giappone avevano subito perdite di grandezza paragonabile e gli Usa 325.000
soldati. Molte persone si ritrovarono senza lavoro e senza denaro in condizioni
sanitarie gravi. Si rappresentarono in molte aree regolamenti di conti, rappresaglie,
prevaricazioni. Era diffuso il desiderio di pace, tranquillità e onestà.
Lo storico Tony Judt alla fine della guerra aveva osservato le frontiere rispetto a
prima della guerra che cambiarono solo in una parte del continente, mentre a
spostarsi furono milioni di persone che nell’Europa centro-orientale dovettero
abbandonare le proprie case e mettersi in marcia verso nuove destinazioni. I motivi
furono tre: il primo, la guerra stessa; il secondo la ridefinizione dei confini a
est a guerra finita (Stalin d’accordo con Usa e Regno Unito permise che la Polonia
incorporasse la Danzica e altre regioni dell’ex Impero tedesco fino ai fiumi Oder e

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Neisse. In sospeso rimase la questione di chi dovesse governare la Polonia e di
quale sistema economico adottare; il terzo dal fatto che la politica razzista
portata avanti aveva compromesso la possibilità di una pacifica
convivenza tra i popoli. Circa 7 milioni di tedeschi dovettero lasciare la Polonia e
più di 2 milioni furono allontanati dai Sudeti. La comunità italiana in Istria e
Dalmazia era un altro caso analogo.
LA GERMANIA DISFATTA ALLA DIVISIONE
I confini tra Germania e Polonia furono stabiliti alla Conferenza di Potsdam nel
luglio-agosto del 1945. Furono ripresi e ratificati alcuni punti dell’accordo di
Jalta: la Germania mantenne la propria integrità territoriale, ovvero non smembrata
in più Stati. Fu però suddivisa come anche l’Austria che tornò a essere uno Stato
indipendente, in quattro zone di occupazione militare (francese, britannica,
statunitense e sovietica). Sempre a Potsdam fu decisa l’istituzione del Tribunale
militare internazionale per i crimini eseguiti dai gerarchi nazisti. La collaborazione
tra le potenze vincitrici si fermò. Stalin ebbe due nuovi interlocutori: Churchill,
che aveva perso le elezioni a luglio fu sostituito da Clement Attlee mentre al posto
di Roosevelt, morto ad aprile, si presentò Harry Truman. Truman si oppose alla
proposta sovietica riguardo alle riparazioni della guerra tedesche, non fu
deliberato nessun riguardo al destino politico della Germania che fino al 1949 fu
amministrata dai comandi militari delle potenze vincitrici.

NUOVI EQUILIBRI GEOPOLITICI


Anche Francia e Regno Unito apparivano deboli, l’Europa delle grandi potenze
era giunta al capolinea. Il declino del Vecchio continente era reso evidente dalla
presenza di contingenti militari americani e sovietici. Dietro a questo c’erano due
grandi potenze globali, Usa e Urss che divisero l’Europa in due zone di
influenza delimitate dalla linea di avanzamento dell’Armata rossa nel 1945.
Questa spaccatura durava fino a 40 anni. La guerra assestò anche lo Stato-
nazione europeo così come era stato fino ad allora. Furono inseriti i Paesi europei
in alleanze multilaterali in cui le decisioni venivano prese da Usa e Urss e anche
a livello economico gli Stati persero parte della libertà perché il mercato era sempre
più aperto e interdipendente. Nel 1945 tramontò il sistema delle relazioni
internazionali incentrato sui grandi Imperi europei, l’asse geopolitico
dell’economia mondiale si spostò ancora di più verso il Pacifico con al centro gli
Stati Uniti.
NUOVO SISTEMA ECONOMICO E POLITICO MONDIALE
UNIONE SOVIETICA
La prima preoccupazione di Stalin era di godere delle condizioni di sicurezza
necessarie per far ripartire la produzione agricola e industriale. L’Urss quindi non
aveva alcuna possibilità di offrire qualcosa in termini economici ai Paesi che erano
finiti nella sua orbita. La basi erano altre: la forza del suo esercito e il controllo
militare dei paesi dell’Est europeo che erano stati alleati della Germania; le

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ragioni ideali del comunismo e il prestigio conquistato nella lotta in prima linea
contro il nazismo.
GLI STATI UNITI
Anche loro proposero la potenza non puramente militare ma di un’ideologia
progressista, di segno opposto a quella comunista. Gli Usa avevano
un’economia molto forte che usciva dalla guerra ancora più dominante. Roosevelt
propose due progetti di lungo termine: uno di natura economica, l’altro la
natura politica per ridisegnare le relazioni internazionali una volta raggiunta la
pace.
INIZIO DELL’ETA’ DEL DOLLARO: BRETTON WORDS
Sul piano economico la proposta statunitense prese corpo nella Conferenza di
Bretton Words organizzata dai governi statunitense, canadese e britannico. Nel
luglio 1944 i rappresentanti di 44 Stati crearono un mercato globale liberalizzato
ma dotato di regole e mezzi adatti a evitare la crisi. Gli accordi prevedevano:
 Il ritorno del regime dei cambi fissi tra monete, per impedire il ricordo alla
svalutazione delle monete nazionali.
 L’ancoraggio di ciascuna moneta nazionale al valore del dollaro che andava a
sostituire la sterlina.
 L’ancoraggio del dollaro d’oro quindi il ripristino del gold standard
 La creazione del Fondo monetario internazionale (Fmi)
 L’istituzione della Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo detta
anche Banca mondiale, con lo scopo di sostenere la ricostruzione economica e di
aiutare i Paesi in via di sviluppo.
LA VIA ECONOMICA ALL’EGEMONIA MONDIALE DEGLI USA
Al completamento di questa architettura a Ginevra nel 1947, l’Accordo sulle
tariffe e il commercio prevedeva l’abbassamento delle barriere doganali
per favorire gli scambi. La filosofia era detta come liberismo, ovvero l’idea che
crescita economica fosse la libera concorrenza per favorire e abbattere i mercati
protetti soprattutto quelli coloniali e creare un mercato mondiale aperto e
omogeneo. Questo rispondeva principalmente agli interessi degli Stati Uniti che
partivano avvantaggiati.
LA NASCITA DELL’ONU
Sul versante politico, l’amministrazione Roosevelt propose di creare un organo
preposto alla salvaguardia della pace e alla tutela dei diritti individuali e
collettivi. Esso avrebbe sostituito la Società delle Nazioni e sarebbe stato
dotato di maggiori poteri per renderlo più efficace. Nell’aprile 1945 si aprì a San
Francisco una conferenza che vide partecipare 50 Paesi e si fondò
l’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu). Il 24 ottobre 1945 entrò in vigore
la Carta delle nazioni unite in 111 articoli. L’attività faceva leva su due organi
principali: l’Assemblea generale, formata da tutti gli Stati membri e il Consiglio di
sicurezza composto da 15 membri, 10 a rotazione e 5 permanenti (Usa, Urss, Cina,

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Regno Unito e Francia), loro avevano la facoltà di poter bloccare le decisioni prese a
maggioranza nel Consiglio.
IL PIANO MARSHALL
Per far sorgere un clima di fiducia e collaborazione, Truman puntò su un massiccio
piano di finanziamenti: lo European Recovery Program (Erp) noto come Piano
Marshall, l’Erp fu varato nel 1947 e aumentò di molto gli aiuti statunitensi che
erano cominciati ad affluire l’anno prima. Nel 1952 fece arrivare 13 miliardi di
dollari in aiuti in gran parte a fondo perduto (senza restituzione).
LA RIPRESA ECONOMICA DEGLI ANNI CINQUANTA
Gli aiuti costituirono una ripresa economica dei Paesi europei e la ricostruzione
dell’industria. Le principali economie europee superarono livelli produttivi
d’anteguerra. Gli aiuti servirono anche a collocare i beni prodotti dall’industria
statunitense che nella conversione dell’economia di guerra a quella di pace che
rischiava di andare in sovrapproduzione. L’Erp comportava a una serie di vincoli
tesi a favorire l’acquisto di merci americane e di controlli sull’impiego dei
fondi erogati dai vari governi europei. Il Piano Marshall gettò le basi per una
stretta interazione tra le economie europee. L’obiettivo dell’Erp era quello di
contrastare il comunismo in Europa ed è provato dal fatto che potè usufruire di
una dittatura come il Portogallo.
IN ITALIA IL DOPOGUERRA SITUAZIONE ECONOMICA E SOCIALE
Il Paese aveva conosciuto due occupazioni militari, quella tedesca e quella
alleata nonché una sanguinosa guerra civile. Aveva lasciato in Italia oltre alle
rovine e divisioni, anche l’esperienza di riscatto civile legata alla Resistenza e alla
partecipazione dell’Italia alla lotta degli Alleati contro il nazifascismo.
Si riuscì a fatica a edificare un nuovo modello democratico di convivenza civile,
la Resistenza aveva fondato una solidarietà nazionale, un senso di rinnovamento
che puntava a integrare le masse popolari dello Stato democratico. Le divisioni
adottare dopo il 1947 impedirono a tale processo di giungere a compimento; nella
vita pubblica italiana si affermarono modelli ideologici e politici contrapposti,
che erano incapaci di rappresentare il Paese.
Nella primavera-estate del 1945 furono uccise per rappresaglia 12 mila persone,
esecuzioni e aggressioni si concentrarono in Pianura Padana specialmente in Emilia
Romagna dove il fascismo era più feroce. La situazione era piena di aggressione e
criminalità. La situazione alimentare era disastrosa, risorse agricole vicino
all’esaurimento e il commercio ristagnava a causa del pessimo stato dei trasporti.
L’industria aveva subito dei danni molto gravi. Favoriva questo la borsa nera e
l’inflazione.
IL MEZZOGIORNO E LA QUESTIONE AGRARIA
Negli ultimi anni con una spaccatura del Paese in due, si erano accentuate
profonde differenze tra le regioni italiane anche a livello di esperienze e senso di
appartenenza dei cittadini. In particolare nel Mezzogiorno, che aveva conosciuto

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solo lo scontro tra fascismo e antifascismo. La Liberazione era avvenuta all’esterno
con un’invasione: la monarchia offriva l’unico fattore unificante rispetto alle tante
realtà locali. Il vuoto lasciato diedero spazio a grandi proprietari terrieri e dai
notabili delle città. Anche i capimafia siciliani presero fiato e servivano agli agrari
per reprimere le proteste contadine.
PARTECIPAZIONE POLITICA E IL RUOLO DEI PARTITI
I mesi che susseguirono la Liberazione furono contrassegnati da uno slancio verso
attività politica e culturale che coinvolse fasce ampie di popolazione. Alle donne
fu esteso il diritto del voto con un decreto del 31 gennaio 1945. Migliaia di
cittadini si iscrissero a partiti e sindacati, si voleva creare una democrazia di
massa. Il sindacato unitario, Cgil, si riorganizzò. Le lotte dei braccianti agricoli
furono molto forti al Sud; i contadini occuparono terre incolte e i latifondi e
fondarono cooperative. Rinacque nel 1943 il Partito socialista, come Partito
socialista italiano di unità proletaria (Psiup). E poi due forze politiche: Democrazia
cristiana e il Partito comunista guidato da Palmiro Togliatti.
DEMOCRAZIA CRISTIANA E PARTITO COMUNISTA
La democrazia cristiana si propose come un partito interclassista e come garante di
un passaggio non traumatico dal fascismo al postfascismo. Seppe tenere due
obiettivi: rendere i cattolici protagonisti della vita politica italiana, aprire l’Italia a
un rapporto strategico molto forte con gli Stati Uniti.
Il Partito comunista aveva contribuito alla lotta clandestina antifascista e alla
Resistenza, per completare la sua trasformazione da partito leninista con quadri
rivoluzionari a partito di massa ben radicato nella società italiana, adottò una linea
politica molto realistica e moderata. Frenò le istanze rivoluzionarie e accettò la
democrazia e il pluripartitismo dichiarando di non voler prendere il modello
dell’Urss.
LE ALTRE FORZE POLITICHE
Un’altra forza politica fu il Partito d’azione animato da personalità di rilievo,
Ferruccio Parri ed Emilio Lussu. Era espressione di alcuni settori intellettuali e
borghesi che volevano un’Italia come Stato laico, repubblicano e moderno.
L’insuccesso portò allo scioglimento nel 1947.
Di rilievo anche il Partito liberale, Benedetto Croce e Luigi Einaudi che fu
presidente della Banca d’Italia, erano più un aggregato di notabili che non riuscirono
a creare un progetto politico capace di unire il mondo imprenditoriale e la
borghesia.
A destra si affermò il partito “antipolitico” dell’Uomo qualunque e
successivamente il Movimento sociale italiano che voleva dar voce a chi non
riteneva chiusa l’esperienza politico-culturale fascista.
SFIDE DOPOGUERRA

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La politica si trovò ad affrontare tre grandi sfide: la ricostruzione economica; la
definizione dell’assetto istituzionale e la fondazione di un regime
democratico; il recupero della sovranità nazionale da parte dell’Italia e la
ricostruzione della sua credibilità a livello internazionale.
Dopo la Liberazione si trovò un accordo sul nome di Ferruccio Parri quale nuovo
capo del governo, il Primo dell’Italia liberata e unificata (21 giugno 1945). Parri
apparteneva a una forza minore ma godeva di grande prestigio personale. Il suo
ministero che comprendeva le forze del Cln, cercò di avviare la normalizzazione
del Paese: ricostruzione di strade, ponti, infrastrutture anche per dare lavoro ai
disoccupati.
PRIMO GOVERNO DE GASPERI E LA PACIFICAZIONE NAZIONALE
Le forze moderate si opposero all’epurazione e rifiutarono anche alcune proposte
del governo volte a tassare le grandi imprese. Nel dicembre 1945 Parri si dimise
e al suo posto fu nominato Alcide de Gasperi. Questo passaggio portò a una
chiara svolta in senso moderato dell’asse politico italiano: molte delle riforme
furono accantonate, anche l’epurazione. Con il leader comunista Togliatti nel
1946 si varò un provvedimento di pacificazione nazionale, estendeva i reati
commessi negli anni della guerra e escludeva solo chi fosse macchiato di crimini
particolarmente gravi.
TRIESTE CONTESA, LE FOIBE E I PROFUGHI ISTRIANI
C’erano poi dei problemi di confine ad est. Nella zona di Trieste e in Istria le
popolazioni slave e quella italiana dividevano gli stessi territori; la componente
italiana era maggioritaria nelle città e sulla costa, quella slava nell’entroterra e nelle
campagne. A guerra finita gli jugoslavi si ripresero Trieste, Venezia Giulia e Istria. La
comunità italiana fu colpita dagli jugoslavi da violenza, volevano rivendicare le
brutalità commesse durante la guerra, miravano a ridurre la presenza italiana
nei territori di confine per poterli annettere. Risultato una tragedia umanitaria,
italiani uccisi e gettati nelle foibe istriane, altri morirono nei campi di detezione
jugoslavi. Le truppe titine cioè gli ordini del maresciallo Tito approfittarono della
situazione caotica per eliminare anche gli avversari politici croati e sloveni nonché
alcuni partigiani italiani di orientamento non comunista.
LA NASCITA DELLA REPUBBLICA E IL 18 APRILE 1948
L’Italia diventò una Repubblica nel 1946. Il referendum che sancì il nuovo
ordinamento politico mostrava però una profonda spaccatura nel Paese, che
vide il prevalere della monarchia nelle regioni meridionali mentre il Nord votò in
larga maggioranza in favore della Repubblica. In quegli anni l’Italia operò passi di
assoluta importanza per la propria storia: il Trattato di pace con gli Alleati del
febbraio del 1947, la Costituente che avrebbe portato alla nuova Costituzione e il
referendum sulla scelta di aderire all’alleanza atlantica furono tre occasioni per
impartire una svolta al futuro del nostro Paese.
Tramite il referendum il 2 giugno 1946 l’Italia diventò una Repubblica, per
la prima volta parteciparono anche le donne al voto.

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La democrazia cristiana si affermò come primo partito e tale successo fu
dovuto alla capacità di De Gasperi di rivolgersi non solo alla borghesia e ai ceti medi
ma anche al mondo contadino. Le sinistre prevalsero in Emilia Romagna e Toscana.
Dopo le elezioni si istituì un nuovo governo di unità antifascista, il primo
dell’Italia repubblicana, il nuovo ministero proseguì l’opera per rimettere in
carreggiata l’economia del Paese e pacificare la società. In questo contesto
iniziarono a soffiare i venti della Guerra fredda.
Il 1947 costituì un anno chiave, con il Trattato di pace, sempre nel 1947 De
Gasperi si recò negli Stati Uniti per chiedere un aumento del sostegno americano
alla ricostruzione. Poche settimane dopo De Gasperi estromise le sinistre dal
governo e il 31 maggio 1947 formò un nuovo gabinetto con solo ministri
democristiani.
La scelta di campo internazionale dell’Italia si precisò con l’adesione al Piano
Marshall nel luglio 1947.
In campo economico si seguì le linee indicate da Einaudi: apertura mercato
mondiale; politica economica liberista e stabilità della moneta, anche a costo di
mantenere la disoccupazione alta e bassi i consumi.
Il trattato di pace si firmò il 10 febbraio 1947 a Parigi fra Italia e Stati Alleati
e l’Italia fu considerata una nazione sconfitta, gli furono imposti: il pagamento di
riparazioni della guerra; la rinuncia alle colonie africane; alcune perdite territoriali
poco rilevanti ad ovest (cedute alla Francia); nel 1975 Jugoslavia e Italia
riconobbero finalmente i propri confini.
LA COSTITUENTE
Il lavoro dell’assemblea durò 20 mesi e proseguì anche quando si ruppe l’alleanza
di governo tra la Democrazia cristiana e le sinistre. Il testo della Costituzione
approvato il 22 dicembre 1947 entrò in vigore il 1 gennaio 1948. Esso traeva
origine dall’incontro di tre tradizioni politiche e culturali: quella cattolica, quella
democratico-liberale e quella marxista. La concezione liberale fu sostituita da una
visione attiva dello Stato che affidava a se stesso anche il compito di intervenire per
rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo dell’individuo. Il tentativo di trovare un
equilibrio tra ideologie differenti appare evidente nel fatto che la Costituzione
protegge e promuove la proprietà privata ma al contempo mira a far sì che essa
riserva al benessere collettivo e non al mero arricchimento privato. Centrale è poi il
diritto al lavoro perché il fondamento stesso della Repubblica (art. 1). La
Costituzione introduceva un bicameralismo perfetto: il potere legislativo è ripartito
tra Camera e Senato, ambedue elettivi e che riuniti scelgono il presidente della
Repubblica. Il governo è responsabile davanti al Parlamento ed è espressione della
maggioranza parlamentare: l’Italia cioè è una Repubblica parlamentare.
COSTITUZIONE TRA COMPROMESSI E AMBIGUITA’
Il punto d’incontro tra i cattolici e i marxisti fu trovato nell’idea di una vocazione
sociale dello Stato a sua volta fondata sulla centralità della persona. Il
valore progressivo di molte norme costituzionali trovava un limite nel rinvio ad

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apposite leggi attuative che avrebbero dovuto renderle effettivamente operanti. Ad
esempio le Regioni per avviare il decentramento di alcune competenze furono
create solo nel 1970. Il rinvio dell’istituzione della Corte costituzionale che aprì i
suoi lavori nel 1956, ritardò lo smantellamento della legislazione fascista.
ELEZIONI DEL 18 APRILE 1948
Entrata in vigore della nuova Costituzione si rese necessario indire nuove elezioni
politiche. Consultazione fissata per il 18 aprile 1948, la campagna ebbe dei toni
molto accesi e si trasformò in una sorta di referendum sulla scelta atlantica,
cioè filoamericana dell’Italia. Si apriva una nuova fase condizionata dalla
contemporanea formazione di un blocco democratico-capitalista guidato dagli Usa e
di un blocco comunista con a capo l’Urss. Uniti nel Fronte democratico popolare i
comunisti e i socialisti che si presentavano come le forze del progresso e
dell’uguaglianza sociale contro la reazione subirono una pesante sconfitta con il
31% dei voti contro il 48,5% della Dc.
QUADRO POLITICO ITALIANO DOPO IL VOTO DEL 1948
Le elezioni del 1948 ebbero conseguenze profonde e di lungo periodo.
Inaugurarono l’egemonia democristiana nella vita politica italiana rafforzarono in
modo definitivo la collocazione del Paese nel blocco occidentale. La presenza di un
Partito comunista sui generis che pur mantenendo un forte legame con l’Urss aveva
accantonato il progetto rivoluzionario e che di fatto occupava lo spazio politico ed
elettorale che negli altri Paesi era delle forze socialiste riformiste e costituì un
elemento originale della realtà italiana che la differenziò.
Il voto del 1948 e tre mesi dopo, un attentato a Togliatti conclusero la
travagliata fase di avvio della democrazia repubblicana. Il sistema politico italiano si
costituì intorno a due poli contrapposti: un partito di governo, la Dc, e un partito
di opposizione, il Pci. Questo bipartitismo era tuttavia imperfetto perché la
collocazione dell’Italia nell’alleanza atlantica a guida americana rendeva irrealistica
una radicale alternativa di sinistra e quindi un governo a guida comunista. Ciò alla
lunga tolse alla Dc la preoccupazione di conquistare il potere attraverso una reale
lotta per il consenso.
La dichiarazione Universale dei Diritti Umani fu adottata dall’Assemblea Generale
delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948.
LA GUERRA FREDDA
L’espressione guerra fredda indicava lo stato di ostilità e di antagonismo che si
venne rapidamente a creare subito dopo la Seconda guerra mondiale, tra gli Stati
Uniti e il blocco formato dall’Unione Sovietica e dai Paesi dell’Europa orientale posti
sotto il suo controllo. I due schieramenti durarono per molto tempo a
prepararsi per un possibile scontro, a produrre armi sempre più distruttive e in
quantità sempre maggiore e a danneggiarsi reciprocamente; la guerra non fu mai
dichiarata almeno tra le due superpotenze ma solo minacciata e quindi rimase
“fredda”. I due blocchi arrivarono allo scontro militare diretto ma sempre in zone
periferiche rispetto a Mosca e Washington e senza coinvolgere direttamente le

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popolazioni di Europa e Nord America. Il conflitto fu squilibrato poiché l’Unione
Sovietica non arrivò mai a competere con gli Usa in termini di ricchezza,
innovazione tecnologica e sviluppo culturale. L’unico terreno sul quale i due blocchi
raggiunsero la parità fu quello degli armamenti, nel corso degli anni Settanta
quando il modello sovietico di società e sviluppo entrò in crisi.
EQUILIBRIO DEL TERRORE E DETERRENZA
La Guerra fredda si basava sul così detto “equilibrio del terrore”, entrambe le
parti sapevano che a causa del potenziale distruttivo delle armi a disposizione cioè
la bomba atomica, la bomba all’idrogeno, missili teleguidati, uno scontro
militare avrebbe inferto distruzioni in entrambi i continenti. Tale certezza
incentivò alla corsa degli armamenti, per due motivi: ciascuna delle due potenze
desiderava mostrare all’altra la forza ed era il principio delle deterrenza; nessuna
delle due potenze poteva permettersi di perdere terreno per non rischiare di
soccombere al primo attacco.
UNA GUERRA IDEOLOGICA
Non fu combattuta soltanto con una minaccia delle armi nucleari, ma fu anche una
guerra tra ideologie contrapposte. Tanto gli Usa quanto l’Urss cercarono di
legittimare il loro primato mondiale sostenendo di essere i difensori del migliore
modello possibile di economia e società.
Gli Stati Uniti si presentavano come i paladini del modello liberale fondato sul
rispetto delle libertà individuali in particolare quella della proprietà privata e della
libera iniziativa economica.
I Sovietici puntavano ad accreditarsi come i difensori della classe operaia e dei
popoli oppressi dal giogo coloniale e dall’imperialismo economico statunitense.
RUOLO DELLA PROPAGANDA
Un ruolo cruciale quello della propaganda, inchieste giornalistiche, libri, film,
puntavano il dito sui difetti e sui crimini commessi del modello rivale. In Occidente
si insisteva sulla sistematica violazione dei diritti politici e civili nel blocco sovietico,
dove la libertà della stampa, della parola,, di associazione non era
riconosciuta; i politici e gli intellettuali comunisti ricordavano le grandi
disuguaglianze sociali esistenti nei Paesi capitalisti nonché il fatto che la ricchezza
delle società occidentali si fondava sullo sfruttamento delle risorse materiali e
umane dei Paesi poveri di Sud America, Africa e Asia.
L’intendo della propaganda era duplice: assicurarsi lealtà, sostegno dei propri
cittadini, conquistare consensi presso l’opinione pubblica estera. La guerra
fredda divise anche al loro interno le società. Nel blocco comunista il dissenso era
vietato e represso in maniera dura. Ma anche in Occidente gli Usa e i loro alleati
vennero meno ai principi democratici quando si trattò di appoggiare regimi
dittatoriali che davano garanzie di combattere i movimenti di sinistra, specie in
America Latina e nei Paesi decolonizzati.
CAUSE DELLA GUERRA FREDDA E STRATEGIA DELL’URSS IN EUROPA

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Il vuoto di potere creato in molti Stati portò le ragioni di scontro tra i due ex alleati,
il fatto nuovo che pose in primo piano la lotta tra liberismo e comunismo fu il
declino dell’Europa che seguì il conflitto del 1939-45. Il crollo del Giappone, la
vittoria dei comunisti in Cina e i difficili rapporti fra Urss e alcuni Stati musulmani
provocarono presto forti tensioni anche in Asia.
Stalin voleva creare le condizioni per avviare la complicata ricostruzione economica
dell’Urss e estendere l’area d’influenza del blocco comunista. Quindi, voleva
rafforzare la propria posizione strategica in attesa che nel sistema capitalistico ne
determinasse la caduta e la crisi secondo le previsioni della teoria marxista-
leninista. Già nel 1946 Stalin disse che lo scontro fra comunismo e
capitalismo era inevitabile. Per arrivare al suo obiettivo occorrevano due cose:
che la Germania potesse diventare nuovamente una minaccia e porre sotto il suo
controllo gli Stati di confine.
ESPANSIONE DEL COMUNISMO IN EUROPA DELL’EST
A Jalta, Stalin aveva accettato di firmare con Roosevelt e Churchill una
dichiarazione sull’Europa liberata, prevedeva elezioni democratiche nei territori
affrancati dal nazifascismo. I comunisti accettarono di andare al voto in condizioni di
pluralismo politico e formarono fronti democratici con altri partiti, però grazie
all’appoggio dell’Armata rossa misero fuori legge le altre forze politiche istituendo
regimi dittatoriali.
La strategia di Stalin fu la Polonia, Stalin dichiarò che non poteva permettere la
nascita di un governo ostile in uno Stato confinante. Le tensioni proseguirono fino al
1947 quando i comunisti polacchi appoggiati da Mosca, stravinsero le elezioni e
avviarono un’opera di nazionalizzazione e pianificazione dell’economia. Bulgaria e
Romania furono sciolte le principali forze d’opposizione e la stessa sorte toccò
all’Ungheria. L’anno dopo fu la volta della Cecoslovacchia.
USA E URSS: GRECIA, TURCHIA, IRAN
Nel marzo 1946 in una Conferenza a Fulton il politico britannico Churchill affermò
che dal Baltico a Trieste una “cortina di ferro” era calata nel continente e che le
capitali orientali erano ormai sottomesse a Mosca. In Grecia, che gli accordi di Jalta
avevano assegnato All' ambito di influenza britannica, era in corso una guerra civile.
Più le elezioni del 1946 avevano ripristinato la monarchia e prevalere i partiti di
destra appoggiati da americani e inglesi. I partigiani comunisti presero il controllo
delle regioni settentrionali. Nel 1947 il governo britannico chiese l'intervento degli
Usa, Stalin non inviò le sue truppe e nel 1949 i comunisti greci furono sconfitti.
In Turchia nel 1946 i sovietici rivendicarono il diritto di gestire con i turchi il
flusso delle navi attraverso gli stretti del Bosforo e dei Dardanelli, passaggi
obbligati per la navigazione tra Mediterraneo e Mar Nero. Il governo turco si rifiutò e
chiese aiuto agli Usa, inviarono denaro e navi da guerra.
In Iran invece strategia per i numerosi impianti di estrazione petrolifera.
Durante la guerra il Paese era stato occupato da britannici e sovietici; Lo shah

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(titolo reale iraniano) chiese l’intervento dell’Onu ricevendo l’appoggio di americani
e britannici. I sovietici dovettero dunque lasciare il Paese nel giugno 1946.
GERMANIA OCCUPATA E DIVISA
Quel che era rimasto del Reich tedesco una volta tolte le regioni orientali era stato
suddiviso in quattro macroregioni, ciascuna sotto il controllo di una delle potenze
vincitrici. Berlino era al centro della zona sovietica ma a sua volta suddivisa in
quattro settori. Qui aveva sede il Consiglio alleato di controllo, l’organo che doveva
decidere il futuro della Germania. Nei primi mesi di occupazione furono
smantellati il Partito nazista e le organizzazioni; gli Usa pensavano a una
strategia per favorire la ricostruzione economica tedesca in modo tale da
aggiungerla nel capitalismo mondiale, francesi e sovietici erano contrari e
insistevano sull’ottenere riparazioni di guerra. Intanto in Germania, c’era una
condizione di vita tragica, tra fame, epidemie e criminalità.
LA CRISI DI BERLINO DEL 1948
La rottura definitiva si consumò quando americani e inglesi bloccarono il
trasferimento di carbone e minerali dalla Ruhr verso la zona controllata
dai sovietici e nel gennaio 1947 unirono le rispettive aree di occupazioni
senza consultarli. La crisi peggiorò nel giugno 1948 quando gli anglo-americani
vararono un piano per creare uno Stato tedesco loro alleato unificando le tre zone
occidentali. Il nuovo governo tedesco avrebbe usufruito del Piano Marshall. A tal
fine il marco ormai troppo svalutato fu sostituito da una nuova moneta dieci
volte più forte il Deutsche Mark. La reazione delle autorità sovietiche non si fece
attendere. Stalin dichiarò decaduto il governo a quattro su Berlino e decretò
il blocco di tutte le vie d’accesso alla città da ovest.
DIVISIONE DELLA GERMANIA
Il 23 maggio 1949 nacque la Repubblica Federale Tedesca (Rft) con 49
milioni di abitanti e capitale Bonn; in settembre la zona sovietica divenne la
Repubblica Democratica Tedesca (Rdt) con 17 milioni di abitanti. La Germania
Ovest fu guidata da Konrad Adenauer, con lui la Germania avanzò rapidamente
nella ricostruzione economica: nel 1954 gli accordi di Parigi sancirono la fine
del regime di occupazione. La Rft fu tra i fondatori della Ceca e della Cee
(Comunità del carbone e dell’acciaio) e nel 1955 aderì alla Nato. Diverso fu il
destino dell’Austria che ricevette lo status di Paese neutrale.

DOTTRINA TRUMAN
Con la dottrina Truman gli Usa assunsero la guida mondiale nella lotta contro il
totalitarismo, in un orizzonte geopolitico che stava assumendo sempre più tratti di
scontro tra civiltà. La nuova linea politica estera adottata dagli Usa serviva per
superare le divisioni politiche interne; nel 1947 fu approvato il National
security act, che ridefiniva gli strumenti della sicurezza nazionale statunitense.

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Furono istituiti i servizi segreti degli Usa (Nsc e Cia) con ampia facoltà di intervento
fuori dai confini nazionali.
PATTO BRUXELLES AL PATTO ATLANTICO E LA NATO
La crisi di Berlino e il colpo di Stato comunista in Cecoslovacchia convinsero molti
governi d’Europa occidentale di creare un sistema di difesa comune per
fronteggiare la minaccia sovietica. Nel marzo del 1948 Regno Unito, Francia,
Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo stipularono il Patto di Bruxelles che li
vincolava ad assistersi in caso di guerra. Fu progettata quindi un’ampia alleanza
militare che prese il nome di Patto atlantico e fu ratificata a Washington il 4 aprile
1949 da Usa, Canada, Regno Unito, Francia, Italia, Belgio, Danimarca,
Islanda, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi e Portogallo. Il patto prevedeva
che se uno di loro fosse stato colpito, gli altri dovevano intervenire per difenderlo.
La nuova organizzazione si dotò di una struttura militare permanente, con un
comando unificato, la North Atlantic treaty organization (Nato). Alla Nato
aderirono poco dopo Grecia e Turchia e nel 1954 la Repubblica Federale
Tedesca.
COOPERAZIONE EUROPEA: OECE E CECA
Il 1 gennaio 1948 i tre Paesi Benelux (Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo
abbatterono le barriere doganali ai loro confini. A Parigi lo stesso anno fu istituita
l’Organizzazione europea di cooperazione economica (Oece). Nel maggio 1949
nacque il Consiglio d’Europa, segnalava la volontà di definire una politica
comune. A esso fece seguito la Convenzione europea per i diritti umani
(novembre 1950).
Il 9 maggio 1950 fu presentato il Piano Schuman, prevedeva che la produzione
franco-tedesca di carbone e acciaio fosse posta sotto la direzione di un’autorità
congiunta nell’ambito di un’organizzazione aperta all’adesione di altri Paesi europei.
Sorse così nel 1951 la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca)
fu il primo passo verso una politica economica comune dei Paesi europei.
MACCARTISMO
La vittoria dei comunisti in Cina e la loro alleanza con l’Urss, le tensioni in Europa
ma soprattutto l’esplosione della Prima bomba atomica sovietica nel 1949 e la
guerra di Corea, scatenarono nella società statunitense un’ondata di paura e di
paranoie. Ovunque si sospettavano trame sovversive e attività spionistiche.
Protagonista ne fu Joseph McCarthy che promosse una campagna martellane
fondata sul ricatto per stanare tutti i comunisti nella società americana a
partire dalla pubblica amministrazione. La polizia federale Fbi cooperò con
McCarthy e avviò una capillare schedatura dei cittadini che erano iscritti a
organizzazioni di sinistra o erano sospetti. Il maccartismo come fu chiamata quella
ondata, coinvolse scuola, editoria e industria cinematografica.
FINE MACCARTISMO E PRESIDENZA DI EISENHOWER

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Centinaia di persone finirono in carcere o persero il lavoro. Il caso più clamoroso fu
quello dei coniugi Ethel e Julius Rosenberg accusati di spionaggio e condannati a
morte in base a prove discutibili nel 1953. La fase più intensa delle persecuzioni si
esaurì nel 1953, sia per gli scandali che coinvolsero McCarthy e suoi collaboratori
sia perché il nuovo presidente il repubblicano Eisenhower eletto alla fine del 1952
vi pose un freno. Si diffuse negli Usa sentimenti conservatori e intolleranti.
Eisenhower passò alla strategia del roll-back ovvero offensiva per respingere
indietro i rossi. Si basava su un coinvolgimento degli alleati europei anche per
diminuire le spese militari statunitense e potenziamento dell’arsenale nucleare. I
risultati non furono però quelli sperati, si innescò un’analoga risposta da parte
dell’Urss che nel 1953 fece esplodere la sua prima bomba all’idrogeno.
URSS E EUROPA ORIENTALE NEI PRIMI ANNI CINQUANTA
COMINFORM
Parallelamente agli Usa, anche l’Urss si mosse per compattare il proprio blocco di
alleanze favorendo il Cominform nel settembre 1947 ovvero un Ufficio
informazione dei partiti comunisti, una nuova versione della Terza
internazionale, rigidamente controllata da Mosca. L’obiettivo era rinsaldare i
legami tra i dirigenti e i funzionari comunisti dell’Europa orientale e mantenere
stretti i rapporti con le due più importanti formazioni politiche comuniste
occidentali, quella italiana e francese. Istituendo il Comecon (1949) per coordinare
le economie rappresentanti al blocco sovietico. Questi organismi tutelavano gli
interessi di Mosca anche a costo di ridurre a un contenitore vuoto le democrazie
degli altri Paesi dell’Est Europa.
Il caso della Cecoslovacchia in cui nel 1948 i comunisti fecero colpo di Stato. Ne
conseguì l’inasprimento della Guerra fredda soprattutto dopo la scelta del
maresciallo Tito dittatore della Jugoslavia di procedere lungo una via nazionale al
socialismo. Agli inizi degli anni Cinquanta quindi un’ondata repressiva senza
precedenti nell’Europa orientale. L’ondata si abbatté anche all’interno dell’Urss
contro i nemici del popolo, rinchiusi nei Gulag siberiani. La stretta politica fu
accompagnata da un irrigidimento in campo ideologico e culturale.
ROTTURA TRA TITO E STALIN E LA JUGOSLAVIA NON ALLINEATA
I comunisti jugoslavi fondarono uno Stato socialista federale a economia
pianificata sul modello dell’Urss che intendeva restare autonomo. Tito mirava a
creare una federazione balcanica con Albania e Bulgaria furono interpretati a Mosca
come una minaccia. Stalin temeva che l’esempio jugoslavo fosse interpretato da
altri Paesi, i sovietici accusarono Tito di revisionismo cioè di aver abbandonato gli
ideali marxisti-leninisti e nel 1948 lo espulsero dal Cominform. In campo
internazionale Tito fu tra i promotori del movimento dei Paesi non allineati che
intendeva creare una terza forza tra Nato e il blocco sovietico e che trasse forza
dal processo di decolonizzazione.

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DOPOGUERRA IN UNIONE SOVIETICA
L’Unione Sovietica era uscita vittoriosa ma stremata dal conflitto mondiale, i
campi di battaglia le avevano conferito il ruolo di grande potenza: aveva recuperato
grosso modo i confini del 1914 e ora controllava i Paesi dell’Europa orientale. Il
suo gruppo con Stalin in testa godeva di grande prestigio all’estero. L’acquisizione
della bomba atomica nel 1949 e la sperimentazione in ambito scientifico,
aereonautico e missilistico diedero ulteriore forza al regime sovietico. Si
puntò sull’industria pesante (produzione industriale crebbe a ritmi sostenuti) e
sull’elettrificazione a scapito dei consumi interni e dell’agricoltura che a causa delle
distruzioni della guerra e della collettivizzazione forzata, versava in una condizione
critica. Errori di pianificazione e la mancanza di operai specializzati contribuirono ad
abbassare i tassi di crescita sull’economia, il tenore di vita della popolazione rimane
agli anni Venti.
La guerra aveva rotto l’isolamento in cui la Russia bolscevica si era trovata per un
ventennio, nella confusione provocata si erano aperti alcuni spazi di libertà. La
vittoria aveva diffuso nei cittadini aspettativa di un allentamento del terrore di
tempi nuovi, Stalin disattese presto tali speranze con l’inizio della Guerra fredda.
REPRESSIONE E APPIATTIMENTO CULTURALE
Una grande repressione fu attuata verso i gruppi sociali o etnico-nazionali che
avevano mostrato una certa autonomia o peggio contrarietà rispetto alla linea
politica. I cosiddetti nemici del popolo, membri di organizzazioni religiose,
popolazioni tra cui durante la guerra si erano dovute forme di collaborazioni con gli
invasori nazisti. I reclusi nei Gulag e negli altri luoghi di detenzione passarono
oltre i due milioni e mezzo nel 1952. Testimonianza del clima persecutorio fu
anche l’affare di Leningrado, una purga che coinvolse molti membri del Partito
comunista dell’ex capitale russa accusati di aver costituito un centro di potere
indipendente da Mosca.
GUERRA FREDDA IN ASIA: CINA COMUNISTA E LA GUERRA DI COREA
SECONDA GUERRA MONDIALE IN CINA
I nazionalisti del Guomindang di Chiang Kai-shek e i comunisti Mao Zedong
avevano sospeso le ostilità fra loro in nome della comune lotta contro l’invasore
giapponese. Mentre i primi avevano condotto la guerra in modo tradizionale, i
secondi avevano adottato una più efficace azione di guerriglia. Gli schieramenti
avevano mantenuto il proprio esercito e il controllo esclusivo di alcune
regioni. I nazionalisti potevano contare sull’appoggio convinto del governo
statunitense, in patria però erano invisi oltre che agli strati più poveri anche a una
parte del ceto medio a causa della corruzione diffusa e del carattere autoritario del
loro governo. Quella cinese fu quindi a differenza di quella russa una rivoluzione
prevalentemente contadina.
RIVOLUZIONE CONTADINA E LA VITTORIA DI MAO

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Finita la guerra fu chiaro che le due anime della resistenza antigiapponese non
sarebbero arrivare a un accordo, in quanto ciascuna voleva la resa incondizionata
dell’altra. A quel punto Mao scatenò una rivoluzione agraria che portò
all’espropriazione e alla redistribuzione tra i contadini poveri di quasi metà delle
terre coltivabili nel Paese. Molti di loro furono assassinati o condannati dopo
sommari processi o costretti a fuggire. Alla fine del 1947 i comunisti presero
iniziativa militare fino a che nel corso del 1948 capovolsero i rapporti di forza. Nel
febbraio 1949 conquistarono Tientsin e Pechino. Il 1 ottobre 1949 Mao
annunciò la nascita della Repubblica Popolare Cinese e due milioni di sostenitori si
rifugiarono a Taiwan dove fondarono la Repubblica Nazionalistica Cinese
sostenuta dagli Usa.
COMUNISTI CINESI E L’URSS
I comunisti cinesi avevano vinto la guerra da soli visto che l’appoggio dell’Urss era
stato più nominale visto che Stalin aveva riconosciuto il governo nazionalista di
Chiang Kai-shek in cambio della concessione all’Urss dell’uso dei porti. Stalin dopo
la vittoria dei comunisti cinesi, accettò il fatto compiuto e firmò con la Cina un
trattato trentennale di amicizia e di reciproca assistenza economica.
I PRIMI PASSI DEL REGIME COMUNISTA IN CINA
Mao si propose per la modernizzazione di economia e società cinese.
 Tra il 1950 e il 1956 fu completata la riforma agraria, terreni distribuiti a famiglie
contadine. Contrastata la gestione privata dei campi, a favore della
collettivizzazione. La riforma comportò l’espulsione dalle campagne e l’uccisione
di centinaia di persone appartenenti alle famiglie dei proprietari terrieri, le
cosiddette classi nere.
 Donne concessi maggiori diritti tra cui scegliere il marito liberamente.
 Campagna contro l’alfabetismo: nel 1952 bambini frequentavano le scuole
elementari.
 Imprese straniere furono nazionalizzate.
 Nel 1953 varato il primo piano quinquennale fondato sullo sviluppo dell’industria
pesante a scapito di quella leggera e del settore agricolo.
 Nel 1954 approvata la Costituzione della Repubblica Popolare Cinese
 Nel 1951 lanciata la campagna punitiva per chi fossero sospetti di essere corrotti
o capitalisti.
GUERRA DI COREA (1950-53)
La guerra di Corea fu l’episodio culminante dei primi e più tesi anni della Guerra
fredda (da 1947 al 1953) conferì una dimensione globale. La penisola Corea
dopo la Seconda guerra mondiale che dal 1910 era parte dell’Impero giapponese fu
occupata dai sovietici e dagli americani e divisa in due zone lungo il 38°
parallelo. Gli occupanti ritirarono le proprie truppe nel 1949.
Nel giugno del 1950 con l’assenso di Stalin, la Corea del Nord dove si era istaurato
un regime comunista guidato da Kim Il Sung attaccò la parte meridionale del

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Paese prevalentemente agricola dove era sorto un governo guidato dal nazionalista
Syngman Rhee che durante l’occupazione aveva vissuto negli Usa.
L’obiettivo era di Kim Il Sung, forte del sostegno dell’Urss e della Cina comunista di
riunificare sotto la propria guida l’intera penisola. Il 25 giugno 1950 i nordcoreani
sferrarono l’offensiva, avanzarono rapidamente fino a giungere a Seul. Gli Usa
ne approfittarono e fecero votare una risoluzione di condanna dell’attacco
nordcoreano.
CONTROFFENSIVA AMERICANA, INTERVENTO DELLA CINA E L’ARMISTIZIO
Le truppe della coalizione guidate dal generale statunitense MacArthur sbarcarono a
sorpresa dietro le linee dei nordcoreani e spezzarono in due le loro posizioni, li
misero in rotta e riconquistarono il territorio del Sud. La Cina scese in campo e
colse di sorpresa gli americani e ribaltò nuovamente la situazione militare.
MacArthur chiese a Truman l’autorizzazione di bombardare le basi cinesi e a
utilizzare le bombe atomiche. Fu uno dei momenti critici dell’intera storia del
dopoguerra.
Le trattative tra le due parti si conclusero il 27 luglio 1953 con un armistizio
tutt’ora in vigore che prevedeva allo status quo precedente la guerra e la nascita
di due Stati. La guerra di Corea fece oltre 2 milioni di morti tra coreani e
cinesi. Fu anche la prima guerra che gli Usa non riuscirono a vincere.
IL GIAPPONE NEL DOPOGUERRA
Il Giappone fino al 1951 fu governato da un Consiglio alleato. Gli statunitensi
imposero una nuova Costituzione ed esportarono un modello democratico. Il
Paese versava in pessime condizioni economiche sia in campo agricolo sia
industriale con inflazione molto alta e industrie ferme ma, con la sospensione dei
pagamenti delle riparazioni della guerra, agli inizi degli anni Cinquanta la
produzione industriale superò i livelli prebellici.
Nel 1951 fu firmato a San Francisco il trattato di pace: gli americani si
riservarono il diritto alla difesa del Giappone e mantennero la loro presenza militare
sulle isole e a Okinawa.
BOOM ECONOMICO E LO STATO SOCIALE (1945-73)
L’ETA’ DELL’ORO
Lo storico inglese Eric Hobsbawm ha chiamato età dell’oro il periodo che va dalla
Seconda guerra mondiale alla crisi petrolifera degli anni Settanta. Questo
periodo fu caratterizzato dallo sviluppo economico rapido e intenso che il mondo
contemporaneo abbia conosciuto da mutamenti nell’organizzazione della società. Lo
sviluppo interessò i Paesi capitalistici avanzati; per gli Stati Uniti si trattò di un
proseguimento.
L’internazionalizzazione dell’economia, ovvero la forte interdipendenza tra tutte le
economie del mondo, possibile da una divisione internazionale del lavoro più
elaborata e sofisticata che moltiplicò la capacità mondiale. Dagli anni Settanta

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si rese noto che il capitalismo era nettamente avanti rispetto al socialismo. Fu un
fenomeno mondiale, la ricchezza crescente non fu neppure intravista dalla
maggioranza della popolazione del Paese perché ne furono esclusi quei Paesi in cui
la povertà e arretratezza gli esperti dell’Onu chiamarono Terzo mondo.
UNO SPAZIO COMMERCIALE MONDIALE
Il pilastro su cui si poggiò la crescita economica fu la creazione di un enorme
spazio commerciale omogeneo, comprendente le Americhe, Europa occidentale,
Africa e una parte dell’Asia fondato sulla liberalizzazione degli scambi. La stabilità
del sistema monetario (Conferenza di Bretton Woods) garantirono stabilità delle
relazioni commerciali e degli investimenti. Ed è per questo che tutto l’insieme viene
chiamato globalizzazione. Tra gli anni Cinquanta e Settanta le esportazioni crebbero
di quattro volte. Il commercio si sviluppò ad un ritmo più sostenuto. La crescita
investì soprattutto l’Europa occidentale che seppe sfruttare gli investimenti e
finanziamenti americani per rilanciare la produzione industriale e creare nuove
infrastrutture. I Paesi registrarono progressi anche in ambito delle esportazioni cioè
vendere prodotti all’estero, come la Francia, ma soprattutto Germania e Italia.
SVILUPPO ECONOMICO IN EUROPA TRA 1950 E 1970
L’età dell’oro può essere divisa in due:
 Gli anni dal 1945 al 1953 con la ricostruzione prebellica, la morte di Stalin e la
fine del conflitto in Corea portarono i presupposti per una stabilità politica con
una modernizzazione economica.
 Tra il 1950 al 1970 in Europa occidentale il tasso di incremento del Pil
(prodotto interno lordo principale indicatore della ricchezza di un Paese) non
conobbe mai flessioni, così anche la produzione industriale triplicò, anche il
settore terziario conobbe un vero e proprio boom.
In tutti i Paesi si registrò una crescita dei consumi interni sia delle
esportazioni, si arrivò a un circolo virtuoso tra investimenti capitalistici,
crescita dell’occupazione, aumento della produttività e nuova domanda.
Questo circolo generò tassi elevatissimi di sviluppo economico e portò in molti Stati
alla piena occupazione della forza lavoro.
MUTAMENTI DEL MONDO DEL LAVORO
Si registrò una diffusione senza precedenti del modello della grande fabbrica
taylorista-fordista. In seguito un aumento del numero dei lavoratori assunti in
fabbriche. Questo favorì la coesione tra operai e allargò la base dei sindacati.
I sindacati produssero aumenti di salari e la riduzione degli orari di lavoro, risultati
ovviamente grazie ad aspre vertenze contrattuali tra le organizzazioni degli
imprenditori e sindacati. Si parla quindi di ridurre anche le differenze sociali.
MIGRAZIONI, URBANIZZAZIONE, ISTRUZIONE
L’espansione del settore industriale provocò fenomeni migratori che vengono
divisi in due: al tradizionale espatrio dei lavoratori verso i Paesi con un alta
domanda di forza lavoro, come in Germania e Belgio aggiungendo migrazioni

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interne come in Italia dal Sud al Nord. Le campagne si svuotarono, contadini si
spostarono in città e diventarono operai.
L’euforia di quegli anni però fece dimenticare dei gravi problemi come la
speculazione edilizia, l’inquinamento, la pericolosità di alcuni materiali
industriali (amianto).
Furono avviate delle riforme agrarie, che migliorarono le condizioni ma non
impedirono l’esodo dalle campagne. La crescita aiutò anche con nuovi metodi di
coltivazione e fertilizzanti chimici.
Anche i trasporti e il commercio furono una grande crescita, diffusione di
supermercati e grandi catene di vendita. L’istruzione conobbe un grande
potenziamento, scuole e università assunsero una funziona nuova rispetto a prima
con preparazione delle figure professionali richieste.
IL NUOVO RUOLO DELLO STATO
Lo Stato rafforzò il proprio ruolo, la priorità dei governi era il benessere dei
cittadini. Si pose grande attenzione anche agli interventi pubblici, sia dei singoli
Stati sia degli organismi sovranazionali, per evitare sbalzi ciclici. Lo Stato diventò
ora un agente diretto dello sviluppo economico: con enti e aziende pubbliche, forti
investimenti nei settori, ma anche della scuola e della sanità. Si arrivò a una grande
economia mista, in cui lo Stato era imprenditore.
IL WELFARE STATE
Per welfare state si intende stato del benessere, l’obiettivo era di ridurre le
uguaglianze tra i cittadini tramite un insieme di interventi che comprendevano
assistenza sanitaria, sussidi di disoccupazione o maternità, edilizia popolare,
istruzione pubblica e gratuita, pensioni.
I modelli principali furono due:
 Occupazionale: il sostegno proveniente dallo Stato dipendeva dai versamenti
compiuti dai lavoratori (modello sperimentato in Germania)
 Universalista: gli interventi assistenziali erano uguali per tutti, ovvero non
dipendevano dal contributo portato dalla ricchezza del Paese (modello inglese)
In Italia si adottò un sistema misto: occupazionale per le pensioni, universalista
rispetto al sistema sanitario (uguale per tutti).
Per trovare le risorse necessarie al welfare state i governi occidentali ricorsero al
metodo della tassazione progressiva (principio di calcolo della quota di ricchezza
che ciascun cittadino deve versare allo Stato per permettere il funzionamento e
consentire l’erogazione dei servizi fondamentali).
IL BABY BOOM
Dal 1950 al 1970 la popolazione mondiale crebbe di un miliardo, grazie ai
progressi in campo della medicina e il miglioramento dell’assistenza sanitaria,
la mortalità infantile crollò.

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SOCIETA’ DEI CONSUMI
 Crescita del reddito e dei risparmi delle famiglie;
 Donne entrarono nel mondo del lavoro;
 Scelte di consumo in base a cultura, gusti musicali ed estetici, stile di vita;
 Trasformazione antropologica: centralità dell’individuo con nuovi stili di vita;
 Nuovi beni e nuovi bisogni: novità dai beni di consumo durevoli, automobili o
elettrodomestici che erano oggetti di desiderio; consumi alimentari mutarono,
aumento di spese in carne, formaggi, prodotti dall’industria; abbigliamento con
differenze da Paese a Paese;
 Il petrolio: materia prima strategica per la produzione di materiali plastici ect.
 Industria del tempo libero: aumento del consumo culturale di libri, cinema,
teatri; turismo di massa, riduzione dei costi dei viaggi in treno, nave e poi anche
in aereo; vacanze alla portata di molti;
 La televisione: fu uno dei prodotti-simbolo, trasmissioni televisive a partire dal
1949 in Europa; all’inizio in bianco e nero; definì un proprio linguaggio portando
il mondo in casa; avvio delle trasmissioni via satellite dopo il 1965 con
trasmissioni in diretta; televisione aveva cambiato i modelli culturali, il modo di
parlare e di pensare. Era uno strumento educativo e al tempo stesso
diseducativo; pubblicità;
 Lo sport: la diretta permise di vedere in tempo reale le competizioni sportive,
diventarono spettacoli globali per eccellenza; la pratica dello sport aumentò
l’interesse pubblico e del mondo politico (Olimpiadi di Berlino 1936); vittoria
della Germania nei mondiali di calcio del 1954; Italia vittoria di due grandi
campioni del ciclismo come Gino Bartali e Fausto Coppi; sconfitta inaspettata del
Brasile nella finale del mondiale di calcio del 1950 provocò alcuni suicidi;
TRASFORMAZIONI CULTURALI E SOCIALI
 Emancipazione delle donne: mutamento investiva il ruolo delle donne,
processo rapido ma graduale. Dal 1945 al 1975 la scolarizzazione di bambine e
ragazze e l’accesso al mondo del lavoro; pieno riconoscimento dei diritti politici
delle donne con il diritto al voto; alcune ottennero importanti cariche pubbliche;
nascita del movimento femminista, nascente femminismo che poi prese piede
con il movimento del 1968, abolire le differenze di trattamento, riformare la
legislazione sul diritto di famiglia, permettere il divorzio;
 Cambiamenti nella morale sessuale e nella mentalità: pillola
contraccettiva permise alle donne di separare la sessualità alla riproduzione;
sesso prematrimoniale si diffuse; visione del mondo diversa; uomini iniziarono a
condividere faccende domestiche;
 Tensioni e aspirazioni del mondo giovanile: rivendicare il diritto di essere
giovani e divertirsi; identità propria, modo di vestire e generi musicali, liberi
dalle regole e dai condizionamenti sociali; diffusione di bande giovanili come i
Teddy boys delle volte violenti con i film che ritraevano le gesta antieroiche di
giovani ribelli;
 Contestazione giovanile e il beat generation: dopo il 1945 maturò una
crescente insofferenza verso la società dei consumi, mentalità conformistica,
nacquero movimenti come gli hippies detti “capelloni” per abitudine dei capelli

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lunghi, loro contestavano la guerra e proponevano il ritorno alla natura, la libertà
sessuale, rinuncia all’Io anche con l’aiuto di droghe; A dar voce
dell’insoddisfazione dei giovani fu la controcultura, che vide il concorso di
scrittori, poeti e artisti del cinema e teatro, libro rappresentativo del periodo fu
“Sulla strada” di Jack Kerouac che raccontava la vita errabonda di un gruppo di
giovani sulle strade degli Stati Uniti. Si diede vita al beat generation;
 Il rock: i giovani determinarono le tendenze più importanti, 1953 esplosione del
rock’n’roll che esaltava comportamenti giudicati eversivi come l’amore libero e
in seguito uso di droghe; star del rock Elvis Presley, suscitò apre critiche tra i
conservatori, i cantanti, con le loro movenze allusive e sensuali incarnarono
l’anticonformismo nei giovani; rock divenne un fenomeno commerciale di grande
rilievo;
 Corsa nello spazio: innovazioni tecnologiche, nella corsa oltre i confini con la
terra; missioni spaziali costituirono il risultato della rivoluzione scientifica e si
legò alla corsa agli armamenti, in particolare alla messe a punto di missili
intercontinentali capaci di trasportare. Il 4 ottobre 1957 annuncio dato dai
sovietici che era stato lanciato in orbita il primo satellite artificiale della storia, lo
Sputnik 1 (satellite) con cui si aprì la corsa allo spazio; sovietici mantennero il
vantaggio: nel 1957 con lo Sputnik 2 mandarono una cagnetta in orbita; il 12
aprile 1961 il primo uomo, Jurij Gagarin e nel 1963 la prima donna Valentina
Tereskova; Nel corso degli anni Settanta gli americani recuperarono il ritardo e
vararono il programma Apollo che portò nel 1968 i loro astronauti a orbitare
attorno alla luna e il 20 luglio 1969 atterrare sul satellite terrestre e a fare
ritorno sulla Terra;
 Idea di progresso e fantascienza: la missione di Apollo 11 rappresentò il
simbolo più eloquente di tale convinzione; ingresso nell’era atomica con il
bombardamento di Hiroshima e Nagasaki; diedero vita anche a scenari
apocalittici o distopici;
 Questione ecologica e sviluppo sostenibile: problema ambientale, con
l’inquinamento dell’aria provocato dalle automobili ect. Il rapporto sui limiti dello
sviluppo, elaborato da un gruppo di studiosi statunitensi e tedeschi pubblicato
nel 1972 mise in guardia sui pericoli che correva l’ecosistema terrestre se la
crescita della popolazione e industrializzazione proseguivano a ritmi alti, si
derivò poi all’idea di sviluppo sostenibile.
LA DECOLONIZZAZIONE E IL TERZO MONDO
LA FINE DEGLI IMPERI COLONIALI IN ASIA
LA DECOLONIZZAZIONE:
Il dato che caratterizza l’età dell’oro è la decolonizzazione. Nel secondo dopoguerra
questo fenomeno indicò un cambio di segno del processo imperialista: dopo
Auschwitz l’Europa non poteva più rivendicare nulla. Nel dicembre 1948,
l’assemblea generale delle nazioni unite adottò la dichiarazione universale dei
diritti dell’uomo**, vennero riconosciuti i diritti umani inalienabili e ci si iniziò a
porre la questione riguardanti i diritti umani. Questo fu uno dei motivi per cui
divenne difficile svolgere pratiche imperialiste per le potenze.

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DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI UMANI
La “Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo” è stata redatta con un’esigenza
ben precisa: evitare il ripresentarsi di tutte le disgrazie che si sono successe negli
anni della Seconda Guerra Mondiale, come ad esempio il genocidio degli Ebrei e le
innumerevoli privazioni di libertà a cui i popoli dovettero sottostare. 30 sono gli
articoli della dichiarazione sui diritti dell’uomo e hanno tutti un’unica finalità e
nobile scopo: rendere il mondo un posto dove l’essere umano possa vivere meglio,
senza alcuna distinzione.
“ L’ASSEMBLEA GENERALE proclama LA PRESENTE DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI
DIRITTI DELL'UOMO come ideale comune da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte
le Nazioni, al fine che ogni individuo ed ogni organo della società, avendo
costantemente presente questa Dichiarazione, si sforzi di promuovere, con
l'insegnamento e l'educazione, il rispetto di questi diritti e di queste libertà e di
garantirne, mediante misure progressive di carattere nazionale e internazionale,
l'universale ed effettivo riconoscimento e rispetto tanto fra i popoli degli stessi Stati
membri, quanto fra quelli dei territori sottoposti alla loro giurisdizione.”
Inoltre, i paesi sottomessi iniziarono a ribellarsi. I primi imperi coloniali a cadere
furono quelli britannico, francese e olandese in Asia, che si arresero alla spinta dei
movimenti indipendentisti. Il punto d’inizio fu l’Indipendenza dell’India nel 1947
grazie al leader del movimento indipendentista Gandhi. Successivamente il
movimento di indipendenza cinese, contro il Giappone, e con la proclamazione della
Repubblica cinese nel 1948, infine le altre operazioni militari, con esiti più o meno
violenti. In questo processo di decolonizzazione i paesi di riferimento furono: Unione
Sovietica, Cina, l’Africa con l’Egitto di Nasser, l’Asia con il Vietnam e l’Algeria.
INDIPENDENZA DELL’INDIA
Durante la Seconda guerra mondiale, il movimento indipendentista guidato da
Gandhi aveva proseguito la sua campagna non violenta di disobbedienza civile per
l’indipendenza. Il governo inglese promise al Paese l’autogoverno ma il Partito del
congresso rifiutò; i britannici reagirono con violenza e Gandhi venne arrestato. Con
la fine della Seconda guerra mondiale alla lotta per l’indipendenza si sommarono i
contrasti interfonici e interreligiosi tra hindu e musulmani. La Lega musulmana
propose la nascita di uno Stato islamico indipendente nel Nord-est, il Pakistan. Ad
accelerare il processo verso l’indipendenza fu l’arrivo del partito laburista al
governo del Uk, che decise di superare il dominio coloniale. Tra il 1946 e 1947 si
arrivò alla creazione di due nuovi stati: l’India e il Pakistan, a sua volta suddiviso in
due regioni, il Pakistan e il Bangladesh. Entrambi i paesi celebrarono la loro
indipendenza il 15 agosto 1947. Tuttavia seguirono disordini: un esodo verso i due
rispettivi Stati. Gandhi, in un clima di crescente intolleranza, cercò di ricomporre il
conflitto ma venne assassinato il 30 gennaio 1948.
INDIA DI NEHRU
Nel 1950 entrò in vigore la nuova Costituzione che fece dell’India lo Stato
democratico più popoloso del mondo, che riuscì a preservare le istituzioni

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democratiche nonostante le gravi lacerazioni sociali, etniche e religiose. Il premier
Nehru tentò di modernizzare il paese mediante riforme e interventi dello Stato, ma
ogni sforzo fu inutile a causa della crescita demografica. Allora varò un progetto di
società socialista, che non fu una scelta ideologica ma un progetto di pianificazione
e collettivizzazione. Tuttavia, fin dalla sua indipendenza, l’idea dovette confrontarsi
con i problemi di confine con il Pakistan. Alla fine del 1947 scoppiò la Prima guerra
indo-pakistana nella regione del Kashmir.
L’india dovette affrontare anche conflitti con la Cina che, nel 1950, occupò il Tibet.
FRANCIA E TENSIONI INDIPENDENTISTE E GUERRA IN INDOCINA
A differenza della Gran Bretagna, che alla fine favorì la transizione dell’India verso
l’indipendenza, la Francia oppose in Indocina una resistenza ingaggiando una lunga
guerra contro le forze indipendentiste e comuniste, contribuendo a segnare in senso
antidemocratico il futuro di quella regione asiatica.
Alla fine della Seconda guerra mondiale, nell’Indocina francese si erano costituiti
Stati autonomi: Vietnam, Laos, Cambodia. Nel Vietnam le armate del Viet-minh, la
Lega per l’indipendenza di Vietnam, organizzate dal Partito comunista sotto la guida
di Ho Chi-minh, il 2 settembre 1945 occuparono la capitale Hnoi e proclamarono la
nascita della Repubblica Democratica del Vietnam. Le truppe francesi e inglesi
occuparono il Sud del Paese e la Cambodia. La regione diventò una polveriera e alla
fine del 1946 iniziò una lunga guerra fra le truppe coloniali francesi e quelle
comuniste. La Guerra d’Indocina durò fino al 1957. Con la nascita della Cina
comunista i Viet-minh trovarono un potente alleato. Anche le truppe francesi
godevano dell’aiuto economico e militare degli Usa. Nonostante questi provarono
una controffensiva, nel 1954 vennero sconfitti. Nella conferenza di Ginevra del 21
luglio 1954 si decise di dividere in due in territorio vietnamita, all’altezza del 17
parallelo: i Viet-minh al Nord, i francesi e alleati locali al sud. Ma il presidente
americano Eisenhower nello stesso 1954 dichiarò che gli Usa si sarebbero impegnati
per impedire l’espansione comunista in Indocina e formulò “la teoria del dominio”.
TRA NAZIONALISMO E ISLAMISMO: PAKISTAN, INDONESIA E MALESIA
Nel processo di decolonizzazione rivestirono un ruolo importante i Paesi a
maggioranza islamica. In primo luogo il Pakistan, poi l’Indonesia olandese che
divenne indipendente il 27 dicembre 1949, e la Malesia.
Come in Asia, anche in Medio Oriente la conclusione del conflitto mondiale pose fine
al dominio coloniale. La novità più rilevante fu la nascita dello Stato di Israele, che
cambiò l’assetto geopolitico di tutta la regione.
ISRAELE E IL MEDIO ORIENTE
SITUAZIONE IN PALESTINA E NASCITA DELLO STATO DI ISRAELE
Nel corso della Seconda guerra mondiale in Palestina i corpi ebrei proseguivano
l'azione finalizzata alla creazione di uno Stato ebraico. In primo luogo si opposero al
dominio britannico, sia politico che militare, e che dal 1939 avevano promesso agli
arabi l’indipendenza della Palestina. Dopo una serie di attentati contro gli inglesi,

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nel 1944, e le reazioni sempre più violente dei britannici, gli anglo-americani
proposero la divisione della Palestina in due territori, uno arabo e uno ebraico. Dopo
aver generato lo sdegno nell’opinione pubblica, in seguito al blocco da parte degli
inglesi di una nave di ebrei che si stavano dirigendo in Palestina, la questione passò
all’Onu. La Shoah fece maturare un gran senso di colpa, grazie al quale venne
concesso agli ebrei il ritorno nel mondo ebraico. Nel 1947 l’Onu con la Risoluzione
181 dichiarò concluso il mandato britannico sulla Palestina e annunciò la nascita di
due Stati indipendenti. Da lì a poco il conflitto si trasformò in una guerra civile fra
arabi e ebrei; gli arabi tentavano di impedire la formazione di uno Stato ebraico.
Il 14 maggio 1948 nacque lo Stato d’Israele nel territorio della Palestina e scoppiò la
Prima guerra arabo-israeliana. Lo Stato d’Israele visse un periodo di forte sviluppo
economico, per il quale risultò decisivo anche l’afflusso di ingenti capitali
dall’estero. Agli arabi, invece, fu espropriata parte della terra e si trovarono a
svolgere le mansioni più umili. Israele destava l’interesse del mondo occidentale,
mentre il mondo arabo aveva, invece, l’attenzione dell’Unione Sovietica.
Israele estese il proprio territorio in varie fasi, di cui la più critica fu la Guerra dei sei
giorni. Dopo il 1948 l’Onu chiese la costituzione di uno Stato di Palestina, che Israele
non ha mai concesso.
L’EGITTO, NASSER E IL PANARABISMO
Nel 1945 gli Stati indipendenti dell’area mediorientale si riunirono nella Lega araba,
in cui emerse la Leadership dell’Egitto di Faruk. Tuttavia il moderato panarabismo
(movimento che professa unità politica delle popolazioni di lingua e cultura araba)
non soddisfaceva i movimenti di opposizione e prese potere il Partito nazionalista. Il
nuovo governo annullò il trattato anglo-egiziano del 1936, secondo cui Egitto
acquisiva indipendenza da Uk il quale mantenne diritto di far stazionare truppe nel
Canale di Suez. Iniziò un moto di protesta popolare, represso dalle truppe
britanniche, che sfociò nel 23 luglio 1952 in un colpo di stato organizzato da un
gruppo di militari guidati da Nasser. La presidenza della nuova Repubblica egiziana
fu affidata allo stesso Nasser, che promosse lo sviluppo economico. Nel 1954 Nasser
ottenne il ritiro delle truppe britanniche da Suez e divenne il simbolo delle
rivendicazioni dell’intero mondo arabo , nonché difensore della piena indipendenza
egiziana, e rilanciò il panarabismo.
LIBANO E SIRIA
Nel 1946 le truppe francesi, sotto la pressione britannica, abbandonarono la Siria e
il Libano. Questo ultimo diventò un “paradiso fiscale”, ma restò sconvolto dalle
tensioni religiose interne, fra cristiani e musulmani, che nel 1958 sfociarono in una
guerra civile vinta dai cristiani, sostenuti militarmente dagli Usa. In Siria, invece,
dopo l’Indipendenza il potere fu preso dai militari nel 1949. Tra il 1958 e il 1961 la
Siria fu annessa all’Egitto nella Repubblica Araba Unita.
I PAESI DEL PETROLIO: IRAQ, ARABIA SAUDITA E IRAN
Nel dopoguerra i principali Paesi petroliferi del Medio Oriente, già indipendenti,
videro aumentare enormemente i proventi legati al petrolio, che però solo in piccola

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parte andavano a beneficio della popolazione. In Iraq nel 1958 scoppiò una rivolta
nazionalista e Qāsim instaurò la Repubblica che, tuttavia, non pose fine al problema
della minoranza curda (musulmani di rito sunnita). L’opposizione curda, e quella
comunista, venne repressa nel sangue dalla dittatura instauratasi nel 1959. Ancora
più dell’Iraq, l’Arabia Saudita beneficiava di grandi incassi di petrolio; nel Paese
operavano le cosiddette “sette sorelle”, le principali multinazionali che
controllavano la quasi totalità del mercato mondiale. l’Iran, nonostante la presenza
di tendenze islamiste radicali, preservò il filo-occidentalismo a causa dei suoi
interessi economici. Infatti qui gli Usa intervennero dopo che la compagnia
petrolifera fu nazionalizzata.

LA DECOLONIZZAZIONE IN AFRICA
Dopo l’indipendenza dell’India nel 1947 e la proclamazione della Repubblica
comunista cinese nel 1948, venne l’Algeria (parte dell’impero coloniale francese) in
Africa, dove il processo di decolonizzazione si concentrò negli anni Sessanta.
L’Algeria fu lo specchio della crisi del sistema europeo.
In Africa le potenze adottarono due strategie di dominio: il modello britannico
mirava a creare Stati federali da includere nel Commonwealth e concedeva forme di
autonomia e autogoverno; il modello francese era più orientato all’assimilazione,
limitando a ristrette élites locali la concessione di alcuni diritti civili e politici. Nel
dopoguerra in Africa si assistette all’accelerazione del processo di urbanizzazione;
inoltre ci fu un parziale miglioramento delle condizioni economiche, favorito dalla
presenza di imprese occidentali sul territorio. Nacquero i ceti medi locali, che
approfittarono di alcuni progressi nella vita politica e sociale, per dar vita a partiti
nazionalisti e movimenti indipendentisti.
LA LOTTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE IN ALGERIA
In Algeria, parte dell’Impero coloniale francese, si venne a creare un movimento
indipendentista che si organizzò nel Fronte di liberazione nazionale (Fln). Nel 1954
iniziò un primo periodo terroristico in cui si contrapposero la maggioranza araba e la
minoranza francese. Le rappresaglie culminarono nella battaglia di Algeri nel 1956-
1957: una guerriglia nella capitale in cui i francesi risposero sospendendo le libertà
civili e intervenendo con azioni repressive. La guerra mise in crisi la Francia e la
stessa Europa. La fase calda dell’Algeria fu dal 1958 l 1962. La Francia si divise fra
progressisti, che rifiutavano la guerra, e coloro che volevano rivendicare il
colonialismo. Ciò determinò una crisi politica interna che portò alla nascita, nel
1958, della cosiddetta “Quinta Repubblica”, dotata di nuova Costituzione, e al
ritorno al potere di De Gaulle. Questo indisse un referendum in patria che nel 1961
gli diede sostegno dei francesi e gli consentì di avviare colloqui di pace con il Fronte
di liberazione nazionale e i negoziati proseguirono fino alla dichiarazione
d’indipendenza dell’Algeria del 5 luglio 1962. Il nuovo governo algerino si imperniò

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su partito unico dell’Fln e riconobbe l’islamismo come elemento dell’identità del
popolo algerino.
Nelle altre colonie francesi, i processi d’indipendenza furono effetto di una strategia
di De Gaulle per la quale il tentativo era quello di favorire l’indipendenza dei Paesi
africani, conservandone il controllo economico e militare.
L’anno simbolo, detto “anno dell’Africa”, della decolonizzazione fu il 1960 , quando
in Africa divennero indipendenti 14 paesi grazie, appunto, all’indipendenza
controllata di De Gaulle. Questo fatto determinò le condizioni necessarie per il
passaggio da sistema bipolare a sistema multipolare.
Nelle colonie britanniche emersero grandi leader indipendentisti che si
richiamavano ai principi del nazionalismo, del panafricanismo e alle teorie di Gandhi
e che resero le colonie indipendenti : Nkrumah in Ghana, Kenyatta in Kenia nel
1963, Balewa in Nigeria nel 1960; stessa sorte ebbero Tanzania e Uganda.
IL SUD AFRICA DELL’APARTHEID
In Sudafrica nel dopoguerra si accentuò il regime di apartheid. Nel 1948 vinsero le
elezioni gli afrikaner, la minoranza bianca che aveva potere economico, politico e
militare. Il nuovo governò intensificò l’azione repressiva e razzista e inasprì la
legislazione segregazionista. I neri furono costretti a trasferirsi nelle township,
agglomerati urbani controllati dalle forze dell’ordine. La maggioranza nera era
rappresentata dall’African national congress (Anc), fra cui leader vi era Nelson
Mandela, che negli anni ’50 organizzò vere e proprie ribellioni e, dopo essere stato
messo fuori legge, nel 1960 organizzò una lotta armata . Nel 1961 un referendum
diede vita alla Repubblica del Sudafrica, che uscì dal Commonwealth e avviò
processo di sviluppo economico, grazie anche a investimenti anglo-americani.
Nel 1964, dopo la morte di Kennedy, scoppiò il conflitto in Vietnam; il momento
forte fu tra il 1964 e il 1968. La guerra in Vietnam diventò il nuovo simbolo delle
forze di liberazione.
Ciò fu reso possibile anche dal fatto che si sia trattato di una guerra mediatica, la
prima che il mondo conobbe: grazie all’affermazione della tv in occidente a metà
degli anni ’50 e con il forte aumento della dimensione mediatica degli anni ’60.
Nel frattempo a Cuba avvenne la rivoluzione contro la dittatura di Batista.
Queste due guerre d’indipendenza, assieme a quella algerina rispecchiano
rispettivamente il simbolo asiatico, quello americano e quello africano, e sono il
riferimento del cosiddetto terzomondismo.
I fenomeni distintivi e complessivi della decolonizzazione furono: il neocolonialismo,
ovvero nuove forme di colonialismo che si esercitarono attorno al possesso
economico e commerciale da parte del sistema capitalistico occidentale ( questo
fenomeno può essere esemplificato dall’invio di rifiuti in Africa, nell’imposizione di
monocolture che comportò subalternità in termini economici dei paesi sottomessi ai
paesi che detengono potere, etc); in secondo luogo la decolonizzazione ha messo in

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moto un cambiamento culturale che ha rappresentato la spinta verso la
globalizzazione, poiché ne costituisce le premesse.
IL TERZO MONDO
Per “Terzo mondo” ci si riferisce ai paesi poveri e arretrati ma nel 1952 ci si riferiva
a quell’area del mondo al di fuori del sistema bipolare della Guerra Fredda, cioè né
compresa nell’Occidente capitalista, ovvero Primo mondo, né nei Paesi comunisti, il
Secondo mondo. L’espressione aveva anche una connotazione socio-politica:
ricordava il Terzo stato che il soggetto della Rivoluzione francese. L’espressione
“Terzo mondo” si affermò negli anni ‘5o e divenne parola chiave della
decolonizzazione. Con la decolonizzazione venne messa in discussione la cultura
imperialista dell’Europa e con essa la separazione fra est e ovest, che aveva
caratterizzato il periodo della Guerra Fredda. Venne introdotta una nuova chiave di
lettura: una divisione fra nord (ricco) e sud (povero). Il Terzo mondo non è altro che
il Sud del mondo, che nel tempo si insedierà negli altri due mondi, ad esempio
tramite le periferie urbane. Questa nuova divisione ha comportato il presentarsi di
nuove problematiche, più economico-sociali che politiche.
IL MOVIMENTO DEI PAESI NON ALLINEATI
L’idea di una politica internazionale neutrale, cioè autonoma sia dal blocco
occidentale che da quello comunista, fu proposta nella prima Conferenza
afroamericana dei Paesi non allineati, che si svolse a Bandung, in Indonesia,
nell’aprile 1955. Il movimento dei Paesi non allineati rappresentava il tentativo di
uscire dal precedente sistema bipolare per spostare l‘attenzione sull’opposizione
nord-sud. A prenderne parte furono i maggiori Paesi di recente indipendenza:
l’Indonesia di Sukarno, l’India di Nehru, l’Egitto di Nasser, la Cina e la Jugoslavia di
Tito, che per primo aveva teorizzato il neutralismo fondando uno Stato socialismo
autonomo da Mosca. Tuttavia non tutti i 29 paesi erano davvero non allineati: la
Cina era alleata dell’URSS e il Pakistan degli Usa. Ma tutti i Paesi convergevano sul
fatto che il processo di decolonizzazione fosse inarrestabile e che avrebbe dato vita
ad una rete di Paesi favorevoli alla cooperazione pacifica tra popoli. Il Movimento si
costituì ufficialmente nel 1961 e negli anni seguenti incluse quasi tutti i paesi ex
coloniali.
LA COESISTENZA PACIFICA E LA CRISI DI SUEZ
Il messaggio della Conferenza di Bandung spinse le due superpotenze, Usa e URS, a
cambiare strategia verso il Terzo mondo, rinunciando alla pretesa di imporre il
proprio modello politico ed economico. Da quel momento iniziò una “coesistenza
pacifica” fra Usa e URSS, i cui effetti si manifestarono nella “crisi di Suez”.
Nel 1955 Nasser decise di riarmare l’esercito egiziano ma, per contro, gli Usa nel
1956 negarono all’Egitto i finanziamenti, già decisi, per la costruzione della diga di
Assuan. Nasser rispose il 26 luglio 1956 con l’annuncio della nazionalizzazione della
Compagnia del canale di Suez, di proprietà anglo-francese, che era l’ultimo
avamposto del dominio coloniale europeo in Egitto, nonché punto strategico per i
commerci con l’Oriente.

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LA GUERRA DEI SINAI
I britannici, che si sentivano umiliati, incontrarono a Sèvres francesi e israeliani per
preparare un attacco all’Egitto e poco dopo i militari israeliani aprirono le ostilità:
ebbe inizio la Guerra del Sinai. Tuttavia Usa e URSS, dopo che l’Onu aveva ordinato
di cessare il fuoco, intervennero per costringere francesi e britannici ad
abbandonare il terreno di guerra, accettando risoluzione dell’Onu. L’intervento di
Usa e Urss, a tutela degli interessi degli egiziani, assicurò a Nasser una definitiva
vittoria sul colonialismo, mentre nei Paesi arabi si accendeva il nazionalismo anti-
occidentale. Il sistema capitalistico stava già iniziando a costruire processi di
integrazione dei paesi del Terzo mondo.
DECOLONIZZAZIONE O NECOLONIALISMO?
La crisi di Suez contribuì a ridisegnare il quadro delle relazioni internazionali in
Medio Oriente perché determina la fine del colonialismo anglo-francese e fece degli
Usa i garanti della stabilità della regione, proponendo l’URSS come protettrice del
panarabismo. Tuttavia il processo di decolonizzazione ha un duplice volto: non fu
una via e propria liberazione dal dominio coloniale, ma un cambiamento delle sue
modalità e dei suoi protagonisti. Si passò da un controllo politico diretto a uno
indiretto, il neocolonialismo, che garantiva la continuità degli interessi economici
europei e il consolidamento di quelle della nuova superpotenza americana. La
decolonizzazione servì a integrare il Terzo mondo nell’economia occidentale
AMERICA LATINA
L’America Latina presenta diversi aspetti del neo-colonialismo. Nel dopoguerra si
era rafforzata l’influenza politica ed economica degli Usa nel subcontinente. Con
una serie di accorsi fu sancita l’egemonia nordamericana: patti di assistenza
militare, Trattato interamericano di assistenza reciproca 1947, Organizzazione degli
Stati americani (Oas) 1948. All’ombra di questa influenza americana, l’America
Latina, nel dopoguerra, vide il susseguirsi di regimi populisti e autoritari.
Argentina di Peron Il regime populista per eccellenza fu quello di Pèron in Argentina
nel 1946, che godette di gran consenso, grazie alla ripresa economica e alla difesa
dei diritti sociali, soprattutto fra i giovani descamisaodos.(senza camicia)
Ma anche altri paesi latinoamericani vissero situazioni simili, alternando governi
populisti a regimi più apertamente dittatoriali: Brasile, Venezuela , Colombia,
Bolivia, Perù , etc.
RIVOLUZIONE CUBANA DI FIDEL CASTRO
Cuba era sotto il regime dittatoriale di Batista dal 1952, dopo una breve parentesi
democratica.
Nel 1959 una rivoluzione popolare, guidata da Fidel Castro ed Ernesto “Che”
Guevara, abbatte la dittatura. Nel gennaio 1959 Castro e i suoi conquistarono
l’Avana instaurando un governo rivoluzionario. Il nuovo regime non fu socialista fin
dall’inizio, lo diventò dopo la morte del Che. Inizialmente era più radicale: riforma
agraria, riforme sociali e contestò interessi economici degli Usa. Questi decisero di

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mettere in difficoltà il nuovo regime cubano con sanzioni economiche e fu allora che
Fidel decise di allearsi con l’URSS, avvicinandosi all’ideologia socialista. Nel 1961 la
Cia organizzò un tentativo di invasione che il governo rivoluzionario respinse. Cuba
diventò il mito de riscatto latino-americano contro l’egemonia degli USA.

ITALIA DEL MIRACOLO ECONOMICO (1948-68)


GLI ANNI DEL CENTRISMO (48-58)
POLITICA ECONOMICA E POLITICA ESTERA NEGLI ANNI DEL CENTRISMO
Le elezioni de 1948 inaugurarono in Italia la stagione del centrismo, ovvero una
formula politica che si basava sull’alleanza di governo tra la Democrazia cristiana, il
Partito liberale, il Partito repubblicano e quello socialdemocratico. I primi governi
centristi guidati fino al 53 dal leader democristiano Alcide de Gasperi puntarono a
completare la ricostruzione economica secondo le linee guida indicate dal ministro
delle Finanze, il liberale Luigi Einaudi che divenne il presidente della Repubblica nel
maggio 1948;
 Stabilità della moneta e contenimento dell’inflazione;
 Abolizione delle barriere protezionistiche ereditate dal fascismo;
 Apertura dell’economia nazionale al mercato mondiale;

A tali misure tipicamente liberali la politica economica italiana affiancò un forte


intervento dello Stato nell’economia per realizzare le infrastrutture necessarie per lo
sviluppo. Accanto al già esistente Iri (Istituto per la ricostruzione industriale)
incaricato per costruzione di centrali elettriche, strade, opere pubbliche e acciaierie,
fu fondato l’Eni destinato ad assicurare al Paese l’approvvigionamento di energia.
L’economia italiana quindi fondò un sistema misto caratterizzato dalla aziende
private e grandi imprese pubbliche. Sul piano internazionale gli assi importanti
furono due:
 Ingresso nel Patto atlantico a guida statunitense (1949) resosi inevitabile
con l’adesione al Piano Marshall;
 L’europeismo di cui De Gasperi e i suoi successori furono convinti sostenitori;

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I trattativi fondativi della Cee (Comunità economica europea) furono firmati a Roma
nel 1957. Nel 1955 il nostro Paese fu ammesso a far parte dell’Onu.
IL PCI E IL PSI FINO AL 1953
Anche in Italia dal 48 al 53 ci furono scontri ideologici e politici, la presenza del
Partito comunista più forte dell’Europa occidentale assieme a quello francese, rese
la tensione più alta che altrove. Dalle elezioni del 1948 in poi il Pci si affermò come
il principale partito della sinistra italiana, esercitando sul maggior sindacato italiano,
la Cgil e su vasti settori del mondo della cultura. Il Pci si propose malgrado il suo
stretto rapporto con l’Urss, come una forza politica nazionale che non voleva
importare in Italia il modello politico e sociale dei Paesi comunisti. Il leader del Pci
Palmiro Togliatti non riuscì a diminuire il peso delle componenti più intransigenti, la
via italiana al socialismo ebbe più di un intoppo. Il partito socialista indebolito dalla
scissione che aveva portato alla nascita del Partito socialdemocratico era
attraversato da nuovi divisioni interne. Il suo gruppo guidato da Pietro Nenni,
mantenne l’alleanza con i comunisti ma cominciò a prospettare nuove strategie per
uscire dall’isolamento e dalla subalternità al Pci. Cominciò a guardare alla sinistra
della Dc ovvero di quei dirigenti democristiani che erano a favore ad attribuire allo
Stato una funzione di primo piano dei ceti più disagiati e in vista di una maggiore
giustizia sociale.

ANNI DURI DELLO SCONTRO POLITICO


I positivi risultati in campo economico non portarono gli stessi benefici a tutti i
gruppi sociali nel quadro di un modello fondato su bassi salari, bassi consumi e una
certa dose di autoritarismo nei luoghi di lavoro, a causa del quale il potere
contrattuale degli operai restò basso anche per la divisione del fronte sindacale.
L’anticomunismo diventò una preoccupazione centrale del governo, alla polizia fu
ordinato di intervenire contro scioperi e dimostrazioni operaie come a Modena che
nel 1950 furono uccisi sei lavoratori. Non furono rari i casi di licenziamento nelle
grandi fabbriche di militanti dei partiti e dei sindacati di sinistra e di pratiche
contrarie alla libertà sindacale. La chiesa cattolica con Pio XII assunse una linea
conservatrice e partecipò all’inasprimento della lotta politica con la scomunica dei
comunisti.
RIFORMA AGRARIA E EMIGRAZIONE INTERNA
I contadini occuparono le terre tenute a latifondo o lasciate incolte. Le forze
dell’ordine intervennero con violenza; Le proteste indussero la Dc che nelle
campagne aveva uno dei suoi principali bacini di consenso a varare una riforma
agraria di ampio respiro. Circa 750.000 ettari di terra furono redistribuiti ai contadini
dietro il pagamento di appositi mutui agevolati; si formò una leva di piccoli
proprietari terrieri. Questo provvedimento indebolì il latifondo nel Mezzogiorno ma
coinvolse una percentuale bassa di contadini rispetto al totale. Le dimensioni
contenute degli apprezzamenti non permettevano grandi margini di guadagno. Si
produsse così un esodo di grandi dimensioni che negli anni Cinquanta si rivolse
soprattutto verso l’estero, mentre nel decennio successivo fu diretto in massima
parte verso il triangolo industriale (Nord ovvero Torino, Genova e Milano). In
sostanza la riforma non riuscì a impedire un complessivo impoverimento delle

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campagne. Essa creò degli enti per la rappresentanza dell’agricoltura dominata da
Coldiretti in modo clientelare come leva di consenso per la Dc.
LA CASSA PER IL MEZZOGIORNO E LE CATTEDRALI DI DESERTO
Nel 1950 fu istituita la Cassa per il Mezzogiorno ovvero ente pubblico per finanziare
la creazione delle infrastrutture di cui le regioni meridionali erano prive. Il piano
delle opere pubbliche doveva aumentare le commesse per le imprese del Nord e
creare posti di lavoro per il Sud. Effettivamente introdussero un’economia delle
regioni meridionali cambiamenti importanti ma non risolutivi. Nel 1957 avviate dallo
Stato per il Meridione aree a intenso sviluppo industriale: i poli di sviluppo come
quello siderurgico di Taranto o quello petrolchimico a Siracusa. La disorganizzazione
degli interventi e l’assenza di tessuto industriale con cui interagire fecero si che
questi centri detti cattedrali nel deserto in molti casi non raggiungessero i risultati
occupazionali sperati.
ELEZIONI DEL 1953 E LA FINE DEL GOVERNO DE GASPERI
Le elezioni del 1953 dopo la fine della dittatura e della guerra si svolsero con una
nuova legge elettorale maggioritaria voluta da De Gasperi per la stabilizzazione del
sistema parlamentare e frenare l’emorragia di voti della Dc verso la destra. La sua
approvazione provocò uno scontro con le opposizioni che la definirono legge truffa,
ma diede preoccupazione anche in settori più moderati dello schieramento politico.
Il risultato elettorale registrò un record di schede nulle e contestate e vide la
maggioranza centrista sotto il 50%. La Dc passò dal 48% al 40%. Questo portò alla
fine politica di De Gasperi.

STAGIONE DEL CENTRO-SINISTRA


LA DC DI FANFANI
Alla guida del Dc entrò Amintore Fanfani vincitore del congresso del partito del 1954
con la sua corrente, iniziativa democratica. Cercò di rilanciare il partito come forza
di rinnovamento e modernizzazione della società italiana puntando allo sviluppo
economico. Cercò di rendere la Dc più autonoma rispetto alle forze sociale
soprattutto la chiesa e la Confindustria che avevano fortemente sostenuta ma
anche condizionata in senso conservatore. Per fare ciò doveva promuovere
investimenti produttivi e iniziative di spesa pubblica in campo sociale (edilizia
popolare). In tal modo i consensi che si sarebbero persi tra gli imprenditori
sarebbero ampiamenti compensati da quelli dei lavoratori degli enti di Stato e delle
aziende a partecipazione statale. La compenetrazione tra la Dc e gli apparati dello
Stato si fece più stretta e nel tempo produsse due effetti: la politicizzazione
dell’amministrazione pubblica e la diffusione di pratiche clientelari specialmente nel
Mezzogiorno.
IL 1951: CRISI DEL PCI E NUOVA LINEA DEL PSI
Nel 1956 con il XX congresso del Partito comunista sovietico il primo dopo la morte
di Stalin fu segnato dalla denuncia dei gravi errori commessi dal dittatore, nello
stesso anno l’Armata rossa invase l’Ungheria e represse nel sangue la rivolta
scoppiata. Questi due avvenimenti misero in difficoltà il gruppo dirigente del Pci e il
segretario Togliatti. Nell’VIII congresso del Pci affiorarono segni di dissenso rispetto

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alla fedeltà a Mosca; intellettuali lasciarono il partito per protesta: tra questi lo
scrittore Vittorini e Italo Calvino. Togliatti colse l’occasione per rinnovare i vertici del
partito e rilanciare il progetto di una via nazionale al socialismo, più libera dagli
schemi del marxismo-leninismo. La conseguenza politica importante del 1956 fu
un'altra: il leader socialista Nenni criticò l’intervento sovietico in Ungheria e ruppe
l’alleanza con i comunisti e nel congresso del 1957 rilanciò i valori della libertà e
della democrazia. Questa mossa preparò il terreno per un avvicinamento del Psi alla
Dc che nel frattempo stava mettendo da parte la formula del governo centrista.
L’accordo politico tra socialisti e la Dc fu favorito dalla prepotente crescita
economica del Paese.
LA NASCITA DEL CENTRO-SINISTRA
Agli inizi degli anni Sessanta il quadro politico cambiò. Con il pontificato di Giovanni
XXIII la Chiesa assunse un atteggiamento meno autoritario e più sensibili a problemi
dei ceti popolari. Invece nel campo internazionale si creava un tentativo di
distensione delle relazioni tra Usa e Urss che fece rimarginare i toni dello scontro
ideologico. Nel fronte interno ancora problemi nel mondo del lavoro che portarono a
proteste operaie. Questo fece avvertire ai dirigenti della Dc l’urgenza di un
mutamento di linea politica. Le resistenze interne erano molte ma nel 1960 il nuovo
segretario della Dc, Aldo Moro decise di cambiare rotta: ovvero guardare a sinistra,
fare entrare nella maggioranza i socialisti. Il congresso di Napoli della Dc nel 1962
sanzionò l’apertura di sinistra e nel febbraio dello stesso anno si formò il governo
Fanfani dove ne parteciparono socialdemocratici e repubblicani. Il Psi si astenne e
garantì l’appoggio esterno sulla base di precisi impegni programmati. I comunisti
restarono all’opposizione.
IL PCI NEGLI ANNI SESSANTA
Il Psi con la sua mossa mise in difficoltà i comunisti, essi poterono trarre vantaggi in
termini elettorali per essere l’unica forza di sinistra all’opposizione ma erano isolati
e lontani per governare. Nell’estate 1964 i militanti comunisti furono scossi dalla
morte di Togliatti che aveva scritto poco prima un documento in Crimea e noto
come Memoriale di Jalta che aveva sostenuto la linea dell’autonomia da Mosca.
Questa linea fu portata avanti dal successore Luigi Longo.
IL CENTRO-SINISTRA DAL 1962 AL 1964
Il governo di centro-sinistra fece approvare la riforma della scuola media inferiore e
la nazionalizzazione dell’industria elettrica, passando in gestione ad un’azienda di
Stato, l’Enel. La spinta riformista del governo di centro-sinistra fu arrestata
dall’arrivo dei vertici della Dc che intimoriti dall’opposizione di ampi settori
imprenditoriali. Ci fu un calo di voti della Dc nelle elezioni del 1963 i liberali
raddoppiarono i consensi. La crescita economica subì un rallentamento. Per la Dc
non c’erano altre alternative alla formula del centro-sinistra che fu anzi rafforzata
nel dicembre del 1963 con il nuovo governo di Moro.
E DAL 1964 AL 1968
Nel Psi la linea del centro-sinistra la conseguenza fu una scissione: all’inizio del
1964 l’ala sinistra del partito uscì per fondare il Psiup (Partito socialista di unità
proletaria). Moro fu primo ministro fino al 1968 in tre diversi governi di centro-
sinistra nessuno dei quali trovò delle riforme incisive: il decentramento di alcuni

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poteri alle Regioni fu nuovamente rimandato e non si trovò nulla per la riforma
urbanistica, della scuola e amministrazione politica. Il rallentamento dell’economia
legato dall’andamento internazionale dovuto a una restrizione dei crediti bancari.
Alcuni importanti settori erano decisi a impedire il corso delle riforme, perché
troppo di sinistra ad es. il ricorso all’esproprio. Nell’estate 1964 un colpo di Stato
guidato da Giovanni De Lorenzo e Antonio Segni (Pres. Della Repub.), detto il Piano
Solo che prevedeva il sequestro di 700 personalità politiche e sindacali e
l’instaurazione di un regime autoritario transitorio. Moro seppe resistere alle
intimidazioni e poco dopo Segni dovette dimettersi per motivi di salute. Il governo
non ebbe la forza per superare l’immobilismo e attuare una maggiore democrazia e
redistribuzione della ricchezza che venivano richieste.
MIRACOLO ECONOMICO ITALIANO
Tra il 1955 e 1963 economia italiana crescita a ritmi molto sostenuti, le cause
principali furono:
 Favorevole congiuntura dell’economia internazionale;
 Vasta riserva di manodopera pronta a lavorare anche con salari bassi, dovuta da
un numero alto di disoccupati che permise alle imprese italiane di esportare
merci a prezzi competitivi;
 Qualità media dei prodotti destinati all’esportazione;
 Possibilità per le aziende di usufruire di energia e materie prime a prezzi
contenuti;
 Crescente integrazione dell’economia italiana con quella del Vecchio Continente
grazie alla nascita del Mercato comune europeo e assenza di dazi doganali, con
quella internazionale che le regole stabilite a Bretton Woods avevano reso più
stabile;
Il poderoso sviluppo produttivo trasformò l’Italia da Paese soprattutto agricolo a
Paese prevalentemente industriale. Il numero nel settore secondario industriale
sopravanzò per la prima volta quello dei lavoratori nel settore primario. Il numero
degli addetti nell’agricoltura crollò anche a seguito della meccanizzazione.
BOOM ECONOMICO E CONSUMISMO
Il reddito pro capite raddoppiò, questo permise a una quota rilevante della
popolazione di superare il livello di pura sussistenza e acquistare merci in
precedenza riservate a una stretta élite. Si iniziò a parlare di consumismo, sempre
più italiani familiarizzarono con gli oggetti d’uso quotidiano. Arrivarono
elettrodomestici, frigoriferi, lavatrici, scaldabagno ect e la televisione. Con il boom
economico gli italiani tramite viaggi, ebbero accesso all’automobile. Anche la Fiat
principali realtà industriali del Paese.
ISTRUZIONE DI MASSA E PROBLEMI DELLA SCUOLA
La crescita complessiva del reddito delle famiglie portarono a una rivoluzione nel
campo dell’istruzione. Si registrò un aumento degli alunni sia nelle scuole medie
che superiori. Nel 1963 nacque la scuola media unificata, tuttora in vigore: percorso
formativo triennale obbligatorio uguale per tutti che elevava la fascia dell’obbligo
scolastico fino all’età di 14 anni. Analfabetismo era in costante calo. Alla
scolarizzazione di massa non fece riscontro un adeguato potenziamento delle

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strutture scolastiche che dovevano sostenere il peso del maggiore afflusso di
studenti.
SITUAZIONE FEMMINILE
Ruolo delle donne nella società italiana conobbe un sensibile mutamento: ragazze
frequentavano scuola e università, legge italiana dava problemi con
dell’uguaglianza. Uomo era il capofamiglia e la donna era classificata per la cura dei
figli e dei lavori domestici, divorzio era vietato. Diffusione degli anticoncezionali
consentì di separare la sessualità dalla creazione, il numero degli aborti clandestini
continuò a essere molto alto.
LE OMBRE DEL MIRACOLO ECONOMICO: DIVARIO NORD-SUD
La crescita economica portò l’Italia tra i paesi più avanzati del mondo capitalistico.
L’economia del Mezzogiorno crebbe ma solo in parte e crebbe anche il divario
tecnologico e organizzativo tra i settori produttivi avanzati e quelli arretrati.
CORRUZIONE E INQUINAMENTO
Il boom creò alcuni problemi prima sconosciuti, come la congestione delle grandi
città, la speculazione edilizia (che sfociò nella corruzione), l’inquinamento. Il boom
spesso si tradusse solo in arricchimento privato, proiettato al consumo.
OCCIDENTE E STATI COMUNISTI DAL 1956 AL 1968:
Anche il dopoguerra fu “mondiale” e “bellico”: la Guerra Fredda. Fu un periodo di
tensioni e distensioni, in cui prevalsero fratture e in cui, al contempo, i fenomeni
culturali, sociali, economici e di costume iniziarono a generalizzarsi,
accomunando popoli, Stati e regioni del mondo. Sono i sintomi della cosiddetta
“globalizzazione”. Esempio di ciò fu il 1968: aree vaste del mondo, dagli Usa ai
Paesi del blocco sovietico, furono scosse da un movimento di protesta giovanile che
ebbe caratteri e obiettivi comuni: richiesta di rinnovamento sociale nella sfera sia
pubblica che privata, nuovi spazi di liberà, acquisizione di diritti universali e
abbattendo le barriere nazionali, di classe e di genere.
La fine della Guerra di Corea e il consolidamento dei due blocchi europei di alleanze
crearono una condizione di equilibrio fra Usa e URSS. Tra le due superpotenze la
tensione militare lasciò il passo alla competizione sul terreno die progressi sociali,
economici e tecnologici, anche se non venne fermata la corsa al riarmo. Si aprì una
fase di “coesistenza pacifica”.
I PRIMI PASSI DELLA COESISTENZA PACIFICA
Dopo la morte di Stalin salì al potere Chruščëv che diede all’URSS una nuova spinta
al dialogo. Nel 1955 firmò il trattato di Pace con l’Austria e ritirò le sue truppe
a patto della neutralità austriaca. Nello stesso anno, a Ginevra, incontrò le altre
potenze vincitrici (Usa, Uk, Francia) e le relazioni internazionali si fecero più distese.
Sempre nel 1955 l’URSS riconobbe la Germania Ovest e venne ammesso il percorso
diverso verso il socialismo della Jugoslavia. Tuttavia restò chiaro che la cortina di
ferro non sarebbe caduta: nel 1955, dopo l’entrata della Germania Ovest nella
Nato, i Paesi dell’Europa dell’Est diedero via al Patto di Varsavia, un’alleanza
militare guidata dall’URSS.
IL XX CONGRESSO DEL PCUS E IL DISGELO

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Nel febbraio 1956 al XX Congresso del Pcus, il primo dopo la morte di Stalin,
Chruščëv enunciò la dottrina della “coesistenza pacifica”. Decise poi, a fronte della
presa di coscienza delle reali condizioni di vita dei cittadini, di incoraggiare il
dibattito aperto: ogni ambito della società diventava oggetto di confronto. Il
tentativo di conquistare la libertà di esprimere i propri sentimenti contro le
restrizioni culturali e politiche dell’epoca staliniana è noto come stagione del
“disgelo”. Inoltre al congresso Chruščëv denunciò il culto della personalità
riservato a Stalin e le generazioni dello stalinismo, dando il via al processo di
“destalinizzazione”; vennero smantellati i gulag. Chruščëv si dedicò poi ad
avviare le riforme economiche di cui l’aveva urgente bisogno.
IL 1956 IN POLONIA
L’allentamento della dittatura in URSS e il nuovo clima del disgelo ebbe
conseguenze coma la liberazione o riabilitazione politica di alcuni dirigenti
comunisti in Europa orientale: fu il caso di Gomulka in Polonia e di Nagy in Ungheria,
che cercavano di introdurre spazi di democrazia e riforme a favore della
piccola proprietà. In entrambi i Paesi il dibattito sfuggì di mano. In Polonia nel
1956 scoppiò la rivolta operaia di Poznan e altre manifestazioni antisovietiche.
Gomulka garantì a Chruščëv il ripristino dell’ordine in cambio di qualche margine di
autonomia.
In Ungheria l’insurrezione armata del 1956, che chiedeva la fine del dominio
sovietico, fu stroncata nel sangue. Apparve evidente che l’URSS non voleva
perdere i suoi Stati satellite europei e il mondo occidentale accettava come dato di
fato il controllo sovietico dell’Europa orientale.
CORSA AGLI ARMAMENTI E LA DETERRENZA NUCLEARE
La “coesistenza pacifica” non fermò la corsa al riarmo, che era parte essenziale
della competizione. Nel 1957 l’URSS sperimentò un missile a gettata
intercontinentale e lanciò in orbita il primo satellite artificiale, precedendo gli Usa
nella corsa allo spazio. La tecnologia missilistica modificò gli equilibri in campo
perché consentiva all’URSS che, a differenza degli Usa, aveva basi in prossimità del
territorio nemico, di colpire direttamente il Nord America. La crescita e il
potenziamento di armi distruttive produsse la “deterrenza nucleare”, che servì a
stabilizzare le relazioni internazionali. Ciò fu dimostrato dalle rispettive visite in
URSS e USA nel 1959 dei presidenti.
IL MURO DI BERLINO L’ULTIMA CRISI EUROPEA DELLA GUERRA FREDDA
Nel novembre 1958 Chruščëv intimò la smilitarizzazione di Berlino Ovest ma,
di fronte al rifiuto delle potenze occidentali, nel 1961, la Germania Est chiuse il
confine. Il 12 agosto iniziarono a costruire le barriere e nel 1961 venne eretto il
muro. A Berlino Ovest si svolse una grande manifestazione di protesta, ma gli Usa
scelsero un atteggiamento prudente per evitare che la situazione degenerasse.
La mancata reazione occidentale era il riconoscimento che esistevano due
Germanie e due Europe. Il conflitto si era trasferito sul piano ideologico. Nel 1963
Kennedy si recò a Berlino Ovest e in un discorso prese ad esempio le due metà
della città per mostrare i risultati ottenuti delle democrazie liberali capitaliste e dal
comunismo.
CRISI DEI MISSILI A CUBA (1962)

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Nel 1961 Kennedy diede il suo assenso all’invasione di Cuba, dal 1959 sotto
regime rivoluzionario che contrastò gli interessi degli Usa, per riportarla sotto il
proprio controllo. Organizzato dalla Cia, lo sbarco nella baia dei Porci fu un
fallimento e causò una delle crisi più pericolose della Guerra fredda. Il governo di
Fidel Castro decise di consolidare l’alleanza con l’URSS e consentì la costruzione di
una base missilistica sovietica sull’isola. L’isola era vicinissima, poi, a Portorico,
dipendente da Usa, e da Panama, che congiungeva Atlantico e Pacifico; inoltre a
Cuba vi era una base militare statunitense, Guantanamo. Nell’ottobre 1962 gli Usa
intimarono lo smantellamento della base e imposero il blocco navale
all’isola. Dopo 13 giorni di terrore, a un passo dalla guerra, e col settore di un
attacco nucleare, le due potenze intavolarono una trattativa. Chruščëv rinunciò alla
base in cambio dell’impegno statunitense a non invade Cuba.
IL 1963: PROVE DI DISTENSIONE
Nel 1963 ci fu una vera e propria distensione nei rapporti internazionali.
Kennedy e Chruščëv frenarono la corsa agli armamenti e si accordarono sul
divieto degli esperimenti nucleari nell’atmosfera. Simbolo del nuovo orientamento
fu la “linea rossa”: il collegamento tra la sede del governo sovietico, il Cremlino,
con il Pentagono, la sede del dipartimento della Difesa degli Usa. Nel giugno dello
stesso anno Kennedy fu assassinato, Chruščëv si dimise e Giovanni XXIII morì.
Quest’ultimo svolse un altro ruolo importante nella distensione dei rapporti
internazionali.
IL CONCILIO VATICANO II
Giovanni XXIII pose al centro del suo magistero pace e dialogo. L’enciclica Pacem in
terris diventò simbolo della distensione e lui divenne icona del nuovo clima di
speranza. Papa Giovanni fu protagonista della trasformazione della Chiesa cattolica
all’insegna dell’apertura ai problemi del mondo contemporaneo. Nel 1959
annunciò il Concilio vaticano II che si aprì nel 1963 e si concluse nel 1965,
sotto Paolo VI. Il concilio introdusse novità: sia in ambito liturgico, che dottrinale,
che sociale. Lo spirito del concilio era quello di aprire nuove prospettive alla vita
religiosa, liberandola dalla tradizione e dall’autorità, esaltando la natura comunitaria
della Chiesa. Il rinnovamento si manifesterà anche con la partecipazione dei giovani
cattolici al movimento di contestazione alla fine degli anni Sessanta.

GLI USA DA KENNEDY A JOHNSON (1961-1968):


Negli anni dei presidenti J.F Kennedy (1961-63) e L.V Johnson (1963-68) gli Stati
Uniti proseguirono la loro ascesa economica e opposero un proprio modello
di Stato assistenziale e numerose riforme di giustizia sociali, in particolare
riguardo alla popolazione nera, grazie anche alla campagna di Martin Luther King. Si
avventurarono, però, anche nella disastrosa guerra in Vietnam (1955-75) che,
oltre a essere stata una sconfitta militare umiliante, scosse la società statunitense
profondamente.
KENNEDY E IL LIBERALISMO USA

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La divisione del mondo in due blocchi era un “sistema asimmetrico” perché
caratterizzato dalla supremazia di una superpotenza. Gli Usa avevano il
primato a livello globale: oltre a essere più ricchi e tecnologici, erano al centro di
un’economia mondiale di mercato che comprendeva le aree più sviluppate (Europa
occidentale e Giappone) e integrava anche i Paesi del Terzo mondo.
Gli anni Sessanta si aprirono con la vittoria del democratico John Fitzgerald
Kennedy, che sconfisse il repubblicano Nixon. Il programma di Kennedy, la “Nuova
frontiera”, prometteva giustizia sociale, la fine delle discriminazioni razziali, il
rafforzamento delle tutele sociali, investimenti in istruzione, assistenza medica per i
più poveri.
Le ambizioni di Kennedy si scontarono con l’opposizione del Congresso, dominato
da repubblicani e conservatori, che riuscì a impedire l’approvazione della maggior
parte delle riforme.
POLITICA ESTERA DI KENNEDY E IL VIETNAM
In politica estera, Kennedy voleva fare degli Usa “la guida del mondo libero” e
del progresso. Bisognava contrastare l’influenza sovietica sui Paesi del Terzo mondo
che stavano conquistano l’indipendenza. Vennero stabiliti piani di aiuto allo
sviluppo e appoggi finanziari e strategici a governi, anche autoritari,
anticomunisti, come l’Indonesia. Aumentarono , inoltre, le spese per la costruzione
di missili nucleare e crebbe la capacità del sistema militare-industriale di influenzare
gli indirizzi di politica estera degli Usa. Ciò fu evidente dall’invasione di Cuba e
dall’intervento in Vietna. Nella seconda metà degli anni ’50 il Vietnam era diviso in
due e Kennedy decise di fornire aiuti militari e economici al governo del Sud del
Vietnam, nella lotta contro il comunismo.
PRESIDENZA JOHNSON: DIRITTI CIVILI E WELFARE STATE
Il 22 novembre 1963 Kennedy fu assassinato e salì al potere Lyndon B.
Johnson, che proseguì il programma di Kennedy con maggior successo. Nel 1964 fu
promulgato il Civili Rights Act che vietava ogni forma di discriminazione; nel 1965
il Voting rights act , dopo una serie di incontri con Martin Luther King, diede la
possibilità di votare a tutti senza preclusioni razziali: milioni di cittadini afro-
americani poterono votare per la prima volta, ed essere eletti. In campo economico
e sociale, fra il 1964 e il 1965, vennero fatti grandi investimenti a sostegno dei ceti
più poveri. In un paese tradizionalmente contrario all’intervento dello Stato, Johnson
impose un modello di welfare state, che si sarebbe poi consolidato il decennio
successivo. Tuttavia il welfare statunitense non fu come quello europeo: non
ebbe carattere universale e nazionale, specie per assistenza sanitaria e
pensioni, poiché fu ostacolato dagli interessi delle compagnie assicurative, dalla
forma federale dello Stato e dalla diffusa cultura individualista.
LA GUERRA DEL VIETNAM
Johnson proseguì la politica estera del suo predecessore e nel 1964 ottenne dal
Congresso poteri eccezionali che li consentirono, nel marzo 1965, di avviare
le operazioni belliche contro il movimento di liberazione nazionale
vietnamita, i Viet Cong. Fu una guerra devastante, in cui le forze armate
statunitensi, per starei nemici nascosti nelle foreste, utilizzarono enorme al
napalm e armi chimiche. La guerra produsse milioni di morti: l’impatto delle

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tecnologie militari e il numero di bombe americane fu 10 volte quello della
seconda guerra mondiale. Si trattò, inoltre, di un ecocidio: in napalm distrusse
milioni di ettari di territorio. Il trattamento delle popolazioni fu brutale, con torture e
massacri. La resistenza dei Viet Cong del Sud , Fronte di liberazione nazionale, e dai
comunisti del Nord la rese la più lunga e sanguinosa guerra mai condotta dagli Usa.
La guerra si estese alla Cambodia e al Laos, che forniamo rifornimenti ai Viet Cong.
Nel gennaio 1968 si concluse il momento forte della guerra, quando la la guerriglia
comunista sferrò un attacco, noto come Offensiva del Te ̂t, in cui raggiunsero
Saigon, la capitale del Sud: mostrarono al mondo la loro forza. La guerra del
Vietnam divenne il simbolo delle forze di liberazione. Fu la prima guerra
mediatica che il mondo conobbe. E fu alla base del movimento studentesco del
1968. Infatti fu accompagnata da un movimento di protesta negli Usa che
crebbe davanti al tentativo di Johnson di nascondere il reale andamento del
conflitto, che veniva smentito dal numero delle salme e dai traumi dei reduci.
Johnson perse il consenso e nel 1969 salì al potere il repubblicano Nixon che puntò
alla “vietnamizzazione” del conflitto: gli Usa iniziarono a ritirare le truppe ma a
sostenere il regime anticomunista, spezzando vie di comunicazione della
resistenza con attacchi aerei: sostenevano una guerra civile. Nel gennaio 1973
Nixon firmò l’armistizio con il Vietnam del Nord; la guerra era stata un
fallimento, sia per il numero di vittime e di danni, che dal punto di vista politico per
gli Usa. Infatti nel 19745 le truppe comuniste occuparono il Sud e l’anno successivo
il Paese fu riunificato nella Repubblica Socialista del Vietnam; nello stesso anno le
forze di liberazione comuniste presero il potere in Cambodia e in Laos.
L’URSS E IL BLOCCO COMUNISTA DA Chruščëv A Brèznev
I Risultati contraddittori ottenuti da Chruscev economia e politica esterna diedero ai
settori più conservatori la possibilità di metterlo da parte . Il suo successore
Brèznev soffocò ogni tendenza riformista. A ciò si aggiunsero le crescenti difficoltà
nei rapporti con la Cina, che puntava a sottrarsi all’influsso di Mosca e a sostituirsi ai
sovietici nella guida dei movimenti anticapitalisti.
POLITICA INTERNA DI Chruščëv
La “destalinizzazione” incontrò resistenze nei vertici del Partito comunista,
ma Chruščëv rafforzò il suo potere diventando primo ministro. Egli puntò sulla
produzione di beni di consumo e sull’industria leggera. Nel 1963, però, la
produzione agricola crollò e, per evitare il tracollo, l’URSS dovette chiedere
soccorso agli Usa; l’Unione Sovietica divenne Paese importatore di cereali.
POLITICA ESTERA E IL DISSIDIO CON LA CINA
La politica estera dell’URSS assunse un ampio respiro internazionale: sostenne
la neutralità dei Paesi non allineati, proponendosi come alfiere della
decolonizzazione; strinse rapporti di collaborazione con Egitto e India. La fine del
“modello unico” sovietico, d’altronde, non fu altro che la conseguenza di tutte le vie
nazionali al socialismo che si svilupparono a fine anni ’50, che indebolirono il ruolo
dell’URSS.
A prendere le distanze dall’URSS, fu in particolare la Cina, che dopo l’apertura di
Chruščëv iniziò essere diffidente nei confronti dell’apertura verso Usa. Mao e i suoi
collaboratori, sempre nel 1963, decisero di rompere il legami politici e diplomatici

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con l’Unione Sovietica. Diversi paesi asiatici seguirono la Cina e per l’URSS fu un
altro duro colpo che ridimensionò il suo ruolo internazionale.
DA CHRUŠČËV A BRÈZNEV
Gli insuccessi della modernizzazione, il dissidio con la Cina e il ritiro dei missili da
Cuba, indebolirono Chruščëv che nell’ottobre 1964 fu destituito. Al suo posto
subentrò Brèznev di natura anti-riformista che represse ogni dibattito libero in
URSS e nei Paesi dell’Est.
EUROPA ORIENTALE
Negli anni Sessanta i Paesi dell’Est avevano avuto ritmi di sviluppo economico
abbastanza accelerati; offrivano un basso tenore di vita e per ingraziarsi il
consenso popolare ricovero alla propaganda nazionalista.
GERMANIA DELL’EST
Nella Repubblica democratica tedesca, che seguiva il modello sovietico sia sul piano
politico, col partito unico, che sul piano economico con i piani quinquennali,
nonostante i miglioramenti delle condizioni materiali, alla popolazione continuava a
esser negata ogni libertà politica. La nuova Costituzione del 1968 non mutò la
situazione, anzi aumentarono i dissensi e la Germania Est si trovò costretta
ad una timida apertura con la Germania Ovest al 1970.
CINA NEGLI ANNI ‘50
In Cina, nel 1957, con la Campagna dei cento fiori, il presidente Mao provò a
emulare l’apertura sovietica di Chruščëv e incoraggiò le critiche al partito.
Ne seguì una protesta contro il partito e per la libertà che Mao represse con
un’ondata repressiva.
Dopo un peggioramento della situazione economica e la faresti tra il 1959 e
1960, il gruppo dirigente riuscì ad ottenere una ripresa economica grazie al
ripristino di alcune forme private di commercio e di conduzione agricola. Il Partito
comunista, poi, visse un conflitto interno tra i dirigenti a favore di
un’apertura al mercato mondiale e i seguaci di Mao, che si proponevano come
garanti della “pura“ dottrina comunista e del collettivismo.
LA GRANDE RIVOLUZIONE CULTURALE E LA ROTTURA CON URSS
Per estirpare ogni simbolo della mentalità tradizionale e di iniziativa privata, nel
1966, Mao lanciò la Grade rivoluzione culturale proletaria. Mobilitando le
guardie rosse, giovani studenti, riuscì a indottrinare la popolazione secondo i
principi comunisti, “rieducandola”. Dopo migliaia di morti, la Rivoluzione
culturale terminò nel 1969. Nel frattempo si consumò la rottura dei rapporti con
l’URSS. Mao vedeva la linea della “coesistenza pacifica” come una resa
all’imperialismo. La Cina voleva diventare grande potenza autonomia e nel 1964 si
dotò di bomba atomica.
L’EUROPA OCCIDENTALE TRA GUERRA FREDDA E “COESISTENZA PACIFICA”
In Europa occidentale la “coesistenza pacifica” attenuò le tensioni della Guerra
fredda e contribuì alla crescite economica, al tenore di vita delle persone, e a
consolidare i regimi parlamentari nati dopo la guerra. Non mancarono problemi

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sociali e politici: Uk e Francia fecero conti con la fine dell’impero coloniale, la
Germania Ovest con la divisione e, infine, tre Stati dell’Europa Meridionali (Spagna,
Portogallo e Grecia) erano retti da dittature.
GERMANIA OVEST FINO AL 1969
La Repubblica Federale Tedesca era il baluardo dell’Occidente contro il blocco
sovietico. Era anticomunista e voleva isolare la Germania Est. Nel 1951
contribuì alla creazione della Ceca, la Comunità europea del carbone e
dell’acciaio, nel 1955 aderì al Patto atlantico e nel 1957 fu tra i fondatori della
Cee, Comunità economica europea. Dal 1949 al 1963, con l’appoggio degli Usa,
Adenauer, alla guida del Paese, s’impegnò nel riarmo e scartò ogni ipotesi di
collaborazione con l’URSS. A livello economico ci furono grandi progressi e la Rft
diventò la terza potenza commerciale del mondo. Inoltre il governò giovò di
un’opposizione interna moderata.
FRANCIA NEGLI ANNI ’50 E LA QUINTA REPUBBLICA
La Francia, negli anni ’50, fece i conti con la fine del suo impero coloniale; ciò ebbe
ripercussione sul senso d’identità nazionale . La Francia riuscì a garantirsi un
posto di riguardo nel sistema delle relazioni internazionali: fu protagonista
dell’integrazione europea con la nascita dell’Unione europea occidentale
(Ueo), organismo di cooperazione politica e militare, e della Ceca nel 1951. La
situazione peggiorò nella seconda metà degli anni ’50 con la spedizione
fallimentare a Suez nel 1956 e con l’aggravarsi della situazione in Algeria.
Ai deboli e brevi governi pose fine, nel giugno 1958, Charles De Gaulle che divenne
primo ministro. Egli propose una nuova Costituzione e nel 1958 decretò l’inizio
della Quinta Repubblica. De Gaulle riuscì a gestire la decolonizzazione
favorendo, nel 1960, l’indipendenza di molti Paesi africani assicurando, al
contempo, alla Francia un ruolo di grande potenza che la rendesse autonoma da
Usa. Nel 1963 la Francia sottoscrisse un trattato di amicizia con Germania
Ovest, nel 1964 riconobbe la Repubblica popolare cinese e nel 1965 strinse un
accordo di cooperazione con l’URSS. La politica estera autonoma francese culminò
con il veto opposto all’ingresso di Uk nella Cee e con la scelta a favore di una forza
atomica indipendente dalla Nato. De Gaulle, dopo essere stato sostenuto dai
movimenti studenteschi durante il 1968, si dimise nel 1969 quando fu sconfitto in
un referendum.
REGNO UNITO NEGLI ANNI ‘50
Contrariamente alla Francia, Uk aveva gestito lo sgretolamento del proprio impero
già alla fine degli anni ’40 e non vi aveva opposto resistenza. Con il Commonwealth
era riuscito a difendere i propri interessi; vi aderirono India e quasi tutti Stati
africani diventati indipendenti. Tuttavia, ciò non basto ad arrestare il declino del Uk
nel contesto mondiale. Nel 1951 ai aprì un periodo di supremazia del Partito
conservatore che durò fino al 1964. In politica estera la sua posizione geopolitica
era ambigua: appartenenza all’Europa, legame privilegiato con Usa, esperienza
imperiale sovranazionale. Si rifiutò di prendere parte a Ceca e Cee e creò una zona
europea di libero scambio, che non ebbe fortuna.
Negli anni Sessanta ai problemi internazionali, soprattutto crisi di Suez, si
aggiunsero problemi interni, specie una crisi economica, causata anche dalla scelta
di non aderire alla Cee. Infatti nel 1962 decise di aderire alla Cee ma si scontrò con

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l’opposizione francese e la bocciatura indebolì il governo. Intanto i laburisti nel 1964
tornarono al potere.
In Irlanda del Nord, nel 1969, le tensioni sfociarono in una guerra civile fra cattolici e
“unionisti” protestanti. Il decennio si concluse con un bilancio amaro per il partito
laburista.
ALTRI PAESI DELL’EUROPA OCCIDENTALE
A parte l’Italia, i popoli dell’Europa meridionali si trovano a vivere, tra gli anni
Cinquanta e Sessanta, sotto regimi autoritari. In Grecia, dopo la guerra civile fra
comunisti e conservatori, e dopo un regime moderato filo-occidentale, nell’aprile
1967 si insaturo la “dittatura dei colonnelli”, che durò fino al 1974. In Spagna
proseguiva il regime di Franco e in Portogallo l’esperienza autoritaria di
Salazar. Diversamente i Paesi scandinavi, fra anni ’50 e ’60, videro instaurarsi
governi socialdemocratici che sperimentarono forme di partecipazione
democratica e Stato assistenziale innovative. Norvegia, Danimarca e Finlandia
furono forme avanzate di welfare.

ETA’ DELLA TRANSIZIONE (1968-1991)

 Movimento del ’68;


 Movimenti per issue (femminismo, ambientalismo, pacifismo etc..)
 Crisi petrolifera 1973
 Dal bipolarismo al multipolarismo
 Crisi welfare state
 Occidente post- industriale e la grande emergenza ambientale
 Caduta del muro, fine dell’urss
 Processo di integrazione nell’Unione Europea
In Italia:
 1968 degli studenti e 1969 degli operai
 Anni 70, crisi partiti politici, terrorismo rosso e nero
 Anni di piombo, riforme (sistema sanitario nazionale), Rapimento di moro e
anni 80
 Mani pulite e fine della prima repubblica

IL SESSANTOTTO
CONTROCULTURA GIOVANILE NEGLI STATI UNITI

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Gli Stati Uniti si confermarono come il principale laboratorio dei cambiamenti del
Novecento nell’anticipare la protesta e offrirle molte delle basi culturali. Lì si era
sviluppata la società dei consumi di massa, con il soddisfacimento di bisogni
materiali e culturali. La controcultura giovanile si manifestò con la ricerca di un
nuovo senso di appartenenza e identità individuale e collettiva. La parola d’ordine
era la libertà: libertà del matrimonio, del modello tradizionale di famiglia, potere
politico ect.
LA PROTESTA POLITICA NEGLI USA
Negli Usa il movimento giovanile assunse una valenza politica intorno a due
grandi temi: questione razziale e la guerra. Erano nate le prime organizzazioni
studentesche nere tra cui gli Students for a democratic society che animavano
lotte per i diritti civili e le libertà individuali. Tra i momenti più importanti ci fu la
marcia su Washington e una manifestazione a dicembre all’università di
Berkeley in California. Poi, il movimento si fuse con quello contro la guerra del
Vietnam, aumentarono marce e manifestazioni. Si innescarono casi di
insubordinazione, la mobilitazione raggiunse l’apice nel 1968 dopo l’assassinio di
Martin Luther King.
I CARATTERI DEL MOVIMENTO GIOVANILE IN EUROPA
In Europa il movimento giovanile fu più variegato di quello statunitense ed ebbe
un orientamento politico diverso. Nel Vecchio Continente ebbe maggiore peso
la dimensione ideologica che si manifestò nel mito della guerriglia
rivoluzionaria incarnata da Che Guevara e a quel tempo praticata dalle
formazioni marxiste attive in molti Paesi dell’America Latina. I gruppi europei non si
rifacevano alla tradizione liberale ma a quella comunista rivoluzionaria.
Aspiravano a una trasformazione radicale sia delle società occidentali da cui si
proponevano di eliminare le disuguaglianze di classe, sia dei rapporti tra il Nord
ricco e il Sud povero. Molti giovani contestatori prendevano modello la Cina di Mao
e la Rivoluzione culturale. Il Sessantotto europeo fu animato anche da gruppi
spontanei di tendenza anarchica e libertaria come i provos, olandesi e i
situazionisti francesi che proponevano un ribellismo a tutto campo.
IL SESSANTOTTO IN EUROPA
Il 1968 si aprì con la notizia dell’offensiva vietnamita del Tet che infiammò la
protesta contro la guerra del Vietnam nelle scuole e università europee. La lotta
contro l’autoritarismo delle istituzioni, famiglia, Chiesa, esercito e contro
l’organizzazione gerarchica e di classe della scuola e università. Il 22 marzo scoppiò
la protesta all’Università di Nanterre in Francia con un lungo sciopero.
Nacque in questa occasione il Movimento 22 marzo, di cui il principale Daniel Cohn
Bendit.
MAGGIO FRANCESE
Il culmine della protesta si ebbe a Parigi nel maggio 1968. I francesi
evidenziarono il carattere di rivolta sociale e diedero forza al movimento nel suo
complesso. All’inizio del mese alcune centinaia di studenti che avevano inscenato
una protesta pacifica all’Università di Sorbona furono sgomberati dalla polizia. Si
riversarono nel Quartiere latino e ci furono aspri incontri con la polizia.
Lacrimogeni, lanci di pietre e la costruzione di barricate furono i principali

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atteggiamenti. A metà maggio ci fu l’occupazione delle grandi fabbriche e uno
sciopero generale bloccò il paese. Mentre De Gaulle incassava nel giugno un nuovo
successo elettorale, il movimento mostrò la sua debolezza e diviso e scoraggiato si
ritirò.
IL SESSANTOTTO NEL MONDO E IL SUO ESAURIMENTO
Dopo il Maggio francese si proseguì con azioni di protesta anche in altri Paesi
d’Europa, il centro erano sempre le università. A chiudere la stagione più
intensa fu la tragedia di Città del Messico dove il 2 ottobre 1968 le forze dell’ordine
fecero fuoco sui manifestanti uccidendone 400. La strage passò quasi inosservata
visto che il Messico stava per dare il via ai giochi olimpici e voleva nascondere i
propri problemi sociali. Lo spirito del Sessantotto però fu prevalso nelle Olimpiadi
con il gesto dei velocisti neri che durante la premiazione alzarono il pugno rivestito
da un guanto nero in segno di solidarietà con la causa dei fratelli neri.
L’EREDITA’ DEL SESSANTOTTO
Si è molto discusso sulle conseguenze di quell’anno, c’è chi ne ha visto aspetti
negativi e lo ha considerato il laboratorio di una nuova violenza politica o la fine di
un’epoca che garantiva maggiori sicurezze. C’è chi lo ha considerato un passaggio
storico positivo che ha consentito di liberare energie in società oppresse da vecchie
forme di rapporti autoritari e gerarchici per modificare in profondità la mentalità
collettiva e gli stili di vita in modo più libero e aperto. E’ stata un’idea
partecipativa e realmente democratica della politica che si è ampliata e
articolata fino a comprendere ogni aspetto della vita quotidiana.
LA PRIMAVERA DI PRAGA
In Europa ci fu anche un altro Sessantotto quello che coinvolse i giovani dei Paesi
comunisti dell’Est. Il nemico di questi giovani non era la società dei consumi ma la
loro lotta per la libertà si rivolgeva contro l’oppressione dei regimi comunisti e
contro il dominio sovietico. All’inizio del 1968 gli studenti dell’Università di Varsavia
furono arrestati per aver protestato contro la censura da parte delle
autorità di un’opera teatrale dell’Ottocento “Gli avi” di Adam Mickiewicz,
dove al centro c’erano le ingerenze russe nella storia polacca. Ne seguirono
settimane di manifestazioni sostenute dalla popolazione. Il centro della rivolta fu
però la Cecoslovacchia dove gli studenti si raccolsero nel cosidetto movimento della
Primavera di Praga. Il paese era governato da Alexander Dubcek e aveva dato via a
un processo di revisione della democrazia del regime. Si creò un movimento di
studenti e operai favorevoli al cambiamento e animò un libero dibattito nella
società. Il programma contemplava maggiori diritti civili e la liberalizzazione di
alcuni settori dell’economia. In luglio giunse la reazione dell’Urss sostenuta da
Polonia e Rdt che ammonì il governatore a fermare le riforme. I tentativi
fallirono e il 20 agosto le truppe del Patto di Varsavia invasero la
Cecoslovacchia. I dirigenti furono arrestati e la popolazione con giovani e studenti
scesero nelle pizze di Praga nel vano tentativo di fermare i carri armati. Il paese fu
portato sotto il controllo sovietico.
L’ITALIA NUOVA DAL 1968 AGLI ANNI OTTANTA
Alla fine del 1967 in alcuni atenei italiani (Pisa, Torino, Trento) la popolazione
studentesca si mobilitò contro il progetto di riforma dell’università ritenuto

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inadeguato: le università scoppiavano, mentre le strutture e i programmi formativi
non erano all’altezza della scolarizzazione di massa. La protesta degli studenti fu in
primo luogo contro l’autoritarismo che caratterizzava le istituzioni sia l’intera
società e la famiglia. Gli studenti rivendicarono la democrazia diretta delle
assemblee e delle manifestazioni in piazza. La protesta finì in tutta Italia con
occupazione di università e si manifestò il 1 marzo 1968 con gli incidenti che
seguirono con lo sgombero della facoltà La Sapienza di Roma: gli studenti ebbero
scontri con le forze dell’ordine che i giornali chiamarono la battaglia di valle Giulia,
dal nome della piccola vallata di fronte alla facoltà romana, con decine di feriti.
I CARATTERI DEL MOVIMENTO STUDENTESCO
I principali tratti comuni furono:
 Ribellione contro il mondo degli adulti considerato oppressivo;
 La contestazione della società dei consumi e del suo sistema di valori;
 La lotta contro l’imperialismo;
Al centro c’erano i cosiddetti contro corsi, ci furono infatti molti temi di carattere
internazionale: Guerra del Vietnam, i movimenti di liberazione nei paesi del
Terzo mondo e quelli afro-americani negli Stati Uniti. Un tratto condiviso con
quello europeo era la forte connotazione ideologica in senso marxista che lo
spinse a immedesimarsi nelle figure e nei miti rivoluzionari del Terzo mondo.
GLI ESITI POLITICI DEL SESSANTOTTO ITALIANO
Il movimento studentesco andò esaurendosi nella seconda metà del 1968. La
mancanza di sbocchi concreti per la protesta e l’immobilismo del sistema politico
incapace di dar voce alle esigenze dei giovani contribuirono a spingere una parte
del movimento verso forme di lotta più radicali. Si indirizzarono verso tematiche
politiche e sociali organizzando gruppo della nuova sinistra o sinistra
extraparlamentare.
L’AUTUNNO CALDO DEGLI SCIOPERI
Un altro esito del Sessantotto fu la mobilitazione degli operai nel 1969, quando ci fu
la più intensa lotta sindacale e politica dell’Italia Repubblicana: l’autunno caldo. Il
lavoro in fabbrica, fatto da mansioni alienanti alla catena di montaggio, era reso più
difficile dai nuovi e pressanti controlli. Nelle fabbriche del Nord la massa dei giovani
meridionali emigrati, pieni di rabbia, prese l’esempio degli studenti e cominciò a
chiedere adeguati salari e cambi radicali: rivendicarono un maggior potere
all’interno delle fabbriche e un mutamento nell’organizzazione del lavoro. Si fece
largo uso di picchettaggio (blocchi davanti alle aziende per impedire ingresso a non
protestanti), scioperi senza preavviso e blocchi ferroviari. Si formarono i consigli di
fabbrica: organi dei rappresentati dei lavoratori all’interno delle fabbriche. Le lotte
permisero di raggiungere obiettivi importanti: aumenti salariali, diritto alle
assemblee, riconoscimento dei rappresentanti sindacali in azienda, riduzione orari,
diritto a 150 ore annue per formazione scolastica. Il movimento sindacale si rafforzò
e superò le divisioni interne. Il sistema politico accolse la domanda di cambiamento
e nel 1970 approvò lo Statuto dei diritti dei lavoratori, con cui si sanciva l’ingresso
della democrazia in fabbrica e nelle relazioni di lavoro (licenziamento per giusta
causa).

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LA STAGIONE DEI MOVIMENTI
Nel corso degli anni ’70 sorsero nuovi movimenti: per il diritto alla casa; per il
miglioramento dei servizi pubblici e l’abbassamento dei costi; miglior condizioni
nelle carceri; obiettori di coscienza , che ottennero servizio civile alternativo; anche
il mondo cattolico, dopo la spinta di rinnovamento del Concilio vaticano II, criticò la
struttura gerarchica della Chiesa, chiedendo maggior peso per i laici.
Il più importante movimento fu quello femminista, che contestava le basi culturali e
organizzative della società italiana, partendo dal principio che “il privato è politico”.
Le donne erano ancora vittime di discriminazione: nella famiglia e nel lavoro.
Scesero in piazza per chiedere la legalizzazione di divorzio e aborto, per
l’uguaglianza dei generi di fronte alla legge, contro la violenza sessuale e contro
l’immagine della “donna-oggetto” che emergeva dai mass media e dalla pubblicità.
Volevano un mondo più a misura di donna.
STAGIONE DELLE RIFORME
La spinta dei movimenti aprì una stagione di riforme. Oltre allo Statuto dei
lavoratori, fu introdotto l’ordinamento regionale (suddivisione in regioni). Grandi
riforme in ambito di diritti civili: 1970 divorzio, 1975 nuovo diritto di famiglia, parità
uomo donna, 1978 aborto e si cancellò reato di adulterio. Nel 1978 venne realizzata
una delle riforme più importanti: la nascita del Sistema sanitario nazionale che
garantì cure gratuite per tutti. Nella scuola fu promossa maggior democratizzazione
con nascita di consigli d’istituto.
Le riforme ridussero agli occhi dei cittadini il discredito del sistema politico: nel
1975 lo scandalo Lockheed mise alla luce un diffuso sistema di tangenti (denaro
estorto in cambio di favori o vantaggi) in molti settori pubblici. La Dc, ormai al
potere da decenni, rese questi fenomeni di malcostume più strutturati. Inoltre, si
riprodussero situazioni di malgoverno, come nella nuova sanità pubblica dove
emersero sprechi, spartizioni di denaro, ecc.
ANNI DI PIOMBO E LA SOLIDARIETA’ NAZIONALE
LA STRATEGIA DELLA TENSIONE CONTRO LA DEMOCRAZIA
Davanti ai movimenti sessantottini e allo spostamento a sinistra di una parte della
società, l’estrema destra, nostalgici del fascismo, reagì con violenza mediante il
terrorismo. Il 12 dicembre 1969 esplose una bomba alla Banca Nazionale
dell’Agricoltura di piazza Fontana a Milano. Iniziava la “strategia della tensione” che
voleva indurre la popolazione a richiedere una svolta politica autoritaria. A
sostenere questo sistema erano settori degli apparati statali di impronta
antidemocratica, nostalgici del fascismo, che volevano opporsi alla
democratizzazione del Paese. Il 2 agosto 1980 ci fu l’attentato alla stazione di
Bologna. La strategia della tensione fallì per quanto riguarda la svolta autoritaria ma
inasprì la lotta politica.
CRISI DEL SISTEMA POLITICO E IL BIDAPRTITISMO IMPERFETTO

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I movimenti e il terrorismo furono la conseguenza e la causa di una crisi del sistema
politico italiano. A dare segni di cedimento fu, per prima, la formula del centro-
sinistra che si basava sull’alleanza fra Dc e Psi, che alle elezioni del 1968 risultava
indebolita. Nel 1972 si ricorse alle prime elezioni anticipate della storia della
Repubblica: emerse la divisione tra Dc, partito di maggioranza e Pci crescente. La
divisione fra conservatorie progressisti rappresentava il cosiddetto “bipartitismo
imperfetto”: presenza di Partito comunista legato all’URSS come principale partito
di opposizione, percepito come minaccia da alleati atlantici. Falliti i tentativi di
governi centristi nel 1973 si tornò alla formula centro-sinistra ma con un crescente
coinvolgimento del Pci.
CRISI ECONOMICA E IL COMPROMESSO STORICO
A complicare le cose fu la crisi economica internazionale provocata dall’aumento del
petrolio. Per far fronte alla crisi fu varata la politica di austerità per limitare il
consumo di benzina (regime economico-politico di risparmio delle spese statali e di
limitazione dei consumi privati, imposto da governo x superare crisi economica). In
molti guardarono al Pci, che si dimostrava capace di cogliere le spinte al
rinnovamento della società civile. I comunisti potevano vantare buona
amministrazione nel centro Italia e il progressivo distacco dall’URSS con
l’accettazione della Nato e il tentativo di creare un comunismo democratico
occidentale: eurocomunismo (attuazione di riforme economiche e sociali nel rispetto
delle regole previste dalle democrazie parlamentari). A rendere possibile questo
percorso fu il segretario del Partito Enrico Berlinguer che nel 1973 avanzò la
proposta del “compromesso storico”: collaborazione fra le maggiori forze politiche
(Psi, cattolici e comunisti); Aldo Moro fu un sostenitore del compromesso storico.
CRESCITA DEL PCI E I GOVERNI DI SOLIDARIETA’ NAZIONALE
Alle lezioni del 1975 il Pci avanzò e nelle Regioni e città si formarono giunte di
sinistra. L’idea di Berlinguer aveva convinto molti italiani e nelle elezioni anticipate
del 1976 il Pci confermò la sua avanzata, anche se non a danno della Dc, mentre il
Psi subì un insuccesso, anche a causa dei dissidi interni. Iniziò la fase della
cosiddetta “solidarietà nazionale”. L’avvicinamento del Pci culminò con
l’approvazione del programma di riforme presentato dal Partito nel 1977. Per
rispondere alla crisi economica e politica, Berlinguer propose la “politica dei
sacrifici” a cui si oppose un movimento studentesco di sinistra nel 1977 con
mobilitazioni.
TERRORISMO DI SINISTRA
Gli anni della “solidarietà nazionale” coincidono con la fase più acuta del terrorismo
di sinistra. All’indomani del Sessantotto alcuni gruppi si sinistra avevano intrapreso
la lotta armata terrorismo, come unica via per la rivoluzione. La principale
organizzazione terroristica, le Brigate Rosse, nata a Milano nel 1970, inizialmente si
limitò alla “propaganda armata”, ma nel 1974 alzarono il tiro con il rapimento di un
giudice (Mario Sossi). Nello stesso anno nacque i Nuclei armati proletari e Prima
linea. L’attacco raggiunse il culmine fra 1977 e 1980 con l’”attacco al cuore dello
Stato”: ferimenti e uccisioni di giornalisti, magistrati, politici, forze dell’ordine.

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L’azione più significativa fu il rapimento del presidente della Dc, Aldo Moro, e la
conseguente uccisione, assieme alla sua scorta.

Di fronte ai “successi” militari del terrorismo rosso il sistema politico si mostrò


compatto, grazie a Pci e sindacati, che si opposero. Nel 1979 lo Stato, per
sconfiggere il terrorismo, varò alcune leggi ad hoc; il problema fu risolto anche grazi
all’efficenza delle forze dell’ordine e della magistratura.
DALL’UCCISIONE DI MORO ALLA FINE DELLA SOLIDARIETA’ NAZIONALE
Il rapimento e l’uccisione di Moro fu un trauma nella storia della Repubblica e
segnarono la fine di un’epoca. Moro era il principale artefice nella Dc della
“solidarietà nazionale” e la sua scomparsa contribuì a mettere in crisi il programma
di governo. Le aspettative di un avvicinamento dei comunisti furono deluse, mentre
aumentava l’invadenza della politica. Berlinguer, nel 1979, annunciò il passaggio
del Pci all’opposizione, che alle elezioni persero voti. Nel contesto di una crisi di
sfiducia verso il sistema politico, nel 1978 il socialista Pertini venne eletto
presidente della repubblica: un dato di controtendenza.
L’ITALIA DEGLI ANNI OTTANTA
GLI ANNI DEL MADE IN ITALY
Dopo la crisi degli anni Settanta, il baricentro dell’economia italiana si spostò
decisamente verso la piccola e media impresa in particolare settentrionale che
riuscì a cogliere con più dinamismo e flessibilità la ripresa economica mondiale. Il
centro del sistema economico italiano come tutti i Paesi avanzati fu lo spostamento
dall’industria al settore dei servizi: alla metà degli anni Ottanta occupava la metà
dei lavoratori, contro il 33% dell’industria e il 10% dell’agricoltura. A sancire il
passaggio di fase fu la sconfitta dei sindacati nella vertenza con la Fiat che
nell’autunno del 1980 con gli impiegati e i quadri dell’azienda solidarizzarono con la
proprietà e non con gli operai in una famosa marcia detta marcia dei quarantamila;
l’isolamento della classe operaia fu un segnale della perdita di peso nella società e
nella politica. La ripresa economica vide una crescita del Pil, tanto che l’Italia
diventò la quinta potenza economica mondiale. Si affermò il made in Italy con
successo dei mercati di tutto il mondo di prodotti italiani di alta qualità. Stilisti con i
loro modelli e i loro marchi: Armani, Prada, Valentino, Versace.
IL PENTAPARTITO E LO SCANDALO DELLA P2
La fine della solidarietà nazionale chiuse un capitolo anche nella storia politica
repubblicana e il Pci fu relegato ai margini del governo del Paese. Dopo si affermò la
nuova formula delle coalizioni di pentapartito, ovvero un centro-sinistra allargato ai
liberali. In un clima di sfiducia verso il sistema politico, un ulteriore colpo ci fu nel
1981 con lo scandalo della loggia massonica Propaganda due (abbreviata P2)
durante il periodo di conduzione dell’imprenditore Licio Gelli. Questa associazione
segreta coinvolse i partiti di maggioranza e agì in modo deviato rispetto agli statuti
massonici. Alla P2 risultarono iscritti anche i politici e alti ufficiali delle forze armate.

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La lista dei nomi fu un trauma occulta che aveva operato per condizionare la
politica italiana. La P2 risultò coinvolta in scandali come il depistaggio delle indagini
sulla strage della stazione di Bologna. Si portò al governo un laico Giovanni
Spadolini che contribuì a costruire una certa fiducia dei cittadini nelle istituzioni. Si
inserì anche Carlo Alberto Della Chiesa per contrastare la violenza e la potenza della
mafia. Dalla Chiesa e la moglie però furono uccisi in un agguato mafioso nel
settembre del 1982.
IL GOVERNO CRAXI
Scottata dallo scandalo della P2, nelle elezioni politiche del 1983 la Dc perse molti
voti e aprì la strada al lungo governo del segretario socialista Bettino Craxi, che
fondò la sua strategia sulla conquista della leadership a sinistra e sulla collocazione
del suo partito al centro dello schieramento politico. Inaugurò l’Italia uno stile
politico nuovo, molto energico e detto decisionista, rafforzò la presenza dei socialisti
nel governo e ingaggiò una lotta decisiva contro l’inflazione, abolì alcuni punti della
scala mobile (il meccanismo che aumentava i salari in relazione all’inflazione). Ma
questo decreto portò a uno scontro con l’opposizione comunista e sindacale. Ai
positivi risultati dell’economia si accompagnò una forte crescita della spesa
pubblica e del debito pubblico, furono introdotti pochi correttivi per migliorare
l’efficienza e combattere gli sprechi. In politica estera Craxi rafforzò i legami con la
Nato e con gli Usa e diede via libera all’installazione dei missili statunitensi Cruse a
Comiso, in Sicilia. Allargò il raggio della politica mediterraneo dell’Italia stringendo
rapporti più stretti con il mondo arabo e i palestinesi.

IL PENTAPARTITO REGGE MA L’OPPOSIZIONE E’ IN CRISI


Il dinamismo dell’azione di governo consentì al Psi di aumentare i suoi voti alle
elezioni politiche del 1987 ma non abbastanza per avere il ruolo principale e
contendere con il Pci. Craxi si fece allora più spregiudicato e di alleò con i settori più
moderati della Dc. L’intesa politica resse fino al 1992 e si tradusse nella formazione
dei governi guidati da Andreotti. Nel complesso le forze politiche ricevevano un
consenso largamente maggioritario nel Paese e i segnali di crisi provenivano dalle
opposizioni. Gli ambientalisti e i movimenti localistici iniziavano a fare scena
politica. Il movimento ambientalista si presentò nelle liste dei Verdi, ponendo
importanza della contraddizione tra lo sviluppo economico e la distruzione di natura,
nonché alle centrali nucleari. I Verdi raccolsero un consenso anche grazie
all’incidente nucleare a Chernobyl in Urss. I voti di protesta andarono anche ai
movimenti localistici delle leghe dell’Italia del centro-settentrionale che
intercettarono il malcontento di quel ceto medio produttivo che si sentiva vessato
dal fisco e vittima di una ripartizione iniqua delle risorse pubbliche. I cambiamenti
porteranno ad una nascita di un nuovo assetto politico definito Seconda Repubblica.
LA CRISI ECONOMICA INTERNAZIONALE E IL DECLINO DEL SISTEMA
BIPOLARE
IL PREDOMINIO DEL CAPITALISMO E I NUOVI PROTAGONISTI ECONOMICI

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Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta nel confronto fra i
sistemi economici capitalista e comunista, la superiorità dell’Occidente era
schiacciante rispetto al blocco comunista, il capitalismo prevaleva nei campi della
produzione del consumo e dell’innovazione tecnologica. Il modello comunista
dell’industrializzazione aveva dato dei risultati nel corso degli anni, mostrava i limiti
di un sistema chiuso. Con il sistema capitalista sulla scena economica mondiale
emersero: i Paesi dell’Europa occidentale e il Giappone; i Paesi produttori ed
esportatori di petrolio che nel 1960 si erano riuniti nell’Opec (Organizzazione dei
Paesi di petrolio); alcuni Paesi asiatici molto dinamici dal punto di vista produttivo e
commerciale, come la Corea del Sud e Taiwan.
Agli inizi degli anni Settanta la geografia economica del mondo era ormai su un
sistema multipolare, che entrava in contrasto con il bipolarismo politico militare
nato con la Guerra fredda.
LA CRISI PETROLIFERA
I diversi Stati produttori di petrolio (Libia, Algeria, Iraq) avevano nazionalizzato i loro
giacimenti e impianti petroliferi. Quando scoppiò la Guerra arabo-israeliana del
Kippur, i Paesi arabi dell’Opec decisero l’embargo nei confronti degli Stati Uniti
occidentali filo-israeliani: era l’inizio della crisi petrolifera del 1973. Il prezzo
aumentò e raggiunse i 34 dollari al barile. Gli effetti furono rovinosi per i Paesi
occidentali perché lo sviluppo era basato sul petrolio come principale fonte
energetica e sia come materia prima. Diminuì la produzione industriale e calarono i
consumi e l’inflazione raggiunge livelli eccezionali. Le società occidentali vissero
una fase di crisi economica e i governi ricorsero alle politiche dell’austerità ovvero
al contenimento della spesa che contribuiva a ridurre i consumi e la produzione
delle merci di oltre il 10%. All’inflazione si avviò una fase di stagnazione economica
che determinò il fenomeno della stagflazione (situazione creata a causa della crisi
del petrolio, fenomeno nuovo).
LA CRISI DELL’ECONOMIA STATUNITENSE
Nel 1946 gli Usa producevano il 50% del Pil mondiale, ed erano scesi al 30% nel
1970. La concorrenza si fece sentire nel 1971 con uno shock del primo deficit della
loro bilancia dei pagamenti con l’inflazione al 5,1% e tasso di disoccupazione al 6%.
La guerra fredda aveva lasciato dei problemi: la continua corsa al riarmo, l’unica
strada da adottare era il sostegno delle esportazioni il protezionismo, da un lato e
svalutazione del dollaro dall’altro. Si decise di abolire il sistema di cambi fissi
scardinando il sistema monetario nato con gli accordi di Breton Woods nel 1944 e
aprendo una fase che era stata definita conflitto economico mondiale. Quando
arrivò la crisi petrolifera la situazione non fu facile. La gestione politica fu affidata al
repubblicano Richard Nixon presidente dal 1969 che tentò di smantellare il welfare
state ovvero il sistema degli aiuti sociali edificato con fatica negli anni Sessanta. Il
Congresso a maggioranza democratica glielo impedì. Nixon non si fermò e attuò un
duro conflitto sociale e politico con una crisi morale, di conseguenza con la sconfitta
in Vietnam. Le istituzioni risultarono screditate, si manifestarono scioperi e scontri
violenti. Nixon conquistò un nuovo mandato presidenziale, macchiato dallo scandalo
Watergate del 1972 che lo costrinse a dimettersi il 9 agosto 1974. Nel 1976 vinse le

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elezioni il democratico Jimmy Carter che cercò di proseguire la tradizione liberale
statunitense rafforzando lo Stato sociale. Ricorse a politiche economiche liberiste
avviando una deregulation nei settori industriali che favorì in primo luogo gli
interessi delle aziende (programma di snellimento di norme che regolano l’attività
di uno o più settori dell’attività).

BREZNEV E IL DECLINO DELL’URSS


All’inizio degli anni Settanta in Urss lo spirito era soffocato da un’ideologia di Stato
che produceva un clima tra il conformismo e la rassegnazione. Sul piano economico
nonostante i buoni risultati raggiunti alla fine degli anni Sessanta in termini di
produzione e di aumento dei consumi la situazione era ormai e non fu possibile
fermare il declino. Il carattere chiuso del sistema economico comunista non riuscì a
evitare all’Urss i contraccolpi della crisi mondiale e attorno al 1975 il rallentamento
della crescita economica subì una brutale accentuazione. Si verificarono anche delle
crisi alimentari, scaffali vuoti nei negozi.
DALLA DISTENSIONE ALLA SECONDA FASE DELLA GUERRA FREDDA
In questa situazione di crisi generale lo scontro della Guerra Fredda era
insostenibile da ogni punto di vista: economico, strategico e diplomatico. Gli Usa ne
avevano preso piena e dolorosa consapevolezza in Vietnam. Nel 1969 Nixon aveva
preannunciato un cambio di strategia: Usa che abbandonano il ruolo oppositivo di
guida del mondo libero e favore di una politica di delega e di negoziazione
diplomatica. Il primo obiettivo di distensione fu la Cina comunista, con cui gli Stati
Uniti avviarono scambi commerciali.
Anche l’Urss guardava a favore della distensione per risparmiare parte delle spese
militari e tentare di rilanciare il suo ruolo internazionale. Breznev e Nixon si
accordarono in uno storico vertice a Mosca e furono firmati accordi militari, che
fissarono un tetto al numero dei missili intercontinentali e accordi commerciali. I
capi delle due superpotenze espressero in modo solenne la volontà di una
convivenza pacifica. Susseguirono nel 1975 quelli sulla sicurezza europea di Helsinki
(Finlandia) firmati da tutti i Paesi dei due blocchi. Nonostante gli accordi il conflitto
indiretto continuava, i servizi segreti statunitensi avevano aiutato il colpo di Stato
militare di Pinochet in Cile, dal canto loro i sovietici nel 1979 invasero l’Afghanistan.
Il culmine di questa seconda fase della guerra fredda si raggiunse quando un
missile sovietico abbatté un aereo delle linee civili sud-coreane accusato di
spionaggio.
REAGAN E L’IMPERO DEL MALE
Il nuovo clima risvegliò negli statunitensi un moto di orgoglio nazionalista, che nelle
elezioni presidenziali del 1980 favorì l’affermazione del repubblicano Ronald
Reagan, il nuovo presidente ripropose al Paese la storia missione di paladini della
libertà del mondo, in un senso neoconservatore fondato su libertà d’impresa e

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annientamento del comunismo e dell’Urss considerata l’impero del male. In quattro
anno riprese il riarmo, aumentò le spese militari, progettò lo scudo spaziale ovvero
un sistema di difesa satellitare che avrebbe neutralizzato eventuali lanci di missili
nemici. Si affermò la dottrina Reagan che prevedeva il sostegno militare
indiscriminato a tutti i movimenti che si opponevano all’Urss e al comunismo a
prescindere dalla loro natura;
LA NUOVA DISTENSIONE
La seconda fase impegnò l’Urss in una nuova e costosa rincorsa alla superiorità
strategica che non fu in grado di sostenere vista la già difficile situazione economica
e sociale. Il ruolo dell’Urss era in caduta libera: in Asia e Cina si affermava la
potenza economica autonoma rispetto a Mosca; in Africa fallivano i modelli socialisti
e fallivano anche in Europa orientale dove emergevano movimenti di dissenso. Nel
1982 morì Breznve concludendo un’era che era durata quasi un ventennio, arrivò
Andropov ma alla morte di quest’ultimo si ebbe una svolta nella politica sovietica:
nel 1985 diventò segretario del Pcus Michail Gorbacev che mostrò subito il suo
intento innovatore dando un segnale di distensione agli Usa. Lo scenario delle due
superpotenze cambiò: si incontrarono i due presidenti e concordarono un
programma di disarmo nucleare e firmarono a Washington un trattato che
prevedeva la smobilitazione degli euromissili (missili a medio raggio installati sul
suolo europeo da Usa a Urss). Si concordò il ritiro delle truppe dall’Afghanistan e in
un viaggio a New York annunciò la smobilitazione militare sovietica dall’Europa
orientale.
L’EUROPA OCCIDENTALE DALLA CRISI AL NEOLIBERISMO
LA FRANCIA DA DE GAUELLE A MITTERAND
De Gaulle era uscito di scena nel 1969. In politica estera la Francia abbandonò la
posizione di chiusura nazionalistica e passò a una più stretta collaborazione politica
militare con gli Usa. Furono vinte le elezioni da Mitterand che tentò di nazionalizzare
banche e industrie e aumentare la spesa sociale ma si scontrò con il governo a
svalutare il franco e a tagliare la spesa pubblica e congelare i salari. Con la vittoria
delle elezioni del centro-destra Mitterand si trovò in una posizione difficile e a una
coabitazione con il nuovo capo del governo il gollista Jacques Chirac. Sconfiggendo
Chirac raggiunse importanti risultati.
LA GERMANIA DELL’OVEST DA BRANDT A KOHL
La Repubblica Federale Tedesca imboccò negli anni Settanta e Ottanta a un
percorso inverso ovvero dai governi socialdemocratici a quelli popolari. Nel 1970
portò a compimento la Ostpolitik ovvero la politica di apertura verso l’Est che
condusse alla normalizzazione dei rapporti con l’Urss e al reciproco riconoscimento
con la Repubblica Democratica Tedesca. (1972) Con la crisi economica la Germania
passò dai governi socialdemocratici a quelli popolari e nel 1983 vinse le elezioni il
cristiano-democratico Kohl che garantì dialogo e concordia sociale ed evitò gli
scontri con i sindacati, i risultati positivi rafforzarono il marco che diventò la valuta
di riferimento per tutta l’Europa. Anche in politica estera egli seguì gli impegni a

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favore dell’integrazione europea dell’apertura verso Est e del consolidamento
dell’alleanza con gli Stati Uniti.
LA CRISI DELLA GRAN BRETAGNA
Il Regno Unito entrò in crisi: il suo sistema economico era ormai scarsamente
dinamico. Lo shock petrolifero del 73 aveva peggiorato la situazione aumentando
l’inflazione e il deficit della bilancia dei pagamenti e provocando una protesta
sociale. Persisteva anche la questione nord irlandese con l’acuirsi della guerra civile
e del conflitto con l’esercito britannico. Per rispondere alla crisi allora, i governi
adottarono politiche di austerità in campo economico e la repressione in campo
sociale in particolar modo contro i minatori che erano in sciopero. Questo
atteggiamento fece perdere consensi al governo e portò al potere i laburisti che
dovevano gestire il peggioramento della crisi. Nel 1976 la situazione iniziò a
migliorare e la sterlina si rafforzò e diminuì il deficit. La stabilità durò fino al 1979,
quando una crisi fece ripiombare il Regno Unito nella tensione e riportò al potere le
forze conservatrici con la nuova leader Margaret Thatcher battezzata come lady di
ferro.
IL RITORNO DELLA DEMOCRAZIA NELL’EUROPA MERIDIONALE
L’Europa meridionale a esclusione dell’Italia visse un cambiamento epocale con la
fine dei regimi dittatoriali e il ritorno della democrazia.
In Grecia nel 1967 era stata imposta con un colpo di Stato la dittatura detta dei
colonnelli animata da spirito nazionalista che provocò una crisi con la Turchia nel
tentativo di prendere il controllo di Cipro. L’isola era contesa tra due paesi e il
rischio di una guerra era alto e spinse gli Usa a intervenire costringendo il regime
dei colonnelli a lasciare il potere alle forze politiche moderate.
In Portogallo la caduta del regime si compì nel 1974 con la Rivoluzione dei garofani:
la pacifica ribellione da parte dei settori progressisti delle forze armate.
In Spagna fu possibile soltanto dopo la morte del dittatore Francisco Franco, nel
1977 le prime libere elezioni dopo oltre 40 anni e il paese dovette comunque
confrontarsi con problemi interni legati alla conversione democratica e alla
modernizzazione dello Stato e alle rivendicazioni separatiste del territorio baco,
guidate dal gruppo terroristico dell’Eta (nazione basca e libertà).
IL 1989: FINE DI UN’EPOCA
LA PERESTROJKA E LA GLASNOST’ DI GORBACEV NELL’UNIONE SOVIETICA
Con Gorbacev al potere l’Urss iniziò una nuova stagione di riforme chiamata
perestrojka ovvero ristrutturazione per riattivare la crescita. Con la glasnost’ ovvero
trasparenza vennero resi pubblici tutti gli atti di governo, il leader sovietico puntava
a un crescente prestigio internazionale grazie agli accordi con il disarmo e iniziarono
i problemi interni all’Urss. Le riforme economiche e politiche non davano risultati
sperati e inoltre il moto di liberalizzazione attivato dalle riforme fece emergere la
volontà d’indipendenza. Le prime a mobilitarsi furono le Repubbliche baltiche
seguite poi da quelle dell’area meridionale, Gorbagev tentò di correre ai ripari

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realizzò una riforma elettorale alle prime elezioni parzialmente democratiche ma il
suo destino era segnato.
IL 1989: CADUTA DEL MURO DI BERLINO
Le aperture democratiche dimostrate da Gorbacev in Urss favorirono la spinta al
cambiamento di tutti i Paesi a regime comunista dell’Est europeo. Da questi
atteggiamenti si condusse a un processo per la caduta del muro di Berlino. Il
segnale partì dall’Ungheria che decise di aprire le frontiere con l’Austria: la prima
breccia nella cortina di ferro. Migliaia di tedeschi dell’Est ne approfittarono e
attraverso l’Ungheria e l’Austria si riversarono nella Germania dell’Ovest. L’esodo
fece esplodere nella Germania dell’Est un movimento di protesta che chiedeva
l’apertura dei confini: le pressioni popolari portarono alla sostituzione con i dirigenti
comunisti riformisti. Avviarono con la decisione di apre le frontiere con la Germania
dell’Ovest cominciando ad abbattere il muro di Berlino. Fu avviato il processo di
unificazione nel maggio 1990 fu stipulato un trattato per l’unificazione economica e
monetaria e in ottobre entrò in vigore il trattato, fu un evento epocale preso a
simbolo da tutti che lottano ancora oggi contro l’erezione di muri o barriere.
IL CROLLO DEI REGIMI DELL’EST EUROPEO
Le manifestazioni tedesche e le immagini della caduta del muro trasmesse nelle
televisioni di tutto il mondo fecero capire all’Urss che non sarebbe intervenuta a
reprimere il modo di cambiamento. L’intera Europa dell’Est entrò in fermento:
 In Ungheria e in Polonia la transizione verso la democrazia e l’economia di
mercato fu accelerata;
 In Bulgaria si svolsero grandi manifestazioni per chiedere fine al regime;
 In Cecoslovacchia i primi a mobilitarsi furono gli studenti seguiti dalla
popolazione, il successo fu la Rivoluzione di velluto che fu sancito Havel il nuovo
presidente dai risultati delle elezioni libere e si aprì un contenzioso tra le due
parti del Paese (Boemia e la Slovacchia). Ci fu la nascita di due stati separati la
Repubblica Ceca e quella Slovacca.
LA RIVOLUZIONE VIOLENTA IN ROMANIA
Le rivoluzioni dell’Est europeo furono incruente con l’eccezione della Romania. Il
dittatore Nicolae Ceausescu cercò in tutti i modi di impedire che circolassero notizie
di quello che avveniva nel Paese. Ma le notizie filtrarono e ci fu una dura
repressione da parte della polizia politica con morti e arresti. Nel 1989 una
manifestazione popolare convocata dallo stesso dittatore si trasformò in ribellione e
decine di manifestanti si impadronirono della capitale Bucarest. Il dittatore e la
moglie furono condannati a morte, le immagini delle fucilazioni furono trasmesse in
televisione. La transizione dell’economia di mercato dei Paesi ex comunisti avvenne
in modi differenti, ma fu difficile e in certi casi portò a alti costi in termini sociali
(disoccupazione impoverimento dei settori ect.)
LA FINE DELL’URSS
CHERNOBYL: EMBLEMA DI UNA CRISI IRREVERSIBILE

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Il 26 aprile 1986 a Chernobyl si manifestò un evento catastrofico: un guasto alla
locale centrale elettronucleare che provocò la fuoriuscita di una nube radioattiva,
persero la vita subito 30 persone e ci furono effetti drammatici di breve e lungo
periodo di salute per le persone. Si trattò di una delle più grandi catastrofi della
storia, la nube radioattiva spinta dalle correnti si propagò su gran parte d’Europa
provocando danni non facilmente valutabili. Diventò simbolo d’emergenza
ambientale in tutto il mondo, il disastro di Chernobyl.
LA DISGREGAZIONE DELL’URSS
La decisione del leader sovietico Gorbacev di non opporsi alla caduta dei regimi
comunisti nell’Europa dell’Est e alla riunificazione della Germania gli fecero
guadagnare un prestigio internazionale che culminò nel conferimento del premio
Nobel per la pace (1900). Peggiorò la situazione interna dell’Unione Sovietica dove i
tentativi di riorganizzazione si scontravano con il peso di un sistema politico ed
economico obsoleto con settore in estrema povertà. Anche i movimenti
autonomistici: tra il marzo e il maggio 1990 la Lituania, Lettonia e Estonia
dichiararono la loro indipendenza dall’Urss, a metterlo in difficoltà fu anche
l’elezione della presidenza della Repubblica Russa (la più importante dell’Urss) di
Boris Eltsin che voleva un sistema più accelerato e passaggio all’economia di
mercato. Gorbacev si indebolì progressivamente.
IL COLPO DI STATO E LA FINE DELL’URSS
La situazione andò a peggiorare e nel corso del 1991 quando le altre Repubbliche
proclamarono la loro secessione, nonostante un referendum che avesse trasformato
l’Urss in un’unione di Stati sovrani. Nel 1991 la vecchia nomenklatura del Pcus tentò
un colpo di Stato mentre Gorbacev era prigioniero. La reazione popolare fu guidata
da Eltsin. La dissoluzione dell’Urss fu inevitabile e malgrado la costituzione del
dicembre del 1991 della Comunità di Stati indipendenti (Csi) formata da 11
repubbliche ex sovietiche, i cui poteri non furono definiti. Gorbacev si dimise e fu
ammainata la bandiera rossa che sventolava sul Cremlino dai tempi della
Rivoluzione del 1917, sostituita dalla bandiera russa dei tempi dello zar. Due anni
dopo la caduta del muro di Berlino la dissoluzione dell’Urss sancì definitivamente la
fine della Guerra fredda e di quel sistema bipolare che aveva caratterizzato per
oltre 40 anni le relazioni internazionali.
LA SVOLTA NEOLIBERISTA NEGLI ANNI OTTANTA
Neoliberismo: Negli anni Ottanta, Reagan negli Usa e Thatcher nel Regno Unito
portarono avanti una politica neoliberista, operando tagli alla spesa pubblica,
riducendo le imposte e procedendo con la deregulation; Il primo ministro inglese
Margaret Thatcher mantenne un atteggiamento durissimo con i minatori in
sciopero.
FINE DELLE IDEOLOGIE
Con il neoliberismo si ottennero buoni risultati per il rilancio dell’economia, ma
peggiorarono le condizioni di vita degli strati più poveri della popolazione.

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All’affermazione del neoliberismo corrisposero lo smarrimento dell’identità politica
delle sinistre e l’esaurimento di un interesse collettivo per i grandi ideali politici.
FINANZA
Crebbe esponenzialmente il ruolo della finanza nell’economia mondiale. Si costituì
un mercato unico del denaro, dove gli Stati e i privati investirono enormi capitali.
Aumentò il debito pubblico nei Paesi più avanzati.
LA SOCIETA’ POST-INDUSTRIALE
TERZA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
Con la deindustrializzazione, il numero delle fabbriche si ridusse sempre più a causa
dei processi di automazione e della delocalizzazione, cioè il trasferimento delle
fabbriche nei Paesi in via di sviluppo. Nei Paesi più avanzati si passò da
un’economia industriale a un’economia prevalentemente sul terziario.
 Nuovi sistemi produttivi: la vecchia fabbrica fu sostituita dai distretti
industriali, una rete di aziende specializzate. La catena di montaggio venne
sostituita dai processi di automazione della produzione. Infine, gli investimenti
delle aziende si spostarono dalla produzione al marketing.
 Nuove configurazioni sociali: Con la deindustrializzazione, in alcuni territori
scomparve la classe operaia e aumentò il ceto medio. Si impose un nuovo
gruppo sociale attivo nella finanza, nei media e nell’informatica: gli yuppies.
 Culture di massa: Dagli anni Ottanta le radio rilanciarono il proprio ruolo
presso il pubblico giovanile, le tv plasmarono la cultura di massa con una
comunicazione spesso di bassa qualità e a flusso continuo. Si passò da un
sistema basato sulla scrittura a un modello fondato sull’immagine e il suono, che
divenne proprio della cultura di massa;
 Rivoluzione informatica: Uno scatto ulteriore fu l’applicazione dei progressi
del campo informatico alle tecnologie di telecomunicazione;
 Internet: E’ diventato l’emblema del nuovo millennio, un’enorme quantità di
beni si è trasferita dalla dimensione fisica a quella virtuale: musica, video,
software, giornali online.
 Globalizzazione: Tutto questo ha introdotto il processo di globalizzazione, cioè
un sistema di integrazione e interdipendenza.
L’ASIA TRA SVILUPPO E SOTTOSVILUPPO
CINA
Dopo la morte di Mao Zedong (1976) e la salita al potere di Deng Xiaoping, la Cina
avviò un’economia di mercato. Ai rapidi mutamenti non corrispose alcun
cambiamento politico. Le grandi manifestazioni furono duramente represse dai carri
armati in piazza Tienanmen, a Pechino.
INDIA
Pur con una forte sperequazione sociale, l’economia indiana diventò una delle più
potenti al mondo, alla morte di Nehru, Indira Gandhi fu nominata primo ministro e

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attuò una riforma agraria e la nazionalizzazione delle banche prima di essere
uccisa. Le succedette il figlio Raijv che adottò una politica liberista. Nel 1989 la
guida del Paese passò ai partiti religiosi.
GIAPPONE
Nel 1970 il Giappone era al terzo posto delle nazioni più ricche del mondo con
un’economia trainata dall’alta tecnologia e dal settore automobilistico.
TIGRI ASIATICHE
A partire dagli anni Settanta arrivò il decollo economico, le cosiddette “tigri
asiatiche”: Taiwan, Hong Kong, Corea del Sud e Singapore. Agli Stati asiatici
rimasero invece con ampie sacche di povertà, conflitti e disagi sociali.

L’AMERICA LATINA - REGIMI MILITARI


A partire dagli anni Sessanta una serie di colpi di Stato fece sì che quasi tutti i Paesi
dell’America centro-meridionale fossero retti da regimi militari: Brasile (1964),
Argentina (1966-1976), l’Uruguay (1973), Cile (1973). Furono spesso sostenuti dagli
Usa (Operazione Condor) e alla fine degli anni Settanta molti Stati tornarono alla
democrazia.
ARGENTINA
Nel 1976 I comandi militari presero il potere in Argentina, macchiandosi di crimini
contro l'umanità. Migliaia di oppositori furono uccisi o fatti sparire (desaparecidos).
La sconfitta della guerra con il Regno Unito per il possesso delle isole Falkland
costrinse Videla a restituire il Paese alla democrazia.
PRESIDENZIALISMO
All'inizio degli anni Novanta, nel difficile percorso verso la democrazia, la maggior
parte dei paesi latino-americani adottò nuove costituzioni, per lo più basate su
sistemi di tipo presidenziale.
AFRICA POST-COLONIALE - MISERIA E DITTATURE
All'indipendenza di molti stati africani non aveva fatto seguito l'auspicato sviluppo
economico e sociale. Molti paesi erano attraversati da tensioni sociali, etniche,
religiose e politiche che sfociarono in guerre, dittature e colpi di stato in cui si
sparso molto sangue.
CRISI DELLO STATO POST-COLONIALE
L' autoritarismo dei governi, la crisi di partecipazione politica, le conflittualità
interne e le continue violenze che caratterizzarono gli Stati africani negli anni
Ottanta vennero definite dagli storici “crisi dello Stato post coloniale”.
ECONOMIA GLOBALE VERSO IL DUEMILA
ECONOMIA GLOBALE

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Negli anni Novanta il principio “meno Stato e più mercato” si affermò in larga parte
del mondo. Le privatizzazioni, la deregolamentazione, i tagli alla spesa pubblica e
sociale, la libertà dei mercati diventarono la parola chiave delle politiche
economiche mondiali. Mentre l'Asia accelerava il proprio processo di
industrializzazione, L'America Latina adottò una serie di riforme liberiste, anche se
molti paesi furono percorsi da gravi crisi economiche.
NEW ECONOMY
In Usa negli anni Novanta esplose la New economy, orientata verso la produzione di
hardware e verso nuove imprese di servizi ad alto valore aggiunto.

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