Nel film Odissea nello spazio del 2001, di Kubrick, assistiamo ad un incontro tra un gruppo di primati e
un misterioso artefatto ossia nella caverna compare un parallelepipedo nero.
Una volta entrati in contatto con l’oggetto definibile come Monolite osservandolo e constatando che fosse
fabbricato da un essere intelligente, notiamo come gli ominidi sviluppano un nuovo modo di relazionarsi
con l’ambiente esterno.
La sequenza successiva ci fa vedere che il capo degli ominidi prende un osso in mano e lo percuote nel
terreno, un’azione fatta per catturare le prede;
Questo gesto si pone a capo di un arco temporale che va dall’alba dell’uomo fino all’arrivo dell’uomo su base
lunare 4 milioni di anni più tardi.
Questo esempio è utile per lo studio della comunicazione e dei media, essendo che parte dal rapporto tra
uomo, linguaggio e tecnica.
La tecnica si intende come saper fare, ossia rappresenta lo strumento umano atto a realizzare un prodotto e
rappresenta il punto d’incontro tra l’uomo e il suo adattamento all’ambiente. Questo percorso ha origine
nel e dal corpo e prende nome di Ominazione. Il corpo è il primo medium con il quale ci confrontiamo
sul senso dell’esistenza.
L’osso dell’ominide si trasforma man mano in una clava, sempre per adattarsi all’ambiente esterno.
L’arma diventa oggetto di esperienza collettiva poiché si trasforma in oggetto di condivisione con gli
altri ominidi.
Per cui prima dell’avvento dell’oralità e della scrittura, il medium di condivisione di esperienza era la mano
che mostra agli altri ominidi l’uso del nuovo oggetto.
Possiamo quindi affermare che l’evoluzione della specie umana va parallelamente allo sviluppo di un sistema
di condivisione dell’esperienza.
Ritroviamo l’invenzione del segno, durante il Paleolitico superiore, alcuni uomini decorarono le pareti della
caverne di Lascaux (Francia) con delle scene di caccia.
In quel momento si incontrarono tecnica e comunicazione ed emerse l’impulso umano di codificare le
cose del mondo per controllarle, rappresentarle e quindi narrarle.
Il punto d’incontro quindi tra pensiero e immagine è il segno che rimanda a sistemi comunicativi linguistici
più elaborati.
Nel momento in cui si decorarono quelle pareti nacque un congelamento temporale che riguarda anche il
concetto di mito, concetto attraverso cui si amplia anche il concetto di trasmissibilità verbalizzando
fenomeni di importanza collettiva.
Il compito dei miti e dei riti è quello di plasmare i momenti di collettività dell’uomo tramite topoi ossia
norme.
Secondo Durand, l’immaginario è proprio rappresentato dall’insieme di tutte le speranze, le paure, del
sapere tacito di sfondo che determina l’appropriazione dell’identità dell’uomo.
Miti e riti si fondano su dei meccanismi:
-Ripetitio: i rituali riorganizzano il senso dell’esistenza riproponendo la storia delle cose e allo stesso modo
i riti vengono tramandati dando vita alle tradizioni sulle identità dei popoli.
- Innovatio: ogni tradizione interviene sul modello mitico (archetipo) sottoponendolo ad un processo di
innovazione ossia di modifica che rimanda al rapporto tra mito stesso e il contesto sociale.
I contenuti della tradizione orale nel tempo divennero oggetto di redazioni scritte tuttavia la scrittura
attraversò delle fasi di elaborazione complessa: partendo dalla pratica della pittografia (scrittura di segni)
come le tavolette mesopotamiche di beni agricoli e di consumo da gestire, alla scrittura geroglifica, nella
civiltà egizia con la figura dello scriba (unico individuo a cui spettava l’amministrazione dei beni collettivi);
Dopodichè si passa dalle tavolette ai papiri e ritroviamo il mare come rappresentazione dell’autocoscienza
occidentale, che permise l’accelerazione del linguaggio e a nuove reti comunicative (molti anni dopo
nacquero le ferrovie) per poi arrivare ai Fenici che fornirono alla cultura greca i fondamenti per un sistema
di rappresentazione dei suoni ossia l’alfabeto.
Il filosofo Foucault interpretava la scrittura come un processo definito eto-poietico ossia un processo di
esteriorizzazione del sè che ha riscontri sia sul singolo oggetto, immerso in uno spazio esterno ad esso, sia sul
destinatario delle informazioni esteriorizzate.
La scrittura è un artefatto che consente di memorizzare e organizzare la propria conoscenza e il senso
dell’esistenza dell’uomo (senza un campo di conoscenza definito non esisterebbe nessuna relazione tra
persone).
La scrittura ha subito nel tempo una tensione tra chiusura e apertura, in cui il corpo sociale ha sempre agito
e riscritto le sue gerarchie.
Industria culturale
Il concetto di industria culturale venne introdotto da Tocqueville in un’opera sul sistema socio-politico
americano, ma assunse attualità nel 1947 con gli studiosi tedeschi Adorno e Horkheimer.
Secondo i due, il processo di industrializzazione applicato alla cultura costituiva un grande sistema
capace di far interagire: individualità, saperi teorici e dispositivi tecnologici al fine di governare i processi
economici e sociali all’epoca delle masse metropolitane.
Questo sistema definibile anche come forma psichica del dominio è funzionale alle esigenze di una società
di massa autoritaria. Praticamente la riflessione dei due tedeschi era un atto di accusa nei confronti della
modernità capitalista che contempla meccanismi di controllo in grado di plasmare le coscienze collettive.
Bersaglio di queste dinamiche è ovviamente la massa, che appare agli occhi degli studiosi come un corpo
polimorfo di consumo privo di senso critico.
Nel loro saggio si parla anche di industrializzazione delle forme estetiche ossia degli effetti devastanti sul
corpo indotti dalla rivoluzione industriale nella cultura occidentale. La contemporaneità viene considerata
come specchio dei rapporti socio-culturali che smarriscono i propri valori, distolti dal prevalere di
un’economia del capitale monopolistico.
La prima fase in cui si struttura il dibattito sull’industria culturale vede una dicotomia tra apocalittici e
integrati ossia tra chi si posiziona sul versante della teoria critica della società e chi osserva le trasformazioni
con un atteggiamento più fiducioso e ottimistico.
Un buon punto di partenza è quello di considerarla come un sistema di relazioni, flussi di informazione
che supportano lo sviluppo della società industriale in quanto capace di attrezzarsi continuamente nei
confronti della mutevolezza delle condizioni sociali.
I due studiosi tedeschi puntano la loro osservazione prettamente sul generale e sulle dinamiche di controllo
senza guardare al rapporto tra apparati e pubblico.
Diverso invece è l’approccio di Morin che parte dall’osservazione delle trasformazioni tentando di coglierne
il significato sul piano dei vissuti, ponendosi una domanda “chi e perchè consuma i prodotti della
cultura di massa”, indagando i rapporti tra pubblico e industria. Morin sottolinea l’importanza di inserire
l’osservatore nel sistema di relazioni con i suoi valori e conflitti. Tuttavia egli non risponde alle domande che
riguardano la natura sistemica dell’industria culturale poichè rivolge appunto più lo sguardo verso le
dinamiche della cultura di massa, degli effetti dei media e così che esclude parzialmente sul piano
metodologico la questione dell’origine del processo di industrializzazione della cultura.
Tra l’altro i processi che hanno avuto luogo nel corso del ‘700 hanno modificato ampiamente l’idea della
società, il suo stato politico, attraverso la diffusione dei principi illuministi che si sono rivelati essenziali per
la modernizzazione del mondo.
La trasformazione degli scenari tecnologici è infatti molto legata all'ascesa della borghesia e attraverso nuove
tecnologie della comunicazione come il telegrafo elettrico inventato da Morse e la macchina a vapore di
Watt nasce la possibilità di costruire una rete ferroviaria che modifica i processi comunicativi.
Per non parlare della fabbrica che riscrive i processi di socializzazione, che notiamo già dal fatto che si
concentrano in uno stesso luogo dei lavoratori.
Nella fabbrica il lavoro si specializza e da vita al fenomeno dell’alienazione, in cui ritroviamo un operaio
che viene espropriato dalla capacità di realizzare soggettivamente il ciclo produttivo e viene relegato a
semplice esecutore di funzioni basilare, diventando semplice componente di una catena di montaggio.
Questa logica organizzativa venne messa a punto da Taylor e permise la distinzione tra lavoro concreto in
cui esempio c’è un artigiano che possiede il senso complessivo della propria attività e lavoro astratto in cui
invece non si può intervenire in maniera soggettiva sul ciclo della produzione.
Le masse diventano protagonista e questo protagonismo che poi si riflette anche nelle narrazioni come
fumetti, cinema e racconti si basa due meccanismi:
1. La doppia natura delle masse: essi sono sia produttori che consumatori (principio di reciprocità);
2. La trasformazione dell’idea di tempo rispetto al lavoro: la fabbrica introdusse la distinzione tra
tempo lavorativo e tempo libero (quest’ultimo è un tempo in cui il soggetto si riappropria della sua
soggettività);
Infatti possiamo definire che la metropoli nasce proprio dall’affermarsi dell’industria poiché diviene la
forma assunta in base alla fabbrica.
Tra ‘800 e ‘900 infatti vediamo anche il processo di massificazione dove si scontrano tradizioni e
innovazioni.
Le istituzioni, tra l’altro, individuano in tale processo una minaccia rivolta ai meccanismi di produzione ma
anche dei ruoli e dei saperi.
Come se la natura di tale processo fosse impattante e violenta e ritroviamo in Baudelaire l’individuazione di
un processo di spersonalizzazione in cui denota un binomio solitudine/moltitudine in cui un soggetto è
se stesso solo in relazione della dimensione sociale, collettiva in cui vive.
E anche la comunicazione pubblicitaria non viene vista in questo quadro come un mezzo di persuasione
ma di produzione simbolica della merce.
Al contempo anche l’arte e la cultura non rimasero invariate ad un modello sociale sempre più teso alla
produzione e al consumo.
Aumentò infatti, nella fase di ristrutturazione della società industriale, la fruizione delle opere letterarie che
coinvolse un nuovo pubblico di lavoratori.
Nacque la letteratura d'appendice a stampo prettamente popolare che veniva apprezzata soprattutto da
quella fetta di lettori scarsamente alfabetizzati che erano in cerca di intrattenimento.
I nuovi dispositivi letterari costituirono la giusta sintesi tra le esigenze di informazioni sulla contemporaneità
e le modalità di rappresentazioni del mito (come detto prima: forma narrativa in grado di istituire un ordine
del mondo umano).
Ritroviamo quindi romanzi popolari come i “3 moschettieri” o “Tarzan” che vennero accomunati da
elementi mitologici.
Il miglior esempio però è Frankestein che rimanda all’inquietudine dell’uomo moderno. Il sublime e
l’orrido sono più vicini alla sensibilità dell’uomo moderno.
Nella prima fase dell’età industriale ritroviamo soggetti alla ricerca di nuove zone di scambio simbolico,
come nel caso dei bollettini giudiziari che alla fine del 18esimo secolo diventano un caso letterario.
Ciò che la società industriale tendeva a rimuovere dall’ordine del discorso riemergeva nell’immaginario e
nella sua capacità di orientare il flusso dei consumi: in sostanza la relazione problematica tra i progetti di
razionalizzazione politica dell’ordine sociale e le irriducibili pulsioni individuali.
I processi di industrializzazione delle forme estetiche sempre più verso la moltiplicazione dei linguaggi
tecnologici, così che possiamo definire l’industria culturale come spirito del tempo moderno.
Il pensiero di Morin si riassume in una definizione che vede l’industria culturale come un sistema nervoso,
formato dai media di massa che collegano le funzioni dei sensi al di là dello spazio e del tempo producendo
una sorta di seconda industrializzazione, quella dei sogni e delle immagini.
Benjamin invece analizza anche la ridefinizione del lavoro intellettuale che viene visto da lui non in termini
di asservimento passivo al sistema, quanto come consapevolezza delle dinamiche di conflitto e di scambio tra
le componenti culturali della società attraverso i media.
E’ interessante anche la posizione di McLuhan quando si chiede non tanto cosa facciano i media alle
persone quanto piuttosto cosa facciano le persone ai media.
Secondo il suo punto di vista, i soggetti politici/economici che gestiscono lo sviluppo delle nuove tecnologie
non determinano l’uso sociale dei media, in quanto è la sperimentazione del consumo a decidere le sorte
dei dispositivi.
Infatti la ricerca sociologica attuale mira tanto all’insegnamento di McLuhan nel provare ad evitare il
determinismo tecnologico, ossia quella visione che limita il rapporto tra tecnologia e società in un legame
unidirezionale.
Per il professore Abruzzese, il bene di consumo diventa la tecnologia per sè, attraverso i processi di de-
industrializzazione e di de-massificazione. Per lui più che parlare di industrializzazione dei processi culturali,
ha senso parlare di tecnologie culturali, poichè la distanza ideologica e produttiva che la fabbrica con le sue
metodologie non è più rintracciabile nelle attuali tendenze a superare i dispositi dell’organizzazione sociale e
le forme espressive che hanno caratterizzato l’età industriale.
E’ tra l’altro interessante vedere come il tentativo di sistematizzare la riflessione sui processi di
industrializzazione della cultura si realizza proprio negli anni in cui si presenta la televisione come medium.
Negli anni ‘50 infatti, la maggioranza dell’occidente usufruiva di assi tecnologici tesi alla comunicazione
audiovisiva.
Fu soprattutto la catastrofe del conflitto mondiale a creare delle esigenze che trovarono riscontro, risposta
nella televisione.
L’età televisiva tese ad azzerrare l’intervallo spaziotemporale tra le cose, la sua instantaneità mutò la
costruzione sociale della realtà accentuando però i conflitti relativi all’industria culturale.
Il processo di de-massificazione mutò non solo il come si comunicava ma il cosa, soprattutto all’interno di
quale prospettiva se individuale o collettiva.
Cambiando l’habitat linguistico cambiano anche le soggettività storiche che lo abitano.
La partecipazione al presente del mondo oggi è divenuta concretamente una prospettiva dell’uomo
telematico o individuo digitale, un soggetto che supera le dinamiche e i conflitti dell’industria culturale.
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Uomo tipografico
Prima dell’avvento della scrittura, le culture orale hanno avuto figure come i cantastorie, stregoni, sciamani
che erano preposti a preservare e trasmettere le tradizioni culturali. Il corpo, come già detto prima, costituiva
il supporto essenziale della comunicazione.
Nel 1982 Walter Ong diversificò le principali differenze tra i linguaggi delle culture orali e di quelle scritte,
constadando come per i letterati ad oggi sia difficile concepire una cultura priva di parole visive.
L’oralità infatti favoriva una forma culturale conservatrice e vincolata dalla tradizione e le figure proposte
impiegavano grandi energie nel ripetere ciò che è stato appreso nel corso dei secoli.
La scrittura invece da la possibilità di conservare la conoscenza, le figure dei saggi vennero declassate
aprendo le culture a rivoluzioni cognitive.
Attraverso il lavoro di McLuhan (1964) chiamato Galassia Gutenberg ritroviamo un analisi sull’influenza
decisiva che l’alfabeto fonetico e la stampa ebbero nello sviluppo delle civiltà occidentali.
Mcluhan definisce anche delle fasi dell’uomo: l’uomo tribale che non è un uomo specializzato.
Ritroviamo poi la nascita dell’uomo tipografico a seguito dell’introduzione dell’alfabeto fonetico che ha
permesso agli essere umani di oggettivare i loro pensieri materializzandoli al di fuori di sè stessi.
L’invenzione soprattutto della stampa a caratteri mobili e del suo prodotto (il libro) ha portato l’uomo ad
organizzare il proprio ambiente in modo lineare, ad esempio introducendo concetti come l’individualità o il
nazionalismo.
Al contrario, l’elettricità e l’elettronica in seguito riportarono la simultaneità ridimensionando la famiglia
umana in un immenso villaggio globale che riduce le distanze dello spazio mediale.
Mentre in “The bias of communication” (Innis, 1951) c’è un analisi che riguarda il rapporto tra uomo e
media, quest’ultimi sono considerati come estensioni del corpo umano (protesi simbolica).
Da questa prospettiva nasce infatti il bisogno non tanto di comprendere chi determini cosa ma di
dimostrare l’esistenza di un dialogo continuo tra i media e l’essere umano, al cui centro avviene il processo
di comunicazione.
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L’invenzione della stampa
Il termine stampa rappresenta sia la tecnologia creata da Gutenberg, sia il medium e le sue dinamiche
comunicative diventanto un vero e proprio diritto umano: la libertà di stampa.
L’invenzione di Gutenberg automatizza e rende più economico il processo di trasporto della parola scritta,
dando anche vita ad una differente figura rispetto allo scrittore: il giornalista.
Il giornalismo fu l’innovazione più significativa della stampa, all’interno delle società europee del 17esimo
secolo.
Il giornale è legato ad una definizione di temporalità più breve ossia l’attualità che rispetto al libro mostra il
pensiero di differenti voci dislocate.
Questa impostazione comporta una partecipazione più attiva da parte del lettore che seleziona cosa leggere.
In Francia, nella prima metà del ‘500 compaiono le prime pubblicazioni periodiche ma è solo nella prima
metà del ‘600 che nascono in Europa le pubblicazioni a cadenza settimanali.
Dalla metà dell’800 grazie all’emergere di nuove tecnologie, l’editoria periodica dovette affrontare la
trasformazione dettata dall’industria di massa.
Il torchio a vapore, la riproduzione di immagini fotografiche, il telegrafo di Morse resero il processo
comunicativo più veloce e di conseguenza trasformò il passaggio tra avvenimento e notizia.
Tutto ciò si rafforzò quando nel 1833 Benjamin Day fonda il “New York Sun” e da vita al Penny press
ossia alla vendita a basso costo dei giornali (1 centesimo).
I penny press non si distinguevano solo nella forma e nelle modalità distibutive ma anche e soprattutto per i
contenuti: la ricerca del profitto spiega la prevalenza delle notizie di cronaca a carattere sensazionalistico.
Il fenomeno portò a sua volta al sorgere di un nuovo mercato dei prodotti culturali di intrattenimento a
basso costo definito Penny dreadful, grazie alla stampa realizzata nel 1814 da Koenig in cui si applicò la
macchina a vapore al torchio di stampa che consentì di incrementare fino a 4 volte la produzione di fogli
nell’unità di tempo.
Questa inventiva produsse una veloce democratizzazione del mercato dell’informazione, superando uno
dei problemi sociali legati alle divisioni delle classi e non solo ma anche a democratizzare le dinamiche del
confronto politico, avvicinando quest’ultimo agli interessi dei ceti meno abbienti.
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Da stampa popolare alla letteratura popolare
Una volta razionalizzaro il modello industriale e commerciale della stampa quotidiana, avviene una
riorganizzazione dei contenuti che coinvolge anche la letteratura, ponendo le basi per quelle che poi saranno
forme narrative oggi diffuse.
Si diffonde quindi la letteratura popolare con generi come il poliziesco, la fantascienza, l’horror.
Nascono anche figure a metà tra imprenditore e intelletuale che propinano prodotti culturali con effetto di
suspance forzata.
Come afferma anche il professore Brancato la serialità non si afferma solo per l’esigenza di consumo ma si
sviluppa soprattutto come recupero di ciò che è stato estromesso dall’ordine del discorso.
Tra la metà del 19esimo e 20esimo secolo, si afferma l’età del Feuilleton ossia il romanzo popolare di
appendice, una forma di testo seriale che si consolida nei quotidiani europei che si interroga sui fenomeni
sociali di attualità. L’elemento iconico è il Superuomo, una figura nobile ed eroica, espressione di giustizia.
In America invece si affermano i Dime novels, romanzi economici realizzati per un consumo di massa con
l’obiettivo di stupire i lettori, mettendo come sfondo i traumi del mondo moderno.
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Fondamentali nel giornalismo furono le immagini che come affermava Benjamin la fotografia ha il
potenziale di svelare la storia, permettendoci di vedere il passato.
A partire dal 19esimo secolo il fotogiornalismo ha plasmato il modo di vedere il mondo, essendo che nasce
l’uso della foto in ambito di guerra che si estende man mano ad altri campo come politica, sport.
Ne sono un esempio i lavori di Fenton che portarono per la prima volta alla pubblicazione di immagini
violente al pubblico di massa, o le fotografie di Brady raffiguranti scene della guerra civile americana.
Nella seconda metà del 19esimo secolo nasce lo Street life in London ossia immagini che ritraevano eventi
della vita quotidiana londinese.
Ci furono anche due importanti innovazioni tecnologiche che contribuirono alla cultura visiva dei giornali:
i mezzi toni che consentirono di stampare l’intera gamma di ombreggiature della foto e il flash che permise
una nitida fotografia di interni.
Ci furono anche due donne, importante da ricordare, che spiccarono in tale ambito: Lange e White che
trattarono di guerra e degli effetti speciali della Grande Depressione.
L’emergere poi delle tecnologie digitali ha imposto al fotogiornalismo cambiamenti radicali: il digitale
infatti rende semplice la possibilità di manipolare in post-produzione un qualsiasi scatto. Questa può essere
definibile come la contraddizione della fotografia, un mezzo attraverso cui si ritrae senza filtri una scena
ma allo stesso tempo può essere falsificata dalle nuove tecnologie.
Con estrema immediatezza, i social media mettono in crisi il lavoro del fotoreporter poichè grazie al
miglioramento delle grafiche è possibile condividere più velocemente delle immagini ad alta qualità.
Infatti possiamo dire che negli ultimi anni c’è stata una crisi definibile come contaminazione digitale
avvenuta nella produzione cinematografica, musicale ed editoriale che hanno dovuto modificare gli asset per
adeguarsi al cambiamento digitale legato ai consumi.
L’industria dell’informazione ha risposto a tale problema attuando un approccio multi-piattaforma,
essendo che le nuove tecnologie offrono ai produttori la possibilità di analizzare, monitorare e soddisfare i
gusti e gli interessi dei fruitori.
La scelta della piattaforma influenza il tipo di notizie che vengono selezionate e trattate, ha quindi effetti sul
contenuto, questo ci permette di ritornare all’enunciato di McLuhan “il medium è il messaggio”.
L’immediatezza diventa un imperativo e l’obiettivo dell’industria editoriale è di manatenere la supremazia
dei valori tradizionali associati alla stampa, provando dei compromesso che permettano di monetizzare i
contenuti online tenendo conto delle esigenze dell’utente.
Nascono così i Paywall con i quali gli utenti devono pagare un abbonamento per accedere ai contenuti,
cosa che in parte limita l’accesso su quella determinata notizia a causa del costo non sempre accessibile a
tutti.
Il paywall ha diverse forme: c’è l’hard paywall che non consente contenuti gratuiti, il soft paywall che
consente solo alcuni contenuti gratuiti e il metered paywall che consente contenuti gratuiti per un
determinato periodo di tempo.
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Nel corso dell’800 uno degli effetti della rivoluzione industriale fu la crescita delle città, ogni giorno
lavoratori agricoli andavano a lavorare nelle fabbriche. Le città crebbero fino a divenire delle metropoli, la
folla divenne poi massa: un insieme conflittuale di individui fondata su modelli di consumo delle merci.
Questo processo è legato strettamente alla nascita della stampa popolare che rinnova il rapporto tra arte e
pubblico.
Tra l’altro ritroviamo in quel periodo un tasso di analfabetismo alto per cui i giornali ricorrevano alle
illustrazioni, un settore delle arti figurative, una comunicazione visuale che si afferma attraverso
l’immagine caricaturale e della vignetta satirica.
L’illustrazione partecipa al processo di massificazione dei media, marcando il passaggio da unicità
dell’opera alla sua inevitabile replicazione.
La storia dell’illustrazione riguarda tanto l’analisi sociologica delle trasformazioni che hanno portato
all’affermarsi di nuovi individualismi e innovativi modelli di organizzazione sociale.
Tra il 16esimo e il 18esimo secolo, l’illustrazione rimane ancorata al libro, ritroviamo quindi atlanti
geografici o enciclopedie del periodo illuminista.
Con il processo di modernizzazione politica basata sull’avvento della borghesia e con la conseguente nascita
dell’opinione pubblica sostenne a sua volta la diffusione dei giornali satirici.
La satirica illustrata consentì l’istituzionalizzazione di nuovi dispositivi mediali come la stampa periodica e
il quotidiano.
Con Grandville e Daumier ritroviamo la critica dei costumi sociali attraverso la satira attraverso periodi e
gazzette, con Dorè invece ritroviamo una prefigurazione del cinema, attraverso i corredi iconografici che
rivelano una vocazione di tipo narrativo.
L’illustrazione si lega anche a fenomeni comunicativi come la pubblicità ossia quella dinamica mediale che
veicola informazioni per congiungere il corpo della merce a quello del consumo.
Nelle masse metropolitane, l’immagine si fa essa stessa merce e permettere l’orientarsi delle altre merci.
I manifesti che ritroviamo nel corso dell’800 attraverso vetrine, grandi magazzini arredono le strade della
città.
Un esempio è Henri Toulose Lautrec del periodo della bella epoque in cui accanto alle proprie opere
realizzava anche manifesti pubblicitari e illustrazioni per la stampa periodica.
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L’800 può essere considerato come il secondo del romanzo illustrato (Promessi Sposi, Pinocchio).
Il 900 invece è il secolo che sancisce l’ingresso alle riviste popolari che sin da subito parteciparono alle
trasformazioni dei consumi culturali metropolitani.
Come già accennato ritroviamo le penny dreadful in Inghilterra o le dime novel in America, riviste basate
sulla proletarizzazione del lavoro di scrittori e artisti che collaboravano ad esse, pagati a cottimo e senza alcun
controllo sul ciclo dell’opera.
L’estetica di queste riviste erano la rappresentazione cruda dei problemi contemporanei, tutto a stampo
sessuale, violento.
Attraverso l’interfaccia della copertina costituivano il primo impatto sul corpo del consuvmo.
Nel 900 ritroviamo un evoluzione del fenomeni che si evolve in pulp magazine, a basso costo prt un
pubblico di massa sempre più alfabetizzato fino ad arrivare ai paperback, volumi economici di grandi
illustratori.
L’immagine ovviamente partecipa anche al cinema in un quadro molto concentrato sullo sguardo
partecipativo del consumo e alle strategie della pubblicità.
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Il fumetto nasce e si sviluppa nell’habitat linguistico della civiltà industriale, rispondendo ad una sempre
più elevata domanda di comunicazione.
Esso nasce in America in contemporanea allo sviluppo del cinema, parliamo quindi di periodi come il 1895
in cui ritroviamo i fratelli Lumière che presentarono il rivoluzionario cinematografo.
In contemporanea esordisce un personaggio illustrato nel primo fumetto: un bambino grottesco, con grosse
orecchie e testa calva, vestito di un camicione giallo, che viveva in un quartiere sottoproletario che interagiva
con una folla disordinata di altri personaggi (yellow kid).
Dagli storici questo fumetto sancisce la nascita del medium, anche se già dagli anni 20 dell’800 c’erano storie
disegnate per bambini ossia delle filastrocche.
Tra l’altro possiamo definire come il cinema e la radio, il fumetto come un medium audiovisivo poichè il
fumetto arriva con il lavoro psicologico del lettore-spettatore che ricostruisce mentalmente il movimento tra
una vignetta e l’altra, immaginando suoni attraverso i codici della scrittura.
Ritroviamo anche i primi comics costituiti principalmente da grandi illustrazioni in cui la dimensione
temporale della narrazione si basava sulla prospettiva, nel senso che l’accadere degli eventi era determinato
da un’organizzazione visiva interna all’illustrazione stessa.
Il passaggio temporale da una narrazione diacronica ad una sincronica fu dovuta anche dallo strip ossia una
striscia che prolungava il consumo di fumetto su tutto l’arco settimanale, era composta dalle due alle
quattro vignette in successione, che ritagliavano i momenti culminanti.
Possiamo quindi definire il fumetto come un’arte sequenziale che rimanda alle modalità espressive del film.
Anyway il fumetto è un mass medium a stampa che diviene meglio identificabile tra gli anni 20-30 del ‘900
in quanto abbandona l’esclusività del genere comico per affrontare il sistema dei generi.
Si innescò una sorta di sinergia nel fumetto: è il linguaggio dei costi più bassi e la resa più elevata sul piano
della progettazione di immaginari.
In ogni caso il pubblico di massa attraverso i media industriali si sposta tra un tipo di linguaggio all’altro
attraverso un atteggiamento mentale che gli consente di abitare il nuovo spazio di comunicazione e di
gestirne la pluralità attraverso una competenza partecipativa e l’attitudine a dominare un corpus
linguistico molto più ricco rispetto a quello passato.
E anche nel fumetto il lettore di polarizza tra l’astrattezza della scrittura e la spettacolarità dell’immagine.
Ed è proprio con il comic book che costruisce un rapporto con il proprio pubblico in cui ottimizza delle
risorse produttive, sviluppa adeguati meccanismi di serializzazione del racconto e tutto ciò portò ad attirare
un pubblico sempre più vasto e differenziato sul piano generazionale.
Nel ‘900 ciò che divenne molto rilevante è il fumetto giapponese/coreana definito manga,
Il fumetto attualmente è messo in crisi dalla concorrenza della televisione e dei nuovi linguaggi informatici
come il graphic novels molto più orientato alle logiche del romanzo.
Attualmente possiamo dire che la fruizione è di nicchia e che permane anche sul web come supporto
dell’immaginario disegnato.
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Il cinema-cinematografo-spettatore
In primis Morin distinse tra cinematografo che è una tecnologia che consente di riprodurre immagini al
fine di giungere ad un realismo integrale e il cinema che è un medium socialmente condiviso in continua
innovazione su esigenze del pubblico di massa.
Gli storici del cinema collocano la nascita del medium nel 1895 con i fratelli Lumiere che brevettarono il
cinematografo: un dispositivo che a seguito di precedenti invenzioni costituiva il definitivo miglioramento
della riproduzione fotografica in movimento.
Gli uomini hanno iniziato ad indagare sulla natura della percezione già dalla Magna Grecia, i filosofi si
occupavano dei principi elementari dell’ottica, intuendone le leggi fondamentali.
Le origini del cinema possiamo rintracciarle già nel Rinascimento che vide l’affermarsi della camera oscura
come mezzo per animare la vita di corte, era un dispositivo ottico che consisteva in un ambiente chiuso e
senza luce, alle cui estremità era praticato un foro;
La luce esterna penetrava da questo foro e proiettava sulla parete opposta l’immagine di ciò che era fuori la
stanza.
Da lì si comprese che più gli oggetti sono illuminati e migliore è la resa delle immagini.
Nel corso invece del ‘600, ci fu Kircher un gesuita che perfezionò la camera oscura, attraverso la lanterna
magica: un dispositivo in grado di proiettare immagini all’esterno, su uno schermo, attraverso lastre di vetro
dipinte. In seguito, nell’800, apparvero numerosi giocatoli ottici per consumo di tipo ludico.
Ci fu uno scienzato belga Plateau che studiò le dinamiche neuro-percettive attraverso il fenachistiscopio,
un disco su cui delle figure disegnate sembrano muoversi quando il supporto viene fatto ruotare ad una
velocità adeguata.
Dello stesso principio era il teatro ottico di Reynaud, una sorta di anticipazione artigianale del cinema
d’animazione.
Nella cinematografia ritroviamo anche innovazioni di Muybridge che nel 1872 inventò lo
zooprassinoscopio, uno strumento che permetteva di fotografare in succesione le fasi del movimento di un
cavallo a galoppo e Marey, che fece la stessa cosa con il volo degli uccelli, attraverso il cronofotografo a
pellicola.
Per entrambi il loro scopo era quello di scomporre in singoli fotogrammi la durata del movimento.
Sulla base di queste ricerche gli sperimentatori dell’800 si cimentarono nella riproduzioni delle immagini in
movimento, così come era stato già possibile con il suono.
Edison progettò poi un supporto flessibile su cui fissare le immagini, seppur il film era già stato inventato
dai fratelli Hyatt.
Una volta poi risolto il problema tecnico, si provò a risolvere quello della commercializzazione del
prodotto.
Nel 1894 Edison allestì gli apparecchi presentano brevi film ad un solo spettatore per volta (Peep show):
ritroviamo il kinetoscopio realizzato a pagamento in locali appositi.
La strategia del consumo individuale era finalizzato alla produzione di un gran numero di apparecchi;
Solo un anno più tardi i fratelli Lumiere organizzarono una prima proiezione pubblica a Parigi, il 28
dicembre 1895, che ebbe gran successo.
Diviene quindi centrale a seguito di queste innovazioni la figura dello spettatore che attraverso il cinema
viene posto in una condizione tale da richiamare alla mente l’esperienza del sogno.
Il buio della sala, l’apparente isolamente, rendono il medium più immersivo.
Il cinema conquista la sua egemonia per la sua capacità di mobilitare il desiderio, motivare il pubblico a
pratiche di consumo che ruotano attorno ai prodotti del cinema.
Le riviste diventano moti di promozione dei loro prodotti. Le realtà produttive ebbero il problema di dover
cogliere nel tempo le oscillazioni del gusto, individuare le correnti sotterrane delle emozioni colletive e
interpretarne gli effetti.
Quando il cinema si radica nel consumo, le dinamiche di scambio tra apparati e pubblico diventano sempre
più veloci, sottoposte alla pressione di un mezzo di comunicazione che nasce come innovazione tecnologica
e continua a rinnovarsi.
La fotografia
Il francese Niepce lavorò sui principi della camera oscura e della litografia, mettendo a punto un primo
processo di fissazioni delle immagini basato sull’azione chimica della luce.
Fu poi Daguerre a perfezionare i suoi insegnamenti, con la creazione del dagherrotipo con cui si poteva
fotografare paesaggi e ritratti su lastre di rame argentato. Egli comprese l’importanza del ruolo della
fotografia: la memoria.
Il primo uso che si fece della nuova tecnica fu la riproduzione in immagini dei grandi monumenti e di
tutto ciò che si caricava di malinconia.
C’era una certe estetica della nostalgia istituita sul piano letterario da Poe che fu un importante tramite nel
rapporto tra forme estetiche e società industriale.
In America invece, Eastman provava delle tecniche di semplificazione della fotografia, per renderla
partecipe anche al consumo di massa, ad esempio attraverso la moltiplicazione del numero di copie
ottenibili da una stessa ripresa.
La riproduzione fotografica allargava gli orientamenti del pubblico verso i ritratti e le vedute
paesaggistiche.
La fotografia è stata uno dei più grandi indicatori sociali che hanno permesso di rilevare l’entità e la direzione
di quei processi di individualizzazione che si sono manifestati nell società di massa che hanno mutato il
rapporto tra individuo e comunità.
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Tecnologie, mondo dei consumi
Nel corso del 19esimo secolo, l’utilizzo del nuovo mezzo visivo era simile all’idea della fonofissazione, una
tecnologia che venne creata da Edison e Cros nel 1877.
Queste due linee si intrecciarono assieme anche all’idea di riprodurre la voce, la musica. Per alcuni studiosi la
voce rimanda ad un potere arcaico della comunicazione umana, un potere che fonda le sue radici nella voce
della madre. La vicina all’idea di poter registrare la voce era finalizzata soprattutto alle memorie degli
scomparsi e a tutti gli eventi sensibili. Un pò come se fosse un risarcimento simbolico, una ricerca
dell’immortalità rispetto alla razionalità positivista dell’epoca.
Nella società industriale, la famiglia riorganizzò il proprio tempo privato, dando spazio a dispositivi
meccanizzati ed economici come il pianoforte, pianola, fonografo che permettevano una sorta di ritorno
al passato, alla tradizione.
Accadde anche che l’uso diretto dal pubblico si rivelò diverso rispetto alle iniziali intenzioni di chi creava dei
dispositivi, cosa successa sia con il fonografo (nato per uso specializzato, lavoro d’ufficio) del telefono che
ridisegna lo spazio tra pubblico e privato dei nuclei familiari e della radio che da mezzo militare diverrà dal
‘900 un medium di massa.
In origine gli approcci sociologici sul cinema fino alla seconda metà degli anni ‘40 generavano solo modelli
di lettura cinema-società.
Nel tempo la sinergia tra l’approccio sociologico e quello storiografico hanno esteso il loro occhio anche alle
dinamiche sociali, rendendo il film un reperto socio-antropologico per la comprensione del dato storico.
Dal punto di vista della sociologia delle comunicazioni di massa, superato il legame funzionalista tra
cinema-società, è utile procedere puntando lo sguardo sul pubblico, sulla sua capacità di orientare i flussi di
ciclo produzione-consumo, dirigere i vettori comunicativi e di produrre inferenze cognitive in relazione al
cambiamento delle condizioni di fruizione del medium.
I media ottocenteschi rivelarono una natura sistemica molto concreta, essendo che si rimandavano l’un
l’altro attaverso la fruizione di un pubblico multialfabetizzato.
Il processo di riorganizzazione dei meccanismi di percezione della realtà sociale vanno a compiersi negli
anni 30.
In ambito cinematografico, a Hollywood nasce lo studio system, un modello organizzativo di produzione
che ha contribuito ad un sistema di generi ben distinti. Hollywood venne ribattezzata come la fabbrica dei
sogni.
Ad Hollywood ritroviamo dinamiche della produzione in cui l’autore viene assoggettato alle logiche della
merce. Il ciclo produttivo cinematografico si basava su tre sistemi:
1. Studio system: che applicava il sistema industriale per ottimizzare le risorse disponibili.
2. Star stystem: che utilizzava le star, i nuovi volti dei film come promozione dell’attività industriale.
3. Sistema dei generi: che seguiva il criterio di specializzazione del lavoro come i tecnici degli effetti o
gli addetti al make-up.
Tra l’altro, c’è un tipo di sociologia delle emozioni elaborata da Polti nel 1885, che è alla base della
sceneggiatura, in cui possiamo ritrovare diverse situazioni che in base ad un numero finito di emozioni
legato a precise situazioni drammatiche assume un determinato sviluppo narrativo.
E’ un tipo di lavoro di previsione e programmazione del testo audio-visivo che aiuta i produttori ad
immaginare il pubblico e prevedere la sua reazione.
Ciò che ha fatto vacillare il cinema fu l’introduzione della televisione. Si affermò in primis in America dove
ritroviamo sistemi televisivi di broadcast ossia di diffusione tramite società private.
Fino agli anni ‘50 non ci fu nessuna guerra tra i due medium, anzi ci fu un tentativo di coesione attraverso il
theahtre television, una tecnologia nata per trasmettere sugli schermi delle sale cinematografiche la
programmazione televisiva.
Con la fine del secondo conflitto mondiale, la ripresa economica americana favorì la diffusione di apparecchi
televisivi, che determinò la frammentazione della massa in spettatori individuali nelle proprie case.
Un altro motivo di favoreggiamento della televisione fu con la decisione del governo federale di favorire i
trust radiofonici anzichè di quelli cinematografici.
Hollywood reagì con due strategie, apparentemente contradditorie: da un lato il cinema potenziava i suoi
prodotti rendedoli irriproducibili sui piccoli schermi come il 3d, dall’altro decise di confrontarsi con il
nuovo mercato dell’audio-visivo.
Questo conflitto sembra essere cessato a seguito delle dinamiche della globalizzazione che hanno investito
sul sistema dei media eliminando le differenze tra televisione e cinema.
La televisione tra l’altro, rispose alle esigenze di un pubblico ancora scosso dagli esiti della seconda guerra
mondiale e al tempo stesso essa permise la creazione di nuovi luoghi per il cinema come i nuovi formati per
la distribuzione di video.
Questo scambio professionale tra televisione e cinema è programmatico essendo che molti registi
cinematografici provengono da esperienze televisive e al contrario grandi produttori del cinema si
avvicinano alla televisione.
Come Roberto Rossellini che si dedicò alla telvisione con la Rai per sottrarsi alle logiche mercantili del
cinema.
Dobbiamo poi considerare che la nascita del computer ha permesso allo spettatore di calarsi nel mondo
digitale e diventa unos trumento con cui si fa cinema e con il quale si consuma.
McLuhan definisce età elettrica quell’epoca che caratterizza la società pre-industriale rispetto allo
sconvolgimento prodotto dalla scoperta dell’elettricità e dell’avvento della fabbrica.
La cultura alfabetica (che ha il primato esclusivo alla scrittura) arriva al suo culmine a causa della diffusione
delle tecnologie elettriche e dei sistemi automatici.
I progressi scientifici e tecnologici ottenuti tra il 18esimo e il 19esimo secolo furono sintomi di un nuovo
orizzonte per la specie umana, dove imparare e sapere assumono caratteri unificanti.
L’individuo al centro dell’età elettrica è definito da McLuhan come un nomade alla continua ricerca di
conoscenza.
L’elettricità ha la forza di estendere il sistema nervoso dell’uomo e di individuare il punto di incontro tra i
suoi presupposti biologici e il divenire dei processi sociali.
Per cui l’individuo è coinvolto nella crescente produzione di informazioni che viaggiano alla stessa velocità
degli impulsi celebrali.
Nell’era alfabetica spiccano i parametri della linearità della scrittura e della lettura, mentre nell’era
elettrica si diffonde un modello esperienziale basato su instantaneità e circolarità, dove all’occhio si
sostituisce l’orecchio.
Ciò che viene modificato è il corpus sociale che immerge gli individui in un flusso di informazioni che
accorcia le distante in termini spazio temporali, arrivando a realizzare un villaggio globale.
Nel 19esimo secolo infatti si assiste alla crisi di controllo come un bisogno di corpire le distanze materiali
in tempi più brevi, partendo dalle nuove tecnologie dei trasporti. Partendo dal telegrafo elettrico di Morse
all’invenzione del telefono nel 1876.
La radio
I primi passi della radio si mossero sullo stesso principio alla base delle nuove reti delle telecomunicazioni,
prima telegrafiche e poi telefoniche: la trasmissione di dati sulle lunghe distanze.
La radiotelegrafia venne brevettata nel 1896 da Marconi e venne applicata pochi anni più tardi,
sfruttando la capacità di propragazione delle onde hertziane attraverso l’aria.
Ciò rese possibile la trasmissione di messaggi via mare, seppur solo nel 1906 si trasmette la prima
trasmissione vocale radiofonica, introducendo appunto la possibilità di trasmettere voce.
Con la diffusione della radio in seno alla grande guerra essa finisce con l’intervenire in un ambito
dichiaratamente politico.
I popoli coinvolti nel primo conflitto mondiali vengono tenuti al corrente delle notizie dal fronte attraverso
la propaganda radiofonica.
Il risultato di tale coinvolgimento viene definito da McLuhan come un processo di ritribalizzazione della
società ossia un ritorno alle forme arcaiche di condivisione della nuova prospettiva del villaggio globale, che
ritroveremo poi dieci anni più tardi con gli esponenti politici dei totalitarismi.
Cinema e radio si affiancarono collaborando nella dialettica tra masse e potere, assecondando un uso teso
alla restituzione dello spirito del tempo delle guerre di trincea e dei dittatori rivolti alle piazze invase dalla
folla.
In Italia fu nel 1939 che avviene il processo di implementazione della radio nella dimensione abitativa, in
cui fu chiara la natura del medium che sollecitare un’unica terminazione sensoriale, senza però obbligare i
soggetti a concentrarsi sul processo comunicativo. Un esempio sono i discorsi di Mussolini.
Svago e aggiornamento coesistono in un solo mezzo, anticipando ciò che accadrà a metà ‘900 con la
televisione, la radio trasforma sia gli spazi che le modalità della condivisione domestica.
La radio fu utilizzata anche per scopi politici come Early, ufficio stampa della casa bianca all’epoca della
presidenza di Roosevelt che si fa promotore di una strategia mediatica fondata sull’impiego del mezzo
radiofonico: al presidente piaceva interpretare il pubblico come un gruppo di persone sedute tutte insieme
attorno al focolare, da qui il termine fireside chats (chiaccherate intorno al fuoco) che danno l’effetto della
familiarità proposta dalla radio.
Dopo la fine della grande guerra, Menduni definisce quella fase come la seconda nascita della radio che
aveva come obiettivo quello di allargare la portata del mezzo ad una rielaborazione del suo design e un
abbassamento dei costi di produzione.
Nel quadro della lenta ripresa economica seguita dalla fine dei due conflitti mondiali, ci fu però una fase
evolutiva data dall’introduzione dei transistor: un componente elettrico più pratico e piccolo di una
valvola che accelera i processi di diffusione delle tecnologie culturali, a partire dalla loro miniaturizzazione.
La prima radio con questa caratteristica viene messa in commercio nel 1954 e presentava costi e dimensioni
molto ridotti, a ciò si aggiunse anche il sistema di alimentazione a batteria che ne aumenta la portabilità
del mezzo.
La televisione
Nacque ad una certa l’idea di incrociare la dimensione dell’instantaneità della radio con la comunicazione
schermica del cinema, rompenso la separazione territoriale tra salotti (radio) e sale (cinema).
La televisione permise all’individuo di guardare fuori dalla propria abitazione senza spostarsi.
Il confronto tra televisione e radio sussiste sul piano della diffusione: i due media si collocano a capo di un
movimento decisivo nel quale massificazione e individualizzazione rappresentano due facce della stessa
medaglia nel sistema delle trasmissioni mediatiche.
La teoria della privatizzazione mobile di Williams riconosce ai poteri egemoni di far parte dello stesso
flusso mediatico su cui provano ad estendere il proprio controllo, per cui si può parlare di televisione come
forma culturale ossia di una particolare modalità di istituzionalizzazione della cultura.
La televisione subì comunque un processo di riduzione dei costi produttivi e di conseguente redistribuzione
popolare, avere la televisione in casa era segno di prestigio, di forza e di status quo.
In Italia la televisione fa il suo ingresso negli anni 50 con un impostazione di tipo pedagogico, alcune volte
piegandosi alle logiche antidemocratiche di regime, altre sostenendo progetti di democratizzazione della
cultura politica nazionale.
Fu prettamente tra gli anni ‘50 e ‘60 a seguito del boom economico, che la televisione italiana iniziò a
diversificarsi avvicinandosi a format di stampo nazionale (carosello 1957).
Nello specifico fu il programma “lascia o raddoppia un quiz a premi” condotto da Mike Bongiorno e
ispirato ad un format statunitense sancisce una decisiva trasformazione della televisione a stampo educativo.
Lo stampo educativo-didattico rimase ma l’introduzione del modello del quiz prefigurava la possibilità di
auto-alfabetizzazione popolare.
Sul finire degli anni ‘60, in particolare nel ‘68 subentra una crisi della società di massa che permette il
consolidamento del medium, che gli permette poi tra gli anni ‘70 e’80 di avviare e partecipare al processo di
rielaborazione narrativa che farà della comunicazione instantanea il concetto alla base di un cambio di
paradigma del sistema dei media.
Nasce quindi la serialità televisiva che porta la televisione verso un nuovo modello generalista.
Tale cambiamento viene definito da Eco come Neotelevisione.
La tecnologia della radio si trovò poi ad implementare un dispositivo che la connette ad una nuova
concezione di instantaneità: il GPS, uno strumento che sfruttava l’immaterialità delle onde radio per
misurare le coordinate spaziali sul territorio attraverso l’uso di sistemi satellitari.
Le informazioni divulgate prendono forma di una grande rete di comunicazione del mondo.
Anche la televisione sfruttò questi nuovi principi, in Italia ad esempio negli anni ‘80, entra in vigore il
sistema nazionale del duopolio Rai-Mediaset che sfruttava la pratica dello zapping ossia della
moltiplicazione dei canali grazie alle trasmissioni via satellite.
Sono tempi vicino all’era della post-televisione, tempi in cui gli spazi virtuali si orientano prettamente sulle
esigenze dello spettatore, in correlazione soprattutto all’emergere del World Wide Web che rese la rete il
nuovo orizzonte di tutto: ogni tecnologia viaggia nel tempo e nello spazio. Le narrazioni della società si
immersero nel cyberspazio.
Ultimo capitolo
La miniaturizzazione degli apparecchi tecnologici ha permesso di rendere disponibili molti device di diversa
funzionalità.
L’hardware biologico è la prima tecnologia umana e la nostra interazione con esso ci fa estendere le nostre
capacità per creare nuovi oggetti. Dalla scopera del fuoco, all’invenzione della ruota l’uomo ha sempre
interagito con il mondo attraverso la tecnica e così che ha esteso le sue potenzialità di dominio
sull’ambiente.
Lèvy sostenne che questo processo può essere definibile di ominazione ed ha portato l’uomo a staccarsi
dallo stato bestiale e giungere a quello civilizzato.
Ed è in questa ottica che le tecnologie culturali diventano estensioni sensoriali con cui l’uomo controlla
l’habitat della sua esistenza.
L’interattività digitale è infatti il frutto del rapporto tra uomo e tecnologia, che inizia con le prime
macchine per giungere ai computer digitali.
Attraverso le interfacce si è andato a semplificare il linguaggio complesso delle prime tecnologie come il
mouse che diventa estensione della mano sullo schermo.
Le interfacce ebbero un evoluzione più o meno graduale: molti media, con le interfacce, sono stati integrati
in altri media come l’orologio, le cui prime forme erano pubbliche e annunciavano il tempo della comunità.
Possiamo definire l’esempio dell’orologio come una parabola in cui vediamo come i media e le loro
interfacce si evolvono fino ad integrarsi tra loro. I media estendono i nostri sensi congiungedosi sempre più
al corpo biologico.
Si utilizzava la meridiana per calcolare il tempo. Il primo orologio meccanico venne introdotto in Francia
nel 12esimo secolo, in cui l’interfaccia era formato da due lancette che segnavano ore e minuti.
Si passò da l’orologio in piazza ad orologio a pendolo per uso domestico, poi ritroviamo l’orologio da
taschino e infine quello da polso.
L’orologio da polso si lega al corpo umano, diventando una vera e propria estensione. Il passo successivo fu
l’orologio digitale, in cui meccanismi in quarzo vennero sostituiti da un display che segnava ore e minuti.
Una volta digitalizzato, l’orologio ed interfaccia si integrarono, diventando dei software da includere in
altre piattaforme: pc o smartphone.
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Storia della musica portatile-digitale
Anche nella musica, ritroviamo nel 1979 Sony che inventò il riproduttore musicale portatile e personale,
prima d’allora c’erano solo radio portatili, mangiadischi e stereo domestici che hanno spinto l’uomo a voler
ascoltare la propria musica anche in spazi pubblici.
C’era una concezione negativa della metropoli che riteneva la creazione della bolla uditiva come un modo
per rifugiarsi dalle esperienze negative, una concezione invece più positiva come quella di Benjamin vede in
questo uso la nascita del flaneur ossia del passeggiatore metropolitano che esplora la città senza meta nè
fretta.
Nel tempo l’uomo sviluppa appunto sempre più la voglia di sincronizzare la musica con il proprio umore,
l’avvento della tecnologia mp3 contensii tale trasformazione in file di dimensioni ridotte.
L’iPod dell’Apple pose fine al walkman, che ha rafforzato la privatizzazione e la personalizzazione
dell’ambiente. Lo spazio pubblico si riduce fino a scomparire nella sfera uditiva dell’individuo.
La funzionalità dell’iPod venne applicata in una piattaforma più ampia come lo smartphone, un
meta.medium capace di includere in un dispositivo tascabile la potenzialità di un pc o di un’interfaccia
touch screen.
All’interno ritroviamo la riproduzione di elementi fisici già esistenti come ad esempio il blocknotes.
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Sesso
Patchen Barss in “the erotic engine” affermò che esiste un profondo legame tra pornografia e gli
strumenti, le tecniche della comunicazione umana.
Per 40 millenni la pornografia e la rappresentazione della sessualità sono state una potente fonte di creatività
e innovazione che ha stimolato lo sviluppo dei nuovi media.
I creatori e fruitori dei contenuti sessuali hanno rappresentato una forza trainante nello sviluppo di forme di
comunicazione come la fotografia e lo streaming di video.
In casi come il videoregistratore o la pay-tv, i pornografi sono stati pioneri tecnologici che hanno compreso
come tratte profitto da un nuovo medium prima ancora che la cultura mainstream ne intuisse le
potenzialità.
La pornografia quindi ha dato una spinta innovativa nell’ambito delle comunicazioni digitali come l’idea
base dei motori di ricerca, siti di condivisione fotografica e streaming video.
Il motivo del legame è che i consumatori di pornografia tendono ad acquistare e utilizzare i loro prodotti in
forma anonima e oggi ogni progresso sembra teso nei confronti della privacy e la convenienza.
Per questo che la pay-tv offre vantaggi nella visione domestica dei film, così come Internet offre più
comodità e convenienza alla fruizione per porno.
La pornografia quindi ha guidato la crescita dell’industria fotografica poichè ha offerto un nuovo tipo di
rappresentazione erotico-realistica diversa da qualsiasi rappresentazione sessuale che fosse mai esistita
prima.
Nell’occidente industrializzato è certo che il legame tra pornografia e media è di tipo finanziario, i
consumatori di porno sono disposti a sperimentare nuove tecnologie affrontando i costi dell’innovazione.
Sport
Kracauer colse che nei primi anni ‘30, l’attività sportiva era un fenomeno molto più complesso di quanto
possa apparire e costituisce uno degli elementi principali della moderna industria culturale.
Non a caso venne coniato il termine Media sport per definire la connessione che c’è tra sport e media.
Oggi il calcio è l’esempio evidente di spettacolarizzazione delle pratiche sportive moderne poichè lo sport
è competizione e improvvisazione costruita intorno a regole condivise.
La spettacolarizzazione degli eventi sportivi come le olimpiadi e i mondiali produce eventi mediali centrati
su competizione e regole ma anche su forme testuali adatte ad influenzarne la spettacolarità.
Come la Uefa Champions League, il testo alla base della coppa è stato modificato rispetto a quello della
coppia dei campioni per aumentare appunto la spettacolarità o come la finale dei mondiali del 2006 in
cui il pubblicò separò il miliardi ma nessuno di essi videro i diretta la testata di Zidane a Materazzi.
L’episodio divenne una notizia di portata globale, per l’accuso del comportamento razzista da parte
dell’italiano.
Per cui considerano lo sport come un medium possiamo coglierne la composizione bivalente del suo
pubblico: quella parte che assiste dal vivo e quella che ne prende parte attraverso i mezzi di comunicazione.
I campionati più importanti infatti sono seguiti tramite nuovi e vecchi media, orientati verso uno
slegamento territoriale.
Siamo quindi in un fenomeno definito disembedding dove coesiste una doppia mobilità fisica e simbolica,
con squadre che si spostano su mercati più appetibili e sport che cercano nuovi pubblici.
I videogame
I videogame rappresentano un fenomeno sociale complesso che mette in crisi l’intero sistema dei media di
massa.
Già nello stesso termine possiamo recepire più forme espressive che si basava sulla perfomance ludica alle
pratiche mediali.
Per le sue caratteristiche il videogame va esaminato come media a sè stante, esendo un apparato socio-
tecnico che funge da mediatore nella comunicazione tra soggetti.
L’esperienza dei videogame aggiunge ai vecchi linguaggi una partecipazione interattiva che gli garantisce
un fattore di coinvolgimento difficilmente riscontrabile in altri media.
I videogame quindi introducono una nuova relazione tra soggetto e rappresentazione, un rapporto che
scavalca la consueta posizione spettatoriale, individuando nella relazione ludica una nuova prospettiva valida
alla comprensione delle pratiche dei nuovi media digitali.
Giocare con i videogame permette di oltrepassare i limiti dello schermo nell’interazione dei mezzi di
comunicazione di massa, attraverso una linguistica dai caratteri innovativi.
La sezione dell’industria di videogiochi più vista è la Tripla-A, formata dagli studios che investono nello
sviluppo e nella commercializzazione delle macchine di gioco domestico.
Nel corso del 2000 emerge la scena indie, caratterizzata da piccoli team indipendenti, liberi di operare in
termini di creazioni e investimenti.
Gli sviluppatori indie, lontani da negozi fisici, sfruttano a pieno Internet per offrire giochi anche più
economici, poichè creati in 2D, direttamente accessibili agli utenti. Inoltre questi giochi si trovano su
piattaforme di distribuzione digitale molto note come l’Apple store.
Ci sono poi i casual game (gioco occasionale) caratterizzato da un regolamento molto semplice e dal minor
impiego richiesto per il loro utilizzo, non richiedendo particolari abilità, dotato da un basso badget di
investimento da parte dei produttori.
I social media
Il sociologo Bell, alla fine degli anni ‘50, impiegò la definizione di società dell’informazione e della
conoscenza per riferirsi agli esiti dello sviluppo sociale.
Egli suddivise in tre periodi la società dell’informazione:
-era pre-industriale: caratterizzata dall’agricoltura;
-era industriale: caratterizzata dalla produzione meccanica;
-era post-industriale: caratterizzata dall’industria delle informazioni;
Questo schema possiamo ricondurlo ai settori industriali primari, secondari e terziari.
Questo discorso venne poi ripreso da Castells, il quale parlò di sviluppo informazionale basato sulla
capacità umana di elaborazione delle informazioni possibile grazie alle rivoluzioni della microelettrica, del
software e dell’ingegneria genetica.
Inoltre per Castells, la società della rete del 21esimo secolo stabilisce un tempo senza tempo grazie alle
informazioni che si distribuiscono quasi instantaneamente ma che permangono in rete.
Nel 1979 Truscott ed Ellis crearono Usenet, un sistema di discussione su scala mondiale che permetteva
agli utenti di Internet di pubblicare messaggi pubblici.
Ma l’idea di social network come la intendiamo oggi si ebbe con l’Open Diary ideato dagli Albeson, era
praticamente un primo sito social networking che riuniva gli autori di diari online in una comunità.
Il successo di questi diari portarono alla creazione di Facebook, Instagram, Snapchat etc.
Tutte queste piattaforme funzionano grazie ai software del Web 2.0 che permettono direttamente agli
utenti di modificare le applicazioni in modo partecipativo.
Tuttavia i media non sono semplici tecnologie ma sistemi tecno-sociali ossia che presentano sia un sistema
tecnologico sia un sistema sociale.
Si può anche parlare di influenza sociale, concetto trattato da diverse discipline come la sociologia, la
psicologia, l’economia etc che aprì spunti di riflessione su chi esercita influenza, in che modo e con quali
conseguenze.
I primi approcci all’influenza sociale hanno ipotizzato che le informazioni passassero da comunicazioni di
massa fino a raggiungere comunità locali tramite passaparola.
Prima dell’avvento di Internet, i media che amplificarono l’influenza sociale furono treni, telefoni e auto.
L’avvento dei social media ha cambiato il modo di interagire, avviene in anonimato, in modo più veloce e
senza vincoli di tempo e spazio.
Questa sorta di democratizzazione dell’accesso delle informazioni non lo rende comunque accessibili a
tutti, ad esempio un blogger ha la consapevolezza che, nonostante un suo post sia online come altre notizie,
non verrà letto da tutta la comunità digitale. Anche se a questo problema incorrono i motori di ricerca che
favoriscono i contenuti più popolari rispetto a quelli sconosciuti.
Per web communities intendiamo un gruppo di persone che condividono alcune caratteristiche/interessi
culturali che vengono riflesse nel web.
Con l’appoggio delle tecnologie della comunicazione, le comunità online presentano un’intelligenza
collettiva definita da Lèvy come la capacità di operare insieme in un progetto al fine di riconoscersi e
arricchirsi reciprocamente.
Una web communities è tale se presenta un sistema di memoria in grado di conservare le informazioni e le
conoscenze condivise e se possiede la capacità di problem-solving mediante un lavoro collettivo, ottenuto
tramite l’intelligenza dei singoli.
Le comunità online sono paragonabili alle reti neuronali poichè permettono la conservazione delle
informazioni nel cervello umano.
Derrick a tal proposito elaborò una teoria sull’intelligenza connettiva affermando che Internet è il
simbolo del nuovo secolo e che raggruppando le capacità di più personal computer, si raggiunge un valore
aggiunto, allo stesso modo più menti umane messe insieme costituiscono un’intelligenza connettiva.
Nel libro “La grande scimmia”, Abbruzzese identifica l’influenza principale delle scelte dei consumatori
sulle strategie di produzione, affermando che la crescita industriale degli apparati dello spettacolo è
intervenuta a modificare la natura del lavoro dello spettatore.
Già nell’età industriale, con l’attività di consumo, si esprimono opinioni e posizioni che orientano le scelte
della produzione, nell’età digitale tale influenza si rafforza.
Il progetto di distribuzione digitale nasce dal conflitto tra il mercato di reti di distribuzioni illegali e le
industrie dotate dei diritti d’autore sulle opere.
Per sopperire alla pirateria sono state create piattaforme sul modello di siti illegali formato dagli utenti, dal
basso, disponibili tramite abbonamento o acquisti (Spotify, Itunes, Netflix) che attraverso la logica di
produzione e distribuzione dei contenuti, detengono gran parte del controllo dei prodotti.
L’industria culturale e quella digitale quindi coesistono, influenzandosi a vicenda.
Non si possiedono dei resoconti storico-estetici sulla nascita del cinema ma solo articoli di giornali, diari che
attestano più o meno cronologicamente il suo avvento.
Oggigiorno siamo in una rivoluzione mediale dato l’avvento del computer digitale che potrebbe portare ai
futuri storici di questa rivoluzione a scoprire testi analitici contemporanei che contengono speculazioni sul
futuro e non una teoria del presente.
I futuri ricercatori si chiederanno perchè gli studiosi contemporanei non abbiano descritto i codici semiotici
o le modalità espressive.
Per cui Manovich si propone di descrivere e capire la logica che ha guidato lo sviluppo del linguaggio dei
nuovi media.
La parola linguaggio viene utilizzata come termine ombrello per indicare tutta una serie di convenzioni,
usate dai programmatori dei nuovi oggetti mediali per organizzare i dati e strutturare l’esperienza dell’utente.
Anche se non si può essere certi che il linguaggio futuro dei media computerizzati sarà lo stesso di quello che
si usa oggi.
Manovich quindi ha analizzato il linguaggio dei nuovi media collocando nella storia delle moderne culture
visibili e mediali.
Per comprendere le differenze e le affinità tra i nuovi media, egli esamina tutte le aree dei nuovi media:siti
web, realtà virutali.
Per cui è importante collocare i nuovi media in relazione oa diverse aree della cultura, passati e presenti come
la tecnologia informatica (proprietà materiali del computer, interfaccia e applicazioni), cultura visiva
contemporanea (organizzazione interna, iconografia, esperienze vissute dall’utente come moda, pubblicità,
grafica) etc.
Il concetto di cultura dell’informazione è parallelo al concetto di cultura visiva che include le modalità
con cui vengono presentate le informazioni nei diversi oggetti culturali e ambiti (cartelli straday, display in
aereporti, grafica di libri e giornali etc).
La cultura dell’informazione come quella visiva, comprende tutti quei metodi storici per organizzare e
recuperare le informazioni, oltre alle modalità d’interazione dell’utente con gli oggetti informativi e il
display.
Il nuovo oggetto mediale può essere un’immagine digitale fissa.
La computerizzazione della cultura svolge due funzioni importanti:
1. contribuisce alla nascita di nuove forme culturali come i videogiochi e i mondi virtuali;
2. ridefinisce quelle preesistenti come la fotografia, il cinema (analizzare effetti rivoluzione informatica
sulla cultura).
I nuovi media sono internet, siti web, computer multimediali, videogiochi e realtà virtuali ma non solo
anche film con animazione tridimensionale appartengono alla categoria dei nuovi media.
La concezione più diffusa dei nuovi media s’indentifica generalmente con l’uso del computer per la
distribuzione e l’esibizione del prodotto, anzichè della sua realizzazione, altrimenti nell’elenco dovremo
aggiungere anche come programmi televisivi o film d’azione in 3D.
Così come la stampa a caratteri mobili e la fotografia ebbero un impatto rivoluzionario sullo sviluppo delle
società e delle culture moderne, oggi ci troviamo coinvolto in una nuova rivoluzione mediale poichè tutta
la cultura passa per il computer.
La rivoluzione dei media computerizzati investe tutte le fasi della comunicazione e anche tutti i tipi di
media, tramite l’informatiche e le tecnologie mediale che nascono negli anni 30 del 19esimo secolo,
assistiamo ad una traduzione di tutti i media pre-esistenti in dati numerici accessibili tramite computer.
Come sono nati i nuovi media
- 1839 Daguerre con la presentazione dei suoi dagherrotipi a Parigi, diede inizio alla fotografia e alla
frenesia per i media.
Solo due anni dopo nel mondo aprirono studi specializzati di ritratti
- 1833 Charles Babbage progetta la macchina analitica, ispirandosi al telaio del 1800 di Jacquard.
Per entrambi il funzionamento automatico era dato da schede perforate. Dunque, prima del
computer moderno, esisteva una macchina programmata che sintetizzava le immagini prima ancora
che venisse utilizzata per processare i numeri.
Il mito dell’interattività
Per quanto riguarda i media computerizzati il concetto di interattività è una tautologia, l’interfaccia tra
uomo e computer è interattiva per natura, in quanto permette il controllo in tempo reale.
E’ facile specificare le diverse strutture interattive dei vi oggetti mediali ma è molto più difficile analizzarne
teoricamente le esperienze degli utenti con queste strutture.
Le arti classiche erano già interatt
L’interfaccia
L'interfaccia del computer è un codice che porta dei messaggi culturali in una varietà di media.
Nella comunicazione culturale un codice non è quasi mai un meccanismo di trasporto neutrale, di solito
influenza anche i messaggi che viaggiano su di esso.
Il codice fornisce una sua visione del mondo, un suo sistema logico e una sua ideologia.
L’interfaccia impone ai diversi media la propria logica, fornendo particolari mappe del mondo.
L’opzione taglia e incolla che troviamo in quasi tutte le interfacce rende insignificante la distinzione tra
media poichè l’utente può copiare e incollare nello stesso modo qualsiasi cosa.
La società delle informazioni si basa sull’uso di moltissime cose diverse tra loro ma con gli stessi strumenti e
comandi, come le opere d’arte che utilizzano i nuovi media possiedono sia contenuto che interfaccia.
Gli artisti moderni hanno accettato di separare forma e contenuto ma sanno che considerare l’interfaccia
come qualcosa da separare significa eliminare la dimensione artistica.
Le interfacce culturali
La parola stampata
Negli anni ‘80 il testo fu il primo mezzo culturale che subì una massiccia digitalizzazione, dovuta alla
diffusione dei pc e dei software di scrittura.
Il testo riveste un ruolo privilegiato nella cultura del computer, rappresentando un meta linguaggio dei
media a base informatica, un codice attraverso cui sono rappresentati tutti gli altri linguaggi, e mezzo
primario di comunicazione tra utente e computer.
Le interfacce culturali ereditano i principi antichi sviluppati nel tempo. La pagina è forse il principio madre,
venne ridefinita dalla Apple nel 1984 in pagina virtuale.
Con l’avvento dell’HTML la pagina si porta a risiedere su diversi computer connessi alla rete, la pagina
diventa ancora più fluida.
Diciamo che concettualmente la pagina web è simile ad una pagina di un quotidiano, dominata dal testo in
cui sono inserite fotografie, video e grafici.
I browser tradizionali sfruttano l’hyperlinking che favorisce un’estetica del collage e non delle relazioni
gerarchiche, dove tutte le fonti sono poste sullo stesso piano.
Il periodo che viviamo non favorisce particolarmente la parola scritta bensì tende ad aggiungere fonti
tramite link.
I dati hanno subito un appiattimento, dove tutti vengono ripresi in una volta sola.
Il cinema
Sempre meno informazioni sono sotto forma di testo e sempre di più sono immagini audiovisive dinamiche,
la tradizione della parola stampata sta scemando in favore degli elementi cinematografici.
I giovani preferiscono il linguaggio cinematografico alla parola stampata poiché sono cresciuti in un
ambiente ad alta intensità mediale.
Il computer mantiene la promessa del cinema diventando fondamentalmente visivo.
Sia il cinema che le interfacce dei computer si basano su delle forme culturali preesistenti e familiari come il
teatro.
Il modello della cinepresa divenne una convenzione rappresentativa al pari delle finestre scorrevoli o dei
taglia-incolla.
La cinepresa virtuale diventa un’interfaccia che ci collega a tutti i media e alle informazioni.
L’inquadratura ha da sempre funzionato come finestra su uno spazio più ampio, l’occhio cinematografico
si muove all’interno di questo spazio come l’utente del computer può scorrere i contenuti di una finestra.
I videogiochi sono l’area di maggior sviluppo di mondi virtuali, si avvicinano sempre di più al linguaggio
cinematografico, tanto da affidarsi a tecniche del cinema.
I personaggi tridimensionali animati in tempo reale si muovo arbitrariamente nello spazio che è
modificabile a sua volta durante il gioco.
Il cinema quindi sta diventando interfaccia culturale e le sue strategie estetiche sono diventate dei principi
organizzativi fondamentali per il software.
Quello che una volta era solo cinema ora costituisce l’interfaccia uomo-computer.
Nonostante il computer ospiti applicazioni molto diverse per la manipolazione di dati culturali, le sue
interfacce continuano ad utilizzare vecchie metafore e tipologie di azione.
La storia dell’interfaccia consiste nel prendere in prestito e rimodellare gli altri media, i programmatori
delle interfacce attingono molto dall’ambiente fisico creato dall’uomo.
L’interfaccia uomo-computer è una sorta di camaleonte che cambia aspetto in continuazione
conformandosi alla moda del momento.
Lo schermo combina due distinte convenzioni pittoriche: è una finestra affacciata sullo spazio virtuale ed è
un set di strumenti di controllo con delle funzioni chiaramente delineate (cruscotto virtuale).
Lo schermo del computer funziona sia come finestra che come superficie su cui inserire testo e icone.
Il linguaggio delle interfacce culturali è un ibrido, un mix tra le convenzioni delle forme culturali
tradizionali e convenzioni dell’HCI.
Lo schermo
La nostra società può essere definibile una società dello schermo, in quanto l’utente interfacciandosi con
lo schermo naviga spazi virtuali.
La cultura visiva dell’era moderna è caratterizzata dall’esistenza di un altro spazio virtuale, un altro
mondo racchiuso da una cornice e situato all’interno del nostro spazio reale.
Per schermo intendiamo una superficie piatta e rettangolare, destinata alla visione frontale.
Lo schermo esiste nel nostro spazio fisico ma agisce su di un altro spazio, quello della rappresentazione che è
lo stesso dal rinascimento ad oggi.
Un secolo fa fuoriuscì lo schermo dinamico che a differenza dell’altro può mostrare immagini che cambiano
nel tempo (schermo del video).
Lo schermo si basa sul regime di visione per il quale l’immagine che si crea chiede allo spettatore di lasciarsi
illudere dalla sua ricchezza visuale.
Lo schermo è un’entità aggressiva, che funge da filtro per tagliare fuori tutto ciò che non rientra nei suoi
confini, il grado di questa selezione dipende dal tipo di schermo (cinema,tv).
Lo schermo del computer per esempio mostra una serie di sovrapposizioni di finestre coesistenti. Per cui lo
spettatore non si concentra più su una singola immagine.
La realtà virtuale fa scomparire lo schermo in favore di uno spazio simulato dove lo spettatore è al centro
delle immagini, in cui spazio fisico e rappresentativo coincidono.
La sociologia della musica è interessata agli individui e la loro interazione nei processi di produzione e di
fruizione musicale.
Le scienze sociali hanno iniziato ad occuparsi di musica quando l’avvento dei media ha favorito
un’accellerazione dei processi di contaminazione tra i diversi linguaggi sonori.
I criteri con cui un opera viene definita artistica mutano nel tempo in relazione ai contesti storico-sociali e
in relazione alla cultura dominante.
La concezione ottocentesca, che individua l’arte autonoma, si contrappone a teorie come quelle di Marx che
definiscono l’arte come un riflesso del contesto storico-sociale.
Tra arte e società c’è un rapporto di condizionamento reciproco.
L’arte ha una duplice funzione, da un lato esalta i valori sociali condivisi, dall’altro tende a rimettere in
discussione i modelli estetici tradizionali.
L’arte si manifesta come riflesso dell’esperienza sociale e rappresenta uno dei principali elementi simbolici
del processo di costruzione della realtà.
Simmel afferma che vi è un rapporto reciproco anche tra idee e struttura. Sono le innovazioni e i
cambiamenti culturali a determinare l’esigenza di adattamento alle mediazioni simboliche.
Un altro importante concetto è quello di creatività. Sono tre i livelli di indagine per la creatività: quello dei
soggetti, quello delle relazioni, quello dei discorsi.
La creazione è la capacità di uscire da un ordine, affrontare il disordine e dare vita ad un nuovo ordine.
Di mezzo c’è la trasformazione, l’invenzione di una forma diversa nell’arte o nella musica, nella scienza o
nella vita quotidiana.
La musica è una forma culturale che esprime una significativa carica creativa.
La produzione di musica è uno strumento di memoria.
Ogni cultura dispone di strumenti e tecnologie atte a comunicare elementi ritenuti più significativi al
mantenimento della coesione sociale.
La musica rappresenta uno degli elementi della coesione sociale e di conservazione della memoria.
La musica è uno dei principali prodotti dell’uomo capace di creare una memoria di tipo comunicativo e di
tipo culturale.
La musica, le melodie, i ritmi contribuiscono alla costruzione sociale dell’immaginario e dell’identità
delle diverse comunità.
La musica mette in scena il passato individuale e collettivo, si nutre del presente e anticipa il futuro.
Dunque si può considerare l’arte come una tecnologia della memoria. L’arte risulta una forma di
intrattenimento ma anche arena negoziale in cui innescano processi di costruzione di identità sociali.
La sociologia della musica nasce con Weber e si sviluppa successivamente negli Stati Uniti.
Gli aspetti a cui la musica dovrebbe riferirsi sono molteplici: generi, forme, stili musicali, autori.
Per Weber la ricerca sociologica della musica dovrebbe avere il compito di contribuire all’identificazione di
questi elementi specifici della produzione musicale.
Weber studia i rapporti tra le forme musicali e la società nell’ambito del crescente processo di
razionalizzazione in Occidente.
Sia Simmel che Weber concordano nel ridurre l’evoluzione della musica in tre momenti: musica primitiva,
l’avvento della polifonia, la moderna musica strumentale.
Con la Scuola di Francoforte, si nota la frattura tra arte e società.
Adorno sostiene che sia possibile cogliere in alcune forme musicali il riflesso delle ideologie e di repressione
che contraddistinguono un impronta di tipo capitalistico.
Becker, della nuova scuola di Chicago, ritenne che la produzione artistica è frutto di un processo
cooperativo.
Come sappiamo, i mass media e l’industria culturale svolgono ruolo sempre più attivo nei processi di
produzione e di fruizione musicale, influenzando le forme di ascolto e il consumo giovanile.
McLuhan sottolinea che i media elettronici, contribuiscono a ristabilire l’equilibrio sensoriale che
caratterizzava le civiltà tribali.
I mass media hanno introdotto un’oralità secondaria. Le tecnologie della musica hanno moltiplicato i
momenti di aggregazione collettiva favorendo anche dimensioni di ascolto privato nella sfera individuale.
Adorno è uno dei principali esponent della scuola di Francoforte (che è una scuola sociologica-filosofica
con orientamenti marxisti e con la rivalutazione del pensiero hegeliano).
Per la scuola di Francoforte, la sociologia è una disciplina critica che pone in rilievo i confitti sociali.
Per Adorno la musica è un oggetto di interesse specifico che richiede particolari categorie interpretative.
L’obiettivo per la sociologia della musica è la conoscenza del rapporto tra gli ascoltatori di musica e la musica
stessa.
Egli sostiene che nella società borghese capitalista, la musica ha lo statuto di merce e il suo valore è quello
che gli da il mercato.
Sostiene altrettandto che la vera arte deve porso in modo critico e oppositivo nei confronti del sistema,
sottolinea che l’artista può assumere un approccio critico ed esprimere una soggettività che non si identifica
con la struttura.
Le forze sociali che incidono sulle forme musicali ed espressive sono riconducibili alla base economica della
società.
Weber invece sostiene una sociologica avalutativa e quindi libera dai giudizi di valore, Adorno invece fa
il contrario, lui è alla ricerca di valore.
I generi musicali che hanno avuto maggiore importanza per la storia musicale del Novecento come il jazz e
la popular music, in realtà vengono ritenenuti da lui come un oggetto di disprezzo per la piattaforma
culturale.
Adorno individua i mezzi di comunicazione di massa come mezzi di diffusione, selezione e controllo dei
prodotti musicali ossia le forme di produzione esercitano un monopolio.
Crea anche sei tipologie che va dal musicista di professione fino all’utente indifferente:
1. L’esperto: è cosciente, sa comprendere.
2. Buon ascoltatore: non del tutto consapevole, riesce ad ascoltare andando oltre il singolo dettaglio:
3. Consumatore di cultura: ascolta meglio, raccoglie dischi, è ben informato, mostra un buon grado
di consumo della musica.
4. Ascoltatore emotivo: ascolta musica per liberare stimoli instituali rimossi o frenati da norme
sociali.
5. Ascoltatore risentito: opposto di quello emotivo, disprezza la musica in quanto prodotto
illusorio della mercifazione.
6. Musica per passatempo: è il principale bersaglio dell’industria culturale e della musica
commerciale, il cui consumo va considerato in stretta relazione con i mass media.
Un altro elemento in comune tra Weber e Adorno è la razionalizzazione. Adorno la definisce la
razionalizzazione della vita nella società con il concetto di Aufklarung e con tale processo l’arte si chiude in
sè e tende all’estraneamento della società, porta all’alienazione dell’artista.
Adorno propone due reazioni: Stravinskij e Schonberg.
La prima è l’accettazione della nuova realtà, la seconda è il rifiuto delle nuove tendenze.
Tra il progresso e il futuro, Adorno trova una soluzione in una terza via espressa da Mahler.
La standardizzazione è quel processo con cui le musiche vengono realizzate in base a regole standard, con cui
si crea il ritornello di un jazz o di un popular.
Questo concetto serve per capire la differenza tra musica seria e musica buona. L’ascoltatore viene più
attratto dalle melodie.
Per Adorno le canzoni di consumo, non potrebbero essere così tanto di successo, se non fossero imposte
continuamente dal mercato.
Le canzoni di successo sono frutto di strategie di mercato dell’industria discografica e dei mezzi di
comunicazione di massa.
Nello specifico, Adorno, rintraccia nel jazz una forma di regressione popolare, la polemica si base sul fatto
che sembra che essa provochi un appiattimento del potenziale critico della musica.
Adorno distingue tre tipi di opere d’arte:
1. compiuta legata alla borghesia
2. meccanica legata al fascismo
3. frammentaria che contiene traccia d’utopia
Per lui il jazz è arte meccanica legata al totalitarismo, poichè ha una forza fascista che tende ad aggregare le
masse e sincronizzarle a ritmo di marcia.
Adorno pubblicò anche un articolo parlando della popular music e riteneva che essa ha il potere di
simulare emozioni e porsi sul sistema economico come elemento cooperativo e produttivo, svolgendo una
funzione di coesione sociale.
Nella popular music un brano deve essere emozionante per essere ricordato ma abbastanza riconoscibile per
risultare banale. Il consumatore è solo illuso di avere un potenziale di libera scelta.
Per adorno è la musica classica l’arte che tende alla verità, essa deve possedere un valore etico e rifiutare
manipolazioni.
—--
L’arte e i fenomeni sociali sono strettamente connessi alle relazioni e alle dinamiche sociali che caratterizzano
i contesti in cui si esprimono.
Nell’ultimo secolo lo sviluppo dei mezzi di comunicazione ha abbattuto i confini poichè i media creano
nuove modalità di azione e di interazione sociale e la musica assume sempre più un ruolo importante nei
processi di costruzione simbolica e sociale.
L’arte e la musica sono i risultati di processi collettivi costruiti socialmente e si esprimono in relazione ai
diversi fattori che investono il rapporto tra mezzi di comunicazione, cultura, potere.
La cultura è l’insieme delle forme simboliche pubblicamente disponibili attraverso cui gli individui
esprimono significati, oppure la cassetta degli attrezzi contenenti simboli, narrazioni, concezioni del
mondo che gli individui possono usare in configurazioni particolari che variano nel tempo.
Il sociologo Crane distingueva la cultura registrata (dischi, filmati, scritti) e una cultura non
registrata (atteggiamenti, credenze, valori condivisi).
Egli inoltre distingue tre mondi differenti culturali in funzione della classe sociale dei pubblici che
consumano le produzioni culturali: le reti (network), le piccole imprese profit e quelle non profit.
Per Crane i network attirano i giovani con idee culturali innovative e creano contatti con creatori di altri
tipi di culture.
Possiamo citare il fenomeno musicale delle Posse in Italia che oltre l’autoproduzione, vede la
collaborazione con artisti di centri sociali e piccole etichette discografiche che contribuiscono alla diffusione
del prodotto.
La tipologia invece orientato verso imprese no profit vede come obiettivo quello di produrre opere che siano
gradite ad un particolare gruppo, tese alla conservazione delle tradizioni artistiche esistenti, piuttosto che
quelle nuove.
Per Becker l’arte è frutto di un processo cooperativo, collettivo in cui l’artista ha un ruolo pertinente ma
viene assistito da una serie di altre figure. Per cui l’opera d’arte è il risultato di un processo dove gli elementi
legati alla personalità individuale sono connessi alla rete di relazioni sociali, dunque l’arte deve essere
intesa come l’insieme dei diversi fattori in cui acquista importanza il pubblico che ne usufruisce.
Becker individua il capitale sociale come un set di relazioni continue nel tempo che creano un network.
Per cui il rapporto soggetto-struttura è di interdipendenza reciproca.
Mentre Bourdieu concepisce lo spazio sociale come una rappresentazione astratta fatta da tre
dimensioni fondamentali: 1) il capitale in quanto insieme di risorse e poteri utilizzabili; 2) la struttura; 3)
l’evoluzione di entrambe; (un esempio è il campo del potere che può essere campo politico).
Il campo culturale invece costituisce il mercato dei beni simbolici.
In particolare il potere culturale deriva dall’attività di produzioni di forme simboliche dotate di significato,
essendo che le persone esprimono se stesse attraverso forme simboliche.
Bourdieu infatti definisce capitale culturale tutte quelle risorse con le quali trasmettiamo informazioni,
capacità e competenze. La musica infatti dispone sia di un capitale simbolico, sia di un potere simbolico.
La figura ad esempio della pop star assume un ruolo sempre più rilevante in termine sia di promozione del
prodotto che di potere simbolico che esprime.
Infatti Bourdieu afferma che nella produzione artistica è importante il rapporto tra “campo del potere” e
“campo intellettuale", per comprendere questa relazione bisogna però rifarsi al concetto di
dominanti/dominati e all’analisi da lui compiuta sull’ habitus socialmente costituito degli artisti, sulle loro
collocazioni all’interno del campo intellettuale e quindi sulle relative posizioni estetiche che sono
oggettivamente connesse alle posizioni occupate.
Bourdieu tra l’altro analizzò empiricamente il fenomeno del gusto su un campione stratificato.
L’analisi venne svolta tra il 1963 e il 1968 in Francia su 1200 soggetti appartenenti a gruppi sociali differenti.
Con la sua ricerca mostrò che le pratiche culturali sono connesse alle origini sociali e all’istruzione, infatti il
gusto che sembra essere soggettivo è in realtà socialmente determinante.
Riscontra tre universi di gusto, che corrispondono a tre livelli scolastici e tre classi sociali differenti:
1) il gusto legittimo della classe dominante che apprezzava le opere superiori;
2) il gusto medio delle classi medie che preferiva opere minori;
3) il gusto popolare della classe popolare che preferiva la musica leggera;
Le preferenze dettate dal gusto artistico assumono significato simbolico delle ineguaglianze di classe e di
ceto.
In America ad esempio, Di Maggio, sottolinea come il ruolo del gusto nei processi di riproduzione delle
diseguaglianze sociali, costituisse un criterio di accesso alle classi alte.
Cap. 6
La popular music è un termine che nasce nel 20esimo secolo, ed è una forma di comunicazione influente,
un tipo di musica che ha uno stretto contatto con i mass media, il consumo culturale e l’universo giovanile.
La popular music è un fenomeno mutevole riprendendo molto del sociale, è sempre in movimento.
Non rientra nella musica colta ma nella musica leggera (contrapposizione leggera/colta scredita entrambe le
dimensioni musicali).
Per Adorno la musica leggera è un prodotto inferiore della mercificazione della cultura di massa per leggera
si intende strutturalmente semplice.
La popular music si può dividere in tre filoni: in base alla sua natura popolare (molto apprezzata), in base al
prodotto commercializzato con i mass media, in base all’esistenza di una propria teoria ed estetica.
Va anche distinta la popular music dal genere pop, poiché la popular music si intreccia con origini folk ossia
con le canzoni tradizionali, contadine, mentre il termine pop nasce negli anni ‘50 con la rivoluzione della
musica giovanile, ed è un macro genere musicale che riprendere tutti i sottogeneri della canzone popolare
sviluppati dopo l'avvento del rock ‘n roll, contraddistinti dalla diffusione tramite mass media.
La pop art in genere è simbolo delle trasformazioni sociali e culturali di massa, come Warhol che è un
collegamento tra pop art e musica.
Mentre la musica rock è stata la colonna sonora del mondo giovanile e ribelle degli anni ‘60, creata da
sfondo di un disagio sociale, era il motore di protesta (Jimi Hendrix, Rolling Stones, Pink Floyd –
riferimenti musicali, sociali e culturali).
I concerti pop hanno rappresentato dei veri e propri rituali collettivi a carattere nazionale come il caso di
Madonna o Elvis. Le diverse espressioni musicali possono assumere anche valori sociali e politici come nel
caso del Live Aid del 1985
Negli anni ‘70 si pone in rilievo anche la figura del cantautore, questo termine risale al 1960 da una casa
discografica RCA e deriva da una semplice esigenza di classificazione ai fini commerciali.
Con la figura del cantautore la musica divenne arma contro l’impegno e la denuncia sociale, il cantautore
diviene profeta e anche intermediario di un processo di identificazione e di appartenenza ad un stesso
gruppo.
In Italia il capostipite è stato Modugno che ottenne successo a Sanremo, con blu dipinto di blu.
I testi cantautorali assumono un segno e significato in quanto percepiti come autentici, veri e genuini.
L’autenticità musicale viene vista come cura contro l’alienazione e la finzione.
Artisti come Battisti, Tenco, De Andrè usano modelli ritmici estranei alla tradizione musicale dell’epoca,
sollecitano innovazioni linguistiche producendo una rivoluzione culturale. Infatti le ibridazioni musicali
sono un chiaro e significativo indicatore delle trasformazioni socio-culturali di una società.
Per Roberto Leydi esistono spazi creativi che si sottraggono alla manipolazione allo sfruttamento del sistema
consumistico, il cantautorato rappresenta un pò sta cosa.
Al contrario della musica pop che è completamente immersa nella velocità della diffusione attraverso i
mezzi di comunicazione in un sistema consumistico.
Con la televisione e i video musicali degli anni ‘80 e poi con Internet negli anni ‘90, aumenta il
collegamento tra musica pop e immagine.
La radio fu uno dei mezzi principali per lo sviluppo e la diffusione della musica pop alla ricerca di audience
come fenomeno di massa.
Prima dell’era tribale di McLuhan la parola non poteva essere fissata, nella forma radiofonica invece la
parola è una voce.
La radio infatti contribuisce a determinare processi di ri-oralizzazione e di ri-tribalizzazione che
caratterizzano la società.
Le culture senza scritture per tramandare erano costrette alla trasmissione orale.
L’avvento della scrittura per McLuhan ha favorito il prevalere della vista sugli altri sensi.
La scrittura fonetica e la stampa hanno portato ad una rottura dell’equilibrio tra i sensi percettivi,
determinando il predominio della vista sull’udito.
Le tecnologie e i media contribuiscono infatti a ristabilire l’equilibrio che caratterizzava le civiltà tribali.
Per McLuhan lo sviluppo dei media contribuì alla costruzione del villaggio globale in cui le distanze fisiche
e culturali tendono ad annullarsi.
Ong sul tema dell’oralità sostiene che la vista:
- presuppone una distanza tra soggetto ed oggetto mentre l’udito un’immersione.
- fa in modo che il soggetto selezioni l’oggetto mentre chi ascolta sente suoni provenire da diverse
direzioni.
- è statica al contrario del suono che è dinamico.
- disaggrega al contrario del suono che aggrega essendo partecipativo.
Per Ong, i media hanno introdotto una oralità secondaria che riporta l’uomo al mondo della sonorità,
modificando le forme di pensiero.
Mentre Kerckhove parlava di oralità terziaria in riferimento allo sviluppo delle tecnologie digitali che si
accomuna alla seconda per la presenza di un oralità elettronica ma che si differenzia perché si fonda sulla
simulazione della sensorialità, piuttosto che sulla trasmissione.
Come ad esempio il pc che rappresenta l’estensione della mente favorendo l'esteriorizzazione ossia la
possibilità di condividere con altre persone il contenuto cognitivo.
Il pensiero connettivo è quindi il prodotto cognitivo che nasce dall’interazione tra gli individui.
Il pensiero ipertestuale sul web è pensiero antico in quanto richiama le nostre associazioni mentali.
Il web come nuovo medium d’arte si caratterizza attraverso due forme di arte: quella della connessione e
quella della comunità.
(critica ai media)
I mass media tendono ad omologare i consumi culturali e provocano un fenomeno di appiattimento dei
gusti del pubblico e dall’altro consentono alla musica pop di consolidarsi.
Possiamo ricollegarci a Morin che ritiene l’industria culturale un grande terreno su cui si consolida
l’omologazione dei costumi.
Vennero poi mosse diverse critiche al sistema musicale che considera la musica come pura merce con una
natura non autentica, in cui si disperde la figura dell’artista.
Cap. 7
Le innovazioni tecnologiche hanno cambiato i processi di produzione dall’avvento del telegrafo all’era
digitale.
Le modalità di diffusione vanno dalla riproduzione diretta a quella registrata che permette una fruizione
individuale del disco.
La musica oggi è diffusa quasi ovunque, dalla tv al web mentre in passato era associata a diversi contesto
come teatro, sale da ballo o piazze.
Con la nascita di nuovi strumenti come il fonografo di Edison, i lettori mp3, il vinile e poi la televisione, si
assiste al consumo di audio-video.
Nell’800 in America nacque la casa discografica ossia il mercato, fu poi l’invenzione della fotografia e del
cinema a contribuire all’idea di poter raccogliere anche il suono.
Cros ad esempio studiò una macchina in grado di conservare la memoria nel tempo: il fonografo che con il
78 giri assunse poi una connotazione sociale, producendo poi musica a pagamento (seppur Edison l’aveva
ideato per lavoro).
Nel 1887 Berliner rivaluta l’idea di trasmettere di trasmettere più musica che parole e decide di perfezionare
la tecnologia del fonografo attraverso l’uso di dischi, così che nacque il grammofono.
Nel 1924 la qualità del suono e della radio mettono in crisi il grammofono e il disco che verranno poi usati
per il repertorio musicale.
La radio invece, passa da un sistema ad unico mittente e destinatario a broadcast ossia a molteplici
destinatari.
Cap. 8
La musicassetta favorisce tra gli anni ‘60 e ‘70 la possibilità di personalizzare l’ascolto dell’utente,
trasformando l’ascoltatore in un fruitore attivo, attraverso la possibilità di creare compilation personale.
Negli anni ‘80 invece nasce il mercato del CD, compact disc, dove le tracce vengono trasformate in
informazioni ossia in numeri quindi si avvia un processo di codifica numerica della musica.
Inizialmente i costi dei Cd, dei vinili, erano molto elevati ma nel 2000 si introducono tecnologie alternative
più economiche come l’Mp3, dove la musica per Baumann diviene sempre più liquida.
Il progresso ha permesso la stimolazione di nuove tecniche artistiche, nuovi modi produttivi e nuove
relazioni sociali.
L’era del bit ha favorito l’evoluzione di ciò che l’elettronica aveva introdotto nella musica attraverso il
sintetizzatore e il campionatore ossia un computer che converte il suono in numeri.
Generi come l’hip hop, techno e il jungle si nutrono di frammenti sonori che vengono rubati ossia già
registrati, con l’aiuto di particolari software.
Questi software rendono disponibili i brevi sound che l’utente può montare attraverso i loop, una pratica
che consiste nel riprodurre per pochi secondi un suono a ripetizione.
Nasce quindi la figura di utente-artista che utilizza i materiali audio-video per esprimersi e raccontarsi,
anche attraverso l’uso del web.
I software, per Manovich, rappresentano la nostra interfaccia con l’ambiente circostante, con la memoria.
La software culture è una componente essenziale del vivere sociale perché la nostra è una software society
immersa in una software culture.
I software contribuiscono a costruire le interfacce culturali e linguistiche che determinano la produzione e la
fruizione musicale.
I new media attraverso i processi interattivi consentono all’utente di personalizzare la fruizione dei
contenuti.
Il processo di personalizzazione è diviso in quattro livelli: livello di simulazione del reale, il grado di
interattività, i contenuti personalizzabili e la mobilità. I primi due si collegano al livello di trasparenza del
medium in quanto oggetto esterno all’uomo.
La convergenza dei media ha portato alla fusioni di più contenuti mediali come testi, musica ed immagini
che porta alla creazione e promozione di artisti e prodotti artistici.
La rete è il mezzo principale di promozione e scoperta di nuovi artisti, soprattutto attraverso i social o yt.
Coloro che sono i protagonisti avvolti nella nuova tecnologia sono definiti nativi digitali mentre il
fenomeno che impossibilita l’accesso ai nuovi mezzi di comunicazione come nel Terzo mondo è chiamato
digital divide.