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LEZIONE 2 (7.03.

2021)
La volta scorsa abbiamo parlato della scoperta di Colombo. Oggi ci interrogheremo su altri aspetti
di questa comunicazione in negativo che Colombo innescò dopo aver avuto esperienza
dell’impatto con il nuovo mondo. Dobbiamo anche interrogarci su dei meccanismi che si
innescano sia nel mondo europeo, che in quello dei nativi senza però dimenticare tutte le ragioni
(coesistenti) elencate la volta scorsa. Questo perché i manuali non le mettono insieme, bensì le
espongono a compartimenti stagni, l’abilità dello studente sta nel saper connettere queste
questioni. Quindi, nello specifico: ragioni politiche e geopolitiche, ragioni economiche della
scoperta del nuovo mondo, ragioni religiose e ragioni più genericamente culturali -che però nel
nostro caso specifico diventano anche ragioni mediatiche. La storia dei media deve
necessariamente essere la nostra stella polare perché essendo poi l’oggetto della nostra parte
monografica, non deve ridursi solo alla parte monografica ma deve essere la lente attraverso cui
osserviamo la storia dell’età moderna.
La scorsa volta ci siamo lasciati con un’osservazione (un po' campata in aria per certi versi) che
rimandava al fatto che una delle più importanti studiose della storia dei media tra gli anni ‘60 e ‘80
del ‘900 era convinta che l’introduzione della stampa avesse avuto un effetto rivoluzionario
sull’Europa. Oggi siamo nelle condizioni (culturali, politiche) di dire che questa rivoluzione però non
c’è stata, ma c’è stato piuttosto un cambiamento molto più graduale che ha sì provveduto a
ingigantire l’effetto di alcuni mezzi di comunicazione, ma allo stesso tempo ha provveduto a
riportare in auge dei mezzi di comunicazione che si ritenevano essere seppelliti, o messi in
secondo piano, o soppianti dalla stampa. Non è stato così.
Cosa c'entra tutto questo con la televisione? Cosa c’entra col fatto che Elisabeth Eisenstein nel
momento in cui parlava della stampa come agente di cambiamento negli anni ‘70 del ‘900 vivesse
in un mondo dominato dalla televisione? Quando arriva un nuovo mezzo di comunicazione
all’interno di un ecosistema mediatico, in genere (è avvenuto spesso nel corso della storia
dell’umanità ed ha a che fare con i rapporti tra esseri umani e tecnologia) l’avvento di quel nuovo
mezzo di comunicazione è accompagnato da una serie di previsioni/ letture che molto spesso
assumono un carattere di tipo profetico-apocalittico.
Quando arrivò la stampa si cominciò a pensare che la cultura del vecchio mondo sarebbe
scomparsa, la cultura del vecchio mondo era fondata sui manoscritti, sulle immagini e sulla
voce. Successivamente altri mezzi di comunicazione hanno fatto irruzione all’interno dello
scenario. Nello specifico, all’interno della stessa stampa c’è stata una modifica notevole quando
questa ha cominciato a diventare periodica per portare al pubblico delle informazioni, in altre
parole quando sono nati i giornali (si chiamavano gazzette nel corso dell’età moderna) e sono nati
circa a metà del ‘600.
Quando nacquero le gazzette, queste rappresentarono una nuova innovazione tecnologica che ha
fatto pensare che alcune vecchie forme di comunicazione finalizzate all’informazione sarebbero
morte, ma non è stato così. Dopo le gazzette, i giornali, i settimanali, i nuovi mezzi di
comunicazione che hanno sconvolto l’ecosistema sono stati in un primo momento, i metodi di
comunicazione a distanza fondati sull’uso di luci intermittenti, ma poi c’è stata la
telecomunicazione che ha portato all’introduzione della radio. Quando è arrivata la radio si sono
sprecate le profezie di carattere apocalittico sui giornali, sulla stampa, sui manoscritti, sulla voce:
tutti pensavano che tutto il resto sarebbe scomparso, ma in realtà non è stato così.
Dopo la radio è arrivata poi la televisione. La televisione, tra tutti gli oggetti della storia dei media
accompagnati da previsioni di carattere apocalittico, è stata quella più clamorosa: quando arrivò la
televisione si capì che addirittura si potevano vedere le immagini di persone all’interno di una
“scatola”, si pensò che tutto il resto sarebbe stato raso al suolo, che non sarebbe più esistita la
stampa, la radio, ecc... L’intera atmosfera culturale del tempo, con l’avvento della televisione
pensava ad un cambiamento epocale che avrebbe eliminato il preesistente.
Dopo la televisione c’è stato l’avvento di Internet (anni ’90) che ha portato a delle trasformazioni
radicali, ma anche questo non ha portato alla scomparsa delle invenzioni precedenti.
Negli anni ‘90 l’introduzione di internet ha aperto la strada a profezie di carattere apocalittico che ci
immaginavano tutti persi nei dispositivi elettronici, senza poter parlare o interagire più con
nessuno, incapaci di intrattenere rapporti umani con il prossimo.
Ha chiesto chi fosse appassionato di musica rock: a questo proposito vi è un disco degli anni ‘90
della band RadioHead intitolato: ‘OK COMPUTER’ (considerato forse il disco più importante degli
anni ’90). Esso è tutto costruito sulla profezia apocalittica che accompagna l’avvento di Internet e
del computer, l’arrivo di internet all’interno delle nostre vite come strumento portante. In particolare,
la prima traccia del disco, intitolata ‘paranoid android’ “l’android paranoico, ci immaginava un po’
così. In parte lo siamo diventati, ma nonostante tutto ciò, tante cose predette non si sono avverate,
una più di tutte non si è avverata-> che è quella riguardante il medium dominante nell’ecosistema
che preesisteva all’arrivo di internet, ovvero riguardante la televisione (Barbara d’Urso e Maria de
Filippi vivono e lottano insieme a noi, nessuno ci ha lasciati).
Tutte queste profezie non si sono avverate, anzi durante la pandemia (dramma epocale)
abbiamo da un lato capito l’importanza di Internet ancora di più, perché grazie ad Internet abbiamo
fatto lezione, ci siamo tenuti in connessione. Dall’altro lato abbiamo capito anche quanto fosse
forte la preesistenza della comunicazione precedente per la sua capacità di collocarsi e di
sedimentarsi all’interno dell’ecosistema mediatico.
Parlare di ecosistema mediatico e dei fattori che agiscono all’interno di un ecosistema mediatico è
importantissimo. Tutti ricorderemo quanto era forte la comunicazione nei primi giorni della
pandemia, una delle cose più importanti allora era sapersi lavare le mani nella maniera corretta.
Barbara d’Urso, ci ha “insegnato” a lavarci le mani nel modo corretto. Quello che lei ha fatto, tra cui
il “gesto di lavarsi le mani”, lo ha fatto e ci è arrivato soprattutto attraverso gli altri mezzi di
comunicazione fermo restando che però il gesto comunicativo è stato fatto in televisione.
Quindi abbiamo confermato l’importanza di un medium all’interno di un ecosistema. (I media
sono correlati tra loro). Caso analogo: Sanremo. Sanremo non è stato mai popolare come lo è
stato negli ultimi anni, questo evento tra l’altro, è capace di catturare un’attenzione planetaria,
eppure resta un programma televisivo. L’apocalisse non c’è stata, ci sono tante permanenze,
che sono proprie anche del mondo quattro- cinquecentesco.
Il problema è che noi oggi siamo in grado di valutare, osservare, perfino di cercare quelle
permanenze perché abbiamo visto nel nostro mondo l’importanza delle permanenze. E. Eisenstein
era ancora permeata da un’atmosfera di carattere apocalittico rispetto all’avvento della televisione,
ma non è stato così.
Noi oggi rivolgiamo una domanda problematica al passato del ‘400/’500, ovvero il passato nel
quale Colombo ha scoperto il cosiddetto “nuovo mondo” (anche se lui pensava di essere arrivato
semplicemente nelle Indie orientali) perché all’interno del nostro mondo ci sono dei problemi
particolari che non siamo riusciti a risolvere e cerchiamo di risolvere questi problemi interrogando
in un nuovo modo il passato. In quel passato avvenne che dopo l’arrivo della stampa, il
manoscritto non perse di importanza perché il pubblico cominciò ad acquisire presto la
consapevolezza che tutto ciò che era stampato passava attraverso un filtro forte operato da
autorità secolari e da autorità ecclesiastiche. In altre parole, si aveva la consapevolezza che gli
oggetti a stampa erano censurati e che le informazioni contenute all’interno degli oggetti a stampa
non erano quelle che veramente si potevano desiderare ma quelle che i poteri costituiti
decidevano di far transitare.
Raggiunta questa consapevolezza da parte del pubblico, dei lettori, degli acquirenti ci si
accontenta e ci si rassegna a non averle le informazioni? No, ci si rivolge a un vecchio mezzo di
comunicazione che è il manoscritto. Il manoscritto conserva l’affidabilità che la stampa non ha
perché se è facile controllare un oggetto a stampa, non lo è altrettanto controllare un manoscritto.
Controllare un manoscritto richiederebbe la capacità di entrare in maniera poliziesca all’interno
delle case di singole persone che stanno copiando a mano un testo e ne stanno producendo una
sola copia che sarà data ad una e una sola persona e questo è praticamente impossibile.
Il manoscritto, quindi, comincia ad avere un prestigio e un’affidabilità superiore rispetto a quella di
cui godeva nei secoli precedenti, esso è considerato come un oggetto al quale affidare la propria
volontà di conoscenza. La propria volontà di conoscenza si esaurisce con il semplice fatto che sia
stato scritto a mano da qualcuno? No, include anche e soprattutto il fatto che quell’oggetto ti venga
poi consegnato da una persona che puoi guardare negli occhi e con cui puoi scambiare delle
parole, da una persona che si costruisce personalmente in carne ed ossa la sua credibilità, e tra
l’altro è una persona che si prende la responsabilità di ciò che ha scritto e della fedeltà
dell’informazione che sta trasmettendo attraverso quel medium, mezzo di comunicazione.
Siamo di fronte ad un’esperienza che è profondamente multisensoriale, che ha a che fare con
tutte le nostre capacità di interagire con l’altro e che vede nel testo a stampa soltanto una parte di
qualcosa che sta avvenendo in maniera molto più avvolgente.
Quando noi pensiamo alla lettera di Colombo e pensiamo al fatto che essa si era diffusa a stampa,
non ci dobbiamo accontentare di questo. La lettera di Colombo non si era solo diffusa a stampa;
nel momento in cui veniva diffusa a stampa veniva rimaneggiata, modificata, accompagnata da
immagini, veniva poi letta in pubblico ad alta voce (dal momento in cui gli alfabetizzati in grado di
leggerla di prima mano erano pochi), veniva spiegata (che è diverso da leggere perché “spiegata”
significa che te la sto spiegando secondo quelle che sono le mie linee interpretative), veniva poi
ripetuta e, in termini tecnici, gli storici della cultura dicono che veniva “riusata” e man mano che
passa da un contesto all’altro, la lettera cambia i suoi significati, li modifica, li muta, in alcuni casi
venivano completamente stravolti.
La lettera veniva anche copiata a mano, anche poi diffusa in delle forme che offrivano al rapporto
1:1 tra il produttore e il destinatario, un carattere maggiormente fiduciario. Nel rapporto fiduciario
ha importanza la parola, ha importanza il gesto, ed ha importanza persino il tono della voce, il
suono.
Noi in questo momento preciso stiamo facendo un’esperienza che riproduce, almeno in parte,
quello che avveniva nel momento in cui la lettera di Colombo diventò un fenomeno pubblico, un
fenomeno condiviso. La sto facendo io (il prof) misurando le vostre espressioni. Se io parlassi e nel
momento in cui parlo non faccio niente, voi avreste un tipo di reazione. Se io parlassi agitando un
kindle avreste un altro tipo di reazione che magari si tradurrebbe nel vostro scrivere sulla carta,
perché so che quelle cose che voi scrivete poi arriverebbe ad altri – tra cui cose che non sono
state dette nel corso. Quasi sempre le informazioni non corrispondono.
Un’altra reazione diversa ce l’avreste se io mostrassi un libro di storia mentre parlo. Allora
pensereste che si tratta di un qualcosa di “autorevole” dal momento in cui si sta parlando di storia.
In questo influiscono anche le immagini che vi si presentano sul libro, il nome dell’autore, la casa
editrice- in questo caso “Carocci editore”. Carocci editore produce su noi un certo effetto, diverso
se al suo posto ci fosse un “Torre del Greco autore”. Questo perché Carocci ha un tipo di
reputazione consolidata e produce su di noi un effetto di fiducia. Il nodo è che queste cose ci
condizionano e ci portano a scrivere. Io sto facendo un richiamo all’autorità quando mostro
Carocci. L’esperienza conoscitiva, quando il libro e l’oggetto scritto arrivano all’interno di un
ecosistema mediatico è cruciale. Ed è cruciale per tutti questi aspetti messi insieme. Voi mi
prendereste ancora di più sul serio se al posto di Carocci avessi un manoscritto, pensereste di
avere davanti proprio le prove inconfutabili di quanto detto.
Questo è esattamente quello che incominciava ad avvenire nel ‘500 quando c’è la presunta
rivoluzione che però non soppianta quello che viene prima. Allora chi si presenta con le notizie di
Colombo e le spiega soltanto a voce produce un determinato effetto, chi si presenta con le sue
notizie e le spiega a voce insieme ad una stampa con un’immagine nelle mani ne produce ancora
un altro, chi si presenta con un manoscritto produce ancora un altro effetto e l’effetto di
quest’ultimo è quello più forte.
Oggi viviamo in un contesto di guerra, quello relativo alla guerra in Ucraina, riceviamo notizie di
tutti tipi a riguardo. Una cosa è ricevere notizie riguardo la guerra dal telegiornale, un altro conto è
riceverle dal Corriere della Sera, un altro conto da Tik Tok. Si scontrano diversi universi. Stessa
situazione con le fonti che trasmettono notizie sul covid. C’è un meccanismo molteplice di
complessità che si mette in gioco. Dipende dal diverso grado di attendibilità che è percepito
diversamente da persona a persona. Tutte queste cose qui sono cose che avvengono anche nel
‘500. Non avviene proprio la stessa cosa ma i meccanismi cognitivi che si innescano sono molto
simili.
C’è una diversa percezione del grado di autorità di ciascun medium che ci viene sottoposto e quel
medium agisce all’interno di un ecosistema. Perché parliamo di ecosistema? Parliamo di
ecosistema perché usiamo una metafora ambientale, di fatti all’interno dell’ambiente quando
introduci qualcosa, quel qualcosa non ha mai un effetto univoco e unidirezionale, ma cambia tutto.
Se tu inquini, le piante, i pomodori, non crescono più allo stesso modo, le persone non mangiano
più le stesse cose: un singolo elemento ti cambia il tutto. I media funzionano esattamente nello
stesso modo ed è la ragione per cui noi abbiamo imparato a lavarci da Barbara d’Urso, il luogo in
cui quel video è stato elaborato, la capacità degli altri mezzi di comunicazione di far circolare, di
trasformare e di ridurre/tagliare il video, hanno prodotto questo tipo di effetto. Anche il taglio è
importante: ad esempio, se in un video che parla della guerra c’è stato il taglio di una scena,
questo potrebbe cambiare tutto il significato. Chi ha fatto questo taglio è andato a condizionare
fortemente la nostra ricezione e la nostra ricezione potrebbe andare a cambiare anche la ricezione
delle persone a cui andremo a raccontare ciò che abbiamo visto. Anche i titoli sono molto
importanti.
Qualsiasi gesto ha delle conseguenze che noi non possiamo in alcun modo prevedere.
Molti nei decenni anni passati hanno parlato del butterfly effect (si dice che una farfalla che batte
le ali in Texas, può provocare un tornado in Giappone).
Questo effetto è decisivo nei media, perché un’informazione che diamo a qualcuno può
condizionare la vita di quella persona; ad esempio, potremmo indurre una persona a non
vaccinarsi e questa poi potrebbe contrarre il covid e infettare altre persone.
Allo stesso modo, una persona che comunica le parole di Colombo ad un pubblico all’interno di un
grande porto europeo frequentato da varie persone che avevano delle aspettative, delle ansie,
delle paure o delle speranze nella loro vita che non sono mai state realizzate, ha avuto determinati
effetti. Colombo ha dato tante possibilità concrete alle persone che pensavano alle prospettive di
facile arricchimento personale e/o materiale. Dal momento in cui dice “sono facilmente arrendevoli
nel nuovo mondo, non sono come noi”, egli può influenzare una persona e spingerla ad andarvi.
Colombo avrebbe acceso in loro grandi prospettive che avrebbero potuto innescare poi delle
conseguenze.
Si innescano una serie di meccanismi che ci fanno capire quali sono le conseguenze enormi
dell’atto comunicativo che Colombo ha fatto, ma anche le conseguenze enormi di qualsiasi forma
di riuso della lettera di Colombo, qualsiasi tipo di accostamento tra parole ed immagini (queste
ultime sono in grado di evocare un qualcosa che fa scattare un meccanismo mentale nella mente
di qualcuno che non sa leggere. Le immagini quindi sono altrettanto decisive, capaci di orientare le
scelte dell’individuo in questione).
In realtà la lettera di Colombo non ha nessun valore conoscitivo per il nuovo mondo, non ci dice
nulla sul nuovo mondo, quindi in linea teorica, è un ammasso di false notizie. Ma il fatto che sia
piena di false notizie quella lettera, significa che non ha alcun valore conoscitivo, eppure quella
fonte resta fondamentale per noi perché ci dice tantissimo non del nuovo mondo, ma dell’Europa.
La lettera ci diceva molto sull’Europa, su quello che l’Europa si aspettava di trovare e di quello che
l’Europa voleva sentirsi dire circa il nuovo mondo, (es. ‘non c’erano le sirene’, ‘non c’erano i
mostri’), ma non c’erano effettivamente notizie sul nuovo mondo.
Questo è importante perché ci aiuta a capire come il nuovo mondo funzioni da specchio per gli
europei. Gli europei non riescono a capire niente sul nuovo mondo, ma grazie al nuovo mondo
riescono a capire meglio sé stessi. Colombo, infatti, quando parla del nuovo mondo ci dice cosa
loro non sono, cosa non fanno, in cosa gli abitanti del nuovo mondo sono diversi dagli europei
ma non dice cosa sono. Questo nodo è fondamentale.
Un’altra osservazione fondamentale, per comprendere la complessità di un fenomeno enorme (e
che molto spesso sui manuali è fortemente banalizzata) riguarda lo squilibrio delle forze in
campo. (Parallelismo Ucraina- Russia, che è la terza potenza militare del mondo).
In quel caso, lo squilibrio delle forze in campo era enorme ed era tutto quanto a favore delle civiltà
che vivevano in quel territorio, in particolar modo gli Incas e gli Aztechi. Questi erano due imperi
enormi, abitati da milioni di persone, politicamente organizzati con delle gerarchie sociali rigide e
precise, affidate a dei capi ben individuabili ed erano anche militarizzati (sapevano fare la guerra).
E la domanda storiografica dirimente è: come hanno fatto poche centinaia di spagnoli a
sottomettere e a terminare delle civiltà plurisecolari e pluri-organizzate fondate da milioni di
persone? Le spiegazioni che troviamo sui manoscritti sono: malattie, armi migliori, culture
diverse.
1. Le armi erano dirimenti nel dibattito di allora. Gli europei hanno una tecnologia molto più
sviluppata (conoscono la ruota) e usano in battaglia alcuni animali sconosciuti a quei mondi lì.
Inoltre, hanno già a disposizione le armi da fuoco, oltre a spade ed armature più forti. Tutta questa
spiazzante differenza tecnologica però non è sufficiente a spiegare il fatto che milioni di persone
arrivano a soccombere di fronte a poche centinaia di combattenti.
2. Alla differenza tecnologica si affianca anche la differenza culturale e religiosa. Colombo
quando vede quel mondo, dà delle spiegazioni religiose molto precise e soprattutto intravede al
suo interno, la possibilità di uno sviluppo religioso senza precedenti, pensava di poterli
evangelizzare, portare loro la parola di Cristo, insegnargli la Bibbia e le Sacre Scritture. Anche le
civiltà precolombiane, in particolare Incas e Aztechi (perché i Maya erano ormai in decadenza
quando arriva Colombo), avevano delle loro visioni religiose piuttosto consolidate. Queste visioni
religiose parlavano di un’apocalisse, di una fine vicina dovuta alla percezione forte di una
decadenza, pensavano a una fine che sarebbe arrivata attraverso delle creature sconosciute che
avrebbero portato alla nemesi, alla distruzione tanto inevitabile, quanto meritata.
Colombo in quella lettera tra le poche cose che ci dice, ci dà un indizio su questo, ci dice “loro
credono che il potere sovrannaturale sia in cielo e credono che io stesso, con i membri del mio
equipaggio, siamo creature del cielo”. La consapevolezza di trovarsi davanti a creature semidivine
mandate da un’entità soprannaturale per far vivere questa apocalisse preannunciata, basterebbe a
spiegare una catastrofe di queste dimensioni? Anche questo non basterebbe, però grazie a
questa, unita alla spiegazione precedente, possiamo incominciare ad intravedere che
effettivamente delle cose scattano. Nello specifico, non è soltanto la sovrapposizione dei due
fattori, a determinare delle conseguenze devastanti, ma è anche la combinazione. Un conto è
sovrapporre due cose, un’altra cosa è combinarle.
Nello specifico, le armi e le questioni religiose producono un effetto devastante quando essi sono
messi/attivati insieme. Un conto è vedere un animale a te sconosciuto, altro conto è vedere un
essere umano che cavalca quell’animale con in mano delle armi e non distinguere tra un pezzo e
l’altro. Quindi pensare che un essere umano, che cavalca un cavallo e che brandisce un’arma
siano una sola cosa, un’unica creatura mostruosa e che il guerriero abbia non una, ma quattro
gambe e che riesca a cavalcare con una velocità di dieci volte a quella che può produrre un uomo
correndo da solo, quella cosa lì invece ti paralizza. Questo perché hai visto qualcosa che non
esiste, qualcosa di tanto implausibile che di devastante, se tu ci credi. Questo è solo un esempio
che però inizia a scombinare negli aspetti che apparentemente sarebbero distanti l’uno dall’altro.
3. A queste motivazioni si uniscono le malattie perché nel momento in cui gli europei vengono a
contatto con i nativi, portano degli agenti patogeni che sono sconosciuti ai nativi. Questi agenti
patogeni cominciano ad avere conseguenze devastanti sulla loro salute e iniziano a decimare la
popolazione, si muore ma non si capisce perché si muore.
Il decimare la popolazione diventa, a sua volta, un qualcosa che acquisisce un significato diverso
se affiancato alle creature mostruose che vedi cavalcare e se affiancato alla questione meramente
tecnologica. Infatti, il problema non sono le morti in quanto tali, ma sono il significato attribuito a
quelle morti che diventa tale solo in virtù delle spiegazioni religiose e delle spiegazioni
tecnologiche messe insieme.
Il problema non è solo quello che gli storici hanno definito “Colombian exchange” (scambio
colombiano), ovvero il passaggio di materiale biologico da una parte all’altra dell’oceano (agenti
patogeni) ma il problema è la combinazione tra il Colombian exchange e le spiegazioni di
carattere culturale-religioso e quelle di carattere tecnologico (riconducibili all’apocalisse e alle
armi). Tutto questo messo insieme, costituisce una miscela esplosiva.
L’ultima motivazione, che va a unirsi alle altre, è il rifiuto da parte degli Incas e degli Aztechi di
combattere. Loro cominciarono a non combattere più in preda alla disperazione, finirono in preda a
quello che tanti studiosi hanno definito essere una “paralisi cognitiva” (non capiamo quello che
sta succedendo). Loro pensano che ciò che sta accadendo sia giusto e che dovevano
aspettarselo, per questo anche la loro reazione perdeva di senso e per questo deposero le armi.
Tra i diari dei primi conquistatori, ce ne sono alcuni che ci riportano all’immagine dell’imperatore
azteco Montezuma. Questa immagine è tenera e straziante allo stesso tempo perché di fronte ai
conquistatori, Montezuma -che dovrebbe essere un punto di riferimento, una guida per il proprio
popolo, una sorta di Dio sceso in terra- prega il suo popolo di sottomettersi ai nuovi arrivati e lo fa
sulla base di una consapevolezza enorme: egli dice al popolo di aver interrogato i loro dei e non di
non aver ricevuto riposta. Egli dice: “fate quello che vi chiedo, non combattete, sottomettetevi. Io
non ho le risposte che voi aspettate”. Nel momento di massima disperazione, Montezuma si mette
a piangere, senza sapere più cosa fare.
Montezuma può essere paragonato al nostro presidente del consiglio Conte durante il covid, es.
nei primi mesi di pandemia in cui abbiamo vissuto una situazione di smarrimento, chiusi in casa, ci
rivolgevamo a delle figure di riferimento, ovvero a dei capi politici; cosa sarebbe successo a noi se,
durante un discorso, Conte fosse scoppiato in lacrime? La reazione di Montezuma rappresenta la
vera apocalisse, ciò che ti toglie non solo la voglia di combattere, ma la motivazione di
combattere.
La combinazione di tutte queste cose porta alla vera paralisi culturale e cognitiva, porta non solo
a soccombere ma anche a non avere né la forza, né la voglia, né la motivazione per reagire.
Possiamo dire per convenzione che gli Aztechi e gli Incas non ebbero alcuna capacità di resilienza
perché si bloccarono tutti i loro processi cognitivi.
A noi è successo qualcosa di simile durante il covid non solo nei confronti del potere politico. Noi
abbiamo due stelle polari nel momento in cui siamo travolti da un’epidemia: politica e scienza. Noi
abbiamo un meccanismo mentale che ci ha portati -anche per difetti del nostro sistema di
istruzione- a pensare che la scienza ci restituisca delle certezze. Le certezze la scienza non ce le
restituisce.
Le ragioni di questa paralisi sono state spiegate da diversi studiosi, tra questi ha un ruolo
importante un autore che non è uno storico di professione, ma è un comparatista (si occupava di
culture e letterature comparate) e si chiama Edward Said.
Edward Said ha scritto un libro intitolato “Orientalismo” che ha cambiato il nostro modo di
studiare determinati argomenti e che ancora oggi è pubblicato in italiano da Feltrinelli. Orientalismo
ci ha spiegato come il guardare all’Oriente in generale abbia trasformato i punti di vista sul mondo
elaborati dalle culture occidentali e come l’Oriente abbia funzionato da specchio. Come l’Oriente
abbia, attraverso la sua alterità/diversità, spinto la cultura occidentale a riconoscere e definire sé
stessa. Perché un libro come Orientalismo ci aiuta anche a comprendere un fenomeno come la
scoperta del nuovo mondo che non parla di Oriente: in realtà dobbiamo pensarci perché Colombo
pensava di essere arrivato in Oriente. Pensava di essere arrivato nelle Indie orientali. Quindi allo
stesso modo, il nuovo mondo ha funzionato per gli europei in epoca post colombiana come fonte
rivelatrice per l’identità europea. Cosa l’Europa è, si capisce attraverso ciò che non è, ed è
Colombo che comincia a definire ciò che non è.
Un altro libro fondamentale è stato scritto da un linguista, Cvetan Todorov intitolato “La
conquista dell’America”: dal titolo si comprende che si focalizza non sulla scoperta bensì sulla
conquista, questo è interessante. Perché un linguista ci ha detto delle cose così interessanti? Ce le
ha dette perché egli ha indagato il linguaggio attraverso il quale è avvenuta la conquista e ha
cercato di comprendere, attraverso l’analisi del linguaggio, come gli europei abbiano controllato la
comunicazione e abbiano sviluppato dei processi cognitivi fortemente aggressivi a differenza di
quelli sviluppati dai nativi che invece hanno portato alla passività e alla rassegnazione.
Un altro studio importante, che è uno dei classici del capovolgimento di prospettiva e che ci ha
portato a metterci nell’ottica dei conquistati e non dei conquistatori, è quello di Nathan Wachtel
“La visione de vinti”. Cos’hanno pensato i cosiddetti “nativi” quando hanno visto queste entità
sconosciute, queste creature mostruose, queste potenze militari devastanti aiutati da questa
tecnologia altrettanto devastante (che loro non riuscivano a riconoscere come tale, ma che
vedevano come un tutt’uno con la figura animale e con quella umana)? Questa è la domanda che
si è posto Wachtel, una domanda che ha portato a comprendere soprattutto le motivazioni culturali
e religiose di quella paralisi.
In questa breve carrellata che ci aiuta a comprendere anche la radice dei discorsi storiografici
attuali, ha un ruolo importante un autore (e ancora una volta non è uno storico) che è un biologo e
più precisamente specializzato in ornitologia. Egli ha capito che la spiegazione tecnologica e
biologica da sole non reggevano, non andavano a restituire il senso profondo di uno squilibrio tra
le forze in campo e di un esito così inaspettato alla luce di quello squilibrio così profondo: l’autore
di cui parliamo è Jared Diamond, ha scritto titoli pubblicati da Einaudi tra cui i più importanti sono
“Armi, acciaio e malattie”, “Crisi” oppure “Collasso”. 
I rapporti tra diverse civiltà, le ragioni del primato occidentale, le ragioni dell’affermazione della
cultura e della violenza occidentale su altre civiltà del pianeta: Diamond si è interrogato su questo,
e da studioso di scienze dure ha proposto spiegazioni originali incrociando in maniera audace i
risultati delle scienze dure con quelli delle scienze umane/sociali, quindi studi umanistici,
antropologia, sociologia, biologia che stanno insieme e all’interno di quest’unica “padella” arrivano
a farci comprendere la complessità di un fenomeno. Il fenomeno più importante su cui egli si è
interrogato è quello della paralisi degli Incas e degli Aztechi di fronte agli europei nell’epoca post
colombiana (il termine/aggettivo “post colombiano” è meno eurocentrico del termine
“precolombiano”).
A tutto questo vanno affiancati altri studi che ci hanno restituito la complessità del panorama
geopolitico, politico, religioso, culturale. 
Da quanti anni parliamo di storia globale? Ne parliamo in maniera insistente da circa 30 anni, ma
diciamo che nei primi due decenni del ventunesimo secolo, il concetto di storia globale è piombato
al centro dell’agenda storiografica: si parla sempre e comunque di storia globale.
Il nodo è che il concetto di storia globale è legato a doppio filo al concetto di globalizzazione,
processo che si è realizzato soltanto ai nostri giorni o in epoche relativamente recenti. Il discorso
sulla storia globale è per certi versi simile al discorso fatto prima sulla storia dei media: così come
noi oggi, in virtù dell’osservazione delle dinamiche del nostro mondo, siamo stati in grado di
aggiornare il paradigma sostitutivo adottato da Elizabeth Eisenstein all’avvento della stampa tra il
‘400 e ‘500, allo stesso modo oggi continuiamo ad aggiornare i paradigmi riguardanti la cosiddetta
storia globale legata a doppio filo alla globalizzazione. Uno potrebbe obbiettare dicendo “è troppo
facile sviluppare la storia in senso teleologico”. Teleologico: cercare quello è successo prima alla
luce di quello che sai che è successo dopo. Quando Colombo ha intrapreso il viaggio verso il
nuovo mondo, non voleva mica dire “vabbè tanto io sto preannunciando/aprendo la strada alla
globalizzazione”. Non poteva farlo, non sapeva quello che sarebbe successo dopo.
Ancora una volta, attraverso l’adozione della categoria, del concetto, del metodo di “storia globale”
a ciò che è avvenuto tra ‘400 e ‘500, stiamo cercando di leggere quel mondo alla luce di
problematiche che sono proprie del nostro mondo.
Noi ci stiamo confrontando con la globalizzazione, con le conseguenze della globalizzazione, con
un pianeta che ha una serie di squilibri sul piano politico, climatico, militare, sanitario e anche sul
piano della distribuzione delle ricchezze, e cerchiamo le prime risposte a questi problemi del
nostro mondo attraverso l’analisi di quel mondo.
Quando è cominciata la globalizzazione? Perché è cominciata? Obbedendo a quali regole e a
aspettative? Anche in questo caso ci sono vari studi che utilizzeremo come riferimento:
il primo-forse quello più importante di tutti- è quello di Jeffrey (Charles) Parker “Le relazioni
globali nell’età moderna”, capire la genesi di un pianeta che diventa tale e che acquisisce la
coscienza di essere tale. (Parker è stato tradotto da “Il mulino”)
Un altro libro, altrettanto interessante, è un libro di storia dei media, scritto da Andrew Pettegree
“L’invenzione delle notizie: come il mondo arrivò a conoscere sé stesso”, avere la coscienza
di essere parte di qualcosa che è globale. (Pettegree è stato tradotto da Einaudi)
Per tutta la nostra analisi dell’età moderna, quando parleremo di dinamiche globali, abbiamo la
necessità di capire di cosa stiamo parlando, poiché non tutto quello che appare globale lo è
realmente. Oggi noi ci confrontiamo con la globalizzazione, ma è veramente globale qualcosa che
avviene magari in una parte del pianeta e che ha delle conseguenze che si sviluppano in maniera
reticolare e non lineare in tante altre parti del pianeta. Es. la guerra in Ucraina che ha
conseguenze non solo in Europa, ma anche nelle Americhe, in Asia, in Africa, in Oceania. Ci sono
delle reazioni a catena che fanno sì che questa guerra sia già diventata o possa diventare globale.
Affinché si possa parlare di globalità del fenomeno, noi abbiamo bisogno di reazione a catena, non
di reazioni lineari. Questo significa che se abbiamo due punti del pianeta che possono essere
l’Ucraina e la Francia e noi osserviamo le conseguenze della guerra in Ucraina solo in Francia (o
se fosse anche New York), non sarebbe sufficiente per dire che quello è un fenomeno globale,
perché quella conseguenza non si svilupperebbe in maniera reticolare.
Affinché si possa parlare di globalità, noi dobbiamo avere non una singola traiettoria, ma abbiamo
bisogno di varie direzioni.
Quando parliamo di relazioni globali di carattere commerciale, di relazioni politiche o di relazioni
mediatiche e informative globali, dobbiamo parlare necessariamente di prodotti, modelli politici o
notizie che si diffondono in maniera reticolare e non lineare. Non è sufficiente che una notizia di
Londra venga conosciuta nel Perù per poterci autorizzare a parlare di un fenomeno globale. È
necessario che quella notizia di Londra rimbalzi in Asia, in Perù, in Messico, in Africa e poi magari
altri paesi europei e poi magari ritorni in Asia e così via: in questo modo si può parlare di
globalità/globalizzazione vera.
Quando si digitavano i vecchi indirizzi, partivano sempre con “www”: world wide web-> rete
ampia come il pianeta e che mette in connessione tutto il pianeta. Noi quella rete oggi ce
l’abbiamo, in età moderna è esistita? Le conseguenze del cosiddetto Colombian exchange si sono
viste soltanto su una traiettoria singola Europa- Nuovo Mondo? O si sono riverberate poi anche in
altre aree del pianeta e hanno cambiato anche le altre aree del pianeta? Per parlare in termini
mediatici, hanno agito su due sistemi o su un ecosistema complesso?
Il nostro problema metodologico è capire se ci troviamo di fronte a semplici confronti tra sistemi
diversi o se ci troviamo di fronte a ecosistemi complessi.
Quando parliamo di età moderna parliamo di globalità, reti globali e svolte periodizzanti. Le
svolte periodizzanti sono state:
 Introduzione della stampa e cambiamento dell’ecosistema mediatico (che ora abbiamo
elementi per non definire più rivoluzione).
 La scoperta e la conquista del nuovo mondo di Colombo.
 La riforma protestante (quindi la spaccatura religiosa interna alla cristianità).
 Umanesimo e Rinascimento, legati al cambiamento dell’ecosistema mediatico, allo sviluppo
di un nuovo modo di comunicare, di scrivere, di riflettere sulla storia e sul passato. Una
delle caratteristiche fondamentali della cultura umanistica è l’acquisizione della coscienza
di vivere in un’età diversa dalla cosiddetta età di mezzo, cioè in un’età diversa da quella
che separava le civiltà del ‘400/’500 dall’antichità. Noi ci ispiriamo ai modelli antichi, ma ci
ispiriamo ai modelli antichi nella consapevolezza che quello che è intercorso tra l’antichità e
noi, sia qualcosa di completamente differente (questo qualcosa di completamente
differente lo chiamiamo Medioevo). Ma questo è comunque un sottoinsieme della
rivoluzione mediatica o del cambiamento dell’ecosistema mediatico o della riforma
mediatica che potremmo affiancare alla riforma protestante.
 Sul piano economico, almeno per l’universo euro-asiatico-africano, abbiamo la perdita di
centralità del Mediterraneo nella rete di commerci e scambi a favore dell’Oceano
Atlantico, Indiano e Pacifico.
 Dal punto di vista politico abbiamo la nascita dello stato moderno (ovvero di una struttura
politica centralizzata che cerca di superare la frammentazione territoriale e i particolarismi
territoriali affidando il potere nelle mani di un'unica persona o entità).
“Una nascita” (ammesso che lo stato moderno possa nascere). Quando leggiamo i
manuali, diciamo sempre che lo stato moderno “è nato” e si è sviluppato grazie a tre entità
particolari: esercito, diplomazia e burocrazia. Diciamo sempre che lo stato moderno si è
formato perché si sono sviluppati: un esercito permanente, una burocrazia permanente e
una diplomazia permanente <- questa cosa è falsa.
È semplicemente un’eccessiva semplificazione che ci siamo dati per comprendere il
carattere fondamentale di un processo di accorpamento territoriale che è stato molto
complesso. Ancora più complesso se consideriamo poi che, accanto al concetto di ‘stato’,
c’è l’altrettanto importante concetto di ‘impero’. Tra ‘400 e ‘500 si formò un impero enorme
per una serie di coincidenze politiche e dinastiche sotto il controllo di un’unica persona che
abbracciava diverse aree del pianeta, talmente grande da poter dire che su quell’impero
“non tramontava mai il sole”: l’impero di Carlo V.
Si potrebbe dire che Carlo V è stato un sovrano assoluto, che ha realizzato il sogno
universalistico medievale di un impero che abbraccia il mondo fino a quel punto
conosciuto? No, le cose non sono andate proprio come lui se le era immaginate; infatti, poi,
proprio nel cuore di quell’impero, nasce la riforma protestante e si spacca l’asse portante
che doveva unificare questo impero sul piano politico, sociale e religioso, ovvero il
cristianesimo. 
[Singolare: medium, plurale: media- sono termini latini e non inglesi]

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