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Corso di storia moderna: Palmieri

Anno: 2022/2023
1 MARZO ✅
Cosa intendiamo per storia moderna? Che periodo comprende? Con “storia moderna”
indichiamo il periodo che va dal 1492, scoperta del nuovo mondo, fino al 1815.Però questo
arco temporale che indichiamo come “storia moderna” è un’illusione ottica, è un contenitore
in cui muoverci e sviluppare delle riflessioni per muoverci nel nostro presente.

Parte monografica: parte che si concentra su un “argomento speciale”.

Le 6 scatole dell’età moderna


Per poter studiare questo periodo, possiamo dividere l’età moderna in 6 scatole:
1. Dal 1492 fino alla prima metà del 500: Italia attraversata dalle Guerre d’Italia,
Lutero, Calvino…
2. Seconda metà del 500:periodo di Elisabetta I Tudor (fa l’esempio di Achille Lauro che
a Sanremo si presenta travestito come Elisabetta Tudor, giustificandosi sui social e
dicendo che la scelta era un omaggio alla “sovrana che era stata vicino ai sentimenti
del popolo”), Filippo II e dei grandi scontri tra l’Europa e il mondo
islamico-mussulmano;
3. Guerra dei 30 anni (1618): non è un insieme di scontri fatto di particolari più o meno
rilevanti, fasi, ma un momento di crisi europea che mette insieme una serie di conflitti
e che noi dopo artificialmente ricostruiamo e identifichiamo come “guerra dei 30
anni”. Tale periodo di crisi profondo riguarda anche molte formazioni politiche
europee;
4. Luigi XIV(dice che con questa fase passiamo da Sanremo a Netflix dove abbiamo
una serie intitolata “Versailles” dedicata a Luigi XIV di Borbone)conosciuto anche
come re Sole che afferma “lo Stato sono io”. La Francia è al centro di molte
dinamiche anche extra-europee e la corte di Luigi XIV viene percepita come quel
luogo dove si è costruita la base del potere assoluto e del suo trionfo sull’Europa del
tempo che vede il trionfo dell’ assolutismo. In realtà però quello che intendiamo come
trionfo dell’assolutismo è un processo molto complesso in cui abbiamo più fallimenti
che successi quindi l’assolutismo resta un progetto rimasto nella mente di Luigi XIV e
mai realizzato a tutti gli effetti;
5. Prima metà del 700: guerre di successione (polacca, spagnola, austriaca, la pace di
Aquisgrana) e nuova atmosfera culturale-intellettuale cioè l’ILLUMINISMO che vede
la trasformazione graduale della realtà del tempo;
6. Età delle riforme e delle rivoluzioni: quella Americana e quella francese che
rappresentano un punto di rottura con i meccanismi e l’organizzazione sociale
dell’antico regime.

Quanto fondamentale è per la storia il rapporto con il presente?


Il rapporto con il presente è fondamentale: non esiste storia senza domande legate a 360° al
mondo in cui viviamo perché è solo partendo da questo mondo e dalle consapevolezze che
abbiamo della nostra esistenza in questo contesto, possiamo rivolgere al passato degli
interrogativi con la speranza che sia stesso il passato che ci fornisca delle risposte.
Rapporto tra i media e la cultura popolare: argomento principale del corso
Che cos'è la cultura popolare?
“Cultura popolare” sta per pensiero comune. Cosa può essere tanto comune da essere
definito “cultura popolare”?
Un esempio della nostra epoca è viaggiare fuori da Napoli significa trovare lavoro.
In riferimento alla cultura napoletana, un tipo di cultura popolare è la superstizione (il
cornicello, gatto nero che attraversa la strada, specchio rotto).
Napoli è una città pericolosa: in questo caso parliamo piuttosto di uno stereotipo
elaborato altrove che nasce da un senso di superiorità.
Altro esempio di cultura popolare è la musica folk o quella fatta per riprodurre alcuni
suoni,atmosfere, documentata attraverso spartiti che appartengono ad un passato
lontano e che continuano a manifestarsi ai nostri occhi come prodotto autentico di
una pratica che è stata popolare nel passato.
Il concetto di cultura popolare ci lega al passato: stereotipi concepiti in un passato lontano
che fanno fatica a scomparire o idee così radicate che difficilmente vengono scalfite.
Quando si parla di cultura popolare tendiamo a pensare ad una cultura lontana dalla nostra
vita anche se questa è presente nella nostra quotidianità, nelle nostre azioni, parole, gesti.
Un grande contenitore di cultura popolare è lo smartphone. Possiamo percepire la popolarità
di un fenomeno, di un’immagine, di un contenuto attraverso la quantità di interazioni che
quel contenuto, quel fenomeno o quell’immagine è capace di generare.
Ad esempio: nelle ultime settimane abbiamo sperimentato in Italia uno dei più grandi
fenomeni capaci di generare interazioni nel giro di soli 5 giorni ma anche nel corso di un
periodo più lungo che spesso dura settimane o mesi… parliamo del FESTIVAL DI
SANREMO, cioè un importante oggetto di indagine per chi si interessa di cultura popolare a
partire dall’antichità fino ai giorni nostri. È un elemento importante per capire l’età moderna,
cioè noi seguiamo il Festival anche senza guardarlo in televisione ma attraverso le nostre
chiacchierate al bar.
Il Festival di Sanremo riesce a conservare nel tempo caratteristiche che aveva inizialmente,
quando è stato creato, e riesce a trasformarsi a seconda del contesto politico, religioso,
economico, culturale e viaggiare attraverso diversi mezzi di comunicazione. Infatti durante
gli anni ‘50 del 900 nasce come prodotto radiofonico, viene trasmesso in tv e durante gli anni
70 attraversa un periodo di crisi fino a scomparire quasi dalla tv, diventando solo un prodotto
radiofonico. Negli anni 80 e 90 attraversa un momento di grande splendore e nel primo
decennio degli anni 2000 (fino al 2013/2014) rivive un momento di forte crisi.
Successivamente attraversa un’altra grande esplosione di popolarità che, secondo alcuni
esperti di storia della comunicazione, è paragonabile solo a quella degli anni 50 cioè il
Festival di Sanremo non è mai stato così popolare come lo è oggi.
Ci sono ragioni precise e strumenti che ci permettono di spiegare storicamente perché ha
avuto momenti di fortuna e momenti di sfortuna.Gli stessi strumenti ci permettono di
ricostruire la storia della comunicazione, dei media, della cultura popolare e la storia della
celebrità in un passato recente nel nostro presente fino ad arrivare al passato remoto.

La celebrità
Se ci interroghiamo sulle origini di una celebrità, ritorniamo nel cuore dell’età moderna.
Antoine Lilti, autore di un testo intitolato “the invention of celebrity”, si è interrogato sulle
origini della celebrità, spiegando innanzitutto che cos è la celebrità.
La domanda che potrebbe sorgere è: fama, gloria, e celebrità coincidono? Lilti dice che sono
fenomeni completamente diversi tra loro perché anche in età moderna, come oggi,
esistevano persone molto molto famose ma la cui presenza all’interno dell’ecosistema
mediatico era imposta da un potere costituito, da alcune élites, o da alcune tradizioni. Ad
esempio: i sovrani, le sovrane, i papi, i santi erano noti a tutti ma essere noti non significa
essere celebri.
Quand’è che secondo Lilty si è celebri? Quando si conquista un alto grado di attenzione
grazie all’attività che si è svolta nella vita o circostanze che hanno fatto in modo che tante
persone parlassero più o meno spontaneamente di te. Quindi Mattarella non è celebre ma
una figura che conosciamo in quanto figura istituzionale. Allo stesso modo anche il papa non
è celebre ma è legato al ruolo istituzionale che svolge; la regina Elisabetta, morta pochi mesi
fa, non era celebre ma era una sovrana, una regina e l’attenzione che tutti le rivolgevano era
legata al ruolo istituzionale che ricopriva che, nel caso delle monarchie, è addirittura legato
alla nascita, al sangue che scorre nelle vene, quindi non è qualcosa che si può conquistare.
Perciò il discorso vale anche per i suoi successori cioè suo figlio, i suoi nipoti (anche se
William, figlio di re Carlo, è destinato ad essere l’erede al trono solo quando morirà il padre).
Il reale cognome di questa famiglia non era Windsor ma Hannove e il cambio è dettato dal
fatto che non si voleva più rendere esplicita l’origine tedesca al popolo britannico.
Nel caso della regina Elisabetta quindi parliamo di “notorietà” perché era legata al ruolo che
svolgeva , all’appartenenza ad una determinata dinastia e a chi avrebbe sposato.

Celebrità allora non riguarda i sovrani, i papi, i santi, e va anche distinta dalla reputazione
perché si può avere buona o cattiva reputazione nella vita. Quando si ha buona o cattiva
reputazione? Lilty afferma che si ha buona o cattiva reputazione quando coloro che hanno
esperienza o dimestichezza diretta con l’attività che svolgiamo, possono giudicare
positivamente o negativamente quello che abbiamo fatto.
Nel concreto: quand'è che un medico ha buona reputazione? Quando i suoi colleghi o i suoi
pazienti parlano bene di lui; ha, invece, cattiva reputazione quando i suoi colleghi lo
ritengono un ciarlatano e poco preparato o se i suoi pazienti dicono che sono andati da lui
che stavano male e sono tornati peggio.
Che la reputazione possa essere buona o cattiva deve farci riflettere perché non esiste né
una buona o cattiva celebrità né una buona o cattiva gloria.
Quando si è celebri? Si è celebri quando si è conosciuti anche da chi non ha un'esperienza
diretta di ciò che fai nella vita o chi non ha alcuna dimestichezza con il tuo campo d’azione
nella vita.
Nel concreto: quando un calciatore è celebre? Quando lo conoscono tutti quelli che non
hanno mai visto una partita di calcio (potremmo dire Maradona ma sarebbe un errore perché
un calciatore può essere celebre anche se in campo non è al top, se non fa cose memorabili
in campo e perché intorno a Maradona si è sviluppato un meccanismo di costruzione della
gloria che ormai non può più decadere e che ha fatto sì che verso di lui si pratichi un
qualcosa di molto simile al culto che si dedica ai santi. Balotelli ad esempio è riuscito a far
parlare di sé per altro e non per ciò che faceva in campo)

La celebrità secondo Lilty è un qualcosa di mutevole: oggi posso essere celebre, domani no
(esempio: Achille Lauro lo ricordiamo ma come se fosse un reperto storico perché
l’attenzione non è più rivolta a lui). Quindi Maradona non è una celebrità perché mai verrà
dimenticato in futuro, ma con il tempo la sua fama può solamente aumentare. Sulla base di
questo tipo di idea, Lilty torna indietro e riflette su come molti personaggi dell’età moderna
siano stati caratterizzati da una celebrità che poi si è spenta ma che ha generato un
interesse capace di stravolgere gli equilibri di un’intera cultura e il modo in cui oggi i singoli
individui percepiscono la politica, la realtà, il mondo, il sistema economico perché l’idea che
abbiamo della celebrità influenza la nostra visione della realtà.
Un ultimo esempio avvincente è il silenzio di Fedez e Chiara Ferragni intorno al loro litigio
matrimoniale che è interessante perché secondo alcuni studiosi quel silenzio era pianificato
cioè solo un modo per attirare l’attenzione su un personaggio che stava scemando. La
stessa idea che riguarda la necessità di salire sul palco di Sanremo per ribadire la sua
presenza all’eco sistema mediatico è un’idea considerata impensabile 2 o 4 anni fa perché
non solo non ne avrebbe avuto bisogno, ma avrebbe ricevuto anche dei danni. Invece ora
l’ha dovuto fare perché la capacità di suscitare interesse attraverso l’account instagram
stava vivendo un momento di abbassamento o meglio non riusciva più ad attirare
l’attenzione dei giovani. Questo era preoccupante perché significava tagliare fuori dal
pubblico una fetta di mercato potenziale mentre noi siamo i futuri consumatori.
Tutto questo discorso è importante perché “L’eroe criminale” e “Le cento vite di Cagliostro”
parlano proprio di questo cioè trattano di fenomeni simili calati nell’età moderna.
● “L’eroe criminale” ad esempio parla di uno celebre solo a Napoli, in un contesto
geo-politico molto molto limitato però i napoletani per ben 5-6 anni non facevano altro
che parlare di questo personaggio che era stato un criminale, uno che faceva parte
degli Agostiniani (si chiamava Leopoldo di San Pasquale)quindi era un membro
religioso e che ora viene coinvolto in crimini veri e propri, diventano un vero e proprio
oggetto di ossessione.
● “Le cento vite di Cagliostro”, invece, non ritraggono una celebrità solo a Napoli ma in
tutta Europa, che si faceva identificare con il nome di Conte di Cagliostro. Per ben 15
anni, gli europei si interrogarono sulla sua reale identità: secondo alcuni era un
criminale palermitano che rispondeva al nome di Giuseppe Balsamo, secondo altri
invece era qualcun’altro. Però, resta che per ben 15 anni in tutta Europa si parla
ossessivamente di lui e di tutto ciò che faceva, generando un grande interesse e
un’attività mediatica molto forte incentrata sulla sua figura. Non era un sovrano, un
papa e probabilmente nemmeno un conte ma è stato in grado di suscitare un forte
interesse e essere presente sui mezzi di comunicazione per entrare concretamente
nei discorsi delle persone normali, incluse quelle che non avevano alcuna
dimestichezza con la lettura e la scrittura perché solo il 20%,30% delle persone
sapeva leggere e scrivere. C’erano poi delle differenze territoriali molto molto forti,
cioè un conto era la quantità di potenziali lettori presenti a Napoli, un altro conto era
la quantità di lettori presenti nelle grandi città o nelle campagne… sta di fatto che
però per sentir parlare di Leopoldo o Cagliostro in tutta Napoli e dintorni non era
necessario saper leggere perché si sentiva parlare di lui anche attraverso i racconti, i
gesti, la voce di chi aveva letto e poteve perciò riferire a chi non leggeva. Quindi le
immagini e le storie sono così forti da superare anche la barriera dell’analfabetismo.

Perché leggiamo Cervantes, Defoe,Voltaire ecc? Perché abbiamo delle urgenze del
nostro presente che devono trovare delle risposte e dalla nostra capacità di trovarle
dipende anche la capacità dei nostri studi di arrivare a chi ci ascolta.

Se parliamo della scoperta dell’America è tanto complesso quanto importante e difficile


interpretare sul piano mediatico l’impatto della prima notizia dell’arrivo di Cristoforo Colombo
e del suo equipaggio nelle Indie Orientali (=il Nuovo Mondo) sull’Europa del tempo. Perché è
così importante? È importante perché ci stiamo interrogando su un evento del passato che
nasce però da esigenze proprie del nostro mondo, quello che viviamo oggi. Quindi senza
capire le reazioni che generano le notizie vere o false che siano e che girano nel nostro eco
sistema mediatico, non potremmo mai interrogarci sull’evento “Scoperta del Nuovo mondo”
così come fu comunicato agli europei del tempo perché è questo il nodo della situazione e
un conto è dire che qualcosa è accaduto, altro conto è dire che ad un certo punto si è
raccontato cosa era accaduto. Per quanto possa essere difficile, è fondamentale capire
perché improvvisamente ad una persona,che vive tra la fine degli anni 80 e gli inizi degli
anni 90 del 400, sia venuto in mente di intraprendere un viaggio in una direzione che si
riteneva non essere mai stata esplorata in precedenza (sottolineamo “si riteneva” perché un
conto è sapere che qualcosa era avvenuto già prima, altro conto è esserne certi, altro conto
è averne le prove, altro conto è supporlo solo e altro conto è non sospettarlo affatto)
Su cosa si basa il messaggio che arriva a quel mondo e la costruzione di quel messaggio?
Nell’Europa del tempo, alcune strade che portavano verso altri continenti (in particolare
quelle che portavano verso l’Asia) si stavano chiudendo perché il potere dei Turchi dell’area
orientale del Mediterraneo stava aumentando sempre di più, rendendo difficili le
comunicazioni con il continente asiatico che nei secoli precedenti c’erano state ed erano
state anche molto intense e la possibilità di arrivare nel cuore del continente africano, cosa
che stava avvenendo. Allora ad un certo punto ci si interroga sulla possibilità di percorrere
altre vie per arrivare però agli stessi luoghi. Tali vie erano state già percorse per esempio dai
portoghesi che si trovavano sull’Atlantico, sull’estremità occidentale del continente europeo
quindi in una posizione geografica già vantaggiosa perché potevano addirittura provare ad
arrivare in Asia attraverso la circumnavigazione del continente africano, quindi costeggiando
tutta l’Africa andavano verso la zona che identifichiamo come Sud Africa, la attraversavano
e da lì si dirigevano nel cuore dell’Oceano indiano, fino alle Indie per raggiungere poi le
coste dello sconfinato continente asiatico.
Quindi c’era la necessità di trovare altre strade e la coscienza che altre strade erano state
già trovate ma erano molto scomode. Accanto a questa prima necessità, si affianca un
bisogno di tipo religioso-culturale cioè avere qualcuno con cui comunicare ma soprattutto
qualcuno a cui portare il messaggio evangelico, a cui insegnare i contenuti della nostra fede.
Come farlo? Viaggiando, arrivando alle popolazioni del continente asiatico e africano e
cercando di parlare con loro… ma se le strade si chiudono, bisogna trovarne delle altre.
Quindi da un lato abbiamo esigenze di carattere economico e dall’altro esigenze di carattere
culturale-religioso.
Questo è accompagnato da varie suggestioni più specificamente culturali: nel 13°, nel 14° e
all’inizio del 15° secolo circolava una leggenda molto forte in Europa, LA LEGGENDA DEL
PRETE GIANNI. Si trattava di un personaggio mitologico che è stato in grado di mettersi a
capo di un organismo politico, situato secondo alcuni nel cuore dell’Asia o nel cuore
dell’Africa secondo altri, e di evangelizzare tantissime popolazioni dando vita ad una nuova
entità che addirittura poteva far rendere plausibile la nascita e lo sviluppo di un’età aurea
intorno al cristianesimo e alla purezza del cristianesimo.Perché c’era l’ossessione verso la
purezza del cristianesimo?Tale ossessione era stimolata dalla coscienza che il cristianesimo
praticato e coltivato dagli europei fosse in profonda crisi, soprattutto nel mondo pulsante del
suo mondo: Roma, nella sede del papa. C’era la consapevolezza che denunciava una
gerarchia ecclesiastica profondamente corrotta, attaccata ai beni terreni, poco attenta alle
esigenze spirituali, all’evangelizzazione e alla cura delle anime che dovrebbe essere una
delle questioni principali di un sacerdote. Perciò nel momento in cui si è imbevuti di
quest’idea di decadenza e corruzione, nasce in spazi e luoghi lontani e nelle persone il
desiderio di qualcosa che nella realtà non c’è. Questi luoghi lontani nello spazio e nel tempo,
questo altrove, lasciano volare molto la fantasia fino al punto di incontrare i regni fantastici,
mitici, in cui esiste un cristianesimo felice, capace di affermarsi come modello di vita e che
rappresenta tutto ciò che non è in Europa. Tutte queste suggestioni di carattere economico,
politico, culturale, animano un personaggio come Colombo che è innanzitutto un mercante
quindi ha prima di tutto esigenze di carattere economico: trovare traiettorie per fare scambi,
trovare prodotti e svolgere in maniera più efficace e semplice quello che è sempre stato il
suo lavoro. Colombo, un mercante di origine genovese,potrebbe però verosimilmente
rivolgersi a organismi politici della sua terra o comunque prossimi alla sua terra per poter
trovare il sostegno necessario e compiere un’impresa di quel tipo ? Non può farlo perché la
penisola italiana del tempo è molto molto frammentata, cioè composta da piccoli stati di
natura regionale e che non hanno ne le potenzialità militari, né la stabilità politica, né i mezzi
economici per poter sostenere un’impresa come quella proposta da Colombo: viaggiare
verso l’occidente e, sulla base dell’idea che la terra sia sferica, raggiungere l’Asia dall’altro
lato. Perciò Colombo inizia a bussare alla porta di altri sovrani europei, incluso i sovrani del
Portogallo da cui però non ottiene l’attenzione che sperava di ottenere perché alcuni lo
prendono per matto, altri pensano che le risorse che sarebbero state investite erano risorse
buttate. Però ad un certo punto ottiene udienza dai sovrani di Spagna, per ragioni legate
a qualcosa che stava avvenendo nella Penisola iberica: c’erano due corone separate, quella
di Castiglia e d'Aragona,due personaggi Isabella e Ferdinando che si sposano nella
speranza di creare un potere unico che poteva governare su un territorio ampio e
complesso. A questa nuova unione dinastica, si accompagna l’esigenza di pulire la Penisola
Iberica dalla presenza di tradizioni religioso-culturali non direttamente riconducibili al
cristianesimo come l’ebraismo, l’islamismo, per imporre il proprio controllo e il proprio potere.
Addirittura ad un certo punto si impone nella Spagna del tempo il principio della
limpidezza del sangue, cioè il sangue di chi realmente vuole essere suddito di questa
corona deve essere pulito dalle contaminazioni che possono arrivare da parentele più o
meno acquisite con persone che appartengono a quelle tradizioni, a quelle culture e a quelle
discendenze perché gli spagnoli devono essere spagnoli e avere un tipo di discendenza in
tutto e per tutto legata alla tradizione religiosa cristiana.
Perché tutto ciò influenza la fiducia che Colombo ottiene quando bussa alla porta dei sovrani
spagnoli? Perché un paese che sta vivendo questo tipo di unificazione e che vive anche
dello slancio espansivo provocato da questo tipo di unificazione, ha interesse a prendersi
quel rischio che ad esempio il Portogallo non si sarebbe preso. Per la Spagna, invece, la
possibilità di trovare quello sbocco è una possibilità da valutare fino al punto di rischiare
economicamente. Rischiando economicamente si fa promettere anche qualcosa: Colombo
arriva a dire “noi troveremo dei territori in cui ci saranno da un lato risorse di tipo materiale
da poter sfruttare per costruire nuove fortune economiche e dall’altro lato esseri umani ai
quali portare il messaggio evangelico per rendere il potere ancora più grande”.

Qual è la reazione generata in Europa dalla prima lettera che Colombo spedì ai sovrano di
Spagna in cui comunica il significato fondamentale della sua prima esperienza?
Qual è l’impatto che provoca questo documento sull’ Europa del tempo? Parliamo di
un’Europa imbevuta di una serie di suggestioni, immagini, idee del lontano e tale documento
fa sì che semplici parole vengano fraintese e arrivino a produrre delle verità intese come tali
ma lontanissime dall’avere qualsiasi forma di potere conoscitivo. In altre parole, Colombo
disse cose assurde tanto che tutti ci credettero e nel dire queste cose, badò a usare termini
oppositivi e negativi perché si aspettava di vedere certe cose e, non trovandole, cominciò a
dare delle spiegazioni strane su quelle che considerava come assenze clamorose.
Cosa si aspettava di trovare, aldilà del mare? Si aspettava di trovare sirene, cannibali,
popolazioni dedite a pratiche profondamente disumane per l’idea di vita, società, di
organizzazione collettiva che gli europei avevano. Quando non trovò tutto ciò non si limitò a
dire “mi devo ricredere”, ma si limitò a dire “non ci sono,ma ci sono lo stesso” cioè “non ci
sono perché non le vedo e se andassi più lontano le vedrei”.
Il reale problema del documento non è entrarvi ma entrare all’interno delle ragioni per cui
l’Europa credette a quelle parole, ragioni che per certi versi non sono molto diverse da
quelle per cui abbiamo creduto che i Ferragni fossero in crisi coniugale.

6 MARZO ✅
IMPATTO CHE LA LETTERA HA AVUTO SUL CONTESTO CULTURALE
EUROPEO DI FINE 400 E INIZIO 500: la reazione della gente
Quando si parla di inizio di età moderna, i manuali parlano di “rafforzamento degli apparati
statali ”o più semplicemente di nascita dello stato moderno. Si dice che tra 400 e 500 la
nascita dello stato moderno e il suo rafforzamento abbia attraversato una fase cruciale. Per
la Spagna questo è ancora più valido perché va incontro all’unificazione di due corone, cioè
attraverso il matrimonio tra Isabella e Ferdinando la Castiglia e l’Aragona, da sempre in lotta,
ora si unificano. Così la Spagna va incontro ad una ristrutturazione dell’apparato interno
attraverso la repressione delle minoranze (quindi il tentativo di omogeneizzare l’intera
popolazione della penisola Iberica, da un punto di vista religioso e culturale) e
l’affermazione del principio della limpidezza di sangue—> si è spagnoli finché il proprio
sangue non è contaminato dalla presenza di etnie diverse.
Che c’entra tutto ciò con l’impresa di Colombo? C’entra perché questi fattori avrebbero
potuto influenzare la scelta di sostenere il progetto di questo mercante che voleva arrivare
nelle Indie orientali navigando verso l’Occidente, partendo dal presupposto che il pianeta
fosse sferico.

Come nasce l’età moderna?


Da un punto di vista politico, l’età moderna è legata alla nascita dello stato moderno.

-questione religiosa:l’Europa cristiana tra 400 e 500 percepisce al suo interno la presenza di
forti divisioni, di un alto grado di corruzione e un’incapacità cronica da parte delle
grandi gerarchie ecclesiastiche (in particolare le gerarchie ecclesiastiche della Chiesa di
Roma) di gestire e governare il mondo cristiano, cioè la percezione è quella di una
Chiesa troppo attaccata ai beni terreni e poco attenta alla cura delle anime. Questo porta da
un lato al bisogno di trovare altre terre e popolazioni a cui portare il messaggio
evangelico nella maniera più pura; dall’altro lato nasce una frattura interna che si
consolida nel periodo che va dal 1517, pubblicazione delle tesi di Lutero, fino all’apertura del
Concilio di Trento. Tale frattura però è già percepita in maniera forte già a fine 400, quindi è
una crisi che affonda le radici in un periodo più o meno lungo e che definiamo come “Basso
Medioevo” dove è possibile percepire la tendenza più o meno forte di rinnovamento/rinascita
spirituale, religiosa, e una crisi profonda della gerarchia terrena su cui si fonda la comunità
cristiana.Gli europei sanno, sentono, che c’è qualcosa che non va, perciò c’è bisogno di
soluzioni, tra cui trovare nuove popolazioni da evangelizzare.

-questione economica: le vie per il commercio sono necessarie. Nel Basso Medioevo le
vie/traiettorie percorse per scambiare prodotti europei con quelli asiatici sono quelle
tradizionali (=oltre al Mediterrano, abbiamo soltanto la terra). A partire dalla metà del 400,
però, la percezione degli europei è quella di chiusura di queste vie a causa del
rafforzamento dell’Impero ottomano che occupa le sponde orientali del Mediterraneo, che è
sempre più unito/forte e fa sentire la sua potenza in maniera altrettanto forte a fine 400 con
la presa di Costantinopoli (1453)

Prime soluzioni
Il Portogallo sceglie di circumnavigare l’Africa per arrivare comunque in Asia, ma sono viaggi
difficili da sostenere da un punto di vista economico, lunghissimi e faticosi. Perciò, rendono
plausibile l’idea di Colombo di navigare verso occidente per raggiungere l’oriente e rendono
plausibile anche i rischi economici per sostenere questo tipo di viaggi.

La stampa
Qual è l’atto cruciale dell’età moderna? Cos’è che tra 400 e 500 influenza la
comunicazione?
La stampa a caratteri mobili, creata da Gutenberg, fondamentale per la diffusione della
lettera di Colombo.
La domanda che dobbiamo porci è: la stampa è una novità assoluta per l’umanità? No, non
lo è perché in alcune parti dell’Asia era già conosciuta e quindi viene percepita come novità
principalmente dagli europei, novità che cambia profondamente l’approccio alla cultura scritta
delle persone comuni, di quelle che hanno un grado più o meno alto di dimestichezza con la
scrittura, cambia l’approccio con il sapere, con l’informazione, con il messaggio. Ma la
domanda che dobbiamo porci è la seguente: l’invenzione della stampa è stata davvero una
rivoluzione? Quando affrontiamo il discorso che riguarda il forte legame che c’è tra passato e
presente e del presente che condiziona il nostro punto di vista sul passato, tale discorso
trova ora un riscontro concreto perché non sempre negli ultimi decenni abbiamo avuto la
stessa idea sul ruolo giocato dalla stampa sugli europei. In particolare negli anni 70 del 900,
il pensiero comune tendeva a preferire per l’introduzione della stampa un’immagine legata
alla rivoluzione. Una studiosa, Elizabeth Einstein, scrisse un volume importante che
influenzò tutta la storiografia e che tendeva ad attribuire alla stampa un carattere
profondamente rivoluzionario perché, senza mezzi termini, afferma che la svolta impressa
dalla stampa sulla cultura europea fu quella di un cambiamento radicale: nulla sarebbe
stato più come prima dopo l’invenzione della stampa, le cose sarebbero totalmente
cambiate. Il concetto di rivoluzione è un concetto fondamentale per tutta l’età moderna
perché secondo alcuni l’età moderna si apre con una rivoluzione, provocata dalla stampa, e
si chiuderebbe con una rivoluzione, quella francese.

Il concetto di rivoluzione
“Rivoluzione” è un concetto che potrebbe essere considerato affine a “rivolta”. Ma la rivolta,
a differenza della rivoluzione, ha sempre uno sguardo rivolto al passato perché si propone di
ripristinare qualcosa che si ritiene essere stato compromesso o eliminato, quindi chi mette in
atto una rivolta sta chiedendo di ripristinare qualcosa che c’era e che non c’è più. Ad
esempio: prima c’erano aule capienti per ospitare gli studenti; ora queste non ci sono più
quindi facciamo una rivolta per ottenere nuovamente aule capienti.“Fare una rivoluzione”,
invece, significa mettere in discussione radicalmente l’esistenza stessa di università. Da
questo punto di vista quindi la rivoluzione è qualcosa di più pesante, qualcosa che impone
un capovolgimento. Infatti parliamo di “rivoluzione” francese perché si capovolge
radicalmente un regime che viene a mancare nelle sue basi.
Se Elizabeth Einstein afferma che “la stampa è stata una rivoluzione” è perché delegittima
tutto ciò che c’era prima, cioè il manoscritto a cui era legata la comunicazione che quindi
poteva avvenire solo grazie alla presenza di un amanuense, qualcuno che possedeva le
competenze legate alla scrittura. Ora, invece, la comunicazione è possibile anche senza la
presenza di una persona in carne ed ossa ma solo grazie ad una macchina. Nei decenni
successivi, però, l’idea di stampa come rivoluzione inizia a esaurirsi, soprattutto tra la fine
degli anni 90 e l’inizio degli anni 2000, quando molti studiosi cominciano a ritenere che la
stampa è tutto tranne che una rivoluzione perché c’è qualcosa che non ci fa pensare ad un
capovolgimento. Tra questi ricordiamo: Roger Chartier che mette in discussione l’idea di
stampa come rivoluzione nel libro “La cultura della stampa”. Scriverà anche altri libri
come“La mano dell’autore e la mente dello stampatore” evidenziando un paradosso perché
solitamente si pensa che l’autore mette la testa mentre lo stampatore ci mette la tecnica, la
mano. Roger invece, in maniera provocatoria, dice il contrario.
Robert Darnton, che nel mondo accademico ha avuto una certa importanza, è stato
direttore della biblioteca di Harvard ed è stato una figura molto potente perché non si è
accontentato solo di essere direttore della biblioteca di Harvard ma ha dato una svolta
radicale a tutto il patrimonio della biblioteca di Harvard firmando un accordo con Google e
rendendo così gran parte del patrimonio della biblioteca fruibile attraverso internet cioè con
Google Books, accessibile in maniera gratuita. Dall’accordo anche altre istituzioni,
compresa la biblioteca nazionale di Napoli, hanno deciso di rendere il patrimonio fruibile non
solo fisicamente ma anche attraverso un cellulare.
Abbiamo anche altri studiosi come Peter Burke e Asa Briggs.

Quando e dove la stampa inizia a diventare davvero un fenomeno tangibile sul


mercato europeo?
A partire dagli anni 80 del 400 a Venezia, una delle città più commercialmente vive
dell’epoca, dove si vende di tutto e tra i primi prodotti più venduti troviamo i primi testi a
stampa che permettono di capire che qualcosa non va, tra cui:
-assenza della copertina, dove vi troviamo il titolo, il nome dell’autore, un sottotitolo, il
nome dell’editore. I primi testi venduti,invece, partono direttamente con la prima pagina
impedendo così di intuire cosa c’è all’interno del testo cioè l’assenza del frontespizio
corrisponde all’assenza di elementi che si riferissero al contenuto. Al massimo è lo stesso
libraio che ci indirizza verso il contenuto del libro.
-assenza del capoverso che serve per facilitare la lettura, cioè l’autore pensa a come
reagirà chi legge. Senza capoverso viene fuori solo un muro di parole, sinonimo anche del
disordine del pensiero di chi ha scritto;
-assenza dell’indice, “elenco” degli argomenti;
-nei testi antichi molto spesso l’esordio, cioè l'inizio del capitolo, è dedicato ad uno spazio
grande che accoglie l’iniziale molto ben decorata. Molti esemplari del mercato veneziano,
invece, hanno uno spazio bianco enorme al posto delle lettere.
Gli studiosi iniziano a chiedersi perché ci sono tutte queste anomalie? Soprattutto, qual’è il
senso dello spazio bianco?
Recentemente, questi studiosi hanno iniziato a capire che gli spazi bianchi dovevano
essere riempiti da amanuensi: il pubblico del tempo non accettò tanto volentieri il
passaggio dal manoscritto alla stampa, anzi si realizzò un paradosso fortissimo cioè più la
stampa diventava più facilmente commerciabile, più i potenziali acquirenti di un libro
cercavano i manoscritti. Perchè? Perché avevano paura del fatto di trovarsi un oggetto che
poteva stare nelle mani di tanti altri, quindi il libro stampato perdeva la sua unicità, la sua
specificità e l’idea che tante altre persone potevano avere la stessa cosa infastidiva molto gli
acquirenti. Inoltre, il libro era considerato uno status symbol (basti pensare ai libri con la
copertina cartonata, rigida, molto molto ricercata e utilizzata dagli editori perché molte
persone non intendono il libro come un qualcosa di cui usufruire ma un oggetto da tenere
esposto in salotto).
Quindi se la paura era quella di avere tra le mani un oggetto privo della sua unicità,
l’intervento degli amanuensi che a mano disegnavano la lettera in modo tale che l’oggetto
riprodotto varie volte potesse avere comunque qualcosa dell’unicità dei testi manoscritti.
Accanto a questa questione di carattere estetico, troviamo anche la questione di carattere
culturale legata all'attendibilità del testo. Immaginiamo un mondo in cui si è abituati alla
cultura manoscritta, simbolo del rapporto tra mittente e destinatario quasi diretto, cioè
l’amanuense scrive/produce e vende il prodotto che gli è costato mesi di lavoro quindi
costoso.Il fatto che conosciamo direttamente chi vende il manoscritto, che stabiliamo un
rapporto di fiducia,influenza molto l’attendibilità che l’acquirente ha del contenuto del testo,
soprattutto perché il manoscritto vuole trasmettere un sapere, delle informazioni che se sono
fake, nascono poi vari problemi legati alla scarsa autenticità, veridicità, del contenuto del
testo.
Cosa succede nell’epoca della lettera di Colombo? Il pubblico comincia a capire che la
riproduzione in serie di testi a stampa facilita molto, da parte dei poteri costituiti (quello
ecclesiastico, religioso e politico), il controllo di quello che veniva prodotto→si inizia a capire
che preti, re, sovrani, principi, duchi degli stati governativi stavano dentro le stamperie.
Perciò gli acquirenti iniziano a pensare che tutto ciò che viene venduto non è attendibile
perché i testi venduti volevano informare su cose che il potere voleva che sapessero.

Qual è il paradosso di cui Elizabeth Einstein non aveva tenuto abbastanza conto? Il
paradosso è il seguente: nell’età della stampa, più aumentano i prodotti a stampa in
circolazione, più si abbassa il loro prezzo e più diventa frenetica e urgente la corsa verso
l’oggetto manoscritto→ non ci si fidava e tutto ciò che ha a che fare con il sapere comincia a
scontrarsi con un alto numero di diffidenti. TUTTO CIÒ NON DA L’IDEA DI UNA
RIVOLUZIONE.
Ma com'è che Elizabeth Einstein queste cose non le aveva viste? Non si era posta questi
problemi perché la sua epoca la portava, più o meno inconsapevolmente, a sopravvalutare
la portata di un unico mezzo di comunicazione su tutti gli altri esistenti. E perché l’ha fatto?
Perché il mondo in cui lei viveva e la cultura di cui era imbevuta era segnata dal dominio di
un mezzo sopra gli altri ovvero la televisione che era uno strumento così convincente,
persuasivo, da far pensare che l’ecosistema mediatico fosse squilibrato. Soprattutto la
televisione svolge un ruolo pedagogizzante: c’era un produttore (che può essere anche lo
stato) che organizza dei messaggi che invia ad un pubblico che si ritiene che sia
passivamente percettivo nei confronti di quelle informazioni, cioé che le inglobi facendosi
persuadere. Questo ha influenzato molto anche la visione degli storiografi che per molto
tempo hanno pensato che l’intera storia della comunicazione per l’umanità sia stata orientata
dalla preminenza della tecnologia e dei dispositivi tecnologici. Se proviamo a ricostruire la
storia dei media, possiamo dire che è fatta di un’epoca segnata da un certo mezzo di
comunicazione, un’altra epoca segnata da un altro mezzo di comunicazione e così via.
Perciò c’è l’età dei graffiti, l’età dei manoscritti, l’età della stampa, l’età dei periodici, l’età
della radio, l’età della televisione e infine l’età del web. Ogni epoca quindi è identificata da un
mezzo di comunicazione caratterizzante.Questa idea che tende a farci vedere l’età moderna
come età della stampa, e che darebbe ragione ad Elizabeth Einstein, oggi non è più valida
perché non possiamo più dire che quel mondo fu caratterizzato solo da quel mezzo di
comunicazione. Perché non possiamo più dirlo? Perché nel nostro mondo non ha più senso
dire “siamo nell’età di internet” e, non avendone la possibilità, mettiamo in discussione tutto
ciò che c’era prima.
Siamo veramente in un'età che,da un punto di vista dell’ecosistema mediatico, è segnata
solo da internet? Ci verrebbe da dire che veramente siamo in un’età dominata solo da
internet, ma in fondo non è così perché ci sono tanti aspetti che ci fanno capire come sono
importanti le sopravvivenze all’interno del nostro mondo. La storia dei media, della
comunicazione,è fatta anche di profeti e protezione: ogni volta che c’è un grande
cambiamento in corso, il passaggio da una tecnologia all’altra,abbondano le profezie che
vanno a prospettare la morte di qualcosa e la nascita di qualcos’altro. Perciò molti hanno
ritenuto che con l’arrivo di internet la televisione sarebbe morta, anche se nessuna profezia
si è rivelata più fallace di questa perché le prime settimane di pandemia ci hanno dimostrato
che la tv era ancora viva; oppure, per oltre 5 giorni, tutti ci siamo fermati a parlare di ciò che
avveniva in tv, anche senza guardare direttamente in tv e in maniera più o meno cosciente
abbiamo seguito passo dopo passo il Festival di Sanremo=prodotto televisivo. Allo stesso
modo, se ripercorriamo i momenti di passaggio da una tecnologia all’altra fino a tornare agli
inizi dell’età moderna, troviamo profezie simili: quando arriva la televisione, molti intellettuali
ritenevano che la radio e il teatro sarebbero poi morti. Eppure la radio c’è ancora. Ancora,
con l’arrivo della stampa si pensava che il manoscritto sarebbe poi morto.Eppure non è stato
così perché non solo non è scomparso ma è diventato anche più forte di prima.

Cosa scrive Colombo nella lettera?


La scrive in una situazione particolare: ha ricevuto un attestato di fiducia da parte dei
sovrani di Spagna. Tale attestato di fiducia, come per la maggior parte, ha un rischio e una
speranza→ quel tipo di viaggio apre le prospettive che stanno riposte nei desideri dei
sovrani spagnoli, o in generale degli europei.

“Gli abitanti di quest'isola e di tutte le altre che ho scoperto o di cui ho


avuto notizia vanno tutti nudi, uomini e donne, così come le loro madri
li mettono al mondo, anche se alcune donne si coprono una sola parte
del corpo con una foglia o una pezzuola di cotone che preparano a tale
scopo. Non hanno ferro, né acciaio, né armi e non vi sono tagliati, non
già perché non siano gente robusta o di bella statura, ma per il fatto che
sono incredibilmente paurosi [...]”

L’isola a cui si riferisce è probabilmente Aiti. Su quest’isola tutti vanno in giro nudi, sia
uomini che donne.
Tra le cose che vuole comunicare, c’è un aspetto preponderante: l’uso della negazione,
cioè Colombo non dice cosa sta vedendo ma cosa non sta vedendo e cioè si sarebbe
aspettato di trovare una serie di cose, di caratteristiche della popolazione che ha di fronte e
che per qualche ragione non trova e perciò tende ad accentuare non le presenze ma le
assenze. Afferma che questi non hanno armi e non le sanno neanche usare → ciò che
Colombo vuole comunicare agli europei è che se vanno lì nessuno li infastidirà ma avranno
facilmente controllo sulla popolazione perché non sanno combattere né è loro intenzione
opporsi. Infatti dice
“Qualunque sia la cosa in loro mano, che venga ad essi richiesta, non
dicono mai di no; anzi, invogliano le persone a chiederla e si mostrano
tanto amorevoli, che darebbero il cuore stesso e si tratti di cosa di
valore, oppure di poco prezzo, la cedono in cambio di un oggettino
qualsiasi e se ne tengono paghi. […]. Prendevano perfino i pezzi degli
archi rotti e dei barili e davano quello che avevano senza discernimento
come bestie.”

Queste popolazioni non dicono mai di no, anzi invogliano le persone a chiederla,
indipendentemente se si tratta di una cosa di valore oppure di poco prezzo la cedono in
cambio di qualsiasi oggetto, restando anche soddisfatti.

“[…] Essi non professano credenza né idolatria di sorta; tutti però


stimano che la potenza e il bene stiano nel cielo, e credevano
fermamente che io, con queste navi e questa gente, fossi venuto dal
cielo, e con tale convinzione mi ricevevano dovunque, dopo essersi
scrollata di dosso la paura.”

Non professano credenza o idolatria ma intuiscono che se c’è un’entità superiore, questa sta
in cielo; credono fermamente che Colombo, con le sue navi e la sua gente, fosse venuto dal
cielo. Il messaggio è il seguente: hanno una certa predisposizione al credo religioso ma
nessuna convinzione particolarmente consolidata. Dato che sono predisposti al credo
religioso, pensano che Colombo e il suo equipaggio siano degli dei, che siano arrivati perciò
dal cielo e se all'inizio hanno avuto paura, hanno poi imparato a fidarsi.
Ancora una volta possiamo sottolineare il “non” che ritorna costantemente perché Colombo
non dà mai una visione positiva di ciò che vede e racconta e il suo messaggio è questo:
tutto ciò che mi aspettavo di trovare non c’è.

Segue poi la parte più importante, quella che dovrebbe farci capire più cose:
“[…] Mostri dunque non ne ho trovati, e neppure ne ho sentito parlare,
tranne che a proposito di un’isola “Quaris”, la seconda all’entrata dalle
Indie, che è abitata da una gente che in tutte le isole è ritenuta molto
feroce, la quale si ciba di carne umana.”

Sottolinea che non ha trovato dei mostri perché evidentemente nella cultura del tempo, si
aveva questo tipo di aspettativa delle popolazioni lontanissime delle Indie orientali e cioè che
fossero abitate da mostri. Quando parliamo di qualcuno che si ciba di carne umana ci
riferiamo al cannibalismo. Ma Colombo non ha visto i cannibali, bensì sta dicendo di aver
visto qualcuno che gli ha detto di aver visto qualcuno a cui è stato detto che su un’isola
lontana ci sono i cannibali.

“Costoro possiedono molte canoe, con le quali compiono scorrerie in


tutte le isole dell’India, rubando e depredando quanto possono; essi non
sono più brutti degli altri, ma hanno l’abitudine di portare i capelli
lunghi come le donne, e usano archi e frecce delle solite canne con un
bastoncino all’estremità, in difetto del ferro che non hanno.
Sono feroci rispetto a queste altre popolazioni, che sono codarde oltre
ogni dire, ma io non li tengo in maggior conto degli altri.”

Oggi diremmo che la lettera di Colombo è piena di fake news. Se ora poniamo in primo
piano l’esigenza di conoscere il nuovo mondo attraverso la lettera di Colombo, non ci
riusciremo perché Colombo ci fa capire ciò che si aspettava e ciò che invece vede. Quindi la
cestiniamo perché non è utile per la conoscenza storica cioè non ci aiuta a capire chi ha
incontrato Colombo→sappiamo che incontra gli inca e gli aztechi ma non sappiamo cose in
più su queste popolazioni
Il documento si rivela, invece, utile se cambiamo la domanda cioè: “raccontaci qualcosa
dell’Europa del 1492 e di ciò che girava nella testa degli europei” perché il documento fa
vedere tutto ciò che un europeo racconta agli europei usando l’altro (=i nativi del continente
americano) come specchio
Cosa significa usare l’altro come specchio? Immaginiamo di vivere in un mondo senza
specchi, dove non abbiamo l’altro per descrivere noi stessi e quindi saremmo costretti a farlo
attraverso la descrizione di altre persone→ non mi sono guardato ma gli altri dicono che ho
gli occhi marroni, i capelli biondi ecc.
Il problema però è che l’Europa di fine 400 e inizio 500 è incapace di descriversi, di capire
chi è, e quali sono le sue esigenze economiche, politiche,religiose. Perciò può affidare la
descrizione di se stessa soltanto allo sguardo degli altri quindi l’Europa non è capace di
descriversi, non sa dire cos'è, ma può affidarsi alla lettera di Colombo per dire ciò che non è
(“siamo diversi da loro perché non siamo questo o quell’altro).
Allora questa lettera, rivolgendosi agli europei, dice “noi siamo bravi a fare la guerra, a
capire il valore delle cose, a consumare delle transazioni commerciali di un certo tipo
andando anche a svantaggio di chi quel valore non lo comprende, siamo bravi a portare un
messaggio all’altro per convincerlo che il rapporto ultraterreno funziona in un certo modo,
abbiamo certe usanze che portano a non mangiarci* ”

*il cannibalismo nel corso del 500 era già praticato in Europa, in particolare a Napoli dove le
lettere venivano consumate sotto forma di sacrificio umano

Il paradosso è questo: gli europei dicono di non vedere negli altri quello che loro hanno,
raccontando però anche delle bugie. Questa lettera non dice nulla delle popolazioni che
Colombo incontra ma dice molto degli europei.

Quando la lettera viene stampata, letta dal pubblico europeo, ha un impatto devastante nella
misura in cui rivoluziona il modo di pensare degli europei. All’epoca però pochi sapevano
leggere (nelle grandi città probabilmente solo il 5% della popolazione; nelle campagne non si
arrivava neanche al 10% della popolazione), per cui la ricezione della lettera si fermata ad
un quarto, un quinto o un decimo della popolazione? Per nulla. Anche questo dice molto
sulla rivoluzione di cui parlava Elizabeth Einstein perché affinché il contenuto della lettera
arrivi a tutti, non è necessario che tutti sappiano leggere visto che la lettera veniva letta ad
alta voce, recitata, mediata, accompagnata da immagini/disegni quindi spesso i mostri o i
cannibali, che Colombo dice di non aver visto con i suoi occhi, ci sono comunque.
Allora il nodo è che le reazioni a questa lettera sono straordinarie perché lasciano
intravedere agli europei che ne ricevono le immagini, le suggestioni, i contenuti, delle
possibilità che fino a quel momento sembravano essere non percorribili, inesplorate.
Tutti, mercanti, commercianti,artigiani, avventurieri, sacerdoti, frati, membri di ordini religiosi,
valutano l’idea di partire per raggiungere il Nuovo Mondo perché vedono nel messaggio
contenuto nella lettera l’apertura di strade che fino a quel momento erano rimaste
inesplorate. Il Nuovo Mondo, terra lontana e indefinita, si definisce sempre di più perché
comincia a nascere il sospetto che il territorio che Colombo aveva scoperto non sia quello
delle Indie orientali ma di un continente altro.
Cambia tutto incluse le prospettive politiche perché gli stati che fino a quel momento che
avevano guardato con diffidenza(tale da avere solo la Spagna ad appoggiare il progetto di
Colombo) la sola ipotesi di intraprendere un viaggio del genere, ora pensano che qualcosa
c’è sul serio. I primi grandi incidenti sono di carattere politico-diplomatico, tra le grandi
potenze europee che fino a quel momento avevano intrattenuto dei rapporti con l’Asia e altri
continenti allora conosciuti. La scoperta di un nuovo territorio nel pianeta fa sì che subito
nasca l’idea di poterlo raggiungere, di poterlo annettere al proprio territorio e quindi regnare.
I primi due grandi competitor sono proprio la Spagna e il Portogallo.

Chi risolve il primo grande incidente tra Spagna e Portogallo? Sarà papa Alessandro VI,
conosciuto come Rodrigo Borgia, uno che aveva figli sparsi per tutta l’Europa e che
considerava fin da quando viene eletto papa il soglio pontificio come parte integrante del suo
patrimonio personale-familiare.
Fra le tante cose era il papà di Cesare Borgia, detto anche “il Valentino”, e di Lucrezia
Borgia. Sulla figura di questo papa sono state fatte ben 2 serie tv: una di produzione
americana, l’altra di produzione franco-canadese. Quest’ultima soprattutto è abbastanza
interessante perché lo sceneggiatore ha speso anni e anni nel casting per trovare degli attori
che somigliassero ai personaggi che poi sarebbero diventati protagonisti della serie.
Alessandro VI, rappresentazione della corruzione della Chiesa, prese la mappa del tempo
e tracciò una striscia per dire che a est, a oriente della linea, le competenze territoriali sono
quelle del Portogallo; a ovest,a occidente della linea, le competenze territoriali sono quelle
di Spagna.
Tracciare questa linea è passato alla storia come trattato di Tordesillas. Però, l’unico
territorio del continente americano dove si parla portoghese è il Brasile: la ragione è
strettamente legata alla decisione presa con il Trattato de Tordesillas perché a oriente della
linea tracciata dal papa, le competenze territoriali erano quelle del Portogallo; a occidente,
invece, troviamo quelli che di lì a poco sarebbero diventati i domini spagnoli.
La Spagna si organizzò molto bene per governare quei territori, istituendo due grandi
vicereami: il Vicereame del Perù e il Vicereame della nuova Spagna. Più tardi sarebbe
arrivato anche il Vicereame del Rio de la Plata, zona che oggi corrisponde all’Argentina e
l’Uruguay.

Come controllare questi territori? La Spagna imprime su quei territori il proprio dominio
riproducendo tutte le proprie dinamiche, tra cui troviamo encomienda→ meccanismo
organizzativo che prevedeva l’affidamento ad un signore l’affidamento di un territorio in
cambio di una sorta di in cambio di fedeltà e protezione

Descrizione del territorio che Colombo scoprì


Altro messaggio importante di Colombo è la descrizione del territorio che vide. Anche in
questo caso si produce un meccanismo di incapacità gnoseologica-conoscitiva.

Tale descrizione la ritroviamo soprattutto nel diario del 3° viaggio (datato tra il 1498 e il
1500) dove Colombo scrive “Ho sempre letto che il mondo, terra e acqua,era
sferico nei passi dei dotti e nelle esperienze che Tolomeo e tanti altri ne
scrissero…Ma ora, come ho detto, ho visto tanta disconformità”
Il meccanismo è lo stesso della lettera precedente: non dice cosa vede ma cosa ha sempre
letto prima di vedere e tutto ciò che sta guardando in quel momento non corrisponde con ciò
che ha sempre letto, quasi come se stesse dicendo che di libri ne ha letti molti ma in
nessuno dei libri letti c’era qualcosa di buono, di utile.

Ma allora cosa sta vedendo Colombo? A tale domanda non risponderà mai o meglio dice
sempre cosa non vede e mai cosa vede. Ha notato una disconformità e perciò si è fatto
quest’opinione sul mondo→ cioè sta cercando di capire determinate cose che non capisce→
ha le idee confuse e lo dice. Colombo si rende conto che la terra non è proprio sferica, ma
più paragonabile ad una pera il cui picciolo è la parte più vicina al cielo che si possa vedere.
Quindi trasforma la presunta sfericità della terra in una pera il cui picciolo si avvicina al
centro.
La cosa più importante per capire il potere conoscitivo della sua testimonianza è: si trova
alla foce del fiume Orinoco, così bella da paragonare a ciò che ha letto nelle scritture e a
cui è abituato a pensare come Paradiso terrestre e l’acqua che vede in questa specie di lago
che si va a formare alla foce del fiume equivale alla descrizione che ha ricevuto di
quell’acqua lì→ rimanda alla fonte biblica. Rivolgendosi agli europei, afferma che sapevano
già tutto di questa cosa, scritta nelle Sacre Scritture, solo che non l’avevano capita bene
cioè non avevano capito che la terra da lui scoperta somiglia al Paradiso terrestre. Il
procedimento mentale che sta facendo è: nell’osservare non mi stupisco di fronte alla
scoperta del nuovo, ma cerco la conferma di quello che già so. Colombo arriva alla
conclusione che sulla sommità del monte che vede c’è il Paradiso terrestre e che il monte,
avvicinando il Paradiso terrestre al cielo, abbia tutte le sembianze di quello che i cristiani
reputano essere il Purgatorio. In questa ricostruzione del diario del 3° viaggio, Colombo è
condizionato dalla lettura che aveva fatto di un testo(oltre alle Sacre Scritture) che aveva
anche una certa importanza/popolarità nel 400 che continua anche nei giorni nostri cioè la
descrizione del cosmo che Dante aveva realizzato nella Divina Commedia.

8 MARZO ✅
Abbiamo visto, nella lezione precedente, che se volessimo utilizzare ciò che Colombo ha
scritto nella 1° lettera o nel diario del 3° viaggio per conoscere il mondo inca o azteco,
andremmo a sbattere inevitabilmente contro un ostacolo invalicabile perché quelle fonti non
ci dicono nulla del mondo che Colombo scopre. Abbiamo anche visto che questo non
significa che devono essere cestinate, ma bisogna cambiare la natura della domanda→non
dobbiamo chiedere alle fonti di dirci qualcosa sul mondo scoperto, ma dirci qualcosa sul
mondo dei conquistatori (=la stessa Europa). È fin troppo evidente che Colombo stia
parlando all’Europa usando le priorità degli europei e stia facendo in modo che l’Europa si
guardi allo specchio e che scopra le sue gerarchie culturali e i suoi valori. Cosa tira in ballo
Colombo? Le capacità militari dei nativi evidenziando in realtà le capacità militari degli
europei, che sono differenti da quelle dei nativi →in altre parole, sta comunicando agli
europei la presenza di una possibile vittoria militare facile; non sta comunicando nulla sulla
religione dei nativi, bensì sta comunicando qualcosa sulla religione degli europei e sulla
possibilità di un evangelizzazione facile; non sta comunicando nulla sull’economia dei nativi
che, anzi, non sanno il valore delle cose e le scambiano in maniera facile ma sta
comunicando agli europei le possibilità di un commercio fruttuoso e semplice.
Infine si rivolge ad un presunto costume dei nativi, inteso come identità culturale: vestono in
un certo modo, praticano la religione in un certo modo, sono soprattutto organizzati
socialmente in un certo modo e arriva addirittura a congetturare sulla presenza di mostri,
sirene, creature soprannaturali, cannibali, senza pensare che anche in quel caso si sta
rivolgendo agli europei evidenziando piccole o grandi differenze che dovrebbero marcare
non tanto l’identità dei nativi quanto l’identità europea stessa→attraverso ciò che scrive
Colombo l’Europa si sta guardando allo specchio.

Colombo da una descrizione della foce dell’Orinoco molto simile al Paradiso terrestre. Il
meccanismo mentale che porta avanti è semplice: non si pone nei confronti dell’ignoto come
chi vuole capire qualcosa di diverso rispetto a ciò che è gia nel suo apparato mentale e
cognitivo, bensì si pone nei confronti dell’ignoto alla ricerca di conferme su ciò che già crede
di sapere. Fa innanzitutto riferimento a ciò che ha letto e ascoltato, nella vita precedente al
viaggio di esplorazione: le Sacre Scritture, le interpretazioni delle Sacre Scritture,
alimentandosi di storie.
Quali sono i cicli narrativi che circolano nel mondo di Colombo? Nel Medioevo la narrazione
aveva una sua ciclicità e una sua serialità, come la ha anche oggi: oggi abbiamo grandi cicli
narrativi che ci vengono proposti dal cinema, dalla televisione, dall’editoria, dai fumetti.
Questi cicli narrativi molto spesso si identificano con il nome dei protagonisti, con un
universo che accoglie questi protagonisti o semplicemente si riassumono in un brand (es: su
Netflix la serie tv, ora tanto in voga, “Mercoledì” che fa parte del brand della famiglia
Addams)
Cosa succedeva nei secoli che precedono l’età moderna, periodo storico che arriva fino a
Colombo? Accadeva la stessa cosa, cioè abbiamo cicli narrativi che si diffondevano
attraverso diversi mezzi di comunicazione.
Quando parliamo di cicli narrativi medievali, facciamo riferimento a 2 grandi universi
narrativi:
1.il ciclo arturiano;
2.il ciclo carolingio: il re Artù, i cavalieri della tavola rotonda e le avventure di Carlo Magno.
Esiste però anche un 3° ciclo narrativo che sopravvive dall’antichità: il ciclo omerico,
fondato sulle narrazioni proposte nell’Iliade e l’Odissea.
Come si sviluppano questi cicli narrativi? Di volta in volta abbiamo vari interventi che non
sempre sono ben identificabili nel ciclo narrativo e questi interventi ne modificano le
traiettorie. Parliamo,perciò, di materiali narrativi che si trasformano e si espandono
continuamente nel tempo, nello spazio e anche da un punto di vista qualitativo. Il ciclo
narrativo da vita allo sviluppo di curiosità e ad una cultura partecipativa in cui il pubblico
non è da intendersi come una platea passiva di ricettori ma un’entità mobile, metamorfica,
che interviene all’interno della storia con una partecipazione diretta quindi diventa anche
protagonista della diffusione attraverso la sua voce, i suoi gesti,le sue parole, la scrittura
(anche se patrimonio di una minoranza della popolazione, non è necessario avere un alto
grado di dimestichezza con la scrittura per partecipare alla costruzione e alla trasformazione
di queste narrazioni), le sue curiosità e le sue domande che riguardavano le avventure del re
Artù e i cavalieri della tavola rotonda, il ciclo carolingio e il ciclo omerico.
Alcune di queste domande si concentrano sul destino di un personaggio che aveva attratto
molte simpatie e antipatie, ad esempio Ulisse.
Cosa raccontano i poemi omerici di Ulisse? Raccontano la sua partecipazione alla guerra
di Troia e il ritorno a Itaca dopo un lungo e faticoso viaggio. Restano aperte alcune
domande sulla sua morte chiarite da Dante Alighieri nel 26° canto dell’Inferno. Dante
diventa testimone e intervistatore d’eccezione di personaggi che incontra durante il suo
tragitto e che diventano i destinatari delle sue domande e delle sue curiosità. Le sue
curiosità, però, sono le curiosità di un'intera società o di un intero pubblico che vuole sapere
da Francesca da Rimini e Paolo Malatesta quali sono state le dinamiche precise che li
hanno condotti a una morte violenta (canto V), o da Pier delle Vigne quali sono le
dinamiche precise che lo hanno condotto ad una scelta estrema come quella del suicidio
(canto XII), o da Ulisse quali sono le dinamiche che lo hanno condotto alla morte. Questo
elenco di personaggi ha qualcosa di “illogico” al suo interno: i 4 personaggi citati sono tra di
loro diversi in primis per l’appartenenza a epoche diverse ma anche perché noi riusciamo a
percepire la concretezza, la storicità, del personaggio Francesca, Paolo e Pier delle Vigne
mentre riteniamo che Ulisse sia un prodotto della fantasia letteraria della civiltà→ Paolo,
Francesca e Pier delle Vigne= personaggi storici; Ulisse=personaggio di finzione, anche se
la guerra di Troia è stata realmente combattuta.
Questa distinzione è frutto della nostra cultura ed è un risultato della possibilità di usare i
nostri strumenti interpretativi ma al tempo di Dante e di Colombo questa distinzione non era
così netta, anzi si aveva la percezione di un fluire unico del tempo storico, tutto proiettato
verso una meta provvidenziale, cioè la salvezza →la storia umana era intesa essere una
storia proiettata verso il ritorno del messia in terra per portare gli uomini fuori dal peccato
definitivamente.

Quando questa lettura di un unico fluire storico comincia ad essere faticosamente intaccata?
Alla fine del 300, grazie al diffondersi graduale e faticoso della cultura umanistica. Il primo
umanista per eccellenza è Francesco Petrarca, diverso dagli altri per l’atteggiamento verso
il testo classico: riporta il testo classico all'interno del contesto storico di riferimento. I
testi classici al tempo di Dante e prima di Dante erano già conosciuti però il problema è che
il testo classico aveva la precisa funzione di dare gli strumenti linguistici per accedere a una
corretta interpretazione del testo sacro. Perciò Virgilio, Cicerone, Seneca, Quintiliano, sono
tutti all’interno di un unico calderone che si va a studiare e a sviscerare per poter avere gli
strumenti linguistici per entrare all’interno di un’altra tradizione. Perciò al tempo di Dante non
è neanche importante capire chi viene prima e chi viene dopo. La differenza marcata da
Petrarca sta nell’iniziare a mettere in fila queste cose, nell’iniziare a dire “queste cose vanno
interpretate come importanti e funzionali nell’epoca in cui sono state prodotti”.
Virgilio sarà la guida di Dante nel tragitto nell’Inferno e nel Purgatorio. Vive nel I secolo
a.C, durante il regno di Ottaviano, e ha anche delle caratteristiche particolari in quanto
scrittore, uomo politico del suo tempo, imprenditore, proprietario terriero. È importante
sapere che durante l’epoca di Dante, Virgilio deve la sua fama in particolare alla 4° bucolica
contenente una profezia che parlava dell’imminente nascita di un puer che avrebbe salvato
l’umanità, portandola fuori dalle tenebre. Virgilio voleva così rendere omaggio ad Ottaviano
Augusto che gli aveva consentito di salvare le sue terre nel mantovano. Nel corso del
Medioevo, questa profezia fu interpretata come una prefigurazione della nascita di Cristo ed
è la ragione per la quale Virgilio si guadagnò attraverso i secoli la fama di mago. Se
pensiamo all’apparizione di Virgilio nel 1° canto dell’Inferno troviamo una dimensione
magico-onirica di un personaggio che appare a salvare Dante che si sta smarrendo,
indicandogli la strada per iniziare il suo viaggio.
Se pensiamo ai diversi livelli di lettura della Divina Commedia, potremmo dire che è chiaro
che Dante sta parlando in modo allegorico e quindi si sta rivolge ad un pubblico a cui sta
destinando un messaggio di carattere didattico-pedagogico e soprattutto un pubblico che
probabilmente non legge la sua opera ma ascolta: la “Divina Commedia” è fatta per essere
ascoltata, non per essere letta. Questo pubblico che ascolta quindi ha un diverso livello di
percezione, una diversa concezione della storia e del fluire storico, e una diversa capacità di
collocare singole immagini e figure in questo fluire storico dove Francesca, Paola, Pier delle
Vigne e Ulisse occupano posizioni che sono simili tra loro →fanno parte tutte di un unicum
inscindibile. Lo stesso concetto di Medioevo, come età di mezzo, nasce nell’epoca che
separa Petrarca da Colombo, dalla fine del 300 alla fine del 400, la percezione di essere nati
in un contesto nuovo rispetto a ciò che c’era stato prima e la percezione soprattutto
dell’esistenza nel bel mezzo del fluire storico tra l’antichità romana e il presente di un’epoca
a sé stante, caratterizzata da alcune priorità diverse da quelle del presente e del passato
remoto.
Ulisse è un Ulisse che dice a Dante qualcosa di clamoroso che incontra la curiosità di un
intero mondo e che risponde alla domanda ossessiva che accompagnava quel mondo sulla
sua morte, cioè come sei morto. Perciò Ulisse racconta qualcosa: racconta di aver superato
le colonne d’Ercole, di aver viaggiato verso l’Occidente, di essersi messo alla ricerca
dell’ignoto, di aver superato un limite considerato dall’umanità invalicabile e di aver girato a
sinistra →non è andato dritto ma è andato verso sud: ha cioè attraversato lo stretto di
Gibilterra e non è andato verso quelli che conosciamo essere come gli Stati Uniti ma è
andato al di sotto dell’Equatore. Dopo di ciò racconta di aver visto qualcosa: una montagna
enorme, scura, buia, che poteva essere scalata e ha immaginato che sopra questa
montagna ci fosse il Paradiso terrestre. Questa descrizione rimanda alla descrizione di
Colombo. Quanto Colombo si sente anche Ulisse? Colombo sente la necessità di
aggiornare la conoscenza che Ulisse aveva costruito anche attraverso l’operazione letteraria
di Dante, viaggia nella stessa direzione, approda da qualche parte, dove incontra qualcosa
di simile. Ma l’esito è diverso perché nel momento in cui intravede quella meta, vede il
mare ribellarsi contro se stesso ed è costretto a soccombere insieme a tutto il suo
equipaggio, cioè insieme a tutte quelle persone che lui stesso aveva tentato di incoraggiare.
Quanto di desiderio di conoscitivo c’è nel viaggio di Dante e di Ulisse e quanto di conoscitivo
c’è nel viaggio di Ulisse? Mentre il desiderio di conoscenza di Ulisse all’interno del sistema
di pensiero di Dante è considerato come un atto di imperdonabile presunzione, nel caso di
Colombo l’atto arriva a costruire una nuova conoscenza, non fondata sul capovolgimento
delle conoscenze preesistenti ma sulla correzione di queste stesse conoscenze cioè
Colombo non stravolge nulla quando parla di Paradiso terrestre anzi vede nella realtà che si
ritrova davanti la conferma parziale di ciò che già pensava di sapere, cioè si mette con la
sua immaginazione all’interno di un ciclo narrativo, lo corregge dimostrandosi portatore di un
impulso partecipativo. Quindi parla ad una civiltà, ad un mondo e all’immaginario di quel
mondo.

Cos'è una fanfiction? Opera scritta dai fan che prendono spunto dalla storia e dai personaggi
di un’opera reale, ma con un finale diverso. Quindi è un’operazione di carattere partecipativo
attraverso cui il fan entra in un universo narrativo codificato da altri e sulla base dell’utilizzo
di uno o più personaggi che fanno parte di quell’universo narrativo, costruisce il suo
segmento di storia. Questo significa che si prende un personaggio dalla storia e si fa vivere
a questi una parte di storia assente all’interno di quella narrazione lì. Il problema è che
anche la fanfiction si confronta con un pubblico e viene giudicata a seconda di come la
creatività dell’autore ha agito all’interno di quell'universo narrativo e a seconda di quanto
l’autore ha rispettato alcune caratteristiche che all’interno di quell’universo narrativo già
c’erano. Allora, un universo narrativo ha le sue regole e la sua cosmologia: ad esempio, la
fanfiction costruita su Hermione, personaggio di Harry Potter, la immaginava di carnagione
scura,capovolgendo quella che si riteneva una regola intoccabile e causando l’indignazione
di molti. Il nodo è capire come si dialoga con un universo culturale noto e come in
quell’universo culturale si introducono delle novità che, per quanto slegate rispetto alla realtà
storica, avevano delle conseguenze storicamente concrete: la descrizione di Colombo
cambia la realtà del tempo, spingendo mercanti, artigiani, a cambiare vita. Un'informazione
che viene data non serve a descrivere solo la realtà, nel caso di Colombo non ci viene
descritta nessuna realtà ed è chiaro che Colombo non ha visto il Paradiso, anche se molti
hanno creduto che lui l'abbia visto. Quindi sulla base della fede prestata a questo tipo di
messaggio, hanno poi deciso di fare qualcosa, cambiando la storia, mettendosi in viaggio a
loro volta rischiando la propria vita e andando a portare la loro opera in un territorio
sconosciuto.

Cosa è accaduto negli altri? Comprendere quello che è accaduto agli altri è ancora più
arduo e nel farlo ci scontriamo con un silenzio talvolta irrisolvibile, che sembra essere un
ostacolo invalicabile. La domanda che ci dobbiamo porre è complicata da risolvere ma
dobbiamo provare a dare una risposta: nel giro di pochi decenni, intere civiltà (in particolare
quella inca e azteca) collassano→ ridursi al nulla, all’assoluta irrilevanza, subire
perdite pesantissime, in virtù del contatto avuto con poche centinaia di spagnoli→ da un
lato milioni di persone milioni e milioni di persone politicamente organizzate, ben
gerarchizzate, con una tradizione secolare se non millenaria alle spalle e dall’altro pochi
conquistatori spagnoli. Come è possibile che milioni di persone arrivino a soccombere, da
tutti i punti di vista?
Le ragioni di questo collasso sono complesse e hanno a che fare con una serie di concause,
studiate da intellettuali impegnati in vari campi e discipline. Uno di questi è stato Cvetan
Todorov che ha scritto “La scoperta dell’America”. Egli si concentra sul rapporto
comunicativo che si stabilisce tra conquistatori e conquistati, spiegando come da un punto di
vista comunicativo innanzitutto gli spagnoli siano riusciti a dominare i nativi, a imporre il
proprio idioma/la propria capacità di descrivere la realtà, a far credere all’altro delle cose
impossibili da recepire. Un altro è stato Nathan Wachtel che ha scritto “La visione dei vinti”
e ha provato a mettersi dalla parte dell’altro, gli inca e gli aztechi, per capire cosa è
successo. Sembra facile ma non lo è perché quando si fa un’operazione di questo tipo,
bisogna avere fonti su cui appoggiarsi e se gli europei scrivevano lettere, diari, memorie, gli
altri non scrivono allo stesso modo, le loro rappresentazioni sono molto molto rare o
addirittura inesistenti. Perciò ciò che si può fare è provare a capire il comportamento degli
altri, attraverso descrizioni che non gli appartengono. In questo caso ci troviamo di fronte ad
uno sforzo di comprensione che deve partire dallo sguardo del conquistatore sul
conquistato, senza avere la garanzia della presenza di quello stesso sforzo di
comprensione. Allora proviamo comunque a comprendere attraverso queste immagini filtrate
cosa è successo in queste popolazioni e abbiamo osservato alcune concause: nella prima
lettera, Colombo aveva puntato l’attenzione sulle armi per dire che erano facilmente
conquistabili. In realtà l’impatto sui nativi delle tecnologie militari europee è ancora più
devastante, perché in virtù di alcune convenzioni religiose sedimentate all'interno del
patrimonio culturale di quelle popolazioni, non si riusciva nemmeno a comprendere la
distinzione tra animale, essere umano e arma nell’immagine del soldato a cavallo armato.
Questo significa che si percepisce quell’immagine come un’unica entità, di carattere
soprannaturale → un mostro arrivato dal cielo che sta li per terminarti, distruggerti e punirti.
Allora un conto è avere la percezione che l’essere umano deve confrontarsi con un altro
essere umano, altro conto è trovarsi di fronte un'entità della quale non si conosce l’origine e
che pensiamo essere soprannaturale. Il non saper distinguere scaturisce la paura (Colombo
nella 1° lettera afferma che lui e il suo equipaggio furono scambiati per degli dei). C’è
un’altra questione vicina a noi: nei secoli precedenti, gli europei erano stati a contatto con gli
asiatici e gli africani attraverso viaggi via terra. Questo significa anche, attraverso il tempo,
progressivamente e gradualmente gli agenti patogeni, cioè contatto dopo contatto contagi
qualcuno ma sviluppi anche gli anticorpi. Questo scambio euro-africano/asiatico che c’era
stato non aveva interessato in maniera significativa il continente americano, perché c’erano
stati forse contatti precedenti a Colombo ma irrilevanti e nel momento in cui gli europei
toccano quel mondo, si portano dietro l’eredità di uno scambio plurisecolare di agenti
patogeni e anticorpi, ma vanno a catapultare il patrimonio su una popolazione che non
aveva niente di tutto quello. La conseguenza più o meno immediata, che nei secoli diventa
devastante, è la seguente: queste popolazioni iniziano ad ammalarsi e a morire, senza
neanche capirne le ragioni. Sono loro a morire e non gli altri. Pensiamo a come questo
possa essere interpretato all'interno di una cultura che già non distingue il soldato dal cavallo
e dall’arma ma percepiva un’unica immagine, cioè quella di un mostro. Di conseguenza si
ammalano, muoiono e c’è qualcuno che li sta punendo cioè qualcuno che mi sta dando il
benservito per quello che ho fatto. Lo stesso meccanismo è quello di Colombo:cerco
all'interno del mio patrimonio culturale le ragioni che mi possono portare a spiegare l’evento
traumatico che mi sta interessando. Se il meccanismo è lo stesso, l’esito è diverso perché
se Colombo in questa ricerca trova tutte le spiegazioni tranquillizzanti che abbiamo visto,
queste popolazioni invece vanno a costruire l’immagine di una punizione ritenendo di
trovarsi nell’epoca dell’apocalisse, di star subendo qualcosa che aspettavano da secoli e
secoli e che, in quanto, arrivata si è giunti al capolinea.

A questo tipo di fenomeno, che Todorov ha definito “paralisi cognitiva”, dovremmo essere
del tutto estranei anche se in realtà non lo siamo perché se guardiamo la nostra reazione in
quanto esseri umani al trauma, riusciamo a tirare fuori suggestioni che sono
insospettabilmente utili. Ad esempio: all’inizio dello scoppio della pandemia, per capire
quello che stava accadendo, ci siamo rivolti ai virologi che improvvisamente sono diventati
famosi e hanno iniziato a pervadere la nostra vita perché abbiamo posto loro domande a cui
non abbiamo avuto una risposta, o meglio non abbiamo avuto la risposta che cercavamo→
pensavamo di trovare una soluzione che non è arrivata, qualcosa non tornava,e abbiamo
dovuto ristrutturare in maniera profonda il rapporto con la scienza. Questo perché quello che
abbiamo capito è che anche la scienza non può darci delle risposte ma solo delle indicazioni
di massima, su cui dobbiamo comunque operare delle scelte politiche. Cosa è successo?
Siamo andati incontro ad una paralisi cognitiva che ha avuto conseguenze disastrose. E’
altrettanto interessante che nel giro di 3 anni abbiamo dimenticato tutto, abbiamo avuto degli
imbarazzi enormi anche da un punto di vista statistico perché ci siamo accartocciati su una
statistica che riguardava i contagi, i contagiati, coloro che sono morti con il covid, abbiamo
iniziato ad avere dei dubbi e a fare perciò delle osservazioni molto molto ciniche,
agghiaccianti per alcuni versi. Abbiamo però dimenticato di fare la statistica più importante,
aspetto su cui è importante insistere per capire quale è stata la conseguenza sul piano della
mortalità a causa delle epidemie causate da quello che gli studiosi hanno definito
"columbian exchange" = “scambio colombiano” →scambio di materie prime, cibo,
materie prime ma anche agenti patogeni. La statistica che abbiamo dimenticato di fare ma
che è la più importante è quella complessiva sulla mortalità nel nostro paese e negli altri
paesi: prendiamo l’anno solare 2020 e l’anno solare 2021, aldilà del fatto che ci sono stati
contagiati, morti a causa del contagio o morti per altre cause, ogni anno normalmente in
Italia muoiono circa 650.000 persone. Nel 2020/2021 sono morte circa 200.000 persone in
più(circa il 14% della popolazione, quindi se in epoche normali ogni settimana morivano 100
persone, durante il 20/21 ne sono morte 114). Se moltiplichiamo questa cifra, cercando di
capire in proporzione quanta gente è morta negli altri paesi, ci troveremo di fronte ad una
catastrofe epocale. Dai nostri volti, non sembriamo reduci di questa cosa ma sembriamo dei
rimbambiti. A seguito dell’impatto colombiano, circa 9/12 milioni sono morte cioè nel giro di 1
secolo (dalla fine del 400 alla fine del 500) circa l’80%/90% della popolazione (8 persone su
10, o addirittura 9 persone su 10). Quindi un’intera civiltà è stata rasa al suolo in virtù delle
conseguenze dell’impatto militare, del dominio culturale spagnolo, e dell’impatto epidemico
generato dagli agenti patogeni.
Uno studioso, che inizialmente faceva l’ornitologo e il biologo, Jared Diamond ha provato a
riassumere queste conseguenze in un unico libro intitolato "Collasso".Ha scritto anche altri
libri, come: “Crisi” e “Armi, acciaio e malattie”. Il suo obiettivo era capire le cause che hanno
messo in ginocchio un'intera civiltà.

Cosa ci dicono le fonti su questo impatto?


Andiamo all’interno del diario scritto da Diaz del Castillo nel corso del 500, completato per
la prima volta negli anni 60 del 500. Tale diario ci porta nel cuore del regno azteco e al
cospetto di personaggi chiave per l’impero azteco, in particolare al cospetto di colui che gli
aztechi ritenevano essere non solo il loro condottiero ma Dio sceso in terra, perché siamo di
fronte a un sistema teocratico→hi è scelto per governare, è stato mandato da Dio. Anche in
Europa si era di fronte a delle teocrazie.

Queste parole ci fanno capire cosa intendeva Todorov per “paralisi cognitiva”. Il nodo non è
che gli spagnoli stiano attaccando violentemente, ma le popolazioni autoctone non stanno
più combattendo, non trovano più la forza di reagire e di combattere perché ritengono che
ciò che sta accadendo è ciò che deve accadere. Abbracciano un senso di rassegnazione,
accettando tutto passivamente e non pensano a come trovare una soluzione.
Ovviamente un popolo che vive all’interno di una teocrazia è un popolo che chiede al suo
condottiero delle risposte, cosa fare, visto che lui è Dio sceso in terra. Il suo ruolo è quello di
parlare con gli dei e riferire al popolo quello che gli dei gli dicono. La risposta che porta
Montezuma è che ha interrogato gli dei ma loro non gli hanno risposto.

“A tutti gli altri vassalli riuniti Montezuma tenne un discorso”


La parola “vassalli” viene usata dall’autore per farci credere che lì trova un sistema tipico
europeo, cioè descrive gli altri con la sua terminologia, attraverso il suo modo di vedere le
cose perché è chiaro che lì non esistono vassalli che,invece, fanno parte del sistema feudale
europeo.

Disse dunque che già molti anni prima i suoi antenati avevano predetto
che un giorno sarebbero venuti da levante dei forestieri a dominare il
paese, e il regno di Messico avrebbe così avuto fine”
Montezuma dovrebbe tranquillizzare il suo popolo ma dice che suo nonno gli aveva già detto
che sarebbe arrivato qualcuno per mettere fine alla storia del Messico. Questo qualcuno
forse era già arrivato.

“Ora egli era convinto che quei forestieri fossimo proprio noi; la sua
convinzione veniva da ciò che avevano detto gli dei”
Gli dei gli avevano confermato la sua convinzione. Colombo, quando descrive il Paradiso
terrestre, fa esattamente lo stesso procedimento: cerca conferma di quello che vede nel suo
patrimonio culturale ma trova una risposta completamente diversa→ una risposta
tranquillizzante e capace di stimolare lo slancio espansivo degli europei; Montezuma,invece,
dice che è arrivata ormai la fine, non si può fare nulla, perché è il destino che si sta
realizzando

“I suoi preti avevano consultato il dio della guerra


Anche in questo caso si riproduce il meccanismo dei vassalli: ci sono i vassalli e i preti.
Ovviamente stanno riproducendo, attraverso codici linguistici ben conosciuti, qualcosa che
sta aldilà ma che si propone simile aldiqua cioè descrivere il mondo altro con la terminologia
degli europei.
offrendogli sacrifici, ma non aveva più ottenuto consiglio, al massimo il
dio della guerra aveva confermato le sue risposte precedenti e aveva
chiesto di non importunarlo più. Bisognava quindi giurare obbedienza
al re di Castiglia.»
Montezuma dice di aver parlato con coloro che stanno sempre in contatto con il dio della
guerra, ma questi non ne voleva più sapere avendo già detto abbastanza. Ad un certo
punto, Montezuma prende la parola dicendo al popolo di “pagare il tributo come segno di
vassallaggio”: ecco come gli aztechi si arrendono su richiesta del loro condottiero. Il
cronista, avendo esaurito il discorso di Montezuma, riprende la parola descrivendo il volto di
Montezuma che ,insieme agli altri che si erano ormai rassegnati, inizia a piangere perché si
era giunti al capolinea. Vediamo, dunque, che colui che si riteneva come Dio sceso in
terra non ha più nulla da dire e inizia a piangere.
Gli spagnoli dicono che quelli giurarono loro obbedienza: gli spagnoli vedono il nemico
arrendersi, un nemico che non combatte.

A codificare, sul piano della metodologia, l’importanza del rapporto con l’altro per la
definizione della propria identità è stato un comparatista: Edward Said che, tra la fine degli
anni 70 e gli inizi degli anni 80, scrisse “orientalismo”. Questo testo lascia comprendere
l’importanza dell’osservazione dell’altro come specchio:i nativi del mondo con il quale
Colombo e gli altri conquistatori si incontrarono furono uno specchio per gli europei, perché
consentirono loro di riconoscersi. Sicuramente, però, con ogni probabilità anche gli europei
sono stati uno specchio per i nativi americani. Montezuma utilizza l’altro come specchio per
rivelare a se stesso e al suo popolo qualcosa che fa parte della spina dorsale di quella
cultura, solo che ad un certo punto quella spina dorsale si spezza.

Costruzione dello stato moderno


Quando parliamo di età moderna, in relazione al presente, in tutti i manuali ci confrontiamo
con il concetto di nascita e rafforzamento dello stato moderno. Allora, quello che potrebbe
apparire dalla lettura di questi testi è che tra 400 e 500, improvvisamente, qualcuno in
Europa dice: “ora faccio lo Stato moderno”
In realtà cosa succede? Si va a rappresentare un faticoso processo di ricomposizione
territoriale e di superamento dei particolarismi politico, amministrativo, economico,
religioso-culturali. Il particolarismo è la tendenza, che si ritiene essere consolidata
nell’universo medievale e nei secoli riconosciuti come epoca medievale, a
riconoscere, controllare, un territorio secondo i criteri che sono propri solo di quel
territorio. Tale tendenza porta a non accettare, su scale più ampie, leggi e regole condivise,
tendenza a non riconoscere l’autorità del sovrano come autorità che accomuna diversi
territori e a rendere conto delle proprie iniziative e disgrazie non tanto al sovrano, quanto a
qualcuno che più da vicino ci controlla. Chi può essere questo qualcuno? Può essere il
signore locale, il nobile locale, il vescovo, un’autorità religiosa ma in generale colui che
controlla le autorità locali senza dar conto all’autorità più alta del re, che quindi viene
percepita lontana, incapace di incidere sulla vita delle persone. Allora, molto spesso,
quando si parla di “costruzione dello Stato moderno” ci si dovrebbe mettere nei panni di un
contadino e capire a chi questi davano conto delle proprie azioni, percepivano la presenza di
un'autorità sovrana? Percepivano la presenza di un potere centrale capace di incidere sulle
loro vite e, nel caso del contadino, di incidere sulla coltivazione, sulla sopravvivenza,
sull'autoconsumo, sul piccolo consumo e sulla possibilità di destinare i propri prodotti agli
altri mercati? Questa presenza non è percepita e perciò si dà conto per criteri di possibilità a
chi ti controlla da vicino. Soprattutto, quando l’autorità sovrana diventa importante? Diventa
importante e viene riconosciuta come tale quando è capace di assicurarti una forma di
protezione contro le aggressioni esterne cioè quando è capace di proteggerti
militarmente. Anche in questo caso, nel corso del Medioevo, anche la protezione militare è
assicurata dalla prossimità e non dall’autorità centrale: se voglio che qualcuno mi consenta
di non essere aggredito dai pirati o dai corsari, non mi rivolgo al re ma al mio signore
territoriale, all’autorità religiosa più vicina o all’abate del convento più vicino perché so che il
re non può proteggermi. Possiamo perciò verosimilmente immaginare che da un decennio
all’altro, o addirittura da un secolo all’altro, questa tendenza scompaia? No, probabilmente
non scompare per tutta l’età moderna. Ciò nonostante, gli studiosi hanno provato a dirci
delle cose per poter individuare delle tendenze che fanno sì che si possa vedere qualcosa di
simile alla prefigurazione di un’organizzazione statale, paragonabile alla nostra.

Quando è nato il principio della costruzione di un potere altro che, impersonalmente, domina
sulla vita delle persone? Cioè quando è nato quel qualcuno che, indipendentemente dal
rapporto di fedeltà personale, mi protegge? Quando è nato colui che mi protegge non in
quanto protettore, ma in quanto re, sovrano? Abbiamo visto che, per descrivere il rapporto
tra Montezuma e i sudditi, Diaz usa il termine “vassallo”. Il vassallo, però, è tale perché è
legato al suo signore da un rapporto di fedeltà personale: tu mi proteggi perché io ti giuro
fedeltà, c’è un rapporto di carattere diretto. Invece, si può essere sudditi di un re anche
senza mai averlo visto, incontrato, nella vita. Questo è parte della costruzione di uno stato
inteso come entità altra, cioè uno stato capace di emanciparsi dai rapporti di fedeltà
personale che ci sono nella società.

Come è avvenuto tutto ciò? Forse non è neanche avvenuto ma possiamo dire che sarebbe
potuto avvenire attraverso un processo di acquisizione del controllo della violenza da parte
dei sovrani. Come si acquista il controllo della violenza? Pian piano avendo i mezzi
economici che ti permettono di mettere insieme un corpo armato che si può percepire come
esercito permanente cioè bisogna avere dei soldati che obbediscono, non sulla base della
fedeltà personale, ma per la retribuzione che possono ricevere in quanto soldati. Esistono
soldati dipendenti dello Stato, del sovrano. All’interno di un feudo, invece, il corpo militare si
mette insieme grazie al fatto che i vassalli assicurano al signore una porzione di corpo
armato, legato da rapporti personali→è un esercito occasionale. Lo stato moderno, invece, è
dotato di un esercito permanente, pronto a proteggere l’intero corpo di sudditi(attenzione al
fatto che non parliamo né di “collettività” né di “cittadini” perché si potrà parlare di cittadini
solo a partire dalla Rivoluzione francese, momento di rottura che trasforma il suddito in
cittadino).
Basta l’esercito per essere stato? No. Per poter essere entità alta, capace di imporre le
proprie direttive, ho bisogno che anche gli altri stati e le altre monarchie mi riconoscano
come tale, quindi non solo che i sudditi mi riconoscono come tale.
Come si stabiliscono le relazioni tra un potere e l’altro? Ancora oggi ci si affida ai corpi
diplomatici e, quindi, già in età moderna i sovrani si dotano di funzionari che devono
occuparsi di rappresentarli presso le altre corti e presso le altre entità sovrane. Allora
accanto all’esercito permanente, avanza la diplomazia permanente cioè la presenza di un
corpo diplomatico che deve fare in modo che il sovrano venga riconosciuto come tale non
solo dai suoi sudditi, ma anche dai suoi pari. Questo però non basta perché emanciparsi dal
rapporto personale significa anche materialmente controllare il territorio. Per farlo, bisogna
esercitare varie funzioni: la funzione di polizia, la funzione di giustizia. Per poter svolgere
queste funzioni c’è bisogno di funzionari, cioè qualcuno che per conto del sovrano svolga dei
ruoli, indipendentemente dal rapporto personale che li lega. Allora un conto è avere un
giudice sul territorio, qualcuno che si occupa di giustizia e di repressione del crimine legato
da un rapporto di fedeltà, altro conto è invece avere qualcuno che svolge il compito in
quanto membro di un apparato che deve fare quello cose li. Puoi quindi avere un giudice
che non conosci personalmente, qualcuno che svolge quel lavoro indipendentemente dal
fatto che tu lo abbia incaricato di fare quelle cose, un corpo intermedio.
Come si chiama quest’entità che ci sembra astratta e che ci riporta a qualcosa che esiste
ancora oggi? Si chiama burocrazia, cioè persone che svolgono dei ruoli intermedi e che
sono state riconosciute come tali in quei ruoli, a prescindere dal rapporto con la fonte
primaria del potere che non è più una persona ma un’entità astratta→il re conta in quanto re
(la monarchia inglese conta in quanto tale non in quanto Elisabetta II ,Carlo III o William che
verrà), in quanto istituzione. Questo è sinonimo di nascita di uno stato modernamente
inteso.

A codificare queste tendenze è stato anche un importante studioso italiano, Federico


Chabod, che affermò che se lo stato moderno ha delle caratteristiche distintive, queste
sono: esercito permanente, diplomazia permanente e burocrazia permanente.
Se di volta in volta cercassimo di trovare queste caratteristiche negli stati dell’età moderna,
ci troveremmo di fronte a una serie di contraddizioni immense e dinanzi ad un’inefficacia dei
modelli interpretativi, che ci servono in quanto modelli interpretativi, ma che di volta in volta
vanno a complicarsi perché si scontrano con una realtà diversa. Vedremo:
-in primo luogo che i particolarismi territoriali continuano a dominare e che queste monarchie
vogliono affermarsi in quanto monarchie e emanciparsi dai personaggi che di volta in volta le
rappresentano, ma si scontrano con una realtà che le lega a quelle personalità
-di volta in volta che le immagini dei diplomatici e dei burocrati non sono slegate dai rapporti
diretti con i sovrani, anzi alcune volte hanno anche rapporti fin troppo diretti, se non
addirittura simbiotici.
-addirittura che poteva accadere che alcune cariche pubbliche venivano vendute: il re,
dovendo fare, per costruire un esercito che gli permettesse di assicurare ai suoi sudditi una
protezione, vendeva una carica pubblica. Quando chi compra la carica muore, se lo stato
fosse slegato da rapporti di carattere particolaristico, succederebbe che quella carica
pubblica ritorni a disposizione del re che potrebbe venderla nuovamente. Ma questo non
avviene nel corso dell'età moderna perché chi compra la carica pubblica, pretende di farla
diventare ereditaria, quindi trasmetterla ai figli. Questo nasce come modo per rafforzare il
potere centrale, ma finisce per essere un meccanismo di indebolimento del potere centrale
perché le cosiddette cariche pubbliche comprate (“le cariche venali”) diventano un fattore di
dispersione→ le ho vendute per rafforzare il potere e ottenere un esercito permanente, ma
mi sono messo il nemico in casa cioè mi sono ritrovato ad affidare la carica pubblica a
qualcuno che non ha alcuna intenzione di abbandonarla, ma qualcuno che l'ha
patrimonializzata e l’ha fatta diventare un elemento di dispersione del potere.
Anche sul piano comunicativo, lo stato moderno è il frutto di uno sforzo realizzato dalle
corone ma di uno sforzo non sempre produce i risultati sperati. Lo stato moderno è una
tendenza che rimane nel libro dei sogni dei sovrani perché non diventerà mai concreto nella
prassi governativa dell’antico regime, resta un modello interpretativo che va sempre più
complicato.
Quando parliamo di guerre nel corso dell’età moderna, tendiamo a dire una cosa che a quel
tempo in realtà non esisteva. Ad esempio: diciamo che la guerra era stata
della Francia contro la Spagna, della Francia contro il Sacro Romano Impero o del Regno di
Napoli contro chissà chi. Questa definizione della guerra come guerra tra paesi è una
cavolata perché le guerre erano a loro volta patrimonializzate:quando pensiamo alla guerra
tra Francia e Spagna, in realtà, stiamo parlando di una guerra tra sovrani e quindi tra due
famiglie→ i Valois e gli Asburgo, due dinastie che volevano essere stati, volevano diventare
entità astratte e quindi slegate dalle persone che le rappresentavano, ma loro malgrado
continuavano ad essere dinastie. Condividevano anche le caratteristiche di uno stato
moderno ma vedono sempre più il loro ambito di controllo sgretolarsi tra le mani.

13 marzo ✅
Ritorniamo sulla differenza tra il concetto di stato e concetto di dinastia,
applicata soprattutto alle guerre: la prima metà del 500 è caratterizzata da un groviglio di
guerre, le cosiddette guerre d’Italia.

Le guerre d’Italia
L’Italia vera e propria al tempo ancora non esiste, se non come concetto nelle pagine di
Dante e Petrarca. Esiste una penisola italiana, un insieme di diversi di stati regionali che, in
virtù della loro debolezza militare,diplomatica, burocratica, vengono trasformati in terre di
conquista per poteri stranieri.
Quali sono i due grandi poteri stranieri che si contendono l’egemonia sull’Italia, nel primo
500? Sono la monarchia francese e quella spagnola. Spesso si tende a dire che le guerre
d’Italia siano generate dalla volontà della Spagna e della Francia di affermare la propria
egemonia sul territorio italiano. Dire ciò è errato, perché nel proporre questo tipo di concetto,
ci marchiamo di un peccato che spesso interessa anche gli storici della letteratura e tutti
coloro che si impegnano negli studi umanistici: compiamo un anacronismo—>
l’anacronismo legato all’idea che sono la Spagna e la Francia che si contendono il territorio
italiano, è pensare alla Spagna e alla Francia come due stati, nel senso moderno della
parola, totalmente piegati alla nostra idea di potere statale astratto. In realtà, però, a
contendersi il territorio italiano erano due dinastie: i Valois e gli Asburgo e la guerra non
era una guerra fra stati ma una guerra dinastica, una guerra tra famiglie. Il territorio, che
eventualmente veniva conquistato, veniva considerato a tutti gli effetti parte del patrimonio
familiare da dividere poi ai figli, agli eredi. Qual era l’obiettivo? L’obiettivo era accrescere il
prestigio della singola famiglia. Che la singola famiglia, nel controllo del suo territorio di
provenienza, ambisse ad essere considerata come famiglia a capo di un’entità astratta,
statale, è un altro paio di maniche—> è cioè uno sforzo che va in quella direzione, ma che
non riesce a realizzarsi in tutto e per tutto come sforzo capace di trasformarsi in progetto
politico(voglio essere tale, ma non è detto che io ci riesca, rimango pur sempre membro di
una dinastia che sta accrescendo il suo potere. Che quella dinastia voglia essere definita
come “Francia”, nel caso dei Valois , o “Spagna” nel caso degli Asburgo, è un problema, è
un tema ma non basta affinché possa avvenire sul serio l’identificazione come Spagna o
Francia).
Tutto questo si riflette, in maniera drammatica, anche sul discorso storico che oggi
applichiamo alla nostra terra e al contesto in cui viviamo: tutti conosciamo Caserta per la
sede di una reggia, di un palazzo reale, probabilmente il più grande dell’Europa dell’antico
regime, ma fu costruito verso la fine dell’età moderna, con l’intento di essere più grande
della più importante reggia esistente al tempo cioè la Reggia di Versailles, fatta costruire dai
Borboni di Francia. I Borboni di Napoli invece, che erano un ramo dei Borboni di Spagna,
vivevano con il desiderio di essere riconosciuti come dinastia capace di affermare il potere
sul Regno di Napoli (regno più grande del Sud Italia), per cui fanno costruire la Reggia di
Caserta come monumento, dell’architettura neoclassica, che voleva lasciare un segno di
riconoscibilità nel corso del 700.
Ma proprio sul Regno di Napoli, quando affrontiamo il discorso pubblico(storiografia intesa
come pratica quotidiana), applichiamo sempre lo stesso tipo di anacronismo di cui abbiamo
parlato prima: solitamente, per strada, sentiamo sempre dire “la nostra rovina è stata
Garibaldi” oppure “l’unità italiana è stata una truffa” oppure “prima si stava bene perché
eravamo ricchi; ora, invece, siamo finiti nella povertà”. Tutti questi discorsi sono fondati
sull’idea che, fino alla metà dell’800, il Regno di Napoli era uno dei più prosperi, produttivi,
potenti, dell’Europa di Antico regime. Ad oggi questo non si potrebbe dire, se pensiamo che
negli ultimi 18 anni, dal sud Italia, sono emigrate ben 2 milioni di persone che hanno
raggiunto città come Milano, Bologna o Londra (dove abitano circa mezzo milione di italiani).
Quindi, l’idea di epoca aurea viene applicata al passato. Quali sono gli argomenti che
vengono normalmente utilizzati, quando si dice che il Regno di Napoli è stato grande nel
corso dell’età moderna? Il Regno di Napoli era forte, potente e tecnologicamente avanzato
perché c’era
1.la prima ferrovia d’Europa;
2.la grandezza dei palazzi reali;
3.l’industria che vedeva settori molto molto sviluppati, come la produzione di seta(vicino
Caserta) e di maioliche(dove oggi abbiamo la Costiera Amalfitana) che erano destinate ad
arricchire e a rendere belle le case dei nobili e degli aristocratici;
4.presenza del bidet, argomento che ci riconduce all’igiene personale. Questo fa sì che il
Regno di Napoli si riveli superiore all’Europa del tempo, superiorità che però è andata persa.
La regina Maria Carolina, moglie di Ferdinando IV (erede di Carlo III di Borbone), possedeva
il bidet e quindi era particolarmente avvezza a pulirsi le parti intime meglio degli altri.
Da cosa sono accomunate tutte queste idee? Sono accomunate da una pesante
confusione tra l’idea di stato e l’idea di dinastia: spesso si dice “questo regno era
ricchissimo, c’era un’economia fiorente,delle bellezze straordinarie, una produzione artistica
straordinaria, una produzione architettonica straordinaria”. Anche questo è frutto della
confusione tra idea di stato e idea di dinastia. Perché qual’è la radice di questa sciocchezza
che ci viene raccontata? La radice è confondere i temi personali della famiglia che
regnava (prima gli Asburgo e poi i Borbone) con la ricchezza di un intero paese. Detto
così, significa che i Borbone difendevano il proprio prestigio; il paese, invece, stava ridotto in
una situazione pessima. Ad esempio la stessa ferrovia, di cui abbiamo parlato prima, è una
ferrovia che connetteva la Reggia di Napoli con la Reggia di Portici (reggia—>reggia). La
Reggia di Caserta, sede dinastica, fu progettata da Luigi Vanvitelli (un architetto di origine
olandese) e prevedeva inizialmente la costruzione di un canale che connettesse l’attuale
giardino reale di Caserta a quello di Napoli. Allora, ancora una volta, un’opera pubblica
costosissima che serve a connettere due residenze reali. Questi sforzi,che servono oggi a
descrivere il Regno di Napoli come un regno grandioso, erano sforzi totalmente finalizzati a
sostenere l’immagine di una dinastia forte cioè le stesse opere pubbliche erano destinate
a far vedere ai diplomatici stranieri quanto fosse bello stare a Napoli.
Lo stesso tipo di confusione che applichiamo alla prima età moderna, parlando di guerre
d’Italia come guerre tra stati, la applichiamo a tutta l’età moderna considerando il Regno di
Napoli come un regno ricco e florido, quando in realtà la ricchezza e la floridità apparteneva
solo ed unicamente alla famiglia regnante.
Dunque, ciò che ascoltiamo per strada è una sciocchezza clamorosa.
Dobbiamo anche aggiungere che il regno di Napoli era un territorio molto produttivo,
soprattutto sul piano agricolo.C’era in particolare una zona che si distingue per la sua
fertilità: nel Sud Italia, il Tavoliere delle Puglie (dove si coltivava ulivo, cereali). Il problema
che riguarda la produzione agricola, è avere anche delle infrastrutture che collegassero la
zona fertile con la zona in cui i prodotti devono essere consumati e smistati. Nello specifico,
dove dovevano essere consumati questi prodotti? Nella capitale, cioè a Napoli. Erano,
perciò, indispensabili vie di comunicazione, che non esistevano cioè non esisteva una
strada percorribile che collegasse il Tavoliere delle Puglie alla capitale. Di conseguenza,per
arrivare alla capitale, si circumnaviga il regno di Napoli.
Oggi, il principale mezzo di comunicazione che collega varie zone d’Italia (incluse anche
alcune zone di Europa) è il treno ad alta velocità (TAV), grazie alle quali ad esempio per
arrivare a Milano, partendo da Napoli, ci impieghiamo circa 4 ore. Ma se già volessimo
arrivare a Reggio Calabria, ci impiegheremo sicuramente di più.
Allora, la vera ricchezza per il paese,inteso come Regno di Napoli, e non per la dinastia, si
sarebbe avuta attraverso la creazione di una via in grado di collegare il Tavoliere delle Puglie
alla capitale, cosa che non è avvenuta. Infatti, al contrario, sono state costruite regge
bellissime, treni che collegassero una reggia ad un’altra, luoghi simbolo della dinastia,
capaci di far apparire la dinastia potente agli occhi dei visitatori e dei rappresentanti delle
altre corti europee.

Come poter leggere correttamente un manuale: un manuale va letto in


maniera critica e dinamica, cioè dobbiamo essere in grado di usare questi libri e non farci
usare. Saperli usare significa possedere quei concetti che consentono di essere montatori e
smontatori delle informazioni che ci vengono date, e non il contrario (dobbiamo smontare e
montare i libri, e non farci smontare e montare).

Crisi religiosa

La data di riferimento è il 1517 perché è la data della cosiddetta affissione delle 95 tesi di
Lutero sulle porte della cattedrale di Wittemberg. Chiunque all’epoca era, come
Lutero, un teologo aveva come prassi quella di affiggere(=pubblicare) i risultati della sua
ricerca e quindi Lutero fa una cosa che i manuali ci presentano come inaudita, ma in realtà è
del tutto convenzionale. La differenza profonda non sta tanto nel gesto, quanto nella
ricezione che quel tipo di contenuti ha generato nel mondo cristiano. Anche per il caso di
Lutero, c’è un motivo che diventa causa di deflagrazione: la vendita delle indulgenze. Cosa
succede a Roma, dove c’era qualsiasi tipo di priorità, tranne occuparsi della cura delle
anime? Se i cristiani volevano ambire alla vita eterna, avere uno sconto di pene (intese
come pene da trascorrere in Purgatorio) per i peccati commessi in vita, dovevano fare una
donazione, cioè avrebbero dovuto comprare le indulgenze—> una vita meno aspra e
faticosa di quanto avrebbero potuto immaginare. Si inizia anche addirittura a dire che il
ricavato da questa vendita, doveva servire all’edificazione della fabbrica di San Pietro.
Tutto ciò potrebbe sembrare anche un po grossolano, ma l’idea di fondo era questa:
secondo il pensiero cristiano, le indulgenze si potevano comprare perché qualcuno in vita le
aveva guadagnate e le aveva messe a disposizione della Chiesa, affinché potevano a loro
volta essere messe a disposizione dei fedeli.
Chi era questo “qualcuno” che le aveva guadagnate? Era un qualcuno di una certa
rilevanza: Gesù Cristo, con il suo sacrificio in vita. Insieme a Gesù Cristo, anche sua
madre(la Vergine Maria) e tutti i santi, i martiri soprattutto→ quindi, persone che in vita
avevano subito sofferenze, martiri, accumulando quasi un “credito” nei confronti della vita
eterna. Tale credito diventa qualcosa che deve essere messo a disposizione di tutti i cristiani
che dovevano salvarsi. Perciò,dobbiamo immaginare le indulgenze come dei beni custoditi
all’interno di uno scrigno enorme messi a disposizione della Chiesa e che, di volta in volta,
potevano corrispondere allo sconto di pene purgatoriali, una volta acquisiti. I cristiani
potevano attingere a questo scrigno, ma dovevano lasciare i propri beni materiali a
disposizione della Chiesa, affinché questa potesse spenderli per arrivare al suo scopo cioè
l’edificazione della fabbrica di San Pietro.
Tutto ciò genera scandalo perché la connessione tra fede e beni terreni era già consolidata
in quella tradizione, quindi è uno scandalo che esisteva ancor prima di Lutero ma ad un
certo punto ci sono delle ragioni che rendono questo scandalo irrefrenabile, troppo grosso
per essere gestito.
Quali sono queste ragioni? La presenza, ad esempio, di Rodrigo Borgia al soglio pontificio
con il nome di Alessandro VI, che possedeva figli e figlie sparse per l’Europa e che
cercavano anche di sfruttare la carica papale in una sorta di vantaggio personale. Aldilà di
questo, anche qualcos’altro aveva cambiato le carte in tavola: la stampa, che Elizabeth
Einstein aveva definito come “rivoluzione” o altri come “cambiamento del sistema mediatico”,
ha provocato un cambiamento della vita quotidiana e del modo di comunicare delle persone,
basato sull’utilizzo di diversi mezzi di comunicazione, su una più alta dimestichezza con il
testo scritto (manoscritto o testo a stampa), una più alta dimestichezza con i gesti, con le
parole, con i discorsi. Dunque, avere più dimestichezza a comunicare significa anche avere
più dimestichezza a trattare dei temi e affrontare degli scandali. Lutero ripete, per certi versi,
alcuni temi, alcune immagini, ma lo fa per la prima volta all'interno di un ecosistema
mediatico nuovo, un ecosistema in cui la comunicazione è più potente e meno controllabile.
Altra cosa fondamentale, che abbiamo già visto, è la possibilità di leggere/conoscere un
testo scritto, pur non avendo dimestichezza con le lettere, grazie ad una serie di filtri cioè
attraverso un’opera di mediatizzazione (esistono prodotti, esistono contenuti e prodotti e
contenuti mediatizzati. Ad esempio: un conto è la morte di Maurizio Costanzo, altro conto è
la mediatizzazione della morte di Maurizio Costanzo→ evento che diventa attività
comunicativa). Nel corso della storia, però, le mediatizzazioni non sono sempre potenti ma
lo sono solo in virtù di alcune ragioni precise.

Lutero agisce in questo contesto, innanzitutto elaborando dei contenuti che rimangono
sempre importanti cioè la comunicazione non sovrasta i contenuti, bensì aiuta i contenuti.
Qual è il contenuto importante che Lutero propone? Non si limita a dire che la vendita delle
indulgenze è uno schifo,e che chi vende indulgenze va punito perché corrotto, ma comincia
a riflettere teologicamente sul significato della salvezza e dice “Cari esseri umani se
pensiamo di poter cambiare la decisione di Dio con le nostre opere, siamo degli idioti”.
Lutero era un monaco agostiniano e la sua affermazione nasce dalla percezione forte da
parte del singolo dell’onnipotenza di Dio→ la percezione è quella di un Dio troppo
grande da poter anche essere solamente sfiorato dalle mani dell’essere umano.
C’è un aneddoto leggendario legato alla vita di Lutero: Lutero, immerso in preghiera vicino
ad un albero, vede arrivare un fulmine che lo sfiora ma miracolosamente si salva.
Indipendentemente dalla veridicità di questo aneddoto, se cerchiamo di coglierne il risvolto
culturale diciamo che esso ci riporta alla contemplazione dell’onnipotenza di Dio, un Dio
troppo grande che ha deciso di salvarmi per un qualcosa che agli occhi dell’essere umano,
che è zero, è totalmente irrilevante. Chissà cosa ha pensato Dio per fare in modo che il
fulmine atterrasse 10 centimetri da Lutero, e non l’ha colpito in pieno. Dunque, l’idea è quella
di un Dio troppo grande per essere toccato e anche per essere conosciuto. Di conseguenza
secondo Lutero voler entrare nella mente di Dio, è un atto di tracotanza, di
presunzione, e ciò che dobbiamo fare è affidarsi solo ed unicamente alla sua grazia
perché la grazia è l’emanazione diretta della sua grandezza. In altre parole, quando
parliamo di salvezza e dannazione, secondo Lutero, stiamo parlando di una decisione che
Dio ha già preso indipendentemente dalle azioni concrete che un fedele può produrre
in vita.
Da questo deriva l’idea inversa che emerge dai manuali: un fedele si salva in virtù della
grazia, della fede e della lettura del Testo Sacro. Però detto così non significa nulla dal
momento in cui non ci fa entrare in quel sistema teologico-dottrinale, cioè potremmo
semplicemente pensare che credendo, leggendo le Sacre Scritture, Dio ci salva. Ma, non è
così perché Dio non agisce a seconda delle nostre azioni bensì Dio ha già deciso per il
nostro destino e non possiamo fare nulla per cambiare la decisione. Per cui, la fede, la
lettura delle Sacre Scritture e la capacità di godere della grazia è una conseguenza di una
decisione già presa.Però, la domanda che allora nasce è se Dio ha già deciso per tutti,
perché dovremmo fare buone azioni? Lutero a questa domanda risponderebbe dicendo che
stiamo ancora pensando che le nostre azioni potrebbero precedere la volontà di Dio, ma
esse sono solo la conseguenza di ciò che Dio decide→ dunque, se vengo salvato da Dio,
non farò mai azioni poco buone perché Dio, avendo deciso di salvarmi, ha deciso anche che
la mia esistenza sarà destinata al bene. Anzi, se inizio a fare cattive azioni, significa che Dio
ha deciso altro per me, cioè non ha scelto di salvarmi. In altre parole: la salvezza non è il
presupposto della decisione di Dio né legata alle azioni umane, ma è la conseguenza di ciò
che Dio ha deciso per noi.
Tutto ciò è facile a dirsi, ma difficile da applicare perché affermare questi presupposti per
attaccare la vendita delle indulgenze, fa cadere tutta una serie di pratiche che hanno
dominato il comportamento del cristiano fino a quel momento. La vita del cristiano è scandita
dai 7 sacramenti, tra cui ce n’è uno più importante perché è quello senza il quale tutti gli altri
verrebbero a crollare: la confessione. Secondo Adriano Prosperi,storico dell’età moderna,
la confessione è “il momento in cui la coscienza va in tribunale” →momento in cui noi ci
presentiamo dinanzi a colui che è considerato come “il ministro di Dio” e mettiamo i nostri
peccati sulla bilancia. Il sacerdote, come un giudice, deve stabilire se il pentimento è
credibile e, sulla base dell’autenticità del pentimento, assegnare una penitenza (attenzione:
in età moderna “crimine” e “peccato” coincidevano:per un peccato si poteva essere
condannati a morte. Oggi,invece, “peccato” e “crimine” sono due cose diverse). Tutto questo
sistema è basato sull'assoluta centralità delle opere: il sacerdote giudica le nostre opere
per stabilire come allineare le nostre opere con il giudizio Dio, perché egli funge da ministro.
Questo sistema, che vede il sacerdote come base della comunità cristiana, non può sussiste
secondo la teoria di Lutero perché
-le opere non hanno più alcun significato bensì ad avere significato è la fede, ma una fede
che ci pone in un rapporto diretto con un Dio decisore, a prescindere dalle nostre azioni;
-fa sì che una delle conseguenze della riforma protestante, sia l’affermazione del principio
del sacerdozio universale: ognuno è sacerdote di se stesso. Ci può essere la mediazione,
ma solo grazie ad un pastore che non è più un giudice ma un semplice mediatore.
Nel sistema luterano viene a perdere il senso l’intera Chiesa intesa come costruzione
terrena che deve fare da mediatrice tra i fedeli e Dio. Altro importante ruolo del sacerdote,
oltre a quello di amministrare i sacramenti, che viene a cadere è la lettura e la spiegazione
delle Scritture→ l’omelia, perché quello è il momento in cui il sacerdote diventa anche
interprete privilegiato delle Sacre Scritture. Per Lutero, invece, il contatto con le Sacre
Scritture deve essere diretto. Di conseguenza, bisogna tradurre le Scritture dalle lingue
antiche alle lingue moderne. Infatti, la Bibbia viene tradotta in tedesco (Dante, Petrarca,
Boccaccio e Manzoni vengono considerati i padri della lingua italiana; Lutero, invece, si può
considerare come il padre della lingua tedesca, soprattutto in virtù di quest’opera di
traduzione in volgare del testo biblico).

Tutte queste innovazioni ebbero delle conseguenze devastanti. Tantissimi predicatori e


mediatori del sacro che affiancano Lutero, cominciano a raccogliere e diffondere il
messaggio di Lutero: le loro prediche erano ricche di immagini, scritti, manoscritti a stampa.
Tali immagini partivano dalla denigrazione di raffinati contenuti di carattere
teologico-dottrinale (ad esempio ritraendo il papa e i membri dell’alta gerarchia ecclesiastica
come maiali, lupi affamati o belve assetate di sangue→ persone attaccate ai beni terreni e
materiali) fino ad arrivare ai modi attraverso i quali si poteva accedere alla salvezza.
La mediazione è un elemento differente dalla ricezione di quella mediazione. Nel 1525, dopo
soli 8 anni, una di queste mediazioni del messaggio luterano dimostrò di avere delle
conseguenze potenzialmente disastrose per tutto ciò che stava avvenendo nel mondo. Chi
fu il protagonista di tale mediazione? Thomas Muntzer, uno di quei predicatori che avevano
acquisito il messaggio di Lutero e che si era posto il problema di diffonderlo nel mondo
tedesco del tempo, in particolare nelle campagne in cui il messaggio che porta è quello
secondo cui ciò che stava affermando Lutero, era per tutti un motivo straordinario di
rigenerazione sociale ed emancipazione dai rapporti di abuso a cui erano sottoposti nella
loro quotidianità. Lutero reagì in maniera inaspettatamente violenta perché di fronte al suo
messaggio di rottura nei confronti della gerarchia romana, alcuni signori territoriali, nobili e
membri delle alte gerarchie politiche del mondo tedesco cominciano a proteggerlo contro
Roma, che lo voleva punire. Tutti questi tentativi di Roma però si rivelarono fallimentari, dal
momento che Lutero riceve la protezione dei principi del mondo tedesco, perché il suo
messaggio di emancipazione territoriale dal potere ecclesiasitco di Roma era funzionale ai
loro scopi→ loro percepivano la presenza del clero romano come un peso da cui liberarsi e
Lutero riuscì ad aiutarli, con il suo messaggio, nel loro intento cioè quello di affermare il loro
potere sul territorio.
Bisogna fare un incrocio con ragioni di carattere politico: quel mondo lì, che al tempo
ereditava in parte la tradizione dell’antico Impero Romano e si racchiudeva sotto la
definizione di Sacro Romano Impero fin dai tempi di Carlo Magno, finì nelle mani della
dinastia asburgica perché dopo il matrimonio tra Isabella di Castiglia e Ferdinando
D’Aragona, questa era riuscita a dominare la Spagna per una serie di complessi rapporti di
carattere familiare. A dominare la Spagna, ci era riuscito un signore di nome Carlo V il
quale, si dà il caso, che avesse per motivi parentali il diritto e la possibilità concreta di
diventare anche imperatore del Sacro Romano Impero.
La domanda però è: come si diventa imperatore? Basta essere il figlio o il nipote di
qualcuno? No, non basta, perché si deve ottenere il voto di un assemblea di poteri territoriali
che domina su quel mondo. Carlo V, infatti, riuscì ad ottenere il voto convincendo i votanti
(principi territoriali, autorità locali) attraverso il denaro. Tutto questo lo fece sì diventare
imperatore, ma non gli permise di acquisire l’ autorità che voleva acquisire. Ovviamente
Carlo V, dominando sul Sacro Romano Impero e su tutte le terre che la Spagna aveva
conquistato o stava conquistando nel Nuovo Mondo, ha una priorità di carattere religioso:
ha bisogno che tutti, nel suo regno, siano cristiani così come avevano stabilito Isabella e
Ferdinando (i suoi antenati) sotto un’unica confessione cioè che tutti obbediscano ai dettami
del papa. Dopo arriva Lutero e dice che le cose non stanno così, per cui Carlo V si infuria e
inizia ad avere lui in primis l'esigenza di punire Lutero, cioè sentiva l’esigenza di spegnere
quel fuoco che si stava accendendo perché quel fuoco aveva minato l’unità politica-religiosa
dell’immenso territorio che lui si trovava a controllare→ Carlo V aveva bisogno di un’unione
politico-religiosa e Lutero glielo stava impedendo, gliela stava dividendo nel senso stesso
della sua esistenza affermando che la salvezza non si ottiene come il papa dice o come
potevano immaginare. Dunque, Carlo V preme affinché si faccia da subito un concilio e si
condannino tutte le forme di eresia, qualsiasi forma di deviazione dalla dottrina
cattolico-ortodossa, che si stavano diffondendo nel mondo tedesco attraverso ciò che aveva
affermato Lutero. Tale desiderio di Carlo V, però, non viene ascoltato perché ad andargli
contro saranno gli stessi principi territoriali che lo avevano votato, ma che ora gli voltano le
spalle per andare a favore di Lutero. Durante la crisi del 1525, la cosiddetta “rivolta dei
contadini ” nel mondo luterano generata da Thomas Muntzer, si palesa l’alleanza forte che
c’è tra Lutero e i principi territoriali tedeschi perché Lutero, proprio all’interno di due
scritti, dice che
1. Muntzer non ha ragione;
2.bisogna ammazzare i contadini, cioè i principi devono fermare la rivolta dei contadini
spargendo sangue.
Si potrebbe pensare che quella di Lutero sia una mossa inaspettata ma in realtà era una
mossa anche politicamente coerente con le protezioni che si era guadagnato fino a quel
momento. Non poteva assecondare le ansie di rivolta dei contadini, perché queste
sarebbero andate contro i suoi protettori, i principi territoriali tedeschi.

Complessità della diffusione del messaggio luterano


Anche per quello che riguarda la diffusione del messaggio luterano, dobbiamo fare
attenzione a ciò che c’è scritto nei manuali dove si tende a fare una differenza da come la
riforma luterana viene recepita nelle campagne e come, invece, viene percepita nelle città.
Se immaginiamo a come la riforma venga percepita nei vari luoghi, non siamo all’interno di
qualcosa profondamente verosimile ma quello che conta sicuramente è che ogni qual volta
la riforma viene declinata sul piano territoriale, si accentua uno dei suoi aspetti più radicali.
Potremmo fare tanti esempi, ma quelli più comuni sono quelli che riguardano gli anabattisti
e quelli che riguardano zwingli:
1.gli anabattisti erano coloro che ritenevano, parlando di sacramenti, che il battesimo
andasse celebrato in età adulta con un contraente consapevole e partecipe del sacramento
che gli veniva conferito→bisognava essere coscienti, partecipi, dell’atto che si andava a
svolgere. Dunque, non poteva essere celebrato sui bambini che erano totalmente privi di
discernimento.
L’anabattismo diede vita a forme radicali di protestantesimo e fu oggetto di violente
repressioni.
2.Zwingli, invece, era un teologo che parlava di tante questioni ma si concentrava
principalmente sull'eucaristia e si appoggiava a delle disposizioni fondate su una questione
importante: nell’ostia offerta al fedele c’era o non c’era realmente il corpo di Cristo?.
Questa è stata una di quelle questioni che generano conflitti e spargimenti di sangue nella
prima età moderna, perché le dispute dottrinali danno vita a delle contrapposizioni politiche
violente. Se ci pensiamo bene, lo stesso messaggio di Lutero che riguarda il rapporto tra
fede, grazia, Sacre Scritture e salvezza, è un messaggio che sembra teologicamente
altissimo, ma che poi viene declinato di volta in volta in maniera estremamente pedestre nei
vari contesti e si traduce in contrapposizioni che sono anche e soprattutto politiche. Dunque
la religione è capace di influenzare la vita quotidiana delle persone, dall’alto e
attraverso i tentativi di applicazione concreta a cui va incontro di volta in volta.

Vari studiosi hanno riflettuto sulla figura di Lutero: Adriano Prosperi, come abbiamo già
detto, ma anche altri come Massimo Filippo, uno dei massimi studiosi del luteranesimo in
Italia, perché anche nella Penisola Italiana c’è stato il luteranesimo.

“Q”, opera di Luther Blissett


Esiste un’opera che, negli ultimi 20/30 anni, ha contribuito a diffondere l’immagine
dell’Europa protestantee del conflitto religioso del 500. Non si tratta di un’opera
storiografica nel senso stretto del termine, ma è un’opera letteraria che risale alle 1999 e
che fu prodotta da uno scrittore di nome Luther Blissett. Questo scrittore, in realtà, non
esiste perché “Luther Blissett” è uno pseudonimo dietro il quale si nascondevano diversi
scrittori, per la maggior parte bolognesi e allievi di Adriano Prosperi e Carlo Ginzburg (altro
grande studioso del 500’ religioso italiano e europeo, discendente diretto della scrittrice
Natalia Ginzburg che ha scritto “Lessico familiare” → classico del 900 italiano
letterario).Questi scrittori decisero di utilizzare uno pseudonimo per scrivere questo
poderoso romanzo, intitolato “Q”. Tale romanzo era ambientato nel 500 e incentrato sulle
guerre religiose del 500.
Oggi conosciamo questi autori con un altro pseudonimo: “Wuming”. Ma perché avevano
scelto quel nome alla fine degli anni 90? Perché avevano deciso di ispirarsi ad un
personaggio realmente esistito, cioè un calciatore.

Qualcosa su questo calciatore di nome Blissett: tra gli anni 70-80, in Italia e in Europa in
generale, c’era una tendenza nel cercare calciatori importanti per le nostre squadre. Ma,il
problema è che gli anni 70-80 avevano un ecosistema mediatico diverso dal nostro: se oggi
noi abbiamo vari strumenti per vedere le partite che si svolgono in tutto il mondo, a quel
tempo, invece, non si poteva fare quindi chi voleva acquistare un calciatore doveva
affrontare un viaggio lunghissimo in aereo per arrivare in Inghilterra Germania, Russia, e
cercare un calciatore importante.
Molto spesso questi osservatori tornavano, da questi viaggi lunghi e devastanti, soddisfatti
perché avevano scoperto dei talenti straordinari. Però quando questi talenti, o presunti
talenti, arrivavano in Italia si rivelavano essere dei bidoni colossali. Ce ne erano tantissimi e
Blissett era uno di questi. Addirittura accadeva che alcuni, dopo un pò di tempo, si
rivelavano essere non dei veri calciatori ma degli attori che incarnavano il ruolo del
calciatore e venivano venduti a cifre elevate a degli stupidi che, per conto di squadre
italiane, li acquistavano.
La domanda che dobbiamo porci è: perché il gruppo di scrittori del 199 sceglie il nome di un
calciatore bidone per scrivere un romanzo? Perché l’immagine di questo calciatore riportava
la loro mente e quella del lettore sull’importanza degli ecosistemi mediatici: quel
calciatore era stata la creatura fantastica di un ecosistema mediatico sbilenco/bizzarro, che
permetteva di consumare imbrogli e costruire notizie poco plausibili intorno ad un’attività,
apparentemente così immediata, come la partita di calcio, e il modo con cui si costruiscono
le false notizie.Infatti, la trama del vero romanzo dedicato alla saga del luteranesimo nel
corso del 500, è fondata proprio sul rapporto che c’è tra messaggi originali, distorsione degli
stessi messaggi, fraintendimenti, capovolgimenti,nella diffusione del luteranesimo. Dunque,
un 500’ fatto di bidoni, raccontato attraverso una fine del 900’ fatta altrettanto di bidoni: è
questo il senso profondo dell’operazione letteraria, ma anche storiografica, cioè parliamo di
un dono dei romanzieri, ma anche dei grandi storici.

14 MARZO ✅
In che cosa la ricostruzione letteraria romanzesca dà possibilità diverse
sul piano della conoscenza storica rispetto alla classica opera
storiografica?
Noi leggiamo tante cose e usiamo ciò che leggiamo come strumento per conoscere le varie
epoche. Però, ci troviamo di fronte a delle ricostruzioni che hanno un certo grado di libertà,
un certo grado di esercizio dell’immaginazione e aperte a includere una serie di
documentazioni che riteniamo storicamente attendibili.
Se proviamo a decostruire questa specie di monumento sacrale che abbiamo affiancato
all’immagine del documento storico, capiamo che il documento storico non ci offre verità
incontrovertibili ma ci ragguaglia sui meccanismi sociali, politici, culturali, religiosi, che
dominavano in un certo contesto ma che vanno poi smontati. Se lo storiografo gode di una
libertà vigilata, il romanziere ha una libertà potenzialmente illimitata,che ha come unici
confini quelli della plausibilità storica di ciò che dice o del contesto che descrive/in cui
sceglie di far muovere i suoi personaggi.In linea generale,però, l’immaginazione ha un
ruolo fondamentale per il lavoro del romanziere. È dell’immaginazione che si sono serviti i
romanzieri per descrivere l’Europa lacerata dalle guerre di religione. Apparentemente
l’immaginazione non deve essere tra i ferri del mestiere dello storico, mentre i letterati
possono avvalersi dell’immaginazione. Questa è però una cavolata, perché: lo storico, senza
immaginazione, senza il potere della congettura, è zero—> se lo storico si illude di poter
ridescrivere o restituire ai lettori lo scenario indagato solo attraverso i documenti, è uno
stupido perché i documenti ci restituiscono dei punti di vista molto molto parziali sulla realtà
e solo la conoscenza del contesto ci può restituire la complessità della realtà, ma alla fine
neanche questa basta. La scienza storica è una scienza umana perché indaga l’agire
umano e non può prescindere dall’utilizzo della fonte letteraria per poter scendere in
profondità dell’analisi dell’ agire umano. Dunque anche lo storico deve avvalersi
dell’immaginazione perché la fonte letteraria è fatta di immaginazione.
Le immaginazioni condivise in letteratura vengono definite “immaginari”: l’immaginario è
l’incontro tra tutte le nostre immaginazioni ,quello che informa l’agire umano e quel luogo
ritenuto importante non tanto per ciò che facciamo, ma ciò che è ritenuto plausibile fare.
Questa è la ragione per la quale tanto lo storico quanto il romanziere deve fare i conti con la
verosimiglianza: se descrivo, in un’opera tanto storiografica quanto letteraria, qualcosa di
non verosimigliante, mi sottopongo ad una serie di critiche (anche feroci) di difficile
risoluzione.
La verosimiglianza affonda le radici nell’immaginario, cioè nell’ideale luogo di incontro tra le
nostre immaginazioni. Questa è la cultura, intesa come luogo in cui gli esseri umani riescono
a dialogare, come luogo ideale.
I manuali spesso sono più inverosimili dei romanzi: potremmo dire che il romanzo è il testo
che mi catapulta nell’immaginazione di un autore che si fonda sull’immaginario; il manuale di
storia, invece, dovrebbe farmi confrontare con il sapere storiografico (=cosa seria). Però,
spesso, l’immaginario storiografico è più implausibile di quello letterario, in particolare
Calvino: di Calvino, i manuali affermano che ha introdotto il concetto di
predestinazione,nel dibattito del mondo protestante. A chi scrive una cosa del genere,
bisognerebbe dire che anche Lutero credeva nella predestinazione, al punto tale da dire che
le opere umane non potevano avere un reale impatto sul destino ultraterreno del fedele.
Allora è Dio che decide e anzi l’agire umano, non è il presupposto della salvezza, ma la
conseguenza di una decisione che Dio ha già preso. Che Dio abbia già deciso per noi però,
come abbiamo già visto, non significa pensare di iniziare azioni poco buone perché essendo
l’uomo predestinato non farà cattive azioni, poiché il suo comportamento virtuoso è una
conseguenza della decisione che Dio ha preso (es: se rubi e fai il ladro, stai già decretando
la tua predestinazione verso la dannazione eterna, stai palesando la decisione che Dio ha
già preso per te). Inoltre, Lutero pensava anche che Dio ha una mente inconoscibile,
impenetrabile, da noi tutti e pretendere di entrare nella sua mente è un atto di presunzione,
di illusione, perché Dio non ci lascerà mai comprendere cosa c’è nel suo progetto.
Il comportarsi bene non è una garanzia della predestinazione perché non c’è la sicurezza
che prima o poi questo comportarsi bene non porterà a deragliare, a uscire fuori strada.
Quindi, comportarsi bene non ci dà la certezza di poter o no realizzare il progetto che Dio ha
già disegnato. Stesso discorso vale se ci si comporta male: nulla implica che questo possa
cambiare direzione e finire, anche involontariamente, nel binario del bene… non lo
sappiamo, e non lo sapremo fino alla morte.

Con Calvino le cose cambiano: secondo Calvino, in vita, l’uomo può iniziare a intuire cosa
c’è nel progetto di Dio. Capiamo, quindi, che Calvino non introduce il concetto di
predestinazione ma lo modifica un pò. Alcuni definiscono questa modifica come Doppia
predestinazione.
Altra grande sciocchezza che dicono i manuali, è che Calvino rivaluta il ruolo delle opere.
Calvino, però, non rivaluta nulla, cioè non dice che le opere umane possono portare alla
salvezza ma rimane dell’idea che la salvezza è assolutamente indipendente dall’azione
umana (come Lutero) e perciò tutto quello che decidiamo di fare nel corso della vita, non
potrà cambiare la decisione che Dio ha già preso, non potrà cambiare il fatto che siamo
predestinati alla salvezza o alla dannazione. Però, con una modifica a ciò che dice Lutero,
dice che ciò che facciamo nella vita porta a degli esiti. Attraverso la misurazione di questi
esiti, possiamo intuire se Dio ci ha predestinati alla salvezza o alla dannazione.
Ad esempio la grazia di Dio, importante tanto per Lutero quanto per Calvino, finisce ai fedeli
dei doni:possiamo avere vari talenti (il talento per l’arte, per la pittura, la scrittura, il
commercio, l’artigianato, il canto) e, per rispettare il dono che Dio mi ha fatto e se sono una
persona di fede, coltivo quel talento che può portarmi verso diversi esiti. Gli esiti
dell’esercizio del mio talento, per Calvino, sarebbero l’indizio della strada che Dio ha
disegnato per noi , quindi sfruttare quei doni della grazia divina è quasi un dovere. Da
questo punto di vista, Calvino rivaluta l’attivismo ma non è un attivismo che deve cambiare
la decisione di Dio, bensì deve mettere alla prova la decisione di Dio, aiutare l’essere umano
a svelare la decisione di Dio.
Mentre per Lutero non si può entrare nella mente di Dio; secondo Calvino invece la mente di
Dio, pur rimanendo inaccessibile, ha degli spiragli attraverso cui possiamo tentare di entrare
mettendoci alla prova e vedere dove questa prova ci conduce. Calibrando gli esiti, possiamo
capire quale sarà il nostro destino ultraterreno.
Lutero riteneva che il sacerdozio non aveva gran senso e la Chiesa non aveva ragione di
esistere —> infatti afferma che la Chiesa deve essere invisibile, quindi non deve avere una
vera e propria gerarchia terrena. Questo spiega perché i protestanti hanno i pastori e non i
sacerdoti, e perché oggi parliamo di chiese protestanti e non di chiesa protestante. La
chiesa protestante più numerosa al mondo è una chiesa molto forte in America: la Chiesa
Battista, che a sua volta ha subito una spaccatura interna—> ci sono stati i metodisti, gli
evangelici e i mormoni (che sono circa 3 o 4 milioni e geograficamente collocati nello Utah).
La Chiesa mormone è fondata sulla lettura di un doppio testo sacro: la Bibbia e il Libro di
Mormon, dove le magie, le peripezie, si susseguono in maniera vertiginosa.

Se Lutero ritiene che la Chiesa dev’essere invisibile, Calvino ritiene invece che i cristiani non
possono accontentarsi di nascondersi e aspettare che la Provvidenza divina faccia tutto al
posto loro, ma devono essere la manifestazione terrena della realizzazione del progetto
di grazia scritto da Dio e quindi essere una chiesa visibile. Calvino proveniva dalla
Francia e arrivò a fondare la sua chiesa visibile a Ginevra, in Svizzera, sulla base di questo
presupposto teologico-dottrinale che sposta in maniera significativa la prospettiva rispetto a
quella di Lutero.
Ad esempio: spostiamoci dal talento del canto alle attività economiche—> anche le attività
economiche ci mettono in relazione con delle possibilità molteplici e esiti complessi perché,
in uno stesso ambito, abbiamo vari talenti: il talento per il mercato, scambio, imprenditoria,
libera iniziativa. Coltivare questa tipologia di talenti, significa mettere alla prova la decisione
che Dio ha preso per noi e cercare di spiare all’interno della mente di Dio per capire quale
sarà il nostro destino ultraterreno. Ad esempio: un mercante può tanto fallire quanto ricavare
a stento quello che ha investito, diventare ricchissimo o guadagnare il minimo e
l’indispensabile. Questi vari esiti, secondo Calvino, offrono un ulteriore parametro di
misurazione che ci permette di capire quello che Dio può aver deciso. Da questo punto di
vista, saremmo di fronte a una riscoperta dell’attivismo, ma “attivismo” non inteso in senso
cattolico del termine, cioè io non faccio le cose buone perché spero di avere la salvezza, ma
per poter capire già in vita se sono salvo o meno che è una cosa diversa cioè l’attivismo
deve portarmi a scoprire una verità che non conosco e non cambiarla. Per i cattolici conta il
libero arbitrio: siamo artefici del nostro destino. Ora, invece, il destino è già scritto ma
dobbiamo provare a scoprirlo. Potremmo pensare a questa teoria come qualcosa
teologico-dottrinale che può non avere dei risvolti concreti sulla vita delle persone, ma per
alcuni il calvinismo avrebbe avuto delle conseguenze sul sistema economico che ancora
oggi domina il pianeta: il capitalismo,sistema economico che si basa sulla libera iniziativa
e sulla libera imprenditoria. Il capitalismo è legato anche allo spirito borghese, alla
borghesia. Tra i massimi teorici di questo tipo di sistema, ci sono stati sia coloro che lo
criticavano che coloro che lo sostenevano. Ancora oggi,a livello planetario, questo sistema
permea la nostra convivenza sul piano teorico e pratico, in parte (anche i paesi che si
dichiarano anti-capitalisti poi praticano una forma di capitalismo. Ad esempio: la
Cina—>paese ancora legato ad un’ispirazione anti-capitalista che è stata poi capovolta).
Dobbiamo però porci la domanda: il capitalismo, così come lo conosciamo oggi, esisteva già
nell’età moderna? No, nell’età moderna esiste un’entità più indefinita, ampia—> la
BORGHESIA che, secondo gli studiosi, prefigura l’atteggiamento economico che sarebbe
diventato proprio del sistema capitalista.

Come si traduce il termine “borghesia” nelle varie lingue?


In francese —> “bourgeoisie”
In spagnolo —> “burguesa ”
In inglese —> “middle class”
Con il termine "borghesia", si vuole indicare la classe media. La radice, che accomuna il
francese e lo spagnolo, della parola “borghesia” ci rimanda alla dimensione del borgo: un
centro abitato che si distingue dalle aree puramente rurali quindi dal villaggio e dalle aree di
campagna. Il borgo, invece,rimanda all’appartenenza ad un contesto più o meno urbano, ad
una cultura cittadina che non è fondata sull’agricoltura, ma mette al centro l’attività
artigianale e quella dello scambio—> il commercio.
Sulla natura della borghesia si sono interrogati tantissimi studiosi, tra cui Franco Moretti—>
critico italiano probabilmente più tradotto e letto nel mondo accademico e fratello di Nanni
Moretti (regista e attore cinematografico italiano)
Franco Moretti ha lavorato per quasi tutta la sua parabola accademica all’università in
California, è stato a capo del Literary Lab di Stanford, ha scritto libri importantissimo
cercando di applicare allo studio della storia della letteratura il metodo della
storia-quantitativa—> legame fortissimo tra studi letterari e storici. In tempi recenti, ha scritto
un libro dedicato alla borghesia: in italiano, “Il borghese” ma in inglese “The bourgeois”, e
non “Middleton class”—> utilizza quindi una parola francese per un testo inglese, per riferirsi
alla radice neolatina che indicava il borgo, la dimensione cittadina della natura borghese.
In questo libro, Franco Moretti ha dato assoluta centralità a una teoria che è stata sviluppata
intorno al calvinismo e al legame tra l’etica calvinista e lo spirito capitalista. Questa teoria fu
formulata all’inizio del ‘900 da un sociologo che si chiamava Max Weber, il quale affermava
che capitalismo e calvinismo erano intrinsecamente è indissolubilmente legati tra di loro e
che l’etica calvinista era stato uno stimolo fortissimo per lo sviluppo di una cultura e di uno
spirito capitalista, in Europa e nel resto del mondo. Arrivò addirittura a dire che la diffusione
del calvinismo a livello europeo, tra ‘500-700, corrispondeva alla diffusione delle fortune del
capitalismo. Il nodo però è che Moretti non parla di capitalismo, ma parla di borghesia.

Dobbiamo quindi capire che differenze ci sono tra borghesia e capitalismo, tra borghese e
capitalista?
1.Il borghese ha delle capacità, dal punto di vista materiale, di amministrare i suoi
beni, in maniera razionale,calcolatrice—> ha molta dimestichezza con la matematica,
con i numeri, con una gestione dei beni materiali quasi ragionieristica. Il borghese è uno che
ha in sé il concetto di investimento, del ricavo e guadagno quindi è impegnato in un'attività
che non è solo finalizzata solo all'autoconsumo(mangio quel che produco), ma anche ad
avere una serie di beni materiali che derivano soprattutto dal commercio.
2.Il capitalista,invece, ha qualcosa in più rispetto al borghese: l’idea che se investe
qualcosa, c’è la possibilità che quel qualcosa venga integralmente perso.
Nel capitalismo quello che si investe, per quanto grande possa essere, può andare perso—>
c’è il rischio, non c’è la garanzia del successo. Mentre il borghese minimizza il rischio, il
capitalista invece lo massimizza perché più rischia, più spera di guadagnare.
Allora il rischio è il principio fondamentale su cui si basa il capitalismo, che non esisterebbe
senza rischio.

Questa distinzione è una delle chiavi interpretative per Franco Moretti e per rileggere, anche
alla luce di una nuova consapevolezza, il paradigma che Weber applicava al legame tra
etica calvinista e spirito capitalista. Se vogliamo leggere questa questione in una chiave
diacronica, dobbiamo capire che la borghesia di età moderna si configura come
anticipazione del capitalismo, ma per essere capitalisti c’è bisogno di un passo in avanti: la
consapevolezza del rischio. Secondo Weber, proprio la predisposizione del rischio era
l’elemento distintivo dell’etica calvinista che si lega a quello che Marx definisce come
accumulo del capitale.
Quando Moretti parla di calvinismo e capitalismo, sviluppa questo discorso analizzando
un’opera letteraria, da considerare come il capolavoro della letteratura europea e mondiale
dell’età moderna: il Robinson Crusoe di Daniel Defoe. Defoe era un tipo un pò
controverso, non amava l’economia legale, faceva diverse cose (il giornalista, l’imprenditore,
il romanziere realizzando storie che attiravano l’attenzione del pubblico)
La storia raccontata è quella di uno che ha dei beni familiari che potrebbe amministrare, ma
non si accontenta e decide di mettersi in viaggio. Durante questo viaggio finisce per essere
vittima di un naufragio, arriva perciò su un’isola deserta dove vi resta per ben 35 anni. Per
sfamarsi, comincia a coltivare, produrre, si dedica alla caccia ecc. Il protagonista non fa altro
che scrivere in prima persona il bilancio di quello che fa giorno dopo giorno, le sue
esperienze quotidiane nell’amministrazione economica della vita sull’isola, ma la vita
economica di una persona. Si comporta da
borghese perché traccia continuamente delle linee che gli servono per tracciare dei bilanci
della sua vita quindi amministra razionalmente le sue risorse e di volta in volta fa dei piccoli
investimenti per cercare di moltiplicare queste risorse e avere una vita più agevole. Per delle
circostanze indipendenti dalla sua volontà, dopo 35 anni va via dall’isola e arriva a sapere
che le sue piantagioni sono diventate delle miniere di ricchezze che hanno soltanto bisogno
di chi si prende l’onere di gestirle. Questo passaggio della trama è fondamentale perché
arriva a farci comprendere che quest’uomo nel corso della sua vita si è sempre messo alla
prova e ha sempre sfruttato i talenti a sua disposizione, ha coltivato il suo armamentario e lo
ha fatto aspettando dei responsi. Nei lunghissimi 35 anni sull’isola, quei responsi erano stati
parziali—>c’erano stati successi e fallimenti, ma poi la grande fortuna della sua vita gli
deriva da una proprietà che aveva e nella quale non era mai stato fisicamente e per la quale
non aveva mai fatto nessuno sforzo. Per Moretti questo è il personaggio su cui si costruisce
la mitografia dell’etica calvinista: si accorge della decisione che Dio ha preso per lui grazie a
qualcosa che è accaduto nella sua vita, che gli riguarda ma che è indipendente da quello
che ha fatto—> compiamo nella nostra vita delle azioni, ma non per cambiare il nostro
destino perché questo cambia indipendentemente dalle azioni fatte e sulla base di un altro
discorso che a che fare con la predestinazione.
Anche nel tentativo di decostruzione dei manuali, capiamo che tutte queste idee che ci
rimandano alle differenze dottrinali tra Lutero e Calvino vanno analizzate con una
consapevolezza critica enorme che non include solo la teoria di Max Weber, ma proprio la
chiarezza di definizione dei concetti che è importante perché sulla base di questa
definizione, possiamo fare delle valutazioni di tipo economico e politico.

Come risponde la Chiesa?


Nei primi vent’anni, la chiesa risponde fregandosene e l’unico a preoccuparsi di quello che
stava succedendo nel mondo tedesco era l’imperatore Carlo V. Perché se ne preoccupa
lui? Se ne preoccupa perché aveva un problema enorme: regnava su un apparato politico
sconfinato—> aveva ereditato la corona di Spagna, quella del Sacro Romano Impero e tutti i
possedimenti che gli spagnoli stavano organizzando nel nuovo mondo in virtù delle vittorie
conseguite dopo la resa post-colombiana. Però tra le tante difficoltà che aveva, aveva un
solo grande sogno che affondava le radici nel cuore dei secoli precedenti: governare su un
territorio unito politicamente, ma soprattutto religiosamente—>tutti i sudditi spagnoli o
no devono credere nello stesso Dio, devono leggere gli stessi testi sacri, devono seguire gli
stessi insegnamenti sul piano religioso. Questo sogno dura poco perché già nel 1517 arriva
Lutero con la sua riforma. Quello che comincia a succedere in quel mondo sa di spaccatura
e Carlo V dice che c’è bisogno di una conciliazione. Da Roma, però, si pensa che dato che
i predecessori di Lutero avevano fatto una brutta fine sarebbe stato così anche per lui e che
l’entusiasmo che si era generato intorno alle tesi di Lutero, si sarebbe prima o poi spento
così come era avvenuto prima.
Il papa e le gerarchie romane fanno i conti senza alcune variabili: la prima grande variabile
era quella di carattere politico—>Lutero andava a costruire un messaggio funzionale a
quello che volevano i principi tedeschi, gli stessi che avevano votato Carlo V all’interno della
dieta imperiale (la dieta imperiale è un’assemblea nella quale si decide chi deve diventare
imperatore e Carlo V ha comprato i voti. I voti comprati non sono di reale supporto, cioè
sono dati per convenienza).
La spaccatura che viene percepita viene raccolta e facilita la diffusione mediatica del
messaggio che può fondarsi su strumenti che non erano stati a disposizione di tutti i
predecessori di Lutero (Lutero aveva la stampa, la riproduzione delle immagini) ma che
erano di grande impatto.
Tutte queste variabili erano state sottovalutate dalla Chiesa e ad un certo punto ci sono delle
conciliazioni vere e proprie tra protestanti e cattolici e queste conciliazioni hanno dei
protagonisti, come Melantone (dalla parte dei protestanti) e Contadini (dalla parte dei
cattolici), che cercano di mettersi d’accordo, capiscono che ormai è tardi, che le spaccature
sono difficili da risanare e allora la Chiesa ripiega sulle sue posizioni e capisce che il tempo
della conciliazione è finito ed è iniziato il tempo della guerra, che non si fa sempre con le
armi ma con altri strumenti: il controllo, la sorveglianza. La Chiesa perciò si dota
dell’Inquisizione, che esisteva fin dal XIII secolo ed era un tribunale che doveva
occuparsi della salvaguardia della dottrina cattolica ed era controllata da ordini
religiosi, tra cui troviamo i domenicani che avevano un ruolo preponderante negli anni 40
del 500’. Dunque dopo ben più di 20 anni, Roma decide che l'Inquisizione deve passare
sotto il diretto controllo del papa. Come può farlo il papa? Si dota di uno strumento di
controllo: la Congregazione cardinalizia del Santo uffizio. Dobbiamo fare attenzione a
non confondere l'Inquisizione con il Santo Uffizio perché sono l’una il controllo dell’altro: i
cardinali vengono incaricati dal papa di visionare tutta l’attività inquisitoriale del mondo
cattolico. Devono occuparsi unicamente di quella cosa lì, come un ministero moderno
composto dal ministro e dai segretari. Infatti nella congregazione capitalizia c’era il prefetto
e i suoi collaboratori.Quindi il prefetto della Congregazione del Sant'uffizio era il capo
delegato dalla Chiesa alla repressione dell’eresia e deve svolgere la missione di portare
avanti questa battaglia contro i protestanti. Non è l'unica congregazione che nasce durante
questo periodo, ce ne sono altre e svolgono tanti compiti specifici.
Ad esempio:
1. la Congregazione dell’indice: si occupa di stilare un indice di libri proibiti, cioè si
occupa di ciò che si può leggere o ciò che non si può leggere (qui ritorniamo alla
presa di coscienza dell'importanza della stampa: se vuoi leggere, decido io cosa puoi
leggere e cosa non puoi leggere perché pericoloso);
2. Congregazione di Propaganda Fide:si occupa dell’attività dei missionari;
3. Congregazione dei riti: si occupa della devozione quotidiana, del fatto che i
cristiani credono nei santi, beati, reliquie ai quali si attribuiscono dei poteri
straordinari. Questa cosa era molto ben percepita dai protestanti che ritenevano, con
questa tradizione di culti, avevano fatto credere ai cristiani una marea di
sciocchezze, quindi dovevano rileggere la tradizione per capire quali santi erano stati
davvero modelli virtuosi ed eroici e quali erano stati soltanto oggetto di leggende non
provate, quali reliquie appartengono ai loro legittimi proprietari e quali sono state
spacciate per tali (sulle reliquie si esercitava l’arte della contraffazione, del falso);

Tutte queste congregazioni sembrano avere ognuna il proprio compito, ma col tempo ci si
accorge che tra tutte l’equilibrio viene a mancare e quindi si va a palesare la preponderanza
della congregazione del Sant’uffizio su tutte le altre—> gli inquisitori e i cardinali a capo
dell'inquisizione diventano più potenti di tutti gli altri colleghi impegnati nelle altre
congregazioni e quindi nascono le gelosie. Questo accade perché la contingenza storica dà
alla battaglia contro il protestantesimo e l’eresia una priorità assoluta e fa sì che il compito
svolto in maniera precipua dal Sant'Uffizio venga considerato più importante di tutti gli altri
compiti. C’è da specificare anche un’altra questione, che potrebbe sembrare irrilevante ma
non lo è: se ci si occupa di repressione dell’eresia possiamo dire che la lettura dei libri non
interessa? No, interessa perché molto spesso i libri sono tra i principali veicoli di messaggi
eretici, allora legittimamente la Congregazione del Sant'Uffizio metteva il naso nelle cose di
cui si occupava la Congregazione dell’Indice;
-puoi dire che il comportamento dei vescovi non ti interessa ?No, devi interessarti perché
molte volte a essere oggetto di indagini per presunta eresia sono proprio i vescovi o
addirittura i cardinali (Reginald Pole, ad esempio, stava quasi per diventare papa ed era
sospettato di protestantesimo—> coltivava delle forti simpatie per il protestantesimo);
-non ti occupi di missioni? Non si può non farlo, devi per forza perché nel mondo delle
missioni c’è lo scontro con i protestanti e ci può essere anche un’influenza esercitata dai
protestanti obbedienti al papa;
- non ti occupi dei santi? Certo che devi farlo perché i protestanti, come leggiamo nei
manuali, si dice che i protestanti proibiscono il culto dei santi, sono i distruttori di immagini
sacre. In realtà non è proprio così, perché i protestanti proibiscono il culto delle immagini
sacre ma non censurano la presenza dell’immagine sacra—> per loro, l’immagine sacra è
possibile come riproduzione e rievocazione artistica di qualcosa, ma non come oggetto di
culto (puoi contemplare l’immagine sacra, ma non pregarla).
L'Inquisizione si occupa di tutte queste cose, anche con delle conseguenze abbastanza
devastanti sul piano politico, perché nel corso del 500 si inizia a comprendere che il legame
tra papato e Sant’Uffizio è così forte da generare processi di identificazione integrale:
quando moriva un papa e doveva farsene un altro (oggi se muore un papa, già ce n’è uno) ci
si riuniva e ci si rendeva conto che il più favorito, e colui che veniva eletto, era l’ex prefetto
della Congregazione del Sant’Uffizio—> quindi la Congregazione del Sant’Uffizio da
diventare il primo serbatoio dei nuovi papi.
L’ultimo papa che era un ex prefetto della Congregazione del Sant'Uffizio è stato Benedetto
XVI, papa Ratzinger.Nel 900, la Congregazione del Sant’Uffizio assume il nome di
Congregazione per la dottrina della fede, che si occupa della salvaguardia della dottrina
cattolica e della repressione dell’eresia. Francesco, invece, non è stato questo tipo di papa e
a differenza di Ratzinger era molto vicino ai protestanti. Inoltre, Ratzinger si è presentato
come un papa iper conservatore, rigido, e ha fatto una cosa che nessun papa prima di lui
aveva fatto: dimettersi.
L'Inquisizione comincia a fare la sua battaglia con lo scopo di vincere. Per farlo, bisogna
fare molti bassi e tra questi troviamo lo sfruttamento integrale della rete dei sacramenti,
la stessa delegittimata da Lutero che tra i vari sacramenti ce ne erano buoni solo due: la
Comunione e il Battesimo. Tutti gli altri potevano essere mandati via, inclusa la Confessione.

Cosa significa essere privatamente e pubblicamente cristiani? Se c’è una cosa che in una
comunità cristiana di antico regime è capace di coprirmi di vituperio e vergogna è il non
partecipare al precetto pasquale perché l'eucaristia della Pasqua è il momento in cui si
rende riconoscibile, agli occhi della comunità, l’essere regolarmente cristiano e quindi
bisogna andare a messa e prendersi la comunione. Il problema è che per accedere
all’eucaristia bisogna confessarsi e per confessarsi c’è bisogno della penitenza e per avere
la penitenza c’è bisogno che dell’assoluzione da parte del prete. Senza tutto ciò non posso
accedere all'eucaristia.
Tra gli anni 50, 60 e 70 del 700’ tutti i sacerdoti, che confessano i penitenti e che vengono a
conoscenza, per qualche ragione, di sospetti del protestantesimo o del fatto che il penitente
poteva essere a sua volta a conoscenza di altri che erano in odore di protestantesimo, non
davano l’assoluzione. Però, in quel momento la speranza non andava del tutto persa
perché, per evitare di essere ricoperti di vergogna agli occhi della comunità, si poteva
andare di andare dall’inquisitore per vuotare il sacco, dirgli tutto ciò che si sa delle persone
che ci circondano e che possono essere in odore di eresia protestante. L’Inquisitore rilascerà
così un bigliettino, con cui il penitente doveva ritornare dal sacerdote che lo assolve,
dandogli la possibilità di partecipare al precetto pasquale. Questo significa che tra inquisitore
e precettore nasce una collaborazione enorme e, per ottenere l’assoluzione, le persone
andavano spontaneamente dai confessori a dire tutto ciò che poteva essere di utile al loro
scopo. Nasce quindi una cultura del sospetto assolutamente avvolgente, si tendono a dire
cose agli inquisitori pur di ottenere ciò di cui si ha bisogno.
L’altra obiezione importante che potremmo fare è: non si potrebbe comunque prendere
comunque la comunione a Pasqua, senza ottenere l’assoluzione in confessione? Oggi può
capitare che un cristiano si confessi da una parte e prende la comunione da un’altra parte e
il sacerdote deve fidarsi del fatto che tu sei in pace con la tua coscienza. Questo in Antico
Regime non sempre poteva avvenire o addirittura si provò ad evitare che avvenisse,
limitando la mobilità e facendo in modo che il sacerdote-confessore corrispondesse nella
maggior parte dei casi al sacerdote che doveva celebrare l’eucaristia. Quindi, ci si poteva
presentare dinanzi al sacerdote che poteva anche non riconoscerci.
Questa questione ci da anche l’idea di quanto possa essere avvolgente il sistema di
controllo, che non riguarda più l’attività di un tribunale ma riguarda l’intera rete dei
sacramenti che lascia trasparire una collaborazione stretta tra sacerdoti, inquisitori,
confessori. Anche il matrimonio è un altro momento di grande controllo della vita del
cristiano, abbastanza avvolgente.
La cultura del sospetto avvolge in maniera profonda l’universo che riguarda la vita
devozionale. Gli storici, però, hanno visioni diverse sull’impatto che questo sistema avrebbe
avuto sul mondo cristiano: secondo alcuni, questo sistema avrebbe influito tantissimo sulla
vita delle persone-in particolare gli abitanti della Penisiola Iberica- tanto da frenare il
progresso culturale, la produzione di libero pensiero, nella nostra Penisola; secondo altri,
invece, l’Inquisizione si sarebbe caratterizzata più per le sue contraddizioni e per le sue
ricerche di compromessi che non per la sua inflessibilità—> sarebbe stata meno cattiva di
quanto potrebbe sembrare. In effetti se contassimo le condanne a morte celebrate
dall’Inquisizione rispetto a quelle di altri tribunali europei, ci renderemo conto che questi
inquisitori erano un pò meno sanguinari di come ci sono stati descritti. Ciononostante c’è
una cosa importante da dire: se ti pentivi, se obbedivi, ti potevi salvare la vita quindi il nodo è
anche la comprensione dell’importanza della differenza profonda che c’è tra la
repressione di un reato consumato molto bene e la repressione di un reato di
pensiero—> un conto è finire dinanzi al tribunale con l’accusa di omicidio, un altro conto è
finire in tribunale se si è accusati di avere un pensiero sbagliato. Queste due questioni
differenti devono farci diffidare dalla storia svolta solo con il metodo quantitativo.

15 MARZO ✅
Quando parliamo di “terra protestante” parliamo di terra a maggioranza protestante, quindi
non solo di focolai isolati ma di ampie comunità che possono convincersi della maggiore
bontà del messaggio di Lutero o Calvino rispetto a quello di obbedienza romano-cattolica.
Questo pericolo è durato diversi anni, fino a che la Chiesa non riorganizza tutto il sistema
secondo i criteri spiegati in precedenza.
Come abbiamo detto, “Sant’Uffizio” e “Inquisizione” non sono la stessa cosa: “Inquisizione”=
chi lavora; “Sant’Uffizio”= chi comanda (come se dicessimo “professore” e “rettore”). Il
Sant'Uffizio è fatto da una rete di giudici che si devono occupare della repressione di
presunti eretici; la Congregazione del Sant’Uffizio è un gruppo di cardinali, che nella
maggior parte dei casi risiede a Roma, e deve supervisionare tutta l’attività inquisitoriale. C’è
una stretta collaborazione tra inquisitori e confessori: la rete dei sacramenti, che scandisce
la vita del cristiano, è uno strumento di controllo.
Durante quest’epoca, crimine e peccato sono la stessa cosa. Oggi, in virtù dell’evoluzione
dei sistemi giuridici e della secolarizzazione della società, possiamo dire che il peccato è
qualcosa che riguarda la coscienza, mentre il crimine riguarda un male che apportiamo ad
un terzo. All’epoca, il peccato e il crimine erano sovrapponibili soprattutto dal punto di vista
della pena che si andava a pagare: si potevano commettere crimini contro la morale
pubblica, mentre la coscienza ti impone di pentirti e non di intraprendere una strada di
punizione. Allora il punto è questo: ti nego l’assoluzione fino a che non andrai dall’inquisitore
a dire tutto ciò che sai di te stesso e degli altri, o che pensi di sapere di te stesso e degli altri.
Tutto questo innesca un meccanismo un po’ perverso, ovvero pur di essere sicuro di non
essere coperto di vergogna agli occhi della comunità, inizio a dire all'Inquisitore ciò che
vuole sentirsi dire, anche informazioni di cui non sono certo.
Altro meccanismo che si innesca è quello dell’utilizzo della confessione prestata
“spontaneamente ”davanti all’inquisitore come uno strumento di vendetta personale—> io
sono andato in confessione ma non ho ottenuto l’assoluzione. Perciò devo andare
dall'Inquisitore che mi rilascia un bigliettino, con cui ritorno dal sacerdote che mi assolve.
Ma, giacché mi trovo, inizio a fare all’Inquisitore i nomi di presunti eretici, che non importa se
lo sono o meno realmente perché se solo insinuo nella mente dell’Inquisitore l’idea che
possono essere tali, l'Inquisitore li chiamerà per interrogarli. Quindi, mentre il fedele si
presenta dinanzi all'Inquisitore spontaneamente perché vuole ottenere l’assoluzione, i
presunti eretici non si presentano dinanzi all'Inquisitore per loro volontà ma perché vengono
chiamati. Di conseguenza, a seconda della situazione, l'Inquisitore avrà un atteggiamento
differente. Quando vieni chiamato da un Inquisitore, sai che ci sono guai in vista, c’è un
sospetto enorme che pende sulla tua testa. Però oggi la questione è leggermente diversa:
se veniamo chiamati da un giudice come persone informate dei fatti, probabili testimoni,
abbiamo all’interno di uno stato di diritto una prerogativa che non bisogna sottovalutare, cioè
quella che ci consente di sapere perché siamo stati chiamati prima dell’interrogatorio.
Questa prerogativa, nel gergo giuridico, corrisponde all’avviso di garanzia grazie al quale
scopriamo quali sono le ragioni per cui siamo stati chiamati.
In ultimo, abbiamo il diritto di apparire davanti al giudice accompagnati da un avvocato,
colui che deve pianificare la nostra strategia di difesa. Per l’Inquisizione romana, e in
generale per tutte le inquisizioni di Antico Regime, questo non vale: nel nostro sistema
giuridico, in virtù di cittadini di uno stato di diritto, siamo innocenti fino a prova contraria.
Dinanzi all'Inquisitore, sei colpevole fino a prova contraria.
Detto in termini più banali e precisi da un punto di vista della prospettiva storica, questo
significa dire che quando appari di fronte all’inquisitore non conosci né la ragione per cui sei
lì, né il nome di colui che ti ha tradito. Questo è un grandissimo limite per chi vuole difendersi
perché se non sai chi ha informato l’Inquisitore, sei in una posizione di pressoché totale
debolezza e quello che puoi solamente fare è, in maniera pressoché spaventata, fare delle
supposizioni e sospetti incrociati.
Questo significa vivere in un’atmosfera imbevuta di sospetto, paura, in cui non ci si fida di
nessuno perché la vita dell’individuo e della comunità è permeata dai sacramenti cristiani
che ne scandiscono le tappe, i quali ti rendono visibile agli occhi della comunità come
cristiano e persona per bene e, se esci fuori da questa rete di sacramenti, vieni percepito
come uno che ha qualcosa che non va. Tutte queste cose, alla luce del perfezionamento di
uno strumento di controllo così forte e capace di trovare alleati nel quadro istituzionale e
nella comunità, diventa ancora più pesante da affrontare—> chiunque può essere tuo
nemico, può portarti a pagare le estreme conseguenze di un reato che supponi di aver fatto
ma che mai pensi di aver commesso davvero. Tutti questi nodi diventano difficili da
sciogliere, ma sono alla base della battaglia che la nuova Inquisizione romana (quella che
obbedisce alle direttive del Sant'Uffizio) combatte contro l’eresia e tutte le forme di
eterodossia , a difesa dell’ortodossia.
Ortodossia: parola corretta, così come è stata codificata dalla Chiesa di Roma; eterodossia:
qualsiasi forma di devianza, spostamento o correzione dalla dottrina romana
Chiaramente, tutto questo non è poco per la battaglia che la Chiesa romana vuole
ingaggiare, soprattutto se consideriamo che ha armi soprattutto nella Penisola italiana, dove
viene accolta con entusiasmo dagli stati secolari e dove ha carte grosse da giocarsi.

Perché negli stati italiani viene accolta senza grandi perplessità? Come è che un sovrano
secolare accoglie in casa dei giudici che non sono del suo stato? In Antico Regime andare
da Napoli a Roma significava andare in uno stato straniero e accettare a Napoli un giudice
che obbedisce alle direttive di Roma, significava accettare un giudice che obbediva ad un
sovrano straniero.
Ma, allora, perché li accettavano? Perché ci si rende conto di essere più deboli rispetto agli
altri sovrani europei, perciò puntano all’unità politico-religiosa del corpo dei sudditi in modo
da assicurarsi che i sudditi arrivino dritto sul piano della morale e della religione e gli
Inquisitori li aiutano a perseguire questo scopo.
Molti storici hanno parlato di collaborazione condominiale tra gli stati secolari italiani e i
giudici ecclesiastici.
Tra i vari stati, due in particolare mettono dei paletti all’attività degli Inquisitori romani:
1.Venezia, perché pretendeva di avere ancora un’autonomia proveniente dalle fortune
economico-commerciali dei secoli precedenti. Quindi, per disciplinare i sudditi e essereforti,
pensa di non aver bisogno di aiuto straniero;
2.Napoli,che rientra tra i domini dell’Impero spagnolo, quindi obbediva a quelle direttive e in
Spagna a fare una cosa del genere ci avevano pensato direttamente loro, senza doversi
necessariamente appoggiare all’aiuto del papa, cioè avevano costruito la loro Inquisizione.
Tale Inquisizione era definita come “la Suprema”: a differenza di quella romana, non
obbedisce alle direttive del papa ma direttamente al re di Spagna.Dunque in Spagna
avevano fatto un passo in avanti, cioè avevano bisogno dell’unità politico-religiosa dei
sudditi, di un tribunale che garantisca quest’unità, ma decidono di creare una loro
Inquisizione e non affidarsi allo straniero.

Aldilà delle piccole eccezioni che ci sono, la presenza dell'Inquisizione romana soprattutto
nella Penisola italiana era forte. Riesce, in circa 3 decenni dalla sua ristrutturazione, riesce a
vincere la battaglia contro l’eterodossia—> quindi se è stata ristrutturata a fine degli anni 40,
possiamo dire che alla fine degli anni 70 del 500 la battaglia è vinta, quindi non esiste più la
possibilità concreta che larghi gruppi sociali possano diventare protestanti. Ma attenzione,
perché il protestantesimo non scompare ma si racchiude in piccoli gruppi isolati, motivo per
cui spesso si parla di "focolai di protestantesimo”. Questo significa che il protestantesimo
non può essere più un fenomeno epidemico, ma esistono focolai circoscritti che di volta in
volta possono essere spenti.
Detto ciò, la domanda che ci dovremmo porre è: finita questa emergenza, cosa succede? Gli
inquisitori non hanno più il loro compito da svolgere,quindi ha senso ancora la loro esistenza
così come è stata pensata negli anni 40 del 500?
Dobbiamo pensare anche che tenere in piedi l’Inquisizione richiede molto denaro. Una volta
vinta la battaglia, gli inquisitori potrebbero ridursi di numero e magari concentrarsi solo lì
dove c’è un focolaio, ma questa cosa non accade perché la congregazione del Sant’Uffizio
ha preso troppo potere, al punto tale da compenetrarsi strettamente con la Santa Sede e da
fare in modo che gli ex prefetti della Congregazione del Sant'Uffizio diventassero addirittura
papi.La Chiesa, nel frattempo, capisce che la battaglia da combattere non può più essere
circoscritta all’eresia ma è più generale, che ha a che fare con tanti altri comportamenti che
sono all’interno della cristianità—> pur non essendo esplicitamente eretici, si è un pericolo
per l’unità religiosa e per la disciplina religiosa dei fedeli.

Esempi per capirci: gli inquisitori avrebbero delle alternative negli anni 70, ma non lo fanno e
si riconvertono, cioè si danno ad un’altra battaglia che la Chiesa del tempo chiama
“battaglia contro le superstizioni”.
“Superstizione” non è “eresia”: “eresia” è credere che le opere non ti salvano, credere nelle
dottrine di Lutero, Calvino, essere un anabattista. Cosa significa oggi essere “superstiziosi”?
L’idea che abbiamo oggi della superstizione non coincide con l’idea che si aveva di
“superstizione” nel 500. L’idea che abbiamo oggi nasce nel 700, nell’epoca dell’Illuminismo,
quando nasce quell’idea che ha a che fare con l’irrazionalità —> sei superstizioso se credi
in cose che non hanno a che fare con la ragione (es: se pensi che il vaccino ti faccia male,
che un determinato alimento ti faccia male, perché abbiamo conoscenze scientifiche che ci
smentiscono la credenza). Nel 500,invece, la superstizione era un concetto elaborato
all’interno dell'autorità ecclesiastica e che distingue il rapporto con il soprannaturale, sulla
base di 2 tronconi: il primo, non superstizioso, era obbediente alle direttive della stessa
autorità ecclesiastica e quindi interno alla liturgia ecclesiastica; il secondo era quello
superstizioso, quello non obbediente alle direttive dell’autorità ecclesiastica
Esempio:
-Credere che in un pezzo di ostia ci sia Cristo, è razionale? No, non lo è, implica un atto di
fede. Da un punto di vista illuministico, secolarizzato e attualizzato, potremmo dire che
quella è pura superstizione ma mai la Chiesa del 500 avrebbe affermato che fare la
comunione era una cosa superstiziosa.
-Credere che in un’immagine sacra ci sia la presenza stessa di una divinità o di un santo che
vado a pregare e a cui chiedo l’intercessione, è una cosa razionale? No, implica un atto di
fede, che non è lo spartiacque, cioè non ci porta a dire cosa è superstizioso e cosa no. Ma,
mai, la Chiesa del 500 avrebbe detto che si tratta di una superstizione.
Dal 700, si inizia a pensare che queste possono essere cose superstiziose.

Cos'è superstizioso per la Chiesa del 500? Sono superstiziose tutte quelle forme di
rapporto con l’aldilà che potenzialmente prescindono dalla mediazione ecclesiastica.
Ad esempio: la pratica del malocchio rientra tra quelle che la Chiesa avrebbe considerato
come superstizione perché, in quanto soprannaturale, non è amministrata da un sacerdote.
Ad esercitare la pratica del malocchio non è mai un uomo, ma è sempre una donna. Perciò
la formula che viene recitata non può essere rivelata ad un uomo perché non ha il diritto di
essere destinatario di quella rivelazione. Invece, le donne possono sapere cosa viene
recitato ma non possono rivelarlo ad un uomo.
Dunque, la linea di trasmissione di quel tipo di sapienza è unicamente femminile—> la
formula può essere trasmessa di donna in donna, nella stessa famiglia, mentre i maschi
sono esclusi.
Oggi, invece, in chiesa vediamo sempre preti maschi, mentre le donne non possono
diventare sacerdotesse perché il sacerdozio femminile non esiste. Una donna può diventare
religiosa, ma non ha diritto ad amministrare come un sacerdote maschio.
Questo risvolto della pratica, questa trasmissione per via femminile del codice, intimorisce
ancora di più la Chiesa che inizia ad insospettirsi perché pensa che siamo dinanzi a
qualcosa che potrebbe mettere in discussione il primato del sacerdozio maschile, dal
momento che nello scongiurare il malocchio veste un po’ i panni del sacerdote
Però qualcuno, nella storia degli studi umanistici (in particolare dell’antropologia), è riuscito a
farsi rivelare la formula dalle donne: Ernesto de Martino, grande antropologo del secondo
dopoguerra che ha agito soprattutto nel Sud Italia e che ha studiato vari fenomeni di
rapporto con il soprannaturale con le popolazioni del Sud Italia. In un libro intitolato “Sud e
magia” cominciò ad indagare sulla pratica del malocchio nella Lucania (attuale Basilicata).
La formula recitata dalle donne non era sempre la stessa, variava un po’, ma non era altro
che una distorsione di alcune preghiere ben note. Quindi preghiere note, come l’Ave
Maria, il Padre Nostro, venivano recitate in maniera sbilenca, con parole e espressioni
cambiate (espressioni che sono invocazioni e diventano scongiure).
Ma come ha fatto a farselo dire? Utilizzò le sue allieve donne.
Il malocchio non è l’unica forma di superstizione, ce ne sono tante altre che hanno a che
fare con la fabbricazione di pozioni magiche che devono sortire una serie di effetti nel
corpo dei fedeli. Uno di questi effetti è il ritorno d’amore. Fino a poco tempo fa, prima del
trionfo di Internet, c’erano le tv e le radio private. Le tv private erano un pullulare di maghi,
maghe, fattucchiere. Ognuno era specializzato: i più fortunati erano maghi e maghe
specializzate nel ritorno d’amore. Poi c’era una star radiofonica: Gennaro D’Auria, che
stabiliva qual’era lo scenario futuro di colui che chiedeva aiuto. Tutte queste pratiche hanno
ragioni molto antiche e alcune di queste pozioni si chiamavano anguistara. Diffuse anche
nel nord Italia e altre aree dell’Europa, erano degli intrugli che si facevano con una serie di
ingredienti, anche strani, e che la Chiesa riteneva come “superstiziosi”.
Ultimamente è andata molto di moda su Netflix, una serie dedicata ad un personaggio quasi
mitologico dell’Italia degli anni 80 e 90: una donna di nome Wanna Marchi, che esordì come
proprietaria di una profumeria nella località emiliano-romagnola di Ozzano. Ad un certo
punto, comincia a vendere il suo prodotto in un evento televisivo (“Televendita”) e si
distingue per le sue abilità oratorie, per la sua capacità di convincere gli acquirenti del potere
miracoloso dei cosmetici, che pretendeva producessero sul corpo degli acquirenti degli
effetti straordinari.Non appena si rende conto che una delle ossessioni degli acquirenti era il
dimagrimento, comincia vendere un prodotto che serviva a far dimagrire: la crema “sciogli
pancia”, venduta in quantità industriali. I produttori di questi cosmetici, per paura di essere
arrestati per truffa ai danni dei consumatori, si rifiutarono di scrivere "scioglipancia". Ciò
nonostante, non le importava di cosa ci sarebbe stato scritto sopra perché in ogni caso lo
avrebbe venduto come “scioglipancia”—> l’importante è far credere qualcosa a qualcuno.
Ad un certo punto questo commercio si esaurì e lei, che era diventata miliardaria, cominciò
ad avvertire un calo dei suoi introiti e allora convertì un pò la sua attività, alleandosi ad un
personaggio (di origini brasiliane) che aveva conosciuto durante una cena in Sardegna e
che svolgeva il ruolo di un maggiordomo. A detta del politico che ospitava la cena, questo
maggiordomo aveva doti magiche. Diventò perciò molto famoso nelle televendite,
affiancando Wanna Marchi e prendendo il nome di “mago Do Nascimiento".Egli vendeva
vaticini per il futuro, talismani contro il malocchio e numeri vincenti al lotto, che la gente
comprava con la sicurezza che fossero quelli estratti. Se però non erano quelli estratti, la
colpa non era del mago ma dell’acquirente che aveva fatto qualcosa di sbagliato nella sua
vita. Ci fu un processo che vide coinvolta Wanna Marchi, la figlia, il Mago Do Nascimiento, e
che si concluse con il Mago Do Nascimento che scappò in Brasile e Wanna Marchi e sua
figlia vennero incarcerate con l’accusa di truffa ai danni dei consumatori.
Anche la vendita dei talismani faceva parte di quei comportamenti che la chiesa riteneva
come superstizione.
Se guardassimo ad una serie inquisitoriale documentaria, omogenea, che ci porta dagli anni
40 fino agli anni 80-90 del 500, ci renderemo conto che davanti ai nostri occhi apparirebbe
un fenomeno molto molto strano: fino agli anni 70, la Penisola italiana sembrerebbe piena di
eretici, piena di persone che è tentata dall’idea di abbracciare il calvinismo, il luteranesimo.
A partire dalla fine degli anni 70 e gli inizi degli anni 80, invece, esplode la moda del
malocchio, del talismano, dell’anguistara ecc..
In altre parole, ci troveremmo dinanzi ad un potentissimo esperimento di illusione ottica, di
cui gli scienziati come gli storici potrebbero rimanere vittima.
Il nodo è che quelle pratiche esistevano già tempo prima, fin dalla notte dei tempi. Infatti il
malocchio, il ritorno d’amore, il talismano, fanno parte di un patrimonio antichissimo ma che,
prima degli anni 70-80 dell’500, nelle serie documentarie non appariva.
Cosa ci porta a concludere tutto ciò? Quando guardiamo alla realtà sociale, di oggi o di
Antico Regime, vediamo solo ciò che stiamo cercando. Se qualcosa non lo cerchiamo, e non
emerge, non significa che quel qualcosa non esiste, bensì esisterà e comincerà ad esistere
ai nostri occhi solo quando qualcuno inizierà a cercarlo. Nel momento in cui c’è qualcuno
che lo cerca, ad essere determinante non è la società che cambia perché inizia ad
illuminarsi sulla via del malocchio, ma è l'Inquisizione che inizia a mettere il naso in
comportamenti che fino a quel momento c'erano stati ma non avevano dato fastidio a
nessuno ma che ora iniziano a infastidire perché c’è qualcuno che li vuole reprimere e
cancellare.
Perché diventano un problema? Perché i protestanti avevano contestato molto le pratiche
devozionali cattoliche e il loro carattere superstizioso.Ad esempio: i cattolici credevano nei
santi e i protestanti accettano il modello di virtù ma contestano il fatto che quando un
cristiano crede nei santi, non si accertano della verità storica del santo, dell’attendibilità della
storia raccontata ne tanto meno dell’autenticità dell’oggetto a cui prestano il culo (una
reliquia, un pezzo di vestito). Quando si vuole propiziare il ritorno d’amore, si prende un
pezzo di quella persona per portarla al mediatore del sacro; lo stesso avviene quando si
crede nel santo per approssimarsi alla sua vita, cioè si cerca un contatto diretto (una ciocca
di capelli, un unghia).
La Chiesa di Roma perciò sente la necessità di mettere dei paletti, far emergere tutti questi
comportamenti considerati come delle “deviazioni”.
Gli storici, dati i diversi punti di vista, hanno litigato sull’impatto che questo tipo di pratica
repressiva ha avuto sulla società europea, cattolica e in particolare sulla società italiana:
secondo alcuni la lotta dell’Inquisizione, contro l’eresia e poi contro la superstizione, ha dato
vita ad uno sgonfiamento progressivo che si è rivelato essere una sconfitta. Altri invece
ritengono che la razionalizzazione del nostro corpo sociale abbia vinto e che quindi tutta
quest’epoca, che definiamo come Controriforma. (reazione alla riforma protestante da
parte dei cattolici )abbia avuto un impatto complessivo sulla società italiana ed europea
limitato. Altri invece ritengono che l’azione repressiva portata avanti dalla Controriforma
abbia avuto un impatto devastante sulla nostra cultura limitando le forme di espressione,
inclusa quella letteraria—> in altre parole, secondo alcuni studiosi, la letteratura italiana, del
mondo cattolico, non sarebbe stata la stessa senza azioni così depressive e capaci di
radere al suolo qualsiasi forma di deviazione rispetto a verità costituite.

Se volessimo fare un bilancio: quest’attività repressiva ha davvero limitato la produzione


letteraria? Quando guardiamo al secondo 500 italiano, chi sono gli scrittori italiani più
rappresentativi, coloro che cercano di portare il loro prodotto ad un pubblico ampio e di
sfondare il muro della corte che gli assicurava sussistenza? Torquato Tasso con la
“Gerusalemme Liberata”. Che tipo di atteggiamento ha avuto l'Inquisizione nei suoi
confronti? Tasso ha avuto molti problemi con l’autorità ma era protetto dalla Corte Estense di
Ferrara e, in particolare, ha instaurato un rapporto burrascoso con Alfonso d'Este, un
rapporto che lo porta ad avere delle scivolate tra l’invidia, l’ammirazione… un rapporto
conflittuale anche con la fede (suo padre era piuttosto rigido). Quindi affermare che Tasso è
stato rinchiuso dall’Inquisizione, significa che qualcosa non lo abbiamo capito bene perché i
primi problemi di Tasso con l’autorità ecclesiastica, dopo la composizione della
Gerusalemme Liberata, nacquero per la sua stessa volontà perché egli iniziò ad essere
lacerato da una crisi di coscienza: Tasso iniziò a pensare che la sua opera aveva rotto
un’ortodossia che la Chiesa riteneva intoccabile e quindi si rivolse a degli esperti di dottrina
e gerarchi cattolici di sua conoscenza chiedendo loro di leggere la “Gerusalemme liberata”.
L’opera di Tasso presenta delle caratteristiche che meritano un attimo di attenzione:
racconta la storia del tentativo di liberazione del Santo Sepolcro, portato avanti durante una
crociata guidata da Goffredo di Buglione.
Accanto a Goffredo di Buglione troviamo anche altri personaggi, cioè eroi che combattono
che troviamo al centro di una serie di incontri e scontri con il nemico, colui che porta le
bandiere della fede opposta. Il compito principale degli eroi di Tasso è dedicarsi alla
liberazione del Santo Sepolcro, obbedendo a Goffredo di Buglione. Però i cavalieri di Tasso,
seguendo anche la scia del poema epico-cavalleresco, diventano erranti—> ad esempio, i
maschi cominciano a subire il fascino femminile che risiede sempre dall’altra parte. Dall’altra
parte poi ci sono anche i cavalieri maschi che Tasso descrive come personaggi pieni di
umanità, di sofferenza, di pietà, quindi li fa sentire molto più vicini ai cristiani di quanto non
potessero apparire agli occhi di una facile propaganda di contrapposizione.In tutta la trama
della “Gerusalemme liberata” quella che dovrebbe essere una dicotomia netta tra cristiani e
non cristiani, diventa un universo fluido di contatti, innamoramenti, fascinazioni, di
dimenticanze da parte dei cavalieri che smarriscono il loro ruolo (liberare il Santo Sepolcro)
pensando piuttosto a liberare le guerriere della parte opposta. Allora un critico letterario,
Cesare Segre, scriveva che i personaggi di Tasso (sopratutto quelli cristiani) vivono momenti
in cui sono presi da spinte centripete e momenti in cui sono presi da spinte centrifughe:
vivono momenti in cui sono presi dalla loro missione principale, liberare il Santo Sepolcro, e
momenti in cui prendono altre strade, inseguendo altri obiettivi. Tasso allora si rende conto di
non aver fatto proprio una cosa buona e quindi si rivolge agli Inquisitori per essere
rassicurato. Ma, nonostante le rassicurazioni che riceve, ancora non è convinto di essere
stato ortodosso in tutto e per tutto. Perciò inizia a ripulire la sua opera fino a produrre la
“Gerusalemme conquistata”.
Questo ci fa capire che le conseguenze della repressione non si vedono solo nella punizione
implicita o esplicita che viene inflitta ad uno scrittore ma si vede anche nelle crisi di
coscienza che, più o meno involontariamente, vengono innescate nella mente e nell’anima
di questi scrittori che non riescono più a stare in pace con sé stessi.

Cosa dà a un suddito ferrarese (come Tasso), o fiorentino, o romano, o napoletano del 500,
la percezione della presenza di uno straniero che appartiene ad un’altra fede e quindi non è
cristiano?
Questa percezione può arrivare da due o tre cose:
-visitatore straniero che può essere rappresentante diplomatico o ambasciatore di un’altra
corte, quindi la presenza di un pezzo grosso che lascia capire che chi ti sta visitando, viene
da un altrove che non condivide il tuo credo religioso, i tuoi costumi, il tuo stile di vita ma
porta un modello di vita diverso;
-presenza di figure mercantili: persone che sono arrivate ,soprattutto nelle città portuali ma
anche quelle più nell’entroterra, per scambiare merci e quindi stanno lì per consumare
transazioni commerciali;
-presenza di schiavi:la domanda che dovremmo porci è “ma la schiavitù non era stata
abolita?” Si, ma a partire dalla fine del 400 e nel corso del 500, la situazione mediterranea
cambia radicalmente con la conquista di Costantinopoli e il rafforzamento dei turchi, che
aveva giocato un ruolo importante per Colombo e per la ricerca di una traiettoria
commerciale che andasse verso occidente e non verso oriente, perché verso oriente le vie
erano chiuse. La sostanza è che in tutta la parte sud-orientale del Mediterraneo (Nord-Africa
e attuale medio Oriente), l’impero turco (erede dell’impero romano bizantino) ha preso il
sopravvento. Questo Mediterraneo spaccato in 2 da vita ad un processo di medio-lungo
periodo che vede i turchi contro i cristiani in una guerra definita come “guerra di corsa” che
rimanda alla figura del corsaro.
Chi è il corsaro? Il corsaro è uno che sta sulla nave con l’obiettivo di mettere insieme un
bottino, raccattare ricchezze, anche attaccando la nave nemica. Il corsaro non è un

❗️❗️ ❗️❗️
mercante bensì un guerriero che agisce più sotto traccia.
ATTENZIONE : non confondere il corsaro con il pirata perché il corsaro obbedisce
ad un mandato statale e soprattutto si ritiene abbia a sua disposizione una patente di
corsa—> un mandato esplicito, un documento, un incarico formale.Nello specifico, i corsari
mediterranei del 500 posseggono questo incarico formale perché gli proviene dalle
cosiddette reggenze barbaresche: entità statali, che si trovano nelle grandi città del
Nord-Africa, che sono riconducibili a qualche forma di dipendenza dall’impero
turco-ottomano.
Cosa fanno i corsari? I corsari navigano nel Mediterraneo e si propongono l’obiettivo di
consumare delle incursioni anche nell’entroterra cristiano. Una delle zone più ossessionate,
nel corso del 500, dal pericolo dei corsari turchi (nel senso geografico del termine perché
turchi non erano) è la Puglia e lo è dopo l’assedio di Otranto (che si consuma alla fine del
400). Altra zona, altrettanto ossessionata dal pericolo turco, è l’attuale Friuli ma anche le
isole del golfo (Capri soprattutto). I corsari non si accontentano solo di ciò: nell’ incrociare
navi che ospitano operatori, mercanti, predicatori cristiani, tentano di catturare il nemico e
portarlo in barberia (=nelle reggenze barbaresche). L’obiettivo era ottenere un riscatto in
cambio della restituzione del prigioniero. Nel mondo cristiano, il pericolo del rapimento è
molto sentito, quindi ci si organizza per poter pagare questi riscatti. Fra le altre cose, i
sovrani dei piccoli e deboli stati italiani si impegnano nel pagamento dei riscatti perché è per
loro una questione di onore e credibilità agli occhi dei sudditi—> non possono lasciare che
un loro suddito rimanga nelle mani di un nemico, perché sarebbe un danno per la loro
immagine. A maggior ragione,i sovrani italiani lo fanno perché sono stati molto deboli se
consideriamo il loro ruolo all’interno del quadro delle egemonie politiche europee: la Francia,
o meglio i Valois, si sta dotando di appositi strumenti, così come gli Asburgo, i Tudor, e i vari
rami degli Asburgo. Gli stati italiani, invece, durante le guerre d’Italia diventano terra di
conquista e l’obiettivo delle potenze straniere. Dunque, percependo la loro debolezza e
riconoscendo di non poter vincere quella battaglia in campo politico, militare ed economico,
pensano di investire molto nell’immagine. Questo significa dare spazio alla produzione
artistica, letteraria (Lorenzo Dei Medici aveva trasformato Firenze in una sorta di vetrina,
che doveva agli occhi del mondo apparire come la Nuova Atene; quindi doveva essere il
centro, il cuore pulsante della cultura). Però, questo non basta perché bisogna anche
salvaguardare l’onore,che significa anche avere la capacità di riportare a casa i propri
sudditi e non lasciarli nelle grinfie del nemico. Vengono perciò messe in piedi delle istituzioni
per pagare i riscatti e portare a casa gli schiavi, le quali spesso vanno sotto la definizione di
“casa di redenzione dei cattivi”(cattivi= quelli che vengono catturati). Quindi vengono
riportati a casa, ma per farlo bisogna accumulare delle risorse economiche attraverso la
beneficenza—> questo, ancora una volta, significava richiamare i cristiani all’importanza del
ruolo delle opere e le opere sono anche opere di carità cioè cessione dei propri beni
materiali per istituzioni che hanno scopi benefici, i quali in questo caso erano i pagamenti dei
riscatti.
Una volta pagato il riscatto, i sovrani italiani volevano dimostrare ai sudditi che avevano
liberato gli schiavi. In che modo? Organizzando delle magniloquenti cerimonie del ritorno:
lo schiavo, dopo lunghi mesi o anni di prigionia, veniva riportato nella capitale dello stato di
provenienza dove era protagonista di una sorta di processione, la quale doveva essere
visibile al popolo. Durante questa processione, lo schiavo partiva con abiti che rimandano
all’esperienza di prigionia vissuta (ad esempio erano coperti di catene, come dimostrazione
che lo schiavo era stato vittima di qualcosa). Arrivato poi nella piazza principale, si dava vita
ad una sorta di trasformazione dell’abito (le catene cadevano) e agli occhi del popolo
diventava visibile la liberazione.
Molti studiosi si sono concentrati molto sullo studio delle cerimonie per il ritorno a casa degli
schiavi. Tra questi ricordiamo: Paolo Preto per Venezia, Giovanni Ricci per Ferrara,
Gabriella Zarri per Firenze e tanti altri. Parliamo di studiosi che si occupano anche di
rapporto tra religione e politica, dell’importanza delle cerimonie, del rapporto tra la
costruzione dell’immagine e la costruzione del consenso e il rafforzamento dell’apparato
politico, perché nell’ offrire quello spettacolo c’è un gioco politico importante: cerco di
nascondere l'intrinseca debolezza, che spesso si palesa nella rivalità che c’è tra un casato e
l’altro. Quelli che più spesso stavano in concorrenza erano: i Medici di Firenze e gli Este di
Ferrara
Come facevano ad esprimere le proprie pretese nei confronti degli altri? Attraverso strumenti
di carattere militare,economico, e spesso ricorrendo anche a questioni culturali, che significa
organizzare degli scherzi,farsi delle burle, con lo scopo di mettere in ridicolo il nemico.
Una corte italiana che riceveva importanti diplomatici stranieri aveva delle buone ragioni per
vantarsene, perché ricevere un diplomatico straniero era una forma di riconoscimento che
ricevi dall’altro, è un modo per potersi rassicurare sull’importanza della propria posizione.
Cosa facevano Firenze e Ferrara? Incaricavano degli attori di travestirsi da diplomatici, da
ambasciatori e li mandavano da Firenze a Ferrara e da Ferrara a Firenze.Al che, gli Este si
vedevano presentare questi che vestivano le vesti di ambasciatori del sultano e iniziavano,
con occhi felici, a stupirsi per l’onore che avevano ricevuto. Quando la burla si rivela, si
capovolge la situazione. Quindi si indebolivano a vicenda attraverso questi espedienti che
potremmo definire di rovesciamento o carnevaleschi.
Quello che arriviamo a capire è come sia complicato questo scenario nel quale si cerca di
sopperire, con l’atto comunicativo, l'inconsistenza politica: in termini matematici, potremmo
dire che lo sforzo comunicativo culturale prodotto da un’entità statale è inversamente
proporzionale alla sua effettiva incidenza politico-militare o economica—>più sono debole
sulle cose serie, più divento forte sulle cose meno serie con cui devo coprire le mie
mancanze strutturali (non ho un esercito,un’economia o un corpo diplomatico- burocratico,
allora investo sull’immagine). La cerimonia del riscatto degli schiavi è uno degli investimenti
su cui si punta di più per salvaguardare il proprio onore che è sempre più traballante, in una
situazione politica come quella italiana del 500.
Però, ci si rese conto che la cerimonia veniva sabotata non solo dal concorrente diretto (=nel
caso di Ferrara da Firenze, nel caso di Mantova da Ferrara ecc) ma anche dallo stesso
protagonista perché, dopo essere stato catturato e dopo aver sperimentato un altro tipo di
vita, quando vede presentarsi alla sua porta i suoi antichi protettori pronti a riportarlo a casa,
dice “sto bene qui”. Dunque, nel 500, inizia a diffondersi la convinzione che essere catturati
no è poi una grande disgrazia, anzi la percezione si accompagna alla consapevolezza che
dall’altra parte del Mediterraneo queste persone- che nel mondo cristiano avevano
possibilità di cambiamento della loro posizione sociale limitate- possono invece percorrere
altrove altre strade, impensabili nel loro luogo di provenienza sociale—> la mobilità sociale
era più possibile nell’altra parte del Mediterraneo.
C’è anche un altro aspetto fondamentale che è quello di carattere sessuale: i costumi
sessuali erano più liberi e meno rigidi. Allora, nel momento del riscatto, quello che dovrebbe
essere il momento del trionfo dell’autorità che sta riportando lo schiavo a casa si trasforma in
un paradossale schiaffo, un ulteriore affronto all’onore. Una delle corte che più subiva questi
schiaffi era quella ferrarese che investiva molto nella liberazione dei cattivi ma si ritrova
spesso dinanzi a dei rifiuti, che sono ceffoni per la famiglia regnante. Tasso vedeva queste
cose a Ferrara e quindi un rapporto tra cristiani e non cristiani estremamente fluido e
problematico. Questa è una delle ragioni più profonde per cui la composizione della
“Gerusalemme Liberata”, contro cui l'Inquisizione non ha nulla da dire, gli provoca crisi di
coscienza enormi; è qualcosa che affonda anche nel suo quotidiano, che lo mette in
rapporto diretto con la famiglia regnante (sua protettrice), un rapporto però burrascoso, fatto
di attrazioni e invidia. I problemi morali che si generano con un’opera hanno conseguenze
anche di carattere politico: descrivere la fascinazione forte che subiscono i cristiani dal
mondo mussulmano, i guerrieri che si innamorano e vengono sedotti dalle guerriere
nemiche, non può essere facilmente accettato in un contesto culturale o almeno non senza
delle controversie. Proprio su queste questioni bisogna concentrarsi, per comprendere quali
sono gli impatti reali, giudicati nella loro struttura articolata dell’operato repressivo della
Chiesa riformista sulla società italiana e, in generale, su quella cattolica.

20 MARZO ✅
Quando prendiamo in considerazioni opere come “La Gerusalemme Liberata” e figure come
Tasso, dobbiamo comprendere qual è l’atmosfera, le ansie, le preoccupazioni che lo
circondavano e che caratterizzano il rapporto con la famiglia degli Este.
L’ambivalenza è uno degli elementi caratterizzanti dell’opera (personaggi che smarriscono la
loro missione principale per focalizzarsi su altre questioni), la stessa ambivalenza che
possiamo vedere nell’atteggiamento degli schiavi che dovrebbero ritornare a casa ma
preferiscono continuare a fuggire perché se da un lato sono spaventati dal nuovo mondo,
dall’altro lato ne sono profondamente attratti.
La famiglia degli Este, che offre a Tasso di esercitare la professione di letterato, si
impegnano a portare a casa questi schiavi, organizzando cerimonie magniloquenti quando ci
riuscivano; quando non ci riuscivano, invece, subivano uno smacco enorme, lo stesso che
subivano tutti i membri delle grandi dinastie che erano a capo di organismi politici deboli che
non riuscivano a reggere la concorrenza delle grandi monarchie straniere.
Quando valutiamo opere di questo tipo, entra in gioco una battaglia importante: la battaglia
di Lepanto. Siamo nella seconda metà del 500, quando per la prima volta viene data alle
stampe l’opera “la Gerusalemme Liberata” di Tasso. La battaglia di Lepanto, grande evento
militare che caratterizza l’epoca e di cui parla anche Alessandro Barbero,mette l’Europa
cristiana contro il nemico turco che viene considerato come una minaccia per le propaggini
dell’Europa Cristiana, in particolare il Regno di Napoli (per l’impero spagnolo).Visto che il
pericolo riguarda tutti coloro che si riconoscono come cristiani, bisogna coalizzarsi quindi si
cerca un’alleanza che va aldilà delle singole dinastie per combattere contro i turchi.
I manuali ci raccontano della battaglia come affermazione da parte della colazione cristiana
contro il turco, quindi l’espansione dell’Impero turco viene fermata dalla sconfitta navale dei
turchi che si consuma a Lepanto.
Il principale protagonista di quest’affermazione militare fu l’erede di Carlo V, Filippo II
d’Asburgo. Egli aveva ereditato solo la corona spagnola e i domini della corona spagnola,
perché l’impero era finito nelle mani di un altro parente e non c’era più la possibilità di
vedere unita quella mostruosità nelle mani di un unico sovrano nella prima metà del 500.
Quindi cosa eredita? Eredita la Penisola Iberica, i possedimenti della Penisola Iberica e
nel resto d’Europa (l’Italia, i Paesi Bassi) e i Vicereami del Nuovo Mondo (nell’attuale
America del Sud).
Filippo II è il principale protagonista militare della battaglia, fa da punto di riferimento e
investe nella battaglia anche da un punto di vista simbolico perché deve difendere-in quanto
monarca cattolico- il vecchio mondo cristiano dall’invasione nemica, quindi cerca anche di
stabilire un accordo diplomatico con tutte le altre corone europee (il papa, Venezia) per
portare a termine questo tipo di impresa.
Filippo II aveva provato a gestire anche le divisioni interne ai domini spagnoli (le rivolte, le
agitazioni dei contadini) e dare dei riferimenti simbolici alla costruzione dell’immagine della
corona, facendo un passo avanti rispetto a Carlo V il quale non poteva essere sempre
presente agli occhi degli spagnoli, quindi aveva usato la corte itinerante. Filippo II, invece,
decide di
1. dare al Regno spagnolo una capitale Madrid come capitale;
2. costruire un palazzo reale che funga da punto di riferimento per gli spagnoli,
l’Escorial;
3. accreditarsi come sovrano spagnolo e darsi un santorale: insieme di immagini di
santi che fungono da protettore della corona, per poter rafforzare l’immagine stessa.
Tale opera è facilitata dalla presenza di una mistica che ha un potere suggestivo
enorme: Teresa de Avila (carmelitana) è una delle figure più importanti da un punto
di vista religioso per la storia del mondo intero.
Dunque Filippo II, avendo fatto questi sforzi sul fronte interno, decide anche di ergersi come
protettore dell’intera cristianità, grazie alla vittoria ottenuta con la battaglia di Lepanto.

PORTATA DELLA BATTAGLIA DA UN PUNTO DI VISTA GEOPOLITICO


Sul piano strettamente geopolitico, dobbiamo riconoscere che la battaglia non cambia quasi
nulla, cioè si risolse con un “pareggio”, non fu una vera affermazione cristiana ma fu un
momento importante nel quale le pretese di un mondo nei confronti di un altro uscirono
ridimensionate—> in altre parole: là dove i turchi si aspettavano di poter sopraffare il nemico,
si dovettero rassegnare al fatto che il nemico non cedeva tanto facilmente.
Però, a questa parziale inconsistenza geo-politica della battaglia, come facciamo a spiegare
la sua presenza dominante nelle fonti storiche del tempo e nei manuali?
Questa battaglia è sempre presente perché, da un punto di vista mediatico-comunicativo,
generò un volume di informazioni e di ricostruzioni senza precedenti: la battaglia non è
importante per come si è combattuta, né per chi l’ha vinta/persa, ma è importante sul piano
storico per come se ne parla.
Ad esempio: la morte di Elisabetta II è molto importante da un punto di vista mediatico. Il
punto però è che l’ondata mediatica generata da un singolo evento, non sempre corrisponde
a dei paramenti che sono altrettanto rilevanti sul piano politico, economico, amministrativo,
giudiziario.
La battaglia di Lepanto rappresenta quell’evento che sul piano culturale e mediatico
rappresenta una svolta per l’Europa, quel tipo di svolta che non è stato sul piano militare e
geopolitico. È quel tipo di evento che, aldilà delle barriere linguistiche, permette agli europei
di sentirsi tali.
Uno dei grandi problemi della storia d’Europa durante l’Antico Regime, ma ancora oggi, è
stare di fronte a una realtà che ha da un lato una pretesa dignità, dall’altra parte delle
profonde specificità che la dividono.
Oggi, quando ci sentiamo europei e quando ci sentiamo italiani? Quando ci troviamo di
fronte a situazioni culturali, politiche, economiche, geopolitiche, artistiche, sportive, il nostro
essere italiani fa a pugni con l’essere europei. Quindi trovare un’unità in un contenitore molto
vasto, come l’Europa, è molto complesso. Uno dei fattori di ricerca di unità in un contenitore
così variegato è la possibilità di parlare della stessa cosa nello stesso momento: noi ci
sentiamo italiani, molto più spesso di quanto possiamo sentirci europei, perché abbiamo
diverse occasioni che ci inducono ad essere italiani, che ci permettono cioè di essere
protagonisti di un dialogo incentrato su un argomento, su un evento, su un nodo politico, su
una questione artistica—> siamo italiani quando andiamo a votare, quando parliamo della
serie A, quando arrivano i tifosi tedeschi e mettono la città di Napoli sottosopra, quando
parliamo del festival di Sanremo, quando muore Maurizio Costanzo o Raffaella Carrà. Più
rare, invece, sono le situazioni in cui ci fanno sentire europei perché per sentirci europei
abbiamo bisogno di argomenti che siano di uguale interesse per noi, per i tedeschi, per gli
spagnoli, i polacchi ecc…
A farci sentire europei, per esempio è la guerra in Ucraina perché diventa un’occasione in
cui l’unità europea è minacciata, in cui c’è un nemico esterno che ci fa percepire la paura.
Ma le occasioni in cui ci sentiamo europei sono sporadiche, rare; l’Eurovision perché tutti
partecipiamo allo stesso gioco, votando le stesse canzoni; quando si gioca la finale di
Champions League.

La battaglia di Lepanto fu un’occasione capace di creare un discorso mediatico univoco in


tutta l’Europa, di sintonizzare l’intero continente su un unico argomento—> anche la
sincronia, per la storia dei media, è importante: si può parlare di fenomeno mediatico
quando c’è sincronia. Guardare la stessa serie tv, non crea sincronia perché c’è chi sta alla
prima stagione, chi alla seconda o alla terza stagione, quindi non c’è la possibilità di parlare
della stessa cosa nello stesso momento, di vivere lo spoiler nello stesso momento. Eventi
come l’Eurovision, invece, creano sincronia.
La battaglia di Lepanto, pur con tempi più ridotti, crea sincronia perché tutti discutono della
stessa cosa nello stesso momento, tutti si interessano allo stesso argomento, dando vita a
quella che alcuni studiosi (come Peter Burke e Asia) hanno definito come “sfera
temporanea”. Oggi si ritiene che la sfera pubblica sia interrotta, cioè la nostra connessione
al dibattito pubblico sia costante. In Antico Regime, invece, questo non può avvenire perché
ci sono solo argomenti specifici che creano un sistema riconducibile alla sfera pubblica
moderna.
Quali erano i messaggi che giravano? Si tratta di messaggi fondati sulla disparità dei
numeri in campo: nell’epoca di Filippo II si diceva che i cristiani non solo avevano vinto, ma
avevano conseguito una vittoria prodigiosa aiutati dal volere di Dio perché i loro soldati
erano molti di meno rispetto ai turchi. Quindi si comincia anche a sparare dei numeri, una
corsa a chi sparava il numero più grosso perché tanto più erano sproporzionate le forze in
campo, tanto più sensazionale sembrava la vittoria dei cristiani.
In conclusione, cos'è la battaglia di Lepanto? È un momento di grande affermazione
culturale e mediatica di un’idea di Europa cristiana che ormai è al tramonto, in crisi.
Punto fondamentale è che gli sforzi mediatici e culturali sono inversamente proporzionali alla
capacità reale di affermare il potere politico, religioso, economico (tanto più non mi reggo in
piedi, tanto più mi sposo la posa per far vedere agli altri un’immagine di me diversa per
sopperire le mie debolezze). Infatti, la battaglia di Lepanto è l’occasione per mettere in atto
uno sforzo comunicativo che è inversamente proporzionale alla possibilità reale di avere di
avere unità nell’Europa cristiana.
DEBOLEZZA REALE vs FORZA APPARENTE—> più la realtà è deficitaria, più l’apparenza
deve essere aggressiva. Se affianchiamo questo tipo di sforzo alla costruzione dell'Escorial,
allo spostamento della capitale a Madrid, al rafforzamento degli apparati rappresentativi
delle corti, e se non fermiamo quello che le corti italiane facevano quando dovevano portare
a casa gli schiavi per dimostrare quello che avevano fatto, allora capiamo che il piano
dell’apparenza e quello della realtà storica non sempre viaggiano insieme ma spesso
viaggiano a velocità diverse.

La situazione in Inghilterra durante l’epoca di Filippo II: la Chiesa anglicana


Abbiamo diviso l’età moderna nella prima metà del 500 e seconda metà del 500, segnata
dalla presenza enorme di Filippo II e il suo sforzo contro i turchi, dalla crisi attraversata dalla
monarchia francese e l’entità politica inglese.
Come se la passa l’Inghilterra nell’epoca di Filippo II? C’è Elisabetta I Tudor (quella di cui
Achille Lauro ha vestito il costume a Sanremo). Elisabetta I appartiene ad una dinastia che
ha consumato, nel primo 500, lo scisma anglicano: Enrico VIII era sposato con Caterina
d’Aragona (quindi legato al potere asburgico di Carlo V). Ma, ad un certo punto, questo
matrimonio non lo soddisfa e soprattutto non gli offre la prole che si aspettava, per cui
decide di romperlo a favore di una dama di corte di nome Anna Bolena. Il problema è che
un matrimonio cristiano è un matrimonio indissolubile (il divorzio è una questione civile) e
l’unico che poteva scioglierlo era il papa. Il papa però si rifiuta e Enrico VIII decide di non
obbedire più al papa e fare una sua chiesa, che aveva come punto di riferimento il sovrano
d’Inghilterra e non più il papa.
Il problema però è che nell’ottica di uno stato di antico regime, le ragioni dinastiche, familiari,
sono abbastanza inscindibili da quelle di un intero paese. Molto spesso queste dinamiche,
ancora oggi, sono frutto di ricostruzioni storiografiche (libri, serie tv,film); ogni anno, infatti,
tante sono le serie tv incentrate sulla figura di Enrico VIII e sua figlia.
Tutto allora potrebbe sembrare come una questione familiare, personale, di ambizioni legate
ad una dinastia, ma (come si può vedere nella serie televisiva) c’è l’interesse di un intero
paese che sceglie di accodarsi alla scelta di Enrico VIII e trarne i suoi vantaggi perché gran
parte delle alte gerarchie aristocratiche percepisce la presenza di un clero, legato
direttamente alla Chiesa di Roma, come un peso troppo forte da sopportare, quindi un
eventuale scisma della chiesa inglese rispetto al potere del papa (visto come uno straniero)
è visto come un’opportunità.
Dunque, la decisione di Enrico VIII di rompere il matrimonio con Caterina d’Aragona va letto
in una doppia chiave: come esigenza personale e volontà di farsi portavoce del
malcontento di un intero paese che vedeva quel cambiamento come un'opportunità.

RAGIONI INDIVIDUALI vs RAGIONI COLLETTIVE


RAGIONI DEL SOVRANO vs RAGIONI DELLO STATO

Affinché possa costruirsi uno stato moderno, c’è bisogno di un potere centrale forte e
emanciparsi dalla presenza di un potere religioso estraneo è uno degli elementi
fondamentali per la costruzione di uno stato con basi nuove.

● Come si organizzò la Chiesa anglicana?


-il re era il punto di riferimento fondamentale;
-l’arcivescovo di Canterbury aveva la guida formale;
- dotandosi di una struttura che sul piano della dottrina era sospettosamente vicina al
calvinismo; sul piano liturgico, però, somigliava moltissimo al cattolicesimo.

Elisabetta nasce dal matrimonio tra Enrico e Anna Bolena. La successione è abbastanza
controversa perché Enrico ha anche un figlio maschio che non vive abbastanza, quindi
bisogna trasmettere il potere all’erede femminile.
All’interno del regno, esistono ancora importanti presenze di radice cattolica legate
soprattutto ad un ramo scozzese della dinastia. Ciò nonostante quando Elisabetta prende il
potere ha una missione da svolgere: consolidare il regno nella sua identità anglicana,
quindi di Chiesa nazionale autonoma, slegata dal potere di Roma e dal tentativo di altre
dinastie straniere che possono usare il cattolicesimo come strumento per entrare nel
territorio inglese—> in altre parole, difendere l’anglicanesimo significa difendere il paese da
dinastie straniere che possono pensare di utilizzare la crisi religiosa e la crisi dinastica per
affermare il loro potere. Da questo punto di vista, il più grande pericolo per l'Inghilterra di
Elisabetta è la Spagna perché Filippo II voleva sposare Elisabetta e se ci fosse riuscito, in
quanto esponente maschio di una dinastia, avrebbe affermato sull’Inghilterra il potere
asburgico. Ma Elisabetta, conosciuta come la regina vergine, si oppone per difendere
l’indipendenza della corona inglese dal dominio asburgico pagando così un prezzo altissimo
perché sa che, nel momento in cui sceglie di non sposare Filippo II, la stessa dinastia Tudor
morirà. Ma accetta il rischio perché si trova in una posizione troppo debole, che porterebbe
comunque i Tudor a diventare subalterni rispetto ad un potere altrui se si sposasse. Quindi
decide fino in fondo per l’autonomia, costruire un’eredità e percorrere una strada volta al
rafforzamento dell’eredità liturgica e dottrinale della Chiesa anglicana. All’epoca esisteva il
Book of Common Prayer: libro di preghiere comuni che permette all’anglicano di sentirsi
tale. Elisabetta, infatti, attraverso la sua Chiesa vuole indicare dei rituali precisi, delle cose,
in cui gli inglesi possono riconoscersi (produce questo sforzo in un momento in cui il suo
potere è debole. Ritorniamo, quindi, alla questione precedente: PIÙ SONO DEBOLE DA UN
LATO, PIÙ PRODUCO SFORZI DALL’ALTRO LATO).
La potenza del Book of Common Prayer si è vista durante i funerali di Elisabetta II.

Importanza di Shakespeare
Altro nodo importante: perché ricordiamo l’età elisabettiana? L’età elisabettiana è segnata
dal trionfo delle opere di Shakespeare, il teatro, la poesia, una vita culturale che conosce
una fortuna quasi senza precedenti. Tale vita culturale si rende visibile agli occhi di un
pubblico ampio e non solo agli occhi delle élites. Shakespeare, infatti, è un uomo di teatro,
non si chiude nelle corti ma attraverso il palcoscenico si apre al mondo (tutti possono
seguire le vicende di Amleto o Otello, anche chi non sa leggere). Le corti italiane, invece,
promuovevano l’arte ma era un'arte che spesso si chiudeva tra le mura dei palazzi.
I meccanismi di funzionamento del teatro elisabettiano sono importanti: è un teatro che offre
spettacoli a prezzi accessibili a tutti
All’epoca di Elisabetta, il teatro era accessibile a tutti perché i prezzi erano accessibili a tutti.

L’età dei grandi pirati


Come abbiamo già detto, il corsaro si distingue dal pirata: il corsaro agisce sulla base di un
documento che gli viene dato dall’autorità statale, quindi compie razzie ma lo fa su mandato
di qualcuno; il pirata, invece, agisce unicamente per se stesso, senza obbedire a nessun
padrone.
Molto spesso si dice che l’età elisabettiana sia stata l’età dei grandi pirati: il più famoso è
stato Francis Drake.
Ma, perché continuiamo a chiamarli “pirati”, pur essendo vicini a Elisabetta? Non erano
corsari? No perché, anche per il potere sui mari, Elisabetta giocava su una forte
ambivalenza: da un lato doveva starci, dall’altro lato non doveva starci cioé la sua presenza
non poteva mai essere veramente ufficiale, anche e soprattutto perché il potere sui mari non
era un potere mediterraneo ma era un potere oceanico, quindi andava a confrontarsi con
concorrenti di un certo tipo. Di conseguenza,il sostegno che offre ai pirati non è ufficiale, ma
sottobanco, perché non poteva permettersi ufficialmente di attaccare e rapinare imbarcazioni
spagnole, navi portoghesi o distruggere imbarcazioni francesi, perché tutto ciò le creerebbe
problemi.
Ad un certo punto però, nonostante i nascondimenti, i contrasti tra la Spagna degli Asburgo
e l'Inghilterra dei Tudor emergono e Filippo II pensa di punire Elisabetta, anche e soprattutto
per il rifiuto che aveva ricevuto. Tra le tante cose, Filippo II cercò di mettere il naso nel
mondo inglese utilizzando gli scozzesi, per indebolire la corona inglese. Dopo la vittoria
ottenuta a Lepanto, decide di contrastare il potere inglese sui mari, partendo dal versante
nord della Penisola Iberica (=andando verso l’area nord-orientale dell’Atlantico) e attaccando
l’Inghilterra con una flotta marittima armata che definisce come l'Invincibile armata. Il
problema però è che questa flotta è fatta da navi pesanti, lente ma difficili da affondare. Nel
Canale della Manica, però, si rivelano troppo lente per sconfiggere gli inglesi. Di
conseguenza, Filippo II subisce per mano di Elisabetta una delle sconfitte più pesanti che un
sovrano europeo poteva subire al tempo.
Quando Elisabetta muore non ha una discenza, dunque il suo potere passa agli Stuart: il
primo a prendere potere è Giacomo Stuart che non appena prende potere, comincia a
confrontarsi con un mondo sempre più instabile. La prima accusa che gli viene rivolta
dall’interno del mondo inglese è quella di cripto cattolicesimo: viene accusato di voler fare
l’anglicano, ma continuando ad essere cattolico—> sta dissimulando.
Cosa ci dice tutto ciò? Tutti gli sforzi di Elisabetta avevano prodotto un entusiasmo enorme
ma non avevano risolto un problema strutturale profondo che c’era nel mondo inglese e che
permane: l’ambiguità forte tra l’anglicanesimo (intesa come religione che dovrebbe
assegnare al sovrano il ruolo di guida) e una persistente liturgia e dottrina vicina al
cattolicesimo, che non è stato mai completamente abbandonato. Quando sentiamo parlare
di cultura inglese durante il 600, i manuali ci propongono il concetto di “puritanesimo”: ramo
radicale dell’anglicanesimo, profondamente diffidente nei confronti della presenza di residui
di cattolicesimo nel mondo inglese. Di conseguenza, pretende una purezza anglicana che la
dinastia non è capace di garantire.

La situazione in Francia
Quando abbiamo parlato di guerre in Antico Regime, abbiamo sottolineato l’importanza
dell'inappropriatezza del concetto di guerra tra stati, cioè in Antico Regime è più corretto
parlare di guerre tra dinastie (gli Asburgo contro i Valois). I Valois, come i Tudor, entrano in
crisi dinastica—> non hanno eredi. La crisi di uno stato e la crisi dinastica si sovrappongono:
non avere un erede al trono significa mette in crisi un intero paese (l’Inghilterra dei Tudor è
un paese in crisi perché non c’è l’erede al trono).
Il problema, però, è che la mancanza di un erede al trono non è l’unico problema dei
francesi. Giovanni Calvino, teologo e predicatore, aveva portato alle estreme conseguenze il
messaggio di Lutero elaborando una dottrina diversa da quella di Lutero. Dove aveva
elaborato le sue idee? A Ginevra. A differenza di Lutero, era convinto di avere una chiesa
visibile che fosse una comunità di santi. Infatti, Ginevra si era convertita in una comunità di
santi dal punto di vista di Calvino ma secondo altri che non condividevano in tutto e per tutto
il pensiero di Calvino, Ginevra si era trasformata in un inferno perché- come tanti altri luoghi
del 500 religioso- divenne un luogo di intolleranza: coloro che avevano idee diverse da
quelle di Calvino, cominciano ad essere perseguitati e condannati a morte. La condanna a
morte più crudele, riguardò un medico che si chiamava Michele Serveto.
Il punto è che tra repressione, slancio innovativo e desiderio di salvezza, il calvinismo va
oltre la Francia e la Svizzera, allargandosi a varie zone del pianeta. In Francia, la presenza
calvinista diventa forte e pur essendo uno stato unito sotto un'unica dinastia, rimane un
paese cattolico. Quindi in una grande monarchia cattolica, gestire una presenza calvinista
così forte diventa complesso.
I calvinisti francesi prendono il nome di ugonotti, anche se non conosciamo le ragioni per
cui assumono questo nome. Gli ugonotti, che sono molto pochi, assumono però un ruolo
molto attivo per l’economia dell’intero paese. Ad un certo punto la crisi dinastica francese, si
sovrappone alle tensioni religiose date dalla presenza degli ugonotti. Il paese, di
conseguenza, comincia ad essere attraversato da lacerazioni interne che vedono
contrapposte famiglie che pretendono di prendere il potere,e soppiantare i Valois, e
guerre di carattere religioso: le guerre di religione e la guerra dei 3 enrichi.
1.nelle guerre di religione vediamo i cattolici contro gli ugonotti;
2.la guerra dei 3 enrichi è una guerra dinastica, che contrappone 3 famiglie importanti che
vogliono sottrarre il potere alla famiglia dominante. Queste 3 famiglie sono: la famiglia dei
Guisa, la famiglia Navarra-Borbone e una dello stesso ramo dei Valois.
Queste guerre danno vita a scontri molto violenti: la più famosa è quella che si consuma
nella notte di San Bartolomeo, notte in cui muoiono molte persone nello scontro. Tale
guerra si conclude con la vittoria della famiglia dei Navarra-Borbone, che ha come suo
massimo esponente Enrico di Navarra-Borbone che prende il potere con il nome di Enrico
IV, sostituendo così i Valois.
La vittoria non risolve il problema, infatti spesso le vittorie date dalle guerre sono vittorie
illusorie (la storia dovrebbe insegnarci che le guerre non si possono vincere, mentre il nostro
ecosistema mediatico ci fa credere il contrario).
Enrico IV eredita una serie di problemi: innanzitutto deve risolvere il problema con se stesso,
perché la famiglia Navarra-Borbone era calvinista e ,vincendo una guerra di successione, si
trova a dover ereditare la corona di un paese cattolico dopo una stagione di violenza, difficile
da dimenticare. Perciò decide di convertirsi al cattolicesimo. Secondo una leggenda,
Enrico IV avrebbe detto “Parigi vale bene una messa” = pur di occupare il territorio in
Francia, vado a sentirmi una messa, cioè Enrico IV è calvinista ma per mantenere il suo
potere può anche convertirsi.
La conversione, però, non è sufficiente perché bisogna risolvere un problema ancora più
radicale: la presenza di molti ugonotti nel territorio francese, che hanno generato molti
conflitti. Allora Enrico di Borbone, alla fine del 500, decide di emanare un editto: l’editto di
Nantes, dove comincia a regolamentare in modo preciso la presenza ugonotta nel territorio
francese. Torniamo qui alla necessità di decostruire ciò che c’è scritto nei manuali, perché i
manuali fanno passare l’editto di Nantes come l’esempio dell’affermazione della tolleranza
religiosa nel corso del 500 europeo. Tra le altre cose, l’editto di Nantes viene sempre
presentato dai manuali insieme alla Pace di Augusta, che si era celebrata alla fine
dell’impero di Carlo V e che aveva affermato il principio di convivenza religiosa nel Sacro
Romano Impero, ispirato ad un’espressione latina: “cuius regio eius religio”, cioé ogni
suddito può e deve praticare la religione del suo principe territoriale. Quindi, quando Carlo V
è costretto ad abdicare e distribuire i suoi possidenti tra nipote e figlio, nel mondo tedesco si
accetta l’idea che i protestanti debbano stare insieme ai cattolici. Quest’idea, però, non ha
un principio di omogeneità territoriale perché i protestanti possono convivere nel mondo
tedesco, ma non possono vivere sotto lo stesso principe territoriale—> se abiti in una zona
del mondo tedesco dove il tuo principe territoriale è protestante, devi essere anche tu
protestante; se abiti in una zona del mondo tedesco dove il tuo sovrano è cattolico, devi
essere anche tu cattolico.
Quindi i cattolici e i protestanti possono convivere, ma c’è bisogno sempre di una
subordinazione della fede alla posizione che si occupa all’interno del territorio imperiale e
alla subordinazione che si ha rispetto all’autorità locale. Perché? Non è il fedele che sceglie
quale religione abbracciare, ma il principe territoriale.

Cosa dice l’editto di Nantes?


Partiamo dal presupposto è che la Francia è un paese cattolico, che il cattolicesimo è una
religione di stato, che non essere cattolici in Francia non è ben visto e che tutte le
lacerazioni che c’erano state in precedenza devono essere eliminate. Tutto ciò detto da un
ex-calvinista, non è poco.
Poste tutte queste premesse, Enrico dice che è consentito all’interno di alcuni territori precisi
di alcune roccaforti la pratica della confessione calvinista, soltanto sotto un esplicito
permesso dato dal sovrano.
In quale mondo, tutto ciò può essere scambiato con la tolleranza religiosa? È una
costruzione formulata dai nostri manuali, profondamente teologica—> guardiamo alle cose
che sono accadute nel 500 sulla base di principi che si sono affermati nei secoli successivi,
quasi come se la tolleranza religiosa fosse una sorta di approdo naturale per la convivenza
civile. Ma questi principi che si affermano, tanto con la pace di Augusta quanto con l’editto di
Nantes, non hanno nulla a che vedere con la tolleranza religiosa, anzi, sono un forte
tentativo di affermazione di una unità religiosa che è inscindibile dall’unità politica. Si
continua a pensare che lo stato di Antico Regime non può accogliere al suo interno sudditi
che confessano una religione diversa. Piuttosto possiamo dire che la pace di Augusta era
stata il riconoscimento del carattere frammentario dell’impero e non della tolleranza
religiosa, perché attraverso il cuius regio eius religio non sto invitando i cattolici a vivere
insieme ai protestanti, ma sto dicendo che sotto un determinato principe o si è cattolici o
protestanti. Allo stesso modo, l’editto di Nantes non sta dicendo ai francesi che possono
essere calvinisti, ugonotti, ma sta ribadendo ai francesi che l’unica religione possibile
praticabile all’interno dello stato- ora sotto il controllo dei Borbone- è il cattolicesimo. Questo
è ancora più evidente attraverso il fatto che l’editto di Nantes durerà meno di un secolo
perché nella seconda metà del 600 sotto Luigi XIV (re Sole- “lo stato sono io”), l’editto di
Nantes viene revocato con l’editto di Fontainebleau per ragioni ben identificabili: nel corso
del 600,un secolo più tardi alla presa di potere di Enrico IV, non solo la tolleranza religiosa
non si è affermata in Francia, ma è diminuita la possibilità della sopravvivenza tra cattolici e
calvinisti.

Il 600 come secolo di CRISI


Quando parliamo del 600, intendiamo un secolo di crisi. In che senso “crisi”? Il termine ha
varie declinazioni: se volessimo identificare l’epoca in cui viviamo, la parola “crisi” è calzante
per una quantità di ragioni perché possiamo parlare di crisi pandemica, economica,
culturale, economica, generazionale.
Si è parlato molto di crisi negli ultimi anni, soprattutto sul piano economico. La data di
riferimento, prima del 2020, è il 2008 quando si ha l’esplosione della bolla finanziaria
degli Stati Uniti, generando una crisi finanziaria che mette in ginocchio l’intero pianeta. Si
cominciò a pensare che il grande precedente storico di questa crisi è stato il primo 600.
Però il primo 600 fu un’epoca di grandi trasformazioni e difficoltà economiche, ma non per
tutta l’Europa. Una delle principali ragioni del cambiamento fu l’onda lunga che si era
generata, a partire dalla fine del 400 e l’inizio del 500, in virtù dello spostamento dell’asse
commerciale dal Mediterraneo all'Atlantico—> in altre parole: a seguito della scoperta dei
Nuovi Mondi, il Mediterraneo ( fin dall’antichità cuore pulsante dell’economia,degli scambi)
perse il primato a favore dell’Atlantico. A pagarne le conseguenze furono i paesi che
affacciano sul Mediterraneo (Pensiola Italiana, Sud della Francia e il versante mediterraneo
della Penisola Iberica), cioè tutto il mondo che faceva capo al Mediterraneo vide cambiare le
sue prospettive perché aveva perso il primato.Il primato della penisola italiana era basato su
alcuni prodotti: tutto ciò che ha a che fare con l’industria alimentare e la seta, che
cominciano a dare problemi perché la produzione che si sviluppa altrove ha una
competitività non eguagliabile dal sistema della Pensola italiana.

21 MARZO ✅
Cerchiamo di capire quali furono le caratteristiche della crisi del 600. La crisi principalmente
fu una prerogativa dell’area mediterranea dell’Europa per lo spostamento dell’asse
commerciale sull’Oceano Atlantico, a causa della scoperta dei Nuovi Mondi, mettendo così
in crisi il primato delle grandi città della Penisola italiana, basato principalmente sull’industria
alimentare e sulla seta.
Per comprendere la portata di alcuni argomenti, dobbiamo sforzarci di pensare ad alcune
città della Penisola italiana come luoghi così importanti da essere delle tappe imprescindibili
per chi all’epoca era mercante, artista, architetto o in generale quei mestieri che avevano a
che fare con il cuore pulsante economico-culturale di un intero continente.
Qual è il luogo percepito come centro del mondo e perciò imprescindibile per tutti quelli che
svolgono delle attività importanti? Innanzitutto Firenze. Dobbiamo immaginare Firenze come
altri luoghi del pianeta: oggi, ad esempio, Dubai, Abu Dhabi, Tokyo, Pechino. Se
nominassimo invece le città statunitensi, staremo realizzando una piccola forzatura perché
gli Stati Uniti sono stati il centro del mondo, ma non lo sono più. Ma se andassimo indietro di
qualche decennio, agli anni 70-80, potremmo dire che il centro del mondo era
indiscutibilmente New York dove chiunque voglia sentirsi sull’onda, deve necessariamente
stare.Si potrebbe dire la Silicon Valley, luogo delle startup, ma questa nei giorni passati è
stata al centro di un ennesimo collasso finanziario che ha rappresentato una battuta
d’arresto per un mondo che pretende di essere continuamente in evoluzione, all’avanguardia
e ospitare le nuove invenzioni (per un artista fare una mostra al Moma-Museum of Modern
Art-è qualcosa di inverosimilmente importante).
Firenze era questa cosa qui, anche nella pretesa dei suoi governanti: Lorenzo dei Medici
pretendeva che fosse la “nuova Atene”. Pian piano, altre città europee provano a
eguagliare o addirittura superare il ruolo della città di Firenze, ad esempio le città
fiamminghe, Parigi, Londra, Napoli. Nell’Antico Regime Napoli era una delle città più
grandi d’Europa, anche demograficamente, insieme a Parigi e Londra.
Dunque ci troviamo dinanzi ad un mondo proiettato in una prospettiva euro-mediterranea, in

⚠️
cui Firenze ricopre un ruolo di assoluta preminenza.
ATTENZIONE: lo stesso discorso però non vale per Roma perché, nel corso del
Medioevo (che come età comincia ad essere percepita come entità concreta proprio a
partire dal 500), era andata incontro ad un declino significativo: si era spopolata, alcune
zone che ospitavano architetture e costruzioni, destinate ad avere delle abitazioni,
cominciano ad essere smantellate per fare spazio a zone coltivate. Quindi Roma non può
considerarsi come quelle città che attraversano una grande fortuna.
Il discorso è diverso anche per le città marittime: Genova e Venezia sfruttano la loro
posizione di vantaggio sul Mediterraneo per stabilire i contatti con le altre sponde del Mare
(Nord Africa, estremo Oriente) e con il sud della Francia e della Spagna (molti porti del sud
della Spagna sono importanti; Marsiglia, ancora oggi, grazie alla sua vicinanza a Genova).
Però, in cosa Firenze esercita un primato enorme? Nell’industria tessile, cioè grazie alla
capacità di produrre dei panni che vanno in tutti i più importanti europei e che vengono
venduti sbaragliando qualsiasi tipo di concorrenza; nella capacità di smerciare prodotti
agricoli —>l’Italia è particolarmente fertile e si riesce a portare, attraverso la navigazione
fiorentina, le materie prime in tutti gli altri mercati europei.
Quindi una combinazione forte tra importanza della posizione, l’intraprendenza della
popolazione, il prestigio dei governanti. Tutti questi elementi messi insieme, riescono a
costruire un primato.
Nel corso del 500, questo primato inizia a venir meno: Firenze, e l’intera Penisola italiana,
entra in difficoltà perché si percepisce che i grandi interessi economici sono altrove, in
particolare sull’Atlantico. Di conseguenza, ad essere avvantaggiate non sono più le città che
affacciano sul Mediterraneo ma quelle che hanno una traiettoria direttamente legata a
quella che porta in Nord/Sud America. Questo cambiamento di punto di riferimento dal
Mediterraneo all’Atlantico, come abbiamo detto, si ha per la scoperta del Nuovo Mondo.
Il grande scontro tra Filippo II e Elisabetta, con cui l'Invincibile Armata si rivela un grande
fiasco, è uno scontro destinato ad affermare la propria egemonia sul mare e sull’Atlantico.
Allora tutto questo si riflette nella perdita d’importanza dell’industria fiorentina, o più in
generale nella capacità italiana di produrre panni di alta qualità e materie prime, da mettere
sui mercati europei e mondiali.
Dove si trasferisce il primato della produzione tessile? Si trasferisce,ad esempio, nei Paesi
Bassi e in Inghilterra. È un primato che si fonda su una forma di concorrenza piuttosto
sleale perché in queste città, dei Paesi Bassi e quelle che stanno oltre la Manica, il costo
della manodopera è molto basso e soprattutto si manifesta- fin dal cuore del XVI secolo- la
capacità dei tessuti produttivi di andare verso prodotti che sono più di bassa qualità e più di
basso prezzo. A quel punto, sul mercato, ci ritroviamo tante marche concorrenziali con costi
molto diversi gli uni dagli altri.
Come si agisce? Badiamo bene a quello che accade oggi quando cerchiamo di andare ad
accaparrarci delle robe per vestirci: possiamo andare da Prada o da Zara, da H&M o Piazza
Italia, negozi che si differenziano per il costo, l’impegno economico richiesto. La dinamica,
però, è che il costo più basso è abbordabile da un’ampia quantità di persone. Perciò si fa in
modo che una grande quantità della popolazione europea abbia dei bisogni, sul piano del
consumo, che solo la produzione fiamminga, inglese e dei Paesi Bassi, possa soddisfare. La
stessa cosa avviene per il mercato alimentare: possiamo comprare il Parmigiano reggiano, il
Grana padano o andare all’Eurospin, con la consapevolezza che la qualità del prodotto è
diversa, così come è diversa la possibilità economica di accedere a quel prodotto. Ma anche
in questo caso, la quantità di persone che può accedere al prodotto è inversamente
proporzionale al costo che determinati settori propongono in determinati mercati. La massa
ha un orientamento, soddisfatto da alcune produzioni capaci di essere altamente
concorrenziali—> capaci di mettere sul mercato prodotti a basso costo.
A questo punto, potrebbe accadere che il mercato dell’Europa meridionale si arrende e si
inginocchia alla presenza di un altro primato.
Ma non è questo che accade, perché la crisi è accompagnata da una riconversione: presa
d’atto del fatto che su determinati campi non posso più competere e spostamento del mio
asso produttivo e delle mie priorità verso un prodotto altro, diverso, che mira ad un altro tipo
di acquirente. Allora le città italiane, in particolare per il settore tessile, capiscono di non
poter più mettere i loro panni su tutti i mercati europei, in tutte le fiere e bancarelle europee,
e sempre di più iniziano a specializzarsi nella produzione di stoffe di pregio, raffinate,
vendute ad un prezzo alto e che hanno un grado di raffinatezza non riproducibile da un
punto di vista manifatturiero dai concorrenti fiamminghi, inglesi e dei Paesi Bassi.
Oggi si dice che è una questione di target che, per la produzione italiana, cambia
completamente: non si punta più alle masse come acquirenti, ma si punta al
soddisfacimento di poche persone che hanno alte capacità economiche, che vogliono stoffe
pregiate e vestire bene.
Chi sono queste persone nell’Europa di Antico Regime? Inevitabilmente i nobili oppure
borghesi—> mercanti, imprenditori, commercianti, che vogliono usare l’abito, la stoffa, per
sembrare nobili, quindi sviluppare un comportamento mimetico nei confronti della nobiltà.
Il mercato diventa più ristretto e risponde alle esigenze di una quantità minima di
popolazione, come se ad un certo punto si riconoscesse che i fiamminghi possono produrre
per tanti, mentre gli italiani devono puntare alle esigenze di poche persone estremamente
selezionate e dotate di una capacità economica che gli altri non hanno.
Oggi ci sono molte dinamiche simili: potremmo dire che l’ inserzione pubblicitaria, in tv e sui
social network, è direttamente proporzionale alla quantità di persone che frequenta un
determinato tipo di contenuto. Allora, se ad esempio, devo comprare uno spot che va in
onda su Rai 1 in prima serata, in una trasmissione vista da 4-5 milioni di persone, quello
spot costerà molto di più rispetto a qualcosa che invece va in onda su Sky e che vedono 200
mila persone. Ma, non funziona sempre così perché il costo dell’inserzione pubblicitaria non
è mai direttamente proporzionale alla quantità di persone che segue quel tipo di contenuto,
in quanto la condizione socio-economica di chi guarda quel contenuto è altrettanto
importante.
Si da il caso che tutti i poverelli guardino la Rai, mentre chi può permettersi di avere Sky
originale è uno che ha abbastanza soldi da spendere e si presuppone che tali soldi si
riflettano in tanti altri aspetti della tua vita. Cambia il pubblico a cui ci si rivolge e c’è una
valutazione attenta della condizione socio-economica.

La questione alimentare va incontro ad un percorso simile: anche in questo caso, ci si


rende conto che la concorrenza è ineguagliabile. La crisi è profonda ma bisogna elaborare
una strategia, perciò si va sempre più incontro a prodotti che siano unici, raffinati, costosi,
diretti solo ad alcuni palati in particolare—> aristocratici, alto-borghesi, nobiliari. Nel corso
del 600, si assiste ad una stratificazione profonda delle abitudini alimentari degli europei:
nascono piatti che, ancora oggi, sono alla base della nostra cucina e diventano piatti alla
portata di tanti. Alcuni di essi sono parte integrante della dieta mediterranea e sono
incentrati sulla centralità dei carboidrati (la cucina napoletana è l’esempio più evidente).
Ma, la caratteristica del carboidrato è la sua abbordabilità economica: costa meno rispetto
alle altre cose. Le principali alternative al carboidrato nella nostra dieta sono le proteine,
contenute nella carne e nel pesce ma con l’inflazione comprare carne e pesce è costoso.
Invece, i carboidrati costano di meno.
La stratificazione delle abitudini alimentari diventa molto evidente nel corso del 600 e
attraverso di essa si arriva a diversificare la produzione e i canali di mercato, si comprende
che la produzione italiana non può più pareggiare le esigenze di masse ma può parlare solo
a pochi. Perciò quel tipo di produzione diventa sempre più raffinata, selezionata, più difficile
da cucinare perché l’alimentazione implica che si possa esercitare l’arte della cucina ma
l’arte della cucina corrisponde alla capacità di trasformare la materia prima. Anche la
trasformazione della materia prima implica dei costi: un conto è calare i carboidrati nell’olio
bollente, altro conto è cominciare a elaborare la carne con la cottura media, strong, soft
ecc…
La riflessione che dovremmo fare è questa: oggi sappiamo bene che l’Italia non è il centro
del mondo, ma è una periferia del pianeta e l’opera di periferizzazione è cominciata nel
corso dell’età moderna e con la fine del primato Firenze, ha smesso di essere la Nuova
Atene,ed è diventata una città come tante altre. Oggi sappiamo bene che i centri propulsori
dell’economia planetaria stanno in altri continenti, come l’Asia, e che i primati stanno
completamente altrove. Però, ci sono settori in cui si pretende che l’Italia abbia un ruolo
propulsivo o possa fungere da propositrice di prodotti spendibili sul mercato globale, ad
esempio:
-potremmo pensare all'automobilismo ma le grandi case automobilistiche, comprese quelle
che ereditano marchi italiani, hanno sede all’estero. Resta però un esempio importante
perché è sinonimo dell’eleganza.
-la moda: ritorniamo al settore nel quale Firenze si specializza e comincia a riconvertire la
sua identità: smettiamo di produrre stoffe per tutti e guardiamo ad un mercato altro. Allora
spendere nel marchio italiano, significa avere un investimento importante in termini di
eleganza ma anche permettersi cose che altri non possono permettersi.
Quando è diventata evidente la riconversione? Probabilmente, le radici di questo passaggio
sono nell’età moderna, quando la cultura del vestiario italiana si è elitarizzata, diventando
prerogativa dei ceti privilegiati.
Nel corso dell’età moderna, prima dell’opera, c’è un prodotto tipicamente italiano che ottiene
una grande fortuna a livello europeo: la commedia dell’arte, marchio così forte che non si
traduce nelle lingue straniere (in inglese per tradurre “commedia dell’arte” si utilizza il temine
italiano).
C’è ancora un altro settore in cui l’Italia è considerata il punto di riferimento: il cibo, la
cucina. Infatti, l’Italia è considerata la patria della buona cucina, dell’alta cucina —> è la
patria di piatti che hanno una pretesa di unicità sul mercato globale.
Tra le altre cose, oggi, abbiamo una risemantizzazione del mercato culinario che porta ad
accentuare l’esperienza del cibo come food experience.
Tutte queste cose hanno a che fare con un’immagine dell’Italia che ha spostato il suo
primato, anche in questo caso, verso un tipo di prodotto destinato alle élites, non più alla
portata di tanti. Tutto ciò è il frutto della crisi del 600, la più importante prima di quella
avvenuta nel 2008 e quella che avverrà negli anni 20 del 900.

-600
-2008
-anni 20 del 900
I 3 grandi momenti di crisi economica mondiale, seguita da una riconversione —>
spostamento dell’asse di attenzione del mercato. L’Italia quindi diventa il luogo in cui
l’industria tessile e alimentare diventano prerogativa di pochi, cioé danno prodotti a poche
persone ad un alto prezzo.

22 MARZO ✅
Che cos’è il marketing?
Affiancamento di un racconto ad un prodotto.
Quindi vendere qualcosa significa anche vendere un’esperienza, un sentimento, una
percezione—> esperienza: qualcosa di unico ed inimitabile.
Tutto ciò ha lo scopo di offrire al pubblico l’illusione di unicità di ciò che si sta provando.
Il cambiamento della fisionomia dei prodotti del mercato italiano del 600 ha a che fare con
dinamiche di questo tipo: continuo a fare quello che facevo prima, ma in maniera un pò
diversa, investo nell’opera di manifattura con energie organizzate diversamente e inizio a
mettere sul mercato prodotti che vanno in una direzione differente rispetto a quella
precedente.

Cerchiamo di entrare in questi meccanismi, di comprendere i motivi della crisi del 600,
iniziando da un documento tratto dal diario di un mercante. Molto spesso, in Antico Regime,
i mercanti producevano diari. Oggi il diario sembra una cosa quasi privata, un esercizio di
memoria personale per certi versi e per altri incentrato all’auto-celebrazione,
all’auto-narrazione cioè costruirsi un’identità, essere capaci di dire a se stessi e alle persone
che ti circondano chi sei. Ma, soprattutto per i mercanti, i diari hanno una funzione pratica:
tenere memoria delle transazioni fatte prima, dei clienti, cercare di capire che tipo di
produzione funziona e quale non funziona, fare i conti. Allora bisogna immaginare al diario
come qualcosa di utilizzabile da se stessi, dai tutti membri della famiglia o da tutti i membri di
un gruppo di interesse.
Quindi i diari non sono dei documenti non necessariamente del tutto personali, ma in parte
anche legati agli interessi di un gruppo, di un’attività commerciale.
(Un mercante)Simone Giogalli, in un diario fiorentino dei primi anni del 600,riflette sulle
ragioni della trasformazione del commercio fiorentino e quando si parla di commercio si
parla anche di produzione, perché il commercio deve portare al di fuori dei confini di uno
stato (in quel caso il Granducato di Toscana) il prodotto per venderlo agli altri. Così facendo,
ci si confronta con una concorrenza, infatti questi diari sono scritti da persone che si
scontrano con una concorrenza, capiscono di non poter più reggere il confronto e si
chiedono cosa fare.
Cerchiamo di entrare in queste pagine e interrogarci sugli agganci che ci sono tra questi
temi e quello che viviamo oggi, altrettanto importante perché dobbiamo usare la storia per
comprendere il mondo nel quale ci troviamo.

Possiamo capire che la paratassi non è un dono posseduto dagli aristi 600eschi è un
periodo estremamente complesso, in cui non si mette mai il punto, e tale periodo ci da varie
informazioni importanti:
il commercio fiorentino ha costruito la sua fortuna sulla lana e sulla seta. Potremmo pensare
che la lana e la seta sono due cose diverse: la lana è più un prodotto a buon mercato; la
seta, invece, è destinata a tasche abbastanza capienti. Ma parlare di “panni di lana” significa
tante cose ed esiste una lana pregiata. In questo caso parliamo di una lana e una seta che
in Europa riescono ad avere il primato che, negli anni 20, viene meno a vantaggio della lana
e della seta prodotte in Spagna. Giogalli utilizza due aggettivi per descrivere la lana e la seta
prodotte in Spagna: belle e miglior prezzo. Ma le cose acquistate dal grande pubblico, tanto
belle non possono essere. Ancora oggi, nel mercato dell’abbigliamento, uno dei tentativi forti
è vendere dei prodotti non costosissimi ma che sembrano belli (una delle chiavi del
marketing). Anche in questo caso c’è la percezione, con un certo disappunto, del fatto che
gli spagnoli riescono a produrre dei tessuti belli ma che costano poco. In un piccolo inciso,
poi, Giogalli chiarisce che questi tessuti sono belli ma “poco duraturi” quindi facilmente
deperibili. Il mercante ha molto chiaro l’idea dell’evidenza della deperibilità, ma ha anche
chiaro che l’evidenza di deperibilità non riesce ad essere un argomento persuasivo delle
persone→in altre parole: le persone accettano di comprare dei tessuti facilmente deperibili,
poco costosi, perché ciò che conta è che siano belli.
Come Firenze, anche Venezia è in difficoltà. Tale difficoltà si traduce con il trionfo del
contrabbando.
Come si cerca di aggirare l’ostacolo della concorrenza sleale altrui? Attraverso la
contraffazione, l’imitazione, il percorrere canali di diffusione illegale. Una delle caratteristiche
importanti del circuito produttivo di Antico Regime, in particolare delle città italiane, era il
ruolo preponderante giocato all’interno del tessuto cittadino dalle corporazioni: gruppi di
organizzazione del lavoro.
Dante apparteneva ad una corporazione che aveva un ruolo preponderante nella città di
Firenze, perché gestiva una fetta importante del mercato dei tessuti. Tale appartenenza ad
una corporazione fa in modo che Dante non è solo uno scrittore ma era un detentore di
un’importante fetta di potere ed è il motivo della sua storia controversa di inclusione,
esclusione, esilio. Ma appartenere ad una corporazione non significava solo acquisire
privilegi sul piano della gestione della cosa pubblica ma significa anche poter dare a chi
lavora, all'interno di un certo circuito produttivo, delle garanzie e dei diritti→ in altre parole:
se fai parte di una corporazione e lavori all'interno di una corporazione, devi essere pagato
un tot, avere degli orari di lavoro di un certo tipo, godere di determinati privilegi, avere un
certo tipo di abitazione. Tutto ciò comporta un innalzamento notevole del prezzo finale del
prodotto perché più costa la forza lavoro, più il prodotto finito è costoso.Queste strutture, che
erano fortissime e di consolidata tradizione nelle città italiane, non sono presenti nelle altre
realtà europee che tra 500 e 600 iniziano a fare concorrenza alle altre città italiane. Per
esempio, le corporazioni non sono presenti nella stessa misura ad Anversa.
Tutto ciò ha delle conseguenze importanti sul costo del circuito produttivo e sul costo del
prodotto finale, cioè chi può lavorare in un contesto nel quale non bisogna garantire certe
cose a tutti i membri della catena produttiva, può arrivare ad un prodotto che costa di meno
e che quindi è altamente concorrenziale rispetto al prodotto di chi lavora in un contesto
diverso.
Oggi ci troviamo di fronte a situazioni molto simili: per quale ragione i nostri mercati sono
pieni di prodotti confezionati altrove, talvolta pur essendo costruiti con materie prime nostre?
Tutto il circuito produttivo-compreso quello che interessa la forza lavoro- è estremamente
meno costoso, non perché altrove sono più bravi, ma perché altrove non si può rivendicare
alcun diritto per il lavoratore che, anzi, più lavora è meglio è, non esistono le ferie, non ha il
diritto alla malattia (che è risultato di una serie di lotte plurisecolari che sono iniziate alla fine
dell’età moderna).
Molto spesso, nei nostri contesti culturali e politici, avanza l’invidia verso contesti in cui certe
regole non ci sono: Matteo Renzi, in un discorso che tenne al cospetto del suo amico
dell’Arabia Saudita quando andò lì per parlargli del “rinascimento arabo”, afferma di provare
invidia verso quel sistema di lavoro perché il costo del lavoro è molto molto più basso. Ma, in
quel sistema, la schiavitù è legale. Dunque quel meccanismo di invidia, che si legittima nel
nostro mondo, nei confronti del funzionamento del lavoro altrui è un meccanismo di invidia
verso paesi nei quali vige la schiavitù.
Altra questione che ritorna nel nostro mondo è la denigrazione del lavoro altrui: spesso
sentiamo dire che i giovani sono sfaticati, che non vogliono lavorare, ma spesso questo non
voler lavorare si traduce con il non voler essere sfruttati. Ma ad esempio lavorare in un
albergo tante ore per ricevere in cambio uno stipendio non dignitoso, significa dare
l'opportunità concreta all’imprenditore di offrire ai turisti una camera pulita, una colazione, ad
un prezzo accessibile, concorrenziale, da portare il turista a preferire un albergo piuttosto
che un altro. Quindi ritorniamo sullo stesso punto: il prezzo che metto sul mercato è il
risultato di una serie di variabili che ha a che fare anche e soprattutto con il costo della
forza-lavoro e i diritti dei lavoratori.
Come gli imprenditori di oggi, nel 600,i mercanti fiorentini si trovano di fronte a questi
paradossi: stare in un mercato globale dove ci sono altri che hanno un funzionamento del
sistema produttivo diverso dal loro, perché meno costoso, e alla fine riescono a batterli sul
piano della concorrenza, cioè mettono ad esempio sul mercato vestiti prodotti con tessuti
facilmente deplorabili, ma che costano poco quindi agli acquirenti non importa comprare un
vestito che si rompe subito perché il costo è basso.

Altra parte del testo


Coloro che devono produrre i panni di seta, si sono resi conto che costano troppo e che
perciò nessuno li comprerebbe. Quindi rinunciano a produrli, rinunciano a impegnarsi sul
piano produttivo.
La sensazione è quella di tornare nei discorsi delle persone che oggi descrivono i nostri
quartieri oggi perché dice che a Firenze c’erano tanti bei negozi, gestiti da persone per bene
che vedevano in quell’attività produttiva una ragione per sostenere il loro status sociale.
Però, ora, questi negozi sono finiti nelle mani dei pezzenti che hanno iniziato a fare cose vili.
A quest’osservazione, si aggiunge una valutazione della qualità del prodotto, cioè tutto è a
buon mercato, è finito nelle mani della plebe.
Il discorso va in una direzione complessa ma ci aiuta a capire come la nostra economia-che
spesso descriviamo abusando del concetto di “crisi”- sia in continua trasformazione. Di
conseguenza, quasi inevitabilmente, ci riferiamo a qualcosa che prima andava bene e che
ora ha subito un ridimensionamento. In realtà la crisi è una trasformazione traumatica, ma
dal trauma al ridimensionamento c’è una grande differenza. Noi non possiamo dire che quei
negozi nel frattempo sono stati chiusi, ma dobbiamo osservare un processo di cambio di
mano, di cambio di tessuto produttivo, di strategia di mercato, ma non un processo di
radicale ridimensionamento rispetto a ciò che c’era prima. Quindi, più che parlare in termini
di upgrade e downgrade, dobbiamo parlare di metamorfosi → cambio e non di
ridimensionamento rispetto a ciò che c’era prima.
Poi va da sé che quando alcuni settori dell’economia cambiano in maniera così radicale la
loro fisionomia, altri settori la cambiano in un senso inverso. Quindi i cambiamenti portano
con sé profonde riconversioni e, come abbiamo già detto, la riconversione di questa realtà
italiana del 600 è una riconversione che porta i grandi operatori a rivolgersi a fette di
mercato sempre più elitarie, selettive, e dotate di mezzi economici importanti per sostenere
alcuni acquisti. I due settori in cui ciò avviene sono quello alimentare e quello che riguarda la
moda, due settori che hanno delle pretese altissime: comprare italiano per il vestiario e per
la tavola significa avere una spinta importante verso uno status symbol di rilievo. Ancor di
più, in Antico Regime, ciò che indossi e ciò che metti a tavola quando la imbandisci sono gli
elementi distintivi della classe aristocratica, di chi pretende di mantenere uno status nobiliare
o chi pretende di ascendere ad uno status nobiliare, pur non essendo nobili.
Totò, che era un nobile, diceva che non si poteva diventare nobili. Ma, già in Antico Regime,
si può diventare nobili.
Conta ancora essere nobili? Certo.
Perché si può diventare nobili? Ancora oggi si può diventare nobili perché magari grazie alla
propria attività e intraprendenza si è accumulato molto e ciò che si è accumulato lo si vuole
tradurre in status sociale. Ad esempio: quando abbiamo parlato della nascita e del
rafforzamento dello Stato Moderno, abbiamo visto che uno degli strumenti più potenti nelle
mani dei principi, dei re e dei monarchi, per rafforzare l’apparato burocratico dello Stato
moderno fu la vendita delle cariche pubbliche→ in altre parole: vuoi essere un giudice? Mi
paghi e io ti metto a fare il giudice. Ma, perché un ricco e fortunato mercante compra una
carica del genere? Per rivenderla o per nobilitarsi, cioè avere lo stesso status sociale di un
aristocratico. Nel momento in cui compra quella carica, diventa estremamente desideroso di
comportarsi come un nobile, e quindi per farlo deve vestire, mangiare come i nobili, invitare
a casa gente e trattarla come solo i nobili sanno fare.
IMITANO L’ARISTOCRAZIA, fino ad autodefinirsi nobili grazie alla carica comprata. Quindi
non comprano la carica per venderla, ma per innescare il meccanismo tipico del mondo
nobiliare: farla diventare ereditaria, trasmetterla ai propri figli.

Quali sono, in Antico Regime, gli elementi che fanno davvero arredamento? I drappi, le
stoffe, insieme alle opere d’arte, le sculture, i dipinti ecc.
Tutto questo è necessario a farci capire che questa società di ricchi non si accontenta di
rimanere tale, ma vuole diventare una società di aristocratici. Questo va contro quanto
affermava Totò (“signori si nasce e io lo nacqui”), se consideriamo che è anche vero che in
Antico Regime signori si diventa grazie al denaro e all’investimento della ricchezza nel lusso.

L’igiene
Quando parliamo di crisi, ci rivolgiamo a delle macro strutture che rimandano tanto a
fenomeni sociali,economici, quanto a igienico-sanitari. Quando i manuali ci descrivono la
crisi del 600, troviamo una formula tripartita che ritorna: peste, fame e guerra, cioè c’è una
paralisi, un collasso sociale, generato dalla presenza di guerre continue, carestie quindi
fame e quindi difficoltà di approvvigionamento e da dilagare di epidemie. Ma la medicina di
Antico Regime era piuttosto empirica, aggrappata a principi astratti e si riteneva che le
epidemie si diffondessero in modo particolare e più facilmente in quei luoghi dove le
condizioni igieniche erano precarie: più c’è sporco, più ci si ammala. Ancora oggi si discute
dove sia nato il Covid e si ritiene che sia nato a Wuhan per le scarse condizioni igieniche.
Ma, siamo rapidi a dire che determinati contesti che, durante il 400 e il 500 erano lindi e pinti
e poi si trasformano in luoghi sporchi. Per fare un esempio concreto, ancora una volta,
dobbiamo fare riferimento a Firenze perché Firenze copriva un ruolo importante anche sul
piano simbolico (“la Nuova Atene"), luogo di grande fioritura culturale, economica… IL
CENTRO DEL MONDO, tra 400 e 500.. ma nel 600 perde il suo prestigio, la sua ricchezza,
la sua capacità di essere un punto di riferimento e secondo le cronache del tempo diventa in
maniera parallela orrendamente sporca, puzzolente.
Come è stato possibile? La ricchezza della popolazione è legata alla stessa capacità della
popolazione di mantenere l’igiene, così come la ricchezza di una collettività è legata alla
capacità del potere pubblico di garantire la pulizia di alcuni quartieri/strade.
Ma bisogna fare i conti con la verosimiglianza e capire se davvero la Firenze di primo 600
puzzava così come la descrivono i cronisti. Alla fine degli anni 20, le città italiane vengono
travolte da un’epidemia di peste (descritta da Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi). C’è
un legame tra la trasformazione di Firenze e quest’epidemia di peste?
In una città di Antico Regime, i sistemi di scolo per veicolare tutte le impurità, i rifiuti, erano
estremamente farraginosi. Oggi, ogni città è dotata di un sistema fognario che fa sì che
alcune sostanze vengano smaltite attraverso canali sotterranei. In Antico Regime, invece,
questa cosa qui non poteva avvenire e spesso i canali di scolo erano a cielo aperto, quindi
camminare in una strada della Firenze splendida, prestigiosa, di Lorenzo dei Medici non era
tanto piacevole perché si poteva sentire la puzza perché, perché quanto potesse essere la
patria dell’arte, non possedeva una tecnologia avanzata da garantire una bonifica dell’aria
tale da non essere percepita dall’olfatto umano. È anche vero che noi, come esseri umani,
riusciamo a percepire il carattere fastidioso di un certo odore quando abbiamo la sensazione
che quell’odore produca una differenza importante rispetto all’odore che sentiamo di solito.
Lo stesso vale per Firenze in cui c’è sempre la puzza che, avendo assunto un carattere
endemico, difficilmente le persone riescono ad essere infastidite da un’alterazione ulteriore
di quella puzza, cioè ci dovrebbe essere una puzza della puzza, l’alterazione
dell’alterazione, per rendere la gente così attenta da scriverlo da qualche parte. Quindi se
nel 400, 500 o 600, qualcuno ci racconta qualcosa lo fa perché ci informa su qualcosa che è
un’alterazione rispetto alla sua percezione ordinaria. Lo stesso discorso lo faceva Fernand
Braudel (autore di un capolavoro della storiografia intitolato “Civiltà e imperi del
Mediterraneo nell’epoca di Filippo II”), cioé diceva che in una società in cui ci sono sempre
guerre, la guerra non fa più notizia perché non è più un’eccezione, ma un elemento
strutturale di quella società.
Ancora oggi pensiamo a tante cose come cose normali: la crisi climatica, la guerra, le
epidemie, la povertà, la disuguaglianza sociale, così normali che non sentiamo più il bisogno
di raccontarle. Lo stesso vale per le condizioni igieniche e la puzza in un posto che puzza
sempre, non ci si accorge più della puzza. Quindi quando ci troviamo di fronte a
rappresentazioni delle città italiane, del primo 600, figlie della crisi, della riconversione,
dell’alterazione del sistema economico, e le percepiamo più sporche di quanto non fossero
prima, dobbiamo chiederci perché ce le stanno raccontando ancora più sporche? Perché ci
stanno evidenziando la presenza dello sporco tra lo sporco, della puzza tra la puzza, della
malattia tra la malattia? Questo anche significa interpretare la fonte storica, interrogarsi sul
senso profondo dell’umano nel tempo. Infatti la storia è la scienza dell’uomo nel tempo. Per
capire come gli esseri umani si sono comportati in una determinata epoca, dobbiamo
necessariamente capire ciò che per loro era normale e ciò che loro era un’alterazione di
quella normalità.

Altro documento che ci riporta alle condizioni igieniche di Firenze


Era davvero così sporca come ce la descrivevano?
A scrivere questa relazione è il magistrato ufficiale di sanità che presenta alle autorità
fiorentine il referto di un’indagine sulle condizioni igieniche della città.
Siamo nel 1621.
Innanzitutto si riferisce ad una particolare zona della città: quella in cui vivono i poveri,
aggrappandosi ai pareri di alcuni medici che sono entrati nelle case dei poveri e hanno
sentito una puzza così insopportabile e nauseabonda, da scappare subito perché non
riuscivano a resistere. Consigliano ai poveri di aprire le finestre perché la situazione è così
drammatica che è meglio morire di freddo che per la sporcizia in cui vivevano.
Questo ci riporta alla situazione che si crea quando le scuole vengono riaperte dopo il Covid:
il ministro dell’istruzione, Bianchi, dà varie indicazioni tra cui aprire le finestre. Questo però,
come misura anti-covid, non fa una piega anzi così, come per Firenze, c’è il rischio che il
freddo possa provocare danni altrettanto gravi se consideriamo che dopo il Covid si ritornò a
scuola in pieno inverno.
Altra questione importante è che siamo in un quartiere di poveri, dove il grado di sporcizia è
direttamente proporzionale alla povertà e inversamente proporzionale alla ricchezza→ più si
è in uno stato di disagio economico, più sono alte le probabilità che la sporcizia sia
insostenibile e più è alta la probabilità che quella sporcizia provochi l’insorgere di malattie e
disagi di tipo epidemico.Allora, anche in questo caso, ci troviamo di fronte ad una
stratificazione profonda del corpo sociale e lo sviluppo di un paradigma denigratorio nei
confronti di alcuni ceti umili, disagiati, che si fonda sull’equazione quasi perfetta tra
possibilità di deflagrazione sanitaria e deflagrazione economica: tutto può crollare la dove
non ci sono i mezzi per affrontare quell’emergenza e questi sono mezzi economici. Quindi le
malattie epidemiche, come la peste, chi uccidono realmente in Antico Regime? Uccidono in
egual misura i nobili, i mercanti, i borghesi e i poveri? No, uccidono maggiormente i poveri,
perché si va ad attecchire in quelle situazioni che favoriscono il contagio. Il fatto stesso che
una persona agiata viva in spazi più ampi, in camere di un certo tipo con certi sistemi di
aerazione, in piani più alti, può influenzare in maniera decisiva l'insorgere di una malattia o
meno, così come la velocità con cui una persona guarisce da una malattia: un conto è stare
in un posto piccolo, sporco, con un sistema di areazione limitato; altro conto, invece, è se hai
una bella camera in cui puoi godere di un’aria pulita e in cui c’è un continuo ricambio.Anche
questo deve spingerci a sviluppare una riflessione: l’epidemia uccide tutti? No,
prevalentemente alcuni e soprattutto non siamo tutti uguali di fronte alla malattia e alla
morte, che sono influenzate dalle condizioni socio-economiche.

Altra parte del testo


A Firenze esiste uno che si occupa solo della gestione delle strade, che viene incaricato di
andare casa per casa a verificare le condizioni igieniche, soprattutto quelle dei piani bassi
perché rappresentano un luogo potenzialmente pericoloso.
Nel testo si predice l’arrivo della peste ma se ancora non è arrivata, è un miracolo, cioè le
persone vivono in condizioni così degradanti che possiamo considerarle come “miracolate”
se ancora non hanno visto l’arrivo della peste, anche se prima o poi arriverà (siamo nel 1621
e la peste arriva 7-8 anni dopo).
Nel testo, si pone anche il problema dello smaltimento che incide in maniera decisiva sulla
qualità dell’aria.
La sporcizia è così elevata che ha contaminato l’acqua che la gente beveva. Bevendo acqua
sporca, vengono meno le difese immunitarie(concetto già posseduto dalla medicina di Antico
Regime, cioè già esisteva l’idea che se ti alimenti o bevi cose sbagliate, vengono a mancare
le difese nei confronti delle malattie).
FIRENZE ERA PULITA ED È DIVENTATA SPORCA

Problema che riguarda l’interpretazione del documento


Leggere un documento è diverso dall’interpretarlo. Potremmo dire che il documento non è
credibile, ma allora lo leggiamo per smontarlo? Si, ma questo non significa ridimensionarne
l’importanza da un punto di vista dell’analisi, ma aumentarla ancora di più. L’interpretazione
che sviluppiamo di un testo ha a che fare con la letteratura, cioè con l’interpretazione che
sviluppiamo di un testo letterario di ogni epoca, perché ogni testo letterario risponde a delle
esigenze e dei bisogni comunicativi. In questo caso, è il messaggio che si costruisce in
questo documento a non essere credibile perché le condizioni igieniche, soprattutto dei
poveri fiorentini, potrebbero essere cambiate così tanto dalla fine del 400 all’inizio del 600?
Se i poveri di fine 600 finiscono per bere acqua contaminata dalla sporcizia, perché mai i
poveri di fine 400 non avrebbero potuto fare la stessa cosa? Avevano tecnologie più
avanzate, maggiore attenzione allo smaltimento dei rifiuti o alla gestione della latrina ? No, le
cose stavano già così e queste condizioni olfattive e igieniche sono considerabili abbastanza
endemiche. Allora, perché ci vuole essere descritta un’ immagine orribile della città di
Firenze? Perché l’autore(il magistrato ufficiale di sanità) ricopre un ruolo importante nella
gestione di quel tipo di emergenza e, in questo documento in particolare, sta parlando alle
autorità cittadine che sono sopra di lui e decidono di assegnargli degli incarichi; è totalmente
nel suo interesse ingigantire, agli occhi di chi lo legge e lo ascolta, la portata dell’emergenza
perché così può giustificare l’incarico che gli è stato assegnato e garantirsi in futuro il
perpetuarsi di questo incarico, se non addirittura l’allargamento dell'importanza di questo
incarico,e del compenso che gli è dovuto.
All’inizio dell’età moderna, abbiamo visto come le politiche culturali, gli sforzi comunicativi,
delle città italiane del 500 molto deboli, sono inversamente proporzionali alla capacità di
amministrare politicamente il territorio e competere con le grandi potenze militari straniere (la
Spagna, la Francia). Possono il Granducato di Firenze, Roma, Venezia, Napoli, Roma,
competere con questi grandi organismi organizzatissimi sul piano politico-militare? No, allora
investono tutto nell’aggressività della comunicazione. Lo sforzo comunicativo è
inversamente proporzionale alla capacità di governare davvero, le cose serie. Governare
Firenze oggi significa governare l’emergenza casa che, nelle grandi città italiane e europee,
è qualcosa di assolutamente ingestibile, abnorme, che sfugge dalle mani di chiunque.
Anche nel caso della relazione letta, scritta dal magistrato di sanità, siamo di fronte ad un
meccanismo comunicativo che va in una direzione opposta rispetto alla realtà che si vuole
governare e che tende ad ingigantire un problema e a stabilire uno scatto diacronico: la
Firenze di oggi è più sporca e puzzolente di quella di prima, perché si tende a dover
riaffermare l'importanza della propria posizione nel tessuto cittadino, nella gestione della
cosa pubblica, agli occhi di chi gestisce il potere in maniera centralizzata per poter avere
incarichi sempre più forti e dire che c’è un’emergenza da affrontare, la quale impone
l’intervento diretto di persone capaci di fare delle cose. Ancora oggi, quando accadono cose
che non sappiamo gestire (epidemie, terremoti, minaccia di eruzione), nominiamo i
commissari straordinari. Anche questo ci fa capire lo scarto che c’è tra gestione ordinaria e
straordinaria delle cose.

La guerra dei 30 anni


Quando si parla della prima metà del 600 e si parla di guerra, ci si deve inevitabilmente
scontrarsi con uno degli spauracchi per gli studenti dell’età moderna: la guerra dei
trent’anni. Parliamo di uno scontro di portata continentale, e in parte intercontinentale, che
attraversa la prima metà del secolo ma copre nello specifico gli anni che vanno dal 1618 al
1648 (appunto trent’anni).
Da cosa è provocata? Formalmente, almeno in una fase iniziale, è provocata da questioni di
carattere religioso: quando Carlo V è costretto ad abdicare, le guerre di religione in
Francia, l’Editto di Nantes,erano stati eventi e provvedimenti generati da scontri di carattere
religioso. La guerra dei Trent’anni nasce perché nel mondo tedesco, cioè nel cuore del
Sacro Romano Impero, ci sono ancora contrasti irrisolvibili tra cattolici e protestanti,
quindi il principio “cuius regio, eius religio” ancora non funziona, cioè si è stabilito che ogni
suddito deve professare la religione del proprio principe ma tutto ciò non risolve i contrasti
tra i vari territori.

Causa scatenante: la causa scatenante sta in Boemia, cioè la defenestrazione di Praga.


La defenestrazione è un gesto simbolico che lascia pensare al rifiuto di qualsiasi tipo di
riconciliazione diplomatica, quindi gettarti dalla finestra significa anche “mi rifiuto di parlarti
e non riconosco più il tuo ruolo di mediatore diplomatico”, quindi mi rifiuto di stabilire un
dialogo con il mio corrispettivo di un altro stato, di un altro organismo territoriale, perché
voglio rimanere sulle mie posizioni.
Però, il nodo è che il contrasto non rimane affatto solamente interno al mondo tedesco
perché coinvolge anche le altre potenze:
-innanzitutto gli Asburgo di Spagna che sono legati da un ponte di carattere familiare agli
Asburgo del Sacro Romano Impero e che quindi sono incoraggiati a prendere parte al
conflitto e lo fanno ovviamente sostenendo la causa cattolica.
-l’Inghilterra che ha un ruolo preponderante, ma come ben sappiamo è diventata
protestante e quindi deve sostenere la causa protestante. Inoltre, nel mondo inglese, ci
sono forti sospetti che la monarchia possa avere delle tentazioni di ritorno al cattolicesimo,
quindi per spegnere questi sospetti si sostiene la causa protestane.
-la Francia dei Borbone : la Francia era inizialmente dei Valois ma poi passa nelle mani dei
Borbone, soprattutto in virtù del risultato delle guerre di religione e della guerra dinastica “dei
3 enrichi”, la stessa guerra che aveva portato al potere Enrico di Navarra Borbone. Egli era
calvinista, ma poi diventa cattolico quindi anche in questo caso bisogna sostenere la causa
cattolica perché bisogna allontanare qualsiasi sospetto di calvinismo velato.
Quindi un conflitto territoriale diventa un conflitto continentale, dove tutte le forze
intervengono da una parte e dall’altra e una guerra che poteva essere circoscritta, diventa
una guerra di tutti contro tutti.
Dove si combatte? Principalmente in due grandi nuclei territoriali: 1.nel cuore del mondo
tedesco; 2. nel nord Italia, perché il nord Italia è fatto di tanti piccoli staterelli che sono
deboli, appetibili da parte dei grandi eserciti stranieri e diventano oggetto di desiderio e di
volontà di conquista.
La cosa importante è che, ad un certo punto, questa guerra che era nata per motivazioni
religiose, finisce per abbandonare il suo originario motivo e diventare una guerra puramente
egemonica.
Quando diventa tale? Quando la Francia decide di cambiare bandiera, cioè decide di
impegnarsi nel conflitto ma passare dalla parte dei protestanti. Perché? Perché comincia a
palesare la sua volontà di difendersi dalla tendenza dei nemici, cioè gli Asburgo, a stringerla
all’interno di una morsa: territorialmente gli Asburgo stanno in Spagna e nel mondo tedesco,
mentre la Francia sta giusto in mezzo quindi non riuscendo più a muoversi e ad avere delle
concrete possibilità di espansione, decide di passare dalla parte dei protestanti.
Questo significa che la Francia diventa un paese di protestanti? No, per nulla, perché
significa che la Francia in guerra si schiera dalla parte dei protestanti facendo cadere la
motivazione iniziale del conflitto, cioè una motivazione di carattere religioso, trasformando la
Guerra dei trent’anni in una guerra di carattere egemonico perché quello che conta è la
conquista territoriale e non più la religione che, invece, viene messa da parte.
I manuali ci parlano della Guerra dei trent’anni come un groviglio di dati, fasi e controfasi,
anche difficili da ricordare. Ma, alla fine, manca sempre la questione più importante, quella
che si dovrebbe porre alla fine di ogni guerra: chi ha vinto? I manuali ci dimostrano una
lunga lista di nuove spartizioni territoriali, dopo 30 anni di conflitti, tra la Spagna, la Francia, il
Sacro Romano Impero ecc…
Ma, volendo tirare le somme, possiamo dire chi ha vinto tale guerra? Noi oggi siamo abituati,
anche perché il discorso pubblico ci porta in questa direzione, a pensare alle guerre come
qualcosa che si può concludere con una vittoria e una sconfitta. Ma la Guerra dei trent’anni
è la dimostrazione che le guerre non si vincono e non si perdono mai, cioè le guerre le
perdono un pò tutti. Ma, se volessimo trarre un bilancio da questa grande fase traumatica,
che caratterizza la storia dell’Europa di primo 600 e che si affianca alle carestie, alle
epidemie, alle riconversioni e i problemi di igiene pubblica, possiamo dire che a guadagnare
dal conflitto è indubbiamente la Francia. Se c’è un vincitore, ci deve essere anche un
perdente: la Spagna.
Quindi è una guerra nata nel mondo tedesco, combattuta tra la Germania e l’Italia, che ha
un vincitore e un perdente fuori dal mondo tedesco.

27 MARZO-ero assente ✅
Siamo l’ultima volta rimasti alla difficoltà dei manuali di stabilire chi, dalla Guerra dei
trent’anni, esce vincitore. È difficile capirlo, quasi dobbiamo farci interpreti dei manuali e
capire come si sono spostati gli equilibri di potere di un intero continente in una metà di
secolo. Perché i manuali non si assumono la responsabilità di stabilire chi ha vinto e chi ha
perso? Perché in effetti il bilancio di un conflitto così lungo e sanguinoso è difficile da
tracciare. Si può però provare a tirare una linea per fare i conti e, se provassimo a farlo,
potremmo dire che la Francia è stata il paese che più ha tratto benefici dal conflitto e che la
Spagna è uscita invece perdente. Possiamo anche aggiungere altre nozioni: ad un certo
punto in questo conflitto, entrano in gioco alcune potenze nordiche (come la Danimarca o la
Svezia) che non abbiamo mai sentito nominare prima quando parliamo dei grandi movimenti
della storia europea. Queste potenze si affacciano sull’orizzonte del continente grazie alla
Guerra dei trent’anni, facendo notare agli altri la loro presenza, il loro peso militare (quasi a
dire “ecco ci siamo anche noi”).
Ancora una volta, è davvero possibile dire che una potenza come la Francia esca vincitrice
da questo conflitto e che invece la Spagna esca perdente? Tutto è profondamente relativo,
dalle guerre difficilmente si esce vincitori o perdenti anche se oggi si pensa che dalle guerre
si esce o vincitori o perdenti. Le cose, però, sono più complesse.
La Francia potrebbe essere uscita vincente. Ma, in realtà, nella prima metà del 600 affronta
una quantità enorme di lacerazioni interne, squilibri profondi nel tessuto economico e
sociale. Spesso quando si vuole identificare questo periodo per le grandi monarchie
europee, si dice che è stata l’epoca dei “pleni potenziali”: figure che si affiancano ai
monarchi (i favoriti) nell’esercizio dell’arte del governo e li aiutano a svolgere i loro compiti.
In Francia, ce ne sono due: Richelieu e Mazzarino. Queste figure aiutano i monarchi a
sedare tutta una serie di rivolte interne che attraversano il paese: la Francia, nello specifico
è attraversata in primo luogo da tantissime rivolte contadine. Quando pensiamo alle rivolte
in Antico Regime, abbiamo un’immagine un po’ distorta perché pensiamo dei gruppi umili,
che stanno in fondo alla scala sociale e che non hanno molti mezzi economici, si ribellano
nei confronti del potere costituito per rivendicare i loro diritti. Quindi pensiamo alle rivolte
come se fossero movimenti che derivano da organizzazioni sociali che si sviluppano in
maniera orizzontale nella scala sociale. Ma, non c’è nulla di più falso perché in realtà le
rivolte di Antico Regime si basano su entità di carattere entitale che ci sono all’interno della
società e che arrivano alla scala più bassa ma ci arrivano attraverso influssi che derivano da
membri della nobiltà o del clero che sobillano i contadini o coloro che sono più umili per farli
diventare alleati di una rivendicazione che invece è legata alle loro esigenze primarie. Di
conseguenza, considerando che il potere centrale è fortemente minacciato, il monarca ha
bisogno di figure (ministri specializzati) che lo aiutino nell’esercizio del potere.
Quindi queste lotte non sono espressione della lotta di classe (come la definisce Marx nel
corso dell’800) ma sono invece il frutto di raggruppamenti asimmetrici che ci sono nella
società e che vanno a farci comprendere quali sono i veri limiti che si pongono al potere
centrale, il potere dello stato moderno.
Chi sono i veri nemici del potere centrale, dello stato moderno? I membri delle alte
gerarchie sociali —> i nobili, i membri del clero, che ricoprono posizioni di rilievo e hanno
tutto l’interesse a indebolire il monarca, sfruttando chi sta sotto di loro e agitando la violenza
in chi sta sotto di loro.
Le rivolte contadine in Francia attraversano il paese e si accendono ancora di più quando il
re deve raccogliere tasse e tributi per rafforzare l’apparato militare, l’esercito, e sostenere le
sfide poste dalla Guerra dei trent’anni.
Oltre alle rivolte contadine, ci sono anche altre forme di rivolta che attraversano il paese che
i manuali ci descrivono attraverso due espressioni: “fronda dei principi” “fronda
parlamentare”.

Fronda parlamentare
La “fronda” è una protesta forte che nasce all’interno di un corpo e che ha in sé qualcosa di
destabilizzante o addirittura reversivo.
“Fronda parlamentare”—> la parola “parlamentare” rimanda a quello che oggi sono i
parlamenti cioè a delle assemblee rappresentative. Nella Francia di Antico Regime, invece, i
parlamenti erano delle corti di giustizia che agivano sul piano territoriale direttamente per
mandato regio e in virtù dell’esercizio di una carica che spesso non era stata conquistata per
le competenze di un singolo individuo o per titolo di studio, ma perché era stata comprata.
Quindi accadeva che quegli stessi che avevano usufruito dell’acquisto di cariche o che
erano riusciti, in virtù del loro potere e della loro condizione familiare, a occupare certe
cariche diventano i primi nemici del sovrano organizzando appunto una fronda.
In conclusione, quando parliamo di “fronda parlamentare” non ci riferiamo ad un’assemblea
rappresentativa che si ribella ma di un insieme di capibastone che occupano ruoli preminenti
nelle corte di giustizia e che sobillano una parte importante del popolo contro il potere
centrale.

Fronda dei principi


Fronda organizzata dall’alta aristocrazia. Quindi è l’aristocrazia che si ribella al potere del
monarca e che rappresenta una minaccia e non un rafforzamento per il potere centrale.
Noi immaginiamo una società di Antico Regime come una società che man mano che
viaggia verso l’alto va a rafforzare le infrastrutture? No, per nulla. Abbiamo il re che ha un
potere politico enorme ma è contro le persone che sono immediatamente sotto di lui e che
permettono di conservare una forte autonomia e di esercitare un controllo forte sui singoli
territori in cui stanno.
Senza questa dinamica, non riusciremmo a comprendere l’operazione che di lì a poco farà
Luigi XIV con la costruzione della Reggia di Versailles e con la riorganizzazione della
corte.
Quindi gli aristocratici non sono complici del re ma sono antagonisti, perché vogliono
mantenere il controllo sui territori e mantenere il loro ruolo, anche se il re cerca di
sottrarglielo. Ma loro riescono a resistere, fino ad organizzare delle fronde. La repressione
delle fronde da parte della monarchia francese è molto dispendiosa (=che richiede una
spesa eccessiva) sul piano economico, dell’utilizzo delle energie.
Potremmo dire come fa la Francia a vincere un conflitto come la Guerra dei trent’anni con
tutte queste lacerazioni interne? È apparentemente contraddittori questa cosa, ma in realtà
sono due momenti che vanno nella stessa direzione: nei momenti di estrema fragilità interna
e di difficoltà organizzativa sul piano del territorio, la guerra rappresenta un fortissimo fattore
di aggregazione e di coagulazione del consenso interno contro il nemico esterno, cioè in
vista di un nemico comune contro cui combattere bisogna stare uniti quindi i nobili, i giudici
territoriali, che si stanno ribellando vanno messi a tacere. Dunque, la repressione delle
rivolte interne trae dalla guerra un grande vantaggio e non uno svantaggio perché la guerra
aiuta il potere centrale ad affermare una logica emergenziale contro chi vuole distruggere il
potere interno.
Per capire quanto sia attuale questa cosa, oggi la guerra è davvero un fattore di
indebolimento per il potere centrale degli stati o è un fattore di rafforzamento, anche quando
il potere centrale traballa? La guerra autorizza a reprimere forme di dissenso, a controllare in
maniera più stretta tutto ciò che hai sotto il tuo controllo, a fare sacrifici perché c’è un nemico
comune contro cui combattere. C’è sempre questo ESPERIMENTO DI COAGULAZIONE
DEL CONSENSO INTERNO ATTRAVERSO L’ACCENTUAZIONE DELLA PERICOLOSITÀ
DEL NEMICO ESTERNO. Se consideriamo l’attuale guerra contro Russia e Ucraina,
possiamo dire che la Russia costruisce un’aggressione atroce sull’idea che qualcuno voglia
sottrarre la sua sovranità territoriale, quindi il discorso che spesso Putin tiene ai suoi è quello
in cui si afferma che qualcuno voglia aggredirli, che qualcuno voglia circondarli—>
SINDROME DELL’ACCERCHIAMENTO. Tale sindrome era tipica della retorica della
monarchia francese in Antico Regime, cioè la monarchia francese si sentiva accerchiata
dagli Asburgo che stavano, anche se in due rami diversi, in Spagna e nell’Impero tedesco
(quindi a destra e a sinistra della Francia). Così la Francia si sentiva di non avere via
d’uscita né a est né a ovest, quindi l’idea di doversi impegnare militarmente anche contro un
nemico esterno era fortissima.

Nel frattempo in Spagna…


Anche la Spagna attraversa un periodo difficile, caratterizzato da molte rivolte interne,
instabilità, difficile gestione del potere e difficile sul piano economico perché le risorse che si
devono mettere insieme per affrontare questo periodo bellico sono enormi e impongono un
prelievo fiscale molto corposo. Procedere al prelievo fiscale non è affatto un’operazione
pacifica, bisogna scendere a patti con i territori e cercare di comprendere quali sono le
soluzioni meno traumatiche e soprattutto quelle che impoveriscono di meno le varie fasce
della popolazione.
Soprattutto nella fase seconda della Guerra dei trent’anni (quella in cui le cose stavano un
pò precipitando e che l’ago della bilancia stava pendendo dall’altra parte della barricata), la
Spagna compie delle mosse piuttosto forti e astute cioè per i prelievi fiscali, fa leva su i
suoi possedimenti italiani. Potremmo dire che la Spagna ha un’egemonia forte sul Sud

⚠️ ⚠️
Italia e un’egemonia altrettanto forte sulla parte settentrionale della Penisola, quindi avrebbe
dovuto scaricare il peso sulla Sicilia, Napoli e Milano ( ricordiamo : i “Promessi Sposi” di
Manzoni sono ambientati nella Milano spagnola del 600. Non poteva ambientare l’opera nel
suo 800, perchè sarebbe andato incontro alla censura austriaca quindi decide di traslare
l'ambientazione ad un periodo differente, rappresentando anche metaforicamente il
processo di conquista e oppressione che stava vivendo, nel suo mondo, il territorio italiano).
Ma la Spagna sceglie di adottare una strategia asimmetrica: chiedere più soldi al Sud
Italia, e meno soldi al Nord Italia. Perchè? Perché nel nord c’è la guerra ed è più difficile il
controllo del territorio, quindi mettere tasse potenti in quella parte di territorio avrebbe potuto
creare non pochi scompensi nel funzionamento della macchina bellica, cioè inimicarsi troppo
la popolazione di quei luoghi poteva creare problemi enormi (Manzoni, nei “Promessi Sposi”
parla di rivolte, assalto ai forni, situazioni di grande tensione sociale, in cui Renzo è
coinvolto, crisi epidemiche …).

In che modo il Sud viene maggiormente tassato? Attraverso delle imposte dirette sui
consumi. Questo è un concetto importante, perché l’imposta può essere di duplice tipo: o si
tassa la ricchezza e il reddito o si tassano i consumi .Questo è un concetto molto attuale:
oggi si parla della necessità di imporre una patrimoniale, cioè la tassa su ciò che si
possiede, sul patrimonio, oppure si parla di imporre una tassa sui consumi di lusso. Nella
nostra costituzione, infatti, c’è scritto che il prelievo fiscale non deve essere uguale per tutti
ma deve essere progressivo.
La decisione della Spagna non fu improntata a questo tipo di principio, ma colpì soprattutto i
bisogni della popolazione più umile cioè colpì particolarmente la verdura e la frutta
cominciando a sollevare il malcontento dei quartieri più popolari delle città, in particolare
della più grande città del sud Italia e dell’Europa insieme a Londra e Parigi: Napoli. A
prendere il comando della rivolta nel 1647 fu un pescivendolo di nome Tommaso Aniello
d’Amalfi, comunemente conosciuto con il nome di Masaniello, che nel giro di pochi giorni,
riuscì a capeggiare un enorme movimento popolare che fece tremare il popolo spagnolo. La
sua parabola fu piuttosto efficace perché la reazione seguì in maniera abbastanza repentina,
ma quello che ci interessa capire è che, approfittando di questa crisi, il potere straniero
cercò di mettere il naso negli affari napoletani. Questo potere straniero fu la Francia, che
pensò di approfittare della rivolta per mettere fine al dominio spagnolo e imporre il proprio
dominio. Quindi fu un momento di crisi enorme che fu dettato anche e soprattutto dalla
necessità della Spagna di sostenere le spese per la Guerra dei trent’anni, attraverso delle
risorse che venivano dalla parte più umile della popolazione, senza toccare l’aristocrazia, il
clero. Addirittura a Napoli c’era una parte della popolazione che cominciava ad identificarsi
come ceto civile: questi signori corrispondono un pò a chi oggi studia giurisprudenza
perché studiare giurisprudenza rappresenta quella cosa che, anche se non si era nobili, ti
dava una certa rilevanza nel corpo sociale, ti dà la possibilità di acquisire dei ruoli di
mediazione importanti all'interno dei conflitti, acquisire la scientia iuris (scienza del diritto).
Anche il ceto civile non viene toccato dal prelievo fiscale spagnolo, bensì ad essere toccata
è la parte più umile. Gli spagnoli però vivevano in maniera abbastanza traumatica questa
loro presenza a Napoli, avevano paura di Napoli, della popolazione napoletana, dei
sentimenti della popolazione napoletana, della predisposizione al disordine e alla violenza
della popolazione napoletana che viveva stipata all'interno di quartieri sovraffollati che era
riluttante a qualsiasi tipo di forma di controllo dall’esterno e difficilmente disciplinabile.
Vivevano stipati al punto tale da saper tranquillizzare tutti i nobili e gli emissari che
arrivavano dalla Spagna e si ritrovavano a Napoli in questa situazione, chiedendosi dove
erano finiti.Tra le altre cose c’era anche un trauma olfattivo da parte del visitatore spagnolo
che arrivava a Napoli: gli spagnoli nelle loro memorie e cronache dicevano di sentire una
puzza eccessiva tra le strade di Napoli, per cui vogliono stare rinchiusi nei loro palazzi,
vogliono la tranquillità della sede nobiliari ed essere rassicurati che non accadrà nulla di
brutto. Spesso Napoli viene rappresentata all’interno di queste cronache come un mostro,
fatto di più teste, pronto a mangiare tutto ciò che si trova in giro perché i napoletani sono
caratterizzati dalla fame, quindi mangiano qualsiasi cosa al punto tale da far credere che
potevano anche cibarsi di carne umana. Infatti, non bisogna farli arrabbiare ma essere
sempre tranquilli con loro. Quest’immagine è importante ed emerge anche nei rapporti che
gli emissari spagnoli inviano alla corona in Spagna, dove si legge anche la preoccupazione
e la paura di non arrivare a fine giornata. IMMAGINE SPAVENTOSA E SPAVENTEVOLE
DELLA CITTÀ E DELLA POPOLAZIONE NAPOLETANA.
Ma c’è un rimedio per consolarli, cioè lo svago di corte. Chi offre svago all’interno della
corte? I letterati, i poeti, i cantastorie, coloro che costruiscono dei “paradisi artificiali” nei
quali rifugiarsi e trovare la tranquillità che non trovano nella realtà in cui vivono. Uno dei più
importanti poeti di corte della Napoli spagnola del 600 è Giovan Battista Marino che si
distingue per la sua poesia che creava scenari del tutto artificiosi, ma tranquillizzanti,
pastorali, arcaici, nei quali i frequentatori della corte potevano trovare una dimensione
tranquillizzante rispetto al trauma che erano costretti ad affrontare quotidianamente.
Scriveva poesia in lingua rigorosamente toscana.
Questi scrittori ci restituiscono la complessità di un panorama culturale e letterario di
un’intera epoca? No, perché i letterati di primo 600 non sono nati— e non tutti hanno la
fortuna di godere di una posizione privilegiata come quella del poeta di corte per eccellenza,
alcuni sgomitolano un pò, cercando di gravitare tra gli ambienti più popolari e la corte, di
raccontare le cose servendosi di molteplici dimensioni in quanto poeti cioè moltiplicano i loro
interessi per cercare di attirare l’interesse di pubblici diversi. Uno di questi è Giovan Battista
Basile che ricordiamo per la composizione di un’opera in prosa intitolata “Lo cunto de li
cunti”(“il racconto dei racconti”) meglio conosciuto come “Pentamerone” ,cioè la divisione in
due del Decamerone di Boccaccio, una raccolta di racconti brevi scritti in lingua napoletana
e incastonati all’interno di una cornice (come il Decameron) ma finalizzati a lanciare al
pubblico un altro tipo di messaggio: i personaggi di Boccaccio sono caratterizzati da una
dimestichezza quotidiana con il mondo del magico, delle fate, dei folletti, dei maghi→ un
mondo costantemente sospeso tra il naturale e il soprannaturale, il magico e il razionale,
fatto di termini profondamente dialettali, vicini ad una sensibilità popolare che era invece
esclusa dalla produzione di corte.
Questo discorso serve a farci entrare in diversi livelli di cultura. Infatti, Basile scriveva solo
questa roba qui? No, cercava di fare anche lo stesso lavoro di Marino cioè scrivere poesia in
lingua toscana. Qui capiamo cosa si intende per “diversi livelli di cultura”: da un lato l’utilizzo
della lingua toscana, dall’altro l’utilizzo di termini propri della lingua napoletana con un
pubblico chiaramente più ampio. Ma per farlo, si nascondeva dietro varie identità cioè
utilizza uno pseudonimo. Quello più frequente è Gian Alesio Abbattutis: non è casuale, ma
è l’anagramma quasi perfetto di Giambattista Basile (ha cambiato solo l’ordine delle parole).
Non si tratta solo di un fatto ludico, giocoso, ma è proprio l’esigenza di avere una doppia
identità da “adattare” agli ambienti , al pubblico, a cui si rivolge. Il Basile ufficiale, come
Marino, vorrebbe essere accolto negli ambienti alti e godere dei privilegi di quegli ambienti
ma non ha la stessa cultura di Marino, quindi non può, e perciò si rivolge ad un pubblico
altro (quello del “Decamerone” e del “Lo cunti de lo cunti”).
C’erano anche altri poeti che giravano per la Napoli del tempo, in particolare ce n'era uno
particolarmente effervescente e fortunato per certi versi sul mercato editoriale: Giulio
Cesare Cortese. Le sue opere più interessanti sono:
“Il viaggio di Parnaso”, in cui immaginava un itinerario verso il riconoscimento ufficiale ed
entrava nell’empireo dei poeti laureati, quindi aveva in sé il mito dell’alloro che aveva
orientato un pò tutta l’esperienza di Petrarca. Il nodo però è che l’opera è scritta in lingua
napoletana e lega due immaginari diversi tra loro: quello classico, fatto dalla ricerca
dell’alloro poetico e la laurea e quello regionale, locale, fatto invece di maschere. Infatti,
nell’opera, la figura di Apollo si affianca a quella di Pulcinella.
Questo ci fa capire la capacità di questo scrittore di scivolare da un mondo all’altro.
- “la Vaiasseide”: poema epico che ci ricorda l’Iliade, l’Eneide. Ma l’Iliade aveva come
protagonista Achille, l’Eneide Enea, i due grandi eroi delle guerre del mondo antico. La
Vaiasseide, invece, ha come protagoniste le vaiasse. La vaiassa è quella donna che urla,
che non è capace di contenersi, che si lascia andare a delle rivendicazioni piuttosto forti, che
non filtra i suoi sentimenti, che non ha alcuna idea di quelle che sono le buone maniere. Ha
un certo modo di parlare, di mangiare, di vestire, di interloquire con gli altri. Potremmo dire
che Cortese è uno scrittore che dall’alto vede questo mondo con un certo disprezzo e
snobismo. Ma non è proprio così, perché Cortese è anche affascinato da questo mondo, lo
guarda con una certa tenerezza, comprensione, simpatia o addirittura empatia.Se volessimo
paragonarlo ad un fenomeno culturale che qualche anno fa andava fortissimo, lo
paragoneremmo a Tony Tammaro perché non ha uno sguardo dall’alto verso il basso nei
confronti del tamarro ma, anzi, quasi lo celebra. Cortese aveva questo tipo di atteggiamento,
fortemente ambivalente ma interessante perché quali sono le fonti che ci permettono di
capire qualcosa in più di un mondo che non sta chiuso all’interno delle corti, di avvicinarsi ad
un universo più popolare, che non lascia un enorme traccia scritta della propria esistenza?
Sono pochissime. Spesso il popolo nelle fonti, appare nelle fonti giudiziarie (=fonti di
polizia, dei tribunali e di tipo amministrativo- fiscale) come destinatario di un’azione
repressiva sviluppata dall’alto→ un popolano/a arriva in tribunale perché ha fatto qualcosa di
male, quindi deve essere punita, sanzionata, per aver compiuto qualcosa di illecito. Quindi la
rappresentazione offerta è una rappresentazione sempre sviluppata attraverso una mente
negativa; la fonte letteraria,cortese, invece, è il risultato di un tentativo radicale di
allargamento dello sguardo da parte dello scrittore a un mondo che è estraneo agli universi
descritti da uno come Gian Battista Marino. Ma il popolo non c’è nei componimenti di
Giambattista Marino? Certo, c’è il pastore ma i pastori di Giambattista Marino recitano
egloghe, conoscono i grandi poeti del passato… quindi sono figure idealizzate, lontane dalla
realtà pastorale del 600, finalizzate solamente ad offrire materia per l’intrattenimento della
corte spagnola.
Sguardi come quelli di Cortese, ancor più di quello di Basile, ci aprono invece la porta verso
un mondo escluso da qualsiasi altro tipo di rappresentazione, un mondo che quando emerge
negli archivi dei tribunali statali, delle amministrazioni fiscali o delle corti federali, emerge
solo come disciplinamento, quindi che sta dall’altra parte. Cortese, invece, lo guarda con
empatia, con uno sguardo quasi innamorato perché spesso egli si descrive come
innamorato delle vaiasse, che però non reagiscono molto bene . Una delle reazioni standard
della vaiassa nei confronti del corteggiatore è il tiro dello zoccolo→ una calzatura
abbastanza spessa e pesante che la vaiassa lancia per liberarsi dal fastidio provocato dal
corteggiatore.
-”la Rosa”
Verso la metà del 600, negli anni della rivolta di Masaniello a causa della gabella sulla frutta,
cominciò a circolare a Napoli una raccolta poetica, un canzoniere, fatto di diversi
componimenti (tra cui sonetti), intitolata “la Tiorba a Taccone de Felippo Sgruttendio da
Scafato ”:
1. la tiorba è uno strumento musicale che rimanda al nostro mandolino, quindi è a cassa e
corda;
2.il taccone è il plettro, aggeggio triangolare con cui si suona anche la chitarra;
3.Filippo Sgruttendio da Scafato: “Filippo” non è un nome come gli altri, ma è molto diffuso e
tipico dei re di Spagna (pensiamo a Filippo II→ uno dei più grandi rappresentanti della
monarchia spagnola nel secondo 500); “Sgruttendio”: da "sfruttare" che significa “fare
sempre rutti”; “da Scafato” cioè proveniente da Scafati. Già al tempo, si pensava che venire
da un posto come Caserta, Scafati, Maddaloni, Frattamaggiore (dunque dalle province)
significava essere più cafoni degli altri, come persone che non sanno come comportarsi
bene. Ancora oggi si dice “tu sei un provinciale”, conservando la stessa accezione.
Con questo titolo, che rimanda a vari elementi (la musica, Filippo, Scafati…), l’opera ci porta
all'interno di un realtà fatta di squilibri, scivolate verso mondi strani.
Il grande modello letterario del canzoniere, nella tradizione italiana, è Petrarca con i “Rerum
vulgarium fragmenta”(“I frammenti delle cose volgari”), cioè una raccolta poetica dedicata
alla donna amata→ Laura. L’opera di Filippo segue quest’idea e quindi tutti i componimenti
sono dedicati ad una donna di nome Cecca.
Differenze tra Laura e Cecca, tra l’opera di Petrarca e l’opera di Filippo da Scafato
1. Laura è una donna angelo, ha i capelli biondi e ondulati (ma pur sempre capelli in cui si
può passare il pettine senza che rimanga impigliato→ idea che ritroviamo anche in Marino),
Cecca, invece, ha i capelli neri e terribilmente cisposi, che non accettano alcun tipo di
pettine perché qualsiasi pettine rimarrebbe impigliato;
2. Mentre la carnagione di Laura è bianca, la carnagione di Cecca è scura, anche se non è
chiara la provenienza di questo colore scuro e diciamo che potrebbe essere da un lato
essere il risultato dell'insistere dei raggi del sole sul corpo della donna, o dall’altro lato
potrebbe essere uno scuro dato dall’accumularsi dello sporco
3. Laura è longilinea, snella, alta, slanciata; Cecca, invece, ha un peso inestimabile, è
enorme.
4. Nel “Canzoniere” di Petrarca non vediamo mai Laura mangiare mentre nel caso della
“Tiorba a Taccone”, Cecca non fa altro che mangiare, qualsiasi cosa si trova intorno.
5. Laura utilizza parole dolci e soavi; Cecca, invece, somiglia in maniera sospettosa a una di
quelle vaiasse di cui parla Cortese, quindi urla e il suo non controllarsi diventa anche un non
controllarsi sul piano delle funzioni corporee. Quindi, ad esempio, mentre si entusiasma e si
arrabbia per qualcosa è incontinente.
6. Cecca ha una fame enorme, non solo di cibo, ma anche di sesso.

Il Canzoniere ci da anche l’idea del tipo di alimentazione preferito da Cecca: è


un’alimentazione fatta da ingredienti umili, tipici di quel mondo popolare, come pane di un
certo tipo, verdure di un certo tipo (quelle preferite sono indiscutibilmente i broccoli), carne
molto grassa.
Quando abbiamo parlato della crisi del 600, abbiamo detto che la produzione italiana si
specializza in prodotti che dovevano bandire le grandi tavole e, nel campo
dell’abbigliamento, essere vestiti, indumenti, per le grandi élites. Questo mondo qui, invece,
è un mondo di costumi popolari.
Altro elemento ancora più significativo: Cecca è molto corteggiata dall’autore del
Canzoniere, ma lei reagisce in malo modo e lo prenda a zoccolate (l’elemento della
calzatura è significativo in Cecca. É importante anche l’abbigliamento di questa donna e
l’incapacità di mantenere una forma di igiene personale, anzi sembra essere tutt’uno con il
quartiere in cui vive e circondata, oltre che da un certo tipo di cibo, anche da un certo tipo di
persone, di odori→ universo olfattivo completamente estraneo alle rappresentazioni offerte
dalla corte spagnola.
Dunque, noi guardiamo al mondo che emerge nella poesia di Giambattista Marino prodotta
per la corte spagnola e quello che emerge dal canzoniere di Filippo da Scafati come se
fosse una distopia.

Ma, chi è Filippo Sgruttendio da Scafati? Per lungo tempo si è escluso che potesse essere
Giulio Cesare Cortese, perché ad un certo punto questi risulta essere morto molto prima
della pubblicazione dell’opera. Molti hanno detto che si tratta di un’opera postuma, cioè
composta in vita e pubblicata più tardi. In realtà, non molto tempo fa, è stata ritrovata una
transazione bancaria di Cortese successiva alla data di morte dello stesso Cortese. Il
ritrovamento di questo documento ha fatto sì che si avviassero ulteriori ricerche sul
personaggio Cortese e su ciò che era successo, arrivando a comprendere che addirittura ad
un certo punto della sua vita fu costretto a mettere in scena la sua morte, a farsi credere
morto, per sfuggire ad alcuni creditori che lo stavano cercando ovunque. In realtà non era
morto, ma continuava ad andare in giro, a vivere in incognito e probabilmente questo suo
modo di vivere riuscì anche a gettare le fondamenta del Canzoniere poetico, che oggi
conosciamo sotto il titolo di “la Tiorba a Taccone de Felippo Sgruttendio da Scafato ”
Questo ci fa capire quanto sia veramente importante un mondo in cui si è costretti alla
dissimulazione, alla recita, ad acquisire doppie identità, dove si può essere accolti anche
all'interno di corti come letterati e vivere in condizioni come nel caso di Giambattista Marino
ma anche vivere in condizioni più precarie, come nel caso di Basile e Giulio Cesare Cortese.
Opere come “Il viaggio di Parnaso”, “la Vaiasseide" e la “Tiorba a Taccone” non sono il
risultato di uno sguardo satirico, scherzoso ma portano con sé qualcosa di profondamente
autobiografico, cioè Cortese non descrive un mondo a lui estraneo ma un mondo con cui ha
dimestichezza, in cui tende a vivere, quindi non ha uno sguardo snobistico.Non fa solo satira
o parodia perché un’opera è parodica quando prende un modello nobile, alto e lo rovescia
con lo scopo di suscitare il riso ma ne “la Vaiasseide” non rovescia l’Iliade o l’Eneide o nella
“Tiorba a Taccone” il Canzoniere di Petrarca, bensì allarga lo sguardo in maniera prepotente
su un mondo che altrimenti rimarrebbe escluso dalla letteratura e dagli atti comunicativi che
possono diventare per noi fonte storica. Osservarlo è importante perché le sue opere sono il

⚠️ ⚠️
frutto di questo prepotente allargamento di sguardo.
( ricorda : la parodia si sviluppa dall’alto. Scopo→ rovesciamento)

Nel frattempo in Inghilterra…


In Inghilterra troviamo un panorama estremamente variegato, derivante dalla fine della
dinastia Tudor e segnato da forti tensioni religiose, che sono ereditate dal secolo
precedente: l’anglicanesimo aveva una dottrina calvinista e una liturgia vicina al
cattolicesimo. Elisabetta aveva cercato di rimediare a tutto questo attraverso la
pubblicazione del libro delle Preghiere Comuni, quindi aveva cercato di dare una liturgia che
fosse riconoscibilmente anglicana. Ma questo non basta a togliere dalla testa dei regnanti un
sospetto enorme (il cripto cattolicesimo), cioè i regnanti sono sospettati di essere in fondo
dei cattolici e di avere l’anglicanesimo solo come vestito esteriore, che neanche percepivano
essere come proprio.
Tutto ciò da vita alla nascita di enormi sacche di dissenso, che vengono però ben
rappresentate all’interno del Parlamento.
Quando parliamo di “Parlamento”, tra l'Inghilterra e la Francia ci sono delle differenze
abissali:
1.in Inghilterra, il Parlamento è la prefigurazione di ciò che intendiamo oggi come
“parlamento ”, cioè un’assemblea rappresentativa dotata di potere legislativo(potere di fare
le leggi). Inoltre aveva anche la possibilità concreta di controbilanciare il potere del
sovrano.
Ma, come abbiamo, parliamo di “stato moderno” quando si hanno diplomazie permanenti,
burocrazie permanenti e esercito permanente. In Inghilterra, però, non esiste un esercito
permanente ma può essere di volta in volta radunato dal sovrano dietro pagamento. Per
pagare, bisogna procedere al prelievo fiscale, quindi bisogna mettere insieme le risorse
necessarie che possono essere chieste solo dietro autorizzazione del Parlamento—> in altre
parole: il sovrano inglese non ha un esercito, se non ottiene il consenso del Parlamento.
Quindi, l’esercito è tutt’altro che permanente cioè può starci ma solo quando il Parlamento lo
autorizza.
All’interno del Parlamento si radunano tutte forme radicali di dissenso alla monarchia
inglese, tra cui il Puritanesimo.
Cos'è il Puritanesimo? È l’aspirazione all’applicazione di un anglicanesimo integrale
privo di contiguità dottrinali o liturgiche con il cattolicesimo—> in altre parole:
dobbiamo smettere di essere un pò troppo cattolici e rivolgere il nostro sguardo ad una
religione che sia integralmente altra. Queste aspirazioni, secondo alcuni puritani, non sono
più realizzabili all’interno del mondo inglese e si cerca di realizzarle altrove, in particolare nel
Nuovo Mondo ma non in tutto il Nuovo Mondo ma in un settore particolare: nella fascia
Atlantica del Nord, in due zone in particolare denominate Virginia (che prende il nome
dalla Virgin Queen) e la Nuova Inghilterra (dove oggi si trova Boston, al Nord di New York).
In questi mondi, si pretende di fondare una comunità che obbedisca a dei valori, dei principi
e che abbia dei modelli organizzativi che secondo i puritani non sono applicabili al mondo
inglese. Perché? Perché è troppo contaminato da altre culture.
Dopo Giacomo Stuart, sale al trono Carlo Stuart. I problemi del regno però restano gli
stessi, con la differenza che i contrasti tra il Parlamento e il sovrano si inaspriscono sempre
di più e diventano sempre più irrisolvibili.
Carlo Stuart vorrebbe combattere le minoranze cattoliche, presenti nell’isola, e vorrebbe
riprendere l’Inghilterra dalle minacce scozzesi (la Scozia era stata già usata dalla Spagna
come espediente per entrare nel mondo inglese). Per farlo, però, c’era bisogno dell’esercito
che come abbiamo detto non è permanente: per convocarlo e stipendiarlo, c’era bisogno di
enormi risorse economiche, che devono arrivare dal prelievo fiscale che non può essere
reso esecutivo senza il consenso del Parlamento.
Cominciano colluttazioni continue tra il Parlamento e Carlo I Stuart, che decide di non
convocare più il Parlamento per un lunghissimo periodo (per più di 10 anni). Dopo questo
lungo periodo, il Parlamento viene convocato e resta in carica per un tempo altrettanto
lungo, proprio per dimostrare quanto gli squilibri siano irrisolvibili.
Questi squilibri, però, diventano ancora più irrisolvibili quando le forze presenti in Parlamento
prendono coscienza delle loro prerogative e della loro importanza, decidendo non solo di
non approvare la formazione di un esercito a disposizione del monarca Carlo Stuart, ma
decidono anche di dotarsi loro stesse di un esercito.
In quel momento, inizia una guerra che alcuni studiosi hanno definito come guerra civile
quindi guerra tra forze monarchiche vicine alla dinastia Stuart e forze vicine al
Parlamento.
Altri studiosi, invece, hanno definito questa guerra come rivoluzione inglese o prima
rivoluzione inglese, perché vede pian piano l’ago della bilancia spostarsi verso le forze
parlamentari.
Carlo soccombe, viene imprigionato e processato per essere venuto meno a patti stipulati
con i sudditi inglesi. Alla fine del processo viene condannato a morte.
Come si può interpretare la condanna a morte del sovrano in Antico Regime? Possiamo, in
questo caso, parlare di rivoluzione? O dobbiamo parlare di rivolta?

DIFFERENZA TRA “RIVOLUZIONE” E “RIVOLTA”


RIVOLTA: movimento sociale volto soprattutto a chiedere il ripristino di qualcosa che nel
passato era già esistente;
RIVOLUZIONE: mette in discussione la legittimità del potere costituito e apre le porte ad un
nuovo sistema —> cancella quello che c’è prima per far nascere qualcosa di nuovo.
Potremmo chiederci: ma una condanna a morte di un re non è abbastanza per parlare di
“rivoluzione”? Forse si, forse no.

28 MARZO ✅
Il concetto di celebrità è importante: ci potremmo chiedere in che misura Gian Battista
Marino,Giulio Cesare o Masaniello fosse celebre e in che misura la loro celebrità arrivasse
anche al di fuori del regno o si chiudesse all’interno del regno.

INTERESSE DEGLI INGLESI VERSO CIÒ CHE STAVA ACCADENDO A NAPOLI: A


Londra, a metà 600(nel bel mezzo della guerra civile tra il Parlamento e il monarca), si
parlava tantissimo di quello che stava accadendo a Napoli, tanto da scriverlo sui giornali, sui
periodici, sui testi occasionali… INTERESSE VERSO L’OSSERVAZIONE DI UNO
SCENARIO ESTERO.
Ma perchè gli inglesi erano così interessati alle vicende napoletane? Non era solo il
semplice gusto verso l’esotico, dal fascino tipico generato dall’altro: siamo per loro una

➡️
realtà distante dalla loro vita reale, come imbevuti di altre credenze, altri modi di vivere, di
considerare la religione, l’economia tutto quello che siamo noi è diverso da ciò che
loro pensano di essere. Il fatto stesso che questi fenomeni debbano essere descritti con un
“noi” e con un “loro” è estremamente significativo; esiste un “noi” e un “loro”? Probabilmente
noi siamo molto più simili a loro di quanto si potrebbe pensare al primo sguardo, ma le
rappresentazioni anche un po’ oleografiche che il cinema, la musica, la televisione, la
letteratura, ci danno sono rappresentazioni che invece accentuano il senso della distanza.
Esistono delle mitografie intorno alle quali l’impulso partecipativo dell’ osservatore costruisce
altri racconti.
Come abbiamo anticipato, nella Londra di metà 600 l’interesse verso gli eventi napoletani
non era dettato dal solo e semplice gusto per l’esotico ma era dettato anche da una ragione
più concreta, che caratterizza tutti gli ecosistemi mediatici e informativi di Antico Regime:
spesso era difficile parlare liberamente di questioni di politica interna all’interno di un certo
contesto linguistico-culturale, senza rischiare di essere censurati cioè era difficile affrontare
argomenti scottanti di politica interna ed era ancora più scottante affrontare un argomento
come la guerra tra il Parlamento e il re perché si poteva essere accusati di essere dei lealisti
del re o dei partigiani del Parlamento, si poteva diventare oggetto delle vendette altrui. Allora

➡️
ci si affida all’osservazione del contesto altro per trovare quello che invece accade
all’interno parlo degli altri per parlare di me stesso e attraverso la rappresentazione
dell’altro dico ai miei qualcosa che ci appartiene. Questa è una dinamica ancora attiva nei
nostri ecosistemi mediatici: tutta l’informazione che produciamo sulla politica estera ha
questa funzione oggi. Infatti noi non ci interessiamo di Stati-Uniti, di Russia, di Ucraina, di
Giappone, di Cina perciò quando parliamo di loro, stiamo in realtà parlando di noi e parliamo
di loro (ancora noi vs loro) solo nella misura in cui siamo capaci di sottolineare le differenze
tra noi e loro, di evidenziare la loro specificità rispetto a noi o di evidenziare le nostre
specificità rispetto a loro. Quindi facciamo un continuo salto dentro-fuori, ma la nostra
priorità è parlare del dentro, di politica interna, anche quando parliamo di politica estera. La
politica estera è una sorta di fantasma, non esiste, è una sorta di universo strumentale, uno
specchio che usiamo per vedere la nostra immagine riflessa (cosa che abbiamo visto anche
con la lettera di Colombo che, all’inizio dell'età moderna, serve agli europei per riconoscersi
e capire quali sono i propri bisogni religiosi, politici, economici e sociali).

➡️
Allo stesso modo, Napoli serviva ai londinesi per capire ciò che stava accadendo a
Londra in altre parole, la crisi sociale che attraversa il Regno di Napoli serve ai londinesi
per capire cosa sta accadendo a loro stessi. Infatti nei testi dedicati a quello che accade a
Napoli, il processo di coinvolgimento portato avanti da Masaniello è identificato con il
termine di “revolution”, nonostante ci siano tante parole per descrivere il tumulto (come
“riot”).
“Revolution” è mutuata dal linguaggio astronomico e da l’idea di cerchi che si vanno a
chiudere; invece, probabilmente, da un punto di vista strettamente storiografico quella
napoletana non fu una rivoluzione perché non mise mai realmente in discussione la
legittimità del potere costituito spagnolo. Oggi, per parlare di “rivoluzioni”, abbiamo bisogno
di disordini, tumulti e esplosioni di violenza che mettono però in discussione le radici stesse
del potere costituito, che non abbiano alcun carattere puramente rivendicativo e che
guardino unicamente al futuro e non al passato. Molto spesso, invece, le rivolte hanno un
carattere rivendicativo: avevamo qualcosa che ci avete tolto e ora vogliamo che questo
qualcosa ci venga restituito (impostazione che le rivoluzioni non hanno).
Quello che sta avvenendo in Francia in questi giorni, potrebbe anche avere un carattere
rivoluzionario se qualcuno dicesse “io voglio far fuori Macron” ma non necessariamente da
un punto di vista fisico (non dobbiamo pensare alle esecuzioni cruente di Antico Regime)ma
semplicemente destituirlo per evidenziare la natura illegittima delle decisioni che sta
prendendo. Se nel caso fosse un semplice “caro Macron ridacci quello che hai tolto”,
sarebbe una rivolta.
Agli inglesi del tempo, però, non interessa la parola rivolta perché a loro interessa il concerto
di rivoluzione perché si mette radicalmente in discussione il potere degli Stuart. Lo stesso
Carlo Stuart viene processato e condannato a morte, ma ciò nonostante alcuni storici hanno
ancora dei dubbi sull’applicazione della parola “rivoluzione” a quello che avviene in
Inghilterra a metà 600 … perchè? Perché bisogna considerare quello che c’era prima: in
Francia, i Parlamenti erano corti di giustizia; in Inghilterra, invece, erano assemblee
rappresentative, simili o capaci di prefigurare quello che oggi sono i Parlamenti cioè
assemblee rappresentative dove si esercita il potere legislativo. Questa tradizione è una
tradizione lunga in Inghilterra, che affonda le radici nei secoli precedenti e che arriva fino ai
tempi della Magna Carta. Quindi il rapporto di equilibrio che c’è in Inghilterra tra monarchia e
assemblee rappresentative è un rapporto molto consolidato e quando Carlo Stuart viene
processato, i termini del processo sono abbastanza espliciti:non viene processato per avere
fatto cose totalmente illecite, per aver esercitato illegittimamente il suo potere o per essere
destituito, ma perché viene accusato di aver tradito i patti. preesistenti che regolavano il
rapporto tra la corona e il Parlamento.
Dunque ciò che avviene in Inghilterra non è immune da uno sguardo rivolto al passato, non
è un qualcosa che guarda totalmente al futuro, non è qualcosa che dice “la monarchia non
andava bene”ma dice “tu monarca, non vai bene perché non hai svolto il tuo compito cioè
non hai rispettato gli accordi che avevamo”. Allora, all’interno degli eventi inglesi di metà
600, c’è qualcosa di profondamente rivoluzionario (la condanna a morte del re) ma anche
qualcosa di profondamente rivoltoso per la percezione netta che quel sistema era governato
da alcune regole che sono state rotte e vanno ripristinate. Le rivoluzioni non chiedono mai il
ripristino di qualcosa, perché non guardano al vecchio ma al nuovo. Nel mondo inglese,
invece, si chiede il ripristino di qualcosa. Questi elementi ci aiutano a comprendere gli
sviluppi immediatamente successivi della storia inglese: c’è l’epoca Cromwell che è
un’epoca di transizione, tutta la seconda metà del 600 che è caratterizzata da una sorta di
ping-pong tra il Parlamento e la corona con il Parlamento che gioca il ruolo di protagonista e
che si sente sempre di più in diritto di scegliere la dinastia che deve governare (prima
abbiamo gli Orange, poi nuovamente gli Stuart e poi gli Hannover, antenati dell’attuale
dinastia). Quindi, dobbiamo interpretare gli eventi della storia inglese come eventi dettati da
un equilibrio estremamente delicato che c’è tra Parlamento e corona, con una potere
assegnato al Parlamento quasi unico all’interno dello scenario europeo: non possiamo
immaginare un’Europa in cui i Parlamenti spadroneggiano e anche quando andiamo a
giudicare sul piano terminologico (e quindi con l’applicazione di alcuni concetti)la storia
inglese, dobbiamo stare attenti perché dobbiamo capire non solo il carattere traumatico delle
rotture ma capire anche su quale contesto si innestano queste rotture: c’erano certi equilibri
che sono stati rotti e si pretende anche di ripristinarli.. in che modo? Mettendo questa o
quell’altra dinastia al potere. Chi lo decide? Il Parlamento. Anche quando analizziamo i testi
della tradizione letteraria inglese, non possiamo fare a meno di tenere in considerazione una
tradizione politica che assegna alle assemblee rappresentative un ruolo preminente e non
possiamo fare a meno di tenere in considerazione che quel tipo di assetto è unico
nell’Europa di Antico Regime, cioè non ci sono altri paesi che funzionano in modo simile.
Ciò nonostante dobbiamo anche ragionare sull’importanza dei paradossi. Ancora una volta il
presente ci impone delle domande: ragionando in termini strettamente progressivisti
(“questo paese è più avanti di quest’altro”) e pensando alla democrazia come approdo più o
meno naturale dei sistemi politici di Antico Regime, potremmo dire che l’Inghilterra era più
vicina alla meta perché aveva delle assemblee rappresentative più sviluppate, dotate di
potere e più capaci di interloquire con la Corona, dando addirittura delle direttive. Oggi noi
abbiamo la Repubblica (sistema dimocratico) ma esistono ancora molte sopravvivenze
monarchiche, come ad esempio quella inglese. Tutto questo ci deve indurre un po’ anche a
diffidare dall’interpretazione della storia in chiave progressivista, cioè a dire “questo è più
avanti di quest’altro”, sulla base di teleologismi: le interpretazioni del prima con la
coscienza di quello che è avvenuto dopo. Se considerassimo le Repubbliche o le
democrazie come punto di approdo, non potremmo dire che qualcuno era più avanti di
qualcun’altro in Antico Regime perché è un discorso che non funzionerebbe.
Tra le altre cose, con ogni probabilità, la particolare struttura che si diede all’Inghilterra a
livello di potenza coloniale nel corso del 600, diede modo agli operatori commerciali inglesi
di acquisire i capitali e le potenzialità necessarie per favorire all’interno del loro paese la

➡️
nascita e lo sviluppo di un nuovo modello di produzione: il modello di produzione
industriale cioè fondato sulla fabbrica.
Nel primo 700, in Europa, parliamo di rivoluzione industriale. Ci sono state varie rivoluzioni
industriali tra l’età moderna e l’età contemporanea, ma la prima (a fine età moderna) è solo
ed unicamente inglese anche in virtù delle potenzialità acquisite dagli operatori tra 600 e
700, quando si venne a creare il cosiddetto impero, l’enorme rete di relazione che collegava
l’Inghilterra agli altri continenti, quando la corona britannica iniziò ad esercitare l’influenza su
varie aree del pianeta.
Dunque, la rivoluzione industriale poggia i piedi in un secolo in cui l’Inghilterra aveva vissuto
dei traumi ma si era data anche un assetto che confermava l’equilibrio precario tra corona e
Parlamento ma che spesso poteva anche avvantaggiarsi di quell’equilibrio.

Secondo Seicento in Francia


Cosa succede dopo la Guerra dei Trent’anni, dopo la Pace di Vestfalia (1648), in un paese
che esce vincitore dalla guerra ma che era stato lacerato da una grande quantità di rivolte e
di fronde organizzate da principi, dai Parlamenti (tribunali e non assemblee
rappresentative)?
Ad uscire da questa fase di impasse è un sovrano molto giovane, che esordisce sotto un
protettorato(di cui poi si libera) e che apre una fase di prepotente espansione della Francia e
rafforzamento della corona anche sul piano interno: Luigi XIV di Borbone, denominato il re
Sole, che avrebbe pronunciato la frase “lo stato sono io”.

Comprendiamo alcune questioni importanti: Filippo II aveva usato il Palazzo dell’Escorial


come fattore importante di rafforzamento del potere regio, in un contesto in cui ereditava una
corte itinerante, quindi dava agli spagnoli un punto di riferimento importante.
La Reggia di Versailles serve a questo? Si, ma serve soprattutto a produrre effetti concreti
sulla possibilità del monarca di esercitare un controllo diretto dei territori periferici. La
domanda è: come faccio con un palazzo, non lontano da Parigi, ad assicurarmi un controllo
più stretto di ciò che avviene in Provenza, in Bretagna o ai confini con i Pirenei? Mi serve un
palazzo vicino Parigi? Si,ma dobbiamo capire come avviene tutto questo.
Abbiamo detto che la Francia, nel primo 600, vive con una nobiltà rivoltosa, ribelle, che va
contro il potere centrale del re, che attraverso il controllo della violenza e la capacità di
agitare la violenza dal basso vuole farsi forte agli occhi del monarca, con lo scopo di
continuare a spadroneggiare sul territorio su cui avevano potere. Avere un potere su un
territorio, significa che quando i tuoi sudditi fanno qualcosa di sbagliato, devono sbrigarsela
con il nobile che controlla il territorio; se devono essere protetti, devono essere protetti da
parte del nobile; se devono pagare delle tasse, devono pagarle non al re ma al nobile.
Queste cose vanno valutate con molta attenzione, cose che il nobile territoriale non vuole
perdere.
A cosa serve allora la Reggia? Serve a Luigi XIV a dire “caro nobile, io in realtà ti voglio
bene, ti apprezzo molto, voglio darti spazio e prestigio, voglio che tu possa goderti la vita,
quindi vieni da me, nella mia Reggia, ci penso io, ti ospito e ti copro di benessere”.
L’organizzazione della corte ha dei risvolti interessanti studiati da un antropologo, sociologo,

➡️
interessante: Norbert Elias, che ha scritto “La società di corte” dove fa capire ai lettori come
la società di corte funzionasse come il sistema sociale il Re rappresenta il sole, mentre i
gli altri rappresentano i pianeti che gli gravitano intorno e più si è vicini al Sole, più si può
godere dei privilegi NELL’AMBIENTE DI CORTE, LA VICINANZA AL RE È
DIRETTAMENTE PROPORZIONALE AI PRIVILEGI DI CUI SI PUÒ GODERE. Ma i privilegi
hanno un prezzo, cioè il nobile per godere dei privilegi deve allontanarsi dal suo territorio di
riferimento, abbandonare il luogo in cui fa il cane da guardia e andare vicino Parigi. Il re non
si limita solo ad ospitare il nobile,ma manda su quel territorio una figura nuova, che svolge lo
stesso ruolo e che è stipendiato da lui: l’intendente, che inizia a dare tutto ciò che il signore
non può più fare perché impegnato nella Reggia.
Quindi, quello che si innesca è un progressivo processo di sottrazione dei nobili dai propri
territori di riferimento per portarli al cospetto del re, godendo della vita di corte, e sostituzione
di quei nobili con burocrati che devono esercitare completamente il controllo del territorio.
Tutto ciò non funzionava sempre, infatti alcuni nobili non si fanno prendere in giro da Luigi
XIV e si ribellano
Già negli anni 70 del 700, questo sistema comincia a precipitare e in modo ancora più
deciso agli inizi degli anni 80 del 700. Tra le altre cose, nell’epoca di Luigi XIV, c’è una
costante che ritorna: la guerra, l’aggressione verso l’esterno, cioè se voglio consolidare il
mio potere interno e sanare le lacerazioni che attraversano il paese faccio la guerra agli altri,
cioè prometto al mio paese l’espansione e faccio in modo che questa possa portare vantaggi
in termini di rafforzamento della mia influenza personale.
Luigi ci aveva provato più volte a fare questo, le guerre producono dei risultati ma lo mettono
in difficoltà.
Quali sono queste difficoltà?

➡️
Uno dei nodi importanti che aveva attraversato la propaganda bellica della Francia, durante
la Guerra dei 30 anni, era l’idea della morsa asburgica: trovarsi tra due forze asburgiche
la Spagna da un lato e il Sacro Romano Impero dall’altro lato, quindi la Francia si sente
accerchiata.
Quest’idea continua e i fronti importanti su cui è impegnata la corona francese sono due:
quello pirenaico (la catena montuosa dei Pirenei) che separa la Francia dalla Spagna;
quello renano(fiume Reno) che spacca in due l’Europa e vede la Francia a ovest e la
Germania a est.
Il fronte spagnolo non tiene molto impegnato Luigi XIV, al contrario del fronte renatico. Ad un
certo punto, si presenta al re un’opportunità importante, palese già alla fine degli anni 70 ma

➡️
all’inizio degli anni 80 diventa evidentissima: i turchi vogliono entrare nei Balcani e
minacciare l’impero tedesco, fino ad arrivare in una delle sue città simbolo Vienna.
Luigi ha un’opportunità unica perché se l’impero tedesco deve impegnare le sue forze
militari per difendersi dai turchi, può avere vantaggi sul fronte renano e avanzare. Ma c’è un
problema: i turchi non sono cristiani e lui si accredita agli occhi dei sudditi, come avevano
fatto già i suoi predecessori e i suoi colleghi di altri paesi (Filippo II), come re cristiano. Anzi,
addirittura non si accontenta di essere definito come “re cristiano”ma si fa chiamare “re
cristianissimo”. Di fronte all’avanzata dei turchi, non può rimanere indifferente perché ci
troviamo dinanzi ad un potere islamico che minaccia una roccaforte dell’Europa cristiana. A
questo punto il primo che dice a Luigi che ciò che sta facendo non va bene, è il papa che
richiama le forze cristiane all’unità e dice “caro Luigi, lo so che ci guadagni da questa cosa,
ma non puoi guadagnare fino in fondo da questa situazione perché siamo di fronte ad un
nemico comune”.
Per cui, Luigi XIV inizia un diplomatico doppio gioco che si svolge con forze diplomatiche in
campo: da un lato manda i suoi emissari nel cuore dell’Impero ottomano, a Istanbul;
dall’altro lato, li manda a Vienna a parlare con il papa e con gli altri stati italiani per dire
“resto cristiano, tengo all’unità del mondo cristiano, per cui terremo fuori dall’Europa i turchi”.
Ma dall’altra parte dice “se andate a Vienna, io non ho nulla da ridire perché in fondo mi fa
anche comodo”.
Tutto questo genera una strategia doppia anche sul piano mediatico perché bisogna
accreditare agli occhi dell’Europa l’immagine di un re cristiano e trasmettere,invece, nel
cuore dell'Impero ottomano l’immagine di un re cristianissimo, ma per fatti suoi, che infatti
vede di buon occhio l’arrivo della forza turca in una roccaforte come Vienna.
L'assedio di Vienna avrà luogo nel 1683 e, dopo la Battaglia di Lepanto, è stato uno dei
grossi momenti di urto tra cristiani e turchi. Anche a Vienna, come era avvenuto a Lepanto, i
cristiani riescono a sconfiggere il nemico. Ma, l’episodio di Vienna rappresenta l’inizio del
declino di Luigi XIV perché viene fuori agli occhi degli europei l’ambiguità della sua
posizione, soprattutto si è compresa la sua capacità di stare con un piede in due scarpe in
modo piuttosto precario e la sua volontà di espandersi nel cuore dell’Europa anche pagando
un prezzo molto alto (ledendo L’Unità e l’impermeabilità nel continente europeo, soprattutto
nella matrice cristiana).
Quindi nel 1683 gli Asburgo si rafforzano e cominciano a far gravitare intorno a Vienna il
centro delle loro attenzioni, trasferendovi qui il cuore anche simbolico del loro potere e
diventando sempre meno tedesca e più austriaca. La dinastia asburgica, pur essendo a
capo di un paese in cui sono presenti anche protestanti, comincia a confermarsi come
dinastia profondamente cattolica con Vienna come capitale della cattolicità. Ancora oggi
Vienna è considerata come tale: il mondo tedesco, inteso come tutto il mondo tedesco
(quindi Austria, Baviera, tutta la parte nord fino a Berlino, Düsseldorf, Francoforte), è al sud
cattolico e al nord protestante.VIENNA=PUNTO DI RIFERIMENTO DEL CATTOLICESIMO
Luigi XIV, invece, comincia la sua ascesa, comincia a palesare delle difficoltà anche sul
piano comunicativo. Che lui palesi delle difficoltà proprio sul piano comunicativo, è
significativo perché lui aveva puntato tutto sulla propaganda, sulla costruzione
dell’immagine, sulla capacità rappresentativa che la corte e la reggia aveva per i francesi e
per l’Europa intera. Veder crollare quel tipo di prestigio nel suo modo di operare nella politica
internazionale e nella sua costruzione dell’immagine fu un duro colpo: i francesi iniziano ad
accorgersi di questa cosa e aumentano le divisioni interne.
Luigi XIV revocò l’editto di Nantes, cioè stabilì che le regole che aveva stabilito il suo
predecessore(Enrico IV) non potevano più andare bene perché l’unità religiosa è ora una
priorità, non può essere più rimandata.
I calvinisti possono esercitare e praticare il loro culto all’interno di roccaforte ben stabilite e
definite? Non più. C’è un prezzo da pagare enorme (i calvinisti sono particolarmente ricchi e
intraprendenti) : dopo la decisione di Luigi XIV di revocare l’editto di Nantes, i calvinisti
scappano dalla Francia e si rifugiano in Olanda. Insieme ai calvinisti, vanno anche
scienziati, filosofi, letterati, letterati.
L’opposizione interna aumenta.
“Le avventure di Telemaco” è un finto romanzo storico, ma palesa fra le righe tutti gli
squilibri del potere di Luigi XVI.

➡️
La crisi arriva alle estreme conseguenze con un ulteriore problema di politica estera: la crisi
dinastica della Spagna in Spagna, gli Asburgo non hanno più eredi(cosa già evidente a
fine 600 ma ancora più palese nel 700)e Luigi pensa di mettere sul trono in Spagna un
Borbone. Nasce un conflitto, destinato a durare per diversi anni perché attraversa tutto il
primo 700: la guerra di successione spagnola, la prima delle 3 lunghe e sanguinose
guerre di successione (guerra di successione spagnola, guerra di successione polacca,
guerra di successione austriaca).
Le guerre di successione rientrano, insieme alle Guerre d’Italia, la Guerra dei Trent’anni e la
Guerra dei 7 anni, tra gli spauracchi per chi studia storia moderna.

Guerra di successione spagnola


Vede in campo diverse forze, impegnate a cercare di occupare il trono di Spagna con il loro
candidato: da un lato abbiamo Luigi XIV, che vuole mettere sul trono un Borbone, dall’altro
lato abbiamo gli Asburgo del Sacro Romano Impero che vogliono mettere sul trono uno di
loro.
Si generano alleanze, schieramenti, le potenze europee(quelle nordiche, quelle del Mar
Baltico) vogliono dire la loro così come gli Stati italiani con lo scopo di sentirsi importanti.
In un primo momento pare che l’ago della bilancia penda dalla parte degli Asburgo del Sacro
Romano Impero, perché Luigi non è ben visto da tutti, perché il suo potere strabordante ha
suscitato invidie e paure e perché si teme molto che la Francia e la Spagna possano
entrambe avere un Borbone al trono (questo significa che il trono spagnolo viene controllato
dai francesi).
Ma alla fine del primo decennio del 700, la situazione cambia: Luigi XIV (il cui regno
attraversa tutta la seconda metà del 600) si era indebolito perché è ormai diventato vecchio
e i canditi asburgici cominciano ad essere pericolosi perché rappresentano, agli occhi di tutti
gli altri sovrani europei, la possibilità di poter avere sul trono di Spagna e del Sacro Romano
Impero la stessa persona. Questo significa che, nel primo 700, si ripeti la stessa identica
situazione che si era avuta in Europa nel primo 500 con Carlo V. Allora gli altri accettano il
candidato borbonico sul trono di Spagna, a patto che le due corone (quella francese e quella
spagnola) restino dinasticamente separate quindi le due figure non possono sovrapporsi.

IL 700
La prima cosa che ci viene in mente quando parliamo di 700 è l'Illuminismo. L’idea che
incombe nei manuali è quella di Illuminismo come epoca della ragione, della razionalità,in
cui si smette di credere alla superstizione e di guardare a mondi strani e immaginari. Ciò che
accade non è questo, ma un fenomeno molto molto più complesso.L’Illuminismo quasi non
esisteva in Europa, era un fenomeno riservato a poche persone perché gli europei avevano
altro a cui pensare (un contadino, ad esempio, doveva pensare a come procurarsi da
sopravvivere).
Dobbiamo cercare di essere più realistici e pensare al secolo dei lumi come un secolo più
reale e meno surreale.
Molto spesso si è detto che già dalla fine del 600 molte cose stavano cambiando. Esiste un

➡️
classico della storiografia, prodotto da Paul Hazard, intitolato “la crisi della coscienza
europea” nel corso del 600, la parola crisi l’abbiamo incontrata varie volte con riferimento
alla crisi economica, la peste, la fame, la guerra. Secondo Paul Hazard, “crisi della
coscienza europea” significa messa in discussione di alcuni paradigmi ritenuti
inattaccabili. Quando parliamo di “paradigmi ritenuti inattaccabili”, parliamo soprattutto di

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sacralità del potere regio, di natura dogmatica dell’ inattaccabilità del potere stesso, alleanza
tra trono e altare quindi potere politico e religioso che si fondono in altri
termini:collaborazione tra Stato e Chiesa, di primato da assegnare ad alcuni soggetti che sul
piano culturale godono di un riconoscimento da parte degli stessi poteri cioè teologi, filosofi
e soprattutto accademici.
Oggi la parola “accademico” rimanda ad un mondo fatto di istituzioni scientifiche, letterarie,
filosofiche, che godono della protezione dei poteri costituiti (dello Stato e della Chiesa).
Secondo Paul Hazard, “la crisi della coscienza europea” mette in discussione la cultura
accademica e comincia a dire che la vera cultura può stare anche al di fuori di questi circuiti.
Quindi si mette in discussione un sapere che gode di un certo tipo di protezione, che è
ufficializzato, istituzionale e finanziato dai poteri costituiti.
Nel corso del 600, i saperi accademici avevano raggiunto un potere tale da diventare anche
servili nei confronti di chi li finanziava e li proteggeva. In Inghilterra, ad esempio, le
accademie avevano acquisito un ruolo importante anche sul piano della ricerca di quella che
oggi definiamo come “scienza o scienze dure” (Newton, per esempio, era un uomo che ad
un certo punto gode di protezioni e diventa un punto di riferimento accademico). Anche a
Napoli c’erano accademie importanti, protette dal potere spagnolo, come l’Accademia degli
investiganti o l’Accademia degli oziosi (oziosi= coloro che potevano dedicarsi all’attività
intellettuale). A Napoli,all’interno di questo mondo accademico, però si cominciano a
coltivare delle idee che non stanno più tanto bene né allo Stato né alla Chiesa. Infatti,
l’Accademia degli investiganti finisce sotto processo e a processarla è l’Inquisizione che
accusa gli investiganti di ateismo, cioè di andare contro uno dei dogmi più importanti difesi
dalla Chiesa di Roma (l’esistenza di Dio).
Realmente gli investiganti erano ateisti? No, avevano posizioni molto molto più sfumate. Ma,
ad un certo punto, il processo contro gli ateisti diventa anche la manifestazione simbolica
di una crisi tra mondo accademico e potere costituito. Il processo degli ateisti a Napoli,
negli anni 90 del 600, si chiude con una condanna molto pesante (secondo alcuni uno
sterminio dei più importanti letterati napoletani). D’altro canto, è anche la

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manifestazione della non sostenibilità di un sistema fondato sulla committenza dei
poteri costituiti e sulla protezione di carattere mecenatistico in altre parole, in Antico
Regime, si può essere letterati o uomini di cultura se c’è qualcuno che dall’alto decide di
finanziarti, sostenerti e proteggerti. Diversamente da oggi, è difficile che il letterato possa

➡️
vivere del suo lavoro,o meglio può vivere del suo lavoro se si tratta di un professore che
porta a casa uomo stipendio o vendendo il proprio prodotto scrivo libri e li vendo,
disegno fumetti e li vendo, progetto videogiochi e li vendo, scrivo sceneggiature che
vengono messe in scena, diventano film e fanno cassa.
Questa cosa qui in Antico Regime non esiste,perché la diffusione della cultura è legata in
larga parte al mecenatismo e non alla capacità del prodotto artistico di diventare prodotto da
vendere sul mercato. Il pubblico delle opere letterarie o delle opere artistiche è
estremamente ristretto, che non paga direttamente per la fruizione di quel prodotto; un
artista, uno scrittore, un letterato, riesce a vivere grazie al proprio lavoro perché c’è chi
compra il suo prodotto, ma non tutti possono permetterselo(i nobili).

➡️
Quindi, non dobbiamo pensare ad un mondo di cultura fatto di lavoro culturale cioè un lavoro
che sì esiste, ma esiste sotto la protezione di mecenati persone che sono élites nella
società e decidono di investire una parte delle loro risorse nel sostegno dell'attività culturale.
Tra la fine del 600 e l’inizio del 700 non soltanto si rompe il rapporto tra gli accademici e i
poteri costituiti ma, più in generale, viene meno il sistema di protezione che lega i mecenati
a coloro che esercitano attività di carattere culturale. Incomincia ad affacciarsi
nell’esperienza degli europei, la possibilità di lavorare nel mondo della cultura e vivere del
proprio lavoro. Questo si traduce in possibilità di vendere il proprio prodotto.
Tutto questo muta completamente alcune prospettive, muta la figura stessa del letterato
(oggi intellettuale) che comincia a pensare di poter vendere il proprio prodotto, di scrivere
qualcosa che possa soddisfare il gusto delle persone in modo che queste spendano per
comprare un libro, un periodico, un giornale, un dipinto.
Chi era Defoe? Non era un personaggio senza macchia e senza paura, non era un eroe
fiabesco, ma una persona che viveva di commercio, di scambi, al limite tra il lecito e l’illecito.
Lui stesso era una specie di personaggio picaresco. Figure come quella di Defoe,
interpretano il cambiamento profondo dei tempi, la trasformazione del sistema economico,
politico, la possibilità intravista dagli uomini di cultura di vivere del proprio lavoro.
Nel mondo inglese la stampa (soprattutto quella periodica) è molto sviluppata, infatti alcuni
scrivono articoli per vivere e vogliono che i loro articoli vengono letti. Alcuni giornalisti inglesi
dell’inizio del 700 si divertono a scrivere articoli senza tenere molto in considerazione la
realtà dei fatti che descrivono; dovrebbero trasmettere delle notizie, ma spesso hanno più
interesse a suscitare stupore in chi li legge, quindi spesso stravolgono le notizie o le
inventano dal nulla.
Qualcuno di loro si diverte a passeggiare nelle piazze e nei mercati, dopo l’uscita del proprio
articolo su un determinato periodico, solo per il gusto di sentirne parlare e sentir raccontare
una storia che lui stesso ha inventato quindi si sente soddisfatto per aver raggiunto il suo
scopo e per aver potuto eventualmente trarre guadagno da quel tipo di attività.
CAMBIAMENTO DI PROSPETTIVA CHE CI PORTA ALL'INTERNO DI UN MONDO IN
PROFONDA TRASFORMAZIONE.
Dunque quando parliamo di Illuminismo, al di là dell’ idealizzazione di alcune punte
importanti(Diderot, Voltaire, Montesquieu, Rousseau) del pensiero europeo, quello che è
importante è trovarsi di fronte ad una profonda rivoluzione mediatico,di fronte ad un

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profondo cambiamento del modo di consumare cultura e di fronte alla nascita di un vero e
proprio mercato del prodotto culturale cominciamo a vedere un’Europa in cui comprare un
libro, una rivista, un giornale, diventa pratica comune, in cui pagare il biglietto per andare a
teatro diventa consuetudine (è vero che nell’Inghilterra shakespeariana questo già si faceva,
ma parliamo di un’eccezione che si espande in tutto il continente e viene condivisa sempre
di più).Cominciano ad esserci fenomeni legati anche alla capacità accresciuta di persone di
diversi ceti sociali, in varie parti del continente, di saper leggere: fare statistiche
sull’alfabetizzazione in Antico Regime è molto complesso e spesso ci sono studiosi che
sparano dei numeri. Ma come si può fare un calcolo per stabilire quanti alfabetizzati c’erano
in Antico Regime? Innanzitutto si fa a campione, cioè su piccoli contesti, e si cerca un tipo di
fonte omogenea che possa dare l’idea di quante persone sapevano leggere e scrivere.
Come si fa a capire chi sapeva leggere e chi no? Sulla base di chi metteva sui documenti le
firme e chi invece metteva una x perché si presupponeva che chi metteva la firma sapeva
anche leggere, mentre chi invece metteva una x non sapeva leggere. Le statistiche rivelano
che nelle grandi città, il 40% degli uomini e circa il 20-25% delle donne sapeva; nelle
campagne, invece, questa cifra si abbassa moltissimo perché si arrivava al 20% degli uomini
e al 12-13% delle donne. Molto spesso in alcune campagne italiane, ad esempio, addirittura
si arrivava al di sotto del 10%.
Ma quando facciamo questi calcoli, basandoci su questo tipo di ricerca, stiamo
commettendo un errore abbastanza evidente: il fatto che si metta una firma o una x, non
significa necessariamente che si sappia o meno leggere; saper leggere o scrivere, non è
sinonimo di sapere o meno usare un libro o essere in grado di ricevere i contenuti di un
libro/articolo di giornale.
Pensiamo a Renzo de “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni e chiediamoci: è o non è

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un analfabeta? Si, ma non del tutto: se guardiamo alcune scene de “ I Promessi Sposi”,
notiamo che non sa scrivere ma sa leggere in parte sa leggere i testi a stampa, ma non i
manoscritti. Quando ad esempio incontra l’Azzeccagarbugli e gli fa vedere dei testi a
stampa, riesce a seguire quanto c’è scritto; quando, invece, deve scrivere una lettera a
Lucia deve rivolgersi ad uno scrivano o quando riceve una lettera deve rivolgersi a qualcuno
che gliela sappia leggere.
Quindi uno come Renzo, come può essere definito? Come semi letterato.
Quindi quando facciamo quel tipo di calcolo, cadiamo nell’errore, perché molti non erano del
tutto analfabeti ma erano semi-analfabeti/semi-letterati e tale condizione INTERMEDIA non
è rilevabile dalle statistiche. Questa condizione non solo dà loro la possibilità di leggere dei
testi a stampa, ma spesso dà loro anche la possibilità di diventare fruitori di testi a stampa,
senza leggerli direttamente ma ascoltandoli da qualcun altro.
Dunque, capire bene qual è la potenzialità di un oggetto mediatico è difficile.
Nel corso del 700 cominciarono ad essere utilizzati molti libri piccolissimi, quanto una mano,
identificabili attraverso il colore blu della copertina. Parliamo dei libri della Biblioteca blu,
che cominciano a girare non solo nelle città ma anche nelle campagne. Si presupponeva
che molte persone sapessero leggere questi libri.
La Biblioteca blu conteneva 3 sezioni:
1.dedicata alla sezione storica: i grandi eventi del passato;
2. dedicata alle notizie;
3. dedicata ai romanzi.
Oggi, abbiamo esempi concreti di generi editoriali che si identificano con il colore della
copertina? Si, i giallo. Perché gli italiani li definiscono “libri gialli”?
Perché Mondadori in Italia scelse che le detective stories(storie d’indagine dovessero
portare la copertina gialla. I francesi li definiscono "noires",prendendo in considerazione non
tanto il colore della copertina ma il carattere cupo della storia.
È importante che un genere possa identificarsi con il colore della copertina e in Francia
questo avviene già nel primo 700, con i libri della Biblioteca blu.
Le storie raccontate nei libri della Biblioteca blu potevano diventare argomento di
discussione tra le persone. Avevano anche un’altra caratteristica:quando si parlava di storie
e romanzi, su un numero della Biblioteca blu trovavamo una puntata, su quello successivo
un’altra puntata ancora e così via… cioè avevano una serialità perché si partiva dal
presupposto che i lettori fossero sempre gli stessi e che letto un pezzo della storia,
andassero poi a cercare gli altri. La stessa cosa avveniva per i periodici che appunto
raccontavano eventi a puntate, che uscivano settimane dopo settimane, mesi dopo mesi,
quindi nel numero successivo proponevano il continuo di una storia a cui il lettore si era già
affezionato prima. Affezionarsi ai vari elementi delle storie, come i personaggi, è importante
perché la volta dopo li si riconosce e si prova la sensazione di essere tornati un po’ a casa.
Ancora oggi ci affezioniamo ai personaggi di una storia che consideriamo vicini a noi (basti
pensare la serie televisiva “Mare Fuori”)
C’era un'altra dinamica che appartiene a queste cose che avvengono ancora oggi:molti dei
personaggi erano dei criminali, avevano commesso reati di tutti i tipi nella loro
vita.Nell’Europa di primo 700, ce ne erano alcuni molto famosi: Jack John Sheppard,
diventato celebre in virtù della spinta enorme prodotta dalla penna di Daniel Defoe .
Parliamo di un ladro londinese, molto giovane, che viene catturato dalla polizia ma da un
poliziotto corrotto. Questo personaggio divenne così famoso che il pubblico inizia a avere
fame di conoscere le sue nuove avventure. Ma com’è che ottiene tutta questa fama? Perché
quando Defoe lo presenta al pubblico, afferma che dobbiamo trarre dalle sue avventure un
messaggio pedagogico, capire che nella sua vita ne ha combinate di tutti colori ma ha
pagato a caro prezzo le conseguenze delle sue azioni, quindi osservando la storia della sua
vita dobbiamo imparare a non ripetere quello che ha fatto.
Ma Defoe sapeva benissimo che nessuno avrebbe imparato nulla dalla storia di questo
personaggio, ma tutti si sarebbero divertiti tanto, lo avrebbero apprezzato e amato a tal
punto da desiderare di essere come lui. John Sheppard esisteva davvero nella Londra del
tempo, quindi i londinesi possono vedere anche quando viene catturato. Poi c’erano i
personaggi dei romanzi: pensiamo a Moll Flanders, che non fa cose bellissime nella sua
vita che anzi è legata al carcere perché commette una serie di errori inimmaginabili. Nelle
prime pagine di Moll Flanders, Defoe dice ai lettori le stesse cose che abbiamo detto
prima,quindi lo fa nella cronaca e nella fiction e anche nella fiction (come nella
cronaca)dimostra la sua grande furbizia perché sa bene che i lettori non impareranno nulla
dalla lettura di Moll Flanders, ma si divertiranno molto seguendo le sue avventure e
addirittura arrivano ad invidiarla perché desiderosi di essere come lei o a sviluppare nei suoi
confronti forme di empatia.
Sheppard è ritornato di gran carriera nel nostro mondo (nel 21esimo secolo) attraverso varie
serie televisive.

29 MARZO ✅
contesto inglese
Scrittori come Daniel Defoe, Henry Fielding,cosa fanno nella vita? Che mestieri svolgono? I
loro profili rispondono all’immagine del letterato in Antico Regime? Noi immaginiamo il
letterato di Antico regime come un individuo protetto dal mecenate, che si aggrappa ad una
corte da cui conquista quello che è necessario per sopravvivere e per esercitare la sua
attività. Invece questi signori che si muovono nel contesto inglese del primo 700, vivono del
proprio lavoro, degli introiti che derivano dal proprio lavoro e in particolare da quello che
scrivono. Spesso però non sono solo scrittori, ma fanno anche altri mestieri: Defoe era

➡️
anche un giornalista (scrittore e giornalista però sono un po’ parenti, cioè un giornalista è in
effetti uno scrittore), un traduttore, un commerciante, la spia quindi parliamo di persone
che non vivono della protezione altrui, ma si guadagnano da vivere attraverso la loro
creatività, intraprendenza, saper fare.
LETTERATI DI PROFESSIONE CHE AFFIANCANO ALLA PROFESSIONE DI
LETTERATO ALTRE PROFESSIONI PIÙ O MENO LECITE, APERTE O RICONOSCIBILI.

➡️
Altra cosa interessante: spesso sono dei legali, dei giuristi, cioè sono giudici o
avvocati svolgono una professione forense nel mondo dei tribunali, a cui affiancano
l’attività di scrittori e intrattenitori, perché lo scrittore è principalmente un intrattenitore,
quindi non dobbiamo idealizzarlo.
Oggi quando utilizziamo il concetto di letteratura applicato all’Antico Regime, ci “sporchiamo”
di un anacronismo enorme perché il concetto odierno di letteratura in Antico Regime non
esisteva
Cos è la letteratura? In che modo si distingue da tutte le altre forme di produzione scritta?
Per il contenuto, ma qual è il carattere specifico di questo contenuto che la distingue da
qualsiasi altra forma di produzione scritta? Potremmo pensare che quando parliamo di
religione, argomento alto, stiamo parlando di religione. Ma non è questo l’elemento distintivo
perché le opere che parlano di religione possono essere trattati di carattere
teologico-filosofico ed trattati di carattere teologico-filosofico non sono letteratura.
Il nostro concetto di letteratura è storicamente nato nella seconda metà dell’800 (quindi dopo
la fine dell’età moderna). La letteratura, inventata da un certo Francesco De Santis che
scrisse “Una storia della letteratura italiana”, in quel contesto si contraddistingue per essere

➡️
un tipo di produzione scritta slegata da un fine eminentemente utilitaristico, è un tipo
di produzione scritta su cui si pronuncia un giudizio di tipo estetico un’opera letteraria è
qualcosa di cui dovremmo innanzitutto dire “è bella o non è bella”.
Cosa significa avere un fine non utilitaristico? Significa che non è un tipo di produzione
legata ad un compito pratico che devo svolgere nella vita o qualcosa che mi serve a vivere
in un certo modo, cioè la letteratura non è qualcosa che “mi serve a…”, è slegata dal fine
utilitaristico, non è pratica nel suo scopo, anzi ha in sé qualcosa che ha a che fare con
l’intrattenimento, il divertimento, la possibilità di esprimere un giudizio estetico (dire “è bello o

➡️
è brutto”), qualcosa che si allontana dalla sfera delle nostre necessità ed ha a che fare con
quello che produciamo in quanto esseri umani volti a altro dobbiamo il più possibile
astrarre per poter capire la natura dei fenomeni. Questo significa che quindi la letteratura
non può servirci a qualcosa? Certo la letteratura può servire anche a qualcosa, come vivere
meglio, guardare il futuro in un certo modo, la realtà in un certo modo, senza però escludere
la sfera del giudizio estetico, del bello, dell’eleganza, della forma, della metrica, dell’alta
cultura (altrimenti non è letteratura, perché la cultura è tutto ma per parlare di “letteratura”
c’è bisogno di cultura alta).
In Antico Regime queste distinzioni non esistevano ma sono frutto della cultura
ottocentesca. Infatti, in Antico Regime, tutto quello che veniva scritto doveva
necessariamente essere utile a qualcosa, cioè doveva aiutare a perseguire uno scopo che
nella mentalità del tempo era eminentemente pratico. Quindi potremmo pensare “a cosa
serve la Divina Commedia di Dante?” La “Divina Commedia” di Dante serve eminentemente
a qualcosa, cioè a perseguire lo scopo più pratico di tutti nel 300: garantire la vita eterna.

➡️
A cosa serve un poema epico-cavalleresco? Serve a comprendere una storia, che significa
sentirsi parte di un luogo, una tradizione, una comunità cosa eminemente pratica in Antico
Regime. Questo spiega il motivo per cui quando parliamo di chi si occupa di cultura in Antico
Regime, non dobbiamo usare il concetto di “intellettuale” (che non esisteva in Antico
Regime) ma il concetto di “letterato” che non è colui che scrive di letteratura ma colui che
scrive e basta. Infatti, in Antico Regime, colui che scrive di botanica è un letterato;
oggi,invece, chi scrive di botanica non è un letterato ma un botanico.
Dunque in Antico Regime si era considerabili letterari per il solo fatto di scrivere, perciò
essere filosofi, romanzieri, era la stessa cosa. Ma essere letterari significa perseguire degli
scopi che sono eminentemente pratici.
Se leggiamo le introduzioni di Defoe (come quella di Moll Flanders o quella dedicata a John
Sheppard), vediamo che dicono tutte la stessa cosa: dobbiamo leggere queste storie,
perché ci servono, perché hanno uno scopo pratico cioè quello di rigare dritto nella vita e
non ripetere nella nostra vita gli errori che ha commesso e pagare le conseguenze che lui ha
pagato. Quindi la letteratura ha un fine pratico, pedagogico: deve insegnare qualcosa, dire
cosa fare.
Ma, come abbiamo già detto, il rapporto che lettore e lettrici instaurano con le opere di Defoe
non era questo perché spesso volevano anche imitarlo: chiunque inizia a desiderare di voler
essere come Sheppard perché è molto bello e tutte gli cadono ai piedi; o si pensa che sia
meglio vivere una vita piena di emozioni, avventure, come quella di Moll Flanders anziché
una vita noiosa, senza dar significato alla propria esistenza.
Quindi nelle opere di Defoe agisce una doppia forza, di cui lui è consapevole: da un lato
difende il ruolo pedagogico che il letterato deve avere nella sua epoca, quindi propone una
storia che ha un fine eminentemente pratico, che deve insegnare come vivere nella maniera
più giusta; dall’altro lato, però, sa che questo messaggio pedagogico può trasformarsi in un
messaggio di facciata perché le persone compreranno le opere non per imparare dagli errori
commessi dal protagonista o dalla protagonista ma per esserne affascinato, sedotto, potersi
identificare e riprodurre quegli errori nella propria vita per avere una vita figa e non sfigata.
Quindi si pone in una fase di profonda trasformazione: il letterato non vive più solo di
committenza ma anche dell’amore del pubblico e della seduzione che è capace di riprodurre
sui lettori.
Queste cose ci portano in un universo in cui la letteratura può diventare anche altro. La
trasformazione di questo mercato culturale è una componente essenziale di quello che
definiamo come “secolo dei lumi”, cioè l’Illuminismo è stato una rivoluzione mediatica, che
ha coinvolto anche coloro che non si ritenevano essere illuministi, che non si ponevano
neanche il problema di cosa fosse l’Illuminismo, ma erano coinvolti in un mondo in cui la
circolazione, la vendita, dei testi in generale stava assumendo una dimensione nuova, in un
mondo in cui chi faceva scrittura poteva pensare di vivere di quell’attività.

Ritornando a Tasso, e in generale ai poemi epico-cavallereschi, e Defoe: parliamo di due


narrazioni lunghe formalmente diverse(perché Tasso scrive in versi, Defoe scrive in prosa)
ma diverse anche sul piano contenutistico. In lingua italiana abbiamo dei termini piuttosto
ambigui per descrivere le narrazioni lunghe, mentre la narrazione breve è indicata con il
termine “novella” o più semplicemente “narrazione breve, di cui il modello di riferimento per
eccellenza è senza dubbio Boccaccio con il “Decameron”. Giovanni Basile le definiva come
“cunti”, in napoletano. I racconti lunghi invece li definiamo come romanzi… ma Tasso è uno
che scrive romanzi? Tasso non scrive romanzi, ma la sua opera è un poema
epico-cavalleresco, quindi si differenzi anche dalla semplice tradizione epica e mette al
centro il cavaliere, colui che combatte in un mondo che ha anche un riferimento cronologico
preciso (il mondo medievale). Ma il poema epico-cavalleresco ha anche un’altra
caratteristica: tutto ciò che accade non obbedisce alla verosimiglianza, perché abbiamo
l’intervento del soprannaturale. Nelle opere di Defoe, invece, non avviene la stessa cosa
perché tutto ciò che accade ai protagonisti obbedisce alla verosimiglianza quindi non
abbiamo l’intervento del soprannaturale.
Quando le cose hanno iniziato a cambiare? Tra il 500 e 600 e un momento di svolta è stato
sicuramente la pubblicazione del Don Quijote di Miguel de Cervantes che collochiamo tra
un mondo e l’altro, perché Don Quijote è un lettore ed è ossessionato per il genere
epico-cavalleresco.Cervantes però trascina questo personaggio fuori dal mondo
epico-cavalleresco e lo rimette nel mondo reale della Spagna del tempo attraverso la follia,
cioè pensa di vivere in un mondo di cavalieri senza macchia e senza paura ma in realtà si
trova in un mondo in cui lo prendono per i fondelli. Quindi la narrazione di Cervantes è una
narrazione verosimile e che guarda al passato solo attraverso il ponte della follia del
protagonista.
In Defoe, in Fielding, tutto ciò non avviene affatto perché i personaggi del nuovo romanzo
del 700, che ha l’Inghilterra come una delle sue patrie, appartengono al mondo reale, si
aggrappano a quello che può succedere a tutti. Inoltre in inglese ci sono due termini diversi
per descrivere i due generi letterari: i romanzi di Defoe si definiscono “novel”, mentre le
narrazioni che possono coinvolgere elementi fantastici e soprannaturali prendono il nome di
“romance”. Il termine “novel” è preso in prestito dall’italiano perché là novella era un genere
non solo breve ma anche molto aggrappato alla realtà, infatti in Boccaccio non esiste il
soprannaturale. Tra le altre cose, Boccaccio era un grande appassionato di Dante e dice che
quella di Dante era una commedia “divina”, mentre la sua è una commedia “umana”, quindi
sta più con i piedi per terra. Dunque la spaccatura è evidente, ma quella settecentesca
produce dei problemi di carattere etico-morali molto importanti che vengono percepiti da chi
produce quel tipo di letteratura. Per problemi “etico-morali”, si intende che quando si
propone qualcosa al lettore, bisogna valutare anche tutte le possibili conseguenze della
lettura dell’opera, cioè bisogna capire quali sono i benefici ma anche i danni che produce la
lettura dell’opera. Mettere il verosimile al centro della narrazione significa illudere

➡️
potenzialmente le persone di poter rivivere nella loro vita quotidiana ciò che hanno vissuto i
protagonisti dire implicitamente che ciò che è accaduto a quei personaggi può accadere
anche a te perché nelle avventure descritte non c’è l’intervento del soprannaturale, ma cose
che per quanto improbabili non sono mai completamente impossibili(non è probabile che
possa accadere ciò che è accaduto a Moll Flanders nella sua vita, ma non è teoricamente
impossibile. Questo funge da aggancio per chi legge.).Non è un caso che infatti vengono
messi insieme un personaggio di finzione e un personaggio dell cronaca, perché Defoe si
occupava di entrambe le cose.

Altra questione importante: i LIVELLI DI RICEZIONE DELLA LETTURA

➡️
Da qualche decennio, nel mondo degli studi storico-letterari si parla tanto di “reception
stadies” studi della ricezione dell’opera letteraria, come l’opera viene interpretata dal
pubblico e non dai critici.
I reception stadies dicono che l’opera letteraria a quel tempo, soprattutto quando è una
narrazione che si basa sulla verosimiglianza, può essere anche confusa con la storia. La
Biblioteca blu era composta da 3 sezioni: storia, cronaca e romanzi quindi 3 sezioni una
diversa dall’altra perché due riguardano fatti realmente accaduti, mentre l’altra riguarda fatti
di finzione.
Gli esperti di ricezione dicono che chi legge un romanzo a inizio 700 non sa la natura di ciò
che sta leggendo, ma può anche legittimamente pensare che quelle cose siano realmente
accadute. Anche oggi, quante volte ci chiediamo se le cose che stiamo leggendo o
guardando siano realmente accadute e quando pensiamo che sia possibile che siano
successe, siamo più o meno inconsciamente ancora più colpiti e pensiamo che quei
meccanismi possano verosimilmente ripetersi ancora nelle nostre vite. La stessa cosa
accadeva a quel tempo e mettersi sulla strada aperta da un prodotto letterario nell’illusione
di raccontare qualcosa che è ritenuto essere verità, è importante, influenza di più, altera la
fantasia. L’utilizzo del termine “fantasia” non è casuale, ma ci sono ragioni precise perché
ritorniamo ai problemi etico-morali: tanti iniziarono a percepire la presenza di questa novità
importante sul panorama europeo, romanzi così aggrappati alla realtà che potevano
confondere il pubblico perché mettevano insieme storia, finzione e cronaca. Tali novità
editoriali finivano nelle mani di molte persone, inclusi coloro che non avevano mai letto nulla
nella loro vita e che non avevano mai usato un certo tipo di storie. Per cui, percependo
queste novità, iniziano ad allarmarsi e tra coloro che si allarmano maggiormente troviamo i
religiosi, gli uomini di Chiesa e in particolar modo quelli del mondo cattolico perché loro
avevano puntato tantissimo sulle storie ma le storie che davano al pubblico erano storie
agiografiche (cioè le storie dei santi) e iniziano a rendersi conto che la diffusione dei
romanzi rendeva le storie dei santi sempre più fuori moda.
Di conseguenza, il livello di guardia si alza, il bisogno di reagire anche sul piano morale a ciò
che sta succedendo e nascono una serie di discorsi-anche denigratori- nei confronti del
romanzo, nel mondo della cultura alta, della cultura religiosa, della cultura giuridica del
tempo. IL ROMANZO DIVENTA IL PADRE DI TUTTI I MALI DELLA SOCIETÀ, il motivo
per cui le persone si comportano male, per cui fanno cose sbagliate, per cui rubano. Questo
dovrebbe farci riflettere perché in ogni epoca non diamo la colpa alle persone, ma troviamo
sempre la cosa che ha spinto le persone a fare quella cosa sbagliata; oggi, ad esempio,
riteniamo che la colpa sia dei social come se dietro i profili social non ci fossero persone in
carne ed ossa.
Un nemico determinato e abbastanza arrabbiato nei confronti dei romanzi era un abate di
origini modenesi: Ludovico Antonio Muratori, un grande studioso di documenti di filologia,
grande polemista e letterato attivissimo. Nel 1740, rendendosi conto che tante opere inglesi
erano arrivate sul mercato italiano e vendute molto, scrisse un trattato (“Della forza della
fantasia umana”) dove si chiese “qual è il più grande stimolatore di fantasie umane?” È il
romanzo, uno dei più grandi inganno del nostro tempo, quell’elemento che altera il nostro
stato emotivo perché ci produce un'illusione nella quale non siamo capaci di muoverci. Però
quelli come lui, eruditi, non ci cadono ma il problema sono gli stupidi e gli stupidi sono tanti.
Allora, il lettore e la lettrice soprattutto (lui era un grande misogino) devono essere
accompagnati nella lettura, perché possono inciampare e cadere; dunque vanno messi
all'erta, va detto loro che le storie che leggono sono inventate, non ispirate a fatti reali, e
soprattutto bisogna dire loro che ciò che avviene nelle storie non è riproducibile nella vita di
tutti i giorni e non devono illudersi di poterlo fare senza pagare le conseguenze. Ma Muratori,
e quelli come lui, non sapevano che Defoe o Fielding nell’introduzione già avvertivano i
lettori? Secondo lui questi scrittori sanno benissimo che i lettori non impareranno nulla quindi
mentono e sanno di mentire, perché sanno bene che i lettori saranno attratti dalla
stravaganza dei protagonisti e non imiteranno in nessun modo le loro virtù.
NON IMPARERANNO NULLA, PERCHÉ LA TENTAZIONE SUPERERÀ LA PARTE
PEDAGOGICA quindi quando dicono di voler dare un buon insegnamento, lo fanno solo per
indossare una veste di ipocrisia perché in realtà sanno bene che stanno proponendo storie
seduttive, avvincenti, emozionanti, solo per venderle.

Come abbiamo già detto, Defoe ha costruito una buona parte delle sue fortune sulla figura di
un malvivente reale, storicamente esistito, bello e giovane: Sheppard. Questo nome, però, si
è sedimentato all’interno del nostro immaginario fino ad arrivare ad epoche prossime alla
nostra attraverso uno dei personaggi della serie televisiva più importante della storia della
televisione, vale a dire “LOST” (Grey’s Anatomy, in una delle sue puntate più famose,-quella
dell’incidente aereo-contiene un omaggio a tale serie tv). Autore di questa serie tv è J.J
Abrams, anche se quando ha scritto “Lost” non era solo.

Trama
Un aereo che trasporta persone e che va dall’Australia a Los Angeles, precipita a causa di
un incidente causato da un fattore che non si capisce bene quale sia. L’aereo atterra su
un’isola deserta (Robinson Crusoe) e le persone aspettano che qualcuno vada a salvarle,
ma con il passare dei giorni non ci va nessuno. Ad un certo punto, si accorgono di non
essere soli su quell’isola e puntata dopo puntata fanno uscire fuori il proprio carattere. Tra
l’altro ogni puntata è fondata sul meccanismo del flashback: un personaggio che sta
sull’isola e che quindi affronta una qualche peripezia nel frattempo ricorda la sua vita
precedente. Nel ricordare queste vite precedenti, ci accorgiamo che tutti i personaggi sono
persone che hanno fatto cose di cui vantarsi nella propria vita e il personaggio più
importante, intorno al quale si costruisce tutta la storia, è Jack Sheppard. Si tratta di un
palese omaggio al personaggio di Defoe, anche se quest’ultimo era realmente esistito.
A farci capire, in modo ancora più evidente, che la serie è legata al 700 sono i nomi degli
altri personaggi: Rousseau, Locke, Hume, dunque come i filosofi del 700 e tutto quello che
succede sull’isola mette alla prova la loro razionalità. Ad un certo punto scopriamo che
Sheppard, per essersi macchiato di alcune colpe e per aver fatto cose di cui non vantarsi,
deve cercare una forma di redenzione.
Un meccanismo straordinario, grazie al quale capiamo l’omaggio che Grey’s Anatomy fa a
Lost, è il seguente: ogni episodio si apre con un personaggio che ha gli occhi chiusi e li apre.
È un meccanismo tipico dei videogiochi, perché quando apri l'occhio significa che il
giocatore si è impossessato del personaggio e deve compiere una missione. Il primo occhio
che si apre su quest’isola è quello di Sheppard.

Perché è la serie più importante?


1.Ha fatto un miliardo e mezzo di visualizzazioni;
2.Il modo con cui è stata vista, che ha inaugurato il nostro modo di rapportarci al consumo
culturale: era stata prodotta per la televisione tradizionale (cioè per un canale tipo rai 1,2,3 o
canale 5) ma la trama è così ingarbugliata e complicata che se ci perdiamo un solo secondo,
non capiamo nulla. Allora, com'è possibile che la tv tradizionale mandava in onde cose del
genere? La tv tradizionale, invece, propone storie dalla trama semplice, perché tiene conto
che nel frattempo ci si può distrarre, rispondere al telefono ecc… quindi tutta una serie di
meccanismi che devono fare in modo che continui a seguire quel prodotto che deve essere
scritto in un certo modo. Nell’età moderna abbiamo prodotti culturali che rispondono a
questo tipo di logica, come la commedia dell’arte che è fatta in modo tale che chi passa per
strada e vede gli attori fare determinate cose, deve capire subito cosa sta succedendo.
“Lost” non ha queste caratteristiche, ma va sulla tv tradizionale perché i produttori si
rendono conto che mezzo mondo non la guardava legalmente,ma attraverso un formato
pezzotto, illegale. A quel tempo (circa 2007,2008,2009] non esistevano piattaforme come
Netflix, Disney Plus, Now Tv, Sky go, ma esisteva un meccanismo che permetteva molto
lentamente di scaricare una singola puntata.
La puntata di "Lost” andava in onda il mercoledì sera negli Stati Uniti e dopo un po’ appariva
sui siti pirata ed era resa scaricabile. Però, in quegli anni (tra il 2005 e il 2010) nella notte tra
il mercoledì e il giovedì, visto che la linea non funzionava come oggi, Internet in Italia si
bloccava perché tutti scaricavano lo stesso prodotto.
Questo ci fa riflettere molto sull’età moderna, sulla pirateria, sulla contraffazione e sulla
riproduzione veloce delle cose.
A quel punto, le scelte erano due: combattere il fenomeno o assecondarlo. La scelta fu
assecondarlo, perché il guadagno era maggiore rispetto al danno prodotto e quindi la forza
del brand stava aumentando in maniera strabordante e convinse ad accettare il rischio.
Questo è anche il motivo per cui Dazn o Sky non decidono mai fino in fondo, in maniera
determinata, di fare la lotta alla pirateria perché c’è un doppio canale di vantaggio.
Ma il meccanismo di diffusione diventa fattore di autocoscienza per chi produce e scrive
l’opera e chi scrive l’opera sa benissimo che non si troverà di fronte alle bestemmie di chi
cerca maldestramente di guardare in tv yell cosa lì, ma si trova di fronte qualcuno che se la
guarderà sul computer e quindi se si è perso qualche minuto, può comunque tornare indietro
e recuperare la parte che ha perso.
È un meccanismo metodologico fondamentale perché chi scrive deve capire a che pubblico

➡️
sta parlando e a che tipo di fruizione si sta rivolgendo; Fielding, Defoe, e anche Muratori lo
sapeva molto bene quindi lo sa tanto chi lo fa, quanto chi lo critica.
Dunque il romanzo è qualcosa di profondamente denigrato, etichettato come il responsabile
di tutti i mali dell’universo.Addirittura la parola “romanzo” nei vocabolari 700eschi inizia ad
essere sinonimo di menzogna, impostura, capovolgimento della realtà ,illusione, bugia
e inizia ad essere usata anche nei tribunali dagli avvocati che vogliono accusare gli uni con
gli altri (quando in tribunale ci si contende una causa, si dice “stai dicendo una bugia, sei un
bugiardo”; nel 700, invece, dicevano “stai dicendo un romanzo”).

➡️
La natura elitaria dell’Illuminismo si vede anche dalla volontà degli illuministi di agganciare i
loro messaggi a chi detiene le leve del potere in altre parole, bisogna essere in grado di
suggerire, dare, delle direttive a chi comanda sulle riforme da fare, su come cambiare la
società, sulle decisioni politiche da prendere. Questo passaggio è importante perché
spesso, o meglio sempre, i manuali ci presentano l’epoca dell’Illuminismo come l’epoca
dell’assolutismo illuminato, del riformismo illuminato e del dispotismo illuminato.
Questi termini nei manuali sono intercambiabili, cioè di volta in volta le diverse esperienze
700esche di sovrani che cercano di cambiare la realtà dei fatti, sulla base di quello che
dicono i pensatori illuministi, vengono descritte alternativamente o come esperienze
riformistiche o come esperienze di assolutismo illuminato o come esperienze di dispotismo
illuminato.
Errore ricorrente è legare l’idea di assolutismo illuminato a Luigi XIV… ma come è possibile
se è morto prima? Per poter parlare di “assolutismo illuminato”, c’è bisogno che ci siano dei
sovrani che affiancano gli illuministi, che ascoltano i consigli degli illuministi e che leggono i
libri degli illuministi e sulla base di quelle cose lì provano a fare delle leggi e a cambiare le
cose. In Europa, questo avviene nel mondo del Sacro Romano Impero (nel mondo
austriaco, per intenderci), in Prussia con la figura di Federico II, in Russia con la figura di
Caterina, in Italia ma in particolare nella parte che gode dell’eredità asburgica cioè il
Granducato di Toscana che a partire dagli anni 20-30 non è più dei Medici perché la
dinastia dei Medici si è esaurita, ma è finito nelle mani degli Asburgo Lorena. Infatti, a metà
700, in Toscana troviamo al potere un signore: Pietro Leopoldo Asburgo Lorena, figlio
dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria. Questi aveva così a cuore gli illuministi, tanto da
mettere in campo delle riforme della nobiltà, dell’economia, del commercio, del sistema
fiscale, della religione, ispirate a quello che scrivevano i pensatori illuministi. In particolare, la
sua attenzione viene catturata da Cesare Beccaria che negli anni 60 del 700 scrive un
trattato giuridico, destinato ad essere letto da tante persone, intitolato “Dei delitti e delle
pene” in cui afferma l’illegittimità dell’uso della tortura e della pena di morte.
Pietro Leopoldo ne rimane così colpito tanto da riscrivere un codice penale che elimini la
tortura e la pena di morte.
Questo ci fa capire che l’Illuminismo è principalmente una modalità di trasmissione dei

➡️
contenuti, cioè più che la qualità dei contenuti è importante la modalità di trasmissione dei
contenuti la capacità dei contenuti di arrivare a dei destinatari, di convincere qualcuno
della bontà di qualcosa, di essere persuasivi, efficaci.
Non tutti gli illuministi hanno la stessa idea di determinati argomenti, come la religione, la
schiavitù, i rapporti fra i generi, il ruolo dell’uomo e della donna nella società, la nascita,
l’infanzia…ma hanno anche opinioni contrastanti. Ciò che li accomuna però è una certa
modalità di trasmissione dei contenuti culturali e la volontà di dare al sapere umano una
forma di organizzazione, cioè di poter dire “care persone, all’interno di questo mare di
sapere potete trovare un orientamento e affinché possiate trovarlo, vi forniamo gli strumenti
adatti altrimenti rischiate di affogare”.Uno degli strumenti più grande è l’enciclopedia. In
Francia, alcuni illuministi (come Diderot, Voltaire, D’Alembert) cominciano a lavorare ad
un’enciclopedia abnorme, con lo scopo di dire che c’è la possibilità di trovare nel sapere
umano un orientamento attraverso uno strumento a disposizione di tutti.
Oggi il paradigma dell’enciclopedia è insuperato, però ricorriamo an un’enciclopedia basato
a su un meccanismo diverso rispetto a quella a cui iniziano a lavorare gli illuministi:
Wikipedia, dove troviamo informazioni che non sappiamo da chi sono state scritte perché si
tratta di una forma di intelligenza collettiva, controllata però da un élite che ha il compito di
controllarne il corretto funzionamento e che non ci siano dei lestofanti che inseriscono
informazioni false e fuorvianti. Tale meccanismo però non sempre funziona, perché spesso
vengono inserite anche informazioni false e tali informazioni false vengono corrette

➡️
gradualmente (anche la correzione è il frutto di un’intelligenza collettiva). È chiaro che nello
scrivere cose false, bisogna essere furbi, rivestire l’informazione di veridicità scrivere cose
VEROSIMILI (come faceva Defoe, Fielding).
Nell’Enciclopedia di Diderot, Voltaire, invece, ogni autore si prendeva la responsabilità della
voce che scriveva che scriveva, la firmava, quindi tutto il contenuto era riconducibile alla sua
volontà, al suo operato, alla sua ricerca e se aveva detto una stupidaggine, ne era il
responsabile.
L'ENCYCLOPÉDIE SI PORTA DIETRO LA RESPONSABILITÀ DELLO SCRIVENTE.
Comprendere il meccanismo su cui si fonda Wikipedia, è importante perché c’è bisogno che
noi capiamo come ci arriva oggi il sapere, quali sono le cose a cui attingiamo, come
vengono prodotti i testi, cosa significa “intelligenza collettiva”, cosa significa “infinita capacità
di intervento” su un testo.
Tutto ciò è importante per capire la natura del fenomeno “Illuminismo” e di “assolutismo
illuminato”.
Quando abbiamo parlato di “assolutismo illuminato”, “dispotismo illuminato” e “riformismo
illuminato”, tra i paesi nominati (Austria, Prussia, Russia, Regni di Napoli con i Borbone)
mancano la Francia, la Spagna che nel 700 ha un sovrano in comune con Napoli perché
quando Carlo di Borbone nel 1759 smette di essere re di Napoli, diventa re di Spagna e
deve poi lasciare il regno a suo figlio (Ferdinando IV) e l’Inghilterra.
Nell’assolutismo e nel riformismo illuminato mancano Francia e Inghilterra, ma mancano
nell’illuminismo? No, perché quando facciamo l’elenco degli illuministi mettiamo francesi,
inglesi, qualche tedesco.
Come è possibile che i paesi che sono stati patria dell'Illuminismo, come fenomeno
intellettuale, culturale, filosofico, politico, non abbiano nulla sul piano del riformismo
illuminato che abbia realmente funzionato? Tutte le riforme che vengono tentate in Francia
falliscono. Come è possibile? Perché certe monarchie che hanno raggiunto un grado di
evoluzione molto alto ed elaborato, non hanno più spazio per poter realmente cambiare le
carte in tavola e paradossalmente ad essere più interessate all’Illuminismo e ai margini di
manovra che potevano offrire le riforme illuminate sono i paesi più arretrati, i paesi che
hanno minor tradizione e meno strutture sulle quali agire.

➡️
Su cosa si basano le riforme dei sovrani illuminati?
1.evoluzione dell’idea di istruzione e istruzione pubblica costruzione di qualcosa che
somigli al nostro sistema scolastico;
2.garanzia del diritto alla salute;
3.possibilità di accesso al sapere;

➡️
4.volontà di liberalizzare il commercio, dare un nuovo impulso all’economia;

➡️
5.rompere i privilegi della nobiltà sono spesso anche riforme nobiliari;
6.levare potere alla Chiesa sono riforme anti-ecclesiastiche, perché mirano a laicizzare la
società, rende lo Stato più autonomo rispetto alla Chiesa;
7.riorganizzazione degli apparati militari: riorganizzazione degli eserciti.
Tutte queste cose, in paesi come la Francia e l’Inghilterra, avevano già conosciuto evoluzioni

➡️
importanti e non dovevano appoggiarsi necessariamente ai dettami degli Illuministi, che
quando arrivano è come se fosse già troppo tardi quelle strutture si sono già
incancrenite, non ci sono più margini d’azione ma piuttosto si guarda a quello che succede
alla fine del 700, dopo l’epoca dell’Illuminismo e dopo l’epoca delle riforme.
Primo paese europeo in cui l’Antico regime cade è la Francia: paese in cui c’è stato
l’Illuminismo ma non le riforme.Di conseguenza, il mancato impulso di cambiamento porta
anche la società al collasso, ad una rottura. Infatti la rivoluzione c’è lì dove non è più
possibile il cambiamento graduale; le riforme, invece, sono cambiamenti graduali.

Le monografie
“L’eroe criminale”
“L’eroe criminale” inizia ad essere famoso nel pieno dell’età illuminista, alla fine degli anni
50 e soprattutto all’inizio degli anni 60. L’eroe criminale ci rimanda un po’ allo Sheppard di
Defoe: un criminale che viene celebrato come se fosse un grande eroe. L’eroe criminale di
Napoli è meno romantico dello Sheppard di Defoe e si chiama Leopoldo di San Pasquale,
perché veste l’abito di frate agostiniano. Diventa famoso perché, nell’ottobre del 1763, si
affida ad un avvocato perché si trova in prigione da 6 anni (dal 1757). In quei giorni esce
dalla prigione, in cui ci era finito con l’accusa di frode, eresia e scandali sessuali.
● Di quali reati sessuali si era macchiato nello specifico? Le accuse che pendevano

➡️
sulla sua testa erano pesanti perché era considerato colui che aveva diffuso, nella
città di Napoli e nei commenti della città di Napoli, il “mal francese” la sifilide, una
malattia sessualmente trasmissibile.
● Perché era accusato di frode? Perché era accusato di essere un imbroglione, di
essersi impossessato di una serie di cose e di averle vendute.
● Perché era accusato di eresia? Perché era accusato di aver insultato con termini
dissacranti i suoi superiori.
Questo signore, attraverso il suo avvocato, nel 1763 esce fuori dalla prigione in cui era stato
sbattuto dai superiori del suo stesso ordine religioso e afferma “cari napoletani, io sono
stato seppellito vivo in una fossa”. Ascoltando ciò pensiamo che sta parlando
metaforicamente, non nel senso letterale del termine. Se, invece, volessimo interpretarlo nel
senso letterale del termine potremmo dire che non ha potuto fare nulla per difendersi e
soprattutto, se vieni seppellito vivo in una fossa, non può raccontare quanto gli è accaduto.
Invece, com’ è che riesce a raccontarlo? Il suo avvocato(Francesco Peccheneda) comincia
a raccontare la storia in una memoria che viene pubblicata ,che comincia a circolare per
tutta Napoli e che tutti iniziano a leggere e a farsi raccontare perché la curiosità è tanta, il
personaggio è controverso e la gente inizia a chiedersi com’è che sia riuscito a raccontare la
storia, nonostante fosse stato “seppellito vivo” nella fossa. In realtà, la frase è metaforica ma
non del tutto, perché l’avvocato spiega che il suo cliente era stato chiuso in una cripta
scavata nel sotterraneo del cortile del suo convento, a cui non si può accedere attraverso
nessuna porta ma c’è solo un buco nel tetto dal quale ci si può calare tramite il pavimento
del piano superiore. La stanza, definita come “fossa”, è quasi completamente buia, non del
tutto perché c’è un po’ di luce che deriva dalla sfasatura che c’è tra il suolo e il tetto della
stanza, come se ci fosse un piccolo lucernario.
È una specie di TAVERNETTA senza entrata.
Tra le altre cose sulla memoria, che l‘avvocato pubblica e fa girare in tutta Napoli, c’è il
disegno della fossa dove il suo cliente stava morendo.
(Parliamo del racconto che l’avvocato fa all’esterno ma anche in tribunale)
Comincia poi a spiegare come era finito in quella fossa, perché avevano deciso di
infliggergli una punizione così atroce: inizialmente non era stato messo nella fossa, ma in
una prigione situata all'ultimo piano del convento. Questo convento si trova nell’attuale
quartiere di Materdei e si chiama Santa Maria della Verità.
In questa cella non ci stava tanto bene e tenta più volte di scappare e ci riesce. In che
modo? Corrompendo le guardie, ma viene rimesso dentro e non pagò quello che aveva
fatto. Però, non rassegnato a stare in gattabuia, prende le lenzuola del suo letto, le annoda
l’una all’altra e le trasforma in una sorta di corda che usa per lanciarsi dalla finestra.
Ma mentre si sta calando, il nodo si rompe e fa un volo di circa 3 piani arrivando al suolo del
quartiere, al tempo densamente popolato.
Arrivato al suolo, potremmo pensare che sia morto ma si fa solo un pò male e, con la paura
che potessero prenderlo, inizia a correre tra le strade del quartiere affollatissimo. Non lo
beccano e riesce a rifugiarsi nella Chiesa di un altro ordine religioso: all’epoca esisteva il
diritto d’asilo quindi quando vai in un’altra Chiesa, non possono più beccarti perché
altrimenti è un sacrilegio(atto che offende una persona,un luogo o una cosa ritenuti sacri)
verso l’altra Chiesa.
Questa storia puzza di inverosimile: come fa ,uno come lui che è caduto, a scappare e a
non essere beccato?
Gli agostiniani, nonostante il diritto d’asilo, lo beccano e lo buttano nella fossa, cioè nella
cripta seminterrata che non è legata da nulla all’esterno, se non solamente attraverso il buco
nel tetto al quale si può accedere solo attraverso una scala.
Perché tutto questo racconto? Potremmo pensare che l’avvocato voleva portare la
situazione dalla sua parte, dice cose inverosimili per attirare l’attenzione del pubblico, e per
difendere qualcuno che era indifendibile crea casino intorno alla causa anche per cercare di
prendere tempo.
Ma non è questa la strategia che adotta, perché disse che il fatto che sia stato messo nella
fossa,è la dimostrazione che era stato processato con i metodi dell'Inquisizione. Nel 1763,
dire questo, a Napoli, significa fare un’accusa grave ai giudici religiosi che lo avevano

➡️
processato perché
1.l'Inquisizione a Napoli non esiste a tutti gli effetti, è una presenza ambigua è presente
ma non puoi starci fino in fondo. Ma tutto questo meccanismo su cui si regge l'Inquisizione
napoletana in Antico Regime, aveva avuto fine nel dicembre del 1746, quindi 17 anni prima
della liberazione del prigioniero perché Carlo di Borbone, il nuovo re di Napoli che era
arrivato da poco, aveva dichiarato illegale l’Inquisizione: da quel momento non ci sarebbero
più state cause fatte con i metodi dell’Inquisizione.
Nel 1763, 17 anni dopo, l’avvocato dice che Leopoldo è stato processato con i metodi
dell'Inquisizione, quindi lui sta dicendo: “cari giudici l’avete fatta grossa ”.
Con questa storia, fa un po’ leva tanto sulla volontà di suscitare interesse dei napoletani
quanto (come in Cagliostro) sul fatto che se si rialza quando cade giù, è perché è stata la

➡️
volontà di Dio che vuole denunciare l’abuso che si era consumato contro di lui. È Dio
che ha voluto che lui possa dimostrare di essere sopravvissuto Leopoldo è ancora vivo
perché in fondo è Dio che lo vuole ancora vivo, è Dio che ha voluto che lui potesse dire di
essere sopravvissuto.

Storia delle lenzuola


La storia delle lenzuola merita un po’ la nostra attenzione perché era una storia che nella
letteratura europea già circolava ed era legata alle carceri, ai criminali che scappavano dalle
prigioni, ai criminali che diventavano eroe e riuscivano a scappare dalle torture che
subivano. Un grande fuggiasco che aveva usato le lenzuola, a inizio 700, per scappare dalle
carceri dell’Old Bailey di Londra era Sheppard. La descrizione della fuga che fa Defoe è
molto simile a quella che viene fatta negli anni 60 a Napoli dall’avvocato.
In Francia c’era un contrabbandiere,un criminale, Louis Mandrin che diventa attraverso i
racconti che si diffondevano al tempo un eroe, come Sheppard. Anche lui,come Leopoldo di
San Pasquale, quando sta in carcere riesce a scappare utilizzando una corda che si spezza
quando cade al suolo ma, nonostante la caduta, rimane miracolosamente illeso e quindi
riesce a scappare.
Questo cosa ci dice? In questi racconti, c’è un elemento fortemente stereotipico che
ritorna, quasi come se i racconti si ripetessero e i criminali avessero un destino comune

➡️
volto a suscitare empatia e comprensione del pubblico, perché il pubblico li vede come
cortocircuiti all’interno dell’ordine costituito la società ha delle gerarchie ferme, dei privilegi
intoccabili. I criminali, però, rompono queste gerarchie ferme attraverso il loro operato
talvolta fantasioso,avventuroso, picaresco, ai limiti tra il legale e l'illegale, come se
interpretassero il desiderio profondo di sovversione che c’è nelle persone più umili.

DIFFERENZA CON CAGLIOSTRO


Cagliostro non è come l’eroe napoletano. È ancora più fantasioso, è un alchimista (fa
intrugli, come Gennaro D’Auria), profetizza (come Wanna Marchi),vende talismani dicendo
che questi salvano dalla maledizione eterna, guarda il futuro, connette il passato con il
futuro, parla alle persone che stavano male e che miracolosamente iniziano a stare bene.

➡️
Nelle sue peripezie, però, genera empatia: più viene processato, martellato e manganellato,
più le persone lo amano ASPETTO INTERESSANTE, perché ci dice molto.

3 APRILE ✅
Capiamo quali sono le dinamiche comunicative, proprie del mondo illuminista, che segnano
un po’ il passo della conclusione dell’età moderna quindi il passaggio ad una nuova epoca
attraverso una nuova rottura che è quella rivoluzionaria.
Come abbiamo già detto, la Francia è quel paese che vede lo scoppio della Rivoluzione ma
non troviamo un assolutismo illuminato, un riformismo illuminato e un dispotismo illuminato.
Questo ci fa capire, sin da subito, che la rivoluzione affonda le radici nel fallimento delle
riforme e non nelle riforme e che affonda le radici probabilmente nella cultura illuministica
che aveva avuto una spinta verso il cambiamento che non trova un’adeguata realizzazione
nell’operato dei governi.
Però, il discorso portato avanti da alcuni storici negli ultimi decenni ha raggiunto livello di
complessità più alti: per arrivare ad una rivoluzione, è necessario che mutui anche
gradualmente nel corso di un’epoca l’immagine di un regime, di un potere costituito, che ci
siano degli eventi anche pubblici precedenti alla rivoluzione che fanno riflettere la

➡️
popolazione, che la inducono a partecipare/discutere e a non avere più la tradizionale fiducia
nutrita nei confronti del potere costituito in altre parole: chi comanda cambia agli occhi di
chi è comandato, perché non c’è più un rapporto di dipendenza, di affidamento e fiducia al
potere costituito rappresentato in Antico Regime dal monarca.
Come si può perdere fiducia? Secondo gli studiosi, uno dei principali carburanti capaci di
provocare l’incendio all’interno della società e provocare la perdita di fiducia nei confronti del
potere costituito è la comunicazione.
Ad esempio: rimanendo alla Francia, il 700 è l’epoca dei romanzi, della grande informazione,
della Biblioteca blu, dei periodici ma anche l’epoca dell’esplosione incontrollata di alcuni
generi che prima non erano tanto diffusi o tanto accessibili. Questi generi sono la letteratura
scandalistica e la letteratura pornografica. Il secondo è collegato al primo perché gli
scandali che vengono raccontati al popolo francese da questi testi, che sfuggono da
qualsiasi tentativo di censura, riguardano chi è al potere e spesso questi scandali entrano
direttamente all’interno delle stanze della monarchia. I protagonisti della letteratura
scandalistica sono i membri dell’alta aristocrazia, ma spesso vengono coinvolti anche il re e
la regina; Luigi XV, processore di Luigi XVI, fu travolto dalla letteratura scandalistica perchè
a finire al centro delle cronache fu la sua favorita, la sua prostituita, la sua compagna di letto:
Madame Du Barry. Stando a quanto ci raccontano le cronache, Madame Du Barry era una
persona straordinariamente assetata di potere, capace di sfruttare la sua posizione di
“preferita del sovrano” per acquisire potere nella corte, nel governo, sui ministri e in tutto il
paese. Prima di quest’epoca sicuramente esistevano figure di questo tipo, ma non erano al
centro dell’attenzione della grande comunicazione. Nel 700, invece, finiscono al centro
dell’attenzione dei media perché cambia il rapporto tra i letterati e il potere, cioè i letterati
non vivono più solo di mecenatismo e protezione dei potenti ma vivono anche del prodotto
del loro ingegno, del loro lavoro (vendono i loro libri, articoli)e la logica del profitto va a
scontrarsi con la logica della conservazione del potere. Quindi i libri vengono venduti anche
per raggirare i meccanismi di controllo del potere costituito, la censura, ma vendere libri
comporta anche la possibilità di mettere nello spazio pubblico un’immagine della monarchia
profondamente denigratoria, un’immagine che vede rappresentato il re come un idiota, un
imbedille, totalemente in balia della volontà di potere di una donna che è capace di tutto.
Tutto rientra anche in un discorso profondamente misogino; la cultura di Antico Regime è
una cultura profondamente misogina, quindi essere in balia del potere di una donna è
qualcosa di ancor più denigratorio che sta sulle spalle di un re.
MISOGINIA e DISCORSO SUL POTERE SI SOVRAPPONGONO IN MANIERA LETALE
fino a ledere, secondo gli studiosi, l’immagine della monarchia.
Lo studioso che più di tutti ha descritto con attenzione questo tipo di processo è stato
Robert Darnton, che negli anni 90 ha scritto un libro importante sul cambiamento
dell’immagine della monarchia francese agli occhi dei francesi intitolato “ The forbidden
best-sellers of pre-revolutionary France”. Secondo lui, una delle ragioni profonde della
deflagrazione, della destabilizzazione, del potere costituito in Francia quindi della
rivoluzione, sta nella capacità dei media di veicolare nel pubblico un’immagine della
monarchia sporca e violentemente denigratoria.
Un altro ruolo importante era svolto dai processi sensazionali, cioè i processi che avevano
degli imputati capaci di catalizzare le attenzioni del pubblico. Ancora oggi, a livello
planetario, ne abbiamo tanti. Ad esempio: omicidi nei quali si fa fatica a comprendere il/la
reale responsabile o processi che hanno al centro uomini molto in vista (ultimamente negli
Stati Uniti ce n’è uno). Questi processi iniziano ad essere noti al pubblico nel corso del 700,
ma cambia qualcosa: la giustizia già veniva veicolata al pubblico come meccanismo di
punizione, redenzione e perdono. Il problema però è che, in Antico Regime, raccontare la
giustizia al pubblico significava essenzialmente significava offrire al pubblico un messaggio
di carattere pedagogico. Il potere costituito usava il racconto di giustizia per
auto-celebrarsi, quindi per dire ai sudditi “guardate come siamo bravi, c’era un criminale,
l’abbiamo beccato, lo condanniamo a morte e ristabiliamo l’ordine costituito preesistente”.
Tutto il racconto di giustizia in Antico Regime è profondamente lineare, quindi molto molto
breve e non trovo articolato, dove la divisone bene-male è molto netta (da un lato abbiamo il
cattivo, dall’altro abbiamo i buoni che beccano,sbattono in galera e processano fino alla
morte il cattivo che delinque).
MESSAGGIO PEDAGOGICO: il potere costituito racconta la storia del cattivo con lo scopo
di far apprendere che quei comportamenti porteranno allo stesso tipo di conseguenze.
Questo ci ricorda quello che Defoe faceva con Sheppard. Non sempre però il meccanismo
funzionava, perché spesso il criminale diventava uno da celebrare e un modello da imitare.
Nel corso del 700, questi meccanismi di giustizia cambiano perché i media sono più dotati di
intraprendenza, per certi versi sono meno controllati e più legati al profitto e alla volontà di
vendere. Quando raccontano i processi rompono la linearità di cui abbiamo parlato prima e
cominciano a costruire intorno al processo tutta una comunicazione molto spesso
divergente, che permette al pubblico di entrare dentro la causa e comprendere tutte le
incertezze che accompagnano un procedimento giudiziario (testimonianze rilasciate che non
sempre sono affidabili, avvocati che litigano sostenendo versioni diverse rispetto alla stessa
storia, che sostengono l’innocenza dei loro clienti con delle argomentazioni che riportano al
pubblico).
In altre parole: nel corso del 700 da oggetto di racconto lineare, i processi diventano oggetto
di racconti profondamente controversi, configgente, seminando così incertezza e sfiducia
nella giustizia. In Antico Regime, il racconto di giustizia doveva costruire fiducia intorno alla
giustizia; i racconti del 700, invece, seminano sfiducia nella giustizia perché c’è una verità
troppo traballante,possibilità inesplorate. Si comincia anche a contemplare l’ipotesi che i
giudizi finali dei giudici siano basati su base molto fragili e che spesso i giudici possono
arrivare a conclusioni fallaci.
Se affianchiamo tutto questo al dilagare della letteratura scandalistica e della letteratura
pornografica, capiamo che spesso al centro della letteratura pornografica c’erano
personaggi di grande importanza (come Madame du Barry e Luigi XVI).
Quando parliamo di “pornografia” in Antico Regime, potremmo pensare che si tratti di una
pornografia non spinta ed esplicita ma la letteratura pornografica è letteratura pornografica
nel vero senso della parola, nel senso più spacciato del termine. Infatti, contiene riferimenti
intimi ai comportamenti dei protagonisti e tende soprattutto ad evidenziare le perversioni dei
➡️
protagonisti gente che dovrebbe avere in mano il destino del paese, invece, viene
descritta come avida di sesso, di eccitazione e emozioni fragili/effimere.
Trasferendoci all’interno dei tribunali, anche i giudici vengono descritti come persone deboli,
persone che non sanno come risolvere le cause, che di fronte ai racconti diversi proposti dai
testimoni si disorientano e perdono il contatto con la realtà. Quindi l’immagine
pedagogico-costruttiva della giustizia si distrugge agli occhi dei sudditi, lasciando spazio al

➡️
dubbio sulla reale affidabilità di chi detiene il potere (che sia un re, membro dell’alta
borghesia, della nobiltà parte di società che sta più in alto, più in vista, finisce per essere
lesa in profondità nella sua immagine agli occhi di chi deve essere governato e deve
obbedire).
Tra gli anni 20 e gli anni 30 del 700, in Francia, per la prima volta viene pubblicata una
raccolta di cause celebri. A pubblicarla è un avvocato, di nome François Gayot de
Pitaval. Egli era molto insoddisfatto della sua carriera, da cui invece si aspettava di più.
Perciò decide di cambiare attività e dedicare gli ultimi anni della sua vita al racconto
letterario delle cause celebri, cioè i processi più importanti del passato.
In questo racconto letterario comincia a portare varie testimonianze, che costruiscono
doppie verità su in singolo caso e che quindi cominciano a far contemplare al pubblico
l’ipotesi che i condannati potessero essere solo degli innocenti, delle vittime e che quindi i
criminali potessero nascondere la fisionomia degli eroi. Infatti, tanto il protagonista de “L’eroe
criminale” che il protagonista de “Le cento vite di Cagliostro” sono eroi criminali: da un lato,
erano dei condannati; dall’altro lato, invece, erano persone riabilitate dalla comunicazione,
che potevano presentarsi al pubblico come degli eroi.
Si innesta un meccanismo nuovo, distante da quelli che hanno dominato nei secoli e nei
decenni precedenti. Pitaval arriva persino a creare un genere letterario destinato a una
fortuna lunghissima: in Inghilterra, a pochi anni di distanza dalla pubblicazione delle cause
celebri di Pitaval, cominciano ad essere pubblicati i select trailers della corte dell’Old Bailey
cioè le storie delle persone che stanno chiuse in quel carcere seminando dubbi nel pubblico
che si chiede “erano davvero colpevoli oppure i giudici hanno sbagliato, o sono vittime della
società, di un sistema iniquo?”.

➡️
Allora inizia a costruirsi, intorno alla giustizia, un’opinione pubblica forte, chiamata a
discutere e soprattutto a prendere parte in una causa cioè la platea non è più una platea
neutra ma si può dividere in due parti formate dagli innocentisti da un lato, e i colpevolisti
dall’altro. IL PUBBLICO È CHIAMATO A PARTECIPARE
Ancora oggi, quando c’è un processo importante, ci sono gli innocentisti e i colpevolisti. Ad
esempio, si è innescata una dinamica del genere per il famoso caso di Amanda Knox, in
Italia; il caso del rapimento di Emanuela Orlandi, cittadina vaticana, e ancora oggi ci si
chiede chi sono i colpevoli; il caso di Sarah Scazzi.
Il pubblico inizia a giocare un ruolo così importante da riuscire a influenzare la decisione del
giudice. Questo ci fa capire come sia fragile la posizione e gli strumenti del giudice, cioè
intorno al processo si crea un rumore tale che il giudice si lascia influenzare, tende magari a
dare ragione alla maggioranza perché non ha strumenti certi per stabilire l’innocenza o la
colpevolezza dell’imputato ma si serve dell’emozione mediatica.
L’emozione mediatica è un tema importante.

Napoli 1757… arriviamo ad un caso concreto

➡️
Come già anticipato, Leopoldo di San Pasquale viene imprigionato con accuse pesanti:
eresia, frode e scandali sessuali viene accusato di aver diffuso “il mal francese”, cioè la
sifilide, in mezza città di Napoli, inclusi alcuni conventi femminili.
Nel 1763, 6 anni dopo, viene scagionato e lascia al suo avvocato l’opportunità di dire “sono
stato sepolto vivo”. Dire una cosa del genere di un religioso che è stato accusato e sbattuto
in prigione dai suoi confratelli, significa accusare le alte gerarchie ecclesiastiche di aver
usato i metodi dell'Inquisizione che diventa illegale nel 1746 (circa 17 anni prima l’uscita di
carcere di Leopoldo).

L’avvocato di Leopoldo, Francesco Peccheneda, si accontenta di dirle in


tribunale queste cose?
No, perché comincia a far circolare la sua memoria. Come è possibile che un avvocato non
venga dai giudici, ma voglia parlare alla gente? Nel 700, l’avvocato vuole parlare al popolo
perché spera che tutto il rumore da questi provocato possa influenzare la scelta dei giudici…
vuole suscitare scandalo in città, vuole poter dire “guardate cosa fanno le alte gerarchie
ecclesiastiche: prendono un innocente, lo sbattono in galera, lo seppelliscono vivo, senza
prove. Ora però è stato liberato, ma è stata la volontà di Dio che ha voluto salvarlo da
questa tortura enorme”.
Tutto questo avviene nei primi giorni di novembre del 1763. È importante essere precisi,
perché pochi mesi dopo un importante filosofo, pensatore, del Nord Italia, che frequentava
l’ambiente degli illuministi milanesi pubblica un trattatello: “Dei delitti e delle pene”, di
Cesare Beccaria, che si parla degli stessi temi che stanno interessando il processo
napoletano. Ma la differenza è che Cesare Beccaria usa un linguaggio semplice, generico
ma volto a stimolare una riflessione di carattere intellettuale intorno al tema della tortura e
della pena di morte. A Napoli, invece, quella è una storia popolare, alla portata di tutti, di cui
tutti cominciano ad interessarsi.
Allora gli avvocati che stanno dall’altra parte della barricata rispetto a Peccheneda, cercano
di dimostrare che lui è un venditore di frottole e trovare gli argomenti per dimostrarlo. I primi
argomenti riguardano le storie che Peccheneda ha raccontato, molto simili a quella di
Sheppard, profondamente fantasiose quindi la prima cosa che fanno è mettere subito sul
tavolo il carattere fantasioso delle storie.
Ma fanno anche altro: spesso riescono a trovare nel racconto di Peccheneda agganci a
grossi, famosi, racconti del passato. Uno di questi racconto riguarda l’ottava novella di
Boccaccio, cioè la novella di Ferondo.
All’interno di questa novella, si racconta la storia di un uomo che viene preso per i fondelli e
seppellito in una stanza buia, per questioni di carattere sessuale.
Gli avvocati della parte avversa di Peccheneda ritengono che questi stia raccontando una
novella di Boccaccio.
Di tutti i risvolti della storia di Leopoldo, quello che più interessa è quello relativo alla
diffusione del “mal francese” (è chiaro che le questioni più pruriginose, i pettegolezzi, sono
quelle che maggiormente attirano l’attenzione del pubblico ancora oggi).
Si dà il caso che accertarsi della presenza del “mal francese” è relativamente semplice,
perché “il mal francese” fa nascere soprattutto negli uomini nella zona inguinale delle vere e
proprie masse tumorali. Quindi, attraverso un’ispezione medica si riesce a capire chi è
affetto dal “mal francese”.
In questo caso, parliamo di un religioso affetto dal “mal francese” e questo significa che
potrebbe aver avuto dei rapporti sessuali.
In lingua napoletana, queste masse tumorali prendono il nome di tinconi. I medici allora
devono visitare Leopoldo, per accertarsi della presenza dei tinconi che sarebbero la prova
della sua colpevolezza. Peccheneda dice che l’ispezione è avvenuta, ma non hanno trovato
nulla. Gli avvocati della parte avversa dicono che non averli trovati, non significa essere
innocente perché i tinconi possono anche essere rimossi chirurgicamente.
Però, si accaniscono così tanto contro Peccheneda e Leopoldo da dire anche che i tinconi
sono diventati l’ossessione dei napoletani, cioè i napoletani non fanno che parlare di
questo… addirittura nei conventi femminili non si prega più Dio, ma si parla solo dei tinconi,
la cosa più importante è diventato il rapporto tra religiose e i loro confessori, i loro direttori
spirituali.
Secondo questi avvocati, le monache anziché chiedere ai direttori spirituali come salvarsi,
accedere al regno dei cieli e pregare per bene, vogliono sapere le ultime sul tincone.
Il risultato di questo scandalo è la polarizzazione dell’opinione pubblica napoletana: da
un lato abbiamo gli innocentisti, quelli che sostengono che Leopoldo sia una vittima;
dall’altro lato, i colpevolisti che ritengono abbia avuto quello che meritava.
Questa spaccatura però in Antico Regime non va più bene perché il potere è uno (deve
conquistare la fiducia dell’interno corpo dei sudditi- CONSENSO UNANIME) e fa perdere la
fiducia dei napoletani nel funzionamento della giustizia e la capacità del re di amministrare la
giustizia.
Una parte consistente del popolo napoletano comincia a credere che un fetente qualsiasi,
comincia a prendere per i fondelli tutti e anche il monarca; un’altra parte di napoletani,
invece ritiene che realmente sia stato responsabile di alcune malefatte grosse, pensa che il
re non abbia avuto la capacità di amministrare in maniera corretta il procedimento si
giustizia, ma si sia fatto influenzare dalle gerarchie ecclesiastiche che hanno torturato
Leopoldo con i metodi dell'Inquisizione che non era più legale. Quindi, in ogni caso, la
sostanza è che a finire male è sempre e comunque il potere del monarca che non ha saputo
gestire la situazione.
Questa situazione di messa alle corde del potere costituito è tipica delle democrazie odierne
che sviluppano un discorso critico nei confronti di chi comanda.
In Antico Regime le cose non potevano andare così ma, come direbbe Darnton, potevano
andare così negli antichi regimi che stavano cadendo e che stavano aspettando la
deflagrazione delle rivoluzioni perché le rivoluzioni nascono nella sfera pubblica.
A Napoli, negli anni del processo di Leopoldo di San Pasquale (il “seppellito vivo”, così
chiamato da tutti), ci sono i rappresentanti diplomatici degli altri stati.
Tra questi rappresentanti, ci sono quelli della Santa Sede cioè quelli del papa direttamente
interessato alla storia perché l’imputato è un membro del clero e perché ad essere accusati
di averlo processato con i metodi dell’Inquisizione che non è più legale, sono le alte
gerarchie religiose (quindi membri del clero).
Qual è il compito del diplomatico del papà a Napoli? Il diplomatico del papa, Nunzio
apostolico, deve relazionare alla Santa Sede, settimana dopo settimana, quello che
succede in modo che il papa sia informato.
Questa carica, negli anni del processo, viene occupata da 3 persone diverse ma
indipendentemente da queste 3 persone diverse è quello che i Nunzi apostolici di volta in
volta scrivono al papa e sono assolutamente increduli perché dicono che quando è venuta
fuori la causa del “seppellito vivo”, credevano che l’interesse pubblico nel giro di poche
settimane si sarebbe sgonfiato (che sarebbe stata una “bolla mediatica”), sarebbe durata
poco. Ma, passano poche seriamente, e le persone continuano a parlare della storia e ci si
rende conto che l’interesse aumenta. Nunzio apostolico lo comunica al papa e inizia a
sospettare che nel governo napoletano ci sia qualcuno che vuole approfittare della
situazione e che inconsapevolmente stia premendo per far sì che il caso diventi sempre più
grosso e ingestibile, con lo scopo di cambiare definitivamente gli equilibri tra potere secolare
e potere ecclesiastico e stabilire che anche le cause contro i membri del clero saranno loro
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giudici secolari a gestirle in altre parole, secondo Nunzio apostolico, c’è qualcuno che
vuole approfittare della situazione per far guadagnare spazio allo Stato ai danni della
Chiesa.
Chi lo starebbe facendo? Bisogna capire cosa sta succedendo a Napoli: Leopoldo di San
Pasquale viene imprigionato nel 1757 e nel 1763 viene scagionato.
Nel 1759 Carlo di Borbone, re di Napoli e titolare di una corona dinasticamente autonoma (=
non può essere re di un altro paese contemporaneamente a Napoli), acquisisce il diritto di
diventare re di Spagna, quindi deve trasferirsi e non può più essere re di Napoli. Nel corso
dell'Antico Regime, a Napoli c’erano i viceré.
Nel 700 questo non può più avvenire in virtù dei patti stretti a fine della guerra di
successione polacca, quando nel 1734 Carlo di Borbone diventa re di Napoli e arriva a
Napoli come sovrano autonomo, non come viceré di un’altra… esterna, è il suo regno.
Quindi se diventa re di Spagna, deve lasciare a qualcun’altro il re di Napoli. Infatti lo lascia al
figlio Ferdinando, avuto con Maria Amalia di Sassonia.
Nel 1759 però Fernando è ancora troppo piccolo per diventare re, perciò si affida il controllo
del regno ad un consiglio di reggenza nell’attesa che raggiunga la maggiore età. In questo
consiglio di reggenza, che gode della fiducia di Carlo di Borbone, un ruolo preminente viene
occupato da Bernardo Tanucci, un ministro di origine toscana che copre il ruolo doppio di
segretario di Stato e segretario di giustizia.
Non sono anni facili per il regno di Napoli, anzi sono anni di profonda crisi economica dove
le riforme, le innovazioni, viaggiano molto lentamente. Carlo di Borbone aveva cercato di
fare delle cose nel campo dell’istruzione, dell’esercito, della politica ecclesiastica,
dell’economia rimangono a metà.
La congiuntura internazionale è profondamente sfavorevole e anche la collaborazione tipica
degli Stati del 700 tra illuministi e potere sovrano è un po’ traballante. Uno degli illuminati più
influenti a Napoli durante questo periodo è Antonio Genovesi, che insegnava meccanica e
commercio e doveva essere per certi versi il grande ispiratore di Tanucci e Carlo di Borbone
nel processo di riforma. Le cose però non sempre vanno benissimo perché le difficoltà sono
tante, la congiuntura internazionale è difficile e proprio negli anni 60 (quando Carlo lascia il
Regno di Napoli nelle mani del consiglio di reggenza) arriva una carestia gravissima, che
esplode nell’autunno del 1763, negli stessi giorni in cui Leopoldo esce di carcere.
È una coincidenza? Potrebbe esserlo.
Cosa significa “carestia”? Oggi stiamo vivendo una cosa simile, ma in Italia non abbiamo

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ancora pagato le conseguenze e non si capisce bene il motivo.
CARESTIA= MANCANZA DI GRANO, MANCANZA DELLA PRODUZIONE DI PANE .
Nel giro di pochi mesi, da novembre del 63 a febbraio del 64, la carestia assume contorni
così gravi da creare una vera e propria emergenza e scatenare addirittura un’epidemia di
febbre.Le epidemie e le carestie vanno sempre un po’ a braccetto.
Nel giro di poche settimane, solo nella città di Napoli, secondo le cronache del tempo
l’epidemia provocò circa 30 mila morti.
Le proporzioni dell’emergenza si vedevano dall’impossibilità di gestire il flusso dei cadaveri,
perché normalmente in Antico Regime i cadaveri non venivano seppelliti nei cimiteri ma
all’interno delle parrocchie. Lo spazio però si esaurisce e i cadaveri vengono portati in
massa al Ponte della Maddalena dove vengono mangiati dai cani.
La situazione igienico-sanitaria, unita a quella economica, è quindi gravissima.
Come doveva reagire il Nunzio apostolico a tutto questo? Nelle sue lettere, rivolgendosi al
segretario di Stato e al papà, egli affermava che i napoletani morivano di fame, cadono giù
come soldatini di guerra, c’è un’emergenza mai vista prima e ciononostante continuano a
parlare di un tizio “seppellito vivo” che ha diffuso la sifilide in città.
Come sia possibile una cosa del genere? Nunzio apostolico ad un certo punto deve
rassegnarsi al fatto che una cosa del genere sia possibile, ma ritiene che non è dovuta al
caso.
Oggi, con una certa razionalità, potremmo dire che in tempi di emergenza e in tempi di crisi
c’è bisogno di una distrazione che è data dal pettegolezzo.
Ma è solo il desiderio di evasione a far sì che i napoletani a metà 700, in quella situazione
così drammatica, si concentrassero su una singola persona?
No, non è possibile. Il Nunzio apostolico non era convinto, doveva esserci lo zampino di
qualcuno. Di chi? Di Bernardo Tanucci (membro più in vista del consiglio di reggenza, l’uomo
di fiducia di Carlo di Borbone che nel frattempo se ne era andato, colui che deve traghettare
Ferdinando IV fino alla presa del potere nel frattempo del raggiungimento della maggiore
età) perché è lui che sta premendo su questa situazione, facendo sì che la gente si
concentri sulla vicenda di Leopoldo e non pensi a tutti gli altri problemi.

Di Tanucci abbiamo un grandissimo epistolario (le sue lettere sono state copiate e pubblicate
già decenni fa). Egli vive la carestia e l’epidemia in maniera traumatica, disperata. Ad un
certo punto decide di sfruttare il carnevale per calmare gli animi dei napoletani durante la
carestia, realizzando la cosiddetta macchina della cuccagna: ancora oggi, alcune
celebrazioni carnevalesche sono affidate all’albero della cuccagna, un palo che si mette al
centro del paese e si cosparge con sapone o grasso. In cima ad esso, si pongono cibi e
banconote e le persone hanno l’obiettivo di raggiungere la cima della cuccagna per
impossessarsi del premio.
Tanucci fece una cosa più controllata, il “paese della cuccagna”: di fronte alla reggia, fece
costruire un enorme palco di legno e ci mise sopra ogni prelibatezza, per far sì che si
celebrasse la cuccagna.
● Cosa doveva succedere? Doveva succedere che, nella penultima domenica di
carnevale, il re (Ferdinando IV) sarebbe dovuto affacciarsi alla finestra e avrebbe
dovuto dare un segno al popolo, per dire “andate, correte verso la cuccagna e
prendete tutto ciò che c’è da mangiare”.
● Tutto ciò per quale ragione? Tutto doveva essere molto controllato e doveva essere
finalizzato a calmare gli animi del popolo. L’immagine del re che deve dare un
segnale al popolo è importante, perché rappresenta il re come il padre che ha a
cuore le sorti e lo stomaco dei sudditi.
Anche questo episodio però finì male perché le persone erano così affamate che il sabato
notte, prima della celebrazione, se ne infischiarono della presenza delle guardie, fecero
esplodere la violenza e assalirono la cuccagna.
Nelle sue lettere, Tanucci scrive la cronaca di questi eventi raccontando spaventato che
sembravano degli animali e che, non solo hanno preso tutto il cibo, ma hanno distrutto il
palco.
Diventano INGESTIBILI.
Sul giornale (“La Gazzetta”), però, Tanucci scrive che loro avevano organizzato tutto, la sera
prima il popolo era un po’ irrequieto ma comunque lo avevano fatto passare.

● Che cosa sospetta il Nunzio apostolico? Sospetta che Tanucci abbia dei secondi fini
in questa situazione e che abbia capito che tutto ciò che sta nascendo intorno a
Leopoldo è molto artificioso e che la nuvola mediatica si stia ingrandendo senza dei
reali aggancia alla realtà.
Ciononostante non muove un dito, anzi li aiuta sottobanco. Ad un certo punto, disperato, il
Nunzio apostolico scrive a Roma per dire che sta marcando stretto Tanucci, ci parla ogni
giorno e lui ha capito che tutto ciò è “una grande caricatura”. Ma, non muoverà un dito
perché ha capito che la caricatura gli fa comodo.
● Perché gli farebbe comodo? Per una ragione precisa. Il tutto ci riporta alla carestia
e all’epidemia: quando nell’ottobre-novembre del 1763 si è manifestata la carestia, le
voci che circolano in città vanno a colpire il ruolo dei cosiddetti “incettatori”.
Secondo queste voci che circolano, non è vero che il grano non c’è, che i raccolti
sono andati male e che non ci sono le condizioni per produrre il pane perché l’unica
verità è che i possessori del grano lo stanno nascondendo.
Perché? Perché vogliono speculare il più possibile sulla vendita, cioè lo fanno venire a
mancare, aspettano che il prezzo si alzi all’inverosimile e quando questo accade lo ritirano
fuori per massimizzare il profitto.
La stessa cosa è avvenuta durante le prime settimane della pandemia con le mascherine.
INCETTATORI= COLORO CHE NASCONDONO IL GRANO PER MASSIMIZZARE I LORO
PROFITTI.
Ma chi possedeva il grano? I nobili e gli ecclesiastici, cioè coloro che detengono il controllo
dei territori e i vescovi, gli abati…

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Questa voce, nei primi mesi della carestia, della febbre e dell’epidemia, fa molto comodo a
Tanucci perché è una voce che scarica dalle responsabilità il potere monarchico in altre
parole, la responsabilità del dramma che si sta vivendo non è della corona, ma degli
ecclesiastici e dei ricchi che stanno speculando sulla fame dei napoletani.
Quindi, si crea una sorta di legame comunicativo abbastanza forte tra corona e popolo per
dare la colpa all’altro per quello che sta accadendo.

La febbre
Parliamo di “febbre” perché non abbiamo la possibilità di capire quale fu l’agente/gli agenti
patogeni scatenanti dell’epidemia del 64. I medici del tempo provarono a capirlo e a
sviluppare delle letture. Spesso pubblicavano le relazioni delle loro indagini. Quelli più vicini
al governo dicevano che si trattava di febbre putrida, cioè febbre sporca.
La febbre putrida colpisce i più poveri, quelli che vivono in condizioni igieniche più precarie.
Gli unici a salvarsi dalla febbre putrida sono i ricchi e gli ecclesiastici.
Molto spesso i medici che scrivono queste relazioni, danno anche delle descrizioni delle
dinamiche che si creano intorno alla città di Napoli in virtù dello scoppio febbre putrida; molti
dalle campagne, morti di fame, distrutti, senza più nulla da mangiare, cominciano a mettersi
in cammino verso la città.
Questi vengono descritti come se fossero dei morti che,miracolosamente, si alzano, vanno
alla ricerca di qualcosa, e si approssimano alla città con la stessa andatura dei morti viventi,
come se fossero degli zombie, dei tornanti.

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Al tempo l’immagine del ritornante (oggi zombie) era molto famosa in Europa, nei Balcani
soprattutto c’erano un sacco di fenomeni di presunto vampirismo fenomeno del morto che
si rialza e che va in cerca di qualcosa da mangiare e da bere soprattutto, che gli permetta di
continuare a vivere.
Tutte queste persone che arrivano dalle campagne verso Napoli, vengono descritte come un
esercito di morti viventi.
Curiosamente, l’altro morto vivente era Leopoldo, colui che era stato seppellito ma nel 63
quasi per miracolo si rialza, ritorna in vita, inizia a camminare per le strade della città di
Napoli, parla con le persone, si fa toccare (il desiderio delle persone è quello di toccare
Leopoldo che viene visto come un miracolato).
Dunque, l’immagine di Leopoldo come morto vivente si affianca all’immagine dei poveracci
che lasciano la campagna e vanno alla ricerca disperata di cibo.
Le due immagini insieme vanno a costruire un paradigma omogeneo omogeneo contro le
élites: Leopoldo era vittima degli abusi dell’alta gerarchia ecclesiastica che l’ha chiuso sotto
terra, fino a farlo quasi morire; tutto il popolo napoletano, dall’altra parte, come Leopoldo è
vittima degli abusi delle élites e delle alte gerarchie ecclesiastiche che hanno il grano ma
non lo tirano fuori pur di fare soldi.
Allora il meccanismo comunicativo è in realtà unito perché la storia di Leopoldo e la storia di
tutta Napoli iniziano ad andare nella stessa direzione, cioè quella della protezione del potere
monarchico e l’accusa alle élites ecclesiastiche e aristocratiche.
Questo passaggio è sostanziale perché ci aiuta a comprendere come il 700 sia un’epoca di
totale cambiamento del rapporto tra potere, media e società.
Tanucci è uno che, nel momento di crisi economica e epidemica, capisce che non può più
usare i suoi mezzi di comunicazione per insegnare alle persone cosa sia giusto fare e cosa
no, ma capisce “l’aria che tira” e sente di cosa stanno già parlando le persone.
Una volta che ha capito di cosa stanno parlando le persone, comincia a veicolare i messaggi
e a sfruttare quello che le persone già dicono per i suoi scopo.
L’immagine che ci serve è quella dell’eroe criminale, colui che è capace di sovvertire i
paradigmi.
Inizialmente siamo partiti dall’idea che quel racconto di giustizia così strutturato potesse
essere svantaggioso per la corona. Tanucci, però, è così bravo da cambiare le carte in
tavola e da trasformare un racconto potenzialmente destabilizzante per la corona nell'unico
tipo di racconto che la può salvare. Una cosa del genere non sarebbe mai potuta accadere
100 o 200 anni prima, ma accade solo nell’ecosistema mediatico del 700. Parliamo di
“ecosistema” perché usiamo quasi una metafora di carattere ambientale, infatti
ECOSISTEMA: sistema in cui se cambiamo un solo fattore, negli altri si innesca una
reazione a catena.

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Tanucci è consapevole del fatto che le cose che si mettevano all’interno di quell’ecosistema,
creavano delle reazioni a catena che dovevano favorire la corona alla fine lui accetta il
rischio per avere vantaggio finale, cioè la destabilizzazione del potere definitivo.In una
situazione in cui tutto gli va contro, riesce a rigirare tutte le verità una dopo l'altra anzi nel
momento in cui gira una, a catena, iniziano a girarsi anche le altre a suo favore.
“L’eroe criminale” poteva essere una mina vagante per il potere costituito, un pretesto per far
perdere fiducia ai sudditi nel potere costituito ma diventa la principale arma nelle mani di
Tanucci perché diventa la dimostrazione visibile agli occhi del popolo napoletano che c’è
qualcuno che sta facendo il male della collettività, lo stesso che ha messo Leopoldo sotto
terra e ha causato la morte dei napoletani.

Nel pieno del 700, accade una cosa nuova: il potere costituito perde la capacità di poter

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controllare la circolazione delle gazzette, quindi abbiamo l’inizio esplosivo di un mercato
dell’informazione che va al di fuori dei controlli canali ufficiali in altre parole: non c’è solo la
Gazzetta di Napoli a Napoli (che Tanucci chiamava “foglio ordinario”) ma ci sono anche altre
gazzette che circolano con nomi di altre città sopra, con notizie che i napoletani vogliono e
che si diffondono in maniera clandestina, cioè il mercato è così effervescente da non poter
ammettere alcun tipo di controllo da parte del potere costituito.
Il governo vorrebbe concedere delle privative sulla stampa delle Gazzette, cioè vorrebbe
dare l’esclusiva a qualcuno ma la fame di articoli e informazioni (non cose serie, ma anche e
soprattutto pettegolezzi, gossip, curiosità… la stessa ragione che oggi ci spinge a stare sui
social) è così grande che spinge le persone a frequentare i librai per comprare questi
giornali.
Quindi c’è un’informazione concorrenziale e Tanucci se ne rende conto, cioè si rende conto
che non può comandare più direttamente sull’informazione e mettere solo ciò che gli piace
ma deve tenere conto di ciò che già circola e cercare di governarlo secondo le sue priorità.

Il romanzo
Il romanzo diventa dilagante in questo periodo, occupa tutti gli angoli delle librerie (all’epoca
si chiamavano “librai” e esistevano anche i librai stampatori, cioè quelli che vendevano e
producevano le stesse cose).
Chi è il più importante romanziere italiano nel 700? Pietro Chiari, che non è tra i maestri del
genere ma nel corso del 700 vende moltissime copie. I suoi romanzi, infatti, erano stampati
e venduti ovunque (uno che gli scrisse l’epitaffio,esagerando, disse che egli era un autore da
1 milione di copie). Alcuni studiosi hanno tentato di dire quante copie circolavano di ciascuno
romanzo di Chiari e alcuni calcoli stabilirono che circolavano circa 200.000 copie.
Chiari è il modello del letterato 700esco che vive con i benefici del proprio lavoro, quindi non
ha bisogno dei mecenati che lo mantengano. Addirittura a Venezia ci sono i sottoscrittori per
le opere di Chiari, cioè persone che acquistano prima che l’opera venga pubblicata.
Un editore in particolare, Pasinelli, che guadagna molto grazie all’opera di Pietro Chiari.
Egli è molto bravo ma, vivendo dei benefici della propria opera, si arrabbia anche con il
pubblico ad esempio quando le persone comprano le sue opere contraffatte perché, come
ogni grande autore di successo, è vittima della contraffazione o quando le persone sono
solite prestarsi i libri.Chiari si arrabbia ad un punto tale da scrivere in una sua lettera: “se
non la smettete di prestarvi i libri, io none scrivo più anzi se mi volete bene e volete ancora i
miei libri, dopo averli letti, bruciateli”.
Questa contraffazione, questi romanzi e questi prodotti invadono anche il mercato
napoletano.
Come abbiamo detto, il romanzo è sinonimi di bugia, di menzogna, di inganno (infatti per
dire “hai detto una bugia", si diceva “hai scritto un romanzo”)… quindi, il romanzo è la cosa
peggiore che il 700 potesse fare. Questo spiega perché ancora non lo troviamo nelle storie
della letteratura, perché non è stato ancora canonizzato come genere ma lo sarà solo con
Manzoni nella letteratura italiana mentre in Inghilterra era già avvenuto qualcosa altro.
L’opera più importante di Chiari si chiama “La filosofessa italiana”, che tratta di una donna
che vive di tante avventure sorprendente simili a Moll Flanders (anche se più moderata) e
simile anche ad un personaggio della letteratura francese cioè la Marianna di Marivaux.
Altri successi di Chiari si intitolano “la bella pellegrina” o “la francese in Italia”.
L’elemento in comune tra queste opere è che al centro abbiamo tutte donne e la particolarità
è che le donne narrano in prima persona la loro storia (così com’era per Moll Flanders) e il
pubblico di riferimento è un pubblico femminile cioè i romanzi di Chiari si immaginano letti da
un pubblico femminile che devono imparare dalla storia come vivere.
A Napoli, comincia a circolare negli anni del processo di Leopoldo un libro intitolato “La
filosofante italiana”. Perché? Perché si tratta del contraffatto dell’opera di Chiari, perché
vogliono pagargli i diritti. Infatti, non si accontentarono di venderlo solo a Napoli, ma lo
mettevano sulle imbarcazioni e lo andavano a distribuire nel resto d’Italia come a Venezia.
Quindi, gli editori veneziani e i sottoscrittori che avevano il diritto d’esclusiva si rendono
conto che stava circolando un libro simile all’opera di Chiari ma con un titolo leggermente
diverso.
IL MERCATO EDITORIALE DIVENTA INGESTIBILE
All’interno di questi libri emerge un’idea di giustizia fondata su avventure di eroi criminali. Le
protagoniste delle opere di Chiari combinano molti malefatti nella loro vita, poi si pentono e
imparano la lezione. Quindi offrono un messaggio di carattere pedagogico ma anche loro
dividono, come i protagonisti del racconto di giustizia, il pubblico in innocentisti e colpevolisti
(c’è chi resta affascinato dalle avventure raccontate e chi, invece, si scaglia contro il
personaggio e lo condanna).
La stessa idea di giustizia è ambigua, cioè è sospesa tra condanna e redenzione, tra
messaggio pedagogico e incertezza totale.

Chi è Cagliostro?

In quest’epoca, a partire dagli anni 70, Cagliostro diventa famoso in tutta Europa perché si
ritiene abbia delle doti particolari: è un alchimista (=sa fare intrugli, che hanno effetti benefici
su chi li prende, li tocca), sa guarire, riesce a prevedere il futuro. La prima utilità di questo
prevedere il futuro è saper indovinare i numeri delle estrazioni del lotto. Questa abilità viene
fuori a Londra, nel 1777, perché una coppia che viveva vicino al suo pensionato compra dei
numeri che si rivelano essere quelli vincenti. Quindi, iniziano a perseguitarlo per avere altri
numeri e Cagliostro ottiene la grande fama di profeta.
Ma chi è Cagliostro? Da dove viene? Nessuno lo sa, perché fa cadere un velo di mistero
enorme sulla sua figura. Racconta di avere delle origini nobili, di essere stato abbandonato
all’età di 3 mesi e di essere stato educato da un precettore con cui gira l’intero
Medietteraneo, fino ad arrivare alla Mecca, poi nel cuore dell’Africa, per poi tornare in
Europa una volta diventato adolescente.
Il nodo però è che tutto questo si accompagna ad una identità inesistente e alla pretesa di
essere riconosciuto da tutti semplicemente come “Cagliostro” o meglio come “Conte
Alessandro di Cagliostro”.
Ad un certo punto le autorità, che lo vogliono vivo o morto nelle sue mani, cominciano ad
interrogarsi sulla sua possibile identità e trovano tracce che riconducono al territorio italiano,
in particolare alla Sicilia e alla città di Palermo.
Questo Cagliostro, in realtà, è un tale che risponde al nome di Giuseppe Balsamo, un
poveraccio di Palermo, sin da piccolo molto molto predisposto ad esercitare l’arte della
truffa. Grazie a questa capacità, riesce a costruirsi fortune enormi.
Tutto sembrerebbe facile, se non fosse per il fatto che quando viene catturato dice “io non
sono Cagliostro” e quando viene beccato dai tribunali, si affida a dei legali che possano
difenderlo, ma lui principalmente non parla ai giudici ma al popolo a cui scrive delle lettere.
La prima è scritta a Londra, quando viene coinvolto nell’episodio dei numeri a lotto;
successivamente, a Parigi viene coinvolto in uno dei più grandi scandali del 18esimo
secolo. In questo scandalo viene coinvolta direttamente la regina Maria Antonietta e nella
lettera si rivolge al popolo francese, definendosi come una vittima della monarchia; infine a
Roma, dove scrive ai popoli d’Europa sempre dicendo “loro vogliono che io sia Giuseppe
Balsamo, ma io sono Cagliostro”.
4 APRILE- INCONTRO “LA MEMORIA DELLA SHOAH: DIDATTICA, RIFLESSIONE, IMPEGNO” ✅
Abbiamo visto come il tema della memoria sia un oggetto centrale all’interno del nostro
ecosistema mediatico e strumento di marketing all’interno di un meccanismo molto ampio

➡️
che costruisce nello spazio pubblico e per lo spazio pubblico una macchina della
rievocazione IL PASSATO COME STRUMENTO CHE DIVENTA ELEMENTO DI
DIBATTITO POLITICO E LOTTA POLITICA, talvolta il presente.
Lo sforzo che abbiamo provato a fare è stato connettere le grandi domande che rivolgiamo
all’età moderna al nostro dibattito contemporaneo, cercando di capire quando queste
domande siano urgenti per noi, per il nostro mondo, per il nostro paese, per la nostra civiltà.

1 intervento: professoressa Lucia Valenzi


Quello che deve interessarci è la capacità di comprensione e di interpretazione degli
avvenimenti e la conoscenza dei fatti. Aldilà delle cose in sé, è importante la possibilità di
approcciare con uno spirito critico alla lettura del passato.
Su questo c’è una cosa che ha sempre stupito la professoressa Valenzi del discorso che si
fa oggi sulla Shoah: dato che gli ultimi testimoni si stanno ormai esaurendo, come faremo?
Questo è molto strano perché non c’è bisogno della testimonianza diretta, che sicuramente
ha un grande valore emotivo e una grande capacità di coinvolgimento ma abbiamo la
storiografia che permette di conoscere ugualmente le cose in maniera più razionale,
precisa e meno emotiva.

Altro aspetto di cui possiamo discutere: si dice spesso che dobbiamo conoscere quello che
è avvenuto per non ripeterlo. Ma, in realtà, sappiamo bene che la storia non è maestra di
nulla. Quindi conoscere quello che è accaduto, non ci serve a non ripetere ma ci serve ad
interpretare e conoscere il mondo, conoscerlo come ogni scienza, leggere il presente.

Altro aspetto di cui possiamo discutere: si ritiene che Mussolini si sia rovinato con l’adesione
all’Asse, col fare la guerra da cui sono scaturite le leggi razziali e quindi non il fascismo in sé
ma la sua conclusione. Questo ritorna sull’attualità: ancora oggi c’è una certa attenzione per
la questione delle leggi razziali (la nostra presidente del Consiglio si è recata alla comunità
ebraica romana) ma staccando un po’ la questione della persecuzione degli ebrei da quello
che è invece il contesto complessivo del fascismo e del nazismo.
La questione dello sterminio degli ebrei non è un fatto a sé stante, casuale ma dobbiamo
capire che è strettamente legato, è fondante della politica dei anziati e dei fascisti.
Non è facile da analizzare perché sono state date varie interpretazioni, ciascuna delle quali
da sola non è sufficiente perché non vanno bene le interpretazioni molto riduttive. Ad
esempio, secondo un’ipotesi molto ridicola, siccome gli ebrei erano ricchi, Hitler voleva
impadronirsi dei loro soldi. Affermare questo però è come dire una sciocchezza perché 400
mila ebrei tedeschi, non potevano essere tutti banchieri ma c’erano anche poveri.

Lo sterminio dei disabili


Lo sterminio non colpì solo gli ebrei, ma anche rom, omosessuali e persone nate con
malformazioni e problemi (all’epoca definite persone “con delle tare”). La cosa abbastanza
significativa, che spesso viene vista come un dettaglio, è che proprio sui disabili e persone
che hanno problemi psichici vengono sperimentate le prime camere a gas; queste persone
venivano prese dagli ospedali e dai manicomi, venivano tratte in inganno perché alle
famiglie veniva detto che servivano a sperimentare nuove terapie ma venivano portate in
ville isolate dove venivano usate per sperimentare mezzi di uccisione veloce, rapida e
efficace.
Qual’era l’idea nazista? La distopia (un’utopia al contrario) di creare un mondo con una
razza superiore, purificata dalle persone che impedivano la costruzione della purezza della

➡️
razza.
Sul piano biologico, parliamo di “biopolitica” una politica che si interessa dei corpi, della
vita sessuale, familiare, che entra in ogni angolo della società, costituisce una delle
caratteristiche dell’epoca oltre che del nazismo.
Dietro tutto questo, si nasconde la volontà di creare una società di uguali, in cui l’alterità
viene annullata.
Dietro questa volontà, c’è un avversario politico cioè compattare un’intera società contro chi
può pensarla diversamente.
Se gli ebrei rappresentavano l’essere diversi e l’essere diverso non viene tollerato, si
procede ad eliminarli.
Il fatto curioso è che le forze vengono impiegate per combattere contro persone che non
possono difendersi, inermi.

2 intervento: professore Gianluca Attademo


Come fare una riflessione intorno alla storia e alla memoria della
Shoah a partire dall’utilizzo della LIM
L’utilizzo della LIM ha a che vedere con un intervento sulla dimensione dell’apprendimento,
intervento che richiede una diversa configurazione dello spazio.
Secondo il professor Attademo: in aula ci sono persone che prendono appunti in maniera
diversa, cioè c’è chi utilizza il quaderno, chi utilizza il cellulare, come se non ci fosse alcun
tipo di mandato rispetto alla dimensione sociale o rispetto alle persone che hanno parlato e
sono intervenute.
Questa è una specificità di questo contesto di apprendimento.
Tuttavia, l’opportunità di stare nelle classi è un’opportunità unica ed irripetibile, che
dovremmo vivere in maniera diversa rispetto allo stare a casa, da soli, nella nostra camera.
Se stiamo in aula, a lezione, come se stessimo a casa da soli, stiamo perdendo molte cose
dell’apprendimento.

Gli usi pubblici della storia: la cosa che ha colpito il professor Attademo è che quando
Mattarella ottenne la maggioranza parlamentare, il giorno successivo (il martedì) si recò in
Parlamento per giurare sulla Costituzione e iniziare il suo primo mandato.
Quando era stato già votato, ma doveva assumere la carica, come prima cosa si recò alle
Fosse Ardeatine, cioè omaggia le 335 persone che erano state uccise dalle truppe
tedesche. Tra queste c’erano ebrei, che vengono uccisi per avere l’unica “colpa” di essere
ebrei.
Il nostro rapporto con la storia di questi dolorosi eventi è sempre più diventato un rapporto
all’insegna dell’usa e getta: viene il momento dell’anno in cui il calendario dice che dobbiamo
versare la nostra lacrima per il tragico destino riservato a famiglie di ebrei, oppure il
momento in cui versiamo la nostra lacrima per un oppositore alle mafie e così via, fino a
evocare ogni giorno una vittima diversa e costruire quella che è stata definita (dallo storico
Giovanni De Luna) come “La Repubblica del Dolore”. Con “La Repubblica del Dolore”, si
vuole dire che il nostro Stato non riesce a darsi un’identità diversa, ma riesce solo a darsi sul
piano dell’emozione l’identità della commemorazione delle vittime.
Le leggi razziali colpiscono un tipo di esperienza dell’ebraismo precisa, che ha un nome e
un cognome, cioè quando gli ebrei negli ultimi 50 anni erano stati emancipati.
3 intervento: professoressa Gerarda Mirra
Il ventennio fascista nelle “cronache scolastiche”
Secondo la professoressa Mirra, “fare memoria” è un atto di responsabilità soggettiva ma
anche collettiva e condivisa. Mentre la memoria poggia sul ricordo, la storia poggia sulla
conoscenza. Quindi, la memoria non è storia.
Come ha anticipato la professoressa Valenzi, i testimoni stanno scomparendo e ciò che ci
rimane è la loro testimonianza, gli archivi, la storia e la storiografia.
Oggi non viviamo in un mondo tranquillo, ma viviamo in un modo in cui c’è ancora odio,
razzismo, antisemitismo, negazionismo e distorsione che è ancora peggio del negazionismo
perché manipola e travisa la storia. Gli archivi scolastici sono una modalità per proporre
questo argomento a partire dalla propaganda.
Prima abbiamo detto che gli ebrei avevano raggiunto la loro emancipazione: partecipano alla
Prima Guerra Mondiale, avevano aderito al fascismo e erano pienamente integrati nel
tessuto italiano.
Con le leggi razziali, gli ebrei assumono la consapevolezza di essere diversi perché ebrei.
La propaganda viene attuata in maniera capillare attraverso gli strumenti dell’epoca: la radio,
il cinema, ma la scuola divenne il luogo privilegiato per la cultura della pace e della legalità.
Mussolini pensò bene di utilizzare la scuola, il personale, le docenti, i bambini per
fascistizzare i membri privandoli dei diritti universali (come la libertà di pensiero).

La dottrina del fascismo era molto precisa: credere, obbedire e combattere. Disprezzo
assoluto per la democrazia rappresentativa.
Questo periodo va suddiviso in 3 parti:
1. dal 1925 al 1929 c’è la Riforma Gentile, che secondo Mussolini, è la riforma più
fascista che ci sia stata perché prevede una scuola gerarchica, selettiva, priva di
inventiva e fantasia, che prevedeva uniformità e omologazione;

➡️
2. dal 1930 al 1935, periodo che vede l’adozione del famoso “testo unico”, quindi zero
pluralità testuale tutto era ricondotto ad una svolta totalitaria, soprattutto nella
scuola elementare. Non parliamo solo di contenuti di testi, ma ci fu un’imposizione
metodologica e didattica;
3. dal 1935 al 1943: abbiamo una penetrazione ideologica nei testi descritti alla luce dei
nuovi programmi del 34.
Si tratta di un disegno ben congegnato. La stampa parla dell’esclusione dalla scuola degli
insegnanti, perché ovviamente siamo nel momento delle leggi razziali/razziste e le leggi
della vergogna.

Cosa sono le cronache d’archivio?


Sono documenti d’archivio, fonte primaria che ci permettono di attivare dei laboratori.
Quindi non si prevede in questo senso una lezione frontale,perché non funzionerebbe, ma
una lezione in cui l’alunno costruisce il sapere.
Attraverso le cronache, possiamo costruire il filo della storia e capire tante cose, capire il
valore storico. Diciamo che le cronache sono la testimonianza di ciò che accadeva
nell’attività didattica quotidiana. Ma ci dicono anche qual’era la mission e la vision della
scuola: oggi siamo in una scuola inclusiva e accogliente; all’epoca, la mission della scuola
era la cultura fascista, mentre la vision era la formazione di un nuovo italiano privo di
pensiero e libertà.
● Sono fonti primarie perché presentano senz’altro il riferimento per la storia di un
territorio anche a livello sociale;
● Sono una traccia narrativa perché ci fanno cogliere la vita della scuola ma anche il
rapporto con gli avvenimenti politici e il loro riflesso.

Bisognava costruire il mito del capo: il duce utilizzava le sue straordinarie capacità oratorie
e comunicative nelle sue apparizioni in pubblico. Egli aveva scelto di celebrare delle date
come strumento di propaganda e consenso.
Tutte le cronache utilizzano un linguaggio simile a cui le insegnanti vengono addestrate. La
Riforma Gentile aveva portato ad un sistema molto gerarchico e la scuola sotto il controllo
fascista.

Gli indicatori di riferimento e propaganda fascista


● inizio anno scolastico;
● le feste e le manifestazioni;
● il saggio ginnico;
● la raccolta del ferro;
● scuola come veicolo di propaganda politica;
● scuola e conflitto bellico;
● scuola e progresso;
● scuola e programma;
● scuola e sussidi;
● la popolazione scolastica;
● la religione e le visite ispettive.

Una cronaca iniziava generalmente a settembre, anche se la scuola iniziava a metà ottobre.
Le maestre, però , a settembre iniziano a scrivere perché c’erano le iscrizioni.
Le maestre scrivono che ci si riuniva nel cortile dove i bambini dovevano cantare gli inni
fascisti, c’era il saluto fascista ed era presente il direttore o l’ispettore che doveva controllare
che tutto ciò avvenisse.

Susseguirsi di giornate commemorative dedicate al regime


● Nel mese di ottobre, il 28, le insegnanti dovevano ricordare la Marcia su Roma
perché era l’occasione per legittimare il regime autoritario.
Da queste cronache, è evidente l’immersione propagandistica che l’insegnante era tenuto a
inculcare ai suoi alunni, tutti dovevano esaltare il Duce e il Regime e si comprende quali
sono i cardini ideologici del fascismo: l’esaltazione della grandezza della Patria, il coraggio
nel rivendicare la superiorità sulle altre nazioni, il nazionalismo.
● Novembre si apriva con il ricordo della vittoria del primo conflitto mondiale. Ancora
oggi, festeggiamo il 4 novembre cioè la Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze
Armate ma mentre all’epoca si voleva esaltare la guerra, oggi invece si vuole
celebrare la pace (l’Italia è un paese che ripudia la guerra- Articolo 11 della
Costituzione).
● Dicembre era il mese in cui le cronache esaltano la figura del giovane Balilla, cioè
Giovanni Battista Perasso. Egli era un giovane genovese che nel 1746 aveva dato
inizio ad una rivolta contro gli occupanti austriaci. Il regime fascista lo assunse come
modello di comportamento per le giovani generazioni del ventennio Balilla.
MEMORIA= LEGAME DI VALORI INTERGENERAZIONALI.

● A Gennaio, l’8, veniva ricordato il genetliaco della Regina Imperatrice, le sue doti e le
sue virtù.
● Febbraio: il 1 febbraio si ricordava l’annuale della Milizia, l’11 febbraio la
conciliazione tra la Chiesa e lo Stato (i Patti Lateranensi) e il 12 febbraio la morte di
papa Pio XI.
● A Marzo, le insegnanti rievocano con fervore la fondazione dei fasci di
combattimento fondati nel 1915.

La scuola come risorsa economica


La scuola diventa anche una risorsa economica per il regime con la raccolta del grano e poi
con la raccolta del ferro. Pertanto a queste giornate commemorative, se ne affiancano altre
legate alla particolarità del movimento bellico. Anche la scuola fu chiamata a contribuire
fortemente alla raccolta di materiale vario da dare alla patria: oro, ferro, bronzo, lana e
quant’altro servisse per l’impresa iniziata.

Veniva fuori quindi una retorica bellicista, proiettata verso la guerra (ci troviamo dinanzi alle
cronache del 41-42, quindi era scoppiata la guerra).

Il saggio ginnico
Dalle cronache si legge che ogni anno, nel mese di maggio,veniva organizzato il cosiddetto
saggio ginnico, nel corso del quale gli alunni delle scuole, delle associazioni giovanili del
regime, si presentano in pubblico, per dare prova dei progressi compiuti durante l’anno.
L’insegnamento di educazione fisica veniva svolto con impegno da parte degli insegnanti e
degli allievi. Del resto, nelle scuole, l’invito a curare la cultura fisica era costante.

ONG e GIL
● ONG sta per Operazione Nazionale Balilla e fu un’organizzazione giovanile del
Regno d’Italia
● GIL sta per Gioventù italiana del littorio e, anch’essa, fu un’organizzazione
giovanile fascista.
Sono due macchine organizzative molto complesse. La struttura è piramidale e prevede una
presenza nazionale, comitati provinciali e comitati comunali. I finanziamenti provengono da
diverse fonti,a cominciare dalle quote annuali di tesseramento, passate nel tempo da due a
cinque lire, e dai contributi statali

Il tesseramento
I bambini dovevano tesserarsi. Il tesseramento rimane facoltativo fino al 1939 ed era molto
importante perché la mancata affiliazione comportava rischi di isolamento e discriminazione.
Se le famiglie erano povere, provvedevano le insegnanti.

➡️
Nelle cronache, oltre ai dati anagrafici, c’era anche l’elenco dei Balilla e dei Figli della
Lupa ERA TUTTO DOCUMENTATO, in modo obbligatorio, SECONDO I DETTAMI DEL
REGIME.

Finalità della cultura fascista


Nei programmi prevale la cultura fascista, quindi tutto ciò che Mussolini aveva compiuto.
Qual era la finalità della cultura fascista? Era l’adesione ideale al mussolinismo, attraverso
la narrazione delle imprese del Duce.

“ L’Amore del Duce per i bambini è ciò che il capo del governo si aspetta da questi piccoli
soldati, oggi speranza e più tardi forza e gloria della Nazione. Non devono farsi tentare a
non esser saggi e uomini, altrimenti che direbbe di loro il Duce se li vedesse?”

Questo era il pensiero che veniva fuori dalle cronache, in cui domina un linguaggio che vede
la sovrapposizione Dio=Duce .
La cultura fascista dunque penetra nell’organizzazione scolastica attraverso parate, cortei in
uniforme e utilizzo di cori nelle celebrazioni ufficiali del regime.

Il progetto di fascistizzazione
Coinvolte tanto la scuola quanto il mondo della cultura.
L’obiettivo comunque delle “dittature” è quello di CONTROLLARE IN OGNI MOMENTO LA
GIOVENTÙ E, NEL CASO SPECIFICO DEL FASCISMO, DI PREPARARLA A QUELLA
LOTTA CHE VENIVA CONSIDERATA L’OBIETTIVO FINALE DELLA VITA.
I bambini non dovevano essere educati ad uno spirito critico, ma dovevano omologarsi ad
un unico pensiero.

Conclusione: la persecuzione dei diritti non iniziò solo con le leggi razziali, perché è proprio
dalla scuola elementare che ha inizio il lungo processo di irriggimentazione e
indottrinamento la cui finalità era costruire futuri soldati, uomini ciecamente pronti a
“credere,obbedire e combattere” e non teste pensanti, bambini dotati di spirito critico.

Difesa della razza


Il 1939 fu l’anno decisivo per una seconda svolta scolastica. Infatti il ministro Giuseppe
Bottai fa approvare, dal Gran Consiglio del fascismo, la “Carta della Scuola” in cui vengono
stabiliti principi, fini e metodi per la realizzazione dello Stato fascista e per la formazione
della coscienza umana e politica delle nuove generazioni. Fu proprio il ministro Bottai a
introdurre provvedimenti antisemiti nella scuola e con una circolare del 6 agosto promuove
la diffusione nelle scuole primarie della rivista “Difesa della razza”.

4 intervento: professoressa Titti Falco


Parlare di Shoah stimola la riflessione sul presente. La storia non si ripete mai in maniera
uguale.

Procederemo in questo modo:


Microstorie: singole storie, testimonianze di vita;
Storie di famiglie intere;
Macrostoria: racconto del contesto storico in cui si è consumato lo sterminio degli ebrei in
Europa.
Partire dalle microstorie è importante perché significa partire e focalizzarsi sulla quotidianità
di persone che improvvisamente si sono viste private di tutto e dei propri diritti.
Una microstoria può essere inserita anche all’interno di un’area tematica, come lo sport che
affascina i ragazzi ed è vicino alla loro quotidianità e al loro vissuto.
Infatti partiremo dall’area dello sport e da microstorie che si inseriscono in questa tematica,
mostrando come lo sport durante gli anni dei totalitarismi diventi uno strumento
fondamentale nella politica di propaganda e irrigimentazione del regime cioè esaltando la
fisicità degli atleti e le discipline sportive, i regimi vanno ad indottrinare le masse.
Del resto, mai come nel periodo che va dal 1936 (quando si disputano le famose Olimpiadi
naziste) fino al 1948 (anno delle Olimpiadi di Londra), lo sport era stato così tanto
politicizzato.
Lo sport però non era stato solo uno strumento di propaganda ma anche uno strumento con
cui era possibile operare resistenza, disobbedienza civile.

Sport come strumento di propaganda


Lo sport fu grande strumento di propaganda. Il
Proponiamo la storia di Primo Carnera campione italiano di pesi massimi, soprannominato
“La montagna che cammina” (perché era alto 2 metri). Divenne icona del regime. Ma, nel
1934 fu messo k.o al Madison Square di New York perdendo il titolo. Perciò Mussolini ordinò
che mai la sua foto al tappeto dovesse apparire su qualche giornale italiano.

Sport come strumento di discriminazione


Lo sport, però, fu anche uno strumento di discriminazione e esclusione. Questo avvenne
soprattutto nei confronti degli atleti che appartenevano alle cosiddette categorie di
oppositori, i nemici interni (ebrei e oppositori politici).
In questo contesto, si inserisce la storia di Gretel Bergmann, campionessa tedesca di salto in
alto ma ebrea. Perciò,nel 1933, fu costretta ad abbandonare la Germania perché non poteva
continuare a praticare la sua carriera.
Nel 1935, un anno prima dell’inizio delle Olimpiadi naziste, in un contesto di boicottaggio in
cui alcuni paesi (come gli Stati Uniti) minacciarono di non partecipare alle Olimpiadi se la
Germania non avesse dato la possibilità a tutti i suoi atleti di parteciparvi, la Gretel venne
richiamata in patria ma ovviamente costretta ad allenarsi per conto proprio e isolata dalla
società di apparenenza. Ciò nonostante, un mese prima dell’inizio delle Olimpiadi, riuscì ad
attuare il record nazionale. Non poté partecipare alle Olimpiadi perché era ebrea, quindi non
poteva succedere che un’atleta ebrea salisse sul podio.

Lo sport come strumento di tortura


Lo sport non fu solo strumento di propaganda e discriminazione, ma anche di tortura.
Gli atleti che venivano internati nei campi di concentramento, spesso venivano costretti a
esibirsi in combattimenti o partite di calcio per ricevere in cambio cibo in più o il diritto alla

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vita. Questo però veniva sistematicamente disilluso.
È il caso della Lega di Terezin vero e proprio campionato di calcio che fu organizzato a
Theresienstadt, alle porte di Praga (in Cecoslovacchia). I deportati si esibivano in partite:
c’erano le squadre, ognuna aveva un nome diverso a seconda della categoria di lavoratori
presenti all’interno del campo (es: la squadra dei carpentieri, la squadra dei fabbri, la

➡️
squadra dei barbieri…).
Emblematica è la storia di Johann Trollmann pugile, campione tedesco dei pesi medio
massimi. È di etnia sinti ed è soprannominato “Gipsy”, cioè “zingaro”. Perciò fu internato nel
campo di concentramenro di Nuengamme, dove fu costretto a combattere contro altri
prigionieri per il puro divertimento delle guardie.
Fu trasferito in un campo satellite di Nuengamme, in cui il capo del campo (ex pugile
dilettante) lo riconobbe e volle combattere contro di lui. Fu sconfitto da Trollmann e, per
ripicca e vendetta, lo fece assassinare.

Sport come strumento di disobbedienza civile


Lo sport poteva essere anche uno strumento di opposizione al nazismo e al fascismo.
È il caso di 2 atleti tedeschi: Albert Richter, campione di ciclismo su strada, e Max Schmeling
pugile campione tedesco di pesi massimi. Erano idolatrati dalle masse. Pur senza
partecipare a nessuna militanza attiva contro il regime nazista, nel loro piccolo seppero
opporsi: Richter, nelle sue esibizioni, rifiutò di indossare la svastica; Schmeling, invece,
arrivò addirittura a proteggere e nascondere alcuni amici ebrei. Entrambi decisero di
rimanere fedeli al loro allenatore ebreo. Questa è la prova che era possibile dissociarsi e
opporre resistenze durante quegli anni.

Storia dell’amicizia tra Jesse Owens e Luz Long


Long rappresentava il prototipo dell’arianitá: era alto, biondo, occhi chiari, carnagione chiara.
Jesse Owens, invece, era americano.
Tra i due non si istaura un clima di inimicizia e rivalità ma nasce un’amicizia meravigliosa al
punto che, nelle fasi della famosa finale che porterà Owens a vincere la medaglia d’oro del
salto in lungo, aiuta Owens a capire dove saltare per evitare di commettere il terzo fallo nullo
che lo avrebbe squalificato dalla competizione. Quando Owens vince e ottiene la medaglia
d’oro, Long è il primo a congratularsi con lui.
Quest’amicizia durerà per tutti i giochi olimpici e anche oltre, attraverso uno scambio di
lettere.
Hitler non perdonerà quest’amicizia, perché non era possibile che un atleta ariano
diventasse amico di un atleta di colore. Quindi, quando scoppia la guerra, Long viene
escluso dalle liste speciali dove venivano inseriti gli atleti di alto livello affinché non
partecipassero a missioni pericolose e viene mandato in uno dei fronti più caldi della guerra,
cioè in Sicilia nel 1943 (quando avviene lo sbarco). È proprio dalla Sicilia che Long scrive
una lettera al suo amico Owens, quasi come se già sapeva che non sarebbe sopravvissuto.
Nel frattempo, era diventato padre di un figlio di 3 anni che non avrebbe mai visto crescere.
La lettera che Long scrive al suo amico Owens può essere considerata un vero e proprio
manifesto dell’anti-nazismo. In questa lettera, gli raccomanda di andare in Germania da
suo figlio, a cui deve parlare di suo padre, dell’epoca in cui la guerra non li ha separati e
dirgli che le cose tra gli uomini possono essere diverse.
Long morirà il 14 luglio del 1943, all’età di 30 anni.

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Lo sport come strumento per salvare vite
Gino Bartali ciclista italiano che mise a rischio la propria vita allenandosi nel tratto di
istrada che separa Firenze da Assisi, nascondendo sotto la sella e nella canna della sua bici
documenti falsi che sarebbero serviti per salvare la vita a circa 800 ebrei in fuga dai nazisti e
dai fascisti.

Kiev, estate 1942


Il paese già da un anno era sotto l’occupazione nazista; miseria e fame regnano ovunque.
Prima della guerra, la squadra più forte del paese era la Dinamo di Kiev. I tedeschi, a scopi
propagandistici, hanno allestito una squadra che prende il nome di Squadra delle forze
armate tedesche. Decidono di disputare una partita contro la Dinamo di Kiev.
I giocatori all’inizio non vogliono accettare, ma poi si convincono che fare quella partita può
essere un’occasione di riscatto, per riprendersi in mano la propria dignità e perciò accettano.
La partita si disputa e vede da un lato i giocatori della Dinamo malnutriti, affamati e poco
allenati; dall’altro lato, invece, i giocatori tedeschi arroganti, forti e con un arbitraggio a loro
favore. Per cui, questi ultimi vanno in vantaggio. Però, sull’1-0, scatta nei cuori dei giocatori
della Dinamo un desiderio di ribellione. Per cui, pareggiano e vanno anche in vantaggio.
Durante la pausa tra il primo e il secondo tempo, un ufficiale tedesco scende negli spogliatoi
e intima ai giocatori della Dinamo di perdere altrimenti sarebbero stati fucilati.
Ma, i giocatori si consultano e decidono di continuare a giocare. Durante il secondo tempo,
fanno altri goal e sugli spalti la gente è felice e i kieviti hanno la sensazione di riprendersi in
mano la propria dignità.
La partita si chiude con la vittoria della Dinamo. Alcune versioni ci dicono che i giocatori
vengono presi subito in quel momento; altre, invece, ci dicono che vengono presi nei giorni

➡️
successivi.
Sta di fatto che la squadra viene portata a Babij Jar un burrone alle porte di Kiev dove,
già un anno prima, 33.771 ebrei furono fucilati e gettati in questo burrone (tale episodio è
stato chiamato l’Olocausto dei proiettili).
Ma Babij Jar è stato anche il luogo in cui sono stati assassinati in questo modo dissidenti
sovietici, nazionalisti ucraini, sinti, rom e qui ci finì anche chi era colpevole semplicemente
per aver rubato un pezzo di pane.
Babij Jar divenne anche la tomba dei giocatori della Dinamo, uccisi per aver sconfitto la
squadra delle forze armate tedesche.

5 intervento: professor Fausto Greco


È interessante notare come un posto come Babij Jar ospita oggi un memoriale
importantissimo.
Nei primi giorni della guerra tra Russia e Ucraina, il presidente Zelensky, affermò che il
memoriale era stato colpito da un’artiglieria russa. In realtà, era stata colpita un’ antenna
della televisione ucraina.
La questione è molto controversa: il memoriale ha la funzione di ricordare (anche in Italia,
ad esempio, c’è il Memoriale di Fossoli che ricorda il campo da cui è passato anche Primo
Levi).

➡️
Il memoriale di Kiev è stato anche finanziato da esponenti dell'oligarchia russa vicino a
Putin, in funzione anti-nazionalista come per dire: “ricordiamo che alcuni ucraini si sono
resi responsabili di partecipare allo sterminio degli ebrei” quindi il memoriale, più che essere
in funzione nazionalista, è in funzione nazionalista; quindi, è anche difficile che lo si potesse
bombardare.
Questo ci dice quanto, oggi in Europa e nel mondo, la memoria sia al centro di opposte
tensioni.

Memoriale della Shoah di Parigi


L’approccio è diverso: a Parigi, tendono a ricordare non solo lo sterminio dei parigini( la
maggior parte degli ebrei francesi risiedeva a Parigi, in particolare nell’ 11º e nel 13º
arrondissement (qualcuno anche nel 6º). Vennero prima ammassati in un velodromo (situato
nel 13 º arrondissement), poi trasferiti in un campo di transito e infine portati nell’est Europa)
ma anche a sottolineare che la storia procede anche per differenze, distinzioni e
comparazioni. Quindi, è necessario anche fare confrontare i vari genocidi.

Caso di Arpad Weisz: “Dallo scudetto ad Auschwitz”

➡️
“Dallo scudetto ad Auschwitz” è un libro scritto da Matteo Marani, un giornalista e
dirigente sportivo italiano. Al centro troviamo la storia di Arpad Weisz un allenatore ebreo
importantissimo, il più grande d’Europa.
Ha vinto 4 scudetti con il Bologna, 1 con l’Inter ed era 2 in classifica nel 1938 quando
dovette fuggire all’estero.A partire dal 38, si persero di lui le tracce.

Tale foto è molto interessante, perché l’autore coglie nello sguardo di Weisz quasi lo
sguardo sull’imminente tragedia che l’avrebbe colpito.
Uno dei temi più approfonditi nel libro è il rapporto tra lo stadio e la società guidata da un
allenatore ebreo.
Nel momento in cui Weisz legge il Manifesto della Razza all’inizio delle leggi razziali , è
preoccupato soprattutto che i figli verranno espulsi da scuola. Nel momento in cui arriva la
notizia della necessità di abbandonare la scuola, nel libro leggiamo che “non esistono più
giocatori da scoprire… non esiste più nulla aldilà della vita da difendere…”
TEMA CENTRALE DEL LIBRO: leggi antisemite come stupro.
Matteo Marani riesce a ricostruire la storia di Arpad Weisz attraverso una visita agli archivi
scolastici, perché qualche anno fa si recò nella scuola elementare per cercare notizie dei figli
dell’allenatore.
Trova il compagno di banco del figlio di Arpad, gli scrive, lo va a trovare e si fa dare da lui
alcune lettere che provengono da Parigi e con cui può colmare tutto ciò che mandava alla
storia del calcio mondiale.
Arpad Weisz, diversamente da come scriveranno i giornali italiani all’indomani della fuga
all’estero, non verrà esonerato ma si dimette dal Bologna che era secondo in classifica
(quindi l’idea che poteva essere esonerato era un po’ assurda).
Lasciata l’Italia, va insieme alla famiglia a Parigi dove non trova evidentemente la soluzione
che voleva per la sua vita e va quindi in Olanda. Perché in Olanda? Come scrive Marani:
“l’Olanda doveva presentarsi agli occhi di Weisz come un paese più tollerante dell’Italia…”
Ma, non fu così, perché anche Dordrecht (nei Paesi Bassi, città in cui si rifiuta con la sua
famiglia) pagherà un prezzo altissimo al genocidio nazista.
Questo per Marani è il naufragio dell’attitudine razionale di Weisz nei confronti della realtà;
Weisz aveva commesso un errore di valutazione, dettato soprattutto dall’attenzione
particolare per i propri figli. Questo ci fa capire che l’autore racconta la storia ponendo
l’attenzione sulla grande indifferenza degli italiani verso l’esclusione dei bambini ebrei, come
elemento decisivo della persecuzione, dalle scuole italiane.
Marani afferma che probabilmente Weisz si trovava bene in Olanda perché ha comodità,
così come ce l’avevano i figli nel raggiungere la scuola della città. Questa è l’ironia della
sorte: dopo che i figli non poterono più frequentare la scuola italiana, potranno frequentare la
scuola in Olanda ma per pochissimo.
Una volta che si perdono le tracce di Weisz e della sua famiglia, come avviene per i libri in
cui si tenta di unire romanzo e storia, aumenta la necessità di immaginare cosa possa
essere successo. Secondi l’autore, in seguito arrivarono nel campo di transito di
Westerbork (nel nord-est dei Paesi Bassi, dove passarono tantissimi ebrei tra cui anche
Anna Frank) e probabilmente a Cosel venne fatto scendere dal campo per essere sfruttato
come schiavo nelle fabbriche mentre la famiglia raggiunge immediatamente Auschwitz, dove
verrà portato anche lui un anno dopo.
I registri di Auschwitz registrano prima la morte di sua moglie e dei suoi figli e in seguito
anche sua.
Marani conclude affermando che il calcio, che era stata la sua vita, smette di esistere
quando la polizia olandese lo destituisce dalla panchina e lui non conta più nulla.
È interessante notare che, come aveva già affermato Primo Levi, i racconti dei deportati
sono racconti in cui l’elemento decisivo era il treno. C’erano però anche altri elementi
importanti, ad esempio come ci si sente qualche secondo prima di entrare nelle camere a
gas, come fa Marani quando vuole immaginare la storia della fine dei suoi figli.
Matteo Marani racconta anche i momenti finali della vita di Weisz e nella postfazione spiega
come ha ricostruito tutta la sua storia. Egli afferma che c’è un elemento che ha permesso a
Weisz di arrivare fin qui: l’amore sconfinato per il calcio.
Nella narrazione televisiva, la storia di Weisz viene raccontata secondo la narrazione
epica-sportiva. Già nell'epica-sportiva, la voce che si riesce a restituire è unica. L’esperienza
è così individuale. In uno straordinario documentario di Federico Buffa(giornalista,
telecronista e scrittore italiano), l’elemento più forte (l’attitudine razionale di Weisz che cerca
di resistere alla grande tragedia) diventa l’opposto. Il calcio viene messo al centro, infatti c’è
un excursus sulla storia del calcio che va dall’Inghilterra dei primi anni del secolo fino alla
storia del calcio italiano e alla fine la chiara testimonianza di quest’uomo la cui storia viene
travolta dalla Storia. Qui non c’è macrostoria e microstoria, ma c’è la storia individuale che
viene letteralmente travolta dalla Storia.
Con un’esperienza individuale, si perde il senso di una tragedia collettiva in favore di una
tragedia individuale su cui si abbatte la grande storia.
Una storia teatrale, ispirata ad Arpad Weisz, messa in scena da una compagnia di Caserta
rappresenta invece ricorda che la tragedia non è personale ma collettiva.
Da questo punto di vista, è interessante notare altri elementi che hanno trasposto la storia di
Weisz: libri, saggi, graphic novel… tutto ciò al beneficio di tanti studenti in giro per l’Italia, ma
soprattutto con la possibilità di volgere la storia ad un intento sempre diverso→ nel libro di
Marani, ad esempio, si ragiona sulla rimozione che gli italiani hanno nei confronti delle leggi
razziali. Tale rimozione si concretizza nella storia di Arpad Weisz, nel disinteresse della città
di Bologna verso la fuga e la fine nei lager del suo principale allenatore.

Ultimo intervento
Come possiamo cambiare quella società della modernità che ha
prodotto Auschwitz?
Adorno, filosofo tedesco, è abbastanza disilluso sulla possibilità che si possano
oggettivamente cambiare queste condizioni delle modernità perchè sono tante e quindi non
si cambiano con facilità.
Allora, si chiede quale sia l’altro luogo in cui possono accadere queste modifiche.
Se non è una condizione oggettiva quella che può modificare la modernità, da dove può
venire il cambiamento di quella mente che ha prodotto Auschwitz?
Cosa può cambiare le condizioni che hanno favorito culturalmente, politicamente,
strutturalmente l’avvento di una società come quella nazista? Secondo Adorno, come
abbiamo detto, queste condizioni oggettive non si possono più modificare.
Ad esempio: educare i più piccoli al rispetto dell’altro, al rispetto di ciò che è diverso.
Secondo Adorno, non è più possibile oggettivamente ma soggettivamente attraverso quella
forma che si chiama EDUCAZIONE.
Come possiamo far lavorare soggettivamente gli studenti? Ci sono dei metodi, dei modi,
attraverso cui raggiungere facilmente le teste di chi studia.
Uno strumento con il quale si può lavorare in forme soggettive molto forti è quello del
laboratorio delle fonti.
Cosa fa un laboratorio storico? Ci pone di fronte le fonti.
Come si può far lavorare lo studente come protagonista del sapere? Come colui che lo
costruisce con la propria forza, intelligenza e conoscenza?

LE OPERAZIONI DI UNO STORICO SONO LE SEGUENTI:


-osservare;
-raccogliere informazioni;
-fare ricorso alla propria enciclopedia personale;
-cominciare a fare inferenze;

➡️
-elaborare un minimo di ipotesi;
-NARRARE non c’è storia senza narrazione.
Lo storico si serve di indizi, documenti, tracce che possono mettere insieme e costruire man
mano delle prove. L’obiettivo di fondo è lavorare sui processi cognitivi del soggetto che
apprende, cioè come so di sapere, come imparo ad imparare. La storia ha la grande
capacità di creare il meccanismo virtuoso di crescita e organizzazione della propria sostanza
cognitiva.
organizzare, osservare,selezionare e classificare ➡️ sono tutti termini che richiedono
un’operazione cognitiva forte, fino ad arrivare a quelle più complesse cioè fare inferenze,
ipotesi, supposizioni.
Tutte queste operazioni sono un modo per imparare ad imparare.
Uno studente che lavora su una cosa del genere, in questo modo, fa proprie le osservazioni
che è in grado di fare, aldilà di ciò che dice l’autore in un manuale che è semplicemente un
oggetto che sta lì, che da un’interpretazione ma non c’è un solo manuale perché ci sono
tanti manuali quante sono le interpretazioni possibili.
Uno studente, al di là del fatto che non ha l’autorialità di uno storico, può iniziare ad
interpretare, lavora per apprendere gli strumenti di uno storico. Dunque, si appropria di una
strumentazione scientifica che lo aiuta a crescere.
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
L'annientamento degli ebrei d’Europa prevede varie fasi nella storia dello sviluppo del

➡️
sistema razzista, cioè dalla discriminazione all’annientamento degli ebrei abbiamo tantissime
fasi. Il regime nazista comincia nel 33, mentre le leggi di Norimberga sono del 35 LEGGI
DISCRIMINATORIE E ESCLUSIVE.

5 APRILE
Cagliostro è un personaggio ingombrante sul piano della memoria, oltre che sul piano
storico.
Negli ultimi due secoli, gli è stata dedicata un’ampia produzione da parte di romanzieri,
poeti, scrittori in generale,storici, saggisti, registi, sceneggiatori, autori di opere teatrali, di
anime e fumetti.
Se volessimo tentare ad attraversare velocemente questa enorme tradizione narrativa di
costruzione dell’immaginario incentrata sulla figura di Cagliostro, avremmo bisogno di molto
tempo.
Nel corso dell’800, Alexandre Dumas, ha dedicato 2 romanzi corposi a Cagliostro:
1. Il primo intitolato con il suo presunto nome, cioè “Giuseppe Balsamo”;
2. Il secondo è dedicato allo scandalo del furto della collana della regina Maria
Antonietta di Francia. Tale scandalo vede Cagliostro in prima linea o comunque
sul banco degli imputati.
Nel corso del 700, la letteratura scandalistica ha una grande importanza come fattore di
disgregazione dell’immagine delle monarchie e di perdita di prestigio dei poteri costituiti.
Quindi, per Cagliostro abbiamo una memoria ingombrante, è presente nell’immaginario di 2
secoli e sul nostro territorio. Se ad esempio inseriamo su Instagram l'hashtag Cagliostro, ci
appaiono oltre 15.000 occorrenze. Tra queste 15.000 occorrenze ci sono i luoghi di
Cagliostro, cioè i posti dove le persone vanno e incrociano dei reperti del passato legati alla
presunta memoria di Cagliostro. Il luogo più ingombrante di tutti è il Forte di San Leo, in
provincia di Rimini e non lontano dalla Repubblica di San Marino, in cui c’era la prigione
nella quale Cagliostro morì a metà anni 90 del 700, quindi nel pieno della Rivoluzione
francese.

Nel corso del 900 ci sono stati tanti film, influenzati dalla ricostruzione di Dumas sviluppata
nel corso degli anni 40 dell’800
cartoni animati, tra cui quello più famoso che lega l’immagine di Cagliostro ad un
personaggio reso famoso dagli animatori giapponesi cioè Lupin terzo.
Il primo lungometraggio dedicato a Lupin terzo, sotto forma di cartone animato e girato da
uno dei più grandi registi asiatici e specialisti del genere (Hayao Miyazaki), si intitola “Lupin
III-Il castello di Cagliostro”.
Quindi vediamo una mitografia ingombrante, che ci fa vedere un personaggio ipertrofico, sul
quale si dice tutto il contrario di tutto, metamorfico, fantasioso, capace di stimolare il
desiderio di avventura, che vive sui confini labili che separano il bene dal male, che per
poter attrarre deve anche generare una qualche forma di empatia. Infatti, abbiamo visto che
nel corso del 700, i criminali in maniera anche contraddittoria suscitano forti forme di
empatia e sono personaggi in cui il pubblico riesce ad identificarsi.
Quest’identità, Alessandro Conte di Cagliostro, si sospetta essere inventata o frutto di una volontà
abbastanza acrobatica di rappresentazione dello stesso personaggio.

Cerchiamo di capire quando nasce questa fama, in virtù di cosa nasce,

➡️
com'è possibile che cresca così velocemente da metà degli anni 70 del 700 fino
all'imprigionamento e alla morte negli anni 90 è una parabola che dura circa 20 anni,
durante i quali Cagliostro vive avventure straordinarie, raggiunge una celebrità straordinaria
e arriva a monopolizzare i discorsi e gli sguardi dell’intera Europa).
Potremmo dire che la fama ha una data di nascita e un luogo: 1777, Londra. Leggendo il
libro, ci si rende conto che è articolato in 4 capitoli, dedicati ai luoghi chiave della vita di
Cagliostro. Il secondo capitolo è per l’appunto intitolato “Londra 1777”.
Cosa accade a Londra nel 1777?
Arriva un signore che ha già iniziato a far parlare di sé in maniera evidente ma non
strabordante in altre città d’Europa, che viaggiava tanto, che si riteneva avere delle capacità
taumaturgiche, che fosse un alchimista e che fosse in grado di riprodurre (in virtù delle sue
capacità alchemiche) delle creme che donano a chi le applica sulla pelle l’eterna giovinezza.
L’alchimia è un campo del sapere interessante, che ha a che fare in parte con la magia e in
parte con la manipolazione che si applica al mondo naturale. Quindi, chi è l’alchimista?
L’alchimista è una sorta di praticone della natura che non ha consapevolezza scientifica di
quello che fa ma mettendo insieme vari ingredienti, riesce a produrre qualcosa che è capace
di generare degli effetti sui consumatori.
Spesso l’alchimista lega la sua capacità di maneggiare la natura alla pretesa di connettersi
com soprannaturale. Quindi, le creme che Cagliostro distribuisce (non dice mai di vendere le
cose, ma dice di "distribuire" e si dipinge sempre come un benefattore disinteressato al
guadagno) si pretende abbiano un potere magico. Donare l’eterna giovinezza non è cosa di
poco conto, significa fermare l’invecchiamento, fa sì che i segni del tempo non si vedono sui
volti e sul corpo delle persone.
Le voci iniziavano già a girare ma ancora non avevano sfondato il campo dei media nel 1777
cioè sono voci che erano arrivate ad alcune orecchie ma non ad altre. Nel 1777 Cagliostro
approda a Londra (una delle tre più grandi città d'Europa, insieme a Parigi e Napoli) dove
prende una casa in affitto e viene a contatto con una coppia di signori abbastanza enigmatici
che hanno l’ossessione per il gioco del lotto. Queste persone hanno sentito dire qualcosa
sulle sue capacità di mettersi in contatto con il soprannaturale e hanno interpretato questa
capacità come possibilità di mettersi in contatto con il futuro,prevedere gli eventi. Quindi
chiedono insistentemente a colui che si identifica come Cagliostro di dare dei numeri
vincenti. Inizialmente Cagliostro si tira indietro, poi si lascia convincere e “preso dalla
disperazione” molla qualche numero. Il caso vuole che questi diventino quelli vincenti e che
quindi si crei intorno all’evento una sorta di bolla mediatica ingestibile. Questa coppia (i
Signori Fray) comincia a chiedere altri numeri vincenti, Cagliostro si rifiuta di darli e nasce
un caso giudiziario perché viene accusato di frode e addirittura di aver manipolato
l’estrazione, di avere dei complici.Cominciano a girare voci incontrollabili e false, che dicono
tutto il contrario di ciò che è realmente successo.
Per difendersi da queste accuse, Cagliostro afferma che aveva la capacità di esercitare un
potere soprannaturale sulle previsioni del futuro, ma questo potere si fondava sul possesso
di un misterioso manoscritto che era finito nelle sue mani in modo in virtù di circostanze

➡️
rocambolesche. Ciò nonostante, egli tiene a dire una cosa: tutte le previsioni che gli hanno
permesso di indovinare i numeri vincenti, rispondono ad un metodo non riproducibile
L’HA FATTO UNA VOLTA E NON PUÒ RIFARLO. Comincia a dare delle spiegazioni,

➡️
acrobatiche e in parte fantasiose, che mettono insieme metodi scientifico-razionali con
alcune spiegazioni di carattere spiccatamente soprannaturale ha usato la statistica a cui
ha affiancato la sua conoscenza esoterico-soprannaturale che non è spiegabile con i normali
strumenti della ragione. Dalla mescolanza di questi due elementi, ha prodotto una previsione
vincente che non può ripetere.
Alcuni iniziano ad interessarsi, in particolare i giornalisti perché le notizie sono preziose,
devono circolare, non necessariamente devono riferire qualcosa che si pretende sia
accaduto ma devono o provano anche a costruire pettegolezzi e gossip su ciò che è
accaduto. Perciò, si cominciano a narrare tante cose sul personaggio, sull’incarico stabilito
con i presunti complici. Cagliostro si accompagna ad una donna che presenta come sua
moglie, come la Contessa Serafina di Cagliostro.
Tra gli interrogativi che si sviluppano, quelli più stringenti riguardano le origini del
personaggio.
Ad un certo punto, lo scandalo precipita e si apre un processo giudiziario nei suoi confronti.
Nel corso del 18esimo secolo, la percezione di giustizia cambia in maniera profonda e in
questo nuovo modo di raccontare della giustizia ha un ruolo preponderante la divisione del
pubblico in innocentisti e colpevolisti.
Nel 1777, a Londra, nasce la prima grande polarizzazione pubblica intorno al personaggio
Cagliostro: secondo alcuni va salvato perché innocente; secondo altri, invece, è un
truffatore, un lestofante, un criminale da mettere in gattabuia perché si prende gioco dei
creduloni.
Come si difende Cagliostro? Mettendo in circolazione dei testi. A Napoli era successo un
qualcosa di simile; in realtà, però, nel corso del 700 questo accade un po’ in tutta Europa
dove gli avvocati che devono difendere gli imputati, non pensano a difendere gli imputati
solo di fronte al tribunale ma pensano a difenderli anche di fronte all’opinione pubblica.
Dalle fonti che abbiamo a disposizione su Cagliostro, l’impressione è quella che il tribunale
non gli dava tanta importanza e che tutto lo sforzo dei sostenitori che lo circondano vada
nella direzione dell’esercizio di una forma di influenza sull’opinione pubblica, quindi lui fa
mettere in circolazione dei testi che parlano al pubblico.
Di fronte al pubblico inizia ossessivamente a raccontare la sua storia. La sua è una storia a
dir poco rocambolesca.

Storia di Cagliostro
Cagliostro afferma di essere nato da una famiglia nobile, non ben identificata, e di essere
stato abbandonato a 3 mesi per delle circostanze non riconducibili alla volontà dei genitori.
Viene quindi affidato alle cure di un precettore, con cui cresce, viene educato, impara cose
importanti (tra cui la conoscenza della chimica e dell’alchimia) e diventa una sorta di
letterato che possiede una cultura piuttosto raffinata. Secondo il suo racconto, questo
precettore lo porterebbe in giro per il Mediterraneo, avrebbe raggiunto le coste dell’Africa e
la Mecca dove trascorse una parte della sua infanzia e della sua adolescenza per poi
tornare verso l’Europa cristiano- occidentale. Tornato verso l’Europa cristiano-occidentale,
inizia a peregrinare tra vari stati e, affidandosi alle conoscenze che aveva acquisito grazie al
suo precettore e durante i vari viaggi, viene accolto nelle corti e nei luoghi più importanti e
viene ascoltato da persone molto in vista che di volta in volta gli danno credito.
QUESTO È IL RACCONTO CHE FA DI SE.
Però, già nel momento in cui inizia a raccontare la sua storia, iniziano a nascere dubbi sulla
veridicità di questa storia.
Coloro che tentano di incastrarlo e di metterlo alla sbarra dicono che quello che lui sta
raccontando si legge nei romanzi, dove i personaggi sono tutti dei trovatelli, la loro nascita è
avvolta in un velo di mistero, si trovano poi a viaggiare in maniera ossessiva; nel viaggiare
vivono una serie di avventure inimmaginabili e queste avventure li portano da un lato ad
istruirsi e dall’altro ad essere accolti in ambienti che non sarebbero i loro.
Quindi, inizia a nascere un dibattito sul rapporto tra verità e romanzo: COSA STA
RACCONTANDO CAGLIOSTRO? qualcosa che affonda le radici in un immaginario già
esistente oppure qualcosa che riporta ad un’esperienza da lui vissuta?
Questa domanda inizia ad ossessionare gli europei.
Cagliostro da un lato riesce a farla franca ma non si accontenta di farla franca, perché cerca
di cavalcare la popolarità che ha ottenuto utilizzando la sua influenza sull’opinione pubblica
e sfruttando una rete di rapporti che si era creato in quegli anni e in quei mesi londinesi.
Questa rete di rapporti aveva un identità marcatamente massonica, cioè appartenente ad
un mondo di sociabilità clandestina, un mondo che incrocia diversi settori della società e un
mondo che pretende di conservare al suo interno alcuni capisaldi di un sapere che può
essere utile alla collettività, alle monarchie e alla costruzione del futuro della civiltà.
Cos è la Massoneria? La Massoneria esiste ancora oggi ed è una fratellanza legata da una
rete di solidarietà e da un corpus di conoscenze segrete.
È nata in Europa tra la fine del 600 e l’inizio del 700. La prima notizia certa di una fratellanza
massonica si ha proprio per l’ambiente londinese ed è datata 1717. In realtà,però, la
massoneria era verosimilmente nata un po’ prima.
Abbiamo parlato di crisi della coscienza europea e di rottura del rapporto tra poteri costituiti
e Accademie nel corso del 600 (a Napoli c’era stato un evento traumatico, il processo agli
ateisti, che stermina la vita accademica). La destrutturazione del mondo accademico ha
giocato un ruolo importante nella formazione delle reti massoniche. Nella sua avventura,
Cagliostro, si trova all’interno di queste reti massoniche ma sfruttando la popolarità che ha
guadagnato nel 1777 pensa di fondare una propria loggia massonica. Questa loggia
massonica prende il nome di loggia di rito egiziano. Come tutte le logge esoteriche, deve
fondarsi su un sapere esoterico e Cagliostro afferma “io ho in mano un manoscritto
importantissimo, che durante i vari viaggi è venuto in mio possesso. Questo manoscritto
possiede in sé una sapienza antichissima, su cui costruirò le regole della nuova loggia
massonica”.
Nel corso di pochi anni, dal 77 a metà degli anni 80, la loggia massonica di rito egiziano ha
una fortuna straordinaria e comincia ad avere sezioni sparse nelle più grandi capitali
europee. Tale fortuna è accompagnata da Cagliostro, cioè egli va di luogo in luogo riuscendo
a stabilire delle nuove sezioni della sua loggia massonica. Quindi, popolarità si aggiunge a
popolarità, influenza si aggiunge a influenza, fama su fama; tanti continuano a parlare di lui
e lo descrivono come il “gran maestro” della loggia di rito egiziano.
Ma, il mondo massonico negli anni 70 e negli anni 80 (nato all’inizio del 700) è
profondamente destrutturato: le massonerie cominciano ad entrare in concorrenza l’una
contro l’altra. La storia della letteratura del 700 è un pò incrociata con la storia delle
massonerie perché i letterati spesso aderiscono alle logge massoniche.
Cagliostro inizia ad inserire un elemento di grande originalità all’interno della loggia di rito
egiziano, perchè la massoneria è quasi esclusivamente un affare maschile. Egli, però,
sfrutta la presenza e l’influenza di sua moglie Serafina per creare un ramo femminile e farla
diventare gran maestra di quest’ultimo. LA LOGGIA DI RITO EGIZIANO È QUINDI UN
AFFARE DI FAMIGLIA.
Cagliostro viaggia anche molto velocemente e questo modo di viaggiare suscita sospetti
perché al tempo viaggiare era una cosa complicata. Cagliostro, invece, da un giorno all’altro
o da una settimana all’altra riesce a passare ad uno stato all’altro. Perciò, molti iniziano a
pensare che non è sempre lui ma che ci sono degli emulatori, delle repliche, dei personaggi
che dicono di essere lui (in un mondo senza fotografie e senza carte d'identità questo era
molto semplice). Quindi, sulla sua figura, inizia a cadere anche il sospetto/dubbio che lui
riesce a sdoppiarsi grazie a dei complici che lo replicano di volta in volta perché sono degli
abilissimi attori, cioè sono capaci di riprodurre i suoi comportamenti altrove e sfruttare più o
meno involontariamente o direttamente la sua fama → magari alcuni lo facevano perché
approfittano della sua fama senza il suo consenso.
È pressoché certo, però, che ad un certo punto la sua fama diventi tale che alcune persone
pensano di approfittarne, cioè pensano di rubare l’identità di Cagliostro sfruttando la sua
popolarità.

Parigi 1785
Nel 1785 arriva a Parigi, altra grande città europea. Il 3° capitolo del libro si intitola proprio
“Parigi 1785”. Quando arriva a Parigi, nel giro di qualche mese, si trova coinvolto in uno
scandalo giudiziario di dimensioni apocalittiche: lo scandalo della collana della regina,
collana dal valore inestimabile, piena zeppa di diamanti, creata da due gioiellieri.
Intorno alla corte francese gravitano alcuni personaggi non appartenenti all’alta nobiltà che
vengono intercettati da questi gioiellieri e diventano i destinatari di una proposta indecente:
diventare intermediari tra i gioiellieri e la regina per chiedere a quest’ultima se vuole
comprare la collana.
I due personaggi, di cui una donna di nome Madame de la Motte o meglio conosciuta
come la Contessa de la Motte,iniziano a prendere sul serio questa proposta.
La Contessa de la Motte, però, è una contessa riuscita a metà cioè era in realtà una donna
di origini povere che reclama, in virtù di chissà quale costruzione narrativa fantasiosa,
addirittura una parentela con la dinastia dei Valois che si estingue alla fine del 500.
In realtà è una stracciona. Riesce a sposarsi con un membro dell’alta gerarchia militare
francese e grazie a questo matrimonio riesce ad accaparrarsi il titolo nobiliare di “contessa”.
Entrata in un modo che effettivamente non le apparteneva, inizia a mostrare una grande
intraprendenza, cioè è una che si dà da fare, che si lancia nelle situazioni e mostra di
muoversi con facilità (perché abbastanza scaltra) nell’ambiente di corte. Quando riceve la
proposta indecente, aggancia un altro personaggio perché non ha la potenzialità di arrivare
direttamente alla regina. Questo personaggio è un cardinale: il cardinale Louis de Rohan.
Su questo personaggio girano varie voci, tra cui quella più insistente vuole che lui sia
perdutamente innamorato della regina Maria Antonietta.
Le versioni che vengono raccontate in tribunale dai protagonisti sono troppo contraddittorie
per essere prese sul serio.
Il fatto in sé è che i due gioiellieri ad un certo punto vengono convinti a cedere la collana alla
Contessa de la Motte e suo marito, perché il cardinale fa da garante cioè dice “non vi
preoccupate, l’affare è fatto perché la regina comprerà la collana e farò io da garante.
Iniziate a darcela e pian piano i soldi vi arriveranno”. In questa promessa fatta ai gioiellieri,
però, viene detta anche un’altra cosa: “fate attenzione perché questa cosa non può essere
troppo detta”. Perché? Perché la regina non vuole che il marito, re di Francia (Luigi XVI)
sappia che lei vuole a tutti i costi la collana ed è disposta a spendere una cifra così grande
(all’epoca si parlava di 1500 lire francesi), quindi il cardinale sta facendo le cose
"sottobanco".
I gioiellieri credono a questa versione dei fatti e, a gennaio di quell’anno, cedono la collana.
Arrivata l’estate però si rendono conto che i soldi non arriveranno mai perché cominciano a
prendere informazioni presso la famiglia reale e attraverso altri canali e quando arrivano alla
regina, questa risponde che non li conosce e che non sa nulla della collana.
Perciò, loro denunciano. La famiglia reale accoglie la denuncia e bisogna iniziare l’indagine.
Si apre così un caso giudiziario che scoppia come una bolla mediatica ingestibile e comincia
ad occupare le menti, le orecchie, le bocche di tutti i francesi.
Le accuse sono pesanti. Chi ha imbrogliato? Madame de la Motte, i gioiellieri? Ci sono mille
imputati possibili.

La capacità dello scandalo di destrutturare l’immagine della


monarchia
Tra le altre cose, lo scandalo riesce a destrutturare l’immagine della monarchia. Seppur
vogliamo pensare che la regina sia innocente, che sia stata coinvolta nello scandalo solo per
una truffa, dobbiamo comunque accettare l'idea che tanto il cardinale quanto la contessa
abbiano tenuto in considerazione l’idea che la regina fosse così irresponsabile da
permettersi un’operazione di quel tipo. Emerge quindi l’immagine di nobiltà che vede nella
monarchia l’immagine di una monarchia inaffidabile, attenta al lusso, ai suoi bisogni
personali e che non guarda alle reali esigenze dei francesi.
Inoltre, la Francia sta vivendo un periodo di difficoltà, fatto di continue carestie, mancanza di
grano e di pane e crisi di approvvigionamento. E cosa fa la regina? Pensa alla collana→
ELEMENTO PROFONDAMENTE OFFENSIVO PER L’IMMAGINE DELLA MONARCHIA.

Cosa fanno i protagonisti per difendersi?


● La prima a doversi difendere è Madame de la Motte. Lei afferma che tutto è stato
organizzato da Cagliostro e comincia a raccontare una storia: li ha convocati a casa
sua, li ha ingannati, ha raccontato loro storie incredibili dicendo di essere in grado di
prevedere il futuro e fare una cosa fondamentale per la regina→ in quel momento la
regina era incinta e aveva fatto un brutto sogno che le faceva temere un’imminente
morte di parto. Cagliostro si dichiara come l’unico in grado di tranquillizzare la
regina attraverso un rito magico.
Da qui, ha iniziato a trafficare anche presso il cardinale affinché si credesse intermediario e
potesse impossessarsi della collana che avrebbe evidentemente smembrata (venderla per
intero sarebbe manifestazione della colpevolezza; quindi, avrebbe venduto ad uno ad uno i
diamanti) e venduta.
● il cardinale de Rohan si trova nella posizione peggiore, perché è accusato da tutti.
C’è chi lo ritiene essere un imbroglione e chi lo ritiene essere un idiota. Tra le due
cose, non si sa qual è la preferibile o la meno peggiore.
● ad un certo punto, prende la parola Cagliostro che deve difendersi dall’accusa subita.
Tutti i protagonisti vengono arrestati e portati nella prigione della Bastiglia(4 anni
dopo verrà presa d'assalto dal popolo) dove Cagliostro inizia a tirare fuori un’altra
versione dei fatti che vede in scena un’altra donna che si fa chiamare con il nome di
Mademoiselle d’Oliva. In realtà questa era una giovane donna, povera e sfigata,
che viene tratta in inganno da Madame de la Motte e sarebbe stata assunta per
recitare una parte. Secondo Cagliostro questa donna,educata alle buone marie,
avrebbe dovuto vestire i panni della regina Maria Antonietta, essere portata in un
parco di notte dove avrebbe incontrato il cardinale de Rohan (portato lì perché tratto
anch’egli in inganno) con cui avrebbe scambiato una lettera con una rosa. Tale gesto
sarebbe stato interpretato dal cardinale come un segno d’intesa che gli era stato
concesso dalla regina. Quindi, dopo l’incontro notturno, il cardinale si sarebbe sentito
autorizzato a farsi mediatore presso i gioiellieri.

Da tutto questo racconto, emerge l’idea di base che il cardinale sia innamorato perso della
regina a punto tale da farsi ingannare da una truffatrice.
Alla fine il caso giudiziario si risolve perché le colpe finiscono per cadere su Madame de
la Motte, che si ritiene essere l’artefice della truffa.
Questa è la soluzione giudiziale del caso (=quello che i tribunali francesi ritennero fosse
accaduto→ Madame de la Motte avrebbe tratto in inganno il cardinale, Cagliostro e
Mademoiselle d’Oliva) e non la verità perché ancora oggi, a distanza di più di 200 anni, è da
indagare.
Quindi, Cagliostro ne uscì incredibilmente innocente e la sua versione dei fatti, il suo
documento trasmesso al tribunale e soprattutto al popolo francese ebbe un successo
devastante in tutta Europa.
In questa memoria però, ancora una volta, Cagliostro riprendeva la storia delle sue origini:
dove sono nato? Chi sono? Come mi sono ritrovato qui?.
Quando Cagliostro uscì dalla Bastiglia, lo attese una folla di circa 8.000/10.000 persone
proprio come una vera celebrità.
Alcuni giornalisti, però, non furono convintissimi da questa versione dei fatti. In particolare,
Théveneau de Morande, attivissimo giornalista francese specializzato in opere di carattere
scandalistico, divenne uno dei principali persecutori di Cagliostro e cominciò ad indagare
sulla sua reale identità perché secondo lui se bisognava smascherarlo, bisognava capire chi
era veramente perché non credevano a ciò che egli aveva raccontato.
Le sue indagini, abbastanza rocambolesche e dalla metodologia difficile da ricostruire, lo
portarono a Palermo cioè Théveneau de Morande identificò Cagliostro con Giuseppe
Balsamo→ un criminale palermitano, nato negli anni 40 e che da piccolo si era reso in
Sicilia protagonista di vari malefatti. Successivamente, sarebbe scappato dalla Sicilia,
avrebbe peregrinato e sarebbe arrivato a Roma dove conosce una giovane molto molto
bella di nome Lorenza Feliciani. Secondo Théveneau de Morande, la contessa Serafina
che Cagliostro si portava dietro era questa ragazza romana.
La versione dei fatti costruita da Théveneau de Morande inizia a diffondersi in Europa,
quindi c’è una nuova polarizzazione delle opinioni e le voci giungono addirittura alle orecchie
del più grande scrittore tedesco del 700: Goethe.
Goethe, alla fine degli anni 80, fa un viaggio in Italia che racconta anche in un suo
famosissimo diario durante il quale approda anche a Palermo. Qui comincia ossessivamente
a chiedere in giro notizie di Cagliostro (ELEMENTO CHE CI FA CAPIRE CHE LA FAMA
CHE CAGLIOSTRO OTTIENE ERA STRABORDANTE). Viene agganciato da un tizio che
fa l’avvocato, che dice di conoscere Cagliostro e si propone di portarlo a casa sua. Goethe,
quindi, viene portato a casa del presunto Cagliostro dove viene accolto da una ragazza, da
un giovane, e portato al cospetto di una donna anziana che dice di essere la mamma di
Cagliostro. La presunta madre di Cagliostro, in preda alla disperazione, gli consegna una
lettera per suo figlio.
Ci sarebbe anche da capire in che lingua si è svolto il dialogo tra Goethe e la vecchia
palermitana. Goethe capisce che la lettera è destinata a Giuseppe Balsamo, cioè il figlio
disperso della donna, e dice a quest’ultima di non preoccuparsi perché sarà lui a
consegnare a suo figlio la lettera dato che lo incontra in giro per l’Europa.
Goethe mente spudoratamente, sa che quella lettera non la consegnerà mai. Tornato in
Germania, decide di pubblicarla insieme ad una presunta genealogia della famiglia Balsamo
che lui avrebbe ritrovato a Palermo.
L’ipotesi che questa fosse la versione dei fatti ha un alto grado di probabilità. Però non
abbiamo la certezza che queste cose bastino per potere identificare Cagliostro con
Giuseppe Balsamo.
Esiste anche la probabilità che Goethe a Palermo sia stato perso per i fondelli, perché cosa
c’era di più semplice di approfittare di uno che era famoso in tutta Europa e vendergli una
storia (Goethe aveva anche sganciato un pò denaro per avere quella roba), storia che
desiderava ossessionatamente conoscere, e fargli credere di essersi impossessato di una
verità che tutti gli europei volevano possedere?

Dopo essere scappato da Parigi, Cagliostro torna a Londra e capisce che l’aria per lui sta
cambiando perché, nonostante il successo ottenuto e la fama che gli è derivata da tutti gli
scandali giudiziari, la versione denigratoria di Théveneau de Morande e di Goethe comincia
a pesare e quindi tanti pensano che lui non sia altri che il criminale palermitano Giuseppe
Balsamo.
Ciò nonostante, ha ancora tanti seguaci che gli danno credito e gli permettono di godere
anche del suo successo.
Continua a viaggiare incessantemente. Ad un certo punto, decide di tornare nella Penisola
Italiana, dove sosta per un certo periodo a Trento e a Rovereto. A Rovereto, incontra un
signore che scrive una cronaca molto dettagliata del suo operato. Tale cronaca, con
un’intenzione del tutto denigratoria, viene messa in circolazione con il titolo di “Il Vangelo
di Cagliostro”. Perché abbiamo parlato di “intenzione denigratoria” ?Perché descrive
l’operato di Cagliostro a Rovereto con la stessa modalità con cui vengono descritti gli atti
degli apostoli o con cui vengono descritto i vangeli.
Cagliostro deve però scappare perché anche lì l’aria è diventata pesante e decide,
probabilmente per delle promesse che gli vengono fatte da personaggi che incontra, di
andare a Roma.
Va da sé che a Roma, in quanto sede del papa e patria della cristianità, Cagliostro-
conosciuto in tutta Europa come il “gran maestro” di una loggia massonica- possa non
trovare una grande accoglienza dal potere pontificio perché in quel momento questo è
entrato in rotta di collisione con la cultura illuminista e tutti i suoi derivati: il potere pontificio
tende alla conservazione; la cultura illuminista, invece, tende non solo alle riforme ma anche
ad un riformismo incentrato sull’erosione del potere ecclesiastico→ PIÙ FORZA AGLI STATI
E MENO FORZA ALLA CHIESA. La massoneria è un collettore importante di istanze
illuministe e riformiste che vengono diffuse in maniera clandestina, quindi la Chiesa non può
essere così amica della massoneria e ancor di più non può esserlo nell’anno in cui
Cagliostro decide di tornare a Roma→ 1789

Cosa accade nel 1789?


Nel 1789 scoppia la Rivoluzione francese. L’evento culminante fu la presa della Bastiglia
(simbolo dell’ancien régime),da parte dei cittadini francesi, avvenuta il 14 luglio del 1789.
Ma precedentemente la monarchia francese, anche in virtù degli scandali che travolgono la
corte, carestie, epidemie, crisi di approvvigionamento quindi difficoltà che la popolazione si
ritrova a fronteggiare,vive in una fase di grossa difficoltà. Il re di Francia, Luigi XVI, tenta in
vari modi di venir fuori da questa fase di difficoltà, affidandosi a vari ministri che propongono
delle riforme che però puntualmente falliscono→ PARADOSSO: in tutta Europa c’erano
state forme di assolutismo e riformismo illuminato; le riforme altrove avevano portato buoni
risultati mentre in Francia falliscono miseramente.
Alle soglie del 1789 Luigi XVI, anche in preda anche alla disperazione, decide di
ri-convocare un organo istituzionale che in Francia era scomparso da più di un secolo e
mezzo:gli Stati Generali→ un’assemblea composta dai rappresentanti dei 3 principali stati
che componevano la società francese, cioè il clero, la nobiltà e il terzo stato.
Quindi Luigi XVI va a rispolverare un ferro vecchio per risolvere una crisi nuova. Gli Stati
Generali sono chiamati a raccogliere le rimostranze dell’intera popolazione francese,
portarle al cospetto del re e trovare insieme delle soluzioni sulla base di un voto.
Però il problema è che, essendo istituzionalmente un ferro vecchio, gli Stati Generali hanno
un sistema di voto profondamente squilibrato: come votano i rappresentanti dei 3 stati? Per
testa? No, votano per stato cioè alla fine il clero esprime un voto, la nobiltà esprime un voto
e il terzo stato esprime un voto.Però
● il clero rappresenta una parte piccola della società francese, vale a dire coloro che
vestono l’abito ecclesiastico;
● la nobiltà rappresenta gli aristocratici.
Clero e nobiltà insieme rappresentano poco più il 10- 15% della società francese e il
restante 85% è rappresentato dal terzo stato.
Quando si va a votare finisce sempre 2-1, cioè il clero e la nobiltà votano insieme e votano
per due; il terzo stato, invece, vota per uno e si trova in netta minoranza.
Perciò, presa coscienza dell’ingiustizia di questo sistema di voto, il terzo stato si auto
proclama assemblea nazionale cioè dice “noi rappresentiamo la maggioranza del paese”
quindi si capovolge completamente il punto di vista, il sistema su cui si basa il paese. Ad
essere messo in minoranza è anche il monarca, che si ritrova in una difficoltà enorme.
La tensione sociale aumenta, viene portata alle estreme conseguenze dalla presa della
Bastiglia da parte di armate popolari.
La Bastiglia è lo stesso carcere in cui vengono portati Cagliostro, il cardinale ed è il simbolo
di un autorità monarchica che ormai ha perso tutto il suo prestigio e il suo potere propulsivo.
Qualche mese dopo viene pubblicata la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del
cittadino: la parola “cittadino” è carica di significato ed indica colui che non è più suddito,
colui che non deve più obbedire all’autorità del monarca ma è membro di una collettività che
diventa padrona del suo destino, ha in sé la capacità di decidere il proprio destino quindi può
prendere decisioni fondamentali che riguardano il proprio destino.
I cittadini insieme formano una nazione. La nazione è una comunità di destino… i cittadini
non sono più sudditi, entità singole polverizzate ma insieme costituiscono e costruiscono
una forza che deve giocare un ruolo politico importante.
Per questa ragione, si comincia a prendere coscienza del fatto che quello che nasce nel
1789 è qualcosa di profondamente nuovo, senza precedenti, rivoluzionario. Come
abbiamo detto varie volte, una rivoluzione non è una rivolta ma chiude con il passato e apre
qualcosa di completamente nuovo; la rivoluzione guarda in avanti, al futuro.
Uno dei retaggi più pesanti del passato è la religione, il ruolo della Chiesa. Ad un certo
punto i rivoluzionari in Francia, che tengono sotto scacco il re, cominciano a pretendere
che il clero francese giuri fedeltà alla rivoluzione.
Il papa, Pio VI, non la prende bene e i cambiamenti sono abbastanza vorticosi e vertiginosi
in quegli anni dove si passa da uno stato all’altro in maniera veloce (Michel Vovelle, grande
storico della Rivoluzione francese, afferma che c’è una poderosa accelerazione del tempo
storico). Proprio in questi giorni, Pio VI si ritrova a Roma Cagliostro: un tizio che nel corso
degli ultimi anni aveva seminato vari sconquassi, che trovandosi di fronte all’autorità
monarchica costituita, aveva avuto la capacità di scagionarsi rivolgendosi non agli giudici ma
parlando al popolo e che era diventato una vera e propria celebrità popolare. Quindi, lui
veniva di volta in volta assolto sì dalle istituzioni, ma in virtù di una pressione che era nata
altrove→ lui convince la gente e non le autorità della verità del suo messaggio.
Sia a Londra che in Francia, Cagliostro -oltre a pubblicare delle memorie giudiziarie- scrive
anche delle lettere al popolo.
Il concetto di “popolo” durante la Rivoluzione cambia profondamente significato: non è più
una platea di sudditi ma una platea di cittadini che devono decidere per il proprio destino→
LA PROSPETTIVA SI RIBALTA.
L’atteggiamento della Santa Sede quindi è un atteggiamento fortemente contrario,
guardingo. In questo caso le ipotesi sono molteplici:
● Cagliostro è finito a Roma per circostanze imponderabili?
● Cagliostro è finito a Roma perché riteneva di poterla far franca anche in un contesto
estremamente ostile come quello pontificio?
● Cagliostro è finito a Roma perché qualche emissario o spia della Santa Sede lo ha
convinto ad arrivare a Roma, promettendogli una protezione o qualcosa che non
avrebbe mai avuto?

Sta di fatto che, nel giro di pochi mesi, viene arrestato e messo nelle carceri dell’
Inquisizione. Si dà così inizio il processo ad un imputato,ad un solo personaggio sul banco
degli imputati. Addirittura ad un certo punto si pensa che ad aver giocato un ruolo
fondamentale nel suo arresto sia stata la moglie, che lo ha tradito.
In questo processo, Cagliostro viene subito identificato dall'Inquisizione come Giuseppe
Balsamo, il criminale palermitano. Ma, pur essendo difronte ad un tribinale inquisitoriale, in
una situaizone in cui la tortura era pane quotidiano e in una situazione di assoluta
precarietà, Cagliostro ostinatamente nega → dice “io non sono Giuseppe Balsamo”. Nel giro
di poche settimane, viene interrogato per ben 43 volte e pian piano questo processo cambia
faccia, cioè acquisisce un’altra dimensione perché il processo a Cagliostro diventa il
processo all’intera Rivoluzione e Cagliostro viene identificato come uno dei principali
responsabili della deflagrazione culturale, sociale, politica, che ha condotto la Francia e
l’intera Europa nel gorgo della rivoluzione.
Perché tutto questo viene reso possibile? Perché in quei mesi, intorno e all’interno
dell'ambiente cattolico-romano, comincia a circolare un teorema fondato sulla volontà di
interpretare la deflagrazione rivoluzionaria sulla base della presenza di un complotto che
nel corso dei decenni è diventato sempre più forte fino ad esplodere nel 1789 con la presa
della Bastiglia, la successiva Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino e la
successiva costituzione civile del clero cioè la chiamata alle armi di un clero che doveva
diventare rivoluzionario.

Su cosa era fondata questa teoria del complotto? Era fondata sull’idea che la
Rivoluzione era stata il risultato di un’eterna lotta tra il bene e il male. Tale lotta, però, nel
corso dell’età moderna e del 700 aveva acquisito una dimensione particolare.
In altre parole, loro dicono: “guardate, sono decenni e decenni, che gli illuminati e i massoni
stanno cospirando e contaminando l’alta società con i loro messaggi velenosi. Grazie a
questo tipo di cospirazioni, ci hanno portato a questo esito estremo. L’imputato Cagliostro è
uno dei principali animatori di questo complotto. Se le cose sono arrivate fino a questo
punto, la colpa è di personaggi come lui ma soprattutto sua”.
Quindi, Cagliostro viene descritto come il soffio che ha generato la tempesta, come l’artefice
di tutti i mali del mondo, come l’uomo che sta dietro tutti i complotti possibili e immaginabili,
come uno capace di muovere i fili della storia.
Tra l’altro, il complotto affonda le radici in un passato ancora più lontano del 700… quindi
dicono “guardate, se ci pensiamo bene anche nel 600 c’era un pensiero razionalista e
anti-religioso che si stava diffondendo in Europa. Tale pensiero ha gettato i semi della
catastrofe che ci stiamo ritrovando ad affrontare”.
Questo pensiero risale ancora a più indietro: era un pensiero già seminato nel 500 da
Lutero, Calvino… e, ancora più indietro, addirittura affondano lo sguardo nel pieno
Medioevo.
In questo modo, tirano fuori una storia anche abbastanza rocambolesca che ancora oggi
ritroviamo al centro di molte narrazioni cinematografiche piuttosto fantasiose: la storia dei
templari. I templari avrebbero rotto con la monarchia nel corso del Basso Medioevo,
sarebbero stati sciolti dalla monarchia ma non si sarebbero arresi nel corso dei secoli ma si
sarebbero alleati con i protestanti, gli scienziati, i calvinisti, gli illuministi e i massoni per
arrivare a vendicarsi durante la Rivoluzione.
Questa teoria comincia ad assegnare a Cagliostro un posto privilegiato: “tu sei l’ultimo dei
massoni e l’ultimo dei templari”. È una teoria che prende sempre più piede, infatti a metà
degli anni 90 un abate di nome Augustin Barruel la mette insieme in un’opera intitolata
“Storia del giacobinismo” → i giacobini erano i rivoluzionari radicali francesi. Nella “Storia del
giacobinismo” descrive quelle che secondo lui sono le radici del giacobinismo: le radici del
giacobinismo stanno nel complotto plurisecolare e Cagliostro non è altro che l’ultimo
protagonista del complotto.
La condanna definitiva nei confronti di Cagliostro, che si ostina a dire “io non sono Giuseppe
Balsamo”, viene pronunciata nell’aprile del 1791. In quel momento si decide anche che
Cagliostro deve essere trasferito nella prigione di San Leo, dove tenta di scappare varie
volte, dove dice continuamente di avere fame e di aver bisogno di un confessore per
pentirsi. Nel momento in cui questi arriva, Cagliostro avvicina la bocca al suo orecchio e
approfitta per mordergli il collo.
Quando è in prigione, cominciano a circolare delle voci abbastanza ossessive. Secondo
alcune di queste voci, gli emissari del nuovo governo rivoluzionario francese sarebbero
arrivati in Italia e comincerebbero a girare misteriosamente e in incognito intorno alla
prigione di San Leo per cercare di liberarlo e portarlo via in una mongolfiera.
Quello che ci interessa è che qualche settimana dopo la condanna, l'Inquisizione decide di
fare una cosa che non aveva mai fatto prima nella sua storia: nel corso del 500,
l’Inquisizione si era ri-sistemata dandosi un’organizzazione molto rigida che faceva capo alla
Congregazione del Sant'uffizio. L’Inquisizione aveva una procedura fondata sul segreto, cioè
gli imputati non avevano alcuna possibilità concreta di difendersi dinanzi al giudice
inquisitoriale e quando arrivava la sentenza finale, l’Inquisizione si limitava a dire al popolo
(considerato ancora come pubblico, platea) “sentite, questo ha commesso questo peccato,
si è pentito o non, ha pronunciato l'abiura o non, lo condanniamo in questo modo”, cioè si
limitava a dare delle sue procedure un racconto sintetico, strettissimo, lineare, privo di
qualsiasi forma di controversia, quindi evitava di far nascere qualsiasi tipo di dubbio nel
pubblico→ chi leggeva una sentenza inquisitoriale pubblicata, aveva una storia brevissima
sviluppata in poche pagine (circa 4-5, 10 nel peggiore dei casi) in cui c’era un criminale che
aveva commesso un criminale, un pentimento e una punizione.
Dopo il processo a Cagliostro, l’Inquisizione decide di pubblicare un trattato di oltre 200
pagine intitolato “Compendio della vita, delle gesta, dei crimini di Giuseppe Balsamo
meglio conosciuto come Conte di Cagliostro”. In questo trattato c’è la ricostruzione
dettagliata di tutto il processo, con tutte le contraddizioni che ne avevano fatto parte; quindi,
c’è la versione di chi riteneva che lui fosse Giuseppe Balsamo, criminale palermitano,
capace di creare sconquassi in tutta la Sicilia e attraversare mezza Europa e la versione
dello stesso Cagliostro, secondo cui non è Giuseppe Balsamo ma figlio di una famiglia
nobile, abbandonato all’età di 3 anni e cresciuto con un precettore con cui ha girato mezza
Europa.
Dunque, ci sono 2 versioni dei fatti completamente contrastanti, che iniziano a scontrarsi
nello spazio pubblico e che generano nell’opinione pubblica un disorientamento enorme.

Perché l’Inquisizione decide di spiattellare al pubblico di tutta Europa (visto che poi,
nel giro di poche settimane,il trattato viene anche tradotto) tutte le asimmetrie di un
processo così complesso che aveva portato alla condanna un personaggio come
Cagliostro?
L’Inquisizione decide di farlo perché si rende conto dell’ormai raggiunta inefficacia del suo
modo di comunicare precedente, cioè la semplice pubblicazione sintetica della condanna
non avrebbe funzionato perché nessuno ci avrebbe creduto ma tutti si sarebbero posti nella
posizione di cercare altre verità e altri aspetti della vicenda→ è un'Inquisizione che non ha
più, insieme alla Chiesa, la pretesa di poter controllare l’opinione pubblica dall’alto
immettendo tra il pubblico europeo dei messaggi totalmente lineari che si pretendeva
avessero un ruolo integralmente pedagogico ma è un’Inquisizione che capisce che
l’opinione pubblica, nell’epoca della Rivoluzione, va sfidata. Quindi, bisogna partire dal
presupposto che ci sono già altre cose che le persone pensano su qualcuno e che bisogna
convincerli del contrario. È come se uno dicesse: “”stiamo facendo una guerra.. cosa
facciamo? Raccontiamo alle persone una sola versione dei fatti o mettiamo insieme diverse
versioni, facendo in modo che le persone possano costruirsi una loro opinione sulla base di
racconti che sono in competizione tra loro?”. Nel 1789, l’Inquisizione si rassegna al fatto che
non ci può essere una sola visione della storia, che un messaggio integralmente pedagogico
e orientato in un’unica direzione sulla figura di Cagliostro non è possibile. Perciò, bisogna
offrire al pubblico una visione complessa delle cose che soddisfi la curiosità dilagante, che
attraversa i pubblici europei intorno alla figura del singolo personaggio.
In ultima analisi, quale idea si cerca di far transitare alla fine? Cercano di far transitare l’idea
della teoria del complotto, cioè cercano di far transitare l’idea secondo cui Cagliostro non è
un semplice criminale come tanti altri, ma possiede in sé un potere enorme messo
integralmente al servizio del male. Il male per la Chiesa è stare dalla parte della Rivoluzione.

Considerazione fatta in aula


Le storie letterarie molto spesso si incrociano, almeno in maniera parziale, con la volontà di
costruire una conoscenza storica. Le storie letterarie hanno a che fare con gli eroi, che si
ritengono tale per aver compiuto imprese teoricamente riproducibili ma non facilmente, che
sono improbabili ma non impossibili. L’eroismo quindi ha a che fare con lo straordinario, con
l’epica (l’epica è il linguaggio dello straordinario e dell’eroismo).
Cagliostro diventa un personaggio letterario dotato di un potere enorme, capace di generare
racconti per 2 secoli. Circa due/tre anni fa, è stata prodotta dalla Rai una serie televisiva
intitolata “La porta rossa” che ha come protagonista Lino Guanciale. “La porta rossa” è una
detective story, ma ha una particolarità: nella prima puntata, l’investigatore (colui che
dovrebbe fare il poliziotto che scopre gli assassini) viene assassinato. Ma, comunque,
rimane in vita come spirito, fantasma, stando accanto agli altri protagonisti con lo scopo di
trovare il suo vero assassino
Lino Guanciale interpreta un personaggio che si chiama Cagliostro, sospeso tra la vita e la
morte.
L’autore di questa fiction è Carlo Lucarelli, uno dei più importanti e attivi autori di gialli e
sceneggiature televisive in Italia.

Però, quello che dobbiamo capire è che le mitografie hanno una radice e quando si parla di
“radici delle mitografie”, bisogna anche capire chi ha gettato i semi per costruire quelle radici
e poi l’albero intero che diventa sempre più grande e forte e che sviluppa i rami→
MITOGRAFIE= ALBERI CHE SVILUPPANO RAMI.
Chi ha gettato i semi per questi alberi?
Quando ci troviamo dinanzi a personaggi eroici ed epici, attribuiamo loro la capacità di
produrre nelle loro vite degli effetti che andrebbero al di là delle capacità di un normale
essere umano.Nel caso specifico di alcuni personaggi che sono legati a grandi eventi e
traumi storici, noi tendiamo a chiudere nella biografia individuale o limitata di un piccolo
gruppo effetti enormi su intere società, su intere civiltà e su interi sistemi politici.
Va da sé che, parlando di “Rivoluzione francese", ci troviamo di fronte ad un trauma enorme
che è stato generato da squilibri di carattere politico, economico,culturale, religioso,
questioni riguardanti la destrutturazione dell’immagine della monarchia, la perdita di fiducia
da parte del popolo francese in chi lo guida o chi dovrebbe guidarlo, crisi di
approvvigionamento, mancanza di grano, di pane, incapacità da parte del sovrano di
risolvere alle esigenze di un intero paese… quindi processi lentissimi, ampi, collettivi, che
coinvolgono milioni di persone.
La teoria del complotto, che la Chiesa di Roma mette in circolazione tra il 1789 e il 1791
(quando Cagliostro viene condannato), invece tende a trasferire le responsabilità di un
trauma storico così grande su una singola persona o su un gruppo molto ristretto che si
ritiene abbiano il potere di influenzare con la loro parola, il loro gesto, la loro iniziativa milioni
di altre persone. È quasi come se, attraverso la teoria del complotto,si tendesse a
semplificare in maniera estrema la percezione di un trauma che, in caso contrario,
richiederebbe un enorme sforzo cognitivo.
Però il trasferimento dal collettivo all’individuale, della teoria del complotto, è un
trasferimento che avrebbe come obiettivo quello di dare la colpa ad un singolo personaggio.
L’effetto però è molto molto paradossale, contrario, a quello sperato dalla Chiesa:si era
pensato di scaricare le colpe, le responsabilità di un trauma epocale su una singola persona;
in realtà, però, implicitamente e inconsapevolmente riconosce a quella stessa persona un
potere enorme, gli dà delle capacità straordinarie che hanno letterariamente un potenziale
enorme. È come se la Chiesa dicesse che Cagliostro non è un essere umano come gli altri
ma è uno che è stato in grado di creare uno sconquasso enorme e far saltare in aria un
sistema che stava in piedi da secoli. La Chiesa lo dice per condannarlo ma ottiene l’effetto
opposto, perché tutti quelli che leggono la storia che la Chiesa pubblica pensano “wow è
riuscito a fare tutto ciò”. Quindi il paradigma che sarebbe dovuto essere denigratorio, diventa
celebrativo.
Se leggiamo i romanzi di Dumas, che vengono pensati e sviluppati 40-45 anni dopo la
condanna ecclesiastica, ci rendiamo conto che Dumas di Cagliostro dice esattamente la
stessa cosa ma con intenti opposti.
La chiave è cercare anche di capire come i linguaggi letterari e le mitografie vanno
interpretati: la Chiesa voleva condannare ma finisce involontariamente per celebrare→vuole
condannare in maniera aperta, quindi rinnegando se stessa, facendo una cosa che prima
non aveva mai fatto e sfidando l’opinione pubblica. Però, senza volerlo, dà all’opinione
pubblica tutti gli elementi necessari per iniziare a costruire il mito.
L’elemento straordinariamente evidente è la vicinanza tra il racconto di Cagliostro che
l’Inquisizione offre al pubblico e la ricostruzione romanzesca che ne fa 45 anni dopo. Quindi,
Dumas è uno di quelli che guadagna grazie al mito di Cagliostro, ma quel mito è nato nella
penna e nelle carte di coloro che lo volevano morto. Questo è uno dei portati più pesanti
della rottura rivoluzionaria di fine 700 e della caduta dell’Antico Regime.
Le opinioni pubbliche ormai esplodono, non si controllano più e la Rivoluzione era stata il
risultato di un enorme impulso partecipativo che attraversava la società francese e rende
condivisa un’idea di base: noi abbiamo il diritto di essere rappresentati e dire la nostra. Ad
un certo punto, i rappresentanti del terzo stato raccolgono i quaderni delle doglianze
dell’intera società francese. I quaderni delle doglianze vengono prodotti nelle singole
comunità, quindi in ogni singola comunità c’è una piccola assemblea che lascia memoria
scritta di tutte le cose che non vanno bene. Tali cose vengono portate nell’Assemblea
nazionale e al cospetto del re.
Quando il rapporto tra i rappresentanti del governo rivoluzionario e il re precipitano, il re
viene ammazzato, condannato a morte. Dietro il re, viene condannata a morte anche Maria
Antonietta.
Su Maria Antonietta circolano molte leggende. Una di queste, quella più significativa,
riguarda una frase che lei avrebbe pronunciato di fronte a dei rappresentanti del governo
che le dicevano “sua maestà il popolo ha fame, che facciamo?” e lei avrebbe risposto
“dategli da mangiare delle brioches”.
Tale leggenda dimostra il totale distacco, l’indifferenza della corona rispetto ai bisogni del
popolo. Questo, però, ci dice molto sul funzionamento delle opinioni pubbliche in Antico
Regime e come si evolvono dall’inizio dell’età moderna fino alla fine.
Anche il capovolgimento di prospettiva che interessa un personaggio celebre come
Cagliostro è tipico di quell’energia che attraversa l’opinione pubblica; l’energia è l’elemento
che porta a capovolgere dei paradigmi che si ritengono essere non capovolgibili, intoccabili.
L'Inquisizione è fiduciosa nel fatto di poter affermare un’idea ed è fiduciosa nel fatto che
quest’idea possa diventare condivisa. Ma, in realtà, diventa condivisa con dei risvolti
totalmente opposti a quelli desiderati: Cagliostro viene etichettato come il protagonista di tutti
i mali possibili; così facendo però, per lo stesso potere che gli è stato conferito, diventa
l’artefice di un cambiamento epocale.
Probabilmente Cagliostro era un tizio che andava semplicemente alla ricerca di una
notorietà e un benessere che lui non poteva avere nella sua vita.

Altra curiosità molto significativa


L’avventuriero è una figura molto molto forte nel corso dell’Antico Regime e lo diventa
ancora di più nel corso del 700. L’avventuriero, in quanto tale, è colui che va alla ricerca di
fortuna e viene da una nascita che non gli ha dato quella fortuna.
Chi è che, insieme a Cagliostro, è stato uno dei più grandi avventurieri alla fine del 700?
Parliamo di un venziano di nome Giacomo Casanova. Quando oggi si dice “sei un
Casanova”, si vuole dire “sei un cascamorto”. Giacomo Casanova, però, diventa famoso non
durante la sua vita ma nella parte finale, quando decide di pubblicare le sue memorie
pubblicate prima in lingua francese: “La storia della mia vita”, nel bel mezzo della
Rivoluzione francese. Casanova provava nostalgia per il mondo che era caduto prima e
ritiene che la Rivoluzione francese sia simbolo di decadenza.
Si dà il caso che, alla fine e nel pieno del 700, tutti gli avventurieri incredibilmente nelle loro
storie dicono sempre di essersi incontrati. Ma, com'è possibile che in un continente come
l’Europa, caratterizzato da città molto grandi, riescano sempre ad incontrarsi? Tutto ciò un
pò ci fa dubitare di quello che gli avventurieri dicono di sé stessi e dei loro colleghi.
Casanova dice di aver incontrato per due volte Cagliostro e di essere stato affascinato da
sua moglie, che era bella e seducente. Descrive Cagliostro come un imbroglione e un
volgare impostore.
Il nodo, però, è che Casanova scrive la sua memoria quindi la sua ricostruzione dell'incontro
con Cagliostro dopo la pubblicazione del proceso da parte dell'Inquisizione. In quello che
scrive nella sua memoria, è sospettosamente vicino a quello che dice l’Inquisizione.
Dunque, abbiamo anche degli elementi sufficienti per pensare o sospettare che in realtà
Casanova non abbia mai incontrato Cagliostro e che cerchi di costruire la sua importanza e
la sua reputazione su un incontro immaginario con un Cagliostro che è quello raccontato
dall’Inquisizione.

Altro particolare che ci induce a riflettere


Gli avventurieri parlano tutti gli uni degli altri. Il fatto che gli avventurieri di fine 700 parlano
tutti di Cagliostro è quasi matematico, cioè nessuno lo ignora, tutti sono concentrati su di lui
e vogliono nel loro scritto dire “io ho incontrato Cagliostro”. Però, la cosa straordinariamente
curiosa è che nessun avventuriero di fine 700 dice mai di aver incontrato Casanova→
Casanova è una specie di fantasma nel mondo degli avventurieri, lui ha incontrato tutti ma
nessuno ha incontrato lui…. chissà perché.

13 APRILE
● Perché la storia di Cagliostro ci offre l’opportunità per leggere la Rivoluzione
francese, la fine dell’Antico Regime, il tramonto di un’intera epoca e di un intero
sistema politico?
● Com'è che questo sistema politico è arrivato al collasso?

Connessione tra il caso Cagliostro e la Rivoluzione


È importante capire quali sono state le grandi domande che gli storici hanno posto negli
ultimi decenni alla Rivoluzione francese.
Abbiamo visto che, alla vigilia della Rivoluzione, la società inizia a destrutturarsi, la Francia
attraversa una crisi profonda (in ambito economico,sociale), ci sono crisi di
approvvigionamento quindi difficoltà a trovare grano e pane. Di conseguenza, una larga
parte della popolazione che davvero viveva un dramma profondo ha accesso ai beni primari
estremamente limitato, un accesso ancora più limitato alle vita delle grandi città che
offrivano opportunità di impiego e di lavoro.
L’INTERO PAESE È PARALIZZATO.
La crisi economica si affianca ad una crisi di carattere politico e culturale. Ciò nonostante,
quello che direbbe uno storico minimamente assennato è che non basta una crisi di questa
portata per giustificare la paralisi e il collasso dell’Antico Regime. L’età moderna, per come
l’abbiamo vista, studiata e per come siamo stati abituati a pensarla dai manuali, è un’epoca
di continue crisi, ricorrenti difficoltà di approvvigionamento, epidemie, guerre, carestie.
Parlando del primo 600 (la terza delle sei scatole in cui dividiamo l’età moderna), abbiamo
visto che quel tipo di tornante fosse un tornante particolarmente drammatico per tutta la vita
d’Europa e come quei diversi fattori andassero a coincidere e contribuire ad una paralisi
sociale di difficilissima soluzione: pesti, fame, carestie, guerre… l’unione di tutti questi
elementi creava difficoltà enormi. Ciò nonostante, nella prima metà del 600 e non in tutta
Europa, non siamo arrivati a partorire le ragioni necessarie e sufficienti a far collassare
l'intero sistema politico. Questo, invece, avviene in Francia a fine 700, durante la
Rivoluzione. La domanda è quindi: perché ci si arriva a fine 700? Questa è la grande
domanda che gli studiosi hanno posto all’intera comunità scientifica ed è la domanda verso
cui si sono indirizzate le ricerche degli ultimi decenni per trovare una soluzione. Si è anche
esplorato, con un pizzico di teleologismo (= con un pizzico di analisi del prima con la
coscienza di quello che è avvenuto dopo), quali sono le ragioni profonde che hanno portato
la Francia pre-rivoluzionaria a trasformare il suo tessuto genetico profondo. Molti storici
hanno trovato le ragioni di questa trasformazione all’interno del mondo della cultura, del
mondo della comunicazione e, nello specifico, all’interno del mondo dei mezzi di
comunicazione. Ci si è interrogati, quindi, sulla trasformazione dell’ecosistema comunicativo
della Francia e dell’intera Europa di Antico Regime. Abbiamo iniziato a chiederci
● come sia possibile che l’immagine del potere monarchico sia così radicalmente
cambiata agli occhi dei francesi e agli occhi degli europei?
● come sia possibile che quell’immagine del potere monarchico si sia lesa, facendo
emergere delle ferite profonde e dando vita a dei racconti, ricostruzioni di carattere
giornalistico, a delle rappresentazioni attraverso la pittura, i disegni, i giornali, i libri, i
testi occasionali? Cioè, come è possibile che la monarchia abbia dato vita a delle
rappresentazioni che la vedevano in grosse difficoltà e lesa nella sua sacralità?
Fino a quegli anni, il potere costituito si riteneva inattaccabile, sacro, forte, non passibile
di critiche profonde sviluppate nel corpo sociale; al re si obbediva, non si criticava, la
famiglia reale era qualcosa di sacro, intangibile, non poteva essere oggetto di discorsi
denigratori, di scherno e di scandali. Invece, nel corso del 700, questi discorsi denigratori,
scandalistici e incentrati sullo scherno cominciano a nascere, svilupparsi e diffondersi nella
società.

Perché è importante il caso Cagliostro?


Il caso Cagliostro è importante perché ci permette di indagare alcuni momenti chiave della
parabola Settecentesca delle monarchie europee e della monarchia francese, in particolare,
e riusciamo ad individuare i momenti di crisi più profonda di quella sacralità, inattaccabilità e
forza monarchica che si era mantenuta integra fino ai decenni precedenti.
Ritornando allo scabroso affare della collana della regina Maria Antonietta: siamo nel 1785,
quindi in un’epoca attraversata da tensioni sociali fortissime, profonde crisi di
approvvigionamento, difficoltà nella gestione dell’economia del paese e dei sentimenti delle
fasce più basse e umili della popolazioni che vogliono pane, grano, beni materiali e potersi
sfamare. In una situazione del genere, il paese è toccato da uno scandalo che interessa
direttamente la corona e la famiglia reale. Tra le altre cose, lo scandalo mette in gioco la
presunta preferenza della regina Maria Antonietta per oggetti di valore inestimabile, vale a
dire una collana fatta interamente di diamanti che costava secondo la valuta del tempo circa
1500 lire francesi, una cifra altissima probabilmente irraggiungibile anche per le tasche della
famiglia reale.
Lo scandalo della collana, indipendentemente da quello che la regina possa aver realmente
desiderato, rendeva plausibile agli occhi dei francesi che la regina- in un periodo difficile per
il paese- avesse al centro dei suoi pensieri il desiderio di impossessarsi di un gioiello così
prezioso.

Ritornando ai protagonisti
Tra i protagonisti, troviamo Madame de la Motte: una nobildonna che in realtà non era
effettivamente tale,ma era nata in condizioni di miseria e grazie ad un matrimonio con un
militare molto in vista riesce ad acquisire un titolo nobiliare (in Antico Regime i titoli nobiliari,
grazie a delle operazioni acrobatiche e spericolate, si possono anche acquisire). Madame de
la Motte conosce i due gioiellieri che hanno prodotto la collana e che sono disposti a tutto
pur di venderla. Decide di cogliere l'occasione per iniziare a intessere i rapporti all’interno
della corte di Francia per conquistarsi anche un'importanza che fino a quel momento non
aveva avuto.
ll primo personaggio che si approssima a lei è il cardinale di Rohan: gode di tantissimo
prestigio ma vorrebbe a sua volta avvicinarsi di più alla corte, alla famiglia reale e entrare
nelle grazie della regina. Madame de la Motte, secondo alcune delle ricostruzioni più
accreditate, fa credere al cardinale di Rohan che la regina sia interessata all’acquisto di quel
gioiello e di potersi fare mediatore di questo acquisto.
Perché la regina avrebbe bisogno di un mediatore? Perché sarebbe stato sconveniente,
pericoloso e per certi versi compromettente, che quella collana era al centro dei suoi
desideri; quindi, l’acquisto doveva avvenire nell’ombra, senza pagamenti diretti dell’intera
cifra e il cardinale doveva farsi garante presso i gioiellieri affinché loro cedessero la collana e
ricevessero pian piano la grande cifra.

In conclusione, abbiamo vari protagonisti: Madame de la Motte, il cardinale de Rohan e più o


meno indirettamente la regina Maria Antonietta e il re.

La situazione ad un certo punto precipita perché i gioiellieri, nonostante le garanzie ricevute


dal cardinale, si rendono conto che non riceveranno mai quel pagamento ma di essere stati
vittime di un raggiro. Nel frattempo, la collana finisce nelle mani di Madame de la Motte che
l’avrebbe ceduta al marito che, a sua volta, l’avrebbe portata fuori dal territorio francese,
l’avrebbe smembrata e avrebbe venduto ad uno ad uno i diamanti di cui era fatta la collana
sul mercato nero inglese.
Rendendosi conto che la situazione stava per precipitare e che l’imbroglio stava per essere
scoperto, Madame de la Motte decide di giocarsi l’ultima carta che ha un nome: Cagliostro.
In quei mesi, Cagliostro era arrivato a Parigi dove aveva preso un appartamento nelle zone
più ricche di Parigi, riceva ospiti, organizzava cene sontuose e metteva in scena i suoi giochi
di prestigio che avevano incantato l’intera Europa. Madame de la Motte tirò Cagliostro
all’interno di questo scandalo, accusandolo di aver illuso gli altri protagonisti, di averli
raggirati con le sue capacità oratorie e le sue arti illusionistiche e di essersi impossessato
della collana, vendendola al suo mercato nero … quindi accusa Cagliostro per poter
scagionare il marito.

Aspetto della vicenda che più dovrebbe interessarci


Aldilà della ricostruzione dello scandalo, l’aspetto della vicenda che più dovrebbe
interessarci sta nella sua mediatizzazione, cioè il processo che nacque dopo lo scoppio
dello scandalo della collana non ci interessa in quanto tale ma per come fu raccontato ai
francesi e all’intera Europa→ nel corso del 1785, si parla ovunque di quello che sta
avvenendo a Parigi intorno alla corte di Francia.
Come abbiamo visto, in Antico Regime, un processo raccontato al popolo dava vita a
meccanismi comunicativi molto semplici e lineari: si individuava un crimine, la sicura di un
criminale e si tracciava il suo profilo e si comunicava al popolo come il criminale era stato
punito per il suo crimine→ in altre parole: il racconto di giustizia rispondeva a esigenze
stabilizzanti per il potere costituito. Attraverso il racconto di giustizia, chi comandava,
deteneva l’autorità ed era al potere, cercava di rassicurare i sudditi sulla sua capacità di
punire il crimine e il criminale e ristabilire l’ordine che era stato leso.
Questo significa che il racconto di giustizia aveva una funzione pedagogica, molto molto
forte.
Nel corso del 700, questo meccanismo si intacca, viene a crollare, perché quando c’è un
processo non ci si limita più a raccontare le peripezie del criminale, il crimine, la punizione e
il ristabilimento dell’ordine ma si innescano altre dinamiche per le quali i singoli protagonisti, i
singoli imputati, non si accontentano di difendersi dentro il tribunale, dentro la corte di
giustizia di fronte al potere costituito ma cominciano a diffondere la loro versione dei fatti al
popolo.
Questa è la stessa cosa che accade con lo scandalo della collana, dove gli imputati sono:
Madame de la Motte, il cardinale de Rohan, Cagliostro e Mademoiselle d’Olivas (che era
stata coinvolta nello scandalo perché, secondo alcune ricostruzioni, era stata ingaggiata per
impersonare addirittura la regina Maria Antonietta in un incontro notturno con il cardinale e
rassicurarlo dicendogli di procedere). Ciascuno degli imputati comincia a produrre delle
memorie che non vengono soltanto pronunciate in tribunale ma vengono stampate,
distribuite nella città di Parigi, cominciano ad essere copiate sulle gazzette e ad essere
tradotte in altre lingue→ nel giro di poche settimane, le memorie diventano PATRIMONIO
COMUNE DI TUTTI GLI EUROPEI e iniziano a diventare oggetto di dibattito per tutti gli
europei, cioè tutti gli europei conoscono Madame de la Motte, il cardinale, ecc e si
interrogano sul ruolo che avrebbero giocato nello scandalo della collana della regina. Quindi,
si rompe il meccanismo di linearità e segretezza che caratterizza l’affare di giustizia che,
invece, diventa patrimonio di tutti, ognuno vuole dire qualcosa, ognuno ha il suo personaggio
preferito, ognuno ritiene che quello è innocente e l’altro è colpevole → c’è chi parteggia per
Madame de la Motte, chi per Cagliostro.
Queste memorie, stampate, addirittura diventano oggetti molto molto ricercati sul mercato
editoriale, quasi diventano degli oggetti di culto che le persone iniziano a voler comprare a
tutti i costi. Talvolta, addirittura, non essendoci abbastanza copie disponibili si innescano
delle aste per impossessarsi di almeno una copia di queste memorie. Perchè? Perché si
riteneva che queste memorie contenessero notizie preziose, parole preziose,
rappresentazioni preziose per poter capire meglio quello che sta avvenendo dentro l’affare
della collana.
Per certi versi, tutti questi meccanismi ci ricordano quello che avviene anche oggi intorno
alla corona inglese, perché anche in questo caso c’è un gioco di pettegolezzi, sotterfugi,
fughe di notizie, gossip; quindi c’è un interesse enorme intorno a quello che avviene in una
famiglia, anche se per un evento che ha una dimensione spiccatamente pubblica.
Tutto questo interesse pubblico, nel 700, non era consueto ma lo diventa solo nel corso del
secolo. Quindi, tutto quello che avviene intorno all’affare della collana è qualcosa che ha un
carattere profondamente inedito: le cose non sarebbero dovute andare così, principalmente
per la corona di Francia.

È possibile che la corona con tutto questo scandalo c’entrasse ben poco? È plausibile
che c’entrasse ben poco e che lo scandalo fosse stato generato semplicemente dalla
spregiudicatezza, dalla volontà di arricchirsi e dalla volontà di impossessarsi del gioiello di
Madame de la Motte per lasciarlo vendere a qualcun’altro.
È possibile anche che il cardinale di Rohan e Cagliostro avessero delle mire sulla collana.
Ma, da un punto di vista storiografico, questi aspetti sono relativamente secondari. Ad
acquisire, invece, un’importanza primaria è un altro aspetto che riguarda l’evoluzione
dell’immagine della famiglia reale e della corona in una circostanza così delicata come
quella degli anni 80 del 700.
Indipendentemente dalla differenza profonda tra le diverse posizioni di Madame de la Motte,
il cardinale di Rohan e Cagliostro, c’è un’idea comune che emerge dalle loro memorie e
versione dei fatti. Quest’idea è fondata sul fatto che il desiderio della regina sia un desiderio
plausibile, cioè poteva accadere che la regina potesse concentrare le sue attenzioni
sull'acquisizione di un gioiello così prezioso ma inutile in un momento delicato per il suo
paese. ANZICHÈ PENSARE A SFAMARE IL POPOLO HA PENSATO AD INDOSSARE LA
COSA PIÙ PREZIOSA CHE SI POTESSE INDOSSARE.
Quest’idea è un’idea che transita, circola nello spazio pubblico negli anni 80 del 700 in
Francia e che comincia ad essere condivisa, intaccando in maniera profonda l’immagine
della corona stessa e la fiducia che i francesi hanno nella corona e, più in generale, riesce
ad intaccare in maniera profonda la fiducia che gli europei hanno nei loro governanti perché
la monarchia francese è sì unica, ma copre anche un ruolo simbolico e paradigmatico per gli
equilibri dell’intero continente. Perciò, perdere fiducia in una dinastia così prestigiosa e
importante come quella francese significa legittimamente perdere fiducia nei governanti, nei
poteri legittimi, poter guardare alla loro azione come un’azione non finalizzata alla ricerca
della felicità dei sudditi ma come un’azione finalizzata alla ricerca dell’arricchimento
personale.
Questi passaggi, per quanto delicati, sono passaggi che devono essere compresi. Solo
comprendendoli bene, possiamo arrivare a capire come tra il 1792 e il 1793- dopo la prima
fase della Rivoluzione francese- si arrivi a un processo inventato ai danni di Luigi XVI di
Borbone e sua moglie Maria Antonietta per tradimento nei confronti della nazione francese.
Perché parliamo di “nazione francese”? Perché il popolo ha cominciato a pensare se stesso
in maniera diversa: non più come corpo di sudditi, destinati ad obbedire e rispettare chi
regna ma comincia a pensarsi come corpo di cittadini che, nella loro individualità e
dimensione collettiva, sono padroni del proprio destino, devono decidere sul destino della
nazione. Cominciano a capire di avere un destino comune e che questo destino comune
risiede nella loro decisione→ sono loro a prendere le decisioni importanti per farlo sviluppare
e portarlo verso determinati esiti.
Non è un caso che, nel 1789, fu pubblicata una Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del
cittadino.

Ruolo che aveva avuto il popolo già prima della rottura del 1789, in
occasione dei scandali giudiziari che avevano visto coinvolti degli
imputati e, insieme a questi, l’intero popolo
Nei momenti più delicati della sua esistenza, in cui è costretto a sottoporsi al giudizio di un
tribunale, Cagliostro comincia a far circolare clandestinamente delle lettere che
probabilmente scrive lui in prima persona e che indirizza al popolo; in Inghilterra aveva fatto
circolare una lettera al popolo inglese, in Francia aveva fatto circolare una lettera al popolo
francese… in realtà, però, con queste lettere Cagliostro parla ai popoli europei e chiede
giustizia al popolo, non all’autorità del monarca; è agli occhi del popolo che si ritrae come
una vittima degli abusi dell’autorità, come una persona bisognosa di aiuto e non agli occhi
del potere costituito. Questo è un aspetto cruciale perché ci permette di comprendere come
intorno ad un personaggio come Cagliostro l’opinione pubblica cominci a muoversi,
sviluppando dissenso, consenso,assenso, supporto, denigrazione o celebrazione. Quindi,
l’opinione pubblica si muove intorno a questi personaggi e comincia a decidere di se stessa
e del destino della collettività.
Allora quando noi leggiamo della Rivoluzione francese sui manuali, cerchiamo sempre di
decifrare i messaggi che ci vengono dati alla luce di quello che era avvenuto prima della
Rivoluzione francese. Secondo uno dei più importanti storici della Rivoluzione francese,
Michel Vovelle, la Rivoluzione francese è stata innanzitutto un grande luogo di
apprendistato della politica: in questi 10 anni rivoluzionari (dal 1789 al 1799), i francesi e
con loro i popoli europei avrebbero imparato a capire che cos'è la politica, il dibattito e il
confronto politico. Lo avrebbero fatto anche attraverso l’uso della violenza, anche
affrontando momenti di gravissima repressione→ dal 1793 in poi, nel mondo rivoluzionario,
si parla di “terrore” e “governo del terrore”, quindi repressione del dissenso attraverso l’uso
della violenza. A sua volta, però, anche il governo del terrore sarebbe stato a sua volta
sottoposto ad un giudizio popolare e quindi ad un’evoluzione diversa che era pronta a
rileggere di volta in volta alcuni paradigmi, ri-applicarli e dunque a sottoporli ad una revisione
profonda.

È importante comprendere quanto questi passaggi siano delicati e che l’osservazione del prima
si accompagni sempre all’osservazione del dopo → i meccanismi di Antico Regime si destrutturano
ancor prima dello scoppio della Rivoluzione del 1789. Scandali come quello in cui è
coinvolto Cagliostro, cioè lo scandalo della collana della regina, contribuiscono a mutare la
struttura genetica, il DNA, il tessuto profondo della società francese prima della Rivoluzione.

La figura di Napoleone
Anche la figura di Napoleone merita una considerazione che però non è stretta all’interno del
contesto rivoluzionario, ma è più ampia.
Napoleone è un borghese, non un nobile, proviene dalla Corsica: una regione che -alla fine
del 700- aveva addirittura rivendicato una sua autonomia nei confronti della Francia e del
potere monarchico francese. Riesce a farsi strada all’interno del contesto rivoluzionario
grazie alle sue doti militari; però, anche queste sono doti che gli permettono di avere una
visibilità agli occhi dell’opinione pubblica e quindi,in ultima analisi, agli occhi occhi del
popolo.

Chi è che in Antico Regime occupava i ruoli radicali all’interno dei quadri gerarchici
dell’esercito? Coloro che erano nati all’interno di famiglie nobili, aristocratiche.
L’esercito era lo specchio delle aristocrazie e delle élites; quindi, chi ricopriva un ruolo
importante nelle aristocrazie e nelle élites, ricopriva quasi automaticamente un ruolo
altrettanto importante nei quadri gerarchici dell’esercito.
Nel corso della Rivoluzione, anche l’organizzazione dei quadri militari cambia in maniera
radicale perché andare ad occupare un ruolo importante in un esercito rivoluzionario,
significa avere avuto dei meriti, aver avuto la capacità di mettersi in luce, dimostrando sul
campo le proprie abilità e perciò avere la ricompensa per l'esercizio di quelle abilità→
ancora una volta vediamo che al centro vengono messe le doti personali, l'intraprendenza, la
capacità di mettersi in luce e lo sguardo dell’opinione pubblica e del popolo.
Napoleone non nasce già generale, ma lo diventa; non nasce capo militare ma lo diventa.
Diventando capo militare, ottiene quella visibilità e quel potere politico necessario per
affermarsi nel mondo francese e portare sul quadro più generale della gestione e del
governo della nazione le doti acquisite nel mondo militare.

Come fa Napoleone a diventare capo militare?


Napoleone diventa capo militare in virtù delle capacità che mostra all’interno dell’esercito.
Oggi potrebbe sembrare una cosa scontatissima, cioè che all'interno dell’esercito a farsi
spazio sono quelli più bravi, quelli che mostrano di avere più coraggio e doti migliori; nel
corso dell’Antico Regime, invece, le cose non stavano affatto così perché l’esercito era lo
specchio quasi perfetto delle gerarchie sociali che c’erano fuori dall’esercito. In altre parole:
a ricoprire un ruolo importante nell’esercito (oggi diremmo i leadership) erano coloro che
godevano di privilegi già nella loro vita altra. La Rivoluzione, invece, cambia le carte in tavola
e fa in modo che anche l’esercito diventi un’entità mobile, fluida, in cui può farsi spazio
anche uno come Napoleone che è un borghese e che viene da una zona periferica della
Francia, da una parte di società che non era destinata ad un bel niente ma alla subalternità
rispetto alle élites di Antico Regime.

Perché allora le doti personali, l’intraprendenza e la capacità di mettersi in luce si legano


all’opinione pubblica e al popolo? Perché se tu all’interno dell’esercito ti conquisti una
posizione per quello che fai e non per quello che sai, ottieni visibilità agli occhi dell’opinione
pubblica e agli occhi del popolo. Quindi, si ottiene ampia autorevolezza di carattere politico.
Per comandare in Antico Regime, non bisogna avere autorevolezza sul piano politico, né
capacità persuasive né dimostrare di avere valore ma bisogna essere nati nella famiglia
giusta. Durante la Rivoluzione tutto ciò cambia: a farsi spazio nel mondo della politica e
dell’esercito sono persone che hanno mostrato abilità e intraprendenza particolari.

Alla luce della domanda precedente, approfittiamo per fare un’altra osservazione:
● Cagliostro si faceva chiamare il “Conto di Cagliostro”;
● Madame de la Motte acquisisce il titolo di “contessa” a seguito del matrimonio con un
militare molto in vista
Queste persone sono ancora persone di Antico Regime. Ma Cagliostro infondo era
davvero un nobile? No, era una persona che aveva acquisito notorietà grazie a delle doti
personali straordinarie che non sempre potevano essere declinate in chiave positiva. Infatti,
molto spesso, si traducevano in imbrogli, imposture, illusionismi, acrobazie.
Cagliostro, però, era a sua volta l’esaltazione di un'individualità che probabilmente non
proviene dalla giusta famiglia ma ciò nonostante riesce a imporsi all’attenzione di tutti
europei, diventa la più grande celebrità del suo tempo, uno di cui tutti gli europei parlano.
Questo per dire che la Rivoluzione destruttura certe cose e porta nuove logiche,
completamente inedite per l’Antico Regime; però, già prima della Rivoluzione, quest’ascesa
prepotente agli occhi del pubblico e dell’opinione pubblica di personaggi come Cagliostro
faceva intravedere un cambiamento profondo in atto, che mette in primo piano le doti
personali.
Quindi, possiamo dire che Cagliostro si presenta come nobile agli occhi del popolo, è il
popolo che lo definisce come “Conte di Cagliostro”. Indipendentemente dal fatto che quel
titolo sia più o meno farlocco, usurpato, quello che conta è la grande capacità di movimento
che Cagliostro ha attraverso la società europea del tempo.
Se l’Inquisizione avesse avuto ragione, Cagliostro era da identificare con un criminale
palermitano di nome Giuseppe Balsamo. Se davvero Giuseppe Balsamo fosse riuscito ad
imporsi all’attenzione di tutta Europa, considerando il luogo da cui veniva, noi avremmo
dinanzi una storia che già di per sé destruttura le dinamiche e le gerarchie di Antico Regime.

Napoleone riesce a vincere battaglie, a prendere il controllo del direttorio, a porsi


all’attenzione dei francesi e farsi proclamare imperatore. Questo ci riporta al discorso fatto
fin ora: Napoleone riesce a diventare imperatore, non perché è figlio di un imperatore, ma si
fa proclamare dai francesi come “imperatore dei francesi” e non della Francia→
CAPOVOLGIMENTO NETTO DI PROSPETTIVA.
Possiamo dire che c’è Cagliostro e Napoleone hanno qualcosa di simile, cioè nelle loro
storie c’è qualcosa che ce li fa avvicinare l’uno all’altro.

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