Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Anno: 2022/2023
1 MARZO ✅
Cosa intendiamo per storia moderna? Che periodo comprende? Con “storia moderna”
indichiamo il periodo che va dal 1492, scoperta del nuovo mondo, fino al 1815.Però questo
arco temporale che indichiamo come “storia moderna” è un’illusione ottica, è un contenitore
in cui muoverci e sviluppare delle riflessioni per muoverci nel nostro presente.
La celebrità
Se ci interroghiamo sulle origini di una celebrità, ritorniamo nel cuore dell’età moderna.
Antoine Lilti, autore di un testo intitolato “the invention of celebrity”, si è interrogato sulle
origini della celebrità, spiegando innanzitutto che cos è la celebrità.
La domanda che potrebbe sorgere è: fama, gloria, e celebrità coincidono? Lilti dice che sono
fenomeni completamente diversi tra loro perché anche in età moderna, come oggi,
esistevano persone molto molto famose ma la cui presenza all’interno dell’ecosistema
mediatico era imposta da un potere costituito, da alcune élites, o da alcune tradizioni. Ad
esempio: i sovrani, le sovrane, i papi, i santi erano noti a tutti ma essere noti non significa
essere celebri.
Quand’è che secondo Lilty si è celebri? Quando si conquista un alto grado di attenzione
grazie all’attività che si è svolta nella vita o circostanze che hanno fatto in modo che tante
persone parlassero più o meno spontaneamente di te. Quindi Mattarella non è celebre ma
una figura che conosciamo in quanto figura istituzionale. Allo stesso modo anche il papa non
è celebre ma è legato al ruolo istituzionale che svolge; la regina Elisabetta, morta pochi mesi
fa, non era celebre ma era una sovrana, una regina e l’attenzione che tutti le rivolgevano era
legata al ruolo istituzionale che ricopriva che, nel caso delle monarchie, è addirittura legato
alla nascita, al sangue che scorre nelle vene, quindi non è qualcosa che si può conquistare.
Perciò il discorso vale anche per i suoi successori cioè suo figlio, i suoi nipoti (anche se
William, figlio di re Carlo, è destinato ad essere l’erede al trono solo quando morirà il padre).
Il reale cognome di questa famiglia non era Windsor ma Hannove e il cambio è dettato dal
fatto che non si voleva più rendere esplicita l’origine tedesca al popolo britannico.
Nel caso della regina Elisabetta quindi parliamo di “notorietà” perché era legata al ruolo che
svolgeva , all’appartenenza ad una determinata dinastia e a chi avrebbe sposato.
Celebrità allora non riguarda i sovrani, i papi, i santi, e va anche distinta dalla reputazione
perché si può avere buona o cattiva reputazione nella vita. Quando si ha buona o cattiva
reputazione? Lilty afferma che si ha buona o cattiva reputazione quando coloro che hanno
esperienza o dimestichezza diretta con l’attività che svolgiamo, possono giudicare
positivamente o negativamente quello che abbiamo fatto.
Nel concreto: quand'è che un medico ha buona reputazione? Quando i suoi colleghi o i suoi
pazienti parlano bene di lui; ha, invece, cattiva reputazione quando i suoi colleghi lo
ritengono un ciarlatano e poco preparato o se i suoi pazienti dicono che sono andati da lui
che stavano male e sono tornati peggio.
Che la reputazione possa essere buona o cattiva deve farci riflettere perché non esiste né
una buona o cattiva celebrità né una buona o cattiva gloria.
Quando si è celebri? Si è celebri quando si è conosciuti anche da chi non ha un'esperienza
diretta di ciò che fai nella vita o chi non ha alcuna dimestichezza con il tuo campo d’azione
nella vita.
Nel concreto: quando un calciatore è celebre? Quando lo conoscono tutti quelli che non
hanno mai visto una partita di calcio (potremmo dire Maradona ma sarebbe un errore perché
un calciatore può essere celebre anche se in campo non è al top, se non fa cose memorabili
in campo e perché intorno a Maradona si è sviluppato un meccanismo di costruzione della
gloria che ormai non può più decadere e che ha fatto sì che verso di lui si pratichi un
qualcosa di molto simile al culto che si dedica ai santi. Balotelli ad esempio è riuscito a far
parlare di sé per altro e non per ciò che faceva in campo)
La celebrità secondo Lilty è un qualcosa di mutevole: oggi posso essere celebre, domani no
(esempio: Achille Lauro lo ricordiamo ma come se fosse un reperto storico perché
l’attenzione non è più rivolta a lui). Quindi Maradona non è una celebrità perché mai verrà
dimenticato in futuro, ma con il tempo la sua fama può solamente aumentare. Sulla base di
questo tipo di idea, Lilty torna indietro e riflette su come molti personaggi dell’età moderna
siano stati caratterizzati da una celebrità che poi si è spenta ma che ha generato un
interesse capace di stravolgere gli equilibri di un’intera cultura e il modo in cui oggi i singoli
individui percepiscono la politica, la realtà, il mondo, il sistema economico perché l’idea che
abbiamo della celebrità influenza la nostra visione della realtà.
Un ultimo esempio avvincente è il silenzio di Fedez e Chiara Ferragni intorno al loro litigio
matrimoniale che è interessante perché secondo alcuni studiosi quel silenzio era pianificato
cioè solo un modo per attirare l’attenzione su un personaggio che stava scemando. La
stessa idea che riguarda la necessità di salire sul palco di Sanremo per ribadire la sua
presenza all’eco sistema mediatico è un’idea considerata impensabile 2 o 4 anni fa perché
non solo non ne avrebbe avuto bisogno, ma avrebbe ricevuto anche dei danni. Invece ora
l’ha dovuto fare perché la capacità di suscitare interesse attraverso l’account instagram
stava vivendo un momento di abbassamento o meglio non riusciva più ad attirare
l’attenzione dei giovani. Questo era preoccupante perché significava tagliare fuori dal
pubblico una fetta di mercato potenziale mentre noi siamo i futuri consumatori.
Tutto questo discorso è importante perché “L’eroe criminale” e “Le cento vite di Cagliostro”
parlano proprio di questo cioè trattano di fenomeni simili calati nell’età moderna.
● “L’eroe criminale” ad esempio parla di uno celebre solo a Napoli, in un contesto
geo-politico molto molto limitato però i napoletani per ben 5-6 anni non facevano altro
che parlare di questo personaggio che era stato un criminale, uno che faceva parte
degli Agostiniani (si chiamava Leopoldo di San Pasquale)quindi era un membro
religioso e che ora viene coinvolto in crimini veri e propri, diventano un vero e proprio
oggetto di ossessione.
● “Le cento vite di Cagliostro”, invece, non ritraggono una celebrità solo a Napoli ma in
tutta Europa, che si faceva identificare con il nome di Conte di Cagliostro. Per ben 15
anni, gli europei si interrogarono sulla sua reale identità: secondo alcuni era un
criminale palermitano che rispondeva al nome di Giuseppe Balsamo, secondo altri
invece era qualcun’altro. Però, resta che per ben 15 anni in tutta Europa si parla
ossessivamente di lui e di tutto ciò che faceva, generando un grande interesse e
un’attività mediatica molto forte incentrata sulla sua figura. Non era un sovrano, un
papa e probabilmente nemmeno un conte ma è stato in grado di suscitare un forte
interesse e essere presente sui mezzi di comunicazione per entrare concretamente
nei discorsi delle persone normali, incluse quelle che non avevano alcuna
dimestichezza con la lettura e la scrittura perché solo il 20%,30% delle persone
sapeva leggere e scrivere. C’erano poi delle differenze territoriali molto molto forti,
cioè un conto era la quantità di potenziali lettori presenti a Napoli, un altro conto era
la quantità di lettori presenti nelle grandi città o nelle campagne… sta di fatto che
però per sentir parlare di Leopoldo o Cagliostro in tutta Napoli e dintorni non era
necessario saper leggere perché si sentiva parlare di lui anche attraverso i racconti, i
gesti, la voce di chi aveva letto e poteve perciò riferire a chi non leggeva. Quindi le
immagini e le storie sono così forti da superare anche la barriera dell’analfabetismo.
Perché leggiamo Cervantes, Defoe,Voltaire ecc? Perché abbiamo delle urgenze del
nostro presente che devono trovare delle risposte e dalla nostra capacità di trovarle
dipende anche la capacità dei nostri studi di arrivare a chi ci ascolta.
Qual è la reazione generata in Europa dalla prima lettera che Colombo spedì ai sovrano di
Spagna in cui comunica il significato fondamentale della sua prima esperienza?
Qual è l’impatto che provoca questo documento sull’ Europa del tempo? Parliamo di
un’Europa imbevuta di una serie di suggestioni, immagini, idee del lontano e tale documento
fa sì che semplici parole vengano fraintese e arrivino a produrre delle verità intese come tali
ma lontanissime dall’avere qualsiasi forma di potere conoscitivo. In altre parole, Colombo
disse cose assurde tanto che tutti ci credettero e nel dire queste cose, badò a usare termini
oppositivi e negativi perché si aspettava di vedere certe cose e, non trovandole, cominciò a
dare delle spiegazioni strane su quelle che considerava come assenze clamorose.
Cosa si aspettava di trovare, aldilà del mare? Si aspettava di trovare sirene, cannibali,
popolazioni dedite a pratiche profondamente disumane per l’idea di vita, società, di
organizzazione collettiva che gli europei avevano. Quando non trovò tutto ciò non si limitò a
dire “mi devo ricredere”, ma si limitò a dire “non ci sono,ma ci sono lo stesso” cioè “non ci
sono perché non le vedo e se andassi più lontano le vedrei”.
Il reale problema del documento non è entrarvi ma entrare all’interno delle ragioni per cui
l’Europa credette a quelle parole, ragioni che per certi versi non sono molto diverse da
quelle per cui abbiamo creduto che i Ferragni fossero in crisi coniugale.
6 MARZO ✅
IMPATTO CHE LA LETTERA HA AVUTO SUL CONTESTO CULTURALE
EUROPEO DI FINE 400 E INIZIO 500: la reazione della gente
Quando si parla di inizio di età moderna, i manuali parlano di “rafforzamento degli apparati
statali ”o più semplicemente di nascita dello stato moderno. Si dice che tra 400 e 500 la
nascita dello stato moderno e il suo rafforzamento abbia attraversato una fase cruciale. Per
la Spagna questo è ancora più valido perché va incontro all’unificazione di due corone, cioè
attraverso il matrimonio tra Isabella e Ferdinando la Castiglia e l’Aragona, da sempre in lotta,
ora si unificano. Così la Spagna va incontro ad una ristrutturazione dell’apparato interno
attraverso la repressione delle minoranze (quindi il tentativo di omogeneizzare l’intera
popolazione della penisola Iberica, da un punto di vista religioso e culturale) e
l’affermazione del principio della limpidezza di sangue—> si è spagnoli finché il proprio
sangue non è contaminato dalla presenza di etnie diverse.
Che c’entra tutto ciò con l’impresa di Colombo? C’entra perché questi fattori avrebbero
potuto influenzare la scelta di sostenere il progetto di questo mercante che voleva arrivare
nelle Indie orientali navigando verso l’Occidente, partendo dal presupposto che il pianeta
fosse sferico.
-questione religiosa:l’Europa cristiana tra 400 e 500 percepisce al suo interno la presenza di
forti divisioni, di un alto grado di corruzione e un’incapacità cronica da parte delle
grandi gerarchie ecclesiastiche (in particolare le gerarchie ecclesiastiche della Chiesa di
Roma) di gestire e governare il mondo cristiano, cioè la percezione è quella di una
Chiesa troppo attaccata ai beni terreni e poco attenta alla cura delle anime. Questo porta da
un lato al bisogno di trovare altre terre e popolazioni a cui portare il messaggio
evangelico nella maniera più pura; dall’altro lato nasce una frattura interna che si
consolida nel periodo che va dal 1517, pubblicazione delle tesi di Lutero, fino all’apertura del
Concilio di Trento. Tale frattura però è già percepita in maniera forte già a fine 400, quindi è
una crisi che affonda le radici in un periodo più o meno lungo e che definiamo come “Basso
Medioevo” dove è possibile percepire la tendenza più o meno forte di rinnovamento/rinascita
spirituale, religiosa, e una crisi profonda della gerarchia terrena su cui si fonda la comunità
cristiana.Gli europei sanno, sentono, che c’è qualcosa che non va, perciò c’è bisogno di
soluzioni, tra cui trovare nuove popolazioni da evangelizzare.
-questione economica: le vie per il commercio sono necessarie. Nel Basso Medioevo le
vie/traiettorie percorse per scambiare prodotti europei con quelli asiatici sono quelle
tradizionali (=oltre al Mediterrano, abbiamo soltanto la terra). A partire dalla metà del 400,
però, la percezione degli europei è quella di chiusura di queste vie a causa del
rafforzamento dell’Impero ottomano che occupa le sponde orientali del Mediterraneo, che è
sempre più unito/forte e fa sentire la sua potenza in maniera altrettanto forte a fine 400 con
la presa di Costantinopoli (1453)
Prime soluzioni
Il Portogallo sceglie di circumnavigare l’Africa per arrivare comunque in Asia, ma sono viaggi
difficili da sostenere da un punto di vista economico, lunghissimi e faticosi. Perciò, rendono
plausibile l’idea di Colombo di navigare verso occidente per raggiungere l’oriente e rendono
plausibile anche i rischi economici per sostenere questo tipo di viaggi.
La stampa
Qual è l’atto cruciale dell’età moderna? Cos’è che tra 400 e 500 influenza la
comunicazione?
La stampa a caratteri mobili, creata da Gutenberg, fondamentale per la diffusione della
lettera di Colombo.
La domanda che dobbiamo porci è: la stampa è una novità assoluta per l’umanità? No, non
lo è perché in alcune parti dell’Asia era già conosciuta e quindi viene percepita come novità
principalmente dagli europei, novità che cambia profondamente l’approccio alla cultura scritta
delle persone comuni, di quelle che hanno un grado più o meno alto di dimestichezza con la
scrittura, cambia l’approccio con il sapere, con l’informazione, con il messaggio. Ma la
domanda che dobbiamo porci è la seguente: l’invenzione della stampa è stata davvero una
rivoluzione? Quando affrontiamo il discorso che riguarda il forte legame che c’è tra passato e
presente e del presente che condiziona il nostro punto di vista sul passato, tale discorso
trova ora un riscontro concreto perché non sempre negli ultimi decenni abbiamo avuto la
stessa idea sul ruolo giocato dalla stampa sugli europei. In particolare negli anni 70 del 900,
il pensiero comune tendeva a preferire per l’introduzione della stampa un’immagine legata
alla rivoluzione. Una studiosa, Elizabeth Einstein, scrisse un volume importante che
influenzò tutta la storiografia e che tendeva ad attribuire alla stampa un carattere
profondamente rivoluzionario perché, senza mezzi termini, afferma che la svolta impressa
dalla stampa sulla cultura europea fu quella di un cambiamento radicale: nulla sarebbe
stato più come prima dopo l’invenzione della stampa, le cose sarebbero totalmente
cambiate. Il concetto di rivoluzione è un concetto fondamentale per tutta l’età moderna
perché secondo alcuni l’età moderna si apre con una rivoluzione, provocata dalla stampa, e
si chiuderebbe con una rivoluzione, quella francese.
Il concetto di rivoluzione
“Rivoluzione” è un concetto che potrebbe essere considerato affine a “rivolta”. Ma la rivolta,
a differenza della rivoluzione, ha sempre uno sguardo rivolto al passato perché si propone di
ripristinare qualcosa che si ritiene essere stato compromesso o eliminato, quindi chi mette in
atto una rivolta sta chiedendo di ripristinare qualcosa che c’era e che non c’è più. Ad
esempio: prima c’erano aule capienti per ospitare gli studenti; ora queste non ci sono più
quindi facciamo una rivolta per ottenere nuovamente aule capienti.“Fare una rivoluzione”,
invece, significa mettere in discussione radicalmente l’esistenza stessa di università. Da
questo punto di vista quindi la rivoluzione è qualcosa di più pesante, qualcosa che impone
un capovolgimento. Infatti parliamo di “rivoluzione” francese perché si capovolge
radicalmente un regime che viene a mancare nelle sue basi.
Se Elizabeth Einstein afferma che “la stampa è stata una rivoluzione” è perché delegittima
tutto ciò che c’era prima, cioè il manoscritto a cui era legata la comunicazione che quindi
poteva avvenire solo grazie alla presenza di un amanuense, qualcuno che possedeva le
competenze legate alla scrittura. Ora, invece, la comunicazione è possibile anche senza la
presenza di una persona in carne ed ossa ma solo grazie ad una macchina. Nei decenni
successivi, però, l’idea di stampa come rivoluzione inizia a esaurirsi, soprattutto tra la fine
degli anni 90 e l’inizio degli anni 2000, quando molti studiosi cominciano a ritenere che la
stampa è tutto tranne che una rivoluzione perché c’è qualcosa che non ci fa pensare ad un
capovolgimento. Tra questi ricordiamo: Roger Chartier che mette in discussione l’idea di
stampa come rivoluzione nel libro “La cultura della stampa”. Scriverà anche altri libri
come“La mano dell’autore e la mente dello stampatore” evidenziando un paradosso perché
solitamente si pensa che l’autore mette la testa mentre lo stampatore ci mette la tecnica, la
mano. Roger invece, in maniera provocatoria, dice il contrario.
Robert Darnton, che nel mondo accademico ha avuto una certa importanza, è stato
direttore della biblioteca di Harvard ed è stato una figura molto potente perché non si è
accontentato solo di essere direttore della biblioteca di Harvard ma ha dato una svolta
radicale a tutto il patrimonio della biblioteca di Harvard firmando un accordo con Google e
rendendo così gran parte del patrimonio della biblioteca fruibile attraverso internet cioè con
Google Books, accessibile in maniera gratuita. Dall’accordo anche altre istituzioni,
compresa la biblioteca nazionale di Napoli, hanno deciso di rendere il patrimonio fruibile non
solo fisicamente ma anche attraverso un cellulare.
Abbiamo anche altri studiosi come Peter Burke e Asa Briggs.
Qual è il paradosso di cui Elizabeth Einstein non aveva tenuto abbastanza conto? Il
paradosso è il seguente: nell’età della stampa, più aumentano i prodotti a stampa in
circolazione, più si abbassa il loro prezzo e più diventa frenetica e urgente la corsa verso
l’oggetto manoscritto→ non ci si fidava e tutto ciò che ha a che fare con il sapere comincia a
scontrarsi con un alto numero di diffidenti. TUTTO CIÒ NON DA L’IDEA DI UNA
RIVOLUZIONE.
Ma com'è che Elizabeth Einstein queste cose non le aveva viste? Non si era posta questi
problemi perché la sua epoca la portava, più o meno inconsapevolmente, a sopravvalutare
la portata di un unico mezzo di comunicazione su tutti gli altri esistenti. E perché l’ha fatto?
Perché il mondo in cui lei viveva e la cultura di cui era imbevuta era segnata dal dominio di
un mezzo sopra gli altri ovvero la televisione che era uno strumento così convincente,
persuasivo, da far pensare che l’ecosistema mediatico fosse squilibrato. Soprattutto la
televisione svolge un ruolo pedagogizzante: c’era un produttore (che può essere anche lo
stato) che organizza dei messaggi che invia ad un pubblico che si ritiene che sia
passivamente percettivo nei confronti di quelle informazioni, cioé che le inglobi facendosi
persuadere. Questo ha influenzato molto anche la visione degli storiografi che per molto
tempo hanno pensato che l’intera storia della comunicazione per l’umanità sia stata orientata
dalla preminenza della tecnologia e dei dispositivi tecnologici. Se proviamo a ricostruire la
storia dei media, possiamo dire che è fatta di un’epoca segnata da un certo mezzo di
comunicazione, un’altra epoca segnata da un altro mezzo di comunicazione e così via.
Perciò c’è l’età dei graffiti, l’età dei manoscritti, l’età della stampa, l’età dei periodici, l’età
della radio, l’età della televisione e infine l’età del web. Ogni epoca quindi è identificata da un
mezzo di comunicazione caratterizzante.Questa idea che tende a farci vedere l’età moderna
come età della stampa, e che darebbe ragione ad Elizabeth Einstein, oggi non è più valida
perché non possiamo più dire che quel mondo fu caratterizzato solo da quel mezzo di
comunicazione. Perché non possiamo più dirlo? Perché nel nostro mondo non ha più senso
dire “siamo nell’età di internet” e, non avendone la possibilità, mettiamo in discussione tutto
ciò che c’era prima.
Siamo veramente in un'età che,da un punto di vista dell’ecosistema mediatico, è segnata
solo da internet? Ci verrebbe da dire che veramente siamo in un’età dominata solo da
internet, ma in fondo non è così perché ci sono tanti aspetti che ci fanno capire come sono
importanti le sopravvivenze all’interno del nostro mondo. La storia dei media, della
comunicazione,è fatta anche di profeti e protezione: ogni volta che c’è un grande
cambiamento in corso, il passaggio da una tecnologia all’altra,abbondano le profezie che
vanno a prospettare la morte di qualcosa e la nascita di qualcos’altro. Perciò molti hanno
ritenuto che con l’arrivo di internet la televisione sarebbe morta, anche se nessuna profezia
si è rivelata più fallace di questa perché le prime settimane di pandemia ci hanno dimostrato
che la tv era ancora viva; oppure, per oltre 5 giorni, tutti ci siamo fermati a parlare di ciò che
avveniva in tv, anche senza guardare direttamente in tv e in maniera più o meno cosciente
abbiamo seguito passo dopo passo il Festival di Sanremo=prodotto televisivo. Allo stesso
modo, se ripercorriamo i momenti di passaggio da una tecnologia all’altra fino a tornare agli
inizi dell’età moderna, troviamo profezie simili: quando arriva la televisione, molti intellettuali
ritenevano che la radio e il teatro sarebbero poi morti. Eppure la radio c’è ancora. Ancora,
con l’arrivo della stampa si pensava che il manoscritto sarebbe poi morto.Eppure non è stato
così perché non solo non è scomparso ma è diventato anche più forte di prima.
L’isola a cui si riferisce è probabilmente Aiti. Su quest’isola tutti vanno in giro nudi, sia
uomini che donne.
Tra le cose che vuole comunicare, c’è un aspetto preponderante: l’uso della negazione,
cioè Colombo non dice cosa sta vedendo ma cosa non sta vedendo e cioè si sarebbe
aspettato di trovare una serie di cose, di caratteristiche della popolazione che ha di fronte e
che per qualche ragione non trova e perciò tende ad accentuare non le presenze ma le
assenze. Afferma che questi non hanno armi e non le sanno neanche usare → ciò che
Colombo vuole comunicare agli europei è che se vanno lì nessuno li infastidirà ma avranno
facilmente controllo sulla popolazione perché non sanno combattere né è loro intenzione
opporsi. Infatti dice
“Qualunque sia la cosa in loro mano, che venga ad essi richiesta, non
dicono mai di no; anzi, invogliano le persone a chiederla e si mostrano
tanto amorevoli, che darebbero il cuore stesso e si tratti di cosa di
valore, oppure di poco prezzo, la cedono in cambio di un oggettino
qualsiasi e se ne tengono paghi. […]. Prendevano perfino i pezzi degli
archi rotti e dei barili e davano quello che avevano senza discernimento
come bestie.”
Queste popolazioni non dicono mai di no, anzi invogliano le persone a chiederla,
indipendentemente se si tratta di una cosa di valore oppure di poco prezzo la cedono in
cambio di qualsiasi oggetto, restando anche soddisfatti.
Non professano credenza o idolatria ma intuiscono che se c’è un’entità superiore, questa sta
in cielo; credono fermamente che Colombo, con le sue navi e la sua gente, fosse venuto dal
cielo. Il messaggio è il seguente: hanno una certa predisposizione al credo religioso ma
nessuna convinzione particolarmente consolidata. Dato che sono predisposti al credo
religioso, pensano che Colombo e il suo equipaggio siano degli dei, che siano arrivati perciò
dal cielo e se all'inizio hanno avuto paura, hanno poi imparato a fidarsi.
Ancora una volta possiamo sottolineare il “non” che ritorna costantemente perché Colombo
non dà mai una visione positiva di ciò che vede e racconta e il suo messaggio è questo:
tutto ciò che mi aspettavo di trovare non c’è.
Segue poi la parte più importante, quella che dovrebbe farci capire più cose:
“[…] Mostri dunque non ne ho trovati, e neppure ne ho sentito parlare,
tranne che a proposito di un’isola “Quaris”, la seconda all’entrata dalle
Indie, che è abitata da una gente che in tutte le isole è ritenuta molto
feroce, la quale si ciba di carne umana.”
Sottolinea che non ha trovato dei mostri perché evidentemente nella cultura del tempo, si
aveva questo tipo di aspettativa delle popolazioni lontanissime delle Indie orientali e cioè che
fossero abitate da mostri. Quando parliamo di qualcuno che si ciba di carne umana ci
riferiamo al cannibalismo. Ma Colombo non ha visto i cannibali, bensì sta dicendo di aver
visto qualcuno che gli ha detto di aver visto qualcuno a cui è stato detto che su un’isola
lontana ci sono i cannibali.
Oggi diremmo che la lettera di Colombo è piena di fake news. Se ora poniamo in primo
piano l’esigenza di conoscere il nuovo mondo attraverso la lettera di Colombo, non ci
riusciremo perché Colombo ci fa capire ciò che si aspettava e ciò che invece vede. Quindi la
cestiniamo perché non è utile per la conoscenza storica cioè non ci aiuta a capire chi ha
incontrato Colombo→sappiamo che incontra gli inca e gli aztechi ma non sappiamo cose in
più su queste popolazioni
Il documento si rivela, invece, utile se cambiamo la domanda cioè: “raccontaci qualcosa
dell’Europa del 1492 e di ciò che girava nella testa degli europei” perché il documento fa
vedere tutto ciò che un europeo racconta agli europei usando l’altro (=i nativi del continente
americano) come specchio
Cosa significa usare l’altro come specchio? Immaginiamo di vivere in un mondo senza
specchi, dove non abbiamo l’altro per descrivere noi stessi e quindi saremmo costretti a farlo
attraverso la descrizione di altre persone→ non mi sono guardato ma gli altri dicono che ho
gli occhi marroni, i capelli biondi ecc.
Il problema però è che l’Europa di fine 400 e inizio 500 è incapace di descriversi, di capire
chi è, e quali sono le sue esigenze economiche, politiche,religiose. Perciò può affidare la
descrizione di se stessa soltanto allo sguardo degli altri quindi l’Europa non è capace di
descriversi, non sa dire cos'è, ma può affidarsi alla lettera di Colombo per dire ciò che non è
(“siamo diversi da loro perché non siamo questo o quell’altro).
Allora questa lettera, rivolgendosi agli europei, dice “noi siamo bravi a fare la guerra, a
capire il valore delle cose, a consumare delle transazioni commerciali di un certo tipo
andando anche a svantaggio di chi quel valore non lo comprende, siamo bravi a portare un
messaggio all’altro per convincerlo che il rapporto ultraterreno funziona in un certo modo,
abbiamo certe usanze che portano a non mangiarci* ”
*il cannibalismo nel corso del 500 era già praticato in Europa, in particolare a Napoli dove le
lettere venivano consumate sotto forma di sacrificio umano
Il paradosso è questo: gli europei dicono di non vedere negli altri quello che loro hanno,
raccontando però anche delle bugie. Questa lettera non dice nulla delle popolazioni che
Colombo incontra ma dice molto degli europei.
Quando la lettera viene stampata, letta dal pubblico europeo, ha un impatto devastante nella
misura in cui rivoluziona il modo di pensare degli europei. All’epoca però pochi sapevano
leggere (nelle grandi città probabilmente solo il 5% della popolazione; nelle campagne non si
arrivava neanche al 10% della popolazione), per cui la ricezione della lettera si fermata ad
un quarto, un quinto o un decimo della popolazione? Per nulla. Anche questo dice molto
sulla rivoluzione di cui parlava Elizabeth Einstein perché affinché il contenuto della lettera
arrivi a tutti, non è necessario che tutti sappiano leggere visto che la lettera veniva letta ad
alta voce, recitata, mediata, accompagnata da immagini/disegni quindi spesso i mostri o i
cannibali, che Colombo dice di non aver visto con i suoi occhi, ci sono comunque.
Allora il nodo è che le reazioni a questa lettera sono straordinarie perché lasciano
intravedere agli europei che ne ricevono le immagini, le suggestioni, i contenuti, delle
possibilità che fino a quel momento sembravano essere non percorribili, inesplorate.
Tutti, mercanti, commercianti,artigiani, avventurieri, sacerdoti, frati, membri di ordini religiosi,
valutano l’idea di partire per raggiungere il Nuovo Mondo perché vedono nel messaggio
contenuto nella lettera l’apertura di strade che fino a quel momento erano rimaste
inesplorate. Il Nuovo Mondo, terra lontana e indefinita, si definisce sempre di più perché
comincia a nascere il sospetto che il territorio che Colombo aveva scoperto non sia quello
delle Indie orientali ma di un continente altro.
Cambia tutto incluse le prospettive politiche perché gli stati che fino a quel momento che
avevano guardato con diffidenza(tale da avere solo la Spagna ad appoggiare il progetto di
Colombo) la sola ipotesi di intraprendere un viaggio del genere, ora pensano che qualcosa
c’è sul serio. I primi grandi incidenti sono di carattere politico-diplomatico, tra le grandi
potenze europee che fino a quel momento avevano intrattenuto dei rapporti con l’Asia e altri
continenti allora conosciuti. La scoperta di un nuovo territorio nel pianeta fa sì che subito
nasca l’idea di poterlo raggiungere, di poterlo annettere al proprio territorio e quindi regnare.
I primi due grandi competitor sono proprio la Spagna e il Portogallo.
Chi risolve il primo grande incidente tra Spagna e Portogallo? Sarà papa Alessandro VI,
conosciuto come Rodrigo Borgia, uno che aveva figli sparsi per tutta l’Europa e che
considerava fin da quando viene eletto papa il soglio pontificio come parte integrante del suo
patrimonio personale-familiare.
Fra le tante cose era il papà di Cesare Borgia, detto anche “il Valentino”, e di Lucrezia
Borgia. Sulla figura di questo papa sono state fatte ben 2 serie tv: una di produzione
americana, l’altra di produzione franco-canadese. Quest’ultima soprattutto è abbastanza
interessante perché lo sceneggiatore ha speso anni e anni nel casting per trovare degli attori
che somigliassero ai personaggi che poi sarebbero diventati protagonisti della serie.
Alessandro VI, rappresentazione della corruzione della Chiesa, prese la mappa del tempo
e tracciò una striscia per dire che a est, a oriente della linea, le competenze territoriali sono
quelle del Portogallo; a ovest,a occidente della linea, le competenze territoriali sono quelle
di Spagna.
Tracciare questa linea è passato alla storia come trattato di Tordesillas. Però, l’unico
territorio del continente americano dove si parla portoghese è il Brasile: la ragione è
strettamente legata alla decisione presa con il Trattato de Tordesillas perché a oriente della
linea tracciata dal papa, le competenze territoriali erano quelle del Portogallo; a occidente,
invece, troviamo quelli che di lì a poco sarebbero diventati i domini spagnoli.
La Spagna si organizzò molto bene per governare quei territori, istituendo due grandi
vicereami: il Vicereame del Perù e il Vicereame della nuova Spagna. Più tardi sarebbe
arrivato anche il Vicereame del Rio de la Plata, zona che oggi corrisponde all’Argentina e
l’Uruguay.
Come controllare questi territori? La Spagna imprime su quei territori il proprio dominio
riproducendo tutte le proprie dinamiche, tra cui troviamo encomienda→ meccanismo
organizzativo che prevedeva l’affidamento ad un signore l’affidamento di un territorio in
cambio di una sorta di in cambio di fedeltà e protezione
Tale descrizione la ritroviamo soprattutto nel diario del 3° viaggio (datato tra il 1498 e il
1500) dove Colombo scrive “Ho sempre letto che il mondo, terra e acqua,era
sferico nei passi dei dotti e nelle esperienze che Tolomeo e tanti altri ne
scrissero…Ma ora, come ho detto, ho visto tanta disconformità”
Il meccanismo è lo stesso della lettera precedente: non dice cosa vede ma cosa ha sempre
letto prima di vedere e tutto ciò che sta guardando in quel momento non corrisponde con ciò
che ha sempre letto, quasi come se stesse dicendo che di libri ne ha letti molti ma in
nessuno dei libri letti c’era qualcosa di buono, di utile.
Ma allora cosa sta vedendo Colombo? A tale domanda non risponderà mai o meglio dice
sempre cosa non vede e mai cosa vede. Ha notato una disconformità e perciò si è fatto
quest’opinione sul mondo→ cioè sta cercando di capire determinate cose che non capisce→
ha le idee confuse e lo dice. Colombo si rende conto che la terra non è proprio sferica, ma
più paragonabile ad una pera il cui picciolo è la parte più vicina al cielo che si possa vedere.
Quindi trasforma la presunta sfericità della terra in una pera il cui picciolo si avvicina al
centro.
La cosa più importante per capire il potere conoscitivo della sua testimonianza è: si trova
alla foce del fiume Orinoco, così bella da paragonare a ciò che ha letto nelle scritture e a
cui è abituato a pensare come Paradiso terrestre e l’acqua che vede in questa specie di lago
che si va a formare alla foce del fiume equivale alla descrizione che ha ricevuto di
quell’acqua lì→ rimanda alla fonte biblica. Rivolgendosi agli europei, afferma che sapevano
già tutto di questa cosa, scritta nelle Sacre Scritture, solo che non l’avevano capita bene
cioè non avevano capito che la terra da lui scoperta somiglia al Paradiso terrestre. Il
procedimento mentale che sta facendo è: nell’osservare non mi stupisco di fronte alla
scoperta del nuovo, ma cerco la conferma di quello che già so. Colombo arriva alla
conclusione che sulla sommità del monte che vede c’è il Paradiso terrestre e che il monte,
avvicinando il Paradiso terrestre al cielo, abbia tutte le sembianze di quello che i cristiani
reputano essere il Purgatorio. In questa ricostruzione del diario del 3° viaggio, Colombo è
condizionato dalla lettura che aveva fatto di un testo(oltre alle Sacre Scritture) che aveva
anche una certa importanza/popolarità nel 400 che continua anche nei giorni nostri cioè la
descrizione del cosmo che Dante aveva realizzato nella Divina Commedia.
8 MARZO ✅
Abbiamo visto, nella lezione precedente, che se volessimo utilizzare ciò che Colombo ha
scritto nella 1° lettera o nel diario del 3° viaggio per conoscere il mondo inca o azteco,
andremmo a sbattere inevitabilmente contro un ostacolo invalicabile perché quelle fonti non
ci dicono nulla del mondo che Colombo scopre. Abbiamo anche visto che questo non
significa che devono essere cestinate, ma bisogna cambiare la natura della domanda→non
dobbiamo chiedere alle fonti di dirci qualcosa sul mondo scoperto, ma dirci qualcosa sul
mondo dei conquistatori (=la stessa Europa). È fin troppo evidente che Colombo stia
parlando all’Europa usando le priorità degli europei e stia facendo in modo che l’Europa si
guardi allo specchio e che scopra le sue gerarchie culturali e i suoi valori. Cosa tira in ballo
Colombo? Le capacità militari dei nativi evidenziando in realtà le capacità militari degli
europei, che sono differenti da quelle dei nativi →in altre parole, sta comunicando agli
europei la presenza di una possibile vittoria militare facile; non sta comunicando nulla sulla
religione dei nativi, bensì sta comunicando qualcosa sulla religione degli europei e sulla
possibilità di un evangelizzazione facile; non sta comunicando nulla sull’economia dei nativi
che, anzi, non sanno il valore delle cose e le scambiano in maniera facile ma sta
comunicando agli europei le possibilità di un commercio fruttuoso e semplice.
Infine si rivolge ad un presunto costume dei nativi, inteso come identità culturale: vestono in
un certo modo, praticano la religione in un certo modo, sono soprattutto organizzati
socialmente in un certo modo e arriva addirittura a congetturare sulla presenza di mostri,
sirene, creature soprannaturali, cannibali, senza pensare che anche in quel caso si sta
rivolgendo agli europei evidenziando piccole o grandi differenze che dovrebbero marcare
non tanto l’identità dei nativi quanto l’identità europea stessa→attraverso ciò che scrive
Colombo l’Europa si sta guardando allo specchio.
Colombo da una descrizione della foce dell’Orinoco molto simile al Paradiso terrestre. Il
meccanismo mentale che porta avanti è semplice: non si pone nei confronti dell’ignoto come
chi vuole capire qualcosa di diverso rispetto a ciò che è gia nel suo apparato mentale e
cognitivo, bensì si pone nei confronti dell’ignoto alla ricerca di conferme su ciò che già crede
di sapere. Fa innanzitutto riferimento a ciò che ha letto e ascoltato, nella vita precedente al
viaggio di esplorazione: le Sacre Scritture, le interpretazioni delle Sacre Scritture,
alimentandosi di storie.
Quali sono i cicli narrativi che circolano nel mondo di Colombo? Nel Medioevo la narrazione
aveva una sua ciclicità e una sua serialità, come la ha anche oggi: oggi abbiamo grandi cicli
narrativi che ci vengono proposti dal cinema, dalla televisione, dall’editoria, dai fumetti.
Questi cicli narrativi molto spesso si identificano con il nome dei protagonisti, con un
universo che accoglie questi protagonisti o semplicemente si riassumono in un brand (es: su
Netflix la serie tv, ora tanto in voga, “Mercoledì” che fa parte del brand della famiglia
Addams)
Cosa succedeva nei secoli che precedono l’età moderna, periodo storico che arriva fino a
Colombo? Accadeva la stessa cosa, cioè abbiamo cicli narrativi che si diffondevano
attraverso diversi mezzi di comunicazione.
Quando parliamo di cicli narrativi medievali, facciamo riferimento a 2 grandi universi
narrativi:
1.il ciclo arturiano;
2.il ciclo carolingio: il re Artù, i cavalieri della tavola rotonda e le avventure di Carlo Magno.
Esiste però anche un 3° ciclo narrativo che sopravvive dall’antichità: il ciclo omerico,
fondato sulle narrazioni proposte nell’Iliade e l’Odissea.
Come si sviluppano questi cicli narrativi? Di volta in volta abbiamo vari interventi che non
sempre sono ben identificabili nel ciclo narrativo e questi interventi ne modificano le
traiettorie. Parliamo,perciò, di materiali narrativi che si trasformano e si espandono
continuamente nel tempo, nello spazio e anche da un punto di vista qualitativo. Il ciclo
narrativo da vita allo sviluppo di curiosità e ad una cultura partecipativa in cui il pubblico
non è da intendersi come una platea passiva di ricettori ma un’entità mobile, metamorfica,
che interviene all’interno della storia con una partecipazione diretta quindi diventa anche
protagonista della diffusione attraverso la sua voce, i suoi gesti,le sue parole, la scrittura
(anche se patrimonio di una minoranza della popolazione, non è necessario avere un alto
grado di dimestichezza con la scrittura per partecipare alla costruzione e alla trasformazione
di queste narrazioni), le sue curiosità e le sue domande che riguardavano le avventure del re
Artù e i cavalieri della tavola rotonda, il ciclo carolingio e il ciclo omerico.
Alcune di queste domande si concentrano sul destino di un personaggio che aveva attratto
molte simpatie e antipatie, ad esempio Ulisse.
Cosa raccontano i poemi omerici di Ulisse? Raccontano la sua partecipazione alla guerra
di Troia e il ritorno a Itaca dopo un lungo e faticoso viaggio. Restano aperte alcune
domande sulla sua morte chiarite da Dante Alighieri nel 26° canto dell’Inferno. Dante
diventa testimone e intervistatore d’eccezione di personaggi che incontra durante il suo
tragitto e che diventano i destinatari delle sue domande e delle sue curiosità. Le sue
curiosità, però, sono le curiosità di un'intera società o di un intero pubblico che vuole sapere
da Francesca da Rimini e Paolo Malatesta quali sono state le dinamiche precise che li
hanno condotti a una morte violenta (canto V), o da Pier delle Vigne quali sono le
dinamiche precise che lo hanno condotto ad una scelta estrema come quella del suicidio
(canto XII), o da Ulisse quali sono le dinamiche che lo hanno condotto alla morte. Questo
elenco di personaggi ha qualcosa di “illogico” al suo interno: i 4 personaggi citati sono tra di
loro diversi in primis per l’appartenenza a epoche diverse ma anche perché noi riusciamo a
percepire la concretezza, la storicità, del personaggio Francesca, Paolo e Pier delle Vigne
mentre riteniamo che Ulisse sia un prodotto della fantasia letteraria della civiltà→ Paolo,
Francesca e Pier delle Vigne= personaggi storici; Ulisse=personaggio di finzione, anche se
la guerra di Troia è stata realmente combattuta.
Questa distinzione è frutto della nostra cultura ed è un risultato della possibilità di usare i
nostri strumenti interpretativi ma al tempo di Dante e di Colombo questa distinzione non era
così netta, anzi si aveva la percezione di un fluire unico del tempo storico, tutto proiettato
verso una meta provvidenziale, cioè la salvezza →la storia umana era intesa essere una
storia proiettata verso il ritorno del messia in terra per portare gli uomini fuori dal peccato
definitivamente.
Quando questa lettura di un unico fluire storico comincia ad essere faticosamente intaccata?
Alla fine del 300, grazie al diffondersi graduale e faticoso della cultura umanistica. Il primo
umanista per eccellenza è Francesco Petrarca, diverso dagli altri per l’atteggiamento verso
il testo classico: riporta il testo classico all'interno del contesto storico di riferimento. I
testi classici al tempo di Dante e prima di Dante erano già conosciuti però il problema è che
il testo classico aveva la precisa funzione di dare gli strumenti linguistici per accedere a una
corretta interpretazione del testo sacro. Perciò Virgilio, Cicerone, Seneca, Quintiliano, sono
tutti all’interno di un unico calderone che si va a studiare e a sviscerare per poter avere gli
strumenti linguistici per entrare all’interno di un’altra tradizione. Perciò al tempo di Dante non
è neanche importante capire chi viene prima e chi viene dopo. La differenza marcata da
Petrarca sta nell’iniziare a mettere in fila queste cose, nell’iniziare a dire “queste cose vanno
interpretate come importanti e funzionali nell’epoca in cui sono state prodotti”.
Virgilio sarà la guida di Dante nel tragitto nell’Inferno e nel Purgatorio. Vive nel I secolo
a.C, durante il regno di Ottaviano, e ha anche delle caratteristiche particolari in quanto
scrittore, uomo politico del suo tempo, imprenditore, proprietario terriero. È importante
sapere che durante l’epoca di Dante, Virgilio deve la sua fama in particolare alla 4° bucolica
contenente una profezia che parlava dell’imminente nascita di un puer che avrebbe salvato
l’umanità, portandola fuori dalle tenebre. Virgilio voleva così rendere omaggio ad Ottaviano
Augusto che gli aveva consentito di salvare le sue terre nel mantovano. Nel corso del
Medioevo, questa profezia fu interpretata come una prefigurazione della nascita di Cristo ed
è la ragione per la quale Virgilio si guadagnò attraverso i secoli la fama di mago. Se
pensiamo all’apparizione di Virgilio nel 1° canto dell’Inferno troviamo una dimensione
magico-onirica di un personaggio che appare a salvare Dante che si sta smarrendo,
indicandogli la strada per iniziare il suo viaggio.
Se pensiamo ai diversi livelli di lettura della Divina Commedia, potremmo dire che è chiaro
che Dante sta parlando in modo allegorico e quindi si sta rivolge ad un pubblico a cui sta
destinando un messaggio di carattere didattico-pedagogico e soprattutto un pubblico che
probabilmente non legge la sua opera ma ascolta: la “Divina Commedia” è fatta per essere
ascoltata, non per essere letta. Questo pubblico che ascolta quindi ha un diverso livello di
percezione, una diversa concezione della storia e del fluire storico, e una diversa capacità di
collocare singole immagini e figure in questo fluire storico dove Francesca, Paola, Pier delle
Vigne e Ulisse occupano posizioni che sono simili tra loro →fanno parte tutte di un unicum
inscindibile. Lo stesso concetto di Medioevo, come età di mezzo, nasce nell’epoca che
separa Petrarca da Colombo, dalla fine del 300 alla fine del 400, la percezione di essere nati
in un contesto nuovo rispetto a ciò che c’era stato prima e la percezione soprattutto
dell’esistenza nel bel mezzo del fluire storico tra l’antichità romana e il presente di un’epoca
a sé stante, caratterizzata da alcune priorità diverse da quelle del presente e del passato
remoto.
Ulisse è un Ulisse che dice a Dante qualcosa di clamoroso che incontra la curiosità di un
intero mondo e che risponde alla domanda ossessiva che accompagnava quel mondo sulla
sua morte, cioè come sei morto. Perciò Ulisse racconta qualcosa: racconta di aver superato
le colonne d’Ercole, di aver viaggiato verso l’Occidente, di essersi messo alla ricerca
dell’ignoto, di aver superato un limite considerato dall’umanità invalicabile e di aver girato a
sinistra →non è andato dritto ma è andato verso sud: ha cioè attraversato lo stretto di
Gibilterra e non è andato verso quelli che conosciamo essere come gli Stati Uniti ma è
andato al di sotto dell’Equatore. Dopo di ciò racconta di aver visto qualcosa: una montagna
enorme, scura, buia, che poteva essere scalata e ha immaginato che sopra questa
montagna ci fosse il Paradiso terrestre. Questa descrizione rimanda alla descrizione di
Colombo. Quanto Colombo si sente anche Ulisse? Colombo sente la necessità di
aggiornare la conoscenza che Ulisse aveva costruito anche attraverso l’operazione letteraria
di Dante, viaggia nella stessa direzione, approda da qualche parte, dove incontra qualcosa
di simile. Ma l’esito è diverso perché nel momento in cui intravede quella meta, vede il
mare ribellarsi contro se stesso ed è costretto a soccombere insieme a tutto il suo
equipaggio, cioè insieme a tutte quelle persone che lui stesso aveva tentato di incoraggiare.
Quanto di desiderio di conoscitivo c’è nel viaggio di Dante e di Ulisse e quanto di conoscitivo
c’è nel viaggio di Ulisse? Mentre il desiderio di conoscenza di Ulisse all’interno del sistema
di pensiero di Dante è considerato come un atto di imperdonabile presunzione, nel caso di
Colombo l’atto arriva a costruire una nuova conoscenza, non fondata sul capovolgimento
delle conoscenze preesistenti ma sulla correzione di queste stesse conoscenze cioè
Colombo non stravolge nulla quando parla di Paradiso terrestre anzi vede nella realtà che si
ritrova davanti la conferma parziale di ciò che già pensava di sapere, cioè si mette con la
sua immaginazione all’interno di un ciclo narrativo, lo corregge dimostrandosi portatore di un
impulso partecipativo. Quindi parla ad una civiltà, ad un mondo e all’immaginario di quel
mondo.
Cos'è una fanfiction? Opera scritta dai fan che prendono spunto dalla storia e dai personaggi
di un’opera reale, ma con un finale diverso. Quindi è un’operazione di carattere partecipativo
attraverso cui il fan entra in un universo narrativo codificato da altri e sulla base dell’utilizzo
di uno o più personaggi che fanno parte di quell’universo narrativo, costruisce il suo
segmento di storia. Questo significa che si prende un personaggio dalla storia e si fa vivere
a questi una parte di storia assente all’interno di quella narrazione lì. Il problema è che
anche la fanfiction si confronta con un pubblico e viene giudicata a seconda di come la
creatività dell’autore ha agito all’interno di quell'universo narrativo e a seconda di quanto
l’autore ha rispettato alcune caratteristiche che all’interno di quell’universo narrativo già
c’erano. Allora, un universo narrativo ha le sue regole e la sua cosmologia: ad esempio, la
fanfiction costruita su Hermione, personaggio di Harry Potter, la immaginava di carnagione
scura,capovolgendo quella che si riteneva una regola intoccabile e causando l’indignazione
di molti. Il nodo è capire come si dialoga con un universo culturale noto e come in
quell’universo culturale si introducono delle novità che, per quanto slegate rispetto alla realtà
storica, avevano delle conseguenze storicamente concrete: la descrizione di Colombo
cambia la realtà del tempo, spingendo mercanti, artigiani, a cambiare vita. Un'informazione
che viene data non serve a descrivere solo la realtà, nel caso di Colombo non ci viene
descritta nessuna realtà ed è chiaro che Colombo non ha visto il Paradiso, anche se molti
hanno creduto che lui l'abbia visto. Quindi sulla base della fede prestata a questo tipo di
messaggio, hanno poi deciso di fare qualcosa, cambiando la storia, mettendosi in viaggio a
loro volta rischiando la propria vita e andando a portare la loro opera in un territorio
sconosciuto.
Cosa è accaduto negli altri? Comprendere quello che è accaduto agli altri è ancora più
arduo e nel farlo ci scontriamo con un silenzio talvolta irrisolvibile, che sembra essere un
ostacolo invalicabile. La domanda che ci dobbiamo porre è complicata da risolvere ma
dobbiamo provare a dare una risposta: nel giro di pochi decenni, intere civiltà (in particolare
quella inca e azteca) collassano→ ridursi al nulla, all’assoluta irrilevanza, subire
perdite pesantissime, in virtù del contatto avuto con poche centinaia di spagnoli→ da un
lato milioni di persone milioni e milioni di persone politicamente organizzate, ben
gerarchizzate, con una tradizione secolare se non millenaria alle spalle e dall’altro pochi
conquistatori spagnoli. Come è possibile che milioni di persone arrivino a soccombere, da
tutti i punti di vista?
Le ragioni di questo collasso sono complesse e hanno a che fare con una serie di concause,
studiate da intellettuali impegnati in vari campi e discipline. Uno di questi è stato Cvetan
Todorov che ha scritto “La scoperta dell’America”. Egli si concentra sul rapporto
comunicativo che si stabilisce tra conquistatori e conquistati, spiegando come da un punto di
vista comunicativo innanzitutto gli spagnoli siano riusciti a dominare i nativi, a imporre il
proprio idioma/la propria capacità di descrivere la realtà, a far credere all’altro delle cose
impossibili da recepire. Un altro è stato Nathan Wachtel che ha scritto “La visione dei vinti”
e ha provato a mettersi dalla parte dell’altro, gli inca e gli aztechi, per capire cosa è
successo. Sembra facile ma non lo è perché quando si fa un’operazione di questo tipo,
bisogna avere fonti su cui appoggiarsi e se gli europei scrivevano lettere, diari, memorie, gli
altri non scrivono allo stesso modo, le loro rappresentazioni sono molto molto rare o
addirittura inesistenti. Perciò ciò che si può fare è provare a capire il comportamento degli
altri, attraverso descrizioni che non gli appartengono. In questo caso ci troviamo di fronte ad
uno sforzo di comprensione che deve partire dallo sguardo del conquistatore sul
conquistato, senza avere la garanzia della presenza di quello stesso sforzo di
comprensione. Allora proviamo comunque a comprendere attraverso queste immagini filtrate
cosa è successo in queste popolazioni e abbiamo osservato alcune concause: nella prima
lettera, Colombo aveva puntato l’attenzione sulle armi per dire che erano facilmente
conquistabili. In realtà l’impatto sui nativi delle tecnologie militari europee è ancora più
devastante, perché in virtù di alcune convenzioni religiose sedimentate all'interno del
patrimonio culturale di quelle popolazioni, non si riusciva nemmeno a comprendere la
distinzione tra animale, essere umano e arma nell’immagine del soldato a cavallo armato.
Questo significa che si percepisce quell’immagine come un’unica entità, di carattere
soprannaturale → un mostro arrivato dal cielo che sta li per terminarti, distruggerti e punirti.
Allora un conto è avere la percezione che l’essere umano deve confrontarsi con un altro
essere umano, altro conto è trovarsi di fronte un'entità della quale non si conosce l’origine e
che pensiamo essere soprannaturale. Il non saper distinguere scaturisce la paura (Colombo
nella 1° lettera afferma che lui e il suo equipaggio furono scambiati per degli dei). C’è
un’altra questione vicina a noi: nei secoli precedenti, gli europei erano stati a contatto con gli
asiatici e gli africani attraverso viaggi via terra. Questo significa anche, attraverso il tempo,
progressivamente e gradualmente gli agenti patogeni, cioè contatto dopo contatto contagi
qualcuno ma sviluppi anche gli anticorpi. Questo scambio euro-africano/asiatico che c’era
stato non aveva interessato in maniera significativa il continente americano, perché c’erano
stati forse contatti precedenti a Colombo ma irrilevanti e nel momento in cui gli europei
toccano quel mondo, si portano dietro l’eredità di uno scambio plurisecolare di agenti
patogeni e anticorpi, ma vanno a catapultare il patrimonio su una popolazione che non
aveva niente di tutto quello. La conseguenza più o meno immediata, che nei secoli diventa
devastante, è la seguente: queste popolazioni iniziano ad ammalarsi e a morire, senza
neanche capirne le ragioni. Sono loro a morire e non gli altri. Pensiamo a come questo
possa essere interpretato all'interno di una cultura che già non distingue il soldato dal cavallo
e dall’arma ma percepiva un’unica immagine, cioè quella di un mostro. Di conseguenza si
ammalano, muoiono e c’è qualcuno che li sta punendo cioè qualcuno che mi sta dando il
benservito per quello che ho fatto. Lo stesso meccanismo è quello di Colombo:cerco
all'interno del mio patrimonio culturale le ragioni che mi possono portare a spiegare l’evento
traumatico che mi sta interessando. Se il meccanismo è lo stesso, l’esito è diverso perché
se Colombo in questa ricerca trova tutte le spiegazioni tranquillizzanti che abbiamo visto,
queste popolazioni invece vanno a costruire l’immagine di una punizione ritenendo di
trovarsi nell’epoca dell’apocalisse, di star subendo qualcosa che aspettavano da secoli e
secoli e che, in quanto, arrivata si è giunti al capolinea.
A questo tipo di fenomeno, che Todorov ha definito “paralisi cognitiva”, dovremmo essere
del tutto estranei anche se in realtà non lo siamo perché se guardiamo la nostra reazione in
quanto esseri umani al trauma, riusciamo a tirare fuori suggestioni che sono
insospettabilmente utili. Ad esempio: all’inizio dello scoppio della pandemia, per capire
quello che stava accadendo, ci siamo rivolti ai virologi che improvvisamente sono diventati
famosi e hanno iniziato a pervadere la nostra vita perché abbiamo posto loro domande a cui
non abbiamo avuto una risposta, o meglio non abbiamo avuto la risposta che cercavamo→
pensavamo di trovare una soluzione che non è arrivata, qualcosa non tornava,e abbiamo
dovuto ristrutturare in maniera profonda il rapporto con la scienza. Questo perché quello che
abbiamo capito è che anche la scienza non può darci delle risposte ma solo delle indicazioni
di massima, su cui dobbiamo comunque operare delle scelte politiche. Cosa è successo?
Siamo andati incontro ad una paralisi cognitiva che ha avuto conseguenze disastrose. E’
altrettanto interessante che nel giro di 3 anni abbiamo dimenticato tutto, abbiamo avuto degli
imbarazzi enormi anche da un punto di vista statistico perché ci siamo accartocciati su una
statistica che riguardava i contagi, i contagiati, coloro che sono morti con il covid, abbiamo
iniziato ad avere dei dubbi e a fare perciò delle osservazioni molto molto ciniche,
agghiaccianti per alcuni versi. Abbiamo però dimenticato di fare la statistica più importante,
aspetto su cui è importante insistere per capire quale è stata la conseguenza sul piano della
mortalità a causa delle epidemie causate da quello che gli studiosi hanno definito
"columbian exchange" = “scambio colombiano” →scambio di materie prime, cibo,
materie prime ma anche agenti patogeni. La statistica che abbiamo dimenticato di fare ma
che è la più importante è quella complessiva sulla mortalità nel nostro paese e negli altri
paesi: prendiamo l’anno solare 2020 e l’anno solare 2021, aldilà del fatto che ci sono stati
contagiati, morti a causa del contagio o morti per altre cause, ogni anno normalmente in
Italia muoiono circa 650.000 persone. Nel 2020/2021 sono morte circa 200.000 persone in
più(circa il 14% della popolazione, quindi se in epoche normali ogni settimana morivano 100
persone, durante il 20/21 ne sono morte 114). Se moltiplichiamo questa cifra, cercando di
capire in proporzione quanta gente è morta negli altri paesi, ci troveremo di fronte ad una
catastrofe epocale. Dai nostri volti, non sembriamo reduci di questa cosa ma sembriamo dei
rimbambiti. A seguito dell’impatto colombiano, circa 9/12 milioni sono morte cioè nel giro di 1
secolo (dalla fine del 400 alla fine del 500) circa l’80%/90% della popolazione (8 persone su
10, o addirittura 9 persone su 10). Quindi un’intera civiltà è stata rasa al suolo in virtù delle
conseguenze dell’impatto militare, del dominio culturale spagnolo, e dell’impatto epidemico
generato dagli agenti patogeni.
Uno studioso, che inizialmente faceva l’ornitologo e il biologo, Jared Diamond ha provato a
riassumere queste conseguenze in un unico libro intitolato "Collasso".Ha scritto anche altri
libri, come: “Crisi” e “Armi, acciaio e malattie”. Il suo obiettivo era capire le cause che hanno
messo in ginocchio un'intera civiltà.
Queste parole ci fanno capire cosa intendeva Todorov per “paralisi cognitiva”. Il nodo non è
che gli spagnoli stiano attaccando violentemente, ma le popolazioni autoctone non stanno
più combattendo, non trovano più la forza di reagire e di combattere perché ritengono che
ciò che sta accadendo è ciò che deve accadere. Abbracciano un senso di rassegnazione,
accettando tutto passivamente e non pensano a come trovare una soluzione.
Ovviamente un popolo che vive all’interno di una teocrazia è un popolo che chiede al suo
condottiero delle risposte, cosa fare, visto che lui è Dio sceso in terra. Il suo ruolo è quello di
parlare con gli dei e riferire al popolo quello che gli dei gli dicono. La risposta che porta
Montezuma è che ha interrogato gli dei ma loro non gli hanno risposto.
Disse dunque che già molti anni prima i suoi antenati avevano predetto
che un giorno sarebbero venuti da levante dei forestieri a dominare il
paese, e il regno di Messico avrebbe così avuto fine”
Montezuma dovrebbe tranquillizzare il suo popolo ma dice che suo nonno gli aveva già detto
che sarebbe arrivato qualcuno per mettere fine alla storia del Messico. Questo qualcuno
forse era già arrivato.
“Ora egli era convinto che quei forestieri fossimo proprio noi; la sua
convinzione veniva da ciò che avevano detto gli dei”
Gli dei gli avevano confermato la sua convinzione. Colombo, quando descrive il Paradiso
terrestre, fa esattamente lo stesso procedimento: cerca conferma di quello che vede nel suo
patrimonio culturale ma trova una risposta completamente diversa→ una risposta
tranquillizzante e capace di stimolare lo slancio espansivo degli europei; Montezuma,invece,
dice che è arrivata ormai la fine, non si può fare nulla, perché è il destino che si sta
realizzando
A codificare, sul piano della metodologia, l’importanza del rapporto con l’altro per la
definizione della propria identità è stato un comparatista: Edward Said che, tra la fine degli
anni 70 e gli inizi degli anni 80, scrisse “orientalismo”. Questo testo lascia comprendere
l’importanza dell’osservazione dell’altro come specchio:i nativi del mondo con il quale
Colombo e gli altri conquistatori si incontrarono furono uno specchio per gli europei, perché
consentirono loro di riconoscersi. Sicuramente, però, con ogni probabilità anche gli europei
sono stati uno specchio per i nativi americani. Montezuma utilizza l’altro come specchio per
rivelare a se stesso e al suo popolo qualcosa che fa parte della spina dorsale di quella
cultura, solo che ad un certo punto quella spina dorsale si spezza.
Quando è nato il principio della costruzione di un potere altro che, impersonalmente, domina
sulla vita delle persone? Cioè quando è nato quel qualcuno che, indipendentemente dal
rapporto di fedeltà personale, mi protegge? Quando è nato colui che mi protegge non in
quanto protettore, ma in quanto re, sovrano? Abbiamo visto che, per descrivere il rapporto
tra Montezuma e i sudditi, Diaz usa il termine “vassallo”. Il vassallo, però, è tale perché è
legato al suo signore da un rapporto di fedeltà personale: tu mi proteggi perché io ti giuro
fedeltà, c’è un rapporto di carattere diretto. Invece, si può essere sudditi di un re anche
senza mai averlo visto, incontrato, nella vita. Questo è parte della costruzione di uno stato
inteso come entità altra, cioè uno stato capace di emanciparsi dai rapporti di fedeltà
personale che ci sono nella società.
Come è avvenuto tutto ciò? Forse non è neanche avvenuto ma possiamo dire che sarebbe
potuto avvenire attraverso un processo di acquisizione del controllo della violenza da parte
dei sovrani. Come si acquista il controllo della violenza? Pian piano avendo i mezzi
economici che ti permettono di mettere insieme un corpo armato che si può percepire come
esercito permanente cioè bisogna avere dei soldati che obbediscono, non sulla base della
fedeltà personale, ma per la retribuzione che possono ricevere in quanto soldati. Esistono
soldati dipendenti dello Stato, del sovrano. All’interno di un feudo, invece, il corpo militare si
mette insieme grazie al fatto che i vassalli assicurano al signore una porzione di corpo
armato, legato da rapporti personali→è un esercito occasionale. Lo stato moderno, invece, è
dotato di un esercito permanente, pronto a proteggere l’intero corpo di sudditi(attenzione al
fatto che non parliamo né di “collettività” né di “cittadini” perché si potrà parlare di cittadini
solo a partire dalla Rivoluzione francese, momento di rottura che trasforma il suddito in
cittadino).
Basta l’esercito per essere stato? No. Per poter essere entità alta, capace di imporre le
proprie direttive, ho bisogno che anche gli altri stati e le altre monarchie mi riconoscano
come tale, quindi non solo che i sudditi mi riconoscono come tale.
Come si stabiliscono le relazioni tra un potere e l’altro? Ancora oggi ci si affida ai corpi
diplomatici e, quindi, già in età moderna i sovrani si dotano di funzionari che devono
occuparsi di rappresentarli presso le altre corti e presso le altre entità sovrane. Allora
accanto all’esercito permanente, avanza la diplomazia permanente cioè la presenza di un
corpo diplomatico che deve fare in modo che il sovrano venga riconosciuto come tale non
solo dai suoi sudditi, ma anche dai suoi pari. Questo però non basta perché emanciparsi dal
rapporto personale significa anche materialmente controllare il territorio. Per farlo, bisogna
esercitare varie funzioni: la funzione di polizia, la funzione di giustizia. Per poter svolgere
queste funzioni c’è bisogno di funzionari, cioè qualcuno che per conto del sovrano svolga dei
ruoli, indipendentemente dal rapporto personale che li lega. Allora un conto è avere un
giudice sul territorio, qualcuno che si occupa di giustizia e di repressione del crimine legato
da un rapporto di fedeltà, altro conto è invece avere qualcuno che svolge il compito in
quanto membro di un apparato che deve fare quello cose li. Puoi quindi avere un giudice
che non conosci personalmente, qualcuno che svolge quel lavoro indipendentemente dal
fatto che tu lo abbia incaricato di fare quelle cose, un corpo intermedio.
Come si chiama quest’entità che ci sembra astratta e che ci riporta a qualcosa che esiste
ancora oggi? Si chiama burocrazia, cioè persone che svolgono dei ruoli intermedi e che
sono state riconosciute come tali in quei ruoli, a prescindere dal rapporto con la fonte
primaria del potere che non è più una persona ma un’entità astratta→il re conta in quanto re
(la monarchia inglese conta in quanto tale non in quanto Elisabetta II ,Carlo III o William che
verrà), in quanto istituzione. Questo è sinonimo di nascita di uno stato modernamente
inteso.
13 marzo ✅
Ritorniamo sulla differenza tra il concetto di stato e concetto di dinastia,
applicata soprattutto alle guerre: la prima metà del 500 è caratterizzata da un groviglio di
guerre, le cosiddette guerre d’Italia.
Le guerre d’Italia
L’Italia vera e propria al tempo ancora non esiste, se non come concetto nelle pagine di
Dante e Petrarca. Esiste una penisola italiana, un insieme di diversi di stati regionali che, in
virtù della loro debolezza militare,diplomatica, burocratica, vengono trasformati in terre di
conquista per poteri stranieri.
Quali sono i due grandi poteri stranieri che si contendono l’egemonia sull’Italia, nel primo
500? Sono la monarchia francese e quella spagnola. Spesso si tende a dire che le guerre
d’Italia siano generate dalla volontà della Spagna e della Francia di affermare la propria
egemonia sul territorio italiano. Dire ciò è errato, perché nel proporre questo tipo di concetto,
ci marchiamo di un peccato che spesso interessa anche gli storici della letteratura e tutti
coloro che si impegnano negli studi umanistici: compiamo un anacronismo—>
l’anacronismo legato all’idea che sono la Spagna e la Francia che si contendono il territorio
italiano, è pensare alla Spagna e alla Francia come due stati, nel senso moderno della
parola, totalmente piegati alla nostra idea di potere statale astratto. In realtà, però, a
contendersi il territorio italiano erano due dinastie: i Valois e gli Asburgo e la guerra non
era una guerra fra stati ma una guerra dinastica, una guerra tra famiglie. Il territorio, che
eventualmente veniva conquistato, veniva considerato a tutti gli effetti parte del patrimonio
familiare da dividere poi ai figli, agli eredi. Qual era l’obiettivo? L’obiettivo era accrescere il
prestigio della singola famiglia. Che la singola famiglia, nel controllo del suo territorio di
provenienza, ambisse ad essere considerata come famiglia a capo di un’entità astratta,
statale, è un altro paio di maniche—> è cioè uno sforzo che va in quella direzione, ma che
non riesce a realizzarsi in tutto e per tutto come sforzo capace di trasformarsi in progetto
politico(voglio essere tale, ma non è detto che io ci riesca, rimango pur sempre membro di
una dinastia che sta accrescendo il suo potere. Che quella dinastia voglia essere definita
come “Francia”, nel caso dei Valois , o “Spagna” nel caso degli Asburgo, è un problema, è
un tema ma non basta affinché possa avvenire sul serio l’identificazione come Spagna o
Francia).
Tutto questo si riflette, in maniera drammatica, anche sul discorso storico che oggi
applichiamo alla nostra terra e al contesto in cui viviamo: tutti conosciamo Caserta per la
sede di una reggia, di un palazzo reale, probabilmente il più grande dell’Europa dell’antico
regime, ma fu costruito verso la fine dell’età moderna, con l’intento di essere più grande
della più importante reggia esistente al tempo cioè la Reggia di Versailles, fatta costruire dai
Borboni di Francia. I Borboni di Napoli invece, che erano un ramo dei Borboni di Spagna,
vivevano con il desiderio di essere riconosciuti come dinastia capace di affermare il potere
sul Regno di Napoli (regno più grande del Sud Italia), per cui fanno costruire la Reggia di
Caserta come monumento, dell’architettura neoclassica, che voleva lasciare un segno di
riconoscibilità nel corso del 700.
Ma proprio sul Regno di Napoli, quando affrontiamo il discorso pubblico(storiografia intesa
come pratica quotidiana), applichiamo sempre lo stesso tipo di anacronismo di cui abbiamo
parlato prima: solitamente, per strada, sentiamo sempre dire “la nostra rovina è stata
Garibaldi” oppure “l’unità italiana è stata una truffa” oppure “prima si stava bene perché
eravamo ricchi; ora, invece, siamo finiti nella povertà”. Tutti questi discorsi sono fondati
sull’idea che, fino alla metà dell’800, il Regno di Napoli era uno dei più prosperi, produttivi,
potenti, dell’Europa di Antico regime. Ad oggi questo non si potrebbe dire, se pensiamo che
negli ultimi 18 anni, dal sud Italia, sono emigrate ben 2 milioni di persone che hanno
raggiunto città come Milano, Bologna o Londra (dove abitano circa mezzo milione di italiani).
Quindi, l’idea di epoca aurea viene applicata al passato. Quali sono gli argomenti che
vengono normalmente utilizzati, quando si dice che il Regno di Napoli è stato grande nel
corso dell’età moderna? Il Regno di Napoli era forte, potente e tecnologicamente avanzato
perché c’era
1.la prima ferrovia d’Europa;
2.la grandezza dei palazzi reali;
3.l’industria che vedeva settori molto molto sviluppati, come la produzione di seta(vicino
Caserta) e di maioliche(dove oggi abbiamo la Costiera Amalfitana) che erano destinate ad
arricchire e a rendere belle le case dei nobili e degli aristocratici;
4.presenza del bidet, argomento che ci riconduce all’igiene personale. Questo fa sì che il
Regno di Napoli si riveli superiore all’Europa del tempo, superiorità che però è andata persa.
La regina Maria Carolina, moglie di Ferdinando IV (erede di Carlo III di Borbone), possedeva
il bidet e quindi era particolarmente avvezza a pulirsi le parti intime meglio degli altri.
Da cosa sono accomunate tutte queste idee? Sono accomunate da una pesante
confusione tra l’idea di stato e l’idea di dinastia: spesso si dice “questo regno era
ricchissimo, c’era un’economia fiorente,delle bellezze straordinarie, una produzione artistica
straordinaria, una produzione architettonica straordinaria”. Anche questo è frutto della
confusione tra idea di stato e idea di dinastia. Perché qual’è la radice di questa sciocchezza
che ci viene raccontata? La radice è confondere i temi personali della famiglia che
regnava (prima gli Asburgo e poi i Borbone) con la ricchezza di un intero paese. Detto
così, significa che i Borbone difendevano il proprio prestigio; il paese, invece, stava ridotto in
una situazione pessima. Ad esempio la stessa ferrovia, di cui abbiamo parlato prima, è una
ferrovia che connetteva la Reggia di Napoli con la Reggia di Portici (reggia—>reggia). La
Reggia di Caserta, sede dinastica, fu progettata da Luigi Vanvitelli (un architetto di origine
olandese) e prevedeva inizialmente la costruzione di un canale che connettesse l’attuale
giardino reale di Caserta a quello di Napoli. Allora, ancora una volta, un’opera pubblica
costosissima che serve a connettere due residenze reali. Questi sforzi,che servono oggi a
descrivere il Regno di Napoli come un regno grandioso, erano sforzi totalmente finalizzati a
sostenere l’immagine di una dinastia forte cioè le stesse opere pubbliche erano destinate
a far vedere ai diplomatici stranieri quanto fosse bello stare a Napoli.
Lo stesso tipo di confusione che applichiamo alla prima età moderna, parlando di guerre
d’Italia come guerre tra stati, la applichiamo a tutta l’età moderna considerando il Regno di
Napoli come un regno ricco e florido, quando in realtà la ricchezza e la floridità apparteneva
solo ed unicamente alla famiglia regnante.
Dunque, ciò che ascoltiamo per strada è una sciocchezza clamorosa.
Dobbiamo anche aggiungere che il regno di Napoli era un territorio molto produttivo,
soprattutto sul piano agricolo.C’era in particolare una zona che si distingue per la sua
fertilità: nel Sud Italia, il Tavoliere delle Puglie (dove si coltivava ulivo, cereali). Il problema
che riguarda la produzione agricola, è avere anche delle infrastrutture che collegassero la
zona fertile con la zona in cui i prodotti devono essere consumati e smistati. Nello specifico,
dove dovevano essere consumati questi prodotti? Nella capitale, cioè a Napoli. Erano,
perciò, indispensabili vie di comunicazione, che non esistevano cioè non esisteva una
strada percorribile che collegasse il Tavoliere delle Puglie alla capitale. Di conseguenza,per
arrivare alla capitale, si circumnaviga il regno di Napoli.
Oggi, il principale mezzo di comunicazione che collega varie zone d’Italia (incluse anche
alcune zone di Europa) è il treno ad alta velocità (TAV), grazie alle quali ad esempio per
arrivare a Milano, partendo da Napoli, ci impieghiamo circa 4 ore. Ma se già volessimo
arrivare a Reggio Calabria, ci impiegheremo sicuramente di più.
Allora, la vera ricchezza per il paese,inteso come Regno di Napoli, e non per la dinastia, si
sarebbe avuta attraverso la creazione di una via in grado di collegare il Tavoliere delle Puglie
alla capitale, cosa che non è avvenuta. Infatti, al contrario, sono state costruite regge
bellissime, treni che collegassero una reggia ad un’altra, luoghi simbolo della dinastia,
capaci di far apparire la dinastia potente agli occhi dei visitatori e dei rappresentanti delle
altre corti europee.
Crisi religiosa
La data di riferimento è il 1517 perché è la data della cosiddetta affissione delle 95 tesi di
Lutero sulle porte della cattedrale di Wittemberg. Chiunque all’epoca era, come
Lutero, un teologo aveva come prassi quella di affiggere(=pubblicare) i risultati della sua
ricerca e quindi Lutero fa una cosa che i manuali ci presentano come inaudita, ma in realtà è
del tutto convenzionale. La differenza profonda non sta tanto nel gesto, quanto nella
ricezione che quel tipo di contenuti ha generato nel mondo cristiano. Anche per il caso di
Lutero, c’è un motivo che diventa causa di deflagrazione: la vendita delle indulgenze. Cosa
succede a Roma, dove c’era qualsiasi tipo di priorità, tranne occuparsi della cura delle
anime? Se i cristiani volevano ambire alla vita eterna, avere uno sconto di pene (intese
come pene da trascorrere in Purgatorio) per i peccati commessi in vita, dovevano fare una
donazione, cioè avrebbero dovuto comprare le indulgenze—> una vita meno aspra e
faticosa di quanto avrebbero potuto immaginare. Si inizia anche addirittura a dire che il
ricavato da questa vendita, doveva servire all’edificazione della fabbrica di San Pietro.
Tutto ciò potrebbe sembrare anche un po grossolano, ma l’idea di fondo era questa:
secondo il pensiero cristiano, le indulgenze si potevano comprare perché qualcuno in vita le
aveva guadagnate e le aveva messe a disposizione della Chiesa, affinché potevano a loro
volta essere messe a disposizione dei fedeli.
Chi era questo “qualcuno” che le aveva guadagnate? Era un qualcuno di una certa
rilevanza: Gesù Cristo, con il suo sacrificio in vita. Insieme a Gesù Cristo, anche sua
madre(la Vergine Maria) e tutti i santi, i martiri soprattutto→ quindi, persone che in vita
avevano subito sofferenze, martiri, accumulando quasi un “credito” nei confronti della vita
eterna. Tale credito diventa qualcosa che deve essere messo a disposizione di tutti i cristiani
che dovevano salvarsi. Perciò,dobbiamo immaginare le indulgenze come dei beni custoditi
all’interno di uno scrigno enorme messi a disposizione della Chiesa e che, di volta in volta,
potevano corrispondere allo sconto di pene purgatoriali, una volta acquisiti. I cristiani
potevano attingere a questo scrigno, ma dovevano lasciare i propri beni materiali a
disposizione della Chiesa, affinché questa potesse spenderli per arrivare al suo scopo cioè
l’edificazione della fabbrica di San Pietro.
Tutto ciò genera scandalo perché la connessione tra fede e beni terreni era già consolidata
in quella tradizione, quindi è uno scandalo che esisteva ancor prima di Lutero ma ad un
certo punto ci sono delle ragioni che rendono questo scandalo irrefrenabile, troppo grosso
per essere gestito.
Quali sono queste ragioni? La presenza, ad esempio, di Rodrigo Borgia al soglio pontificio
con il nome di Alessandro VI, che possedeva figli e figlie sparse per l’Europa e che
cercavano anche di sfruttare la carica papale in una sorta di vantaggio personale. Aldilà di
questo, anche qualcos’altro aveva cambiato le carte in tavola: la stampa, che Elizabeth
Einstein aveva definito come “rivoluzione” o altri come “cambiamento del sistema mediatico”,
ha provocato un cambiamento della vita quotidiana e del modo di comunicare delle persone,
basato sull’utilizzo di diversi mezzi di comunicazione, su una più alta dimestichezza con il
testo scritto (manoscritto o testo a stampa), una più alta dimestichezza con i gesti, con le
parole, con i discorsi. Dunque, avere più dimestichezza a comunicare significa anche avere
più dimestichezza a trattare dei temi e affrontare degli scandali. Lutero ripete, per certi versi,
alcuni temi, alcune immagini, ma lo fa per la prima volta all'interno di un ecosistema
mediatico nuovo, un ecosistema in cui la comunicazione è più potente e meno controllabile.
Altra cosa fondamentale, che abbiamo già visto, è la possibilità di leggere/conoscere un
testo scritto, pur non avendo dimestichezza con le lettere, grazie ad una serie di filtri cioè
attraverso un’opera di mediatizzazione (esistono prodotti, esistono contenuti e prodotti e
contenuti mediatizzati. Ad esempio: un conto è la morte di Maurizio Costanzo, altro conto è
la mediatizzazione della morte di Maurizio Costanzo→ evento che diventa attività
comunicativa). Nel corso della storia, però, le mediatizzazioni non sono sempre potenti ma
lo sono solo in virtù di alcune ragioni precise.
Lutero agisce in questo contesto, innanzitutto elaborando dei contenuti che rimangono
sempre importanti cioè la comunicazione non sovrasta i contenuti, bensì aiuta i contenuti.
Qual è il contenuto importante che Lutero propone? Non si limita a dire che la vendita delle
indulgenze è uno schifo,e che chi vende indulgenze va punito perché corrotto, ma comincia
a riflettere teologicamente sul significato della salvezza e dice “Cari esseri umani se
pensiamo di poter cambiare la decisione di Dio con le nostre opere, siamo degli idioti”.
Lutero era un monaco agostiniano e la sua affermazione nasce dalla percezione forte da
parte del singolo dell’onnipotenza di Dio→ la percezione è quella di un Dio troppo
grande da poter anche essere solamente sfiorato dalle mani dell’essere umano.
C’è un aneddoto leggendario legato alla vita di Lutero: Lutero, immerso in preghiera vicino
ad un albero, vede arrivare un fulmine che lo sfiora ma miracolosamente si salva.
Indipendentemente dalla veridicità di questo aneddoto, se cerchiamo di coglierne il risvolto
culturale diciamo che esso ci riporta alla contemplazione dell’onnipotenza di Dio, un Dio
troppo grande che ha deciso di salvarmi per un qualcosa che agli occhi dell’essere umano,
che è zero, è totalmente irrilevante. Chissà cosa ha pensato Dio per fare in modo che il
fulmine atterrasse 10 centimetri da Lutero, e non l’ha colpito in pieno. Dunque, l’idea è quella
di un Dio troppo grande per essere toccato e anche per essere conosciuto. Di conseguenza
secondo Lutero voler entrare nella mente di Dio, è un atto di tracotanza, di
presunzione, e ciò che dobbiamo fare è affidarsi solo ed unicamente alla sua grazia
perché la grazia è l’emanazione diretta della sua grandezza. In altre parole, quando
parliamo di salvezza e dannazione, secondo Lutero, stiamo parlando di una decisione che
Dio ha già preso indipendentemente dalle azioni concrete che un fedele può produrre
in vita.
Da questo deriva l’idea inversa che emerge dai manuali: un fedele si salva in virtù della
grazia, della fede e della lettura del Testo Sacro. Però detto così non significa nulla dal
momento in cui non ci fa entrare in quel sistema teologico-dottrinale, cioè potremmo
semplicemente pensare che credendo, leggendo le Sacre Scritture, Dio ci salva. Ma, non è
così perché Dio non agisce a seconda delle nostre azioni bensì Dio ha già deciso per il
nostro destino e non possiamo fare nulla per cambiare la decisione. Per cui, la fede, la
lettura delle Sacre Scritture e la capacità di godere della grazia è una conseguenza di una
decisione già presa.Però, la domanda che allora nasce è se Dio ha già deciso per tutti,
perché dovremmo fare buone azioni? Lutero a questa domanda risponderebbe dicendo che
stiamo ancora pensando che le nostre azioni potrebbero precedere la volontà di Dio, ma
esse sono solo la conseguenza di ciò che Dio decide→ dunque, se vengo salvato da Dio,
non farò mai azioni poco buone perché Dio, avendo deciso di salvarmi, ha deciso anche che
la mia esistenza sarà destinata al bene. Anzi, se inizio a fare cattive azioni, significa che Dio
ha deciso altro per me, cioè non ha scelto di salvarmi. In altre parole: la salvezza non è il
presupposto della decisione di Dio né legata alle azioni umane, ma è la conseguenza di ciò
che Dio ha deciso per noi.
Tutto ciò è facile a dirsi, ma difficile da applicare perché affermare questi presupposti per
attaccare la vendita delle indulgenze, fa cadere tutta una serie di pratiche che hanno
dominato il comportamento del cristiano fino a quel momento. La vita del cristiano è scandita
dai 7 sacramenti, tra cui ce n’è uno più importante perché è quello senza il quale tutti gli altri
verrebbero a crollare: la confessione. Secondo Adriano Prosperi,storico dell’età moderna,
la confessione è “il momento in cui la coscienza va in tribunale” →momento in cui noi ci
presentiamo dinanzi a colui che è considerato come “il ministro di Dio” e mettiamo i nostri
peccati sulla bilancia. Il sacerdote, come un giudice, deve stabilire se il pentimento è
credibile e, sulla base dell’autenticità del pentimento, assegnare una penitenza (attenzione:
in età moderna “crimine” e “peccato” coincidevano:per un peccato si poteva essere
condannati a morte. Oggi,invece, “peccato” e “crimine” sono due cose diverse). Tutto questo
sistema è basato sull'assoluta centralità delle opere: il sacerdote giudica le nostre opere
per stabilire come allineare le nostre opere con il giudizio Dio, perché egli funge da ministro.
Questo sistema, che vede il sacerdote come base della comunità cristiana, non può sussiste
secondo la teoria di Lutero perché
-le opere non hanno più alcun significato bensì ad avere significato è la fede, ma una fede
che ci pone in un rapporto diretto con un Dio decisore, a prescindere dalle nostre azioni;
-fa sì che una delle conseguenze della riforma protestante, sia l’affermazione del principio
del sacerdozio universale: ognuno è sacerdote di se stesso. Ci può essere la mediazione,
ma solo grazie ad un pastore che non è più un giudice ma un semplice mediatore.
Nel sistema luterano viene a perdere il senso l’intera Chiesa intesa come costruzione
terrena che deve fare da mediatrice tra i fedeli e Dio. Altro importante ruolo del sacerdote,
oltre a quello di amministrare i sacramenti, che viene a cadere è la lettura e la spiegazione
delle Scritture→ l’omelia, perché quello è il momento in cui il sacerdote diventa anche
interprete privilegiato delle Sacre Scritture. Per Lutero, invece, il contatto con le Sacre
Scritture deve essere diretto. Di conseguenza, bisogna tradurre le Scritture dalle lingue
antiche alle lingue moderne. Infatti, la Bibbia viene tradotta in tedesco (Dante, Petrarca,
Boccaccio e Manzoni vengono considerati i padri della lingua italiana; Lutero, invece, si può
considerare come il padre della lingua tedesca, soprattutto in virtù di quest’opera di
traduzione in volgare del testo biblico).
Vari studiosi hanno riflettuto sulla figura di Lutero: Adriano Prosperi, come abbiamo già
detto, ma anche altri come Massimo Filippo, uno dei massimi studiosi del luteranesimo in
Italia, perché anche nella Penisola Italiana c’è stato il luteranesimo.
Qualcosa su questo calciatore di nome Blissett: tra gli anni 70-80, in Italia e in Europa in
generale, c’era una tendenza nel cercare calciatori importanti per le nostre squadre. Ma,il
problema è che gli anni 70-80 avevano un ecosistema mediatico diverso dal nostro: se oggi
noi abbiamo vari strumenti per vedere le partite che si svolgono in tutto il mondo, a quel
tempo, invece, non si poteva fare quindi chi voleva acquistare un calciatore doveva
affrontare un viaggio lunghissimo in aereo per arrivare in Inghilterra Germania, Russia, e
cercare un calciatore importante.
Molto spesso questi osservatori tornavano, da questi viaggi lunghi e devastanti, soddisfatti
perché avevano scoperto dei talenti straordinari. Però quando questi talenti, o presunti
talenti, arrivavano in Italia si rivelavano essere dei bidoni colossali. Ce ne erano tantissimi e
Blissett era uno di questi. Addirittura accadeva che alcuni, dopo un pò di tempo, si
rivelavano essere non dei veri calciatori ma degli attori che incarnavano il ruolo del
calciatore e venivano venduti a cifre elevate a degli stupidi che, per conto di squadre
italiane, li acquistavano.
La domanda che dobbiamo porci è: perché il gruppo di scrittori del 199 sceglie il nome di un
calciatore bidone per scrivere un romanzo? Perché l’immagine di questo calciatore riportava
la loro mente e quella del lettore sull’importanza degli ecosistemi mediatici: quel
calciatore era stata la creatura fantastica di un ecosistema mediatico sbilenco/bizzarro, che
permetteva di consumare imbrogli e costruire notizie poco plausibili intorno ad un’attività,
apparentemente così immediata, come la partita di calcio, e il modo con cui si costruiscono
le false notizie.Infatti, la trama del vero romanzo dedicato alla saga del luteranesimo nel
corso del 500, è fondata proprio sul rapporto che c’è tra messaggi originali, distorsione degli
stessi messaggi, fraintendimenti, capovolgimenti,nella diffusione del luteranesimo. Dunque,
un 500’ fatto di bidoni, raccontato attraverso una fine del 900’ fatta altrettanto di bidoni: è
questo il senso profondo dell’operazione letteraria, ma anche storiografica, cioè parliamo di
un dono dei romanzieri, ma anche dei grandi storici.
14 MARZO ✅
In che cosa la ricostruzione letteraria romanzesca dà possibilità diverse
sul piano della conoscenza storica rispetto alla classica opera
storiografica?
Noi leggiamo tante cose e usiamo ciò che leggiamo come strumento per conoscere le varie
epoche. Però, ci troviamo di fronte a delle ricostruzioni che hanno un certo grado di libertà,
un certo grado di esercizio dell’immaginazione e aperte a includere una serie di
documentazioni che riteniamo storicamente attendibili.
Se proviamo a decostruire questa specie di monumento sacrale che abbiamo affiancato
all’immagine del documento storico, capiamo che il documento storico non ci offre verità
incontrovertibili ma ci ragguaglia sui meccanismi sociali, politici, culturali, religiosi, che
dominavano in un certo contesto ma che vanno poi smontati. Se lo storiografo gode di una
libertà vigilata, il romanziere ha una libertà potenzialmente illimitata,che ha come unici
confini quelli della plausibilità storica di ciò che dice o del contesto che descrive/in cui
sceglie di far muovere i suoi personaggi.In linea generale,però, l’immaginazione ha un
ruolo fondamentale per il lavoro del romanziere. È dell’immaginazione che si sono serviti i
romanzieri per descrivere l’Europa lacerata dalle guerre di religione. Apparentemente
l’immaginazione non deve essere tra i ferri del mestiere dello storico, mentre i letterati
possono avvalersi dell’immaginazione. Questa è però una cavolata, perché: lo storico, senza
immaginazione, senza il potere della congettura, è zero—> se lo storico si illude di poter
ridescrivere o restituire ai lettori lo scenario indagato solo attraverso i documenti, è uno
stupido perché i documenti ci restituiscono dei punti di vista molto molto parziali sulla realtà
e solo la conoscenza del contesto ci può restituire la complessità della realtà, ma alla fine
neanche questa basta. La scienza storica è una scienza umana perché indaga l’agire
umano e non può prescindere dall’utilizzo della fonte letteraria per poter scendere in
profondità dell’analisi dell’ agire umano. Dunque anche lo storico deve avvalersi
dell’immaginazione perché la fonte letteraria è fatta di immaginazione.
Le immaginazioni condivise in letteratura vengono definite “immaginari”: l’immaginario è
l’incontro tra tutte le nostre immaginazioni ,quello che informa l’agire umano e quel luogo
ritenuto importante non tanto per ciò che facciamo, ma ciò che è ritenuto plausibile fare.
Questa è la ragione per la quale tanto lo storico quanto il romanziere deve fare i conti con la
verosimiglianza: se descrivo, in un’opera tanto storiografica quanto letteraria, qualcosa di
non verosimigliante, mi sottopongo ad una serie di critiche (anche feroci) di difficile
risoluzione.
La verosimiglianza affonda le radici nell’immaginario, cioè nell’ideale luogo di incontro tra le
nostre immaginazioni. Questa è la cultura, intesa come luogo in cui gli esseri umani riescono
a dialogare, come luogo ideale.
I manuali spesso sono più inverosimili dei romanzi: potremmo dire che il romanzo è il testo
che mi catapulta nell’immaginazione di un autore che si fonda sull’immaginario; il manuale di
storia, invece, dovrebbe farmi confrontare con il sapere storiografico (=cosa seria). Però,
spesso, l’immaginario storiografico è più implausibile di quello letterario, in particolare
Calvino: di Calvino, i manuali affermano che ha introdotto il concetto di
predestinazione,nel dibattito del mondo protestante. A chi scrive una cosa del genere,
bisognerebbe dire che anche Lutero credeva nella predestinazione, al punto tale da dire che
le opere umane non potevano avere un reale impatto sul destino ultraterreno del fedele.
Allora è Dio che decide e anzi l’agire umano, non è il presupposto della salvezza, ma la
conseguenza di una decisione che Dio ha già preso. Che Dio abbia già deciso per noi però,
come abbiamo già visto, non significa pensare di iniziare azioni poco buone perché essendo
l’uomo predestinato non farà cattive azioni, poiché il suo comportamento virtuoso è una
conseguenza della decisione che Dio ha preso (es: se rubi e fai il ladro, stai già decretando
la tua predestinazione verso la dannazione eterna, stai palesando la decisione che Dio ha
già preso per te). Inoltre, Lutero pensava anche che Dio ha una mente inconoscibile,
impenetrabile, da noi tutti e pretendere di entrare nella sua mente è un atto di presunzione,
di illusione, perché Dio non ci lascerà mai comprendere cosa c’è nel suo progetto.
Il comportarsi bene non è una garanzia della predestinazione perché non c’è la sicurezza
che prima o poi questo comportarsi bene non porterà a deragliare, a uscire fuori strada.
Quindi, comportarsi bene non ci dà la certezza di poter o no realizzare il progetto che Dio ha
già disegnato. Stesso discorso vale se ci si comporta male: nulla implica che questo possa
cambiare direzione e finire, anche involontariamente, nel binario del bene… non lo
sappiamo, e non lo sapremo fino alla morte.
Con Calvino le cose cambiano: secondo Calvino, in vita, l’uomo può iniziare a intuire cosa
c’è nel progetto di Dio. Capiamo, quindi, che Calvino non introduce il concetto di
predestinazione ma lo modifica un pò. Alcuni definiscono questa modifica come Doppia
predestinazione.
Altra grande sciocchezza che dicono i manuali, è che Calvino rivaluta il ruolo delle opere.
Calvino, però, non rivaluta nulla, cioè non dice che le opere umane possono portare alla
salvezza ma rimane dell’idea che la salvezza è assolutamente indipendente dall’azione
umana (come Lutero) e perciò tutto quello che decidiamo di fare nel corso della vita, non
potrà cambiare la decisione che Dio ha già preso, non potrà cambiare il fatto che siamo
predestinati alla salvezza o alla dannazione. Però, con una modifica a ciò che dice Lutero,
dice che ciò che facciamo nella vita porta a degli esiti. Attraverso la misurazione di questi
esiti, possiamo intuire se Dio ci ha predestinati alla salvezza o alla dannazione.
Ad esempio la grazia di Dio, importante tanto per Lutero quanto per Calvino, finisce ai fedeli
dei doni:possiamo avere vari talenti (il talento per l’arte, per la pittura, la scrittura, il
commercio, l’artigianato, il canto) e, per rispettare il dono che Dio mi ha fatto e se sono una
persona di fede, coltivo quel talento che può portarmi verso diversi esiti. Gli esiti
dell’esercizio del mio talento, per Calvino, sarebbero l’indizio della strada che Dio ha
disegnato per noi , quindi sfruttare quei doni della grazia divina è quasi un dovere. Da
questo punto di vista, Calvino rivaluta l’attivismo ma non è un attivismo che deve cambiare
la decisione di Dio, bensì deve mettere alla prova la decisione di Dio, aiutare l’essere umano
a svelare la decisione di Dio.
Mentre per Lutero non si può entrare nella mente di Dio; secondo Calvino invece la mente di
Dio, pur rimanendo inaccessibile, ha degli spiragli attraverso cui possiamo tentare di entrare
mettendoci alla prova e vedere dove questa prova ci conduce. Calibrando gli esiti, possiamo
capire quale sarà il nostro destino ultraterreno.
Lutero riteneva che il sacerdozio non aveva gran senso e la Chiesa non aveva ragione di
esistere —> infatti afferma che la Chiesa deve essere invisibile, quindi non deve avere una
vera e propria gerarchia terrena. Questo spiega perché i protestanti hanno i pastori e non i
sacerdoti, e perché oggi parliamo di chiese protestanti e non di chiesa protestante. La
chiesa protestante più numerosa al mondo è una chiesa molto forte in America: la Chiesa
Battista, che a sua volta ha subito una spaccatura interna—> ci sono stati i metodisti, gli
evangelici e i mormoni (che sono circa 3 o 4 milioni e geograficamente collocati nello Utah).
La Chiesa mormone è fondata sulla lettura di un doppio testo sacro: la Bibbia e il Libro di
Mormon, dove le magie, le peripezie, si susseguono in maniera vertiginosa.
Se Lutero ritiene che la Chiesa dev’essere invisibile, Calvino ritiene invece che i cristiani non
possono accontentarsi di nascondersi e aspettare che la Provvidenza divina faccia tutto al
posto loro, ma devono essere la manifestazione terrena della realizzazione del progetto
di grazia scritto da Dio e quindi essere una chiesa visibile. Calvino proveniva dalla
Francia e arrivò a fondare la sua chiesa visibile a Ginevra, in Svizzera, sulla base di questo
presupposto teologico-dottrinale che sposta in maniera significativa la prospettiva rispetto a
quella di Lutero.
Ad esempio: spostiamoci dal talento del canto alle attività economiche—> anche le attività
economiche ci mettono in relazione con delle possibilità molteplici e esiti complessi perché,
in uno stesso ambito, abbiamo vari talenti: il talento per il mercato, scambio, imprenditoria,
libera iniziativa. Coltivare questa tipologia di talenti, significa mettere alla prova la decisione
che Dio ha preso per noi e cercare di spiare all’interno della mente di Dio per capire quale
sarà il nostro destino ultraterreno. Ad esempio: un mercante può tanto fallire quanto ricavare
a stento quello che ha investito, diventare ricchissimo o guadagnare il minimo e
l’indispensabile. Questi vari esiti, secondo Calvino, offrono un ulteriore parametro di
misurazione che ci permette di capire quello che Dio può aver deciso. Da questo punto di
vista, saremmo di fronte a una riscoperta dell’attivismo, ma “attivismo” non inteso in senso
cattolico del termine, cioè io non faccio le cose buone perché spero di avere la salvezza, ma
per poter capire già in vita se sono salvo o meno che è una cosa diversa cioè l’attivismo
deve portarmi a scoprire una verità che non conosco e non cambiarla. Per i cattolici conta il
libero arbitrio: siamo artefici del nostro destino. Ora, invece, il destino è già scritto ma
dobbiamo provare a scoprirlo. Potremmo pensare a questa teoria come qualcosa
teologico-dottrinale che può non avere dei risvolti concreti sulla vita delle persone, ma per
alcuni il calvinismo avrebbe avuto delle conseguenze sul sistema economico che ancora
oggi domina il pianeta: il capitalismo,sistema economico che si basa sulla libera iniziativa
e sulla libera imprenditoria. Il capitalismo è legato anche allo spirito borghese, alla
borghesia. Tra i massimi teorici di questo tipo di sistema, ci sono stati sia coloro che lo
criticavano che coloro che lo sostenevano. Ancora oggi,a livello planetario, questo sistema
permea la nostra convivenza sul piano teorico e pratico, in parte (anche i paesi che si
dichiarano anti-capitalisti poi praticano una forma di capitalismo. Ad esempio: la
Cina—>paese ancora legato ad un’ispirazione anti-capitalista che è stata poi capovolta).
Dobbiamo però porci la domanda: il capitalismo, così come lo conosciamo oggi, esisteva già
nell’età moderna? No, nell’età moderna esiste un’entità più indefinita, ampia—> la
BORGHESIA che, secondo gli studiosi, prefigura l’atteggiamento economico che sarebbe
diventato proprio del sistema capitalista.
Dobbiamo quindi capire che differenze ci sono tra borghesia e capitalismo, tra borghese e
capitalista?
1.Il borghese ha delle capacità, dal punto di vista materiale, di amministrare i suoi
beni, in maniera razionale,calcolatrice—> ha molta dimestichezza con la matematica,
con i numeri, con una gestione dei beni materiali quasi ragionieristica. Il borghese è uno che
ha in sé il concetto di investimento, del ricavo e guadagno quindi è impegnato in un'attività
che non è solo finalizzata solo all'autoconsumo(mangio quel che produco), ma anche ad
avere una serie di beni materiali che derivano soprattutto dal commercio.
2.Il capitalista,invece, ha qualcosa in più rispetto al borghese: l’idea che se investe
qualcosa, c’è la possibilità che quel qualcosa venga integralmente perso.
Nel capitalismo quello che si investe, per quanto grande possa essere, può andare perso—>
c’è il rischio, non c’è la garanzia del successo. Mentre il borghese minimizza il rischio, il
capitalista invece lo massimizza perché più rischia, più spera di guadagnare.
Allora il rischio è il principio fondamentale su cui si basa il capitalismo, che non esisterebbe
senza rischio.
Questa distinzione è una delle chiavi interpretative per Franco Moretti e per rileggere, anche
alla luce di una nuova consapevolezza, il paradigma che Weber applicava al legame tra
etica calvinista e spirito capitalista. Se vogliamo leggere questa questione in una chiave
diacronica, dobbiamo capire che la borghesia di età moderna si configura come
anticipazione del capitalismo, ma per essere capitalisti c’è bisogno di un passo in avanti: la
consapevolezza del rischio. Secondo Weber, proprio la predisposizione del rischio era
l’elemento distintivo dell’etica calvinista che si lega a quello che Marx definisce come
accumulo del capitale.
Quando Moretti parla di calvinismo e capitalismo, sviluppa questo discorso analizzando
un’opera letteraria, da considerare come il capolavoro della letteratura europea e mondiale
dell’età moderna: il Robinson Crusoe di Daniel Defoe. Defoe era un tipo un pò
controverso, non amava l’economia legale, faceva diverse cose (il giornalista, l’imprenditore,
il romanziere realizzando storie che attiravano l’attenzione del pubblico)
La storia raccontata è quella di uno che ha dei beni familiari che potrebbe amministrare, ma
non si accontenta e decide di mettersi in viaggio. Durante questo viaggio finisce per essere
vittima di un naufragio, arriva perciò su un’isola deserta dove vi resta per ben 35 anni. Per
sfamarsi, comincia a coltivare, produrre, si dedica alla caccia ecc. Il protagonista non fa altro
che scrivere in prima persona il bilancio di quello che fa giorno dopo giorno, le sue
esperienze quotidiane nell’amministrazione economica della vita sull’isola, ma la vita
economica di una persona. Si comporta da
borghese perché traccia continuamente delle linee che gli servono per tracciare dei bilanci
della sua vita quindi amministra razionalmente le sue risorse e di volta in volta fa dei piccoli
investimenti per cercare di moltiplicare queste risorse e avere una vita più agevole. Per delle
circostanze indipendenti dalla sua volontà, dopo 35 anni va via dall’isola e arriva a sapere
che le sue piantagioni sono diventate delle miniere di ricchezze che hanno soltanto bisogno
di chi si prende l’onere di gestirle. Questo passaggio della trama è fondamentale perché
arriva a farci comprendere che quest’uomo nel corso della sua vita si è sempre messo alla
prova e ha sempre sfruttato i talenti a sua disposizione, ha coltivato il suo armamentario e lo
ha fatto aspettando dei responsi. Nei lunghissimi 35 anni sull’isola, quei responsi erano stati
parziali—>c’erano stati successi e fallimenti, ma poi la grande fortuna della sua vita gli
deriva da una proprietà che aveva e nella quale non era mai stato fisicamente e per la quale
non aveva mai fatto nessuno sforzo. Per Moretti questo è il personaggio su cui si costruisce
la mitografia dell’etica calvinista: si accorge della decisione che Dio ha preso per lui grazie a
qualcosa che è accaduto nella sua vita, che gli riguarda ma che è indipendente da quello
che ha fatto—> compiamo nella nostra vita delle azioni, ma non per cambiare il nostro
destino perché questo cambia indipendentemente dalle azioni fatte e sulla base di un altro
discorso che a che fare con la predestinazione.
Anche nel tentativo di decostruzione dei manuali, capiamo che tutte queste idee che ci
rimandano alle differenze dottrinali tra Lutero e Calvino vanno analizzate con una
consapevolezza critica enorme che non include solo la teoria di Max Weber, ma proprio la
chiarezza di definizione dei concetti che è importante perché sulla base di questa
definizione, possiamo fare delle valutazioni di tipo economico e politico.
Tutte queste congregazioni sembrano avere ognuna il proprio compito, ma col tempo ci si
accorge che tra tutte l’equilibrio viene a mancare e quindi si va a palesare la preponderanza
della congregazione del Sant’uffizio su tutte le altre—> gli inquisitori e i cardinali a capo
dell'inquisizione diventano più potenti di tutti gli altri colleghi impegnati nelle altre
congregazioni e quindi nascono le gelosie. Questo accade perché la contingenza storica dà
alla battaglia contro il protestantesimo e l’eresia una priorità assoluta e fa sì che il compito
svolto in maniera precipua dal Sant'Uffizio venga considerato più importante di tutti gli altri
compiti. C’è da specificare anche un’altra questione, che potrebbe sembrare irrilevante ma
non lo è: se ci si occupa di repressione dell’eresia possiamo dire che la lettura dei libri non
interessa? No, interessa perché molto spesso i libri sono tra i principali veicoli di messaggi
eretici, allora legittimamente la Congregazione del Sant'Uffizio metteva il naso nelle cose di
cui si occupava la Congregazione dell’Indice;
-puoi dire che il comportamento dei vescovi non ti interessa ?No, devi interessarti perché
molte volte a essere oggetto di indagini per presunta eresia sono proprio i vescovi o
addirittura i cardinali (Reginald Pole, ad esempio, stava quasi per diventare papa ed era
sospettato di protestantesimo—> coltivava delle forti simpatie per il protestantesimo);
-non ti occupi di missioni? Non si può non farlo, devi per forza perché nel mondo delle
missioni c’è lo scontro con i protestanti e ci può essere anche un’influenza esercitata dai
protestanti obbedienti al papa;
- non ti occupi dei santi? Certo che devi farlo perché i protestanti, come leggiamo nei
manuali, si dice che i protestanti proibiscono il culto dei santi, sono i distruttori di immagini
sacre. In realtà non è proprio così, perché i protestanti proibiscono il culto delle immagini
sacre ma non censurano la presenza dell’immagine sacra—> per loro, l’immagine sacra è
possibile come riproduzione e rievocazione artistica di qualcosa, ma non come oggetto di
culto (puoi contemplare l’immagine sacra, ma non pregarla).
L'Inquisizione si occupa di tutte queste cose, anche con delle conseguenze abbastanza
devastanti sul piano politico, perché nel corso del 500 si inizia a comprendere che il legame
tra papato e Sant’Uffizio è così forte da generare processi di identificazione integrale:
quando moriva un papa e doveva farsene un altro (oggi se muore un papa, già ce n’è uno) ci
si riuniva e ci si rendeva conto che il più favorito, e colui che veniva eletto, era l’ex prefetto
della Congregazione del Sant’Uffizio—> quindi la Congregazione del Sant’Uffizio da
diventare il primo serbatoio dei nuovi papi.
L’ultimo papa che era un ex prefetto della Congregazione del Sant'Uffizio è stato Benedetto
XVI, papa Ratzinger.Nel 900, la Congregazione del Sant’Uffizio assume il nome di
Congregazione per la dottrina della fede, che si occupa della salvaguardia della dottrina
cattolica e della repressione dell’eresia. Francesco, invece, non è stato questo tipo di papa e
a differenza di Ratzinger era molto vicino ai protestanti. Inoltre, Ratzinger si è presentato
come un papa iper conservatore, rigido, e ha fatto una cosa che nessun papa prima di lui
aveva fatto: dimettersi.
L'Inquisizione comincia a fare la sua battaglia con lo scopo di vincere. Per farlo, bisogna
fare molti bassi e tra questi troviamo lo sfruttamento integrale della rete dei sacramenti,
la stessa delegittimata da Lutero che tra i vari sacramenti ce ne erano buoni solo due: la
Comunione e il Battesimo. Tutti gli altri potevano essere mandati via, inclusa la Confessione.
Cosa significa essere privatamente e pubblicamente cristiani? Se c’è una cosa che in una
comunità cristiana di antico regime è capace di coprirmi di vituperio e vergogna è il non
partecipare al precetto pasquale perché l'eucaristia della Pasqua è il momento in cui si
rende riconoscibile, agli occhi della comunità, l’essere regolarmente cristiano e quindi
bisogna andare a messa e prendersi la comunione. Il problema è che per accedere
all’eucaristia bisogna confessarsi e per confessarsi c’è bisogno della penitenza e per avere
la penitenza c’è bisogno che dell’assoluzione da parte del prete. Senza tutto ciò non posso
accedere all'eucaristia.
Tra gli anni 50, 60 e 70 del 700’ tutti i sacerdoti, che confessano i penitenti e che vengono a
conoscenza, per qualche ragione, di sospetti del protestantesimo o del fatto che il penitente
poteva essere a sua volta a conoscenza di altri che erano in odore di protestantesimo, non
davano l’assoluzione. Però, in quel momento la speranza non andava del tutto persa
perché, per evitare di essere ricoperti di vergogna agli occhi della comunità, si poteva
andare di andare dall’inquisitore per vuotare il sacco, dirgli tutto ciò che si sa delle persone
che ci circondano e che possono essere in odore di eresia protestante. L’Inquisitore rilascerà
così un bigliettino, con cui il penitente doveva ritornare dal sacerdote che lo assolve,
dandogli la possibilità di partecipare al precetto pasquale. Questo significa che tra inquisitore
e precettore nasce una collaborazione enorme e, per ottenere l’assoluzione, le persone
andavano spontaneamente dai confessori a dire tutto ciò che poteva essere di utile al loro
scopo. Nasce quindi una cultura del sospetto assolutamente avvolgente, si tendono a dire
cose agli inquisitori pur di ottenere ciò di cui si ha bisogno.
L’altra obiezione importante che potremmo fare è: non si potrebbe comunque prendere
comunque la comunione a Pasqua, senza ottenere l’assoluzione in confessione? Oggi può
capitare che un cristiano si confessi da una parte e prende la comunione da un’altra parte e
il sacerdote deve fidarsi del fatto che tu sei in pace con la tua coscienza. Questo in Antico
Regime non sempre poteva avvenire o addirittura si provò ad evitare che avvenisse,
limitando la mobilità e facendo in modo che il sacerdote-confessore corrispondesse nella
maggior parte dei casi al sacerdote che doveva celebrare l’eucaristia. Quindi, ci si poteva
presentare dinanzi al sacerdote che poteva anche non riconoscerci.
Questa questione ci da anche l’idea di quanto possa essere avvolgente il sistema di
controllo, che non riguarda più l’attività di un tribunale ma riguarda l’intera rete dei
sacramenti che lascia trasparire una collaborazione stretta tra sacerdoti, inquisitori,
confessori. Anche il matrimonio è un altro momento di grande controllo della vita del
cristiano, abbastanza avvolgente.
La cultura del sospetto avvolge in maniera profonda l’universo che riguarda la vita
devozionale. Gli storici, però, hanno visioni diverse sull’impatto che questo sistema avrebbe
avuto sul mondo cristiano: secondo alcuni, questo sistema avrebbe influito tantissimo sulla
vita delle persone-in particolare gli abitanti della Penisiola Iberica- tanto da frenare il
progresso culturale, la produzione di libero pensiero, nella nostra Penisola; secondo altri,
invece, l’Inquisizione si sarebbe caratterizzata più per le sue contraddizioni e per le sue
ricerche di compromessi che non per la sua inflessibilità—> sarebbe stata meno cattiva di
quanto potrebbe sembrare. In effetti se contassimo le condanne a morte celebrate
dall’Inquisizione rispetto a quelle di altri tribunali europei, ci renderemo conto che questi
inquisitori erano un pò meno sanguinari di come ci sono stati descritti. Ciononostante c’è
una cosa importante da dire: se ti pentivi, se obbedivi, ti potevi salvare la vita quindi il nodo è
anche la comprensione dell’importanza della differenza profonda che c’è tra la
repressione di un reato consumato molto bene e la repressione di un reato di
pensiero—> un conto è finire dinanzi al tribunale con l’accusa di omicidio, un altro conto è
finire in tribunale se si è accusati di avere un pensiero sbagliato. Queste due questioni
differenti devono farci diffidare dalla storia svolta solo con il metodo quantitativo.
15 MARZO ✅
Quando parliamo di “terra protestante” parliamo di terra a maggioranza protestante, quindi
non solo di focolai isolati ma di ampie comunità che possono convincersi della maggiore
bontà del messaggio di Lutero o Calvino rispetto a quello di obbedienza romano-cattolica.
Questo pericolo è durato diversi anni, fino a che la Chiesa non riorganizza tutto il sistema
secondo i criteri spiegati in precedenza.
Come abbiamo detto, “Sant’Uffizio” e “Inquisizione” non sono la stessa cosa: “Inquisizione”=
chi lavora; “Sant’Uffizio”= chi comanda (come se dicessimo “professore” e “rettore”). Il
Sant'Uffizio è fatto da una rete di giudici che si devono occupare della repressione di
presunti eretici; la Congregazione del Sant’Uffizio è un gruppo di cardinali, che nella
maggior parte dei casi risiede a Roma, e deve supervisionare tutta l’attività inquisitoriale. C’è
una stretta collaborazione tra inquisitori e confessori: la rete dei sacramenti, che scandisce
la vita del cristiano, è uno strumento di controllo.
Durante quest’epoca, crimine e peccato sono la stessa cosa. Oggi, in virtù dell’evoluzione
dei sistemi giuridici e della secolarizzazione della società, possiamo dire che il peccato è
qualcosa che riguarda la coscienza, mentre il crimine riguarda un male che apportiamo ad
un terzo. All’epoca, il peccato e il crimine erano sovrapponibili soprattutto dal punto di vista
della pena che si andava a pagare: si potevano commettere crimini contro la morale
pubblica, mentre la coscienza ti impone di pentirti e non di intraprendere una strada di
punizione. Allora il punto è questo: ti nego l’assoluzione fino a che non andrai dall’inquisitore
a dire tutto ciò che sai di te stesso e degli altri, o che pensi di sapere di te stesso e degli altri.
Tutto questo innesca un meccanismo un po’ perverso, ovvero pur di essere sicuro di non
essere coperto di vergogna agli occhi della comunità, inizio a dire all'Inquisitore ciò che
vuole sentirsi dire, anche informazioni di cui non sono certo.
Altro meccanismo che si innesca è quello dell’utilizzo della confessione prestata
“spontaneamente ”davanti all’inquisitore come uno strumento di vendetta personale—> io
sono andato in confessione ma non ho ottenuto l’assoluzione. Perciò devo andare
dall'Inquisitore che mi rilascia un bigliettino, con cui ritorno dal sacerdote che mi assolve.
Ma, giacché mi trovo, inizio a fare all’Inquisitore i nomi di presunti eretici, che non importa se
lo sono o meno realmente perché se solo insinuo nella mente dell’Inquisitore l’idea che
possono essere tali, l'Inquisitore li chiamerà per interrogarli. Quindi, mentre il fedele si
presenta dinanzi all'Inquisitore spontaneamente perché vuole ottenere l’assoluzione, i
presunti eretici non si presentano dinanzi all'Inquisitore per loro volontà ma perché vengono
chiamati. Di conseguenza, a seconda della situazione, l'Inquisitore avrà un atteggiamento
differente. Quando vieni chiamato da un Inquisitore, sai che ci sono guai in vista, c’è un
sospetto enorme che pende sulla tua testa. Però oggi la questione è leggermente diversa:
se veniamo chiamati da un giudice come persone informate dei fatti, probabili testimoni,
abbiamo all’interno di uno stato di diritto una prerogativa che non bisogna sottovalutare, cioè
quella che ci consente di sapere perché siamo stati chiamati prima dell’interrogatorio.
Questa prerogativa, nel gergo giuridico, corrisponde all’avviso di garanzia grazie al quale
scopriamo quali sono le ragioni per cui siamo stati chiamati.
In ultimo, abbiamo il diritto di apparire davanti al giudice accompagnati da un avvocato,
colui che deve pianificare la nostra strategia di difesa. Per l’Inquisizione romana, e in
generale per tutte le inquisizioni di Antico Regime, questo non vale: nel nostro sistema
giuridico, in virtù di cittadini di uno stato di diritto, siamo innocenti fino a prova contraria.
Dinanzi all'Inquisitore, sei colpevole fino a prova contraria.
Detto in termini più banali e precisi da un punto di vista della prospettiva storica, questo
significa dire che quando appari di fronte all’inquisitore non conosci né la ragione per cui sei
lì, né il nome di colui che ti ha tradito. Questo è un grandissimo limite per chi vuole difendersi
perché se non sai chi ha informato l’Inquisitore, sei in una posizione di pressoché totale
debolezza e quello che puoi solamente fare è, in maniera pressoché spaventata, fare delle
supposizioni e sospetti incrociati.
Questo significa vivere in un’atmosfera imbevuta di sospetto, paura, in cui non ci si fida di
nessuno perché la vita dell’individuo e della comunità è permeata dai sacramenti cristiani
che ne scandiscono le tappe, i quali ti rendono visibile agli occhi della comunità come
cristiano e persona per bene e, se esci fuori da questa rete di sacramenti, vieni percepito
come uno che ha qualcosa che non va. Tutte queste cose, alla luce del perfezionamento di
uno strumento di controllo così forte e capace di trovare alleati nel quadro istituzionale e
nella comunità, diventa ancora più pesante da affrontare—> chiunque può essere tuo
nemico, può portarti a pagare le estreme conseguenze di un reato che supponi di aver fatto
ma che mai pensi di aver commesso davvero. Tutti questi nodi diventano difficili da
sciogliere, ma sono alla base della battaglia che la nuova Inquisizione romana (quella che
obbedisce alle direttive del Sant'Uffizio) combatte contro l’eresia e tutte le forme di
eterodossia , a difesa dell’ortodossia.
Ortodossia: parola corretta, così come è stata codificata dalla Chiesa di Roma; eterodossia:
qualsiasi forma di devianza, spostamento o correzione dalla dottrina romana
Chiaramente, tutto questo non è poco per la battaglia che la Chiesa romana vuole
ingaggiare, soprattutto se consideriamo che ha armi soprattutto nella Penisola italiana, dove
viene accolta con entusiasmo dagli stati secolari e dove ha carte grosse da giocarsi.
Perché negli stati italiani viene accolta senza grandi perplessità? Come è che un sovrano
secolare accoglie in casa dei giudici che non sono del suo stato? In Antico Regime andare
da Napoli a Roma significava andare in uno stato straniero e accettare a Napoli un giudice
che obbedisce alle direttive di Roma, significava accettare un giudice che obbediva ad un
sovrano straniero.
Ma, allora, perché li accettavano? Perché ci si rende conto di essere più deboli rispetto agli
altri sovrani europei, perciò puntano all’unità politico-religiosa del corpo dei sudditi in modo
da assicurarsi che i sudditi arrivino dritto sul piano della morale e della religione e gli
Inquisitori li aiutano a perseguire questo scopo.
Molti storici hanno parlato di collaborazione condominiale tra gli stati secolari italiani e i
giudici ecclesiastici.
Tra i vari stati, due in particolare mettono dei paletti all’attività degli Inquisitori romani:
1.Venezia, perché pretendeva di avere ancora un’autonomia proveniente dalle fortune
economico-commerciali dei secoli precedenti. Quindi, per disciplinare i sudditi e essereforti,
pensa di non aver bisogno di aiuto straniero;
2.Napoli,che rientra tra i domini dell’Impero spagnolo, quindi obbediva a quelle direttive e in
Spagna a fare una cosa del genere ci avevano pensato direttamente loro, senza doversi
necessariamente appoggiare all’aiuto del papa, cioè avevano costruito la loro Inquisizione.
Tale Inquisizione era definita come “la Suprema”: a differenza di quella romana, non
obbedisce alle direttive del papa ma direttamente al re di Spagna.Dunque in Spagna
avevano fatto un passo in avanti, cioè avevano bisogno dell’unità politico-religiosa dei
sudditi, di un tribunale che garantisca quest’unità, ma decidono di creare una loro
Inquisizione e non affidarsi allo straniero.
Aldilà delle piccole eccezioni che ci sono, la presenza dell'Inquisizione romana soprattutto
nella Penisola italiana era forte. Riesce, in circa 3 decenni dalla sua ristrutturazione, riesce a
vincere la battaglia contro l’eterodossia—> quindi se è stata ristrutturata a fine degli anni 40,
possiamo dire che alla fine degli anni 70 del 500 la battaglia è vinta, quindi non esiste più la
possibilità concreta che larghi gruppi sociali possano diventare protestanti. Ma attenzione,
perché il protestantesimo non scompare ma si racchiude in piccoli gruppi isolati, motivo per
cui spesso si parla di "focolai di protestantesimo”. Questo significa che il protestantesimo
non può essere più un fenomeno epidemico, ma esistono focolai circoscritti che di volta in
volta possono essere spenti.
Detto ciò, la domanda che ci dovremmo porre è: finita questa emergenza, cosa succede? Gli
inquisitori non hanno più il loro compito da svolgere,quindi ha senso ancora la loro esistenza
così come è stata pensata negli anni 40 del 500?
Dobbiamo pensare anche che tenere in piedi l’Inquisizione richiede molto denaro. Una volta
vinta la battaglia, gli inquisitori potrebbero ridursi di numero e magari concentrarsi solo lì
dove c’è un focolaio, ma questa cosa non accade perché la congregazione del Sant’Uffizio
ha preso troppo potere, al punto tale da compenetrarsi strettamente con la Santa Sede e da
fare in modo che gli ex prefetti della Congregazione del Sant'Uffizio diventassero addirittura
papi.La Chiesa, nel frattempo, capisce che la battaglia da combattere non può più essere
circoscritta all’eresia ma è più generale, che ha a che fare con tanti altri comportamenti che
sono all’interno della cristianità—> pur non essendo esplicitamente eretici, si è un pericolo
per l’unità religiosa e per la disciplina religiosa dei fedeli.
Esempi per capirci: gli inquisitori avrebbero delle alternative negli anni 70, ma non lo fanno e
si riconvertono, cioè si danno ad un’altra battaglia che la Chiesa del tempo chiama
“battaglia contro le superstizioni”.
“Superstizione” non è “eresia”: “eresia” è credere che le opere non ti salvano, credere nelle
dottrine di Lutero, Calvino, essere un anabattista. Cosa significa oggi essere “superstiziosi”?
L’idea che abbiamo oggi della superstizione non coincide con l’idea che si aveva di
“superstizione” nel 500. L’idea che abbiamo oggi nasce nel 700, nell’epoca dell’Illuminismo,
quando nasce quell’idea che ha a che fare con l’irrazionalità —> sei superstizioso se credi
in cose che non hanno a che fare con la ragione (es: se pensi che il vaccino ti faccia male,
che un determinato alimento ti faccia male, perché abbiamo conoscenze scientifiche che ci
smentiscono la credenza). Nel 500,invece, la superstizione era un concetto elaborato
all’interno dell'autorità ecclesiastica e che distingue il rapporto con il soprannaturale, sulla
base di 2 tronconi: il primo, non superstizioso, era obbediente alle direttive della stessa
autorità ecclesiastica e quindi interno alla liturgia ecclesiastica; il secondo era quello
superstizioso, quello non obbediente alle direttive dell’autorità ecclesiastica
Esempio:
-Credere che in un pezzo di ostia ci sia Cristo, è razionale? No, non lo è, implica un atto di
fede. Da un punto di vista illuministico, secolarizzato e attualizzato, potremmo dire che
quella è pura superstizione ma mai la Chiesa del 500 avrebbe affermato che fare la
comunione era una cosa superstiziosa.
-Credere che in un’immagine sacra ci sia la presenza stessa di una divinità o di un santo che
vado a pregare e a cui chiedo l’intercessione, è una cosa razionale? No, implica un atto di
fede, che non è lo spartiacque, cioè non ci porta a dire cosa è superstizioso e cosa no. Ma,
mai, la Chiesa del 500 avrebbe detto che si tratta di una superstizione.
Dal 700, si inizia a pensare che queste possono essere cose superstiziose.
Cos'è superstizioso per la Chiesa del 500? Sono superstiziose tutte quelle forme di
rapporto con l’aldilà che potenzialmente prescindono dalla mediazione ecclesiastica.
Ad esempio: la pratica del malocchio rientra tra quelle che la Chiesa avrebbe considerato
come superstizione perché, in quanto soprannaturale, non è amministrata da un sacerdote.
Ad esercitare la pratica del malocchio non è mai un uomo, ma è sempre una donna. Perciò
la formula che viene recitata non può essere rivelata ad un uomo perché non ha il diritto di
essere destinatario di quella rivelazione. Invece, le donne possono sapere cosa viene
recitato ma non possono rivelarlo ad un uomo.
Dunque, la linea di trasmissione di quel tipo di sapienza è unicamente femminile—> la
formula può essere trasmessa di donna in donna, nella stessa famiglia, mentre i maschi
sono esclusi.
Oggi, invece, in chiesa vediamo sempre preti maschi, mentre le donne non possono
diventare sacerdotesse perché il sacerdozio femminile non esiste. Una donna può diventare
religiosa, ma non ha diritto ad amministrare come un sacerdote maschio.
Questo risvolto della pratica, questa trasmissione per via femminile del codice, intimorisce
ancora di più la Chiesa che inizia ad insospettirsi perché pensa che siamo dinanzi a
qualcosa che potrebbe mettere in discussione il primato del sacerdozio maschile, dal
momento che nello scongiurare il malocchio veste un po’ i panni del sacerdote
Però qualcuno, nella storia degli studi umanistici (in particolare dell’antropologia), è riuscito a
farsi rivelare la formula dalle donne: Ernesto de Martino, grande antropologo del secondo
dopoguerra che ha agito soprattutto nel Sud Italia e che ha studiato vari fenomeni di
rapporto con il soprannaturale con le popolazioni del Sud Italia. In un libro intitolato “Sud e
magia” cominciò ad indagare sulla pratica del malocchio nella Lucania (attuale Basilicata).
La formula recitata dalle donne non era sempre la stessa, variava un po’, ma non era altro
che una distorsione di alcune preghiere ben note. Quindi preghiere note, come l’Ave
Maria, il Padre Nostro, venivano recitate in maniera sbilenca, con parole e espressioni
cambiate (espressioni che sono invocazioni e diventano scongiure).
Ma come ha fatto a farselo dire? Utilizzò le sue allieve donne.
Il malocchio non è l’unica forma di superstizione, ce ne sono tante altre che hanno a che
fare con la fabbricazione di pozioni magiche che devono sortire una serie di effetti nel
corpo dei fedeli. Uno di questi effetti è il ritorno d’amore. Fino a poco tempo fa, prima del
trionfo di Internet, c’erano le tv e le radio private. Le tv private erano un pullulare di maghi,
maghe, fattucchiere. Ognuno era specializzato: i più fortunati erano maghi e maghe
specializzate nel ritorno d’amore. Poi c’era una star radiofonica: Gennaro D’Auria, che
stabiliva qual’era lo scenario futuro di colui che chiedeva aiuto. Tutte queste pratiche hanno
ragioni molto antiche e alcune di queste pozioni si chiamavano anguistara. Diffuse anche
nel nord Italia e altre aree dell’Europa, erano degli intrugli che si facevano con una serie di
ingredienti, anche strani, e che la Chiesa riteneva come “superstiziosi”.
Ultimamente è andata molto di moda su Netflix, una serie dedicata ad un personaggio quasi
mitologico dell’Italia degli anni 80 e 90: una donna di nome Wanna Marchi, che esordì come
proprietaria di una profumeria nella località emiliano-romagnola di Ozzano. Ad un certo
punto, comincia a vendere il suo prodotto in un evento televisivo (“Televendita”) e si
distingue per le sue abilità oratorie, per la sua capacità di convincere gli acquirenti del potere
miracoloso dei cosmetici, che pretendeva producessero sul corpo degli acquirenti degli
effetti straordinari.Non appena si rende conto che una delle ossessioni degli acquirenti era il
dimagrimento, comincia vendere un prodotto che serviva a far dimagrire: la crema “sciogli
pancia”, venduta in quantità industriali. I produttori di questi cosmetici, per paura di essere
arrestati per truffa ai danni dei consumatori, si rifiutarono di scrivere "scioglipancia". Ciò
nonostante, non le importava di cosa ci sarebbe stato scritto sopra perché in ogni caso lo
avrebbe venduto come “scioglipancia”—> l’importante è far credere qualcosa a qualcuno.
Ad un certo punto questo commercio si esaurì e lei, che era diventata miliardaria, cominciò
ad avvertire un calo dei suoi introiti e allora convertì un pò la sua attività, alleandosi ad un
personaggio (di origini brasiliane) che aveva conosciuto durante una cena in Sardegna e
che svolgeva il ruolo di un maggiordomo. A detta del politico che ospitava la cena, questo
maggiordomo aveva doti magiche. Diventò perciò molto famoso nelle televendite,
affiancando Wanna Marchi e prendendo il nome di “mago Do Nascimiento".Egli vendeva
vaticini per il futuro, talismani contro il malocchio e numeri vincenti al lotto, che la gente
comprava con la sicurezza che fossero quelli estratti. Se però non erano quelli estratti, la
colpa non era del mago ma dell’acquirente che aveva fatto qualcosa di sbagliato nella sua
vita. Ci fu un processo che vide coinvolta Wanna Marchi, la figlia, il Mago Do Nascimiento, e
che si concluse con il Mago Do Nascimento che scappò in Brasile e Wanna Marchi e sua
figlia vennero incarcerate con l’accusa di truffa ai danni dei consumatori.
Anche la vendita dei talismani faceva parte di quei comportamenti che la chiesa riteneva
come superstizione.
Se guardassimo ad una serie inquisitoriale documentaria, omogenea, che ci porta dagli anni
40 fino agli anni 80-90 del 500, ci renderemo conto che davanti ai nostri occhi apparirebbe
un fenomeno molto molto strano: fino agli anni 70, la Penisola italiana sembrerebbe piena di
eretici, piena di persone che è tentata dall’idea di abbracciare il calvinismo, il luteranesimo.
A partire dalla fine degli anni 70 e gli inizi degli anni 80, invece, esplode la moda del
malocchio, del talismano, dell’anguistara ecc..
In altre parole, ci troveremmo dinanzi ad un potentissimo esperimento di illusione ottica, di
cui gli scienziati come gli storici potrebbero rimanere vittima.
Il nodo è che quelle pratiche esistevano già tempo prima, fin dalla notte dei tempi. Infatti il
malocchio, il ritorno d’amore, il talismano, fanno parte di un patrimonio antichissimo ma che,
prima degli anni 70-80 dell’500, nelle serie documentarie non appariva.
Cosa ci porta a concludere tutto ciò? Quando guardiamo alla realtà sociale, di oggi o di
Antico Regime, vediamo solo ciò che stiamo cercando. Se qualcosa non lo cerchiamo, e non
emerge, non significa che quel qualcosa non esiste, bensì esisterà e comincerà ad esistere
ai nostri occhi solo quando qualcuno inizierà a cercarlo. Nel momento in cui c’è qualcuno
che lo cerca, ad essere determinante non è la società che cambia perché inizia ad
illuminarsi sulla via del malocchio, ma è l'Inquisizione che inizia a mettere il naso in
comportamenti che fino a quel momento c'erano stati ma non avevano dato fastidio a
nessuno ma che ora iniziano a infastidire perché c’è qualcuno che li vuole reprimere e
cancellare.
Perché diventano un problema? Perché i protestanti avevano contestato molto le pratiche
devozionali cattoliche e il loro carattere superstizioso.Ad esempio: i cattolici credevano nei
santi e i protestanti accettano il modello di virtù ma contestano il fatto che quando un
cristiano crede nei santi, non si accertano della verità storica del santo, dell’attendibilità della
storia raccontata ne tanto meno dell’autenticità dell’oggetto a cui prestano il culo (una
reliquia, un pezzo di vestito). Quando si vuole propiziare il ritorno d’amore, si prende un
pezzo di quella persona per portarla al mediatore del sacro; lo stesso avviene quando si
crede nel santo per approssimarsi alla sua vita, cioè si cerca un contatto diretto (una ciocca
di capelli, un unghia).
La Chiesa di Roma perciò sente la necessità di mettere dei paletti, far emergere tutti questi
comportamenti considerati come delle “deviazioni”.
Gli storici, dati i diversi punti di vista, hanno litigato sull’impatto che questo tipo di pratica
repressiva ha avuto sulla società europea, cattolica e in particolare sulla società italiana:
secondo alcuni la lotta dell’Inquisizione, contro l’eresia e poi contro la superstizione, ha dato
vita ad uno sgonfiamento progressivo che si è rivelato essere una sconfitta. Altri invece
ritengono che la razionalizzazione del nostro corpo sociale abbia vinto e che quindi tutta
quest’epoca, che definiamo come Controriforma. (reazione alla riforma protestante da
parte dei cattolici )abbia avuto un impatto complessivo sulla società italiana ed europea
limitato. Altri invece ritengono che l’azione repressiva portata avanti dalla Controriforma
abbia avuto un impatto devastante sulla nostra cultura limitando le forme di espressione,
inclusa quella letteraria—> in altre parole, secondo alcuni studiosi, la letteratura italiana, del
mondo cattolico, non sarebbe stata la stessa senza azioni così depressive e capaci di
radere al suolo qualsiasi forma di deviazione rispetto a verità costituite.
Cosa dà a un suddito ferrarese (come Tasso), o fiorentino, o romano, o napoletano del 500,
la percezione della presenza di uno straniero che appartiene ad un’altra fede e quindi non è
cristiano?
Questa percezione può arrivare da due o tre cose:
-visitatore straniero che può essere rappresentante diplomatico o ambasciatore di un’altra
corte, quindi la presenza di un pezzo grosso che lascia capire che chi ti sta visitando, viene
da un altrove che non condivide il tuo credo religioso, i tuoi costumi, il tuo stile di vita ma
porta un modello di vita diverso;
-presenza di figure mercantili: persone che sono arrivate ,soprattutto nelle città portuali ma
anche quelle più nell’entroterra, per scambiare merci e quindi stanno lì per consumare
transazioni commerciali;
-presenza di schiavi:la domanda che dovremmo porci è “ma la schiavitù non era stata
abolita?” Si, ma a partire dalla fine del 400 e nel corso del 500, la situazione mediterranea
cambia radicalmente con la conquista di Costantinopoli e il rafforzamento dei turchi, che
aveva giocato un ruolo importante per Colombo e per la ricerca di una traiettoria
commerciale che andasse verso occidente e non verso oriente, perché verso oriente le vie
erano chiuse. La sostanza è che in tutta la parte sud-orientale del Mediterraneo (Nord-Africa
e attuale medio Oriente), l’impero turco (erede dell’impero romano bizantino) ha preso il
sopravvento. Questo Mediterraneo spaccato in 2 da vita ad un processo di medio-lungo
periodo che vede i turchi contro i cristiani in una guerra definita come “guerra di corsa” che
rimanda alla figura del corsaro.
Chi è il corsaro? Il corsaro è uno che sta sulla nave con l’obiettivo di mettere insieme un
bottino, raccattare ricchezze, anche attaccando la nave nemica. Il corsaro non è un
❗️❗️ ❗️❗️
mercante bensì un guerriero che agisce più sotto traccia.
ATTENZIONE : non confondere il corsaro con il pirata perché il corsaro obbedisce
ad un mandato statale e soprattutto si ritiene abbia a sua disposizione una patente di
corsa—> un mandato esplicito, un documento, un incarico formale.Nello specifico, i corsari
mediterranei del 500 posseggono questo incarico formale perché gli proviene dalle
cosiddette reggenze barbaresche: entità statali, che si trovano nelle grandi città del
Nord-Africa, che sono riconducibili a qualche forma di dipendenza dall’impero
turco-ottomano.
Cosa fanno i corsari? I corsari navigano nel Mediterraneo e si propongono l’obiettivo di
consumare delle incursioni anche nell’entroterra cristiano. Una delle zone più ossessionate,
nel corso del 500, dal pericolo dei corsari turchi (nel senso geografico del termine perché
turchi non erano) è la Puglia e lo è dopo l’assedio di Otranto (che si consuma alla fine del
400). Altra zona, altrettanto ossessionata dal pericolo turco, è l’attuale Friuli ma anche le
isole del golfo (Capri soprattutto). I corsari non si accontentano solo di ciò: nell’ incrociare
navi che ospitano operatori, mercanti, predicatori cristiani, tentano di catturare il nemico e
portarlo in barberia (=nelle reggenze barbaresche). L’obiettivo era ottenere un riscatto in
cambio della restituzione del prigioniero. Nel mondo cristiano, il pericolo del rapimento è
molto sentito, quindi ci si organizza per poter pagare questi riscatti. Fra le altre cose, i
sovrani dei piccoli e deboli stati italiani si impegnano nel pagamento dei riscatti perché è per
loro una questione di onore e credibilità agli occhi dei sudditi—> non possono lasciare che
un loro suddito rimanga nelle mani di un nemico, perché sarebbe un danno per la loro
immagine. A maggior ragione,i sovrani italiani lo fanno perché sono stati molto deboli se
consideriamo il loro ruolo all’interno del quadro delle egemonie politiche europee: la Francia,
o meglio i Valois, si sta dotando di appositi strumenti, così come gli Asburgo, i Tudor, e i vari
rami degli Asburgo. Gli stati italiani, invece, durante le guerre d’Italia diventano terra di
conquista e l’obiettivo delle potenze straniere. Dunque, percependo la loro debolezza e
riconoscendo di non poter vincere quella battaglia in campo politico, militare ed economico,
pensano di investire molto nell’immagine. Questo significa dare spazio alla produzione
artistica, letteraria (Lorenzo Dei Medici aveva trasformato Firenze in una sorta di vetrina,
che doveva agli occhi del mondo apparire come la Nuova Atene; quindi doveva essere il
centro, il cuore pulsante della cultura). Però, questo non basta perché bisogna anche
salvaguardare l’onore,che significa anche avere la capacità di riportare a casa i propri
sudditi e non lasciarli nelle grinfie del nemico. Vengono perciò messe in piedi delle istituzioni
per pagare i riscatti e portare a casa gli schiavi, le quali spesso vanno sotto la definizione di
“casa di redenzione dei cattivi”(cattivi= quelli che vengono catturati). Quindi vengono
riportati a casa, ma per farlo bisogna accumulare delle risorse economiche attraverso la
beneficenza—> questo, ancora una volta, significava richiamare i cristiani all’importanza del
ruolo delle opere e le opere sono anche opere di carità cioè cessione dei propri beni
materiali per istituzioni che hanno scopi benefici, i quali in questo caso erano i pagamenti dei
riscatti.
Una volta pagato il riscatto, i sovrani italiani volevano dimostrare ai sudditi che avevano
liberato gli schiavi. In che modo? Organizzando delle magniloquenti cerimonie del ritorno:
lo schiavo, dopo lunghi mesi o anni di prigionia, veniva riportato nella capitale dello stato di
provenienza dove era protagonista di una sorta di processione, la quale doveva essere
visibile al popolo. Durante questa processione, lo schiavo partiva con abiti che rimandano
all’esperienza di prigionia vissuta (ad esempio erano coperti di catene, come dimostrazione
che lo schiavo era stato vittima di qualcosa). Arrivato poi nella piazza principale, si dava vita
ad una sorta di trasformazione dell’abito (le catene cadevano) e agli occhi del popolo
diventava visibile la liberazione.
Molti studiosi si sono concentrati molto sullo studio delle cerimonie per il ritorno a casa degli
schiavi. Tra questi ricordiamo: Paolo Preto per Venezia, Giovanni Ricci per Ferrara,
Gabriella Zarri per Firenze e tanti altri. Parliamo di studiosi che si occupano anche di
rapporto tra religione e politica, dell’importanza delle cerimonie, del rapporto tra la
costruzione dell’immagine e la costruzione del consenso e il rafforzamento dell’apparato
politico, perché nell’ offrire quello spettacolo c’è un gioco politico importante: cerco di
nascondere l'intrinseca debolezza, che spesso si palesa nella rivalità che c’è tra un casato e
l’altro. Quelli che più spesso stavano in concorrenza erano: i Medici di Firenze e gli Este di
Ferrara
Come facevano ad esprimere le proprie pretese nei confronti degli altri? Attraverso strumenti
di carattere militare,economico, e spesso ricorrendo anche a questioni culturali, che significa
organizzare degli scherzi,farsi delle burle, con lo scopo di mettere in ridicolo il nemico.
Una corte italiana che riceveva importanti diplomatici stranieri aveva delle buone ragioni per
vantarsene, perché ricevere un diplomatico straniero era una forma di riconoscimento che
ricevi dall’altro, è un modo per potersi rassicurare sull’importanza della propria posizione.
Cosa facevano Firenze e Ferrara? Incaricavano degli attori di travestirsi da diplomatici, da
ambasciatori e li mandavano da Firenze a Ferrara e da Ferrara a Firenze.Al che, gli Este si
vedevano presentare questi che vestivano le vesti di ambasciatori del sultano e iniziavano,
con occhi felici, a stupirsi per l’onore che avevano ricevuto. Quando la burla si rivela, si
capovolge la situazione. Quindi si indebolivano a vicenda attraverso questi espedienti che
potremmo definire di rovesciamento o carnevaleschi.
Quello che arriviamo a capire è come sia complicato questo scenario nel quale si cerca di
sopperire, con l’atto comunicativo, l'inconsistenza politica: in termini matematici, potremmo
dire che lo sforzo comunicativo culturale prodotto da un’entità statale è inversamente
proporzionale alla sua effettiva incidenza politico-militare o economica—>più sono debole
sulle cose serie, più divento forte sulle cose meno serie con cui devo coprire le mie
mancanze strutturali (non ho un esercito,un’economia o un corpo diplomatico- burocratico,
allora investo sull’immagine). La cerimonia del riscatto degli schiavi è uno degli investimenti
su cui si punta di più per salvaguardare il proprio onore che è sempre più traballante, in una
situazione politica come quella italiana del 500.
Però, ci si rese conto che la cerimonia veniva sabotata non solo dal concorrente diretto (=nel
caso di Ferrara da Firenze, nel caso di Mantova da Ferrara ecc) ma anche dallo stesso
protagonista perché, dopo essere stato catturato e dopo aver sperimentato un altro tipo di
vita, quando vede presentarsi alla sua porta i suoi antichi protettori pronti a riportarlo a casa,
dice “sto bene qui”. Dunque, nel 500, inizia a diffondersi la convinzione che essere catturati
no è poi una grande disgrazia, anzi la percezione si accompagna alla consapevolezza che
dall’altra parte del Mediterraneo queste persone- che nel mondo cristiano avevano
possibilità di cambiamento della loro posizione sociale limitate- possono invece percorrere
altrove altre strade, impensabili nel loro luogo di provenienza sociale—> la mobilità sociale
era più possibile nell’altra parte del Mediterraneo.
C’è anche un altro aspetto fondamentale che è quello di carattere sessuale: i costumi
sessuali erano più liberi e meno rigidi. Allora, nel momento del riscatto, quello che dovrebbe
essere il momento del trionfo dell’autorità che sta riportando lo schiavo a casa si trasforma in
un paradossale schiaffo, un ulteriore affronto all’onore. Una delle corte che più subiva questi
schiaffi era quella ferrarese che investiva molto nella liberazione dei cattivi ma si ritrova
spesso dinanzi a dei rifiuti, che sono ceffoni per la famiglia regnante. Tasso vedeva queste
cose a Ferrara e quindi un rapporto tra cristiani e non cristiani estremamente fluido e
problematico. Questa è una delle ragioni più profonde per cui la composizione della
“Gerusalemme Liberata”, contro cui l'Inquisizione non ha nulla da dire, gli provoca crisi di
coscienza enormi; è qualcosa che affonda anche nel suo quotidiano, che lo mette in
rapporto diretto con la famiglia regnante (sua protettrice), un rapporto però burrascoso, fatto
di attrazioni e invidia. I problemi morali che si generano con un’opera hanno conseguenze
anche di carattere politico: descrivere la fascinazione forte che subiscono i cristiani dal
mondo mussulmano, i guerrieri che si innamorano e vengono sedotti dalle guerriere
nemiche, non può essere facilmente accettato in un contesto culturale o almeno non senza
delle controversie. Proprio su queste questioni bisogna concentrarsi, per comprendere quali
sono gli impatti reali, giudicati nella loro struttura articolata dell’operato repressivo della
Chiesa riformista sulla società italiana e, in generale, su quella cattolica.
20 MARZO ✅
Quando prendiamo in considerazioni opere come “La Gerusalemme Liberata” e figure come
Tasso, dobbiamo comprendere qual è l’atmosfera, le ansie, le preoccupazioni che lo
circondavano e che caratterizzano il rapporto con la famiglia degli Este.
L’ambivalenza è uno degli elementi caratterizzanti dell’opera (personaggi che smarriscono la
loro missione principale per focalizzarsi su altre questioni), la stessa ambivalenza che
possiamo vedere nell’atteggiamento degli schiavi che dovrebbero ritornare a casa ma
preferiscono continuare a fuggire perché se da un lato sono spaventati dal nuovo mondo,
dall’altro lato ne sono profondamente attratti.
La famiglia degli Este, che offre a Tasso di esercitare la professione di letterato, si
impegnano a portare a casa questi schiavi, organizzando cerimonie magniloquenti quando ci
riuscivano; quando non ci riuscivano, invece, subivano uno smacco enorme, lo stesso che
subivano tutti i membri delle grandi dinastie che erano a capo di organismi politici deboli che
non riuscivano a reggere la concorrenza delle grandi monarchie straniere.
Quando valutiamo opere di questo tipo, entra in gioco una battaglia importante: la battaglia
di Lepanto. Siamo nella seconda metà del 500, quando per la prima volta viene data alle
stampe l’opera “la Gerusalemme Liberata” di Tasso. La battaglia di Lepanto, grande evento
militare che caratterizza l’epoca e di cui parla anche Alessandro Barbero,mette l’Europa
cristiana contro il nemico turco che viene considerato come una minaccia per le propaggini
dell’Europa Cristiana, in particolare il Regno di Napoli (per l’impero spagnolo).Visto che il
pericolo riguarda tutti coloro che si riconoscono come cristiani, bisogna coalizzarsi quindi si
cerca un’alleanza che va aldilà delle singole dinastie per combattere contro i turchi.
I manuali ci raccontano della battaglia come affermazione da parte della colazione cristiana
contro il turco, quindi l’espansione dell’Impero turco viene fermata dalla sconfitta navale dei
turchi che si consuma a Lepanto.
Il principale protagonista di quest’affermazione militare fu l’erede di Carlo V, Filippo II
d’Asburgo. Egli aveva ereditato solo la corona spagnola e i domini della corona spagnola,
perché l’impero era finito nelle mani di un altro parente e non c’era più la possibilità di
vedere unita quella mostruosità nelle mani di un unico sovrano nella prima metà del 500.
Quindi cosa eredita? Eredita la Penisola Iberica, i possedimenti della Penisola Iberica e
nel resto d’Europa (l’Italia, i Paesi Bassi) e i Vicereami del Nuovo Mondo (nell’attuale
America del Sud).
Filippo II è il principale protagonista militare della battaglia, fa da punto di riferimento e
investe nella battaglia anche da un punto di vista simbolico perché deve difendere-in quanto
monarca cattolico- il vecchio mondo cristiano dall’invasione nemica, quindi cerca anche di
stabilire un accordo diplomatico con tutte le altre corone europee (il papa, Venezia) per
portare a termine questo tipo di impresa.
Filippo II aveva provato a gestire anche le divisioni interne ai domini spagnoli (le rivolte, le
agitazioni dei contadini) e dare dei riferimenti simbolici alla costruzione dell’immagine della
corona, facendo un passo avanti rispetto a Carlo V il quale non poteva essere sempre
presente agli occhi degli spagnoli, quindi aveva usato la corte itinerante. Filippo II, invece,
decide di
1. dare al Regno spagnolo una capitale Madrid come capitale;
2. costruire un palazzo reale che funga da punto di riferimento per gli spagnoli,
l’Escorial;
3. accreditarsi come sovrano spagnolo e darsi un santorale: insieme di immagini di
santi che fungono da protettore della corona, per poter rafforzare l’immagine stessa.
Tale opera è facilitata dalla presenza di una mistica che ha un potere suggestivo
enorme: Teresa de Avila (carmelitana) è una delle figure più importanti da un punto
di vista religioso per la storia del mondo intero.
Dunque Filippo II, avendo fatto questi sforzi sul fronte interno, decide anche di ergersi come
protettore dell’intera cristianità, grazie alla vittoria ottenuta con la battaglia di Lepanto.
Affinché possa costruirsi uno stato moderno, c’è bisogno di un potere centrale forte e
emanciparsi dalla presenza di un potere religioso estraneo è uno degli elementi
fondamentali per la costruzione di uno stato con basi nuove.
Elisabetta nasce dal matrimonio tra Enrico e Anna Bolena. La successione è abbastanza
controversa perché Enrico ha anche un figlio maschio che non vive abbastanza, quindi
bisogna trasmettere il potere all’erede femminile.
All’interno del regno, esistono ancora importanti presenze di radice cattolica legate
soprattutto ad un ramo scozzese della dinastia. Ciò nonostante quando Elisabetta prende il
potere ha una missione da svolgere: consolidare il regno nella sua identità anglicana,
quindi di Chiesa nazionale autonoma, slegata dal potere di Roma e dal tentativo di altre
dinastie straniere che possono usare il cattolicesimo come strumento per entrare nel
territorio inglese—> in altre parole, difendere l’anglicanesimo significa difendere il paese da
dinastie straniere che possono pensare di utilizzare la crisi religiosa e la crisi dinastica per
affermare il loro potere. Da questo punto di vista, il più grande pericolo per l'Inghilterra di
Elisabetta è la Spagna perché Filippo II voleva sposare Elisabetta e se ci fosse riuscito, in
quanto esponente maschio di una dinastia, avrebbe affermato sull’Inghilterra il potere
asburgico. Ma Elisabetta, conosciuta come la regina vergine, si oppone per difendere
l’indipendenza della corona inglese dal dominio asburgico pagando così un prezzo altissimo
perché sa che, nel momento in cui sceglie di non sposare Filippo II, la stessa dinastia Tudor
morirà. Ma accetta il rischio perché si trova in una posizione troppo debole, che porterebbe
comunque i Tudor a diventare subalterni rispetto ad un potere altrui se si sposasse. Quindi
decide fino in fondo per l’autonomia, costruire un’eredità e percorrere una strada volta al
rafforzamento dell’eredità liturgica e dottrinale della Chiesa anglicana. All’epoca esisteva il
Book of Common Prayer: libro di preghiere comuni che permette all’anglicano di sentirsi
tale. Elisabetta, infatti, attraverso la sua Chiesa vuole indicare dei rituali precisi, delle cose,
in cui gli inglesi possono riconoscersi (produce questo sforzo in un momento in cui il suo
potere è debole. Ritorniamo, quindi, alla questione precedente: PIÙ SONO DEBOLE DA UN
LATO, PIÙ PRODUCO SFORZI DALL’ALTRO LATO).
La potenza del Book of Common Prayer si è vista durante i funerali di Elisabetta II.
Importanza di Shakespeare
Altro nodo importante: perché ricordiamo l’età elisabettiana? L’età elisabettiana è segnata
dal trionfo delle opere di Shakespeare, il teatro, la poesia, una vita culturale che conosce
una fortuna quasi senza precedenti. Tale vita culturale si rende visibile agli occhi di un
pubblico ampio e non solo agli occhi delle élites. Shakespeare, infatti, è un uomo di teatro,
non si chiude nelle corti ma attraverso il palcoscenico si apre al mondo (tutti possono
seguire le vicende di Amleto o Otello, anche chi non sa leggere). Le corti italiane, invece,
promuovevano l’arte ma era un'arte che spesso si chiudeva tra le mura dei palazzi.
I meccanismi di funzionamento del teatro elisabettiano sono importanti: è un teatro che offre
spettacoli a prezzi accessibili a tutti
All’epoca di Elisabetta, il teatro era accessibile a tutti perché i prezzi erano accessibili a tutti.
La situazione in Francia
Quando abbiamo parlato di guerre in Antico Regime, abbiamo sottolineato l’importanza
dell'inappropriatezza del concetto di guerra tra stati, cioè in Antico Regime è più corretto
parlare di guerre tra dinastie (gli Asburgo contro i Valois). I Valois, come i Tudor, entrano in
crisi dinastica—> non hanno eredi. La crisi di uno stato e la crisi dinastica si sovrappongono:
non avere un erede al trono significa mette in crisi un intero paese (l’Inghilterra dei Tudor è
un paese in crisi perché non c’è l’erede al trono).
Il problema, però, è che la mancanza di un erede al trono non è l’unico problema dei
francesi. Giovanni Calvino, teologo e predicatore, aveva portato alle estreme conseguenze il
messaggio di Lutero elaborando una dottrina diversa da quella di Lutero. Dove aveva
elaborato le sue idee? A Ginevra. A differenza di Lutero, era convinto di avere una chiesa
visibile che fosse una comunità di santi. Infatti, Ginevra si era convertita in una comunità di
santi dal punto di vista di Calvino ma secondo altri che non condividevano in tutto e per tutto
il pensiero di Calvino, Ginevra si era trasformata in un inferno perché- come tanti altri luoghi
del 500 religioso- divenne un luogo di intolleranza: coloro che avevano idee diverse da
quelle di Calvino, cominciano ad essere perseguitati e condannati a morte. La condanna a
morte più crudele, riguardò un medico che si chiamava Michele Serveto.
Il punto è che tra repressione, slancio innovativo e desiderio di salvezza, il calvinismo va
oltre la Francia e la Svizzera, allargandosi a varie zone del pianeta. In Francia, la presenza
calvinista diventa forte e pur essendo uno stato unito sotto un'unica dinastia, rimane un
paese cattolico. Quindi in una grande monarchia cattolica, gestire una presenza calvinista
così forte diventa complesso.
I calvinisti francesi prendono il nome di ugonotti, anche se non conosciamo le ragioni per
cui assumono questo nome. Gli ugonotti, che sono molto pochi, assumono però un ruolo
molto attivo per l’economia dell’intero paese. Ad un certo punto la crisi dinastica francese, si
sovrappone alle tensioni religiose date dalla presenza degli ugonotti. Il paese, di
conseguenza, comincia ad essere attraversato da lacerazioni interne che vedono
contrapposte famiglie che pretendono di prendere il potere,e soppiantare i Valois, e
guerre di carattere religioso: le guerre di religione e la guerra dei 3 enrichi.
1.nelle guerre di religione vediamo i cattolici contro gli ugonotti;
2.la guerra dei 3 enrichi è una guerra dinastica, che contrappone 3 famiglie importanti che
vogliono sottrarre il potere alla famiglia dominante. Queste 3 famiglie sono: la famiglia dei
Guisa, la famiglia Navarra-Borbone e una dello stesso ramo dei Valois.
Queste guerre danno vita a scontri molto violenti: la più famosa è quella che si consuma
nella notte di San Bartolomeo, notte in cui muoiono molte persone nello scontro. Tale
guerra si conclude con la vittoria della famiglia dei Navarra-Borbone, che ha come suo
massimo esponente Enrico di Navarra-Borbone che prende il potere con il nome di Enrico
IV, sostituendo così i Valois.
La vittoria non risolve il problema, infatti spesso le vittorie date dalle guerre sono vittorie
illusorie (la storia dovrebbe insegnarci che le guerre non si possono vincere, mentre il nostro
ecosistema mediatico ci fa credere il contrario).
Enrico IV eredita una serie di problemi: innanzitutto deve risolvere il problema con se stesso,
perché la famiglia Navarra-Borbone era calvinista e ,vincendo una guerra di successione, si
trova a dover ereditare la corona di un paese cattolico dopo una stagione di violenza, difficile
da dimenticare. Perciò decide di convertirsi al cattolicesimo. Secondo una leggenda,
Enrico IV avrebbe detto “Parigi vale bene una messa” = pur di occupare il territorio in
Francia, vado a sentirmi una messa, cioè Enrico IV è calvinista ma per mantenere il suo
potere può anche convertirsi.
La conversione, però, non è sufficiente perché bisogna risolvere un problema ancora più
radicale: la presenza di molti ugonotti nel territorio francese, che hanno generato molti
conflitti. Allora Enrico di Borbone, alla fine del 500, decide di emanare un editto: l’editto di
Nantes, dove comincia a regolamentare in modo preciso la presenza ugonotta nel territorio
francese. Torniamo qui alla necessità di decostruire ciò che c’è scritto nei manuali, perché i
manuali fanno passare l’editto di Nantes come l’esempio dell’affermazione della tolleranza
religiosa nel corso del 500 europeo. Tra le altre cose, l’editto di Nantes viene sempre
presentato dai manuali insieme alla Pace di Augusta, che si era celebrata alla fine
dell’impero di Carlo V e che aveva affermato il principio di convivenza religiosa nel Sacro
Romano Impero, ispirato ad un’espressione latina: “cuius regio eius religio”, cioé ogni
suddito può e deve praticare la religione del suo principe territoriale. Quindi, quando Carlo V
è costretto ad abdicare e distribuire i suoi possidenti tra nipote e figlio, nel mondo tedesco si
accetta l’idea che i protestanti debbano stare insieme ai cattolici. Quest’idea, però, non ha
un principio di omogeneità territoriale perché i protestanti possono convivere nel mondo
tedesco, ma non possono vivere sotto lo stesso principe territoriale—> se abiti in una zona
del mondo tedesco dove il tuo principe territoriale è protestante, devi essere anche tu
protestante; se abiti in una zona del mondo tedesco dove il tuo sovrano è cattolico, devi
essere anche tu cattolico.
Quindi i cattolici e i protestanti possono convivere, ma c’è bisogno sempre di una
subordinazione della fede alla posizione che si occupa all’interno del territorio imperiale e
alla subordinazione che si ha rispetto all’autorità locale. Perché? Non è il fedele che sceglie
quale religione abbracciare, ma il principe territoriale.
21 MARZO ✅
Cerchiamo di capire quali furono le caratteristiche della crisi del 600. La crisi principalmente
fu una prerogativa dell’area mediterranea dell’Europa per lo spostamento dell’asse
commerciale sull’Oceano Atlantico, a causa della scoperta dei Nuovi Mondi, mettendo così
in crisi il primato delle grandi città della Penisola italiana, basato principalmente sull’industria
alimentare e sulla seta.
Per comprendere la portata di alcuni argomenti, dobbiamo sforzarci di pensare ad alcune
città della Penisola italiana come luoghi così importanti da essere delle tappe imprescindibili
per chi all’epoca era mercante, artista, architetto o in generale quei mestieri che avevano a
che fare con il cuore pulsante economico-culturale di un intero continente.
Qual è il luogo percepito come centro del mondo e perciò imprescindibile per tutti quelli che
svolgono delle attività importanti? Innanzitutto Firenze. Dobbiamo immaginare Firenze come
altri luoghi del pianeta: oggi, ad esempio, Dubai, Abu Dhabi, Tokyo, Pechino. Se
nominassimo invece le città statunitensi, staremo realizzando una piccola forzatura perché
gli Stati Uniti sono stati il centro del mondo, ma non lo sono più. Ma se andassimo indietro di
qualche decennio, agli anni 70-80, potremmo dire che il centro del mondo era
indiscutibilmente New York dove chiunque voglia sentirsi sull’onda, deve necessariamente
stare.Si potrebbe dire la Silicon Valley, luogo delle startup, ma questa nei giorni passati è
stata al centro di un ennesimo collasso finanziario che ha rappresentato una battuta
d’arresto per un mondo che pretende di essere continuamente in evoluzione, all’avanguardia
e ospitare le nuove invenzioni (per un artista fare una mostra al Moma-Museum of Modern
Art-è qualcosa di inverosimilmente importante).
Firenze era questa cosa qui, anche nella pretesa dei suoi governanti: Lorenzo dei Medici
pretendeva che fosse la “nuova Atene”. Pian piano, altre città europee provano a
eguagliare o addirittura superare il ruolo della città di Firenze, ad esempio le città
fiamminghe, Parigi, Londra, Napoli. Nell’Antico Regime Napoli era una delle città più
grandi d’Europa, anche demograficamente, insieme a Parigi e Londra.
Dunque ci troviamo dinanzi ad un mondo proiettato in una prospettiva euro-mediterranea, in
⚠️
cui Firenze ricopre un ruolo di assoluta preminenza.
ATTENZIONE: lo stesso discorso però non vale per Roma perché, nel corso del
Medioevo (che come età comincia ad essere percepita come entità concreta proprio a
partire dal 500), era andata incontro ad un declino significativo: si era spopolata, alcune
zone che ospitavano architetture e costruzioni, destinate ad avere delle abitazioni,
cominciano ad essere smantellate per fare spazio a zone coltivate. Quindi Roma non può
considerarsi come quelle città che attraversano una grande fortuna.
Il discorso è diverso anche per le città marittime: Genova e Venezia sfruttano la loro
posizione di vantaggio sul Mediterraneo per stabilire i contatti con le altre sponde del Mare
(Nord Africa, estremo Oriente) e con il sud della Francia e della Spagna (molti porti del sud
della Spagna sono importanti; Marsiglia, ancora oggi, grazie alla sua vicinanza a Genova).
Però, in cosa Firenze esercita un primato enorme? Nell’industria tessile, cioè grazie alla
capacità di produrre dei panni che vanno in tutti i più importanti europei e che vengono
venduti sbaragliando qualsiasi tipo di concorrenza; nella capacità di smerciare prodotti
agricoli —>l’Italia è particolarmente fertile e si riesce a portare, attraverso la navigazione
fiorentina, le materie prime in tutti gli altri mercati europei.
Quindi una combinazione forte tra importanza della posizione, l’intraprendenza della
popolazione, il prestigio dei governanti. Tutti questi elementi messi insieme, riescono a
costruire un primato.
Nel corso del 500, questo primato inizia a venir meno: Firenze, e l’intera Penisola italiana,
entra in difficoltà perché si percepisce che i grandi interessi economici sono altrove, in
particolare sull’Atlantico. Di conseguenza, ad essere avvantaggiate non sono più le città che
affacciano sul Mediterraneo ma quelle che hanno una traiettoria direttamente legata a
quella che porta in Nord/Sud America. Questo cambiamento di punto di riferimento dal
Mediterraneo all’Atlantico, come abbiamo detto, si ha per la scoperta del Nuovo Mondo.
Il grande scontro tra Filippo II e Elisabetta, con cui l'Invincibile Armata si rivela un grande
fiasco, è uno scontro destinato ad affermare la propria egemonia sul mare e sull’Atlantico.
Allora tutto questo si riflette nella perdita d’importanza dell’industria fiorentina, o più in
generale nella capacità italiana di produrre panni di alta qualità e materie prime, da mettere
sui mercati europei e mondiali.
Dove si trasferisce il primato della produzione tessile? Si trasferisce,ad esempio, nei Paesi
Bassi e in Inghilterra. È un primato che si fonda su una forma di concorrenza piuttosto
sleale perché in queste città, dei Paesi Bassi e quelle che stanno oltre la Manica, il costo
della manodopera è molto basso e soprattutto si manifesta- fin dal cuore del XVI secolo- la
capacità dei tessuti produttivi di andare verso prodotti che sono più di bassa qualità e più di
basso prezzo. A quel punto, sul mercato, ci ritroviamo tante marche concorrenziali con costi
molto diversi gli uni dagli altri.
Come si agisce? Badiamo bene a quello che accade oggi quando cerchiamo di andare ad
accaparrarci delle robe per vestirci: possiamo andare da Prada o da Zara, da H&M o Piazza
Italia, negozi che si differenziano per il costo, l’impegno economico richiesto. La dinamica,
però, è che il costo più basso è abbordabile da un’ampia quantità di persone. Perciò si fa in
modo che una grande quantità della popolazione europea abbia dei bisogni, sul piano del
consumo, che solo la produzione fiamminga, inglese e dei Paesi Bassi, possa soddisfare. La
stessa cosa avviene per il mercato alimentare: possiamo comprare il Parmigiano reggiano, il
Grana padano o andare all’Eurospin, con la consapevolezza che la qualità del prodotto è
diversa, così come è diversa la possibilità economica di accedere a quel prodotto. Ma anche
in questo caso, la quantità di persone che può accedere al prodotto è inversamente
proporzionale al costo che determinati settori propongono in determinati mercati. La massa
ha un orientamento, soddisfatto da alcune produzioni capaci di essere altamente
concorrenziali—> capaci di mettere sul mercato prodotti a basso costo.
A questo punto, potrebbe accadere che il mercato dell’Europa meridionale si arrende e si
inginocchia alla presenza di un altro primato.
Ma non è questo che accade, perché la crisi è accompagnata da una riconversione: presa
d’atto del fatto che su determinati campi non posso più competere e spostamento del mio
asso produttivo e delle mie priorità verso un prodotto altro, diverso, che mira ad un altro tipo
di acquirente. Allora le città italiane, in particolare per il settore tessile, capiscono di non
poter più mettere i loro panni su tutti i mercati europei, in tutte le fiere e bancarelle europee,
e sempre di più iniziano a specializzarsi nella produzione di stoffe di pregio, raffinate,
vendute ad un prezzo alto e che hanno un grado di raffinatezza non riproducibile da un
punto di vista manifatturiero dai concorrenti fiamminghi, inglesi e dei Paesi Bassi.
Oggi si dice che è una questione di target che, per la produzione italiana, cambia
completamente: non si punta più alle masse come acquirenti, ma si punta al
soddisfacimento di poche persone che hanno alte capacità economiche, che vogliono stoffe
pregiate e vestire bene.
Chi sono queste persone nell’Europa di Antico Regime? Inevitabilmente i nobili oppure
borghesi—> mercanti, imprenditori, commercianti, che vogliono usare l’abito, la stoffa, per
sembrare nobili, quindi sviluppare un comportamento mimetico nei confronti della nobiltà.
Il mercato diventa più ristretto e risponde alle esigenze di una quantità minima di
popolazione, come se ad un certo punto si riconoscesse che i fiamminghi possono produrre
per tanti, mentre gli italiani devono puntare alle esigenze di poche persone estremamente
selezionate e dotate di una capacità economica che gli altri non hanno.
Oggi ci sono molte dinamiche simili: potremmo dire che l’ inserzione pubblicitaria, in tv e sui
social network, è direttamente proporzionale alla quantità di persone che frequenta un
determinato tipo di contenuto. Allora, se ad esempio, devo comprare uno spot che va in
onda su Rai 1 in prima serata, in una trasmissione vista da 4-5 milioni di persone, quello
spot costerà molto di più rispetto a qualcosa che invece va in onda su Sky e che vedono 200
mila persone. Ma, non funziona sempre così perché il costo dell’inserzione pubblicitaria non
è mai direttamente proporzionale alla quantità di persone che segue quel tipo di contenuto,
in quanto la condizione socio-economica di chi guarda quel contenuto è altrettanto
importante.
Si da il caso che tutti i poverelli guardino la Rai, mentre chi può permettersi di avere Sky
originale è uno che ha abbastanza soldi da spendere e si presuppone che tali soldi si
riflettano in tanti altri aspetti della tua vita. Cambia il pubblico a cui ci si rivolge e c’è una
valutazione attenta della condizione socio-economica.
-600
-2008
-anni 20 del 900
I 3 grandi momenti di crisi economica mondiale, seguita da una riconversione —>
spostamento dell’asse di attenzione del mercato. L’Italia quindi diventa il luogo in cui
l’industria tessile e alimentare diventano prerogativa di pochi, cioé danno prodotti a poche
persone ad un alto prezzo.
22 MARZO ✅
Che cos’è il marketing?
Affiancamento di un racconto ad un prodotto.
Quindi vendere qualcosa significa anche vendere un’esperienza, un sentimento, una
percezione—> esperienza: qualcosa di unico ed inimitabile.
Tutto ciò ha lo scopo di offrire al pubblico l’illusione di unicità di ciò che si sta provando.
Il cambiamento della fisionomia dei prodotti del mercato italiano del 600 ha a che fare con
dinamiche di questo tipo: continuo a fare quello che facevo prima, ma in maniera un pò
diversa, investo nell’opera di manifattura con energie organizzate diversamente e inizio a
mettere sul mercato prodotti che vanno in una direzione differente rispetto a quella
precedente.
Cerchiamo di entrare in questi meccanismi, di comprendere i motivi della crisi del 600,
iniziando da un documento tratto dal diario di un mercante. Molto spesso, in Antico Regime,
i mercanti producevano diari. Oggi il diario sembra una cosa quasi privata, un esercizio di
memoria personale per certi versi e per altri incentrato all’auto-celebrazione,
all’auto-narrazione cioè costruirsi un’identità, essere capaci di dire a se stessi e alle persone
che ti circondano chi sei. Ma, soprattutto per i mercanti, i diari hanno una funzione pratica:
tenere memoria delle transazioni fatte prima, dei clienti, cercare di capire che tipo di
produzione funziona e quale non funziona, fare i conti. Allora bisogna immaginare al diario
come qualcosa di utilizzabile da se stessi, dai tutti membri della famiglia o da tutti i membri di
un gruppo di interesse.
Quindi i diari non sono dei documenti non necessariamente del tutto personali, ma in parte
anche legati agli interessi di un gruppo, di un’attività commerciale.
(Un mercante)Simone Giogalli, in un diario fiorentino dei primi anni del 600,riflette sulle
ragioni della trasformazione del commercio fiorentino e quando si parla di commercio si
parla anche di produzione, perché il commercio deve portare al di fuori dei confini di uno
stato (in quel caso il Granducato di Toscana) il prodotto per venderlo agli altri. Così facendo,
ci si confronta con una concorrenza, infatti questi diari sono scritti da persone che si
scontrano con una concorrenza, capiscono di non poter più reggere il confronto e si
chiedono cosa fare.
Cerchiamo di entrare in queste pagine e interrogarci sugli agganci che ci sono tra questi
temi e quello che viviamo oggi, altrettanto importante perché dobbiamo usare la storia per
comprendere il mondo nel quale ci troviamo.
Possiamo capire che la paratassi non è un dono posseduto dagli aristi 600eschi è un
periodo estremamente complesso, in cui non si mette mai il punto, e tale periodo ci da varie
informazioni importanti:
il commercio fiorentino ha costruito la sua fortuna sulla lana e sulla seta. Potremmo pensare
che la lana e la seta sono due cose diverse: la lana è più un prodotto a buon mercato; la
seta, invece, è destinata a tasche abbastanza capienti. Ma parlare di “panni di lana” significa
tante cose ed esiste una lana pregiata. In questo caso parliamo di una lana e una seta che
in Europa riescono ad avere il primato che, negli anni 20, viene meno a vantaggio della lana
e della seta prodotte in Spagna. Giogalli utilizza due aggettivi per descrivere la lana e la seta
prodotte in Spagna: belle e miglior prezzo. Ma le cose acquistate dal grande pubblico, tanto
belle non possono essere. Ancora oggi, nel mercato dell’abbigliamento, uno dei tentativi forti
è vendere dei prodotti non costosissimi ma che sembrano belli (una delle chiavi del
marketing). Anche in questo caso c’è la percezione, con un certo disappunto, del fatto che
gli spagnoli riescono a produrre dei tessuti belli ma che costano poco. In un piccolo inciso,
poi, Giogalli chiarisce che questi tessuti sono belli ma “poco duraturi” quindi facilmente
deperibili. Il mercante ha molto chiaro l’idea dell’evidenza della deperibilità, ma ha anche
chiaro che l’evidenza di deperibilità non riesce ad essere un argomento persuasivo delle
persone→in altre parole: le persone accettano di comprare dei tessuti facilmente deperibili,
poco costosi, perché ciò che conta è che siano belli.
Come Firenze, anche Venezia è in difficoltà. Tale difficoltà si traduce con il trionfo del
contrabbando.
Come si cerca di aggirare l’ostacolo della concorrenza sleale altrui? Attraverso la
contraffazione, l’imitazione, il percorrere canali di diffusione illegale. Una delle caratteristiche
importanti del circuito produttivo di Antico Regime, in particolare delle città italiane, era il
ruolo preponderante giocato all’interno del tessuto cittadino dalle corporazioni: gruppi di
organizzazione del lavoro.
Dante apparteneva ad una corporazione che aveva un ruolo preponderante nella città di
Firenze, perché gestiva una fetta importante del mercato dei tessuti. Tale appartenenza ad
una corporazione fa in modo che Dante non è solo uno scrittore ma era un detentore di
un’importante fetta di potere ed è il motivo della sua storia controversa di inclusione,
esclusione, esilio. Ma appartenere ad una corporazione non significava solo acquisire
privilegi sul piano della gestione della cosa pubblica ma significa anche poter dare a chi
lavora, all'interno di un certo circuito produttivo, delle garanzie e dei diritti→ in altre parole:
se fai parte di una corporazione e lavori all'interno di una corporazione, devi essere pagato
un tot, avere degli orari di lavoro di un certo tipo, godere di determinati privilegi, avere un
certo tipo di abitazione. Tutto ciò comporta un innalzamento notevole del prezzo finale del
prodotto perché più costa la forza lavoro, più il prodotto finito è costoso.Queste strutture, che
erano fortissime e di consolidata tradizione nelle città italiane, non sono presenti nelle altre
realtà europee che tra 500 e 600 iniziano a fare concorrenza alle altre città italiane. Per
esempio, le corporazioni non sono presenti nella stessa misura ad Anversa.
Tutto ciò ha delle conseguenze importanti sul costo del circuito produttivo e sul costo del
prodotto finale, cioè chi può lavorare in un contesto nel quale non bisogna garantire certe
cose a tutti i membri della catena produttiva, può arrivare ad un prodotto che costa di meno
e che quindi è altamente concorrenziale rispetto al prodotto di chi lavora in un contesto
diverso.
Oggi ci troviamo di fronte a situazioni molto simili: per quale ragione i nostri mercati sono
pieni di prodotti confezionati altrove, talvolta pur essendo costruiti con materie prime nostre?
Tutto il circuito produttivo-compreso quello che interessa la forza lavoro- è estremamente
meno costoso, non perché altrove sono più bravi, ma perché altrove non si può rivendicare
alcun diritto per il lavoratore che, anzi, più lavora è meglio è, non esistono le ferie, non ha il
diritto alla malattia (che è risultato di una serie di lotte plurisecolari che sono iniziate alla fine
dell’età moderna).
Molto spesso, nei nostri contesti culturali e politici, avanza l’invidia verso contesti in cui certe
regole non ci sono: Matteo Renzi, in un discorso che tenne al cospetto del suo amico
dell’Arabia Saudita quando andò lì per parlargli del “rinascimento arabo”, afferma di provare
invidia verso quel sistema di lavoro perché il costo del lavoro è molto molto più basso. Ma, in
quel sistema, la schiavitù è legale. Dunque quel meccanismo di invidia, che si legittima nel
nostro mondo, nei confronti del funzionamento del lavoro altrui è un meccanismo di invidia
verso paesi nei quali vige la schiavitù.
Altra questione che ritorna nel nostro mondo è la denigrazione del lavoro altrui: spesso
sentiamo dire che i giovani sono sfaticati, che non vogliono lavorare, ma spesso questo non
voler lavorare si traduce con il non voler essere sfruttati. Ma ad esempio lavorare in un
albergo tante ore per ricevere in cambio uno stipendio non dignitoso, significa dare
l'opportunità concreta all’imprenditore di offrire ai turisti una camera pulita, una colazione, ad
un prezzo accessibile, concorrenziale, da portare il turista a preferire un albergo piuttosto
che un altro. Quindi ritorniamo sullo stesso punto: il prezzo che metto sul mercato è il
risultato di una serie di variabili che ha a che fare anche e soprattutto con il costo della
forza-lavoro e i diritti dei lavoratori.
Come gli imprenditori di oggi, nel 600,i mercanti fiorentini si trovano di fronte a questi
paradossi: stare in un mercato globale dove ci sono altri che hanno un funzionamento del
sistema produttivo diverso dal loro, perché meno costoso, e alla fine riescono a batterli sul
piano della concorrenza, cioè mettono ad esempio sul mercato vestiti prodotti con tessuti
facilmente deplorabili, ma che costano poco quindi agli acquirenti non importa comprare un
vestito che si rompe subito perché il costo è basso.
Quali sono, in Antico Regime, gli elementi che fanno davvero arredamento? I drappi, le
stoffe, insieme alle opere d’arte, le sculture, i dipinti ecc.
Tutto questo è necessario a farci capire che questa società di ricchi non si accontenta di
rimanere tale, ma vuole diventare una società di aristocratici. Questo va contro quanto
affermava Totò (“signori si nasce e io lo nacqui”), se consideriamo che è anche vero che in
Antico Regime signori si diventa grazie al denaro e all’investimento della ricchezza nel lusso.
L’igiene
Quando parliamo di crisi, ci rivolgiamo a delle macro strutture che rimandano tanto a
fenomeni sociali,economici, quanto a igienico-sanitari. Quando i manuali ci descrivono la
crisi del 600, troviamo una formula tripartita che ritorna: peste, fame e guerra, cioè c’è una
paralisi, un collasso sociale, generato dalla presenza di guerre continue, carestie quindi
fame e quindi difficoltà di approvvigionamento e da dilagare di epidemie. Ma la medicina di
Antico Regime era piuttosto empirica, aggrappata a principi astratti e si riteneva che le
epidemie si diffondessero in modo particolare e più facilmente in quei luoghi dove le
condizioni igieniche erano precarie: più c’è sporco, più ci si ammala. Ancora oggi si discute
dove sia nato il Covid e si ritiene che sia nato a Wuhan per le scarse condizioni igieniche.
Ma, siamo rapidi a dire che determinati contesti che, durante il 400 e il 500 erano lindi e pinti
e poi si trasformano in luoghi sporchi. Per fare un esempio concreto, ancora una volta,
dobbiamo fare riferimento a Firenze perché Firenze copriva un ruolo importante anche sul
piano simbolico (“la Nuova Atene"), luogo di grande fioritura culturale, economica… IL
CENTRO DEL MONDO, tra 400 e 500.. ma nel 600 perde il suo prestigio, la sua ricchezza,
la sua capacità di essere un punto di riferimento e secondo le cronache del tempo diventa in
maniera parallela orrendamente sporca, puzzolente.
Come è stato possibile? La ricchezza della popolazione è legata alla stessa capacità della
popolazione di mantenere l’igiene, così come la ricchezza di una collettività è legata alla
capacità del potere pubblico di garantire la pulizia di alcuni quartieri/strade.
Ma bisogna fare i conti con la verosimiglianza e capire se davvero la Firenze di primo 600
puzzava così come la descrivono i cronisti. Alla fine degli anni 20, le città italiane vengono
travolte da un’epidemia di peste (descritta da Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi). C’è
un legame tra la trasformazione di Firenze e quest’epidemia di peste?
In una città di Antico Regime, i sistemi di scolo per veicolare tutte le impurità, i rifiuti, erano
estremamente farraginosi. Oggi, ogni città è dotata di un sistema fognario che fa sì che
alcune sostanze vengano smaltite attraverso canali sotterranei. In Antico Regime, invece,
questa cosa qui non poteva avvenire e spesso i canali di scolo erano a cielo aperto, quindi
camminare in una strada della Firenze splendida, prestigiosa, di Lorenzo dei Medici non era
tanto piacevole perché si poteva sentire la puzza perché, perché quanto potesse essere la
patria dell’arte, non possedeva una tecnologia avanzata da garantire una bonifica dell’aria
tale da non essere percepita dall’olfatto umano. È anche vero che noi, come esseri umani,
riusciamo a percepire il carattere fastidioso di un certo odore quando abbiamo la sensazione
che quell’odore produca una differenza importante rispetto all’odore che sentiamo di solito.
Lo stesso vale per Firenze in cui c’è sempre la puzza che, avendo assunto un carattere
endemico, difficilmente le persone riescono ad essere infastidite da un’alterazione ulteriore
di quella puzza, cioè ci dovrebbe essere una puzza della puzza, l’alterazione
dell’alterazione, per rendere la gente così attenta da scriverlo da qualche parte. Quindi se
nel 400, 500 o 600, qualcuno ci racconta qualcosa lo fa perché ci informa su qualcosa che è
un’alterazione rispetto alla sua percezione ordinaria. Lo stesso discorso lo faceva Fernand
Braudel (autore di un capolavoro della storiografia intitolato “Civiltà e imperi del
Mediterraneo nell’epoca di Filippo II”), cioé diceva che in una società in cui ci sono sempre
guerre, la guerra non fa più notizia perché non è più un’eccezione, ma un elemento
strutturale di quella società.
Ancora oggi pensiamo a tante cose come cose normali: la crisi climatica, la guerra, le
epidemie, la povertà, la disuguaglianza sociale, così normali che non sentiamo più il bisogno
di raccontarle. Lo stesso vale per le condizioni igieniche e la puzza in un posto che puzza
sempre, non ci si accorge più della puzza. Quindi quando ci troviamo di fronte a
rappresentazioni delle città italiane, del primo 600, figlie della crisi, della riconversione,
dell’alterazione del sistema economico, e le percepiamo più sporche di quanto non fossero
prima, dobbiamo chiederci perché ce le stanno raccontando ancora più sporche? Perché ci
stanno evidenziando la presenza dello sporco tra lo sporco, della puzza tra la puzza, della
malattia tra la malattia? Questo anche significa interpretare la fonte storica, interrogarsi sul
senso profondo dell’umano nel tempo. Infatti la storia è la scienza dell’uomo nel tempo. Per
capire come gli esseri umani si sono comportati in una determinata epoca, dobbiamo
necessariamente capire ciò che per loro era normale e ciò che loro era un’alterazione di
quella normalità.
27 MARZO-ero assente ✅
Siamo l’ultima volta rimasti alla difficoltà dei manuali di stabilire chi, dalla Guerra dei
trent’anni, esce vincitore. È difficile capirlo, quasi dobbiamo farci interpreti dei manuali e
capire come si sono spostati gli equilibri di potere di un intero continente in una metà di
secolo. Perché i manuali non si assumono la responsabilità di stabilire chi ha vinto e chi ha
perso? Perché in effetti il bilancio di un conflitto così lungo e sanguinoso è difficile da
tracciare. Si può però provare a tirare una linea per fare i conti e, se provassimo a farlo,
potremmo dire che la Francia è stata il paese che più ha tratto benefici dal conflitto e che la
Spagna è uscita invece perdente. Possiamo anche aggiungere altre nozioni: ad un certo
punto in questo conflitto, entrano in gioco alcune potenze nordiche (come la Danimarca o la
Svezia) che non abbiamo mai sentito nominare prima quando parliamo dei grandi movimenti
della storia europea. Queste potenze si affacciano sull’orizzonte del continente grazie alla
Guerra dei trent’anni, facendo notare agli altri la loro presenza, il loro peso militare (quasi a
dire “ecco ci siamo anche noi”).
Ancora una volta, è davvero possibile dire che una potenza come la Francia esca vincitrice
da questo conflitto e che invece la Spagna esca perdente? Tutto è profondamente relativo,
dalle guerre difficilmente si esce vincitori o perdenti anche se oggi si pensa che dalle guerre
si esce o vincitori o perdenti. Le cose, però, sono più complesse.
La Francia potrebbe essere uscita vincente. Ma, in realtà, nella prima metà del 600 affronta
una quantità enorme di lacerazioni interne, squilibri profondi nel tessuto economico e
sociale. Spesso quando si vuole identificare questo periodo per le grandi monarchie
europee, si dice che è stata l’epoca dei “pleni potenziali”: figure che si affiancano ai
monarchi (i favoriti) nell’esercizio dell’arte del governo e li aiutano a svolgere i loro compiti.
In Francia, ce ne sono due: Richelieu e Mazzarino. Queste figure aiutano i monarchi a
sedare tutta una serie di rivolte interne che attraversano il paese: la Francia, nello specifico
è attraversata in primo luogo da tantissime rivolte contadine. Quando pensiamo alle rivolte
in Antico Regime, abbiamo un’immagine un po’ distorta perché pensiamo dei gruppi umili,
che stanno in fondo alla scala sociale e che non hanno molti mezzi economici, si ribellano
nei confronti del potere costituito per rivendicare i loro diritti. Quindi pensiamo alle rivolte
come se fossero movimenti che derivano da organizzazioni sociali che si sviluppano in
maniera orizzontale nella scala sociale. Ma, non c’è nulla di più falso perché in realtà le
rivolte di Antico Regime si basano su entità di carattere entitale che ci sono all’interno della
società e che arrivano alla scala più bassa ma ci arrivano attraverso influssi che derivano da
membri della nobiltà o del clero che sobillano i contadini o coloro che sono più umili per farli
diventare alleati di una rivendicazione che invece è legata alle loro esigenze primarie. Di
conseguenza, considerando che il potere centrale è fortemente minacciato, il monarca ha
bisogno di figure (ministri specializzati) che lo aiutino nell’esercizio del potere.
Quindi queste lotte non sono espressione della lotta di classe (come la definisce Marx nel
corso dell’800) ma sono invece il frutto di raggruppamenti asimmetrici che ci sono nella
società e che vanno a farci comprendere quali sono i veri limiti che si pongono al potere
centrale, il potere dello stato moderno.
Chi sono i veri nemici del potere centrale, dello stato moderno? I membri delle alte
gerarchie sociali —> i nobili, i membri del clero, che ricoprono posizioni di rilievo e hanno
tutto l’interesse a indebolire il monarca, sfruttando chi sta sotto di loro e agitando la violenza
in chi sta sotto di loro.
Le rivolte contadine in Francia attraversano il paese e si accendono ancora di più quando il
re deve raccogliere tasse e tributi per rafforzare l’apparato militare, l’esercito, e sostenere le
sfide poste dalla Guerra dei trent’anni.
Oltre alle rivolte contadine, ci sono anche altre forme di rivolta che attraversano il paese che
i manuali ci descrivono attraverso due espressioni: “fronda dei principi” “fronda
parlamentare”.
Fronda parlamentare
La “fronda” è una protesta forte che nasce all’interno di un corpo e che ha in sé qualcosa di
destabilizzante o addirittura reversivo.
“Fronda parlamentare”—> la parola “parlamentare” rimanda a quello che oggi sono i
parlamenti cioè a delle assemblee rappresentative. Nella Francia di Antico Regime, invece, i
parlamenti erano delle corti di giustizia che agivano sul piano territoriale direttamente per
mandato regio e in virtù dell’esercizio di una carica che spesso non era stata conquistata per
le competenze di un singolo individuo o per titolo di studio, ma perché era stata comprata.
Quindi accadeva che quegli stessi che avevano usufruito dell’acquisto di cariche o che
erano riusciti, in virtù del loro potere e della loro condizione familiare, a occupare certe
cariche diventano i primi nemici del sovrano organizzando appunto una fronda.
In conclusione, quando parliamo di “fronda parlamentare” non ci riferiamo ad un’assemblea
rappresentativa che si ribella ma di un insieme di capibastone che occupano ruoli preminenti
nelle corte di giustizia e che sobillano una parte importante del popolo contro il potere
centrale.
⚠️ ⚠️
Italia e un’egemonia altrettanto forte sulla parte settentrionale della Penisola, quindi avrebbe
dovuto scaricare il peso sulla Sicilia, Napoli e Milano ( ricordiamo : i “Promessi Sposi” di
Manzoni sono ambientati nella Milano spagnola del 600. Non poteva ambientare l’opera nel
suo 800, perchè sarebbe andato incontro alla censura austriaca quindi decide di traslare
l'ambientazione ad un periodo differente, rappresentando anche metaforicamente il
processo di conquista e oppressione che stava vivendo, nel suo mondo, il territorio italiano).
Ma la Spagna sceglie di adottare una strategia asimmetrica: chiedere più soldi al Sud
Italia, e meno soldi al Nord Italia. Perchè? Perché nel nord c’è la guerra ed è più difficile il
controllo del territorio, quindi mettere tasse potenti in quella parte di territorio avrebbe potuto
creare non pochi scompensi nel funzionamento della macchina bellica, cioè inimicarsi troppo
la popolazione di quei luoghi poteva creare problemi enormi (Manzoni, nei “Promessi Sposi”
parla di rivolte, assalto ai forni, situazioni di grande tensione sociale, in cui Renzo è
coinvolto, crisi epidemiche …).
In che modo il Sud viene maggiormente tassato? Attraverso delle imposte dirette sui
consumi. Questo è un concetto importante, perché l’imposta può essere di duplice tipo: o si
tassa la ricchezza e il reddito o si tassano i consumi .Questo è un concetto molto attuale:
oggi si parla della necessità di imporre una patrimoniale, cioè la tassa su ciò che si
possiede, sul patrimonio, oppure si parla di imporre una tassa sui consumi di lusso. Nella
nostra costituzione, infatti, c’è scritto che il prelievo fiscale non deve essere uguale per tutti
ma deve essere progressivo.
La decisione della Spagna non fu improntata a questo tipo di principio, ma colpì soprattutto i
bisogni della popolazione più umile cioè colpì particolarmente la verdura e la frutta
cominciando a sollevare il malcontento dei quartieri più popolari delle città, in particolare
della più grande città del sud Italia e dell’Europa insieme a Londra e Parigi: Napoli. A
prendere il comando della rivolta nel 1647 fu un pescivendolo di nome Tommaso Aniello
d’Amalfi, comunemente conosciuto con il nome di Masaniello, che nel giro di pochi giorni,
riuscì a capeggiare un enorme movimento popolare che fece tremare il popolo spagnolo. La
sua parabola fu piuttosto efficace perché la reazione seguì in maniera abbastanza repentina,
ma quello che ci interessa capire è che, approfittando di questa crisi, il potere straniero
cercò di mettere il naso negli affari napoletani. Questo potere straniero fu la Francia, che
pensò di approfittare della rivolta per mettere fine al dominio spagnolo e imporre il proprio
dominio. Quindi fu un momento di crisi enorme che fu dettato anche e soprattutto dalla
necessità della Spagna di sostenere le spese per la Guerra dei trent’anni, attraverso delle
risorse che venivano dalla parte più umile della popolazione, senza toccare l’aristocrazia, il
clero. Addirittura a Napoli c’era una parte della popolazione che cominciava ad identificarsi
come ceto civile: questi signori corrispondono un pò a chi oggi studia giurisprudenza
perché studiare giurisprudenza rappresenta quella cosa che, anche se non si era nobili, ti
dava una certa rilevanza nel corpo sociale, ti dà la possibilità di acquisire dei ruoli di
mediazione importanti all'interno dei conflitti, acquisire la scientia iuris (scienza del diritto).
Anche il ceto civile non viene toccato dal prelievo fiscale spagnolo, bensì ad essere toccata
è la parte più umile. Gli spagnoli però vivevano in maniera abbastanza traumatica questa
loro presenza a Napoli, avevano paura di Napoli, della popolazione napoletana, dei
sentimenti della popolazione napoletana, della predisposizione al disordine e alla violenza
della popolazione napoletana che viveva stipata all'interno di quartieri sovraffollati che era
riluttante a qualsiasi tipo di forma di controllo dall’esterno e difficilmente disciplinabile.
Vivevano stipati al punto tale da saper tranquillizzare tutti i nobili e gli emissari che
arrivavano dalla Spagna e si ritrovavano a Napoli in questa situazione, chiedendosi dove
erano finiti.Tra le altre cose c’era anche un trauma olfattivo da parte del visitatore spagnolo
che arrivava a Napoli: gli spagnoli nelle loro memorie e cronache dicevano di sentire una
puzza eccessiva tra le strade di Napoli, per cui vogliono stare rinchiusi nei loro palazzi,
vogliono la tranquillità della sede nobiliari ed essere rassicurati che non accadrà nulla di
brutto. Spesso Napoli viene rappresentata all’interno di queste cronache come un mostro,
fatto di più teste, pronto a mangiare tutto ciò che si trova in giro perché i napoletani sono
caratterizzati dalla fame, quindi mangiano qualsiasi cosa al punto tale da far credere che
potevano anche cibarsi di carne umana. Infatti, non bisogna farli arrabbiare ma essere
sempre tranquilli con loro. Quest’immagine è importante ed emerge anche nei rapporti che
gli emissari spagnoli inviano alla corona in Spagna, dove si legge anche la preoccupazione
e la paura di non arrivare a fine giornata. IMMAGINE SPAVENTOSA E SPAVENTEVOLE
DELLA CITTÀ E DELLA POPOLAZIONE NAPOLETANA.
Ma c’è un rimedio per consolarli, cioè lo svago di corte. Chi offre svago all’interno della
corte? I letterati, i poeti, i cantastorie, coloro che costruiscono dei “paradisi artificiali” nei
quali rifugiarsi e trovare la tranquillità che non trovano nella realtà in cui vivono. Uno dei più
importanti poeti di corte della Napoli spagnola del 600 è Giovan Battista Marino che si
distingue per la sua poesia che creava scenari del tutto artificiosi, ma tranquillizzanti,
pastorali, arcaici, nei quali i frequentatori della corte potevano trovare una dimensione
tranquillizzante rispetto al trauma che erano costretti ad affrontare quotidianamente.
Scriveva poesia in lingua rigorosamente toscana.
Questi scrittori ci restituiscono la complessità di un panorama culturale e letterario di
un’intera epoca? No, perché i letterati di primo 600 non sono nati— e non tutti hanno la
fortuna di godere di una posizione privilegiata come quella del poeta di corte per eccellenza,
alcuni sgomitolano un pò, cercando di gravitare tra gli ambienti più popolari e la corte, di
raccontare le cose servendosi di molteplici dimensioni in quanto poeti cioè moltiplicano i loro
interessi per cercare di attirare l’interesse di pubblici diversi. Uno di questi è Giovan Battista
Basile che ricordiamo per la composizione di un’opera in prosa intitolata “Lo cunto de li
cunti”(“il racconto dei racconti”) meglio conosciuto come “Pentamerone” ,cioè la divisione in
due del Decamerone di Boccaccio, una raccolta di racconti brevi scritti in lingua napoletana
e incastonati all’interno di una cornice (come il Decameron) ma finalizzati a lanciare al
pubblico un altro tipo di messaggio: i personaggi di Boccaccio sono caratterizzati da una
dimestichezza quotidiana con il mondo del magico, delle fate, dei folletti, dei maghi→ un
mondo costantemente sospeso tra il naturale e il soprannaturale, il magico e il razionale,
fatto di termini profondamente dialettali, vicini ad una sensibilità popolare che era invece
esclusa dalla produzione di corte.
Questo discorso serve a farci entrare in diversi livelli di cultura. Infatti, Basile scriveva solo
questa roba qui? No, cercava di fare anche lo stesso lavoro di Marino cioè scrivere poesia in
lingua toscana. Qui capiamo cosa si intende per “diversi livelli di cultura”: da un lato l’utilizzo
della lingua toscana, dall’altro l’utilizzo di termini propri della lingua napoletana con un
pubblico chiaramente più ampio. Ma per farlo, si nascondeva dietro varie identità cioè
utilizza uno pseudonimo. Quello più frequente è Gian Alesio Abbattutis: non è casuale, ma
è l’anagramma quasi perfetto di Giambattista Basile (ha cambiato solo l’ordine delle parole).
Non si tratta solo di un fatto ludico, giocoso, ma è proprio l’esigenza di avere una doppia
identità da “adattare” agli ambienti , al pubblico, a cui si rivolge. Il Basile ufficiale, come
Marino, vorrebbe essere accolto negli ambienti alti e godere dei privilegi di quegli ambienti
ma non ha la stessa cultura di Marino, quindi non può, e perciò si rivolge ad un pubblico
altro (quello del “Decamerone” e del “Lo cunti de lo cunti”).
C’erano anche altri poeti che giravano per la Napoli del tempo, in particolare ce n'era uno
particolarmente effervescente e fortunato per certi versi sul mercato editoriale: Giulio
Cesare Cortese. Le sue opere più interessanti sono:
“Il viaggio di Parnaso”, in cui immaginava un itinerario verso il riconoscimento ufficiale ed
entrava nell’empireo dei poeti laureati, quindi aveva in sé il mito dell’alloro che aveva
orientato un pò tutta l’esperienza di Petrarca. Il nodo però è che l’opera è scritta in lingua
napoletana e lega due immaginari diversi tra loro: quello classico, fatto dalla ricerca
dell’alloro poetico e la laurea e quello regionale, locale, fatto invece di maschere. Infatti,
nell’opera, la figura di Apollo si affianca a quella di Pulcinella.
Questo ci fa capire la capacità di questo scrittore di scivolare da un mondo all’altro.
- “la Vaiasseide”: poema epico che ci ricorda l’Iliade, l’Eneide. Ma l’Iliade aveva come
protagonista Achille, l’Eneide Enea, i due grandi eroi delle guerre del mondo antico. La
Vaiasseide, invece, ha come protagoniste le vaiasse. La vaiassa è quella donna che urla,
che non è capace di contenersi, che si lascia andare a delle rivendicazioni piuttosto forti, che
non filtra i suoi sentimenti, che non ha alcuna idea di quelle che sono le buone maniere. Ha
un certo modo di parlare, di mangiare, di vestire, di interloquire con gli altri. Potremmo dire
che Cortese è uno scrittore che dall’alto vede questo mondo con un certo disprezzo e
snobismo. Ma non è proprio così, perché Cortese è anche affascinato da questo mondo, lo
guarda con una certa tenerezza, comprensione, simpatia o addirittura empatia.Se volessimo
paragonarlo ad un fenomeno culturale che qualche anno fa andava fortissimo, lo
paragoneremmo a Tony Tammaro perché non ha uno sguardo dall’alto verso il basso nei
confronti del tamarro ma, anzi, quasi lo celebra. Cortese aveva questo tipo di atteggiamento,
fortemente ambivalente ma interessante perché quali sono le fonti che ci permettono di
capire qualcosa in più di un mondo che non sta chiuso all’interno delle corti, di avvicinarsi ad
un universo più popolare, che non lascia un enorme traccia scritta della propria esistenza?
Sono pochissime. Spesso il popolo nelle fonti, appare nelle fonti giudiziarie (=fonti di
polizia, dei tribunali e di tipo amministrativo- fiscale) come destinatario di un’azione
repressiva sviluppata dall’alto→ un popolano/a arriva in tribunale perché ha fatto qualcosa di
male, quindi deve essere punita, sanzionata, per aver compiuto qualcosa di illecito. Quindi la
rappresentazione offerta è una rappresentazione sempre sviluppata attraverso una mente
negativa; la fonte letteraria,cortese, invece, è il risultato di un tentativo radicale di
allargamento dello sguardo da parte dello scrittore a un mondo che è estraneo agli universi
descritti da uno come Gian Battista Marino. Ma il popolo non c’è nei componimenti di
Giambattista Marino? Certo, c’è il pastore ma i pastori di Giambattista Marino recitano
egloghe, conoscono i grandi poeti del passato… quindi sono figure idealizzate, lontane dalla
realtà pastorale del 600, finalizzate solamente ad offrire materia per l’intrattenimento della
corte spagnola.
Sguardi come quelli di Cortese, ancor più di quello di Basile, ci aprono invece la porta verso
un mondo escluso da qualsiasi altro tipo di rappresentazione, un mondo che quando emerge
negli archivi dei tribunali statali, delle amministrazioni fiscali o delle corti federali, emerge
solo come disciplinamento, quindi che sta dall’altra parte. Cortese, invece, lo guarda con
empatia, con uno sguardo quasi innamorato perché spesso egli si descrive come
innamorato delle vaiasse, che però non reagiscono molto bene . Una delle reazioni standard
della vaiassa nei confronti del corteggiatore è il tiro dello zoccolo→ una calzatura
abbastanza spessa e pesante che la vaiassa lancia per liberarsi dal fastidio provocato dal
corteggiatore.
-”la Rosa”
Verso la metà del 600, negli anni della rivolta di Masaniello a causa della gabella sulla frutta,
cominciò a circolare a Napoli una raccolta poetica, un canzoniere, fatto di diversi
componimenti (tra cui sonetti), intitolata “la Tiorba a Taccone de Felippo Sgruttendio da
Scafato ”:
1. la tiorba è uno strumento musicale che rimanda al nostro mandolino, quindi è a cassa e
corda;
2.il taccone è il plettro, aggeggio triangolare con cui si suona anche la chitarra;
3.Filippo Sgruttendio da Scafato: “Filippo” non è un nome come gli altri, ma è molto diffuso e
tipico dei re di Spagna (pensiamo a Filippo II→ uno dei più grandi rappresentanti della
monarchia spagnola nel secondo 500); “Sgruttendio”: da "sfruttare" che significa “fare
sempre rutti”; “da Scafato” cioè proveniente da Scafati. Già al tempo, si pensava che venire
da un posto come Caserta, Scafati, Maddaloni, Frattamaggiore (dunque dalle province)
significava essere più cafoni degli altri, come persone che non sanno come comportarsi
bene. Ancora oggi si dice “tu sei un provinciale”, conservando la stessa accezione.
Con questo titolo, che rimanda a vari elementi (la musica, Filippo, Scafati…), l’opera ci porta
all'interno di un realtà fatta di squilibri, scivolate verso mondi strani.
Il grande modello letterario del canzoniere, nella tradizione italiana, è Petrarca con i “Rerum
vulgarium fragmenta”(“I frammenti delle cose volgari”), cioè una raccolta poetica dedicata
alla donna amata→ Laura. L’opera di Filippo segue quest’idea e quindi tutti i componimenti
sono dedicati ad una donna di nome Cecca.
Differenze tra Laura e Cecca, tra l’opera di Petrarca e l’opera di Filippo da Scafato
1. Laura è una donna angelo, ha i capelli biondi e ondulati (ma pur sempre capelli in cui si
può passare il pettine senza che rimanga impigliato→ idea che ritroviamo anche in Marino),
Cecca, invece, ha i capelli neri e terribilmente cisposi, che non accettano alcun tipo di
pettine perché qualsiasi pettine rimarrebbe impigliato;
2. Mentre la carnagione di Laura è bianca, la carnagione di Cecca è scura, anche se non è
chiara la provenienza di questo colore scuro e diciamo che potrebbe essere da un lato
essere il risultato dell'insistere dei raggi del sole sul corpo della donna, o dall’altro lato
potrebbe essere uno scuro dato dall’accumularsi dello sporco
3. Laura è longilinea, snella, alta, slanciata; Cecca, invece, ha un peso inestimabile, è
enorme.
4. Nel “Canzoniere” di Petrarca non vediamo mai Laura mangiare mentre nel caso della
“Tiorba a Taccone”, Cecca non fa altro che mangiare, qualsiasi cosa si trova intorno.
5. Laura utilizza parole dolci e soavi; Cecca, invece, somiglia in maniera sospettosa a una di
quelle vaiasse di cui parla Cortese, quindi urla e il suo non controllarsi diventa anche un non
controllarsi sul piano delle funzioni corporee. Quindi, ad esempio, mentre si entusiasma e si
arrabbia per qualcosa è incontinente.
6. Cecca ha una fame enorme, non solo di cibo, ma anche di sesso.
Ma, chi è Filippo Sgruttendio da Scafati? Per lungo tempo si è escluso che potesse essere
Giulio Cesare Cortese, perché ad un certo punto questi risulta essere morto molto prima
della pubblicazione dell’opera. Molti hanno detto che si tratta di un’opera postuma, cioè
composta in vita e pubblicata più tardi. In realtà, non molto tempo fa, è stata ritrovata una
transazione bancaria di Cortese successiva alla data di morte dello stesso Cortese. Il
ritrovamento di questo documento ha fatto sì che si avviassero ulteriori ricerche sul
personaggio Cortese e su ciò che era successo, arrivando a comprendere che addirittura ad
un certo punto della sua vita fu costretto a mettere in scena la sua morte, a farsi credere
morto, per sfuggire ad alcuni creditori che lo stavano cercando ovunque. In realtà non era
morto, ma continuava ad andare in giro, a vivere in incognito e probabilmente questo suo
modo di vivere riuscì anche a gettare le fondamenta del Canzoniere poetico, che oggi
conosciamo sotto il titolo di “la Tiorba a Taccone de Felippo Sgruttendio da Scafato ”
Questo ci fa capire quanto sia veramente importante un mondo in cui si è costretti alla
dissimulazione, alla recita, ad acquisire doppie identità, dove si può essere accolti anche
all'interno di corti come letterati e vivere in condizioni come nel caso di Giambattista Marino
ma anche vivere in condizioni più precarie, come nel caso di Basile e Giulio Cesare Cortese.
Opere come “Il viaggio di Parnaso”, “la Vaiasseide" e la “Tiorba a Taccone” non sono il
risultato di uno sguardo satirico, scherzoso ma portano con sé qualcosa di profondamente
autobiografico, cioè Cortese non descrive un mondo a lui estraneo ma un mondo con cui ha
dimestichezza, in cui tende a vivere, quindi non ha uno sguardo snobistico.Non fa solo satira
o parodia perché un’opera è parodica quando prende un modello nobile, alto e lo rovescia
con lo scopo di suscitare il riso ma ne “la Vaiasseide” non rovescia l’Iliade o l’Eneide o nella
“Tiorba a Taccone” il Canzoniere di Petrarca, bensì allarga lo sguardo in maniera prepotente
su un mondo che altrimenti rimarrebbe escluso dalla letteratura e dagli atti comunicativi che
possono diventare per noi fonte storica. Osservarlo è importante perché le sue opere sono il
⚠️ ⚠️
frutto di questo prepotente allargamento di sguardo.
( ricorda : la parodia si sviluppa dall’alto. Scopo→ rovesciamento)
28 MARZO ✅
Il concetto di celebrità è importante: ci potremmo chiedere in che misura Gian Battista
Marino,Giulio Cesare o Masaniello fosse celebre e in che misura la loro celebrità arrivasse
anche al di fuori del regno o si chiudesse all’interno del regno.
➡️
realtà distante dalla loro vita reale, come imbevuti di altre credenze, altri modi di vivere, di
considerare la religione, l’economia tutto quello che siamo noi è diverso da ciò che
loro pensano di essere. Il fatto stesso che questi fenomeni debbano essere descritti con un
“noi” e con un “loro” è estremamente significativo; esiste un “noi” e un “loro”? Probabilmente
noi siamo molto più simili a loro di quanto si potrebbe pensare al primo sguardo, ma le
rappresentazioni anche un po’ oleografiche che il cinema, la musica, la televisione, la
letteratura, ci danno sono rappresentazioni che invece accentuano il senso della distanza.
Esistono delle mitografie intorno alle quali l’impulso partecipativo dell’ osservatore costruisce
altri racconti.
Come abbiamo anticipato, nella Londra di metà 600 l’interesse verso gli eventi napoletani
non era dettato dal solo e semplice gusto per l’esotico ma era dettato anche da una ragione
più concreta, che caratterizza tutti gli ecosistemi mediatici e informativi di Antico Regime:
spesso era difficile parlare liberamente di questioni di politica interna all’interno di un certo
contesto linguistico-culturale, senza rischiare di essere censurati cioè era difficile affrontare
argomenti scottanti di politica interna ed era ancora più scottante affrontare un argomento
come la guerra tra il Parlamento e il re perché si poteva essere accusati di essere dei lealisti
del re o dei partigiani del Parlamento, si poteva diventare oggetto delle vendette altrui. Allora
➡️
ci si affida all’osservazione del contesto altro per trovare quello che invece accade
all’interno parlo degli altri per parlare di me stesso e attraverso la rappresentazione
dell’altro dico ai miei qualcosa che ci appartiene. Questa è una dinamica ancora attiva nei
nostri ecosistemi mediatici: tutta l’informazione che produciamo sulla politica estera ha
questa funzione oggi. Infatti noi non ci interessiamo di Stati-Uniti, di Russia, di Ucraina, di
Giappone, di Cina perciò quando parliamo di loro, stiamo in realtà parlando di noi e parliamo
di loro (ancora noi vs loro) solo nella misura in cui siamo capaci di sottolineare le differenze
tra noi e loro, di evidenziare la loro specificità rispetto a noi o di evidenziare le nostre
specificità rispetto a loro. Quindi facciamo un continuo salto dentro-fuori, ma la nostra
priorità è parlare del dentro, di politica interna, anche quando parliamo di politica estera. La
politica estera è una sorta di fantasma, non esiste, è una sorta di universo strumentale, uno
specchio che usiamo per vedere la nostra immagine riflessa (cosa che abbiamo visto anche
con la lettera di Colombo che, all’inizio dell'età moderna, serve agli europei per riconoscersi
e capire quali sono i propri bisogni religiosi, politici, economici e sociali).
➡️
Allo stesso modo, Napoli serviva ai londinesi per capire ciò che stava accadendo a
Londra in altre parole, la crisi sociale che attraversa il Regno di Napoli serve ai londinesi
per capire cosa sta accadendo a loro stessi. Infatti nei testi dedicati a quello che accade a
Napoli, il processo di coinvolgimento portato avanti da Masaniello è identificato con il
termine di “revolution”, nonostante ci siano tante parole per descrivere il tumulto (come
“riot”).
“Revolution” è mutuata dal linguaggio astronomico e da l’idea di cerchi che si vanno a
chiudere; invece, probabilmente, da un punto di vista strettamente storiografico quella
napoletana non fu una rivoluzione perché non mise mai realmente in discussione la
legittimità del potere costituito spagnolo. Oggi, per parlare di “rivoluzioni”, abbiamo bisogno
di disordini, tumulti e esplosioni di violenza che mettono però in discussione le radici stesse
del potere costituito, che non abbiano alcun carattere puramente rivendicativo e che
guardino unicamente al futuro e non al passato. Molto spesso, invece, le rivolte hanno un
carattere rivendicativo: avevamo qualcosa che ci avete tolto e ora vogliamo che questo
qualcosa ci venga restituito (impostazione che le rivoluzioni non hanno).
Quello che sta avvenendo in Francia in questi giorni, potrebbe anche avere un carattere
rivoluzionario se qualcuno dicesse “io voglio far fuori Macron” ma non necessariamente da
un punto di vista fisico (non dobbiamo pensare alle esecuzioni cruente di Antico Regime)ma
semplicemente destituirlo per evidenziare la natura illegittima delle decisioni che sta
prendendo. Se nel caso fosse un semplice “caro Macron ridacci quello che hai tolto”,
sarebbe una rivolta.
Agli inglesi del tempo, però, non interessa la parola rivolta perché a loro interessa il concerto
di rivoluzione perché si mette radicalmente in discussione il potere degli Stuart. Lo stesso
Carlo Stuart viene processato e condannato a morte, ma ciò nonostante alcuni storici hanno
ancora dei dubbi sull’applicazione della parola “rivoluzione” a quello che avviene in
Inghilterra a metà 600 … perchè? Perché bisogna considerare quello che c’era prima: in
Francia, i Parlamenti erano corti di giustizia; in Inghilterra, invece, erano assemblee
rappresentative, simili o capaci di prefigurare quello che oggi sono i Parlamenti cioè
assemblee rappresentative dove si esercita il potere legislativo. Questa tradizione è una
tradizione lunga in Inghilterra, che affonda le radici nei secoli precedenti e che arriva fino ai
tempi della Magna Carta. Quindi il rapporto di equilibrio che c’è in Inghilterra tra monarchia e
assemblee rappresentative è un rapporto molto consolidato e quando Carlo Stuart viene
processato, i termini del processo sono abbastanza espliciti:non viene processato per avere
fatto cose totalmente illecite, per aver esercitato illegittimamente il suo potere o per essere
destituito, ma perché viene accusato di aver tradito i patti. preesistenti che regolavano il
rapporto tra la corona e il Parlamento.
Dunque ciò che avviene in Inghilterra non è immune da uno sguardo rivolto al passato, non
è un qualcosa che guarda totalmente al futuro, non è qualcosa che dice “la monarchia non
andava bene”ma dice “tu monarca, non vai bene perché non hai svolto il tuo compito cioè
non hai rispettato gli accordi che avevamo”. Allora, all’interno degli eventi inglesi di metà
600, c’è qualcosa di profondamente rivoluzionario (la condanna a morte del re) ma anche
qualcosa di profondamente rivoltoso per la percezione netta che quel sistema era governato
da alcune regole che sono state rotte e vanno ripristinate. Le rivoluzioni non chiedono mai il
ripristino di qualcosa, perché non guardano al vecchio ma al nuovo. Nel mondo inglese,
invece, si chiede il ripristino di qualcosa. Questi elementi ci aiutano a comprendere gli
sviluppi immediatamente successivi della storia inglese: c’è l’epoca Cromwell che è
un’epoca di transizione, tutta la seconda metà del 600 che è caratterizzata da una sorta di
ping-pong tra il Parlamento e la corona con il Parlamento che gioca il ruolo di protagonista e
che si sente sempre di più in diritto di scegliere la dinastia che deve governare (prima
abbiamo gli Orange, poi nuovamente gli Stuart e poi gli Hannover, antenati dell’attuale
dinastia). Quindi, dobbiamo interpretare gli eventi della storia inglese come eventi dettati da
un equilibrio estremamente delicato che c’è tra Parlamento e corona, con una potere
assegnato al Parlamento quasi unico all’interno dello scenario europeo: non possiamo
immaginare un’Europa in cui i Parlamenti spadroneggiano e anche quando andiamo a
giudicare sul piano terminologico (e quindi con l’applicazione di alcuni concetti)la storia
inglese, dobbiamo stare attenti perché dobbiamo capire non solo il carattere traumatico delle
rotture ma capire anche su quale contesto si innestano queste rotture: c’erano certi equilibri
che sono stati rotti e si pretende anche di ripristinarli.. in che modo? Mettendo questa o
quell’altra dinastia al potere. Chi lo decide? Il Parlamento. Anche quando analizziamo i testi
della tradizione letteraria inglese, non possiamo fare a meno di tenere in considerazione una
tradizione politica che assegna alle assemblee rappresentative un ruolo preminente e non
possiamo fare a meno di tenere in considerazione che quel tipo di assetto è unico
nell’Europa di Antico Regime, cioè non ci sono altri paesi che funzionano in modo simile.
Ciò nonostante dobbiamo anche ragionare sull’importanza dei paradossi. Ancora una volta il
presente ci impone delle domande: ragionando in termini strettamente progressivisti
(“questo paese è più avanti di quest’altro”) e pensando alla democrazia come approdo più o
meno naturale dei sistemi politici di Antico Regime, potremmo dire che l’Inghilterra era più
vicina alla meta perché aveva delle assemblee rappresentative più sviluppate, dotate di
potere e più capaci di interloquire con la Corona, dando addirittura delle direttive. Oggi noi
abbiamo la Repubblica (sistema dimocratico) ma esistono ancora molte sopravvivenze
monarchiche, come ad esempio quella inglese. Tutto questo ci deve indurre un po’ anche a
diffidare dall’interpretazione della storia in chiave progressivista, cioè a dire “questo è più
avanti di quest’altro”, sulla base di teleologismi: le interpretazioni del prima con la
coscienza di quello che è avvenuto dopo. Se considerassimo le Repubbliche o le
democrazie come punto di approdo, non potremmo dire che qualcuno era più avanti di
qualcun’altro in Antico Regime perché è un discorso che non funzionerebbe.
Tra le altre cose, con ogni probabilità, la particolare struttura che si diede all’Inghilterra a
livello di potenza coloniale nel corso del 600, diede modo agli operatori commerciali inglesi
di acquisire i capitali e le potenzialità necessarie per favorire all’interno del loro paese la
➡️
nascita e lo sviluppo di un nuovo modello di produzione: il modello di produzione
industriale cioè fondato sulla fabbrica.
Nel primo 700, in Europa, parliamo di rivoluzione industriale. Ci sono state varie rivoluzioni
industriali tra l’età moderna e l’età contemporanea, ma la prima (a fine età moderna) è solo
ed unicamente inglese anche in virtù delle potenzialità acquisite dagli operatori tra 600 e
700, quando si venne a creare il cosiddetto impero, l’enorme rete di relazione che collegava
l’Inghilterra agli altri continenti, quando la corona britannica iniziò ad esercitare l’influenza su
varie aree del pianeta.
Dunque, la rivoluzione industriale poggia i piedi in un secolo in cui l’Inghilterra aveva vissuto
dei traumi ma si era data anche un assetto che confermava l’equilibrio precario tra corona e
Parlamento ma che spesso poteva anche avvantaggiarsi di quell’equilibrio.
➡️
interessante: Norbert Elias, che ha scritto “La società di corte” dove fa capire ai lettori come
la società di corte funzionasse come il sistema sociale il Re rappresenta il sole, mentre i
gli altri rappresentano i pianeti che gli gravitano intorno e più si è vicini al Sole, più si può
godere dei privilegi NELL’AMBIENTE DI CORTE, LA VICINANZA AL RE È
DIRETTAMENTE PROPORZIONALE AI PRIVILEGI DI CUI SI PUÒ GODERE. Ma i privilegi
hanno un prezzo, cioè il nobile per godere dei privilegi deve allontanarsi dal suo territorio di
riferimento, abbandonare il luogo in cui fa il cane da guardia e andare vicino Parigi. Il re non
si limita solo ad ospitare il nobile,ma manda su quel territorio una figura nuova, che svolge lo
stesso ruolo e che è stipendiato da lui: l’intendente, che inizia a dare tutto ciò che il signore
non può più fare perché impegnato nella Reggia.
Quindi, quello che si innesca è un progressivo processo di sottrazione dei nobili dai propri
territori di riferimento per portarli al cospetto del re, godendo della vita di corte, e sostituzione
di quei nobili con burocrati che devono esercitare completamente il controllo del territorio.
Tutto ciò non funzionava sempre, infatti alcuni nobili non si fanno prendere in giro da Luigi
XIV e si ribellano
Già negli anni 70 del 700, questo sistema comincia a precipitare e in modo ancora più
deciso agli inizi degli anni 80 del 700. Tra le altre cose, nell’epoca di Luigi XIV, c’è una
costante che ritorna: la guerra, l’aggressione verso l’esterno, cioè se voglio consolidare il
mio potere interno e sanare le lacerazioni che attraversano il paese faccio la guerra agli altri,
cioè prometto al mio paese l’espansione e faccio in modo che questa possa portare vantaggi
in termini di rafforzamento della mia influenza personale.
Luigi ci aveva provato più volte a fare questo, le guerre producono dei risultati ma lo mettono
in difficoltà.
Quali sono queste difficoltà?
➡️
Uno dei nodi importanti che aveva attraversato la propaganda bellica della Francia, durante
la Guerra dei 30 anni, era l’idea della morsa asburgica: trovarsi tra due forze asburgiche
la Spagna da un lato e il Sacro Romano Impero dall’altro lato, quindi la Francia si sente
accerchiata.
Quest’idea continua e i fronti importanti su cui è impegnata la corona francese sono due:
quello pirenaico (la catena montuosa dei Pirenei) che separa la Francia dalla Spagna;
quello renano(fiume Reno) che spacca in due l’Europa e vede la Francia a ovest e la
Germania a est.
Il fronte spagnolo non tiene molto impegnato Luigi XIV, al contrario del fronte renatico. Ad un
certo punto, si presenta al re un’opportunità importante, palese già alla fine degli anni 70 ma
➡️
all’inizio degli anni 80 diventa evidentissima: i turchi vogliono entrare nei Balcani e
minacciare l’impero tedesco, fino ad arrivare in una delle sue città simbolo Vienna.
Luigi ha un’opportunità unica perché se l’impero tedesco deve impegnare le sue forze
militari per difendersi dai turchi, può avere vantaggi sul fronte renano e avanzare. Ma c’è un
problema: i turchi non sono cristiani e lui si accredita agli occhi dei sudditi, come avevano
fatto già i suoi predecessori e i suoi colleghi di altri paesi (Filippo II), come re cristiano. Anzi,
addirittura non si accontenta di essere definito come “re cristiano”ma si fa chiamare “re
cristianissimo”. Di fronte all’avanzata dei turchi, non può rimanere indifferente perché ci
troviamo dinanzi ad un potere islamico che minaccia una roccaforte dell’Europa cristiana. A
questo punto il primo che dice a Luigi che ciò che sta facendo non va bene, è il papa che
richiama le forze cristiane all’unità e dice “caro Luigi, lo so che ci guadagni da questa cosa,
ma non puoi guadagnare fino in fondo da questa situazione perché siamo di fronte ad un
nemico comune”.
Per cui, Luigi XIV inizia un diplomatico doppio gioco che si svolge con forze diplomatiche in
campo: da un lato manda i suoi emissari nel cuore dell’Impero ottomano, a Istanbul;
dall’altro lato, li manda a Vienna a parlare con il papa e con gli altri stati italiani per dire
“resto cristiano, tengo all’unità del mondo cristiano, per cui terremo fuori dall’Europa i turchi”.
Ma dall’altra parte dice “se andate a Vienna, io non ho nulla da ridire perché in fondo mi fa
anche comodo”.
Tutto questo genera una strategia doppia anche sul piano mediatico perché bisogna
accreditare agli occhi dell’Europa l’immagine di un re cristiano e trasmettere,invece, nel
cuore dell'Impero ottomano l’immagine di un re cristianissimo, ma per fatti suoi, che infatti
vede di buon occhio l’arrivo della forza turca in una roccaforte come Vienna.
L'assedio di Vienna avrà luogo nel 1683 e, dopo la Battaglia di Lepanto, è stato uno dei
grossi momenti di urto tra cristiani e turchi. Anche a Vienna, come era avvenuto a Lepanto, i
cristiani riescono a sconfiggere il nemico. Ma, l’episodio di Vienna rappresenta l’inizio del
declino di Luigi XIV perché viene fuori agli occhi degli europei l’ambiguità della sua
posizione, soprattutto si è compresa la sua capacità di stare con un piede in due scarpe in
modo piuttosto precario e la sua volontà di espandersi nel cuore dell’Europa anche pagando
un prezzo molto alto (ledendo L’Unità e l’impermeabilità nel continente europeo, soprattutto
nella matrice cristiana).
Quindi nel 1683 gli Asburgo si rafforzano e cominciano a far gravitare intorno a Vienna il
centro delle loro attenzioni, trasferendovi qui il cuore anche simbolico del loro potere e
diventando sempre meno tedesca e più austriaca. La dinastia asburgica, pur essendo a
capo di un paese in cui sono presenti anche protestanti, comincia a confermarsi come
dinastia profondamente cattolica con Vienna come capitale della cattolicità. Ancora oggi
Vienna è considerata come tale: il mondo tedesco, inteso come tutto il mondo tedesco
(quindi Austria, Baviera, tutta la parte nord fino a Berlino, Düsseldorf, Francoforte), è al sud
cattolico e al nord protestante.VIENNA=PUNTO DI RIFERIMENTO DEL CATTOLICESIMO
Luigi XIV, invece, comincia la sua ascesa, comincia a palesare delle difficoltà anche sul
piano comunicativo. Che lui palesi delle difficoltà proprio sul piano comunicativo, è
significativo perché lui aveva puntato tutto sulla propaganda, sulla costruzione
dell’immagine, sulla capacità rappresentativa che la corte e la reggia aveva per i francesi e
per l’Europa intera. Veder crollare quel tipo di prestigio nel suo modo di operare nella politica
internazionale e nella sua costruzione dell’immagine fu un duro colpo: i francesi iniziano ad
accorgersi di questa cosa e aumentano le divisioni interne.
Luigi XIV revocò l’editto di Nantes, cioè stabilì che le regole che aveva stabilito il suo
predecessore(Enrico IV) non potevano più andare bene perché l’unità religiosa è ora una
priorità, non può essere più rimandata.
I calvinisti possono esercitare e praticare il loro culto all’interno di roccaforte ben stabilite e
definite? Non più. C’è un prezzo da pagare enorme (i calvinisti sono particolarmente ricchi e
intraprendenti) : dopo la decisione di Luigi XIV di revocare l’editto di Nantes, i calvinisti
scappano dalla Francia e si rifugiano in Olanda. Insieme ai calvinisti, vanno anche
scienziati, filosofi, letterati, letterati.
L’opposizione interna aumenta.
“Le avventure di Telemaco” è un finto romanzo storico, ma palesa fra le righe tutti gli
squilibri del potere di Luigi XVI.
➡️
La crisi arriva alle estreme conseguenze con un ulteriore problema di politica estera: la crisi
dinastica della Spagna in Spagna, gli Asburgo non hanno più eredi(cosa già evidente a
fine 600 ma ancora più palese nel 700)e Luigi pensa di mettere sul trono in Spagna un
Borbone. Nasce un conflitto, destinato a durare per diversi anni perché attraversa tutto il
primo 700: la guerra di successione spagnola, la prima delle 3 lunghe e sanguinose
guerre di successione (guerra di successione spagnola, guerra di successione polacca,
guerra di successione austriaca).
Le guerre di successione rientrano, insieme alle Guerre d’Italia, la Guerra dei Trent’anni e la
Guerra dei 7 anni, tra gli spauracchi per chi studia storia moderna.
IL 700
La prima cosa che ci viene in mente quando parliamo di 700 è l'Illuminismo. L’idea che
incombe nei manuali è quella di Illuminismo come epoca della ragione, della razionalità,in
cui si smette di credere alla superstizione e di guardare a mondi strani e immaginari. Ciò che
accade non è questo, ma un fenomeno molto molto più complesso.L’Illuminismo quasi non
esisteva in Europa, era un fenomeno riservato a poche persone perché gli europei avevano
altro a cui pensare (un contadino, ad esempio, doveva pensare a come procurarsi da
sopravvivere).
Dobbiamo cercare di essere più realistici e pensare al secolo dei lumi come un secolo più
reale e meno surreale.
Molto spesso si è detto che già dalla fine del 600 molte cose stavano cambiando. Esiste un
➡️
classico della storiografia, prodotto da Paul Hazard, intitolato “la crisi della coscienza
europea” nel corso del 600, la parola crisi l’abbiamo incontrata varie volte con riferimento
alla crisi economica, la peste, la fame, la guerra. Secondo Paul Hazard, “crisi della
coscienza europea” significa messa in discussione di alcuni paradigmi ritenuti
inattaccabili. Quando parliamo di “paradigmi ritenuti inattaccabili”, parliamo soprattutto di
➡️
sacralità del potere regio, di natura dogmatica dell’ inattaccabilità del potere stesso, alleanza
tra trono e altare quindi potere politico e religioso che si fondono in altri
termini:collaborazione tra Stato e Chiesa, di primato da assegnare ad alcuni soggetti che sul
piano culturale godono di un riconoscimento da parte degli stessi poteri cioè teologi, filosofi
e soprattutto accademici.
Oggi la parola “accademico” rimanda ad un mondo fatto di istituzioni scientifiche, letterarie,
filosofiche, che godono della protezione dei poteri costituiti (dello Stato e della Chiesa).
Secondo Paul Hazard, “la crisi della coscienza europea” mette in discussione la cultura
accademica e comincia a dire che la vera cultura può stare anche al di fuori di questi circuiti.
Quindi si mette in discussione un sapere che gode di un certo tipo di protezione, che è
ufficializzato, istituzionale e finanziato dai poteri costituiti.
Nel corso del 600, i saperi accademici avevano raggiunto un potere tale da diventare anche
servili nei confronti di chi li finanziava e li proteggeva. In Inghilterra, ad esempio, le
accademie avevano acquisito un ruolo importante anche sul piano della ricerca di quella che
oggi definiamo come “scienza o scienze dure” (Newton, per esempio, era un uomo che ad
un certo punto gode di protezioni e diventa un punto di riferimento accademico). Anche a
Napoli c’erano accademie importanti, protette dal potere spagnolo, come l’Accademia degli
investiganti o l’Accademia degli oziosi (oziosi= coloro che potevano dedicarsi all’attività
intellettuale). A Napoli,all’interno di questo mondo accademico, però si cominciano a
coltivare delle idee che non stanno più tanto bene né allo Stato né alla Chiesa. Infatti,
l’Accademia degli investiganti finisce sotto processo e a processarla è l’Inquisizione che
accusa gli investiganti di ateismo, cioè di andare contro uno dei dogmi più importanti difesi
dalla Chiesa di Roma (l’esistenza di Dio).
Realmente gli investiganti erano ateisti? No, avevano posizioni molto molto più sfumate. Ma,
ad un certo punto, il processo contro gli ateisti diventa anche la manifestazione simbolica
di una crisi tra mondo accademico e potere costituito. Il processo degli ateisti a Napoli,
negli anni 90 del 600, si chiude con una condanna molto pesante (secondo alcuni uno
sterminio dei più importanti letterati napoletani). D’altro canto, è anche la
➡️
manifestazione della non sostenibilità di un sistema fondato sulla committenza dei
poteri costituiti e sulla protezione di carattere mecenatistico in altre parole, in Antico
Regime, si può essere letterati o uomini di cultura se c’è qualcuno che dall’alto decide di
finanziarti, sostenerti e proteggerti. Diversamente da oggi, è difficile che il letterato possa
➡️
vivere del suo lavoro,o meglio può vivere del suo lavoro se si tratta di un professore che
porta a casa uomo stipendio o vendendo il proprio prodotto scrivo libri e li vendo,
disegno fumetti e li vendo, progetto videogiochi e li vendo, scrivo sceneggiature che
vengono messe in scena, diventano film e fanno cassa.
Questa cosa qui in Antico Regime non esiste,perché la diffusione della cultura è legata in
larga parte al mecenatismo e non alla capacità del prodotto artistico di diventare prodotto da
vendere sul mercato. Il pubblico delle opere letterarie o delle opere artistiche è
estremamente ristretto, che non paga direttamente per la fruizione di quel prodotto; un
artista, uno scrittore, un letterato, riesce a vivere grazie al proprio lavoro perché c’è chi
compra il suo prodotto, ma non tutti possono permetterselo(i nobili).
➡️
Quindi, non dobbiamo pensare ad un mondo di cultura fatto di lavoro culturale cioè un lavoro
che sì esiste, ma esiste sotto la protezione di mecenati persone che sono élites nella
società e decidono di investire una parte delle loro risorse nel sostegno dell'attività culturale.
Tra la fine del 600 e l’inizio del 700 non soltanto si rompe il rapporto tra gli accademici e i
poteri costituiti ma, più in generale, viene meno il sistema di protezione che lega i mecenati
a coloro che esercitano attività di carattere culturale. Incomincia ad affacciarsi
nell’esperienza degli europei, la possibilità di lavorare nel mondo della cultura e vivere del
proprio lavoro. Questo si traduce in possibilità di vendere il proprio prodotto.
Tutto questo muta completamente alcune prospettive, muta la figura stessa del letterato
(oggi intellettuale) che comincia a pensare di poter vendere il proprio prodotto, di scrivere
qualcosa che possa soddisfare il gusto delle persone in modo che queste spendano per
comprare un libro, un periodico, un giornale, un dipinto.
Chi era Defoe? Non era un personaggio senza macchia e senza paura, non era un eroe
fiabesco, ma una persona che viveva di commercio, di scambi, al limite tra il lecito e l’illecito.
Lui stesso era una specie di personaggio picaresco. Figure come quella di Defoe,
interpretano il cambiamento profondo dei tempi, la trasformazione del sistema economico,
politico, la possibilità intravista dagli uomini di cultura di vivere del proprio lavoro.
Nel mondo inglese la stampa (soprattutto quella periodica) è molto sviluppata, infatti alcuni
scrivono articoli per vivere e vogliono che i loro articoli vengono letti. Alcuni giornalisti inglesi
dell’inizio del 700 si divertono a scrivere articoli senza tenere molto in considerazione la
realtà dei fatti che descrivono; dovrebbero trasmettere delle notizie, ma spesso hanno più
interesse a suscitare stupore in chi li legge, quindi spesso stravolgono le notizie o le
inventano dal nulla.
Qualcuno di loro si diverte a passeggiare nelle piazze e nei mercati, dopo l’uscita del proprio
articolo su un determinato periodico, solo per il gusto di sentirne parlare e sentir raccontare
una storia che lui stesso ha inventato quindi si sente soddisfatto per aver raggiunto il suo
scopo e per aver potuto eventualmente trarre guadagno da quel tipo di attività.
CAMBIAMENTO DI PROSPETTIVA CHE CI PORTA ALL'INTERNO DI UN MONDO IN
PROFONDA TRASFORMAZIONE.
Dunque quando parliamo di Illuminismo, al di là dell’ idealizzazione di alcune punte
importanti(Diderot, Voltaire, Montesquieu, Rousseau) del pensiero europeo, quello che è
importante è trovarsi di fronte ad una profonda rivoluzione mediatico,di fronte ad un
➡️
profondo cambiamento del modo di consumare cultura e di fronte alla nascita di un vero e
proprio mercato del prodotto culturale cominciamo a vedere un’Europa in cui comprare un
libro, una rivista, un giornale, diventa pratica comune, in cui pagare il biglietto per andare a
teatro diventa consuetudine (è vero che nell’Inghilterra shakespeariana questo già si faceva,
ma parliamo di un’eccezione che si espande in tutto il continente e viene condivisa sempre
di più).Cominciano ad esserci fenomeni legati anche alla capacità accresciuta di persone di
diversi ceti sociali, in varie parti del continente, di saper leggere: fare statistiche
sull’alfabetizzazione in Antico Regime è molto complesso e spesso ci sono studiosi che
sparano dei numeri. Ma come si può fare un calcolo per stabilire quanti alfabetizzati c’erano
in Antico Regime? Innanzitutto si fa a campione, cioè su piccoli contesti, e si cerca un tipo di
fonte omogenea che possa dare l’idea di quante persone sapevano leggere e scrivere.
Come si fa a capire chi sapeva leggere e chi no? Sulla base di chi metteva sui documenti le
firme e chi invece metteva una x perché si presupponeva che chi metteva la firma sapeva
anche leggere, mentre chi invece metteva una x non sapeva leggere. Le statistiche rivelano
che nelle grandi città, il 40% degli uomini e circa il 20-25% delle donne sapeva; nelle
campagne, invece, questa cifra si abbassa moltissimo perché si arrivava al 20% degli uomini
e al 12-13% delle donne. Molto spesso in alcune campagne italiane, ad esempio, addirittura
si arrivava al di sotto del 10%.
Ma quando facciamo questi calcoli, basandoci su questo tipo di ricerca, stiamo
commettendo un errore abbastanza evidente: il fatto che si metta una firma o una x, non
significa necessariamente che si sappia o meno leggere; saper leggere o scrivere, non è
sinonimo di sapere o meno usare un libro o essere in grado di ricevere i contenuti di un
libro/articolo di giornale.
Pensiamo a Renzo de “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni e chiediamoci: è o non è
➡️
un analfabeta? Si, ma non del tutto: se guardiamo alcune scene de “ I Promessi Sposi”,
notiamo che non sa scrivere ma sa leggere in parte sa leggere i testi a stampa, ma non i
manoscritti. Quando ad esempio incontra l’Azzeccagarbugli e gli fa vedere dei testi a
stampa, riesce a seguire quanto c’è scritto; quando, invece, deve scrivere una lettera a
Lucia deve rivolgersi ad uno scrivano o quando riceve una lettera deve rivolgersi a qualcuno
che gliela sappia leggere.
Quindi uno come Renzo, come può essere definito? Come semi letterato.
Quindi quando facciamo quel tipo di calcolo, cadiamo nell’errore, perché molti non erano del
tutto analfabeti ma erano semi-analfabeti/semi-letterati e tale condizione INTERMEDIA non
è rilevabile dalle statistiche. Questa condizione non solo dà loro la possibilità di leggere dei
testi a stampa, ma spesso dà loro anche la possibilità di diventare fruitori di testi a stampa,
senza leggerli direttamente ma ascoltandoli da qualcun altro.
Dunque, capire bene qual è la potenzialità di un oggetto mediatico è difficile.
Nel corso del 700 cominciarono ad essere utilizzati molti libri piccolissimi, quanto una mano,
identificabili attraverso il colore blu della copertina. Parliamo dei libri della Biblioteca blu,
che cominciano a girare non solo nelle città ma anche nelle campagne. Si presupponeva
che molte persone sapessero leggere questi libri.
La Biblioteca blu conteneva 3 sezioni:
1.dedicata alla sezione storica: i grandi eventi del passato;
2. dedicata alle notizie;
3. dedicata ai romanzi.
Oggi, abbiamo esempi concreti di generi editoriali che si identificano con il colore della
copertina? Si, i giallo. Perché gli italiani li definiscono “libri gialli”?
Perché Mondadori in Italia scelse che le detective stories(storie d’indagine dovessero
portare la copertina gialla. I francesi li definiscono "noires",prendendo in considerazione non
tanto il colore della copertina ma il carattere cupo della storia.
È importante che un genere possa identificarsi con il colore della copertina e in Francia
questo avviene già nel primo 700, con i libri della Biblioteca blu.
Le storie raccontate nei libri della Biblioteca blu potevano diventare argomento di
discussione tra le persone. Avevano anche un’altra caratteristica:quando si parlava di storie
e romanzi, su un numero della Biblioteca blu trovavamo una puntata, su quello successivo
un’altra puntata ancora e così via… cioè avevano una serialità perché si partiva dal
presupposto che i lettori fossero sempre gli stessi e che letto un pezzo della storia,
andassero poi a cercare gli altri. La stessa cosa avveniva per i periodici che appunto
raccontavano eventi a puntate, che uscivano settimane dopo settimane, mesi dopo mesi,
quindi nel numero successivo proponevano il continuo di una storia a cui il lettore si era già
affezionato prima. Affezionarsi ai vari elementi delle storie, come i personaggi, è importante
perché la volta dopo li si riconosce e si prova la sensazione di essere tornati un po’ a casa.
Ancora oggi ci affezioniamo ai personaggi di una storia che consideriamo vicini a noi (basti
pensare la serie televisiva “Mare Fuori”)
C’era un'altra dinamica che appartiene a queste cose che avvengono ancora oggi:molti dei
personaggi erano dei criminali, avevano commesso reati di tutti i tipi nella loro
vita.Nell’Europa di primo 700, ce ne erano alcuni molto famosi: Jack John Sheppard,
diventato celebre in virtù della spinta enorme prodotta dalla penna di Daniel Defoe .
Parliamo di un ladro londinese, molto giovane, che viene catturato dalla polizia ma da un
poliziotto corrotto. Questo personaggio divenne così famoso che il pubblico inizia a avere
fame di conoscere le sue nuove avventure. Ma com’è che ottiene tutta questa fama? Perché
quando Defoe lo presenta al pubblico, afferma che dobbiamo trarre dalle sue avventure un
messaggio pedagogico, capire che nella sua vita ne ha combinate di tutti colori ma ha
pagato a caro prezzo le conseguenze delle sue azioni, quindi osservando la storia della sua
vita dobbiamo imparare a non ripetere quello che ha fatto.
Ma Defoe sapeva benissimo che nessuno avrebbe imparato nulla dalla storia di questo
personaggio, ma tutti si sarebbero divertiti tanto, lo avrebbero apprezzato e amato a tal
punto da desiderare di essere come lui. John Sheppard esisteva davvero nella Londra del
tempo, quindi i londinesi possono vedere anche quando viene catturato. Poi c’erano i
personaggi dei romanzi: pensiamo a Moll Flanders, che non fa cose bellissime nella sua
vita che anzi è legata al carcere perché commette una serie di errori inimmaginabili. Nelle
prime pagine di Moll Flanders, Defoe dice ai lettori le stesse cose che abbiamo detto
prima,quindi lo fa nella cronaca e nella fiction e anche nella fiction (come nella
cronaca)dimostra la sua grande furbizia perché sa bene che i lettori non impareranno nulla
dalla lettura di Moll Flanders, ma si divertiranno molto seguendo le sue avventure e
addirittura arrivano ad invidiarla perché desiderosi di essere come lei o a sviluppare nei suoi
confronti forme di empatia.
Sheppard è ritornato di gran carriera nel nostro mondo (nel 21esimo secolo) attraverso varie
serie televisive.
29 MARZO ✅
contesto inglese
Scrittori come Daniel Defoe, Henry Fielding,cosa fanno nella vita? Che mestieri svolgono? I
loro profili rispondono all’immagine del letterato in Antico Regime? Noi immaginiamo il
letterato di Antico regime come un individuo protetto dal mecenate, che si aggrappa ad una
corte da cui conquista quello che è necessario per sopravvivere e per esercitare la sua
attività. Invece questi signori che si muovono nel contesto inglese del primo 700, vivono del
proprio lavoro, degli introiti che derivano dal proprio lavoro e in particolare da quello che
scrivono. Spesso però non sono solo scrittori, ma fanno anche altri mestieri: Defoe era
➡️
anche un giornalista (scrittore e giornalista però sono un po’ parenti, cioè un giornalista è in
effetti uno scrittore), un traduttore, un commerciante, la spia quindi parliamo di persone
che non vivono della protezione altrui, ma si guadagnano da vivere attraverso la loro
creatività, intraprendenza, saper fare.
LETTERATI DI PROFESSIONE CHE AFFIANCANO ALLA PROFESSIONE DI
LETTERATO ALTRE PROFESSIONI PIÙ O MENO LECITE, APERTE O RICONOSCIBILI.
➡️
Altra cosa interessante: spesso sono dei legali, dei giuristi, cioè sono giudici o
avvocati svolgono una professione forense nel mondo dei tribunali, a cui affiancano
l’attività di scrittori e intrattenitori, perché lo scrittore è principalmente un intrattenitore,
quindi non dobbiamo idealizzarlo.
Oggi quando utilizziamo il concetto di letteratura applicato all’Antico Regime, ci “sporchiamo”
di un anacronismo enorme perché il concetto odierno di letteratura in Antico Regime non
esisteva
Cos è la letteratura? In che modo si distingue da tutte le altre forme di produzione scritta?
Per il contenuto, ma qual è il carattere specifico di questo contenuto che la distingue da
qualsiasi altra forma di produzione scritta? Potremmo pensare che quando parliamo di
religione, argomento alto, stiamo parlando di religione. Ma non è questo l’elemento distintivo
perché le opere che parlano di religione possono essere trattati di carattere
teologico-filosofico ed trattati di carattere teologico-filosofico non sono letteratura.
Il nostro concetto di letteratura è storicamente nato nella seconda metà dell’800 (quindi dopo
la fine dell’età moderna). La letteratura, inventata da un certo Francesco De Santis che
scrisse “Una storia della letteratura italiana”, in quel contesto si contraddistingue per essere
➡️
un tipo di produzione scritta slegata da un fine eminentemente utilitaristico, è un tipo
di produzione scritta su cui si pronuncia un giudizio di tipo estetico un’opera letteraria è
qualcosa di cui dovremmo innanzitutto dire “è bella o non è bella”.
Cosa significa avere un fine non utilitaristico? Significa che non è un tipo di produzione
legata ad un compito pratico che devo svolgere nella vita o qualcosa che mi serve a vivere
in un certo modo, cioè la letteratura non è qualcosa che “mi serve a…”, è slegata dal fine
utilitaristico, non è pratica nel suo scopo, anzi ha in sé qualcosa che ha a che fare con
l’intrattenimento, il divertimento, la possibilità di esprimere un giudizio estetico (dire “è bello o
➡️
è brutto”), qualcosa che si allontana dalla sfera delle nostre necessità ed ha a che fare con
quello che produciamo in quanto esseri umani volti a altro dobbiamo il più possibile
astrarre per poter capire la natura dei fenomeni. Questo significa che quindi la letteratura
non può servirci a qualcosa? Certo la letteratura può servire anche a qualcosa, come vivere
meglio, guardare il futuro in un certo modo, la realtà in un certo modo, senza però escludere
la sfera del giudizio estetico, del bello, dell’eleganza, della forma, della metrica, dell’alta
cultura (altrimenti non è letteratura, perché la cultura è tutto ma per parlare di “letteratura”
c’è bisogno di cultura alta).
In Antico Regime queste distinzioni non esistevano ma sono frutto della cultura
ottocentesca. Infatti, in Antico Regime, tutto quello che veniva scritto doveva
necessariamente essere utile a qualcosa, cioè doveva aiutare a perseguire uno scopo che
nella mentalità del tempo era eminentemente pratico. Quindi potremmo pensare “a cosa
serve la Divina Commedia di Dante?” La “Divina Commedia” di Dante serve eminentemente
a qualcosa, cioè a perseguire lo scopo più pratico di tutti nel 300: garantire la vita eterna.
➡️
A cosa serve un poema epico-cavalleresco? Serve a comprendere una storia, che significa
sentirsi parte di un luogo, una tradizione, una comunità cosa eminemente pratica in Antico
Regime. Questo spiega il motivo per cui quando parliamo di chi si occupa di cultura in Antico
Regime, non dobbiamo usare il concetto di “intellettuale” (che non esisteva in Antico
Regime) ma il concetto di “letterato” che non è colui che scrive di letteratura ma colui che
scrive e basta. Infatti, in Antico Regime, colui che scrive di botanica è un letterato;
oggi,invece, chi scrive di botanica non è un letterato ma un botanico.
Dunque in Antico Regime si era considerabili letterari per il solo fatto di scrivere, perciò
essere filosofi, romanzieri, era la stessa cosa. Ma essere letterari significa perseguire degli
scopi che sono eminentemente pratici.
Se leggiamo le introduzioni di Defoe (come quella di Moll Flanders o quella dedicata a John
Sheppard), vediamo che dicono tutte la stessa cosa: dobbiamo leggere queste storie,
perché ci servono, perché hanno uno scopo pratico cioè quello di rigare dritto nella vita e
non ripetere nella nostra vita gli errori che ha commesso e pagare le conseguenze che lui ha
pagato. Quindi la letteratura ha un fine pratico, pedagogico: deve insegnare qualcosa, dire
cosa fare.
Ma, come abbiamo già detto, il rapporto che lettore e lettrici instaurano con le opere di Defoe
non era questo perché spesso volevano anche imitarlo: chiunque inizia a desiderare di voler
essere come Sheppard perché è molto bello e tutte gli cadono ai piedi; o si pensa che sia
meglio vivere una vita piena di emozioni, avventure, come quella di Moll Flanders anziché
una vita noiosa, senza dar significato alla propria esistenza.
Quindi nelle opere di Defoe agisce una doppia forza, di cui lui è consapevole: da un lato
difende il ruolo pedagogico che il letterato deve avere nella sua epoca, quindi propone una
storia che ha un fine eminentemente pratico, che deve insegnare come vivere nella maniera
più giusta; dall’altro lato, però, sa che questo messaggio pedagogico può trasformarsi in un
messaggio di facciata perché le persone compreranno le opere non per imparare dagli errori
commessi dal protagonista o dalla protagonista ma per esserne affascinato, sedotto, potersi
identificare e riprodurre quegli errori nella propria vita per avere una vita figa e non sfigata.
Quindi si pone in una fase di profonda trasformazione: il letterato non vive più solo di
committenza ma anche dell’amore del pubblico e della seduzione che è capace di riprodurre
sui lettori.
Queste cose ci portano in un universo in cui la letteratura può diventare anche altro. La
trasformazione di questo mercato culturale è una componente essenziale di quello che
definiamo come “secolo dei lumi”, cioè l’Illuminismo è stato una rivoluzione mediatica, che
ha coinvolto anche coloro che non si ritenevano essere illuministi, che non si ponevano
neanche il problema di cosa fosse l’Illuminismo, ma erano coinvolti in un mondo in cui la
circolazione, la vendita, dei testi in generale stava assumendo una dimensione nuova, in un
mondo in cui chi faceva scrittura poteva pensare di vivere di quell’attività.
➡️
potenzialmente le persone di poter rivivere nella loro vita quotidiana ciò che hanno vissuto i
protagonisti dire implicitamente che ciò che è accaduto a quei personaggi può accadere
anche a te perché nelle avventure descritte non c’è l’intervento del soprannaturale, ma cose
che per quanto improbabili non sono mai completamente impossibili(non è probabile che
possa accadere ciò che è accaduto a Moll Flanders nella sua vita, ma non è teoricamente
impossibile. Questo funge da aggancio per chi legge.).Non è un caso che infatti vengono
messi insieme un personaggio di finzione e un personaggio dell cronaca, perché Defoe si
occupava di entrambe le cose.
➡️
Da qualche decennio, nel mondo degli studi storico-letterari si parla tanto di “reception
stadies” studi della ricezione dell’opera letteraria, come l’opera viene interpretata dal
pubblico e non dai critici.
I reception stadies dicono che l’opera letteraria a quel tempo, soprattutto quando è una
narrazione che si basa sulla verosimiglianza, può essere anche confusa con la storia. La
Biblioteca blu era composta da 3 sezioni: storia, cronaca e romanzi quindi 3 sezioni una
diversa dall’altra perché due riguardano fatti realmente accaduti, mentre l’altra riguarda fatti
di finzione.
Gli esperti di ricezione dicono che chi legge un romanzo a inizio 700 non sa la natura di ciò
che sta leggendo, ma può anche legittimamente pensare che quelle cose siano realmente
accadute. Anche oggi, quante volte ci chiediamo se le cose che stiamo leggendo o
guardando siano realmente accadute e quando pensiamo che sia possibile che siano
successe, siamo più o meno inconsciamente ancora più colpiti e pensiamo che quei
meccanismi possano verosimilmente ripetersi ancora nelle nostre vite. La stessa cosa
accadeva a quel tempo e mettersi sulla strada aperta da un prodotto letterario nell’illusione
di raccontare qualcosa che è ritenuto essere verità, è importante, influenza di più, altera la
fantasia. L’utilizzo del termine “fantasia” non è casuale, ma ci sono ragioni precise perché
ritorniamo ai problemi etico-morali: tanti iniziarono a percepire la presenza di questa novità
importante sul panorama europeo, romanzi così aggrappati alla realtà che potevano
confondere il pubblico perché mettevano insieme storia, finzione e cronaca. Tali novità
editoriali finivano nelle mani di molte persone, inclusi coloro che non avevano mai letto nulla
nella loro vita e che non avevano mai usato un certo tipo di storie. Per cui, percependo
queste novità, iniziano ad allarmarsi e tra coloro che si allarmano maggiormente troviamo i
religiosi, gli uomini di Chiesa e in particolar modo quelli del mondo cattolico perché loro
avevano puntato tantissimo sulle storie ma le storie che davano al pubblico erano storie
agiografiche (cioè le storie dei santi) e iniziano a rendersi conto che la diffusione dei
romanzi rendeva le storie dei santi sempre più fuori moda.
Di conseguenza, il livello di guardia si alza, il bisogno di reagire anche sul piano morale a ciò
che sta succedendo e nascono una serie di discorsi-anche denigratori- nei confronti del
romanzo, nel mondo della cultura alta, della cultura religiosa, della cultura giuridica del
tempo. IL ROMANZO DIVENTA IL PADRE DI TUTTI I MALI DELLA SOCIETÀ, il motivo
per cui le persone si comportano male, per cui fanno cose sbagliate, per cui rubano. Questo
dovrebbe farci riflettere perché in ogni epoca non diamo la colpa alle persone, ma troviamo
sempre la cosa che ha spinto le persone a fare quella cosa sbagliata; oggi, ad esempio,
riteniamo che la colpa sia dei social come se dietro i profili social non ci fossero persone in
carne ed ossa.
Un nemico determinato e abbastanza arrabbiato nei confronti dei romanzi era un abate di
origini modenesi: Ludovico Antonio Muratori, un grande studioso di documenti di filologia,
grande polemista e letterato attivissimo. Nel 1740, rendendosi conto che tante opere inglesi
erano arrivate sul mercato italiano e vendute molto, scrisse un trattato (“Della forza della
fantasia umana”) dove si chiese “qual è il più grande stimolatore di fantasie umane?” È il
romanzo, uno dei più grandi inganno del nostro tempo, quell’elemento che altera il nostro
stato emotivo perché ci produce un'illusione nella quale non siamo capaci di muoverci. Però
quelli come lui, eruditi, non ci cadono ma il problema sono gli stupidi e gli stupidi sono tanti.
Allora, il lettore e la lettrice soprattutto (lui era un grande misogino) devono essere
accompagnati nella lettura, perché possono inciampare e cadere; dunque vanno messi
all'erta, va detto loro che le storie che leggono sono inventate, non ispirate a fatti reali, e
soprattutto bisogna dire loro che ciò che avviene nelle storie non è riproducibile nella vita di
tutti i giorni e non devono illudersi di poterlo fare senza pagare le conseguenze. Ma Muratori,
e quelli come lui, non sapevano che Defoe o Fielding nell’introduzione già avvertivano i
lettori? Secondo lui questi scrittori sanno benissimo che i lettori non impareranno nulla quindi
mentono e sanno di mentire, perché sanno bene che i lettori saranno attratti dalla
stravaganza dei protagonisti e non imiteranno in nessun modo le loro virtù.
NON IMPARERANNO NULLA, PERCHÉ LA TENTAZIONE SUPERERÀ LA PARTE
PEDAGOGICA quindi quando dicono di voler dare un buon insegnamento, lo fanno solo per
indossare una veste di ipocrisia perché in realtà sanno bene che stanno proponendo storie
seduttive, avvincenti, emozionanti, solo per venderle.
Come abbiamo già detto, Defoe ha costruito una buona parte delle sue fortune sulla figura di
un malvivente reale, storicamente esistito, bello e giovane: Sheppard. Questo nome, però, si
è sedimentato all’interno del nostro immaginario fino ad arrivare ad epoche prossime alla
nostra attraverso uno dei personaggi della serie televisiva più importante della storia della
televisione, vale a dire “LOST” (Grey’s Anatomy, in una delle sue puntate più famose,-quella
dell’incidente aereo-contiene un omaggio a tale serie tv). Autore di questa serie tv è J.J
Abrams, anche se quando ha scritto “Lost” non era solo.
Trama
Un aereo che trasporta persone e che va dall’Australia a Los Angeles, precipita a causa di
un incidente causato da un fattore che non si capisce bene quale sia. L’aereo atterra su
un’isola deserta (Robinson Crusoe) e le persone aspettano che qualcuno vada a salvarle,
ma con il passare dei giorni non ci va nessuno. Ad un certo punto, si accorgono di non
essere soli su quell’isola e puntata dopo puntata fanno uscire fuori il proprio carattere. Tra
l’altro ogni puntata è fondata sul meccanismo del flashback: un personaggio che sta
sull’isola e che quindi affronta una qualche peripezia nel frattempo ricorda la sua vita
precedente. Nel ricordare queste vite precedenti, ci accorgiamo che tutti i personaggi sono
persone che hanno fatto cose di cui vantarsi nella propria vita e il personaggio più
importante, intorno al quale si costruisce tutta la storia, è Jack Sheppard. Si tratta di un
palese omaggio al personaggio di Defoe, anche se quest’ultimo era realmente esistito.
A farci capire, in modo ancora più evidente, che la serie è legata al 700 sono i nomi degli
altri personaggi: Rousseau, Locke, Hume, dunque come i filosofi del 700 e tutto quello che
succede sull’isola mette alla prova la loro razionalità. Ad un certo punto scopriamo che
Sheppard, per essersi macchiato di alcune colpe e per aver fatto cose di cui non vantarsi,
deve cercare una forma di redenzione.
Un meccanismo straordinario, grazie al quale capiamo l’omaggio che Grey’s Anatomy fa a
Lost, è il seguente: ogni episodio si apre con un personaggio che ha gli occhi chiusi e li apre.
È un meccanismo tipico dei videogiochi, perché quando apri l'occhio significa che il
giocatore si è impossessato del personaggio e deve compiere una missione. Il primo occhio
che si apre su quest’isola è quello di Sheppard.
➡️
sta parlando e a che tipo di fruizione si sta rivolgendo; Fielding, Defoe, e anche Muratori lo
sapeva molto bene quindi lo sa tanto chi lo fa, quanto chi lo critica.
Dunque il romanzo è qualcosa di profondamente denigrato, etichettato come il responsabile
di tutti i mali dell’universo.Addirittura la parola “romanzo” nei vocabolari 700eschi inizia ad
essere sinonimo di menzogna, impostura, capovolgimento della realtà ,illusione, bugia
e inizia ad essere usata anche nei tribunali dagli avvocati che vogliono accusare gli uni con
gli altri (quando in tribunale ci si contende una causa, si dice “stai dicendo una bugia, sei un
bugiardo”; nel 700, invece, dicevano “stai dicendo un romanzo”).
➡️
La natura elitaria dell’Illuminismo si vede anche dalla volontà degli illuministi di agganciare i
loro messaggi a chi detiene le leve del potere in altre parole, bisogna essere in grado di
suggerire, dare, delle direttive a chi comanda sulle riforme da fare, su come cambiare la
società, sulle decisioni politiche da prendere. Questo passaggio è importante perché
spesso, o meglio sempre, i manuali ci presentano l’epoca dell’Illuminismo come l’epoca
dell’assolutismo illuminato, del riformismo illuminato e del dispotismo illuminato.
Questi termini nei manuali sono intercambiabili, cioè di volta in volta le diverse esperienze
700esche di sovrani che cercano di cambiare la realtà dei fatti, sulla base di quello che
dicono i pensatori illuministi, vengono descritte alternativamente o come esperienze
riformistiche o come esperienze di assolutismo illuminato o come esperienze di dispotismo
illuminato.
Errore ricorrente è legare l’idea di assolutismo illuminato a Luigi XIV… ma come è possibile
se è morto prima? Per poter parlare di “assolutismo illuminato”, c’è bisogno che ci siano dei
sovrani che affiancano gli illuministi, che ascoltano i consigli degli illuministi e che leggono i
libri degli illuministi e sulla base di quelle cose lì provano a fare delle leggi e a cambiare le
cose. In Europa, questo avviene nel mondo del Sacro Romano Impero (nel mondo
austriaco, per intenderci), in Prussia con la figura di Federico II, in Russia con la figura di
Caterina, in Italia ma in particolare nella parte che gode dell’eredità asburgica cioè il
Granducato di Toscana che a partire dagli anni 20-30 non è più dei Medici perché la
dinastia dei Medici si è esaurita, ma è finito nelle mani degli Asburgo Lorena. Infatti, a metà
700, in Toscana troviamo al potere un signore: Pietro Leopoldo Asburgo Lorena, figlio
dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria. Questi aveva così a cuore gli illuministi, tanto da
mettere in campo delle riforme della nobiltà, dell’economia, del commercio, del sistema
fiscale, della religione, ispirate a quello che scrivevano i pensatori illuministi. In particolare, la
sua attenzione viene catturata da Cesare Beccaria che negli anni 60 del 700 scrive un
trattato giuridico, destinato ad essere letto da tante persone, intitolato “Dei delitti e delle
pene” in cui afferma l’illegittimità dell’uso della tortura e della pena di morte.
Pietro Leopoldo ne rimane così colpito tanto da riscrivere un codice penale che elimini la
tortura e la pena di morte.
Questo ci fa capire che l’Illuminismo è principalmente una modalità di trasmissione dei
➡️
contenuti, cioè più che la qualità dei contenuti è importante la modalità di trasmissione dei
contenuti la capacità dei contenuti di arrivare a dei destinatari, di convincere qualcuno
della bontà di qualcosa, di essere persuasivi, efficaci.
Non tutti gli illuministi hanno la stessa idea di determinati argomenti, come la religione, la
schiavitù, i rapporti fra i generi, il ruolo dell’uomo e della donna nella società, la nascita,
l’infanzia…ma hanno anche opinioni contrastanti. Ciò che li accomuna però è una certa
modalità di trasmissione dei contenuti culturali e la volontà di dare al sapere umano una
forma di organizzazione, cioè di poter dire “care persone, all’interno di questo mare di
sapere potete trovare un orientamento e affinché possiate trovarlo, vi forniamo gli strumenti
adatti altrimenti rischiate di affogare”.Uno degli strumenti più grande è l’enciclopedia. In
Francia, alcuni illuministi (come Diderot, Voltaire, D’Alembert) cominciano a lavorare ad
un’enciclopedia abnorme, con lo scopo di dire che c’è la possibilità di trovare nel sapere
umano un orientamento attraverso uno strumento a disposizione di tutti.
Oggi il paradigma dell’enciclopedia è insuperato, però ricorriamo an un’enciclopedia basato
a su un meccanismo diverso rispetto a quella a cui iniziano a lavorare gli illuministi:
Wikipedia, dove troviamo informazioni che non sappiamo da chi sono state scritte perché si
tratta di una forma di intelligenza collettiva, controllata però da un élite che ha il compito di
controllarne il corretto funzionamento e che non ci siano dei lestofanti che inseriscono
informazioni false e fuorvianti. Tale meccanismo però non sempre funziona, perché spesso
vengono inserite anche informazioni false e tali informazioni false vengono corrette
➡️
gradualmente (anche la correzione è il frutto di un’intelligenza collettiva). È chiaro che nello
scrivere cose false, bisogna essere furbi, rivestire l’informazione di veridicità scrivere cose
VEROSIMILI (come faceva Defoe, Fielding).
Nell’Enciclopedia di Diderot, Voltaire, invece, ogni autore si prendeva la responsabilità della
voce che scriveva che scriveva, la firmava, quindi tutto il contenuto era riconducibile alla sua
volontà, al suo operato, alla sua ricerca e se aveva detto una stupidaggine, ne era il
responsabile.
L'ENCYCLOPÉDIE SI PORTA DIETRO LA RESPONSABILITÀ DELLO SCRIVENTE.
Comprendere il meccanismo su cui si fonda Wikipedia, è importante perché c’è bisogno che
noi capiamo come ci arriva oggi il sapere, quali sono le cose a cui attingiamo, come
vengono prodotti i testi, cosa significa “intelligenza collettiva”, cosa significa “infinita capacità
di intervento” su un testo.
Tutto ciò è importante per capire la natura del fenomeno “Illuminismo” e di “assolutismo
illuminato”.
Quando abbiamo parlato di “assolutismo illuminato”, “dispotismo illuminato” e “riformismo
illuminato”, tra i paesi nominati (Austria, Prussia, Russia, Regni di Napoli con i Borbone)
mancano la Francia, la Spagna che nel 700 ha un sovrano in comune con Napoli perché
quando Carlo di Borbone nel 1759 smette di essere re di Napoli, diventa re di Spagna e
deve poi lasciare il regno a suo figlio (Ferdinando IV) e l’Inghilterra.
Nell’assolutismo e nel riformismo illuminato mancano Francia e Inghilterra, ma mancano
nell’illuminismo? No, perché quando facciamo l’elenco degli illuministi mettiamo francesi,
inglesi, qualche tedesco.
Come è possibile che i paesi che sono stati patria dell'Illuminismo, come fenomeno
intellettuale, culturale, filosofico, politico, non abbiano nulla sul piano del riformismo
illuminato che abbia realmente funzionato? Tutte le riforme che vengono tentate in Francia
falliscono. Come è possibile? Perché certe monarchie che hanno raggiunto un grado di
evoluzione molto alto ed elaborato, non hanno più spazio per poter realmente cambiare le
carte in tavola e paradossalmente ad essere più interessate all’Illuminismo e ai margini di
manovra che potevano offrire le riforme illuminate sono i paesi più arretrati, i paesi che
hanno minor tradizione e meno strutture sulle quali agire.
➡️
Su cosa si basano le riforme dei sovrani illuminati?
1.evoluzione dell’idea di istruzione e istruzione pubblica costruzione di qualcosa che
somigli al nostro sistema scolastico;
2.garanzia del diritto alla salute;
3.possibilità di accesso al sapere;
➡️
4.volontà di liberalizzare il commercio, dare un nuovo impulso all’economia;
➡️
5.rompere i privilegi della nobiltà sono spesso anche riforme nobiliari;
6.levare potere alla Chiesa sono riforme anti-ecclesiastiche, perché mirano a laicizzare la
società, rende lo Stato più autonomo rispetto alla Chiesa;
7.riorganizzazione degli apparati militari: riorganizzazione degli eserciti.
Tutte queste cose, in paesi come la Francia e l’Inghilterra, avevano già conosciuto evoluzioni
➡️
importanti e non dovevano appoggiarsi necessariamente ai dettami degli Illuministi, che
quando arrivano è come se fosse già troppo tardi quelle strutture si sono già
incancrenite, non ci sono più margini d’azione ma piuttosto si guarda a quello che succede
alla fine del 700, dopo l’epoca dell’Illuminismo e dopo l’epoca delle riforme.
Primo paese europeo in cui l’Antico regime cade è la Francia: paese in cui c’è stato
l’Illuminismo ma non le riforme.Di conseguenza, il mancato impulso di cambiamento porta
anche la società al collasso, ad una rottura. Infatti la rivoluzione c’è lì dove non è più
possibile il cambiamento graduale; le riforme, invece, sono cambiamenti graduali.
Le monografie
“L’eroe criminale”
“L’eroe criminale” inizia ad essere famoso nel pieno dell’età illuminista, alla fine degli anni
50 e soprattutto all’inizio degli anni 60. L’eroe criminale ci rimanda un po’ allo Sheppard di
Defoe: un criminale che viene celebrato come se fosse un grande eroe. L’eroe criminale di
Napoli è meno romantico dello Sheppard di Defoe e si chiama Leopoldo di San Pasquale,
perché veste l’abito di frate agostiniano. Diventa famoso perché, nell’ottobre del 1763, si
affida ad un avvocato perché si trova in prigione da 6 anni (dal 1757). In quei giorni esce
dalla prigione, in cui ci era finito con l’accusa di frode, eresia e scandali sessuali.
● Di quali reati sessuali si era macchiato nello specifico? Le accuse che pendevano
➡️
sulla sua testa erano pesanti perché era considerato colui che aveva diffuso, nella
città di Napoli e nei commenti della città di Napoli, il “mal francese” la sifilide, una
malattia sessualmente trasmissibile.
● Perché era accusato di frode? Perché era accusato di essere un imbroglione, di
essersi impossessato di una serie di cose e di averle vendute.
● Perché era accusato di eresia? Perché era accusato di aver insultato con termini
dissacranti i suoi superiori.
Questo signore, attraverso il suo avvocato, nel 1763 esce fuori dalla prigione in cui era stato
sbattuto dai superiori del suo stesso ordine religioso e afferma “cari napoletani, io sono
stato seppellito vivo in una fossa”. Ascoltando ciò pensiamo che sta parlando
metaforicamente, non nel senso letterale del termine. Se, invece, volessimo interpretarlo nel
senso letterale del termine potremmo dire che non ha potuto fare nulla per difendersi e
soprattutto, se vieni seppellito vivo in una fossa, non può raccontare quanto gli è accaduto.
Invece, com’ è che riesce a raccontarlo? Il suo avvocato(Francesco Peccheneda) comincia
a raccontare la storia in una memoria che viene pubblicata ,che comincia a circolare per
tutta Napoli e che tutti iniziano a leggere e a farsi raccontare perché la curiosità è tanta, il
personaggio è controverso e la gente inizia a chiedersi com’è che sia riuscito a raccontare la
storia, nonostante fosse stato “seppellito vivo” nella fossa. In realtà, la frase è metaforica ma
non del tutto, perché l’avvocato spiega che il suo cliente era stato chiuso in una cripta
scavata nel sotterraneo del cortile del suo convento, a cui non si può accedere attraverso
nessuna porta ma c’è solo un buco nel tetto dal quale ci si può calare tramite il pavimento
del piano superiore. La stanza, definita come “fossa”, è quasi completamente buia, non del
tutto perché c’è un po’ di luce che deriva dalla sfasatura che c’è tra il suolo e il tetto della
stanza, come se ci fosse un piccolo lucernario.
È una specie di TAVERNETTA senza entrata.
Tra le altre cose sulla memoria, che l‘avvocato pubblica e fa girare in tutta Napoli, c’è il
disegno della fossa dove il suo cliente stava morendo.
(Parliamo del racconto che l’avvocato fa all’esterno ma anche in tribunale)
Comincia poi a spiegare come era finito in quella fossa, perché avevano deciso di
infliggergli una punizione così atroce: inizialmente non era stato messo nella fossa, ma in
una prigione situata all'ultimo piano del convento. Questo convento si trova nell’attuale
quartiere di Materdei e si chiama Santa Maria della Verità.
In questa cella non ci stava tanto bene e tenta più volte di scappare e ci riesce. In che
modo? Corrompendo le guardie, ma viene rimesso dentro e non pagò quello che aveva
fatto. Però, non rassegnato a stare in gattabuia, prende le lenzuola del suo letto, le annoda
l’una all’altra e le trasforma in una sorta di corda che usa per lanciarsi dalla finestra.
Ma mentre si sta calando, il nodo si rompe e fa un volo di circa 3 piani arrivando al suolo del
quartiere, al tempo densamente popolato.
Arrivato al suolo, potremmo pensare che sia morto ma si fa solo un pò male e, con la paura
che potessero prenderlo, inizia a correre tra le strade del quartiere affollatissimo. Non lo
beccano e riesce a rifugiarsi nella Chiesa di un altro ordine religioso: all’epoca esisteva il
diritto d’asilo quindi quando vai in un’altra Chiesa, non possono più beccarti perché
altrimenti è un sacrilegio(atto che offende una persona,un luogo o una cosa ritenuti sacri)
verso l’altra Chiesa.
Questa storia puzza di inverosimile: come fa ,uno come lui che è caduto, a scappare e a
non essere beccato?
Gli agostiniani, nonostante il diritto d’asilo, lo beccano e lo buttano nella fossa, cioè nella
cripta seminterrata che non è legata da nulla all’esterno, se non solamente attraverso il buco
nel tetto al quale si può accedere solo attraverso una scala.
Perché tutto questo racconto? Potremmo pensare che l’avvocato voleva portare la
situazione dalla sua parte, dice cose inverosimili per attirare l’attenzione del pubblico, e per
difendere qualcuno che era indifendibile crea casino intorno alla causa anche per cercare di
prendere tempo.
Ma non è questa la strategia che adotta, perché disse che il fatto che sia stato messo nella
fossa,è la dimostrazione che era stato processato con i metodi dell'Inquisizione. Nel 1763,
dire questo, a Napoli, significa fare un’accusa grave ai giudici religiosi che lo avevano
➡️
processato perché
1.l'Inquisizione a Napoli non esiste a tutti gli effetti, è una presenza ambigua è presente
ma non puoi starci fino in fondo. Ma tutto questo meccanismo su cui si regge l'Inquisizione
napoletana in Antico Regime, aveva avuto fine nel dicembre del 1746, quindi 17 anni prima
della liberazione del prigioniero perché Carlo di Borbone, il nuovo re di Napoli che era
arrivato da poco, aveva dichiarato illegale l’Inquisizione: da quel momento non ci sarebbero
più state cause fatte con i metodi dell’Inquisizione.
Nel 1763, 17 anni dopo, l’avvocato dice che Leopoldo è stato processato con i metodi
dell'Inquisizione, quindi lui sta dicendo: “cari giudici l’avete fatta grossa ”.
Con questa storia, fa un po’ leva tanto sulla volontà di suscitare interesse dei napoletani
quanto (come in Cagliostro) sul fatto che se si rialza quando cade giù, è perché è stata la
➡️
volontà di Dio che vuole denunciare l’abuso che si era consumato contro di lui. È Dio
che ha voluto che lui possa dimostrare di essere sopravvissuto Leopoldo è ancora vivo
perché in fondo è Dio che lo vuole ancora vivo, è Dio che ha voluto che lui potesse dire di
essere sopravvissuto.
➡️
volto a suscitare empatia e comprensione del pubblico, perché il pubblico li vede come
cortocircuiti all’interno dell’ordine costituito la società ha delle gerarchie ferme, dei privilegi
intoccabili. I criminali, però, rompono queste gerarchie ferme attraverso il loro operato
talvolta fantasioso,avventuroso, picaresco, ai limiti tra il legale e l'illegale, come se
interpretassero il desiderio profondo di sovversione che c’è nelle persone più umili.
➡️
Nelle sue peripezie, però, genera empatia: più viene processato, martellato e manganellato,
più le persone lo amano ASPETTO INTERESSANTE, perché ci dice molto.
3 APRILE ✅
Capiamo quali sono le dinamiche comunicative, proprie del mondo illuminista, che segnano
un po’ il passo della conclusione dell’età moderna quindi il passaggio ad una nuova epoca
attraverso una nuova rottura che è quella rivoluzionaria.
Come abbiamo già detto, la Francia è quel paese che vede lo scoppio della Rivoluzione ma
non troviamo un assolutismo illuminato, un riformismo illuminato e un dispotismo illuminato.
Questo ci fa capire, sin da subito, che la rivoluzione affonda le radici nel fallimento delle
riforme e non nelle riforme e che affonda le radici probabilmente nella cultura illuministica
che aveva avuto una spinta verso il cambiamento che non trova un’adeguata realizzazione
nell’operato dei governi.
Però, il discorso portato avanti da alcuni storici negli ultimi decenni ha raggiunto livello di
complessità più alti: per arrivare ad una rivoluzione, è necessario che mutui anche
gradualmente nel corso di un’epoca l’immagine di un regime, di un potere costituito, che ci
siano degli eventi anche pubblici precedenti alla rivoluzione che fanno riflettere la
➡️
popolazione, che la inducono a partecipare/discutere e a non avere più la tradizionale fiducia
nutrita nei confronti del potere costituito in altre parole: chi comanda cambia agli occhi di
chi è comandato, perché non c’è più un rapporto di dipendenza, di affidamento e fiducia al
potere costituito rappresentato in Antico Regime dal monarca.
Come si può perdere fiducia? Secondo gli studiosi, uno dei principali carburanti capaci di
provocare l’incendio all’interno della società e provocare la perdita di fiducia nei confronti del
potere costituito è la comunicazione.
Ad esempio: rimanendo alla Francia, il 700 è l’epoca dei romanzi, della grande informazione,
della Biblioteca blu, dei periodici ma anche l’epoca dell’esplosione incontrollata di alcuni
generi che prima non erano tanto diffusi o tanto accessibili. Questi generi sono la letteratura
scandalistica e la letteratura pornografica. Il secondo è collegato al primo perché gli
scandali che vengono raccontati al popolo francese da questi testi, che sfuggono da
qualsiasi tentativo di censura, riguardano chi è al potere e spesso questi scandali entrano
direttamente all’interno delle stanze della monarchia. I protagonisti della letteratura
scandalistica sono i membri dell’alta aristocrazia, ma spesso vengono coinvolti anche il re e
la regina; Luigi XV, processore di Luigi XVI, fu travolto dalla letteratura scandalistica perchè
a finire al centro delle cronache fu la sua favorita, la sua prostituita, la sua compagna di letto:
Madame Du Barry. Stando a quanto ci raccontano le cronache, Madame Du Barry era una
persona straordinariamente assetata di potere, capace di sfruttare la sua posizione di
“preferita del sovrano” per acquisire potere nella corte, nel governo, sui ministri e in tutto il
paese. Prima di quest’epoca sicuramente esistevano figure di questo tipo, ma non erano al
centro dell’attenzione della grande comunicazione. Nel 700, invece, finiscono al centro
dell’attenzione dei media perché cambia il rapporto tra i letterati e il potere, cioè i letterati
non vivono più solo di mecenatismo e protezione dei potenti ma vivono anche del prodotto
del loro ingegno, del loro lavoro (vendono i loro libri, articoli)e la logica del profitto va a
scontrarsi con la logica della conservazione del potere. Quindi i libri vengono venduti anche
per raggirare i meccanismi di controllo del potere costituito, la censura, ma vendere libri
comporta anche la possibilità di mettere nello spazio pubblico un’immagine della monarchia
profondamente denigratoria, un’immagine che vede rappresentato il re come un idiota, un
imbedille, totalemente in balia della volontà di potere di una donna che è capace di tutto.
Tutto rientra anche in un discorso profondamente misogino; la cultura di Antico Regime è
una cultura profondamente misogina, quindi essere in balia del potere di una donna è
qualcosa di ancor più denigratorio che sta sulle spalle di un re.
MISOGINIA e DISCORSO SUL POTERE SI SOVRAPPONGONO IN MANIERA LETALE
fino a ledere, secondo gli studiosi, l’immagine della monarchia.
Lo studioso che più di tutti ha descritto con attenzione questo tipo di processo è stato
Robert Darnton, che negli anni 90 ha scritto un libro importante sul cambiamento
dell’immagine della monarchia francese agli occhi dei francesi intitolato “ The forbidden
best-sellers of pre-revolutionary France”. Secondo lui, una delle ragioni profonde della
deflagrazione, della destabilizzazione, del potere costituito in Francia quindi della
rivoluzione, sta nella capacità dei media di veicolare nel pubblico un’immagine della
monarchia sporca e violentemente denigratoria.
Un altro ruolo importante era svolto dai processi sensazionali, cioè i processi che avevano
degli imputati capaci di catalizzare le attenzioni del pubblico. Ancora oggi, a livello
planetario, ne abbiamo tanti. Ad esempio: omicidi nei quali si fa fatica a comprendere il/la
reale responsabile o processi che hanno al centro uomini molto in vista (ultimamente negli
Stati Uniti ce n’è uno). Questi processi iniziano ad essere noti al pubblico nel corso del 700,
ma cambia qualcosa: la giustizia già veniva veicolata al pubblico come meccanismo di
punizione, redenzione e perdono. Il problema però è che, in Antico Regime, raccontare la
giustizia al pubblico significava essenzialmente significava offrire al pubblico un messaggio
di carattere pedagogico. Il potere costituito usava il racconto di giustizia per
auto-celebrarsi, quindi per dire ai sudditi “guardate come siamo bravi, c’era un criminale,
l’abbiamo beccato, lo condanniamo a morte e ristabiliamo l’ordine costituito preesistente”.
Tutto il racconto di giustizia in Antico Regime è profondamente lineare, quindi molto molto
breve e non trovo articolato, dove la divisone bene-male è molto netta (da un lato abbiamo il
cattivo, dall’altro abbiamo i buoni che beccano,sbattono in galera e processano fino alla
morte il cattivo che delinque).
MESSAGGIO PEDAGOGICO: il potere costituito racconta la storia del cattivo con lo scopo
di far apprendere che quei comportamenti porteranno allo stesso tipo di conseguenze.
Questo ci ricorda quello che Defoe faceva con Sheppard. Non sempre però il meccanismo
funzionava, perché spesso il criminale diventava uno da celebrare e un modello da imitare.
Nel corso del 700, questi meccanismi di giustizia cambiano perché i media sono più dotati di
intraprendenza, per certi versi sono meno controllati e più legati al profitto e alla volontà di
vendere. Quando raccontano i processi rompono la linearità di cui abbiamo parlato prima e
cominciano a costruire intorno al processo tutta una comunicazione molto spesso
divergente, che permette al pubblico di entrare dentro la causa e comprendere tutte le
incertezze che accompagnano un procedimento giudiziario (testimonianze rilasciate che non
sempre sono affidabili, avvocati che litigano sostenendo versioni diverse rispetto alla stessa
storia, che sostengono l’innocenza dei loro clienti con delle argomentazioni che riportano al
pubblico).
In altre parole: nel corso del 700 da oggetto di racconto lineare, i processi diventano oggetto
di racconti profondamente controversi, configgente, seminando così incertezza e sfiducia
nella giustizia. In Antico Regime, il racconto di giustizia doveva costruire fiducia intorno alla
giustizia; i racconti del 700, invece, seminano sfiducia nella giustizia perché c’è una verità
troppo traballante,possibilità inesplorate. Si comincia anche a contemplare l’ipotesi che i
giudizi finali dei giudici siano basati su base molto fragili e che spesso i giudici possono
arrivare a conclusioni fallaci.
Se affianchiamo tutto questo al dilagare della letteratura scandalistica e della letteratura
pornografica, capiamo che spesso al centro della letteratura pornografica c’erano
personaggi di grande importanza (come Madame du Barry e Luigi XVI).
Quando parliamo di “pornografia” in Antico Regime, potremmo pensare che si tratti di una
pornografia non spinta ed esplicita ma la letteratura pornografica è letteratura pornografica
nel vero senso della parola, nel senso più spacciato del termine. Infatti, contiene riferimenti
intimi ai comportamenti dei protagonisti e tende soprattutto ad evidenziare le perversioni dei
➡️
protagonisti gente che dovrebbe avere in mano il destino del paese, invece, viene
descritta come avida di sesso, di eccitazione e emozioni fragili/effimere.
Trasferendoci all’interno dei tribunali, anche i giudici vengono descritti come persone deboli,
persone che non sanno come risolvere le cause, che di fronte ai racconti diversi proposti dai
testimoni si disorientano e perdono il contatto con la realtà. Quindi l’immagine
pedagogico-costruttiva della giustizia si distrugge agli occhi dei sudditi, lasciando spazio al
➡️
dubbio sulla reale affidabilità di chi detiene il potere (che sia un re, membro dell’alta
borghesia, della nobiltà parte di società che sta più in alto, più in vista, finisce per essere
lesa in profondità nella sua immagine agli occhi di chi deve essere governato e deve
obbedire).
Tra gli anni 20 e gli anni 30 del 700, in Francia, per la prima volta viene pubblicata una
raccolta di cause celebri. A pubblicarla è un avvocato, di nome François Gayot de
Pitaval. Egli era molto insoddisfatto della sua carriera, da cui invece si aspettava di più.
Perciò decide di cambiare attività e dedicare gli ultimi anni della sua vita al racconto
letterario delle cause celebri, cioè i processi più importanti del passato.
In questo racconto letterario comincia a portare varie testimonianze, che costruiscono
doppie verità su in singolo caso e che quindi cominciano a far contemplare al pubblico
l’ipotesi che i condannati potessero essere solo degli innocenti, delle vittime e che quindi i
criminali potessero nascondere la fisionomia degli eroi. Infatti, tanto il protagonista de “L’eroe
criminale” che il protagonista de “Le cento vite di Cagliostro” sono eroi criminali: da un lato,
erano dei condannati; dall’altro lato, invece, erano persone riabilitate dalla comunicazione,
che potevano presentarsi al pubblico come degli eroi.
Si innesta un meccanismo nuovo, distante da quelli che hanno dominato nei secoli e nei
decenni precedenti. Pitaval arriva persino a creare un genere letterario destinato a una
fortuna lunghissima: in Inghilterra, a pochi anni di distanza dalla pubblicazione delle cause
celebri di Pitaval, cominciano ad essere pubblicati i select trailers della corte dell’Old Bailey
cioè le storie delle persone che stanno chiuse in quel carcere seminando dubbi nel pubblico
che si chiede “erano davvero colpevoli oppure i giudici hanno sbagliato, o sono vittime della
società, di un sistema iniquo?”.
➡️
Allora inizia a costruirsi, intorno alla giustizia, un’opinione pubblica forte, chiamata a
discutere e soprattutto a prendere parte in una causa cioè la platea non è più una platea
neutra ma si può dividere in due parti formate dagli innocentisti da un lato, e i colpevolisti
dall’altro. IL PUBBLICO È CHIAMATO A PARTECIPARE
Ancora oggi, quando c’è un processo importante, ci sono gli innocentisti e i colpevolisti. Ad
esempio, si è innescata una dinamica del genere per il famoso caso di Amanda Knox, in
Italia; il caso del rapimento di Emanuela Orlandi, cittadina vaticana, e ancora oggi ci si
chiede chi sono i colpevoli; il caso di Sarah Scazzi.
Il pubblico inizia a giocare un ruolo così importante da riuscire a influenzare la decisione del
giudice. Questo ci fa capire come sia fragile la posizione e gli strumenti del giudice, cioè
intorno al processo si crea un rumore tale che il giudice si lascia influenzare, tende magari a
dare ragione alla maggioranza perché non ha strumenti certi per stabilire l’innocenza o la
colpevolezza dell’imputato ma si serve dell’emozione mediatica.
L’emozione mediatica è un tema importante.
➡️
Come già anticipato, Leopoldo di San Pasquale viene imprigionato con accuse pesanti:
eresia, frode e scandali sessuali viene accusato di aver diffuso “il mal francese”, cioè la
sifilide, in mezza città di Napoli, inclusi alcuni conventi femminili.
Nel 1763, 6 anni dopo, viene scagionato e lascia al suo avvocato l’opportunità di dire “sono
stato sepolto vivo”. Dire una cosa del genere di un religioso che è stato accusato e sbattuto
in prigione dai suoi confratelli, significa accusare le alte gerarchie ecclesiastiche di aver
usato i metodi dell'Inquisizione che diventa illegale nel 1746 (circa 17 anni prima l’uscita di
carcere di Leopoldo).
🥖
ancora pagato le conseguenze e non si capisce bene il motivo.
CARESTIA= MANCANZA DI GRANO, MANCANZA DELLA PRODUZIONE DI PANE .
Nel giro di pochi mesi, da novembre del 63 a febbraio del 64, la carestia assume contorni
così gravi da creare una vera e propria emergenza e scatenare addirittura un’epidemia di
febbre.Le epidemie e le carestie vanno sempre un po’ a braccetto.
Nel giro di poche settimane, solo nella città di Napoli, secondo le cronache del tempo
l’epidemia provocò circa 30 mila morti.
Le proporzioni dell’emergenza si vedevano dall’impossibilità di gestire il flusso dei cadaveri,
perché normalmente in Antico Regime i cadaveri non venivano seppelliti nei cimiteri ma
all’interno delle parrocchie. Lo spazio però si esaurisce e i cadaveri vengono portati in
massa al Ponte della Maddalena dove vengono mangiati dai cani.
La situazione igienico-sanitaria, unita a quella economica, è quindi gravissima.
Come doveva reagire il Nunzio apostolico a tutto questo? Nelle sue lettere, rivolgendosi al
segretario di Stato e al papà, egli affermava che i napoletani morivano di fame, cadono giù
come soldatini di guerra, c’è un’emergenza mai vista prima e ciononostante continuano a
parlare di un tizio “seppellito vivo” che ha diffuso la sifilide in città.
Come sia possibile una cosa del genere? Nunzio apostolico ad un certo punto deve
rassegnarsi al fatto che una cosa del genere sia possibile, ma ritiene che non è dovuta al
caso.
Oggi, con una certa razionalità, potremmo dire che in tempi di emergenza e in tempi di crisi
c’è bisogno di una distrazione che è data dal pettegolezzo.
Ma è solo il desiderio di evasione a far sì che i napoletani a metà 700, in quella situazione
così drammatica, si concentrassero su una singola persona?
No, non è possibile. Il Nunzio apostolico non era convinto, doveva esserci lo zampino di
qualcuno. Di chi? Di Bernardo Tanucci (membro più in vista del consiglio di reggenza, l’uomo
di fiducia di Carlo di Borbone che nel frattempo se ne era andato, colui che deve traghettare
Ferdinando IV fino alla presa del potere nel frattempo del raggiungimento della maggiore
età) perché è lui che sta premendo su questa situazione, facendo sì che la gente si
concentri sulla vicenda di Leopoldo e non pensi a tutti gli altri problemi.
Di Tanucci abbiamo un grandissimo epistolario (le sue lettere sono state copiate e pubblicate
già decenni fa). Egli vive la carestia e l’epidemia in maniera traumatica, disperata. Ad un
certo punto decide di sfruttare il carnevale per calmare gli animi dei napoletani durante la
carestia, realizzando la cosiddetta macchina della cuccagna: ancora oggi, alcune
celebrazioni carnevalesche sono affidate all’albero della cuccagna, un palo che si mette al
centro del paese e si cosparge con sapone o grasso. In cima ad esso, si pongono cibi e
banconote e le persone hanno l’obiettivo di raggiungere la cima della cuccagna per
impossessarsi del premio.
Tanucci fece una cosa più controllata, il “paese della cuccagna”: di fronte alla reggia, fece
costruire un enorme palco di legno e ci mise sopra ogni prelibatezza, per far sì che si
celebrasse la cuccagna.
● Cosa doveva succedere? Doveva succedere che, nella penultima domenica di
carnevale, il re (Ferdinando IV) sarebbe dovuto affacciarsi alla finestra e avrebbe
dovuto dare un segno al popolo, per dire “andate, correte verso la cuccagna e
prendete tutto ciò che c’è da mangiare”.
● Tutto ciò per quale ragione? Tutto doveva essere molto controllato e doveva essere
finalizzato a calmare gli animi del popolo. L’immagine del re che deve dare un
segnale al popolo è importante, perché rappresenta il re come il padre che ha a
cuore le sorti e lo stomaco dei sudditi.
Anche questo episodio però finì male perché le persone erano così affamate che il sabato
notte, prima della celebrazione, se ne infischiarono della presenza delle guardie, fecero
esplodere la violenza e assalirono la cuccagna.
Nelle sue lettere, Tanucci scrive la cronaca di questi eventi raccontando spaventato che
sembravano degli animali e che, non solo hanno preso tutto il cibo, ma hanno distrutto il
palco.
Diventano INGESTIBILI.
Sul giornale (“La Gazzetta”), però, Tanucci scrive che loro avevano organizzato tutto, la sera
prima il popolo era un po’ irrequieto ma comunque lo avevano fatto passare.
● Che cosa sospetta il Nunzio apostolico? Sospetta che Tanucci abbia dei secondi fini
in questa situazione e che abbia capito che tutto ciò che sta nascendo intorno a
Leopoldo è molto artificioso e che la nuvola mediatica si stia ingrandendo senza dei
reali aggancia alla realtà.
Ciononostante non muove un dito, anzi li aiuta sottobanco. Ad un certo punto, disperato, il
Nunzio apostolico scrive a Roma per dire che sta marcando stretto Tanucci, ci parla ogni
giorno e lui ha capito che tutto ciò è “una grande caricatura”. Ma, non muoverà un dito
perché ha capito che la caricatura gli fa comodo.
● Perché gli farebbe comodo? Per una ragione precisa. Il tutto ci riporta alla carestia
e all’epidemia: quando nell’ottobre-novembre del 1763 si è manifestata la carestia, le
voci che circolano in città vanno a colpire il ruolo dei cosiddetti “incettatori”.
Secondo queste voci che circolano, non è vero che il grano non c’è, che i raccolti
sono andati male e che non ci sono le condizioni per produrre il pane perché l’unica
verità è che i possessori del grano lo stanno nascondendo.
Perché? Perché vogliono speculare il più possibile sulla vendita, cioè lo fanno venire a
mancare, aspettano che il prezzo si alzi all’inverosimile e quando questo accade lo ritirano
fuori per massimizzare il profitto.
La stessa cosa è avvenuta durante le prime settimane della pandemia con le mascherine.
INCETTATORI= COLORO CHE NASCONDONO IL GRANO PER MASSIMIZZARE I LORO
PROFITTI.
Ma chi possedeva il grano? I nobili e gli ecclesiastici, cioè coloro che detengono il controllo
dei territori e i vescovi, gli abati…
➡️
Questa voce, nei primi mesi della carestia, della febbre e dell’epidemia, fa molto comodo a
Tanucci perché è una voce che scarica dalle responsabilità il potere monarchico in altre
parole, la responsabilità del dramma che si sta vivendo non è della corona, ma degli
ecclesiastici e dei ricchi che stanno speculando sulla fame dei napoletani.
Quindi, si crea una sorta di legame comunicativo abbastanza forte tra corona e popolo per
dare la colpa all’altro per quello che sta accadendo.
La febbre
Parliamo di “febbre” perché non abbiamo la possibilità di capire quale fu l’agente/gli agenti
patogeni scatenanti dell’epidemia del 64. I medici del tempo provarono a capirlo e a
sviluppare delle letture. Spesso pubblicavano le relazioni delle loro indagini. Quelli più vicini
al governo dicevano che si trattava di febbre putrida, cioè febbre sporca.
La febbre putrida colpisce i più poveri, quelli che vivono in condizioni igieniche più precarie.
Gli unici a salvarsi dalla febbre putrida sono i ricchi e gli ecclesiastici.
Molto spesso i medici che scrivono queste relazioni, danno anche delle descrizioni delle
dinamiche che si creano intorno alla città di Napoli in virtù dello scoppio febbre putrida; molti
dalle campagne, morti di fame, distrutti, senza più nulla da mangiare, cominciano a mettersi
in cammino verso la città.
Questi vengono descritti come se fossero dei morti che,miracolosamente, si alzano, vanno
alla ricerca di qualcosa, e si approssimano alla città con la stessa andatura dei morti viventi,
come se fossero degli zombie, dei tornanti.
➡️
Al tempo l’immagine del ritornante (oggi zombie) era molto famosa in Europa, nei Balcani
soprattutto c’erano un sacco di fenomeni di presunto vampirismo fenomeno del morto che
si rialza e che va in cerca di qualcosa da mangiare e da bere soprattutto, che gli permetta di
continuare a vivere.
Tutte queste persone che arrivano dalle campagne verso Napoli, vengono descritte come un
esercito di morti viventi.
Curiosamente, l’altro morto vivente era Leopoldo, colui che era stato seppellito ma nel 63
quasi per miracolo si rialza, ritorna in vita, inizia a camminare per le strade della città di
Napoli, parla con le persone, si fa toccare (il desiderio delle persone è quello di toccare
Leopoldo che viene visto come un miracolato).
Dunque, l’immagine di Leopoldo come morto vivente si affianca all’immagine dei poveracci
che lasciano la campagna e vanno alla ricerca disperata di cibo.
Le due immagini insieme vanno a costruire un paradigma omogeneo omogeneo contro le
élites: Leopoldo era vittima degli abusi dell’alta gerarchia ecclesiastica che l’ha chiuso sotto
terra, fino a farlo quasi morire; tutto il popolo napoletano, dall’altra parte, come Leopoldo è
vittima degli abusi delle élites e delle alte gerarchie ecclesiastiche che hanno il grano ma
non lo tirano fuori pur di fare soldi.
Allora il meccanismo comunicativo è in realtà unito perché la storia di Leopoldo e la storia di
tutta Napoli iniziano ad andare nella stessa direzione, cioè quella della protezione del potere
monarchico e l’accusa alle élites ecclesiastiche e aristocratiche.
Questo passaggio è sostanziale perché ci aiuta a comprendere come il 700 sia un’epoca di
totale cambiamento del rapporto tra potere, media e società.
Tanucci è uno che, nel momento di crisi economica e epidemica, capisce che non può più
usare i suoi mezzi di comunicazione per insegnare alle persone cosa sia giusto fare e cosa
no, ma capisce “l’aria che tira” e sente di cosa stanno già parlando le persone.
Una volta che ha capito di cosa stanno parlando le persone, comincia a veicolare i messaggi
e a sfruttare quello che le persone già dicono per i suoi scopo.
L’immagine che ci serve è quella dell’eroe criminale, colui che è capace di sovvertire i
paradigmi.
Inizialmente siamo partiti dall’idea che quel racconto di giustizia così strutturato potesse
essere svantaggioso per la corona. Tanucci, però, è così bravo da cambiare le carte in
tavola e da trasformare un racconto potenzialmente destabilizzante per la corona nell'unico
tipo di racconto che la può salvare. Una cosa del genere non sarebbe mai potuta accadere
100 o 200 anni prima, ma accade solo nell’ecosistema mediatico del 700. Parliamo di
“ecosistema” perché usiamo quasi una metafora di carattere ambientale, infatti
ECOSISTEMA: sistema in cui se cambiamo un solo fattore, negli altri si innesca una
reazione a catena.
➡️
Tanucci è consapevole del fatto che le cose che si mettevano all’interno di quell’ecosistema,
creavano delle reazioni a catena che dovevano favorire la corona alla fine lui accetta il
rischio per avere vantaggio finale, cioè la destabilizzazione del potere definitivo.In una
situazione in cui tutto gli va contro, riesce a rigirare tutte le verità una dopo l'altra anzi nel
momento in cui gira una, a catena, iniziano a girarsi anche le altre a suo favore.
“L’eroe criminale” poteva essere una mina vagante per il potere costituito, un pretesto per far
perdere fiducia ai sudditi nel potere costituito ma diventa la principale arma nelle mani di
Tanucci perché diventa la dimostrazione visibile agli occhi del popolo napoletano che c’è
qualcuno che sta facendo il male della collettività, lo stesso che ha messo Leopoldo sotto
terra e ha causato la morte dei napoletani.
Nel pieno del 700, accade una cosa nuova: il potere costituito perde la capacità di poter
➡️
controllare la circolazione delle gazzette, quindi abbiamo l’inizio esplosivo di un mercato
dell’informazione che va al di fuori dei controlli canali ufficiali in altre parole: non c’è solo la
Gazzetta di Napoli a Napoli (che Tanucci chiamava “foglio ordinario”) ma ci sono anche altre
gazzette che circolano con nomi di altre città sopra, con notizie che i napoletani vogliono e
che si diffondono in maniera clandestina, cioè il mercato è così effervescente da non poter
ammettere alcun tipo di controllo da parte del potere costituito.
Il governo vorrebbe concedere delle privative sulla stampa delle Gazzette, cioè vorrebbe
dare l’esclusiva a qualcuno ma la fame di articoli e informazioni (non cose serie, ma anche e
soprattutto pettegolezzi, gossip, curiosità… la stessa ragione che oggi ci spinge a stare sui
social) è così grande che spinge le persone a frequentare i librai per comprare questi
giornali.
Quindi c’è un’informazione concorrenziale e Tanucci se ne rende conto, cioè si rende conto
che non può comandare più direttamente sull’informazione e mettere solo ciò che gli piace
ma deve tenere conto di ciò che già circola e cercare di governarlo secondo le sue priorità.
Il romanzo
Il romanzo diventa dilagante in questo periodo, occupa tutti gli angoli delle librerie (all’epoca
si chiamavano “librai” e esistevano anche i librai stampatori, cioè quelli che vendevano e
producevano le stesse cose).
Chi è il più importante romanziere italiano nel 700? Pietro Chiari, che non è tra i maestri del
genere ma nel corso del 700 vende moltissime copie. I suoi romanzi, infatti, erano stampati
e venduti ovunque (uno che gli scrisse l’epitaffio,esagerando, disse che egli era un autore da
1 milione di copie). Alcuni studiosi hanno tentato di dire quante copie circolavano di ciascuno
romanzo di Chiari e alcuni calcoli stabilirono che circolavano circa 200.000 copie.
Chiari è il modello del letterato 700esco che vive con i benefici del proprio lavoro, quindi non
ha bisogno dei mecenati che lo mantengano. Addirittura a Venezia ci sono i sottoscrittori per
le opere di Chiari, cioè persone che acquistano prima che l’opera venga pubblicata.
Un editore in particolare, Pasinelli, che guadagna molto grazie all’opera di Pietro Chiari.
Egli è molto bravo ma, vivendo dei benefici della propria opera, si arrabbia anche con il
pubblico ad esempio quando le persone comprano le sue opere contraffatte perché, come
ogni grande autore di successo, è vittima della contraffazione o quando le persone sono
solite prestarsi i libri.Chiari si arrabbia ad un punto tale da scrivere in una sua lettera: “se
non la smettete di prestarvi i libri, io none scrivo più anzi se mi volete bene e volete ancora i
miei libri, dopo averli letti, bruciateli”.
Questa contraffazione, questi romanzi e questi prodotti invadono anche il mercato
napoletano.
Come abbiamo detto, il romanzo è sinonimi di bugia, di menzogna, di inganno (infatti per
dire “hai detto una bugia", si diceva “hai scritto un romanzo”)… quindi, il romanzo è la cosa
peggiore che il 700 potesse fare. Questo spiega perché ancora non lo troviamo nelle storie
della letteratura, perché non è stato ancora canonizzato come genere ma lo sarà solo con
Manzoni nella letteratura italiana mentre in Inghilterra era già avvenuto qualcosa altro.
L’opera più importante di Chiari si chiama “La filosofessa italiana”, che tratta di una donna
che vive di tante avventure sorprendente simili a Moll Flanders (anche se più moderata) e
simile anche ad un personaggio della letteratura francese cioè la Marianna di Marivaux.
Altri successi di Chiari si intitolano “la bella pellegrina” o “la francese in Italia”.
L’elemento in comune tra queste opere è che al centro abbiamo tutte donne e la particolarità
è che le donne narrano in prima persona la loro storia (così com’era per Moll Flanders) e il
pubblico di riferimento è un pubblico femminile cioè i romanzi di Chiari si immaginano letti da
un pubblico femminile che devono imparare dalla storia come vivere.
A Napoli, comincia a circolare negli anni del processo di Leopoldo un libro intitolato “La
filosofante italiana”. Perché? Perché si tratta del contraffatto dell’opera di Chiari, perché
vogliono pagargli i diritti. Infatti, non si accontentarono di venderlo solo a Napoli, ma lo
mettevano sulle imbarcazioni e lo andavano a distribuire nel resto d’Italia come a Venezia.
Quindi, gli editori veneziani e i sottoscrittori che avevano il diritto d’esclusiva si rendono
conto che stava circolando un libro simile all’opera di Chiari ma con un titolo leggermente
diverso.
IL MERCATO EDITORIALE DIVENTA INGESTIBILE
All’interno di questi libri emerge un’idea di giustizia fondata su avventure di eroi criminali. Le
protagoniste delle opere di Chiari combinano molti malefatti nella loro vita, poi si pentono e
imparano la lezione. Quindi offrono un messaggio di carattere pedagogico ma anche loro
dividono, come i protagonisti del racconto di giustizia, il pubblico in innocentisti e colpevolisti
(c’è chi resta affascinato dalle avventure raccontate e chi, invece, si scaglia contro il
personaggio e lo condanna).
La stessa idea di giustizia è ambigua, cioè è sospesa tra condanna e redenzione, tra
messaggio pedagogico e incertezza totale.
Chi è Cagliostro?
In quest’epoca, a partire dagli anni 70, Cagliostro diventa famoso in tutta Europa perché si
ritiene abbia delle doti particolari: è un alchimista (=sa fare intrugli, che hanno effetti benefici
su chi li prende, li tocca), sa guarire, riesce a prevedere il futuro. La prima utilità di questo
prevedere il futuro è saper indovinare i numeri delle estrazioni del lotto. Questa abilità viene
fuori a Londra, nel 1777, perché una coppia che viveva vicino al suo pensionato compra dei
numeri che si rivelano essere quelli vincenti. Quindi, iniziano a perseguitarlo per avere altri
numeri e Cagliostro ottiene la grande fama di profeta.
Ma chi è Cagliostro? Da dove viene? Nessuno lo sa, perché fa cadere un velo di mistero
enorme sulla sua figura. Racconta di avere delle origini nobili, di essere stato abbandonato
all’età di 3 mesi e di essere stato educato da un precettore con cui gira l’intero
Medietteraneo, fino ad arrivare alla Mecca, poi nel cuore dell’Africa, per poi tornare in
Europa una volta diventato adolescente.
Il nodo però è che tutto questo si accompagna ad una identità inesistente e alla pretesa di
essere riconosciuto da tutti semplicemente come “Cagliostro” o meglio come “Conte
Alessandro di Cagliostro”.
Ad un certo punto le autorità, che lo vogliono vivo o morto nelle sue mani, cominciano ad
interrogarsi sulla sua possibile identità e trovano tracce che riconducono al territorio italiano,
in particolare alla Sicilia e alla città di Palermo.
Questo Cagliostro, in realtà, è un tale che risponde al nome di Giuseppe Balsamo, un
poveraccio di Palermo, sin da piccolo molto molto predisposto ad esercitare l’arte della
truffa. Grazie a questa capacità, riesce a costruirsi fortune enormi.
Tutto sembrerebbe facile, se non fosse per il fatto che quando viene catturato dice “io non
sono Cagliostro” e quando viene beccato dai tribunali, si affida a dei legali che possano
difenderlo, ma lui principalmente non parla ai giudici ma al popolo a cui scrive delle lettere.
La prima è scritta a Londra, quando viene coinvolto nell’episodio dei numeri a lotto;
successivamente, a Parigi viene coinvolto in uno dei più grandi scandali del 18esimo
secolo. In questo scandalo viene coinvolta direttamente la regina Maria Antonietta e nella
lettera si rivolge al popolo francese, definendosi come una vittima della monarchia; infine a
Roma, dove scrive ai popoli d’Europa sempre dicendo “loro vogliono che io sia Giuseppe
Balsamo, ma io sono Cagliostro”.
4 APRILE- INCONTRO “LA MEMORIA DELLA SHOAH: DIDATTICA, RIFLESSIONE, IMPEGNO” ✅
Abbiamo visto come il tema della memoria sia un oggetto centrale all’interno del nostro
ecosistema mediatico e strumento di marketing all’interno di un meccanismo molto ampio
➡️
che costruisce nello spazio pubblico e per lo spazio pubblico una macchina della
rievocazione IL PASSATO COME STRUMENTO CHE DIVENTA ELEMENTO DI
DIBATTITO POLITICO E LOTTA POLITICA, talvolta il presente.
Lo sforzo che abbiamo provato a fare è stato connettere le grandi domande che rivolgiamo
all’età moderna al nostro dibattito contemporaneo, cercando di capire quando queste
domande siano urgenti per noi, per il nostro mondo, per il nostro paese, per la nostra civiltà.
Altro aspetto di cui possiamo discutere: si dice spesso che dobbiamo conoscere quello che
è avvenuto per non ripeterlo. Ma, in realtà, sappiamo bene che la storia non è maestra di
nulla. Quindi conoscere quello che è accaduto, non ci serve a non ripetere ma ci serve ad
interpretare e conoscere il mondo, conoscerlo come ogni scienza, leggere il presente.
Altro aspetto di cui possiamo discutere: si ritiene che Mussolini si sia rovinato con l’adesione
all’Asse, col fare la guerra da cui sono scaturite le leggi razziali e quindi non il fascismo in sé
ma la sua conclusione. Questo ritorna sull’attualità: ancora oggi c’è una certa attenzione per
la questione delle leggi razziali (la nostra presidente del Consiglio si è recata alla comunità
ebraica romana) ma staccando un po’ la questione della persecuzione degli ebrei da quello
che è invece il contesto complessivo del fascismo e del nazismo.
La questione dello sterminio degli ebrei non è un fatto a sé stante, casuale ma dobbiamo
capire che è strettamente legato, è fondante della politica dei anziati e dei fascisti.
Non è facile da analizzare perché sono state date varie interpretazioni, ciascuna delle quali
da sola non è sufficiente perché non vanno bene le interpretazioni molto riduttive. Ad
esempio, secondo un’ipotesi molto ridicola, siccome gli ebrei erano ricchi, Hitler voleva
impadronirsi dei loro soldi. Affermare questo però è come dire una sciocchezza perché 400
mila ebrei tedeschi, non potevano essere tutti banchieri ma c’erano anche poveri.
➡️
razza.
Sul piano biologico, parliamo di “biopolitica” una politica che si interessa dei corpi, della
vita sessuale, familiare, che entra in ogni angolo della società, costituisce una delle
caratteristiche dell’epoca oltre che del nazismo.
Dietro tutto questo, si nasconde la volontà di creare una società di uguali, in cui l’alterità
viene annullata.
Dietro questa volontà, c’è un avversario politico cioè compattare un’intera società contro chi
può pensarla diversamente.
Se gli ebrei rappresentavano l’essere diversi e l’essere diverso non viene tollerato, si
procede ad eliminarli.
Il fatto curioso è che le forze vengono impiegate per combattere contro persone che non
possono difendersi, inermi.
Gli usi pubblici della storia: la cosa che ha colpito il professor Attademo è che quando
Mattarella ottenne la maggioranza parlamentare, il giorno successivo (il martedì) si recò in
Parlamento per giurare sulla Costituzione e iniziare il suo primo mandato.
Quando era stato già votato, ma doveva assumere la carica, come prima cosa si recò alle
Fosse Ardeatine, cioè omaggia le 335 persone che erano state uccise dalle truppe
tedesche. Tra queste c’erano ebrei, che vengono uccisi per avere l’unica “colpa” di essere
ebrei.
Il nostro rapporto con la storia di questi dolorosi eventi è sempre più diventato un rapporto
all’insegna dell’usa e getta: viene il momento dell’anno in cui il calendario dice che dobbiamo
versare la nostra lacrima per il tragico destino riservato a famiglie di ebrei, oppure il
momento in cui versiamo la nostra lacrima per un oppositore alle mafie e così via, fino a
evocare ogni giorno una vittima diversa e costruire quella che è stata definita (dallo storico
Giovanni De Luna) come “La Repubblica del Dolore”. Con “La Repubblica del Dolore”, si
vuole dire che il nostro Stato non riesce a darsi un’identità diversa, ma riesce solo a darsi sul
piano dell’emozione l’identità della commemorazione delle vittime.
Le leggi razziali colpiscono un tipo di esperienza dell’ebraismo precisa, che ha un nome e
un cognome, cioè quando gli ebrei negli ultimi 50 anni erano stati emancipati.
3 intervento: professoressa Gerarda Mirra
Il ventennio fascista nelle “cronache scolastiche”
Secondo la professoressa Mirra, “fare memoria” è un atto di responsabilità soggettiva ma
anche collettiva e condivisa. Mentre la memoria poggia sul ricordo, la storia poggia sulla
conoscenza. Quindi, la memoria non è storia.
Come ha anticipato la professoressa Valenzi, i testimoni stanno scomparendo e ciò che ci
rimane è la loro testimonianza, gli archivi, la storia e la storiografia.
Oggi non viviamo in un mondo tranquillo, ma viviamo in un modo in cui c’è ancora odio,
razzismo, antisemitismo, negazionismo e distorsione che è ancora peggio del negazionismo
perché manipola e travisa la storia. Gli archivi scolastici sono una modalità per proporre
questo argomento a partire dalla propaganda.
Prima abbiamo detto che gli ebrei avevano raggiunto la loro emancipazione: partecipano alla
Prima Guerra Mondiale, avevano aderito al fascismo e erano pienamente integrati nel
tessuto italiano.
Con le leggi razziali, gli ebrei assumono la consapevolezza di essere diversi perché ebrei.
La propaganda viene attuata in maniera capillare attraverso gli strumenti dell’epoca: la radio,
il cinema, ma la scuola divenne il luogo privilegiato per la cultura della pace e della legalità.
Mussolini pensò bene di utilizzare la scuola, il personale, le docenti, i bambini per
fascistizzare i membri privandoli dei diritti universali (come la libertà di pensiero).
La dottrina del fascismo era molto precisa: credere, obbedire e combattere. Disprezzo
assoluto per la democrazia rappresentativa.
Questo periodo va suddiviso in 3 parti:
1. dal 1925 al 1929 c’è la Riforma Gentile, che secondo Mussolini, è la riforma più
fascista che ci sia stata perché prevede una scuola gerarchica, selettiva, priva di
inventiva e fantasia, che prevedeva uniformità e omologazione;
➡️
2. dal 1930 al 1935, periodo che vede l’adozione del famoso “testo unico”, quindi zero
pluralità testuale tutto era ricondotto ad una svolta totalitaria, soprattutto nella
scuola elementare. Non parliamo solo di contenuti di testi, ma ci fu un’imposizione
metodologica e didattica;
3. dal 1935 al 1943: abbiamo una penetrazione ideologica nei testi descritti alla luce dei
nuovi programmi del 34.
Si tratta di un disegno ben congegnato. La stampa parla dell’esclusione dalla scuola degli
insegnanti, perché ovviamente siamo nel momento delle leggi razziali/razziste e le leggi
della vergogna.
Bisognava costruire il mito del capo: il duce utilizzava le sue straordinarie capacità oratorie
e comunicative nelle sue apparizioni in pubblico. Egli aveva scelto di celebrare delle date
come strumento di propaganda e consenso.
Tutte le cronache utilizzano un linguaggio simile a cui le insegnanti vengono addestrate. La
Riforma Gentile aveva portato ad un sistema molto gerarchico e la scuola sotto il controllo
fascista.
Una cronaca iniziava generalmente a settembre, anche se la scuola iniziava a metà ottobre.
Le maestre, però , a settembre iniziano a scrivere perché c’erano le iscrizioni.
Le maestre scrivono che ci si riuniva nel cortile dove i bambini dovevano cantare gli inni
fascisti, c’era il saluto fascista ed era presente il direttore o l’ispettore che doveva controllare
che tutto ciò avvenisse.
● A Gennaio, l’8, veniva ricordato il genetliaco della Regina Imperatrice, le sue doti e le
sue virtù.
● Febbraio: il 1 febbraio si ricordava l’annuale della Milizia, l’11 febbraio la
conciliazione tra la Chiesa e lo Stato (i Patti Lateranensi) e il 12 febbraio la morte di
papa Pio XI.
● A Marzo, le insegnanti rievocano con fervore la fondazione dei fasci di
combattimento fondati nel 1915.
Veniva fuori quindi una retorica bellicista, proiettata verso la guerra (ci troviamo dinanzi alle
cronache del 41-42, quindi era scoppiata la guerra).
Il saggio ginnico
Dalle cronache si legge che ogni anno, nel mese di maggio,veniva organizzato il cosiddetto
saggio ginnico, nel corso del quale gli alunni delle scuole, delle associazioni giovanili del
regime, si presentano in pubblico, per dare prova dei progressi compiuti durante l’anno.
L’insegnamento di educazione fisica veniva svolto con impegno da parte degli insegnanti e
degli allievi. Del resto, nelle scuole, l’invito a curare la cultura fisica era costante.
ONG e GIL
● ONG sta per Operazione Nazionale Balilla e fu un’organizzazione giovanile del
Regno d’Italia
● GIL sta per Gioventù italiana del littorio e, anch’essa, fu un’organizzazione
giovanile fascista.
Sono due macchine organizzative molto complesse. La struttura è piramidale e prevede una
presenza nazionale, comitati provinciali e comitati comunali. I finanziamenti provengono da
diverse fonti,a cominciare dalle quote annuali di tesseramento, passate nel tempo da due a
cinque lire, e dai contributi statali
Il tesseramento
I bambini dovevano tesserarsi. Il tesseramento rimane facoltativo fino al 1939 ed era molto
importante perché la mancata affiliazione comportava rischi di isolamento e discriminazione.
Se le famiglie erano povere, provvedevano le insegnanti.
➡️
Nelle cronache, oltre ai dati anagrafici, c’era anche l’elenco dei Balilla e dei Figli della
Lupa ERA TUTTO DOCUMENTATO, in modo obbligatorio, SECONDO I DETTAMI DEL
REGIME.
“ L’Amore del Duce per i bambini è ciò che il capo del governo si aspetta da questi piccoli
soldati, oggi speranza e più tardi forza e gloria della Nazione. Non devono farsi tentare a
non esser saggi e uomini, altrimenti che direbbe di loro il Duce se li vedesse?”
Questo era il pensiero che veniva fuori dalle cronache, in cui domina un linguaggio che vede
la sovrapposizione Dio=Duce .
La cultura fascista dunque penetra nell’organizzazione scolastica attraverso parate, cortei in
uniforme e utilizzo di cori nelle celebrazioni ufficiali del regime.
Il progetto di fascistizzazione
Coinvolte tanto la scuola quanto il mondo della cultura.
L’obiettivo comunque delle “dittature” è quello di CONTROLLARE IN OGNI MOMENTO LA
GIOVENTÙ E, NEL CASO SPECIFICO DEL FASCISMO, DI PREPARARLA A QUELLA
LOTTA CHE VENIVA CONSIDERATA L’OBIETTIVO FINALE DELLA VITA.
I bambini non dovevano essere educati ad uno spirito critico, ma dovevano omologarsi ad
un unico pensiero.
Conclusione: la persecuzione dei diritti non iniziò solo con le leggi razziali, perché è proprio
dalla scuola elementare che ha inizio il lungo processo di irriggimentazione e
indottrinamento la cui finalità era costruire futuri soldati, uomini ciecamente pronti a
“credere,obbedire e combattere” e non teste pensanti, bambini dotati di spirito critico.
➡️
vita. Questo però veniva sistematicamente disilluso.
È il caso della Lega di Terezin vero e proprio campionato di calcio che fu organizzato a
Theresienstadt, alle porte di Praga (in Cecoslovacchia). I deportati si esibivano in partite:
c’erano le squadre, ognuna aveva un nome diverso a seconda della categoria di lavoratori
presenti all’interno del campo (es: la squadra dei carpentieri, la squadra dei fabbri, la
➡️
squadra dei barbieri…).
Emblematica è la storia di Johann Trollmann pugile, campione tedesco dei pesi medio
massimi. È di etnia sinti ed è soprannominato “Gipsy”, cioè “zingaro”. Perciò fu internato nel
campo di concentramenro di Nuengamme, dove fu costretto a combattere contro altri
prigionieri per il puro divertimento delle guardie.
Fu trasferito in un campo satellite di Nuengamme, in cui il capo del campo (ex pugile
dilettante) lo riconobbe e volle combattere contro di lui. Fu sconfitto da Trollmann e, per
ripicca e vendetta, lo fece assassinare.
➡️
Lo sport come strumento per salvare vite
Gino Bartali ciclista italiano che mise a rischio la propria vita allenandosi nel tratto di
istrada che separa Firenze da Assisi, nascondendo sotto la sella e nella canna della sua bici
documenti falsi che sarebbero serviti per salvare la vita a circa 800 ebrei in fuga dai nazisti e
dai fascisti.
➡️
successivi.
Sta di fatto che la squadra viene portata a Babij Jar un burrone alle porte di Kiev dove,
già un anno prima, 33.771 ebrei furono fucilati e gettati in questo burrone (tale episodio è
stato chiamato l’Olocausto dei proiettili).
Ma Babij Jar è stato anche il luogo in cui sono stati assassinati in questo modo dissidenti
sovietici, nazionalisti ucraini, sinti, rom e qui ci finì anche chi era colpevole semplicemente
per aver rubato un pezzo di pane.
Babij Jar divenne anche la tomba dei giocatori della Dinamo, uccisi per aver sconfitto la
squadra delle forze armate tedesche.
➡️
Il memoriale di Kiev è stato anche finanziato da esponenti dell'oligarchia russa vicino a
Putin, in funzione anti-nazionalista come per dire: “ricordiamo che alcuni ucraini si sono
resi responsabili di partecipare allo sterminio degli ebrei” quindi il memoriale, più che essere
in funzione nazionalista, è in funzione nazionalista; quindi, è anche difficile che lo si potesse
bombardare.
Questo ci dice quanto, oggi in Europa e nel mondo, la memoria sia al centro di opposte
tensioni.
➡️
“Dallo scudetto ad Auschwitz” è un libro scritto da Matteo Marani, un giornalista e
dirigente sportivo italiano. Al centro troviamo la storia di Arpad Weisz un allenatore ebreo
importantissimo, il più grande d’Europa.
Ha vinto 4 scudetti con il Bologna, 1 con l’Inter ed era 2 in classifica nel 1938 quando
dovette fuggire all’estero.A partire dal 38, si persero di lui le tracce.
Tale foto è molto interessante, perché l’autore coglie nello sguardo di Weisz quasi lo
sguardo sull’imminente tragedia che l’avrebbe colpito.
Uno dei temi più approfonditi nel libro è il rapporto tra lo stadio e la società guidata da un
allenatore ebreo.
Nel momento in cui Weisz legge il Manifesto della Razza all’inizio delle leggi razziali , è
preoccupato soprattutto che i figli verranno espulsi da scuola. Nel momento in cui arriva la
notizia della necessità di abbandonare la scuola, nel libro leggiamo che “non esistono più
giocatori da scoprire… non esiste più nulla aldilà della vita da difendere…”
TEMA CENTRALE DEL LIBRO: leggi antisemite come stupro.
Matteo Marani riesce a ricostruire la storia di Arpad Weisz attraverso una visita agli archivi
scolastici, perché qualche anno fa si recò nella scuola elementare per cercare notizie dei figli
dell’allenatore.
Trova il compagno di banco del figlio di Arpad, gli scrive, lo va a trovare e si fa dare da lui
alcune lettere che provengono da Parigi e con cui può colmare tutto ciò che mandava alla
storia del calcio mondiale.
Arpad Weisz, diversamente da come scriveranno i giornali italiani all’indomani della fuga
all’estero, non verrà esonerato ma si dimette dal Bologna che era secondo in classifica
(quindi l’idea che poteva essere esonerato era un po’ assurda).
Lasciata l’Italia, va insieme alla famiglia a Parigi dove non trova evidentemente la soluzione
che voleva per la sua vita e va quindi in Olanda. Perché in Olanda? Come scrive Marani:
“l’Olanda doveva presentarsi agli occhi di Weisz come un paese più tollerante dell’Italia…”
Ma, non fu così, perché anche Dordrecht (nei Paesi Bassi, città in cui si rifiuta con la sua
famiglia) pagherà un prezzo altissimo al genocidio nazista.
Questo per Marani è il naufragio dell’attitudine razionale di Weisz nei confronti della realtà;
Weisz aveva commesso un errore di valutazione, dettato soprattutto dall’attenzione
particolare per i propri figli. Questo ci fa capire che l’autore racconta la storia ponendo
l’attenzione sulla grande indifferenza degli italiani verso l’esclusione dei bambini ebrei, come
elemento decisivo della persecuzione, dalle scuole italiane.
Marani afferma che probabilmente Weisz si trovava bene in Olanda perché ha comodità,
così come ce l’avevano i figli nel raggiungere la scuola della città. Questa è l’ironia della
sorte: dopo che i figli non poterono più frequentare la scuola italiana, potranno frequentare la
scuola in Olanda ma per pochissimo.
Una volta che si perdono le tracce di Weisz e della sua famiglia, come avviene per i libri in
cui si tenta di unire romanzo e storia, aumenta la necessità di immaginare cosa possa
essere successo. Secondi l’autore, in seguito arrivarono nel campo di transito di
Westerbork (nel nord-est dei Paesi Bassi, dove passarono tantissimi ebrei tra cui anche
Anna Frank) e probabilmente a Cosel venne fatto scendere dal campo per essere sfruttato
come schiavo nelle fabbriche mentre la famiglia raggiunge immediatamente Auschwitz, dove
verrà portato anche lui un anno dopo.
I registri di Auschwitz registrano prima la morte di sua moglie e dei suoi figli e in seguito
anche sua.
Marani conclude affermando che il calcio, che era stata la sua vita, smette di esistere
quando la polizia olandese lo destituisce dalla panchina e lui non conta più nulla.
È interessante notare che, come aveva già affermato Primo Levi, i racconti dei deportati
sono racconti in cui l’elemento decisivo era il treno. C’erano però anche altri elementi
importanti, ad esempio come ci si sente qualche secondo prima di entrare nelle camere a
gas, come fa Marani quando vuole immaginare la storia della fine dei suoi figli.
Matteo Marani racconta anche i momenti finali della vita di Weisz e nella postfazione spiega
come ha ricostruito tutta la sua storia. Egli afferma che c’è un elemento che ha permesso a
Weisz di arrivare fin qui: l’amore sconfinato per il calcio.
Nella narrazione televisiva, la storia di Weisz viene raccontata secondo la narrazione
epica-sportiva. Già nell'epica-sportiva, la voce che si riesce a restituire è unica. L’esperienza
è così individuale. In uno straordinario documentario di Federico Buffa(giornalista,
telecronista e scrittore italiano), l’elemento più forte (l’attitudine razionale di Weisz che cerca
di resistere alla grande tragedia) diventa l’opposto. Il calcio viene messo al centro, infatti c’è
un excursus sulla storia del calcio che va dall’Inghilterra dei primi anni del secolo fino alla
storia del calcio italiano e alla fine la chiara testimonianza di quest’uomo la cui storia viene
travolta dalla Storia. Qui non c’è macrostoria e microstoria, ma c’è la storia individuale che
viene letteralmente travolta dalla Storia.
Con un’esperienza individuale, si perde il senso di una tragedia collettiva in favore di una
tragedia individuale su cui si abbatte la grande storia.
Una storia teatrale, ispirata ad Arpad Weisz, messa in scena da una compagnia di Caserta
rappresenta invece ricorda che la tragedia non è personale ma collettiva.
Da questo punto di vista, è interessante notare altri elementi che hanno trasposto la storia di
Weisz: libri, saggi, graphic novel… tutto ciò al beneficio di tanti studenti in giro per l’Italia, ma
soprattutto con la possibilità di volgere la storia ad un intento sempre diverso→ nel libro di
Marani, ad esempio, si ragiona sulla rimozione che gli italiani hanno nei confronti delle leggi
razziali. Tale rimozione si concretizza nella storia di Arpad Weisz, nel disinteresse della città
di Bologna verso la fuga e la fine nei lager del suo principale allenatore.
Ultimo intervento
Come possiamo cambiare quella società della modernità che ha
prodotto Auschwitz?
Adorno, filosofo tedesco, è abbastanza disilluso sulla possibilità che si possano
oggettivamente cambiare queste condizioni delle modernità perchè sono tante e quindi non
si cambiano con facilità.
Allora, si chiede quale sia l’altro luogo in cui possono accadere queste modifiche.
Se non è una condizione oggettiva quella che può modificare la modernità, da dove può
venire il cambiamento di quella mente che ha prodotto Auschwitz?
Cosa può cambiare le condizioni che hanno favorito culturalmente, politicamente,
strutturalmente l’avvento di una società come quella nazista? Secondo Adorno, come
abbiamo detto, queste condizioni oggettive non si possono più modificare.
Ad esempio: educare i più piccoli al rispetto dell’altro, al rispetto di ciò che è diverso.
Secondo Adorno, non è più possibile oggettivamente ma soggettivamente attraverso quella
forma che si chiama EDUCAZIONE.
Come possiamo far lavorare soggettivamente gli studenti? Ci sono dei metodi, dei modi,
attraverso cui raggiungere facilmente le teste di chi studia.
Uno strumento con il quale si può lavorare in forme soggettive molto forti è quello del
laboratorio delle fonti.
Cosa fa un laboratorio storico? Ci pone di fronte le fonti.
Come si può far lavorare lo studente come protagonista del sapere? Come colui che lo
costruisce con la propria forza, intelligenza e conoscenza?
➡️
-elaborare un minimo di ipotesi;
-NARRARE non c’è storia senza narrazione.
Lo storico si serve di indizi, documenti, tracce che possono mettere insieme e costruire man
mano delle prove. L’obiettivo di fondo è lavorare sui processi cognitivi del soggetto che
apprende, cioè come so di sapere, come imparo ad imparare. La storia ha la grande
capacità di creare il meccanismo virtuoso di crescita e organizzazione della propria sostanza
cognitiva.
organizzare, osservare,selezionare e classificare ➡️ sono tutti termini che richiedono
un’operazione cognitiva forte, fino ad arrivare a quelle più complesse cioè fare inferenze,
ipotesi, supposizioni.
Tutte queste operazioni sono un modo per imparare ad imparare.
Uno studente che lavora su una cosa del genere, in questo modo, fa proprie le osservazioni
che è in grado di fare, aldilà di ciò che dice l’autore in un manuale che è semplicemente un
oggetto che sta lì, che da un’interpretazione ma non c’è un solo manuale perché ci sono
tanti manuali quante sono le interpretazioni possibili.
Uno studente, al di là del fatto che non ha l’autorialità di uno storico, può iniziare ad
interpretare, lavora per apprendere gli strumenti di uno storico. Dunque, si appropria di una
strumentazione scientifica che lo aiuta a crescere.
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
L'annientamento degli ebrei d’Europa prevede varie fasi nella storia dello sviluppo del
➡️
sistema razzista, cioè dalla discriminazione all’annientamento degli ebrei abbiamo tantissime
fasi. Il regime nazista comincia nel 33, mentre le leggi di Norimberga sono del 35 LEGGI
DISCRIMINATORIE E ESCLUSIVE.
5 APRILE
Cagliostro è un personaggio ingombrante sul piano della memoria, oltre che sul piano
storico.
Negli ultimi due secoli, gli è stata dedicata un’ampia produzione da parte di romanzieri,
poeti, scrittori in generale,storici, saggisti, registi, sceneggiatori, autori di opere teatrali, di
anime e fumetti.
Se volessimo tentare ad attraversare velocemente questa enorme tradizione narrativa di
costruzione dell’immaginario incentrata sulla figura di Cagliostro, avremmo bisogno di molto
tempo.
Nel corso dell’800, Alexandre Dumas, ha dedicato 2 romanzi corposi a Cagliostro:
1. Il primo intitolato con il suo presunto nome, cioè “Giuseppe Balsamo”;
2. Il secondo è dedicato allo scandalo del furto della collana della regina Maria
Antonietta di Francia. Tale scandalo vede Cagliostro in prima linea o comunque
sul banco degli imputati.
Nel corso del 700, la letteratura scandalistica ha una grande importanza come fattore di
disgregazione dell’immagine delle monarchie e di perdita di prestigio dei poteri costituiti.
Quindi, per Cagliostro abbiamo una memoria ingombrante, è presente nell’immaginario di 2
secoli e sul nostro territorio. Se ad esempio inseriamo su Instagram l'hashtag Cagliostro, ci
appaiono oltre 15.000 occorrenze. Tra queste 15.000 occorrenze ci sono i luoghi di
Cagliostro, cioè i posti dove le persone vanno e incrociano dei reperti del passato legati alla
presunta memoria di Cagliostro. Il luogo più ingombrante di tutti è il Forte di San Leo, in
provincia di Rimini e non lontano dalla Repubblica di San Marino, in cui c’era la prigione
nella quale Cagliostro morì a metà anni 90 del 700, quindi nel pieno della Rivoluzione
francese.
Nel corso del 900 ci sono stati tanti film, influenzati dalla ricostruzione di Dumas sviluppata
nel corso degli anni 40 dell’800
cartoni animati, tra cui quello più famoso che lega l’immagine di Cagliostro ad un
personaggio reso famoso dagli animatori giapponesi cioè Lupin terzo.
Il primo lungometraggio dedicato a Lupin terzo, sotto forma di cartone animato e girato da
uno dei più grandi registi asiatici e specialisti del genere (Hayao Miyazaki), si intitola “Lupin
III-Il castello di Cagliostro”.
Quindi vediamo una mitografia ingombrante, che ci fa vedere un personaggio ipertrofico, sul
quale si dice tutto il contrario di tutto, metamorfico, fantasioso, capace di stimolare il
desiderio di avventura, che vive sui confini labili che separano il bene dal male, che per
poter attrarre deve anche generare una qualche forma di empatia. Infatti, abbiamo visto che
nel corso del 700, i criminali in maniera anche contraddittoria suscitano forti forme di
empatia e sono personaggi in cui il pubblico riesce ad identificarsi.
Quest’identità, Alessandro Conte di Cagliostro, si sospetta essere inventata o frutto di una volontà
abbastanza acrobatica di rappresentazione dello stesso personaggio.
➡️
com'è possibile che cresca così velocemente da metà degli anni 70 del 700 fino
all'imprigionamento e alla morte negli anni 90 è una parabola che dura circa 20 anni,
durante i quali Cagliostro vive avventure straordinarie, raggiunge una celebrità straordinaria
e arriva a monopolizzare i discorsi e gli sguardi dell’intera Europa).
Potremmo dire che la fama ha una data di nascita e un luogo: 1777, Londra. Leggendo il
libro, ci si rende conto che è articolato in 4 capitoli, dedicati ai luoghi chiave della vita di
Cagliostro. Il secondo capitolo è per l’appunto intitolato “Londra 1777”.
Cosa accade a Londra nel 1777?
Arriva un signore che ha già iniziato a far parlare di sé in maniera evidente ma non
strabordante in altre città d’Europa, che viaggiava tanto, che si riteneva avere delle capacità
taumaturgiche, che fosse un alchimista e che fosse in grado di riprodurre (in virtù delle sue
capacità alchemiche) delle creme che donano a chi le applica sulla pelle l’eterna giovinezza.
L’alchimia è un campo del sapere interessante, che ha a che fare in parte con la magia e in
parte con la manipolazione che si applica al mondo naturale. Quindi, chi è l’alchimista?
L’alchimista è una sorta di praticone della natura che non ha consapevolezza scientifica di
quello che fa ma mettendo insieme vari ingredienti, riesce a produrre qualcosa che è capace
di generare degli effetti sui consumatori.
Spesso l’alchimista lega la sua capacità di maneggiare la natura alla pretesa di connettersi
com soprannaturale. Quindi, le creme che Cagliostro distribuisce (non dice mai di vendere le
cose, ma dice di "distribuire" e si dipinge sempre come un benefattore disinteressato al
guadagno) si pretende abbiano un potere magico. Donare l’eterna giovinezza non è cosa di
poco conto, significa fermare l’invecchiamento, fa sì che i segni del tempo non si vedono sui
volti e sul corpo delle persone.
Le voci iniziavano già a girare ma ancora non avevano sfondato il campo dei media nel 1777
cioè sono voci che erano arrivate ad alcune orecchie ma non ad altre. Nel 1777 Cagliostro
approda a Londra (una delle tre più grandi città d'Europa, insieme a Parigi e Napoli) dove
prende una casa in affitto e viene a contatto con una coppia di signori abbastanza enigmatici
che hanno l’ossessione per il gioco del lotto. Queste persone hanno sentito dire qualcosa
sulle sue capacità di mettersi in contatto con il soprannaturale e hanno interpretato questa
capacità come possibilità di mettersi in contatto con il futuro,prevedere gli eventi. Quindi
chiedono insistentemente a colui che si identifica come Cagliostro di dare dei numeri
vincenti. Inizialmente Cagliostro si tira indietro, poi si lascia convincere e “preso dalla
disperazione” molla qualche numero. Il caso vuole che questi diventino quelli vincenti e che
quindi si crei intorno all’evento una sorta di bolla mediatica ingestibile. Questa coppia (i
Signori Fray) comincia a chiedere altri numeri vincenti, Cagliostro si rifiuta di darli e nasce
un caso giudiziario perché viene accusato di frode e addirittura di aver manipolato
l’estrazione, di avere dei complici.Cominciano a girare voci incontrollabili e false, che dicono
tutto il contrario di ciò che è realmente successo.
Per difendersi da queste accuse, Cagliostro afferma che aveva la capacità di esercitare un
potere soprannaturale sulle previsioni del futuro, ma questo potere si fondava sul possesso
di un misterioso manoscritto che era finito nelle sue mani in modo in virtù di circostanze
➡️
rocambolesche. Ciò nonostante, egli tiene a dire una cosa: tutte le previsioni che gli hanno
permesso di indovinare i numeri vincenti, rispondono ad un metodo non riproducibile
L’HA FATTO UNA VOLTA E NON PUÒ RIFARLO. Comincia a dare delle spiegazioni,
➡️
acrobatiche e in parte fantasiose, che mettono insieme metodi scientifico-razionali con
alcune spiegazioni di carattere spiccatamente soprannaturale ha usato la statistica a cui
ha affiancato la sua conoscenza esoterico-soprannaturale che non è spiegabile con i normali
strumenti della ragione. Dalla mescolanza di questi due elementi, ha prodotto una previsione
vincente che non può ripetere.
Alcuni iniziano ad interessarsi, in particolare i giornalisti perché le notizie sono preziose,
devono circolare, non necessariamente devono riferire qualcosa che si pretende sia
accaduto ma devono o provano anche a costruire pettegolezzi e gossip su ciò che è
accaduto. Perciò, si cominciano a narrare tante cose sul personaggio, sull’incarico stabilito
con i presunti complici. Cagliostro si accompagna ad una donna che presenta come sua
moglie, come la Contessa Serafina di Cagliostro.
Tra gli interrogativi che si sviluppano, quelli più stringenti riguardano le origini del
personaggio.
Ad un certo punto, lo scandalo precipita e si apre un processo giudiziario nei suoi confronti.
Nel corso del 18esimo secolo, la percezione di giustizia cambia in maniera profonda e in
questo nuovo modo di raccontare della giustizia ha un ruolo preponderante la divisione del
pubblico in innocentisti e colpevolisti.
Nel 1777, a Londra, nasce la prima grande polarizzazione pubblica intorno al personaggio
Cagliostro: secondo alcuni va salvato perché innocente; secondo altri, invece, è un
truffatore, un lestofante, un criminale da mettere in gattabuia perché si prende gioco dei
creduloni.
Come si difende Cagliostro? Mettendo in circolazione dei testi. A Napoli era successo un
qualcosa di simile; in realtà, però, nel corso del 700 questo accade un po’ in tutta Europa
dove gli avvocati che devono difendere gli imputati, non pensano a difendere gli imputati
solo di fronte al tribunale ma pensano a difenderli anche di fronte all’opinione pubblica.
Dalle fonti che abbiamo a disposizione su Cagliostro, l’impressione è quella che il tribunale
non gli dava tanta importanza e che tutto lo sforzo dei sostenitori che lo circondano vada
nella direzione dell’esercizio di una forma di influenza sull’opinione pubblica, quindi lui fa
mettere in circolazione dei testi che parlano al pubblico.
Di fronte al pubblico inizia ossessivamente a raccontare la sua storia. La sua è una storia a
dir poco rocambolesca.
Storia di Cagliostro
Cagliostro afferma di essere nato da una famiglia nobile, non ben identificata, e di essere
stato abbandonato a 3 mesi per delle circostanze non riconducibili alla volontà dei genitori.
Viene quindi affidato alle cure di un precettore, con cui cresce, viene educato, impara cose
importanti (tra cui la conoscenza della chimica e dell’alchimia) e diventa una sorta di
letterato che possiede una cultura piuttosto raffinata. Secondo il suo racconto, questo
precettore lo porterebbe in giro per il Mediterraneo, avrebbe raggiunto le coste dell’Africa e
la Mecca dove trascorse una parte della sua infanzia e della sua adolescenza per poi
tornare verso l’Europa cristiano- occidentale. Tornato verso l’Europa cristiano-occidentale,
inizia a peregrinare tra vari stati e, affidandosi alle conoscenze che aveva acquisito grazie al
suo precettore e durante i vari viaggi, viene accolto nelle corti e nei luoghi più importanti e
viene ascoltato da persone molto in vista che di volta in volta gli danno credito.
QUESTO È IL RACCONTO CHE FA DI SE.
Però, già nel momento in cui inizia a raccontare la sua storia, iniziano a nascere dubbi sulla
veridicità di questa storia.
Coloro che tentano di incastrarlo e di metterlo alla sbarra dicono che quello che lui sta
raccontando si legge nei romanzi, dove i personaggi sono tutti dei trovatelli, la loro nascita è
avvolta in un velo di mistero, si trovano poi a viaggiare in maniera ossessiva; nel viaggiare
vivono una serie di avventure inimmaginabili e queste avventure li portano da un lato ad
istruirsi e dall’altro ad essere accolti in ambienti che non sarebbero i loro.
Quindi, inizia a nascere un dibattito sul rapporto tra verità e romanzo: COSA STA
RACCONTANDO CAGLIOSTRO? qualcosa che affonda le radici in un immaginario già
esistente oppure qualcosa che riporta ad un’esperienza da lui vissuta?
Questa domanda inizia ad ossessionare gli europei.
Cagliostro da un lato riesce a farla franca ma non si accontenta di farla franca, perché cerca
di cavalcare la popolarità che ha ottenuto utilizzando la sua influenza sull’opinione pubblica
e sfruttando una rete di rapporti che si era creato in quegli anni e in quei mesi londinesi.
Questa rete di rapporti aveva un identità marcatamente massonica, cioè appartenente ad
un mondo di sociabilità clandestina, un mondo che incrocia diversi settori della società e un
mondo che pretende di conservare al suo interno alcuni capisaldi di un sapere che può
essere utile alla collettività, alle monarchie e alla costruzione del futuro della civiltà.
Cos è la Massoneria? La Massoneria esiste ancora oggi ed è una fratellanza legata da una
rete di solidarietà e da un corpus di conoscenze segrete.
È nata in Europa tra la fine del 600 e l’inizio del 700. La prima notizia certa di una fratellanza
massonica si ha proprio per l’ambiente londinese ed è datata 1717. In realtà,però, la
massoneria era verosimilmente nata un po’ prima.
Abbiamo parlato di crisi della coscienza europea e di rottura del rapporto tra poteri costituiti
e Accademie nel corso del 600 (a Napoli c’era stato un evento traumatico, il processo agli
ateisti, che stermina la vita accademica). La destrutturazione del mondo accademico ha
giocato un ruolo importante nella formazione delle reti massoniche. Nella sua avventura,
Cagliostro, si trova all’interno di queste reti massoniche ma sfruttando la popolarità che ha
guadagnato nel 1777 pensa di fondare una propria loggia massonica. Questa loggia
massonica prende il nome di loggia di rito egiziano. Come tutte le logge esoteriche, deve
fondarsi su un sapere esoterico e Cagliostro afferma “io ho in mano un manoscritto
importantissimo, che durante i vari viaggi è venuto in mio possesso. Questo manoscritto
possiede in sé una sapienza antichissima, su cui costruirò le regole della nuova loggia
massonica”.
Nel corso di pochi anni, dal 77 a metà degli anni 80, la loggia massonica di rito egiziano ha
una fortuna straordinaria e comincia ad avere sezioni sparse nelle più grandi capitali
europee. Tale fortuna è accompagnata da Cagliostro, cioè egli va di luogo in luogo riuscendo
a stabilire delle nuove sezioni della sua loggia massonica. Quindi, popolarità si aggiunge a
popolarità, influenza si aggiunge a influenza, fama su fama; tanti continuano a parlare di lui
e lo descrivono come il “gran maestro” della loggia di rito egiziano.
Ma, il mondo massonico negli anni 70 e negli anni 80 (nato all’inizio del 700) è
profondamente destrutturato: le massonerie cominciano ad entrare in concorrenza l’una
contro l’altra. La storia della letteratura del 700 è un pò incrociata con la storia delle
massonerie perché i letterati spesso aderiscono alle logge massoniche.
Cagliostro inizia ad inserire un elemento di grande originalità all’interno della loggia di rito
egiziano, perchè la massoneria è quasi esclusivamente un affare maschile. Egli, però,
sfrutta la presenza e l’influenza di sua moglie Serafina per creare un ramo femminile e farla
diventare gran maestra di quest’ultimo. LA LOGGIA DI RITO EGIZIANO È QUINDI UN
AFFARE DI FAMIGLIA.
Cagliostro viaggia anche molto velocemente e questo modo di viaggiare suscita sospetti
perché al tempo viaggiare era una cosa complicata. Cagliostro, invece, da un giorno all’altro
o da una settimana all’altra riesce a passare ad uno stato all’altro. Perciò, molti iniziano a
pensare che non è sempre lui ma che ci sono degli emulatori, delle repliche, dei personaggi
che dicono di essere lui (in un mondo senza fotografie e senza carte d'identità questo era
molto semplice). Quindi, sulla sua figura, inizia a cadere anche il sospetto/dubbio che lui
riesce a sdoppiarsi grazie a dei complici che lo replicano di volta in volta perché sono degli
abilissimi attori, cioè sono capaci di riprodurre i suoi comportamenti altrove e sfruttare più o
meno involontariamente o direttamente la sua fama → magari alcuni lo facevano perché
approfittano della sua fama senza il suo consenso.
È pressoché certo, però, che ad un certo punto la sua fama diventi tale che alcune persone
pensano di approfittarne, cioè pensano di rubare l’identità di Cagliostro sfruttando la sua
popolarità.
Parigi 1785
Nel 1785 arriva a Parigi, altra grande città europea. Il 3° capitolo del libro si intitola proprio
“Parigi 1785”. Quando arriva a Parigi, nel giro di qualche mese, si trova coinvolto in uno
scandalo giudiziario di dimensioni apocalittiche: lo scandalo della collana della regina,
collana dal valore inestimabile, piena zeppa di diamanti, creata da due gioiellieri.
Intorno alla corte francese gravitano alcuni personaggi non appartenenti all’alta nobiltà che
vengono intercettati da questi gioiellieri e diventano i destinatari di una proposta indecente:
diventare intermediari tra i gioiellieri e la regina per chiedere a quest’ultima se vuole
comprare la collana.
I due personaggi, di cui una donna di nome Madame de la Motte o meglio conosciuta
come la Contessa de la Motte,iniziano a prendere sul serio questa proposta.
La Contessa de la Motte, però, è una contessa riuscita a metà cioè era in realtà una donna
di origini povere che reclama, in virtù di chissà quale costruzione narrativa fantasiosa,
addirittura una parentela con la dinastia dei Valois che si estingue alla fine del 500.
In realtà è una stracciona. Riesce a sposarsi con un membro dell’alta gerarchia militare
francese e grazie a questo matrimonio riesce ad accaparrarsi il titolo nobiliare di “contessa”.
Entrata in un modo che effettivamente non le apparteneva, inizia a mostrare una grande
intraprendenza, cioè è una che si dà da fare, che si lancia nelle situazioni e mostra di
muoversi con facilità (perché abbastanza scaltra) nell’ambiente di corte. Quando riceve la
proposta indecente, aggancia un altro personaggio perché non ha la potenzialità di arrivare
direttamente alla regina. Questo personaggio è un cardinale: il cardinale Louis de Rohan.
Su questo personaggio girano varie voci, tra cui quella più insistente vuole che lui sia
perdutamente innamorato della regina Maria Antonietta.
Le versioni che vengono raccontate in tribunale dai protagonisti sono troppo contraddittorie
per essere prese sul serio.
Il fatto in sé è che i due gioiellieri ad un certo punto vengono convinti a cedere la collana alla
Contessa de la Motte e suo marito, perché il cardinale fa da garante cioè dice “non vi
preoccupate, l’affare è fatto perché la regina comprerà la collana e farò io da garante.
Iniziate a darcela e pian piano i soldi vi arriveranno”. In questa promessa fatta ai gioiellieri,
però, viene detta anche un’altra cosa: “fate attenzione perché questa cosa non può essere
troppo detta”. Perché? Perché la regina non vuole che il marito, re di Francia (Luigi XVI)
sappia che lei vuole a tutti i costi la collana ed è disposta a spendere una cifra così grande
(all’epoca si parlava di 1500 lire francesi), quindi il cardinale sta facendo le cose
"sottobanco".
I gioiellieri credono a questa versione dei fatti e, a gennaio di quell’anno, cedono la collana.
Arrivata l’estate però si rendono conto che i soldi non arriveranno mai perché cominciano a
prendere informazioni presso la famiglia reale e attraverso altri canali e quando arrivano alla
regina, questa risponde che non li conosce e che non sa nulla della collana.
Perciò, loro denunciano. La famiglia reale accoglie la denuncia e bisogna iniziare l’indagine.
Si apre così un caso giudiziario che scoppia come una bolla mediatica ingestibile e comincia
ad occupare le menti, le orecchie, le bocche di tutti i francesi.
Le accuse sono pesanti. Chi ha imbrogliato? Madame de la Motte, i gioiellieri? Ci sono mille
imputati possibili.
Da tutto questo racconto, emerge l’idea di base che il cardinale sia innamorato perso della
regina a punto tale da farsi ingannare da una truffatrice.
Alla fine il caso giudiziario si risolve perché le colpe finiscono per cadere su Madame de
la Motte, che si ritiene essere l’artefice della truffa.
Questa è la soluzione giudiziale del caso (=quello che i tribunali francesi ritennero fosse
accaduto→ Madame de la Motte avrebbe tratto in inganno il cardinale, Cagliostro e
Mademoiselle d’Oliva) e non la verità perché ancora oggi, a distanza di più di 200 anni, è da
indagare.
Quindi, Cagliostro ne uscì incredibilmente innocente e la sua versione dei fatti, il suo
documento trasmesso al tribunale e soprattutto al popolo francese ebbe un successo
devastante in tutta Europa.
In questa memoria però, ancora una volta, Cagliostro riprendeva la storia delle sue origini:
dove sono nato? Chi sono? Come mi sono ritrovato qui?.
Quando Cagliostro uscì dalla Bastiglia, lo attese una folla di circa 8.000/10.000 persone
proprio come una vera celebrità.
Alcuni giornalisti, però, non furono convintissimi da questa versione dei fatti. In particolare,
Théveneau de Morande, attivissimo giornalista francese specializzato in opere di carattere
scandalistico, divenne uno dei principali persecutori di Cagliostro e cominciò ad indagare
sulla sua reale identità perché secondo lui se bisognava smascherarlo, bisognava capire chi
era veramente perché non credevano a ciò che egli aveva raccontato.
Le sue indagini, abbastanza rocambolesche e dalla metodologia difficile da ricostruire, lo
portarono a Palermo cioè Théveneau de Morande identificò Cagliostro con Giuseppe
Balsamo→ un criminale palermitano, nato negli anni 40 e che da piccolo si era reso in
Sicilia protagonista di vari malefatti. Successivamente, sarebbe scappato dalla Sicilia,
avrebbe peregrinato e sarebbe arrivato a Roma dove conosce una giovane molto molto
bella di nome Lorenza Feliciani. Secondo Théveneau de Morande, la contessa Serafina
che Cagliostro si portava dietro era questa ragazza romana.
La versione dei fatti costruita da Théveneau de Morande inizia a diffondersi in Europa,
quindi c’è una nuova polarizzazione delle opinioni e le voci giungono addirittura alle orecchie
del più grande scrittore tedesco del 700: Goethe.
Goethe, alla fine degli anni 80, fa un viaggio in Italia che racconta anche in un suo
famosissimo diario durante il quale approda anche a Palermo. Qui comincia ossessivamente
a chiedere in giro notizie di Cagliostro (ELEMENTO CHE CI FA CAPIRE CHE LA FAMA
CHE CAGLIOSTRO OTTIENE ERA STRABORDANTE). Viene agganciato da un tizio che
fa l’avvocato, che dice di conoscere Cagliostro e si propone di portarlo a casa sua. Goethe,
quindi, viene portato a casa del presunto Cagliostro dove viene accolto da una ragazza, da
un giovane, e portato al cospetto di una donna anziana che dice di essere la mamma di
Cagliostro. La presunta madre di Cagliostro, in preda alla disperazione, gli consegna una
lettera per suo figlio.
Ci sarebbe anche da capire in che lingua si è svolto il dialogo tra Goethe e la vecchia
palermitana. Goethe capisce che la lettera è destinata a Giuseppe Balsamo, cioè il figlio
disperso della donna, e dice a quest’ultima di non preoccuparsi perché sarà lui a
consegnare a suo figlio la lettera dato che lo incontra in giro per l’Europa.
Goethe mente spudoratamente, sa che quella lettera non la consegnerà mai. Tornato in
Germania, decide di pubblicarla insieme ad una presunta genealogia della famiglia Balsamo
che lui avrebbe ritrovato a Palermo.
L’ipotesi che questa fosse la versione dei fatti ha un alto grado di probabilità. Però non
abbiamo la certezza che queste cose bastino per potere identificare Cagliostro con
Giuseppe Balsamo.
Esiste anche la probabilità che Goethe a Palermo sia stato perso per i fondelli, perché cosa
c’era di più semplice di approfittare di uno che era famoso in tutta Europa e vendergli una
storia (Goethe aveva anche sganciato un pò denaro per avere quella roba), storia che
desiderava ossessionatamente conoscere, e fargli credere di essersi impossessato di una
verità che tutti gli europei volevano possedere?
Dopo essere scappato da Parigi, Cagliostro torna a Londra e capisce che l’aria per lui sta
cambiando perché, nonostante il successo ottenuto e la fama che gli è derivata da tutti gli
scandali giudiziari, la versione denigratoria di Théveneau de Morande e di Goethe comincia
a pesare e quindi tanti pensano che lui non sia altri che il criminale palermitano Giuseppe
Balsamo.
Ciò nonostante, ha ancora tanti seguaci che gli danno credito e gli permettono di godere
anche del suo successo.
Continua a viaggiare incessantemente. Ad un certo punto, decide di tornare nella Penisola
Italiana, dove sosta per un certo periodo a Trento e a Rovereto. A Rovereto, incontra un
signore che scrive una cronaca molto dettagliata del suo operato. Tale cronaca, con
un’intenzione del tutto denigratoria, viene messa in circolazione con il titolo di “Il Vangelo
di Cagliostro”. Perché abbiamo parlato di “intenzione denigratoria” ?Perché descrive
l’operato di Cagliostro a Rovereto con la stessa modalità con cui vengono descritti gli atti
degli apostoli o con cui vengono descritto i vangeli.
Cagliostro deve però scappare perché anche lì l’aria è diventata pesante e decide,
probabilmente per delle promesse che gli vengono fatte da personaggi che incontra, di
andare a Roma.
Va da sé che a Roma, in quanto sede del papa e patria della cristianità, Cagliostro-
conosciuto in tutta Europa come il “gran maestro” di una loggia massonica- possa non
trovare una grande accoglienza dal potere pontificio perché in quel momento questo è
entrato in rotta di collisione con la cultura illuminista e tutti i suoi derivati: il potere pontificio
tende alla conservazione; la cultura illuminista, invece, tende non solo alle riforme ma anche
ad un riformismo incentrato sull’erosione del potere ecclesiastico→ PIÙ FORZA AGLI STATI
E MENO FORZA ALLA CHIESA. La massoneria è un collettore importante di istanze
illuministe e riformiste che vengono diffuse in maniera clandestina, quindi la Chiesa non può
essere così amica della massoneria e ancor di più non può esserlo nell’anno in cui
Cagliostro decide di tornare a Roma→ 1789
Sta di fatto che, nel giro di pochi mesi, viene arrestato e messo nelle carceri dell’
Inquisizione. Si dà così inizio il processo ad un imputato,ad un solo personaggio sul banco
degli imputati. Addirittura ad un certo punto si pensa che ad aver giocato un ruolo
fondamentale nel suo arresto sia stata la moglie, che lo ha tradito.
In questo processo, Cagliostro viene subito identificato dall'Inquisizione come Giuseppe
Balsamo, il criminale palermitano. Ma, pur essendo difronte ad un tribinale inquisitoriale, in
una situaizone in cui la tortura era pane quotidiano e in una situazione di assoluta
precarietà, Cagliostro ostinatamente nega → dice “io non sono Giuseppe Balsamo”. Nel giro
di poche settimane, viene interrogato per ben 43 volte e pian piano questo processo cambia
faccia, cioè acquisisce un’altra dimensione perché il processo a Cagliostro diventa il
processo all’intera Rivoluzione e Cagliostro viene identificato come uno dei principali
responsabili della deflagrazione culturale, sociale, politica, che ha condotto la Francia e
l’intera Europa nel gorgo della rivoluzione.
Perché tutto questo viene reso possibile? Perché in quei mesi, intorno e all’interno
dell'ambiente cattolico-romano, comincia a circolare un teorema fondato sulla volontà di
interpretare la deflagrazione rivoluzionaria sulla base della presenza di un complotto che
nel corso dei decenni è diventato sempre più forte fino ad esplodere nel 1789 con la presa
della Bastiglia, la successiva Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino e la
successiva costituzione civile del clero cioè la chiamata alle armi di un clero che doveva
diventare rivoluzionario.
Su cosa era fondata questa teoria del complotto? Era fondata sull’idea che la
Rivoluzione era stata il risultato di un’eterna lotta tra il bene e il male. Tale lotta, però, nel
corso dell’età moderna e del 700 aveva acquisito una dimensione particolare.
In altre parole, loro dicono: “guardate, sono decenni e decenni, che gli illuminati e i massoni
stanno cospirando e contaminando l’alta società con i loro messaggi velenosi. Grazie a
questo tipo di cospirazioni, ci hanno portato a questo esito estremo. L’imputato Cagliostro è
uno dei principali animatori di questo complotto. Se le cose sono arrivate fino a questo
punto, la colpa è di personaggi come lui ma soprattutto sua”.
Quindi, Cagliostro viene descritto come il soffio che ha generato la tempesta, come l’artefice
di tutti i mali del mondo, come l’uomo che sta dietro tutti i complotti possibili e immaginabili,
come uno capace di muovere i fili della storia.
Tra l’altro, il complotto affonda le radici in un passato ancora più lontano del 700… quindi
dicono “guardate, se ci pensiamo bene anche nel 600 c’era un pensiero razionalista e
anti-religioso che si stava diffondendo in Europa. Tale pensiero ha gettato i semi della
catastrofe che ci stiamo ritrovando ad affrontare”.
Questo pensiero risale ancora a più indietro: era un pensiero già seminato nel 500 da
Lutero, Calvino… e, ancora più indietro, addirittura affondano lo sguardo nel pieno
Medioevo.
In questo modo, tirano fuori una storia anche abbastanza rocambolesca che ancora oggi
ritroviamo al centro di molte narrazioni cinematografiche piuttosto fantasiose: la storia dei
templari. I templari avrebbero rotto con la monarchia nel corso del Basso Medioevo,
sarebbero stati sciolti dalla monarchia ma non si sarebbero arresi nel corso dei secoli ma si
sarebbero alleati con i protestanti, gli scienziati, i calvinisti, gli illuministi e i massoni per
arrivare a vendicarsi durante la Rivoluzione.
Questa teoria comincia ad assegnare a Cagliostro un posto privilegiato: “tu sei l’ultimo dei
massoni e l’ultimo dei templari”. È una teoria che prende sempre più piede, infatti a metà
degli anni 90 un abate di nome Augustin Barruel la mette insieme in un’opera intitolata
“Storia del giacobinismo” → i giacobini erano i rivoluzionari radicali francesi. Nella “Storia del
giacobinismo” descrive quelle che secondo lui sono le radici del giacobinismo: le radici del
giacobinismo stanno nel complotto plurisecolare e Cagliostro non è altro che l’ultimo
protagonista del complotto.
La condanna definitiva nei confronti di Cagliostro, che si ostina a dire “io non sono Giuseppe
Balsamo”, viene pronunciata nell’aprile del 1791. In quel momento si decide anche che
Cagliostro deve essere trasferito nella prigione di San Leo, dove tenta di scappare varie
volte, dove dice continuamente di avere fame e di aver bisogno di un confessore per
pentirsi. Nel momento in cui questi arriva, Cagliostro avvicina la bocca al suo orecchio e
approfitta per mordergli il collo.
Quando è in prigione, cominciano a circolare delle voci abbastanza ossessive. Secondo
alcune di queste voci, gli emissari del nuovo governo rivoluzionario francese sarebbero
arrivati in Italia e comincerebbero a girare misteriosamente e in incognito intorno alla
prigione di San Leo per cercare di liberarlo e portarlo via in una mongolfiera.
Quello che ci interessa è che qualche settimana dopo la condanna, l'Inquisizione decide di
fare una cosa che non aveva mai fatto prima nella sua storia: nel corso del 500,
l’Inquisizione si era ri-sistemata dandosi un’organizzazione molto rigida che faceva capo alla
Congregazione del Sant'uffizio. L’Inquisizione aveva una procedura fondata sul segreto, cioè
gli imputati non avevano alcuna possibilità concreta di difendersi dinanzi al giudice
inquisitoriale e quando arrivava la sentenza finale, l’Inquisizione si limitava a dire al popolo
(considerato ancora come pubblico, platea) “sentite, questo ha commesso questo peccato,
si è pentito o non, ha pronunciato l'abiura o non, lo condanniamo in questo modo”, cioè si
limitava a dare delle sue procedure un racconto sintetico, strettissimo, lineare, privo di
qualsiasi forma di controversia, quindi evitava di far nascere qualsiasi tipo di dubbio nel
pubblico→ chi leggeva una sentenza inquisitoriale pubblicata, aveva una storia brevissima
sviluppata in poche pagine (circa 4-5, 10 nel peggiore dei casi) in cui c’era un criminale che
aveva commesso un criminale, un pentimento e una punizione.
Dopo il processo a Cagliostro, l’Inquisizione decide di pubblicare un trattato di oltre 200
pagine intitolato “Compendio della vita, delle gesta, dei crimini di Giuseppe Balsamo
meglio conosciuto come Conte di Cagliostro”. In questo trattato c’è la ricostruzione
dettagliata di tutto il processo, con tutte le contraddizioni che ne avevano fatto parte; quindi,
c’è la versione di chi riteneva che lui fosse Giuseppe Balsamo, criminale palermitano,
capace di creare sconquassi in tutta la Sicilia e attraversare mezza Europa e la versione
dello stesso Cagliostro, secondo cui non è Giuseppe Balsamo ma figlio di una famiglia
nobile, abbandonato all’età di 3 anni e cresciuto con un precettore con cui ha girato mezza
Europa.
Dunque, ci sono 2 versioni dei fatti completamente contrastanti, che iniziano a scontrarsi
nello spazio pubblico e che generano nell’opinione pubblica un disorientamento enorme.
Perché l’Inquisizione decide di spiattellare al pubblico di tutta Europa (visto che poi,
nel giro di poche settimane,il trattato viene anche tradotto) tutte le asimmetrie di un
processo così complesso che aveva portato alla condanna un personaggio come
Cagliostro?
L’Inquisizione decide di farlo perché si rende conto dell’ormai raggiunta inefficacia del suo
modo di comunicare precedente, cioè la semplice pubblicazione sintetica della condanna
non avrebbe funzionato perché nessuno ci avrebbe creduto ma tutti si sarebbero posti nella
posizione di cercare altre verità e altri aspetti della vicenda→ è un'Inquisizione che non ha
più, insieme alla Chiesa, la pretesa di poter controllare l’opinione pubblica dall’alto
immettendo tra il pubblico europeo dei messaggi totalmente lineari che si pretendeva
avessero un ruolo integralmente pedagogico ma è un’Inquisizione che capisce che
l’opinione pubblica, nell’epoca della Rivoluzione, va sfidata. Quindi, bisogna partire dal
presupposto che ci sono già altre cose che le persone pensano su qualcuno e che bisogna
convincerli del contrario. È come se uno dicesse: “”stiamo facendo una guerra.. cosa
facciamo? Raccontiamo alle persone una sola versione dei fatti o mettiamo insieme diverse
versioni, facendo in modo che le persone possano costruirsi una loro opinione sulla base di
racconti che sono in competizione tra loro?”. Nel 1789, l’Inquisizione si rassegna al fatto che
non ci può essere una sola visione della storia, che un messaggio integralmente pedagogico
e orientato in un’unica direzione sulla figura di Cagliostro non è possibile. Perciò, bisogna
offrire al pubblico una visione complessa delle cose che soddisfi la curiosità dilagante, che
attraversa i pubblici europei intorno alla figura del singolo personaggio.
In ultima analisi, quale idea si cerca di far transitare alla fine? Cercano di far transitare l’idea
della teoria del complotto, cioè cercano di far transitare l’idea secondo cui Cagliostro non è
un semplice criminale come tanti altri, ma possiede in sé un potere enorme messo
integralmente al servizio del male. Il male per la Chiesa è stare dalla parte della Rivoluzione.
Però, quello che dobbiamo capire è che le mitografie hanno una radice e quando si parla di
“radici delle mitografie”, bisogna anche capire chi ha gettato i semi per costruire quelle radici
e poi l’albero intero che diventa sempre più grande e forte e che sviluppa i rami→
MITOGRAFIE= ALBERI CHE SVILUPPANO RAMI.
Chi ha gettato i semi per questi alberi?
Quando ci troviamo dinanzi a personaggi eroici ed epici, attribuiamo loro la capacità di
produrre nelle loro vite degli effetti che andrebbero al di là delle capacità di un normale
essere umano.Nel caso specifico di alcuni personaggi che sono legati a grandi eventi e
traumi storici, noi tendiamo a chiudere nella biografia individuale o limitata di un piccolo
gruppo effetti enormi su intere società, su intere civiltà e su interi sistemi politici.
Va da sé che, parlando di “Rivoluzione francese", ci troviamo di fronte ad un trauma enorme
che è stato generato da squilibri di carattere politico, economico,culturale, religioso,
questioni riguardanti la destrutturazione dell’immagine della monarchia, la perdita di fiducia
da parte del popolo francese in chi lo guida o chi dovrebbe guidarlo, crisi di
approvvigionamento, mancanza di grano, di pane, incapacità da parte del sovrano di
risolvere alle esigenze di un intero paese… quindi processi lentissimi, ampi, collettivi, che
coinvolgono milioni di persone.
La teoria del complotto, che la Chiesa di Roma mette in circolazione tra il 1789 e il 1791
(quando Cagliostro viene condannato), invece tende a trasferire le responsabilità di un
trauma storico così grande su una singola persona o su un gruppo molto ristretto che si
ritiene abbiano il potere di influenzare con la loro parola, il loro gesto, la loro iniziativa milioni
di altre persone. È quasi come se, attraverso la teoria del complotto,si tendesse a
semplificare in maniera estrema la percezione di un trauma che, in caso contrario,
richiederebbe un enorme sforzo cognitivo.
Però il trasferimento dal collettivo all’individuale, della teoria del complotto, è un
trasferimento che avrebbe come obiettivo quello di dare la colpa ad un singolo personaggio.
L’effetto però è molto molto paradossale, contrario, a quello sperato dalla Chiesa:si era
pensato di scaricare le colpe, le responsabilità di un trauma epocale su una singola persona;
in realtà, però, implicitamente e inconsapevolmente riconosce a quella stessa persona un
potere enorme, gli dà delle capacità straordinarie che hanno letterariamente un potenziale
enorme. È come se la Chiesa dicesse che Cagliostro non è un essere umano come gli altri
ma è uno che è stato in grado di creare uno sconquasso enorme e far saltare in aria un
sistema che stava in piedi da secoli. La Chiesa lo dice per condannarlo ma ottiene l’effetto
opposto, perché tutti quelli che leggono la storia che la Chiesa pubblica pensano “wow è
riuscito a fare tutto ciò”. Quindi il paradigma che sarebbe dovuto essere denigratorio, diventa
celebrativo.
Se leggiamo i romanzi di Dumas, che vengono pensati e sviluppati 40-45 anni dopo la
condanna ecclesiastica, ci rendiamo conto che Dumas di Cagliostro dice esattamente la
stessa cosa ma con intenti opposti.
La chiave è cercare anche di capire come i linguaggi letterari e le mitografie vanno
interpretati: la Chiesa voleva condannare ma finisce involontariamente per celebrare→vuole
condannare in maniera aperta, quindi rinnegando se stessa, facendo una cosa che prima
non aveva mai fatto e sfidando l’opinione pubblica. Però, senza volerlo, dà all’opinione
pubblica tutti gli elementi necessari per iniziare a costruire il mito.
L’elemento straordinariamente evidente è la vicinanza tra il racconto di Cagliostro che
l’Inquisizione offre al pubblico e la ricostruzione romanzesca che ne fa 45 anni dopo. Quindi,
Dumas è uno di quelli che guadagna grazie al mito di Cagliostro, ma quel mito è nato nella
penna e nelle carte di coloro che lo volevano morto. Questo è uno dei portati più pesanti
della rottura rivoluzionaria di fine 700 e della caduta dell’Antico Regime.
Le opinioni pubbliche ormai esplodono, non si controllano più e la Rivoluzione era stata il
risultato di un enorme impulso partecipativo che attraversava la società francese e rende
condivisa un’idea di base: noi abbiamo il diritto di essere rappresentati e dire la nostra. Ad
un certo punto, i rappresentanti del terzo stato raccolgono i quaderni delle doglianze
dell’intera società francese. I quaderni delle doglianze vengono prodotti nelle singole
comunità, quindi in ogni singola comunità c’è una piccola assemblea che lascia memoria
scritta di tutte le cose che non vanno bene. Tali cose vengono portate nell’Assemblea
nazionale e al cospetto del re.
Quando il rapporto tra i rappresentanti del governo rivoluzionario e il re precipitano, il re
viene ammazzato, condannato a morte. Dietro il re, viene condannata a morte anche Maria
Antonietta.
Su Maria Antonietta circolano molte leggende. Una di queste, quella più significativa,
riguarda una frase che lei avrebbe pronunciato di fronte a dei rappresentanti del governo
che le dicevano “sua maestà il popolo ha fame, che facciamo?” e lei avrebbe risposto
“dategli da mangiare delle brioches”.
Tale leggenda dimostra il totale distacco, l’indifferenza della corona rispetto ai bisogni del
popolo. Questo, però, ci dice molto sul funzionamento delle opinioni pubbliche in Antico
Regime e come si evolvono dall’inizio dell’età moderna fino alla fine.
Anche il capovolgimento di prospettiva che interessa un personaggio celebre come
Cagliostro è tipico di quell’energia che attraversa l’opinione pubblica; l’energia è l’elemento
che porta a capovolgere dei paradigmi che si ritengono essere non capovolgibili, intoccabili.
L'Inquisizione è fiduciosa nel fatto di poter affermare un’idea ed è fiduciosa nel fatto che
quest’idea possa diventare condivisa. Ma, in realtà, diventa condivisa con dei risvolti
totalmente opposti a quelli desiderati: Cagliostro viene etichettato come il protagonista di tutti
i mali possibili; così facendo però, per lo stesso potere che gli è stato conferito, diventa
l’artefice di un cambiamento epocale.
Probabilmente Cagliostro era un tizio che andava semplicemente alla ricerca di una
notorietà e un benessere che lui non poteva avere nella sua vita.
13 APRILE
● Perché la storia di Cagliostro ci offre l’opportunità per leggere la Rivoluzione
francese, la fine dell’Antico Regime, il tramonto di un’intera epoca e di un intero
sistema politico?
● Com'è che questo sistema politico è arrivato al collasso?
Ritornando ai protagonisti
Tra i protagonisti, troviamo Madame de la Motte: una nobildonna che in realtà non era
effettivamente tale,ma era nata in condizioni di miseria e grazie ad un matrimonio con un
militare molto in vista riesce ad acquisire un titolo nobiliare (in Antico Regime i titoli nobiliari,
grazie a delle operazioni acrobatiche e spericolate, si possono anche acquisire). Madame de
la Motte conosce i due gioiellieri che hanno prodotto la collana e che sono disposti a tutto
pur di venderla. Decide di cogliere l'occasione per iniziare a intessere i rapporti all’interno
della corte di Francia per conquistarsi anche un'importanza che fino a quel momento non
aveva avuto.
ll primo personaggio che si approssima a lei è il cardinale di Rohan: gode di tantissimo
prestigio ma vorrebbe a sua volta avvicinarsi di più alla corte, alla famiglia reale e entrare
nelle grazie della regina. Madame de la Motte, secondo alcune delle ricostruzioni più
accreditate, fa credere al cardinale di Rohan che la regina sia interessata all’acquisto di quel
gioiello e di potersi fare mediatore di questo acquisto.
Perché la regina avrebbe bisogno di un mediatore? Perché sarebbe stato sconveniente,
pericoloso e per certi versi compromettente, che quella collana era al centro dei suoi
desideri; quindi, l’acquisto doveva avvenire nell’ombra, senza pagamenti diretti dell’intera
cifra e il cardinale doveva farsi garante presso i gioiellieri affinché loro cedessero la collana e
ricevessero pian piano la grande cifra.
È possibile che la corona con tutto questo scandalo c’entrasse ben poco? È plausibile
che c’entrasse ben poco e che lo scandalo fosse stato generato semplicemente dalla
spregiudicatezza, dalla volontà di arricchirsi e dalla volontà di impossessarsi del gioiello di
Madame de la Motte per lasciarlo vendere a qualcun’altro.
È possibile anche che il cardinale di Rohan e Cagliostro avessero delle mire sulla collana.
Ma, da un punto di vista storiografico, questi aspetti sono relativamente secondari. Ad
acquisire, invece, un’importanza primaria è un altro aspetto che riguarda l’evoluzione
dell’immagine della famiglia reale e della corona in una circostanza così delicata come
quella degli anni 80 del 700.
Indipendentemente dalla differenza profonda tra le diverse posizioni di Madame de la Motte,
il cardinale di Rohan e Cagliostro, c’è un’idea comune che emerge dalle loro memorie e
versione dei fatti. Quest’idea è fondata sul fatto che il desiderio della regina sia un desiderio
plausibile, cioè poteva accadere che la regina potesse concentrare le sue attenzioni
sull'acquisizione di un gioiello così prezioso ma inutile in un momento delicato per il suo
paese. ANZICHÈ PENSARE A SFAMARE IL POPOLO HA PENSATO AD INDOSSARE LA
COSA PIÙ PREZIOSA CHE SI POTESSE INDOSSARE.
Quest’idea è un’idea che transita, circola nello spazio pubblico negli anni 80 del 700 in
Francia e che comincia ad essere condivisa, intaccando in maniera profonda l’immagine
della corona stessa e la fiducia che i francesi hanno nella corona e, più in generale, riesce
ad intaccare in maniera profonda la fiducia che gli europei hanno nei loro governanti perché
la monarchia francese è sì unica, ma copre anche un ruolo simbolico e paradigmatico per gli
equilibri dell’intero continente. Perciò, perdere fiducia in una dinastia così prestigiosa e
importante come quella francese significa legittimamente perdere fiducia nei governanti, nei
poteri legittimi, poter guardare alla loro azione come un’azione non finalizzata alla ricerca
della felicità dei sudditi ma come un’azione finalizzata alla ricerca dell’arricchimento
personale.
Questi passaggi, per quanto delicati, sono passaggi che devono essere compresi. Solo
comprendendoli bene, possiamo arrivare a capire come tra il 1792 e il 1793- dopo la prima
fase della Rivoluzione francese- si arrivi a un processo inventato ai danni di Luigi XVI di
Borbone e sua moglie Maria Antonietta per tradimento nei confronti della nazione francese.
Perché parliamo di “nazione francese”? Perché il popolo ha cominciato a pensare se stesso
in maniera diversa: non più come corpo di sudditi, destinati ad obbedire e rispettare chi
regna ma comincia a pensarsi come corpo di cittadini che, nella loro individualità e
dimensione collettiva, sono padroni del proprio destino, devono decidere sul destino della
nazione. Cominciano a capire di avere un destino comune e che questo destino comune
risiede nella loro decisione→ sono loro a prendere le decisioni importanti per farlo sviluppare
e portarlo verso determinati esiti.
Non è un caso che, nel 1789, fu pubblicata una Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del
cittadino.
Ruolo che aveva avuto il popolo già prima della rottura del 1789, in
occasione dei scandali giudiziari che avevano visto coinvolti degli
imputati e, insieme a questi, l’intero popolo
Nei momenti più delicati della sua esistenza, in cui è costretto a sottoporsi al giudizio di un
tribunale, Cagliostro comincia a far circolare clandestinamente delle lettere che
probabilmente scrive lui in prima persona e che indirizza al popolo; in Inghilterra aveva fatto
circolare una lettera al popolo inglese, in Francia aveva fatto circolare una lettera al popolo
francese… in realtà, però, con queste lettere Cagliostro parla ai popoli europei e chiede
giustizia al popolo, non all’autorità del monarca; è agli occhi del popolo che si ritrae come
una vittima degli abusi dell’autorità, come una persona bisognosa di aiuto e non agli occhi
del potere costituito. Questo è un aspetto cruciale perché ci permette di comprendere come
intorno ad un personaggio come Cagliostro l’opinione pubblica cominci a muoversi,
sviluppando dissenso, consenso,assenso, supporto, denigrazione o celebrazione. Quindi,
l’opinione pubblica si muove intorno a questi personaggi e comincia a decidere di se stessa
e del destino della collettività.
Allora quando noi leggiamo della Rivoluzione francese sui manuali, cerchiamo sempre di
decifrare i messaggi che ci vengono dati alla luce di quello che era avvenuto prima della
Rivoluzione francese. Secondo uno dei più importanti storici della Rivoluzione francese,
Michel Vovelle, la Rivoluzione francese è stata innanzitutto un grande luogo di
apprendistato della politica: in questi 10 anni rivoluzionari (dal 1789 al 1799), i francesi e
con loro i popoli europei avrebbero imparato a capire che cos'è la politica, il dibattito e il
confronto politico. Lo avrebbero fatto anche attraverso l’uso della violenza, anche
affrontando momenti di gravissima repressione→ dal 1793 in poi, nel mondo rivoluzionario,
si parla di “terrore” e “governo del terrore”, quindi repressione del dissenso attraverso l’uso
della violenza. A sua volta, però, anche il governo del terrore sarebbe stato a sua volta
sottoposto ad un giudizio popolare e quindi ad un’evoluzione diversa che era pronta a
rileggere di volta in volta alcuni paradigmi, ri-applicarli e dunque a sottoporli ad una revisione
profonda.
È importante comprendere quanto questi passaggi siano delicati e che l’osservazione del prima
si accompagni sempre all’osservazione del dopo → i meccanismi di Antico Regime si destrutturano
ancor prima dello scoppio della Rivoluzione del 1789. Scandali come quello in cui è
coinvolto Cagliostro, cioè lo scandalo della collana della regina, contribuiscono a mutare la
struttura genetica, il DNA, il tessuto profondo della società francese prima della Rivoluzione.
La figura di Napoleone
Anche la figura di Napoleone merita una considerazione che però non è stretta all’interno del
contesto rivoluzionario, ma è più ampia.
Napoleone è un borghese, non un nobile, proviene dalla Corsica: una regione che -alla fine
del 700- aveva addirittura rivendicato una sua autonomia nei confronti della Francia e del
potere monarchico francese. Riesce a farsi strada all’interno del contesto rivoluzionario
grazie alle sue doti militari; però, anche queste sono doti che gli permettono di avere una
visibilità agli occhi dell’opinione pubblica e quindi,in ultima analisi, agli occhi occhi del
popolo.
Chi è che in Antico Regime occupava i ruoli radicali all’interno dei quadri gerarchici
dell’esercito? Coloro che erano nati all’interno di famiglie nobili, aristocratiche.
L’esercito era lo specchio delle aristocrazie e delle élites; quindi, chi ricopriva un ruolo
importante nelle aristocrazie e nelle élites, ricopriva quasi automaticamente un ruolo
altrettanto importante nei quadri gerarchici dell’esercito.
Nel corso della Rivoluzione, anche l’organizzazione dei quadri militari cambia in maniera
radicale perché andare ad occupare un ruolo importante in un esercito rivoluzionario,
significa avere avuto dei meriti, aver avuto la capacità di mettersi in luce, dimostrando sul
campo le proprie abilità e perciò avere la ricompensa per l'esercizio di quelle abilità→
ancora una volta vediamo che al centro vengono messe le doti personali, l'intraprendenza, la
capacità di mettersi in luce e lo sguardo dell’opinione pubblica e del popolo.
Napoleone non nasce già generale, ma lo diventa; non nasce capo militare ma lo diventa.
Diventando capo militare, ottiene quella visibilità e quel potere politico necessario per
affermarsi nel mondo francese e portare sul quadro più generale della gestione e del
governo della nazione le doti acquisite nel mondo militare.
Alla luce della domanda precedente, approfittiamo per fare un’altra osservazione:
● Cagliostro si faceva chiamare il “Conto di Cagliostro”;
● Madame de la Motte acquisisce il titolo di “contessa” a seguito del matrimonio con un
militare molto in vista
Queste persone sono ancora persone di Antico Regime. Ma Cagliostro infondo era
davvero un nobile? No, era una persona che aveva acquisito notorietà grazie a delle doti
personali straordinarie che non sempre potevano essere declinate in chiave positiva. Infatti,
molto spesso, si traducevano in imbrogli, imposture, illusionismi, acrobazie.
Cagliostro, però, era a sua volta l’esaltazione di un'individualità che probabilmente non
proviene dalla giusta famiglia ma ciò nonostante riesce a imporsi all’attenzione di tutti
europei, diventa la più grande celebrità del suo tempo, uno di cui tutti gli europei parlano.
Questo per dire che la Rivoluzione destruttura certe cose e porta nuove logiche,
completamente inedite per l’Antico Regime; però, già prima della Rivoluzione, quest’ascesa
prepotente agli occhi del pubblico e dell’opinione pubblica di personaggi come Cagliostro
faceva intravedere un cambiamento profondo in atto, che mette in primo piano le doti
personali.
Quindi, possiamo dire che Cagliostro si presenta come nobile agli occhi del popolo, è il
popolo che lo definisce come “Conte di Cagliostro”. Indipendentemente dal fatto che quel
titolo sia più o meno farlocco, usurpato, quello che conta è la grande capacità di movimento
che Cagliostro ha attraverso la società europea del tempo.
Se l’Inquisizione avesse avuto ragione, Cagliostro era da identificare con un criminale
palermitano di nome Giuseppe Balsamo. Se davvero Giuseppe Balsamo fosse riuscito ad
imporsi all’attenzione di tutta Europa, considerando il luogo da cui veniva, noi avremmo
dinanzi una storia che già di per sé destruttura le dinamiche e le gerarchie di Antico Regime.