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Appunti dal Libro:

Storia Diplomatica D’Europa


1815 - 1968
Scritto da: Laura Lomonaco
DICHIARAZIONE DI PRINCIPIO:
«AVENDO PRIMARIAMENTE A CUORE UNA FORMAZIONE QUANTO MIGLIORE
POSSIBILE PER LA COMUNITÀ DEGLI STUDENTI DELL’ATENEO FEDERICIANO,
L’ASSOCIAZIONE STUDENTI UNIVERSITARI A.S.U. SCIENZE POLITICHE, PER L’ATTIVITÀ
DI STUDIO, CONSIGLIA SEMPRE L’UTILIZZO DEI MANUALI E DEI TESTI UFFICIALI,
SICCOME ESSI HANNO L’ESCLUSIVO VANTAGGIO DI ESSERE DI PRECISA QUALITÀ
ACCADEMICA E DI FORNIRE, PERTANTO, IL NECESSARIO APPORTO CONTENUTISTICO E
LINGUISTICO RISPETTO ALLA MATERIA TRATTATA; QUALITÀ, QUESTA, CHE NON PUÒ
ESSERE COMPLETAMENTE SODDISFATTA CON LE COSIDDETTE ‘DISPENSE’ O CON I
‘RIASSUNTI’.
TUTTAVIA, AVENDO COSCIENZA DELLE DIVERSE ESIGENZE DIDATTICHE,
EVENTUALMENTE SCATURENTI DA ALCUNI STUDENTI, SOVENTE PER MOTIVI “DI
TEMPO” O SEMPLICEMENTE “PER SCELTA”, LA STESSA ASSOCIAZIONE CI TIENE A
METTERE A DISPOSIZIONE DI COSTORO DEL ‘MATERIALE DIDATTICO INFORMALE’, MA
COMUNQUE DI UNA CERTA RELATIVA CURA.
ASU CI TIENE A RENDERE NOTO A COLORO I QUALI SI SERVONO DELLE SUE
DISPENSE, RIASSUNTI E MATERIALE DIDATTICO INFORMALE, MESSI A DISPOSIZIONE,
CHE IL L O R O U T I L I Z Z O NON È E NON PUÒ E S S E R E ASSOLUTAMENTE
SOSTITUTIVO DEI MANUALI E TESTI UFFICIALI. L’ASSOCIAZIONE STUDENTESCA,
PERTANTO, SI SPOGLIA DI OGNI RESPONSABILITÀ DIDATTICA, SIA NEI CONFRONTI
DEGLI STUDENTI CHE NEI CONFRONTI DEI DOCENTI.

IL DIRITTO ALLO STUDIO UNIVERSITARIO CI STA A CUORE».


Storia diplomatica d’Europa
La ricerca dell’equilibrio (1815-1870)
La Questione d’Oriente
Il congresso di Verona del 1822 si era occupato principalmente del problema spagnolo, e
non della sollevazione greca o dell’intera Questione d’Oriente, preoccupazione continua
per la diplomazia europea. La questione riguardava il destino dell’impero ottomano.
La base principale dei turchi era fuori dall’Europa, fatto accentuato dal contrasto tra la loro
religione islamica e il cristianesimo europeo. Mentre la potenza Europea cresceva quella
ottomana iniziò un processo di decadenza, e Russia e Asburgo collaborarono per
respingere la dominazione turca. Con il trattato di Carlowitz nel 1699 si ebbero consistenti
progressi austriaci e russi. L’altra potenza europea che aveva interessi nel Vicino Oriente
era la Francia; anche gli inglesi avevano determinati interessi che rimasero però
secondari. L’impero ottomano rimase estraneo alla grande crisi europea che finì nel 1815,
non fu influenzato dalle idee rivoluzionarie francesi, sebbene se ne avvertissero alcune
deboli ripercussioni tra i popoli balcanici assoggettati. La Questione ottomana non fu
discussa al Congresso di Vienna in omaggio ai desideri russi, ma ciò non significò che non
ci si rendesse conto dell’importanza del problema turco. I territori ottomani erano ancora
molto vasti: si estendevano dai Balcani d’Europa a tutto il Vicino Oriente. L’episodio
napoleonico ebbe l’effetto di aumentare la consapevolezza inglese dell’importanza del
Mediterraneo Orientale e dopo il 1815 la Gran Bretagna conservò le basi di Malta e delle
isole Ionie. All’inizio del XIX secolo quattro potenze avevano interessi precisi riguardo la
Questione d’Oriente: Russia, Austria, Francia, Inghilterra.
Nell’evoluzione della Questione d’Oriente stava anche un altro elemento: i popoli balcanici
avevano conservato in gran parte la propria religione, il cristianesimo greco-ortodosso.
Data la natura dello stato ottomano, in cui il sultano era anche il califfo e il Corano la base
del diritto, i sudditi cristiani non potevano essere soggetti alla legge islamica e la loro
posizione veniva assicurata da un sistema per cui lo Stato riconosceva l’esistenza di
comunità alle quali andava applicata un tipo di legge diversa: il capo della comunità
cristiana era il patriarca greco di Costantinopoli, funzionario importante dello stato
ottomano. Ma questi popoli avevano in comune la fede cristiana e l’avversione alla
dominazione turca, per il resto differivano profondamente tra loro. Man mano che il
successo della lotta alla dominazione turca si profilava, aumentavano anche le reciproche
divergenze. Le relazioni internazionali agivano quindi sulla situazione balcanica in due
settori: quello locale, e quello europeo, in cui erano impegnate le grandi potenze alla
difesa e alla promozione dei loro rispettivi interessi e alla composizione delle loro rivalità in
modo da impedire aperti conflitti tra loro. I popoli e gli Stati balanici assunsero la posizione
di pedine o clienti delle grandi potenze e a loro volta loro avevano la possibilità di sfruttare
le rivalità tra gli Stati più grandi. La Russia godeva di una posizione unica rispetto alla
Questione per via della comunità religiosa e perché gran parte dei popoli balcanici erano
slavi. Mosca non avrebbe esitato a rivendicare il proprio diritto di agire come protettrice dei
fratelli cristiani e slavi e quest’arma poteva essere usata quando fosse utile per perseguire
l’intento di ottenere il controllo degli Stretti o un libero passaggio attraverso di essi. Con la
scomparsa di qualsiasi minaccia da parte dei turchi, Austria e Russia entrarono in
competizione per ottenere questi obiettivi; ma l’opposizione più radicale al controllo russo
degli Stretti sarebbe venuta dalla Gran Bretagna, e su questo l’interesse francese
corrispondeva con quello inglese, su altre questioni invece erano in contrasto. La
Questione d’Oriente giunse ad essere caratterizzata da una serie di contrasti stabili:
austro-russo (costante), anglo-russo, anglo-francese (in determinate occasioni e su
problemi specifici le parti potevano accordarsi). In ogni caso, nei Balcani l’Inghilterra non
aveva interessi diretti e la Francia aveva interessi scarsi.
Le rivendicazioni cristiane contro la dominazione turca e le nazionalità lottanti per
l’indipendenza costituirono gli elementi principali che hanno fornito l’occasione di sviluppi
specifici, crisi e guerra e di un’intensa attività diplomatica delle potenze. Già nel 1815 il
piccolo nucleo della Serbia si era assicurato una certa autonomia, il primo grande
mutamento poi si verificò in Grecia.

L’insediamento francese in Algeria


L’impero ottomano aveva subito la perdita della Grecia e di qualche altro territorio, ma era
riuscito a sfuggire ad una spartizione. Tuttavia, dalla situazione greca derivò la questione
egiziana.
La conquista francese dell’Algeria ebbe scarse conseguenze su Costantinopoli. L’intera
costa nordafricana, salvo l’Egitto, era divenuta praticamente indipendente sotto il dominio
dei potentati locali, sedi di corsari barbareschi le cui attività erano fonte di preoccupazione
per le nazioni marittime inclusi gli Stati Uniti, e nel 1816 una flotta britannica sotto il
mandato europeo del congresso di Vienna aveva bombardato Algeri. Lì i francesi avevano
interessi commerciali, e nel 1830 il governo francese di Carlo X conquistò Algeri per dare
una dimostrazione di forza, anche se la motivazione più profonda era di ricorso ad una
diversione estera per risolvere problemi di politica interna, senza buoni risultati, Carlo X
dovette abbandonare il trono poco dopo. Luigi Filippo, suo successore, decise di rimanere
ad Algeri, ma passarono diversi anni dopo che decise di ampliare la sua base iniziale: nel
1837 conquistò Costantina, con l’inizio della politica nordafricana che avrebbe portato poi
alla formazione di un vasto impero. La spedizione algerina non portò conseguenze di
politica internazionale; solo l’Inghilterra fece un debole ed insufficiente tentativo di
opposizione. Su una sola condizione insistette: la conquista francese doveva limitarsi
all’Algeria e non estendersi alla Tunisia o al Marocco, desiderando l’Inghilterra conservare
il controllo dell’accesso occidentale a quel mare e dello stretto di Sicilia, che garantiva il
suo possesso di Gibilterra e di Malta.

Le origini della guerra di Crimea


La Questione d’Oriente assorbì per un certo periodo, nuovamente, l’attenzione
dell’Europa, con la questione del “litigio d monaci”, che portò ad un conflitto per nulla
necessario. L’assetto dell’intero Vicino Oriente era stato definito nel 1840, gli sforzi
dell’impero ottomano per riprendersi non avevano successo e il problema del suo destino
continuava ad essere una preoccupazione per le potenze. La situazione restò ferma per
l’intero decennio 1840-50 e il grande sconvolgimento del 1848 non ebbe ripercussioni in
Turchia. L’intervento russo nei principati come in Ungheria rappresentò un episodio di
carattere temporaneo per reprimere la rivoluzione.
All’inizio del nuovo decennio le cose iniziarono a cambiare; il litigio dei monaci venne per
primo: sorse dal fatto che Gerusalemme sia città sacra per i cristiani, e che i cristiani
appartengano a diverse denominazioni. Agli occhi dei musulmani i cristiani occidentali
erano i Franchi, e il re di Francia aveva ottenuto il diritto di rappresentare e proteggere i
cristiani dell’impero ottomano. I cristiani orientali (greci) si aspettavano che lo zar di Russia
rendesse loro un servizio analogo, e ciò accadde quando la potenza russa cominciò ad
affermarsi contro gli ottomani. A Gerusalemme i monaci di due denominazioni cristiane, la
cattolica e la greca, si dividevano la cura dei Luoghi Santi. Dagli anni ’30 si potrebbe
parlare di una specie di offensiva cattolica, che assunse a Gerusalemme la forma di una
più intensa attività degli ordini cattolici. Questo era motivo di litigio, e questa situazione
costituì un pretesto per un intervento esterno russo. Non mancavano interessi concreti
oltre a quelli religiosi: il commercio russo stava crescendo e consisteva principalmente
nell’esportazione di grano nel Mar Nero e nell’importazione di merci manufatte in gran
parte inglesi, il che aumentava l’importanza degli Stretti. L’iniziativa russa ampliò la
questione perché lo zar cominciò a concepire larghi progetti riguardanti l’impero ottomano.
Un drastico mutamento della situazione avrebbe con ogni probabilità suscitato
l’opposizione inglese, giacché l’Inghilterra aderiva sistematicamente alla politica
dell’integrità ottomana. Lo zar quindi parlò della questione con l’ambasciatore britannico al
principio del 1853. M i progetti russi non erano precisi e prevedevano di tastare il terreno:
se l’Inghilterra avesse consentito la Russia sarebbe potuta giungere a guerra con la
Turchia, e ciò avrebbe potuto portare all’eliminazione dei Turchi dall’Europa. La Gran
Bretagna non accettò queste proposte ma non le respinse nettamente, il che consente di
sostenere che la Russia fu indotta in equivoco.
Giunse a Costantinopoli la notizia del prossimo arrivo di una speciale missione da
Pietroburgo. Alla fine di febbraio il principe Mensikov giunse, e dato lo spiegamento di
forze e la personalità del delegato russo era assai poco convincente la spiegazione che
egli doveva risolvere soltanto questioni secondarie e gli incaricati d’affari inglese e
francese segnalarono l’allarme. Il ministro degli esteri inglese non si allarmò mentre quello
francese era propenso a considerare con maggiore serietà la faccenda. Mensikov
perseguì il suo intento: la Russia rivendicava un diritto permanente di intervento. Il sultano
non cedette, e, sostenuto dall’Inghilterra, rifiutò la richiesta russa. Lo zar decise di
occupare i principati; contemporaneamente la flotta britannica e francese vennero inviate
alla baia di Besika, pronte ad entrare negli Stretti. L’aggressione russa aveva incontrato la
resistenza dell’Inghilterra alla quale la Francia si associò, nonostante nessuna delle
potenze avesse la volontà di entrare in guerra. L’Austria non partecipò mai attivamente al
conflitto e Vienna rimase il centro dell’attività diplomatica degli antagonisti: il risultato fu la
“nota di Vienna”, documento che cercava di dare soddisfazione ai russi in maniera non
inaccettabile per i turchi.

La diplomazia della guerra di Crimea


Lo zar sarebbe stato soddisfatto, ma la risposta turca era un documento abilmente scritto
che rovesciava l’intento della nota, versione inaccettabile per i russi; la tensione a
Costantinopoli cresceva. Il 4 ottobre i turchi dichiararono guerra alla Russia, le flotte
britannica e francese entrarono negli Stretti e a gennaio del 1854 passarono nel Mar Nero.
Il 27 febbraio le potenze inviarono un ultimatum richiedendo l’evacuazione dei principati, a
cui non si ebbe risposta. Inghilterra e Francia in alleanza formale dichiararono guerra alla
Russia alla fine di marzo. La questione su cui si battevano era il fatto che l’Inghilterra non
intendeva permettere certi sviluppi dell’espansione russa. Bisognava però trovare un
campo di battaglia e le potenze occidentali possedevano le flotte, quindi dovevano essere
loro a portare la guerra in Russia; il logico punto di incontro erano i principati.
Il comportamento dell’Austria era importante per i belligeranti. Questa strinse un’alleanza
con la Prussia ad aprile, secondo la quale i due stati si garantivano reciprocamente i loro
territori e si impegnavano ad opporsi all’espansione russa. L’Austria mobilitò le sue forze
ed esercitò pressione sulla Russia con l’effetto di spingere questa ad evacuare i principati,
dove il posto venne preso dagli austriaci. A Vienna venne raggiunto un nuovo accordo tra
l’austriaco Buol e i rappresentanti francese e inglese, che avrebbe costituito la base dei
negoziati con la Russia. I Quattro Punti di Vienna stabilivano un protettorato collettivo sui
principati, libera navigazione delle bocche del Danubio, revisione della convenzione degli
Stretti del 1841 ponendo la fine alla preminenza russa nel Mar Nero, e rinuncia della
Russia alla pretesa esclusiva di proteggere i sudditi cristiani del sultano al posto della
quale sarebbero stati presi accordi collettivi. Le proposte non vennero però accettate dalla
Russia, quindi gli Alleati decisero di portare la guerra in Crimea, e furono in grado di
imporsi ai russi sul loro terreno.
Il protrarsi delle ostilità intensificò il compito della diplomazia alleata ad ottenere l’aiuto
dell’Austria. I dirigenti della politica austriaca erano divisi tra chi favoriva l’intervento e chi
supportava la stretta di un accordo diretto con la Russia; inoltre l’Austria aveva il timore
che se fosse entrata in guerra, malgrado l’alleanza, la Prussia potesse trarre vantaggio
dalla situazione. Queste circostanze erano favorevoli alla partecipazione di un nuovo
contendente, la Sardegna, che non aveva alcun motivo di far guerra con la Russia poiché
Cavour era interessato a questioni assai più vicine al suo paese, ma avrebbe potuto
essere usata come strumento per esercitare una pressione sull’Austria, al cui aiuto veniva
attribuita maggiore importanza. Il 2 dicembre 1854 l’Austria entrò in un’alleanza offensiva
e difensiva con l’Inghilterra e con la Francia, ma non ottenne la garanzia dei suoi possessi
italiani; la notizia, non gradita a Cavour, lo portò sotto pressione delle potenze occidentali
ad entrare in guerra il 26 gennaio 1855. In quel mese lo zar Nicola decise di accettare i
Quattro Punti di Vienna, a inizio marzo lo zar Nicola morì e il 15 marzo si riunì a Vienna
una conferenza in cui i rappresentanti si incontrarono con Buol ma l’incontro si mostrò
privo di risultati poiché Gorcakov, delegato russo, non era disposto ad accettare la
limitazione della potenza russa al Mar Nero. Verso la fine del 1855 l’Austria pose la Russia
dinanzi ad un ultimatum, pressione sufficiente a determinare l’accettazione russa dei
Quattro Punti di Vienna.

Il congresso di Parigi
I rappresentanti delle potenze di riunirono nel Congresso di Parigi il 25 febbraio, e il primo
atto fu la conclusione di un armistizio. Il trattato finale venne firmato il 30 marzo.
I Quattro Punti di Vienna costituirono la base del nuovo assetto: la Russia perdette
l’accesso al Danubio perché privata della piccola striscia di territorio tra la bocca
settentrionale del fiume e il Prut, che fu garantita alla Moldavia. Nulla rimase della pretesa
russa di possedere diritto esclusivo di protezione dei cristiani, mentre le potenze
proclamarono di non voler intervenire tra il sultano e i suoi sudditi. L’Impero Ottomano fu
formalmente riconosciuto come un membro del Concerto europeo. I principati e la Serbia
si videro garantiti i loro privilegi pur rimanendo sotto la sovranità turca. Venne costituita
una commissione delle potenze firmatarie incaricata di controllare le bocche del Danubio,
alla navigazione del quale vennero applicate le clausole dell’Atto di Vienna del 1815
riguardo i fiumi internazionali. La clausola più significativa era quella che stabiliva la
smilitarizzazione del Mar Nero, che sanzionò la pienezza della sconfitta russa.
Il Congresso di Parigi rappresentò un episodio assai importante nella Questione d’Oriente,
con lo scacco alla Russia e l’ingresso nel Concerto delle potenze dell’impero ottomano.
Effetti più precisi rispetto a quelli del Congresso si ebbero con le clausole riguardanti il
diritto marittimo firmate il 16 aprile dalle potenze, che diedero contribuiti validi allo sviluppo
del diritto internazionale.
Nella sfera di competenza del Congresso era di esaminare tutti i problemi che
interessavano l’Europa, dunque anche la questione italiana, anche se ci si limitò a
constatare l’esistenza di un problema italiano.

Il canale di Suez
L’evento di maggiore significato nel Vicino Oriente fu l’apertura del Canale di Suez. La
costruzione di questa via marittima non era un’idea nuova, ma le si attribuì nuova
importanza per via del grande sviluppo degli scambi commerciali del XIX secolo. Il
diplomatico ed ingegnere francese Ferdinando de Lesseps riuscì ad ottenere da Mehmet
Said, capo dello Stato egiziano, nel 1854, la concessione per costruire un canale. Si
trattava di un’impresa privata e la Compagnia del canale avrebbe avuto un consiglio di
amministrazione internazionale il cui presidente sarebbe stato della nazione che forniva la
maggiore aliquota di capitale. Ciò toccava l’Inghilterra, i cui interessi erano maggiori
rispetto agli altri paesi. Palmerston era contrario al progetto e tentò di opporvisi, sebbene
certi interessi britannici considerassero il progetto positivamente. Napoleone dapprima
sembrò interessarsi poco alla faccenda, ma quando le azioni del canale vennero poste in
vendita sui vari mercati finanziari d’Europa, la Francia si assicurò il controllo della
compagnia. Nel 1862, dopo iniziali tentativi di opposizione, l’Inghilterra cambiò posizione e
cercò di ottenere garanzie che il canale non sarebbe servito di base per l’estensione degli
interessi politici francesi. Il Canale di Suez venne aperto nel novembre del 1869: in certa
misura il canale restituì al Mediterraneo la posizione che aveva avuto come strada
maestra del commercio con l’Oriente. L’Inghilterra era ora la grande nazione commerciale
e doveva considerare il Mediterraneo con maggiore attenzione, anche se gli sviluppi degli
eventi mediterranei del decennio 1860-70 non provocarono attriti importanti tra le potenze.

La Francia e la Questione tedesca


La Francia e la guerra austro-prussiana
Inghilterra e Russia mantennero un atteggiamento passivo di fronte al possibile scontro tra
Austria e Prussia, mentre i dubbi maggiori riguardavano la Francia. La politica francese in
questo momento e fino alla guerra franco-prussiana può essere definita solo come
incompetente, in evidente contrasto con l’eccezionale abilità diplomatica di Bismarck. Il
motivo era che questa fosse completamente nelle mani dell’imperatore. A mitigare il
giudizio su Napoleone si può dire che i suoi calcoli erano basati su valutazioni inesatte,
ma non irragionevoli. Il suo incoraggiamento all’alleanza italo-prussiana fu però un errore.
Il piano dell’imperatore francese era di riorganizzare l’Europa centrale con un
ingrandimento prussiano limitato al Reno, ma equilibrato da uno Stato austriaco; gli Stati
tedeschi meridionali avrebbero potuto formare un terzo blocco entro il quale l’influenza
francese avrebbe potuto penetrare sostenendone l’indipendenza contro gli altri due; e la
Francia avrebbe ricevuto qualche compenso sul Reno. Nei negoziati con Bismarck prima
dello scoppio della guerra però non ottenne alcun impegno in cambio della promessa
francese di neutralità, salvo la dichiarazione che compensi alla Francia a spese del
territorio tedesco non erano possibili. La guerra a Sadowa poi distrusse il presupposto di
un’eguaglianza di forze austro-prussiana. Rimaneva la possibilità di un intervento armato
o la minaccia di esso, analogo alla mobilitazione prussiana del 1859. Il 5 luglio Napoleone
si limitò ad una politica di intervento diplomatico: l’ambasciatore francese in Prussia vide
Bismarck durante i suoi negoziati con gli austriaci: le sue istruzioni erano di ottenere
qualche compenso e offrì a Bismarck una serie di possibilità. Bismarck non volle contrarre
i confini tedeschi ma non si oppose totalmente a tutte le possibilità. In agosto non era stata
raggiunta alcuna conclusione. Bismarck giunse alla conclusione che un conflitto con la
Francia era necessario per il completamento del suo piano generale, e dunque dovette
prepararsi a questo.
La Questione del Lussemburgo
Il conflitto franco-prussiano che andava delineandosi fu la questione che impegnò la
diplomazia europea in questo periodo. Napoleone persisteva con la sua ricerca di
consensi; la riorganizzazione della Germania venne effettuata all’inizio del 1867 e gli offrì
una possibilità: la Confederazione tedesca del Nord non comprendeva il granducato di
Lussemburgo, di cui era sovrano il re d’Olanda. Si intraprese un negoziato nel marzo
1867: in cambio di un pagamento in denaro, re Guglielmo d’Olanda era disposto a cedere
il Lussemburgo a Napoleone. Data la situazione del Lussemburgo bisognava ottenere il
consenso del re di Prussia alla transazione: dinanzi all’opposizione prussiana il re
d’Olanda ritirò la sua offerta. Ma quella che sembrò una crisi minacciosa della pace fu
superata quando Bismarck permise alla Francia di conseguire una sorta di vittoria
diplomatica.
In un eventuale scontro franco-prussiano il comportamento delle altre potenze era di
importanza fondamentale. Bismarck strinse un accordo con la Russia, secondo il quale
nell’eventualità di una guerra con la Francia, la Russia si impegnava a neutralizzare
l’Austria concentrando le sue truppe alla frontiera.
La ricerca di alleanze francese
La diplomazia francese fu impegnata per più di due anni a concludere un’alleanza con
l’Austria, basandosi sulla teoria che l’Austria avrebbe accolto la possibilità di vendicarsi
della sconfitta del 1866. Alla proposta di un’alleanza offensiva il cancelliere austriaco
Beust non era contrario; ma lo Stato asburgico stava subendo la trasformazione nella
duplice monarchia dell’Austria-Ungheria, nelle quali le due parti componenti avevano
posizioni eguali, e il primo ministro ungherese era più interessato alla situazione balcanica.
Quando Napoleone fece capire che alla Francia sarebbe andato il Reno e all’Austria la
Slesia, l’Austria rispose sollevando problemi balcanici, a cui la Francia era scarsamente
interessata: i negoziati si trascinarono e vennero estesi all’Italia, che per partecipare
all’alleanza pose la condizione di poter occupare Roma, richiesta inaccettabile per
Napoleone. L’alleanza austro-francese non si realizzò.
Il modo di vedere britannico era che non vi era motivo di assumere impegni preventivi. Alla
fine del 1869 non si era avuto nulla di concreto tranne la convenzione russo-prussiana del
’68, anno in cui Bismarck aveva ottenuto l’adesione degli Stati tedeschi meridionali
all’Unione doganale e la formazione di un parlamento dell’Unione doganale. Per la
Germania la guerra poteva essere il tessuto connettivo dell’Unione.

La guerra franco-prussiana
La candidatura di Hohenzollern in Spagna
Nel 1868 fu offerta la corona spagnola al principe Leopoldo di Hohenzollern-Sigmaringen.
Non ci si poteva aspettare che la Francia rimanesse indifferente e le sue obiezioni a tale
candidatura vanno considerate ragionevoli. Il rifiuto del principe avrebbe chiuso la
questione, se Bismarck non l’avesse resuscitata nel maggio 1870 provocando una nuova
offerta seguita da un’accettazione. La reazione francese fu di rigida opposizione, e la
Prussia si trovò di fronte alla scelta di una guerra o di subire una sconfitta diplomatica.
Con disappunto di Bismarck il re scelse la seconda, con il ritiro della candidatura del
principe Leopoldo. Nel tentativo di rendere maggiore la vittoria diplomatica francese,
vennero inviate istruzioni al diplomatico francese Benedetti di andare da re Guglielmo I a
garanzia che la questione non sarebbe stata ripresa, richiesta che fu rifiutata dal re.
Bismarck ebbe l’autorizzazione a pubblicare il dispaccio di Ems.
La guerra e i suoi effetti in Europa
I risultati furono quelli attesi da Bismarck. La decisione francese fu quella di fare la guerra,
che fu dichiarata il 19 luglio. La guerra rimase circoscritta ai due avversari e a rendere
doppiamente sicura la cosa Bismarck fece in modo che fosse pubblicato sul “Times” il
progetto di trattato che Benedetti gli aveva sottoposto in cui era considerata l’eventualità di
una annessione francese del Belgio. Questa notizia provocò in Inghilterra allarme e il
paese si affrettò a compiere accordi in agosto con Prussia e Francia che impegnavano
l’Inghilterra a opporsi alla potenza che violasse la neutralità belga. Il fatto che la Russia
fosse disposta a tenere l’accordo del 1868 con la Prussia valse a contenere l’azione
austriaca: l’Austria si dispose ad attendere i successi francesi. L’Italia pose come
condizione preliminare per l’intervento la soluzione della Questione romana e la Francia
non accettò.
Fin dall’inizio Bismarck ebbe poca difficoltà a difendere il territorio renano dall’intenzione di
annessione di Napoleone. Gli insuccessi francesi ebbero inizio quasi subito e il 2
settembre a Sedan un grosso esercito francese e l’imperatore si arresero. La notizia della
sconfitta a Sedan provocò la caduta dell’impero e la formazione di un governo provvisorio
di difesa nazionale. La pace si sarebbe potuta restaurare prontamente se non fosse stato
per la richiesta di annessioni da parte della Prussia, fortemente disapprovata dalle altre
potenze tra cui l’Inghilterra, perché un’eccessiva crescita della potenza prussiana sarebbe
stata dannosa per l’equilibrio europeo.
La Francia cercava di stimolare la possibilità d’intervento senza successo: un motivo
importante di questo fallimento venne dato dalla Questione d’Oriente. La Russia preferì
infatti ottenere vantaggi immediati abolendo le clausole del 1856 sulla smilitarizzazione del
Mar Nero. Bismarck temeva che complicazioni avrebbero potuto provocare l’intervento
britannico e procrastinò la mossa russa fino al termine della guerra; i russi non vollero
attendere e il 20 ottobre Gorcakov annunciò la denuncia della clausola. L’Inghilterra non
fece obiezioni alla pretesa prussiana di ottenere annessioni in Francia, e nella questione
degli Stretti si accontentò e non trovò il supporto dell’Austria, paralizzata dai suoi dissidi
interni. Bismarck propose la convocazione di una conferenza per definire il problema del
Mar Nero: la conferenza si riunì a Londra nel gennaio del 1871 e Bismarck si oppose alla
presenza di un rappresentante francese e ottenne ciò che voleva; a marzo veniva
sanzionata l’approvazione all’iniziativa unilaterale russa.
Anche l’Italia cercò di trarre profitto dal conflitto: dopo la sconfitta francese a Sedan, le
forze italiane entrarono a Roma e il papa cedette alla forza superiore non facendo altro
che denunciare l’atto illegale, ma nessuno in Europa si schierò a sua difesa e Roma
divenne la capitale d’Italia.
Il trattato di Francoforte e l’impero tedesco
Mentre si riuniva la conferenza di Londra, Jules Favre a Versailles conduceva i negoziati di
armistizio con Bismarck. Questo venne firmato il 28 gennaio, permettendo la
convocazione in Francia delle elezioni per un’assemblea che si riunì a Bordeaux. Con il
trattato di Francoforte la Francia cedeva alla Germania l’Alsazia e parte della Lorena. I
deputati dell’Alsazia protestarono a Bordeaux e nel Reichstag tedesco, e il sentimento
francese era che questa cessione fosse un atto moralmente condannabile. Sicuramente
rese impossibile ristabilire la normalità dei rapporti francotedeschi. Rispetto al trattato con
l’Austria di cinque anni prima, Bismarck in questo trattato decise di punire e umiliare la
Francia come non aveva fatto con l’Austria. Il 18 gennaio 1871 a Versailles il re di Prussia
venne dichiarato imperatore tedesco, come a spargere sale sulle ferite francesi.
La guerra francotedesca significava che la Germania era unificata ed era l’unità più
potente d’Europa, e dopo il conflitto si trovò al centro della politica europea.

L’era della stabilità (1871-1914)


Caratteristiche generali del periodo
Il 1870 può essere assunto a tappa intermedia del periodo tra il 1815 e il 1914: la guerra
franco-prussiana è stata particolarmente importante poiché segna la divisione del secolo
in due parti di lunghezza uguale ma notevolmente diverse tra loro. Differiscono soprattutto
per due ragioni: le relazioni di potenza sono mutate e si hanno pure mutamenti nelle forze
fondamentali che stanno dietro all’attenzione della politica internazionale e della
diplomazia.
La prima parte del secolo era stata caratterizzata dalla ricerca di equilibrio che sostituisse
quello delle forze di nazionalità e liberalismo. L’influenza di queste non era scomparsa nel
1871 ma con lo stabilimento dell’unità italiana e tedesca venne raggiunta una base stabile.
Una delle caratteristiche più salienti della seconda metà di questo secolo è la condizione
di equilibrio raggiunta tra le potenze; eppure, il periodo nel suo complesso presenta
caratteristiche mutevoli. Stabilità e pace possono essere raggiunte attraverso l’azione di
una potenza superiore o possono essere il risultato di un equilibrio di forze. Nei loro
rapporti reciproci gli uni con gli altri Stati non possono non rendersi conto che il fattore
della potenza propria o degli altri va considerato in via preliminare. La potenza consiste in
molte cose e i fattori componenti di questa così come i rapporti di potenza subirono
mutamenti in questo periodo.
Lo sviluppo della popolazione europea continuò ad un ritmo rapido da circa 250 milioni a
400 milioni. L’aumento fu distribuito in maniera sostanzialmente equa con l’eccezione della
Francia, che al 1870 aveva raggiunto una stabilità numerica praticamente immutabile. Lo
sviluppo dell’industria e la sua diffusione durante la seconda metà del XIX secolo furono
tali da costituire una nuova fase della rivoluzione industriale, ma questo sviluppo fu
caratterizzato da irregolarità maggiore rispetto a quello demografico. Distinzione
fondamentale era quella tra “Europa interna”, quella delle macchine e del vapore, ed
“Europa esterna”, quella principalmente agricola. L’intera Russia apparteneva a
quest’ultima, ma gli ultimi due decenni di questo periodo videro lo sviluppo industriale di
quel paese. Nell’Europa interna i cambiamenti furono considerevoli: la Gran Bretagna
mantenne la sua preminenza stabilita, ma non era più l’officina del mondo e la sua
preminenza fu sfidata dallo sviluppo dell’industria tedesca. Lo sviluppo francese fu minore
rispetto a Inghilterra e Germania.
Sorsero due centri di potenza extraeuropei: quasi contemporaneamente alla guerra
franco-prussiana avvenivano la guerra civile negli Stati Uniti e la decisione giapponese di
occidentalizzarsi, e un parallelo sviluppo si può tracciare nelle attività economiche di
Germania, Stati Uniti e Giappone.
Date queste condizioni di sviluppo, il volume e il valore degli scambi commerciali
assunsero un’importanza senza precedenti con la conseguenza che le condizioni di vita
divenne legata ad una serie di rapporti commerciali che abbracciavano l’intero mondo. La
Gran Bretagna rappresenta il più tipico esempio di questo stato di cose, in cui la gran
massa del suo popolo giunse a dipendere dall’industria e dal commercio in misura
eccezionale. La crescente impotenza della posizione di addetto commerciale è espressa
da questa situazione di totale dipendenza dall’impero, dal commercio, dalle banche, dalle
flotte commerciali e militari. Finanze e banche assunsero importanza senza precedenti e il
capitale cercò impieghi vantaggiosi estendendosi fino ai più lontani angoli del mondo. Nel
caso della Francia la considerevole ricchezza del Paese servì a mitigare in misura
notevole alcune deficienze della sua potenza già menzionate. L’Inghilterra aveva una
situazione di indiscussa preminenza, e Londra era la capitale finanziaria del mondo.
Vi erano altre forze, sociali e culturali, all’opera. Le forze legate a distinte della nazionalità
a della democrazia appaiono non meno attive e potenti durante questo periodo, ma il loro
effetto è mutato: dopo il 1871 nazionalità ed economia non procedono più di pari passo
ma operano in direzioni opposte. Nei casi di impero asburgico ed ottomano, il successo
dei movimenti nazionali poteva significare disintegrazione completa, e la seconda metà
del secolo fu caratterizzato in entrambi i casi da una lotta disperata per tenere insieme
nazionalità diverse. La scomparsa dell’una o l’altra potenza avrebbe avuto ripercussioni di
grande vastità ed importanza per gli altri Stati europei. Aspetto nuovo era la diversione
dell’entusiasmo nazionalistico nelle tendenze imperialistiche. L’espansione imperialistica
oltremare; le potenze europee alla fine del secolo erano profondamente affette da un
“virus imperialistico”, e scontri nei territori imperiali con altre potenze avrebbero potuto
suscitare orgoglio e ira nazionale.
Il concetto della sovranità popolare valse a trasformare le dispute tra sovrani in dispute tra
popoli, ma ebbe anche altre conseguenze nella battaglia per la democrazia: ovunque
venne introdotto ed ampliato il sistema elettorale, furono riconosciuti i diritti umani del
popolo; e la concezione per cui lo Stato ha un certo grado di responsabilità verso i suoi
membri tendeva a sostituire la nozione liberale. Le classi popolari compivano continui
progressi, il tenore di vita cresceva e l’istruzione si diffondeva.
Gli effetti di successo delle idee democratiche furono assai importanti, e sollevavano il
problema della condotta politica estera in un sistema democratico. Anche se i ministeri
degli Esteri e i servizi diplomatici rimasero in gran parte costituiti da un settore ristretto
della società, esistevano dei parlamenti dotati di certi diritti e periodicamente avevano
luogo delle elezioni e, almeno ad intervalli, l’opinione pubblica non poteva non esercitare
un’influenza che oltre un certo limite sarebbe stato fatale ignorare. L’opinione si
interessava in realtà più ad affari interni, era però facilmente stimolata ad esprimersi se le
si presentava in modo semplicistico un problema, e a questo punto la stampa assumeva
importanza considerevole. Questa godeva in larga misura di libertà, ma molta parte di
essa era controllata da una serie di interessi costituiti, i governi esercitavano su di essa
notevole influenza.
Coloro i quali dirigevano gli affari esteri dei paesi europei erano in massima parte uomini
esperti e competenti, ed erano combattuti tra due forze e lealismi divergenti. In quanto
rappresentanti di entità rivali e in concorrenza, il loro primo compito era di promuovere e
difendere gli interessi dell’unità alla quale erano associati; ma dall’altra parte il loro
dilemma era come riconciliare la difesa di interessi rivali con l’interesse comune della
conservazione della pace. La diplomazia precedente alla Prima Guerra Mondiale era ligia
a un considerevole formalismo, e prevalevano criteri di notevole segretezza per negoziati,
trattati, accordi e reciproche relazioni tra le potenze. La necessità della segretezza era
difficilmente conciliabile con i procedimenti costituzionali delle democrazie parlamentari
occidentali ed era fonte di considerevoli difficoltà. Il terreno d’intesa su ciò che costituiva
gli scopi appropriati delle relazioni internazionali era molto esteso.

Le singole potenze e i loro problemi


Il XIX secolo è il periodo in cui si inizia a sfidare la supremazia britannica. In termini relativi
la potenza britannica diminuì: la consapevolezza lentamente crescente di questa
diminuzione e il conseguente sforzo di adattamento alle circostanze mutate costituirono il
problema centrale della politica britannica al passaggio tra il XIX e il XX secolo. In ambito
più limitato, la preoccupazione inglese era il problema dell’Irlanda.
Il declino della Francia fu più aspro e drastico. La guerra franco-prussiana costituì per la
Francia un disastro che le strappò la posizione di primato continentale. Il problema
centrale del Paese, oltre alla speranza di revanche, era quello della ricostruzione o
riconquista della sua posizione. Il mutamento costituzionale sopravvenuto con la sconfitta
assorbì molte delle energie della nazione, ma la pace di Francoforte lasciò una ferita
aperta che impedì una normalizzazione dei rapporti francotedeschi.
La Germania emerse dalla guerra vittoriosa e unita, e affrontava un periodo di sviluppo
senza precedenti. Il problema dello sviluppo dominava la storia del secondo Reich:
bisognava trovare una posizione adatta per la potenza tedesca con i dovuti aggiustamenti
nel tempo, al fine di evitare un conflitto.
L’impero asburgico aveva assolto una funzione importante in Europa e avrebbe potuto
contenere una soluzione del problema costituito dalla diversità dei popoli europei, secondo
linee diverse dalla applicazione del principio di autodeterminazione o della soppressione di
certe nazionalità. In Austria-Ungheria vi erano persone che concepivano l’alternativa di
un’unione nella diversità, ma rimane il fatto che questo fosse il solo Stato europeo che non
fosse uno Stato nazionale. La questione era se un tale organismo poteva continuare ad
esistere, e fu dalle tensioni di questa situazione che sorse il conflitto nel 1914.
La composizione interna e la struttura dello Stato russo poneva il problema di se questo
potesse essere europeo. La sua estensione e l’ampiezza di risorse controbilanciavano in
parte l’arretratezza del suo sviluppo. Il problema fondamentale della Russia era l’accesso
ai mari aperti del mondo, con il risultato che questa mostrava forti tendenze all’espansione
territoriale, impulso che risaliva a Pietro il Grande. Il problema di se questa estensione
potesse avere luogo o no senza uno sconvolgimento politico interno divenne sempre più
importante per l’avvenire dello Stato.
L’Italia era la più piccola tra le grandi potenze, e il suo problema era di trovare un “posto al
sole” tra le nazioni. Un equilibrio delle forze era la situazione che essa poteva meglio
sfruttare per accrescere la sua importanza oltre la sua effettiva consistenza.
Quanto all’impero ottomano, la sua storia e la sua estensione lo ponevano in una
categoria a sé. Il suo problema, come quello dell’Austria-Ungheria, era quello
fondamentale di continuare ad esistere: incapace di rinnovarsi, aveva adottato la politica di
assicurarsi la sopravvivenza incoraggiando e sfruttando le divergenze tra le maggiori
potenze riguardo al problema del suo destino. Date le condizioni dello Stato ottomano, la
situazione politica delle comunità cristiane dei Balcani assunsero particolare importanza
sulla scena internazionale europea.
Questi erano i componenti del Concerto europeo. Le grandi potenze parte di questo non
includevano la Spagna o la Svezia sulla base del criterio delle forze profonde di sistema,
cioè un insieme di caratteri applicati ai singoli Stati in base ai quali si comprende se uno
Stato rappresenta una grande potenza. Le forze profonde includono capacità militari,
stabilità istituzionali, potenzialità demografiche ed economiche, dotazione finanziaria,
estensione territoriale, capacità nel commercio e livello scientifico-tecnologico.

Il periodo Bismarckiano (1871-1890)


Il raggiungimento dell’unificazione tedesca era stata un’impresa magistrale. Avendo creato
un Secondo Reich, Bismarck per altri due decenni ne avrebbe plasmato la forma e guidato
il corso. Il nuovo Stato tedesco aveva carattere militare per via della modalità della sua
formazione, estendendo a tutta la Germania l’impronta di tradizione prussiana. Bismarck
era un uomo di Stato e considerava la guerra, come la diplomazia, in quanto strumenti che
potevano essere utilizzati bene o male. La guerra però comportava certi rischi e ritenne
che una volta realizzata l’unificazione ora fosse interesse della Germania svilupparsi nella
pace. Per il raggiungimento del suo scopo nel miglior modo era necessario continuare la
sua politica estera precedente al 1870. Bismarck voleva coltivare l’amicizia di tutti, anche
della Francia, se essa avesse deciso di riconciliarsi con la pace di Francoforte.

Il primo Dreikaiserbund e la ripresa della Francia


L’Inghilterra non temeva la Germania o l’Italia e aveva assistito con soddisfazione alla
sconfitta della Francia.
La diplomazia di Bismarck si occupò dell’Austria e della Russia. I tre imperi avevano
diverse cose in comune nel campo ideologico, con una concezione conservatrice. La
sconfitta della Francia aveva eliminato qualsiasi possibilità che Francia e Austria potessero
unirsi per bloccare i progetti bismarckiani; l’Austria doveva accettare il suo nuovo posto, e
anche Beust, cancelliere antiprussiano, andava avvicinandosi alla prospettiva di una
stretta collaborazione con la Germania. La sua sostituzione nel 1871 con l’ungherese
Andrassy facilitò l’intento di Bismarck di creare un legame tripartito. La neutralità russa nel
1870 era stata il frutto della precedente diplomazia bismarckiana e i rapporti russo-
tedeschi continuarono ad essere buoni successivamente.
La difficoltà principale di un qualsiasi legame tripartito derivava dalla rivalità austro-russa
nei Balcani, per cui l’una e l’altra potenza volevano impedire un accordo bilaterale fra la
rivale e la Germania. Bismarck al fine di evitare un accordo franco-russo riuscì nel 1873 ad
ottenere la firma dello zar Alessandro II per una convenzione militare russo-tedesca con la
quale ciascuno Stato si impegnava ad aiutare l’altro nel caso che fosse attaccato. In
giugno la visita dello zar a Vienna portò ad un accordo politico per cui le due potenze si
sarebbero consultate in caso di divergenze, e la firma di questo accordo da parte della
Germania in ottobre fece nascere il primo Dreikaiserbund. Non era una stretta alleanza e il
suo maggiore significato stava nell’ammissione della comune riluttanza sia della Russia
che dell’Austria nell’assumere l’iniziativa e la responsabilità di uno sconvolgimento dei
Balcani; ciò soddisfaceva completamente Bismarck.
I sentimenti francesi riguardo le condizioni di pace erano ovviamente negativi: ciò che
pesava di più non era l’indennità di cinque miliardi di franchi ma l’amputazione territoriale.
Il diffuso sentimento tedesco secondo cui l’Alsazia è territorio tedesco non è privo di
fondamento storico, tuttavia il popolo alsaziano nel 1871 era essenzialmente contrario
all’annessione alla Germania. La combinazione dell’umiliazione per la sconfitta militare e
dei torti subiti alimentarono il sentimento francese di irreconciliabilità e il desiderio di
vendetta. Dapprima la situazione interna assorbì le energie della nazione, e la disunione
politica in Francia era gradita a Bismarck, ma egli compiva l’errore di sottovalutare la
tradizione giacobina francese. La Francia agì saggiamente nell’adempire alle condizioni di
pace, e la ripresa francese fu assai rapida, al punto da procurare qualche preoccupazione
a Bismarck. Nel governo monarchico che assunse il potere in Francia dopo Thiers il primo
ministro era il duca Decazes. La natura del nuovo governo e le simpatie cattoliche
bismarckiane erano sufficienti a creare una certa tensione nella quale Decazes credette di
scoprire una minaccia tedesca.
Se Bismarck non aveva alcuna intenzione di fare una guerra preventiva, non gli
dispiaceva di spaventare la Francia. La situazione giunse al culmine nel 1874 con l’aperta
discussione da parte della stampa tedesca della possibilità di una guerra. Decazes riuscì a
provocare un allarme sufficiente perché Inghilterra e Russia intervenissero a Berlino.
L’episodio dà un quadro della situazione europea, in cui la posizione della Francia non
avrebbe dovuto essere ulteriormente diminuita e lo status quo era soddisfacente. In
Francia nel frattempo prevalsero le forze repubblicane e la tensione franco-tedesca
diminuì.

La Questione d’Oriente nel 1875-78


Il problema dell’impero ottomano si presenta durante tutto il XIX secolo sotto i due aspetti
della situazione interna dell’impero e della lotta per l’emancipazione dei popol balcanici da
un lato, e dell’interesse e dell’attività delle grandi potenze dall’altro. La Germania non
aveva interesse, ma la politica tedesca ebbe notevoli ripercussioni indirette. La sconfitta
dell’Austria nel 1866 che aveva portato alla riorganizzazione dell’impero asburgico costituì
un notevole successo per il movimento nazionale ungherese, ma gli austriaci e gli
ungheresi essi insieme costituivano una minoranza della popolazione, il cui elemento più
numeroso era rappresentato dagli slavi.
La guerra franco-prussiana ebbe l’effetto di concentrare l’interesse riorganizzato dello
Stato asburgico verso i Balcani. Ciò si accordava con il problema dell’esistenza della
Serbia. Questo piccolo paese conteneva soltanto una parte del popolo serbo, e la
posizione di indipendenza raggiunta sollevava il problema dei possibili effetti sugli altri
serbi e sugli slavi meridionali sotto regime asburgico. La collaborazione austro-serba
contro i turchi non era un concetto nuovo, ma soprattutto gli slavi meridionali preferivano
volgere i loro occhi alla Russia, la cui politica era concentrata sugli affari balcanici.
Inizialmente Andrassy avrebbe preferito conservare intatto l’impero ottomano, e dal
momento che questo era anche il modo di vedere di Alessandro II e Gorbakov, fu possibile
emanare la dichiarazione austro-russa nel 1873, che fu più una tregua che un vero
accordo.
Andrassy riteneva fosse opportuno annettere Bosnia ed Erzegovina, province che erano
poste al di là della striscia costiera della Dalmazia che completavano l’accerchiamento
della Serbia da parte di territorio ottomano, mentre la loro popolazione era affine a quella
serba. Un’annessione come quella avrebbe sollevato il problema serbo ed una inevitabile
reazione russa. La situazione toccava poco le altre potenze: il problema era
essenzialmente austro-russo.
Ciò che fece maturare la situazione furono le condizioni interne mutate dello Stato
ottomano. Nel luglio 1875 scoppiò in Bosnia una rivolta che trovò simpatia in Serbia, e
suscitò interesse a Vienna. A fine anno Andrassy definì un programma minimo di riforme
che le potenze avrebbero dovuto imporre al sultano per pacificare le province. La nota
venne accolta dalle potenze ad eccezione dell’Inghilterra, che assunse un comportamento
di neutralità indifferente con l’effetto di incoraggiare la reazione turca del rinvio. Ma la
situazione entro l’impero ottomano era avviata a diventare più complicata: turbe di
musulmani assassinarono i consoli francese e tedesco e disordini si diffusero a
Costantinopoli. Mentre ciò avveniva, una proposta di armistizio formulata dai
rappresentanti dei tre imperi orientali uniti a Berlino fu accolta male da Londra, e ulteriori
complicazioni seguirono quando la Serbia e il Montenegro dichiararono guerra alla
Turchia.
La Russia e l’Austria procedettero con i loro piani, formulati nella convenzione segreta tra
Andrassy e Gorbakov l’8 luglio 1876. L’accordo stabilito contemplava le possibilità
alternative di una vittoria turca e di una vittoria serba: nel primo caso si sarebbe dovuto
imporre alla Turchia il mantenimento dello status quo, nel secondo sarebbero avvenuti
mutamenti notevoli.
Una ampia revisione delle clausole del trattato di Parigi sarebbe stata difficile da
realizzare, ma le fortune della guerra resero inutile il considerarla perché i serbi furono
nettamente sconfitti e soltanto la repressione russa impedì l’occupazione turca di
Belgrado. In Europa le notizie dei metodi di repressione turca scaturirono l’indignazione
dell’opinione pubblica soprattutto in Inghilterra, e gli inglesi si mobilitarono contro la
Turchia, indegna di rimanere in Europa. Il fattore dell’opinione pubblica rese ancora più
confuse le prospettive della politica britannica. La proposta inglese portò alla
convocazione di una conferenza a Costantinopoli a dicembre.
Anche prima che la conferenza di Costantinopoli giungesse a termine era stato stretto un
accordo austro-russo nella convenzione di Budapest stipulata a inizio del 1877. In cambio
di una promessa di neutralità e dell’opposizione immediata collettiva, l’Austria avrebbe
potuto occupare la Bosnia Erzegovina. La Russia si sentì libera di agire e dichiarò guerra
alla Turchia il 24 aprile 1877. La vittoria immediata, in cui speravano i russi, non arrivò,
però questi ebbero tempo di negoziare con l’Inghilterra per evitare che intervenisse. I
successi iniziali furono seguiti da una fase di arresto; il contemplato crollo della Turchia fu
evitato.
L’opinione inglese si modificava diventando prevalentemente filo-turca ed antirussa, ma il
gabinetto non appoggiò la proposta di Disraeli per intervenire. Infine, la resistenza turca
crollò. A Costantinopoli si ebbero manifestazioni di panico quando i russi raggiunsero le
linee del Ciatalgia e la reazione fu poco meno forte a Londra, e la flotta britannica ebbe
l’ordine di entrarvi. Il costo della vittoria era stato elevato per i russi.
Venne concluso un armistizio, seguito il 3 marzo dalla pace di Santo Stefano. L’assetto di
pace contemplava modificazioni territoriali considerevoli. La Russia avrebbe ottenuto
alcuni territori all’estremità orientale del Mar Nero (tra cui la Dubrugia, cioè la Romania) e
sarebbe stato creato un vasto Stato bulgaro. La creazione di questo, che sarebbe rimasto
sotto l’occupazione russa per soli due anni venne considerata equivalente allo stabilirsi di
una preminente influenza russa sui Balcani che avrebbe potuto estendersi a comprendere
Costantinopoli. La Serbia e il Montenegro sarebbero stati ampliati e, come la Romania,
liberati da qualsiasi dipendenza dalla Turchia. La Bosnia-Erzegovina sarebbe diventata
autonoma sotto supervisione austro-russa. Questa mossa non mostrava alcuna
considerazione degli interessi altrui, in particolare dell’Austria-Ungheria. La Russia aveva
chiaramente rotto i suoi impegni, e ciò provocò una grande crisi.
La tattica russa era di isolare l’Inghilterra attraverso la nuova intesa con l’Austria, ma
Andrassy chiese un prezzo troppo alto in cambio della neutralità austriaca nell’eventualità
di un confitto anglo-russo. Ci si poteva aspettare un accordo anglo-austriaco ma le
tergiversazioni di Andrassy furono tali che l’Inghilterra trovò più facile venire a patti
direttamente con la Russia, ma Andrassy temendo di trovarsi isolato giunse anch’egli ad
un’intesa con la Gran Bretagna. Il congresso avrebbe dovuto tenersi a Berlino, a
riconoscimento della posizione che la Germania occupava nel Concerto europeo e del
fatto che essa era neutrale alla faccenda.

Il congresso di Berlino
Il congresso di Berlino segnò una tappa importante come quella del congresso di Parigi
nella storia della Questione d’Oriente e della diplomazia delle potenze europee. Le linee
fondamentali erano state definite negli accordi stretti tra Inghilterra, Austria e Russia. I
lavori del congresso si svolsero rapidamente, concludendosi il 13 luglio 1878.
La Bulgaria costituì il primo argomento di discussione. Il 22 giugno era stato raggiunto un
accordo tra Inghilterra e Russia per cui quanto era risultato dal trattato di Santo Stefano
sarebbe stato diviso in tre parti. I principali risultati del congresso di Berlino furono:
- non vi sarebbe stato un grande Stato bulgaro ma una Bulgaria assai ridotta, alla quale
riuscì difficile ottenere Sofia e Varna. Al suo sud sarebbe stata la Rumelia, che avrebbe
ottenuto uno stato intermedio sulla via dell’indipendenza
- la Bosnia e l’Erzegovina sarebbero state occupare e amministrate “temporaneamente”
dall’Austria-Ungheria, ma la sovranità delle province rimaneva al sultano. La striscia di
territorio adiacente verso il sud-est avrebbe accolto una guarnigione austriaca
- gli altri Stati balcanici vennero dati compensi
-l’Inghilterra aveva scarso interesse diretto ai particolari delle frontiere balcaniche, la
preoccupazione maggiore di Disraeli era di proteggere la rotta attraverso il Mediterraneo
verso l’India. La Russia poté conservare le annessioni nell’Armenia, ma l’8 luglio fu
stabilito da un accordo anglo-turco che l’Inghilterra avrebbe occupato “temporaneamente”
l’isola di Cipro.
Quanto alla situazione locale balcanica, si mantenne una situazione di equilibrio, ma la
lotta per l’indipendenza era ancora la questione più importante. Il paese con il disappunto
maggiore fu la Bulgaria, e anche la Romania ne uscì scontenta. La Grecia non era
direttamente implicata nella questione, ma a Berlino si posero le basi per darle compensi.
Con la convenzione del 1881, dopo lunghi negoziati, ottenne parte della Tessaglia e una
parte dell’Epiro meridionale, ma Creta rimase turca, continuando a costituire una
preoccupazione per le potenze.
La Russia aveva portato avanti una guerra vittoriosa e ne aveva dovuto dividere i vantaggi
con le altre potenze, e non ne usciva soddisfatta, soprattutto per il mancato appoggio che
si attendeva da Bismarck nel congresso.
Una delle maggiori conseguenze di questa fase fu la rottura dell’Intesa dei tre imperatori.
L’Austria a Berlino si accontentò di mantenere una sorta di equilibrio con la Russia, e in
ciò ebbe successo, ma il suo destino dipendeva in larga parte da elementi imponderabili.
Quanto a Francia ed Italia, le loro parti avute nel congresso sono trascurabili. L’Italia si
accontentava di essere accettata come grande potenza; la Francia era ancora in una fase
di ripresa e saggiava il cammino tra le potenze con incertezza. In entrambi i paesi la
disillusione subita in seguito al congresso di Berlino fu notevole.

Il nuovo sistema delle alleanze Bismarckiano, 1879-1882


L’alleanza austro-tedesca del 1979
Dopo il congresso di Berlino le potenze erano libere rispetto ai reciproci impegni, ma
questa situazione non era destinata a durare: fu Bismarck ad esercitare un’azione di guida
nella definizione dei loro rapporti. Avrebbe preferito continuare con l’Intesa dei tre
imperatori, ma il contrasto austro-russo era al di fuori delle sue possibilità di controllo.
impedire all’Austria di entrare in una combinazione di potenze occidentali (per quanto
sembrasse poco probabile a quei tempi) e quindi Bismarck decise che se doveva scegliere
fosse meglio legarsi all’Austria, nonostante l’antica tradizione di buoni rapporti con la
Russia.
Il trattato di alleanza fu firmato il 7 ottobre 1879. Stabilirono che se la Russia avesse
attaccato uno dei due membri dell’alleanza, l’altro si sarebbe impegnato a venirgli incontro
con tutte le sue forze; un attacco di un’altra potenza avrebbe invece determinato la
neutralità benevola dell’alleato. Il trattato era segreto, valido per cinque anni e rinnovabile.
L’alleanza equivaleva ad una garanzia unilaterale dell’Austria da parte della Germania
contro la Russia. Servì a rafforzare la struttura dello Stato asburgico, e conteneva
l’aggressività russa così come quella austriaca. Bismarck avrebbe utilizzato l’alleanza per
usarla come strumento per raggiungere con determinati scopi, e il problema si poneva nel
caso in cui questo strumento fosse finito nelle mani di uomini di stato meno abili.
Il Dreikaiserbund del 1881
Bismarck aveva scelto la Duplice Monarchia per via della reazione russa al trattato di
Berlino, ma era disposto ad attendere il momento in cui a Pietroburgo prevalessero
migliori consigli. Sembra che calcolasse che la sua alleanza con l’Austria potesse servire a
riportare le Russia all’Intesa con la Germania, piuttosto che ad allontanarsi ancor di più da
essa.
Le effettive divergenze della Russia erano con l’Austria e riguardavano i Balcani, ma
potevano essere risolte. Il problema degli Stretti era il più importante per la Russia, che
trovava la situazione attuale poco soddisfacente. Dal 1871 il Mar Nero non era più
smilitarizzato, e la possibilità che altre flotte passassero attraverso gli Stretti a richiesta del
sultano era poco gradita alla Russia. L’idea di Bismarck su come mantenere in armonia
Austria e Russia con la divisione dei Balcani in due zone con una linea che estendesse
verso sud il confine serbo-bulgaro, così che Russia ed Austria potessero avere mano
libera in quella orientale e in quella occidentale.
Bismarck ottenne la firma di un nuovo accordo tripartito il 18 giugno 1881. Il
Dreikaiserbund del 1881 stabiliva la neutralità degli altri due membri nell’eventualità che il
terzo fosse in guerra con una quarta grande potenza, anche nel caso di un conflitto russo-
turco. Nell’articolo III si stabiliva che la Turchia non potesse fare eccezioni al principio della
chiusura degli Stretti, e se lo avesse fatto le tre potenze avrebbero fatto sì che perdesse i
benefici della garanzia di integrità territoriale stabilita dal trattato di Berlino. Una clausola
del trattato stabiliva che l’Austria si riservava il diritto di annettere le province della Bosnia
e dell’Erzegovina in qualsiasi momento ritenesse opportuno. Il trattato non andava a
sostituire l’alleanza austro-tedesca, ma vi si aggiungeva: avrebbe dovuto rafforzare la
pace e ridurre le possibilità di un conflitto tra Austria e Russia.
Il 28 giugno del 1881 fu stretta un’alleanza austro-serba, con la quale i due paesi si
impegnarono a perseguire una politica di amicizia, nessuno dei due avrebbe tollerato
un’azione contro l’altra. Per la Serbia questa alleanza rappresentava un rapporto di
dipendenza, espresso dal riconoscimento serbo del diritto di supervisione dell’Austria
sopra la sua politica estera. Il risultato di ciò fu un equivoco che nacque e si sviluppò dalla
natura stessa dello Stato austro-ungarico, il quale desiderava controllare la Serbia e nello
stesso tempo non era in grado di accettare le implicanze complete del suo desiderio (cioè
l’annessione di altri popoli slavi nella monarchia e la reazione di questi).
Altro corollario del Dreikaiserbund può essere l’alleanza austro-rumena del 30 ottobre
1883, alla quale si unì anche la Germania. Come l’alleanza serba, anche questa si basava
sulla predilezione personale del sovrano e sul malcontento romeno verso la Russia dopo il
congresso di Berlino.

La Triplice Alleanza del 1882


L’annessione di Roma in Italia aveva avuto ripercussioni di natura particolare. Il governo
italiano, di fronte alla posizione intransigente di papa Pio IX, inserì le linee dell’accordo
che avevano proposto a quello nell’unilaterale legge delle Guarentigie del 1871: il papa
avrebbe goduto di tutte le prerogative della sovranità tranne che per il possesso
territoriale.
Dopo il 1871 la Francia aveva preoccupazioni interne che non le permisero di ricoprire il
ruolo di difensore dell’indipendenza papale. Come per Bismarck, per l’Italia la Repubblica
francese (e in generale la sinistra) costituiva un elemento preferibile. Quanto all’Austria,
paese cattolico, la tradizione di inimicizia con l’Italia era antica. Con la Germania invece
l’Italia non aveva alcun contrasto. Per alcuni anni non vi furono mutamenti nei rapporti di
questi paesi, fin quando Crispi e Bismarck non si incontrarono nel 1877 per trovare le basi
di un’intesa austro-italiana, ma la missione si rivelò un fallimento.
I francesi reagirono al congresso di Berlino stabilendo nel maggio del 1881 un protettorato
sulla Tunisia: l’occupazione francese di Tunisi produsse sull’Italia una grave colpo, e né
Inghilterra né Germania mostrarono intenzione di obiettare alle azioni francesi. Questo
evento indusse l’Italia a volersi sottrarre dall’isolamento: il 20 maggio 1882 venne firmato a
Vienna il primo trattato della Triplice Alleanza tra Italia, Austria e Germania. Le ultime due
si impegnavano ad andare in aiuto dell’Italia nel caso di un’aggressione francese. Il
trattato aveva durata quinquennale ed era segreto e rinnovabile. Per Germania ed Austria
il significato maggiore del trattato stava nella neutralizzazione dell’Italia. L’Italia non era più
isolata, la Questione romana fu eliminata dalla politica internazionale, e l’irredentismo
italiano almeno ufficialmente fu messo da parte. L’alleanza ebbe l’effetto però di
sottolineare la divisione interna del paese: la Destra, erede di Cavour che supportava la
Triplice Alleanza, e la Sinistra, erede della tradizione mazziniana, che giunse a identificarsi
con la tendenza irredentistica antiaustriaca.
Al principio del decennio 1880-90 era stata stabilita una rete di rapporti il cui centro era
Berlino e i cui vincoli erano nelle mani di Bismarck: la Triplice Alleanza e il Dreikaiserbund,
l’alleanza con la Romania e l’alleanza austro-serba. L’Inghilterra rimaneva in una
posizione di isolamento ma manteneva rapporti amichevoli con la Germania. Con la
Francia la tensione era notevolmente diminuita.

Inizi del nuovo imperialismo


Sviluppi mediterranei: Tunisia ed Egitto
Nella prima metà del XIX secolo l’impulso europeo all’espansione imperiale era
relativamente scarso. Prima del 1870 le due principali rivali mediterranee erano Francia ed
Inghilterra. Nel 1870 i francesi erano stabiliti in Algeria, l’intera metà occidentale africana
costituiva un’unità, e l’interesse e l’attività francese nel Marocco avrebbero raggiunto il
culmine al volgere del secolo. Ad oriente la situazione tunisina aveva un carattere più
urgente. La semplice contiguità della Tunisia con l’Algeria basta a spiegare l’interesse
francese, che non avrebbe gradito vedere un’altra potenza insediarsi lì. L’interesse italiano
per la Tunisia derivava da ragioni geografiche. Se l’Italia doveva divenire una grande
potenza l’occupazione tunisina era un passo logico che le avrebbe dato il controllo di uno
stretto a metà tra la rotta mediterranea fra Gibilterra e Suez. L’interesse inglese era
strategico; al congresso di Berlino l’Inghilterra, però, si era dichiarata disposta ad accettare
un insediamento francese in Tunisia, così come Bismarck, per far sì che le potenze che
controllavano il canale tra la Sicilia e la Tunisia fossero diverse.
Nel 1881 la situazione si mosse quando la Francia con il pretesto di razzie di confine inviò
un corpo di spedizione in Tunisia e vi stabilì un protettorato. L’Italia si rivolse alle potenze
centrali in cerca di alleanze ma non trovò supporto in Inghilterra o Germania per obiettare
al fatto.
L’opinione pubblica francese riguardo l’occupazione tunisina era divisa poiché c’era chi
credeva che la Francia avrebbe dovuto concentrarsi sulle sue forze interne dinanzi al
pericolo tedesco, alle province perdute e ad una possibile revanche, e chi credeva di che
avrebbe dovuto cercare compenso altrove. Il dibattito sul colonialismo in Francia non fu
mai risolto ma la Terza Repubblica realizzò un programma di espansione imperialistica,
ottenendo nuovamente il ruolo di grande potenza coloniale.
La Francia era interessata in Egitto anche più che in Tunisia. Proprio nel 1869 era stato
aperto per iniziativa francese il Canale di Suez, il che sottolineò l’importanza “imperiale”
dell’Egitto sotto aspetto strategico oltre che economico per la Francia, e l’Inghilterra
divenne l’utente maggiore del canale. Gli inglesi si erano lasciati sfuggire un’occasione
non avendo investito nella costruzione di questo, e si poteva considerare la possibilità di
un insediamento britannico in Egitto in rapporto con una spartizione dell’impero ottomano,
con i russi a Costantinopoli e gli inglesi a Suez, soluzione ben vista da Bismarck, che
avrebbe però sollevato il problema di un contrasto con la Francia.
L’Egitto come la Tunisia era soggetto ad un sovrano, Isma’il, la cui amministrazione
finanziaria era poco efficiente. I francesi erano decisi a proteggere gli interessi del debito
egiziano, e la sola soluzione stava nell’agire comune: il risultato fu lo stabilimento anglo-
francese sulle finanze con la creazione della Caisse de la dette publique, mentre la
resistenza di Isma’il portò alla sua sostituzione con Tewfik dietro l’ordine del sultano, spinto
dalle pressioni anglo-francesi. Una tale condizione di cose tornava gradita a Bismarck, il
cui interesse era che l’Egitto continuasse ad essere territorio di contesa tra Francia ed
Inghilterra.
Nel 1880 Gladstone successe a Disraeli a capo del governo britannico. Egli era riluttante a
prendere misure di forza in Egitto. Nel frattempo, in Egitto era sorto un movimento
nazionale rappresentato da ufficiali dell’esercito e da intellettuali musulmani caratterizzato
da una tendenza xenofoba. In Europa i negoziati tra Parigi e Londra non vennero facilitati
dalla sostituzione di Gambetta da Freycinet che portò ad una discontinuità della politica
francese.
Forze navali inglesi e francesi apparvero ad Alessandria e quando in giugno 1882 tumulti
portarono all’uccisione di alcuni europei, la flotta britannica bombardò i porti. La squadra
francese però si ritirò perché il parlamento venne rovesciato quando Freycinet propose di
intervenire insieme all’Inghilterra. Questa sconfisse in settembre l’esercito egiziano.
Gladstone continuò ad insistere che l’occupazione britannica sarebbe presto cessata, ma
bisognava ristabilire l’ordine e l’Inghilterra finì col trovarsi dinanzi al compito di restaurare
le finanze egiziane. L’eterna “temporaneità” dell’occupazione inglese pose l’Inghilterra in
una posizione di svantaggio. Sir Evelyn Baring (Lord Cromer) fece un ottimo lavoro di
restaurazione finanziaria vantaggioso per tutti. La Francia era irritata di essere stata in
qualche modo spodestata, ma i suoi diritti rimanevano così come quelli delle altre potenze,
ed era sempre possibile creare imbarazzi diplomatici all’Inghilterra in Egitto.

L’imperialismo in Asia e nelle altre parti dell’Africa


L’espansione imperialistica dell’Europa abbracciò l’intero globo. Questa forza espansiva
era enorme, tuttavia, durante il periodo fino al 1890, vi era spazio per tutti con la
conseguenza che vennero poste le basi per l’ulteriore penetrazione ed espansione e per
l’incontro e l’urto di interessi imperialistici rivali.
L’esistenza dell’Inghilterra era legata da tanto tempo al suo impero, e anche Gladstone,
imperialista riluttante, non poté resistere alla forza espansiva. In Africa furono poste
durante il decennio 1880-90 le fondamenta della Somalia britannica, della Nigeria e
dell’Africa orientale britannica, mentre la Colonia del Capo costituì una base di espansione
verso il nord. L’Asia era ancora più importante: in India, il maggiore possedimento
britannico, alla vecchia compagnia si era sostituito nel 1858 il governo britannico. Nel
1885 fu raggiunta stabilità in Afghanistan, e fu stabilito un protettorato sulla Birmania.
Anche nel Pacifico l’influenza britannica era forte con possedimenti nella Nuova Guinea e
nel Borneo settentrionale, nelle isole Figi, e nelle Nuove Ebridi.
Lo sviluppo imperialistico aveva minore ragion d’essere in Francia. Ma l’espansione,
iniziata nel 1881, continuò. Questa fu opera di un pugno di uomini, come in Inghilterra. Al
governo si ebbero nel decennio 1880-90 imperialisti consapevoli. Dalla base in Algeria e
Senegal, la penetrazione francese si sviluppò verso il lago Ciad, il Niger, il Congo
equatoriale e penetrava nel Madagascar. Nell’Asia orientale il protettorato sull’Annam
costituito nel 1874 fu la base per la nuova espansione e i vari settori dell’estremità
sudorientale dell’Asia furono riuniti nella colonia dell’Indocina.
L’imperialismo russo ebbe carattere diverso a causa della contiguità delle terre verso le
quali si rivolse. La tendenza d’espansione in Russia mostra una pressione più intensa e
vigorosa nell’Asia centrale, con la Persia, le porta posteriore dell’India, l’Afghanistan e il
Turkestan come oggetto di questa espansione.
Salvo che per l’espansione nei Balcani invece l’Austria-Ungheria non può essere detta
una potenza imperialistica.
Quanto alla Germania, dopo il 1871 Bismarck era disposto a riconoscere le rivendicazioni
imperialistiche delle potenze, ritenendo che un’attività imperialistica avrebbe costituito per
la Germania una dispersione di forze e una fonte potenziale di conflitti non necessari.
Bismarck però infine accettò per due ragioni la prospettiva di un’espansione oltremare: la
pressione interna e le opportunità che essa offriva alla sua diplomazia europea. Dal 1884
l’Africa costituì l’oggetto di interesse coloniale tedesco, con insediamenti in Africa
orientale, Africa sud-occidentale, Camerun e Togo. La Germania fece la sua apparizione
anche nel Pacifico e nell’Estremo Oriente. Alla fine degli anni ’80 dell’Ottocento si
interessò anche al settore dell’impero ottomano.
Anche L’Italia cominciò alla gara imperialistica (senza un motivo vero e proprio). Con gli
stabilimenti di Assab e Massaua si posero le basi della colonia eritrea e nel 1889 vi fu lo
stabilimento in Somalia.
Olandesi e portoghesi, che possedevano i resti di antichi imperi, non erano impegnati nella
nuova espansione coloniale, e poterono conservare i loro possedimenti in seguito alle
rivalità e all’equilibrio fra le nuove grandi potenze imperiali. Dal congresso geografico di
Bruxelles del 1876 e dalle esplorazioni africane di Stanley nacque l’Associazione
internazionale del Congo e una grossa impresa privata a capo della quale venne posto il
re Leopoldo dei Belgi. Alla fine del 1884 a Berlino si riunì la conferenza coloniale per
risolvere le divergenze con il Portogallo per questa situazione, e con l’Atto di Berlino del
1885 si stabilì il riconoscimento dello Stato libero del Congo, il cui governo fu affidato
personalmente a re Leopoldo.
La consapevolezza di potenziali conflitti imperialistici si imponeva. Le rivalità
imperialistiche anglo-francesi e anglo-russe erano antiche. Dopo che i russi sconfissero gli
afghani nel 1885 si ebbe quasi una crisi anglo-russa. Ad oriente l’Inghilterra in Birmania e
la Francia in Indocina si contendevano il Siam. Queste si scontravano anche in Africa in
una serie di punti, oltre che in Egitto.
Bismarck si interessava di un’espansione coloniale tedesca per le conseguenze che
l’attività avrebbe avuto sui rapporti e gli allineamenti delle potenze in Europa. L’espansione
russa nell’Asia centrale per Bismarck aveva il doppio vantaggio di distrarre l’interesse della
Russia dalla regione dei Balcani ad una in cui avrebbe incontrato l’opposizione britannica.
Nel caso della Francia era favorevole ad una attività coloniale che potesse distrarre
l’attenzione francese dal Reno portando la Francia e che potesse portare il Paese a
scontrarsi con l’Inghilterra. Vi era inoltre simpatia inglese nei confronti dell’espansione
italiana nel Mar Rosso, dal momento che la Francia era la principale rivale dell’Inghilterra
in Egitto.

La fine del sistema bismarckiano


Francia e Bulgaria
I rapporti francotedeschi erano per un certo periodo migliorati, ma perché potesse colmarsi
l’abisso scavato tra i due paesi sarebbe dovuto passare molto tempo. I rapporti potevano
essere corretti ed amichevoli, ma Bismarck esigeva l’accettazione della Francia del fatto
compiuto. Anche quando i rapporti apparivano migliori a livello ufficiale, la speranza di
revanche continuava a sopravvivere, anzi aumentare, in Francia. Dopo la caduta di Jules
Ferry nel maggio 1885 il movimento nazionalistico aveva trovato un portabandiera
simbolico nel generale Boulanger, che divenne ministro della Guerra nel maggio 1886. I
capi della Terza Repubblica erano uomini poco attratti alla prospettiva di un’avventura, ma
in via precauzionale Bismarck attribuì ufficialmente importanza all’episodio boulangista.
Nel sistema bismarckiano era più importante la situazione dell’Europa orientale, dove il
Dreikaiserbund del 1881 fu rinnovato nel 1884. L’incontro dei tre imperatori a settembre fu
però in gran parte una delusione e non portò a risultati concreti. La tara fondamentale
stava nei rapporti austro-russi e nei persistenti sospetti reciproci che in essi prevalevano.
L’Austria-Ungheria non poté mai decidersi ad una estensione territoriale nei Balcani, di
conseguenza l’Austria, a differenza da Bismarck, non era disposta a riconoscere la
preminenza russa in Bulgaria, e cercava di contrastare l’influenza russa nella metà
orientale della penisola. La linea divisoria tracciata da Bismarck venne attraversata, per
cui il Dreikaiserbund era destinato al fallimento.
La Russia andò incontro a complicazioni in Bulgaria: la sua occupazione non era stata
popolare e il potere che poteva esercitare era limitato. Mancava inoltre coordinamento
nella politica russa. La crisi effettiva si aprì con una sollevazione nella Rumelia orientale il
18 settembre 1885, seguita dalla proclamazione del principe Alessandro circa l’unione di
quella provincia alla Bulgaria. L’intervento turco avrebbe potuto risolvere la questione, ma
la Turchia invece fece appello alle potenze. Bismarck si servì dell’influenza che gli veniva
dall’alleanza austro-tedesca del 1874 per fare azione moderatrice indicando all’Austria che
in un conflitto con la Russia provocato da un intervento armato austriaco non avrebbe
trovato la Germania al suo fianco.
Sembrò che la prima crisi fosse stata superata, ma dai rapporti russo-bulgari nacquero
ulteriori complicazioni: in agosto 1886 un gruppo di ufficiali filorussi rapì il principe
Alessandro, che venne costretto a partire. Egli riuscì a tornare a settembre, ma le
pressioni esercitate su di lui dallo zar portarono alla sua abdicazione. In novembre i
rapporti tra i due paesi furono interrotti.
Né Bismarck né l’Inghilterra desideravano suscitare il malcontento russo da soli
assumendosi per primi il compito di trattenere la Russia facendo sapere che avrebbero
appoggiato l’Austria. La Francia invece diede il suo appoggio alla Russia, ma la sua
politica fu molto cauta, anche se Bismarck riuscì a sfruttare il “pericolo francese” per fare
approvare dal Reichstag la nuova legge sull’esercito nel marzo 1887.

La Triplice Alleanza e gli Accordi mediterranei


Il 1887 fu un anno di atmosfera incerta e nebulosa. La prospettiva di un’intesa franco-
russa era equilibrata da quella di un’intesa anglo-tedesca. L’Italia divenne il centro
dell’attività diplomatica: dal 1882 era un membro della Triplice Alleanza, però non aveva
soddisfatto gli altri due membri. La situazione, man mano che si avvicinava la data di
scadenza del trattato, mutò considerevolmente.
Dinanzi al pericolo di una alleanza franco-italiana, il 20 febbraio 1887 la Triplice Alleanza
fu rinnovata. Questa si basava sul trattato originario del 1882, su un trattato italo-tedesco
e su uno italo-austriaco separati. L’Italia ottenne la promessa di appoggio dalla Germania
nelle sue ambizioni coloniali, il ché voleva dire andare oltre la lettera e lo spirito
dell’alleanza precedente. I negoziati con l’austriaco Kalnoky furono difficili e Bismarck
dovette esercitare una certa pressione. Il significato principale del trattato austro-italiano
stava nel fatto che l’Italia si era assicurata il riconoscimento austriaco di una posizione di
eguaglianza nei Balcani. Bismarck e Kalnoky erano disposti a pagare un certo prezzo per
conservare l’alleanza con l’Italia e indirettamente le loro posizioni.
Il rinnovamento del trattato fu preceduto da un “Accordo mediterraneo” fra l’Inghilterra e
l’Italia, che non era altro che un’innocua dichiarazione del comune desiderio di
mantenimento dello status quo nel Mediterraneo e di collaborare a tal fine.
Roma è dunque il punto d’incontro dei due assi della Triplice Alleanza e dell’Accordo
mediterraneo. Sebbene la Germania fosse implicata soltanto nella prima combinazione,
Bismarck aveva avuto mano nella formazione di entrambi gli accordi. Da queste
combinazioni furono escluse la Russia e la Francia. Bismarck riuscì ad ottenere che la
Francia rimanesse isolata, ma il punto debole del sistema stava nell’isolamento della
Russia, con la conseguente possibilità di un’intesa franco-russa che sollevava lo spettro
della guerra sui due fronti.

Bismarck e la Russia: il trattato di Controassicurazione


Non vi era alcun contrasto diretto tra Germania e Russia, ma Bismarck considerava
l’alleanza con l’Austria un punto fermo, e date le condizioni dei rapporti austro-russi, il
problema era come conciliare ciò che appariva inconciliabile.
Il modo in cui Bismarck conciliò l’alleanza con l’Austria al suo desiderio di premunirsi
contro una coalizione franco-russa trovò espressione nell’impegno per cui Germania e
Russia avrebbero tenuto la neutralità benevola nell’eventualità che l’altra si trovasse in
guerra con una terza grande potenza, con la specificazione che questa clausola non si
applicava ad una guerra russa contro l’Austria o di una guerra tedesca contro la Francia.
Inoltre, la legittimità della preminente influenza russa in Bulgaria e nella Rumelia orientale
fu riconosciuta da Bismarck nell’articolo II, e la Germania non si sarebbe imposta ad un
controllo russo di Costantinopoli e degli Stretti. Questo trattato di Controassicurazione può
essere considerato un mezzo per conservare l’equilibrio e la pace, e la sua segretezza
sarebbe stata curata con scrupolo. Costituiva un abile espediente per riconciliare ciò che
non era riconciliabile, un atto diplomatico tortuoso il cui principale difetto era la fragilità.
Appena fu firmato la Bulgaria entrò in una nuova crisi. Ferdinando di Sassonia Coburgo fu
scelto come sovrano dall’Assemblea bulgara suscitando nuovi sospetti russi contro
l’Austria e contro la Germania. Bismarck disse chiaramente agli austriaci che non li
avrebbe appoggiati in un conflitto. L’Italia sembrò lo strumento adatto e disposto a
svolgere la funzione di esercitare pressione sulla Russia per impedirle di entrare in
conflitto. Crispi, sostituito da Agostino Depretis come primo ministro, stava ora al ministero
degli Esteri e si incontrò con Bismarck offrendo l’aiuto militare italiano all’Austria contro la
Russia. Bismarck si accontentò di utilizzare l’Italia come strumento di un rafforzato asse
mediterraneo che congiungeva l’Inghilterra e l’Austria. Pure se in maniera diversa,
Germania ed Inghilterra desideravano la stessa cosa in Oriente: la pace e lo status quo.
Bismarck, rassicurato dal fatto che la Russia da sola era impotente, si dispose a trattenere
i suoi alleati e mise al loro posto i militari tedeschi che avrebbero contemplato con piacere
una guerra preventiva con la Russia.

La fine del “regno” bismarckiano


Crispi era assai preoccupato della Francia ed era desideroso di rafforzare la Triplice
Alleanza. Nel gennaio 1888 una convenzione italo-tedesca specificò le condizioni
dell’azione militare: lo sforzo principale dell’Italia sarebbe stato sulle Alpi ed essa avrebbe
inviato delle truppe sul Reno. Con l’Austria Crispi non riuscì a giungere ad un accordo. La
Francia ricambiava il sospetto nei confronti dell’Italia e i rapporti tra i due paesi entrarono
in una fase molto insoddisfacente manifestazione della quale fu l’inizio della guerra
doganale nel 1888.
Questo anno può essere considerato quello in cui il nuovo orientamento iniziò a prendere
forma. Bismarck e l’imperatore Guglielmo erano entrambi molto anziani, e il 9 marzo
l’imperatore morì. Il suo successore Federico sopravvisse per soli tre mesi, e a luglio salì
al trono l’ultimo imperatore tedesco, Guglielmo II. La Germania che rappresentava era
impaziente di essere riconosciuta come maggiore potenza, e avrebbe avuto bisogno della
mano ferma di un Bismarck. Ma Guglielmo II era consapevole della sua posizione entro il
sistema tedesco e del posto della Germania tra le potenze, era assai volubile e la sua idea
di politica inclinava al sensazionale. Bismarck andò avanti per qualche tempo in questa
condizione ma il controllo andava sfuggendogli di mano. L’imperatore nell’incontro con
l’austriaco Francesco Giuseppe affermò che una mobilitazione austriaca sarebbe stata
seguita da una mobilitazione tedesca; e nell’incontro con il sultano faceva prevedere male
per l’avvenire di una collaborazione russo-tedesca; mentre l’incontro con lo zar Alessandro
non andò a buon fine. Le apparenti tendenze antirusse erano in realtà mancanza di
riflessione sulle conseguenze dei propri atti.
Nel marzo 1889 venne approvata una legge sulla difesa navale per assicurare
l’indipendenza balcanica della politica britannica. Durante questo periodo Russia e
Germania ebbero altri motivi minori di attrito. Nell’ottobre 1888 lanciato a Parigi il primo (di
una lunga serie) prestito russo di 500 milioni di franchi, seguito da un’ordinazione russa di
fucili in Francia. Nel marzo 1890 ebbe luogo la rottura ufficiale tra Bismarck e l’imperatore
Guglielmo II, una delle cui conseguenze fu il mancato rinnovamento del trattato di
Controassicurazione. Poiché il corso delle cose continuò a svolgersi nella stessa
direzione, il congedo di Bismarck costituisce una tappa significativa nella storia della
politica internazionale europea. Dopo di lui la Germania continuò a rimanere il centro
delle relazioni europee, ma in quanto oggetto della reazione ostile sempre maggiore delle
altre potenze.

Il riallineamento delle potenze 1890-1904


Il successore di Bismarck era Caprivi, uomo di formazione militare la cui competenza nel
campo degli affari esteri era, come quella del suo segretario di Stato in quel settore,
Marshall, molto limitata. Le opinioni dei funzionari permanenti del ministero degli Esteri in
tali circostanze avevano un peso particolare, e così l’influenza di Friedrich von Holstein
assunse considerevole importanza nel plasmare il corso della futura politica estera
tedesca fino al suo ritiro nel 1906. I motivi che egli avanzò contro il rinnovamento del
trattato di Controassicurazione, cioè la sua ambiguità e il suo possibile effetto nei rapporti
austro-tedeschi, non erano privi di valore, e portarono Guglielmo II a non rinnovarlo. Agli
occhi dei russi la decisione tedesca doveva apparire poco amichevole, nonostante il filo
con Pietroburgo non fosse irrimediabilmente spezzato.
Il periodo di riadattamento dopo la caduta di Bismarck fu caratterizzato dal continuo
sviluppo economico dell’Europa, processo che assorbì molta dell’energia delle sue nazioni
e agì da valvola di sicurezza; ma che creò anche nuovi attriti o aumentò i vecchi tra le
potenze europee, soprattutto nel campo della loro espansione imperialistica. Nel 1890 la
Triplice Alleanza costituiva un organismo solido, ma la Russia, l’Inghilterra e la Francia
non erano impegnate con altre potenze. Questo isolamento veniva considerato ancora
soddisfacente dalla Gran Bretagna, ma non dalle altre due potenze.

L’alleanza franco-russa
Fra la Francia e la Russia non vi erano punti importanti di contatto né di divergenza, salvo
che nel Vicino Oriente, e in questo caso la Germania calcolava che non avrebbero potuto
intendersi, per cui rompere il vincolo tra Germania e Russia non sarebbe stato pericoloso.
Il primo grande mutamento del decennio 1890-900 fu invece proprio l’alleanza franco-
russa. Se tra Russia e Germania non vi erano i motivi per un conflitto, la situazione era
diversa con la Francia, i cui sospetti nei confronti della Germania e la sua speranza di
riconquistare l’Alsazia e la Lorena persistevano. Questo interesse francese lasciava però
la Russia del tutto indifferente. A meno che non fosse per intenti di aggressione generale,
un effettivo legame fra la Francia e la Russia non avrebbe potuto essere costituito che dal
timore della Germania. E non bisogna dimenticare la divergenza ideologica tra i due paesi.
I rapporti tra la Germania e Londra e Parigi assumevano importanza maggiore una volta
tagliato il filo con Pietroburgo. Con l’Inghilterra erano soddisfacenti, come dimostrato dalla
conclusione di un trattato il 1° luglio 1890 secondo il quale in cambio dell’isola Helgoland
la Germania cedeva Zanzibar alla Gran Bretagna, scambio che suscitò i sospetti della
Russia, alimentati anche da altri fatti. In Italia Crispi era fortemente antifrancese e nel
discutere del rinnovamento della Triplice Alleanza intendeva anche includere l’Austria nella
garanzia tedesca contro la Francia, e la Germania nella garanzia austriaca dei Balcani. Il
tentativo non riuscì ed egli fu sostituito da Rudinì, francofilo. Ma la speranza francese di
staccare l’Italia dall’Alleanza ebbe l’effetto di portare al rinnovamento di questa, con la
fusione dei tre trattati in uno con determinate varianti ed una clausola che stabiliva
l’appoggio della Germania all’Italia nel caso in cui lo status quo nell’Africa settentrionale
non si fosse mantenuto e l’Italia avesse dovuto intraprendere un interesse di equilibrio o
compenso in quelle regioni. Un discorso di Rudinì del 1891 suscitò l’impressione che
l’Inghilterra si fosse unita alla Triplice Alleanza, il che causò preoccupazione in Russia e
Francia. Se il desiderio francese di stabilire un’alleanza con la Russia era maggiore di
quello russo di intraprendere quell’intesa, il quadro cominciò a cambiare nel 1890 quando
il corso degli eventi cominciò a provocare i suoi effetti in Russia. Fu stabilito un accordo tra
il generale Boisdeffre e il capo di Stato Maggiore russo Obrucev il 27 agosto del 1891,
secondo il quale: i due governi si sarebbero accordati su ogni questione che minacciasse
la pace generale; nel caso in cui la pace o una delle due parti fosse minacciata di
aggressione le due parti sarebbero venute ad un’intesa sulle misure da adottare. Nel 1891
la diplomazia francese ottenne il successo di una convenzione militare che ebbe l’effetto di
definire l’aspetto antitedesco dell’intesa franco-russa minimizzando i possibili aspetti
antibritannici. Il 27 agosto 1892 fu firmata dalla Russia e dalla Francia una convenzione
militare che stabiliva che nel caso di un attacco tedesco contro la Francia o di un attacco
italiano appoggiato dalla Germania, la Russia avrebbe messo in campo tutte le forze
disponibili per combattere contro la Germania; reciprocamente un attacco tedesco contro
la Russia o un attacco austriaco appoggiato dalla Germania avrebbe portato ad un obbligo
analogo da parte della Francia; e la mobilitazione di una forza della Triplice avrebbe
determinato la mobilitazione franco-russa. L’accordo era difensivo, costituiva una risposta
alla Triplice Alleanza e per entrambe le potenze significava sfuggire all’isolamento. Non
sembrava probabile che sarebbe servito alla Francia per riconquistare l’Alsazia e la
Lorena, salvo forse nel caso di un conflitto generale che nascesse da altri problemi. La
Russia avrebbe potuto perdere interesse in questa alleanza, ma dipendeva dalle decisioni
di Berlino.
La prima reazione tedesca fu di minimizzarne l’importanza, ma nel 1892 la situazione
cambiò: i francesi misero in rilievo ai russi il pericolo tedesco. Nell’estate di quell’anno
Schlieffen fu scelto come capo dello Stato Maggiore tedesco, il che determinava
l’adozione di una nuova strategia per affrontare la guerra contro la Francia su due fronti.
Ciò rendeva necessario un organismo militare più vasto ottenuto con la legge del 1892.
La convenzione militare franco-russa del 1892 ottenne l’impegno di un trattato. La visita
russa alla base mediterranea francese di Tolone sembrava indicare la costituzione di una
forza navale russa permanente nel Mediterraneo, il che avrebbe rivelato una tendenza
antibritannica dell’alleanza, che sarebbe stata nell’interesse russo.

Rivalità imperialistiche e isolamento dell’Inghilterra


La Germania traeva conforto dal pensiero che il contenuto antinglese dell’alleanza franco-
russa sarebbe potuto servire a portare l’Inghilterra nel campo della Triplice Alleanza. Per i
contemporanei la rivalità anglo-francese e anglo-russa erano tradizioni che potevano
sembrare immutabili. La formazione dell’Alleanza franco-russa stabilì un equilibrio in
Europa indipendente dalla Gran Bretagna. In Inghilterra non vi era desiderio di assumere
impegni, ma il fatto che gli interessi britannici avessero ambito mondiale la portava a
contatto con tutti gli altri imperialismi, mentre le consapevolezze delle deficienze della sua
marina la spinse a cominciare a discutere i vantaggi di un isolamento “splendido”.
Le rivalità europee in Africa
La politica inglese era piuttosto condizionata dalla necessità di mantenere e difendere le
posizioni stabilite, che portava all’espansione. La posizione britannica in Egitto era sicura,
tuttavia essa rimaneva vulnerabile per la mancanza di un chiaro titolo di possesso.
L’Alleanza franco-russa non portò mai ad un serio appoggio russo della Francia in Egitto,
né ad un appoggio francese alla Russia negli Stretti. Ma l’Egitto significava il Nilo, che si
estendeva fino al cuore dell’Africa, per cui si poneva il problema di un interesse britannico
nella parte superiore del fiume. Lo stabilimento dello Stato Libero del Congo e l’accordo
anglo-tedesco del 1890 definirono la situazione nella regione delle sorgenti del Nilo
Bianco; ma nel settore del Mar Rosso l’Italia aveva ambizioni espansionistiche viste bene
dall’Inghilterra. La Francia invece tendeva ad appoggiare l’Abissinia. Ad occidente la
situazione rimaneva aperta alla penetrazione dell’influenza francese, la Francia non
riconosceva le pretese britanniche sul Sudan. L’Inghilterra stabilì negoziati con re
Leopoldo che avrebbero dovuto consentire un’estensione del Congo al nord in cambio
dell’affitto di una striscia del Congo alla Gran Bretagna. I francesi sollevarono obiezioni,
con l’appoggio dei tedeschi. La questione venne lasciata cadere e i francesi sembrarono
decisi a sfruttare la situazione: il ministro degli Esteri francese, Hanotaux, decise nel 1895
di inviare una spedizione nell’Alto Nilo.
Con il 1896 il Sud Africa entrò nel quadro delle relazioni europee: l’importanza della
colonia del Capo era strategica per l’Inghilterra; l’apertura del Canale di Suez aveva
aperto la rotta dal Mediterraneo all’Oriente, ma il canale era vulnerabile. Il corso degli
eventi nel Sud Africa è l’esempio della penetrazione dell’Occidente industriale in regioni
meno sviluppate, ma la presenza di coloni bianchi venuti in epoca precedente gli diede un
carattere particolare. Il conflitto giunse al culmine dalla presenza di due forti personalità:
Cecil Rhodes, finanziere imperialista, e Kruger, il presidente del Transvaal. Dopo la
spedizione del dott. Jameson alla fine del 1895, fu inviato un telegramma dall’imperatore
Guglielmo II a Kruger. L’intenzione tedesca era di far rilevare all’Inghilterra il suo
isolamento per condurla a stabilire un legame più stretto con la Triplice Alleanza. La
reazione inglese fu però di irritazione che non favorì i rapporti anglotedeschi. In Germania
si sviluppò un reciproco risentimento. Per far fronte ai sogni inglesi e francesi in Africa, in
Germania si pensava che dagli attuali insediamenti tedeschi si potesse sviluppare una
espansione verso il Congo in modo da costituire un blocco che abbracciasse gran parte
dell’Africa centrale. Nel 1896 la Germania non aveva alcuna seria intenzione, però, di
sfidare l’Inghilterra in Africa. Piuttosto che perseguire la prospettiva della creazione di una
Lega continentale, la prospettiva di un legame stretto con l’Inghilterra fu quella perseguita
dalla Germania.

Sviluppi in Estremo Oriente


In Estremo Oriente nel 1894-95 la diplomazia europea fu assai attiva. Gli interessi
britannici in Cina erano essenzialmente commerciali, mentre la Russia tendeva pure
all’espansione politica (in questo periodo fu costruita la Transiberiana). La Manciuria e la
Corea costituivano l’oggetto dell’interesse russo.
Fattore nuovo ed inaspettato in Estremo Oriente fu la trasformazione del Giappone,
fenomeno unico ed impressionante: divenne il primo stato non occidentale che adottava e
adattava concezioni e metodi dell’Occidente con successo. La debole e caotica Cina era il
settore in cui si doveva rivolgere l’espansione giapponese, ma questa era di interesse
anche per la Russia. Nel settembre 1894 il Giappone mosse guerra alla Cina, che
sconfisse velocemente. Ad aprile dell’anno dopo impose a questa il trattato di
Shimonoseki, assicurandosi Port Arthur e la penisola Liao-tung.
Vi una momentanea collaborazione tra Francia, Germania e Russia per esercitare
pressione sul Giappone, costringendolo a restituire alcune annessioni fatte in Cina. Era la
Lega continentale in azione; e l’Inghilterra era l’unica delle potenze interessate a non
partecipare alla sistemazione dell’Estremo Oriente.

Problemi mediterranei
Uno dei motivi dell’atteggiamento passivo dell’Inghilterra in Estremo Oriente era
rappresentato dai dubbi britannici sulla viabilità della Cina, gli stessi che aveva sull’impero
ottomano. La situazione del Vicino Oriente era rimasta relativamente tranquilla per alcuni
anni. La sola Inghilterra sembrava disposta ad intervenire però per risolvere i problemi del
malgoverno turco. Nel 1895 Salisbury era ritornato al governo e si prospettava la
possibilità di una soluzione alla Questione d’Oriente con la spartizione dell’impero
ottomano. Il progetto non venne attuato per l’incapacità delle potenze di accordarsi. Le
rivolte dei cristiani continuarono a verificarsi e nel 1896 fu la volta di Creta; l’aiuto greco ai
cretesi portò ad una dichiarazione di guerra turca alla Grecia nel 1897. La sconfitta dei
greci offrì alle potenze la possibilità di collaborare e impedire la punizione della Grecia da
parte turca, mentre l’emancipazione di Creta compì un passo avanti che avrebbe portato
all’autonomia dell’isola nel luglio 1898.
Anche in Macedonia si erano verificati disordini che vennero osservati dall’Austria con
speciale interesse. In quel paese il ministro Kalnoky era stato sostituito da Golucowski nel
maggio 1895. Golucowski non aveva intenti aggressivi, e la sua era una politica di
opposizione ai disegni russi. Ma il fatto che i russi non avessero in quel momento interessi
nei Balcani aprì la strada per un’intesa diretta austro-russa nel maggio 1897, che ebbe per
effetto il “congelamento” dei Balcani. La pace continuò a prevalere nei Balcani salvo
l’intermezzo greco-turco, ma il vero motivo di essa fu che la politica estera russa era
concentrata in Estremo Oriente.
Una delle difficoltà per stabilire un accordo sui progetti della spartizione dell’impero
ottomano era data dalla questione dell’Egitto. L’Inghilterra era ormai saldamente stabilita
in quel paese e la richiesta dei francesi di ritirarsi non sarebbe stata accolta da Londra.
Quando Hanotaux nel novembre 1895 decise di inviare una spedizione in Africa, il suo
scopo era di esercitare una pressione che conducesse ad un esame internazionale del
problema egiziano.
L’Italia, considerata spesso una pedina inglese, aveva progetti ben precisi: Crispi era
esponente dell’imperialismo, ma fu sconfitto nella guerra con l’Abissinia, il che lo portò a
dimettersi. La valutazione della potenza italiana in Europa subì un colpo severo. Gli italiani
si ritirarono nelle colonie che già possedevano, il che significava che la loro funzione di
contrappeso a possibili ambizioni francesi nel Sudan venne a mancare e l’Inghilterra
dovette occuparsi della questione direttamente, e decise di conquistare il Sudan nel marzo
1896.

Fashoda: l’urto anglo-francese


Una volta che in Inghilterra fu deciso che Kitchener doveva conquistare il Sudan, e una
volta che al capitano Marchand venne ordinato di partire dal Gabon e marciare verso il
Nilo, si doveva considerare inevitabile uno scontro anglofrancese. Ma ci vollero quasi due
anni prima che avvenisse. Al principio del settembre del 1898 Marchand issò la bandiera
francese a Fashoda sul Nilo, dove Kitchener lo trovò installato. Kitchener invitò Marchand
a ritirarsi, ma egli si rifiutò. Si apriva una crisi anglofrancese perché sia Inghilterra che
Francia avevano messo in moto delle forze senza prepararsi ad affrontare la situazione
che l’incontro avrebbe creato, e ora che l’incontro era avvenuto, superare il conflitto si
rivelò difficile poiché questo era stato reso di pubblico dominio. Gli inglesi intendevano
ottenere il controllo sul Nilo, spettava quindi alla Francia scegliere se combattere o cedere.
Delcassé, ministro degli Esteri francese, aveva lasciato che le cose seguissero il loro
corso e venne colto di sorpresa. La Francia si rese conto di quanto fosse isolata: Russia e
Germania vedevano con riluttanza un suo scontro con l’Inghilterra. Con molta saggezza
Delcassé decise di cedere il 4 novembre e di accettare l’inevitabile umiliazione della resa.
Tale decisione costituì uno dei due fattori principali che rese l’intesa anglofrancese
successiva possibile, insieme alla politica e alla tattica tedesca. Ma al momento il rancore
e il disappunto francesi furono assai forti. Era chiaro che la Francia non poteva affrontare
l’inimicizia dell’Inghilterra e della Germania. Fu inviato Paul Cambon in Inghilterra, e nel
marzo 1899 fu stretto un accordo anglofrancese che definì le rispettive sfere d’influenza
dei due paesi in Africa settentrionale e intorno al Nilo. Né Delcassé né l’opinione pubblica
francese erano pronti ad accettare di cessare di opporsi all’Inghilterra sull’Egitto,
nonostante fosse la prossima mossa logica.
L’Inghilterra ottenne ciò che desiderava da sola. Gli impegni britannici avevano ambito
mondiale e anche se la parte inglese nel commercio cinese era considerevole, altre
nazioni erano penetrate sempre di più in quella riserva, tra cui il Giappone, la cui
estensione era contenuta in parte dalla Russia. Nel 1896 venne conclusa un’alleanza
difensiva russo-cinese contro il Giappone. Anche qui la Germania entrò in scena e si
impadronì di Kiao-chow nel novembre 1897. La situazione in Estremo Oriente andava
facendosi sempre più complicata per la moltiplicazione di interessi presenti.

L’alleanza anglo-giapponese
L’avanzata russa in Estremo Oriente preoccupava il Giappone e la Gran Bretagna. Il
Giappone, che dal principio non aveva pensato di potersi scontrare apertamente con la
Russia con successo, decise di affrontare la situazione cercando un accordo, ma la tattica
russa prospettò al Giappone la possibilità di una collaborazione con l’Inghilterra sulla base
del loro comune interesse a contenere la Russia. Nel 1901 si svolsero i negoziati tra i due
paesi che portarono il 30 gennaio 1902 alla firma di un trattato di alleanza tra i due paesi.
Questo stabiliva la neutralità di una delle parti nella eventualità che l’altra fosse impegnata
in una guerra con un’altra potenza, mentre avrebbero partecipato allo scontro insieme nel
caso in cui una delle due si fosse trovata in guerra con più di una potenza. L’Inghilterra per
il prezzo della Corea si era garantita contro la possibilità di una combinazione russo-
giapponese, mentre nel caso in una guerra tra Giappone e Russia il pericolo di un
intervento britannico avrebbe trattenuto la Francia dall’intervenire in aiuto della Russia.

La formazione di un nuovo allineamento di potenze


L’Italia al bivio
La Germania non volle allarmarsi per l’alleanza anglo-giapponese, preferendo vedere in
essa ulteriori possibilità di attrito anglo-russo. Nel frattempo, entro la Triplice Alleanza la
situazione andava mutando per via dell’evoluzione della posizione dell’Italia. Rudinì, il
successore di Crispi, veniva considerato francofilo. Ciò non significava abbandonare la
Triplice, ma nel 1896 avvenne un cambiamento nei rapporti franco-italiani. Venne stabilita
una convenzione franco-italiana che concesse certi privilegi e vantaggi economici agli
italiani in Tunisia, insediamento francese, il che equivaleva al riconoscimento italiano del
protettorato francese. La guerra doganale del 1888 venne liquidata nel 1898 con la
conclusione di un trattato di commercio. Questi atti valsero ad effettuare la transizione da
rapporti ostili a rapporti amichevoli tra i due paesi. Fondamentale per l’Italia era la
posizione dell’Inghilterra, paese che si era sottratto persino allo scarso impegno degli
Accordi mediterranei. La convenzione anglofrancese che fece seguito a Fashoda venne
considerata con risentimento in Italia, ma l’Italia ottenne dalla Francia una dichiarazione di
disinteresse a oriente della Tunisia.
L’ambasciatore francese a Roma condusse lunghi negoziati con il ministro degli Esteri
italiano, il cui risultato fu lo scambio di lettere del 1900 che portò alla dichiarazione
reciproca del disinteresse italiano in Marocco e di quello francese in Libia. Ciò costituiva
una modifica dell’allineamento mediterraneo, in quanto la Francia non era più isolata in
quel mare. La pianta del riavvicinamento francoitaliano continuò a svilupparsi, e questo
nuovo indirizzo era fonte di preoccupazione per la Germania, anche se il cancelliere
tedesco non poteva evitare tali avvenimenti.
In Italia Prinetti era successo al ministero degli Esteri a Visconti Venosta. Egli permise che
la posizione italiana si evolvesse verso una ambiguità anche più profonda: nel giugno
1902 vennero fatte quasi contemporaneamente il rinnovo della Triplice Alleanza e uno
scambio di note con Barrère. Lo scopo della politica francese era staccare l’Italia dalla
Triplice Alleanza, ma non riuscendo in ciò, l’obiettivo era di stabilire con precisione la
natura stessa dell’alleanza. Le assicurazioni di Prinetti secondo cui era priva di portata
aggressiva verso la Francia non erano soddisfacenti, per cui nello scambio di lettere fu
affermato che nel caso che la Francia fosse l’oggetto di un’aggressione diretta o indiretta
da parte di una o più potenze l’Italia sarebbe rimasta neutrale, e viceversa; stessa cosa
sarebbe avvenuta se uno dei due paesi si fosse trovato costretto in conseguenza di una
provocazione diretta a prendere l’iniziativa di una dichiarazione di guerra. L’impegno
italiano con la Francia era di natura molto elastica per la stessa natura e terminologia
utilizzata nell’accordo: significava che al momento dei fatti l’Italia avrebbe giudicato come
doveva comportarsi, e l’equivoco era accresciuto dal fatto che l’Italia continuasse ad
essere un membro della Triplice Alleanza.
Se si considera il fatto che l’Italia era rimasta ufficialmente allineata finora in un campo, lo
scambio di note francoitaliano segnò un mutamento importante. Si può dire che l’Italia,
che era la più debole delle grandi potenze ed assai sensibile alle variazioni di potenza,
stava cercando un punto fermo per sé ed esprimeva esattamente l’incerta situazione
generale del momento.

L’intesa anglofrancese del 1904


Sviluppo importante riguardò i rapporti anglo-francesi. Dal lato francese, Delcassé dirigeva
fermamente la politica estera del paese con l’intenzione di fortificarne la posizione
internazionale. Quanto all’espansione imperialistica, il sultanato del Marocco costituiva
una preda attraente, circondato com’era da possedimenti francesi. Per ottenerlo la Francia
avrebbe dovuto concludere qualche accordo, come con l’Italia del 1900. Una serie di
circostanze rendeva possibile il raggiungimento di un’intesa anglofrancese: alla regina
Vittoria era succeduto il figlio Edoardo VII, che guardava alla Francia e alle cose francesi
con simpatia. Più importante fu il fallimento del terzo passo britannico per stabilire un
accordo con la Germania; argomento su cui il Gabinetto era sempre stato diviso. Questo
fallimento doveva essere considerato nel conteso della politica navale tedesca: un’intesa
con la Germania rappresentava per l’Inghilterra il modo di evitare il costo della
competizione navale e la possibile minaccia di una marina navale. Un’intesa con la
Francia avrebbe potuto contribuire a neutralizzare quel paese con ancora maggiore
efficacia come alleata della Russia in Estremo Oriente.
Il Marocco era diventato il punto centrale della politica di Delcassé e nel giugno 1902
vennero compiuti i primi passi presso Lansdowne. La risposta inglese non fu favorevole,
ma la visita ufficiale di re Edoardo a Parigi nel 1903 costituì un’operazione delicata che fu
conclusa con netto successo. Data la soluzione dei rapporti anglofrancesi nel campo
imperialistico, non c’è da sorprendersi sei i negoziati si protrassero. Nell’aprile 1904 furono
firmati di documenti dell’Entente Cordiale, intesa anglofrancese che consisteva in una
convenzione pubblica, due dichiarazioni e qualche articolo segreto. La convenzione
riguardava questioni secondarie. Il nucleo centrale dell’accordo riguardò l’Africa
settentrionale: la Francia decideva di dare all’Inghilterra mano libera in Egitto. L’articolo II
della dichiarazione stabiliva che il governo britannico riconosceva ciò che spettava alla
Francia, in quanto è la potenza i cui domini confinavano per lungo tratto con quelli del
Marocco, di conservare la l’ordine in quel paese e di dargli assistenza per le riforme
necessarie. Dichiarava che non avrebbe intralciato le azioni della Francia a quello scopo a
condizione che questa avesse lasciato intatti i diritti che la Gran Bretagna godeva in
Marocco. Venne anche preso in considerazione l’interesse spagnolo in Marocco. Inoltre, vi
fu un accordo tra Francia e Spagna circa la divisione delle loro sfere d’influenza in
Marocco. La formazione dell’Intesa cordiale è un evento storico di grande importanza,
anche se non si trattò di una vera e propria alleanza. Le due maggiori potenze
imperialistiche risolvevano le loro divergente imperialistiche. La posizione
fondamentalmente difensiva dei due paesi stava avvicinandoli senza che essi ne avessero
consapevolezza.

Verso la guerra, 1904-1914


La Germania e l’Intesa anglofrancese
Poco dopo la conclusione dell’accordo anglofrancese, il ministro tedesco a Tangeri rivelò
che “la questione egiziana è morta, ma la questione marocchina è assai viva”. Esiste uno
stretto legame tra la Manciuria e il Marocco.
La guerra russo-giapponese
Durante i primi danni del secolo i Balcani furono “ghiacciati”. Una delle conseguenze della
ribellione dei Boxers era stata l’occupazione della Manciuria, nell’aprile 1904 un accordo
russo-cinese stabilì l’evacuazione delle forze russe, ma la sua attuazione portò a ulteriori
difficoltà. Con la Russia da un lato e il Giappone e l’Inghilterra dall’altro, la situazione in
Manciuria avrebbe potuto essere definita attraverso dei negoziati. Ma in Russia prevalse
tra le due correnti presenti (quella capeggiata da Witte che attribuiva importanza alla
penetrazione economica che si sarebbe potuta compiere attraverso accordi politici e
quella da Bezobrazov, che aveva come scopo l’assorbimento della Corea) prevalse la
seconda, e i negoziati tra Giappone e Russia sembrarono procedere sfavorevolmente,
finché i giapponesi si convinsero della loro inutilità. I giapponesi l’8 febbraio 1904 fecero
un attacco a sorpresa a Port Arthur, senza alcuna formalità, e da molti la lotta venne
ritenuta ineguale e considerarono giustificato il disprezzo russo. Port Arthur, assediata, si
arrese nel gennaio 1905, mentre le altre battaglie stabilirono chiaramente la superiorità
giapponese.
La battaglia nello Stretto di Tsushima nel maggio 1905 fu la controparte marittima delle
vittorie terrestri giapponesi. A quest’epoca la posizione della Russia venne resa
ulteriormente difficile dallo scoppio di una rivoluzione interna, mentre il Giappone
cominciava a sentire lo sforzo finanziario della guerra, così la mediazione offerta dagli
Stati Uniti portò alla conclusione del trattato di Portsmouth del 5 settembre 1905.
La Gran Bretagna era alleata del Giappone così come la Francia era alleata della Russia,
e dal punto di vista di Delcassé lo scoppio delle ostilità in Estremo Oriente era cosa assai
imbarazzante. Entrambe le potenze desideravano circoscrivere l’ambito del conflitto, e
l’accordo anglofrancese ne era espressione. Alla Germania la guerra parve una conferma
del suo assunto secondo cui il contrasto anglo-russo era ineliminabile, mentre l’alleanza
franco-russa avrebbe aiutato a trasformarlo in un contrasto anglofrancese, e intendeva
trarre vantaggio dalla situazione. La flotta russa attraversando il Mare del Nord confuse dei
pescherecci inglesi per delle navi da guerra giapponesi nell’incidente di Dogger Bank, ma
l’incidente venne risolto in maniera amichevole, senza dare alla Germania la possibilità di
realizzare il suo intento. La Germania tentò di stringere un’alleanza con la Russia, ma il
tentativo fu fallimentare e le trattative si chiusero quanto si affrontò il problema di se la
Francia, alleata russa, dovesse essere subito consultata o posta di fronte al fatto
compiuto.

La prima crisi marocchina


La Germania non fu capace di trarre vantaggio dalla situazione in Estremo Oriente, ma
presto se ne trovò una di fronte in un altro settore. Al Reichstag, in aprile, Bulow salutò
l’Intesa anglofrancese come un contributo alla pace. La Germania desiderava
comprendere la natura dell’Intesa e la situazione marocchina poteva servire a questo
scopo. Anche ammettendo la logica che il Marocco apparteneva alla Francia, ciò non
poteva significare una semplice rinuncia delle altre potenze agli interessi e ai diritti che si
potevano avere, questo però non era il modo di vedere francese. La Germania era l’unica
altra potenza che avesse interessi marocchini di una certa entità, quindi uno scambio
franco-tedesco sarebbe sembrato una soluzione adeguata. Da entrambe le parti si ebbero
virtuosismi diplomatici e il duello fra i due uomini e i due paesi costituisce l’essenza della
prima crisi marocchina. Da principio la Germania non fece che considerare la faccenda e
decidere che bisognava fare qualche cosa. Il Marocco divenne il punto centrale dell’attività
diplomatica del 1905. Era ragionevole attendersi che la Francia avrebbe cercato di
compiere un’azione di penetrazione in Marocco, ma il Marocco era aperto a tutti secondo
la convenzione di Madrid del 1880, la Germania incoraggiò dapprima il sultano del
Marocco a resistere alla penetrazione francese. Bulow propose una conferenza
internazionale di tutte le potenze firmatarie del trattato di Madrid per riesaminare la
situazione marocchina. A Berlino si calcolava che l’Austria e l’Italia avrebbero appoggiato
la Germania, la Russia sarebbe stata amichevole e l’Inghilterra e la Spagna avrebbero
colto l’occasione per liberarsi di qualsiasi impegno con la Francia, mentre gli Stati Uniti
avrebbero sostenuto la politica della “porta aperta” del Marocco, la Francia sarebbe quindi
rimasta isolata e la Germania avrebbe ottenuto una vittoria diplomatica. Per la Francia il
problema principale divenne se la conferenza dovesse avere luogo o meno. Rouvier salì
alla presidenza del Consiglio mentre Delcassé rimase al suo posto, e mentre il primo era
propenso a cedere, il secondo insisteva nel dire che la Germania bluffava; e quando i due
si scontrarono il primo fu costretto a dimettersi. La Germania ottenne una grande vittoria
diplomatica con questa dimissione, e invece di giungere ad un accordo con Rouvier, cercò
di spingere le cose più innanzi, finendo con il distruggere la propria vittoria. Il Kaiser si
incontrò con lo zar russo a Bjorko e il primo propose un’alleanza, ma il sogno della Lega
continentale durò ben poco e si concluse quando i russi proposero che la Francia aderisse
all’accordo prima della conclusione del trattato. Ma lo stesso sogno non era condiviso
dalla politica di Bulow, risulta quindi una certa mancanza di coordinamento della politica
tedesca. Passato l’episodio il Marocco fu di nuovo al centro della scena. Bulow ottenne
quello che voleva quando Rouvier acconsentì alla fine di settembre a partecipare a una
conferenza internazionale ad Algeciras, nella quale il 17 aprile 1906 fu firmato l’atto finale.
La sistemazione della crisi marocchina rappresentava un compromesso, il fatto stesso che
fosse avvenuta una conferenza internazionale era una conferma della condizione giuridica
internazionale del Marocco e della politica della “porta aperta” venne mantenuta. La
Germania fino a quel punto aveva raggiunto il suo scopo e dal punto di vista francese il
Marocco rimase soggetto agli interventi internazionale, la posizione francese in Marocco
venne allo stesso tempo rafforzata dal riconoscimento degli speciali interessi della
Francia, in particolare quanto al mantenimento dell’ordine nel paese. Bisognava aspettarsi
che il mantenimento dell’ordine facesse sorgere altri problemi, e ci vollero cinque anni
prima che si verificassero eventi che portarono ad una ripetizione della crisi del 1905. In sé
stesso il Marocco non era altro che un problema di espansione imperialistica, ma ciò che
gli attribuiva importanza maggiore era il fatto che fornì l’occasione di una crisi europea di
primaria importanza. Sia Francia che Germania erano ansiose di conoscere la natura della
posizione inglese: il nuovo governo istituitosi nel 1905 in Gran Bretagna aveva dato alla
Francia appoggio contro la Germania. Il 31 gennaio 1906 Grey si decise ad autorizzare
discussioni fra l’Inghilterra e la Francia.
I particolari specifici della Questione marocchina svanirono nel più vasto e complesso
quadro di rapporti di forza europei. A Londra si decise di affrontare la situazione del
momento senza pensare ad impegnarsi in una politica a lunga scadenza, decisione assai
importante, di un passo in avanti verso il progressivo aumento dell’Inghilterra nelle
questioni continentali, il cui logico risultato sarebbe stato la dichiarazione di guerra del 5
agosto 1915. Per la Germania il Marocco era una questione secondaria, ma fu l’occasione
e il pretesto di affrontare più vaste questioni di potenza. Il risultato fu che finì per rafforzare
l’Intesa anglofrancese più di quanto la diplomazia francese da sola non sarebbe riuscita
ad ottenere. Per la Germania costituì un colpo constatare la natura della reazione
britannica. La Russia nella sua debolezza trovò saggio appoggiare la Francia e non la
Germania. La Spagna era giunta ad un accordo con la Francia con la benedizione
dell’Inghilterra. Perfino l’alleata Italia alla fine fece onore al suo impegno con la Francia del
1900 per quanto riguardava il Marocco. La Germania venne lasciata sola con l’unica
alleata su cui poteva fare affidamento, l’Austria. Ma si sentiva forte e le reazioni istintive di
una forza frustrata possono essere pericolose.
Questi rapporti di forza in Europa erano favorevoli ad un riavvicinamento tra Inghilterra e
Russia, assai desiderato dalla Francia. Il Giappone era uscito esausto dalla guerra. La
situazione creata da questi eventi e tendenze fa da sfondo ai negoziati fra Russia e
Giappone da un lato e Inghilterra dall’altro. Mentre le Francia concludeva un prestito al
Giappone, questo concludeva un accordo con la Russia nel 1907 basato sul reciproco
riconoscimento delle loro posizioni in Estremo Oriente. I negoziati anglo-russi incontrarono
alcune difficoltà date dalle diversità dei due paesi, che non si apprezzavano
reciprocamente. Il 31 agosto 1907 fu firmato un accordo anglo-russo. In tutta l’Asia si
aveva da molto tempo un contrasto di influenze tra l’Inghilterra e la Russia. La situazione
degli Stretti rimase immutata poiché la Gran Bretagna non era disposta a fare concessioni.
L’accordo riguardò soprattutto gli accessi all’India dal Tibet, l’Afghanistan e la Persia, con
la costituzione di “stati cuscinetto”. Il Tibet era sotto sovranità cinese e l’Afghanistan zona
d’influenza britannica, mentre la Persia venne divisa in tre zone: due sfere d’influenza, una
russa e una britannica, separate al centro da una zona neutra.
L’accordo sanzionò la combinazione conosciuta come Triplice Intesa. Questo
raggruppamento dell’Inghilterra, della Francia e della Russia non era un blocco compatto
con impegni chiaramente definiti da un trattato come la Triplice Alleanza. Consisteva in tre
atti internazionali bilaterali separati e distinti; l’alleanza franco-russa e i due accordi
riguardo questioni extraeuropee il cui intento iniziale era stato negativo. L’Europa andava
dividendosi in due campi opposti e rivali. Questo è il momento in cui la Germania cominciò
a concepire il mito dell’Einkreisung.
Gli interessi dei membri della Triplice Intesa divergevano in misura considerevole:
l’interesse francese alle ambizioni russe nel Vicino ed Estremo Oriente era uguale a quello
della Russia a che la Francia riavesse l’Alsazia-Lorena. L’unico motivo fondamentale di
divergenza fra Gran Bretagna e Germania era l’espansione navale tedesca, e l’Inghilterra
sarebbe stata lieta di giungere ad un compromesso su questo tema. La Russia non aveva
alcun motivo di contrasto con la Germania. In Francia il risentimento verso la Germania
era diminuito, infatti era cresciuta una nuova generazione per cui la guerra franco-
prussiana costituiva un ricordo indiretto, e persisteva nel paese una corrente fortemente
antimilitarista.
Le condizioni dell’Europa del 1907 erano ancora molto fluide e contenevano possibilità di
mutamenti. La Germania continuava ad essere al centro della scena e ad essere il fattore
determinante della politica europea.
L’annessione e le sue conseguenze
il 5 ottobre a Parigi Isvolskij, diplomatico russo, apprese che l’Austria-Ungheria aveva
proclamato l’annessione della Bosnia-Erzegovina. L’Austria aveva violato il trattato di
Berlino del 1878, e la questione era soggetta al parere diretto delle potenze. Le potenze
dell’Intesa favorivano la convocazione di una conferenza, ma l’Austria non volle saperne e
Aehrenthal, ministro degli Esteri austriaco, esercitò pressione su Isvolskij. Il centro degli
interessi austriaci erano i Balcani e in particolare la Serbia, ma la Germania vide in questa
situazione l’opportunità di umiliare la Russia dando solido appoggio all’Austria.
L’intransigenza tedesca spinse la Francia a trattenere la Russia, e la crisi non era ancora
risolta ad inizio del 1909. I negoziati riguardo una conferenza proseguirono ma l’Austria ne
accettò la convocazione solo a condizione che le potenze acconsentissero
preventivamente ad accettare il fatto compiuto. La Germania inviò una nota alla Russia
per farla cedere, e non c’era altro da fare che cedere e trarre dalla situazione turca una
soluzione che le salvasse la faccia. La sovranità della Bosnia-Erzegovina era ancora turca
e un accordo austro-turco ne stabilì il trasferimento dallo Stato ottomano allo Stato
austriaco, al quale le potenze diedero il loro consenso, risolvendo la crisi con la pace.
Gli strascichi dell’episodio furono considerevoli; servì da campo di prova del contrasto fra
le potenze centrali e l’Intesa. Il risultato fu la vittoria delle prime. La Russia accumulò
risentimento e amarezza nei confronti della Germania; i rapporti tra Germania e Austria si
rafforzarono, contrastando quelli deboli dell’Intesa. Il tono dell’Alleanza venne mutato, e il
suo carattere militare fu accentuato.
L’Austria era in gran parte spinta nelle questioni locali nei Balcani per il problema interno
delle diverse nazionalità. Il malcontento degli slavi meridionali fu inasprito con i processi di
Friedjung e di Zagabria, slavi meridionali accusati di tradimento sulla base di falsi che
vennero rivelati nel corso dei processi. L’annessione della Bosnia-Erzegovina chiudeva
qualsiasi speranza di unione di quelle province con la Serbia, ma non valse a distruggere
il sentimento degli slavi meridionali, indotti a considerare mezzi violenti ed illegali come
ultima risorsa. Ma in mancanza di un appoggio russo per la Serbia sarebbe stata follia
entrare in conflitto con l’Austria. Cedette quindi al Concerto europeo, che le assicurò il
successo dell’Austria, e il 30 marzo il governo serbo emanò una dichiarazione in cui si
affermava l’intenzione di vivere in armonia con l’Austria.
Il legame austro-tedesco uscì rafforzato dall’episodio ma non si può dire lo stesso della
Triplice Alleanza. L’Italia avrebbe avuto diritto a qualche compenso per i mutamenti che
l’annessione comportava, ma non ne ricevette, e ne rimase delusa. Nell’ottobre 1909
Tittoni e Isvolskij firmarono un accordo sull’intendo di evitare che si verificasse
nuovamente un’azione unilaterale austriaca nei Balcani, dunque l’Italia nuovamente
negoziava e si accordava al di fuori della cerchia dei suoi alleati.

La seconda crisi marocchina e le sue conseguenze


La crisi di Agadir
La seconda crisi marocchina del 1911 fu una curiosa ripetizione di quella già verificatasi,
anche se vi furono differenze nell’atmosfera dell’anno rispetto al 1905. L’accordo del 1909
aprì la possibilità di una collaborazione economica tra Francia e Germania, ma una serie
di divergenze all’interno dei due paesi rese tale prospettiva sterile. Nel frattempo, la
situazione interna del Marocco ebbe sviluppi disordinati finché nel maggio del 1911 truppe
francesi occuparono Fez. Gli aspetti fondamentali del problema erano che i francesi
nell’occupare Fez avevano agito in modo corretto rispetto ai firmatari dell’Atto di Algeciras.
La politica tedesca di Kiderlen fu di permettere che i francesi agissero per poi sollevare il
problema dei compensi. Il primo luglio la Panther, una camionetta tedesca, apparve ad
Agadir. Da questo atto appariva che la Germania affermava l’eguaglianza delle posizioni
tedesche e francesi nel Marocco, per cui si aprì la crisi. La reazione russa sostanzialmente
la stessa che la Francia ebbe nella questione bosniaca. In Francia Caillaux divenne primo
ministro nel giorno in cui la Panther apparve ad Agadir; egli era disposto a negoziare e il
colpo ad Agadir non lo allarmò particolarmente, sebbene ebbe l’effetto di rendere la sua
posizione più difficile in Francia. Gli inglesi non la pensavano in modo unanime sulla
faccenda e questo rappresentava un vantaggio per i tedeschi. La Gran Bretagna non
aveva nulla in opposizione ad uno scambio di territori coloniali tra Francia e Germania. La
richiesta tedesca del Congo, che era irragionevole, venne opportunamente utilizzata dai
francesi. Il discorso di Lloyd George, politico britannico, del 21 luglio, ebbe l’effetto di
incoraggiare la resistenza francese e di convertire la contesa francotedesca in una
contesa anglotedesca. Il risultato fu un accordo francotedesco firmato il 4 novembre che
risolse la crisi: la Germania accettò lo stabilimento di un protettorato francese sul Marocco
in cambio del quale ricevette due considerevoli strisce di territorio tratte dal Congo
francese e cedette a sua volta una striscia di terra vicina al lago Ciad. Il Marocco come
problema di politica internazionale europea scomparve e il protettorato francese venne
stabilito nel marzo 1911, ma la crisi iniziata ad Agadir oscurò il cielo dell’Europa, e fu molto
significativo il suo effetto sull’opinione pubblica dei vari paesi europei. In Francia l’accordo
portò al rovesciamento del ministero di Caillaux nel gennaio 1912, e la sua successione
toccò a Poincaré, vivente incarnazione delle virtù borghesi della Francia che spicca tra gli
statisti dell’immediato anteguerra, la cui influenza sul corso degli eventi fu considerevole.
La Germania era vista come il nemico su cui bisognava sempre puntare gli occhi. In
Germania era stato detto molto sul Marocco e il nome era penetrato nella coscienza
popolare dove aveva fatto sorgere aspettative incontrollabili. Kiderlen e Bethnamm furono
molto criticati per l’accordo mentre Tirpitz poté trarre vantaggio dalla situazione.

La guerra di Libia
Un mese prima che venne firmato l’accordo che chiudeva la crisi di Agadir, l’Italia inviò alla
Turchia un ultimatum che fu seguito da una dichiarazione di guerra. Il problema concreto
era dato dai vilajet (divisioni amministrative) di Tripoli e della Cirenaica, dove l’Italia
lamentava che i suoi interessi venivano danneggiati dai turchi. Anche in Italia si era avuto
uno sviluppo del nazionalismo più aggressivo, e Giolitti (né nazionalista né imperialista)
dovette lanciare il paese nell’avventura della Tripolitania.
La situazione internazionale era ancora più importante: la Tripolitania costituiva l’ultimo
territorio non accaparrato da potenze imperialistiche dell’Africa settentrionale
mediterranea. Tutte le potenze avevano espresso il loro consenso a che l’Italia si stabilisse
a Tripoli, e con il generale intensificarsi delle rivalità nel Mediterraneo si rese conto che era
venuto il momento di stabilirvisi per non correre il rischio che qualcuna delle potenze
prendesse a pretesto qualche mutamento della situazione per prendere il suo posto. La
guerra italo-turca costituì un motivo di preoccupazione per tutte le potenze poiché riapriva
l’indesiderata riapertura della Questione d’Oriente. L’impresa italiana si rivelò più ardua di
quanto non ci si aspettasse, anche se infine l’Italia prevalse. Nell’intendo di chiudere la
porta ad interventi dall’esterno che potevano creare complicazioni essa stabilì il fatto
compiuto proclamando l’annessione della Tripolitania e della Cirenaica il 5 novembre.
Fra le potenze dell’Intesa solo la Russia pareva favorevole all’impresa italiana. La Francia
tenne un atteggiamento riservato, e la sola ragione per cui l’Inghilterra non espresse una
più forte avversione per l’impresa fu il timore di maldisporre nei suoi confronti l’Italia.
L’attrito fu maggiore con gli alleati dell’Italia: la Germania provò un forte disappunto e non
poteva che considerare con avversione un aperto conflitto tra un’alleata ed un’altra
possibile alleata. La reazione dell’Austria fu la più aspra: i termini formali dell’alleanza
furono usati per impedire all’Italia di intraprendere un’azione nei Balcani. Mentre in
Tripolitania la resistenza locale continuava, l’Italia si volse verso l’Egeo. Procedette
nell’aprile-maggio del 1912 all’occupazione del Dodecaneso. Ciò aumentò i timori delle
potenze e le loro proteste contro l’estensione della zona di operazioni. Seguì un’intensa
attività diplomatica, fin quando la Turchia non fu indotta a venire a patti dal timore di
complicazione nei Balcani; acconsentì a cedere la sovranità e a ritirare le truppe dalla
Libia, con la condizione che gli italiani sarebbero rimasti nelle isole del Dodecaneso.
L’episodio era servito a mettere alla prova l’equilibrio e gli allineamenti europei.

Ancora la Questione d’Oriente


Le guerre balcaniche
Dalla seconda crisi marocchina il ritmo degli attriti europei mostra la tendenza a divenire
più rapido. Il rapporto tra Marocco e Tripolitania era molto stretto, così come la guerra
italo-turca e le guerre balcaniche del 1912-13 erano intimamente connesse.
Nell’agosto del 1912 Poincaré si recò in visita in Russia, dove fu informato di alcuni
risultati dell’attività diplomatica russa, che fu caratterizzata da una sorprendente mancanza
di coordinamento. La Russia non si preoccupava in modo particolare di estendere la sua
influenza nei Balcani, ma piuttosto della situazione degli Stretti: la loro chiusura da parte
dei turchi per un breve periodo dinanzi alla prospettiva di un’azione italiana rappresentò
alla Russia gli svantaggi della sua posizione. Dal 1911 sia Isvolskij che Charykov avevano
tentato di ottenere l’appoggio francese e l’acquiescenza turca ad un qualche mutamento
nella condizione giuridica deli Stretti, sforzi che non avevano portato ad alcun risultato, ma
i ministri russi si prodigarono comunque nel promuovere progetti di riorganizzazione
balcanica. Essi agivano di loro iniziativa piuttosto che dalle istruzioni di Pietroburgo e i loro
sforzi ottennero successo quando il 13 marzo 1912 venne conclusa un’alleanza serbo-
bulgara. L’intento di questa era di soddisfare l’irredentismo dei due paesi a spese della
Turchia. Apparentemente Sazonov non si rese pienamente conto dell’importanza di questa
alleanza perché pur non desiderando la guerra si comportò come se ne fosse pienamente
soddisfatto. Poicaré vide le cose con molta più chiarezza quando ne fu informato e
assicurò ai russi che potevano contare sull’appoggio francese, nonostante anch’egli non
volesse la guerra. Le preoccupazioni di Poincaré erano senz’altro fondate: l’accordo
iniziale di marzo fu sostituito da un’intesa militare e in maggio si costituì la Lega balcanica.
Il crescente malcontento nel settore ottomano dei Balcani li rese maturi per un’esplosione.
La Germania senza dubbio avrebbe aiutato l’Austria e la Francia avrebbe aiutato la
Russia. il risultato di queste circostanze fu quella che può essere definita l’ultima efficace
azione del Concerto europeo di fronte ad una crisi importante.
In agosto Berchtold, il ministro degli Esteri dell’Austria-Ungheria, si rivolse alle potenze per
svolgere un’azione comune a Costantinopoli. I negoziati proseguirono fino a che il 4
ottobre venne formulata la proposta francese, secondo cui le potenze si sarebbero
impegnate ad opporsi a qualsiasi mutamento dello status quo territoriale nella Turchia
europea, che costituì la base di un accordo generale. Russia ed Austria ebbero l’incarico
di far intendere la volontà comune dell’Europa agli Stati balcanici, ma era troppo tardi,
poiché prima che arrivasse la nota austro-russa giunse la dichiarazione di guerra del
Montenegro alla Turchia, seguita da quella della Lega balcanica. Il 3 dicembre venne
concluso da tutti tranne che dai greci un armistizio che impegnava i belligeranti a rimanere
sulle loro posizioni: la Turchia tranne che per gli Stretti era stata cacciata dall’Europa.
L’Europa non era preparata a quest’esito della guerra; il 16 dicembre a Londra si riunì la
conferenza della pace, o meglio ebbero inizio due conferenze contemporanee, una degli
Stati balcanici e un’altra degli ambasciatori delle potenze. La Turchia europea non poteva
essere restaurata e alla fine di gennaio parve si giungesse ad una intesa tra turchi e
balcanici, che venne postposta dalla seconda guerra balcanica, futile ripresa della
resistenza turca. I turchi infine dovettero cedere tutto il territorio turco in Europa e la pace
fu firmata a Londra il 30 maggio 1913.
Nei Balcani la pace ancora non era stata ristabilita: data l’opposizione austriaca al
nazionalismo serbo, era forse troppo tardi per iniziare una politica di conciliazione e di
amicizia, e l’intento centrale della politica austriaca divenne di impedire l’accesso della
Serbia al mare tramite la creazione dello Stato albanese. L’Austria aveva l’appoggio
italiano; e per quanto riguarda le altre potenze, l’Austria e la Russia sembravano le più
disposte al compromesso. Per quanto riguarda gli Stati balcanici la pressione austriaca
sulla Serbia ebbe l’effetto di indurre quel paese a rivolgersi altrove per ottenere compensi,
riaprendo la questione della Macedonia. La Bulgaria, contraria, prese l’iniziativa iniziando
la terza guerra balcanica il 29 giugno 1913. Questa guerra fu più breve della prima: i
Turchi riconquistarono Adrianopoli e i romeni si mossero contro la Bulgaria. Alla fine,
venne concluso un armistizio e il trattato di Bucarest del 13 agosto 1913 ristabilì la pace.
Date le circostanze, la Bulgaria dovette pagare per il suo errore e la Turchia riebbe
Adrianopoli. A parte il fatto che gli Stretti rimasero sotto sovranità turca, l’aspetto balcanico
della Questione d’Oriente per quanto riguardava la Turchia veniva definitivamente risolto,
e l’impero ottomano non era più uno Stato europeo.
La Romania ottenne la Dobrugia meridionale e la Bulgaria fu scacciata dalla Macedonia
che fu divisa tra serbi e greci. La questione dell’accesso all’Egeo della Bulgaria provò
qualche difficoltà riguardo la proprietà di Kavala, sotto occupazione greca. Tanto la Russia
quanto l’Austria favorirono le rivendicazioni bulgare, mentre Francia e Germania
supportarono le rivendicazioni greche. Infine, Kavala fu assegnata alla Grecia. La
Germania accettò gli accomodamenti fatti a Bucarest, che rappresentavano uno scacco
per l’Austria. Il trattato di Bucarest definì la situazione della parte orientale dei Balcani, con
un assetto stabilito essenzialmente tra gli stessi Stati balcanici, con un’asserzione da parte
loro di una posizione di indipendenza rispetto alle grandi potenze.

I rapporti europei dopo le guerre balcaniche


Nella parte occidentale le cose si misero diversamente. Il quel settore l’Austria era tanto
più ansiosa di confermare il suo precedente successo, perché voleva ottenere un
compenso per lo scacco subito col trattato di Bucarest. Il punto fondamentale finì per
essere un nuovo contrasto austro-serbo. A causa di disordini locali, i serbi ritornarono in
Albania nel settembre 1913 dopo che era stato raggiunto un accordo riguardo la frontiera
serbo-albanese, e ciò spinse l’Austria all’azione. Si discusse a Vienna sull’opportunità di
sistemare i conti con la Serbia, il che portò all’ultimatum del 18 ottobre. Questo passo
venne generalmente disapprovato dalle potenze fra cui l’Italia; in ogni caso il pronto ritiro
dei serbi dall’Albania eliminò la possibilità di un conflitto e la questione fu chiusa.
Il nuovo assetto nei Balcani non portò ad una composizione di tutte le divergenze: la
Bulgaria rimase umiliata, la Serbia nutriva profondo risentimento verso la sua vicina
settentrionale, che era ugualmente malcontenta, e l’esistenza stessa della Serbia era
considerata ora dall’Austria un pericolo. La politica austriaca e dietro di questa quella
tedesca avrebbe d’ora innanzi cercato nei Balcani di giocare la carta bulgara.
Fra le grandi potenze l’esplosione balcanica aveva provocato attriti assai modesti. I
rapporti tra le grandi potenze europee furono caratterizzati da un delicato equilibrio e da
un orientamento alquanto incerto. Fra la Germania e la Gran Bretagna il fallimento della
missione Haldane del 1912 non aveva lasciato ostilità, la competizione navale proseguì
ma l’Inghilterra era sicura di poter mantenere una notevole distanza fra la sua potenza
navale e quella tedesca. L’Inghilterra era molto impegnata inoltre in questioni interne. Fra i
membri del governo liberale non pochi erano inclini a nutrire simpatia verso la Germania.
In questa atmosfera fu possibile riprendere le discussioni sulla questione dell’eventuale
spartizione delle colonie portoghesi. Anche il tema della ferrovia di Bagdad sembrava
avviato ad una soluzione. Tali amichevoli rapporti misero in allarme la Francia, dove i
rapporti con la Germania non erano migliorati. La politica marocchina del governo aveva
incontrato molte critiche ma il modo di procedere della diplomazia tedesca aveva lasciato
in ogni caso una traccia di diffidenza. L’elezione di Poincaré alla presidenza nel gennaio
1913 fu un trionfo del réveil national, la cui attenzione di accentrava sulle province
orientali. Venne deciso il ristabilimento del servizio militare triennale, attraverso il quale la
Francia sperava di compensare l’inferiorità numerica della sua popolazione maschile
rispetto a quella tedesca. La Francia giocò sulla necessità della Russia di ottenere capitali,
infatti per ottenere prestiti questa dovette promettere di aumentare gli effettivi del suo
esercito e di costruire ferrovie di importanza strategica. Anche la Germania aumentò i suoi
effettivi e la gara agli armamenti continuò. Ciò non significava che Poincaré o il Kaiser
desiderassero attivamente la guerra, ma credevano che “si vis pace para bellum” (se vuoi
la pace prepara la guerra). La politica italiana rifletteva l’incertezza degli allineamenti
internazionali: L'Italia aveva aiutato l'Austria ad ottenere la costituzione dell’Albania, dopo
però le due potenze non andarono più d'accordo e l'Albania divenne terreno di contesa fra
le loro influenze rivali. La questione irredentistica ebbe un risveglio nel 1913. Nel giugno
1913 un accordo navale stabilì la collaborazione delle flotte austriaca ed italiana.
L'ambivalenza della politica italiana è rappresentata dal fatto che nel 1914, quando la
guerra scoppiò, l'Italia era impegnata in negoziati sia con l'Inghilterra che con la Francia
riguardo alla situazione del Mediterraneo.

Problemi orientali non risolti


La situazione in Oriente rimaneva delicata e gravida di pericoli. Forse lo sviluppo più
significativo di quegli anni era stata la penetrazione degli interessi tedeschi. Questo
interesse tedesco fu dapprima essenzialmente economico, aspetto per il quale differiva
dall’interesse austriaco, perché si affermò in Asia Minore dove la sua più completa
manifestazione furono le costruzioni ferroviarie iniziate dal 1893. Alla fine del secolo una
società tedesca stabiliva piani più grandiosi per congiungere la capitale ruca col Golfo
Persico. L’interesse tedesco in Asia Minore fu dapprima visto con favore dagli inglesi e dai
francesi, e soltanto i russi cercarono di trarre vantaggi politici dal progetto, ma i negoziati
non portarono a nulla.
Il processo fu lento e accompagnato da lunghi negoziati: raggiungere il Golfo Persico
significava toccare un punto sensibile degli interessi imperiali britannici, specialmente in
considerazione della rivalità navale anglo-tedesca. Tuttavia, la Germania in Asia Minore e
in Persia poteva costituire un utile contrappeso alla Russia. Se gli interessi commerciali
francesi nell’impero ottomano erano minori di quelli inglesi, la Francia aveva sottoscritto
nella misura di gran lunga più elevata al debito ottomano, e quindi sarebbe stata la parte
che avrebbe avuto maggiormente da perdere da un accordo anglo-tedesco che avrebbe
potuto essere il preludio alla spartizione dell’impero ottomano.
La soluzione uscì dagli accordi del 1913-14: il loro effetto principale fu di ottenere
l’impegno tedesco a non procedere oltre Bagdad, lasciando il tratto della linea ferroviaria
da Bagdad al Golfo Perisco sotto il controllo britannico, mentre venivano concordate le
partecipazioni dei vari interessi nazionali. Le potenze erano dunque in grado di conciliare i
propri interessi rivali in modo ragionevole, come avvenne per la ferrovia di Bagdad.
Questo problema rappresenta solo un aspetto secondario però del più grande problema
della Questione d’Oriente, al quale le guerre balcaniche del 1912-13 avevano conferito
nuova importanza. Gli Stati balcanici avevano ottenuto un assetto stabile; Bulgaria e
Turchia erano uscite sconfitte, date le inclinazioni della Bulgaria verso l’Austria e
l’influenza della Germania a Costantinopoli, cui si aggiungeva il fatto che la Romania era
ancora alleata delle potenze centrali, si sarebbe forse potuta costruire una combinazione
capace di dare realtà politica alla linea Berlino-Bagdad e di stabilire l’influenza dominante
austro-tedesca. La prospettiva era attraente ma di non facile realizzazione: i Balcani
appresentarono l’argomento principale di discussione tra Guglielmo II e Francesco
Ferdinando, l’erede al trono austriaco. La Bulgaria costituiva il perno della politica di
Berchtold, ministro degli Esteri austriaco.
Una delle difficoltà era rappresentata dalla situazione dei rapporti tra Bulgaria e Romania
dopo il trattato di Bucarest, un’altra i rapporti tra Romania ed Austria-Ungheria. Francesco
Ferdinando avrebbe potuto dare qualche soddisfazione alle rivendicazioni della Romania
in Transilvania, ma il pericolo da prevenire oltre alla lega balcanica era quello di una
combinazione tra Russia, Romania, Montenegro e Serbia. Russia e Francia ottenevano
maggiore successo a Bucarest degli alleati ufficiali della Romania. Nella Turchia i tedeschi
erano ansiosi di mantenere la loro influenza e di restaurare il loro prestigio militare. La
richiesta turca del maggio 1913 che venisse inviata una missione militare tedesca a
riorganizzare l’esercito turco fu accolta a Berlino. La decisione del generale Liman von
Sanders di mettersi a comando della guarnigione di Costantinopoli suscitò una reazione
violenta in Russia, paese disposto a lasciare che i turchi conservassero gli Stretti, poiché
preoccupata per il libero passaggio del suo commercio. Se la Germania in questa
occasione compì una mossa intesa ad aumentare la sua influenza politica e a promuovere
il suo vantaggio economico, questa non aveva intenti antirussi. Ma i russi ritennero
opportuno dare rilievo alla minaccia di una guarnigione prussiana a Costantinopoli e
cercarono l’aiuto delle potenze dell’Intesa, che non sembrarono preoccupate, mentre un
ammiraglio inglese era stato designato per riorganizzare la marina turca. Nel gennaio
1914 venne trovata una soluzione alla situazione con una promozione di Liman von
Sanders a maresciallo, grado troppo elevato perché potesse mantenere il comando della
guarnigione di Costantinopoli.
Si può dire che l’alleanza dei tre imperatori era definitivamente conclusa e che agli occhi
russi sia Austria che Germania erano avversari da temere. La conseguenza indiretta fu un
rafforzamento dei legami franco-russi, posti sulla base di una similarità di interessi: la
Germania era divenuta l’elemento di congiungimento.
Date le circostanze, tutti si aspettavano uno scontro, e i preparativi di guerra erano in atto
in tutti gli Stati Maggiori; ma pochissimi tra i governanti in realtà desideravano la guerra.
Nel 1914 i popoli europei non avevano conosciuto la guerra in patria da due generazioni
ed un periodo di pace così lungo produceva l’impressione che la sua continuazione fosse
cosa normale, così come tutte le altre condizioni in cui si viveva.
La Prima Guerra Mondiale e l’assetto del Dopoguerra
La crisi del luglio 1914
L’assassinio di Sarajevo
L’arciduca Francesco Ferdinando visitò la capitale della Bosnia il 28 giugno, anniversario
della battaglia di Kossovo. Si erano avuti avvertimenti di non compiere tale visita, ma non
vennero nemmeno prese precauzioni eccezionali per garantire a sicurezza dell’arciduca.
Le idee dell’arciduca lo rendevano tanto più odioso ai nazionalisti jugoslavi più
intransigenti: fu questo gruppo di entusiasti che complottarono l’assassinio di Francesco
Ferdinando. Il cattivo coordinamento dell’impresa indusse l’autista dell’arciduca a fermarsi
dando ad uno dei congiurati l’opportunità di sparargli. Franceso Ferdinando e la moglie
furono entrambi uccisi, e si trattava di un assassinio motivato da una forma di idealismo
nazionalistico. Quei giovani, il cui irresponsabile ideale era un’unione nella libertà degli
slavi meridionali, fosse pure il prezzo di ridurre l’Europa in rovina, riuscirono nel loro
intento.

Dall’assassinio all’ultimatum austriaco alla Serbia


Un assassinio politico, specialmente nei Balcani, non avrebbe necessariamente dovuto
causare ripercussioni di vasta portata. Questo però provocò una serie di eventi il cui
effetto finale fu il crollo dell’”edificio europeo”. La condizione più importante era la
situazione dell’Austria-Ungheria, con le crescenti tensioni che costituivano una minaccia
per l’esistenza intera dello Stato. Se si considerano gli strascichi della crisi per
l’annessione della Bosnia e le guerre balcaniche, le conseguenze dell’assassinio di
Sarajevo sono comprensibili. Prima di tutto l’Austria intendeva ora muovere guerra alla
Serbia e schiacciarla, ma il primo ministro ungherese era contrario alla guerra poiché vi
erano già troppi slavi nella Monarchia, ma Berchtold diede l’assicurazione che non si
sarebbe nel caso avuta nessuna annessione, e giocò la carta del pieno appoggio tedesco.
Serviva tuttavia qualcosa di più concreto per giustificare un attacco austriaco alla Serbia.
La debolezza formale della presa di posizione austriaca contro la Serbia accrebbe
l’importante dell’atteggiamento delle altre potenze europee. Berchtold aveva cercato di
scoprire la posizione del suo alleato tedesco e il rappresentante austriaco a Berlino poté
riferire l’adesione tedesca il 5 luglio. Il problema che sorgeva era di se una solida
combinazione austro-tedesca avrebbe indotto la Russia a ritirarsi dinanzi alla minaccia
della forza permettendo all’Austria di avere mano libera in Serbia; e dietro la Russia stava
anche la Francia. Poincaré, il presidente della Repubblica francese, e il ministro degli
Esteri Viviani, furono in Russia dal 20 al 22 luglio: Poincaré si servì della sua presenza a
Pietroburgo per rafforzare la fermezza russa assicurando l’appoggio francese e facendo
esplicita menzione di ciò all’ambasciatore austriaco in Russia. Quando i francesi partirono
per la Russia, non era ancora stata compiuta alcuna mossa irreparabile da parte di
nessuno, ma la decisione austriaca era già stata presa: il 23 luglio l’Austria presentò un
ultimatum alla Serbia, nella speranza che le sue richieste si rivelassero inaccettabili. La
risposta serba fu molto abile: venivano respinte solo le richieste che costituivano una
chiara violazione della sovranità serba, nel caso delle quali la Serbia proponeva di
sottoporre la questione al tribunale dell’Aja o alle potenze. In seguito alle sue istruzioni,
tuttavia, il ministro austriaco a Belgrado, in mancanza di una accettazione incondizionata
della Serbia, lasciò immediatamente il suo posto.
Dall’ultimatum austriaco allo scoppio della guerra generale
L’ultimatum austriaco produsse una netta reazione russa: la Russia fece sapere che non
avrebbe lasciato che la Serbia venisse distrutta. L’iniziale conflitto si trasformò in un più
pericoloso conflitto austro-russo. L’Inghilterra avanzò la proposta di una conferenza
internazionale, ma la Germania diede risposta sfavorevole e l’Austria dichiarò ufficialmente
guerra alla Serbia il 28 luglio. Le forze austriache non erano pronte all’azione, ma l’atto
ebbe l’effetto di rendere più aspro il conflitto e il 28 la Russia proclamò la mobilitazione
parziale diretta contro l’Austria. La Germania dapprima sembrò accettare il punto di vista
russo, anche se dopo poco in Germania alcune personalità dirigenti si resero conto
dell’iniziale leggerezza del comportamento tedesco, ma era ormai troppo tardi per
trattenere o per abbandonare l’Austria; inoltre ci si rese pienamente conto del pericolo
della mobilitazione russa in relazione al piano militare tedesco. La Germania lasciò
sostanzialmente che le cose seguissero il loro corso tentando di assicurare all’Austria la
continuità del suo appoggio e di incoraggiare gli sforzi britannici per giungere un
compromesso. Da parte russa si riconobbe che una mobilitazione parziale sarebbe stata
una mossa rischiosa che avrebbe recato confusione alla mobilitazione totale; lo zar il 29
luglio acconsentì alla mobilitazione generale, che venne ordinata il 31 luglio. La risposta
tedesca fu un ultimatum, a cui non si ebbe risposta, e il 1° agosto la Germania proclamò la
mobilitazione generale, insieme ad una dichiarazione di guerra alla Russia. La funzione
svolta dalla Francia fu relativamente secondaria, salvo per le assicurazioni date ai russi da
Poincaré. Questo fu di ritorno a Parigi il 29 luglio, e il 31 luglio la Francia ricevette un
ultimatum dalla Germania che chiedeva quale posizione essa avrebbe assunto
nell’eventualità di un conflitto russo-tedesco: la Francia replicò che avrebbe seguito i
dettami del suo interesse, e il 3 agosto la Germania emanò una dichiarazione di guerra
alla Francia. Alla fine di luglio la situazione finì con il dipendere dai militari.
La Germania eliminò il fronte occidentale dal momento che la mobilitazione francese
sarebbe stata assai più rapida di quella russa, consentendole di concentrare le proprie
forze sulle minacce dell’est. Il piano Schlieffen prevedeva il passaggio tramite il Belgio per
giungere in Francia settentrionale, con la difficoltà che il Belgio era uno stato neutrale. La
Germania decise che in una tale situazione la necessità doveva prevalere e il 2 agosto
venne inviato a Bruxelles un ultimatum che richiedeva il libero passaggio per le truppe
tedesche, ma il Belgio rifiutò di farsi partecipe della violazione della sua neutralità, che la
Germania compì unilateralmente il 4 agosto. Durante tutta la crisi l’Inghilterra aveva
cercato di mantenere la pace, e quando la guerra scoppiò si trovò in un ruolo
fondamentale. Questa non aveva alcun impegno formale, ma non poteva rischiare un
successo tedesco: venne presa la decisione di entrare in guerra. La violazione della
neutralità belga rese molto semplice il problema della Gran Bretagna di schierarsi, e il 5
agosto venne dichiarata guerra alla Germania.
L’Italia, parte della Triplice Alleanza, se fosse stata consultata si sarebbe opposta
all’azione austriaca. Il 3 agosto proclamò la neutralità allegando come motivo che il
comportamento austriaco aveva violato l’alleanza difensiva. La Romania, altra alleata
delle potenze centrali, adottò una posizione simile. Il 5 agosto scoppiò in Europa la guerra
generale che coinvolse due potenze di secondo ordine (Serbia e Belgio) e tutte le grandi
potenze tranne l’Italia.

Il problema delle responsabilità


L’assassinio di Sarajevo fu l’elemento iniziale, seguito dal secondo paso, la decisione
dell’Austria di regolare i conti con la Serbia. L’Austria non poteva fare però a meno di
considerare la possibile reazione russa e quindi logicamente di consultare la Germania. La
risposta tedesca non fu il risultato di un attento calcolo ma di un non meditato desiderio di
ripetere la situazione del 1909 intimorendo Francia e Russia così che si rassegnassero ad
un conflitto localizzato. La leggerezza della decisione tedesca pone la Germania al centro
del problema della responsabilità. La Russia dichiarò che non avrebbe acconsentito alla
distruzione serba e tale posizione venne rilevata chiaramente dal passo della
mobilitazione parziale. Non avendo risposto alla prima proposta di mediazione britannica, i
tedeschi si trovarono imprigionati dagli sviluppi della loro azione iniziale. Essi diedero la
prevalenza all’appoggio all’Austria che alla pace, ma nelle fasi successive si creò la
situazione ambigua nella quale si cercava di confermare all’Austria il totale appoggio
mentre alle altre potenze si voleva sembrare aperti alle opportunità di conciliazione.
La situazione particolare del governo francese rese difficile un’azione da parte sua, ma la
presenza di Poincaré a Pietroburgo ebbe l’effetto di rafforzare la decisione russa.
Quanto alla Gran Bretagna, gli errori inglesi furono gravi: le buone intenzioni di Grey sono
fuori discussione e la sua riluttanza ad assumere una posizione definita per non
incoraggiare l’una o l’altra intransigenza è comprensibile; ma ciò voleva dire non
comprendere la situazione e creare l’impressione che la Gran Bretagna fosse indifferente
ad una contesa puramente austro-serba.
Sulla violazione tedesca della neutralità belga non c’è troppo da dire: gli obblighi
internazionali avevano un significato, e neanche la Germania cercò di giustificare la
propria azione salvo che con il motivo della superiore legge della necessità.
Nonostante tutto ciò, gli statisti responsabili d’Europa non desideravano una guerra
generale. Il modo di vedere questi eventi al tempo della guerra, prevalente nei paesi
alleati, di una esclusiva ed intenzionale aggressione tedesca, non venne mantenuto a
lungo. La questione delle origini della guerra è del tutto diversa da quella delle ragioni e
dei torti della guerra, ciò che si può affermare è che anche se una o entrambe le Potenze
Centrali avessero avuto motivi sufficienti per provocare una guerra, sarebbe stata una
decisione sbagliata il farlo in condizioni per esse sfavorevoli, piombando il mondo nel caos
soltanto per procurare la loro sconfitta e rovina.

Le fasi iniziali della guerra


Le potenze centrali non sapevano che stavano preparando la loro sconfitta e la loro
rovina. Quando la guerra assunse carattere generale, la contesa iniziale passò in secondo
piano e il grosso delle forze austriache venne mandato sul fronte russo. La Russia non
poteva però mobilitare con la stessa rapidità gli altri belligeranti continentali. Il piano di
guerra tedesco invece consisteva di contenimento ad est mentre si sarebbero usati i fattori
di massa e di velocità per distruggere l’esercito francese. La situazione in Occidente era
quindi cruciale. I francesi non presero adeguate misure per mantenere forze considerevoli
alla loro frontiera belga. La resistenza belga non poteva sperare di fermare la macchina da
guerra tedesca ma ebbe l’utile funzione di trattenerla per qualche tempo. I tedeschi
sopraffecero tale resistenza e ottennero il primo urto con i francesi, il che gli permise di
marciare verso Parigi. Il governo francese si trasferì a Bordeaux e si decise di resistere
dinanzi a Parigi, resistenza che ebbe successo inizialmente. La guerra di movimento di
trasformò presto in una guerra di posizione, e si costituì un fronte di 400 miglia dal Mare
del Nord fino alla Svizzera, che venne mantenuto per quasi quattro anni. I tedeschi
controllavano sostanziali e valide risorse nemiche ma fallirono nell’intento
dell’annientamento del nemico, dovendosi adattare alla guerra su due fronti.
Ad Oriente invece si sviluppò una situazione molto simile da cui seguì una certa staticità. I
belligeranti si preparavano per un conflitto di durata indefinita.
La diplomazia della guerra
La diplomazia di potenza (1914-1917)
Le potenze centrali, per posizione favorevole dal punto di vista geografico e militare,
avrebbero potuto ottenere la vittoria con rapidità, mentre era improbabile che la vittoria
dovesse arridere agli Alleati. Una vittoria francese avrebbe dato ai francesi le loro province
perdute e assicurato alla Russia il dominio sui Balcani e possibilmente sugli Stretti, mentre
presumibilmente avrebbe liberato l’Inghilterra dalla minaccia navale tedesca. Una vittoria
delle potenze centrali avrebbe assicurato la continuazione dell’Austria-Ungheria e avrebbe
significato il dominio tedesco su tutto il continente europeo, con anche alcuni vantaggi
coloniali. Nessuno previde una continuazione dell’equilibrio e dello status quo.
Il Giappone aveva un trattato d’alleanza con la Gran Bretagna e anche se non aveva
obbligo di entrare in guerra ritenne che l’occasione fosse favorevole per impadronirsi delle
posizioni e degli interessi tedeschi in Estremo Oriente, ed entrò in guerra il 23 agosto.
Il conflitto era ancora essenzialmente europeo. Italia, Stati balcanici eccetto la Serbia ed
impero ottomano erano neutrali, e divennero centri di diplomazia dei belligeranti.
Nell’impero ottomano l’influenza tedesca aveva fatto notevoli progressi prima del 1914. Fin
dal 2 agosto la Germania aveva ottenuto un’alleanza formale con la Turchia, e data la
divisione dell’opinione pubblica turca, la Germania esercitò pressione sul paese. Una
notevole parte d’esercito turco sotto il controllo di Liman von Sanders bombardò Odessa e
le potenze dell’Intesa ruppero i rapporti con la Turchia e le dichiararono guerra. La Russia
interruppe le comunicazioni con i suoi alleati centrali; inoltre nel 1914 già iniziava ad avere
difficoltà a rifornire i suoi eserciti con il materiale adeguato: era solo naturale che si
ristabilissero i contatti con la Russia forzando l’apertura degli Stretti, e l’impresa fu portata
avanti dai britannici. Questo fatto suscitò i sospetti russi, dopo lunghi negoziati gli Alleati
giunsero ad un accordo nel marzo 1915 che stabilì il prezzo del consenso russo a
partecipare alla causa comune, cioè che gli inglesi e i francesi acconsentissero a che la
Russia si impossessasse degli Stretti. Il tentativo però fu fallimentare e venne
abbandonato. Le circostanze della guerra fecero sì che l’impresa contro l’impero ottomano
fosse un’iniziativa britannica: le forze ottennero dapprima successo variabile, poi da
Londra attraverso il Cairo e dalla sede del governo dell’India avvennero dei negoziati che
nel 1915 portarono ad un accordo tra gli inglesi e lo sceriffo della Mecca per il quale gli
inglesi avrebbero appoggiato il movimento d’indipendenza arabo. Ma i francesi avevano
interessi nel Levante quindi nel marzo 1916 fra Francia ed Inghilterra venne riconosciuta
la futura posizione francese in Siria, e l’accordo venne sottoscritto dalla Russia. Gli italiani
guardavano all’Asia Minore e gli accordo appena nominati vennero presi senza la sua
partecipazione, e le sue rivendicazioni vennero riconosciute nell’aprile 1917 nell’accordo
con la Francia e l’Inghilterra di San Giovanni di Moriana.
Gli Alleati tentarono anche di ottenere l’appoggio del movimento sionista attraverso la
dichiarazione di Balfour del novembre 1917 che auspicava lo stabilimento di una sede
nazionale per gli ebrei in Palestina.
La conseguenza di questa elaborata rete di intese ed accordi era che l’impero ottomano
avrebbe cessato di esistere, e al suo posto sarebbe sorto un mondo arabo nel quale
Francia ed Inghilterra si erano costituite zone di influenza preminente mentre ne sarebbe
stato riservato un angolo agli ebrei. Soltanto la metà settentrionale dell’Anatolia sarebbe
rimasta incondizionatamente turca. L’assegnazione delle varie parti dell’impero ottomano
non fu che uno degli scopi dell’attività diplomatica durante il periodo dal 1915 al 1917, ma
ve ne erano altri che vanno esaminati.
Il primo riguarda l’Italia: nell’agosto 1914 il paese aveva dichiarato la neutralità ai termini
del trattato della Triplice Alleanza. La decisione implicava una valutazione della migliore
difesa degli interessi italiani, e ormai era fuori questione che si entrasse in guerra con gli
alleati. Il problema fu quindi quello della continuazione della neutralità o della
partecipazione alla guerra nel campo dell’Intesa. L’Italia non intendeva impegnarsi fin
quando l’esito delle battaglie iniziali della guerra non fosse stato deciso. Nel paese vi
erano fautori di entrambi gli indirizzi, neutralisti ed interventisti. Il ministro degli Esteri San
Giuliano e il suo successore Sonnino simpatizzavano con le potenze centrali, mentre il
primo ministro Salandra e il governo giunsero alla conclusione che l’Italia avrebbe
probabilmente finito per unirsi con gli Alleati. Il problema era come trarre i migliori benefici
possibili dalla situazione creata dalla guerra. Ebbero luogo a Vienna dei negoziati in cui gli
italiani tentarono di ottenere compensi per restare neutrali: l’Italia desiderava concessioni
territoriali dall’Austria, che era riluttante a concederle. I negoziati si trascinarono fino alle
primavera del 1915 e l’Austria fece delle concessioni ma scarse e troppo tardi, e la
richiesta italiana che avvenissero immediatamente costituì un ostacolo all’accordo.
L’Italia denunciò l’Alleanza e dichiarò guerra ai suoi antichi alleati in maggio, ed in cambio
della partecipazione ebbe dall’Intesa la promessa di poter fare dell’Adriatico un “lago
italiano” e di alcuni compensi coloniali. Questo risultato costituiva un passo logico della
politica estera italiana. L’ingresso dell’Italia in guerra determinò l’ampliamento del teatro di
combattimento con un nuovo fronte dalla Svizzera all’Adriatico, sul quale le potenze
centrali furono in grado di riunire forse sufficienti.
Come gli Alleati si erano trovati in posizione di vantaggio nel trattare con l’Italia, così fu
facile per le potenze centrali dare soddisfazione ai desideri bulgari in Macedonia. Re
Ferdinando nel 1915 stabilì con esse un accordo il seguito al quale la Bulgaria entrò in
guerra il 5 ottobre. La Serbia venne rapidamente invasa, con il risultato di uno scacco
diplomatico agli Alleati e il vantaggio degli austro-tedeschi alla fine del 1915 con lo
stabilimento delle potenze centrali su una fascia che andava dal Mar Nero al Golfo
Persico.
I fronti occidentale ed italiano erano fermi mentre in Oriente i russi erano stati respinti fino
ad una linea che li privava della Polonia. La Germania tornò al piano iniziale della
distruzione delle forze occidentali: l’attacco di Verdun fu un fallimento e la susseguente
battaglia della Somme con gli inglesi fu di natura simile, uno spargimento di sangue senza
risultati concreti.
Nel 1916 i russi furono in grado di condurre un’offensiva che li portò fino ai Carpazi, con
l’effetto di provocare l’ingresso in guerra della Romania dopo che gli Alleati accettarono le
sue condizioni. Un’avanzata rumena in Transilvania si trasformò presto in una ritirata e alla
fine dell’anno gli austro-tedeschi avevano sconfitto la Romania, il cui intervento tornò al
loro vantaggio poiché avevano a disposizione ora le risorse alimentare e minerarie
rumene.
Nel giugno 1917 anche la Grecia entrò in guerra insieme agli Alleati.

La diplomazia ideologica
Scopi di guerra e proposte di pace
Inizialmente tutti i belligeranti avevano l’unico scopo della vittoria, ma con l’andare avanti
della guerra si pose sempre più grande il problema: per cosa si combatte?
Che cosa avrebbe significato una chiara vittoria dell’una o dell’altra parte era un problema
di grande importanza per tutti, non solo i belligeranti. Gli Stati Uniti, lontani dal conflitto, ma
si preoccupavano di un eventuale dominio russo sull’Europa o del militarismo
conseguente ad una vittoria tedesca.
Il commento di Pilsudski riguardante il problema della liberazione della Polonia fu “la
Germania deve prima sconfiggere la Russia e poi deve essere a sua volta sconfitta dalle
potenze occidentali”; e questa frase contiene quella che giunse ad essere l’ideologia della
guerra e della pace, cioè l’autodeterminazione dei popoli e la democrazia. La necessità di
indurre i popoli ad accettare i sacrifici loro richiesti pose in rilievo fattori come le ideologie
con contenuto morale, e questo divenne un aspetto importante della lotta che introdusse
in essa e negli assetti di pace un elemento di ambiguità. Gli Stati Uniti consideravano
senza elementi passionali il conflitto in maniera ragionevole e il colonnello House si recò in
Europa nel 1915 e nel 1916 per scoprire che non esisteva alcuna base di compromesso.
Alla fine del 1916 la guerra aveva posto a dura prova tutti i belligeranti, le risorse erano
scarse e le potenze centrali sembravano avere la meglio. In Gran Bretagna si era appena
insediato un governo sotto Lloyd George. La Germania in dicembre annunciò di essere
disposta a stabilire i negoziati ma dal momento che le risorse materiali erano nelle mani
tedesche era difficile pensare che la Germania potesse cederli, e gli Alleati non avevano
intenzione di riconoscere le loro perdite territoriali e declinarono l’offerta.
Il presidente Wilson si rivolse ai belligeranti invitandoli ad indicare i loro scopi di guerra: le
potenze centrali non intendevano rinunciare ad alcuni dei territori ottenuti e declinarono
l’invito. Gli Alleati risposero all’invito americano e il 10 agosto 1917 proclamarono
precisamente i loro scopi di guerra: il ristabilimento della situazione preesistente, e
sostennero il principio di nazionalità. Ormai la guerra era stata posta su un piano di
ideologie e principi, ed era quindi assai meno aperto a soluzioni di compromesso di un
semplice conflitto di potenza. Ai vantaggi che l’adesione al principio di autodeterminazione
recava agli Alleati, vi era l’eccezione della questione polacca: il paese nel 1915 si era
trovato sotto il controllo austro-tedesco e cosa fare a riguardo rappresentava un problema
per gli Alleati poiché a parte le divergenze austro-tedesche, le potenze centrali coltivavano
l’idea di una pace separata con la Russia. Il 5 novembre 1916 gli imperatori tedesco ed
austriaco indirizzarono una proclama al popolo polacco promettendogli la creazione di uno
Stato polacco indipendente.
Gli Alleati occidentali avrebbero voluto essere in grado di fare promesse di libertà ai
polacchi ma i loro timori di una defezione russa sotto forma di una pace separata li
spinsero a mostrare diffidenza per i russi. Nel febbraio 1917 venne stabilito un accordo
franco-russo che impegnava la Russia a lasciare la Francia libera sul Reno in cambio di
un consenso francese a che la Russia fosse libera in Oriente (Polonia).
L’associazione austro-tedesca era forte militarmente ma non mancava di debolezze,
specialmente per quanto riguardava l’Austria-Ungheria: la morte di Francesco Giuseppe
nel novembre 1916 e la sua successione con Carlo I, che ammetteva nuove possibilità per
il suo Stato ed era meno legato all’alleata tedesca. Carlo I offrì la “pace austriaca” agli
Alleati, con il tentativo di indurre la Germania a sua volta a negoziare. Le trattative
vennero condotte attraverso il principe Sisto di Borbone-Parma, che recò le proposte
austriache al governo francese. I francesi e gli inglesi erano molto interessati ma videro
nel progetto prima di tutto un tentativo per indebolire la Germania. Quando si giunse ad
una discussione degli interessi italiani e russi la possibilità di un accordo svanì
velocemente e il risultato fu una serie di recriminazioni fra francesi e austriaci e fra gli
ultimi e i tedeschi.
La stanchezza della guerra si fece sentire su tutti i partecipanti nel 1917, soprattutto in
Austria e Russia, ma la volontà di battersi prevaleva ancora in Germania e negli Alleati
occidentali. In Germania i militari costrinsero Bethmann, aperto al compromesso, a
dimettersi, e la reviviscenza del socialismo internazionale che propendeva verso una pace
senza indennità né annessioni non impedì ai favorevoli a continuare la guerra fino alla
vittoria finale di tenere il controllo del potere politico. In Francia nel 1917 si formò un
ministero diretto da Clemenceau, autentica incarnazione della volontà di vittoria francese.
Il risultato dell’attività politica del 1917 fu di dare maggiori aspetti ideologici al conflitto,
accresciuto dagli eventi che si verificarono che nacquero entrambi dal conflitto.

La Rivoluzione russa e la defezione della Russia


Gli avvenimenti della Russia del 1917 ebbero una forte influenza sul conflitto mondiale. La
situazione interna della Russia, la sua arretratezza economica e le istituzioni dello stato e
il modo in cui esso veniva amministrato portarono al crollo del regime esistente in quel
paese. I dubbi occidentali sulla fedeltà russa persistettero e di ciò la Russia si avvantaggiò
durante la guerra ottenendo l’accordo sugli Stretti del 1915 e l’accordo con la Francia del
febbraio 1917. Dal punto di vista tedesco, la pace con la Russia sarebbe stata un passo
verso la vittoria totale, così come dal punto di vista alleato la pace con l’Austria sarebbe
servita a facilitare la sconfitta della Germania.
La prima Rivoluzione russa ebbe luogo nel marzo 1917: il mutamento del paese non fu
sgradito ai suoi alleati, infatti avrebbe rafforzato la loro causa dal punto di vista morale e
avrebbe permesso forse la soluzione del problema polacco. Una certa ambiguità della
situazione apparve dall’inizio: la massa del popolo russo non era ligia ad un’ideologia
politica ma era profondamente stanca di una guerra combattuta con mezzi inadeguati e
delle sofferenze che questa portava. La dichiarata intenzione del governo provvisorio di
continuare la guerra facilitò l’opera dei rivoluzionari di tendenze più radicali. I bolscevichi al
principio di novembre riuscirono ad impadronirsi del potere a Pietroburgo. Questi
intendevano concludere la partecipazione russa ala guerra e si appellarono a tutti i popoli
per trasformare la guerra di Stati in una guerra di classi, emulando l’esempio russo. Il loro
appello era rivolto alle masse stanche d’Europa, molte delle quali erano familiari da molto
tempo con la dottrina marxista: provocò molta preoccupazione tra i governi di tutti gli Stati
belligeranti, ma nessun altro paese seguì l’esempio russo.
La Rivoluzione russa creò per gli Alleati una situazione difficile perché i bolscevichi
pubblicarono tutti gli accordi segreti a cui il governo zarista aveva partecipato, con l’effetto
di indurre gli ex alleati a chiarire lo scopo della lotta, con l’idea che una lotta su basi morali
fosse giusta mentre un conflitto per concreti interessi fosse sbagliato.
Tra la fine del 1917 e l’inizio del 1918 la Rivoluzione russa e l’influenza degli Stati Uniti
operarono in senso strettamente analogo.
Il nuovo governo bolscevico, qualsiasi cosa avessero fatto gli altri, intendeva ritirarsi dal
conflitto. In dicembre esso concluse un armistizio che venne seguito da negoziati durati
tutto l’inverno. Le potenze centrali ebbero difficoltà a trattare con i rappresentanti del
nuovo regime russo, ma alla fine, posti dinanzi ad una nuova minaccia tedesca, il 3 marzo
1918 i bolscevichi accettarono la pace quale venne imposta loro a Brest-Litovsk. La
Russia rinunciò a tutta la Polonia e alla regione baltica, mentre l’Ucraina emerse come
un’entità statale distinta. La prima fase del programma di Pilsudski era stata realizzata. Il
chiudersi del fronte orientale rappresentava una vittoria tedesca che poteva compensare
la Germania delle sue perdite.

L’intervento degli Stati Uniti


Lo scoppio della guerra nel 1914 era stato un colpo per l’America, ma sembrava non
esservi alcun motivo per cui il paese dovesse partecipare a questa crisi europea, salvo
forse nel caso della guerra russo-giapponese, alla quale avrebbe potuto fungere da
mediatore.
Dopo gli eventi sui mari apparve ben presto uno specifico legame tra l’America e la guerra
europea. Gli Alleati con la loro superiorità navale mantenevano nettamente il controllo dei
mari per bloccare le potenze centrali. Da queste operazioni di blocco sorse qualche
controversia fra gli Alleati e i neutrali circa il problema del diritto di questi ultimi di
mantenere rapporti commerciali con le potenze centrali, in quanto gli Alleati agirono
arbitrariamente nel decidere quali articoli di commercio fossero contrabbando. La risposta
tedesca fu la guerra sottomarina, che pose la Germania in posizione di svantaggio verso i
neutrali. Fin dal febbraio 1915 la Germania dichiarò le acque britanniche zona in cui le
navi nemiche o neutrali erano soggette ad essere affondate. Essa fece ciò per provocare
un allentamento del blocco alleato e quando si trovò dinanzi alle proteste dei neutrali e
soprattutto degli americani abbandonò questa posizione. Ma poiché la vittoria continuava
a sfuggire dalle sue mani e la situazione economica peggiorava, decise di fare di nuovo
pieno uso delle forze sottomarine e ricorse alla guerra sottomarina nel gennaio 1917. Si
produsse uno scontro diretto con gli Stati Uniti. Dopo aver rotto le relazioni diplomatiche e
non essere riusciti ad ottenere soddisfazione, il 6 aprile 1917 gli Stati Uniti dichiararono
guerra alla Germania.
L’America non era preparata alla guerra ma l’effetto della sua partecipazione fu enorme.
Entrò in guerra a causa della guerra sottomarina e dei diritti neutrali in alto mare, e la
dichiarazione di guerra americana fu l’atto specifico con cui l’America ereditò un aspetto
fondamentale della politica britannica. Sotto un aspetto più immediato e concreto,
l’intervento americano può essere considerato un atto in difesa degli interessi americani.
Ma se gli Stati Uniti aderirono alla comune causa di impedire una dominazione tedesca
dell’Europa, dovevano in ogni caso dare voce assai ampia nei consigli alleati. Inoltre, non
avevano interessi tali da far loro desiderare il possesso di lembi di territorio sia europei che
coloniali; non avevano avuto voce negli accordi di guerra e le mani dell’America, per così
dire, erano pulite. Questa situazione conteneva degli inconvenienti, ma per il momento gli
Stati Uniti erano in una posizione eccellente per insistere sull’aspetto ideologico della
guerra: l’America non cercava alcun vantaggio concreto per sé stessa ma combatteva per
giustizia e pace universale.
La parte portavoce del Nuovo Ordine era congeniale al presidente Wilson. Il suo
appello generale a principi astratti come giustizia e pace otteneva una rispondenza
effettiva e considerevole nelle popolazioni; la guerra assunse da parte alleata sempre più
l’aspetto di una crociata.
L’America come gli altri alleati fece preparativi per la futura pace, e il risultato ne fu la
formulazione del programma di pace americano pronunciato dal presidente Wilson al
Congresso l’8 gennaio 1918 nel suo discorso dei Quattordici Punti. Il programma di Lloyd
George, con scopi molto diversi da Wilson, era posto in secondo piano.
Essenza del programma di Wilson stava nei tre aspetti principali di: principio di nazionalità
o autodeterminazione che ricevette una precisa sanzione; definizione di alcune clausole
generali per ovviare alle deficienze nel modo di procedere di un tempo, e infine, nei
rapporti tra le nazioni il regime della legge fu sostituito a quello dell’anarchia. Si trattava di
un programma ambizioso, tuttavia, era solo un programma generale per la pace, un
impegno morale assunto unilateralmente e non di un trattato fra Stati. I Quattordici Punti
trovarono scarsa rispondenza nelle potenze centrali, intanto, la guerra procedeva verso la
sua conclusione.
I tedeschi riuscirono a lanciare potenti offensive nella primavera ed estate 1918, ma
quando queste furono respinte l’andamento della guerra mutò: in agosto Ludendorff
giunse alla conclusione che bisognasse abbandonare la speranza di vittoria e nacque il
timore di un totale crollo militare tedesco. I capi tedeschi nel 1918 si rivelarono uomini
ragionevoli, e il governo accettò il compito di tirare fuori il paese dalla guerra. Il nuovo
cancelliere, principe Max di Baden, il 4 ottobre inviò al presidente Wilson una nota in cui
dichiarava che la Germania era pronta ad intraprendere negoziati per il ristabilimento della
pace sulla base del programma americano e chiedeva la conclusione di un armistizio
immediato.
Alla fine di settembre un’offensiva nei Balcani aveva costretto la Bulgaria a ritirarsi dalla
guerra aprendo la strada per l’invasione dell’Austria-Ungheria dal sud. La resa della
Bulgaria fece una considerevole impressione in Germania e parve il segnale dell’inizio
della fine. Un mese più tardi l’armistizio di Mudros allontanò dalla guerra anche l’impero
ottomano. L’armistizio venne concluso dagli inglesi senza consultazione degli alleati, fatto
che lasciava intravedere il rinnovamento delle rivalità fra essi ora che la vittoria sembrava
vicina. La fine era venuta improvvisamente e gli Alleati non erano pronti a seguire un piano
d’azione di comune accordo. Il programma americano era stato verbalmente accettato da
tutti, ma andava ora applicato.
Il risultato del dibattito sulle dichiarazioni tedesche fu l’accettazione del programma
americano da parte degli Alleati salvo che per il punto sulla libertà di navigazione
marittima, che inglesi non ritenevano di poter accettare, e il punto sulle “riparazione dei
danni”, su cui i francesi specificarono non fossero soggette ad alcun previo limite. Gli
Alleati di loro spontanea volontà assunsero un impegno formale a fare la pace sulla base
del programma americano.
Una specificazione va fatta: durante il mese di ottobre l’Austria-Ungheria si sfasciò.
L’imperatore Carlo stabilì la riorganizzazione federale dello Stato e non trovò rispondenza
tra le nazionalità soggette. I Quattordici Punti parlavano di autonomia di queste
nazionalità, e la risposta americana ad una domanda di Vienna dichiarava che i popoli
soggetti dovevano decidere il loro destino. A Vienna, Budapest, Praga e Zagabria furono
istituiti governi provvisori separati.
Gli italiani cercavano di salvaguardare i vantaggi territoriali che si attendevano a norma del
trattato di Londra de 1915 sollevando una riserva al punto IX in cui erano menzionate le
“linee di nazionalità chiaramente riconoscibili”, e nasceva qui un’incongruenza palese a
tutti.
Il presidente americano poteva ora rispondere affermativamente alla richiesta tedesca di
armistizio, ma lo stesso armistizio era una faccenda militare. Vennero gettati i semi di un
altro equivoco: la Germania non era in grado di continuare la lotta, e i termini
dell’armistizio presentati dagli Alleati equivalevano ad una richiesta completa di resa, che
la Germania accettò. I militari tedeschi si preoccuparono della possibilità di scindere le loro
responsabilità nel disastro nazionale; il fatto che essi riuscissero a fare ciò avrebbe avuto
importanti conseguenze future per tutti.
La situazione russa
La situazione russa alla fine della guerra era molto confusa: era contraddistinta da una
lotta a re che implicata il governo bolscevico, i tedeschi e gli Alleati. Il crollo della Russia
era stato sanzionato formalmente dalla pace di Brest-Litovsk, trattato che lasciò alle
potenze centrali il controllo della Polonia, dell’Ucraina e dei paesi baltici. La sconfitta
tedesca in Occidente trovò i tedeschi insediati in molti territori ex russi.
Agli occhi del nuovo governo bolscevico il problema fondamentale era quello di
sopravvivere. La Russia era sconvolta dalla guerra civile perché diversi eserciti
antibolscevichi o “bianchi” operavano in vari settori del paese. Gli Alleati e le potenze
centrali nutrivano sentimenti ostili per il nuovo regime russo, e il problema durante lo
svolgimento della guerra era come meglio utilizzare la potenza russa rimasta o come
neutralizzare l’uso di essa contro sé stessi. Per i bolscevichi invece la possibilità di
rientrare nel conflitto collaborando con una o l’altra parte poteva servire a garantire la
propria sopravvivenza, e il problema stava nel decidere se collaborare con gli Alleati o con
gli austro-tedeschi. Il 27 agosto un accordo segreto pose le basi per una collaborazione
tra i tedeschi e il governo bolscevico, nel frattempo, un piccolo contingente Alleato si era
insediato a Murmansk. In luglio venne ottenuto il consenso americano ad un piano che
avrebbe coordinato l’azione giapponese in Siberia, e in agosto i giapponesi iniziarono le
operazioni in Siberia.
Con la sconfitta della Germania in Occidente si prospettarono due problemi: ottenere
l’evacuazione tedesca dei territori orientali occupati e trovare una soluzione circa il destino
di questi territori.

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