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ETICA E BIOETICA

Capitolo 1 “Bioetica: la parola e le cose”


1.LA PAROLA
Per tentare una risposta alla domanda: “che cosa è la bioetica?”, si può partire
dalla considerazione che per i saperi vale ciò che si può dire dei singoli e dei
popoli. Una storia in genere comincia con una nascita. Nel caso della bioetica la
datazione della nascita è controversa.
Tuttavia, disponiamo di due certezze. Certamente la bioetica come tale
appartiene al secolo breve, secolo che conosce l’accelerazione del tempo storico,
una sorta di concentrazione della sua durata dovuto a molteplici ragioni.
L’altra certezza è la data di nascita della parola bioetica. Il termine è coniato
dall’oncologo americano Potter, con una valenza di significato che resta in
qualche modo minoritaria nello sviluppo che avrà la “cosa”
bioetica.
La parola bioetica di fatto ha reso possibile raccogliere esperienze sparse,
interrogativi maturati da trasformazioni storiche complesse e polisemiche in cui
comunque ha parte rilevante lo sviluppo delle scienze e delle tecnologie, in una
disciplina resa unitaria dal nome, bioetica.
Con il suo neologismo Potter introduce anche l’idea che la bioetica debba essere
un sapere fortemente strutturato sulle conoscenze biologiche, e che debba
configurarsi come scienza, in specifico come “scienza della sopravvivenza”.
2.LE COSE: DEFINIZIONI E TEMI
Per cominciare a delineare la “cosa” bioetica, si può fare riferimento a
definizioni ritenute canoniche, cominciando proprio dall’Encyclopedia of
Bioethics.
Le definizioni, una proposta nell’edizione dell’Encyclopedia dell’1978 e l’altra in
quella del 1995, rilevano il progressivo ampliamento di orizzonti della bioetica,
a riprova del peso della storicità sulla strutturazione di questo sapere e della sua
identità in divenire.
Particolarmente illuminante è la definizione della bioetica data da G. Hottois il
quale afferma che è impresa assai ardua definire la bioetica in quanto essa in
senso stretto.
“Un insieme di ricerche e discorsi” dove per “ricerche” è evidentemente da
intendere la riflessione analitica di quanto scienze e applicazioni sottopongono
all’attenzione del pensiero e della valutazione e per “discorsi” l’elaborazione via
via produttiva del nuovo sapere.
La bioetica trova ragion d’essere nelle interrogazioni e nei conseguenti tentativi
di risposta. Questo rimando alla prassi ed alle sue piccole e grandi urgenze non
solo giustifica il particolare peso e valore che deve avere l’opinione pubblica
nella strutturazione di questo sapere. Infatti, questo sapere interstiziale, trova
luogo di articolazione, strutturazione definizione di decisioni operative in
istituzioni varie, tra cui sono certamente di particolare rilievo i Comitati etici e
bioetici. I Comitati sono strutture costituite da specialisti di varia provenienza
professionale e di diversa sensibilità culturale ed etica, investiti dall’impegnativo
compito della valutazione delle conseguenze delle varie pratiche scientifiche e
dell’elaborazione di pareri vincolanti per l’applicazione dei risultati delle
tecnoscienze.
Il campo di pertinenza dei Comitati implica che le decisioni non siano
direttamente traducibili in legislazione.
Ma quanto abbiamo detto non significa certo la determinazione di una
definizione univoca della bioetica. Un caso emblematico è costituito dalla
bioetica italiana. In Italia sulle tematiche bioetiche si è approfondita la storica
divaricazione tra la cultura di ispirazione religiosa e la cultura laica. In forza
del principio della sacralità della vita, la vita umana è valore in sé, dunque non
rientra nella sfera di quanto l’uomo può considerare disponibile, sicché obbligo
morale assolutamente vincolante è la difesa della vita. Il punto di vista etico e
bioetico orientato dal principio della sacralità della vita ha come riferimento
diretto la tradizione religiosa; si nutre pertanto della sensibilità teologica
filosofica che questa tradizione porta con sé. Significativa fino ad essere
emblematica è allora la definizione di bioetica, proposta da E. Sgreccia,
autorevole bioeticista cattolico. Per questo studioso la bioetica è identificabile
come filosofia della ricerca e della prassi biomedica.
Il principio della qualità della vita è il paradigma orientativo della bioetica
laica. In forza del principio della qualità della vita umana è individuato a
partire dal livello di “bene” di cui questa può avvalersi. La bioetica allora è
identificata come etica applicata.
L’estensione progressiva del campo di intervento della bioetica, ha indotto G.
Berlinguer ad una precisazione molto opportuna: la distinzione tra bioetica di
frontiera e bioetica quotidiana.
La bioetica impiega decenni per delineare definizioni, che restano plurime.
3.LA BIOETICA TRA STORIA E PROBLEMATICAZZAZIONE
La ricostruzione della storia della bioetica è diversamente proposta dagli
studiosi di orientamento cattolico e da quelli di orientamento laico. I primi
affermano l’esistenza di una “preistoria” della bioetica, sostengono che la
nascita della bioetica è preceduta da un insieme di eventi che hanno prodotto
riflessioni etiche su salute, malattia, nascita, morte, modalità di relazione al
corpo umano. Di questa preistoria è momento imprescindibile il processo di
Norimberga, inteso come luogo di visibilità degli esiti nefasti del riduttivismo e
del carattere disumanizzante che la scienza moderna avrebbe come suoi
contrassegni. Il processo di Norimberga è momento fondamentale della
riflessione etica e bioetica se si considera come realtà che esige un'interrogazione
radicale sulla cultura, sul l'ethos occidentale e sul significato del primato
politico, e virgola sull’agire e la responsabilità da degli scienziati. Alla
riflessione sul significato del processo di Norimberga, va correlata la costante
attenzione nel corso del tempo dei pontefici e del magistero della Chiesa ai temi
della medicina, all'etica della procreazione e della vita familiare.
Il fronte laico sostiene che la bioetica nasce dal profondo mutamento storico
realizzatosi negli anni 60, un mutamento chi si presenta quasi come una cesura
epocale che separa con forza la riflessione costumi degli anni 50 da quelli che si
configurano a partire dagli anni 70.
Secondo Mori la bioetica è l'etica applicata nata negli Stati Uniti negli anni 70
nel contesto di una trasformazione socio-culturale-politica. Il suono novum e
l'etica a cui fa riferimento, un'etica emancipata dal quadro teorico tradizionale
punto le due diverse collocazioni storiche della genesi della bioetica hanno un
rimando ideologico specifico perché veicolano in maniera latente o l'idea della
pericolosità della scienza o l'idea della bontà del sapere scientifico e delle
istituzioni virgola delle politiche liberal-democratiche e dell'economia che
orienta tali politiche.
L'etica medica tradizionale fino alla Seconda guerra mondiale aveva ad
oggetto più la pratica terapeutica della medicina che la ricerca biomedica. Con il
processo di Norimberga emerge l'urgenza di riflettere sui principi etici che
devono accompagnare la ricerca medica e di elaborare forme valide di tutela
perché coinvolto nella sperimentazione in qualità di oggetto di essa.
Conseguente al processo e la definizione delle condizioni di ricerca e
sperimentazione medica in 10 punti.
Il testo insiste sul consenso volontario dei soggetti sulle necessità che la
sperimentazione sia interna ad un programma di ricerca scientificamente
valido. Si accennava prima il fatto che, anche dopo la grande presa di
coscienza, degli eccessi legati alla sperimentazione, non sono mancati i fatti
drammatici provocati dall'omissione degli obblighi sanciti dal Codice.
A partire dal Codice di Norimberga sono stati elaborati nel corso del tempo
codici deontologici e Dichiarazioni internazionali relative alla ricerca e la
pratica medica. Il problema dei rapporti tra deontologia medica e due e di casi
impone parallelamente alla configurazione di quest'ultima. In Italia il
Documento di Erice mette in rapporto la deontologia medica, la medicina legale
e la bioetica, definendone ambiti e possibili relazioni.
Il rimando al processo di Norimberga è inscindibile dall'ampia riflessione
suscitata dall'uso della bomba atomica durante la Seconda guerra mondiale.
Dopo Norimberga e Hiroshima è cresciuta la consapevolezza della polisemia del
progresso tecnico-scientifico e dell'ambivalenza degli esiti prodotti dalle sue
realizzazioni concrete, diverso essere artefici del miglioramento delle condizioni
di vita e del suo essere insieme Nature di distruzione.
Lo sviluppo della conoscenza del DNA e le applicazioni conseguenti
contribuiscono un altro fattore genetico della bioetica. A partire dal summit di
Asilomar, per aprire una riflessione internazionale il merito al possibile uso
delle scoperte del DNA, numerosi concessi internazionali hanno affrontato le
problematiche suscitate dagli avanzamenti scientifici e tecnologici.
Parallelamente si intensifica la partecipazione al dibattito da parte dell'opinione
pubblica, sempre più coinvolte di interessata a creare un'interazione
comunicativa.
Infine, un ultimo tassello per abbozzare l'identità della bioetica è il rimando
alle correnti che hanno avuto maggiore risonanza. Nel suo strutturarsi teorico,
la bioetica, ha assunto, orientamenti molteplici, muovendo tuttavia, da
all'imprescindibile rimando a quel sapere che ha permeato cultura e storia
dell'Occidente, contrassegnando le forme e sviluppi: la filosofia. Pur
riconoscendo la dignità storica ed autorevolezza speculativa di tradizione a cui
liberamente si può far riferimento una considerazione va fatta: all’altezza del
XXI secolo il rimando alla filosofia non può mettere la consapevolezza della
grande crisi della tradizione ontologica consumatasi tra 800 e 900. Tantomeno
può sottacere la radicale messa in causa dello stesso senso del filosofare, cioè,
dei regimi totalitari e delle loro istituzioni, lager e gulag. Non è soltanto per il
processo di Norimberga del Codice conseguente che l'esperienza dei lager
riguarda la bioetica: quell'esperienza è un punto di non ritorno per qualsivoglia
meditare che si faccia carico dei destini dell'uomo e del mondo.
Capitolo 2 “Bioetica e diritti”
1.IL PROBLEMA DEI DIRITTI UMANI
Nella sua ricerca di un orizzonte comune e condiviso, la bioetica ha trovato un
punto di riferimento forte nel rimando ai diritti umani ed al quadro di valori
condivisi che le Dichiarazioni storiche concernenti i diritti custodiscono come
patrimonio acquisito e trasmettono come fattori di civilizzazione a uomini,
società, Stati. Con l’espressione “diritti umani” ci si riferisce ad un insieme di
diritti universali ed inalienabili. L’appello ai diritti tanto fondamentali da essere
imprescrittibili attraversa la storia dell’ethos e della cultura occidentale in
maniera più o meno esplicita almeno dall’Antigone di Sofocle.
La lunga durata di questa istanza non significa il riconoscimento di una legge
naturale perenne, ma l’inesauribilità del bisogno di giustizia. Il riconoscimento
dell’istanza umana di giustizia non identificabile con il diritto naturale
rimanda al grande problema teorico della giustificazione dei diritti umani.
La tradizione delle Dichiarazioni dei diritti è lunga e complessa. Come tappe
fondamentali che scandiscono questa tradizione vanno ricordate almeno:
• la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino proclamata dai
rivoluzionari francesi del 1789.
• la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo proclamata il 10 dicembre
del 1948, confermata e specificata dalla Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
Quest’ultima è la prima di una nuova serie di Documenti internazionali e per
tanti aspetti è l’inizio di una nuova storia. Che non vede certo la scomparsa di
violazioni dei diritti fondamentali, ma che può contare per la difesa dei diritti
violati su di un documento sottoscritto dalle nazioni.
2. “CRISI BIOETICA DEL DIRITTO” E “BIO-JUS”
Ad integrazione di questo rapido cenno alla questione dei diritti umani va
quanto meno ricordato che è particolarmente rilevante il dibattito bioetico
concerne la configurazione di un eventuale nuovo diritto, come problema
scaturito dallo sviluppo delle tecnoscienze. Gli sviluppi che hanno portato alla
strutturazione della bioetica hanno anche prodotto quella che è stata definita la
“crisi bioetica del diritto”. Il passo ulteriore è lo sforzo di una riformulazione del
diritto. L’urgenza di nuove regole è ineludibile. Ma ineludibile è anche la
considerazione di quelle richieste dei cittadini che vanno nella direzione della
formulazione di leggi che garantiscono nuovi
diritti.
Porre il problema di nuove regole non significa necessariamente proporre una
“giuridificazione” rigida che imbrigli la scienza e leda richieste, bisogni e diritti
maturati in forza delle tecnologie della libertà.
Capitolo 3 “Linee di confine: nascita, morte, trapianti”
1.IL DIBATTITO SULLA VITA NASCENTE
La legalizzazione dell’aborto ha costituito una delle più significative ragioni
della differenziazione delle posizioni morali rispetto alle questioni bioetiche di
fondo, avviando, il confronto e il dibattito sui temi della vita nascente. Quando
si parla di aborto è evidente che ci si riferisce a quello procurato, all’interruzione
volontaria della gravidanza, che, in Italia, è regolata dalla legge 194 del 22
maggio del 1978.
Questa legge riconosce il diritto esclusivo della donna di decidere della
gravidanza e tutela la sua decisione abortiva. Sono a sua disposizione strutture
sanitarie e personale medico non solo per garantire un corretto intervento
medico ma anche per offrire consulenza e sostegno psicologico. coloro che
dichiarano una posizione antiabortista, reclamano il mancato riconoscimento
da parte di questa legge della dignità dell’embrione, che sarebbe soggetto di
diritto al pari della madre, la cui volontà non può considerarsi sovrana e
assoluta.
Diversamente da quanto si crede, i cattolici non ritengono illecito l’aborto sulla
scorta del dato e dell’informazione biologica, bensì in forza della riflessione
filosofica e teologica. Nel documento che esprime la posizione cattolica ufficiale
sull’interruzione volontaria della gravidanza si difende la differenza tra la
riflessione morale sulla dignità personale dell’embrione e la conoscenza della
sua struttura e conformazione fisica.
Bisogna ricordare che i cattolici hanno evidenziato la funzione eticamente
ambigua della diagnosi prenatale. Ci si chiede quanto le medesime strutture
investano per consentire ad una donna sola o ad una coppia non solo di
elaborare il lutto conseguente ad una diagnosi di handicap del figlio atteso, ma
quanto si impegnino a rendere possibile l’accettazione di tale gravidanza.
Secondo la prospettiva cattolica, dunque, l’embrione va difeso in quanto
persona e va difeso anche se sarà persona “imperfetta”.
Questo vuol dire che sin dal concepimento l’embrione sarebbe un individuo, il cui
ciclo vitale è già in atto ed è tale da specificarne l’irripetibile identità. La bioetica
cattolica utilizza l’espressione di “persona potenziale” per descrivere tale soggetto
in formazione. Dalla fecondazione in poi si avvia un processo di sviluppo per
cui l’embrione non cresce fino a diventare un umano, cresce e si sviluppa in
quanto essere umano.
Secondo la bioetica laica la nozione di “potenzialità” è strutturalmente debole,
perché, bisognerebbe spingersi al di qua della vita embrionale e tutelare anche
sperma ed ovulo.
Altra obiezione della posizione cattolica viene da coloro che non ritengono che il
concepimento corrisponda all’inizio naturale della vita umana. Ritenere che sia
la fecondazione dell’ovulo e non la fusione dei gameti a costituire l’inizio, vuole
dire scegliere questo momento come il primo dell’esistenza personale. Proprio il
fatto di scegliere una fase di sviluppo dell’embrione anziché un’altra, non
permette di considerare come naturale e oggettivo quello che è uno tra i possibili
criteri di definizione della vita individuale.
Secondo l’orientamento bioetico funzionalista la parola persona non è che una
convenzione linguistica che è tale solo se ha la possibilità di manifestare le
funzioni e le capacità dell’uomo. La tesi cattolica contraddice questa
definizione. Il termine persona deve essere attribuito all’essere umano in ogni
sua fase di sviluppo. Questa parola è stata usata secondo la definizione che ne
dà Boezio: persona è substantia individua, completa, alteri incommunicata,
rationalis, come ribadirà poi anche san Tommaso.
Alla tradizione cristiana tomista bisogna aggiungere la riflessione novecentesca
offerta da filosofi personalisti come Marcel e Mounier, riflessione che ha la sua
ricaduta nella discussione bioetica perché arricchisce ed amplifica il modello
antropologico cristiano ispirato al pensiero di san Tommaso. Anche secondo
Marcel non è criterio di definizione della “persona” il suo “essere” o il suo “avere”
un corpo. Il punto di vista laico respinge la definizione aristotelico-tomista di
persona. L’essere persona non è che un dato di fatto, ma il risultato di un
processo che si costruisce a partire dal tessuto delle relazioni col mondo e con gli
altri.
2.SULLA FECONDAZIONE ASSISTITA
L a questione che riguarda la liceità o meno dell’aborto, vale ancor più in tema
di fecondazione assistita. Quando si parla di fecondazione assistita va
considerata già significativa la scelta della parola “assistita” anziché
“artificiale”.
Nel corso del XX secolo la fecondazione assistita è stata praticata con regolarità,
sebbene in forma sommersa. Solo con l’introduzione della cosiddetta tecnica
Fivet, ossia della fecondazione in vitro con embryo transfer e la nascita, il
fenomeno ha acquisito pubblica evidenza e ha cominciato a sollecitare il
dibattito bioetico.
Bisogna distinguere tra fecondazione assistita intracorporea e fecondazione
assistita extracorporea. Ciascuna delle due forme di fecondazione può essere
omologa, se i gameti sono della coppia che chiede l’intervento di fecondazione; è
detta eterologa laddove almeno un gamete appartiene ad una persona esterna
alla coppia. Esiste anche la possibilità della cosiddetta maternità surrogata.
Nel caso della Fivet vale come problema morale l’uso di mezzi e tecniche
specifiche per l’ottenimento della fecondazione. Questa tecnica di fecondazione
implica la produzione sovrannumeraria di embrioni, il cui destino può essere
quello della crioconservazione o della distruzione.
Se l’embrione è giudicato persona sin dal concepimento, la sua manipolazione
non può essere considerata lecita.
Per quanto la bioetica cattolica e il magistero della chiesa cattolica considerino
decisiva a definizione dell’identità dell’embrione per rispondere alle domande
sulla moralità delle pratiche biomediche.
La fecondazione assistita esige il dissolvimento del carattere unitivo e
procreativo dell’atto coniugale. Questa è la ragione per cui è “moralmente
inaccettabile”.
La posizione cattolica risponde al punto di vista bioetico della sacralità della
vita, cui si contrappone quello ispirato al principio della qualità della vita. Si
tratta di due posizioni profondamente diverse: la bioetica della sacralità della
vita afferma la non liceità del controllo e della manipolazione del processo
vitale, considerata creatura di Dio; i sostenitori invece dell’etica della qualità
della vita ritengono che la contraccezione sia atto di responsabilità che fortifica
l’autonomia del soggetto agente, il quale, diviene garante del benessere della
società civile. La questione della liceità della fecondazione assistita si complica
laddove essa si realizzi per via eterologa, implicando, così, l’intervento di un
donatore.
L’orientamento bioetico cattolico ritiene che la fecondazione assistita mini
l’identità originaria della “famiglia”, mettendone in questione il paradigma
tradizionale. La fecondazione eterologa è considerata, dunque, un atto
“abortivo” della paternità e della maternità.
Molte perplessità solleva la cosiddetta maternità surrogata. L’uso strumentale
del corpo femminile, la relazione genitoriale ambigua, il ricorso a tecniche
manipolative dell’atto procreativo sono le ragioni per cui la bioetica cattolica
nega che questa tecnica riproduttiva possa essere considerata lecita. Anche la
bioetica laica non considera questa modalità riproduttiva risente da rischi
morali evidenti quali l’eventuale mercificazione del corpo femminile, la
complicazione psicologica materna e del nascituro.
Della maternità surrogata, molti però tengono a salvare l’aspetto cosiddetto
“donativo”. Nel 1982 venne istituito un comitato ad hoc per regolare etico-
giuridicamente l’uso delle tecniche riproduttive. Il comitato considerò la
possibilità di effettuare sperimentazione embrionale fino al 14esimo giorno
dalla fecondazione di quello che è stato definito un “pre-embrione”. Il parere
espresso da questo comitato è tuttora considerato un riferimento necessario per
regolare la prassi biomedica rispetto alla sperimentazione embrionale.
3.SULLA CLONAZIONE
La parola “clone” è di origine greca e significa “germoglio”. La clonazione
realizzata mediante l’intervento umano è un processo mediante il quale si
riproducono frammenti di DNA, linee cellulari o organismi pluricellulari,
lasciando inalterato il patrimonio genetico dell’organismo clonato. Due sono le
tecniche di clonazione conosciute. Una è quella della “fissione gemellare” che
consiste nella divisione delle cellule embrionali entro 14 giorni dalla
fecondazione, per ottenere così due o più embrioni identici. L’altra è la tecnica
detta di “nucleo transfer” che consiste nell’inserimento del nucleo di una cellula
dell’individuo da clonare in una cellula uovo non fecondata, dopo aver
eliminato o reso inattivo il nucleo esistente. Questa è la tecnica usata da Ian
Willmut per la clonazione della pecora Dolly.
A livello internazionale l’uso della clonazione umana è stato proibito come ha
stabilito l’Organizzazione Mondiale della Sanità quanto la Convenzione Europe
di Bioetica. Le critiche a questa particolare tecnica riproduttiva non riguardano
soltanto la questione del mancato rispetto della vita embrionale. La bioetica
cattolica considera la clonazione un terribile pervertimento della natura
creaturale dell’essere umano.
4.PROBLEMI DI FINE VITA: CURE PALLIATIVE ED EUTANASIA
È il filosofo inglese Bacone ad usare per primo, nell’età moderna, la parola
eutanasia, che, letteralmente, vuol dire “morte buona e dolce”. Ma anche in
epoca classica non è mancata la riflessione sulla volontà di consegnarsi
dignitosamente alla morte. Il tema non ha assunto, se non recentemente,
significati direttamente connessi alla pratica medica e alle questioni che solleva
oggi la condizione propria dei malati terminali. Se, rivolti al passato,
guardiamo ad alcune esperienze emblematiche di suicidio, come fu quella del
filosofo Seneca, potremmo interpretare la “dolcezza” del morire solo considerate
che colui che sceglie di darsi la morte, ritiene di compiere tale atto perché se ne
riconosce la funzione liberatoria. L’aggettivo “dolce” può dunque essere
utilizzato come sinonimo di “buono”. A partire dalla fede della natura cerata
dell’uomo, l’etica religiosa ebraica e cristiana ha sempre condannato il suicido e
oggi respinge e condanna allo stesso modo l’eutanasia.
In epoca moderna, non è mancato chi ha giudicato non morale tale gesto.
La bioetica è chiamata a rispondere della moralità della volontà di morire ma
non discute il suicidio motivato da particolari condizioni esistenziali. Tra la
riflessione filosofica sul suicidio e tale questione biotica si pone una significativa
distanza concettuale. La medicina e la scienza sollevano una domanda che è
davvero nuova: si ha il diritto di morire quando la vita, segnata da una
malattia incurabile diviene un fardello di doloro insostenibile, se è vissuta in
uno stato di incoscienza per cui si sopravvive in condizioni vegetative
permanenti?
La difficoltà di accettare la pratica dell’eutanasia dipende poi dalla
sedimentazione dell’etica medica, ispirata al codice ippocratico, secondo il quale
è dovere del medico difendere sempre e comunque la vita del paziente. Il
processo scientifico ha consentito di prolungare indefinitamente la vita di un
malato, laddove in passato egli non sarebbe potuto sopravvivere.
La posizione bioetica della sacralità della vita ritiene che l’eutanasia debba
essere considerata illegittima, in quanto la vita è considerata un dono del quale
non dispone se non Dio stesso e che ha valore fino alla morte.
La bioetica laica, giustifica l’eutanasia ritenendo che la sospensione
dell’accanimento terapeutico e il “lasciar fare” alla natura, equivale, sul piano
morale all’atto volto a procurare direttamente la morte.
Ricordiamo che in Italia l’eutanasia costituisce un reato e che in Europa solo
l’Olanda e il Belgio hanno depenalizzato questa pratica medica.
5.CRITERI DI ACCERTAMENTO DELLA MORTE, ESPIANTO E TRAPIANTO
DI ORGANI
La rilevanza degli interrogativi che solleva il trapianto d’organi da cadavere
non dipende solo dall’interesse che su questo tema ha mostrato l’opinione
pubblica, ma anche e soprattutto dal fatto che i trapianti d’organo costituiscono
un aspetto non secondario della discussione in torno agli interrogativi bioetici
sulla fine della vita.
È importante ricordare che alla fine degli anni 60 il comitato ad hoc
dell’università di Harward fissò il criterio celebrale e non cardiaco della morte,
rendendo così possibile l’espianto non ancora intaccati da necrosi.
Va anche ricordato che l’espressione morte celebrale per alcuni indica la
cessazione delle funzioni della corteccia celebrale, mentre per la maggior parte
vuole significare la perdita irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo.
La questione più spinosa è costituita dall’autorizzazione al prelievo e
dall’accertamento del consenso al trapianto stesso.
In molti paesi, come l’Italia, è valsa la regola del consenso della persona
secondo il criterio del “ora per allora” o anche del cosiddetto “silenzio-assenso”.
Capitolo 4 “Le biotecnologie”
1.DEFINIZIONI E CENNI STORICI
Se con il termine tecnologie intendiamo l’insieme di strumenti e processi che
rendono possibile la trasformazione umana del mondo, il termine biotecnologie
ricopre un ambito semantico esteso. Tecnologie e biotecnologie sono pietre
costruttive della storia dell’uomo. Va però subito introdotta la distinzione tra
biotecnologie semplici o tradizionali e biotecnologie avanzate. Sono
biotecnologie avanzate quelle conseguenti alla svolta nella storia della scienza
rappresentata dal chiarimento della struttura del DNA e dalla messa a punto
dei sistemi di intervento e di modifica dell’informazione genetica.
Il discrimine tra biotecnologie tradizionali e quelle avanzate è rappresentato
dall’ingegneria genetica.
Millenario è il ricorso umano a tecnologie e biotecnologie tradizionali, ma la
condizione che ha reso possibile le biotecnologie avanzate appartiene al XX
secolo.
2.LE APPLICAZIONI BIOTECNOLOGICHE
Nell’ambito degli interventi sulla salute umana, è unanimemente considerato un
grande progresso la produzione biotecnologica di sostanze che le industrie
farmaceutiche hanno tradotto in farmaci anche di largo uso. Grandi speranze
di sconfiggere malattie tutt’ora mortali, come l’AIDS, sono suscitate dalla messa
a punto di vaccini cosiddetti di “seconda generazione”, costruiti con tecniche di
ingegneria genetica.
All’ampliamento degli strumenti diagnostici si è andata via via associando la
definizione di possibili terapie geniche. La terapia genica prevede un intervento
correttivo sul DNA, ai fini di una possibile eliminazione dei fattori patogeni. Per
ragioni etiche e bioetiche la terapia genica è limitata nelle sue applicazioni solo
alle cellule somatiche. La terapia genica germinale suscita problemi di tale
portata etica, bioetica, giuridica, che si è ritenuto opportuno escluderne
attualmente la pratica.
Applicazione biotecnologica rilevante per la salute umana è certamente la
“costruzione” di animali modificati con geni di provenienza umana. I cosiddetti
xenotrapianti potrebbero infatti rappresentare in futuro la soluzione del grande
problema del reperimento di organi.
Nella seconda metà degli anni 80 Sinsheimer, De Lasi e Dulbecco elaborarono il
progetto di identificare le sequenze nucleotidiche del DNA. In relazione ad esso
si costituisce l’Organizzazione del Genoma Umano; nel 2002 la prima fase del
progetto è stata ultimata.
È intuitivo che le implicazioni economiche dei risultati della mappatura del
genoma umano sono di amplissima portata. Sin dal 1991 la direttrice del
National Institute of Health avanza domande di brevetti su sequenze genetiche
provocando discussioni e dissensi nelle varie équipes internazionali impegnate
nel progetto.
L’intervento biotecnologico in campo animale ha applicazioni più ampie
dell’accennata modifica genetica funzionale agli xenotrapianti. La
modificazione del corredo genico ha avuto un esito spettacolare sin dal 1982 con
la sua nascita di topi “giganti”, nati da ovociti fecondati in cui era stato inserito
il gene umano che presiede alla sintesi dell’ormone della crescita.
Le biotecnologie avanzate applicate al mondo vegetale hanno già mutato
pratiche agricole e di produzione alimentare.
Altrettanto decisiva nell’ambito biotecnologico è l’applicazione di processi di
bioconversione: sfruttando la capacità di microrganismi di modificare
chimicamente una grandissima varietà di composti organici è possibile
programmare la trasformazione di essi per una diversa utilizzazione.
3.GLI IMPATTI
Essendo diverse e contrastanti le valutazioni concernenti l’impatto dei prodotti
biotecnologici sull’ambiente e sulla salute e in larga parte sconosciuti i rischi
connessi al margine di imprevedibilità degli effetti, si è aperta una riflessione
pubblica internazionale sul tema dei biorischi e della regolamentazione
dell’intera materia biotecnologica.
Nel corso della riflessione pubblica internazionale si è via via definito il
principio cosiddetto di precauzione. Tale principio impone interventi ogni qual
volta l’applicazione biotecnologica non è del tutto esente da rischi.
Per semplificare la portata degli impatti ambientali si può sinteticamente
rimandare al rischio di inquinamento genetico.
In riferimento all’impatto ambientale cruciale è la questione dei rischi che
minacciano la diversità genetica. L’uomo, con la biotecnologia, si sostituisce ai
meccanismi evolutivi perché muta, rimescola e seleziona informazioni genetiche,
utilizzando anche quelle di specie non affini.
Gli impatti socio-economici della produzione e distribuzione dei prodotti
biotecnologici, sono, nell’attuale contesto della globalizzazione, di portata
incalcolabile, certamente tali da incidere pesantemente sui rapporti tra il nord
del mondo e le sue potenzialità tecnologiche ed il sud, ricchissimo di serve ed
impossibilitato ad uno sfruttamento di esse funzionale al miglioramento delle
condizioni di vita.
4.CONSIDERAZIONI BIOETICHE
È evidente quali e quanti siano i problemi etici e bioetici suscitati dalle
biotecnologie. La bioetica ispirata dal personalismo ontologico, ha fatto valere il
principio della conservazione dell’ordine naturale, ha riconosciuto la liceità
della diagnosi genetica prenatale, pur conservando il divieto di interruzione di
gravidanza in caso di esito infausto. Il divieto di intervento sulle cellule
germinali e di qualunque processo alteri l’identità genetica umana, nonché il
rifiuto della “genetica alternativa”, sono perfettamente conseguenti
all’impostazione generale.
Consideriamo, infine, un tema filosofico, che è alla radice di possibili diverse
opzioni di principi e conseguenti decisioni operative. Sia pure con modalità
nuove la scoperta del DNA e le applicazioni che ne sono derivate hanno
riproposto l’antico tema del dominio e della necessità, e, la questione della realtà
della libertà nella vita umana.
La nostra vita sarebbe così determinata dai geni che ci sono capitati. Si direbbe
che con modalità nuove, si riproponga quella “paura” della libertà il cui esito è
la tragica storia del determinismo. La paura della libertà è un motivo ricorrente
nella storia dell’umanità, ed il ricorso alla scienza come garante del controllo
del temuto “imprevedibile” è un epifenomeno che non va sottovalutato.

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