1.LA PAROLA Per tentare una risposta alla domanda: “che cosa è la bioetica?”, si può partire dalla considerazione che per i saperi vale ciò che si può dire dei singoli e dei popoli. Una storia in genere comincia con una nascita. Nel caso della bioetica la datazione della nascita è controversa. Tuttavia, disponiamo di due certezze. Certamente la bioetica come tale appartiene al secolo breve, secolo che conosce l’accelerazione del tempo storico, una sorta di concentrazione della sua durata dovuto a molteplici ragioni. L’altra certezza è la data di nascita della parola bioetica. Il termine è coniato dall’oncologo americano Potter, con una valenza di significato che resta in qualche modo minoritaria nello sviluppo che avrà la “cosa” bioetica. La parola bioetica di fatto ha reso possibile raccogliere esperienze sparse, interrogativi maturati da trasformazioni storiche complesse e polisemiche in cui comunque ha parte rilevante lo sviluppo delle scienze e delle tecnologie, in una disciplina resa unitaria dal nome, bioetica. Con il suo neologismo Potter introduce anche l’idea che la bioetica debba essere un sapere fortemente strutturato sulle conoscenze biologiche, e che debba configurarsi come scienza, in specifico come “scienza della sopravvivenza”. 2.LE COSE: DEFINIZIONI E TEMI Per cominciare a delineare la “cosa” bioetica, si può fare riferimento a definizioni ritenute canoniche, cominciando proprio dall’Encyclopedia of Bioethics. Le definizioni, una proposta nell’edizione dell’Encyclopedia dell’1978 e l’altra in quella del 1995, rilevano il progressivo ampliamento di orizzonti della bioetica, a riprova del peso della storicità sulla strutturazione di questo sapere e della sua identità in divenire. Particolarmente illuminante è la definizione della bioetica data da G. Hottois il quale afferma che è impresa assai ardua definire la bioetica in quanto essa in senso stretto. “Un insieme di ricerche e discorsi” dove per “ricerche” è evidentemente da intendere la riflessione analitica di quanto scienze e applicazioni sottopongono all’attenzione del pensiero e della valutazione e per “discorsi” l’elaborazione via via produttiva del nuovo sapere. La bioetica trova ragion d’essere nelle interrogazioni e nei conseguenti tentativi di risposta. Questo rimando alla prassi ed alle sue piccole e grandi urgenze non solo giustifica il particolare peso e valore che deve avere l’opinione pubblica nella strutturazione di questo sapere. Infatti, questo sapere interstiziale, trova luogo di articolazione, strutturazione definizione di decisioni operative in istituzioni varie, tra cui sono certamente di particolare rilievo i Comitati etici e bioetici. I Comitati sono strutture costituite da specialisti di varia provenienza professionale e di diversa sensibilità culturale ed etica, investiti dall’impegnativo compito della valutazione delle conseguenze delle varie pratiche scientifiche e dell’elaborazione di pareri vincolanti per l’applicazione dei risultati delle tecnoscienze. Il campo di pertinenza dei Comitati implica che le decisioni non siano direttamente traducibili in legislazione. Ma quanto abbiamo detto non significa certo la determinazione di una definizione univoca della bioetica. Un caso emblematico è costituito dalla bioetica italiana. In Italia sulle tematiche bioetiche si è approfondita la storica divaricazione tra la cultura di ispirazione religiosa e la cultura laica. In forza del principio della sacralità della vita, la vita umana è valore in sé, dunque non rientra nella sfera di quanto l’uomo può considerare disponibile, sicché obbligo morale assolutamente vincolante è la difesa della vita. Il punto di vista etico e bioetico orientato dal principio della sacralità della vita ha come riferimento diretto la tradizione religiosa; si nutre pertanto della sensibilità teologica filosofica che questa tradizione porta con sé. Significativa fino ad essere emblematica è allora la definizione di bioetica, proposta da E. Sgreccia, autorevole bioeticista cattolico. Per questo studioso la bioetica è identificabile come filosofia della ricerca e della prassi biomedica. Il principio della qualità della vita è il paradigma orientativo della bioetica laica. In forza del principio della qualità della vita umana è individuato a partire dal livello di “bene” di cui questa può avvalersi. La bioetica allora è identificata come etica applicata. L’estensione progressiva del campo di intervento della bioetica, ha indotto G. Berlinguer ad una precisazione molto opportuna: la distinzione tra bioetica di frontiera e bioetica quotidiana. La bioetica impiega decenni per delineare definizioni, che restano plurime. 3.LA BIOETICA TRA STORIA E PROBLEMATICAZZAZIONE La ricostruzione della storia della bioetica è diversamente proposta dagli studiosi di orientamento cattolico e da quelli di orientamento laico. I primi affermano l’esistenza di una “preistoria” della bioetica, sostengono che la nascita della bioetica è preceduta da un insieme di eventi che hanno prodotto riflessioni etiche su salute, malattia, nascita, morte, modalità di relazione al corpo umano. Di questa preistoria è momento imprescindibile il processo di Norimberga, inteso come luogo di visibilità degli esiti nefasti del riduttivismo e del carattere disumanizzante che la scienza moderna avrebbe come suoi contrassegni. Il processo di Norimberga è momento fondamentale della riflessione etica e bioetica se si considera come realtà che esige un'interrogazione radicale sulla cultura, sul l'ethos occidentale e sul significato del primato politico, e virgola sull’agire e la responsabilità da degli scienziati. Alla riflessione sul significato del processo di Norimberga, va correlata la costante attenzione nel corso del tempo dei pontefici e del magistero della Chiesa ai temi della medicina, all'etica della procreazione e della vita familiare. Il fronte laico sostiene che la bioetica nasce dal profondo mutamento storico realizzatosi negli anni 60, un mutamento chi si presenta quasi come una cesura epocale che separa con forza la riflessione costumi degli anni 50 da quelli che si configurano a partire dagli anni 70. Secondo Mori la bioetica è l'etica applicata nata negli Stati Uniti negli anni 70 nel contesto di una trasformazione socio-culturale-politica. Il suono novum e l'etica a cui fa riferimento, un'etica emancipata dal quadro teorico tradizionale punto le due diverse collocazioni storiche della genesi della bioetica hanno un rimando ideologico specifico perché veicolano in maniera latente o l'idea della pericolosità della scienza o l'idea della bontà del sapere scientifico e delle istituzioni virgola delle politiche liberal-democratiche e dell'economia che orienta tali politiche. L'etica medica tradizionale fino alla Seconda guerra mondiale aveva ad oggetto più la pratica terapeutica della medicina che la ricerca biomedica. Con il processo di Norimberga emerge l'urgenza di riflettere sui principi etici che devono accompagnare la ricerca medica e di elaborare forme valide di tutela perché coinvolto nella sperimentazione in qualità di oggetto di essa. Conseguente al processo e la definizione delle condizioni di ricerca e sperimentazione medica in 10 punti. Il testo insiste sul consenso volontario dei soggetti sulle necessità che la sperimentazione sia interna ad un programma di ricerca scientificamente valido. Si accennava prima il fatto che, anche dopo la grande presa di coscienza, degli eccessi legati alla sperimentazione, non sono mancati i fatti drammatici provocati dall'omissione degli obblighi sanciti dal Codice. A partire dal Codice di Norimberga sono stati elaborati nel corso del tempo codici deontologici e Dichiarazioni internazionali relative alla ricerca e la pratica medica. Il problema dei rapporti tra deontologia medica e due e di casi impone parallelamente alla configurazione di quest'ultima. In Italia il Documento di Erice mette in rapporto la deontologia medica, la medicina legale e la bioetica, definendone ambiti e possibili relazioni. Il rimando al processo di Norimberga è inscindibile dall'ampia riflessione suscitata dall'uso della bomba atomica durante la Seconda guerra mondiale. Dopo Norimberga e Hiroshima è cresciuta la consapevolezza della polisemia del progresso tecnico-scientifico e dell'ambivalenza degli esiti prodotti dalle sue realizzazioni concrete, diverso essere artefici del miglioramento delle condizioni di vita e del suo essere insieme Nature di distruzione. Lo sviluppo della conoscenza del DNA e le applicazioni conseguenti contribuiscono un altro fattore genetico della bioetica. A partire dal summit di Asilomar, per aprire una riflessione internazionale il merito al possibile uso delle scoperte del DNA, numerosi concessi internazionali hanno affrontato le problematiche suscitate dagli avanzamenti scientifici e tecnologici. Parallelamente si intensifica la partecipazione al dibattito da parte dell'opinione pubblica, sempre più coinvolte di interessata a creare un'interazione comunicativa. Infine, un ultimo tassello per abbozzare l'identità della bioetica è il rimando alle correnti che hanno avuto maggiore risonanza. Nel suo strutturarsi teorico, la bioetica, ha assunto, orientamenti molteplici, muovendo tuttavia, da all'imprescindibile rimando a quel sapere che ha permeato cultura e storia dell'Occidente, contrassegnando le forme e sviluppi: la filosofia. Pur riconoscendo la dignità storica ed autorevolezza speculativa di tradizione a cui liberamente si può far riferimento una considerazione va fatta: all’altezza del XXI secolo il rimando alla filosofia non può mettere la consapevolezza della grande crisi della tradizione ontologica consumatasi tra 800 e 900. Tantomeno può sottacere la radicale messa in causa dello stesso senso del filosofare, cioè, dei regimi totalitari e delle loro istituzioni, lager e gulag. Non è soltanto per il processo di Norimberga del Codice conseguente che l'esperienza dei lager riguarda la bioetica: quell'esperienza è un punto di non ritorno per qualsivoglia meditare che si faccia carico dei destini dell'uomo e del mondo. Capitolo 2 “Bioetica e diritti” 1.IL PROBLEMA DEI DIRITTI UMANI Nella sua ricerca di un orizzonte comune e condiviso, la bioetica ha trovato un punto di riferimento forte nel rimando ai diritti umani ed al quadro di valori condivisi che le Dichiarazioni storiche concernenti i diritti custodiscono come patrimonio acquisito e trasmettono come fattori di civilizzazione a uomini, società, Stati. Con l’espressione “diritti umani” ci si riferisce ad un insieme di diritti universali ed inalienabili. L’appello ai diritti tanto fondamentali da essere imprescrittibili attraversa la storia dell’ethos e della cultura occidentale in maniera più o meno esplicita almeno dall’Antigone di Sofocle. La lunga durata di questa istanza non significa il riconoscimento di una legge naturale perenne, ma l’inesauribilità del bisogno di giustizia. Il riconoscimento dell’istanza umana di giustizia non identificabile con il diritto naturale rimanda al grande problema teorico della giustificazione dei diritti umani. La tradizione delle Dichiarazioni dei diritti è lunga e complessa. Come tappe fondamentali che scandiscono questa tradizione vanno ricordate almeno: • la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino proclamata dai rivoluzionari francesi del 1789. • la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo proclamata il 10 dicembre del 1948, confermata e specificata dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Quest’ultima è la prima di una nuova serie di Documenti internazionali e per tanti aspetti è l’inizio di una nuova storia. Che non vede certo la scomparsa di violazioni dei diritti fondamentali, ma che può contare per la difesa dei diritti violati su di un documento sottoscritto dalle nazioni. 2. “CRISI BIOETICA DEL DIRITTO” E “BIO-JUS” Ad integrazione di questo rapido cenno alla questione dei diritti umani va quanto meno ricordato che è particolarmente rilevante il dibattito bioetico concerne la configurazione di un eventuale nuovo diritto, come problema scaturito dallo sviluppo delle tecnoscienze. Gli sviluppi che hanno portato alla strutturazione della bioetica hanno anche prodotto quella che è stata definita la “crisi bioetica del diritto”. Il passo ulteriore è lo sforzo di una riformulazione del diritto. L’urgenza di nuove regole è ineludibile. Ma ineludibile è anche la considerazione di quelle richieste dei cittadini che vanno nella direzione della formulazione di leggi che garantiscono nuovi diritti. Porre il problema di nuove regole non significa necessariamente proporre una “giuridificazione” rigida che imbrigli la scienza e leda richieste, bisogni e diritti maturati in forza delle tecnologie della libertà. Capitolo 3 “Linee di confine: nascita, morte, trapianti” 1.IL DIBATTITO SULLA VITA NASCENTE La legalizzazione dell’aborto ha costituito una delle più significative ragioni della differenziazione delle posizioni morali rispetto alle questioni bioetiche di fondo, avviando, il confronto e il dibattito sui temi della vita nascente. Quando si parla di aborto è evidente che ci si riferisce a quello procurato, all’interruzione volontaria della gravidanza, che, in Italia, è regolata dalla legge 194 del 22 maggio del 1978. Questa legge riconosce il diritto esclusivo della donna di decidere della gravidanza e tutela la sua decisione abortiva. Sono a sua disposizione strutture sanitarie e personale medico non solo per garantire un corretto intervento medico ma anche per offrire consulenza e sostegno psicologico. coloro che dichiarano una posizione antiabortista, reclamano il mancato riconoscimento da parte di questa legge della dignità dell’embrione, che sarebbe soggetto di diritto al pari della madre, la cui volontà non può considerarsi sovrana e assoluta. Diversamente da quanto si crede, i cattolici non ritengono illecito l’aborto sulla scorta del dato e dell’informazione biologica, bensì in forza della riflessione filosofica e teologica. Nel documento che esprime la posizione cattolica ufficiale sull’interruzione volontaria della gravidanza si difende la differenza tra la riflessione morale sulla dignità personale dell’embrione e la conoscenza della sua struttura e conformazione fisica. Bisogna ricordare che i cattolici hanno evidenziato la funzione eticamente ambigua della diagnosi prenatale. Ci si chiede quanto le medesime strutture investano per consentire ad una donna sola o ad una coppia non solo di elaborare il lutto conseguente ad una diagnosi di handicap del figlio atteso, ma quanto si impegnino a rendere possibile l’accettazione di tale gravidanza. Secondo la prospettiva cattolica, dunque, l’embrione va difeso in quanto persona e va difeso anche se sarà persona “imperfetta”. Questo vuol dire che sin dal concepimento l’embrione sarebbe un individuo, il cui ciclo vitale è già in atto ed è tale da specificarne l’irripetibile identità. La bioetica cattolica utilizza l’espressione di “persona potenziale” per descrivere tale soggetto in formazione. Dalla fecondazione in poi si avvia un processo di sviluppo per cui l’embrione non cresce fino a diventare un umano, cresce e si sviluppa in quanto essere umano. Secondo la bioetica laica la nozione di “potenzialità” è strutturalmente debole, perché, bisognerebbe spingersi al di qua della vita embrionale e tutelare anche sperma ed ovulo. Altra obiezione della posizione cattolica viene da coloro che non ritengono che il concepimento corrisponda all’inizio naturale della vita umana. Ritenere che sia la fecondazione dell’ovulo e non la fusione dei gameti a costituire l’inizio, vuole dire scegliere questo momento come il primo dell’esistenza personale. Proprio il fatto di scegliere una fase di sviluppo dell’embrione anziché un’altra, non permette di considerare come naturale e oggettivo quello che è uno tra i possibili criteri di definizione della vita individuale. Secondo l’orientamento bioetico funzionalista la parola persona non è che una convenzione linguistica che è tale solo se ha la possibilità di manifestare le funzioni e le capacità dell’uomo. La tesi cattolica contraddice questa definizione. Il termine persona deve essere attribuito all’essere umano in ogni sua fase di sviluppo. Questa parola è stata usata secondo la definizione che ne dà Boezio: persona è substantia individua, completa, alteri incommunicata, rationalis, come ribadirà poi anche san Tommaso. Alla tradizione cristiana tomista bisogna aggiungere la riflessione novecentesca offerta da filosofi personalisti come Marcel e Mounier, riflessione che ha la sua ricaduta nella discussione bioetica perché arricchisce ed amplifica il modello antropologico cristiano ispirato al pensiero di san Tommaso. Anche secondo Marcel non è criterio di definizione della “persona” il suo “essere” o il suo “avere” un corpo. Il punto di vista laico respinge la definizione aristotelico-tomista di persona. L’essere persona non è che un dato di fatto, ma il risultato di un processo che si costruisce a partire dal tessuto delle relazioni col mondo e con gli altri. 2.SULLA FECONDAZIONE ASSISTITA L a questione che riguarda la liceità o meno dell’aborto, vale ancor più in tema di fecondazione assistita. Quando si parla di fecondazione assistita va considerata già significativa la scelta della parola “assistita” anziché “artificiale”. Nel corso del XX secolo la fecondazione assistita è stata praticata con regolarità, sebbene in forma sommersa. Solo con l’introduzione della cosiddetta tecnica Fivet, ossia della fecondazione in vitro con embryo transfer e la nascita, il fenomeno ha acquisito pubblica evidenza e ha cominciato a sollecitare il dibattito bioetico. Bisogna distinguere tra fecondazione assistita intracorporea e fecondazione assistita extracorporea. Ciascuna delle due forme di fecondazione può essere omologa, se i gameti sono della coppia che chiede l’intervento di fecondazione; è detta eterologa laddove almeno un gamete appartiene ad una persona esterna alla coppia. Esiste anche la possibilità della cosiddetta maternità surrogata. Nel caso della Fivet vale come problema morale l’uso di mezzi e tecniche specifiche per l’ottenimento della fecondazione. Questa tecnica di fecondazione implica la produzione sovrannumeraria di embrioni, il cui destino può essere quello della crioconservazione o della distruzione. Se l’embrione è giudicato persona sin dal concepimento, la sua manipolazione non può essere considerata lecita. Per quanto la bioetica cattolica e il magistero della chiesa cattolica considerino decisiva a definizione dell’identità dell’embrione per rispondere alle domande sulla moralità delle pratiche biomediche. La fecondazione assistita esige il dissolvimento del carattere unitivo e procreativo dell’atto coniugale. Questa è la ragione per cui è “moralmente inaccettabile”. La posizione cattolica risponde al punto di vista bioetico della sacralità della vita, cui si contrappone quello ispirato al principio della qualità della vita. Si tratta di due posizioni profondamente diverse: la bioetica della sacralità della vita afferma la non liceità del controllo e della manipolazione del processo vitale, considerata creatura di Dio; i sostenitori invece dell’etica della qualità della vita ritengono che la contraccezione sia atto di responsabilità che fortifica l’autonomia del soggetto agente, il quale, diviene garante del benessere della società civile. La questione della liceità della fecondazione assistita si complica laddove essa si realizzi per via eterologa, implicando, così, l’intervento di un donatore. L’orientamento bioetico cattolico ritiene che la fecondazione assistita mini l’identità originaria della “famiglia”, mettendone in questione il paradigma tradizionale. La fecondazione eterologa è considerata, dunque, un atto “abortivo” della paternità e della maternità. Molte perplessità solleva la cosiddetta maternità surrogata. L’uso strumentale del corpo femminile, la relazione genitoriale ambigua, il ricorso a tecniche manipolative dell’atto procreativo sono le ragioni per cui la bioetica cattolica nega che questa tecnica riproduttiva possa essere considerata lecita. Anche la bioetica laica non considera questa modalità riproduttiva risente da rischi morali evidenti quali l’eventuale mercificazione del corpo femminile, la complicazione psicologica materna e del nascituro. Della maternità surrogata, molti però tengono a salvare l’aspetto cosiddetto “donativo”. Nel 1982 venne istituito un comitato ad hoc per regolare etico- giuridicamente l’uso delle tecniche riproduttive. Il comitato considerò la possibilità di effettuare sperimentazione embrionale fino al 14esimo giorno dalla fecondazione di quello che è stato definito un “pre-embrione”. Il parere espresso da questo comitato è tuttora considerato un riferimento necessario per regolare la prassi biomedica rispetto alla sperimentazione embrionale. 3.SULLA CLONAZIONE La parola “clone” è di origine greca e significa “germoglio”. La clonazione realizzata mediante l’intervento umano è un processo mediante il quale si riproducono frammenti di DNA, linee cellulari o organismi pluricellulari, lasciando inalterato il patrimonio genetico dell’organismo clonato. Due sono le tecniche di clonazione conosciute. Una è quella della “fissione gemellare” che consiste nella divisione delle cellule embrionali entro 14 giorni dalla fecondazione, per ottenere così due o più embrioni identici. L’altra è la tecnica detta di “nucleo transfer” che consiste nell’inserimento del nucleo di una cellula dell’individuo da clonare in una cellula uovo non fecondata, dopo aver eliminato o reso inattivo il nucleo esistente. Questa è la tecnica usata da Ian Willmut per la clonazione della pecora Dolly. A livello internazionale l’uso della clonazione umana è stato proibito come ha stabilito l’Organizzazione Mondiale della Sanità quanto la Convenzione Europe di Bioetica. Le critiche a questa particolare tecnica riproduttiva non riguardano soltanto la questione del mancato rispetto della vita embrionale. La bioetica cattolica considera la clonazione un terribile pervertimento della natura creaturale dell’essere umano. 4.PROBLEMI DI FINE VITA: CURE PALLIATIVE ED EUTANASIA È il filosofo inglese Bacone ad usare per primo, nell’età moderna, la parola eutanasia, che, letteralmente, vuol dire “morte buona e dolce”. Ma anche in epoca classica non è mancata la riflessione sulla volontà di consegnarsi dignitosamente alla morte. Il tema non ha assunto, se non recentemente, significati direttamente connessi alla pratica medica e alle questioni che solleva oggi la condizione propria dei malati terminali. Se, rivolti al passato, guardiamo ad alcune esperienze emblematiche di suicidio, come fu quella del filosofo Seneca, potremmo interpretare la “dolcezza” del morire solo considerate che colui che sceglie di darsi la morte, ritiene di compiere tale atto perché se ne riconosce la funzione liberatoria. L’aggettivo “dolce” può dunque essere utilizzato come sinonimo di “buono”. A partire dalla fede della natura cerata dell’uomo, l’etica religiosa ebraica e cristiana ha sempre condannato il suicido e oggi respinge e condanna allo stesso modo l’eutanasia. In epoca moderna, non è mancato chi ha giudicato non morale tale gesto. La bioetica è chiamata a rispondere della moralità della volontà di morire ma non discute il suicidio motivato da particolari condizioni esistenziali. Tra la riflessione filosofica sul suicidio e tale questione biotica si pone una significativa distanza concettuale. La medicina e la scienza sollevano una domanda che è davvero nuova: si ha il diritto di morire quando la vita, segnata da una malattia incurabile diviene un fardello di doloro insostenibile, se è vissuta in uno stato di incoscienza per cui si sopravvive in condizioni vegetative permanenti? La difficoltà di accettare la pratica dell’eutanasia dipende poi dalla sedimentazione dell’etica medica, ispirata al codice ippocratico, secondo il quale è dovere del medico difendere sempre e comunque la vita del paziente. Il processo scientifico ha consentito di prolungare indefinitamente la vita di un malato, laddove in passato egli non sarebbe potuto sopravvivere. La posizione bioetica della sacralità della vita ritiene che l’eutanasia debba essere considerata illegittima, in quanto la vita è considerata un dono del quale non dispone se non Dio stesso e che ha valore fino alla morte. La bioetica laica, giustifica l’eutanasia ritenendo che la sospensione dell’accanimento terapeutico e il “lasciar fare” alla natura, equivale, sul piano morale all’atto volto a procurare direttamente la morte. Ricordiamo che in Italia l’eutanasia costituisce un reato e che in Europa solo l’Olanda e il Belgio hanno depenalizzato questa pratica medica. 5.CRITERI DI ACCERTAMENTO DELLA MORTE, ESPIANTO E TRAPIANTO DI ORGANI La rilevanza degli interrogativi che solleva il trapianto d’organi da cadavere non dipende solo dall’interesse che su questo tema ha mostrato l’opinione pubblica, ma anche e soprattutto dal fatto che i trapianti d’organo costituiscono un aspetto non secondario della discussione in torno agli interrogativi bioetici sulla fine della vita. È importante ricordare che alla fine degli anni 60 il comitato ad hoc dell’università di Harward fissò il criterio celebrale e non cardiaco della morte, rendendo così possibile l’espianto non ancora intaccati da necrosi. Va anche ricordato che l’espressione morte celebrale per alcuni indica la cessazione delle funzioni della corteccia celebrale, mentre per la maggior parte vuole significare la perdita irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo. La questione più spinosa è costituita dall’autorizzazione al prelievo e dall’accertamento del consenso al trapianto stesso. In molti paesi, come l’Italia, è valsa la regola del consenso della persona secondo il criterio del “ora per allora” o anche del cosiddetto “silenzio-assenso”. Capitolo 4 “Le biotecnologie” 1.DEFINIZIONI E CENNI STORICI Se con il termine tecnologie intendiamo l’insieme di strumenti e processi che rendono possibile la trasformazione umana del mondo, il termine biotecnologie ricopre un ambito semantico esteso. Tecnologie e biotecnologie sono pietre costruttive della storia dell’uomo. Va però subito introdotta la distinzione tra biotecnologie semplici o tradizionali e biotecnologie avanzate. Sono biotecnologie avanzate quelle conseguenti alla svolta nella storia della scienza rappresentata dal chiarimento della struttura del DNA e dalla messa a punto dei sistemi di intervento e di modifica dell’informazione genetica. Il discrimine tra biotecnologie tradizionali e quelle avanzate è rappresentato dall’ingegneria genetica. Millenario è il ricorso umano a tecnologie e biotecnologie tradizionali, ma la condizione che ha reso possibile le biotecnologie avanzate appartiene al XX secolo. 2.LE APPLICAZIONI BIOTECNOLOGICHE Nell’ambito degli interventi sulla salute umana, è unanimemente considerato un grande progresso la produzione biotecnologica di sostanze che le industrie farmaceutiche hanno tradotto in farmaci anche di largo uso. Grandi speranze di sconfiggere malattie tutt’ora mortali, come l’AIDS, sono suscitate dalla messa a punto di vaccini cosiddetti di “seconda generazione”, costruiti con tecniche di ingegneria genetica. All’ampliamento degli strumenti diagnostici si è andata via via associando la definizione di possibili terapie geniche. La terapia genica prevede un intervento correttivo sul DNA, ai fini di una possibile eliminazione dei fattori patogeni. Per ragioni etiche e bioetiche la terapia genica è limitata nelle sue applicazioni solo alle cellule somatiche. La terapia genica germinale suscita problemi di tale portata etica, bioetica, giuridica, che si è ritenuto opportuno escluderne attualmente la pratica. Applicazione biotecnologica rilevante per la salute umana è certamente la “costruzione” di animali modificati con geni di provenienza umana. I cosiddetti xenotrapianti potrebbero infatti rappresentare in futuro la soluzione del grande problema del reperimento di organi. Nella seconda metà degli anni 80 Sinsheimer, De Lasi e Dulbecco elaborarono il progetto di identificare le sequenze nucleotidiche del DNA. In relazione ad esso si costituisce l’Organizzazione del Genoma Umano; nel 2002 la prima fase del progetto è stata ultimata. È intuitivo che le implicazioni economiche dei risultati della mappatura del genoma umano sono di amplissima portata. Sin dal 1991 la direttrice del National Institute of Health avanza domande di brevetti su sequenze genetiche provocando discussioni e dissensi nelle varie équipes internazionali impegnate nel progetto. L’intervento biotecnologico in campo animale ha applicazioni più ampie dell’accennata modifica genetica funzionale agli xenotrapianti. La modificazione del corredo genico ha avuto un esito spettacolare sin dal 1982 con la sua nascita di topi “giganti”, nati da ovociti fecondati in cui era stato inserito il gene umano che presiede alla sintesi dell’ormone della crescita. Le biotecnologie avanzate applicate al mondo vegetale hanno già mutato pratiche agricole e di produzione alimentare. Altrettanto decisiva nell’ambito biotecnologico è l’applicazione di processi di bioconversione: sfruttando la capacità di microrganismi di modificare chimicamente una grandissima varietà di composti organici è possibile programmare la trasformazione di essi per una diversa utilizzazione. 3.GLI IMPATTI Essendo diverse e contrastanti le valutazioni concernenti l’impatto dei prodotti biotecnologici sull’ambiente e sulla salute e in larga parte sconosciuti i rischi connessi al margine di imprevedibilità degli effetti, si è aperta una riflessione pubblica internazionale sul tema dei biorischi e della regolamentazione dell’intera materia biotecnologica. Nel corso della riflessione pubblica internazionale si è via via definito il principio cosiddetto di precauzione. Tale principio impone interventi ogni qual volta l’applicazione biotecnologica non è del tutto esente da rischi. Per semplificare la portata degli impatti ambientali si può sinteticamente rimandare al rischio di inquinamento genetico. In riferimento all’impatto ambientale cruciale è la questione dei rischi che minacciano la diversità genetica. L’uomo, con la biotecnologia, si sostituisce ai meccanismi evolutivi perché muta, rimescola e seleziona informazioni genetiche, utilizzando anche quelle di specie non affini. Gli impatti socio-economici della produzione e distribuzione dei prodotti biotecnologici, sono, nell’attuale contesto della globalizzazione, di portata incalcolabile, certamente tali da incidere pesantemente sui rapporti tra il nord del mondo e le sue potenzialità tecnologiche ed il sud, ricchissimo di serve ed impossibilitato ad uno sfruttamento di esse funzionale al miglioramento delle condizioni di vita. 4.CONSIDERAZIONI BIOETICHE È evidente quali e quanti siano i problemi etici e bioetici suscitati dalle biotecnologie. La bioetica ispirata dal personalismo ontologico, ha fatto valere il principio della conservazione dell’ordine naturale, ha riconosciuto la liceità della diagnosi genetica prenatale, pur conservando il divieto di interruzione di gravidanza in caso di esito infausto. Il divieto di intervento sulle cellule germinali e di qualunque processo alteri l’identità genetica umana, nonché il rifiuto della “genetica alternativa”, sono perfettamente conseguenti all’impostazione generale. Consideriamo, infine, un tema filosofico, che è alla radice di possibili diverse opzioni di principi e conseguenti decisioni operative. Sia pure con modalità nuove la scoperta del DNA e le applicazioni che ne sono derivate hanno riproposto l’antico tema del dominio e della necessità, e, la questione della realtà della libertà nella vita umana. La nostra vita sarebbe così determinata dai geni che ci sono capitati. Si direbbe che con modalità nuove, si riproponga quella “paura” della libertà il cui esito è la tragica storia del determinismo. La paura della libertà è un motivo ricorrente nella storia dell’umanità, ed il ricorso alla scienza come garante del controllo del temuto “imprevedibile” è un epifenomeno che non va sottovalutato.