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La restaurazione e i moti liberali

Il 1° novembre 1814 si apre il congresso di Vienna, tappa cruciale nella storia delle relazioni
internazionali, il cuo principale promotore e regista fu Klemens von Metternich, e aveva lo scopo di
restaurare il vecchio regime precedente alla rivoluzione francese. Le decisioni principali furono
prese dalle "grandi potenze", che avevano sconfitto Napoleone a Lipsia nel 1813, ovvero Prussia,
Russia, Austria e Gran Bretagna. Nel gruppo riuscì a inserirsi anche la Francia, anche grazi
all'anziano e abile trasformista principe di Talleyrand, grazie al quale la Francia riuscì a negoziare
una pace onorevole e salvaguardare la propria integrità territoriale.

Un semplice ritorno al passato sarebbe stato impossibile, come un banale riassettamento territoriale,
in quanto rivoluzione francese e Napolene avevano aperto nuovi fronti politici e sociali,
indebolendo il potere feudale, facendo sentire i cittadini parte di una nazione e facendo loro
assaporare gli ideali di libertà, uguaglianza e fratellanza. Bisognava rispondere politicamente, e lo si
fece con la restaurazione, che portò a riorganizzare i veri e propri rapporti tra gli stati, in un
"concerto" di potenze europee e ribadendo il principio di intervento con chiarezza. Proprio questo è
uno dei principi che guideranno la restaurazione:
– Principio di equilibrio: un bilanciamento delle forze necessario per evitare che uno stato
prendesse il sopravvento sugli altri. Ovviamente gli interessi della quattro potenze erano in
competizione, quindi si cercò di gestire i confini in equilibrio e creare stabilità.
– Principio di legittimità: secondo il quale avevano diritto di regnare tutte le dinastie che
avevano occupato i troni prima della rivoluzione francese.
– Principio di intervento: le maggiori potenze avevano il diritto e il dovere di intervenire
nelle controversie internazionali per mantenere la pace.
Alla chiusura del congresso, nel giungno del 1815, si decidette che la Francia non sarebbe stata
smembrata e avrebbe conservato la propria posizione di rilievo.

A seguito del congresso i confini di Gran Bretagna, Spagna e Portogallo non cambiarono, come la
Francia. La Prussia riuscì a espandersi in Germania, l'Austria rinunciò a far risorgere il Sacro
Romano Impero ma divenne il fulcro dell'equilibrio continentale. Prussia e Austria guidavano anche
la confederazione germanica, la Russia si espanse a nord e sud, conquistò la Finlandia e per
impedire nuovi attacchi fuorono rafforzati anche gli stati cuscinetto al confine col resto dell'Europa.

In Italia le repubbliche vengono soppresse, Genova va al Regno di Sardegna, la Serenissima è


incorporata alla Lombardia nel Lombardo-Veneto, posto sotto il dominio austriaco, assieme ai
ducati di Parma-Piacenza e di Modena-Reggio. Il granducato di Toscana fu affidato al fratello
dell'imperatore Ferdinando III di Asburgo-Lorena. Il Regno delle Due Sicilie e lo stato della chiesa
tornarono rispettivamente a Ferdinando I di Borbone re delle Due Sicilie (ex Ferdinando I) e al
papa-re.

Dopo questa restaurazione di ordine, vi è una creazione di un sistema di alleanze militari per
impedire nuove guerre, a tal fine l'imperatore d'Austria Francesco II, il re di Prussia Federico
Guglielmo III e lo zar Alessandro I strinsero la Santa Alleanza, in modo da potersi opporre anche
ai loro nemici comuni. Successivamente aderirono anche Svezia, Paesi Bassi, Sardegna e Francia,
laciando fuori Gran Bretagna e papato. Proprio la mancanza della prima venne sottoscritta anche la
Quadruplice Alleanza con essa, in modo da mantenere davvero l'ordine in Europa. Questo sistema
non sopravvisse a lungo, a causa di una serie di nuove rivoluzioni che continuarono sino alla 2°
metà dell'800.

Ovviamente questa restaurazione ebbe forme diverse nei vari paesi d'Europa:
– In Russia, Prussia e Russia tornare alla politica settecentesca fu facile, i sovrani si
limitarono a rafforzare i meccanismi di controllo amministrativo e poliziesco.
– In Spagna, Sardegna e nelle Due Sicilie si tornò alla monarchia assoluta e le costituzioni
furono abrogate.
– In Francia e Paesi Bassi vennero ripristinate le monarchie parlamentari, ma con nuovi
sistemi elettorali basati sul censo e sull'anagrafe, dove il diritto di voto era riservato a chi
aveva più di trenta o addirittura quarant'anni.

La rivoluzione francese fu occasione per i rappresentanti spregiudicati del ceto medio che avevano
ottenuto i "beni nazionali" di arricchirsi, fu così che nella restaurazione, oltre al ritorno dei privilegi
clericali e aristocratici, fu sancito il trionfo di questa parte di borghesia, che iniziò a investire in
maniera particolarmente ricercata e si adattò ad uno stile di vita caratterizzato dall'eleganza, dal
lusso esivito e dalla spensieratezza.

Opposto destino toccò alle fasce più basse della società, travolte dall'entusiasmo dell'avventura
rivoluzionaria divenuta napoleonica, divenuti persino ufficiali della Grande Armée, ridotti a
veterani sì in pensione ma feriti e oppressi dal senso di fallimento del vivere nel mondo restaurato
dopo aver vissuto in prima persona la rivoluzione.

In questi anni, in particolare tra il 1815 e il 1830 si forma e diffonde in Europa la cultura romantica,
che si contrapponeva al razionalismo settecentesco e all'universalismo cosmpolita tipico della da
poco nata dell'età dei Lumi. Questo movimento affermava spontaneità e intensità dei sentimenti,
spesso arrivava a rileggere la storia di ciascun popolo e ciascuna nazione, con una logica secondo la
quale bisognava farsi condurre dalle emozioni e a volte dalle forze irrazionali. I romantici erano
ispirati dalla contemplazione della natura selvaggia incontaminata, pronti a restituire centralità al
sacro, ponendoli in aperto contrasto con gli illuministi (indifferenti quando non ostili alla religione).
Prese forma in Germania, arrivò a pittori, poeti e drammaturghi che si riconoscevano nel
movimento dello Sturm und Drang (temsta e impeto). Iniziò a diffondersi anche in Gran Bretagna,
Francia, Svizzera e paesi latini grazie alla scrittrice svizzera Madame de Stael.
Dal 1815 si diffuse in tutti gli altri paesi d'Europa, non rimase affatto confinato in un dibattito tra
intellettuali, ma si trasformò in un fenomeno culturale complesso e di enorme portata, la cultura
dominante di un'intera epoca.

Questo movimento riuscì accomunare i fautori della restaurazione e i loro oppositori liberali. Frai
primi possiamo citare l'inglese Edmund Burke, che condannò la rivoluzione francese, e secondo cui
il potere politico doveva basarsi sulle tradizioni. Altro pensatore critico della rivolzuione fu il conte
Joseph de Maistre. Altri invece, nello stesso movimento, si schierarono con la rivoluzione,
apprezzandone il richiamo alla libertà e l'affermazione dell'individuo contro le convenzioni di un
mondo ingiusto.

Il termine "nazioneE iniziò ad essere usato in senso di "comunità naturale e indissolubile" oltre che
come sinonimo di luogo di provenienza. Iniziò ad essere in principio basilare di ogni
organizzazione sociale e politica, ma l'idea di nazione fu interpretata diversamente a seconda del
contesto. Negli stati con una storia unitaria (Spagna, UK, Francia) potevano coesistere un pensiero
nazionalista conservatore/reazionario e uno progressista, mentre negli stati che dovevano ancora
raggiungere l'indipendenza o riconquistarla (Italia, Polonia), il patriottismo si caratterizzava
inevitabilmente in senso rivoluzionario.

Furono molti i disegnatori satirici a deridere il congresso di Vienna, i suoi fautori e la Santa
Alleanza, costretti a operare clandestinamente contro i governi e spesso dentro le organizzazioni
segrete come la Massoneria e la Carboneria. Spesso i loro affiliati venivano dall'ambiente
universitario e dall'esercito, si proponevano di ristabilire le libertà costituzionali o riscattare i popoli
oppressim per questo motivo la segretezza diventava una condizione necessaria.
La più importante fu la Carboneria, nata in Italia e spostatasi in Francia e Spagna. Per il loro
obiettivo primario adottarono un metodo di lotta incentrato sulle insurrezioni che avrebbero dubito
costringere i sovrani assoluti a fare concessioni ai sudditi. Gli affiliati si sottoponevano a un rituale
di iniziazione e si impegnavano a rispettare la segretezza, erano soprattutto mercanti, intellettuali e
studenti, ma il mancato coinvolgimento delle masse popolari fu una delle ragioni del fallimento di
molte delle loro iniziative. Se scoperti potevano essere condannati al carcere o persino al patibolo,
come il giornalista piemontese Silvio Pellico, che rimase otto anni rinchiuso nella fortezza austriaca
dello Spielberg, duratne i quali scrisse le sue memorie in "Le mie Prigioni".

Tra il 1820 e il 1821 il sistema politico sancito dalla restaurazione fu messo in discussione per la
prima volta, con moti insurrezionali organizzati dalle società segrete.
Il primo episodio fu il 1 gennaio 1920 in Spagna, presso il porto di Cadice, dove alcuni reparti
dell'eservito si ammutinarono e rifiutarono di andare a sedare le rivolte in Sudamerica, sotto la
guida di generali legati a società segrete. I ribelli chiedevano il ripristino della costituzione di
Vdice, e il re fu costretto a indire nuove elezioni per le Cortes, lasciando instaurare nel paese un
regime liberal democratico. Ciò però fu temporaneo, il re Ferdinando VII confidava in un intervento
militare dalla Santa Alleanza, che arrivò tre anni più tardi, nel 1823, quando l'esercito francese
arrivò in Spagna per ripristinare il regime assolutistico. Ciò però innesco una ripresa rivoluzionaria
nelle Due Sicilie e in Portogallo.
Ferdinando I si trovò a fronteggiare rivolte su pià fronti, una a Napoli il 1 Luglio 1820, a Nola con
l'ammutinamento della guarnigione guidata dai carbonari Michele Morelli e Domenico Silvati. Vari
reparti dell'esercito si ribellarono sotto la guida del generale Guglielmo Pepe, e anche Ferdinando I
concesse di malavoglia una carta costituzionale e indisse le elezioni. Il 15 la rivolta si estese in
Sicilia, con i moti di Plermo cui parteciparono anche artigiani, operai e borghesi. Si crearono
profonde divisioni e gli abitanti delle altre province siciliane non condividevano i propositie non li
appoggiarono, così il corpo di spedizione inviato a Napoli in pochi giorni piegò la rivolta.

Gli eventi rivoluzionari di quegli anni spinsero le cacellerie internazionali a interrogarsi su quale
fosse il modo migliore per proteggere gli equilibri europei. L'autrsia le considerava un serio
pericolo, quindi oresebtò un documento che avrebbe sancito il principio generale dell'intervento
militare contro le rivoluzioni. UK e Francia reagirono in modo tiepido alla proposta e di fronte ad
una possibile crisi diplomatica Ferdinando I di Brobone offrì una soluzione, chiedendo l'intervento
austriaco nel suo regno, che calò nella penisola e sconfisse a Rieti e Antrodoco gli uomini di Pepe,
quindi il 23 marzo 1821 il re potè tornare a Napoli.

Nel frattempo si avviava un moto rivoluzionario iin Piemonte, dove il regno di Vittorio Emanuele I
poteva essere considerata una roccaforte della restaurazione, al punto da ridurre le libertà civili,
reintrodurre le barriere doganali, i privilegi del clero e dell'aristocrazia. I liberali piemontesi erano
divisi su come contrastare ciò, dai moderati di Cesare Balbo con un atteggiamento più cauto ai
radicali che invece erano disposti ad affrontare il re in persona. Molti appartenevano alla società
segreta dei federati, che agiva con la carboneria e mirava a cacciare gli austriaci dall'Italia, guidati
da Santorre di Santarosa e Federico Confalonieri, i federati presero contatti col principe Carlo
Alberto, probabile erede al trono, con un progetto che prevedeva l'ammutinamento dell'esercito
sabaudo. La rivolta scoppiò il 10 marzo 1821 nella guarnigione di Alessandria, e nei giorni
seguenti raggiunse Torino. La reggenza fu presa da Carlo Alberto, concesse la costituzione ma
pochi giorni dopo ritirò il suo appoggio ai liberali e raggiunse a Novara i dipartimenti ancora fedeli
al re. Gli insorti cercarono di organizzare una resistenza ma l'8 aprile furono schiacciati dalle truppe
regolari e austriache. Carlo Felice ritirò la costituzione e restaurò il dispotismo nel Regno di
Sardegna.

A ciò seguirono ovvie repressioni degli oppositori, e questi primi moti si spendero in un fallimento,
tuttavia mantenendo un grande significato storico, dimostrando l'esigenza di un governo
costituzionale anche al di qua delle Alpi.
Una volta soffocati questi moti il problema rimase in Spagna, terminato nel 1823 come abbiamo già
visto, anche il Portogallo nel 1824 tornò all'assolutismo. Fallì anche il moto decabrista russo alla
fine del 1825, che in parte voleva solo una monarchia costituzionale, mentre altre puntavano ad una
radicale riforma agraria per ristribuire le terre e abolire la servitù della gleba. Nicola I sedò in fretta
la rivolta con una dura repressione poliziesca.

L'unica rivolta che ebbe un buon esito fu quella greca del 1821, che con il tempo divenne una
guerra di liberazione nazionale che coinvolse tutto il popolo per l'indipendenza dagli ottomani, che
in quel periodo erano entrati in crisi. I sultani di Istanbul a inizio '800 presero il conrtollo su alcune
regioni mportanti, tra cui la Serbia (prima sostanzialmente autonoma), e quando insorsero i greci la
risposta del governo fu dura e violenta. L'opinione pubblica iniziò a chiedere l'intervento della Santa
Alleanza e molti liberali accorsero personalmente per supportare i greci, alcuni perdendo anche la
vita nell'intento. Tuttavia questo intervento armato tardava, solo la Russia appoggiò la causa subito,
sperando di aumentare l'influenza sui balcani, seguita poco dopo dalla Gran Bretagna, sospettosa di
queste intenzioni. Tempo dopo arrivò la Francia, mentre l'Austria, preoccupata delle conseguenze di
una vittori, evitò l'intervento diretto.
In risposta, il sultano egiziano Alì Pascià avviò una riconquista del territorio greco, espugnando
l'acropoli di Atene nel 1827, portando i rappresentanti delle tre potenze europee aiutanti a riunirsi
per imporre una mediazione col sultano. La guerra si concluse nel 1829 con la sconfitta degli
ottomani e la pace di Adrianopoli, che portò all'indipendenza greca, alla cessione alla Russia di
alcuni territori di confine fino alla Serbia, che rimarrà autonoma.

Nel frattempo la lotta tra liberali e assolutisti prendeva forma anche nelle colonie dell'America
Latina, doce le idee e le lotte per l'indipendenza crebbero rapidamente e si chiusero con successo,
anche per l'enorme difficoltà di intervento della Santa Alleanza che costrinse i singoli sovrani ad
arrangiarsi da sé.
All'inizio dell'800 le colonie in Sudamerica avevano un ruolo essenziale nel commercio grazie alla
produzione di metalli preziosi e prodotti agricoli come cacao e tabacco, oppresse però dai monopoli
commerciali della corona, che impediva loro di godere appieno dei vantaggi di questo fiorente
commercio e le portava ad anelare maggiore autonomia.
La società coloniale era caratterizzata da profonde disuguaglianze tra la classe dei creoli, ricchi
proprietari terrieri bianchi, e delle fasce più povere composte da neri e nativi, in una condizione di
servitù e semiservitù e da meticci, che svolgevano attività legate ad artigianato e piccolo
commercio.
La lunga tensone portò, nel 1808 allo scoppio di rivolte in Messico, Venezuela e altre colonie
spagnole, dove la borghesia, ispirata dagli ideali della rivoluzione francese, era alle volte
spalleggiata da neri e nativi, che speravano in un miglioramento delle condizioni di vita. Questa
prima fase si arrestò tra il 1814 e il 1915 con la restaurazione della monarchia e l'arrivo di un gran
numero di soldati mandati da Ferdinando VII. Poco dopo gli scontri ripresero anche grazie
all'appoggio indiretto della Gran Bretagna.

Nei paesi dei caribi la rivolta fu guidata dal creolo venezuelano Simon Bolivar, che studiò in
Spagna e ammirò in prima persona le imprese di Napoleone. Dal 1813 animò diverse rivolte in
Colombia, Venezuela, Equador e Panama, che si unirono nella Grande Colombia sempre sotto il suo
consiglio nel 1819, che sopravvisse fino al 1831. Più a sud un altro libertador, José de San Martin,
condusse all'indipendenza di Argentina e Cile rispettivamente nel 1816 e 1818.

la terza fase giunse nel 1820, assieme all'insurrezione di Cadice, che impedì anche la partenza dei
soldati spagnoli che avrebbero dovuto sedare le rivolte. Nel 1821 anche il Messico dichiarò
l'indipendenza. Il sostegno logistico della Gran Bretagna si fece sempre più concreto e nel 1823
anche gli USA, con James Monroe, affermarono che non avrebbero tollerato un'intervento delle
potenze europee sul continenente americano.
In quello stesso anno divennero indipendenti anche Guatemala, El Salvador, Costarica, Nicaragua e
Honduras, unendosi nella Repubblica Federale del Centro America. Un anno dopo gli spagnoli
tentarono un ultimo disperato intervento che risultò nella clamorosa sconfitta nella battaglia di
Ayacucho, in Perù.
Anche il Brasile aveva dichiarato l'indipendenza dal Portogallo, con una rivolta guidata dall'erede
portoghese e vicerè del Brasile Pedro IV, che si fece eleggere imperatore come Pedro I grazie
all'appoggio di creoli e clero.

Purtroppo, nonostante le speranze, queste indipendenze non eliminarono le divisioni interne e le


condizioni delle masse contadine rimasero uguali, quando non peggiorarono. La schiavitù fu abolita
solo sulla carta (tranne che in Brasile, dove rimase sino al 1888), lasciando invariati i rapporti di
forza.

Neppure il progetto panamericano di Bolivar, che asupicava una confederazione simil-statunitense,


potè realizzarsi: con la chiusura delle ostilità con la Spagna rimersero le tendenze centrifughe e la
frammentazione politica, che portarono ad uno scontro tra Argentina e Brasile per l'Uruguay, che
divenne indipendente nel 1828. si scissero poi la Grande Colombia e la Repubblica federale del
Centro America. In tutti questi nuovi stati lo sviluppo economico e civile tardò ad arrivare e le
istituzioni rimasero fragili.

Durante gli anni '20 dell'800 le forze di opposizione liberali si scagliarono contro il vecchio regime,
ma ad avere successono furono soltanto i movimenti periferici, metrne in Europa a prevalere fu
sempre la repressione. Tuttavia la partecipazione dei liberali alla rivoluzione greca dimostrò la
debolezza della restaurazione. I popoli d'Europa si opponevano con forza all'antico regime, così
quando nel 1830 si montò una seconda ondata di moti liberali, molti vi parteciparono con
convinzione, determinati a non ripetere gli errori del decennio precedente.
La prima scintilla partì in Francia. Durante i primi anni del regno le libertà civili furono
ulteriormente ristrette, mentre clero e arisocrazia riprendevano i loro privilegi. Nel luglio 1830
Carlo X emanò quattro ordinanze che abolivano la carta costuzionale decretando la fine della libertà
di stampa, la restizione del voto a 25000 elettori, lo scioglimento del parlamento e nuove elezioni,
portando i liberali francesi a rivoltarsi di nuovo, decisi a resistere fino alla caduta del re. Dopo tre
giorni di scontri (27-29 luglio 1830) Carlo X fu costretto ad abbandonare la capitale. Il trono fu
assegnato a Luigi Filippo d'Orleans, che concesse la costituzione accettando di regnare per "volontà
nazionale", non "grazia di Dio".

Questa prima scintilla riaccese il fuoco rivoluzionario in tutta Europa.


Nello stesso anno i patrioti belgi insorsero per rivendicare l'indipendenza, rivendicando diversità
linguistca, religiosa e culturale rispetto agli altri Paesi Bassi. Il Belgio optò per una creazione di
monarchia costituzionale, l'esercito olandese non riuscì a domare la rivolta e il sovrano chiese aiuto
alle grandi potenze. Francia e Gran Bretagna si schierarono però dalla parte dei ribelli e nel gennaio
del 1831 il Belgio dichiarò l'indipendenza e un nuovo ordinamento ufficialmente riconosciuti.
Questo asse franco-britannico sancì la rottura dell'equilibrio stabilito a Vienna nel 1815 e la
restaurazione poteva dirsi conclusa.

Su questa scia anche in Polonia, Italia e alcuni stati tedeschi scoppiarono nuove rivolte, che però
finirono per fallire. La Polonia era scomparsa nel 1795, dopo la sua spartizione tra Austri, Russia e
Prussia, ma fu proprio da qui che nel novembre del 1830 partì la ribellione verso lo zar. Per 10 mesi
Varsavia rimase nelle mani dei patrioti che sperarono nel supporto franco-britannico (ironico come
la Polonia attenda sempre un aiuto da occidente che puntualmente non arriva e allora i russi
vincono), ma questo non arrivò e nel 1831 l'esercito di Nicola I Romanov riprese il controllo della
città con una spietata repressione, deportando i ribelli in Siberia. La Polonia perse la poca
autonomia di cui godeva e iniziò a subire una devastante russificazione.
Nel febbraio 1831 anche in Italia divamparono moti liberali, organizzati dalla carboneria nelle
regioni centrali. Il primo nel ducato di Modena, dove Ciro Menotti orbanizzò una rivolta
antiaustriaca che parve avere l'appoggio del duca Francesco IV, ma quando questo si rese conto che
l'Austria non avrebbe accettato i cambiamenti tornò sui suoi passi e fece arrestare i capi della
rivolta, che scoppiò ugualmente e si estese a Ferrara, Romagna, Parma, Pesaro e Urbino. Questa
sollevazione ebbe due grandi novità: coinvolse sia i ceti medi che ampie fasce della popolazione,
inoltre il secondo tentativo cercò di coordinare le varie singole rivolte cittadine.
La reazione austriaca non si fece attendere e in poche settimane l'esercito imperiale riportò ordine in
tutte le città ribelli.

L'atteggiamento della Francia di Filippo d'Orleans verso le rivolte in Polonia e Italia deluse molti
patrioti europei. Fra il 1830 e il 1833 vi furono nuovi moti in Svizzera (che raggiunse la
promulgazione di costituzioni democratiche nei vari cantoni) e in Germania, che fu percorsa da una
nuova ondata di sommosse, che ebbero esisti diversi: in Prussia si ottene una costituzione, mentre in
altri stati ci fu un ulteriore irrigidimento delle politiche in senso antiliberale.
Spagna e Portogallo vissero due guerre civili con simili esiti, ein entrambi i casi i sovrani
instaurarono regimi costituzionali moderati, comunque rimasti instabili. Davanti a questi fermenti,
nel 1833, Austria, Russia e Prussia si incontrarono per ribadire i principi della Santa Allenaza, ma
l'anno dopo Francia, Britannia, Spagna e Portogallo strinsero una nuova Quadruplice Alleansa, e
l'Europa si trovò divisa in due schieramenti, da un lato le monarhcie autoritarie e dall'altro quelle
liberali-costituzionali.

Economia e società nella prima metà dell'ottocento


Nel frattempo possiamo assistere alla prima fase della rivoluzione industriale, che ha come teatro
principale l'Inghilterra, dove si affermò il primo capitalismo industriale, favorito da fattori politici,
culturali, come la diffusione dei calvinismo, economico-finanziari come la stabilità del sistema
bancario inglese, strutturali come la disponibilità di materie prime, le grandi reti di trsporto e la
precoce modernizzazione agricola, che portarono anche ad un miglioramento nelle condizioni di
vita. Questo primato si consolidò nella prima metà dell'800, ma la rivoluzione industriale presto si
espanse in tutta Europa.

Durante i primi decenni del scoo, alcune regioni dell'Europa compirono i primi passi seguendo
l'esempio dell'isola britannica. Lo sviluppo fu più lento e molto poco omogeneo, in particolare
visibile in Galles, Scozia, Belgio, nord-est della Francia, la tedesca Renania e l'austriaca Boemia,
tutte regioni che avevano in comune grandi giacimenti minerali che permettevano questo sviluppo,
in particolare nell'industria tessile.

Questo ritardo però comporto anche determinati vantaggi. Il principale inconveniente era l'alta
concorrenza delle numerose e poco costose merci britanniche, tuttavia da questo nemico le altre
nazioni poterono imparare molte cose: l'importanza delle infrastrutture, soprattutto le ferrovie che
presto coprirono Francia, Belgio e Prussia; l'individuazione dei nessi tra politiche industriali,
finanziarie e fiscali e lo sfruttamento di questi per favorire l'economia. Si diffuse anche la
consapevolezzza dei vantaggi del sistema capitalistico per i ceti medi, non solo per i ricchi
imprenditori.

Il Belgio fu il primo d'Europa a conoscere una rapida industrializzazione, favorito dai giacimenti di
ferro e carbone e dall'enorme rete ferroviaria che presto si estese quanto quella dell'intera Francia.
Anche quest'utlima si evolse, per quanto a passo più lento, ostacolato dalla diffusione della piccola
e media proprietà agricola e dalla scarsa propensione agli affari dell'aristocrazia e dell'alta
borghesia, che intanto si era ritagliata il proprio posto nella politica.
Anche la confederazione germanica stentò a intraprendere il cammino dell'industrializzazione,
soprattutto a causa dell'importante frammentazione politica, dell'arretratezza sociale, della povertà e
degli squilibri tra regioni. Però, nella seconda metà del secolo, si crearono le confizioni più adatte
per una futura crescita industriale che sarebbe divenuta rapidissma, soprattutto in ambito chimico e
siderurgico. Per prima cosa venne realizzata una vasta rete ferroviaria, poi vennero fondate scuole
teniche di alto livello e si accordò nel 1834 una unione doganale che favorì il commercio e la futura
unificazione politica.

Nell'impero asburgico l'industrializzazione interessò Austria e Boemia, e fu ostacolata da


particolarismo nazionli che portarono nazioni come l'Ungheria ad applicare grandi dazi doganali
sulle merci del resto dell'impero fino al 1850.

Nell'impero russo l'industrializzazione avvenne solo attorno alla capitale Pietrogrado, e a bloccarla
furono la prevalenza agricola latifondista basata sui possedimenti nobiliari e sullo sfruttamento della
manodopera contadina e la debolezza della classe borghese.

Spagna e Italia ritardoarono molto l'industrializzazione, vedendo solo una modernizzazione


dell'agricoluta in Piemonte, Lombardia e alcune zone della Toscana, con un avanzamento
dell'industria tessile.

Intanto negli USA l'industrializzazione fu facilitata anche grazie ai legami con la Gran Bretagna,
dalla dinamicità della società nordamericana, e dalla grande quantità di migrandi usati come
manodopera. Il decollo industriale assunse caratteristiche diverse in questo contesto, grazie a fattori
socio-economici specifici, come la scarsità di manodopera che accelerò la meccanizzazione agricola
nel nordest. Le industrie statunitensi misero a punto sistemi di produzione alternativi, come nel
settore tessile con l'uso intensivo dell'energia idraulica e lo scarso uso della macchine a vapore.

L'introduzione del sistama di fabbrica modificò profondamente la vita dei lavoratori, facendo
scomparire le pratiche di solidarietà trai ceti popolari e senza garantire loro una sostituzione con
qualcosa di equivalente. In GB si moltiplicarono le manifestazioni di protesta degli operai contro le
pesanti condizioni di lavoro, duramente represse dalle autorità. Le forme di protesta più violente
furono progressivamente accantonate in favore di comizi, manifestazioni e scioperi, questi in
particolare che danneggiavano i padroni economicamente.

I lavoratori impararono ariconoscere la loro appartenenza in una classe sociale che prese il nome di
proletariato. Il paese dove era iniziata la rivoluzione industriale fu anche quello dove venne fondato
il primo sindacato, un movimento organizzato che lottava per migliorare le condizioni di salario. Il
governo lo aveva dichiarato illegale e proibito il ricorso allo sciopero ma le 1824 quelle norme
furono abrogate e le organizzazioni sindacali (le trade unions) poterono tornare ad agire nella luce.

Le trade unions si moltiplicarono e nel 1834 fu avviato il primo tentativo di raggrupparle in una
confederazione sindavale e indire il primo sciopero nazionale. Tale iniziativa fallì ma fu comunque
utile ad accrescere la coscienza di classe dei lavoratori britannici. Nel 1838 sorse il cartismo, il cui
nome deriva dalle People's Charter, un documento in cui si formulavano precise richieste al governo
inglese: elezioni annuali con voto sefreto, suffragio universale per gli over 21, la ridefinizione dei
collegi elettorali, l'introduzione dell'indennità parlamentare e una legislazione sociale più avanzata.
Il movimento presentò tali proposte nel 1842 e nel 1848, per poi esaurirsi e venire soppiantato da
altre forme di associazione e mobilitazione.

Gli scioepri contribuirono a creare un nuovo clima, anche le autorità iniziarono ariconoscere
l'esistenza della questione operaia e la necessità di intervenire prevedendo forme di tutela dei
lavoratori, partendo da donne e bambini. Nel 1833 venne approvato il Factory Act, la prima legge
sul lavoro minorile, che introdusse l'età minima di 9 anni, massimo otto ore al giorno di lavoro per i
bambini sotto i 13 anni e a dodici per quelli sotto i 18. Nel 1842 venne emanato il Mines Act, che
rese illegale lo sfruttamento della manodopera femminile e minorile nelle miniere. Inoltre vennero
vietati i contratti sul pagamento in natura degli operai e furono istituiti degli ispettori di fabbrica per
controllare che le disposizioni fossero rispettate.

Di fronte alla lentezza dei provvedimenti per i nuovi problemi si fecero strada nuovi ideali, in
particolare dai gruppi di intellettuali democratic, in cui crebbe la consapevolezza della necessità di
un cambiamento radicale. Questi pensatori prenderanno il nome di "socialisti", per i quali le parole
"uguaglianza" e "fraternità" erano importanti quanto "libertà", e meritavano di essere al centro
dell'azione politica. Si basaca su premesse vaghe e senza proposte concrete, denunciava i limit della
società industriale e in particolare della disparità delle ricchezze. Nella loro società ideale tutti
dovevano godere dei benefici dell'industrializzazione. Erano ispirati da principi lodevoli ma difficili
da mettere in pratica, il che li portò a venire chiamati socialisti utopistici, con una sfumatura
negativa. Gli esponenti furono:
– Robert Owen: riteneva che gli imrpenditori avessero il dovere morale di provvedere al
benessere dei lavoratori, mettendo in pratica le proprie teorie con agevolazioni, asili e
aumenti degli stipendi. Sosteneva che fosse possibile conciliare le esigenze dei lavoratori
con quelle degli imprenditori, ma venne bollato come agitatore e, dopo il faillimento della
sua fabbrica-modello, si dedicò all'attività sindacale, fino all'approvazione di una nuova
legislazione sociale negli anni '30 del 1800.
– Claude-Henri de Saint-Simon: riteneva che il rinnovamento della società darrivato nel
1789 dovesse compierisi eliminando le classi parassitarie e lasciando il potere al ceto dei
"Produttori", formato da operai, industriali, tecnici, banchieri, scienziati e intellettuali, in un
sistema che sarebbe stato giusto, armonioso e vantaggioso per tutti, in un progetto di
riorganizzazione su basi scientifiche e industriali.
– Charles Fourier: considerava disumanizzanti la civiltà industriale e la vita nelle grandi
metropoli. Era convinto che l'uomo per natura tendeva alla concordia e alla collaborazione e
che per ripristinare l'armonia sociale non sarebbe bastato affidare il timone agli industriali,
ma dar vita a nuove comunità che chiamò falansteri: comunità da 1600 persone abitate da
persone di tutte le classi sociali, invitati a collaborare e svolgere liberamente ogni tipo di
attività al servizio della comunità, e il loro sforzo sarebbe stato retribuito in modo equo. Per
quanto nobili, queste idee non furono mai messe in pratica.
– Louis Blanc: vedeva nella concorrenza libera una minaccia per la società, e lo stato avrebbe
dovuto creare e finanziare degli ateliers sociaux (opfici sociali) per assicurare la piena
occupazione a condizioni dingitose per tutti. Prevedeva che i profitti sarebbero stati alti e
suggeriva di impiegarli per investimenti e per aumentare i guadagni degli operai, che così
sarebbero stati più motivati a impegnarsi. Questo programma fu effettivamente messo in
pratica, nel 1848 il governo della seconda repubblica francese, che istituì a Parigi alcuni
opfici nazionali, per rimediare alla disoccupazione, ma che vennero aboliti solo dopo tre
mesi.
– Pierre-Joseph Proudhon: nel suo trattato del 1840 "cos'è la proprietà" affermò che questa
era un furto, ma la definiva solo come l'appropriazione da parte di chi aveva i capitali della
ricchezza prodotta attraverso il lavoro operaio. Non teorizzò l'abolizione della proprietà
privata, bensì propose la sua estensione ai lavoratori in modo potessero portare avanti le
proprie iniziative. Secondo lui occorreva mettere al centro della vita sociale il lavoro e la
cooperazione, in un sistema in cui lo scambio diretto avrebbe potuto portare un giorno
all'abolizione della moneta. Lo stato non avrebbe dovuto orientare la vita economica. La sua
anarchia, perlò era una forma di autogestione da applicare in modo paciico senza fare
ricorso alla violenza o allo scontro fra le classi.
Nelle aree più industrializzate d'Europa come Renania e Boemia il settore agricolo dava comunque
ancora lavoaro a metà della popolazione attiva, percentuale che si alzava nelle zone arretrate, come
il nord dell'impero asburgico e il Regno delle Due Sicilie.
Nei primi decenni del scolo le attività agricole non erano meccanizzate e le condizioni di vita dei
contadini erano legate alla disponibilità di terra e ai capricci del clima, bastava che i raccolti fossero
scarsi per dua nni di seguito che intere popolazioni soffrissero la fame, come accadde in Irlanda tra
il 1845 e il 1849, appesanta anche dal fisco imponente e dalla coscrizione militare. Nonostante ciò, i
maggiori nemici dei contadini erano i proprietari terrieri, sia feudali che borghesi. Fu così che le
popolazioni rurali iniziarono a combattere per un diritto secolare ritenuto sacro: l'uso collettivo delle
terre comuni, di cui imprenditori stavano iniziando a impossessarsi, mentre altrove erano stati i
signori feudali a reclamarle come terre di caccia.
La reazione dei contadini fu forte, come in basilicata dove fra il 1813 e il 1847 i contadini
occuparono le terre contese 34 volte, o nel Palatinato in Germania, dove un contadino su tre era
stato condannato per furto di legname.

In GB le recinzioni delle terre comuni erano ormai consolidate, e a tenere viva la lotta fu
l'abolizione delle Corn Laws, volute dai Tories nel 1815, che imponevano dazi sulle importazioni di
grano, favorendo l'aristocrazia terriera ma penalizzando i consumatori. Si avviò così un vasto
movimento attorno alla Anti-corn-law league, alla quale aderirono anche i rappresentanti della
borghesia industriale, ispirati dalle teorie anti-intervento-statale di Adam Smith.
Il dibattito si infimmò negli anni '40 e dell'800 e ottenne il sostegno dei Whig e del primo ministro
Rober Peel nel 1846, quando le corn laws furono ridotte e poi abolite nel 1849.

L'ondata rivoluzionaria del '48


Nei primi mesi del 1848 l'Europa fu travolta da un'ondata rivoluzionaria, che impressionò i
contemporanei, e per la quale quell'anno fu noto come "anno dei portenti": all'improvviso sembrava
possibile sonfiggere la restaurazione e mettere in pratica i principi rivoluzionari di uguaglianza,
democrazia, libertà, e partecipazione popolare, in quella che verrà chiamata una "primavera dei
popoli".
Nella maggior parte dei casi le insurrezioni non mantennero le primesse, ma nonostante ciò
quest'anno rappresentò una cesura nella sotira europea, segnando la fine della restaurazione e
rendendo chiara la necessità di una modernizzazione dei sistemi politici per tenere il passo ad un
nuovo tipo di società che si stava formando con la rivoluzione industriale.

L'ordine sanciro dal congresso di Vienna era stato messo in discussione in diverse occasione tra gli
anni '20 e '30, e verso la fine degli anni '40 l'Europa era attraversata da profonde tensioni oltre che
da una grave crisi economica iniziata nel settore agricolo ed estesasi a domino anche a quelli
industirale e commerciale.
Carestia, miseria e disoccupazione scatenarono una nuova ondata di azioni delle forze democratiche
e nel '48 le rivendicazioni si unirono alle aspirazioni di emancipazione nazionale condivise dalle
classi popolari, come in Italia, Germania e Austria, che si intrecciarono con richieste radicali di
innovazione sociale in senso egualitario.

Il principale elemento di novità fu la grande partecipazionbe delle masse popolari che combatterono
fianco a fianco coi borghesi, in una lotta che li portò a compiere un percorso di acculturazione
politica. L'Europa del '48 fu attraversata a un movimento di partecipazione democratica
paragonabile a quella avuta durante le rivoluzioni americana e francese. La gente cominciò a
formulare varie rischieste indirizzando ai deputati petizioni collettive e facendo prevalere il
principio rappresentativo su quello democratico.

Queste rivoluzioni furono careatterizzate dal conviolgimento femminile, che in Francia e Germania
era dedicato all'assistenza, alla vigilanza e alle varie attività di propaganda, e spuntarono persino dei
club esclusivamente femminili che avevano come obiettivo l'uguaglianza trai sessi. Questo però non
comportò il riconoscimento del diritto di partecipazione poltica delle donne, infatti il suffragio
universale sarebbe arrivato solo il secolo dopo.

In Russia le aspirazioni democratiche erano condivise solo da una ristretta élite; in GB la presenza
di un ordinamento parlamentare e costituzionale garantiva già di per sé maggiori diritti. Nel resto
d'Europa i ceti borghesi e popolari si trovarono concordi nel fomentare le ricolte che ebbero un
andamento molto simile. Scontri più o meno cruenti portarono ad una rapida caduta dei vecchi
regimi e alla creazione di governi provvisori. Ma il fronte rivoluzionario si spaccò rapidamente,
favorendo il ritorno al potere delle forze conservatrici.
La breve stagione rivoluzionaria fu fallimentare ma non priva di conseguenze: gli europei so resero
conto che il cambiamento era possivile, portando al tramonto dell'epoca della restaurazione.

Nelle città circolavano slofan romantici, nazionalisti e socialisti che suonavano come una minaccia
all'ordine costituito. Nelle campagne i contadini covavano una rabbia profonda nei confronti di
imprenditori e proprietari terrieri. La scintilla provocò un incendio che parttì a Palermo, dove il 12
gennaio 1848 la popolazione insorse contro Ferdinando II, con conseguenze di portata notevole per
la sotira d'Italia. Intanto in Francia si scatenò un'altra rivolta che portò alla caduta della monarchia e
alla nascita della Seconda repubblica.

La notizia di Palermo portò i parigini a cogliere l'occasione ed affrontare Filippo d'Orlenas, che con
il passare del tempo era divenuto sempre più autoritario, in un sistema che venne definito una
"monarchia vorghese". Molto poco era stato fatto per migliorare le condizioni delle masse o sanare
le la disuguaglianza della società francese, anche a causa del sistema elettorale basato sul reddito.
Si formò un vasto fronte di opposizione al governo che includeva dai repubblicani giacobini ai
legittimisti ancora fedeli alla monarchia borbonica o bonapartista, assieme ai cattolici. Durante gli
anni '30 scoppiarono molte rivolte contro la monarchia. Le proteste furono sempre soffocate
dall'esercito, ma finirono solo per peggiorare la situazione e indurre Filippo d'Orleans ad orientarsi
in senso ancor più conservatore, limitando le libertà fondamentali, servendosi della collaborazione
do François Guizot, presidente del consiglio e rappresentante della borghesia. Questi fu l'ispiratore
di tutta la politica francese degli anni '40, opponendosi alle riforme della società civile, in
particolare le richieste di allargamento del suffragio. Lo schieramento democratico organizzò la
cosiddetta "campagna dei banchetti", riunioni politiche omascherate da ricevimenti privati, che
consentivano di fare propagnada. Fu proprio l'abolizione di un banchetto annunciato a Parigi il 22
febbraio 1848 a scatenare la rivolta che in solo due giorni abbattè la monarchia. Migliaia di parigini
scesero in strada per protestare, e contro di loro il governo inviò prima la guardia nazionale
(composta da borghesi di città, che però erano anche il grosso del corpo della rivolta), poi l'esercito.
Parigi si riempì di barricate e dopo due giorni di scontri violenti i dimostranti ebbero la meglio e il
24 febbraio l'ex sovrano fuggì in GB, e in Francia si formò un governo provvisorio che il giorno
dopo proclamò la seconda repubblica.

Il governo provvisorio vedeva trai componenti liberali, moderati, radicali e socialisti, ma anche due
rappresentanti operai. Le prime misure misero d'accordo tutti: suffragio universale maschile,
abolizione della schiavitù nelle colonia e della pena di morte per reati politci, l'istruzione elementare
pubblica gratuita per tutti e la riduzione della giornata lavorativa a 10 ore.
Presto però apparirono evidenti le prime spaccature, in particolare dai radicali, che volevano
appoggiare i rivoluzionari all'estero, e spingevano per riforme sociali più serie.

Nelle primelibere elezioni furono però le forze moderate a vincere e redigere la nuova costituzione.
Questo successo portò alla nomina di un nuovo governo ristretto di cui uno solo era radicale, e la
legge sulla riduzione dell'orario di lavoro fu abolita assieme agli ateliers narionaux.
Così il 23 giungno 1848, i proletari di Parigi organizzarono una manifestazione per appoggiare la
politica dei lavori pubblici edifendere il diritto al lavoro, ma l'assemblea costituente concesse pieni
poteri al ministro della guerra Cavaignac, che ordinò una repressione spietata, facendo massacrare
in un solo giorno più di 1000 persone. La protesta si concluse in quel bagno si sangue.
Borghesia e clero videro così le possibili conseguenze di una diffusione del pensiero socialista,
appoggiando così l'operato del governo nell'ottica un ritorno all'ordine anche con la forza. Quei
tragici eventi segnarono una svolta nella storia della seconda repubblica, ed ebbero ripercussioni sul
resto d'Europa, dove intanto stavano scoppiando altri movimenti rivoluzionari, scatenando la
repressione anche negli altri domini del continente.
Nei mesi successivi aumentarono le restrizioni alle libertà civili, come quella di stampa e di
associazione. La nuova costituzione attribuiva enormi poteri al presidente della repubblica e nelle
elezioni del mese successivo venne votato Luigi Napoleone Bonaparte, nipote dell'ex imperatore.

Solo un paio di settimane dopo la destituzione del re di Francia, la rivoluzione arrivo nell'Impero
asburgico. La prima rivolta fu a Vienna, che il 13 marzo 1848 divenne uno scontro aperto con
l'esercito; per rimediare l'imperatore Ferdinando I cacciò Metternich e promise libertà di stampa e
una nuova costituzione, scritta da un'assemble a suffragio ristretto, ma ciò non diede soddisfazione
ai manifestanti, che organizzarono una seconda ondata e in maggio ottennero il suffragio universale
e l'abolizione della servitù della gleba.
Le concessioni di Ferdinando però furono una scelta obbligata, avisto che si trovò a fronteggiare
richieste di democrazia da vari gruppi nazionali. Poco dopo scoppiarono rivolte anche a Budapest,
Milano, Venezia e Praga, e proprio quest'ultma fu casa natale del nascente movimento panslavista,
che organizzò un'assemblea di tutti i delegati di popoli slavi interni all'impero col compito di
riformarlo e renderlo una federazione e ottenere agevolazione per gli stati slavi. Poco dopo però
scoppiarono altre proteste e l'imperatore ne approfittò per schierare una pesante repressione armata.

Intanto a Budapest il movimento indipendentista di Lajos Kossuth aveva proclamato l'autonomia da


Vienna e creato un goeverno locale e stava iniziando a formare un esercito nazionale, con l'intento
di formare una Grande Ungheria che assorbisse i vicini paesi slavi. Ciò però era osteggiato proprio
da questi ultimi, quindi romeni, slovacchi, serbi, ucraini e croati iniziarono ad avanzare le proprie
proposte indipendentiste, e proprio questi ultimi appoggiarono la monarchia asburgica, che
prometteva loro maggiori vantaggi rispetto all'Ungheria.

Approfittando dei contrasti, il governo centrale riprese il controllo sedando la nuova insurrezione
con l'esercito e nel novembre 1848 Ferdinando I abdicò in favore del figlio diciottenne Francesco
Giuseppe, che nel marzo 1849 sciolse il parlamento e promulgò una costituzione moderata con un
parlamento eletto a suffragio ristretto e sottolineava la struttura centralistica dell'impero. Poi
l'imperatore si rivolse allo zar per aiutarlo contro la rivolta ungherese, che fu schiacciata dai due
monarchi nell'agosto del 1849. nello stesso periodo fu repressa anche la rivolta nel Lombardo-
Veneto.

Sull'onda di Parigi e Vienna anche i tedeschi si ribellaronotra febbraio e marzo 1848, con
l'aspirazione dell'unificazione dello stato tedesco. La protesta più significativa iniziò il 18 marzo di
quell'anno a Berlino, capitale del regno di Prussia, e chiedevano riforme democratiche al re
Federico Guglielmo IV, che reagì mandando l'esercito, a cui però i rivoltosi tennero testa,
costringendo il monarca a formare un nuovo governo liberale eletto a suffragio universale.
Nella prima vera del '48 un po' ovunque furono indette elezioni per scegliere i delegati della neonata
assemblea nazionale tedesca col compito di preparare l'unificazione della Germania. Dentro di essa
vi erano due correnti pangermaniste, che differivano sul se includere o meno nella Germania
l'Austria (con era Grande Germania, senza era Piccola Germania), ma entrambe erano d'accordo sul
dare il ruolo di guida alla Prussia.
Nell'aprile dell'anno dopo i rappresentanti dell'assemblea andarono a Berlino per offrire la corona
imperiale al re di Prussia, che però rifiutò, segnando il faillimento dell'assemblea nazionale tedesca.
Poche settimane più tardi questa fu dispersa con la forza dalle truppe di re Guglielmo I di
Wurttemberg.

Il 21 febbraio 1848 si verificò una scolta nel pensiero socialista, quando a Londra venne pubblicato
il Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels, il primo un giornalista tedesco scappato in
Inghilterra, scelta in particolare anche per le numerose biblioteche, il secondo il figlio di un
borghese, socio di un gruppo industriale legato al settore tessile, che aveva compreso l'importanza
del progetto dell'amico e lo sosteneva economicamente. Così nacque una nuova dottrina politica e
sociale che prenderà il nome di marxismo.
L'opera era stata scritta dietro incarico della Lega dei Comunisti, un movimento che postulava
l'uguaglianza sociale e nel quale si riconoscevano democratici e comunisti belgi e tedesci, assieme
ai cartisti inglesi. Qui Marx aveva posto l'accento sull'azione rivoluzionaria della borghesia, che
aveva trasformato la vita dei lavoratori e persino i rapporti tra gli stati, in un nuovo sistma che
aveva espanso gli scambi a livello internazionale, ed era diventata sempre più inflente, fino a
divenire la classe egemone, lasciando però indietro il suo antagonista in questa sua sclaata: il
proletariatom composta dai lavoratori salariati in costante aumento. Uomini, donne e bambini che
non avevano talmente nulla che dovevano vendere il loro lavoro per sopravvivere. Il capitalismo
aveva prodotto una profonda disuguaglianza dociale, per cui esisteva un'unica soluzione: la presa di
coscienza di tutti i proletari del mondo e la loro coalizzazione per superare questa disuguaglanza e
rendere la società egualitaria.
Nello specifico immaginavano un sistema economico che metteva in comune i mezzi di produzione,
da qui il nome "comunisti".

Con la pubblicazione di questo libro nacque una nuova concezione del socialismo, che prenderà
l'epiteto di "scientifico" e venne indicato un programma rivoluzionario, che ritenevano potesse
ottenere risultati nel breve periodo, ma i fallimenti delle rivoluzioni del '48 spinsero Marx a rivedere
le proprie teorie. Lo colpì particolarmente ossercare che la società capitalista attrivuica il massimo
valore della merce e sviliva persone, rapporti umani e lavoro.
L'opera che sintetizzò il suo persiero fu Il Capitale, il cui primo volume fu pubblicato nel 1867 e
affrontava temi di economia politica molto complessi, a cui il suo pubblico non era preparato.
Suscitarono nei lettori adesione emotiva e che solo in seguito ne fu compreso il rigore intellettuale.
A poco a poco i socialisti cominciarono a rendersi conto che l'importanza di quell'opera consisteva
nell'aver messo in luce la natura perversa dello sfruttamento capitalistico e nell'aver indicato un
mezzo per abbatterlo: la lotta di classe, da cui sarebbe nato un sistema più equi basato sulla
comunione dei beni.

L'italia tra il 1831 e il 1848


Con "risorgimento" si indica un processo di rinnovamento culturale, politico esociale che, attraverso
processi diplomatici e militari, portò alla formazione dello stato nazionale in Italia. Se ne vissa la
data d'inizio nel 1815, anno in cui la penisola fu riorganizzata dal congresso di Vienna e ne
individua il compimento nel 1861, in cui nacque il regno d'Italia, o nel 1870, quando lo stato
pontificio venne annesso al regno sabaudo. Questo termine fu scelto come allusione ad un risveglio
dopo un periodo di decadenza, dell'Italia divisa e sottoposta al dominio straniero. Uno stato italiano
non era mai esistito, il primo ministro Metternich nel 1847 dichiarò che l'Italia è "solo
un'espressione geografica" e "priva di valore politico".
In piena restaurazione operavano in Italia numerosi moti carbonari, che attorno al 1831 avevano
mostrato una strategia basata sulle società segrete alquanto inefficace. I democratici capirono che
non avrebbero potuto contare sull'appoggio o sulle promesse dei sovrani, nè sul sostegno dalle
potenze stranere. Quindi elaborarono un programma più maturo, in grado di coinvolgere tutti i ceti
sociali e di sfociare nella costruzione dello stato nazionale italiano.
Il primo a esporre la visione di un'Italia unita fu Mazzini, proponendo un'unificazione in uno stato
unitario. Aveva militato nella carboneria nel 1831 la "giovine Italia" e poco dopo andò in esilio in
Francia fondo, una società non segreta, dedita alla propaganda e all'educazione politica delle masse,
che mirava a rendere l'italia una "nazione di liberi ed eguali, una, indipendente e sovrana", con un
sistema repubblicano. La sua proposta si riallacciava all'idea di nazione, e vedeva l'Italia nel lungo
corso della sua storia come non fosse stata mai unita, ma con una comunità linguistica e culturale,
che ora meritava di trovare finalmente la propria espressione unitaria. La rivoluzione da lui
predicata era inteda come una missione da perseguire con profonda fede, ma con una concezione
laica di un "dio" identificabile con lo spirito di "progresso", che accomunava tutti gli individui al di
là dei classe e persino di appartenenza nazionale. Una volta che i popoli oppressi avessero portato a
termine il proprio percorso di emancipazione, si sarebbe creata una oiena armonia fra tutti i paesi
del mondo. L'internazionalismo della proposta di Mazzini convinse anche i patrioti stranieri: nel
1834, in Francia, fondò la "giovine Europa".
Il suo programma politico era chiaro: creare una rete di gruppi attivisti e attraverso un'insurrezione
per bande portata avanti con azioni di guerriglia, sperando che l'insurrezione del popolo sarebbe
avvenuta in un secondo tempo, come conseguenza naturale. Un anno dopo andarono incontro al
fallimento altre due iniziative congiunte: la rivolta a Genova di Garibaldi, che fuggì in sud america,
e il tentativo di Mazzini di entrare in Savoia dalla Svizzera. Nel 1844 gli ufficiali autriaci Attilio ed
Emilio Bandiera, fratelli, si impadronirono di una nave asburgica con cui fecero rotta verso la
Calabria, con l'intento di scatenare una nuova rivolta contro i Borboni.

Tra gli anni '30 e '40 del secolo la più vasta diffusione la ebbe la proposta liberale e moderata che
sosteneva una monarchia costituzionale ottenuta attraverso riforme graduali ed evitando il ricorso
alla violenza. I moderati ritenevano che fra i parlamenti dei diversi stati si dovesse creare un
coordinamento, un organismo centrale e un vertice istituzionale unico, che poteva avere sia un
carattere laico e religioso, auspicando ad un connubio tra il sentimento nazionale e la tradiziona
cattolica, una visione definita "neoguelfa", il cui principale esponente fu l'abate Vincenzo Gioberti
(federale papalino). Questi parlava di uno stato federale con a capo il papa, basato sui principi del
cristianesimo, in cui il re di Sardegna avrebbe protetto la penisola con la sua forza militrare. Il
progetto raccolse molte adesioni, anche grazie ai suoi caratteri cattolico e federalista.

Altra proposta furono quella di Cesare Balbo (federale monarchico), che voriteneva che alla guida
ci sarebbe dovuto essere il Re di Sardegna, l'unico in grado di allontanare gli austriaci, anche per il
fatto che la dinastia savoia non era legata alle altre importanti corone europee, permettendo di
trattare con l'Austria convincendola a rinunciare ai domini italiani in cambio di una compensazione
nei balcani.
Queste posizioni furono condivise anche da Massimo d'Azeglio, rappresentante di un liberalismo
moderato.

Il democratico e repubblicano Carlo Cattaneo (federale repubblicano), invece, aveva teorizzato un


percorso di unificazione in tre tappe: trasformazione degli stati in repubbliche, allargamento della
partecipazione politica ai ceti più bassi e creazione di uno stato federale in cui stati membri,
province e comuni godessero di ampia autonomia, teoria condivisa anche da Giuseppe Ferrari,
convinto che in questo programma l'Italia avrebbe potuto contare sulla Francia come alleata.

Fu dal 1846 che cominciò a diffondersi un nuovo clima in cui le aspirazioni dei moderati
sembrarono diventare realtà, nel momentoin cui il nuovo papa, Pio IX promulgò un'amnistia per
tutti i prigionieri politici, concesse maggiore libertà di stampa e stabilì l'ammissione dei laici alla
consulta di stao e alla guardia civica. Sorsero movimento politici in tutta Italia che fecero pressione
perché venissero varate riformi simili. Così il governo di Vienna ordinò repressione nel ferrarese e
nel lombardo-veneto, nel 1847 i reparti asburgici occuparono Ferrara, legazione dello stato
pontifcio. Il papa per questo protestò, ricevendo solidarietà dai patrioti italiani, soprattutto Carlo
Alberto di Savoia, che si disse pronto ad appoggiare il pontefice. Metternich quindi decise di far
arretrare le truppe, dando così maggior forza ai liberali italiani.

Il 12 gennaio 1848 scoccò la prima scintilla rivoluzionaria della "primavera dei popoli", quando i
rivoltosi di Palermo chiesero una costituzione, maggiore uguaglianza sociale e indipendenza per la
Sicilia. Ferdinando II, il più retrogrado dei sovrani italiani, si rassegnò a promettere a tutti i suoi
sudditi una costituzione, che entrò in vigore il 10 febbraio. Nella nuova carta ,amcava però il diritto
di voto alle masse, quindi la lotta proseguì, forte anche dell'appoggio di Francia e Inghilterra, che
avevano interesse a indebolire i Borboni.
Questi eventi ebbero conseguenze sul resto della penisola, aumentando le pressioni democratiche su
Pio IX, che pareva rallentare il ritmo delle riforme dopo gli screzi con l'Austria. Intanto nel
Grenducato di Toscana le richieste erano: una costituzione, l'estensione del suffragio e maggiori
aperture liberali. Il granduca Leopoldo II, poi Carlo alberto di Savoia e infine Pio IX promulgarono
statuti di impostazione moderata e rinunciarono, almeno in parte, al loro assolutismo; Modena e
Parma rimanetterofermi in proposito, mentre nel Lombardo Veneto le truppe austriache erano
pronte a fermare eventuali rivolte.

I sovrani si augurarono che queste concessioni sarebbero state sufficienti per contentare la spinta
rivoluonaria, ma non lo furono. Le proteste iniziate il 13 marzo 1848 a Vienna ridiedero coraggio ai
patrioti lombardoveneti, il 17 marzo una marea di persone occupò Piazza San Marco a Venezia
chiedendo la liberazione dei patrioti Niccolò Tommaseo e Daniele Manin, prendendo d'assalto la
residenza del governatore austriaco. Dopo alcuni giorni l'imperatore d'Austria sembrava
intenzionato a concdere la costituzione, ma un governo con a capo Manin proclamò la rinascita
della Repubblica di Venezia soppressa nel 1815, il 22 marzo 1848.
Intanto a Milano, fra il 18 e il 22 marzo, i soldati austriaci comandati dal maresciallo Radetzky
diedero inizio ad una vera e propria battaglia di popolo. Nelle strade vennero erette barricate e dopo
5 giorni di combattimento, che verranno nominate come "le 5 giornate di Milano", l'esercito del
maresciallo capitolò abbandonando la città e ritirandosi, il 23 marzo, nel quadrilatero (Peschiera del
Garda, Mantova, Legnago e Verona).

Questi eventi misero in evidente crisi l'impero. Fino a quel giorno gli italiani si erano svegliati sotto
bandiere sempre diverse, ma quel giorno re Carlo Alberto di Savoia prese l'iniziativa e attaccò
l'Austria. Non fu una decisione facile, ma la fece anche per scongiurare eventuali rivoluzioni nei
suoi domini, dando così inizio alla Prima guerra d'indipendenza.

Radetzky e Carlo Alberto disponevano circa dello stesso numero di uomini, ma il secondo aveva
alcuni importanti vantaggi: gli uomini del suo avversario erano quasi tutti dai paesi slavi dell'impero
e rischiavano di fraternizzare con le istanze civili, Carlo poteva contare sia su dei distaccamenti
inviati da Napoli e Roma che sui numerosi volontari toscani, inoltre sapeva che nel lombardo-
veneto sarebbe stato accolto come un liberatore. Politicamente però era lento e incerto, al punto da
venire soprannominato "Re Tentenna" e invece di attaccare per primo approfittando della difficoltà
di Radetzky temporeggio per settimane. Intanto il suo nemico ebbe tutto il tempo per riorganizzarsi
ne quadrilatero. I reggimenti Sabaudi attraversarono il Mincio l'11 aprile 1848, entrando in
Lombardia, ma gli austriaci si erano già attestati sull'Adige. Le prime battaglie si solversero nei
villaggi di Curtatone, Montanata (vittorie austriache) e Goito (vittoria sabauda). Nel frattempo Pio
IX, Leopoldo II e il re delle Due Sicilie avevano ritirato il loro appoggio ai sabaudi, ponendo fine
alla prima fase del conflittto e lasciando la gestione delle operazioni militari e politiche al governo
torinese. Fra maggio e giungo furono indetti vari plebisciti per sancire l'annessione di vari territori
al Regno di Sardegna, tra cui Milano, Venezia, Parma e Modena. I bolognesi l'8 agosto si
ribellarono e scacciarono gli austriaci oltre il Po. Nei giorni precedenti la sconfitta torinese a
Custoza e la perdita degli alleati fece ritirare a Carlo Alberto le truppe e il 9 agosto i capi di stato
torinesi, a Milano, firmarono un armistizio, che ristabiliva le frontiere originarie.
Intanto a Venezia continuò la resistenza, in Toscana le pressioni costrinsero il granduca a concedere
un governo democratico, mentre a Roma l'omcidio del primo ministro pontificio, Pellegrino Rossi,
fece fuggire il papa a Gaeta e permise ai patrioti Mazzini, Saffi e Armellini di fondare la Repubblica
Romana, con a capo il loro triumvirato, nel 1849, dove abolirono i titoli nobiliari, la pena di morte e
sancirono la laicità dello stato, la libertà di opinione, di domicilio e di associazione.

Carlo Alberto nel frattempo meditava per la rivincita, quindi mosse l'esercito per affrontare gli
austriaci nella battaglia di Novara, sconfitto, abdicò in favore del figlio Vittorio Emanuele II,
mentre gli altri sovrani approfittarono di quella disfatta per rifarsi sui rivoluzionari del quarantotto.
A Roma i francesi aiutarono il papa a tornare il vaticano, e il 4 luglio 1849 la repubblica firmò la
resa. Dopo queste repressioni molti liberali furono esiliati, i sovrani ritirarono le costituzioni e
persino i Venezia si arrese dopo un lungo assedio lo stesso anno.

Paradossalmente, però, gli errori di Carlo Alberto avrebbero preparato la strada per il figlio, che
avrebbe rilanciato la sfida agli austriaci e scatenato una nuova guerra. Ad assisterlo sarà Camillo
Benso, Conte di Cavour, suo primo ministro dal 1852 e grande statista.

Il fatto che in Piemonte fosse in vigore lo statuso albertino portò molto profughi politici proprio lì,
che furono guardati con sospetto temendo che diffondessero tendenze rivoluzionarie. Ciò causò
numerose proteste, che spinsero il moderato Cavour ad accordarsi col capo dell'opposizione di
sinistra, Rattazzi, che assicurò al governo la maggioranza parlamentare.

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