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3.

Il risveglio delle nazionalità e le rivoluzioni del 1848


3.1 Liberalismo e nazionalità
Il termine "nazione" definisce un insieme di persone che hanno in comune lingua, tradizioni, cultura,
pensiero e religione.
Il principio di nazionalità era stato tenuto in scarsa o nulla considerazione al congresso di Vienna e Italia,
Germania, Polonia, per non parlare delle molteplici nazionalità soggette all'impero austriaco, a quello russo
o a quello ottomano, erano, secondo la cinica espressione di Metternich, null'altro che «espressioni
geografiche». Con gli anni Trenta il principio di nazionalità cominciò ad affermarsi in Belgio e in Grecia,
portando alle insurrezioni della popolazione. In questi casi contrasti di interesse tra le grandi potenze
avevano impedito di restaurare l'antica situazione, mentre in Polonia e negli stati italiani le circostanze non
avevano portato a una soluzione favorevole agli insorti.
Dopo gli anni Trenta, anche per le grandi potenze divenne sempre più difficile far finta che il principio di
nazionalità non esistesse. Un movimento intellettuale di rilievo guardò con simpatia e aiutò con fogli a
stampa, giornali, libri e opuscoli la lotta delle nazionalità oppresse. Anche l'arte divenne uno strumento di
lotta politica e Parigi e Londra divennero il centro di raccolta degli esuli che cercavano in vario modo di
affrettare il riscatto della propria patria.
Per i patrioti della prima metà dell'Ottocento il principio di nazionalità fu strettamente legato al liberalismo,
cioè all'aspirazione a un regime politico costituzionale che riconoscesse i diritti fondamentali dell'uomo e
del cittadino. L'unione delle due aspirazioni, alla libertà e all'indipendenza, e i primi movimenti sociali nei
paesi in cui la rivoluzione industriale aveva modificato i rapporti tradizionali fra le classi, fu alla base del
grande sconvolgimento che toccò l'intera Europa nel 1848, con rare eccezioni.
Lo scoppio delle rivoluzioni fu accelerato anche dalla grave crisi economica in atto. Gli scarsi raccolti che a
partire dal 1845 avevano caratterizzato la produzione agricola del continente avevano ridotto alla fame
intere popolazioni. Anche i ceti sociali meno consapevoli delle questioni nazionali erano pronti a ribellarsi
all'ordine costituito per sfuggire a un destino di sempre maggiore povertà.

3.2 L’inizio delle rivoluzioni del 1848


La grave crisi economica iniziata in Francia nel 1846 era stata avvertita soprattutto dalla classe media e dai
ceti più poveri, entrambi privi del diritto elettorale, ma il malcontento nei confronti della monarchia di Luigi
Filippo si diffuse anche tra la borghesia commerciale e delle professioni. A Parigi, il 22 febbraio 1848,
un’insurrezione guidata da repubblicani e socialisti costrinse Luigi Filippo ad abdicare a favore del nipote
Luigi Filippo Alberto. Sotto la pressione della folla, fu invece insediato un governo provvisorio,
comprendente liberali, democratici e socialisti, che proclamò la seconda repubblica. Il governo prese subito
alcuni provvedimenti democratici, come l’introduzione del suffragio universale maschile e della libertà di
stampa, l’abolizione della pena di morte per i reati politici e l’istituzione di fabbriche statali.
Da Parigi l’onda rivoluzionaria si propagò in quasi tutta Europa, lasciando indenni solo la Gran Bretagna, la
penisola iberica e la Russia. I ceti popolari si ritrovarono a supportare i ceti medi, fornendo una grande
massa pronta ad agire.
Le rivendicazioni degli insorti non erano le medesime dappertutto. Ad esempio nel Lombardo-Veneto si
voleva l’indipendenza. In Austria si chiedeva una Costituzione. In Germania, accanto al problema
costituzionale, vi era anche il problema dell’unità politica. Nel complesso, tuttavia, gli scopi dei rivoluzionari
poggiavano sul desiderio di maggiori libertà politiche e sul riconoscimento del principio di nazionalità.
Ovunque i sovrani furono costretti a cedere alle richieste dei rivoluzionari. L’imperatore d’Austria promise
la Costituzione che lasciò però molti scontenti, al punto che scoppiò una seconda insurrezione che spinse
Ferdinando ad abbandonare la capitale dopo avere concesso l’elezione di un’Assemblea costituente a
suffragio universale.
In Ungheria si costituì un governo con a capo Lajos Kossuth e la vecchia Dieta fu trasformata in Assemblea
costituente. A Praga fu formato un governo provvisorio e fu convocato un congresso panslavo, ma il moto
fu presto represso. Alla notizia della rivolta di Vienna insorse Milano, che dopo una lotta di cinque giornate
(18-22 marzo) riuscì a cacciare la guarnigione austriaca e a darsi un governo provvisorio. Intanto si era
liberata anche Venezia, seguita dalle altre città della Lombardia e del Veneto.
A Berlino, sollevatasi il 16 marzo, il re di Prussia Federico Guglielmo IV dovette concedere la libertà di
stampa e la formazione di un ministero liberale. L’esempio di Berlino fu seguito ben presto negli altri stati
tedeschi, e molti sovrani furono costretti a fare concessioni. Di lì a poco a Francoforte si raccolsero così i
rappresentanti di tutti gli stati tedeschi in un Parlamento che in realtà era una vera e propria Assemblea
costituente. All’inizio della primavera la rivoluzione sembrava aver trionfato in tutta Europa.

3.3 La rivoluzione in Italia e la prima guerra d’indipendenza


In Italia il 1848 era iniziato con le dimostrazioni di Palermo. Ferdinando II, preoccupato delle insurrezioni
scoppiate nel Cilento e a Napoli, concesse lo Statuto. Il suo esempio fu seguito da Leopoldo II di Toscana,
Carlo Alberto di Sardegna e dal pontefice Pio IX. Si trattava di costituzioni concesse dall’alto; il governo era
nominato dal sovrano ed era responsabile di fronte a lui, non di fronte al Parlamento, che aveva solo
funzioni legislative. Il suffragio elettorale era poi assai ristretto.
La rivoluzione di Vienna e la concessione delle costituzioni negli stati italiani spinsero alla rivolta Venezia e
Milano, che riuscirono ad allontanare gli austriaci. Al grido di «Viva Pio IX» si ebbero insurrezioni anche nei
ducati di Parma e Modena. Per timore che la situazione portasse a esiti repubblicani, come era avvenuto in
Francia, Carlo Alberto decise di porsi alla testa del movimento nazionale italiano, dichiarando guerra
all’Austria ed entrando in Milano già liberata. L’entusiasmo antiaustriaco del momento nascose le profonde
differenze tra i moderati filosabaudi e i democratici repubblicani. Dagli altri stati italiani giunsero truppe
regolari e volontari, che si unirono all’esercito sardo-piemontese nella guerra federale contro l’Austria.
Intanto l’abile condotta del comandante austriaco, il maresciallo Josef Radetzky, rallentò le operazioni
militari. Chiuso nelle fortezze di Mantova, Peschiera, Legnago e Verona (il cosiddetto quadrilatero)
l’esercito austriaco attese rinforzi, mentre il fronte nazionale cominciò a sfaldarsi.
Pio IX dichiarò che al padre di tutti i cattolici non era lecito fare guerra a uno Stato cattolico come l’Austria,
e ordinò il ritiro delle truppe pontificie. Immediatamente Leopoldo II e Ferdinando II seguirono l’esempio di
Pio IX, lasciando il solo esercito piemontese, e i volontari rimasti, a proseguire la guerra. La vittoria di
Pastrengo rinsaldò il morale dei piemontesi, ma non fu sufficiente per permettere di varcare l’Adige.
Intanto filosabaudi e democratici si scontrarono su quale organizzazione dare alle terre liberate dagli
austriaci, se monarchica o repubblicana.
Giunti i rinforzi, Radetzky riconquistò tutte le città venete e affrontò l’esercito piemontese a Custoza,
sconfiggendolo duramente fu costretto a firmare l’armistizio.. Nell’estate l’Austria aveva riconquistato tutti i
territori perduti nei mesi precedenti. Soltanto la città di Venezia resisteva ancora.
Nel regno delle Due Sicilie Ferdinando II sciolse il Parlamento e represse ogni opposizione, dedicandosi poi
alla riconquista della Sicilia, in preda alle agitazioni dei contadini.
Nello Stato della Chiesa Pio IX affidò il governo a Pellegrino Rossi, ben presto assassinato. Roma piombò nel
caos e Pio IX il 24 novembre fuggì a Gaeta. Le elezioni tenute nel gennaio 1849 dettero una forte
maggioranza ai democratici, che proclamarono la decadenza del potere temporale dei papi e si affidarono a
un triumvirato formato da Carlo Armellini, Aurelio Saffi e Giuseppe Mazzini.
In Toscana si ebbero tumulti a Livorno contro il governo moderato, tanto che Leopoldo II affidò il governo ai
democratici Giuseppe Montanelli e a Francesco Domenico Guerrazzi. Spaventato dalla politica
ultrademocratica dei due, Leopoldo II abbandonò Firenze.

3.4 La sconfitta del fronte rivoluzionario e la seconda restaurazione


Tra la primavera e l’estate 1848 la rivoluzione subì le prime determinanti sconfitte.
In Francia le elezioni per l’Assemblea costituente, le prime tenute a suffragio universale maschile, dettero
una forte maggioranza ai repubblicani moderati e ai liberali rispetto ai socialisti che incitarono la
popolazione alla rivolta, non portata a termine. La successiva decisione di chiudere le fabbriche statali,
anche perché dal punto di vista economico erano stati un fallimento, provocò una ribellione, domata
sanguinosamente. Ci furono alcune migliaia di morti, e decine di migliaia di arrestati, deportati ed esiliati.
Il 4 novembre fu approvata la Costituzione, che istituiva una repubblica guidata da un presidente eletto. Il
potere legislativo era affidato a una singola assemblea di 750 membri. Furono garantiti i diritti e le libertà
dei cittadini. Un meccanismo complicato rendeva quasi impossibile la modifica della Costituzione.
Alle elezioni per il presidente della repubblica i candidati più accreditati erano il generale Cavaignac,
sostenuto dai repubblicani moderati, l’avvocato socialista Ledru-Rollin e Luigi Napoleone Bonaparte, nipote
di Napoleone I. Prevalse quest’ultimo con il 75% dei voti, sostenuto dai nostalgici dell’impero, dai
legittimisti, dai cattolici, dalla borghesia e da molti operai e contadini. La neonata repubblica francese si
affidava così a un uomo che avrebbe ben presto restaurato l’impero.
Ferdinando I abdicò a favore del nipote diciottenne Francesco Giuseppe. Il giovane imperatore ripristinò in
Austria un governo assoluto, ma dovette affrontare la rivolta dell’Ungheria che resistette, ma dovette infine
capitolare di fronte alle truppe dello zar Nicola I, chiamate in aiuto. Nell’agosto 1849 la rivolta ungherese fu
definitivamente domata.
In Germania l’Assemblea di Francoforte si era divisa tra i fautori di una soluzione “grande tedesca”, che
avrebbe compreso nel Reich anche i territori tedeschi dell’Austria, e quelli di una soluzione “piccolo
tedesca”, senza l’Austria e sotto la guida del re di Prussia. Prevalse quest’ultima soluzione, e la corona
imperiale fu offerta il 3 aprile 1849 a Federico Guglielmo IV, che non la accettò. Ritenendosi sovrano per
diritto divino, rifiutò con disprezzo una «corona di latta», offertagli, disse, da «fornai e macellai». Il gioco
tornò nelle mani dei sovrani tedeschi, che revocarono le costituzioni concesse l’anno prima, ponendo fine al
periodo rivoluzionario. Trasferitasi a Stoccarda, l’Assemblea fu sciolta da un intervento militare.
In Italia i democratici erano riusciti a prendere il potere a Firenze e a Roma, mentre in Piemonte, dopo un
periodo di instabilità governativa, la presidenza del Consiglio era stata affidata a Vincenzo Gioberti. La sua
idea era quella di stabilire accordi con gli altri sovrani italiani per la costituzione di una confederazione e per
la ripresa della guerra all’Austria. Il progetto risultò impossibile per i profondi dissidi tra moderati e
democratici. Carlo Alberto decise allora di rompere l’armistizio con l’Austria e ricominciare la guerra. L’esito
fu disastroso. Sconfitto a Novara, Carlo Alberto dovette chiedere nuovamente l’armistizio e abdicare a
favore del figlio Vittorio Emanuele II.
All’inizio dell’estate 1849 in mano ai rivoluzionari italiani restavano soltanto Roma, Firenze e Venezia. Per
ingraziarsi i cattolici francesi, Luigi Napoleone inviò un corpo di spedizione a Civitavecchia per restaurare il
potere di Pio IX. Dopo un assedio di due mesi, ai primi di luglio la Repubblica romana fu costretta a cedere e
i francesi entrarono in Roma il 3 luglio. In Toscana i moderati presero il sopravvento e invitarono il granduca
a rientrare con l’appoggio degli austriaci che poterono poco dopo concentrare gli sforzi contro Venezia.
Sfinita dai bombardamenti e dal colera, il 22 agosto 1849 capitolò.
Con l’inizio di settembre tutte le acquisizioni dei moti dell’anno precedente erano state cancellate.
Una dopo l’altra, le costituzioni concesse nel 1848 furono ritirate e il sistema di Vienna temporaneamente
ripristinato. Era stata la frattura fra le forze rivoluzionarie, liberali e democratiche, a favorire la ripresa dei
sovrani assoluti, che furono così restaurati per la seconda volta dopo il 1815. D’altra parte, lo scopo della
rivoluzione era diverso per gli uni e per gli altri. Era comunque apparso chiaro a tutti che il principio di
nazionalità era incompatibile con i vecchi assetti politici e sociali della Restaurazione.

4. La fine del sistema di Vienna


4.1 La Francia dalla Seconda repubblica al Secondo impero
Il nuovo presidente della repubblica francese, Luigi Napoleone Bonaparte aveva, fino a quel momento,
avuto una vita avventurosa fra esili, fallimenti politici e carcerazioni.
Contro le sue aspettative, non fu assecondato nel tentativo di modificare la Costituzione per permettere la
sua rielezione: con un colpo di stato sciolse il Parlamento e indisse un plebiscito che gli consentisse di
elaborare una nuova Costituzione. Una larghissima maggioranza di votanti approvò il progetto del principe-
presidente. Nel gennaio del 1852 entrò in vigore la nuova Costituzione che accentrava ogni potere nelle
mani del presidente, eletto per dieci anni e dotato del potere esecutivo.
Dopo avere eliminato ogni opposizione, il 2 dicembre 1852, Luigi Napoleone restaurò l’impero prendendo il
nome di Napoleone III.
Da questo momento Napoleone III instaurò in Francia un regime personale e autoritario, con l’appoggio
della Chiesa cattolica e della borghesia, entrambe ricambiate. Una serie di iniziative commerciali favorirono
il completamento della rete ferroviaria, la fondazione di società di navigazione, di società minerarie e di
società per l’illuminazione delle città a mezzo del gas.
L’impianto urbanistico di Parigi fu modificato con la costruzione di larghi viali alberati, sia per dare alla
capitale un aspetto moderno e grandioso, sia per impedire il sorgere di barricate.
Napoleone III gettò le basi di un grande impero coloniale, rafforzando il controllo sull’Algeria, conquistando
basi nel Senegal e in Somalia e penetrando in Indocina. Cercò poi di restituire alla Francia quel peso
diplomatico che non aveva più avuto da tempo. La guerra di Crimea avrebbe fornito la giusta occasione.

4.2 La Gran Bretagna, sviluppo economico e progresso sociale


Non toccata dalle rivoluzioni del 1848, la Gran Bretagna divenne luogo di rifugio di tutti coloro che per
motivi politici dovevano abbandonare il continente. In questi anni furono introdotti provvedimenti
innovativi dal punto di vista penale, economico e sociale.
L’abolizione della legge sul grano precedette l’abbandono del protezionismo per sostenere il libero scambio
delle merci con la diminuzione o l’abolizione dei dazi doganali. Una classe imprenditoriale con il gusto del
rischio per ottenere sempre maggiori profitti si giovava di uno Stato che garantiva la libertà dei traffici e dei
commerci, fornendo servizi pubblici essenziali.
Dal punto di vista politico la Gran Bretagna divenne un punto di riferimento per i liberali europei con il suo
bipartitismo. Durante il lungo regno della regina Vittoria, salita al trono nel 1837, si alternarono al potere i
liberali e i conservatori.

4.3 La Prussia, l’Austria e la questione tedescaù


La seconda restaurazione aveva lasciato aperto il conflitto tra Austria e Prussia in merito all’egemonia sulla
Germania. Federico Guglielmo IV cercò di riprendere l’iniziativa: il suo scopo era quello di gettare le basi di
una nuova unione che attribuisse alla Prussia il primato sul territorio tedesco.
L’Austria non intendeva però rinunciare all’egemonia sulla Confederazione germanica, e con un’abile
azione diplomatica costrinse la Prussia a firmare il trattato di Olmütz che lasciava all’impero asburgico il
primato sui territori di lingua tedesca, ripristinando la Confederazione germanica nei termini del 1815. Per
la Prussia fu un’umiliazione storica.
Nello stesso tempo però la Prussia prese a rafforzarsi economicamente, anche modernizzando le proprie
industrie ed infrastrutture, mentre l’Austria, ancora legata a vecchie logiche, iniziava a perdere terreno.
Il peso internazionale dell’Austria restava comunque forte. Con Francesco Giuseppe l’amministrazione
dell’impero fu accentrata nelle mani di una burocrazia efficiente, zelante e fedele e la componente tedesca
dell’impero fu valorizzata ai danni delle altre nazionalità. Ciò aumentò l’insofferenza delle diverse
nazionalità.

4.4 Il Piemonte sabaudo


Il regno di Sardegna era l’unico Stato della penisola italiana ad aver conservato la Costituzione concessa nel
1848. Si trattava di una Costituzione flessibile, modificabile cioè con una legge ordinaria, che rispettava la
distinzione tra potere esecutivo, legislativo e giudiziario, ma lasciava ancora al sovrano un notevole potere.
Il potere legislativo spettava a un Parlamento composto da una Camera dei deputati, eletta a suffragio
ristretto su base censitaria, e da un Senato di nomina regia.
Il Parlamento che ratificò il trattato di pace vide poi il governo di Massimo d’Azeglio, che guidò il governo
dal 1849 al 1852, iniziare un programma moderatamente riformista, volto a modernizzare il Piemonte
sabaudo.
Le prime riforme riguardarono la politica ecclesiastica. Nel 1850 furono approvate le leggi Siccardi che
colpirono i privilegi della Chiesa Cattolica, non più compatibili con lo Statuto albertino. L’arcivescovo di
Torino invitò il clero alla disobbedienza. Fu arrestato e relegato nella fortezza di Fenestrelle e poi mandato
in esilio a Lione.
Nel Piemonte di quegli anni cominciò a fare le sue prime esperienze un giovane uomo politico, Camillo
Benso conte di Cavour. Numerosi viaggi all’estero, a Ginevra, Londra, Parigi, completarono la sua
preparazione e gli fecero acquisire una profonda conoscenza dei sistemi costituzionali europei; era un
sostenitore del libero scambio e del costituzionalismo.
Cavour, esponente del centro-destra, fu ministro dell’agricoltura e poi delle finanze con D’Azeglio, dando
un potente impulso all’opera di ammodernamento del paese. Nel febbraio 1852 strinse con il capo della
sinistra moderata un accordo che lo portò nel novembre a presiedere il Consiglio dei ministri, giovandosi di
una amplissima maggioranza parlamentare.
In tale veste proseguì la politica di ammodernamento economico del Piemonte, concludendo trattati
commerciali con i paesi industrializzati, sviluppò le costruzioni ferroviarie e iniziò il processo di creazione di
un’industria locale, che rimase però limitata, mentre significativi furono gli sviluppi del settore agricolo.
Potenziò infine i porti liguri di Genova e La Spezia.
Sul piano politico Cavour fece sì che il Piemonte diventasse un centro di raccolta per tutti gli esuli politici
della penisola. Si trattava in genere di intellettuali che a Torino si dedicarono al giornalismo,
all’insegnamento universitario o all’attività politica, facendo conoscere nella capitale subalpina le condizioni
delle altre parti d’Italia
Per completare il processo di laicizzazione dello Stato, già iniziato con le leggi Siccardi, Cavour propose una
legge per la soppressione degli ordini religiosi contemplativi, cioè quelli che non erano dediti all’assistenza,
all’istruzione o alla predicazione. Malgrado le proteste cattoliche, alla fine la legge fu approvata, ma al
prezzo di un ulteriore inasprimento dei rapporti con la Santa Sede. Pio IX scomunicò tutti coloro che
avevano partecipato all’approvazione della legge. Fu l’inizio di quel conflitto tra Stato e Chiesa che avrebbe
caratterizzato la successiva storia del regno d’Italia.
Alla metà degli anni Cinquanta il regno di Sardegna era diventato lo Stato all’avanguardia nella penisola
italiana dal punto di vista sia economico che civile e politico. Occorreva ora trovare l’occasione giusta per
dare al regno di Sardegna un ruolo non secondario nella vita politica internazionale.

Negli altri stati italiani le costituzioni concesse furono abrogate o non applicate. L’Austria riaffermò la sua
egemonia, controllando da vicino i ducati padani e mantenendo truppe nello Stato pontificio e fino al 1855
in Toscana. Il Lombardo-Veneto fu amministrato più direttamente da Vienna e sottoposto a una pesante
imposizione fiscale. Anche in Toscana furono ridotte le libertà di stampa e di riunione, ma fu promulgato un
nuovo Codice penale (1853) che abolì i lavori forzati e mitigò le pene per alcuni reati. La pena di morte non
fu abolita, ma non venne mai applicata. Nello Stato pontificio il segretario di stato cardinal Giacomo
Antonelli riorganizzò l’amministrazione dello Stato, che restava tuttavia sempre in mano al clero. Il governo
di Napoli, che fu definito nel 1851 da William Gladstone un «oltraggio alla religione, alla civiltà, all’umanità
e alla decenza», era completamente soggetto alle decisioni di Ferdinando II, che instaurò un vero e proprio
dominio personale. Per reprimere ogni opposizione si servì di misure di polizia che permettevano la
reclusione anche senza condanna, a discrezione del sovrano. In Sicilia furono ripristinati organi
amministrativi separati da quelli del continente, ma comunque soggetti alle decisioni del sovrano.

4.5 La guerra di Crimea


La guerra di Crimea fu uno dei tanti conflitti che caratterizzarono le relazioni tra Russia e Turchia nel XVIII e
nel XIX secolo. A differenza dei precedenti, tuttavia, questo vide scendere in campo anche le potenze
occidentali a fianco dell’impero ottomano, per controbattere le mire imperialistiche dell’impero russo.
Napoleone III era entrato in conflitto con lo zar Nicola I per la questione della custodia dei luoghi santi in
Palestina, che opponeva monaci cattolici e monaci ortodossi. Il sultano dette ragione ai cattolici,
scontentando la Russia, che rispose occupando i principati danubiani nel 1853. La Gran Bretagna, temendo
un eccessivo rafforzamento della potenza russa, in accordo con Francia, Austria e Prussia, invitò il sultano
Abdulmecid a resistere alle pressioni russe. Nell’ottobre 1853 il sultano dichiarò guerra alla Russia, non
ascoltando i consigli delle potenze occidentali che avrebbero preferito una soluzione diplomatica del
conflitto.
Francia e Gran Bretagna entrarono in guerra, inviando un corpo di spedizione nella penisola di Crimea,
mentre l’Austria occupava i principati danubiani evacuati dalla Russia. Nel luglio 1854 Francia, Gran
Bretagna e Austria predisposero quattro punti da sottoporre alla Russia per la pace, chiedendo tra l’altro la
libera circolazione sul Danubio e la rinuncia ai protettorati sui principati danubiani.
Francia e Gran Bretagna cercarono di indurre l’Austria a intervenire direttamente nella guerra, garantendo
che non ci sarebbero state ripercussioni in Italia. Chiesero pertanto al regno di Sardegna di impegnarsi nella
guerra, senza prospettare tuttavia alcun vantaggio territoriale.
Cavour, malgrado malumori interni, acconsentì all’intervento nella guerra per garantire al regno di
Sardegna un posto tra le grandi potenze. Il cospicuo corpo di spedizione (15.000 uomini) si fece onore nella
battaglia di Cernaia.
Nel settembre 1855 cadde la fortezza russa di Sebastopoli, ultimo tassello necessario per la resa. La guerra
era costata più di 100.000 morti fra le battaglie e un’epidemia di colera.
Nel 1856 si aprì a Parigi il congresso della pace che mise l’impero ottomano sotto la garanzia collettiva delle
grandi potenze e smilitarizzò il Mar Nero. Tra gli effetti collaterali del congresso di Parigi vi fu il successo
ottenuto da Cavour nel porre all’attenzione delle potenze la questione italiana, nonostante l’opposizione
austriaca.
La guerra di Crimea segnò la fine del sistema internazionale creato a Vienna nel 1815. L’accordo delle
potenze della Santa Alleanza si era definitivamente disfatto. L’Austria accentuava la sua vocazione a
espandersi verso l’Europa centro-orientale, entrando in conflitto con la Russia. La Francia aveva recuperato
un ruolo internazionale di prim’ordine e insieme alla Gran Bretagna si garantiva il dominio del
Mediterraneo. Tutte queste modificazioni nell’assetto internazionale avrebbero di lì a poco permesso la
realizzazione dell’unità italiana e tedesca.

5. L’unità nazionale italiana


5.1 La questione italiana nel contesto internazionale
La soluzione della questione italiana con l’unificazione della penisola, a esclusione del Veneto e del Lazio,
avvenne in un tempo brevissimo, tra l’aprile del 1859 e il marzo del 1861. Tutto ciò fu reso possibile dalla
nuova situazione internazionale che era seguita alla guerra di Crimea.

I due principali paesi della Nuova Santa alleanza si erano trovati su fronti opposti. L’Austria si era schierata a
favore della Turchia con Francia e Gran Bretagna, ma in questo modo aveva suscitato il risentimento della
Russia, che pensava di poter contare sull’amicizia di Vienna per averla aiutata a sconfiggere la rivoluzione
ungherese nel 1849. La Francia di Napoleone III, che aspirava a rafforzare il proprio ruolo internazionale
espandendo la sua sfera d’influenza all’Italia, era disponibile a offrire il necessario aiuto militare al regno di
Sardegna per modificare gli equilibri esistenti nella penisola. La Gran Bretagna, che pure guardava con
preoccupazione alle mire espansionistiche di Napoleone III, era divisa al suo interno tra i conservatori e i
liberali. I conservatori intendevano puntare ancora sull’Austria come baluardo dell’equilibrio continentale. I
liberali pensavano invece che la formazione di nuovi stati nazionali avrebbe potuto ugualmente limitare le
ambizioni francesi, eliminando nello stesso tempo quei regimi ottusamente repressivi, come il regno delle
Due Sicilie o il ducato di Modena, che rischiavano di alimentare nuovi scoppi insurrezionali.

Cavour e la soluzione monarchico-costituzionale

Cavour capì che poteva utilizzare le mire espansionistiche dell’impero francese per realizzare un
ampliamento del regno di Sardegna nell’Italia settentrionale. Nello stesso tempo la crisi del movimento
mazziniano, segnato dagli insuccessi del moto di Milano del 6 febbraio 1853 e dalla sfortunata impresa di
Carlo Pisacane a Sapri nell’Italia meridionale (1857), aveva indotto molti democratici ad accettare la
prospettiva cavouriana di una soluzione monarchico-costituzionale del problema italiano. Alcuni di essi, tra
cui il veneziano Daniele Manin e il siciliano Giuseppe La Farina, fondarono a Torino nell’agosto 1857 la
Società nazionale italiana, che aveva come motto «Italia e Vittorio Emanuele» e che era segretamente
appoggiata dal governo piemontese. Ricondotti sotto l’egida moderata, i fautori della soluzione unitaria
facevano meno paura a quegli ambienti conservatori europei che non erano pregiudizialmente contrari
all’unificazione italiana, ma temevano un nuovo sconvolgimento dell’ordine europeo come si era verificato
nel 1848.

L’azione decisiva di Cavour

Il merito di Cavour fu quello di utilizzare al meglio tutte le forze in gioco, internazionali e interne, per
eliminare la presenza austriaca dalla Lombardia e dal Veneto e i regimi assoluti dei ducati padani. L’Italia a
cui inizialmente pensava era infatti l’Italia settentrionale, una Italia legata economicamente e politicamente
alle parti più sviluppate dell’Europa occidentale. Tuttavia egli seppe modificare e adeguare in modo
realistico i suoi scopi a mano a mano che la situazione si evolveva, riuscendo a realizzare in un breve
volgere di tempo l’unificazione di tutta la penisola. Per fare questo rovesciò il motto mazziniano «L’Italia
farà da sé» e comprese che solo con l’aiuto di una o più grandi potenze la questione italiana poteva essere
portata a soluzione.
6. L’unificazione tedesca
7. Il continente americano
8. L’età dell’imperialismo
9. L’Europa nell’epoca di Bismarck
10. L’Italia liberale
11. Verso la prima guerra mondiale
12. Lo scoppio della Grande guerra
13. Dalla rivoluzione russa alla fine della guerra
14. Le conseguenze della guerra
15. I ruggenti anni ‘20
16. Il dopoguerra italiano e l’avvento del fascismo
17. Dittature e democrazie negli anni ‘30
18. Verso la seconda guerra mondiale
19. La seconda guerra mondiale
20. Dalla guerra guerreggiata alla guerra fredda
21. L’Europa del dopoguerra
22. Dalla guerra fredda alla coesistenza
24. I grandi cambiamenti degli anni ‘60
25. I difficili anni ‘70
26. Il crollo dell’URSS e la fine del sistema bipolare

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