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Negli altri stati italiani le costituzioni concesse furono abrogate o non applicate. L’Austria riaffermò la sua
egemonia, controllando da vicino i ducati padani e mantenendo truppe nello Stato pontificio e fino al 1855
in Toscana. Il Lombardo-Veneto fu amministrato più direttamente da Vienna e sottoposto a una pesante
imposizione fiscale. Anche in Toscana furono ridotte le libertà di stampa e di riunione, ma fu promulgato un
nuovo Codice penale (1853) che abolì i lavori forzati e mitigò le pene per alcuni reati. La pena di morte non
fu abolita, ma non venne mai applicata. Nello Stato pontificio il segretario di stato cardinal Giacomo
Antonelli riorganizzò l’amministrazione dello Stato, che restava tuttavia sempre in mano al clero. Il governo
di Napoli, che fu definito nel 1851 da William Gladstone un «oltraggio alla religione, alla civiltà, all’umanità
e alla decenza», era completamente soggetto alle decisioni di Ferdinando II, che instaurò un vero e proprio
dominio personale. Per reprimere ogni opposizione si servì di misure di polizia che permettevano la
reclusione anche senza condanna, a discrezione del sovrano. In Sicilia furono ripristinati organi
amministrativi separati da quelli del continente, ma comunque soggetti alle decisioni del sovrano.
I due principali paesi della Nuova Santa alleanza si erano trovati su fronti opposti. L’Austria si era schierata a
favore della Turchia con Francia e Gran Bretagna, ma in questo modo aveva suscitato il risentimento della
Russia, che pensava di poter contare sull’amicizia di Vienna per averla aiutata a sconfiggere la rivoluzione
ungherese nel 1849. La Francia di Napoleone III, che aspirava a rafforzare il proprio ruolo internazionale
espandendo la sua sfera d’influenza all’Italia, era disponibile a offrire il necessario aiuto militare al regno di
Sardegna per modificare gli equilibri esistenti nella penisola. La Gran Bretagna, che pure guardava con
preoccupazione alle mire espansionistiche di Napoleone III, era divisa al suo interno tra i conservatori e i
liberali. I conservatori intendevano puntare ancora sull’Austria come baluardo dell’equilibrio continentale. I
liberali pensavano invece che la formazione di nuovi stati nazionali avrebbe potuto ugualmente limitare le
ambizioni francesi, eliminando nello stesso tempo quei regimi ottusamente repressivi, come il regno delle
Due Sicilie o il ducato di Modena, che rischiavano di alimentare nuovi scoppi insurrezionali.
Cavour capì che poteva utilizzare le mire espansionistiche dell’impero francese per realizzare un
ampliamento del regno di Sardegna nell’Italia settentrionale. Nello stesso tempo la crisi del movimento
mazziniano, segnato dagli insuccessi del moto di Milano del 6 febbraio 1853 e dalla sfortunata impresa di
Carlo Pisacane a Sapri nell’Italia meridionale (1857), aveva indotto molti democratici ad accettare la
prospettiva cavouriana di una soluzione monarchico-costituzionale del problema italiano. Alcuni di essi, tra
cui il veneziano Daniele Manin e il siciliano Giuseppe La Farina, fondarono a Torino nell’agosto 1857 la
Società nazionale italiana, che aveva come motto «Italia e Vittorio Emanuele» e che era segretamente
appoggiata dal governo piemontese. Ricondotti sotto l’egida moderata, i fautori della soluzione unitaria
facevano meno paura a quegli ambienti conservatori europei che non erano pregiudizialmente contrari
all’unificazione italiana, ma temevano un nuovo sconvolgimento dell’ordine europeo come si era verificato
nel 1848.
Il merito di Cavour fu quello di utilizzare al meglio tutte le forze in gioco, internazionali e interne, per
eliminare la presenza austriaca dalla Lombardia e dal Veneto e i regimi assoluti dei ducati padani. L’Italia a
cui inizialmente pensava era infatti l’Italia settentrionale, una Italia legata economicamente e politicamente
alle parti più sviluppate dell’Europa occidentale. Tuttavia egli seppe modificare e adeguare in modo
realistico i suoi scopi a mano a mano che la situazione si evolveva, riuscendo a realizzare in un breve
volgere di tempo l’unificazione di tutta la penisola. Per fare questo rovesciò il motto mazziniano «L’Italia
farà da sé» e comprese che solo con l’aiuto di una o più grandi potenze la questione italiana poteva essere
portata a soluzione.
6. L’unificazione tedesca
7. Il continente americano
8. L’età dell’imperialismo
9. L’Europa nell’epoca di Bismarck
10. L’Italia liberale
11. Verso la prima guerra mondiale
12. Lo scoppio della Grande guerra
13. Dalla rivoluzione russa alla fine della guerra
14. Le conseguenze della guerra
15. I ruggenti anni ‘20
16. Il dopoguerra italiano e l’avvento del fascismo
17. Dittature e democrazie negli anni ‘30
18. Verso la seconda guerra mondiale
19. La seconda guerra mondiale
20. Dalla guerra guerreggiata alla guerra fredda
21. L’Europa del dopoguerra
22. Dalla guerra fredda alla coesistenza
24. I grandi cambiamenti degli anni ‘60
25. I difficili anni ‘70
26. Il crollo dell’URSS e la fine del sistema bipolare