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Capitolo 4, Tucidide

Tucidide rappresenta un progresso nella storiografia freca e nella sua creazione di un proprio ambito
specifico, oltre ad un paradigma di metodo accurato per la ricerca storica. Per quanto abbia un certo
debito verso Erodoto, i loro metodi sono in netta contrapposizione: il primo è preciso, critico e
analistico, mentre il secondo è intimo, personale e narrativo, oltre alla differenza di tematiche
trattate, che T parla molto di tematiche politico-militari. Il suo metodo ispirerà numerosi storici,
come quelli di Momigliano definirà "filone alto" (ad es. Senofonte e Polibio), finendo però essere
spesso manipolato e alterato, ci sarà quindi necessario definire che Tucidide =/= norma tucididea.

Parte 1: La vita
Della sua vita sappiamo poco, solo da opere biografice posteriori, che raccoglievano vecchie
tradizioni poco affidabili e riferimenti autobiogragici, come l'Hypomnemata di Didimo o la
biografia scritta da Morcellinio.
Sappiamo che fu chiamato ad Anfipoli come strategos dal collega Eucle per fermare l'attacco del
generale spartano Brasida, arrivando però in ritardo a battaglia persa, limitandosi quindi a difendere
il porto di Eione, e non ci è nota la sua responsabilità nell'evento, ma è fondamentale per noi sapere
che era lì e in che ruolo. Così possiamo capire che aveva circa 30 anni ne 424, portandoci a stimare
realisticamente la sua nascita attorno al 460, quindi è della generazione successiva a quella di
Erodoto; ci racconta che suo padre si chiamava Oloro, ed era suocero di Milziade (il vincitore di
Maratona). Tradizioni più tarde faranno una ricostruzione della sua ascendenza non del tutto
infondata ma che hanno suscitato perplessità, secondo le quali avrebbe avuto legami con l'alta
aristocrazia ateniese, in particolare con due famiglie nemiche di Pericle, e più alla lontana alla
dinastia reale trace, cosa possibile visti i suoi possedimenti a Skapté Hyle tra cui una miniera d'oro,
e pare che sia per questo che fu assegnato a Taso (di fronte alla costa trace), e ci racconta anche di
aver contratto da la peste arrivata ad Atene nel 430/429, che descrive in maniera approfondita. Dopo
Anfipoli non sappiamo cosa successe, nel "secondo proemio", Tucidide ci dice che è stato esiliato
fino alla fine della guerra, secondo alcune versioni nel Peloponneso, secondo altre tra Tracia,
Macedonia e Italia. Finita la guerra si sa che morì in modo violento, non è chiaro se in patria
(secondo Polibio) o presso i suoi possedimenti in Tracia (secondo Pausania), per poi comunque
essere seppellito ad Atene. Luciano Canfora negherà la cosa, attribuendone la scrittura a Senofonte,
se fosse così crollerebbe tutto quello che sappiamo su ciò. Finiscono qui le informazioni attendibili
su di lui, il resto sono tradizioni poco credibili, non verificabili e piene di buchi, come un aneddoto
su un pianto di Tucidide dopo una lettura di un testo di erodoto. Alcuni elementi della sua vita sono
divenuti simboli, come l'esilio simbolo del suo distacco dai bias, che sarà si esempio agli altri
storici.

Parte 2: La formazione di uno storico


Nonostante il poco che sappiamo di lui, possiamo comunque evidenziare varie deduzioni. Da
aristocratico probabilmente ricevette un'ottima e moderna eduvazione, studiando retorica e sofismo,
dal quale comunque intellettualmente si distanzia; pare conobbe anche la medicina ippocratica, da
cui apprese tecniche e lessico, usandole per la ricerca storica ( analisi stinromatologica, diagnostica,
interpretazione della sfera del "non visibile"), e i parallelismi si notano, come la difficoltà nella
creazione di una nuova scienza e la frattura con le tradizioni precedenti (magia -> medicina;
tradizioni orali -> storiografia). Politicamente era un aristocratico conservatore, ma era
culturalmente molto aperto. Nell'opera si notano razionalismo, creazione di strumenti per le
indagini e migliori influenze dei suoi studi di medicina, sofistica, retorica e filosofia, alla base della
rivoluzione che porterà nell'ambito storico.
Nella sua elezione a strategos (424-423) vediamo anche una partecipazione alla vita pubblica e
militare, punto sul quale si concentrerà la sua opera, seguendo principi di empirìa, esperienza
diretta, a cui si rifanno coloro che verranno dopo di lui, come Polibio, ma in maniera esplicita. In
politica criticava la democrazia, ma agiva all'interno di essa, riconosceva la validità leadrship di
Pericle, non sentendo però contraddizione nell'approvare il programma oligarchico del 411. non
palra di intervaneto divino, non per ateismo ma perché individua la natura umana e le sue
conseguenze tra le cose da indagare, le cause che muovono gli umani a livello culturale, sociale e
psicologico, oltre ad abbandonare letture esplicitamente etico-moraleggianti, al contrario di suoi
successori (come Polibio). Quello di Tucidide è uno studio laico e razionale, privo di interventi
divini, solo faccende e elezioni di uomini che si comportano da tali, con i loro preci e difetti.

Parte 3: "Tucidide ha critto", le Storie e la questione tucididea


Nelle sue Storie, testo che lo rappresenta anche personalmente, parla della Guerra del Peloponneso
come un evento unico dal 431 alla disfatta di Atene nel 404, la narrazione è ordnata in maniera
diacronica, alternando estati e inverni, e in questi parla dei vari scenari geografici in cui succedono
gli eventi, nei quali l'azione si svolge progressivamente. Alla fine di ogni anno pone sempre la sua
firma. Siamo sicuri che volesse creare un'unica opera, come dice nel secondo proemio, ma questa si
interrompe nel 411, dopo la battaglia di Cizivo, probabilmente a causa della morte dell'autore delle
tradizioni (o forse proprio questa interruzione ha portato a dedurre una morte violenta). Nel vero
promeio, Tucidide afferma che si interessò alla guerra e ne scrisse sin da subito, quindi tra il 435 e il
430, dall'anno dello scontro tra Corinto e Corcira, sappiamo quindi che ha lavorato all'opera per
almeno 30 anni.
È difciso in 5 parti:
1) Archaiologìa, il pre guerra (vedi appunti)
2) Pentecontaetìa, il vicino pre guerra (vedi appunti)
3) La fragile pace tra 421 e 416 e il secondo proemio
4) Spedizione ateniese si Sicilia, archaiologìa siciliana
5) Vicende tra 412 e 411 fino al colpo di stato dei 400
A metà del 19° secolo, si è molto discusso sulla "questione tucididea" sikkevata dakki styduirìsi
Ullrich, che ipotizzava la scrittura in due fasi delle Storie, una prima e una dopo la pace di Nicia del
421. Ci sono numerosi segni di tale stratificazione, ma ne son stati trovati pochi e con non poca
fatica. In particolare in alcuni passi dei primi 4 libri (le prime due parti) ci sono parti che lasciano
intendere che la fine percepita sia alla pace di Nicia, mentre a in altri lascia intendere che Tucidide
sappia del vero esito, ma che potrebbero essere state riviste dopo il 404. A complicare la situazione
c'è l'ipotesi che Tucidide possa aver rilasciato l'opera in pezzi per leggerli ad un pubblico,
nonostante l'autore non approvasse tale pratica.
Insomma, sì l'opera è stratificata, ma i punti precisi in cui lo è, e che siano effettivamente dimostrati
son pochi. Questa ipotesi però non deve portare a pensare che la prospettiva storica dell'autore sia
mutata, in quanto di ciò non ci sono prove, ed è quindi impossivile disconoscere l'unitarietà del
progetto.

Parte 4: Ktama es aiéi, la scelta di Tucidide


La questione precedentemente citata ci porta a chiederci che effetto ha avuto la scelta del medium
sulla composizione e diffusione dell'opera di Tucidide, che ne palra nel capitolo 22.4, 1° libro,
denso di riferimento al metodo, dove afferma che sa sarà poco apprezzato ma che fornirà un'eterno
pezzo di conoscenza e con orgoglio reclama questa la differenza coi suoi predecessori. Tale
divisione, quindi, seleziona un preciso tipo di pubblico, interessato al cuore dell'opera e agli
insegnamenti che questa garantisce, focalizzandosi sule dinamiche di fondo, le cause, le
motivazioni e gli avvenimenti storico-politici, ma non tra utili per una supposta ciclicità, ma in
quanto insegnano a prevedere i conmportamenti umani, indagando sulle ragioni di questi. Per
realizzare ciò, scrive con uno stile denso e complesso, che spesso da per scontato che il lettore già
sappiam certe cose, fattore che aveva notato anche Dionigi di Alicarnasso, e che rendeva più
difficile la lettura, oltre a richiedere una profonda analisi peressere compreso.

Parte 5: La storia secondo Tucidide, la guerra del Peloponneso


Già nel proemio, Tucidide rivendica le sue intuizioni, affermando che sapeva sin da subito della
grandezza dell'evento, visto che i due contrandenti erano all'apice della potenza, e tutto il mondo
greco di stava schierando da una o dall'altra parte. Come i suoi predecessori, Tucidide parla di
guerra, ma a differenza di questi non divaga nel contorno di essa, con poche digressioni nevessarie a
spiegare il contesto srotico. Da grande importanza all'autopsia, quando deve ricorrere a
testimonianze vi ragiona e le confronta tra loro, senza prendere la prima versione ch gli era
disponibile. Le sue fonti principali sono i suoi occhi e quelli dei testimoni, comunque da mettere
sotto analisi rigorosa attuata con senso critico. Il come è per noi un mistero, in quanto i tentativi di
precisare le sue fonti sono risultati insoddisfacenti, ma nonostante ciò ci appare pià credibile di
Erodoto, in quanto ci consegna direttamente i suoi risultati. Le fonti usate saranno principalmente
orali, le eccezioni sono poche, di solito lettere, iscrizioni o altri documenti (come il trattato di pace
di Nicia), almeno quando parla della storia del conflitto, mentre nella archaiologìa queste
aumentano.
Quando Tucidide scrive, si è già reso conto della grandezza dell'evento a cui assiste, e afferma che
non è una semplcie guerra, ma la più grande di tutti, in base ad un criterio assiologico che definisce
le dimensioni di un evento, che apparentemente può sembrare ridicolo, ma visogna ricordare che
all'epoca era pratica comune tra la gente, anche nel selezionato pubblico di Tucidide, che decide di
utilizzare tale prtica, codificandola in 2 criteri:
– Dynamis, ovvero il grado di potere raggiunto dai partecipanti (in quato caso l'apice dei due
contendenti)
– Kinesis, ovvero il mutamento che l'evento porta (e nulla porta più mutamento di una guerra)
Il criterio quindi, maniene al centro le imprese, ma vi affianca delle considerazioni che permettono
una nuova lettura. Per rinofrzare la sua tesi (che questa guerra è la più grande delle Grecia),
Tucidide confronta questo evento con le guerre persiane, e il primo risulta è più grande a livello
territoriale, temporale e di conseguenze subite dai greci, e in questo contesto persino calamità
nautrali ed epidemie ottengono un loro rilievo quasi come altra forza partecipante al conflitto. Il
reacconto della guerra in sé comincia con un'analisi delle cause, che Tucidide divide tra apparenti
ed effettive, le prime sono la guerra tra corinto e Corcira per Epidamni o i fatti di Poteidea, che si
svolgono tra 435 e il 431, mentre la ragion effettiva sarebbe l'aumento del potere di Atene, che
avrebbe causato la paura di Sparte e la conseugente guerra. Ciò non è mai apertamente dichiarato e
la sua indivduazione porta a notare come i rapporti di potere siano determinanti in scontri che si
rivelano inevitabili (vedi anche ww1).
Tale analisi portò grande prestigio a Tucidide anche presso i moderni, ma senza salvarsi da critiche,
poste anche da voci autorevoli come Momigliano, che fanno notare come non sia il primo, anzi, il
suo predecessore Erodoto, che critica, ha già fatto un lavoro più completo in proposito nella sua
poera, chritiche che scova cercando una comprensione più ampia degli eventi.
Il tema guida di questa trattazione di cause è lo sviluppo: l'accumulo di risorse, il potenziale bellico
e l'influenza politica, tema su cui si base tutta quella parte di archeiologìa, un passato analizzato in
funzione al tema delle risorse relative allo sviluppo del contesto che ha portato alla guerra del
Peloponneso nel mondo arcaico, portando anche dalla talassocrazia minoia, tema che si realizza in
occupazione e dominio territoriale e sfruttamento delle risorse inizialmente , per poi diventare
progresso nell'ingengeria navale, nel dominio commerciale e così via, con una lettura che si
concentra cu ciò, senza disperdersi in un'ampia visione.
Lo sviluppo ateniese è tipico del 5° secolo, subito successivo alle guerre persianel, racchiuso da
Tucidide nelle Pentecontaetìa, con tutte le tappe che portano Atene ad assumere l'egemonia su
alleati inizialmente autonomi, poi un dominio sempre più despotico e talassocreatico verso gli
alleati con una politica estera decisamente aggressiva, tanto basata sul dominio die mari che le navi
diverrano emblema della città, seguendo un modo di fare da impero, che sarà alla base della della
classe dominante ateniese.
In particolare, Tucidide mostra questo comportamento raccontando del dialogo tra Ateniesi e Melii,
proprio questi ultimi si trovarono a dover discutere le loro ragioni con gli invasori, consapevoli che
le alternative sono piegarsi e divenire schiavi o battersi e morire, mentre i secondi sono consapevoli
che chiudere un occhio sarebbe segno di debolezza; in tale dialogo nemmeno viene messa in campo
la legittimità delle richieste ateniesi, lasciando come unica argomentazione "valida" la logica della
necessità di sicurezza dell'Attica. Trai motivi della guerra, Tucidide vede anche le emozioni umane
come la paura e l'invidia, soprattutto in momenti di difficoltà come dopo la morte di Pericle, visto
che conosce bene la suscettibilità del popolo ateniese, ed è proprio il leader a riscuotere enorme
ammirazione presso Atene, come leader capace e virtuoso, incarnazione della democrazia e che,
durante l'epitafio ai morti del 1° anno di guerra, ne sottolinea le conquiste, e la modernità. Questa
non è solo una guerra di dominio, ma è uno scontro tra sistemi diversi e stili di vita, almeno secondo
i greci. Oltre a Pericle ci sono molti altri protagonisti dalle molteplici personalità, come Cleone
(demagogo sguaiato e arrogante) e Nicia (prudente e saggio) sul fronte ateniese, Brasida (grande
generale) su quello spartano e persino una figura ambivalente come Alcibiade (che cerca la
realizzazione personale invece che la gloria per la propria città), assieme anche nella pentecontaetìa,
a reietti come il re Pausania e Temistocle, fuggiti durante le guerre persiane.

Parte 6: Strategie narrative, indagine storica e ricerca della verità


Negli ultimi 30 anni la figura di Tucidide è stata rivalutata, non più come "collega quasi
contemporaneo" ad essere più contestualizzato nel suo tempo, in quant otra noi e lui vi è una
incolmabile e non trascurabile distanza di tempo e metodo. La struttura delle storie è diacronica,
non lineare e si muove su tre principali elementi: fatti e discorsi, narrazioni e digressioni.
La 1° linea guida dell'organizzazione testuale è l'uso di discorsi ricostruiti dall'autore riportando
"ciò che gli sembrava che ciascunto ... arebbe dovuto dire ... , il più civino possibile al senso
generale delle parole". Ciò serve sia per caratterizzare e farci comprendere meglio i protagonisti
della storia e sottolineare l'importanza della parola nella vita e nella polticia greca; principalmente si
tratta di discorsi assembleari (discorsi di Brasia ai suoi uomini) ma anche epittidici (il già nominato
epitaffio letto da Pericle) o giudiziari (dibattito tra tebani e platesi per la presa di Platea).
A noi è noto quanto siano accurate queste trascrizioni e alcuni dettagli le fanno sembrare
ingluenzate da un'operazione di memtismo oratorio con una reazione da parte del contraddittorio
rissunta o assente, quando non è proprio assente il cotnraddittorio. Ciò nonostante tale pluralità di
discorsi permette di individuare anche diversi punti di vista.
Il secondo importante elemento da valutare sono quei momenti che Tucidide si prende per mollare
la narrazione e soffermarsi su alcuni eventi cruciali, che varrà come grande capacità stilistica e
mostrando una profonda conoscenza in cari argomenti, come la medicina quando parla della peste
ad Atene, o la stasis ci Corcira, prendendo spunto da un singolo evento per fare un discorso
completo sia tecnico che umano, e che riesce a divenire un insegnamento generale.
Ultimo essenziale elemento usato da Tucidide è la digressione, parti nelle quali parla del passato e
dello sviluppo del potere nella Grecia, o dalle storie dei singoli personaggi come Temistocle e
Pausania, in particolare queste sono narrate con uno stile simile a quello di Erodoto, parlando di un
periodo vicino a quello che questi tratta, assieme anche al periodo di colonizzazione della Sicilia.
Ciò però richiede una profonda indagine, essendo tradizioni locali poco attendibili, e può essere
solo di tipo indiziario e alla ricerca di tracce: dati gli archeologici di Sparta, Atene e Micene, le
tombe carie di Delo e i poemi della tradizione epica, che permettono di seguire una catena di
deduzioni che ci permettono, con fatica e incertezza, di avere un quadro generale. Tale indagine
riesce ad avere maggiore attendibilità delle tradizioni di poeti e logogtafi. Il passato non è
competenza di Tucidide, che quindi necessita di alterare i propri criteri per indagare, compito da cui
si solleva solo quandi si rifà a delle altre fonti scritte. Ciò però genera narrazione sì attendibile ma
incompleta, la migliore vertà disponibile, un mezzo che ci da poche ma certe informazioni.
Ciò che ci ha lasciato Tucidide è di enorme importanza, ha ridefinito il compito dello storico e
permette di cogliere come questi, dice von Fritz, "aveva davanti agli occhi ciò che tutti potevano
vedere, ma a differenza degli altri ci ha riflettutto sopra", dimostrando che la natura umana sia nella
gelida sopraffazione che nella irrazionale emozione.

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