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Laboratorio di Italiano – Prova d’esame – Primo appello invernale (27/01/2023)

Consegna: Riassumere il seguente testo producendo un elaborato di non oltre 200 parole.
Tempo a disposizione: 120 minuti

Tucidide e le fonti storiche


Adattato dal saggio di L. Canfora, Tucidide e il colpo di Stato, Il Mulino, 2021

È raro che uno storico si trovi immerso nel fuoco di una rivoluzione e ne esca vivo. Questa
esperienza, unica, è capitata all’ateniese Tucidide, nell’anno 411 a.C., mentre era impegnato
nella scrittura, in tempo reale, della interminabile guerra, incominciata vent’anni prima, che
condusse al tracollo l’impero ateniese. Tucidide si trovò nel fuoco della effimera e
sanguinosa rivoluzione oligarchico – radicale che mirava a stroncare lo strapotere popolare
e a chiudere la guerra abbracciando il nemico assunto come modello e come alleato. 1
Questo è l’episodio che mi spinse, oltre cinquant’anni fa, a dubitare della fable convenue,
pilastro della biografia tucididea tradizionalmente consolidata: cioè di quell’inspiegabile
esilio ventennale (423-403 a.C.) che, ove fosse vero, farebbe di Tucidide un finto testimone
oculare della più grave – e da lui minuziosamente narrata – crisi politica della sua città. È
chiaro invece che, solo nel bel mezzo della crisi e implicato in essa, Tucidide poté dar vita a
questo unicum della storiografia antica (e non solo): la rivoluzione raccontata dall’interno e
dall’osservatorio privilegiato delle più riservate posizioni di comando. […]
Dopo anni mi sono deciso ad affrontare e commentare analiticamente questo racconto,
questo “libro nel libro”, che racchiude le radici del pensiero politico del grande ateniese e
disvela il segreto della sua vicenda biografica.
Come abbia potuto Tucidide costruire un così ampio e analitico racconto che si sviluppa su
molti fronti anche molto distanti geograficamente in un tempo lunghissimo è problema che
già la ricerca storico – biografica antica si era posta. Lo stesso Tucidide ha avvertito la
necessità di un chiarimento in proposito. Perciò nel molto conosciuto, e certo prezioso
ancorché molto sintetico, capitolo del I libro in cui accenna al proprio modo di lavorare,
garantisce al lettore di aver fatto ricorso a numerosi testimoni diretti e di aver operato (non
sappiamo con quali criteri) una costante comparazione critica dei loro resoconti. Quando
dice di essersi trovato di fronte a versioni divergenti (e, par di capire, antitetiche) attribuisce

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La guerra del Peloponneso si svolse tra il 431 e il 404 a.C. tra Atene e Sparta, capo della Lega del Peloponneso.
Vide vari teatri di guerra (fra i quali anche la Sicilia) e il conflitto, ad Atene, tra i fautori della democrazia e quelli
del potere oligarchico.
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tale divergenza non solo alla labilità della “memoria” dei testimoni interrogati ma anche alla
“benevolenza” di costoro verso l’una o l’altra parte in lotta. E fa notare di aver proceduto a
tale lavoro di comparazione delle fonti orali per ciascun episodio del conflitto: perciò parla
di “testimoni oculari” che avevano assistito, o partecipato.
Da queste frasi la tradizione biografica antica confluita nell’opera di Marcellino (V sec. d.C.)
ha tratto alcune plausibili deduzioni. Eccole. «Tucidide aveva sposato una donna molto ricca,
originaria di Skaptè Hyle (località tracia), la quale possedeva miniere in Tracia. Entrato in
possesso di tale ricchezza, non la sprecò in lusso, ma, previsto l’imminente scoppio del
conflitto peloponnesiaco, decise di raccontarlo e molto denaro diede ai soldati ateniesi, ai
soldati spartani e a molti altri, affinché gli riferissero tempestivamente quanto accadeva e
quanto veniva detto nel corso della guerra».
Dopodiché Marcellino prosegue: «Ci si può chiedere perché abbia elargito somme anche agli
Spartani e agli altri, pur essendo possibile limitarsi agli Ateniesi e ottenere da loro le
informazioni. Noi rispondiamo che lo fece non senza motivo, giacché il suo obiettivo era
raccontare la verità».
Limitandosi ai soli Ateniesi – osserva – avrebbe rischiato di ottenere un’informazione
unilaterale o addirittura falsa.
È interessante, sebbene – ovviamente – fantasioso, che Marcellino immaginasse che le
informazioni venissero comprate da Tucidide. Ma forse ha in mente esperienze del tempo
suo. Ad ogni modo nelle parole di Tucidide, che abbiamo prima riferito non vi è alcun appiglio
in tal senso: Marcellino scrive quasi dieci secoli dopo il tempo di Tucidide, ma è probabile
che la sua ricostruzione si basi su dottrina biografica tardo alessandrina.
Non saranno congetture in tutto realistiche quelle cui Marcellino prestò fede, ma coglievano
un elemento di verità implicito in quelle frasi, avare e significative di Tucidide, che cioè egli
non dové limitarsi all’operazione ovvia di prendere contatto coi comandanti militari, (le élite
di cui egli stesso faceva parte) ma deve aver trovato il modo di raccogliere, o far raccogliere
informazioni anche presso la truppa. I soggetti interessanti, e interrogabili, erano molteplici:
per Atene il mondo oplitico, i prigionieri di guerra e poi personale militare spartano. A questo
genere di fonti orali fa pensare l’espressione di Tucidide quando si riferisce a coloro che lo
avevano informato sul contenuto dei discorsi pronunciati dai politici o dai comandanti
militari: «Quelli che mi riferivano dalle più diverse provenienze».

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Laboratorio di Italiano – Primo appello invernale (27/01/2023) – Revisione complessiva

Testo da riassumere: Tucidide e le fonti storiche – Adattato dal saggio di L. Canfora Tucidide e il colpo di
Stato, Il Mulino, 2021

Osservazioni di carattere generale:

• Un riassunto ben fatto deve essere un testo autonomo: deve contenere tutti i riferimenti al testo di
partenza (autore, data, titolo, sede di pubblicazione, ecc). Non deve contenere deittici o formule
come “il testo presentato”, “questo testo”, “questo articolo”, “il testo in oggetto”, ecc.
• Un riassunto ben fatto deve essere un testo originale: cucire insieme pezzetti di frase del testo di
partenza non significa fare un riassunto! è necessario riformulare con parole proprie.
• Un riassunto ben fatto deve contenere tutte le informazioni principali (altrimenti è incompleto) e
non deve contenere le informazioni superflue (altrimenti è dispersivo). Soprattutto: non deve
contenere dati o informazioni che non sono nel testo di partenza (come: opinioni personali, giudizi,
commenti, dati ulteriori, ecc).
• Un riassunto ben fatto deve essere breve: il mancato rispetto della consegna (nello specifico: il
limite di 200 parole) comporta una penalizzazione.

Principali difficoltà linguistiche incontrate con il testo specifico:

• Lessico fantasioso. Il testo in oggetto era adattato da un saggio: costituisce dunque un


adattamento (non un “adattato” né una “adattazione”). Degli eventi che riguardano la guerra sono
vicende belliche (e non “guerrili”). Avvenuta/Avvenuto sono forme verbali, e non sostantivi (posso
dire che un evento è avvenuto; ma non ha senso dire “durante l’avvenuta di qualcosa”); posso
raccontare qualcosa in modo veritiero (ma non “veritievolmente”); un evento lontano nel tempo è
lontano cronologicamente (e non “temporaneamente”, che significa “in maniera temporanea,
provvisoria”); colpevolizzare e incolpare/dare la colpa a non sono esattamente sinonimi; ecc. ecc. ->
Simili scivoloni si possono facilmente evitare ricorrendo al Dizionario.
• Improprietà lessicali e sintattiche. Posso trarre / offrire / fare delle deduzioni. Se spiego delle
deduzioni, sto spiegando le deduzioni altrui, o sto giustificando le mie. Un saggio tratta DI qualcosa:
“trattare riguardo a qcs” non si usa. Posso trarre una deduzione riguardo a qualcosa o riguardante
qualcosa (bruttino, ma corretto); al limite, una deduzione su qualcosa, in merito a qualcosa. Non
scrivo di “una deduzione riguardante COME Tizio ecc”. Le domande trovano/ottengono risposta:
dire che le domande “sono risposte” è un uso inappropriato della forma passiva. Essere fautore di
qualcosa significa auspicare fortemente qualcosa, essere un sostenitore convinto: non è un
sinonimo di “autore”.

Principali difficoltà incontrate con il testo specifico:

• “Il Mulino” è una casa editrice: non è una collana né una rivista, e non è il titolo di un’opera.
• Ci sono diverse date nel testo. Sono state spesso confuse. Per chiarirci: la guerra del Peloponneso si
è svolta tra il 431 e il 404 a.C. La rivoluzione ateniese si è svolta durante la guerra del Peloponneso,
e precisamente nel 411 a.C. Il presunto esilio di Tucidide sarebbe collocabile dal 423 al 403 a.C.
• Fable convenue ha mietuto diverse vittime... si tratta di un’espressione che significa una
“narrazione [solitamente non veritiera] accettata per convenzione”. NON è il titolo di un’opera! Il
significato dell’espressione poteva essere compreso guardando attentamente alla struttura della
frase:

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Questo è l’episodio che mi spinse, oltre cinquant’anni fa, a dubitare della fable convenue,
pilastro della biografia tucididea tradizionalmente consolidata: cioè di quell’inspiegabile
esilio ventennale ….

Anche senza conoscere il significato di fable convenue si può così ricostruire che ciò di cui Canfora
dubita è l’esilio ventennale di Tucidide. Riformulando: Canfora dubita di uno dei pilastri della
biografia di Tucidide, ovvero del fatto che sia stato in esilio dal 423 al 403 a.C. ERGO: secondo
Canfora Tucidide non era in esilio MA era ad Atene, e dunque si era trovato “nel fuoco della
rivoluzione”.

• Dall’incomprensione di cui sopra, sono discese le più fantasiose riletture del passaggio
“…quell’inspiegabile esilio ventennale (423-403 a.C.) che, ove fosse vero, farebbe di Tucidide un
finto testimone oculare della più grave – e da lui minuziosamente narrata – crisi politica della sua
città”. Canfora non sta dicendo che Tucidide è “colpevole di falsa testimonianza” (peraltro: non è
mica un processo!). La finalità del saggio di Canfora non è mettere in dubbio l’attendibilità della
narrazione di Tucidide o mostrare che Tucidide ha raccontato il falso. Canfora dubita dell’esilio
(“ove fosse vero”) perché secondo lui Tucidide è stato un testimone oculare della crisi della sua
città.
• Il “libro nel libro” che racchiude le radici del pensiero politico del grande ateniese e disvela il segreto
della sua vicenda biografica non è l’opera di Canfora, e non è una biografia di Tucidide (né
tantomeno una autobiografia). Il riferimento è alla parte dell’opera di Tucidide che riguarda la
rivolta di Atene. Questo segmento costituisce un “libro nel libro”. Esso disvela il “segreto della sua
[di Tucidide] vicenda biografica” perché Canfora, leggendo attentamente questa parte del racconto
storico tucidideo, giunge alla conclusione che Tucidide era presente, non era in esilio…
• La seconda parte del brano ha per oggetto il rapporto di Tucidide con le fonti.
o Nel libro I della sua opera Tucidide dà alcune indicazioni sul suo metodo. Nota bene: non le
fornisce a sua discolpa, né in risposta alle obiezioni di Marcellino, vissuto 10 secoli dopo…
o Viene riportata l’opinione di Marcellino, secondo il quale Tucidide avrebbe sposato una
donna ricca e utilizzato tali ricchezze per pagare i suoi informatori, sia ateniesi sia spartani.
Tucidide avrebbe poi confrontato le varie testimonianze raccolte per avvicinarsi il più
possibile alla verità. Nota bene: Marcellino e Canfora non pensano che Tucidide abbia
sperperato le ricchezze della moglie, né che se ne sia indebitamente appropriato (di nuovo:
perché questo lessico giudiziario?). Il senso del passaggio è che anche gli antichi, colpiti
dalla grande quantità di informazioni presenti, si sono chiesti come avesse fatto Tucidide a
raccogliere tali informazioni (ricordiamo che Marcellino credeva che Tucidide fosse in esilio,
e dunque secondo lui non aveva accesso a informazioni di prima mano…)
o Canfora dubita che Tucidide avesse comprato le informazioni (non trova in Tucidide
conferme a questa ipotesi). Dice però di essere convinto che lo storico ateniese abbia
raccolto fonti di varie provenienze: sia ateniesi che spartane (diverse “fazioni” e
provenienze geografiche, come credeva Marcellino), ma anche di vario genere (diverse
provenienze “sociali”). Infatti, avrebbe contattato non solo le élite di cui egli stesso faceva
parte (e che, sottointeso, poteva contattare direttamente perché era presente), ma anche
le truppe.
o Canfora reinterpreta dunque la frase di Tucidide: “Quelli che mi riferivano dalle diverse
provenienze” (frase di Tucidide) secondo lui fa riferimento alla varietà di fonti orali raccolte
(ateniesi e spartani, opliti, militari, prigionieri di guerra, ecc). Il sottointeso è che per secoli
questa frase di Tucidide è stata letta come l’affermazione di qualcuno che era lontano, e
riceveva da varie parti (lontane) le informazioni.

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