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GIANFRANCO CONTINI

BREVIARIO DI ECDOTICA
MILANO NAPOLI RICCARDO RICCIARDI EDITORE MCMLXXXVI
COPYRIGHT 1986 RICCARDO RICCIARDI EDITORE MILANO NAPOLI
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Indice generale
AVVERTENZA
FILOLOGIA
1. La filologia nella storia della cultura
2. Critica testuale
POSTILLA 1985
LA VITA FRANCESE DI SANTALESSIO E L'ARTE DI PUBBLICARE I TESTI ANTICHI
SCAVI ALESSIANI
LA CRITICA TESTUALE COME STUDIO DI STRUTTURE
RAPPORTI FRA LA FILOLOGIA (COME CRITICA TESTUALE) E LA LINGUISTICA ROMANZA
ESPERIENZE D'UN ANTOLOGISTA DEL DUECENTO POETICO ITALIANO
APPENDICE
LA GRAMMATICA DELLA POESIA

AVVERTENZA
Un 'eternit di tempo fa don Giuseppe De Luca (non avevo ancor mai incontrato n lui n Mattioli,
questi due motori della cultura del secolo) mi fece chiedere se poteva stampare i miei scritti tecnici. Gli
risposi di s, a condizione di intitolarli Frammenti di Filologia romanza. Don Giuseppe s'infuri di un
dettato cos, come a lui pareva, depresso; e la partita fu chiusa. Anni dopo (l'oggetto intanto cresceva di
mole) Raffaele Mattioli mi rivolse la stessa domanda, e accolse la stessa risposta con divertimento e
consenso. Si trattava per parte mia d'una promessa condizionata, tutte le molte volte che se ne parlava: se
avessi un giorno riunito quelle pagine, non avrebbero avuto altro editore che lui. In realt credo che mi
dispiacesse rileggermi; e dicevo di preferire che il tempo necessario fosse adibito a produrre qualcosa di
nuovo. Pu darsi che, persistendo la promessa presso quella che tuttora la casa di Mattioli, tutto si
riduca ad aver prodotto quello che a me sguita a parere un bel titolo. Ma negli ultimi tempi in altri e in
me si venuta coagulando l'idea di riunire quegli scritti che, magari iterando le stesse notizie traguardate
da punti di vista tenuemente rotanti, meritassero l'epigrafe leggermente parodica di Breviario di Ecdotica.
Bench il tutto della carriera d'un filologo sia intriso di critica testuale, si pensa a quella porzione dei suoi
manufatti che pi si avvicini a un'esposizione di metodo generale, si tratti di critica delle lezioni in senso
stretto o di critica delle forme nella parte che pi l'integra o finalmente d'una loro giustificazione anche
pi larga.
I testi, nonostante la presenza desultoria di parcissime postille, non sono stati 'aggiornati': ci

mancherebbe altro che si dovesse rifare la propria vita (semmai, precisamente, uno attenderebbe a
produrre altro e nuovo). L'unico saggio adatto a questo vicinato, Filologia ed esegesi dantesca, stato
omesso come gi incluso nella miscellanea Varianti ed altra linguistica. Viceversa l'ultimo paragrafo di
Filologia stato integrato mediante un saggio costituito in appendice.
Alla varia abnegazione di due amici, Gianni Antonini e Giancarlo Breschi, i lettori debbono
ordinatamente l'armonia della presentazione e il sussidio di minuti indici.

FILOLOGIA
1. La filologia nella storia della cultura
Chi nella prima infanzia ha letto Pinocchio, amandolo e imprimendoselo nella memoria, stupir, se gli
accada di rileggerlo, di non essersi accorto, allora, che era scritto, o poco meno, in vernacolo toscano. Chi
un po' pi tardi si inizier a Dante, tolte le aree pentacolari riservate all'oscurit, da lambire e oltrepassare
in convenzionale reverenza, comprende senza ostacolo, ed destinato a rendersi conto in tempo pi
maturo come gli fosse sfuggito, pi ancora che il deposito d'una memoria sapientissima, il fatto
elementare (che naturalmente non capiterebbe ai suoi coetanei lettori della Chanson de Roland o del
Nibelun-genlied) che la Commedia scritta in italiano antico. Coi Promessi Sposi pu anche avvenire che
non si percepisca nessuna differenzialit; e la differenzialit non affatto detto che riesca gradevole,
come una lente d'ingrandimento svela pi verit, ma d degli oggetti un'immagine inconsueta e intercala
loro innanzi un corpo estraneo. La filologia dunque, anche a un modesto grado di cultura, almeno nelle
civilt che hanno fruito d'una buona attrezzatura grammaticale, un evento quotidiano, se pur scalare; la
filologia in senso tecnico diversamente distribuita nei momenti culturali e gode di un prestigio variabile.
Bench si sia sempre fatto filologia, nel periodo romantico (e soprattutto nella nazione romantica per
eccellenza, la Germania) essa tocc una tale intensit e raffinatezza, sia approfondendo gli scavi preceduti
da millenni di studi, e cio nell'ambito classico, sia allargando verso ogni direzione possibile il campo di
applicazione (inclusa la costituzione delle filologie nazionali), che parve nata allora, ci che per certi
metodi era la verit. La sua valutazione seguit a essere alta, e magari fiduciaria, in i-poca positivistica,
meno come interpretazione che come dilatazione di accertamenti, erudizione fine a se stessa,
soddisfacimento della libido sciendi; ma interviene una limitazione molto cicoria di nota, di cui non
miglior documento che in una proposizione di August Schleicher, il paleontologo della glottologia. Da un
suo libro (Die Deutsche Sprache, 1859) il Timpanaro ha specillato le seguenti definizioni: Die
Philologie ist eine historische Disziplin [...]. Die Sprachwissenschaft dagegen ist keine historische,
sondern eine naturhistorische Disziplin (Sebastiano Timpanaro, La genesi del metodo del Lachmann,
Firenze 1963, p. 76, nota 1). La filologia (e va bene che qui il tedesco Philologie avr la sua generica
accezione universitaria di complesso di studi sulla letteratura) non pu quindi aspirare all'assetto
legislativo, rispecchiatore di necessit, che pertiene (o si riteneva per tenere) alle scienze della natura, fra
le quali lo Schleicher e i neogrammatici suoi prosecutori annoveravano la linguistica.
Dai movimenti correttori o eversivi del positivismo non poteva ovviamente uscire che una
considerazione meramente funzionale e ancillare della filologia. Ci forse vero dell'intuizionismo, vista
la connessione epistemologica che si credette di scorgere fra le innovazioni del Bdier e la dottrina
bergsoniana, mentre notoriamente il Bdier in persona confessava di essersi postumamente ritrovato in
talune pagine del Bergson, da lui letto assai tardi. Malcerto vero dell'idealismo crociano^ome si pu
vedere nel Croce stesso editore perlomeno non superstizioso (cos del De Sanctis) e promotore d'una
illustre collezione di classici dalla quale procur di tener lontana pi che gli fosse possibile ogni accusata
filologicit di presentazione. Ma istruttivo come, in un famoso scritto (Per un catalogo, in un Quaderno
della Voce, 1910), pi insigne per sensibilit che per logos, un neoumanista, per cos dire, quale il
Serra giudicasse del programma crociano appunto degli Scrittori d'Italia: vi trovava incluso il
rinnovamento degli studi positivi (aspetto per cui l'antipositivista Croce pot giustamente sembrare il pi

grande dei positivisti) e arrivava a temere edizioni critiche con la nuova lettura di un e in un
manoscritto, dove accettava della Bibliotheca Teubneriana, poich il litigio verteva sul canone dei
classici, l'ideale - che del resto una parte della stessa antichit - della migliore lezione. Di l a poco un
umanesimo nazionalistico da dozzina poteva coinvolgere nella germanofobia (dovette combatterlo anche
un grecista del calibro del Vitelli) il rigore della filologia classica elaborata nelle scuole tedesche. Ma per
ci che riguarda il Croce bisogna confrontare l'irruzione filologica avvenuta dopo In sua mrte nella sua
stessa
collezione, come del resto, gradualmente, nelle sillogi compagne, e non solamente in Italia. Ci era
conforme a un abito mentale che si pu qualificare di nuovo positivismo e che in Italia, dove avevano
contribuito a fare il 'ponte' con l'antico personalit come quelle del Pasquali e del Barbi, si configur, qui
al pari che nella critica strido sensu, in forma piuttosto post- che anticrociana. La moda filologica tuttora
vigente, particolarmente appunto in Italia, obbedisce a un impulso forse gi pi di ieri che dell'oggi, come
parrebbe mostrare certo filologismo parodistico che attesta il trapasso della maturit. In una mappa ideale
una nuova limitazione alla filologia parrebbe infatti sorgere dallo strutturalismo in quanto studio di
sincronie pure, mentre, come historische Disziplin, la filologia si collocherebbe, a primo sguardo, nella
diacronia. Particolarmente nel _ linguaggio della scuola parigina, una ricerca 'puramente filologica' si
oppone a una ricerca condotta a norma di linguistica generale e dunque secondo parametri interni alla
lingua (cos per la definizione, ovviamente oppositiva, di una funzione o di un lessema). Tuttavia la punta
della linguistica, per dire solo della linguistica, strutturalistica travalica l'opposizione di linguistica
sincronica e linguistica diacronica in indagini come quelle che il Jakobson, con brillantissima
contradictio in adiecto, chiama di fonologia diacronica, e di cui si trovano suggestive realizzazioni in
vari autori (Kurylowicz, Haudricourt, Juilland ecc.), ma che in fondo era stata anticipata in fase
presaussuriana da storie della lingua alternate come fin dal Jespersen.
La filologia come disciplina storica si rivela sempre pi acutamente involta, non si dir nell'aporia, ma
nella contraddizione costitutiva di ogni disciplina storica. Per un lato essa ricostruzione o costruzione di
un 'passato' e sancisce, anzi introduce, una distanza fra l'osservatore e l'oggetto; per altro verso, conforme
alla sentenza crociana che ogni storia sia storia contemporanea, essa ripropone o propone la 'presenza'
dell'oggetto. La filologia moderna vive, non di necessit inconsciamente, questo problematismo
esistenziale.
2. Critica testuale
La filologia culmina nella critica testuale, che perci qui si procura di compendiare in forma aforistica.
La denominazione universalmente ammessa quella che traduce il tedesco Textkritik: obsoleto
critique verbale, da cui s'intitola un manuale un tempo molto frequentato dell'Havet; assai comodo
sarebbe 'ecdotica' (ecdotique), invenzione di dom Henri Quentin, da tenere in pronto quale sinonimo di
preziosa sinteticit e aspetto specialistico; con intenzione deprezzati va (dal Pagliaro) stato usato
'stemmatica' (del Maas), per di pi riferibile a un solo aspetto particolare, per quanto importante. Di che
momento essa sia il prodotto, cio del romanticismo anzitutto, come di norma, germanico, solitamente
condensato nel nome di Karl Lachmann, constatazione che parrebbe da revocare in dubbio da quando,
particolarmente per opera del Pasquali e con singolare acribia di Sebastiano Timpanaro, i principi ne sono
stati meglio indagati e in parte retrodatati. Si potrebbe allora essere tentati di sospettare che, come
filologia si fatta sempre, cos filologia testuale esista 'da sempre'. E in realt le grandi epoche filologiche
sono caratterizzate da intensa attivit editoriale, si tratti dell'et alessandrina, che elabor la vulgata dei
classici greci, o della Rinascenza, anzi delle varie Rinascenze gemmate per metafora da quella
propriamente detta nel linguaggio dei medievalisti (carolingia, del secolo XII ecc.), alle quali si devono
vari assetti vulgati dei classici latini, o del momento istituzionale della Riforma e della Controriforma,
attuato nella philologia sacra (anche cattolica, per la Vulgata Sisto-Clementina) e nei corpora
dell'antiquaria ecclesiastica (incluso il Muratori). C' anzi oggi chi ravvisa nell'ecdotica il principale
acquisto mentale dell'umanesimo, col Valla e col Poliziano, anzi gi col Petrarca, la cui opera di editore
stata ricomposta dal Billanovich. Ma giusto ricondurre la fondazione della critica testuale all'ambiente
dove fu formulato l'assunto d'una sua consistenza scientifica, anche se si sa ormai che tale fondazione fu

pi graduale e meno puntuale della sua rappresentazione corrente. Che essa sia romantica importa che,
attua ta inizialmente in filologia classica, cio dove si disponeva di un canone millenario di testi recepii la
cui lezione era da veri fi care, era per atta a una filologia condenda sulla grande e insomma inedita
distesa appunto romantica del Medioevo e anzitutto del volgare (che press'a poco coincidevano,
chiudendosi il Medioevo con l'invenzione della stampa, la quale poneva o sembrava porre altri problemi).
Simbolo della situazione, appunto, il Lachmann, estensore lui stesso del metodo alla filologia germanica;
mentre di l a poco colpisce l'equidistanza del pur meno rigoroso lachmanniano Karl Bartsch dalla
filologia germanica e dalla romanza (sua , prima del lachmannismo dei Gustav Grber e dei Gaston
Paris, la prima edizione 'scientifica' di un trovatore, Peire Vidal). Sui principi di quello che fu chiamato
lachmannismo, antonomasticamente e magari pi che altro emblematicamente, seguitata a svolgersi nel
secolo e mezzo successivo quell'opera di raffinamento, reazione e revisione per cui si pu anche parlare di
antilachmannismo (principalmente Joseph Bdier e dom Quentin), postlachmannismo (cos Giorgio
Pasquali e in certo modo Michele Barbi) e, perch no?, neolachmannismo (parte della romanistica
italiana).
Questa rimeditazione andata abbastanza avanti perch, abbandonando la semplice esposizione storica
o l'insegnamento precettistico della dottrina, si tenti di formulare quelle esperienze in enunciati il pi
possibile razionalizzati e organicamente seriati, in cui trovino il loro luogo anche gli agganci a rami di
filologia in prima istanza non testuale grazie a una generalizzazione che corrisponde alla riduzione, al
limite, della filologia alla critica testuale.
Unicit e plurivocit del testo. - La prima cautela da adottare consiste nel determinare se il testo che si
tratta di riprodurre o ricostruire sia uno o pi. Geometria e fisica muovono da definizioni intuitive e da
convenzioni semplificanti (corpo senza dimensioni e senza massa, ecc.): qui conviene assumere solo a
ragion veduta la puntualit dei testi e degli antigrafi nei vari slati. Non lecito mescolare redazioni
distinte: pericolo da cui vuol preservare la dottrina bdieriana del manoscritto unico da seguire, la quale,
con tutte le riserve che suscita, pure un tentativo di salvaguardia contro le edizioni composite. Quando
la recensione della tradizione manoscritta mette in luce solo opposizioni di varianti adiafore, sono da
riconoscere pi redazioni (di autore o no), che devono formare oggetto di altrettante edizioni (come fece
precisamente Bdier aggiungendo nel 1928 un'edizione del Lai de l'Ombre di Jean Renart secondo il
codice E alla propria del 1913 secondo A e all'antica del Jubinal secondo F). Che tali edizioni siano
separate e integre o risultino da apparati, a rigore distinti, irrilevante, poich fin d'ora si pu ripetere
delle forme di edizione il famoso detto del Croce sulle forme di critica, che ognuna buona quando
buona.
Corollari editoriali. - Se la recensione di una tradizione svela opposizioni non solo di varianti adiafore
ma di veri e propri errori, s'intende di tipo monogenetico, l'edizione dovr essere depurata di tali errori
(sanati se si pu, altrimenti contrassegnati dalla crux interpretum), mentre la scelta delle lezioni
indifferenti prudenzialmente dovr portare sempre, organicamente, verso la medesima fonte. In tale
evenienza meno urgente provvedere, restando ovviamente completo l'apparato, a separate edizioni,
poich si tratta di rifacimenti operati su un archetipo gi corrotto. Che su questa copia abbia potuto
lavorare l'autore stesso, e che di conseguenza l'abbia promossa a equivalente dell'originale, non si pu
naturalmente escludere, ma la probabilit di autorevolezza fortemente diminuita. Un caso paradigmatico
costituito dal Libro de Buen Amor di Juan Ruiz, di cui si sono ravvisate, e forse si ravvisano ancora
pacificamente, due redazioni con date distinte, finch l'edizione di Giorgio Chiarini (1964) non ha provato
l'esistenza d'un archetipo sul fondamento di errori comuni e ha reso quindi perlomeno discutibile la
presenza di redazioni d'autore.
Opere postume incompiute. - La maggior difficolt editoriale oggettiva proposta da opere postume
incompiute, che presentano frammenti e redazioni sostitutive o alternative, magari accompagnate da
abbozzi di sommari non esaurienti o contraddittori. Gli antenati dei capolavori postumi sono il De rerum
natura e l'Eneide, a cui peraltro sembra esser mancata solo l'ultima mano, come rivelano forse per
Lucrezio le numerose opportunit, avanzate dalla critica moderna, di spostamento di versi, per Virgilio i
da lui chiamati 'puntelli' (tibicines); difficile comunque ritrovare la tecnica, probabilmente ispirata a
pietas, di Cicerone o di Tucca e Vario editori. Sogliono invece essere oggetti di vituperio, o al minimo di
serie riserve, i primi editori di capidopera moderni come le Grazie foscoliane, il libro linguistico

manzoniano, i frammenti di Holderlin o, pi vicino a noi, certi inediti di Proust (Jean Santeuil, Contre
Sainte-Beuve), i romanzi di Kafka, la gran summa narrativa di Musil. Certo si pu fare, e spesso
fortunatamente si fatto, di meglio; ma istruttivo, per tornare sul primo caso soltanto, che il saggio del
Barbi (1934) non sia stato a tutt'oggi seguito da un'adeguata edizione delle Grazie. Sono problemi singoli,
ognuno con i suoi particolari di struttura e di cronologia relativa, e passibili d altrettante, non si dice
soluzioni, ma serie di soluzioni proporzionate a diverse teleologie. Le edizioni condannate sono mosse
meno di quanto si affetti di credere da vili motivi, o d'insufficienza tecnica o peggio di speculazione
commerciale: bench nemmeno a questa si dovrebbe negare ogni gratitudine, se fu il solo meccanismo
atto a procurarci almeno una qualche conoscenza, sia pure imperfetta, di opere di tal livello. Per fare un
esempio non bruciante, e del resto non incompiuto, possibile che le Confessioni del Nievo, trattate con
le forbici e alterate perfino nel titolo, solo a patto di queste manipolazioni siano state conosciute prima.
Ma la preoccupazione di leggibilit, qui attuata cos rozzamente, si pu estrapolare in ben altra accezione:
lo zelo, animato da devozione (quale non si potrebbe certo negare a Max Brod per Kafka o ad Adolf Fris
per Musil), di un'opera che sia un'opera, intorno alla quale poter girare. Un'edizione assolutamente
scientifica, quale ovviamente augurabile, non per sempre necessariamente in prima istanza, paga un
pedaggio di 'illeggibilit'. Leggibilit e illeggibilit, quasi in una sorta di principio d'indeterminazione,
corrispondono a funzioni diverse della fruizione letteraria. comprensibile che chi si preoccupa della
'vita' di una scrittura, fino al punto di supplirvi, per incongrua generosit, con estratti dalla sua propria,
respinga nel gelo del museo o nella polvere dell'archivio ci che in qualche caso rischia di essere una
caricatura della filologia.
Il testo nel tempo. - I freni pragmatici che possono intervenire innanzi a un testo non perfettamente
eseguito, debbono cedere al rigore innanzi a un testo eseguito, di esistenza incontestabile, e gi
conosciuto in un modo che semmai solo retrospettivamente si potr qualificare di provvisorio. La
filologia, quando ne ha i mezzi, riapre questo testo chiuso e statico, lo fa aperto e dinamico, lo ripropone
nel tempo. La riapertura si opera in direzioni opposte, dopo e prima del testo. La determinazione di quella
che si prende per norma, cio la redazione ultima, non priva di difficolt. Per rendersi conto di questa
frequente aporia baster rifarsi all'esperienza autobiografica di qualsiasi produttore di letteratura. Un
medesimo manoscritto, o pi verosimilmente dattiloscritto, venga usufruito in pi occasioni similari,
anche abbastanza ravvicinate, e la lezione sottoposta a lievi correzioni migliorative ogni volta in bozze
senza che ne sia tenuto registro: correzioni, in pratica, dimenticate. Se di tali pagine l'interessato vorr
finalmente dare un testo definitivo, posto che pure si conceda per finire quello scrupolo che meglio si
eroga altrui, si pu tenere per certo che, poich l'acuzie cor-rettoria discontinua, egli sceglier,
indipendentemente dal livello, le variazioni pi approfondenti, senza inibirsene di nuove oltre questa
mobile cresta. Un editore 'terzo' non potr certo seguire una tale procedura, ma, quando il miglioramento
non sia documentariamente univoco, meglio lo rifuger tutto in apparato, distinguendo le sedi (anche se
riuscisse a individuare l'esemplare letteralmente licenziato alla data pi bassa). Qualcosa di simile avviene
quando qualche implacabile correttore di se stesso lascia suggerimenti su pi copie di una sua stampa,
oppure, anche se su una copia sola, ne lascia alcuni di stabili, altri di eventuali come quelli dai
medievali contrassegnati mediante al(iter) -, altri di alternativi pur non sussistendo dubbi sulla condanna
dell'elemento da surrogare. Solo la porzione certa potr essere ospitata a testo, pur dovendosi annotare
(meglio se sinotticamente) ogni altra proposta pi instabile, e specialmente le certezze negative che
meriterebbero, se proprio la modalit della pubblicazione (che offra o simuli una resa compatta) non la
renda esosa, un'apposita connotazione tipografica (altro carattere o corpo). S'intende che a fini editoriali
risulta irrilevante un eventuale giudizio di involuzione correttoria (quale certo riesce di formulare per lo
stesso Baudelaire, per non dire dei contemporanei che ci lasciano spaesati modificando ci che era gi
patrimonio della nostra memoria), non potendo interferire criteri assiologici in un mbito oggettivamente
formale.
Resa dell'elaborazione testuale. - La direzione opposta, e pi vulgata, in cui si offre lo studio del testonel-tempo, quella della sua elaborazione. Il perno attorno al quale il punto di vista sembra ribaltarsi il
testo come dato immobile. Questo postulato, implicito nell'ovvia lettura, contraddetto meno
dall'altrettanto ovvia pedagogia del testo come prodotto d'una 'lunga pazienza' che dalla rappresentazione,
inerente alla riflessione di Mallarm e soprattutto di Valry, del testo come prodotto d'un'infinitudine
elaborativa di cui quello fissato soltanto una sezione, al limite uno spaccato casuale. ben probabile che
lo stimolo pedagogico sia stato il pi attivo nel promuovere la confezione di edizioni con varianti. La

tramutazione del romanzo manzoniano in ideale metastorico di scrittura, anche dal pi stretto punto di
vista formale-grammaticale, spiega la larghissima diffusione nelle scuole d'un'edizione (quella di
Riccardo Folli, pi tardi con una 'chiave' di Gilberto Boraschi) in cui i Promessi Sposi del 1840-1842
vengono raccostati alla falsariga del 1825-1827 mediante artifici tipografici il cui nucleo permane
nell'impaginazione filologica del Caretti; fin dal 1842, del resto, un concittadino del Manzoni si affrettava
a impostare la questione (G. B. De Capitani d'Arzago, Voci e maniere di dire pi spesso mutate...). Ma
che la grandezza d'un poeta sia anche, orazianamente, nell'accanimento del suo lavoro, uno spontaneo
orientamento che porta il filologo, neutramente rispetto ai vantaggi didattici, a rappresentare fisicamente
la genesi testuale d'un capolavoro. Quale musa, altro che tecnica, posto solo il giusto eccesso di
ammirazione per l'oggetto poetico, poteva ispirare le sottigliezze tipografiche del Moroncini nel rendere
l'elaborazione dei Canti e di altre opere leopardiane, la squisita ingegnosit del Debenedetti nel rendere
quella dei frammenti autografi del Furioso? significativo che la prima di simili operazioni filologiche
abbia avuto per oggetto uno dei paradigmi della poesia: gli abbozzi autografi delle rime petrarchesche per
cura di Federico Ubaldini (1642), due secoli e mezzo prima che vi si dedicasse un campione della
filologia positivistica, Cari Appel. La coscienza del lavoro poetico inerente al momento del simbolismo,
coscienza insieme di ogget-tualit e di attivit, ha aumentato di responsabilit la posizione del critico
anche innanzi a parecchi dei testi citati: la 'critica delle varianti' conferma per via sperimentale,
aumentandone la certezza e arricchendole di particolari altrimenti non o meno pei et libili, le
interpretazioni ottenute o da ottenersi per via intuitiva, interpretazioni che non sono necessariamente di
segno positivo; nei processi che essa descrive occorre distinguere i passaggi dal 'non essere' all'essere
poetico, i compensi a distanza nell'area testuale e le vere e proprie sostituzioni (quali nei due, se non tre,
Manzoni) di personalit espressive ugualmente valide. Una generalizzazione non pu procedere oltre
questa sommaria fenomenologia, ma torna opportuno rilevare un prolungamento che la critica delle
varianti ha potuto avere sul comportamento dell'autore. Di uno dei migliori contemporanei, Giuseppe
Ungaretti, un critico attento alle varianti, Giuseppe De Robertis, pubblic (1945) una raccolta delle
Poesie disperse con l'apparato critico delle varianti di tutte le poesie e un suo proprio studio. Da questa
pubblicazione il poeta dovette trarre incoraggiamento a lasciar stampare due suoi libri successivi, La
terra promessa (sottointitolata, vero, Frammenti) e Un grido e paesaggi, ugualmente con apparati e
studi a cura di amici, e pochi mesi prima della sua morte, vera edizione postuma in vita, il volume di
Tutte le poesie (Vita d'un uomo) con lo stesso allestimento critico. Questa restituzione fisica del testo alla
sua condizione di caleidoscopica variabilit (ben altra cosa da semplici variazioni sullo stesso tema)
rappresenta un caso-limite, probabilmente da non riprodursi, che giusto sia legato all'ultimo, per quanto
pare, dei poeti simbolisti. Un incoraggiamento alla considerazione poetica di questo materiale, non di
rado assai pi che semplicemente intermedio e preparatorio, viene dalle arti figurative, che negli ultimi
decenni hanno aggiunto alle da sempre stimate serie di disegni o schizzi per un'opera l'esposizione delle
sinopie accanto agli affreschi strappati, fonte (come al Camposanto di Pisa) di nuove sicure emozioni.
Varianti d'autore ('excursus' bibliografico). - Nessuna cultura dispone di una raccolta manualistica di
correzioni d'autore fatta a uso scolastico come la francese, col ristampatissimo trattatalo di Antoine
Albalat (1856-1935) Le travail du style en-seign par les corrections manuscrites des grands crivains (la
cui ia edizione del 1903). Gli esempi, spesso stupendi, vorrebbero mostrare come si impara a scrivere (o
anche a non scrivere, ci che vale per Fnelon e Stendhal), ma per eterogenesi dei fini l'utilit sopravvive.
Il commento di quell'ambiente al materiale radunato (particolarmente abbondante, spesso appassionante,
quello relativo ai grandi ottocentisti, segnatamente Chateaubriand e anche Hugo) di regola aneddotico,
generico e comunque didattico, anche sotto pregiate penne: Paul Hazard, trattando degli Abencrages,
parla (in Journal des Savants, nuova serie, xxiii, 1935, p. 214) dei secrets de l'art d'crire, Henri
Guillemin, a proposito d'un poemetto di Lamartine, scrive (in Trivium, 1 [1943], Heft 4, p. 69) che
peu importe le travail du style. Il ne s'agit plus de cela. Solo l'esperienza idealistica poteva avviare a un
uso critico di quei reperti, come accadde infatti nell'Universit tedesca: per Hugo ad esempio pregevole
la sistematicit di Hfanns] Heiss (sulle Odes et ballades, in Zeitschrift fiir franzsische Sprache und
Literatur, xl, 1912-1913, pp. 1-48). A una teorizzazione giunge addirittura Arthur Franz (Aus Victor
Hugos Werkstatt. Auswertung der Manuskripte der Sammlung Les Contemplations, in Giessener
Beitrge zur romanischen Philologie, Zusatzhefte v, 1929, e ix, 1934; singoli componimenti sono
studiati anche in Germanisch-Romanische Monatsschrift, xiii, 1925, pp. 471-86, e in Archiv fiir das
Studium der neueren Sprachen und Literaturen, clv, 1929, pp. 211-28, e clvi, 1929, pp. 53-65). Il Franz
oppone una tipologia dinamica delle varianti alla considerazione ristrettamente stilistica e apologetica dei

colleghi francesi (si oppone infatti a ogni valutazione: Ho evitato al possibile giudizi di valore. Dagli
eruditi la poesia non dev'essere lodata o biasimata, bens riconosciuta). L'analisi genetica non procede da
un preesistente contenuto alla forma, ma al contrario: l'evoluzione della poesia condizionata dal tipo di
formulazione poetico-linguistica. Lo studio dell'elaborazione testuale pu fondarsi o sulla comparazione
con elementi esterni o su un'analisi interna, e perci considerare il testo o come funzione (biografica) o
come potenza. Lo studio filologico e documentario delle varianti tratterebbe le redazioni primitive come
potenza e l'ultima come funzione. Questa morfologia positivistica non oltrepassa dunque la soglia
dell'interpretazione, varcata per esempio dal Heiss. Ci vuole qualcosa pi della sistemazione del Franz
perch nello studio delle varianti si trovi superato, come asserisce Kurt Wais nella sua bella raccoltina di
Doppelfassungen franzosischer Lyrik von Marot bis Valry
(Halle 1936), il conflitto di filologia idealistica e di filologia positivistica. Anche il Wais oppone, sia
pur discretamente, a un metodo francese di perfezione stilistica puntuale un altro metodo, per il quale cita
a modelli, oltre il Franz, Julius Petersen (sul Mondlied di Goethe) e Irene Zimmermann (sulla DrosteHulshoff), e inoltre, per quanto attiene alle doppie redazioni, Emil Ermatinger (sul Meister goethiano e
sulle Hymnen an die Nacht di Novalis). significativo che una recente silloge di scritti su Texte und
Varianten sia stata elaborata in mbito germanico (v. Martens e Zeller, 1971).
L'edizione nel tempo. - Posta l'esistenza di un autografo o altro documento autorizzato, anche la sua
riproduzione critica. Ogni edizione interpretativa: non esiste un'edizione-tipo, poich l'edizione pure
nel tempo, aprendosi nel pragma e facendo sottostare le sue decisioni a una teleologia variabile.
All'ambizione di un testo-nel-tempo corrisponde altres l'elasticit d'un'edizione-nel-tempo. La
raffinatezza dei mezzi meccanici si pu ormai caricare di ogni responsabilit nell'ottenimento di un
equivalente del documento, liberando il valore totalmente mentale della riproduzione critica.
Rettifica degli autografi. - Se perfino la dottrina del manoscritto unico (Bdier) suggerisce la correzione
degli errori detti 'evidenti', nemmeno gli autografi si sottraggono a questa necessit. Ci che ambiguo
solo la definizione di 'evidenza', che, come sempre che la si invochi, non pu rispondere a un reale
consensus omnium ed smentita dalla sua plurivoca applicazione, e che pertanto si traduce nella
conformit a un ragionamento di economia. Per esempio: se l'edizione del Teseida si conduce secondo
l'autografo, non detto che se ne debba accettare anche l'unico endecasillabo di tredici sillabe come frutto
d'imperizia o come soluzione provvisoria, raccomandate entrambe a un indice statistico troppo vicino a
zero. L'economia impone la rettifica di ci che andr predicato svista, cos come sarebbe pusillanime
l'eventuale editore di Paul Valry il quale pretendesse mantenere un verso crescente (Comme l'ongle de
l'orteil) che effettivamente esiste in una sua stampa, se essa fosse unica: questo implicherebbe una
fisionomia dell'autore troppo alterata, l'ipotesi conservativa risulterebbe troppo onerosa rispetto alla
(presunta) congettura Comme ongle ecc.
(che naturalmente si trova invece sempre, prima e dopo), anche se tale congettura indubbiamente sforzi
la sintassi (il che giustifica l'errore del tipografo). Altrettanto gravida d'implicazioni sarebbe l'ipotesi
conservativa nel caso del Boccaccio, le cui copie di opere altrui o anche proprie, compreso il
rivendicatogli manoscritto Hamilton del Decameron, sono infatti tutt'altro che ineccepibili. In tali casi
utile, poich la serialit aumenta la certezza della correzione, procurare di descrivere una morfologia delle
sviste. facile constatare che quelle puramente grafiche si classificano sotto categorie (anticipo,
ripetizione, omissione ecc.) che ordinatamente corrispondono a quelle, prima patologiche, poi fisiologiche
(assimilazione o dissimilazione regressiva e progressiva, sincope ecc.), proprie dell'evoluzione linguistica,
particolarmente fonetica. Se ne estrapola una cibernetica sola.
Edizione diplomatica. - Per l'indicata perfezione raggiunta dalla meccanica, l'edizione diplomatica,
utilissima un giorno, ha una sfera d'applicazione in diritto, se non in fatto, sempre pi limitata. Essa
rappresenta un puro aumento di leggibilit, e in realt viene spesso giustapposta, passibile com' oltre al
resto di misurazioni topografiche, al facsimile fototipico, spesso trasparente solo dopo una lunga
assuefazione (un caso-limite pu esser quello della Seconda Centuria polizianea). Una fattispecie degna
di rilievo si ha nella traslitterazione (per esempio di testi arabo-ispanici o giudeo-romanzi). La sua
minuzia o disinvoltura in stretta proporzione con la confidenza acquisita in quel distretto scientifico, e
dunque s'inscrive sotto l'epigrafe di edizione nel-tempo. Solo tale confidenza pu indurre a trascurare le

ridondanze o le equivalenze, accettando il procedimento a senso unico per cui la sostanza del punto di
arrivo integra, ma non si potrebbe ricostruire univocamente la grafia del punto di partenza, in una sorta
di 'uguaglianza a destra'. Di tale confidenza ha dato un luminoso esempio il Cassuto nella trascrizione
dell'Elegia giudeo-italiana, e ci che pu frenarne l'imitazione solo la perdurante asimmetria nella
competenza bilingue.
Udizione interpretativa. - Di un autografo (o suo equivalenti l'edizione interpretativa riproduce ci che
interessa e omette, intenzionalmente o spontaneamente, ci che non interessa. In sostanza essa la
traduzione o adattamento di un sistema, storicamente individuato, in altro sistema; nulla di categoriale la
distingue dalla traslitterazione, se non il fatto che per l'autore e per l'editore vige una stessa convenzione
di base, non per assolutamente identica, ci che rischia di sottrarre la coscienza delle differenze a
un'assidua vigilanza. Elementi funzionali possono assumere una consistenza oggettiva, ma il limite fra
funzionalit e oggettivit, pi spesso fissabile automaticamente, pu risultare solo al termine d'uno
scrutinio critico. Le opposizioni hanno luogo tra sostanza linguistica e rappresentazione (come tra
fonetica e grafia) e tra rappresentazione e coscienza della rappresentazione. La distinzione di u e v come,
dove occorra, di i e j si fa per accordo universale (a cui si vorrebbe partecipasse pi costantemente la
filologia spagnola, in cui edizioni famose arrivano a distinguere tra le varie forme di s o di r), ma
distinzione e indistinzione possono essere inglobate nell'oggetto stesso dell'espressione, come accade al
Manzoni per l'indistinzione di u e v e per gli altri antichi usi grafici nel presunto Anonimo della sua
Introduzione, o al Gozzano per la forma 'italica' della s nelle vecchie carte (Iola fconofciuta, che
nell'esecuzione vocale sar stata prevista, conforme alla 'semicultura' vulgata, come f o come la pronuncia
blesa di s). D'altra parte un famoso acrostico di Dante (Purg. xii 25 ss.), supponendo VOM ma uom,
implicherebbe a tutto rigore che l'indistinzione (in forma diversa per la maiuscola e la minuscola) venisse
estesa all'intera Commedia: il fatto che ci non accada importa il giusto prevalere della funzione sul segno
strumentale, ma il fatto che il problema si ponga indica che l'ambivalenza della lettera (o, a rigore, gi
dell'ideogramma) tra segno e oggetto - ambivalenza a cui, nella civilt alfabetica, si devono esperimenti
che vanno dagli Erotopaegnia di Levio alle Calligrammes di Apollinare, al lettrisme, a Cummings ecc.
vige talvolta, ma virtualmente sempre, anche in critica testuale, e sollecita decisioni di natura
problematica. Indipendentemente dai casi in cui la grafia viene usufruita, come negli ultimi ricordati, ad
allotrio scopo figurativo, sia pure con un eventuale sottofondo vagamente semantico, essa pu essere
oggettivata per ragioni strettamente estetiche, sia innovanti sia tradizionalistiche: lo zelo grafico non
separabile da un certo tipo di stile e, per citare non scrittori del canone pi largo, ma preziosi eccentrici,
sarebbe impensa bile stampare o ristampare Carlo Dossi o Vittorio Imbriani senza rispettare
scrupolosamente le loro singolarit, l'uso di j, tr, aqua in Dossi, la punteggiatura separativa di Imbriani
ecc. Ci vale al massimo per i riformatori (tale era precisamente il predecessore grammaticale del Dossi,
Giovanni Gherardini), ad esempio il Trissino con le sue nuove lettere. Tuttavia nel caso del Trissino
andrebbero rispettate le sole novit qualificanti o anche i dati coevi normalmente correggibili
(indistinzione di u e v, uso delle maiuscole, punteggiatura ecc.)? Il problema sorge perch si tratta di
autore abbastanza antico, staccato dalla continuit con le attuali convenzioni e appartenente a un altro tipo
di cultura grafica. questo iato, superato normalmente da un'automatica trascrizione fatta d'ufficio, che
pone decisioni drammatiche quando qualche elemento del sistema perento, gi allora contestato, stesse a
cuore all'autore del testo da pubblicarsi: il Debenedetti l'ha messo nel competente rilievo per il caso dell'h
Ariostesca, d'un autore cio per cui, diceva, togliere l'h all'huomo e all'honore tanto valeva quanto togliere
all'uno umanit, all'altro onorabilit. Si crea cio una discontinuit o rispetto alla coerenza passata o
rispetto alla fisionomia presente oggi nella repubblica delle lettere. La commutazione del sistema,
inevitabile per un autore mediamente antico, porta con s alcune contraddizioni, che sono variabili in
rapporto alla finalit che l'edizione si prefigge. Se si vuol dare un'edizione del Petrarca latino secondo gli
autografi (o, mancando questi, secondo l'uso comune a lui e al suo tempo), nessun dubbio che vada scritto
-e, nichil ecc., ma se si persegue uno scopo divulgativo, sar lecito scrivere -ae, nihil ecc., secondo tavole
di traslitterazione nel complesso meccaniche. Se per si vuol presentare a un pubblico anche non
specializzato il Petrarca volgare secondo la sua grafia, come il primo nostro grande di cui si conosca la
mano, sorgono situazioni della cui criticit anche quel pubblico ile v'essere cosciente. In una riproduzione
del Canzoniere secondo il manoscritto (Vaticano 3195) o autografo o, per le parti non autografe, vigilato
dall'autore (avendo avvertenza di segnare i pochissimi trascorsi di patina padana inflitti dal copista
ravennate, per evitare ogni ibridismo, qui almeno insopportabile, di sostanza fonica toscana e di
settentrionale) sar lecito mantenere h dovunque sia scritto, in particolare a inizio di parola, ma,

separandosi le parole (e qui segnatamente le proclitiche elise) alla moderna, e seguendo il Petrarca come
tutti la norma grafica scoperta dal Mussafia (esemplificabile con honore ma l'onore = l'onore), si otterr
la soluzione contraddittoria d'ora in bora. Le frizioni consecutive al cambiamento di sistema sono
soprattutto visibili nella punteggiatura, la cui inserzione in un testo antico inserzione di dati di
'esecuzione' affini a quelli introdotti dall'ecdotica musicale, ma che si trova a colluttare, per esempio
proprio nel caso del Petrarca, con un sistema originale che adopera segni anche uguali (punto, punto
interrogativo) o affini (comma = virgola) e che mescola del pari, ma ripartendole diversamente, funzioni
semantiche, qualche volta convenzionali, e funzioni melodiche (oltre ad alcune diacritiche), talch riesce
possibile solo in un numero di casi limitato mettere od omettere un segno, e lo stesso, nella stessa sede.
Le principali difficolt insorgono infatti per quegli adattamenti all''uso moderno' che oltrepassano i
semplici mutamenti tabulari di grafemi e per i quali, di pi, la moda e il gusto consentono di volta in volta
una porzione fissa e una elastica. Cos avviene per la ripartizione di iniziali minuscole e maiuscole,
semprech questa non sia fissata in modo ferreo, come nel tedesco moderno col suo costume di
ascendenza barocca (bench non esente da contestazioni, valga Stefan George, le cui minuscole ai nomi
comuni sono tanto sacre quanto l'h- all'Ariosto). Cos, ancora, per la punteggiatura, verso cui assoluto
dev'essere il rigore conservativo quando assunta nell'espressione (come in Foscolo, Leopardi e
soprattutto Manzoni) ed razionalizzabile in saldi enunciati (seppure spesso ancora da studiare come
modelli anche storici, la lineetta 'foscoliana' di Mazzini, certe virgole 'manzoniane'); mentre ammissibile
la libert degli editori per autori che 'non vedano' la punteggiatura, e s'intenda sempre dove non la
vedono, come Porta o perfino De Sanctis. La conservazione dunque scalare, e la coscienza dell'editore
come del lettore risponde a un'analisi frazionaria. Per tornare a fatti propriamente grafici sempre
esemplificabili nel Petrarca autografo: una pura forma di z (indifferentemente semplice o doppia,
come sottratta alla correlazione di lunghezza) e pu esserne sostituita senza danno (ci non sarebbe
possibile in antico spagnolo, dove le due lettere erano - spesso nei codici e oggi di norma dagli editori addette a una distinzione fra sorda e sonora non segnata dalla scrittura italiana); t (o c) pi i innanzi a
vocale risponde a un uso etimologico (gratia) serbabile qui senza inconvenienti (equivoco potr sorgere
pi tardi quando la scrittura -antia /-entia sar atta a rappresentare o la forma di astratto latineggiante,
anzi umanisticheggiante, -anzia/-enzia o addirittura -anza/-enza); la conservazione di -ij per -ii (con la
forma lunga di i non ignota in altre finali, ma normale a differenziare le aste) risponde invece non a una
pietas umanistica (come verso et, nocte, extremo..., il primo dei quali d'interpretazione del resto ancipite
davanti a vocale fra e e ed), bens a una pietas medievalistica, quale sussiste per i numeri romani nella
tipografia inglese (qui si pone solo il problema secondario di stabilire se in -ii fosse ancora semivocale pi
vocale o gi vocale 'lunga', da rendersi oggi meglio con -i che con -ii, o diacritico-etimologicamente con
-, un tempo anche con -j); finalmente nesun, nul'altre, il tipo di composto adolcire (meno raro di
addolcire) - composto con a- che si oppone a quello con ad-, addorno (oltre che adorno), analogo a innanzi, inn-alzare - presentano, con una probabilit che rasenta la certezza, un autentico abbreviamento
protonico della lunga la cui alterazione dalla grafia rischerebbe di estendersi alla sostanza fonica. Se
possedessimo un autografo di Dante, e un autografo volgare, possiamo congetturare che si conformerebbe
al canzoniere Vaticano (lat. 3793), al (Vaticano-) Chigiano (L. vili. 305), al codice del cosiddetto Fiore (a
Montpellier), oltre che in particolari di minor interesse comuni a Petrarca, nella scrizione ridondante eie
per ce (cierto, cienere), che tanto pi saremmo costretti a correggere in quanto i rischierebbe di esser
preso, cosa capitata e che seguita a capitare, anche a praticanti della professione editoriale, per segno di
vocale.
Intermediazione tipografica ed editoriale. - Dopo l'invenzione della stampa anche gli autografi (o
equivalenti) sono stati soliti passare attraverso l'intermediazione tipografica, ci che importa
(prescindendo dall'introduzione involontaria di errori, quasi sempre troppo flagranti per essere pericolosi)
una forte probabilit di livellamento formale, nelle migliori tipografie assistite prima da letterati poi da
appositi tecnici, tendenzialmente sistematico. Tali interventi, certo rischiosi quando praticati da gente che
la sapeva pi corta degli autori, sono da condannare assai meno che non si sia consueti fare. Questi
letterati o proti sono stati per secoli i depositari della correttezza grafica e puntatoria, in particolare in
paesi di grafia difficile come la Francia. I grandi del Settecento e del primo Ottocento, come sanno i loro
editori moderni, principalmente quelli dei loro carteggi (e la cosa vale ancora per Proust), non davano
l'ultima cura a questo aspetto del loro prodotto, destinato a esser rifinito da altre mani. E tutti sanno che
anche in epoca pi recente fini letterati non disdegnarono di limare dall'esterno le scritture di autori
provvisti di forte personalit poetica ma non di robusta cultura alfabetica: scomparsi quei discreti curatori,

duole che nessuna sorveglianza sia pi esercitata sui medesimi autori, lasciati in balia di sgrammaticature
non necessarie, e anzi seriamente riduttive. un episodio del filologismo caricaturale, esercitato fuori del
competente mbito, scotto di una recente 'filologia di massa', che giunge a ingombrare pagine e pagine di
libri non destinati a uso principalmente fabrile con varianti poco significative di autori terziari. Quei
depositari della tradizione trovano un limite alla legittimit del loro operare quando infliggono
retrospettivamente le loro norme ai prodotti d'una precedente tradizione incompresa. La filologia che in
largo senso si pu chiamare laurenziana, per esempio, con tutti i meriti che le vengono dall'aver voluto
costituire una vulgata degli italiani (cos nella Raccolta Aragonese) come gi dei classici, eccedette senza
dubbio in livellamenti melodici, timbrici e in genere formali.
Archetipo. La ricostruzione testuale, come la riproduzione, ha per ovvio presupposto l'unicit del
testo, ne sia l'attestazione unica o plurima. Si discusso oziosamente se ci che si ricostruisce sia
l'originale o altra cosa. Ma sarebbe operazione inane quella che non mirasse all'originale, s'intende
l'originale al limite (dell'attestazione documentaria e della critica interna). La constatazione che gli enti
dell'ecdotica sono ambigui tra punti e segmenti vale anche per l'oggetto della ricostruzione, che si deve
sempre assumere come equivalente dell'originale tranne prova in contrario: la prova consiste in 'errori'
(cio in elementi di cui vicina a zero la probabilit che appartengano al punto di partenza), errori di
sostanza, siano essi sanabili o no (nel qual caso vengono contrassegnati da cruces interpretum), o anche
errori di forma. opportuno riservare il nome di archetipo all'oggetto ricostruito, cio l'antenato comune
all'intera tradizione, in quanto distinto dall'originale perch gi corrotto: la sua consistenza va sempre
dimostrata. Il Timpanaro ha mostrato che il nome archetypus col semplice valore di capostipite si trova
gi in Erasmo, dalla 2a edizione degli Adagia (1538); mentre di codex archetypus in accezione
lachmanniana discorrono gi alcuni contemporanei del Lachmann, in particolare il classicista danese
Johan Nicolai Madvig; il Lachmann, nel commento a Lucrezio (1850), rivendica la definizione come sua:
id exemplar ceterorum archetypon (ita appellare soleo). Ed eccone il contenuto: Il Lachmann fondava
il suo metodo sul presupposto che la tradizione di ogni autore risalisse sempre e in ogni caso a un unico
esemplare gi sfigurato di errori e lacune, quello ch'egli chiamava archetipo (Pasquali, 19522, p. 15). Qui
'autore', poich la critica testuale nasce in filologia classica, vale autore greco o latino. E in astratto si pu
anche pensare che l'eccezione sistematica si fondi sopra precise ragioni culturali: per esempio, che gi
prima del 900 tutti i classici greci oggi superstiti (si eccettuano naturalmente i testi ritrovati in papiri)
furono tradotti dalla maiuscola in minuscola, e a un tempo corredati degli accenti e degli spiriti ormai
obbligatori. Un lavoro di tal genere, lungo e fastidioso, non si fa due volte senza necessit (ibid.)\ gli
archetipi dei latini sarebbero stati elaborati in un periodo che dalla cosiddetta 'Rinascita carolingia' porta,
a ritroso, fino al Tardo Impero. In fatto, Giorgio Pasquali ha dedicato un intero monumentale volume
(Storia della tradizione e critica del testo, Firenze 1934), nato da una recensione al manualetto
lachmanniano di Paul Maas, a casi, tutto sommato squisiti, di tradizione che oltrepassi l'archetipo
lachmanniano. Ma anche in linea di principio il sospetto prudenziale dell'interposizione di un archetipo
lachmanniano non potrebbe esonerare dalla dimostrazione che l'oggetto ricostruito non sia un equivalente
dell'originale, un (per usare il termine posili vistico-pragmatistico) als ob.
Trasmissione verticale e orizzontale. - Nel caso pi semplice, da servire come parametro per misurare i
casi abnormi, la trasmissione verticale (termine del Pasquali), cio va senza deviazioni di copia in
copia e ogni testimone risale a un solo genitore, ed univoca, cio riguarda un testo fissato senza
alternative. Il Pasquali chiama orizzontale o trasversale una tradizione in cui intervenga pi di un
antigrafo, per contaminazione o collazione, totale o parziale. Il caso di gran lunga pi frequente quello
della collazione parziale, che sempre stato, e presumibilmente sar sempre, praticato dagli editori
speditivi, fedeli a un antigrafo salvo i punti insoddisfacenti, per cui si ricorre ad altro esemplare: questo
comportamento antilachmanniano pu essere proiettato a ritroso sugli antichi scribi, salva la meno facile
disponibilit in quei tempi di altri esemplari, che spiega il prevalere, nei copisti (purtroppo spesso
semicolti) che vogliano capire il loro testo, dell'emendamento congetturale sulla collazione. Ci pu essere
contravvenzione anche all'univocit, nel senso che l'esemplare pu contenere, in interlineo o in margine,
varianti redazionali (nei casi-limite, d'autore), offerte alla scelta dei copiatori.
Ricostruzione. Dall'attestazione unica si risale verso l'equivalente dell'originale attraverso eventuali
incoerenze e discontinuit di certezza avvertite nel suo interno. La critica interna, applicandosi a quella
'proiezione sul piano' che il manoscritto unico, ne ricava uno spazio e ricostruisce, detto con altra

metafora, una 'diacronia'. ( acquisito il parallelismo della critica testuale alla linguistica comparata ed
razionale proseguire il parallelismo fino alla linguistica strutturale, visto che la ricostruzione dell'originale
il rintracciamento di uno stato sincronico e che l'abbandono del manoscritto unico significa ricavare dati
diacronici, a ritroso, dalle disuguaglianze, che sempre ci sono in lingua, di uno stato sincronico, per
ricavare uno stato sincronico pi arretrato. La ricostruzione dell'originale formalmente assimilabile alla
ricostruzione dell'indoeuropeo meno in Bopp che in Saussure). Il ricostruito pi vero del documento.
Questo principio non scosso dalle scorrettezze di procedura che in fatto possono essere state commesse.
Il divieto di Bdier agli interventi ha valore di semplice monito (storicamente preziosissimo) alla cautela
verso gli arbitri che un'incom-posta immaginazione si apre entro il legittimo campo d'azione della fantasia
scientifica. I manoscritti esistenti e tangibili non sono, come diceva il maestro francese, il nostro bene
se non sono criticati, cio interiorizzati: anche la conservazione una tuzioristica ipotesi di lavoro.
Critica interna. - La critica interna, quale si esercita sul manoscritto unico, ma naturalmente quale si
esercita anche sugli archetipi e subarchetipi ricostruiti, si compone di fattispecie e perci non pu essere
sottoposta a generalizzazioni esaurienti. Senza sollevare dubbi in casi singoli sulla divinatio (con cui
peraltro si designa anche la folgorante rapidit e abbreviazione psicologica di un ragionamento), un
maggior grado di certezza si riesce a misurare quando le proposte risultino seriali. Esse si riferiscono a
elementi della struttura, e dunque iterabili, particolarmente metrici e ritmici per i testi in verso o in prosa
numerosa. Formule che riflettano una realt legislativa complessa consentono di evitare eccessi
semplificatori di correzioni, talora denunciati dal loro stesso numero. Tali formule riescono a portare a
uno stato soddisfacente solo una parte di certi testi, altri scalano secondo un grado di probabilit assai
variabile: allora materia di discrezione se intervenire tipograficamente in modo diretto, e fino a che
limite, o serbare i risultati della critica a un apparato o altra sezione didascalica. Gettare la spugna e
avvolgere tutto il testo di una crux iniziale si pu a ragion veduta e con espressa giustificazione (salvo
ovviamente i casi di ricerca riuscita sterile, poich i tentativi riusciti sono solo, come avviene di ogni
oggetto sperimentale, una parte di quelli esperiti, e in filologia una parola pronunciabile a prezzo di
molti silenzi sul proprio lavoro).
'Excursus' metrico. - Molte brillanti correzioni della filologia classica nel secolo scorso sono dovute a
riconoscimenti menici non elementari, nel campo specialmente della poesia drammatica, segnatamente
nei comici dai 'numeri innumeri'. Formule composte o alternative valgono anche per le chansons de geste
francesi, dove il dcasyllabe epico tollera gi l'apparizione di qualche alessandrino, e il dcasyllabe stesso
presenta varie forme di cesura. La loro imitazione riesce tuttavia senza regola fuori di Francia, nel
repertorio franco-italiano e anche in quello anglonormanno (dove per balenano complicate situazioni
'continentali' in chansons a manoscritto unico, quali i cosiddetti I*Merinoe Guillaume, oltre al Roland di
Oxford, per non parlate del Gormond che in octosyllabes). dubbio che questa licenza vada estesa alla
Spagna del Qid, dove il Menndez Pidal ha creduto di portare al dover essere dall'essere l'alternanza del
codice unico da dieci a venti sillabe con prevalere della sistemazione media, mentre stata indicata,
recentemente dal Chiarini, la strada di alcune sicure normalizzazioni (e all'accanita conservazione testuale
si oppone nell'ultimo Pidal il frangimento in due mani del prima creduto autore unico). Nella Spagna
medievale stato ben dimostrato l'anisosillabismo di ci che esorbita dallo stretto mester de clerecia
(l'Henrquez Urena gli ha dedicato un libro meritorio), esempio luminoso il verso di arte mayor: compito
di una filologia non rinunciataria, e che voglia foggiarsi uno strumento atto a sondare la sanit o
corruzione ritmica dei testi, misurare le escursioni, come ha fatto il Chiarini per la cuaderna via di Juan
Ruiz, opposta alla isosillabica della clerecia. Formule anisosillabiche sono state di recente studiate
metodicamente nell'antica poesia italiana. Si va dall'escursione massima, e ben personale, di Jacopone,
per il quale soccorre la pluralit dei manoscritti, all'alternanza di gran lunga pi frequente, la quale si
verifica nell'ottonario-novenario (adattamento dell'octosyllabe francese): non avervi posto mente costrinse
il Salvioni a potare in Bescap una quantit inverosimile di versi. Finora non si ottenuto un adeguato
coordinamento, in ordine a questo problema, di critica testuale e filologia musicale, incline quest'ultima
piuttosto a coonestare la variabilit fin dal latino medievale (ma si oppone l'inconcutibile isosillabismo
d'un fenomeno solidalmente letterario-melodico qual la poesia trobadorica). Altri limiti da misurare
sono quelli della rima e dell'assonanza, sia nei rapporti reciproci (possibilit di rime imperfette dal punto
di vista consonantico) sia in quanto esse hanno di comune (registri vocalici sotto accento e dopo). Per la
prosa va segnalata la possibilit di costituire in criterio correttorio le clausole della prosa d'arte grecolatina ed eventualmente le forme di cursus in quella latina medievale, coi suoi prolungamenti volgari.

Pioniere di simile analisi, peraltro non ancora, ch sarebbe stato effettivamente prematuro, a scopo
correttorio, stato per il territorio italiano il Parodi, seguito dallo Schiaffini. Il fatto che nelle francescane
Laudes creaturarum un solo stico sia sprovvisto di ogni possibile formula di cursus ha indotto a
congetturare un supplemento, per lo quale ennall-mini / [ni] la ncte (o [nie] la ncte). 1
[Per la legittimit del testo tradito ora interviene Aldo Menichetti, in Letteratura italiana Einaudi, iii.i,
1984, pp. 363-4].
Parametri plurimi nell'attestazione unica. - Dall'attestazione plurima si risale per successive induzioni a
una figura di identit testuale totale o a tratti solo probabile. Ad essa torna ad applicarsi la critica interna,
la quale dunque la sola costante della ricostruzione e fa s che non ci sia una differenza qualitativa fra
attestazione unica e attestazione plurima dopo sottoposta a recensio. C' solo nell'attestazione unica una
maggior probabilit di innovazioni (errori) non avvertibili, che una collazione con altri testimoni farebbe
percepire facilmente. In qualche modo si pu dire che la critica interna supplisca con la pluralit dei suoi
parametri alla naturale pluralit e 'voluminosit' dell'attestazione plurima. Inizialmente infatti essa non di
rado e solo negativa, cio consente la pura localizzazione del guasto e non il rimedio; e la localizzazione
per di pi pu essere solo globale e approssimativa (per esempio l'ipermetria o l'ipometria dove non si
riesca a individuare esattamente la sillaba sospetta o il luogo di caduta della sillaba) o addirittura
alternativa (per esempio una stilisticamente inammissibile identit di parola-rima, come pi volte nel
Fiore, senza che sia palese se si tratti di ripetizione o di anticipo). Tutto lo sforzo del critico deve
consistere allora nella ricerca di dati (per esempio luoghi paralleli all'interno, luoghi paralleli in altre
opere dell'autore, collazione con l'originale se si tratta, come nel caso del Fiore, di parafrasi pur non
vincolante) per riempire la zona colpita di contenuto positivo e, in particolare, scegliere oggettivamente
nei casi opzionali.
Riduzione nell'attestazione plurima. L'attestazione plurima costituisce da sola uno spazio che
consente di seriare in cronologia relativa ascendente, e di eliminare successivamente, le innovazioni
subentrate nel testo. La riduzione fu attuata dapprima con mezzi bonari legittimati dal gran numero,
bench riprovati dalla logica. Uno la limitazione ai manoscritti pi antichi, al quale il Pasquali (ma gi il
Semler) giustamente oppone il canone che enuncia in modo lapidario recentiores, non deterio-res: la
sparizione dei loro antigrafi pu doversi al caso, ma qualche volta proprio al fatto che ne esisteva una
copia pi leggibile o in migliore stato fisico di conservazione. Tuttavia, poich la corruzione per
definizione progressiva nel tempo, comprensibile che anche in epoca lachmanniana, e perci presso
editori convinti della necessit teorica d'una recensio esauriente, la presenza d'una tradizione cos
abbondante da render possibile, in una vita di editore, l'edizione solo a prezzo d'una decimazione abbia
suggerito di mettere fra parentesi i manoscritti pi recenti. Cos ha fatto sistematicamente Ernest Langlois
per la sua eccellente edizione del Roman de la Rose, l'opera del Medioevo volgare pi diffusa dopo la
Commedia (non si scordi che ai suoi tempi i viaggi erano ben pi onerosi, e l'area va dalla California a
Leningrado, da Stoccolma alla Citt del Capo, n erano stati ancora inventati i microfilms); del resto
sondaggi effettuati nell'ampia sfera da lui trascurata, di codici pi tardi del Trecento e di stampe
incunabule o cinquecentesche, hanno rivelato una situazione molto interessante per quanto spetta alla
storia della tradizione, e anche materiale, assente dall'apparato del Langlois, rinviabile al Duecento, ma
nulla suscettibile di salire a testo. Quanto alla Commedia, l'edizione del Petrocchi si limita per ora alla
prima generazione di manoscritti (con scelta registrazione di attestazioni pi tarde), ma prevede
espressamente un nuovo apparato per i codici recenziori. Col crescere della frequenza, specialmente con
apertura a infiltrazioni 'orizzontali', gli inconvenienti diminuiscono; ma il gran numero pu essere stimolo
ad artifizi non razionali, come quelli ispirati a dom Quentin dalla pletora statistica della Vulgata.
Recisamente da riprovare comunque l'altro strumento ingenuo di riduzione, consistente nell'affidarsi
alla maggioranza dei testimoni, s'intenda la maggioranza semplice: basti riflettere che, se questo criterio
fosse valido, la maggioranza potrebb'essere falsata co piando dei manoscritti presenti, una o pi volte,
separatameli ir o attraverso i derivati. Questa grottesca ipotesi gi indica quale sia il solo criterio
preliminare di decimazione lachmanniana unii te valido, e dunque obbligatorio: chiamandosi descrtti i
eodii i 'figli', l'eliminatio codicum descriptorum. Una copia (o copia li copia) si confessa per tale quando
contiene particolarit dichiarabili solo per errata interpretazione di un dato materiale del modello (per
esempio lacuna corrispondente a un foglio caduto e non avvertito, oppure saltato), o anche quando
contiene tutti gli errori dell'altro pi alcuni specifici. In questo caso potrebbe a rigore trattarsi di

derivazione da un manoscritto identico (manoscritto 'fratello'), e pertanto di ci che si potrebbe definire


equivalente di descriptus; ma l'equivalente ha tutte le propriet ili quello assente a cui equivale e non
oggetto di calcolo separato. Un bell'esempio di eliminazione di descripti o loro equivalenti negli Studi
sul Canzoniere di Dante del Barbi, che ha consentito di semplificare drasticamente la tradizione dei nostri
lirici antichi, sgombrando il regesto caotico per sovrabbondanza ili cui vitando paradigma il Cavalcanti
dell'Arnone.
Metodo lachmanniano. - Il procedimento scientifico di riduzione dell'attestazione plurima, che porta
alla probabilit di una maggioranza 'qualificata' (su un numero di testimonianze non visibilmente
riducibili), si suol chiamare lachmanniano dal nome di Karl Lachmann, autore di molte edizioni critiche
di clastici latini, da Properzio (1816) a Lucrezio (1850) - e il riferimento teoretico fatto specialmente ai
Prolegomena a quest'ulti ino autore -, ma altres di un Nuovo Testamento greco (e poi anche latino) e di
parecchi testi in mittelhochdeutsch cominciando (lai Nihelungi. Che il Lachmann avesse avuto precursori
metodologici nella philologia sacra tedesca e alemannica del Settecento (Wettstein, Bengel, Semler,
Griesbach), aveva mostrato il Pasquali (v., 1934, cap. 1). Ora sulle sue orme il Timpanaro (v., 1963), in
un'indagine sistematica e accuratissima che corrisponde anche a un'esigenza formulata dal Bdier, ha fatto
valere come al Lachmann, espositore sovente vago e coniti unente oracolare, si siano associati tanti
filologi coevi e conterranei nell'elaborazione del metodo da lui intitolato che si
pu discorrere di metodo lachmanniano quasi solo simbolicamente. Valga dunque l'avvertimento.
Nozione di errore L'essenziale della riduzione lachmannia consiste nel considerare come testimonianza
unica quella di due o pi codici coincidenti in errori comuni, purch verosimilmente non poligenetici. II
calcolo della maggioranza, della quale accettare la lezione, si effettua dunque non su individui presenti
(esclusi i descripti), ma su famiglie (insiemi che possono contare anche un individuo solo). La genealogia
delle testimonian
ze si suol rappresentare in un grafico o albero detto stemma codicum, in cui gli individui sono
contrassegnati con sigler iniziale maiuscola e le famiglie e sottofamiglie con lettere minuscole o greche,
i rapporti genealogici con segmenti di verticale (il primo stemma codicum, e con questo nome, fu
tracciato, secondo le ricerche del Timpanaro, da Cari Gottlob Zumpt per le Verrine di Cicerone, 1831,
segu Friedrich Wilhelm Ritschl per l'umanista bizantino Tommaso Magistro, 1832, e - col nome di
stemma - per Plauto, 1849, quindi il Madvig per due orazioni ciceroniane, 1833; concetti genealogici sono
anticipati dai settecentisti Bengel, Semler ed Ernesti, il primo dei quali discorreva di tabula genealogica).
Se si analizzano i singoli costituenti del processo, 'errore' designa un'innovazione privilegiata di
percettibilit dal suo stesso guasto; il concetto di errore va estrapolato in quello di innovazione comunque
riconoscibile (non a solo lume di critica interna), tant' vero che gi il Lachmann stesso si valse per il
Nuovo Testamento di criteri anche geografici, concludendo per la maggiore antichit - perch a tanto si
riduce la bont - delle lezioni attestate, per usare i termini invalsi nella linguistica geografica dei primi
decenni di questo secolo, in 'aree laterali' rispetto a quelle attestate in 'aree centrali' (una carta di atlante
linguistico rappresenta la proiezione orizzontale d'una stratificazione verticale, e analogamente si
potrebbero moltiplicare gli esemp di cronologia relativa ricavabile dalla distribuzione geografica, cos la
redazione assonanzata del Roland conservata solo alla periferia, in Inghilterra col manoscritto di Oxford e
in Italia con uno dei manoscritti francoitaliani di Venezia). La considerazione assiologica, cio
l'opposizione di 'cattivo' e 'buono', ha una parte abbastanza modesta, visto che non tutte le lezioni 'cattive'
sono in assoluto cattive e che le lezioni 'buone' sono solo le non cattive. Per un circolo, che non ha nulla
di vizioso, ma su cui bene richiamare l'incuriosita attenzione dell'operatore, fe.. lezioni 'cattive'
implicano che si predichino 'buone' e 'cattive' alcune lezioni per s indifferenti. Si scartano le lezioni dei
testimoni rimasti isolati (procedura lachmanniana, anche se non inaudita prima del Lachmann, che solo
col Maas stata battezzata eliminatio lectionum singularium) e pi in generale dei raggruppamenti
minoritari. Una certa struttura dell'albero, non un diretto giudizio di vaio-re, le condanna, anche se a
fondamento del riconoscimento della figura strutturale sta un giudizio che pu offrirsi come di valore, ma
che sempre di stima cronologica.
Diffrazione. Il requisito che si chiede all'errore di essere (probabilmente) monogenetico. Valore
non sicuramente probatorio detengono gli errori per loro natura suscettibili di essere poligenetici, cio

praticabili da pi scribi indipendenti. E sono proprio i casi in cui pi palese appare l'eziologia dell'errore,
e di conseguenza garantita l'erroneit: sia che si tratti di figure puntuali di 'distrazione' attuate a livello
individuale, come le assimilazioni specificabili in cadute per omeoteleuto od omeoarchia; sia che si tratti
di figure strutturabili, a livello collettivo, in vere forme culturali quali l'usus scribendi e la lectio facilior
(concetti, bench non termini, passabilmente antichi, il primo adoperato fin da Aristarco, l'altro di cui il
Timpanaro trova una formulazione precisa da fine Seicento, nel biblista Jean Ledere). Ognuno che
trascriva da una forma desueta di scrittura esposto a determinati equivoci, sempre gli stessi: tanto che
spesso si riescono a 'datare' trascrizioni e antigrafi. E una forma mal comprensibile rischia di essere o
scambiata con una banale fisicamente vicina o surrogata con un sinonimo pi corrente. Si avverta tuttavia
che il criterio della lectio difficilior miete vittime fra gli apprendisti stregoni, inclini a riconoscere per tale
pi d'una insensata deformit. Ma la lectio difficilior pu essere soggetta a sostituzioni non sempre
univoche, bens multiple. Si ginge allora a quella che qualcuno ha chiamato, traendo il termine
dall'ottica, 'diffrazione', e di cui si pu tracciare sommariamente la tipologia. La lezione originaria
surrogata (irregolarmente rispetto allo stemma) da varie lezioni per s indifferenti, pur persistendo in
parte della tradizione (diffrazione in presenza): cos se nella Vita antico-francese di sant'Alessio, v. 40,
acatet del codice L 'procura', detto del padre in riferimento alla sposa cercata per Alessio, sostituito dai
banali ma divergenti aplaide (A), porchace (P), a quise (SM); proprio della diffrazione che la presenza
(della lezione originaria) sia di collocazione instabile. Tuttavia la lezione originaria, assente (qui comincia
la diffrazione in assenza), pu essere stata surrogata variamente con lezioni almeno in parte palesemente
erronee: merito del grande Adolf Tobler aver congetturato che in Alexis 155, dove i codici hanno o
seignor ipermetro (LP) o determinante, per caduta d'una preposizione monosillabica, errore contestuale
(P2, allora ignoto), o sire in caso obliquo (solecismo) (A), o ami del verso precedente (S), bisogner
congetturare il raro per maschile 'coniuge'. Di qui facile inferire che, anche dov' una divergenza
generale tra varianti per s indifferenti, come in Alexis 39, che comincia con or (LM) o ja (A) o et (P) o
sii (da ristabilire in si, S), si debba congetturare una lectio difficilior precedente, se ne possa poi, o no,
proporre una soddisfacente (e forse qui si pu, ruovet per volt 'vuole'). evidente per che col salto del
Tobler si bucato il tetto della mera recensio, rispetto alla quale la lectio difficilior (presente) rappresenta
un ostacolo sulla via che ha per fine la scelta automatica, e si saldata la lectio difficilior (assente)
all'emendatio: la lectio difficilior, anche se eventualmente inafferrabile, sguita per ad avere il carattere
di necessit, imposto da una certa struttura della tradizione, che ineriva alla scelta lachmanniana. Quella
restituzione translachmanniana che l'ultimo tipo di diffrazione in assenza (il tipo imposto
dall'associazione di pluralit e banalit delle varianti) cerca di riempirsi di sostanza testuale, procurandosi
un'oggettivit nel reperimento di un elemento costante. Tale il caso che si offre quando si constata che
divergenze adiafore, nei vv. 440, 445 e 465, si verificano in presenza di merveille, che andr dunque
restituito nel primitivo mereveille. Qui lo spazio della tradizione plurima raggiunge lo spazio della critica
interna, quale si pu esercitare anzitutto sulla tradizione unica. Aumentandone la certezza con l'iterazione,
il canone ricostruttivo della diffrazione si annuncia come particolarmente fecondo.
Morfologia dello stemma. Il numero degli enti congetturali (contrassegnati infatti da minuscole),
archetipi, subarchetipi, interposti, il minimo richiesto dalle necessit del ragionamento, non un numero
storicamente effettuale; quei simboli indicano piuttosto classi o insiemi di individui (contenenti almeno
un individuo) che individui, piuttosto segmenti (verticali) che punti, o meglio irrilevante che siano punti
o segmenti. L'aumento arbitrario degli interpositi pu essere antieconomico, ma innocuo. Tutt'altro
regime ha il pi alto livello orizzontale, quello delle famiglie irriducibili, dal cui numero si pu ricavare
l'eventuale maggioranza che determina automaticamente la scelta. Esiste un'irrecusabile tendenza alla loro
riduzione, tanto pi che un numero non ristretto parrebbe suggerire presenza di redazioni 'parallele'; ma,
quanto incomparabilmente pi facile riunire i piani bassi, come si dice, dell'albero che i piani alti,
salutare lasciare agire il gioco sincero delle probabilit, se non si vuole vanificare lo sforzo lachmanniano
di una ricerca di meccanicit, sottratta al gusto soggettivo (judicium).
Recensione aperta. - Le considerazioni qui esposte presuppongono sempre la 'verticalit' della
tradizione. Una tradizione 'trasversale', cio che ha ereditato varianti alternative, o peggio che ha
collazionato, puntualmente o sistematicamente, uno o pi concorrenti del suo antigrafo, una tradizione
contaminata, assai pi diffcile da ricondurre alla ragione. I critici pi ortodossamente lachmanniani, e in
ispecie il Maas, non vedono rimedi contro la contaminazione; meglio negherebbero l'esistenza di rimedi
generalizzati, poich ogni realt offre ostacoli particolari alla razionalizzazione, che possono imporre

comportamenti diversi, fino alla rinuncia. L'Avalle per esempio ha teorizzato alcuni metodi di cura,
proponendo una robusta ed economica semplificazione secondo esperienze suggeritegli da canzonieri
occitanici e italiani. Ma da confessare che la condotta di uno scriba il quale si avvicinasse al costume
dei moderni editori del tipo composito, senza peraltro fornire apparati e indicazioni sulle fonti, riuscirebbe
assai pi difficoltosa da ricostruire. Tralasciando ci che non pu essere generalizzato (il che non
significa affatto che si rinuncia o si esorta a rinunciare a fare), va espressamente sottolineato che un
vivace fattore di 'recensione aperta', per designarla col felice termine del Pasquali che l'opponeva alla
'recensione chiusa' del modello lachmanniano semplificato, la memoria. Nella trasmissione per copia,
specialmente di opere (massimamente volgari) molto diffuse, conosciute almeno in parte a mente,
interferisce, come elemento estraneo alla scrittura, la memoria, sia come intrusione di passi paralleli sia
come ricordo di varianti: il caso della Commedia, trasmessa non di rado con ripetizione o anticipo di
luoghi pi o meno vicini o con innovazioni testuali la cui diffusione si fa, come ha mostrato il Petrocchi,
non verticalmente ma a macchia dolio, e difficilmente potrebbe, se non per eccezione, attribuirsi a
confronto con un esemplare pi moderno o a scelta effettuata su un portatore di varianti. Se dalla
tradizione scritta si distingue la tradizione mista di mnemonica, sarebbe errato opporle, come erano tentati
di fare sommariamente studiosi romantico-positivisti, la tradizione orale. il caso del Rajna, che,
scoperto un nuovo antico testimone dell'Alexis, si sforza di tracciare uno stemma codicum, ma ne ottiene,
per il tratto esaminato, tanti quanti sono i versi, concludendo che dunque nessuno valido e che non si
tratta di tradizione scritta ma orale. A parte gli errori di fatto, dovuti alla costituzione di alberi sul
fondamento di lezioni comuni non erronee, e a parte anche l'inverosimiglianza stilistica, sembrerebbe che
con tradizione orale s'indicasse uno stato caotico e aleatorio, una 'casualit' sulla quale si potrebbe essere
tentati di intervenire matematicamente applicando il calcolo delle probabilit (e come in realt hanno
procurato di proporre le ricerche distribuzionali e tassonomiche degli americani Hill e Dearing). Ma
tradizione scritta e tradizione orale non possono obbedire a logiche formali diverse: la fenomenologia
delle innovazioni in linea di principio identica, salvo la maggior escursione nella tradizione orale (e
presumibilmente la maggior interferenza della memoria). Le modalit editoriali diverse della
ricostruzione, dove si tratta piuttosto di seriare i concorrenti (si vedano i testi popolari ricostruiti dal Barbi
e dal Sntoli), non dipendono solo dalla minor certezza paleontologica, ma dal fatto, cos luminosamente
illustrato dal Menndez Pidal, che in fondo nessuna redazione pi 'vera' e 'autentica' delle altre.
Instabilit dello stemma. - La maggioranza, per cos dire, 'qualificata' del Lachmann, se consente un
automatismo di scoperta della verit, ha per anche la propriet, pregio o vizio, di una virtuale instabilit.
Essa infatti, come fu rilevato acutamente dal Bdier (che peraltro ricorse, per il suo hai de l'Ombre, a un
casus fictus), alla merc della scoperta d'un nuovo testimone, suscettibile di alterare le costellazioni e
quindi, in casi privilegiati, anche il numero delle famiglie. Naturalmente non tutti i nuovi acquisti, quali si
hanno ogni giorno, esercitano un effetto dirompente, anzi: la maggior parte, com' naturale, rivelano che
quelle che erano fin qui le lectiones singulares di un altro testimone (chiamiamolo X) sono in tutto o in
parte, conforme alla costante potenziale ambiguit fra individuo e gruppo (fra punto e segmento),
caratteristiche non di X-individuo ma di X-gruppo; cos il citato nuovo codice di Alexis studiato dal Rajna
(V), per quanto assai interessante, si raggruppa con A. Ma sempre aperta la possibilit che per il nuovo
intervento muti il numero delle famiglie, o anche la loro struttura (per esempio, poste pi famiglie a, b, c,
pu darsi che il nuovo testimone opponga alle loro lezioni comuni lezioni non congetturabili pi
autorevoli, costituendosi da solo in famiglia contro la famiglia unica a-b-c e determinando cos stavolta
una contrazione del numero). Se il numero dei codici (non de scripti), il passaggio a n 4-1 determina o
pu determinare altrettanti salti di qualit secondo che n = i (nel qual caso anche il numero delle
famiglie) o n = 2 (nel qual caso n anche il numero delle famiglie, ma non lo sappiamo per n+i) o n>2
(nel qual caso non sappiamo delle famiglie). L'assenza eventuale di lezione stabile un vizio per Bdier,
della cui denuncia questo un punto portante, non abbastanza rilevato; ma il continuo miglioramento
dinamico non si vede come non sia una qualit positiva. Questa marcia di avvicinamento alla verit, una
verit per cos dire frazionaria in opposizione alla verit presuntamente organica dei singoli testimoni, una
verit come diminuzione di errore, sembra un procedimento degno della scienza.
Questioni di 'origini'. - Si potuto rimproverare al metodo lachmanniano di cominciare 'dai piedi'
anzich 'dalla testa'. Questo semmai un titolo di gloria, se ci significa muovere dalla storia verso la
preistoria. Un'epistemologia parallela regge critica testuale e ricerca delle 'origini' in storia letteraria,
anche se storicamente accade che la vischiosit della tradizione possa generare qualche sfasamento

secondo i campi dove all'opera una stessa mente. Una fenomenologia romantica guida la filogenesi, si
tratti di epos, dramma, lirica o novella. Il mirabile Gaston Paris razionalista che fonda con l'edizione di
Alexis (1872) la critica testuale romanza, strenua applicazione pionieristica di logica formale, non collima
con l'eloquente esemplifica t ore ancora faurieliano dell'a priori romantico nell'Histoire potique de
Charlemagne (1865), anche se un'erudizione poi divenuta norma si studia di colmare indiziariamente i
vuoti della presunta continuit fra il Carlomagno storico e il Carlomagno delle chansons de geste. Pi
rigida coerenza stringe il vecchio Rajna - che nell'ultimo lemma (1930) della sua fluviale bibliografia
risospinge in quell'equivalente di preistoria, com'egli crede, senza certa legge che la tradizione orale la
trasmissione di Alexis - all'erudito che nelle Origini dell'epopea francese (1884) si era adoperato a
costruire una perduta fase addirittura precarolina scavando nella storiografia merovingica. Sono
romantiche nostalgie di 'assenza', a cui si oppone lo zelo bdieriano di 'presenza'. La formazione del
Bdier era ovviamente parisiana e da tale ortodossia non si allontana l'articolo sulle feste di maggio, che
verte sulle 'origini' della lirica francese, ma all'oralit si oppone, nella bellissima edizione di sire Thomas,
la ricostruzione del contenuto, nonch delle parti perdute di Thomas, dell'archetipo tristaniano (di
Chrtien de Troyes?), alla cui fondatezza port la controprova la quasi perfetta congruenza col tentativo
esperito contemporaneamente da Wolfgang Golther. Ma gi nella sua tesi su un argomento assegnatogli
proprio dal Paris, Les fabliaux (1893), primo prodotto ante litteram dello strutturalismo letterario, il
Bdier aveva infranto il mito orientalistico, che nella distanza geografica idoleggiava un equivalente della
preistoria, anzi aveva vittoriosamente mostrato la poligenesi dei temi in astratto e indicato che il culmine
della coerenza pu essere un acquisto pi tardo (come - giacch si sta tracciando un parallelo fra ecdotica
e filologia storico-letteraria - un manoscritto troppo ineccepibile pu essere sospetto di correzione e
levigamento). I fabliaux sono 'presenze', opere del Miilecento e Duecento rispecchianti gusti borghesi di
quei secoli, e allo stesso modo al Bdier, che aveva intrapreso con intenzioni parisiane lo studio delle
chansons de geste, queste apparvero, ben presto, nelle Lgendes piques (1908 ss.), 'presenze' dei secoli
di loro diffusione, conformi pure a interessi del tempo. Ci si armonizza perfettamente con la sua
teorizzata prassi ecdotica generale, specificata proprio nel pi antico di quei testi, il Roland (edizione del
1927), per cui un manoscritto (il 'miglior' manoscritto) costituisce un'intangibile 'presenza'. Entrambi i
postulati non sono rinnovabili come tali, ma presentano l'inestimabile vantaggio di essere correggibili
partendo 'dai piedi', cio dal li mite documentario (preso dal Bdier come limite stabile): base reale che la
ragione si riserva di fare oltrepassare. Critica in ter na e parametri esterni aiutano a 'invecchiare' la
redazione di Oxford, rimovendone innovazioni. La tesi storico-letteraria, indubbiamente valida per alcuni
individui e per un certo periodo, che in quanto generalizzata trascende il limite della 'presenza' (cio la
collaborazione fra monaci e giullari sulle strade dei grandi pellegrinaggi dalla prima crociata o, secondo
una correzione, dalle pre-crociate di Spagna), d adito a varchi cronologici di cui i pi sicuri, adunati da
un rilevantissimo impegno collettivo, sono puntuali: oltre al da molto tempo noto frammento dell'Aia, la
glossa Emilianense (di San Milln) pubblicata da Dama-so Alonso, la coppia onomastica RolandoOlivieri ecc. Alla continuit presunta ma impalpabile del momento positivistico fu in particolare surrogata
una continuit tutta letteraria nell'eredit culturale virgiliana dell'epoca carolingia e capetingia (dal
Wilmotte al Chiri e al Curtius); ma qui il vero scatto fu il reperto di Andr Burger, cio la scoperta di
frammenti metrici latini (di genere affine a quelli dell'Aia) fra i materiali d'impiego dello pseudo-Turpino,
proprio nel Libro di San Giacomo, uno dei testi ecclesiastici pi adoperati dal Bdier. Perfino il
Menndez Pidal nell'elaborazione del suo grande edificio anti-bdieriano (La Chanson de Roland y el
neotradicionalismo, 1959) indotto a retrocedere passo passo nello stabilire la nuova continuit (fino,
nella sua ricostruzione, a un paio di secoli da Roncisvalle). Il Bdier, questo irriducibile avversario delle
soluzioni 'senza continuit', permane dunque un po' come la coscienza del momento prima post- che antibdieriano.
Attestazione binaria. - Una posizione particolarmente delicata offre l'attestazione binaria, solo
apparentemente intermedia fra l'unica e la plurima. Di fronte alla sicurezza forzosa della prima e alle
probabilit di automatismo inerenti alla seconda, in continua crisi di libert, una crisi buridanea intra
due cibi distanti e moventi d'un modo. Essa appare un guadagno solo dinamicamente: dato un
manoscritto unico, il sopravvenire d'una seconda testimonianza svela 'errori' da s non percepibili e
comunque sana con la sua realt mende mal rimediabili, a ogni modo mal rimediate. Una dilettazione dei
tecnici consiste, in simili casi, nel constatare quantit e qualit delle divinazioni e degli insuccessi: si ha
un criterio per misurare, addirittura in percentuale, la competenza d'un editore. Ma staticamente
l'attestazione binaria non offre possibilit oggettive di scelta fra lezioni adiafore e sembrerebbe restaurare,

benedizione o condanna che sia, un campo d'azione per il gi esorcizzato judicium. A evitare ogni
arbitrio, e in particolare la cavillosit che suole regnare sovrana nello stabilire le difficiliores,
bisognerebbe dare una doppia edizione (almeno virtuale) depurata degli errori singoli, purch di erroneit
inconcussa. Dell"evidenza' dell'errore la miglior fonte dopo tutto la comparazione.
Alberi bipartiti. - Eppure il judicium riesce a imporsi in un ingente numero di casi anche ad attestazione
plurima grazie alla loro riduzione ad attestazione binaria, forzosa o sollecitata che sia. Il Bdier, nel
preparare la sua 2a edizione del Lai de l'Ombre (1913), poi pi determinatamente nello scritto del 1928
(La tradition manuscrite du Lai de l'Ombre), fu colpito per primo dalla singolarit del fatto che la
stragrande maggioranza delle edizioni di testi antichi francesi, ma anche di buon numero di latini e di
altre lingue volgari, si fonda su alberi a due rami, cominciando (ma il Bdier non ne rivela l'identit) dal
primogenito, quello che Gaston Paris elabor per Alexis. Dietro l'osservazione, riconosciuta
sostanzialmente esatta anche per la filologia classica (nonostante gli alberi pluripartiti segnalati dal
Pasquali), non stava una disposizione quasi metafisicamente metodologica, ma un'esperienza diretta: la ia
edizione bdieriana (1890) si fondava anch'essa su un albero bifido, ma una recensione del Paris ne
proponeva uno a tre rami, che salvaguardava, a suo dire, l'automatismo; entrato in aporia al momento
della 2a edizione, il Bdier rinunciava a entrambi gli stemmata, il proprio e quello del maestro e
recensore; n avrebbe poi aderito, per eccellenti ragioni di merito, alle conseguenze testuali discendenti
da un altro albero tripartito (inclusivo di una contaminazione) proposto da dom Henri Quentin (v., 1926)
sul fondamento d'un suo nuovo sconcertante metodo (questo metodo, che preannuncia gli esperimenti
probabilistici prima dell'et dei calcolatori, prescindeva dalla distinzione di variante ed errore, definiva in
terne di manoscritti la posizione dell'intermediario con argomenti statistici, ricavava lo stemma saldando
le catene parziali). Ma qui non importa arbitrare il litigio specifico (bench importerebbe moltissimo per
un nominalista qual era il Bdier): l'istruttoria non stata riaperta da nessuno, e la ragione, che, per chi
legga le argomentazioni del Bdier, sembra stare dalla parte del Paris, non gli stata ancora attribuita in
appello; stato bens riesaminato l'albero primogenito, quello di Alexis, con la conclusione che esso era
non tripartito ma bipartito solo per errori d'informazione, non imputabili al Paris, e varrebbe la pena di
rifare i calcoli per tutta quella che un diligente riscontro (Castellani) assicura permanere in complesso la
collezione, l'erbario ecdotico, del Bdier. Importa invece, se la constatazione del Bdier individua
realmente un comportamento degli editori (e non la davvero maggior probabilit che lo schema binario
rifletta il modo della copiatura, o altra delle escogitazioni oppostele dalla bibliografa in argomento),
trovare una terapia adatta alla patologia. Se questa, come il Bdier finir per credere su insinuazione del
Roques (capofila dei seguaci francesi, e non francesi soltanto, del manoscritto unico), dipende da un
prolungamento indebito, fino all'estremo limite, dell'assillante ricerca delle fautes communes (che
trasforma l'opposizione di innovazione e lezione non innovante in opposizione assiologica di lectio
deterior e potior), occorrer, non si dice ricercare artificiosamente la tripartizione o pluripartizione degli
alberi, ma applicare una particolare cautela alla riunione dei piani alti operazione dopotutto non
irreversibile. Che se poi si trattasse di una malattia dell'inconscio rivendicante sovranit ultima di scelta
('egotismo' anzich 'moralismo' dell'editore), bisogner ugualmente portarla, al modo freudiano, alla luce
della coscienza. La formulazione del rimedio non ha, come pedagogica, alcun fulgore di eleganza, ma si
tratta di rovesciare il percorso patologico. Il rimedio del manoscritto unico, proposto dal Bdier (ma
proposto, giova precisare, per i soli testi letterari del Medioevo volgare dall'enorme libert di condotta),
non del resto preservato da inconvenienti flagranti, a parte la stessa ammissione di errori la cui
probabilit certezza. La correzione delle sole sviste 'evidenti' introduce un canone soggettivo dai confini
variabili (come a posteriori mostrano le edizioni d'un testo, quale il Roland di Oxford, su cui
imperversato il metodo bdieriano ridotto da deposito di angoscia a pigra moda). Ma soprattutto la scelta
del codice tutta una difficolt, data l'impraticabile attuazione generale di tante edizioni quanti i
manoscritti. Il Bdier primo a sapere che 'il migliore' non necessariamente il pi antico, giusta il
monito che sar del Pasquali, n il pi corretto, che potrebbe dovere la sua levigatezza a uno scriba
attento al senso a costo di interventi. Una definizione oggettiva, elaborata in mbito neolachmanniano, del
miglior manoscritto come di quello tanto resistente alla banalizzazione da offrire la maggior percentuale
di lectiones singulares da conservare, presuppone l'elaborazione d'un'edizione lachmanniana. E infatti il
migliore, o anche solo un buon manoscritto, solo quello che un editore lachmanniano, quale per un
pezzo fu il Bdier, in grado d'indicare.
Sostanza e forma testuale. - Il metodo lachmanniano di validit insomma integrale per le scritture in

latino, greco, ebraico ecc., cio in una lingua invariabile e intangibile come la gramatica dantesca. Vale
solo per la sostanza dei testi volgari, non per la forma, cio per la fonetica e per la morfologia, soggette a
un'illimitata, e nemmeno di necessit organica, variabilit geografica e cronologica. La distinzione stata
teorizzata da Gaston Paris, sempre nell'edizione di Alexis (1872), che un adattamento del lachmannismo
alla sostanza romanza, ma il primo codice della ricostruzione formale. una distinzione culturale di
ambiente, comprensibile solo in un'epoca stilisticamente bilingue (un medio evo) dove una fase
linguistica addetta alla sacert, un'altra al perenne adattamento di strumenti utili e illimitatamente
appropriabili, non protetti, come si suol dire, dalla propriet letteraria (e non solo per l'anonimato, ancora
pi frequente che per l'altra fase). Naturalmente la variabilit della forma in largo senso medievale si
prolunga, per quanto in misura inevitabilmente meno violenta, nella variabilit della sostanza,
fondamento esplicitamente sottostante alla rinuncia di Bdier a un testo critico: la differenza essenziale
sta nel fatto che la forma sottoposta a una continua poligenesi dell'innovazione (e la sua inorganica
proteiformit tale che, al limite, ripetendo, per oggettiva iterazione testuale o per errore, la medesima
formula magari a poche sillabe di distanza, lo scriba medievale, questo ininterrotto collaboratore e
concorrente del pi spesso ignoto autore, suole introdurre variazioni formali). La matrice bilingue della
situazione riscontrabile in parecchie modalit. Il latino medievale differisce formalmente dal classico
nell'aspetto grafico, che pu avere solo indirette implicazioni fonetiche (ancor pi raramente
morfologiche, come nel surrogato locativo-accusativale del tipo Parisius 'a Parigi' stato in e moto a
luogo): basti controllarne qualcuna delle pi magistrali descrizioni, tra le quali ha probabilmente il primo
luogo quella premessa dal Rajna alla sua editto maior (1896) del De vulgari eloquentia. Ci presuppone
la restaurazione grammaticale operata dalle varie rinascenze, prima la carolingia: cos i pi antichi
manoscritti di Gregorio di Tours differiscono, anche se non con stretta organicit, dai postcarolini in
'errori' morfologici che nel complesso sembrano riflettere un sincero stato flessivo, qual
(statisticamente) descritto da Max Bonnet (Le latin de Grgoire de Tours) e dai suoi continuatori,
segnatamente la Vielliard e la scuola americana di Henri Frdric Muller (Pei, Sas). All'opposto estremo
cronologico la 'classicizzazione' dei volgari torna a rendere, se non proprio intoccabile, stabile la forma
non meno della sostanza, sicch a fine Quattrocento, per esempio nei paraggi della Raccolta Aragonese,
innovazioni formali o addirittura grafiche ridiventano significative. Anche nei testi medievali la frontiera
tra forma e sostanza pu non esser sempre chiaramente tracciabile: che il futuro e il condizionale separati
dell'antico lombardo ( cantar, beve cantar) siano sostituiti dai sinonimi sintetici (cantaro, cantareve),
un fatto di mera morfologia o di sostanza contenutistica? In realt quella di forma e di sostanza pi una
polarizzazione che un'opposizione.
Ricostruzione formale. - La ricostruzione formale (in quanto distinta dalla sostanziale) assume nel suo
primo codificatore, il Paris, un aspetto di oltranza che cresce con le convenzioni adottate nell'editio minor
di Alexis. Il punto di partenza rappresentato dagli elementi obbiettivi che, trattandosi d'un testo in versi
(assonanzati), sono ricavati dalle distinzioni vocaliche in rima (oggi si direbbe che se ne pu descrivere
questa parte del sistema fonologico originario), e in minor misura da quanto garantito dal novero
sillabico. Poich la critica interna fornisce un'ossatura, di solito non la totalit della forma, si procede a
un'integrazione la quale, oltre a estendere i risultati precedenti fuori dell'ambito strettamente topico,
condotta secondo la verosimiglianza documentaria di luogo e di tempo. La ricostruzione linguistica del
Paris ha, e sempre pi assume, una fisionomia organica e funzionale che non solo trascende il dato
d'archivio, ma estranea al comportamento degli scribi medievali: cos l'esito di in sillaba libera
convenzionalmente rappresentato con ou (onour), un punto sottoscritto evoca il carattere fricativo di -T
conservato dopo atona e della dentale intervocalica, ecc. l'Alexis del Paris inaugura, anche se con raro
vigore intellettuale, la moda traduttoria della filologia positivistica, della quale si pu citare, per la mole
del corpus cui applicata coerentemente la versione in antico champenois, l'edizione di Chrtien de
Troyes allestita dal Foerster. La funzionalit della forma, inclusa la grafia, si oppone alla sua storicit:
sono queste le due contraddittorie componenti d'ogni ortografia alfabetica (inglese e francese sono
paradigmi di tradizionalit, tedesco e spagnolo di economia), ma qui con storicit si vuole indicare la
variabilit e incostanza della forma medievale. A tale razionalismo paleontologico, che va ben oltre la
doverosa rimozione della patina, obiezioni di fatto sorsero nella stessa area positivistica. Si citi F
'ibridismo' regionale dei nostri antichi testi (specialmente trecenteschi) additato dal Rajna. Ma fu la
filologia dell'idealismo ad assestare i colpi pi decisivi contro il costume indiscriminato della traduzione
(specialmente di testi oitanici) a norma della localizzazione degli autori: ci ad opera di Heinrich Morf e
della sua scuola (principalmente della decisiva tesi di Gertrud Wacker, 1916, sulle koini dell'antico

francese), dei cui risultati non per nulla si affrett a impadronirsi, divulgandoli ai propri fini, il Vossler.
L'attenzione veniva richiamata sulle lingue chiamate con parola dantesca 'illustri' (da cui per esempio in
Italia 'siciliano illustre') o, con richiamo all'antichit, koini o finalmente (Gossen) scriptae. Come i
dialetti letterari greci, di l dalla loro origine topografica, erano vincolati a singoli generi, giungendo a
caratterizzarsi per interregionalismi e ipercorrezioni ( il caso del dialetto epico o omerico); e come in
siciliano (da ricostruire) scrivevano poeti nativi delle pi varie regioni d'Italia (l'aveva dimostrato il
Cesareo, contro la tesi del Monaci e ancora del De Bartholomaeis, che la lingua degli antichi canzonieri
mostrasse un 'contemperamento' originario), e in galiziano-portoghese poeti delle pi varie regioni
iberiche: cos la moda linguistica francese si articolava in varie fasi cronologicamente stratificate, di cui
principalmente una conservativa 'nor-manna' e una innovativa 'piccarda', valide anche oltre i confini
primitivi e atte a produrre pure risultati d'innesto. Erano cos demistificati gli sforzi di tanti laureandi
tedeschi tendenti a far nascere in Grenzgebiete (distretti di frontiera), magari contro loro non equivoche
asserzioni, legioni di scrittori di un'epoca che inseriva tratti del loro (per esempio del francien o parlare
dell'Isola di Francia) in una cornice di altro dialetto letterario (per esempio il piccardo); ed era giustificato
il fenomeno degli Zwitterreime (rime incrociate), cio di rime che facevano baciare parole obbedienti a
norme fonetiche contraddittorie (cos -che una volta da -CIA come nel Nord e una volta da -CA come pi
a sud). I sistemi linguistici puri si rivelavano come relativamente rari e a ogni modo come ipotesi di
lavoro da maneggiare con la pi grande prudenza.
Varia misura di restituzione formale. Partendo dagli elementi obbiettivi, non sempre si autorizzati
a una restituzione totale. Se la rima per la sua flagranza viene a essere la regina delle prove, questa stessa
evidenza la connota come sopravvivente a un'eventuale traduzione e la segnala come separatamente
imitabile: essa si costituisce in parte di lingua speciale. D'altronde, anche dove non ostano prove
specifiche alla liceit della restituzione, questa pu presentarsi come non univoca, e il suo stato di lingua
inquinato nell'astratta ineccepibilit delle corrispondenze da eccezioni alla norma. Entrambe queste
condizioni si verificano a proposito della rima siciliana, e si verificavano anche prima che brani lirici
siciliani (pi antichi o almeno arcaici di qualunque delle numerosissime scritture siciliane) venissero alla
luce (De Bartholomaeis, e poco importa che egli li prendesse per falsificazioni), e che ne fosse dimostrata
la genuinit (Debenedetti). Lo studioso finlandese Tallgren (-Tuulio) ha mostrato le difficolt di
ritraduzione insite nelle liriche siciliane e ha formulato con chiarezza una tipologia di cinque edizioni
possibili, dalla pi integralmente ricostruita alla pi conservativa rispetto alla tradizione, adottando per
proprio conto una soluzione intermedia, siciliana al limite della documentazione. Anche le ricostruzioni
prodotte successivamente da studiosi siciliani sono state esperimenti da collocare in appendice o in
contropagina, come quelle degli unica continentali serbati in codici anglonormanni, cio di un territorio
che, in simbiosi con un senso sillabico diverso dal francese, non trovava freno alle innovazioni nella
coscienza dello schema. Sennonch all'estremo opposto della in fatto non pi attingibile restituzione
perfetta (troppi punti del testo apparterrebbero a una zona neutra, da tingere in grigio secondo
un'immagine inventata ad altro fine dal Croce) si situa un legittimo istituto elaborato gradualmente nella
traduzione continua dei canzonieri toscani, qual stata studiata dal Sanesi: la rima siciliana. Essendo la
rima di con e di con tanto ineccepibile nei primi secoli toscani quanto quella (del resto dovuta a
un altro meccanismo di ritraduzione dal siciliano) di con e di con o (per non citare altri tipi pi
particolari di rime ammesse), che altrove, come nel provenzale classico, riuscirebbe un'intollerabile
negligenza, correggerla, livellandola nella direzione del nui che s'infiltra fin nel Cinque Maggio come
nell'opposta del brutto tome che suole, o soleva, disonorare il canto di Farinata, un ormai insopportabile
anacronismo, non forse inventato, ma definitivamente lanciato, dalla nuova sensibilit armonica della
filologia laurenziana, quanto dire del Poliziano, ma che un po' sorprende di ritrovare ammesso ancora
negli studi diligentissimi del Parodi e nella prassi del Barbi. Ripristinare la rima siciliana non
supervacaneo archeologismo di specialisti addetti a componimenti di umbratile nozione, visto che ci
tocca a Dante, di cui, vero, non sono sopravvissuti gli autografi, ma anche al Petrarca, che nell'edizione
autorizzata del Canzoniere (bench in questo punto non autografa) lascia rimare voi con altrui (e per il
copista, il Malpaghini, ravennate, sarebbe stato dialettalmente ricevibile vui). Il Barbi, cos deciso in certe
rimozioni (anche il pubblico deve abituarsi all'idea che faccendo sonava nel trecento cos bene come
faccenda, e bieci come magnifici, e amichi come ciechi), e per tale opera meritoria sembrato lesivo della
pietas (ricorda il Pasquali: Uno studioso che ha fama di giudice sicuro [...] concepiva stranamente le
alterazioni insinuatesi man mano nel testo, non so bene se di Dante o del Petrarca, quali "il contributo dei
secoli alla bellezza dell'opera d'arte", Pasquali, 19522, p. xiv), aveva dunque una sua pietas verso la

tradizione. Era probabilmente un eccesso di dissimilazione da chi credeva che l'essenziale dell'edizioni
critiche consista nelle h, negli u per v, nelle scrizioni latineggianti. O anche pro feticamente si premuniva
contro gli eccessi di conservatorismo, esemplificabili nell'accettare, per gli unica toscani trasmessi dal
canzoniere 'lombardo' di Nicol de' Rossi, oltre a tutti gli endecasillabi di undici sbilenche sillabe come
legali, gli e pr tonici non passati a i perch potrebbero anche essere senesi (nel caso di non fiorentini
come Cecco Angiolieri); o nello spargere artificiosamente di polvere vernacola la poesia del Guinizzelli e
degli altri antichi bolognesi, la cui cultura era filtrata attraverso Firenze e la Toscana. N mancano le
giuste palinodie: chi aveva pubblicato i versi milanesi di Bonvesin da la Riva espungendo puramente e
semplicemente le vocali (soprattutto finali) caduche, ne ha poi ristampato un buon numero limitandosi a
segnare le puntualmente labili di punto espuntorio sottoscritto. Per un verso, infatti, bench la cosa sia
soltanto grafica, quelle vocali partecipano di una generale cultura italiana; per altro verso si verificano
situazioni di rappresentazione consonantica legate alla presenza del segno vocalico (cos fag per fagio
ricorda incompletamente la convenzione del digramma gi per ene introduce una nuova equivalente a un
diacritico g o c). Veramente l'edizione -nel-tempo.
Apparali e descrizioni formali. - I due limiti opposti, della restituzione malcerta da non introdurre,
lasciando a titolo di vicaria simbolica una rappresentazione tradizionale, e della correzione sicuramente
erronea da non introdurre, definiscono la ricostruzione formale nella sua ordinaria amministrazione, il cui
conservatorismo pu sembrare in definitiva parallelo a quello sostanziale del Bdier. Il parallelismo va
anche pi innanzi: a parit di condizioni, si adotta costantemente la forma di un testimone, scelto (ma per
solito apoditticamente) per ragioni o di antichit o di congruenza regionale o di sorvegliata organicit.
L'apparato formale si tiene normalmente distinto da quello sostanziale (inclusivo delle forme-limite), e
salvo casi in cui non sia d'inutile ingombro (o non sia di notevole interesse culturale, com' per i primi
copisti della Commedia) anche soppresso del tutto, segnati solo i casi di allontanamento dal codice
adottato. Non ci si sottrae all'impressione che la forma passi in seconda linea innanzi alla sostanza,
atteggiamento peraltro rispondente a una saggia economia della ricerca. Un'accurata descrizione della
forma e della stessa grafia s'impone per i grandi delle cui opere possediamo autografi (Petrarca,
Boccaccio), e anche per i non grandi del Medioevo per cui si dia questa ventura (da Francesco da
Barberino al Sacchetti). Di casi sovrani merita altrettanto impegno la ricostruzione: cos non appaiono
certo supervacanee le cure adibite dal Casella al problema se la Commedia abbia usato forme dittongate
(popolari e moderne) o monottongate (letterarie e arcaizzanti); la descrizione che l'edizione Barbi fa della
lingua adottata per la Vita nuova, anche se non si pu annoverare fra i capolavori del grande filologo,
diventata paradigmatica per i 'testi di lingua' come gi quelle dell'Ascoli e del Mussafia per l'antica
dialettologia romanza. Anche sono oggetto di zelo formale i testi molto antichi, pi o meno restituibili che
siano sotto la crosta della subita ibridazione (come i poemetti oitanici di Clermont-Ferrand giunti patinati
da mani meridionali), e in genere quelli di aspetto regionale peregrino. Ci si impegna pi in un testo
'mediano' che in uno toscano, pi in uno toscano periferico che in uno fiorentino. Ma un'esigenza di
totalit di pubblicazione e di spoglio stata fatta valere anche per i centri che si presumono pi noti, in
particolare, e proprio irradiandosi da Firenze, dal Castellani: esigenza di totalit parallela a quella che, per
la lingua degli autori, studiosi di lingua inglese per primi hanno fatto penetrare dall'ambito biblico e latino
in quello dei classici italiani con l'allestimento di concordanze, studiosi francesi nel loro campo con la
preparazione di glossari completi. L'esigenza di totalit si riverbera anche sulla qualit dell'oggetto
esaminato, e sprona alla riproduzione, quando il tipo di tradizione lo suggerisca (Fiore, Angiolieri ecc.),
dei fenomeni osservati, che possono avere rilevanza fonica: raddoppiamento fonosintattico (naturalmente
automatico per la gran parte dei toscani), assimilazione ugualmente in sandhi con eventuale successiva
semplificazione in protonia, ecc. peraltro sempre materia di discrezione la riproduzione delle
ipercorrezioni (in Bonvesin, dei gruppi con L in esempi come a bla e clera; nel laudario Urbinate, dei
raddoppiamenti fonosintattici abnormi, ecc.); le quali informano dello sgretolamento d'uno stato pi
antico o della sua importazione. Non problematica appare la riproduzione degli ibridismi estemporanei,
anche se multipli, come avviene per i testi, non per nulla a manoscritto di norma unico, della letteratura
franco-italiana. (Se invece essi si strutturano grammaticalmente, come Ugo Enrico Paoli ha mostrato per
la prosodia macaronica, insorgono possibilit cor-rettorie).
Diacronia testuale. - La cultura occidentale comincia dal vasto tetto di Omero, che le varie soluzioni
della questione omerica perforano, con diverse geometrie ma irrimediabilmente, in direzione di stati
anteriori da congetturare in una sorta di proiezione all'inverso. La loro descrizione nel complesso

metatestuale e mal risolubile nella graficit di un'edizione, dove al massimo obeli, asterischi, variet di
parentesi e di corpi cristallizzano visibilmente qualche risultato della critica interna. Ogni filologia ha la
sua o le sue 'questioni omeriche', non di rado in esplicita analogia con l'antonomastica: la germanica i
Nibelungi (che proprio il Lachmann prese a studiare, come studiava Omero), la francese il Roland, la
spagnola il id e cos via. Solo chi, come il Bdier, inchioda, poco meno, il proprio oggetto al tempo
della sua prima apparizione poematica, ne accetta anche, come appena posteriore, la pi antica fissazione
testuale, spingendosi da una negativa cautela a un'ingegnosa, addirittura antieconomica, giustificazione di
tutto il presente e mettendo in opera gli strumenti che la retorica delle scuole ha elaborato per celebrare
l'unitariet dei testi. Invece il Menndez Pidal, di mentalit fedele (bench accuratamente evitando
l'apriorismo) alla matrice wolfiana, a un assoluto conservatorismo testuale (pur coonestato dal paio di
secoli che intercorre fra confezione e copia) accompagna la scissione da chrizon introdotta nei suoi tardi
anni. Comunque, se l'equivalente-dell'originale un'ipotesi di lavoro per lo pi di certezza discontinua
mal rappresentabile quantitativamente nel piano (e anche dell'originale si esegue un'interpretazione), lo
stato dinamico del testo critico omogeneo a quello di ogni indagine genetica anche costretta a
un'espressione metatestuale. Questa dinamicit tanto pi da affermare in quanto da riconoscere la
necessit, in contraddizione o piuttosto composizione con essa, di piattaforme dove sostare lungo la linea
evolutiva: sincronie intermedie che si oppongono alla sincronia originaria come limite di un processo
diacronico. A quel modo che un'indagine etimologica non deve obliterare le fasi della storia d'una parola,
cos la mira d'una ricerca ecdotica non sempre di necessit la ricostruzione del testo primitivo, ma quella
di momenti della 'fortuna' testuale. Il fondamento all'esortazione verso apparati (di sostanza) completi
quanto fisicamente possibile (salvo al pi le sviste servili in luogo di sincere innovazioni) ha lo scopo di
salvaguardare non soltanto, euristicamente, quelle lectiones singulares che domani potranno, adottate
come parametro per saggiare nuovi individui, rivelarsi lezioni di gruppo, ma il materiale che faccia
conoscere la fisionomia del testo in ogni frazione della, .sua storia culturale. Se facile ritrovare le fonti a
stampa attraverso le quali, poniamo, Sainte-Beuve o De Sanctis hanno conosciuto i testi medievali o
anche moderni (non affatto indifferente sapere che il De Sanctis, vlto com'era al contenuto, tenne
presente tutta la vita la prima edizione - probabilmente mediata da qualche locale ristampa piratesca - e
non mai la seconda dei Promessi Sposi), le cose si fanno meno semplici per altre epoche. E per
cominciare proprio dal sacro testo: per intendere una citazione o un riferimento biblico fatto da un autore
medievale, pu ben darsi che nella stragrande maggioranza dei casi sia lecito bonariamente condursi
come se quello avesse avuto a mano, o piuttosto a mente, al pari di noi, la Vulgata Sisto-Clementina. Ma
in occorrenze puntuali, e superlativamente quando siano da giudicare antichi volgarizzamenti,
l'anacronismo rigorosamente impraticabile: giova allora sperare che il luogo sia riscontrabile
nell'edizione Vaticana promossa da Pio XI (inaugurata dalla Genesi di dom Quentin), e che a quel punto
l'apparato sia sufficientemente ricco; altrimenti sar remunerativa (poich la natura del Libro per
eccellenza frenava la molteplicit delle varianti) un'ispezione ai manoscritti che ne abbondano in ogni
grande biblioteca. Peggio vanno le cose quando si tratta di classici profani. Supponiamo che occorra
determinare in che lezione Dante abbia conosciuto il poema di Lucano. Qui gli strumenti di lavoro
disponibili mancano del tutto, come in genere se si debba accertare la recensione nota ai tanti, e sempre
meglio studiati, traduttori antichi dei classici: le edizioni disponibili, prodotto di scuole altamente
raffinate, mirano esclusivamente al recupero della lezione originale e perci sogliono trascurare le
edizioni approntate a partire dal secolo XII, che sono quelle che farebbero all'uopo; solo un esame,
nell'ipotesi che si lavori a Firenze, di quella trentina di copie della Pharsalia che vi sono conservate, serve
a chiarire la situazione. Si apre perci alla filologia latina, la primogenita delle filologie moderne, che ha
ultimato nelle sue grandi linee l'elaborazione critica dei suoi testi di epoca classica, il compito, a prima
impressione meno avvincente, di allestire il regesto della tradizione posteriore alla tarda antichit e
all'Alto Medioevo. Un compito affine sta innanzi a chi voglia conoscere il testo del Roman de la Rose
noto a quell'autore della sua parafrasi in fiorentino, detta Il Fiore, in cui a qualcuno sempre parso di
ravvisare Dante Alighieri: a questa domanda risponde molte volte a sufficienza l'edizione del Langlois
(che peraltro, dietro alla communis opinio che lo credeva di un avanzato trecentista, ne sminuiva
l'importanza anche cronologica), pi esaurientemente la tradizione da lui scartata come seriore. stata
descritta l'importanza delle vere e proprie edizioni, anche se non lachmanniane (perch emendatone e
puntualmente collative), date di Livio dal Petrarca (Billanovich), pi determinatamente di un largo corpus
dantesco (Commedia e Vita nuova con una scelta di canzoni) dal Boccaccio, di una copiosa scelta dei
nostri lirici antichi dal Magnifico o suoi collaboratori (Poliziano) nella cosiddetta Raccolta Aragonese.
Un'occorrenza estrema s'incontra quando un gruppo di suoi discendenti, dal quale dipende la Giuntina di

rime antiche (1527), altera meccanicamente, con assimilazione progressiva, in forosetta il foresetta
cavalcantiano e lega al vocabolario italiano un lemma supposito, da cui a suo tempo Giovanni Faldella
ricaver lo pseudo-positivo forosa. Siamo abbastanza avanti perch non sia inopportuno registrare, col
Favati, anche le pi tenui variazioni formali, fino gli errori servili.
Poesia 'popolare e 'tradizionale . - In questo settore, dove sembra fermarsi la macchina innovatrice
della storia, e dove sul punto di partenza viene a preponderare la tappa, quando non il suo responsabile,
come se si elaborassero degli apparati autonomi. E al limite, per arduit di ordinamento cronologico o per
dignit di redazione, si pu parlare di equivalenza delle varianti, gli errori si estrapolano in semplici
innovazioni e queste in innovazioni redazionali, per cui diventa inoffensiva fin l'applicazione del
judicium, con la categoria antilachmanniana di variante (o almeno di organica redazione) 'pi bella'. I testi
pi soggetti a simile sorta di rifacimento sono, beninteso, i canti e altri componimenti 'popolari', dove, in
attesa della fase di razionalizzazione, sempre aperta la fase della raccolta. Aperta in fatto, ma anche
aperta in diritto, quando addirittura, rovesciandosi il movimento romantico dall'ignoto al noto, si conosce
il punto di partenza, cosicch si credette di poter identificare quell'ignoto in altro noto. Le cose stavano
all'inverso. Non i romances spagnoli, 'cantilene' per privilegio collettivo sopravvissute, avevano generato,
in obbedienza alla fenomenologia romantica, l'epica spagnola, e particolarmente il Cantar de myo id,
ma al contrario, come ben videro il Mila y Fontanals e il Menndez y Pelayo, anzi gi Andrs Bello, i
romances rappresentano un'evoluzione successiva dell'epos. Il Menndez Pidal, magnanimo collettore di
romances, definisce questa forma di poesia come propriet collettiva, offerta all'usufrutto e alla
partecipazione dell'intera comunit, dove ogni intervento, firmato o adespoto che sia, su un testo
ereditario, o per analogia su un tema nuovo, ha valore autonomo, col termine tecnico di poesia
tradicional, in opposizione a popular, che sarebbe quella diventata o 'decaduta' a popolare. In proposito di
questa distinzione va introdotto il suggerimento del Barbi, di grande attrattiva euristica, pur se riferito a
un ramo di filologia tuttora condendo: ricavare dallo studio della poesia che il Pidal chiama tradicional
(in quanto svolta su temi extraletterari) norme valide per la trasmissione di quella che il Pidal chiama
popular. Io [...] ho sempre preferito avere lezioni diverse d'un medesimo canto che non canti nuovi.
[...] Quello che avviene ancora, in condizioni molto diverse di trasmissione, per la poesia popolare, pu
giovare per risolvere problemi spinosi circa la poesia popolare dei primi secoli. Illuminer, per esempio,
la questione della trasmissione delle laudi di tipo pi popolare, e di riflesso anche di quelle di Iacopone; e
chiarir il problema delle antiche stampe di canzonette e strambotti, particolarmente quello di Leonardo
Giustinian su cui son cos diversi i pareri (Barbi, 1938, p. xxxix). Da allora (1938) laudi e giustiniane si
sono continuate largamente a studiare al modo in largo senso 'lachmanniano', cosa legittimata dall'identit
di logica che regge ogni teoria dell'innovazione. Pu restare il rimpianto che a testi di tradizione cos
frantumata non sia stata ancora recata l'esperienza, non si dice di un tradicionalista (che per la verit si
avverte un po' troppo nel Pidal editore di testi letterari, peraltro di tradizione ispanicamente molto
semplice), ma di un filologo persuaso della singolarit dei problemi sui singoli testi, qual era il Barbi, e
pur movente da esperienze letterarie e poi traversante esperienze folcloristiche. Impregnato di fantasia
scientifica, egli ha tracciato il profilo d'un'area analogicamente disponibile a uno spirito d'invenzione.
Algebra e discorso in ecdotica. - Un ideale di presentazione testuale altamente formalizzato, con una
figurazione differenziata della discontinuit del reale rispetto alla razionalit e una frammentazione di
apparati sia a scopo probatorio sia a fini d'informazione storica. Quest'ideale man mano diluito secondo
gli utenti a cui si destina l'edizione, tuttavia un'accentuata diffusione del costume filologico (che non
senza contropartite, ma"di cui in questo punto si pongono in rilievo i vantaggi) fa s che ormai non osti
inevitabilmente alla fruizione dei testi la segnalazione dei dati presentabili (quando presentabili) con
mezzi tipografici elementari, quali i luoghi incomprensibili della tradizione, le lacune, i supplementi, le
altre lezioni congetturali, le interpolazioni gi munite di un lungo prestigio, magari le varie misure di un
testo anisosillabico; in un mondo che non ha pi in vigore il canone di Policleto o altro legislatore
estetico, ha dimesso le sue ultime resistenze - poich esse venivano da lui ancor pi che dall'immaginario
lettore - perfino lo stampatore, giusto cultore di un'armonia che presupponeva l'inviolabile immobilit del
testo. Ci per che limita la 'purezza' algebrica della rappresentazione la necessit di discorso: meno
ancora per l'impossibilit di descrivere altrimenti soluzioni probabilistiche, quando si avverta che un
intervallo, peggio se di dimensioni variabili, separa dall'equivalente-dell'originale, che per la convenienza
di giustapporre elementi dell'esegesi. L'opportunit di inglobare dati esegetici alla stessa costituzione del
testo stata praticata dal Barbi (sotto forma di apposito apparato, non di appendice illustrativa, che non

sarebbe davvero una novit, nell'edizione della Vita nuova, del resto ispirata alla rajniana del De vulgari),
poi anche separatamente affermata. Egli reclamava la libert (il discorso, fatto per le Rime dantesche, ha
valore universale) di tentare una critica totalitaria che servisse con ogni mezzo, compreso il commento, a
dar piena ragione del testo, dell'ordinamento e della stessa autenticit (Barbi, 1938, p. x). [...] Per me
l'ideale resta sempre un'edizione ove il testo sia giustificato da una precisa interpretazione e illustrazione.
Senza giusta interpretazione non si pu dar neppure un'interpunzione corretta [...]: anche per opere di cui
s'ha la fortuna d'avere l'autografo, o l'edizione approvata dall'autore, la precisa intelligenza del testo
necessaria a voler fare un'edizione che serva ai bisogni dei lettori moderni, e insieme agli studiosi (ibid.,
p. xxvii). probabile che il Barbi intendesse opporsi a una pratica della recensio (o di materiali per la
recensiti) senza interpretatio quale non era impossibile trovare presso qualche cultore del metodo storico:
bench l'affermazione di una recensio anche a patto di rinuncia all'interpretatio avesse una legittimit
storica ben precisa quando l'avanzava un filologo del calibro del Lachmann, poich si trattava d'impedire
che una volont umanistica di capire prevaricasse sulla medesima costituzione del testo. Parlando di
critica totalitaria, il Barbi intendeva saldare non viziosamente il circolo tra una recensio come base
dell'interpretatio e uri interpretatio come fondamento della recensio, movimenti certamente distinti se
non contrastanti (o prevale l'interesse per l'esegesi o prevale l'interesse per la fissazione testuale), che
un'alta periodicit negli interessi avvicina fino a un desiderio o illusione di fusione. Nonostante tutto,
nell'ardito e fin qui unico propugnatore di una critica totalitaria il momento esegetico fin col prevalere
sul momento recensorio, posto che precisamente dell'opera che gli ispir questo ideale, le Rime di Dante,
con poche eccezioni che probabilmente lo configurano (come il saggio sulla tenzone con Forese Donati),
il Barbi fin per dare, postuma e con l'aiuto di ben governati collaboratori, la sola edizione commentata,
svolta attorno all'immobile testo, non corredato da giustificazione, prodotto nella stampa del Centenario
(testo migliore di ogni precedente, ma perfettibile e dichiaratamente provvisorio); e i saggi adunati nella
Nuova filologia (titolo che vuol essere anche la definizione di un programma) vertono soprattutto su
varianti d'autore, cio accentuano il momento dell'elaborazione con un'intenzione, parallelamente al libro
del Pasquali, translachmanniana; e finalmente uno scritto quasi testamentario prendeva in esame non pi
una tradizione manoscritta statica o una dinamica e tanto meno una popolare, oggetti fino allora delle sue
mutabili e inquiete curiosit, ma una correttoria fino all'ultimo sulle bozze, quella manzoniana dei
Promessi Sposi, elaborando un'ulteriore inedita fenomenologia procedente per studio dei fogli di stampa.
N c' bisogno di scendere tanto nel tempo: la pagina della Vita nuova si appaga di un primo apparato
testuale ridottissimo, contenuto nei piani alti dell'albero e perci in sostanza riserva di alternative
discutibili, mentre altre sedi prefatorie sono deputate a ospitare con la debita microscopia i procedimenti
lachmanniani e quelli della ricostruzione formale: quasi l'immenso tempo loro dedicato fosse adibito a un
uso, non certo allotrio, ma puramente negativo e servile. La soppressione degli apparati nell'edizione dei
soli testi danteschi, poi nella collezione delle opere commentate, risponde sicuramente a necessit
pratiche, ma che devono essere state accolte senza sacrificio, se non con soddisfazione, da un
temperamento interamente dedito all'istante della lettura; e ci concomita con l'aspetto decisamente non
specialistico, fuori di sostanziose innovazioni, della sua presentazione formale. Nonostante le
innumerevoli tavole di varianti e descrizioni codicologiche (specialmente negli Studi, destinati a una
straordinaria fortuna recente), il Barbi ha decisamente scelto la parte non del tecnico, ma dell'umanista.

Arte allusiva. - Una presentazione portatrice di esegesi tende naturalmente a dissociarsi da una
presentazione formalizzata. Ci che agevola il compito dell'avvicinamento il fatto che quest'ultima, la
cui 'purezza' consisterebbe nel rappresentare meramente o l'approssimazione dell'autore o quella dello
storico al testo, nella sua reale configurazione persegue pi finalit (che a rigore possono esser trattate in
edizioni separate) e raccoglie una somma di informazioni non omogenee: tale, rispetto all'oggettivazione
del testo, la sua storia o 'fortuna', tale e sar magari lo stesso materiale da altri punti di vista - la
raccolta dei dati provvisti di una virtualit che potr anche non realizzarsi mai (se il caso non esibir
incrementi dell'inventario) o semplicemente offerti a un controllo. Il 'genere' gi abbastanza composito
da tollerare la presenza di altre informazioni, le quali ripropongano puntuali aspetti della cultura
dell'autore (o del pubblico da lui immaginato), cultura esplicita o implicita o magari inconscia, tali da
metterci nella distanza originaria. Un'estensione canonica, marginale o parentetica (come per i luoghi
paralleli nelle edizioni ecclesiastiche della Scrittura, maestre involontarie di tanti artifici ecdotici) o
invece riservata a un apparato apposito, si fa per le vere e proprie citazioni. Un problema rilevante suscita

in cambio quella detta dal Pasquali (nel titolo del saggio poi messo ad apertura di Stravaganze quarte e
supreme, Venezia 1951, p. 11) arte allusiva, non reminiscenze ma allusioni, e volentieri direi
evocazioni e in certi casi citazioni. Le reminiscenze possono essere inconsapevoli; le imitazioni, il poeta
pu desiderare che sfuggano al pubblico; le_ allusioni non producono l'effetto voluto se non su un lettore
che si ricordi chiaramente del testo cui si riferiscono. Nocciolo della comunicazione del Pasquali sono,
sulle tracce degli antichi commentatori e dei pi raffinati moderni (Eduard Norden), passi virgiliani che
acquistano tutto il loro sapore quando traspaia la filigrana di Vario o di Ennio o di Varrone Atacino; una
bell'aggiunta recente (Gian Biagio Conte, Memoria dei poeti e arte allusiva, ora in Memoria dei poeti e
sistema letterario, Torino 1974) fa scorgere Catullo dietro Virgilio entro un contesto emulativo omerico.
In casi estremi, cio in centoni dichiarati, quali ebbero cari la tarda antichit e l'Alto Medioevo,
soprattutto attorno a Omero e a Virgilio, un apparato tenuto a identificare gli ingredienti; ma anche di
arte allusiva vi un settore che giunge addirittura a essere segnalabile a testo, se il verso bucolico
Perdita nec serae meminit decedere noeti virgolettabile come, per indicazione di Macrobio, desunto
da Vario, o, si pu aggiungere, nella canzone petrarchesca Lasso me deve subire questo trattamento ogni
verso finale di stanza come incipit di altrettante canzoni (Arnaut Daniel o chi per esso, Cavalcanti, Dante
ecc.). Il procedimento legittimo perch si tratta di un elemento dell''esecuzione' testuale, pronunciato
appunto fra virgolette: perci anche la chiave ne essenziale e appartiene idealmente a una fascia
privilegiata di commento, distinguendosi dai subalterni sussidi di erudizione antiquaria; quella fascia o
apparato speciale in cui andranno dichiarate per intero le 'variazioni', non segnalabili come le 'desunzioni'
(cos Virgilio aut bacula caelum Suscipiens patulis captavit naribus auras da Varrone Atacino Et bos
suscipiens caelum - mirabile visu
Naribus arium patulis decerpsit odorem). Solo la proporzione di familiarit atta a decidere della
costituzione dell'apparato: se in D'Annunzio, per seguire sempre l'esemplificazione del Pasquali, si legge
O voce di colui che primamente Conosce il tremolar della marina, la reminiscenza dantesca appartiene
a una memoria collettiva talmente ovvia che qualunque segnalazione superflua, anzi romperebbe il
clima di spicciola complicit culturale che il poeta ha voluto instaurare col suo lettore; se ne occuperebbe
comunque una didascalia post factum, non una glossa all'attuosit del testo, qui tacita. La discrezione,
giusta la finalit proposta e anche a misura della peregrinit del reperto, arbitrer la presenza delle tessere,
classiche o volgari ma canoniche, alluse (desunte o variate), di repertorio o perfino subconsce ad
attestazione d'un trauma di memoria. (Questo tanto pi significativo quanto meno semanticit inerisce
alla formalit timbrica o ritmica della reminiscenza, per esempio se dei tanti echi danteschi - di aspetto
involontario - in Petrarca si considera lo schema iniziale Al cader d'una pianta che si svelse come
derivato dall'ugual mente incipitario Al tornar de la mente, che si chiuse; se poi si risale agli echi di
ugual natura entro uno stesso poeta, si esperisce tangibilmente la memorabili t sulla quale egli fonda Dante in modo supremo il suo assunto di essere un classico). Qualunque campo ermeneutico, non solo
quello dell'arte allusiva, si presta a una rappresentazione immediata solo parziale. La punteggiatura,
dunque una fase ormai graficamente obbligatoria dell''esecuzione', dirimente per l'interpretazione,
nell'episodio di Cavalcante: Come? / dicesti 'elli ebbe' (Casella) contro la precedentemente vulgata
Come/ dicesti? 'elli ebbe'?; all'apparato (apparato, e non separato commento, essendo afferente al testo)
riservata, se la si vuol dare, e si vorr finch sar controversa, la giustificazione; si aggiunga che questa,
poich fondata su contesti paralleli (a interpretazione univoca), suscettibile di citazione abbreviata da
quando si dispone di tante concordanze, e che il crescere di spogli elettronici a stampa fino all'auspicata
continenza nel Tesoro della Crusca consentir una qualche abbreviazione in tutti i casi dove s'impongano
riscontri da pi testi e love non importi solo un lemma isolato, bens, come di norma, un lemma in
relazione contestuale. Ma nello stesso episodio, in Colui [...] mi mena Forse cui Guido vostro ebbe a
disdegno, la punteggiatura parlante solo per la mancanza di virgola dopo mena, che importa
riferimento e di forse e di cui come oggetto a mena (la virgola precedentemente vulgata importava
riferimento di cui a colui e quindi di forse a ebbe), ma solo un discorso pu illuminare l'identificazione
del personaggio e anche precisar meglio il due tu s grammaticale. Quanto agli 'enigmi' (e Dante valga
anche qui per antonomasia), essi possono essere intenzionali e qualche volta predicati come tali, e questi
sono editorialmente irrilevanti, talch il grigio crociano di cui invogliato ad avvolgerli il lettore
testualmente innocuo; ma quelle che sono oscurit solo all'interprete per oltranza retorica o morale, cio
di brevitas o di expolitio oppure di tab, se rischiarate poco o nulla, aprono incertezze o lacune nella
comprensione della lettera parallele a quelle verificabili nella costituzione del testo. S'immagina che la
voce recitante, arcanamente inflessa intorno agli enigmi oggettivi, avr avuto la fermezza in qualche

modo neutra di chi sa se il pi fermo sia il sinistro o il destro, se il digiuno di Ugolino l'abbia portato alla
tecnofagia o alla morte, ecc., sicch le nostre risoluzioni o anche irresoluzioni a questo riguardo della
partitura dovrebbero occupare un luogo simile a quello dei dati spettanti al testo, cio un apparato
piuttosto che un commento. Come una nuova scoperta testuale rivela vizi (per solito banalizzazioni)
altrimenti non avvertiti, cos nuove scoperte esegetiche rivelano retrospettivamente conoscenze
insufficienti nel quotidiano cui non pi possibile adattarsi: forse l'astensione involontaria pi imponente
s' mostrata nella lettura dei Vangeli da quando uno specialista di diritto orientale (J. D. N. Derrett, Law
in the New Testament, London 1970) ha messo in luce il significato giuridico, allora universalmente
inteso, delle parabole di Ges. Questa ricerca e sceveramento d'una sede esegetica pi vicina al testo in
atto non oziosa se vuol significare e come allegorizzare la tendenza a una comprensione letterale tanto
rigorosa quanto, per parte sua, la costituzione della lezione: una critica semantica, come la disse il
Pagliaro, o grammaticale o come altrimenti la si chiami, che pu anche riverberarsi su tale costituzione.
Attribuzionismo. - Ultimo vantaggio della critica totalitaria, diceva il Barbi, quello d'intervenire nelle
questioni di autenticit. La generalizzazione massima quando nell'attribuzionismo letterario si discerne
il fondo comune all'attribuzionismo per eccellenza, quello figurativo, cos come il Pasquali aveva messo
le mani avanti per precisare che l'allusivit valeva non meno per le arti figurative e la musica che per la
poesia. Le differenze fondamentali fra gli aspetti che hanno rivestito i due tipi di ricerca attributiva
risalgono naturalmente al fatto che l'anonimato , anche per il Medioevo, condizione meno ordinaria in
letteratura che nelle arti figurative, e che il veicolo letterario si presta ancor meglio a 'vischiosit' tecniche
e a poetiche spersonalizzanti (nonostante l'imponenza di fenomeni 'astorici' come la pittura bizantina e la
scultura negra, o la tendenza all'identificazione anche di somme individualit come Giorgione e Tiziano
giovane o gli impressionisti per certi momenti da cogliere ad annum). Tuttavia la questione non va posta
in astratto, poich la critica come storicamente esiste, e la critica d'arte non solo si realizza in parte
rilevante quale attribuzionismo, e non unicamente sotto le mani dei grandi 'conoscitori', ma anche al
difuori dello stretto attribuzionismo si assetta in forma attribuzionistica e congetturale, seriando le opere
in un fitto reticolato di consecuzioni culturali: un libro di storia dell'arte assomiglia (ed un
inconsapevole merito della disciplina, che non stacca giudizio di valore da giudizio esistenziale) pi a un
libro di storia letteraria che a un libro di critica letteraria (in forma romantica e postromantica); la
fisionomia prevalente della sua ricerca filologica. Tale filologia ha solide basi 'reali', archivistiche o
artigianali che siano; ma il critico d'arte, che pi spesso conferisce a 'filologia' un significato limitativo
quando non despettivo, d pregio sopra quest'argomentazione esterna ai considerandi stilistici che
costituiscono l'argomentazione interna. Una sua formulazione pi elementare, consistente in una
morfologia delle figurazioni (panneggi, mani, nuvole ecc.) che ricorda la sistematica linneana, fu proposta
da Giovanni Morelli, e come 'morellismo' si designa un attribuzionismo stilematico che non tocca il
livello di stilistico. L'attribuzionismo stilistico, che nelle sue manifestazioni supreme acquista dalla
folgorante rapidit dei passaggi un aspetto quasi mistico, non s'intende bene, anche in analogia,
vichianamente, se non per averlo praticato: e apparir allora quello che, nell'atto stesso di collocare il
nuovo incremento, illumina criticamente tutta la serie delle innovazioni individuali o collettive che
determina. L'attribuzionismo letterario in prima istanza 'esterno' (ma anche il figurativo pi raffinato
ingloba, fosse pur tacitamente, le prime fasi) e arriva a cercare gli indizi iniziali addirittura attraverso le
probabilit statistiche dei suoi stemmi. Le divergenze attributive che insorgono tra i canzonieri medievali,
in numero straripante gli occitanici e gli oitanici, tanto pi parco i tedeschi, gli italiani e gli iberici, si
cercano anzitutto di dirimere a norma di maggioranza come ogni altra divergenza di lezione; in alcuni
casi, come in particolare mostrano il Barbi e il Debenedetti, la comparazione degli ordinamenti, in cui
intervennero salti o altre alterazioni, permette una risposta positiva, o anche negativa, ai quesiti. Ci non
involge che quest'mbito non sia suscettibile di finissime applicazioni di critica interna, come la
dimostrazione del Monteverdi in ordine all'apocrifia della chansoneta nueva data a Guglielmo
d'Aquitania; ma sembra non essere mai accaduto che i risultati ottenuti su questa base si siano poi
ripercossi sulla classificazione dei manoscritti. Corrente anche l'attribuzione su base stilematica, ma
occorre una grande oculatezza nel determinare se un certo stilema o sistema di stilemi possa davvero
esser considerato una firma interna. L'illusione di poter adoperare impunemente i calcolatori elettronici
per una determinazione automatica di paternit su base lessicale o sintattica (presenza o assenza di
vocaboli e locuzioni, loro proporzione numerica, rapporti fra le parti del discorso, misura media dei
segmenti sintattici e, chi volesse, valori timbrici in percentuale), per esempio al fine di determinare quali
lettere e quali dialoghi pseudoplatonici siano davvero spuri, non sopravvive che circondata di cautele e

riserve presso gli operatori pi accorti, coscienti del fatto che quegli indici, o una loro parte, individuano
strutture di 'genere', comuni a pi personalit, mentre viceversa in uno stesso individuo convivono pi
strutture (ci non toglie che quegli spogli possano costituire un sussidio rilevantissimo dacch la
memoria, elettronica o fisiologica che sia, lo strumento essenziale dell'attribuzionista). Implicitamente
per questo, non per pigrizia, editori moderni si accontentano di costituire appendici di 'dubbi' (per Cino,
Cecco Angiolieri ecc.). Proprio dell'attribuzionista moderno comunque di esplicitare gli istituti sui quali
ragiona (cos come lo Spitzer ha dettagliato la klassische Dmpfung di Racine, e ancor meglio gli
ingredienti rabelaisiani dei Contes drlatiques per dare un buon voto al Balzac pasticheur): il Foscolo
poteva limitarsi a fiutare aria di falso antico in sonetti di Guittone (come Charles Dickens subodor una
mano femminile in George Eliot), ma dall'epoca positiva in qua il sospetto falso antico di documenti non
antichi oggetto di meno vago scrutinio, dalla controversia su Dante da Maiano allo smascheramento
recente dell'impostore ferrarese Baruffaldi. Ma che posto ha l'attribuzionismo stilistico in sede letteraria,
per esempio nella brillante dimostrazione proprio del Barbi in ordine alla legittimit d'uno di quei presunti
falsi antichi, la tenzone fra Dante e Forese? Nullo, perch, se l'autorit dell'uomo ha (salvo forse che per
particolari minori) messo a tacere l'opinione avversa, ci avviene giustamente, sul fondamento del
comunque previamente necessario ragionamento documentario e anche stilematico; ma il sobrio Barbi
non corona il suo edificio dimostrativo col fastigio critico del riconoscimento che qui, o anche qui, nasce
la sperimentazione 'comica' di Dante; mentre si pu aggiungere che, precisamente per questa dilatazione
sperimentale verso intentati settori linguistici, il calcolatore non solo non avrebbe corroborato la tesi, ma
l'avrebbe, maneggiato meccanicamente, semmai confutata. La stessa posizione occupa, pi in grande, il
cosiddetto Fiore, per la cui ascrizione a Dante furono recate prove 'esterne' talmente robuste da far dire al
Parodi, ormai non pi convinto dell'attribuzione, che sarebbero largamente bastate se si fosse trattato di
tutt'altri che di Dante; sono state poi addotte, prima sparsamente, quindi sistematicamente, prove 'interne'
stilematiche; e finalmente l'emergere di riscontri via via meno strettamente semantici fino ai fonici e
ritmici puri, attestanti la 'memorabilit' del testo (e di nessun altro testo a quel modo) entro la Commedia,
porge un dato 'stilistico' che sembra omologo a quelli adoperati dai pi alti attribuzionisti figurativi, come
il Longhi. Quanto alla 'certezza', pare conforme alla condizione storica della filologia letteraria che essa
sia ancora, e forse per sempre, scaricata sulle fasi precedenti. L'attribuzionismo figurativo si fonda sulla
'qualit', e ci torna a verificarsi nell'attribuzionismo letterario. Sia il caso del laudario Urbinate, nel
quale, fra i componimenti tutti adespoti, ne sono ospitati di jacoponici, in lezione che travalica i piani
bassi dell'albero, peraltro con dilatazioni e interpolazioni pregevolissime, bench inferiori al livello di
Jacopone. La presenza di un'alta qualit in alcuni unica e quasi unica dell'Urbinate fa legittimamente
nascere il sospetto euristico che ci si trovi innanzi a Jacopone inedito, da sceverare meglio che si possa
dalla secondaria mano (o mani?) manipolatrice. Se il problema quello stesso che si pone sulle pareti
dell'altra grande macchina francescana, il santuario di Assisi, questa sovrana esperienza storico-artistica,
ancor pi che da metafora (splendida metafora), servir da leva mentale.
Critica stilistica. - Fin qui l'esegesi mira al testo come a suo punto d'arrivo. Se essa, per cos dire, si
ribalta sul testo, questo diviene il punto di partenza di un'esegesi, se non postuma e aliena, certo meno
vicina alla letteralit del testo, perci esorbitante dall'mbito della filologia. Esistono tuttavia due tipi di
ricerca che presuppongono in progressiva vicinanza la lettera, la assumono come dato immutabile e in
nessun modo varrebbero a modificarla. Se non di pertinenza della filologia, essi appartengono al territorio
immediatamente limitrofo. Il primo tipo di queste ricerche di frontiera si denomina col suo fondatore, Leo
Spitzer, critica stilistica, (Sjilkritik), l'altro, egualmente col suo fondatore, Roman Jakobson,
grammatica della poesia (grammar of poetry). Entrambi operano su prelievi della lettera adottati come
campioni fuori d'ogni criterio a priori, e non agiscono con categorie a priori n empiricamente
riadottabili (come quelle della descrizione linguistica) a priori.
La critica stilistica, quale si configura, per semplificarne l'esame, nel solo suo fondatore, e pi
esattamente nella sede della sua fondazione, il volume di Stilkritik dedicato alla lingua degli autori,
Stilsprachen (1928), forma il proprio campionario su elementi linguistici dell'autore studiato
(Individuum NON est ineffabile il motto di uno dei saggi, ma varrebbe per tutti) differenziali rispetto
alla media circostante, li interpreta, e confronta l'interpretazione con quella che si ricava dalla globalit
dell'autore con strumenti psicologici: questo rapporto circolare (immagine la cui dichiarata etimologia
nello Zirkel o circolo vitale dello Schleiermacher) collega il microcosmo col macrocosmo, pi che per
riprova o conferma, tanto meno per correzio ne, per illuminazione reciproca e integrazione. La stesa

testuale si screzia dunque in fatto di porzioni pi e meno significative, punti 'pertinenti' o 'rilevanti' (come
poi dir la fonologia) in un insieme i cui passaggi possono anche essere neutri, in corrispondenza al
livello d'attenzione che al testo porta non solo il lettore (che almeno inizialmente deve accontentarsi, in
fatto e in diritto, d'una comprensione discontinua e approssimativa) ma lo stesso autore. Il metodo in
questa formulazione si applica alle individualit esaltate del postromantico mondo contemporaneo, o pi
largamente alle innovazioni stilistiche, dunque anche collettive (come nel saggio spitzeriano,
considerevolmente anteriore alla Stilkritik, sugli acquisti sintattici del simbolismo); la sua evoluzione
(almeno nelle pi sicure estensioni dell'operatore, come nel saggio sul classicismo di Racine) sar verso
una differenzialit inerente al testo stesso, in rapporto a una poetica dell'assoluto. Le modalit della
Stilkritik sono dunque funzione della poetica.
Grammatica della poesia. - La grammatica della poesia non conosce parti neutre del testo, ma si
comporta come se tutto vi fosse significativo (in francese pertinent, in tedesco relevant), cosa che tanto
pi si nota in quanto la dottrina stata elaborata esattamente nell'ambito strutturalistico che ha
genialmente introdotto la categoria di pertinenza. I componimenti oggetto delle analisi del Jakobson sono
delle unit poematiche concluse, e quindi tende a farsi ozioso il quesito sui moventi della scelta (per
quanto la serie di saggi verta su autori delle pi varie lingue, cos da suscitare involontarie ipotesi di
rappresentativit degli autori per le lingue, e specialmente dei testi per gli autori, negli incerti limiti per
in cui sussiste il principio di individualit poetica). Le unit poematiche contengono propriet del
significante (non importa a che livello di coscienza) che vengono esplicitate e concorrono a
un'interpretazione complessiva sul piano del significato: si pu congetturare che la percettibilit di tale
interpretazione (quasi 'ispirazione' del critico) costituisca il criterio psicologico della scelta. Si possono
riconoscere modalit ricorrenti di applicazione di un questionario pi generale, in rapporto precisamente
alla chiusura del testo, senza che fio si trasformi in costituzione di categorie a priori: si studia
fondamentalmente la distribuzione delle partes orationis (e loro funzioni), e in via subordinata dei registri
fonematici, nei segmenti ritmici e sintattici, limitati da rime e pause, comparando i risultati diversi che si
ottengono in distinte aree testuali come possono essere Panteriore e la posteriore, le alterne (dispari e
pari), le periferiche e le centrali. La realt dei fatti cos reperiti sarebbe tutta ugualmente reale: qui sorge
la principale riserva sul metodo, che sembra restare aperto a una riforma la quale estenda a questa sede
l'agnizione di traits pertinents. L'applicazione del metodo a specifici testi letterari sembra acquisita col
saggio del Jakobson, in collaborazione col Lvi-Strauss (in L'homme del 1962), su Les Chats di
Baudelaire, pagine ormai celebri che possono costituire un opportuno riferimento anche per rilievi
contenenti implicazioni generali, e che appunto hanno il solo torto di non ammettere gradualit nella
certezza dei risultati, quasi fossero o da accettare o da respingere in blocco. Che gli chats siano da
identificarsi nella muliebrit, risulta con sufficiente sicurezza (per tralasciare il qui taciuto, certo come
troppo plebeo, argomento che chat suscita dall'inconscio di ogni parlante del francese un'allusione gergale
di femminilit) da un argomento filologico, il fatto, rilevato dagli esegeti, che il binomio puissants et
doux, di origine sainte-beuviana, qui riferito ai gatti, in una poesia di Auguste Brizeux era detto delle
donne: pi che arte allusiva nel senso intenzionale del Pasquali, subliminale riflesso condizionato. Ma che
l'eros sia androgino, la prova del Jakobson, che cio, di contro alle rime cosiddette femminili (ossia
parossitone, in fatto terminanti per consonante) riferite a nomi indifferentemente femminili o maschili, le
maschili (ossia ossitone, in fatto terminanti per vocale) si riferiscano tutte a nomi femminili, valida solo
in quanto si assuma un'armonica sessuale inerente al genere grammaticale. L'osservazione del Jakobson
peraltro un fatto che le proporzioni suggeriscono di considerare non aleatorio (questa categoria statistica
estranea alla grammatica della poesia). Il fatto pu invece essere razionalizzato se inquadrato in uno
studio delle rime, le quali sono tutte meno una ricche, fatto che, forse per essere banale, d'un'abbondanza
medievale, in Baudelaire, non mai menzionato dal Jakobson. Le rime sono insomma in -tres, -aison,
-t, -nbres, -itudes (e non in -res, -on ecc.); segue una rima ricca ma anche equivoca, monosillabica
(fin), che precisamente l'ultima delle citate rime maschili, e che compensa immediatamente a ritroso
(SAns fin:SAble fin) la relativa povert della rima (compagna solo a -t, come ha a altro efletto, ma in
contesto meno persuasivo, il Jakobson); viene infine la sola rima non ricca, bench adeguatamente
compensata a ritroso (tincELLES Magiques:prunELLES Mystiques), che proprio la pi esposta in
quanto finale. Come non razionalizzare questa 'eccezione', che dalle proporzioni segnalata come ancor
meno aleatoria; e come non razionalizzarla topicamente, quale segnale del culminante allontanamento
nello spazio e nel tempo che si chiude e inverte (aiutando l'etimo di mystiks, certo presente al buon
umanista Baudelaire) in lontananza interiore? Ci consuona alle dimostrazioni magistrali del Jakobson

sulla gradazione dalla maison dei gatti alla nonmaison delle sfingi e alla vaga molteplicit che fa dei
gatti la maison de la non-maison; dal reale all'irreale e al surreale; dalla prcision all'imprcision.
Solo che l'ambiguit ritrovata nel testo merita di essere discussa analiticamente per determinare quanto
essa sia conciliabile con le necessit semantiche della lettera: posto il francescano Laudato si', mi'
Signore, il per successivo potr ben avere o valore causale o valore d'agente o valore strumentale, ma
uno solo per volta, non essere ambiguo fra pi, come pure ha pensato qualcuno; sono funzioni alternative,
non coesistenti. Il verso Leurs reins fconds sont pleins d'tincelles magiques (di cui il Jakobson scrive:
On est tent de croire qu'il s'agit de la force procratrice, mais l'oeuvre de Baudelaire accueille volontiers
les solutions ambigus. S'agit-il d'une puissance propre aux reins, ou d'tincelles lectriques dans le poil
de l'animai?, Jakobson, 1973, p. 413) non contiene nulla che non sia compatibile con le norme della
lettera: reins 'lombi' ha una latitudine metonimica abbastanza elastica da indicare la corporeit in genere
(con cui le scintille) e la specificazione sessuale (con cui la fecondit); si pu parafrasare 'i loro corpi quei loro corpi cos fecondi - sono pieni' ecc.; questo allargamento gi simbolistico concomita con la
descritta dilatazione finale. Semplice esitazione, non gi supposta ambiguit, si ha per l'apposizione
orgueil de la maison: Faut-il entendre que les chats, fiers de leur domicile, sont l'incarnation de cet
orgueil, ou bien est-ce la maison, or-gueilleuse de ses habitants flins, qui [...] tient les domesti-quer?
(ibid., p. 411); la soluzione 'vanto della casa' parrebbe difficilmente contestabile. Mal sostenibile invece
l'ipotesi di ambiguit (La signification de ce passage [...] reste dessein ambigue) per il passo L'rbe
les eut pris pour ses coursiers funbres, S'ils pouvaient au servage incliner leur fiert [ibid., p. 410): pris
'scambiati' e pris 'adottati' si escludono infatti reciprocamente. Qui un altro capitolo filologico, la critica
delle varianti, interviene, sulla base della lezione delle prime stampe (pour DES coursiers), ad arbitrare
la controversia nel senso di 'scambiati' (a meno che l'autore, che si sa non sempre felice nell'emendarsi,
abbia corretto, ma per accidente servendosi di una forma equivoca, un certo 'scambiati' in un intenzionale
'adottati', congettura peraltro poco economica). Anche questo episodio istituisce un'ulteriore
collaborazione della filologia con un capitolo tanto suggestivo dello strutturalismo, un cui prolungamento
pu leggersi in Nicolas Ruwet.
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tecnico (con una sola eccezione: la 2* edizione della Genesi del metodo del Lachmann di Sebastiano
Timpanaro, Padova 1981), il carattere conservativo della presente ristampa consente a limitarsi a rinviare
a un'antologia impeccabilmente attrezzata d'informazioni qual La critica del testo a cura di Alfredo
Stussi, Bologna 1985. Una bibliografia, sia pure ai nostri fini sovrabbondante, si trover nel manuale
divulgativo di Rossella Bessi e Mario Martelli Guida alla filologia italiana, Firenze 1984. (In nessun
repertorio trovo citato il secondo dei Due saggi di Oreste Macri, Lecce 1977: Per una teoria dell'edizione
critica. Sul testo della Chanson de Roland di C. Segre, intenzione di estrapolazione generale dagli
eccellenti lavori rolandiani del Segre). In extremis posso schedare La critica del testo. Problemi di
metodo ed esperienze di lavoro (Atti del Convegno di Lecce: 22-26 ottobre 1984), Roma 1985; e: Roberto
Antonelli, Interpretazione e critica del testo, e Ignazio Baldelli e Ugo Vignuzzi, Filologia, linguistica,
stilistica, in Letteratura italiana Einaudi, iv, 1985, rispettivamente pp. 141-243 e 451-93.
Se ci si dovesse chiedere verso quali novit si venuta orientando la critica testuale in queste more,
nessun intervento si presenta con pi conclamata oltranza di quello attuato da Maurizio Perugi nella sua
edizione critica delle Canzoni di Arnaut Daniel, 2 voll., Milano-Napoli 1978, particolarmente nel primo
tomo (Prolegomeni) di cui il secondo rappresenta l'applicazione al testo danielino. I Prolegomeni
prendono in esame il complesso della tradizione trobadorica nel supposto iperrazionalizzante che si possa
dar conto di ogni lezione sulla base di processi di diffrazione di cui minuziosamente descritta la
fenomenologia. Aggiunta capitale, la variazione delle forme presentata come radicalmente omogenea a
quella delle lezioni, infrangendo per la prima volta lo steccato alzato da Gaston Paris e attuato dai
predecessori del Perugi (che si solevano e sogliono attenere, lirica per lirica, alla grafia di un canzoniere
determinato). Questo radicale esperimento merita controllo (a parte l'ordinaria amministrazione della
revisione dei dati) in base a rigorosi criteri di economia mentale, ma certo che ormai indispensabile
sottoporre ogni ulteriore incremento di filologia trobadorica a un previo riesame di questa asperrima
formalizzazione.
certo che in linea generale maggiori difficolt sorgono attuai-mente dalla ricostruzione formale che da
quella sostanziale. Fra l'altro un bdierismo di nuovo conio suggerito dai meri lessicografi, ai quali pi
importa la localizzazione dei loro lemmi che l'elaborazione di un contesto di lezione in tutto
soddisfacente. Al massimo il metodo lachmanniano tollerato come strumento atto a elaborare uno
spazio in cui definire 'il miglior' manoscritto; e le edizioni sinottiche neutralmente disposte dal Monaci
rischiano di tornare alla moda, magari sotto veste di trascrizioni interpretative in cui tesori di ingegnosit
sono profusi a ricavare un senso da erroneit o flagranti o comunque rivelate dai codici messi in parallelo.
I problemi sono assai variabili secondo l'unitariet forzosa di classici senza autografi e l'ibridismo
documentato, addirittura in dialettali contemporanei. Il caso forse pi delicato quello di ibridismo od
omogeneizzazione in dialettali ad attestazione plurima ma non autografa.
La critica del testo, nata in mbito classico, si venuta estendendo in mbito prima germanico, poi
romanzo. Il Pasquali ha messo in rilievo come il primo impulso le sia venuto, fin dal Settecento
germanico, dalla philologia sacra, cio neotestamentaria. Ovviamente esiste un fondamento mentale solo
per qualsiasi critica testuale. Nella premessa alla traduzione del Maas (Textkritik) egli scrive che quelle
norme hanno e vogliono avere validit non solo per le letterature greca e latina, ma universale: io

almeno non saprei immaginarmi che l'originale, poniamo, di un testo cinese o bantu possa essere
ricostruito dalle copie o da qualsiasi altra testimonianza, insomma dalla sua tradizione, se non sul
fondamento delle considerazioni e conforme alle regole enunciate dal Maas. Questa citazione
significativamente riprodotta da un cultore della pi importante nuova filologia, e per di pi idealmente
soprordinata alla philologia sacra, la filologia ebraica (Pietro Giorgio Borbone, La critica del testo e
l'Antico Testamento ebraico, in Rivista di storia e letteratura religiosa, xx, 1984, pp. 251-74, a p. 271).
In qualche modo (si veda un'esposizione elementare della tradizione veterotestamentaria a cura di Otto
Stegmller, nella Geschichte der Textberlieferung cit., I, pp. 149 ss.), come di massima la letteratura
greca si fonda sulla recensione alessandrina, cos gli ebraisti si fondano pi solitamente sulla sistemazione
testuale data alla fine del I millennio d. C. dai Masoreti. Il problema pi urgente, eventualmente frenato
da considerazioni teologiche, quello di usufruire delle testimonianze pi antiche, non indietreggiando
neppure davanti alla divinatio in quello che viene chiamato l'originale'.
Una robusta scuola italiana, nel solco pasqualiano (Paolo Sacchi, Bruno Chiesa ecc.), opera nel senso
dell'assimilazione della filologia ebraica alla filologia classica lachmanniana e postlachmanniana. Anche
nell'ambito della restante filologia semitica non usuale imbattersi in uno stemma lachmanniano per un
testo geez, come nell'edizione della Vita di Yohannes l'Orientale (secoli XVI-XVII?), p. xxvi, a cura di
Paolo Marrassini (Firenze 1981).
G. C.
LA VITA FRANCESE DI SANTALESSIO E L'ARTE DI PUBBLICARE I TESTI
ANTICHI
Mantengo tardi una vecchia promessa, offrendo a Raffaele Mattioli il testo della mia prolusione
fiorentina del 1953, che egli mi aveva chiesto con affettuosa iterazione. Quell'intenzione non si attu solo
perch ad esso avrei voluto far seguire una nuova edizione del poemetto. Nel frattempo, per, la mia
ricerca andava avanti, come si vede dagli Scavi alessiani e da relazioni tenute in recenti congressi. Negli
Scavi, in particolare, l'eventuale edizione tutta implicata. Non per questo risulta annullata la prima
forma della riflessione, che anzi, oltre a essere pi essoterica, il tacito presupposto dei successivi
interventi. Naturalmente ero tenuto qui a riprodurre il discorso quale fu effettivamente letto; e perci non
l'ho aggiornato nemmeno sulle ricerche altrui, prendendo posizione sulle tesi dei colleghi Lausberg
(opposizione a L di tutti gli altri manoscritti), Sckommodau (eccellenza di A), Avalle (legittimit della
doppia conclusione).
Le riflessioni che mi propongo di sottoporvi oggi si legano a un lungo e pressoch quotidiano
commercio col pensiero e con l'esempio di due maestri sommi quanto fra loro diversi; dell'uno dei quali
una sorte benevola mi colloc, proprio letteralmente, fra gli ultimi scolari: Joseph Bdier; mentre
dell'altro, a cui non fui allievo secondo lo stato civile, riuscii a essere per molti anni devoto e intrinseco
ammiratore e amico: il nostro compiantissimo Giorgio Pasquali. Familiare a tutti noi senza che la sua
meravigliosa affabilit ci facesse dimenticare per un solo istante la grandezza dell'uomo, il suo nome
una dolorosa memoria recente, che non cesser di restare crudele. E io rimpiango quello che le presenti
considerazioni avrebbero potuto guadagnare di forza e di riflessa autorit se mi fosse stato dato
discorrerne un'ora almeno con Pasquali. Non intendo gi porle all'ombra di nomi grandi; tutt'al contrario,
sciolgo un debito elementare di gratitudine quando rammento che nella mia infanzia professionale la
lettura della Tradition manuscrite du Lai de l'Ombre, sottointitolata Rflexions sur l'art d'diter les
anciens textes, e della Storia della tradizione e critica del testo costitu un doppio incontro decisivo. E
non posso lasciar sottinteso un particolare: il saggio di Bdier, cos come la successiva edizione del
Roland, costituisce una radicale eversione del metodo pi o meno propriamente chiamato lachmanniano;
il capitale volume di Pasquali, che ovviamente postula una previa fiducia in quell'approvato metodo per
l'amministrazione ordinaria, s'industria, nella parte sostanziale, di rintracciare casi di trasmissione non
verticale ma laterale, e perci di sorprendere avanzi di doppie redazioni, di varianti d'autore. Ora, intento
mio di rinnovare un'adesione, che non mi turber se sar chiamata neolachmanniana, a quella classica
procedura; non sar n antilachmanniano come Bdier n, almeno qui, postlachmanniano nell'accezione
di Pasquali, non star, rispetto ai due uomini cui devo in critica testuale pi che a tutti, nel solco di uno

stretto discipulato; non vorr fare a questi due temperamenti criticissimi il torto d'essere seguace
dogmatico, o riparando (com' avvenuto sotto etichetta di fedelt a Bdier) la pigrizia dietro la
riproduzione d'un solo, dichiarato 'il migliore', manoscritto (per risparmiarmi la fatica di razionalizzare la
realt in uno stemma); oppure (com' altrettanto avvenuto, sotto etichetta di fedelt a Pasquali o a Barbi)
precipitandomi a conferire autorevolezza, a qualificare come originali varianti parallele, solo perch per
s indifferenti. Mi lusingo tuttavia che possa riuscir visibile in questo specifico esercizio, e per induzione
si possa poi pi generalmente ammettere, come, per essere oggi lachmanniani, sia indispensabile aver
attraversato e un tirocinio antilachmanniano (cio Bdier) e un'esperienza postlachmanniana (cio, se non
altro in filologia classica, Pasquali). Di pi, se i forti si compiacciono di sentirsi in eroica solitudine,
consentite a me il tepore e l'ausilio della rete storica in cui mi consolo di trovarmi impigliato.
E mi sia permesso narrare in brevissime parole come mi sia accaduto di far cadere l'attenzione, e poi la
scelta, sopra l'argomento a cui mi accosto. Trovandomi ad aver frequentato per qualche tempo le aule
della critica testuale, e tornandomi fra mano di continuo i 'manifesti' metodologici della disciplina, mi
sono chiesto, temo per primo, se non fosse esperimento curioso e opportuno tornare con animo e
informazione di postero agli incunabuli del mestiere, e collaudare, a distanza di ottanta e pi anni, la
fondazione stessa della filologia testuale romanza.
La Romania s'aggiunse infatti con l'intervallo di qualche decennio al paradigma del settore classico e
all'applicazione del settore germanico. E a quest'impresa si attendeva nel medesimo tempo in ugual
misura da una parte e dall'altra del Reno, e presto si pot dire: della barricata. L'opuscolo di Gustav
Grber, Die handschriftlichen Gestaltungen der chanson de geste Fierabras, usc a Lipsia nel 1869.
Gaston Paris, figlio di Paulin Paris, fece a tempo a recensirlo quell'anno stesso e a introdurne la menzione
in una nota del suo proprio lavoro. Questo, desunto da corsi del 1869, e cominciato a comporre in
tipografia sbito allora, and in libreria solo nel 1872: l'edizione della Vie de saint Alexis, settimo
fascicolo della Bibliothque de l'cole des Hautes tudes. A giustificare il ritardo c'erano state di
mezzo prima una guerra esterna e poi una guerra civile. Ed commovente pensare a questa non
premeditata collaborazione franco-germanica, fra l'allievo di Bonn e di Gottinga e il futuro titolare di
Strasburgo: al piombo immobilizzato nei cassoni tipografici mentre i belligeranti si scambiavano piombo
di ben altra natura. un edificante esempio della vita dei cleres, e inevitabilmente rammenta le
conversazioni di quell'altro clerc, Ernest Renan, sulla scienza tedesca sotto le cannonate degli assediami:
conversazioni che, stenografate nel diario dei Gon-court, procurarono qualche noia polemica
all'interessato quando Edmond cominci a pubblicarne i primi volumi. A parit di anno, l'opzione
resterebbe dunque libera tra Fierabras e Alexis, tra Grber e Paris. Confesso che tra il massiccio artigiano
del Grundriss e della Zeitschrift e il fosforico e scintillante fondatore della Romania poteva cadere
poca esitazione. Ci fosse anche stata, la memoria del Grber era fine a se stessa, mentre l'operazione del
Paris tutta in servizio dell'edizione che accompagna. Di conseguenza il lavoro del Paris apre (e dico apre
nonostante i precedenti, in particolare il non trascurabile tentativo del Hofmann) - apre, ripeto, una serie
attiva, un capitolo di storia. In essa, se non proprio Bdier, vediamo certo intervenire l'ombra della sua
diffida, tacitamente prima, poi esplicitamente; in un punto gi ben avanzato s'inserisce, con l'ultimo dei
suoi contributi, Pio Rajna. Cos la vicenda si atteggia in modo addirittura drammatico, per la statura delle
persone che investe Vorrei dire che si tocca con mano qualcosa di assai maestoso e venerabile; e io
personalmente ne ho avuta un'impressione addirittura fsica, poich il caso mi ha fatto lavorare su una
copia dell'edizione Paris, da molti decenni nella biblioteca di Friburgo in Svizzera, che reca l'invio del suo
autore all'editore precedente ( Monsieur le Prof. Conrad Hofmann / hommage respectueux/ G. Paris),
e nei cui margini si leggono postille di molte mani, alcune delle quali mi par proprio di poter attribuire
alla scrittura di Bdier. Un cos primario terzetto, Paris Rajna Bdier, ben celebre per rappresentazioni
tanto pi popolari date su scene frequentatissime: non occorre nemmeno citare l'appassionante avventura
delle origini dell'epopea francese. Sennonch una tesi non va mai isolata: per quanto sia certo che i
problemi debbon esser risolti seriamente ognuno per se stesso, non gi in obbedienza a una
Weltanschauung preordinata, e la struttura si possa rintracciare e descrivere soltanto a posteriori. Non
attendiamoci dunque un parallelismo perfetto e geometrico tra le soluzioni che quei capifila studiarono e
proposero volta per volta. Implicazioni per s, secondo gli uomini pi o meno strette: il culto dell'unico
manoscritto figlio in Bdier di quel medesimo rispetto della presenza storica e diffidenza della preistoria
che gli dett i grandi teoremi di storia letteraria; quanto al Rajna, la sua accentuazione della tradizione
mista, o in altri termini della parte di trasmissione orale che o sarebbe nella tradizione manoscritta,

involge un giudizio sul genere stesso della leggenda agiografica, che automaticamente accostata ad altri
prodotti sociologici, a cominciare dalla chanson de geste. Pertanto alle figure e agli enunciati a prima
vista un poco esoterici che si vedranno sfilare in questa giostra tecnica, sappiamo che si accompagnano
armoniche di ben pi larga portata, anche se non rimarr agio di evidenziarle e svolgerle adeguatamente.
Finalmente, la cavia che conviene avere tra le nostre mani settrici meglio che possegga una qualche
venust oggettiva, o comunque che da alte ragioni culturali le sia assegnata reverenza. Tale non sarebbe al
certo il caso di Fierabras, ma tale Alexis. Non pretender io gi, sulla scia del mio illustre amico Ernst
Robert Curtius (forse un poco umanisticamente traviato dai sospetti echi virgiliani e dall'ineccepibilit
delle simmetrie e degli altri artifici di scuola), che Alexis, quest'accorta parafrasi della Vita latina, sia un
grumo di poesia intenso e significativo. Un sapore linguistico risentito lo ha di sicuro: anche per chi di
quell'eventuale Tedbaldo di Ver non, o chiunque ne fosse l'autore (ma l'ingegnosissima ipotesi del Paris
non ha perso nulla della sua attrattiva, e a quell'immagine si vide nei suoi ultimi anni Philipp August
Becker scoprire un padre, il prete Israele, fino alla Passione di Clermont) - per chi di quel Tedbaldo
dunque volesse fare un Ennio sullo stile di Quintiliano, cui sicut sacros vetustate lucos adoremus, in
quibus grandia et antiqua robora non tantam habent speciem quantam religionem. Perci i lacerti di testo
che gli strumenti verranno estraendo, bench addotti a scopo esemplificatorio e dimostrativo, non saranno
pure cifre algebriche, avranno un senso rievocabile dalla memoria. Non tocca al frugale filologo, ma
all'austero epistemologo, decidere se il 'generale' possa enunciarsi in modo generale. Non metafisico e
non matematico, il filologo si limiter ad asserire che una metodologia non generale ma speciale, come la
presente, non pu essere scissa dalla situazione a cui si applica. L'importanza della posta, dico la
restituzione d'un dettato cos venerabile, consentir di contrabbandare, s'intende con la discrezione
imposta dall'occasione e dalla sede, qualche particolare tecnico.
Giustificata cos, o scusata, l'elezione del tema, non si pu tardare ad abbozzare le linee di questo
capitolo storico: prima che alla verifica della resistenza dei materiali risulti che cosa rimanga in piedi dei
fondamenti stessi della nostra filologia, in quanto ecdotica. Nel 1872 Gaston Paris espone i criteri di
logica formale che consentono, posta una pluralit di testimonianze (relativa, si preciserebbe oggi, proprio
a un medesimo univoco documento), di ricostruire la lezione primitiva: insegna, insomma, come
fabbricare un albero genealogico. Enuncia il criterio della maggioranza delle testimonianze, ovvia e pi
elementare applicazione del calcolo delle probabilit; e soprattutto, strumento di riduzione del numero
grezzo delle testimonianze a quello definitivo delle testimonianze fra loro indipendenti, l'altro criterio
dell'errore comune, che due o pi scribi non possono aver commesso nel medesimo luogo (a meno d'un
incoraggiamento nella natura stessa delle cose) indipendente-mcntc uno dall'altro. Paris soggiungeva
addirittura che invece li errore (faute) si pu dire: innovazione (modification) comune; e a copisti
(scribes) sostituire: rimaneggiatori (re-nouveleurs). Egli si rende dunque lucido conto che lo stemma
uno strumento obbiettivo e meccanico inventato per dirimere, in prima istanza, il litigio fra varianti per
s indifferenti: indubbiamente parlare di circolo vizioso sarebbe improprio, e anche paradosso sarebbe
eccessivo, ma circuito esiste di sicuro, tra varianti erronee e varianti adiafore, l dove varianti giudicate e
decise erronee servono a far qualificare di erronee le rimaste indifferenti; tralasciando la latitudine
d'iniziativa che resta nel cernere fra i chiamati errori (vero e proprio atto di volont deliberante), ed
escludere quelli che, per lectio difficilior o altra eccezione, sono dichiarati non significativi ai fini della
parentela. Ha ragione Gaston Paris a concludere (anche se la sua frase si riferisca all'albero bipartito) che
l'operazione, lungi dall'essere meramente aritmetica, esige finezza, gusto, discrezione (tact, intuition,
instruction). Tutto questo vero in universale; ma quando egli discorre di rimaneggiatori e innovazioni,
egli ha in mente la peculiare libert dello scriba romanzo (o volgare in genere), per il quale il testo non
umanisticamente un oggetto dato, individuo, firmato, rispettato e immutabile, bens un prodotto adespoto,
utile e infinitamente ritoccabile (entro limiti, beninteso, che variano da genere a genere, ossia da
situazione a situazione sociologica). O si dica, in altre parole, che immane all'operazione di Gaston Paris
la coscienza che filologia romanza non un sostantivo pi un variabile aggettivo, ma un'unit ravvisabile
storicamente: definizione storica che si pu conseguire sul terreno dell'ecdotica come si pu raggiungere
nella sfera linguistica e in quella storico-letteraria (composizione di universalit linguistica e di
particolarit dialettale e naturale, d'iniziativa culturale e d'usufruimento collettivo). E a riprova: il Paris
fonda qui la recisa distinzione di critica delle lezioni e critica delle forme, che, polarizzazione di portata
evidentemente generale, trova per la sua opportunit estrema e quotidiana non gi nei confini della
gramatica, legiferata una volta per tutte, ma nel campo volgare, aperto alla libert che si vista, ma che
anzitutto licenza fonetica e morfologica. In quanto ogni copista sia un traduttore nella variante della

propria cultura e regionale e temporale, questo aspetto della sua attivit va, di norma, preliminarmente
escluso dalla considerazione genealogica.
La critica delle lezioni di Alexis porta il Paris, sia detto sbito, alla costruzione d'un albero bipartito, i
cui due rami sono a loro volta bipartiti. Se l'elaborazione ne sia stata corretta, se la lezione fermata vi si
conformi con rigore, la critica successiva non ha esaminato: l'unica critica in atto, dalla quale si ha il
diritto, o piuttosto il dovere, di essere stimolati, venuta dal Paris stesso, che nella seconda editio minor
senz'apparato (quella, pi volte riprodotta dal Roques, del 1903) modific sensibilmente - e talvolta per
presumibili ragioni di principio - il testo della maior, con apparato, del 1872. doloroso che la morte
abbia impedito al Paris di giustificare le proprie correzioni, come prometteva, nella Romania. Per il
resto pu ben dirsi che la lezione del Paris sia passata in giudicato: la lunga lista di edizioni susseguenti,
per lo pi d'interesse scolastico, che si chiude per ora con quella di Gerhard Rohlfs (1950), o suppedita,
magari dopo ricognizione pi accurata, il materiale manoscritto (come accade con lo Stengel o col
Foerster, nel-l'Altfranzsisches bungsbuch di Foerster e Koschwitz); o riproduce, al massimo con
ritocchi episodici, non corredati di giustificazione teorica, quella celebre stampa (come accade col
Foerster, nell'edizione postuma procurata dalla Rsler). Veramente, anche tertium datur, negli ultimi
anni. L'intervento del Bdier ha la data del 1913, e si ribadisce nel saggio del '28: in pr delle edizioni
secondo un solo manoscritto, conforme al carattere delle copie volgari che sono altrettante edizioni e
hanno se non altro oggettivit documentaria; contro le edizioni dette critiche e in realt composite, nelle
quali manca la garanzia che la scelta delle lezioni abbia fondamento non soggettivo. Nel ragionamento
del Bdier due punti sono, ai nostri fini, di sommo rilievo: l'uno, che il persistente volere inconscio di
libert di scelta individuale si tradisce nella conformazione bipartita della maggior parte degli alberi; e ci
vale per l'Alexis del Paris, di dove anzi (bench non lo nomini) egli ricava il primo dei suoi esempi.
L'altro, che la scoperta di nuovi testimoni passibile di alterare lo stemma, e con ci di mutare
profondamente la lezione: ora, questo casus fictus si fa realt per Alexis, una volta che due suoi nuovi
manoscritti parziali sono stati pubblicati in questo secolo, nel '23 dai coniugi Fawtier uno, per verit di
portata meno rilevante, residente a Manchester (e pare un po' forte che, bench comunicata nientemeno
che su Romania, questa scoperta sembri aver raggiunto, degli editori seriori, soltanto la Rosler e il
Meunier), nel '29 dal Rajna uno, quanto mai cospicuo (bench a mio parere riducibile anch'esso alla
ragione), della Vaticana. Poich qui, chiaro, non la potrei svolgere, sar bene che dichiari senz'altro
quella che sarebbe la mia risposta al Bdier: sulla tesi generale, che un testo critico , n ci mi turba,
nient'altro che un'ipotesi di lavoro; sul secondo punto speciale, che l'ipotesi storica trova un limite,
variabile, nella, variabile, documentazione. Resta - ma quello che resta l'essenziale - l'incomparabile
ausilio che nel processo dialettico le obiezioni del Bdier forniscono al nuovo lachmannismo. Bisogna
per credere che codeste al dotto vulgo paiano sottigliezze superflue: poich, se si hanno edizioni secondo
un solo codice, che naturalmente il pi antico e all'ingrosso (ma ben all'ingrosso) il cosiddetto migliore,
quello chiamato L (dall'iniziale dell'abbazia di Lambspringen dove sost prima di raggiungere la basilica
di San Godeardo a Hildesheim presso Hannover), ci avviene per bdierismo dogmatico e passivo. O
addirittura implicito e silente, come avviene nella postuma edizione del canonico Meunier (1933). Solo lo
Storey, nella maior del '34 (cui seguir una minor nel '46), invocher nominativamente l'autorit di
Bdier. Vero che la maior dello Storey s'inserisce in una serie di tesi e memorie strasburghesi, dirette
dal Hoepffner e dedicate allo studio linguistico di monumenti antichissimi, Giuramenti di Strasburgo,
Saint Lger, Boeri, Santa Fede, ad attestazione unica: la commendatizia del Bdier qui un comodo
passaporto adoperato sveltamente per autorizzare l'ingresso di L unico. Comunque, Bdier qui non
l'ultimo termine. La biografia di quei patriarchi e soprattutto la storia delle teorie sull'epica francese ci
hanno assuefatti alla consecuzione Paris Rajna Bdier. Stavolta invece l'ordine : Paris, Bdier
(indirettamente), Rajna. Delle conclusioni di Bdier il Rajna era naturalmente a conoscenza fin dal '13; il
filato e sistematico ragionamento del '28 gli venne sott'occhio mentre il suo articolo era in bozze, e pot
citarlo solo in una noticina: tenendo, in essa, comunque a dichiararsi fedele al metodo classico, di cui s'era
fatto sommario espositore nell'Avviamento del Mazzoni. Nell'intenzione, le sue obiezioni pertengono
puramente alla fattispecie. Non che la scoperta di V gli appaia (e noi diremo, bdierianamente) come
esemplare dello sconvolgimento da qualsiasi intruso indotto nello schema: no, nel caso monografico che
gli stemmi ricavati dai sei primi luoghi scrutinati in presenza di V darebbero altrettante costellazioni,
inconciliabili fra loro; onde il corollario che la tradizione del testo sia mista, che cio agli indubbi
elementi scritti si associ, in misura importante, la trasmissione orale. Quale la conseguenza ecdotica,
per? Non saprei vederne altra da quella toccata per altra via da Bdier: quel poemetto non sar pi

pubblicabile se non secondo singoli manoscritti, depurati al massimo delle lectiones singulares pi
manifestamente erronee (e naturalmente l'interpretazione quantitativa di questo avverbio non sar affatto
pacifica). Ma c' di pi: il caso di Alexis di quelli (per una tradizione a pi testimoni) relativamente cos
semplici che, se il patronato di Lachmann non vale per esso, non varr per nessun altro. L'aporia
proclamata da Bdier innanzi alla recensio si riprodurrebbe, pervicace, inciprignita, sotto le mani, mettete
pure involontarie, del Rajna.
il momento di entrare nel merito: procurando di tener ferme le linee generali, proprio in un ordine di
ricerche dove il particolare tutto; o dove tutto, per dir meglio, come in qualsivoglia disciplina storica,
il particolare-generale. Il ragionamento di Gaston Paris, che operava su quattro elementi (detti L, A, P, S),
si compone di quattro momenti:
i) la costituzione di gruppi ternari, cio di accordi di tre manoscritti contro uno, nelle quattro
combinazioni possibili (APS contro L, LPS contro A, LAS contro P, LAP contro S). Ci serve a provare,
osserva il Paris, che i quattro testimoni sono mutuamente indipendenti; ma per il resto i raggruppamenti
ternari non sono significativi.
2) il riconoscimento di opposizioni binarie, nelle tre combinazioni possibili (LA contro PS, LP contro
AS, LS contro AP). Se tutte queste opposizioni fossero valide, troppo chiaro che si contraddirebbero.
Bisogna dunque che due di queste tre serie si rivelino illusive; e il Paris provvede appunto a mostrarlo per
le ultime due.
3) la determinazione, una volta avanzati come significativi solo gli accordi LA contro PS, della natura
erronea o indifferente delle lezioni comuni. (Se le lezioni fossero tutte indifferenti, saremmo puramente in
presenza di due redazioni, d'autore o no; se fossero erronee da una parte sola, otterremmo una sola
riunione, e l'albero sarebbe a tre rami, ossia LA, P, S oppure L, A, PS). Il torto risulta al Paris equamente
distribuito, talch si costituisce un albero bifido, a rami LA e PS.
4) il rintracciamento d'un archetipo, cio di errori comuni all'intera tradizione. (I filologi classici hanno
cura di precisare che la ricostruzione porta non gi all'originale, ma alla copia antica dell'edizione che
faceva testo. Ci, salvo le squisite eccezioni di cui s'intesse il libro di Pasquali, si pu dire a priori per gli
autori latini, ma specialmente per i greci, tramandatici nell'assetto che diedero loro i grammatici
alessandrini). Ogni volta che sia possibile, l'esistenza dell'archetipo va perseguita e dimostrata anche in
filologia romanza. Della dimostrazione del Paris le fonti sono due: lezioni inammissibili (o giudicate tali)
persistite in tutta la tradizione; accordi non canonici (appunto LP contro AS, LS contro AP) che vanno
interpretati quali emendamenti congetturali (autonomi) d'un archetipo guasto, per esempio ipermetro o
ipometro.
Questa successione di momenti logicamente corretta? Per il resto, nessun dubbio; ma un dubbio
rimane precisamente sul primo. Il Paris lo giustifica con la necessit di provare, diremo in termini di
filologia classica, l'impossibilit di alcuna elimi-natio codicum descriptorum: che infatti l'operazione
preliminare a ogni classificazione. E da questo rispetto negativo, nulla da eccepire. Ma perch tanta
insistenza sui raggruppamenti di tre contro uno, se essi non sono, come confessa il Paris stesso,
significativi, e se i dati significativi cominciano solo coi raggruppamenti binari? Logicamente, o diciamo
sillogisticamente, bisognerebbe prendere l'avvio da ci solo che atto a permettere una conclusione.
Sennonch un discorso pu avere invece una struttura, nemmeno problematica, ma euristica, o diciamo
psicologica: quello che accade qui, ed quanto vedremo ripetersi ingigantito nel Rajna relatore circa V,
appassionato delle novit recate dal documento prima che della sua sistemazione razionale; nei limiti in
cui il gusto dell'avventura non incide sulla razionalit del processo mentale, non solo esso ricevibile, ma
porge un utile fomento di entusiasmo. Una riserva ulteriore impongono per sbito quei raggruppamenti
ternari, in quanto si convertono in elencazione di lectiones singulares dei vari manoscritti. forse questo,
non verificatasi la prima eliminazione, l'avvio a quell'altra operazione preliminare (ma stavolta
preliminare alla costituzione testuale) che si chiama eliminatio lectionum singularium? Vediamo. Per essa
s'intende l'esclusione di quelle tali varianti locali che, non risultandone evidente l'erroneit secondo criteri
interni, sono espunte in quanto precisamente isolate entro una tradizione a pi testimoni: e tale ,
sappiamo fin d'ora, la tradizione di Alexis, se non vi si dnno famiglie di tre manoscritti. Converrebbe

dunque che negli elenchi (beninteso non esaurienti) di lectiones singulares, 43 esempi per L, circa 26 per
A (dico circa, perch sono 28, ma 2 stanno per errore che in 1 caso almeno non riesco a correggere), 18
per P, 21 per S, figurassero solo lezioni ammissibili, non gi palesemente erronee: il che accade qualche
volta (3 per L, 2 per A, 1 per P); e lascio stare le lacune, che per s potrebbero essere congetturalmente
supplite dai non difettosi; sono peraltro cifre percentuali abbastanza basse da poterle assegnare a quello
che un critico spiritosamente chiama (e poco importa se a torto nel suo caso specifico) 'coefficiente di
disattenzione'. Ci posto, quelle lectiones singulares sono poi eliminate dal Paris? S, se tratta di A, P e S
(con l'eccezione d'una lectio difficilior di P accolta nell'editto minor); ma delle 43 di L ben 7 sono
accettate nell'edizione del 1872, e se per 2 di esse la minor ritorna sui suoi passi (cio ad APS), alle 5
rimaste se n'aggiungono 4 di nuove. La definizione del 'miglior' manoscritto, punto topico nelle disamine
provocate dalla teoria di Bdier, pu qui essere toccata perlomeno di fatto: esso quel tal manoscritto da
cui si possono ricevere nel testo perfino delle lectiones singulares. In tal caso, per, non si tratta pi di
lectiones singulares e bisogna cancellarle dal catalogo (come per 1 delle 7 fa l'errata corrige del 1872):
vuol dire che quelle lezioni buone, serbatesi in L bench difficiliores o in condizioni altrettanto
eccezionali, hanno subito una trivializzazione o comunque un'alterazione uguale nei vari testimoni,
indipendentemente fra loro. Non posso naturalmente analizzare qui gli 11 casi, ma li riduco ad unit per
poterne definire le istruttive figure generali. Si capisce che domini, per quanto lecito presumere, la
figura della lectio difficilior. Il Paris lo dice esplicitamente quando opta (io5d = 524) per main del solo L
contro geni [menude] di tutti gli altri (compreso oggi V). certo che, se il continuatore di manus, termine
giuridico per 'classe' (manus media, infima, inferior), appare oscuro, un solo sinonimo monosillabo pu
sostituirlo, ed gent: ecco un puzzle facile, un quiz a risposta obbligata. Tuttavia anche in questo, che il
caso a lui pi favorevole, mi vuol parere che il Paris corra troppo. Le Assises de Jrusalem, in pieno
Duecento, scrivono ancora gens de basse main: e se lo scriba di L avesse nutrito ubbie di causidico e
favore per quella connotazione leggermente deprezzativa? L'argomento della lectio difficilior riuscirebbe
infranto, se non rovesciato: main certamente difficilior per un lettore dell'Otto o Novecento, ma era poi
tale nel Millecento e nel Duecento, epoca dei codici incriminati? L'albero uno strumento, una macchina
volta a evitare le insidie del gusto soggettivo (judicium, in filologia classica): converr dunque fare un uso
molto cauto di quei criteri che, come la lectio difficilior, possono tramutarsi in artifizi tesi a girare
l'ostacolo, riproponendo in sostanza un arbitrio soggettivo di scelta. Quanto alla libert radicale, si pu
star certi che non si riuscir mai a distruggerla. Bdier, che lo scetticismo verso la paleontologia testuale
port a limitare drasticamente la libert confinandolo all'edizione d'un solo manoscritto, per il fatto stesso
che questa non era n fotografica n diplomatica, ma sempre interpretativa, in quello stretto margine dove
l'aveva serrata le fece compiere orge inaudite: che significa infatti depurazione degli errori 'evidenti' del
manoscritto? che cosa pi contestabile dell'evidenza, e dei limiti dell'evidenza? Tralascio poi i tesori
d'ingegnosit profusi a dimostrare la razionalit di termini reali che una considerazione pi economica
avrebbe ben qualificato d'irrazionali.
Non uno, comunque, dei lemmi la cui adozione sembri da imputare a immaginabile lectio difficilior,
appare stretto da necessit cogente (o piuttosto uno solo, ma perch A, letto meglio, diverge da PS). Per
esempio, sarebbe un po' arrischiato pretendere che (75C = 373) esteit sia pi difficile di ert, leggasi er(e)t
(se non si supponga ipometria), cio proprio del sinonimo che esso finir per sostituire (e certo rimarrebbe
da indagare quale fosse, prima del suo allentamento nella sinonimia, l'opposizione semantica di eram e
stabam, presumibilmente aspettiva come, verso direzioni opposte, nelle lingue iberiche e in antico
italiano). E sarebbe altrettanto arrischiato, l dove la sposa abbandonata riconosce la salma del suo marito
nominale, asserire che (993 = 491) Or sui jo vedve di L sia preferibile a Or par (Veramente, pienamente')
sui vedve degli altri (compreso ora V). E c' di pi: queste potrebbero essere imperfette applicazioni di
fatto, salvo restando in diritto l'istituto della lectio difficilior. Ma come immaginare che pi testimoni
indipendenti abbiano surrogato jo proprio con pari O il criterio qui non applicabile - come non ; o
applicabile, e allora l'albero del Paris non regge. N posso immaginare, nel suo silenzio, se dopo il '72 la
fiducia nel suo proprio stemma era rimasta scossa: certo, l'ipotesi (bench non affatto necessaria) d'un
raggruppamento APS, rovinosa per il suo, non sarebbe tale per la versione restaurata che mi accingo a
proporre.
Qualcuna di quelle singulares peraltro da introdurre; e importa allora esaminare sopra quale
fondamento. In i9d = 94 Donet as povres di L (accettato nel '72) si oppone a Dona as povres degli altri
(cui ritorna l'editto minor). Qui s sarebbe il caso di parlare di lectio difficilior, visto che la conservazione

della consonante finale (provata dall'iato) in donet rinvia a tempi antichissimi, laddove l'iato dopo dona
persiste ancor oggi. Ma c' altro: il presente storico di L soppiantato negli altri testimoni da un passato
narrativo. Ora, se ci pu richiamarsi a una concezione naturalistico-sostanzialistica dei tempi, il testo di
Alexis ce ne offre una tutta diversa, rappresentativa e prospettica: il presente, precisamente, rappresenta,
soprattutto alla o verso la fine della strofe, mentre il perfetto designa un antecedente ideale, un precedente
di secondo piano, dietro le quinte. Non il racconto importa tanto all'autore quanto l'evidenza plastica dei
suoi singoli momenti, tal quale al pittore o allo scultore o al regista d'un medio evo anche molto pi
avanzato.
(400 = 198) Quant vit son regne, molt fortment se redotet...
La vista il precedente necessario, il timore il termine dell'interesse dello scrittore e dello spettatore:
perci perfetto, e presente. Ma a buon conto il perfetto di L solo, gli altri lo normalizzano in veit. Con
che non intendo certo che la ragione stia sempre dalla parte di L, essendo naturalmente proprio di siffatte
figure, vorrei dire per definizione, che esse mutino di luogo. Quanto alla dichiarazione che ne ho tentata,
mi rendo conto post factum che essa trova un legame (e soprattutto lo fornisce loro) in taluni rilievi che la
critica aveva formulato allo stato sparso: la rigidit romanica della rappresentazione, presso il Curtius; la
mancanza (con tre sole eccezioni) di continuazione tematica da strofe a strofe, in difformit dalle
chansons de geste, presso il Mulertt e ancora il Curtius; l'opinione, erronea in fatto, ma sagace quale
prima adduzione, nell'esegesi, dell'aspetto verbale, del Winkler che nelle zone narrative l'autore
racconterebbe oft teilnahmsloskhlperfektisch, mentre nelle zone etiche il confino della materia in
perfektischer Distanz risulterebbe raro. Simili reperti sintattici, cos come le reliquie lessicali che si
verranno scavando, sembrerebbero confermare la data ben antica (circa il 1040) piuttosto divinata che
dimostrata dal Paris, posto che molto pi resistente la connessione immaginaria con Tedbald de Vernon
che la comparazione - di mal misurabile intervallo - col Roland, cio con un testo di data sempre pi
controversa e di localizzazione non provata identica. Comunque, il tipo frequentissimo degli scambi di
presente e perfetto chiaro che appartiene a un prolungamento della critica delle forme, esula dalla sfera
delle norme lachmanniane.
Ancora. A L si attiene il Paris del '72 stampando (94C-d = 468-9):
Sire, dist ele, com longe demorede
Ai atendude en la maison ton pedre.
Ma questo attendere un'attesa, anzi una separazione, un indugio lontano, talmente assurdo che la
minor credette di dover correggere. Dove detto che APS recano T'ai atendu, si ha una semplificazione:
la formula, che solecistica perch pecca contro la legge Tobler, solo in P (e M); S, per manifesto
scrupolo grammaticale, ritocca invertendo Atendu t'ai (e cos fa la minor, trascorrendo da singularis a
singularis) ; A porta l'ineccepibile, ma altrettanto 'singularis', Tant t'atendi. Una tale divergenza dei
testimoni, una tale diffrazione rinvia con ogni pr-babilit all'archetipo. La scoperta di V, col suo
ipermetro Tant ai atendu, indica qual era l'intollerabile lezione a cui porre rimedio. Che cosa si nasconda
dietro il guasto dell'archetipo, siamo costretti a solo congetturare: io ardirei sospettare che invece di
atendu l'originale leggesse o il continuatore di attentus o, meglio, il tipo parallelo al nostro atteso.
Ecco dunque un nuovo testimone, V, intervenire ad alterare la situazione: il caso previsto da Bdier,
che, dopo Bdier specialmente, da seguire con un'attenzione tutta particolare. Fin da questo vestibolo
(dove per, se si manovri con qualche accorgimento, gi possibile entrare nel merito), sar opportuno
chiedersi come reagiscano le liste di Gaston Paris in presenza di reagenti nuovi oltre i quattro elementi da
lui adoperati. E intanto: quando Paris dice S, semplifica gi, perch S pu rappresentare se stesso, cio
l'individuo S (manoscritto unico d'una redazione ampliata ma ancora assonanzata, per il testo sempre
utilissima), e pu rappresentare tutto l'Insieme' di copie successive che riescono a S cominciando dal
punto di diramazione; insieme un cui discendente si ha pure nella redazione rimata (dal Paris negletta per
il momento) chiamata M. ben istruttivo che, se esistono due opposte visioni della natura della lingua,
quella della pura convenzionalit e quella che dir contestuale (talch per i pi estremi nominalisti non
esisterebbe alcuna semanticit fuori del contesto), anche l'uso d'un simbolo come S o P si riveli equivoco

o perlomeno contestuale. L'adduzione di M (ogni volta che non sopprima o sfiguri i versi) serve per
l'appunto a sceverare ci che di S accordo SM e ci che S proprio (ossia un segmento pi ridotto): cos
come si comporta il manoscritto di Manchester, fratello, ma non gemello, di P, e perci siglato
convenzionalmente P2, nei riguardi di P. Simili dati appaiono suscettibili perfino di una misura,
assoggettabili a quantit: nei 5 casi in cui P2 soccorre, 2 (40%) lo riuniscono a P (coefficiente di gruppo),
2 (40%) lo mettono con LAS contro P (coefficiente dell'individuo), 1 sancisce una divergenza; se poi si
computano le lectiones singulares di P2, si pu ottenere il suo proprio coefficiente individuale (o per ora
individuale), cio il coefficiente inverso di autorit, evidentemente tanto pi significativo quanto pi si
opera su cifre alte. Non scandalizzi troppo l'introduzione di simili indici aritmetici: l'ho praticata
esclusivamente perch questo mi pare il solo campo in cui possa allignare un'applicazione statistica,
mentre criteri statistici aveva introdotto dom Quentin, facendosi confutare particolareggiatamente da
Bdier, sommariamente da Pasquali. Ben altra tuttavia la funzione dei nuovi manoscritti, si tratti di M
gi noto al Paris (anzi pubblicato da lui), si tratti degli a lui sconosciuti P2 e V: ed quella di sottrarre in
pi casi la lezione di L all'isolamento. Se l dove si discorre del battesimo di Alessio L solo leggeva (6e =
30)
Bel nom li metent sor la cristientet
e APS mirent selonc crestient, M si trova a confermare di L (oltre che il presente, secondo la figura gi
esaminata) sor la. Poich non risulta d'altra parte che APS si accordino contro L in errori nemmeno
presumibili in assenza di M, qui certo bisogner discorrere di lectio difficilior: e cos avremo precisato
uno dei casi obbiettivi in cui questo criterio risulti invocabile, oltre l'altro chiamato della diffrazione di
lezioni; da che parte poi stia la lectio facilior, allo stato attuale degli spogli non mi possibile stabilire,
ma oso presumere che stia da quella di APS. Non per nulla, infatti, i tre nuovi testimoni si trovano,
nell'ambito di quelle liste, ad appoggiare singidares del solo L: ci evidentemente precisa la definizione
del cosiddetto manoscritto migliore, e autorizza ad adottarlo per convenzione generale a tutta parit di
condizioni. Parit di condizioni che qui posta solo dalla nostra ignoranza: ma non si procede forse dal
noto verso l'ignoto? Un'ultima precisazione, prima di abbandonare questo paragrafo. Come M e P2 (dei
quali ovvia la situazione genealogica) non reagiscono positivamente che in presenza delle singulares o
di L o dei loro rispettivi cugini S e P, cos accade che V reagisca o innanzi a L o innanzi a un altro ben
individuato testimone: gli si trova dunque, ci che finora non stato oggetto d'indagine, un sospetto
parente. Questo testimone quello dalla lettera iniziale di Ashburnham Place (di dove pass poi alla
Nazionale di Parigi) chiamato A: che con lui manca della strofe 87 (la cui autenticit stata
vittoriosamente dimostrata proprio dal Rajna), cio ha un errore comune; e come lui d in un luogo
(101a=501) ne faites contro que faites?, indifferente certo, ma non accade altrimenti che LPS abbiano
errori comuni. Ecco dunque rintracciato, grazie a un'operazione elementarissima, un primo dato
concernente la posizione genealogica, fin qui buia, del nuovo venuto.
Passo al secondo punto del ragionamento del Paris; e naturalmente riunisco il riconoscimento degli
accordi binari significativi (LA contro PS) e la qualificazione di erroneit (che fa il terzo momento)
attribuita a entrambe le serie. Ho cos tutti gli elementi che portano alla costituzione dell'albero. Qui
l'obiezione di Bdier costituisce una garanzia di metodo di estrema importanza. Questo stemma, dal quale
comincia la filologia testuale romanza, , come la maggior parte dei suoi successori (o almeno di quelli
che accompagnano, ossia guidano, un'effettiva edizione), un albero bipartito: dicotomia che per l'acuta
diagnosi di Bdier risponde a una riaffermazione inconscia della fondamentale libert soggettiva di scelta.
Vediamo allora se le carte del Paris siano in perfetta regola. Sulle 22 lezioni da lui addotte, n sono
considerate significative, 8 a carico di LA, 3 a carico di PS. Tra quelle a carico di LA ve ne sono 4 che
sarebbero indubbiamente decisive (cos, 65a = 321, Il l'escondit per Il s'escondit 'si scusa'): sennonch
ecco la sorpresa veramente insigne, che la mancanza d'una qualsiasi verifica non lasciava finora
sospettare - quelle tali lezioni non figurano nell'edizione di A procurata dal Foerster e vanno dunque
addebitate come singulares al solo L. Io sarei veramente confuso (mi sia consentito dirlo) se l'argomento
principe che rovescia lo stemma d'un maestro come Gaston Paris rivelasse una scorrettezza di logica
formale, un errore di diritto, non gi un semplice errore di fatto: errore di fatto, per di pi, nemmeno
imputabile al Paris. A rest fino al 1887 nella biblioteca gi del nobile lord, e il Paris lo conosceva solo
attraverso una collazione di Paul Meyer: collazione, non copia, ci che rende pi agevoli le omissioni;

tanto maggiormente in quanto, eraso, riscritto e ricalcato da un vandalico rimaneggiatore di poco pi


tardo, non in tutti i punti quel codice riesce di semplice lettura. Passato che esso fu a Parigi, il Foerster
and a rivederlo di persona, e nei casi di contrasto con l'apparato del Paris sottopose il documento alla
perizia dell'interessato; talch le ultime tirature dell'bungsbuch, in quanto smentiscano il ragionamento
del Paris, dnno una vera edizione Foerster-Paris. La cortesia della direzione della Bibliothque
Nationale, consentendo l'invio del codice in Svizzera, mi ha permesso da ultimo di constatare
direttamente la sua ineccepibile fedelt in quei punti critici.
Ma mi si chieder: e i 4 casi residui non sono probatori? No, non sono probatori, n c' da farsene
troppa meraviglia. Ogni serie che si viene costituendo consta di elementi che non possiedono il medesimo
grado di certezza: c' un nucleo pi solido e c' un alone meno decisivo, per il quale il ricercatore
impresta l'asseveranza da quell'altro settore meno contestabile. Sopprimete il nucleo, e la coda si trova
affidata alla sua sola vaneggiarne sicurezza. Sono costretto a risparmiarvi l'analisi di questi passi, in cui il
Paris aveva scelto la lezione di PS come videmment prfrable o plus heureuse effati
manifestamente soggettivi. E che soggettivi fossero, prov nel fatto il Paris stesso, che per un caso (50a =
246) nel '72 aveva trovato prfrable con PS ou gist sor une nate, mentre nella minor torner con L (e
in sostanza A) a o il gist sour sa nate. Solida resta invece l'argomentazione di erroneit a carico di PS: e
se il numero degli esemp parr esiguo (3, di cui ora 1 confermato da V, su un'estensione di 625 versi nel
codice pi ricco), ci vorr solo dire che P e S, parenti, non sono per vicinissimi. Se peraltro si
esaminano le altre 11 lezioni non decisive, toltene 4 che si fondano ancora su quella tale imperfetta
conoscenza di A, le altre 7 o sono realmente indifferenti o sono pi che sospette a carico di PS. Anche qui
il Paris, dico stavolta il Paris editore, non il Paris teoreta, soggetto a cambiar parere. Da (7a =31) Fud
baptizs, con LA, del '72 passa a Baptizs fu, con PS, della minor: il Paris, posto il suo albero biforcuto,
certo autorizzato a migrare da ramo a ramo, ma qui, poich si tratta di questioni ancora libere di
collocazione e mise en relief, a rigore si esorbita dalla critica delle lezioni per entrare sul prolungamento
della critica delle forme. Viceversa, in un altro luogo (28C = 138) il Paris passa da N'i laissat palie di PS
(si tratta della madre, che in segno di lutto strappa ogni ornamento della propria camera) a N'i remest
palie di LA: che infatti fa felicemente repetitio, giusta un celebre canone retorico, col n'i remest neient del
verso precedente. (Ma non voglio tacere che a doppio taglio rischiano di presentarsi anche gli argomenti
culturali della critica interna: come spesso ambiguo il confine tra lectio difficilior e assurdit, cos pu
riuscire equivoco il limite tra, per esempio, repetitio e variatio, che a riprova muta infatti da manoscritto a
manoscritto, e secondo costellazioni anche casuali, ferma restando la figura generale della ripresa, proprio
in un paio degli esempi di amplificazione e interpretatio [vv. 170-1 e 99-100/252-3] addotti dal Curtius).
Debbo poi precisare che il catalogo delle coincidenze erronee di PS pu essere allargato senza soverchie
difficolt.
Per tal modo lo stemma istituzionale della nostra filologia testuale riesce essenzialmente modificato.
Non pi un albero bipartito che lasci la recensio aperta al judicium, come quelli denunciati dal Bdier:
un albero tripartito (L, A, PS) che nei casi di vera parit di condizioni obbliga a una scelta oggettiva. Dir
di pi: nell'eventualit accennata sopra, e puramente fittizia, di concordanza di APS in qualche lezione
deteriore che difficilmente appaia indifferente, un'eventuale riunione remotissima di A a PS riuscirebbe a
determinare un albero bipartito in linea di principio, ma in sostanza ancora tripartito. Poich lo stemma
un ente funzionale, poich una macchina, basterebbe non servirsi del nuovo stemma per coonestare tutte
le singulares indifferenti di L, ma al contrario convenire pregiudizialmente di accogliere a parit di
condizioni le lezioni APS: di L solo rimarrebbero le pochissime che avessero eventualmente indotto alla
riunione di A e PS. Ripeto che si tratta d'un casus fictus; ma poich notorio che facile costituire le
famiglie inferiori, difficile (quanto decisivo) riunire i piani alti, una soluzione pragmatica di questo genere
risulterebbe ispirata a tuzioismo ogni volta che sussistesse una sincera incertezza fra albero in definitiva
bipartito e in definitiva tripartito.
E sicuro che lo stemma risulterebbe compromesso, sia quello del Paris sia quello che bisogna
sostituirgli, se sussistessero accordi in diagonale, del tipo AP o AS. La soluzione del Paris in diritto e
per lo pi in fatto corretta, e perci conviene esaminare insieme la seconda parte del suo secondo
momento, quello relativo agli accordi binari, e il quarto e ultimo, quello che riguarda l'archetipo. Senza
addentrarci (che sarebbe impossibile e qui addirittura indiscreto) nei particolari, il Paris mostra che una
buona parte di quegli esempi sono illusori quale prova di parentela, in quanto si tratta o di trivializzazioni

(come dove, i^b = 2, aparler transitivo, ora collaudato anche da P2, sostituito in LP da apeler: e poco
importa che qui il Paris interpreti a rovescio la difficolt); o di guasti dipendenti dall'usus scribendi (come
accade dove uunt sostituito, 9d = 44, da unt AP); o di questioni di collocazione (2C = 8, Bons fud o Fud
bons) o di cambiamento di tempo (856 = 425, vit o veit), che entrambe sappiamo trovarsi sull'estensione
della critica delle forme, non delle lezioni. Nei casi irriducibili, il Paris pensa che l'archetipo avesse un
guasto, corretto dai singoli manoscritti, che cos si sarebbero trovati a coincidere extra-canonicamente in
congetture, non gi in lezioni ereditate. Esempio. Degli sposi rimasti soli dicono LP (133 = 61):
Quant en la cambre furent tut sul rems,
ma AS furent amdui rems; il Paris suppone che l'archetipo leggesse amdui tut sul, e che la cernita
davanti all'insopportabile ipermetria sia iniziativa dei singoli discendenti. Per il Paris quello dell'archetipo
non solo un espediente per risolvere la presenza di coppie contraddittorie, o anche taluni antagonismi fra
L e gli altri in solido (e in simili frangenti il Paris suole scegliere la parte di L, o soleva, perch egli
retrocede di parecchio nelV editio minor)-, egli ritiene infatti che in 4 punti il guasto invada visibilmente
tutta la tradizione. In verit nessuno di questi casi par resistere all'esame: non sembra ad esempio che
Acartes per arcadius (62b = 307) sia una corruzione, e il Curtius ha mostrato che la ripetizione di portat
nel distico (i8d-e = 89-90)
El non la virgene qui portat salvetet,
Sainte Marie, qui portat Damnedeu,
lungi dal doversi a una mera distrazione di copia, obbedisce al canone retorico dell'interpretatio. D'altra
parte il Rajna e pi decisamente il Curtius (che senza troppi guanti parla di gymna-sialpdagogische
Logik) hanno posto un termine alle incomposte atetesi del Foerster, che in non so quante strofi
similaires scorgeva altrettante interpolazioni. E allora? se l'archetipo non posto anche da un erroneo
consensus codicum, non sar un espediente dialettico? (che non varrebbe ancora a smentirne l'esistenza).
La problematica dell'archetipo ha una portata generale che sarebbe difficile esagerare. Si suppongano
ridotte le testimonianze al numero minimo: due o tre, nella specie. I testimoni irriducibili sono definiti da
errori loro propri; ma accanto agli errori esistono normalmente lezioni per s ammissibili. Che garanzia
abbiamo allora, in assenza di archetipo cio di errori comuni a tutti, che quei testimoni non rappresentino
(pur ciascuno con le sue corruttele) redazioni parallele, altrettante edizioni? Per varcare il semplice
sospetto, occorre evidentemente che quelle serie costituiscano strutture organiche; ma il sospetto pu
restare, e si rischia di mescolare i Promessi Sposi del '40 con quelli del '27. Nel caso di Alexis,
fortunatamente, la dimostrazione dell'archetipo pu essere ottenuta con ben altra ricchezza che quella
mostrata dal ragionamento del Paris. Se il Foerster avesse ragione, sarebbero cadute (oltrech interpolate)
varie strofi: e la prova sarebbe raggiunta; ma il Rajna, prudentemente, se non si sente di smentire, non
s'impegna per ad affermare. La prova si consegue invece e si tocca con la divergenza totale delle lezioni.
Qui da procedere per gradi. Si pu avere anzitutto quella che io chiamerei la diffrazione in presenza:
quando la lectio difficilior serbata solo da un testimone, e gli altri mutano come possono. L dove (8e =
40) L serba l'arcaicamente contrattuale acatet, detto del procurare la moglie, A ha aplaide, P (e P2)
porchace, S (e M) a quise; l dove (2^e = 125) L solo ha l'antico piuccheperfetto jiret (tempo di valore
ancora aspettivo, come ha ben dimostrato, in uno scritto non noto quanto merita, il mio collega di
Ginevra, Andr Burger), gli altri leggono fisi, AP rassegnandosi all'ipometria, P2 distraendo laetus in lez,
S supplendo par; l dove PS (54b = 267) conservano ligon, L ha l'ingoi (che guasta la rima), A grabatun,
M pligon: abbiamo altrettanti esempi della nostra figura. Ne ho riuniti a decine, elegantissimi a esporre in
vetrina; ma certo non servono ancora allo scopo, costituiscono solo un gradino tipologico. Facciamolo,
allora, l'altro passo, giungiamo cio a quella che ho chiamata la diffrazione in assenza. Il pi bell'esempio
stato inventato dal grande Adolf Tobler. L dove la madre consola la sposa abbandonata (3id-e= 154-5):
Plaignons ensemble le duel de nostre ami,
Tu de ton seignor, io.l f<e>rai por mon fil(z),
questa, con emistichio ipermetro, lezione di L; A congettura pur ton sire, P ha por ton seignor (ancora

ipermetro), P2 non ha n de n por, S altera tutto. Il Tobler propose di sostituire a seignor il sinonimo
monosillabo per, e la minor del Paris non pot non accettare la soluzione, mentre nel '72 egli congetturava
del seignor. Anche qui sarei in grado di offrire un campionario ricchissimo: che porta, se non presumo
troppo, un contributo notevole al miglioramento della lezione. Un solo esempio. Nei tre casi in cui
compare la parola merveille, i codici stranamente divergono: posto che qo est nel testo fa sempre crasi (o
'st), la prima volta L isolato (88e = 440) ha grant, V manca d'una sillaba, P ha ja est, S ou fu (A e M non
soccorrono); la seconda volta (896 = 445), e l'emistichio identico, L isolato ha pure granz, A e P restano
ipometri d'una sillaba,
V altera, M ha Molt m'esmerveil (S manca); la terza volta (93e = 465) L e V sono, con ri est, ipometri
d'una sillaba, A introduce pas, PS il (M manca). La conseguenza, anche in rapporto all'albero, cio alla
costanza dei rapporti, una sola: dappertutto bisogner ristabilire mer<e>veille, in quattro sillabe. La
diffrazione in assenza dunque una certa struttura di relazioni fra i codici che impone il ricorso a una
congettura. Tuttavia da sola neppur questa figura proverebbe necessariamente l'archetipo: proprio perch
si ricostruisce una lectio difficilior, questa poteva, s, appartenere all'archetipo, ma poteva ugualmente
appartenere ancora ai suoi vari apografi. Bisogna compiere un ultimo passo: bisogna che la divergenza
alluda a un guasto d'altra natura. Qui l'esempio mi fornito dal Rajna (inefficacemente smentito dalla
Richter). Egli trova che 956 = 475 manca in A e PS; che il secondo emistichio diverge, n mai soddisfa,
in L e V; e conclude magistralmente (ma maggiore, oserei dire, la nostra sicurezza, poich noi crediamo
alla genealogia dei manoscritti) che il verso era incompleto nell'archetipo. Un esempio d'ipermetria in
archetipo stato fornito sopra. Ho solo l'imbarazzo della scelta nel fornire esempi d'ipometria. Cos, se
(^od = 249) L ha o ne volt il, A Mais ce ne volt, P Et si ne volt, S Il ne volt mie, bisogna postulare,
attraverso supplementi congetturali, ipometria di una o forse due sillabe in archetipo.
Debbo affrettarmi a soggiungere che tale archetipo non era tuttavia univoco dal rispetto redazionale. Mi
limito alla prova pi visibile e decisiva. In L sono, come hanno rilevato il Foerster e poi il Rajna, una
conclusione lunga (strofi 111-125) e una breve (109-110), che pu dirsi preceduta da una strofe di
transizione (108), conclusioni le quali si escludono mutuamente; e solo la conclusione lunga originale,
l'altra sar nata in un esemplare mutilo della fine. Ora, V ha solo la conclusione lunga; A, solo la breve
(senza strofe di transizione); P abbrevia, ma in sostanza ha la conclusione lunga e contamina i due finali;
S ha solo la conclusione lunga, e cos M, che abbrevia drasticamente, ma serba (particolarmente in uno
dei suoi due manoscritti) la strofe di transizione. Poich un albero (cio una costanza di rapporti) esiste, e
non coincide con le relazioni ora esposte, la conseguenza palese: la vecchia conclusione e la nuova
erano in qualche modo sommate nell'archetipo. Probabilmente, dopo copiato un esemplare mutilo della
fine e rattoppato, fu usufruito un esemplare compiuto.
E si pu andare pi in l. Un'infrazione alla trasmissione verticale, ci che Pasquali chiama trasmissione
laterale, pu ricondursi o a collazione o a discendenza da un archetipo con varianti, marginali o
interlineari, se non addirittura conglobate nella sua lezione. Abbiamo visto che gli sgarri AP e AS sono, in
quanto significativi, ricondotti da Paris a una somma nell'archetipo. Non sarei troppo corrivo ad
ammettere varianti d'autore, le quali comunque sarebbero tutte nell'archetipo (le varianti per s buone non
difficiliores hanno tutte un'eco nella tradizione): varianti redazionali esso ne conteneva, si visto, ma di
scorrette. Ma collazioni all'interno della tradizione di Alexis sono esistite. Lascio stare minori indizi di
duplicit d'esemplare a carico, oltre che di A, di L e di V; debbo per citare i pi flagranti e perentori nel
riguardo di A. Questo manoscritto presenta le strofi 48 e 49 una volta al loro posto, un'altra volta, con
qualche variante di lezione, pi innanzi: ora, la prima volta il verso 244 s'accorda con L (Danz Alexis), la
seconda con PS (Il les esguarde si.l...); la lectio fin qui singularis di 236 nella seconda versione (Assez)
pare ora trovare un riscontro nella parte palinsesta (palinsesta e, per quel che purtroppo risulta, mal
recuperabile) di V, ma il Rajna incertissimo. Il medesimo A giustappone alla strofe 97 una sua variante:
ora, nella prima versione il verso 483 s'accorda con L (amai), nella seconda con P (ai chier)\ il verso 484
s'accorda con L e P nella seconda versione, restava isolato nella prima (ma va ora con V). Ancora: A ha
due lezioni del verso 488, una al posto giusto, un'altra in luogo di 490; la prima va con L (geni), la
seconda ora con V (terre). E ci non basta: dobbiamo tornare alle concordanze diagonali, di A con P e di
A con S. La seconda serie infinitamente pi ricca di quanto non faccia sospettare il magro campionario
del Paris; e sproporzionatamente abbondante rispetto agli accordi AP. Se ne ricava un solo corollario
razionale: che S non derivi semplicemente da un esemplare con varianti, ma tenesse sott'occhio due

modelli, l'uno del tipo P, il fondamentale, l'altro del tipo A. L'ipotesi tanto pi verisimile in quanto S
rimaneggia e amplia, pur tenendo fede alla regola dell'assonanza. Le conseguenze sono nulle nel riguardo
recensorio, ma il precedente non cessa perci d'essere istruttivo.
Che sui singoli punti l'applicazione del nuovo stemma, o una pi rigorosa applicazione anche
dell'antico, e il rispetto delle altre considerazioni sommariamente esposte debbano portare a notevoli
restauri della vulgata, ben prevedibile: altrimenti, a che pr tante considerazioni sul metodo, se destinate
a restare bizantine? Sennonch, questa materia di fattispecie, qui non perseguibile. Prima di lasciare la
sfera dell'edizione Paris, vorrei solo insistere su qualche dato d'interesse paradigmatico che, anche se si
appoggi a manoscritti singolari, particolarmente a L, sia ammissibile perch non cade nella stretta critica
delle lezioni. Si visto gi che sul prolungamento della critica delle forme, cio degli mbiti singoli di
autonoma traduzione e traslitterazione, sono le questioni di ordine delle parole o di mise en relief; di
permutazione dei tempi verbali (dalla struttura prospettica alla struttura letteralmente temporale); di
ripetizione o variazione del tema. Si pu aggiungere: l'accordo o la neutralit del participio dei tempi
composti rispetto all'oggetto (id = 4, perdut o perdude at sa color)-, l'alternanza di dativo e accusativo
nelle accompagnature (376=185, le o li prient\ 4b = 317, li o le prennent forment a blastengier); il
pronome o l'avverbio in funzione pronominale (66c= 328, Iloc esguardent forma rara rispetto a II les
esguardent o lezioni affini con pronomi). Ultime, ma last not least, vengono le questioni di prolessi.
Siano questi due versi (4oc-d = 198-9):
Quant vit son regne, durement s'en redotet
De ses parenz, qued il ne.l reconoissent.
S'en, di L solo (S lo reca in altro contesto), prolettico rispetto a De ses parenz. Il Paris, in entrambe le
edizioni, rifiuta l'anticipazione. Ma essa figura ben tipica, se incontestabilmente nel verso successivo De
ses parenz anticipa rispetto al soggetto (il). Anticipo entro la proposizione nel primo verso; fuori
proposizione nel secondo. Naturalmente, in una fase flessiva e di collocazione non rigida (i due caratteri
s'implicano a vicenda) qual quella dell'antico francese, la prolessi assume tutt'altro carattere da quella,
fuori declinazione, con ripresa pronominale-avverbiale, del francese moderno ('Cet homme, je le connais
bien'; '...je lui/j'y pense beaucoup'; '...je n*en veux rien savoir'). Parlo di quei tali tic sintattici che
l'orecchio acutissimo di Marcel Proust sent nascere nella prosa di Pascal, e divulgarsi (forse per
dimentica il Victor Hugo familiare) dal focolaio infettivo di Barrs. Ma le serie di Alexis in cui quegli
esempi s'inquadrano sono ben estese: si tratti della consecuzione di meno esteso-pi esteso, o anticipo
propriamente detto: (3jd= 174) il ne.l set eoisir, leel saint home...; si tratti della consecuzione opposta di
pi esteso-meno esteso, o ripresa: (53a = 261) Soz le degret o il gist e converset, Hoc...; (68b = 337) Li
boens serjanz qui.l serveit volentiers, Il le nongat; e via via. Le pi importanti fra le lectiones singulares
si giustificano insomma per intere strutture sintattiche.
E siamo al quint'atto della nostra azione: alla scoperta e all'illustrazione del frammento Vaticano
procurata dal Rajna nel-l'Archivum Romanicum del 1929. Di una stranezza occorre sbito rendersi
conto: come mai prima operazione dello scopritore non sia stata quella di compararne la lezione con le
singulares dei vari manoscritti, passando solo poi, se del caso, alla collazione con le voci dei binomi.
Questa operazione era risultata fruttuosa, anche limitata allo scarso elenco del Paris. Ora, l'aggregazione
di V con A, gi palese in un errore comune e in una variante comune, ci si rivela ancora un bel numero di
volte: nell'assenza di un verso (450), nello spostamento d'una strofe (la 96 dietro alla 97), in pi lezioni
particolari (dei versi 436, 441, 448, 465, 472, 476, 479, 484, 499); nei casi, ben rari del resto, in cui si
unisce S, la nota collazione di S con A
0 un suo vicino non stupisce. L'albero, di conseguenza, non subisce nessuna modificazione
costituzionale: rimane un albero a tre rami, L, VA, PSM (con P2 quando c'); e che V non s'accordi mai
con A e PS insieme, mostra abbastanza che questi testimoni non vanno, secondo la pur fittizia ipotesi
prospettata sopra, riuniti. Sulle ragioni del procedimento del Rajna siamo ridotti alle congetture: bench
certo la premessa sottintesa sia uno scetticismo circa la genealogia, scetticismo naturalmente non
bdieriano, e infatti non generale ma specifico. Forse lo stemma del Paris pareva al Rajna fondato su
accoppiamenti contraddittori, dei quali alcuni il Paris giudicasse degni d'esser tenuti fermi, gli altri o

casuali o tali da rinviare all'archetipo (della cui esistenza frattanto proprio al Rajna toccava produrre
qualche prova decisiva)? A questa tacita correzione parrebbe ispirarsi l'affermazione, per s inesatta (p.
50), che i quattro testimoni, indipendenti per lo stesso Paris (in realt indipendenti solo mutuamente),
non siano da lui riconnessi che attraverso x (l'archetipo). uno scetticismo (strana parola per il
romanticissimo, paleontologissimo ricostruttore Pio Rajna!) -uno scetticismo a priori, che cercher di
giustificarsi a posteriori; ma, ripeto, scetticismo specifico: da connettersi certo con un'implicita idea della
situazione letteraria di Alexis. Vite di santi e chansons de geste non sono radicalmente la stessa cosa?
1 frammenti di Gormont et Isembard e del poema franco-provenzale su Alessandro non sono forse nel
metro della Santa Fede occitanica e, per quello che riguarda la sola misura, dei poemetti di ClermontFerrand? Il Boeri meridionale non forse in lasse di decasillabi epici come le chansons? In quest'ordine
d'idee, avviato soprattutto da lui (e poi ripreso dal Curtius), il Becker ha perfino creduto di poter ravvisare
nell'autore di Alexis l'inventore del decasillabo detto epico. Dir di pi: in A frequente, e si palesa nello
stesso additizio finale di P, il trapasso dal decasillabo epico, in cui composto Alexis, all'alessandrino:
vistoso carattere della fenomenologia delle chansons. Quanto al Rajna, un cenno sull'anteriorit del
Roland ad Alexis rivela bene l'autore delle Origini dell'epopea francese. Ma poi agisce nel Rajna un altro
impulso: quello euristico, nell'acceso entusiasmo della scoperta prevalente sopra la freddezza calcolatrice
della ragione. Egli stesso confessa di cominciare da un raffronto di carattere materiale. Basti a tal
riguardo enunciare l'ordine della parte ecdotica della sua esposizione (che qui per noi il solo oggetto
d'interesse, ma la sezione minore del fondamentale contributo): assenza di strofi in V; assenza di versi;
ordine delle strofi; esuberanze di versi; lectiones singulares accettabili; lezioni buone in concordia con
altri manoscritti; lectiones singulares cattive; indagine dei rapporti genealogici. La comparazione occupa
l'ultimo degli otto capitoli; ma comparativi sono di diritto anche i precedenti, e una singularis non pu
esser buona che quando difficilior, e altrimenti utile solo se, giudicata entro un quadro razionalizzato,
rinvia all'archetipo. E in quest'ambito puntuale si contengono le pi persuasive osservazioni del Rajna. A
fondamento di talune preferenze sta certo un judicium prettamente soggettivo. Da ^6e = 480 egli
sgombra, con V solo (Ore las vei...), il mais di tutti gli altri (Mais or les vei...). Certo non punto esclusa
l'ipotesi di una soppressione per motivo ritmico, in servigio dell'ore bisillabo. E sta che un altro ore a cui
sia impedito di diventar monosillabo per elisione, non s'ha nel Saint Alexis. Ci tuttavia non basta a
farmelo condannare. Basterebbe peraltro, nel metodo lachmanniano (che tra poco il Rajna rifiuter), a
mettere insieme gli altri manoscritti, come discendenti dell'unico in cui quel mais, che infiacchisce il
verso, si sarebbe introdotto. Per compenso, e quale compenso, ecco ad esempio il Rajna scoprire dei
piuccheperfetti francesi con funzione di condizionale (come in Provenza, in Iberia, in Italia meridionale),
i sore e oure del solo V (98c, e = 488, 490): e sia pure che una conferma luminosa vada chiesta alla
diffrazione operata dai restanti manoscritti, per l'alterata misura sillabica dei sinonimi. Quanto
all'archetipo, la pi brillante prova rajniana gi stata addotta. L'una e l'altra serie sono ancora passibili,
non dir proprio di moltiplicazione, ma s di aumento.
Sennonch il pi importante viene ora. Si sa che il Rajna, elaborati sei alberi genealogici
[ Schematizzo qui in nota i sei alberi (rispettivamente per la strofe 86 e per i w. 883 = 436, 88b = 437,
880 = 438, 88d = 439, 88e = 44o), tutti culminanti nell'Or. (= Originale), avvertendo che per S si elimina
la costante presenza dell'antigrafo non interpolato a:
I. x [=y ( = LVS), A]; P (linee punteggiate riuniscono S e P al ramo di A)
II. L, x ( = PS); y ( = VA)
III. L; x ( = APS); V
IV. x [ = L, A, y ( = PS)]; V
V. x ( = LAPS); V
VI. L; x ( = VPS) (il verso manca in A).]

sul fondamento della prima stro


fe interamente presente in V (86), poi dei singoli versi della seconda (88), ottenne sei formule diverse e
incompatibili, e concluse per l'inapplicabilit del metodo lachmanniano. Di tali stemmata, peraltro, solo il
secondo buono e corrispondente con un leggero ritocco a quello elaborato qui sopra. Fondatissimo il
raggruppamento VA; altrettanto PS, che ritorna nel quarto, ed ben noto fin dalla dimostrazione del
Paris. Solo, se l'errore commesso da VA, perch riunire L e PS? si scatena forse anche nel Rajna la
forza dicotomica denunciata da Bdier? Nel terzo albero sono associati APS, che hanno in comune non
positivamente lo stesso errore, ma negativamente il fatto di alterazioni singole: si ha una diffrazione in
presenza, e la lectio difficilior spetta a L. Nel quarto stemma V ha una difficilior, e la facilior sfugge ipso
jure all'attruppamento genealogico. Stessa cosa nel quinto, formalmente (perch in fatto son tutt'altro che
sicuro della bont di V). Il sesto riunisce VPS supponendo che erronea sia la caduta di granz: credo
invece, come gi dissi, che erronea ne sia la presenza; e che facilior sia ovunque merveille per
*mereveille, dell'archetipo. Ho lasciato da ultimo il primo caso, come ancora pi istruttivo. A e LVS
andrebbero insieme per l'insinuazione (ben probabile) della glossa o variante detraire in interlineo,
l'ultimo gruppo per l'erronea introduzione e sostituzione nel verso susseguente a quello cui si riferiva: ma
ci rinvia all'archetipo (dove crederei per mio conto di poter sorprendere un caso affine) e pertanto non
soggiace a illazioni genealogiche. Linee punteggiate (poich il Rajna stesso non giurerebbe che i relativi
incontri non fossero fortuiti) riuniscono A a S e d'altra parte a P. L'incontro AS, de(s)maiseler per
maiseler, potrebbe per s giustificarsi con autonome assimilazioni al prefisso de- dei verbi
circostanti, demener, debatre, dejeter, derompre; significativo potrebbe diventare semmai solo
organicamente, entro una serie, che sappiamo esistere d'altra parte (per collazione di S su A). A un rilievo
affine si presta il raggruppamento di AP, i quali hanno comune solo vist (del resto facilior); ma diversi
sono i contesti, Ki la vist A, Ki dunt lui veist P, per l'originale Ki dont li vit. L'identit affermata solo in
virt d'un calcolo puramente analitico, la cui pericolosit potrebbe denunciarsi con una ricca serie di
esempi. Proprio in generale, i singoli dati sono qui visti fuori del sistema. notorio che la maggior
conquista operata dalle generazioni scientifiche successive , particolarmente in linguistica, quella del
punto di vista strutturale. Strutture sono anche quelle genealogiche, della tradizione manoscritta; strutture
sono ugualmente le figure che consentono di varcare la genealogia pura, le diffrazioni in presenza o in
assenza.
L'illazione cavata dal Rajna era che la tradizione fosse non soltanto scritta, ma orale. Anche scritta,
naturalmente, come provano molti dei fatti citati fin qui, ed egli (supponendo ad esempio che un at
vochi, da cui altrove apele, movesse da un *at touchi, ii2b = 557) rincarava la dose. Ma altres orale, e
di ci scorgeva due altri indizi. Il primo era nella ripetizione erronea, un po' dappertutto, di versi e frasi
remote nel testo: dato incontrastabile, ma che indica solo come in ogni tradizione scritta, e nessuno
oserebbe negare, sia un minimo di oralit e memoria; o al massimo che gli scribi volgari medievali
sapessero a memoria, un po' pi di quelli di altre situazioni (o vlti all'intoccabile e grammaticale latino, o
clti da scrupolo classico), parti del loro testo. Il secondo indizio sarebbe nella licenza e arbitrariet delle
sostituzioni singole di lezione: ma ci quadra bene con la figura del copista-rimaneggiatore; e poi dove si
finirebbe se interpretassimo i dati singoli della realt, quelli non seriali, non suscettibili di legislazione,
invece di assumerli come un primum superiore alla discussione perch anteriore? L'eliminatio lectionum
singularium, quest'esito semplicissimo del calcolo delle probabilit, ha proprio il significato di sgombrare
dal razionale ci che, dopo assaggi critici, si rivela non passibile di razionalit. Beninteso, per,
l'atteggiamento del Rajna incide soprattutto sull'esegesi generale del testo, prodotto fuori di discussione
clto (ed egli ne conferma la nascita ecclesiastica), ma passato in patrimonio popolare, oserei dire
folclorico. (Come cade bene qui il citatissimo episodio di Pietro Valdo, che scopre la propria vocazione
ascoltando, circa il 1173, la storia di sant'Alessio in una piazza di Lione!). All'interpretazione romantica e
popolare delle 'origini' dei vari generi medievali, dell'epopea particolarmente, l'ultimo quarantennio di
studi venuto surrogando la tesi che la prima etichetta tipologica chiam erudita. E per la sua importanza
rappresentativa e per il fatto d'essere intervenuto esplicitamente anche su Alexis, basti ripetere qui il nome
del Curtius. Rispetto a un predecessore della statura del Rajna, esso permette bene di misurare il
progresso recente della scienza. Il Rajna ci si era rivelato gi come il meno razionale, in qualche modo il
pi patetico, dei vecchi filologi: quello nel cui intimo si leggeva di pi, pi moventi psicologici, come
flagranti ne erano l'entusiasmo e la passione. Le implicazioni del suo procedere fanno scorgere pi chiaro

un doppio carattere della filologia, anzi della mentalit moderna: da un lato la maggior fede alla
tradizione, cio al documento, di contro alla preistoria; dall'altro la costituzione delle strutture, e cio
ancora di presenze, in quanto siano organiche. Dico 'moderno', e non collego 'moderno' a 'moda'. Chiamo
moderno ci che mi appare vitale, nella situazione concreta. Il presente non un punto dell'estensione
temporale, come il passato e magari il futuro (deformazione grammaticale che per-tiene a ben poche
lingue, anche se - posso dire: per accidente? - esse siano proprio le nostre). Il presente il luogo del
nostro agire e decidere, il nostro solo luogo.
Costui, mi pare di sentir mormorare, ha trasformato l'Aula Magna in laboratorio. Che simile
trasformazione dell'Universit risponda a una necessit attuale, non sarei peraltro alieno dal-l'asserire.
Uno dei pi intelligenti fra i maestri che mi fu dato ascoltare, un po' pi di vent'anni or sono, matricola,
discorreva con ironia del tempio della scienza nel quale impartiva il suo insegnamento. Che quelle aule
siano fatte laboratorio, laboratorio di ricerca comune, da dire oggi, o da augurare, con perfetta seriet. E
se mi si chiede dove sia andato a finire nelle competenti Facolt l'umanesimo, risponder che la sua difesa
pu essere sostenuta solo ove abbandoni la sua retorica elazione e, ridotto in confini certi, vi si
rinvigorisca. Si dice, e io ere-der volentieri, che la grande tendenza collettiva dei nostri tempi sia verso
non gi un utile da conseguire, ma un'affermazione vitale e attiva: non, insomma, una pragmaticit
seconda, ma una pragmaticit prima (o, che fa lo stesso, ultima e millenaria); s'intenda, tuttavia, una
pragmaticit tutta funzionale, non il piacere dell'attivit, che , o piuttosto era, una modalit
dell'estetismo, vale a dire dell'umanesimo nella decadenza e putrefazione quatriduana dei suoi antiquati
termini tradizionali. Di qui la fortuna, dico la fortuna ideale, della macchina. E che altro se non un
esempio di funzionamento di macchina, tratto dalle officine di noi umanisti, ho scelto di sottoporre al
vostro esame? Una macchina, e la sua storia lo mostra troppo bene, fatta dall'uomo per l'uomo. N giova
neppure avvertire: guai a dimenticarsene, poich dimenticarsene non sarebbe possibile. Ci che di
meccanico in questa macchina, la salvaguardia dell'oggettivit delle proprie operazioni, amore della
verit. Preservare l'umanesimo vai quanto, con parole di piet e di tradizione, preservare la libert: che,
pi nettamente ne sono segnati i limiti, pi radicalmente si rivela preservata dalla possibilit di
distruzione. Che questo teorema generalissimo risulti confermato da un esame tecnico per specialisti, un
esperimento che confesso di trovare edificante.
Estratto dal volume collettivo Un augurio a Raffaele Mattioli, Firenze 1970, pp. 343-74.
SCAVI ALESSIANI
Gli che lo spirito del T., piuttosto di sottile indagatore che di costruttore, lo portava alle minute
ricerche, specialmente di carattere scolastico, meglio che a grossi lavori di sintesi. Di chi parla con tanto
compatimento l'Enciclopedia Italiana? (Del resto, intendiamoci, al giudizio del chiaro glottologo che qui
scrive consuona quello, pur riferito a certa situazione tragica del filologo, di Leo Spitzer, nei
Meisterwerke der romanischen Sprachwissenschaft). Si discorre di Adolf Tobler, uno di quei linguisti e
filologi ottocenteschi la cui qualit appare singolarmente incorrotta, la cui statura cresciuta col passare del
tempo. In chi scrive la prima ammirazione per il Tobler fu instillata dal suo maestro Santorre Debenedetti;
e da allora egli non ha fatto che collaudarla. Oggi, per la verit, non si tratta di celebrare genericamente il
grande scienziato, bens di ritrovare in una di quelle tante Rezensionen und Anmerkungen in cui egli
era condannato a verspritzen il suo grandioses Wissen (cos Io Spitzer), uno spunto metodologico
tanto attraente da indurre a svolgerne il germe in un organico capitolo di critica testuale.
Un emendamento infallibile per eleganza e certezza quello proposto dal Tobler, nella sua recensione
al Saint Alexis di Gaston Paris (uscita nello stesso anno 1872 sulle Gttingische Gelehrte Anzeigen), a
un passo gi corretto dallo stesso editore. Il discorso della madre alla sposa termina cos (31d-e = 154-5)
nell'editio maior:
Plainons ensemble le dol de nostre ami,
Tu del seinor, jo l' ferai por mon fil;

nel quale ultimo verso i manoscritti leggono (M non soccorre):


L tu de tun seinur, jo.l frai pur mun filz
A tu pur tun sire e je pur mun chier filz
P tu por tun seignor, je.l ferai por mun fiz (P2 tu t.
seignur...)
S (452) l'une son fil et l'autre son ami [Paris mari]. l a collezione per avanzata dal Tobler apparve
irrecusabile al
Paris stesso, che nell'editio minor (giustamente rinunciando anche alla 'lectio singularis' de) d pertanto:
Tu por ton per, jol frai por mon fil.
La brillantezza della soluzione non abbisogna dunque di ulteriori plausi: importa invece definire
esattamente, anche ai fini euristici, l'operazione compiuta dal Tobler, rendere esplicita la razionalit
latente nella sua intuizione; trovarle magari un'etichetta che consenta di ravvisarla a priori.
La tradizione corrotta nel suo insieme, com'era stato riconosciuto, prima ancora che dal Paris, dal
Hofmann, il quale nella sua edizione si limitava a espungere ton (anzi la congettura del Paris era un
semplice ritocco all'inammissibile de non articolato del suo predecessore): il tipo di intervento facile
(anche se nella realizzazione potrebb'essere pi felice) quale si suole esercitare sulle tradizioni con un
solo manoscritto, ed l'ilota ebbro che deve ammonire contro l'euforia di chi disponga di una
testimonianza sola, da cui discostarsi solo nei casi, quale il presente, di palese corruttela. Il guasto per
non omogeneo: se L e P si accontentano dell'ipermetro seignor, A non ha ritegno a rimediare
prosodicamente col solecismo del nominativo sire per l'obliquo, P2, vicinissimo a P e quindi postulante il
suo tipo, sopprime, ugualmente con soddisfazione della metrica ma non del contesto semantico, il primo
por (ton seignor dipenderebbe, rompendo la simmetria, da plaignons?), il rimaneggiamento S infine,
movente pure da un tipo prossimo a P, non trova di meglio che ripetere incongruamente ami dal verso
precedente1 (la borghese correzione del Paris praticata sul testimone artificiosamente isolato dal
complesso della tradizione). Certo si pu ipotizzare che A, P2 e S, questi tre precursori del Hofmann e del
Paris, cos a loro affini per la sbrigativit della procedura e certa negligenza del contesto, si trovassero
tutti innanzi lo scomodo seignor, procedente in questo caso dall'archetipo. Ma l'ipotesi, pur probabile, non
strettamente necessaria: poich sirei seignor la forma pi ovvia per marito' (specialmente in senso
giuridico), essa pu aver surrogato ovunque un concorrente pi 'difficile' perpetuatosi fino ai piani pi
bassi della tradizione. Quella proposta dal Tobler infatti una lectio difficilior, tanto pi meritoria in
quanto altrimenti il testo documenta per col valore di 'socialmente uguale', non di 'coniuge' o 'amoroso
compagno'; e s'intenda che la rarit appartiene al per maschile, non al femminile che in quest'accezione ,
dal Roland in gi, banalissimo e formulare. Tuttavia questa lectio difficilior di natura particolare: poich
normalmente la lectio difficilior presente nella tradizione testuale e si oppone ad altra (ipotesi implicita
nel comparativo) o eventualmente a pi altre ugualmente presenti, coi notori corollari di eccezione nel
quadro lachmanniano (singularis non eliminabile se difficilior, innovazione comune non di necessit
monogenetica se facilior); e lectiones difficiliores, da accettarsi bench isolate a norma dello stemma
codicum, compaiono anche nella tradizione di Alexis, in vari testimoni ma particolarmente in quello che
appare per ci stesso 'il miglior manoscritto', L (volendosi definire oggettivamente la nozione del 'miglior
manoscritto', un enunciato soddisfacente potrebbe appunto esser questo, quello che contiene la massima
densit di lectiones singulares difficiliores). Quella invece avanzata dal Tobler una lectio difficilior
congetturale, assente dalla tradizione. Con essa egli risponde alla domanda: quale pu essere un sinonimo
di seignor che sia in caso obliquo un monosillabo ossitono o un bisillabo parossitono? La prospezione
1D'altra ragione (anafora erronea, che il solo A rinnova nella strofe successiva) il Sire Alexis per O o E chiers
amis in 963 = 476. Sono comunque apostrofi della sposa ad Alessio. E cos l'accumulo (22d=i09) amis, bel sire
(soppresso in i, alterato da L in e chers amis).

stratigrafica sotto il piano della documentazione giustificata da una particolare configurazione (si dica
pure, se si vuole usare la parola magica, aspetto strutturale) della tradizione: non solo la comune erroneit
dei testimoni ma la loro divergenza, quella che con pi vistosa metafora chiamerei volentieri diffrazione,
pi esattamente diffrazione in assenza (della lezione ricevibile), perch nel caso della normale lectio
difficilior (che perci diventa difficil-lima) la diffrazione in presenza (della lezione buona).
La legittimit della congettura difficilior (non della mera correzione congetturale, poich questa
imposta dalla presenza dell'errore) legata alla diffrazione, e dunque alla tradizione plurima, che si rivela
perci flagrantemente superiore alla univoca o anche alla semplicemente binaria. Nella fenomenologia
ecdotica c' una progressione dalla diffrazione in presenza, dove un testimone (generalmente uno solo) ha
serbato la voce o forma relativamente rara, a quella in assenza, dove essa rimasta documentariamente
travolta, si riesca poi o non si riesca a ricostruirla. Mi propongo di mostrare, facendo un passo pi in l,
che la semplice diffrazione, s'intenda in assenza di qualsiasi variante peregrina, sufficiente a legittimare
la congettura difficilior. L'erroneit pu essere pi o meno palliata o mimetizzata, e quindi la pronuncia di
erroneit rischia di essere soggettiva: anche nell'esempio citato l'erroneit di P2, di S, dello stesso A (dove
infine un anacronismo morfologico) o quella, qualitativamente non eterogenea, del Hofmann e del Paris
non affatto conclamata, cos che si sarebbe gi tratti a concludere essere la giustificazione logica del
Tobler meno nell'erroneit della tradizione che nella dispersione delle varianti. A ogni modo, non
mancano davvero gli esempi di diffrazione in varianti adiafore, tali cio che, se il singolo manoscritto
fosse unico, esse sarebbero al riparo da ogni sospetto. La certezza della lezione decresce con la riduzione
della tradizione; l'aumento di questa giova invece, oltre i vantaggi pi direttamente lachman-niani in
favore d'una scelta positiva, a localizzare guasti altrimenti non rilevabili, e cio perlomeno in negativo.
Non si affatto sicuri, in verit, che la divinazione assista necessariamente l'editore con risultati di
ragionevole certezza, come nel caso del Tobler; si sapr tuttavia che esistono lacune, a riempire le quali si
potr anche adottare una delle lezioni tramandate, con la coscienza peraltro che si tratta di tibicines, non
pi certi, sebbene antichi, di congetture editoriali moderne. Rovesciato il processo del Tobler da risposta a
domanda, il suo 'aver trovato' diventer un modo di 'cercare'.
A indicare i manoscritti dell'Alexis sono qui adottate le sigle tradizionali:
L = Hildesheim, St. Godehard (da Lambspringen; il cosiddetto Codex Albanus, su cui cfr. da ultimo
Otto Pcht - C. R. Dodwell -Francis Wormald, The St. Albans Psalter [Albani Psalter], London 1960);
A = Parigi, Bibliothque Nationale, nouv. acq. fr. 4503 (da Ashburnham
Place, gi Libri); V = Biblioteca Vaticana, lat. 5334 (da 8^ = 425 alla fine); P = Parigi, c. s., f. fr. 19525;
P2 = Manchester, John Rylands Library, French 6 (fino all'inizio della strofa 35);
i redazione perduta del tipo P, fonte dei rimaneggiamenti successivi attestati in
S = Parigi, c. s., fr. 12471 (in lasse assonanzate), e
M = Parigi, c. s., fr. 1553 (in lasse rimate), di cui affine
Mb = Carlisle, Cathedral Library.
La sigla P vale tacitamente, fatta riserva delle varianti meramente formali, anche per P2 (di qui
l'opportunit di non assumere dal Lausberg, con cui l'Avalle, la siglatura R); il secondo testimone citato
espressamente solo in caso di variante sostanziale. A S e a M di norma aggiunto il numero del verso,
secondo la classica edizione di Gaston Paris e Lopold Pannier, La vie de saint Alexis, pome du XIe
sicle et renouvellements des XIIe, XIIIe et XIVe sicles, ecc., Paris 1872; l'indicazione M si riferisce
virtualmente all'intera redazione, essendo Mb addotto solo in casi di divergenza flagrante. Una sola volta
stato utile citare Q, cio il rimaneggiamento in quartine monorime di alessandrini (procedente dal tipo
M) pubblicato (di su sette manoscritti) dal Pannier, op. cit.

Il testo, che si numera secondo la fastidiosa tradizione inaugurata dal Paris, cio per numero di strofe e
lettera minuscola (da a a e) di verso, cui per si aggiunge l'equivalenza in numerazione continua (la sola
addotta nei riferimenti successivi alla prima citazione), , in trascrizione variamente diplomatica o
interpretativa, a norma delle puntuali necessit, quella (per L, A, P, S, M, e occorrendo Mb)
dell'Altfranzsisches bungsbucb di W. Foerster ed E. Koschwitz, nelle ultime edizioni; ma per S e M si
riconfrontata la citata edizione del Paris, ovviamente ripristinando di sugli apparati la forma dei codici.
La lezione di V stata pubblicata da Pio Rajna, in Archivum Romanicum, xiii (fasc. 1, con la data di
gennaio-marzo 1929), pp. 5-10. Quella di P2 figura nella Notice ecc. di Robert Fawtier ed E. C. FawtierJones, in Romania, xlix (1923), pp. 321-42 (le prove della parentela con P e un elenco di lectiones
singulares presso la Fawtier-Jones, ibid., lvi, 1930, pp. 83-5). Di Mb il testo integrale dell'inizio e della
fine e la collazione del resto sono state fornite dal Paris, ibid., xvn (1888), pp. 107-20, su materiali di T.W. Jackson.
Ai fini presenti del tutto superflua la ripetizione della consueta bibliografia quale ad esempio risulta
dalle accurate 'dispense' di D. S. Aval-le, La Vie de saint Alexis, Torino 1963.
Qui va solo avvertito che i presupposti lachmanniani del ragionamento sono alquanto diversi dai
risultati di Gaston Paris, come del resto dalle rettifiche dei suoi successori. Lo stemma codicum del Paris
era notoriamente bipartito (LA, PSM), anzi il primo stemma bipartito del lachmannismo francese (e
romanzo in genere) e come tale figura, bench senza nome n di testo n di editore, in capo alla famosa
collezione di Joseph Bdier (La tradition manuscrite du Lai de l'Ombre. Rflexions sur l'art d'diter les
anciens textes, p. 10 dell'estratto da Romania [liv, 1928], Paris 1929). Tale schema peraltro invalido,
poich, se incontestabile la convergenza di P e SM in errori comuni, la met di quelli a presunto carico
di L e A sono in realt lezioni perlomeno indifferenti (2ib = io2, 323 = 156, 503 = 246, 6ob = 297), per la
met essenziale (400 = 197, 480 = 237, 653 = 321, 94C = 468) non sussiste la creduta identit di L e A: A
si trovava allora in Inghilterra, e il Paris non lo conosceva ancora direttamente, bens soltanto attraverso
una collazione di Paul Meyer condotta rispetto a L, e in questi punti, se ne ricava, erroneamente
silenziosa. L'albero dunque un albero a tre rami: L, A, PSM.
Il Rajna credette che il nuovo testimone da lui provvidamente fatto conoscere, V, non fosse
razionalmente componibile in un albero genealogico, e che perci esso provasse l'oralit della tradizione
(quasi che poi essa, e ci si ripeta per il concetto di poesia 'tradizionale' presso il Menndez Pidal, non
dovesse ottemperare agli stessi criteri di logica formale). Tralasciata la pars destruens del ragionamento,
agevole invece riconoscere che V prossimo ad A per la comune caduta della strofe 87 e di 906 = 450,
per la comune posposizione della strofe 96 alla 97 e per la coincidenza in molte lezioni che prima
apparivano singulares di A, 883 = 436 (En halte voiz), 898 = 441 (muli), 9oc = 448 (od mei), 93e = 465
(kar), 96d = 479 (graimes), 97d = 484 (reso identico a 443), iood = 499 (bien), 1013 = 501 (ne), ecc. Di
conseguenza l'albero tripartito si configura come L, AV, PSM (e questo sar l'ordine tenuto nelle
citazioni).
Di nessun conto vanno stimate le edizioni che, si rifacciano o no al gran nome del Bdier (esplicita
conformit palesa il particolarmente sprovveduto Chr. Storey, nella sua tesi di Strasburgo, Paris 1934, da
cui la minor di Oxford 1946), si attengono al cosiddetto miglior manoscritto, cio a L (segue strettamente
L quella postuma di J.-M. Meunier, Paris 1933, si licenziano ricorsi desultori ad altri testimoni la Rsler,
Halle 1941, e poi il Rohlfs, ibid. 1950, ma in linea di principio non si comportava diversamente il
Foerster nella prima edizione procurata dalla Rsler, ibid. 1928). Non manca, vero, chi, come lo
Sckommodau, ha creduto di poter considerare invece A quale il miglior manoscritto (Zeitschrift fr
romanische Philologie, LXX, 1954, pp. 161-203); ma non possiamo giudicarlo al traguardo
d'un'edizione. Sar semmai da fare i conti con chi considera l'albero bipartito, in modo per che da una
parte stia L, dall'altra tutti gli altri manoscritti: questo difensore per nuova via della preminenza di L
(comparabile dunque all'O del Roland) il Lausberg, che si anche cimentato nell'edizione del proemio;
ma la consistenza di errori comuni ad AVPSM non appare sufficientemente provata. [La prcellence di
L (cos Archiv fr das Studium der neueren Spra-chen, 192, 1955, p. 34) tuttavia dal grande
romanista intesa con valore di arcaicit, non in senso lachmanniano. Sia 93 = 41, dove L Fud la pul-cela
nethe de halt parentet, A F. la pulcele de mult halt parenti, P Fu la pucele de m. h. p., S 89 La p. iert de
m. grant p. (M manca). Secondo il Lausberg (ibid., 191, 1955, p. 317) v3 letto de halt di L con sinslefe,

qusle provenzalismo. M3 dato e non concesso che quest3 arditissima ipotesi cogliesse nel segno, non ne
seguirebbe il raggruppamento APS (per soppressione di nee e interpolazione di mult, pi surrogazione in
S di grant a halt), in quanto nessuno di quegli individui tollererebbe il monosillabismo di de halt, ma
l'inserzione del banale mult avverrebbe senza diffrazione].
In quanto segue, inoltre, trattandosi di un problema strettamente testuale e non compositivo, si
considera praticamente tutto il testo tramandato come genuino e non si tiene conto, salvo fugaci accenni,
di eventuali atetesi: non si dice di quelle proposte dal Foerster, e giustamente respinte dal Curtius
nell'ambito della teratologia, ma anche delle meno infondate; non si risolve, in particolare, il quesito circa
la legittimit o illegittimit della presenza nell'originale d'una 'conclusione corta' seguita da una
'conclusione lunga', legittimit che stata recentemente difesa dall'Avalle ma verso la quale permane viva
perplessit.
Va infine precisato, poich anche questo criterio modifica il meccanismo dell'impianto strettamente
lachmanniano, che un'alterazione mnemonica certamente presente nella tradizione di*Alexis come di
tante opere medioevali, prima fra tutte la Commedia, sotto forma di eco o di anticipo, rigorosamente
individuali, di luoghi similari dello stesso testo (gli esempi abbondano nella documentazione del presente
scritto). Sia l'incontro di LP in 4a = i6, Eufemien si out a(n)num li pe(d)re(s), dirimpetto ad A, issi ot
num, e S 52 ensi ot non (cfr. M 24 ot non, pur in contesto alterato). Il caso parve rilevante al Paris, che
credette di poterne inferire un ascendente ipermetro, ensi out a nom, variamente ridotto dai testimoni,
senza che ci alteri la parentela fondamentale registrata nel suo stemma codicum. Si capisce che una
situazione simile consentisse al Paris di trasvolare anche lui personalmente, come i manoscritti, dall'una
all'altra soluzione: ensi out nom nella 'maior', si out a nom nella minor (il tutto fra trattini o virgolette,
essendo - e in ci il Paris ha ragione -un inciso entro Eufemiiens... Coms fut...). Sta per di fatto che nel
solo esempio univoco dell'espressione (62b = 307) si ha o(u)t non-, mentre nell'altro caso (73 = 31) al si
o(u)t num Alexi(s) di LA si oppongono per parte di P si out Alix a nun (con guasto di rima), per parte di S
70 s'ot a non Alessi, entrambi palesemente erronei, sia poi l'intrusione di a poligenetica o dovuta
all'antigrafo di PS. Come, dunque si (...a) entrato nel punto di partenza? Certo per anticipo
(verosimilmente mnemonico) del luogo immediatamente successivo; dove per si una congiunzione
coordinante press'a poco sinonima di 'e' (la 'maior' Fut batiziez, si...), mentre qui si richiede un 'cos', ci
che L rende con eisi (^ja = 271, PS issi) o issi (496 = 245, singularis di L). Allo stesso modo il grant
pechi di A e P (preceduto, vero, da si per com) invece del forz pechiez giustamente adottato dal Paris in
i2d = 59 potrebbe anticipare la formula che in 646 = 320 spetta a tutta la tradizione. Ma bastino questi
cenni estremamente sommari di ci che non verte sulla specifica problematica della diffrazione.
Posta la continuit della fenomenologia, sar opportuno cominciare da quelle diffrazioni in presenza in
cui, com' stato almeno in fatto riconosciuto dal Paris e perci dalla vulgata, la lectio difficilior serbata
dal solo L.
E un esempio occorre fin dal principio del testo:
8e = 4o acatet 'procura', soggetto il padre di Alessio, oggetto la sposa, contro A aplaide, P porchace, S
88 e M 72 (con altri ritocchi al presente fine irrilevanti) a qui se (la sopraggiunta desuetudine
dell'accezione, pi a lungo serbata nella 'periferia' occitanica, cfr. Flamenca 2123 Ques ab Dieu
l'acapton merces e la relativa voce nel glossario del Meyer, ovviamente legata all'evoluzione o
involuzione istituzionale del tecnicismo giuridico accap(i)tare, su cui invano si cercherebbero lumi nel
FEW, mentre gi orientano il Du Cange e perfino il Raynouard). La conferma del carattere difficilior
della lezione si ha nella, come qui, totale (o nella tendenziale) censura esercitata sul termine. L'unico altro
esempio infatti (la totalit vale per i manoscritti citati, tolti A che qui manca e S mutilo in fine, non per
il sopraggiunto V)
1250 = 623 acat, soggetto Alessio, oggetto pais e glorie, V pure (ma 624) achat, contro P donst
(...concorde), M 1272 amoneste (joie), Mb i otroit grant (j.) (qui si prescinde, perch non tocca la forma
interessante, dalla corruzione di L in questa strofe finale, rivelata dalla ripetizione di glorie in rima ancor
prima che dalla collazione degli altri testimoni; su cui pi innanzi).

Ecco gli altri casi:


19b = 92 (que) gens (in L invertito con l'emistichio corrispondente del verso successivo), contro A
nent, P (que) rien, S 384 (ains) rien (M altera);2 cfr. la generale opposizione (A, P, S 798) in 54c = 268 di
icil a giens cil (l'unico altro esempio nella tradizione dell'Alexis di g(i)ens col valore del provenzale
ge(n)s, peraltro sospetto perch per solito Vidi ecc. di L a degradarsi in cil);
23b=112 multes terres, contro A plusurs terres (plui sor anche M 443), P maint pas, S 461 moull de
terres;
25e= 125 firet, contro fist di AP (paghi all'ipometria) e S 475 (che invece interpola par), Mb est (tres),
M 489 (for-ment...) fu (interamente soppresso s'eri) ( l'unica forma di antico piuccheperfetto indicativo
presente in L, anche se, com' gi noto grazie al Rajna e come si vedr pi sotto, non l'unica del
poemetto);
28b= 137 despeiret, da correggere naturalmente col Paris in desperet (cfr. 293=141 pare(d)e), contro A
destruist (anticipo da 29c=i43, dove la restante tradizione reca a(t) destruite), P e S 407 (M non soccorre)
despoille (ma cfr. in S 412 a desparee, l'equipollente M 405 a deskiree);
36a = 176 li costre, contro A l'umes (desinenza riscritta) e P tost, ipometri, S 539 e M 540 Li clers,
portato all'inizio del verso (ma cfr. M 522 le coustre) (si noti in P, per la prima volta nel corso
dell'esperimento, il conato d'interpretazione grafica anzich semantica);
43c = 213 n' altra pur altre mais sun pedre i ancuntret, certo per 'non incontra nessun altro che suo
padre', contro A que vus dirrai? elP ne un ne altre mes...,S 658 autre, puis autre et... (M non soccorre)
(anche a regola lachmanniana l'eliminazione delle singulares, l'un di P, la mancanza di n(e) iniziale e l'et
di S, per non parlare di A che getta addirittura la spugna, porterebbero a L, salvo solo il pur, per cui
l'attuale si paleserebbe caso di diffrazione in presenza; la soluzione del Paris, composita - su S viene
innestato il mais di L e P -, altre puis altre, mais..., pecca contro il suo proprio stemma, ma non pu dirsi
davvero pi soddisfacente delle lezioni effettivamente presenti);
46d = 229 asme (normalizzato dal Paris in As me o mei), contro P prest sui, S 756 Ves me ci e
un'alterazione comune a A e M 743 (je.l g(u) arderai...) (l'altro esempio, est vus in L, 37b = 182, si
conserva dovunque con varianti puramente formali, certo perch formula fossile);
47C = 233 amanvet, contro A aporte, P apreste; ivi, bosuinz, contro A mestier (su rasura), P eis (per
aise?) con rifacimento totale, li fu asez per li ert (SM non soccorrono);
513 = 251 del berbere li, contro P devant lui, S 778 del ostel li (M altera); e si cita questa strofe, a torto
o a ragione sospetta (assente da A, mutila in fine in L e costruita con ricordi della 20 sulla rima di i nasale
con ie), perch l'eliminazione dell'arcaismo comunque vi compare con modalit non dissimili da quella
dell'altro unico esempio, 65b=322, il cui helberc (L) pi frantamente contraddetto da AP (h)ostel, S 966
herenc, M 1002 palais (meno radicale ma consistente anche l'avversione al femminile herberge in rima,
che la prima volta, 84d = 419, , in assenza di A e anche di M, serbato da S 1179 ma disatteso da P, con
una trasformazione radicale la quale in rima riporta il poveri e del primo verso, la seconda volta, n6a =
576, conservato da tutti, V, P, S 1313, mancando sempre A e M; perfino il trivialissimo verbo, illeso al
transitivo in 44b = 217, toccato da P quando intransitivo, surrogandosi in 1146 = 570 converse al
herberget di L, arberge di V);
61b = 302 repairent 'si recano', contro en vin(d)rent di A e S 946 (M altera), vienent (ipometro) di P
(non in questo valore, comune a casi del repairar occitanico registrati dal Raynouard e dall'Appel, ma in
quello consueto di 'tornare', il verbo resta altrimenti invariato, cfr. il repairasses, peraltro in rima, di 78d=
389, tuttavia in 26a=i26 P riesce a portare a retornent perfino il repairent dell'intera tradizione; si avverta
che nel verso in esponente lo stesso Paris, dalla maior alla minor, si sposta sulla 'facilior' en vindrent,
2Molte sostituzioni, particolarmente nella tradizione dell'Eneas, di rien, plus, point, pas, mie a giens sono citate da Tobler-Lommatzsch, s. v.

stimando certo erroneo il significato qui illustrato, di cui il Godefroy non scheda altra attestazione);
6ye = 335 e (interiezione iniziale, seguita da reis celeste), contro AoeP Deu (S e M non soccorrono).
Sarebbe per qui improprio discorrere di difficilior, ove si eccettui A, che regolarmente surroga o
(nell'identico primo emistichio di ^d = 24, in i2d = 59) oppure Oi (in 4ia = 201, in 46a = 226; manca del
verso in 780 = 388, della strofe, con lacuna comune a V, in 870 = 433); un'ostilit sua, poich
nell'ambito della famiglia AV l'ultimo individuo ha almeno serbato ei nel rifacimento (sul primo verso
dell'originale) di 96C = 478 (ei chiers amis per e gentils om), A, che anche sposta in fine il verso,
modifica tutto (sire, dist ele). Quanto al Deu di P, sar un innocente ricordo di 59, 201, 226, dove Deus
segue all'interiezione (diversamente in 201 S 597 riaggancia da 24 reis celestres). Tornando per a 478,
corre l'obbligo di avvertire che l'inizio della strofe (96a = 476), qui ripreso da V, ha in L O kiers amis, in
P invece E (come di consueto nel codice, in nota tironiana) chiers amis (S non utile, partecipando della
ripetizione anaforica di AV); l'anafora si ha anche nell'originale, ma in direzione contraria, cio verso la
strofe successiva, aperta (973 = 481) in L da O, in P da Ohi (A, si detto, continua la sua anafora privata,
S e M mancano), ma in V da E. La conclusione gi probabile che E vada ripristinato dappertutto; lo
conferma il fatto che l'ultimo esempio di O iniziale in L, 8ia = 40i, contraddetto dal solito 7 di P (gli
altri testimoni, ASM, sopprimono l'interiezione nel sostituire, variamente, l'unico esempio di (i)erent
futuro). Come in altri punti, L conservatore ma non costante, e qui battuto da P e da V. (Va
preannunciato sbito che invece l'E di S in 441, il quale in concorrenza con VA di L, Ohi in P, non ha
autorit, poich A lasse confermato dall0a(l)las di 79d = 394 in LAP, alterando SM; o vorr dire che a
ancora difficilior di e in alas(se), cfr. pure in 1243 = 616 il triviale Elas caitis di S 1350 per il Las
malfeu(z) di LV).
Ivi tu nus i fai venir, contro A kar nus (segue su rasura fai...ir), P la nos fai parvenir. La difficolt di L
sembra consistere nel pronome tu espresso innanzi all'imperativo, del che non ricorrono altri esempi nel
testo (ma, poich e i atona e venir sono tutt'altro che garantiti, ci si chiede se la diffrazione non alluda a
qualcosa di assente, poniamo i nos fai parvenir, cfr. nel Leodegario: i visitet [= -a] L[ethgier] son serw).
8id = 404 et enpur tei (in L ultimo verso della strofe, per inversione), contro A e P e pur tei fiz, S 1169
e M 1172 Pour (S Par) toie amour, analogamente 82C = 4o8 et anpur tei, contro A e pur tei bel fiz
(iperme-tro), P por tei fiz (ipometro) (S altera, M manca). Ci che non venne pi inteso fu empor, cfr.
anche 44d = 2i9, caso non citato per primo perch qui empur tun filz modificato in e pur ecc. da tutta la
restante tradizione; ma viene il sospetto, innanzi al frangimento dei testimoni, che et empor fosse
legittimo per 'esclusivamente in favore di', comunque con quel-Vet 'und zwar' il cui non breve elenco
aperto nel Tobler-Lommatzsch proprio da Alexis 49C = 243 e tut pur lui secondo L e S 769, contro
tresto(u)t por l(u)i di P, M 854 e - almeno dopo la revisione - A; da notarsi che solo nell'ultimo caso, e
solo nella maior, il Paris mantiene et, poich la minor ha trestot.
88b = 437 sempres regretet (il codice aplograficamente regret), contro A si lu regrete, V o (qui non
importa la scrittura esatta del codice) disi la meire, P aprs le regrete, S 1202 puis se regrete (M manca).
Il Paris si accontenta di sempres, che in realt le altre volte che compare, 24e = 120, 46C = 228, ii2b =
557, si mantiene abbastanza saldo e dunque male si potrebbe considerare difficilior; in fatto ci di cui egli
si accontenta regreter intransitivo, quasi volesse dire 'recitare il planctus , mentre transitivo le altre
due volte che figura nel testo, 26e = 130 e ii9d = 594 qui a norma di V e anche di S -; e quindi la forma
difficile, con che dalla diffrazione in presenza si trascorre a quella in assenza, sar stata, come indicano A
e P, sempre.l.
893 = 441 A lasse mezre, contro A Lasse maleuree (iper-metro, o per meglio dire emistichio di
alessandrino anzich di decasillabo), V Lasse pechable, P Ohi lasse mere, S 1216 E lasse mere, M 1185
Diex, dist sa mere (PSM interpretano non semanticamente ma graficamente, in ci aiutati dal successivo,
9od = 449, ta lasse me(d)re, peraltro surrogato in A da e ta chaitive de mere e ancor pi allontanato dal
suo parente V). Quest'ultimo esempio si presta a osservazioni di grande rilievo euristico, dacch una
configurazione affine cade in 87d = 434, dove al dolente di L si oppongono, in assenza di A e V (lacuna
comune che immediatamente provvede al collocamento di V) e anche di M, il pechable di P e il caitive di
S 1199, vocaboli per tutt'altro che rari (anche se c(h)aitif non si dia mai in L) e di cui pertanto non si
vede perch uno qualunque dovrebbe essere sostituito dagli altri. La diffrazione, se non in presenza, si

sospetta inevitabilmente che sia in assenza, senza peraltro che il continuatore di misera si adatti
prosodicamente al contesto. N si adatta il sinonimo di 26C = 128, (set...) graim nel solo L, contro
(s(e)...) dolent in APS (cfr. dolante di M 417, Mb irie, in 22e=no, contro si graim e di LAP). Occorre
dunque perlomeno prolungare la serie dei sinonimi; e in ci viene in soccorso 96c = 478, il cui compatto
dolente di tutti i testimoni noti al Paris (manca solo M) viene smentito dal marie di V.3 La voce non
sembrer particolarmente peregrina; ma ci che fa riflettere la censura concordemente esercitata in 71b
= 352 sull'esmeriz (si legga, col primo Paris, esmariz) di L, cui la restante tradizione (mancando anche qui
M) oppone, e le si unisce il Paris della 'minor', esbahiz\ il suggerimento muove insomma dalle strutture
interne a questa trasmissione. E con ci risulterebbero attuati: il passaggio graduale e inevitabile dalla
diffrazione in presenza a quella in assenza; il privilegio di serbare lectiones difficiliores trasferito da L ad
altri testimoni, nella specie V; la possibilit di ravvisare come difficilior una lezione pur concordemente
smentita dal resto della tradizione.
La lectio difficilior infatti un criterio il cui maneggio esige estrema cautela. Se l'auspicato
automatismo dello stemma codicum nella scelta fra lezioni indifferenti compromesso, secondo la
classica critica di Bdier, dal carattere solitamente bipartito degli alberi, la gi codificata eccezione alla
procedura lachmanniana che la lectio difficilior in nessun modo dev'essere incoraggiata da
un'interpretazione soggettiva ed elastica; di qui l'opportunit di corroborarne l'applicazione con un
consistente elemento di controprova quale la pluralit dei concorrenti (diffrazione) o, come nel caso pur
tanto meno certo di marie ed esmariz, un'affinit di censura. La certezza diminuisce ancora in casi in cui
si ridotti alla semplice analogia di comportamento, quali
8e = 40 L filie d' un noble frane, contro AP a, anche M 73 (con trasformazione di primo in secondo
emistichio) fille a un due, inoltre S 88 (con innovazione da considerare secondaria rispetto a PM, e fra
l'altro quasi solecistica) le fille un noble frane (certo il sintagma fille d'empereor ha carattere pi arcaico e
formulare, come risulta dal suo comparire nelle chansons de toile, da Quant vient en mai a An balte tour,
ma oltre al resto d(e) potrebbe eventualmente dichiararsi anche in modo paleografico da un ad
antevocalico anglonormanno, cfr. i3b = 62 adapeler);
9C = 43 L mais (dopo negazione), A plus, PS plus d(e) (e plurale) (L pi peregrino, o non piuttosto
eco isolata di 8a = 36?);
99e = 495 L jo lui serve, contro A e P jei serve (ipometro),
V bien li serve ('singularis'), S 1251 jou le serve (la difficolt nella forma enfatica lui, banalizzata
nell'afona, mentre il contesto vuole proprio sottolineare che il merito e la ricompensa della sposa
muoveranno dal fatto che il suo servizio sia dedicato a Dio, a lui, non da altri, 'c'est lui que j'aurai servi');
105d = 524 L main (prescelto anche dal Paris), gli altri gent (l'identico sintagma, in rima a 1073 = 531,
sempre la gent menu(d)e).
Titolare di lectio difficilior si gi comunque dichiarato (e ci ulteriormente autorizza a compiere
prospezioni sotto il piano di L) anche l'importante, e purtroppo acefalo, codice ignoto al Paris, V. C'
anzi, oltre al flagrante o(u) tum (L tun) lais(s)as di LV in 94e = 470 (A e Mb u me, P tu me, S 1234 tu m'i,
M 1198 kant me laissastes), almeno un caso in cui V conferma quella che fino alla sua scoperta era una
difficilior isolata di L (i0ic = 503):
L a nostr' os est il goie
A la nostre en est la joie
V a nostre us est grant joe
P a nos est il gioire [ipometro]
3Il quale potrebbe per differenziarsi rispetto al dolente (ma P graime, L altrimenti) del verso precedente.

(SM non soccorrono).


Il Rajna, che ovviamente rileva tale caso, d un nutrito elenco di luoghi in cui V solo a fornire la
lezione buona. Se ne estraggono qui le difficiliores sicure:
88c = 438 kar auisses, contro L quer aveies, A kar avez, P nen aveies, S 1203 c'ain (?) n'en es (la
forma dell'ottativo perfetto rammenta l'awisset di Eulalia e poi le tante forme valloni del tipo awist, cos
che si pu forse aprire la questione d'un eventuale archetipo in largo senso 'vallone', quale, anche dopo le
contestazioni dello Stimm, sguita a sembrare V stesso, giusta il Rajna e poi il Hahnel; nel caso parallelo
addotto dal Rajna, 46a = 226, dove peraltro si tratta d'un ottativo di possibilit e dunque presente, L ha
quer osse, AP kar esse, S 752 c'or esse - e osse, osserva bene lo Stimm, ha V in 928 = 456 e 98d =
489 -, tuttavia l'imperfetto indicativo compare in M 739 se j'avoie, Mb ancora s'or avoie; se l'originale
livellasse, e in qual senso, o no, arduo decidere, posta l'identit di misura, ma la frantumazione che si
verifica in 29C= 143,
L cum dis lait host de predethe
A cum h la ust pree
P cum sei leust pree
S (413) comme elle ert la vespree,
sembrerebbe far propendere, a livello almeno di archetipo, piuttosto per un primitivo com l'ast ost, con
spinta all'apio-grafia o comunque alla differenziazione);
98c/e = 488/490
L ja tute gent ne m'en sosent turner [ipermetro]
si me lest, si t'osse bien guardet [ipermetro]
A ja tute gent ne me sessent esgarder [ipermetro]
ja tute terre ne m'en fesist turner
V trestote terre ne m'en sore turneir
se je posse, si t'oure costum
P n'est home qui vive qui m'eust trestorn
si me lest, si t'eusse gard
S (1245) nus hom qui vive ne t'en pest tourner [Paris m'en]
(M non soccorre)
(s'intende che la difficilior si limita ai piuccheperfetti, stavolta in funzione di forma perfettiva
dell'apodosi condizionale; nessun credito pu avere terre, che nel parente A insorge su uno sdoppiamento
del verso, e costum, d'altronde smentito dallo stesso pur corrotto parente, sembra avere assunto
paretimolo-gicamente il valore di costor, coster 'serbare ritualmente', in particolare 'preparare un
morto').4
4L'acustumerent di L solo in 100d = 499, accettato dal Paris, inteso anche presso Tobler-Lommatzsch nel valore peraltro inconsueto di 'rivestire' (l'oggetto sempre
Alessio, ma stavolta allo stato di cadavere, non di vivo). Considerando anche il verso precedente, l'accordo di AV con P sembra garantire apresterent ('singularis' di A

Con maggior cautela andranno accolte altre possibili difficiliores di V, quali il de deseier morir di 88d =
439, contro desir(r)er a murir di L, A e anche P (desir a), S 1204desiroie a ver (con ripetizione
puramente servile del ver precedente, leggasi morir), o il l'at vochi di ii2b = 557, contro il l'apelet di L e
rifacimenti di M 1260 (s'il vient a lui) e S 1296 (a cel saint cors) (il Rajna ricostruisce peraltro l'at
touchi, tipico, ove consistesse, errore di tradizione scritta in un ambiente che egli stima impropriamente
di tradizione orale). Un maggior frangimento della tradizione (nel secondo caso, mancando A e P, per la
verit viene meno la stessa materia del contendere) sarebbe stato indubbiamente pi rassicurante.
Ma, nonch V, qualunque altro testimone pu esser sede di lectio difficilior, quasi a designare una
comune procedura solo quantitativamente variata. Nemmeno il rifacimento (i del Paris) ne va esente. In
57e= 285, posti L e cum il s'en revint, A e cument s'en fui, P et cum s'en fui (-1), l'esclusione delle
singulares porta al s'en rafi di S 924, conforme al s'en refui(t) (ra-) di L, P, S 1147 in 77e = 385 (A
altera, M manca) e anche al s'en fui(t) di 77a = 381 secondo L, S 1143 (AP il s'en fui trisillabo)
(ovviamente presente il s'en fui(t) bisillabo comune in 15e = 75 e in 38d=189).
E se nell'ultimo caso il Paris aveva creduto di poter optare per L, in 490= 245, con N'at soing quel veiet,
si est a Deu tornez, si era nel complesso, e giustamente, attenuto a S 772 (M trasforma), confermato da A,
n'ad sun de quanque il veit, tut est a Deu turn (emistichio riscritto), seconda versione (55 ter) n'a suing
qu'il facent, tut est a Deu turn, mentre appaiono eccentrici cos L, ne l'en est rien, issi est aturnet, come
P, kar en Deu est tot le suen penser. Sembra tuttavia che l'ostacolo non possa essere rappresentato da un
emistichio quale quello del Paris, 'non cura di ci vedere', bens da quello che realmente in S, n'a
soi[n]g que voie, 'non cura quanto possa vedere'. Incertezza permane solo circa si o tot.
In 8c = 38 solo M 70 serba Va di a en avant, cosa che determina altrove (L, P, S 86) un'orrenda dialefe
tra s(i)ecle e en, in A tuttavia, come a confermare il canone della diffrazione, la sostituzione que fera. E
forse un'altra difficilior di M affiora, a seguire stimoli di un del resto contorto ragionamento del Rajna, in
io6d = 529, dove
L mais ne puet estra, cil n'en rovent nent
A de cel aver, mais cil ne ruevent neent
V et els ke valt? ker n'en avrunt nient
P de quanqu'il getent cil ne-1 volent nient
S (1284) Que lor aiue? il n'en veulent nient
Mb Ke caut de ehou, quant ne leur vaut nent?
(M lacunoso).
Escluse le singulares di L, A e P come congetture trivialeggianti, pi o meno bene adattate al contesto,
si ricava quale elemento comune un emistichio interrogativo caratterizzato da que, da un altro pronome e
da un verbo significante 'serve'. Il Rajna rileva acutamente che un emistichio affine, De o qui ealt?,
compare ben cinque volte nel Roland di Oxford (sar anzi, con varianti, una diffusa formula epicoromanzesca); e il lettore tratto a pensare che dunque la difficilior presente in questa diffrazione quella
formulare di Mb, magari da ritoccare (in assenza) a norma del Roland. Ma no: l'apriori del Rajna tutto
vlto a favore di V, la bont di Mb sarebbe tutta nel favorire, e proprio in quanto differisca da S, la
lezione del nuovo testimone. Viziata di irrazionalit anche la risposta al quesito se vi sia stata
reminiscenza della Chanson nell'Alexisy o viceversa. Curiosamente, la risposta corretta, il
procedimento no. Che si vada dal Roland ad Alexis (ma si dovrebbe allora parlare di Mb, non di Alexis!),
pare al Rajna per la natura formulare dello stilema, tornandogli oscura la cronologia relativa (ma, per ci
apruecerent)/conreerent ('singularis' di P conduierent); da L conreierent anticipato (la coincidenza di S 1254 sar illusoria, perch vi si ha soltanto il primo
verso, cfr. M 1222 atornerent).

che degli originali, nessun dubbio ormai che nel Roland siano, come gi rilevava il Wilmotte, evidenti
tracce stilistiche di Alexis, specialmente dell'uso temporale nelle parti meno 'narrative'; decisiva
l'ispirazione ai planctus del padre, 8ob-d = 397-9, Tantes dolours at por tei enduredes, E tantes faims e
tantes seiz passedes, E tantes lairmes por le ton cors ploredes!, e della sposa, 953-0 = 471-3, tanz jorz
t'ai desidret, E tantes lairmes por le ton cors ploret, E tantes feiz poir tei en loinz guardet, in quello di
Roland su Durendal, O 2306-7, Tantes batailles en camp en ai vencues E tantes teres larges
escumbatues, planctus quest'ultimo da aggiungere, anche formalmente, all'elenco procurato dallo
Zumthor per la Chanson).5 Perentorio per la direzione O-Mb invece il fatto che uno dei secondi
emistichi (quello del v. 1840) sia identico, o quasi, a quello di Mb (quasi, perch vi ricorre, come del resto
nel v. 1806, car, non quant, che apre in cambio il secondo emistichio del v. 2411); ora, tale emistichio,
come del resto quello di V, conviene male al contesto, qualunque sia il giudizio del Rajna, e al contesto si
attaglia solo la lezione di LA, che con sinonimo ammodernato figura anche in PS: Mb ha dunque desunto
integralmente da O. Svanita cos la precellenza di Mb e, almeno in quanto si appoggi a Mb (come
vorrebbe il Rajna), di V, a dirimere la questione pu giovare il passo in qualche modo parallelo ioib =
502, dove
L que valt cist crit, cist dols ne cesta noise?
A ne nus valt rien cest duel ne ceste noise
V ke vos aiue cist duls [ms. -st] ne ceste noise?
P que vos valt cist dels ne ceste noise? [ipometro]
S (1258) que vos aiue cil deus ne ciste cose? (M non soccorre).
Escluse le singulares di L e A con Tipometro P, resta solo la lezione di VS, a rappresentare due
famiglie su tre; la lezione analoga, cio quella di S (sostituita in V come qui in LAP), che si dovr
adottare anche nell'altro caso.
Ridotta cos a una la difficilior di M, mentre l'altra sembra comunque trasferita a S, in 69C = 343 sar
difficilior P per et mei est vis (L e qo m} est vis, A si espeir bien, S 1042 qou m' est a vis), ancora P in 788
= 386 per dire impersonale in
ceo que dist en la chartre, contro L o que dit ad la c., A que de sei dist la eh., S 1150 ke on troeve en
la c., in 22b=107 addirittura P2, per Yu opposto al que(d) soprannumerario di L {lasse, qued est
devenut?), A e P (S 455 modifica in qu'est mes fiex devenus?). (E nell'ambito di quella famiglia si vedano,
sia pure a testi multipli, il rove[t] di PM in 52d = 259, cfr. sopra LA in 529; il ligon di PS in 54b = 267).
Dal comparire in quella categoria non esonerato neanche A: non soltanto per il mune di 107d = 534,
cui ora si affianca il munere di V, ma presumibilmente per 37e = 185, dove

5Un altro importante riscontro si ha per 45b = 222, plurent si oil, ne s'en puet astenir, dove PS recano plore
des oilz, con una formula che ricorda, salvo un particolare, cosa presente nell'Alexis sicuro (49b = 242), de lur
oilz... plurer. Si sa la frequenza con cui lo stilema figura nel Roland: si tratti di derivazione nel Roland dal tipo
PS o viceversa di reazione su questo da quello, meritano particolare menzione i casi in cui il primo emistichio
sia ugualmente costituito da ploret des oilz (w. 2943, 3712, 4001 di O, seguendo ovunque lo strappamento
della barba, ma non con identit bens con sottilissime variazioni, rispettivamente sa bianche barbe tir et, tir et
sa barbe blance, sa barbe bianche tir et ; inoltre 3645) ovvero plurent des oilz (vv. 1446, 2415). N in questi
esempi n mai il manoscritto di Oxford introduce il possessivo, a mente del primo verso avanzatoci del Qid
(De los sos ojos tan fuertemientre llorando). Tuttavia la prima volta in cui il Roland usa la formula, e proprio
con ricordo manifesto di Alexis, compreso (55e = 275 secondo A e S) ne puet mer (v. 773, Ne poet muer
que des oilz ne plurt), si ha un'ipometria che, al lume di V4 (v. 704 Gasca Queirazza, No p muer che ses oidi
non plor), stata giustamente corretta mediante l'inserzione di ses. Anamnesi e risultanza ecdotica
s'intrecciano e si ribadiscono.

L que de els ait mercit [ipometro]


A que d'els ast merci
P k'il ait de els merci [ipometro]
(SM non soccorrono).
Il restauro di Paris, aiet, una soluzione ovvia (il verbo reggente prient), ma certo facilior di ci che
appare in A, caso del tutto parallelo all'imperfetto di mera, rischiosa eventualit, awisset in dipendenza
da degnet preier, recentemente studiato da chi scrive nell'arcaicissima Eulalia. Sta per di fatto che quel
caso non isolato. In 102C = 508 si ha, pure in dipendenza da prient,
L que d'els aiet mercit
A que d'els tuz ait merciz
V de nos aies merci
[ma = 599 anche nel primo emistichio] P k'il ait de els merci [ipometro]
S (1265) que d'aus tous ait merci
M (1232) qu'il ait d'iaus tous merchi
e in 120d = 599
L e si li preient que d'els ait mercit [ipometro]
VP e sire pere(s), de nos aies merci
S (1331) Biaus sire pere, aies de nous merci
(AM mancano).
Si pu e anzi si deve ammettere (poich V appartiene a famiglia distinta da PS) che in quest'ultimo caso
L surroghi al discorso diretto, prolungato nel verso successivo, l'indiretto dei precedenti, scambio inverso
a quello effettuato da V (la surrogazione sar stata favorita dalia vicinanza grafica tra e sire pere e la
formula adottata, anche se questa ha una diffusione ristretta nei casi precedenti: il primo emistichio di 185
ha costantemente e tuit le o li prient; il primo di 508 ha e tuit li prient nei soli L e S, forse per eco e del
precedente e di (tres)tuit nel primo e nell'ultimo verso della strofe, ma il prolettico e qo li o lui prient [A
per diffuso scambio de prient] in A e P, et si li proient in M). Ma non sembra dubbio che la stessa
soluzione vada adottata per 185 e per 508: quella del Paris (aiet) in presenza per il solo secondo
esempio, quella suggerita da A {aiist, o eventualmente auist) in presenza per il solo primo. In un caso
come nell'altro si travalica il piano documentario. La scomparsa delle difficiliores insieme abbastanza
vasta e irregolare6 da giustificarlo.
Esaurito il canone delle difficiliores presenti, si apre l'insieme dei passi non risolvibili mediante scelta
lachmanniana, e ai quali non resta pertanto da applicare se non il metodo del Tobler, cio il
prolungamento del criterio della lectio difficilior. Chi scrive non certo in grado di proporre per tutti una
soluzione, ma si lusinga che anche nei pi disperati appaia almeno ben circoscritta l'area del problema,
definito il perimetro della risposta possibile.
6Un ultimo campione di simile irregolarit, tanto pi interessante in quanto modesto e a due soli termini: in
4e = 20 un melz avverbio di comparazione (LA des melz gentils) trivializzato in plus da P (variazione totale
in S, che ugualmente si rifiuta, 4b = 17, a des melz qui dune i eret), ma in 50e = 250 e 97c = 483 A (e nel
primo caso anche S) d mielz (col verbo amer) anzich plus. Il livellamento sar o non sar opportuno?

I suggerimenti potrebbero in astratto elencarsi secondo due modi ben diversi: topografico,
prescindendosi da ogni misura di certezza; in ordine inverso di certezza, cos da rispettare la gradualit
dell'approssimazione. Poich quest'ultima graduatoria, rigida e ben differenziata, non realizzabile,
parso miglior partito quello di una rappresentazione mista: fornito un esempio flagrante, flagrante sia per
la sua pluralit sia perch a risolverlo non necessita davvero quel tocco di genialit che occorreva nel
passo del Tobler, si faranno seguire, in ordine topografico, le proposte analoghe di ragionevole certezza,
poi, sempre in ordine topografico, le semplici posizioni di problemi.
Un gruppo organico di diffrazioni il seguente, tutto attuato in versi finali di strofe che perci risultano
similari: 88e = 440
L o est grant merveile
V zo est mervelhe
P ja est merveille
S (1205) cou fu merveile
(A privo del verso, M manca);
89e = 445
L o est granz merveile
A o est merveille
P ceo est merveille
M (1186) molt m'esmerveil
(V sostituisce 976 = 485, S manca, qui si pu citare Q 182a
Biaus fis, c'est grant merveille, variante assurda Ce ri est pas de merveille); 93e 465
L n'est merveile (- 1)
A n'est pas merveille
V n'est mervelhe ( 1)
P il n'est merveille
S (1228) il n'est merveile
(M manca).
Le ipometrie e i supplementi, vari e dunque congetturali (qualche volta baster solo aspettare che go est
non sia pi sinalefico come in L: l'unica eventuale eccezione 690=343, pu risolversi, ove consista,
mediante go ert meglio che mediante io), sono evidentemente prodotti dall'elemento comune merveille,
che baster risarcire in un mereveille poi logorato dall'ettlissi. Anche due dei tre esempi del Roland sono
ipometri (O 550, da qualcuno integrato col molt di V4; O 1774, dagli stessi editori tollerato per l'apparente
bisillabismo di o est, in realt sinalefico tolti pochi casi sospetti, O 1310 dove V4 1232 meglio legge o
fu, O 1350 non confermato da V4, O 2047 smentito dal giusto sui di V4 2167, per non parlare del por go
est di O 1479 che poi in V4 variato); il terzo, O 2877, nen est merveille, pure singolarmente vicino ad

Alexis; esso probabilmente, gli altri sicuramente attestano un mereveille ancora integro quando gi sono
sincopati, fatto pi remoto l'accento secondario, merveill(i)er e merveillos. Se esistesse solo L, il guasto
sarebbe irrilevabile, e ci si limiterebbe, come fa Gaston Paris, a introdurre nell'ultimo verso una delle,
purtroppo infinite, zeppe monosillabe possibili (nella 'maior' il, nella minor pi elegantemente nen,
proprio come ha il Roland, sennonch della forma, ben radicata nel Roland, l'Alexis non ha altri esempi,
tolto il qu'enfant nen orent del solo S 60 in 5b = 22, vlto a evitare il que - per qued - enfant rio(u)rent
serbato in A e P, fuggito diffrattivamente da L col paratattico riourent amfant, da M 37 con k'il n'ont
enfant)-, la soluzione imposta da quello che press'a poco nel senso saussuriano si potr dire il 'sistema'.
Il 'sistema' sembra assicurare un grado assai consistente di probabilit nei casi che seguono.
3e= 15 L pur hoc vus di (prolettico di d'un son filz voil parler), A pur cel..., P por ceo..., S 51 pour
ou... (M altera). La necessit d'un pronome oggetto (dopo tutto ricavabile anche da A) ha suggerito al
Paris di ritoccare Por ol ( = o.l). Ma il maggiore arcaismo di L sembra piuttosto far scendere, o risalire
che sia, fino a poro.l. da confrontarsi anzitutto, enclitica a parte, col por(r)o di Eulalia, del Leodegario,
del Giona: in effetti il solo esempio di ci che in L e A pur o(e)c, 109b = 542, in P (non si hanno altri
testimoni) por ceo; il ne pur huec di L (42a = 206) unico.
8d = 39 L or volt (que prenget moyler), A ja li volt (fem-me duner), P et veut {k'il...), S 87 sii (Paris Si)
velt (qu'il...), M 71 or velt (que...). Le due voci per il banale or (una cui eventuale labilit grafica potrebbe
assumersi solo a inizio di strofe) non bastano: come spiegare la residua frantumazione? Si cerchi dunque
un sinonimo bisillabico di v(u)elt; ma questo si gi ritrovato sopra, sotto forme di rove (P) o rueve (M,
interpretato graficamente come reveut Mb) in ^2d = 259 (L volt, dal verso successivo; S 786 commence;
A assente), sotto forma di rovent (L) o ruevent (A) in 106d = 529 (P volent, S veulent, Mb vaut, V avrunt,
M assente). La censura era l esercitata da testimoni diversi (essa precisamente graduale e discontinua),
i quali press'a poco si sommano nel caso presente. I riscontri coi testi antichissimi abbondano, anzi la
documentazione del FEW fa risalire al latino volgare di Francia 'befehlen', cui si ricongiunge il roveret
dell'Eulalia (e ruovet sar 'vuole, brama', piuttosto che 'implora') con la successiva copia che gi si
squaderna nel Godefroy, attraverso i poemi di Clermont, il Roland e via via.
13e = 65 L mais lui est tart, A kar lui iert tart, P tart lui esteit, S 143 que lui ert tart (M manca). La
soluzione del Paris composita: scartato il presente, che infatti una singularis (per nulla difficilior) di L
(ci vale ugualmente per il conseguente seit invece di fust nel secondo emistichio), resta per, degli
elementi variabili, il mais di L. Ora, palese che nessuno degli elementi variabili, identicamente triviali,
pu essere accolto, n soccorre un'eventuale particella difficilior, talch la ricerca si sposter verso un
verbo di sillabismo variabile. Essendo esteit in questa funzione di copula succedaneo di (i)ert (ed essendo,
si pu aggiungere, totalmente inverosimile in questa funzione il continuatore di stat, cfr. 'sta nella
Passione 317, est in Amis et Amiles 2996, estait in Troie 1485 e pass., ecc. ecc., sempre per 'sta'), il
verbo richiesto il continuatore di erat, il quale in rima pu presentarsi sia come ere(t) (vv. 17, 103, 240,
376, 379) sia, una sola volta e secondo la maggioranza LA (P altera, SM mancano), come ert (233).
All'interno dell'emistichio altrimenti sempre ert (in 6ia = 30i M 957 surroga estoit donc a ert dune
ipometro di P, L ert idunc, A dune iert, S 945 iert adone), ma qui converr riesumare con bisillabo lui
eret tart (per il pronome enfatico a inizio d'emistichio cfr. il lui, da rettificare col Paris in li, del solo L in
9C = 43). Il caso (perci va parlato di 'sistema') non isolato, trovando un analogo in
75c = 373, dove L ki de Rome esteit pape, AP ert ( i), S 1085 ki ert de R. (M manca). In astratto non
mancherebbero altre congetture difficiliores, come la caduta dell'articolo femminile la (gi il supplemento
del Godefroy d abbondanti esemp di la pape), ma l'omogeneit e l'esistenza entro la tradizione di altri
scambi fra le due copule o ausiliari (S 1045 iert acouvets per esteit covert, 1169 m'en iere mout pens
per m'en est eie penez) fanno propendere per eret.
16b = 77 L la nef est preste ou il deveit entrer, A dut enz, PS 338 por(r)a, M modifica (A, che desume
enz dal verso successivo, sostituisce fu a est). Il tempo interessato un prospectif, come lo direbbe il
Benveniste, dipendente da un presente storico: l'antigrafo di PS cambia natura e tempo dell'ausiliare
serbando il presente della principale; A, che introduce l'aoristo o passe dfini, lo inserisce anche nella
reggente; la maggioranza per deveir (L, A) e si esige una forma bisillaba (enz infatti un anticipo),

ovviamente per difficilior di deveit che non meriterebbe di essere cos studiosamente evitato. La
presenza, gi constatata in posizione diffrattiva, di un firet (con valore piuttosto enfatico che aspettivo) e
della coppia so(u)re(nt)/oure (con valore condizionale) suggerisce qui delire t come nel Gormont et
Isembart 6 33 (deveret, Bayot dvret), dove si tratta ugualmente d'una relativa con portata prospettiva (li
membra si Que ja dirra le frane gentil Par quei il dev(e)ret bien garir). Che la varia lectio degli editori
moderni, coi suoi devrat e devreit, segua strade identiche o simili a quelle dei manoscritti antichi di
Alexis, un'utile riprova. Un ulteriore esempio di successore obliterato del piuccheperfetto (con valore
stavolta perfettivo, 'non l'avr potuto') sar da ravvisare in
32e=i6o L ses enemis ne-l poet anganer (-1), P pueent (ma si tratta del diavolo), S 508 que anemis ne
l'em puet encombrer (A e M omettono il verso). Si ripristini pouret, come nell'Eulalia, dov' parimenti in
una frase negativa. Gi l'aveva congetturato (ma per 1036 = 515) il Paris.
17d = 84 L o ne sai jo, A mais ce ne sai, P mes jeo ne sei, S 359 e M 361 mais jou ne sai. Il luogo
poco vistoso, ma dell'obbiettiva difficolt della scelta parla l'oscillazione del Paris fra la lezione di PSM
adottata nella maior e quella di A preferita nella minor, entrambe peraltro fedeli, oltre che al comune e
ineliminabile ne sai, al mais della maggioranza (da un altro punto di vista, sono considerate singulares di
L tanto l'assenza di mais quanto la posposizione di jo). Il 'sistema' d un passo parallelo, sempre con
negazione, in 5od = 249 L o ne volt il, A mais ce ne volt, P et si ne veut, S 776 il ne veult mie (M altera).
Notevole che qui la maggior frammentazione fissi il Paris sulla lezione di L, del tutto calcata sulla
precedente e tale perci da suggerire che debbano o stare o cadere entrambe. Caratteristica, non ancora
ben chiaro se positiva o negativa, ma certo isolante, di L l'esplicitazione del soggetto posposto. Si
ricerchi perci che cosa accade in frasi positive, aperte non da un pronome prolettico (di com... o que...)
ma da un avverbio. Unanime l'assenza in 92d = 459, or te vei mort (mancano SM), si ha diffrazione pi
tenue in
56d = 279 LP or(e) set il (bien), A or set ce, S 906 et si set, cfr. M 903 si que tres bien le set, diffrazione
pi accentuata in 89b = 442 L or vei jo (morte), A ici vei, V kant ci vei, P ci vei (-1), S 1217 que ci vei, M
1188 pure que chi voi. La delicatezza della situazione anche qui provata dal contegno del Paris, che, se
nel caso precedente pu senza troppa difficolt attenersi a LP, ora elabora la composita ci vei jo (
eliminata la 'singularis' or di L, non anche jo). Nel quadro completo la singularis costante di L proprio
(tolto 459) l'esplicitazione del pronome soggetto, quale infatti ricorre anche in 993 = 491, Or(e) sui jo
vedve (imitato da Thbes 221), contro il regolare Or(e) par sui ve(d)ve della restante tradizione (AV, PS).
Posto questo punto di partenza, in 84 e 249 la soluzione additata da\Yices(t) di L in i4c = 68 contro cest
degli altri (ipometro in AP, risarcito con supplementi in SM), dall'idi di L in 656 = 325 contro cil di A (1), et il di P, mais il di S, il ecc. di M e dall'icels di L in i02d = 509 contro cels di P (ipometro), SM (con
ritocchi; altri interventi, les clers ecc., celui ecc., in A e V),7 cfr. pure icest di L e V in i25C = 623 contro
et...cest di PM, iceste di L e PS in 64c = 3i8 contro ceste di A (-1), ici di A e PS in 4ib = 202 contro ci di
L (-1), oltre il citato idonc di 301; additata, in modo pi stringente, dall'ilo di L e M in io6c = 528 contro
o qu'il di A, cel (con altro verbo) di V, ceo di P (-1), qou (con altro tempo verbale) di S. La soluzione
dunque: io ne sai-, io ne volt; analogamente in 442 ici vei (la lezione di A). In 279 la maggior
probabilit organica per or set ce, che ancora la lezione di A.
286=140 L ne se (si legga ne-s) contint ledement, A mult suvent se dement (interpretazione grafica), P
ne vesqui liement, S 411 n'en fu lie granment (cfr. 416 ne fu lie li mere). La diffrazione ha un senso solo
dove sia volta a evitare una forma difficile per 'visse'. Essa non pu essere che regnai, conforme non solo
a un'ovvia voce del provenzale, ma ad affioramenti antichi e regionali di oli, ben documentati nell'articolo
del FEW (cfr. del resto nella conclusione corta, 110e = 550, il biblico regner).
42e = 21o L tanz jurz, A mult, P lunc tens (SM mancano). Poich il solo esempio di di (per 28e= 140),
presente in L e P, mutato in j(o)ur da A e S, qui andr risarcito tanz dis (un tan dis tam diu non
proponibile sintatticamente).
50e=250 LP tut sun li(g)nage (-1), A (riscritto) S 777 trest(o)ut... Il ripristino ha aspetto agevole, tanto
pi che si tratta di scambio diffuso: sbito sopra, 490 = 243, LS dnno e(t) t(o)ut contro trest(o)ut di A
7Inoltre L solo conserva d'icele in 61c = 303 e d'icel in 62e = 310 (contro de cele o tele o ceste, de cel).

(parzialmente riscritto) PM; e se qui la decisione assai incerta, ecco tot di P (- 1) per trestut in 37b=i82,
tout l'en di S per trestuit l-37d= 184. Ma non sar il tututto, cos repellentemente boccaccesco, usufruito
dagli italiani per sanare un tutto calante? e chi senza peccato scagli la prima pietra. Ci si chiede piuttosto
se, in parallelo con trestot le suen convers (7od = 349) e, prescindendosi da tot, con li sons edrer (38e =
190), les sons ahanz (55c = 273), non sia scorretta l'assenza dell'articolo in ci che dovrebb'essere tot le
son linage.
550 = 273 LA ne nuls hom (-1), P n'est hom en terre, S 884 e M 899 n'onques nus hom. L'ovvia
soluzione del Paris, neuls, consonante al neuls dei Giuramenti, al niule delYEulalia, al niuls del Giona, va
comunque integrata con la considerazione che il tipo bisillabico in netta minoranza anche entro L (nuls
perfino nel verso precedente, cos da instaurare una variazione fondata sul crescendo sillabico) e che
scompare dal resto della tradizione: ci in 280=138 (dove Yaornement di A e P per ornement
confermato nella sua natura di conciero dalla solita diffrazione, avendo S 408 eier garni-ment) e 6je =
325 (P ha de els, S 971 rien n'en e M 1012 nele per ne-l), mentre in 111b-c = 552-3 L soggiace a uno
scambio di neuls (con palazinus) e nuls (con languerus) il cui raddrizzamento, da operare soprattutto sulla
base di V (A e P mancano), ripristina il crescendo di cui qui sopra.
57c = 283 (il servitore ha portato ad Alessio pergamena, inchiostro e penna) L receit le Ale[x]is (con
dialefe, o ipometro), A tend.it le ad Alexi (riscritto), P et cil Va [a]coilli, S 917 si li a aport (M altera).
La soluzione del Paris, les, non ha paralleli nel testo e, al lume del materiale raccolto nel ToblerLommatzsch alla fine della voce il (veramente pertinente, perch col verbo in indicativo, vi solo
l'esempio del Brandano, De la part Deu salet les, ma neppur questo risponde all'identica figura della
legge Tobler, verbo-/ej-soggetto), andrebbe considerata difficilior in assenza. Sia tuttavia lecito segnare
qualche dubbio, poich difficilior in presenza potrebb'essere la stessa figura verbo-le (dialefe)-soggetto,
non molto pi consistente nemmeno nel citato articolo del Tobler-Lommatzsch, dove l'esempio meno
remoto, in indicativo appunto, quello di Gormond 316, saissist le as resnes d'or mer {le non neutro,
d'altronde troppo presto per pensare al len cos frequente nel normanno trecentesco Modus), e cfr.
Thbes 7092 (secondo il solo B), tranent le o une hart. 8 Neppur qui ritornano paralleli, ce ne sarebbe
anzi uno sfavorevole se in ii8c = 588 ci si dovesse fidare del meten[t] l'en terre di V (ma L e P hanno en
terre el o le metent, Paris en terre-l), si veda pure in 72b = 357 il getent s'a orison di S 1068 (il sei a(n)
oreison(s) di L e A ipermetro). Ma sar lo, con la dialefe richiesta dopo jo.
66b = 327 LA pensif e plurus (1), P pensis e coro-qous, S 973 pensif et ploureos (M altera). Il Paris
ripristina un altro e, polisindeticamente, a inizio dell'emistichio; la cui caduta sarebbe eventualmente a
carico dell'archetipo, poich sarebbe singolare che nessun individuo della famiglia PS, dove si percepisce
il guasto, ritrovasse l'altro e per congettura (il Godefroy registra un ploreeuse, ma forma senz'altro
rarissima). Non si pu certo escludere che S serbi la lezione originaria, ci che avrebbe anche il vantaggio
del crescendo sillabico; ma l'esistenza di pensatiu in provenzale (si veda la documentazione nel FEW)
pu far congetturare un'alternanza simile a quella di po(e)stef/po(e)stif. (In questo stesso verso l'iloc del
solo L pu essere inteso come difficilior in quanto oggetto avverbiale, anzich pronominale, di
esguardent?).
74c = 368 LP dune li la c(h)artre (+ 1), A lai li chartre (- 1, ma certo per caduta aplografica di la), S
1080 rent li la chartre. Il Paris attribuisce all'archetipo l'ipermetria, in forma identica a LP, e dapprima
corregge secondo S, adottando cio una congettura antica, poi, pi finemente, sopprime chartre (parola
che peraltro non figura nel precedente discorso degli imperatori). Sar miglior consiglio cercare un
monosillabo di done: prima che l'etimologia, il parallelismo con est suggerisce da.
74e = 37o L qu'or en puisum grarir, A que nus en p. goir (+ 1), P qu(e) or li p. plaisir, S 1082 qu'encor
p. garir (M manca). Il Paris non esita ad accogliere S, ma come si spiegherebbe il pertinace e polimorfo
rifiuto? Bisogner partire in cambio dal pi difficile, cio da L, rettificando quanto scorrettezza forse
solo servile. Somiglianza grafica e sinonimia dnno un orientamento sufficiente: il tipo provenzale grazir,
nel valore intransitivo di 'piacere', ben noto anche all'antico italiano, consente di ricostruire un gra'ir,
grir.
8Cfr. le varianti (incluso len, ma = l'en) nell'introduzione del Con-stans, p. ci (dove altri esemp di le - innanzi a
consonante - e les posposti).

77b = 382 L e cum il fut en Alsis la citet, A e cum s'en alad... (+ 1), P et cum en ala... (+ 1), S 1144 con
s'en ala (M manca). A norma lachmanniana si ricostruisce e com s'en pi un verbo di moto, in perfetto,
monosillabico: ovviamente fut. Che anche in L fut rappresenti un verbo di moto, non di stato, risulta dal
precedente
i8a=86 L D'Hoc alat an Alsis la ciptet, A Dune s'en alad..., P Puis s'en ala..., S 362 Aprs en va... (M
altera). E questa sarebbe una diffrazione alquanto misteriosa (pois e dune si scambiano, a inizio di verso,
tra L e A - P ha sempre dunc - in 15b/d = 72/74) se, al lume dell'ultima esperienza, non risultasse
censurato il primitivo verbo di moto, dunque del pari D'Hoc s'en fut.
82d = 409 L or m'est aparude (-1), P m'est ui aparue (- 1), S 1174 m'est hui cest jour tenue [Paris
corregge venue] (A lacunoso, M manca); luogo da collegare con 97d = 484, dove L e P hanno lezione
identica a quella del precedente (S come M manca), A in una variante aggiunta (97a) ha m'est ui avenue,
A (nel testo fondamentale) e V modificano, presentando il primo a grant duel m'est revenue (+1), l'altro a
grant dui m'est venue. I passi sono citati solo per corroborare la soluzione del Paris, apareude, che doveva
infatti risultare confermata daWappareue di V in altro emistichio, 107C = 533, ipometro con Vaparude di
L e P (A e S non hanno il verso, M 1251 legge ore venue, parallelamente a S e AV in quanto precede).
Quanto all'avverbio monosillabico variante, la conferma di A sarebbe decisiva per ui se esso non recasse
due lezioni (in lui sono certo confluiti due esemplari) e dunque non si possa qui accoglierlo che con
riserva come rappresentante della terza famiglia.
84c = 418 L dost (-1), P dessent (con passaggio singularis di bien al plurale), S 1178 tous dest (A e
M mancano). Il Paris adotta con S toz dest tons, ma la presunta caduta di toz, per essere poligenetica,
postulerebbe l'ordine toz tons (non documentato) e la successiva aplografia. L'awisset di Eulalia, con l'-et
analogico sul presente (come nel provenzale aguessa e nel piemontese avisa), fa invece sospettare che
l'originale portasse deuisset (o anche desset): ci che per indurrebbe a risolvere mediante auisset (o
anche osset) l'aporia di 29c=143 sopra citato.
84d = 419 L quer an perneies (en ta povre herberge), P ne vousis prendre (ainz amas poverte, - 1), S
1179 poi em presis (en la toie herberge) (A e M, s' detto, mancano). Si tratta di un ottativo perfetto come
nel caso studiato di 438 (anche qui con sostituzioni di imperfetti e aoristi indicativi), e a norma di
quell'esperienza, ma in assenza (l soccorreva V), andr ripristinato quer en pre(s)isses. (Quanto al
secondo emistichio, il ricordo di ci che fu esposto a proposito di 250 indica in S la lezione buona).
94d = 469 L ai atendude (sembra avere per oggetto il longe demoree precedente, codice longa
demurere), A tant t'atendi (anticipato nel tant atendi di 78d = 389), V tantai (= tant t'ai) atendu (+ 1), P
t'ai atendu, S 1233 atendu t'ai, M 1197 t'ai atendu. Esclusa la singularis di L, pur accolta dalla maior del
Paris, con quell'inammissibile accusativo dell'oggetto interno ('attendere un'assenza'), la ricostruzione
dell'archetipo non potr portare a una grossolana violazione della legge Tobler (si a inizio di periodo)
quale quella che figura in PM e di cui S (adottato nella minor) un'evidente correzione, bens alla lezione
crescente che in V, sufficiente per l'ipermetria a giustificare la diffrazione. Oltre a tutto, tant, seguendo
com e anticipando tanz jorz, contestualmente indispensabile. Ma che avr avuto l'originale? L'ipermetria
naturalmente ipermetria in atendu, che, non per mera etimologia ma per il debito collegamento col
deverbale atent (oltre che atente)y andr ricostruito in atent (si veda, con l'innovazione italiana, il rapporto
di attesa ad atteso).
983 = 486 L la jus suz, A la de suz, V dedesoz, P sos (-2), S 1243 a defors, M 1201 chaiens sous, Mb
ehasus sous. Parlando nella casa, Aglae avr certo ubicato il figlio 'laggi' o 'quaggi'; e poich la
compare in due famiglie, a in parte di una, la verosimiglianza per la lezione di L, accettata anche dal
Paris: nel qual caso, per, la diffrazione sarebbe in presenza. Potrebbe dunque essere stata la forma a
sottostare a censure, cos ad esempio se si fosse risaliti a la'is (o, nel caso meno probabile della variante
polare, as o ces).
118e = 590 L atarger, V akeser, P (con ritocco a quanto precede) retorner, S 1324 reeonforter (A e M
non soccorrono). Per deferenza alla legge Bartsch, e per l'insensatezza di L (ci che vale anche contro
l'emendamento puramente fonetico atarder proposto dallo Storey nella sua edizione d'intenzione

'bdieriana'), il Paris s'induceva a favorire S, con piccola limatura (conforter). Il Rajna per la voce del
nuovo testimone, akeser, che vale per acoisier, sempre con infrazione al Bartsch (la strofe assuona in e
da libero, non in ie): occorrer il piccolo intervento praticato dall'ottimo fonetista Rohlfs, aqueer.
Ecco infine alcuni casi dove sembra difficile restar paghi al ventaglio documentario di varianti, senza
che il presente con-tributore sia in grado di proporre una novit plausibile.
19b/c = 47/48 L gentement / belament, A isnelement / gentement, P gentement / vairement, S 96/99
belement / hounerablement, M 77/79 liement / voirement. Tanta variet, e di sinonimi tanto banali, pur
fomentata dalla rima desinenziale, appare sospetta. (Ivi comunque sul dune di L prepondera il mult di
APM).
230 = 113 L jusque an Alsis, A dreit a Tarsis, P desque en Axis, S 462 dedens Ausis, M 444 droit en
Alis. Sembra certo che si richieda una forma significante 'fino a'; ma, se fosse quella tanto piana di L
accolta dal Paris, perch tanto dissenso? (Abusiva sarebbe la pretesa di razionalizzare ogni singolo errore
- dato di fatto che spesso non concesso trascendere -, ma una comune e pur polimorfa divaricazione
dovr muovere da una ragione precisa). Delle formule presenti fa qualche difficolt solo P, da intendere,
parrebbe, come congiunzione, 'finch non...' (ma la protasi dovrebb'essere negativa); o se ne deve inferire
un difficilior (e assente) des en 'fino in'? Altri sinonimi, quali dusque, trosque, tresque, fors'anche gesque,
non si direbbero connotati di eccessiva squisitezza. probabile comunque che la soluzione do
vrebb'essere uguale a quella di 121c = 603, dove (si tratta di congiunzione) L jusqu'a Deu, P tant que a
Deu, S 1335 dusqu'a Deu (AVM in vario modo non soccorrono); anche qui il Paris si attiene a L.
24a= 116 L Des at li emfes..., P Si out li enfes..., S 466 Dont ot li enfes..., cfr. M 447 Si a muet... (A
manca). Si pu intendere Des con valore di congiunzione, 'giacch', o va inevitabilmente integrato Des
qu(e)? Certo, le soluzioni del Paris, che nella minor adotta completamente P, nella maior dava
compositamente Si at, non giustificano i mutamenti. Si aggiunga, se pu servire, la censura esercitata
contro des or(e) (in A e P, poi nella minor) di 3od = 149 da L {ore, con cui la maior, ma nel testo non
mai bisillabo) e S 427 (or mais).
33d=164
L ne pur honurs ki l'en fussent tramise
A pur or ne pur argent ne pur rien ki vive [in pi
vasta alterazione]
P ne por honor que nul lui ait pramise
S (512) ne pour hounor qui li en fust a dire
(M omette).
Il Paris in entrambe le edizioni accetta la lezione di L (correggendo ovviamente in tramises), ma un
invio d'onori sprovvisto di senso; di pi l'unico esempio dell'ordinarissimo verbo (tramisi in 20C = 98)
intatto. Sensata la lezione di P, pur da correggere a norma lachmanniana, e d'accordo con la lingua del
poemetto, in honors qui l'en (o lui.n; non si pu avere li en bisillabo) fussent pramises. Ma la variante
fonetica per pro-, buona per spiegare L, sufficiente a dar conto delle residue bocciature?
900 = 448 L set a mei sole vels une feiz parlasses, tutti gli altri se une feiz nel primo emistichio, nel
secondo A ensemble od mei p. (ricordo di 780 = 390), V bels filz ot moi p., P uncore p. (ipometro,
probabilmente -2, poich il composto non ricorre, ma, come s' detto, or monosillabo), S 1213 a moi
seule p. (M manca). La lezione di L, adottata infatti dal Paris, sarebbe, se il manoscritto fosse solo,
ineccepibile. A tutto rigore si potrebbe anche pensare a una diffrazione in presenza, preso vels per
l'elemento difficile: ma sta di fatto che seveals compare in A entro il verso successivo; n si vede perch

unanimemente i codici diversi da L trasporterebbero une feiz nel primo emistichio. Ben fissato che questo
fosse dunque set une feiz, si pu congetturare nel secondo a mei sevels, interpretando sole o seule (ma
resta preoccupante la coincidenza di L e S), fors'anche ensemble e bels, quali alterazioni
fondamentalmente grafiche di (se)vels.
96b = 477 L que si purirat terre, A qu'ele purrirad en terre (+ 1), V e'or purira en terre, P que ore por
ir a en terre, S 1239 quant toi porrira terre (M manca). Il Paris, pur avendo a disposizione due lezioni
ammissibili, quella di P (con cui poi doveva coincidere V, dunque maggioranza) e quella di S, le accoglie
successivamente ma con ritocchi: prima, nella maior, quella di S, ma con que degli altri per quant
'singularis'; poi, nella minor, quella di P, ma senza Yor(e) allora singularis. Nel primo caso non gli si pu
rimproverare certo il toi 'singularis': esso protetto dalla relativa difficolt di por(r)ir transitivo; il nodo
pi arduo sarebbe la caduta concomitante di en in L e in S, ove esso appartenesse all'originale. Il Paris
della prima maniera, insomma, si conduce, tolto il piccolo intervento composito, come innanzi a quella
che la terminologia qui adottata chiamerebbe diffrazione in presenza. Nel secondo caso, invece, la lezione
avanzata del tutto assente: ma come si potrebbe sostenere che que podrirat sia pi difficile di c'or
porira (sempre senza pronome soggetto)? Forse una difficilior assente potrebb'essere, se si ricorda
l'alternanza or/ui di 409 e 484 (ma con testimoni diversi), c'ui (regionalmente c'oi). In realt, sar pi
opportuno operare sulla soluzione della maior, riflettendo che nel verso precedente si sospira sulla
jovente bele di Alessio (sintagma che si ritrover nel Roland, O 2916, entro un altro planctus) e che
quindi la sposa le si pu riferire in terza persona: que la (proclitico) o addirittura li (enfatico) por(r)ira(t)
terre; L e A ne risulterebbero immediatamente giustificati.
97e = 48_5 L amis, A sire (ma in 97a mielz ne venist passa a mult me v. mielz, s che vien meno un
corrispondente esatto), V contres, P nulla (-2) (S e M mancano). Ha scarso interesse rilevare che ami (S) e
sire (A) si permutano anche in 155, proprio con riferimento alla sposa che qui parla, poich nel resto del
discorso Alessio sempre invocato come sire (vv. 468, 471, 491) o come amis (v. 476; dove peraltro AV
e S riprendono Sire Alexis dall'inizio della strofe precedente). Appare ormai sicura nell'originale
l'esistenza d'un bisillabo difficilior. Secondo lo scopritore di V, il Rajna, contres errore, per certes; ma
certes, ben diffuso nel nostro testo, compresa la posizione, che avrebbe qui, a inizio di emistichio pari (in
69b = 342 e in io7b = 532; dove manca solo alla famiglia di P), scevro di qualsiasi difficolt. O forse la
diffrazione in presenza (ancora una volta di V), cio contres (con -s avverbiale) sarebbe un hpax col
valore di 'al contrario, in iscambio'?
101e=505 L si li preiuns, V mais preem li, P ceo li proiun (A e S non hanno il verso, M altera).
Difficilior, fino alla scoperta di V, poteva apparire P, col suo pronome prolettico (di que...), che trova
rispondenza alla fine della conclusione corta, in nod = 549 (dei soli LA), qo depreums (L meno bene qo
preiums Deu) (...que...); ma forse ancora difficilior V, col pronome posposto dopo mais, secondo la legge
Tobler. Infatti seguir sbito (102c = 5o8) un li prima di pr(e)ient. Sta per di fatto che tanto il tipo di L
(in intero: si li p. que de tuz mais nos tolget) quanto quello di P (in intero: ceo li p. que por Deu nos
asoille; anche V ...par Deu ke nos asolhe) anticipano (o sono riecheggiati da) ci che nella fine della
conclusione lunga, 125b = 622:
L si li preiuns que de toz mais nos tolget
V si li preiez ke toz mais nos tolhe (- 1)
(623 ...prie Deu ke vos assolhe [+ 1])
P si lui priun que de tot mal nos toille
S (1356) ou li prions de tous mais nous asoille
M(1271) si li prois por Diu ki (=k'i) vous assoile (Mb nous).
La perfetta identit si ha solo in L e gioca, almeno per quanto riguarda il primo emistichio di 505 (e
fors'anche il secondo, da ricostruire semmai di sui due luoghi por Deu que nos assoille), a suo sfavore;

ci che rafforza comunque l'eliminazione d'un concorrente. E in questo si pu prescindere dalla difficile
soluzione di 622 e in genere della strofe finale, dove certo fortemente impressiona il fatto che V sia il solo
manoscritto irreprensibile, se isolato, in tema di parole-rima (memorie, tolhe, assolhe, glorie, nostre, oltre
al resto tutte diverse da 101, tolto per appunto assolhe col relativo emistichio); mentre, lasciando stare i
ridotti M (memore, assoile, joie, gioire) e soprattutto S (memorie, asoille), guasto L con la sua
ripetizione (memorie, tolget, glorie, glorie, nostre), crescente addirittura di un verso P (memorie, toille,
concorde, gioire, aiutoire, vitoire, di cui il penultimo in i0id = 504 giusta LAVP, il secondo ivi giusta S
1260, e potr essere triviale interpretazione paleografica). Ma la ripetizione (del secondo emistichio), se
suscitava perplessit in L come eventuale indizio di eco mnemonica entro la tradizione scritta, non
esonera da tale perplessit innanzi a V, tanto pi che la trasmissione comporta incroci e permute di
...toille e ...assoille, rispetto alla quale concorrenza l'ultima strofe di V ha aspetto sincretistico (di modo
che, se vi sono ripetizioni certamente erronee, c' il rischio che erronee siano tutte). Nessuna ripetizione
occorrerebbe solo se da Gaston Paris (presso cui frattanto sono identici, come in L, 505 e 622) si
accettasse, mutuandolo da M, joie per il primo gioire: soluzione composita, ovviamente anteriore alla
conoscenza di V, contro cui si obbietter certo che il ...joie/...gioire del solo M potrebb'essere
dissimilazione per ...glorie/...glorie (come in L), al pari del ...concorde/...gioire di P, e che joie parolarima in 503, dove si sottrae P col suo sinonimo gioire. L'unicit di V in dati non rari rende nondimeno
l'edizione secondo V ipotesi di lavoro dubbiosa quanto la lezione composita anteriore alla sua scoperta.
105e = 525 L uncore an (+ 1), A dunc en, V encui,
P tost en, S 1280 si en (M manca). Il Paris si attiene ad A, che non sembra spiegare la diffrazione.
Difficilior si direbbe V, utile a spiegare L, ma come mai en dappertutto altrove? L'unico esempio di encui
(da P scritto enqui) in 8oe = 400, abbastanza saldo (la genesi di en quor L trasparente), tolto il
sempres di S, assai pi diffuso in Alexis. Mai come in questo caso parrebbe imporsi la rassegnazione al
non liquet. Va comunque escluso proprio donc, che in Alexis vale unicamente 'allora' (mai riferito al
futuro), anche a costo di ripetizione prossima (vv. 17/19, 38/40, 72/74/76), e semmai esso suscettibile di
sostituzione mediante puis (M 30, di valore incerto, in 4d=i9 - dove anche A altera -; L in 15b = 72; A in
15d = 74 e 16a = 76 dove alterano anche SM -; cfr. inoltre PS in i2b = 57), mentre puis ha prevalente
valore di preposizione (AM gli surrogano apr(i)s in 81d = 404, alterando anche S) o di congiunzione col
perfetto (il solo avverbio sicuro in 7e = 35).
1203 = 596 L Desur terre (-1, Paris 'minor' Dessoure, 'maior' Desor la), V Cum sor e t., P Sus t. (-2), S
1328 Quant sour la t. (A e M mancano). Si avverta che sarebbe questo l'unico esempio della preposizione
composta, mentre la semplice (tolto appunto qui V, che parrebbe confermare la 'divinazione' di Gaston
Paris) costantemente sor, in particolare in sor terre di 115b = 572 (anche qui mancano A e M, anche qui
P ha sus); a esitazioni d pure luogo Yensor tut di inc = 553 e 1236=615 (-1), alla cui ipometria solo V
rimedia con ensore tot, i testimoni di i con ensor que tout (adottato dal Paris), mentre in astratto potrebbe
prospettarsi anche caduta di et iniziale (che per V abbia ragione, sembra risultare dall'ipometria di ensur
nuit in i5e = 75 e nel similare 38d=189, la quale concomita con una vasta diffrazione, la prima volta A
altera, P en cele nuit, S 320 a mienuit, la seconda A la nuit ipometro, P en une nuit, S 578 e M 569 a
mienuit, rendendosi cos inverosimile il composito en mie nuit del Paris). Delle soluzioni del Paris la pi
antica, con quell'articolo modernizzante e singularis (S), va certo scartata; ma anche la pi recente ispira
qualche perplessit. vero che la scomparsa del De- fuori di L potrebbe attribuirsi alla caduta della
lettera iniziale destinata al rubricatore; ma se l'elemento caduto fosse il compendio per Cum, inattesa
lezione di V (in qualche modo forse rincalzata da S)? Non mancano infatti n cadute di iniziale di strofe
(E- di 4a= 16 in L, cfr. D- per N-a 10a = 46) n compendi iniziali (7 di 4ia = 201, 42a = 206, 463 = 226,
6ya = 331, 773 = 381, 8ia = 401, 963 = 476, tutti peraltro in P). Anche qui sar prudenza sospendere il
giudizio.
L'ultima lista, per quanto pi breve del prevedibile, , specialmente per gli esempi finali, istruttiva: non
gi perch insegni la modestia, virt eminentemente di ostacolo a chi persegua la 'verit' scientifica, ma
perch rammenta come la 'realt' perseguita, in ecdotica quanto altrove, sia una rete di ipotesi di lavoro, la
pi economica possibile. Il grimaldello qui presentato ha fatto saltare molte serrature, non apre tutte le
porte. Tuttavia l'arnese pi spuntato precisamente il manoscritto unico, quello che si suol chiamare il
miglior manoscritto.

Estratto dal volume collettivo Linguistica e Filologia. Omaggio a benvenuto Terracini, a cura di Cesare
Segre, Milano 1968, pp. 59-95.
LA CRITICA TESTUALE COME STUDIO DI STRUTTURE
Chi parla non pu purtroppo cominciare senza confessare l'ignoranza giuridica di chi si dispone a
intrattenere un cos illustre consesso di giuristi: perch dunque la temeraria accettazione dell'invito? Per il
desiderio, tanto meno frenabile in un momento di delirante specializzazione, di stabilire contatti fra le
varie discipline: nel caso specifico, poi, di collazionare le esperienze ricavate dai testi letterari con quelle
risultanti da scritti di tutt'altra natura. Mi lecito aggiungere: per la speranza di un'udienza pi larga e
impregiudicata che presso i colleghi della propria disciplina? Bench quest'ultimo calcolo si sia
dimostrato fallace, per la presenza di tanti 'addetti ai lavori' miei, insigni storici della cultura e filologi,
ben pi di me capaci di decidere su questi problemi.
L assunto quello di presentare la critica testuale come studio di strutture. L'espressione 'critica testuale'
offre il vantaggio della familiarit, non, nella nostra e in molte altre lingue, quello della sinteticit,
invidiabile a Textkritik e in francese (dove pure si discorre, oltre che di critique textuelle, di critique
verbale, come nel titolo del manuale dell'Havet) all'ecdotique di dom Henri Quentin, del resto facilmente
esportabile; soggiungo che comunque non aderirei alla definizione di 'stemmatica', non tanto perch
coniata con l'intento deprezzativo che in immagini poi diventate categoriali quali 'gotico', 'decadente',
'impressionista', 'ermetico' ecc., quanto perch presume un dog matismo verso l'albero genealogico, di cui
qui ci si lusinga di oltrepassare la grettezza. Se consueto il termine di 'critica te stuale', non altrettanto
ovvia sembra l'applicazione dell'attributo 'strutturale'. Evidentemente alla critica testuale mancato un
Saussure; ma, come Monsieur Jourdain componeva prosa senza saperlo, e come i linguisti buoni hanno
sempre fatto linguistica strutturale o comunque sincronica senza saperlo, cos mi proporrei di mostrare
che da un certo punto di vista la critica testuale tutta strutturale, e a ogni modo che qualche suo cultore
meriterebbe oggi il predicato di strutturalista. Si tratta parte di evidenziare parte di svolgere questi suoi
molivi mentali.
L'esame deve ovviamente muovere dalle origini, riproponendo quel sommario profilo storico della
disciplina che si rif emblematicamente a un nome assai autorevole anche presso i giuristi, quello di Karl
Lachmann, editore pure di Gaio: il Lachmann, s'intende, dei Prolegomena a Lucrezio, ancor pi che
dell'edizione effettivamente seguitane dopo qualche decennio. Se e quanto il Lachmann sia stato
lachmanniano, non importa qui determinare, anche perch ci stato di recente oggetto d'un'accurata
indagine per parte di Sebastiano Timpanaro junior. Importa semmai, col fondamentale libro di Giorgio
Pasquali, Storia della tradizione e critica del testo, rilevare come il Lachmann sia stato preceduto dalla
philologia sacra a Basilea e nel sud della Germania a fine Settecento, perch questa circostanza conferma
cronologicamente la natura razionalistica e illuministica dell'invenzione: Lachmann o chi per esso una
specie di Laplace dell'ecdotica, e lo stemma codicum appare essere uno schema probabilistico.
Fu il Lachmann stesso, con la sua edizione del Nibelungenlied, a eseguire il passaggio dalla filologia
classica alla volgare, cio da un ambiente di forma relativamente sacra e immutabile (la gramatica di
Dante) a uno di relativa irrilevanza formale. Questo passaggio implica l'innovazione metodologica
consistente nell'opposizione di critica delle lezioni contro critica delle forme, che esplicitata da Gaston
Paris in quell'edizione della Vie de saint Alexis in antico francese (1872) da cui giustamente si fa datare
l'introduzione del metodo lachmanniano in filologia romanza. Giustamente, bench un concorrente
sincrono (1869) al corso del Collge de France su Alexis sia stato l'opuscolo del Grber intorno alla
tradizione di Fierabras: inducono a optare per VAlexis l'eccellenza del testo trattato rispetto alla modestia
di quella chanson de geste, le qualit di scrittore vero possedute dal Paris, infine, o forse in primissimo
luogo, il fatto che la dissertazione del Grber non sia stata accompagnata da un'edizione critica, che in
effetti manca ancora, mentre il discorso del Paris tutto in funzione dell'edizione. Che qui, per minore
incompetenza specifica del relatore, la problematica dell'ecdotica sia traguardata dal punto di vista della
filologia romanza, non dovrebbe produrre inconvenienti eccessivi, visto che, se la storia dei problemi
diversa, di logica formale ce n' pur sempre una sola.

L'opposizione, nel metodo lachmanniano, dello stemma codicum al gusto soggettivo o judicium
equivale propriamente all'opposizione d'una figura, naturalmente strutturale, all'arbitrio: figura fondata su
rapporti costanti (e quindi su leggi), determinati col metodo degli errori comuni, fatte salve le eccezioni
canoniche al criterio della monogenesi dell'errore (lectio difficilior e usus scribendi designano infatti
situazioni in cui sono possibili errori poligenetici). Fin d'ora si avverta che l'auspicato automatismo dello
stemma ovviamente vale solo in una situazione virtualmente maggioritaria, quando, chiamato n il numero
delle testimonianze irriducibili, si abbia n > 2.
Per quali varianti serve lo stemma? Naturalmente per quelle indifferenti di cui svela l'eventuale
viziosit. Gli errori comuni, se investono tutta la tradizione, sono sanati dall'emenda fio, e il loro luogo di
produzione si chiama convenzionalmente archetipo (restando bene inteso che nell'archetipo possono
eventualmente sommarsi pi enti reali: in critica testuale si opera col numero minimo di enti necessari, di
modo che i punti rappresentano in realt degli insiemi, di un solo o di pi punti, su tutto il segmento che
va dall'individuo terminale designato con una data sigla al suo precedente segnato con altra sigla). Gli
errori comuni parziali definiscono gli antigrafi, o si dica pure i sub-archetipi, di vario grado, su cui si
esegue il calcolo per la recensio. L'oggettivit della recensio, con l'automatismo della scelta per suo
limite, la vera innovazione lachmanniana, poich Vemendatio si sempre praticata, tanto (la
corrispondente cautela deve sempre vigilare) che una lezione 'buona' pu risultare da emendatio, non
meno per un testo moderno che per un classico, mettiamo un greco divulgato dai filologi alessandrini
(questo infatti il paradigma storico dell'archetipo).
Di conseguenza: le lezioni cattive, su cui si fonda il meccanismo dell'albero, servono a decidere di
lezioni buone. Poich questo vuol dire che lezioni evidentemente cattive fanno discernere varianti non
visibilmente cattive e le altre (buone solo perch non cattive), non si pu dire che la proposizione sveli un
circolo (cos come lo stemma non ha nulla di circolare, constando di segmenti di parallele e di
perpendicolari): n un circolo vizioso n un circolo vitale (quello Zirkel di Schleiermacher al quale lo
Spitzer riferisce il suo metodo, consistente nello scoprire corrispondenze fra monade e sistema, fra unit
microscopiche e unit macroscopiche, considerate omogenee). Il rischio virtuale, sempre immanente nella
procedura lachmanniana qui sopra compendiata, nella possibile predicazione di lezioni adia-fore come
erronee, a fine pragmatico, talch veramente il caso di rievocare la 'genesi pratica dell'errore'; e infatti a
questo vizio il conservatorismo bdieriano opporr quello di predicare eventualmente come lezioni buone
errori (da esso stimati apparenti). L'ecdotica progredita ha una sua cavillosa sofistica (qui suppongo che
cadrebbero gli interpolazionisti), segno, se si pu usare questa metafora storico-letteraria, non certo di
decadenza ma di decadentismo. In che cosa consisterebbe, allora, il 'classicismo' della critica testuale?
Certo nella coscienza della responsabilit inerente al fondamento di una procedura naturalmente binaria,
opposizione di errore:non-errore, 1:0, come in qualsiasi calcolatore elettronico.
La crisi del lachmannismo culmina, almeno per la filologia romanza, col famoso articolo di Joseph
Bdier su La tradition manuscrite du Lai de l'Ombre. Il Bdier abbastanza penetrante da andare
diritto al centro del problema. L'intenzione dell'albero quella di consentire o imporre un automatismo di
scelta fra le varianti adiafore? Ebbene, essa sventata dalla forma pi consueta dell'albero, che
bipartito; e che perci, rifiutate soltanto, nell'uno o nell'altro ramo, a profitto del ramo opposto, le lezioni
considerate erronee e dunque costitutive, per tutte le altre che oppongano i due rami lascia totale libert di
opzione soggettiva (il famigerato judicium). Si pu, credo, tranquillamente trascurare la presunta
verosimiglianza, tecnologica e merceologica, che la copia dei testi, specialmente medievali, sia proceduta
fondamentalmente di due in due: sono elucubrazioni di fittizio apriorismo troppo inferiori all'intelligenza
che si spiega nel Bdier. La quale intelligenza si palesa sovrana anzitutto in questo, che, essendo lo
stemma codieum uno strumento pragmatico, la sua obiezione ('demistificante', come temo si potrebbe dire
oggi) di fatto, appoggiata qual alla stragrande maggioranza dei lemmi della sua collezione di filologia
francese. E pragmatica anche la dichiarazione della force dichotomique, inarrestabile una volta
scatenata: dichiarazione eminentemente psicologica, per non dire psicanalitica, poich con essa, secondo
la terebrante osservazione del critico, l'inconscio dell'editore mira a salvaguardare la personale libert di
opzione. Si dica dunque francamente che l'albero a n termini e l'albero bipartito (quando questo non
insorga per forza maggiore) sono strutture ordinatamente rispondenti a quelle sottostrutture che sono la
volont oggettiva di scientifico automatismo e il persistente desiderio della libert soggettiva di scelta.

Si sa che l'aporia risolta dal Bdier mediante il ricorso a un solo manoscritto, depurato soltanto degli
errori 'evidenti': pi esattamente del 'miglior' manoscritto ( la pratica da lui seguita per la Chanson de
Roland, tenuta fedele quanto possibile al codice di Oxford, bench egli non escluda - e anzi l'esperisce per
il Lai de l'Ombre di Jean Renart - l'ipotesi di tante edizioni quanti sono i manoscritti). Soluzione
eminentemente anti-lachmanniana, se il criterio centrale del Lachmann l'eliminatio lectionum
singularium, mentre un'edizione bdieriana (e la grandezza del maestro ha fatto s che la pratica
imperversasse) si trae appresso tutta la valanga di innovazioni locali la cui inammissibilit non sia palese.
Gi l'enunciato della soluzione solleva radicali obiezioni: che cos' l''evidenza' dell'errore, quale il suo
limite? come si definisce il 'miglior' manoscritto? Diversamente dai suoi corsivi e pigri seguaci, il maestro
francese era solertissimo; e la sua soluzione era strettamente legata alla sua storica procedura, che era di
preparatore di edizioni lachmanniane: bisognerebbe dunque, per 'imitare' il Bdier, preparare edizioni di
questo genere al solo (ma capitale) fine di individuare il 'miglior' manoscritto (nozione evidentemente
aposterioristica), quindi non eseguire l'edizione lachmanniana, pi spesso composita quando non
congetturale, bens allestirne una che, sanate le mende certe (da ridurre, con tutte le risorse della
dialettica, il pi possibile di numero), rispetti quel codice unico. Ora, l'obiezione fondamentale, mal
comprensibile, lo so per esperienza, ai bdieriani di stretta osservanza, che la 'realt' fisica del codice
unico non d maggiori garanzie di 'verit' di un sistema documentariamente misto: anche quella
conservatrice un'ipotesi di lavoro. Dopo il Bdier la critica testuale non pu cessare dalla sua
impostazione lachmanniana, abdicando alla razionalit, gettando la spugna per scetticismo generale; ma
nemmeno pu ignorare il passaggio del Bdier, trascurando la minaccia d'irrazionalit procedente dagli
alberi bipartiti. La cautela e l'attenzione verso gli stemmata bifidi devon essere la prima qualit d'un
editore, se cos si pu dire, 'neolachmanniano'.
Ma l'obiezione decisiva contro il mito del manoscritto unico questa: che, oltre alle innovazioni erronee
facilmente emendabili, oltre alle trivializzanti (lectiones faciliores in caso di pi testimoni) correggibili
(quando si ammetta di correggere) entro la tradizione, ne esistono pure di adiafore avvertibili solo dietro
collazione degli altri testimoni in quanto tutti latori di varianti ugualmente indifferenti. Mi propongo
appunto di mostrare che la discordanza generale in varianti adiafore una figura o struttura significativa,
cos come significativa (di parentela) la concordanza in errore. Ovviamente insignificante di per s la
concordanza in lezione buona (e buona qui significa solo 'non cattiva'), che non diventa significante se
non quando se ne sia chiarita la natura innovativa (variante 'congiuntiva'); e non necessariamente
razionalizzabile l'innovazione singola, realt prima, fatto a cui non si pu contestare la sua natura di
fatto. Ma un'innovazione multipla in uno stesso luogo non sottratta alla ragione: perch tutti i
manoscritti (o tutti meno uno, s'intende uno qualunque) hanno innovato, e per di pi in modo scolorito?
non forse perch c'era un oggettivo ostacolo nell'originale?
Ricaver esempi di questa figura da Alexis, proprio perch stato il poemetto dell'XI secolo il testo
fondatore della critica lachmanniana in mbito romanzo. Per l'intelligenza di quanto segue, molto
semplificato, baster avvertire che il Paris ordina i quattro manoscritti essenziali in due rami di due
individui, LA, PS ( il primo lemma, non esplicitamente citato, della collezione Bdier di stemmi
bipartiti); tale schema (da integrare con altro importante individuo, pure mutilo, V) va corretto (per
ragioni dovute quasi esclusivamente alle incomplete informazioni su A date al Paris) nel tripartito L, AV,
PS; non si segue dunque n l'ipotesi (avanzata di recente) L, AVPS n il canone del 'codice unico' (L, o
peggio A), tanto meno la soluzione della tradizione orale come esclusiva d'ogni impianto razionale. Siano
i due casi seguenti (M e S sono rimaneggiamenti prossimi a P):
39 L (e M) or volt (que prenget moyler...), A ja li volt (femme dutter. ..), P et veut (k'il...), S si (ms. sil)
velt (qu'il...);
65 L mais lui est tart, A kar lui iert t., P t. lui esteit, S que lui ert t. (M, prossimo a S, manca).
Se buono or, perch uno dei testimoni corregge in ja, un altro in et, ecc., e inversamente? Il
ragionamento va ripetuto per ogni variante di questi esempi e dei numerosissimi che si possono loro
affiancare e che ho fatto oggetto d'un mio studio speciale. La risposta inevitabile sar che tutte le varianti
sono sostitutive: sostitutive d'una lectio difficilior assente, che si potr o non si potr ricostruire (qui si

propone per il primo verso ruovet, surrogato dal triviale sinonimo volt, per il secondo lui eret tart,
surrogato dal pi recente ert, con ipometrie dai singoli variamente risarcite), ma di cui comunque
necessario postulare l'esistenza. Chiamo questa struttura 'figura C'.
Questa denominazione postula che si chiami 'figura B' quella acutamente descritta da Adolf Tobler
(recensendo l'edizione Paris) per
155 LP por [L de] tun seignor (ipermetro), P2 (allora ignoto) tu tun sei gnu r (errore contestuale), A p.
t. sire (solecismo morfologico), S altera mettendo in rima ami.
Secondo il Tobler (con cui poi il Paris e ogni altro editore), tutte le varianti, questa volta per
palesemente erronee e non adia-fore, sono sostitutive d'una lectio difficilior assente, per maschile (il
femminile ordinario) con valore di 'coniuge' (banale sarebbe per 'socialmente uguale').
Prima ancora si dovr dunque chiamare 'figura A' la divergenza con lectio difficilior presente, del tipo
(che si presceglie perch vi contenuto il tecnicismo giuridico, poi caduto in desuetudine, accapitare)
40 L acatet, A aplaide, P porchace, SM a quise (si tratta della moglie che il padre 'procura' ad Alessio).
Propriet della 'figura A' la sua diffusione irregolare e incostante: nel caso, la lectio difficilior
serbata solo da L (che ha certo la massima densit di lectiones difficiliores, e anche o soprattutto sulla
base di questo criterio oggettivo pu esser confermato come 'il miglior' manoscritto), ma portatori dello
stesso privilegio possono essere, in ordine decrescente d'importanza, V, S, M, P, A. 'Il miglior'
manoscritto non tuttavia un manoscritto completamente 'buono': l'irregolare distribuzione quantitativa
della 'bont' o certezza, per la quale si sono trovate finora solo rappresentazioni grafiche imperfette, il
fondamento dell'edizione composita, che naturalmente la proiezione simbolica dell'aspirazione a un
relativo livellamento di certezza, di contro alla discontinuit assiologica che offre la 'realt' criticamente
interrogata.
!
La formalizzazione delle strutture descritte consiste anzitutto nel seriare le figure. Data la serie AB
(divergenza di varianti per s indifferenti in presenza di lectio difficilior; divergenza di varianti almeno in
parte palesemente erronee in assenza di lectio difficilior), si estrapola agevolmente C: divergenza di
varianti almeno in parte per s indifferenti in assenza di lectio difficilior. Si tratta di strutture recensorie
privilegiate, se non proprio anomale, che progressivamente, dalla scelta non maggioritaria di A, vengono
acquistando, in B per elementare necessit, in C solo grazie alla cornice sistematica, rilevanza
emendativa.
Di conseguenza la critica del manoscritto unico 'demistifica', il caso di ripetere, le innovazioni
mimetizzate, non rilevabili in assenza di altri testimoni. Rovesciando il detto di Boileau: Te
vraisemblable peut quelquefois n'tre pas vrai. singolare come questa proposizione potrebb'essere
sottoscritta dal Bdier dei Fabliaux, opera infatti strutturalistica 'senza saperlo' e non per nulla citata
anche nella Morfologia della fiaba del Propp. Il Bdier dei Fabliaux sa benissimo che la maggior
coerenza e concinnit d'una redazione narrativa non depone affatto per la sua maggiore e pi legittima
antichit; ma non c' vera contraddizione nell'apparente opposizione metodica. Unico in realt il fine del
Bdier: un rispetto della presenza testuale che si pu manifestare cos attraverso la poligenesi dei temi
come attraverso la presunta equivalenza delle testimonianze manoscritte. In verit, tanto quella delle fonti
quanto quella della tradizione manoscritta sono ricerche sincroniche, da svolgere (e certo la cosa pi
facilmente eseguibile nell'ambito strettamente testuale) in senso diacronico: esattamente come una carta
dell'atlante linguistico rappresenta la stratificazione orizzontale d'un'evoluzione verticale, e lo spazio va
convertito in tempo; anche, in un certo senso, come l'inverso della fonologia diacronica elaborata dal
Jakobson (e non soltanto come la ricostruzione dello stato primitivo di lingua attuata col metodo
comparativo).
L'insufficienza del manoscritto unico solo un aspetto particolare della limitazione della tradizione

irrelata. A sua volta la tradizione relata pu avere i suoi punti di riferimento o esterni (nella tradizione
multipla) o anche interni (nelle concordanze dei testi, eventualmente dilatabili a tutti i luoghi
culturalmente paralleli).
Qui pure la fenomenologia passibile di serialit. E si cominci da una figura di tipo C (divergenza di
varianti adiafore in assenza di lectio difficilior) in cui le varianti siano collegate dall'identit di un
elemento lessicale. Sia dunque il triplice esempio (sempre da Alexis)
440 L o (+ sinalefe) est grant merveile, V zo (+ dialefe) est m., P ja est m., S qou fu m. (AM non
soccorrono);
445 L come sopra (con granz), A o ( + dialefe) est m., P ceo est m., M molt tn'esmerveil (VS non
soccorrono, la tarda versione in quartine ha c'est grant m., con l'assurda variante Ce ri est pas de m.);
465 LV ri est m. (ipometro), A ri est pas m., PS il ri est m. (M manca).
Sono varianti per s ammissibili, fatta anche la tara dell'ipometria di LV nel solo ultimo caso, sanabile
mediante una facile, troppo facile - seppur non l'unica possibile -, congettura. La 'figura C' indica in modo
euristico-formale la necessit di supporre una lectio difficilior assente. Il collegamento posto dalla
comune presenza di merveille, dunque una relazione interna e non pi esterna, fornisce a questa ricerca
una base non pi puramente divinatoria, la riempie di quella che, sull'esempio della substance phonique
citata dal Hjelmslev e in genere dallo strutturalismo danese, si pu chiamare 'sostanza testuale',
designando l'elemento patologico in quello comune, merveille ipometro, da ricostruirsi nell'infatti raro
(anteriore alla sincope) mereveille (e anche qui si pu ricorrere a una metafora glottologica, e parlare di
'patologia testuale' come il Gilliron discorreva di pathologie verbale). Questo particolare tipo di 'figura
C', iterato o collegato, si pu denominare 'figura D .
La 'figura D' caratterizzata da una duplice connessione, orizzontale e verticale, e in particolare include
il ricorso alle concordanze: il lexique complet da Gaston Paris aggiunto ali'editio minor, secondo un
procedimento degno di imitazione, apprende che il testo non contiene casi di merveille oltre quelli
dell'esempio esaminato. Estendendo la considerazione al Roland di Oxford, per cui soccorre il non meno
compiuto Glossaire aggiunto dal Foulet ai Commentaires del Bdier, si constata a riprova che su tre
casi di merveille due sono ipometri, il terzo identico a quello erroneo di Alexis secondo L dopo la
correzione del Paris (nen est per n'est).
Se ora si amputa la 'figura D' di una delle sue dimensioni, cio la molteplicit della tradizione, si ottiene
una struttura (la si potr chiamare 'figura E') che collega mediante un identico lessema, di cui si rivela
pertanto la viziosit, lezioni erronee in tradizione unica. Dovremo dunque di necessit abbandonare il
polifonico Alexis e passare a una scrittura a testimone unico, quale pu essere la Chanson de Guillaume,
dove quindi l'erroneit dovr dichiararsi in modo diretto, non indiretto. Vi si sorprendono emistichi
ipometri, come
2312 (De la bataille) reis Tebald l'Escler;
2362 (E le halberc e le healme) Tebbald l'Eclavun;
emistichi che, presi separatamente, sono passibili di facili congetture disgiunte (le rei T., rei T.), fra
l'altro contraddittorie, mentre la loro stessa similarit suggerisce l'opportunit d'una soluzione comune. In
tal caso la forma 'patologica', cio ipo-metra, sar lo stesso nome personale, in cui a norma etimologica
(confermata dalla forma, pur meridionalizzata, per 'Thierry' che offre il Saint Lger, Mais lo seu fradre
Theoiri) si potr ravvisare l'antico trisillabo. La questione per la verit pi complessa, perch lo stesso
personaggio (pagano) compare due volte come Tedbalt l'esturman, una volta almeno (676) in sicuro
ipometro (nell'altra, 668, non sembra impossibile una correzione), mentre un omonimo cristiano di
norma bisillabo (tranne per quando sia come qui determinato, Tedbalt de Burges 21, o de Berri 159,
perch allora ipometro); e la situazione prosodica specifica s'inquadra in quella generale, accuratamente
descritta dall'editore McMillan; ma formalmente l'esempio ineccepibile.

Con altra metafora glottologica, si pu parlare di stratigrafia ecdotica (pensando alla stratigraphie
linguistique dell'Aebi-scher). L'esame stratigrafico dello stesso lessema o sintagma in una tradizione di
testi fortunati e quindi soggetti a continui rimaneggiamenti ammodernanti (, sia pure ad altro effetto, la
situazione dei testi giuridici) consente di sorprendere un arcaismo decrescente. Cos nell'espressione
intensiva 'piangere dagli occhi' (cio 'piangere a calde lagrime'): il tipo pi antico in Alexis plorent si
oil, una sola volta, a maggioranza; subentra ploret de ses oilz (in un caso di tutto Alexis, veramente
con lor, e in un caso del Roland, ottenuto comparando il codice di Oxford col veneziano V4, entrambi
ipometri, nonch nel Qid spagnolo); si ha finalmente ploret des oilz (variante minoritaria di Alexis nel
primo caso, testo non controverso di Roland le altre volte, del solo Oxford nel precedente esempio
ipometro).
Nel caso di punti di riferimento esterni, un'ultima domanda spetta al modo con cui le modifiche storiche
dei dati, cio l'acquisizione di nuove testimonianze, possono reagire sulla struttura della tradizione
testuale: ipotesi gi affacciata acutamente dal Bdier, ma da lui risolta solo in via fittizia.
evidente che un'alterazione radicale si avrebbe solo col passaggio a n testimonianze (sempre per n >
2), per la probabile formazione d'una maggioranza; limitati sarebbero i vantaggi nel passaggio da 1 a 2,
consistenti nell'eventuale sostituzione di recensio a emendatio e nell'eventuale riconoscimento di
lectiones faeiliores. Ora, il casus fictus prospettato dal Bdier si realmente verificato, non solo, cosa di
tutt'i giorni, per testi qualunque, ma per lo stesso testo fondatore di Alexis, e sbito stato sottoposto alla
riflessione metodologica. Alludo al nuovo codice di Alexis, purtroppo abbondantemente acefalo, V,
pubblicato e studiato dal Rajna. Fatto un certo numero di saggi, il Rajna ottiene stemmi tutti diversi fra
loro, e ne conclude trattarsi non di tradizione scritta ma di tradizione orale.
Anche prima di entrare nel merito, si rilever l'infondatezza dell'illazione formale. Tradizione scritta e
tradizione orale dovranno pur obbedire alla stessa logica; e l'argomento vale per un altro sommo filologo,
il Menndez Pidal, con la sua teoria della poesia tradicional, sia essa lirica o epica (nella quale ultima
categoria vanno incluse le chansons de geste, e primo il Roland), le cui redazioni andrebbero trattate
come componimenti indipendenti, provvisti tutti d'una loro dignit. La legittimit dell'assunto
incontestabile, ma vale semmai anche per i testi letterari, di cui importa conoscere, dal l'Eneide alla
Commedia, la veste nota ai vari momenti della storia culturale. Sennonch questo punto di vista
sincronico non esclude affatto la legittimit della ricerca diacronica, cio della ricostruzione dell'originale:
il ponte fra il settore letterario e il tradicional, fra lo scritto e l'orale, costituito dall'ovvia considerazione
che l'errore solo una forma particolare d'innovazione, prontamente riconoscibile per la sua scadente
qualit al mero lume della critica interna. La fenomenologia dell'errore deve dunque dilatarsi in
fenomenologia dell'innovazione; del che il Lachmann stesso diede il buon esempio, usando (o anzi
rinnovando) un criterio geografico nella valutazione cronologica relativa delle varianti del Nuovo
Testamento greco.
In effetti le aporie rispetto ai canoni lachmanniani vanno risolte chiarendo il modo peculiare della
trasmissione. Cos, quando gli antigrafi siano due (o pi) e lo scriba li collazioni, oppure quando
l'esemplare sia esso stesso duplice o plurimo in quanto portatore di varianti: si ha allora quella
trasmissione trasversale od orizzontale che stata magistralmente indagata dal Pasquali. Cos, d'altra
parte, quando la tradizione sia parzialmente mnemonica, come accade per le opere celeberrime quali la
Com?nedia, i cui scribi continuano a echeggiare o ad anticipare luoghi similari impressi nella loro
memoria, o anche hanno a mente passi del poema secondo una tradizione distinta da quella del loro
esemplare. La tradizione orale differisce dalla scritta solo quantitativamente, per maggiori probabilit di
scarto dall'originale o di contaminazione, o semmai va assimilata al comportamento di quegli scribi che
intervengono sugli errori visibili e non ne lasciano comparire alcuno. Ci procura difficolt di ordine
pratico e pu rendere ineseguibile in definitiva 1''edizione critica' (almeno compiuta) d'un testo 'popolare';
non tocca i principi del ragionamento.
In fatto il Rajna si sbagliato nella sua elaborazione di provvisori alberi dell'Alexis, in genere per un
uso improprio della nozione di errore. Rifacendoci a caso vergine innanzi alla scoperta di V, possiamo
anche additare la prima operazione da compiere, ravvisando cos un'importante misura cautelativa: la
prima operazione quella di verificare se il nuovo testimone partecipi, quando non di gi constatati errori

di gruppo o altre lezioni congiuntive (cosa che qui non accade), di errori o anche di lezioni adiafore prima
singulares, costituendole in varianti congiuntive. Ci avviene per V nei riguardi di A: un saldo nucleo di
errori e una bella frangia di varianti adiafore sbito costituisce la famiglia AV. Lo stemma infatti
provvede negativamente alla definizione della lezione, con l'eliminatio lectionum singularium e via via di
quelle minoritarie o isolate di gruppo, singulares prima dell'individuo poi della famiglia. Infatti, per la
costitutiva ambiguit, gi sopra indicata, del linguaggio ecdotico, dopo la scoperta di V si assiste alla
trasformazione del simbolo A da individuo (o punto) a classe (o segmento), equivalente ad AV, o pi
esattamente all'insieme dalle propriet comuni ad A e V, cui poi si subordinano gli 'individui' (per ora) A
e V: lo stesso era gi accaduto per P e per M, una volta scoperti i cosiddetti P2 e Mb. La critica testuale
non scopre il 'vero' se non in quanto caccia il 'falso' o innovazione: il Bdier e il Menndez Pidal,
disperando di raggiungere il 'vero', si accontentano del reale o presente, cui appartiene sicuramente una
sua 'verit' o 'certezza', non per forse quella che essi gli attribuiscono.
Ma, anche dopo la precisazione di questo radicale divario, l'interesse del Bdier per lo studio dei
mutamenti introdotti da elementi nuovi, se pur meno congruamente deviato verso procedimenti ad
absurdum, mostra l'intuizione che, esattamente come in linguistica, la realt strutturale, appercepita
sincronica-mente, vive nella diacronia. Una diacronia alla quale egli rinuncia, a cui i neolachmanniani
non sentono di poter rinunciare.
Relazione tenuta al II Congresso internazionale della Societ Italiana di Storia del Diritto (Venezia, 1822 settembre 1967) e pubblicata nei suoi Atti, Firenze 1971, pp. 11-23.
RAPPORTI FRA LA FILOLOGIA (COME CRITICA TESTUALE) E LA LINGUISTICA
ROMANZA
11 compito che mi si fatto l'onore di affidarmi concerne i rapporti che intercorrono, nell'mbito
romanzo, tra la linguistica e la filologia, interpretata quest'ultima nell'accezione ristretta di critica testuale
(quella che un tempo, addirittura nel titolo di un diffuso manuale scolastico, riceveva anche il nome di
critique verbale, e da uno studioso della prima met del secolo ebbe quello assai pratico di ecdotique). Si
cercher di descrivere il campo d'azione nel modo pi sintetico possibile e in forma problematica, per
servire da cornice a concreti interventi e prese di posizione da parte dei congressisti.
osservazione elementare, e infatti ripetuta, che costituzione testuale e informazione linguistica si
condizionano reciprocamente; ed essendo altrettanto ovvio che non esistono limiti all'informazione
linguistica utile all'editore di testi (ma si citi almeno il riconoscimento dello strato dialettale a cui
appartengono varianti formali responsabili di errori sostanziali), la questione proposta viene a consistere
nella ricerca categoriale delle informazioni linguistiche fornite dalla critica testuale. Si escludono
naturalmente come aproblematiche le informazioni ricavabili dalla concorde certezza dei testi.
Il primo riferimento non pu non farsi alla fondazione stessa della critica testuale (secondo cio il
metodo detto lachmanniano) in mbito romanzo, notoriamente operata da Gaston Paris (1872) nella
memorabile edizione della Vie de saint Alexis. Ivi infatti praticata fin dall'inizio la distinzione fra
critique des leons e critique des formes, trattate in sedi separate: La restitution critique d'un texte
comprend en effet deux parties bien distinctes et qui ne doivent tre abordes ni avec les memes
ressources ni par les mmes procds: la constitution des leons et la constitution du langage. (...) Les
faits d'orthographe et de prononciation sont essentiellement propres chaque eopiste. (...) Ces recherches
[sulle "formes de langage et d'criture qu'il faut adopter"], d'un tout autre ordre, s'appilient sur des
donnes trs diffrentes et doivent tre autrement conduites [da "ce qui concerne les leons"].
Per definizione le informazioni linguistiche sembrano dunque spettare alla critique des formes. Ma
qui s'impone un chiarimento preliminare: tali informazioni, in quanto pertinenti all'originale, si ricavano
dai dati oggettivamente accertabili della critica delle forme (per esempio da quelli metrici), ma si pu
senz'altro anticipare che allo storico della lingua possono interessare, come bene stato osservato, tutti i
dati del percorso diacronico, e non unicamente quelli autentici. Ne consegue che la critica delle forme
contiene, e fornisce al linguista, proprio gli opposti estremi: il dato pi consistente e il pi momentaneo e

labile. D'altra parte anche la critica delle lezioni contiene elementi linguisticamente capitali: sono quelli
ricavabili dalla lectio difficilior, cio proprio da uno dei criteri che sottraggono la costituzione testuale
all'automaticit del metodo lachmanniano. Se ne conclude che l'apparente coincidenza della sfera
d'interesse linguistico con la critica delle forme puramente negativa; quella sfera esclude solo quanto
soggetto a scrutinio nell'ambito dell'automatismo di maggioranza. Come poi per la critica delle forme (e
questo serve a ribadire che l'indiscutibile polarit delle due categorie non pu equivalere a un assurdo
divorzio), anche nell'ambito della critica delle lezioni si anticipa che varianti non accolte, cio in nessun
modo riferibili all'originale, possono sollecitare l'attenzione del linguista: questi tanto pi arricchir le sue
raccolte quanto meno l'apparato sar selettivo, poich le sue battute pi profittevoli avranno luogo tra le
lectiones singulares, quelle precisamente di cui il metodo lachmanniano proclama la prima eliminatio.
In conclusione, la fenomenologia ecdotica vantaggiosa al linguista comprende: i) dati ricavabili
oggettivamente; ii) dati, differenzialmente connotati, da riferire ugualmente all'originale; iii) dati
diacronici della tradizione, pure differenzialmente connotati, siano essi (a) sostanziali o (b) formali.
i) Nella prima categoria si distingueranno: a) dati obbiettivi legati alla rima; b) dati obbiettivi legati al
numero sillabico; c) dati legati al cursus.
a) La rima fornisce il pi ovvio criterio per la determinazione degli antichi sistemi fonologici, o
perlomeno (la rima perfetta, assolutamente esclusiva di assonanza, un fenomeno di civilt assai matura)
vocalici. istruttivo, e certamente non casuale, che il primo testo da cui si sia inteso ricavare il sistema
vocalico dell'antico francese sia proprio la Vie de saint Alexis, che era stata materia alla prima
applicazione romanza del metodo lachmanniano. Si tratta del lavoro, che certo non si raccomanda per la
bont dell'esecuzione, di B. H. J. Weerenbeck, Le systme vocalique frangais du XIe sicle, d'aprs les
assomances de la Vie de saint Alexis (nelle Archives nerlandaises de phontique exprimentale,
vili, 1933). Ma a una considerazione del 'sistema' (la data significativa) pu procedere solo una cultura
linguistica progredita nell'autocoscienza strutturale. evidente che le prime ricerche, strutturali senza
saperlo, portassero su quelle coppie che ora sappiamo chiamarsi opposizioni fonologiche. L'esempio
proverbiale e probabilmente primogenito rappresentato naturalmente dalla legge di Bartsch (formulata
nella Germania, vili, 1863) portante sull'opposizione \i in francese. Sarebbe superfluo costituire un
catalogo anche essenziale, additando semmai qualche esempio segnalato da eccellenza di esecuzione,
come quelle Osservazioni sull'antico vocalismo milanese desunte dal metro e dalla rima del cod.
Berlinese di Bonvesin da Riva di Carlo Salvioni (in Studi letterari e linguistici dedicati a Pio Rajna,
Firenze 1911) che, cominciando dall'opposizione p:o, reperiscono i dati oggettivi della fonologia milanese
di fine Duecento e fanno di quel 'neogrammatico' che era il suo autore un vero precursore dei metodi oggi
correnti. un esempio insigne non solo per ci che potesse sembrare preterintenzionale ma per la perfetta
responsabilit. Sul linguaggio di Bonvesin esisteva infatti un'indagine classica, servita per un pezzo di
paradigma a descrizioni di antica dialettologia: quella del Mussafia nel 1868 (un lavoro mirabile per que'
tempi); ma, prendendo di l lo spunto, il Salvioni osserva che il Mussafia aveva omesso lo scrutinio per
entro alla rima e al metro, pensando forse, egli aggiunge, che t|uelle ricerche non potessero istituirsi
con frutto che su di un testo criticamente costituito, ma controdeducendo che un testo critico molto
deve avvantaggiarsi di quanto pu per avventura rivelarci l'attento esame della rima e del metro ne' testi
tradizionali. In altri termini, il Mussafia aveva considerato certo, come ogni linguista deve pur fare, il
testo di Bonvesin (quale risultava dall'edizione fondata sul del resto ottimo manoscritto di Santa Maria
Incoronata, passato a Berlino), e questa certezza aveva estesa a tutta l'area del testo, compresi minuti
particolari abnormi; in cambio aveva ignorato i dati ricavabili dalla critica interna. L'antitesi, nell'esempio
specifico, di due tecnici di alta statura quali il Mussafia e il Salvioni il contrasto fra due opposti
comportamenti del linguista innanzi al testo: quello di chi opera sul testo documentato come se fosse
certo ed esclusivamente certo; e quello di chi ne estrae elementi sicuri a norma di logica. Sono
comportamenti, o piuttosto poli di comportamento, che emergono nella nostra pratica quotidiana, di cui
qui i due autori sono simboli, diffcili a isolarsi allo stato puro, almeno per quanto riguarda la seconda
possibilit. Se infatti agevole conseguire una condotta (poco importa se psicologicamente ingenua o
invece scientificamente convenzionale) assolutamente fiduciaria nei riguardi del documento (un casolimite pu essere indicato nelle note tesi stra-sburghesi sui pi antichi testi di oil e di oc), meno probabile
invece un'interpretazione meramente algebrica dei dati di critica interna. Senza allontanarci dall'esempio
del Salvioni, interessante rilevare come egli non si fermi all'opposizione del tipo corpo e del tipo fogo

(che non possono assuonare tra loro), ma riempia quest'ultimo di quella che oggi diremmo 'sostanza
fonica', congetturando (con solidi argomenti filologici, detratti dalla congruenza dei segni grafici
storicamente disponibili coi valori da rappresentare) il suo arrivo alla fase del monottongo .
Il rintraccio di componenti oggettive della lingua pone un duplice quesito, dalle articolazioni distinte ma
connesse:
- la norma reperita ha carattere euristico dirimente in ordine all'autenticit?
- consente essa (o addirittura impone) un livellamento formale del testo?
Alla seconda questione, come di carattere generale, si accenner in fine: bastando per ora riflettere che
una sua soluzione positiva implicherebbe risposta affermativa anche alla prima, mentre eccezioni alla
prima bastano a infirmare il rigore della seconda. (La dislocazione dei due piani si verifica nell'ipotesi, di
cui sbito sotto, che all'interno dei testi le regole di rima configurino norme fossili di 'lingua speciale').
Sia esempio della prima questione l'osservanza della legge di Bartsch. Ove si escludano i testi redatti in
regioni dove non vige l'opposizione ':i (e tra esse domina per dignit l'Inghilterra normanna, serbatrice
notoria di tanti primari testi continentali), la sua inosservanza occasionale, una volta rimossa la patina (in
particolare anglonormanna) che non la comporta, di per s sospetta. La situazione stata esposta con
lucidit e tendenziosit dal Bdier, in un paragrafo dei suoi Commentai-res alla Chanson de Roland
(1927), De l'assonance, rpute fautive, de - avec -i. Non occorre specificare che la soluzione del
Bdier conservatrice. Non sfugge al suo acume che solo una percentuale d'infrazioni relativamente alta
ne garantisce a priori l'oggettivit (eccetto per che si tratti di scritture spietatamente anglonormannizzate
nel testimone unico, com' il caso del Plerinage, della Chanson de Guillaume, del frammento di
Gormond); ma, risultasse anche provata l'appartenenza agli originali delle sporadiche inosservanze in
poemi quale appunto, in primo luogo, il Roland (e provata - ma in quest'equivalenza si condensa tutto il
dissidio tra i nominalisti come chi scrive e i 'realisti' della filologia vuol dire semplicemente: oggetto
dell'ipotesi di lavoro pi economica), qui comincerebbe a porsi un problema gravissimo per il linguista.
Al quale, a qualunque tendenza appartenga, non possono riuscire accettabili le parole conclusive del
sempre a noi presente maestro: ce qui est en cause, ce n'est pas une question de langue, c'est une
question de prosodie. Il s'agit de licences potiques et de rien d'autre. Une assonance aprochie [errore per
aprochiee? l'esempio fittizio o comunque non desunto dalla documentazione che precede] ajustee est
une assonance pauvre, non pas une assonance qui choque Poreille. Et o prendrait-on le prjug que Ics
plus anciens auteurs de chansons de geste aient du s'imposer des rgles de versification plus svres que
les crivains qui viendraient aprs eux? (p. 293). L'interpretazione del dittongo i come y (che pu
essere uno dei suoi esiti non pi veramente dittongali) procede naturalmente da una non sufficiente
competenza linguistica; ma qui allo storico della lingua e al filologo s'impone la necessit di determinare
(sempre che, beninteso, quelle infrazioni non siano sopraggiunte nella storia stessa del testo) se gli esempi
pur desultori del tipo ester:pied non indichino che il Roland stato composto in una lingua poetica
arcaizzante nata in una regione e in un'epoca in cui la legge di Bartsch aveva pieno vigore. Questa
appassionante indagine stratigrafica (o del testo o del gusto) obbligano in ogni caso a varcare le presunte
colonne d'Ercole del Roland di Oxford (anche mentalmente ritradotto dall'anglonormanno). Per il
linguista la critica d qui pi realt che la realt (documentaria); non s'intende perch ci non dovrebbe
valere per il filologo.
Quella che per l'inosservanza della legge di Bartsch si presentava come ipotesi press'a poco fittizia,
ipotesi cio d'una situazione sopravvissuta nella lingua poetica, in altri casi constatazione obbligata. Sia
il caso della rima detta siciliana, quando cio [sulle vocali che seguono segnato, nel testo originale di
Contini, oltre all'accento il segno di "lunga", che non stato possibile inserire. Nota del curatore
dell'ebook] , suscettibile di rimare con , oppure , di rimare con : il caso insomma d'una
normalit regionale diventata, per contatto e confronto con altro sistema fonologico, 'licenza poetica'. Il
caso evidentemente toto caelo diverso dal precedente: mentre l si trattava per lo pi (con l'eccezione
che si citer) di fasi distinte nella diacronia, qui si tratta di fasi distinte nella sincronia, tant' vero che
l'identit di questo tipo di rima definita mediante un aggettivo (geografico), quello no. Per di pi,
l'etichetta di rima siciliana pu essere applicata a due fenomeni non omogenei: alla rima inesatta (del tipo

avere:servire o ora:pintura) reperita entro la tradizione alloglotta (in pratica, toscana, o derivata dalla
toscana) di un testo lirico originariamente siciliano (ovviamente, siciliano 'illustre'); o alla rima,
apparentemente inesatta, ma legittimata dalla tradizione ora descritta, che appare entro un testo non
siciliano (si dica pure toscano, quando 'toscano' valga ormai culturalmente 'italiano'). In senso proprio, la
definizione di rima siciliana si applica unicamente alla seconda eventualit, di 'licenza poetica' che
sancisce una possibilit di 'lingua speciale' (in una contingenza privilegiata, la rima) entro la lingua
generale. E si avverta che la descrizione dei fenomeni, bench elementare, fatta secondo la posizione
attuale dei problemi. Posta la rima avere:servire (concomitante, si dica sbito, con la rima -mente:
conventi), se ne ricava necessariamente che essa rinvia a uno stato di lingua in cui si abbia aviri:sirviri (e
-menti:cunventi), dove cio si possieda un vocalismo tonico di cinque elementi (e atono finale di tre) di
contro a uno di sette (e atono finale di quattro) nella lingua ospite. Ma filologicamente dove consiste
questo stato di lingua, tale da giustificare la traduzione della rima siciliana in rima esatta (e, almeno in
linea di principio, il generale restauro formale del testo)? Che esso sia quello dei Siciliani in senso stretto,
cio dei poeti (anche di nascita non isolana) operanti nell'ambito curiale di Federico II e di Manfredi,
secondo la formula di Dante (che peraltro dichiara di attenersi a un uso gi vigente), stato dimostrato,
ancor prima di questo secolo, dal Cesareo, oltre che ribadito dai successori. Pu far meraviglia che una
tesi di tale evidenza abbia trovato oppositori (dal Monaci al De Bartholomaeis, cio ancora non troppi
anni fa) ostinati a ritenere che la veste linguistica dei Siciliani fosse in sostanza quella dei canzonieri
peninsulari attestanti non si sa che contemperamento e mescolanza pluriregionali (canzonieri che peraltro,
come bene mostr il Sanesi, presentano una toscanizzazione graduale). Ma scientificamente 1''evidenza'
(la quale un dato meramente storico, procedente dalla constatazione che i dati su cui fu costruita
razionalmente una tesi non hanno subito modificazioni) non pu esimersi da dimostrazioni verso chi
volesse riassumere posizioni ritardatarie. Non potendosi ovviamente risalire oltre il limite storico della
scuola siciliana (non vi sono indizi menzionabili di cultura siciliana 'preistorica'), decisivo per la tesi :
che la ricostruzione mentale delle rime in siciliano clto valga per i minuti particolari (indagini del
Parodi, del Tallgren ecc.); che l'iniziativa del trovare siciliano (presumibilmente a opera del Notaio,
Giacomo da Lentini) s'inquadri nel costume trobadorico, implicante assoluta esattezza di rima (in un
sistema di sette elementi, come in toscano, se si prescinda dall'opposizione cuspidale :'). Ci dovrebbe
bastare a distinguere da questa sfera di rigore quella giullaresca di rima approssimativa, riscontrabile in
testi peninsulari o molto antichi o arcaizzanti, dove la possibilit di rima inesatta del genere :i ecc. si
fonder sul minor rendimento statistico di simili opposizioni rispetto a quelle come : (criterio certo da
invocare anche per l'allignamento della rima siciliana propriamente detta): giova interpretare i fatti
prosodici (connotativi in sede retorica) in termini linguistici quantitativi, risultando cos evidente che la
mancata applicazione d'una spiegazione a una fattispecie pu compensarsi nell'applicazione ad altra
fattispecie.
In quanto precede si provvisoriamente prescisso da un problema di 'sostanza fonica', quello
dell'integrale ricostruibilit formale dei testi lirici siciliani. un problema, secondo il programma
delineato, da toccare pi tardi; ma, a parte quanto di puramente didattico nella separazione dei piani di
critica interna e di forma generale, bisogna aggiungere fin d'ora che testi lirici scritti integralmente in
siciliano sono non un'ipotesi di lavoro, bens una realt sperimentale: sono quelli serbati, sia pure in copia
tarda, nelle carte Barbieri, la cui genuinit, proprio contro il De Bartholomaeis che ne aveva ritrovato
l'autografo ma seguitava a ritenerlo documento d'una falsificazione formale, doveva essere
irrefutabilmente dimostrata (in Studj romanzi, xxii, 1932) dal Debenedetti. importante, per definire la
natura del siciliano 'illustre' come lingua convenzionale, che quei testi emanino, oltre che da messinesi
incontestabili come Guido delle Colonne e Stefano Protonotaro, da un personaggio regio mai passato, per
quanto se ne sa, in Sicilia, re Enzo.
La rima siciliana in senso proprio per quella appartenente non gi a un testo integralmente siciliano,
attestato o ricostruito che sia, bens a un testo peninsulare, in largo senso toscano. Attraverso la
traduzione, sia pure scalare, in toscano il tipo avere:servire era diventato legittimo, traccia di 'lingua
speciale' in un contesto grammaticale diverso. Al livello di Petrarca, poich possediamo la redazione
definitiva del Canzoniere in buona parte autografa e tutta riveduta dall'autore, sappiamo che era legittima
la rima di voi con altrui. Che ci valesse per il periodo precedente, in particolare per lo Stil Nuovo e per
Dante, illazione facile, corroborata dal fatto che nell'mbito lirico il livellamento della rima siciliana
(quello che ancora sotto la penna di Manzoni dar nui per noi in rima con lui) rappresentato, se non

proprio iniziato, dalla Raccolta Aragonese, cio dall'intervento d'un gusto filologico del volgare
(responsabile dell'Aragonese notoriamente il Poliziano) promosso dalla contemporanea filologia latina e
greca dell'umanesimo maturo; e i conti tornano, press'a poco, anche con la tradizione della Commedia
dantesca. Era un anacronismo non consentire a Dante la possibilit di rimare, per ripetere l'esempio pi
celebre, lume con nome e come, a norma della pi antica tradizione, e livellare mediante lome,
interpretata, anzich come rima siciliana (a rovescio), come una presunta rima bolognese. Spiace che a
coonestare queste antistoriche procedure fosse un filologo e glottologo del calibro del Parodi, e sulle sue
orme il maggiore dei dantisti, il Barbi: tanto pu, anche su studiosi di grande qualit, la potenza
dell'educazione retorica. Del resto, la rima siciliana solo un caso particolare delle 'licenze' concesse, e
proprio per le origini siciliane della sua poesia d'arte, all'italiano. Se, con tanta ambizione di perfezione
formale, la poesia toscana pi illustre fin da principio pu rimare f(i)le con vle o c(u)re con valre, ci
dipende dal doppio esito di amore(m) in siciliano 'illustre', che sotto forma di amuri pu rimare con l'esito
di flore(m), ma nella veste provenzaleggiante e latineggiante di amori (da leggere nel solo modo
possibile, amri) pu rimare con core. Si capisce che l'etimologia letteraria e diacronica neppur qui pu
astrarre dalle condizioni sincroniche, che al solito consistono, e anzi pi che mai, nello scarso rendimento
delle opposizioni :, : rispetto a ogni altra del vocalismo italiano (parlare di 'rima per l'occhio' in un
certo senso sarebbe una petizione di principio, poich appunto il rendimento responsabile della scelta di
e e o quali segni ambigui su quella di i e u come nel latino precarolingio e, per uf ancora in
anglonormanno): tant' vero che, con significato pragmatico avverso l'ortoepia di fondamento toscano,
non mancano i glottologi che asseriscono la legittimit d'uno schema italiano di soli cinque elementi
contro quello toscano. Tale lassismo nella sensibilit fonica, pi elastico in antico per l'ammissione della
rima strettamente siciliana, rimane costitutivo della tradizione italiana (per di pi con la liceit di miele,
cuore accanto a mle, core) anche quando questa, in epoca umanistica, dimetter, come s' indicato, la
rima siciliana. Un tentativo assai interessante di fonderle (::, ::) si ebbe con Guittone d'Arezzo,
determinando ci che improvvidamente si chiam 'rima aretina', quando si dovrebbe parlare
esclusivamente di 'rima guittoniana'; gli attributi geografici vanno adoperati, come risulta dalla rapida
esposizione precedente, con estrema cautela, e certo ulteriori ricerche merita pure la cosiddetta 'rima
umbra' (cio di con te e con uo), per determinare se anche in Firenze essa abbia base immediatamente
fonetica (riduzione del dittongo in forma discendente, come in qualche esempio di -ulo da -uolo) o non
sia per caso un derivato, tutto sommato raro, della rima guittoniana.
Si insistito sull'esempio della rima siciliana come su quello che sembrato il pi istruttivo, non
investendo solo una produzione riservata a noi specialisti, ma toccando addirittura a geni universali come
Dante e Petrarca, e per certe implicazioni spettando, per la relativa conservativit della tradizione
letteraria italiana, a un costume tuttora vivo. Ma non occorre dire quanto saranno graditi apporti
procedenti da altre esperienze. Si pu perlomeno accennare a fatti importanti della cultura francese, quale
quella che l'Avalle, adusato alla nomenclatura italiana (di 'rima siciliana' ecc.), ha chiamato francamente
(nella sua stimolante edizione della Passion di Clermont-Ferrand, 1962) rima pittavina. Era stata
inevitabile osservazione dei provenzalisti, in particolare di Alfred Jeanroy nella sua edizione, che taluni
fenomeni oggettivi di Guglielmo IX vanno ricondotti ad abitudini di oi'l, pi esattamente del Poitou e
della Saintonge: tale la rima di et da con et di origine diversa, comunicata anche ad altri trovatori; tale
la rima di infiniti di ia quali guabier e doblier con -ier, fatto attestato pure altrimenti ma quasi sempre
fuori dell'ambito lirico, e che, diversamente dal precedente, ha genesi non diretta ma indiretta, trattandosi
di un iperoitanismo di regioni in cui non si verifica la legge di Bartsch.
Ancor pi vicini al tipo di lingua letteraria 'artificiale' di cui glorioso paradigma il dialetto omerico ci
portano le rime dette incrociate, Zwitterreime del tedesco. Questa definizione evoca immediatamente il
fatto (stavolta consonantico) del francese poetico duecentesco messo in metodologico rilievo dal Morf e
poi dal Vossler e cos accuratamente indagato da un'allieva del primo, Gertrud Wacker (ber das
Verhltnis von Dialekt und Schriftsprache im Altfranzsischen, 1916): l'incontro in rima del tipo bianche
(blanke) col tipo lance (lanche) era stato naturalisticamente ricondotto all'incontro vernacolare
dell'isoglossa di blanke/lanche con quella di bianche/lance, col bel risultato di localizzare un'infinit di
testi in regioni di frontiera (Grenz gebiete). In realt non si tratta dell'interferenza territoriale di due
isoglosse (che sarebbe pur sempre un fatto culturale, per quanto collettivo), bens dell'incontro letterario
di due sistemi fonologici (quello del francien e quello del piccardo largamente inteso) che porta a
un'identificazione compromissoria. Ci incide, si ripete, sul problema delle lingue 'artificiali', di cui in

mbito romanzo l'individuo (o piuttosto famiglia) pi flagrante il franco-italiano (qualche volta


specificato in 'franco-veneto', ma erroneamente: la denominazione dovuta al cospicuo fondo di
manoscritti Marciani, peraltro provenuti a Venezia dalla biblioteca mantovana dei Gonzaga). Questo
problema esula dall'assunto presente, ma opportuno sottolineare che il francoitaliano si fonda esso pure
su un'alterazione scalare (dall'italianizzazione di testi francesi, anzitutto poetici, all'uso creativo degli
ibridi cos costituiti), come si vide accadere, per la lingua 'speciale' delle rime, nella toscanizzazione degli
originali siciliani; ma come il Santangelo ha mostrato verificarsi anche nella toscanizzazione d'un testo
prosastico quale il volgarizzamento dei Dialoghi di san Gregorio. Con l'occasione si pu auspicare una
modernizzazione metodologica degli studi linguistici sul franco-italiano, che misuri l'elasticit dei suoi
istituti grammaticali, sul piano sincronico; e su quello diacronico acciari meglio talune mediazioni, come
quella a cui va addebitato il tipo oit per ot, che si tentati di identificare nell'infisso dell'Est francese, sede
delle grandi fiere commerciali e giullaresche. S'intende che l'habitus del dialettologo e geografo dovr
essere frenato dove si tratti di eventi di questa categoria. Una sottospecie di lingua 'artificiale' quella
della parodia, scritta, come dice Dante, in improperium di una regione determinata. Prima che il
Monteverdi (ora in Studi e saggi sulla letteratura italiana dei primi secoli) dimostrasse decisamente che
nel contrasto del cosiddetto Cielo d'Alcamo abbiamo a che fare con un siciliano antiillustre ma non meno
artificiale del sayagus nel dramma pastorale spagnolo, si era oscillato, per ragioni linguistiche (lasciando
stare le extralinguistiche), tra varie localizzazioni insulari e anche peninsulari; e se si fanno ancora valere,
pi sottilmente, argomenti vernacolari, non si pu pi negare che, degli elementi oggettivamente attestati,
serie aliene dalla pi vulgata norma siciliana, quali i possessivi enclitici (fraterno), i plurali neutri
analogici (focora) e perfino vari condizionali da piuccheperfetto (perdera), si debbono esclusivamente o
prevalentemente alla necessit d'uno sdrucciolo nell'emistichio dispari dell'alessandrino.
b) Informazioni linguistiche sono ugualmente ricavabili dalla misura sillabica del verso. L'esempio pi
clamoroso stato fornito nel citato articolo del Salvioni, in cui si prova che le vocali finali diverse da -a
(pur scritte) del milanese di Bonvesin (a fine Duecento, dunque) tendono, nell'interno dell'emistichio, a
cadere. Poich ci non si verifica mai a fine di verso, e per analogia si supporr pure d'emistichio, la
caduta risulta condizionata da ragioni ritmico-sintattiche. Ricerche ulteriori hanno poi mostrato casi di
conservazione obbligatoria (per esempio dopo il nesso rn) e la virtualit della conservazione in generale,
hanno consentito cio di scoprire tutte le finezze d'un'evoluzione tendente all'apocope, quali si
gradirebbero conoscere (ma certo il paradigma bonvesiniano si pu estrapolare) per le altre parlate
galloromanze e pi in genere per le neolatine con finale caduca. L'informazione tanto pi rilevante in
quanto l'aspetto almeno grafico del milanese bonvesiniano 'illustre', il che vuol dire, non certo
conservativo, ma latineggiante. Al riguardo, alla pratica dialettalmente 'sincera', come dicevano i
neogrammatici, della prosodia rumena si oppone la prosodia conservatrice non soltanto della poesia
francese o della portoghese (dalla quale, se fossero lingue morte, si caverebbero ben strane illazioni!), ma
dei dialetti suditaliani ancorati alla cultura linguistica della capitale del Reame, Napoli. Le vicende della
rappresentazione grafica dei centri di sillaba sono intensamente storiche e vanno scrutate caso per caso. Si
pu citare un particolare, come assai divariante dai precedenti, cos poco studiato: mentre i primi testi
d'un dialetto fortemente sincopante quale il bolognese si presentano a tutti gli effetti, e dunque anche a
quello prosodico, in forma illustre, esso compare bruscamente in forma violentemente apocopata e
sincopata, per iniziativa di Giulio Cesare Croce (il famoso inventore di Bertoldo e Bertoldino), a fine
Cinquecento; ma questa forma, che per qualche tempo detta legge non soltanto a Bologna ma nelle citt
limitrofe, da Modena a Faenza, non foneticamente 'sincera' (nel senso anzidetto) se non a patto
d'interpretare una quantit di segni consonantici come centri di sillaba (si tratti di sonanti o di sviluppi
prostetici o epentetici), realizzando nell'apparente ipometria l'esatto, ma assai meno prevedibile, antipodo
all'apparente ipermetria bonvesiniana. Sar agevole ampliare il catalogo dalle varie regioni romanze, sia
che i fatti siano rigorosamente interni (come l'interpretazione dei proparossitoni antico-francesi del tipo
angele, che si ora trovata applicabile anche ad alcuni testi italiani), sia che essi s'impiantino su una
situazione di bilinguismo (come le irregolarit prosodiche, centrate attorno al calcolo dell'e muta, nei testi
francesi d'Inghilterra).
Indispensabile presupposto di simili ragionamenti il possesso della chiave sillabica dei singoli tipi di
verso, si dica pure un relativo isosillabismo: pi esattamente, o isosillabismo quando sia accertabile, o la
formula di variabilit dell'anisosillabi-smo. Sarebbe certamente vano cercare variazioni anisosillabiche
negli octosyllabes di Chrtien de Troyes e negli endecasillabi di Dante, e in generale nelle manifestazioni

di quella suprema cortesia letteraria che ha trovato la sua pi proverbiale espressione (ma si sono citati
apposta contesti non lirici) nella lirica trobadorica e nei suoi derivati (sospetti di anisosillabismo gravano
su Guittone, ma l dove la sua curialit di tardo Marcabru o Bornelh toscano s'inficia della collaborazione
alla lauda). Una casistica ricchissima di anisosillabismo mostra invece la poesia non cortese almeno
d'Italia e di Spagna. Oggi, e anche il presente relatore si lusinga di aver portato al proposito il suo
contributo, asserirlo certo sfondare una porta aperta. Nulla giova a far misurare il cammino percorso
come l'esempio fornito da un grande dialettologo di cui s' avuta test occasione di tessere l'elogio, Carlo
Salvioni. Si deve anche a una sua recensione se l'edizione, procurata da Emil Keller, del Sermone di
Pietro da Barsegap aggravi, passando dalla prima (1901) all'ultima stampa (1935), l'interventismo che
presume raddrizzare in novenari gli ottonari del codice unico, regalando al gi mediocre verseggiatore
duecentesco un buon capitale di sillabe del nostro secolo. I valori statistici sono tali che l'ipotesi
isosillabica si rivela troppo onerosa: economica solo l'ipotesi della legittima alternanza novenarioottonario, tanto pi che essa si rivela, anche a una fuggevole indagine, frequentissima.
All'estremo opposto si situano posizioni recisamente conservatrici delle quali sono alfieri il maggior
romanista vivente, Ramon Menndez Pidal, e l'altro grande maestro sopra ricordato, Joseph Bdier. Il
Menndez Pidal asserisce la legittimit dello stato attuale nel Cantar de myo Qid, con l'escursione del suo
verso da dieci a venti sillabe attorno alla media di quattordici, rispondente all'alessandrino; il Bdier la
sostiene per la versione oxfordiana della Chanson de Roland (ma la sostiene scetticamente, per
improponibilit d'una soluzione migliore), giungendo a chiedersi a lezione, come affettuosamente ricorda
il presente relatore, che cosa fosse un vers juste per uno scriba del Medioevo. A questa domanda
retorica la risposta facile, una volta escluso che quello scriba potesse essere un discepolo di Malherbe o
di Boileau; la risposta matematico-sperimentale nel senso galileiano: il vers juste un'ipotesi di
lavoro formulabile a norma dei risultati della critica esterna (cos nell'eventualit di attestazione plurima)
e della critica interna (applicabile, questa, anche alle attestazioni uniche attraverso l'elaborazione di
Concordanze). I due casi citati non possono comunque essere paradigmatici: il Roland della Bodleiana,
perch copiato in ambiente anglonormanno e spesso agevolmente risarcibile con l'aiuto della residua
tradizione (di cui il codice Digby rappresenta solo la met); il id, perch pervenuto in manoscritto unico
a un paio di secoli di distanza dall'originale, a sua volta composto in un metro imitativo d'uno schema
francese (schema non necessariamente univoco, se vi fu un'epoca di legittima parificazione tra
dcasyllabe e alessandrino, parificazione trasportata ad esempio anche nell'Italia del Nord). Ci non
significa che la soluzione, nel secondo caso specialmente, non sia ardua (essa fra l'altro suggerisce o
impone una serie di minute ricerche sugli adattamenti prosodici in altra sede linguistica, per esempio sulla
prosodia e dei rimaneggiamenti e degli originali in franco-italiano).
Una ricerca sistematica di formule anisosillabiche stata intrapresa per parecchi testi italiani antichi
(ma questo abito sperimentale utile anche per misurare fatti moderni, dalla libert metrica del Carducci
'barbaro' o delle Laudi dannunziane agli 'errori' del regolare Gozzano), e si comincia ad applicarla in
mbito spagnolo (del Libro de Buen Amor, in parte felicemen te ad attestazione plurima, si veda l'edizione
Chiarini preceduta dai rilievi metrici del Lecoy). L'elaborazione sperimentale delle formule pu e in
prima istanza deve prescindere dall' 'etimo' del fatto (rapporti con l'anisosillabismo latino gi oggetto di
autorevoli pronunce) e in particolare dalla sua interpretazione melodica (l'ottonario-novenario e istituti
simili sono versi con anacrusi?), appunto per non introdurre apriorismi. Ma questo ovvio svolgimento,
eziologico ed esegetico, si fa sempre pi necessario man mano che la casistica aumenta, riuscendo
culturalmente condizionata, e in modo particolare risulta come nei metri 'didattici' l'oscillazione
prevalente sia di una sola sillaba, mentre l'elasticit cresce molto sensibilmente nella lirica non cortese:
dalle laude, con Jacopone da Todi (di vasta attestazione manoscritta) per caso-limite, alle porzioni liriche
di Juan Ruiz. Qualche constatazione generale non evidentemente estranea alla caratterizzazione
linguistica: l'opposizione della mera oscillazione sillabica (attuazione d'un medesimo metro) in Italia e in
Spagna alla convergenza metrica in Francia (come nell'esempio 'epico' citato) - almeno fino a miglior
informazione -non connessa alla natura dell'accento?
Quanto sopra stato accennato solo per sommi capi, poich questioni prosodiche in questa sede hanno
solo un interesse strumentale. Ci vale per categorie quali il prevalere della dieresi (ne nascono problemi
singoli: perch la scansione stilnovistica di pie tate trisillabica?) ed entro certi limiti la preponderanza
della dialefe (un canzoniere occitanico accuratissimo com' quello siglato C contraddistingue la sinalefe

mediante la fusione grafica dei segni vocalici corrispondenti) e altri rilievi di carattere generale (il
Migliorini per esempio ha mostrato come l'epentesi toscana del tipo Nembrotte si celi spesso sotto la
scrittura, apparentemente ipometra, Nembrot). Ma forse ci vale ancor pi per risultati particolari. Solo
l'ipometria, o flagrante o mimetizzata, mimetizzata s'intende grazie a supplementi la cui mancanza di
genuinit si rivela nella loro stessa molteplicit (ma di questo metodo pi avanti), rivela che nell'Alexis, e
ancora nel Roland, si era rimasti alla fase non sincopata mereveille, mentre i derivati, certo per la maggior
lontananza dall'accento, offrono gi la sincope della vocale intertonico. E passando alla critica
esclusivamente interna (metodo delle Concordanze): due emistichi pari ipometri (in 'genitivo alla
francese') come questi della Chanson de Guillaume, reis [errore per rei] Tebald l'Escler, Tebbald
l'Eclavun, mentre presi separatamente possono dar luogo a non si sa quanti supplementi, per esempio
[le] rei e [rei] (la difficolt, quando cresce e specialmente manca una sillaba, non di toglierne o
aggiungerne una qualunque - troppe sarebbero le possibili -, ma di scovare la buona!), raffrontati e quindi
costretti a produrre una comune soluzione non possono non additarla in Te[o]bald, forma parallela al
Theoiri (ovviamente con ir occitanizzato) del Lger.
c) Di sfera limitatissima invece l'applicazione del cursus a fini testuali, linguisticamente rilevanti,
nella prosa volgare. Come l'inglese e il tedesco, cos anche l'italiano antico presenta esempi di cursus
nella sua prosa dettatoria. Ma pu accadere che esso sia, almeno allo stato attuale della tradizione
manoscritta, o irregolarmente distribuito o non esaurientemente attuato. Con la debita discrezione, in
quella sua Tradizione e poesia nella prosa d'arte italiana dalla latinit medievale a G. Boccaccio alla
quale si rif questo genere di studi, Alfredo Schiaffini, prendendo in esame uno dei Parlamenta et
epistole di Guido Faba di cui da tempo si attende una nuova edizione dal Castellani, trova casi di cursus
velox e suggerisce di leggerlo anche nella fine di periodo intendere cun brevit, correggendo
naturalmente in intnder cun brvitde, nonch nella clausola interna nominanza ve report, ritoccata
in rpor-te, particolari che metterebbero meglio a fuoco la fisionomia del bolognese 'illustre'. Altri ha
anche ardito proporre che, in un versetto delle francescane Laudes creaturarum, un supplemento ovvi,
l'unica volta che ci accade, alla mancanza di cursus, ennallumini [noi] la nocte (nei Rendiconti dei
Lincei, 1963);[Cfr. la nota a p. 25: per la legittimit del testo tradito ora interviene Aldo Menichetti, in
Letteratura italiana Einaudi, iii.i, 1984, pp. 363-4] ma ha esplicitamente richiamato l'invito alla cautela
(una cautela non sempre avvertibile nelle ardite scansioni del precursore Parodi) contenuto in uno scritto
postumo del Rajna. Quell'ammonimento sempre valido, per come sprone al fare, non al non fare.
ii) La seconda categoria consta di lectiones difficiliores. Queste sfuggono per definizione allo stemma
lachmanniano, potendosi ritrovare, nonostante il loro palmare decremento complessivo nel tempo, a
qualunque piano dell'albero genealogico. Un'attenta indagine della tradizione di Alexis, sia poi essa
bipartita (come vogliono il Paris e con altra formula ora il Lausberg) o invece tripartita, mostra ad
esempio che lectiones difficiliores sono serbate, pur in diversa misura, a tutti i livelli della tradizione; di
modo che, se per il linguista certamente valida la definizione del miglior manoscritto come quello in cui
si continua la pi alta percentuale di difficiliores, sarebbe poi l'ultimo a dover applaudire il metodo del
manoscritto unico.
Importante tuttavia che alle difficiliores presenti si aggiungano quelle congetturali. Per Alexis ha
luminosamente aperto la strada la pronta recensione del Tobler al Paris (nelle Got-tingische Gelehrte
Anzeigen), indicando che, l dove la tradizione concordi nella mera erroneit ma realizzandola
diversamente (con ipermetrie, solecismi ecc.), si deve ricostruire una lectio difficilior (nel suo caso si
trattava di per 'consorte', banale in femminile, ma effettivamente raro in maschile). Si pu progredire
dell'altro nella strada iniziata da quell'impeccabile filologo e acuto linguista, ampliando il teorema a fil di
logica e assumendo che, ovunque la tradizione si sfrangi in varianti individuali indifferenti (di cui cio
nessuna rara) - dunque non soltanto erronee come nel caso del Tobler -, vada restituita una lectio
difficilior. Un'analisi di questo genere applicata allo stesso venerabile poemetto restaura non soltanto altri
discendenti del piuccheperfetto come deuret e pouret (in aggiunta agli esempi documentati nel Gormont e
nell'Eulalia rispettivamente), ma dati pi nuovi quali l'imperativo da, s'en fut verbo di moto, atent
participio. Una consimile stratigrafia (il termine nato proprio in linguistica) applicata a testi di
tradizione plurima (ma per quelli a tradizione unica potr eventualmente servire il punto di riferimento
portato dalle Concordanze o da specchi morfologici completi) si pu presumere feconda di risultati,
spezialmente in territori, come il francese, caratterizzati da un'alta velocit diacronica.

in) a) I dati accertati nei modi sopraindicati, tutti legati alla critica lachmanniana, si riferiscono agli
originali. Ma la ricostruzione puntuale (nel senso d'un punto 'senza dimensioni', d'un corpo 'senza massa'
e convenzioni simili) solo la prima procedura, sul cui fondamento si svela una realt gradatamente pi
ricca (ma ordinata e gerarchizzata dalla ragione) di cui nulla va sottratto all'utente, nella specie il
linguista.
L'ipotesi pi semplice quella di varianti equipollenti, siano esse o non siano varianti d'autore. Per ci
che delle varianti certe d'autore, la tendenza attuale di costituire apparati diacronici completi o
comunque di raccogliere tutto il materiale. Pi largamente, per, va precisato che il testo ricostruibile pu
non essere univoco: l'archetipo poteva essere munito di varianti (per esempio in margine o in interlineo),
o in singoli individui essersi introdotto l'esito della collazione con altri che trascendono l'attuale mbito
testimoniale; la fenomenologia di simile trasmissione 'orizzontale' o 'trasversale' (dove probabilmente
s'introducono varianti d'autore) stata descritta magistralmente da Giorgio Pasquali, per la filologia
classica, in Storia della tradizione e critica del testo. Ma anche col pi ordinario procedimento
lachmanniano si pu giungere a lezioni statisticamente indifferenti : l'albero bipartito, la cui frequenza il
Bdier ha giustamente ricondotto a una proiezione dell'inconscio desiderio di libert di scelta, qualche
volta non contestabile (e si pu perfino avanzare il sospetto di redazioni concorrenti, ciascuna delle
quali corrotta da errori di archetipo, come nel caso assai elementare della canzone di crociata Chanterai
por mon corage gi attribuita a Guiot de Dijon);
[Un settimo testimone, il frammento di Einsiedeln, venuto ad aggiungersi dal di fuori ai sei ordinabili
in due famiglie, cambiando radicalmente la situazione: Contini, in Orbis Mediaevalis (Mlanges...
Bezzola...), Berne 1978, pp. 50-9].
se si d un testo solo (invece di due o magari ), preferibilmente non composito (tolta la correzione
degli errori), non si pu non esigere la conoscenza, in parallelo con quanto ricevuto a testo, di quanto
avrebbe altrettante probabilit di esservi 'promosso'. Si tratta di quelle varianti possibili d'autore che si
possono convenzionalmente definire varianti redazionali.
A questo punto insorge una domanda: che cosa deve conte nere l'apparato? Poich spesso si parla della
necessit che l'apparato sia 'elegante' e 'leggero', s'immagina che esso debba contenere: a) il materiale
giustificativo (e dunque erroneo o subordinatamente 'congiuntivo') dei piani alti dell'albero; b) le lezioni
statisticamente indifferenti rispetto a quelle accolte. Si tratta di due ordini di fatti ben distinti, il secondo
di conoscenza obbligatoria per la ragione ora indicata (e che infatti si pu separare in una fascia apposita),
il primo utile soltanto a rifare per controllo il lavoro dell'editore. Ma questo apparato ridotto atto a
soddisfare le esigenze del linguista (soprattutto nella Veste di storico della lingua)? Bisogna rispondere
recisamente li no: con le varianti minoritarie o addirittura singulares, superflue ai fini della ricostruzione
dell'originale, si rischierebbe ili eliminare materiale prezioso. Il Nencioni ha per esempio mostrato che
l'ultima edizione di Guido Cavalcanti obbliga a Introdurre nei vocabolari della lingua il lemma agruzzare
di un nonetto,ma non consente affatto di eliminarne il pi antico esempi) di raggruzzare, desumibile
dalla varia lectio per quanto non pi attribuibile al Cavalcanti. Colpisce un esempio, pure all'inizio anche
pi nettamente formale, riferibile allo stesso poeta: i vocabolari registrano il lemma forosetta
'contadinella' in ben li. versi di una pastorella notissima di Guido, Era in pensier d'timor \ il fatto che si
tratti di un triviale scorso (assimilazione uralica, non certo fonetica!) in un settore assai basso e tardo
Iella tradizione manoscritta, da cui dipende la decisiva stampa
< (lumina, non autorizza a eliminare dall'apparato o dagli appaiali quell'errore cos fortunato, poich
forosetta stato ripreso la ierittori cii grido, quale il Tasso, entrato nel patrimonio letterario corrente,
se n' perfino estratto il pseudopositivo forosa (Giovanni Faldella). Ecco perci la necessit, per lo storico
della lingua e della cultura (la distinzione tra 'linguista' e filologo' operativa e non metafisica!), di
adottare apparati pi compiuti che sia possibile, come per la Commedia ha fatto Giorgio Petrocchi,
limitatamente per ora alla vulgata anteriore alla sistemazione boccaccesca (ma con l'intento di allargarsi ai
codici recenziori), e per questa, data l'importanza del testo, segnalando anche le varianti formali.
infatti essenziale appurare la lezione dell'originale dantesco (n oggi si concepirebbero pi le
resistenze opposte alla precedente proposta di vulgata, quella del Vandelli, in pr della 'patina'

tradizionale), ma anche assai importante essere informati, per un'opera cos decisiva e onnipresente,
della lezione nota alle varie fasi della cultura nazionale. Il problema, beninteso, assai pi vasto: si
desidererebbe poter conoscere la lezione dei classici di cui disponevano gli autori delle origini e quei
benemeriti che furono i primi volgarizzatori. Il desiderio di un simile regesto va girato ai filologi classici:
per i quali forse esso sembrer curiosit morosa, mentre sarebbe indispensabile a chi volesse giudicare del
Lucano citato da Dante o del Sallustio adoperato da Bartolommeo da San Concordio. La situazione dei
testi letterari in quanto utili allo storico della lingua e della cultura raggiunge perci la situazione dei testi
'popolari' o, per usare il termine del Menndez Pidal, 'tradizionali'. Qui normale che le varie redazioni
siano pubblicate come oggetti autonomi, anche se ci non esonera da un loro studio stratigrafico e anche
se la parificazione non importa affatto l'impossibilit o l'indesiderabilit della ricostruzione d'un originale.
Motivi ben diversi, sui quali giova sperare che non sorga il minimo equivoco, inducono dunque a
considerare con attenzione taluni canoni della critica non lachmanniana. Sia ad esempio il metodo di dom
Quentin, elaborato su una scrittura, come la Vulgata, di cos gigantesca divulgazione da non consentire
praticamente (almeno in un'epoca che ancora ignorava gli strumenti elettronici) una recensio normale. Il
canone del benedettino francese (agli scopi presenti basti quest'aspetto della sua dottrina) non distingueva
tra 'errore' e variante indifferente: tutte le varianti erano poste sul medesimo piano. O sia il metodo di
Joseph Bdier. Per l'asserita aporeticit della critica lachmanniana, verificata nell'ambito dell'antico
francese ma con fenomenologia di portata universale, l'unico rimedio consisterebbe nell'adesione totale
(salvo ritocchi all'erroneit flagrante) a un testimone scelto a ragion veduta (e perci chiamato 'il miglior
manoscritto'); testimone per cui viene a cadere ogni distinzione fra critica delle lezioni e critica delle
forme.
pi facile decidere di quest'ultimo canone. Il manoscritto unico non il limite insuperabile dell'attivit
scientifica (la cui esplicazione si sposterebbe in ingegnosit o cavilli a pr di suoi particolari sospetti, o si
celebrerebbe nel taciuto prologo alla scelta), per un dato storico-culturale molto apprezzabile. Questo
senso soltanto ha l'opposizione della 'realt' sperimentale alla 'realt' dell'ipotesi di lavoro: ci che non si
pu concedere al manoscritto unico come punto di partenza, gli appartiene nell'ambito della diacronia
testuale, tanto pi nell'ipotesi dell'edizione multipla, condotta separatamente secondo altrettanti
manoscritti (Lai de l'Ombre di Jean Renart). L'obiezione della varia misura di certezza sparsa sull'area del
testo lachmanniano sarebbe semplicemente mossa alla realt in quanto misurata dalla ragione.
Dal canone di dom Quentin esce perlomeno uno stimolo a non sancire un abisso fra errore e variante
indifferente. A parte le difficolt che possano sorgere in fatto su una verit in diritto ineccepibile (le
varianti erronee sono quelle che servono a costruire uno strumento, lo stemma codicum, la cui
applicazione automatica sancisce l'erroneit, o minoranza, e la bont, o maggioranza, delle varianti
indifferenti), opportuno considerare l'errore come un caso particolare di innovazione non autorizzata,
privilegiata dagli indizi lasciati di 'delitto non perfetto'. Ma non esistono due logiche formali, una valida
per l'ecdotica lachmanniana (fondata sul metodo degli errori comuni) e un'altra valida per le varianti
redazionali. Perci la ricerca della lezione 'buona' la ricerca della pi antica (che pu anche essere
'sepolta' o 'perduta'). Sono, queste, parole che evocano immediatamente il metodo geografico in
linguistica: la metodologia della cronologia relativa in linguistica spaziale (di cui la stratigrafia un
prolungamento) pu costituire un 'modello' anche per l'ecdotica. Che le aree laterali (per esempio,
trattandosi di chansons de geste, le redazioni franco-italiane, scandinave ecc., anzi gi le anglonormanne)
possano fornire un criterio per l'anteriorit delle rispettive varianti, facile a dirsi in astratto. Ma si
dispone gi di qualche pregevole ricerca concreta: sia qui segnalato il saggio in cui Maria Corti,
accogliendo metodologicamente lo stimolo del Pasquali, ha illustrato la diffusione, dialettalmente
connotata, del bolognese Fiore di virt.
b) La dottrina lachmanniana nell'ambito volgare (poich quello latino offre la forma all'ingrosso
immutabile della gra-matica) distingue o perlomeno polarizza critica delle lezioni e critica delle forme; e
le considerazioni immediatamente precedenti si svolgono nella prima area, avvertendo sempre quando ci
si trovi in territorio di interferenza o l'opposizione dottrinale venga a cadere. Resta a vedere in compendio
come si sia articolata la critica delle forme, la quale tutta d'interesse linguistico.
Nel libro fondatore, il Saint Alexis di Gaston Paris, essa assume - e il carattere comune alla sua critica

delle lezioni un aspetto paleontologico. Questo termine naturalistico non ha, ovviamente, intenzione
deprezzativa, anzi designa un titolo di merito - ma pi, si confessi sbito, per quanto spetta alla critica
delle lezioni che per quanto spetta alla critica delle forme. Del resto, una comparazione pi appropriata
recata dallo stesso, intelligentissimo, editore, che pure uno scrittore autentico: J'ai essay de faire ici
pour la langue fran^aise ce que ferait un architecte qui voudrait reconstruire sur le papier Saint-Germaindes-Prs tei que l'admira le XIe sicle. Il Paris ha voluto essere, insomma, pi che il Cuvier, il Viollet-leDuc del francese del Mille. Se la metafora sta, sbito si sospetta nella procedura qualcosa di obsoleto. Il
Paris bens guidato (si rileggano quelle splendide pagine) da una struggente ammirazione per quella
lingua come per l'architettura romanica, e l'omaggio reso alle necessit storiche che hanno modificato
l'una e l'altra tutto di testa e non di cuore; ma il modo del restauro quanto di pi razionalistico e
antistorico si possa immaginare. Indotti dallo studio delle rime e del metro gli elementi oggettivi,
soppesate le probabilit circa la fase raggiunta punto per punto dalla sostanza fonica, il Paris non solo
livella ma rappresenta convenzionalmente di suo. L'atteggiamento si accentua con l'editio minor, dove
non solo si opta francamente per l'ue (non uo) e l'ou esclusi dalla maior, ma numerosi segni diacritici
notano le consonanti caduche, la vocale indistinta e quella non sillabica. Certo, la minor doveva essere
prevalentemente destinata (sono parole della maior) faire connaitre le caractre phontique de l'ancien
langage; ma l si diceva pure che la critica ne se permet pas d'employer des caractres autres que ceux
dont se servaient les auteurs des manuscrits qu'elle tudie. Ecco, dunque, un capitolo su cui non si pu
dire che l'esempio di Gaston Paris, sempre attualissimo nell'altro settore, trovi ormai molta udienza.
Perfino la ricostruzione ehampe-noise di Chrtien de Troyes, con quegli ei da ai, an per en ecc. ecc., nel
testo Foerster appare oggi troppo astrattamente sistematica.
Ma che cosa viene opposto alla soluzione del Paris, pi esattamente del Paris dell'Alexis? La posizione
pi antitetica naturalmente quella del Bdier, in quanto, affidandosi a un solo manoscritto anche per la
lezione, non pu praticare alcuna distinzione fra le due critiche. Diffusa una pratica intermedia,
naturalmente ben anteriore al metodo universale del manoscritto unico: quella, ferma restando la
costituzione lachmanniana della lezione, di adottare per la forma un codice determinato. Tale ad
esempio l'uso pi comune degli editori di trovatori provenzali, giustificato dal fatto che non si ha nei
canzonieri il fondamento di una semplice unit documentaria, ma sistemazioni passabilmente organiche.
Questa fedelt peraltro solo tendenziale, in quanto in singoli punti attestanti fatti oggettivi o in luoghi da
correggersi a norma lachmanniana si pongono problemi particolari suscettibili, se non di alterare, di
precisare la norma: una formula riassuntiva sarebbe perci impossibile.
Il nucleo dell'aporia in sede di critica formale risiede nella convivenza di tradizioni dialettali (in senso
di dialetti letterari) diverse. La capitale edizione Appel di Bernart de Ventadorn, per suo conto nel
complesso normalizzatrice, mostra la coesistenza di numerosissime categorie di doppioni, quali di natura
schiettamente fonetica come fe/fei, mal/mau, vida/via, plaih/ plai, quali di natura morfologica come
far/fair e, fatz/fau, prenda/prenha, conques/conquis, quali morfonologici come solh/ sol. Il rimedio,
negativo, sembrerebbe in pronto: si serbino nelle sole sedi oggettive (rime in particolare) gli elementi
estranei alla lingua 'naturale' dello scrittore (ammesso che si riesca a determinarla). Ci dovrebbe valere a
maggior ragione per l'esclusione degli elementi caratterizzanti, ma di altra cultura linguistica, in
tradizione unica. Sia il caso di Guittone d'Arezzo, una parte considerevole della cui opera conservata
solo dal canzoniere Laurenziano Rediano, di origine pisana: il testo di Guittone si pu e probabilmente si
deve purgare dei patenti pisanismi quali la sibilante s per l'affricata z o l'epitesi del tipo mei me o pi plus
- operazione, si ripete, puramente negativa, a cui non corrisponde una controparte positiva, poich non
sarebbe culturalmente lecito aretinizzare la veste di Guittone, per quel tanto che si conosce dell'aretino
antico, introducendo ad esempio la dittongazione di libera in et. Non si pu negare che il risultato di
questa, se consentito usare la frase michelangiolesca, arte del levare sia di rendere pi generica la
fisionomia dei testi, e questo pu anche corrispondere alla tendenza medievale verso la koin 'illustre'. Se
poi fatti oggettivi, per esempio di rima, appartenessero, come s' visto sopra, a 'lingua speciale' di quelle
sedi, la procedura negativa risulterebbe confermata, magari a prezzo d'una veste un po' pi arlecchinesca
del verosimile.
Ma le compresenti varianti formali non sono solo geograficamente distinte: possono esserlo anche
cronologicamente. Ora, dall'introdursi in un testo, quale potrebbe essere il Roland di Oxford (che del resto
non crede primitivo neppure chi lo tratta 'come se' fosse primitivo), di infrazioni alla legge Bartsch o alla

distinzione di a ed e nasali, generalmente ancora rispettate, certamente si inferisce, come osservava il


Paris nella prefazione ali'Alexis, che la parlata aveva toccato la fase ulteriore, ma rendeva di massima
omaggio alla lingua letteraria del passato. In tali condizioni livellare la rappresentazione della nasale e
quella stessa di A libera dopo palatale (perfino il manoscritto Digby scrive chiet accanto a chet, chiens
accanto a chen(s)) sarebbe eminentemente antistorico. L''ibridismo' di cui parlava il Rajna per testi
trecenteschi categoria che, con altre modalit, vale per molto prima. Se si riflette che l'ibridismo involge
pure la base latina, risulta che la situazione si fa scottante anche, al limite, dove non ricorra polimorfia n
geografica n cronologica. Ricostruire una lirica siciliana sulla base dei dati di rima e metro urta
inevitabilmente contro gravi incertezze: non sempre ben chiaro neppure se volta per volta la
rappresentazione della palatale e della velare atone sia unitaria (i, u) o no (e/i, o/u), agendo in pr di e od
o quel modello latino a cui si deve per esempio la mancata assimilazione, almeno grafica, dei nessi ND,
MB. Ecco perch il Tallgren (poi Tuulio) ha potuto, nell'intrapren-dere la sua edizione di Rinaldo
d'Aquino (nei Mmoires de la Socit no-philologique de Helsingfors, vi, 1917), distinguere
scalarmente cinque metodi possibili:
5. Texte modernis;
4. Texte critique de la tradition manuscrite modernisante;
3. Texte critique de la tradition manuscrite archaisante ;
2. Texte critique plus dtoscanis;
1. Texte critique retraduit en ancien sicilien.
E il Tallgren si attiene saggiamente al metodo 3 (specificato in langue dtoscanise autant que le
permettent les mss.), mentre le applicazioni di quello che press'a poco si pu chiamare il metodo 1 anche
da parte di studiosi siciliani (Santangelo, Panvini) hanno un intento meramente sperimentale e indicativo,
al pari delle ricostruzioni, frattanto non meno sostanziali che formali, talora proposte per testi
corrottissimi di tradizione unica (Plerinage, Gormond, Chanson de Guillaume, Poema de Ferriati
Gonzlez ecc.).
La conclusione sembra essere che, mentre solo un lachman-nismo affinato adeguato per ci che
della restituzione sostanziale, la problematica della restituzione formale resta pi aperta: non certo per
mancato progresso ma in obbedienza a una situazione storica assai molteplice. Non bisogner mancare
comunque di sottolineare tra i fattori relativamente conservativi l'acquisito rispetto culturale dei fatti
grafici, oggi aumentato anche da considerazioni strutturali.
Relazione tenuta al XII Congresso internazionale di Linguistica e Filologia romanza (Bucarest, aprile
1968) e pubblicata nelle sue Acte, Bucureti 1970, 1 (Rapoarte), pp. 47-65.
ESPERIENZE D'UN ANTOLOGISTA DEL DUECENTO POETICO ITALIANO
Sta finalmente per uscire un'antologia della nostra poesia duecentesca [I Poeti del Duecento, 2 voll.,
Milano-Napoli, Ricciardi, 196o] alla quale attendo da troppi anni. Per un'abbondante porzione dei testi mi
ha prestato un ausilio insostituibile una schiera di valenti collaboratori, tanto pi benemeriti in quanto il
compilatore si era riservata, e ne ha usato copiosamente, ogni pi radicale libert d'intervento sui loro
progetti di lezione critica, fosse in base alla loro stessa documentazione, fosse integrando mediante
controlli e ricerche aggiuntive, mentre poi aveva avocata interamente a s la redazione del commento. Per
tal modo si confermavano insieme, anche nei nostri studi, e non lo dico per deferire a una dialettica un po'
passata di cottura, la necessit d'un lavoro d'quipe e l'opportunit d'un coordinamento unitario. un
primo insegnamento pedagogico, a cui si potrebbero trovare eleganti paralleli nella problematica (neppur
essa, forse, pi del tutto attuale) di individualit e pluralit in non so quanti altri istituti della vita
contemporanea, dall'architettura al cinema. Ma non mi attarder a disserire sull'economia della
produzione culturale, premendomi piuttosto di sottoporre all'esame dei colleghi di laboratorio alcune

riflessioni organiche nate da quest'esperienza, e che mi sembrano vertere per qualche parte sul vivo della
metodologia, cristallizzando esigenze diffuse: le quali, anche se accumulate da tempo, sembrano
richiedere una decisiva scossa di coagulazione; mentre a rovescio, se si tratta d'iniziative 'firmate', esse
sembrano per interpretare, quando compaiono, un bisogno collettivo.
i
Probabilmente la novit pi vistosa, anche fisicamente, che si offrir agli utenti dell'antologia sar la
disposizione tipografica che, in un numero di testi rilevante, incolonner separatamente le varianti
aritmetiche d'una stessa misura fondamentale
di verso o d'emistichio. Ho cos procurato di attuare l'auspicio d'una mia vecchia nota sul Ritmo
Cassinese, per l'abnegazione e, incredibile a dirsi, l'intelligente docilit d'uno stampatore pure adusato al
pi classico rigore. Mi par giusto che ormai il lettore riceva immediato avviso di entrare in un recinto
dove non vale la ricorrente identit di misura sillabica a cui assuef la scuola, e il cui potere dittatorio non
stato naturalmente scalfito, per il patrimonio tradizionale, dal sopraggiungere polemico o divergente
dell'ode barbara o del verso libero. Tanto pi giusto, in quanto quel tale recinto confina e convive, nel
nostro Duecento, e perci in questo medesimo libro, col territorio ove vige l'ordinario isosillabismo di
ascendenza occitanica e (perlomeno al livello pi alto) francese.
Che la tradizione anisosillabica venga chiamata, come si fa, 'giullaresca', non c' troppo inconveniente,
e se ne pu concedere la relativa autoctonia, rispetto a quella di gusto oltramontano. In ci il suo
incontro negativo con la tradizione spagnola, alla cui 'versificazione irregolare' (cito il titolo famoso
dell'Henriquez Urena) si riconosce con iter semmai anche troppo sbrigativo il diritto di cittadinanza. Si
pu dunque procedere per analogia; e, su questo piano, opporre alla voce unica (e tarda) della tradizione
del Qid, e alla corrispondente acquiescenza del Menndez Pidal innanzi a una variabilit di posizioni
assolutamente abnorme, la pluralit di tradizione (e meno remota) del Libro de Buen Amor, che consente,
e infatti ha consentito almeno per delibazione al Lecoy, di misurare obbiettivamente (su tre manoscritti) la
probabile escursione degli emistichi di Juan Ruiz. Forse al tradizionalismo, pur sempre romantico, del
patriarca degli studi romanzi non caso che si oppongano proprio le misure strette d'un paese imbevuto di
retorica formale? In tesi generale, comunque, solo questo procedimento s'incontra con i requisiti di
un'indagine positiva, e cio quantitativa. Poich anche nell'mbito italianistico non mancato chi
abbandonasse i 'giullari' alla vaga venere sillabica; mentre a un'eventuale estensione di quel primo metodo
(e forse anche alla sua matrice), se in astratto nulla obiettabile, osta il fatto che il suffragio verrebbe
proprio da ritmi, magari venerabili di antichit documentaria rimpetto a Per Abbat, ma altrettanto unici.
Se il rigidissimo Bonvesin da la Riva fosse noto soltanto dall'Ambrosiano N. 95 sup. (come le Noie di
Patecchio dallo zibaldone del Sachella), otterrebbe un buon punteggio per licenziosit 'giullaresca'. Il
problema da risolvere, finalmente, pratico e non teoretico. Si tratta di distinguere fra testi la cui
tradizione non consente neppure la congettura (senza che questa realt irriducibile venga trasferita
indebitamente sul piano della razionalit); testi ineccepibilmente razionalizzabili, e nella regolarit e nella
misura dell'anomalia; testi intermedi, esigenti uno sforzo di sistemazione che, movendo dalla liquida
limpidit dei secondi, finisce per mordere sulla stessa riottosit dei primi.
La vera novit sarebbe infatti, caso mai, di carattere editoriale, perch il principio dell'anisosillabismo,
se pure non acquisito alla coscienza del pubblico e nemmeno proclamato da autorit primarie, enunciato
perfino in manuali di metrica, tra i quali va citato ad onore quello del Leonetti, nonch in ricerche
particolari, come le remote e volonterose dello Schmitt, operante sull'endecasillabo di Jacopone, s'intenda
secondo il testo del 1490; n mancato, almeno per i testi pi arcaici, un conato di spiegazione generale,
quello del compianto Camilli, fondato al modo germanico su un'alternanza di arsi fisse e di tesi mobili,
che nell'applicazione si rivela troppo oneroso (anche trascurando un testo non veramente in versi quale
sono le Laudes ere aturar uni), proprio dal rispetto dell'editore costretto a troppi interventi. Qui importa
solo il fare; e a rigore non occorre neppure aver risolto preliminarmente il problema che dir etimologico:
dell'origine, certamente latino-medievale, del costume che qui ci trattiene; sul quale peraltro so che
proprio uno della nostra compagnia lavora, con prospettive di buon successo. Mi si lasci dire,
nominalisticamente, che l'interesse esclusivo va ai casi singoli, partendo dalle formule pi solide di
alternanza minima per dilatarle mano mano in via analogica. Si tratta di rispondere volta per volta alla

domanda che mi accadde di sentir tanto spesso sulla bocca del Bdier, Qu'est-ce qu'un vers juste, pour
un crivain du moyen ge?, anche se il maestro la intonava solo negativamente, come interrogazione
retorica avverso i razionalisti anacronistici (a proposito, s'intende bene, della Chanson de Roland), e di
fatto si comportava poi come il non omogeneo Menndez Pidal, cui non si possono certo imputare
angosce cartesiane. Si tratta, in scambio d'un apo-steriorismo rinunciatario o entusiastico, per non dire
d'un apriorismo elementare (e pur restando fondamentalmente nella sfera dell'a posteriori, ma ri
trasportandolo in veloce circuito a priori), di amministrare con equilibrata economia conservazione e
congettura.
In questa scalare tipologia pu occupare convenientemente il primo posto, non perch rappresenti una
minima aritmetica, ma per grado di certezza, desunto dal dato assodato in un'altra cultura (stavolta
proprio la francese), l'alternanza del decasillabo detto epico e dell'alessandrino, cio, nel corso d'una
stessa lassa, l'equivalenza virtuale del tipo d'emistichio dispari e del tipo d'emistichio pari, conforme del
resto alla genesi di questo verso simmetrico da quel verso a minore. un'alternanza ben nota dalle
ehansons de geste (per cui qualcuno ebbe a discorrere, ma non so se si potrebbe ripetere oggi, di
'coefficiente di disattenzione'), cominciando dalla stessa redazione oxfordiana del Roland e giungendo, in
particolare, al repertorio francoveneto. Ci si ripete, in Italia, nel poemetto di Uguccione da Lodi, il quale
non appartiene affatto all'epica, e a prima vista sembrerebbe avvicinarsi, per la materia predicatorioedificante, alle origini agiografiche del metro (si dica il Boeci): non fosse che, come non stato rilevato
fin qui, la preghiera Deo, qe guars Daniel (vv. 215-34) deriva dalle preghiere di Carloma-gno nella pi
antica redazione franco-veneta del Roland (V4). comunque palese l'equipollenza dei due tipi cos in
questo piccolo inserto come nel corpo del testo, in successione ravvicinata (5-6):
Sire Deu, qi T'onfende d aver gran paor
e
s'el li remembra del fogo e del calor.
Non esiste invece sufficiente verisimiglianza aritmetica a che si possa ammettere un decasillabo
isolatissimo (425, q'ele fai pene com' l'aguiia qe vola) nel complesso di alessandrini, per di pi riuniti
non in lasse ma in centinaia di distici (bench in verit chiuse da un versicolo breve come fosse una sola
sterminata lassa), dello Splanamento di Patecchio. D'altra parte l'alessandrino, diviso in emistichi legati
pure da rima comune, surroga il consueto endecasillabo nella saffica del bel Servente se romagnolo (detto
gi del 1277); e, come variabile vi l'adonio (per cui lo stesso Antonio da Tempo ammette tanto la lettura
quinaria quanto la quaternaria), cos quegli emistichi, di massima settenari, possono per crescere (come
in Juan Ruiz) o calare (come, si vedr, in Giacomino da Verona) di una sillaba. Qui interventi non sono
possibili, certo, ma manca anche la garanzia per una sicura classificazione: qui, infatti, si pu discorrere
in senso meno vago di abitudini 'giullaresche', perch il manoscritto, insieme unico e negligente (il
Saibante, da cui si ricavano Uguccione e Patecchio, unico, s, ma 'clericale', anche per lezione
controllatissimo), cos poco fidato come quelli dei ritmi antichissimi, o, peggio, i Memoriali dei notai
bolognesi; n si pu escludere che l'approssimativit si riverberi sull'originale stesso. Chimerica sarebbe,
per esempio, una regolarizzazione sillabica del Serventese dei Lambertazzi e dei Geremei, l'obbiettiva
variabilit dei cui versi appare garantita quand'essi s'intessono d'un largo catalogo di cognomi (e c' un
altro argomento, strutturale questo: il lassismo delle rime; poich libertinaggio ritmico e libertinaggio di
rime sono 'fenomeni' - pronuncio tra virgolette, cio in accezione gnoseologica -solidali).
Aspetto edificante ha anche la lassa monorima di alessandrini nella lauda dei Servi Rayna
possentissima (col primo emistichio per lo pi sdrucciolo come quello serbato nella tradizione
meridionale, da Cielo e dai Proverbi pseudojacoponici ai poemetti napoletani). Di decasillabi ce n' uno
solo (38, Preta fermissima ch'ai corno fondata), forse originario (il bisillabo integrativo, dove c',
varia da codice a codice). Ma occorre non di rado un'altra variazione: il primo emistichio si raddoppia,
fregiandosi allora della rima (Scala de sapiencia, mare de reverenda, vu si' purificata). E per tal modo si
ricongiunge alla 'singolarit metrica' di Bonvesin da la Riva giustamente accettata dal Monteverdi per il
primo, quella che in due quartine consecutive, e sulla stessa rima, del De die iudicii reitera tre volte il
primo emistichio del penultimo e dell'ultimo verso (cos si pu ormai, pi precisamente, descrivere il

fenomeno), con costanza di rima entro la singola quartina:


... -ura
... -ura
O' mai non invidia - ni doia ni tristitia, - besonio ni anc insidia - ni guerra ni pagura;
Ma gh' verax delitia, - careza, pax, divitia, - amor e grand letizia - e franchit segura.
La parentela tanto pi prossima in quanto anche nella lauda dei Servi, se dalla redazione singola si
trascorre al fondo a tutte comune, la gemmazione sempre estesa anche al verso successivo, mantenendo
intatta la rima; e per quest'insorgenza intermittente si ottiene un parallelo ancora pi stretto di quello
addotto dal Monteverdi, cio la lauda lxxxi di Jacopone, di settenari ordinati in quartine aaax. (Un tipo
metrico non remoto quello della Giostra, nella prima parte della cui strofe ben quattro alessandrini
monorimi proliferano elaborando tre membri settenari, di cui i primi sono sdruccioli e i secondi rimano
fra loro. A questo punto, si capisce, la corrispondente rappresentazione tipografica non pi possibile).
Con l'alessandrino nel serventese (quello romagnolo) e con l'alessandrino nella quartina 'didattica',
quasi sempre monorima (Bonvesin ne infatti il principale rappresentante italiano), si esorbita dall'ambito
primitivo. E anche da noi la cuaderna via legata al mester de clerecta si segnala, tolta l'eccezione citata
(per una sorta d'Induzione' dalla duplicit di funzioni, insegnative e innologiche), per la sua simmetricit.
Tuttavia non manca neppur qui l'anomalia, volta a trasferirlo verso un mester de jugleria alla Juan Ruiz o
alla maniera del Serventese romagnolo: dico fra Giacomino da Verona. Le affinit per non procedono
oltre, giacch l'alternanza ammessa da Giacomino, e indubitabile perch la corrobora l'albero ricavato
dall'intera tradizione (di tre o quattro manoscritti secondo i casi), semplicemente di emistichio settenario
e di senario, fin dalla prima quartina: due variet aritmetiche (per approssimazione d'una sillaba sola) d'un
medesimo tipo, coincidenti nell'andatura accentuativa generale, che all'ingrosso giambica nella forma
crescente e trocaica nella calante, e perci divergente solo per l'assenza o la presenza d'un 'tempo vuoto'
iniziale. Questo fatto s'inquadra, allora, nella figura di anisosillabismo che di gran lunga la pi diffusa
nella letteratura delle nostre origini.
D'una cita santa
com' el' fata dentro,
e o ke ge'n dir
gran pr ge far,
ki ne voi oldir,
un poco ge n' dir,
se ben voi retenir,
sena nesun mentir.
Se l'alternanza di Uguccione si fondava sull'identit funzionale di due distinti tipi di emistichi, quella di
Giacomino contempla
Una sua specificazione addirittura endemica quella d'un'alternanza di novenario (fondamentalmente
giambico) e ottonario (fondamentalmente trocaico), di cui quella ritrovata in Giacomino si pu
considerare una variante analogica, soppresso un 'piede' (cio una coppia di sillabe). Come il settenariosenario, anche il novenario-ottonario pu fungere del resto da mero emistichio. Il fondamento d'una
distinzione altrimenti futile si trova infatti nell'ufficio esercitato (di qui si ricava il criterio che permette di

distinguere e numerare, in rapporto alle contraddittorie abitudini degli editori, i versi di Jacopone): se le
due serie sono costantemente pari, i versi sono evidentemente doppi (con rima interna); e tali sono
appunto in quella che persisto a credere, con l'ipotesi cronologica del Cesareo e del Mazzoni, la pi antica
poesia toscana, anzi forse italiana, NOTA 1 il Ritmo Laurenziano, il quale conferisce uguali diritti, fin
dall'inizio, al novenario Salva Io vescovo [o l'ovescovo] senato e all'ottonario lo mellior c'umque sia
nato. , ovviamente, Yoctosyllabe francese, che da noi presenta la medesima morfologia, sia che
rifaccia, come qui, l'arcaica lassa agiografico-epica di Gormont o di Santa Fede (ma con l'ingranamento
distico dei poemetti di Clermont), sia che riproduca il distico a rima baciata del romanzo cortese o della
poesia didascalica, o addirittura forme derivate. Nel punto di partenza francese, se naturalmente si
prescinde dal contrasto di rima maschile e femminile, si ha, fuori di certi stati provinciali (proverbiale
l'anglonormanno), isosillabismo: si pu dunque considerare l'installazione del 'tempo vuoto' come il
pedaggio pagato per questa, se non erro, prima trasferta ritmica da una lingua ormai non pi accentuativa
in una fonologicamente accentuativa. Quale che sia la spiegazione, il dato resta: segnalato troppo prima
delle mie precedenti insistenze perch ne occorrano dimostrazioni recidive. Un fatto bastevole a
convertire ogni scettico il raddrizzamento isosillabico d'un testo scritto per buona parte in questo metro,
il poemetto di Bescap, quale fu suggerito al Keller dal recensente Salvioni e dal deferente curatore venne
perpetrato nella sua riedizione, con una frequenza d'interventi di cui non si potrebbe immaginare la pi
solenne. Quanto alla declassazione da metro costante a metro variabile, informa il Rainaldo e
Lesengrino: che, movendo da un modello metricamente ineccepibile com' il Renart (e bisogna pure
sottintendere una branche perduta anche all'episodio che non ha oggi corrispondenza in parti francesi
conservate), presenta, per quanto se ne pu leggere attraverso i vetri sporchi dei due pessimi manoscritti,
quel medesimo fondo di ovvia alternanza. (La riserva, qui, semmai un'altra: se la redazione di base,
nonch attenersi a quell'istituzionale modesta escursione sillabica, addirittura partecipasse, come non
affatto sicuro, alla caoticit dei codici sopravvissuti, tale da non poter essere ordinata in termini
tipografici).
Prezioso per ci che della mera equipollenza di rigore francese ed elasticit italiana, il Rainaldo
dunque non d lumi sulla misura dell'elasticit. Ma va sbito confessato che sull'alternanza 9/8 pu
benissimo fare aggio la variante 10. Un emistichio decasillabo a rigore nello stesso Ritmo Laurenziano:
cui bendicente bascio la mano
(dove, frattanto, di 'anacrusi' si potrebbe parlare solo per abuso semantico, col valore generico di sillaba
complementare, ottenuta come sarebbe attraverso una tesi disillabica, bscio la in luogo di bascio). Ma
mi sembrerebbe ardito, se non temerario, mantenere quell'articolo, tanto pi che bendicente, al lume del
finale della lassa seguente (Di lui bendicer non finisco), deve riferirsi al soggetto di bascio. Tuttavia, di
contro all'ineccepibile novenario-ottonario dell'Anonimo Genovese (che per lo pi lo riunisce in quartine)
o della ballata (serbata nei Memoriali bolognesi) Mamma, lo temp' venuto, si ritrova una sicura anacrusi
(in senso largo) ad esempio nel Detto del Gatto lupesco (che francesemente in distici): perentorio un
verso irriducibile, e ce ne sono tanti, come
A Dio vi comando ciascheduno.
Non vorrei ricavare esempi dal Ritmo Cassinese (n tanto meno da quell'altro ritmo edificante
dell'antica Italia 'mediana' che l'Alessio marchigiano, di metro uguale, ma di pi sciupata lezione, s da
non prestarsi all'esperimento ottico). Si sa bene che nella sua strofe a una serie novenaria (beninteso, di
novenari-ottonari) succede un distico, o almeno una serie breve, di endecasillabi (frattanto ridotti assai
frequentemente, direi per analogia, a decasillabi). Per s sarebbe ammissibile la legittimit, entro la prima
serie, di decasillabi quali
Ai, dumque pentia null'omo fare
o
et em quella forma bui gaudete;

qualora per non s'affiancassero loro incongrui versi brevi del genere di
Ergo non mandicate?
Volgiamoci perci altrove: a un secondo giullare della Toscana meridionale (dico questo con la mente
all'autore del Ritmo Laurenziano), Ruggieri Apugliese, la cui opera interamente refrattaria
alTisosillabismo. La descritta alternanza minima figura (e si hanno due manoscritti, quelli che il
Morpurgo si limit a pubblicare giustapposti, senza, come si pu, ricostruire) nel Serventese detto gi del
Maestro di tutte l'Arti (sono quartine, come quelle della Passione di Clermont, ma monorime, e giullarizzate dall'aggiunta dell'adonio). E figura, cosa pi interessante (prescindendo da altre eventuali
irregolarit mal verificabili nell'unico manoscritto), nella fronte della canzone de oppositis (cio nei versi
in a della strofe aaab7aaab7C11C11). Ma nella Passione (quartine monorime) appare frequente non solo
la misura decasillaba (Ruggieri fatto la sua 'Passione'), ma addirittura l'endecasillaba (ki lo 'nvita, ke
non vada a mangiare), ci non senza rapporto, forse, con asimmetrie nel numero dei versi (cinque, ma
anche due): quanto si pu ricavare dal manoscritto, anzi ormai dalla stampa unica, quella del De
Bartholo-maeis (poich sono spiacente di dover comunicare che il fascicolo Cittadini delle carte Molteni
all'Ambrosiana irreperibile), almeno la possibilit dell'anacrusi.
Un caso particolarmente frequente di alternanza novenaria/ ottonaria si ha nelle laude: esso anche
stato oggetto di speciale segnalazione, a cura di quel Giuseppe Galli al quale, non so perch, il mondo
ufficiale degli studi, tante volte cos indulgente, ha preferito mostrare il viso dell'armi. La cosa, se persiste
al trecentesco livello perugino da lui esaminato, per connaturata alla formazione stessa della laudaballata, e pertanto palmare nella raccolta di Cortona (dove occorre pure un altro dato, ben noto alla
metrica d'oltralpe, ma da noi inconsueto, l'equivalenza all'ottonario piano del settenario sdrucciolo della
chiusa e del ritornello, discese benignissima come La vert celestiale [111], Tu, Spiritu paraclito
come al Tuo regno spazioso [xxxi]). Il novenario-ottonario delle Cortonesi merita rilievo per pi d'un
titolo. In primo e pi eminente luogo, perch esse sono musicate, e l'alternanza (nel caso addotto si tratta
di 'tempo vuoto') postula, nonch esserne semplicemente passibile, un'interpretazione melodica. In
secondo luogo, perch su quest'analogia (come s' gi visto per l'endecasillabo del Ritmo Cassinese o per
l'emistichio settenario di fra Giacomino o del Servente se romagnolo) possono germinare altri tipi, fino a
quel caso-limite che ancora laudese: Jacopone. In terzo luogo, perch la lauda, controcanto della ballata,
costituisce un ovvio transito alla poesia cortese (gi pi che sfiorata con la canzone de oppositis), e
giustifica la domanda se la fenomenologia studiata valga anche sul suo territorio. A quest'ultima inchiesta
sar opportuno cercare una risposta dopo aver esaurito il punto precedente.
Nell'ambito Cortonese anzitutto da riconoscere un endecasillabo risultante (vili) dalla somma d'un
quinario (con rima interna) e d'un senario, secondo l'esempio
stella marina - che non stai nascosa.
Ad esso si pu applicare il principio che sancisce il passaggio
dal decasillabo 'epico' all'alessandrino: l'identificazione del primo al secondo emistichio, secondo
l'esempio
bellezza formosa, - de Dio se' semblanza.
Il risultato d'un quinario-senario, anche qui solo in prima sede, non intercambiabile (dunque non
assimilabile al novenario che si fa ottonario); e la differenza in fatto non d'un 'piede', ma d'un'anacrusi
sillabica, non per mero caso, probabilmente, ma perch si tratta, a quanto parrebbe, d'un limite ritmicomelodico invalicabile. (Nella lauda I, di novenari-ottonari, l'isolato decasillabo Vigorosa, potente, beata
non si trova nella parte comune al laudario Aretino; e dire Cortona vale, con l'ambiguit che
convenzione normale in ecdotica, quanto dire la redazione primitiva di cui Cortona il pi fedele
rappresentante). Un caso da giudicare veramente analogico invece quello dell'altro endecasillabodecasillabo che ora riconoscerei, come prima non feci, entro la lauda xxxiv, esondata anche fuori del
repertorio primitivo, essendosi infiltrata nell'appendice apocrifa o sospetta della raccolta jacoponica ( la

ci dell'edizione Bonaccorsi). Che versi quali dolz'amor, Ies, sovr'ogni amore (2) o colla mente
sempre conversare (139) o creatura che mi satisfaccia (160) siano sinceri decasillabi, non bisognosi di
supplemento, mostra il fatto che versi iniziali di strofe, non leggibili come endecasillabi se non a prezzo
di contorsioni, non sono peraltro modificabili perch legati col vincolo delle coblas capfnidas: con
Amor, chi T'ama non sta ozioso si paragoni infatti Creatura umana scognoscente (45) o Freddi
peccatori, el grande foco (80). Lo stesso per la lauda xxxvi (si comparino, in ugual regime di
collegamento, Languisci ripensando la tua noia, 8, e Sguita l'amor, che p valere, 12). Credo
proprio non si possa disconoscere a codeste laude quello che non si rifiuta all'ensenhamen per il
Compagno Guliemo, ad esempio (23-4):
Se per ventura tu no ' melle in bota,
fa' s che tu n'abie in la tua boca.
Stranamente, nella patria del testo non si era ancora riconosciuta Verona; forte dunque la tentazione di
pensare al misterioso Osmondo che si trova associato allo Schiavo da Bari. E
poich siamo a Verona, confessiamo che anche nella cosiddetta Caducit, di quel maestro tanto vicino a
fra Giacomino che per il Mussafa non era altra persona, tra gli endecasillabi di base si potrebbero bene
ammettere senza integrazione i parecchi decasillabi del tipo (73) Tu ei tal com' lo monumento
(sarebbe il 'tempo vuoto' che incontrammo nel De Ierusalem e nel De Babilonia).
Estensioni analogiche, oltre le citate, dato riscontrare anche fuori dell'ambito laudese. La Nativitas
rusticorum di Matazone, per esempio (e con essa si oltrepasseranno di parecchio i confini del Duecento),
in settenari che ammettono a dir poco la variante ottonaria; trovando un parallelo ritmico, oltre che
tematico, nel capitolo O malvaso rio villano attribuito nientemeno che a Cecco d'Ascoli.
Ma rientriamo nella provincia laudese, e anzi portiamoci al limite. Che Jacopone, non soltanto per la
situazione sociologica del suo laudario, laudario personale (De Bartholomaeis) e non di confraternita,
ma anche per l'eccezionalit dei ritmi: tuttavia ben radicato nello stato primitivo tramandatoci con la fase
Cortonese. Uno scrutinio serio non era possibile finch si disponeva della sola Bonaccorsi; e nemmeno,
direi, col testo minor e provvisorio pubblicato dalla signora Ageno nel 1953. Ma ho avuto il privilegio di
poter studiare la documentazione completa adunata dall'instancabile lavoratrice a fondamento d'una
lezione ancor pi progredita, per circa un quarto del repertorio. Limitandomi ad esso, posso per
formulare conclusioni aritmetiche abbastanza precise, confortate da testimonianze plurime che
consentono un solido stemma. E intanto: il seme del selvoso, abnorme anisosillabismo jacoponico pur
sempre il vulgato novenario-ottonario. Posso infatti citare le laude vi, xvii, xxiii, xxviii, xlviii, liv, lv, lix,
lxxxiv e, limitatamente ai versi lunghi, lxxxiii. La maggior parte si attiene frugalmente stretta al pendolo
sillabico; e una, la vi, addirittura esibisce fra gli ottonari un novenario solo (33, en Dio te seccan la
radice): ci vuol dire, frattanto (e alla medesima conclusione porta l'esame delle laude liv, lv, lix), che,
diversamente dall'ambiente 'giullaresco' e conforme, invece, ai fatti Cortonesi (si vedano, col, laude
come la xiv, la xxxiii, la xlv, la xlvi), l'ottonario la base, il novenario la dilatazione. Non, dunque,
novenario con 'tempo vuoto', ma ottonario con 'anacrusi'. E ci forse spiega, questo rovesciamento di
situazione (dovuto certo alla convergenza dell'octosyllabe col metro di Stabat mater dolorosa), come
pi facile sia l'espansione, voglio dire il raddoppiamento e la moltiplicazione dell'anacrusi. Decasillabi
appaiono infatti in xlviii (per esempio 60, un ventre de lupo en voratura) e, tra altre essenze ritmiche
pur variabili, in lxxxiii (per esempio 12, ch'io non moga abbracciato d'Amore). Sia detto addirittura che
questo settore offre il caso estremo di variabilit, poich nella xxix dal minimo ottonario (1, Molto me
so' delongato) si giunge a un massimo endecasillabo, sia pur con iniziale vocalica, ma anche a inizio di
strofe (7, Alluminato me mostro da fore).
Jacopone consente una nuova esperienza su una base, se non identica, affine a Cortona. Il suo quinario,
associato in versi doppi, passibile di variante senaria nelle laude xix, liii e, limitatamente ai versi brevi,
lxxxiii; nella lui un esempio crescente, ma scarsamente probatorio perch in seconda sede con inizio
vocalico (54, pochi ne trovo en cui sia consolato); la seconda anacrusi viene attuata, tuttavia,
copiosamente nella xxv, dove su uno sfondo dominato da endecasillabi di andatura 5 + 6 si pu realizzare

un verso come (72) che te guarden dai vermi che te sto a devorare.
Un'estensione per analogia presenta da ultimo il settenario, che si offre con allargamento ottonario nelle
laude xxxi (dove ha funzione d'emistichio), xxxvii, xciii. In lvi, che non una ballata ma un trattato (v.
53) ossia epistola, in coppie di settenari come Tesoretto e Favolello, con pochi ottonari fa la sua comparsa
un senario, unico ma in compenso irriducibile (49, Vale, vale, vale): al metodo dell"anacrusi'
congiungendo quello del 'tempo vuoto', proprio in una misura sperimentata presso fra Giacomino. La
stessa fenomenologia conferma il doppio settenario di vili e lviii, dilatabile qualche volta a ottonario, ma
anche degradabile a senario, e ci, significativamente, soltanto in sede dispari (Dico che accncete,
Lagna puoi e frete, Mustrar la misera, ecc.).
Riconosciuto cos quello che il caso-limite ai sensi del pallottoliere, Jacopone, si pu ormai indagare
quello che il caso-limite sul piano della sistematica retorica: le eventuali tracce di anisosillabismo nella
lirica curiale. Anticipo sbito che, se non si pu conseguire un'identica sicurezza nei particolari, non
sembra che ci si possa sottrarre neppur qui a una risposta positiva. E intanto: posto che il novenario
subisce le alternanze che conosciamo in territorio didattico, 'giullaresco' (inclusa una canzone
dell'Apugliese) e melodico (dalla ballata-lauda a una ballata dei Memoriali), non gli accadr per
avventura qualche cosa di simile quando sia assunto in un contesto propriamente lirico? Vanno interrogati
gi i Siciliani, anzi il loro stesso capostipite, il Notaio, per la canzone (poich spetter a lui, non a Rinaldo
d'Aquino) Guiderdone aspetto avere. E qui il verso iniziale di strofe, differenziandosi da quello che con
esso rima e dai corrispondenti dell'altro piede, pare ammettere la variante novenaria, perlomeno (da tutta
la tradizione) in 15, In disperanza no mi getto, se proprio non si vuole accogliere l'ingegnoso Di
speranza del Pan vini, che per non so se possa collegarsi legittimamente col Non vivo in disperanza
della strofe antecedente. Pi sul sicuro si va con Guittone. Anzitutto egli autore di ballate-laude (ci si
pu anzi chiedere se non spetti a lui l'invenzione di questa forma, una volta che e l'Incisa di ser Garzo e
Cortona e Perugia stessa sono limitrofe alla sua Arezzo, sede d'uno dei laudari pi antichi). Si prenda
quella per san Domenico (xxxvii Egidi), in novenari-ottonari, che alla rima interna determinano senariquinari (a Domino dato for patto, ma e onorato - dal fatto). Non basta: nella fronte (tolto qui il
primo verso) della canzone Gente noiosa e villana (xv), fatto pure il massimo credito ai novenari dei
canzonieri Rediano e Vaticano dov'essi divergono, si associano a novenari sicuri (tipo e gidici pien' di
falsa, 3) ottonari sicuri (tipo e raterrmi di gire, 73). Lo stesso accade nell'affine O dolce terra
aretina (xxxiii): qui, vero, la tradizione d un solo ottonario certo (41, Ahi, corno mal, mala gente); a
patto per di assoggettarne parecchi altri, incluso l'incipit, a stiramenti procustei.
Una pari esitazione, perlomeno al livello dei canzonieri, sembra di sorprendere fra ottonario e
settenario. Sia ad esempio la canzonetta di Bonagiunta Uno giorno aventuroso (viii Parducci): la fronte e
il primo verso della sirma sono, a giudicare da quelli irriducibili, di misura ottonaria, ma il Palatino, che
pure nell'insieme meno scorretto del Vaticano, introduce numerosi settenari (tale appunto la misura
della restante sirma, eccettuato l'endecasillabo di chiusa), pensando in [non infra] la mia mente (2),
stavo com'om dottoso (4), Per volsi [non ne voglio] cantare (7), ecc., mentre poi l'altro, per le
frequenti sue sovrabbondanze, non appare da solo molto degno di fiducia. O sia la canzone di Neri de'
Visdomini L'animo turbato: due ottonari dell'unico Vaticano (49-50) in sede altrimenti settenaria, Or
non si dovria mutare Per s ciascuno alimento, si possono, certo, un po' crudelmente potare, ma non con
la coscienza del tutto tranquilla. E allora: tornando in Sicilia, con la canzonetta (data anche a Pier della
Vigna, ma d'un messinese) Uno piasente isguardo, proprio sicuro che si possano leggere come ottonari
perch mi ci amenasti (20) o e tu mi asicurasti (23)?
Pare dunque che l'anisosillabismo non si possa tener fuori neppure dai paraggi della poesia cortese. E in
queste vicinanze, considerato che un campionario dei relativi , conviene rammentare che, secondo
l'interpretazione del suo ultimo diligente illustratore, il Vuolo, l'endecasillabo sciolto del Mare amoroso
comporterebbe genuinamente, come in Francesco da Barberino, una libera mistione di settenari e di
quinari-quater-nari, che dunque non sarebbero, o almeno non sarebbero tutti, glossemi e interpolazioni.
Nell'ambito della poesia cortese ci s'imbatte, comunque, in un'innovazione di ben altra portata, che
peraltro si riconnette, se non all'anisosillabismo, a quella figura pi vasta che l'equivalenza e la
permutabilit delle basi metriche: dico l'asimmetria della stanza di canzone ostinatamente perseguita da

Chiaro Da-vanzati, con cos scarso successo (anche ai tempi moderni) che il Casini pot applicargli
un'ortopedia pi violenta e pi antieconomica perfino di quella auspicata dal Salvioni per Bescap. Va
bene che il Vaticano manoscritto unico; ma la sua unicit non detrae autorit alla constatazione, troppo
copiosa e sistematica (come si vedr da un'edizione che ne stata ora preparata), tutt'al contrario prova la
nulla diffusione della trovata, sprofondata in una con lo scandaloso inventore. Sia, ad esempio, la canzone
Quando eontrado il tempo e la stagione (V 211). Ogni piede nelle prime due stanze ha lo schema
AB(b5)C, nella terza e ultima ABbsC; la sirma nella prima stanza (c5)D(d 5)E{e5)D(d5)E, nella
seconda c5Dd5Ee5D(d5)A} nella terza csDdsEesD. Asimmetrie del genere Chiaro mostra anche nelle
corrispondenze simulate (la canzone 'd'amico', Or\r\ato di valor dolze meo sire [V 216], che risponde alla
regolarissima canzone 'd'amore' Io non posso celare n covrire, alterna nella sirma gli schemi CDDC,
EFFE e CDdC, EFfE) e perfino nelle corrispondenze non fittizie (la risposta a frate Ubertino Se l'alta
disclezion di voi mi chiama [V 200] alterna nella sirma DeeFF, come nella proposta, e DEeFF). Certo,
questi esempi possono anche importare contrazione nel numero delle rime e loro sostituzione, ma
fondamentalmente il numero delle rime appare costante e la variazione si attua attraverso una
commutazione di endecasillabo e settenario ovvero di quinario-pi-endecasillabo ed endecasillabo. Per
quest'aspetto, alla tecnica di Chiaro si avvicina singolarmente, cos com' stata interpretata dal Vuolo, la
tecnica del Mare amoroso: il quale rappresenta tematicamente il momento davanzatiano, e appare, coi
suoi nimo 'nessuno' e indel 'nel', opera lucchese, cio di quella regione occidentale a cui paga frequenti
tributi la lingua del fiorentino Davanzati.
prassi ormai quotidiana assumere, nell'ambito del verso, la legittimit degli accenti che si possono
chiamare non canonici. In ci, dunque, nessuna novit di principio; se non forse l'opportunit che, ove
non si mantengano per tuziorismo a scanso di correzioni gratuite, si procuri di contenerli in limiti da
riconoscere obbiettivamente. Dato obbiettivo la pluralit dei manoscritti che di Monte Andrea dnno un
verso come (canzone Ahi lasso doloroso, v. 2):
celar n covrire 'l mortal dolore
(meno univoca la risposta per il v. 70, e '1 doglioso manto adosso gli afibbia); s che se ne ricava
appoggio per versi di tradizione non plurima quali
poi dal corpo l'arma fosse partita
oppure
Voi, gentile ed amorosa pulzella
o forse ancora (il manoscritto ha od)
s'a l'apostolico non piace o a Dio.
Una tale morfologia s'incontra con quella culturalmente non lontana, se pure ad attestazione unica, del
Mare o di Chiaro (o del corrispondente di costui frate Ubertino): sono, per Chiaro, versi come
ond'io forte morte tosto n'avre
o (manoscritto truovano)
per loro si truova fondo a ci ch'e.
Un criterio di puntuale economia decider tuttavia se non sia troppo oneroso, fuori d'un'accertata
tecnica, stampare ad esempio col Massra (Cecco Angiolieri, viii 5-6):
e quanto m' pi pessimo el dolore

ad averlo, e l'ho, ch'a averlo perduto


(del solo Escurialense), quando conviene tanto meglio, da ogni rispetto, leggere
ad averi' el[l]o, ch'a averlo perduto.
Lo stesso per le cosiddette dialefi eccezionali: senza insistere sulla questione di principio, si veda solo
se il verso dello stesso Cecco (o di chi per lui), dall'unico Chigiano (lxxxvii 14),
mi vanno in gola, e gi danno volta
non sia meglio restaurabile col supplemento [la] volta, congruente per esempio all'uso di Dante
(canzone E' m'incresce, v. 21).
Sono questioni di discrezione, anzi di discretio. Semmai, nell'ordine prosodico, saranno leciti singoli
acquisti, come la misura piana dei vocaboli sdruccioli che, al modo del pi antico francese, sar da
accettare nel Serventese del Maestro di tutte l'Arti, dove non pu essere un caso che sembrino rendere
ipermetri i relativi versi (88, 118, 119, 175) adomestico, rethorica, gramatica e musica, femmine (non
andr letto allo stesso modo l'apostolico di Monte, citato sopra?); o il valore monosillabico cii veglio (a
mimetizzazione del gallicismo) nel sintagma Veglio de la Montagna, crescente in Betto Mettefuoco
(Amore, perch m'hai, v. 52), nel Mare amoroso (v. 30) e ancora nel trecentesco Orlando addotto dal
Mazzoni; o l'enclitica provenzaleggiante m (tradizione mi), restaurabile nel Notaio, canzone Poi no mi
vai, vv. 22 e 26, e discordo, vv. 66 e 94, e tuttora nel Mare, vv. 92 e 331.
II
Altrettanto a prima vista, si faranno incontro al lettore novit di qualche rilievo nella rappresentazione
grafica.
Meno importano quelle che riguardano il vocalismo. Si cos esperito il tentativo di conservare,
contrassegnandole col puntino espuntorio, quelle vocali finali (pi di rado interne) che una tradizione
organica mantiene, mentre la prosodia ne prova la caducit: sono, s'intende, quelle del milanese di
Bonvesin, che nelle mie edizioni erano state soppresse; e sporadicamente altre, anche toscane (per
esempio nel citato veglio monosillabo). Altrettanto conservativo, ma questa volta incidendo sulla fonetica,
il trattamento della rima siciliana e sue varianti. Non parlo dei testi della 'scuola' in senso proprio, nei
quali, giusta la formula media del Tallgren, la sicilianit, in rima e fuor di rima, risulta acquisita, quando
l'alterazione si contenga in limiti puramente formali, al massimo della documentazione diretta. Parlo della
rima siciliana dei toscani e limitrofi, che, dove la tradizione manoscritta concordi, stata interpretata non
gi come offuscamento di un'identit fonetica e grafica (documentabile con esempi numeratissimi), bens
come un legittimo istituto culturale, per cui la rima di con o di con non offende pi di quella di
con o di con . Qui la prassi su cui innovare si richiamava con maggiore autorit al nome del Parodi, e
sulle sue orme del Barbi: ribaditori d'una stretta osservanza che non pi antica della tradizione fiorentina
del secondo Quattrocento, di quella che chiamo volentieri filologia laurenziana, e si attua principalmente
nella Raccolta Aragonese e nelle prime stampe. Anacronistico trasportare a ritroso codesto gusto fra gli
stilnovisti, Dante, Petrarca, per dir solo i classici di pi quotidiana frequentazione. Ma da che un'edizione
ormai meritamente diffusa della Commedia, quella del Sapegno, ha accolto l'appello per ripristinare in
lume il famigerato lome del canto di Farinata, il restauro del secolare equivoco pu dirsi avviato sul pi
largo mercato dei consumatori di poesia, quello liceale.
Accadr altrettanto per il consonantismo? Qui due sono i punti essenziali, pertinenti entrambi alla
questione delle geminate, nella fonetica del vocabolo isolato e in fonosintassi. Colpisce, in concomitanza
con un dato acquisito alle grammatiche storiche, la frequenza con la quale alcuni antichi manoscritti
toscani semplificano le doppie protoniche, accanto a quelli che indiscriminatamente tendono a
rappresentare col segno semplice tutte le geminate, senza riguardo all'accento (esempio pi illustre il
Vaticano 3793). Si parte, per intenderci, dall'abelliscono del Ritmo Laurenziano (che peraltro potrebbe
anche essere un gallicismo), cio d'un testo ordinariamente ricco nella rappresentazione delle geminate.

Tale esperienza autorizza a una larga conservazione dell'uso manoscritto nella detta posizione, in modo
particolarissimo nel prefisso verbale a- (istituto morfologico per gran parte di ascendenza transalpina), la
cui renitenza alla geminazione , se non proprio una costante, un fenomeno a elevatissimo indice
statistico nelle antiche scritture italiane, quali ad esempio i canzonieri Palatino e Chigiano, non di rado lo
stesso Rediano.
In sandhi era largamente rappresentato il raddoppiamento o rafforzamento fonosintattico, con speciale
frequenza nel Chigiano. Anche qui si data larga udienza, particolarmente in alcuni settori dell'antologia,
all'uso dei codici (e anche al raddoppiamento in in e non pi vocale), adottando per la separazione dei
vocaboli il punto in alto che dalla filologia provenzale viene man mano conquistando l'italiana. In un
autore come l'Angiolieri, di cui appunto il Chigiano notoriamente il manoscritto fondamentale, codesta
grafia d un utile rilievo immediato, se non erro (e se non errava il Massra dell"editio maior), all'aspetto
relativamente vernacolare del dettato, la cui realizzazione fonetica affidata, prima ancora che
all'automatica interpretazione della lettura toscana, e peninsulare in genere, al mimetismo non
intellettualizzato della grafia. Casi particolari poli-anno rivelarsi di qualche interesse linguistico, come la
formula apo-mme del Chigiano (precisamente presso l'Angiolieri, cxxxviii 7), che, inquadrandosi nella
regolare scrizione apo> sembra parlare per l'etimologia tradizionale apud (e qui come in generale la
fenomenologia del cosiddetto raddoppiamento meriterebbe una ricognizione pi accurata).NOTA2 O si
consideri, all'inverso, la scempia di altretale (Favolello 63 ecc.), altretanto (ibid. 62 ecc.), probabilmente
con oltremente (Tesoretto 809), che non sar da ricongiungere col notissimo altre 'altri' (per esempio di
Gianni Alfani, vii 8), a prova che la doppia attuale procede da una successiva rietimologizzazione con et
(cfr. gi altress nel Mare amoroso, v. 216), mentre l'-e primitivo andr riportato ad aliter immanente
nella formazione del veneto (e del castigliano) -mentre per -mente.
Un corollario notevole del primo di questi fatti merita evidenza: la semplificazione delle doppie
protoniche si verifica anche in fonosintassi, e torna ormai agevole rispettarla con l'accennato stratagemma
grafico, in casi come pe.rima (Tesoretto 909, 1117) o, attraverso l'obbligatoria apocope, de.legnaggio,
de.lin o ta.lezzo (di Rustico), lo.ritegno o pu.ristringe (Teso-retto 833, 2760). Ma si va oltre, perch la
doppia semplificata pu risultare da un'assimilazione, con la liquida iniziale, di -l, cos ma.riguardo
('Tesoretto 2053), o di -n, cos gra.larghezza, u.laido, vie.la (Tesoretto 1390, 1632, Favolello 85),
addirittura, investendo il morfema distintivo, faccia.risa (Tesoretto 1749). Il caso-limite quello in cui
attraverso la semplificazione sparisce un terzo elemento gi autonomo, ovviamente un'enclitica ridotta
alla sola consonante: e.lodo per e 'l lodo (Tesoretto 603); che addirittura potr essersi, preliminarmente,
assimilata: dentile da denti.lle per denti 'n le (Rustico, V 923, v. 5). La soluzione adottata, mentre
osservante della realt e d'altra parte non consente equivoci, evita integrazioni quali tutt'i giorni accade
altrimenti di postulare: se il supplemento si accetta, sia chiaro che esso ha un puro valore diacritico.
iii
Quanto alla sostanza della lezione presentata, essa si limita a compiere il suo dovere se si giova d'una
miglior ricognizione dei documenti. Questa psicologicamente tanto pi malagevole quanto pi si
esercita su manoscritti di testi vulgatissimi, che spontaneamente si tendono a leggere, cio interpretare,
nel modo ereditario. giusto che in limine faccia ammenda anch'io di codesta inerzia (o la si chiami, con
metafora economica, vischiosit), a proposito d'un restauro certissimo che ho riconosciuto troppo tardi. Al
v. 12 del Contrasto di Cielo il manoscritto unico (il canzoniere Vaticano) legge caisi m'tperdera,
variamente supplito dagli editori, talora con quell'intelligenza che, nel corto circuito d'una posticcia
autonomia, smarrisce la sua funzione strumentale e svia dal rispetto sincero del fatto. Ora, le due sillabe
mancanti nel manoscritto ci sono. Dopo l'emistichio dispari del verso precedente, se li cavelli
artn[n]iti, infatti un dona espunto, che non n ripetizione n preannuncio di un riconoscibile
vocabolo vicino: sar dunque l'erroneo anticipo del secondo anzich del primo emistichio successivo,
cacciato dal posto usurpato ma non ripristinato in quello giusto (il che tra l'altro sembra parlare, in questo
punto, per tradizione scritta); e il nostro emistichio andr letto
donna, c'ais mi prder

(il provenzalismo aisi compare, secondo lo stesso canzoniere, e secondo esso soltanto, al v. 49 di
Donna amorosa di Pietro Mo-rovelli, oltrech nella canzone di Auliver, vv. 18 e 21). Mi lusingo perci di
essere autorizzato a fornire un succinto campionario di letture migliorate da manoscritti, com' il caso
precedente, unici, temendo solo di aver lasciato troppo pascolo alle future diligenze.
Ritmo Cassinese, v. 21. Va letto non reguare, occasione a molti deliri esegetici, ma regnare, che
beninteso il triviale provenzalismo per 'vivere' (un' n identica ha desplanare 18). Il passo va perci
ricostruito, con un supplemento che restauri l'ottonario:
Ai, dumque pentia null'omo fare
[en] questa bita regnare,
deducerc, deportare?
(col fare modale studiato dalla Ageno sulle orme del Tobler, di cui sono copiosissimi gli esempi,
Alessio 175; Jacopone, vi 36 e xci 361; Giostra 372; Patecchio, Splanamento 338, ecc.).
Ruggieri Apugliese, canzone de oppositis, v. 7 (unicum del Vaticano). Va letto non enuidioso ( = e
'nvidios), ma, mi par proprio, enodioso, che migliora il contesto (cortese e villano enodioso, al
massimo ... e no(d)ioso) e ripristina il vocabolo (enoios) contenuto due volte nel modello occitanico, la
canzone Savis e fols di Rambaut de Vaqueiras.
Detto del Gatto lupesco, v. 80. Va letto non cosieci, divisibile in pi modi, ma cosicci ( = cos.cci), che
libera dalle perplessit inerenti all'una e all'altra soluzione.
Giostra delle Virt e dei Vizi, v. 251. Va letto non infreca, la cui connessione con 'freccia' lascia buio il
passo, ma infiecqa, derivato da quel fieccia 'feccia' che ancor oggi vive in tanti dialetti italiani, dal Lazio a
Lucca e a Ferrara, e bene s'intona col letame contiguo. Dunque:
c'a.mme incressce tua voce,
ke losenga lu core
et infieca clamore
de lotam puculente
(dove probabilmente sar da correggere clamore in l'amore).
Nella Giostra stessa, v. 580, e fontal petate (cos il codice) d lo splendido senso che la lettura fo 'n
tal occultava del tutto. Per quanto infatti si stia all'erta in materia di interpretazioni per divisione, solo il
ritorno al manoscritto sana in fatto molte cattive analisi passate in giudicato. Anche in questo settore pi
dimesso il raccolto non scarso. Cos nella canzone di Auliver, v. 40, il manoscritto (Barberiniano) d
chaor, cio ch'aor (non cha or), conforme all'esito di au, lettura che si ripercuote su bramao, diventato
improvvisamente ipometro, cio da restaurare in -ava (ma proprio cos nei due versi precedenti vanno
corretti gli altrettanto ipometri cuidaf, del resto con f da u, e amaf: la precoce introduzione del tipo
'amavo' per amabam - siamo circa il 1330 - un'innovazione di Nicol de' Rossi, NOTA 3 o del suo
antigrafo, a patina dell'originale). O si veda il frammento Papafava [ma ora cfr. p. 210], ai vv. 64 e 68: il
ritorno a igera, cio ig' era (non i gera)y sopprime l'antichit di gera.
0 ancora il Tesoretto, v. 1321 (dei tanti, stavolta, manoscritti penso al Riccardiano): divider mi sconto
chi non ravvisi in misconto il gallicismo 'sbaglio il conto'. Non mi dissimulo, beninteso, che si d pure il
caso contrario: in un torturato passo della canzone de oppositis, vv. 71-2, il testo

[R]ugg[i]eri Apugliesi conti,


Dio!, con' vive a forti punti
(ossia 'racconti, oh Dio!, come vive in estreme difficolt') si ottiene soltanto frazionando il secondo
vocabolo del secondo verso.
Non so se sia superfluo precisare che, non dico all'esatta lettura, ma alla stessa lettura paleografica, pu
ostare l'incomprensione del contesto. Che cosa mai poteva impedire al Lagomag-giore di leggere un verso
fisicamente chiarissimo dell'Anonimo Genovese quale (cxxxviii 130) leticie, vai e i arcornim, limpido
almeno per il vocabolo iniziale che proprio il pi oscuro all'editore, se non la mancata conoscenza del
francese letice (poi -isse) per 'donnola bianca' (o addirittura, che non fa al caso nostro, per 'ermellino')?
Qualche volta, per ragione della detta vischiosit ecdotica, l'accertamento della lezione manoscritta
rimane sterile agli effetti editoriali: l'Arese, nel suo meritorio rifacimento della Crestomazia del Monaci,
ha visto bene (e ha stampato) che nel v. 33 di Cielo sta pr- e non per-cazala (i compendi del Vaticano
sono simili ma distinti), riproducendo pi da vicino, con tanti altri gallicismi, porchace 'incalza', ma lascia
all'utente di correggere mentalmente nel testo D'Ovidio anche l'errore di lettura.
Non vi quasi testo (e ci valga a far dimettere a tutti noi editori ogni jattanza) che non si avvantaggi
della revisione. Se
si dicesse che il Rajna, che era il Rajna, nel pubblicare il pi volte citato Serventese del Maestro di tutte
l'Arti, legge non so quanti h, con ben sorprendenti corollari, per una foggia un po' meno usuale di k? Ma
per alcune scritture il restauro, fuso con inevitabili correzioni, appare tanto copioso da mutarne la
fisionomia. il caso fra molti del cosiddetto Sirventese lombardesco (per cui sguita a parermi suggestiva
la proposta bertoniana di Sordello), che ad esempio si pu depauperare di forme strane, come g, che
esige il supplemento a, nel secondo emistichio del v. 63, dov' invece un g a, da intendere, al lume di
cogso = conquiso 66, qui [q con abbreviazione] a (non de q[ui] a Fermo); e arricchire, tornando al
codice, d'un bell'occi-tanismo quale (15) dret qu'onor nou.s covra o d'un'esatta distinzione quale sol
mondase 45 (ma naturalmente il rinnovamento dell'aspetto complessivo qui si raccomanda soprattutto a
letture di cui non si sa dire se siano pi interpretazioni o correzioni, quale dir 23 per un vocabolo ricalcato
e mal trascrivibile, o addirittura a congetture franche, quali contra 26 per cornta, sent 72, gi dello
Spitzer, per sem [de l'enoia - qu'eo sent e sofr' e duro]).
L'esame del documento agli stretti fini della lezione conduce per una volta a varcare questo piano. Si
sa che il manoscritto Molfino del cosiddetto Anonimo Genovese consta di due parti vergate da mano
diverse e di numerazione non congruente, la prima mutila in fine con molto spazio bianco, la seconda
acefala. Il Parodi si accorse tardi di cosa sfuggita al Lagomaggiore e a lui stesso, cio che il testo il
medesimo: la descrizione e l'elogio di Genova fatto in viaggio durante la tappa di Brescia (cxxxviii). Pi
curioso che, sul momento stesso della rettifica, egli non riconoscesse, n lo riconosce la pi recente,
minuta descrizione del codice (fatta in occasione della scoperta del frammento d'un altro), la perfetta
continuit del testo senza la minima lacuna. Anche qui si verifica dunque una circostanza che banale
solo in altri ambienti culturali (si pensi alla funzione della pecia): a due distinti scribi era stata affidata la
copia delle due sezioni in cui era stato diviso l'esemplare.
iv
Il discorso verteva fin qui su manoscritti unici. L dove la tradizione plurima, si naturalmente
procurato di allestire un testo critico, cosa che era stata fatta, sia pur non sempre con rigore, quasi solo
nell'ambito della lirica. L'aporia del tempo del Monaci, per cui d'un medesimo testo si potevano
riprodurre i vari testimoni senza proporsi alcuna ricostruzione (e ci anche quando essa risultasse compito
d'una paleontologia ben elementare, come nel caso di fra Giacomino, i cui quattro manoscritti sono, del
resto ancora utilmente, allineati dal Barana), era comprensibile forse nel momento della raccolta e della
classificazione: ripeterla oggi, come per fortuna non accade pi di frequente, sarebbe sprovvedutezza o
pigrizia, che male si ammanterebbero del paravento bdieriano, come se i principi, assunti a dogma, del
grande francese non insorgessero al termine d'una lunga, impegnata, drammatica carriera lachmanniana.

Si chiami pure neolachmanniano l'atteggiamento che, ovunque fosse possibile (e cio non ricorressero
rimaneggiamenti redazionali), ha guidati collaboratori e compilatore, legati da una fitta conversazione,
nella costituzione testuale: i benefci del neolachman-nismo sono visibili, per dare solo esempi massicci,
nel progresso e nella novit conseguiti dalla Ageno per Jacopone, dal Favati per Cavalcanti.
Tolto il caso di Jacopone, non si pu dire che le posizioni siano state spostate dall'acquisizione di nuovi
manoscritti decisivi. L'uso del codice di Bruxelles (gi Fox), semplicemente noto al Wiese dell 'editio
minor, per il Tesoretto, o quello del Fermano, segnalato dal Quaglio, per Folgore si rivelato di utilit
assai limitata. Tuttavia dei guadagni pur minimi che si posson sempre conseguire grazie alle voci nuove
dar un esempio, perch riguarda il restauro di componimenti che, essendo indirizzati a Dante, sono
entrati nel corpus dantesco ufficiale e nella memoria di tutti. Le terzine del sonetto (Angiolieri, cxxxvi)
Dante Allaghier, Cecco, tu' serv' amico, secondo la lezione fornita dal Barbi alla Dantesca (ma quasi
identica a quella del Massra), suonano
Ch'ai meo parer, ne l'una muta dice
che non intendi su' sottil parlare,
a que' che vide la tua Beatrice;
e puoi hai detto a le tue donne care
che tu lo 'ntendi; e dunque contradice
a se medesmo questo tu' trovare.
Strano in lingua italiana a 11 del Chigiano, con funzione 'genitivale', a ripresa del prolettico su': il
codice Landau 89 (ora in deposito presso la Nazionale di Firenze), dove m' avvenuto di ritrovare questo
sonetto, conferma il di del tardo Casana-tense. Quanto a tu 13, un elemento estraneo interpolato dal
Cittadini (Chigiano E pu' lo, ripetendo erroneamente l'inizio di 12; Casanatense, per tacere dei suoi
parenti, Chellantendeno): il Landau, con E bello, abilita alla ricostruzione, che direi sicura, che be llo
'ntendi (confermato dal verso di Dante s ch'io lo 'ntendo ben, donne mie care). E il Landau, circa l'altro
sonetto Dante Alleghier, s'i' so' buon begolardo (cxxxvii), serve a tingerlo di sfumature locali, sughi (o
anzi lo' sughi) 4 per (ne [o vt\) suggi, pugnerone 14 per pungiglione o simili (pugnatone, pugnalone,
pugnolone sono forme amiatine e aretine); mentre, arbitrando il conflitto tra Barberiniano e Casanatense
(e affini) piuttosto a svantaggio del meno recente, ma non a detrimento della poesia, contribuisce a
fermare cos i vv. 12-3:
E se di tal materia vo' dir pie,
Dante, risponde, ch'i' t'avr a stancare.
Qui si fa, dunque, ordinaria amministrazione di lachmannismo, senza problematica di rilievo
metodologico generale. La sola esperienza di qualche significato uscita dalla recensio della tradizione
manoscritta a pi voci spetta ai limiti della tradizione orale. Era gi chiaro che le anomale costellazioni
della tradizione dei sonetti per i mesi di Folgore, non potendosi far risalire seriamente a un incrocio di
collazioni (com' patente per il ramo del Tesoretto che si oppone al fondamentale manoscritto
Riccardiano), dovessero dichiararsi da 'tradizione orale'. Che dove non si riesce alla formazione di stemmi
coerenti, la tradizione sia orale e non scritta, aveva tra l'altro concluso plausibilmente (se pure
erroneamente in linea di fatto) l'ultimo scritto del Rajna, quello sul Saint Alexis Vaticano; ma nel caso di
Folgore si vuol dire soltanto che quella tradizione, pur di carattere scritto, subisce le alterazioni peculiari
ai testi che i copisti sanno a memoria e che sono ricchi di simmetrie e richiami interni, cui viene ad
aggiungersi il contrappunto della parodia (Cenne). Ora dal lavoro di confronto a cui obbliga la scoperta
del manoscritto Fermano vien fuori una conferma oggettiva: su singoli manoscritti di Folgore rifluiscono
lezioni di Cenne. Cos in il 2, che io ricostruisco corte con fuochi ed in salette accese (sottintendendo a
in un 'essere, stare', conforme alla lassa sintassi di Folgore, che coordina sostantivi, infiniti, complementi

e predicati), alle salette o sale o affini il Fermano, solo, oppone un sana fumo che richiama per antitesi
alle corti con fumo di Cenne. In vii 14 (ch'a tutto '1 mondo siano graziose) il Magliabechiano, solo,
legge a Dio e al mondo come Cenne. Corrobora la natura del rapporto la vicinanza inversa della
redazione Chigiana di Cenne a Folgore (o a suoi singoli manoscritti): in vii 1 essa legge non Di giugno
siate in tal[e] campagnetta, ma, press'a poco come Folgore (che ha dovi o s vi do), ...vi dono una
montagnetta; in vii 6 non che mille parte faccia..., ma che faccia molti rami... (Folgore e faccia
mille rami..., ma molti il Chigiano e il Fermano); in xi 9-10 e 12-3, abbandonando del tutto l'originale
noto dal Barberiniano per lezioni vicinissime a Folgore, A terza vi leviate la mattina, Non vi laviate n
viso n mani e sarete pi sani Che pesce in acqua chiara di marina; pi significativo il tanti (come
in Folgore) per alquanti di x 1, erroneo perch il vocabolo in rima al v. 4. Si concluder che proprio la
tradizione orale (pur nell'accezione limitativa qui precisata) si definisce razionalmente, cio per 'strutture'
particolari dei fatti.
ovvio che anche una situazione da metodo lachmanniano, cio con testimoni multipli, non mortifichi
l'emendazione, in in quanto essa tenda a ripristinare una lectio difficilior alterata o una volta nell'archetipo
o, che sar il caso pi frequente, indipendentemente in pi derivati. Ne do qualche esempio, per mostrare
che neppur qui (ma forse mai accaduto, da Gaston Paris in gi?) l'elaborazione d'uno strumento atto,
almeno nell'intenzione definitiva, a consentire l'automatismo, qual lo stemma codicum, sopprima
l'attivit congetturale, anzi in fondo, assegnandole un alveo preciso, la favorisca.
Notaio, canzone Ben m' venuto, v. 40 (ultimo), chi sofra vince e compra ogni tardanza: compra
'riscatta' rende conto di sconpra (con altro sostantivo) del Palatino, sgombra (anticipato) del Vaticano,
conpie (pure anticipato) del Rediano. (Tra parentesi, sofra, a rigore interpretabile quale congiuntivo, sar
indicativo, come altra volta, per esempio in Petrarca, ccv 5 [imperativo], o come il dantesco cola, o il
pigna 'spinge' di Teso-retto 2779, spigna 'spegne' di Paganino, Contra lo meo voler, v. 48, spegna di
Arrigo Testa, v. 43, cfr. lo spingate di Rustico, V 921, v. 14, lo spingava di Inf. xix 120 e lo stesso
toscano provinciale odierno).
Guido delle Colonne, canzone Gioiosamente canto, v. 57, Cos mi tene Amore - corgaudente
(tradizione lo core gaudente)si ripristina, anche se non sia strettamente inevitabile, un composto, non
altrimenti attestato, di gusto provenzale, in antitesi a cordolh, cor-dolor.
Stefano Pro tono taro, canzone Assai mi placeria, v. 36, una pulcella vergine dicata (quella che
cattura l'unicorno): il latinismo dicata si ricava da ditata del Barberiniano, dorata del Vaticano, innaurata
del Rediano, sprovvisti, direi, di senso plausibile.
Ruggieri Apugliese, serventese Tant'aggio, v. 36, lignimaestro: , sul tipo di
lignifaber, per l'ipermetro e di legname maestro della tradizione.
Brunetto Latini, Tesoretto, v. 663, d omo accivire, del solo Riccardiano, gli altri antivedere o cosa
simile (continua ci che porria seguire ecc.): anti civire (chevir usato nel Tresor) sarebbe pi
rassicurante, contribuendo a eliminare un'importuna dialefe.
Id., ib., vv. 2624-6, Cos convien che muoia Superbia per soperchio Che spezza ogne coperchio:
superbia (ma di questo primissimo fra i peccati capitali si sta appunto parlando) surroga un altro
soperchio anticipato dalla tradizione (e al massimo si potr correggere soperbio o sua variante). In questo
caso, palesemente, il guasto risale all'archetipo; mentre nel precedente a una lieve corruzione del
Riccardiano si affiancava una trivializzazione di quell'antigrafo a cui, come par di vedere attraverso la
rete delle collazioni, risale tutta la restante tradizione.
v
Se dalla questione strettamente testuale si passa all'interpretazione, meno facile, di tante proposte
nuove, e anche astraendo da quelle contestuali per limitarsi a voci singole, sceglierne di convenienti a
illazioni generali. Ecco, tuttavia, una brevissima serie, a indicare l'opportunit di non desistere nemmeno
dopo il passaggio di curatori valenti, o magari numerosi.

Sant'Alessio marchigiano, vv. 64-5: Sire Deu, tunce pia La nostra prece a-neve sia (con pia, come ha
visto bene lo Spitzer, predicato di la nostra prece). Tunce non sar tunc, pi esattamente (come per
entonces preferisce il Corominas) l'arcaico *tunce 'allora', o meglio (come nelle forme settentrionali
addotte dal Meyer-Lbke, REW. 8983) 'dunque'? L'area conservatrice subirebbe un'estensione congrua
alla circostanza che degli otto esempi epigrafici di dunc da rifacimento di dum su tum/tunc quattro
appartengono all'Italia centrale (Wartburg, FEW, in 179).
Mazzeo di Ricco, canzone Sei anni ho travagliato, vv. 51-2: Imperci ch'ai malvagio pagatore Vaci
omo spessamente. Si propone d'intendere vaci come semplicemente 'va', conforme al messinese
moderno (cfr. Piccitto, in Lingua Nostra, x, 1949, p. 35). L'influsso analogico di face si esercitava del
resto anche in Toscana: si veda il sace attestato nel 16 proverbio di ser Garzo e, per entrare addirittura in
Firenze, nel sonetto di ser Pace a ser Bello.
Brunetto Latini, Tesoretto, vv. 2495-8:
Adunque, omo, che fai? Gi tome tutto in guai, la mannaia non vedi c'hai tuttora a li piedi.
Nel testo dei precedenti editori, con un punto fermo dopo guai, fosse poi il verbo tome o torna, e uno
interrogativo dopo piedi, il secondo verso restava, se non erro, incomprensibile. Ma si schiarisce quando
gi sia inteso non come avverbio, bens, alla francese, come congiunzione.
Detto del Gatto lupesco, v. 63: e terra Vinenpum e Bel-lecm. Il manoscritto ha proprio cos: ma non
dubbio che lo strano paese che compare fra tante contrade e figure esotiche sia, per un curioso equivoco
(non so se del menante o dell'autore), la terra viventium dei salmi (26, 13; 51, 7; 141, 6) e dei profeti:
Isaia, Geremia, Ezechiele.
Rustico Filippi, sonetto Se no l'atate, vv. 10-1:
ond' eli' ha s perduto il manicare, che si suol s atar per ficazone.
Le interpretazioni correnti dell'ultimo verso danno a suol un valore di presente. Ma normale che il
presente di solere in antico francese e provenzale, da cui anche l'italiano perlomeno fino a Michelangelo
(I' mi son caro assai pi ch'i' non soglio), sia traducibile col nostro imperfetto: la Mita aveva, dunque,
appetito nel passato. Questa piccola chiave consente d'intender meglio il passo, riferendo che a ella (e
pensando che il francese sol aidier vale 'essere in possesso delle proprie forze, cavarsela (con), intendersi
(di), appoggiarsi (a)'), di tradurre cio 'lei che per solito si rimpinzava tanto'. Lascio di ribattere le
insinuazioni equivoche, ma ho nostalgia della crestomazia che si potrebbe compilare, vuoi a ricreazione
dei colleghi vuoi per comodo dello psicanalista, coi luoghi innocenti tratti a interpretazione oscena per
opera d'integerrimi padri di famiglia, modelli d'ogni domestica virt.
Tuttavia un sussidio specialissimo all'esegesi verr da una maggior attenzione all'orizzonte regionale su
cui nascono i singoli testi. Sia, ad esempio, la Giostra delle Virt e dei Vizi, la cui localizzazione bene
accertata, e pu semmai solo subire ulteriori collaudi: penso a stactima 'siamo' 480, conforme a un tipo
che dalla buona tesi di Heinrich Schmid risulta ancor vivo fra Macerata e Teramo (ma Y-a apparterr allo
strato vernacolo sovrapposto, cos come vi un'opposta vernice banalizzante); penso a plantu 559, che,
trovandosi in rima con -entu, e fuori della sfera culturale francesizzante in cui possibile la rima di an
con en, sar da leggere plentu (o pientu), come nel piento della limitrofa Umbria (piegnere del Bestiario
eugubino). Una parola difficile compare al v. 117, l dove si descrive la famelia pesscima di Babilonia.
Superbia e le sue compagne:
l'altre fay s gran cama corno io t'aio ad contare, ke chi ne p scanpare
be.llu tengo valente.
L'editore interpretava 'chiama', con riflessi (non irricevibili) di natura fonetica, su cui non insisto, ma
con guasto del senso. Se per si pensa al canta 'pula, loppa' dell'abruzzese moderno (e il Vignoli lo d

anche da Amaseno), bisogner concludere per qualcosa come 'polverone'. Ancora: in esso quanto 271
(Bene li nostri prendese, set non vay esso quanto Lu toy cavaler finu) si pu leggere 'immediatamente',
a lume dell'abruzzese acquan-de> reatino acquantu, 'in questo momento'. O infine, l dove si legge (vv.
369-70):
Et de lu soy pagese
omne cresta ammuriata,
brano che si prestato a strane elucubrazioni, basta riflettere all'aquilano murana e al pure abruzzese
mura 'ombra' (che va col murila 'meriggiare' di tanti dialetti meridionali) per ricavarne un eccellente
ammuriata 'abbrunata, abbuiata'. E si aggiunga: quale sottoprodotto di codesto esame pi minuto, o, se si
preferisce maggior solennit di linguaggio, per eterogenesi dei fini, si possono ritrovare dati che valicano
l'utilit dell'esegesi e prestano un puro interesse linguistico. In effetti, adsalipsili 'li assale' 41, smarissili
'li fa smarrire' (?) di un passo forse interpolato (dopo 44), d'altra parte scudura 183, in quanto opposto ad
arcora 255, non si possono interpretare che come un raro tipo di armonia vocalica (penultima di
proparossitoni condizionata dalla tonica) a cui non soccorrono paralleli noti che remoti e nello spazio e
nella fenomenologia (cfr. Bertoni, Italia Dialettale, 40; Rohlfs, Historische Grammatik..., 332).
Mi pare utile precisare che la descrizione dell'orizzonte regionale torna utile anche per testi toscani. Un
esempio da Rustico: il suo pirgopolinice, si sa, burfa spesso a guisa di leone (sonetto Una bestiuola, v.
10); e con ci 'sbuffa', forse, o 'sbruffa'? Direi che la sonora aspirazione avvenga, semmai, all'indentro; e
qui, se per ora non aiutano Chianti o Mugello, il soccorso viene da Arcevia, dove burfo significa 'sorso'.
Ma certo l'orizzonte pu essere assai pi prossimo. Nel sonetto di Folgore per gennaio si propone quale
piacere (v. 5)
treggea confetta e mescere a razzaio,
dove l'ultimo vocabolo, scritto separato o anche unito (arazzaio), era inteso come nome di vino
frizzante, quasi si trattasse di razzese. Il toscano, almeno in Versilia (cfr. Pieri, nel Supplemento v
dell'Archivio glottologico italiano, 1898, p. 162), conosce per razzato o rezzaio (e infatti i codici
toscani di Folgore hanno a.(r)ezzaio o i.rezaio) col valore di 'luogo freddo' (da cui numerosi toponimi). Se
ne ricava che quella clausola di verso vale 'mescere, bere vino in luogo freddo': la volutt consiste nel
combattere il gelo con ogni fomento, di fuoco, di coperte, di lane di Douai e di Arras (doagio e racese),
infine di robusto alcoolico.
O rivolgiamoci al parodista, a Cenne: nel cui sonetto per aprile, v. 5, i birri romaneschi e di
Campagna fanno una stravagante apparizione manesca se, come si suole assumere, si tratta (e
precocemente) di 'sbirri', in veste, oltre a tutto, di teppisti (Notevole, pu infatti glossare un attento
esegeta, mettendo preterintenzionalmente il dito sulla piaga, l'antichit dell'esempio, col significato di
'malandrino'). E se s'interrogasse la parlata locale? Vocabolari dialettali e la carta dell'AI S. apprendono
che il tipo birro 'montone' dalla Toscana meridionale (senese-grossetano, cfr. forse i beri del Maestro di
tutte l'Arti, v. 88) per il nord dell'Umbria e delle Marche raggiunge la Romagna (br)\ e qui non importa
determinare se sia tutt'una cosa coi settentrionali *berrulo e *barro (rifatto sul plurale *berri?) o con certe
formule di richiamo per i greggi ovini (voci di questo genere da immotivate rischiano sempre di rifarsi
volta per volta fonosimboliche, secondo una periodicit di semanticit ed evocazione che pu turbare solo
etimologisti rigidi); mentre mi par certo che il tipo b-, vir(r)o 'tacchino' (da cui anche billo, per il solito
ricorso di motivazione), essendo perfettamente limitrofo al precedente ma non mai, sembra, puntualmente
confuso, si chiarisca metaforicamente come il 'montone da cortile' e contribuisca ad estendere l'area. Nei
versi di Cenne si parlava gi di tafani e di asini: non opportuno rimanere nella fauna? (Fra parentesi,
stupisce che i consecutivi marri de pian de Romagna siano delle 'marre', ossia dei 'man-aiuoli': o che
molestia possono mai recare i guastatori, i genieri? In romagnolo mar vale 'ramarro'. Mi pare un animale
suscettibile di porre la sua candidatura in calce a un elenco tanto zoologico). S'intende che la pugna
scatenata da ciascun birro sar femminile, non neutro plurale, con di partitivo.
Anche in punti minimi far mente locale pu servire. Il polcinello di Cecco Angiolieri (vili 13), ad

esempio, non un generico 'doppio diminutivo' o 'pseudodiminutivo': no, ancor oggi termine specifico
per designare il 'pulcino', o magari 'l'ultimo della covata', in un'area che, come mostra l'AIS., investe il
sud delle Marche, l'Abruzzo, l'Umbria e, comparendo a Pitigliano, evidentemente includeva il sud della
Toscana; cerne 'staccia' (lxxii 6), se pur il sonetto di Cecco (si badi che una vera e propria citazione
dell'inizio nel Corbaccio), nel Seicento era sentito come senese (cfr. Castellani, in Lingua Nostra,
vili, 1947, p. 70). I particolari si affittiscono presso autori finora mal studiati che escono da codeste
province di Toscana o da regioni di confine col Lazio e l'Umbria. Penso a Ruggieri Apugliese, dove
hanno rilievo locale forme come igne parte 'ovunque' al modo francese (che trova conforto nell'igni di
Lucca e Livorno, 'gni in Versilia e gi nell'antica Siena), o gualke 'gualchiere' (attestato fra l'altro negli
Statuti senesi), o e' articolo singolare (Sommi guardar quando mi mette E' dubbio in forse), o la sillaba
iniziale di guormenella, o ancora sonno (per sum e per sunt), giuderi, povaro e simili, kesto, abbo (anche
desinenziale), tagli 'tali' (monosillabo) e simili, in issavia 'sbito' (per verit tipo anche di Brunetto),
viega 'bieca, guercia' (se comparabile all'alternanza biegio/viegio), die 'deve' (pi senese che fiorentino),
kostune 'disputa' (cfr. il romano e aquilano costione); e perci, posta la concorrenza di mullaro nel codice
lucano e mugniaio nel fiorentino, s'instaura mullaio (conforme al mollarius di Todi e delle Marche).
Penso all'oscuro Ciuccio, dove un componimento solo associa - e, si noti, nel fiorentino canzoniere
Vaticano - puoi 'poi', l'articolo ei, fiei 'feci', le proclitiche en, de, me, il futuro forziraggio, pense ed
estense '-inse', la scrittura raigion (comune ai Conti di antichi cavalieri), e dunque indica origine, per
usare una formula larga, umbro-aretina. Ma penso, specialmente, alla spiritosa Canzone del fi'
Aldobrandino, che per un ricco assieme di fatti, evidentissimi attraverso la tenue spolveratura padana del
codice Ginori Conti, va attribuita alla regione a sud di Siena. Sono fatti grammaticali, quali fra molti
spoglie 'spoglia' in rima, dunque di terza coniugazione, e le terze plurali pure in rima multiprco e amo,
cui non sono in grado di addurre riscontri, ma che sono rifatte certo sull'analogia di piango 'piangono';
sono soprattutto fatti lessicali, quali inguadiata 'presa in isposa', canto preposizione (come in antico
romanesco), scosso 'senza quattrini', vasa 'stoviglie', se dio 'sedile', orche 'spalle' (di cui mi d un parallelo
un interessante vocabolarietto todino di Franco Mancini che in corso di stampa), de chi a 'fino a' (cos
frequente negli Statuti senesi), deriscita 'sdrucita' (il Fatini d sdrciu da Piancasta-gnaio), tamanto, in
camo 'di fastidio' (che, se pu richiamarsi all' incarnare 'molestare' di Chiaro o a Wencamato, chiarito
ormai per 'afono', del todino Jacopone, oggi ancora riesce a congiungersi agli amiatini incarna
'frastornare', riflessivo 'annoiarsi, inquietarsi', incamoso 'bisbetico').
Un risultato di carattere generale insomma l'approfondita conoscenza delle culture regionali dell'Italia
medievale, in particolare di quelle aree centrali che, trovandosi alla o sulla periferia della trionfatrice
Toscana, sono state un po' troppo sommerse dal suo fulgore. Una delle chiavi delle origini
indubbiamente la cultura dell'Italia 'mediana', che non per nulla, sotto specie di cultura cassinese, quella
di pi antica attestazione volgare. Precursore e patrono ideale di questi studi, sul terreno dialettale
moderno, si deve considerare un maestro di cui deploriamo la perdita recente, Clemente Merlo, non fosse
che per le ricerche geniali attorno alla formazione del neutro e alle desinenze di 3a plurale; sul piano degli
antichi testi, nessuno ha contribuito tanto ad accrescere il nostro patrimonio linguistico, fra Cassino e
l'Umbria, quanto Ignazio Baldelli. Altre prospezioni sono da programmare, per quanto pare a me, un po'
pi a nord, per la ragione delicata che ho addotta; qui e altrove si verranno, comunque, stringendo le
maglie dell'ideale atlante dell'antica Italia dialettale, che non vuol dire soltanto vernacolare.
E su un ultimo punto insister, perch esprime, ancor pi esplicitamente che fin qui, un desiderio, e
vorrei dire che contiene un appello. Una massa cos abbondante, e disparata, di testi esaminati, per quanto
le forze consentivano, sotto microscopio, ha per conseguenza inevitabile che essi si illuminino a vicenda.
Un esempio solo. Rustico si chiede, in uno dei suoi sonetti pi famosi (V 921, vv. 5-6):
Non vi racorda, donna, a la fata
che noi stemmo a San Sebio in tal gineccio?
Anch'io, come tutt'i miei predecessori, ero tratto a interpretare ovviamente a la fiata 'qualche volta'.
Sennonch mi poi sovvenuto alla mente il passo del Notaio (canzone Dolce coninzamento, vv. 1820):NOTA4

Rimembriti a la fiata
quand'io t'eb[b]i abrazzata
a li dolzi basciari.
Non ben singolare che col verbo del ricordo, qui impersonale, compaia un'altra volta un'espressione
avverbiale per cui lo stesso buon interprete dei 'giocosi' pu giustamente chiosare un po' una zeppa?
normale che ci si rammenti del giorno che... (Giacomino Pugliese, Ispendente, vv. 4-5, Or ti rimembri,
bella, la dia Che noi fermammo la dolze amanza) o di quando... (Notaio, discordo, vv. 152-4,
Rimembrando, Bella, quando Con voi mi vedea). E poich finalmente si rinviene in Chiaro Davanzati
(rimembrare, rimemorare costruito con a, il valore di quei passi risulta chiarito in modo soddisfacente.
Chi sa per quanti altri, tuttavia, l'illuminazione reciproca mi sar sfuggita. Non ho una memoria
elettronica; e la materia da rammemorare dovrebbe includere il pi gran numero di scritture coeve e
anche, per gli ambienti conservatori, parecchie delle pi recenti. Non c' che da cominciare a preparare un
po' di schede perforate per il nostro 'robot' filologico: allestire spogli o anzi glossari completi di pi testi e
autori che si possa, anche di breve respiro. Come gi mi accadde di suggerire altra volta, io vi esorto alle
Concordanze.
Relazione tenuta al Convegno di Studi di Filologia italiana nel Centenario della Commissione per i
Testi di Lingua (7-9 aprile i960) e stampata nei relativi atti: Studi e problemi di critica testuale ( =
Collezione di opere inedite o rare pubblicate dalla Commissione per i Testi di Lingua, 123), Bologna
1961, pp. 241-72. [L'edizione di Chiaro Davanzati preannunciata a p. 189 quella di Aldo Menichetti,
Bologna 1965. - Quello che nell'antologia e qui sopra, p. 197, si chiamava neutramente frammento
Papafava, dovr ricevere altro titolo da che un quarto di secolo pi tardi (1985) ne avvistai a colpo un
altro excerpto nella fotografia, che mi sottoponeva il Dr. Emilio Lippi, d'un foglio su due colonne,
purtroppo tutt'altro che esente da guasti, ritrovato nell'Archivio di Treviso da A. Cont. Se ne attende
pazientemente la stampa].
APPENDICE
LA GRAMMATICA DELLA POESIA
Lungamente attesa, esce finalmente la raccolta degli scritti di poetica di Roman Jakobson, il primo fra i
linguisti oggi viventi. Sotto il titolo, celeberrimo fin da quando designava solo una relazione congressuale
del i960, di Poetry of Grammar and Grammar of Poetry, essa costituisce il in dei sei volumi (di cui
quattro usciti in precedenza) di Selected Writings dell'autore (Mouton Publishers, the Hague-Paris-New
York 1981, pp. xviii + 814). Non opera omnia dunque, ma 'scritti scelti', per indicare che questa pur
amplissima silloge non intende esaurire la presunta totalit del suo oggetto, il mondo linguistico, ma
saggiarlo con indomita curiosit da sempre nuove occasioni ili pensiero. In questo, Jakobson si rivela
veramente un 'figlio del secolo', non dell'Ottocento teso alla summa, all'enciclopedia sistematica, ma di un
momento pi moderno che si muove in spazi mentoli aperti, anche se volta per volta, come ad esempio
nella teoria dei costituenti fonetici o nella stratificazione degli acquisti linguistici e inversamente delle
perdite (afasia), per citare solo alcune delle sue costruzioni pi note, intenda dare risposte compiute alle
singole domande.
Gi uno sguardo a questo libro come oggetto esterno ne scopre l'enorme singolarit, proiezione di una
straordinaria biografia. Al pari degli aliti volumi della serie, ma portando la poliglottia al limite, esso
contiene tutti gli scritti nelle lingue originali, che sono: il russo, lingua materna dell'autore (nato a Mosca
nel 1896); il francese, esperanto di ogni russo colto della sua generazione; il ceco, lingua del suo primo
esilio (Jakobson fu uno dei fondatori del Circolo linguisti!i di Praga); l'inglese, lingua della sua sede
attuale (gli Stati Uniti, nella seconda met della sua vita); il polacco, una delle sue lingue domestiche
(polacca la sua moglie e collaboratrice, dedicataria del libro, la squisita Krystyna Pomorska); finalmente
il tedesco. Ci significa naturalmente che la totalit del libro accessibile solo ni ir.tretto pubblico degli

slavisti; ma va avvertito che buona parte dei saggi leggibile in ottimo francese nella silloge, curata dallo
studioso bulgaro Tzvetan Todorov, Questions de potique (1973)
Questo caleidoscopio esterno si aumenta di uno interno ancora pi scintillante, poich i testi poetici che
vi sono esaminati appartengono, oltre che alle sei lingue di base, ad altre otto, compreso il giapponese In
vati casi, che qualche volta spettano anche alle lingue di base, Jakobson si avvalso della collaborazione
di studiosi
parlanti delle singole lingue, realizzando cos una socialit scientifica che il proprio di questo
affascinante glottologo volante, raffinato superstite di un mondo sommerso, conversatore appassionante
sempre volto a discussioni di pensiero e mai allo small talk. Con qualche civetteria sono anche localizzate
le occasioni geografiche dei saggi, che tessono una larga rete sul globo terrestre. Quanto alla
localizzazione temporale, si risale, per il saggio sul futurismo (altre pagine sui cosiddetti cubofuturisti
russi sono nel v volume dei Writings, tutto dedicato ai problemi del verso), al 1919, nella giovinezza
ancor russa dell'autore.
essenziale riconoscere il punto di partenza di Jakobson nella sua precoce critica militante (egli fu
testimone, racconta agli amici italiani, della famosa tourne di Marinetti in Russia in quell'estate del 1914
che vide scoppiare la prima guerra mondiale). Intimo sodale dei poeti rivoluzionari, specialmente di
Khlebnikov e di Maja-kovskij, e insieme attivo collaboratore dell'Opojaz (sigla della Societ di
Pietroburgo per lo studio della lingua poetica), la controparte teorica delle turbolente esibizioni
futuriste (cos in Writings, 11, p. 529), e del Circolo linguistico di Mosca, i due centri fondamentali del
formalismo russo, il giovanissimo Jakobson assisteva alla fissione linguistica operata dai futuristi e la
inquadrava nella speculazione sulla natura della lingua poetica, largamente basata su un'analisi dei canti
popolari. Cos l'attivit del professore di Harvard e del Massachusetts Institute of Technology appare
legata in non interrotta continuit coi ragionamenti e la prassi dell'avanguardia poetica negli anni della
Rivoluzione d'ottobre.
Il 1960 si pu assumere come data di nascita della grammatica della poesia (le risorse poetiche
celate nella struttura morfologica e sintattica del linguaggio, insomma la poesia della grammatica, e il suo
prodotto letterario, la grammatica della poesia) perch in quell'anno Jakobson non solo domin il
congresso di 'poetica' tenuto a Varsavia, ma pubblic l'altro manifesto programmatico Linguistics and
Poetics, dal quale nella sua relazione opera espresse desunzioni. Ma poich la metodologia trova la sua
piena validit nelT 'applicazione' concreta (a quel modo che per Croce La letteratura della nuova Italia
intese inverare la riforma della storiografa letteraria inerente all'Estetica), possiamo spostare la data al
1962, quando Jakobson esegu la prima verifica sul maggior poeta occidentale dell'et moderna,
Baudelaire, e la esegu con grande clamore, scegliendo per collaboratore nell'analisi del sonetto ('alla
francese') Les Chats un altro maestro dello strutturalismo, Claude Lvi-Strauss, e per cassa di risonanza
l'organo dell'antropologia struttu rale, L'homme. Da allora ogni 'critica del significante' (in quanto
opposta alla tradizionale 'critica del significato') si trova, nel bene e nel male, voglio dire nel legittimo e
nell'arbitrario, in forma riduttiva o con eccesso, a fare pi o meno direttamente i conti con la grammatica
della poesia.
A compiere la cronologia attinente a questo tipo di critica dello scorso ventennio, va sottolineato che nel
1964, per merito di Jean Starobinski e del grande e sempre rimpianto linguista mile Ben-veniste, si
cominci ad avere qualche informazione chiara su un tentativo di ricerca fonica nei versi esperito (e
abbandonato) dal patrono stesso dello strutturalismo, Ferdinand de Saussure: quello degli 'anagrammi'.
Partendo da luminose intuizioni sulla ripetizione dei fonemi nel verso e anche (la formul a proposito di
un inno vedico) sull'esistenza d'un'analisi grammatico-poetica naturalissima posta quella d'un'analisi
fonico-poetica, Saussure fin per specializzarle nell'inseguimento degli anagrammi o paragrammi, cio
nella diluizione discontinua in versi greci e specialmente latini degli elementi fonici di una parola-'tema',
presente o pi spesso assente (nel qual caso, ma la nomenclatura non si ben rappresa, sarebbe pi
proprio parlare di ipogrammi). Nessun poeta latino, dagli arcaici in saturni ai contemporanei concorrenti
al certame di Amsterdam (e nemmeno la prosa), sfugge al lucido delirio del ricercatore, che port al
limite insieme la fiducia e l'aporia. Una parte decisiva nella soluzione traumatica sembra l'abbia avuta
Pascoli, non rispondendo, come par certo, a un'inchiesta sui presunti anagrammi del suo Catullocalvos.

Saussure si riconobbe in fatto vittima di un'aberrazione (i particolari della vicenda sono esposti nel
libretto di Starobinski Les mots sous les mots, 1971). E qui baster annotare come simile incidente di
percorso non sia rimasto sterile, anzi abbia orientato Saussure verso alcune delle scoperte fondamentali
del Cours de linguistique gnrale, professato sostanzialmente dopo il lavoro sugli anagrammi, deviando
la sua attenzione dalla diacronia verso la sincronia, come scrive il suo editore, o pi esattamente dall'asse
sintagmatico della contiguit, dello svolgimento nel tempo, all'asse paradigmatico dei rapporti associativi
che uniscono termini 'in absentia' entro una serie mnemonica virtuale (sono parole del Cours).
Ma il discorso verte su Jakobson e sulla sua accettazione, che alla superficie parrebbe senza riserve, del
Saussure anagrammatista. In realt le differenze sono importanti. Il campionario di testi elaborato da
Jakobson esclude il latino, il greco, il sanscrito, l'antico germanico: forse perch il campo gi arato da
Saussure? (il che pu essere interpretato come adesione o anche come cautela); o non piuttosto perch
spontaneamente si rifiuta di operare su lingue moi te, a quello stesso titolo, bench inverso, in cui
l'indoeuropei sii Saussure si inibisce di eseguire dissezioni su lingue vive, a cominciare dal suo francese?
Gli esempi pi antichi studiati nella Poetry of Grammar (e anche fuori di questo volume) non varcano
mai il Medioevo (particolarmente slavo) e una fisionomia linguistica di trasparente riconoscibilit. E
ricordo come nelle sue conversazioni Benveniste ammonisse a considerare perfettamente costruibili solo i
sistemi fonologici delle lingue vive.
Nella sostanza, tuttavia, l'adesione di Jakobson al Saussure ana-grammatista, che pi generalmente il
Saussure della potique phonisante e dell'harmonie phonique, per quanto restrittive seni brino e siano
in confronto alla sua propria concezione fonomorfologica, afferma in qualche modo la continuit di cui si
discorreva. C' anche poco meno d'una congruenza cronologica. Saussure (chi morr nel 1913) attende
alla sua avventura anagrammatica fra il 1906 e il 1909; nel 1917, per incarico dell'Opojaz, Jakobson
studia in vista d'una pubblicazione che non potr poi aver luogo, l'aspri io formale dei canti popolari russi
raccolti nel Settecento. Il loro aspri to pi vistoso quel parallelismus membrorum che la cultura pi
vulgata conosce come carattere della poesia ebraica, studiato sei cu tificamente dal vescovo anglicano
Robert Lowth poco oltre la nx la del Settecento; successivamente questa propriet fu rintracciata, ricorda
Jakobson in un capitolo del 1965, nella poesia cinese, nella finnica e in genere uralo-altaica, finalmente
nella russa. Ma a quest'altezza cronologica Jakobson pu ormai estrapolare la constatazione, adottando
come propria l'affermazione fatta un secolo prima da uno dei massimi poeti formalisti, l'inglese Hopkins:
La parie artificiale della poesia - e forse avremmo ragione di dire: ogni artificio - si riduce al principio
del parallelismo. La struttura della pn. sia quella d'un parallelismo continuo, movendo dai cosiddetti
parallelismi tecnici della poesia ebraica e dalle antifone della musica ecclesiastica per giungere all'intrico
del verso greco o italiano o inglese.
Il nucleo specifico della dottrina di Jakobson consiste nell'alici mare la coincidenza del dato fonico
ricorrente con la sua portata grammaticale. Cos la rima, caso particolare e se si vuole squisito del
parallelismo (come d'altra parte l'assonanza, l'alliterazione, ecc), sar grammaticale o anti-grammaticale
(cio coincidente o non coincidente con la categoria grammaticale, per esempio parte del discorso, caso,
numero, genere, forma astratta ecc.), mai a-grammaticale: di modo che l'equivalenza sonora implica, in
positivo o in negativo, l'equivalenza semantica. Introducendo ora l'opposizione saussuriana
sopra ricordata di piano sintagmatico e piano paradigmatico, se ne ricava che la lingua poetica
caratterizzata dalla coincidenza dei due assi. Risultano cos pienamente comprensibili anche ai non tecnici
le pi citate affermazioni di Jakobson: Dobbiamo ricordare i due un 11 li basilari di disposizione usati
nel comportamento linguistico, la selezione e la combinazione [...]. La selezione (delle parole) prodotta
sulla base dell'equivalenza, della similarit e dissimilarit, della sinonimia e antonimia, mentre la
combinazione, la costruzione della sequenza, si fonda sulla contiguit. La funzione poetica proietta il
principio di equivalenza dall'asse della selezione su quello della combinazione. E: Si pu asserire che
nella poesia la similarit sovrapposta alla contiguit [al quale scopo Jakobson adotta spesso i tropi
rispettivamente di metafora e metonimia], e pertanto [auto-citazione] "l'equivalenza promossa a
processo costitutivo della sequenza". Di conseguenza ogni iterazione constatabile di un medesimo
concetto grammaticale diventa un processo poetico effettivo.
Alle affermazioni di principio (Principles) segue nella Poetry of Grammar la serie di esercizi analitici

(Readings) sulla quale andrebbe misurata l'efficacia del metodo, prescindendo naturalmente dai testi di
intenzione parallelistica, come, per restare nell'ambito neolatino, la cantiga d'amigo di Martin Codax,
trovatore gallego, o la lirica popolareggiante del rumeno Eminescu, o anche la poesiola di Brecht Wir
sind die(tant' vero che rispetto all'antico campionario quale figura in Questions de potique il tedesco
oggi rappresentato soprattutto da un brano di Hlderlin; delle grandi lingue di cultura sguita a mancare il
solo spagnolo). Se ci si fa guidare da criteri di rappresentativit, non dubbio che la scelta cadr su
Baudelaire, oggetto del resto d'un secondo saggio, Une microscopie du dernier Spleen dans Les
Fleurs du Mal (per l'italiano ricorre nientemeno che Dante, maa il sonetto Se vedi li occhi miei con cui
presente lontano dalla media dantesca e sembra fare piuttosto gruppo coi sonetti antiavignonesi di
Petrarca).
Una premessa essenziale che l'esame porta, come nelle famose riflessioni di Poe a base di ogni altro
tipo di critica moderna, su una poesia breve, non di rado un sonetto nelle sue varie forme (anche Du
Bellay, Sidney, Shakespeare), che nel caso specifico di Les Chats, sonetto 'alla francese', (in alessandrini
e con rime diverse per le due quartine), incrocia la divisione ternaria (prima quartina, seconda quartina,
sestina) con In binaria (due quartine e due terzine), determinando corrispondenze fra elementi successivi
(quartine contro terzine), alterni (prima quartina e prima terzina contro seconda quartina e seconda terzina
) e periferici in opposizione ai centrali
(prima quartina e seconda terzina contro seconda quartina e prima terzina), e di pi, detraendo ugual
numero di versi dall'inizio come dal fondo, un distico centrale (versi 7 e 8) bilanciato fra una 'similistrofa' (che una 'quasi-sestina', divisibile in due 'quasi-terzine'), e la sestina finale, entro la quale si
potrebbe per intravedere una 'quartina immaginaria' abbastanza simmetrica alla prima quartina, mentre
l'ultima terzina rispecchierebbe press'a poco l'insieme dei primi tre versi.
La dimostrazione di queste simmetrie verticali, concentriche e diagonali fondata solo in minima parte
su dati di significato: cos la simmetria degli elementi alterni fa succedere all'opposizione di limiti spaziotemporali e illimitatezza (sede dispari) l'opposizione di tenebre e luce (sede pari); a fondarle sono
chiamate piuttosto coincidenze di categorie grammaticali. Il caso limite la costituzione del 'distico
mediano' (L'rbe les eut pris pour ses coursiers funbres, S'ils pouvaient au servage incliner leur
fiert) come del solo luogo dove si abbia un nome proprio (rbe), un verbo al singolare (eut), dei verbi
che non siano al presente (eut pris, pouvaient), un oggetto pronominale (les), un sostantivo non
complemento non determinato da aggettivo o complemento (appunto l'rbe), l'ordine inanimato-animato
nella consecuzione soggetto-verbo (L'rbe les): si vorrebbe che, a dissipare ogni sospetto di alcatoriet,
fosse applicato rigorosamente un concetto cardinale della linguistica di Praga, quello che secondo le
lingue detto di 'pertinenza' o 'rilevanza'. Questo accade nella ripartizione delle rime chiamate in francese
maschili e femminili in rapporto ai sostantivi e aggettivi che esse rappresentano (la definizione
cinquecentesca di rime maschili e femminili corrisponde a quella italiana di tronche e piane, e per il
momento poco importa se la metafora abbia una portata sessuale, come credono Jakobson e Lvi-Strauss
e verosimilmente i grammatici che parlano di virilit o sexuisemblance delle rime, o meramente
grammaticale, come ritiene il metricista Grammont e come sembrano confermare i filologi che discorrono
candidamente di sexe dei versi o delle rime).
Tale ripartizione ha un'oggettivit garantita dalla serialit e dall'opposizione: non pu non corrispondere
a un'intenzionalit (ben distinta da un programma) il fatto che le rime ossitone o maschili designino tutte
nomi femminili (maison, saison, volupt, fiert, fin), fino all'ultima che la sola omonima (o equivoca)
con altra parte del discorso maschile (sable fin), mentre le rime femminili, tolta la parola-chiave tnbres,
spettano ad aggettivi, indifferentemente maschili o femminili (savants austres, nobles attitudes ecc.).
Queste, necessariamente semplificate, e infinite altre osservazioni s'inqua drano peraltro in una tesi
generale spettante al significato, quella dei gatti androgini.
Jakobson celebra dunque entrambe le linguistiche saussuriane, quella del significante (pur prevalente) e
quella del significato. Allo stesso modo egli, inventore della fonologia diacronica (l'invenzione gli
contestata a torto da un collega francese), stato primo a connettere linguistica diacronica, cio evolutiva
nel tempo, e linguistica sincronica, cio di fatti compresenti: anch'essa bipartizione che risale a Saussure.
Se si torna all'esempio baudelairiano e in generale alla grammatica della poesia, si trova attuata una forma

di linguistica sincronica: questo anche dove i due autori studiano il codice metrico. Ora, misurare
l'iniziativa sulla tradizione, se essa spetti al tipo e non meramente all'individuo, un'operazione
eminentemente diacronica.
I canoni validi per il sonetto Les Chats sono secondo la constatazione dei due analisti: 1) non possono
succedersi due rime baciate; 2) due versi successivi su rime diverse hanno rime uno maschile e l'altro
femminile; 3) le rime finali di strofa alternano ugualmente maschile e femminile. Misurati in diacronia, il
secondo ha valore generale, non specifico, nella poesia francese classica; il primo domina in Baudelaire, e
dunque una spiegazione particolare esiger al massimo la minoranza; il terzo non generale neppure nel
gruppo a cui appartengono Les Chats e sar da considerare esito casuale, non significativo, degli schemi
variabili. Significativa invece la distinzione fra sonetti con quartine di rime identiche ('all'italiana') e
diverse ('alla francese'), i quali si compartiscono equamente (sommando alle Fleurs du Mal anche Les
paves, il Supplment e i Pomes divers, si ottengono sorprendentemente, per i sonetti in alessandrini, 35
individui all'italiana e 34 alla francese), come pure quella fra prime rime di quartina maschili e femminili:
tant' vero che Baudelaire se ne serve per ottenere un effetto contrappuntistico entro uno stesso gruppo
(Spleen, preceduto da La Cloche fle gi intitolata Le Spleen, e Un fantme, che rappresenta la
minoranza in dcasyllabes, i nostri endecasillabi). Les Chats il solo sonetto (delle Fleurs) in cui la prima
rima (-res) assuoni con la femminile dell'altra quartina (-bres): questo avvicinamento ha un senso
armonico solo se si componga con un movimento dissimilativo aperto verso la fine, quello di magiques
(12) con mystiques (14), unica rima non ricca del componimento - lo rileva anche Jakobson - bench
compensata dall'allitterazione di m-.
Al terzultimo verso (Leurs reins fconds sont pleins d'tincelles magiques) Jakobson attribuisce
ambiguit fra potenza procreatrice e scintille elettriche nel pelame, ma altra poesia, Le Chat (inizio
Viens, mon beau chat) fa scegliere senza esitazione (per ma main s'enivre du plaisir De palper ton
corps lectrique) il secondo corno del dilemma: non ambiguit ma aut-aut, al massimo, per cos dire,
anacoluto semantico per il doppio valore di reins. Decisivo dunque l'ultimo verso (toilent vaguement
leurs prunelles mysti-ques), dove in mystiques l'eccellente umanista Baudelaire riconosce M-uco chiudo
(gli occhi)', confermato dall'altro Chat (inizio Dans ma cervelle), col suo Quand [...] je regarde en
moi-mme, Je vois avec tonnement Le feu de ses prunelles ples; il passo deve anche esser considerato
una matrice mnemonica della rima baciata di mystique con musique nella Vie antrieure, e per questo
aspetto Les Fleurs du Mal sono uno dei grandi libri di eco interna come l'Eneide e la Commedia.
Le aggiunte e le correzioni che sembra opportuno fare al primo saggio baudelairiano, se lo
interpretiamo sempre come campione della grammatica della poesia in generale, muovono da
preoccupazioni filologiche, estranee a Jakobson, che integralmente un linguista. Un'opposizione della
stessa natura si ha nell'unico caso che, degli oltre trenta esaminati, porti anche (ed curiosamente proprio
il primo rilievo) su varianti testuali: quello del quarto Spleen, dove si distingue un primo strato fornito
dall'edizione princeps (1857) rispetto alle bozze, un secondo dalla seconda stampa (1861). Per Jakobson
si assiste a una progressiva precisazione del libretto fonologico, mentre non dubbio che per il filologo
il primo strato elimini vocaboli iterati, il secondo accentui il divario fra sintassi e ritmo, cio questioni di
armonia. La grammatica della poesia costi tuisce Vultima ratio dell'interpretazione, ma era inevitabile che
la sua fondazione si presentasse in forma di oltranza critica.
Dal Corriere della Sera, 23 maggio 1982. (Jakobson mor quel 18 luglio. Estratti prevalentemente da
questo volume sono ora nella raccolta Poetica e poesia. Questioni di teoria e analisi testuali, Torino
1985).

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