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24088 Storia della filosofia antica

Corso 2007-2008
Platone e limmortalit dellanima.
Il corso si propone di analizzare gli argomenti platonici sullimmortalit dellanima,
presentati nel Fedone. Poich per tali argomenti conducono Platone ad affrontare
alcuni aspetti fondamentali del suo pensiero, quali la natura della morte, il suicidio, il
divenire, la reminiscenza, la teoria delle idee, il metodo filosofico, lanalisi della
causalit, la vita dopo la morte, ecc., il corso sar unoccasione per sviluppare anche
questi aspetti. Il testo fondamentale, da leggere integralmente, il Fedone
(introduzione, premessa al testo e note di Alessandro Lami, traduzione di Pierangiolo
Fabrini, BUR 1996), ma ci si avvarr anche di altri dialoghi qualora la trattazione lo
richieda.
Programma
(1) Introduzione: Platone, Socrate, la forma del dialogo
(2) Il Fedone: presentazione del dialogo (57a-59c, pp. 92-103 Lami)
(3) Socrate in prigione (59c-69e, pp. 103-159 Lami): la natura della morte, il
suicidio
(4) Prima prova: largomento ciclico (69e-72e, pp. 159-175 Lami): il principio del
divenire e la sua applicazione al caso dellanima
(5) Seconda prova: la reminiscenza (72e-78b, pp. 177-203 Lami): analisi del
rapporto tra la teoria della reminiscenza del Fedone e quella presentata nel
Menone
(6) Terza prova: laffinit dellanima con le idee (78b-84b, pp. 203-235 Lami)
(7) La natura dellanima e levoluzione platonica della sua concezione: il Fedone,
la Repubblica, il Fedro e il Timeo
(8) Le obiezioni di Simmia e Cebete: lanima come unarmonia e lanima come un
vecchio tessitore (84c-88b, pp. 235-251 Lami)
(9) Risposta di Socrate a Simmia (lanima come armonia : 88c-95a, pp. 251-289
Lami)
(10) Risposta di Socrate a Cebete (lanima come un vecchio tessitore):
lautobiografia di Socrate; le cause platoniche (95b-102a, pp. 289-321 Lami)
(11) La prova finale dellimmortalit dellanima (102a-107b, pp. 321-345 Lami)

(1) Introduzione: Platone, Socrate, la forma del dialogo


Bibliografia:
Socrate:
G. Vlastos, Socrate. Il filosofo dellironia complessa, tr. it. La Nuova Italia 1998
Platone:
F. Adorno, Introduzione a Platone, Laterza 2005 (tredicesima edizione)
F. Trabattoni, Platone, Carrocci 1998
M. Vegetti, Quindici lezioni su Platone, Einaudi 2003
Sul Fedone:
D. Gallop (a cura di), Plato:Phedo, Oxford 1975

Platone (428/27 a. C. 348/47 a. C.)


Il resoconto delle origini familiari e dellambiente sociale di Platone ci presentato
da Diogene Laerzio, vissuto probabilmente nel terzo secolo dopo Cristo e autore delle
Vite e dottrine dei filosofi illustri (testo che costituisce una delle fonti principali delle
biografie ma anche delle dottrine dei filosofi antichi, dai sette saggi allo scetticismo).
Allinizio del libro III, interamente dedicato a Platone, Diogene spiega che
Platone, ateniese, fu figlio dAristone e Perittione. Sua madre, per la sua famiglia,
risaliva fino a Solone. In effetti, Solone aveva per fratello Dropide, padre di Crizia, a
sua volta padre di Callescro, a sua volta padre di Crizia (che fu uno dei Trenta tiranni)
e di Glaucone, padre di Carmide e Perittione, che con Aristone ebbe per figlio
Platone, sesto nella discendenza da Solone. [...] Dicono anche che il padre di Platone
discendesse da Codro, figlio di Melanto, i quali sono detti da Trasillo1 discendenti di
Poseidone. [...] Platone nato, come dice Apollodoro nelle Cronache2 nel corso
dell88a Olimpiade, nel settimo giorno del mese di Targelione [met maggio
428/427], il giorno in cui gli abitanti di Delo dicono che sia nato Apollo. Ed morto,
come dice Ermippo3, durante un banchetto di nozze nel primo anno della 108a
Olimpiade [348/47], allet di 81 anni (Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, III, 1-2).
Solone

Dropide
Crizia
Callescro
Crizia (30 t.) Glaucone
Carmide

Perittione
Platone

Platone dunque aveva un pedigree di tutto rispetto, facendo parte di unaristocrazia


ricca e di memorabile discendenza. Fu discendente di Solone (VI secolo a.C.), primo
legislatore di Atene e uomo che era stato capace di garantire alla citt una relativa
1

Grammatico vissuto allepoca di Tiberio (I d.C.), responsabile di aver suddiviso i 35 dialoghi


platonici (pi un gruppo di tredici lettere attribuite a Platone) in nove tetralogie.
2
Storico ateniese del II-I secolo a. C..
3
Ermippo di Smirne (III secolo a. C.) biografo peripatetico, seguace di Callimaco, poeta greco det
ellenistica.

concordia per quasi due secoli; ma anche di Crizia e Carmide, figure ben pi
inquietanti. In particolare Crizia, lo zio materno, fu un estremista oligarchico che nel
404 (quando Platone aveva 24 anni) rovesci la democrazia ateniese cancellando gli
equilibri sociali che Solone aveva instaurato. Crizia cerc di instaurare il potere di un
gruppo di ricchi aristocratici (i Trenta tiranni, di cui fece parte anche il nipote
Carmide) il cui carattere sanguinario risult per insopportabile. Il potere di Crizia
dur infatti pochi mesi e fu rovesciato da una restaurazione democratica, che per,
come vedremo, non si rivel migliore, almeno agli occhi di Platone.
Latteggiamento di Platone nei confronti dellimpegno politico e legislativo appare
in tutta la sua portata in una lettera a lui attribuita, la Lettera VII. In molti hanno
sollevato seri dubbi sulla sua autenticit; altri hanno invece presentato argomenti,
piuttosto convincenti, sulla sua autenticit4. Vale senzaltro la pena di considerare
questa lettera come un documento platonico, scritto in tarda et, ma indubbio che
essa debba essere utilizzata con estrema precauzione.
Come che sia, la Lettera VII descrive latteggiamento e il coinvolgimento politico di
Platone sin dai tempi dei Trenta tiranni. Scrive Platone:
da giovane anchio condivisi una passione comune a molti: pensavo, non appena
divenuto padrone di me stesso, di volgermi allattivit politica (Lettera VII, 324b)5.
Questa vocazione alla politica, lungi dallessere un fatto eccezionale, era una tappa
quasi obbligata nella vita dei giovani aristocratici del V e del IV secolo a.C.
Per il giovane Platone la prima occasione si present allepoca del colpo di stato dei
Trenta tiranni gi accennato:
caso volle che fra i Trenta si trovassero alcuni miei parenti6 e persone a me ben
note, e subito mi mandarono a chiamare, come se la cosa mi spettasse (324d).
Platone per non tard a riconoscere il carattere violento e oppressivo della
tirannide, e a sottrarvisi:
a vedere queste cose ed altre simili di non minor gravit, restai davvero disgustato
e mi ritrassi con indignazione da quei crimini. Dopo non molto tempo caddero i
Trenta e tutto il loro regime. Di nuovo, ma in maniera pi pacata, mi prese il desiderio
di impegnarmi nella politica e nelle vicende pubbliche (325a-b).
Il regime democratico, restaurato dopo pochi mesi con unazione di forza in cui lo
stesso Crizia venne ucciso, sembr allinizio tollerante, concedendo unampia
amnistia agli avversari. Qualche anno dopo, per, cio nel 399 a.C., accadde un
evento estremamente traumatico per Platone, che lo spinse ad abbandonare per
sempre la politica ateniese: Socrate, il suo maestro, venne processato con laccusa di
empiet e condannato a morte. La condanna di Socrate apr un conflitto insanabile tra
la dimensione politica della citt, a cui Platone apparteneva per tradizione in quanto
giovane aristocratico di spicco, e lesercizio critico del pensiero filosofico che Platone
aveva fatto suo in quanto allievo di Socrate. Da questo momento in poi, Platone non
4

Argomenti pro e contro in M. Vegetti, Quindi lezioni cit., pp. 12-14.


Questa combinazione di cifre e lettere, utilizzata universalmente per riferirsi ai passi platonici, deriva
dalledizione delle opere complete di Platone, pubblicata in tre volumi da Stephanus (Henri Estienne) a
Ginevra nel 1578. Ogni pagina di questa edizione divisa in due colonne: quella a destra contiene il
testo greco, quella sinistra la traduzione latina dovuta a Jean de Serres. Tra le due colonne si trovano
delle lettere, da a a e, che dividono le colonne in cinque sezioni. Una citazione di Platone
comprende quindi il nome del dialogo (o lepistola numerata, come nel nostro caso), seguito dal
numero di pagina delledizione di Stephanus e dalla lettera della sezione della colonna che contiene la
citazione. Es: Sofista 247c-d significa che il passo si trova nel Sofista, alla pagina 247, a cavallo tra le
sezioni c e d delledizione Stephanus. Tale numerazione viene sempre riprodotta in tutte le
traduzioni, e sar qui utilizzata.
6
Come sappiamo, Crizia e Carmide.
5

cess di riflettere sul rapporto tra filosofia e politica: lo testimoniano i suoi dialoghi
pi famosi, quali la Repubblica, il Politico, le Leggi, ma anche la sua testimonianza
biografica nella Lettera VII:
alla fine, mi resi conto che fino a quel momento tutte le citt soggiacevano a un
cattivo governo, in quanto le loro leggi, senza un intervento straordinario e una buona
dose di fortuna, si trovavano in una condizione di quasi incurabilit. E fui costretto a
dire, elogiando lautentica filosofia, che solo a partire da essa possibile individuare
tutte quante le forme di giustizia sia politica che personale. Le generazioni umane non
saranno quindi liberate dai loro mali finch la generazione di coloro che praticano la
filosofia in modo autentico e vero non sia pervenuta al potere politico, oppure finch
coloro che comandano nelle citt, per una qualche sorte divina, non comincino a
praticare la filosofia (326a-b).
Il punto cruciale, e la convinzione che Platone qui manifesta si trovava gi nella
Repubblica: lidea cio che solo un potere filosofico potr porre fine ai mali della
citt. Nella Repubblica Platone aveva chiarito quali filosofi fossero legittimati a
esercitare questo compito, e in virt di quale sapere; ma importante sottolineare che
questa convinzione spinse Platone a operare anche sul piano pratico, secondo quanto
attestato dalla Lettera VII.
Platone infatti comp ben tre viaggi alla volta di Siracusa per convincere prima il
tiranno Dionisio I (primo viaggio, avvenuto verso il 388 a.C.), poi il figlio Dionisio II
(gli altri due viaggi, uno nel 366 e laltro nel 361) a stabilire una sorta di governo
filosofico non tirannico. Le spedizioni fallirono miseramente a causa di ingenuit,
sospetti e intrighi. Ma Platone, cos come alcuni allievi della sua scuola (lAccademia,
fondata probabilmente intorno al 387) che lo seguirono, dimostrarono di essere non
solo uomini tutti parole, ma uomini capaci di impegnarsi in azioni.
Socrate (470 a.C.-399 a.C.)
Passiamo ora alla formazione filosofica di Platone. Diogene Laerzio, sempre nel
libro a lui dedicato, afferma che Platone pratic la filosofia dapprima come seguace
di Eraclito; in seguito, allet di ventanni divenne discepolo di Socrate; alla morte
di Socrate si attacc a Cratilo leracliteo et a Ermogene, che in filosofia professava le
dottrine di Parmenide7. Prima di fondare lAccademia a Atene, si ritir presso
Euclide a Megara, presso il matematico Teodoro a Cirene, e poi in Italia per
incontrare i pitagorici Filolao e Eurito8.
Le influenze di questi percorsi filosofici si sentono nei dialoghi: Platone infatti
erediter da Eraclito e dal seguace Cratilo (a cui dedicato uno dei dialoghi platonici)
lidea che la realt sensibile non sia vera realt, in quanto sempre in totale mutamento;
ci lo condurr ad una totale sfiducia nei confronti della conoscenza sensibile.
Parmenide sar molto presente nellelaborazione e nellevoluzione della teoria delle
idee (anche a lui Platone dedicher un dialogo), mentre forti saranno gli aspetti
matematici e religiosi, mutuati appunto dai pitagorici e dai matematici con cui entr in
contatto. Tutte queste influenze si mostrano anche nel Fedone, come vedremo.
Ma indubbio che linfluenza pi profonda e duratura fu esercitata da Socrate.
Il problema fondamentale, ben conosciuto, che Socrate non ha lasciato nulla di
scritto, ragione per cui risulta particolarmente difficile conoscere a sufficienza il suo
pensiero e il suo insegnamento per parlare seriamente della sua filosofia. Tutto ci che
7
8

Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, III, 4-6.


Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, III, 6.

sappiamo di lui viene da fonti indirette: Aristofane, Senofonte e soprattutto Platone,


che in quasi tutti i dialoghi d a Socrate il ruolo di protagonista o di personaggio
importante nello svolgimento del dialogo.
Le fonti del personaggio socratico
(1) Le Nuvole di Aristofane:
contemporaneo di Socrate (V secolo a.C.), Aristofane sferra un attacco piuttosto
violento a Socrate nella commedia le Nuvole, rappresentata per la prima volta ad
Atene nel 423, quando Socrate aveva 46 anni (e Platone solo 5). Lostilit di
Aristofane una testimonianza preziosa del fatto che gli ateniesi percepivano gi
allora Socrate come un personaggio inquietante e pericoloso per la citt. In questa
commedia Socrate un filosofo della natura, la cui pseudo-scienza lo conduce a
negare lesistenza delle divinit comunemente riconosciute dalla citt (versi 366,
381), e a praticare un culto privato (verso 254) a nuovi dei in sostituzione di quelli
antichi (v. 365). Socrate si guadagna da vivere in modo losco, fornendo un
insegnamento pi o meno onesto, a commissione (v. 886). Al versante naturalistico,
che conduce Socrate a negare gli dei tradizionali della citt, si aggiunge un versante
retorico e sofistico: larte della persuasione, della confutazione e del raggiro (vv. 882885). Aristofane insomma fa di Socrate il tipo comico del nuovo intellettuale che
turbava lopinione pubblica tradizionalista: naturalista ateo, cultore di figure
cosmologiche quali il Caos e le Nuvole (richiamo beffardo al pensiero cosmologico e
meteorologico di alcuni presocratici), destinate a sostituire gli dei tradizionali; retore e
sofista, capace con le nuove tecniche del discorso di rovesciare il sistema di valori
condivisi dalla comunit ateniese. Nel Socrate aristofaneo si riconoscono i filosofi
della natura come Anassagora, ma anche i sofisti (Gorgia e Protagora), nuovi
intellettuali che fornivano ai giovani ricchi ateniesi insegnamenti su tutto a
pagamento, per la verit invisi allo stesso Socrate (e a Platone). Quello che
impressiona che nelle accuse di Aristofane si riconoscono i tre capi di imputazione
che saranno presentati al processo che si concluder con la condanna a morte di
Socrate: 1) non credere agli dei della citt; 2) introdurre delle nuove divinit; 3)
corrompere la giovent (cf. Senofonte, Memorabili I, 1,1).
(2) Senofonte:
Senofonte, celebre storico allievo di Socrate, nonostante i numerosi punti di
sostanziale accordo con Platone, presenta tuttavia un Socrate addomesticato, che non
offrirebbe alcun motivo per essere condannato. Allinizio della sua Apologia di
Socrate (anchegli ne scrive una, come Platone), per esempio, Socrate si discolpa
affermando che laccusa di Meleto di non credere agli dei della citt lo riempie di
stupore, poich tutti i passanti potevano vedermi alle feste comuni a compiere
sacrifici sugli altari pubblici, e anche Meleto avrebbe potuto vedermi, se avesse voluto
(11). Senofonte quindi invoca una stretta osservanza al culto della citt come migliore
testimonianza a discolpa di Socrate. Ben diversa e molto pi ricca la difesa di Socrate
nellApologia di Platone, tutta centrata sullattivit filosofica che Socrate ha esercitato
tutta una vita su ordine della sua divinit.
(3) Platone:
E abbastanza difficile proporre una visione chiara del Socrate storico nella
testimonianza di Platone, dal momento che Socrate presente in tutta, o quasi, la

produzione filosofica platonica. Gli studiosi hanno la tendenza a distinguere due


Socrati:
(i)
il Socrate dellApologia e dei primi dialoghi (i cosiddetti dialoghi giovanili,
quali Critone, Alcibiade I, Alcibiade II, Ippia maggiore, Ippia minore,
Lachete, Liside, Carmide, Ipparco, Eutifrone, Protagora), in cui Platone
presenta le caratteristiche e i contenuti filosofici del personaggio storico;
(ii)
il Socrate dei dialoghi della maturit (Gorgia, Menone, Eutidemo, Cratilo,
Ione, Menesseno, Fedone, Simposio, Repubblica, Fedro) e dei dialoghi della
vecchiaia (Teeteto, Sofista, Parmenide, Politico, Filebo, Timeo, Crizia, Leggi,
a cui si aggiungono le Lettere), in cui il Socrate storico scomparirebbe a poco
a poco per lasciar sempre pi posto alla filosofia platonica. In base a questo
criterio, nei dialoghi della maturit ci serebbe un mlange di motivi socratici e
platonici, mentre negli ultimi dialoghi Socrate sarebbe solo il portavoce della
filosfia platonica.
Va notato che Platone cominci a scrivere i suoi dialoghi dopo il 399, lanno del
processo della morte di Socrate. Essi per sono quasi tutti ambientati nel trentennio
precedente, nellarco che va dalla morte di Pericle (429) fino al colpo oligarchico dei
trenta tiranni (404) e alla restaurazione democratica (403). La classificazione dei
dialoghi in tre gruppi avviene secondo due criteri:
1) la presenza massiccia di Socrate, molto forte allinizio della produzione
filosofica di Platone, alleggerita via via che il pensiero platonico si
sviluppa e si affranca dallinfluenza socratica;
2) laporeticit dei dialoghi dellinizio, che lascia posto a un atteggiamento
pi costruttivo. Per aporeticit si intende la presenza di unaporia. Il senso
letterale di aporia un punto a partire dal quale si biforcano due strade, e
non si sa quale delle due prendere. In filosofia viene a significare un
problema di difficile, se non impossibile, soluzione. Si tratta, in un quadro
socratico, di un momento di estrema confusione in cui sono state demolite
le false opinioni, ma non si ancora raggiunto il vero sapere. Laporia,
come si vedr fra breve, si collega al metodo confutatorio socratico.
Si tratta di due criteri socratici, che quindi permetterebbero di distinguere i
dialoghi in tre gruppi e di individuare due Socrati. In realt questa distinzione, pur
essendo interessante e a volte convincente, incerta perch si basa su contenuti
filosofici che possono essere attribuiti a Socrate o a Platone in modo alquanto
arbitrario. Ci vale soprattutto per i dialoghi della maturit: a parte il fatto che la
cronologia dei dialoghi platonici (che non stata stabilita da Platone n in et antica,
ma allinizio dell800) stata ed ancora oggetto di accaniti dibattiti, risulta difficile
separare con certezza, soprattutto appunto per i dialoghi della maturit, i contenuti
socratici da quelli platonici. Pi facile, anche se comunque sempre incerto, il discorso
per gli altri due gruppi di dialoghi, perch indubbio:
a) che il metodo socratico mostra uno sviluppo: confutatorio e aporetico
allinizio, pi costruttivo in seguito;
b) che le stesse dottrine platoniche hanno subito unevoluzione, che rispecchia
forse il passaggio da una posizione socratica ad una pi propriamente
platonica. Ne vedremo alcuni esempi nel Fedone (la teoria dellanima; la
teoria delle idee).
Come che sia, latteggiamento di Platone nei confronti di Socrate diversissimo da
quello di Aristofane e in parte anche da quello di Senofonte. Una questione che mi

sembra importante da porre la seguente: com possibile mettere in relazione il


Socrate aristofaneo con quello platonico9?
Ci sono innanzitutto due testi di Platone che ci possono permettere di affrontare
questo problema, e allo stesso tempo di iniziare a tratteggiare unimmagine storica di
Socrate : lApologia e una sezione del Fedone, la cosiddetta autobiografia di
Socrate (Fedone, 95e-102a), che riprenderemo meglio in seguito, ma che possiamo
rapidamente presentare allo scopo di cercare, al di l della diversit degli
atteggiamenti di Aristofane e di Platone, dei riscontri a quello che i due autori dicono
su Socrate10.
Prima di tutto, la continuit tra il ritratto aristofaneo di Socrate e le accuse del
processo a Socrate si mostra in un passo dellApologia:
I miei accusatori pi pericolosi, o uomini di Atene, sono quelli che hanno convinto
la maggior parte di voi, fin da quando eravate piccoli, rivolgendomi unaccusa falsa,
cio che esiste un certo Socrate, uomo sapiente, che riflette sulle cose celesti e indaga
quelle sotterranee, e che rende vincente il discorso peggiore (18b).
Si tratta di una quasi citazione di alcuni versi delle Nuvole (cfr. per esempio i versi
882-885), che mette insieme, come abbiamo visto, laccusa di essere un filosofo
naturalista con quella di retore e sofista che usa una tecnica discorsiva per fare vincere
il discorso peggiore. Socrate si mostra consapevole di queste accuse.
Laltro passo si trova nella cosiddetta autobiografia di Socrate, che Platone gli
attribuisce nel Fedone, e che analizzeremo pi in dettaglio in seguito. Qui Socrate
afferma da giovane fui preso da una straordinaria passione per questa forma di
sapienza che chiamano indagine sulla natura, presentando esempi di teorie studiate
che, senza fare nomi, rimandavano ad alcuni dei cosiddetti presocratici, altrimenti
detti filosofi della natura (Empedocle, Alcmeone, Anassagora) (96a-100a). Abbiamo
qui una conferma di ci che dice Aristofane riguardo gli interessi naturalistici di
Socrate, e questo a parziale smentita di quello che afferma lo stesso Socrate
nellApologia, circa la sua consapevolezza di sapere di non sapere. In realt, a
quanto pare, Socrate possedeva una sapienza naturalistica, anche se poi, a suo stesso
dire, se ne allontan deluso in quanto incapace di dare fondamenti e spiegazioni sicure
ai processi naturali. Ma su questo ritorneremo.
Laltro aspetto che interessa qui considerare per trovare un collegamento tra il
Socrate aristofaneo e quello platonico, quello delle ragioni dellimpatto intellettuale
e emotivo che Socrate dest, in positivo o in negativo, nellambiente sociale e
culturale ateniese. Si vedr che le ragioni dellatteggiamento socratico che poteva
suscitare simpatie o forti antipatie sono di carattere filosofico-metodologico.
La confutazione socratica11:

Socrate si presentava fin da subito come una figura enigmatica, in primo luogo a causa della sua
collocazione sociale. Figlio di uno scultore e di una levatrice, Socrate apparteneva al ceto artigianale a
cui non cess mai di riferirsi (celebre limmagine del filosofo-levatrice, che aiuta il giovane Teeteto a
partorire la verit di cui gravido), suscitando il disprezzo dei suoi interlocutori aristocratici. Daltro
lato, egli annoverava tra i suoi amici e allievi molti esponenti dellaristocrazia ateniese (ricordiamo, a
parte Platone, Alcibiade, presente nel Simposio, e anche la sua frequentazione di Crizia e Carmide),
forse per via del suo atteggiamento critico nei confronti della democrazia attestato da Platone, e su cui
forse ha costruito la sua idea delle lite dei filosofi-re o dei re-filosofi da sostituire alle
incompetenti assemblee democratiche.
10
Une bella presentazione di Socrate si trova in M. Vegetti, Quindici lezioni, Lezione due.
11
Cfr. Vegetti, Quindici lezionii, pp. 31-39.

Socrate discuteva, ovunque (acquattato in un angolo, sugli spalti del teatro di


Dioniso, nellagor e nel mercato di Atene), e con tutti (politici, poeti, sofisti,
artigiani, aristocratici intellettuali e non, ecc.).
E di che cosa discuteva Socrate? Basta guardare i sottotitolo dei dialoghi: Socrate
discuteva del santo (Eutifrone), del dovere (Critone), dellanima (Fedone), della virt
(Menone), della giustizia (Repubblica), ecc.: in pratica cercava, assieme ai suoi
interlocutori del momento, di definire certi concetti. Questo un primo passo
essenziale, che verr codificato da Aristotele e che costituisce di fatto un punto fermo
di tutta la pratica filosofica: definire i concetti di cui ci si serve, per procedere
eventualmente a delle dimostrazioni.
Il tratto per tipicamente socratico, accentuato nei primi dialoghi (quelli giovanili),
ma presente anche negli altri, consiste in un esame critico per verificare e confutare le
pretese conoscenze dei suoi interlocutori. In questo lavoro Socrate si mostra
instancabile e provocatorio: non si stanca mai di dimostrare ai suoi interlocutori che
essi pensano e agiscono per luoghi comuni, pregiudizi socialmente accettati, opinioni
recepite in modo acritico, senza una riflessione sui loro fondamenti e conseguenze.
Questa pratica si realizza in una tecnica di discussione, la confutazione (elenchos):
essa parte da uninterrogazione, del tipo:
che cos x? oppure che cosa intendi quando parli di x?
Dove x sta per: virt, giustizia, coraggio, religiosit, ecc.
Linterlocutore viene cos costretto a formulare unopinione: a questo punto Socrate
sviluppa le conseguenze di tale opinione, mostrando o che da essa derivano
conseguenze contraddittorie e inaccettabili per lo stesso interlocutore, o che essa
parziale e inadeguata.
Esempio (Repubblica, libro I, 331c-332c):
- che cosa intendi per giusto?
- giusto restituire ci che si avuto in deposito
- in questo caso, sarebbe giusto restituire a un amico impazzito unarma avuta in
deposito quando era sano di mente, affinch se ne serva per compiere una strage.
Socrate mostra cos che lopinione dellinterlocutore sul giusto conduce a una
conseguenza inaccettabile. Noi possiamo aggiungere che questa definizione risulta
parziale perch esclude una serie di altre cose che riteniamo giuste: insomma, questa
definizione inaccettabile e non universale (non si applica a tutto ci che
chiamiamo giusto).
Un caso eclatante quello che si trova nel Menone: Socrate boccia ben tre
definizioni della virt fornite da Menone, parziali e/o logicamente inaccettabili,
finendo per irritarlo e metterlo in uno stato di confusione mentale. Ma i casi sono
moltissimi.
Da questa breve illustrazione possiamo gi capire perch Socrate ha potuto
suscitare una reazione sia ostile (aristofanea) che profondamente positiva.
(1) lo stato di confusione mentale visto da Socrate come estremamente proficuo:
solo dopo essersi sbarazzati delle false opinioni e aver ammesso la propria
ignoranza possibile intraprendere la ricerca della verit. Ovviamente per non
tutti apprezzano questo stato: alcuni accettano le obiezioni socratiche (sar il
caso di Simmia e Cebete, interlocutori di Socrate nel Fedone); altri si irritano
ma poi si mettono alla ricerca della verit (come Menone); altri si irritano e
basta, sviluppando unantipatia nei confronti di Socrate, che a volte sfocia in un
vero odio (sempre nel Menone, Meleto, laccusatore al processo di Socrate,
viene trattato nella stessa maniera; non apprezza e si allontana minacciando
Socrate).

(2) La confutazione socratica si distingueva a malapena dalla controversia


eristica12 praticata da certi sofisti, come alcuni interlocutori di Socrate non
mancano di sottolineare. Per evitare di confondere i due metodi, bisognava che
tra Socrate e i suoi interlocutori si stabilisse un rapporto damicizia che mirasse
al raggiungimento di un accordo, di una verit comune. Questo per capita, ma
non molto spesso ( il caso degli interlocutori principali di Socrate nel Fedone,
Simmia e Cebete): pi spesso Socrate si scontra con degli interlocutori che
hanno un sistema di valori diametralmente opposto al suo, e che quindi non
possono realmente capire e condividere il suo metodo.
Ecco le ragioni dellostilit di alcuni e della venerazione di altri per Socrate. Uno
stesso atteggiamento filosofico poteva risultare detestabile o affascinante.
La forma del dialogo
Platone adotta la pratica filosofica inaugurata da Socrate, cercando di riprodurre
nello scritto il dialogo vivo e sostanzialmente orale che doveva portare ad
abbandonare le false opinioni e a intraprendere il faticoso cammino della ricerca
filosofica autentica.
I dialoghi platonici presentano tutti una forma di azione (drama) filosofica,
molto diversa da quella del trattato filosofico che, a partire da Aristotele, prender
piede nella filosofia. Lorigine di questa forma letteraria resta incerta, e questa
forma rester senza reale posterit nella filosofia, se si eccettuano i dialoghi
filosofici di Berkeley, Locke e Diderot, che per non sono pi vivi come quelli
platonici, bens un artificio teso a rendere pi vivace lsposizione di tesi gi
definite.
Nei dialoghi Platone riproduce invece un percorso realmente dominato dal
requisito di una ricerca della verit. Per questo esso segue spesso un percorso
sinuoso, rallentato dalla necessit di digressioni e divagazioni. Questa azione
drammatica, a cui prendono parte pi attori, basato sullesame di un problema, e
pu procedere sia verso la soluzione del problema, sia verso lammissione
dellimpossibilit, almeno momentanea, di una sua soluzione (la cosiddetta aporia).
Molti dei primi dialoghi socratici si concludono in effetti negativamente: una
volta compiuto il lavoro di demolizione delle false opinioni, non si arriva ad
alcuna definizione positiva della questione posta allinizio ( il caso per esempio
del Menone, per quanto riguarda la definizione di virt). I dialoghi platonici sono
per la maggior parte, come abbiamo visto, dedicati a un oggetto particolare: la virt
o una virt (la giustizia nella Repubblica), una disciplina (la retorica nel Gorgia),
uno stato affettivo, come lamore (Simposio) o il piacere (Filebo), la cui natura
sottoposta a esame. Il protagonista quasi sempre Socrate, ma non bisogna cadere
nella tentazione di considerare i dialoghi come unimitazione di scene realmente
accadute. Restano una finzione, che vuole riprodurre lo spirito socratico, e non
dialoghi socratici realmente accaduti.

12

Gli eristi erano un gruppo vicino ai sofisti, che praticavano la controversia su ogni argomento al solo
scopo di vincere. Per farlo non esitavano a servirsi di sotterfugi e ambiguit.

(2) Il Fedone: presentazione del dialogo (57a-59c, pp. 92-103 Lami)


Levento messo in scena nel Fedone avviene nel 399 a.C., quando Platone aveva
una trentina danni. Il dialogo infatti avviene nellultimo giorno della vita di Socrate,
e si conclude con la sua morte (per avvelenamento da cicuta). Questo dialogo,
dunque, costituisce una sequenza con lApologia (difesa di Socrate al processo) e con
il Critone, dialogo in cui avviene una conversazione tra Socrate e Critone nella sua
cella del carcere. La versione platonica della morte di Socrate non un ricordo
biografico (del resto Platone a suo stesso dire era assente), ma un racconto filosofico
che fornisce loccasione per sviluppare una discussione filosofica, non si sa se
realmente avvenuta; e che fornisce anche la descrizione della morte di un filosofo,
non realistica (infatti pare che lavvelenamento da cicuta provocasse dolori e reazioni
violentissime, ben diverse da quelle descritte nellultima parte del dialogo13). La data
di composizione incerta, ma normalmente si attribuisce questo dialogo al periodo
della maturit.
Personaggi:
quelli che danno inizio al dialogo sono Fedone e Echecrate, che si incontrano a
Fliunte dopo la morte di Socrate. Echecrate domanda a Fedone di raccontare a lui e ai
suoi amici (che restan silenziosi) lultimo giorno della vita di Socrate, dando inizio
cos al racconto di Fedone, che era presente. Nonostante Fedone enumeri diversi
discepoli di Socrate presenti alla conversazione, gli interlocutori quasi esclusivi del
dialogo sono i pitagorici Simmia e Cebete, tebani.
Struttura del dialogo:
Dapprima troviamo un Prologo e una conversazione iniziale tra Socrate e i suoi
allievi (57a-69e), poi quattro argomenti deputati a dimostrare limmortalit
dellanima:
1) largomento ciclico (69e-72e)
2) la reminiscenza (72e-78b)
3) largomento basato sulla somiglianza tra lanima e le idee (78b-84b)
4) lultimo argomento (102a-107b).
Tra il terzo e il quarto argomento si situa un intermezzo (84c-102a), in cui si
trovano alcune obiezioni di Simmia e Cebete, nonch la risposta di Socrate che gli
fornisce loccasione per aprire una parentesi autobiografica.
Nella parte finale del dialogo (107c-115a) Socrate presenta un mito che tratteggia la
vita delle anime nellal-di-l, nonch una teoria sulla natura della terra. La ragione di
questo mito consiste nel fatto che Socrate parla di cose che non sono visibili n in
nostro potere. Questo miscuglio di mito e scientificit (che si manifesta nel tentativo
da parte di Platone di dimostrare limmortalit dellanima) caratterizza il Fedone
dallinizio alla fine.
Platone, credo, era ammalato
Quando Fedone nel Prologo elenca a Echecrate tutti i presenti allultimo giorno di
Socrate, a un certo punto afferma Platone, credo, era ammalato (59b10, p. 103
Lami). Su questa frase di Fedone sono stati sparsi fiumi di inchiostro, anche perch
lunica volta che Platone si nomina (a parte nellApologia, in cui viene menzionato da
Socrate tra coloro che sono disposti a contribuire alleventuale pagamento di una pena
13

Vedi la descrizione che ne fa Nicandro (II a.C.), nel suo poema a proposito delle droghe.

10

pecuniaria). E curioso che la sola volta in cui Platone fa il proprio nome per
segnalare appunto la propria assenza: unassenza ritenuta da molti simbolica, che si
collega al fatto che, nel corpus degli scritti platonici, lautore non parla mai in prima
persona, in quanto le tesi filosofiche presenti sono sempre discusse da altri14.

14

Per una bella presentazione di tale questione vedi M. Vegetti, Quindici lezioni, lezione 5.

11

(3) Socrate in prigione: la natura della morte, il suicidio (59c-69e, pp. 103-159 Lami)
Bibliografia:
P. Boyanc, Notes sur la phroura platonicienne, Revue de philologie, 1963, pp. 711
P. Courcelle, La prison de lme, dans Connais-toi toi-mme. De Socrate saint
Bernard, 1974-1975, vol. II, 207-224.
R. di Giuseppe, La teoria della morte nel Fedone platonico, Napoli 1993
Conversazione iniziale:
(1) Preannuncio del principio dei contrari:
E il momento in cui Socrate comincia a parlare. Vengono introdotti i suoi
compagni, a Socrate viene liberata la gamba dalla catena, ed egli, sfregandosela dopo
averla piegata, esclama:
Che ben strana cosa...pur essendo due (60b-c, p. 105 Lami).
Questo passaggio annuncia un argomento che Platone affronter pi tardi
nellambito di una delle dimostrazioni dellimmortalit dellanima: si tratta
dellargomento dei contrari appartenenti ad una sola cosa. La teoria dei contrari,
enunciata nel Fedone, sar ripresa e sviluppata anche da Aristotele nella sua fisica e
nella logica. A proposito della relazione tra il piacevole e il doloroso (in greco
abbiamo in effetti due aggettivi), che sono contrari, Socrate sottolinea due aspetti:
a) i due non possono coesistere contemporaneamente;
b) se se ne insegue uno e lo si afferra, si in un certo senso costretti ad afferrare
anche laltro.
a) in che senso non possibile la coesistenza dei due? Probabilmente Socrate vuol
dire che piacere e dolore non possono cominciare assieme, ma che luno deve
venire dopo dallaltro. In effetti, il sollievo che Socrate sente sfregandosi la
gamba arriva dopo il dolore che egli aveva precedentemente, quando la gamba
era incatenata. E presumibile che nel momento in cui si sfrega la gamba, senta
un miscuglio dei due.
b) Che vuol dire Socrate dicendo che quando si insegue uno dei due, si afferra anche
laltro? Mentre infatti si pu dire che si persegue il piacere, sembra difficile
affermare che si persegue il dolore; n sembra corretto dire che se si persegue il
piacere si afferra necessariamente anche il dolore (e viceversa). Sicuramente non
ci che Socrate sta sperimentando. Forse Socrate sta qui presentando solo
unopinione diffusa tra gli uomini, ma che sembra essere falsa (si noti come si
esprime nel passaggio in analisi: egli parla di ci che gli uomini chiamano
piacere e dolore). Come sappiamo, e come vedremo, tutto ci che riguarda il
corpo e il sensibile non per Socrate che pura apparenza.
(2) Il suicidio
Ma largomento principale della conversazione iniziale tra Socrate e i suoi
discepoli (Cebete e Simmia) concerne unapparente contraddizione che Socrate deve
cercare di risolvere: quella tra il divieto di uccidersi et lopinione secondo la quale in
certe circostanze e per certe persone15 meglio essere morti che vivere (62a, p. 117
Lami).
Le questioni che si pongono sono le seguenti:
15

Cio i filosofi, come si vedr.

12

1) come si giunge a presentare questa contraddizione?


2) Se e come Socrate riesce a risolvere questa contraddizione. Il punto due si
articola in due parti:
2a) discussione sul divieto di suicidio (62b-c)
2b) presentazione della teoria secondo la quale i filosofi vogliono morire
(63e-69e): qui troviamo una appassionata difesa della vita filosofica.
1) come si giunge a presentare questa contraddizione:
Il passo che ci permette di affrontare la nostra questione si trova in 60c (p. 107
Lami), dove Cebete, prendendo per la prima volta la parola, domanda a Socrate
perch mai, negli ultimi giorni, si sia messo a mettere in versi le favole di Esopo, e a
comporre un inno ad Apollo. Cebete aggiunge che Eveno16 che vuole sapere queste
cose. Socrate risponde a queste domande, e poi aggiunge (61b-c, p. 111 Lami):
salutamelo e digli che, se saggio, mi venga dietro il pi presto possibile.
Suggerisce quindi che Eveno segua colui che muore.
Di fronte alla perplessit di Simmia, Socrate risponde:
E perche?...dicono, questo non lecito (61b, pp. 113-115 Lami).
Ecco quindi come si arrivati a questo problema: da una parte, afferma Socrate,
dicono (ma chi?) che vietato uccidersi; dallaltra il filosofo deve cercare di seguire
colui che muore.
E Cebete che formula la contraddizione: Come dici... chi muore? (p. 115 Lami).
Di fronte a tale questione, Socrate risponde facendo qualche osservazione:
i) domanda a Cebete come mai lui e Simmia, pur essendo discepoli di Filolao, non
hanno sentito parlare di queste cose. Filolao era un allievo di Pitagora contemporaneo
di Socrate; riferendosi a esso, Socrate vuole suggerire che Filolao insegnasse, in
quanto pitagorico, una dottrina sul divieto di suicidio che Cebete doveva conoscere: e
di fatti Cebete risponde che ne ha sentito parlare, ma in maniera confusa. Dallaltro
lato, forse Socrate vuole segnalare che la proibizione al suicidio unopinione
pitagorica (di Filolao), che per Socrate non condivide necessariamente. In effetti egli
dice: dicono che fare violenza a se stessi non lecito; e anche ma anchio ne parlo
solo per sentito dire. Socrate dunque starebbe riportando una dottrina sostenuta da
altri di cui ha sentito parlare, ma che forse non condivide.
ii) laltra cosa che Socrate dice rispondendo a Cebete riguarda la maniera di
procedere nellargomentazione, che caratterizzer tutto il Fedone:
Ma, veramente...di quale specie crediamo che sia (61d-e, p. 117 Lami).
riflettere e far chiacchiere non una buona traduzione: i verbi greci diaskopein e
mythologhein vogliono dire rispettivamente sottoporre a un esame approfondito e
parlare per miti rispetto a questo viaggio che la morte. Il mettere insieme questi
due verbi, uno che rinvia ad argomenti rigorosi (veri), laltro ai miti (discorsi solo
verosimili) caratterizza tutto il dialogo.
2) Se e come Socrate riesce a risolvere questa contraddizione.
Il punto due si articola in due parti:
2a) discussione sul divieto di suicidio:
Ebbene, in base a che cosa dicono che non lecito uccidersi? domanda Cebete
(61e, p. 117 Lami).
16

Si tratta di un poeta e filosofo di modesto talento, che insegnava la virt per cinque mine, come si
dice nellApologia 20b.

13

Risposta di Socrate (62b-c, p. 119-121):


Socrate suggerisce due possibili fondamenti del divieto di suicidio:
i) siamo posti in una prigione /posto di guardia (phroura) dalla quale non possiamo
da noi stessi liberarci e scappare. Questa una formula dei misteri orfici, e il suo
senso dipende dalla traduzione del termine greco phroura, che ambiguo e significa o
prigione oppure posto di guardia (Lami opta per il primo significato: vedi nota 21
pp. 118-120).
Se il termine significa prigione, allora Socrate si riferisce alla dottrina orfica del
corpo-prigione. Si tratta di una dottrina religiosa secondo la quale la vita sulla terra
consiste in un imprigionamento dellanima nel corpo. In questo caso, si paragona il
suicido alla fuga dalla prigione, che sarebbe vietata da un divieto religioso (si veda il
riferimento alla formula pronunciata nei Misteri orfici).
Se invece il termine greco significa posto di guardia (cittadella?), il suicidio
sarebbe visto come un atto di diserzione che renderebbe colpevoli di codardia.
ii) Laltra possibilit, che spiegherebbe il divieto di suicidio, che noi si sia
propriet degli dei. Questo argomento prefigura quello cristiano secondo cui la vita
dono di Dio e quindi pu essere tolta solo da lui.
62c (p. 121 Lami): E allora...si presenta per me.
Qui troviamo lidea che non ci si possa suicidare prima di ricevere un segno chiaro
che questa sia la volont divina. Nel caso di Socrate, il segno la condanna del
tribunale ateniese a bere la cicuta. La condanna a morte dunque vista da Socrate
come unoccasione che la divinit gli offre di realizzare il suo vero desiderio: il
desiderio di essere morto piuttosto che di vivere. Socrate dunque non sostiene la teoria
di un assoluto divieto di suicidio; al contrario, il suo ragionamento sembra implicare
che la sua propria morte sar un suicidio, ma legittimo perch sostenuto da un segno
divino. Non vuole quindi condannare il suicidio, ma cercare di spiegare perch il
desiderio di morire del filosofo non pu giustificare il desiderio di procurarsi da se
stesso la morte.
Considerazioni:
- al di l delle considerazioni presentate da S. per vietare il suicidio, che sono pi o
meno convincenti e comunque di ordine religioso, le questioni che S. pone sono due:
i) perch dobbiamo restare qui, sulla terra, nel corpo?
Risposta: perch lo ordinano gli dei.
ii) perch gli dei ci hanno collocato in questo corpo?
S. non risponde, ma in altri dialoghi dir che siamo in questo corpo a causa di
malefatte che abbiamo compiuto nelle nostre vite precedenti (vedremo che anche nel
Fedone Platone presenter la teoria della trasmigrazione delle anime): la mia anima
cade in un corpo, e poi in un altro, e poi in un altro.
Tutto questo mi pare estremamente interessante, visto che alla fine del dialogo S.
berr la cicuta.
Ecco allora le due domande che si pongono:
i)
Socrate pensa che alla fine della giornata si suicider?
ii)
Noi pensiamo che Socrate, bevendo la cicuta, si suicidi?
Alla prima domanda si potrebbe rispondere S. Le condizioni infatti per
suicidarsi sono:
a) averne lintenzione
b) provocare la propria morte di propria mano.
Ora, Socrate ne ha lintenzione (vedremo tra breve perch), e inoltre riceve un
chiaro via libera dagli dei, per cui finalmente libero di morire. La questione per
complicata dal fatto che egli obbligato ad uccidersi. Che cosa succederebbe se ad

14

esempio i magistrati gli dicessero Socrate, abbiamo deciso di annullare la tua


esecuzione. Ora sei libero di fare ci che vuoi. Come reagirebbe Socrate?
Alla seconda domanda (noi pensiamo che, bevendo la cicuta, S. si suicidi?)
difficile rispondere. In effetti, non facile stabilire, per alcuni casi, se si tratti di
suicidio oppure no.
Consideriamo i seguenti casi:
i)
mi suicido: ne ho lintenzione e lo faccio;
ii)
tu mi uccidi, e io non faccio nulla per evitarlo, forse lo voglio (ne ho
lintenzione). Caso simile a quello di Socrate?
iii)
ti trovo in una situazione di pericolo, decido di aiutarti anche se questo
provocher sicuramente la mia morte, cosa che avviene. Non ho
lintenzione di uccidermi, ma faccio qualcosa che provoca la mia morte.
La questione : nei casi ii) e iii) si tratta di suicidio?
2b) presentazione della teoria secondo la quale i filosofi vogliono morire:
qui troviamo una appassionata difesa della vita filosofica, e una nuova apologia di
Socrate. Socrate, cio, deve difendersi da Simmia e Cebete, che lo accusano di voler
abbandonare loro e gli dei di qui (cio, gli dei tradizionali), per affrontare con gioia
e liberazione la morte.
Il secondo corno della contraddizione che Socrate chiamato a risolvere quindi:
i filosofi preferiscono morire. Contrariamente allatteggiamento nei confronti della
proibizione al suicidio, la teoria secondo cui i filosofi preferiscono morire
fortemente sostenuta da Socrate (64c-d (p. 135 Lami): e allora rifletti bene, caro
amico, se per caso anche tu hai la stessa opinione che ho io).
Cebete (literlocutore pi attivo di questa parte del dialogo) sembra trovare
verosimile il discorso che Socrate ha appena pronunciato a proposito del divieto di
suicidio. Trova invece assolutamente sconcertante laltra affermazione di S., quella
appunto sui filosofi che vogliono morire:
Ma quello...sue propriet (62d, p. 123 Lami).
Il senso dellaffermazione di Cebete il seguente: comme tu dici, Socrate, noi
siamo propriet degli dei e gli dei ci proteggono, diciamo, qui dove siamo: di
conseguenza, sembra davvero irragionevole voler abbandonare la vita, cio
esattamente la protezione e la cura dei nostri dei.
La risposta di Socrate a questa domanda esprime innanzitutto unopinione, o
piuttosto una speranza (63c, p. 125 Lami):
- la speranza che vi sia qualche cosa dopo la morte, precisamente la speranza di
giungere l dove altri dei, sapienti e buoni, si trovano. Socrate non parla degli
dei tradizionali, ma forse delle idee da contemplare
- la speranza che vi sia, dopo la morte, qualcosa di molto migliore per i buoni
piuttosto che per i cattivi.
Si noti che gi in Omero si trovava lopinione che ci fosse qualcosa dopo la morte.
La novit presentata da Socrate rispetto alla tradizione lidea che il destino dei
buoni sia mogliore di quello dei cattivi.
Socrate vuole difendere la teoria secondo cui i filosofi preferiscono essere morti:
e a voi dunque...essere morti 63e-64a (pp. 129-130 Lami).
Largomento che si trova celato in queste parole si articola nel modo seguente:
1) durante la loro vita, i filosofi non si occupano di nullaltro che di morire e di
essere morti
Quindi
2) i filosofi preferiscono (o desiderano) essere morti piuttosto che essere in vita.

15

Naturalmente largomento presentato cos rende perplessi. Bisogna in effetti


aggiungere parecchi elementi complementari, alcuni dei quali esplicitati da Socrate,
laddove altri restano solo presupposti.
Ecco qui la lista completa degli elementi della teoria, che discuter in ordine:
(i)
definizione della morte come separazione anima/corpo (esplicitata)
(ii)
identificazione dellio con lanima (presupposta nel Fedone, dimostrata in
un altro dialogo Alcibiade I 129a-130e)
(iii) identificazione dellanima con il pensiero razionale (idea solo implicita, ma
che costituisce la base dellintero Fedone)
(iv)
svalorizzazione del corpo che, secondo Socrate, impedisce il pensiero
(esplicitato).
Definizione della morte
Crediamo che la morte sia qualche cosa? E che ...da questo? 64c (133 Lami).
La morte esiste, ed qualche cosa. Socrate oscilla qui tra due definizioni:
(a)
definizione della morte: si tratta dellevento della separazione dellanima dal
corpo;
(b)
definizione dellesser morto, cio di uno stato che il risultato della
separazione: lessere separato dellanima dal corpo e lessere separato del
corpo dallanima.
Si tratta forse di due definizioni, che per non sembrano implicare un grande
differenza rispetto a ci che Socrate vuole fare. Socrate vuole avere la possibilit di
parlare dellanima e della sua esistenza separata dal corpo. Ci detto, nellottica
socratica, se ha senso parlare dellessere morto del corpo quando separato
dallanima, non ha alcun senso parlare dellanima morta quando essa separata dal
corpo, ch anzi S. vuole dimostrare limmortalit dellanima. Quindi forse sar pi
corretto dire che, secondo questa definizione, non sono lanima e il corpo ad essere
morti, ma luomo, che ununione tra i due: morto sar luomo la cui anima e il cui
corpo sono separati.
E comunque importante sottolineare che questa definizione di morte non implica
che lanima continui ad esistere una volta separata dal corpo, n che il corpo
continui ad esistere una volta separato dallanima. In effetti, se consideriamo cosa
accade al corpo una volta sopraggiunta la morte, vediamo che esso esiste per un po
di tempo, ma poi si decompone; inoltre, ci sono certe morti che disintegrano il
corpo, che quindi da subito non esiste pi. Socrate consapevole del fatto che la
definizione di morte non implichi che lanima continui ad esistere dopo la
separazione, e affronter tale problema pi tardi.
Identificazione dellio con lanima
Lanima il vero io, la persona reale. Prendendosi cura dellanima, il filosofo si
prende cura di se stesso. E questa per esempio la conclusione del dialogo (115 b-c),
dove Socrate esorta i suoi discepoli a prendersi cura di se stessi secondo i discorsi
che sono stati fatti prima (la purificazione del corpo, la vera conoscenza, il distacco
dellanima dal corpo, ecc.). Dopo la morte di Socrate, i suoi discepoli diranno di
aver sepolto non Socrate, ma solo il suo corpo: Socrate viene cos distinto dal suo
corpo, e quindi identificato con la sua anima. Nel Fedone, tuttavia, non vi un
argomento che identifichi la persona con la sua anima. Lo troviamo in un altro
dialogo, Alcibiade I, 129a-130c.
Identificazione dellanima con il pensiero

16

Nel Fedone, lanima sar identificata con lintelletto e il pensiero, cio con
lelemento razionale che pensa. In tal senso, Socrate affermar che lanima tocca la
verit (65b9), ragiona (65c2), acquisisce il sapere (76c6) o possiede il sapere
(76c12). Lanima trattata alla stregua della vista: la vista lorgano di una visione
materiale, lanima sar lorgano di una visione intellettuale (oppure si tratta di un
soggetto che apprende la verit).
Lidentificazione tra lanima e il pensiero conduce Socrate ad operare una
distinzione radicale tra la ragione e tutto il resto delle attivit umane, espulse dalla
parte del corpo. E come se il ragionamento fatto da Platone fosse il seguente:
quello che io, Platone, voglio fare, di isolare una pura attivit dellanima. Come
posso fare? Procedo per esclusione:
- i sensi hanno bisogno del corpo (cio, degli organi sensoriali)
- i piaceri hanno bisogno del corpo
- i desideri hanno bisogno del corpo
e cos via.
Qual lunica attivit che non ha bisogno del corpo? Il pensiero. Si noti che tale
conclusione condivisa anche da Aristotele, che invece ha la tendenza a identificare
lanima con delle funzioni corporee. Tuttavia sembra che i filosofi abbiano torto. In
effetti, vero che non posso vedere senza occhi n udire senza le orecchie: forse che
posso pensare senza cervello? Seguendo tale ragionamento, anche il pensiero
risulter essere unattivit corporea.
Pi tardi, in altri dialoghi come Repubblica e Fedro, Platone render il discorso pi
complicato : in particolare distinguer lanima in tre parti (razionale, sensibile e
appetitiva), considerando i conflitti che nel Fedone ascrive allanima e al corpo,
come conflitti tra parti dellanima17.
Svalorizzazione del corpo
Socrate discute questo argomento in 65b (p. 137 Lami):
E che dici...ti sembra cos?
In questo passaggio si assiste a una svalorizzazione dei sensi (nel senso di organi
della percezione): la vista , o ludito, ci dice Socrate, non ci fanno conoscere nessuna
cosa con verit, perch non sono esatti. Ora, questo disprezzo dei sensi
continuamente presente nel Fedone (cfr. 65c, 65e-66a, 79c, 83a, 99e). Parlando della
vista e delludito, Socrate dichiara che essi non sono n esatti n chiari.
Probabilmente egli pensa agli errori della vista dovuti alla distanza: un esempio
famoso dellantichit quello della torre che da lontano sembra tonda e da vicino
quadrata. Si pensi anche allesempio divenuto celebre grazie a Cartesio (e da lui
utilizzato proprio per dichiarare che i sensi ci ingannano) del bastoncino che in un
bicchiere dacqua pare spezzato.
Socrate per radicale: egli non si limita a dire che i sensi ci offrono una visione
imperfetta o confusa della realt. Egli dichiara che i sensi non sono di alcuna utilit
per la conoscenza, ma solo un impedimento. Essi impediscono allanima di accedere
ai veri oggetti della conoscenza, cio alle idee o forme, entit che vengono introdotte
in 65d (p. 139 Lami): il giusto in s, il bello in s, il buono in s.
Insomma, Socrate sostiene due cose:
i)
che i sensi non sono degli strumenti di conoscenza, anzi, sono di
impedimento ad essa
ii)
che il mondo fisico non loggetto reale della conoscenza.
17

vedi infra, (7) La natura dellanima e levoluzione platonica della sua concezione..

17

La conoscenza filosofica (phronesis: sapienza, conoscenza, pensiero) pu essere


ottenuta solo sospendendo lazione dei sensi. Il corpo infatti impedisce di pensare,
cio di conoscere, cio di avere accesso alla verit. Ancora una volta possiamo
criticare questa presa di posizione: vero che a volte il corpo impedisce di pensare,
ma questo non implica che si possa pensare meglio (o addirittura pensare) senza
corpo, cio senza il cervello.
Comunque sia, con le aggiunte discusse, largomento che Socrate presenta per
difendere la tesi secondo cui i filosofi preferiscono essere morti risulta essere il
seguente:
(i)
essere morto significa che lanima separata dal corpo
(ii)
il corpo impedisce al filosofo (che si identifica con lanima) di
pensare
(iii) quindi: il filosofo preferisce essere separato dal suo corpo (cio,
preferisce essere morto).
Di fatto il filosofo si impegna per tutta la vita a liberare lanima dal corpo per
accedere al mondo reale, cio per tutta la vita si esercita a morire. Sar quindi felice di
affrontare la morte, che , come abbiamo visto, la vera liberazione e separazione
dellanima dal corpo.

18

(4) Prima prova: largomento ciclico; il principio del divenire e la sua applicazione
al caso dellanima (69e-72e, pp. 159-175 Lami).
Bibliografia:
J. Barnes, Critical notice of D. Gallop, Plato: Phedo, Oxford 1975, in Canadian
Journal of Philosophy, 2, 1978, pp. 397-419 (fotocopia disponibile)
Abbiamo visto che la teoria socratica ha lo scopo di pensare e parlare
legittimamente dellanima come separata dal corpo; essa per, come osserva
giustamente Cebete (70a, p. 159 Lami) non dice nulla sullesistenza dellanima una
volta avvenuta la separazione. Lanima infatti potrebbe dissolversi immediatamente
dopo levento (come suggerisce Cebete), oppure durare per un po e poi corrompersi
(comme vediamo che avviene nella maggior parte dei casi per il corpo).
Con la prima prova, invece, Platone incomincia a dimostrare qualcosa
sullesistenza dellanima. Il linguaggio vago perch in effetti non facile capire che
cosa Platone voglia realmente dimostrare. O forse il problema che Platone vuole
dimostrare una cosa, ma di fatto la dimostrazione che presenta, arriva a dimostrare
qualcosa di molto pi debole.
Quello che Platone vuole probabilmente dimostrare che lanima esiste dopo la
morte dellessere umano, cio dopo la separazione dellanima dal corpo; quello che
invece il suo argomento riesce a dimostrare qualcosa di un poco differente.
Cebete chiede di dimostrare lesistenza dellanima dopo la morte18;
Socrate risponde proponendo di esaminare la seguente questione: le anime degli
uomini che hanno cessato di vivere (cio dopo la morte) esistone nellAde oppure no?
La proposizione da dimostrare sembra quindi essere effettivamente lanima esiste
dopo la morte.
Ma alla fine di tutto largomento Socrate conclude (71e, p. 169 Lami) dicendo
allora esistono veramente le nostre anime nellAde; il riferimento al post mortem
non c pi.
Ora: lanima esiste nellAde post mortem implica lanima esiste nellAde; ma
lanima esiste nellAde non implica lanima esiste nellAde post mortem.
Si tratter di vedere se il riferimento post mortem resta implicito oppure se
semplicemente sparisce.
In ogni caso, qualunque sia la conclusione dellargomento, essa non implica
limmortalit dellanima, ma compatibile con lidea di una durata finita dellanima.
Lanima cio potrebbe esistere prima o dopo la sua unione con il corpo, ma solo per
un tempo finito: dopodiche potrebbe corrompersi e perire. Quindi, il problema
sollevato da Cebete permane.
Per esaminare la questione, Socrate propone per la seconda volta un metodo che
consiste in un mlange di racconto (di miti) verosimile e di ragionamento rigoroso
(cfr. 70b5-70c3, p. 161 Lami: tenere una conversazione non una buona traduzione
di diamythologein, verbo che ancora una volta contiene la marola mito: meglio
tradurre con raccontare una storia).
Racconto di un mito: 70c (p. 163 Lami)
E proviamo a esaminare...unaltra argomentazione.
18

A dire la verit, Cebete chiede una prova non solo dellesistenza dellanima dopo la morte, ma anche
della persistenza della sua capacit di pensare e conoscere (70b). Socrate si dedica alla questione
dellesistenza, rimandando a dopo quella delle caratteristiche dellanima (seconda prova), tra cui il
pensiero.

19

La prima cosa che Socrate fa di invocare un racconto di antica tradizione: le anime


giungono nellAde, e da l nuovamente ritornano sulla terra, e nascono nuovamente
dai morti. Ora, ci spiega Socrate, se le cose stanno cos, cio se gli esseri viventi
nascono nuovamente dai morti, allora lanima esiste nellAde. Essa infatti non
potrebbe rinascere se non esistesse. Se quindi riusciamo a trovare una prova del fatto
che gli esseri viventi nascono dai morti, riusciremo a provare che lanima esiste
nellAde. Il mito avr cos bisogno di una dimostrazione rigorosa su cui fondarsi.
Il mito : le anime giungono nellAde e da l nuovamente ritornano sulla terra.
Argomento che Socrate vuole dimostrare: 70d (p. 163 Lami)
Ma qual largomento attraverso cui Socrate vuole dimostrare che lanima esiste
nellAde? Qui si presentano drammaticamente dei problemi di traduzione del greco,
che non posso ignorare. Il primo problema la traduzione del verbo gignomai, reso da
Fabrini con nascere (di nuovo) e rinascere. Laltro problema capire cosa
significa che i vivi nascono dai morti. Se non si sviluppa un p, largomento risulta
molto oscuro. Comunque eccolo, nelle parole di Socrate:
(i) le anime ghignontai palin (provvisoriamente: nascono nuovamente) dai morti
(i*) gli esseri viventi ghignontai palin (provvisoriamente: nascono nuovamente) dai
morti
(ii) le anime che non esistono non possono ghignesthai palin (provv.: nascere
nuovamente)
Dunque
(iii) le anime esistono nellAde.
La traduzione di ghignomai:
il verbo in greco ambiguo, e pu significare tre cose:
- diventare F, dove F una propriet, per esempio diventare bianco
- nascere
- risultare
etc.
Contrariamente a ci che per esempio fa il nostro testo (che traduce il verbo con
nascere e rinascere, adotto il significato di diventare F. Si tratta di una decisione,
non condivisa da tutti, ma giustificata dal seguito del testo, dove Socrate presenta la
teoria dei contrari, e soprattutto degli esempi che vanno chiaramente nella direzione
della traduzione qui privilegiata.
Anche la formula (provenire) dai morti diventer pi chiara se si considera la teoria
che costituisce la base dellargomento, cio la teoria dei contrari.
Un altro problema da affrontare riguarda la relazione tra (i), che parla delle anime,
e (i*), che parla degli esseri viventi. Bisogna chiedersi se largomento parla delle
anime oppure degli esseri viventi: in effetti, secondo la definizione di morte data in
precedenza da Socrate, gli esseri viventi sarebbero quelli costituiti dallunione
anima/corpo, non le anime separate (che sarebbero piuttosto morte). Per rendere
allora equivalenti le due premesse bisogner forse tradurre il corrispondente greco
(zntas) con persone viventi, che vanno intese come anime viventi, dal momento
che la vera persona, come sappiamo, lanima.
In ogni caso, Socrate considera necessario dimostrare o (i) o (i*) per poi dimostrare
(iii) le anime esistono (nellAde).
Il principio dei contrari 70d-71b (pp. 163-165 Lami).
Ebbene...se non dai loro contrari 70d-e (p. 163 Lami).

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Per dimostrare (i) o (i*), Socrate invoca il principio dei contrari, che riguarda non
solo gli uomini, ma anche gli animali e le piante, insomma tutto ci che soggetto al
divenire. Il temine greco ghenesis (tradotto nella nostra traduzione con nascimento,
a mio avviso a torto) presenta gli stessi problemi di traduzione del verbo ghignomai.
Per ora lo traduciamo con il termine divenire.
Qual allora questo principio? Eccone le formulazioni socratiche:
1) 70e1-2: tutte le cose che possiedono un contrario ghignetai cos: i contrari da
nullaltro che da contrari.
2) 70e4-6: bisogna indagare se necessario (e non inevitabile come traduce
Fabrini), per tutto ci che ha un contrario, che non da altro esso ghignetai se non dal
suo contrario.
3) 71a9-10: ammettiamo come adeguatamente provato che tutte le cose
(pragmata) ghignetai in questo modo, i contrari dai loro contrari.
Se troviamo una spiegazione dellespressione da nullaltro che da contrari,
potremo comprendere cosa significa dai morti nellargomento che S. vuole
dimostrare a proposito delle anime.
Ho lasciato volutamente il verbo greco non tradotto: la traduzione italiana presenta
nascimento per ghenesis e nascere per gignomai. Questa traduzione si rivela
problematica:
si veda lesempio a pagina 165: per essere coerenti con essa dovremo dire quando
una cosa nasce pi grande, necessario che essa nasca pi grande in seguito, da pi
piccola che era prima. Invece giustamente, per lesempio, Fabrini sceglie di tradurre
ghigesthai con diventare. Gi dallesempio si inizia a comprendere che il divenire
di cui Socrate sta parlando quello che abbiamo scelto: il divenire F a partire dal
divenire G, dove F e G sono due propriet contrarie (es. bianco/nero;
piccolo/grande).
E comunque difficile trovare una traduzione coerente di ghenesis/gignomai. Il
problema aggravato dal fatto che Platone, quando parla di contrari (enantia), si
esprime in maniera ambigua: pu parlare anche di cose contrarie (vedi la terza
formulazione, che parla di pragmata, cose), quando di fatto si tratta di propriet
contrarie.
Comunque sia, un modo per enunciare il principio dei contrari il seguente:
necessario che, per ogni cosa che possiede una propriet contraria, questultima
non derivi da nullaltro che dal suo contrario. Resta il problema di come interpretare
quel da.
Questioni
Le questioni che questo principio solleva sono le seguenti:
i)
definizione di contrario
ii)
come spiegare in modo pi chiaro la derivazione del contrario dal suo
contrario.
Vale la pena di chiarire questi due aspetti considerando gli esempi che Socrate
propone per chiarire il principio dei contrari.
Esempi di primo tipo:
Riprendiamo il passaggio 70e (p. 163 L.): cos per esempio...migliaia daltri
esempi .
Gli esempi di primo tipo sono coppie di contrari come bello/brutto, giusto/ingiusto.
Esempi di secondo tipo:
70e6-71a7 (p. 165 L.): Per esempio...da pi ingiusta?.
Gli esempi di secondo tipo sono i seguenti:

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una cosa diviene pi piccola dopo (ek) essere stata dapprima pi grande, e
viceversa;
- una cosa diviene pi debole dopo (ek) essere stata pi forte
- una cosa diviene pi veloce dopo (ek) essere stata pi lenta
ecc.
E chiaro dagli esempi che Socrate sta parlando di propriet contrarie che una cosa
possiede. Si tratta di propriet contrarie perch, come abbiamo visto nella
conversazione iniziale, esse possono essere possedute da una stessa cosa, ma non
nello stesso momento.
Inoltre, dagli ultimi esempi che abbiamo visto (piccolo/grande, debole/forte, ecc.),
sembra che il discorso di Socrate implichi che la cosa che possiede una delle due
propriet contrarie, debba aver posseduto immediatamente prima laltra delle due
propriet contrarie.
NB i primi esempi (giusto/ingiusto e forse bello/brutto) vengono forse trasformati in
esempi di secondo tipo: cfr. 71a 6-7: una cosa diventa peggiore dopo essere stata
migliore; una cosa diventa pi giusta dopo essere stata pi ingiusta.
In effetti i primi esempi presentati da Socrate (bello/brutto; giusto/ingiusto) non
sembrano dei buoni esempi perch non rientrano nel tipo di contrario che Socrate
sembra avere in mente (era anche il problema che abbiamo trovato allinizio del testo,
quello della relazione tra piacere e dolore): una cosa che diventa bella non deve essere
stata necessariamente brutta immediatamente prima; stesso discorso per
giusto/ingiusto.
Invece gli esempi di secondo tipo sembrano richiedere tale sequenza: se ora mi
sento debole perch prima mi sentivo forte. C stato un momento, immediatamente
prima di sentirmi debole, in cui mi sentivo forte.
E giunto ora il momento di trovare una spiegazione per il termine ghenesis: si tratta
del processo che porta da una propriet alla propriet contraria, e che si deve adattare
agli esempi dati da Socrate.
La prima cosa da sottolineare che Platone sta parlando di un cambiamento che si
opera in una stessa cosa. Egli si esprime infatti in questi termini:
quando una cosa diventa pi grande, necessario che diventi grande dopo (ek)
essere stata pi piccola.
La seconda cosa da sottolineare che lek greco, puntualmente usato negli esempi,
non significa derivazione, ma successione temporale.
Quindi la frase in 71a9-10, che universalizza quello che possiamo chiamare il
principio del divenire, non deve essere tradotta come nel nostro testo (p. 165):
ammettiamo come adeguatamente provato che tutte le cose nascono in questo
modo, i contrari dai loro contrari
bens
ammettiamo come adeguatamente provato che tutte le cose divengono F in questo
modo, i contrari immediatamente dopo i contrari;
il senso :
un oggetto giunge a possedere una propriet (immediatamente) dopo aver
posseduto la propriet contraria.
Quindi, secondo Socrate, qualunque cosa possieda una propriet, deve aver
posseduto immediatamente prima la propriet contraria.
Socrate aggiunge una circolarit delle coppie di propriet contrarie: secondo
lesperienza comune, egli dice, le cose piccole si accrescono e diminuiscono, le cose
fredde si riscaldano e divengono di nuovo fredde, ecc. Nel descrivere il divenire, egli
sottolinea quindi una sorta di reciprocit:

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71a-b (p. 165 L.): e inoltre...decrescere?


Contrariet vita/morte
Una volta presentata la dottrina dei contrari, Socrate si volge alla dimostrazione
della premessa (i) (o (i*)), secondo cui le anime ghignontati dai morti. Socrate ne fa
un caso particolare del cosiddetto principio dei contrari.
Socrate comincia col proporre un paragone tra dormire/essere sveglio e
vivere/essere morto (tethnanai, infinito perfetto di thnesko), introducendo dunque
questultima coppia tra i contrari.
Sempre sulla base di questo paragone, Socrate applica anche alla coppia
vivere/essere morto le caratteristiche che ha individuato per qualunque coppia di
contrari:
- il fatto che luno viene dopo (ek) laltro19
- il fatto che anche tra di loro si stabilisce un doppio divenire (nascita-morte,
morte-nascita).
71d-e (p. 169 L.): E ora, continu...esistono veramente le nostre anime nellAde.
Socrate tratta vivere-essere morto come due propriet contrarie, assoggettate alla
legge dei contrari: secondo le traduzioni proposte di ghignetai e di ek, giustificate
dagli esempi illustrativi dati da Socrate, avremo che:
x giunge a possedere la propriet di essere vivo immediatamente dopo aver
posseduto la propriet di essere morto
e
x giunge a possedere la propriet di essere morto immediatamente dopo aver
posseduto la propriet di essere vivo.
Dunque, conclude Socrate, le nostre anime esistono veramente nellAde.
Riprendiamo quindi largomento iniziale, apportandovi le traduzioni greche
opportune, per vedere se Socrate ha ragione, cio se ha dimostrato quello che voleva
dimostrare:
(i)
le nostre anime giungono a possedere la propriet di essere vive dopo aver
posseduto la propriet di essere morte
(ii)
le anime che non esistono non possono giungere a possedere la propriet di
essere vive
Dunque
(iii) le anime esistono nellAde.
Concentriamoci su (ii) che il punto centrale: perch mai le anime che non
esistono non possono diventare vive?
Ebbene, perch ci sia un cambiamento tra propriet contrarie in un soggetto,
necessario che questo soggetto (o sostrato) esista. Le propriet si alternano, ma il
soggetto (o sostrato) delle propriet deve persistere attraverso i cambiamenti!
Lanima in quanto sostrato permane durante il cambiamento, cio durante il
passaggio tra le propriet contrarie essere vivo e essere morto.
Questioni finali
(1) Di che contrari parla Socrate?
(2) E vero che vita/morte sono contrari?
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La nostra traduzione di Fabrini purtroppo conserva nascere da che a questo punto risulta fuorviante
(p. 167 Lami: e dunque questi due stati, se vero che sono contrari, nascono luno dallaltro?). Il
problema si presenta drammaticamente anche a pagina 169.

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(3) Che cosa vuole precisamente dimostrare Platone? Qual la conclusione


dellargomento?
(1) Vita/morte devono rientrare in un certo tipo di propriet contrarie. Si tratta di
propriet che non possono trovarsi in un oggetto contemporaneamente. Inoltre,
esse sono tali che se un oggetto possiede una di queste propriet, immediatamente
prima deve aver posseduto laltra propriet contraria. Infine, come abbiamo visto,
Socrate aggiunge una circolarit: una cosa giunge a possedere una propriet dopo
aver posseduto quella contraria, e viceversa.
La maggior parte degli esempi dati da Socrate sono relativi, ci che in greco
espresso dalle forme comparative:
- pi grande/pi piccola
- pi piccola/pi grande
- pi debole/pi forte
- pi forte/pi debole
- pi lento/pi veloce
- pi veloce/pi lento
- migliore/peggiore
- peggiore/migliore
- pi giusto/pi ingiusto.
Ma difficile credere che Socrate voglia limitarsi a questi casi. In effetti, prima di
tutto egli d anche esempi di non relativi (quindi non espressi in forma comparativa),
quali bello/brutto, giusto/ingiusto; inoltre diventare F a partire da una propriet
contraria non implica necessariamente gradi di pi e meno. Per esempio, la coppia
essere pari/essere dispari non implica dei gradi (una cosa non pu diventare pi o
meno pari). Infine, e questa losservazione decisiva, i contrari relativi non si
applicano al caso che ci interessa, e cio essere vivo/essere morto. Non ha alcun senso
dire che Socrate pi vivo dopo essere stato pi morto. Per largomento socratico
essenziale que lanima divenga morta dopo essere stata viva, e che essa divenga viva
dopo essere stata morta. Ora, se si parla di contrari relativi, comparativi, risulta
estremamente difficile concepire il divenire di queste propriet contrarie nellanima.
Per non tutti gli studiosi sono daccordo: alcuni hanno tentato di difendere la teoria
dei contrari relativi e comparativi.
(2) vita/morte come contrari?
Consideriamo la definizione di morte data da Socrate nella conversazione iniziale.
Secondo questa definizione, essere morto si identifica con lessere separato del corpo
e lessere separata dellanima. Se pensiamo al corpo, la coppia essere morto/essere
vivo significa:
- il corpo animato: vivo e esiste
- il corpo inanimato: morto e esiste solo per poco tempo (o non esiste affatto)
Ma come applicare allanima la coppia di queste due propriet?
- lanima anima il corpo: viva? Esiste?
- Lanima non anima pi il corpo (cio, si separa da esso): morta? Esiste?
A questo punto possiamo capire che, per quello che riguarda lanima, esistere e
essere vivo non si identificano. In effetti, secondo ci che Platone vuole dimostrare,
lanima esiste sempre. Detto questo, a volte essa diviene viva (cio, entra in un corpo
e lo anima), a volte diviene morta (cio si separa dal corpo). A questo punto lessere
umano, che per Socrate unione dellanima col corpo, cessa di esistere, ma non
accade la stessa cosa n per lanima (che il vero io), n per il corpo (che resta
visibile per un po).
Quindi essere vivo e essere morto sono due propriet contrarie. Questo perch:

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essere vivo diverso da esistere


essere morto diverso da non esistere pi.
C qualcosa che esiste sempre (lanima), e che a volte diviene viva, a volte diviene
morta.
(3) Che cosa dimostra realmente largomento di Socrate?
Sulla base di quello che abbiamo detto, possiamo dire cge quando Socrate conclude
allora, esistono veramente le nostre anime nellAde (71e, p. 169 Lami), egli vuol
dire dunque, ciascuno di noi, almeno per une certo periodo di tempo, esiste e nello
stesso tempo possiede la propriet di essere morto; cio, esiste prima di incarnarsi.
Questo, come sappiamo, non implica ancora limmortalit dellanima. Inoltre, questo
argomento lascia cadere come sappiamo il riferimento post mortem. La
conclusione, secondo le parole di Socrate, concerne allora esclusivamente lesistenza
dellanima prima della nascita (cio, prima della caduta nel corpo), e non lesistenza
dellanima post mortem. In effetti, ci che Socrate sembra dimostrare che lanima
esiste nellAde, cio, che esiste pour possedendo la propriet di essere morta. Infatti
lAde tradizionalmente il luogo dei morti.
Socrate per aggiunge unosservazione che sembra spiegare perch va dimostrato il
passaggio morte-vita (appunto la premessa (i)) e non il passaggio vita-morte:
dunque, dei due processi...sar zoppa? (71e, p. 169 Lami).
Socrate cio constata che il passaggi da essere vivo a essere morto chiaro, cio
osservabile (si fa continuamente lesperienza di qualcuno che prima vivo e poi
morto); in compenso, egli sa che laltro passaggio, da essere vivo a essere morto
(il rivivere) non per nulla evidente. Bisogna quindi dimostrare proprio questo
passaggio.

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