Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
FILOSOFIA E MITO
Un'altra delle caratteristiche salienti dell'opera platonica è l'uso dei miti..
I motivi di questa scelta hanno a lungo costituito argomento di dibattito tra gli studiosi. In linea
generale il mito, in Platone, riveste due significati fondamentali.
● In un primo senso (che vale per un gruppo di racconti), è uno strumento per comunicare in
maniera più accessibile e intuitiva le proprie dottrine. Il mito sarebbe dunque un espediente
didattico-espositivo tant'è che i miti platonici sono spesso appositamente"inventati" dallo
stesso filosofo.
● In un secondo senso, più profondo (e che vale per un altro gruppo di racconti), il mito è un
mezzo di cui il filosofo si serve per parlare di realtà che vanno al di là dei limiti dell'indagine
razionale. Da questo punto di vista, il mito è qualcosa che si inserisce nelle lacune della ricerca
filosofica, permettendo in alcuni casi di formulare una teoria verosimile che, pur essendo
indimostrata e indimostrabile, si può ragionevolmente ritenere vera.
Inoltre l'uso dei miti, se da un lato rende più difficile l'interpretazione della filosofia platonica (poiché
in qualche caso non si capisce bene dove finisca il mito e cominci il pensiero razionale, e viceversa),
dall'altro lato conferisce al platonismo un aspetto inconfondibilmente suggestivo, che nel tempo ha
contribuito alla sua fama.
CAPITOLO 2
LA TEORIA DELLE IDEE
Nei dialoghi giovanili Platone perlopiù difende teorie di Socrate che pur essendo riportate con amore,
vengono già "filtrate" al la luce degli interessi e delle tendenze speculative del giovane Platone.
In particolare, Platone dà molta importanza al metodo socratico delle definizioni capace di superare il
relativismo sofistico. Ed è proprio nell'ambito di questa battaglia anti-sofistica che Platone giunge a
elaborare la "teoria delle idee". Questa segna l'avvio della seconda fase della sua speculazione in cui va
oltre Socrate, elaborando un proprio pensiero.
Qualche studioso l'ha messa in secondo piano anche se essa rappresenta il cuore del platonismo.
Tant'è vero che a Platone parve di risolvere i massimi problemi della filosofia (come egli stesso
dichiara nel Fedone) soltanto dopo averla elaborata. Perciò pensare Platone "senza le idee" sarebbe un
po' come pensare al Democrito senza gli atomi.
Oggetto proprio della scienza, secondo Platone, non possono essere che le idee. Per noi moderni il
termine "idea" denota un pensiero, per Platone indica invece un'entità immutabile e perfetta - il
filosofo ne parla come di una ousía, cioè come di una "sostanza", o "realtà dot a autonom " -.
Poeticamente e metaforicamente, Platone chiama questa zona iperuranio, termine che in greco
significa "al di là del cielo" e che pertanto sembra indicasse una regione immateriale, dal momento
che per gli antichi il cielo comprendeva tutto lo spazio.
Il fatto che le idee abbiano caratteristiche strutturali diverse da quelle delle cose non esclude un loro
stretto rapporto, che Platone configura come un rapporto modello-copia. Per il filosofo, infatti, le cose
sono copie, o imitazioni imperfette, delle idee.
L'IMPIANTO DUALISTICO
possiamo dire che per Platone esistono due gradi fondamentali di conoscenza, l'opinione e la scienza
(dualismo gnoseologico), alle quali fanno riscontro, due tipi d'essere distinti, cioè le cose e le idee
(dualismo ontologico). La verità imperfetta dell' opinione dipende dal carattere mutevole e
impermanente delle cose percepite mediante i sensi. La verità perfetta della scienza dipende invece
dalle idee. In altri termini, la scienza costituisce una conoscenza stabile, duratura e perfetta proprio (e
soltanto) perché la realtà che essa indaga (le idee) è stabile, duratura e perfetta. Da quanto si è detto
emerge come la filosofia platonica rappresenti una sorta di integrazione fra l'eraclitismo e l'eleatismo.
Da Eraclito Platone accetta la teoria secondo cui il nostro mondo è il regno della mutevolezza, mentre
da Parmenide trae la convinzione che l'essere autentico sia immutabile. Dall'eleatismo Platone deriva
anche il dualismo gnoseologico tra sensibilità e ragione e il dualismo ontologico tra l'essere delle cose
e l'essere autentico. Tuttavia, mentre per Parmenide il mondo sensibile non ha connessioni con quello
della ragione, per Platone tra i due mondi esiste un rapporto indissolubile. Inoltre, mentre per
l'eleatismo il nostro mondo è apparenza illusoria e irrazionale, per Platone esso possiede una sua
specifica realtà.
Tuttavia, bisogna ammettere che il rapporto idee cose non è stato definito in modo univoco dal
Platone della maturità, il quale, pur parlando di mimèsi (per cui le cose imitano le idee), di metessi
(per cui le cose partecipano, seppure in misura limitata, dell'essenza delle idee) e di parusia (per cui
le idee sono presenti nelle cose), rimane sulla questione piuttosto incerto e oscillante. Come vedremo,
nella sua vecchiaia il filosofo riprende questo problema, tentando di risolverlo senza tuttavia mai
pervenire a un esito definitivo.
L'idea platonica finirà per configurarsi come la forma unica e perfetta di quelle cose che vengono
designate con un medesimo nome. Pur essendo molteplici, le idee non formano affatto una pluralità
disorganizzata. Esse hanno un ordine gerarchico-piramidale, con le idee-valori in cima e l'idea del
Bene al vertice. Alcuni interpreti hanno assimilato l'idea del Bene a Dio. Questa lettura, tuttavia, non
trova un'esplicita conferma nei testi platonici, nei quali risulta assente, tra l'altro, l'idea di un dio
creatore e di un dio-persona.
Inoltre troviamo anche la dottrina platonica della filosofia come "preparazione alla morte". Infatti, se
filosofare significa "andare oltre" i sensi e a il corpo, la vita del filosofo risulta tutta una preparazione
alla morte, cioè a quel momento in cui l'anima potrà unirsi direttamente alle idee. Il Fedone mostra
dunque in modo inequivocabile come nella complessa "anima" del platonismo vi sia anche un
momento fortemente religioso, per il quale l'attaccamento alle cose immanenti non esclude l'apertura
a quelle trascendenti, e viceversa.
Platone sottolinea che si tratta di una scelta libera, alla quale la divinità non partecipa in alcun modo
ma è solo condizionato dalla sua vita precedente Nel racconto di Er, ad esempio, Ulisse sceglie una
vita modesta e oscura dal momento che da eroe ha dovuto affrontare molte e difficili prove e ha
imparato quanto l'ambizione possa essere funesta.
Quindi il fondamento della felicità per Platone dipende dal coraggio e dalla saggezza individuali, di chi
sa guardare criticamente al proprio passato per migliorarsi.
Nel mito Platone precisa che compiono scelte sbagliate soprattutto coloro che non hanno praticato la
filosofia: soltanto nell'esercizio della conoscenza risiede quindi la possibilità a una vita felice.
LA GIUSTIZIA
Alla prima domanda Platone risponde la giustizia. Nessuna comunità umana, per Platone, può
sussistere senza la giustizia dato che questa è la condizione fondamentale della nascita e della vita
dello Stato.
Lo Stato ideale ipotizzato da Platone è composto da tre classi: quella dei governanti, quella dei
guerrieri e quella dei lavoratori. La saggezza è la virtù caratteristica della prima di queste classi, poiché
è necessario che i governanti siano saggi. Il coraggio è la virtù della classe dei guerrieri, la temperanza
intesa come rispetto del principio secondo cui l'inferiore deve essere subordinato al superiore, è una
virtù comune a tutte le classi. Tuttavia essa caratterizza soprattutto i produttori, i quali, non avendo
una propria virtù specifica, condividono quella di tutto il corpo sociale.
In uno Stato i compiti sono tanti, e tutti necessari alla vita della comunità: ognuno deve dunque
scegliere quello per cui è più adatto. Soltanto così lo Stato stesso sarà un solo "organismo".
La giustizia garantisce lo Stato ma anche l'efficienza dell'individuo. Abbiamo infatti già visto che
nell'anima individuale Platone distingue tre parti: razionale, concupiscibile e irascibile:della prima è
propria la saggezza e della seconda il coraggio, mentre di tutte e tre è la temperanza. Per cui, la
realizzazione della giustizia nell'individuo e nello Stato non può che procedere in parallelo. Lo Stato è
giusto quando ogni individuo attende soltanto al compito che gli è proprio; ma anche l'individuo è
giusto quando attende soltanto al proprio compito.
IL COMUNISMO PLATONICO
Affinché lo Stato funzioni bene, Platone suggerisce l'eliminazione della proprietà privata. I
governanti-filosofi, in particolare, dovranno avere case piccole e nutrirsi di cibo semplice, vivere come
in un accampamento e mangiare insieme. L'oro e l'argento per loro saranno proibiti.
Se la ricchezza è nociva, la povertà lo è altrettanto: quindi nella città ideale non dovrà esistere nessuna
delle due. Il sistema sociale prospettato da Platone si presenta pertanto come una sorta di comunismo,
che tuttavia non riguarda l'intera società, dal momento che per la terza classe (quella dei produttori)
non si esclude la proprietà privata dei mezzi di produzione (gli attrezzi per lavorare). Platone ritiene
poi che i governanti debbano avere in comune anche le donne. Ciò non implica certo la prostituzione
della donna ..inoltre le donne dovranno godere di una completa uguaglianza rispetto agli uomini e
parteciperanno alla vita dello Stato. Le unioni matrimoniali saranno temporanee e tutti i bambini
saranno tolti ai loro genitori, e si avrà cura sia che questi ultimi non sappiano quali sono i loro figli. In
tal modo si vivrà come in una grande e solidale famiglia.
A questo punto ci si può chiedere se i governanti, sottoposti a tutte queste restrizioni, siano felici. Il
filosofo risponde sostanzialmente che la felicità risiede nella giustizia. Inoltre non bisogna dimenticare
che i filosofi, proprio perché sono tali sono felici di per sé e non hanno bisogno di cercare la propria
realizzazione.
Da questo schema si comprende che per Platone la filosofia è superiore alla matematica nonostante
egli esalti quest'ultima al punto da far scrivere sulla porta dell'Accademia «non entri chi non è
matematico» La matematica, inoltre, produce un sapere che è valido soltanto entro ambiti limitati e
condizionati, perché procede con postulati accettati convenzionalmente.
Diversamente dalla matematica, la filosofia, pur muovendo da ipotesi, le considera realmente come
tali, cioè come semplici punti di partenza.
Inoltre la filosofia riesce a vedere l'orizzonte complessivo entro cui ciascuna è in grado di svolgere ciò
che le compete. La filosofia è dunque una sorta di scienza delle scienze, in grado di fissare il
fondamento e il fine (politico) dei molteplici saperi.
Da questo punto di vista Platone accoglie l'ideale greco della kalokagathia secondo il quale ciò che è
bello e buono non può essere che vero. In altre parole, dove c'è perfetta e autentica bellezza non
possono esserci né male né inganno. Platone sviluppa quindi la propria concezione del bello e dell'arte
in contrapposizione ai sofisti.Egli ritiene che il bello non possa essere semplicemente ciò che procura
piacere. Per questo propone una concezione oggettiva del bello.