Sei sulla pagina 1di 9

Platone

LA GIOVINEZZA E IL DECLINO DELLA POLIS


Fu il discepolo più celebre di Socrate: Platone. Nato vicino Atene, ad Egina nel 427 a.C., Platone
appartiene a un' illustre famiglia aristocratica, discendente dall'ultimo re ateniese. Il suo vero nome è
Aristocle, ma secondo la tradizione viene chiamato "Platone" per via dell'ampiezza della fronte.
Durante la guerra del Peloponneso (431-404 a.C.), Platone assiste alla mutilazione delle erme (415
a.C.), un atto dissacrante organizzato per terrorizzare gli ateniesi protesi alla conquista della Sicilia e
favorire il rovesciamento della democrazia. Nel 413 a.C. è testimone della distruzione della flotta
ateniese da parte di Siracusa, che si impone come nuova potenza navale.
Nella Lettera VII, una sorta di autobiografia che redigerà all'età di circa settant'anni, Platone
commenterà le vicende politiche ateniesi di questo periodo dicendo che da giovane gli capitò di pensar
che si sarebbe dedicato alla vita politica non appena fossi divenuto padrone di me stesso. Non passò
molto tempo però e il governo dei Trenta cadde. E allora gli prese di nuovo, anche se più moderato, il
desiderio di occuparsi della vita pubblica e politica.

L'INCONTRO CON SOCRATE E LA RINUNCIA ALLA POLITICA


Nonostante il nuovo regime democratico del 403 a.C., Atene continua a essere debole e smarrita. In
questo quadro, il destino conduce Platone all'incontro con Socrate, il filosofo della città, del dialogo sul
bene comune. Nel 399 a.C. Socrate viene processato e condannato e l'evento provoca in Platone una
ferita profonda, che cambierà radicalmente la sua vita, orientando in modo determinante anche la sua
riflessione filosofica:
● Accadde che alcune persone potenti trascinarono in tribunale il mio amico Socrate con
l'accusa più infame e meno di ogni altra adatta a lui: l'accusa di empietà e quanto più
osservavo e andavo avanti negli anni, tanto più mi pareva difficile che potessi occuparmi di
politica in modo onesto tanto che finii per sbigottirmene.
Come è potuto accadere che un governo democratico abbia messo a morte un uomo che Platone
riteneva il più giusto fra quelli del suo tempo»? Questa assillante domanda lo condurrà alla rinuncia
definitiva alla carriera politica. Non si tratta però di un ripudio della politica in sé, bensì di un suo
superamento nella filosofia, che appare a Platone come l'unico sapere capace di indicare la via della
giustizia.

LABORATORIO POLITICO FUORI ATENE


Dopo la morte di Socrate, ad Atene i filosofi sono guardati con sospetto e Platone è costretto all'esilio.
Si rifugia prima a Mègara presso Euclide; poi in Egitto; infine a Siracusa dove nel 388 a.C. conosce
Dionisio il Vecchio, il tiranno della città, e si illude di poterlo educare alla pratica di una politica
giusta. Dione, cognato del tiranno, si lascia conquistare dagli insegnamenti di Platone ma Dionisio no
e quando Platone affermò che il diritto del più forte aveva validità soltanto se [il più forte] fosse stato
preminente anche in virtù, il tiranno si sentì offeso e, adirato, disse: «Le tue parole sanno di
rimbambimento senile », e Platone: «Ma almeno non sanno di tirannide».
Dall'esperienza siracusana Platone comprende che per fare buoni uomini non bastano buone leggi, ma
occorrono educazione morale, impegno e senso del servizio alla comunità.

RIENTRO AD ATENE E NASCITA DELL'ACCADEMIA


Dionisio dispone che il filosofo sia venduto come schiavo nell'isola di Egina, dove fortunatamente
viene riscattato da un discepolo di Socrate, Anniceride, che lo aiuta a rientrare a Atene. Qui Anniceride
compra per lui un giardino all'esterno delle mura dedicato al mitico eroe Academo che comprende un
ginnasio (cioè una palestra per i giovani) e un uliveto consacrato alla dea Atena dove nel 387 a.C.
Platone vi fonda la sua scuola, che prende il nome di "Accademia", dedicata ad Apollo e alle Muse.
L'Accademia è una sorta di comunità religiosa, con terreni, edifici e vari beni di proprietà. È diretta da
uno "scolarca" eletto a vita dai membri della comunità e mira a educare all'arte del governo, che
Platone chiama «scienza regale». Grazie alla presenza di autorevoli insegnanti, l'Accademia attrae
molti giovani ed entra ben presto in concorrenza con la scuola di Isocrate, il quale, pur ponendosi
anch'egli l'obiettivo ultimo di formare la classe dirigente del la città, metteva al centro del suo progetto
pedagogico la formazione retorica e letteraria.

LA "RESA DEI CONTI" CON LA TIRANNIDE


Vent'anni dopo la fondazione dell'Accademia, Platone riceve una lettera da Dione, il quale lo informa
che il nuovo tiranno, Dionisio "il Giovane", mostra interesse per un'educazione filosofica come quella
di Platone. Sebbene sia ormai sessantenne, Platone decide di affrontare un secondo viaggio a Siracusa,
confidando di dare concretezza alla «speranza che filosofi e reggitori di grandi città finalmente
coincidano». Arrivato a Siracusa, Platone scopre però che Dione è stato esiliato. Il filosofo cerca
comunque di scendere a patti con il tiranno ma dopo appena un anno di soggiorno a Siracusa decide
pertanto di rientrare ad Atene, mettendo in salvo l'amico Dione che diviene uno scolaro
dell'Accademia.
Richiamato con insistenza da Dionisio il Giovane, Platone intraprende un terzo viaggio a Siracusa nel
361 a.C. Anche questa volta espone la propria filosofia al tiranno ma cade in disgrazia presso di lui,
salvandosi soltanto grazie a Archita di Taranto, che lo aiuta a tornare ad Atene. Qui Platone muore nel
347 a.C., all'età di circa ottant'anni.

Gli scritti platonici e il confronto con Socrate


LE NOVE TETRALOGIE
Platone è il primo filosofo dell'antichità di cui ci siano rimaste tutte le opere: 35 dialoghi e 13 lettere. Il
grammatico Trasillo le organizzò in nove tetralogie.
I dialoghi di Platone sono divisibili in 3 gruppi:
● Scritti giovanili: Apologia di Socrate, Critone, Cratilo, Gorgia, Protagora
● Scritti della maturità: Mentone, Convito, Fedro, Repubblica II-IX
● Scritti della vecchiaia: Parmenide, Teeteto, Leggi, Politico, Timeo

UNA RISPOSTA ALLA CRISI DELLA SOCIETÀ


Il platonismo può essere adeguatamente compreso soltanto in riferimento alla crisi politico-culturale
che la Grecia attraversava tra il V e il IV secolo a.C.
Dal punto di vista politico, vi è il tramonto dell'età di Pericle. Un analogo declino contraddistingue
l'ambito culturale ateniese, segnato dalla dissoluzione del socratismo nelle varie scuole minori.
Essendo un aristocratico, Platone è portato ad avvertire più di altri la crisi e a desiderare "stabilità"
soprattutto politiche. Ed essendo un filosofo, è indotto a concepire la situazione come crisi dell'essere
umano nella sua totalità, per cui egli comincia a idealizzare la figura di Socrate: se si era giunti a
uccidere l'uomo più giusto di tutti, il malessere della società era arrivato al limite. E allora Socrate era
come una luce nelle tenebre. Persuaso che la crisi etico-politica derivi in primo luogo da una crisi di
tipo intellettuale, Platone si convince sempre più della necessità di una riforma globale dell'esistenza
umana. Egli interpreta la crisi in modo filosofico, ritenendo che soltanto nuove certezze di pensiero
possano offrire solide basi per una l' esistenza dell'essere umano e cambiamenti della politica. La
dimensione politico-educativa, tuttavia, non deve diventare l'unica prospettiva in cui studiare il
platonismo. Quella di Platone, infatti, fu una mente poliedrica e universale, che spazia in ogni ambito.

I TRATTI DELLA SUA FILOSOFIA


Platone e Socrate
La fedeltà a Socrate è il carattere dominante di Platone. Tuttavia, i tratti tipici e fondamentali del
platonismo nulla hanno a che fare con l'insegnamento socratico. Egli non esitò a formulare principi e
teorie che Socrate non aveva mai insegnato, ma queste esprimevano sempre ciò che la persona di
Socrate incarnava. Si può dunque affermare che la ricerca platonica tende a configurarsi come
interpretazione di Socrate.
Anche Platone nella sua produzione scritta utilizza il dialogo: la scrittura platonica e il dialogare
socratico hanno lo stesso fondamento e la stessa convinzione che trattiene Socrate dallo scrivere
spinge dunque Platone a scegliere la forma dialogica per i suoi scritti. Del resto, il dialogo riproduce
l'andamento stesso della ricerca, che procede lentamente e faticosamente, di tappa in tappa; e proprio
questa concezione del filosofare come dialogo fa sì che egli, nonostante il voler trovare certezze di vita,
pratichi di fatto la filosofia come una ricerca mai conclusa.

FILOSOFIA E MITO
Un'altra delle caratteristiche salienti dell'opera platonica è l'uso dei miti..
I motivi di questa scelta hanno a lungo costituito argomento di dibattito tra gli studiosi. In linea
generale il mito, in Platone, riveste due significati fondamentali.
● In un primo senso (che vale per un gruppo di racconti), è uno strumento per comunicare in
maniera più accessibile e intuitiva le proprie dottrine. Il mito sarebbe dunque un espediente
didattico-espositivo tant'è che i miti platonici sono spesso appositamente"inventati" dallo
stesso filosofo.
● In un secondo senso, più profondo (e che vale per un altro gruppo di racconti), il mito è un
mezzo di cui il filosofo si serve per parlare di realtà che vanno al di là dei limiti dell'indagine
razionale. Da questo punto di vista, il mito è qualcosa che si inserisce nelle lacune della ricerca
filosofica, permettendo in alcuni casi di formulare una teoria verosimile che, pur essendo
indimostrata e indimostrabile, si può ragionevolmente ritenere vera.
Inoltre l'uso dei miti, se da un lato rende più difficile l'interpretazione della filosofia platonica (poiché
in qualche caso non si capisce bene dove finisca il mito e cominci il pensiero razionale, e viceversa),
dall'altro lato conferisce al platonismo un aspetto inconfondibilmente suggestivo, che nel tempo ha
contribuito alla sua fama.

CAPITOLO 2
LA TEORIA DELLE IDEE
Nei dialoghi giovanili Platone perlopiù difende teorie di Socrate che pur essendo riportate con amore,
vengono già "filtrate" al la luce degli interessi e delle tendenze speculative del giovane Platone.
In particolare, Platone dà molta importanza al metodo socratico delle definizioni capace di superare il
relativismo sofistico. Ed è proprio nell'ambito di questa battaglia anti-sofistica che Platone giunge a
elaborare la "teoria delle idee". Questa segna l'avvio della seconda fase della sua speculazione in cui va
oltre Socrate, elaborando un proprio pensiero.
Qualche studioso l'ha messa in secondo piano anche se essa rappresenta il cuore del platonismo.
Tant'è vero che a Platone parve di risolvere i massimi problemi della filosofia (come egli stesso
dichiara nel Fedone) soltanto dopo averla elaborata. Perciò pensare Platone "senza le idee" sarebbe un
po' come pensare al Democrito senza gli atomi.

LA GENESI DELLA TEORIA


La genesi della teoria delle idee è da ricercarsi nel concetto di "scienza". In antitesi ai sofisti, Platone
ritiene che la scienza debba avere i caratteri della stabilità e dell'immutabilità. Egli è altresì convinto
che il pensiero rifletta l'essere, ossia che la mente sia uno "specchio" di qualcosa che esiste. In base a
questa concezione di "realismo gnoseologico",il filosofo si chiede quale sia allora l'oggetto proprio
della scienza, intesa appunto come conoscenza di qualcosa di esistente e di stabile.
Mediante la domanda "che cos'è?" Socrate intendeva individuare, al di là degli esempi il quid est (
l'essenza) di una certa cosa. La definizione ricercata da Socrate, tuttavia, si riduce al risultato di un
confronto tra i dialoganti. Platone si propone invece di trovare un "oggetto" esistente , corrispondente
alla definizione cercata dal suo maestro.

Oggetto proprio della scienza, secondo Platone, non possono essere che le idee. Per noi moderni il
termine "idea" denota un pensiero, per Platone indica invece un'entità immutabile e perfetta - il
filosofo ne parla come di una ousía, cioè come di una "sostanza", o "realtà dot a autonom " -.
Poeticamente e metaforicamente, Platone chiama questa zona iperuranio, termine che in greco
significa "al di là del cielo" e che pertanto sembra indicasse una regione immateriale, dal momento
che per gli antichi il cielo comprendeva tutto lo spazio.
Il fatto che le idee abbiano caratteristiche strutturali diverse da quelle delle cose non esclude un loro
stretto rapporto, che Platone configura come un rapporto modello-copia. Per il filosofo, infatti, le cose
sono copie, o imitazioni imperfette, delle idee.

L'IMPIANTO DUALISTICO
possiamo dire che per Platone esistono due gradi fondamentali di conoscenza, l'opinione e la scienza
(dualismo gnoseologico), alle quali fanno riscontro, due tipi d'essere distinti, cioè le cose e le idee
(dualismo ontologico). La verità imperfetta dell' opinione dipende dal carattere mutevole e
impermanente delle cose percepite mediante i sensi. La verità perfetta della scienza dipende invece
dalle idee. In altri termini, la scienza costituisce una conoscenza stabile, duratura e perfetta proprio (e
soltanto) perché la realtà che essa indaga (le idee) è stabile, duratura e perfetta. Da quanto si è detto
emerge come la filosofia platonica rappresenti una sorta di integrazione fra l'eraclitismo e l'eleatismo.
Da Eraclito Platone accetta la teoria secondo cui il nostro mondo è il regno della mutevolezza, mentre
da Parmenide trae la convinzione che l'essere autentico sia immutabile. Dall'eleatismo Platone deriva
anche il dualismo gnoseologico tra sensibilità e ragione e il dualismo ontologico tra l'essere delle cose
e l'essere autentico. Tuttavia, mentre per Parmenide il mondo sensibile non ha connessioni con quello
della ragione, per Platone tra i due mondi esiste un rapporto indissolubile. Inoltre, mentre per
l'eleatismo il nostro mondo è apparenza illusoria e irrazionale, per Platone esso possiede una sua
specifica realtà.

IL RAPPORTO TRA LE IDEE E LE COSE


Il rapporto tra idee e cose si configura in una duplice direzione, dal momento che le idee sono:
● criteri di giudizio delle cose, in quanto noi, per formulare i nostri giudizi sugli oggetti, non
possiamo fare a meno di riferirci alle idee. Ad esempio, diciamo che due cose sono uguali sulla
base dell'idea di uguaglianza: le idee sono la condizione della pensabilità degli oggetti,
● cause delle cose, poiché gli individui "sono" in quanto imitano le idee. Ad esempio, le realtà
che diciamo belle sono tali in quanto partecipano dell'idea di bellezza. In tale prospettiva
possiamo affermare che le idee sono la condizione dell'esistenza degli oggetti, o la loro ragion
d'essere.

Tuttavia, bisogna ammettere che il rapporto idee cose non è stato definito in modo univoco dal
Platone della maturità, il quale, pur parlando di mimèsi (per cui le cose imitano le idee), di metessi
(per cui le cose partecipano, seppure in misura limitata, dell'essenza delle idee) e di parusia (per cui
le idee sono presenti nelle cose), rimane sulla questione piuttosto incerto e oscillante. Come vedremo,
nella sua vecchiaia il filosofo riprende questo problema, tentando di risolverlo senza tuttavia mai
pervenire a un esito definitivo.

LE IDEE QUALI SONO


Nella maturità del pensiero platonico si distinguono fondamentalmente due tipi di idee:
● le idee-valori, corrispondenti ai supremi principi etici, estetici e politici. Tali sono, ad
esempio, il Bene, la Bellezza, la Giustizia
● le idee matematiche, corrispondenti alle entità dell'aritmetica e della geometria (ad esempio le
classi dei numeri, l'uguale, il quadrato, il cerchio ecc.). Nella realtà,infatti, non troviamo mai
l'uguaglianza perfetta ma soltanto copie approssimative e imperfette di essi.
● Oltre che di questi due tipi di idee, Platone parla talvolta anche delle idee di cose naturali
(come l'idea di "uomo") e delle idee di cose artificiali (come l'idea di "letto"),

L'idea platonica finirà per configurarsi come la forma unica e perfetta di quelle cose che vengono
designate con un medesimo nome. Pur essendo molteplici, le idee non formano affatto una pluralità
disorganizzata. Esse hanno un ordine gerarchico-piramidale, con le idee-valori in cima e l'idea del
Bene al vertice. Alcuni interpreti hanno assimilato l'idea del Bene a Dio. Questa lettura, tuttavia, non
trova un'esplicita conferma nei testi platonici, nei quali risulta assente, tra l'altro, l'idea di un dio
creatore e di un dio-persona.

LE IDEE: DOVE E COME ESISTONO


Abbiamo detto che le idee formano quella zona dell'essere che Platone chiama «iperuranio».Per usare
un termine di origine latina, le idee sono senz'altro trascendenti, in quanto esistono oltre la mente e
oltre le cose. Ma questo "oltre" allude a un vero e proprio mondo dell'aldilà? Così ha pensato la
tradizione, che, con l'espressione platonica «iperuranio», ha considerato il mondo platonico delle idee
come qualcosa di analogo all'empireo dantesco.
Altri invece nel 900 hanno considerato le idee platoniche come criteri mentali attraverso cui
pensiamo gli oggetti. Oggi si tende a rifiutare quest'ultimo tipo di lettura, ritenendo le idee non sono
semplici schemi della nostra mente, ma sostanze reali.
Per la prima interpretazione, parecchi studiosi la considerano troppo legata al mito ed affermano che
il mondo platonico delle idee deve essere interpretato soltanto come un forme o valori ideali che non
"esistono" effettivamente in alcun luogo o "empireo".
Stabilire con sicurezza quale di queste due interpretazioni-quella tradizionale o l'ultima citata-sia
quella vera non è possibile, poiché entrambe presentano punti di debolezza: la prima, ad esempio,
può essere accusata di concedere troppo al mito; la seconda di non tener conto degli aspetti metafisico
religiosi del platonismo. In conclusione per quanto riguarda come le idee esistano, si deve ammettere
che la questione è problematica.

LE IDEE: COME SI CONOSCONO


Per Platone le idee non possono derivare dai sensi, ma devono dunque costituire l'oggetto di una
visione intellettuale in grado di cogliere l'idea. Non a caso, le parole cidos e idea provengono entrambe
dalla radice id-del verbo idein, vedere, "contemplare", "assistere a uno spettacolo". Ma da dove
proviene questa visione intellettuale? Per risolvere questo problema Platone ricorre alla dottrina-mito
della «<anàmnesi» (dal greco ricordo"): sulla base della metempsicosi (la trasmigrazione delle
anime), egli afferma che l'anima, prima di calarsi nel nostro corpo, ha vissuto nel mondo delle idee.
Una volta discesa nel nostro mondo, l'anima conserva un ricordo vago ma grazie alle cose - che
fungono da sprono alla memoria - essa può però ricordare ciò che ha contemplato precedentemente.
In questo senso, dice Platone, «conoscere è ricordare», in quanto le idee, sia pur sfocate, le portiamo
dentro di noi e basta ricordarne una perché tornino alla mente anche tutte quelle che le sono legate.
Ciò rappresenta dunque una forma di innatismo, in quanto la conoscenza non deriva dall'esperienza
sensibile bensì da metri di giudizio "innati". Una prova è che anche un ignorante può rispondere bene
a domande su argomenti di cui non ha mai sentito parlare. Celebre l'esempio dello schiavo che, pur
essendo digiuno di geometria, viene aiutato da Socrate a "ricordarne" gli elementi di fondo, riuscendo
così a intuire il teorema di Pitagora. secondo Platone noi non partiamo né dalla verità né
dall'ignoranza (totale), bensì da una sorta di pre-conoscenza.

L'IMMORTALITÀ DELL ANIMA


la teoria della reminiscenza diviene oggetto del Fedone.
Oltre ciò, in quest'opera Platone espone altre prove dell'immortalità dell'anima.
● Una prima prova, detta "dei contrari", afferma che,
come in natura ogni cosa si genera dal suo contrario così la morte si genera dalla vita e la vita si genera
dalla morte.
● Una seconda prova, detta "della somiglianza", sostiene
che l'anima, essendo simile alle idee che sono eterne, dev'essere anch'essa tale.
● Una terza prova, detta "della vitalità", argomenta che
l'anima, in quanto soffio vitale, è vita e partecipa dell'idea di vita, e pertanto non può accogliere in sé
l'opposta idea della morte.

Inoltre troviamo anche la dottrina platonica della filosofia come "preparazione alla morte". Infatti, se
filosofare significa "andare oltre" i sensi e a il corpo, la vita del filosofo risulta tutta una preparazione
alla morte, cioè a quel momento in cui l'anima potrà unirsi direttamente alle idee. Il Fedone mostra
dunque in modo inequivocabile come nella complessa "anima" del platonismo vi sia anche un
momento fortemente religioso, per il quale l'attaccamento alle cose immanenti non esclude l'apertura
a quelle trascendenti, e viceversa.

Il MITO DI ER: ANIMA E DESTINO


La teoria dell'immortalità dell'anima, serve anche per chiarire il problema del destino. Il filosofo,
ritiene che la sorte di ogni individuo dipenda da una scelta che la sua anima ha compiuto nel mondo
delle idee, prima di incarnarsi. Egli illustra questa sua tesi con il "mito di Er'.
Er è un guerriero che, morto e risuscitato dopo dodici giorni, può raccontare agli uomini ciò che li
attende dopo la morte Alle anime malvagie spettano mille anni di sofferenze, mentre alle anime
virtuose mille anni di felicità: trascorso questo periodo, tutte si presentano di fronte a una delle tre
Moire, per scegliere la loro vita futura, ovvero il proprio demone (dáimon). Una volta che l'anima ha
scelto il proprio destino, ottenendo da Làchesi il dáimon corrispondente, Cloto e Atropo (le altre due
Moire) lo confermano e lo rendono definitivo; quindi le anime si abbeverano al fiume Lete, le cui
acque infondono il sonno e l'oblio: si risveglieranno incarnate in un nuovo corpo terreno e non
ricorderanno nulla della loro vita ultraterrena precedente.

Platone sottolinea che si tratta di una scelta libera, alla quale la divinità non partecipa in alcun modo
ma è solo condizionato dalla sua vita precedente Nel racconto di Er, ad esempio, Ulisse sceglie una
vita modesta e oscura dal momento che da eroe ha dovuto affrontare molte e difficili prove e ha
imparato quanto l'ambizione possa essere funesta.
Quindi il fondamento della felicità per Platone dipende dal coraggio e dalla saggezza individuali, di chi
sa guardare criticamente al proprio passato per migliorarsi.
Nel mito Platone precisa che compiono scelte sbagliate soprattutto coloro che non hanno praticato la
filosofia: soltanto nell'esercizio della conoscenza risiede quindi la possibilità a una vita felice.

3. La teoria dello Stato e il filosofo


LO STATO IDEALE
Tutti i temi di Platone si ritrovano nella Repubblica, che li connette alla descrizione di uno Stato
ideale, nella quale il singolo può trovare una vita giusta e felice.
Il titolo originale dell'opera platonica è Politeia, "costituzione". Il termine "repubblica" (dal latino
"cosa pubblica") risale alle traduzioni latine dell'opera ed indica infatti una forma di governo opposta
alla monarchia, concetto però estraneo al tempo. La comunità ideale descritta da Platone è fondata sul
principio base della sua filosofia:
● Se il potere politico e la filosofia non coincidono nelle stesse persone è impossibile che cessino
i mali delle città e anche quelli del genere umano.
Ma qual è lo scopo e il fondamento di una società siffatta? E chi sono propriamente i filosofi?

LA GIUSTIZIA
Alla prima domanda Platone risponde la giustizia. Nessuna comunità umana, per Platone, può
sussistere senza la giustizia dato che questa è la condizione fondamentale della nascita e della vita
dello Stato.
Lo Stato ideale ipotizzato da Platone è composto da tre classi: quella dei governanti, quella dei
guerrieri e quella dei lavoratori. La saggezza è la virtù caratteristica della prima di queste classi, poiché
è necessario che i governanti siano saggi. Il coraggio è la virtù della classe dei guerrieri, la temperanza
intesa come rispetto del principio secondo cui l'inferiore deve essere subordinato al superiore, è una
virtù comune a tutte le classi. Tuttavia essa caratterizza soprattutto i produttori, i quali, non avendo
una propria virtù specifica, condividono quella di tutto il corpo sociale.
In uno Stato i compiti sono tanti, e tutti necessari alla vita della comunità: ognuno deve dunque
scegliere quello per cui è più adatto. Soltanto così lo Stato stesso sarà un solo "organismo".
La giustizia garantisce lo Stato ma anche l'efficienza dell'individuo. Abbiamo infatti già visto che
nell'anima individuale Platone distingue tre parti: razionale, concupiscibile e irascibile:della prima è
propria la saggezza e della seconda il coraggio, mentre di tutte e tre è la temperanza. Per cui, la
realizzazione della giustizia nell'individuo e nello Stato non può che procedere in parallelo. Lo Stato è
giusto quando ogni individuo attende soltanto al compito che gli è proprio; ma anche l'individuo è
giusto quando attende soltanto al proprio compito.

L'ORIGINE DELLE CLASSI


Ma da dove deriva, per Platone, la distinzione degli uomini in classi e che cosa fa sì che un individuo
appartenga a una certa classe anziché a un'altra? Per quanto riguarda la prima questione, Platone
risponde che lo Stato deve per forza essere diviso in classi, poiché in uno Stato vi sono compiti diversi
che devono essere esercitati da individui diversi.
Per quanto riguarda il secondo punto, Platone afferma che la differente destinazione sociale dipende
dalla preponderanza di una parte dell'anima sulle altre. Abbiamo così gli individui prevalentemente
razionali ( governo), gli individui prevalentemente impulsivi (combattimento) e gli individui
prevalentemente portati al lavoro manuale.
Per Platone la divisione degli individui in classi non dipende quindi da un diritto di nascita ma da
un'inclinazione naturale Tutto ciò è spiegato nel "mito delle stirpi", antica leggenda fenicia. Però,
mentre in molti Stati aristocratici non si ammette la mobilità sociale, nell'immaginaria società
platonica vi è questa mobilità. Tuttavia solitamente i figli assomigliano ai padri e quindi rimangono
nella classe di provenienza.

IL COMUNISMO PLATONICO
Affinché lo Stato funzioni bene, Platone suggerisce l'eliminazione della proprietà privata. I
governanti-filosofi, in particolare, dovranno avere case piccole e nutrirsi di cibo semplice, vivere come
in un accampamento e mangiare insieme. L'oro e l'argento per loro saranno proibiti.
Se la ricchezza è nociva, la povertà lo è altrettanto: quindi nella città ideale non dovrà esistere nessuna
delle due. Il sistema sociale prospettato da Platone si presenta pertanto come una sorta di comunismo,
che tuttavia non riguarda l'intera società, dal momento che per la terza classe (quella dei produttori)
non si esclude la proprietà privata dei mezzi di produzione (gli attrezzi per lavorare). Platone ritiene
poi che i governanti debbano avere in comune anche le donne. Ciò non implica certo la prostituzione
della donna ..inoltre le donne dovranno godere di una completa uguaglianza rispetto agli uomini e
parteciperanno alla vita dello Stato. Le unioni matrimoniali saranno temporanee e tutti i bambini
saranno tolti ai loro genitori, e si avrà cura sia che questi ultimi non sappiano quali sono i loro figli. In
tal modo si vivrà come in una grande e solidale famiglia.
A questo punto ci si può chiedere se i governanti, sottoposti a tutte queste restrizioni, siano felici. Il
filosofo risponde sostanzialmente che la felicità risiede nella giustizia. Inoltre non bisogna dimenticare
che i filosofi, proprio perché sono tali sono felici di per sé e non hanno bisogno di cercare la propria
realizzazione.

CHI CUSTODIRÀ I CUSTODI?


Sorge spontanea la domanda: chi custodirà i custodi? Come si può essere sicuri che i governanti non
agiranno per il proprio interesse?
Platone supera la difficoltà presupponendo che i governanti (chiamati anche "custodi"), prima di
saper custodire gli altri, siano in grado, in quanto filosofi, di custodire sé stessi. Da questa convinzione
deriva l'importanza fondamentale da lui attribuita al sistema educativo. Platone è persuaso che
individui addestrati fin dalla nascita a pensare al bene collettivo ne saranno all'altezza, una volta
divenuti reggitori. Ciò non riguarda tutti gli individui, ma soltanto quelli delle prime due classi. Tant'è
vero che dell'educazione dei lavoratori Platone non fa alcun cenno.

I QUATTRO GRADI DELLA CONOSCENZA


Nella Repubblica Platone delinea il compito proprio del filosofo. Filosofo è colui che ama la
conoscenza nella sua totalità. Ma che cos'è la conoscenza? Platone afferma che «ciò che assolutamente
è, è assolutamente conoscibile; ciò che in nessun modo è, in nessun modo è conoscibile» Perciò
all'essere autentico corrisponderà la scienza (conoscenza vera); al non essere corrisponderà
l'ignoranza (conoscenza falsa); al divenire che sta in mezzo tra l'essere e il non essere, corrisponderà
l'opinione. Abbiamo quattro gradi della conoscenza, ai quali corrispondono quattro gradi della realtà.
La conoscenza sensibile si distingue in:
● congettura o immaginazione (eikasía), che ha per
oggetto le immagini delle cose: Platone parla delle loro «ombre»
● credenza (pistis), che ha per oggetto le cose sensibili
(ovvero la percezione diretta degli oggetti).

La conoscenza razionale o scientifica (episteme) si distingue in:


● ragione matematica o discorsiva (diánoia), che ha per
oggetto le idee matematiche e i ragionamenti;
● intelligenza filosofica o intuitiva (nóesis), che ha per
oggetto le idee-valori (buono, giusto, bello ecc.)

Da questo schema si comprende che per Platone la filosofia è superiore alla matematica nonostante
egli esalti quest'ultima al punto da far scrivere sulla porta dell'Accademia «non entri chi non è
matematico» La matematica, inoltre, produce un sapere che è valido soltanto entro ambiti limitati e
condizionati, perché procede con postulati accettati convenzionalmente.
Diversamente dalla matematica, la filosofia, pur muovendo da ipotesi, le considera realmente come
tali, cioè come semplici punti di partenza.
Inoltre la filosofia riesce a vedere l'orizzonte complessivo entro cui ciascuna è in grado di svolgere ciò
che le compete. La filosofia è dunque una sorta di scienza delle scienze, in grado di fissare il
fondamento e il fine (politico) dei molteplici saperi.

IL MITO DELLA CAVERNA


La teoria della conoscenza e dell'educazione si trova spiegata nel racconto della caverna.
Immaginiamo che vi siano degli schiavi imprigionati in una caverna sotterranea, costretti da catene a
guardare fisso davanti a sé. Sul fondo della caverna i prigionieri vedono muoversi delle ombre. Alle
spalle dei prigionieri infatti si spostano, senza essere visti, alcuni portatori di statuette raffiguranti
tutti i possibili generi di cose. Più in là brilla un fuoco che fa sì che le ombre delle statuette vengono
proiettate sulla parete. I prigionieri scambiano dunque quelle ombre, che sono tutto ciò che essi
possono conoscere, per la sola realtà esistente. Ma se uno di essi riuscisse a liberarsi dalle catene,
voltandosi si accorgerebbe delle statuette e capirebbe che esse, e non le ombre, sono la realtà. Se poi
riuscisse a risalire all'apertura della caverna e a uscire alla luce del sole, scoprirebbe con ulteriore
stupore che la vera realtà non sono neanche le statuette, poiché queste sono a loro volta imitazioni di
cose reali, nutrite e rese visibili dall'astro solare. Poniamo che egli, per far partecipi i suoi antichi
compagni di schiavitù di ciò che ha visto, scegliesse alfine di tornare nella cavern. Egli verrebbe allora
deriso e disprezzato dai compagni, i quali accusandolo di avere gli "occhi malati", continuerebbero ad
attribuire i massimi onori a coloro che invece sanno discernere meglio degli altri le ombre all'interno
della caverna. E alla fine, infastiditi dal suo tentativo di scioglierli e di portarli alla luce del sole, lo
ucciderebbero.

La simbologia filosofica di questo mito platonico è ricchissima:


la caverna oscura = il nostro mondo; gli schiavi nati = gli uomini le catene = l'ignoranza; le ombre
delle statuette = le immagini delle cose, corrispondenti alla congettura o immaginazione; le statuette =
corrispondenti alla credenza; il mondo fuori della caverna = le idee; lo schiavo deriso = la sorte
dell'uomo di pensiero, che viene preso per pazzo; l'uccisione del filosofo = Ia sorte toccata a Socrate.
Come si è accennato all'inizio, e come si può verificare adesso, nel mito della caverna si trova gran
parte di Platone e del senso umano e filosofico del platonismo. Secondo Platone, infatti, il ritorno alla
caverna fa parte del percorso educativo del filosofo, il quale è tenuto a riconsiderare e a rivalutare il
mondo umano alla luce di ciò che ha visto "al di fuori" di esso. Ritornare nella caverna significa
mettere ciò che si è visto a disposizione della comunità. Soltanto se sarà governato da "schiavi
liberati", lo Stato potrà finalmente essere guidato da gente sveglia, e non da gente che sogna e soltanto
con il ritorno nella caverna si sarà veramente filosofi.

LA CONCEZIONE PLATONICA DELL ARTE


La Repubblica presenta una celebre digressione sull'arte, che si conclude con l'esclusione di questa
disciplina dall'educazione dei filosofi. I motivi per cui Platone condanna l'arte sono fondamentalmente
due: uno di tipo metafisico-gnoseologico e uno di tipo pedagogico-politico.
1. Platone ritiene che l'arte sia sostanzialmente
l'«imitazione di un'imitazione» in quanto consiste nel riprodurre l'immagine di cose che, a loro volta,
sono riproduzioni delle idee. Inoltre l'arte, sostanziandosi soltanto di immagini, possiede il valore
conoscitivo più basso, risultando totalmente aliena dalla misurazione matematica.
Questa critica non vale per alcune forme di musica, la quale ha aspetti sia matematici (si pensi agli
accordi musicali, o alle leggi che presiedono la composizione di una melodia), sia di rigore morale.
2. Per quanto riguarda il secondo motivo di condanna
dell'arte, Platone ritiene che essa possa corrompere gli animi.
Ai due motivi esaminati se ne aggiunge un terzo di matrice storico-culturale. Infatti, in Platone c'è
anche il desiderio di sbarazzarsi di una forma di cultura che avrebbe continuato a rivendicare il
proprio ruolo formativo. Per Platone il primato degli artisti doveva essere sostituito dal primato dei
filosofi.
La critica platonica contro l'arte non tocca, come sappiamo, i miti ma riguarda dunque, in ultima
analisi, gli usi impropri e distorti dell'arte e non tutta l'arte di per sé.

Da questo punto di vista Platone accoglie l'ideale greco della kalokagathia secondo il quale ciò che è
bello e buono non può essere che vero. In altre parole, dove c'è perfetta e autentica bellezza non
possono esserci né male né inganno. Platone sviluppa quindi la propria concezione del bello e dell'arte
in contrapposizione ai sofisti.Egli ritiene che il bello non possa essere semplicemente ciò che procura
piacere. Per questo propone una concezione oggettiva del bello.

Potrebbero piacerti anche