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PLATONE (428/27-347 a.

C)

1.   VITA E OPERE
Di famiglia aristocratica, Platone nasce ad Atene nel 428-27 a.C. e vi muore nel 347 a.C. In giovane
età vive dunque: la crisi dell'imperialismo democratico ateniese, culminata nella sconfitta nella
Guerra del Peloponneso contro Sparta (431-404 a.C); l'avvento del governo oligarchico dei Trenta
tiranni (404-403 a.C.), capeggiati da Crizia1; la riconquista armata del potere da parte della fazione
democratica guidata da Trasibulo (403 a.C.).
Da quando ha circa vent'anni è allievo di Socrate, che, nell'atmosfera di celebrazione e nostalgia della
passata grandezza e nel clima di insicurezza del risorto potere democratico, è condannato a morte nel
399 a.C. È l'evento chiave della vita di Platone: se la città ha condannato il più giusto tra gli uomini
significa che la sua crisi etico-politica è giunta ad un punto di rottura. Si impone per Platone la
necessità di una rifondazione politica globale, la cui premessa è la fondazione di una nuova visione
complessiva della totalità delle cose che superi il relativismo sofistico. Senza il suo superamento,
infatti, è impossibile fondare la città giusta poiché il relativismo sofistico riduce la giustizia, e ogni
altro valore, ad una variabile dipendente dal punto di vista di volta in volta adottato e quindi rende
concepibile la convivenza umana solo come prevalenza del più forte2.
Dopo la morte del maestro, per approfondire le proprie conoscenze Platone viaggia a Megara, poi in
Egitto e in Cirenaica, poi a Taranto, presso la scuola pitagorica della città, e infine a Siracusa, dove si
reca la prima volta nel 388 a.C cercando di mettere in pratica i suoi ideali politici senza riuscirvi. Si
narra che, in tale occasione, Dionisio il Vecchio, tiranno di Siracusa, venuto a contrasto con Platone,
lo abbia fatto vendere come schiavo. Vera o meno questa notizia tramandata dalla tradizione, Platone
torna ad Atene nel 387 a.C. e fonda la sua scuola filosofica, l'Accademia, organizzandola secondo il
modello delle associazioni religiose pitagoriche. Da qui alla morte Platone si dedica completamente
alla discussione filosofica nell'Accademia e alla stesura delle sue opere, fatta eccezione per due nuovi
tentativi pratici a Siracusa, dove si reca nuovamente nel 367 e nel 361 a.C., sempre fallendo nel
realizzare la sua visione politica.
Platone è il primo filosofo di cui ci sia arrivata l'intera produzione, riordinata nel I secolo a.C. dal
grammatico Trasillo in 9 tetralogie3 comprendenti un monologo (l'Apologia di Socrate), 34 dialoghi
e 13 Lettere (di particolare importanza la VII). Circa una decina delle opere sono considerate spurie
o in dubbio, ad esempio l'Alcibiade II e il Minosse (spuri) e l'Alcibiande I e l'Ippia maggiore (in
dubbio). Tra le Lettere sono considerate unanimemente certe la VI e soprattutto la VII. Le opere di
Platone sono comunemente distinte in scritti giovanili (cosiddetti “dialoghi socratici”), ad esempio
Apologia di Socrate, Critone, Repubblica I, Protagora, Gorgia; scritti della maturità, ad esempio
Fedone, Simposio, Repubblica II-X, Fedro e scritti della vecchiaia, ad esempio Parmenide, Teeteto,
Sofista, Filebo, Timeo, Leggi. Accanto alle opere pervenuteci, la tradizione4 fa riferimento a dei corsi
tenuti da Platone intitolati Intorno al Bene, mai messi per iscritto (sono le cosiddette “dottrine non

1
Crizia era zio (precisamente, pro-zio) di Platone, in quanto fratello di suo nonno materno Glaucone.
2
Se io penso sia giusto “X” e tu pensi sia giusto il contrario di “X” e nessuno di noi riconosce alcun criterio esterno che
possa indicare chiaramente e stabilmente che cosa è giusto, allora l'unico modo che abbiamo per relazionarci è la
prevaricazione. Cioè, uno di noi si imporrà a forza sull'altro e imporrà come giusto il proprio punto di vista.
3
Cioè “gruppi di quattro”.
4
La fonte principale è Aristotele.
1
scritte”), in cui sembra che Platone sviluppasse una metafisica di stampo pitagorico fondata sui
principi di Uno e Diade (Limite-Illimitato).

2.   LA SCRITTURA DIALOGICA E IL MITO PLATONICO


Per Platone, fedele a Socrate, il sapere continua a essere un “parto” dell'anima di ciascuno, non un
contenuto già stabilito da riversare nella mente del discepolo. Anche per Platone dunque la filosofia
è un sapere aperto, una ricerca inesauribile che sempre tenta di approssimarsi alla verità. Il dialogo
scritto platonico, utile soprattutto per coloro che non è possibile raggiungere direttamente, si pone
quindi come il miglior sostituto della concreta pratica dialogica socratica laddove questa non sia
possibile.
In maniera sorprendente rispetto all'idea di un'opposizione tra mito e filosofia, nei dialoghi platonici
compaiono spesso dei miti, talvolta inventati o rielaborati da Platone. Sono due le principali funzioni
del mito nell'opera platonica: rendere più comprensibili le dottrine sostenute e parlare di realtà ai
limiti della pensabilità, ad esempio del destino dell'anima o della cosmogonia (formazione del cosmo).

3.   GLI SCRITTI GIOVANILI


In linea generale gli scritti giovanili, noti anche come “dialoghi socratici”, sono quelli in cui
l'influenza di Socrate su Platone appare più forte. Protagonista dei dialoghi è sempre Socrate, che si
opppone in generale al relativismo sofistico. Nell'Apologia e nel Critone viene delineata la figura di
Socrate come filosofo per eccellenza. L'Apologia è una celebrazione della vita dedicata alla ricerca
filosofica intesa come continuo esame di sé e degli altri sulla via del sapere e della virtù. Il Critone,
dialogo tra Socrate e Critone ambientato in carcere tra il momento della condanna a morte e il
momento dell'esecuzione, celebra la grandezza di Socrate nel rifiutare la fuga rimanendo fedele ai
propri principi anche di fronte alla morte.
Nei dialoghi giovanili minori si discute di volta in volta un concetto di ordine generale (ad esempio
la giustizia in Repubblica I): Socrate confuta le opinioni degli interlocutori polemizzando con diverse
tesi relativistiche di stampo sofistico. In questi dialoghi prevale un'impostazione critico-negativa (cioè
si negano le tesi avversarie senza proporne di proprie) e l'esito è per lo più aporetico (cioè privo di
soluzione). Ad esempio, nell'Eutifrone, nel Lachete e nel Carmide si mostra rispettivamente che
santità, coraggio e saggezza non sono virtù definibili ciascuna per proprio conto e dunque nessuna
delle tre esiste come virtù indipendente dalle altre, ma non si giunge a definire che cosa sia la virtù.
Nei maggiori dialoghi di questa prima fase, il Protagora e il Gorgia, i temi affrontati sono la virtù, la
retorica e la felicità del giusto. Socrate polemizza con diversi sofisti, a partire appunto da Protagora
e Gorgia, ma viene in parte superata l'impostazione negativa e si giunge ad alcune soluzioni positive.
Nel Protagora sono affermati i caratteri fondamentali della virtù: essa è una, è scienza, cioè è una
forma di sapere, solo in quanto scienza è insegnabile ed è felicità. Nel Gorgia, da un lato, la retorica
è criticata come semplice pratica adulatoria la cui presa raggiunge solo gli ignoranti, dall'altro, di
fronte alla tesi di Callicle secondo cui felice non è il virtuoso ma chi commette ingiustizia riuscendo
a perseguire il proprio piacere e a non subire la punizione (ad esempio attraverso un discorso
persuasivo), si nega che la felicità coincida col piacere e si comincia a spostare la connessione tra
virtù e felicità su un piano ulteriore rispetto a quello terreno.

2
4.   GLI SCRITTI DELLA MATURITÀ
4.1  Teoria delle idee
La teoria delle idee è l'elemento più noto e importante della speculazione platonica, di cui segna il
passaggio alla seconda fase (cioè quella della maturità). Tuttavia, non esiste negli scritti platonici
un'esposizione sistematica di tale dottrina, che va invece ricostruita pezzo per pezzo sulla base di
quanto Platone afferma in diversi dialoghi, tra cui ad esempio il Fedone, il Fedro, la Repubblica. Si
deve prima di tutto capire che “idea” in Platone non significa “pensiero dell'intelletto” o “contenuto
mentale”, ma, al contrario, indica un ente immateriale, immutabile, perfetto, esistente di per sé nel
“mondo delle idee”. Dunque, l'idea è in Platone un ente non dipendente dalla mente umana. Il mondo
delle idee è chiamato da Platone “iperuranio” (letteralmente “oltre il cielo”) e costituisce una regione
dell'essere diversa e separata da quella del mondo sensibile. Le idee infatti non sono sensibili (cioè
percepibili attraverso i cinque sensi), ma sono intelligibili (cioè coglibili con l'intelletto). Le cose
sensibili sono per Platone copie mutevoli e imperfette delle idee: ad esempio, nel mondo sensibile
esistono cose belle in quanto ciascuna di esse imita per quanto può, sempre comunque in maniera
imperfetta, la bellezza in sé, che costituisce quindi il modello, esistente nell'iperuranio, di tutte le
singole cose belle. In questo senso le idee sono l'unità del molteplice: l'unità di tutte le molteplici cose
belle del mondo sensibile è l'idea intelligibile della bellezza in sé.
Platone oscilla tra una nozione logico-ontologica delle idee, in base alla quale si deve ammettere
l'esistenza di un'idea per ogni tipo di cosa presente nel mondo sensibile (ad esempio, dato che nel
mondo sono presenti molteplici divani, nell'iperuranio deve esserci l'idea di divano) e una nozione
etico-politica e matematico-geometrica delle idee, secondo la quale si deve riconoscere l'esistenza di
idee solo per i principi etico-politici e gli enti geometrico-matematici (quindi le molteplici azioni
giuste sensibili sono riconducibili all'idea del giusto in sé esistente nell'iperuranio, così come i
molteplici quadrati sensibili all'idea del quadrato in sé, non ci sarebbero invece idee iperuraniche per
oggetti sensibili come il divano, il cavallo etc...).
Platone oscilla anche nel definire l'esatto rapporto tra le idee e le cose sensibili. Talvolta egli parla di
“imitazione”, affermando, come già detto, che le cose sensibili sono copia del modello rappresentato
dall'idea, altre volte parla di “partecipazione”, affermando che le cose sensibili partecipano delle idee
come gli oggetti illuminati partecipano della luce, altre ancora parla di “presenza” affermando che le
idee sono presenti nelle cose sensibili come una sorta di impronta. In ogni caso, a prescindere da
come vada esattamente inteso il rapporto tra idee e cose sensibili, è chiaro che le idee sono per Platone
causa delle cose sensibili sia in senso conoscitivo, in quanto sono la condizione di pensabilità delle
cose sensibili (posso pensare che due cose siano uguali perché esiste l'idea di uguaglianza), sia in
senso ontologico, in quanto sono la condizione di esistenza delle cose sensibili (possono esistere cose
belle perché esiste l'idea di bellezza).
Esposti i tratti essenziali della teoria delle idee, bisogna chiedersi da dove essa nasca. Ovvero: perché
Platone sente l'esigenza di formulare la teoria delle idee? E su che base afferma l'esistenza delle idee?
Dunque, la genesi (nascita) profonda della teoria delle idee risiede nella lotta di Platone contro il
relativismo sofistico. Secondo Platone l'unico risultato della negazione di ogni punto di vista assoluto
sulle cose sono il disordine e il trionfo della legge del più forte (in effetti sofisti come Callicle, che
compare nel Gorgia, o Trasimaco, che compare in Repubblica I, sostenevano una sorta di apologia
della forza). All'origine della teoria delle idee vi è quindi il problema politico di trovare le fondamenta
per una società giusta: per Platone solo se esiste la verità immutabile è possibile costruire una società

3
giusta, in quanto la conoscenza della verità immutabile permette di disinnescare l'esito
necessariamente violento dell'equivalenza di tutte le opinioni. Infatti, se tutte le opinioni sono uguali
e io penso, per esempio, che sia giusto adorare gli dei, mentre tu pensi che sia giusto negare gli dei, e
la giustizia in sé (cioè la verità su che cosa sia la giustizia) non esiste, allora il più forte tra noi imporrà
con la violenza la propria opinione (e ciò non sarà neppure ingiusto, giacché la giustizia in sé non
esiste e dunque nemmeno l'ingiustizia). La teoria delle idee, invece, poiché afferma l'esistenza in sé,
oggettiva, e di conseguenza la validità universale, di enti ideali eterni (cioè le idee, tra cui l'idea di
giustizia), può superare l'umanismo relativistico sofistico (l'idea che ogni uomo rappresenti per sé
l'insindacabile criterio del conoscere e dell'agire). Infatti, con la teoria delle idee il criterio del
conoscere e dell'agire sono le idee stesse: esiste di nuovo una verità fuori dall'uomo su cui l'uomo si
deve regolare sia dal punto di vista conoscitivo sia da quello etico e politico. In questo modo le
opinioni non sono più tutte equivalenti: in caso di contrasto ci si deve rivolgere con la mente al giusto
in sé per misurare in base ad esso la giustizia dell'opinione che stiamo sostenendo e agire di
conseguenza. In sostanza Platone è convinto che se qualcuno conosce la verità sul mondo e sull'uomo
stesso, allora può acquisire tutti gli strumenti necessari a offrire a tutta la sua comunità – attraverso
un comportamento corretto e onesto – il bene da lui afferrato con la comprensione delle cose più
degne (cioè della verità). Egli infatti, in quanto conosce la giustizia in sé, potrà sapere che cosa è
giusto e che cosa è sbagliato e di tale consapevolezza potranno usufruire tutti coloro che lo circondano,
ascoltando il suo insegnamento e considerando il suo esempio. Va da sé che per questo risultato è
necessario che la verità, ad esempio la verità sul giusto e lo sbagliato, esista e sia conoscibile.
Ma come si conosce la verità? Forse che la verità del mondo e dell'uomo si conosce attraverso i sensi?
Non secondo Platone. Infatti, i cinque sensi, con i quali vediamo, ascoltiamo, tocchiamo, gustiamo e
odoriamo quanto ci sta attorno, restituiscono un'immagine fatalmente contraddittoria del mondo. I
sensi percepiscono un mondo materiale in continuo mutamento e non offrono resoconti stabili e
invariabili da persona a persona e/o in tempi diversi. Ad esempio, ciò che oggi mi appare in un dato
modo, domani mi apparirà in un altro; ciò che a me sembra avere determinate caratteristiche, a un
altro sembra averne di opposte. Il risultato è che non mi posso fidare dei rapporti circa la realtà,
quando essi, essendo fondati sui sensi, non riescono a darmi un quadro coerente di quello che
veramente, stabilmente, indubbiamente è reale. Per avere un sapere affidabile, dunque, bisogna
andare oltre i sensi. Si può quindi affermare che, connessa a quella politica sopra trattata, vi sia una
genesi gnoseologica della teoria delle idee che risiede nell'approfondimento del concetto di scienza
(intesa come conoscenza vera). Infatti, seguendo la tradizione eleatica (Parmenide), Platone ritiene
che la scienza debba possedere i caratteri della stabilità e dell'immutabilità e che, di conseguenza, non
possa avere come oggetto il mondo sensibile poiché esso è caratterizzato dal mutamento e perciò da
un tipo di conoscenza mutevole quale l'opinione fondata sui sensi (doxa). Scartato il mondo sensibile,
Platone trova l'oggetto della scienza nelle idee. Infatti, proprio il continuo mutare delle cose sensibili
stimola l'intelletto a cercare una più profonda stabilità. L'intelletto permette di superare il relativismo
e il soggettivismo (il convincimento che la conoscenza vari da soggetto a soggetto) cui si giungerebbe
se la conoscenza fosse affidata solo ai sensi. Soggettivismo e relativismo comportano che ogni
conoscenza, poiché è considerata dipendente dalle circostanze in cui si trova un soggetto nel momento
in cui percepisce un oggetto che sempre muta, sia sempre corretta per quel soggetto e in quel momento,
ma che sia diversa per uomini diversi…con il risultato di non capire mai, di fronte a opinioni differenti,
quale sia quella vera. L'intelletto, al contrario, è in grado di cogliere, al di là di ciò che muta, una

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realtà stabile e immutabile, dalla quale dipende l'oggetto che muta: una sorta di nucleo fermo e
immobile al centro di una tempesta in cui tutto si muove. Il ragionamento che l'intelletto attua per
superare il mutevole resoconto dei sensi è pressappoco il seguente: una cosa, per mutare, deve prima
essere. Ma se il suo essere muta, significa che è inquieto, cioè che manca di qualcosa, che è instabile
perché imperfetto. Infatti nulla che sia perfetto, ossia compiuto e integro in ogni sua parte, ha bisogno
di cambiare: se qualcosa cambia il suo stato, la sua posizione, il suo modo di essere è perché quelli
precedenti non erano soddisfacenti5. Pertanto una cosa che muta è necessariamente imperfetta. Ma
una cosa imperfetta a che cosa deve la sua esistenza? Essa, pur esistendo, non può esistere se non in
dipendenza di una cosa perfetta. Quindi l'intelletto mi dice che, per il fatto che esistono cose difettose,
devono esistere anche cose perfette dalle quali le cose difettose dipendono. Vi è dunque qualcosa che
non muta, che non manca di nulla. Da questo qualcosa dipende tutto ciò che muta. Tale aspetto
immutabile delle cose non deve appartenere al nostro mondo sensibile, la cui caratteristica principale
è che muta continuamente, ma deve appartenere a un altro tipo di mondo: il “mondo delle idee” per
l'appunto o, come già detto, “iperuranio”.
Riassumendo: le idee sono i paradigmi, cioè i modelli, perfetti ed eterni, di ciò che esiste in forma
imperfetta nel mondo sensibile. Ogni cosa, ogni aspetto della nostra vita e della vita del cosmo ha un
corrispettivo perfetto nell'iperuranio, ovvero nell'aldilà perfetto e trascendente delle idee.
“Trascendente” perché il mondo delle idee trascende, ossia va oltre, il nostro mondo, ne è separato e
differenziato perché possiede un modo diverso di essere: l'essere che non ha bisogno di nulla, l'essere
che non ha difetti né mancanze. Il pensiero platonico, dunque, è caratterizzabile nei termini di un
dualismo gnoseologico (due tipi di conoscenza: scienza e opinione) e di un dualismo ontologico (due
tipi di essere: iperuranio e mondo sensibile).

4.2  Gnoseologia
Secondo Platone la conoscenza delle idee da parte dell'uomo è resa possibile dall'esistenza di una
sorta di ponte tra l'iperuranio e il mondo sensibile. Il ponte è l'anima dell'uomo: prima
dell'incarnazione essa vive nell'iperuranio accanto alle idee (che quindi conosce). Stando al Fedone e
al mito del carro alato6 narrato nel Fedro, incarnandosi essa dimentica le idee, ma gli oggetti del
mondo sensibile, in primo luogo i corpi dotati di proporzione e dunque di bellezza, la stimolano a
ricordare: conoscere le idee per l'uomo significa ricordarle. È questa la “teoria della reminiscenza”
(cioè del ricordo), che rappresenta una forma di innatismo (le idee sono presenti nell'uomo già prima
della sua nascita, quindi sono innate). Nell'attuarsi della reminiscenza sono fondamentali il ruolo della
bellezza sensibile, che attira l'anima e la induce a ricordare, e l'allenarsi della ragione a colpi di
maieutica, sotto lo sprone cioè di un maestro capace di porre domande che attivino la mente
dell'allievo, come avviene nel Menone, quando Socrate conduce maieuticamente uno schiavo
ignorante a risolvere un problema di geometria.

5
Per cogliere questo concetto a livello intuitivo basta pensare a quando si è sdraiati e ci si rigira continuamente: il fatto è
che non si trova la posizione perfetta. Viceversa, quando si è comodi (cioè in una posizione perfetta), non ci si rigira.
6
Il mito del carro alato verte sulla condizione dell'anima prima dell'incarnazione. L'anima è paragonata a un carro alato
diretto da un auriga che guida due cavalli, uno bianco e uno nero. L'auriga rappresenta la parte razionale dell'anima, il
cavallo bianco rappresenta la parte irascibile dell'anima, connessa all'affermazione di sé, il cavallo nero rappresenta la
parte concupiscibile dell'anima, connessa ai desideri più bassi. Il carro è guidato dall'auriga verso l'alto, dove si possono
contemplare le idee, ma solo il cavallo bianco obbedisce, mentre il cavallo nero si oppone e tira incessantemente verso il
basso. Perciò è difficile mantenere l'equilibrio e capita infine che l'auriga perda il controllo e il carro sbatta contro gli altri
carri là attorno (le altre anime) e così si danneggi e perda le ali precipitando nel mondo sensibile (incarnazione).
5
Dopo la morte l'anima torna nel mondo delle idee, in attesa di una nuova incarnazione (Platone accetta
quindi la dottrina orfico-pitagorica della metempsicosi). Chiaramente il presupposto di questa teoria
è l'immortalità dell'anima, che Platone infatti si sforza di provare in diversi modi. Egli afferma ad
esempio che ogni cosa si genera dal suo contrario, dunque anche la vita dalla morte (perciò l'anima
non muore mai completamente). In modo un po' circolare Platone ricorre anche alla teoria della
reminiscenza come prova dell'immortalità dell'anima: poiché la conoscenza avviene per reminiscenza,
evidentemente l'anima è immortale. Inoltre, afferma che l'anima, poiché è simile alle idee, deve essere
eterna come sono eterne le idee. Infine, sostiene che, poiché l'anima è il principio della vita, non può
partecipare dell'idea di morte.
Il ruolo della bellezza sensibile nel risveglio dell'anima è connesso alla componente erotico-
passionale della conoscenza, di cui trattano specialmente il Simposio e il Fedro. Nel Simposio Socrate
paragona il dio Amore (in greco Eros) al filosofo perché come Eros desidera la bellezza, così il
filosofo desidera la conoscenza. In questo senso il filosofo è come l'innamorato: è in cerca di qualcosa
che non ha (la bellezza dell'amato/a per l'innamorato, la conoscenza per il filosofo). L'affinità tra Eros
e filosofo indica che la reminiscenza non può avviarsi se non si ama con passione la conoscenza.
Anche nel Fedro eros è inteso come psicagogia (conduzione dell'anima): a risvegliare nell'anima il
ricordo delle idee è la bellezza sensibile e dunque eros, che desidera passionalmente la bellezza
sensibile, è la guida che conduce l'anima verso le idee. L'amore/passione che l'uomo prova per la
bellezza può arrestarsi alla bellezza sensibile e allora smette di essere guida dell'anima, oppure può
indirizzarsi al godimento di gradi di bellezza via via più elevati7 fino ad arrivare alla bellezza in sé
(cioè all'idea di bellezza) e guidare così l'anima alla conoscenza del vero essere: il mondo delle idee.
Questa conoscenza si traduce nella liberazione da tutto ciò che è insignificante, transeunte, mutevole,
soggetto a corruzione, quindi in una vita vissuta secondo i valori eterni dello spirito, ovvero una vita
filosofica.
Se l'immortalità dell'anima e la dottrina dell'eros sono i presupposti fondamentali della gnoseologia
di Platone, nella Repubblica egli approfondisce la propria riflessione sulla conoscenza delineando un
modello articolato su quattro livelli conoscitivi (piano gnoseologico) a cui corrispondono quattro
gradi di realtà (piano ontologico). I primi due livelli attengono alla conoscenza sensibile (opinione,
in greco doxa), gli ultimi due alla conoscenza razionale (scienza, in greco episteme). I livelli sono: 1)
immaginazione: rivolta alla conoscenza dell'immagine delle cose sensibili; 2) credenza: rivolta alla
conoscenza delle cose sensibili; 3) diànoia (ragione discorsiva): rivolta alla conoscenza degli enti
matematico-geometrici; 4) nòesis (intelligenza filosofica): rivolta alla conoscenza delle idee per
mezzo della dialettica, intesa da Platone come scienza della relazione tra le idee, ovvero come
capacità di dividere le idee e riunirle8.
La diànoia, grazie all'utilizzo di sistemi di misurazione oggettivi (le cose ci appaiono più piccole o
più grandi a seconda della distanza, ma grazie alla misurazione siamo in grado di conoscerne
oggettivamente la dimensione), segna il passaggio alla conoscenza razionale. Tuttavia, essa mostra i
propri limiti sia nel servirsi di immagini sensibili per le proprie dimostrazioni (ad esempio in ambito

7
Secondo la scala presentata nel Simposio: dalla bellezza del singolo corpo a quella dei corpi in generale, poi alla bellezza
delle attività umane, poi alla bellezza delle leggi, poi a quella della conoscenza.
8
La divisione, in greco diàiresis, consiste nel definire ogni idea generale distinguendo in essa tutte le idee particolari che
vi partecipano. La riconduzione all’uno, in greco synagoghé, consiste nell’individuare per ciascuna delle idee particolari
le idee generali a cui essa partecipa.
6
geometrico) sia nel procedere a partire da ipotesi indimostrate che vengono assunte come
assolutamente vere. Al contrario, la nòesis che si esercita nella dialettica non si serve di immagini
sensibili nel suo svolgimento né procede sulla base di pure ipotesi ammesse come verità. Anche la
dialettica parte infatti di necessità da delle ipotesi, ma le riconosce come tali finché non sia giunta a
conoscere il principio anipotetico (cioè non ipotetico) che fondi la verità di tutto lo sviluppo
conoscitivo. Solo la filosofia si rivolge per mezzo della dialettica alla conoscenza dell'idea suprema:
l'idea del Bene. E solo questa conoscenza può generare secondo Platone la pratica del bene.

4.3  Teoria politica


Fondata attraverso la teoria delle idee la possibilità di uno stato giusto, nella Repubblica Platone ne
delinea il modello. Egli parte discutendo della giustizia al livello della vita associata: giustizia è
oikeiopraghìa, ovvero che ciascuno si occupi di ciò che gli è proprio (il falegname del far mobili, il
contadino dei campi, il politico del governo, etc). Lo stesso concetto di giustizia vale anche a livello
individuale. Infatti, la psicologia platonica della Repubblica, come quella del Fedro, prevede che
l'anima di ciascuno sia composta di tre parti: appetitiva (o concupiscibile), animosa (o irascibile) e
razionale. La prima è preposta alle funzioni fisiologiche e tende al piacere materiale, la seconda ha a
che fare con la forza del carattere e tende all'affermazione di sé, la terza ha la funzione di guida.
Giustizia a livello individuale è che ciascuna parte dell'anima svolga soltanto il proprio compito,
quindi che l'anima razionale guidi e domini le altre due. Non tutti, però, hanno questa capacità di far
prevalere l'anima razionale, anzi tale capacità è solo di pochi, già predisposti e poi chiamati a un
continuo e difficile esercizio di studio e di pratica della filosofia. Negli altri continuano a prevalere o
l'anima irascibile o quella concupiscibile. Questa è la fonte di tutti i problemi umani e politici, poiché
nella vita comune è proprio l'irrazionalità di coloro che vivono senza dare ascolto alla verità delle
cose e senza conoscerla a generare disordine, conflitto, anarchia.
Il rimedio non può che consistere nel fatto che il governo della città sia affidato a coloro che per esso
sono portati, i quali saranno evidentemente i giusti, ovvero, in base a quanto sopra detto riguardo alle
tre parti dell'anima, i pochi che sanno dominare con la ragione la propria animosità e i propri impulsi
sensibili, ovvero i pochi che sanno rivolgere la conoscenza al vero essere, l'essere ideale che non muta.
Ma allora, dato che la caratteristica di questi governanti è il loro sapersi rivolgere alle idee, è chiaro
che i governanti dello stato giusto ideale sono i filosofi. Per instaurare la giustizia a livello politico,
cioè per far sì che ciascuno si dedichi a ciò che gli è proprio, è necessario che governi chi è giusto,
dunque i filosofi. Ma il bisogno di ordine e giustizia non è il solo per la società: essa deve anche
assicurarsi la difesa militare e l'approvvigionamento materiale (nutrimento, alloggio, vesti, etc). Ecco
allora il ruolo di coloro che non riescono ad evitare il prevalere in sé della parte animosa o di quella
appetitiva dell'anima: i primi svolgeranno compiti militari, i secondi compiti economici. Dunque,
poiché esistono diversi bisogni sociali, devono esistere diverse classi di cittadini che si occupino dei
vari bisogni, e poiché secondo giustizia ciascuno deve fare ciò che gli è proprio, ognuno appartiene
alla classe che svolge il compito più adatto all'inclinazione della propria anima: la prima classe è
quella dei governanti, cittadini in cui prevale l'anima razionale e la cui virtù specifica è quindi la
saggezza; la seconda classe è quella dei guerrieri, cittadini in cui prevale la parte animosa dell'anima
e la cui virtù specifica è quindi il coraggio; la terza classe è quella dei produttori, cittadini in cui
prevale la parte appetitiva dell'anima e la cui virtù è la temperanza, nel senso che essi devono cercare
di tenere a freno le spinte al godimento materiale proprie della loro conformazione psicologica.

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Peraltro, la temperanza è virtù comune anche alle altre due classi in quanto comporta in generale
l'accettazione del proprio ruolo.
Fondamentale dunque è il criterio per stabilire l'appartenenza dei singoli cittadini alle diverse classi.
Ripetiamo: Platone rifiuta ogni criterio censitario (cioè basato sulla ricchezza) o ereditario. L'unico
criterio valido è ai suoi occhi l'attitudine naturale: ciascuno farà soltanto ciò per cui è naturalmente
portato (cioè ciò a cui lo spinge la parte di anima in lui dominante). Ciò significa che il figlio di un
produttore può e deve diventare governante se è portato (cioè se in lui domina l'anima razionale), così
come il figlio di un governante può e deve diventare produttore se è incline a questo tipo di
occupazione (cioè se in lui domina l'anima concupiscibile)9. Anche le donne possono appartenere a
una qualunque delle tre classi a seconda delle proprie attitudini naturali.
I governanti nella Repubblica detengono un potere assoluto: non c'è alcun controllo su di loro da parte
dei governati né ci sono leggi. Del resto, si tratta di una sofocrazia (governo dei sapienti): i governanti
hanno il potere in quanto sono gli unici a conoscere il bene comune e ad agire in base a questa
conoscenza. Non è necessaria alcuna garanzia contro i loro abusi di potere perché essi per definizione
(cioè in quanto sapienti e quindi giusti) non commettono abusi. Ad impedire che i sapienti-governanti
possano danneggiare i governati sono sia la loro attitudine naturale alla preminenza dell'anima
razionale, e dunque alla conoscenza del mondo delle idee, sia l'educazione a cui sono sottoposti per
lunghissima parte della loro vita al fine di coltivare la loro predisposizione fino a giungere alla
conoscenza dell'idea somma, l'idea del Bene: conoscenza che è condizione necessaria per saper
esercitare la giustizia. Inoltre, Platone, come ulteriore cautela, afferma che i governanti e i guerrieri10
nello stato ideale non possiedono né beni privati né famiglia11: in questo modo non avranno interessi
personali che li distraggano dal perseguimento del bene comune. È questo il “comunismo platonico”,
che riguarda soltanto guerrieri e governanti, non i produttori.
Lo stato ideale messo a punto nella Repubblica è un attacco diretto contro il presupposto democratico
secondo cui gli affari comuni vanno gestiti in comune. Per Platone, al contrario, la politica è una
tecnica destinata solo ad alcuni, mentre gli altri devono limitarsi ad obbedire e a svolgere la propria
funzione. Del resto, secondo Platone solo così ogni persona, attraverso l'opera dei filosofi-governanti,
è messa in condizione di apprezzare la Giustizia e la Verità, perché esse sono, per così dire, incarnate
nella vita quotidiana della comunità giusta, anche se in un singolo soggetto la mancanza di un pieno
sviluppo razionale impedirebbe di contemplarle e viverle autonomamente. Così tutti possono vivere
una vita virtuosa sotto la direzione dei sapienti-governanti che sanno che cosa ognuno nelle diverse
circostanze della vita deve fare e deve evitare.
Gran parte della dottrina platonica illustrata sin qui è sintetizzata nel VII libro della Repubblica per
mezzo del famosissimo mito della caverna: degli uomini vivono da sempre incatenati in una caverna
di cui possono vedere solo la parete di fondo; alle loro spalle v'è un muro alla cui sommità ci sono
degli oggetti. Sulla parete essi vedono le ombre di questi oggetti proiettate da un fuoco posto dietro

9
Platone illustra tale argomento attraverso il mito delle stirpi, secondo cui alcuni nascono con una natura aurea, altri
argentea e altri bronzea e giustizia è che ciascuno segua la propria inclinazione e che, quindi, genitori aurei a cui nasca
un figlio bronzeo si guardino dal volerne fare per forza qualche cosa che egli non può essere.
10
Governanti e guerrieri insieme costituiscono il gruppo dei custodi, ovvero il gruppo dirigente dello stato ideale.
11
Governanti e guerrieri possono contrarre matrimonio e avere figli, ma il loro matrimonio è temporaneo e stabilito dallo
stato allo scopo di generare la prole migliore possibile. Inoltre, appena nata la discendenza, si fa in modo che i genitori
non possano riconoscerla, così che tutti i figli di governanti e guerrieri siano allevati come figli di tutti, evitando che
possano nascere interessi privati.
8
il muro: per loro queste ombre sono la realtà. Un prigioniero però riesce a liberarsi, a rendersi conto
di aver sempre scambiato per verità le mere ombre degli oggetti sul muro, e infine ad uscire: dapprima
è abbagliato, ma a mano a mano si abitua alla luce del Sole e contempla il mondo vero, prima i riflessi
degli oggetti nell'acqua, poi gli oggetti stessi, infine può alzare lo sguardo verso il sole. Vorrebbe
rimanere lì, ma deve tornare a liberare i suoi compagni, sebbene a rischio della propria vita: per i
compagni la realtà sono le ombre della caverna e potrebbero reagire male all'annuncio della nuova
verità portato dal prigioniero fuggito. È, come si diceva, una sintesi dei principali aspetti della
filosofia platonica: il dualismo ontologico e gnoseologico (caverna = mondo sensibile, in cui la
conoscenza limitata alle ombre proiettate sulla parete di fondo rappresenta l'immaginazione, mentre
quella limitata agli oggetti poggiati sul muro rappresenta la credenza; esterno = mondo delle idee, in
cui la visione dei riflessi delle cose nell'acqua rappresenta la dianoia, mentre quella delle cose stesse
rappresenta la noesi, che culmina nella contemplazione del sole, che rappresenta l'idea del Bene) e la
centralità dell'impegno politico: lo schiavo liberatosi (cioè il sapiente che ha visto il Sole, ovvero
l'idea del Bene) deve tornare indietro per guidare i propri compagni alla fondazione della comunità
giusta.

4.4  La condanna dell'arte


Nella Repubblica Platone giudica negativamente l'arte in quanto essa è copia della copia. L'arte infatti
imita il mondo sensibile, che a sua volta imita il mondo delle idee. Per questa ragione l'arte possiede
uno scarso valore ontologico (non è molto reale) e gnoseologico (non fa conoscere molto). A questa
ragione metafisico-gnoseologica per la condanna dell'arte se ne aggiunge una di carattere politico:
l'arte corrompe l'animo legandolo alle passioni che rappresenta (cioè i più bassi istinti, ad esempio
l'odio o l'invidia presenti nelle tragedie).

5.   GLI SCRITTI DELLA VECCHIAIA


5.1  L’approfondimento della riflessione sulle idee
Nell'avanzata maturità e nella vecchiaia Platone problematizza e cerca di chiarire diversi aspetti della
teoria delle idee e della sua riflessione politica. Riguardo alla teoria delle idee, in particolare egli
affronta due ordini di problemi, relativi il primo al rapporto tra le varie idee, il secondo al rapporto
tra il mondo delle idee e il mondo sensibile.
Il dialogo in cui più apertamente Platone problematizza diversi aspetti della teoria delle idee, toccando
sia il primo sia il secondo ordine di problemi di cui sopra, è il Parmenide. Celebre fra tutti è il
problema relativo al cosiddetto argomento del terzo uomo. Esso consiste nel fatto che, se i singoli
uomini empirici (primo uomo) si somigliano, e quindi sono riuniti in un unico insieme, grazie all'idea
di uomo (secondo uomo), servirà poi un'ulteriore idea, che potremmo chiamare idea dell'idea di uomo
(terzo uomo), per giustificare la somiglianza, e quindi la riunione in un unico insieme, tra singoli
uomini empirici e l'idea di uomo e così all'infinito12, il che sarebbe assurdo. Altri problemi relativi
alla teoria delle idee esposti nel Parmenide riguardano l'incertezza circa l'esistenza di idee per tutte

12
A questo argomento Platone potrebbe rispondere grosso modo così: dire “Socrate è un uomo” significa dire che Socrate
partecipa all'idea di uomo, ma dire “l'idea di uomo è uomo” significa solo dire che l'idea di uomo è identica a sé.
Quest'ultima affermazione non implica affatto che l'idea di uomo partecipi a qualche altra idea, che poi spieghi la
somiglianza tra Socrate e l'idea di uomo. Dunque, il regresso all'infinito di cui parla l'argomento del terzo uomo non è
necessario ed anzi è fondato sull'errore per cui si pensa l'idea di uomo come una cosa che partecipa all'idea di uomo, cioè
come una cosa sensibile.
9
le cose (idee-cose) o solo per i valori (idee-valori) e i numeri-figure (idee-matematiche) e la difficoltà
nel concepire il rapporto di partecipazione tra idee e cose, poiché sembra che tale rapporto debba
determinare la divisione dell'idea in più parti, ciò che sarebbe contraddittorio con l'unitarietà dell'idea;
infine, v’è il problema derivante dalla separatezza dell'iperuranio rispetto al mondo sensibile, poiché,
se intesa in senso assoluto, tale separatezza implicherebbe l'assoluta inconoscibilità del mondo delle
idee e l'assoluta impossibilità di una sua causalità13 rispetto al mondo sensibile.
Quanto alle relazioni interne al mondo delle idee, sono di rilievo soprattutto il Filebo e il Sofista.
Nel Filebo, il cui tema specifico è quale sia la vita buona per l'uomo, Platone afferma che “i molti
sono uno e l'uno è molti”, intendendo sottolineare che ogni idea è sia in sé unitaria, in quanto
immutabilmente identica a sé, sia molteplice, in quanto inserita in una rete di relazioni con le altre
idee che occorrono nella sua definizione (ad esempio, l'idea di uomo è in relazione con l'idea di
animale, con quella di ragione, etc...). Dunque, ogni idea appare come il risultato dell'azione del limite
(l'unità con sé di ogni idea) sull'illimitato (l'infinita rete di rapporti possibili tra idee). Ciò significa
che l'illimitata possibilità di rapporti di ogni idea con le altre, che se si realizzasse comporterebbe la
confusione tra le idee, cioè il loro disperdersi nella molteplicità, è limitata dalla realizzazione solo di
quelle relazioni che rendono ciascuna idea l'unità immutabile che essa è. Questa dottrina del limite e
dell'illimitato come principi delle idee, sviluppata poi anche nelle “dottrine orali” (vd. più sotto),
testimonia un'influenza pitagorica sulla riflessione di Platone.
Nel Sofista, procedendo nell'indagine sui rapporti tra le idee, Platone individua attraverso la dialettica
i cinque “generi sommi”, cioè le idee più generali con cui tutte le altre sono necessariamente in
rapporto per poter essere quel che sono. I generi sommi sono: 1) essere, 2) essere identico, 3) essere
diverso, 4) moto, 5) quiete. Infatti, ogni idea è, dunque rientra nel primo genere sommo. Ogni idea è
se stessa, cioè è identica a sé, dunque rientra anche nel secondo genere sommo. Ogni idea, proprio in
quanto è se stessa, è diversa dalle altre, dunque rientra anche nel terzo genere sommo. Ogni idea è
conoscibile, quindi in qualche modo coinvolta nella dinamica della conoscenza, che per l'appunto è
una dinamica cioè una forma di movimento, ed è in rapporto con altre idee, quindi in qualche modo
in contatto con esse, cioè anche qui coinvolta in una sorta di movimento. Dunque, ogni idea rientra
anche nel quarto genere sommo (moto). Infine, ogni idea è ferma in sé, in quanto immutabile sotto
ogni punto di vista, dunque rientra anche nel quinto genere sommo (quiete).
Nell'individuare i generi sommi Platone prende esplicitamente posizione sul monito parmenideo
«l'essere è, il non-essere non è». La logica di Parmenide, infatti, poiché afferma la necessità dell'unità
dell'essere, non è compatibile con la molteplicità delle idee, ammessa invece da Platone. Egli dunque
sostiene che Parmenide ha commesso un errore poiché ha confuso il senso relativo e il senso assoluto
del non-essere. Invece tali due sensi vanno distinti e, mentre per il non-essere assoluto vale quanto
detto da Parmenide (cioè che esso è impensabile e indicibile), bisogna ammettere che il non-essere
relativo non equivale al nulla, ma semplicemente all'essere-diverso. Quindi affermare che una certa
cosa non è l'essere non comporta necessariamente che sia il nulla, come invece avveniva nella logica
binaria parmenidea, ma comporta semplicemente che sia qualcosa di diverso dall'essere, ma pur
sempre qualcosa. Ad esempio, dire che l'idea della bellezza non è l'essere significa che l'idea della
bellezza è diversa dall'essere, non che l'idea della bellezza sia non-essere. Grazie all'introduzione, tra

13
Cioè è impossibile concepire come le idee possano essere causa del mondo sensibile se sono assolutamente e totalmente
separate da esso.
10
l'essere e il non-essere assoluto, del non-essere relativo (cioè dell'essere-diverso), diviene possibile
ammettere la molteplicità, perché essa implica sì il non-essere, ma solo come non-essere relativo.
Questa esplicita presa di distanza da Parmenide è indicata dallo stesso Platone come “parricidio”, in
riferimento all'importanza che la riflessione parmenidea aveva per Platone, il quale definisce l'eleate
“maestro venerando e terribile”14.
Fondata la molteplicità, appare dunque chiaro che le idee possono entrare in relazione tra loro secondo
rapporti di esclusione/inclusione che è compito della dialettica indagare attraverso il procedimento
dicotomico (cioè di divisione in due). Ad esempio, se si vuole definire l'idea di filosofia, bisogna
indagare con quali idee essa è connessa. Quindi si sceglie un'idea generale di partenza in cui rientri
l'idea di filosofia, ad esempio si afferma che la filosofia è un'attività. A questo punto si divide in due
l'idea di attività, che può essere manuale o intellettuale. Si sceglie quella giusta in relazione all'idea
di filosofia, cioè in questo caso intellettuale. Si divide di nuovo: un'attività intellettuale può avere per
oggetto le idee o le cose sensibili. Si sceglie di nuovo giusta. Si divide di nuovo e così via fino ad
arrivare ad un'idea indivisibile. I percorsi costruibili in questo modo sono numerosi, perché le idee
generali da cui partire sono più di una (per esempio al posto che da attività si poteva partire da dialogo
o qualche altra cosa ancora) e molte sono le divisioni possibili (nell'esempio qui sopra l'idea di attività
poteva anche essere divisa in noiosa o divertente, oppure in volontaria o involontaria, etc...). La piena
conoscenza di un'idea, che coincide con la corretta delineazione della trama complessiva di rapporti
che quell'idea intrattiene con altre idee, discende quindi dalla considerazione di tutte le possibilità di
connessione.
Quanto alla precisazione del rapporto tra mondo delle idee e mondo sensibile, nel Timeo Platone
affronta attraverso un mito definito “verosimile” il problema dell'origine dell'universo e introduce la
figura del Demiurgo. In origine il mondo sensibile era caos: c'era solo la materia originaria informe
assolutamente priva di ordine, indicata da Platone col termine greco chora. Il Demiurgo, divino
artigiano, in quanto amante del Bene (cioè dell'ordine, della forma), decide di riprodurre il Bene, che
contempla nel mondo delle idee, anche nella materia originaria informe, almeno per quanto consentito
dall'imperfezione insita in essa. Egli dunque plasma – non crea!15 – la chora in base al modello fornito
dalle idee, infondendo in essa l'anima del mondo, cioè un principio di vita e ordine la cui azione sulla
chora forgia il mondo sensibile attraverso una strutturazione di tipo geometrico-matematico.
Risultato di questa strutturazione della chora è quell’aspetto essenziale del mondo sensibile che
chiamiamo “tempo”, definito da Platone «immagine mobile dell'eternità» in quanto riproduce, nella
forma di un divenire ordinato secondo la legge del numero, l'eternità propria del mondo delle idee.

5.2  La riflessione politica


Nel Politico e nelle Leggi Platone riprende la tematica politica, attenuando gli aspetti più utopistici e
dirompenti del modello dello stato ideale elaborato nella Repubblica. Nel Politico egli afferma che
l'arte del buon politico è l'arte della misura e che il vero politico è come un medico, capace quindi di
tener conto delle singole specificità di ogni caso. Perciò sarebbe auspicabile che i governanti non
ponessero leggi, poiché esse hanno validità generale e quindi non tengono conto della specificità di

14
In pratica Platone attraverso il termine parricidio allude al fatto che Parmenide era per lui una sorta di padre filosofico,
come si può constatare se si riflette sul fatto che l'idea platonica è molto simile all'essere parmenideo.
15
Ricordare sempre che il concetto ebraico-cristiano di creazione dal nulla (creatio ex nihilo) è assolutamente estraneo
alla cultura greca.
11
ogni caso. Tuttavia, dato che è impossibile dare precise indicazioni a ciascuno e soprattutto che è
impossibile realizzare l'ideale del governo da parte di chi conosce perfettamente il Bene, è necessario
ricorrere alle leggi, che prescrivono ciò che è genericamente meglio per tutti e limitano il potere di
coloro che governano, i quali, poiché non sono perfettamente sapienti, potrebbero abusarne o
semplicemente potrebbero commettere errori. Inoltre, Platone nel Politico offre una classificazione,
diversa da quella esposta nella Repubblica 16 , delle principali forme di governo (monarchia,
aristocrazia, democrazia) e delle loro rispettive degenerazioni (tirannide, oligarchia, demagogia). Le
forme di governo, sia legittime sia degenerate, sono qui distinte in base al numero dei governanti17,
mentre il criterio che separa le forme legittime da quelle degenerate è indicato da Platone nel fatto
che si passi dal governo delle leggi al governo arbitrario. In altre parole, in qualunque forma di
governo legittima i governanti, che siano uno solo, pochi o molti, governano sulla base del rispetto
delle leggi, in qualunque forma di governo degenerata invece no.
Nelle Leggi, l'ultima nonché più lunga opera di Platone, egli ribadisce la necessità delle leggi per la
promozione della virtù dei cittadini. Fondamentale è considerato il ruolo educativo della religione,
che lega tra loro i cittadini e li spinge al rispetto della virtù e delle leggi. Si tratta di una religione a
sfondo cosmico, una sorta di teologia astrale, che vede negli astri delle divinità e studia il loro moto
come mezzo per la comprensione degli scopi divini. Rispetto alla Repubblica vengono meno la rigida
divisione dei cittadini nelle tre classi e il comunismo imposto alle classi dirigenti, anche se la proprietà
è comunque regolata dallo stato in quanto Platone prevede che i cittadini siano divisi in quattro classi
patrimoniali, di cui la prima abbia beni per un valore di 1, la seconda di 2 e così via. Ebbene, ogni
volta che la distribuzione della ricchezza non è in linea con le soglie stabilite, cioè qualcuno si trova
sotto l'1 e qualcuno sopra il 4, lo stato deve provvedere a riequilibri forzati. Permane quindi l'idea
fondamentale secondo cui l'attività politica deve e può essere orientata al bene della comunità.

6.   LE “DOTTRINE NON SCRITTE18”


Il tentativo di definire l'ordine interno del mondo delle idee, già visibile nella Repubblica, in cui l'idea
del Bene è presentata come una sorta di idea delle idee, e articolato nel Sofista attraverso la dottrina
dei generi sommi, è proseguito incessantemente da Platone nelle discussioni interne all'Accademia e
costituisce il contenuto delle cosiddette “dottrine non scritte” o “dottrine orali”. Ne abbiamo notizia
grazie ad Aristotele che, come allievo di Platone, ha partecipato a questi dibattiti. Probabilmente tali
dottrine rimasero non scritte perché Platone riteneva che la filosofia andasse anzitutto affidata alla
parola e al rapporto diretto con l'interlocutore (come sosteneva il suo maestro Socrate e come egli
stesso ribadisce nella Lettera VII), di cui si può sempre controllare il livello di comprensione del
proprio pensiero, che a sua volta può essere subito specificato, approfondito, spiegato e se necessario
modificato, tutte cose che con gli scritti non si possono fare (infatti Platone anche quando scrive imita
il più possibile l’oralità nello stile dialogico che dà alle sue opere). Ebbene, nelle “dottrine non scritte”,

16
Nella Repubblica Platone chiama “aristocrazia” il modello di stato giusto da lui delineato, in cui governano i migliori,
e ne prende in considerazione alcune degenerazioni progressive: 1) la timocrazia, in cui governano i più animosi, 2)
l'oligarchia, in cui governano i più ricchi, 3) la democrazia, in cui governa la massa popolare, 4) la tirannia, in cui governa
uno solo. Nella Repubblica tutte e quattro queste forme sono degenerazioni rispetto all'unico modello ideale.
17
Infatti, Platone chiama monarchia il governo legittimo di uno solo (dal greco mònos, cioè uno, + archia, cioè comando),
aristocrazia il governo legittimo dei pochi (dal greco àristos, cioè ottimo, + kràtos, cioè forza), democrazia il governo
legittimo dei molti (dal greco démos, cioè massa popolare, + kràtos, cioè forza). Invece egli chiama tirannide il governo
arbitrario di uno solo, oligarchia il governo arbitrario dei pochi e demagogia il governo arbitrario dei molti.
18
Chiamate così appunto perché Platone non le mise per iscritto.
12
Platone arriva a parlare del principio supremo, che fonda tutto il resto assieme ad un altro con il quale
interagisce. Si tratta dell'Uno e della Diade indefinita di grande e piccolo. L'Uno è ciò che conferisce
all'universo la sua identità e stabilità, poiché niente di ciò che è potrebbe essere senza essere “uno”.
Nulla sarà mai distinguibile senza l'unità, nulla sarà mai concepibile senza primariamente vederne
l’unità. Tale unità è anche il principio di ciò che è molteplice. Infatti, non è possibile pensare a un
gruppo di più elementi senza prima avere la nozione per la quale consideriamo ogni elemento, facente
parte del gruppo, come un elemento unitario, il quale aggiunto agli altri offre l'idea di una molteplicità
di elementi. Quindi l'Uno tutto fonda, ma se vi fosse solo l'Uno tutto sarebbe unità assoluta. Dunque,
perché l'Uno possa essere causa di tutte le cose nella loro molteplicità infinita, esso deve essere
associato a una sorta di principio-moltiplicatore: la Diade di grande e piccolo. Agendo sulla Diade,
principio di molteplicità informe, l'Uno può originare la molteplicità dotata di forma che è il mondo
delle idee, a partire dai generi sommi e a finire con le idee matematiche che entrano a strutturare il
mondo sensibile. Così Platone completa il suo quadro filosofico cercando di dare ragione di tutta la
realtà, dai principi supremi al mondo delle idee, fino alla molteplicità sensibile. Il suo è un tentativo
grandioso operato da una delle menti eccelse della storia dell'umanità. La filosofia platonica servirà
da base d'appoggio per tutto il pensiero successivo, che dovrà prendere posizione anzitutto su quella
che successivamente è stata chiamata “metafisica”, ossia sulla teoria riguardante tutte quelle realtà
ideali che vanno oltre il mondo fisico e che lo fondano e giustificano esaustivamente…e poi a seguire
su tutte le altre considerazioni che ne discendono nel campo dell'etica, della gnoseologia,
dell'antropologia, della politica, della cosmologia e delle scienze naturali. L'importanza di Platone è
tale che Whitehead 19 ha sostenuto che tutta la storia della filosofia non è altro che un immenso
commento all'opera platonica.

19
Filosofo britannico vissuto tra XIX e XX secolo.
13

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