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Lettera VII e la delusione politica
All'epoca della condanna a morte di Socrate, nel 399 a.C., Platone ha poco meno di trent’anni: era nato
intorno al
427 a.C. da genitori entrambi appartenenti all'aristocrazia ateniese. Fin da ragazzo pensava di dedicarsi alla
vita politica, ma questa sua convinzione entra in crisi inseguito ai tragici eventi che seguono alla sconfitta di
Atene nella Guerra del
Peloponneso (404 a C.) Platone racconta in prima persona tali vicende in una lettera di carattere
autobiografico che tradizionalmente prende il nome di Lettera VII. Sebbene sia altamente probabile, non è
del tutto certo che questo documento sia davvero stato scritto da Platone; in ogni caso, fornisce preziose
informazioni sulla biografia di Platone, mostrando come le tesi principali della sua filosofia risultino
strettamente intrecciate con gli accadimenti più rilevanti della sua vita. Nella Lettera VII Platone racconta di
come la sconfitta nella Guerra del Peloponneso avesse portato a un netto cambiamento nella politica
ateniese, con la caduta del governo democratico, colpevole di aver condotto Atene alla disfatta, e la sua
sostituzione con una commissione di trenta magistrati con pieni poteri, i cosiddetti Trenta tiranni. Platone
ripone inizialmente fiducia nei nuovi governanti, tra i quali vi erano alcuni suoi famigliari e amici, ma la
condotta del nuovo governo, corrotto e dispotico, si rivela presto assai deludente e mol-to al di sotto delle
aspettative che aveva suscitato. La situazione peggiora ulteriormente con la caduta dei Trenta tiranni (403
a.C) e il ripristino della democrazia. Platone assiste con rabbia e impotenza al processo che il nuovo governo
intenta contro il suo maestro Socrate, di cui era discepolo da ormai circa una decina d'anni, e si rende conto
che la società ateniese è guasta e votata alla rovina.
Di fronte a una situazione così compromessa, cercare di intervenire direttamente nella vita politica con
l’obiettivo di riformarla sarebbe una mossa destinata alla sconfitta. Platone si convince così che il modo
migliore per rendersi utili alla propria comunità non consiste nell'attività politica, bensì nella filosofia. La
vita pubblica potrà migliorare soltanto se in futuro ci saranno cittadini migliori e in particolar modo, tra
questi, governanti migliori; ma perché ci siano cittadini migliori occorre educarli appropriatamente, e la
filosofia per Platone è l’unica disciplina che sia in grado di fornire una formazione adeguata: «fui costretto a
limitarmi a fare gli elogi della retta filosofia, come quella da cui sola può venire la capacità di scorgere ciò
che è giusto nella vita pubblica e in quella privata» (Lettera VII, 326 A). Partendo dall'insegnamento di
Socrate, Platone si propone dunque di sviluppare questa «retta filosofia», la sola in grado di risanare la
società.
I dialoghi e la loro classificazione
I dialoghi di Platone sono solitamente suddivisi in tre gruppi, in base alle ipotesi più plausibili sul periodo nel
quale sono stati scritti e a una certa uniformità di stile e temi: dialoghi giovanili o socratici; dialoghi della
maturità; dialoghi della vecchiaia o dialettici.
1. I dialoghi del primo gruppo sono definiti “dialoghi giovanili o socratici” essendo stati scritti dal giovane
Platone negli anni successivi alla morte di Socrate, con l'obiettivo principale di fornire un resoconto
accurato della vita e della dottrina del suo maestro. Fra queste opere viene solitamente inclusa anche
l'Apologia di Socrate, che non è propriamente un dialogo bensì il discorso che Socrate tiene in propria
difesa di fronte al tribunale ateniese che lo condannerà a morte.
2. I dialoghi del secondo gruppo vengono definiti “dialoghi della maturità” perché Platone li scrive all'incirca
tra i quaranta e i sessant'anni, nel ventennio trascorso ad Atene prima di recarsi a Siracusa per istruire
Dionisio il Giovane. Fra questi dialoghi vi sono alcuni dei capolavori letterari di Platone: la Repubblica, il
Menone, il Fedone, il Simposio, il Fedro. Il principale protagonista delle discussioni presentate resta
Socrate, ma Platone non si limita più a riportarne il pensiero, e propone invece una propria visione
filosofica originale, che si spinge molto oltre la dottrina del maestro. In questi dialoghi l'autore ricorre
frequentemente alla modalità narrativa del mito: un racconto che spesso riguarda vicende straordinarie di
dei ed eroi, o il destino ultraterreno delle anime. Sebbene il mito non abbia la sottigliezza dell’analisi
dialogica condotta mediante domande e obiezioni, la sua vividezza produce importanti effetti pedagogici.
Platone lo usa allo scopo di esprimere efficace-mente e persuasivamente una posizione filosofica (ad
esempio, come abbiamo visto, la tesi della superiorità del discorso orale sul testo scritto, nel Fedro, è
supportata dal mito di Theuth). Il mito è impiegato inoltre con funzione divulgativa, per comunicare in
modo più accessibile dottrine complesse, esemplificandole vividamente; può essere utilizzato poi per
alludere a realtà che vanno al di là della comprensione razionale: in tal senso, interviene a supportare la
ricerca filosofica quando questa si spinge ai confini del pensabile.
3. I dialoghi del terzo gruppo sono presumibilmente scritti da Platone negli ultimi vent'anni della sua vita,
una volta ritornato ad Atene dopo la fallimentare esperienza siracusana. Essi vengono definiti “dialoghi
della vecchiaia”, o anche “dialoghi dialettici” perché è in queste opere che Platone sviluppa compiutamente
la dialettica, il procedimento razionale di cui si avvale l’indagine filosofica, volto alla ricerca della definizione
delle cose. Egli la utilizza per rivedere criticamente le dottrine esposte nelle opere precedenti e per
affrontare le obiezioni che gli erano state sollevate. Nei dialoghi dialettici, che risentono significativamente
dell’influenza delle dottrine eleatiche e pitagoriche, la figura di Socrate perde progressivamente centralità,
fino a scomparire del tutto nell'ultimo scritto di Platone, le Leggi. Anche lo stile tende ad allontanarsi dal
modello socratico: si privilegiano lunghi interventi che sviluppano complessi argomenti filosofici,
sacrificando il rapido susseguirsi di domande e risposte che era tipico del modo di discutere di Socrate.
Una distinzione trasversale ai tre gruppi di dialoghi è quella fra “dialoghi diretti” (o “drammatici”) e
“dialoghi indiretti” (o “narrati”): nei primi (ad esempio Critone, Ippia maggiore, Gorgia) le battute del
dialogo sono presentate come se si susseguissero nel presente della narrazione, mentre nei secondi si ha la
mediazione di una cornice a sua volta dialogica, in cui alcuni personaggi rievocano un dialogo che ha avuto
luogo in passato e che viene riferito da un narratore. La maggior parte dei dialoghi platonici sono diretti, ma
tra i dialoghi indiretti troviamo alcune opere della massima importanza filosofica (contrassegnate da un
asterisco nello schema seguente), come il Protagora, il Simposio, il Fedone, la Repubblica e il Parmenide.
Partecipazione e presenza
Oltre che come imitazione (mimèsi), Platone caratterizza la relazione tra idee del mondo
intelligibile e cose del mondo sensibile in termini di partecipazione e di presenza. La partecipazione
(metèssi) significa che le cose, in quanto imitazioni delle idee, prendono parte all'esistenza delle idee, come
un'azione compiuta seguendo una regola partecipa all'esistenza di quella regola, o un edificio realizzato
seguendo un certo progetto partecipa all'esistenza di quel progetto. Le cose, nell'imitare le idee, cercano
insomma di adeguarsi a esse, anche se difficilmente ci riescono; sebbene il mondo sensibile non
corrisponda esattamente al modello ideale stabilito dal mondo intelligibile, non va però inteso come una
falsa copia ingannevole. Le idee stabiliscono come le cose devono essere, e le cose sono fatte in modo da
approssimarsi il più possibile a questa “prescrizione”: ad esempio, nel tracciare un contorno circolare
cerchiamo di approssimarci il più possibile all’idea di Circonferenza. La presenza (parusìa) significa che le
cose, nell'imitare le idee e nel partecipare all'esistenza delle idee approssimandosi alle loro prescrizioni,
rendono “presenti” nel mondo sensibile le idee stesse. Le idee, in quanto entità del mondo intelligibile, non
possono apparire come tali nel mondo sensibile, ma possono comunque rendersi presenti attraverso le
cose che le imitano e che cercano di adeguarvisi. Non potremmo mai vedere l'idea di Circonferenza
direttamente con i nostri occhi, ma possiamo comunque vederla indirettamente, osservando un particolare
contorno circolare che la manifesta.