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Apologia di Socrate

L’Apologia di Socrate è da molti considerato uno dei primi scritti letterari e filosofici di Platone,
esplicitamente dedicato alla figura eccezionale del suo maestro Socrate. L’opera riporta per esteso i discorsi
tenuti da Socrate in propria difesa (apologia) nel corso del processo che lo condannò a morte nel 399 a.C.

Attraverso questa ricostruzione narrativa, Platone ci presenta un ritratto umano e filosofico di Socrate,
sottolineando l’esemplarità morale della scelta di vita portata avanti dal suo maestro. L’opera, inoltre,
mette in scena in maniera drammatica quel conflitto tra politica e filosofia, Stato e filosofo, che farà da
sfondo a tutto il pensiero successivo di Platone e che lo poterà a immaginare nella Repubblica (Politeia) una
città diversa, governata dalla saggezza dei filosofi. L’antefatto del processo è noto e riportato anche nel
dialogo: l’accusa di empietà e di corruzione dei giovani. All’età di settanta anni, dopo aver vissuto tutta la
sua vita ad Atene, Socrate viene accusato da Meleto (un giovane poeta di scarso successo) di empietà e
corruzione dei giovani. Nell’accusare pubblicamente Socrate, però, Meleto non si era mosso da solo.

Secondo diverse fonti storiche, Meleto sarebbe stato una pedina nelle mani di altri più potenti, politici e
retori, interessati a incastrare Socrate, dopo aver messo in giro delle calunnie sul suo conto, rese celebri da
Le Nuvole, commedia di Aristofane nella quale Socrate viene sbeffeggiato.

Socrate non è l’uomo più sapiente perché sa tutto, ma è l’uomo più sapiente perché è l’unico a sapere di
non sapere, ovvero a non fingere di sapere ciò che in realtà non sa.

Socrate per difendersi in tribunale non pronuncia un discorso (come i sofisti) , ma imposta un dialogo botta
e risposta : è proprio dal discorso che viene a galla la verità (Platone dirà che il discorso tra due o più
individui è come lo scontro tra due pietre dal quale nasce la fiamma della conoscenza) . Lo stile oratorio di
Socrate è scarno , secco e quasi familiare , modulato a seconda dell'interlocutore . Il punto di partenza del
discorso socratico è la cosiddetta " ironia socratica " , ossia la totale autodiminuzione , " io non so , tu sai " .

STILE DI PLATONE

Lo stile di Platone tende a coniugare il realismo con la vivacità del dialogo (se si rimanda a una precisa
esperienza storicamente determinatasi), la piacevolezza e il linguaggio filosofico, essendoci l’esigenza di
usare una lingua che sappia esprimere efficacemente argomentazioni spesso di natura astratta. I dialoghi
vogliono essere il più possibile mi mesi del procedimento dialettico. L’uso del dialogo riflette le movenze del
pensiero. Trasformando il dialogo in un genere letterario, Platone ha accettato di fissare il suo ampio
pensiero nell’univocità della parola. La scelta della forma dialogica, per sua stessa natura aperta e
antidogmatica, quindi riflette a pieno il pensiero filosofico, per natura dinamico, adoperando anche il
metodo socratico di mettere tutto in discussione tramite l’arma dialettica. La lingua di Platone è il purissimo
attico, adotta lingua viva, colloquialismi, modi di dire, la sintassi è ricca di anacoluti, esclamazioni,
sospensioni, deittici (questo…quello..., elementi INDICATI), linguaggi tecnici tratti da altre scienze. Inoltre fa
uso frequente di figure retoriche quali similitudini, metafore, di suono, come allitterazioni e omoteleuti
(quando due o più parole hanno la stessa terminazione). Fa numerosi riferimenti extra testuali, sotto forma
di citazioni, parodie e allusioni. Adopera imperativi e vocativi, sostantivi in σις ed è frequente il tricolon,
ovvero disposizione a tre membri senza che vi sia una gradatio.

FEDONE

Il Fedone è stato giudicato il dialogo platonico più bello dal punto di vista stilistico, ed è anche uno dei più
importanti per contenuto filosofico. I temi principali del dialogo sono l’immortalità dell’anima e la teoria
delle idee, qui esposta da Platone per la prima volta in forma organica. Il dialogo si svolge il giorno in cui
doveva essere eseguita la condanna a morte di Socrate. I discepoli si recano di buon’ora nel carcere a
trovano Socrate insieme alla moglie Santippe che aveva con sé il figlio più piccolo. Dato che la donna grida e
si lamenta, Socrate prega i discepoli di farla condurre a casa. Rimasto solo con i suoi discepoli, Socrate parla
della morte, sostenendo che per il filosofo è una cosa buona, da non temere, anzi da attendere con gioia.
Alle domande e alle obiezioni di Cebete e di Simmia, risponde che la morte è separazione dell’anima dal
corpo, ed è proprio questo lo scopo cui il filosofo tende già durante la vita. Il filosofo infatti desidera la
sapienza perfetta, che può essere raggiunta solo dall’anima, mentre il corpo e le passioni che da esso si
generano non sono che un ostacolo. L’oggetto della conoscenza dell’anima non è il mondo visibile, ma
consiste invece nel giusto in sé, nel bello e nel buono in sé, tutte realtà che non si conoscono con il corpo e
con i sensi, ma esclusivamente con il pensiero. Platone prospetta qui la teoria delle idee: la verità è
conoscenza delle idee e non delle cose. Nella sua concezione, influenzata dal pitagorismo, la conoscenza è
possibile solo purificandosi dalle passioni, liberandosi dai condizionamenti dei sensi. La filosofia, dunque, in
quanto purificazione, è separazione dell’anima dal corpo e dunque preparazione alla morte.

Nel Fedone Platone traccia una biografia intellettuale di Socrate articolata in vari momenti. L’ultimo di essi
(τὸν δεύτερον πλοῦν, la “seconda navigazione”) consiste nel passaggio dall’osservazione naturalistica ad
una filosofia orientata in senso dialogico. La metafora della “seconda navigazione” rimanda al V libro
dell’Odissea, in cui Odisseo rinuncia alla vita paradisiaca nell’isola di Calipso per tentare la traversata
dell’abisso su una zattera e raggiungere Itaca. In tutto il dialogo si trovano numerosi riferimenti all’Odissea:
l’excursus autobiografico in cui Socrate definisce la propria filosofia può essere confrontato con i Discorsi di
Odisseo alla corte del re Alcinoo. In entrambi i temi principali sono la trasformazione del soggetto al
termine di un itinerario conoscitivo e la rinuncia alle seduzioni ed alla passività.

CONDANNA ALLA SCRITTURA

Platone condanna la scrittura nel Fedro e nella lettera settima dichiarando che egli non ha emissione
metterà mai per iscritto il vero cuore della sua dottrina, giacché non è qualcosa che si può esprimere a
parole. Infatti la scrittura e democratica, tutti possono leggerla ma non tutti possono capitare senza.
Platone affidato alla scrittura solo una parte dei suoi insegnamenti, e questo è confermato da Aristotele che
lascia però intendere L’esistenza di una dottrina esoterica, cioè riservata una ristretta cerchia di discepoli,
che Platone non riteneva opportuno divulgare all’esterno. Inoltre con me Platone afferma, tramite Socrate,
nel Fedro, la scrittura genera oblio. Bisogna sforzarsi di sapere la verità tramite ricordi poiché altrimenti non
ci sarà più l’esercizio della memoria e i concetti non saranno interiorizzati, bisogna esercitarsi a ricercare la
verità dentro di sé.

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