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della parola. I più importanti nella scena retorica furono i sofisti i quali si
consideravano sophistai, maestri, professionisti della conoscenza. Gli esponenti
principali furono Protagora di Abdera e Gorgia di Leontini. Protagora nelle Antilogie
(opera che concerne l’arte del dire), sviluppa la tecnica degli agoni: competizioni
retoriche in cui l’oratore, attraverso degli espedienti stilistici faceva cadere in
contraddizione l’avversario facendo prevalere non la ragione più valida bensì la più
debole. I sofisti infatti, insegnavano che su ogni questione è possibile costruire
discorsi opposti (dissoi logoi) e di far trionfare, grazie al sapiente uso della parola, il
meno probabile. L’eristica protagorea affondava le sue radici nella visione filosofica
delle contraddizioni dell’esistenza umana
L’età di Pericle, florida anche dal punto di vista culturale, conosce l’ascesa al potere
della parola. I più importanti nella scena retorica furono i sofisti i quali si
consideravano sophistai, maestri, professionisti della conoscenza. Gli esponenti
principali furono Protagora di Abdera e Gorgia di Leontini. Protagora nelle Antilogie
(opera che concerne l’arte del dire), sviluppa la tecnica degli agoni: competizioni
retoriche in cui l’oratore, attraverso degli espedienti stilistici faceva cadere in
contraddizione l’avversario facendo prevalere non la ragione più valida bensì la più
debole. I sofisti infatti, insegnavano che su ogni questione è possibile costruire
discorsi opposti (dissoi logoi) e di far trionfare, grazie al sapiente uso della parola, il
meno probabile. L’eristica protagorea affondava le sue radici nella visione filosofica
delle contraddizioni dell’esistenza umana.
Gorgia ebbe come interesse principale la retorica e la sua teoria è esplicitata in due
sue orazioni: l’Encomio di Elena e la Difesa di Palamede. Si tratta di esercitazioni
scolastiche in cui bisogna prendere le parti di Elena (accusata di essere la causa della
guerra di Troia) e Palamede (considerato un traditore dai compagni greci.) la scelta
dei personaggi ci fa capire che per Gorgia, il discorso si basava sulla forza incantrice
della parola piuttosto che sulla verosimiglianza. Anche gorgia non associa la parola
alla dimensione etica ma la pone sul piano dell’inganno, apate, e nella prosa come
persuasione, peithò. Lo scopo è indurre l’udiotrio a credere all’esposizione della
realtà offerta dall’oratore. La definizione gorgiana di retorica è: artefice della
persuasione. Con lui nasce la prosa d’arte, nascono gli schemata, le figure: dovevno
conferire all’intervento dell’oratore raffinatezza e musicalità.
Gorgia prediligeva 5 processi stilistici:
l’antitesi, la contrapposizione dei concetti;
l’isocolia o parisosi, un rapporto di simmetria tra i menbri della frase;
l’omoteleuto, la terminazione analoga delle parole,
l’omeototto, la somiglianza dei casi (nelle lingue flessive);
la paronomasia, la vicinanza di parole simili nel suono ma con significato
differente.
L’antitesi è quella che ricorre con maggiore frequenza perché prevede il carattere
logico-argomentativo oltre che il gioco estetico.
Nel 390 a.C, Isocrate fondò la prima scuola di eloquenza ad Atene. In un differente
contestto storico-politico rispetto a quello dei sofisti (la Grecia si apprestava a
perdere l’indipendenza), l’arte del dire assume una funzione centrale: saperla
dominare significava avere maggiori possibilità di imporsi nella vita politica. Due
orazioni ci mostrano il pensiero isocrateo di retorica: “Contro i Sofisti e Antidosi” e
“Sullo scambio di beni”. Nel primo è facile intuire una netta posizione contraria ai
sofisti. Questi vengono accusati di mancata onestà intellettuale, il metodo da loro
adottato era basato da uno svolgimento codificato uguale o quasi uguale in tutti i
discorsi. Per Isocrate, invece, la parola è il risultato di processi originali e mai uguali.
Non può creare magia se regolata da formule fisse. Nel discorso “Sullo scambio” ,
Isocrate intende rivendicare il compito di formare cittadini in grado di ragionare e
imputa le colpe attribuite all’eloquenza alla samia di ricchezze. Per Isocrate, retorica
e filosofia coincidono perfettamente.
Il pensiero del fondatore dell’Accademia Platone, presenta due fasi: la prima implica
una chiusura netta verso la retorica, nella seconda un’apertura calcolata.
Nella prima parte, Platone non ammette che i sofisti e coloro che si dedicano alla
retorica esercitino sui cittadini un’influenza maggiore rispetto ai filosofi. Di questo
periodo fa parte il “Gorgia”, un trattato sui fondamenti etici della politica da cui si
evince la sua delusione per un ordinamento che non ha conservato i valori civili. Per
lui i Retori (termine usato con connotazione dispregiativa per intendere non solo i
maestri di retorica ma anche politici e quelli che parlano in pubblico), sono la causa
del degrado morale di Atene. La retorica da techné è ridotta a émperia, cioè abilità
pratica basata su tentativi e non su criteri razionali, persegue fini apologetici senza
cura della moralità e del contenuto. All’eloquenza corruttrice, egli oppone la
dialettica di Socrate che tiene conto invece della forma e della natura etica dei
soggetti trattati. Il metodo dialettico→ da dialéghesthai→ «conversare», ovvero
procedere per domande e risposte, viene contrapposto ai lunghi interventi dei
sofisti, tesi alla competizione e non alla collaborazione vicendevole. La retorica
diventa l’acerrima nemica della filosofia, nella prima Platone coglie la causa del
declino morale della società democratica, nella seconda l’unica via di salvezza per
coloro che tengono alla sapienza.
Nella seconda fase, Platone opera una distinzione tra la retorica dei sofisti (che fa
leva solo sulle componenti irrazionali) e la retorica vera che, fondandosi sulla
dialettica, si riscatta proprio grazie a questa. Troviamo queste valutazioni espresse
nel Fedro, la retorica è un mezzo per direzionare le anime attraverso i discorsi sia
nelle grandi che nelle piccole questioni. La psicagogia qui non è intesa come u
inganno ma, come orientamento verso il vero. Nella stagione della maturità Platone,
riconosce la potenza della parola: un vero e proprio strumento di potere e
sopraffazione, non accessibile a tutti ma ad uso esclusivo dello stato, come la legge e
il ricorso alla coercizione.
I pilastri dell’argomentazione
Platone alla fine non scriverà mai un trattato sulla retorica, Aristotele invece,
sviluppando le posizioni espresse dal suo maestro, scrive una téchne [Retorica] con
lo scopo di conferirle un maggiore rigore metodologico e una più alta dignità
filosofica. Aristotele attribuisce una connotazione scientifica ad un sapere noto ma
non adeguatamente formulato. La persuasione diventa oggetto di ricerca, non più il
fine ultimo come per i sofisti. Egli si approccia al problema con l’atteggiamento del
rifondatore, compiendo una distinzione fra i 3 generi dell’eloquenza:
giudiziario→ vicende oggetto di dibattito in tribunale;
deliberativo→ decisioni da prendere alle assemblee politiche;
epidittico→ lode o biasimo verso un personaggio.
Aristotele non distribuisce la materia secondo le parti del discorso (proemio,
narrazione, argomentazione, epilogo) ma crea una struttura in 3 parti:
1. pistis→ la prova; [i primi due libri]
2. taxis→ la disposizione; [terzo libro]
3. léxis→ lo stile. [terzo libro]
Il maestro si sofferma sulle componenti logiche del discorso fino ad all’ora trascurate
a favore degli aspetti emotivi, estranei per natura ai prigmata, cioè ai fatti intorno a
cui si discute. La sfera sentimentale che condiziona lo stato d’animo dei giudici, non
può quindi esaurire la trattazione della pistis e si crea una scissione tra l’accessorio→
di cui la traduzione si è fatta interprete e divulgatrice e l’essenziale→ che trova qui
l’attenzione da sempre negatogli.
L’autore suddivide poi, i processi argomentativi in:
atecnici→ indipendenti dall’abilità dell’oratore (testimonianze, documenti
scritti, confessioni e altro)
tecnici→ richiedono l’arte di colui che sostiene la causa
Le pisteis éntechnoi (propri della retorica in quanto techne), possono derivare
dall’éthos→ il carattere, dal pathos→ l’emozione, ma anche dal logos→ la ragione,
dala dimostrazione del vero o di ciò che appare tale attraverso i procedimenti logici
dell’entimema e del paradigma.
Pathos, ethos e logos costituiscono i contenuti che l’oratore ha a disposizione per
persuadere il pubblico; l’entimema e il paradigma invece, sono i metodi attraverso
cui tale materiale prende forma di argomentazione.
Aristotele definisce l’entimema un sillogismo retorico→ un’argomentazione dotata
di una struttura logica determinata in base alla quale, movendo da due premesse si
giunge ad una conclusione; e l’esempio un’induzione retorica→ un ragionamento in
cui l’assenso ad una proposizione particolare conduce all’assenso su di un’altra di
carattere più generale. Questa è una realizzazione che viene definita “fondazione
logica” di due concetti. Se la retorica è simile alla dialettica perché è “facoltà di
produrre ragionamenti”, allora anche i suoi strumenti sono analoghi a quelli di tale
facoltà.
Isocrate con il termine enthymema (composto di en in e thymos animo) intendi un
pensiero ben elabarota e adatto a mettere in risalto i fatti da raccontare.
Nell’orazione “Contro i Sofisti” sottolinea la necessità di rendere vario il discorso
mediante entimemi convenienti e, nell’”Evagora” il sostantivo indica in modo
generico i concetti a cui l’oratore attinge scegliendoli nell’ambito della vita pratica.
Ne la “retorica ad Alessandro” il termine, con un’accezione tecnica, indica il
ragionamento che implica l’opposizione dei contrari ovvero l’antitesi. Fino ad
Aristotele quindi, l’entimema era inteso come un concetto legato allo stile piuttosto
chead una serie di passaggi logici.
Aristotele invece, intende adattare il sistema logico definito nelle opere sulla
dialettica (nei Topici innanzitutto) all’ambio retorico, proponendo la metodologia
tecnica dell’apodissi- dimostrazione. Egli precisa le caratteristiche comuni dei due
tipi di dimostrazione dialettica e retorica, ma anche quelle proprie dell’entimema.
Caratteristiche comuni dimostrazione dialettica e retorica:
in ambo i casi le premesse del sillogismo retorico si basano sulle probabilità o
verosimiglianze. Queste premesse possono essere desunte dai segni, seméia, una
categoria priva di una valenza assoluta. Per quanto riguarda l’enimema, questo è
una deduzione il cui valore è concreto, istruito in vista di un ragionamento pubblico (Barthes). In
dialettica la deduzione è orientata ad ottenere l’assenso
dell’interlocutore, edotto nella materia di cui si discetta. Il sillogismo retorico, è
pensato per un pubblico grande e inesperto chiamato a decidere su questioni reali e
difficili. Il sillogismo pertanto, deve risultare facilmente comprensibile: non prevede
premesse difficili da cogliere o troppo lontane né l’esposizione completa di tutti i
passaggi. In un’entimema infatti è sottintesa una premessa facilmente deducibile.
La nozione di “luogo”
Gli studiosi sono inclini ad intendere che gli entimemi possono rimanere all’interno
del campo della retorica o avvicinarsi alle altre facoltà che hanno una materia
specifica d’indagine. Nel primo caso, essi derivano da koinoì topoi, ossia dai luoghi
comuni- così definiti perchp non essendo propri di nessuna disciplina in particolare,
possono essere applicati alle deduzioni riguardanti qualsiasi ambito. Nel secondo
caso, sono tratti dai idioi topoi luoghi specifici, chiamati così in virtù del fatto che
sono relativi alle singole discipline e quindi generano sillogismi che rientrano solo
nelle facoltà in cui tali luoghi appartengono.
In Isocrate, il termine luogo indica un campo non lavorato che offre argomenti validi
a chi sia in grado di esporli degnamente (Isoc.,Phil. 109). Anche per Demostene, i
topoi sono una riserva di tematiche in grado si far presa sull’auditorio senza alcun
legame con un procedimento logico particolare. Il luogo di Aristotele invece, è fonte
di argomenti che sono ragionamenti con una struttura sillogistica di cui esso
costituisce parte integrante e fondante. Con i suoi topoi egli non intende fornire ai
suoi lettori una serie di argomenti stereotipate e formule già pronte. Chi insegna a
formulare un discorso valido, non deve esporre elenchi di argomenti stilizzati (come
il calzolaio che invece di insegnare all’apprendista come fare le scarpe, gliene
consegna una quantità notevole già terminata). Nei Topici infatti, lo Stagirita
concepisce il topos come connettivo inferenziale. In retorica come in dialettica, i
topoi sono strategie che guidano il ragionamento e non liste statiche di temi.
Secondo la concezione classica, il metodo topico si articola in due fasi:
l’esame critico della materia su cui argomentare: glie éide, le specie – luoghi
specifici legati al contenuto;
il processo inferenziale: i luoghi comuni, inerenti all’aspetto formale
dell’argomento
Per Aristotele gli specifici sono premesse desunte da discipline, scienze, politica,
diritto, economia, arte militare ecc. in questo caso l’oratore si trova ad affrontare
svariate questioni e, per sostenere ed avvalorare le proprie tesi, deve avere una
competenza sufficiente. I luoghi specifici, in quanto tali, non contribuiscono a
delineare la struttura logica dell’entimema.
I konoi topoi, a differenza degli specifici, non danno informazioni su nessun campo
del sapere, non sono fonti del contenuto di un entimema, ma forme logiche,
proposizioni assiomatiche ed universali, applicabili ad ogni materia in esame.
Portano la mente da un concetto all’altro, creano le necessarie connessioni
argomentative tra premesse e conclusioni. La rassegna dei konoi topoi dello Stagirita
comprende, fra gli altri:
dai contrari;
dai reciproci;
dalla definizione;
dalla divisione;
dal più e dal meno;
dal giudizio;
dalla causa;
dalla conseguenza;
dall’esempio;
dall’analogia.
Questi, essendo privi di un oggetto particolare e vuoti di contenuto, sono fonti di
entimemi “secondo il metodo retorico”. La retorica infatti, essendo dynamis –
facoltà, e non epistéme – scienza, non ha un suo specifio campo di indagine, se non
la persuasione stessa. Nel sillogismo dialettico, i topoi dialettici, forniscono una serie
di concetti generali che possono essere predicati di più soggetti. L’entimema invece
non è predicativo e le sue unità base non sono date dai termini ma dalle
proposizioni nella loro interezza. I legami logici si instaurano sempre in rapporto
all’audience del discorso: se in dialettica, l’argomento deve essere esposto ad un
interlocutore esperto, in retorica l’antimema per poter assolvere alla sua funzione
persuasiva, deve essere considerato plausibile da un pubblico solo mediamente
informato sulla questione.
È opportuno sottolineare un’ulteriore differenza: quella tra i luoghi comuni ai tre
genere del discorso e i 28 luoghi comuni in parte già citati. I primi, non sono forme
logiche dell’argomentazione ma categorie fondamentali da cui si traggono le pisteis
per tutti i diversi generi: possibile/impossibile, esistente/non esistente,
grande/piccolo. Si tratta di probabilità comuni, requisiti necessari ad ogni materia
per poter essere oggetto di discussione nel campo della retorica. Secondo
l’impostazione classica, essi hanno più a che fare con il contenuto che con la forma.
Il sistema topico di Aristotele è l’asse portante nella costruzione
dell’argomentazione dialettico-retorica. Anche se non può essere considerata una
creazione ex novo del filosofo perché già Platone aveva fatto riferimento ai topoi,
nessuno prima dello Stagirita li aveva descritti a livello operativo.