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[modifica] Retorica classica


[modifica] La retorica nell'Antica Grecia

[modifica] Le origini nella Magna Grecia

Solitamente si fa risalire la nascita della retorica classica al V secolo a.C., a Siracusa, ad opera di
Corace e del suo allievo Tisia.

Nata a fini prettamente giuridici, la loro precettistica poggiava sul principio] che il sembrare vero
conta di più dell'essere vero, da cui deriva la ricerca sistematica delle prove e lo studio delle
tecniche atte a dimostrare la verosimiglianza di una tesi.

Contemporaneamente, e sempre in Sicilia, era nata e prosperava un altro genere di retorica, detta
psicagogica. Essa mirava a convincere non già dimostrando in modo ineccepibile che un dato
argomento fosse verosimile, ma sfruttando l'attrazione che la parola sapientemente manipolata
poteva esercitare sugli ascoltatori; si è in proposito avanzato un recente noto paragone con la
pubblicità odierna, la quale tende, non tanto a dimostrare che un prodotto sia migliore di un altro
sulla base di elementi tecnici, ma più spesso ad attirare il consumatore per indurlo all'acquisto,
coinvolgendolo sul piano delle passioni e dei sentimenti, sull'emotività.

L'effetto cui puntava la retorica psicagogica era la reazione emotiva, più che l'adesione razionale;
aspetti tipici di questo genere sono il ragionamento per antitesi (nota con spiegazione) e la
politropia o polilogia (capacità di trovare tipi diversi di discorso per i diversi tipi di ascoltatori — si
veda il Perelman e la pubblicità).

Nell'attribuzione, più o meno corretta, della nascita della retorica ad un singolo individuo vissuto
nel V secolo a.C. è comunque da ricercare la verità di fondo consistente nel fatto che l'affermarsi
della retorica come arte e tecnica del discorso persuasivo, nel mondo greco, è da collegarsi allo
sviluppo della polis e al costituirsi della democrazia, che condusse alle contese politiche e alla
volontà di conquistare il favore delle assemblee per essere eletti alle cariche pubbliche.

[modifica] Dalla Sicilia ad Atene

Dalla Sicilia ad Atene, verso la metà del V secolo a.C., per il tramite dei maestri della sofistica, la
dottrina retorica si sviluppò e si arricchì di nuovi contributi. Tra le figure più importanti va ricordato
Protagora, il quale sviluppò la dottrina dell'antitesi come idea-forza di un'argomentazione,
mostrando come uno stesso argomento potesse essere trattato da punti di vista differenti.

L'apporto più innovativo della retorica sofistica fu la tecnica del contraddire (o arte del
contraddittorio): l'antilogia.

La retorica appare fusa inestricabilmente con la poetica nel primo autore (filosofo e retore) di cui
possediamo una trattazione esplicita di temi retorici: Gorgia da Lentini, un grande sofista emigrato
dalla natia Sicilia ad Atene nel 427 a.C.. In una delle sue opere pervenuteci, viene esaltata la
potenza psicagogica della persuasione, la quale agisce attraverso l'illusione (apàte) che il discorso
(logos) è in grado di provocare.
Gorgia, per primo, distinse i tipi del discorso: i lògoi dei filosofi naturalisti, l'oratoria giudiziaria e la
dialettica filosofica. A lui è anche attribuita una prima individuazione di figure. Cinque secoli più
tardi Plutarco avrebbe vergato la seguente definizione della retorica gorgiana:

"la retorica è l'arte del parlare, che ha la sua forza nell'essere artefice di persuasione nei
discorsi politici intorno ad ogni soggetto; che è creatrice di convincimento e non di
insegnamento; i suoi argomenti propri sono soprattutto intorno al giusto e all'ingiusto, al
bene e al male, al bello e al brutto. Il successo dei sofisti fu enorme e lo stesso Socrate fu
ritenuto uno di questi".

[modifica] Platone

Il più famoso discepolo di Socrate, Platone, pronunciò una condanna severissima della retorica
sofista, definendola una sorta di adulazione, accostandola per questo alla cosmetica, giudicandola
una contraffazione ed affermando che fosse volta a distrarre la moltitudine seducendola con
eleganze incantatrici e vuote sonorità. Contemporaneamente realizzò l'affermazione della sua
controparte filosofica, la dialettica, come arte del discutere modellata sui propri contenuti specifici e
diretta ad analizzare gli argomenti dei discorsi, componendoli in elementi primi per riportarli a
poche categorie essenziali. In Platone la certezza della verità prevale sulla mutevolezza
dell'opinabile, rovesciando la posizione dei sofisti.

La posizione antiretorica di Platone si esplicitò direttamente nel Gorgia, nel quale affermò che come
la sofistica è contraffazione dell'attività legislativa, così la retorica è contraffazione dell'arte di
rendere giustizia. Nella maturità, nel Fedro, tornò ad occuparsi della retorica, non più
condannandola in blocco, ma distinguendo stavolta tra la vera retorica ("…l'arte per dirigere le
anime attraverso le parole…") e la falsa retorica (quella che ostenta un'apparenza di verità).

[modifica] Il pregiudizio antiretorico

L'atteggiamento antisofistico ha avuto effetti in ogni successiva denigrazione della retorica, dando
inizio ad una sorta di sfiducia (o addirittura sospetto) verso le teorie e la prassi dell'arte del dire, su
cui si è fondata una parte cospicua dei pregiudizi sedimentati nel corso dei secoli successivi,
creando le accezioni negative del termine retorica. Alcuni di questi pregiudizi sottendono che la
retorica non sia vera arte bensì un insieme di artifici, un imbroglio, quindi l'opposto della
spontaneità e della sincerità; oppure vorrebbero che la persuasione sia manipolazione del consenso
che spesso gioca su effetti illusionistici.

E mentre nel mondo di oggi si sviluppano gli studi sulla comunicazione, che come mai prima
rivolgono attenzione agli stessi aspetti sui quali la retorica si fonda, talora estremizzando la ricerca
della funzionalizzazione dialettica, il nome di quest'arte ha assunto una connotazione
prevalentemente negativa, quasi infausta, di apparentemente impervia riabilitazione.

[modifica] Aristotele

Un contributo fondamentale alla teoria e alla pratica della retorica venne dall'opera di Aristotele.

Egli attuò una grande rivisitazione sistematica della disciplina, che comprende una teoria
dell'argomentazione, una teoria dell'elocuzione e una teoria della composizione del discorso.

Aristotele, per il quale il primo "inventore" ne sarebbe stato Empedocle, affermava che la funzione
della retorica non è la persuasione, ma lo scoprire i mezzi di persuasione che vi sono intorno a
ciascun argomento, e traccia una analisi parallela tra dialettica e retorica. Ciò che nella prima è
l'induzione, nella seconda è l'esempio (il dimostrare partendo da molti casi simili che una cosa sia in
un dato modo); ciò che nella prima è il sillogismo, nella seconda è l'entinema (quando, date certe
premesse, risulta per mezzo di esse qualcosa di altro e di ulteriore per il fatto che esse sono tali o
universalmente o per lo più; e conduce a conclusioni probabili e confutabili).

Le premesse dei sillogismi, retorici e dialettici, si traggono dai tòpoi (luoghi) che sono di due
specie: comuni e propri. Aristotele, riprendendo una tripartizione dei generi retorici proposta nel IV
secolo a.C., individuava tre generi del discorso persuasivo, distinti sulla base delle tre differenti
tipologie di pubblico alle quali essi si rivolgono.

1. Il primo è il genere deliberativo, il cui ascoltatore è il membro dell'assemblea politica che


decide per il futuro, e quindi verte sui temi dell'utile e del nocivo per la società.
2. Il secondo è il genere giudiziario, che si riferisce al giudice nei processi che decide
riguardo al passato, e si concretizza nel discorso giudiziale di accusa o difesa basandosi sui
temi del giusto e dell'ingiusto.
3. L'ultimo è il genere epidittico, il cui destinatario è il pubblico che deve giudicare la bravura
dell'oratore, e si basa su ciò che è bello o, al contrario, turpe.

Nei successivi volumi della sua opera (Retorica) trattò la parte più psicologica della disciplina
retorica (éthos e pathos) e la léxis, ossia l'indagine su forme e artifici dell'espressione.

[modifica] Gli altri studi

Seguirono altri nomi illustri nel campo retorico, che diedero il loro contributo a questa importante
disciplina.

A cavallo tra il IV e il III secolo a.C. vi fu il continuatore diretto di Aristotele, Teofrasto.

Dello stesso periodo è Zenone, il fondatore della scuola stoica, che tornava ad interrogarsi sul
rapporto tra retorica e dialettica.

Verso la metà del II secolo a.C. guadagnò grande risonanza il sistema retorico di Ermagora di
Temno.

Erode Attico (104-180 d.C.) fu un illustre retore tanto che l'imperatore Antonino lo scelse in qualità
di precettore dei suoi due figli adottivi: Marco Aurelio e Lucio Vero.

[modifica] La retorica a Roma

Dagli inizi del I secolo a.C. la retorica è attestata anche a Roma come precettistica di eloquenza e di
stile. Frattanto, nel mondo greco si erano formati degli indirizzi di stile retorico facenti capo alle
rispettive scuole: lo stile asiano (asianesimo) caratterizzato dall'esuberanza nella magniloquenza; lo
stile rodio, più temperato; lo stile attico (atticismo), la cui peculiarità è la concisione dello stile
lineare e schivo. Nella precettistica e nella pratica oratoria sempre più si dilatò il versante stilistico
della retorica, e anche più visibili divennero i suoi rapporti con la grammatica.

La retorica romana, nelle sue principali produzioni (dalla Rhetorica ad Herennium a Quintiliano), è
una rielaborazione della retorica greca, in particolare delle teorie aristoteliche e postaristoteliche.
Originali sono la disposizione della materia, le interpretazioni giuridiche e le proposte procedurali,
il ruolo educativo assegnato allo studio ed alla pratica dell'eloquenza, e la sistematicità delle relative
formulazioni didattiche.

I retori romani studiarono e si formarono nelle scuole greche, ma bisogna attendere il secondo
decennio del I secolo a.C. per trovare un'opera retorica scritta in latino: la Retorica ad Herennium.
Essa assolse all'importante compito dell'istituzione della nomenclatura retorica latina mediante
traduzioni o calchi dal greco. Inoltre aggiunse la memoria alle quattro parti già codificate della
retorica.

[modifica] Cicerone

Grazie alle opere di Cicerone la retorica romana poté compiere un notevole salto di qualità,
passando dalla precettistica alla disputa filosofica.

Contro le accuse mosse alla retorica di essere inutile e di non potersi occupare di questioni teoriche,
Cicerone mise in atto una difesa della retorica come arte (ars) storicamente determinata, cioè
mutevole nel tempo e nei diversi luoghi, complementare alla filosofia, in particolare alla logica e
alla dialettica.

Nella sua opera più importante, il De Oratore, svolse la sua difesa e delineò gli scopi fondamentali
di ogni parte dell'orazione: insegnare, commuovere, piacere (docere, movere, delectare). Inoltre
riprese la suddivisione codificata della retorica e ne descrisse minuziosamente le singole parti.

[modifica] Era imperiale

Con la caduta della repubblica e il consolidarsi dell'assolutismo imperiale l'eloquenza, anche a


Roma, si ritira nelle scuole: riducendosi ad un'esibizione artefatta di declamazioni, l'esercizio della
retorica si avvia al disimpegno civile e politico. Questo interesse per le declamazioni caratterizza il
periodo compreso tra la prima metà del I e il V secolo d.C.. Nel pieno del I secolo d.C. si colloca il
grande trattato di Quintiliano, l'Istitutio oratoria in 12 libri, nel quale non traccia una nuova teoria
sull'esercizio dell'orazione, bensì delinea tutte le principali tesi che hanno segnato lo sviluppo della
retorica antica.

[modifica] Dal Medioevo al giorno d'oggi


[modifica] Medioevo

Il Medioevo eredita in blocco i sistemi delle retoriche e delle poetiche greco-romane, senza
avvertire stacchi, e tanto meno la fine di un'epoca, nell'ininterrotta trasmissione della cultura antica.
All'interno della cultura classica aveva preso corpo, a partire dal secondo secolo dell'era volgare,
l'opposizione tra la tradizione pagana e la nascente teologia del cristianesimo. Principali motivi di
rilievo: sui piani giuridico e dialettico, l'eloquenza combattiva degli apologisti; sul piano della
comunicazione, l'antiretorica del sermo humilis evangelico (mettere spiegazione se bisogna
ampliare). Quella che si è soliti chiamare retorica classica è quella del periodo greco e romano in
cui l'arte del discorso gode di profonda considerazione e importanza. Dal Medioevo in poi abbiamo
a che fare con un insieme ormai definito nella sua consistenza materiale; le cui eventuali
fluttuazioni interessano ambiti e problemi particolari, attribuzioni e sottrazioni di competenze:
dall'inclusione della retorica entro la grammatica generale del Medioevo, alla spaccatura
rinascimentale tra le prime due e le ultime tre parti dell'arte del discorso, fino alle moderne
restrizioni della retorica nel quadro della teoria della letteratura.
[modifica] Ottocento

Importante fu il periodo dei furori antiretorici di fine Ottocento, durante il quale si arrivò alla
soppressione dell'insegnamento ufficiale delle retorica; questo tuttavia non ne decretò la scomparsa
dalla manualistica letteraria, ove sopravvisse come catalogo di figure, accoppiata o assimilata alla
stilistica. Questo scadimento dell'antica arte del parlare fu dovuto alla preminenza assegnata
all'elocutio (e alla teoria dell'ornatus).

[modifica] Novecento

Fu il ritorno alla concezione della retorica come teoria del discorso persuasivo, che ha
nell'argomentazione il suo fulcro e la sua ragion d'essere, a determinare la grande rinascita della
disciplina alla metà del Novecento. Questa ripresa "positiva" dell'arte retorica è da attribuirsi in gran
parte agli studi e all'opera (Traité de l'argumentation) di Chaim Perelman e Olbrechts-Tyteca, i
quali attuano un moderno ritorno alle teorie classiche, e alla loro matrice aristotelica, per costruire
una teoria del discorso non-dimostrativo, organizzando in sistema schemi argomentativi di antica
origine. Questi studi si concentrano soprattutto sulla Nuova retorica, ossia "tecniche discorsive atte
a provocare o accrescere l'adesione delle menti alle tesi che vengono presentate al loro assenso"
(TA 6).

ORATORIA
Come nella retorica di Aristotele, il fulcro è l'uditorio, la cui conoscenza (il più possibile realistica e
precisa, sul fondamento, soprattutto, di nozioni di psicologia sociale) è condizione preliminare alla
buona riuscita dell'argomentazione. Questa è una peculiarità anche della pubblicità la quale si basa
su ricerche di mercato per conoscere il target cui rivolgersi in modo da realizzare un processo
comunicativo efficace, in quanto specifico e diretto per quel tipo di pubblico/uditorio. Il problema
dell'uditorio è legato sia a quello del suo condizionamento sia a quello dell' adattamento del
discorso alle opinioni degli ascoltatori e al loro grado di cultura. La seconda parte dell'opera tratta
la base dell'argomentazione, e comprende gli elementi dell'accordo con l'uditorio, la scelta dei dati
e della loro presentazione, ossia la forma del discorso. Gli oggetti dell'accordo sono: i fatti e le
verità, le presunzioni; i valori, le gerarchie e i luoghi.

Oggi la retorica è comunque stata riscoperta in tutte le sue parti le quali possono essere benissimo
rintracciate in qualsiasi tipo di discorso destinato a persuadere, convincere o commuovere.
ORATORIA
L'Oratoria, cioè la facoltà di parlare in pubblico per convincere, accusare o difendere, è tutta
naturale: è nata con l'uomo. Già troviamo esempi di questa nei poemi omerici dove vediamo i capi
greci discutere e consigliare con arte provetta. Tuttavia per secoli essa non superò i limiti pratici
poiché l'oratore, dopo aver ultimato il suo discorso, improvvisamente o dopo lungo ragionamento,
non si curava di rielaborarlo per fini artistici. Tra questi dobbiamo ascrivere lo stesso Pericle, che
ebbe fama di essere un superbo oratore, anzi fu il più elegante e suadente del suo tempo.

Verso la metà del V secolo a.C. l’oratoria divenne genere letterario e ne furono fissate le norme che
la regolavano. Occorre, però, sgombrare subito il campo da un possibile equivoco. Spesso il termine
oratoria viene usato come sinonimo di retorica e d’altra parte sia il retore che l’oratore usano la
parola per convincere. Con il tempo, però, si è affermato sempre di più il concetto espresso da
Cicerone e cioè che l’oratore è solo colui che con la parola domina e convince, in pratica quello che
parla in pubblico. Così il retore diventa colui che scrive secondo canoni precisi, un tecnico della
parola intesa più come scrittura e la retorica passò ad indicare le norme che regolano l’oratoria e,
per estensione, la disciplina normativa dell’attività letteraria. Poi il termine “retore” assunse
addirittura un significato dispregiativo, fino ad indicare colui che, parlando o scrivendo, si compiace
di frasi artefatte e ampollose.

È ovvio che la retorica nacque dall'osservazione di come in un discorso si venivano a conformare


varie parti che nell'insieme si presentavano in un'armonia che piaceva e persuadeva e solo in un
secondo momento tali dati furono proposti come norme da seguire per parlare bene. L'invenzione
della retorica, comunque, dai Greci fu attribuita a Corace e Tisia. Infatti Cicerone, nel suo Brutus,
citando Aristotele, riferisce come l’eloquenza fosse nata in Sicilia, appunto ad opera di Corace e di
Tisia. Seguaci di questi retori furono i Sofisti, i quali si vantavano di insegnare la saggezza e
sapevano parlare in modo da avere sempre ragione in qualsiasi discussione; tra questi si annovera
Gorgia da Leontini. Gli studi di retorica, ormai si era creata una vera scuola, trovarono il favore
nelle città libere e, quindi, soprattutto in Atene, poiché con il regime vigente in quella città che
favoriva i dibattiti e le discussioni nelle assemblee, il possesso dell'abilità dialettica era l'unico
mezzo per avere successo in politica. In Atene tutti potevano aspirare alle cariche politiche ed
ovviamente chi meglio sapeva parlare andava avanti. Oltre che dalle circostanze politiche, l’oratoria
fu favorita dalla pratica processuale: per un nonnulla si potevano intentare processi e, poiché non
era permesso che gli "avvocati" parlassero al posto di accusati o accusatori, si formò una categoria
di professionisti che scrivevano discorsi che i clienti imparavano a memoria o leggevano durante il
dibattimento delle cause. Questi professionisti furono detti "logografi" (nel senso di "scrittori di
discorsi") ed a seconda dei fini perseguiti, l'oratoria si distinse in epidittica (per le celebrazioni),
politica e giudiziaria.

Il primo a scrivere orazioni giudiziarie fu l’oratore attico Antifonte, nato ad Atene verso il 480 a.C..
Egli fu probabilmente maestro dello storico Tucidide e scrisse le orazioni ”Per il coreuta” e “La
morte di Erode”. Di lui ci restano 15 orazioni.

Secondo il retore Cecilio di Calatte i dieci migliori oratori attici furono: Antifonte, Andocide, Lisia,
Isocrate, Iseo, Licurgo, Eschine, Demostene, Iperide e Dinarco.
Oratoria
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«Tutti i grandi oratori furono all'inizio pessimi parlatori.»
(Ralph Waldo Emerson)

L'oratoria è l'arte del parlare in pubblico con un discorso eloquente. Nella Grecia e nella Roma
antica (con il nome di ars dicendi), l'oratoria veniva studiata come una componente della retorica
(ossia la composizione e l'esposizione di discorsi), ed era un'abilità importante nella vita pubblica e
privata. Aristotele e Quintiliano discussero di oratoria, e la materia, con regole e modelli definitivi,
fu enfatizzata come parte di una "educazione completa" durante il Medioevo ed il Rinascimento,
sebbene questo fosse generalmente confinato negli ambienti ecclesiastici.

Lo sviluppo dei parlamenti nel XVII secolo vide la nascita di grandi oratori politici; la capacità di
padroneggiare le parole in modo efficace divenne uno degli strumenti principi dei politici, e spesso
fece la differenza nelle loro posizioni sociali. Prima della metà del XX secolo, l'oratoria diventò
meno magniloquente e più colloquiale (ad esempio, i fireside chats, le "chiacchiere del focolare" del
presidente americano Franklin D. Roosevelt).

Indice
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• 1 Storia
o 1.1 L'oratoria nell'antica Grecia
o 1.2 L'oratoria a Roma
o 1.3 L'oratoria nel Medioevo
o 1.4 L'oratoria durante l'Umanesimo
o 1.5 L'oratoria in epoca moderna
• 2 Oratori famosi
o 2.1 Oratori famosi antichi e medievali
o 2.2 Oratori famosi moderni

• 3 Voci correlate

[modifica] Storia
[modifica] L'oratoria nell'antica Grecia

L'oratoria fonda le sue radici nella Grecia antica. Per Gorgia, retore del V secolo AC, era importante
l'elaborazione stilistica del discorso: la parola, per lui, ha infatti la capacità di persuadere.

In epoca classica si affermarono ad Atene tre grandi politici ed oratori: Lisia, Demostene ed
Isocrate.
Lisia fu un logografo, ossia un retore che scriveva, a pagamento, orazioni giudiziarie; scrisse in
dialetto attico puro, senza figure retoriche. Sostenne l'importanza dell'etopea, cioè della capacità di
immedesimarsi nel carattere del personaggio che difendeva. Divenne un modello per gli atticisti.
L'importanza di Demostene si deve soprattutto per le sue Filippiche, orazioni politiche tenute nelle
assemblee delle città greche, volte a convincere i greci di non fidarsi di Filippo II di Macedonia.
Isocrate tenne soprattutto orazioni dimostrative, con uno stile armonioso.

Gli stili maggiori di oratoria che andarono formandosi nell'antica Grecia furono l'atticismo e
l'asianesimo.

[modifica] L'oratoria a Roma

Catone il Censore teneva al concetto, all'importanza del contenuto, e questa sua idea è riassunta
nella massima "rem tene, verba sequentur".
I fratelli Gracchi si servirono della loro abilità oratoria per far varare le loro riforme agrarie; in
particolare Gaio Gracco si distinse per la sua oratoria fiorita, attenta agli effetti sonori della parola.
Marco Antonio si affidava al talento naturale dell'oratore, e sottolineava l'importanza della pratica.
Crasso riteneva importante anche la cultura dell'oratore, poiché questo, a suo parere, doveva
conoscere bene la realtà e la natura.
Per Cicerone, l'oratore deve essere dotato di cultura generale (come per Crasso) e deve essere un
homo bonus, ossia onesto e rispettoso delle leggi. Benché il suo stile all'inizio seguiva le idee
dell'asianesimo, si spostò poi verso uno stile intermedio, detto rodiese.

Successivamente si riallacciò all'ideale ciceroniano Quintiliano, sebbene ormai l'oratoria avesse


assunto la forma di panegirico (celebre il Panegyricus a Traiano di Plinio il Giovane).

Negli ultimi secoli dell'impero, questa sarebbe rifiorita soprattutto sotto forma di oratoria sacra,
prima volta all'esegesi delle Sacre Scritture, e poi, con la patristica greca (San Basilio, San Gregorio
Nazianzeno, San Gregorio di Nissa, San Giovanni Crisostomo) e latina (Sant'Ambrogio,
Sant'Agostino), alla diffusione della dottrina cattolica.

[modifica] L'oratoria nel Medioevo

Il Medioevo tenne in massimo onore l'oratoria; mancò però fino all'anno Mille, se si fa eccezione
per Gregorio Magno, un'oratoria sacra originale: solo nel periodo delle crociate essa risorse
(Abelardo, San Bernardo, Sant'Anselmo d'Aosta, Pier Lombardo, San Pier Damiani, Pietro
l'Eremita).

[modifica] L'oratoria durante l'Umanesimo

Il maggior esponente dell'oratoria civile durante il periodo umanista fu papa Pio II, al secolo Enea
Silvio Piccolomini.

Nell'oratoria sacra si distinsero Bernardino da Siena, per la loquela popolaresca, e Gerolamo


Savonarola, per lo straordinario vigore.

Nei secoli successivi l'oratoria si isterilì, eccezion fatta per la fioritura dell'eloquenza sacra di
Bossuet, in Francia, nel XVII secolo.

[modifica] L'oratoria in epoca moderna

L'oratoria parlamentare moderna fu inaugurata dalla Rivoluzione francese, con i celebri discorsi di
Robespierre, Danton, ecc.; sarebbe sfociata nell'eloquenza tribunizia dei pubblici comizi.
[modifica] Oratori famosi
[modifica] Oratori famosi antichi e medievali

• Demostene (greco, atticista)


• Cicerone (ultimo grande difensore della "vera" Repubblica Romana)
• Marco Porcio Catone (romano, propugnatore dell'ultima guerra punica)
• Crasso (romano)
• Paolo di Tarso (tredicesimo apostolo)
• Pietro l'Eremita (propugnatore della Prima crociata)

[modifica] Oratori famosi moderni

• Abd-el-Kader (leader kabyliano algerino contro la conquista coloniale francese)


• William Jennings Bryan
• Fidel Castro (leader della Rivoluzione marxista cubana, e poi presidente)
• Winston Churchill (primo ministro inglese durante la seconda guerra mondiale)
• Charles de Gaulle (generale e poi presidente francese)
• Frederick Douglass
• John Henley
• Patrick Henry
• Adolf Hitler (Führer austriaco del Terzo Reich nazista)
• Robert G. Ingersoll
• John F. Kennedy (presidente degli Stati Uniti)
• Martin Luther King
• Abraham Lincoln (presidente degli Stati Uniti)
• Benito Mussolini (Duce dell'Italia fascista)
• Ronald Reagan (presidente degli Stati Uniti - spesso rimproverato come "mero" attore, ma
grande pronuncia dei testi)
• Giovanni Semeria
• Daniel Webster
• Malcolm X
• Zulfiqar Ali Bhutto (pakistano)

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