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UTOPIA E UTOPIE

NEL PENSIERO STORICO ANTICO


a cura di
Chiara Carsana e Maria Teresa Schettino

<L'ERMA> di BRETSCHNEIDER
Ii concerto di utopia quale categoria imprescindibile
della cultura occidentale ha innervato ii moderno pensie-
ro storiografico sul mondo antico. Sulla strada autorevol-
mente aperta da Mazzarino, Finley e Gabba, i contributi
qui riuniti propongono uno spettro di analisi che pertiene
alla riflessione politologica in docurnenti che vanno dalla
storiografia alla pubblicistica, da rappresentazioni dello
spazio urbano a progetti di fondazione tra fine repubblica
e tardo impero romano. Ii volume si configura come un
dibattito infleri intorno al concetto stesso di utopia e al-
le sue potenziali applicazioni alla realtà antica.

CHIARA CARSANA insegna "Storia rornana" ed


"Esegesi delle fonti di storia greca e rornana" aIl'Univer-
sità degli Studi di Pavia. Oltre a diversi contributi su te-
mi storici e storiografici relativi all'età tardorepubblica-
na e altoimperiale, è autrice di una monografia sulla teo-
na della costituzione mista e di uno studio sul ruolo del-
le elites cittadine nel regno dei Seleucidi. Ha di recente
pubblicato un commento storico al libro II delle Guerre
Clviii di Appiano di Alessandria.

MARIA TERESA SCHETT[NO, già all'Universitâ


di Parma, è ora Professore ordinario di Storia antica pres-
so 1'Université de La Rochelle. Oltre ad avere pubblica-
to diversi contributi relativi alla prima eta imperiale in
riviste e Atti di convegni, si ê occupata in modo partico-
lare della spedizione epirota in Dionisio di Alicarnasso e
della tradizione storica e storiografica degli Strategemata
di Polieno. Ha in corso uno studio d'insieme dedicato
alla tarda repubblica e al ruolo politico di Licinio Crasso.

In sovracopertina:
Pompei, Insula Occidentalis. Pannello affrescato
del triclinio estivo nella Casa del bracciale d'oro.

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UTOPIA E UTOPIE
NEL PENSIERO STORICO ANTICO

acuradi
Chiara Carsana
Maria Teresa Schettino

<<L'ERMA>> di BRETSCHNEIDER
(a cura di)
CI-HARA CARSANA, MARIA TERESA SCHETFINO
Utopia e utopie nelpensiero storico anti Co

Copyright 2008 <<L'ERMA>> di BRETSCHNEIDER


Via Cassiodoro, 19 - Roma

Tutti I diritti riservati. E vietata la riproduzione di


testi e ilustrazioni senza ii permesso scritto dell'Editore.

Questo volume è stato finanziato dai fondi di ricerca


dell'Università Cattolica di Milano (Prof. Giuseppe Zecchini),
dell'Università degli Studi di Parma, dell'Università degli Studi di Pavia.
SOMMARIO

Introduzione . 1

Parte I: Pensiero utopico e prassi politica


1. CHIARA CARSANA, Riflessioni sulla teoria della "costituzione mista"
alla luce del concetto di Utopia ..................................17
2. S yivm PITTIA, La dimension utopique du traité cicéronien De legibus
.....................................................27
3. Lucio TROIA NI, L'Utopia in alcuni testi della letteratura ebraica
di eta greca ........................................49
4. ALESSANDRO GALIMBERTI, Tra utopia e idealizzazione: A driano,
Dracone, Solone ...................................57
5. MARiA TERESA ScRErriNo, Storiografia, politica e utopia in Cassio
Dione ................................................79
6. AGNES MOLINIER ARBO, L'optimus princeps dans l'Histoire
A uguste: modèle politique oufigure utopique? .............. 87

Parte II: Gil spazi dell'utopia


1. RENAUD ROBERT, Privata modo et domestica nos delectant. Espace
domestique, espace utopique? ...................................109
2. ELENA CALANDRA, La città e ii nome: progetto politico e utopia
nellafondazione di A ntinoe ..............................133

Parte III: Utopie e distopie: descrizioni di mondi ignoti


1. SANDRINA CloccoLo, Ii "re-pescatore ": ii viaggio metafora di
conoscenza ...........................................161
2. Dji'ro AMBAGLIO, Un archivio di utopie di seconda mano: il caso
di Diodoro Siculo ......................................169
3. CHIARA CARSANA, Gli "altri mondi" nella satira di Luciano 177
VI INDICE

4. MARIA TERESA SCHETFIMO, V iaggio nello spazio e nel tempo:


critica di Eliano all'utopia di Teopompo? .................185
5. GIUSEPPE ZECCHINI, Utopie militari tardoantiche? ..........195

Personaggi storici e mitici e autori antichi ...................207

Popoli reali e mitici ....................................213

Toponimi reali e mitici .................................215


INTRODUZIONE *

<<L'utopia concreta non è mai abbastanza>>


Ernst Bloch, A ddio all'Utopia?

Ii tema dell'utopia pone agli antichisti ii problema iniziale della legit-


timità di riferire ad epoche e contesti assai precedenti un neologismo, che
pure fu ispirato a Tommaso Moro dalla consuetudine con le lingue classi-
che e sostenuto dagli ideali umanistici. In effetti, ii ñcorso a una lingua
morta per veicolare - attraverso la definizione di un "non-luogo" (0i5 TO
i-i-oc) o di un "luogo felice" (Ei ToTroc) - una proposta di riflessione, volta
a coinvolgere i contemporanei, basterebbe di per sé a ricordare il debito
contratto dal pensatore inglese con il retaggio molteplice della Grecia e di
Roma. La stessa rinascita umanistica, di cui il pensiero utopico è uno dei
frutti di piü larga fortuna nella cultura occidentale, nacque, peraltro, grazie
al dialogo costante e al confronto fecondo con gli Antichi. Ii concetto di
utopia quale categoria imprescindibile del pensiero occidentale ha inner-
vato altresI la moderna riflessione storiografica sul mondo antico, dive-
nendone un vettore la cui potenza attende di essere individuata appieno.
Una volta riconosciuto che il nucleo vitale dell'utopia appartiene di
diritto alle civiltà classiche, vale sottolineare che fu quello l'ambito on-
ginario in cui germinarono testi, categoric ed esperimenti di convivenza
pre-utopici, germinazione che ebbe nella cultura curiosa e cosmopolita
dell'Ellenismo il vivaio privilegiato.

a.Itesti
In questo ambito, è superfluo, tuttavia inevitabile,ribadirela cen-
tralità della Repubblica e dde Leggi di Platone, con le implicazioni
di utopia in nuce che sono state da piii parti segnalate: hãsti qui cita-
re il contributo di Margherita Isnardi, risalente a poco meno di yen-
t'anni fa ed esemplare già dal titolo, Motivi utopici — ma non utopia-

* La prima parte di questa introduzione rielabora la premessa al panel *Pensiero utopico e prassi
politica nel mondo antico*, presentato in occasione del IV Convegno internazionale della Utopian Stu-
dies Society tenutosi a Madrid nel 2003. La stesura di quella premessa e la realizzazione dell'intero
panel non sarebbero state possibili senza ii contributo di idee e riflessioni di Sandrina Cioccolo, che qui
sentitamente ringraziaino.
2 INTRODUZIONE

in Platone'. Si deve a questa studiOsa di aver precisato nella deontolo-


gia (o nel dover essere) l'alternativa platonica tra irrealizzabilità pratica
e progetto politico. Secondo tale analisi, la città della Repubblica esiste
oltre ii tempo e lo spazio nell'ordine della ragione trascendente. I due tipi
di modello di città defirtiti dalla Isnardi, vale a dire l'utopia "programma-
tica" e "paradigmatica", servono a chiarire appunto l'inapplicabilità tout
court del termine utopia alla comunità perfetta proiettata da Platone nel-
l'immaginario. Ristretta ad un grixppo di potere, l'educazion dell'auspi-
cato ceto dei filosofi si riferisce ad un comportamento etico-politico e non
(come nell'utopia "programmatica") ad un progetto da considerare in
qualche modo realizzabile per la comunità nella sua interezza. D'altron-
de, i motivi utopici individuati nel testo platonico, cioè ha perfetta unità
dell'élite favorita dalle norme collettivistiche e la garanzia eugenetica di
continuità della sua eccellenza psico-fisica, non bastano a comporre un
modello puro, o "paradigmatico" di critica radicale alla società storica.
Almeno un cenno si deve anche al commento tematico alla Repubbli-
cä diretto da Mario Vegetti, ove si è illuminato il significato dell' am-
bientazione del dialogo al Pireo: questo Scenario di "altrove" rispetto alla
città è la condizione necessaria per una proposta politico-costituzionale
tanto priva di riscontri nella realtà fattuale di Atene da respirare appieno
nella formulazione teorica. La katabasis di Socrate nel "mondo altro"
del Pireo rappresenta un vero e proprio viaggio iniziatico verso la cono-
scenza che lo condurrà alla kallipolis , che è insieme <<paradigma del cie-
Jo>> e compito della praxis teorico-etica del filosofo2.
Del resto l'apporto platonico agli sviluppi della filosofia si lascia
considerare ininterrotto fino all'età contemporanea, con fasi di particola-
re intensità che tutte, già dal neoplatonismo di Plotino, meriterebbero di
essere indagàte sotto la specie dell'utopia3.
Nondimeno, è soltanto con Aristotele nella Politica - come ha ben
evidenziato Bertelli nel suo saggio sull'utopia antica 4 - che si coglie per
la prima volta l'articolarsi del concetto di progetto utopico in contrappo-
sizione al piano concreto della politica, laddove egli distingue nel libro II
i progetti ideali - tra i quali cita, accanto alla Repubblica platonica, l'ope-
ra di Falea di Calcedone 5 - dalle costituzioni storiche.

M. ISNARDI PARENTE, Motivi utopici — ma non utopia— in Platone, in R. UGLIom (ed.), La cittd
ideale nella tradizione classica e biblico-cristiana, Atti del convegno nazionale di studi, Torino 1987, pp.
137-154.
2 M. VEGETrI, Katabdsis, in M. vEoarn (ed.), Platone. La Repubblica, vol. 1.1, Napoli 1998, pp.
93-104; ID., Introduzione, in Platone, La Repubblica, Milano 2007, pp. 39-42.
M. IsNAsiol PAIiENTE, Introduzione a Plot mo, Roma . Bari 1994, pp. 61-62.
L. BERTELLI, L'utopia greca, in L. FiizPo (ed.), Storia delle idee economiche politiche e sociali,
vol. 1, Torino 1982, pp. 471-474,529-532.
Falea di Calcedone, vissuto a cavallo tra V e IV secolo aC., è ii primo pensatore politico di cui
abbiamo notizia ad avere avvertito la necessità di ricomporre i conflitti sociali attraverso usia parificazio-
INTRODUZIONE 3

Ma non è col dialogo e col trattato filosofico 6 che si esaurisce la disa-


mina dei teSti antichi all'intemo dei quali è possibile individuare le for-
me dei "non-luoghi felici" che influenzeranno gli utopisti moderni. E
stato merito di Emilio Gabba aver sottolineato come sia soprattutto
all'interno di opere di carattere storiografico die vengano a confluire, in
eta ellenistica, narrazioni utopiche derivate spesso dalla letteratura para-
dossografica. Queste rappresentazioni, in cui un' ambientazione di tipo
insulare si combina con teorie di costituzioni perfette e con tendenze
egalitarie, rispondevano alie sentite esigenze sociali del pubblico ed era-
no considerate testi storici (e indicativa la loro presenza nella Biblioteca
di Diodoro) 7 . Tali rifles sioni, come felicemente iota lo stesso Gabba,
penetrano largamente in Roma come espressione di un desiderio di eva-
sione e di pace che si manifesta particolarmente nell'età delle guerre
clviii del I sec a C , e confluiscono nella Naturalis Historia di Plinio e
nelle Historiae di Tacito8.
Ci sembra infine importante segnalare, sulla base deliaricca biblio-
grafia non solo italiana, 1' attuale tendenza ad applicare 1' etichetta di uto-
pia - e talora di distopia - alla realtà parallela nella comniedia attica e
ail'elenco di luoghi di delizia tramandato anche nei frammenti dei
gastronomi9.

b. Le categorie
Nel tentativo di delineare categorie utili ad orientàre laricerca, pos-
sono essere indicate due linee, che non mancano di punti di contatto La
prima nparte dall'etimoiogia ou oroc e individua ii non-luogo entro una
geografia aitra 10 , che dali' originaria connotazione mitica (per es l'isoia

ne dei beni ottenuta grazie a <<donazioni dotali>> dei pin ricchi ai piE poveri (Arist., Pol. 1266b, 3-5). Egli
immagina una comunità agricola in cui la produzione artigianale sia sotto ii controllo diretto dello stato e
ii principio di uguaglianza si realizzi anche attraverso l'istruzione, da impartire a tutti i cittadini nella
medesima forma. Falea estende cos! ad un progetto puramente teorico alcune esperienze tipiche della
società dorica: vd. BERTELL!, L'utopia greca, pp. 474, 529-532.
Vd. pure le Politeiai dei filosofi cinici e stoici di eta ellenistica: infra, nota 23.
E. GABBA, True History and False History in Classical A ntiquity, JRS 71, 1981, pp. 50-62 [= Storia
vera e storiafalsa nell'antichità classica, in Cultura classica e storiografia moderna, Bologna 1995, pp. 23-
29]; vd. di recente anche ID., Osservazioni introduttive, in D. AMBAGLIO (ed.), A tti del Convegno "Epitoma-
tied epitomatori: ii crocevia di Diodoro Siculo", Como 2005, pp. 9-10.
8 GABBA, Storia vera, pp. 30-31.
G. PADUANO, La città degli Uccelli e Ic ambivalenze del nuovo sistema etico-politico, SCO 22,
1973, pp. 115-144; A. LOPEZ EIRE, Comedia polItica y utopia, CIF 10, 1984, pp. 137-174;E. CORSIN!, Gli
Uccelli di A ristofane: utopia o satira politico?, in R. UGLIor'u (ed.), La cittàideale nella tradizione cbs-
sica e biblico-cristiana, Atti del convegno nazionale di studi, Torino 1987, pp. 57-136; M. PELLEGRINO,
Utopie e immagini gastronomiche neiframmenti dell'A rchaia, Bologna 2000; M. FMriou, Mundus alter.
Utopie e distopie nella commedia greca antica, Milano 2001.
10
F CORDANO, La geografia degli antichi, Roma - Ban 1992, pp. 87-96; GABBA, Storia vera, pp.
23ss.
4 ThifRODUZIONE

dei Feaci nell' Odissea) trascolora in significati religiosi (gil Iperborei,


popolo di Apollo, da Pindaro a Plutarco 11) 0 si piega alla parodia (come
nel caso della Storia vera e di altre operette di Luciano). Già a metà degli
anni Sessanta, Santo Mazzarino segnalava la contiguità tra mito e uto-
pia'2.
La seconda linea, phi rilevante nell'ottica che informa gli interventi
del volume, si connette alla meditazione antica sulia costituzione e sul
regime politico ideali. Nel primo Ellenismo, con riprese a Roma nell' eta
tardo-repubblicana ed imperiale, nel quadro di una basileia intesa come
miglior forma di governo, l'ottimo monarca, minutamente descritto nel-
le sue virtü e comportamenti, rendeva ideale lo stato da lui retto.
La corrispondenza cos! istituita tra "ideale" e "utopia" non vuole tut-
tavia tacere la tensione fra due categorie contigue, ma non sovrapponibi-
11. L ... utopia" contiene una componente variabile, ma pressoché costan-
te, di idealizzazione, mentre l ... ideale" puè fare a meno dell ... utopia". Ii
discrimine fra 'ideale" e "utopia", fattori la cui tensione è talora coperta
dall' ambiguita del significante, è dato dalla cifra della realizzabilità,
ovvero dalla intensità della valenza progettuale, tanto piü forte nell'uto-
pia quanto pitt è potente la dimensione critica che la ispira. Tra proget-
tualità e realizzazione interviene sempre una discrepanza: va da sé che
l'utopia non è il residuo non attuato di un progetto, in quanto essa si
sostanzia in un sistema.
Tale considerazione risulta utile per addentrarsi nel territorio, comu-
ne nel mondo antico, dell'idealizzazione di fasi o leaders di un passato
anche notevolmente lontano, caso per caso discernendo gli elementi
peculiari di ciascun processo di idealizzazione in rapporto alla realtà che
lo ha espresso. Si propongono due modalità esemplificative. Neila pri-
ma, il passato è idealizzato a partire dall' assunto della sua storicità. Una
probabile sorgente di tale formalizzazione rimanda alla propaganda per-
sonale che, da Alessandro Magno in poi, mirava ad assimilare la prassi
politica del leader alla causa della felicità collettiva e insieme ne garan -
tiva la realtà fattuale. La seconda modalità, rivolta ancora durante il prin-
cipato soprattutto al pubblico di lingua greca, manifesto la permanenza
di una rilettura in chiave pia marcatamente utopica della storia arcaica
dell'Eliade, favorita da una progressiva selezione di episodi semileggen-
dari e decantazione di caratteri individualizzatj (un caso è la fortuna del

" M. MENGHJ, L'utopia degli Iperborei, Milano 1998, pp. 29-50, 93-96.
2 S. MAZZARINO, Ii pensiero storico classico,
vol.2, Roma - Bari 1966, pp. 37-53,412 n. 555, dove
la questione si interseca con la concezione non-lineare (per taluni ciclica) del tempo nella cultura elleni-
stico-romana, in contrapposizione con quella giudaico-cristiana; sul rapporto mito-utopia vd. inoltre A.
GlAicruNi, Mito e utopia nella letteratura greca prima di Platone, RIL 101, 1967,
pp. 101-131. Di recen-
te sulla ripresa del mito delI'età dell'oro in autori latini dell'alto principato, si veda R. Evrs, Utopia
A ntiqua. Readings of the Golden A ge and Decline at Rome, London 2008.
INTRODUZIONE

perfetto legislatore incarnato da Solone). Nella tradizione storiografica


Si profila la ricostruzione di modelli originari e arcaici qualiesempi di
armonia e perfezione. Ii modello di città viene proiettato all'indietro in
un "non-luogo" circonfuso di un'aura mitica: un'operazione; che Si
potrebbe definire "utopia retrospettiva".

c. Gli esperimenti di convivenza


La riflessione sulle utopie antiche e moderne condotta da Moses Fin-
ley a meta degli anni Sessanta 13 ebbe, fra gli altri meriti, quello di foca-
lizzare la corrente propulsiva deli' elaborazione utopica nella cntica
sociale
Nonostante l'interpretazione finleiana risulti, oggi, per , piii versi
datata nella sua filiazione dal dibattito politico-ideologico in cui maturO,
essa conserva un suo ruolo, che appare ridimensionato ma non oscurato
dalla ricca bibliografia successiva, che ha articolato su nuove prospetti-
y e la problematica relativa all utopia La spinta alla trasformazione
sociale, alla luce del confronto degli studi, si precisa quale chiave di let-
tura valida, ma non unica ne assoluta, delle formulazioni utopiche dal-
l'Ellenismo all'eta moderna
Ii fattore sociale resta predominante, come e naturale, nelle propoSte
utopiche all'origine degli esperimenti di convivenza Nel suo compro-
messo con l'inattuabile, l'elaborazione utopica non vive solo nella
descrizione filosofico-letteraria, ma trova sfogo nella orgamzzazione di
una società altra, situata in uno spazio separato, costruito secondo calco-
ii ritenuti ottimali, e strutturata secondo valori, norme e co g tumi eccen-
trici rispetto alla realtà storica.
Entro questa gamma di variabili costitutive, citta e comunita stanno
in un rapporto concettuale complesso, anzi proteiforme, fino alla supre-
mazia di un polo sull'aitro e dunque alla scissione. In questa cornice
indichiamo quattro tipologie significative per la loro fortuna'4.
1. L'esperienza greca delle fondazioni coloniali, soprattutto nella sua
ultima fase (V sec. a.C.), fornisce veri e propri modelli che hanno una
diretta ricaduta nelle rappresentazioni di "città ideali". Che la colonia
assuma questo ruolo risulta chiaro dalle formulazioni stesse dei teorici
dell'utopia: Falea di Calcedone opponeva città di nuova fondazione a

13 M.I. FINLEY, Utopie antiche e moderne, in Uso e abuso della storia. II signficato, lo studio e la

comprensione del passato,trad. it., Torino 1981, pp. 267- 289,[=B.M00RE - K.H. WOLFF (edd.), The Cri-
tical Spirit. Essays in Honor of Herbert Marcuse, Boston 1967, pp. 3-201.
14 Sulle seguenti tipologie rinviamo alle osservazioni di S. CroccoLo,Tipologie greco-ellenistiche

di città ideale, Utopia and utopianism 1, 2006, pp. 14-17.


6 INTRODUZIONE

città "già abitate" a causa della maggior facilità di applicare alle prime ii
principio dell'uguaglianza dei beni 15; Platone immaginava la città ideale
delle Leggi come colonia da fondare ex novo. L'idea dell'ottima organiz-
zazione dello spazio trova ii suo esempio pii noto nel ricordo della cob-
ha periclea di Turi, fondazione legata al nome dell'architetto Ippodàmo
da Mileto 16 . E significativo che proprio ii principio dell'uguaglianza dei
lotti primari, che trova ampia eco nelle fondazioni di "città ideali", abbia
come unica attestazione ii racconto di Diodoro relativo alla distribuzio-
ne di terra a Turi 17; essa continuerà ad evocare, nella fantasia popolare,
l'immagine di un paradiso di facile ricchezza 18•
Nell'estremo tentativo di costruire una società rinnovata dal confron-
to panellenico, si affermè la convinzione che una progettualita urbanisti-
ca capace di garantire uno spazio perfetto, cioé condizioni di vita ottima-
ii, bastasse a determinare una comunità coerente con quel livello idea-
le Erano implicite in tale convinzione l'esemplarità e la potenziale
replicabilità deli' esperimento urbanistico, previo adattamento alle carat-
teristiche topografiche del luoghi prescelti.
In questo filone del pensiero utopico valgono da fonti tanto disegni di
progetti urbanistico-architettonici irrealizzabili o irrealizzati, quanto
intere città, quartieri o edifici, in cui si sperO di avverare una scheggia di
mondo ideale. L'enorme materiale disponibile è oggetto da parte degli
storici dell'urbanistica e dell'architettura di quella disamina che diede a
Lewis-Mumford l'abbrivio able sue illuminanti opere sulla città nella
storia e sulla storia deli'utopia20.

2. Al principio urbanistico della trasferibilità delle condizioni mate-


riali dello Spazio migliore per la vita sociale si è opposta a put riprese la
fiducia nell'unicità spazio-temporale di esperimenti di convivenza, di
volta in volta Soggetti alla definizione di "città ideale".
Fra una miriade di esempi, basti citaré quello di Uranopoli, città idea-
le fondata nel primo Ellenismo da Alessarco, figlio di Antipatro. Nono-
stante la scarsità delle fonti, che aveva fatto sottovalutare proprio a Fin-
ley l'episodio fino a indurlo ad ascriverlo <<in pieno nel regno del vaneg-

Arist., Pol. II, 1266b, 1-2; vd. BERTELLI, L'utopia greca, p.496.
16 Vd. F. CASTAGNOLI, Ippodamo di Mileto e l'urbanistica apianta ortogonale, Roma 1956.
17
Diod. X11,1 1,3; vd. BERTELLI, L'utopia greca, p.499.
Io Metagenes,
Thouriopersai , ft. 6 Kassel-Austin; vd. L. BERTELLI, Progettare la "polis", in E. SET-
TIS (ed.), I Greci, vol.11.2, Torino 1997, p. 582.
Una ricognizione in G. PUGLIESE CARRATELLI, La città ideale: modelli e divagazioni nel mondo
classico,
19 in La città dell'utopia. Dalla città ideale alla città del Terzo Millennio, Milano 1999,
20 L. MUMFORD, pp. 3-20.
Storia dell'utopia, Bologna 1969 [= The Story of Utopias, New York, 1922]; ID.,
La città nella storia, trad. it., Milano 1963 [= The City in History, New York 1961]; vd. pure BERTELLI,
L'utopia greca, pp. 486-520; ID., Progettare la "polls", pp. 572-582.
INTRODUZIONE 7

giamenti e della follia>>, gli studi piü recenti convergono nell' ammettere
che motivi politici contingenti rendevano la penisola calcidica l'unica
sede possibile per Uranopoli, ovvero per la discesa, del 'Cielo" sulla ter-
ra 21 . Si scorge, in questo caso,la continuità con l'assimilazione ad Oura-
nos di una delle città dominanti nella storia dell'•Ellade, Tebedi Beozia.
C'6 da chiedersi se ii modello di Cadmos, mitico fondatore di Tebe, da
annovaverare fra gli "urbanisti" che guardavano gli astri, quale Metone,
architetto della città degli Uccelli, e ii famoso Ippodamo di Mileto,
<<conoscitore dei fenomeni celesti>>, non fosse presente nell'utopia di
Alessarco, che aveva tra l'altro assunto il nome di Helios.

3. Ii principio di unicità spazio-temporale si declina nella variante


che designa quale luogo eletto la zona pii bella di una città magnificen-
te. A tale apparente riduzione topografica corrisponde l'estensione del
principio di unicità allo stile di vita ideale, che tale puè dirsi anche per-
ché circoscritto e sommamente elitario. In una fase piñtarda dell'Elleni-
smo, e tuttavia collegabile al caso di Uranopoli per l'insistenza sulla sim-
bologia celeste, si attesta al Canopo, in Alessandria d'Egitto, la comuni-
tà degli A mimetobioi, cioé dei pochi uniti dall'inimitabile vita 22 . Questo
gruppo, che rivendicava a sé qualità e privilegi piii che umani, ove i'm-
credibile sfarzo era forse meno caratterizzante della raffinatezza cultura-
le, venne costituito da Cleopatra con Antonio. Genitori di due gemelli,
chiamati Helios e Selene, Antonio e Cleopatra con il loro scelto seguito
Si inscrivevano in una prospettiva astrale (Plut., Ant. 28-29).

4. Mentre le prime tre tipologie sono accomunate, seppur in diversa


misura, dalla materialità del contesto urbano, ché fissa le coordinate di
ciascunã esperienza, l'ultima tende ad assolutizzare ii dato etico-sociale.
Attingendo ad un'altra suggestione di Finley, confermata dal successivo
fiorire di contributi sulla scuola cinica, vale ricordare la proiezione uto-
pica di filosofi come Cratete di Tebe (IV sec. a.C.). Autore dei versi sul-
la città di Pera (Bisaccia), egli vi estremizza gli ideali di una semplicità
ascetica fino alla miseria e una concezione cosmopolita di segno apoli-
de, ideali del resto intrinseci alla morale cinica: il luogo ideale non coin-
cideva con uno spazio urbano fisico, ma con ii patrimonio morale ed
intellettuale di uomini rinnovati dalla filosofia23.

21
Si veda ora F. LANDTJCCI GATFIN0NI, L'arte del potere: vita e opere di Cassandro di Macedonia,
Stuttgart 2003, pp. 68,90-91, 122.
22
Vd. anche M.T. ScnErnNo, La boisson des dieux. A propos du banquet de Cléopdtre, DHA 32,
2006, pp. 59-73.
23
Vd. pure le Politeiai di Diogene e di Zenone, modelli utopici di anti-città: cfr. BERTELLI, L'utopia
greca, pp. 553-556; D. HENNIG, Utopia politica, in S. Saris (ed.), I Greci. Storia, cultura, arte, Societd,
2.3, Torino 1998, pp. 503-523.
INTRODUZIONE

La trama di testi, categorie ed esperimenti di convivenza fin qui som-


mariamente enunciata sostiene gli interventi che compongono ii volume.
Questo lavoro prosegue la riflessione che ha avuto inizio in occasione
della nostra partecipazione a due convegni internazionali organizzati
dali' Utopian Studies Society rispettivamente a Madrid e a Porto nel 2003
e nel 2004. In tale occasione, da un lato, abbiamo enucleato i problemi di
metodo connessi con ii tema deli'utopia, problemi che trovano nel volu-
me un nuovo banco di prova; daii'altro, abbiamo rilevato il minor appor-
to dato dalla bibliografia moderna alla disamina del versante romano
deil'utopia, sia nei suoi addentellati con ii mondo ellenistico, sia in rap-
porto allo sviluppo del pensiero politico e storiografico.
Ii piano generale di questo lavoro presuppone i contributi fondamen-
tali di S. Mazzarino, M.I. Finley ed B. Gabba che abbiamo già citati. Da
storici, questi studiosi sono stati i primi a riflettere sul rapporto tra realtà
storica e istanze utopiche, in specie nel mondo antico. Sul piano della
meditazione storiografica e storico-politica antica la strada cos! autore-
volmente aperta è ancora sentiero in parte inesplorato. Perciô ci è parso
foriero di interessanti sviluppi e nuovi risultati riprendere tali prospetti-
ye di studio, applicandole all' ambito del pensiero politico e storiografi-
Co attraverso la selezione di momenti e opere nodali tra la fine della
repubblica e il tardo impero. A tali presupposti Si richiama ii titolo di
questo volume, che intende sottolineare l'assenza di una definizione uni-
voca del concetto di utopia e la molteplicità delle elaborazioni apparte-
nenti a tale dimensione che costellarono ii penSiero politico antic0 24 . Le
fonti discusse dai contributi che il volume riunisce non appartengono a
un ambito strettamente filosofico, ma propongono uno spettro di analisi
che pertiene alla riflessione politologica, in testi che vanno dalla storio-
grafia alla pubblicistica o a rappresentazioni dello spazio urbano e a pro-
getti di fondazione.
Ii volume si è venuto a configurare come un dibattito infieri attorno
al concetto stesso di utopia e alle sue potenziali applicazioni alla realtà
antica. Vale sottolineare che attraverso tutti i contributi del volume si
dipana la volontà di affrontare in modo problematico tali questioni come
presupposto teorico e metodologico all'analisi delle fonti. Ne scaturisce
una molteplicità di interpretazioni all'interno delle quali è possibile
cogliere alcune linee di fondo comuni a molti degli interventi, linee che
spes SO Si intrecciano e di cui indichiamo le piü significative.
Una questione che attraversa ii volume è quella del discrimine tra
ideale e utopia, del quale si è discusso nelle pagine precedenti.

24
Sulla distinzione fra utopia e utopismo, su cui la critica moderna si è a lungo interrogata e che ha
trovato in R. TROUSSON (V oyages aux pays de nulle part, Bruxelles 1999 [1975) uno dei principali for-
mulatori, rimandiamo alla discussione di M. MONETI CODIGNOLA, Ilpaese che non c'è e i suoi abitanti,
Firenze 1992, pp. 8 ss.
INTRODUZIONE 9

La ricerca di mondi e progetti alternativi è espressione di una disillu-


sione e prende le mosse da un atteggiamento critico rispetto al presente.
Alla critica e al rifiuto del presente corrisponde una fuga in un passa-
to idealizzato e trasfigurato, circonfuso di aura mitica, che abbiamo pre-
cedentemente definito come "utopia retrospettiva".
Questo atteggiamento rimanda a una componente piui generalmente
"ucronica" del non-luogo dell'utopia, in cui la dimensione del tempo è
alterata.
L' atemporalità sfocia nella costruzione di paradigmi perfetti, astori-
ci e immutabili, che valgono da parametri ideali cui tendere.

Ii volume è diviso in tre sezioni.


Nella prima viene affrontato da diverse angolazioni e in differenti
ambiti temporali ii complesso problema del rapporto tra prassi politica e
tensione utopica.
Tale sezione si apre con una riflessione sulle valenze utopiche del
modello della costituzione mista, che mette in luce la presenza dell'uto-
pia retrospettiva in una serie di testi greci e latini (C Carsana)
Il secondo contributo esamina un testo teorico, il De legibus di Cice-
rone, interrogandosi sulla dimensione utopica del trattato in rapporto alla
sua contestualizzazione storica e sul nucleo problematico del discrimine
fra ideale e utopia (S. Pittia).
Ii terzo intervento riguarda l'ambito specifico della letteratura ebrai-
ca di epoca greco-romana; esso esamina alcuni testi, pervenutici soprat-
tutto attraverso la tradizione cristiana, in cui l'utopia assume la forma
prevalente della letteratura visionaria e apocalittica; Mosè e altri perso-
naggi della tradizione nazionale assurgono a livello di metastoria e sono
trasferiti in una dimensione fuori dal tempo (L. Troiani).
Ii lavoro seguente ci porta in eta adrianea e descrive l'attività svolta
dall'imperatore come nomothetes della città di Atene, in cui l'esplicito
richiamo ai nomoi di Dracone, Solone e Clistene, conSacrati dalla tradi-
zione quali paradigmi di perenne attualità, riconduce al temà dell'utopia
retrospettiva (A. Galimberti).
Segue un' analisi della rifles sione politica formulata da Cassio Dione
nell. 52 della sua Historia Romana, condotta alla luce del giudizio ela-
borato dallo storico sul presente e del rapporto problematico . tra tentativi
riformatori e prospettiva utopica (M.T. Schettino).
Chiude la sezione un contributo dedicato all'optimus princeps nel-
l'Historia A ugusta, il cui autore, che non nutre illusioni a proposito del-
l'impero passato e futuro, si rifugia nell'elaborazione di modelli dai trat-
ti irrealistici in cui la cifra utopica trascolora nel meraviglioso (A. Moli-
nier Arbo).
10 INTRODUZIONE

La seconda sezione è dedicata all'organizzazione dello spazio sia in


ambito privato che nella fondazione di città.
Ii primo dei due interventi che la compongono volge l'attenzione
dallo spazio pubblico alla dimensione privata, di cui si discute ii valore
antinomico rispetto al primo, nonché la funzione di luogo-rifugio, al di
fuori della realtà, lontano dalle preoccupazioni della vita politica, al fine
di misurarne la cifra utopica (R. Robert).
Ii secondo intervento focalizza invece 1' attenzione su un caso-studio
specifico, quello della fondazione di Antinoe, che riflette l'intento da
parte di Adriano di costruire un luogo perfetto, e perciô paradigmatico,
non solo urbanisticamente, ma anche politicamente, trasformando la
struttura amministrativa di una realtà poliadica minore in un manifesto
del culto imperiale di caratura ecumenica (E. Calandra).

La terza e ultima sezione riunisce una serie di rappresentazioni di


altri mondi di carattere utopico o distopico.
Ii tema del viaggio percorre ii primo contributo. La descrizione di
popoli ignoti tendeva a selezionare comunità straordinarie, i cui sistemi
sociali e di governo presentavano tratti utopici. Sulla base del modello
archetipico di Odisseo, nelle fonti antiche ii viaggio divenne ben presto
metafora dell'arduo cammino verso la conoscenza, cos! come le figure
del navigatore e del pescatore simboleggiarono l'ottimo governante (S.
Cioccolo).
Ii secondo contributo prende in esame ii catalogo di utopie incluse
nell'opera storica di Diodoro, riguardanti sistemi politici di popoli pin o
meno conosciuti e nelle quali si rivela un'implicita connotazione di cri-
tica sociale (D. Ambaglio).
Ii terzo intervento, prendendo spunto dalla prospettiva entro cui
l'opera di Luciano è stata letta dagli utopisti di eta moderna, vi cOglie
una serie di nuclei tematici che e possibile identificare come utopici, nel-
la narrazione, squisitamente metaletteraria, di viaggi in "altri mondi"
situati in una dimensione alterata dello spazio e del tempo si esprimono
una critica alla società umana e la rappresentazione di sistemi alternativi
(C. Carsana).
Ii contributo che segue indaga il nesso tra utopia e viaggio all'inter-
no di un contesto storiografico quale riflesso dell'interpretazione della
realtà storica, sia essa passata o presente; esamina in specifico la cosid-
detta utopia di Teopompo, distinguendo tra i suoi elementi originari e i
tagli interpretativi operati da Eliano, che conserva la descrizione dello
storico greco (M.T. Schettino).
Ii volume si chiude con un contributo che prende in esame una serie
di testi di eta tardoantica, in cui si presentano immagini della realtà
imperiale contemporanea talmente anacronistiche da apparire utopiche.
INTRODUZIONE 11

In particolare, nel De gentibus Indiae et Bra gmanibus di Palladio si nar-


ra del viaggio di uno scolastico di Tebe d'Egitto verso l'India e del suo
soggiorno nelia mitica isola di Taprobane, sovrapponibile alle isole uto-
piche della tradizione ellenistica. Nel racconto questa mitica terra, che
assicura felicità e longevità ai suoi abitanti (macrobioi) , cede al confron-
to con l'impero romano contemporaneo, che gil abitanti di Tapobrane
rispettano e temono per ii suo superiore valore militare e tecnico: Un
mondo dunque, l'impero, presentato come preferibile a qualsiasi terra di
utopia. Ii contributo mette giustamente in rilievo un problema nodale:
Palladio, come gli altri autori dei testi presi in esame, considerava da y
-veroaulsd tàprenaziodl'mchentva
offrire ai suoi lettori? Le utopie tardoantiche sono davvero da conside-
rarsi tali? (G. Zecchini).
Sulla scia del problema posto dall'ultimo intervento vorremmo con-
cludere rilanciando ii dibattito. Benché l'impero romano per gli autori
tardoantichi potesse costituire una reaità tangibile, ii confronto con
un'isola felice di utopia ne sottintende nondimeno 1' assimilazione a que-
st'ultima. La questione della doppia percezione (quella dell' autore e
quella del lettore, non sempre appartenenti alla stessa epoca) che le rap-
presentazioni utopiche comportano, non riguarda peraltro solo ii tardo-
antico e obbliga a interpretare secondo una corretta prospettiva storica
queste come tutte le altre fonti dell'antichità, per coglierne appieno ii
significato in rapporto al variare dei tempi e delle circostanze, nella
misura in cui le visioni utopiche e ucroniche sono sempre frutto dei tern-
pi che le hanno prodotte.
Desideriamo ringraziare ii prof. Giuseppe Zecchini per aver benevol-
mente accolto ii nostro volume nella collana da lui diretta. Cogliamo
altresi l'occasione per esprimere la nostra gratitudine al prof Emilio
Gabba per 1 SUO1 preziosi consigli e la lettura della nostra introduzione
Chiara Carsana, Maria Teresa Schettino
(settembre 2007)

Riferimenti bibliografici
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Parte I
Pensiero utopico e prassi politica
RIEFLESSIONI SULLA TEORIA DELLA COSTITUZIONE
MISTA ALLA LUCE DEL CONCETTO DI UTOPIA *

Nel II secolo d.C. lo storico Tacito nel IV libro degli A nnales defini-
see, in una breve ma fondamentale digressione di carattere programma-
tico, la stretta connessione che esiste tra la storiografia e le forme di
governo. B appunto in questo contesto che lo storico fa riferimento alia
teoria della Costituzione Mista: <<Tutte le città e le nazioni -egli dice-
sono rette dal popolo, o dai cittadini piü insigni, o da un singolo gover-
nante. Una forma di governo mista risultante dai suddetti elementi uniti
insieme è put facile da lodare che non da attuare o, se mai si realizza, non
puô essere duratura>>'.
La Costituzione Mista non è intesa da Tacito come una realtà istitu-
zionale, ma piuttosto come un modello ideale irrealizzabile di mescolan-
za di monarchia, aristocrazia, democrazia. Ii secondo segmento dell'as-
serzione dello storico (vel, si evenit, haud diuturna esse potest) ha
anch'esso un contenuto implicitamente critico congruente eon la eonsi-
derazione iniziale: la bontà di un governo misto consiste proprio nella
stabilità e nella durevolezza che esso riesce a garantire rispetto alle costi-
tuzioni semplici, fatalmente destinate a degenerare; negare alla Costitu-
zione Mista il requisito della durata significa dunque respingere 1' attua-
bilità del modello in quanto tale.
Tali considerazioni, di CUi si cercheranno di chiarire piii avanti le
motivazioni, nascono da una riflessione consapevole che sembra investi-
re non solo la sostanza della storia delle istituzioni dello stato romano,
ma anche lo statuto della teoria della Costituzione Mista e le sue formu-
lazioni e mi hanno indotto ad una rilettura della storia del concetto
appunto in questa chiave. In che misura la teoria della Costituzione
Mista è stata, in eta antica, un filtro interpretativo della realtà effettuale
e in che misura invece un tramite di assunti ideali presentati in una for-
ma definibile come utopiea?
Un criterio di metodo si impone, comunque, preliminarmente: assu-
mere una definizione del concetto di Utopia che funga da parametro

* Una prima versione di questo lavoro e comparsa su Utopia and Utopianism 1, 2006, pp. 17-29.
Nam cunctas nationes et urbes populus ant primores aut singuli regunt; delecta ex Os et conso-
ciata rei publicae forma laudari facilius quam evenire, vel, si evenit, hand diuturna esse potest: Tac.,
A nn. IV ,33,1.
18 CHLARA CARSANA

interpretativo per i testi che si intende prendere in esame. Ii problema di


determinare ii significato del termine, di per se SteSSo polisemico e ambi-
guo, e reso ancor piü complicato, nel caso dei testi antichi, dal fatto che
si tratta di applicare ad essi, retrospettivamente, una categoria elaborata
in eta moderna 2 . Tale operazione puô essere comunque di un certo inte-
resse ai fini di chiarire e approfondirè ii significato e ii valore di una serie
di richiami, piü o meno sottesi, al mondo classico contenuti nelle opere
degli utopisti moderni da Moro in avanti.
Un buon punto di partenza per avviare una riflessione su materiali anti-
chi riguardanti la teoria della Costituzione Mista alla luce del concetto di
Utopia ml è sembrato ii saggio di M. Finley su Utopie antiche e moderne,
dal quale emerge fin da subito la difficoltà insita nella definizione stessa
del termine, qualificato come una vera e propria "girandola semantica"3.
L'ambiguità del concetto, consapevolmente voluta da More, Sta già, come
e noto, nell'etimologia del nome che indica, al contempo, un "non luogo"
cui si ricorre per confrontare criticamente la propria realtà con altre possi-
biità offerte dall'immaginario e un "luogo buono, ideale", in cui alla criti-
ca dell'esistente si sovrappone un progetto politico altemativo. L'interpre-
tazione data da Finley del significato di Utopia deriva proprio dali' analisi
del ruolo rivestito dalle due componenti della critica e del progetto,
entrambe necessarie alla costruzione di ogni Utopia:
E grazie all'elemento critico -afferma Finley- che le Utopie importanti,
invece di rimanere 'non luoghi', si inseriscono nella reaità [ ... ] Ii nome stes-
so di Utopia indica che la società ideale non è effettivamente, o completa-
mente, attuabile. Nonostante ciô ogni Utopia seria è concepita come un fine
che si puô legittimamente tentare e sperare di raggiungere [...] come uno
stato caratterizzato da specifiche critiche e proposte istituzionali. L'Utopia
trascende la realtà sociale, ma non è trascendentale in senso metafisico4.
La difficoltà di definire il concetto è dunque dovuta anche all' ambi-
guità del confine che intercorre tra irrealizzabile e attuabile. Se si accetta
questa chiave interpretativa, la teoria della Costituzione Mista acquista
un suo spazio all'interno di una storia dello sviluppo del concetto di Uto-
pia in cui pensiero antico e moderno trovano un punto di saldatura. Ed è
sulla falsariga di una significativa oscillazione tra due dimensioni, una di
critica e progetto, l'altra di interpretazione dell'attuale in chiave idealiz-
zante, che Si sviluppa la storia dell'evoluzione dell' idea di governo misto.

2 Vd. L. BERTELLI, L'utopia greca, in L. Fnu'o (ed.), Storia delle idee economiche politiche e soda-
ii, Torino 1982, vol.1, pp. 463-482; M.I. FINLEY., Utopie antiche e moderne, in Usa e abuso della storia,
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Fnu..ny, Utopie, p. 267.
Ibid., pp. 270-271.
RIFLESSIONI SULLA TEORTA DELLA COSTITUZIONE MISTA 19

La teoria della Costituzione Mista, formulata per la prima volta nel


IV sec .a.C. in Grecia da esponenti del pensiero aristocratico moderato, si
presenta fin dall'inizio come modello di governo ideale criticamente
contrapposto alla democrazia radicale impostasi ad Atene clopo la cadu-
ta dei Trenta tiranni. Se Platone riscontra l'esistenza di modelli di gover-
no misto nel suo stesso tempo e ii identifica nelle costituzioni di Sparta,
Creta e Cartagine, la cui "bontà" viene opposta alla demOcrazia radicale
di Atene o alla monarchia assoluta persiana 5 , la critica mossa da Isocra-
te, retore ateniese del IV sec .a.C., alla città dal suo interno, prende una
direzione differente: quella di un' ambigua adesione alla democrazia che
assume le distanze rispetto alla realtà politica attuale..
Nell'Areopagztico ii retore distingue due differenti forme di democra-
zia una "male organizzata" e una "bene orgarnzzata" Mentre la demo-
crazia contemporanea vigente in Atene e da nfiutare in quanto estrema,
"buona democrazia" e quella che assegna a ciascuno ciô chegli spetta,
ponendo 1 pm abili alla direzione della cosa pubbhca mentre il popolo
rimane arbitro della condotta di costoro 6 Tale modello di "buona demo-
crazia", identificato da Isocrate nell'Atene dei tempi di Solone, e defimto
da lui stesso in un altro discorso, il Panatenaico, come una <<democrazia
che si avvale di principi aristocratici>> 7 o anche come una "democrazia
mescolata all'aristocrazia" 8 , vale a dire una forma di governo misto9.
Essa si fOnda sull'elezione dei magistrati, designati in base ai loro meriti
(morali, politici, economici) piuttosto che sul principio del sorteggio. Al
centro della vita cittadina si pone il Consiglio dell'Areopago, istituzione
di educazione e di controllo che garantisce l'ordine della vita sociale:
questo ha in mano la formazione della gioventü e puô, se necessario, eser-
citare Un' azione repressiva sui cittadini di qualsiasi eta. Dal buon gover-
no, "anima della città", deriva prosperità per tutti i cittadini. Gli effetti di
una moderata e saggia amministrazione si riflettono infatti, nel quadro
fornito da Isocrate, su tutti gli aspetti della vita comunitaria. La proposta
costituzionale viene dunque calata all'interno di un quadro d'insieme piü
ampio in cui ii modello di città si dispiega nel complesso delle sue corn-
ponenti sociali, economiche, educative, morali, religiose:
(I nostri antenati) non solo erano d'accordo sui pubblici affari, ma anche nel-
la vita privata si preoccupavano tanto gli uni degli altri quanto conviene ai

Plat., Lg. ifi, 691d-692a; 693d-e.


6 Isoc. V II, 20-27.
Isoc. X II, 131: apIcJToKpaTs &
8 Isoc. X II, 153: -nv TE 8TjJAOKPaTiaV [...] (sptaToKpaTIg
uyv1iv.
V d. C. CARSANA, La teoria della "costituzione mista" nell'età imperiale romana, Como 1990,
pp. 9-10.
20 CHTARA CARSANA

benpensanti e ai compatrioti. Infatti i cittadini piii poveri invece di invidiare


i pin ricchi si prendevano a cuore la sorte delle grandi famiglie come la pro-
pria [ ... ]. A loro volta coloro che possedevano patrimoni non solo non
disprezzavano chi era di condizione inferiore, ma consideravano vergogna le
ristrettezze dei concittadini e venivano incontro alle loro necessità [ ... ].
Risultato delle loro buone azioni era la proprietà sicura per chi la possedeva
secondo giustizia, mentre l'uso di essa era comune a tutti i cittadini che ne
avevano bisogno [ ... ]. I nostri antenati si adoperavano tanto per raggiungere
la saggezza da incaricare ii consiglio dell'Areopago di prendersi cura del
decoro [...].Questo non si preoccupava, allora, di trovare dei mezzi per puni-
re gli sregoati, ma per far sì che essi non commettessero nulla degno di una
punizione [ ... ]. Gli Ateniesi di un tempo si prendevano cura dunque di tutti i
cittadini, ma soprattutto dei giovani. Li vedevano infatti preda di passioni
turbolente e pieni di moltissimi desideri, e si rendevano conto che le loro ani-
me avevano un gran bisogno di essere domate con l'esercizio di nobili ocdu-
pazioni e con fatiche che portano con sé gioie [ ... ]. Sotto la guida dell'Areo-
pago la città non era piena di processi, né di accuse, né di tributi straordina-
ii, né di povertà e guerre, ma gli Ateniesi erano in pace tra di loro e con tutti
gli altri popoli [ ... ].Esso aveva allontanato i poveri dalle ristrettezze con l'av-
viarli ai lavori manuali e con aiuti da parte degli abbienti, i giovani dalla vita
sregolata con le occupazioni e la cura che ci si prendeva di loro, gil uomini
politici dalla soperchieria con le punizioni e col non permettere agli ingiusti
di sfuggire alla giustizia, i vecchi dalla demoralizzazione con gli onori pub-
blici e ii rispetto dei giovani. Come potrebbe esservi dunque un govemo
migliore di questo, che cos! bene si è preso cura di ogni cosa?'°
Ii quadro offerto da Isocrate agli Ateniesi del suo tempo come
modello di buona democrazia contemperata da principi aristocratici
appare fortemente idilliaco e idealizzato; esso è caratterizzato da armo-

10 Isoc.Vll, 31-55:
00 y?xp I6VOV TrOpi TC)) KOIVO)V cbiovOouv, CXAA& (01 iropl T)V 'I&ov Iliov TOOCOITflV ETOO1OUVTO TrpOvoIav
o2oAiAcv &Y nv TrEp xph TOOç rO 1ppOVOOvTaç Kal TfcxTpI0c KOIVCOVOOVTO5. 01 TO 'yap TEV TOPOL TCOV 1TOALTCOV
T0OToV àrro1ov TOO pOoviv TOL5 TrXEkO KoKTrjpvotc, B' d10i0)5 EKflOVTO T0)V dIKoJv Too) ooyâAcDv
thoirop T05V 0ET(DV OUTCOV (. 1 d TO Taç oOlTiac OXOVTEc o0< 61TC15 ).r000pEC)pCoV TOU5 K0TcX&0TEp0V 'rrpaT-
TOVTOXS, àXX' OTr0Aa43áV0o)Teç aiC)0V11l ) cXOToiç th)OL Tl)V T0)V Tr0XLTcDV àlooplcw rnpuvov TOIc 1v&1ai [.1.
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lTopl TIv acocppooiiviiv icoiroO&xoy , thOTE Th y hE 'Apeiou ithyou (louXhv hii*rnioav lrrLpEAEIoOaL T5
eOioopIa, [.1. TaOTcx &avoflOIvTE5 oO TOOTO 'rrpcoTOy EGKO'TOOUL), L (LV KOXâOOUOI T0Oç aKOlTILOUV-TaS, ILAX'
l CLV 1TOpOOKEUâOOUOI LL]&V 00T005 Lov 1'yLicx5 lapapTcfOVEIV [.1. ' ATràVTOJV pl y oiiv hqpóVTtçOV TOy
iroAircLv, thAIOTa lS TCGV vocoiIpcov. EOpcv yap TOhJç TflAIK0OT0u5 TOPLXCOSIOTOTO 8LOKEIjIIVOU5 (01
IEXOI0TCGV YPOVT05 hirtUupiOv, Kal TIE5 0IU)(65 aOTCGV p6(AL0TO TOOI6EU6IIVOI SEO1EVcX5 ETr11EAE1aLS KOAOV
E1TLTfl&UphxTC)V K01 TOOVOI5 1OVh15 IXOUOLV [.]. Hç E1TLOTOT000I1S oO 1KCOV oOS EyKXT5IILTOiV oO' EIcxxpopo)v
OIJ Trxvicoç oO& iroXhponi x iróXtç Iyxpev, ILIXIX Eat irplc IoAXhXouc hcxu<1av o1)(ov Kal Trph)5 TohJg &AXouç
&TraVTac oip1vnv i'jyov. [.1. 61Tr6AXaE yhOp T005 ply LTIvllTac TOy hxiropiOv Ta15 ipyaoiatç (01 Talc rrap1z
TOo) EX6VTO) y cLpoXEiaLç, TOOç VEC)TIpOUc TOM) aKoAaoIG)v T015 ErrrnlSEOpCXOlV Kl Ta15 aOTOy
lmtisArIaiç, TOOç & TCOXITEUOpIVOU5 TOM) TrAE0VElO)V TaLc TIlICOpiOLS Kal T( 1) II AavOOvsiv ToOç hoi-
KouvTaç, T005 TCPEOIIUTIPOUS TOy 68Uj110M) TOL5 TLIIaLS TcXLS TrO))1T1KO5 KIll TOL5 itapho TOV VECOTIPOM) OEpa-
101015. KaITOL 1005 &V 'yhvoiTo TCx6Tr5 TCXOIOV05 a1a TEOAITEIO, T1ç OSTOD KaAOç IOTrOVTODV TOo) Tt3CXy-
thTC,DV ETtljlEAllUEiOflc;
RIFLESSIONI SULLA TEORIA DELLA COSTITUZIONE MTSTA 21

nia sociale, prosperità per tutti I ceti, godimento comune della proprietà,
giustizia, assenza di guerre e di "staseis".
Quanto questa immagine conispondeva effettivamente all'Atene del
VI sec.a.C. riformata da Solone cui ii retore si riferisce nel suo discorso?
Quello di Isocrate e innegabilmente un falso storico L'Areopago non
ebbe mai ad Atene le prerogative che gli vengono attribuite nell'A reopa-
gitico: ne all'epoca di Solone, né dopo le guerre Persiane, né sotto i
Trenta Tiranni. Nei frammenti dell'opera di Solone non è inoltre possi-
bile individuare alcuna traccia delle riforme istituzionali prospettate da
Isocrate' 1 . Fu nel IV sec. a.C. che si costruI ii suo "mito" di padre della
"buona democrazia" ateniese, come si deriva anche dalla Politica di An-
stotele e dalle Leggi di Platone 12•
Ii modello di citta presentato da Isocrate come alternativa alla "catti-
va democrazia" contemporanea, viene dunque proiettato all'indietro nel
tempo in una sorta di "non luogo": una Atene circonfusa di Un' aura miti-
ca, mai veramente esistita nella realtà; una terra inventata, la cui distan-
za dal mondo reale non è data dalla collocazione nello spazio, ma dal
tempo. Questapatrios politeia, oltre ad essere una sorta di "non luogo",
puO essere ricondotta alla dimensione propria delle Utopie per i due ele-
menti che ne costituiscono le componenti imprescindibili: quello della
critica e quello del progetto Nel modello isocrateo un ruolo importante
è inoltre giocato dal fattore educativo, affidato all'organo supremo e giu-
dicato presupposto della pace sociale e del benessere diffuso cui la città
deve mirare: tutti elementi ricorrenti all'interno delle costruzioni utopi-
che'3 . B da discutere quanto le riforme prospettate dall'A reopagitico
potessero trovare concreta attuazione nell'Atene del IV sec.a.C. 14 A
fronte della concretezza delle propo ste istituzionali, ii quadro presentato,
nel suo pieno superamento di qualsiasi dimensione di conflitto, risulta
inevitabilmente inimitabile: anche in questa ambiguità tra realizzabilità
e inattuabilità mi sembra che si giochi la dimensione utopica della Costi-
tuzione di Solone descritta da Isocrate.
L'idea di una forma di governo risultante dalla mescolanza di costi-
tuzioni semplici, utilizzata da Isocrate, fra i primi, come parametro di
definizione di una "buona democrazia", viene ad esprimere uno dei piii
antichi ed accettati canoni di vita del pensiero greco: l'ideale della dora-
ta "via di mezzo", della saggia moderazione; è il riflesso di un rifiuto

Vd. P. DESIDERI, Introduzione, in Isocrate. A reopagitico, Padova 1969, pp 5-24.


12
Flat., Lg. 701e; Arist., Pol. II, 12,2-6, 1273b; vd. C. MossE, Due miti politici: Licurgo-e Solone,
in SErris (ed.), I Greci, vol.11. 1, pp. 1325-1335.
n Sull'importanza del fattore educativo aIl'interno delle costruzioni utopiche dall'età moderna in
avanti, vd. M. MONETICODIGNOLA, ii paese che non c'e e i suoi abitanti, Firenze 1992.
14
Vd. DESIDERI, Introduzione, pp. 5-24.
22 CHTARA CARSANA

degli estremi, di una tensione alla moderazione e alla stabilità che si vie-
ne a formulare drammaticamente in un momento di crisi delle istituzioni
deiuocratiche ad Atene. Lo statuto della teoria della Costituzione Mista
non .e dunque descrittivo: essa è piuttosto un tramite di assunti ideali e, al
tempo stesso, un modo di interpretare la realtà politica 15• Si profila in
questo senso, fin dalleprirne formulazioni del concetto, una duplice ten-
denza: 1) quella di interpretare la realtà esistente in chiave idealizzante:
è quello che fanno Platone ed Aristotele quando applicano la teoria del-
la Costituzione Mista a città del loro tempo come Sparta, Atene e Carta-
gine, proponendole come modelli di buon governo moderato rispetto a
forme vigenti di democrazia radicale o di monarchia assoluta; 2) quella
di presentare un modello di città ideale proiettandolo all'indietro nel
tempo in un "mitico" passato reinventato.
Tra le "operazioni di recupero" della teoria della Costituzione Mista
in eta rornaña si riscontrano ancora entrambe le prospettive. Lo storico
greco Polibio, che sara nel '700 la fonte ispiratrice dei Padri della costi-
tuzione americana, nel II sec .a.C. sottrae per la prima Volta la teoria del-
la Costituzione Mista al suo contesto originario per applicarla alla costi-
tuzione romana con modalità di rappresentazione apparentemente
descrittive; in realtà ii suo intento è quello di dare un supporto teorico
alla dimostrazione della superiorità dello stato romano e del suo diritto
all'egemonia'6.
Quasi un secolo dopo, nel De re publica di Cicerone 1' "operazione di
recupero" fa invece da schermo ad un programina di governo di matrice
aristocratica 17 . Anche Cicerone, come Isocrate ad Atene, vive una realtà
di crisi istituzionale che sfocerà nella guerra civile tra Cesare e Pompeo.
Ad essa contrappone un modello di città ideale, retta da un governo
misto che garantisca la concordia sociale, proiettandola indietro nel tem-
po e presentandola come ii frutto di una progressiva evoluzione, che mi-
ziata fin dai tempi di Romolo, avrebbe raggiunto la sua perfezione nella
prima eta repubblicana. Anche in questo caso un progetto politico, che
prende le mosse dalla constatazione di una realtà di crisi, viene identifi-
cato con una "costituzione degli antenati" che è in gran parte ii frutto di
ricostruzioni antiquarie posteriori".
Filtro interpretativo della realtà contemporanea o tramite di assunti
ideali e di modelli di "buon governo", soprattutto nei momenti di crisi

15
Vd. CARSANA, La teoria, pp.7-25.
16
Vd. CARSANA,La teoria, pp. 17-21.
17
Vd. J.-L. FERRY, Le idee politiche a Roma in eta repubblicana, in Fwr'o (ed.), Storia, pp. 723-
804.
Sulla ricostruzione in epoche successive della storia arcaica di Roma in tale prospettiva, vd. E.
GABBA, Roma A rcaica, Roma 2000.
RIFLESSIONI SULLA TEURTA DELLA COSTITUZIONE MIISTA 23

politica, la teoria della Costituzione Mista continua anche in eta imperia-


le a svolgere un ruolo importante all'interno del dibattito politico. Ii
sogno di una forma di governo moderata che sàldi le esigenze di un
governo centralizzato con quelle proprie di gruppi di élité the ambisco-
no ad un ruolo collaborativo con l'imperatore percone i primisecoli del-
la storia dell'impero19.
In un'operetta intitolata Agamennone del retOre Dione di Prusa, intel-
lettuale dell' oriente greco che aveva vissuto 1' eta deli' assolutismo domi-
zianeo e ne era stato vittima, un modello di regalità che assume la fisio-
nomia di una Costituzione Mista 20 è ii tramite di una proposta di "buon
governo" rivolta all'imperatore Traiano 21 . Dione sostiene la necessità
che ii potere monarchico sia sottoposto ad un'azione di controllo da par-
te della classe di governo. Al re Agamennone, presentato come ii mero
esecutore delle disposizioni di Nestore, il saggio consigliere, viene
affiancata la boulè degli anziani, cui deve rivolgersi prima di prendere
qualsiasi decisione. La classe di governo, che la boulè rappresenta, costi-
tuisce il fattore frenante del potere monarchico e la sua prirnaria interlo-
cutrice, sebbene 1' autore ammetta anche la necessità di ottenere ii con-
senso del plethos (identificato con 1' esercito), temibile strato sociale da
non sottovalutare 22; essa dovrebbe avere, nelle intenzioni deli' autore,
come si evince da un' affermazione contenuta in un altro discorso dedi-
cato alla Regalità, una dimensione allargata e comprendere esponenti
dell'élites di tutto l'Impero: <<Molti uomini potenti vedono solo quelli
che per caso sono loro vicini [ ... ]. Ma (il vero re) fa la sua scelta tra tut-
ti>>23. Ii progetto politico di Dione Si carica dunque di un'accentuata
valenza sociale. Ii modello, di forte contenuto ideale, è proiettato all 'in-
dietro, in questo caso nel mitico mondo della regalita omerica: un "non
luogo" che si contrappone, in prospettiva critica, alla monarchia assolu-

19 Vd. CARSANA, La teoria.


20 Vd. CARSANA, La teoria, pp. 59-64.
21 Vd. P. DEsIDnrI, Dione di Prusa, Firenze 1979, pp. 269-297.
22 Dio Chrys., Or. 56,9-10:
oOTcaç E rràvu v KaTTKOOS TOO NioTopog, IIDOTE o1i ióvov, ei TI TEpOGiTOTTEV a6T65 lTapCDV, TOUTO
110101 rrp0O111C.Dç, âAX' o1i ei Tt ôvap c1On NioTopo Xiyeiv, 011K t1v 01ii TOUTO rrapeAoirro. T15 yoOv
6vap TO TrIp1 TflS l-10X11S 0{lTODç 1flITOT11OEV a1rr6v, NioTopt OTIEIK000EII. o1i iOvov 8i TI.) NioTopi lrflTI(o-
UI 8OKO0VT1 q)poVlILC.)TOTCp TC2)1) AXaiôv, OXK 0111 CXVEU TC22l1 yEpOVTCOV o1i&iv gTrpaTTEV. (51T6TE 'yOuV
1IIEXAEV iiystv TOil OTpOTOO) T4) 1VUTtilIC 1) TTEI0 00 (S, 011 TTpóTEpOV IIyayE liplil 1 3ooAi TeDV yEpOVTC.)V
EKOUIOE rrapO rj viii T6 NiOTOPOS. o1ri Tilv TrElpail, i'v i lloOXeTo XcII3eIv TOO irAiOouç, El 9TI j.1ivELV
i(301IAETO Kal BiarroXFPCIV TO 'AtXXicaç .hflvlOVTOS, 0111 &XXcaç iTrElpOOfl, TrPIV 015 TI1V 3OUXI'IV TrpöTOV
oi(jyyeiAev. 01 8i TT0XXO1 TV rfl.1ay0Yy(2)V 7TPOIIO11AEUTO 4)fl1PlGllaTa 011K OKVOÜOIV £15 TOil bfiPOV
ELOpEpIIV. 1KEIVO5 8i I.IETO TC.)V yEpOilTCoV POU?1Mjo6cpwo5 oOTcaç i.1ijJVflTO 015 TO irXOoc Trepi Tfl5 KOTO-
OT000C.)ç TOO TrOXE1OU.
23 Dio Chrys., Or. 3,129-130:
01 liv yOp iroAXol T()V &IVaOTC.)V TOl'1ç OTrCOOTfOTI iiXiioiov )'IVOj.LiVOU5 [.1 I6VOU5 6)C.)O1, TO1lç R iXXouç
TrOvTcXç aTOEXCIUVOUOI, Kal T065 YE (IEXTk3T0uS 1T1 iiciXXov. 6 8i E IITTOVTCOV TIOIE1TOL Till EKXO)I1V [...].
24 CHIARA CARSANA

ta di Domiziano che si e da poco conclusa. Anche in questo caso ii rap-


porto tra critica e progetto, la tensione tra realizzabile e irrealizzabile,
l'alterità della dimensione entro cui ii modello di riferimento è colloca-
to, la valenza sociale del progetto ci richiamano ii concetto di Utopia.
Nell'età degli Antonini si puO da questo punto di vista individuare un
momento di passaggio nodale da spinte piü o meno accentuate all'inte-
grazione da parte delle elites greco-orientali (che trovano appunto
espressione, nei primi aniii del regno di Traiano, nella proposta ancora di
sapore utopico di Dione di Prusa) agli effetti che questa integrazione,
ormai avvenuta, ha determinato nella storiografia e nella pubblicistica
politica. Ii retore Elio Aristide, originario dell'oriente greco come Dio-
ne, a una quarantina d'anni di distanza, nel discorso A Roma pronuncia-
to davanti all'imperatore Antonino Pio rappresenta l'impero romano del
suo tempo come un ... unica grande città" di dimensioni ecumeniche
governata come una Costituzione Mista (ii cui modello formale è assun-
to da Polibio), all'interno della quale le elites di tutto l'impero collabora-
no con 1'Imperatore per ii benessere comune24.
Come spero di aver mostrato con questa carrellata di esempi, la teo-
na della Costituzione Mista ha svolto, nel corso della storia del mondo
antico, una duplice funzione: 1) rappresentare l'attuale in chiave idealiz-
zante; 2) veicolare, soprattutto in momenti di crisi, messaggi ideologici
e programmi di governo di matrice aristocratica volti a valorizzare il ruo-
lo delle elites sia rispetto al demos, sia, in un contesto storico mutato,
rispetto ad un potere centralizzato. B proprio in questa seconda funzione
che sidisvela la sua natura utopica.
L'intervento dello storico Tacito, cui si è fatto riferimento all'inizio,
sembra mostrare che il dibattito sulla validità delle forme di governo
misto e sulla loro applicabilità alla realtà storica in eta imperiale fosse
forse piü diffuso di quanto le fonti superstiti ci diano testimonianza: la
riflessione dello storico nasce, evidentemente, da degli stimoli che gli
giungono dal suo tempo, da discus sioni rispetto alle quali sente la neces-
sità di assumere una posizione 25 . Ii suo spirito critico gli consente di
cogliere la natura utopica della Costituzione Mista; la forte vena pessi-
mistica del suo pensiero lo induce a ritenere che essa non sia attuabile,
data la sostanza dei rapporti di forza sottesi a qualsiasi sistema politico.
La sua distanza rispetto a Dione di Prusa e ad Elio Aristide puô essere
spiegata dalla sua differente provenienza e, soprattutto, identità sociale.
Tacito era probabilmente nativo della Gallia Narbonense, ma era un
homo novus completamente assimilato, un "tradizionalista nei sentimen-

24
Aristid., Or. X X V I K, 90; vd. CARSANA, La teoria, pp. 64-Si.
25
Vd. CARSANA, La teoria, pp. 41-45.
RTFLESSIONT SULLA TEORIA DELLA COSTITUZIONE MISTA 25

ti", per us are le parole di Ronald Syme 26 . La sua opera va collocata nel
solco di una tradizione che, in una prospettiva ancora romanocentrica,
sentiva come problema politico dominante quello delle relazioni tra
l'imperatore e una aristocrazia senatoria di fisionomia prevalentemente
romano-italica. Sfuggono alla sua sensibilità politica, o forse ai suoi inte-
ressi, quelle profonde trasformazioni sociali dell'Impero, già in atto ai
tempi suoi, che stavano portando alla costituzione di una nuova classe di
governo di dimensione ecumenica. Questa è ancora vagheggiata da Dio-
ne di Prusa, che ne prospetta ii ruolo in un programma di governo di
sapore utopico. B invece celebrata da Elio Aristide come una realtà di
fatto, frutto della politica di assimilazione delle elites greco- . orientali rea-
lizzatasi ad opera degli Antonini, soprattutto da Adriano in avanti.
Chiara CARSANA
Università di Pavia

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SYME 1958 R. SYME, Tacitus, Oxford 1958.

26
R. SyME, Tacitus, Oxford 1958, Vol. 2, pp. 611-624.
LA DIMENSION UTOPIQUE DU TRAITE
CICERONIEN DE LEGIBUS

Du traité cicéronien De legibus', trois livres seulernent sont parvenus


jusqu' a nous, encore le troisième n'est-il pas transmis integralement par
les manuscrits conserves 2 . Ii manque vraisemblablement aussi le tout
debut de l'ouvrage, en tout cas ii n'est plus trace de la dédicace. En tout
état de cause, l'uvre est moms mutilée que ne l'est le De republica, une
lecture presque continue des trois premiers livres est possible. Certains
savants ont considéré l'inachèvement du livre comme un obstacle
majeur a son interpretation. Walter Wybergh How' insistait sur le fait
que les discussions concernant les principales magistratures (consulat,
préture, dictature, proconsulat) sont perdues, et que nombre de questions
(tribunaux, pouvoirs législatifs des magistrats, education des elites),
réservées pour les livres ultérieurs, n' ont jamais été redigees on en tout
cas ne sont pas parvenues. Elizabeth Rawson 4 a aussi mis l'accent sur la
multiplicité d'incertitudes: date de composition; sources; état de conser-
vation; absence de mention de l'ouvrage dans la correspondance cicero-
nienne et les autres traités; formulations parfois oraculaires et style
archaIsant; corruption d'une partie du texte. Inversement, Clinton Wal-
ter Keyes' avait défendu le caractère achevé de 1' ceuvre. Même si le

'Pour une analyse génbrale du traité, cf. J.-L. FERRARY, Le idee politiche a Roma nell'epoca repub-
blicana, dans L. Frnpo (dir.), Storia delle idee politiche, economiche e sociali, 1, L'antichità classica,
Turin 1982, P. 723-804, spec. p. 774-786; L. PERELLI, Ii pensiero politico di Cicerone, Florence 1990,
spec. p. 113-136; E. M. ATKINS, Cicero, dans C. Rowe - M. SCHOFIELD (dir.), The Cambridge History of
Greek and Roman Political Thought, Cambridge 2000, p. 477-516, spec. p. 498-502. La monographie la
plus fouillbe sur la philosophie du traité reste celle de K. M. GIRARDET, Die Ordnung der W elt, Ein Betrag
zur philosophischen und politischen Interpretation von Ciceros Schr(fl Dc legibus, Wiesbaden 1983.
Pour one lecture analytique,je renvoie a F. FONTANELLA, Introduzione al Dc legibus di Cicerone, 1, Athe-
naeum 85/2, 1997, p.487-530 et 2, Athenaeum 86/1, 1998, p. 179-208.
2 Sur la tradition manuscrite, synthbse dans L. D. REYNOLDS, Texts and Transmission, A Survey in
Latin Classics, Oxford 19862 (1983), p. 124-128. Voir surtout P. L. SCHMIDT, Die Uberlieferung von
Ciceros Schrift Dc Legibus in Mittelalter end Renaissance, Studia et testimonia antiqua, 10, Munich
1974. L'édition la plus récente do texte est celle de J. F. G. POWELL, M. Tulli Ciceronis De republica, De
legibus, Cato Maior De senectute, Laelius De amicitia, Oxford 2006.
W. W. How, Cicero's ideal in his De republica, JRS 20, 1930, p.24-42, spec. p.24.
E. RAWSON, The interpretation of Cicero's De legibus, ANRW, 1.4, Berlin 1973, p. 334-356,
repris dans Roman Culture and Society, Oxford 1991, p. 125-148 [cite dans cette edition]. L'auteur met
en garde contre une reconstruction trop poussée de l'cruvre (voir particulièrement p. 125 et 141).
C. W. KEYES, Did Cicero complete the Dc legibus?, AJPh 58/4, 1937, p.403-417.
28 SYLVIE PITFIA

detail du dialogue philosophique 6 se caractérise par une structure assez


lâche, l'auteur a divisé l'ouvrage en livres thématiques, dont le premier
porte sur les sources du droit et la théorie du droit naturel 7 , le deuxième
sur les lois religieuses; le troisième est consacré aux lois politiques, aux
institutions, avec un intérêt marqué pour les magistratures 1 . J' ai tenté la
relecture du traité en cherchant a en identifier la dimension utopique - si
elle existe bien - et cette entreprise dolt évidemment affronter d'emblée
la question de la pertinence même du questionnement. Ii n'eSt pas vain,
au seuil de l'enquête, d'emprunter aux savants modernes quelques pistes
de réflexion pour interroger la source antique. L'anachronisme même du
terme utopie, l'absence de tout equivalent dans le lexique latin antique
rendent impossible une approche lexicale de la notion, une enquête
sémantique oü 1 'on chercherait dans le texte cicéronien quelques indices
d'une pensée utopique expressément formulée et consciente.
On est d'abord frappé de voir que les savants modernes ont admis
sans trop de contestation, ni même de doute, l'existence de theories ou
d'ouvrages philosophiques utopiques dans le versant grec de l'Anti-
quite 9 , sans avoir jamais de point de comparaison dans le versant
romain: seuls ou presque, les textes platoniciens sont spontanément
cites '°, de l'Atlantide décrite dans Critias aux traités llEp'L TIOXLTELaS' et

6 Le theme des sources philosophiques du traitb est une quaestio uexata,je renverrai par comnlo-
dith a RAWSON, The Interpretation, p. 131-133 pour une approche synthétique. De mbme, sur la question
des affiliations philosophiques de Cicéron a l'epoque ofi ii compose la série des traiths De oratorel De re
publical De legibus, je renvoie a l'étude critique de W. GORLER, Silencing the Troublemaker: Dc legibus
1.39, dans J. F. G. POWELL (dir.), Cicero the Philosopher, Oxford 1995, p. 85-113.
Cf. GIRARDET, Die Ordnung der W elt, p. 99-105. Girardet tend a minimiser l'oppositioo entre
droit naturel et droit positif, dont l'exposb se succède dans le De legibus. Il atténue fortement Ic contraste
qu'oot souligné d'autres commentateurs entre d'une part le livre 1 et le debut du livre 2 (principes gbnb-
raux du droit oaturel) et, d'autre part, la fin du livre 2 et le livre 3 (oti les lois romaines soot investies de
la fonction de modhle). Cette interpretation est globalement critiquée par PERELLI (Il pensiero politico,
p. 121). FamirY (The Statesman, p. 68-69) se montre plus nuance sur la these de Girardet: le savant fran-
çais repreod l'analyse qui, loin d'assimiler le livre 1 a une definition on usie thborie du droit naturel, y voit
une rbflexioo sur ses limites, pour établir que la seule vraie loi est celle en accord avec la nature, ce dont
elle tire sa légitimité. Les livres 2 et 3 du De legibus présentent des lois qui ne tirent pas leur statut de
vraies lois de la conformité qu'elles présenteraient avec le droit naturel, elles sOnt bieo plutôt partie
constituante du ins naturae et rbsultent précisément de l'uoiversalité et de l'6ternit4 des lois oaturelles.
A tout le moms, l'ouvrage comportait cinq livres, comme l'atteste une citation de Macrobe Sat.
6.4.8. Les livres quatre et cinq traitaient de l'organisation judiciaire (Cie. Leg. 3.47) et de l'éducation (Leg.
3.29-30). II est vraisemblable que I'ouvrage ait été orgaoisb, comme le De republica, en six livres. Signa-
Ions que J. DAVIES (editio Cantabrigiae 1727), sur la foi du fragment du livre 5 ob il est question du soleil
an zenith, avançait l'hypothèse d'un ouvrage encore plus développb, en huit livres (hypothèse suivie par
A. Do MESNIL dans son edition du traitb, Leipzig 1879, p.5-6). Cette hypothèse s'appuie sur la fiction tern-
porelle: le dialogue philosophique était censé Se tenir an cours d'une longue journbe d'étb a la campagne.
Cf. L. BERTELLI, L'utopia greca, daos L. FIRPo (dir.), Storia delle idee politiche, economiche e
sociali, 1, Turin 1982, p.463-581 (spec. bibliographie p. 567-581); et en dernier lieu, D. HENNIG, Utopia
politica, dans S. SETTIS (dir.), I Greci, 2.3, Turin 1998, p. 503-523 (avec une ample bibliographie).
10 Cf. par exemple; G. PUGLIESE CARRATELLI, La città ideale: modelli e divagazioni nel mondo clas-
sico, dans M. BETFETINI et al., La Città dell'utopia. Dalla città ideale alla città del Terzo Millennio, Milan
1999,p.3-20.
LA DIMENSION UTOPIQUE DU TRAITE CICERONIEN DE LEGIBUS 29

TIEp L vop.wv. Cette quête chez Platon peut apparaItre comme une trahi-
son de la cite puisque le philosophe cherche son ideal dans une concep-
tion politique imaginaire, a l'écart des contraintes de la veritable TróXLç.
La speculation utopique est analysée, en particulier par Lewis Mum-
ford 12, comme la marque de la désillusion, la preuve que les auteurs ont
renoncé a concevoir des normes morales et des modèles éthiques que la
cite pourrait adopter et appliquer. Ii ne sera pas vain de retenir ce ques-
tionnement pour le traité de Cicéron. Le De legibus est-il un renonce-
ment aux theories politiques applicables a la <<Rome fangeuse de Romu-
lus>>, la Romulifaex que Cicéron opposait ala cite Wale de Platon 13 9 En
ce sens, l'interrogation sur le sens de la théorie utopique implique la
confrontation avec la realite civique Par dela le sophisme qui consiste a
poser que tout modèle, flit-il ideal, offre un caractère de réalité pour celui
qui Fa concu et pour celul qui adhere an modele 14, ii Wen demeure pas
moms que la question de l'expérience qui fonde la réflexion théorique
est posee S ' agit-il de reformer un Etat reel, sur la base d'une authenti-
que experience politique et civique, ou bien de concevoir independam-
ment de toute réalité historique un Etat proche de l'idéal philosophique?
Par bien des côtes, le traite ciceronien, sans être une constitution de
Rome, peut rappeler les textes aristotéliciens, plus descriptifs que théori-
ques, sur les constitutions d'Etats existants 15 . Je ferai volontiers miennes
les analyses de Morgen Hansen sur ce theme, lorsqu'il rappelle le carac-
tere par definition abstrait de la TrOXLç imaginaire et souligne que la cite
ideale est utople en ce qu'elle n'existe physiquement nulle part 16 . Adop-
tant une definition large du terme, Hansen l'applique a un programme
théorique ideal aussi bien qu' a un programme d' action politique. Cette
definition permet d'interroger de façon ouverte le document cicéronien,
sans préjuger du sens de l'ceuvre'7.

11 Pour dviter toute confusion entre les traiths homonymes de Platon et de Cicéron,je désignerai les

textes platoniciens dans leur transposition du titre grec et je réserverai le titre latin aux seuls ouvrages
cicéroniens.
"L. MUMFORD, The City in History: its Origins, its Transformations, and its Prospects, New York
1961 (cite dans La cite a travers l'histoire, trad. fr ., Paris 1964, P. 219 et 222-223).
° Cie. A tt. 2.1.8 (mi-juin 60). En arrière-plan do passage, il faut avoir en tête le débat sur la remis-
sio mercedis demandée par les publicains, a propos de la dime d'Asie.
I
PUGLIESE CARRATELLI, Città ideole, p. 3.
5
On pense bien sfir ala Constitution d'A thènes mais aussi, entre autres exemples, aux pages sur la
constitution spartiate (Arist. Pol. 2.9.1269a-1271b) on la constitution carthaginoise (Pol. 2.11.1272b-
1273b).
6
M. G. HANSEN, Introduction, dans ID. (dir.), The Imaginary Polis, Symposium January 7-10
2004, Copenhague 2005, p.9.
17 Rappelons a titre de comparaison le passage du Rep. 2.21-22, nO Cicéron entend dépasser la con-

tradiction entre le modèle platonicien et la cite qu'il propose, eloignée de la vie des hommes, et l'appro-
che péripatéticienne, plus empirique, qui décrit les constitutions existantes sans jamais en proposer une
W ale. Sur cc point, cf. FERRARY, Le idee politiche, p. 779-780.
30 SYLVIE PITT IA

L'existence d'une théorie utopique - appelons-la ainsi pour l'instant -


pose aussi la question des frontières entre ideal et utopie. Cet ideal peut
d'ailleurs aussi bien se situer dans le passé et être un age d'or, qu'être
place dansl'avenir et être un point de référence, un modèle qu'on se
propose de réaliser. Dans le premier cas, l'idéal est un modèle historique
et la cite romaine pourrait avoir, a un moment donné de son histoire,
atteint une stabilité et un équilibre dont on chercherait a recréer les
conditions. Darts le deuxième cas, ii ne s ' agit pas de rétablir une situa-
tion des temps passes on d'imiter un temps révolu, mais d'inventer un
Etat utopique 18•
Les pistes de réflexion sont multiples et le lecteur du traité cicéronien
pourrait bien s'égarer irrémédiablement s'il s'engage dans de trop vastes
detours sur le theme general de l'utopie. Nous avons donc, plus simple-
ment, rein le traité et repéré un certain nombre de notations qui relèvent
de cette thématique. Nous esquisserons ainsi une étude sur le rapport a
l'histoire dans le traité, pour tenter de cerner si l'auteur, dans ses leges
<<utopiques>>, contemple avec nostalgie une République dépassée on s 'ii
tented' en rénover ies fondements par des leges nouvelles.
Préalablement, la question même de la datation de l'ieuvre mérite
d'être posée. Ii n'est pas question ici d'en proposer une nouvelle, mais
de mettre en evidence ce que ce débat change a i'interprétation même de
la dimension utopique du traité. Sans préjuger du probabile, les scéna-
rios se divisent en trois grandes options: un place la redaction vers 51
avant notre ère; un autre qui, admettant une redaction initiale a la fin des
années cinquante, en suppose la reprise vers l'année 46; un dernier enfin
situe la redaction sous la dictature de César, après 46, voire après les Ides
de mars 44.

Quand la réflexion cicéronienne a-t-elle été élaborée?


Est-elle marquee par le contexte de la dictature?

Du discours lui-même, on peut tirer quelques rares renseignements


chronoiogiques' 9 . Les trois participants, T. Pomponius Atticus 20 , Mar-

18
HANSEN, Imaginary Polis8p.11..
19
Je passe sur les indications topographiques, qui ont surtout pour fonction de donner un decor
vraisemblable et réaliste an dialogue phi1osophique, mais dont rien ne pent être extrapolé quant an
contexte temporel. Le paysage est celui d'Arpinum, avec le <<chêne de Marius>> (1.1), non loin des rives
do Liris (1.14 et frg. cite par Macrobe Sat. 6.4.8) et de son affluent le Fibrenus (2.6). Ii en est de même
Pour l'évocation de la maison natale (23).
20
Ii exprime sa méfiance pour la democratic (3.37), resitue leg lois proposées par Marcus dans
l'histoire de Rome (2.23). Son opposition aux lois défendues par Cicéron est moms nette que celle affi-
chée par Quintus. Lea trois personnages ne prennent pas une part égale a l'exposé.
LA DIMENSION UTOPIQUE DU TRAITE CICERONIEN DE LEGIBUS 31

cus et Quintus 21 Cicéron appartiennent a la même génération. La mention


de certains personnages historiques 22 que Cicéron a pu connaItre voire
côtoyer sans être leur exact contemporain, est sans valeur pour la datation
du dialogue lui-même, car les allusions sont anhistoriques ou renvoient a
un episode sans rapport avec la fiction dialoguée: c'est le caspour l'au-
gure Q. Mucius Scaevola 23 (1.2; 1.13), ainsi que pour les deux pontifes
P. Mucius Scaevola24 (2.47; 2.50 dubitanter; 2.52-53; 2.57) et Q.
Mucius Scaevola 25 (2.47; 2.49-50), pour Marius lui-même (1.3; [2.6];
2.56) et pour Sylla (2.56; 3.22). Ii en est de même pour les allusions aux
Gracques, qui constituent des points de référence historiques 26 mais en
aucun cas des éléments de datation du dialogue, ainsi que pour les brè-
yes mentions concernant les tribuns C. Curiatius 27 (3.20), L. Apuleius
Saturninus 21 (2.14, leges A puleiae; 3.20), Sex. Titius 29 (2.14 et 2.3 1,
leges), M. Livius Drusus 3° (2.14 et 2.31, leges) et enfin P. Sulpicius
Rufus" (3.20). Tous ces personnages historiques sont morts depuis plu-
sieürs décennies et ne sont pas des contemporains de la fiction dialoguee.
L Licinius Lucullus Ponticus 32 (3.30), sans doute mort fin 57, est lui
aussi évoqué au passé. Ii est en revanche clair que Cicéron, en 2.3 1, fait
référence a sa propre accession a 1' augurat (sum ipse augur), intervenue
en 5333• Le passage concernant C. Marcius Figulus (2.62), consul en 64,
est inexploitable car on ignore la date de sa mort.
En 2.41-42, l'évocation de Clodius 34 et de ses acolytes seterinine par
une allusion a ses funérailles et a la confusion qui accompagna le bcicher
improvise a l'aube du 21 janvier 52 (sepultura et iustis exsequiarum
caruerunt). La mention d'Ap. Claudius Pulcher 35 , frère du précédent, en

21 Ses interventions marquent souvent des désaccords de fond avec la position de son frère (3.26;

3.33), comme on le voit pour le role des tribuns de la plèbe (3.19-22) ou le secret du vote (3.34-37).
22 Pour les personnages et dvhnements historiques plus anciens, citons, par exemple, Cylon l'Athd-

nien (2.28); Solon (1.57; 2.64); Zaleucos (1.57); Charondas (1.57; 3.5); Clisthhne (2.41); Valerius Publi-
cola le fondateur de la Republique (2.58); A. Postumius Tubertus, le vainqueur des Sabins (2.58); le mi
des Perses, Xerxès (2.26); Un certain Diagondas de Thebes (2.37); Alexandre le Grand (2.41); Demetrios
de Phalère (2.64-66; 3.14); C. Fabricius Luscinus (2.58); la repression des Bacchanales (2.37); Scipion
l'Africain (2.57)
23
RE n'2 1. C'est le consul de 117.
24
RE n'17. C'est le consul de 133.
25
RE n'22. C'est le consul de 95.
26 Les deux frères, 3.24; Caius, 3.20 et 3.26; Tibérius, 3.20 et 3.24.

27
RE n'3. C'est le tribun de 138.
28
RE n'29. C'est le tribun de 100.
29
RE n'23. C'est le tribun de 99.
31 RE n'18. C'est le tribun de 91.
' RE n°92. C'est le tribun de 88.
32
RE n'104. C'est le consul de 74.
Cie. Fam. 8.3.1; Brut. 1; Phil. 2.4.
Autres allusions indirectes dans Cie. Leg. 2.36, 3.21.
RE n°297. C'est le consul de 54.
32 SYL VIE PITITIA

2.32, exerçant ses fonctions d'augure, place le dialogue avant 48, année
desamort.
De Pompée, il est surtout faitmention a, propos du pouvoir des tn-
buns de la plèbe, que, durant son consuhttde. 70, il restaura, contre les
decisions de la dictature syllanienne (3.26). 11 s'agit d'un rappel histori-
que assez distant. On ne peut en inférer que Pompée serait présenté
commie défunt et aucun indice certain de la mort de Pompée West repé-
rable dans la partie conservée du De legibus 36 . Ii en est de même pour
Caton le Jenne, dont rien ne rappelle le suicide: 1' allusion en 3.40 en fait
plutôt un personnage vivant. Enfin, 11 est notable que le traité ne corn-
porte pas la moindre mention ni même allusion concernant César on a sa
legislation.
Ce que nous savons de la biographie des participants au dialogue a
aussi influence les ddbats. En vertu de la lex Pompeia de prouinciis 37 et
de la phase transitoire qu'elle prévoyait avant que les consuls et prdteurs
récemment élus pussent de nouveau partir gouverner les provinces en
ayant respecté le délai prescrit, Cicéron dut accepter le gouvernement de
Cilicie, lui qui n'avait pas souhaité assumer un commandement provin-
cial a l'issue de son propre consulat. Rien dans la correspondance n'ac-
crédite l'idée que la redaction du De legibus aurait pu se prolonger
durant cette période d'eloignement et de charge administrative. Or la
conespondance avec Atticus, d'autant plus fréquente que les deux horn-
mes sont éloignés durant les années 51-50, eilt probablement recueilli
l'dcho du travail en cours Si Cicéron avait parallèlement poursuivi la
redaction du De legibus. Une seule lettre 38 de la période cilicienne a été
mise en parallèle avec le traité: la mention du différend entre Théo-
phraste et Timée concernant l'existence même de Zaleucos pourrait être
une reminiscence du passage 2.15, et plus largement, du traité récem-
ment compose 39 . Les savants ont aussi tire parti de la biographie de
Quintus, absent de l'Italie en 52 et 5140, pour contester une date de com-
position haute.
Outre les allusions a des personnages, vivants ou morts, les commen-
tateurs ont accordé une attention a la coherence même des euvres cicé-
roniennes. En 2.32, Cicéron admet l'existence de divinités et surtout la
possibilité de tirer parti des présages qu'elles sont réputées envoyer aux
hommes (posse nobis signa rerum fliturarum ostendere). Une telle
concession serait difficilement comprehensible si le De legibus était pos-

Autres allusions dans Cic. Leg. 1.8, 2.6 et 3.22.


' D. C. 40.56.1. L'initiative de Pompée consistait a faire confirmer un décret de pen anthrieur.
Cic. A tt. 6.1.18.
RAWSON (The Interpretation, p. 128) est résolument acquise a cette interpretation.
40
Quintus était légat de Chsar en Gaule.
LA DIMENSION UTOPIQUE DU TRMTE CICERONIEN DE LEGIBUS 33

térieur an De diuinatione, qui dénie vigoureusement toute crédibilité aux


pratiques divinatoires. De même, quelques-unes des propositions du De
legibus ne sont guère compréhensibles si le traité est contemporain de la
dictature césarienne: ainsi le role dévolu aux pontifes en matière d'inter-
calation des mois (2.29) n'a plus de raison d'être après la réforme du
calendrier en 46; pareillement, les considerations sur les dépenses liées
aux tombeaux (2.60-69) et les excès du luxe funéraire sont oblitérées par
la legislation somptuaire de César4t.
Les éléments internes de datation réduisent ainsi la fourchette chro-
nologique, le dialogue est fictivement situé entre la fin de l'hiver 52 et le
debut de l'année 4842. Les commentateurs eux-mêmes Sont nombreux a
préférer le scenario qui place la composition du dialogue a la fin des
années cinquante, suivant en cela les conclusions les plus . argumentées
avancées par P. L. Schmidt 43 , dont l'ouvrage a recueilli une large appro-
bation 44 . Le savant élimine l'hypothèse de 46 et l'hypothèse 44/43, insis-
tant sur le fait que le dialogue est un dialogue du temps present - sur le
modèle péripatéticien - qu'il prolonge le De republica, lequel fut diffuse
an printemps 51. En revanche, le traité n'aurait toujours pas été publié en
44 et, s'il le fut bien, probablement le fut-il de façon posthume45.
Schmidt considère comme improbables pour une période postérieure a la
guerre civile et contemporaine de la dictature césarienne, des allusions
marquees aux méfaits de Clodius, on l'estime que portent, de facon
appuyée, Marcus et Quintus Cicéron envers Pompée. De même, les allu-
sions en 1.12 an labeur qu'occasionne pour Marcus la vie des tribunaux,
seraient totalement décalées si le traité était place sous la dictature de
César.

Cette legislation est mentionnhe par Suet. Div. Jul. 43.3 et D. C. 43.25.2. Cf. Z. YAVETZ, Caesar
in der Offentlichen Meinung, Düsseldorf 1979, (cite dans la version francaise, César, des limites du cha-
risme enpolitique, Paris 1990, p. 174-176).
42 Pour une approche synthetique et raisonnée de la bibliographie sur la datation du traité, cf.
N. MARINONE, Cronologia ciceroniana, 2a edizione aggiornata e corretta da E. MALASPINA, Rome-Bob-
gne 2004, spec. p.277.
a p L. Scuivimr, Die A bfassungszeit von Ciceros Schr(ft Uber die Gesetze, Rome 1969.
44
Notamment A. HENTSCHKE, Zur historischen und literarischen Bedeutung von Ciceros Schrft De
legibus, Phibologus 115, 1971, p. 118-130, spec. p. 118-120; RAWSON, The Interpretation, p. 126-127;
Feaa.s.ey , Le idee politiche, p. 774-775; GU4ARDET, Die Ordnung der W elt, p. 1-3; M. FUHRMANN, Cicero
und die römische Republik. Eine Biographie, Munich-Zurich 1999 (1989), p. 164-165; PERELLI, JI pen-
nero politico, p. 113; FONTANELLA, Introduzione 1, p. 488, n. 5.
Presque tous les commentateurs ont relevé l'absence du De legibus dans la liste de ses muvres
a
dressee en 44 par Cichron Iui-même (De diuin. 2.1). La majorité des savants incline donc penser que
l'ceuvre n'a pas ete publiée. L'hypothhse de R. Reitzenstein, selon qui le De legibus aurait ete publié en
mhme temps que les Philippiques dans le cadre d'une polemique contre Antoine, a été fermement rejetee
en particulier par C. W. Ke yes, Did Cicero complete the De legibus?, AJPh 58/4, 1937, p. 403-417, spec.
p.403. ROBINSON (Did Cicero complete the Dc legibus?, p. 112) admettait que le traité, commence après
novembre 44, avait ete repris et complete an moment de la lutte contre Antoine, quand Cicéron etait a la
tête du parti senatorial mais que la situation était devenue si désespérante a partir du milieu de l'année 43
qu'il aurait renonce a toute forme de publication.
34 SYLVIE PIflTIA

Un petit groupe de savants a toutefois soutenu l'hypothèse d'une


interruption puis d'une reprise du travail sur le traité, élaboré vers 52-51
puis complété durant la guerre civile on même jusqu' en 46. Les tenants
de ce scenario se situent dans la lignée de R. Reitzenstein 46 , qui, le pre-
mier, mit l'accent sur une lettre adressée a Terentius Varron 47 évoquant
un projet de traité philosophique en avril 46, et interprétée comme la
remise en chantier du De legibus, faute de pouvoir encore jouer un role
effectif dans la vie politique. Les partisans de cette lecture isolent les
livres 2-3, rédigés a la fin des années cinquante, du livre 1, tout spéciale-
ment du développement consacré a la loi naturelle, qui serait compose
postérieurement. K. Btichner 48 , lui aussi très attentif a distinguer des
strates de composition dans l'ouvrage, penchait pour un scenario de
composition en plusieurs temps, avec des additions mais, comme le fai-
sait observer B. Rawson, la date même de ces ajouts et les incohérences
qu' ils introduisent ne sont pas précisément datables49.
Plus radicale était la these soutenue aux origines par Chapman
(1741) puis par C. W. Keyes 5 ° et surtout par E. A. Robinson, dans une
série d'articles publiés immédiatement après la deuxième guerre mon-
diale 5t . Le savant américain placait la redaction entre décembre 44 et
mai 43, donc après la mort de César et admettait la publication de l'u-
vre peu après la mort de Cicéron. Ii prenait essentiellement appui sur le
silence de la correspondance echangee entre Marcus et Atticus entre la
fin des années cinquante et le milieu des années quarante, sur un passage
assez elliptique du Brutus et sur un fragment de Cornelius Nepos 52 . Ii
esquissait quelques parallèles entre le De legibus et les Orationes Philip-

46
Dans sa dissertation publiée a Marburg en 1894.
° Cie. Fam. 9.2.5: erit enim nobis honestius, etiam cum hinc discesserimus, uideri uenisse in illa
loca ploratum potius quam natatum. Sed haec tu melius, niodo nobis stet illud, una uiuere in studiis
nostris, a quibus antea delectationem modo petebamus, nunc uero etiam salutem; non deesse Si quis
adhibere uolet, non modo Ut architectos uerum etiam utfabros, ad aedijficandam rem publicam, etpotius
libenter accurrere; si nemo utetur opera, tamen et scribere et legere TroX iTeLac, et, si minus in curia
atque inforo, at in litteris et libris, ut doctissimi ueteresfecerunt, nauare rem publicam et de moribus ac
legibus quaerere.
48
K. BUCHNER, Sinn und Enstehung von de legibus, A tti del I. congresso Internazionale di Studi
Ciceroniani (Roma, aprile 1959), vol 2, Rome 1961, p. 81-90, spec. p. 81. Sembable argumentation est
reprise par K. BUCIINER dans Cicero, Bestand und W andel seiner geistigen W elt, Heidelberg 1964, p. 233-
238.
RAWSON, The Interpretation, p. 129.
° Kovos, Did Cicero complete the De Legibus?, p. 403-417. Le titre de Particle est identique a
celui que choisit ROBINSON en 1943 (voir infra note 51).
E. A. ROBINSON, Did Cicero complete the De legibus?, TAPIIA 74, 1943, p. 109-112. L'auteur a
consacrb ala question une these, que je n'ai pas Pu consulter: The Date of Cicero's De legibus, Diss. Har-
vard, 1950.
52
Cie. Brut. 15. Sur ce passage, voir B. A. ROBINSON, The Date of Cicero's Brutus, HSCP 60,195 1,
p. 137-146, spec. p. 138 et notes p. 143-144. Le fragment de Nepos [,r Peter, HRR, 2, p. 40, n°17] est cite
et surtout commenté par E. A. ROBINSON, Cornelius Nepos and the Date of Cicero's De legibus, TAPhA
71, 1940, p. 524-531.
LA DIMENSION UTOPIQUE DU TRMTE CICEROMEN DE LEGIBUS 35

picae. M. Ruch 51 s ' est également situé dans cette perspective, considé-
rant que Cicéron aurait commence son ceuvre après novembre 44 - sans
exciure qu'il ait Pu commencer des 46 - et l'aurait terminée quand ii
mène au sein du Sénat sa lutte acharnée contre Antoine. Ruch n'excluait
pas toutefois que Cicéron elit préféré une fiction intemporelle 54 , pour
que son traité ne prIt point trop l'apparence d'un manifeste politique.
Plus récemment, A. Grilli 55 a redonné credit a ce scenario d'une compo-
sition tardive, malgré les multiples prises de position en faveur des the-
ses de Schmidt. Ses arguments méritent d'être rappelés.
Grilli considère que Cicéron a été contraint de renoncer a la concep-
tion d'un Etat excellent et stable qu'il avait défendue dans le De repu-
blica, et qui était largement fondée sur son vieil ideal, la concordia
omnium bonorum. Considérant que l'Etat souhaité par Cicéron n'était
précisément pas un Etat utopique, Grilli accentue l'infléchissement que
les défaites des Pompéiens a Pharsale puis Thapsus ont imprimé a la
réflexion cicéronienne. Sans avoir jamais été un fervent partisan de
Pompée, Cicéron ne pouvait plus croire en César. Faute de pouvoir s'im-
pliquer concrètement dans les affaires de l'Etat, comme le rappelle la let-
tre a Varron, ii lui restait possible de réfléchir sur les lois, par l'étude et
sous une forme littéraire. Grilli verse au dossier un passage du discours
Pro Marcello, que ses prédécesseurs avaient neglige 56 . C' est en se fon-
dant sur 1' expression rem publicam constituere, que Griii soutient l'idée
d'un projet de reconstruction politique, lie a Thapsus, signal d'une
défaite irréductible des Pompéiens et de la nécessaire reconstruction
politique. Si le projet de Cicéron était bien de donner une suite au De
republica, conformément au modèle platonicien, le prolongement que
constitue le De legibus n'a pas du tout le même sens s'il est élaboré en
46, en un temps oii César n'a plus de rivaux politiques et oui il est devenu
le premier personnage de l'Etat, sans partage. Selon l'expression de
Grilli, 1'Etat a un princeps même s'il West pas conforme au modèle que
Cicéron en avait donné. César est un primus mais ii ne se situe pas inter
pares 17 . Le passage du Pro Marcello invitant César a donner une consti-
tution a 1'Etat pourrait alors annoncer le modèle que propose Cicéron
dans le De legibus. Cicéron aurait redige pendant la dictature de César
une constitution qui faisait référence au mos maiorum, en modernisant

51 M. Rucu, La question du De legibus, LEC 17/1, 1949, p. 3-22.


RUCH, La question, p.20, citant Q.fr. 3.5.1.
A. GRILL!, Data e senso del De legibus di Cicerone, PP 45/3, 1990, p. 175-187.
56 Cic. Marc. 27: Haec igitur tibi reliqua pars est; hic restat actus, in hoc elaborandum est ut rem
publicam constituas, eaque tu in primis summa tranquillitate et otio perfruare (le propos est adressé a
César). Le passage est utilish par Ruch, mais ii le comprend dans la logique d'un De legibus préalable-
ment rhdigh. Grilli l'interprète dans la logique d'un traité peut-htre en projet, en tout cas a venir.
GRILLI, Data e senso, p. 176.
36 SYLVIE PITTIA

son interpretation. Ce serait le signe de la sympathie que, par delà leurs


divergences politiques, Cicéron manifestait envers César, homme de
culture, alors qu'il nourrissait une antipathie personnelle envers Porn-
pee 58.
L' autre argument de Grilli consiste a mettre 1' accent sur 1' expression
utilisée dans la lettre de Cicéron a Varron 59 , de moribus et legibus quae-
rere. Si le pluriel, commun a Cicéron et Platon, pousse plutôt a envisa-
ger le livre comme une constitution concrete et non une pure réflexion
sur la loi, Grilli souligne aussi que l'usage de mores et son association
avec leges est une originalité romaine 60 . Les mores n'dtaient pas le sujet
de Platon. En étudiant conjointement mores et leges - si bien sür la let-
tre a Varron est une référence au traité De legibus - Cicéron sort de
1' abstraction et ancre sa réflexion dans les réalités romaines.
Enfin, Grilli considère comme improbable que Cicéron ait fait coIn-
cider le temps du dialogue et celui de la composition, ce qui dcarte tous
les arguments qu'on peut tirer de la biographie des participants. Tout
ceci conduit le savant a placer la redaction entre avril et novembre 46
(sans qu'il y ait reprise de la tâche en 44).
L' article de Grilli, a condition que ses prémisses soient justes, aurait le
mérite de donner sens a la redaction d'un bloc constitutionnel tel qu'on le
lit dans le De legibus, et cet ensemble s'opposerait aux lois de César, vues
cormne une série de lois de circonstances, sans plan d'ensemble. A leur
caractère circonstanciel, Cicéron opposerait un vrai schema constitution-
nel. Le souvenir de Sylla, qui a volontairement démissionné du pouvoir,
pouvait laisser croire a certains hormnes politiques que César mettrait
volontairement un terme a l'exercice de la dictature, et qu'il affronterait au
préalable la question du relèvement constitutionnel 6t . Quelques mois plus
tard, dans le Pro Ligario (prononcé en septembre 46 mais publié en mai
45), la principale qualite de César est la dementia 62• Cette vertu est celle
du monarque de tradition hellénistique, ce West pas l'image premiere du
princeps selon Cicéron. Auguste, lui, associe la dementia a la notion de
principat, mais il ne fait pas l'économie d'une refondation institutionnelle.
L'originalité du traité De legibus serait alors d'être non point une constitu-
tion destinée ala communauté civique, mais un traité visant a persuader un
homme de refonder politiquement l'Etat sur des bases morales. L'illusion
de Cicéron, conclut Grilli, a été de croire un moment que les traités de phi-
losophie politique peuvent infléchir les dictatures63.

Gitu.u, Data e senso, p. 184.


9
Cf. supra note 47.
60
Pour une utilisation au singulier, cf. Ter. A ndr. v. 879-880.
61
Cie. Marc. 23,27et29.
62
Cie. Lig.6, 10,15,19,29 et 30.
61
GRILLI, Data e senso, p. 187.
LA DIMENSION UTOPIQUE DU TRAITE CICERONIEN DE LEGIBUS 37

L' interpretation du savant italien a des aspects séduisants. Bile situe


1' ceuvre dans le contexte de la littérature parénétique. Là oü Salluste écrit
une lettre a César sur la conduite de l'Etat, Cicéron écrivait un traité sur
les leges. Sur la forme, le traité semble plus general, tourné vers la corn-
munauté civique. En réaiité, ii est peut-être, comme ialettre (et on songe
là encore au précédent Platon v/ Denys l'Ancien), un exercice de persua-
sion ad hominem. Si cette hypothèse était avérée, que resterait-il de la
dimension utopique? Pas grand chose. Le De legibus constituerait une
des dernières utilisations du dialogue philosophique polyphonique, mais
A des fins qui annoncent l'évolution de la forme dialoguée en un sens
qu' illustre, par exemple, un bon siècle plus tard, Sénèque. Il ne s ' agit
plus seulement pour Cicéron de faire dialoguer des écoles de pensée,
mais aussi de convaincre un destinataire en particulier. La question
même de la publication du texte se poserait, elle aussi, tout différem-
ment. Sans renoncer a écrire pour ses contemporains témoins de la des-
agrégation du régime, Cicéron écrirait d'abord pour celui qui pourrait
encore avoir le pouvoir de le transformer.
La date de composition, on le voit, pèse lourdement sur l'interpretation
du traité. Ii Wen demeure pas moms que l'hypothèse d'une datation basse,
Si elle ouvre vers des interpretations rénovées du texte, repose sur des
arguments ténus: essentiellement une lettre de Cicéron a Varron et une
allusion du Pro Marcello. Le scenario d'une redaction en deux temps eSt
lui aussi fragile, le répérage des strates rédactionnelles,;des contradictions
intemes ne permet pas de dire combien de temps s'est écouié entre ces
retouches discordantes. L'absence de toute référence a Césr, a la guerre
civile, a la dictature telle qu'il Fa pratiquée, peut inciter fortement a reve-
nir aux theses classiques d'une redaction placée a la fin des années cm-
quante. Dans ce cadre, qu'y avait-il d'utopique dans le De legibus?

Le traité a-t-il une période historique de référence ou se projette-t-il


vers un futur Etat?
La volonté de presenter un ensemble qui depasse les contentieux du
quotidien (1.14) n' est pas séparée du souci d' ancrer la réflexion dans le
cite, le droit public (ius ciuile). L'ambition cicéronienne rejoint, au
moms sur les objectifs, les tentatives qui ont été menées - avec une ins-
piration politique différente - depuis Sylla, et qui reposent sur une
volonté de codification du droit romain 64• Par certains côtés, la période

C'est dans le sens d'un code de droit public, de <<constitution>>, que le traité est interprété par
C. W.Keyns, Original Elements in Cicero's Ideal Constitution, A JPh49, 1921,p. 309-323, spéc.p. 309-312.
38 SYLVIE Pfl1IA

historique de rdférence ne sembie pourtant pas correspondre a l'apogée


de la carrière politique de Cicéron, mais plutôt a la période pré-sylla-
nienne On le voit en particulier du fait que les consuls exercent les
grands commandements militaires, sans qu'on voie apparaItre des pro-
magistrats aux pouvoirs prorog6s 65 . Dans le même ordre d'idées, les pré-
teurs sont principalement tournés vers des tâches de juridiction civile,
sans que les tribunaux permanents soient mentionnés et sans qu'ils
soient associés aux commandements provinciaux 66 . La préférence mar-
quée pour les iudicia p0puli 67 a même pam être une proposition rétro-
grade, dans la mesure oit la creation de tribunaux permanents permettait
la tenue simultanée de piusieurs procès, tribunaux dans lesquels les
contraintes de durée étaient moms fortes que devant les assemblées
populaires - oit un procès ne pouvait raisonnablement guère durer plus
de quatre jours. Ii se pourrait aussi que les acquittements ou condamna-
tions entachés de scandale, qui s 'étaient multiplies des la creation des
quaestiones perpetuae, aient poussé Cicéron a un retour vers des comi-
ces jugés moms accessibles ala corruption. Ainsi, en 3.6 et 3.27, ii West
jamais question de jury, seul le préteur a en charge la juridiction, le peu-
pie est souverain pour determiner les peines et ii l'est aussi en cas d'ap-
pci —proposition qui peut passer pour un retour a une justice archaique68.
D'autres dispositions genérales résonnent aussi comme des souve-
nirs historiques. Ainsi en va-t-il des instructions données aux censeurs
pour lutter contre le célibat. Sans doute est-ce une reminiscence des dis-
positions prises en 131 par Q . Caecilius Metellus Macedonicus 69 . De la
même facon, les obligations d'intervalle décennal pour i'itération d'une
même magistrature ou les conditions d'âge (3.9) reflètent le souvenir de
la lex V illia A nnalis. L'évocation du pouvoir de coercitio dont peuvent
user les consuls en cas de crise grave semble bien une reminiscence du
consulat de Cicéron lui-même. Ainsi l'absence de droit de prouocatio
aux armées (3.6) peut aussi être lue comme une defense a posteriori de
l'exécution des Catiliniens déclarés hostes publici dans le cadre du sena-
tus consultum ultimum de l'année 63 70• 11 avait de toute evidence autant
d'avantages que d'inconvénients a placer le dialogue soit dans un passé
éloigné soit dans la contemporanéité. Dans un cas, Cicéron excluait la
possibilité d'enrichir son argumentation par des exemples empruntés a
l'histoire récente. Dans l'autre cas, ii pouvait froisser des susceptibilités

65
Cie. Leg. 3.9: ex urbe exeunto, duella iusta iuste gerunto [...].
66
Cie. Leg. 3.8.
67 Cie. Leg. 3.6:

68 RAWSON, The Interpretation, p. 147-148. Cichron pourrait tout simplement, sans condamner
absolument les quaestiones perpetuae, les avoir considhrhes comme impropres a un Etat ideal.
n Periocha 59.8-9. Ce sont ces dispositions dont s'inspire Auguste, cf. Suet. A ug. 89.5.
70 FCRRARY, The Statesman, p.70-71.
LA DIMENSION UTOPIQUE DU TRAITE CICERONJEN DE LEGIBUS 39

par des allusions a des événements ou des conduites que ses lecteurs eus-
sent facilement associés a tel on tel individu, voire a l'autojustification
de sa pratique comme consul".
Pourtant, Cicéron utilise bel et bien les institutions romaines et le
mos maiorum comme base pour ses propositions, d'oü les citations nom-
breuses des Douze Tables par exemple 72 . Mais ce qui ressort, c'est plu-
tot l'influence de l'histoire récente sur les propositions cicéroniennes:
ainsi la volonté d'accroItre les pouvoirs du Sénat dans la designation
d'un dictateur ou l'intention de diminuer le nombre des s6nateurs73,
l'obligation faite aux sénateurs d'être presents et experts dans la connais-
sances des affaires de l'Etat (3.11 et 41), on encore la minoration du rOle
des questeurs sont plutOt l'écho d'un bilan des années post-syllaniennes
qu'une approche prospective des institutions. La difficulté a trouver des
hommes politiques exercant correctement les tâches de la questure - dif-
ficulté dont Plutarque s'est fait 1'6cho 74 - pourrait expliquer les proposi-
tions tendant a différer dans la carrière le moment de leur pleine intégra-
tion au Sénat. De même l'imputation an président de séance de la res-
ponsabilité des troubles dans les assemblées (3.11 et 3.42) - ce qui est en

71
KEyes, Did Cicero complete the De legibus?, p. 405.
72
Cie. Leg. 1.57 (allusivement); 3.19; 3.44.
Ce point fait débat car, en 3.10 le texte n'indique pas explicitement un abaissemetit des effectifs
du Sénat. Certains savants (en particulier KEYES, Original Elements, p. 313-314), ont repoussé I'hypo-
these. La toute premiere phrase de 3.10 signifie-t-elle que tons les magistrats sont détenteurs du droit
d'auspices et du iudicium et deviennent automatiquement membres du Sdnat? On bien Cicéron pense-t-
ii seulement aux magistratEs maiores? Dans cc demier cas, l'entrée an Sénat se ferait apres avoir géré
l'édilité (c'est également ainsi que le comprend T. N. Mrrcimu, Cicero the Senior Statesman, New
Haven 1991, p 60). Cette magistrature redeviendrait plus attractive, affaiblissant l'intérêt que les horn-
mes politiques pouvaient avoir a exercer le tribunat de la plèbe. Ou bien, Cicéron aurait voulu dire que
seuls les magistrats sont aptes a être designés sénateurs mais il aurait laissé aux censeurs le soin de sélec-
tionner parmi les anciens magistrats lesquels pouvaient entrer an sénat. KEYES repousse les deux premiè-
res interpretations an profit d'une troisième. En 3.17, Cicéron laisse entendre que les censeurs ne peuvent
pas prendre de sénateurs en dehors de la liste des anciens magistrats. Cette proposition est une sorte de
compromis entre la tradition et les réformes sullaniennes, faisant place an choix des censeurs mais dans
les limites du vivier des anciens magistrats. Les § 3.7, 10ct29 poussent a recruter les remplacants en cas
de vacance parmi les anciens magistrats de rang élevé. D'autres savants comprennent plus simplement
que la questure n'ouvrirait plus les portes du Sénat et que seuls les magistrats pouvant prendre les auspi-
ces majeurs accèderaient an Conseil. RAWSON (The Interpretation, p. 143) n'exclut pas que Cicéron ait
considéré l'effectif senatorial de son époque comme trop hlevé et alt voulu que le Sénat flit réservé a des
hommes expérimentés, ayant done ghrh plusieurs magistratures. Mais, comme die le faisait rernarquer
elle-même, une telle disposition cOt rendu le Conseil moms représentatif des classes dirigeantes car nom-
bre d'Italiens et d'hommes nouveaux (au sens étendu) ne dépassaient pas l'étape de la questure. PERELLI
(Il pensiero politico, p. 132) interprète le texte comme signifiant que seuls les magistrats qui ont détenu
les magistratures majeures (au sens de celles qui possèdent le droit d'auspices) entrent an Sénat. Cette
lecture implique, outre l'exclusion des questeurs, la disparition du droit de designation conjointe par les
censeurs, source de favoritisme et clientélisme, même sila completion du Sénat par des non-magistrats
avait été bee a des circonstances ponctuelles (Cf. 3.27 et sur la cooptatio censoria, KEYES, Original Ele-
ments, p.3!4; FONTANELLA, Introduzione 2, p. 185-186).
Plut. Cat. mm. 16.3.
40 SYL VIE PITIA

soi une nouveaut6 75 - pourrait bien être directement une marque de i'm-
fluence exercée par Crassus 76 . Le traité prendrait en compte les avis
d'hommes politiques contemporains, ii ne se couperait pas du débat
public, du moms pas des opinions émises par les milieux dirigeants, ni
des logiques d' affinités politiques.
En tout cas, ii faut privilégier l'idée que Cicéron n'a pas choisi une
période historique precise comme point de référence, ni même la période
contemporaine comme repère. Sa perspective, comme le suggère a juste
titre A. Lintott 77 , n'est pas de reproduire la <<constitution>> romaine de
telle ou telle période historique, mais de proposer un ensemble coherent
de lois, qui éviterait a la res publica de connaItre corruption et dégéné-
rescence. Cicéron, dans son tableau des magistratures au livre 3, ne
paraIt tenu par aucun respect d'une réalité historique, par aucune chrono-
logie réelle. Des lors, ses interlocuteurs - et plus encore ses lecteurs -
hésitent sur l'historicité ou l'intemporalité des propositions 78 . Cicéron
admet lui-même ne rien proposer de vraiment neuf79.
Cet ancrage dans l'histoire des lois et des pratiques institutionnelles
de Rome est d'ailleurs bien plus net dans le De legibus que ce que nous
entrevoyons dans la partie conservée du De republica. Et de fait, l'idée
même d'un princeps proche de l'idéal type du monarquesemblait sans
doute aux contemporains bien plus éloignée d'une evolution acceptable
du régime républicain que ne le sont les propositions du De legibus, plus
proches de l'existant 80• Peut-on pour autant negliger les propos du traité
qui envisagent expressément l'avenir? A la difference du De republica,
situé fictivement dans la Rome historique du lie siècle, évitant donc tout
sujet d'actualité, le traité De legibus envisage expressément l'avenir: en
3.29 et 3.37 par exemple, Marcus écarte l'idée qu'il s'agisse du Sénat
contemporain et de ceux qui le composent a son époque, son discours
s'adresse explicitement a la postérité (3.29: defuturis 1...] haec habetur
oratio). Réfutant le catalogue des lois existantes (3.37: non recognosci-
mus nunc legespopuli Romani) , Cicéron se propose soit de retrouver cel-

KEYES souligne l'innovation que constitue cette reponsabilisation du président de séance (Origi-
nal Elements, p.315).
C'est ce que defend B. RAWSON, L. Crassus and Cicero: The Formation of a Statesman, Proc.
Camb. Philol. Soc. 197, 1971, p. 75-88 (repris dans Roman Culture and Society, Oxford 1991, p. 16-33
et cite dans cette edit ion), voir spec. p. 31.
A. LIN'rorr, The Constitution of the Roman Republic, Oxford 2003 (1999), p.228.
78
Cf. les remarques de Quintus, Leg. 3.12: ea (descriptio) paene nostrae ciuitatis, etsi a te paulum
adlatum est noui.
Cic. Leg. 3.12: nihil habui sane ant multum quodputarem nouandum in legibus.
80
Comme le fait remarquer, après d'autres, RAWSON (The Interpretation, p. 141-142), ii y a contra-
diction entre la théorie du princeps que les commentateurs ont dégagée du De republica, et I'affirmation
cicéronienne selon laquelle le De legibus serait la continuation de ce mbme traité. Ii n'y a pas de yenta-
ble articulation théorique sur ce point entre les deux ouvrages.
LA DIMENSION UTOPIOUE DU TRAITE CICERONIEN DE LEGIBUS 41

les qu'on aurait fait disparaItre, soit d'en écrire de nouvelles (aut repeti-
mus ereptas <leges>, aut nouas scribimus). Le rapport a l'histoire est
done dynamique t1 .: elle est une collection d'exemples qu'on pent aller
rechercher an besoin mais la pensée cicéronienne n'est pas figee dans le
passé 82 Cicéron s ' est situé face a 1' avenir dans la mesure oi ii present
un ensemble de lois - quand bien même certaines sont pen on prou des
lois existantes - dont la mise en application assurerait la pérennité de la
respublica. En même temps, ii ne crée pas une constitution nouvelle, ne
semble supprimer aucune caractéristique majeure des institutions de son
époque - rappelons qu'au pnintemps 44, Antoine, lui, supprime la dicta-
ture t3 . Ii pouvait y avoir dans ce choix cicéronien une dimension tacti-
que, dans la mesure oü la recherche des nouveautés en général attachait
un préjugé défavorable a l'auteur des propositions 84• Cicéron avait inté-
ret, pour convaincre, a paraItre plutôt conservateur et respectueux du
mos maiorum, sans nisquer que ses propositions fussent assimilées a des
res nouae. A la limite, ii importe pen que Cicéron se soit inscrit dans une
logique de restauration on dans une logique de construction nouvelle:
dans Fun et 1' autre cas, la dimension utopique de la démarche, qu ' elle ait
été entreprise pen après cet inédit institutionnel que constitue le consulat
dePompée, on pendant la dictature césarienne, reste forte.
Une des caractéristiques que Cicéron assigne aux Lois par excel-
lence, qu'il s'agisse de celles puisées dans le droit naturel on de celles
héritées de la tradition (3.49), c'est que leur est assigné un caractère irré-
vocable (2.14: nequi tolli neque abrogari potest), elles sont faites pour
1' éternité 85 . Les meilleures lois ne sont done pas celles qui peuvent être
appliquées malgré les changements du monde et être adaptées aux cir-
constances fluctuantes. Cette intangibilité doit être réinscrite dans la
théorie du traité et le modèle retenu du droit naturel. Le fondement de
cette affirmation pent We la volonté de soustraire la loi a l'utilitarisme.
Ii masque mal, toutefois, les intérêts de classe qui traversent 1'uvre

81
Je ne partage pas l'analyse de G. DE PUNvM. (praef. de l'édition C.U.F, Paris, 1959, p. LI), qui
lit la constitution du De legibus cornme nun retour an passé>>, comme <<le retour an régime qui, en portant
la republique a son apogee, a donné les preuves de sa valeur avant que la crise des Gracques et l'insurrec-
tion italienne n'en fissent éclater les faiblesses>>.
82 J. BERANGER, Ciceron precurseurpolitique, Hermes 87, 1959, p. 103-117, spec.
p. 106-107 et
115. V ide contra M. WHEELER, Cicero's Political Ideal, Greece & Rome 21/62, 1952, p. 49-56, spec.
p. 54; et surtout MITCHELL, Cicero the Senior Statesman, p. 58: le biographe met an contraire en relief
l'esprit conservateur de Cichron dans le De legibus, sa logique de restauration d'un régime traditionnel.
Les lois ne sont que la reprise de I'existant et le seul élément d'innovation tient a l'insistance sur la natu-
re morale des dieux et le lien fort entre religion et morale.
83
App. BC 3.25/94; D.C. 44.51.2; Periocha 116.7.
PERELLI, Ii pensiero politico, p. 130.
85
Le theme de la diuturnitas rei publicae était déjà très present dans le De republica, voir FEREA-
p.'z, The Statesman, p.71. -
42 SYLVIE PITFIA

cicéronienne, en posant que les sympathies idéologiques de Cicéron ont


une valeur générale applicable aux lois de Rome. Mais ce choix de l'im-
mutabilité laisse pendantes encore d'autres difficultés. D'abord ii laisse
ouverte la question des lois nouvelles: de facon purement negative, le
principe d'intangibilite des lois encourage 1' intercessio t6 et surtout 1' ob-
nuntiatio t7 pour se prémunir de mesures nouvelles réputées mauvaises
(3.42-43). Cette intangibilité affaiblit paradoxalement la portée même du
traité parce qu'elle incite a l'obstruction systématique.
La question de savoir quelle extension territoriale Cicéron entendait
appliquer a ses lois reste egaiement posée. Un passage du livre 2 accré-
dite l'universalité territoriale du De legibus t8 . On sait que, peu de temps
avant l'epoque de la redaction du De legibus, Pompée avait impose des
modèles institutionneis romains dans la Bithynie qu'il venait de conqué-
rir t9 . Girardet, dans sa monographie, répond implicitement a la question
de l'extension territoriale des lois cicéroniennes des le titre, die Ordnung
der W elt, soutenant i'idée qu'il ne s'agit pas seulement de perfectionner
les lois des Romains, mais d'éiaborer un ensemble applicable a toute la
sphere de l'imperium Romanum. Ii y a là une nouveauté dans le traité,
celle qui consiste a considérer les lois de Rome comme applicables a
toutes les autres communautés du monde, précisément en vertu de leur
lien avec le droit naturel 90 . Pourtant, la nuance apportée en 3.4 (leges
damus populis liberis) peut faire douter que la pensée cicéronienne ait
revêtu une dimension cosmopolite: Perelli 91 considère la lecture <<cos-
mopolite>> du traité comine une derive des modernes. Cicéron pouvait-il
avoir en tête les populations sujettes de l'empire on seulement les peu-
pies libres aux marges du monde romain? Les lois proposées dans le
traité ne peuvent guère passer pour des lois applicables a i'humanité.
Elles sont plutôt destinées aux populi liberi, c'est-à-dire a ceux qui
échappent a la gouverne d'un monarque, aux peuples qui sont tout sim-

86
Sur le role salvateur de l'intercessor,cf. 3.11, ob ii apparaIt que l'intercession West pas exciusi-
vement réservée aux tribuns, mais a tout citoyen soucieux du salut de l'Etat (cc qui pent paraltre Comme
une justification a posteriori des intitiatives prises pour éliminer les Gracques, entre autres). Voir aussi la
mention des <<retards bienvenus>> en 3.27 (probabiles morae) , allusion aux procedures d'obstruction liées
an droit d'auspices.
87
PERELLI (II pensiero politico, p. 128-129) relève que les exemples de lois mauvaises dont Cicé-
ron vante l'annulation sont précisbment des lois auxquelles les augures ont fait obstacle, comme cc fut le
cas pour la lex Titia agraria de 99 on les leges Liviae de 91. Voir Cie. Leg. 2.14 et 2.31. C'est contre ces
abus de l'augurat que Clodius avait tenté de réagir, cf. D. C. 38.13.3-38.14.2.
88
Cic, Leg. 2.35: non enim populo Romano, sed omnibus bonis jirmisque populis leges damus.
Signalons deux allusions indirectes a cette universalitb des lois en 1.57 et 3.4.
89
Ces dispositions imposées aux cites bithyniennes se dhduisent de Plin. Epist. 10.112, 10.114 et
10.115.

Même idée chez RAWSON, The Interpretation, p. 134-135.
' PERELLI, 11 pensiero politico, p. 125-126.
LA DIMENSION UTOPIQUE DU TRAITE CICERONIEN DE LEGIBUS 43

plement organisés dans une respublica, qu'elle soit aristocratique ou


democratique ou mixte92.
Parmi les mesures nouvelles, figure 1' extension du délai reel d' exer-
cice de la censure. Une des hypotheses possibles - certes hardie, et qui,
je crois, n' a pas été avancée jusqu' a present - serait que cette extension
soit rendue nécessaire non seulement par la volonté d'accroItre les pou-
voirs mêmes des censeurs, mais qu'elle pourrait correspondre a la prise
en compte de la nouvelle terntorialite de la cite romaine Si dans la cite
des origines, ii était possible de réaliser l'ensemble des operations du
census en dix-huit mois du fait de la proximité géographique entre le
centre civique et la residence de la majorité des ciues, ii West plus tech-
niquement possible de faire venir a Rome en peu de semaines ou même
de mois les membres du corps civique. La proposition cicéronienne
pourrait être une option distincte de la solution qui consisterait a tranfé-
rer a l'échelon municipal les operations de cens: Cicéron serait alors
resté fidèle a l'esprit originel de la censure, concue dans une optique cen-
tralisatrice, tout en l'adaptant a l'accroissement du corps civique. Mais
c'est là pure conjecture et aucun passage du texte n'accrédite formelle-
ment cette interpretation.
Quoi qu'il en soit, l'extension de la durée des tâches censoriennes,
s ' accompagne d'une redefinition elargie de leurs pouvoirs. Des fonc-
tions dont lä nature est empruntée a l'heritage institutionnel des cites
grecques sont assignees aux censeurs (3.11 et 46-47). Ils deviennent res-
ponsables de la légitimité des lois, doivent recevoir les redditions de
comptes de tous les magistrats a leur sortie de charge" et rendre un avis
préliminaire sur les decisions officielles. Les censeurs deviennent les
gardiens des lois 94 , les vop.oXaKEc: cette proposition, en elle-même,
sous-entend l'existence possible de violations de la loi, d'illegalites
commises par des responsables officiels. Elle est grecque dans son
esprit, elle soumet la sphere publique a une exigence de moralisation,
tant dans la dimension publique que privée de 1 'existence, elle fait peser
sur les homines politiques des exigences et, plus encore, des menaces de
vraies sanctions.
Cicéron laisse entendre en 2.14 que, contrairement a celles
qu' avaient redigees pour la Grande Grèce Zaleucos et Charondas, les
lois proposées pounaient être d'abord écrites pour l'étude et le plaisir

92 GIRARDET, Die Ordnung der W elt, p. 161.


C'est la tradition de l'di9uva grecque. Sur ces aspects, voir KEYES, Original Elements, p. 316-
317; RA W SON, The Interpretation, p. 144-146; PERELLI, II pensiero politico, p. 134-135.
Sur le modèle des V%LO^6XaKE3 conçu par Demetrios de Phalhre, voir H. J. GEHEXE, Politik und
Philosophie bei Demetrios von Phaleron, Chiron 8, 1978, p. 149-193, spec. p. 152-162; Chr. HABICHT,
A then, Die Geschichte der Stadt in der hellenistichen Zeit, Munich 1995 (cite dans l'édition française
A thènes hellenistique, trad. fr. M. et D. Knoepfler, Paris 20062), spec. p.73.
44 SYLVIE PITHA

(studii et delectationis causa) 95 . De la sorte, ii semble admettre que son


traité West pas destine a la communauté civique du temps present, mais
A un corps civique futur, capable de vertu politique 96 . Si la remarque du
paragraphe 2.14 s'applique bien a Cicéron lui-même, la dimension uto-
pique du livre en serait renforcée. Rappelons enfin que la tension voire
la contradiction entre réalité et utopie sont rendues gerables par le choix
même de la forme dialoguée. Ainsi les divergences de vues entre les
deux frères, a propos des tribuns de la plèbe notarnment, permettent de
presenter un point de vue contrasté: là oü Quintus désapprouve l'aban-
don des mesures syllaniennes, Marcus defend les initiatives de Pompée
visant a rétablir le pouvoir des tribuns. Ii en est de même pour le débat
sur le vote secret. L'absence d'assentiment entre les interlocuteurs,
l'aveu de n'être pas convaincu permettent a l'auteur de conceder impli-
citement la faiblesse de certains arguments sans renoncer toutefois a les
faire valoir 97 . Cicéron West pas dans l'obligation de proposer une consti-
tution qui fasse consensus, ii ne se place pas dans la perspective de
convaincre une assemblée civique, de faire adherer largement a un pro-
jet politique et institutionnel qu'il faudrait traduire en actes. En cela, on
pent admettre qu'il est dans l'utopie. La polyphonie inhérente a la forme
dialoguee pourrait affadir cette dimension en ce que la contradiction du
du débat ne permet pas d'affirmer complètement une préférence et done
exciut toute normativité - or ii West pas vraiment d'utopie sans dimen-
sion normative. Le tableau que forment les lois religieuses (2.19-22) et
les lois politiques (3.6-11) constitue en fait le cceur de 1' expression nor-
mative et donne sa justification a une lecture du De legibus comme uto-
pie.

Conclusions
Tentons pour conclure de soupeser les éléments qui sont dans la
balance. Ceux qui font renoncer a une lecture du traité comme utopie
sont précisément tous les exemples historiques, y compris ceux emprun-
tés aux autres Etats ou royaumes 9t , mais aussi ceux de l'histoire

GIRARDET (Die Ordnung der W elt, p. 9 et n. 40) comprend le passage comme la volonté d'oppo-
ser Zaleucos et Charondas a Platon. Peut-on exclure l'hypothèse que Cicéron prenne une distance person-
nelle avec son traité et souligne aussi la difficulté d'une mise en pratique? S 'ii était écrit studiis et delec-
tationis causa, le De legibus en revétirait une dimention utopique accrue.
KEYES, Original Elements, p. 310.
n Cf. par exemple Cie. Leg. 3.26 (nO Quintus reçoit le renfort d'Atticus) et 3.37. Voir FERRARY, Le
idee politiche, p. 781 et 785.
98
Xerxès et les Perses (Cic. Leg. 2.26); lois de Lycurgue, de Solon, de Zaleucos et Charondas, avec
on intérêt moindre pour Sparte (2.39; 3.16) et Athbnes (2.35-36; 2.40; 2.59; 2.64-66; indirectement en
3.46 et 3.47) face a la Grande Grbce,jugee plus intéressante (2.14-15).
LA DIMENSION UTOPIQUE DU TRAITE CICERONIEN DE LEGIBUS 45

romaine 99 . Les éléments qui feraient pencher pour un ouvrage marqué


par l'esprit utopique sont associés au souci d'amenager les institutions
réelles pour les tirer vers la perfection: par exemple l'idée que les cen-
seurs resteraient vraiment en place cinq années (3.7), la volonté de faire
respecter les lois sur 1 'iteration et les intervalles entre les magistratures
(3.9), la procedure de vote libre mais surveillé par les bons citoyens
(3.10), le respect des auspices et la requête de l'incorruptibilité des
magistrats (3.11), le role repensé des tribuns de la plèbe (3.19-26) etc.
Sans doute la dimension utopique la plus probante est celle du para-
graphe 3.29 qui contient les promesses de développer la formation et
l'éducation (educatio et disciplina). Cicéron veut parler non de homini-
bus qui nunc sunt sed de futuris. Malheureusement ces passages-là ne
sont pas préservés on Wont pas été écrits, mais il importe pen que le livre
4 Wait jamais été redige ou que sa transmission ait connu trop d' aléas:
l'intention marquee par Cicéron est claire, indépendamment de cc qui est
conserve du texte. L'Arpinate a manifesté la volonté de changer la vie
morale et les comportements des dirigeants, d'éduquer les chefs 100 . C' est
en empruntant cette voie que Cicéron pensait pouvoir recomposer les
fondements de la communauté civique et de son organisation. Implicite-
ment cc primat accorde a l'education minore l'urgence a reformer les
lois: si la conduite des magistrats peut être a long terme amendée par les
vertus de l'éducation recue, alors les changements institutionnels immé-
diats perdent de leur acuité. Le traité, sur cc point, est, sinon contradic-
toire, du moms marqué par une réflexion en deux étapes: reformer les
lois pour le temps present; reformer la morale des classes dirigeantes
pour n' avoir plus a reformer les lois dans le futur'° 1 . N'oublions pas que
les lecteurs potentiels de Cicéron auraient été les membres de la classe
dirigeante, il ne pouvait pas mettre l'accent sur des éléments trop inno-
vants.
Assurément l'ouvrage se veut un traité de sagesse pratique, compose
sur un sujet qui n'était pas nouveau - la meilleure constitution - mais le
but de Cicéron était bien d'en proposer une qui ait a voir précisément
avec la réalité. Paradoxalement, la dimension utopique est peut-être IA,
faire de la théorie politique non en se tenant protégé et a l'écart du
monde mais sous la lumière des réalités de la cite (3.14), et non pas
comme les premiers Stoiciens 1 avaient fait D'ou precisement la nuse en
valeur du modele de Demetrios de Phalere, peripateticien, homme de

Episode des Bacchanales (Cic. Leg. 2.37); longues discussions sur le role des tribuns de la plèbe
(3.19-21).
100
Cic. Leg. 3.32: ego autem nobilium uita uictuque mutato mores mutari ciuitatumputo.
101
How, Cicero's Ideal, p. 34.
46 SYL VIE PITTIA

science et en même temps homme de sagesse pratique 102• 11 l'emportait


par sa culture et sa science autant que par son aptitude a gouverner: et
doctrinae studiis et regenda ciuitate princeps. Cela ne signifie pas qu' ii
faille surestimer l'influence de la pensée péripatéticienne sur le De legi-
bus 103 . Cicéron ne rédige pas une constitution de Rome a la facon dont
Aristote a redigé une constitution d'Athènes. L'Arpinate prend sa cite
pour modèle et, en même temps, ii entend y réaliser son ideal politique.
Mais il reconnaIt lui-même que cette <<constitution>> n'a guère de chan-
ces d'être appliquee de son temps. Elle a en tout cas été composée pour
une république a venir, pas pour guérir une republique malade et qu'on
pourrait soigner'04 , et il West pas certain que Cicéron ait associé son pro-
jet a la mise en place d'un nouveau r6gime105.
La faible portée politique du modèle offert par le De legibus est peut-
être le signe le plus fort de la dimension utopique du traité. Le livre est
demeuré sans veritable postérité dans la pensée politique et dans la phi-
losophie antique. A la fois trOp marqué par son essence républicaine et
pas assez visionnaire pour proposer des formes de constitution adaptées
aux temps nouveaux d'un empire territorial étendu. Cicéron pensait
encore trop les lois de la cite a l'échelle des territoires de l'Italie, pas a la
mesure d'un empire <<mondial>>. Cette cite romaine-IA n'existait plus
nulle part, et Pon ne pouvait y revenir, elle était, de fait, utopique.
SYLVIE PITTIA
Università de Reims
UMR 8585, Centre G. Glotz

102 Cie. Leg. 2.64 et surtout 3.14: Phalereus ille Demetrius [...] mirabiliter doctrinam ex umbracu-
us eruditorum otioque non modo in solem atque in puluerem, sed in ipsum discrimen aciemque produxit.
Sur Faction de Demetrios, voir Habicht, A thènes hellenistique, p. 71-84.
103 How (Cicero's Ideal,
p. 27) insiste sur le fait que Cichron utilise beaucoup l'enseignement des
péripatéticiens dans le traité mais West pas tenu par leurs conclusions. FERRARY (Le ideepolitiche, p.778)
souligne que certains passages comme 3.13-14 invitent a ne pas surestimer l'influence stoIcienne en
général et panbtienne en particulier, le traith étant clairement place sons l'inspiration de Platon, d'Aristo-
te et de l'école péripatéticienne en général, avec les mentions explicite de Théophraste et Dicéarque.
104 KEYES, Original Elements, p. 323.
105 C'est en tout cas l'opinion d'E. LEPORE, Ii principe ciceroniano e gli ideali politici della tarda

repubblica, Naples 1954, p.288.


LA DIMENSION UTOPIQUE DU TRAITE CICERONIIEN DE LEGIBUS 47

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L'UTOPIA IN ALCUNI TESTI
DELLA LETTERATURA EBRAICA DI ETA GRECA

L'utopia puè essere definita una categoria mentáie che varia ovvia-
mente nel tempo e nello spazio. L' antichità ha dato al termine un' acce-
zione e una pregnanza differenti dalle nostre. Ma un atteggiamento, una
disposizione d' ammo possono essere individuati costantemente nello
scorrere del tempo. Variano i contenuti e i modelli, ma non la forma. Per
usare un'espressione di G.W.F. Hegel, l'uomo fugge dalla realtà nel
mondo della fede ii regno che <<nicht wirkhch Gegenwart hat, sondern
im Glauben 1st>>. B ii processo denominato <<Selbst-Entfremdung>>, una
complessa operazione psicologica attraverso la quale l'individuo, motu
proprio, Si estrania da sé alla ricerca dell'identità di un'altra persona
(che, tra 1' altro, significa "maschera"). Per venire all'antichità, osservia-
mo come ii giovane Hegel abbia teorizzato che una delle ragioni fonda-
mentali dell' affennazione del Cristianesimo sarebbe stato ii (presunto)
dispotismo dell'impero romano che avrebbe soppresso la libertà e indot-
to gli uomini a confidare di cercare la felicità in cielo. Come dice J.J.
Rousseau, <<il paese delle chimere è in questo mondo ii solo degno di
essere abitato; 11 West rien de beau que ce qui West pas>>. Sarebbe fin
troppo facile scomodare i nostri classici della letteratura, ad esempio
Ugo Foscolo o Giacomo Leopardi che, ad ogni pie sospinto, ci stimola-
no a ragionare amaramente sulle illusioni come motore delle azioni uma-
ne1.
L'antichità greco-romana, come è ovvio, ha conosciuto vane forme
ed espressioni di utopie che rientrano in un genere di letteratura molto
piü diffuso di quanto non risulti dai resti che ci sono stati tramandati 2 . Se
è possibile e legittimo generalizzare, questo tipo di speculazione ha del-
le peculiarità che non si riscontrano nell' analoga e coeva produzione let-
teraria dei popoli vicino-orientali. Alludo a un fenomeno che coinvolge

E.J. BICI JvIAN - H. TADMOR, Darius I, Pseudo Smerdis, and the Magi, Athenaeum 66, 1978,
p. 249.
2 Cfr. L. BERTELLI, L'Utopia greca, in L. FIaPo (ed.), Storia delle idee politiche, economiche e
sociali, Torino 1982, vol.1, pp. 463-581; ID., L'Utopia, in Lo spazio letterario della Grecia antica, vol.
I, Roma 1992, pp. 493-524; G. Vi'orri (ed.), A ristotele. Racconti meravigliosi, Milano 2007.
50 LUCTO TROIANI

queste letterature orientali d'età greco-romana ed è legato alle loro parti-


colari vicissitudini politiche. Qui, in particolare nel Vicino Oriente,
l'utopia assume, per cos! dire, la forma prevalente della letteratura visio-
naria, escatologica e apocalittica (nel senso specificamente etimologico,
"rivelatrice"). Ii libro biblico di Daniele, pur nella complessità dei suoi
contenuti e della sedimentazione dei materiali sovrapposti che hanno
finito per comporlo, rappresenta un esempio di letteratura utopica in cui
avvenimenti di storiä dinastica e politica delle monarchie macedoni
d'Oriente sono estrapolati e collocati in una dimensione fuori della real-
W. Uno dei motivi e costituito dalla circostanza che il mondo vicino-
orientale e sottoposto da secoli all'amministrazione greco-macedone.
L'autore di IMaccabei come pure Flavio Giuseppe parlano apertamente
di schiavitü inflitta a Israele dal "regno dei Greci" . Facciamo alcuni
esempi. Uno scritto in versione demotica, definito correntemente La
Profezia dell'A gnello, predice la conquista dell'Egitto da parte degli
Assiri e la deportazione delle sue divinità a Ninive. Questo scritto ci è
noto da un papiro demotico risalente all'epoca di Cesare Augusto.
Ovviamente, dopo un periodo di grande tribolazione, ii lettore è rassicu-
rato sul futuro (anche se in tempi lunghi). Seguirà una beatitudine avul-
sa dai vincoli del tempo. Questa tradizione compare anche nella tradu-
zione delle "sacre scritture" egiziane compiuta da Manetone di Sebenny-
tos nel III a.C. Egli annota, per esempio, die ii primo re della XXIV
dinastia sarebbe stato Boccori il Saita4'o dpvLov eaTo5 Analogo
sembra ii caso de L'Oracolo del V asaio, scritto in stile profetico e sibil-
lino. Anche qui l'utopia si esprime, dopo la descrizione dei mali presen-
ti e immediatamente futuri, con la predizione della finale, definitiva libe-
razione dal giogo straniero 6•
Anche la letteratura ebraica di epoca greco-romana non si sottrae a
questa caratteristica generale. L'estraniazione dalla realtà si materializza
nella manifestazione del trascendente. Perfino un razionalista ante litte-
ram, quale puô essere definito l'anonimo autore di I Maccabei, presup-
pone che l'epoca del profetismo non sarebbe definitivamente tramonta-
ta 7 . Egli immagina che verrà un tempo in cui i profeti potranno ripristi-
nare ii collegamento, ora interrotto, della storia di Israele con il trascen-

L. TRoiMsi, Ii <Libro di Daniele e la successione degli imperi, in D. Foir.uosc6n, S.M. PIZzETTI


(edd.),La successione degli imperi e delle egemonie nelle relazioni internazionali, Milano 2003, pp. 61-72.
IMacc. 8,18; Giuseppe,A ntt. X ll,434.
FGrHist 609 F 2-3c Dyn. XXIV.
6 S.K. EDDY, The King id Dead, Lincoln 1961; P.M. Flt&snR, Ptolemaic A lexandria, Oxford 1972,
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IMacc.4,46.
L'UTOPIA IN ALCUNI TESTI DELLA LETTERATURA EBRAICA DI ETA GRECA 51

dente e coliocare cos! la realtà fuori della sua dimensione spaziale e tern-
porale. <<B purificarono i luoghi santi e trasportarono in luogo impuro le
pietre della lordura. E deliberavano cosa fare dell'altare dell'olocausto
che era stato profanato. E venne loro la buona idea di distruggerlo per
evitare che costituisse motivo di vergogna per loro, in quanto le nazioni
lo avevano insozzato; e distrussero l'altare. B riposero le pietre nel mon-
te della "casa", in luogo adatto, fino a che non arrivasse un profeta per
pronunziarsi su di esse>>. Sorge pertanto una letteratura visionaria e apo-
calittica che non costituisce spesso un filone unitarid, ma è disséminata
in una lunga serie di scritti pervenutici, in larga misura, per mezzo della
tradizione cristiana 8 . Per esempio, Origene, commentando Genesi 1,14,
introduce una citazione testuale in cui Giacobbe si esprime con queste
parole: <<Jo ho letto infatti nelle tavole del cielo quanto accadrà a voi e ai
vostri figli>>. <<Ii cielo sara sfogliato come un libro>>. Queste parole si tro-
vano in uno scritto andato perduto e conservato in frammenti dalla tradi-
zione cristiana che To intitola Preghiera di Giuseppe ed è classificato da
Origene tra <<gli apocrifi tramandati presso gli Ebrei>> 1 . L'anonimo sent-
tore qui, per cos! dire, spezza le catene del tempo. La tradizione del
popolo di Israele, quella che noi definiamo <<biblica>>, è nivisitata fin dal-
le epoche remote per tratteggiare una linea utopica di svolgimento degli
eventi. Nella Preghiera di Giuseppe, la storia di Abramo, Tsacco e Gia-
cobbe è introdotta e riscritta nel senso che questi personaggi della Bib-
bia, collocati nel tempo e nello spazio nel libro della Genesi, sono trasfe-
riti in una dimensione assolutamente fuori del tempo: <<Chi vi parla sono
io Giacobbe, anche Israele, angelo di Dio, e spirito atto a comandare; e
Abramo e Isacco furono creati prima di ogni opera; io Giacobbe, chia-
mato dagli uomini Giacobbe, ma ii rnio nome è Israel, colui che è chia-
mato da Dio Israele, l'uorno che vede Dio, in quanto primogenito di ogni
essere vivente vivificato da Dio>>. <<To, quando venni da Mesopotamia di
Siria, use Uniel, l'angelo di Dio, e disse che 10 discendevo sulla terra e
mettevo dimora fra gil uomini e che fui chiamato con ii nome di Giacob-
be>>. La tradizione "storica", cos! come è consegnata nell'Antico Testa-
mento, è trasferita nel mondo dell'irrealtà. In un altro scritto giudeo-elle-
nistico, parallelo ai libri storici della Bibbia, la cosiddetta A ssunzione di
Mosè (o Testamento di Mosè), Giosuè, figlio di Nave, vede due Mosè nel
momento del trapasso: l'uno che sta insieme agli angeli, l'altro ritenuto
degno di sepoltura sui monti, presso dirupi 10• Ancora pii significative le

Cfr. P. SACCHI, L'apocalittica giudaica e la sua storia, Brescia 1990.


A.-M. DENTS et collaborateurs (avec le concours de J.-CL. HAELEWYCK), Introduction a la littéra-
ture religieuse judeo-hellenistique. Tome I (Pseudepigraphes de l'A ncien Testament), Turnhout 2000,
pp. 331-348.
10 Ibid., pp. 431-475; cfr. specialmente pp. 445-446.
52 LUCIO TROJANI

espressioni contenute nella cosiddetta A pocalisse di Sofonia. <<E Jo spin-


to ml prese e ml trasportô nel quinto cielo e contempiavo gil angeli chia-
mati "signori" incoronati nello spirito Santo -rv EKG(TTOU a1)T6v o OpO
voc ETITcLTrXaGUIW 4Xi)T6 iXLou avaTEX X ovToc>>".
Questo genere di letteratura, definito comunemente dalla dottrina
moderna "apocalittico", con tutte le sfumature, i dinieghi e I distinguo
die segnano di consueto un dibattito scientifico che voglia essere defini-
to serio, finisce per eSSere, in sostanza, una delle tante espressioni che
l'utopia assume nei pensiero antico. Almeno a partire dai tempi macca-
baici (166 a.C.), 1 'ebraismo deve misurarsi con i parametri e gil stimoli
della paideia, con gil eserciti, i mercanti e gli intellettuali greci. Come
Sesoosis per gil Egiziani e Nabucodonosor presso i Babilonesi, Mosè e
altre figure della tradizione nazionale assurgono a livello di metastoria e
sono di fatto collocate sul piedistallo dell'utopia 12• Questo fenomeno
non è solo provocato da presunti velleitarismi di riscossa nazionale. La
Vita di Mosè di Filone Alessandrino non è certo un manifesto d'indipen-
denza politica. Il legislatore diviene l'esempio della perfezione spiritua-
le cui puô arrivare la natura umana. Egli è segregato dal tempo e dailo
spazio. La forza dell'ellenismo e ii suo potere disgregatore delle antiche
civiltà nazionali soliecitarono un flione di letteratura che tendesse a col-
locare fuori del tempo e dello spazio I grandi protagonisti del passato e
non ii esponesse ali'usura del tempo e deli'evoiuzione dettata dai contat-
ti reciproci. Ii sacerdote babilonese Berosso, intorno al 290 a.C., arriva a
pretendere che, dal tempi del mitico Oannes deile sacre scritture in
cuneiforme, non ci sarebbe piü stato progresso alcuno per l'umanità 13 . Ii
tempo si sarebbe irreversibilmente fermato. Anche nel cosiddetto Libro
dei Giubilei, un genere di letteratura parabiblica molto in yoga presso la
cristianità, lastoria biblica è sottratta al mondo della realtà. L'angelo
della presenza fa mettere per iscritto sulle tavole celesti quello che deve
avvenire; ii succedere degli avvenimenti è per cos! dire plasmato fuonl
delle coordinate temporali e spaziali e cone, come la futura città di Dio
di S. Agostino, in parallelo, denivando dalla volontà divina che è preesi-
stente al mondo. Enoch diventa ii primo che avrebbe appreso le lettere e
le avrebbe insegnato, egli perô anche fu ritenuto degno della rivelazione
del misteri divini. L'angelo, che parla a Mosè, gli spiega che è stato Jul
ad avere insegnato ad Abramo "la lingua ebraica" 14. I profeti, ad esem-
pio Ezechiele, hanno lasciato, ciascuno, un proprio apocrifo. I loro scrit-
ti canonici sono integrati e, per cos! dire, inverati da scritti "nascosti"

" Ibid., pp. 793-802,.


12
FGrHist 665 F 14; FGrHist 264 F 25,53-59; FGrHist 715 F 1
° FGrHist 680 F 1,4.
14
Dui'ns, Introduction, pp. 349-403.
L'UTOPIA IN ALCUNI TESTI DELLA LETFERATURA EBRAICA DI ETA GRECA 53

collocati al di fuori dell'esperienza ordinaria. La cosiddetta Apocalisse


greca di Enoch immagina un' era in cui <<ii mio santo, ii grande, uscirà
dalla sua sede e ii Dio dell'eone calpesterà ii monte Sinai su terra e appa-
nra dal suo accampamento e apparirà nella potenza del suo vigore dal
cielo dei cieli. E tutti avranno paura>> 15• <<E si scuoteranno e cadranno e
Si scioglieranno cime elevate>>. <<Mi indicô e mostrô .e nelle tavole del
cielo io ho letto queste cose. Allora io ho visto quello che vi era iscritto,
che vi sara generazione peggiore di generazione e vidi questo finché non
sia venuta fuori una generazione di giustizia e la malvagità perirà e l'er-
rore sara allontanato dalla terra e il bene verrà sulla terra>>.. Ii visionario
Si rifugia nel mondo dell'utopia, fuori dei confini del reale.
Anche quella che è comunemente definita letteratura storica giudai-
co-ellenistica, vale a dire la produzione letteraria degli ebrei in lingua
greca, qualche volta sembra inserire la storia passata nella profezia e la
trasferisce oltre l'ambito del divenire Storico. Ad esempio, -uno di questi
autori, Eupolemo, dà un resoconto di storia ebraica a partire da Mosè fino
a Salomone nella cornice di un libro (?) relativo alla profezia di Elia 16
Pitt in generale, gran parte della letteratura giudaico-ellenistica tramanda-
taci consiste di fatto in un rifacimento in senso utopico della storia bibli-
ca. Parti della Scrittura sono estrapolate e integrate per accentuare questo
aspetto. Un tragediografo ebreo, forse nativo di Alessandria, un imitatore
di Eschilo e in particolare dei Persiani, autore di una tragedia intitolata
L 'Esodo, forse vissuto nell' ultima parte del II secolo a.C., enfatizza e
amplifica episodi biblici come ii sogno di Giacobbe: <<Mi sembrô che sul-
la sommità del monte Sinai vi fosse un grande trono fino all'immenso
cielo, sopra vi sedeva una persona nobile che aveva II diadema e special-
mente un grande scettro nella mano sinistra. Con la destra mi fece un cen-
no e io stetti davanti al trono. Mi consegnô lo scettro e mi disse di sedere
sul grande trono; mi diede ii diadema reale e lui si allontana dai troni. Jo
vedevo tutta la terra intorno e sotto la terra e sopra ii cielo e un gran
numero di astri cadeva alle mie ginocchia>>. L'utopia si realizza e si espri-
me in una visione meSSianica in cui cielo e terra sono messi da parte' 7 . Ii
medesimo autore integra la narrazione biblica con leggende pta o meno
utopiche come quella, verosimilmente, dell'araba fenice 18 . Invano un
austero filosofo peripatetico e, insieme, eSegeta della Bibbia e precetto-

15 A pocalypsis Henochi Graece edidit M. Black, Fragmenta pseudepigraphoruin quae supersunt

graeca una cum historicorum et auctorum .Judaeorum hellenistarumfragmentis collegit et ordinavit A .-


M. Denis, Leiden 1910, p. 19.
16
EhmUqLog 61 1jf laLv lv
TOIL TIEp Tf 'HXLou TtpolfflTEiaC. Cfr. DBMS, Introduction, Tome II, p.
L

1130.
17 P. LANFRANCHI, Ii sogno di Mosk nell'Exagoge di Ezechiele ii tragico, Materia giudaica 8, 2003,

pp. 105-112.
11 DENIS, Fragmenta, pp. 215-216; Introduction, pp. 1208-1209.
54 LUCIO TROJANI

re di re Tolemeo VI Filometore, Aristobulo, (circa 170 a.C.) invita i let-


tori della Bibbia a non cadere nel iu96c3 19• Frammenti anonimi di que-
sta letteratura collocano in un altro mondo gli stessi precetti divini.
<<Guardate come dice: non mi sono accetti gli attuali sabati ma quello
che ho fatto nel quale, dopo avere fatto cessare tutto, farô l'inizio del-
l'ottavo giorno che e inizio di un altro mondo>>. Nell'ebraismo l'utopia
Si colloca in una dimensione trascendente che presuppone l'intervento
del Soprannaturale. Questo è particolarmente evidente nel II Libro dei
Maccabei dove lo scrittore inserisce frequentemente episodi ed eventi
che si collocano fuori della realtà. <<Divenuto lo scontro violento, appar-
vero ai nemici, dal cielo, cinque uomini magnifici su cavalli dai freni
d'oro e, mettendosi alla guida dei giudei e prendendo nel mezzo ii Mac-
cabeo e riparandolo con le loro armature, lo mantennero invulnerabile e
scagliarono contro i nemici frecce e folgori; perciô disabilitati dalla ceci-
tà, pieni di sbigottimento, scapparono>>. Ii proposito è quello di convin-
cere ii credente che la realtà sensibile è suscettibile delle piii svariate e
inaspettate modifiche. Un autore giudaico-ellenistico, impegnato nelle
difficoltà della vita civile e sensibile al tema della convivenza delle etnie
in seno a una grande metropoli come Ales sandria di Egitto, teorizza che
accanto alla realtà sensibile, quale appare ai nostri sensi, scone un'altra
storia fuori della nostra percezione sensibile e che non si adegua ai nostri
parametri temporali e spaziali. L'utopia fa capolino nella riscrittura e
nell'esegesi della Bibbia da parte di Filone. Celebrati personaggi biblici
vengono sottratti alla realtà e divengono simboli di un universo che è
fuori dei parametri della percezione sensibile. Filone parla anche di spe-
culazioni che finiscono per eliminare ogni dimensione temporale e spa-
ziale.

Lucio TRoIi'n
Università di Pavia

Riferimenti bibliografici
A pocalypsis 1970 A pocalypsis Henochi Graece edidit M. Black, Fragmenta pseudepigra-
phorum quae supersunt graeca una cum historicorum et auctorum
Judaeorum hellenistarumfragmentis collegit et ordinavit A .-M. Denis,
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BERTELLI 1992 L. BERTELLI, L'Utopia, in La spazio letterario della Grecia antica, vol.
I, Roma 1992, pp. 493-524.

19 Ibid., pp. 1216-1237.


L'UTOPIA IN ALCUNT TESTI DELLA LETTERATURA EBRAICA DI ETA GRECA 55

BICKERMAN - E.J. BICKERMAN - H. TADMOR, Darius I, Pseudo Smerdis, and the Magi,
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VAN0TTI 2007 G. VANoTTI (ed.), A ristotele. Racconti meravigliosi, Milano 2007.
TRA UTOPIA B IDEALIZZAZIONE:
ADRIANO, DRACONE E SOLONE

In un passo del Chronicon relativo al primo soggiorno di Adriano ad


Atene del 122/31 Girolamo scrive che Hadrianus A theniensibus leges
petentibus ex Draconis et Solonis reliquorumque libris iura composuit2.
La notizia è importante per due motivi: in primo luogo perché è regi-
strata solo dai cronografi, in secondo luogo perché, per quanto mi con-
sta, non è ancora stata indagata a fondo3.
Adriano appare in veste di legislatore (composuit) che dà seguito ad
una richiesta degli A teniesi (A theniensibus leges petentibus) e dà vita ad
una legislazione, per cos! dire, mista, frutto di almeno tre modelli (ex
Draconis et Solonis reliquorumque libris).
Che Adriano appaia qui come legislatore non sorprende, dal momen-
to che proprio ad Atene compare come voIIoeTnc, in un'iscrizione di
Megara è designato come 1) 0i0eT1c e in un passo degli Oracula Sibylli-
na come eE1LaToTr6xoc4.
L' attività giuridica del regno di Adriano fu peraltro di assoluto rilie-
vo. Con Adriano ii ruolo dei giuristi all'interno del consilium principis e,
put in generale, in seno all'amministrazione romana, acquista un peso
crescente. La V ita Hadriani dell'HA (18, 1) afferma che Adriano cum

Adriano è ad Atene tra l'inverno del 122/3 e ii 124/5 stando alla cronologia di Girolamo (HELM
198-199 [Berlin 1984 2 ]). Vi tomerà ancora nel 128/9 e infine nel 131/2. Sui viaggi di Adriano cfr. da ulti-
mo A. R. BII4LEY, Los viajes de A driano, in J. M. CORTES CoPem - E. Muhiz Gicijvo (edd.), A driano
A ugusta, Sevilla 2004, Pp. 57-69.
2 Cfr. V ersio A rmena (ab Abr. 2137): A drianus A theniensibus, qui ipsum precati sunt, leges a Dra-

cone eta Solone aliisque (latas) composuit; Syncell. 659,9: 0 aIde 'AOvaLots ciILolOuoiv EK mid pci -
2
KOVTOS' KdL y Ixwvoe VOIOUC ITLLOUVETaIE. In un'iscrizione ateniese molto frammentaria (IG 11 1075, 3-5)
Si h proposto di leggere (P. GRA1NDOR, A thènes sous Hadrien, New York 1973 [= II Cairo 1934], p. 32)
un riferimento ad Adriano e alla notizia del cronografi: [ITE d 'AOiva] alj$ici-o E&UKEV ETrL61[ttwv Talc
' AOflvaioLE XpfaOai T]olc liaXaLalc TflS' T26XE[W5 Ii 6EOL9], SU CUi cfr. infra.
Cenni in W. WEBER, Untersuchungen zur Geschichte des Kaisers Hadrianus, Leipzig 1907 [=
19731, pp. 165-166; GRAIND0R,Athènes, pp. 31-33; 73-74; A. R. Brni.a y , Hadrian. The Restless Emperor,
London 1997, p. 177.
J. H. OLIVER, Greek Constitutions of Early Roman Emperors from Inscriptions and Papyri, Phi-
ladelphia 1989, no 92; IG V II 72 e 3491; Orac. Sibyll. 12, 173-175: IOTOL 81 KCi d'yxaIkwvoc aoLIoc eat
vopIiwv ILETOxoC OqiLoTonIXoc TE ILKaLoC cWT65 Ii al Tr/OETaL goLpl i81 KaTOXIOUC. WEBER, Untersu-
chungen,p. 165.
58 ALESSANDRO GALIMBERTI

iudicaret in consilio habuit non amicos suos aut comites solum sed iuris
consultos et praecipue luventium Celsum, Salvium Julianum, Neratium
Priscum aliosque, quos tamen senatus omnis probasset. Del consilium
adrianeo faceva parte anche il prefetto del pretorio (con Marco Aurelio
cia diventerà la prassi) 5 . Si ritiene che Adriano fosse ii primo imperato-
re a pubblicare una raccolta sistematica dei rescripta con ii liber rescrip-
torum et propositorum 6 . Sotto Adriano avviene la codificazione del-
l'edictum perpetuum del pretore ad opera di Salvio Giuliano e sempre
sotto Adriano scrive ii giurista Sesto Pomponio, autore di un importante
Enchiridion. Adriano peraltro nel corso del suo principato diede impul-
so alla costruzione di un nuovo modello di governo in cui ii ruolo dei
funzionari specializzati e degli intellettuali rivestiva un'importanza cen-
trale nell'amministrazione 7 . Ad Adriano risalgono infine l'istituzione
deifrumentarii, la creazione della figura dell'advocatusjisci e dei quat-
tro consulares per l'Italia, nonché ii rafforzamento dei poteri del prae-
fectus urbi nella giurisdizione civile. Se dunque la richiesta ateniese di
una nuova legislazione appare senz'altro in linea con l'operato di Adria-
no, non è improbabile che ii composuit , impiegato da Girolamo in riferi-
mento al solo Adriano, debba essere esteso ai giuristi che gravitavano
attorno alla corte adrianea.
Alla luce di ciô la richiesta formulata nel 122/3 dagli Ateniesi, seb-
bene a prima vista sembri trovare solo una generica rispondenza nell'at-
tivismo adrianeo in campo giuridico, su cui i moderni hanno ripetuta-
mente richiamato 1' attenzione 8, in realtà non appare affatto peregrina,
tenuto conto soprattutto dell'attenzione che Adriano riservô ad Atene sin
dagli esordi del suo principato 9 , sia dal punto di vista politico-culturale
sia dal punto di vista urbanistico.
Ii testo geronimiano solleva tuttavia un interrogativo piü importante,
dal momento che non è di immediata evidenza a quali tra le leggi draco-
niane, soloniane e/o di altri legislatori (ai quali non è possibile al

M. A nt. 11, 10: habuit secumpraefectos, quorum et auctoritate etpericulo semper iura dictavit.
6 Sulla base di HA Macr. 13, 1 e FIRA 12 106; cfr. A. D' ORS - F. MARTIN, Propositio libellorum,
AJP1I 100, 1979, pp. 113-114, 117. In Dig. 22, 3, 13; 50, 17, 191, Iuvenzio Celso, giurista adrianeo, è ii
primo a citare dei rescripta.
A. GALIMBERTI, A driano e l'ideologia deiprincipato, Roma 2007, pp. 57-70, 182-184.
8 Per A. D'ORS, La signification de l'oeuvre d'Hadrien dons l'histoire du droit romain, in A. PIGA-
NTOL - H. TERa&ssn, Les Empereurs Romains d'Espagne. Madrid-Italica 31 mars-6 avril 1964, Paris
1965, p. 158, I'opera giuridica di Adriano <<marque done une coupure dans l'histoire du droit classiquea.
W. Eck, Provincial A dministration and Finance, in CA H X12, 2002, p. 271 ha osservato che: <<Starting in
the reign of Trajan, but particulary from Hadrian onwards, we can detect a marked increase in the num-
ber of imperial letters responding to petitions preserved on inscriptions, mainly to communities, but also
individuals>>.
Il primo viaggio in Grecia fu compiuto da Adriano quando non era ancora imperatore, nell 11/12:
in quell'occasione ad Atene fu nominato arconte (ILS 308). Per la data esatta dell'arcontato ateniese di
Adriano (111/120 112/13) cfr. Bnuoy, Hadrian, p.64.
IRA UTOPIA B IDEALIZZAZIONE: ADRIANO, DRACONE E SOLONE 59

momento dare un nome) potesse indirizzarsi l'interesse di Adriano e dei


suoi giuristi per la formulazione di una costituzione ateniese nel 122/3.
Credo infatti che nella risposta a questa domanda risieda la possibilità di
indagare ii carattere utopico-idelizzante della costituzione ateniese di
Adriano.

Ii nome di Dracone è legato alla sua riforma penale e al primo codi-


ce criminale ateniese, di cui possediamo un frammento epigrafico nella
trascrizione del 409/8 a.C. (sotto l'arcontato di Diode) relativo alla cele-
bre legge sull'omicidio 10 , nonch6 ad un insieme di leggi inquadrate in
una "costituzione", tramandata perô dal solo Aristotele nel quarto capi-
tolo dell'A thenaion politeia; lo stesso Aristotele peraltro, in un passo
della Politica (1274b 1518)12, afferma che Dracone fu 1' autore soltanto
di alcune leggi che inserI nella costituzione a lui preesistente.
Ora, al di là dei pur considerevoli dubbi che sono stati sollevati sia
sull' attribuzione a Dracone di una costituzione (tenuto conto anche del
silenzio del resto della storiografia) sia sulla storicità degli ordinamenti
descritti da Aristotele in relazione alla costituzione draconiana' 3 , basti
qui rilevare che, sia neli'A thenaion politeia sia nella Politica, Dracone
appare come l'autore di leggi che in qualche modo avevano modificato
la costituzione in vigore ai suoi tempi 14 . Che Dracone avesse innovato
appare infatti da Aristotele stesso il quale nel capitolo 41 dell'A thenaion

° IG 13 104; E. RUSCHENBUSCH, ciouoc. Zum Recht Drakons und seiner Bedeutungflir das W erden
des athenischen Staates, Historia 9, 1960, pp. 129-154; R. S. STROUD, Drakon's Law on Homicide, Ber-
kley-Los A ngeles 1968; B. CANTARELLA, Studi sull'omicidio in diritto greco e romano, Milano 1976,84-
127; R. S. STROUD, The A xones and Kyrbeis of Drakon and Solon, Berkley-Los Angeles-London 1979;
M. GAGARIN, Drakon and Early A thenian Homicide Law, New Haven-London 1981; A. BIscArwI, Dint-
to greco antico, Milano 1982, pp. 284-291.
11 La costituzione di Dracone e datata da Aristotele sotto l'arcontato di Aristecmo (621/620 a.C.),
sulla ciii cronologia esprimono forti riserve G. DE SANCTIS, A tthis. Storia delta repubblica ateniese dalle
origini all'età di Pericle, Firenze 19122 (= 1975 1), pp. 207-208; F. JACOBY, A tthis: the local Chronicles
of A ncient A thens, Oxford 1949, pp. 94, 308; C. HIGRETr, A History of the A thenian Constitution to the
end of the Fifth Century B.C., Oxford 1952, pp. 307-308.
12 ApciKOVT03 81 vóioi VLiV rich, TT0XITCIG 8' ,lTapXolo8 TOrE vóiour ltflKEv.
' Contro la communis opinio che ritiene la costituzione di Dracone un falso della fine del V secolo
elaborato tra ii 411 e ii 409/8 ovvero nel IV secolo, al tempo di Demetrio Falereo (P. J. RHODES, A Com-
mentary on the A ristotelian A thenaion Politeia, Oxford 19932, 109-112), F. P. Rizzo, La costituzione di
Draconte net c. IV dell'A thenaion Politeia di A nistotele, MTh 1963, pp. 272-308, rivendica sia l'autenti-
cità della riforma costituzionale draconiana sia la storicità degli ordinamenti in essa contenuti.
14 Aristotele all'inizio del terzo capitolo dell'A thenaion politeia illustra <<L'organizzazione deIl'an-
tica costituzione anteriore a Dracone>> ('Hv 8' 1 TaILE TflE dp)(aLar ,T0XLTELaE Tfr orpo ApdKOVTOE ToLa&);
all'inizio del quarto capitolo ribadisce che <<La prima costituzione ebbe questo aspetto>> ('H lily oiw UP(1TT1
TFOXITELO TauTflv EL XE Thlu 6uo'ypa44v). Cfr. su questi passi e ii quarto capitolo M. CHAMBERS, Der Staat der
A thener von A ristoteles; Ubensetzt und erldutert von Mortimer Chambers, Berlin 1990, pp. 148,154-155;
325-326; RHODES, A Commentary, pp. 97, 109-112, secondo i quail i passi relativi alla "costituzione di
Dracone" sono ii frutto di un'interpolazione (su cui infra) . Cfr. status quaestionis in RHODES, A Commen-
tary,pp. 110-112.
60 ALESSANDRO GALIIvIBERTI

politeia, laddove elenca le undici costituzioni ateniesi sino all'arcontato


di Pitodoro (404/3 a.C.), afferma che la novità introdotta da Dracone era
consistita nel fatto che con lui per la prima volta le leggi ad Atene erano
state messe per iscritto. Senz' altro siamo qui di fronte ad un' allusione al
codice criminale draconiano; tuttavia non si puO escludere, dal momen-
to che Aristotele sta parlando di ETctI3oXaL costituzionali, che 1' allusio-
ne sia da intendere in maniera piü estesa. Resta perè aperta la possibilità
che la "costituzione" di Dracone sia in realtà ii prodotto dell'elaborazio-
ne oligarchica del 409, quando furono rimesse in vigore le leggi di Dra-
cone sull'omicidio, oppure ii frutto degli avvenimenti del 403 quando, al
rientro dei democratici ad Atene, un decreto stabilI che Vóioc 6 xpfr
GOaL TOLç Z6Xwvog Ka'L ETpOLc KLL GTUOII0L3, XpflGOaL 6 Kal. ToLc pd -
KOVT0 OEGoLc ®Lc ExpuIEOa 1) TO) Xp6vw (Andoc. 1, 83) 15•
In ogni caso, sebbene Aristotele nel capitolo 41 dell'A thenaion poli-
teia non riconosca a Dracone la paternità di una nuova costituzione (per
Aristotele infatti la prima costituzione e quella di lone, la seconda quel-
la di Teseo, la terza quella di Solone), egli coglie nell' opera del legisla-
tore ateniese una svolta significativa. La uovità introdotta da Dracone
infatti non doveva essere stata di scarso rilievo, dal momento che mette-
re per iscritto le leggi non è qualcosa di neutrale. Ii ricordo dell'attività
legislativa di Dracone era dunque legato essenzialmente alla sua legisla-
zione penale e al fatto che le sue disposizioni erano scritte, in quanto era
sentito come autore di un'importante rifonna sia sotto il profilo formale
sia sotto quello sostanziale.
Un ultimo dato interessante, su cui per ora mi limito a richiamare
1' attenzione, è il legame che la tradizione stabilisce tra la legislazione
draconiana sull'omicidio e il suo contesto religioso-sacrale, con partico-
lare riferimento a Delfi 16: provvedimenti come l'impurità deli'omicida
(chi si trovava in esilio per omicidio era interdetto dai sacrifici anfizioni-
ci [EpL dLKTuovLKá])' 7 e la regolamentazione del KaOapóc (in caso di
omicidio preterintenzionale) rimandano infatti all' oracolo e al culto di
Apollo a Delfi't.
Per quanto ci riguarda resta perô difficile individuare, sulla base di
cos! fragili testimonianze, un nesso tra la legislazione penale e costitu-
zionale di Dracone e l'interesse suscitato presso Adriano e i suoi giuristi
in vista della formulazione della costituzione ateniese del 122/3. Credo

15 Cfr. D. M. MACDOWELL,
A ndokides On the Mysteries. Text edited with introduction, commmenta-
ry, and appendixes, Oxford 1962, pp. 120; 194-199. Le leggi di Dracone sono queue sull'omicidio.
16 BiscAiwl, Diritto greco,
pp. 282-283, con fonti e bibliografia. PiO in generale sul rapporto tra i
legislatori e ii loro retroterri religioso cfr. G. CAMASSA, Leggi orali e leggi scritte. I legislatori, in I Gre-
ci,H. 1, Torino l99'1, pp. 56l-576.
17 IG 161; Demosth.
Contra A ristocr. 37; DE SA NcrIs, A tthis, p. 230.
18 Plato Leg. 9, 865 b e Sch. Plat. ad loc.: 6
4K A EX 46V KOLLoOELC v61oC.
TRA UTOPIA E IDEALIZZAZIONE: ADRIANO, DRACONE E SOLONE 61

tuttavia sia possibile gettar luce su questa scelta se esaminiamo l'opera


legislativa e costituzionale di Dracone in rapporto a quella di Solone in
quanto appaiono legate tra loro da alcuni significativi contatti.
Su Solone 19, la sua costituzione e le sue riforme, siamo meglio infor-
mati sia grazie alla conoscenza della produzione poetica soloniana (le
Elegie) sia grazie alle numerose testimonianze antiche 20 Solone è sen-
z'altro autore di una costituzione, ma anche di numerose leggi di rifor-
ma, soprattutto in ambito econornico-sociale (la pit'i celebre è la cosid-
detta GE LcYaXeELG, che consentI ai debitori ridotti in schiavitü di riacqui-
stare la libertà)21.
I rapporti, in negativo, tra legislazione draconiana e legislazione
soloniana sono illustrati brevemente da Plutarco (Sol. 17. 1),- secondo il
quale Solone <<come prima cosa abrogô tutte le leggi di Dracone per la
durezza e l'enormità delle pene, eccetto quella che riguardava gli omici-
di>> (1Tp6Tov 1EV Olifl) T OS' LpdKOVTOc V6j1OU3 dtVELXE 1TX1) T6V 4OVLKW1)
dTravTcts 6Là T1l) XaXETI-6T1TG KG'L Ta JIEyEBoc T(dI) E1TLTL.LLQW)22.
Gellio perO (NA 11, 18, 15)23, secondo ii quale Draconefu ii primo
a dare una. legge scritta agli Ateniesi e iuris divini t htma.iper.itus:ftuit,
ricostruisce in maniera meno drastica 1' atteggiamento : di S1one verso
Dracone: isecondo 1 'erudito infatti le leggi draconiane furono tacitamen-
te lasciate cadere in disuso dagli Ateniesi perché impendio acerbiores e
Solone con la sua legislazione rese piii miti, modificandoli, alcuni prov-
vedimenti del predecessore. Per Gellio Solone non fu colui che abrogO
la legislazione draconiana ma colui che la corresse in senso piü mite; ciô
peraltro lascia scorgere l'esistenza di tradizioni diverse sui rapporti tra
Solone e Dracone nel II sec. d.C. (Gellio e Plutarco sono pressoché con-
temporanei), su cui torneremo piü diffusamente24.
Al di là di queste differenze è possibile stabilire un'indubbia conti-

11 Oft. da ultimo i saggi in J. H. BLOK - A. P.M. H. LARDIN0IS, Solon of A thens. New Historical and
Philological A pproaches, Leiden-Boston 2006.
20
E. RUSCHENBUSCH, ZOAQNOZ NOMOI. Die Fragmente des solonischen Gesetzwerkes mit einer
Text-und Uberlieferungsgeschichte, Historia Einzelschriften, 9, Stuttgart 1966; A. MARTINA, Solon.
Testimonia veterum, Roma 1968.
21
DE SARcns, A tthis, pp. 247-289; J. H. BLOK, Solon's Funerary Laws, in BLOK-LARDINOIS (edd.),
Solon of A thens, pp. 197-247. Iricerta b l'attribuzione a Solone dell'istituzione del tribunale eliastico (L. Plc-
cIIDLLI, in M. MANFREDINT - L. Piccnur.0 (edd.), Plutarco. La V ita di Solone, Milano 1977, pp. 211-212).
22
Cfr. A rist. A then. pol. 7, 1.
23
Eius (scil. Draconis) igitur leges, quoniam videbantur impendio acerbiores, non decreto iusso-
que sed tacito inlitteratoque A theniensium consensu oblitteratae sunt. Postea legibus aliis mitioribus a
Solone compositis usi sunt. Is Solo e septem illis inclutis sapientibusfuit. Is sua lege injures own, Ut Dra-
co antea, mortis sed dupli poena vindicandum existimavit.
24
L'elaborazione politica delle figure di Dracone e di Solone in senso oligarchico-moderato avvie-
ne soprattutto ad opera degli oratori attici del IV secolo: cfr. ad es. Andoc. 1, 83; per Dracone dr. i con-
trastanti giudizi di Demade (in Plut. Sol. 17,3) e Licurgo (Contra Leocr. 65); per Solone cfr. ad es. Isocr.
7, 16,31-55; 12, 148; 15, 231, 235, 313, su Cm C. MossE, Due miti politici: Licurgo e Solone, in! Greci,
II. 1, Torino 1997, pp. 1325-l335einfra.
62 ALESSANDRO GALIMBERTI

nuità tra l'operato di Dracone e quello di Solone su alcuni temi che mi


sembrano importanti. Solone, pur abrogando le leggi draconiane, lasciô
intatte queue sugli omicidi (che vennero rimesse in vigore nel IV seco-
lo); sia Dracone sia Solone, sebbene in modo diverso, agiscono su un
sfondo religioso-sacrale. In questo contesto acquista importanza anche ii
legame con Delfi che accomuna Dracone e Solone: se ii legame di Dra-
cone, come s'6 detto, appare piü di natura ideologica (si badi perô che
Gellio, nel passo appena citato, definisce chiaramente ii legislatore ate-
niese iuris divini et humani peritus), quello di Solone sembra avere
anche uno spiccato carattere politico. A Solone infatti che, secondo Plu-
tarco (Sol. 11, 1), aveva accusato i Focei di Cirra di sacrilegio, spetta
l'iniziativa della prima guerra sacra (582/1 a.C.), dichiarata dagli Anfi-
zioni (capeggiati dai Tessali, dai Sicioni e dagli Ateniesi) contro le pre-
tese dei Focei sul santuario delfico, a cui si aggiungevano motivazioni di
ordine politico-econoniico relativamente agli scambi commerciali sul
Golfo di Corinto e alle rotte per l'Occidente25.
Ii legame tralegislazione soloniana e sfera religioso-sacrale è peral-
tro chiaramente esphcitato da un passo della Vita solornana di Plutarco
(26,.6-10), secondQ il quale, siccome dopo l'affaire ciloniano <supersti-
ziose paure e misteriose apparizioni tenevano la città (scil. Atene) sotto
un incubo e gli indovini proclamavano che dall'esame delle vittime si
individuavano chiaramente empietà e contaminazioni che occorreva
espiare con sacrifici>>, fu fatto venire da Creta <<Epimenide di Festo, che
è incluso nel numero dei sette savi da alcuni che ne esciudono Periandro.
Era costui ritenuto uomo molto pio e sapiente nelle cose divine, soprat-
tutto dotato della capacità di accogliere in sé l'ispirazione divina e di
praticare i misteri, tanto che i suoi contemporanei lo salutavano come
figlio di una ninfa di nome Blaste e novello Curete egli SteSSo. Arrivato
ad Atene e divenuto amico di Solone lo aiutô a impostare le sue leggi e
gli aprl la via per tradurle in pratica>>. Per quanto concerne la pratica dei
misteri il frammento 30 Gentili-Prato rivela, come ha recentemente mes-
so in luce L. M. L'Homme-Wéry 26 , ii legame tra la politica di Solone ed
Eleusi, mentre, circa la redazione delle leggi attinenti la sfera cultuale-
sacrale, in un passo della V ita soloniana di Plutarco (25, 2), che com-
menta un frammento di Cratino sulle leggi di Dracone e di Solone, si
afferma che <<alcuni sostengono che solo alle leggi che contenevano nor-

25
M. SORDI, La prima guerra sacra, RFIC 31, 1953, pp. 320-346; L. PRA NDI, I Ciloniani e l'oppo-
sizione agli A lcmeonidi in A tene, CISA 26, 2000, pp. 4-20; cfr. da ultimo A. GIuLI<I, La città e l'oraco-
lo. I rapporti tra A tene e Delfi in eta arcaica e classica, Milano 2001, pp. 19-24, che accentua le motiva-
zioni di carattere politico-religioso per cui (24): <<uno degli obiettivi perseguiti e raggiunti da Atene (e
probabilmente dall'intera coalizione) era ottenere un mutamento neIl'orientamento dell'oracolo>>.
26
L. M. L'Horvilm-W ERY ,La perspective éleusinienne dans lapolitique de Solon, Genève 1996, pp.
63-113.
TRA UTOPIA E IDEALIZZAZIONE: ADRIANO, DRACONE E SOLONE 63

me sui culti e i sacrifici competeva ii nome di KUpEL, mentre a tutte le


altre queue di 6ovE3>>27.
La tradizione sugli OVEc a questo proposito è per noi molto istrutti-
Va. Sappiamo infatti che Aristotele compose un fIEp'L mw Z 6XC0vo3
dovuw (Ti) 28 in cinque libri (purtroppo perduti), che tuttavia doveva
ancora circolare a Roma in eta sillana 29 ; a metà del I sec. a.C. Asciepia-
de di Mirlea, contemporaneo di Pompeo, è autore di Tv covwv
Ey11TLKd (T2), al quale rispose con uno scritto (llEpt TWV doóvwv Th)l)
óXwvoc avTLypa4fl rrpèc 'AoxXirid6iiv) Didimo diAlessandria (T3); in
eta augusteo-tiberiana infine, un altro grammatico di Alessandria, Seleu-
co, rifacendosi ad Asciepiade e a Didimo, compose uno 1TrówrLa Th)1)
óXwi'oc d6vuw (T4). Ora, questa tradizione rivela che a partire dal IV
secolo a.C. la legislazione soloniana è oggetto di studio e che questa tra-
dizione di studi prosegue sino all'età augusteo-tiberiana. Che nel IV
secolo la legislazione soloniana sia d'attualità non sorprende, perché
proprio allora (a seguito della restaurazione democratica ad Atene nel
403 a.C.) la figura e l'opera del legislatore ateniese assumono contorni
"mitici". Claude Mossé ha evidenziat0 30 come ii riferimento a Solone, a
partire da Aristotele 31 , ma soprattutto nelle pagine degli oratori attici e
ancor pià nell 'A reopagitico isocrateo, <<diventa un luogo comune>>32.
Vale infine la pena notare che ii Solone di Plutarco 33 (che e un contem-
poraneo di Traiano e di Adriano) si colloca essenzialmente nella scia di
Aristotele, per cui Solone è un moderato, uomo del 8f1 pc e della classe
media (Gov), che non si schiera tra due gruppi contrapposti, autore di
una costituzione democratica al quale sono attribuite generosamente leg-
gi che in realtà vedono la luce soltanto nel IV secolo 34 . Proprio nel IV
secolo inoltre si rafforza ii nesso Dracone-Solone in quanto con ii 409

27
Tuttavia la distinzione plutarchea è solo una delle possibili: cfr. SmouD, The A xones, pp. 3-4; 28-35.
29
Faccio riferimento all'edizione Ruschenbusch citata supra.
29
RUSCHENBUSCH, ZOAQNOZ NOMOI,pp. 50-52,57-58. Nell'ultimo trentennio del II sec. a.C. Apel-
licone di Teo portd alla bce gli scritti di Aristotele e eurO le prime copie. Dopo la morte di Apellicone,
nell'82 Silla trasferl la sua biblioteca da Atene a Roma dove (forse nel 55) due grammatici, Tirannione
ed Andronico di Roth, curarono la nuova edizione e la schedatura delle opere di Aristotele.
30
Cfr. C. MossE, Comment s'élabore un mythepolitique. Solon <perefondateurs de la démocratie
athénienne, Annales (ESC) 34, 1979, pp. 425-437.
31
A then.pol. 41,6; Pol. 1273b 30-40-1274a 1-5.
32
Mossé, Due miti, p. 1331: <<II riferimento a Solone diventO on luogo comune del discorso degli ora-
tori, dato che ii suo ruolo di arbitro, grazie al quale aveva saputo mantenere una giusta equidistanza tra le
fazioni contrapposte, si adattava assai bene alla situazione presente (scil. alla sitoazione del 403) e all'inten-
dimento di ricostruire l'unitb della citth (scil. di Atene) all'indomani di una vera e propria guerra civile. A
tal fine occorreva fare di Solone il fondatore della democrazia, ma di una democrazia moderata, che riser-
vava ai "migliori" l'esercizio delle magistrature e lasciava in mann al popolo l'assemblea e i tribunalis.
RUSCHENBUSCH, ZOAQNO> NOMOI, pp. 46-47; Mossd, Due miti, pp. 1333-1335.
' Tali sono secondo MossE, Due miti, pp. 1334, Ic leggi sull'artigianato, sull'istituzione dci gine-
conomi, sull'esportazione di alcuni prodotti. Sulla connessione stabilita da Plutarco tra il carattere demo-
cratico dell'opera legislativa di Sobone e la sua legislazione commerciale cfr. Sol. 24, 1 e infra.
64 ALESSANDRO GALIMBERTI

vengono rimesse in vigore le leggi sull'omicidio di Dracone sotto l'egi-


da del richiamo alla TrcITploc TrOXLTEIa.
B chiaro dunque che alla base di questa presentazione di Solone agi-
see già una componente utopica, secondo una lettura idealizzante del
passato 35 , ehe vede nel legislatore ateniese ii modello del perfetto legi-
slatore 36 , come rivela anche ii fiorire di aneddoti sulla sua figura senz' al-
tro amplifleati dalla tradizione (l'incontro con Creso in Erodoto, che si
ritrova anche in Plutarco; l'inclusione di Solone tra i Sette Sapienti nella
prima metà del IV sec.) 17.
Ancor piii interessante per fbi 6 ehe ii dibattito sugli ovc solonia-
ni sia aneora aperto in eta augusteo-tiberiana, quando scrive Seleuco di
Alessandria ehe aveva aecessoalla corte di Tiberio (e che, secondo Sve-
tonio, Tiberio mise a morte) 38 . Tuttavia, anche per quanto riguarda il II
secolo d.C., Plutarco (Sol. 25, 1) 19 assicura che gli Ateniesi <<fecero iseri-
vere (scil. nel VI secolo) le sue (scil. di Solone) leggi su tavole di legno
contenute in cornici quadrate che ruotavano su un perno; di esse piccole
parti .rimangono ancora ai nostri tempi e si conservano nel Pritaneo>>;
Pausania da parte sua afferma che (1, 18, 3) <<vicino (scil. al santuario
dei Dioscuri) c'è il Pritaneo, dove sono seritte le leggi di Solone>>40.
Al di là di queste sopravvivenze "areheologiche" e letterario-erudite,
la figura di Solone nella cultura giuridico-antiquaria romana tra ill seco-
lo a.C. e ii II secolo d.C. sembra ritagliarsi un posto preciso. Come è
noto, la tradizione relativa alla formazione delle Dodici Tavole in Livio
(3, 31, 8 e 32, 6) ricorda l'invio di un'ambaseeria ad Atene da parte dei
decemviri del 451 con ii compito di inclitas leges Solonis describere,
nonché in altre città della Greeia 41 , sempre con compiti di studio (3, 31,
8). Accanto a questa tradizione ne esistono altre due: una in Dionisio
d'Alicarnasso (A nt. Rom. 10, 51, 5), secondo la quale furono due le
ambaseerie, una diretta nelle città magnogreche, l'altra ad Atene; una
terza in Pomponio (Dig. 1, 2, 2, 4), che parla genericamente di un viag-

Plut. Sol. 20, 1; Gell. NA 2, 12. Utopica appare già la norma "soloniana" circa la privazione del
diritti clviii a chi non aderisse a nessuna delle fazioni in lotta in caso di OTU0I3, presente peraltro già nel-
le Elegie soloniane in cui l'autore rivendica la sua funzione di arbitro sociale
36 Su cui cfr. 1'Introduzione a questo volume.
Hdt. 1,29 e 86; Plut. Sol. 27, 1.
38 Suet. Tib. 56: item cum soleret (scil. Tiberius) ex lectione cotidiana quaestiones super coenam
proponere et comperisset Seleucum grammaticum a ministris suis perquirere, quos quoque tempore trac-
taret auctores, atque ira praeparatum venire, primum a contubernio removit, deinde etiam ad mortem
compulit.
a COt KaTypadqoav ELC liilivois bovar 6v TIXUIOIOLC 1 TOE PLEXOOJOL OTpE01EV0U3, W v ETL eat' ipiä
lv llpuTavELw X eIosava psepb 8LEmET0.
40 -TrXT0L0v 81 TrpuTavELóv lOTtE, 11! (jI V6101L TE 01 zóXsvóa CLOt yrypajljLlvvoL.
41 Per l'influenza greca salle Dodici Tavole cfr. G. CsnoO, La legge delle X II
tavole. Osservazioni e
problemi, ANRW 1. 2, New York-Berlin 1972, pp. 115-133; M. Ducos, L'influence grecque sur la loi
des douze tables, Paris 1978.
TRA UTOPIA B IDEALIZZAZIONE: ADRIANO, DRACONE E SOLONE 65

gio in Grecia da parte dei decemviri e dell'aiuto prestato al collegio


decemvirale dall'esule greco Ermodoro di Efeso, filosofo e legislatore,
amico di Eraclito42.
La discussione delle varianti delle diverse tradizioni ha indotto Franz
Wieacker 43 a concludere per l'infondatezza di queste tradizioni in rela-
zioñe alla metà del V secolo a.C., pur non esciudendo che la legislazio-
ne soloniana possa aver avuto un influsso su quella romana; i riferimen-
ti a Solone sarebbero per lo pit da ricondurre alle speculazioni degli
antiquari e dei giuristi romani, spesso autori, a partire dal I secolo a.C.,
di commenti alle Dodici Tavole.
Al di là della storicità delle tradizioni relative alla legazione decem-
virale ad Atene, in Grecia o nelle città magnogreche e senza entrare nel-
la minuta discussione delle singole argomentazioni proposte da Wieac-
ker44 , a noi qui interessa soprattutto osservare come tra I secolo a.C. e II
secolo d.C. nella cultura giuridico-antiquaria romanasi conservi memo-
na del legame tra la piii antica legislazione romana e le leggi soloniane.
La legislazione soloniana appare in tale senso paradigmatica e l'impiego
del modello soloniano appare già "filtrato" attraverso la rielaborazione
greca di IV sècolo, cioè in chiave che non esiterei a definire, secondo le
modalità precisate in precedenza, "utopica" in quanto idealizzata.
Ancora nei primi decenni del II secolo d.C. ii legame Solone-Dodici
Tavole è al centro del dibattito. Tacito (A nn. 3, 26, 3), che scrive sotto
Traiano e Adriano, individua il culmine della legislazione greca in Solo-
ne e nelle Dodici Tavole, <<l'ultimo corpo di leggi che avesse per fonda-
mento l'equita>> (27, 1). Anche se nel testo degli A nnales il collegamen-
to tra Solone e le Dodici Tavole non è enunciato espressamente, non è
difficile cogliere nel parallelismo tra mondo greco e mondo roman0 45 la

42
In questa tradizione possono essere riversate le notizie di Cic. V err. 5, 72, 187; Pun. Ep. 5,24,4;
Flor. 1, 24, 1, che parlano genericamente di derivazione greca delle leggi romane. Su Ermodoro cfr. Stra-
bo 14, 1, 25; Plin. NH 34, 5, 2 1.
° F. WIEACKER, Solon und die X II Tafein, in Studi V olterra Ill, Milano 1971, pp. 761-768; 782-784;
cfr. già E. RUSCHENBUSCH, Die Zwolftafeln und die ro,nische Gesandtschaft nach A then, Historia 12,
1963, pp. 250-253 e ancora P. SIEWERT, Die angebliche Ubernahme solonischer Gesetze in die Zwolfta-
feln. Ursprung und A usgestaltung einer Legende, Chiron 8, 1978, pp. 338-344.
II cui tentativo di negare interferenze tra leggi soloniane e Dodici Tavole in relazione alle dispo-
sizioni funerarie (cosI anche SIEWERT, Die angebliche, pp. 331-337) lascia tuttavia spazio ad ipotesi quan-
tomeno diverse. Si veda ad es. I'esplicita testimonianza di Cic. Leg. 2, 59: lam cetera in X II minuendi
sumptus sunt lamentationisque funebris, translata de Solonis fere legibus [ ... ]. Quod eo magis iudico
verum ease quia lex Solonis id ipsum vetat. Per una valutazione pin equilibrata cfr. ora BLOK, Solon's
Funerary, pp. 197-247 (con bibliografia).
° Che incomincia laddove Tacito a 26, 3 cessa di parlare di Solone e passa a delineare una breve
storia delle leggi romane da Romolo alI'epoca di Tiberio. Con Solone si conclude la trattazione relativa
alla legislazione greca, con le Dodici Tavole (27, 1) si conclude la trattazione relativa alla migliore legi-
slazione romana a cui segue, in modo piuttosto brusco, un lungo periodo di "decadenza" iniziato con i iii-
bunati dei Gracchi, di Druso e di Saturnino (27, 2 e sgg.), interrotto solo a tratti da alcuni momenti posi-
tivi (con Silla, con Augusto e, infine, con Tiberio).
66 ALESSANDRO GALIMBERTI

suggestione proposta 46 : come con Solone, secondo Tacito, la legislazio-


ne greca raggiunge la sua compiutezza, cos! le Dodici Tavole sono ii
finis aequi iuris47.
Sotto Adriano poi viene composto l'Enchiridion e, poco dopo, com-
pare un ampio commento alle Dodici Tavole di Gaio, testi nei quali <<la
legislazione compilata dai decemviri nella metà del V secolo era ancora
considerata un archetipo del diritto>> 48 . Cos!, le Noctes A tticae, in un pas-
so dell'undicesimo libro (11, 18, 1-6), parlando delle pene inflitte ai
ladri, prendono in considerazione queue di Dracone, di Solone e delle
Dodici Tavole, rivelando come la selezione delle tre legislazioni fosse
ormai paradigmatica per i Romani del II secolo e sottolineando che le
leggi romane rispetto a queue greche rappresentavano ilfinis aequi iuris
poiché <<non usarono né una cos! grande severità né una cosi eccessiva
remissività>> 50 . Infine, sempre Gellio, in NA 20, 1-54, riferisce di un
disputa tra ii giurista Sesto Cecilio e ii sofista Favorino di Arelate (ambe-
due attivi sotto Adriano e Antonino Pio)51, avvenuta in area Palatina
mentre erano in attesa di rendere omaggio all'imperatore (Antonino
Pio), sulla severità delle pene per alcuni delitti e l'eccessiva mitezza per
altri sancita dalle Dodici Tavole: mentre a Favorino spetta la parte del-
i, accusa, Sesto Cecilio s ' incarica di difendere la bontà e 1' equità delle
Dodici Tavole.
A questo punto, prima di procedere oltre, mi sembra di poter sintetiz-
zare cos! i dati piui importanti sin qui emersi:

46
Vale la pena notare la posizione dell'excursus tacitiano collocato entro la narrazione del princi-
pato di Tiberio, al quale lo storico riconosce ii merito di aver posto un freno al dilagare dei delatori che
forzavano la legge (28, 3). L'attenzione di Tiberio per le leggi soloniane potrebbe essere suggerita dal fat-
to che, come s'è detto, tra I frequentatori della corte tiberiana c'era Seleuco, autore di un commento agli
dovc.
° Il richiamo all'equita potrebbe far pensare nuovamente a Solone il quale, a prescindere dalle
coloriture di IV secolo, aveva già rivendicato per sé nelle sue Elegie l'immagine dell'uomo politico che
govema con imparziale giustizia e rigorosa onestà. Vale la pena ricordare che per Ammiano Marcellino
(22, 16,22) Solon [ ... ] Romano quoque iuri maximum addiditfundamentum cfr. U. ZCccHINI, Greek and
Roman Parallel History in A mmianus, in J. W. DRIJVERS et aiji (edd.), A mmianus after Julian, Leiden
2007, p. 206.
48
F. D'IPPOLITO, Le X II Tavole: ii testo e lapolitica, in Storia di Roma I, Torino 1991, p.397.
a Draco A theniensis y in bonus multaque esse prudentia existimatus est iunis divini et humani pen-
tusfuit. Is Draco leges quibus A thenienses uterenturprimus omnium tulit. In illis legibusfurem cuiusmo-
dicumque furti supplicio capitis poeniendum esse et alia pleraque nimis severe censuit sanxitque. Eius
igitur leges, quoniam videbantur impendio acerbiores, non decréto iussoque sed tacito inlitteratoque
A theniensium consensu oblitteratae Sunt. Postea legibus aliis mitioribus a Solone compositis usi sunt. Is
Solo e septem illis inclutis sapientibusfuit. Is sua lege infures non, ut Draco antea, mortis sed dupli poe-
na vindicandum existimavit. Decemvini autem nostni, qui post reges exactos quibus populus Romanus
utenetur in X II tabulis scnipserunt, neque pari severitate in poeniendis omnium genenumfuribus neque
remissa nimis lenitate usi sunt.
° Ho attirato l'attenzione (GALIMBERTI, A driano e 1 'ideologia, pp. 102-108) sulla legislazione mill-
tare adrianea,che fa della moderazione e dell'humanitas I suoi criteri guida.
Cfr. F. CASAVOLA, Giuristi adrianei, Napoli 1980, pp. 77-105.
TRA UTOPIA E IDEAUzzAzIONE: ADRIANO, DRACONE B SOLONE 67

1. Sia Dracone sia Solone sono due riformatori sul piano legislativo
e costituzionale.
2. Ambedue operano sullo sfondo di un contesto connotato dal pun-
to di vista religioso e sacrale, al centro del quale sono Delfi (sia in Dra-
cone sia in Solone) ed Eleusi (in Solone).
3. Gli c0VE3 soloniani sono oggetto di un ininterrotto interesse di
studio, avviato da Aristotele, che si estende fino ad almeno ill sec. d.C.
4. Dal IV secolo è in atto un'interpretazione mitico-utopica dell'atti-
vita di Solone e della sua figura sotto ii profilo legislativo e politico, che
ravvisa nel legislatore greco ii modello del perfetto legislatore: questa
immagine trapassa nella cultura giuridico-antiquaria romana tra ill seco-
lo a.C. e ii II secolo d.C. e viene accostata alla legislazione decemviraie
delle Dodici Tavole.
Alla luce di ciO credo ora sia possibile cogliere e illustrare put ampia-
mente ii carattere idealizzante-utopico del progetto di Adriano in Grecia.
Adriano nel corso dei suoi viaggi Si pone anch'egli come legislatore
(vooeTr) in Grecia e in particolare ad Atene. Qui l'imperatore, in una
data imprecisata, aveva emanato una legge (voioeEoia) 52 relativa al corn-
mercio dell'olio d'oliva, fissando le quote destinate ad Atene e all'espor-
tazione nonché le multe e la regolamentazione degli eventuali contenzio-
si. La critica ha riconosciuto in queste disposizioni un'eco di un'analoga
legge soloniana a cui accenna Plutarco (Sol. 24, Per quanto signifi-
cativa, quest'eco ml sembra nient'altro che un precedente, peraltro poco
perspicuo. C'è perô un aspetto della attività legislativa di Adriano ad Ate-
ne che merita maggior attenzione per comprendere meglio ii rapporto con
gli antichi legislatori presi qui a modello. Adriano infatti ad Atene è auto-
re non solo di una generale attività legislativa in quanto imperatore, ma in
quanto VO1LO06T_Q3 è, al pari di Solone e di Dracone, l'autore di riforme
che lato sensu potremmo definire costituzionali 54 : ad Atene ii principe
costituI infatti una tribii col suo nome ('A6ptavL3) e ridusse ii numero dei
buleuti da seicento a cinquecento, il numero cioè fissato da Clistene55.

52 CosI nella prima linea dell'iscrizione: Kd(tdXaLa) vo(to)t(ota) Atptavot in OLIVER, Greek Con-
stitutions, n° 92, che commenta: <<Hadrian appears here in his invited role of Athenian nomothetes as well
as emperor. He is primarly a nomothetes in a tradition going back to Draco and Solon, so that we should
not refer to the law as a part of an edict, though it would have had the same validity as an imperial edict>>.
53 1(1>) 6 y1VO1tW1) hLatOLl) Trp63 /Xaiou jió>OV .84KEV, ?IXXG 6'tdyiv /KthXUO, IM IL caTh TWV
76V TOJV dp&g ThV dpXovTa TroLetataL TrpooE Ta l ev
. t TLVLV WThV /KaT61) SpaxlIac ELS TO 8fljl69LOv (aL Trp
Tor /1L4V tOTIV 0 TOUTO1) LTEPLEXÜ1V TOL' vojov. Cfr. GRAINDOR, A thènes, pp. 74-79.
14 In un'iscrizione ateniese relativa ai dodici arconti di Delo del 119-120 d.C. (BCH 28, 1904, 172;

BCH 34, 1910,421) un certo Pitodoro è vo ioQ/ i Tlc . GRAINDOR, A thènes, p.32 nota 1, ha nsservato che: <<La
dernihre de ces dodécades est del' archontat de C. Julius Cassius (125/6)>> ed ha ipotizzato che <<Hadrien ne
se chargeat-t-il que des lois constitutionnelles et Pythdôros eut-il mission de codifier les lois usuelles tel, a
Rome, Salvius Julianus, a qui fut confiée par Hadrien la codification de l'edictumperpetuum>>. Colpisce in
ogni caso la coincidenza con le date chiave del progetto Panellenico di Adriann: 121/2 e 125/6 (cfr. infra).
55 Secondo un'ipotesi recente Adriano avrebbe restaurato anche la Pnice (M. H. HANSEN, The A the-
68 ALESSANDRO GALIMBERTI

In base a quest'ultimo dato si sarebbe tentati di ipotizzare che nella


notizia di Girolamo da cui siamo partiti l'accenno ai reliquorumque
libris donde Adriano e i suoi giuristi avevano tratto ispirazione per dare
nuove leggi agli Ateniesi sia un'allusione alla costituzione di Clistene;
senonché non c'è traccia di una legislazione scritta clistenica. Si potreb-
bero a questo punto avanzare due nomi: quello di Cratero, ii generale di
Alessandro (o meno probabilmente ii figlio) 56, e quello di Demetrio
Falereo. Ii primo fu autore di una Xvvayuyr5 5TLcY1dTWV di Atene in
almeno nove libri di cui possediamo 23 frammenti: i decreti sono databi-
ii tutti al V secolo, tuttavia in essi non sono comprese misure di tipo
"costituzionale" o amministrativo relative ad Atene, e soprattutto Crate-
ro non è un legislatore. Ha pertanto pi1 probabilità di essere identificato
come una delle fonti di Adriano Demetrio Falereo 57 , noto per la sua atti-
vita politica e legislativa (Webrli 13, 12, 15 = SOD 16A, 16B, 20A) 58 ad
Atene tra ii 318 e ii 307 a.C., e autore di un TrEp'L T1 'A9ivflcrL VOROOE
criaç in quattro libri, di un TIEp'1 mw 'Ae1vrIrL TFOXLTEL(UV in due libri non-
ché di un TrEpl. vópwv e di un ipl. TFOXLTIKQV 59 , opere in cui mostra uno
spiccatointeresse per la storia delle costituzioni ateniesi ed in particola-

nian Democracy in the A ge of Demosthenes. Structure, Principles and Ideology, Oxford-Cambridge


Mass. 1991, p. 128). Alle tribU e ai demi di A ntinoopolis furono assegnati I nomi degli dei e degli eroi
di Atene. Non so quanto fondamento abbia l'ipotesi di WEBER, Untersuchungen, pp. 166-167, secondo
ii quale l'introduzione del demo Salamis nella tribd A thenais di A ntinoopolis h da ricondurre alla versio-
ne soloniana presente in Plutarco (Sol. 10, 3), conosciuta da Adriano, dell'appartenenza di Salamina ad
Atene e non a Megara. Per L'HOMME-WERY, La perspective, pp. 63-113, la conquista di Salamina da
parte di Solone fu solo una tappa per sottrarre Eleusi al controllo di Megara. La presa di Salamina sotto
Solone è per DE SANCTIS, A tthis, p. 335, una leggenda; per Erodoto (1, 59, 4) l'isola venne presa da Pisi-
strato, anche se Aristotele (A then. pol. 17, 2) nega (ma a torto, cfr. RHODES, A Commentary, p. 224) che
Pisistrato abbia potuto partecipare all'impresa, considerata la sua troppo giovane eta. Fonti sulla guer-
ra in MART1NA, Solon, T 237-255; per la versione plutarchea cfr. ii commento di PICCIRILLI, Plutarco,
pp. 131-143.
Cfr. D. ERDAS, Cratero ii Macedone. Testimonianze eframmenti, Tivoli 2002, pp. 2-9, in cui sono
ora raccolti e commentati i frammenti di Cratero.
I franimenti delle opere di Demetrio sono in F. WEHRLI, Die Schule des A ristoteles. Texts und
Kommentar, IV , Demetrios von Phaleron, Basel-Stuttgart 1968 2 , e ora in W. W. FORTENBAUGH - E. SCHU-
TRUMPF, Demetrius of Phalerum. Text, Translation and Discussion, New Brunswick-London 2000 =
SOD, abbreviazione impiegata dagli stessi editori per indicare I curatori del testo dei frammenti (Peter
Sork, Jan Max van Ophuijsen, Tiziano Dorandi).
58
Su cui cfr. M. GAGARIN, The Legislation of Demetrius of Phalerum and the Transformation of
A thenian Law, in FORTENBAUGH - SCHUTRUMPF, Demetrius of Phalerum, pp. 347-365; A. BAwvI, Sulla
legislazione di Demetrio del Falero, BIDR 102, 2005, pp. 529-550.
Tra le opere storico-giuridiche di Demetrio deve essere ricordata anche 1' 'APXdVTWV dvaypa4n, su
cui A . BMisr, Storia ateniese,Jllosofia epolitica nell'opera di Demetrio del Falero, in A tti del Congres-
so "Storiografla locale e storiografia universale:forme di acquisizione del sapere storico nella cultura
antica (Bologna 16-18 dicembre 1999)", Como 2001, pp. 332-345. Demetrio fu peraltro autore di opere
di diverso genere (storico, filosofico, letterario e retorico [Wehrli 174-186 = SOD 1]). Su Demetrio poli-
tico e filosofo cfr. H. J. GEHRKE, Das V erhdltnis von Politik und Philosophie in den W erken des Deme-
trios von Phaleron, Chiron 8, 1978, pp. 149-193; H. B. GOTTSCHALK, Demetrius of Phalerum: A Politi-
cian among Philosophers and a Philosopher among Politicians, in FORTENBAUGH - SCHUTRUMPF, Deme-
trius of Phalerum, pp. 367-380.
TRA UTOPIA E IDEALIzzAzIONE: ADRIANO, DRACONE E SOLONE 69

re di quella soloniana (Wehrli 1551 = SOD 114), che elegge a suo


modello politico-costituzionale di riferimento (Wehrli 11, 13, 147 =
SOD 15B, 16A, 117)60. Egli è soprattutto considerato (Wehrli 17 = SOD
20B, 58A) come terzo legislatore di Atene (dopo Dracone e Solone
oppure, se si preferisce, dopo Solone e Clistene) 61 . Cicerone del resto
(De re p. 2, 1, 2)62 ricorda Demetrio come ultimo di una schiera di legi-
slatori ateniesi, dopo Teseo, Dracone, Solone, Clistene et multi alii; nel
De legibus (2, 64 e 66) Demetrio è citato come fonte autorevole in rela-
zione alle leggi per la limitazione del lusso funerario ad Atene stabilite
sulla base della legislazione soloniana e riprese a Roma dai decemviri
nella decima tavola. In eta imperiale Strabone (9, 1, 20), accanto all' atti-
vita politica di Demetrio, menziona i suoi UTFO}.LV1 LG.TG. a. ouV Eypct5E TrEpL
Tqc TFOXLTELGc e, infine, tra II e III secolo d.C., Eliano accenna 63 ancora
all' attività politico-legislativa di Demetrio includendolo in un numeroso
elenco di LXócrO4oL tra i quali spiccano una serie di legislatori (per esem-
pio Zaleuco, Caronda e Solone). Ii plurale libri impiegato da Girolamo
sembra dunque meglio riferibile alla piii abbondante produzione di
Demetrio in materia politico-costituzionale che non a quella di Cratero.
Demetrio non solo in quanto uomo di studi, ma anche in quanto legisla-
tore e uomo politico di orientamento decisamente conservatore, sosteni-
tore di un ritorno alla costituzione soloniana, appare in sintonia con la
scelta adrianea a favore del modello soloniano che, proprio attorno al IV
secolo, acquisisce quei contorni mitici di cui si è discusso in precedenza.
CiO deve essere tuttavia ulteriormente inquadrato, a mio avviso, nel
progetto di rifondazione della città di Atene entro la cornice della politi-
ca panellenica di Adriano64.
Tra ii 121 e il 125 Adriano intraprende infatti il suo primo grande
viaggio che culmina in Grecia con l'iniziazione ai misteri eleusini ai
quali, accanto a Delfi, lega l'ideazione di un preciso progetto panelleni-
co che giunge a compimento con l'istituzione del Panhellenion ad Ate-
ne nel 131/2 La V ita Hadriani, nonostante il disordine cronologico,
descrive bene la parabola ateniese di Adriano il quale, sinda giovane, si
era meritato l'appellativo di Graeculus per il suo amore per la grecità che
non esitava a mostrare pubblicamente (1, 5). Prima di diventare impera-

60 Cfr. BANFI, Storia ateniese, pp. 334-336.


61 20 B: rftuTpLoc 6 IOUXIpE63 yvupIETo y ' v0to0Tfl3 'AOIivrNLv; 58A: Tot aXpw &fl1Tp[O1)
TptTou voFo IETou 'A8iva[wv.
62 A theniensiurn (scil. rem publicam legibus et institutis constituerunt) [...] turn Theseus turn Draco
turn Solo turn Clisthenes turn multi alii, postremo exsanguem jam et iacentem doctus vir Phalereus
sustentasset Demetrius.
63 V H 3, 17: ArIIL0TPLOC 81 6 ftkqpE1g KOl ' AOTivflaLv T1LX1vOTaTa TroXLTetaaTo, lOT ' UtT6V 6
ouv6ic 'Mflvalo3 4206voe l463oE, KG1 lu ALytlrn1 81 oiJvllu T16 UToXetaIq vojioOoLat 1pE.
Riprendo qui alcune considerazioni già sviluppate in GALIMBERTI, A driano e l'ideologia, pp. 125-
139.
70 ALESSANDRO GALIMBERTI

tore, aveva soggiornato ad Atene nel 111/12 rivestendo la carica di


arconte (19, 1)65; poi, in occasione del secondo viaggio in Grecia nel 125
<<Si fece iniziare ai misteri Eleusini, fu largo di donazioni nei confronti
degli Ateniesi e sedette ai giochi (scil. le Grandi Dionisiache) in qualita
di agonoteta>> (13, 1)66; infine una parte di Atene fu interamente costrui-
ta ex novo dall'imperatore e prese ii nome di Hadrianopolis (20, 4) 67.
L'iscrizione 68 sull' arco che segnava l'ingresso nella città adrianea rive-
la che l'imperatore si considerava addirittura ii nuovo Teseo, vale a dire
il nuovo fondatore di Atene; ii nome di Adriano appare peraltro in poco
meno di un centinaio di altari degli anni 131/2 che, oltre ad attestare
significativamente la diffusione del suo culto, lo ricordano quale <<Salva-
tore e Fondatore>> (u)Tp Ka'L KT19T113)69
Ma soprattutto Atene, attraverSo ii Panhellenion, diventa ii centro
di una lega panellenica di poleis ed ethne associati attorno al culto del-
l'imperatore 70 . Interessante a questo propoSito è ii criterio scelto da
Adriano per l'ingresso nel Panhellenion: soltanto le comunità che pote-
vano dimostrare una Sicura:origine greca 7 ' erano ammesse nel conses-

Per la data esatta dell'arcontato di Adriano cfr. supra.


66
Cfr. Dio 69, 11, 1; 16, 1-2; Hier. Chron. (199 HELM): Hadrianus multa A theniensibus dona lar-
gitur. II legame tra la generosità di Adriano a favore degli Ateniesi e la sua iniziaziond eleusina appare
sorprendentemente confermato da un'iscrizione (B. M. SMALLWOOD, Documents illustrating the Princi-
pates of Nerva, Trajan and Hadrian, Oxford 1966, 71a) in cui la lerofantide ricorda l'iniziazione di
Adriano: darei-ov Ic TTdC'aLg TIXOOTO1! KaTIXEUE TróXEaaLv, /AIpLavóv, KXELVi1C 5' 1oa KKpoTrirj.
67
In effetti gil scavi hanno dimostrato die II nuovo quartiere è localizzabile in due aree: la pri-
ma attorno al Panhellenion e all'Olympieion, ii santuario di Zeus Olympios voluto anch'esso da Adria-
no, la seconda presso 1'Agora. Cfr. WEBER, Untersuchungen, p. 164; GRAINDOR, A thènes, pp. 37-58;
J. BEAUJEAU, La religion romaine a l'apogee de l'empire. I. La politique religieuse des A ntonins (96-
192), Paris 1955, pp. 176-178; M. T. TAuMuIito BOATWRIGHT, Further Thoughts on Hadrianic A thens,
Hesperia 52, 1983, pp. 173-176; A. J. SPAWFORTII - S. WALKER, The W orld of the Panhellenion: I. A thens
and Eleusis, JRS 75, 1985, pp. 93-95; R. BTIENNE, La nouvelle A thènes d'Hadrien, REA 94, 1992, pp.
269-271. Pausania afferma che (1, 20, 7) <<Atene rifiori sotto ii regno di Adriano>> ('ASfivaL UIOLC ASpLa-
VOl IOOLX110vTOC iOaav), ii quale arricchi Atene di altri preziosi monumenti: un Pantheon, un portico
lungo ii quale correva un ampio colonnato di marmo frigio, ambienti adorni di un tetto dorato e di alaba-
stro, di statue e di pitture ove trovava spazio una biblioteca e un ginnasio anch'esso attorniato da un impo-
nente colonnato marmoreo (1,18,9); cfr. anche Hier. Chron. (200 HELM): Hadrianus cum insignes etplu-
rimas aedes A thenisfecisset, agonem edidit bibliothecamque miri opens exstruit.
60 JG 112 5185:
ALl eta' 'AOIiVaL Ouicylooc i TTP1V ii6XL/A16' La' 'ASpLavoI, eat o1xi eEotlJc T2IXI3.
Cfr. anche SEG X X I 820; XXIX 198. Cfr. da ultimo A. KARIVIERI, Just one of the Boys. Hadrian in the
Company of Zeus, Dionysus and Theseus, in E. N. OSTENFELD, Greek Romans and Roman Greeks. Stu-
dies in Cultural Interaction, Aarhus 2002, p. 49. A1I'immagine di novello Teseo ad Atene sembra corn-
spondere quella di Adriano Romulus Conditor che ii principe cerca di accreditare a Roma proprio neT 121
in occasione del Natalis Urbis.
69
La documentazione epigrafica è stata pubblicata da A. S. BENJAMIN, The A ltars of Hadrian in
A thens and Hadrian's Panhellenic Program, Hesperia 32,1963, pp. 57-86. Su Adriano KtIstes et Condi-
tor cfr. B. CALANDRA, Oltre la Grecia. A lle origini del jIlellenismo di A driano, Napoli 1996,
70 Cfr. da ultimo P. Douimws, pp. 119-130.
Idee e pratiche in eta ellenistica e imperiale, in G. ZECCHINI (ed.), Ii
federalismo nel mondo antico, Milano 2005, pp. 41-81.
71 J. H. OLIVER,
Marcus A urelius: A spects of Civic and Cultural Policy in the East, Princeton 1970,
nn° 5-6. Ambedue le iscrizioni, relative la prima all'ammissione della cittb di Magnesia sul Meandro, la
seconda della città frigia di Cibira, fanno riferimento al loro yl1oc 'EXXI1VL [eli']. Cfr. SPAWFORTh - WALKER,
The W orld, p. 82.
TRA UTOPIA E IDEALIZZAZIONE: ADRIANO, DRACONE E SOLONE 71

SO ateniese. Un'iscrizione argiva degli ultimi anni del regno di Adria-


no conserva una lettera diretta da Argo alia città cilicia di Ege, unita ad
un decreto argivo in onore del sofista P. Anteio Antioco, un notabile di
Ege. Ambedue i documenti sono originati dail'attività antiquaria di
Antioco ad Argo: in occasione di una lunga visita aila città egli tenne
un pubblico discorso mostrando gli antichi legami che univano Argo
ed Ege, fondati sulle mitiche peregrinazioni deli' argivo Perseo e nego-
ziô ii "rinnovo" dei legami ((JuyyEvEIaL) tra le due città, come mostra
la lettera delie autorità argive diretta ad Ege, databile anch ' essa agli
ultimi anni del regno di Adriano 72 . Questo richiamo aile radici mitiche
e ai rapporti di TUVELG è alla base del progetto di Adriano di rifon-
dare l'unità greca attorno alle due strutture politichefondamentali del-
la grecità stessa, le poleis e gli ethne, convogliando in senso religioso
questa unità attorno alla sua persona e arricchendola in modo signifi-
cativo di un privilegiato rapporto con Atene. A sua voltaquesto rap-
porto privilegiato si intreccia strettamente con Eleusi e con Delfi, i due
centri sacrali del piü antico panellenismo greco, che sono anche un
riferimento ideologico di primo piano nelle legislazioni di Dracone e
di Solone.
A Delfi infatti Adriano assunse l'arcontato per ben due volte, di cui
una sicuramente nel 125. Di quest'anno è una letteradi Adriano in
risposta all'Anfizionia delfica 74 relativa alla composizione numerica del
consesso e alla raccolta dei decreti anfizionici da partedi un inviato del-
l'imperatore per verificarne la coerenza e la correttezza giuridica rispet-
to aile leggi di Roma. A parere di Adriano i voti dei Tessali all'interno
deil'Anfizionia andavano ridistribuiti tra Ateniesi e Spartani e le altre
città <<affinché ii sinedrio fosse comune a tutti i Greci>> (vct j ICOLVO1)
T1O.V TW V TWI! EXXivwv TO oiiv6pLo1) 75 . L' intervento diretto dell'impera-
tore nella composizione del sinedrio nonché il controllo sui decreti anfi-
zionici rivelano la decisione di Adriano di fare del piü antico organismo
panellenico la sede della grecità finalmente unita in modo paritetico in
un consesso comune sotto la guida di Roma. Secondo recenti ipotesi

0 all'età antonina, poichh Antioco, come attesta Filostrato (VS 568 e 524), fu allievo di Dionisio
di Mileto contemporaneo di Adriano. Cfr. L. ROBERT, Documents d'A sie Mineure, BCH 101, 1977, Pp.
119-132.
SIG3 551. Nel 120 e nel 125 oppure nel 124/5 e nel 129/130. Cfr. WEBER, Untersuchungen, p.
193; BEAUJEAU, La religion romaine, p. 185. Adriano restituiinoltre a Delfi .lapossibilità di batter mone-
ta e interrogé egli stesso l'oracolo a proposito della patria di Omero (A P 14, 102). Plutarco (De Pyth.
orac. 29) attesta la rinascita di Delfi ai suoi tempi. Su Adriano, Plutarco e Delfi cfr. S. SWAIN, Plutarch,
Hadrian and Delphi, Historia 40, 1991, Pp. 318-330; C. TALAMO, Plutarco, DeW e il Panellenio, in P.
VOLPE CACCIATORE - F. FERRARI, Plutarco e la cultura della sua eta, Napoli 2007, pp. 207-219.
OLIVER, Greek Constitutions, n. 75.
Sulla singolare coincidenza tra gli ethne presenti a Delfi che votavano anche nel Panhellenion
cfr. I. ROMEO, The Panhellenion and Ethnic Identity in Hadrianic Greece, CPh 97, 2002, Pp. 24-25.
72 ALESSANDRO GALIMBERTI

peraltro Delfi doveva essere in un primo momento ii luogo dove sarebbe


dovuto sorgere ii Panhellenion76.
Ad Eleusi Adriano non mancô di partecipare al rito misterico ogni
volta che soggiornô ad Atene, passando dal grado di mystes (cioe di sem-
puce iniziato) a quello di epoptes; per volere di Adriano ii mese attico di
Boedromione, durante ii quale si celebravano i Grandi Misteri, dava
d'ora in poi inizio al calendario 77 ; fece inoltre erigere un ponte sul Cefi-
so (andato poi distrutto per un'inondazione) 78 per collegare piii rapida-
mente Atene ad Eleusi; i pescivendoli di Eleusi furono esentati da qual-
siasi tassa nei periodi in cui si celebravano i misteri; una notizia di
Aurelio Vittore (14, 4) rivela infine che Adriano era talmente entusiasta
dei misteri ut etiam 1...] initia Cereris Liberaeque, quae Eleusina dici-
tur, A theniensium modo Roma percoleret80.
Oltre alla intrinseca valenza panellenica del culto eleusino, proprio
ad Eleusi all'epoca di Adriano sorgevano due archi, copie dell'arco di
Atene presso il Panhellenion, che costeggiavano l'entrata principale del
santuario, ambedue sormontati da una medesima iscrizione ( -roiv eEoLl)
KaL TO)L WT0Kp6.T0pL 01 llaVXXflVE3) 81 . Ii fatto che Adriano sia colloca-
to sullo stesso piano di parità delle dee (Demetra e Kore) e che i dedica-
tari siano i llavXXivcç, mi sembra riveli in modo significativo che gli
archi di Eleusi appaiono dedicati ad Adriano in quanto "programmatica-
mente" panellenico attraverso le sue partecipazioni al rito eleusino 82; j
llavXXrvES' peraltro ogni quattro anni - secondo l'antica prassi - offriva-
no una parte delle aparchai al santuario delfico t3 . Ii culto misterico

• 76 D. W11.LERS, Hadrians Panhellenisches Programm, Basel 1990, pp. 99-100; C. ANToNarn, La


centralità di Eleusi nell'ideologia panellenica adrianea, Ostralca 4, 1995, p. 149; Bnuay , Hadrian, pp.
218-219; J. M. CORTES COPETE, Elfracaso del premier proyecto panheldnico de A driano, DHA Z5, 1999,
pp. 91-112 e ID., Delfos, colonia neroniana, Habis 30, 1999, pp. 237-251; TALAMO, Plutarco, DelfI, pp.
207-209. Probabilmente nella seconda metà del 11 sec. almeno tre anfizioni erano anche flavilX nvec: cfr.
F. LEFEVRE, L'A mphictioniepyleo-delphique: histoire et institutions, Paris 1998, pp. 131-132.
Su cui GRAINDOR, A thènes, p. 15.
78 Flier. C/iron. 198 Helm (sotto ii 123): Cefisusfiuvius Eleusinam inundavit, quem Hadrianus pon-
te coniugensA thenis hiemavit; Syncell. 659,9: . 0 atxrô [ . 1 x L áaar Els 'A Oivac cai tuOdç Ta 'EXEU-
aiin Kal ye4up03aa 'Elevdiva caTaFcX0000lc y av iniô Krzaol roTaiou.
' OLIVER, Greek Constitutions, n° 77.
° Cfr. anche Giuliano ii quale afferma (Caesares 311D) che Adriano era TroXuiipaytovCw Th
aTroppTa oppure Hier., De vir. ill. 19: Cumque Hadrianus A thenis exegisset hiemem, invisens Eleusinam
et omnibus paene Graecis sacris initiatus.
n IG 1122958. K. CLINTON, Hadrian's Contribution to the Reinassance at Eleusis, in S. W.c.rcaR -
A. CAMERON, Proceedings of the Tenth British Museum Classical Colloquium. The Greek Reinassance in
the Roman Empire, London 1989, pp. 56-68, contra le ipotesi di un'attribuzione delle iscrizioni ad Anto-
nino Pio o a Marco Aurelio; l'erezione degli archi spetterebbe alla fine del regno di Adriano.
82 L'assenza del nome di Adriano potrebbe trovare un'ulteriore spiegazione nel fatto che egli non
amava che ii suo nome comparisse sui monumenti pubblici (Hadr. 20,4: Et cum titulos in operibus non
amaret). Per alcune significative eccezioni cfr. infra.
83
IG H2 2956-2957: di queste due iscrizioni una e senza data, i'altra h datata trail 177 e ii 189; tut-
tavia, come scrive CLINTON, Hadrian's Contribution, p. 57: <<It seems logical to associate the restoration
TRA UTOPIA E IDEAUzzAzIONE: ADRIANO. DRACONE E SOLONE 73

doveva insomma fungere da collante religioso nel disegno panellenico


adrianeo: una conferma potrebbe venire dal fatto che Adriano post mor-
tem viene ricordato ad Eleusi come eEac /ASpLavoc I [llav]EXX1vLo84.
La carica idealizzante-utopica del progetto adrianeo va dunque ricer-
cata a mio avviso nel suo panellenismo impregnato di tradizionalismot5,
dai tratti religiosi arcaici: vi appartengono sia l'accostamento a Teseo
come nuovo fondatore di una parte della città che porterà ii nome di
Hadrianopolis, sia la fondazione del Panhellenion legato alla riscoperta
degli antichi legami di cruy'yEVELU tra le poleis e gli ethne greci nonché ai
piü antichi organismi panellenici di natura religiosa, l'Anfizionia di Del-
fi e I misteri di Eleusi.
A completare questo universo religioso-culturale che affonda le sue
radici nella pill consolidata tradizione greca, concorrono allora Dracone
e Solone. Essi sono presenti, in linea generale, in ragione del loro profi-
lo di riformatori costituzionali nonché del comune riferimento a Delfi e
a Eleusi, ma Solone è soprattutto presente, in quanto saggio e "modera-
to", nel dibattito giuridico del II secolo contemporaneo ad Adriano sulle
XII Tavole.
Degna della massima attenzione in questa chiave è dunquel'iscrizio-
ne ateniese 86 che, pur nella sua frammentarietà, fa riferimento al fatto che
Adriano concesse agli Ateniesi di xp11YeaL TdL3 TraXaLoic Tr6XEW3 voIoLc.
Ii riferimento ai TraXcao'L voIIoL secondo Paul Graindor 87 rivela che
Adriano <<consentit a rendre aux Athéniens l'illusion de la Trctpoc TE0XL -
TEI.a, dans le genre de celle qu'avait rétablie, en 403, la démocratie
triomphante, après la chute des 5000 (sic)>>. Alla luce delle considerazio-
ni sin qui espresse credo piuttosto che per Adriano gli antichi v6 R OL di
Dracone, di Solone e di Atene (probabilmente quelli di Demetrio Fale-
reo) consacrati dalla tradizione, sebbene ormai rispondenti solo ad
un'lmmaglne ideale ampiamente rielaborata nel corso dei secoli, avesse-
ro ancora la funzione di richiamo ad un passato esemplare, e pertanto
collocabili nel suo universo politico-culturale come paradigma di peren-
ne attualità. La "costituzione" di Adriano è quindi un' operazione che si
innesta nel suo progetto panellenico con al centro Atene (l'Atene di
Solone idealizzata sin dal IV secolo) e a cui si affiancano Delfi ed Eleu-

of the First Fruits with Hadrian and the early years of the Panhellenion, given the Panhellenic character
of the custom and the extraordinary interest of Hadrian in the cult>>.
84 IG 112 3386, su una base di una statua databile trail 180 cii 182 d.C.
85 Sul tradizionalismo della politica religiosa di Adriano a Roma, oltre al fondamentale BEAUJEAU,

La religion romaine, pp. 111-278, mi permetto di rinviare ad alcune mie pagine (GnvIBaRrI, A driano e
l'ideologia, pp. 125-130).
86 IG 112 1075: [ITE dr 'Ae>ae] d4IKTo E6WKEV t8[u11 TaLC AOlvaIoLC XpoOaL TIQIC T8OXaL0L9
TflC sróXe[wr V61OL3].
17 GRAINDOR, A thènes, 73.
p.
74 ALESSANDRO GALIMBERTI

si. Allo stesso tempo ii riferimento alla piii illustre tradizione legislativa
greca trova ii suo corrispettivo nella tradizione giuridica romana, assai
vivace nell'età adrianea, che individua in Solone uno dei modelli di rife-
rimento delle Dodici Tavole.
La "costituzione" adrianea e i suoi riferimenti rivelano peraltro una
certa sintonia con ii dibattito sugli antichi legislatori greci e le loro costi-
tuzioni, che già in eta traianea gode di una certa fortuna. Plutarco nella
synkrisis delle Vite di Licurgo e Numa (4, 2-4) sostiene la superiorità
della costituzione del primo in ambito educativo88 . A questo proposito
mi sembra interessante osservare che la Vita adrianea dell'HA (Hadr. 2,
8) lega espressamente ii nome di Numa a quello di Adriano in relazione
alle V ergilianas sortes che Adriano avrebbe consultato in vista della sua
successione: ii responso sarebbero stati i versi di A en. 6, 808-812 11 rela-
tivi a Numaprimam qui legibus urbemfundavit; inoltre per Aurelio Vit-
tore (14, 24)90 Adriano, come Numa, caerimonias, leges, gymnasia doc-
toresque curare occepit. Non so se Adriano, riprendendo ii modello di
Numa in ambito legislativo (e religioso) polemizzasse con Plutarco, o
meglio con una tradizione di matrice greca; tuttavia l'accostamento a
Numa rivela che, mentre Adriano in Grecia ancorô il suo progetto panel-
lenico agli ormai mitici precedenti di Dracone e di Solone, in ambito
romano ii suo fillellenismo fu senz'altro temperato dalla riproposizione
di modelli, come quello di Numa che, pur guardando alla Grecia 91 , era-
no senz' altro riconducibili a tradizioni romane.

ALESSANDRO GAUMBERTI
Università Cattolica di Milano

88
P. DESIDERI, Lycurgus: The Spartan Ideal in the A ge of Trajan, in P. A. STADTBR - L. VAN DER
STOCKT, Sage and Emperor. Plutarch, Greek Intellectuals, and Roman Power in the Time of Trajan (98-
117 A D), Leiden 2002, pp. 315-327. Secondo Desideri (p. 324), nelle esenzioni fiscali di cui godono
grammatici, retori e filosofi a partire da Vespasiano, nonché negli alimenta traianei, si pub cogliere l'ini-
no a Roma di un Sistema di "educazione pubblica", cioe di un certo controllo dell'educazione da parte del-
lo "stato" (che paga o contribuisce a pagare gli insegnanti), non pill affidata esciusivamente alla famiglia
ormai in crisi.
89
Quis procul ille autem ramis insignis olivae/sacra ferens? Nosco crinis incanaque menta/regis
Romani primam qui legibus urbem fundabit, Curibus parvis et paupere terra/missus in imperium
magnum.
Ibi Graecorum more seu Pompilii Numae caerimonias leges gymnasia doctoresque curare occe-
pit, adeo quidem, Ut etiam ludum ingenuarum artium, quod A thenaeum vocant, constitueret, atque initia
Cereris Liberaeque, quae Eleusina dicitur, A theniensium modo Roma percoleret.
Sulla formazione greca di Numa cfr. Plut. Num. 1,3-5; Cic. De rep. 2,15,28-29; Liv. 1, 18, 2-4.
TRA UTOPIA B IDEALIZZAZIONE: ADRIANO. DRACONE E SOLONE 75

Riferimenti bibliografici
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STORIOGRAFIA, POLITICA E UTOPIA
IN CASSIGDIONE*

Esponente di spicco dell'élite senatoria, di origine orientale, autore


di una Historia Romana, in cui narrava le vicende di Roma dalle origini
fino ai suoi tempi (gli ultimi 7 libri sono dedicati all 'epoca severiana),
Cassio Dione conserva la testimonianza preziosa di un contemporaneo
sul proprio tempo'. Storico della sua eta, attento a rivendicare ruolo e
prerogative dei membri dell'ordo senatorio, ne esplicita l'analisi dei pro-
blemi, sia politici che economici2.
Le osservazioni contenute nei libri dedicati alla storia contemporanea
sono completate dalla riflessione politica, espressa sotto forma di dialogo,
nell. 52. In tale libro, relativo all'anno 29 a.C., alla vigilia dei passi isti-
tuzionali che garantirono ad Ottaviano la guida dello Stato 3 , Cassio Dio-
ne mette in campo un dibattito fittizio tra Agrippa e Mecenate sulla forma
di governo da instaurare da parte di Ottaviano: Agrippa propone il man-
tenimento (o meglio il ritorno) alla res publica, mentre Mecenate l'istitu-
zione della monarchia (cioe del principato). La riflessione sulla miglior
forma di governo è contigua alla fonnulazione di utopie e costituisce per-
ciO un polo di attrazione per investigare la portata del vettore utopico
presso un intellettuale rappresentativo dellaprimametà del Ill secolo.
Ii discorso di Agrippa è breve (52.2-13) e fa da spalla a quello di
Mecenate che si impone, occupando i due terzi del dibattito (52.14-40):

* Per una trattazione pid ampia del rapporto tra la riflessiorie politica e le attese utopiche nell'età
dei Severi rinvio al mio articolo Conscience de Ia crise, utopie etperspectives reformatrices a l'epoque
des Sévères, Latomus 67, 2008, pp. 985-999.
F. MILLAR, A Study of Cassius Dio, Oxford 1964; C. LarrA, La composizione delI'opera di Cas-
sio Dione: cronologia e sfondo storico-politico, in Ricerche di storiografia greca di eta romana, Pisa
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SCHEITINO, Cassio Diane e le guerre civili di eta severiana, Oerión 19,2001, pp. 533-558, con ulteriore
bibliografia.
2 Per una "coscienza della crisi" nella seconda metà del III secolo presso le fonti contemporanee
cfr. G. ALFOLDY, The Crisis of the ThirdCentury as seen by Contemporaries, GRBS 15, 1974, pp. 89-
Ill; diversamente L. DE BLoIs, The Third Century Crisis and the Greek Elite in the Roman Empire,
Histonia 33, 1984, pp. 358-377.
Ovvero la costituzione del principato, con l'assunzione dell'imperium maius et infinitum e della
tribunicia potestas.
80 MARIA TERESA SCHEYFINO

non solo in quest'ultimo si discutono le ragioni della preferenza da


accordare alla monarchia, ma si delinea, in una sorta di prefigurazione
della realtà storica, la struttura amministrativa data da Augusto all'impe-
ro. Essa non aveva sublto, ancora in eta severiana, sostanziali modifiche;
anacronismi intervengono peraltro a estendere la riflessione che si svol-
ge nel discorso alla temperie storica dell'autore: sia sotto forma di dati
reali ma di epoca severiana 4 , sia nelle veste di dati non attestati storica-
mente, probabili proposte riformatrici 5 . Ii pensiero espresso da Mecena-
te e perciO la risposta organica ed articolata di Dione alle difficoltà del-
l'impero della propria epoca 6 . Questa Si sviluppa su due livelli, che ten-
dono a intersecarsi: ii primo è rappresentato dalla questione costituzio-
nale (la miglior forma di governo), ii secondo dalla minuta descrizione
della struttura politico-amministrativa del principato.
Nel primo livello, dopo aver esaminato i vantaggi offerti dal regime
monarchico, Cassio Dione individua ii nodo istituzionale nei rapporti di
potere tra princeps e senato, che devono essere uniformati alla collabo-
razione. La ratio risiede nella salvaguardia della libertas del senato, per
dirla con una parola chiave del pensiero politico dell'establishment sena-
torio nell'alto impero: cioè la libertà di partecipare al potere, con funzio-
ne di controllo e di equilibrio rispetto alle prerogative del princeps7.
Nel secondo livello, Cassio Dione traccia l'organizzazione politica del-
l'impero, con la suddivisione dei compiti tra ordo senatorio e ordo eque-
stre, intesi in una sorta di gerarchia, in cui al primo spetti la direzione poli-
tico-strategica dell'impero, al secondo ii funzionamento burocratico-mili-
tare, in altri termini l'esecuzione delle direttive stabilite dal senato. In que-
sto scenario, nei capp. 28-29, a latere del problema della difesa, lo storico
affronta la questione rilevante delle difficoltà economiche in cui l'impero
Si dibatte, che egli inquadra fra due polarità: ii mantenimento degli eserciti
e la necessità di sollevare la classe senatoria da una fiscalità onerosat.

Ad es., la preselezione dei candidati alle elezioni o la descrizione di un senato non pin, come
quello augusteo, composto esciusivamente da italici, ma anche da membri delle elites orientali, in accor-
do con quello severiano.
Ad es., I'estensione del poteri di alcuni magistrati, senza riscontro, come l'attribuzione della giu-
risdizione capitale al praefectus urbi, o la menzione di cariche mai istituite, come quella del subcensore.
6 II rapporto con la propria epoca e generalmente ammesso: per l'interpretazione del discorso come
la risposta dionea alla crisi dei suoi tempi si veda U. ESPINOZA - Ruiz, Debate A grippa-Mecenas en Dion
Casio. Respuesta senatorial a la crisis del imperio romano en época severiana, Madrid 1982; E. GABBA,
Progetti di rforme economiche efiscali in uno storico dell'età dei Seven, in ID., Del buon uso della nc-
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124. Per una rassegna delle posizioni del moderni sul dibattito dell. 52 di Casslo Diane basti qui 11 rin-
vio a G. Caesci M.aaoNE, Introduzione, in Cassio Dione. Storia romana, Milano 1998, pp. 19-25, con la
nota bibliografica di pp. 31-33.
Djo 52.14.3; 52.15.1; 52.31.1-32.3; 52.37.7; 52.38.3.
1 Si ricordi che ii peso tributario gravava specialmente sulla grande proprietà agraria.
STORIOGRAFIA, POLITICA E UTOPIA IN CASSIO DIONE 81

Cassio Dione propone tre soluzioni integrate per affrontare la crisi:


1) formulazione di un bilancio "consuntivo" che registri le entrate globa-
ii e di uno "preventivo" delle spese; 2) riforma della tassazione con una
put ripartita distribuzione degli oneri 9; 3) promozione deli' agricoltura,
principale fonte di ricchezza e base dell'economia dello stato
L'idea in Dione di affidare allo stato, tramite una politica di interven-
ti creditizi, la guida della vita economica deli 'impero,. per quanto conti
precedenti nella storia imperiale, è conferma del sempre maggior rilievo
assunto dal fattore economico nelle valutazioni politiche dei membri piii
avveduti della classe dirigente imperiale, seppur quale conseguenza dei
problemi militari. Tuttavia Dione delinea le difficoltà economiche del-
l'impero in una prospettiva del tutto interna al proprio ordo: difficoltà
della classe senatoria a sostenere gli oneri finanziari dell'impero 11 . Una
tale visione (fiscalismo oppressivo ai danni delle elites 12 e a vantaggio
dei soldati), insieme con i timori, manifestati dallo stesso Dione, per 1' ar-
rivo ai piIi alti ranghi di membri estranei all'élite senatoria 13, costituiva
l'interpretazione base della crisi da parte dell'establishment.
La risposta dionea si muove tra I versanti politico-istituzionale ed
economico in un'articolata corrispondenza tra teoria e pr .assi. Secondo
una costante dei periodi di "crisi" o "transizione", lo storico e senatore
della Bitinia veicola il ripensamento dell'impero attraverso la modalità
tradizionale della riflessione sulla migliore forma di governo. Essa è
per funzionale all'elaborazione di una prassi, offrendo, a.piü riprese, la
sponda al traghettamento dalla problematica piii generale a misure spe-
cifiche in chiave operativa. La doppia valenza, ideale e pragmatica, ren-
de la meditazione dionea put elaborata dei precedenti ellenistici, che
vivevano appieno nelia formulazione teorica, e piii ardua la sua valuta-
zione complessiva. Ci si limiterà, in questa sede, solo a qualche aspetto
significativo. Quanto al dibattito sullè costituzioni di matrice greca, van-
no sottolineate due peculiarità del procedimento dioneo: a) ii modello

In specie si auspica la riscossione da parte di autorità appositamente incaricate, evitando esazio-


ni straordinarie.
'° Le misure principali: vendita di beni dell'imperatore, prestiti agevolati i cui interessi annui garan-
tiscano entrate durature, con effetti benefici anche sulla tassazione.
Le difficoltà finanziarie deIl'impero, nella visione dionea, dipendono in gran parte dalle spese
militari. Esse erano costituite dal soldo e dai praemia militiae all'atto del congedo . (cioe spese "ordina-
ne"), ma Cassio Dione insiste sulla indisciplina e la corruzione delle truppe (dalle pretese esose e pronte
a "vendersi" al migliore offerente), dandone un'immagine negativa e criticando la linea filomilitare dei
Seven: in realtà, l'aumento del soldo da parte di Settimio Severo fu probabilmente una misura resa neces-
saria dalla svalutazione della moneta. Sull'argomento cfr. GABBA, Progetti , pp. 189-212.
12 Non a caso, egli attribuisce anche un provvedimento di portata considerevole, su versanti molte-

plici, quale la Constitutio A ntoniniana (estensione della cittadinanza a tutti gli abitanti deIl'impero, fatta
eccezione per alcune categorie) solamente alle necessità economiche dello stesso Caracalla, con l'unico
fine di ampliare ii bacino di riscossione delle tasse. -
3 Perfino alla nomina imperiale: valga da esempio Macrino.
82 MARIA TERESA SCHEITINO

scelto, b) ii doppio livello della soluzione offerta alla crisi, una proposta
politica intessuta di un piano di riforme puntuali.
a) Ii modeilo scelto non è posto, come nella maggioranza dei trattati
costituzionali, in un passato remoto, la cui storicità è evanescente. L'ele-
zione di Augusto e del suo principato a paradigma è, peraltro, in sintonia
con uno dei motivi della propaganda di Settimio Severo, con una conso-
nanza che non è stata messa in giusto rilievo. Settimio Severo nel suo
discorso in senato dopo la vittoria sul rivale Albino (197 d.C.), discorso
a cui Dione era presente, esplicitamente indicô quale suo modello ispira-
tore Augusto a discapito di Cesare. Con atti di studiata propaganda, egli
promosse se stesso a restaurator deil'impero, identificandosi in un nuo-
vo Romolo e in un nuovo Augusto. Non si deve ritenere scontata la scel-
ta, dal momento che, nel corso del TI secolo, la fortuna della figura di
Cesare trovô diverse attestazioni 14• Indipendentemente dalla datazione
dell'opera dionea'5 , 1' appartenenza deli' archetipo augusteo all' orizzonte
culturale severiano ne attenua ii significato polemico: essa si traduce in
un'idealizzazione funzionale ali'attualizzazione pit che al vagheggia-
mento.
b) Per quanto con alcune varianti, la descrizione complessiva delia
struttura del principato si mostra corrispondente alla realtà, tanto e vero
che ha rappresentato una delle fonti piii preziose per ricostruire storica-
mente ii funzionamento del "sistema impero" dei primi secoli. In modo
analogo, le proposte di riforma trovano, in piii di un caso, riscontro nel-
l'attività dei Severi e sono state dagli studiosi considerate coerenti con la
situazione deli'inizio del III secolo.
Inoitre, lo stesso Dione chiarisce come le modalità pragmatiche deb-
bano attenersi a uno schema modulato nei tempi e nelle forme: egli pen-
sa in termini di fattibiiità. A 74.10.3, individua ii fallimento deli'opera di
riforma intrapresa, poco prima dell'ascesa di Settimio Severo, da Perti-
nace (193 d.C.), imperatore che pure egli stima e apprezza, neila precipi-
tosità con cui egli l'ha condotta: <<La riforma dello stato richiede tempo
e saggezza>> 16 Un piano riformatore ha successo neila misura in cui pro-
cede per tappe meditate. L'accento sul metodo fa pendere, nella tensio-
ne tra spinta progettuale e realizzabiiità, la bilancia verso la seconda.
Infine, se il iinguaggio dioneo rivela un atteggiamento politico volto al
passato secondo i canoni del pensiero antico, il punto di arrivo è la icaa-
GTWJL (restauratio pit che renovatio). L'utopia, di per sé, puô prevede-

14
Non ultimo ii De vita Caesarum svetoniano, che si apre appunto con la biografia di Cesare Cifi si
attribuisce II ruolo di iniziatore del principato e capostipite dei Giulio-Claudi.
15 Si tratta di un problema annoso: per un articolato status quaestionis rinvio a SCHETTINO, Cassio
Dione, pp. 533-558.
16 Dio 74.10.3: [...] 1rOXLTLFCi IcaTdaTaaLs CaL XPO'OU Cal aollLav
XPI1.
STORIOGRAFIA, POLITICA E UTOPIA IN CASSIO DIONE 83

re una restauratio, ma in una visione in cui ii fine è quanto non è ancora


stato realizzato, non ii ripristino sic et simpliciter di ciô che già è stato.
Ii substrato teorico e ideale risulta, come è naturale, phi evidente nel-
la proposta politica dionea che investe la gestione del potere e la dinami-
ca tra i gruppi dirigenti: in essa sta ii cuore della riflessione del senatore
bitinico sui propri tempi. Ii nodo della sua concezione politica è la salva-
guardia dello status dell'elite senatoria, garanzia dell'rnalterabihtà dello
status dell'impero stesso. Fuicro della gestione politica dell'impero, ii
senatodetermina la nomina imperiale, in un rapporto di reciproca pro-
mozione dei migliori ii princeps deve circondarsi dei mighori, cos!
come i migliori naturaliter sceglieranno e coadiuveranno 1' optimus prin-
ceps. L' arrnonia tra i poteri dello stato permetterà di difendersi dai nemi-
ci esterni.
Ora, la datazione dell'opera dionea è una questione aperta; Se, come
credo, si deve pensare a una stesura tra ii 214 e il 225 17 , ill. 52 con la
proposta politica di Dione è posteriore all'emanazione della Constitutio
A ntoniniana ( 212 d.C.) che, estendendo la cittadinanza romana a tutti gli
abitanti dell'impero, profilava il quadro istituzionale della monarchia
universale. Pur concedendo - ma la critica non è unanime - un periodo
positivo nei rapporti tra senato e imperatore sotto Alessandro Severo, la
prospettiva dionea apparirebbe legata a modalità teorico-operative in via
di superamento. Sembra legittimo interrogarsi se il suo essere proposta
di retroguardia ne innaizi ii coefficiente utopico.
Anzitutto, Cassio Dione non si limita a una formulazione teorica. E
implicita nell'articolazione del dibattito messo in campo nel 1. 52 una
vera e propria richiesta politica. Aggiungerei altre due considerazioni.
La prima: i periodi di collaborazione tra princeps e senato apparteneva-
no ancora a un passato recente (la stessa nomina di Pertinace nel 193
d.C. era Stata legittimata dall'assenso senatorio); né la sottovalutazione
della portata politica della Constitutio appare di segno univoco, tanto da
chiarirsi quale esito di una polemica istituzionale 18•
La seconda considerazione: il riferimento ad Augusto, al di là del-
l'idealizzazione, trova appiglio nella realtà storica o almeno nella rico-
struzione dionea della realtà del principato augusteo. Sul problema pote-

' SCHETTINO, Cassio Dione, pp. 555-558.


18 Erodiano, storico pressochd contemporaneo di Cassio Dione, tace del tutto ii provvedimento,
mentre la menzione sarebbe stata presente in Mario Massimo: sulla fortuna del decreto in eta severiana
cfr. G. Zeccumn, La Constitutio Antoniniana e l'universalismo politico di Roma, in L'ecumenismo poli-
tico nella coscienza dell'occidente, Roma 1998, pp. 349-358. D'altra partela concezione espressa in Dio
52.19.6 di Roma quale "sola" città deIl'impero (4iotrp TlVh play riv ipleiépav 1T6XLV oLKbtvTEs) è indizio
di una ricezione positiva, o quanto meno scevra da polemiche, dei principi della Constitutio A ntoniniana.
Su tale concezione da ultimo L. Dc BLoIs, The W orld a City: Cassius Dio's V iew of the Roman Empire,
in L'ecumenismo, pp. 359-368.
84 MARIA TERESA SCHETTINO

re-dissenso, e illuminante la trattazione dionea (55.14 sgg.) della congiu-


ra di Cinna contro Augusto (4 d.C.), che si risolve in un dialogo sul tema
potere-dissenso tra quest'ultimo e la moglie Livia: l'episodio è ricordato
da Cassio Dione per comprovare l'atteggiamento pacato e indulgente di
Augusto. Sulla considerazione del senato in eta augustea, basti ricordare
la definizione, nell. 56, cioè non in un libro "teorico", della costituzione
augustea quale costituzione mista, in cui l'elemento di equilibrio è rap-
presentato proprio dal senato.
Si coglie perciô un discrimen sottilissimo in Dione tra idealizzazione
del passato, proposta di retroguardia, valenza utopica, che dimostra la
complessità del suo approccio: egli "si difenderebbe" dall'utopia con
un'ottica centripeta, coerente peraltro con tematiche che ritmicamente
percorrono ii pensiero politico romano.
Roma, a differenza delle poleis greche, non ebbe un nomos istitutivo,
che sancisse non solo l'atto di fondazione ma anche le regole e i princi-
pi che regolavano la comunità statuale'9 . La carta costituzionale è, oggi
come nelle poleis greche, non solo l'insieme di norme che regolamenta-
no la vita civile e politica, ma anche dei principi ispiratori che la infor-
mano: essa disegna il traguardo di una comunità ideale cui quella reale
deve tendere. In tal senso le si puô riconoscere un segno utopico; d'altra
parte, la valenza ideale ne spiega il rilievo assunto nella riflessione e nel
dibattito politico in Grecia, ove lapoliteia divenne oggetto di mitizzazio-
ne e abbrivio a forzare la realtà entro gli schemi di una norma talora piü
astratta che realizzabile 20 . La ridotta prospettiva utopica del pensiero
politico-istituzionale romano, pur non alieno da evoluzioni sotto l'in-
fluenza greca, si sosteneva con la fiducia nella potenza del diritto21.
La formulazione della proposta politica dionea mostra gli interessan-
ti esiti di una contaminatio tra modalità greche e modalità romane. Elle-
fono, senatore eminente, dalla carriera prestigiosa, in Cassio Dione agi-
scono elementi molteplici, in una combinatoria che rivela l'articolazione
del presente. H motivo della libertas tipicamente romano (si veda Plinio)
si agglutina nella riflessione sul basileus ideale di sapore ellenistico e
sulla costituzione mista (si veda Dione di Prusa). Ii valore del diritto qua-
le mezzo privilegiato di gestione dell'impero fa spazio all'istanza peda-
gogica dell'educazione delle classi superiori, che ancora lascia traspari-

Vd. zEccHINI, II pensiero, p. 19.


20
Si pensi alla costituzione di Licurgo. Sul dibattito costituzionale in Grecia, sempre fondamenta-
le, J. De ROMILLY, Le classement des constitutions d'Hérodote a A ristote, REG 72, 1959, pp. 81-99. Sul-
lo stato ideale cfr. A. DEMANDT, Der Idealstaat, KoIn 1993.
21
Si aggiunga che essa potrebbe inserirsi in una visione ritenuta da alcuni ciclica e tale pertanto da
distrarre dalla proiezione futuraper indurre alI'idealizzazione del passato: sulla concezione del tempo nel
mondo greco-romano, si veda S. MAzzAP.mo ,I1 pensiero storico classico, vol.3, Bari 1966, pp. 329-358,
412-460 n. 555.
STORIOGRAFIA, POLITICA B UTOPIA IN CASSIO DIONE 85

re ii segno dell'aspirazione platonica al governo dei filosofi. La persona-


lità di Cassio Dione è spia che i tempi erano mutati e che le elites greciz-
zate erano ormai ai vertici del potere: non si poteva credere a una crisi
irreversibile, né prefigurare la perdita di quel ruolo preminente che a y e-
vano infine conquistato.
M& TERESA SCHETTNO
Université de La Rochelle

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86 MARIA TERESA SCIIETrINO

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L' OPTIMUS PRINCEPS DANS L'HISTOIRE A UGUSTE: MODELE
POLITIQUE OU FIGURE UTOPIQUE?

Depuis Suétone, ii était normal qu'un auteur de V ies impériales


s ' écartât de la contingence historique pour tracer, en fihigrane des bons
princes qu'il évoquait, le prototype de l'optimus princeps, garant du bon-
heur et de la perennité de Rome. Le biographe de l'Histoire A uguste,
recueil de trente biographies d'empereurs, de Césars et d'usurpateurs
ayant vécu aux lie et he siècles (d'Hadrien a Carus, Numérien et Carin),
se trouvait a cet égard dans une situation extreme: ii appartenait a la
vieille aristocratie sénatoriale paienne qui, au tournant des IVèrne et
Vème siècles, alors que le christianisme était devenu religion d'Etat et
qu'il était de plus en plus difficile de conjurer la menace barbare, défen-
dait encore les valeurs et les croyances séculaires. Tout en camouflant
prudemment son identité - ii s 'est dissimulé derriere six pseudonymes et
a feint par des dédicaces aux Tétrarques et a Constantin d'écrire au debut
du Mme siècle' -, ii a éprouvé, peut-être plus encore que ses prédéces-
seurs, le besoin d'élaborer, par l'idéalisation de certains empereurs du
passé, un modèle de prince susceptible de faire perdurer la puissance et
la tradition romaines. On ne dolt néanmoins pas oublier que le recueil est
un ouvrage composite oü 1' auteur, après avoir suivi des sources de bonne
facture, a de plus en plus laissé libre cours a sa fantaisie et a son gofit
pour la mystification 2 . On voit ainsi apparaItre dans les dernières Vies
d'étranges princes, figures de proue de projets politiques si extremes que
1' on pent se demander jusqu' a quel point celui qui les décrit les consi-
dère comme des exemples valides.

A premiere vue, 1' auteur de l'Histoire A uguste semble vouloir tracer


un modèle de prince relativement pragmatique. Ii eSt vrai qu'il témoigne

Le premier a avoir remis en cause l'existence des six écrivains et a s'être interrogé sur la date
réelle decomposition est H. DESSAU (Ober Zeit und Persönlichkeit der S. H. A , Hermes 24, 1889, p. 337-
392): pour un bon exposé de l'état des recherches sur 1'Histoire A uguste, lire A. CHASTAGNOL, Histoire
A uguste. Les empereurs romains des II' et III' siècles, Paris 1994, p. IX-XXXIV. C'est dans le texte de
cette edition qui nous citons les Vies qui Wont pas encore été publiées par les Belles Lettres.
2 Voir la classification des diffdrentes biographies par CHASTAGNOL, Histoire A uguste. Les empe-
reurs des II' et III' siècles, p. XXXVII-XLVI.
88 AGNES MOLINIER ARBO

d'un certain intérêt a 1'egard des théories politiques produites par la phi-
losophie antique, et en particulier celles de Platon 3 . Ii place ainsi la
République au nombre des lectures incontournables des bons princes 4 et
s'efforce de faire de Fun d'entre eux, Marc Aurèle, un philosophe-roi: ii
insiste sur la qualitd de uir philosophans 5 de cet empereur, et décrit le
comportement de sage qu'il eut jusqu'à sa mort 6 dans sa vie aussi bien
publique 7 que privée t . Et, même s 'ii n'ignore pas qu' ii était StoIcien 9 , il
lui fait prononcer les mots de la République posant en principe l'indis-
tinction'du philosophe et du gouvernant 10: <des cites florissantes (sont)
celles oil les philosophes (sont) rois ou les rois ph.ilosophes>>".
Ii West pourtant pas sür que le philosophe-roi lui ait paru un ideal
réellement souhaitable. Dans le recueil, la passion de Marc Aurèle pour
la philosophie est quelquefois considérée moms cornme un atout du
prince que comme un handicap. Elle laisse planer de sérieux doutes sur
son aptitude a gouverner: l'écrivain, tout en exaltant les principes et les
vertus qu' elle lui avait permis d' acquérir, s'attache a montrer qu' elle ne
le rendait pas excessivement austere et ne lui aliénait pas 1' affection de
ses concitoyens 12 A Fen croire, trop de philosophie nuit, car elle rend le
monarque contumax, ignauus et tristis et ruine une de ses qualités essen-
tielles, la coinitas 13; le co-empereur Verus, dans une lettre forgee par le
biographe, ne pretend-il d'ailleurs pas que l'usurpateur Avidius Cassius

Le biographe couvre d'éloges le philosophe: cf. A ur., 3, 4 : A n Platonem magis commendat,


quodA theniensisfuerit quam quod unicum sapientiae munus inluxerit? Hadrien (Hadr., 16,6) est quant
a lui blâmb pour la témbritb des jugements qu'il portait sur Platon. Celui-ci constitue un tel absolu littd-
raire que le plus beau compliment que Pon puisse adresser a Virgile est de le qualifier, comine Sévère
Alexandre, de <<Platon des pobtes>>: cf. A l. Sen., 31, 4.
Cf. A l. Seu., 30, 1. L'bquivalent latin de Platon dans les lectures de Sbvère Alexandre est surtout
le De officiis et le De Republica de Cicbron (ibid., 30,2). Gordien I lisait egalement Platon a cbté de Cicé-
ron et de Virgile: cf. Gord. tr., 7, 1.
M. A nt., 1, 1: Marco A ntonino, in omni uita philosphanti uiro et qui sanctitate uitae omnibus
principibus antecellit [...].
< Cf. ibid.,28,1-9.
Voir notamment ibid., 26,2-3.
Cf. par exemple ibid., 2,6 (il adopta des son enfance le manteau du philosophe) on A uid., 3,6-7
(au moment de partir en campagne contre les Marcomans, il exposa ses principes philosophiques pendant
trois jours de suite).
Voir ibid., 3, 3 (bnumbration des StoIciens qui furent les maitres de Marc Aurèle), on encore 16,
5 et 21, 4 (Marc Aurèle savait rester serein en tome circonstance).
10
Sur le theme, voir J. P. CALLtJ, Platon dons l'Histoire Auguste: les ambiguitds de la reference, dans
Culture profane et critique des sources dons l'A ntiquite tardive. Trente et une etudes de 1974 a 2003, Coll.
E. F. R. 361, Ecole Francaise de Rome, 2006, p. 465-480 [= Historiae A ugustae Colloquium Perusinum.
A tti dei convegni sulla Historia A ugusta V III, éd. G. BONAMENTE et F. PASCHOUD, Ban 2002, p. 93-108].
M. A nt., 27,7: sententia Platonis semper in ore illiusJIiitflorere ciuitates, si out philosophi impe-
rarent ant imperantes philosopharentur (Trad. CHASTAGNOL, Les empereurs des lie et lIle siècles, p. 155
et 157). Cf. Rep., V , 473d. Voir CALLU, Platon dans l'Histoire Auguste, p. 475.
12
M. A nt., 8, 3: dabat se Marcus totum etphilosophiae, amorem ciuium adfectans.
13
ibid., 4, 10 : sed ab omnibus his intentionibus studium eum philosophiae abduxit seriumque et
grauem reddidit, non tamenprorsus abolita in eo comitate, quampraecipue suis, mox amicis atque etiain
minus notis exhibebat, cum frugi esset sine contumacia, uerecundus sine ignauia, sine tristitia grauis.
L'OPTIMUS PRINCEPS DANS L'HISTOIRE AUGUSTE 89

traitait Marc Aurèle de <<philosopha aniculax 14, par opposition a ses pro-
pres vertus viriles d'homme d'action 15? Le prince était lui-même
conscient que sa philosophie le desservait auprès des Romains: la Vita
souligne qu'il avait toujours soin de répondre de vive voix ou par écrit
aux détracteurs qui lui en faisaient grief 16, et nous apprend que, lorsqu'il
quittait Rome, ii veillait aux plaisirs de la foule, car l'enrôlement des gla-
diateurs auquel ii avait été une fois contraint de procéder avait alimenté
de fâcheux bruits sur son prétendu désir de retirer an peuple ses divertis-
sements pour le contraindre a cultiver la philosophie 17•
Par la Realpolitik qu'il pratique, Marc Aurèle se révèle indéniable-
ment plus rex philosophus que philosophus rex et est pour cela place au-
dessus de Platon lui-même par le biographe, qui n'hésite pas a disquali-
fier le théoricien an profit du praticien du pouvoir 18• On West des lors pas
surpris de lire qu'une vie passée en compagnie du grand philosophe West
guère utile a un gouvernant' 9 , et 1' on ne s ' étonne plus de la superficialité
des références a 1' auteur de la Republique, simplement cite au Pantheon
des grands écrivains et philosophes gr6co-romains 20 , ou même quelque-
fois évoqué avec une gratuité qui frôle la derision 21.

14
A uid., 1, 8; le debut de la lettre, qui comporte une grossière erreur genealogique, atteste sans nul
doute possible que l'ensemble do document est un faux rbdigd par 1' auteur; cf. CHASTAGNOL, Histoire
A uguste. Les empereurs des III et III, siècles, p. 192, note 3.
Nous ne sommes finalement guère éloignés d'une conception de la philosophie pratiqude unique-
ment pendant l'adolescence, mais qu'il faut savoir abandonner a l'âge d'homme pour de plus hautes
responsabilités.
16
Voir 22, 5-6; 23, 9. La presence aux cbtés de l'empereur de philosophes mauvais conseillers est
également reprochee dans 1'Histoire A uguste a un tyran, Heliogabale: cf. Heliog., 11, 7.
17 M. A nt., 23, 4-5: A bsens populi Romani uoluptates curari uehementer praecepit per ditissimos

editores. Fuit enim populo hic sermo, cum sustulisset ad bellum gladiatores, quad populurn sublatis
uoluptatibus uellet cogere adphilosophiam. Si Yon nous permet cet anachronisme, les Romains ne crai-
gnent ici pour eux-mbmes rien d'autre que cc que Thomas More, dont l'ceuvre doit tant a Platon, avait
révé pour les habitants d' Utopie, l'enfer d'un monde ob tons les loisirs devaient btre soigneusement con-
trôlds et occupbs par des lectures blevbes.
18 Voici les paroles que l'auteur adresse a Dioclbtien, le dédicataire affiché de la vie (ibid., 19,2): sae-

pe dicitis nos uita et dementia tales esse cupere, qualisfuit Marcus, etiamsiphilosophia nec Plato esse pos-
sit, si reuertatur in uitam. CALLU (Platon dans l'Histoire A uguste, p. 474-475) a soulignb l'incongruitb d'un
parailèle qui place le grand philosophe en-dessous de Marc Aurdle, dont Dioclétien se voulait l'émule.
19 Cf. Gord. tr., 7, 1.
20 Selon une tendance propre a l'bpoque qui cherchait, face an triomphe du christianisme destruc-

teur des antiques valeurs et traditions, a rassembler sous une commune bannière tons les <<tenors>> de la
culture gréco-romaine.
21 Voici par exemple comment l'auteur - an cours d'une digression dont il admet lui-même a

demi-mot la futilitd (cf. A ur., 3, 1 et, plus loin, 4, 1) et qui suit des considerations sur l'omniprésence du
mensonge en histoire (ibid., 2, 1-2) - cherche a excuser la modeste naissance d'Aurblien (3, 4-5): A n
Platonern magis commendat, quodA theniensisfuerit quarn quad unicum munus inluxerit?A ut eo minores
inuenientur A ristoteles Stagirites Eleatesque Zenon aut A nacharsis Scytha, quod in minirnis nati Sint
uiculis, corn illos ad caelurn ornnis philosophiae uirtus extulerit? Derriere l'eloge dithyrambique de la
sagesse de Platon et des trois autres philosophes mentionnés avec lui, on pent s'interroger sur la validité
d'une comparaison de ces hommes avec on empereur décrit essentiellement comme un homme de guer-
re an temperament violent (21, 5) et qui fut one fois empéché de mettre a sac la ville de Tyane par l'ap-
parition d'un autre vénérable sage, Apollonios (24,2-9). Le rapprochement du prince et du philosophe est
ici explicitement présenté comme one simple figure do discours, sans valeur intrinsèque réelle.
90 AGNES MOLINIER ARB

Pour le biographe, même si la philosophie contribue a l'épanouisse-


ment des qualités du prince, l'idéal désormais éculé du philosophe-roi ne
constitue qu'une utopie qu'il aurait été pernicieux de prétendre appliquer
a Rome. Quelques décennies auparavant, l'empereur platonicien Julien
avait lui aussi tendance a distinguer la philosophie du gouvernement des
peuples 22• An pragmatisme de Marc Aurèle répond, dans le recueil, celui
du biographe: si cet empereur West pas loin d'y incarner l'optimusprin-
ceps, c'est avant tout parce qu'il possède les vertus impériales canoni-
ques, telles la dementia 23 , la pietas 24, la constantia 25 , 1 'innocentia 26, la
moderatio 27 , la grauitas 2t , la liberalitas29 on encore la comitas30.
Avec une force qui lui a sans doute été inspirée par la conjoncture
contemporaine, l'Anonyme insiste sur quelques traits traditionnels de son
optimus princeps ou en ajoute de nouveaux, dont nous ne citerons que
les plus intéressants pour notre propos: ii aurait par exemple certaine-
ment souhaité voir les gouvernants de son époque pratiquer a l'égard de
ceux qui, comme lui, était encore attaches aux rites paIens, la tolerance
religieuse dont, a Fen croire 31 , les Chrétiens auraient bénéficié sous un
Sévère Alexandre, le prince le plus idéalisé de 1'Histoire A uguste 32• La
simplicit6 33 de celui-ci, qui 1' amenait a refuser de s 'isoler 34 au-des sus de
ses concitoyens par des titres 11 , des insignes 36 ou des marques de respect
trop exceptionnels 37 , constituait certainement encore pour 1' auteur une
alternative souhaitable au faste monarchique d'un pouvoir dont l'absolu-

22 Sur ce point, lire les rhflexions développhes par J. BOUFFARTIGUE (L'empereur Julien et la cultu-
re de son temps, Paris 1992, P. 637-640). Thhmistios (cf. Julien, Them., 253c; 255c) on Synhsios de
Cyrène dans son Discours sur la Royauté (hd. C. LACOMBRADE, Paris 1951) htaient en revanche encore
tenths de proposer aux gouvernants le philosophe-roilroi-philosophe comme modèle de prince.
23 M. A nt., 13,6; 13, 12; 26, 10.
24 Ibid., 12,12; 19, 10.
25 Jbjd 12 6.
Ibid., 27, 1.
27 Jbjd., 12,2; 12,7,9et12; 17, 1.
28 Ibid.,2 1;4,10.
29 Ibid. 17 7.
30Ibid.,8,2.
31 V oir Seu. A l., 22,4; 49,6.11 aurait mbme (cf. ibid., 29,2) place Jesus dans son laraire personnel,
parmi les âmes saintes, a côté d'A pollonius, A braham, Orphbe, les meilleurs empereurs divinisbs et ses
ancêtres. Cf. bgalement 43, 6, oh Pon apprend qu'il avait songb a edifier un temple en l'honneur du Christ
eta l'admettre an nombre des dieux; 45, 7, on encore 51,7-8, oh apparait la fameuse regle d'or des Juifs
et des Chrétiens commentée par J. STRAUB, Heidnische Geschichtsapologetik in der Christlichen Spatan-
tike. Untersuchungen Uber Zeit und Tendenz der Historia A ugusta, Bonn 1963, p. 106-124.
32 Les autres sources ne sont pas si elogieuses: cf. BERTRAND-DAGENBACH, Sdvère A lexandre et
l'Histoire A uguste, p. 125-138; nous avons empruntb la plupart de nos références a Sévère A lexandre a
cet auteur.
Lire ibid., P. 142.
Seu. A l., 4, 3: Sévère Alexandre n'était pas inabordable.
Ibid., 4, 1-2: Sévhre Alexandre refuse le titre de Dominus.
36 Ibid., 17,4; 18, 3; 23, 4; 40, let 6-11; 41, 1, etc.
37 Ibid., 18, 3: il interdit de l'adorer selon la coutume perse.
L'OPTIMUS PRINCEPS DANS L'HISTOIRE A UG USTE 91

tisme n'avait cessé de s'approfondir depuis le règne de Dioclétien. Et


1' intransigeance 38 mêlée de sollicitude avec laquelle ii traitait les soldats,
qu'il ne favorisait jamais an detriment des civils 39 , constitue vraisembla-
blement une critique voilée de la militarisation excessive du pouvoir au
IVème siècle. Surtout, cet empereur, qui était quasi unus e senatoribus40,
s 'employa a restaurer le prestige d'un Sénat épuré de ses éléments ind6-
sirables 41 et a lui redonner un role important dans 1'Etat 42: de telles
mesures devaient paraItre particulièrement enviables aux représentants
de la vieille aristocratie sénatoriale romaine qui, a la fin de 1'Empire,
n'avaient plus guère de poids politique et avait vu la base de recrutement
de leur ordo considérablement s 'élargir des le règne de Constantin43.

Si l'on s'en tient a l'exemple de Marc Aurèle ou même a celui de


Sévère A lexandre, l'optimus princeps de l'Histoire A uguste West
somme toute pas une figure très ambitieuse: c'est le bon prince de l'his-
toriographie impériale, adapté aux aspirations de l'élite sénatoriale
conservatrice de la fin du IVème siècle, et susceptible de représenter un
compromis entre tradition et changements inéluctables. Le biographe ne
s'en tient néanmoins pas IA: dans la deuxième partie du recueil, il décrit
deux Augustes qui possèdent a un tel degré une des caractéristiques de
son optimusprinceps qu'ils en deviennent les symboles d'un Empire qui
Wen est plus un. Commençons par Tacite, Prince du Sénat: celui-ci est
pour nous une personnage assez fugace qui ne conserva pas l'empire
plus de six mois (275-276). Le biographe affirme pourtant que son règne
fut un des moments les plus heureux de l'histoire récente car, contraire-
ment a ses prédécesseurs, il était âgé ', n' était pas un miles 45 et avait été
choisi par le S6nat 46 a qui l'année avait pour une fois laissé le pouvoir de
decision 47 ; il manifestait en outre l'intention de ne pas leguer l'Empire a

38 Seu. A l., 12,4-5 (cela lui valut d'ailleurs le nom de Severe); 25,2; 52, 1-3; 53, 1-7; 59, 6. V oir
BERTRAND-DAGCNBACH, A lexandre Sévère et 1 'Histoire A uguste, p. 177-185.
Cf. ibid., 3, 1, o6 I'auteur insiste sur l'bducation aussi bien civile que militaire reçue par le prince.

Cf. ibid., 4, 3. II est remarquable de noter qu'il partage certaines de ses vertus avec le Sbnat: cf.
BERTRAND-DAGENBACH, Sévère A lexandre et l'Histoire A uguste, p. 158.
41
Cf. Seu. A l., 15, 4.
42 Ibid., 19, 1-3; 21,5; 24, 1; 43, 1-4; 46,5 et 49,2: lire BERTRAND-DAGENBACH, A lexandre Sévère

et l'Histoire A uguste, p. 168-173.


V oir A . CHASTAGNOL, Le Sénat Romain a l'dpoque imperiale, Paris 1992, p. 236-248.
° Tac., 4, 5-7; 6, 2, etc.
4
Cf. par exemple ibid., 5, 1 [le Sénat a Tacite]: imperatorem te, non militem facimus. V oir V .
NEiti, L'imperatore come miles Tacito, A ttalo e la datazione dell'Historia A ugusta, dans Historiae
A ugustae Colloquium Perusinum. A tti dei Convegni sulla Historia A ugusta V ifi, éd. G. BONAMENTE et F.
PASCHOUD, Bari 2002,p. 373-396.
46
Tac., 4, 1-6, 9.
41
A en croire l'Histoire A uguste (ibid., 1, 1-2,6) on encore A urelius victor (35, 12; 36, 1) et l'Epi-
92 AGNES MOUNTER ARBO

ses h6ritiers 48 . L'auteur n'hésite pas a declarer que in antiquum statum


redisse rem publicam 49 , et que le Sénat avait, en matière de politique
intérieure et extérieure, récupéré tous les pouvoirs qu'il possédait sous la
République, auxquels s'était ajouté celui qui avait été theoriquement le
sienjusqu'à la mort de N6ron 50 , le droit de faire" et de défaire les empe-
reurs 52• Et, en appendice de la Vie, ii cite des lettres fictives adressées par
le Sénat aux villes les plus en vue de l'Empire ainsi que des missives pri-
vées, elles aussi fabriquées, célébrant ce renouveau de 1'Assembl6e53.
Le biographe ne se contente pas de postuler une resurrection de tou-
tes les prerogatives dont le Sénat avait joui aux siècles précédents: ii
s 'exciame avec enthousiasme que senatum principes legere, immo
ipsum senatum principemfactum 54 . Ce n'était pas la premiere fois que la
littérature impériale définissait le Sénat de la République comme une
assemblée de princes pour souligner l'étendue des pouvoirs dont les
Pères disposaient a cette 6poque 55 . Ceux-ci sont d' ailleurs qualifies une

tome de Caesaribus (35, 10), le principat de Tacite aurait étb prbcédd d'un étrange interrègne sans inter-
rois, an cours duquel le Sbnat et l'armée auraient rivalisb de bons procédés en se renvoyant mutuellement
le pouvoir de choisir le nouvel emereur; sur l'historicitb douteuse de cet episode, lire notamment A. CH.'-
STAGNOL, Sur la chronologie des années 275-285, dans Mélanges de numismatique, d'archéologie et d'hi-
stoire offerts a Jean Lafaurie, Paris 1980, p. 80; J. P. CALLU, L'interrègne de Séverine, dans Orbis Roma-
nus Christianusque. Travaux sur l'A ntiquitd Tardive rassemblds autour des recherches de Noel Duval,
Paris 1995, p. 13-31, et, en dernier lieu, S. EsTI0T, L'interregne de Sdverine et l'accession de l'empereur
Tacite: faut-il vraiment croire l'Histoire Auguste?, dans Historiae A ugustae Colloquium Barcinonense.
A tti del convegni sulla Historia Augusta VIII, éd. G. BONAMENTE et M. MAYER, Bari 2005, p. 157-180.
Tac., 6,8-9; 14, 1.
49 lbid., 12, 1.
50
On songe ici aux mots que l'auteur met dans la bouche de l'usurpateur Clodius Albinus (Clod.
A lb., 13,7-8): hic ipse Commodus quanto meliorfuisset, si timuissetsenatum? Et usque adNeronem qui-
dem senatus auctoritas ualuit, qui sordiduin et inpurumprincipem damnare non timuit, cum sententiae in
cum dictae sint, qui uitae necisque potestatem atque imperium tunc tenebat. Le dbveloppement sur i'm-
terrègne de Tacjte constitue peut-btre une réplique an debut des Histoires de l'historien homonyme (4),
oil cc demier declare qu'après la most de Néron euulgato imperil arcano, posse principem alibi quam
Romaefleri.
' A en croire Aurelius Victor (Caes., 37, 5), depuis la mont de Probus et jusqu'à l'époque de I'au-
teur de 1'Histoire A uguste, les empereurs, après avoir btb nommbs par l'armée, ne prenaient plus la peine
de Se faire investir des pouvoirs légaux par le Sénat: cf. CHASTAGNOL, Le Sdnat Romain a i 'époque impé-
riale, p. 210-212. Avant Tacite, Maxime et Balbin avaient bté choisis par le Sénat; et, selon I'Histoire
A uguste (Hadr., 4, 9), Trajan aurait songé a laisser an Sbnat le choix de son successeur.
32
Tac., 11, 1: senatum principes legere [...], leges a senatu petendas, reges barbaros senatul sup-
plicaturos, pacem ac bella senatu auctore tractanda.
Ibid., 18,2-3: [Lettre du Sénat ala Curie de Carthage] dandi iris imperil, appellandi principis, nun-
cupandi A ugusti ad nos reuertit. A d nos igitur referte quae magna sunt; 18, 5: [Lettre du Sénat ala Curie de
Treves]: creandi principis ludiclum ad senatum redüt; 19, 1 [lettre privée]: tantum auctoritas amplissimi
ordinis creuerit Ut reuersae in antiquum statum rei publicae nos principes demus, nosfaciamus imperato-
res, nos denique nuncupemus A ugustos; 19, 3 [autre lettre pnivée]: in antiquum statism senatus reuertit; nos
principes facimus, nostri ordinis sunt potestates; 19, 5: floret Roma, floret tota res publica; imperatores
damus, principesfacimus; possumus etprohibere qui coepimusfacere. Dictum sapienti sat est.
34 Tac., 12, 1.
A en croire Plutanque (Pyrrh., 19, 6), l'expression avait déjà ete employee par Cinéas, l'ambas-
sadeur de Pyrrhus; cf. F. PASCUOUD, Histoire A uguste. V ies de Probus, Firmus, Saturnin, Proculus et
Bonose, Carus, Carla et Numérien, Paris 2002, p. 90.
L'OPTIMUS PRINCEPS DANS L'HISTOIRE A UG USTE 93

fois dans le recueil de mundi principes 56 . Mais, a côté de Maiestas Ves-


tra 57 , us se voient également décerner des titres qui a la fin de l'Empire
étaient réservés a l'empereur, tels domini 5t ou le coflectif V estra Cle-
mentia 59 . En outre, le biographe ne désigne pas le pouvoir du Sénat par
les seuls termes de potestas ou d'auctoritas mais utilise aussi impe-
rium 60 . Même Si SOfl vocabulaire institutionnel West souvent guère pré-
cis, ii emploie certainement ici ce mot a dessein car, dans le recueil,
imperium définit en règle générale le pouvoir personnel de l'empereur,
le principat61.
Un élément clef de cette construction est la dignité deprinceps senatus
occupée par Tacite au moment de son election 62 : celle-ci avait en fait été
accaparée par l'empereur des les debuts de l'Empire. Plutôt que de songer
a une resurrection de la charge au IIIème siècle, ce que semble impliquer
ailleurs l'Histoire A uguste 63 , on peut avancer l'hypothèse que 1' auteur,
selon son habitude, invente et joue sur les mots: Tacite, princeps senatus
devenu prince au lieu du contraire, redonne tout son sens a un titre et a une
fonction prerogative qui, dans 1' absolu, auraient peut-être dii constituer la
definition la plus explicite du statut du prince, mais n'avait, des l'époque
d'Auguste, servi qu'à entretenir l'illusion que le prince était au Sénat un
primus inter pares. Le princeps est enfin ici ce que, pour l'élite sénato-
riale, ii aurait toujours dii être: un civil et un lettr6 64 , le membre le plus

56
Prob., 11, 2.
Ibid., 11, 3. Cicbron (Sest., 12) et Tite Live (8, 34, 1) avaient déjà bvoqub la maiestas du Sbnat:
Cf. PASCHOUD, V ies de Probus, Firmus, Saturnin, Proculus et Bonose, Carus, Numdrien et Carin, p. 92.
Sur la maiestas designant le pouvoir imperial, lire S. RArro, Sur la signification de Gall. 14, 11: de digni-
tate uel, Ut coeperunt alli loqui, de maiestate, dans Historiae A ugustae Colloquium Perusinum. A tti dei
Convegni sulla Historia Augusta IV, éd. G. BONAMENTE et F. PASCUOUD, Bari 2002, p. 410-412.
58 A ur.., 41,2: sancti et <uenerabiles> domini Patres Conscripti.

Prob., 11, 2: Oratio Probi prima ad senatum: <Recte atque ordine, patres conscripti, proximo
superiore annofactum est Ut uestra Clementia orbi terrarumprincipem daret, et quidem de uobis, quiet
estis mundi principes, et semperfuistis, et in uestris posteris eritis; voir sur ce point les commentaires
de D. DEN HENGST, The Prefaces in the Historia Augusta, Amsterdam 1981, p. 112; PASCHO1JD, Vies de
Probus, Firmus, Saturnin, Proculus et Bonose, Carus, Numérien et Carin, p. 90-91.
60 Clod. A lb., 13,5; 13, 10; Tac., 15,2: senatui reddat imperium.

61
Cf. C. LESSING, Scriptorum Historiae A ugustae Lexicon, Lipsiae 1901-1906, p. 260-263, part.
261-263. Lire J. BERANGER, L'expression du pouvoir supreme dans l'Histoire Auguste, B. H. A . C. 1971,
Bonn 1974, p. 2l-49, part. p. 36.
62
Voir Tac., 4, 1 et surtout l'acclamation de 4, 3: princeps senatus recte A ugustus creatur, primae
sententiae uir recte imperator creatur.
63 Tacite West en effet pas le seul princeps senatus du recueil: Valérien est censé avoir occupé cet-

te fonction avant d'accéder a 1'Empire (Gord. tr., 9, 7: princeps senatus) ainsi qu'Arellius Fuscus (Tyr.
Trig., 5,4: consularisprimae sententiae), Ulpius Silanus (A ur., 19, 3:primae sententiae) et Manlius Sta-
tianus (Prob., 12, 1: qui primae sententiae tune erat). Quant a Tacite, ii est successivement qualifié de
primae sententiae senator (A ur., 41, 4), de primae sententiae consularis (Tac., 4, 1) et de princeps sena-
tus (ibid., 4,3); ii ne fait pas de dome qu'il s'agisse d'inventions de l'auteur, même si par ailleurs d'au-
tres sources rendent plausible une <<resurrection>> de la vieille institution républicaine aux Illd/IVO sibcles:
Cf. CHASTAGNOL, Le Sénat romain a l'époque impériale, p. 217-218.
Cf. Tac., 4, 4.
94 AGNES MOUNTER ARBO

vénérable de l'Assemblée, qui, parce que ses mérites lui ont vain le droit
de donner en premier son avis au Sénat, a également vocation a gouverner
1'Empire. Ii ne tire pas sa légitimité de l'armée mais des sénateurs dont ii
est une pure emanation et qui peuvent le révoquer quand us le veulent 65 , et
surtout ne sont pas tenus de subir a sa mort la domination de son fils.
L'écrivain, adaptant l'idéal républicain a la seule réalité qu'il ait jamais
connue, esquisse ici les contours d'un régime oit le Sénat exercerait l'em-
pire, d' abord a travers son membre le plus auguste 66 , puis, peut-être, plus
tard, quand ce dernier aurait paciflé le monde, sans aucun interm6diaire67.
Cet étrange principat senatorial n'est bien sflr qu'une construction
mentale aposteriori: a supposer que les sénateurs aient réellementjoué un
role décisif dans sa nomination, Tacite était vraisemblablement, comme
tons lés empereurs qui le précédèrent et ceux qui Font suivi, un militaire68.
Le biographe Wen est sans doute même pas l'inventeur: le theme d'une
resurgence, sous le règne de Tacite, del' antique auctoritas - voire même la
fiction de 1' imperium 69 - du sénat, était déjà present chez l'epitomateur
Aurelius Victor 70, qui l'avait certainement emprunté a sa source, la Kaiser-
geshichte d'Enmann (EKG) 71 , dont le biographe s'est beaucoup inspire.
La figure de Tacite constituait peut-être un modèle en vogue au IVème sie-
cle au seinde 1' aristocratie sénatoriale, mécontente de ne plus jouer un role
prépondérant dans l'Etat et qui considérait que le principat de cet empereur

65
Ibid., 19, 5.
66
Vofr par exemple ce que Tacite declare lors de son premier discours an Shnat (ibid., 9, 1):
uestrum est [ ... ] ea iubere atque sancire quae digna uobis, digna modesto exercitu, dignapopulo Roma-
no esse uideantur.
67
Cf. ibid., 15,2: voir infra, note 78.
68
Lire en particulier R. SYME, Emperors and Biography, Studies in the Historia Augusta, Oxford
1971, p. 238-240. D'autres hypotheses ont ii est vrai été émises sur ses origines: cf. M. CHRISTOL, Essai
sur l'évolution des carribres sénatoriales dans la 2' moitié du III' apr. J. C., Paris 1986, p. 114, p. 183-
184; CHA STA GNOL, Les empereurs romains des He et Me siècles, p. 1030-103 1.
69
Cf. Aurelius victor (37, 5).
70
36, 1: Igitur tandem senatus, mense circiter post A ureliani interitum sexto, Taciturn e consulari-
bus, rnitem sane uirum, imperatorem creat, cunctis fere laetioribus, quod militari ferocia legendi ins
principis proceres recepissent: cf. SYME, Emperors and Biography, p. 238 et 240. II n'est pas impossi-
ble que les circonstances qui, one vingtaine d'années avant la redaction de 1'Histoire A uguste, entourè-
rent l'investiture de Valentinien, aient donnb une nouvelle impulsion a l'imagination de l'auteur: cf.
SYME, ibid., p. 243. Selon F. PASCHOUD (Histoire A uguste. V ies d'A urdlien et de Tacite, Paris 1996, p.
321) la joie des sénateurs qui s'exprime dans la V ie dd Tacite rappelle plutôt celle que les Patres dprou-
vèrent a la nouvelle de l'usurpation d'Eugene; V. NEiu (L'imperatore come miles, p. 373-396) pense
quanta lui a Attale, On en 409.
71
Du nom du savant quifut-le premier a postuler l'existence de cette chronique impériale d'Augu-
ste a Dioclétien dont on pense aujcmrd'hui qu'elle a hth composée aprés 337; cf. A. EtxI9itN, Eine verb-
re Geschichte der romischen Kaiser und dos Buch De uiris illustribus urbis Romae, Phibologus, Suppi.
Band IV , 1884. A . VON SADEE (De imperatorum Romanorum III p. Chr. s. temporibus constituendis,
Bonn, 1891, p. 50) pense qu'Aurelius Victor, l'Epitome et l'Histoire A uguste ont mal compris l'EKG,
qui faisait de Tacite et de son frère Florien des interreges et ont donc confondu la durhe de leurs règnes
avec celle de l'interrègne. La V ita Taciti (14, 5) en conserverait d'ailleurs des traces. Voir également E.
Hoar., V opiscus und die Biographie des Kaisers Tacitus, Klio 11, 1911, p. 284 et 316; SYME, Emperors
and Biography, p. 237-238; DEN HENO5T, The Prefaces in the Historia Augusta, p. 111.
L'OPTIMUS PRINCEPS DANS L'HISTOIRE A UGUSTE 95

avait été une experience politique qui, dans un passé recent, lui avait per-
mis de prendre, brièvement mais réellement, les rênes du pouvoir.
G Zecchini 72 a montré que des projets politiques qui nous apparais-
sent, avec le recul du temps, absurdes, étaient pris an sérieux aux IVème
et Verne siècles. Mais Si l'Anonyme se plaIt a développer jusqu'au bout
toutes les implications de son Empire du Sénat, ii West pas sür qu'il y
vole, quant a lui, autre chose qu'une utopie. La nomination de l'empe-
reur semble, dans l'uvre, le fruit du hasard et ressemble un pen a une
farce: après qu'un consul au nom fantaisiste, Velius Cornificius Gor-
dien 73 , eut pressé les Pères a la Curie de nommer enfin un empereur74,
1' écrivain raconte que le princeps senatus Tacite voulut exprimer un avis
(lequel? l'histoire ne le dit pas"); c ' est alors que 1 'attention des séna-
teurs se tourna vers lui et qu 'il fut proclame. Plus loin, 1' auteur s'amuse
A renverser une citation de Cicéron pour souligner que, somme toute,
l'épisode le plus glorieux du règne de ce prince fut son avènement car,
ensuite, il ne réalisa rien de notable 76 . La V ie s'achève enfin sur une
absurde prophétie millénariste émise par des haruspices: ceux-ci prédi-
rent que dans mille ans naItrait parmi les descendants de Tacite un
homme qui, après avoir impose le joug de Rome ala terre enti6re 77 , <<res-
tituerait le pouvoir supreme (imperium) an Sénat et vivrait selon les anti-
ques lois, devant lui-même atteindre cent vingt ans et mourir sans hen-
tien> 78 . L'auteur, qui a sans doute inventé de toutes pièces ce passage,
ironise alors longuement sur la non magna urbanitas haruspicum 79 , qui
renvoient a mule années l'accomplissement d'une fallacieuse prediction
et la réalisation d'une vaine espérance, l'empire du S6natt0.
La même prise de distance est peut-être sensible dans les extrapola-
tions auxquelles donne lieu, dans le recueil, une autre figure paradoxale

72
Lire sa contribution an present volume et, egalement, L'utopia neIl'Historia Augusta, dans
Historiae A ugustae Colloquium Bambergense, éd. G. BONAMENTE et H. BEANDT, Bari 2007, p. 343-353
[non legi]).
Lire PASCHOUD, V ies d'A urélien et de Tacite, p. 194.
74
Tac., 3, 2-7.
a Ibid., 4, 1: Post haec cum Tacitus, qui erat primae sententiae consularis, sententiam incertum
quam uellet dicere, omnis senatus adclamauit 1...].
76
Ibid., 15, 4: M. Tullius dicit magnificentius esse dicere <quemadmodum gesserit quam> quam
quemadmodum ceperit consulatum: at in isto uiro magnficumfidt quod tanta gloria cepit imperium; ges-
sit autem propter breuitatem temporum nihil magnum. Ii s'agit d'une citation de I'M Pisonem 3 : cf.
PASCHOUD, V ies d'A urélien et de Tacite, p. 298-299.
77 Ibid., 15,2.
78 Ibid.: postea tamen senatui reddat imperium et antiquis legibus uivat, ipse uicturus annis centum

uiginti et sine herede moriturus. Trad. de PASCHOtJD, V ies d'A urélien et de Tacite, p. 246.
79 Ibid., 15,4.
80
La contio 00 I'usurpateur Clodius Albinus, autre enfant chéni du Sbnat, développait lui aussi -
avec ii est vrai une connotation encore plus nettement rbpublicaine - le theme de l'imperium du Shnat,
chute de même brutalement sun cette promesse du gbnéral a ses soldats: eritis enim ipsi senatores !, ren-
dant vain tout le développement précédent.
96 AGNES MOUNTER ARBO

de l'Histoire A uguste, Probus, successeur de Tacite et empereur-soldat


antimilitariste (276282)81. Le recueil attribue a ce dernier des vertus
essentiellement guerri6res 82 et célèbre ses multiples victoires 83 . Surtout,
elle le crédite d'une promesse a priori suicidaire pour un imperator: Pro-
bus aurait déclaré que bientôt les soldats ne seraient plus nécessaires 84•
Le dictum de Probus West pas une invention de l'auteur, puisqu'il est
déjà cite a pen près dans les mêmes termes par Eutrope 85 et Aurelius Vic-
tor", qui l'avaient sans doute emprunté, comme le recueil, a l'EKG. Le
biographe prend le temps de le commenter et se laisse aller a rêver a un
monde sans soldats:
<<Qu'avait imagine celui qui parlait ainsi? N'avait-il pas soumis tons les
peuples barbares et désormais étendu la domination romaine jusqu'au bout
du monde entier? "Bientôt, dit-il, nous n'aurons plus besoin de soldats".
Qu'est-ce que cela signifie d'autre que: il n'y aura plus a l'avenir aucun sol-
dat romain? Bientôt l'Etat, en toute sédurité, étendra son pouvoir partout,
disposera de tout, la terre entière ne fabriquera plus d'armes, ne livrera plus
d'approvisionnements militaires, on aura des beufs pour la charrue, le che-
val naItra pour la paix, il n'y aura plus de guerres, plus de captivité, partout
la paix, partout les lois romaines, partout nos gouverneurs?>>87.

81 Sur le règne de cet empereur, lire la synthèse rbcente de G. KREUCHER, Der Kaiser Marcus A ure-

lius Probus und seine Zeit, Historia-Einzelschriften 174, Stuttgart 2003.


62 Tac.,14,3;16,6;Pr.,6,2;10,4;11,6;11,7;11,9;12,2;18,4;21,1;21,4;21,1; cf. BERTRMm-
DAGENBACH, A lexandre Sévère et l'Histoire Auguste, p. 157.
83 Cf. Prob., 9, 1; 9,5; 11,9; 12, 3-5; 13, 6-8; 15,2-3; 16,2-5; 17,2-3; 18, 3-5; 22,2; 22, 4.
84 Prob., 20, 3: His addidit dictum eis graue, si umquam eueniat, salutare rei publicae, breui milites

necessarios non jbturos; cf. bgalement 22, 4. Cette forme d'utopie a tout particulièrement retenu l'atten-
tion des chercheurs: cf. notamment J. ScriwAwrz, Du milldnarisme dans l'Histoire Auguste, B. H. A . C.
1971, Bonn 1974, p. 157-163; I. HAnr, Das "goldene Jahrhundert" des A urelius Probus, Klio 59, 1977,
p. 323-336; G. Vrruccr, L'idea di pace nella Historia Augusta, dans A tti dei Convegni Lincei 45, Passag-
gio dal mondo antico at medio evo. Do Teodosio a San Gregorio Magno, Roma 1980, p. 29-38; A. CHA-
STAGNOL, L'Histoire Auguste et l'impérialisme romain des II' et III' siècles, Ktema 7, 1982, p. 151-160;
L. P0LvEIGNI, L'utopia delta pace nella Vita Probi, dans Contributi di storia antica. La pace net mOndo
antico, Milano 1985, p. 230-245; J. A. SCHLUMBERGER, Zum spätromisch-aristokratischen Friedensideal
in der Probus-Vita der Historia Augusta, dans Klassisches A ltertum, spatantike undfruhes Christentum.
A dolf Lippold zum 65. Geburstag gewildmet, hrsg. K. Durrz, D. HENBtjo et H. KALETSCH, Wurzburg 1993,
p. 435-445; T. ZAWADZKI, L'avenir radieux. SHA (Vita Probi 23,1-3) et les utopies politiques et sociales
dans l'Empire romain, dans Historiae A ugustae Colloquium Geneuense, Bari 1994, p. 217-227;
PASCHOTJD, V ies de Probus, Firmin, Saturnin, Proculus et Bonose, Carus, Numérien et Carin, p. 146-150
et 158-161; G. ZECCHINT, L'utopia nell'Histonia Augusta, et sa contribution an present volume.
85 9, 17, 3: Hic cum bella innumera gessisset, pace parata dixit breui milites necessarios non futu-

ros.
86 37, 3: receptis omnibus pacatisque dixisse proditur breui milites frustra fore.
87 Prob., 20, 4-6: Quid ille conceperat animo qui hoc dicebat? Nonne omnes barbaras gentes

subieceratpedibus <penitus>que totum mundumfecerat jam Romanum? <Breui, inquit, mu jtes necessa-
rios non habebimusx. Quid est aliud dicere: Romanus jam miles erit nullus? Ubique regnabit, omnia p05-
sidebit mox secura res publica, orbis terrarum non arma fabricabitur, non annonam praebebit, bones
habebuntur aratro, equus nascetur ad pacem, nulla erunt bella, nulla captiuitas, ubique pax, ubique
Romanae leges, ubique indices nostri; trad. F. PASCHOUD.
L'OPTIMUS PRINCEPS DANS L'HISTOIRE A UGUSTE 97

Un peu plus loin dans le texte 88 , 1' auteur revient sur le theme:
<<quel bonheur eflt brillé par la suite s'il n'y avait plus eu de soldats sous le
règne de ce prince? Aucun habitant des provinces ne livrerait des fournitu-
res, aucune solde ne serait versée par le trésor public, l'état romain posséde-
rait des richesses inépuisables, le prince n'assumerait aucune dépense, les
proprietaires ne paleralent aucune contribution c etait vraiment 1 age d or
qu il promettait Ii n'y aurait plus eu de camps on a aurait plus nulle part dfl
entendre la trompette ni fabriquer d'armes, cette tourbe de soldats, qui
actuellement bouleverse 1'Etat par ses conflits civils, labourerait, se consa-
crerait a l'étude, s' affinerait grace aux arts, naviguerait. De plus, personne
ne serait tue a la guerre>>.
L'auteur exalte ici avec un ton inspire, non ddnué d'accents virgi-
liens 89 , l'empire universel que devait gagner a Rome la valeur de Pro-
bus 90, ainsi que sa consequence la plus naturelle, la pax, qui, depuis
l'époque august6enne 91 , était synonyme de securitas 92 . Ii évoque un age
d'or d'oü la guerre et son cortege de maux seraient bannis. S'il l'on
trouve certainement ici la trace d'un élément de la propagande officielle
de Probus 93 , un des contemporains du biographe, Claudien, promettait le
même futur radieux 94 , né d'un impérialisme universel auquel on conti-
nuait a croire a l'extrême fin du IVème si6cle 95 . Un autre, Saint Jérôme,

Ibid., 23, 2-3: quae deindefelicitas emicuisset, si sub illo principe milites non fuissent? A nno-
nam prouincialis daret nullus, stipendia de largitionibus nulia erogarentur, aeternos thesauros haberet
Romana res publica, nihil expenderetur a principe, nihil a possessore redderetur: aurëum profecto sae-
culum promittebat. Nuila futura erant castra, nusquam lituus audiendus, arma non erant fabricanda,
populus iste militantium, qui nunc bellis ciuilibus rem publicam uexat, araret, studiis incumberet, erudi-
retur artibus, nauigaret. A dde quad nullus occideretur in belbo; trad. F. PASCHOUD.
89 Certaines expressions ne soot en effet pas sans rappeler la Quatrieme Bucolique; cf. HA I-iss, Das

"goldene Jahrhundert" des A urelius Probus, p. 325-328.


90 Prob., 1,3: Probum principem, cuius imperium oriens, occidens, meridies, septentrio, omnesque

orbispartes intotam securitatem redactae sunt [ ... ].


9
Cf. par exemple le monde de paix promis par la Mme Bucolique de V irgile on encore les succès
qui, dans l'Enéide, seront l'apanage de la descendance d'Enée.
92
Lire par exemple H. FucHs, A ugustin und der antike Friedensgedanke, New Y ork-London 1973,
p. 190-205. L'Histoire A uguste lone ainsi Hadrien pour avoir ceuvrd an maintien de la paix dans l'univers
(Hádr., 5, 1), et qualifie septime Sévbre de vainqueur et d'instaurateur d'une paix dternelie (Sept. Sen.,
22,4).
' Cf. HA HN, Das "goldene .Jahrhundert" des A urelius Probus, p. 331-331; CHASTAGNOL, L'Histoi-
re A uguste et l'impérialisme romain des III et lIP siècles, p. 155.
In Ruf. 1,380-387; cons. Stil. 1,218-231: voir notamment I. HAHN, Das "goldene Jahrhundert"
des A urelius Probus, p. 324-327, qui oppose le <<mythisch-phantastisch>> age d'or notamment dbveloppé
par le pohte Claudien a celui plus erationell-politisch>> du De rebus bellicis on de i'Histoire A uguste.
L'aureum saeculum de 1'Histoire A uguste n'a en effet pas grand-chose a voir avec l'âge d'or des pobtes,
ob les hommes Wont plus besoin de travailler pour se procurer des moyens de subsistance spontandment
offerts par la terre, et ob des activités comme la navigation sont considbrbes avec suspicion; lire egale-
ment CHA STA GNOL, L'Histoire A uguste et l'impérialisme romain des II' et III, siècles, p. 155.
V oir par exemple Prob. Olybr., 159-163; III cos. Hon., 201-211; IV cos. Hon., 652-656; Bellum
Gildon., 19-20; 84; De nupt. Hon., 280-281. On trouve dans 1'Histoire A uguste de nombreux echos de
98 AGNS MOLINIER ARBO

appelait lui aussi de ses vceux une ère de paix oü les armes seraient trans-
formées en outils agricoles 96•
Ii ne concevait pourtant pas cette pax sans la presence des armées
romaines aux frontières pour la garantir 97 . Or ici, comme 1' avaient déjà
fait avant lui Eutrope, Aurelius Victor et l'EKG, le biographe prone la
disparition des soldats. Le miles, rude et rustique 98 , ivrogne, irascible et
sans cervelle 99 , paresseux, querelleur, fornicateur et voleur 100, est la bête
noire du recueil qui dénonce la trop grande complaisance des princes a
son egard'°' et les soupconne souvent de vouloir appliquer les méthodes
militaires a la vie civile'° 2 . Probus, le plus grand d' entre eux'° 3 , était leur
antith6se 104: selon 1'Histoire A uguste, ii affirrnait que les soldats
devaient toujours gagner leur ration militaire 105 et, lorsqu'il ne les menait
pas a la guerre, les occupait a des tâches civiles d'intérêt général 106•
Comme 1' a souligne J. Schlumberger'07 , l'insistance de 1' écrivain a
vouloir faire travailler les soldats illustre le divorce, depuis longtemps
consommé a la fin du IVème siècle, entre les civils et l'armée, accusée
notamment de grever lourdement les finances de l'Etat'°8 , et dont l'en-

cette foi utopique en un empire que l'on croyait Rome encore capable d'imposer an reste du monde a la
fin dulVbmesibcle:cf. A ur., 32, 4; 33, 4; Tac., 3, 2; 4, 2; 15,2;Prob., 1,3; 12,3et5; 14,2; 15,2,etc.
Lire W . HA 1um, Röniische Kinderkaiser. Eine Strukturanalyse rdniischen Denkens und Daseins, Berlin
1951, p. 355-388; CHA STA GNOL, L'Histoire Auguste et l'impérialisme romain des II' et III' siècles, p.
154-156; Les empereurs romains des II' et ill' siècles, p. CLXXII-CLXXffl; PASCHOUD, Vies d'A urélien
et de Tacite, p. 306-307; ZECCHINI, L'utopia nell'Historia Augusta, et sa contribution an present volume.
In Es., 1, 2, 3; cf. SCHLUMBaRGER, Zum spätrömisch-aristokratischen Friedensideal in der Pro-
bus-Vita der Historia Augusta, p. 437-440.
97 V oiribid.,p. 438.
90 Cf. Sen. A l., 63, 1.
99Tac.,2,4.
100
Voir par exemple A urel., 7,5-8.
101
Maximin, dont l'Histoire A uguste dbnonce le passé exclusivement militaire (Max. d., 8, 1), ne
dbdaignait pas de se faire aimer de ses troupes grace a des primes et des profits (ibid., 8, 2), ne retirait
jamais l'annone a un soldat (8,3) et se refusait a en employer a des tkches civiles (8, 4). A noter que, de
manière a priori contradictoire avec les considerations développées par la V ita Probi, l'Histoire A uguste
place dans cette Vie (8, 5) la manière dont Maximin traitait ses soldats an nombre de ses uirtutes.
Voir par exemple Max. d., 8, 7.
103Prob.,22,1.
104
L'auteur fait ainsi dire a Probus s'adressant aux soldats qui viennent de l'acclamer (ibid., 9, 5):
non uobis expedit, milites, non mecum bene agetis; ego enim uobis blandiri non possum.
105
Ibid., 20,2: numquam militem otiosum esseperpessus est, si quidem multa opera militari manu
perfecit, dicens annonam gratuitam militem comedere non debere.
106
II leur aurait notamment fait construire un grand nombre de bâtiments publics, aménager des
fleuves, défricher et drainer des terres, assécher des marais et participer a la preparation de spectacles
destinbs a divertir le peuple romain: cf. Prob., 9,2-4; 18,8; 19,3; 20,2; 21, 2. Probus a sans doute reel-
lenient employe son armbe a des grands travaux: voir par exemple KlmucanR, Der Kaiser Marcus A ure-
lius Probus, p. 213-219.
107 Zuni spatromisch-aristokratischen Friedensideal in der Probus-V ita der Historia Augusta, p.
442-443.
108
Voir par exemple, ailleurs dans le recueil, Seu. A l., 15, 3, ob l'on apprend que l'empereur avait
jure de ne pas recruter de soldats surnuméraires.
L'OPTIMUS PRINCEPS DANS L'HISTOIRE A UG USTE 99

tretien pesait au premier chef sur les sénateurs grands propriétaires fon-
ciers, las de fournir 1' annone et de voir la main d'icuvre humaine et ani-
male en grande partie absorbée par les besoins de la guerre. Un autre
écrit, le De rebus bellicis 109, datable de la seconde moitié du IVème sie-
cle, souhaitait pour sa part transformer les soldats en. paysans contribua-
bles"°. Comme c'était déjà le cas a propos de Tacite, le biographe se fait
l'écho de projets politiques, peut-être soutenus par une propagande offi-
cielle", auxquels les contemporains accordaient une réelle créance 112:
l'optimus princeps Probus, si souvent victorieux et grand dompteur de
Barbares, avait, au siècle dernier, démontré que Rome pouvait encore,
grace a une reprise en main de l'armée, avoir les visées expansionnistes
qui auraient, a terme, permis de renoncer aux guerres.
Mais, ici encore, le biographe West sans doute pas totalement incons-
dent du caractere irrealiste d'un tel modele 113 l'emerveillement avec
lequel ii répète et paraphrase le dictum du grand homme on encore la
description d'un saeculum aureum qui devient surtout prétexte a un amer
exposé de problèmes fiscaux contemporains illustrent peut-être avant
tout le décalage entre utopie et réalité. Ii sait que l'existence de Rome est
liée a celle de son armée: il raconte plus loin que Probus tomba de la
main même des soldats qu'il avait voulu faire travailler et dont il avait
prédit la disparition114.
Ii West d'ailleurs pas impossible que l'envolée lyrique de l'auteur
soit teintée d'humour et même d'ironie: on ne pent que sourire a l'évo-
cation du populus militantium fauteur de guerres civiles, qui non seule-
ment s'est mis a labourer et a naviguer, mais a su aussi se dépouiller de
son ignorance et de sa rusticité cong6nitales" 5 pour s'adonner aux étu-
des et aux beaux-arts. Et, comme la biographie de Tacite, la Vie de Pro-
bus s ' achève sur une absurde prophétie émise par des haruspices, qui
avaient annoncé que les descendants de Probus brilleraient d'un grand
éclat au Sénat et occuperaient les charges les plus élevées dans

109 2,5.
M Lire notamnient SCHWARTZ, Du milldnarisme dans l'Histoire Auguste, p. 161-162; HAFII4, Das
ogoldene Jahrhunderts> des A urelius Probus, p.335.
Sur la paix comme slogan ala fin du IVème siècle, lire POLVERIM, L'utopia della pace nella V ita
Probi, p. 230-245.
12 Comme le souligne G. Zecchini dans sa contribution an present volume.
113 Cf. Prob., 20, 3: lire SCHLUMBERGER, Zum spatromisch-aristokratischen Friedensideal in der

Probus-V ita der Historia Augusta, p. 445, note 32; PASCHOUD, V ies de Probus, Firmin, Saturnin, Procu-
lus et Bonose, Cams, Numérien et Carin, p. 149-150.
14 Ibid., 20, 2: causae occidendi eius haecfuemunt: primum quod numquam militem otiosum esse

pemfecit, dicens annonam gratuitam militem comedere non debere. Cf. egalement Aurelius Victor, Caes.,
37,4.
15 V oir supra, note 98.
100 AGNES MOUNTER ARBO

1 'Etat 116• Et 1' auteur d' ajouter alors: <<Jusqu' a aujourd'hui cependant,
nous n'en avons vu aucun, mais ii apparaIt que ces descendants ont
devant eux 1 'éternité, et non une limite fixée>> 7 . Si nous ignorons tout
de la postérité de Tacite 118, les héritiers de Probus vise's ici par le bio-
graphe nous sont bien connus: ii s'agit de la famille chrétienne des A ni-
cii-PrObi, parmi lesquels Petronius Probus, objet des attaques d'Am-
mien Marcellin' 19 , fut consul en 371, tandis que ses deux fils, Probinus
et Olybrius, exercèrent conjointement la même magistrature en 395 120.
L'auteur insinue peut-être malignement que, tout comme n'a Pu être
tenue l'époustouflante promesse de Probus, on attend encore de voir
ses descendants réellement s'illustrer.

Tacite et Probus représentaient probablement an tournant des IVème


et Verne siècles deux visions alternatives de l'empereur autour desquel-
les s'étaient cristallisées les aspirations d'une partie de l'aristocratie
romaine conservatrice, persuadée que les règnes de ces princes avaient
représenté deux moments historiques au cours desquels leurs désirs
s 'étaient concrétisés on avaient été sur le point de 1' être. Mais l'humour
avec lequel le biographe rapporte leurs hauts faits montre que, pour lui,
ii ne s'agit que d'utopies soulignant, an mieux, la distance qui sépare le
rêve de la réalité, au pire, la vanité des prétentions de certains membres
de son ordre qui, all nom d'une parenté réelle on fictive, se réclamaient
peut-être de ces grands hommes. L'auteur lui-même ne nourrit guère
d'illusions a propos de l'Empire passé on futur. On a souligné l'impor-
tance de la preface de la dernière biographie du recueil' 21 , oü ii esquisse
sa vision personnelle de l'ensemble de l'histoire romaine: a une interpré-
tation biologique 122, qui faisait coIncider la jeunesse et la maturité de la

116
Prob., 24,2: sane quodpraeterire non potui, cum imago Probi in V eronensi sitafulmine icta
esset ita Ut eius praetexta colores mutaret, haruspices responderunt huius familiae posteros tantae in
senatu claritudinis fore Ut omnes summis honoresfiongerentur.
117
Trad. de PASCHOUD, V ies de Probus, Firmus, Saturnin, Proculus et Bonose, Carus, Numérien et
Carin, p. 42.
° Si F. PASCHOUD (V ies d'A urélien et de Tacite,p. 305) esttenté de penser que celle-ci n'existe que
dans I'imagination de l'auteur, W . Hojrae (Römische Kinderkaiser, p. 276-277, note 3), y voit one
pique lancée a une grande famille des années 390 qui aurait prhtendu compter dans ses ancêtres a la fois
l'historien Tacite et l'empereur du mbme nom.
119
27,11.
120
Cette notice constitue d'ailleurs on des arguments forts d'H. DESSAU (Uber Zeit und Personli-
chkeit der Scriptores Historiae A ugustae, p. 355) pour dater l'Histoire A uguste de l'extrhme fin do IV è-
me siècle. V oir hgalement R. Smsa, Fiction in the Epitomators, Historia A ugusta Papers, Oxford 1983,
165-166.
P* 21 Car.Num. Carin., 1,1-3,7.
122
L'assimilation des diffhrentes périodes de l'histoire d'une cite a celles des ages de la vie est clas-
sique dans la littérature antique: cf. Polybe, 6,51; Cicéron,Rep., 2,3; 2,21; velleius Paterculus, 2, 11,3;
Séneque, selon le témoignage de Lactance, Diu. Inst., 7, 15, 14; Florus, Praef., 1,4-8 et surtout Lactan-
Ce, Die. Inst., 7, 15, 14-17 et A mmien Marcellin, 14,6,4-6.
L'OPTIMUS PRINCEPS DANS L'HISTOIRE A UG USTE 101

Yule avec ses premiers siècles et sa vieillesse avec les dernières années
de la République et l'Empire' 23 , ii a superpose une conception cyclique
plus traditionnelle du temps, caractérisée par une succession ininterrom-
pue de périodes de revers et de prospérité, d' ages d' or etde fer. Peut-être
a-t-il voulu par là, a i'exemple de ses sources 124, répliquer: aux Chrétiens,
et en particulier a Lactance' 25 - qui, a partir d'une interpretation biologi-
que de l'histoire de Rome, envisageaient froidernent sa disparition pro-
chaine - par la promesse de bonheurs futurs et d'une ineluctable régéné-
rescence a venir 126: 1'Histoire Auguste formerait ainsi un pont entre deux
ages d'or, celui des Antonins et la T6trarchie127.
Le recueil constitue un peu le baroud d'honneur d'une aristocratie
palenne agonisante. On est néanmoins frappé par le pessimisme qui
caractérise le développement consacré a 1'Empire' 28 , oui les espoirs sus-
cites par les bons princes semblent avoir éte presque toujours deçus on a
demi-realises sous le règne d'Auguste, 1'Etat he fut qu'imparfaitement
régénéré, car ii perdit sa libert6 129 , et, même s 'ii brilla du plus grand éclat

23
Car., Num., Carin., 2,1-3, 1.
124
Aurelius Victor (35, 13-14), l'une des sources de 1'Histoire A uguste et témoin d'une autre d'en-
tre cues, 1'EKG, declare justement apropos de l'interrègne entre Aurélien et Tacite: Quodfactum prae-
cipue edocuit cuncta in se orbis modo uerti, nihilque accidere quod rursumnaturae uisferre nequeat
aeui spatio; adhuc uirtutibus principum res attolli facile uel afflictas, easque firmiores praeceps uitiis
dan. D'une manière génerale, le theme classique de l'alteroance des périodes de fécondité et de stérilité
connut un regain d'intérêt an tournant des Mme et Verne siècles dans la littérature tardo-antique: cf.
PASCHOUD, V ies de Probus, Firmus, Saturnin, Proculus et Bonose, Carus, Carin etNumérien, p. 328.
125 Celui-ci conclut sa description des différents ages de Rome par la conclusion (Diu. Inst., 7, 15,

17): quid restat nisi Ut sequatur interitus senectutem? Sur la proximith des textes de Lactance et de 1'His-
wire A uguste, lire A. Kiorz, Das Geschichtswerk des dlteren Seneca, RhM 56, 1901,p. 429-442; HAR-
TKE, Römische Kinderkaiser, p. 393-402; DEN HENGST, The Prefaces in the Historia Augusta, p. 150-
152; PASCHOUD, V ies de Probus, Firmus, Saturnin, Proculus et Bonose, Carus, Carin et Numérien, p.
330.
126
PASCHOUO, V ies de Probus, Firmus, Saturnin, Proculus et Bonose, Carus, Carin et Numénien, p.
XXIH-XXVI et p. 327 (voir egalement HAHN, Das "goldene Jahrhundert" des A urelius Probus, p. 332-
333) fait ainsi de l'Histoire A uguste une allhgorie historique: l'auteur, contre Lactanceet les doctrines
eschatologiques prhconstantiniennes qui considéraient la fin de Rome comme le prelude aux ultimes bou-
leversements, mais aussi contre l'optimisme postconstantinien qui faisait de l'avènement de l'ernpire
chrétien one etape irreversible de la marche vers le salut, chercherait a rassurer le cercle de:sénateurs tra-
ditionnalistes auquel ii appartient par la promesse du retour prochain del' antique:Rorne qu'ils chhrissent.
127
Voir CHASTAGNOL, Les empereurs romains des III et III, sihcles, p. CLXXIH-CLXXIV. Dans le
cours de la V ie de Carus, Carin et Numérien (18, 3), l'auteur fait effectivement l'hloge do successeur de
Carin, Dioclétien, ainsi que des Tetrarques. Dioclétien avail d'ailleurs déjà eu droit dans la biographie
d'Héliogabale (35,4) an titre d'aurei parens saeculi; mais l'auteur avail aussitht après mentionnh lefer-
reum saeculum de Maximien, en jouant peut-être sur l'ambiguIté de l'identité do personnage; sur l'ironie
qui imprègne peut-être cc passage, lire F. KOLB, Untersuchungen zur Historia Augusta, Bonn 1987, p.
14-22; voir egalement V. NERI, Storia e immagine di Costantino nella storiografia latina pagana, Bolo-
gna 1992, p. 309-312; CHASTAGNOL, Les empereurs romains des IF et III, siècles, p. CLXXIII-CLXXIV.
28 Car., Num., Carin., 3, 1-8. Cc passage contraste avec le précédent, consacré aux périodes royale

et républicaine, oh 1' auteur montrait an contraire que Rome était sortie grandie et renforcée de chaque
épreuve.
129 Ibid., 3, 1: Per A ugustum deinde reparata, si reparata dici potest libertate deposita.
102 AGNES MOUNTER ARBO

auprès des nations étrangères, ii fut condanmé a la tristesse intérieure 130•


Après avoir subi nombre de tyrans monstreux' 31 , ii releva la tête avec
Vespasien 132, mais ne put jouir de l'ère de prospérité inaugurée par le
bref règne de Titus 133 . Dc Nerva a Marc Aurèle sa condition fut meilleure
qu'à l'ordinaire t34 , mais ii ne vécut ensuite plus rien de bon, mis a part la
diligentia de Septime Sévère et le règne de Sévère Alexandre, qualiflé,
de manière peut-être subtilernent dépréciative, de fils de Mammaea135.
Les optimi principes qui auraient Pu lui redonner la joie, Valérien 136,
Claude 137 , Aurélien, Tacite et Probus lui furent tous imniédiatement
arrach6s 138 . Et l'énumération se clot sur la terne figure de Carus, <<un
homme d'une valeur [ ... ] moyenne, a placer parmi les bons princes plu-
tOt que les mauvais, et qui elt été bien meilleur s'il n'avait laissé Carin
comme héritier>> 139• En dépit de tout ce qu'une telle interpretation de
l'histoire de l'Empire peut avoir de convenu, on a l'impression que l'au-
teur promet ici l'éternel retour du tyran plutôt que du bon prince au sein
d'un régime qui n' a a aucun moment véritablement coIncide avec 1' age
d' or.
On est donc en droit de se demander si certains optimi principes du
recueil représentent pour le biographe plus que de simples prétextes au
divertissement littéraire. Avec la V ie des Trente Tyrans, ii franchit un
nouveau pas dans l'imaginaire: l'excellent empereur y devient une
figure improbable oü l'utopie côtoie le merveilleux. Le biographe, au
mépris de toutes les traditions, place au nombre des innombrables usur-
pateurs que connut le règne de Gallien deux femmes, la Gauloise Vitru-
via et l'Orientale Zénobie, reine de Palmyre 140• L'une et l'autre posse-
dent les qualités qui font défaut a l'efféminé et luxurieux Gallien et a la

°° Ibid., 3, 2: Tamen utcumque, etiamsi domi tristisfuit, apud exteras gentes effloruit.
'' Cf. ibid., 3, 2, ofi les successeurs d'A uguste sont qualifies de tot Nerones.
132
Ibid., 3,2: per V espasianum extulit caput.
Ibid., 3,3: Nec omni Titi felicitate laetata.
114
Ibid.: per Neruam atque Traianum usque ad Marcum solito melior. Le jugement parait d'autant
plus mitigé que le siècle des Antonins est considéré comme un age d'or.
135
Ibid., 3, 4: Nihil post haec praeter Seueri diligentiam usque ad A lexandrum Mamaeae sensit
bonum; lire le commentaire de PASCHOUD, V ies de Probus, Firmus, Saturnin, Proculus et Bonose, Carus,
Numérien et Carin, p. 335.
36
Car. Num. Carin., 3,5: uti enimprincipe V aleriano non potuit.
137
Ibid., 3,6: Inuidit Claudio longinquitatem imperil [...] semper inimicafortuna.
u Ibid., 3,7: Sic enim A urelianus occisus est, sic Tacitus absumptus, sic Probus caesus.
Ibid., 3,8: medium [ ... ] uirum et inter bonos magis quam inter malosprincipes conlocandum et
longe meliorem, si Carinum non reliquisset heredem. Trad. de PASCHOUD, V ies de Probus, Firmus, Satur-
nm, Proculus etBonose, Carus, Numérien et Carin, p. 307.
Sur la valeur du recueil apropos de Palmyre et de Zénobie, lire entre autres J. ScHwAwrz, L'His-
toire A uguste et Palmyre, B. H. A . C. 1964165, Bonn 1966, p. 185-195; B. FuEzours, Le role politique
des femmes dons 1'Histoire A uguste, dans Historiae A ugustae Colloquium Genevense II, éd. G. BONA-
MENTE et F. PASCHOUD, Bari 1991, p. 134-136, et, plus généralement, ID. (éd.), Palmyre, Bilan etperspec-
tives, Strasbourg, 1976; E. W ILL, Les Palmyrdniens. La V enise des sables (P' siècle avant-IIIème siècle
après J.- C.), Paris 1992; U. HARTMANN, Daspalmyrenische Teilreich, Stuttgart 2001.
L'OPTIMUS PRINCEPS DANS L'HISTOIRE AUG US TE 103

piupart de ses concurrents contemporains; elles sont temp6rantes 141 , Yin-


les' 42 et possèdent de grandes vertus guernières. Vitruvia, de manière signi-
ficative, est aussi nommée Victoria. Quant àZénobie, elle avait la passion
de la chasse 143, se déplaçait plus souvent a cheval qu'en carrosse 144, était
capable de supporter de longues marches en compagnie des fantassins' 45 et
de boire avec ses généraux tout en restant sobre 146 Bile surpassait même
en endurance et en courage son époux Od6nath 147 , qui aurait vaincu grace
A elle les Perses et leur roi Sapor 148 et aurait Pu avec son aide restaurer non
seulement l'Orient, mais toutes les parties de l'univers 149•
C'est pourquoi, tout en s'indignant pour la forme de l'audace dont fit
preuve Zénobie en se prociamant Augusta après la mort de son époux et
en s'arrogeant tous les insignes impériaux au nom de ses deux jeunes
fils 150, le biographe n'hésite pas a faire d'elle un parangon de vertus
impériales: elie était avisée et constante dans ses decisions, ferme a
l'egard des soldats et sans concession en ce qui concernaitla discipline,
A la fois mesurée dans ses dépenses et généreuse quand ii le fallait'51.
Bref, cue savait selon les circonstances faire preuve de la rigueur propre
aux tyrans ou de la clémence qui est l'apanage des bons princes 152• Bile
se révéla d' ailieurs si supérieure a Gailien' 53 , que Claude, occupé a la
guerre contre les Goths, choisit de iui laisser défendre les frontières
orientales de i'Empire 154 Quant a Aurélien, ii ne dédaigna pas, en dépit

141 La chastetb de Zénobie htait aussi lbgendaire que celle de Pescennius Niger: cf. Tyr. Trig., 30,

12: voir J. F. Gu.us, Three passages in the Historia Augusta: Gord. 21,5 and 34,2-6; Tyr. Trig. 30, 12,
B. H. A. C. 1968169, Bonn 1970, p. 107-110.
142
Ibid., 30,16 (Zdnobie): uox clara et uirilis; 30,16 (elle a un sens de l'économie ultra femineurn
modurn), on encore 30, 19 (elle employait pen de filles comme domestiques); 31, 2 (Vitruvia): Ut uirile
semperfacinus auderet.
143
Ibid., 30, 18.
Ibid., 30, 17.
145
Ibidem.
146 Ibid., 30, 18.
147
Ibid., 15, 8: non aliter etiarn coniuge adsueta, quae multorum sententiafortior marito perhibe-
tur; cf. encore 30, 6.
148 Ibid., 15,2-5.
Ibid., 15, 7: ille plane cum uxore Zenobia non solum orientern, quern iam in pristinurn reforma-
uerat statum, sed et omnes omnino totius orbis partes reformasset. Sur l'utopie de l'impérialisme univer-
se! dans 1'Histoire A uguste, voir supra, note 95.
ISO Cf. nutamment Tyr. Trig., 30, 1-2 ou encore 27, 1; A ur., 41, 9. Zbnobie et le seul fils qui lui restait

réellement, Wahballat, prirent effectivement les titres d'A ugusta et d'A ugustus: cf. WJLL, Les Palmyré-
niens,p. 186-188.
151
Ibid., 30,5: prudens in consiliis, f .. ] constans in dispositionibus, 1...] erga milites grauis, [...]
larga, cum necessitas postulet, [ ... ] tristis, cum seueritas poscet; 30, 16: larga prudenter, conseruatrix
thesaurorurn ultra fernineurn modum.
152
Ibid., 30, 16: seueritas, ubi necessitas postulabat, tyrannorum, bonorum principurn dementia,
ubi pietas requirebat.
153
Ibid., 30, 10: Quid de Gallieno loquuntur, in cuius contemptu haec bene rexit imperiurn?
Ibid., 30, 11: Quid de diuo Claudio, sancto ac uenerabili duce, qui earn, quod ipse gothicis esset
expeditionibus occupatus, passus esse dicitur imperare? Idque consulte ac prudenter, Ut illa seruante
orientalisfinis irnperii ipse securius, quae instituerat, perpetraret.
104 AGNES MOLINIER ARBO

des critiques 111 , de triompher d'une femme 116 et proclamait qu' elle avait
rendu un grand service a i'Etat en s'emparant du pouvoir car, sous sa
férule, les peuples d'Orient et d'Egypte connurent la paix 157• Bile se voit
enfin attribuer dans le recueil un ambitieux projet politique, conçu sur le
modèie du désormais normal découpage de i'Bmpire entre Orient et
Occident a la fin du Mme siècle: elle avait envisage de partager le pou-
voir avec Victoria, le seul alter ego qu' elle se reconnaissait a i' Ouest'58.
En mettant en scene une paradoxale optima princeps et en imaginant
une absurde partition de i'Empire entre deux femmes, Barbares de sur-
croIt, l'auteur pretend avoir voulu montrer quel niveau de déliquescence
avait atteint Rome a l'époque de Gailien 159 . Ii y a cependant là plus
qu'une intention morale. Zénobie, a qui le biographie attribue aussi des
descendants encore vivants a Rome 160, était sans doute un personnage a
la mode dans les cercies lettrés de la fin du Mme siècle: le biographe
évoque par exemple une de ses lettres qui aurait été traduite du syriaque
en grec par un Nicomaque 161 . Le règne de Zénobie avait peut-être été
considéré comme une experience politique susceptible de rappeier par
certains traits la cite Wale des Platoniciens 162 Une femme avait prouvé
qu'elle était au moms aussi apte qu'un homme a gouverner; et eile s 'était
fait seconder dans cette entreprise par un philosophe qui avait dirige pen-
dant plusieurs années 1 'Académie, Cassius Longinus, maître de Por-
phyre. L'Histoire A uguste mentionne la presence de ceiui-ci a Palmyre:
selon son témoignage, Longin aurait été exécuté par Aurélien après la
chute de la cite rebelle pour avoir inspire a la reine son audace et avoir
été i'âme de la résistance au pouvoir romain légitime 163•

Ibid., 30,4-11.
156 Cf. ibid., 30,5; 30, 10.
157
Ibid., 30, 7-8: Possum adserere tanto apud orientales et A egyptiorurn populos timori mulierern
fuisse Ut Se non A rabes, non Saraceni, non A rrnenii cornmouerent. Nec ego illi uitam conseruassern, nisi
earn scissem rnulturn Romanae rei publicae prqjbisse, cum sibi uel liberis suis orientis seruaret impe-
riurn.
158
Ibid., 30,23 [Zénobie a A urblien]: V ictoriarn mei sirnilern credens in consortium regni uenire, si
facultas locorurn pateretur, optaui.
' 59 Gall. d.,16,1; Tyr. Trig.,30,1;31,let7;Cl.,1,2.
160
Tyr. Trig., 30, 24-27. ii est possible que 1'Histoire A uguste reproduise ici encore des blbments de
1'EKG, car Eutrope (9, 13,2) s'en fait lui aussi l'dcho: voir A . BALDINI, Discendenti a Roma da Zenobia?,
ZPE 30, 1978, p. 145-149.
161 Tyr. Trig., 27, 6. Cette Iettre est
bien entendu un faux, inspire, selon F. PASCHOUD (V ies d'A uré-
lien et de Tacite, p. 146) par une notice de l'A nonyrnus post Dionern. Quant an nom de Nicomaque, il
constitue certainement un din d'ceil a l'une des sources de I'auteur, voire a un personnage du cercie lit-
téraire auquel il appartient: voir ibid., p. 148-149.
162 fl
ne faut pas oublier que Gallien lui-même, it l'bpoque de Zdnobie, avait projeté d'aider Plotin a
relever en Campanie une antique cite de philosophes a laquelle aurait bté donnd le nom de Platonopolis
et qui aurait été calquee sur le modèle de la Rdpublique: cf. Porphyre, V . Plot., 12.
163
A ur., 30, 3: Graue inter eos qui caesi sunt de Longino philosopho fuisse perhibetur, quo illa
rnagistro usa esse ad Graecas litteras dicitur; quern quidem A urelianus idcirco dicitur occidisse quod
superbior illa epistula ipsius diceretur dictata consilio, quarnuis Syro esset serrnone contexta.
L'OPTIMUS PRINCEPS DANS L'HISTOIRE AUG USTE 105

Cependant, pas plus qu'un philosophe-roi n'&ait viable a Rome, une


femme n'y pouvait faire un César credible. Le biographe s'amuse fran-
chement quand ii explique que, de même qu'Aurélien avait été blâmé
d' avoir fait paraItre une femme a son triomphe, lui-même avait été raillé
par ses pairs pour avoir mentionné dans son recueil des <<tyrannes>> ou,
mieux, des <<tyrannesses>> Tout comme la fabuleuse Palmyre, emplie
164•

de richesses myst6rieuses , est une porte ouverte sur le rnerveilleux'66,


165

la regina Orientis' 67 Zénobie, la plus belle et la plus noble des fern-


mes , nouvelle Sémiramis, nouvelle Didon et nouvelle Cléopâtre 169,
168

mais aussi marâtre pour le fils que son époux avait eu d'un premier lit 170,
devient dans le recueil une princesse de conte a propos de laquelle l'ima-
gination de l'auteur s'en donne a cur joie. Dernier din d'il, peut-être,
au lecteur: Zénobie était férue d'histoire' , comme, avant elle, Sévère
71

Alexandre et Gordien I, principes historici 172 qui, tous deux, rédigèrent


des Vies imp6riales173...

Le biographe de l'Histoire A uguste trace bel et bien, a I]extrême fin


de l'Empire, le portrait d'un prince modèle, alliant aux vertus impériales
traditionnelles des qualites et des principes éventuellement susceptibles
de permettre a la Rome séculaire de continuer a exister. Mais il n'est pas
Or qu'il croie a la réalisation possible de ses vux: le recueil est, de ce
point de vue, peut-être moms un miroir des princes qu'un révélateur de
ce que les Augustes contemporains ne peuvent pas être on ne sont plus.
S 'ii se plaIt alors a développer chez certains empereurs du Theme siècle
des traits et des projets politiques qui, a son époque, jouissaient d'un

164 Ibid., 31, 10: Nemo in templo Pacis dicturus est me ferninas inter tyrannos [cum risu et ioco],

lyrannas uidelicet uel tyrannides, Ut ipsi de me solent <curn risu et ioco> iactitare, posuisse.
ISO Voir par exemple A ur., 26,9,28,5; 29, 1-3.

166
Cf. CALLU, Platon dans l'Histoire Auguste, p. 480: <oLe merveilleux est devenu la nouvelle
Rdpubliquea.
167 A ur., 27, 2.
166 Ibid.: mulier omnium nobilissima orientalium ferninarum et, Ut Cornelius Capitolinus adserit,

speciosissima. Voir aussi Tyr. Trig., 30,15: juit uultu subaquilo,fusci colons, oculis supra modum uigen-
tibus nigris, spiritus diuini, uenustatis incredibilis. Tantus candor in dentibus, Ut margaritas earn pleri-
queputarent habere, non dentes.
' 69 Cf. Trig. Tyr, 27,1;30,2;30,19 ;A ur.,27,3.
170 Ibid., 16, 3: Et erat circa illum Zenobia nouercali animo, qua re commendabiliorern patri eum

fecerat. Voir bgalement ibid., 17, 2.


171
Cf. Tyr. Trig., 30, 22: elle est censbe avoir compose un abrégé de l'histoire d'Alexandrie et de
1' Orient.
172 Sévhre Alexandre recrutait des historiens parmi ses conseillers: cf. Sen. A l., 16, 3.

173
Cf. ibid., 27, 8: V itas principum bonorum uersibus scripsit. Quant a Gordien I (Gord. tr., 3, 3),
scripsitpraeterea, quemadmodum V ergilius A eneidos et Statius A chilleidos et multi alii A lexandnidos, ito
etiam ille A ntoniniados, hoc est A ntoninum Pium et A ntoninum Marcum, uersibus disertissimis libris ti-i-
ginta Uitam illorum et bella etpublice pnivatimque gesta perscribens. On pense encore ici a Tacite qui
Cornelium Taciturn, scriptorem Historiae A ugustae, quod parentem suum eumdem diceret, in omnibus
bibliothecis collocani iussit (Tac. 10, 3).
106 AGNES MOUNTER ARBO

grand credit, notamment auprès de l'élite sénatoriale, l'humour dont ii


fait preuve a cette occasion montre que, contrairement a nombre de ses
pairs, ii ne voit sans doute en ces grands homrne du passé que des figu-
res improbables, symboles d' aspirations dont ii mesure le caractère uto-
pique. En definitive, l'optimus princeps de l'Histoire A uguste est peut-
être surtout Zénobie, princesse de conte capable de fixer la fantaisie d'un
esprit désireux de s'évader hors de l'histoire et d'une réalité que seule
l'imagination peut rendre plus satisfaisante 174•

AGNES MOLINWR ARBO


Université de Strasbourg II

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114 Sur la tendance de la littérature tardo-impériale a se tourner vers le fabuleux et le merveilleux,


lire J.P. CALLIJ, Propos sur i'imaginaire latin, dans Culture profane et critique des sources de i'A ntiqui-
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Parte II

Gli spazi dell'utopia


FRi VA TA MODO ET DOMESTICA NOS DELECTA NT'
ESPACE DOMESTIQUE, ESPACE UTOPIQUE?

Le lieu introuvable de l'utopie devrait-il être recherché au plus près


du quotidien des hommes, dans l'espace et le decor domestiques des
Romains? C'est, en tout cas, cc que l'on pourrait être tenté de croire a la
lecture de la bibliographie récente sur la maison romaine. Depuis plu-
sieurs années, on constate en effet une evolution significative de 1' intérêt
des spécialistes. Alors que les premieres etudes consacrées a la maison
romaine avaient essentiellement mis l'accent sur la continuité entre Fes-
pace public et la domus , l'attention des chercheurs s'est depuis peu dépla-
cée vers ce qui constitue la dimension proprement privée de l'espace
domestique, la pars privata réservée a l'intimité et a l'otium défini pres-
que exciusivement par son opposition aux activités publiques. Cet espace
réservé, cbs sur lui-même, aurait offert au dominus une alternative aux
preoccupations de sa vie publique, un ideal imaginaire, une utopie.

1. La maison reflet de la vie publique


Les etudes sur l'architecture domestique romaine ont connu a partir
des annéés 80 un remarquable renouveau grace àl'approche socio-histo-
e moment 2 . La
rique déveboppée par divers chercheurs a pen prèsau mêm
contribution d'Y. Thébert a l'Histoire de la vie privée consacrée a la
maison romaine et les etudes d'A. Wallace-Hadrill entraInaient rapide-
ment un renouvellement des recherches sur l'habitat pompéien 3 . Bien

I Cic. A tt. 4.18.2.


2 Voir notamment les syntheses de J.-P. GUILHEMBET, Recherches récentes sur les domus a Rome
et en Italie (IF siècle ay . n. e. - pr siècle) grandes lignes et perspectives, dans La maison urbaine d'épo-
que romaine en Gaule Narbonnaise et dans les provinces voisines, 2 vol., (Actes du colloque d'Avignon
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re vitruvienne, voir ibid., p. 306-308.
112 RENAT.JD ROBERT

qu'elles s 'en défendissent parfois, ces etudes ont adopté dans leur grande
majorité un point de vue que Pon pourrait qualifier de "vitruvien". Elles
ont suivi le principe énoncé par l'architecte: Ergo si his rationibus ad
sin gulorum generum personas, uti in libro primo de decore est scriptum,
ita disposita erunt aedficia, non erit quod reprehendatur 4 . La maison
est essentiellement appréhendée en fonction de 1' activité du dominus et
considérée comme l'instrument privilégié de cette activité.
L'architecture domestique est donc tenue pour le reflet du statut social
de son propriétaire et le prolongement de la vie publique de ce dernier. Cette
approche se fonde largement sur une relecture anthropologique des catégo-
ries de public et de privé , dont l'opposition tranchée, héritée de la bourgeoi-
sie du XJXe siècle, ne pennettait pas, aux yeux des archéologues, de rendre
compte des pratiques sociales de l'Antiquit6 5 . A. Zaccaria Ruggiu a demon-
tré que la fluidité des frontières entre espace public et espace privé détermi-
nait l'organisation et le fonctionnement de la maison romaine 6 . Ses travaux
s'inscrivent dans la continuité de l'article consacré par F. Coarelli ala "mai-
son de l'aristocratie républicaine" et aux enjeux politiques des strategies
immobiières de la nobilitas a l'epoque de Cic6ron7.

Vitt. 6.5.3 et 1.2.9. Les particularités définies par Vitruve pour chaque type de domus correspon-
dent a des spécificités fonctionnelles déterminhes davantage par des categories socio-professionnelles
que strictement sociales (6.5.2); seules sont vdritablement décrites les maisons des classes les plus aisbes,
celles des sénateurs et des chevaliers. Ii distingue en effet les maisons dont l'activité est lide a la produc-
tion agricole (caracthrisées par leurs espaces de stockage); celles des feneratores et des publicani, qui
doivent htre a la fois élhgantes et sOres; celles des hommes du barreau, qui doivent être élhgantes et spa-
cieuses (pour permettre les rassemblements); celles des nobiles et des magistrats, enfin, doivent présen-
ter toute une série d'espaces caractéristiques, offrir un aspect "royal", grace notamment a leurs dimen-
sions exceptionnelles. L'adaptation aux conditions sociales, an mhme titre que l'adaptation aux condi-
tions dimatiques, rdpond aux principes de convenance (decus) auxquels 1' architecte dolt se plier. Comme
on le salt, les habitations des categories sociales plus modestes sont définies négativement par cc qu'el-
les ne possèdent pas: Igitur is qui communi suntfortuna non necessaria magnfica uestibula, nec tablina
neque atria quod in aliis officia praestant ambiundo neque ab aliis ambiuntur (6.5.1).
V oir les remarques de N. ELIAS, Die hOflsche Gesellschaft. Untersuchungen zur Sociologie des
Konigstums und der hOfischen A ristokratie mit einer Einleitung: Soziologie und Geschichtswissenschaft,
Neuwied - Berlin 1969 (trad. fr. de P. KAMNITZER et J. ETORE, La sociétd de cour, Paris 19852, p. 17-45).
6 Voir en particulier, A. ZACCARIA Ruooru, Spazio privato e spazio pubblico nella città romana,
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modelli ellenistici alla tradizione repubblicana, Rome 1996, p. 344-359). Sur les strategies immobilières
de la nobilitas, voir aussi J.-P. GIJILHEMBET, Habitaui in oculis (Cicéron, Plane., 66). Recherches sur la
residence urbaine des classes dirigeantes romaines des Gracques a A uguste (these inédite de l'Universi-
té d'Aix-en-Provence), 1995. On se reportera egalement aux importantes contributions de D. Psioami,
Cic., ad Quint. fr. 23.7, e le proprieta immobiliari tardorepubblicane sulla pendice settentrionale del
Palatino, RJA 17, 1994, p. 49-64 et de E. PASS, Domus est quae null villarum mearum cedat (Cic., Fam.
6, 18, 5). Osservazioni sulle residenze del Palatino alla meta deli secolo A .C., in M. CIIvIA - B. LA Roe-
CA (éd.), Horti romani (Actes du colloque international, Rome, 4-6 mai 1994), Rome 1998, p. 45-67. En
revanche, l'article de S. TimoolAlu, The Upper-Class House as Symbol and Focus of Emotion in Cicero,
IRA 12, 1999, p. 33-56, ne fait guhre progresser la question.
PRIVA TA MODO ET DOMESTICA NOS DELECTA NT 113

Ainsi perçue, la domus se présente avant tout comme l'expression de


la hiérarchie sociale. Loin de toute utopie, elle est un puissant instrument
de regulation, qui reflète parfois les tensions de la société. C'est la raison
pour laquelle Seneque récuse la pratique instaurée, selon lui, par Caius
Gracchus et par Livius Drusus, consistant a appliquer a la sociabilité
clientélaire un principe de repartition des amici en classes distinctes,
admis, en fonction de leur rang, a pénétrer plus ou moms loin dans la
demeure des grands 8 . Ce West sans doute pas un hasard si le philosophe
attribue a cc protocole une origine royale. C' est en effet au modèle royal
que remonteraient les principales innovations que 1' architecture domes-
tique a empruntées aux monuments publics a partir de la seconde moitié
du Ile s. ay . J.-C.
Dans cette perspective, les archéologues ont surtout relevé les cones-
pondances repérables entre decor domestique et architecture publique.
L' evocation de 1' architecture publique dans la domus ferait allusion au
statut civique du propriétaire et, notamment, aux charges publiques que
ce dernier pouvait assumer. Les auteurs de plusieurs etudes récentes se
sont interroges sur l'existence de pieces d'apparat reservees aux activi-
tés publiques du dominus. Ils ont notamment pose le problème de la
"basilique", mentionnée par le traité vitruvien comme Fun des éléments
distinctifs de la maison des nobiles et explicitement comparée aux
constructions publiques 9 . Ce type de pièce de grandeampleur (peut-être
flanquée d'une bibliothèque réservée aux archives - autre caractéristique
de la maison des nobiles selon Vitruve 10 ) se prêterait tout particulière-
ment a une forme de "sociabilité électorale", pour reprendre les termes
de P. Gros, caractéristique de la vie politique tardo-republicaine". Sous

8
Sen. Ben. 6.34.1-2: Consuetudo ista uetus est regibus regesque simulantibuspopulum amicorum
discribere, et proprium superbiae magno aestimare introitum ac tactum sui liminis et pro honore dare,
Ut ostio suo proprius adsideas, Ut gradum prior intra domus ponas, in qua deinceps multa sunt ostia,
quae receptOs quoque exciudant. A pud nos primi omnium G. Gracchus et mox Livius Drusus instituerunt
segregare turbam suam et alios in secretum recipere, alios cum pluribus, alios universos. Habuerunt ita-
que isti amicosprimos, habuerunt secundos, numquam ueros. Sur le commentaire de cc texte et la hidrar-
chie sociale mise en muvre dans l'architecture domestique, COARELLI, La casa dell'aristocrazia romana,
p. 185; WALLACE-HADRILL, Houses and Society, p. 38-39; F. PesARno, Domus. Ediliziaprivata e società
pompeianafra III Isecolo aC., Rome 1997, p. 30-3 1. Un point de vue identique est exprimé par Pline
le Jenne (2.6), Iorsqu'iI s'insurge contre la discrimination des invites selon leur rang social par le choix
des mets offerts dans les banquets. -
vjt. 6.5.2: Basilicas non dissimili modo quam publicorum operum magn(ficentia comparatas.
10
P. KNUVENER, Private Bibliotheken in PompeIi und Herculaneum, in A ntike Bibliotheken, Mayen-
cc 2002,p.81-85. -
11
B. Tot, Auditorium and Palatium. A Study on A ssembly-rooms in Roman Palaces during the I"
Century B.C. and the I" Century A .D. (Stockholm Studies in Classical Archaeology 2), Stockholm-Gbte-
borg-Uppsala 1963; F. COARELLI, A rchitettura sacra e architettura privata nella tarda repubblica, dans
A rchitecture et société, Rome 1983, p. 191-217 (repris dans COARELLI, Revixit ars, p. 327-343); P. GROS,
La basilique dans la maison des notables, in M. CEBEILLAC-GERVASONI —L. LAM0INE - F. TREMENT (éd.),
A utocdlébration des elites locales dons le monde romain. Contexte, textes, images (Il e s. ay . J.-C. - lIP s.
ap.J.-C.), Clermont-Ferrand 2005, p. 311-328. -
114 RENAUD ROBERT

une forme plus modeste, la basilique pourrait egalement avoir été adap-
tee aux besoins des elites provinciales, chez lesquelles 1' activité munici-
pale n'impliquait pas moms de multiples manifestations a caractère élec-
toral 12 A. Wallace-Hadrill a ainsi rapproché l'oecus 'Egyptius de la
"Maison a l'atrium de mosaIque" (Herculanum), du plan de la basilica
forensis et propose d'y voir une veritable "basilique privée", oil auraient
été traitées les "affaires" du maître de maison 13• Une telle analyse privi-
légie évidemment le cérémonial social dans la vie domestique - tout par-
ticulièrement la salutatio matinale - et suppose que le plan de la domus
lui est en grande partie subordonné. La sequence atrium-tablinum-alae
apparaît comme l'axe principal en fonction duquel s'organisent l'espace
intérieur et la vie de la maison'4.
Le mot même de basilica, par les lointaines connotations royales
qu'évoque son étymologie, et sans doute aussi les qualificatifs d'gyp-
tius ou de Cyzicenus que Vitruve applique aux différentes formes d'oeci,
suggèrent une fois encore un rapprochement avec 1' architecture aulique
et un mode de vie fondé sur l'autoreprésentation politique 11 . C'est
encore au modèle palatial que ramène l'architécture monumentale de
l'atrium pourvu d'une loggia a colonnes ioniques engagées de la "Mai-
son samnite" a Herculanum (fin du Ile s. ay . J.-C.). Ce dispositif excep-
tionnel évoque a la fois les cours a portiques des palais hellenistiques (en
particulier dans leur déclinaison sicilienne 16) et l'amenagement intérieur
des basiliques romaines. Ce double rapprochement pourrait également
être suggéré pour un ensemble "palatial" comme la "Maison du Faune"
A Pompéi, dont les fauces sont ornées dans la partie haute d'un decor

12
E. DENJAUX, De l'ambitio a l'ambitus: les lieux de la propagande et de la corruption électorale a
la fin de la Republique, clans L'Urbs. Espace urbain et histoire, Iel s. ay . J.-C. - lIP s. ap. J.-C., Rome
1987, P. 279-304 (en particulier p. 300-301).
13
WALLACE-HADRILL, Houses and Society, p. 18-19, contra GROS, La basilique dons la maison des
notables, p. 317 pour qui la position de la pièce dans la planimétrie de la maison (assez modeste) ene se
prêterait pas a une fonction de representation aussi importante>.
14
Voir les remarques de T. P. WIsEai, Conspicui postes tectaque digna deo: the Public Image of
A ristocratic and Imperial Houses in the Late Republic and Early Empire, dans L'Urbs. Espace urbain et
histoire, p. 393-413 et surtout de E. DWYER, The Pompeian A trium House in Theory and in Practice, in
E. K. GAZDA (ed), Roman A rt in the Private Sphere. New Perspectives on the A rchitecture and Decor of
the Domus, V illa, and Insula, Ann Arbor 1991, p. 25-48.
R. FORTScH, Die Herstellung von Offentlichkeit in der spatrepublikanischen W ohnarchitektur als
Rezeption
15 hellenistischer Basileia, in W. HOEPFNER - G. Ba.sms (éd.), Basileia. Die Paldste der helleni-
stischen Konige, (intern. Symposion, Berlin, 1992), Mayence 1996, p. 240-249; P. GROS, L'architecture
romaine, du debut du III' s. ay . J.-C. a lafin du Haut-Empire. 2-Maisons, palais, villas et tombeaux, Paris
2001,p. 66.
16
S. AjosA, Considerazioni sull 'archittetura domestica siciliana di eta ellenistica in referimento al
V I libro del De Architectura, in G. GIorrA (hd.), V itruvio nella cultura architettonica antica, medievale
e moderna 1 (Actes du colloque intern. de Genes en l'homseur de C. Tiberi, 5-8 novembre 2001), Genes
2003, p. 49-61 et H. P. ISLER, Einflllsse der makedonischen Palastarchitektur in Sizilien? , Basileia, 1996,
p. 252-257; en dernier lieu, J.-M. CROISILLE, La peinture romaine, Paris 2005, p.46.
PRIV A TA MODO ET DOMESTICA NOS DELECTA NT 115

d'édicules en stuc évoquant la façade d'édifices religieux, et dont le


vaste atrium de style structural fait echo au decor intérieur contemporain
de la basilique de la cite 17 . La référence a l'architecture royale ou théâ-
trale pourrait être considérée comme une forme d'aspiration utopique a
un statut heroIque bien éloigné, dans les faits, de la condition réelle du
dominus, une sorte de fantasme de puissance, si, par son efficacité, cette
architecture ne contribuait pas aussi très concrètement a soutenir l'ambi-
tion sociale de son propriétaire.
En s'appuyant sur l'analyse que V. M. Strocka a donnée de la "Mai-
son du Labyrinthe" 18, J• Bragantini a récemment propose d'attribuer une
signification très precise a la repartition des différents types de décors de
second style dans la maison. Elle remarque en effet que les décors a
paroi fermée se répartis sent plutôt dans la partie publique (atrium et pie-
ces adjacentes), alors que les décors a paroi ouverte ou dotes d'éléments
en saillie (cubiculum 42) sont réservés aux pièces internes de l'habita-
tion. En somme, loin de représenter des phases dans l'évolution du
decor, comme l'avait établi A. Mau, la diversité des schémas décoratifs
pounait avoir contribué a manifester clairement la hiérarchie et la fonc-
tion des espaces domestiques' 9 . Le decor ne constitue pas (seulement) un
cadre ideal, il participe donc sans ambiguIté a 1' efficacité sociale de 1' ar-
chitecture.
L'approche de la maison romaine fondée sur le rapport entre schema
planimétrique et fonction socio-politique de l'espace domestique doit
être nuancée. Le cadre restreint de cet exposé nous permettra seulement
de formuler quelques remarques. L' analyse sociologique doit tenir
compte de multiples paramètres historiques. Notons d'abord que, grace
A ses nombreuses propriétés, la classe dirigeante romaine dispos alt d'un
vaste choix de demeures, dont le caractère et la fonction dépendaient du
climat, du site, des besoins ou des désirs des propriétaires. La multipli-
cite des residences permettait donc une forme de spécialisation de cha-

17 Voir dans la très abondante bibliographic consacrée a cette maison: A. HOFFMANN, Die Casa del

Fauno in Pompeji. Ein Haus wie ein Palast, Basileia 1996, P. 258-259; F. PESANDO, A utocelebrazione
aristocratica e propaganda politica in ambiente privato: la Casa del Fauno a Pompei, CCG 7, 1996,
p. 189-228; F. ZEVI, Die Casa del Fauno in Pompeji und das A lexandermosaik, RM 105, 1998, p.21-145.
La simplicité du decor de premier style dans l'atrium est confirmée par la relative austérité des pavements
des pièces de reception (atrium et tablinum), simpiement ornées de motifs géométriques, alors que les
plus belles mosaiques sont réservées aux pièces d'apparat situées autour du peristyle on aux pièces inti-
mes. Tout se passe comme si la simplicite du decor conférait aux loca communia une part de monumen-
talité en raison précisément de la proximitd de cc type de decor avec ceiui des monuments publics, voir
I. BALDASARRE - A. PONTRANDOLFO - A. ROUVERET - M. SALVADORI, Lapeinture romaine de l'epoque hel-
lenistique a l'A ntiquité tardive, Milan-Aries 2003, p. 76.
IS V.M. STROCKA, Casa del Labirinto (V I 11, 8-10). Hkuser in Pompeii 4, Munich 1991, p. 115-119.
19 J• BRAGANT8NI, Problemi dipittura romana, AION ArchStAnt 2 (n.s.), 1995, p. 174-197 (en par-
ticulier p. 182).
116 RENAUD ROBERT

cune d'entre elles 20 . Mais ii faut surtout tenir compte du profond boule-
versement que connaIt la vie politique a l'époque impériale. La maison
vitruvienne, conçue pour l'oligarchie républicaine et adaptée a ses usa-
ges sociaux et politiques, ne répond plus exactement aux besoins des eli-
tes imp6riales 21 . L' architecture même de la domus manifeste clairement
une evolution planimetrique - avec notamment l'émergence dans de
nombreuses provinces des maisons a péristyle central - qui reflète sans
nul doute les changements des modes de vie 22. Sous l'influence du mode
de vie grec, la perception de la maison se transforme a partir de la
seconde moitié du Il e s. ay . J.-C.: le péristyle cherche a reproduire 1' ar-
chitecture des gymnases, le jardin évoque le paradeisos 23 . En s ' appro-
priant un tel modèle culturel, l'architecture domestique se conforme cer-
tainement a une forme d'utopie 24• Ce modèle s 'incarne tout particulière-
ment dans la villa, dont P. Zanker a montré qu'elle influençait en retour
1' architecture de la domus25.
C'est pourquoi les archéologues distinguent en général deux phases
dans l'histoire de l'architecture domestique: jusqu'à la fin de l'époque
républicaine, la maison des elites serait organisée autour de sa partie
publique (les pièces disposées autour de l'atrium); ce secteur public de
la maison est le prolongement direct de l'espace public et le cadre des
activités civiques du maître de maison. La part grandissante du secteur
réservé a l'intimité (les pièces disposées autour du péristyle) manifeste-

20 E. RAWSON,
L'aristocrazia ciceroniana e le sue proprietà, in M. I. FINLEY (bd.), La proprieta a
Roma. Guida storica e critica, Rome-Bari 1980, p. 97-118.
21
La rbflexion de Vitruve (6.5.2) parait particulièrement adaptée aux besoins des hommes politi-
ques de la pbriode des guerres civiles. Lents maisons doivent comporter de vastes pièces de reception
quod in domibus eorum saepius et publica consilia et privata iudicia arbitriaque conficiuntur. Les
assemblées (publica consilia) qui se tiennent, selon I'architecte, dans leo demeures des hommes qui
honores magistratusque gerundo praestare debent officia ciuibus et les decisions pnivées (privata iudi-
cia) qui y sont prises, rappellent leo reunions des factiones évoquées par César en 49 a y . J.-C. (Caes. Civ.
1.6), lorsque Pompbe, contraint de rester hors de Rome en raison de son imperium proconsulaire, recevait
les représentants du Sénat et ses partisans dans sa villa suburbaine. COARELLI, La casa dell'aristocrazia
romana, p. 178; E. R0MAN0, Dal De officiis a V itruvio, da V itruvio a Orazio: ii dibattito sul lusso edili-
zio, dans Le projet de V itruve. Objet, destinataires et reception du De architectura (Colloque internatio-
nal de Rome, 26-27 mars 1993), Rome 1994, p. 63-73, particulièrement p. 71-73; Gaos, La basilique
dons la maison des notables, p.313.
22
P. GROS, L'architecture romaine, p. 148-196; our leo maisons africaines a cour péristyle,
R. REBUFFAT, Maisons a péristyle d'A frique du Nord, repertoire des plans publiés, MEFRA 81, 1989,
p.659-724 et S. BULLO - F. Gimomi (dd.), Amplissimae atque ornatissimae domus. L'edilizia residenzia-
le nelle città della Tunisia romana, 2 vol., (Antenor Quaderni 2/1-2), Rome, 2003.
23
Sur les ambnagements des villas de Cicbron, voir U. SAURON, Templa serena. A propos de la "V il-
la des Papyri" a Herculanum: contribution a l'étude des comportements aristocratiques romains a lafin
de la République, MEFRA 92, 1980, p. 277-301; ID., De Buthrote a Sperlonga: a propos d'un livre recent
sur le theme de la grotte dans les décors romains, RA 1991, p. 3-42.
24
Les emprunts a l'architecture grecque, ddsormais dbconnectés de leur fonction originelle, ont
essentiellement unevaleur de citations.
25 P. ZANKER,
Die V illa als V orbild des späten pompejanischen W ohngeschmacks, JDI 94, 1979,
p.460-523 (trad. it., Pompei. Società, immagini urbane eforme dell'abitare, Turin 1993, p. 151-230).
PRI V A TA MODO ET DOMESTICA NOS DELECTA IV T 117

rait un repli sur les activités liées a l'otium et sur une nouvelle forme de
sociabilité, désormais plus informelle ou moms immédiatement politi-
que 26 . Ce type de raisonnement revient finalement a projeter sur 1' ana-
lyse diachronique la distinction vitruvienne entre partie publique de la
domus, les loca communia, et le secteur privé, les loca propria 27 . Pour
1' architecte, le caractère privé des pièces augmente de manière inverse-
ment proportionnelle a leur éloignement de la rue, l'accessibilité aux
étrangers determinant la plus ou moms grande intimité des pièces réser-
vées a la famille et a ses proches.

2. De l'otium a l'utopie?
L'insistance des chercheurs, depuis une vingtaine d' années, sur la
dimension politique de l'espace domestique peut apparaItre comme une
reaction aux interpretations spiritualistes, dont les travaux de K. Sche-
fold demeurent l'exemple le plus accompli 28 . La maison est un sanc-
tuaire en forme de pinacothèque, elle abrite une collection d'images qui
reflèterait 1' ideal spirituel du dominus. Ii est vrai que 1' approche sociolo-
gique d'A. Wallace-Hadrill réservait au decor domestique et, en particu-
her, aux representations mythologiques, une fonction essentiellement
générique, qui rendait assez superficiellement compte de la variété des
themes choisis par les commanditaires: la connaissance des mythes est
signe de culture, privilege des elites, et, a 1' instar des diverses manifes-
tations du luxe, indique avant tout le statut social du dominus. L'usage

26 J.-A. DIcIunArt't, The Peristyle and the Transformation of Domestic Space in Hellenistic Pompei,

in R. LAURENCE - A. WALLACE-HADRILL (bd.), Domestic Space in the Roman W orld: Pompei and beyond,
JRA supplement 22, Portsmouth 1997, p. 121-136; sur la signification ideologique des portiques evo-
quant la palestre grecque, SAURON, Templa serena. A propos de la "V illa des Papiri" a Herculanum,
p.285-288.
27 Vitr.6.5.1.

28
K. SCHEFOLD, Pompeianische Malerei. Sinn und Ideengeschichte, Bale 1952, cite dans la trad. fr .
de J.-M. CROISILLE (La peinture pompéienne. Essai sur l'dvolution de sa signification, Latomus 108, Bru-
xelles 1972). La démarche de K. Schefold est encore marquee par la question de la romanité de Fart porn-
phien (versus Fart greC). La peinture romaine est souvent qualifiee d ... énigme on de mystère": son appa-
rente banalitd decorative requiert une démarche hermeneutique specifique. L'art romain serait plus sym-
bolique et plus conscient que Fart grec, car ii se fonde sur d'autres conceptions éthiques et religieuses (La
peinture pompéienne, p. 41) que celles des Grecs. C'est dans I'atmosphère de religiosite de la pohsie
augustéenne qu'il conviendrait de rechercher les des de l'énigme de la peinture. Aussi étudier la peintu-
repompéienne revient-il a en déchiffrer la signification symbolique: <<rnhme si Fart n'est pas l'activité
primordiale des Romains, le besoin d'art est inseparable de la réalité romaine: la base en est religieuse>>
(p.38). Plus qu'une pinacotheque, la maison est no sanctuaire, no museion, oh des mystbres (au sens reli-
gieux du terme), lies aux traditions orphico-dionysiaques italiques, se donnent a voir, si bien que: <des
tableaux faotastiques temoignent des espérances et des idéaux des habitants et de l'engagement religieux
de leur vie>> (p. 41). Les conceptions de K. Schefold sont largement tributaires des ouvrages de
M. ROSTOVTSEFF, Mystic Italy, New York 1927 et de F. CUMONT, Recherches sur le symbolismefunerai-
re des Romains, Paris 1942.
118 RENAUD ROBERT

des reproductions d'uvres célèbres, la large diffusion d'une culture


mythologique, dans le decor de troisième style en particulier, revien-
draient essentiellement a s' approprier pour un usage privé le patrimoine
public des pinacotheques - la magnificentia publica chère a Cicéron - et
a transformer en luxe privé les emblèmes culturels de la puissance publi-
que29.
Pour les disciples de K. Schefold, au contraire, le decor mural est
bien plus qu'un marqueur social; il offre assurément une image de la cul-
ture du maître de maison mais, ce faisant, exprime surtout ses aspirations
et ses croyances religieuses. Les décors de second style ont ainsi donné
lieu a de multiples interpretations qui mettent toutes l'accent sur le
caractère symbolique des architectures feintes. Plutôt qu'une réalité
architecturale contemporaine 30 , ces peintures inviteraient le spectateur a
contempler un monde ideal, un au-delà: celui de la mort pour G.-Ch. Pi-
card", le monde que les épicuriens imaginaient au-delà des moenia
mundi 32 , les palais de 1'6pop6e 33 ou un decor théâtral qui serait celui de
la vie humaine, suivant le principe du mimus vitae des philosophes 14.
Récemment, les travaux de G. Sauron se sont inscrits dans cette tra-
dition herm6neutique 35 . Pour le chercheur français, en effet, les grands
décors de second style pompéien doivent être compris comme autant de
manifestes pythagorico-platoniciens, traduisant sous la forme "d' allego-
ries picturales" les convictions qu'une partie de la nobilitas du ler s. ay.
J.-C. partageait a propos du destin de l'homme et de l'immortalité de
l'âme. La promesse d'héroIsation philosophique revendiquee dans ces
décors s'exprimerait dans un langage symbolique crypté, accessible uni-

29
WALLACB-HADI4ILL, Houses and Society, p. 30; Cic. Off. 1.138-140; Leg. 330. Cette appropria-
tion avait commence avec le formation de collections de peintures susceptibles de rival iser avec celles
des temples de 1' Urbs; ainsi s'explique la politique mise en omwe par Auguste pour inciter les collection-
neurs a restituer an public les ceuvres d'art (Pun. NH. 35.26).
° J. Enoeria, A rchitekturdarstellungen desfrtihen zweiten Stils. Illusionistische romische W and -
malerei des ersten Phase und ihre V orbilder in der realen A rchitektur, RIvI 12. ErgH., Heidelberg 1967;
R. A. TYBOUT, Aedificiorum figurae. Untersuchungen zu den A rchitekturdarstellungen des friihen zwei-
ten Stils, Amsterdam 1989.
G.-Ch. PicAim, Origine et signification des fresques architectoniques romano-campaniennes
dites de second style, RA 2, 1977, p. 231-252.
32
A. H. Boimdll4, Zur Deutung von Scherwand und Durchblick auf den W andge,nälden des ZW eitefl
pompejanischen Stils, in B. ANDREAE - H. KY1uELEIs (éd.), Neue Forschungen in Pompeji und des ande-
ren vom V esuvausbruch 79 n. Chr. V erschiitteten Stadten, Recklinghausen 1975, p. 61-70.
R. ROBERT, Une théorie sans image? Le trompe-Neil dans l'A ntiquite classique, in P. MAURIES
(hd.), Le Trompe-l'ceil, Paris 1996, p. 47-52.
° H. G. BEYEN, Die pompejanische W anddekoration yam zweiten his zuisi vierten Stil, I, La Haye
1938, p. 51-65.
G. SAURON, Quis deum? L'expression plastique des ideologies politiques et religieuses a Rome,
BEFAR 285, Rome 1994; ID., Nature et signification de la mdgalographie dionysiaque de Pompéi,
CRAI, 1984, p. 151-175;Ja., La grandefresque de la "V illa des Mystères" a Pompéi, Paris 1998; ID.,
Unepolemique qui dure: le "deuxième style pompéien", Topoi 5/1, 1995, p. 249-267; ID., La revolution
iconographique du "deuxième style", IvIEFRA, 113/2,2001, p. 769-786.
PRIV A TA MODO ET DOMESTICA NOS DELECTA IV T 119

quement a un groupe de nobiles partageant les mêmes idéaux philoso-


phico-politiques 36 . Parmi eux, les deux Q . Lutatius Catulus auraient joué
un role prépondérant: les grandes entreprises édiiitaires du père et du fils
(tholos de Fortuna huiusce diei, Capitole et Tabularium) auraient ainsi
donné naissance a tout un repertoire de formes architecturales nouvelles,
dont la symbolique cosmique aurait trouvé une echo précis dans certains
décors de second Toutefois, affirmer des convictions philosophi-
ques et eschatologiques platoniciennes - celles d'un Varron ou du Cicé-
ron du Songe de Scipion -, même si c'était sons une forme allusive et
dans le cadre privé du decor domestique, revenait aussi a revendiquer
une appartenance a une faction de l'élite sénatoriale hostile au pouvoir
des nouveaux imperatores et des hommes qui se situaient dans la mou-
vance des populares. En somme, l'expression plastique d'une concep-
tion philosophique qui transcendait la réalité politique n'excluait nulle-
ment une prise de position dans les conflits de la cite.
Qu'elles insistent sur la dimension spirituelle ou politique des
décors, ces theories ont en commun d'admettre l'existence de program-
mes iconographiques et font l'hypothese qu'une thématique commune,
dont la signification peut être déterminée, relie symboliquement l'en-
sembie des images formant le cadre domestique 3t . Or, les récentes publi-
cations de P. Zanker ou de S. Muth, suivant en cela les remarques formu-
lees naguère par P. Veyne ou J. Eisner, remettent en question la notion
même de programme iconographique, en particulier s'agissant du decor
domestique 39 . En effet, rares sont les sources qui décrivent comme un
ensemble unitaire des collections d' images 40 . En revanche, de nombreux

36 Les principaux ensembles de "deuxième style" étudiés par C. Sauron (outre les mégalographies

de la "Villa des Mystères" et de la villa dite de P. Fannius Synistor) sont: le cubiculum M de la "Villa de
Fannius Synistor" (voir Quis deum'?, p. 374-430), les fresques de la Villa d'Oplontis a Tone Annunzia-
ta, notaniment l'atrium et le salon 15 (Quis deum?, p. 431-483); voir bgalement La revolution iconogra-
phique, p. 775-779.
Il s'agit de Q . Lutatius Catulus, rival de Marius et consul en 102-101 a y . J.-C. et son fils homo-
nyme, consul en 78 ay . J.-C., voir SAURON, Quis deum?, p. 137-141 et 169-248; ID., La revolution icono-
graphique, p.780-786.
38 L'idée qu'il existe un lien programmatique entre les tableaux d'un même ensemble décoratif a été

défendue par K. Schefold contre l'opinion qui prévalait depuis A. Mau, selon laquelle aucune affinité
profonde ne pouvait ëtre htablie entre les tableaux; A. MAU, Pompeii in Leben und Kunst, Leipzig 1908,
p.501; SCHEFOLD, Lapeinture pompéienne, p. 32.
En particulier, P. ZANKER, Mythenbilder im Haus, in R. F. DOCTER - E. M. Mooaara.m (éd.), Pro-
ceeding of the X V '6 International Congress of Classical A rchaeology (Amsterdam 1998), Amsterdam
1999, p. 40-48 (trad. it. d'E. POLrrO, Immagini mitologiche nelle case pompeiane, dans Un'arte per l'im-
pero. Funzione e intenzione delle immagini nel mondo romano, Milan 2002, p. 112-132);
S. MUTH, Erleben von Raum - Leben im Raum, zur Funktion mythologischer Mosaikbilder in der
römisch-kaiserzeitlichen W ohnarchitektur, Heidelberg 1998; P. Vn y nn, But de 1 'art, propagande etfaste
monarchique, in P. VEyNE, L'empire gréco-romain, Paris 2005, p. 379-418; J. ELSNER, Viewing and
Society: Images, the V iew and the Roman House, in J. ELSNER, A rt and the Roman V iewer. The Transfor-
mation of A rt from the Pagan W orld to Christianity, Cambridge 1995, p. 48-87.
40 Voir SCHEFOLD, La peinture pompéienne, p.45-49 et les intéressantes remarques de CR0IsmLE, La

peinture romaine, p. 334-337.


120 RENAUD ROBERT

textes soulignent les effets de correspondance qui s'établissent, au gre


des circonstances, entre peintures et affects des spectateurs. Plutarque
évoque l'émotion qui étreint Porcia a la vue d'un tableau représentant
Hector et Andromaque, alors qu'elle doit elle-même se séparer de Bru-
tus 4t , son époux; le Satiricon et les romans grecs mettent en scene des
personnages qui découvrent dans des peintures le reflet de leurs états
d'âme du moment 42 . Bien plus qu'un programme, selon P. Zanker, le
decor pictural offre un reservoir de "métaphores psychologiques", oIt
chacun peut puiser selon son humeur 43 . C' est pourquoi la galerie décrite
par Philostrate offre au spectateur-lecteur un catalogue de tableaux qui
s 'enchaInent sans aucun principe organisateur apparent: la variété même
des thématiques garantit la richesse des associations d'idées qu'elle sus-
cite44 . Pour fonctionner, cette interactivité entre images et spectateur
implique une complete polysémie du récit mythologique et de ses repré-
sentations. En effet, le sens prêté a un mythe depend du niveau de récep-
tion oü se situe le public qui le lit. P. Zanker en a fait la demonstration
avec l'histoire d'Hercule et Omphale: le mythe, qui évoque traditionnel-
lement la soumission humiliante du guerrier au pouvoir séducteur de la
femme, peut, en fonction du contexte, être également interprété comme
la métaphore du dévouement conjugal ou l'illustration de la puissance de
Dionysos, lorsqu 'Hercule est couronné de pampres 45 . L' interactivité
exclut le déterminisme trop rigide d'un programme iconographique.
Ii ne s' agit pas ici d'examiner dans le detail la thématique complexe

41
Plut. Brut. 23. Le jeu des correspondances entre les affects du spectateur et le tableau contempld,
tel qu'il est mis en scene dans l'épopde on le roman, exprime sans nul doute un mode subjectif de récep-
tion que connaissait certainement le spectateur antique, mais il est tout autant le produit de l'illusion lit-
téraire, car Ic récit subordosme, grace a ce procédé, la description aux besoins de la narration. Pourtant,
l'image excède toujours la signification que lui prête la subjectivitd du spectateur, dans la mesure od elle
Se prête simultanément a d'autres lectures, comme le souligne précisément Plutarque dans l'épisode de
I'embarquement de Brdtus. Deux interpretations semblent s'affronter: celle de Porcia, suscitée par l'émo-
don de la separation (la representation des adieux d'Andromaque a Hector anticipe symboliquement sa
propre separation d'avec Brutus) et celle de Brutus lui-mhme qui voit avant tout dans la figure d'Andro-
maque un exemple d'hdroIsme et d'amour de la patrie. Plutarque confronte donc a dessein les lectures
psychologique et politique du même tableau.
42
Petr. Sat., 83; Achille Tat. Leucippe et Clitophon, 1-2.
ZANKER, Immagini mitologiche nelle case pompeiane, p. 118-120; voir également, J. ELSNER,
Seductions of A rt: Encolpius and Eumolpius in a Neronian Picture Gallery, PCPhS 39, 1993, p. 30-47 et
S. GOLDIHLL, The Naive and Knowing Eye: Ecphrasis and Culture of Viewing in the Hellenistic W orld, in
S. GOLDHILL - R. Osaonsm (ed), A rt and text in ancient Greek culture, Cambridge 1994, p. 197-223.
Ce point de vue est a nuancer selon: K. LEHMANN-HARTLEBEN, The "Imagines" of the Elder Philo-
stratus, Art Bulletin 23, 1941, p. 16-44; N. BSrYSON, Philostratus and the Imagery Museum, in S. GOLDHILL
- R. Osao1uE (éd.), A rt and Text in A ncient Greek Culture, Cambridge 1994, p. 255-283. En demier lieu,
voir les etudes rassembldes dans le volume: M. CosTAwrml - F. Gu.ziAM - S. R0LET (dd.), Le deft de l'art.
Philostrate, Callistrate et l'image sophistique, Rennes 2006, en particulier la contribution de
N. V . BRAGINSKAYA - D. N. LEONOV, La composition des Images de Philostrate l'A ncien, p. 9-29.
P. ZANKER, Eine römische Matrone als Omphale, RM 106, 1999, p. 119-131 (trad. it. d'E. PoLl-
TO, Una matrona romana nelle vesti di Omfale, dans Un'arte per l'impero. Funzione e intenzione delle
immagini nel mondo romano, Milan 2002, p. 198-211).
PRIVATA MODO ET DOMESTICA NOS DELECTANT 121

des etudes citées précédemment - en particulier dans l'ouvrage foison-


nant de S. Muth - mais de me surer en quoi elles constituent une rupture
dans les travaux sur la maison romaine, même lorsqu'elles se réclament
des conclusions de leurs pr6d6cesseurs 46 . Cette entreprise de "décons-
truction" de la notion de programme iconographique conduit P. Zanker,
et plus encore S. Muth, a des résultats paradoxaux 47 Livrée a la subjecti-
vité du spectateur, l'interprétation de l'image semblait promise a l'épar-
pillement. Or les analyses de ces auteurs aboutissent parfois a une éton-
nante reduction des possibles et a un aplatissement de la signification. P.
Zanker, partant de la constatation que la majorité des images domesti-
ques, des l'époque tardo-hellénistique, se réfèrent a l'iconographie diony-
siaque ou érotique, suggère que le decor a pour fonction essentielle de
dessiner un espace propre, cclui de la douceur de vivre on du plaisir, celui
de 1' otium 48 . Ii est tentant, dans ces conditions, de ramener toute image de
couple (Mars et Venus, Dionysos et Ariane, Neptune et Amphitrite, Her-
cule et Omphale), de corps dénudé (Achille, Hylas, Narcisse) ou d'em-
blème dionysiaque au même scheme interprétatif, et ce d'autant plus que
l'opposition dialectique privé/public, intérieur/extérieur, activité/otium
peut s'appliquer mécaniquement a tout espace domestique, quel que soit
le contexte socio-historique. En outre, la méthode adoptée par S. Muth,
consistant a examiner un tableau comme une representation distincte de
son contenu narratif, contribue a ramener les images a des signes généri-
ques aisément superposables les uns aux autres, au contenu essentielle-
ment normatif: la similitude de composition entre les scenes de l'enlève-
ment d'Hylas et d'Achille a Skyros autorise l'auteur a réduire leur signi-
fication a une evocation de l'amant, parangon de la beauté masculine
désiré par les femmes. De tels personnages mythologiques en viennent a
ne plus incarner qu'une figure emblématique et Wale de l'homme 49 . Ii
faut finalement voir dans ce type d' images aussi une allusion parmi d' au-
tres an bonheur de vivre, theme presque exclusif du decor domestique.
Comme nous le disions en commençant, l'espace domestique est
alors fondamentalement défini par son opposition a l'espace public 10 . En

Ces enquetes entendent se placer dans la perspective socio-historique d'A. Wallace-Hadrill, par
exemple Mum, Erleben von Raum - Leben im Raum, p. 49-53.
Sur la critique de la notion de programme iconographique, Mum, Erleben von Raum - Leben im
Raum, p.34-4l et p. 102-110.
P. ZA.NKER, Un 'arte per i sensi. Ii mondofigurativo di Dioniso e A frodite, in S. Sarrss (éd.), I Gre-
ci. Storia, cultura, arte, società, 2.3, Turin 1998, p. 545-616.
a Sur Hylas et Achille a Skyros, MUTH, Erleben von Raum - Leben im Raum, p. 99-196; on pent
egalement se reporter an compte-rendu trbs pertinent de l'ouvrage de S. Muth par J. BALTY dans le Bul-
letin de 1'AIEMA 18, 2001, p.452-459.
50 On notera que la notion d'otium est le rbsultat d'une elaboration philosophique qui ne vaut yen-

tablement que pour une classe de notables qui a thdorisé son rapport parfois conflictuel a la chose publi-
que et an mode de vie grec, voir J.-M. ANDeE, L'otium dans le vie morale et intellectuelle romaine, Paris
1966, en particulier p. 279-334.
122 GLI SPAZI DBLL'UTOPIA

forcant un pen le trait, on pourrait presque dire que l'espace domestique


est mécaniquement percu comme le lieu du plaisir et de l'harmonie
quand 1' espace public est celui de 1' activitd et du d6sordre 51 . En coupant
le spectateur de la réalité - qui prdvaut dans l'espace public - le decor
privé le projette dans un monde superlatif, un Uberwelt ou un Traum-
welt 52 . Ainsi compris, l'espace domestique pent apparaItre comme un
espace utopique, un monde que l'on pourrait qualifier de Gltickwelt,
pour reprendre encore un terme emprunté a S. Muth a propos des repré-
sentations du thiase mann, monde ideal qui fait office de contretype par
rapport au monde reel, de Gegenwelt53 . En lui-même le mythe, par sa
dimension héroIque et tragique, transcende nécessairement la réalité,
quand bien même il lui servirait de r6f6rent54.
La souplesse de cette conception du decor domestique permet de faire
entrer indistinctement dans la catégorie de l'utopie et de l'aspiration an
"paradis" toute image Wale, des perspectives du second style pompéien
aux paysages idyllico-sacrés, en passant par les representations dejardins
ou d'efflorescences v6g6tales 55 . Ii est curieux de constater que l'on
rejoint ainsi paradoxalement certaines remarques de K. Schefold 56 , a par-
tir de présupposés méthodologiques radicalement opposes, puisque l'his-
torien d'art fondait son enquête sur la notion de réseau iconographique,
quand les chercheurs ont actuellement tendance a en contester le bien
fondé.

Sur le role de la thkmatique erotique dans le decor privé: D. FREDERICK, Beyond the A trium to
A riadne: Erotic Painting and V isual Pleasure in the Roman House, ClAnt 14/2, 1995, p. 266-287. L'au-
teur insiste hgalement sur le role joué par ces images dans la construction sociale do sexe et du pouvoir
masculin; voir aussi les contributions réunies dans N. BOYMEL KAMPEN (ed), Sexuality in A ncient A rt,
Cambridge - New York 1996; ces themes sont abondamment abordés par MOTH, Erleben von Raum -
Leben im Raum, p. 292-322.
52
Mum, Erleben von Raum - Leben im Raum, p. 292 et p. 322-327.
S. MUTH, Gegenwelt als Gldckwelt - GlUckwelt als Gegenwelt? Die W elt des Nereiden, Tritonen
und Seemonster in der romischen Kunst, in T. HOLSCHER (ed), Gegenwelt. Zu den Kulturen Griechen-
lands und Roms in der A ntike, Munich - Leipzig 2000, p. 467-496.
Voir le désir d'échapper an quotidien, qualifie d'Eskapismus par Mum, Erleben von Raum -
Leben im Raum, p. 322-324.
V oir notamment, R. Evs, Searching for Paradise: Landscape, Utopia, and Rome, Arethusa 36,
2003, p. 285-307: l'auteur embrasse dans une mbme aspiration a l'idéal les allusions an Phoenix, aux
confins legendaires du monde habith on a l'Age d'Or. Ii voit dans les peintures qui ornent les maisons
romaines (paysages, viridaria et motifs vegetaux) comrne dans les jardins intérieurs (reels ou feints) des
espaces "utopiques", qui expriment un désir de maitrise tie la nature et de contrOle du temps.
56
SCHEFOLD, Le peinture romaine, p. 57. La dimension religieuse, chère a K. Schefold, est cepen-
dant nettement moms mise en avant. Ii en va de méme avec las implications politiques de certains motifs.
A propos des rinceaux augustdens et de l'Age d'Or, EVANS, Searching for Paradise, p.301-302 s'en tient
a one conception superficielle des reliefs de l'A ra Pacis. Ii ne cite pas les travaux tie G. SAURON sur le
monument (notamment: L'histoire végetalisee. Ornement etpolitique a Rome, Paris 2000) et Se fonde sur
le travail très general tie D. CASTRIOTA, The A ra Pacis A ugustae and the Imagery of A bundance in Later
Greek and Early Roman Imperial A rt, Princeton 1995.
PRIVATA MODO ET DOMESTICA NOS DELECTANT 123

3. L 'espace domestique comme lieu de contradiction

Ii ne nous appartient pas de dire cc que cette interpretation de l'es-


pace et du decor domestiques doit a l'évolution actuelle de la réflexion
sur les ideologies. Ii peut paraItre significatif qu' aux yeux des plus
récents exégètes, ii ne puisse y avoir d'utopie qu'à l'opposé de l'espace
public et du débat politique on, pour mieux dire, que l'espace privé, réso-
lument distinct de l'espace public, apparaisse comrne le seul lieu possi-
ble de l'utopie.
Ti est vrai que, dans de nombreux cas, les sources antiques défmissent
bien l'espace domestique comme un lieu privilégié, coupé du reste du
monde. Cela vaut surtout pour les hommes d'Etat qui, comme Antoine ou
Auguste, disposaient d'un pavilion oü us pouvaient se retirer, sinon dans la
solitude, du moms dans une stricte intimit6 57 . Mais la mode des apparte-
mentsprivés, au sens le plus étroit du terme, se diffuse au-delà du cercie des
gouvemants. Dans la description de ses villas - type d'habitation réservée
a i'otium en règie générale - Pline le Jeune évoque complaisamment an
ses
diaetae, petits appartements intimes aménagés a i'écart et réservés me-
tre de maison et a ses hôtes les plus familiers 58 . Ces pièces, caractérisées par
la uoluptas qu'eiles inspirent, sont décrites comme isoiées du reste de la
villa, dissimuiées par la verdure et propres a protéger le maître de maison
des agressions de la vie réeile, le jour des Saturnales par exemple59.
Pourtant Cicéron, très soucieux de définir, pour la nobilitas, les
règles du "bien habiter" en termes de stratégie politique et de conduite
morale, insiste sur les dangers de la confusion entre luxuria publica et
luxuria privata lorsque les aristocrates transforment leurs demeures pri-
vées en basiliques publiques, mais Wen condamne pas moms aussi le
repli des hommes politiques sur leurs domaines suburbains et compare le
dominus épris de riche mobilier et d'objets de luxe a un esclave, un
seruus atriensis 60 . Ti est certain qu'un aristocrate comme Lucullus pré-

Sur le Timonion d'Antoine a Alexandrie, Strabon, 17.1.9 on le locus in edito singularis, qualiflé
de Syracusae par Auguste, Suétone, A ug. 72. On pourrait également mettre sur le même plan la résiden-
ce impériale de Capri, nommée ATrpayólroXLs (sejour de l'oisiveté) par Auguste, d'après Suet. A ug. 98;
B. LA ROCCA , Ii lasso come espressione di potere, in E. LA ROCCA - M. CmSA, Le tranquille dimore degli
del (catalogue de l'exposition de Rome), Rome 1986, p. 19.
' R. FORTSCFI, A rchaologischer Kommentar zu den V illenbriefen des jUngeren Plinius (Beitrage zur
Erschliessung hellenistischer und kaiserzeitlicher Skuiptur und Architektur 13), Mayence 1993,p.48-58.
Notamment la diaeta de sa villa des Laurentes que Pline le Jenne (2.17.23-24) qualifie d'amores.
Ce lieu est un secretum, habilement isolé du bruit de la demeure par un procédé technique: Tam aid abdi-
tique secreti illa ratio, quod interiacens andron parietem cubiculi hortique distinguit, atque ita omnem
sonum media inanitate consumit. Dans cet appartement, la solitude, source de plaisir, est complete: In
hanc ego diaetam cum me recepi, abesse mihi etiam a uilla mea uideor, magnamque eius uoluptatem,
praecipue Saturnalibus, capio, cum reliqua pars tecti licentia dierumfestisque clamoribus personat.
° Cie. Parad., 5.3.36-38; sur Lucullus: Cie. Leg., 3.30-31; Romari6, Dal De officiis a Vitruvio,
p. 64-66.
124 RENATJD ROBERT

féra une retraite (honteuse aux yeux de son ami Cicéron) dans le cadre
luxueux de ses residences a une vie publique ternie par les bruyants suc-
ces de ses rivaux 61 . L'espace domestique, s'il est trop privé, inspire de la
suspicion a l'Arpinate 62• 11 est compare a un enfer, un lieu d' autant plus
décrié qu'il est voué a la uoluptas63 . Les poètes, de Térence aux satins-
tes ont touj ours associé espace privé (sinon domestique !) et érotisme 64•
Pourtant Cicéron, non sans jouer lui-même de l'ambiguIté inhérente au
statut de la demeure privée d'un homme public, se plaint de voir sa villa
de Formies transformée en "basilique" chaque fois qu'il y reside65.
Y. Thébert le premier avait clairement mis en evidence que toute la
dynamique de la maison romaine venait de la tension dialectique
privé/public. Espaces intimes et espaces de sociabilité se juxtaposent
dans la maison en fonction d'une gradation explicitement définie par
Vitruve. Mais ces espaces s'interpénètrent aussi et leurs frontières sont
susceptibles d'évoluer selon les heures du jour on les circonstances de la
vie. C'est pourquoi, une vision plus réductrice de l'espace domestique,
défini par son opposition a l'extérieur (au groupe social?) et dote d'un
decor presque uniment décrit comme une invite a fuir la réalité quoti-
dienne (Eskapismus), rejoint de manière préoccupante les aspirations
bien actuelles d'une société de loisirs.
Or, dans bien des cas, le cadre dont s ' entourait le propriétaire de la
maison paraIt avoir précisément mis en scene le conflit entre les aspira-
tions an plaisir et les exigences de la uirtus. Dans la "Villa des Papyri" a
Herculanum, M. R. Wojcik interprétait la double s6rie de portraits, sou-
verains hellénistiques et philosophes, comme une allusion aux deux
aspects de la vie des propriétaires, l'exercice du pouvoir et les plaisirs

61
Peut-être les residences de Lucullus, dont les salles portaient des noms de dieux, s'apparentaient-
elles a des palais idéaux (utopiques?): Plut. Luc. 41.6; toutefois, la retraite de Lucullus était ostentatoire
et entrecoupée au commencement d'apparitions remarqudes et efficaces sur le Forum ou au Sénat (Plut.
Luc. 42.5). Sur ses residences, voir V. J0LIvEr, Xerxes togatus: Lucuilus en Campanie, MEFRA 99, 1987,
p. 875-904. -
62
Voir Ce propos les remarques sur les diaetae composées d'une cenatio a un cubiculum dans
A . ZACCARIA RUGGIU, A bbinamento triclinium-cubiculum: un'ipotesi interpretativa, dans A bitare in
Cisalpina. L'ediliziaprivata nelle città e nel territorio in eta romana (Atti della XXXI settimana di Stu-
di Aquileiesi, 23-26 mai 2000), Antichità Altoadriatiche 49,2001, p. 59-101.
63
Dans le cas de Verrbs, la captation des c:euvres d'art des cites et des particuliers revient ales fai-
re disparaitre dans les ténèbres de ses appartements privés; Cic. V err., 1.7: simulacraque deorum, quae
non modo ex suis templis ablata sunt sed etiam iacent in tenebris ab isto retrusa atque abdita. Or la
demeure du préteur est fondamentalement souillée par ses debauches: R. ROBERT, A mbigulte du collec-
tionnisme de V errès, in J. DUBOULOZ - S. PrrrIA, La Sicile de V errès. Lectures des V errines, Besançon
2007, p. 15-34.
Ter. Eun. 580-59; voir également la diatribe de Properce, 2.6.27-44 contre l'introduction des
peintures érotiques dans les maisons. R. ROBERT, Arte et amore captus. Les collections: une appropria-
tion controversée des opera publica et in perception de i'espace privé, in A. DARDENAY - E. Rosso (ed),
Interacciones entre esfera publica y esfera privada en el espacio de in ciudad romana (Actes du collo-
que de Madrid, 27-28 février 2006), a paraitre.
61
Cie. A tt., 2.14.2: Basilicam habeo, non uillam,frequentia Formianorum.
PRIV A TA MODO ET DOMESTICA NOS DELECTA NT 125

intellectuels de l'otium et non, comme le faisait G. Sauron, aux sedes


beatae, au Jardin des Bienheureux tt . Les representations de mythes qui
illustrent les conflits entre 1' activité virile et le repos, la guerre et le plai-
sir (Mars et Venus, Achille a Scyros, Hercule et Omphale) sont nom-
breuses dans la peinture pompéienne. Ii est vrai que, comme Fa montré
P. Zanker, les images officielles renvoyant aux valeurs civiques ont bien
souvent été détournées dans l'iconographie privée et, loin deleur signi-
fication politique originelle, Wont plus alors évoqué que de manière très
générique les vertus familiales ou individuelles 67 . Par sa plasticité, le
mythe se prête aisément a une réinterprétation que différents contextes
font varier: pour revenir a la scene d'Hercule devant Omphale déjà évo-
quée précédemment, une telle representation ne serait plus qu'une image
dionysiaque d'Hercule bibax, dévoué a la femme qu'il aime, une allu-
sion, une fois encore, aux deux symboles du plaisir - Venus et Bacchus
- qui balisent l'espace utopique du Traumwelt 6t . Toutefois, si S. Muth
peut rapprocher sur le plan formel les scenes de l'enlèvement d'Hylas et
d'Achille a Skyros, il ne serait peut-être pas moms pertinent de revenir a
la notion de réseau ou de programme iconographiques et de relever la
convergence symbolique de sequences narratives telles que le dévoile-
ment d'Achille, Mars désarmé par les Amours, Enée devant Didon, Her-
cule et Omphale 69 . Ces tableaux, très frequents dans le decor domestique
et très souvent associés, mettent en scene avec insistance, nous semble-
t-il, la tension conflictuelle entre image publique et aspiration au bon-
heur de vivre.
L'approche illustrée par les travaux récents procède sans doute d'une
double simplification, 1 'une de nature iconographique, 1' autre de nature

66 M. R. WOJCIK, La V illa dei Papiri ad Ercolano. Contributo alla ricostruzione dell'ideologia del-

la nobilitas tardorepubblicana, Rome 1986; SAURON, Templa serena. A propos de la "V illa des Papyri"
a Herculanuin, p. 290-294.
67
P. ZANKER, Bilderzwang. A ugustan Political Symbolism in the Private Sphere, dans Image
and Mystery in the Roman W orld. Papers given in Memory of Jocelyn Toynbee, Gloucester 1988, P.
1-13 (trad. it. d'E. POLITO, Immagini come vincolo: ii simbolismo politico augusteo nelle sfera priva-
ta, dans Un 'arte per 1 'impero. Funzione e intenzione delle immagini nel niondo romano, Milan 2002,
p.79-91).
68
ZANKER, Una matrona romana nelle vesti di Omfale, p. 207-208, apropos de la peinture de la
"Maison de M. Lucretius Fronto" (IX 3,5); sur Mars et Venus, V.M. STROCKA, Mars und V enus in Bud-
programmen pompejanischer Hauser, in D. SCAGLIARINT C0RLArrA (ed.), I tend figurativi nella pittura
parietale antica (Atti del VI Convegno Internazionale sulla pittura parietale antica, Bologne 1995), Bob-
gne 1997, p. 129-134.
69 Ii serait intbressant de reprendre en ce sens le decor de la "Maison du Poète Tragique" (VI 8, 3-

5). Les etudes sur be motif d'Achilbe se sont multiplibes récemment: F. Grmnim, La fortune del mito di
A chille nella propaganda tardo repubblicana ed imperiale, Latomus 53/2, 1994, p. 297-316; L. ABB0N-
DANZA, Immagini dell'infanzia di A chille in eta imperiale: continuità di unparadigma educativo, Ocnus
4, 1996-1997, p. 9-33; F. GHEDtNI, A chille "eroe ambiguo" nella produzione musiva tardo antica,
AntTard 5, 1997, p. 239-264; G. L. GRASSOLI, Una toeletta particolare. A ttorno a un quadro dalla Case
di Sirico, Eidola 2, 2005, p. 95-111.
126 RENAUD ROBERT

sociologique. Bile réduit sans doute a l'excès les resonances que pou-
vaient susciter dans le public romain les images erotico-dionysiaques et
tient peu compte de l'infinie variété des images elles-mêmes, des
contextes architecturaux et fonctionnels. Les recherches récentes de
S. Wyler sur le dionysisme domestique ont bien montré que seul l'envi-
ronnement architectural . et iconographique permettait de determiner
jusqu' a quel point une image était banalisée: les attributs dionysiaques
(thyrse, pampres, masques), selon qu'iis figurent sur un "portrait" en
médailion, dans un réseau d'images de même nature, dans une scene
mythologique, dans l'oecus de la maison ou dans le cubiculum, ne revê-
tent pas la même signification et n'impliquent pas, chez ies propriétaires,
le même degré d'implication a i'égard du dionysisme70.
Ii faut, par ailleurs, tenir compte du fait que les témoignages archéo-
iogiques, qui concernent essentiellement les elites provinciales, ne coIn-
cident pas avec la documentation textuelle qui décrit presque exclusive-
ment le mode de vie des classes dirigeantes de 1' Urbs. Si la sociabilité
des nobiles républicains ou celle des hommes de cour a l'époque impé-
riale obéissaient a une codification assez stricte, celle des classes moyen-
nes était certainement plus modeste et, par IA-même, plus difficile a sai-
sir pour nous 71 . L'ostentation de l'image publique des dirigeants et le
caractère quasi public de la vie de cour, relèguent l'intimité des hommes
d'Etat dans l'ombre. Ii est tentant, par contraste, de projeter sur la "petite
bourgeoisie" des cites de province - propriétaire des maisons exhumées
par les archeologues - une vision de la vie quotidienne qui fasse la part
belie a l'otium et au soucide soi. L'espace domestique permettrait a des
preoccupations plus intimes et plus personnelles de se projeter dans un
decor presque entièrement tourné vers l'exaltation d'un ideal de vie pri-
vée. En effet, même si les demeures des elites cherchent a imiter celles
des classes dirigeantes, cela ne signifie évidemment pas que leurs modes
de vie sont identiques 72• Nous possédons fort pen de témoignages sur les

70
En particulier, S WyLER, "Dionysos domesticus": les motifs dionysiaques dans les maisons porn-
pdiennes et rornaines (II' a. ay . J.-C. - s. ap. J.-C.), MEFRA 116/2, 2004, P. 933-951
Voir les remarques de K. M. D. DUNBABIN, The Roman Banquet. Images of Conviviality, Cam-
bridge 2003, p. 74-102.
72
Ce phénomène d'imitation est bien attesté par Un texte de Cichron (Leg. 3.30-31) qui civoque
l'imitation du luxe cia Lucullus par ses voisins: <<Un grand homme et qui flit notre ami a tons, Lucius
Lucullus, aurait, a-t-on raconth, fait cette réponse, qu'on trouvait ingénieuse, lorsqu'il a dit, comme on lui
reprochait la magnificence de savilla de Tusculum, qu'il avait deux voisins: en haut, un chevalier
romain; en bas, un affranchi; quand tons deux avaient des villas magnifiques, on pouvait bien lui accor-
der ce qu'on laissait faire a des gens d'un ordre infcirieur. Mais ne vois-tu pas, Lucullus, que c'est de toi
qu'est née l'idée de leur passion? Si tu ne faisais cela, on ne le leur laisserait pas faire. Qui en effet pour-
rait tolérer ces gens-là quand on voit leurs villas pleines de statues at de tableaux pris en partie a l'Etat,
en partie a des temples on des lieux vénérés? Qui ne voudrait briser leurs convoitises, si ceux-1A qui au-
talent le devoir dales briser, n'étaient possédhs de la méme passion?>> I. Ba.o.osrru'o (Problemi dipittura
romana, p. 184) a attire l'attention sur le fait qu'il serait fallacieux de surestimer la difference qualitative
PRIV A TA MODO ET DOMESTICA NOS DELECTA NT 127

formes de sociabilité de ces elites locales, pourtant il serait réducteur


d'en ignorer la dimension civique et politique. Elle implique une forme
de vie publique intimement mêlée aux activités de la vie quotidienne et
une convivialité qui avaient la maison pour cadre. Pour reprendre
l'exemple célèbre - et presque unique dans les sources littéraires - du
banquet de Trimalcion, il paraIt hasardeux de vouloir démêler dans la
sociabilité de ce notable provincial et dans son decor, oii alternent les
scenes de sa vie et les tableaux mythologiques, la part privée et la part
d'ostentation de son personnage publiC 71 . Comme on le sait, le decor de
sa maison, comme celui de son tombeau, s'adressent davantage a ses
convives qu'à lui-même.

Décrire l'espace privé comme le negatif de l'espace public et voir


dans cette antinomie 1' indice que 1' espace privé serait définissable par
son caractère ideal, hors réalité (u-topique), revient a projeter sur la
documentation antique des categories largement impropres a rendre
compte de la réalité sociologique des maisons romaines. De manière
generale, même si toute habitation suppose un code culturel qui, dans
une culture donnée, permet a chaque visiteur de se repérer dans un
espace inconnu, il serait dangereux d' oublier que, plus que tout autre
espace, l'espace domestique est soumis au principe de réalité: en raison
de l'extrême labilité de ses structures et de ses fonctions, ii résiste a
toute interpretation univoque, par trop r6ductrice 74 . La maison consti-
tue sans doute le plus paradoxal des objets historiques: elle permet a
l'historien d'approcher an plus près l'homme romain, mais elle se
dérobe partiellement a l'analyse globalisante et trop systématique. Une
conception entièrement abstraite de la maison romaine pourrait finir par
laisser croire que l'architecture impose un mode de vie aux hommes qui
l'habitent 75 , alors que le plus souvent le modede vie des hommes s'im-
pose a l'architecture, füt-ce au prix de multiples compromis avec elle.
RENAUD ROBERT
Université d'Aix-Marseille 1
UMR 6573 Centre Camille Jullian

entre les officines qui travaillaient dans les maisons de Rome et celles qui oeuvraient dans les cites vbsu-
viennes; elle note en particulier des affinitbs entre les peintures de la "Maison d'Auguste" et celles de la
"Maison du Cryptoportique" a Pompbi.
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LA CITTA E IL NOME: PROGETTO POLITICO
B UTOPIA NELLA FONDAZIONE DI ANTINOE

Ii titolo, parafrasato da Calvino 1 , intende attirare 1' attenzione sulle


non poche peculiarità di A ntinoe / A ntinoupolis, che Adriano nell'autun-
no del 130 d.C. fonda in memoria di Antinoo, schiavo a lui caro appena
annegato nel Nib.
L'argomento non è nuovo alle indagini, anche molto recenti, che ten-
denzialmente hanno privilegiato ii contesto della fondazione, collegata
alla morte del giovane favorito e agganciata alla tradizione ecistica
avviata da Alessandro, ponendo un' attenzione particolare sulla struttura
amministrativa del centro e sui privilegi di cui godeva la popolazione
civile 2 ; è invece rimasto in buona parte in ombra il significato politico
dell'ordinamento della città, restituito dal regesto compilato dal Calderi-
ni .
Con ii presente lavoro, pertanto, ci si prefigge di dimostrare che
Adriano fonda e costruisce la città di A ntinoupolis non solo urbanistica-
mente, ma anche politicamente, trasformando la struttura amministrativa
di una realtà poliadica minore in un manifesto del culto imperiale di
caratura ecumenica. Ii "disassamento" tra universalità del programma e
localismo della sua applicazione consente di ascriverlo alla sfera del
pensiero utopico, da intendersi anche nel senso di una prefigurazione di
eventi e di una progettualità esercitata su un piano diverso rispetto alla
realizzazione pratica della città, che nel tempo non riuscirà ad assolvere

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proposta in parte da B. CALANDRA, Oltre la Grecia. A lle origini del filellenismo di A driano, Perugia-
Napoli 1996, pp. 35,44,132-134.
134 ELENA CALANDRA

le funzioni strategiche e commerciali per le quali viene fondata. Ii quadro


di eccezionalità in cui A ntinoe nasce, consente al suo fondatore una liber-
tà normativa altrove difficile da esprimere, ii che pone ii progetto fuori
dalla prassi corrente, perfino per un imperatore. Un simile programma
non a caso si realizza in una terra paragonabile a nessun'altra, che cono-
see vane fondazioni ex novo, a partire dalla stessa Alessandria: 1'Egitto,
fertile laboratorio politico, in cui a partire dal Macedone si esperiscono e
inventano molteplici linguaggi per definire e declinare ii potere4.

La fondazione della città

Come è noto, Adriano visita 1'Egitto nel corso deli' ultimo grande
viaggio, fra ii 128 e ii 132 d.C., recandovisi per la prima volta nel 130
d.C. e di nuovo nel 131 d.C. 5 Le circostanze della morte di Antinoo sono
state ripercorse da una letteratura piuttosto cospicua anche negli ultimi
anni, ii che esime dal riconsiderare partitamente le vane interpretazioni
che ne sono state offerte: e sufficiente assumere che Antinoo sarebbe
intenzionalmente annegato nel Nilo in occasione dei Neilöa , ii 22 ottobre
del 130 d.C., sacrificandosi per garantire l'immortalità ad Adriano. Alla
morte del giovane seguono immediatamente due avvenimenti di notevo-
be portata: secondo ii codice dinastico, egli viene trasformato in astro;
subito dopo, ii 30 ottobre, l'imperatore fonda, sulla sponda opposta
rispetto al luogo in cui è avvenuto l'incidente, la città di A ntinoupolis6.

Sulle fondazioni in Egitto da parte di Alessandro e dei Lagidi vanno citati almeno V. TScHERIK0-
VER, Die hellenistische SttidtegrUndungen von A lexander dem Grossen bis auf die Römerzeit, Philologus,
Suppl. 19, 1, 1927, pp. 182-189; E. Ganco - M. TORELLI, Storia dell'urbanistica. II mondo greco, Roma-
Bari 1983, pp. 339-340; M. C. Mc CLELLAN, A lexander in Egypt, in E.C. DANIEN (ed.), The W orld of Phi-
lip and A lexander. A Symposium on Greek Life and Times, Philadelphia 1990, pp. 39-59; vari contributi
in A lessandro Magno. Storia e mito (Catalogo della mostra), Milano 1995: N. BONACASA, A lessandria
capitale e l'Egitto dei Tolomei, pp. 67-79, P. BERNARD, Le cittafondate da A lessandro in A sia centrale,
pp. 97-103, e la sezione V I. A lessandria in Egitto, pp. 264-275, con schede di N. BONACASA, E. CIAMPINI,
A. RoccATi, E.C. PORTALE, B. SCHMTTZ, G. CAPRIOTrI Virrozzi, M.R. Di MIND, K. KONTJK.
Da ultimo A.R. BIRLEY, Los viajes de A driano, in J.M. CORTES COPETE - E. Muiliz GRIJALVO
(edd.), A driano A ugusto, Sevilla 2004, pp. 57-69, in particolare p. 69: 128 d.C.: Roma, Africa, Numidia,
Mauritania, Roma, Atene; 129 d.C.: Atene, Eleusi, Asia (Efeso, Mileto), Licia (Patara), Asia (Laodicea,
Apamea, Melissa), Cappadocia, Siria (Antiochia); 130 d.C.: Siria (Antiochia, Monte Casio, Palmira),
Arabia (Gerasa, Petra?), Giudea (Gerusalemme, Gaza), Egitto (Pelusio, Alessandria, deserto, Eliopoli,
Menfi, Ossirinco, Hermoupolis, A ntinoupolis, Tebe, Ossirinco, Tebtunis); 131 d.C.: Alessandria, A nti-
noupolis, Alessandria, Siria, Cilicia, Panfihia (Phaselis) , Asia, Atene; 132 d.C.: Atene, Giudea, Atene.
6 CALDERINI, Dizionario, pp.
74-78 (vane denominazioni del centro), pp. 79-80 (fondazione), pp.
80-82 (storia degli studi). Fonti antiche sulla monte di Antinoo e sulla fondazione di Ant moe: Aur. Vict.,
hist. abr. 14,7; Cass. Dio, hist.Rom. 69, 11, 1-4; HA ., Hadr. 14,5-7; Paus. V III, 9,7. Discussioni in J. L.
VOISIN, A picata, A ntinods et quelques autres. Notes d'epigraphie sur la mort volontaire a Rome, MEFRA
99, 1987, pp. 257-280, in particolare pp. 262-266; H. MEYER, A ntinoos. Die archaologischen Denkmaler
unter Einbeziehung des numismatischen and epigraphischen Materials sowie der literarischen Nachri-
chten. Ein Bed-rag zur Kunst- and Kulturgeschichte der hadrianisch-frtihantoninischen Zeit, Miinchen
1991, pp. 183-191, 213-215 e 231-233; CALANDRA, Oltre la Grecia, pp. 132-134, 145-147, 157-161;
LA CITTA E IL NOME: PROGETTO POLITICO E UTOPIA 135

Sono questi gli atti di un unico, complesso rito, che trae avvio dalla mor-
te per autoimmolazione, prosegue con ii catasterismo, e culmina nella
fondazione, che nasce da un preciso progetto, pretestuosamente alimen-
tato dalla tragica fatalità.
Ii ricorso al nome di Antinoo, cui l'imperatore lega addirittura una
città, obbliga a una riflessione. Nella parte occidentale dell'impero,
infatti, Adriano adotta una notevole cautela, tendenzialmente limitando-
si ad aggiungere ii proprio nomen o ii praenomen al nome già in uso del-
la città; in Oriente, invece, egli adotta una condotta assai diversa 7 : fonda
e I o rifonda una serie di città, alle quali trasmette ii proprio nome 8 ; ad
altre attribuisce l'aggettivo tratto da questo, facendole diventare Hadria-
ne 9; altre ancora si vincolano a lui tramite un culto personale, attestato da
dediche, da altari, da edifici di varia natura'°. Al tempo stesso, Adriano
attribuisce denominazioni, o meglio ridenominazioni, ad altre città,
anche coinvolgendo i nomi dei membri della casata imperiale: prima di
tutto Selinunte di Cilicia, dove Traiano muore, riceve ii nuovo nome di
Traianoupolis"; ancor pill significativamente, l'imperatore accosta ad
Hadrianopolis, fondata in Tracia, città come Plotinopolis , Marcianopo-
us, Traianopolis, A ugusta Traiana (nothe sostituito a quello di Beroe),
Ulpia Nikopolis, Porta Traiana, Ulpianum: centri distribuiti nell' areale
traco-mesico, occidentale in quel tempo, ma che dill a non molto diver-
rà piattaforma nevralgica verso 1'Oriente 12•
Una rete eciStica cos! complessa trae origine dalla lezione del Mace-

A.R. BIRLEY, Hadrian. The Restless Emperor, London - New York 1997, Pp. 235-258; A. GALIMBERTI,
A driano e l'ideologia del principato, Roma 2007, pp. 95-98; E. CALANDRA, V illa A driana scenario del
potere, in M. Rizzi (ed.), A driano & i cristiani, c.d.s. Isolata la datazione al 134 d.C. della fondazione da
parte di S. FOLLET, Hadrien en Egypte et en Judée, RPh 42, 1968, pp. 54-77, che prende in considerazio-
ne ii chronicon Pascale e la documentazione numismatica.
Fonti sull'operato urbanistico ed edilizio di Adriano: CASS. Dio, hist. Rom. 69, 10, 1; Eutr., brev.
87,2; H.A .,A lex. 43,6; H. A ., Hadr. 13,6,19,2,19,9,20,4-5,20,13. Per la condotta politica di Adria-
no CALANDRA, Oltre la Grecia, pp. 120-123 (città occidentali), e pp. 124-130 (città orientali), con discus-
sione e bibliografia precedente. Per ii culto imperiale in Oriente S. R. F. Piuca, Rituals and Power. The
Roman Imperial Cult in A sia Minor, Cambridge 1984.
8 B. D'ORGEvAL, L'Empereur Hadrien. Oeuvre legislative et administrative, Paris 1950, pp. 225-

226; M. LE GLAY, Hadrien et l'A sklepieion de Pergame, BCH 100, 1976, pp. 347-372, in particolare pp.
357-358: Misia: Hadrianoi , Hadraneia, Hadrianoutherai; Lidia: Hadrianopolis; Frigia: Hadrianopolis;
Paflagonia: due Hadrianopolis; Ponto: due Hadrianopolis e una Hadrianoi; Cilicia: Hadrianopolis.
La GLAY, Hadrien, pp. 358-359: Cizico, Smirne, Nikopolis sul Lico, Nicomedia, Bithynion -
Claudiopolis, Cius, Iconium (colonia secondo A.D. MACRO, The Cities of A sia Minor under the Roman
Imperium, in A ufstieg und Niedergang der romischen W elt, 2, 7.2, 1980, pp. 658-697, in particolare pp.
674-675), Germanicopolis, Diocaesarea, Tarso, Adana, Mopsuste, A egae, Palmira (su cui D. SALZMANN,
Sabina in Palmyra, in G. BAUCHHENS (ed.), Festschrift Nikolaus Himmelmann: Beitrage zur Ikonogra-
phie und Hermeneutik, Mainz 1989, pp. 361-368).
'° Elenco in La GLAY, Hadrien, pp. 359-364.
CALANDRA, Oltre la Grecia,pp. 37-38.
° T. CORNELL - J. MATrHEWS, A tlante del mondo romano, trad. it., Novara 1984, pp. 140-141;
SCHUBERT, A ntinoopolis, p. 123.
136 ELENA CALANDRA

done, che lega il proprio nome a numerose città, di cui la piü famosa è
certamente Alessandria d'Egitto 13, ma accanto alla quale ne sorgono
alcune altre in Asia, situate costantemente in luoghi di importanza stra-
tegica14.
La nuova consapevolezza del ruolo di fondatore si coglie già nella
scelta dell'epiteto di Ktistes, che Alessandro si attribuisce per primo,
imitato poi da vari sovrani ellenistici' 5 ; lo stesso epiteto viene adottato
nel mondo romano per primo da Pompeo, Seguito da Augusto, Agrippa,
Germanico, Tiberio, Nerone, Domiziano 16: tradizione cui Adriano
ampiamente si collega17.
L'imposizione del nome del favorito dell'imperatore, con un geSto di
indubbia incisività, nonché i tratti urbanistici, conSentono di ascrivere
A ntinoe alle modalità poleografiche orientali, dal punto di vista Sia geo-
grafico Sia programrnatico. II nuovo centro (attualmente Sheik Abadeh)
sorge nel Medio Egitto, a metà strada tra PtolemaIs e A rsinoe, e di fron-
te a Hermoupolis, ubicata sulla sponda destra del Nib: tutte fondazioni
lagidi18.
Sotto 11 profilo archeobogico, peraltro, la città non è adeguatamente
conosciuta, ancorché a piü riprese esplorata e parzialmente pubblicata. Ii
sito non è nuovo a insediamenti, come teStimoniano i reSti del tempio
ramesside e di una necropoli di eta protodinastica 19• Una fase ellenistica

13
Vedasi supra nota 4.
" A. PA9JLY — 0. WissowA (edd.), Realencyclopadie der classischen A ltertumwissenschaft, I,
Stutt-
gart 1894, s.v. A lexandreja, cc. 1376-1395; TSCHER1KOVER, Die hellenistische StadtegrUndungen, pp.
136-154; MONTEVECCHI, A driano e lafondazione, p. 184.
15
Esemplificazione in PAULY - WIssowA X I, 1921-1922, cc. 2085-2087: l'epiteto è usato da Ales-
sandro, Mitridate fondatore del dominio pontico, Demetrio Poliorcete, Prusia I di Bitinia, Eumene II,
Antioco IV Epifane, Orode I degli Arsacidi, Erode Filippo II, Archelao di Cappadocia; Arato di Sicione
invece h definito oikistés.
6
Per Pompeo: MACRO, The Cities of A sia Minor, PP. 672-674; D. MICHEL, A lexander als V orbild
für Pompeius, Caesar und Marcus A nton ius, Bruxelles 1967, pp. 48-50. Per I'età imperiale PAULY - Wis-
SOWA X I, 1921-1922, cc. 2085-2087; per Agrippa anche J.-M. RODDAZ, Marcus A grippa, Roma/Paris
1984, pp. 431-450.
7
PAULY - WIssowA X I, 1921-1922, cc. 2086-2087. Per le titolature di Adriano come Ktistes, Oiki-
stds, Euergetes, Sotér: D'OROEvAL, L'Empereur Hadrien, pp. 228-229.
18
S. DONADONI, s.v. A ntinoe, in EA A I, 1958, pp. 419-420; MONTEVECCHI, A driano e lafondazione,
p. 185; SCHUBERT, A ntinoopolis, pp. 123-124; P. Roamo, L'Egitto al tempo dei Romani, in B. ADEMBRI -
Z. Miu (edd.), Suggestioni egizie a V illa A driana (Catalogo della mostra), Milano 2006, pp. 21-33, in
particolare pp. 23-24.
"Per le fasi piii antiche: A. SPALLANZANI-ZIMMERMANN, It cimitero protodinastico, in S. DoNoM
(ed . ), A ntinoe (1965-1968). Missione archeologica in Egitto dell'Universith di Roma, Roma 1974, pp.
23-31; L. BoNoi.rI FANFONI, Scavi nell'area del tempio ramesside, in S. DONADONT (ed.), A ntinoe, pp.
33-36; in generale CALDERINI, Dizionario, pp. 69-114; ii citato volume A ntinoe; I. BALDASSARRE, Alcune
riflessioni sull'urbanistica di A ntinoe (Egitto), AION 10, 1988, pp. 275-284; K. MIdHiowsKI, L'arte
dell'antico Egitto, trad. it., Milano 1990, p. 524; P. PENSABENE, Elementi di architettura alessandrina, in
S. STUCCHI - M. BoNxisNo ARAVANTINOS (edd.), Giornate di studio in onore di A chille A driani = Studi
Miscellanei 28, Roma 1991, pp. 29-85, e soprattutto P. PENSABENE, Repertorio d'arte dell'Egitto greco -
romano, Serie C, Ill, Elementi architettonici di A lessandria e di altri siti egiziani, Roma 1993,
pp. 273-
288; I. BALDASSARRE, s.v. A ntinoe, in EM H Suppl., 1971-1994,1, 1994, pp. 255-257.
LA CITFA E IL NOME: PROGETTO POLITICO E UTOPIA 137

è invece stata a pii riprese postulata, ma mancano argomentazioni forti


in tale direzione: una tradizione di studi, avviata prudentemente da
Champollion e basata sulle fonti letterarie, ha infatti ipotizzato che la
fondazione di Adriano insistesse su un sito già insediato, denominato
Besa da eta lagide. Recenti, articolate argomentazioni hanno definitiva-
mente chiarito che sul piano tanto della documentazione letteraria quan-
to di quella archeologica non è dimostrabile allo stato, attuale l'uso di tale
toponimo 20 . CiO non toglie, naturalmente, die ii sito fosse frequentato
prima della fondazione adrianea, come alcuni documenti, peraltro non
numerosi, provano 21 , e come lo stesso testo di Cassio Dione sembra
adombrare22
Della città si possono ricostruire le linee urbanistiche complessive.
Di forma trapezoidale, essa era fortificata da una cinta muraria in matto-
ni crudi, ed era aperta sul lato del flume (wadi 'Ibada; era organizzata
per grammata, quartieri, delimitati dalle strade maggiori e ripartiti in
plintheia, isolati, probabilmente suddivisi tra loro da strade minori. La
collocazione della città rimanda afle fondazioni dei Seleucidi in Siria,
vicine al flume, e cos! pure l'impatto scenografico della lunga arteria
nord-sud, colonnata, rinvia a modelli siriani; questi caratteri inducono a
supporre che per ii centro Si pianificasse un'importanza commerciale
mai veramente attinta. Ii "fallimento del progetto urbanistico", Si coglie
infatti sia nel travisamento dell'impianto d'origine (una chiesa sorgerà
proprio sulla carreggiata della strada est-ovest), sia nella rete viaria
esterna: la via Hadriana, con cui la città era collegata, non diventa mai
concorrenziale con il percorso che unisce Copto al Mar Ross023.

L'assetto amministrativo di Antinoe

L'organizzazione amministrativa tramandata dalla documentazione


papiracea sembra ricostruibile a un buon livello di dettaglio.
A ntinoe sorge nel nomo Ermopolita, da cui viene scorporata una por-
zione di territorio eretta a nomarchia, governata da un nomarca, in rap-
porto con l'epistratega della Tebaide, che era un cittadino romano nomi-
nato dall'imperatore. I katoikoi della città SOflO 6475, reclutati per sor-
teggio da PtolemaIs e dall'Arsinoite; l'organo principale è rappresentato

20 Status quaestionis, discussione e ricca bibliografia in RosAn, Su Besa e su A ntinoe, pp. 51-61. La

tesi di una corrispondenza toponomastica fra 1'Attica e la zona di A ntinoe è stata sostenuta con particola-
re vigore da E. ARRIGONI, Locus ex machina e neo-divinith A ntinoo: topografia antinopolitana in Egitto
e sua geminazione nella "Besantinoe" d'A ttica, NAC 11, 1982, pp. 215-254.
21
RosArl, Su Besa e su A ntinoe, pp. 61-62.
22
SCHUBERT, A ntinoopolis, pp. 122-123.
23 BALDASSARRE, A ntinoe,
pp. 255-257.
138 ELENA CALANDRA

dalla Boulé con i Pritani 24 . La presenza di tale organo accomuna A nti-


noupolis a PtolemaIs e soprattutto a Naukratis, fondazione milesia del
VII a.C.: forte è la suggestione che Adriano si sia ispirato alla struttura
della città proprio per le sue origini vetuste25.
Sullo sfondo di questo connettivo giuridico e amministrativo, la
popolazione di A ntinoe gode di numerosi privilegi, tra cui l'epigamia,
che autorizza e favorisce i matrimoni misti fra greci ed egizi 26 . Un simi-
le provvedimento è volto a valorizzare la componente culturale ellenica,
che nella chora egizia era indebolita: Augusto infatti aveva distinto gli
abitanti dell'Egitto in Romani, Alessandrini, Egizi, declassando quindi i
Greci della chora a Egizi. L'ellenicità era tuttavia "protetta" dal divieto
di contrarre matrimoni misti; al contrario, l'epigamia ii incoraggia, pre-
scindendo dalle implicazioni razziali e mirando alla reviviscenza del-
l'elemento ellenico ormai solo in senso culturale. Significativamente, gli
abitanti della città sono definiti A ntinoeis Neoi Hellenes: ii sostantivo
Hellenes è esciusivo dei 6475 katoikoi , numero che dovette essere chiu-
so solo all'inizio 27 . Come è stato a piit riprese sottolineato, ii quadro
amministrativo sembra avvicinare la struttura di A ntinoupolis, oltre che
a quella delle poleis, anche a quella dei municipia 28 ; anche se l'assetto
per demoi e per phylaIè proprio dellepoleis greche, questo aspetto ibri-
do, lungi dal costituire una contraddizione, diviene invece ulteriore con-
ferma della natura della città come sede sperimentale per eccellenza.
In questo senso va appunto vista la nomenclatura usata nell'organiz-
zazione urbana. Al Calderini si deve ii merito di avere effettuato la labo-
riosa ricomposizione della lista delle phyla!, molto probabilmente com-
pleta, e dei demoi appartenenti alle phyla!, in vari casi certamente parzia-
le. Tale articolazione, senza dubbio attnibuibile ad Adriano, è nota grazie
a una ricca documentazione papiracea, che in futuro potrebbe ancora
ampliarsi: essa consiste infatti in atti a vario titolo rogati nella città,
anche a notevole distanza di tempo dalla fondazione, nei quali i cittadini
maschi adulti figurano menzionati in base alla phylé e al demos di appar-
tenenza. Si propone dunque di seguito l'elenco alfabetico delle phyla!, in
neretto, e dei demoi , cos! come riportato dal Calderini29:

24
D'ORGEvAL, L'Empereur Hadrien, pp. 233-237; MONTEVECCHI, A driano e lafondazione, pp. 183-
195; per le fonti documentarie anche B. M. SMALLWOOD, Documents illustrating the Principates of Ner-
va Trajan and Hadrian, Cambridge 1966, nn. 505-507; R. K. SHERK, The Roman Empire: A ugustus to
Hadrian, Cambridge 1988,n. 153, p. 193.
25
MoNmvEcdHI, A driano e lafondazione, p. 190.
26
ZAumrr, A ntinoopolis, pp. 669-706, ma già CALOERINI, Dizionario, pp. 110-111; MONTEVECCHI,
A driano e lafondazione, pp. 190-191.
27
MONTEVECCHI, A driano e lafondazione, pp. 185-188.
28
BRAUNERT, Griechische und romische Komponenten, pp. 73-88; ZAHRNT, A ntinoopolis , pp. 669-
706; MONTEVECCHI, A driano e lafondazione, pp. 185-186; SCHUBERT, A ntinoopolis, p. 127.
29
CALDERINI, Dizionario, pp. 106-109.
LA CITFA E IL NOME: PROGETFO POLITICO E UTOPIA 139

Hadrianeios: Zenios, Kapitoliets, Mouse geteios, Olympios, Sosiko-


smios;
Athenaieás: A rtemisios, Eleusinios, Erichtonios, Marathonios,
Salaminios;
Ailieás: A pidei.s, Dionysietis, Polieils;
Matidios: Demetrieils, Thesmophorios, Kalliteknios, Markianios,
Plotinios;
Neruanios: Genearchios, Eirenietls, Hestieás, Propatorios;
Oseirantino(e)ios: B(e)ithyniets, Hermaieis, Kleitorios, Meleito-
rios (Mouse geteios?) 30 , Parrhasios;
Paul(e)inios: Isideios, Megaleisios, Homognios, Philadeiphios,
Meleitorios;
Sab(e)inios: Harmonieüs, Gameliets, Heraieiis, Matalieas, Tropho-
nieils (Tryphoneas);
Sebast(e)ios: A pollonieás, A skiepietis, Dioskour(e)ios, Herakl(e)ios,
Kaisar(e)ios;
Traian(e)ios: Ktesios, Nikephorios, Stratios.

Le phyla! sono dieci, come queue originarie di Atene, con la cui


struttura Si pOSSOnO rilevare specularità e corrispondenze interessanti31.
Adriano interviene infatti sulle tribü ateniesi, ii cui numero è salito in eta
ellenistica a dodici, aggiungendo, nel 128-129 d.C., la tredicesima,
Hadrianls, che contiene ii demos di Neal A thenai Hadrianai, denomina-
to A ntinoels dopo la morte di Antinoo 32 . L'addizione di tale tribü si pone
in continuità con la politica dei dinasti di eta ellenistica, che aveva por-
tato alla creazione di due nuove tribü, A ntigoneIs e Demetrids (volute dai
macedoni Antigono I Monoftalmo e Demetrio Poliorcete), sostituite poi
dalla Ptolemais (imposta da Tolomeo III Evergete) e dalla A ttalIs (pro-
mossa da Attalo 1). Al tempo stesso, l'aggiunta di una nuova tribil fa
parte di un piano piü ampio, che comprende sia la riforma amministrati-
va di Atene sia la "rifondazione" della città.

30
Secondo CALDERIM, Dizionario, p. 108, "potrebbe anche riferirsi ad altra phylé".
31
S. FOLLET, A thènes an lime et an ilIme siècle. Etudes chronologiques et prosopographiques,
Paris 1976, pp. 120-121 e461.
32 R. TRUMMER, Die Denkmäler des Kaiserkults in der romischen Provinz der A chaia, Graz 1980,

pp. 14-15; D. WILLERS, Hadrians panhellenisches Programm, Basel 1990, PP. 68-69; CALANDRA, Oltre la
Grecia, p. 100.
J. S. TRAILL, The Political Organization of A ttica, Hesperia, Suppi. 14, Princeton 1975, pp. 1-34;
CALANDRA, Oltre la Grecia, pp. 100-101.
P. GRAINDOR, A thhnes sous Hadrien, Le Caire 1934, pp. 30-35 (per la raccolta delle fonti) e pp.
73-102 (per le istituzioni ateniesi); J. H. OLIVER, The A thens of Hadrian, in Les empereurs romains
d'Espagne, Atti del Convegno, A. PIGANIOL - M. TERRASSE (edd.), Paris 1965, pp. 123-132, in particola-
re pp. 126-132; WILLERS, Hadrians panhellenisches Programm, pp. 7-12; CALANDRA, Oltre la Grecia, pp.
100-102.
140 ELENA CALANDRA

Ii nesso fra Atene e A ntinoe appare con tutte le implicazioni se si


considera la phylé antinopolitana di A thenaieüs, condensato della topo-
grafia, della mitografia e della storia dell'Attica. Se ii nome della phylé
contiene contemporaneamente ii riferimento alla città e alla dea poliadi-
Ca, ii demo Erichtonios riprende ii nome di Erittonio, mitico re di Ate-
ne 35 ; ii ricorso a un mito fondativo rinvia al Panhellenion, creato da
Adriano poco dopo i fatti di A ntinoupolis, nel 131-132 d.C., in occasio-
ne della terza visita di Atene. Tale istituzione era strutturata nelle forme
del koinón, e, volta a unificare le città di cultura greca all'insegna di una
comune egida, come modalità di accesso prevedeva la dimostrazione
della grecità fin dalle origini, anche attraverso un complesso lavoro di
marca antiquaria 36 . Si spiegano cos! i demi che compendiano le piii
importanti località dell'A ttica: Marathonios, A rtemisios, Salaminios,
richiamano luoghi di celebri scontri contro i Persiani 37 , mentre Eleusi-
nios rimanda al luogo sacro per eccellenza, ai cui misteri Adriano e Anti-
1100 sono iniziati, l'imperatore raggiungendo ii grado massimo, 1' epopte-
ia38.

L'ordinamento di Antinoe come espressione della propaganda


imperiale

I nomi dei demoi e delle phylaI possono essere raggruppati in alme-


no tre tematismi, oltre a quello "attico", precedentemente proposto: Vim-
peratore, con la relativa titolatura e con le epiclesi dirette; la famiglia
imperiale, comprendente anche gli imperatori iminediatamente prece-
denti ad Adriano, con titolature ed epiclesi relative; Antinoo, usato come
ipostasi del culto imperiale e come figura-chiave nella diffusione di que-
sto. Altri filoni, invece, sono per cos! dire trasversali fra demoi: per
esempio, i nomi degli dèi del pantheon principale ricorrono in demoi dif-

° K. KERENYI, Gli dei e gli eroi della Grecia, 2 you., trad. it., Milano 1963, H, pp. 212-213.
Sul Panhellenion A. J. SPAWFORTH - S. WALKER, The W orld of the Panhellenion, I, JIRS 75, 1985,
pp. 78-104; A. J. SPAWFORTH - S. WALKER, The W orld of the Panhellenion, II, JRS 76, 1986, pp. 88-105;
P. KRANZ, Zeugnisse hadrianischer Religionspolitik im Osten, in CH. BOisxER - M. DONDERER, Das anti-
ke Rom und der Osten. Festschr(ft für K. Parlasca zum 65. Geburtstag, Erlangen 1990, pp. 125-141; C.
Asrrottarri, La centralità di Eleusi nell'ideologia panellenica adrianea, Ostraka 4, 1995, pp. 149-156;
CA rzat, Oltre la Grecia, pp. 102-105; A. J. S. SPAWFORTH, The Panhellenion A gain, Chiron 29, 1999,
pp. 339-352; WILLERS, Hadrians panhellenisches Programm, pp. 93-103; I. Roivmo, The Panhellenion
and Ethnic Identity in Hadrianic Greece, CiPhil 97, 2002, pp. 21-37; GAL1MEERTI, A driano, pp. 88-92.
' Si cita solo H. BENGTSON, Storia greca. I. La Grecia arcaica e classica, trad. it., Bologna 1985,
pp. 276-279 (per Maratona, settembre 490 a.C.), pp. 289-293 (per Capn Artemisio, estate 480 aC., e per
Salamina, settembre dello stesso anno).
' Aur. Vict., hist. abr. 14,4; H. A ., Hadr. 13, 1; LE GLAY, Hadrien, pp. 351-357; MEYER, A ntinoos,
p.234. Ulteriori discussioni in CALANDRA, Oltre la Grecia, pp. 105-110; GALIMBERT!, A driano, pp. 83-98;
A . GALIMBERTI, Strategiapolitica e strategia religiosa in A driano , in M. Rizzi (ed.),A driano & i cristiani.
LA CITTA E IL NOME: PROGETITO POLITICO E UTOPIA 141

ferenti, e cos! pure la componente misterico-eleusinia non è riconducibi-


le a un solo demos. Tutti questi aspetti, integrandosi reciprocamente,
esprimono un autentico programma politico, che necessita di essere ana-
lizzato nella sua complessità39.
Ii punto di partenza concettuale puô essere individuato nellaphylé di
Hadrianeios, ii cui nome è tratto dal cognomen del princeps. I demoi di
Zenios, Kapitolieils, Olympios, sono legati a epiteti impiegati da Adria-
no, che ii deriva da quelli di Zeus e dal nome di Zeus medesimo, usando-
ii in vita e quindi autoattribuendosi una qualifica divina. Già nel 119-122
d.C., infatti, egli appare su medaglioni d'argento come 0lympios 40 , e
come tale è attestato nei numerosi altari a lui consacrati in Attica 41 , e in
vane iscrizioni dell'Asia Minore 42 . Questa linea conosce l'ak,né negli
interventi monumentali sull' Olympieion di Cizico, nel 124 d.0 e
soprattutto su quello di Atene, ultimato e dotato di una statua di culto
dopo una plurisecolare vicenda, e inaugurato nel 131-132 d.C., dunque
dopo la fondazione di A ntinoe. In realtà, ii completamento del tempio di
Zeus ad Atene era stato preparato dall'istituzione degli Olympieia, feste
ripristinate dal tempo dei Pisistratidi, promotori originari del tempio, e
fungeva da piattaforma di lancio per ii Panhellenion 45 . Da. questa istitu-
zione, peraltro, deriva 1' epiteto di Panhellenios, con cui Adñano figura
epigraficamente attestato 46 , e che si ripresenta appunto nel demo di A nti-
noupolis.
L'epiclesi di Olympios, che ha una risonanza universalistica in Sosi-

W . WEBER, Untersuchungen zur Geschichte des Kaisers Hadrian, Leipzig 1907, pp. 174-177; P.
J. ALEXANDER, Letters and Speeches of
the Emperor Hadrian, HSPh 49, 1938, pp. 141-177, inparticola-
re pp. 159-160; J. BEAUJEU, La religion romaine a
l'apogde de l'Empire. I. La politique religieuse des
A ntonins (96-192), Paris 1955, pp. 167-169; A . CARANDINI, V ibia Sabina. Funzionepolitica, iconografia
e ilproblema del classicismo adrianeo, Firenze 1969, pp. 34-35; MEYER, A ntinoos, pp. 215-217.
40
Per l'analisi dell'epiteto WILLERS, Hadrians panhellenisches Programm, pp. 58-60; per i meda-
glioni H. A . THOMi'SON, The Impact of Roman A rchitects and A rchitecture on A thens: 170 b.C.-A .D. 170,
in Roman A rchitecture in the Greek W orld, S. MACREADY - F.H. THOMPSON (edd.), London 1987, pp. 1-
17, in particolare p. 3.
41
A . BENJAMIN, The A ltars of Hadrian in A thens and Hadrianic Panhellenic Program, Hesperia 32,
1963, pp. 57-86.
42
S. R. F. PRICE, Gods and Emperors: the Greek Language of the Roman Imperial Cult, JHS 104,
1984, pp. 79-95, in particolare pp. 85-86.
° CALANDRA, Oltre la Grecia, p. 88.
WILLERS, Hadrians panhellenisches Programm, pp. 26-53; l'edizione filologica e di R. TOLLE-
KASTENBEIN, Dos Olympieion in A then, Köln-Weimar-Wien 1994 (pp. 156-166 per la fase adrianea).
° FOLLET, A thènes, pp. 345-348 (Olympieia) e pp. 348-349 (Hadrianeia); A . J. S. SPAwF0RTH, A go-
nistic Festivals in Roman Greece, in S. WALKER - A . CAMERON (edd.), The Greek Renaissance in the
Roman Empire, BICS, Suppi. 55, London 1989, pp. 193-197, soprattutto p. 194; G. W . BowErsoCK, La
Grecia e le province orientali, in A . SCHIAVONE (ed.), Storia di Roma, 2, II, L'impero mediterraneo. I
principi cii mondo, Torino 1991, pp. 409-432, in particolare pp. 413-416; TOLLE-KASTENBEIN, Dos Olym-
pieion, pp. 158-160; E. FONTANI, La celebrazione dell'imperatore nelle feste in onore di A driano nd-
l'Oriente greco, in 0. D. CORDOVANA -. M. GALL! (edd.), A rte e memoria culturale nell'età della
Seconda Sojistica, Catania 2007, pp. 235-240, in particolare p. 237.
LB GLAY, Hadrien, pp. 351-357.
142 ELENA CALANDRA

kosmios, Si reduplica romanamente in quella di Kapitolieüs , secondo una


procedura rafforzativa di indubbia pregnanza: allo Zeus greco corrispon-
de ii Giove Capitolino, aggettivo di cui Adriano dill a poco fregia la con-
troversa Colonia A elia Capitolina, baluardo di ellenicità e di romanità in
un contesto strenuamente refrattario in senso prima di tutto religios047.
La titolatura improntata a Zeus si tinge invece di una sfumatura apollinea
grazie al demo di Mouse geteios 48 , che anticipa quello di A pollonieás e
rafforza la catena concettuale con la phylé di Sebast(e)ios.
Questa fa capo alla titolatura adottata dagli imperatori, con i demi di
A pollonieüs, A sklepieas, Dioskour(e)ios, Herakl(e)ios, Kaisar(e)ios: i
primi quattro riflettono i nomi di due divinità del pantheon maggiore,
Apollo e Asclepio, e di semidèi, i Dioscuri ed Eracle, mentre la quinta
già indirizza al culto imperiale, con il riferimento esplicito a Cesare,
nuovo dio, inquadrato nell'epiteto che per eccellenza definisce il culto
dell'imperatore, Seba stós , equivalente greco di A ugustus, e dunque cita-
zione, impiegata da Adriano con grande dovizia, del primo princeps 49 . Ii
ruolo di Apollo è particolarmente rilevante per l'investitura imperiale:
un papiro da Heptakomia, metropoli del demo egizio A pollonopolites,
tramanda infatti la documentazione relativa al cerimoniale in base al
quale Febo appare sulla quadriga a proclamare imperatore Adriano50.
In proposito riesce ben ponderata l'inclusione del demo di
Kaisar(e)ios nella stessa phylé di quelli relativi ai Dioscuri e a Eracle: se
dei Dioscuri la natura è ibrida fra divina e mortale, Eracle è l'eroe dive-
nuto dio su base meritocratica 51 , e si configura dunque come paradigma
per l'optimus princeps. Lo stesso Adriano, in effetti, si autorappresenta
come Eracle in una ridotta serie di sesterzi, accoglie nella propria mone-
tazione l'immagine della statua dell'Hercules Gaditanus, e come Eracle
Sotér figura su una moneta di Taso 52• 11 rimando al divo Cesare, peraltro,
è indubbiamente volto a individuare autorevoli origini per il principato

47 B. ISAAC, Roman Colonies in Judaea: the Foundation of A elia Capitolina, Talanta 12-13, 1980-
1981 ' pp. 31-54; GALIMBERrI,Adriano, p. 103; G. BAZZANA, Gli ebrei e A driano, in M. Rizzi (ed.), A dria-
no & i cristiani.
48
lERErn, Gli del e gli eroi, I, p. 128 (Apollo Musagete, maestro delle Muse).
Per l'uso di Sebastós da parte di Adriano ricca esemplificazione in SMALLWOOD, Documents, pas-
sim. GALIMBERTI, A driano, p.89, nota 51, osserva che i demi di A sklepietls, Dioskour(e)ios, Herakl(e)ios,
ricorrono anche nell'iscrizione della ierofantide che inizia Adriano (IG 111900).
°° P.Giss. 3, in ALEXANDER, Letters and Speeches, pp. 143-144. Interessanti osservazioni sull'icono-
grafia apollinea di Antinoo in E. HOLM, Das Bildnis des A ntinous, Diss. Leipzig 1933, PP. 33-34.
51
KERENYI, Gli dei e gli eroi, II, pp. 106-112 (per i Dioscuri) e pp. 133-134 (per la natura semidivi-
na di Eracle).
52
Per i sesterzi P. BASTmN, Le buste monétaire des empereurs romains. II. Numismatique romaine.
Essais, recherches et documents, Wetteren 1993, pp. 372-373; per l'Ercole di Gades, già presente nelle
emissioni monetali traianee e in quelle di Adriano degli anni intomo al 120 d.C. e poi dal 124 d.C., BEAU-
mu, La religion romaine, pp. 215-217; per la moneta di Tasos CH. PIcAND, Thasos dons le monde romain,
in S. WALKER - A. CAMERON (edd.), The Greek Renaissance, pp. 174-179.
LA CHTA B IL NOME: PROGETT'O POLITICO B UTOPIA 143

attuale, ma non puô non tenere conto di una condizione particolannente


favorevole al contesto antinopolitano: Cesare, infatti, dopo la morte
subisce ii catasterismo 53 , e costituisce dunque un illustre precedente non
solo per l'imperatore, ma anche per l'eroe eponimo della città.
Se Cesare costituisce ii punto di partenza remoto per le successive
casate principesche, pii immediato e vicino nel ternpoèiF messaggio
contenuto nel nome della tribü Ailieas , che riprende quello della gens del-
l'imperatore, i cui membri diventano eponimi di ulterioriphylaIe demoi.
Intanto, quello di Polieils assume la connotazione particolarmente impe-
gnativa di custodia della città, mostrando ii doppio registro, cittadino e
universale, su cui l'intera operazione ecistica è condotta. Al tempo stes-
so, ii ruolo di Dioniso nella propaganda imperiale è adombrato dal demo
Dionysieas: la componente dionisiaca, in effetti, riveste una funzione
notevole nella linea politica adrianea, quale è rispecchiata sia nella Villa
Adriana 54 , residenza semi-ufficiale, sia a liveilo esplicitamente pubblico,
soprattutto nel mondo greco-orientale, dove segue la tradiziOne dinastica
ellenistica 55 . Agonoteta ad Atene alie Grandi Dionisie, nel 125 d.C. e nd
132 d.C, già nel 123 d.C. Adriano fa celebrare ad Ankyra un agón, volto
sia a Dioniso sia a sé stesso come Neos Dionysos, titolo con cui è onora-
to a Efeso in occasione deli' apposita pompé. Tale epiclesi, peraltro, è da
lui adottata anche ad Afrodisia e a Sardi, e in occidente a Mimes, mentre
al Neos Dionysos è assimilato Antinoo nei culti misterici d'Asia Mino-
re 56 ; l'assimilazione a Dioniso si ripropone, come si vedrà, nella creazio-
ne della tribü di Oseirantino(e)ios. Altrettanto sacrale è il richiamo con-
tenuto nell'altro demo attestato, A pideas, che deve il nome al bue Apis,
cui in eta romana si sovrappone l'ulteriorevalenza di Osiris 17.
L'enunciazione del progetto politico si dilata daJia persona dell'im-
peratore con la relativa titolatura all'intera fàmiglia imperiale, anticipata
dal demo menzionante Cesare. La dinastia cui Adriano Si ascrive, e che
ricrea a posteriori, prende le mosse da Nerva (Neruanios) e prosegue
con Traiano (Traian(e)ios), estendendosi ai componenti femminili della
casata, Matidia (Matidios) , Paolina (Paul(e)inios) , Sabina (Sab(e)inios);
a sua volta, laphylé denominata da Matidia racchiude i demoi di Markia-
noi e di Plotinios. In questo modo, la dinastia è interamente rappresenta-

P. Doteul'acucci, I "capretti" di V irgilio Note sul catasterismo diGiulio Cesare, in L 'astrono-


mia a Roma nell'età augustea, M.A. CERVELLERA - D.LiuzzI (edd.), Galatina 1989, PP. 91-106.
14
CALANDRA, Oltre la Grecia, PP. 267-272.
BEAUIEU, La religion romaine, pp. 198-199; T. HOLSCHER, Römische und hellenistische Her-
rscher, in A kten des X lii. Internationalen Kongresses für klassische A rchaologie (Berlin 1988), Mainz
1990, PP. 78-84; B. B. RICE, The Grand Procession of Ptolemy Philadelphus, Oxford 1983.
56
Da ultimo CALANDRA, Oltre la Grecia, pp. 271-272. Vale la pena di menzionare anche la lettera
agli artisti dionisiaci di A tene (ora in J. H. OLIVER, Greek Constitutions of Early Roman Emperors from
Inscriptions and Papyri, Philadelphia 1989, pp. 242-243).
BEAUJEU, La religion romaine, pp. 220-238.
144 ELENA CALANDRA

ta in tutti i rami, attraverso l'esplicitazione gerarchica per phylal e per


demoi, che vedono presenti le gentes Ulpia, V ibia ed A elia, con l'illustre
predecessore M. Cocceius Nerva. Eponimi delle tribit sono infatti i due
imperatori precedenti, CUi si affiancano la suocera di Adriano, Salonia
Matidia, sposa di L. Vibius Sabinus, la sposa di Adriano, Vibia Sabina, e
la sorella dell'imperatore stesso, A elia Domitia Paulina, sposa di L.
Julius Ursus Servianus; dei demoi sono invece eponime Ulpia Marciana
A ugusta, sorella dell'imperatore Marcus Ulpius Traianus, sposa di C.
Salonius Matidius Patruinus e madre di Salonia Matidia, e perciô nonna
di V ibia Sabina; e infine Pompeia Plotina A ugusta, sposa di Traiano.
Ii ruolo di Nerva (in omaggio a lui, la tribit di Neruanios) come fon-
datore della dinastia è espresso prima di tutti dal demo di Propatorios,
che si indirizza alla progenitura da questi rivestita, e da quello di Gene-
archios, legato alla consistenza patrimoniale, mentre Eirenieás e
Hestieils alludono alle dee della pace e del focolare domestico.
Per ii legame fra Adriano e Nerva si potrebbe trovare un'interessan-
te espressione nel ritratto di Antinoo dal Campo della Magna Mater a
Ostia. Ii giovane bitinico vi è raffigurato coronato con un imponente dia-
dema a doppio cercine, sormontato da medaglioni trapezoidali recanti
due effigi, identificabili con tutta probabilità in Nerva e in Adriano 58 : in
questo modo il nuovo dio si fa latore delle immagini ufficiali, divenendo
egli stesso interprete e diffusore del culto imperiale.
Ben put forte è, ovviamente, ii legame fra Adriano e il suo immediato
predecessore, Traiano, verso ii quale ii nuovo imperatore paga un tributo
diversificato, reso piü che mai necessario dai dubbi subito sorti intomo
alla legittimità della successione 59 . Ii lealismo che Adriano ostenta sempre
verso Traiano, nella monetazione come nelle espressioni monumentali; va
letto proprio in questa direzione, e pariteticamente nell'intento di conti-
nuare l'operato del padre adottivo, con gli aggiustamenti che le mutate
condizioni dell'impero impongono 60 . Di un certo impatto in questo senso
riesce la politica monumentale di Adriano, prima di tutto a Roma, ma
aiche a Italica e a Pergamo 61 . In particolare nell'Urbe egli dedica un tern-

58
A.M. REGGIANI, Un ritratto di Matidia Minore da Tivoli e la galleria celebrativa della Domus
Augusta, in Lazio e Sabina 2, Atti del Convegno. Secondo Incontro di Studi sul Lazio e la Sabina, Roma,
7-8 maggio 2003, Roma 2004, pp. 11-22, in particolare p. 16; status quaestionis e bibliografia da ultimo
in A . LA REGINA (ed.), Museo Nazionale Romano. Palazzo Massimo alle Terme, Milano 1998, p. 197
(scheda di E. Calandra).
Aur. Vict., hist. abr. 13, 11-13; Cass. Dio, hist. Rom., 69, 1, 1-4; Eutr., brev. 8, 6, 1; H.A .,Hadr.
4, 8-10; H.A ., Hadr. 6, 3. Per le questioni inerenti la successione CARANDINI, V ibia Sabina, pp. 45-49.
60
CALANDRA, Oltre la Grecia, pp. 37-42.
61
P. LEON, Traianeum de Italica, Sevilla 1988 e P. LEON, La itdlica adrianea, in J.M. C0RrEs CoPE-
TE - B. Muhiz GrwALvo (edd), A driano A ugusto, pp. 125-138, in particolare pp. 131-133; F. FELTEN,
Römische A rchitektur in Pergamon, in Symmicta Philologica Salisburgensia Georgio Pfligerdorffer
sexagenario oblata, J. D.A.u'EN - K. FORSTNER - M. FUSSL —W. SPEYER (edd.), Roma 1980, pp. 209-231,
in particolare pp. 223-226.
LA CIYFA B IL NOME: PROGETFO POLITICO B UTOPIA 145

plo memoriale a Traiano e a Plotina, morta a Roma opiü probabilmente a


NImes tra la primavera del 121 d.C. e l'autunno del 122 d.C.62.
Ii nesso che Adriano intende istituire fra Nerva e Traiano è ben leg-
gibile anche nell'intonazione dei demi della tribü Traian(e)ios, ossia
Ktesios, che indirizza alla protezione del focolare domestico, in contrap-
posizione al demo di Stratios , riferito invece agli aspetti bellicosi, quasi
a esplicitare ii consueto domi militiaeque; ii demo diNikephorios, porta-
tore di Vittoria, rappresenta ii culmine del percorso bellico, ma richiama
anche le Nikephoria, feste tipicamente greche avviate dai Lagidi63.
La moglie di Traiano, Plotina, riveste un ruolo peculiare per Adriano
grazie alla sintonia di ideali e di cultura, che crea un legame di complici-
tà politica e personale, facendone 1' ispiratrice e 1' artefice del successo
dell'imperatore 64; non è tuttavia l'unico personaggio femminile a gioca-
re un ruolo di rilievo accanto ad Adriano, che poggiamolto del suo pote .
65 . I germi di tale linea sono -repoisulfnmedacst
lontani: come ha dimostrato il Carandini, nel 112 d.C. è da ravvisarsi
1' anno di fondazione della dinastia Ulpia, momento cui è collegabile la
gemma del Museo Nazionale di Napoli, effigiante la coppia di Traiano e
Plotina di fronte a Marciana e Matidia, personaggio quest'ultimo che
ebbe un ruolo decisivo nella politica di famiglia 66 . Proprio verso le due

62
F. COARELLI, Guida archeologica di Roma, Milano 1989, P. 127; E.M. STEINEY (ed .), Lexicon
topographicum urbis Romae, II, Roma 1995, s.v. Forum Traiani, PP. 348-356 (J. PACKER), in particolare
PP. 354-355; sul mutato quadro conoscitivo grazie ai recenti scavi E.M. STEINBY (ed.), Lexicon topogra-
phicum urbis Romae, V , Roma 1999, s.v. Forum Traiani, PP. 258-259 (R. MENEGHINI), PP. 259-260
(C.M. A asici), PP. 260-261 (J. PACKER); G.L. GRASSIGLI, "... sed triumphare, quia viceris" (Pun., pan.
17,4). Ii nuovo Foro di Traiano. Considerazioni a margine dei risultati dei recenti scavi archeologici,
Ostraka 12, 2003, pp. 159-176.
63 Da ultimo F. PERPILLOU-THOMAS, Fetes d'Egypte ptolémaIque et romaine d'après la documenta-

tionpapyrologique grecque, Lovanii, Universitas Catholica Lovaniensis (Studia Hellenistica, 31) 1993,
PP. 151-163.
CARANDINI, V ibia Sabina, PP. 257-258: Adriano fa erigere una basilica a Nimes in memoria di
Plotina, ma avvia le celebrazioni ufficiali solo dal 127 d.C., forse.per evitare voci sul suo legame con la
moglie di Traiano; le emissioni monetali iniziano nel 128 d.C. se non nel 131 d.C.; solonel 134 d.C. per
la prima volta, e fino al 138 d.C., appare al rovescio l'immagine di Plotina, che figura come A ugusta,
come Diva e come madre.
63 Per legenealogie A. CAEALLOS RUFINO - J. M. RODRIGUEZ HIDALGO, A driano e la sua patria di

Italica, in A driano. A rchitettura e progetto (Catalogo della mostra), Milano 2000, PP. 23-30; G. Di VITA-
EVRARD, Lafamiglia dell'imperatore: per delle nuove "Memorie di A driano", in A driano. A rchitettura
e progetto, pp. 31-39.
66
CARANDINI, V ibia Sabina, pp. 22-26,57-60, 65-68, 247-265 (la datazione proposta per la gemma
è intorno agli ultimi mesi del 111 d.C. o ai primi del 112 d.C.), e REGGIANI, Un ritratto di Matidia Mino-
re, p. 16; per ii ruolo di Matidia, REGGIANI, Un ritratto di Matidia Minore, pp. 12-13. Per I'imagerie di
Marciana, M. BONANNO ARAVANTINOS, Un ritratto femminile inedito già nell'A ntiquarium di S. Maria
Capua V etere. I ritratti di Marciana: una revisione, RPAA 61, 1990, pp. 261-308. Per .i ritrattidi Ploti-
na C. VALERI, Le portrait de Plotine a Genève et la decoration statuaire des Thermes de la Porta Mari-
na, in P. DESCOEUDRES (ed.), Ostia. Port et porte de la Rome antique (Catalogo della mostra), Genbve,
Chene-Bourg-Paris 2001, PP. 303-307. Quadri d'insieme in H. TnMP0RINI - GRAFIN VITZTHUM, Die Fami-
lie der A doptivkaiser von Traian bis Commodus, in Die Kaiserinnen Roms. V on Livia his Theodora,
Mtinchen 2002, pp. 187-264; A driano. Le memorie alfemminile (Catalogo della mostra), Roma 2004.
146 ELENA CALANDRA

principesse, morte rispettivamente nel 112 d.C. e nel 119 d.C., Adriano
mostra una devozione particolare, sia fondando città, come ricordato in
precedenza, sia dedicando loro un'incisiva impresa monumentale a
Roma in Campo Marzio, comprendente ii colossale tempio in onore di
Matidia, affiancato da due basiliche, in memoria della stessa Matidia e di
Marciana 67 . Alla morte di Adriano, ii tempio memoriale di questi chiu-
derà ii recinto 68 . Nella struttura di A ntinoe, a Plotina viene dedicato un
demo al fianco di quello dedicato a Marciana, entrambi ricadenti sotto la
tribii di Matidia, dunque gerarchicamente riconosciuta come capostipite.
In quanto tale, ella appare come Kalliteknios , proprio riguardo alla pro-
le, e come Demetriei%s e Thesmophorios, attributi riferiti entrambi alla
sfera misterica, e precisamente a Demetra in quanto madre. In questo
senso, e naturale il rinvio all' iniziazione eleusina, cui si è fatto cenno in
precedenza69.
Meno visibile degli altri personaggi femminili commemorati, Paoli-
na, sorella di Adriano, ottiene comunque una posizione tutt'altro che irri-
levante: moglie di Serviano, che cospirerà contro Adriano e sara da que-
sti costretto al suicidio nel 136 d.C., premuore di poco ad Antinoo, nello
stesso 130 d.C., al seguito di Adriano in Egitto. Qui Paolina è celebrata
come sorella dell'imperatore e come sposa di Osiride, ma solo di conser-
va rispetto agli onon tributati ad Antinoo dopo la morte 70 . In realtà, il
rimando dell'epiteto di Philadeiphios è ben pit profondo, e risale alla
coppia Tolomeo II - Arsinoe II, sposi e fratelli, Philadelphioi 71 . La ripre-
sa si concretizza anche in un'interessante testimonianza, costituita da un
ritratto, rinvenuto in Egitto e conservato ad Alessandria, identificato con
buona probabilità in Paolina, effigiata con le piccole coma e la corona
(di cui resta il foro di fissaggio), attributi propri di Isis-S elene, iconogra-
fia secondo cui già Arsinoe II e Cleopatra si fanno rappresentare 72 . Pao-

67
H. TEMPORIM, Die Frauen am Hofe Trajans, Berlin/New York 1978, PP. 167-175 sulle onoran-
ze funebri per Matidia, pp. 184-202 su queue per Marciana, divinizzata dal fratello ii giomo stesso della
morte. Per la laudatiofunebris di Matidia, divinizzata poco dopo la morte, CIL XIV, 3579 = SMALLWOOD,
Documents, n. 114. Sul tempio di Matidia e sulle basiliche COAItELLI, Guida, pp. 264-265; E. M. STEINBY
(ed.), Lexicon topographicum urbis Romae, UI, Roma 1996, s.v. Matidia, templum, p. 233 (F. DO
CAPRARITS); Smma (ed.), Lexicon, I, s.v. Basilica Marciana, Basilica Matidiae, p. 182 (E. RODRiGUEZ
ALMEIDA). Unica voce discorde, che invece vede riduttivamente la portata dal ramo femminile sulla base
della valutazione della capacità economica, è M. TALIAFERRO BOATWRIGHT, The Imperial W omen of the
Early Second Century A . C., A JPII 112, 1991, pp. 513-540, in particolare pp. 517-525.
60
STEINBY (ed.), Lexicon, ifi, 1996, pp. 7-8 (M. Cn'oLLoFE).
69
Vedasi supra la nota 38.
70
GALIMBERTI, A driano, p. 96.
H. BENGTSON, Storia greca. II. La Grecia ellenistica e romana, trad. it., Bologna 1985, pp. 222-224.
72
Per la continuità fra il culto regale egizio e quello imperiale romano, con i relativi problemi, F.
DUNA ND, Culte royal et culte imperial en Egypte. Continuités et ruptures, in Trierer Studien zum Grie-
chisch - romischen A gypten. Das romisch-byzantinische A gypten, G. GRIMM - H. HEINEN - B. WINTER
(edd.), Mainz 1983, PP. 47-56; sull'imagerie di Paolina G. GRIMM, Paulina und A ntinous. Zur V ergottli-
chung der Hadriansschwester in A gypten, in Das antike Rom und der Osten, pp. 33-44. Su Serviano
LA CITFA B IL NOME: PROGETTO POLITICO E UTOPIA 147

lina come Isis, anzi, spiega meglio la ragione del demo di Isideios, cui si
affianca quello di Homognios , a significare ancora una volta la protezio-
ne della stirpe.
Le figure sin qui evocate sono tutte defunte e oggetto di commemo-
razione, tranne ovviamente Adriano e Sabina, che morirà nel 137 d.C.,
poco prima del princeps. La coppia imperiale è celebrata in vita, ma
equiparata gerarchicamente ai membri defunti della famiglia, con un'im-
plicazione ideologica non trascurabile. Sabina, sposa non amata eppure
necessaria pedina per l'accesso al potere, appare nella veste di Hera,
sposa di Zeus-Adriano (Heraiei.ls), per questo fautrice di matrimoni,
come Ganielieils e Harmonietis chiariscono; quest'ultima epiclesi, in
particolare, riflette una condizione di unificazione, di "armonia" fra i
coniugi, che certamente caratterizzè la coppia di Cadmo e Armonia,
figlia quest'ultima di Ares e Afrodite 73 , molto meno quella di Adriano e
Sabina.
Infine, l'ultimo componente femminile della casata, Vibia Matidia,
sorella maggiore di Sabina, non è invece citato - a meno di non vedere
in qualche modo adombrato ii nome di questa nella phylé intitolata alla
madre, Matidia Maggiore; Matidia Minore sarebbe morta molto dopo,
nel 165 d.C.74.
Esaminando complessivamente ii quadro delle tribü e dei demi, ne
emerge con nitidezza una sorta di atemporalità che in qualche modo
livella viventi e morti, proiettandoli nella neutralità della struttura ammi-
nistrativa: Adriano e Sabina sono vivi, e si pongono sullo stesso piano
dei membri divinizzati della casata, traendone un'ulteriore componente
divina.
B questo il caso in cui rientra A ntinoo, con la phylé di
Oseirantino(e)ios. L'invenzione del nome del nuovo dio 75 è ii corona-
mento dell'intero programma, già enunciato dal nome della città: la
fusione del nome di Osiride con quello del giovane proietta quest'ultimo
tra gli dèi, e lo rende paritetico agli altri eponimi. La scelta di Osiride nel

P. G. MIcHeLorro, Intorno a Serviano cognato e vittima dell'imperatore A driano, Acme 9 (= Studi di


antichità in memoria di Clementina Gatti), 1987, pp. 143-192, e R. Smm, Hadrian's A utobiography:
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volume, Roma 1990), h stata messa in discussione dai ritrovamenti recenti a Villa Adriana, -l'immagina-
rio divino egizio del tempo di Adriano così come ricostruito e assai persuasivo, in particolare per la defi-
nizione del tipo cultuale e iconografico di Oseirantinoos.
148 ELENA CALANDRA

pantheon egizio è assai precisa, in quanto la tradizione faraonica identi-


fica l'annegato proprio con ii dio 76 , ma implica, come già accennato,
anche ii richiamo a Dioniso, al quale ii dio egizio era avvicinato77.
La phylé intitolata ad Antinoo comprende demi che si riferiscono a
vane divinità (Hermes, Apollo, Asclepio), richiamano le origini del gb-
vane (B(e)ithynieas), e rimandano all'Arcadia (Kleitorios, Parrhasios).
Secondo ii racconto di Pausania, infatti, Antinoo proveniva da Bithy-
nion, i cui abitanti erano originariamente Arcadi e Mantineesi; tra i van
onori divini, egli ricevette da Adriano un culto a Mantinea, nell' ambito
del quale si celebravano riti misterici annuali e un agone penteterico; nel
ginnasio di Mantinea erano esposte vane Statue del giovane 78 ; la stessa
città, probabilmente, coniava anche monete recanti l'immagine di 1ui79.
Trovano dunque piena giustificazione i demi di Kleitorios e di Parrha-
sios, nella stessa tribü di Antinoo, in quanto entrambi presentano un
legame con località arcadiche: come narra Pausania, Kleitor, figlio di
Azan a sua volta figlio di Arcade, fondô una città che trasse da lui
nome 80 , mentre Parrhasios è il nome del bosco sacro ad Apollo, sul
monte Liceo 81 . Ancora Pausania fornisce la spiegazione per il demo di
Trophonietis, appartenente alla tribii di Sabina: ii phi antico santuario di
Posidone Hippios, distante non phi di uno stadio da Mantinea, fu eretto
in legno di quercia da A gamedes e da Trophonios; attorno a esso Adria-
no fece costruire il nuovo santuario82.
Un substrato mitico e topografico cos! imponente qualifica e accredi-
ta Antinoo come eroe eponimo, attorno a cui si costruisce il mito fonda-
tivo della città. Da questo fondamento ideologico, in effetti, prende le
mosse la complessa orchestrazione del culto di Antinoo: la fondazione
della città prepara infatti una gamma put complessa e sofisticata di azio-
ni, concentrate non piü ad A ntinoupolis, ma propagate in tutto l'impero e
in netta prevalenza nella parte orientale di questo, che consistono nella
creazione capillare del culto memoriale del giovane 83 . Tale culto, per le

76
Approfondimento in S. ENSOL! V irrozzi, Musei Capitolini. La Collezione Egizia, Cinisello Bal-
samo . 46-50.
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80
Pans. V IH,4,5.
81
Paus. V III, 38,2.
82
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83
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LA CITA E IL NOME: PROGETTO POLITICO E UTOPIA

caratteristiche e le modalità della distribuzione, puè essere proiettato


nella piui ampia sfera di quello imperiale, di cui diviene a tutti gli effetti
l'ipostasi per eccellenza84.
Ii culto di Antinoo trova peraltro una sede d'elezione nella villa di
Tivoli, che Adriano fa costruire a partire dal 118 d.0 •85• In particolare
dopo ii 130 d.C. essa subisce profondi mutamenti: vi viene infatti eretto
un complesso, di recente scavato e identificato come l'A ntinoeion, ossia
ii memoriale del giovane 86 . Ii monumento, la cui restituzione pure non è
incontrovertibile nei dettagli, è di valore indiscutibile nella politica adria-
nea: esso costituisce infatti la cauta ufficializzazione del culto di Antinoo
nella residenza dell'imperatore, destinata al pubblico scelto degli aristo-
cratici e dei diplomatici, e non a caso situata alleporte della capitale.
La diffusione delle manifestazioni intorno ad Antinoo, che traggono
spunto da una motivazione apparentemente personale, assume una fun-
zione in qualche modo unificante, e in questo senso trova un corrispettivo
oggettivante dato dall'importanza programmatica che Adriano annette
alle province, come è chiaramente enunciato nelle emissioni monetali87.
Adriano tratta dunque Antinoo alla stregua di un dio, non solo dedi-
candogli la città e promuovendone la venerazione in tutto l'impero, ma
anche equiparandolo agli altri membri della famiglia imperiale, vivi o
divinizzati: Antinoo è il decimo eponimo, e come tale accede a un rango
nuovo, ottenendo isotheoi timaI, onori pari a quelli agli dèi, secondo la
prassi dinastica. In questo modo 11 giovane e onorato ad A ntinoe come

84
CALANDRA, V illa A driana, c.d.s.
85 Per le fasi costruttive della villa, sulla base dei bolli laterizi, H. BLOCH, I bolli laterizi e la storm
edilizia romana. Contributi all'archeologia e alla storia romana, BCAR 65, 1937, pp. 83-187, in parti-
colare pp. 134-135 e 172-173.
86
Z. Mai, L'A ntinoeion di V illa A driana: risultati della prima campagna di scavo, RPAA 75,
2003, pp. 145-185; Z. MAR!, Scoperta dell'A ntinoeion di V illa A driana, AttiMemTivoli 76, 2003, pp. 7-
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87
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279-284.
150 ELENA CALANDRA

megistos Oseirantinoos, ed è synthronos e synnaos delle divinità egi-


zie88.
L'esposizione sin qui condotta mostra l'accuratezza e la raffinatezza
del piano amministrativo della città, senza dubbio tracciato da Adriano
medesimo; A ntinoe, con ii suo ordinamento, rappresenta dunque una
modellizzazione di città, in bilico fra ii crescere della realtà urbana e ii
progetto politico, dstinato a rimanere paradigmatico. I nomi dei demoi
e delle phyla( sono plasmati sulle titolature imperiali ufficiali, e al tempo
stesso riecheggiano il sistema aniministrativo ateniese, in una fusione
calibrata e consapevole. Come si enunciava nella premessa, la città sul
piano economico non decolla come sarebbe stato negli intenti del fonda-
tore; la struttura amministrativa, invece, indispensabile per governare,
gode di lunga vita, rigorosamente a livello locale, mentre non pare esser-
vene eco immediata fuori, a testimoniare lo sperimentalismo in qualche
modo autoreferenziale che ne ha ispirato la creazione. Al contrario, gli
studiati riferimenti contenuti nei nomi delle tribü e dei demi fotografano
una costruzione politica progressiva e articolata, che lascia considerevo-
li tracce in tutto l'impero.

ELENA CALANDRA
Direzione Regionale
Beni Culturali e Paesaggistici
della Liguria

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88
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Antinoo (CALDERINI, Dizionario,pp. 88-89); in un frammento di statua colossale si è proposto di ravvisa-
re un'immagine del giovane (G. UGGERI, A ntinoo, in A ntinoe 1974, pp. 129-132). Contrario all'idea del-
la divinizzazione di Antinoo è Romeo, L'Egitto, p.28, che pensa solo all'eroizzazione; tuttavia non si puè
trascurare Hadr. 14, 7: et Graeci quidem volente Hadriano eum consecraverunt oracula per eum dan
adserentes, quae Hadrianus ipse conposuisse iactatur.
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Parte III
Utopie e distopie: descrizioni di mondi ignoti
IL RE PESCATORE:
IL VIAGGIO COME METAFORA DELLA CONOSCENZA

Fra le molte possibilità di approfondimento del tema deil'utopia,


offro all'attenzione la riflessione sull'immagine utopica di un popolo
(gil Iperborei) e di una figura politica (ii sovrano). I due esempi sono sta-
ti scelti, fra aitri, per la loro connessione con i'immagine del viaggio per
mare, connessione che ha trovato meno risalto negli studi su questi sog-
getti rispetto ad altri elementi.

a) Gli Iperborei
Dall'insieme delle fonti classiche si ricava che gli Iperborei sono ii
popolo che abita piü a Nord fra quelli di cui è giunta notizia: ii loro paese
e I loro costumi sfumano perô in una connotazione semileggendaria. La
loro pertinenza alla dimensione utopica è dimo strata, fra 1' altro, dal teSto
ben noto di Teopompo di Chio (FGrHist 115 F 75c) conservato da Elia-
no nelia sua V aria Historia (3.18), che presenta una descrizione di mon-
di ignoti e proiettati sullo sfondo di una cornice utopica 1 . Da tale fonte si
ricava che gli Jperborei sono ii popolo piü felice del nostro mondo e che
al loro territorio si puô giungere per mare, come infatti avviene ai Machi-
moi, guerrieri di un mondo altro. Vi sono allusioni e riferimenti a questi
abitanti del limite settentrionale del nostro mondo anche nei racconti di
navigatori ed esploratori. La loro menzione in opere geografiche non ne
ha chiarito i contorni reali (si tratta probabilmente di un popolo che vive-
va in Scandinavia), ma ha favorito nell'immaginario antico l'elaborazio-
ne di una società utopica. Alla y enta di pericolose navigazioni certamen-
te ris ale, nell' Odissea, la caratterizzazione negativa degli abitanti delle
gelide coste del Nord, che sono descritti come esseri feroci e primitivi.
Al contrario, al pensiero mitico appartengono gli Iperborei cantati già
dal poeta tebano Pindaro. Nell' Olimpica III, nell'Istmica V ie soprattutto

I Per un esame del testo teopompeo e i dettagli della descrizione, rinvio alI'articolo di M.T. Scirern-
NO, V iaggio nello spazio e nel tempo: critica di Eliano a11'utopia di Teopompo?, in questo stesso volume.
Mi limito in questa sede a prendere in esame le analogie fra la tradizione sugli Iperborei e la rappresenta-
zione dei popoli utopici elaborata dallo storico di Chio, per la quale mi baso sull'articolo citato poc'anzi.
164 SANDRJNA CIOCCOLO

nella Pitica X (498 a.C.), Pindaro celebrô gil Iperborei coronati dali' oro,
intenti a musiche, danze e banchetti, e la "via meravigliosa", ignota ai
comuni mortali, che conduce a quelia dolce beatitudine.
Riprendendo ii mito della successione delle eta, se gli Eusebeis di
Teopompo rappresentano l'età deil'oro, I Machimoi l'età del bronzo, gil
Iperborei testimoniano quella successiva degli eroi. I tratti comuni con la
descrizione degli Eusebeis sono evidenti:
• egalitarismo e assenza di gerarchia sociale (assenza di possesso);
• condiziOne di pace perpetua all'interno e all'esterno della comuni-
tà (assenza di brama di possesso);
• economia naturale, memoria delia fase preistorica dell'economia
del raccoglitori (assenza di bisogno);
• giustizia innata (per assenza di crimini).
La somma degli elementi enunciati comune alla raffigurazione degli
Eusebeis e alla descrizione degli Iperborel induce a definire l'utopia
antica come la fantasia di una felicità senza desideri per l'individuo e la
perfezione raggiunta per assenze per la società.
Un ulteriore tratto comune fra l'elaborazione di Teopompo e le
descrizioni degli Iperborei riguarda la frequentazione degli del. La città
teopompea di Religiosa vanta visite da parte degli del, mentre gil Iperbo-
rei sono addirittura ii popolo eletto di Apollo, 11 dio della luce anche nel
sensometaforico di potenza intellettuale. La differenza sta nel fatto che
1 felici abitanti di Religiosa conducono un'esistenza che si potrebbe defi-
nire contemplativa, mentre gli Iperborei hanno la propria ragione di vita
nella continua celebrazione di riti e feste in onore del loro protettore. Al
fattore di aggregazione sociale costituito dalla guerra per i soil abitanti di
Battagliera nell'utopia di Teopompo corrisponde quello del culto attivo
e dell'allegrezza collettiva della festa. Gil Iperborei sono del resto ricor-
dati da Erodoto, che a sua volta riprende Ecateo di Mileto (VI secoio
a.C.), come l'unico popoio del Nord che non assale continuamente i pro-
pri vicini. L'assenza di desideri e passioni, che poteva concludersi nella
voragine A nostos di Teopompo, è compensata nel caso degli Iperborei
daila tensione spirituale positiva che 11 fa esistere in simbiosi con la dlvi-
nità.
Questi erol di un'utopia teologica non conoscono malattie perché il
dio Apollo, padre di Esculapio/Asciepio, protegge la salute. Nonostante
l'assenza di affanni, accade che alcuni degli Iperborei decidano di pone
fine alla loro lunga vita. La cupa voragine di Teopompo è sostituita dal-
l'abbraccio materno del mare (termine non a caso in greco di genere
femrninile), mare in cui gli Iperborel si lasciano precipitare per morire
felici. B importante sottolineare che Si tratta di una "bella morte", appil-
cazione di un Leitmotiv della cultura greca. Morire bene significava
infatti aver trovato I propri equilibri personali e ii proprio posto nella
IL RE PESCATORE: IL VIAGGIO COME METAFORA DELLA CONOSCENZA 165

società senza cedere alla tentazione di dichiararsi felici. Ii metro di giu-


dizio della felicità dipendeva dalle modalità della morte, da quanto essa
potesse rispecchiare e sublimare le virtll e la fortuna dimostrate in vita.
Tale aspetto dell'etica e della mentalità greca concorre, come dimostra
l'esempio degli Iperborei, a definire la positività o meno del modello
utopico insito nella comunità descritta.
Un altro elemento legato al mare e frequente nelle utopie, quello del-
l'insularità, si presenta rovesciato. Per un tempo lunghissimo ma trascorso,
un gruppo di fanciulle iperboree portava a Delo, l'isola su cui Apollo era
nato, offerte annuali. Ii popolo della costa nordica, che non poteva essere
raggiunto, traversava terra e mare alla volta dell'isola. Nella pace panelle-
nica dettata dalla dimensione essenzialmente religiosa vigente a Delo la
remota comunità degli Iperborei trovava il rispecchiamento della propria
perfezione utopica. Ii progressivo accentuarsi della fisionomia politica di
Delo rese pill difficile l'assimilazione del luogo alla dimensione sospesa
fra realtà eutopia. Le fonti storiche registrano infatti l'interruzione di que-
sto rito annuale, a causa della rottura non meglio precisata del patto.
Questo è l'unico caso in cui gli Iperborei avevano superato il proprio
isolamento. II viaggio verso di loro compiuto, oltre che da Apollo, una vol-
ta soltanto dall'eroe Perseo avviene in ogni caso, secondo quanto riferisco-
no i poeti, in volo e con mezzi magici. Si tratta di una metafora del percor-
so mentale che conduce all'utopia. L'irraggiungibilità stessa è funzione
della dislocazione dell'utopia in un mondo altro. Nell' Odissea, alle origi-
ni della civiltà greca, il mito delle navi dei Feaci, popolo utopico insulare,
aveva saputo conciliare la centrahta del mare con la forza del pensiero,
perché tali imbarcazioni erano mosse dalia sola volontà dei navigatori.

b) Un'utopia gemella

Anche con mezzi meno utopici si continuava a navigare a Nord. Cir-


ca all'epoca di Teopompo (seconda metà del IV secolo a.C.), Pitea di
Marsiglia fu inviato dalla sua città a capo di una spedizione per mare alla
ricerca di giacimenti di stagno. Egli non soltanto scoprI 1' arcipelago bri-
tannico, ma oltrepassè le isole Shetland toccando la terra che fu poi lun-
gamente chiamata "ultima Thule". Quell'estremo lembo d'Europa, nel
mare del Nord, ispirô, ancora durante l'Ellenismo romano, peripezie
romanzesche, come Le meraviglie di là da Thule di Antonio Diogene,
composto forse sotto l'imperatore Adriano ma noto dalla sintesi del
patriarca bizantino Fozio. Insieme al gusto per 1' avventura straordinaria,
la coloritura mistica e 1' elemento della rivelazione-iniziazione prevalsero,
insomma, sulle notizie geografiche che Pitea aveva depositato nel suo
resoconto di viaggio, intitolato L'Oceano e giunto a noi in frammenti.
166 SANDRINA CIOCCOLO

Sempre nella prima metà del II secolo d.C., durante ii regno di Traiano,
predecessore di Adriano, le conoscenze di luoghi anche remoti erano
ormai ben diffuse e certamente disponibili per ii dottissimo filosofo e bio-
grafo Plutarco di Cheronea. Eppure, egli preferl tornare a schiudere sul-
l'estremo Nord dell'Occidente un orizzonte favoloso. Nel dialogo Ii vol-
to della luna (de facie in orbe lunae, 26, 940f-942d), un tale Silla narra la
rivelazione avuta da uno straniero, giunto per mare dal continente oltre la
Britannia. Tale terra gode di un clima tropicale ed è abitata dal "popolo di
Crono" e dai discendenti del "compagni di Eracle". Tale miscela di stirpi
ha dato luogo ad un cosmopolitismo utopico, scandito dal ritmo di sacri-
fici e feste rituali come per gil Iperborei. Misteriosamente sopravvive,
lassI, il dio Crono - ii tempo, spodestato e mutilato dal figlio Zeus -
immerso in un eterno sonno profetico nelle profondità di una caverna. La
consapevolezza di possedere segreti inaccessibili dà a queste genti un
tratto distintivo, la "ricerca del sapere", che si accosta senza frizioni alla
religiosita. Proprio in base a quella motivazione, conoscere e far conosce-
re, neT paese di Crono si cambia era, con un ritmo lentissimo segnato dal-
la partenza di una nave verso la "Grande Isola", come sono chiamate, in
prospettiva rovesciata, le coste del Mediterraneo. E in uno di questi viag-
giatori epocali che si e imbattuto nella sua Cartagine il Silla plutarcheo,
che dallo straniero pronto a tornare in patria ha ricevuto in dono "perga-
mene sacre" e l'esortazione ad adorare la Luna. Si tratta, dunque, del-
l'utopia "gemella" rispetto a quella degli Iperborei, adoratori del Sole. I
Greci credevano infatti Apollo gemello di Artemide, dea della Luna.
Dietro l'abitante di un luogo utopico, irrequieto malgrado la sua for-
tuna, si scorge ii mito di Odisseo, signore dell'isola di Itaca. L'eroe ome-
rico aiuta a riferire, appunto, al buon re la ricerca del sapere, attraverso
la metafora del viaggio spinta fiuio all'esplorazione di dimensioni paral-
lele. Dalla filosofia ellenistica a quella tardoantica, Odisseo si affermô
del resto come esempio del sofferto viaggio della mente verso la perfet-
ta sapienza. Sul buon re ii pensiero politico antico si interrogO sempre,
facendo dell'insieme delle sue qualita un modello sospeso dalla contin-
genza e perciè di valenza utopica. Metafore marine convengono al
sovrano, che regge la comunità come un nocchiero fa con la nave. CosI
avviene ad Eteocle, difendendo la sua polis nella tragedia di Eschilo I
Sette contro Tebe, cos! continuano ad essere definiti i regnanti in orazio-
ni e trattati del II secolo d.C.
Piace concludere con una immagine stanziale, opposta e comple-
mentare a quelle dinamiche del viaggiatore e del pilota. Ii re puO contem-
plare il mare restando sulla costa e proiettando in quella profondità l'im-
magine del potere. Cos!, sono assimilati ai pesci, per numero, i sudditi
oppure tocca ai nemici diventare una degna pesca, come consigliava ad
Alessandro Magno il sofista Anassarco. Con questa accezione positiva
IL RE PESCATORE: IL VIAGGIO COME METAFORA DELLA CONOSCENZA 167

contrasta l'ironia di Cleopatra, che scherza con Antonio sulla pesca


come attività piü adatta a lei stessa, regina stanziale di acque e di isole,
che al grande condottiero, perché a lui spetta ii dominio vero, quello sul-
le terre. Ed e ii pesce "antiepico", ii cibo da poco che fa perdere tempo ai
protagonisti della storia - come confermano aneddoti su sovrani elleni-
stici - che riporta ii buon re alla sfera utopica dell'eucronia.
SANDRINA CloccoLo
SSIS Università di Parma

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UN ARCHIVIO DI UTOPIE DI SECONDA MANO:
IL CASO DI DIODORO SICULO

Ii problema della mediazione attraverso la quale ci è giunta la lette-


ratura utopica antica interessa molto nel caso di Diodoro Siculo, la cui
Biblioteca, peril tema che ci occupa qui, conserva e rafforza i suoi carat-
teri di estrema contraddizione tra scadente mestiere storiografico e inso-
stituibile capacità documentaria'. A causa di quella contraddizione aicu-
ni sono caduti in preda di un miraggio e un pioniere visionario è stato B.
Farrington 2 , che ha trovato nelle pagine diodoree di suggestivo ma incer-
to sapore sociale ii filo rosso di un'appassionata adesione dello scrittore
alla causa dei ceti deboli e angariati, a vantaggio dei quali l'utopia di
ogni tempo si appropria di un senso e svolge le sue funzioni ora proposi-
tive, ora piü sconsolatamente consolatorie. Dico subito che, mettendo
insieme ii tutto, non riesco a vedere nella Biblioteca alcun disegno pre-
ordinato da parte deli' autore di ingaggiare la letteratura in un impegno
politico; il fatto è che le tesi di Farrington sono discutibili ma non immo-
tivate, poiché non saprei quale altra opera del mondo antico possa corn-
petere con quelia di Diodoro per capacità di documentare quanto fosse-
ro diffusi i sogni antichi di una società migliore. La mia opinione, tutta-
via, è che Diodoro fosse specialmente interessato, durante fasi della sua
scrittura che non possiamo ricostruire ma che riguardano la redazione
dei primi sei libri, al tema del progresso umano, inevitabilmente connes-
so con aicuni aspetti fondamentali della questione sociale.
Ii testo diodoreo per la sua capacità rappresentativa puô valere da
catalogo di utopie, ma questo dimostra soitanto che la nostra conoscen-
za delle utopie dipende dalla letteratura, che - come ha osservato Fin-
ley' - è appannaggio nel mondo antico delle elites culturali ed econo-

1 Per ii rapporto tra ii contributo fornito da Diodoro alla nostra conoscenza di Evemero e quello for-

nito dagli altri basta dare un'occhiata ai frammenti da F. JACOBY in FGrHist I, nr. 63. Cfr. comunque Strab.
11.4.2 (= FGrHist 63 T 5b); VII.3.6 (= FGrHist 63 T 5c); Plut. Mor. 360 A (= FGrHist 63 T 4e). Vd. in
generale M. SToiu, Storia, utopia e mito nei primi libri della Bibliotheca Historica di Diodoro Siculo,
Athenaeum 62, 1984, pp. 492-536; J. FERGUSON, Utopias of the classical W orld, London 1975, passim.
2 B. FARRINGTON, Head and Hand in ancient Greece. Four Studies, London 1947 (trad. it. di A.
OMooco, Lavoro intellettuale e lavoro manuale nell'antica Grecia, Milano 19702, pp. 69-104).
MI. FINLEY, The Use and A buse of History, London 1971 (trad. it. di B. MACLEOD, Uso e abuso
della storia, Torino 1981), p. 269.
170 DINO AMBAGLIO

miche, mentre non sappiamo che sfruttati o subalterni abbiano mai pro-
gettato di modificare le strutture e i meccanismi della società di cui era-
no vittime.
Un modello di proprietà in comune della terra è attestato in Diodoro
V.9.4 per le isole Lipari 4; in questo caso gli elementi relativizzanti della
(presunta) utopia sono almeno due: l'uno, ambientale, Si rileva nel fatto
che le isole Lipari sono un posto non solo ben noto delle terre emerse ma
anche nient'affatto lontano dal mondo considerato civile, del quale anzi
fanno parte in quanto meta della colonizzazione greca d'età storica5;
1' altro elemento, storico, collega secondo lo stesso scrittore la vita in
comune adottata dai Liparei alla necessità di difendersi dalle scorrerie
degli Etruschi e motiva la divisione del lavoro tra combattenti e agricol-
tori in rapporto all'esigenza di mantenere una forte flotta 6 . La fonte uti-
lizzata qui - possiamo pensare a Timeo, senza scomodare Antioco -
doveva essere, al contrario di Diodoro, interessata piuttosto alle vicende
dello scontro tra Greci ed Etruschi per il controllo delle rotte e assai
meno alle questioni sociali; ne risulta evidente l'importanza attribuita ai
fattori ambientali per l'influenza che esercitano sulle circostanze di fat-
to. Sulla stessa linea di scetticismo rispetto a un tentativo di storicizza-
zione letteraria di modelli sociali avveniristici va considerata la rotazio-
ne ventennale della proprietà della terra, che, senza essere per forza rea-
le, riecheggia probabilmente problemi di gestione delle terre coltivabili
in ambiente di arcipelago. Per quel die puO valere l'argomento del silen-
zio (anche dal punto di vista cronologico), Tucidide nella breve digres-
sione sulle isole Eolie e i loro abitanti (111.88) non fa alcun cenno a strut-
ture sociali particolari presso i Liparei.
Una seconda sezione che merita di essere considerata per la presen-
za di tracce di pensiero utopico è V.41-46 (e VI. 1). Delle molte isole che
Si trovano nell'Oceano, verso gli estrenii confini dell'Arabia Felix, tre
attirano - dice Diodoro - l'attenzione di uno storic0 7 ; non deve sfuggire
che, di chiunque sia questa osservazione (di Diodoro o, come penso io,

Vd. R.J. BUCK, Communalism on the Lipari Islands (Diod. 5.9.4), CPh 54, 1959, pp. 33-39.
Nuove organizzazioni della società si configurano cos! quale esperimento in ambiti che, come le
colonie, hanno rotto i legami con ii passato e con le terre di provenienza; vd. D. AMBAGLIO, La Bibliote-
ca Storica di Diodoro Siculo: problemi e metodo, Como 1995, p. 154.
6 e [ ... ] attaccati dagli Etruschi che saccheggiavano le località costiere, allestirono una flotta e si
divisero in due gruppi: gli uni coltivavano le isole, diventate proprieta comune; gli altri si opponevano ai
pirati; avendo socializzato i beth e adottato ii sistema delle mense comuni, trascorsero un certo tempo
facendo vita in comunità. Successivamente si divisero l'isola di Lipari (sulla quale sorgeva la città) ma
coltivarono le altre isole come proprietà comune. Infine si divisero tutte Ic isole per un periodo di venti
anni, trascorso ii quale procedevano a una nuova lottizzazione per sorteggio>> (trad. it. di D.P. ORsI, in
Diodoro Siculo. Biblioteca storica, Palermo 1986).
Appena pin avanti si ribadisce che sulla Panchea molte cose meritano l'attenzione di uno storico.
UN ARCHIVIO DI UTOPIE DI SECONDA MANO: IL CASO DI DIODORO SICULO 171

della sua fonte 8) la materia è considerata storica e non prodotto fliosofi-


Co 0 immaginario. L'isola Sacra, abitata dai Panchel e produttrice di
incenso, è divisa tra gil abitanti in lotti, ma al re spetta la parte migliore
e un decimo di tutti i prodotti. Sulla Panchea sorge la Città di Panara, i
cui abitanti, soli tra I Panchei, hanno leggi proprie e non sono governati
da un re ma da tre magistrati eletti ogni anno. A sessanta stadi da questa
Città, ii tempio di Zeus Trifihio si erge in una specie di paradiso terrestre,
ricco di acque dolci, ombra, palme e viti e allietato dal cinguettio degli
uccelli; una ricca e varia fauna è caratteristica del posto. Gil abitanti
sono divisi in tre classi : sacerdoti (Cui si aggregano gil artigiani), agri-
coltori e soldati (cui si aggregano I pastori), Che hanno ii compito di
difendere la terra dai predoni; tutti i beni vengono messi in comune e
distribuiti dal clero secondo una giustizia fondata sul criterio mentocra-
tico, Cheprevede comunque per i sacerdoti ii doppio degli aitri; secondo
un prinCiplo di "comunismo mitigato" 10 , agli abitanti non è consentito
possedere alcunché se non una casa e un giardino 11 . Le miniere sono nc-
chissime di metalli pregiati, Che è perè proibito esportare 12: ii divieto
pare alludere a una limitazione della quantità di metailo estratta Che si
connette alla sentenza finale di 111.14, secondo cui la natura stessa ha
reso penosa l'estrazione del metallo prezioso, ferocemente custodito e
utilizzato COfl un misto piacere e dolore; questa massima è diretta contro
i mali prodotti nella società dal troppo amore dell'oro e deil'argento e
dalla loro tesaurizzazione' 3 . Ii motivo del comunismo di Certi beni Com-
pare disseminato qua e là per frustuli di tradizioni diversissime, senza
Che lo scnittore Si preoccupi di segnalare al lettore la disparità del mate-
riali.
Molto noto è anChe ii racconto dill .55-60, dove leggiamo Che ii mer-
Cante Giambulo fu catturato da predoni e poi rapito dagli Etiopi, messo
su una barca e spinto ad andare a sud verso l'isola felice, sulla quale gra-
zie al clima temperato si producono frutti per tutto i'anno. Gil isolani
che 11 viaggiatore forzato incontra sono tutti simili fisicamente e alti piü
di quattro cubiti ed essendo dotati di una doppia lingua sono capaci di
emettere suoni molto particolari, sicché possono parlare contempora-

8 Nel passo si legge che tre sono le isole degne di attenzione, ma poi si parla di una sola: la ridu-

zione e tipica dell'epitomatore, la trascuratezza e tipica di Diodoro.


Cfr. Plat. Resp. 415a sg.
° Cfr. L. GIANGRANDE, Les utopies grecques, REA 78-79, 1976-77, p. 123.
11 Lo scetticismo di Polyb. XXXIV.5.9 su Panchea non ha turbato Diodoro. Cfr. L. BERTELLI, Ii
mQdello della societd rurale nell'utopia greca, Ii Pensiero Politico 9, 1976, pp. 183-208.
12
V.46.4.
11 Sulla condanna della miniera da parte dello stoico Zenone citato da Athen. Deipn. VI.23 e poi di
Posidonio vd. L. CANFORA, Posidonio nel libro V I di A teneo: la schiavitil degenerata, Index 11, 1982, pp.
43-56, Spec. 44-45. Anche gli abitanti delle Baleari vielano il possesso e la circolazione di moneta d'oro
e d'argento e sperperano per le donne e peril vino tutto quanto guadagnano in guerra (v.17).
172 DINO AMBAGLIO

neamente a due interlocutori. Sono divisi in clan e classi, per gruppi di


quattrocento unità al massimo. Scrivono dall'alto in basso con sette soli
caratteri, vivono fino a centocinquanta anni e poi, ricorrendo all'eutana-
sia, si danno una dolce morte. Tengono donne e figli in comune 14, con-
siderando la concordia come ii bene piIi grande. Animali fantastici col-
laborano con la gente del posto per mettere alla prova i bambini in volo:
chi non resiste all 'emozione aerea viene eliminato. Diventa re ii pin
anziano della comunità - senza riguardo per chi è piIi dotato sul piano
intellettuale o etico - e tutti gli ubbidiscono, mentre a turno alcuni ser-
vono gli altri; la notizia sembra rappresentare un caso reale di mancanza
di ambizione, che si traduce forse nella rinuncia all'esercizio di una
qualsiasi supremazia sui propri simili a favore della concordia sociale.
Sette è ii numero delle isole. Gli abitanti si nutrono semplicemente e
venerano come divinità ii sole e gli altri corpi celesti: dal sole hanno pre-
so ii nome per le isole e per se stessi. Dopo sette anni 15 Giambulo e ii
compagno furono espulsi come Soggetti indesiderati per le loro cattive
abitudini.
Qualche traccia di pensiero "utopico" reca anche la divisione in
caste della società indiana (11.39.5-41.5), idealizzata in contrasto con la
società greca e romana; gli Indiani vietano la schiavitü e la proprietà pri-
vatae favoriscono una rigorosa parità sociale uniformando il livello del-
la ricchezza, poiché <<tra i loro-costumi particolari ce n'è uno, istituito
dai saggi del tempo antico, pin notevole di tutti, è proibito per legge che
vi siano fra loro degli schiavi [ ... ] è stupido fare leggi sulla base del-
l'uguaglianza di tutti senza fondare al tempo steSSo un'uguaglianza del-
la nicchezza'6>>.
Una caratteristica, ricorrente ma non generale dei riferimenti a
modelli di vita ideale, è che la realizzazione di quei modelli avviene in
luoghi che non sono fuori dal mondo ma sono (e non sempre) lontani dal
mondo conosciuto.
Tale è la posizione dell'isola, variamente identificata dai moderni,
che giace nell'Oceano a parecchi giorni di navigazione dalla Libia 17 e
sulla quale la vita ècosl felice da essere degna degli dei piuttosto che
degli uomini.

14
II comportamento e tipico delle società a grado zero di organizzazione, come le tribü degli Ittio-
fagi in 111.15 sgg.; donne e figli sono in comune anche Ira gli Etiopi mangiatori di legno (111.24.4) e tra i
Trogloditi (con I'eccezione della moglie del re) in 111.32.1
° La ricorrenza del numero sette (per Ic isole, per i caratteri della scrittura, per gli amü di perma-
nenza di Giambulo e del compagno) ha certamente un significato simbolico legato al culto di Apollo: cfr.
GIA NORA NDE, Les utopies grecques, p. 125.
16
11.39.5.11 richiamo alla ricchezza vale se si accetta la lettura exousias di L. Dindorl; altri leggo-
no ousias.
17
v.19-20. Vd. G. AMIorrI, Le isole fortunate: mito, utopia, realtd geografica, CISA 14, Geogra-
fia e storiografia nel mondo classico, Milano 1988, pp. 166-177.
UN ARCHIVIO DI UTOPIE DI SECONDA MANO: IL CASO DI DIODORO SICULO 173

Fuori dal tempo, ma piii ricca di elementi storici appare i'inimagine


dell'organizzazione sociale dei Vaccei, una gente confinànte con i Cel-
tiberi, che Diodoro considera brevemente in V.34.3: essi coltivano later-
ra dopo averla divisa annualmente e ii raccolto è di proprietà comune,
ciascuno riceve la sua parte, mail contadino ches'impossessa di qualco-
sa è condannato a morte.
Cronologicamente determinato è ii riferimento approssimativo alla
pratica della collettivizzazione dei beni tra i compagni di Pitagora nel-
i'escerto di X .3.5.
Per quaicuno 18 anche 11.29 sulia posizione "politica" dei Caldei in
quanto casta a Bablionia e 111.52 sgg. sulle Amazzoni di Libia' 9 conter-
rebbero elementi utopistici; la mia opinione è piuttosto scettica. Tuttavia
una chiave di lettura sociale è raccomandabile e in Diodoro l'esenzione
da altri doveri sociali concessa a chi come I Caldei pratica l'astrologia,
la mantica e l'ornitomanzia rappresenta una sorta di divisione delle
competenze cioè del lavor020.
Forte interesse per le questioni sociali mostrano di riflesso i capito-
1i 21 che Diodoro riserva alla descrizione dei modi di vita dei gruppi
insediati sulla costa del golfo arabico e nella Trogioditica. Tra di loro
gil Ittiofagi vivono nudi e come le bestie tengono in comune le donne e
i figli, essendo ignari dell'istituto familiare; in virtà della loro natura
incorrotta identificano ii bene con l'appagamento del bisogni elementa-
ri, senza cercare altri piaceri, e grazie alla semplicità del cibo si amma-
lano di rado, ma la loro vita è mediamente put breve del comune. Si trat-
ta di un modello sociale agli antipodi di quello greco-rornano, che resta
lontano dal mito del buon selvaggio ma die, per quanto sia evidente la
sofferenza da cui è segnata l'esistenza quotidiana di quelle genti, sem-
bra contenere alcuni valori positivi per contrasto con gli eccessi delle
società civilizzate.

In yenta, non basta che in un testo ietterario Si parli di acrobatiche e


futunibili (seppur magari retroiettate nel passato) modifiche sociali (dal
regime di proprietà della terra all' abolizione della famiglia), da attuare o
attuate in posti dove è almeno improbabile arrivare per una verifica, per-
ché si possa sostenere di essere in presenza di un'utopia.
Di fronte a una qualsiasi narrazione fantastica antica o moderna - e
nella letteratura greca se ne trovano in numero sorprendente - si apre ii
problema della tensione morale e politica sottesa alla stessa costruzione

18
FARRINGTON, Lavoro intellettuale, p. 77 sgg.
19 Da Dionisio Skytobrachion; dr. S. MAZZARINO, Ii pensiero storico classico, II, Bari 1966, p. 38.
20 Cfr. FERGUSON, Utopias, p. 113.

21
14-24
174 DINO AMBAGLIO

della fantasia, poiché è chiaro che là, sulla tensione ideale prima che sul-
la ineperibilità del posto, si gioca la valenza utopica di una costruzione
fantastica. Se discorsivamente vale che qualsiasi fantasia è un pezzo di
utopia, chi negherebbe che una simile generalizzazione non è molto uti-
le a capire la genesi e i caratteri della cosiddetta utopia antica? Quando
Polibio in XXXIV.5.7-10 22 pone ii problema della credibilità di Pitea di
Massalia in rapporto a quella di Evemero di Messene 23 dimostra sempli-
cemente che egli non ha alcuna idea e tanto meno alcun interesse per for-
me di pensiero che noi carichiamo di valenze utopiche ante litteram,
poiché opera una riduzione concettuale della presunta utopia a un puro
argomento geografico di millantato credito in termini di esplorazione di
terre e man. Detto a margine, abbiamo l'occasione di osservare uno
degli effetti del pragmatismo di Polibio.
La cosiddetta utopia antica, quasi aurora del pensiero progressista o
nivoluzionanio, ha prodotto spesso effetti di trascinamento, da cui con-
viene stare in guardia. Qua e là sono considerate alla stregua di forme di
pensiero utopico stralci di racconti che descrivono le condizioni di
insopportabile sfruttamento in cui versano i lavoratori delle miniere egi-
ziane e ispaniche 24 o gli schiavi della campagna siciliana oppure raccon-
tano la vita grama di tnibü che abitano parti della terra estreme per posi-
zione e per dma 25 ; ma quei posti e quelle masse di sfruttati e infelici
esistevano veramente, per cui l'investitura di questi pezzi come utopisti-
ci rappresenta una retroiezione della realtà sulla fantasia mentre nel-
l'utopia dovremmo forse cercare la proiezione della fantasia sulla realtà.
Anche per le tnibi tanto arretrate culturalmente da non essersi date nep-

22
<<Meglio, dice lui (Eratostene), credere ad Evemero di Messene piuttosto che a Pitea, perché Eve-
mero afferma di aver raggiunto per mare una sola regione, la Pancaia, mentre Pitea dichiara di aver esplo-
rato tutte le coste settentrionali dell'Europa, fino agli estremi confini del mondo (affermazione cui nessu-
no potrebbe credere, nemmeno se la facesse Ermes). Eratostene poi, egli continua, chiama Evemero Ber-
geo, ma crede a Pitea, cm non aveva creduto nemmeno Dicearco>> (trad. di A. Vimercati). Anche Strabo-
ne 13.1 poneva Damaste e i logografi sullo stesso piano di Antifane di Berga, ii romanziere della geogra-
fia, e di Evemero.
23
Vd. H. BRAUNERT, Die heilige Insel des Euhemeros in der Diodor-Ueberlieferung, RhM 108,
1965, pp. 255-268. Evemero, attivo a cavallo tra IV e HI sec. a.C., svolse importanti missioni in terre ion-
tane, come I'Arabia Felix, per conto del re macedone Cassandro; è notevole che Alessarco, fratello del
sovrano, fondô Uranopoll sulla penisola dell'Athos. L'opera di Evemero si intitolava Iscrizione sacra
(Hierà anagraphe) o Logos sacro.
24
Per queste miniere vd. rispettivamente 11112-14 e V 35-38. Cfr. Posidonio FGrHist 87 F 117; R.
UR1AS MARTINEZ, A cerca de los textos de Diod. V 35-38 (= Posidonio F 117) y A gatdrquides, Sobre el
Mar Rojo ndms. 23-28, Veleia 10, 1993, pp. 297-299.
25
Vd. per es. in 111.14-24 la descrizione dei popoli che abitano la costa del golfo arabico e la Tro-
gloditica. Pin di on elemento narrativo ha proprietà utopiche: quelle tribh hanno in comune le donne e i
figli e non esiste ovviamente alcuna forma di proprieta privata; sono allegre, poichh la loro natura h incor-
rotta e identifica il bene con ii soddisfacimento dei bisogni elementari, senza cercare altri piaceri estemi.
Inoltre, ammesso ii carattere filosofico di qualsiasi utopia, assume un certo peso l'osservazione democri-
tea di Diodoro, o della sua fonte, in 1.7-8 (cfr. Diels-Kranz 6 68 B 5) che "la necessità insegna ogni cosa
alla natura, la quale secondo le circostanze si adatta a trarre l'utilità che puh sperare".
UN ARCHIVIO DI UTOPIE DI SECONDA MANO: IL CASO DI DIODORO SICULO 175

pure un nome - cos! credevano gli esploratori, al servizio di Tolomeo


111 26 , che le avevano incontrate - la ricchezza di notizie che troviamo
nella Biblioteca non ha confronti altrove e tanto basta sia per un quadro
generico delle nostre fonti sia per capire che di qualche confusione è
responsabile involontario proprio Diodoro.
Se Cl SI chiede perché tanti materiali suggestivi di una lettura in ella-
ye utopica, o piü semplicemente umanitaria, siano confluiti in un'epito-
me di storia universale come la Biblioteca, qualche suggerimento viene
dali' osservare che Diodoro riflette piü o meno cons apevolmente 1' allar-
gamento dei confini del mondo conosciuto promosso da Alessandro
Magno e portato quasi a compimento dai Romani - tra I quali spiccava
Cesare, tanto caro a Diodoro - e che ii progetto di storia universale gli
imponeva di affrontare in qualche modo ii problema dell'ingresso nella
storia di popoli mai prima conosciuti in una sorta di inventario del mon-
do che non era tenuto a distinguere troppo ferocemente tra realtà e fan-
tasia. Ii catalogo di utopie redatto da Diodoro dipende dalla letteratura in
conformità al carattere libresco della sua compilazione; tuttavia la sua
infarinatura stoica, un'adesione non approfondita teoricamente ma sin-
cera, non resta senza conseguenze e ii fattore piü importante per l'inse-
rimento di quei materiali, fortemente concentrati nei primi sei libri della
Biblioteca, è da individuare nell'interesse per la storia del progresso
umano e per taluni modefli sociali che intenzionalmente o meno speri-
mentano forme destrutturate o pauperistiche o antischiaviste o comuni-
stiche (quanto al possesso e allo sfruttamento della terra) in netto contra-
sto con quelle della società greco-romana.
Ripensando ai limiti delle nostre informazioni sulle "utopie" di Eve-
mero, di Giambulo, di Dionisio Skytobrachion 27 dobbiamo gratitudine a
Diodoro, dal quale perô non possiamo aspettarci approfondimenti teori-
ci condotti sul filo di eventuali elementi comuni a società contempora-
nee: in fondo l'obiettivo di una universalità spaziale bastava a fargli
abbracciare persino luoghi inimaginari, da romanzo di avventure, ma
avrà pure un senso i ' insistenza di Diodoro sul fatto che simili narrazioni
meritassero a pieno titolo di essere chiamate storia28.
DIN0 AMBAGLIO
Università di Pavia

26
111.18.4.
27
Diod. 111.53.4-6; 68.5-69.4 (= FGrHist 32 F 7; 8).
28
Diod. V.41.4; 42.4. Vd. in generale E. GABBA, True History and False History in Classical A nti-
quity, JRS 71, 1981, pp. 50-62.
176 DINO AMBAGLIO

Riferimenti bibliografici
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1993 nio F 117) y A gatdrquides, Sobre el Mar Rojo films. 23-28, Veleia 10,
1993, pp. 297-299.
GLI "ALTRI MONDI" NELLA SATIRA DI LUCIANO

E emblematico dell'influenza esercitata da Luciano sull'utopia


moderna, quanto dice Thomas More nel ii libro di Utopia a proposito
delle letture predilette degli abitanti dell'isola: essi, afferma ii narratore,
sono innamorati dei graziosi scherzi di Luciano'.
Non e fantasioso pensare che la biblioteca lasciata da Raffaele Itloi-
deo agli Utopiani corrisponda aila lista delle "grandi opere greche" di
More 2 . Luciano è, tra gil autori greci, prediletto da lui come anche da
Erasmo. Essi nel 1505 ne tradussero e pubblicarono alcuni scritti 3 e
attraverso di lui arrivarono a comprendere un principio basilare della
teoria letteraria antica: ii valore della letteratura sta nel fatto di combina-
re piacere e istruzione. Sia Erasmo che More apprezzano determinati
aspetti dello stile di Luciano, fatto di infiniti scherzi, spirito, invenzione,
stone fantastiche, dialogo divertente; ma nello stesso tempo sono con-
vinti che egli sia un autore fondamentalmente morale, nella misura in cui
individua e condanna una serie di mali che appartengono non solo al suo
tempo, ma al passato come anche al futuro: la frode, la superstizione,
l'ipocrisia degli intellettuali, il lusso, la vanità, la sete di potere4.
Che Utopia sia essenzialmente lucianea è un'affermazione discutibi-
le e assai dibattuta 5 . Anche se non esistono paralleli diretti, alcuni aspet-
ti interni all'opera di More sono comunque in qualche modo collegabili
alla Storia V era: ii racconto di un viaggio immaginario; la struttura stes-
sa dell'opera in due libri; la funzione comica esercitata dai nomi propni6.
Ma ancor di piu si coglie l'influenza esercitata da Luciano sull'ispirazio-

T. MORE, Utopia II, in The Complete W orks of St. Thomas More, vol. 4, New Haven - London
1965, p. 182,2-3: [... I Luciani quoquefacetiis ac lepore capiuntur.
2 Vd. B. SURTZ, Commentary to page 180, in The Complete W orks of St. Thomas More, vol.4, New
Haven - London 1965, p. 467.
Vd. C.R. THOMPSON, The Translations of Lucian by Erasmus and More, Ithaca 1940; ID., Tran-
slations of Lucian, in The Complete W orks of St. Thomas More, vol. 3,1, New Haven - London 1963, pp.
XVII-LV; T.S. DoRscH, Sir Thomas More and Lucian, Archiv für das Studium der neueren Sprachen und
Literaturen 203, 1967, pp. 347 ss.
Vd. la prefazione di More alle sue traduzioni, pubblicata nel 1506, in cui egli afferma di apprez-
zare Luciano per la sua capacità di realizzare il precetto oraziano (voluptatem [ ... ] cum utilitate coniunxe-
nt); v. SURTZ, Commentary to pages 180-182, in The Complete W orks, p. 469; C. ROBINSON, Lucian and
his Influence in Europe, London 1979, p. 131; DoRsdH, Sir Thomas More, pp. 347 ss., 363.
Vd. discussione in ROBINSON, Lucian, pp. 130 ss.
6 Vd. DORSCH, Sir Thomas More, pp. 347-362.
178 CHIARA CARSANA

ne generale di Utopia se Si considera ii contenuto delle cosiddette opere


ciniche tradotte da More, ii Menippo e L 'amante delle menzogne (cui va
aggiunto Ii Cinico, probabilmente Spurio) ', in cui la ricchezza e le dispa-
rita di condizione tra gli uomini soflo inteSe come la radice di tutti i mali
sociali.
Prendendo spunto dalla prospettiva entro cui l'opera di Luciano è
stata letta dagli Utopisti in eta moderna e ii ha ispirati - oltre a More basti
ricordare Cyrano de Bergerac e Jonathan Swift' - si puô allora tentare,
in una sorta di percorso inverSo, di delineare una panoramica d'insieme
della variegata produzione di questo autore e di coglierne alcuni fili con-
duttori, evidenziando una serie di nuclei e di variazioni tematiche che è
possibile identificare come pre-utopici:
- La Storia V era è stata considerata dagli studi moderni come un
significativo esempio di utopia antica (basti qui citare, tra i contributi piii
recenti, l'articolo di Fauth sulle Isole utopiche nella Storia V era di
Luciano', ii saggio di Massimo Fusillo sulla Storia V era di Luciano dal-
la satira all'utopia 1° e ancora lo studio di Nesseirath su Utopia-Parodia
nella Storia V era di Luciano"). Quest'opera, che è stata felicemente
definita una parodia metaletteraria 12, è il racconto di un viaggio immagi-
nario attraverso il quale Luciano filtra, in chiave parodica, una serie di
materiali derivati dalla storiografla e dall'etnografla ellenistiche. Ii nar-
ratore, nel corso di peregrinazioni che durano alcuni anni, viene traspor-
tato dalla sua navicella fino ai confini estremi della terra oltre le colonne
d'Ercole, di qui verso l'alto (ii sole e la luna sono presentati alla stregua
di isole), poi di nuovo verso il basso negli abissi del mare dove dimora
entro ii ventre di una balena, infine nell'aldilà delle isole dei Beati, degli
Empi e dei Sogni. Ii motivo del viaggio in mondi altri rispetto a quello
dell'Oikoumene conosciuta consente a Luciano di offrire una visione, da
una prospettiva alternativa e privilegiata, di quelli che sono i mali che
affliggono la società umana, in particolar modo la sete di espansione e di
dominio e l'arbitrio della giustizia, che dominano tra gli strani popoli e
le creature metamorfiche che vivono nel cielo come anche in fondo al
mare.

V d. ROWNsON, Lucian, p.131.


8
V d. DORSCH, Sir Thomas More, pp. 349,351,362-3; ROBINSON, Lucian, pp. 129-141; M. Fusm-
LO, Le miroir de la Lune. L'Histoire vraie de Lucien de la satire a l'utopie, Poetique 73, 1988, pp. 117 ss.,
122, 125.
W. FAUTH, Utopische Insein in den 'W ahren Geschichten' des Lukian, Gymnasium 86, 1979, pp.
39-58.
'° FUSILLO, Le miroir, pp. 109-135.
H.G. NESSELRATH, Utopie-Parodie in Lukians W ahren Geschichten in W . A x, R.F. GLEI (edd.),
Literaturparodie in A ntike un Mittelalter, Trier 1993, pp. 41-56.
12 V d. FUSILLO, Le miroir,
p. 109.
GLI "ALTRI MONDI" NELLA SATIRA DI LUCIANO 179

Questo tema si riproduce in modo interessante anche in altre opere


dello stesso autore.
- Nell' Icaromenippo il protagonista, 1' antico filosofo cinico posto al
centro di tanti dialoghi lucianei, viene trasportato dalla terra alla luna.
L'ottica della distanza da cui guarda la terra lo porta a relativizzare il
sistema di valori su cui poggiano le società umane: <<Ebbene, non appe-
na, esaminando le realtà della vita, trovai tutte le cose umane - intendo
le ricchezze, i posti di comando, i poteri sovrani - ridicole, meschine e
instabili, disprezzate queste e considerata la bramosia di conseguirle un
ostacolo al conseguimento delle cose veramente importanti, cercai di
alzare il capo e levare lo sguardo al tutto>> 13 . Egli osserva cos! le malefat-
te dei potenti della terra, le menzogne dei filosofi, le azioni ingiuste dei
privati cittadini 14 . Gli uomini gli appaiono come formiche'5.
- Lo stesso argomento si ripresenta, in una prospettiva rovesciata,
nel Caronte. Qui il viaggiatore non è un essere umano, ma una creatura
degli inferi; ii viaggio non conduce dalla terra al cielo, ma dall'Ade alla
terra, anche in questo caso osservata dall'alto, da una sorta di "non luo-
go" fantastico costituito da una piramide di monti sovrapposti su cui ii
protagonista siede. La distanza dal mondo comporta uno sguardo d'in-
sieme, acuto e al contempo distaccato, che consente al traghettatore di
vedere di quali cose Si occupino gli sventurati uomini.
La figura di Caronte costituisce un richiamo ad un "mondo altro",
quello dell'Ade, entro cui Luciano colloca una serie di raffigurazioni di
società che possono essere definite a buon diritto pre-utopiche:
- Come Massimo Fusillo ha bene evidenziato, tra le righe della rap-
presentazione ironica dell'isola dei Beati nella Storia V era <<si intravede
un ideale di vita comune pacifica, un edonismo prudente, valorizzato
dall'attività poetica: e qui che piü precisamente si rileva la distanza tra
1' edonismo epicureo [... e 1' ideale sempre coltivato da Luciano della
paideia classica, una educazione intellettuale lucida, dominata dal senso
della misura>'6.
- Anche nel Menippo viene presentato un mondo alternativo e si
ripresenta ii motivo del viaggio. Ii filosofo giunge nell'Ade da vivo e tor-
na indietro per raccontare quanto ha visto. Chiede al suo interlocutore
cosa è accaduto in sua assenza sulla terra; questi gli risponde che vi

11 Luc., Icar. 4: yW yap ETIL&fl TdXLG Ta E1ETawv Ta KT TOV Plov yrXoca KGL TaTreLva raL da-
La T civopthircva TravTa elipLaKoV, TrXoIToua XEYW (al. ãPXS KU). SWUUTELUa KaTa4)povr)aas d)Twv cat T1)l)
TIEpI TauTa O1TOU8I1V X0) TO.0 aXOü (Firou8acwij u1ToXa6v aVaIcuTrTElV TE KaL T1PO3 TO Tra y W)U(3XE1rEL1)
TrE1p6)U1v
vd. spec. Luc., Icar. 6-10; 15-18.
IT
Luc, Icar.19.
16 FUsILL0,Lemiroir,p. 125.
180 CHIARA CARSANA

dominano i mali di sempre 17• CiO lo spinge ad indicare cosa lo abbia


indotto a partire: un desiderio di conoscenza generato dall'insoddisfazio-
neper le teorie del filosofi sulla natura dell'universo e sulla via per rag-
giungere la felicità 18• E un percorso di navigazione quello che lo condu-
ce nell'aldilà, oltre ii flume Eufrate e la palude in cui esso confluisce'9.
Nell'Ade ii tribunale di Minosse punisce i reati di cui I defunti Si SOflO
macchiati, che consistono soprattutto nei falsi valori perseguiti dagli
uomini nel corso della vita 20. E l'uguaglianza che domina in questo
"altro mondo" in cui tutti vedono capovolta la propria condizione. Ii dia-
logo si conclude conun decreto del senato e del popoio dell'Ade, che
ordina che i corpi del ricchi rimandati in vita si reincarnino in dei corpi
d'asino21.
- I contenuti di questo dialogo paradigmatico, non a caso tradotto da
More, vengono sviluppati nei Dialoghi dei Morti, dove 1' aldilà assume la
fisionomia di vero e proprio "sistema" che si contrappone a quello della
terra. H mondo del morti e un'isola: circondato dalla palude Stigia e dal-
l'Acheronte, si raggiunge tramite una navigazione 22 . I defunti sono tra-
ghettati da Caronte in un percorso senza ritorno. Ii motivo del viaggio
compare dunque anche in questo insieme di dialoghi, strutturati entro
una cornice narrativa: 30 scene di un unico dramma che assume la flsio-
nomia di una commedia 23 . Attraverso una serie di colloqui, collegati
tematicamente, vengono passate in rassegna vane categorie di esseri
umani appartenenti al mondo del mito, della storia e della cultura del
passato, dell'età contemporanea, che incarnano i vizi e le debolezze del
sistema di valori del mondo terreno: ii ricco Creso, i belli del mito, gli
eroi della guerra di Troia, i grandi re dell'oriente antico, i fllosofl delle
diverse scuole di pensiero, i cacciatori di dote e I vecchi avari che si osti-
nano a sopravvivere per non cedere il proprio patrimonio. Essi sono cala-
ti in una società cupamente democratica cui accedono nella put comple-
ta.nudità: Lcso-rLjILa, LcJ0TLkLa ndvu 6I1II0TLKfl, TfapprYiia, LrnyopLct, our
wi.'La TOl) TpáypaT03, OiovoLa, sono termini riconenti di concreta valen-
za politica che contribuiscono a dare corpo e speciflcità in rapporto alla
terra a questo sistema alternativo 24 La realtà della morte, che trasforma

17
Luc., Men. 2.
18
Luc., Men. 4.
11 Luc., Men. 7-10.
20
Luc., Men. 11-14.
21
Luc., Men. 20.
22
Cfr. Luc., Luct. 2-5; 10.
23
Vd. M. VThAD0, Introduzione, in Luciano, Storia V era, Dialoghi del morti, Milano 1991, pp.
XLII ss.
24
Luc., D. Mort. 1; 8; 20; 21; 26; 29; 30; vd. VIL..RDo, Introduzione, pp. XLIII-XLV; F. JOUAN,
Mythe, Histoire et Philosophie dans les "Dialogues des Morts" in A. BILLAULT, A. BUISSON (edd.),
Lucien de Samosate, Lyon 1994, P. 28.
GLI "ALTRI MONDI" NELLA SATIRA DI LUCIANO 181

tutti in identici teschi, elimina ogni dislivello, abbatte le differenze poli-


tiche, sociali, estetiche, economiche; ed anche qui non manca un tocco di
irridente leggerezza che è ii "marchio di fabbrica" di Luciano: Menippo
e l'unico tra i defunti cui sia permesso di portare con sé ii suo bagagilo
(<<"ma anche tu, Menippo, lascia gin la tua franchezza, la parlantina, la
nobiltà! e ii riso! Sei ii solo che ride, tra tutti ! ">> gli ingiunge un anonimo
filosofo defunto. Ma Ermes replica: <<"No, anzi! Tienile strette, queste
cose: sono leggere, assolutamente facili da trasportare, e utili per la tra-
versata">> 25). Al centro di questo mondo c ' 6 Plutone, ii quale sottolinea,
col proprio giudizio, ii principio dell'assoluta casualità della morte.
L'Ade ha una sua logica interna che sfugge a quella del consorzio uma-
no. Ma ii fatto che i giovani muoiano prima dei vecchi riflette solo in
apparenza i'insensatezza dell 'universo infero. Ii dialogo Ii Lutto, dello
stesso Luciano, sembrerebbe dimostrare il contrario: non vi è motivo per
temere la morte; 11 figlio defunto, che parla al padre ancora vivo, gli
mostra come i beni terreni siano in realtà del tormenti26.
—Il tema della ricchezza come radice di tutti I mali, ricorrente nei dia-
loghi fin qui menzionati, costituisce un filo conduttore all'interno del
macrotesto lucianeo e rappresenta ii nucleo tematico ancora una volta
posto al centro di un "altro mondo", descritto dali' autore nei Saturnalia,
opera dalla forma composita (che va daila dialogica alla epistolare),
ambientata all'interno della società romana. In questo caso ii "mondo
altro" e quello della festività romana dedicata all'antico dio Crono, detro-
nizzato da Zeus, che per una settimana all'anno impone ai ricchi di con-
dividere i beni in loro possesso con i propri clienti, adattandosi a servirli:
la festa e uno spazio fuori dal tempo (conriotato dalla limitatezza), un' iso-
la, questa volta temporale, dove si realizza una giustizia transitoria. I rife-
rimenti all' attualità, in questo come in altri scritti (vd. in particolare ii
Nigrino e Intorno ai dotti che vivono per mercede) , indicano come il pro-
blema della disparità sociale, delie sperequazioni economiche, sia sentito
da Luciano come un male di sempre, del passato come del presente 27•
Non si intende qui presentare questo autore come ii fautore di proget-
ti di natura rivoluzionaria, seguendo una linea critica condivisa da aicu-
ni studiosi lucianei 28 . Luciano non inneggia a modelli di società comuni-

25 Luc., D. Mort. 20: 4LXóao4oc "06KOUV Cal MVLTrTrE, throlou -r4v XuOepav mi Trapp1aLav Cal
TO aXUTrOV Kai TO yevvalov cal TO]) yXwTa iOvoe yoie ale) OXXuv yeXs".
Epu 'n8aals, 0110 caL lye rauTa, KOU45a yip ml TraviS 640pa ovra teal rp6 TOV KaTaSTXOUI)

26 Luc., Luct. 16-19.


27 Yd. C.P. Jor<as, Culture and Society in Lucian, Cambridge Mass. 1986, PP. 84-87.
28 Vd. spec. A. PERETTI, Luciano: un intellettuale greco contra Roma, Firenze 1946; B. BALDWIN,

Lucian as Social Satirist, CQ 11, 1961, pp.199-208; contra A. MOMTGLIANO, Review of Perelli, Luciano,
in Quarto Contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, Roma 1969, pp. 641-644; vd.
anche discussione in J.A. HL, Lucian's Satire, New York 1981, pp. 221-242.
182 CHIARA CARSANA

ste ante-litteram, come alcuni hanno creduto di poter affermare. E anzi


un uomo ben inserito socialmente che, oltre ad ottenere un notevole suc-
cesso di pubblico come conferenziere, rivestl anche un ruolo di prestigio
all' interno deli' amniinistrazione imperiale in Egitto, svolgendo le man-
sioni di archistrator praefecti, funzionario incaricato dell'amministra-
zione della giustizia, sotto il governo di Marco Aurelio e Lucio Vero 29.
I mondi descritti nelle sue opere sono davvero "altri", "non-luoghi",
immagini metaletterarie, alla cui realtà egli non crede: lo dimostrano le
innumerevoli variazioni che si colgono nelle raffigurazioni dell'Ade,
che mutano a seconda del contesto entro cui sono inserite. La dimensio-
ne metaletteraria è dominante nell'opera di Luciano 30 . Ad essa va in
qualche modo correlata la sua attività di conferenziere, abituato a far
riferimento a topoi graditi al suo pubblico.
Questo perô non esciude, da parte sua, un sottofondo polemico, una
volontà di cogliere i mali del mondo, che si rivela nella trasversalità di
temi che si riproducono all'interno di opere appartenenti a generi lettera-
ri differenti: dialogo menippeo, satira contemporanea, parodia storiogra-
fica. Egli sogna e rappresenta realtà immaginarie, di forte connotazione
metaletteraria, regolate da principi di uguaglianza e di giustizia la cui
realizzazione non é iimnaginabile su questa terra. I mondi dell'aldilà non
rappresentano realtà consolatorie che attendono l'uomo dopo la morte,
che al razionalismo dell' autore non è dato di concepire, ma piuttosto fan-
tasie letterarie, dichiaratamente presentate come tali. La terminologia di
forte valenza politica, intermittente all'interno dei Dialoghi dei Morti,
rinvia alla realtà della speculazione filosofica e del mondo della demo-
crazia cittadina: essa perO trova la sua put compiuta e piena realizzazio-
ne in "altri mondi", isolati nello spazio come nel tempo. La tensione tra
attuabile e irrealizzabile, che è la sostanza delle piii autentiche utopie3t,
trova dunque in Luciano una testimonianza significativa.
In conclusione, Si possono individuare nell'opera di Luciano almeno
quattro elementi che appaiono ricorrenti nella maggior parte delle raffi-
gurazioni utopiche antiche:
1) 1 luoghi dell'utopia: gli "altri mondi" sono collocati in isole o in
luoghi che hanno caratteristiche simili. Vi si possono distinguere tre dif-
ferenti categorie: a) isole reali: le isole dei Beati e degli Empi, e l'isola
dei Sogni nella Storia V era; b) luoghi rappresentati come isole: L'Ade è
descritta come un luogo isolato circondato dalla palude Stigia e dal-

21 Vd. JONES, Culture, pp. 10-23; HL, Lucian's Satire, pp. 250ss.; S. SWAIN, Hellenism and Empi-
re, Oxford 1996, pp. 312-329. -
° Vd. HALL, Lucian 's Satire,
pp. 221-251; FIJSILLO, Le miroir; A. BELTRAMETTI, La parodia lettera-
na in Lo Spazio Letterario di Grecia A ntica, vol. 1,3, Roma 1994, pp. 285 as.
' Vd. MI. FINjey , Utopie antiche e moderne in Uso e abuso della storia,
trad. it., Torino 1981,
pp.270-271.
GLI "ALTPJ MONDI" NELLA SATIRA DI LUCIANO 183

1'Acheronte; c) isole metaforiche: ii Sole e la Luna, la balena nella Sto-


na V era; la festa dei Saturnalia.
2) Ii tempo deii'utopia: gli "altri mondi" presentano una dimensione
temporale alterata. Siano sufficienti due esempi: a) la celebrazione dei
Saturnalia, durante la quale il tempo è sospeso; b) 1'Ade, dove ii tempo
è immobile.
3) Ii viaggio: gli "altri mondi" sono la destinazione di viaggiatori alla
ricerca della conoscenza e della felicità; un esempio è la navigazione
verso 1'Ade nel Menippo.
4) La dimensione politico-sociale deli 'utopia: la rappresentazione
degli "altri mondi" è espressione di un atteggiamento critico verso il
mondo degli uomini e offre l'immagine di società alternative. Sia suffi-
ciente menzionare i Dialoghi dei Morti: a) critica: le differenti categorie
di defunti incarnano i vizi del sistema di valori umano; b) progetto:
l'Ade è un mondo ideale caratterizzato da democrazia, egualitarismo,
pace perpetua, assenza di passioni o desideri.
CHIARA CARSANA
Università di Pavia

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VIAGGIO NELLO SPAZIO B NEL TEMPO:
CRITICA DI ELIANO ALL'UTOPIA DI TEOPOMPO? *

Ii tema del viaggio, sia in senso proprio che metaforico, sottintende


una valenza utopica, che la moderna bibliografia ha provveduto a inda-
gare nei suoi aspetti molteplici 1 . Minore attenzione è stata tuttavia rivol-
ta al rapporto tra riflessione storiografica e elaborazione utopica, nono-
stante la descrizione di itinerari sconosciuti e popoli ignoti dia luogo a
una presenza non occasionale nelle opere storiche antiche 2 . Ii nesso tra
utopia e viaggio all'interno di un contesto storiografico diviene a sua
volta riflesso deli'interpretazione data alla reaità storica, sia essa passata
o presente. Ii "viaggio utopico", nella doppia valenza di raffigurazione di
un "mondo altro" e di integrazione del racconto e del giudizio sui fatti
storici, costituisce un tema complesso, atto a trovare riformulazioni con-
tinue che ne assicura la vivacità lungo i secoli.
Un frammento di Teopompo di Chio (FGrHist 115 F 75c) puO esem-
plificare la ricchezza e la vivacità di questo tema. Tale frammento è trat-
to dal 1. VIII della sua opera su Filippo II e i'espansione della Macedo-
nia in Grecia, libro che è dedicato a thaumasia 3 . Tale storico si colloca
alle sogiie della profonda trasformazione che le conquiste progettate da
Filippo e realizzate da Alessandro portarono nel mondo conosciuto
(oikoumene), in quella fase che si suole definire protoelienistica, che

* In queste pagine riprendo la comunicazione presentata alla 51h International Conference organiz-
zata dalla Utopian Studies Society, presso 1'Università di Oporto, 8-10 luglio 2004, comunicazione che
introduceva la sessione dedicata a <<Utopia in Antiquity: Sea-People and Land-People in the Ancient
World>>.
I Sul tema del viaggio nel mondo antico, cfr. L. CASSON, Travel in the A ncient W orld, London
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2 Pochi, ma autorevoli gli studi sull'utopia nella storiografia antica: S. MAZZARINO, It pensiero sto-

rico classico, Roma-Bari 1966, vol. 2, pp. 37-53, 412 n. 555; J. FERGUSON, Utopias of the Classical
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ca e storiograjia moderna, Bologna 1995, pp. 11-37.
Su Teopompo cfr. P. PEDECH, Trois historiens méconnus: Thdopompe, Duris, Phylarque, Paris
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History and Rhetoric in the Fourth Century B.C., Oxford 1994. Sul metodo dell. VIII, cf. A. MoMIouA-
NO, Teopompo, RFCI 9, 1931, pp. 230-42, 335-53 [= La storiografia greca, Torino 1982, pp. 174-203].
186 MARIA TERESA SCHETFINO

coincise con un cambiamento epocale: ii mondo greco si aprl al rappor-


to interculturale con altri popoli; si affermO l'interesse per l'esplorazio-
ne di mondi lontani, non solo a fini commerciali, ma politico-culturali.
Le accresciute conoscenze geografiche stimolarono la curiosità e l'im-
maginazione su terre esotiche. Per tale ragione l'Ellenismo, fin dalle sue
avvisaglie, fu un periodo fecondo di elaborazioni utopiche4.
Ii testo teopompeo conserva la descrizione di un "mondo altro" e costi-
tuisce uno dei rari esempi giunti fino a noi di questo periodo ricco di sug-
gestioni utopiche. Tale descrizione contiene elementi fondamentali del
pensiero utopico antico, che possono essere definiti secondo due categorie
speculari: a) l'ottica prevalentemente politica nella costruzione del "mon-
do altro"; b) ii giudizio e la critica della situazione politica contemporanea.
Va perô sottolineato che lo stato frammentario dell'opera rende pro-.
blematica l'interpretazione del passo sia nel suo significato specifico sia
in rapporto all'insieme deli. VIII e della stessa opera. Infatti, ii frammen-
to ci è giunto attraverso la V aria Historia di Eliano (3.18), intellettuale di
cultura greca vissuto sotto ii regno di Caracalla (211-217 d.C.) 5 , che
abbreviô e rimodellô la descrizione utopica di Teopompo. Questo duplice
stadio cronologico, che corrisponde a una distinta prospettiva culturale e
ideologica, è emblematico della complessità dell'elaborazione utopica
antica, caratterizzata da differenti livelli di stratificazione. Per quanto dif-
ficili da distinguere, uno stesso testo permette dunque di esaminare due
momenti diversamente cruciali del percorso dell'utopia antica. Attraverso
gli indizi ricavabili dalla sua analisi e dalla sua contestualizzazione nel-
l'opera elianea, mi propongo, da un lato, di formulare una nuova interpre-
tazione del frammento di Teopompo, sottolineando il legame tra utopia e
viaggio e l'articolata concezione del tempo che lo permea; dall'altro, di
chiarire la ricezione di Eliano e le modificazioni apportate sul modello.

1. Un mondo parallelo

La descrizione teopompea si presenta di ragguardevole ampiezza e di


sorprendente complessità, per quanto la sua forma originale possa esse-
re stata in parte differente e i cambiamenti introdotti da Eliano non ren-
dano perspicui alcuni suoi aspetti non secondari. La sua estensione e
l'interesse specifico dell'autore severiano per taluni dettagli permettono

Cfr. S. CloccoLo, Introduzione e Tipologie greco-ellenistiche di città ideali, entrambi gli inter-
venti in Pensiero utopico e prassi politica nel mondo antico, Utopia and Utopianism 1, 2006, PP. 9-17.
Per questa datazione rinvio a M.T. Scimrrmo, II passato e ii presente di Roma in Eliano, in L.
TRowi - G. Znccumu (edd.), La cultura storica nei primi due secoli dell'Impero romano, Roma 2005,
pp. 283-3 10, con bibliografia precedente.
SPAZIO E TEMPO: CRITICA DI ELIANO ALL'UTOPIA DI TEOPOMPO? 187

di ricostruirne gil elementi salienti e di sottolinearne la problematicità.


Una nuova lettura non puè esimersi da un'interpretazione funzionale a
mettere in rilievo gli aspetti finora sottaciuti o ignorati, al fine di offrire
un'analisi della cosiddetta utopia di Teopompo, che, tenendo conto del-
la contestualizzazione elianea, recuperi una versione pRt rispettosa del-
1 'originale e offra una ricostruzione piit equilibrata delie precedenti6.
La descrizione utopica è presentata da Teopompo come rivelazione
del semidio Sileno al re frigio Mida. Sileno descrive ii nostro mondo e
uno parallelo. Ii nostro mondo consta di tre isoie (Europa, Asia, Libia:
Till) V Epu'mv KC(L TflV 'Aoav KaL Tflv AL6TV viuouc dvai), circon-
date dalle acque dell'Oceano. Ii mondo altro, situato <<al di fuoridel
nostro>>, coincide con un solo immenso continente (rELpoV 6 dvai.
IóVi]T) KE1V1]V TT]V W TO1JTOU TOU Koopou), popolato da esseri umani
giganteschi e straordinariamente longevi. Questi abitanti vivono in
<<molte ed enormi città>> (iroXXàc tv ELVaL Kat. p.cydXac TróXELc), molte-
plici sono i loro costumi, opposte alle nostre le leggi. Ad esemplificazio-
ne di queste comunità, Sileno descrive due città fra loro speculari:
Machimos (<<Battagliera>>: KL TT]V .tv ovojIciEoeaL Mciip.ov) e Eusebes
(<<Religiosa>>: Tfll) 6 EiaEPfl). La vita nella seconda assomiglia alla miti-
ca eta dell'oro, perché gil abitanti non hanno bisogno di lavorare per
essere ricchi, felici e tanto giusti da ricevere visite dagli dei. Gli abitanti
di Machimos (<<Battagliera>>) sono bellicosissimi dalla nascita, pratica-
mente invincibili in armi e tanto ansiosi di sottomettere i popoli vidini
che ii loro dominio Si è infinitamente esteso. La brama di conquista fa Si
che costoro siano gli unici del continente a sentirsi motivati al viaggio
nel nostro mondo. Tale passaggio avviene attraverso 1'Oceano e porta al
paese degli Iperborei. Le condizioni di questo popolo, pur considerato
dagli uomini ii piü felice, sono perè giudicate cos! misere da persuadere
i viaggiatori a non proseguire. Sileno specifica che ii continente è abita-
to da essere umani chiamati Meropes. Ii confine del continente è una
voragine, chiamata A nostos (<<Non-ritorno>>: r' EactTc) 6 TTc xpac
aum)v ToTrol) ElVal. KUL ovojiacaBai AvocrTov), dove ristagna una foschia
rossastra e intorno a cui scorrono i fiumi Lype (<<Dolore>>) e Hedone
(<Piacere>). Lungo le rive dei due fiumi crescono grandi alberi. I frutti
di quelhi presso il flume Lype (<Dolore>) causano in chi se ne ciba tante
lacrime da morirne. I frutti degli alberi lungo Hedone (<<Piacere>>) produ-
cono dapprima, con gioia somma, un oblio atarassico, cui subentra un

6 Interpretazioni differenti sono proposte da I. LANA, Studi sul pensiero politico classico, Napoli
1973, PP. 275-296 [= L'utopia di Teopompo, Paideia 6, 1951, pp. 3-22]; G.S. SHRMPTON, Theopompus'
Treatment of Philip in the Philippica, Phoenix 31, 1977, pp. 123-144; G.J.D. AALDERS, Die Meropes des
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SnluMvroN, Theopompus, pp. 143-145; FLOWER, Theopompus, A ppendix].
188 MARIA TERESA SCHETFINO

ringiovanimento-regressione inarrestabile, che si conclude con ii dissol-


vimento nel nulla7.

In questa elaborazione utopica si individuano almeno cinque motivi


di riflessione.
1)11 primo e ii rapporto fra isola e continente. Tale rapporto è rove-
sciato rispetto al modello principale dell'isola leggendaria e felice, che si
trova nell'Odissea con la Scheria dei Feaci <<lontano dagli uomini che
vivono con fatica>> (Od. 6.8: ècàc àv6p6iv aX49T6wv) 8 . In Teopompo
l'utopia si situa nel "continente aitro", mentre è 11 nostro mondo ad essere
fatto di isole. Tale capovolgimento non è l'unico riconoscibile nel testo.
Quanto alla rappreSentazione del "continente altro", 11011 Si è finora
messo in evidenza che la selezione operata da Eliano modella la descri-
zione di Teopompo in una doppia struttura. Questa sorta di duplicazione
è sottolineata dai seguenti indizi: 1) una nuova allusione a Sileno, che
introduce la raffigurazione deli' area i cui abitanti si chiamano Meropes;
2) la precisazione che ii semidio sta aggiungendo del dettagli riguardan-
ti ii continente (Ta 6 TL 0W4LUOTWTEp0V iTp0E -1-I.eEL); 3) qualche coinci-
denza verbale tra la seconda descrizione e quelia posta all'inizio (<<mol-
te ed enormi città>>: Tr6XEL3 TroXXàç KaL IE'ydX a). Sulla base di tali osser-
vazioni, si puô formulare un'ipotesi diversa rispetto a quella per lo piii
accettata, doe che la regione abitata dai Meropes non sia una parte del
continente, ma corrisponda al SUO intero. In tal caso, il continente costi-
tuirebbe 1' area piü occidentale della terra e sarebbe limitato a ovest dal-
la voragine e a est daii'oceano, attraverso ii quale è possibile raggiunge-
re ii nostro mondo.
2)11 secondo motivo è costituito dal viaggio come ricerca del luogo
felice. Ii desiderio di conoscenza trova la sua realizzazione nel viaggio
per mare, con un vagheggiamento del mito di Odisseo. In questo caso la
ricerca della felicità risulta vano desiderio, che produce delusione: gli
uomini felici sono gil abitanti di Eusebes (<<Religiosa>>) che 11011 Si fanno
tentare dal viaggio. Ii mare diviene un confine affascinante, che è bene
non varcare. Ne consegue che anche gli uomini dovrebbero restare nella
propria isola, delimitata dall'Oceano.
3) La terza osservazione riguarda ii forte rilievo che neli'elaborazio-
ne utopica di Teopompo assume la dimensione politico-sociale. Ii conti-

Le uniche traduzioni recenti sono le seguenti: A. LUKINOVICH - A.-F. MORAND (edd.), Elien.
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SPAZIO E TEMPO: CRITICA DI ELIANO ALL'UTOPIA DI TEOPOMPO? 189

nente è abitato per città, che si distinguono per costituzione, legislazione


e stile di vita. Le due comunità scelte rappresentano rispettivamente un
modello positivo e uno negativo. Nel primo, la comunità vive secondo la
giustizia naturale, che rispecchia un ordine primordiale, in pieno accor-
do con gli dei (l'ordine di Themis, ovvero la <<Giustizia innata>>, nel Pro-
meteo di Eschilo, v. 199-241): non vi è castigo perché non vi è colpa,
non essendovi brama di possesso né di potere. Nel secondo, determinato
dalla brama di dominio tenitoriale, vige una costituzione militare, che
ricorda per eccesso quella di Sparta o della Macedonia 10•
4)11 quarto spunto di riflessione attiene alla rappresentazione tempo-
rale. L'utopia e collocata in una dimensione alterata del tempo su piü
livelli. a) Un livello, di carattere generale, è costituito dal fatto che nel
"continente altro" ii tempo è dilatato rispetto al nostro (gli abitanti vivo-
no infatti ii doppio di quanto accada nel nostro mondo). Questa caratte-
ristica avvicina tutto ii continente al mondO degli dei, quasi zona di
mediazione tra dimensione terrena e ultraterrena. Non a caso, l'elabora-
zione utopica avviene nel contesto di rivelazione sacrale da parte di un
semidio, quale Sileno".
b) Esiste poi un livello specifico, che contempla due categorie,
rispettivamente 1' eucronia (concezione utopica positiva del tempo) e
l'oucronia (annullamento del tempo) 12 . Nella città di Eusebes (<<Religio-
sa>>) l'eucronia si manifesta nella persistenza dell'età dell'oro, percepita
dal lettore come un ritorno alle origini felici della storia. Ii tempo appa-
re sospeso in un'epoca dalla connotazione semileggendaria. A11'età del-
l'oro si contrappone l'età del bronzo, rappresentata dagli invulnerabili
guerrieri di Machimos (<<Battagliera>>). Ai confini della voragine di A no-
stos il frutto di Hedone (<<Piacere>>) produce la regressione del tempo
fino alla sua cancellazione (oucronia). Si nota, a mio parere, ii rovescia-
mento del topos utopico positivo del ringiovanimento magico 11 , perché
esso si conclude con la non-nascita, ovvero la morte. Tale possibile con-
clusione getta un'ombra cupa sull'esistenza felice degli abitanti di <<Reli-
giosa>>, destinati anch'essi a scomparire nel vuoto della non-esistenza'4

Vd. M. CoRs<o, Themis. La norma e l'oracolo nella Grecia antica, Galatina 1988.
10
Vd. SHRIMPTON, Theopompus' Treatment, pp. 123-144.
Vd. E. PELLIZuR, II tocco di Mida. L'immaginario della ricchezza e ii tema della cosapid bella,
in ID., La peripezia dell'eletto. Racconti eroici della Grecia antica, Palermo 1991, pp. 94-109 [= Taccui-
ni, Padova 1986, vol.2, pp. 55-701.
12
Sul concetto di oucronia cfr. H. Hu000 - P. KOJOM (edd.), De l'utopie a l'uchronie, Tubingen
1988.
° Su questo argomento cfr. F. D'ALFONSO, II ringiovanimento nelle terre dell'utopia, RCCM 15,
2003, pp. 7-32.
14
L. GERNOT, La cite future et le pays des morts, REG 46, 1933, pp. 293-330 [= La cittàfutura e ii
paese dei morti, in R. Di DONA TO (ed.), A ntropologia della Grecia arcaica, Milano 1983, pp. 113-1251.
190 MARIA TERESA SCIIEITINO

Mi domando se l'inclusione della descrizione di Teopompo nella catego-


na del thaumasia non abbia influenzato la maggior parte degli studiosi
nel considerarla e rappresentarla come un'utopia positiva. In realtà thau-
masion costituisce una vox media, che non implica esciusivamente rac-
conti meravigliosi e perciô positivi.
Si e inoltre trascurato lo stato frammentario della descnizione, con
due conseguenze. Ora, la complessità dell'elaborazione di Teopompo è
stata semplificata, in quanto ii racconto di Eliano è stato assunto quale
coincidente con ii testo originale. Ora, la valutazione moderna della
descrizione teopompea come utopia ha implicato l'identificazione di un
sistema coerente, tutto positivo o tutto negativo, maigrado le contraddi-
zioni lasciate dai tagli operati da Eliano.
5) L'ultima osservazione riguarda la struttura della descnizione.
L'utopia di Teopompo è svolta secondo un procedimento bipolare che la
informa nello specifico (le due città speculari) e nell'organizzazione
generale. Tale duplice struttura contiene in vettori paralleli progetto e
critica, talora intrecciati tra di loro, che rendono ogni interpretazione uni-
voca incoerente.
Ii testo è infatti cos! pregnante e ambiguo da non esaunire gil spunti di
niflessione. La bipolarità strutturale pone aicuni problemi concettuali
riguardanti i'utopia antica - problemi che tuttavia costituiscono un nodo
nevralgico del pensiero utopico in sé. Essa induce a interrogarsi sulle cate-
gone duplici di eutopia-distopia e di utopia-antiutopia e sui loro rapporti
intemi, in aitri termini .a niflettere sul significato e i limiti di tall definizio-
ni. Una possibile interpretazione dell'elaborazione di Teopompo vede nel-
le prime due categorie in opposizione (eutopia-distopia) elementi delle
altre due (utopia-antiutopia), le quail entrambe costituiscono un sistema.
Nell'impianto utopico del "continente altro" l'eutopia di Eusebes (<<Reli-
giosa>>) è descnitta in contrapposizione alla distopia di Machimos (<<Batta-
gliera>>). All'utopia della vita nelle città, in ogni caso migliore della pin
felice condizione possibile nel nostro mondo (confronto tra i Machimoi , i
<Battag1ieni>, e gil Iperborel), si oppone l'antiutopia radicale, che annulla
pensiero e esistenza nella voragine di A nostos, ii <<Non-nitonno>>.

2. Ringiovanimento o rigenerazione?
L'utopia di Teopompoè sopravvissuta perché conservata nellã Varia
historia di Claudio Eliano L'opera, dei pnimi decenni del III secolo d.C.,
è una raccolta miscellanea di pensieni, notizie ed episodi di diverso argo-
mento. Come dimostra ii conimento con cui chiude ii capitolo, Eliano
propone in forma cnitica il racconto teopompeo, cui già un autore di poco
precedente, Luciano di Samosata, aveva fatto riferimento, niservandogli
SPAZIO E TEMPO: CRITICA DI ELIANO ALL'UTOPIA DI TEOPOMPO? 191

un analogo scetticismo. Luciano non cita esplicitamente ii passo teopom-


peo, ma gli abitanti di <<B attagliera>> sono ben riconoscibili nel loro ribal-
tamento parodistico inserito nella Storia vera (1.10.21), dove i Seleniti e
ii popoio del Sole sono incessantemente desiderosi di armare eserciti e di
combattere' 5 . A distanza di oltre mezzo millennio ii testo di Teopompo
incontrô la notorietà, divenendo oggetto di riflessione presso intellettuali
di lingua greca, in vista nel panorama culturale dell'impero romano 16•
La profonda spiritualità di Eliano induce a identificare nel contesto
di rivelazione dell'utopia teopompea la ragione dell'inclusione del rac-
conto nella V aria Historia. Lo scettismo che l'autore severiano mostra
alla fine di VH 3.18 non si accorda con ii suo atteggiamento usuale, per-
fino quando egli riporta stone mitiche o fantastiche. Ii suo giudizio nega-
tivo concorda peraltro con quello lucianeo. Ne consegue che la ragione
di tale scetticismo trova rispondenza nelle trasformazioni del contesto
storico e nelle tracce che esse hanno lasciato sull'interpretazione del-
l'utopia di Teopompo.
Due ragioni possono essere individuate nella critica elianea. La pri-
ma si interseca con la visione e la rappresentazione dell'impero. Nella
prospettiva romana, 1' orbis terrarum (<<globo terrestre>>), veniva quasi a
coincidere con ii mondo conosciuto posto sotto il dominio di Roma (Ov.,
Fasti 2.684)'. Perciè, nella rappresentazione del mondo di Eliano,
l'oceano doveva essere l'estremo limite occidentale dell'impero roma-
no. Da un lato, il suo interesse si focalizzava sulle popolazioni situate a
nord-est o nelle regioni orientali dell'impero, in accordo con il punto di
vista strategico del contemporaneo entourage della corte dei Seven18.
Dall'altro, l'estensione ternitoriale e il potere politico dell'impero roma-
no rendeva difficile immaginare un mondo piii felice dell'impero stes-
so 19• L'utopia era configurata nel mito o in un'altra dimensione al di fuo-
ri della terra, come lo stesso Luciano dimostra 2 . Essa poteva sottinten-

' Sui "mondi altri" in Luciano, rinvio all'articolo di C. Carsana in questo stesso volume, alle pp.
177-184.
6
In generale, sulla Seconda Sofistica vd. G.W. BOWERSOCK, Greek Sophists in the Roman Empire,
Oxford 1969.
17
Ov., Fasti , 2.684: Gentibus est aliis tellus data limite certo: / Romanae spatium est Urbis et Orbis
idem (ela terra degli altri popoli ha un confine certo: l'estensione di Roma è lo stesso mondo>>). Sull'ar-
gomento cfr. C. NICOLET, L'Empire romain: espace, temps et politique, Ktema 8, 1981, pp. 163-173; P.
ARr<oun, L'image du globe dans le monde romain, MEFRA 1984, pp. 53-116. Sul legame tra conoscen-
za del mondo e desiderio di conquista nella concezione romana, vd. C. NICOLET, L'inventaire du monde,
Paris 1988.
j Vd. C. LETFA, La dinastia dei Seven, in Stonia di Roma, 2.2, Torino 1991, PP. 678-679.
19
Sul rapporto tra utopia e visione dell'impero all'epoca dei Seven, vd. M.T. SCHETrINO, Conscien-
ce de la cnise, utopie et perspectives réformatnices a l'epoque des Sévères, Latomus 67, 2008, pp. 985-
999.
20
Sulla luna, nel pnimo libro della V era Historia; nel secondo libro, sfortunatamente l'ultimo giun-
toci, Luciano promette altre descrizioni di terre e di popoli al di là della voragine (xdopa) che segna 11
confine del nostro continente.
192 MARIA TERESA SCHEYFINO

dere la polemica e la critica nei confronti del proprio tempo, ma difficil-


mente prevedeva la riformulazione di un sistema alternativo rispetto al
potere politico e istituzionale incarnato dall'impero romano e alla sua
rappresentazione.
La seconda ragione potrebbe essere specifica dell'ideologia di Eliano.
Recenti studi hanno sottolineato la sua accuratá sélezione degli argomen-
ti trattati e delle fonti us ate, rappresentative sia del suO modo di pensare
che dei suoi interessi 21 . Nel caso del passo teopompeo, Eliano rimodella
ii testo orginale, per offrire la sua interpretazione. Egli conserva ii conte-
sto sacrale, che ha attirato la sua attenzione, e le parti che intende critica-
re. Ii suo disaccordo riguarda non solo la rappresentazione geografica, ma
ii cuore stesso dell'utopia di Teopompo, che Eliano identifica con la
visione cupa della landa desolata del niente Ora, la sua V aria Historia è
caratterizzata da un substrato religioso, che mostra un cuore isiaco-pita-
gorico. Lo stesso Eliano rivestl una carica religiosa, come attesta la
Suda 22 , probabilmente presso il tempio della dea Iside a Preneste, sua cit-
tà natale 23 . La sua credenza nella metempsicosi doveva indurlo a rifiuta-
re l'esistenza di un luogo dove ciascuno fosse annulato (come la voragi-
ne descritta da Teopompo); le sue convinzioni religiose sottolineavano
un'opposta 'utopia': la rigenerazione rappresentata dal mito della fenice.

MARIA TERESA SclrrINo


Université de La Rochelle

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me Sophistique: Hommage a Jacques Schamp, Bruxelles 2006, pp. 420-430. Come è ben noto, nella
recente bibliografia vi è un forte interesse per 1' atteggiamento culturale e ii ruolo politico svolto dagli
intellettuali greci dell'epoca imperiale.
22
Suda, s.v. AtXLaóR (Al 178): thrô EpaLvEo-i-oU TRI ITaXLaS, dPXLEPEt cat 90 4laT RI [...].
23
Secondo un'ipotesi recente: cfr. SCHETTINO, 11 passato, pp.283-310.
SPAZIO E TEMPO: CRITICA DI ELIANO ALL'UTOPIA DI TEOPOMPO? 193

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194 MARIA TERESA SCHET1INO

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UTOPIE MILITARII TARDOANTICHE?

Ii grandioso progetto utopico distribuito nelle ultime Vite dell'Histo-


na Augusta risulta articolato in tre stadi (innanzitutto la sottomissione a
Roma di tutta l'ecumene dall'Irlanda alla Cina, dalla Sarmazia all'intera
Africa, poi ii congedo dell'esercito, ormai divenuto inutile, e la conse-
guente diminuzione della pressione fiscale, infine ii lungo governo di un
saggio e anziano imperatore senza figli, destinato a restituire ii governo
del mondo al senato, garante della nuova eta dell'oro)', di cui ii primo
presuppone capacità militari in stridente contrasto con la realtà.
Circa vent'anni dopo la messa a punto di questo disegno all'interno del-
l'aristocrazia senatoria pagana un sacerdote e storico cristiano, Paolo Oro-
sio, poteva auspicare nel 417/8 una ripresa della spinta espansionistica di
Roma grazie al contributo delle forze giovani e fresche dei Visigoti 2: la
posizione di Orosio appare certo meno assurda di quella dell'HA sia perché
sembra accontentarsi di un'espansione generica, anche limitata e quindi piü
fattibile, sia perché l'indicazione dei Visigoti quali agenti di tale espansio-
ne implica la consapevolezza che i Romani da soli non sarebbero riusciti ad
attuarla; all'augurio di una ripresa espansionistica si affianca la prefigura-
zione di un'alternativa riguardo agli altri barbari invasori, che si sterminino
tra loro o che convertano i propri costumi da quelli guerrieri della spada a
quelli pacifici dell' aratro 3 . Entrambe queste idee, almeno dal nostro punto
di vista, sono segnate da un evidente scollamento tra ii desiderio e la realtà.
B probabile che Orosio facesse propria nella sua opera una suggestio-
ne veramente avanzata da Ataulfo in occasione delle sue nozze narbone-
si con Galla Placidia pochi anni prima, nel 414, quando il re lanciè ii pro-
getto di un'alleanza romano-visigota in grado di incrementare i dominii
imperiali 4 ; trent' anni piü tardi l'esaltazione di Aezio come novello Cesa-
re sottintendeva peraltro un confronto del tutto squilibrato tra 1' antico

Ho studiato questo 'progetto' delI'HA in G. ZuCCHINI, L'utopia nell'Historia Augusta, Historiae


Augustae Colloquium Bambergense, Bari 2007, pp. 343-353.
2 Oros. 7,43,6.
Oros. 7,41,7-8.
Ataulfo usa I'espressione augendo [ . 1 Romano nomine; ii migliore studio sul capitolo 7,43 di
Orosio e su ciô che di esso va attribuito ad Ataulfo o invece ad Orosio stesso è A. MARCHErTA, Orosio e
A taulfo nell'ideologia dei rapporti romano-barbarici, Roma 1987 con la mia recensione in Aevum 1989,
pp. 120-124.
196 - GIIJSEPPE ZECCHINT

conquistatore delle Gallie e colui che faticosamente cercava di tenere in


qualche modo vincolate a Roma le numerose popolazioni barbariche
ormai insediate sul suolo gallico 5; ancora nel 450 l'anziana Galla Placi-
dia riprendeva l'antico disegno della giovinezza, riproponendo alla gui-
da dell'impero una coppia romano-barbarica, sua figlia Onoria e ii re
degli Unni Attila, che avrebbe dovuto assicurare a Roma quella forza
militare perduta ormai da tempo 6•
In genere noi constatiamo che nell'Occidente romano tra IV e V
secolo i capi militari (Ataulfo; Aezio; Attila) coltivano disegni e pratica-
no politiche nel complesso realistiche e adatte ai tempi, ma non si sot-
traggono del tutto a suggestioni e confronti con un passato, la cui ripro-
duzione sembra del tutto anacronistica; gli intellettuali invece, sia paga-
ni (1' autore deli 'HA), sia cristiani (Orosio), sono molto piui 'estremistici'
nel senso che non esitano a delineare scenari futuri e a porre ai responsa-
bili della politica imperiale attese ed esigenze integralmente utopistiche.
Se ci spostiamo da Occidente ad Oriente, ma in un Oriente latinizza-
to, e restiamo press 'a poco nel medesimo ultimo decennio del IV secolo,
in cui scrive l'autore dell'HA, noi ci imbattiamo nella grande opera sto-
rica di Ammiano Marcellino: come è noto, ii finale è quello tragico ed
amaro della disfatta di Valente ad Adrianopoli nel 378 contro i Goti, che
peraltro evoca allo storico ii paragone con Canne 7 , certo una catastrofe,
ma alla quale seguI un'incredibile ripresa; ii paragone introduce quindi
una iota di Speranza nella chiusura delle Res gestae, per cui Adrianopo-
li poteva considerarsi una sventurata parentesi e che sembra legata a un
ricupero di efficienza militare, quale era forse lecito vagheggiare dopo le
vittoriose campagne di Teodosio contro Magno Massimo ed Eugenio. La
Speranza è sempre lecita e mai utopica, ma una diversa luce si riverbera
anche sulle ultime pagine di Ammiano, se noi le inseriamo in un conte-
sto, che tenga conto di altri testi coevi.
Ii piü importante testo militare di quest'epoca è certamente l'Epito-
ma rei militaris di Vegezio; l'assenza di dati biografici sull'autore rende
incerta la sua collocazione culturale tra l'Occidente, a cui l'assegnereb-
be la lingua latina, e l'Oriente, a cui l'assegnerebbe invece la genesi del-
l'opera, scritta con ogni probabilità tra ii 383 e ii 391 e rivolta a Teodo-
sio, allora imperatore d'Oriente 8 : si ritrova in Vegezio la medesima
ambiguità già riScontrata in Ammiano. Resta ii fatto che l'Epitoma rei

Su Aezio novello Cesare nei testi coevi di Merobaude e Frigerido cfr. G. ZECCHINT, Ricerche di
storiografia latina tardoantica, Roma 1993, pp. 163-179.
6 Cfr. G. ZEccifiNI,
A ttila in Italia: ragioni politiche e sfondo 'ideologico' di un'invasione, in
S. BLASON SCAREL (ed.), A ttila flagellum Dei?, Roma 1994, pp. 92-107, ripreso ora in Jo., A ttila, Palermo
2007.
Amm. 31,13,19.
8 Su Vegezio e la sua datazione eft. in particolare W.
GOFFART, The Date and Purpose of V ege-
UTOPIE MILITARI TARDOANTICHE? 197

militaris è anch'essa certamente composta dopo la battaglia di Adriano-


poli, la quale aveva drammaticamente rivelato la debolezza dell'impero,
soprattutto della pars Orientis, verso i barbari, sia per la sconfitta in sé,
sia, ancor di piii, per l'impossibilità economica e demografica di rim-
piazzare 1' esercito 11 distrutto. Come è noto, nei convulsi anni successivi
al disastro Teodosio, da esperto generale qual era, si era reso conto che
non era ii caso di tentare di nuovo la fortuna delle armi e aveva ripiega-
to sulla diplomazia, cercando di dividere i Goti, di stringere singoli patti
con singole componenti della coalizione vittoriosa, di distribuire i barba-
ri in zone tra loro distanti per spezzare un'unità, che i Romani, non a y e-
vano piü la forza di affrontare nel suo complesso 9 . Ii grosso dei barbari
era comunque stato arruolato nell'esercito romano, contribuendo alla
ripresa della sua consistenza numerica, come afferma senza esitazioni
Temistio nel 3 84 10 , ma anche alla sua definitiva barbarizzazione, almeno
secondo l'opinione ostile a Teodosio e per noi rappresentata da Eunapio-
Zosimo, che denuncia scandalizzato ii fenomeno", senza.peraltro pro-
porre concrete alternative.
Proprio Vegezio si pose ii problema deli' alternativa alla barbarizza-
zione dell'esercito; infatti nella sua opera l'elemento barbarico non com-
pare e tutti i consigli e i suggerimenti dello scrittore sono rivolti alla
restaurazione di un esercito in tutto e per tutto romano. Egli parte dal
presupposto, certamente attuale, deli' inferiorità numerica dei Romani
nei confronti dei loro nemici 12, ma ritiene che si possa superare questo
problema grazie al superiore addestramento (a11'exercitatic tironum è
dedicato ii I libro), al recupero del modello militare della legione (a cui

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di Valentiniano III).
Da ultimo su Teodosio I e i Goti dopo Adrianopoli (con ridimensionamento del cosiddetto 'trat-
tato del 382') cfr. G. ZECCHINS, Laformazione degli statifederali romano-barbarici, in ID. (ed .), Ilfede-
ralismo nel mondo antico, Milano 2005, pp. 129-143.
'° Themist.1 8 ,222a ( TrXouTOE T000uTOV P69KEL aTpaT61 lciov obTroTE i) 'PwiaIuv frye Hovia); per i'm-
quadramento cronologico del discorso cfr. J. VANDERSPOEL, Themistius and the Imperial Court, Ann
Arbor 1995, pp. 10-12.
' Zos. 4,30 e 4,59,3 (l'impero romano trasformato da Teodosio I in un PappdpWV oiK1TipLov).
' Veget. 1,1,3, o''e la paucitas Romana è contrapposta alla Gallorum multitudinem.
198 GIUSEPPE ZECCHINI

è dedicato jill libro) e a una migliore organizzazione logistica (a cui è


dedicata la prima parte del III iibro); poco spazio è dato aila cavalleria
(compresa la cavaileria corazzata) neila seconda parte del medesimo III
libro, in aperta controtendenza rispetto ail'evoluzione deil'esercito
romano aimeno daila riforma militare di Galiieno in poi; infine, dopo le
regulae bellorum generales, che chiudono ii III iibro, quasi in appendice
ii IV libro tratta delia poliorcetica, delle macchine d'assedio e, piü in
generale, deli' artigiieria e, infine, della guerra navale; si noti che alia
fine del II libro un solo capitolo è riservato alie machinae legionis, ali'ar-
tiglieria iegionaria, e Cl Si limita a uno scarno elenco, che viene poi ripre-
so e spiegato in piü capitoii del IV iibro. La centralità della fanteria
legionaria nell'esercito auSpicato da Vegezio è giustificata dal richiamo
a un gruppo ristretto e ben preciso di autorità, in cui sono affiancati pre-
cedenti scriptores rerum inilitarium come Catone ii censore, Celso,
Frontino e Tarruteno Paterno (dunque dal II secolo a.C. ali'età di Corn-
modo) e le constitutiones di Augusto, Traiano e Adriano13.
Ora, al di là dell'evocazione di Traiano, forse inevitabile in un con-
testo teodosiano 14, la riproposizione nei tardo IV secolo di un modello
militare augusteo-adrianeo, risalente da quattro a due secoli e mezzo pri-
ma, poteva avere una vaienza nostaigica, ma non aveva nessuna possibi-
lità di essere realizzata. Da questo punto di vista appare francamente piü
realistico persino i'A nonymus de rebus bellicis, che pochi anni prima
aveva individuato nella tecnologia la soluzione di tutti i problemi del-
l'esercito tardoantico e aveva concepito una serie di macchine militari
capaci di sopperire, grazie aile maggiori conoscenze scientifiche dei
Romani, a una ormai cronica mancanza di uomini e di denaro Is: nei-
l'A nonymus i'artigiieria, non la fanteria iegionaria, la qualita tecnica,
non la disciplina e la virtii, e posta al centro di ogni progetto di riforma
miiitare.
Eppure non c'è dubbio che Vegezio fu 'preso sui serio' ed ebbe mag-
gior fortuna deil'A nonyinus, se le sue regulae bellorum generales furono
tradotte e inserite nei proprio TpaT1y7LK6v dail'imperatore Maurizio 16 e
se abbiamo chiari segni della sua conoscenza neila Costantinopoii di V-

13
Veget. 1,8,10-11 (elenco completo) e 1,27,1 (solo le constitutiones di Augusto e Adriano). Per
un'interpretazione complessiva di vegezio le pagine forse migliori restano queue di E. GABBA, Tecnica
militare antica, in Tecnologia, economia, società nel mondo romano, Como 1980,
pp. 210-234, soprat-
tutto pp. 232-233, macfr. ora anche la monografia di CITAILEs cit. supra alla nota 8.
4 Cfr. ZaccmNI,
Ricerche, 133 sgg.
15 Sull'
A nonymus de rebus bellicis basti II rinvio a A. GI.&lurn.6A (ed.),A nonimo. Le cose della guer-
ra, Milano-Verona 1989. Anche MAICONE, Ii De re militari, p. 136 sottolinea la maggior modernità e
capacità propositiva delI'A nonymus rispetto a Vegezio.
6
P. RIdnAajJor, V égèce et la culture militaire au Moyen A ge (V e-X V e siècles), Paris 1998,
pp. 139-
142.
UTOPIE MILITARI TARDOANTICHE? 199

VI secolo 17; di nuovo e difficile sottrarsi al disagio che provoca in noi


quest'evidente scollamento tra ii piü organico trattato militare tardoanti-
co e la deprimente realtà deli'epoca: sembra di leggere un libro dei
sogni.
Ii piü importante testo politico dell'epoca è invece ii IIEpL I3aoiXELa3
rivolto da Sinesio ad Arcadio nel 40018. La tesi principale di quest' ope-
ra è che i barbari vanno cacciati dall'esercito 19 e che è necessario proce-
dere all'arruolamento in massa dei Romani, i contadini soprattutto, ma
sinanche i filosofi, gli artigiani, i commercianti e gli sfaccendati che tra-
scorrono la vita nei teatri, per formare di nuovo un esercito 'nazionale'
(T?lv L criv 'PwIaLoLc 0LKELav) 20 ; come in concreto ciô sia fattibile non è
detto, se si esclude la precedente suggestione che un sovrano capace di
presentarsi come cornmilitone dei propri uomini, di condividerne la vita
e i sacrifici, è il miglior esempio per risuscitare la vocazione guerriera
dei Romani 21 : restiamo dunque nei limiti di un nobile, ma astratto appel-
lo. Quel che perô piü colpisce, a mio avviso, e che nell'introduzione del
discorso Arcadio è raffigurato come dotato di un impero grande come
nessun altro, di ricchezze superiori a queue dell'antico Dario, di cos!
numerosi soldati, cavalieri, arcieri e catafratti che, se ben comandati,
rendono vana ogni resiStenza al loro urto (Ka rrrrov TroXXaKL iupLav,
KG'L Touc XP LEvouc ToóTaç TE KaL eu)paKo46pou3, TfpOS' ouc, Tfl'EIovoc
TUYXaVOVTOS, acreEvEc TFV TO aveL9T6IIEvov) 22 ; un'affermazione analo-
ga era già stata fatta da Temistio poco piü di un decennio prima, come si
è visto: da Sinesio si ricaverebbe quindi che il problema è solo quello di
sostituire i soldati barbari, inaffidabili, coi romani, non che le dimensio-
ni delle forze armate sono insufficienti per sorvegliare i confini dell'im-
pero e affrontare le diverse minacce, che potevano occorrere, anzi l'im-
magine offerta è quella di un esercito romano invincibile proprio per la
sua grandezza ed esposto a un solo rischio, quello di essere mal guidato
da generali non all'altezza del formidabile strumento bellico a loro
disposizione.

17 Dalla sottoscrizione a una copia delI'Epitoma da parte di Fl. Eutropio nel 450 alle citazioni in Pri-

sciano e Giovanni Lido: cfr. RIdHDoT cit. alla nota precedente e Rnnva, V egetius, p. XI.
IS L'opera di riferimento è ancora Chr. LACOMBRADE, Le Discours sur la Royauté de Synésios de

Cyrène a l'empereurA rcadios, Paris 1951; cfr. anche A. GARZYA (ed.), Opere di Sinesio di Cirene, Tori-
no 1989, pp. 382-451 e soprattutto H .A . GARTNER, Des Synesios Rede Uber das Konigtum Tradition und
Aktualität, Festschr. A. Dihie, Gottingen 1993, PP. 105-121 e H. BRANDT, Die Rede peri basileias des
Synesios von Kyrene: ein ungewohnlicher Fiirstenspiegel, Mélanges J.-P. Callu, Rome 2003, pp. 57-70.
19
In genere cfr. R. Lizzi, Signzflcato filosofico e politico dell'antibarbarismo sinesiano, Rendicon-
ti accademia architett., lett. e belle arti di Napoli 1981, pp. 49-62 e P.J. HEATHER, The anti-Scythian Tira-
de of Synesius' De regno, Phoenix 1988, pp. 152-172.
20
Synes. De regno 19.
21
Synes. De regno 13.
12
Synes. De regno 4.
200 GIUSEPPE ZECCHINI

Ora, ii Sinesio che scrive queste cose sull'esercito romano non è un


personaggio fuori dalla realtà del suo tempo, ma è un notabile cirenaico,
che negli anni precedenti aveva sofferto le incursioni dei barbari africa-
ni, gli Ausuriani e i Maceti, contro la sua città e aveva partecipato alla
resistenza armata dei civili di Cirene in assenza di una protezione milita-
re sufficiente 23 ; è lo stesso che nella Costantinopoli dell'anno 400 assi-
ste alla rivolta dei civili contro i God di Gainas e poi dovette essere
informato dello sterminio dei Goti superstiti in fuga dalla capitale
d'Oriente ad opera delle bande unne di Uldin in Tracia 24 , mentre del-
l'esercito imperiale non c'è traccia.
Di questa discrasia tra affermazioni scritte e realtà fattuale Sinesio
non è l'unica vittima; gli Si pUÔ infatti affiancare per coordinate spazio-
temporali un testo, che in apparenza nulla ha a che vedere con la nostra
tematica, ma che peraltro rientra perfettamente nella tradizione utopica
della letteratura ellenistica, ii De gentibus Indiae et Bra gmanibus di Pal-
ladio, ii vescovo di Elenopoli in Bitinia, autore anche della celebre
Historia Lausiaca 25 . Ii De gentibus Indiae et Bragmanibus, che ci è
giunto come sezione del Romanzo di A lessandro dello Ps .-Callistene ed
ebbe enorme successo e diffusione tanto da essere subito tradotto in lati-
no (e la traduzione fu attribuita nientedimeno che a S. Ambrogio) 26 nar-
ra del viaggio di uno scolastico di Tebe d'Egitto verso l'India alla ricer-
ca dei Brachmani e del suo soggiorno nella 'mitica' isola di Taprobane
(1' odierno Sri Lanka), piILi o meno sovrapponibile ad altre 'mitiche' isole
di tradizione ellenistica situate ad Oriente nell' Oceano, come Panchaia e
l'anonima isola di lambulo. In questa sede non voglio soffermarmi sulla
descrizione dell'isola, delle sue caratteristiche climatiche e dei suoi pro-
dotti, che permettono agli abitanti una vita cos! comoda e dolce da assi-
curare loro la longevita e da qualificarli come p.aicpoLoL: si tratta oltretut-
to di caratteristiche non originali, bensI stereotipe e risalenti alla lettera-

23 Synes. Epp.
104, 113, 125 e 130 (ove l'unica menzione dei Maceti), nonchè Philost. 11,8; in
generecfr. D. ROQUBS, Synésios de Cyrène et la Cyrénaique an has empire, Paris 1988.
24
Sugli eventi a Costantinopoli e ii soggiomo di Sinesio nella capitale cfr.T.D. BARNES, Synesius in
Constantinople, GRBS 1986, 93-112 (anni 397-400); D. ROQUES, Synésios a Constantinople 399-402,
Byzantion 1995, pp. 405-439 (anni 399-402). Sugli eventi in Tracia cfr. Zos. 5,22,1-3.
25 Su Palladio e
ilDe gentibus cfr. J.D.M. DaRNarr, The History of ePalladius on the Races of India
and the Brahmansv, C&M 1960, pp. 64-99 e 100-135; ID., The Theban Scholasticus and Malabar in c.
355-360, JAOS 1962, pp. 21-31; W. BERGHOFF (ed.), De gentibus Indiae et Bragmanibus, Meisenheim
1967; J. DESANGES, D'A ssam, auxportes de la Chine. Le voyage du Scholasticus de Thebes (entre 360 et
500 ap. J.C.), Historia 1969, pp. 627-639; B. BERG, The Letter of Palladius on India, Byzantion 1974, pp.
5-16; P. BRUNEL, Le De moribus Brachmanorum. Histoire du texte etproblèmes d'attribution, I, Mhm. du
Centre J. Palerne 1978, pp. 27-34; G. DESANTIS (ed.), Le genti dell'India e i Brahmani I Pseudo-Palladio,
Roma 1992. Derrett e Desantis preferiscono riferirsi a uno 'Ps.-Palladio', gli altri, come me, credono
plausibile l'identificazone con Palladio di Elenopoli, cioè con l'autore dell'Historia Lausiaca.
26
Oltre a BRUNEL cit. nella nota precedente cfr. anche T. PRITCHARD, The eA mbroses Text of A le-
xander and the Brahmans, C&M 1993, pp. 109-139.
UTOPIE MILITAPJ TARDOANTICHE? 201

tura ellenistica, da Teopompo a Diodoro 27 . Quel che conta è invece la


seconda parte del racconto dello scolastico di Tebe, laddove questi rife-
risce della sua prigionia sull'isola, durata sei anni e trascorsa a lavorare
come servo nel panificio del palazzo reale; da tale penosa condizione
egli venne liberato, perché un altro régolo dell'isola denunciô al Gran Re
di Taprobane che un Romano di elevato livello sociale vi era detenuto
come prigioniero e schiavo; accertata la yenta, il Gran Re fece condan-
nare a un orribile supplizio ii régolo responsabile di questa offesa: infat-
ti gli abitanti di Taprobane tengono nel massimo onore l'impero romano
e vivono nel timore che i Romani invadano la loro terra, data la loro
superiorità in valor militare e capacità tecniche (XyovTaL yap rdu
TLIJ.aV TflV 'PuaLuw I3aaLXE LGV, (Wà KUL o I3EIoOaL thc 8uvap.6'ouc Tqc
XthPGS GUTWI) E1TLI3flVaL BL U1TE PI3OX fl V av6pELctS KG.L E15IrxavLa3)28.
Si è voluto collegare questa perentoria affermazione - che in un
ambito genericamente indiano si temesse un'invasione da parte di Roma
e si fosse consapevoli di non essere in grado di sostenerla - con la guer-
ra persiana di 'Giuliano: in seguito anche solo .una suggestione di questo
tipo sarebbe apparsa assurda; di conseguenza Palladio scriverebbe negli
anni '70 del IV secolo 29 . Ii collegamento mi pare perO inaccettabile: da
un lato si sopravvaluterebbe cos! l'impatto della spedizione giulianea
contro la Persia, che fallI subito dopo essere cominciata; dall' altro lato
non è ammissibile una sia pure indiretta celebrazione della potenza
romana agganciata al regno di Giuliano in uno scrittore cristiano come
Palladio. Molto piü probabile e il collegamento tra ii soggiorno di Palla-
dio nella Tebaide dopo ii 406, quando dovette abbandonare la sua sede
episcopale, in quanto sostenitore di Gregorio di Nazianzo, accusato di
origenismo al Sinodo della Quercia del 403 e caduto in disgrazia presso
Arcadio 30 , e l'incontro con uno scolastico appunto di Tebe, che l'avreb-
be informato del suo viaggio: allora, ii De gentibus Indiae et Bra gmani-
bus sarebbe stato composto dopo il 413, quando Palladio potè lasciare la
Tebaide e tornare in patria31.
Questa cronologia ci riporta non solo quasi agli stessi anni di Sinesio,
poco dopo la rivolta degli abitanti di Costantinopoli contro i Goti di Gai-

27 Theopomp. fr.75c Jacoby apud Aelian. V H 3,18; Diod. 2,55-60 (isola di lambulo); Diod. 5,41

(Panchaia).
28 PaIlad. De gentibus 10 Berghoff, che mantiene la lezione LqnxavIae adottata dal Muller nella

edizione didotiana; nel testo traduco di conseguenza; nella tradizione manoscritta compare perb anche la
lezione alternativa dtaxLa.
29 Cos! DERREVr, The History, pp. 64-99 e 100-135.
30 Cosi in breve CHR. MOHRMANN (ed.), Palladio. La Storia Lausiaca, Milano-Verona 1974, pp.

XIll-XIV.
' Mi attengo ai dati biografici forniti dalla MoHIovlAr'mo cit. alla nota preCedente per formulare una
mia ipotesi sulla composizione dell'opera; la Mohrmann, dal canto SUO, non Crede che essa sia di Palla-
dio.
202 GIUSEPPE ZECCHINI

nas, ma ci permette di collocare lo scritto dopo la fine del regno di Arca-


dio e all'inizio di quello di Teodosio II, due principes pueri, in una fase
di grande debolezza deli'impero d'Oriente: non solo gil ultimi anni di
Arcadio sono angustiati dalia minaccia di un attacco in Illirico da parte
di Stilicone, deciso ad affermare la propria supremazia anche sulla pars
Orientis, ma 1' Oriente vero e proprio, in particolare la Siria, la Cilicia e
la Cappadocia, confinante con la Bitinia, furono oggetto di una pesante
invasione unna tra ii 395 e ii 398 12 . Su questo sfondo immaginare che
l'esercito romano potesse essere avvertito come una minaccia per l'India
meridionale è qualcosa fuori delia realtà, appunto 'utopico'.
B inevitabile porsi allora la domanda: perché intellettuali saldamente
inseriti neila società del loro tempo come Jo scrittore di argomenti mili-
tari Vegezio, ii notabile e futuro vescovo Sinesio, ii vescovo Palladio
condividono e affermano senza esitazioni una visione della potenza miii-
tare romana, che noi ritroviamo nel grandioso disegno utopico dell'HA
(dove significativamente Taprobane è indicata tra i luoghi oggetto della
futura espansione militare di Roma)", ma che non trova riscontro nelle
esasperanti ristrettezze di mezzi, in cui operano gil eserciti imperiali tra
IV e V secolo?
La risposta piü semplice ed immediata induce a liquidare questa
visione della potenza di Roma come uno stereotipo, che viene impiega-
to meccanicamente, come ii frutto non certo di un'adeguata riflessione
politico-militare, bensI di un'anacronistica nostalgia per un passato,
quello delle guerre puniche (in Ammiano), della repubblica, di Augusto
e degli Antonini (in Vegezio), deile origini della repubblica (in Sine-
assai lontano, quando si era costruito ii tópos della gloria e delia
superiorità bellica di Roma; questo tópos è ormai ridotto a patetico mito,
ma appartiene al bagagiio retorico di ogni intellettuale e resta vincente
proprio sul piano della consuetudine retorica, che prevale suiia iucidità
deli' analisi poiitica.
Tuttavia questa spiegazione meramente culturale non convince del
tutto, proprio perché non stiamo parlando di autori e testi provenientida
scuole di retorica: Vegezio propone riforme militari a Teodosio, Sinesio
paria ad Arcadio come inviato ufficiale di Cirene, Palladio riproduce il
resoconto di uno scoiastico, cioè di Un giurista, e di un viaggiatore; la
discrasia tra la concretezza del contesto e la per noi evidente utopicità
delle affermazioni sul potenziale bellico di Roma richiede, a mio avviso,
un' altra spiegazione.

32
Cfr. ora G. ZECCJIINI, Filostorgio e gli Unni, in D. MEYER (ed.), Philostorge, Strasbourg in c.d.s.
° HA, Vita Taciti 15,2.
Synes. De regno 17, ma Sinesio preferisce come modello addirittura 1'Atene classica di Pericle e
di Ificrate (ibid.).
UTOPIE MILITARI TARDOANTICHE? 203

Ora, jo ho insistito sinora sul carattere irrealistico del passi presi in


esame, ma esso appare evidente a noi, che ben conosciamo l'evoluzione
successiva delle forze armate romane, doe la loro dissoluzione in Occi-
dente e ii loro progressivo ridimensionamento in Oriente, quando sotto ii
lungo regno di Teodosio 11(408-450) si constatô l'incapacità di affron-
tare contemporaneamente due guerre, sia pur limitate, in settori diversi,
p.e. nel 441 la spedizione in Sicilia contro i Vandali e la I guerra unna nei
Balcani 35 . Se perô noi ci sforziamo di guardare la situazione con gli
occhi di persone nate e cresciute in pieno IV secolo, tra i Costantinidi e I
Valentiniani, la percezione non poteva essere la medesima.
La memoria recente diceva a questi uomini che, dopo la crisi del III
secolo, tra ii 250 e ii 275 Ca., l'esercito romano ristrutturato da Gallieno
era passato all'offensiva su tutti i frond e ovunque aveva manifestato una
chiara superiorità. Dopo le incursioni transrenane di Costantino nel
309/310 36 i barbari non erano piü stati minacciosi sino al 357, quando
avevano affrontato Giuliano in battaglia campale a Strasburgo e ne era-
no stati nettamente battuti 37 ; sul fronte danubiano sia Costantino, sia
ancora Valente avevano potuto progettare addirittura la riconquista del-
la Dacia"; ad Oriente prima Caro e poi Galerio avevano inflitto clamo-
rose sconfitte ai Persiani 39 e di nuovo Costantino era morto, mentre si
apprestava a una grande guerra persiana sulle orme di Traiano 40 : l'impe-
ro rigenerato dalle riforme di Gallieno, di Diocleziano e sempre di
Costantino aveva dunque saputo rinverdire i fasti militari del passato. Le
put recenti sconfitte, di Giuliano contro i Persiani nel 363 e di Valente
contro i Goti nel 378, potevano allora essere interpretate come incidenti
di percorso, non come sintomi di inarrestabile decadenza: quando si ha
alle spalle e si e cresciuti in un clima di gloria e di euforia bellica, è mol-
to difficile riconoscere che si è entrati in un nuovo periodo di crisi e che
Si richiedono, se ce ne sono, soluzioni del tutto inedite; la reazione piii
normale e comprensibile è quella di rifugiarsi in ricette già note e appli-
cate con successo e di riproporle.
Al di là delle convenzioni letterarie e retoriche io credo che Ammia-
no e Vegezio, Sinesio e Palladio (e, in ultima analisi, anche l'autore del-
FHA ) guardassero non a irripetibili passati lontani nel tempo, ma alla
recente eta dioclezianeo-costantiniana (due/tre generazioni prima) come

° Basti qui ii rinvio a G. ZECCHINI, A ezio: l'ultima difesa dell'Occidente romano, Roma 1983, pp.
176-178.
36 A. Mcora, Costantino ii Grande, Bari 2000, pp. 21-23.

° I. TANTILLO, L'imperatore Giuliano, Bari 2001, pp. 51-52.


38
M. RAIMONDI, Temistio e la prima guerra gotica di V alente, MedAnt 2000, pp. 633-683.
4° G. ZEccHINI, Ii bipolarismo romano-iranico, inC. BEARZOT - F. LAIwuccI - G. ZECCHINI, L'equi-

librio internazionale dagli antichi ai moderni, Milano 2005, pp. 59-82, in particolare pp. 66-67.
40 T.D. BARNES, Constantine and the Christians of Persia, iRS 1985, pp. 126-136.
204 GIUSEPPE ZECCHIM

a un modello di efficienza militare che si doveva e si poteva ricuperare


attraverso la restaurazione della disciplina e delle constitutiones, attra-
verso l'impegno in prima persona dell'imperatore, attraverso la riduzio-
ne dell'elemento barbarico e ii ripristino di un massiccio reclutamento di
Romani: cos! facendo si sarebbe superata la crisi di Tv/v secolo, come
era stata superata quella del 111, e l'impero avrebbe potuto riacquistare
una supremazia militare, che era anche ii necessario presupposto per un
eventuale rinnovato espansionismo.
Un importante e significativo indizio che questa puè essere l'inter-
pretazione piü convincente ci è offerto da Sinesio, laddove egli propone
al giovane Arcadio i modelli di sovrani ideali, a cui riferirsi: essi non
sono, come ci si potrebbe aspettare in base alla tradizione retorica e
panegiristica, Cesare o Augusto, Traiano o Marc'Aurelio, bens! Carino e
un altro imperatore, anonimo, ma certo da identificarsi con Galerio, dun-
que proprio imperatori-soldati di fine Til secolo, che avevano ottenuto
grandi successi contro i Persiani 41 . Sinesio dice esplicitamente che la
sola fama di uomini dotati di tali virtü militari riempiva ii nemico di pau-
ra e terrore (4 pIKrl v Kal. 8403)42 : basterebbe riavere uomini simili a capo
delle truppe per riacquisire l'agognata supremazia.
Concludo: la nostalgia non di un passato indeterminato, ma di un ben
preciso passato recente impedisce a questi autori di iviv secolo di con-
dividere la nostra analisi della crisi militare del tardo impero romano; a
loro avviso, dipendeva solo dalla buona volontà dei govemanti ripristi-
nare una situazione, di cui tutti ancora si ricordavano e rispetto alla qua-
le nulla pareva irreversibilmente mutato; come ho già scritto a proposito
dei progetti utopici dell'HA 43 , ciè che a noi sembra del tutto utopico
sembrava a questi uomini non rassegnati ancora possibile.

GUJSEPPE ZECCHINI
Università Cattolica di Milano

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41
Syrms. De regno 16-17 (Carino sta con ogni probabilità per suo padre Caro, secondo GARZYA,
Opere di Sinesio, p.418 nota 68, ma si badi che proprio Carino godeva di ottima fama presso l'aristocra-
zia senatoria tardoantica tanto da essere ritenuto ii progenitore degli Anicii: ciO potrebbe aver influenza-
to Sinesio nella sua inesattezza).
42
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INDICT
PERSONAGGI STORICI E MITICI E AUTORI ANTICHI

(Sono esciuse le menzioni singole)

Abramo, 51, 52,90 n. 31 123 e n. 57, 136, 138, 142, 198 e n. 13,
Achille, 121e n. 49, 125 e n. 69 202,204
Adriano (imperatore), 10, 25, 57-74, 87, 88 Aureliano (imperatore), 89 n. 21, 94 n. 70,
n. 3,97 n. 92,133-159,165,166,198en. 101 n. 124, 102 e n. 138, 103, 104 e nn.
13 158/163,105
Aezio, 195, 196 en. 5 Aurelio Vittore,72,74,91 n. 47,92 n. 51,94
Agamennone, 23 e n. 22 cnn. 69/71,96,98,101 n. 124
Agrippa (Marco Vipsanio), 79, 136 e n. 16
Alessandro Magno, 4, 31 n.22,68, 133, 134 Bruto (Marco Giunio) (cesaricida), 120 e n.
n.4, 136 en. 15, 166,175,185 41
Alessarco, 6, 7, 174 n. 23
Ammiano Marcellino, 66 n. 47, 100, 196, Cadmos, 7, 147
202,203 Carino (imperatore), 87, 101 n. 127, 102 en.
Andromaca, 120 n. 41 139,204
Anteio Antioco (P.), 71 en. 72 Caro (imperatore), 87, 102, 203
Antinoo, 133, 134 en. 6, 135, 139, 140, 142 Caronda, 31 n. 22,43,44, nn. 95/98,69
n. 50, 143, 144, 146, 147, 148, 149, 150 Caronte, 179,180
en. 88, 156-158 Cassio Longino (filosofo), 104 e n. 163
Antonini, 24, 25, 101, 102n. 134,202 Cecilio (Sesto), 66
Antonino Pio (imperatore), 24, 66,72 n. 81, Cerere, 72,74 n. 90
105 n. 173 Cesare (Caio Giulio), 22, 30, 32 e n. 40, 33,
Antonio (Marco) (triumviro), 7,33 n. 45,35, 34, 35 e n. 56, 36, 37, 82 e n. 14, 142,
41,123 en. 57,167 143, 175,204
Apollo, 4, 60, 142 e n. 48, 148, 164, 165, Cicerone (Marco Tullio), 9, 22, 28-45, 69,
166, 172 n. 15 88 n. 4,93 n. 57,95 en. 76, 112, 116 n.
Apollonio di Tiana, 89 n. 21,90 n. 31 23, 118, 119, 123, 124, 126 n. 72
Apuleio Saturnino (L.), 31,65 n. 45 Cicerone (Quinto) (fratello dell'oratore), 30
Arcadio (imperatore), 199,201, 202,204 n. 20, 31, 32 e n. 40, 33, 40 n. 78, 44 e n.
Aristobulo, 53-54 97
Aristotele, 2, 21 e n.12, 22,46 en. 103,59 e Claudiano (Claudio) (poeta), 97 e n. 94
nn. 11/14,60,63 en. 29,67,68 n. 55,89 Claudio (Gotico) (imperatore), 102 e n. 137,
n. 21 103 en. 154
Arsinoe II, 146 Claudio Puicro (Appio), 31 e n. 35
Asclepiade di Mirlea, 63 Cleopatra, 7, 146, 167
Asclepio 142,148 Clistene, 9,31 n. 22, 67,68,69 en. 62
Ataulfo, 195 en. 4, 196 Clodio Pulcro (Publio), 31, 33,42 n. 87
Attila, 196 Clodio Albino, 82, 92 n. 50, 95 n. 80
Augusto (imperatore), 36,38 n. 69,50,65 n. Commodo (imperatore), 92 n. 50,198
45,79 (Ottaviano), 80, 82, 83, 84,93,94 Comelio Nepote, 34 e n. 52
n. 71, 101 n. 129, 102 n. 131, 118 n. 29, Costantino (imperatore), 87, 91, 203
210 PERSONAGGI STORICI B MITICI B AUTORI ANTICHI

Cratero, 68 e n. 56, 69 Gellio (Aulo), 61, 62, 66


Creso,64, 180 Gesü Cristo, 90 n. 31
Crono, 166, 181 Giacobbe, 51,53
Curiato (C.) (tribuno nel 27 a.C.), 31 en. 27 Giambulo (/Iambulo), 171, 172 e n.15, 175,
200,201 n. 27
Demetra, 72, 146 Girolamo (Sofronio Eusebio), 57 e n.1, 58,
Demetrio Falereo, 31 n. 22,43 n. 94, 45, 59 68, 69, 97
n. 13,68 e nn. 57/59,69 e nn. 61/63,73 Giuliano (imperatore), 72 n. 80, 90, 201, 203
Demetrio Poliorcete, 136 n. 15, 139 Giuseppe, 51
Dicearco da Messene, 46 n. 103, 174 n. 22 Gordiano I (imperatore), 88 n. 4, 105 e n.
Didimo di Alessandria, 63 173
Didone, 105, 125 Gracchi, 31 en. 26,41 n. 81,42 n. 86,65 n.
Diocleziano (imperatore), 89 n. 18, 91, 94 n. 45
71, 101 n. 127,203 Gracco (Gaio Sempronio), 113 e n. 8
Diodoro Siculo, 3,6,10, 169-1 76,201
Dione Cassio, 9, 79-85, 137 Helios (figlio di Antonio e Cleopatra), 7
Dione di Prusa, 23,24,25,84 Hylas, 121 en.49, 125
Dionisio Skytobrachion, 173 n. 19,175
Dioniso, 120, 121, 143, 148 Ippodamo da Mileto, 6,7
Dioscuri, 142 en. 51 Iside, 146, 147, 192
Domiziano (imperatore), 23, 24, 136 Isocrate, 19-22
Dracone, 9,57,59-67,69 en. 62,71,73,74 Iuvenzio Celso, 58 e n. 6

Elagabalo (imperatore), 89 n. 16, 101 n. 127 Lattanzio (Lucio Celio Firmiano), 101 e nn.
125/126
Elia (profeta), 53 e n. 16
Libera, 72, 74 n. 90
Eliano (Claudio), 10, 69, 163, 186, 190-192
Licinio Lucullo (L.), 31, 123 e n. 60, 124 n.
Elio Aristide, 24,25
61, 126 n. 72
Enea, 97 n. 91, 125
Licurgo, 44 n. 98,61 n. 24, 74, 84 n. 20
Enoch, 52,53 n. 15
Livio (Tito), 64,93 n. 57
Ercole, 120, 121, 125, 142 en. 51 (Eracle) Livio Druso (M.), 31,65 n. 45, 113 en. 8
Ernes, 148, 174 n. 22, 181 Luciano, 4, 10, 177-184, 190, 191 e nn.
Ermodoro di Efeso, 65 e n. 42 15/20
Erodoto, 64,68 n. 55, 164. Lutazio Catulo (Q.), 119 en. 37
Eschilo, 53, 166, 189 Lutazio Catulo (Q.) (figlio del precedente),
Ettore, 120 en. 41 119 en.37
Eugenio (Flavio) (imperatore), 94 n. 70, 196
Eupolemo, 53 en. 16 Maccabei, 50,54
Eutropio, 96, 98, 104 n. 160, 199 n. 17 Macrobio (Ambrosio Teodosio), 28 n. 8, 30
Evemero, 169n. 1, l74e nn. 22/23, 175 n. 19
Ezechiele ii Tragico, 53 Mamaea, 102 e n. 135
Manetone di Sebennytos, 50.
Falea di Calcedone, 2 e n. 5 Marciana, 143, 144, 145, 146 en. 67
Favorino d'Arelate, 66 Marco Aurelio (imperatore), 5 8, 72 n. 81, 88
Filippo II, 185 e nn. 5/9/12,89 en. 18, 90, 91, 102 en.
Filone Alessandrino, 52, 54 134, 105 n. 173, 182, 204
Filostrato, 71 n. 72, 120 Mario (Gaio), 30 n. 19, 31, 119n.37
Flavio Giuseppe, 50 e n. 4 Marte, 121, 125 en. 68
Massimino (imperatore), 98 n. 101
Gainas, 200,202 Massimo (imperatore), 92 n. 51, 196 (Ma-
Galerio (imperatore), 203, 204 gno Massimo)
Galla Placidia, 195, 196 Matidia (Maggiore), 143, 144, 145 e n. 66,
Gallieno (imperatore), 102, 103 e n. 153, 146 en.67, 147
104 en. 162, 198,203 Matidia (Minore), 147 en. 74
PERSONAGGI STORICI E MITICI E AUTORI ANTICHI 211

Mecenate (Gaio), 79, 80 Selene (figlia di Antonio e Cleopatra), 7


Menippo, 178,179-181, 183 Seleuco di Alessandria, 63, 64 e n. 38, 66 n.
Tommaso Moro, 1, 18, 89 n. 17, 177 e n. 4, 46
178,180 Seneca (Lucio Anneo), 37, 113
Mosd, 9,51,52,53 Serse, 31 n. 22,4411.98
Mucio Scevola (P.) (pontefice), 31 e n. 24 Settimio Severo (imperatore), 81 n. 11, 82,
Mucio Scevola (Q.) (augure), 31 e n. 23 97n.92,102en. 135
Mucio Scevola (Q . ) (pontefice), 31 e n. 25 Severi,79n. * , 81 11.11,82,191 en. 19
Severo Alessandro (imperatore), 83, 88 nn.
Nerone (imperatore), 92 e n. 50, 102 n. 131 3/4, 90 e nn. 32/34/35, 91 e n. 38, 102 e
(Nerones), 136 n. 135, 105 en. 172
Nerva (imperatore), 102 e n. 134, 143, 144, Sileno, 187, 189
145 Silla (Lucio Comelio), 31, 36, 37, 63 n. 29,
Nestore, 23 e n. 22 65 n. 45
Nicomaco, 104 en. 161 Silla (personaggio del defacie in orbe lunae
Numa Pompilio, 74 e nn. 90/91 plutarcheo), 166
Sinesio di Cirene,90 n. 22, 199,200 e n. 24,
Odisseo, 10, 166,188 201,202 en. 34,203, 204
Omfale, 120,121,125 Solone, 4, 9, 19,21,31 n. 22,4411. 98, 57,
Origene, 51 60-67,68 n. 55, 69, 71, 73, 74
Orosio (Paolo), 195 e n. 4, 196 Strabone, 69, 174n. 22
Osiride, 143, 146, 147 Sulpicio Rufo (P.), 31 en. 31
Svetonio (Gaio Tranquillo), 64, 87
Palladio (vescovo di Elenopoli), 11, 200-
203 Tacito (Publio Comelio), 3, 17 e n. 1, 24,65
Paolina, 143, 144, 146 e n. 72 en. 45, 66, 100 n. 118
Pausania, 64,70 n. 67, 148 Tacito (imperatore), 91-96, 99, 100, 101 n.
Pertinace (imperatore), 82, 83 124,102 en. 138
Petronio Probo (Sex. Claudio), 100 Temistio, 90 n. 22, 197, 199
Pindaro,4, 163-164 Teodosio I, 196, 197 e nn. 8/9/11,202
Pitea di Marsiglia, 165, 174 e n. 22 Teodosio II, 202,203
Platone, 1-2,6, 19,21,22,29 en. 11,36,37, Teofrasto, 32,46 n. 103
44n.95,46n. 103, 88enn. 3/4/11,89e Teopompo, 10, 163-165,185-192,201
nn. 17/18/21 Terenzio Varrone (Marco), 34, 35, 36, 37,
Plinio ii Giovane (Gaio Cecilio Secondo), 119
84, 113 n. 8, 123 en. 59 Teseo, 60,69 en. 62,70 en. 68,73
Plotina, 143, 144,145 e nn. 64/66, 146 Tiberio (imperatore), 64 en. 38,65 n. 45,66
Plotino, 2, 10411. 162 n.46,136
Plutarco, 4, 39, 61, 62, 63 e n. 34, 67, 68 n. Timeo di Tauromenio, 32,170
55, 71 n. 73, 74, 92 n. 55, 120 e n. 41, Titio (Sex.), 31 en. 29
166 Tito (imperatore), 102 e n. 133
Polibio, 22, 24, 174 e n. 22 Tolemeo III, 139, 175
Pompeo Magno (Gneo), 22, 32 e n. 37, 35, Traiano (imperatore), 23,24,58 n. 8,63,65,
36,41,42,44, 63, 136 en. 16 92 n. 51, 102 n. 134, 135, 143, 144, 145
Pomponio (Sesto), 58, 64 en. 64, 166, 198,203,204
Pomponio Attico (Tito), 30, 32, 34,44 n. 97
Porcia, 120 en. 41 Valente (imperatore), 196,203
Probo (imperatore), 92 n. 51, 93 n. 59, 96- Valentiniano Ill (imperatore), 94 n. 70, 197
100, 102 en. 138 n.8
Valeriano (imperatore), 93 n. 63, 102 e n.
Romolo, 22,65 n. 45,70 n. 68, 82 136
Vegezio (Flavio Renato), 196 e n. 8, 197,
Sabina, 143, 144, 147, 148 198 e rm. 13/15, 202,203
212 PERSONAGGI STOPJCI E MITICI E AUTOPJ ANTICHI

Venere, 121,125 en.68 Vitruvio (Pollione), 112 n. 4, 113, 114, 124


Vero (Lucio) (imperatore), 88,182
Verre (Gaio), 124 n. 63 Wahballat (figlio di Zenobia), 103 e n. 150
Vespasiano (imperatore), 74 n. 88, 102 e n.
132 Zaleuco, 31 n. 22,32,43,44 nn. 95/98,69
Virgilio (Publio Marone), 88 nn. 3/4,105 n. Zenobia, 102-106
173 Zenone, 7 n. 23, 89 n. 21, 171 n. 13
Vitruvia (Vittoria), 102, 103 e n. 142, 104 e Zeus, 141, 142, 147, 166, 171 (Zeus Trifi-
n. 158 ho), 181
POPOLI REALI B MITICI

(Sono esciuse le menzioni singole e non sono riportati, per l'altissima frequenza, Greci e
Romani)

Ateniesi, 20 en. 10, 57, 58, 61, 62, 64, 68, Ittiofagi, 172n. 14,173
70 e 11. 66, 71, 73
Liparei, 170
Brachmani, 200

Caldei, 173 Maceti, 200 e n. 23


Machimoi, 163, 164, 190
Ebrei, 51,53,54 (giudei)
Egizi (eta imperiale), 104 n. 157, 138 Panchei, 171
Etiopi, 171, 172 n. 14 Persiani, 31 11. 22, 140
Etruschi, 170 e n. 6 Persiani (eta imperiale), 103, 203, 204
Eusebeis, 164
Tessali, 62,71
Feaci,4, 165, 188 en.8 Trogloditi, 172 n. 14, 173, 17411. 25
Focei, 62

Goti, 103,196, 197 en. 9, 200, 201, 203 Utopiani, 177 en. 1

Iperborei,4,163-166, 187,190 Visigoti, 195


TOPONIMI REALI E MITICI

(Sono esciuse le menzioni singole)

Acheronte, 180,183 Europa, 165, 187


A de, 179-183
Adrianopoli, 196, 197 en. 9 Formia, 124 en.65
Alessandria, 7,53,54, 105 n. 171, 123 n. 57,
134 e nn. 4/5, 136 en. 19, 146 Gallia, 24 (Narbonense), 32 n. 40,196 (Gal-
Antinoopolis, 10, 68 n. 55, 133-159 lie)
Arabia Felix, 170, 174 n. 23 Grecia (/Ellade), 1, 4, 7, 65, 67, 69, 70, 74,
Arabico (golfo), 173, 174 n. 25 84 en. 20, 185
Arcadia, 148 e n. 78
Argo, 71 Hadrianopolis (parte di Atene), 70, 73
Asia, 29 n. 13,136,187 Hadrianopolis/Hadriane (colonie di Adria-
Asia Minore, 141,143 no), 135 en. 8
Atene, 2, 9, 19-22, 44 n. 98, 46, 57-74, 134 Hermoupolis, 134 n. 5, 136
n. 5,139-141, 143 en. 56,202 n. 34
Attica, 137 n. 20, 140, 141 India, 11,200,202
Israele, 50, 51
Battagliera (IMachimos), 164, 187, 189, 191 Italia, 46,58
Beati (isola dei), 178, 179, 182 Italica, 144 en. 61, 145 n. 65
Besa, 137 e nfl. 20/21
Bitinia, 42, 81, 200, 202 Libia, 172, 173, 187
Bithynion, 135 n. 9,148 Lipari, l7Oen.6
Cartagine, 19,22,92 n. 53, 166
Macedonia, 185, 189
Cilicia, 32, 202
Magna Grecia, 43,44 n. 98
Cirene, 200,202
Cizico, 135 n. 9, 141 Mantinea, 148
Costantinopoli, 198, 200 e n. 24,201 Megara, 57,68 n. 55
Creta, 19,62
Nib, 133, 134, 136
Delfi, 60, 62, 67, 69,71 e nn. 73/75,72,73 Nimes, 143,145 en. 64
Delo, 165
Oceano, 170, 172
Efeso, 134 n. 5, 143
Ege (città della Cilicia), 71 Palmira, 102 e n. 140, 104, 105
Egitto, 50, 54, 134 e fin. 4/5, 136, 138, 146, Panchaia, 171,200,201 n.27
182 Parrhasios (bosco sacro ad Apollo), 139, 148
Elenopoli, 200 e n. 25 Pireo, 2
Eleusi, 62, 67, 68 n. 55, 71-73 Pompei, 114,127 n. 72
Empi (isola degli), 178, 182 Preneste, 192 en. 23
Ercolano, 114,124 Ptolemais, 136, 137, 138, 139
216 TOPONTMI REALI E MITICI

Religiosa (/Eusebes), 164, 187-189 Sparta, 19, 22, 44 11. 98


Roma, 1,3,4,24,29,3011.20,40,42,43, Stigia (palude), 180, 182
46,63 en. 29, 69,7011.68,71,73 n. 85,
7411. 88, 79, 83 11. 18, 84, 87, 89,90,92 Taprobarie (od. Sri Lanka), 11,200-202
11. 53, 95, 97, 98 n. 95, 99, 101 e nn. Tapso,35
125/126/128, 104, 105, 127 11. 72, 144, Taso, 142en.52
145,146,149,191,195,196,201,202 Tebe, 7
Tebe d'Egitto, 11,200,201
Salamina, 68 n. 55 Tracia, 200 e fi. 24
Scheria (isola dei Feaci), 188 e n. 8 Trogloditica, 174 e 11. 25
Sciro,l2len.49,125 Turi, 6
Sicilia, 174,203
Sinai (monte), 53 Ultima Thule, 165
Siria,51, 134 n. 5, 137,202 Uranopoli, 6, 7, 174n.23
Sogni (isola dei), 178,182 Utopia (isola), 177

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