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MACHIAVELLI

ENCICLOPEDIA MACHIAVELLIANA

ISTITVTO DELLA

ENCICLOPEDIA ITALIANA
FONDATA DA GIOVANNI TRECCANI

V
ENCICLOPEDIA MACHIAVELLIANA

Direttore scientifico
GENNARO SASSO

Condirettore scientifico
Giorgio Inglese

Comitato direttivo
Gian Mario Anselmi, Alessandro Campi, Emanuele Cutinelli-Rendina,
Jean-Louis Fournel, Sebastiano Gentile, Jean-Jacques Marchand,
Gianfranco Pasquino, Adriano Prosperi, Jean-Claude Zancarini

Redattori specialisti
Emanuele Cutinelli-Rendina (coordinatore scientifico); Alessandro Capata,
Paolo Falzone, Giorgio Masi, Raffaele Ruggiero, Carlo Varotti

REDAZIONE ENCICLOPEDICA

Responsabile
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Segretaria di redazione
Manuela Silvio

Hanno partecipato alle prime fasi di realizzazione del volume:


Rosalba Lanza (coordinamento delle attività redazionali)
Roberto Bartoloni (lavorazione e revisione testi)

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ATTIVITÀ TECNICO-ARTISTICHE E DI PRODUZIONE

Art Director
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Progetto grafico
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Iconografia
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Produzione industriale
Gerardo Casale; Laura Ajello, Antonella Baldini, Graziella Campus

Segreteria
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DIREZIONE EDITORIALE

Pianificazione editoriale e budget


Maria Sanguigni; Mirella Aiello, Alessia Pagnano, Cecilia Rucci

Segreteria
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Direttore editoriale
MASSIMO BRAY

Ha contribuito con un servizio editoriale adHoc srl (per la lavorazione e la revisione dei testi:
Daniela Angelucci, Lulli Bertini, Cecilia Causin, Mariano Delle Rose, Sara Esposito, Livia Maggioni)

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Mandragola. – Con la Mandragola siamo di- pericolo di un’invasione turca in Italia sarebbe stato
nanzi alla più bella commedia italiana di tutti i tem- concretamente presente. Stante poi l’ambientazione
pi. Della sua eccezionalità si rese già conto Voltaire invernale della commedia, la consuetudine di organiz-
nell’Essai sur les mœurs et l’esprit des nations (1756): zare gli spettacoli nel corso del carnevale e i supposti
«la sola Mandragola di Machiavelli vale forse più di festeggiamenti fiorentini di quell’anno per la promes-
tutte le commedie d’Aristofane». Che l’autore sia an- sa di matrimonio stipulata fra Lorenzo de’ Medici du-
che il fondatore del pensiero politico moderno è una ca d’Urbino e la principessa francese Madeleine de
circostanza spiegabile con il suo genio. La comme- la Tour d’Auvergne, Ridolfi indicava addirittura un
dia nasce dalla stessa intelligenza degli uomini e del- giorno preciso per la prima rappresentazione, il 16
le cose che è nelle opere politiche e storiche, ma rive- febbraio del 1518, in quell’anno ultimo di carneva-
la insieme la capacità di cogliere quanto di divertente le. Sulla scia di Ridolfi si sarebbe messo Alessandro
e paradossale c’è nella vita quotidiana e un tempera- Parronchi, spostando la prima messa in scena della
mento beffardo disposto a dissacrare qualsiasi valore. Mandragola al settembre del 1518, nel corso dei fe-
Il miracolo non sarebbe tuttavia riuscito se non si fos- steggiamenti fiorentini per le nozze di Lorenzo con la
sero incontrate in M. le due anime della grande cul- principessa francese, festeggiamenti che effettiva-
tura quattrocentesca fiorentina: quella umanistica di mente videro la rappresentazione a Firenze di una
Marsilio Ficino e Poliziano – rinverdita nelle riunio- commedia, come apprendiamo da una lettera di Al-
ni degli Orti Oricellari (→, dove peraltro il teatro co- fonsina Orsini, madre di Lorenzo, e da una testimo-
stituiva un interesse primario) – e quella volgare che nianza di Bartolomeo Cerretani, che dicono la prima
da Giovanni Boccaccio si allungava fino a lui. di una commedia dallo strano titolo Falargo, messa in
scena l’8 settembre, il secondo di una rappresentazio-
Datazione e modalità di composizione. Nell’assenza ne del 9 successivo (ma potrebbe trattarsi dello stesso
di qualsiasi informazione circa i tempi e i modi della evento registrato da uno dei due con un leggero erro-
composizione della Mandragola, i termini oggettivi re di data). Febbraio o settembre 1518, secondo que-
entro cui collocarne la stesura sono compresi tra il ste ipotesi la Mandragola sarebbe stata comunque
1504, anno di ambientazione della vicenda, e il 1519, scritta e rappresentata per una festa medicea, circo-
data apposta sul Laurenziano Redi 129 della Bibliote- stanza che Ridolfi avvalorava con considerazioni sul
ca medicea laurenziana di Firenze, unico manoscritto frontespizio dell’edizione oggi ritenuta la princeps del
che oggi la trasmette; tenuto conto del computo fio- testo, sulla quale più avanti si ritornerà.
rentino degli anni ab incarnatione, l’anno 1519 po- Senonché non abbiamo notizia di festeggiamenti
trebbe coprire anche l’arco di tempo che va dal 1° gen- per promesse matrimoniali durante il carnevale del
naio al 24 marzo del 1520. Trascurando altre ipotesi 1518, né risulta che la commedia rappresentata in set-
di datazione esterne a questo periodo, prive di qual- tembre fosse la Mandragola. Ma soprattutto non ha
siasi fondamento, punto di partenza obbligato per la fondamento che nel 1518 si avvertisse in modo parti-
considerazione della cronologia di composizione è colare l’imminenza del pericolo turco più di quanto
l’opinione di Roberto Ridolfi, che nella seconda edi- non sarebbe stato per almeno quattro decenni dopo la
zione rivista della Vita di Niccolò Machiavelli (ottobre presa d’Otranto (1480). Per es., in due lettere conse-
1954) assegnava la commedia al gennaio-febbraio del cutive del 1513 Francesco Vettori richiama a M. la
1518. Ridolfi fondava la sua valutazione sulla battuta possibilità di un’invasione turca. A lungo andare il
III 32 della vedova al frate («Credete voi che ’l Turco pericolo turco era addirittura divenuto un argomento
passi questo anno in Italia?»), battuta che, a giudizio «da pancaccie», ossia ragionamenti da perdigiorno,
dello studioso, non avrebbe potuto essere d’attualità come proprio M. scriverà in una lettera a Francesco
in nessun altro anno che non fosse il 1518, quando il Guicciardini del maggio 1521. Ragionevolmente

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MANDRAGOLA

dunque Giorgio Inglese, stando alla data segnata sul commedia regolare in prosa costruita sui modelli la-
Rediano (Inglese 1992, pp. 1010-11 e Inglese 2006, tini. Ma c’è anche un riscontro oggettivo: la scena
pp. 157-59), avrebbe suggerito uno slittamento della seconda del quarto atto della Mandragola ha stretta
composizione tra la fine del 1519 e i primi mesi del affinità con l’ottava del secondo atto della Calandra,
1520. Malgrado ciò, si continua a ripetere che la ed essendo inconcepibile sia una coincidenza polige-
commedia fu scritta nel 1518 e rappresentata in netica sia una ripresa della Calandra dalla Mandra-
quello stesso anno a Firenze, circostanze entrambe gola, non resta che riconoscere per questa scena una
prive di qualsiasi riscontro. dipendenza di M. dal Bibbiena. Il termine del 1513
Nella discussione sulla datazione della Mandra- rende anche attuale la battuta sull’interruzione degli
gola è stata comunque prevalente l’opinione che atti (Mandragola IV ii 158), che di fatto allude scher-
composizione, pubblicazione e prima rappresenta- zosamente a un’altra battuta di I due felici rivali di
zione dovessero essere concentrate nel giro di qual- Iacopo Nardi, commedia rappresentata a Firenze
che mese. Ma dopo le acquisizioni filologiche degli appunto nel febbraio del 1513, dunque contempora-
ultimi decenni sappiamo che M. non lavorava così. neamente alla messa in scena della Calandra a Urbi-
Neppure del testo del Principe crediamo più che sia no. Se l’idea di scrivere una commedia sia stata con-
una scrittura di getto, i Discorsi hanno una cronolo- cepita da M. solo dopo questa data o se esistesse già
gia dilatata, il volgarizzamento dell’Andria passa at- prima di allora una qualche stesura del testo, in base
traverso due se non tre redazioni. A leggere con at- ai dati disponibili non si può affermare né negare.
tenzione un testo così curato come quello della Quello che si può dire con certezza è che alcune par-
Mandragola, attento alla verità dei dettagli più mi- ti della commedia che noi conosciamo sono state
nuti, è difficile immaginare che non sia frutto di un scritte dopo il febbraio del 1513.
processo compositivo fatto di scritture e riscritture, Il 1513 è un anno cruciale nella biografia machia-
tagli e aggiunte, forse anche di interruzioni e riprese velliana. Il nostro autore è confinato a Sant’Andrea
a distanza. Intanto i dati. Esiste, come già detto, un in Percussina dopo la caduta della Repubblica, il ri-
manoscritto datato 1519 (data estensibile fino a mar- torno dei Medici in Firenze e la sua estromissione
zo 1520). Il 26 aprile 1520 Giovanni Battista Della dalla cancelleria; per di più M. era stato accusato in-
Palla scrive da Roma a M. informandolo di aver par- giustamente di aver cospirato contro i Medici nella
lato al cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena della congiura ordita nel febbraio di quell’anno da Agosti-
commedia. Se, dunque, gli anni 1519-20 restano og- no Capponi e Pietro Paolo Boscoli, subendo per que-
gettivamente terminus ad quem, abbiamo tuttavia ele- sto l’umiliazione del carcere e della tortura, a cui solo
menti sufficienti, di tipo sia testuale sia critico, per il provvedimento di clemenza concesso dalla Signo-
abbassare il limite post quem del 1504; comunque ria per l’elezione a papa il 9 marzo di Leone X (il fio-
non fino al 1517, come sarebbe necessario se il vol- rentino Giovanni de’ Medici) lo sottrasse. Ritornato
garizzamento dell’Andria fosse stato realizzato da privato cittadino, senza riconoscimenti né emolu-
M. a quest’altezza cronologica e non fosse invece, menti, con una famiglia da mantenere, M. ha come
come oggi si è propensi a credere, un impegno gio- unico suo punto di contatto con l’ormai trionfante
vanile. Il nostro autore infatti impara l’arte della potere mediceo l’amicizia di Vettori, allora ambascia-
commedia volgarizzando l’Andria, lavoro impre- tore fiorentino a Roma. Nell’epistolario machiavel-
scindibile per la Mandragola, che peraltro trasferisce liano il carteggio degli anni 1513 e 1514 con Vettori
al suo interno non poche battute del testo di Teren- costituisce la sezione di maggiore interesse culturale
zio da lui volgarizzato. e umano. I due discutono i fatti recenti della politica
Sul piano critico è da dire che la Mandragola che italiana ed europea, fanno previsioni sugli accadi-
noi conosciamo neppure può esistere senza i prece- menti futuri, ma anche raccontano l’uno all’altro del
denti delle commedie di Ludovico Ariosto (Cassaria modo di passare le giornate, delle letture, degli sva-
1508, Suppositi 1509) e soprattutto della Calandra ghi amorosi. Ebbene, queste lettere interessano la
del Bibbiena (febbraio 1513). La commedia nuova Mandragola per le numerose coincidenze testuali
rinascimentale nasce nelle corti di Ferrara, Mantova
che stabiliscono con il suo testo. Il primo a notarlo è
e Urbino. Per la perdurante vitalità delle forme tea-
stato Ezio Raimondi (1972):
trali quattrocentesche, Firenze ai primi del Cinque-
cento non era in questo ambito una città d’avanguar- A un esame sinottico tutt’altro che rigoroso ma egual-
mente indicativo, risulta che mentre per la prosa del-
dia e, a parte ogni altra considerazione, non si può
l’Andria le lettere machiavelliane del ciclo Vettori non
dar credito a M. di aver colmato da solo l’intera di- danno quasi nulla [...], di fronte alla Mandragola la re-
stanza che separava il teatro fiorentino delle sacre attività dei testi epistolari è assai più alta e anche più
rappresentazioni e delle commedie in versi dalla ampia, sostanziosa (pp. 182-83).

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Se tuttavia ritornassero nella Mandragola solo ricorrente nella poesia minore toscana del Quattro-
passaggi delle lettere di M. non ci sarebbe nulla di cento. Nelle prime quattro stanze l’autore espone
particolarmente significativo. Ma quando esiste ri- l’argomento (dunque, secondo la classificazione di
scontro fra passaggi di lettere di Vettori del 1514 e la Elio Donato, prologus argumentativus) ed elogia la
Mandragola, allora è difficile non pensare a una con- commedia (prologus commendativus); nelle seconde
tiguità cronologica. Tra i numerosi passi paralleli quattro difende sé stesso e attacca i suoi detrattori
(Stoppelli 2005, pp. 82-87) si citerà qui solo il più ri- (prologus relativus). Dunque un prologus mixtus,
levante. In una lettera del 18 gennaio 1514 Vettori stando ancora a Donato. Ma ai fini della composi-
racconta da Roma di essersi innamorato di una gio- zione c’è da osservare che l’autore, dopo aver fatto
vane sua vicina di casa, argomento su cui ritorna in l’inventario dei personaggi nella seconda e terza
un’altra del 9 febbraio successivo, questa volta dopo stanza, li elenca nuovamente nella quarta, aggiun-
averne conosciuto e apprezzato le grazie con il favo- gendo Ligurio ed escludendo Lucrezia. Tale ridon-
re della madre ruffiana: danza ha fatto ipotizzare che il prologo che noi cono-
Ma, Nicolò mio, voi non vedesti mai colli ochi la più sciamo possa risultare da un assemblaggio di stanze
bella cosa: grande, ben proporzionata, più presto gras- scritte in tempi diversi, cosa che deporrebbe ancora
sa che magra, bianca, con un colore vivo, un viso non per una composizione lunga della commedia. Ma
so se è affilato o tondo, basta che mi piace; galante, pia- non bisogna dimenticare che i prologhi venivano in
cevole, motteggievole, sempre ride, poco accurata di genere composti per una specifica rappresentazione
sua persona, sanza acque o lisci in sul viso; dell’altre e che costituivano dunque una parte variabile del te-
parte non voglio dire nulla, perché non l’ho provate
sto delle commedie. Nel caso nostro è concepito per
quanto desiderrei (Lettere, p. 312).
una rappresentazione fiorentina o comunque desti-
Questo passaggio coincide sorprendentemente nata a un pubblico fiorentino («quest’è Firenze vo-
con la battuta V ii 18 della Mandragola, nella quale stra»). Da un verso del prologo si desume il titolo
Nicia descrive le formosità di Callimaco nudo: «Ma Mandragola («la favola ‘Mandragola’ si chiama»),
tu non vedesti mai le più belle carne: bianco, morbi- che tuttavia solo da un certo momento in poi fu real-
do, pastoso [...] e de l’altre cose non ne domandare». mente in uso; in tutte le citazioni vivente l’autore la
Non è dunque inverosimile che M. ricevesse quelle commedia è indicata come il Nicia, mentre nelle pri-
lettere proprio mentre stava lavorando alla comme- me edizioni a stampa il titolo risulta essere Comedia
dia e che ne adattasse il fraseggio alla composizione di Callimaco et di Lucretia.
in corso. Che in queste lettere non vi sia alcun cenno
a una commedia in fieri non è un argomento valido. La drammaturgia. La vicenda della Mandragola è
Nell’epistolario non si fa mai cenno, per es., ai Di- notissima. A Firenze una coppia di coniugi molto
scorsi, che in quegli stessi anni erano certamente in ricchi non riesce ad avere figliuoli pur morendone
elaborazione. Siamo comunque nei primi mesi del dal desiderio. La moglie, giovane e bella, si chiama
1514. Come già detto, a quando risalga la prima idea, Lucrezia; il marito, sciocco e pretenzioso, Nicia Cal-
su quanto tempo l’autore vi sia stato su, attraverso fucci. A Parigi vive intanto un fiorentino, Callimaco
quante redazioni il testo sia passato, allo stato delle Guadagni, che venuto lì a conoscenza delle straordi-
conoscenze è impossibile fare congetture. La prima narie bellezze di Lucrezia – come era già avvenuto a
notizia della commedia è comunque del 1519-20. Ma Sesto Tarquinio nel sentir decantare i pregi di Lu-
riconoscere un respiro compositivo lungo alla Man- crezia romana (Livio I lvii-lviii) o al Ludovico del-
dragola risulta certamente più consono alla sua qua- la novella VII 7 del Decameron nel sentir lodare l’av-
lità; avvicinarla al Principe piuttosto che all’Arte del- venenza della bolognese madonna Beatrice – se ne
la guerra è un recupero significativo sul piano critico. innamora per fama e decide di far ritorno a Firenze
Non bisogna neppure dimenticare che dal 1519-20 insieme al servo Siro per conquistarla. Ma la donna
in poi la scrittura di M. prende progressivamente è onestissima e l’impresa si rivela pressoché impossi-
sempre di più la forma della riscrittura, dalla Vita di bile. Callimaco ricorre a un sensale, Ligurio, che do-
Castruccio Castracani alle Istorie fiorentine, non po aver considerato altre possibilità rivelatesi poco
esclusi Clizia e Discorso o dialogo intorno alla nostra praticabili inventa il seguente stratagemma. Calli-
lingua. Questo non inficia la qualità dei risultati, ma maco fingerà di essere un grande medico a conoscen-
rileva una diversa modalità di lavorare. L’originalità za di un metodo infallibile per fare ingravidare le
di Mandragola, Principe e Discorsi è anche formale, donne sterili: dare loro a bere una pozione fatta con
non solo sostanziale. succo di mandragola. Ma la mandragola è una pianta
Infine il prologo. Si presenta sotto la forma di velenosa e il primo uomo che si congiungerà con la
una canzone di otto stanze il cui schema rimico è donna dopo che questa avrà bevuto la pozione morirà.

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MANDRAGOLA

Il marito presta fede alle parole di Callimaco, e natu- solo nel letto di Lucrezia; anche il nome Nicia rac-
ralmente non è disposto a prendere su di sé il ‘vele- chiude in sé la nike, la «vittoria», e sarà infatti anche
no’ letale della mandragola. Il finto medico suggeri- Nicia un vincitore, avendo guadagnato con la certez-
sce il rimedio: catturare un giovane sfaccendato per za di un erede il premio che maggiormente ambiva.
strada e costringerlo con la forza a dormire una not- Dunque, entrambi nomi parlanti, alla maniera di
te con la donna, in modo da congiungersi con lei e Plauto piuttosto che di Terenzio. Così come Timo-
subirne le conseguenze (quel giovane sarà natural- teo, con etimologia greca «colui che onora Dio»; e di
mente lo stesso Callimaco mascherato). Nicia si dice fatto non c’è nessuno più sollecito del frate alle prati-
d’accordo, ma dubita che Lucrezia possa accettare che del culto, anche se quel culto è del tutto esteriore
una cura per lei così compromettente. A convincerla e la moralità del personaggio non proprio rigidissi-
sarà il suo confessore, fra Timoteo, ricompensato ma. E così per il nome di Ligurio, che deriva dal ver-
lautamente da Callimaco, con il sostegno della ma- bo latino ligurrire «spiluccare», «smangiucchiare» e,
dre di lei, Sostrata. L’inganno va in porto e l’aman- seppure di invenzione machiavelliana, è quanto mai
te, contraffattosi, sarà messo dallo stesso Nicia nel pertinente a un parassita di commedia, come appun-
letto della moglie. L’incontro inizialmente si confi- to il personaggio è dichiarato più che rappresentato.
gura come una violenza, ma a metà della notte Calli- Infine, che la Lucrezia della Mandragola, che peral-
maco si rivela alla donna dichiarandole il suo amore. tro porta un nome comunissimo a Firenze, sia la pa-
Vinta dai fatti, Lucrezia si dà anima e corpo al- rodia di Lucrezia romana, di cui racconta Tito Livio
l’amante, non solo per quella notte ma per sempre. nelle sue storie al luogo già indicato, è del tutto evi-
Apprenderemo più tardi dalla Clizia, l’altra comme- dente: nel primo caso una donna che riscatta con il
dia di M., che effettivamente un bambino era nato e suicidio l’onore violato; nel secondo una che trae pro-
che fra Timoteo era entrato in fama di santità per prio dalla violenza subita occasione di una vita eroti-
aver operato con le sue preghiere il miracolo di far ca finalmente soddisfacente. Il tributo pagato da M.
ingravidare una donna sterile. alla commedia antica è tuttavia ben più consistente
Questa della Mandragola è una storia anomala della ripresa di elementi onomastici. Riguarda l’ado-
per una commedia regolare di primo Cinquecento. zione di un modello strutturale che coinvolge l’intera
Una vicenda simile sarebbe stata più facilmente rac- orchestrazione della Mandragola, dalla disposizione
contata in una novella. Se tuttavia ne riducessimo in della materia negli atti in quattro parti (protasi, pro-
termini essenziali la trama, la potremmo descrivere logo, epitasi e catastrofe), alla dialettica ostacolo-su-
in maniera compatibile con quella di una commedia peramento, fino allo scioglimento finale.
di tipo plautino o terenziano: un giovane innamorato Nei primi decenni del 16° sec., essendo ancora da
(Callimaco) contende a un vecchio (Nicia) una don- venire la precettistica aristotelica che avrà solo nel
na giovane e bella (Lucrezia) e, grazie ai maneggi di 1543 con Giovanni Battista Giraldi Cinzio la sua for-
un servo astuto (Ligurio), riesce a comprarla da chi malizzazione, le regole della commedia potevano es-
l’ha in suo potere (fra Timoteo). La riduzione della sere desunte da alcuni trattati tardoantichi come il
vicenda in questi termini la renderebbe però irrico- De fabula attribuito a Evanzio, qua e là dal commen-
noscibile. E tuttavia resta vero che si tratta di una to di Donato a Terenzio, dall’attività esegetica sulle
storia nello stesso tempo novellistica e teatrale, ov- commedie latine prodotta da almeno due generazio-
vero realistica in ogni suo particolare e insieme ri- ni di umanisti, oltre che direttamente dagli stessi te-
spettosa delle convenzioni proprie del teatro comico sti dei due commediografi latini. Il De fabula veniva
classico. Ossimoro che risulta già dall’onomastica di solito riportato unitamente al De comoedia, attri-
dei personaggi. buito a Donato. Questi due testi, peraltro piuttosto
I nomi dei due personaggi minori della Mandra- brevi, andavano a costituire, subito dopo la Vita Te-
gola, Siro e Sostrata, sono un evidente omaggio di M. rentii e insieme a essa, già in alcuni manoscritti e poi
a Terenzio: Sostrata è il nome della madre di famiglia da qui negli incunaboli e nelle stampe cinquecentine,
nell’Heautontimorùmenos, nell’Hecyra e negli Adel- una sorta di ricco apparato a corredo delle edizioni
phoe; Siro è il nome del servo nell’Heautontimorùme- terenziane pubblicate con il commento di Donato. Il
nos e negli Adelphoe. Con Callimaco Guadagni e Nicia De fabula, in particolare, tocca, pur nella sua brevi-
Calfucci ci troviamo dinanzi a sequenze onomastiche tà, alcuni punti essenziali delle regole del comporre
nella prima parte grecizzanti (i nomi), nella seconda commedie. I modelli di riferimento sono quelli della
autenticamente fiorentine (i cognomi). Callimaco è, ‘commedia nuova’, Menandro in lingua greca, Plau-
con facile scomposizione greca, il «guerriero dalle to e Terenzio in latino. Di fatto nel De fabula l’auto-
belle battaglie», il combattente valoroso e vittorioso, re di riferimento è soprattutto Terenzio, dal quale si
e di fatto il personaggio che lo porta è tale, anche se desumono le tipologie del prologo; la congruenza dei

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MANDRAGOLA

comportamenti dei personaggi con l’età, l’abito, la è «fitta» in un canto della scena e che sembra rispon-
funzione; la mancanza di qualsiasi astruseria o parti- dere a una toponomastica immaginaria, trova effetti-
colare che per essere compreso ha bisogno di infor- vamente riscontro nella mappa della Firenze cinque-
mazioni extratestuali; l’assenza di scambi di parti fra centesca, mettendo capo sulla piazza vecchia di S.
gli attori, cioè personaggi doppi che confondevano Maria Novella: dunque proprio questa sarebbe la
gli spettatori; la preferenza per non più di quattro chiesa («el tempio che all’incontro è posto») in cui of-
personaggi per scena; la tecnica dell’azione conti- ficia il frate della Mandragola. Una puntura veleno-
nua, per cui i personaggi si richiamano sempre nel sa nei confronti dell’affarismo dei domenicani del
passaggio da una scena all’altra. Si apprezza in parti- convento di S. Maria Novella, seppure accurata-
colare nel De fabula l’impianto naturalistico delle mente nascosta. Del resto sono propri di una biblio-
commedie di Terenzio, in contrapposizione implicita teca domenicana i testi della Scolastica sui quali il
con la grande libertà del teatro plautino. M., il quale frate studia il caso di coscienza di Lucrezia, come è
conosceva certamente il trattato di Evanzio, che po- un testo di circolazione domenicana anche quella Vi-
teva leggere agevolmente nelle numerose edizioni ta dei santi Padri che Timoteo legge per ingannare il
terenziane commentate, si fa nella Mandragola di- tempo nella notte in cui si consumerebbe lo sveleni-
scepolo di Terenzio più che di Plauto. Si potrebbe mento della donna. Inoltre, il finto medico Callimaco
anzi dire che nel quadro abbastanza articolato della parla come un medico vero, sciorinando allo sbalor-
commedia italiana del Rinascimento la commedia di dito Nicia pezzi dei trattati di medicina di Michele
M. è la prima e resterà forse anche l’unica davvero Savonarola (→). Le argomentazioni spese da fra Ti-
terenziana, tale cioè sia nello spirito sia nelle forme. moteo per convincere Lucrezia non sono teologica-
E sarebbe da aggiungere anche nella lettera, consi- mente infondate. Ma anche particolari più minuti,
derato il numero elevato di citazioni soprattutto dal- come i quattro mesi del feto della fanciulla che si do-
l’Andria, ma anche dalle altre commedie di Terenzio vrebbe far abortire, nella proposta civetta di Ligurio
(ma qualcosa arriva anche da Plauto), che costitui- a fra Timoteo, sono definiti con calcolo maliziosa-
scono una filigrana ininterrotta lungo tutto il testo mente realistico. Così l’idea della necessità di depu-
della Mandragola. rare Lucrezia sembra una trovata partorita da un in-
Rispetto a Terenzio, il realismo di M. va tuttavia gegno fantasioso, e invece fonda sulla credenza che
ancora oltre. Nella Mandragola non c’è particolare, colui che cavava la radice della pianta ne venisse irri-
anche minimo, che risulti poco meno che verosimile. mediabilmente avvelenato, tanto è vero che i cerca-
L’attribuzione puntuale ai limiti della pignoleria tori addestravano a questo compito i cani. Il vaga-
delle fasi dell’azione alle varie ore del giorno volge bondo che dovrà accoppiarsi con Lucrezia per
una vicenda tramata di elementi convenzionali (il svelenirla svolge dunque apparentemente l’incom-
contrasto amoroso fra il giovane e il vecchio, le mac- benza di un cane, ma avrà la ventura di unirsi alla
chinazioni astute del parassita, la suocera, il servo più bella donna di Firenze. Sconfinando infine nel
ecc.) in una rappresentazione di eventi realistici. folclore, dietro la vicenda mandragolesca si legge in
Nella Mandragola non ci sono i pezzi di bravura che controluce il motivo del congiungimento con la fan-
saranno cari ai comici di mestiere (tranne forse le ciulla avvelenata e avvelenatrice, presente già nelle
poche battute della palla d’aloe nella bocca di Nicia: narrazioni popolari medievali e riusato da M. come
IV ix 124-32) e che nel teatro plautino qua e là si rin- efficace spunto comico. E si potrebbe continuare con
vengono; non entra mai in gioco il caso o la fortuna; la caratterizzazione linguistica dei personaggi e altri
tutto avviene per la capacità di iniziativa – si direbbe aspetti ancora, benché minimi, che danno alla com-
machiavellianamente la ‘virtù’ – dei personaggi. Né media il sapore dell’autenticità, del fatto accaduto.
ci sono arrivi improvvisi a sciogliere con agnizioni Altro versante del realismo della Mandragola è
imprevedibili i nodi dell’intreccio, né coppie di ge- nella circostanza che M. ancori cronologicamente i
melli a generare improbabili scambi di persona e altri fatti della commedia al 1494, anno della discesa in
equivoci, come anche nella Calandra. La topografia Italia di Carlo VIII. Callimaco è nato nel 1474; a die-
fiorentina dell’ambientazione è tutt’altro che con- ci anni (1484), morti entrambi i genitori, è mandato a
venzionale (come invece per la Ferrara dei Suppositi Parigi; a venti, nal 1494, avrebbe dovuto far ritorno a
o la Roma della Calandra, per non dire di Metellino o Firenze, ma la discesa di re Carlo e le guerre d’Italia
di Atene di altre commedie del primo Rinascimento): gliel’hanno impedito; nel 1504, a trent’anni, fa final-
qui ci sono Mercato nuovo, Mercato vecchio, il Pan- mente ritorno a Firenze, spinto dall’innamoramento
cone degli Spini, la loggia dei Tornaquinci, la panca a distanza per Lucrezia. La scansione degli anni per
del Proconsolo, la «via dello Amore». Finanche que- decadi è anch’essa significativa di un’ottica stori-
st’ultima strada, che a stare alla citazione del prologo ca, ma è ancora più significativo notare che il 1494 è

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MANDRAGOLA

anche l’anno da cui prende avvio il primo Decennale e del loro ritorno, Ligurio aveva dichiarato: «El frate ci
quello a cui alludono le ultime parole delle Istorie fio- aspetterà qui: noi torneren subito» (IV vi 102).
rentine, per non dire dei Discorsi, che fanno più volte Un’identica sensibilità nel portare a far coincidere il
rimando al 1494 come a una data cruciale. Non pare più possibile, anche con il sostegno di dichiarazioni
dubitabile, alla luce di queste evidenze, che M. in- ad hoc, tempo della fabula e tempo della rappresenta-
tenda attribuire alla commedia un valore esemplare zione (che è poi il tempo reale di chi assiste alla rap-
rispetto ai nuovi tempi che proprio i fatti del 1494 presentazione) M. la dimostra nella gestione del tem-
avevano tristemente inaugurato. Lo stesso avverrà po degli intervalli fra gli atti. Nella Mandragola
nella Clizia, anch’essa ancorata al 1494. anche questo tempo è trattato in maniera tendenzial-
C’è poi la gestione del tempo, che in commedia è mente isocronica. Prima che ciascun atto si concluda
elemento non trascurabile al fine di determinare il gli spettatori sono avvertiti di quello che accadrà du-
realismo della rappresentazione. La sua compressio- rante la pausa della rappresentazione. Tra un atto e
ne o la sua dilatazione provocano per difetto o per ec- l’altro c’è sempre soluzione di continuità, analoga-
cesso una sfasatura nel rapporto fra tempo della fa- mente al tempo degli spettatori nella sala, che può
bula e tempo della rappresentazione, accrescendo la essere occupato dall’esecuzione degli intermezzi o
sensazione dell’inverosimiglianza. Svolgendosi in da altro. Tra primo e secondo atto Ligurio rintrac-
epoca classica l’azione teatrale nell’arco di una sola cerà Nicia e lo condurrà a casa di Callimaco. L’in-
giornata (siano le sole ore di luce o l’arco delle 24 tervallo tra secondo e terzo è utilizzato da Ligurio e
ore), poteva accadere che pur di non contravvenire a Nicia per mettere al corrente Sostrata della necessità
questa regola, si condensassero nello spazio ristretto di affidare Lucrezia alle cure del finto medico Calli-
di un sol giorno azioni che nella realtà avrebbero in- maco. La pausa fra terzo e quarto copre il tempo ne-
vece richiesto anche settimane. Pure in Terenzio, cessario a Ligurio per aggirarsi in Firenze alla ricer-
commediografo incomparabilmente più sensibile di ca di Callimaco. Qualcosa fuori dal comune avviene
Plauto alla verosimiglianza dell’azione, si colgono ta- invece nel passaggio dal quarto al quinto atto. Nella
lora delle condensazioni, seppure tanto contenute da battuta conclusiva del quarto il frate infatti esce dal-
passare per lo più inavvertite. Ma Plauto e Terenzio la convenzione della rappresentazione (cosa che nes-
forniscono anche casi opposti di tempi della scena di- sun personaggio terenziano mai fa) e chiede agli
latati. M. nella Mandragola anche da questo punto di spettatori che non critichino i personaggi (e per loro
vista è più terenziano che plautino: si direbbe anzi l’autore) per il fatto che in quell’intervallo trascorre-
molto più attento di Terenzio a coordinare i tempi di rà l’intera notte: «E voi spettatori non ci appuntate,
svolgimento dell’azione. All’interno degli atti i tempi perché questa notte non ci dormirà persona, sì che
della rappresentazione sono calibrati con buona ap- gli atti non sono interrotti dal tempo» (IV x 158). Gli
prossimazione realistica. L’assolo di Siro della scena atti non saranno interrotti perché, pur essendo il
quarta del secondo atto, per es., copre abbastanza quinto ambientato nelle prime ore della mattina suc-
verosimilmente il tempo impiegato da Nicia fuori cessiva, in quella notte nessuno dei personaggi dor-
scena per raccogliere «il segno», cioè le urine, di Lu- mirà. La continuità dell’azione è insomma garantita
crezia; del resto, Nicia aveva avvertito Siro del suo dalla veglia fuori scena, anche se il tempo della fabula
far presto («Aspettami qui: io tornerò ora»: II iii 50), e quello della rappresentazione risulteranno per que-
quasi a far partecipi gli spettatori dell’isocronia degli sto sensibilmente divaricati. Del resto anche Teren-
avvenimenti sulla scena e fuori scena. Il monologo zio nel passaggio dal secondo al terzo atto dell’Heau-
di Nicia della scena settima dell’atto terzo serve a tontimorùmenos aveva fatto correre un’intera notte.
dar tempo a Ligurio di far partecipe il frate della mac- La Mandragola insomma legittima anche un’appa-
chinazione, e ha un’estensione tutto sommato con- rente infrazione con un precedente terenziano.
venzionalmente compatibile con la durata del collo- Ma anche quando l’esigenza di una rappresenta-
quio fuori scena: peraltro anche qui Ligurio prima zione moderna potrebbe confliggere con gli usi e i
di ritirarsi con Timoteo avverte Nicia: «Aspettate costumi di un’epoca storicamente lontana, la capaci-
qui: noi torniamo ora» (III vii 84). Il successivo asso- tà di M. di adattarne al presente le regole, le conven-
lo di Timoteo (III vii 94), più lungo dei due prece- zioni, i personaggi è una delle peculiarità più sor-
denti, copre il tempo necessario perché Ligurio chia- prendenti della commedia. L’esempio più eloquente
mi le donne, le stesse escano di casa e raggiungano il di ciò si può forse cogliere nella scena terza dell’atto
sagrato della chiesa dove sono attese dal frate. Anco- terzo, quella del frate e della vedova. È una scena in-
ra nell’assolo della scena sesta dell’atto quarto Timo- solita perché il personaggio della vedova è estraneo
teo resta sulla ribalta per consentire a Ligurio e Siro all’intreccio: non ha nome, pronuncia solo poche
di travestirsi; e anche qui, ad assicurare della rapidità battute, dopo di che scompare nel nulla da cui era

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affiorato. Il dialogo tra la vedova e il frate è di fatto al teatro antico. Del resto, anche il personaggio della
la parte finale di un colloquio iniziato fuori scena, vedova nel suo comparire in un’unica scena trova
che sembra aver toccato argomenti che avrebbero una qualche legittimazione nelle regole della com-
potuto anche concludersi in una confessione. Ma la media classica: strutturalmente è un personaggio
donna non ha tempo e le basta per intanto «essersi protatico, anche se in maniera sui generis. Definito
sfogata un poco così, ritta ritta». Dà quindi al frate come tale nei trattati, il personaggio protatico è det-
l’obolo di un fiorino, una quantità non trascurabile to così perché compare nella protasis della comme-
di denaro, perché dica delle messe per l’anima del dia, di fatto il primo atto, e fa in genere da spalla al-
marito, «un omaccio» che anche da morto, e malgra- l’interlocutore principale per permettergli di esporre
do mancasse di discrezione nel sollecitarla con prati- gli antefatti dell’azione. Caratteristica del personag-
che non proprio lecite, continua ancora nel ricordo a gio protatico è che, dopo aver assolto questo compi-
stuzzicarne gli appetiti («pure le carni tirono»). E al to, scompare dalla commedia. Nella Mandragola il
ricordo del fare indiscreto del marito la donna asso- servo Siro svolge funzioni protatiche nella prima sce-
cia, ingigantendo le proporzioni, la consuetudine del- na dell’atto primo, trasformando in dialogo quello
l’impalare dei turchi, la cui venuta in Italia lei teme che nella sostanza è un monologo di Callimaco. La
proprio per la paura di subire da loro quel trattamen- donna senza nome, dunque, è come se introducesse
to. Tra sospiri, reticenze e finte preoccupazioni la ve- la seconda parte della vicenda, che da quel momento
dova porta così il discorso su un terreno scivoloso, si inscrive tutta nel segno del frate. La terza scena
ma Timoteo non abbocca. Un frate decameroniano dell’atto terzo è brevissima, ma dopo il colloquio con
ne avrebbe immediatamente approfittato. Ma Ti- la vedova fra Timoteo esce raffigurato a tutto tondo
moteo per apparentamenti letterari somiglia più ai per vie che sono esclusivamente teatrali. Poche bat-
frati del Novellino di Masuccio Salernitano che non tute e gli spettatori sanno tutto di lui. La novella, an-
a quelli decameroniani: la sua unica mira è il fiorino. che per il più novellistico dei personaggi della com-
I protagonisti di questa scena sono quanto di più media, avrebbe quindi un’incidenza solo parziale.
estraneo si possa concepire rispetto alla commedia Insomma la componente novellistica della Mandra-
antica. Il personaggio del religioso, assente ovvia- gola altro non sarebbe che la sua impronta realistica,
mente nel teatro latino, era tuttavia presente nel tea- il suo essere verosimile anche nei particolari più se-
tro umanistico. Ma anche in riferimento al teatro an- condari, la sua capacità di adattare al presente le re-
tico l’innovazione forse non è così radicale. Infatti gole, le convenzioni, i personaggi di un genere in-
l’antagonista del giovane innamorato delle commedie nervato originariamente negli usi e nei costumi di
plautine e terenziane non è sempre il padre vecchio un’epoca storicamente lontana.
che lesina al figlio i denari necessari a riscattare dal
ruffiano mercante di schiave la fanciulla amata. Talo- Un’antropologia della vita quotidiana. All’inizio
ra è il ruffiano stesso, che amministra a suo piacimen- della Mandragola, dopo le prime due battute rifatte
to la vita delle donne di sua proprietà e si attribuisce sull’attacco dell’Andria, la successiva è costruita sin-
la facoltà di concederle o negarle ai loro spasimanti. tatticamente sul parallelismo «Io credo che tu ti ma-
La sua attività conosce comunque un unico inderoga- ravigliassi... e ora ti maraviglierai...». La stessa strut-
bile principio: il guadagno. Mai il ruffiano mostra de- tura poliptotica, realizzata con il corrispondente
bolezza nei confronti della sua delicata mercanzia. Ci verbo latino miror, si riscontra, anche qui in posizione
si chiede allora se fra Timoteo non possa anche esse- incipitaria, nel proemio dei Caratteri di Teofrasto
re visto come una sorta di moderno lenone: non ha il tradotti dal greco in latino da Lapo da Castiglion-
possesso materiale delle donne, ma ne controlla la co- chio il Giovane nel 1430, versione che conobbe una
scienza in modi che producono risultati non dissimili discreta circolazione manoscritta fino a quando non
dall’antica schiavitù. La scena della vedova serve pro- fu messa a stampa per la prima volta a Basilea nel
prio a rappresentare la dipendenza, la sottomissione 1531: «Cum antea saepe mecum animo et cogitatione
della donna al frate ed è anticipazione dell’altra sce- reputans mirari soleo, tum fortasse numquam desi-
na, quella decisiva, del convincimento di Lucrezia. nam mirari cur etc.». Forse è una coincidenza, ma
In realtà Callimaco non ottiene Lucrezia dal marito potrebbe anche essere il dettaglio che getta uno spi-
sciocco, la compra dal frate. Avere individuato nei raglio di luce sulle ragioni profonde che sono all’ori-
frati i moderni ruffiani, padroni delle coscienze fem- gine della Mandragola. Scorrendo il proemio dei Ca-
minili e di conseguenza anche dei loro corpi, è per ratteri (che non è di Teofrasto, ma circolava a suo
M. un colpo di genio insieme sociologico e teatrale. nome) si legge che l’autore, avendo osservato a lungo
Ma sarebbe anche una prova, e delle più imprevedi- la natura degli uomini sia virtuosi sia malvagi, giunto
bili, che nella Mandragola non c’è nulla di estraneo all’età di novantanove anni ha ritenuto opportuno

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descrivere i comportamenti degli uni e degli altri. stereotipati. Ma quelle forme contenevano comun-
Sia o no pertinente l’accostamento suggerito dalla que di per sé un modello da cui per un umanista era
coincidenza degli incipit, non si può non riconoscere impossibile prescindere. La commedia antica, e in
che M., seppure all’interno di un genere che metteva particolare quella terenziana, era per M. l’unico pos-
in gioco tipi convenzionali, miri a descrivere i com- sibile paradigma per capire quali fossero le forze che
portamenti umani con un’attenzione che nessun altro regolano l’agire di ogni giorno, ossia le regole di un
autore di commedia rinascimentale riuscirà a egua- microcosmo sociale e dei tanti suoi analoghi che per-
gliare. Di ciò si accorse Carlo Goldoni (→) nei Mé- dendo la loro individualità vanno a comporre l’entità
moires (1787), ammirando nella Mandragola la pri- superiore dello Stato. Del resto scriverà più tardi M.
ma commedia di carattere. nel Discorso intorno alla nostra lingua: «il fine d’una
A spiegare questo bisogna considerare che la Commedia è proporre uno specchio d’una vita priva-
Mandragola non nasce, com’è per Ariosto e per il ta». È per questa ragione che lo schema terenziano an-
Bibbiena, dall’esigenza di soddisfare il bisogno di dava applicato con coerenza, tutt’al più discretamente
spettacoli di una corte rinascimentale, né è l’eserci- ammodernato negli aspetti o nei personaggi che lo
zio retorico di chi prova a ridare forme nuove a una avrebbero reso altrimenti impraticabile. Nella lettera-
materia antica. È prima di tutto ed essenzialmente tura in volgare la vita privata ormai da due secoli si ri-
l’opera di chi impiega la letteratura come strumento specchiava nella novella, ma nell’età dell’Umanesimo
conoscitivo. La sua genesi non è dunque lontana dal- una letteratura che si ponesse delle finalità conosciti-
l’esigenza di capire e di spiegare il presente attraver- ve non poteva prescindere dalle forme attraverso cui
so i modelli del passato che è all’origine dei Discorsi, gli antichi comunicavano ai moderni. Bisogna sotto-
del Principe e di tutti gli altri scritti politici e storici lineare ancora che gli anni della Mandragola, se ne ri-
del nostro autore. Del resto, è troppo complessa e conosciamo la stesura già all’altezza del 1514-15, sono
profonda la struttura concettuale del pensiero di M. per M. quelli della fase più sperimentalmente umani-
per ritenere che, anche quando l’autore si cimenti in stica della sua attività, quelli dei Discorsi e del Princi-
un genere leggero come la commedia, lo faccia (al- pe, e anche quelli della sua maggiore felicità creativa.
meno a questa altezza cronologica) per svago, met- Ma la dipendenza da Terenzio si arresta qui. Mal-
tendo in qualche modo tra parentesi il sé stesso più grado in seguito, ancora nel Discorso intorno alla no-
profondo. Quello che la critica ha posto in evidenza stra lingua, M. scriva che peculiare della commedia è
come mescolanza di comico e tragico nella Mandra- saper suscitare il riso, «acciò che gl’huomini, corren-
gola, spiegandola con il disincanto e la disillusione do a quella delettatione, gustino poi l’exemplo utile
dell’autore, altro non è che la ‘verità’ della comme- che vi è sotto» (§ 65), accettando convenzionalmente
dia, il suo essere ‘politica’ nel senso che rappresen- quanto era scritto nel De comoedia di Donato e riba-
ta l’agire sociale degli individui. Che è altra cosa dito dal Poliziano nel suo commento all’Andria, se-
dalla cosiddetta interpretazione politica prospettata condo il quale la commedia è un’opera d’invenzione
per primo da Theodore A. Sumberg, secondo cui la che tratta di vicende private per insegnare cosa nella
commedia trasporrebbe in allegoria i fatti fiorentini vita sia utile perseguire e cosa evitare, di fatto quello
del 1512: il principe dei Medici (Callimaco) che con- che M. scopre nella commedia circa l’agire umano è
quista Firenze (Lucrezia) con l’aiuto della Chiesa tutto suo. La Mandragola non mira a insegnare nul-
(Timoteo) dopo aver fatto cadere la Repubblica la, la morale che se ne estrae non risponde ad alcuna
avendone spossessato Piero Soderini (Nicia). È ri- finalità pedagogica, a nessun modo di miscere utile
duttivo spiegare in questo modo un’opera così ricca dulci, ovvero di iuvare e delectare, come in Terenzio
di piani. M., negli anni in cui indagava in forme e con è invece evidente. Descrive solo la vita com’è, come
risultati così originali l’antropologia del potere, sa- i Discorsi e il Principe descrivono la storia e la politi-
rebbe attratto da una parallela curiosità nei confronti ca come sono. E i princìpi che regolano i rapporti
della vita quotidiana, e lo farebbe da umanista, in mo- nella vita privata non sono diversi da quelli che li re-
di non dissimili da come si avvicinava alla materia golano nella vita pubblica: l’utile e il piacere. Il che
‘maggiore’. La lezione degli antichi non era valida non è né bene né male: è solo la realtà. Ma essere riu-
soltanto per capire le logiche degli Stati, lo era altret- scito a piegare un genere dal gusto ancora archeolo-
tanto per capire le forze che agivano nei rapporti gico a esprimere una verità così sconvolgente nella
privati, che erano le stesse nel presente come nel pas- sua semplicità è letterariamente un fatto di portata
sato. Il genere che nell’antichità classica aveva rap- enorme. Il resto del teatro rinascimentale non arri-
presentato la quotidianità era stato soprattutto la com- verà neppure alla lontana a qualcosa che possa stare
media. La commedia latina, come già la commedia al paragone, tranne forse Giordano Bruno con il Can-
nuova greca, lo aveva fatto in modi convenzionali, delaio: ma non è un caso che sia M. sia Bruno prima

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che essere commediografi o letterati siano grandissi- il sagrato della chiesa. All’interno della chiesa, cioè
mi uomini di pensiero. nell’ambiente suo naturale, si trasferiranno tutti i
Se l’agire pubblico e l’agire privato rispondono personaggi per il doposcena della commedia. Ma in-
dunque a una medesima logica, è pur vero che gli ef- tanto per dare compiutezza strategica alla complessa
fetti che possono conseguire dall’uno e dall’altro e artificiosa architettura teologico-morale concepita
hanno una portata tutt’affatto diversa. Com’è noto, dal frate, per concludere la vicenda in armonia con il
per M. l’arte di simulare e dissimulare è virtù im- disegno imbastito si rende necessario un rito di puri-
prescindibile del principe. Nella concezione machia- ficazione, e l’entrare in santo, ossia la purificatio post
velliana della politica il perseguimento dell’utile da partum, è da questo punto di vista quello che a chi sa
parte dei reggitori degli Stati ha in sé una ragione di liturgia risulta il più pertinente. Ma il significato
pratica e nello stesso tempo etica. È adattamento al- che il rito era venuto assumendo nel corso dei secoli
la natura contraddittoria della realtà. Nasce anche da era sempre meno un atto di espiazione e sempre più
quel realismo che è componente antropologicamente di ringraziamento per la buona riuscita del parto. E
costitutiva dello spirito fiorentino. Quando però le se è vero che Lucrezia non aveva partorito (poteva
stesse logiche vengono trasferite nella sfera privata e avere tutt’al più concepito), un bambino comunque
l’affermazione di sé non ha più relazione con la sicu- in ballo c’era. Quella notte santa era stata promessa
rezza e la prosperità dello Stato, ma con la voglia in- di bene per tutti (Sostrata metterà «un tallo in sul
contenibile di conquistare sessualmente una donna, vecchio», Nicia avrà finalmente fra le braccia un
o con il desiderio di un padre di generare a tutti i co- «naccherino», Lucrezia e Callimaco potranno libera-
sti un figlio per avere a chi lasciare la roba, o con l’at- mente dare sfogo ai loro amori, il frate raccoglierà i
titudine di un frate a far bottega del proprio ufficio, frutti della sua mediazione) ed era il caso di renderne
ecco che il simulare e il dissimulare danno luogo a pubblicamente grazie a Dio. Per i personaggi sulla
situazioni equivoche che M. gioca sempre sul filo scena e per gli spettatori in sala è tutto contempora-
del paradosso. E quando la realtà quotidiana appare neamente vero e falso. Ma in questo modo l’happy
doppia o tripla, è di per sé comica. L’arte di M. sta end della tradizione plautina e terenziana veniva in
nel rappresentare situazioni paradossali che alla luce apparenza stravolto. Le regole della commedia ri-
del senso comune restano sempre verosimili: è que- chiedevano infatti che un matrimonio mettesse fine
sto un aspetto di fascino oltre che di modernità della lietamente agli amori prima contrastati dei giovani
Mandragola. Consiste in questo fondamentalmente innamorati. Qui invece si ha una cerimonia che è in-
il divertimento della commedia. sieme di purificazione e di ringraziamento. Neppure
Callimaco, che vestendo i panni del gran medico questo finale tuttavia infrange fino in fondo le regole.
analizza le urine di Lucrezia attribuendone il chiaro- Quando i personaggi centrali della vicenda, cioè Ni-
re al fatto di essere di notte la donna malcoperta, di- cia, Lucrezia e Callimaco, si dispongono nell’ultima
ce contemporaneamente una cosa vera e falsa; Ti- scena di fronte agli spettatori (Nicia al centro, Lucre-
moteo, che per convincere Lucrezia all’adulterio zia e Callimaco ai lati) e Nicia invita Callimaco a toc-
imbastisce un discorso teologicamente fondato e care la mano della donna, quel gesto leggerissimo
concluso addirittura con una citazione biblica, asser- delle mani degli amanti che si sfiorano suggerisce ico-
ve la teologia e le Scritture ai propri fini facendone nograficamente (l’intuizione brillantissima è di Daria
salva tutta l’aura sapienziale; Nicia, che in vista del- Perocco) le rappresentazioni pittoriche dello sposali-
l’accoppiamento della moglie con uno sconosciuto zio della Vergine. Insomma, una donna bellissima,
entra in uno stato di eccitazione che lo porta a rife- già sposata, dopo aver trascorso una notte d’amore
rirsi a quell’atto con battute che terminano nella con il suo amante, lo ‘sposa’ sotto lo sguardo benedi-
sconcezza, ed è addirittura percorso da un brivido di cente del marito e in presenza di un vero sacerdote,
sensualità quando vede le carni nude di Callimaco, sottoponendosi successivamente a un rito di purifi-
sconfina nel grottesco. Ma tutto ciò appare assoluta- cazione. Lo potremmo anche raccontare così il fina-
mente normale; come risulta normale la flessibilità le della Mandragola. È un finale che ha una sua logi-
di Lucrezia nell’adattarsi alle nuove circostanze, do- ca: il profano della relazione adulterina viene prima
po che la notte d’amore prima subita poi intensa- sacralizzato con un matrimonio velatamente cele-
mente vissuta le ha dischiuso mondi che il marito brato e poi mondato degli elementi impuri originari.
non le aveva lasciato neppure intuire. Il culmine si Questa non è certo una logica laica, e se autore del-
raggiunge tuttavia nella scena finale con il rito del- l’invenzione è uno scrittore laicissimo come M., quel
l’entrare in santo. finale ha il sapore dello sberleffo.
Il cerimoniere è fra Timoteo: lui apre la scena e Tutto insomma, dall’inizio alla fine della Mandra-
lui la chiude. Di sua pertinenza l’area in cui si svolge: gola, rivela l’abilità dell’autore di integrare l’antico

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con il moderno. Ma se il modello della commedia la- R, che presenta una scrittura corrente con numerose
tina riesce a contenere una materia così viva, lo si de- cancellature e aggiunte interlineari, la Mandragola
ve anche alla particolare circostanza che M., come si occupa le carte da 110r a 131r; le restanti registrano
diceva in apertura, riesce a far coesistere la grande prevalentemente testi di Lorenzo il Magnifico. Il
tradizione filologico-umanistica di Ficino e Poliziano suo estensore, fiorentino, mostra un certo scrupolo
(l’arte e le regole della commedia, i modelli classici) nell’attenersi all’esemplare di copia, ma si lascia an-
con quella tutta incentrata sulla fiorentinità lingui- che cogliere non poche volte distratto. C, a quello
stica, che aveva le sue radici in Boccaccio, era prose- che risulta princeps della commedia, si presenta a sua
guita con il Franco Sacchetti del Trecentonovelle e volta come un prodotto di bassa qualità per la carta
aveva trovato prima nel Burchiello poi in Luigi Pul- scadente, assenza di titoli correnti e caratteri logori.
ci e in Lorenzo de’ Medici i suoi campioni quattro- Un libro di formato in ottavo di fattura dozzinale
centeschi. Nessun altro autore e nessun’altra opera che per caratteristiche materiali è più prossimo alle
avevano realizzato o realizzeranno qualcosa di simi- fattezze di un incunabolo che non agli standard tipo-
le. Nelle battute della commedia le riprese da Plauto grafici correnti negli anni intorno al 1520. Per giunta
e da Terenzio si intrecciano infatti con i modi che gli uno dei cinque esemplari sopravvissuti fa registrare
autori della grande cultura municipale fiorentina un grossolano errore di imposizione riguardante tre
avevano trasferito nelle loro opere attingendo alla vi- pagine nei fascicoli A e B, errore corretto in corso di
vacità del parlato. Alla luce di tutto ciò risulta forse tiratura. Dall’osservazione del frontespizio, e in parti-
più ricco di implicazioni quello che M. intendeva colare dalla presenza di sei segni puntiformi all’inter-
quando nel Discorso intorno alla nostra lingua rim- no di un tondo al centro in alto della cornice, Ridolfi
proverava alle commedie di Ariosto di essere prive ha desunto la dedica della Mandragola alla famiglia
di quell’espressività (i «sali») che un commediografo dei Medici, interpretando quei segni come le sei palle
non toscano aveva difficoltà ad attingere. Non si dell’emblema mediceo. Ma quel motivo ornamentale
trattava solo della difficoltà di padroneggiare una è presente anche in altre edizioni fiorentine, dove i se-
lingua non propria in un genere che mimava il parla- gni puntiformi sono in numero diverso da sei. La
to, ma di avere parte in una cultura che aveva radici stessa immagine xilografica del centauro musicante è
vive nella quotidianità che la commedia aspirava a quasi certo che sia materiale di riuso, dunque senza
rappresentare. Il personaggio della Mandragola che alcuna relazione con il testo della commedia. L’idea
più di tutti incarna l’espressività fiorentina è Nicia, che esso rimandi al Chirone del cap. xviii del Principe
al quale Ligurio fa talora da spalla. L’espressività di è infatti un’ipotesi avanzata da taluni, ma ardua da so-
Nicia, il suo gusto ribobolesco della lingua, il suo stenere, anche perché sarebbe difficile spiegare il mo-
sputare frasi proverbiali a raffica diventano però se- tivo per cui l’anonimo tipografo avrebbe preferito al-
gno di provincialismo, sono emblematici di un attac- ludere all’autore così sottilmente (il Principe circolava
camento ottuso a una municipalità priva di prospet- ancora manoscritto) invece di riportarne a chiare let-
tive, in un’epoca in cui, stando al M. politico, la crisi tere il nome sul frontespizio. Del resto la successiva
politica e morale che stringe Firenze e l’Italia avreb- edizione della Mandragola, attribuita al tipografo ve-
be richiesto uomini nuovi, lungimiranti, tutt’altro neziano Alessandro Bindoni, anche questa senza indi-
che intenti a tenere lo sguardo fisso all’ombra del cazione di autore, luogo e data, reca nel frontespizio la
proprio campanile. xilografia di un suonatore di viella, che è presente ad-
dirittura in tre altre edizioni che nulla hanno a che
La tradizione del testo. Del testo della Mandrago- vedere con la Mandragola. Unico elemento certo di C
la non sopravvive alcun autografo. I due testimoni è la presenza di un tipografo originario di Siena, che
utili a ricostruire criticamente il testo sono il già ri- si lascia identificare per aver disseminato nel testo
cordato ms. Redi 129 (= R), datato come già detto numerosi senesismi linguistici.
1519, e una stampa adespota senza indicazione di an- R e C sono fra loro indipendenti, anche se la pre-
no, di luogo e di tipografo, identificabile dalla xilo- senza di errori comuni fa supporre la discendenza di
grafia del frontespizio che rappresenta un centauro entrambi dallo stesso testo non autografo. Si contano
che suona una lira da braccio all’interno di un fregio poi errori specifici sia di R sia di C, emendabili con il
di stile fiorentino. Da questa edizione, cosiddetta del ricorso all’altro testimone. Ma aspetto rilevante di C
Centauro (= C), discende tutta la tradizione a stam- è che il suo testo risulta con evidenza aver subito un
pa, fino al 1965, quando Ridolfi pubblicò critica- processo di revisione linguistica del tipo di quelli a
mente il testo tenendo conto anche del manoscritto, cui erano abitualmente sottoposti i testi volgari nel
sul quale lo stesso studioso richiamava per la prima momento di essere messi a stampa, con il risultato di
volta in quell’occasione l’attenzione. All’interno di una normalizzazione che lo rende molto più ordinato

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e levigato di quello di R, ma che fa perdere a esso la In quegli anni la corte pontificia era il più impor-
mobilità, la vivacità, la freschezza che ha la lingua di tante centro teatrale in Italia. Il papa aveva al suo
M., soprattutto nelle lettere e negli altri suoi scritti servizio una compagnia di attori con a capo il cele-
informali. La verniciatura linguistica di C (attenua- berrimo Cherea, nome d’arte del lucchese Francesco
zione delle forme grammaticali e lessicali più tipiche, de’ Nobili. Non sappiamo se Cherea ebbe parte nel-
tendenza al pareggiamento dei costrutti, eliminazione lo spettacolo romano della Mandragola e di conse-
di parole ripetute a breve distanza e altre idiosincrasie guenza se l’aveva già avuta in quello fiorentino; ma
per lo più pedantesche) mette insomma in ombra cer- quando questi, dopo la morte di Leone X, si trasferì
ti aspetti del parlato che la letteratura fiorentina quat- da Roma a Venezia, tra i primi testi che portò sulla
trocentesca, dal Burchiello a Pulci, aveva coltivato e scena in quella città fu proprio la Mandragola. Come
della quale M. a sua volta raccoglie e trasmette l’ere- si legge nei Diari di Marin Sanudo (→), in data 13
dità. Ma bisogna anche aggiungere che l’impegno re- febbraio 1522 fu infatti recitata nel convento dei
visorio documentato da C risulta poco compatibile crociferi una commedia «di uno certo vechio dotor
con la trascuratezza materiale dell’edizione, cosa che fiorentino che havea una moglie, non potea far fioli
lascia aperta l’ipotesi che questa non sia realmente la ecc.». Comprimario di Cherea, che era specializzato
princeps del testo ma la ristampa di un’edizione oggi nella parte dell’innamorato, era stato Zuan Polo,
perduta: circostanza che sembra trovare elementi di l’attore di maggior successo a Venezia prima di Ru-
prova anche sul piano linguistico (Stoppelli 2005, pp. zante. Se Cherea fu dunque Callimaco, Zuan Polo
160-61). Consiste comunque nella valutazione del te- rivestì certamente i panni di Nicia. Anche per la po-
sto di C il nocciolo del problema testuale della Man- polarità degli attori quello spettacolo fece registrare
dragola. Con il rischio, se non si mette in conto la pre- un tale afflusso di pubblico che rese impossibile re-
senza di un correttore tipografico, di attribuire le citare l’ultimo atto. Tre giorni dopo se ne fece una
varianti di C rispetto a R a revisione d’autore, dun- replica. A Firenze la Mandragola tornerà nuova-
que di ipotizzare l’esistenza di una doppia redazione mente nel 1524 a opera della Compagnia della Caz-
della commedia. È di conseguenza proprio sulla valu- zuola in casa di Bernardino di Giordano. Fu un
tazione di C che si è giocata la differenza di imposta- evento memorabile soprattutto per gli apparati sce-
zione delle tre edizioni critiche della Mandragola pro- nici, disegnati, come documenta Giorgio Vasari nel-
dotte dopo la scoperta del manoscritto rediano: le Vite, da Andrea del Sarto e Bastiano da Sangallo.
Ridolfi (1965) accorda preferenza a C (da lui siglato Passeranno ancora pochi anni e il 5 febbraio del 1526
F) in ragione della sua forma linguisticamente più ri- la Mandragola terrà ancora banco a Venezia; lo spet-
finita; Mario Martelli (1971) si affida a R per la tessi- tacolo è questa volta organizzato dalla colonia fio-
tura linguistica e a C per le varianti sostanziali, ipo- rentina residente in città con attori venuti apposita-
tizzando una seconda redazione d’autore; Pasquale mente da Firenze. La cronaca dell’avvenimento si
Stoppelli (2005) riconosce maggiore legittimità al te- può leggere in una lettera che il fiorentino Giovanni
sto di R, salvo emendarne gli errori sulla base di C. Manetti scriverà il 28 febbraio successivo a Machia-
velli. I Menaechmi di Plauto, che erano stati recitati
La fortuna a stampa e sulla scena. Esclusa, non es- quella stessa sera in un’altra sala veneziana, al con-
sendovi alcun riscontro, la supposta rappresentazione fronto della Mandragola erano apparsi «una cosa
fiorentina del febbraio o settembre 1518, la prima no- morta». Ma nel carnevale di quell’anno, oltre che a
tizia di una messa in scena della Mandragola la leggia- Venezia, la commedia fu rappresentata quasi certa-
mo nella già ricordata lettera di Della Palla dell’aprile mente anche a Faenza. Auspice dell’iniziativa era
del 1520, che informava da Roma M. di aver parlato stato Guicciardini, allora presidente della Romagna
della commedia al papa e di averlo rassicurato del su incarico di Clemente VII. M. e Guicciardini si
buon andamento dei preparativi per il suo allestimen- sarebbero dovuti incontrare in quell’occasione nella
to. Di questo allestimento romano, avvenuto nel città romagnola, ma per il precipitare della situazio-
1520, si avrà conferma da Paolo Giovio, che nel ri- ne politica il papa richiamò Guicciardini a Roma per
tratto riservato a M. negli Elogia aggiunge che essa consultazioni. Essendo già stata preparata dagli atto-
era stata la replica, con lo stesso apparato e gli stessi ri, è da credere che la commedia andasse ugualmen-
attori, di una recita fiorentina. Possiamo dunque rite- te in scena, ma, assente l’amico, M. non si mosse da
nere come cosa più probabile che questa rappresenta- Firenze. M. morirà nel giugno del 1527; non si sa di
zione avvenuta a Firenze, a cui Giovio accenna, fosse altre recite lui vivente. Dopo il 1527 la commedia si
avvenuta nel carnevale del 1520, data peraltro coinci- rappresentò forse altre volte a Firenze e altrove, ma
dente con quella apposta sul ms. rediano. Di lì a pochi l’unica notizia successiva a questa data riguarda uno
mesi sarebbe avvenuta quella romana. strano allestimento di cui parla Anton Francesco

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MANDRAGOLA

Doni nei Marmi (1555), che dovrebbe essere avve- Ma la fortuna della Mandragola nel 16° sec. si mi-
nuto a Firenze intorno alla metà del secolo. In quel- sura anche dall’influenza che esercitò sulle successi-
l’occasione sarebbero stati realizzati ai due capi della ve commedie, anche se l’opera di M. era troppo sui
stessa sala due scene, dipinte l’una da Francesco Sal- generis per avere quelle caratteristiche di imitabilità
viati l’altra dal Bronzino, nella quale gli atti della che potevano farne un modello. A questo si prestava
Mandragola vennero recitati alternativamente a meglio la Calandra, come di fatto avvenne. La Man-
quelli dell’Assiuolo di Giovanni Maria Cecchi. dragola riuscì tuttavia a tipizzare in commedia la fi-
Passando dalle scene alle stampe, le prime due gura del religioso corrotto, come nell’Aridosia (1536)
edizioni già ricordate, quella del Centauro e del Suo- di Lorenzino de’ Medici o nel Frate (1540) di Anton-
natore di viella, inaugurano una fortuna del testo che francesco Grazzini. Più tardi possiamo registrare so-
sarà costante fino all’inclusione di M. nell’Indice dei lo motivi generici di derivazione, come nella Sporta
libri proibiti del 1559. Fino alla fine degli anni Venti (1543) di Giovambattista Gelli, oppure imitazioni
del 16° sec. le edizioni di commedie, e dunque anche farsesche di poche pretese come La potione (1552) di
della Mandragola, consistono in genere di libri di Andrea Calmo. Questo però non escluse che la Man-
piccolo formato, una produzione che potremmo og- dragola, e in misura minore la Clizia, diventassero
gi definire di consumo, legata per lo più agli spetta- riferimento importante per quegli autori toscani che
coli, messa sul mercato da stampatori di second’or- facevano della vivacità ed espressività della lingua la
dine che in genere evitano di sottoscriversi. Ha principale risorsa della loro comicità. Ai modi di di-
queste caratteristiche una collanina in dodicesimo di re sentenziosi, alle frasi proverbiali della Mandragola
ben sette commedie moderne pubblicate tra il 1524 e attingeranno gli scrittori fiorentini del 16° sec., non
il 1525 senza nome del tipografo (si è ipotizzato che solo commediografi come Cecchi. Per es., Doni far-
potesse essere lo stampatore romano Francesco Mi- cirà a piene mani di frasario mandragolesco alcuni
nizio Calvo); una di queste è la Mandragola (è la pri- dialoghi dei Marmi, e nell’Ercolano di Benedetto
ma volta che questo titolo compare sul frontespizio, Varchi, pubblicato postumo nel 1570, la lingua di M.
ma il testo resta ancora adespoto), anche se l’esisten- diventerà materiale di rilevante interesse.
za di piccole differenze con gli altri volumetti della Per registrare un ritorno diffuso, non clandestino,
serie non esclude che possa trattarsi di un’imitazione a M. nelle stamperie bisognerà attendere la seconda
realizzata in altra stamperia. Comunque sia, solo a metà del 18° secolo. Nella bibliografia delle edizioni
partire dagli anni Trenta il genere della commedia machiavelliane di quest’arco di tempo si contano un
moderna comincia a interessare i maggiori editori centinaio di titoli, comprese alcune messe a stampa
veneziani e fiorentini. Nel 1531 la commedia è ri- di tutte le opere, tra le quali era dunque anche la
stampata a Venezia da Niccolò Zoppino e qui il no- Mandragola. Non abbiamo invece notizia di rappre-
me di M. finalmente risulta; ritorna tuttavia il titolo sentazioni. Nasceva intanto in quegli anni, con Giro-
Comedia di Callimaco et di Lucretia. Seguono un’edi- lamo Tiraboschi, la grande storiografia letteraria ita-
zione fiorentina del 1533, prodotta in collaborazione liana. Per Tiraboschi (1781) il giudizio negativo sulla
da Bernardo Giunti e gli stampatori associati Anto- moralità delle commedie di M. faceva tutt’uno con
nio Mazzocchi, Niccolò Gucci e Piero Ricci, ai qua- quello sulla loro qualità artistica: «la Mandragola e la
li si dovrà nel 1537 la princeps della Clizia; una vene- Clitia non sono un troppo perfetto modello né di un
ziana del 1537 di Francesco Bindoni e Maffeo modesto componimento né di una ben ordinata com-
Pasini. La Mandragola rifarà poi la sua apparizione media». Era una valutazione estrema. Gli storiografi
sullo scaffale dei librai nel 1550, pubblicata a Firen- di primo Ottocento cominciano invece, in particolare
ze da Bernardo Giunti; quindi a Venezia nel 1554, per la Mandragola, a far distinzione fra qualità dram-
per i tipi di Plinio Pietrasanta e la cura di Girolamo maturgica dell’opera e contenuti giudicati riprovevo-
Ruscelli, in un volume collettaneo che comprende li. Può essere portato, a esempio di ciò, il giudizio di
anche la Calandra del Bibbiena e quattro commedie Pierre-Louis Ginguené: «Quando si mette da parte la
degli Accademici Intronati di Siena. Infine, ancora a soverchia licenziosità delle cose e delle parole, non si
Firenze per i Giunti, la sola Mandragola nel 1556. può non convenire che la Mandragola sia d’un valore
Dopo questa edizione la commedia entra nel mirino straordinario» (Ginguené 1824, p. 235). L’aporia im-
della censura. Inizia così una lunga storia carsica del plicita in un giudizio come questo veniva avviata a ri-
testo, che affiora qua e là occasionalmente, fino al composizione da Francesco De Sanctis, che ricono-
Settecento, in edizioni clandestine che portano false sceva nella Mandragola un’azione bene studiata e
indicazioni di luogo e di data. Le più notevoli sono bene ordita, una straordinaria capacità di osservazio-
le cinque edizioni secentesche di tutte le opere di M. ne, uno spirito ironico con il cui riso, però, l’autore
dette della Testina. avrebbe coperto illusioni e disinganni: «Nel riso di

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MANDRAGOLA

Machiavelli c’è alcunché di tristo e di serio, che ol- Bibliografia: la prima edizione filologica della Mandragola
può essere considerata quella a cura di S. Debenedetti (Strasburgo
trepassa la caricatura» (F. De Sanctis, Storia della 1910), condotta sul testo del Centauro. Per la prima volta tiene
letteratura italiana, 1870, a cura di N. Gallo, N. Sa- conto anche del ms. Redi La Mandragola di Niccolò Machiavelli
pegno, 1958, p. 603). Il riso amaro di M. adombrato per la prima volta restituita alla sua integrità, a cura di R. Ridolfi,
da De Sanctis sotto le «buffonerie» dell’azione era Firenze 1965. Un nuovo testo critico della commedia è pubblicato
successivamente in N. Machiavelli, Tutte le opere, a cura di M.
l’idea critica che avrebbe aperto la porta a quella che, Martelli, Firenze 1971, pp. 868-90 (la nota al testo è alle pp. LI-
per analogia con il Principe, può essere definita l’in- LVII). Da Ridolfi riprendono il testo le seguenti edizioni com-
terpretazione ‘obliqua’ della Mandragola, che trove- mentate: E. Raimondi (Milano 1966) e G. Sasso, G. Inglese (Milano
1980), entrambe con emendamenti; a G. Sasso, G. Inglese si ri-
rà in Benedetto Croce il più autorevole sostenitore.
connettono con ulteriori aggiustamenti L. Blasucci, A. Casadei
Quella cioè di un M. dolorosamente impotente, che (Torino 1989) e A. Stäuble (Firenze 2004). Il testo Martelli è invece
non vede nella realtà spiragli attraverso cui il bene adottato in G. Davico Bonino (Torino 1979), G.F. Berardi (Roma
possa manifestarsi (Croce 1929, poi 1991, p. 221). 1981), E. Raimondi, G.M. Anselmi (Milano 1984), E. Mazzali (Mi-
lano 1995), N. Borsellino, A. Capata (Roma 1996), P. Gibellini, T.
Non riuscendo Croce a riconoscere nel capolavoro Piras (Milano 1997), C. Vivanti (Torino 2005). La quarta edizione
teatrale di M. una ‘moralità’, la coglie e contrario nel novecentesca classificabile come filologica è quella a cura di G. In-
disincanto dell’autore verso un mondo che conosce glese (Bologna 1997), dichiarata come interpretativa del ms. Redi.
solo egoismi e inganni. Da segnalare infine il testo critico realizzato con criteri diversi da
quelli delle edizioni precedenti in P. Stoppelli, La Mandragola:
Le interpretazioni critiche successive hanno in lar- storia e filologia, con l’edizione critica del testo secondo il Laurenziano
ga misura le radici in questa idea della Mandragola. Redi 129, Roma 2005, che qui si segue. A questo testo si attengono
Restava il fatto innaturale che, ormai da secoli, quella P. Stoppelli (Milano 2006), P. Larivaille (Paris 2008, con tradu-
che era un’opera teatrale veniva fruita esclusivamente zione francese a fronte) e D. Fachard (Roma 2013). Combina libe-
ramente lezioni di R e di C l’edizione di R. Rinaldi (Milano 2010).
come testo letterario. Nell’Ottocento non era l’adul- Fonti da cui si desumono notizie sulle prime rappresentazioni
terio a impedirne la rappresentazione: il problema della Mandragola, oltre all’epistolario machiavelliano (Lettere, pp.
era, e resterà ancora per molto, il personaggio di fra 362, 411, 413, 415, 417): M. Sanudo, Diarii, a cura di N. Barozzi,
Timoteo. Tra fine Ottocento e primi del Novecento, G. Berchet, F. Stefani, R. Fulin, 32° vol., Venezia 1891, col. 458;
A.F. Doni, I marmi, a cura di E. Chiorboli, Bari 1928, p. 51; G. Va-
tuttavia, l’attenzione degli studi enormemente accre- sari, Le Vite de’ più eccellenti pittori, scultori ed architetti, a cura di
sciuta intorno a M. e la temperie laicista dello Stato R. Bettarini, P. Barocchi, 5° vol., Firenze 1984, p. 395; P. Giovio,
postunitario determinarono le condizioni perché la Elogi degli uomini illustri, a cura di F. Minonzio, prefazione di M.
Mandragola facesse sporadicamente ritorno sulla sce- Mari, trad. it. di A. Guasparri, Torino 2006, p. 258.
Sul testo e sulla tradizione testuale della commedia si segna-
na. Ma furono episodi di scarso rilievo. Le cose non lano i seguenti contributi: R. Ridolfi, Studi sulle commedie del Ma-
potevano certo cambiare in epoca fascista. La com- chiavelli, Pisa 1968; G. Inglese, Contributo al testo critico della
media si stampava ormai liberamente, ma dopo i Pat- Mandragola, «Annali dell’Istituto italiano di studi storici», 1979-
ti lateranensi (1929) e la legge del 6 gennaio 1931, che 1980, 6, pp. 129-73 [a stampa nel 1983]. Sulla data di composi-
zione della commedia: R. Ridolfi, Vita di Niccolò Machiavelli,
prevedeva il visto obbligatorio del ministero degli In- Roma 1954, Firenze 19787, pp. 532-36; F. Chiappelli, Sulla com-
terni per gli spettacoli teatrali, la censura divenne an- posizione della Mandragola, «L’approdo letterario», 1965, 32, pp.
cora più rigida. Né il vento cambierà direzione nei 79-84; S. Bertelli, When did Machiavelli write Mandragola?, «Re-
naissance quarterly», 1971, 24, pp. 317-26; M. Martelli, La
primi anni del secondo dopoguerra: la legge fascista
Mandragola e il suo prologo, in Il teatro di Machiavelli, a cura di
del 1931 resterà in piedi anche nell’Italia repubblica- G. Barbarisi, A.M. Cabrini, Milano 2005, pp. 221-55. Ha edito
na. Nel 1951 la commissione per la censura negava criticamente il testo degli intermezzi A. Bruni, Gli intermedi della
ancora l’autorizzazione a rappresentare la Mandrago- Mandragola, in Il teatro di Machiavelli, a cura di G. Barbarisi,
A.M. Cabrini, Milano 2005, pp. 367-408.
la. Soltanto nel 1953 Sergio Tofano riuscì a ottenere I giudizi critici espressi da Girolamo Tiraboschi (Storia della
un’autorizzazione ad personam per portare in scena la letteratura italiana, 7° vol., Napoli 1781, p. 464) e Pierre-Louis
commedia. La rappresentazione avvenne al teatro Ginguené (Histoire littéraire d’Italie, 6° vol., Paris 1824, pp. 220-
delle Arti di Roma e fu un evento memorabile per la 37) rappresentano la preistoria della fortuna critica della com-
media. La critica moderna della Mandragola nasce nel 1870 con
qualità dello spettacolo. Tofano impersonava Nicia, F. De Sanctis, Storia della letteratura italiana, a cura di N. Gallo,
Callimaco fu interpretato da Renzo Giovampietro, N. Sapegno, 2 voll., Torino 1958, pp. 595-604, ma sarebbe stata
Timoteo era Federico Collino, Ligurio Mario Scac- soprattutto l’interpretazione crociana (La «commedia» del Rinasci-
cia, Sostrata Ave Ninchi. Il prologo era recitato da mento, 1929) a influenzare il punto di vista novecentesco sulla com-
media: ora in B. Croce, Poesia popolare e poesia d’arte, a cura di P.
Monica Vitti. La regia era di Luciano Lucignani. Fu- Cudini, Napoli 1991, pp. 221-24. Della prima metà del Novecento
rono realizzate 142 repliche solo a Roma. Caratteristi- restano, ancora oggi acutissime, le pagine dedicate al teatro di M.
ca di questa rappresentazione fu il sostanziale rispetto in L. Russo, Machiavelli, Bari 1945, 19664, pp. 89-165. Tra i saggi
filologico del testo e della scena. Ma sarà solo dopo critici del secondo Novecento si segnalano: E. Raimondi, Il teatro
del Machiavelli (1969), poi rist. con il titolo Il Segretario a teatro, in
l’abolizione nel 1962 della legge sulla censura che la Id., Politica e commedia. Dal Beroaldo al Machiavelli, Bologna
Mandragola entrerà liberamente e definitivamente 1972, pp. 173-233 (ma si vedano anche le pp. 235-64); L. Vanossi,
nel repertorio delle compagnie teatrali italiane. Situazione e sviluppo del teatro machiavelliano, in Lingua e strutture

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del teatro italiano del Rinascimento: Machiavelli, Ruzzante, Are- Cabrini, Milano 2005, pp. 501-26. Per il rapporto della Mandra-
tino, Guarini, Commedia dell’arte, Padova 1970, pp. 1-108; N. Bor- gola con la novellistica, e soprattutto con il Decameron: G. Bardin,
sellino, Machiavelli e il teatro (1971), poi in Id., Rozzi e Intronati. Machiavelli reads Boccaccio: Mandragola between Decameron and
Esperienze e forme di teatro dal Decameron al Candelaio, Roma Corbaccio, «Italian quarterly», 2001, 38, pp. 5-21; M. Picone,
1976, pp. 325-61; G. Ferroni, «Mutazione» e «riscontro» nel teatro di Struttura della Mandragola, «Rassegna europea di letteratura ita-
Machiavelli e altri saggi sulle commedie del Cinquecento, Roma 1972, liana», 2002, 19, pp. 103-16. La presenza nella Mandragola del No-
pp. 19-137; G. Sasso, Considerazioni sulla Mandragola (1980), poi vellino di Masuccio Salernitano è indagata in M. Bendinelli
in Id., Machiavelli e gli antichi e altri saggi, 3° vol., Milano-Napoli Predelli, Madonna Lucrezia fra Masuccio e Niccolò, «Letteratura
1988, pp. 47-122. Di grande equilibrio e con diverse novità è il italiana antica», 2003, 4, pp. 447-64. Sull’esistenza di spunti ri-
profilo storico-critico della commedia che si può leggere in G. In- conducibili alla sacra rappresentazione: A.A. Triolo, Machiavel-
glese, Per Machiavelli, Roma 2006, pp. 157-74 (già in Letteratura li’s Mandragola and the sacred, «Arte lombarda», 1994, 3-4, pp.
italiana. Le Opere, direzione di A. Asor Rosa, 1° vol., Torino 1992, 173-77; N. Newbigin, Pirandello, Machiavelli and their «Donne di
pp. 1009-31). Sulla cosiddetta interpretazione ‘politica’ della Man- virtù», «Pirandello studies», 2008, 28, pp. 48-67.
dragola il riferimento è a T.A. Sumberg, Mandragola. An inter- Osservazioni sui personaggi della commedia si riscontrano in
pretation, «The journal of politics», 1961, 23, pp. 320-40, a cui fa tutti gli studi critici. Tra questi si segnalano in maniera specifica,
seguito con ulteriori precisazioni A. Parronchi, La prima rappre- per Lucrezia: M.J. Flaumenhaft, The comic remedy: Machiavelli’s
sentazione della Mandragola. Il modello per l’apparato. L’allegoria Mandragola, «Interpretation. A journal of political philosophy»,
(1962), poi in Id., La prima rappresentazione della Mandragola, Fi- 1978, 7, 1, pp. 33-74; P. Roselli, Nota sul personaggio Lucrezia
renze 1995. Spunti critici di natura diversa si hanno inoltre nei se- nella Mandragola di Niccolò Machiavelli, «Studi italiani in Finlan-
guenti saggi: C.S. Singleton, Machiavelli and the spirit of comedy, dia», 1981, pp. 83-87; R.L. Martinez, The pharmacy of Machia-
«Modern language notes», 1942, 57, pp. 585-92; G. Aquilecchia, velli: Roman Lucretia in Mandragola, «Renaissance drama», 1983,
«La favola ‘Mandragola’ si chiama» (1971), poi in Id., Schede di 14, pp. 1-43; G. Sasso, Machiavelli e gli antichi e altri saggi, 3°
italianistica, Torino 1976, pp. 97-126; C. Dionisotti, Appunti vol., Milano-Napoli 1988, pp. 140-50, e 4° vol., Milano-Napoli
sulla Mandragola, «Belfagor», 1984, 39, pp. 621-44; A. Sorella, 1997, pp. 299-321; per fra Timoteo: A.M. Cabrini, Fra’ Timoteo,
Magia, lingua e commedia nel Machiavelli, Firenze 1990; M. Plai- in Il teatro di Machiavelli, a cura di G. Barbarisi, A.M. Cabrini,
sance, Sur La Mandragola de Niccolò Machiavelli, «Il castello di Milano 2005, pp. 291-307; per Ligurio: G. Coluccia, Ligurio o
Elsinore», 1996, 9, 26, pp. 27-35; P. Larivaille, La Mandragola e dell’intelligenza, in Il teatro di Machiavelli, a cura di G. Barbarisi,
le regole della commedia antica, «P.R.I.S.M.I.», 2000, 3, pp. 105-17, A.M. Cabrini, Milano 2005, pp. 309-36. Una singolare rivaluta-
nr. monografico: La Renaissance italienne. Images et relectures. Mé- zione del personaggio di Nicia è in R. Alonge, Quella diabolica cop-
langes à la mémoire de Françoise Glénisson-Delannée; G.M. An- pia di Messer Nicia e di Madonna Lucrezia, in La lingua e le lingue di
selmi, Partitura della Mandragola, in Il teatro di Machiavelli, a Machiavelli, Atti del Convegno internazionale di studi, Torino 2-4
cura di G. Barbarisi, A.M. Cabrini, Milano 2005, pp. 257-68; L. dic. 1999, a cura di A. Pontremoli, Firenze 2001, pp. 241-62. Sulla
Bottoni, La messa in scena del Rinascimento, 2° vol., Il segreto del caratterizzazione retorica di taluni personaggi: A. Stäuble, Dalla
diavolo e La Mandragola, Milano 2006. Sulla scena finale della retorica di Timoteo alla retorica di Lucrezia, «P.R.I.S.M.I.», 2000, 3,
Mandragola: P. Baldan, Complemento o sberleffo a chiudere la pp. 97-104, nr. monografico: La Renaissance italienne. Images et re-
Mandragola, «Italianistica», 1994, 23, pp. 71-80. Ma si distinguono lectures. Mélanges à la mémoire de Françoise Glénisson-Delannée.
su quest’ultimo argomento per l’acutezza delle intuizioni due saggi Sulla lingua di M. ‘comico’ restano fondamentali, entrambi di
di D. Perocco: Il rito finale della Mandragola, «Lettere italiane», F. Chiappelli, Considerazioni di linguaggio e di stile sul testo della
1973, 25, pp. 531-37, e Alla ricerca del frutto proibito: la Mandra- Mandragola, «Giornale storico della letteratura italiana», 1969, 146,
gola di Machiavelli, in La maschera e il volto. Il teatro in Italia, a pp. 252-59, e Nuovi studi sul linguaggio del Machiavelli, Firenze
cura di F. Bruni, Venezia 2002, pp. 39-50. 1969. Osservazioni interessanti anche in: P. Trovato, Il primo
Sulla collocazione della Mandragola nel quadro del teatro co- Cinquecento, Bologna 1994, pp. 305-13; M. Martelli, Machia-
mico rinascimentale resta importante M. Baratto, La commedia velli e Firenze dalla Repubblica al Principato, in Niccolò Machiavelli
del Cinquecento, Vicenza 1975. Sul rapporto della Mandragola con politico storico letterato, Atti del Convegno, Losanna 27-30 sett.
le commedie di Ariosto e la Calandra del Bibbiena: G. Padoan, Il 1995, a cura di J.-J. Marchand, Roma 1996, in partic. pp. 27-30;
tramonto di Machiavelli, «Lettere italiane», 1981, 33, pp. 457-81. F. Franceschini, Lingua e stile nelle opere in prosa di Niccolò Ma-
Sul rapporto con la commedia fiorentina: F. Bausi, Machiavelli e chiavelli, in Cultura e scrittura di Machiavelli, Atti del Convegno,
la commedia fiorentina di primo Cinquecento, in Il teatro di Ma- Firenze-Pisa 27-30 ott. 1997, Roma 1998, pp. 367-92; C. Sca-
chiavelli, a cura di G. Barbarisi, A.M. Cabrini, Milano 2005, pp. vuzzo, Machiavelli. Storia linguistica italiana, Roma 2003, pp. 73-
1-20. Sulla presenza della Mandragola nelle successive commedie 126; P.V. Mengaldo, Attraverso la prosa italiana. Analisi di testi
fiorentine: M.C. Figorilli, La presenza del teatro di Machiavelli esemplari, Roma 2008, pp. 60-73.
in alcune commedie fiorentine degli anni Trenta e Cinquanta del Cin-
quecento, in Il teatro di Machiavelli, a cura di G. Barbarisi, A.M. Pasquale Stoppelli

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