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Storia della letteratura come provocazione

I saggi che Jauss ha raccolto in questo libro sono stati composti tra il 1965 e il 1970. 
documentano una netta valorizzazione della storicità della letteratura in un’epoca di trionfi
strutturalistici e di crescente distacco della letteratura dai paradigmi della comprensione storica.

Linee di orientamento della riflessione di Jauss:

1) Ricostruire la genesi e la trasformazione del concetto di Modernità nella tradizione estetica


e letteraria.
2) Ripensare la dimensione storica della letteratura, interpretando la struttura dei suoi
mutamenti epocali.

I primi 3 saggi :

-Devono essere considerati più come studio preparatorio in vista di una teoria, non una sua
applicazione.

-Illustrano l’origine letteraria della nostra modernità (= diversi aspetti del processo mediante il
quale l’arte moderna si è emancipata dall’autorità della tradizione antica)

- Dal punto di vista metodologico rappresentano varie possibilità di superare la storia letteraria
convenzionale, grazie alla descrizione e interpretazione di certe strutture del mutamento epocale
in letteratura.

Ultimi 2:

- Rappresentano veri e propri atti fondativi dell’estetica della ricezione.

Comunque fuorviante interpretare una tale disposizione come riflesso di una dicotomia assoluta,
ma non si può far a meno di leggere tra le righe il graduale affermarsi di interessi teorici via via più
accentuati.

Premessa

La letteratura, la sua storia e la ricerca intorno a essa sono cadute sempre più in discredito è
quindi un provocazione che proprio la storia della letteratura, data per morta, sia utilizzata per
un’apologia della letteratura stessa.

1) PRIMO SAGGIO: tenta di chiarire il rapporto tra tradizione e modernità, nella prospettiva di
una storia (cambiamento) dei termini e dei cocetti mutamento di significato dei termini
modernus/moderne, afferrabile tenendo in considerazione da concetti contrapposti via via
nel tempo: antiquu/ancien, qntique, classique, romantique. Questo modo di procedere
mette alla luce il modo in cui una nuova coscienza epocale si separa dalla tradizione.
2) SECONDO SAGGIO: mostra come l’orizzonte problematico della Querelle francese sia stato
riattualizzato da Herdere, Schiller e Schlegel nel corso di una fase critica del classicismo
tedesco. Si tenta di individuare con un’analisi sincronica i motivi storici e i nuovi problemi
che mossero Schiller e Schlegel all’analisi della letteratura coeva e alla prognosi su quella
futura. ( no analisi diacronica che mette in luce rapporti Querelle francese e tedesca)
3) TERZO SAGGIO:
4) QUARTO SAGGIO:
5) QUINTO SAGGIO:

PRIMO SAGGIO

Capitolo I

Il termine modernità teoricamente dovrebbe definire “L’autocomprensione del nostro tempo


nei confronti del passato” MA se si considera il ricorrere storico del termine (dal punto di vista
della tradizione letteraria), questa pretesa viene smentita.

Fa 2 esempi:

1) la modernité, neologismo francese sembra indicare, soprattutto con Baudelaire, espressione


di una nuova estetica.

2) die Moderne, espressione coniata durante una conferenza da Wollf che formulò in 10 tesi il suo
principio di moderno

MA

Questo neologismo non è che la tarda propaggine di modernus, termine latino e quindi collocato
in una tradizione letteraria ancora più antica.

È illusoria la pretesa che l’epoca attuale abbia diritto peculiare al nuovo e che perciò possano
rivendicare un senso di progresso sull’antico.

Da sempre, dalle prime critiche alessandrine dei testi omerici, le pretese dei moderni hanno
aizzato discussioni con i difensori dei gusti antichi. La polemica, poi, si risolve nel decorso storico:
divenendo i moderni inevitabilmente antiqui.  a ogni rinascita della letteratura europea, i
moderni si sono contrapposti agli antiqui può sembrare una costante letteraria, sembrare
naturale. Quindi anche la nostra attuale coscienza della modernità sarebbe in realtà parte di
questa circolarità. Può sembrare che il processo secolare per cui la letteratura della modernità
venne a sciogliersi dai canoni imposti dalle normative dell’antico sia precostruito, che tutto debba
venire ricompreso nella circolarità di un ritorno naturale, che l’allontanamento da un modello
antico sia irreversibile.

MA

Se si guarda al processo storico, la storia lessicale e concettuale di “modernus” mostra come il


significato di questa parola tardo latina non fosse ancora del tutto stabilito alla sua comparsa il
senso di modernus si dischiude con il mutamento storico della coscienza della modernità,
ogniqualvolta emerga l’opposizione tra un passato mediante l’autocomprensione storica del
presente. Il significato della parola moderno diventa comprensibile soprattutto alla luce di ciò che
gli si contrappone “Moderno indica il confine tra ciò che è odierno e ciò che è di ieri”

MA ALLORA

Il moderno di oggi non è distinguibile da quanto domani sarà demodé

QUINDI

L’elemento contrapposto al moderno deve essere cercato al di là di questo avvicendamento.


Esempio dell’abito alla moda: il vero contraltare di un abito alla moda non è questo stesso abito
quando divenga fuori moda, ma l’abito che il venditore decanta come “senza tempo”, ossia il
pezzo classico.

IN DEFINITIVA

Il moderno in senso estetico non si distingue per noi dall’antico, bensì dal classico questa
comprensione del moderno fu introdotta circa un secolo prima di questo saggio.

Capitolo II

In che modo si annuncia la coscienza di un passaggio dal vecchio al nuovo? Come diviene
percepibile l’autocomprensione storica di un’epoca? Si può cercare di rispondere a tali domande
attraverso la nostra storia lessicale nel significato delle parole e nei loro contrari si può ricercare
il riflesso di un’esperienza storica.

Modernus risale alle fine del Vsec, periodo di transizione dal mondo romano al mondo cristiano
in questo neologismo si manifesta la consapevolezza della fine di un’era antica per dar spazio a
una nuova?

Etimologia: dall’avverbio modo che in quest’epoca non significava solo “subito”, ma anche
“adesso”.  significa “attuale” più che “nuovo” e da qua si giustifica anche la comparsa del
neologismo ( una tale funzione non si avvertiva più nei sinonimi disponibili: neotericus, di origine
greca, viene spesso deformato e cade in declino; praesens non designa ( come anche novus o
coetanus) solo il presente storico) l’adesso storico del presente è indicato solo da modernus.

Epistolae Pontificum di Gelasio Il modernus entra qui in contrapposizione con le antiquitas, ossia
il passato cristiano dei patres. Qua il passato pagano non viene considerato come “antiquitas”;
sarà poi Cassiodoro a inglobarlo nell’antiquitas contrapposta ai “saecula moderna” introduce la
nuova coppia terminologica “antiqui” vs “moderni” dove si guarda a Roma già come un passato
compiuto. Per primo Cassiodoro ha dato forma al contrasto tra un passato esemplare (antiquitas)
e la modernità di un tempo progressivo. In lui si vede una disposizione ad ammirare gli antichi, che
però si lascia conciliare subito con l’affermazione dei diritti del nuovo questione del progresso,
della decadenza e della restaurazione non ancora presenti in Cassiodoro.

Capitolo III
La contrapposizione del presente cristiano con il passato pagano è soltanto il primo degli aspetti
del concetto di moderno. Nel Medioevo il termine ricoprirà un significato via via più ampio,
passando dal definire un limite temporale a definire una vera e propria epoca. Se si segue la storia
del termine emerge un processo di successiva periodizzazione. Il confine della modernitas avanza,
si estende e poi un arco temporale viene abbandonato e passa sotto la denominazione di
antiquitas.

Nel IX sec la parola modernus distingue soprattutto i nuovo Impero universale di Carlo Magno
dall’Antiquitas di quello romano, ma poi l’età Carolingia verrà vista come passato ideale
dall’Impero tedesco e così via.

Dal punto di vista filosofico/poetico antiqui= poeti/filosofi pagani moderni= filosofi/poeti cristiani.

Nel XIII sec la coppia concettuale indica 2 indirizzi di scuola: gli antiqui, che avevano insegnato a
Parigi tra il 1190 e il 1220 e i moderni, che introdussero dopo di loro la nuova filosofia =
aristotelismo.

Il concetto di antiqui si distaccò poi dal concetto di antichità pagano-romana il concetto di


antiquitas, nel senso di passato esemplare, fu trasferito in riferimento ai veteres cristiani o ai padri
della Chiesa. MA il Medioevo non comprendeva ancora gli antiqui pagani e cristiani in un’unità di
“un’ Antichità pagano cristiana”, tra autori cristiani e pagani (patres e philosophi) sussisteva di
fatto una linea di confine.

Verso il 1170 una nuova consapevolezza sorge tra vari nuovi autori che scrivono in latino e volgare,
che si contrappose agli antichi si parla di rinascita del XII sec, periodo di fioritura che non fu
vissuto come imitazione/restaurazione dell’antiquitas, ma come crescita e adempimento. 
l’esperienza temporale dei moderni non è ciclica, bensì tipologica: il nuovo fa crescere l’antico,
l’antico vive nel nuovo, l’antico viene salvato nel nuovo e il nuovo si costruisce sulle basi
dell’antico.  la celebre immagine dei moderni come nani sulle spalle dei giganti, attesta
ammirazione e rispetto per gli antiqui, ma un’ammirazione in cui al tempo stesso si esprime la
coscienza di una crescita tipologica dell’antico nel nuovo: il presente vede più in là del passato.
“quanto juniores, tanto perspicaciores” – Prisciano. Che il tempo presente debba avere un primato
sull’antico Walter Map ( scrittore britannico di questi anni) stravolge la classica immagine storica
delle quattro età del mondo. La sua protesta contro la sottovalutazione del presente si basa
sull’argomento secondo il quale in ogni tempo la modernitas ha suscitato riprovazione, così che
anche la sua opera avrebbe potuto ottenere credito solo quando un lontano futuro le avrebbe
conferito antiquitas.  la sua opera è tra l’altro molto interessante perché vi compare più volte e
viene anche definito il termine modernitas in riferimento agli ultimi 100 anni, perché in quest’arco
temporale gli eventi (notabilia) gli paiono ancora freschi e immediatamente presenti alla memoria
di tutti MA non è Map a coniare il neologismo modernitas, che si trova già un secolo prima in
Reichenau in rapporto sul sinodo quaresimale romano del 1075, convocato da papa Gregorio VII
per richiamare alla memoria le prescrizioni dei padri che la “modernitas nostra” aveva smarrito.-->
modernitas, nel primo utilizzo del concetto, ha un connotato svalutativo. La modernitas appare
come una sorta di fase intermedia nel processo verso un ulteriore terzo stadio, raggiungibile
mediante una nuova reformatio.

Idea diffusa a partire da Boccaccio che le Muse siano tornate da un lungo esilio, l’immagine del
risveglio della poesia immagini che anticipano tutte la più tarda metafora del Rinascimento. C’è
la coscienza di un modernità cui è peculiare non riconoscere al proprio passato il carattere di
epoca indipendente o di stadio preparatorio il tempo concluso appare solo via negotationis,
come barbarie o tempo delle tenebre. La modernità del Rinascimento rifiuta la tripartizione della
storia che più tardi scaturì come schema storico-universale dell’età antica, medievale e moderna.
Gli umanisti ripristinano la grande antitesi antiqui e moderni, non volendo identificare il proprio
passato come quello degli ultimi secoli, che rappresentavano per loro un periodo di oscurità. Ma
ricercandolo nella scoperta dell’antiquitas classica greco-romana. Nella rinascita del XII sec i
moderni si ponevano in una sorta di noncuranza nei confronti dei loro antichi modelli, quasi
avessero di fronte opere del proprio tempo e dove, nella fioritura della letteratura in volgare,
venissero recepiti contenuti antichi si utilizzavano e si modificavano gli originali con una
sorprendete libertà, che tradisce il fatto che non ci si sentisse ancora vincolati ad alcun principio
umanistico di fedeltà testuale nella metafora dei secoli bui invece è evidente la coscienza di una
distanza tra l’antichità e il proprio presente, che viene avvertita nelle arti come distanza da ciò che
è perfetto e fonda una nuova relazione di imitatio e aemulatio. L’immagine rinascimentale della
storia è ciclica: dopo i secoli bui si avrà appunto una rinascita dell’Antichità esemplare, si attua una
presa di distanza dalla visione unilaterale del Medioevo per cui la storia è più una serie di stadi
irreversibili.  qua invece la storia è vista come un avvicendarsi periodico di età della luce e delle
tenebre in cui i secoli bui tra il declino e il ritorno dell’età dell’oro si riducono a una semplice
transizione, il cui ricordo si estingue non appena la restaurazione sia stata portata a termine.

Capitolo V

Lo smantellamento dell’immagine classica del mondo e dell’uomo fu inaugurato da Charles de


Perrault nel 1687 con cui ebbe inizio una nuova Querelle des ancien et des modernes, che li divise
in due campi contrapposti, per riunirli dopo più di 20 anni grazie a un’acquisizione che risolveva il
contrasto iniziale.  la disputa, iniziata quando i modernes giocò contro gli anciens l’idea di
progresso elaborata dalla moderna scienza e dalla filosofia a partire da Cartesio e Descartes, segna
il passaggio a una nuova epoca. Qui, a differenza di ciò che avvenne col Rinascimento, il passaggio
dal vecchio al nuovo è più difficile da riconoscere: i precursori dell’illuminismo (modernes) non
erano coscienti di trovarsi all’inizio di una nuova età, ritenendo al contrario che l’umanità, dopo la
fase della giovinezza (Antichità) e quella della maturità (Rinascimento) fosse ormai entrata nella
vecchiaia. Nella parte iniziale del Queralléle des ancien set des modernes, Perrault oppone al
pregiudizio che antichità e modernità in rapporto come maestro-allievo, perché “siamo noi gli
antichi”, perché gli attuali moderni si trovano al culmine di tutte le esperienze finora compiute
dall’umanità. Perrault illustra il principio mediante le età dell’homme universel, non collocando il
presente nell’age parfait, bensì nella vecchiaia. In più ipotizza che lo sviluppo dell’umanità possa di
nuovo declinare. Questa nuova Modernità si ribella all’attenzione sempre attribuita al principio
normativo dell’antico dagli anciens.
Nel passaggio tra XVII a XVIII sec da parte dei modernes c’è un tentativo di superare la
contraddizione tra il concetto di perfezione nell’ambito delle arti e il concetto di perfettibilità (=
capacità di perfezionarsi) nelle scienze. Perrault, portavoce dei modernes, concede che la distanza
tra Antichità e Modernità non si lascia superare in tutte le arti al ritmo del progresso: ai suoi occhi
era divenuta problematica la stessa possibilità di rimettere a confronto l’arte antica con quella
moderna.

Il processo che, alle soglie dell’illuminismo, ha inaugurato con la Querelle una vera e propria
rivoluzione nel modo di pensare è riassumibile in tre fasi:

1) I modernes contrappongono alla pretesa che l’Antichità fosse incomparabile l’argomento


dell’uguaglianza di tutti gli uomini iniziarono a sottoporre i prodotti degli antichi ai criteri
assoluti del bon gout, al processo davanti al tribunale del buon gusto classicistico
dell’epoca. Gli anciens controbattono dicendo che ogni epoca ha i suoi costumi e dunque
anche il proprio gusto: si deve giudicare i poemi antichi secondo i gusti antichi.
2) Si delinea l’idea comune a entrambi gli schieramenti che vi fosse, accanto a un bello senza
tempo, un bello temporalmente condizionato ( beuté universelle vs beau relatif)
3) Lo sguardo si aprì sempre più alla particolarità storica e già nel 1685 Saint-Evremond
(scrittore francese) avanzò l’esigenza, più tardi soddisfatta da Montesquieu, che il diverso
carattere dell’età degli anciens e dei modernes, il loro génie du siecle, venisse considerato
anche per le trasformazioni della religione, delle forme di governo, dei costumi etc e non
solo per l’arte.

Già durante la Querelle, ma soprattutto dopo la sua conclusione, si prende consapevolezza di


essere entrati in un’epoca significativa. Già a partire dagli anni ’80 Pierre Bayle (scrittore, filosofo e
storico francese) parla di un siécle philosophe e a partire dalla metà del 1700 è pienamente diffusa
l’identificazione di diciottesimo secolo e siécle des Lumiéres. Cambia anche il significato della
parola siécle: il senso cristiano, come tempo mondano, contrapposto al regno di Dio viene
soppiantato da quello più attuale di “secolo”. I limiti dell’estensione temporale di siècle coincisero
con l’inizio e la fine del nuovo secolo, al quale si rivendicò una peculiare missione storica di fronte
al beau siècle passato. Si nota la uova autocomprensione dei modernes dal fatto che iniziarono a
osservare il proprio tempo dal punto di vista del tribunale della storia futura. A partire dagli anni
sessanata affiora la domanda se le azioni del presente siano in grado di sostenere l’acuto sguardo
di un’umanità progredita. Questa è una colossale novità rispetto al passato: d’ora in avanti l’unità
di misura con cui giudicare la storia presente è posta nell’orizzonte di una crescente perfezione
futura e non più nell’ideale di un passato compiuto.

Capitolo VI

Nel XVIII sec la divisione tra antico e moderno come epoche storiche in sé diversamente compiute
si rende visibile nel graduale erodersi della forma letteraria del parallelo comparativo, ritualizzato
nel Risorgimento e aveva conosciuta una nuova fioritura in Francia come primo strumento per la
disputa tra modernes e anciens. Questo modello permise per la prima volta di confrontare i
contributi di epoche storiche diverse e di valutarli secondo una misura sovratemporale di
perfezione: presente e passato non come epoche uniche e diverse, ma come ambiti temporali
comparabili, nei quali ciò che è passato può tornare in ciò che è attuale, essere nuovamente
raggiunto mediante l’imitazione e anche superato. Tuttavia nella nuova concezione storica tutte le
epoche apparivano ugualmente perfette e quindi svaniva anche la loro comparabilità, perciò la
forma del parallelo perdeva di senso. Entra sempre più in circolo l’idea dell’incomparabilità tra
moderno e antico, perché tra gli antichi e i moderni non c’è alcuna relazione. La società antica e
quella moderna sono fondamentalmente diverse , quindi non legittimamente confrontabili. Nulla
si ripete nella storia, che è progressiva, dunque dal passato non c’è nulla da imparare. 
storicismo ( rivoluzione nel modo di pensare che si delinea alla fine della Querelle, che si è
realizzata nella coscienza storica di una generazione che comprendeva la propria modernità
secondo un’inedita antitesi con l’antico.)

Capitolo VII

La svolta epocale del 1700 si rispecchia anche nella storia lessicale, dove si rivela in modo
dettagliato con la parole moderne, che si stacca gradualmente dalla posizione d’antitesi con ancien
e vada a costruire altri tipi di opposizione. Nell’edizione del 1779 dell’Enciclopedia il termine
moderne non indica più un’opposizione assoluta con ancien, ma piuttosto nei confronti di ciò che
è de mauvais gout, come per esempio l’architettura gotica.  il moderno trova la propria antitesi
nel gusto gotico del medioevo. Vent’anni dopo, la nuova modernità, che dopo la svolta del secolo
si comprende come “romantica” , designa la propria opposizione all’antico con il termine
“classico”. In Francia fino a quel periodo il termine classique non era mai entrato in opposizione
con moderne, ama aveva sempre conservato il significato di “esemplare”.

Momento epocale in cui una nuova generazione indica la propria modernità con il termine
“Romanticisme”, che lega il presente al Medioevo e si scosta dall’Antichità Classica, come un
passato non più recuperabile. I romantici vedono il Medioevo quale proprio passato specifico e
l’Antichità come passato posto a distanza. Visione che nasce con il diffondersi della
consapevolezza della diversità tra mondo Antico e Modernità. Da un lato l’Antichità comincia a
essere considerata nelle ideali immagini bucoliche della primitiva simplicité e naiveté o al
contrario della poesia dell’arcaico e del barbarico, nella rappresentazione eroicizzante della vita
politica della polis greca e della Repubblica Romana; nella bellezza sentimentale delle rovine.
Dall’altro lato il Medioevo viene pian paino recuperato come passato nazionale esemplare, età di
virtù eroiche e cristiane. E alla scoperta delle origini medievali dello Stato Moderno seguì subito la
scoperta della poesia dell’età dei cavalieri e dei trovatori.

Capitolo VIII

Ci dedichiamo ora alla storia della parola romantico. La parola designava in origine il mondo dei
vecchi romanzi cavallereschi; nel XVIII assorbe il significato di un nuovo sentimento della natura,
per prestarsi a designare il fascino della lontananza, il sentimento della libera natura, una nuova
coscienza di moderno.

La parola deriva dal latino medievale “romanice” (= poesia in volgare) e indicava soprattutto il
genere letterario del romanzo. L’ascesa della parola ebbe inizio quando si iniziò a percepire la
distanza tra il mondo dei romanzi e la vita presente. Tra il 1650 e il 1660 l’aggettivo “romantic”
compare in Inghilterra ancora con il significato di “come nei vecchi romanzi” e si oppone al vero,
alla realtà prosaica.  da questa concezione scaturiscono sia un significato svalutativo sia uno
rivalutativo: da un lato “romantic” si sviluppò come quintessenza dell’inverosimile , del chimerico
e dello stravagante; dall’altro si dispiegò attraverso l’inusuale fino al poetico e così l’attrattiva del
romanzesco fu subito rinvenuta anche in avvenimenti della vita reale, in luoghi che richiamavano
l’antico e la lontananza Le tappe di questo trasferimento del termine romantic a momenti della
vita e aspetti della natura indicano l’itinerario che portò alla visione del mondo della generazione
romantica apparsa intorno al 1800.

Si inizia a riferire l’aggettivo romantico a episodi della vita reale inverosimili eppure veri l’attimo
romantico ha il tuo tratto distintivo nel fatto di soddisfare un’aspettativa cui altrimenti solo il
romanzo potrebbe adempiere. In seguito romantic viene traslato alla libera natura. Il sentimento
romantico della natura = è la natura vista attraverso il medium della letteratura, attraverso una
bruma di associazioni e sentimenti desunti dalla poesia e dalla narrativa.

Con questo sviluppo semantico il termine inglese “romantic” si discostò da quello francese
“romanesque”, che mantenne il significato originale di romanzesco.--> così nel 1776 il traduttore
francese di Shakespeare ritenne che il termine romanesque non rendesse “romantic” e maturò
dall’inglese “romantique”.

Il romantico non si riferisce tanto a una bellezza oggettiva della natura, quanto piuttosto all’effetto
soggettivo che essa ha suscitato, malinconico e interessante. Il romantico del paesaggio è
interpretato come un effetto che proviene solo dalla natura e tocca l’immaginazione, mentre il
pittoresco tocca solo gli occhi.

Nello stesso periodo il concetto di romantique fu perfezionato in Germania (romantisch) dalla


scuola romantica- il romantico come sentimento estetico della natura doveva ancora fondersi
con quel romantico che è connesso al fascino di un mondo sprofondato nella lontananza
temporale, afferrabile ormai solo nei suoi relitti. Il fascino del romantico sta nell’avventura del
tempo trascorso, inverosimile per il mondo attuale, e tuttavia un tempo vera. Oltre il romantico
della natura, si aggiunge il romantico della storia. Dove sta il collegamento? Anche nella natura il
sentimento del romantico non ricerca qualcosa di attuale, ma qualcosa di lontano e assente. Storia
e paesaggio si stringono in un mutuo rapporto. Su questo rapporto si fonda una generazione che
percepiva la propria modernità non in opposizione all’antico, ma come conflitto con il presente.
L’insufficienza del presente è il comune denominatore dei romantici.

Capitolo IX

Nel XIX secolo la coscienza della modernità consoce uno sviluppo singolare: anche la simbiosi
moderno-romantico entra nella dinamica per cui si annuncia una nuova coscienza del moderno
che vuole essere più moderna di quella romantica; entra in gioco un elemento che non abbiamo
ancora incontrato mentre l’estensione semantica di moderne si restringe ( prima identificava
l’età cristiana, poi solo più la generazione attuale e infine si riduce alle trasformazioni che
caratterizzano gli orientamenti di gusto in letteratura) il concetto di modernité cessa di
contrapporsi al passato determinato. La coscienza della Modernità si manifesta nella
consapevolezza di come il romantico di ieri può diventare il classico di oggi. La grande antitesi
storica tra antichi e moderni perde progressivamente validità. Si attua una riflessione sul rapido
processo di mutamento storico dell’arte e del gusto.

Negli anni trenta il movimento giovane-tedesco ha conferito un nuovo valore a questo concetto di
moderno limitato al presente, all’attuale, identificandolo con “lo spirito del tempo”. Una
modernité definita nel contrasto unico con se stessa.

Stendhal riformula il concetto di romantico: per lui la fase storica iniziata con il 1789 si
contrappone a tutta quella precedente, egli considera la Rivoluzione come un evento che spalanca
un abisso tra i francesi del 1785 e i “figli della rivoluzione”. Per Stendhal non si può pretendere che
queste nuove generazioni si dilettino di letteratura classica. Il bello è immediatamente bello solo
per il suo primo pubblico ed è bello nella misura in cui ricerca e ottiene questa attualità. Da ciò
trae la sua definizione di romantico, che non è più il fascino di ciò che trascende il presente e che,
di fronte al reale e al quotidiano, oppone il polo del già stato; bensì è l’attuale, ciò che è bello
proprio in questo istante ciò che, nel momento in cui diventa passato, è destinato a perdere la sua
attrattiva immediata e che soltanto da un punto di vista storico può interessare. Secondo questa
prospettiva tutto ciò che è classico oggi, dunque, fu a suo tempo romantico. Il classico non è che
romanticismo già stato. Si dà immenso valore all’attuale. Stendhal non contrappone più alcuna
Antichità al tempo presente, la coscienza della modernità prende slancio solo da se stessa. In
questo modo la modernité, nell’incessante trasformazione dell’attuale in classico, diviene essa
stessa antiquité  si solleva il problema del bello, che continua a prodursi in questo processo
senza fine: come può il bello sostenere l’ideale sempre mutevole dell’attuale, rispecchiare nell’arte
l’unicità del tempo presente e insieme costituire il proprio contrario? Baudelaire cerca di
rispondere riprendendo la definizione dello stesso Stendhal “Il bello non è se non la promessa
della felicità”, che però vuole correggere: Stendhal ha sottoposto il bello all’idea sempre mutevole
della felicità, ma la natura del bello non deve essere colta né in ciò che caratterizza un’epoca né
nella classicità museale, ma il bello è riconoscibile al meglio nel fenomeno della moda. La moda si
colloca al centro dell’estetica moderna di Baudelaire poiché presenta una duplice attrattiva:

1) incarna il poetico nello storico.

2) vi appare il bello non come ideale sorto in precedenza, ma come idea che l’uomo stesso si fa del
bello, idea in cui traspaiono la morale e l’estetica di un’epoca e in virtù della quale all’uomo è
permesso diventare simile a ciò che desidera essere.

Baudelaire definisce una duplice natura del bello “ la modernità è il transitorio, il fuggitivo, il
contingente, la metà dell’arte, di cui l’altra metà è l’eterno e l’immutabile.” Esperienza estetica (il
bello) ed esperienza storica della modernité sono per Baudelaire una cosa sola.

E con Baudelaire la storia del termine giunge pressoché a noi. Qui non è il romantico, come ci si
potrebbe aspettare, a costituire il contrario di modernité. Sebbene il romanticismo rappresenti
l’immediato passato non viene per questo ritenuto la sua antitesi. Il moderno si separa
continuamente da se stesso, ogni modernité è una futura antiquité e così nessun passato si può
davvero contrapporre alla modernité. L’antitesi di modernité è éternel. L’éternel diventa qua il
bello ideale, il bello unico e assoluto. Per Baudelaire l’arte non può fare a meno dell’elemento
transitorio, fuggitivo, dove manchi un tale elemento l’opera d’arte cade inevitabilmente nello
spazio vuoto di una bellezza astratta e indefinibile come la bellezza dell’unica donna prima del
peccato originale. Eva dopo il peccato come quintessenza della bellezza nella visione del mondo
della modernité suggella l’antitesi tra modernité ed éternel. L’arte moderna nella teoria di
Baudelaire può fare a meno dell’arte antica come passato normativo, dal momento che il
temporalmente bello racchiuso nel concetto di medernité produce da sé l’antiquité che gli è (sarà)
propria.

SECONDO SAGGIO

Capitolo I

Spesso la classicità delle letterature europee viene ancora trattata alla luce della storia nazionale.
A partire dal Romanticismo, la filologia ha considerato il movimento letterario moderno in
analogia con il processo politico di unificazione nazionale e ha voluto dare alla storia della
letteratura nazionale l’immagine di una classicità che reggesse il confronto con il lontano modello
dell’Antichità. Persiste, nella periodizzazione accolta da molte storie letterarie, uno schema
ternario che continua a occultare la continuità tra Illuminismo europeo e classicismo tedesco:
prima ci sarebbe uno stadio preliminare anti- Illuminismo, che va ai poeti dello Sturm und Drang
fino a Heder, che avrebbe aperto la via alle vette classiche, Goethe e Schiller, dopo le quali si
collocherebbe il Romanticismo.

Krauss, contro quest’immagine storico-letteraria, ha ridato legittimità a questa sotterranea


continuità. In un suo saggio mette in discussione anche la contrapposizione Illuminismo- Sturm
und Drang  lo Sturm und Drang sviluppa il pensiero già delineato in Francia e ciò rivela l’intima
appartenenza e il legame di questo movimento con l’Illuminismo. Inoltre ha reso evidenti i motivi
illuministici operanti nel culto antiautoritario dello SuD. Lo sviluppo di questo movimento
letterario venne introdotto dalla mancata realizzazione delle aspettative suscitate dalla Rivoluzione
Francese.

Noi ci concentriamo sulla svolta letteraria dal classicismo weimariano (SuD) al Romanticismo TS:
anche questo passaggio epocale nella storia della letteratura tedesca è condizionato da un
orizzonte problematico scaturito dall’Illuminismo francese. Analizziamo due scritti programmatici
di due grandi autori: Schlegel e Schiller. Essi segnano una svolta nella tradizione letteraria
tedesca richiamandosi, più o meno esplicitamente, alla Rivoluzione Francese riferiscono al
futuro prossimo anche l’attesa di una rivoluzione estetica. I loro scritti paiono un po’ come una
risposta alla Querelle des ancien set des modernes tenutasi circa 80 anni prima in Francia.

La contrapposizione tra antichi e moderni si delineò in età antica come modello di polemica
letteraria e il topos che ne scaturì diventò a poco a poco un modello per descrivere i mutamenti
epocali. Nella storia della copia antiqui-moderni si deve cogliere- dalla rinascita carolingia fino al
neoumanesimo weimariano- il secolare processo per cui la letteratura e l’arte moderna si sono
emancipate dal canone dell’antico come passato normativo. Questo topos suscitava ogni volta la
questione storico-filosofica del progresso, della decadenza o del ritorno nel cammino della storia
umana. L’esito dell’ultima grande Querelle disputata in Francia alla soglia tra classicismo e
Illuminismo portò a riconoscere che le opere degli antichi e dei moderni, come produzioni di
epoche diverse, non possono più essere giudicate secondo il concetto di una perfezione assoluta,
ma soltanto secondo una misura relativa di bellezza.

Anche Heder nello stesso periodo si occupa degli stessi temi, ma si attiene alla vecchia soluzione
della Querelle e mostra come i suoi risultati non siano più revocabili; invece Schiller e Schlegel
individuano e tentano di risolvere un nuovo dilemma che il riconoscimento della distanza storica
tra antichi e moderni poneva alla filosofia dell’arte.

Capitolo II: Herder

Heder è convinto della differenza tra tempi antichi e moderni al punto da non intraprendere più
alcuna comparazione. La rappresentazione herderiana della cultura europea medievale e moderna
vuole riconoscere i diritti specifici spettati a ogni nazione a ogni epoca. Egli trova assai vuota la
tradizionale disputa sul primato degli antichi o dei moderni. Secondo Herder sempre sul“falso
criterio del confronto” si basano i nuovi binomi di Schiller (ingenuo-sentimentale) e Schlegel
(obiettivo-interessante). È indifferente se i critici moderni cerchino di spiegare il confronto da un
punto di vista oggettivo o soggettivo, perché sempre di confronto si tratta, tutte queste distinzioni
sono per Herder “un inutile sforzo” a causa dell’individualità storica della letteratura. Tutta ò’arte
è apprezzabile soltanto in relazione al proprio hinc et nunc. Il riconoscimento della diversa
perfezione dell’arte antica e di quella moderna sarebbe dunque l’ultima parole di una disputa che,
secondo Herder, poteva essere rianimata solo in mancanza di una visione storica. Questa presa di
posizione lascia però aperta una domanda: qual è la legge che regola le trasformazioni della poesia
nel corso delle varie epoche? Descrive un processo di miglioramento o decadenza? Fino a che la
differenza tra poesia antica e moderna non verrà di nuovo mediata storicamente e le storie delle
arti non verranno condotte a una legge di continuità storica, anche il progresso della poesia al fine
di realizzare l’umanità, salutato da Herder, è destinato a rimanere una mera opinione.

Alle domande lasciate aperte da Herder cercheranno di rispondere Schiller e Schlegel nei rispettivi
scritti programmatici.

Capitolo III: Schlegel e Schiller

Il saggio schlegeliano, con il suo procedere per antitesi, assume la forma del parallelo. Schlegel
descrive il proprio saggio come “ un tentativo di ristabilire la concordia tra la cultura naturale e
quella artificiale”. Egli mette in evidenza “Le pretese di correttezza con cui critici francesi e inglesi
del passato (i modernes) credevano di rilevare delle contraddizioni nelle opere d’arte antiche o
biasimavano la semplicità dei costumi greci dal punto di vista sella superiore moralità di un secolo
raffinato”, ma anche i pregiudizi degli anciens , che credevano che le belle arti fossero fiorite una
volta sola, così che alle successive età non restasse che imitare l’antico. Egli pensa di aver colto “il
senso che la storia dell’arte ha avuto finora” e di aver individuato per quella futura una prospettiva
per cui viene eliminato “il conflitto tra cultura estetica antica e moderna”.
Schiller intende “mostrare la diversità dei cammini lungo i quali i poeti antichi e quelli moderni, gli
ingenui e i sentimentali, procedono tutti verso un’ unica meta”. Per Schiller ”nulla è più facile, ma
nulla è anche più volgare, che sminuire i poeti moderni confrontandoli con gli antichi, quando si sia
ricavato unicamente dagli antichi la nozione di poesia”. Con questa affermazione vengono colpiti
sia gli anciens, sia i modernes questo partito che, senza ammetterlo, dipendeva dal medesimo
canone del gusto classicistico, aveva cercato di dimostrare la superiorità dei poeti moderni sugli
antichi con l’argomento che gli antichi trasgredivano più spesso dei moderni alle norme della
doctrine classique.

In entrambi gli scritti emerge la visione della diversità e dunque dell’incommensurabilità storica di
arte antica e moderna.

In Schlegel e Schiller la distinzione storica tra antichi e moderni appare sotto un segno diverso: nel
corso del XVIII secolo si era compiuto all’interno del canone letterario un cambiamento di valore
in base al quale la Grecia aveva preso il posto di Roma nella “appropriazione” tedesca
dell’Antichità. Con il crescere della distanza storica tra poesia greca e poesia moderna (originarietà
naturale vs lontananza riflessiva della natura), la contrapposizione storica si accentuò fino a dar
luogo alla coscienza di uno sdoppiamento tra cultura naturale e cultura artificiale. Sdoppiamento
che riporta alla Querelle, in cui Perrault aveva fondato il principio dell’inventio sull’artificialità dei
progressi tecnologici moderni, collocandolo al di sopra dell’imitatio naturae, cioè al di sopra delle
prestazioni delle antiche arti.

Schiller traeva con la sua conclusione conseguenze che derivavano dalla visuale di un moderno,
laddove Schlegel sosteneva e sviluppava in primo luogo la posizione di un antico. Viene a
riprodursi in chiave storica diversa la disputa della Querelle francese. In Schlegel e in Schiller essa
si coniuga con la pretesa di aver risolto un dilemma che negli stessi anni si profilava come conflitto
nella fede della grecità, tipica del classicismo weimariano, e le esigenze del nuovo pensiero storico.

Capitolo V Schlegel

“il bello non è dunque l’ideale della poesia moderna e si differenzia dall’interessante nella sua
sostanza”: con queste parole cerca di cogliere l’assoluta diversità della poesia moderna e quella
antica. I due principi distintivi della poesia moderna e antica sono il bello e l’interessante. Con
questa “nettissima definizione dei confini” Schlegel fa un notevole passo avanti rispetto alla
Querelle del classicismo francese, che presupponeva ancora una norma condivisa di bellezza
eterna e naturale. Nella letteratura antica (i francesi) distinguevano una bellezza eterna e una
relativa/ soggiacente al tempo: x es. in Omero i costumi arcaici dell’epos non potevano essere
giudicati in base alle regole classicistiche, ma corrispondevano a un altro tipo di gusto e valevano
come “belli” i maniera diversa duplice misura del bello. Schlegel fa il passo decisivo: per la prima
volta scinde la poesia moderna dal canone del bello. Schlegel invita a “tener separati gli elementi
oggettivi da quelli locali”, dove con il concetto di locale si intende sia la “soggettività nazionale” ,
sia il carattere arcaico del costumi e il loro successivo declino, dunque il beuf relatif, che va
assolutamente escluso dalla trattazione, perché si rischierebbe di “modernizzare” l’antico. E in più
il principio della poesia moderna viene formulato in assoluta opposizione a quello della bellezza
pura, cioè all’elemento oggettivo della poesia greca.

La nozione di oggettivo assorbe l’antica idea di beauté universelle, assegnata solo all’arte antica; la
nozione di interessante, come principio della poesia moderna, rinvia alle beuté relative.

MA

Nel corso dell’argomentazione appare evidente che la contraddizione tra beau universel e beau
relatif si presenta solo in altra forma: l’interessante perde sempre più il carattere di principio
autonomo, per presentarsi alla fine come una modalità del bello insufficiente e transitoria,
destinata a preparare un decisivo mutamento d’indirizzo. Mentre dall’altro lato, la bellezza della
poesia greca, non appare più come bellezza pura separata da quella “locale”, ma come l’elemento
oggettivo di una “compiuta storia naturale dell’arte e del gusto”, che in una tale compiutezza
include anche l’imperfezione delle fasi iniziali e la corruzione delle fasi più tarde.

È vero che si riconosce alla poesia moderna un principio fondante autonomo, ma è scaturito da
un’implicita critica alla Modernità. Inoltre solo nel chiarimento della sua origine e della sua metà
finale trova uno spunto per stravolgere la critica in riconoscimento degli aspetti positivi della
cultura artificiale moderna. Quello di Schlegel può essere definito da un lato come un primo
abbozzo della teoria del brutto, un primo tentativo di estendere i confini del bello mediante il
concetto di arte “rappresentativa”/ “Reale” e rednere degni di discussioni fenomeni come il nuovo
, il sorprendente, ciò che produce choc nelle sue modalità dell’eccentrico, del ripugnate
dell’orrido; ma dall’altro però sottopongono di nuovo la poesia moderna all’archetipo greco della
perfezione estetica.

Schlegel s trovava in un circolo in cui si dibatteva con la concezione del bello oggettivo. La poesia
greca nel suo insieme deve raggiungere il culmine dell’idealità non nella perfezione di singoli
poeti/generi poetici, ma solo nell’ “oggettività dell’intera massa”, nello “spirito dell’insieme”. Nella
misura in cui hanno un posto nelle “fasi che è giusto percorrere” anche le forme locali ( x es epos)
acquistano quell’esemplarità del più alto modello. Infatti una storia naturale dell’arte abbraccia
nell’intero arco della sua evoluzione anche l’imperfezione delle fasi iniziali e la corruzione delle fasi
più tarde, nella cui concatenazione nessun anello può essere omesso. Il fenomeno storico dell’arte
greca è contraddistinto da uno sviluppo compiuto ( e perciò necessario). Come fasi del cammino
della storia naturale dell’arte i fenomeni imperfetti acquistano nuovo significato: quanto è in sé
incompiuto può divenire esemplare nel ciclo compiuto e prendere parte alla perfezione stessa. In
questo modo Schlegel supera l’antinomia tra bellezza eterna e bellezza soggetta al tempo MA in
questo modo il concetto di perfezione cessa di essere legato solo alla bellezza dell’arte antica e
diviene una caratteristica della storia dell’arte antica. Però questa tesi è in netto contrasto con
l’intendo schlegeliano di provare che l’imitazione dei greci è “l’unico mezzo per ricostruire una
letteratura autenticamente bella”, perché ciò impone un’immagine ciclica della storia. Ma ciò
contraddice la convinzione, ripetuta espressa da Schlegel, che l’”umanità si perfezioni con un moto
infinito e necessario”. Questa contraddizione è evidente quando cerca di spiegare il passaggio
dalla cultura naturale a quella artificiale: se secondo Schlegel la prassi viene necessariamente dopo
la teoria ( e quindi l’arte viene dopo la natura), verrebbe ovvio spiegare questo passaggio come
progressione a un grado successivo; ma Schlegel cerca di evitare per conservare all’antico la
dignità di una cultura compiuta, non ulteriormente perfettibile. Per questo si trova costretto a
spiegare il passaggio al moderno dicendo che “la natura rimane il principio che governa la cultura
finché non ne perde il diritto; probabilmente solo un infausto abuso del suo potere spinge l’uomo
a deporla dal suo ufficio.” l’umanità avrebbe ancora potuto progredire sulla via della natura se
un’infelice conclusione del ciclo della cultura naturale, un evento casuale, non l’avesse interrotta.
La sfortunata fine della cultura naturale introduce un elemento di discontinuità nel decorso
storico, necessario a Schlegel per derivare la cultura moderna da una propria origine artificiale. Per
è evidente che questa costruzione non si accorda con l’idea per cui la cultura greca dovrebbe
considerarsi una totalità in sé compiuta che raggiunse un termine sommo e poi ricadde in se
stessa.

Occorrerebbe pensare il commino successivo all’arte greca in base a un’analoga legge di sviluppo
ciclico (sviluppo, vertice, declino, fine), ma Schlegel non intende estendere alla cultura moderna
quel principio ciclico su cui si basa l’idea di perfezione della cultura antica. Sembra che per Schlegel
gli orologi dell’antichità e della modernità procedano in modo diverso: la storia antica segue un
ciclo naturale, quella moderna una progressione irreversibile e infinita sopraggiunta non si sa
come.  Schlegel cerca di trovare due principi fondativi diversi per l’arte moderna e quella antica,
ma ne rimette l’unità del processo storico. In più sembra che l’arte moderna sia condannata a un
progredire senza fine che porta solo alla progressiva approssimazione alla sua meta più alta, ma se
non le è concesso ricadere nel circolo nel quale si è compiuta la cultura naturale, come potrà
uscire dalla progressione per compiere il ritorno all’arte autentica? Schlegel parla di una “benefeca
catastrofe” di una rivoluzione estetica. Ma anche lui qua è costretto ad ammettere le
contraddizioni insite nel ragionamento e la difficoltà che un’eventualità simile si possa realizzare.

Schiller, muovendo sempre dalla perfezione dell’antico e dalla perfettibilità del moderno, riuscì a
conciliare questa diversità in un “concetto comune più alto”. Schlegel ( ancien), Schiller (
moderne)

Capitolo VII Schiller

“A nessuna persona ragionevole potrà venire in mente di voler paragonare un poeta moderno a
Omero in quello in cui Omero è grande… allo stesso modo tuttavia nessun poeta antico, a meno di
tutti Omero, potrà sostenere il confronto con un poeta moderno in ciò che lo caratterizza”

Anche Schiller muove dall’idea che la poesia antica e quella moderna, ciascuna nel suo genere,
debbano essere ritenute perfette e quindi incomparabili. Si impone anche per lui il problema di un
concetto comune più alto in grado di ripristinare l’unità estetica e storica tra antico e moderno.
Schlegel cercava di fondare l’unità del giudizio estetico nel concetto del bello come oggetto di un
piacere disinteressato , al quale intendeva subordinare lo stesso interessante, inteso come
“preparazione al bello”. Per Schillere questa soluzione aveva il difetto di superare solo
formalmente, nella bellezza oggettiva, l’opposizione tra antico e moderno, mentre i contenuti
tradivano il fatto che Schlegel aveva ricavato unicamente dagli antichi la nozione di poesia e non
aveva concesso la medesima dignità all’interessante, come principio dei poeti moderni.

Schiller utilizza il binomio ingenuo-sentimentale non più opposizione cultura naturale e


artificiale in un punto utopico di convergenza posto nel futuro, ma già nel corso dello sviluppo
storico dell’umanità.

In Schilelr la poesia moderna non esce dal ciclo compiuto della poesia antica per un caso nella
storia, ma essa ha la condizione necessaria della propria origine nel compimento della cultura
naturale. Le due culture si innestano uno sull’altra, poiché i contenuti della seconda sono dovuti
alla consapevolezza che la perfezione dei poeti ingenui è per sempre perduta per i moderni
sentimentali e non può più essere la meta auspicabile. Antico e moderno, al giudizio estetico
ugualmente perfetti e incomparabili, non sono in opposizione immediata, ma sono in relazione: la
consapevolezza dell’ingenuità perduta dà vita al sentimentale. Non è tanto la bellezza oggettiva
della poesia greca in sé, quanto il fatto che la sua perfezione naturale sia per noi irrimediabilmente
perduta fa sì che essa diventi per noi un ideale. In questo modo Schiller recupera la
consequenzialità storica perduta da Schlegel.

Schlegel riconosce che Schiller gli ha offerto una nuova prospettiva, però solleva dei dubbi sul
concetto di sentimentale, di cui critica il fatto che “non tutte le espressioni poetiche della ricerca di
infinito sono sentimentali” “solo il caratteristico, ossia la rappresentazione individuale, trasforma
la disposizione d’animo sentimentale in poesia Secondo Schlegel i principi schilleriani
presuppongono un interesse morale all’ideale e non sarebbero quindi categorie puramente
estetiche. In effetti Schiller ammette fin dall’inizio che il sentimento dell’ingenuo “non è estetico,
bensì morale, essendo mediato attraverso un’idea e non generato immediatamente
dall’osservazione”

Problema: come poteva essere fondato un canone della poesia moderna senza il ricorso a un
campione classico di misura del bello? Come poteva essere sviluppato un tale canone a partire dal
sentimentale? E come definire l’arte antica a partire dall’ingenuo, se già il concetto di ingenuo
tradisce una visione sentimentale e quindi moderna dell’antichità?

Schiller tenta di distinguere l’interesse sentimentale per l’ingenuo nella natura da quel sentimento
della natura che era tipico degli antichi. Noi sentiamo il naturale, gli antichi sentivano in modo
naturale. Il sentimento di cui si parla nei confronti della natura non è quello degli antichi. Esempio
di Werther che legge Omero. Però Schiller non definisce il concetto di ingenuo per gli antichi.
L’antico poeta ci insegna a “comprendere direttamente la natura”. La sua vera perfezione, che lo
distingue dal poeta moderno, si fonda sul suo “amore per l’oggetto” che sa fedelmente descrivere
al massimo grado. Nella poesia ingenua il poeta non si lascia cogliere , gli antichi sono ancora
natura, mentre noi cerchiamo una natura ormai perduta. Questo però è per Schiller anche il limite
della facoltà degli antichi, perché il poeta ingenuo dipende dal suo oggetto, quindi la natura può
comportare per lui un rischio: i componimenti degli antichi sono belli fin tanto che rimane bella la
natura; non avevano ancora imparato a trasformare mediante un’operazione sentimentale un
oggetto limitato in un oggetto infinito. La Querelle d’Homere, riguardo i difetti degli antichi, viene
risolta in questo modo da Schiller i difetti non sono dovuti allo sta arcaico o al diverso o alla
differenza dei costumi, ma alla dipendenza con la natura cui il poeta antico non può slegarsi; di
conseguenza la superiorità dei moderni non sta nella loro più alta civiltà e cultura (Schlegel), ma
nella loro libertà nel trascendere e idealizzare. Il primato dell’arte moderna comincia dove, a
partire dall’imperfezione della realtà storica, essa comprende la possibilità di varcare il limite
imposto dalla natura e di rendere poetici oggetti imperfetti. Nell’integrare la natura mediante
l’idea il poeta moderno riesce a trasformare, mediante un’operazione sentimentale, un oggetto
limitato in un oggetto infinito.

Dall’emancipazione del sentimentale si avrà poi l’ascesa del romanticismo.

TERZO SAGGIO (Rivoluzione letteraria in Heine, Stendhal e Hugo)

“Il genio poetico è morto, ma il genio del sospetto è venuto al mondo” con questa frase di
Stendhal (Souvenirs d’égotisme, 1832) si apre il terzo saggio. Frase indirizzata non solo ai poeti
romantici che denunciavano l’isolamento del poeta nella società, ma è come se Stendhal
riconoscesse il sintomo di una svolta epocale non ancora del tutto riconosciuta. Dietro al “genio
del sospetto” si nasconde un’esperienza del tempo presente che contesta al mondo della finzione
poetica la sua validità problematica. [ è come se fosse morta la capacità di immaginare, di lasciarsi
andare]. È la fine del Romanticismo.  queste domande non si trovano solo in Stendhal, ma è
proprio una tendenza generale della letteratura europea nel periodo del Vormaz (ted. «prima di
marzo») Nella storia tedesca con questa espressione si intende la fase di preparazione, sul piano
politico-sociale e culturale, delle insurrezioni democratico-borghesi e contadine che nel marzo
1848, in seguito agli eventi parigini di febbraio, portarono alla formazione di governi liberali in
Baden, Baviera, Sassonia, Assia e Prussia. Il V., avviando al successo la rivoluzione borghese in
Germania, rappresentò anche il momento decisivo per la maturazione del socialismo scientifico)

È questo il periodo della Giovane Germania (scuola letteraria formatasi in Germania dopo il 1830
con lo scopo di promuovere la cultura liberale e democratica attraverso l’arte, ne fece parte
Heine), a lungo screditata dalla critica. Una prima riabilitazione di questa scuola letteraria sia ha a
partire da metà del 1900 (Krauss ne tratta per descrivere il percorso di Marx).

Tratti dei giovani tedeschi: coscienza di una svolta epocale divenuta evidente con la rivolta di luglio
e la morte di Hegel e di Goethe, necessità di una rivoluzione dello stile, idea di una letteratura di
movimento, il distacco dal Romanticismo e dall’Idealismo. La Giovane Germania vuole liberare la
letteratura tedesca dal suo stato estetico, vogliono attuare una rivoluzione estetica. Vogliono
superare la barriera tra arte e politica, poesia e movimento del tempo.

La posizione letteraria di Heine è in buona parte determinata dalla sua coscienza della “fine del
periodo artistico, che è cominciato presso la culla di Goethe e terminerà presso la sua bara.”
Heine scorge la fine dell’idea di arte fin lì valida, “ un concetto d’arte per il quale l’arte sarebbe un
secondo mondo indipendente … senza scopo” esistente solo in virtù di se stesso e senza rapporto
con le esigenze del mondo reale. Heine invece chiede che l’arte moderna sopprima la
contraddizione con il presente e si abbandoni al movimento del tempo. Idea all’origine di alcuni
generi letterari tipici del Vormarz (feuilleton, il saggio, i resoconti di viaggio. Quest’insurrezione
tedesca contro l’estetica del periodo classico e romantico ha un terzo punto di partenza nella
filosofia hegeliana dell’arte morte dell’arte (l’arte non è più rappresentazione del vero,
dell’intero deve appartenere al passato)  per Hegel il carattere parziale dell’arte era la causa
della sua morte, invece questo carattere parziale venne utilizzato per ricavare altre conclusioni:
rinuncia all’utopia di un’opera d’arte universale

Capitolo III

In Francia Préface de Cromwell, Hugo, 1827, manifesto di una generazione esigenza di una
rivoluzione come quella del 1789 anche in campo letterario “Vi è oggi l’ancien régime letterario.
L’ultimo secolo pes ancora quasi completamente sul nuovo.” Il contrasto tra anciens e modernes
ora non è più con l’antichità greca e latina, bensì con il classicismo che la rivoluzione politica non
aveva messo in discussione. Si registra un ritardo epocale tra Francia e Germania  quello che i
francesi definiscono il loto ottantanove era già avvenuto in Germania tre decenni prima con
Schlegel e la Fruhromantik ( prima fase del romanticismo tedesco).

Da questo ritardo ne deriva che nella Préface de Cromwell la ribellione contro il canone normativo
del teatro classico francese viene condotto con l’aiuto del binomio concettuale di classicismo vs
romanticismo.--> problema di definire la posizione e il futuro della propria contemporaneità; se il
romantico deve definire l’età moderna a partire dalla sua origine medievale, il presente appare
un’età tarda. Fintantoché la coscienza della Modernità si identificava con il romantico, non poteva
stabilire nessun nuovo inizio che non fosse condizionato dalla lontana origine dei temps
modernes. Nel Préface de Cromwell i momenti rivoluzionari sembrano risultati poetici già realizzati
nella terza età (età romantica), ma ciò non ha impedito ai contemporanei di Hugo di riconoscere
nel suo scritto il programma di una rivoluzione letteraria.

Capitolo IV

Nella Préface de Cromwell Hugo ha accolto l’immagine a tre stadi hegeliana della storia dell’arte
e, inoltre, un altro fattore fondamentale della sua estetica: la storia della poesia sia a tempo stesso
il dispiegamento del sistema dei suoi tre generi. Ai tre stadi hegeliani della forma d’arte simbolica,
classica e romantica corrispondono in Hugo “i tempi primitivi” patriarcali , “i tempi antichi”
teocratici e “i tempi moderni” liberali. Nelle tre età emergono 3 generi dominanti: epos, lirica,
dramma. La cesura tra secondo e terzo stadio, sia in Hegel sia in Hugo, è costituita dall’inizio
dell’era cristiana.

Per Hegel la misura della perfezione rimane l’arte antica, la forma d’arte romantica non è la revoca
( aufhebung) del classico, ma la sua risoluzione nel principio della soggettività interiore (tesi).
Mentre Hegel vedeva l’arte del suo tempo sotto specie di naufragio, Hugo poneva l’arte
dell’epoca presente in contrapposizione con la forma d’arte classica, assegnandole il compito di
superare a un più alto livello l’ideale classico del bello e di raggiungere la piena verità del reale.

Capitolo V
L’aspetto rivoluzionario della Préface de Cromwell sta nel suo tentativo di spingere la letteratura
del futuro oltre i limiti della forma d’arte classica, cosa che comporta la negazione del primato
dell’estetica del bello. Il carattere esemplare dell’arte antica non viene contestato solo più con gli
argomenti dell’idea del progresso e dello storicismo; qui è la stessa norma del bello a venir messa
sott’accusa, nel nome del mondo che Dio ha creato e che racchiude in sé l’harmonie des
contraries. Per raggiungere la perfezione l’arte antica doveva mutilare la natura; doveva ridurre il
tutto della natura alla parzialità del suo aspetto bello per l’uomo e correggere così quanto creato
da Dio: la sua armonia era acquisita grazie all’unilateralità e all’incompletezza ( “ è la via per essere
tanto armoniosi quanto incompleti”). Il concetto cristiano di poesia verrà realizzato quando la
poesia moderna accoglierà nell’opera d’arte quella parte non ideale della natura soffocata dal
canone classico del bello naturale, quando metterà insieme a il bello con il brutto, il bene con il
male, il sublime con il grottesco. Questo è un compito che Hugo assegna al dramma come
supremo genere artistico della terza epoca. Ci troviamo dif ronte all’atto di anscita del realismo
letterario in Francia. Abbiamo un pendant storico (due manifestazioni contemporanee di una
medesima svolta epocale nel processo di emancipazione della letteratura) con Heine che, nel
capitolo undicesimo delle Ideen “dal sublime al ridicolo non c’è che un passo” somiglianza degli
opposti, richiesta che la letteratura possa occuparsi di una realtà più ampia.

Capitolo VI

Questa convergenza di orizzonti è spiegabile tenendo conto del fatto che sono risposte alle
esigenze poste dal medesimo momento storico. Un’analisi di entrambe le posizioni, rivelerà il loro
divaricarsi proprio laddove, con il programma di Hugo, incomincia la riaffermazione conservatrice ,
il movimento romantico si divide e Stendhal, in analogia con Heine,opera il distacco tra il moderno
e il romantico.

Capitolo VII

Secondo Hugo il grottesco è il concetto chiave per giustificare la differenza tra arte antica e
moderna. Hugo trasforma il grottesco in un concetto poetico nuovo grotsque non ha per Hugo
non ha il senso di qualcosa di bizzarro, caricaturale, ridicolo, ma indica il brutto nella sua realtà
misconosciuta e, per Hugo, squisitamente cristiana. Questo perché il brutto non deve essere più
un’immagine rovesciata del bello e del buono, ma deve porsi autonomamente accanto al bello,
per rappresentare la totalità del creato nella molteplicità dei suoi aspetti. Il contrario di grotesque
è il sublime, non il bello. L’idea ancora permanente dell’armonia del creato, però, limita la teoria
rivoluzionaria di Hugo e ne sancisce i suoi tratti più conservatori. La separazione di commedia e
tragedia è fittizia, il réel è dato dall’opposizione di sublime e grottesco, il reale è armonia degli
opposti (esempi a pag 145)

Capitolo VIII

“Dal sublime al ridicolo non c’è che un passo”, motto napoleonico che costituisce il punto di
partenza del capitolo dei Reisebilder in cui Heine imbocca la stessa strada percorsa da Hugo in
Préface de Cromwell. Heine parla di “unione di patetico e comico”, che caratterizza i grandi poeti
(Aristofane, Goethe, Shakespeare). Non manca un pendant all’idea di totalità della poetica del
cristianesimo: anche in Heine i poeti “si sono ispirati al Grande Padre dei poeti, che nella sa
tragedia universale in mille atti seppe spingere l’umorismo al colmo.”. In ambedue è comune
un’esperienza del presente secondo cui, secondo la situazione del mondo come si è venuta a
determinare, il sublime non può più essere preso per sé. Tuttavia nell’idea di “mondo come
teatro” di Heine la fiducia cristiano-romantica che nel mondo domini l’armonia provvidenziale di
una totalità indivisibile è già venuta meno. Heine riconosce che nella realtà nella quale la
contraddizione tra le idee e il mondo comune non si lascia risolvere da una superiore armonia.

Capitolo IX

Come si può rappresentare letterariamente la realtà storico-sociale? Come si può oltrepassare il


canone tradizionale del rappresentabile e mettere in evidenza l’intera realtà senza una
trasfigurazione del bello, del sublime, del tragico? Come si può infrangere la barriera classica
dell’arte mimetica?

Questo è il riassunto delle esigenze dei letterati rivoluzionari del 1826-27. Il programma della
Préface de Cromwell non indicava soltanto il passaggio a una nuova epoca, emancipata dall’ideale
classico dell’arte, ma creava anche aspettative che poi si dimostrarono sbagliate. Soprattutto fallì
l’idea di dramma come poésie compléte. In Francia l’esperimento del teatro romantico si lasciò
dietro una scia presto dimenticata di lavori storici di provinciale arretratezza, mentre il romanzo in
prosa, non previsto nel programma, si impadronì dell’attualità storica e ottenne universale
considerazione. Il naufragio del dramma romantico mostra l’irrealizzabilità delle aspettative di
Hugo di poter rappresentare la totalità, intesa come armonia degli opposti, nel dramma e
conferma la diagnosi di Hegel e Heine per cui l’arte era destinata a fallire, se credeva di riuscire
ancora a rappresentare la totalità.

Capitolo X

Nello stesso periodo Stendhal si era già liberato dell’immagine utopica del dramma come poésie
complète del futuro. Il suo programma letterario in Racine et Shakespeare(1823-25), che
capovolse il significato tradizionale di romantique, elevò a norma della letteratura moderna
l’attuale, ciò che è bello in questo momento, ma che domani sarà già superato e quindi classico. Il
romantico in senso stendhaliano si stacca sempre da qualsiasi passato e infine anche da se stesso,
è un concetto attualistico di romantico. Il concetto di Romaticismo dominante degli anni venti,
ancora vivo in Hegel e Hugo, che classificava il presente nella terza età della storia dell’arte
(Romantica) è stato superato per la prima volta da Stendhal, che anticipava i futuri critici della
suddivisione hegeliana delle epoche (Marx, Feuerbach, Vischer, Giovani Tedeschi).

Il passo davvero rivoluzionario viene compiuto nel primo romanzo di Stendhal “Le Rouge et le
Noir” (1830) l’aprirsi della letteratura alle condizioni sociali e al movimento storico del tempo
era realizzato in un modo destinato a sorprendere i suoi lettori. Le Rouge et le Noir, come evento
della rivoluzione letteraria del XIX secolo, presuppone la critica di un genere dominante e di
un’autorità mai contestata in precedenza: quella del romanzo storico e di Sir Walter Scott. Critica
che emerge, di nuovo in una sorta di pendant, anche in Heine.
Capitolo XI

Souvenirs d’égotisme singolare disposizione su di sé e testimonianza degli ultimi anni della


Restaurazione. Mettono continuamente in primo piano il problema artistico della teoria
attualistica di Stendhal “Cosa penserò di ciò che adesso mi sento disposto a scrivere quando lo
rileggerò nel 1835, se pure vivrò ancora?” questa domanda conferisce all’opera il suo aspetto
inconfondibile, determina la forma inconsistente (tipica di Stendhal) ed è simbolo
dell’esperimento di Stendhal: cercare di scrivere su se stessi andando contro le convenzioni
peotico-letterarie dell’”esame di coscienza”. Nell’autorappresentarsi Stendhal si preoccupa non
solo dell’ “impudicizia di parlare continuamente di sé”, ma si chiede anche quante cose che dica
saranno banali luoghi comuni dieci anni dopo, vuole sfuggire al rischio di annoiare solo dopo pochi
anni descrivendo “in tutta sincerità” proprio ciò che contraddice l’attesa comune. Stendhal decide
di “saltare la felicità”. Introduzione dell’égotisme come forma moderna di autoanalisi è un aspetto
della teoria attualistica di Stendhal: nell’esperienza soggetta al tempo, vacilla l’idea di conoscere
l’Io come essenza stabile. Si vede nell’opera l’ambizione di Stendhal di superare il movimento del
tempo, di estrarre dal presente quei tratti in cui si preannuncia qualcosa di attuale per il futuro.

Capitolo XII

La teoria letteraria stendhaliana esclude la descrizione come forma di mimesi classica della natura,
ma anche di rappresentazione della storia alla Scott. Lo testimonia l’assenza, in Souvenirs
d’égotisme, delle descrizioni di paesaggio, dell’ambiente sociale, dei salotti, dei personaggi, ma
ancor di più il rigore con cui Stendhal respinge ogni descrizione esteriore “io ho orrore della
descrizione materiale. La noia di doverla fare m’impedisce di scrivere romanzi.” “interessandomi al
morale, la descrizione del fisico m’infastidisce.” Il principio classico di “imitare la natura” per la
poesia moderna è diventato un “consiglio privo di significato”. Il naturale non è affatto una norma
senza tempo, perché nell’imitazione della natura si presenta in modo diverso a seconda del
pubblico che deve recepirlo. Ma anche per una seconda ragione la norma del vero di natura è un
beau mensonge: se qualcuno avesse stenografato tutti i discorsi pronunciati in Aulide sul caso
Ifigenia, la maggior parte ci risulterebbe del tutto incomprensibile e la parte restante
probabilmente ripugnante la verità del passato si sottrae anche alle descrizioni di Scott
(fortemente criticato), che si presume fedele alla natura. La forma del romanzo sotrico coniata da
Scott può afferrare la storia solo nei suoi residui descrivibili, non in actu Scott scriverà un libro
riferito alla storia contemporanea, su Napoleone, e i limiti del suo metodo sono subito divenuti
palesi: unanime rifiuto del libro, comparso nel 1827, dove si esprimevano idee
controrivoluzionarie.

Capitolo XIII

Anche Heine rifletté sull’esaurimento del romanzo storico. Nei Reisebilder (1826) il seguente
timore per un libro che Scott aveva scritto su Napoleone ( timore espresso ancor prima che il libro
uscisse) “Tutti quelli che venerano Scott devono tremare per lui, perché è facile che un tale libro
possa diventare la campagna di Russia della sua fama.” Questa prognosi azzeccata si appoggia su
una spiegazione dell’efficacia sociale dei romanzi di Scott i quali “hanno mosso tutti i cuori
d’Europa più per il loro soggetto che per la loro forza poetica.” l’efficacia europea fu
determinata dall’evocazione di tempi e costumi passati, in cui si deliziavano animi romantici. Per
Heine il romanzo Scottiano rappresenta l’ultima evocazione di un tempo tramontato, la sua
popolarità è un segno del disagio verso un presente la cui “vasta e sgradevole modernità” gli
sembrava lontana da ogni passato. La Rivoluzione ha liberato il presente dal suo passato; la nuova
epoca rivendica nuove forme letterarie.

Capitolo XIV

Questa trattazione è stata svolta per mostrare come la rappresentazione di una letteratura
nazionale non sia di per sé la forma ideale di una storia della letteratura Anche per il XIX secolo,
nel quale l’ideologia delle letteratura nazionali ha celebrato i suoi massimi trionfi, è possibile
comprendere e descrivere la storia letteraria come un processo generale che trascende
l’individualità di opere, autori e nazioni. Tentativo di interpretare fenomeni contemporanei
guardandoli a partire dal parametro storico di un processo globale, ossia, nel nostro caso, dalla
prospettiva della rivoluzione di luglio della letteratura. Inizio di una considerazione sincronica della
letteratura.

QUARTO SAGGIO

Capitolo I

Ai giorni d’oggi la storia della letteratura è caduta sempre più in discredito e questo perché la
storia della letteratura descrive, negli ultimi 150 anni, la traiettoria di un incessante declino. Le sue
prestazioni migliori appartengono al XIX secolo. Ai tempi di Gervinus, De Sanctis e Lanson, scrivere
la storia di una letteratura nazionale costituiva il coronamento della carriera di un filologo. Oggi,
invece, la forma tramandata di storia della letteratura sopravvive in modo stentato e si è
conservata solo nei programmi d’esame. La critica letteraria è esposta a una critica: la storia
letteraria cerca di evitare il rischio di un’elencazione puramente annalistica dei fatti, ordinando il
proprio materiale secondo tendenze generali, generi affini, per poi trattare le opere in serie
cronologiche all’interno di queste sezioni. La biografia degli autori e l’apprezzamento della loro
opera affiorano solo accidentalmente in forma di digressioni. Oppure si ordina il materiale sull’asse
cronologico dei grandi autori, che si affronta secondo lo schema “vita e opere”, dove gli autori
minori hanno la peggio. La prima forma si trova più spesso nelle storie della letteratura moderna,
dove è sempre più difficile operare una selezione all’interno di una massa ormai difficilmente
dominabile di autori; mentre la seconda nelle storie degli autori antichi. Ma una descrizione della
letteratura che segua un canone stabilito e ponga in semplice successione cronologica vite e opere
degli scrittori “non è una storia; è appena lo scheletro di una storia.” (Gervinus). Analogamente
nessuno storico, però, considererebbe storia un’esposizione per generi. D’altro canto lo storico
della letteratura si richiama al principio d’obiettività tipico dello storico e non può dare giudizi sulle
opere. Qualità e livello di un’opera non si deducono dalle condizioni biografiche o storiche che
l’hanno resa possibile, ma dai criteri dei suoi effetti, della sua ricezione e della sua fama postuma.
Lo storico della letteratura, tenuto all’ideale dell’oggettività, si limita alla rappresentazione di un
passato già concluso, lasciando il giudizio sulla letteratura presente alla competenza del critico
lo storico della letteratura, con la sua distanza storica, rimane indietro di un paio di generazioni
rispetto al più recente sviluppo della letteratura.

A cosa può servire oggi uno studio storico della letteratura che promette all’”osservatore che
sappia pensare” un ammaestramento così scarso, all’”uomo di mondo “nessun modello da
imitare, al “filosofo” nessun insegnamento importante e al lettore tutto fuorché “ricche sorgenti
del più nobile piacere”?

Capitolo II

La storia letteraria del XIX secolo cercò di realizzare l’eredità della filosofia idealistica della storia. Il
testimone principale può essere Gervinus  Lo storico della letteratura diviene storiografo solo
quando, indagando il proprio oggetto, abbia individuato “ quell’idea fondamentale che penetra la
serie dei fatti che ha scelto come tema e si manifesta in essi ponendoli in relazione con gli eventi
del mondo.”, una sorta di idea guida. Secondo G. una storia della letteratura nazionale tedesca
dovrebbe mostrare come “la direzione razionale sulla quale i greci avevano avviato l’umanità e
verso la quale i tedeschi per natura hanno sempre mostrato inclinazione, sia stata da quest’ultimi
nuovamente imboccata.”. L’idea illuministica di storia universale si frantuma nella molteplicità
delle storie delle individualità nazionali per restringersi al mito letteario secondo cui proprio i
Tedeschi erano chiamati al ruolo di autentici eredi dei greci.

Quando si cominciò a screditare il modello teleologico della filosofia idealistica della storia, se si
rifiutava l’idea di un culmine ideale della storia universale, come doveva essere intesa e
interpretata la concatenazione di una storia che non si dava mai come intero’ è così che l’idea di
una storia universale divenne un impaccio per la ricerca storica, mentre le storie nazionali
potevano funzionare come sequenze concluse, in quanto le si vedeva culminare da un punto di
vista politico nel momento dell’unificazione nazionale o, dal punto di vista letterario, nel momento
di una classicità nazionale. Ma il loro proseguimento oltre “la scena finale” doveva inevitabilmente
riproporre l’antico dilemma. Gervinus, in perfetto accordo con la diagnosi hegeliana sulla fine
del periodo artistico, liquidò come mero fenomeno di decadenza la letteratura della propria epoca
post-classica e, ai “talenti che ora sono senza meta” consigliò di occuparsi piuttosto del mondo
reale.

Il fatto che la storia letteraria allinei soprattutto epoche concluse è dovuta anche al principio di
obiettività: è più facile mantenersi obiettivi riguardo epoche lontane e soprattutto intese come
totalità isolate e compiute. Se lo storico deve prescindere dal punto di vista del presente, allora
tutte le epoche trascorse di cui tratta devono essere indipendenti dal successivo corso della storia.
Ogni epoca è qualcosa di valido di per sé, rottura del legame tra passato e presente della storia
lo storicismo si distacca tanto dalla filosofia illuministica della storia (universale, progresso),
quanto da quella idealistica ( no costruzione teleologica, no collegamento tra passato e presente.)

Le prestazioni della storia letteraria del XIX secolo erano improntate alla convinzione che l’idea di
individualità nazionale fosse ciò che rendeva rappresentabile la forma della storia. Venendo meno
tale convinzione, anche il nesso tra gli eventi era destinato ad andar perduto, la letteratura passata
e quella presente dovevano ricadere in sfere separate di giudizio. La svolta verso il positivismo è
condizionata in primo luogo da questa crisi la storia letteraria positivista credeva di poter
applicare alla storia della letteratura i metodi delle scienze, un principio di spiegazione puramente
causale (porta alla luce fattori solo esteriormente determinanti, fece crescere in modo smisurato
la ricerca delle fonti…); la reazione non si fece attendere e la storia dello spirito s’impadronì della
letteratura e contrappose alla spiegazione causale un’estetica della creazione irrazionale che
cercava la continuità della poesia nel ritorno di idee sovratemporali. Dopo la guerra furono
introdotti nuovi metodi che hanno condotto a termine il processo di deideologizzazione, senza
rifare proprio il compito classico della storia letteraria. L’esposizione della letteratura nella sua
storia e nel suo rapporto con la storia pragmatica esulava dagli interessi della nuova storia delle
idee. La frattura tra storia e poesia risulta nel modo più evidente nelle opposte teorie della
letteratura della scuola marxista e formalista.

Capitolo III estetica marxista

Comune a entrambe le scuole è il distacco sia dalla cieca empiria del positivismo, sia dalla
metafisica estetica della storia dello spirito. Esse hanno tentato di risolvere per strade opposte il
problema di come il fatto letterario isolato potesse trovare un nesso con la storia ed essere
nuovamente compresi nel loro carattere di evento. Ma tra i risultati dei due tentativi non si può
registrare alcuna grande storia della letteratura che, a partire da premesse marxiste o formaliste,
abbia raccontato in modo nuovo le vecchie storie delle letterature nazionali. Le due teorie sono
cadute in un’aporia.

La provocazione della teoria marxista consiste nel negare una storia peculiare dell’arte la storia
della letteratura non può conservare “la parvenza d’autonomia” quando ci si renda conto che i
suoi frutti presuppongono la produzione materiale e la prassi sociale dell’uomo. Anche la
produzione artistica prende parte a quel processo vitale di appropriazione della natura che
condiziona la storia culturale dell’umanità. L’arte e la letteratura possono essere considerate solo
in rapporto alla prassi della storia umana e nella loro funzione sociale, come uno degli originari
“modi dell’umana appropriazione del mondo”, una parte del processo per cui l’uomo oltrepassa lo
stato di natura per elevarsi al grado d’umanità. L’estetica marxista è stata fin da subito trascinata
nel vortice di una problematica: il problema dell’imitazione o del rispecchiamento nel realismo
letterario. La teoria realistica dell’arte, nata nel XIX secolo in reazione al Romanticismo, era e
rimase considerevolmente soggetta all’estetica classica dell’imitatio naturae. Mentre il concetto
moderno di arte come “segnatura dell’uomo creativo”, come realizzazione di ciò che non era
ancora realizzato, l’estetica marxista credeva ancora di doversi legittimare mediante una teoria
della rappresentazione. È vero che nella sua nozione d’arte metteva la realtà al posto della natura,
ma il concetto rimane lo stesso. Riduzione dell’opera a una funzione meramente riproduttiva,
privandola del carattere formatore di realtà.

Il problema del nesso storico-processuale di letteratura e società fu risolto con il metodo


Plechanov, cioè con la riduzione dei fenomeni culturali agli equivalenti economici, sociali o di
classe, i quali, come una realtà precostruita, dovevano determinare le genesi dell’arte e della
letteratura qualificandole come una sorta di realtà soltanto riprodotta. Queste tesi portarono
Kosik a parlare di “feticizzazione dell’economia”.
È una visione molto limitata nella pienezza delle sue forme la letteratura si lascia solo in parte
ricondurre alle concrete condizioni del processo economico. Prima della nostra epoca tutte le
trasformazioni economico/sociali avevano luogo perlopiù con processi molto lunghi, mentre la
produzione letteraria mutava molto più rapidamente (squilibrio tra struttura e sovrastruttura);
inoltre le opere letterarie possono essere più o meno permeabili agli eventi della realtà storica e
questo portò a trascurare apertamente i generi non mimetici. Nella ricerca di equivalenti sociali ci
si attiene alla serie tradizionale dei capolavori e dei grandi autori, dal momento che la loro
originalità sembra spiegabile come un riflettersi immediato della situazione sociale, ma in questo
modo la storicità della letteratura viene palesemente privata delle sue dimensioni specifiche.
Un’opera significativa che annuncia un nuovo corso nel processo letterario è circondata da
un’enorme produzione di opere che corrispondo alle attese tradizionali della realtà, ma che
rispetto al loro indice sociale non si devono reputare inferiori alla novità solitaria delle grandi
opere la teoria del rispecchiamento può afferrare questo rapporto dialettico tra produzione del
nuovo e riproduzione del vecchio solo se cessa di insistere sull’omogeneità di ciò che è
contemporaneo. Con ciò l’estetica marxista va incontro a una difficoltà nota allo stesso Marx “
l’ineguale rapporto dello sviluppo della produzione materiale con lo sviluppo artistico” Lukacs,
principale rappresentante della teoria del rispecchiamento, cadde in contraddizioni incredibili
cercando di comprendere dialetticamente questa teoria.  quando parla di Omero, sostenendo
che la sua opera è indissolubilmente legata all’epoca in cui Omero la scrisse, ai rapporti di
produzione in cui sorse, presuppone che si sia già data risposta alla questione che secondo Marx
andava chiarita per prima: perché continuano a suscitare in noi godimento estetico opere che,
come mero riflesso di una forma sociale da tempo superata, meriterebbero ormai soltanto
l’interesse storico? [ possibile che non sia mai esistito un filosofo in grado di comprendere che non
si può applicare una sola filosofia in tutti gli ambiti, peccano un sacco di saccenza] Come può
l’opera d’arte sopravvivere alla distruzione della sua base socioeconomica? Lukacs cerca di evitare
questo dilemma con il concetto di classico, che però presuppone un’idealità atemporale, dunque
priva di una mediazione materialistica.

La storicità della letteratura non viene colta da Lukacs neppure dove interpreta la nozione di
rispecchiamento in senso apparentemente dialettico “Ogni sovrastruttura non si limita a
rispecchiare la realtà, ma assume posizione attiva pro o contro la vecchia o la nuova base” come
possono l’arte e la letteratura prendere posizione attiva rispetto alla base sociale se secondo
Engels in questa azione reciproca la necessità economica deve imporsi e determinare la forma del
mutamento e del perfezionamento? Se il passaggio al nuovo è destinato a essere unilateralmente
indicato alla produzione letteraria e artistica da una base economica che muta
indipendentemente? Questa unilateralità adialettica non viene eliminata neppure con
Goldmann la sua impostazione di storia letteraria del classicismo francese si basa su una
sequenza di punti di vista sul mondo che, a partire dal XIX secolo, vengono degradati e infine
reificati a opera del tardo capitalismo. Anche qui la produzione letteraria rimane limitata a una
funzione secondaria, che riproduce sempre soltanto il processo economico in un armonico
parallelismo.
Chi riduce l’arte a un rispecchiamento ( di un’idea o della società) limita anche la sua efficacia al
mero riconoscimento del già noto: l’estetica marxista mostra l’eredità rinnegata della mimesi
platonica. È preclusa all’estetica marxista la possibilità di cogliere il carattere rivoluzionario
dell’arte: poter condurre l’uomo al di là delle rappresentazioni consolidate e dei pregiudizi legati
alla situazione storica. L’estetica marxista può superare quest’aporia solo se riconosce, come
diceva Kosik che “ ogni opera d’arte presenta un doppio carattere in indissolubile unità: è
espressione della realtà, ma allo stesso tempo crea la realtà, una realtà tale che non esiste fuori
dall’opera e prima dell’opera, ma appunto soltanto nell’opera.”

Le prime tracce di un recupero del carattere dialettico della prassi storica dell’arte e della
letteratura si delineano nelle teorie letterarie di:

1) Krauss definisce nel modo seguente la funzione socialmente costruttiva della


letteratura:”La poesia si muove in direzione di un percepire. Per questo la società cui essa
si rivolge viene a formarsi in essa: lo stile è la sua legge e attraverso la conoscenza dello
stile può essere decifrato il suo destinatario.”
2) Garaudy si scontra con “ogni realismo chiuso in se stesso” per definire il carattere
dell’opera d’arte come réalisme sans rivage: “Se infatti la realtà include l’uomo, allora essa
non è più soltanto ciò che è, ma al tempo stessi tutto ciò che le manca, tutto ciò che essa
deve ancora diventare.”
3) Kosik risolve il dubbio marxista sulla sopravvivenza dell’opera d’arte alla sua struttura
sociale “L’opera vive come opera proprio perché esige un’interpretazione e crea una
quantità di significati.”

L’idea che l’essenza dell’opera non stia solo nella sua funzione rappresentativa, ma ance nella sua
efficacia dovrebbe dar luogo a due conclusioni:

1) Se la vita dell’opera non risulta dall’opera stessa ma “dalla reciproca interazione dell’opera e
dell’umanità”, questo lavoro ininterrotto del comprendere non può limitarsi alla sola opera deve
essere incluso il rapporto opera-fruitore e i diversi orizzonti storici. La letteratura e l’arte
diventano storie in fieri e questo solo se anche il fruitore partecipa alla loro creazione.

2) Il potenziale dell’arte deve essere definito in modo dialettico, come medium in grado di educare
la percezione e produrre un mutamento.

Capitolo IV  formalisti

I formalisti vennero alla ribalta a partire dal 1916 accentuazione del carattere artistico della
letteratura. La teoria formalista elevò nuovamente la letteratura al rango di oggetto autonomo,
sciogliendo l’opera letteraria da tutti i condizionamenti storici e definendo le sue prestazioni in
modo puramente funzionale, come “ somma complessiva di tutti gli artifici stilistici in essa
contenuti.”
La distinzione tra linguaggio poetico (ciò che caratterizza la letteratura) e pratico spezzò
definitivamente il legame tra letteratura e prassi. L’arte diviene un mezzo per spezzare , attraverso
lo straniamento, l’automatismo della percezione quotidiana  la percezione dell’arte non può più
consistere nell’ingenuo godimento del bello, ma richiede di distinguere la forma e comprendere il
procedimento.

Altro aspetto della scuola formalista = la storicità della letteratura, in un primo tempo negata, si
ripresentò nello sviluppo del metodo formalistico, ponendo un problema che obbligò a ripensare
ai principi della diacronia l’elemento letterario della letteratura non è determinato solo
sincronicamente dall’opposizione di linguaggio poetico e linguaggio pratico, ma lo è anche
diacronicamente dall’opposizione nei confronti di quanto è già dato all’interno del genere. L’opera
d’arte deve essere interpretata tendendo conto delle sue forme precedenti la scuola formalista
si appresta a un ritorno alla storia, ma, in contrasto con l’antico concetto di storia, questo progetto
si caratterizzava per l’abbandono dell’idea di un processo rettilineo e per l’idea di un’evoluzione
letteraria contrapposto a quella classica di tradizione. L’idea di uno “spirito oggettivo” delle
epoche viene rigettata come pura speculazione metafisica, in ogni epoca esistono diverse scuole
letterarie “una delle quali rappresenta il punto di culminazione canonica della letteratura”
l’elevazione a canone provoca nello strato inferiore la formazione di nuove forme che divengono
fenomeni di massa per essere alla fine spinte di nuovo verso i margini. Nuova comprensione
storica della letteratura: nascita, elevazione a canone e decadenza dei generi.

Tuttavia, anche in questo caso, la storicità della letteratura non si esaurisce nella successione di
sistemi estetico-formali; la sua evoluzione deve essere determinata non solo in mood immanente,
bensì anche attraverso il rapporto con il processo generale della storia.

Capitolo V proposta di Jauss: estetica della ricezione, storia letteraria del lettore

Il problema della storia della letteratura è rimasto irrisolto nella disputa tra metodo marxista e
formalistico.--> Il tentativo di Jauss di superare la frattura tra letteratura e storia prende le mosse
proprio dalle teorie di queste due scuole. I loro metodi comprendono il fatto letterario nel circolo
chiuso di un’estetica della produzione e della rappresentazione, privando la letteratura di una
dimensione che le appartiene: quella della ricezione e dell’efficacia. Il fruitore, il pubblico giocano
in entrambe le teorie un ruolo estremamente limitato:

1) Nella scuola marxista a massimo ci si interroga sulla sua collocazione sociale


2) Nella scuola formalista il lettore è necessario solo come soggetto della percezione che,
seguendo le indicazioni ben chiare nel testo, deve realizzare la scoperta del procedimento
e l’identificazione della forma.

Entrambi i metodi non colgono il ruolo genuino del lettore: il ruolo di principale destinatario
dell’opera letteraria. Infatti tanto il critico, lo scrittore, lo storico della letteratura sono in primo
luogo lettori. Nel triangolo formato da opera, autore, pubblico il terzo elemento non costituisce
soltanto una parte passiva, ma ha anch’esso un’energia formatrice. Senza la partecipazione attiva
del destinatario la vita storica dell’opera letteraria non sarebbe non sarebbe neppure pensabile
la storicità della letteratura e il suo carattere comunicativo presuppongono un rapporto dialogico
tra opera, pubblico e nuova opera. Il circolo chiuso di un’estetica della produzione e della
rappresentazione deve quindi aprirsi a una nuova estetica della ricezione e dell’efficiacia.

Se si guarda alla storia della letteratura a partire dall’orizzonte di continuità del dialogo tra opera e
pubblico, allora anche l’opposizione tra il suo aspetto estetico e il suo aspetto storico viene
costantemente mediata e viene sempre riannodato il filo tra il fenomeno del passato e
l’esperienza contemporanea della poesia. Il rapporto tra letteratura e lettore ha infatti sia
implicazioni estetiche sia storiche:

-estetica: la prima assimilazione di un’opera comporta un collaudo del suo valore estetico nel
confronto con le opere lette in precedenza.

- storica: la comprensione del primo lettore può essere arricchita di generazione in generazione in
una catena di atti ricettivi ed è quindi decisiva per il significato storico di un’opera.

Come deve essere riscritta oggi la storia della letteratura? Risposta in sette tesi ( VI-XII)

Capitolo VI

“Un rinnovamento della storia letteraria esige l’abbattimento dei pregiudizi dell’oggettivismo
storico e il consolidamento di un’estetica della ricezione. La storicità della letteratura non si basa
su un nesso stabilito “post festum” di fatti letterari, ma sull’esperienza dell’opera letteraria da
parte del suo lettore; questo rapporto dialogico è il dato primario per la storia letteraria lo
storico della letteratura deve tornare lettore, prima di poter comprendere e classificare un’opera e
quindi prima di poter fondare il proprio giudizio sulla sua posizione nella serie storica dei lettori.”

La concezione positivistica della storia come descrizione “obiettiva” di una sequenza di eventi di un
passato ormai trascorso è errata, perché non coglie che l’opera letteraria non è un oggetto
sussistente in sé, che mostri a ogni lettore di ogni tempo lo stesso aspetto. Ma l’opera letteraria è
legata alla risonanza sempre rinnovata della lettura. La storia della letteratura è un processo di
ricezione e produzione estetica che si compie nell’attuazione di testi letterari nel lettore che li
assimila e che diviene a sua volta produttore. Le storie della letteratura sono state finora
nient’altro che passato raccolto e classificato. L’evento letterario non ha, a differenza di quello
politico, conseguenze in sé durature e inevitabili, alle quali non possa più sottrarsi ogni
generazione successiva, ma può continuare sempre ad agire qualora continui a essere recepito dai
posteri relegare la storia della letteratura in una storia causale è limitante.

Capitolo VII

Problema del soggettivismo dell’efficacia: lo stato di coscienza individuale, in quanto contiene


qualcosa di momentaneo e di puramente personale, può essere determinato con mezzi empirici.
Ci sono però mezzi empirici su cui fin’ora non è stata posta attenzione come ogni esperienza,
anche quella letteraria che porta alla prima conoscenza con un’opera appartiene a una pre-scienza
che è essa stessa un momento dell’esperienza e sulla base della quale diviene leggibile il nuovo
che noi veniamo a conoscere. Anche non appena pubblicata, un’opera letteraria non si presenta
mai come novità assoluta in uno spazio privo di informazioni, ma prepara il proprio pubblico a un
modo di ricezione ben definito. Essa risveglia ricordi di ciò che è stato letto in passato, produce
una sporta di disposizione emotiva e fonda sin dall’inizio aspettative circa lo svolgimento e la
conclusione, che possono essere mantenute/mutate/riorientate o anche ironicamente dissolte.
Quindi il processo psichico che accompagna la ricezione non è soltanto conseguenza arbitraria di
impressioni puramente soggettive, ma il compimento di precise indicazioni all’interno di un
processo percettivo controllato, che può essere colto. Il processo della ricezione può essere
descritto come espansione di un sistema semiotico. La domanda sul carattere soggettivo
dell’interpretazione potrà essere posta solo quando sarà stato chiarito quale orizzonte del
comprendere condizioni l’efficacia del testo. L’autore può e deve inevitabilmente suscitare un
orizzonte d’attesa, che poi può anche disattendere ( vd Don Chisciotte); in più il lettore può
percepire un’opera tanto nell’orizzonte delle sue aspettative letterarie quanto in quello delle sue
esperienze di vita ( cap XII)

Capitolo VIII

Il modo in cui un’opera letteraria, nel momento storico del suo apparire, soddisfa,supera, delude o
confuta le aspettative del suo primo pubblico fornisce un criterio evidente per la determinazione
del suo valore estetico. La distanza tra orizzonte d’attesa e opera, tra quanto è stato fino a oggi
familiare all’esperienza estetica e il “mutamento d’orizzonte” richiesto dalla ricezione definisce,
dal punto di vista dell’estetica della ricezione, il carattere artistico di un’opera letteraria: se l’opera
soddisfa aspettative tracciate da un indirizzo dominante del gusto, non esigendo una svolta verso
un orizzonte ancora sconosciuto, allora si avvicina all’ambito dell’arte culinaria o di
intrattenimento. Al contrario, se questa distanza esiste è proprio il punto di partenza da cui
costruire l’interpretazione. Può anche succedere che, tale distanza, percepibile dal primo pubblico,
vada poi a scomparire in tempi successivi, in cui il suo potenziale innovativo viene perduto perché
ciò che era distante dal gusto di un tempo è divenuto canonico nel futuro. I cosiddetti “capolavori”
sono un esempio di questo fenomeno: la loro bellezza formale, divenuta ovvia, e il loro eterno
significato, apparentemente indiscutibile, li avvicina pericolosamente all’arte culinaria che
convince e si gusta senza resistenze, così che è necessario uno sforzo per leggerli “contropelo”,
cioè contro l’esperienza abituale per scorgere di nuovo il loro carattere artistico.

Si deve anche abbandonare l’idea che ogni ricezione che trascende quella del primo pubblico sia
solo “un’eco contraffatta”. È sbagliato pensare che la relazione tra letteratura e pubblico si
esaurisca nel fatto che ogni opera ha il suo pubblico specifico, storicamente e sociologicamente
definito e che quindi il successo di un’opera sia determinato da quanto l’autore sia riuscito a
soddisfare le aspettative del suo pubblico. Dove la conformità tra opera e gruppo sociale non
esista o non esista più l’opera può comunque avere successo esistono opere che, al momento
del loro apparire, non sono ancora riferibili ad alcun pubblico specifico, ma rompono l’orizzonte
familiare delle aspettative letterarie in modo tanto radicale che il pubblico può solo essere
educato volta per volta. Poi, la forza delle mutate norme estetiche si manifesta nel fatto che
quest’opera venga apprezzata nel futuro, come può al contrario vedere come invecchiate opere
fino a quel momento di successo. (Esempio di Fanny e Madame Bovary pag 200-1)

Capitolo IX
“La ricostruzione dell’orizzonte d’attesa all’interno del quale un’opera è stata creata e recepita in
passato rende possibile porre le domande alle quale il testo rispondeva e capire come il lettore di
allora può aver considerato e compreso l’opera stessa. Questo tipo di comprensione evita il rischio
di una comprensione classicistica/ modernizzante della letteratura. Mette in discussione
l’apparente ovvietà secondo la quale nel testo letterario la poesia è temporalmente attuale e il suo
senso oggettivo, coniato una volta per tutte, è in ogni tempo immediatamente accessibile
all’interprete.”

Il metodo della ricezione è indispensabile per la comprensione della letteratura del passato.
Quando l’autore di un’opera è ignoto, la sua intenzione non documentata, il suo rapporto con
fonti e modelli solo indirettamente ricostruibile, allora la comprensione del testo può avvenire
facendolo risaltare sullo sfondo delle opere la cui conoscenza la cui conoscenza l’autore poteva
ammettere presso il pubblico dei contemporanei. Si deve abbandonare l’idea dell’oggettivismo
storico, del lettore/interprete tra parentesi, perché la sua comprensione è guidata da presupposti
affatto arbitrari e casuali e ci si può solo cercare di simulare un’obiettività che in realtà non può
esistere.

Gadamer, sviluppando la tesi secondo cui “ si può davvero capire un testo solo quando si è capita
la domanda cui esso risponde.” Mostra che la domanda da noi ricostruita non può più stare nel
suo orizzonte originario  “La comprensione è sempre il processo di fusione di questi orizzonti
che si ritengono indipendenti tra loro.” La domanda storica non può esistere per se stessa, ma
deve risolversi nella domanda “che il passato rappresenta per noi.”

Si risolve così il dibattito su come si debba valutare un’opera: secondo la prospettiva del passato,
secondo quella del presente? I criteri di misura elaborati in passato potrebbero rivelarsi ristretti
per un’opera che nella storia della sua efficacia ha dispiegato un ricco potenziale di significato;
mentre il giudizio modellato sul presente potrebbe privilegiare le opere corrispondenti al gusto
moderno, sottovalutando ingiustamente altre perché la loro funzione originaria non è più
evidente.  la soluzione è prendere in considerazione questa fusione di orizzonti.

Critica a Gadamer che vuole innalzare il concetto di classico a prototipo di ogni mediazione storica
tra passato e presente. La sua definizione per cui “ciò cui spetta il nome di classico non richiede
anzitutto il superamento della distanza storica, giacché esso stesso compie questo
superamento” cade fuori dal rapporto domanda risposta costitutivo di ogni trasmissione storica.
Per un testo classico non sarebbe necessario cercare la domanda alla quale esso dà risposta, se
classico è ciò che “parla a ogni presente come un discorso che si rivolga specificamente a esso.”
Per Jauss invece, anche davanti all’opera classica, la coscienza ricettiva non è sollevata dal compito
di riconoscere tra “testo da interpretare e presente dell’interprete.” Il concetto del classico che
interpreta se stesso contraddice il principio secondo cui il comprendere “non è mai solo un atto
riproduttivo, ma anche un atto produttivo.” Gadamer colloca nel concetto di classico la mediazione
tra l’arte del passato e quella del presente. Contraddizione condizionata dal fatto che Gadamer ha
tenuto il concetto di arte classica come fondamento dell’estetica della ricezione. “Ciò che
propriamente ci si sperimenta in un’opera d’arte, ciò che in essa attrae la nostra attenzione, è
piuttosto il suo essere o no vera, il fatto cioè che chi la contempla possa conoscere e riconoscere in
essa qualcosa e insieme se stesso”  concezione d’arte valida per il periodo dell’Umanesimo, ma
non per il Medioevo, né per l’età moderna in cui l’estetica della mimesis ha pero il suo carattere
vincolante. Ma con questa svolta non si è esaurito il significato conoscitivo dell’arte, il che significa
che tale significato non era legato alla funzione classica del riconoscimento. L’arte può anche
anticipare percorsi dell’esperienza a venire, immaginare modelli di intuizione e comportamento
non ancora messi alla prova e rispondere a domande appena formulate. Proprio di questo
significato virtuale viene provata la storia degli effetti della letteratura, quando si voglia collocarla
nel concetto di classico. Per Gadamer il classico supera la distanza storica attraverso una continua
mediazione, ma non sta tenendo conto del fatto che, al momento della sua produzione, l’arte
classica non appariva ancora classica e, anzi, può aver schiuso nuovi modi di vedere che soltanto
con la distanza storica destano l’impressione che nell’opera si esprima un’eterna verità.

Capitolo X storia della letteratura dia cronicamente

“La teoria della ricezione esige anche che la singola opera sia inserita nella sua “serie letteraria”
per poter riconoscere la sua collocazione e il suo significato storico”

Come può una singola opera, che la storia letteraria positivistica ha ridotto a mero fatto letterario,
essere ricondotta al suo rapporto storico di consequenzialità per essere di nuovo compresa come
evento? La scuola formalista pensa di risolvere il problema con il concetto di “evoluzione
letteraria” l’opera sorge sullo sfondo di opere precedenti, raggiunge l’apice, viene riprodotta e
così automatizzata per sopravvivere come genere logoro nella routine letteraria quando una
nuova forma si è imposta. La storia letteraria convenzionale, invece, è composta di serie chiuse in
se stesse, prive di legami reciproci e al massimo incorniciate da uno schizzo di storia generale. Nel
programma formalistico di storia della letteratura si considera il carattere storico di un’opera come
equivalente al suo carattere artistico.

Sicuramente quello formalista rimane uno dei tentativi più significativi di rinnovamento della
storia letteraria, anche se necessita di una revisione. La mera variazione estetica non basta a
spiegare la crescita della letteratura, non si può eliminare la relazione tra evoluzione letteraria e
mutamenti sociali. La teoria della ricezione, invece, storicizza tanto l’opera quanto il suo fruitore.
La descrizione della storia letteraria come una continua lotta tra vecchio e nuovo la riduce al
carattere unidimensionale dei suoi mutamenti.

“Ogni opera pone e lascia in eredità un orizzonte delle soluzioni possibili dopo di essa” l’opera
nuova risponde, se inserita in una serie letteraria, a un problema. Per riconoscerlo l’interprete
deve mettere in gioco la propria stessa esperienza, perché l’orizzonte che mediava in passato
vecchia e nuova forma, problema e soluzione, è riconoscibile solo nella sua ulteriore mediazione,
nell’orizzonte presente dell’opera. La storia della letteratura basata sulla teoria della ricezione
rende visibile la distanza tra il significato attuale e quello virtuale di un’opera letteraria. Se il
potenziale di un’opera viene ridotto al solo formalismo si commette un errore. La distanza tra
opera e primo pubblico può essere tanto grande da rendere necessario un lungo processo di
ricezione prima che venga recuperato ciò che era inatteso e non fruibile nel primo orizzonte. Il
nuovo non è soltanto una categoria estetica, ma anche storica: la novità di un fenomeno letterario
non è solo un qualcosa di “cronologico”

Capitolo XI Storia della letteratura sincronicamente

La concezione tradizionale della storia presuppone che tutto ciò che accade contemporaneamente
sia in egual misura segnato dal significato di quel momento e occulta così la non-contemporaneità
di ciò che è contemporaneo. I molteplici eventi che accadono in un determinato momento storico
sarebbero de facto momenti ci curve temporali del tutto diverse, condizionati dalle loro storie
particolari. La “coesistenza di contemporaneo e non-contemporaneo” mette in evidenza la
possibilità di una dimensione sincronica della letteratura. La pura considerazione diacronica , per
quanto possa spiegare in modo convincente i mutamenti, perviene alla dimensione storica
autentica solo quando trasgredisce il suo canone: la storicità della letteratura emerge in prossimità
dei punti di intersezione tra diacronia e sincronia. Non si deve trascurare il rapporto dell’opera con
l’ambiente letterario in cui essa dovette imporsi accanto a opere di generi diversi. Potrebbe essere
sviluppato il principio di una storia della letteratura che non fosse obbligata a seguire la scia dei
capolavori, né a perdersi in una completezza di tutti i testi ormai impossibile. Con la
considerazione sincronica è possibile risolvere il problema della selezione di ciò che è significativo
per una nuova storia della letteratura: un mutamento d’orizzonte nel processo di evoluzione
letteraria non ha bisogno di essere osservato nella struttura diacronica di tutti i fatti e di tutti i
rapporti di filiazione, ma può anche essere accertato a partire dalla mutata consistenza del sistema
letterario sincronico.

Capitolo XII

La tradizionale sociologia della letteratura mostra il nesso tra letteratura e sua società perlopiù nei
ristretti limiti di un metodo che ha sostituito solo esteriormente il principio di imitatio naturae.,
mediante la definizione di letteratura come rappresentazione di una realtà data. Interpretando gli
esiti della letteratura come costanti antropologiche, non viene colta la funzione eminentemente
sociale, cioè socialmente costruttiva, della letteratura. Lo strutturalismo moderno non si chiede in
che modo la letteratura “impronti a sua volta la rappresentazione della società che essa
presuppone” e come l’abbia improntata nel corso della storia.

Il tentativo di sanare con il metodo dell’estetica della ricezione la frattura tra ricerca storico
letteraria e sociologia è facilitato dal concetto di orizzonte d’attesa esso si trova anche al centro
di un saggio di Popper, secondo il quale, il progresso della scienza ha in comune con l’esperienza
prescientifica il fatto che ogni ipotesi e osservazione presuppone già sempre aspettative “vale a
dire quelle che costituiscono l’orizzonte d’attesa, il quale soltanto rende significative quelle
osservazioni.” Per il progresso della scienza, come per l’esperienza di vita, il momento più
importante è “la delusione delle attese” falsificando le nostre congetture noi prendiamo
effettivamente contatto con la realtà. La confutazione dei nostri errori è l’esperienza positiva che
otteniamo dalla realtà “senso produttivo dell’esperienza negativa” nella prassi vitale.

Questo modello può mettere in luce la funzione specifica della letteratura nell’esistenza sociale. Il
privilegio del lettore rispetto a un ipotetico non-lettore consiste nel suo non aver bisogno di urlare
contro un nuovo ostacolo per aver bisogno di una nuova esperienza del reale. L’esperienza della
lettura può renderlo libero dagli adattamenti, dai pregiudizi e dalle emergenze della vita pratica,
costringendolo a una nuova percezione delle cose. L’orizzonte d’attesa della letteratura si
distingue da quello della prassi vitale storica per il fatto che non custodisce soltanto esperienze già
compiute, ma anticipa anche possibilità non ancora realizzate, amplia lo spazio limitato del
comportamento sociale a nuovi desideri, nuove esigenze e nuovi fini, aprendo la strada
all’esperienza futura.

Il preorientamento della nostra esperienza a opera del potenziale creativo della letteratura non si
fonda solo sul suo carattere artistico, che per mezzo di una nuova forma contribuisce a
interrompere l’automatismo della percezione quotidiana. La nuova forma non sorge soltanto “per
sostituire la vecchia forma, che non è già più artistica”Essa può rendere possibile una nuova
percezione delle cose.

Il rapporto tra letteratura e lettore può essere attualizzato sia nella sfera sensoriale, come stimolo
alla percezione estetica, sia in quella etica, come esortazione alla riflessione morale. La nuova
opera letteraria viene recepita e valutata sia sullo sfondo di altre forme artistiche, sia sullo sfondo
dell’esperienza quotidiana di vita.  esempio di Madame Bovary pag 221.

Un’ opera letteraria può sconvolgere le attese dei suoi lettori per mezzo di una forma estetica
inusuale e porli al tempo stesso di fronte a questioni della cui soluzione la morale religiosa o quella
sancita dallo Stato rimane loro debitrice.

La letteratura può anche invertire il rapporto di domanda e risposta e, nel medium dell’arte, porre
il lettore a confronto con una realtà nuova. Il più moderno genere di romanzo, il nouveau roman,
mostra il caso paradossale in cui “la soluzione è data, ma è andato perduto il problema” Qui il
lettore viene escluso dalla condizione di diretto destinatario e assume il ruolo di terzo non
indiziato, che di fronte a una realtà dal significato sfuggente debba trovare da sé le domande che
gli permettano di decifrare a quale problema la letteratura sia diretta.

Se nella storia della letteratura vengono presi in considerazioni i momenti in cui un’opera ha
causato il crollo di tabù della morale dominante, o hanno offerto al lettore nuove soluzioni per la
casistica morale della sua prassi di vita allora si dischiude allo storico un ambito ancora poco
esplorato.

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