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Inoltre, per quanto riguarda i testi antichi, sebbene la distanza temporale che li separa dal presente
abbia contribuito in larga misura alla dispersione di gran parte del patrimonio letterario antico, la
ricostruzione filologica è supportata in modo determinante dalla salvaguardia testuale che
l’esperienza e la consapevolezza critica degli alessandrini rappresentò per le opere letterarie dal III
secolo a.C. in poi.
Per questo, a differenza di quanto accade, per esempio, in filologia romanza, i risultati della critica
del testi classici arrivano a garantire ben più che un’ipotesi di lavoro.
Il testo antico
Il corpus del testi letterari ereditati dall’antichità ha subito in larga parte un ridimensionamento
dovuto a molteplici cause, alcune delle quali possono essere chiamate in causa anche in relazione
al danneggiamento subito dai pochi esemplari pervenutici:
• la deperibilità del supporto scrittorio
• gli eventi storici catastrofici
• motivazioni di ordine culturale → i testi sopravvissuti sono in larga misura frutto di una
selezione che nel corso dei secoli gli amanuensi si trovarono a dover operare,
nell’impossibilità di salvare tutto il vastissimo repertorio testuale a loro disposizione
• l’evoluzione della tecnica libraria e scrittoria:
- codificazione (II-IV sec. d.C) → passaggio dal papiro in rotolo (volumen) alla
pergamena ripiegata in fogli (codex)
- traslitterazione (VIII-IX sec. d.C.) → passaggio dalla scrittura maiuscola alla grafia
carolina in corrispondenza con la rinascita culturale promossa da Carlo Magno
- avvento della stampa
La storia della critica testuale
Dall’antichità all’Ottocento
L’esigenza di procurare ai testi tramandati una forma corretta fu avvertita molto presto dagli
antichi. In sostanza, già la filologia degli antichi, e successivamente degli umanisti, costituiva e
adottava i due processi fondamentali della critica testuale, cioè la recensio e l’emendatio.
La filologia alessandrina
In particolare, vennero poste le premesse per lo sviluppo di un’autentica filologia solo quando
maturò un’inconsueta concezione della poesia nei poeti stessi, che portò al trattamento dotto dei
testi antichi.
Questo accadde al termine della parabola storica rappresentata dal dominio di Alessandro
Magno, quando cioè ci si accorse che l’epoca delle πολεις e dei particolarismi politici era finita
per sempre: in tale quadro storico-politico, la poesia avvertì l’esigenza di ancorarsi alla concreta
esplorazione del reale; nacquero così i poetae docti, figure che riunivano in se stesse l’essenza del
poeta e quella del grammatico: poeti-scienziati della lingua che, nella consapevolezza della
funzione storica della poesia e del proprio ruolo di custodi di una realtà in via di estinzione, si
adoperarono per la conservazione e la sistematizzazione dell’eredità culturale di cui Alessandria
era divenuta capitale e rappresentante.
Per farlo, nel III secolo a.C. essi furono gli iniziatori di quel metodo filologico che avrebbe
contribuito alla salvaguardia di buona parte della trasmissione dei testi classici. Questi poeti
contribuirono alla progressiva definizione del metodo e degli ambiti di interesse della disciplina:
- Filita di Cos
- Callimaco di Cirene
- Eratostene di Cirene
- Aristofane di Bisanzio
- Aristarco di Samotracia
Con loro ebbe inizio il processo di ricostruzione innanzitutto della poesia omerica, nonché della
lirica e della produzione comica greca, attraverso un procedimento di
1. Collazione, cioè confronto di manoscritti
2. Emendazione (scelta di una variante tra le altre)
3. Espunzione (o atètesi) del luoghi ritenuti spuri
4. Distinctio, cioè la divisione delle parole in scriptio continua e collocazione di spiriti e accenti
5. Adnotatio: apposizione di notae, segni diacritici opportuni e tipici della pratica filologica,
quali:
▪ L’obelo ( – ): usato da Zenodoto in poi, indica i versi spurii
▪ L’asterisco (*): usato da Aristofane per indicare il senso incompiuto o da Aristarco
per indicare i versi erroneamente ripetuti altrove
▪ Il κεραύνιον (T): usato per indicare la successione di versi spurii
▪ L’antisigma (una C ribaltata): usato da Aristofane per indicare la ripetizione erronea
o da Aristarco per indicare la l’ordine delle parole spostato
▪ La διπλή (>): segnalava elementi o passi degni di nota
La filologia pergamena
Nata per volere degli Attalidi nel II secolo a.C., fu meno impegnata nella critica testuale rispetto
agli alessandrini, ma sotto il segno della filosofia stoica fu più intesa a promuovere studi di filosofia
del linguaggio e di metodo interpretativo: fu pertanto più rivolta alla definizione della critica
letteraria, sebbene Cratete di Mallo, suo massimo esponente, si occupò anch’egli di Omero e di
stimolare a Roma un’intesa attività filologica.
La filologia a Roma
Nell’Urbe la filologia fu portata avanti:
• nel I secolo a.C. da Varrone
• successivamente, toccò il suo vertice alla fine del I sec. d.C. con Marco Valerio Probo che
procurò l’edizione di vari autori latini adottando il metodo di Aristofane e Aristarco, basato
sul motto emendare ac distinguere et adnotare
• nel II secolo d.C., con il rinnovato interesse per la letteratura di età arcaica, da Aulo Gellio,
che innova in due direzioni:
- attribuisce maggiore autorità ai testimoni più antichi in quanto più vicini
all’originale
- fa ricorso al criterio interno dell’usus scribendi in fase di emendazione, cioè si fa
riferimento alle peculiarità che definiscono l’uso linguistico di ogni scrittore
La filologia umanistica
Con l’Umanesimo non si verificano sostanziali innovazioni in quanto a metodologia filologica: la
prevalenza assoluta viene assegnata all’emendatio come sovrana manifestazione di iudicium e
senso critico. La recensio invece è limitata a una valutazione dei manoscritti a portata di mano.
Il processo di emendatio in età umanistica tende a considerare il codex vetustissimus anche codex
optimus, che viene quindi emendato:
- ope ingenii (con personale congettura)
- ope codicum (con il ricorso ad altri testimoni della tradizione manoscritta)
Il testo così costituito veniva quindi assunto come esemplare, e considerato quindi textus receptus
o vulgata, da diffondere nelle scuole. La sua prima edizione a stampa viene identificata come
editio princeps, che, con la moltiplicazione in grandi quantità del testo, lo consacra a versione
canonica.
Si trattava quindi di una tecnica filologica in larga misura condizionata dalla soggettività
dell’editore; per questo, qualcuno iniziò già in questo periodo a sentire l’esigenza di fondare criteri
oggettivi per la costituzione del testo
➢ Poliziano (XV secolo) e Pier Vettori (XVI secolo), affermando la necessitò di stabilire una
genealogia dei codici.
➢ Erasmo da Rotterdam introdusse il concetto di archetipo per intendere il codice capostipite
➢ Giuseppe Giusto Scaligero specifica il concetto di archetipo come fonte di errori comuni a
un determinato gruppo di codici
La filologia del Settecento
È il secolo della svolta decisiva per la filologia, operata da quattro filologi-teologi protestanti, cioè
Bentley, Bengel, Wetstein e Semler, che si occuparono dello studio del Nuovo Testamento greco
1(uno dei testi dotati di pù copiosa tradizione manoscritta e che, pertanto, offriva una grande
quantità di varianti).
Lo studio portò come risultato principale l’elaborazione della norma per cui l’operazione di
recensio deve necessariamente precedere qualsiasi tipo di emendatio.
La recensio avrebbe dovuto porre le basi per la successiva classificazione dei codici in famiglie,
permettendo quindi di giudicare la bontà di una lezione piuttosto che di un’altra in base alla sua
appartenenza a una famiglia più o meno degna di fiducia.
Solo in seguito, si poteva intervenire sul testo, operando eventualmente su di esso le congetture
necessarie all’emendatio.
La filologia dell’Ottocento
I principi elaborati nel secolo precedente trovano definitiva sistematizzazione e applicazione
anche in filologia classica nell’Ottocento, con Johann August Ernesti e Friedrisch A. Wolf.
Successivamente, la definitiva consacrazione delle regole della nuova critica testuale si ebbe in
particolare con Karl Lachmann, il quale:
- afferma con ulteriore forza la necessità di una ricostruzione genealogica della
tradizione manoscritta
- fissa il concetto di archetipo come perduto manoscritto medievale
- detta le norme per risalire con matematica certezza e quasi meccanicamente
dalle lezioni dei codici a quella dell’archetipo
La filologia oggi
Le regole di Lachmann non hanno tardato ad andare incontro a critiche di vario genere:
• Joseph Bedier: necessità di ritornare al metodo umanistico
• Henri Quentin: necessità di sostituire al giudizio di valore sulla tradizione i principi neutrali
della statistica
• Michele Barbi: necessità di riconoscere per ogni testo un individuale problema critico
• Paul Maas: codificatore della critica testuale more geometrico demonstrata → combina il
metodo rigoroso di Lachmann con la consapevolezza della relatività di tale metodo
• Alfred Housman: polemico e intemperante campione del iudicium
• Giorgio Pasquali: identifica critica del testo, storia della cultura, recensione ed esegesi
Oggi il metodo di Lachmann è assai meno applicabile, in quanto richiede la concomitanza di
troppi requisiti nella tradizione e troppo difficili da garantire.
1La scelta dell’oggetto di studio non mancò di sollevare polemiche, in quanto si trattava di un
testo sacro
Terminologia essenziale
Trasmissione testuale
Processo per mezzo del quale un testo sopravvive nel coso dei secoli alla corruzione del supporto
scrittorio su cui si conserva.
• Fino al XV-XVI secolo, questo processo conosceva come unica via la copiatura manoscritta
per mano di librarii (in antichità) o amanuensi (medioevo).
• Dal XV-XVI secolo, l’avvento della stampa ha velocizzato il processo di riproduzione testuale
e contribuito a ridurre drasticamente il numero di errori presenti in ogni copia
Tradizione testuale
Con tradizione testuale si intende:
1. il modo con cui un testo è stato trasmesso (trad. orale, manoscritta, stampata)
2. il mezzo di trasmissione (la forma di supporto scrittorio: papiri, codici, stampe, ostraka…)
La tradizione è:
• diretta, se il testo copiato dall’antigrafo viene riportato integralmente nell’apografo2.
• indiretta, se il testo in questione è testimoniato da opere non autoriali, e quindi da fruitori del
testo stesso.
Edizione critica
Al termine del procedimento ecdotico, il risultato che ne consegue è l’edizione critica, che
contiene:
• testo critico, cioè la versione del testo riportato alla forma che motivatamente si presume
non dissimile da quella originaria
• apparato critico, cioè una sezione appositamente dedicata a spiegare e motivare le
operazioni eseguite dal filologo (editore) sul materiale tràdito per giungere alla restituzione
del testo.
quale risulta a recensione avvenuta. Ad esempio, si parla di recensio Sabiniana dell’opera di Persio
per indicare i codici derivati da un esemplare curato nel 402 da Giulio Trifoniano Sabino.
Genesi e tipologia dell’errore di copiatura
Un copista medio, che riproduca un testo mediamente alterato, si lascia sfuggire la
media di un errore a pagina. Gli errori si accumulano di copia in copia ma, via via
che il testo si modifica in peggio, gli errori di copia aumentano in proporzione
geometrica.
Alla fine del processo di copiatura, si ha pertanto a che fare con una sorta di piramide di errori; di
tale piramide, la parte superiore è troncata, dal momento che le copie di cui generalmente
disponiamo sono relativamente recenti (appartengono in gran parte agli ultimi sei-sette secoli di
trasmissione manoscritta, e sono perciò notevolmente inquinate)
Cos’è un errore?
In filologia, per errore generico si intende ogni deviazione dal testo copiato, sia esso fortuito o
intenzionale, migliorativo o peggiorativo del testo di partenza.
L’errore di copiatura
In particolare, invece, si intende errore di copiatura quell’errore fortuito e privo di consapevole
volontà di alterazione del modello. La causa di una tale tipologia di errore è stata attribuita alla
discontinuità dell’attenzione, cioè un difetto intrinseco, una condizione patologica ineliminabile dal
processo di copiatura.
L’errore che si genera dal processo di copiatura può essere spiegato in relazione a:
1. problemi di lettura del testo dell’antigrafo
• la qualità del supporto scrittorio: esso poteva presentarsi macchiato, lacerato, usurato, ecc.
• la grafia: troppo fitta, poco chiara, alterata da correzioni
• erronea divisione di parole in scriptio continua
• la presenza di glosse interlineari o marginali, che potevano pertanto essere confuse con il
corpo testuale. Un errore di questo tipo dà origine alle cosiddette interpolazioni, talvolta
molto difficili da riconoscere.
2. Problemi di attenzione del copista (dovute anche a condizioni psicofisiche del copista)
• Scambi con parole foneticamente affini (es. agmen – amen)
• Erronea interpretazioni delle abbreviazioni
• Errori di dettato interiore, cioè quel fenomeno per cui la memorizzazione della pericope è
influenzata dalle peculiarità fonetiche della lingua madre4
4 C’è chi ha ipotizzato anche la copiatura multipla, che avrebbe visto più copisti impegnati nella
trascrizione del medesimo testo letto a voce alta; la pronuncia del lettore avrebbe potuto
corrompere la forma del testo
Le correzioni erronee
Si tratta di errori più difficili da individuare, in quanto di natura non meccanica. Tale tipologia di
errori, infatti, è intenzionale, in quanto si genera a partire dall’iniziativa di copisti istruiti a sufficienza
per pensare di poter intervenire sul testo dell’antigrafo, ma non abbastanza per riconoscere la
particolarità che genera l’anomalia corretta.
Questi, infatti, individuando nel testo un’anomalia che non sono in grado di comprendere,
procedono a ricopiare nell’apografo la versione alternativa che ritengono corretta: e sebbene
nella storia della trasmissione di un testo si possano individuare casi di emendazione brillanti, di
norma tali correzioni provocano un male peggiore del rimedio che si è tentato di offrire, dal
momento che
a. spesso semplifica il testo senza migliorarlo realmente
b. sempre oscura il testo dell’antigrafo; la lezione5 del quale, nel caso in cui l’antigrafo vada
perduto, risulta ancora più complesso da ricostruire
Il cosiddetto originale
Si trova sull’ideale punta della piramide degli errori e rappresenta il manoscritto dell’autore, o
quello che comunque contiene il testo per come voluto e pensato dall’autore.
5 Per lezione si intende la forma in cui si presenta (e quindi si legge) un certo passo del testo
Alcuni elementi praticamente constatabili ci permettono di suffragare questa posizione:
• non sempre la prima stesura autografa rappresenta la volontà definitiva dell’autore → gli
autografi delle cosiddette varianti d’autore di opere di scrittori contemporanei e moderni si
conservano tuttora; nulla ci impedisce di ipotizzarne l’esistenza anche per gli antichi
• anche il più diligente degli autori commette errori nella redazione dei propri manoscritti
• non sempre la prima stesura autografa rappresenta l’originale, ma è una copia di un testo
elaboratosi nella mente dell’autore
Per quanto riguarda l’antichità, poi, bisogna tenere in conto la condizione pratica con cui
un’opera letteraria giungeva a pubblicazione: presso i Romani, la copia che giungeva dall’autore
all’officina scrittoria per la sua riproduzione era già stata a sua volta trascritta calligraficamente.
Quindi, nel migliore dei casi, quella che noi chiameremmo la prima edizione di un’opera, era già al
terzo rado di copiatura.
La critica testuale in definitiva si chiarisce come scienza impegnata nella storia dei
singoli testi e delle epoche che hanno attraversato, prima che nella storia della
tradizione in sé.
La tradizione indiretta
Categoria che comprende tutte le testimonianze concrete del contenuto delle opere rintracciabili
in testi di scrittori che le utilizzarono; si parla in questo caso di frammenti.6
Le citazioni
Specialmente copiose nelle opere di grammatici e lessicografi, per i quali rappresentano un
essenziale strumento di lavoro: da questi si ricava la testimonianza del costrutto, il cui trattamento
richiede comunque una certa cautela:
• possibilità che sia stato rimaneggiato dall’autore della citazione e adattato
• possibilità che si tratti di una citazione di secondo grado
• spesso decontestualizzato
I commenti
• glosse → note di commento sporadiche
• scholia isolati → note di commento meno sistematiche che nei commentari, più
sistematiche che le glosse, presenti talvolta a lato del testo o richiamate da lemmi
• commentum o commentarium → generalmente opera a sé stante e trasmessa
separatamente dal testo contenente note di commento estremamente sistematiche
6Altre tipologie di tradizione indiretta: le epitomi, le parafrasi, le imitazioni, le traduzioni, le allusioni, le parodie, i
centoni [opere costituite da versi o parti di verso di altro autore, ricuciti tra loro in modo da formare nuove
opere di contenuto e significato totalmente diversi]
Tradizione chiusa e aperta
Il metodo di Lachmann e la tradizione chiusa
Presupposti:
• che la recensione riesca a sistemare la tradizione manoscritta
in uno stemma (o albero genealogico) di assoluto rigore
• che la trasmissione del testo si sia verificata sempre e solo per
linee verticali, senza alcun tipo di contaminazione(linee
orizzontali) tra i vari codici.
• Che l’archetipo risulti ramificato in almeno tre subarchetipi7,
cioè α, β, Ε, tali per cui sia sempre possibile la scelta in base al
criterio della maggioranza: se, cioè, due famiglie presentano
una lezione contrastante con la terza, l’eventuale antichità di
quest’ultima non sarà criterio sufficiente a farla preferire → la
lectio singularis va eliminata
In queste condizioni ideali, lo stemma che viene a delinearsi consentirebbe di ripercorrere alla
rovescia il cammino della tradizione e il processo di corruzione del testo. Pertanto, la emendatio si
risolve automaticamente nella recensio; se infatti siamo in grado di ricostruire la genealogia delle
verisoni con estrema precisione, siamo anche in grado di stabilire il valore di ogni manoscritto in
relazione alla costruzione del testo: codici anteriori = codici migliori. Pasquali definì questo tipo di
schema come recensione chiusa, anche detta meccanica.
Un codice B che presenti tutti gli errori di un altro codice A e in più aggiunga i
propri, va tralasciato in quanto mero apografo di A.
➢ Per la fase di divinatio, cioè quel procedimento che prevede che il critico, attraverso
operazioni congetturali, possa risanare la corrutela cui il testo è andato incontro e che non
è possibile risolvere attraverso il ricorso ad altri codici.
L’opportunità della congettura, in quanto operazione profondamente dipendente
dall’iniziativa dell’editore, deve in larga misura i suoi tratti alla personalità dell’autore;
laddove questi rinunciasse ad essa, mantenendo nell’edizione il testo corrotto, è tenuto a
segnalarlo con le cosiddette cruces desperationis a delimitare la sezione di testo
interessata da corruttela.
Ad ogni modo, perchè la divinatio non sia gratuita deve comunque trovare
conferma nei criteri sopra citati
8Attraverso l’analisi delle soscrizioni, cioè annotazioni riportate a fine dell’opera copiata, o delle
note a margine/nell’interlinea del testo, dove venivano riportate le varianti tratte già da altri
esemplari (le cosiddette editio variorum)
L’edizione critica
Opera in cui l’editore presenta il frutto del suo lavoro
La Praefatio
Generalmente redatta in latino, considerata la lingua conosciuta da tutta la platea dei filologi e
degli specialisti in grado di consultare un’edizione critica; da qualche tempo si sta diffondendo
l’uso delle lingue nazionali.
Nella Praefatio si rende conto del materiale offerto dalla tradizione:
• Descrizione dei manoscritti
• Esposizione dei criteri adottati per la redazione dell’edizione
• Esposizione delle informazioni filologiche opportune sulla storia del testo (sia per quanto
riguarda la tradizione manoscritta, sia quella delle edizioni a stampa
• Facoltativo: si presenta l’elenco delle principali varianti ortografiche
Lo Stemma codicum
Può presentarsi anticipato già nella prefazione; costituisce la rappresentazione grafica della
genealogia dei codici cui si è fatto riferimento per l’edizione.
Il testo critico
Generalmente suddiviso in libri, capitoli, paragrafi, si usa poi numerarlo in versi per facilitare il
rimando al testo che si trova in apparato.
L’apparato critico
Sezione più delicata dell’edizione critica, si trova in calce al testo e documenta lo stato della
tradizione, giustificando le scelte dell’editore, ma allo stesso tempo offrendo al lettore la possibilità
di elaborare un proprio giudizio critico ed eventualmente dissentire dalla scelta dell’autore.
Per questo, in apparato non ci si limita a segnalare le discordanze della tradizione, ma si segnalano
anche dubbi, incertezze e talvolta possibili alternative proposte da altri filologi. Per farlo, si
adottano sigle e terminologie latine, tra le quali le più frequenti sono
• Fort[asse] recte → “probabilmente a ragione [ha proposto, ha congetturato ecc.]”
• Dub[itanter] → “in modo dubbioso [ha proposto, ha congetturato ecc.]”
9 Inoltre, si tende a distinguere anche tra apparati presentanti nel lemma il nome del codice da cui
proviene la lezione accettata nel codice; non essendo un presupposto obbligatoriamente
richiesto, suppone comunque in ogni pagina l’elenco dei codici su cui si fonda l’edizione.
Collane, sillogi e edizioni classiche notevoli
Edizioni antiche, edizioni nuove
Con il passare del tempo, è maturata la consapevolezza da parte degli studiosi e dei filologi della
sempre crescente necessità di consultare non solo manoscritti, ma anche le edizioni, non solo per
ricavare notizie sulla storia del testo, ma anche per recuperare le numerose congetture degli
umanisti, in quanto preziose di per sé o per evitare ai moderni di ripercorrere vie già battute.
Un linguaggio univoco
Un’altra criticità riscontrata dal confronto tra apparati è il ricorso non univoco ai diacritici, alcuni
dei quali sono tuttora lasciati al dominio dell’arbitrio individuale, abitudine che rischia di generare
confusione nel lettore.
A questa pluralità di usi suppliscono in parte le collane, all’interno delle quali i classici che vi si
raccolgono vengono editati con criteri uniformati.
La disorganicità del metodo si deve però solo in parte all’inesistenza di una collana unica per tutti
gli autori antichi; la principale causa va infatti individuata nella vastità del materiale da
sistematizzare, che pertanto non può essere raccolta in un’unica collana, né tantomeno essere
curato da un unico editore.
Le collane più celebri
BIBLIOTHECA SCRIPTORUM GRAECORUM ET ROMANORUM TEUBNERIANA
Autore Editore
Virgilio Castiglioni – Sabbadini → sost. Geymonat 1973
Ovidio Lenz
Ovidio Landi
Ovidio Castiglioni
Orazio Lenchantin de Gubernatis → sost. Bo 1959
Carmina ludicra Romanorum Cazzaniga
Dialogus de Oratoribus Bo
Tusculanae disputationes (Cicerone) Giusta
LOEB CLASSICAL LIBRARY
Autore Editore
Silloge Warmington
De lingua latina (Varrone) Kent
Seneca retore Winterbottom
Fedro Perry
Manilio Goold
Minor latin poets Duff
CLASSICI LATINI
UTET, Torino
Sorta nel 1947 come collana di traduzioni accompagnata da brevi note esplicative, dal 1961
pubblica anche edizioni criticamente rivedute con traduzioni e note di commento
Autore Editore
Saturnalia (Macrobio) Marinone
Livio Cur. Fiore, Pascucci, Pecchiura, Perelli, Ramondetti,
Ronconi, Scardigli
Mondadori, Milano
Collana più recente, nata nel 1974 e che intende “fornire al pubblico italiano […] degli studiosi e
dei semplici lettori colti l’autorevole raccolta di classici che esso non ha mai posseduto”
E’ corredata di testo critico, traduzione a fronte e commento.
Autore Editore
Vite dei santi Mohrmann
Orosio Lippold
Catullo Della Corte
Tibullo Della Corte
Eneide (Virgilio) Paratore
Ars Amatoria (Ovidio) Pianezzola, Baldo, Cristante
Origo gentis Romane D’Anna