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La critica testuale si occupa quindi di esaminare i documenti che possediamo, individuare i vari
"testi" di una determinata opera, di comprenderne i rapporti, di stabilire quale/i meglio
rappresentino l'opera stessa o come essi possano essere utilizzati per ricostruirne la forma
originale.
Necessitano uno studio di critica testuale quindi:
Le opere per le quali non esiste più l'originale;
Le opere di cui esistono/esistevano più originali;
Le opere di cui esiste l'originale ma l'autore non ne ha curato direttamente la
pubblicazione;
Rientrano nel campo:
Tutte le opere prodotte prima e dopo dell'introduzione della stampa
Le opere di cui l'autore ha curato più di un'edizione, introducendovi modifiche;
- Le opere per le quali le varie copie di una medesima edizione a stampa presentino differenze tra
loro;
1.2 L'EDIZIONE CRITICA
La conclusione di uno studio di critica testuale è la realizzazione di un'edizione critica. Essa è
un'edizione "scientifica" dell'opera, che possa essere utilizzata dal lettore come testo affidabile.
Essa può essere:
La riproduzione dell'originale, se questo è conservato;
Un'ipotesi di ricostruzione dell'originale, se questo non è conservato;
Una pubblicazione comparativa di testi diversi;
Lo studioso che prepara un'edizione critica prende il nome di editore critico o editore. Chi invece la
prepara senza obiettivi critici ma solo di studio è chiamato curatore.
Quando un’opera medievale veniva per la prima volta pubblicata a stampa, questa prima edizione
(detto editio princeps, "prima edizione") tendeva ad assumere un'autorevolezza indipendente
dalla qualità del testo che riportava. Infatti, il tipografo dava alle stampe un manoscritto scelto
arbitrariamente, ignorando nella maggior parte dei casi i codici più antichi. Quest'edizione veniva
definito vulgata, cioè la forma comune del testo, la più diffusa.
In questo contesto, gli studiosi più accorti usavano il metodo di edizione del codex optimus, per cui
i vari manoscritti venivano esaminati e fra essi si sceglieva il "migliore" (per esempio il più antico o
il più completo). In questo caso erano pur sempre ammessi emendamenti ope ingenii o ope
codicum, ma solo quando il codex optimus risultasse palesemente scorretto.
Una svolta si ebbe tra ‘700 e ‘800 grazie ad alcuni filologi che si resero conto che non bisognava
confrontare le singole varianti dei manoscritti, ma bisognava capire preliminarmente quale fosse il
valore e l'affidabilità dei testimoni che le riportavano. Venne così elaborandosi un metodo
scientifico, noto come metodo Lachmann, dal nome di Karl Lachmann. Essendo però il contributo
di questo studioso solo parziale, il metodo prende anche il nome di metodo stemmatico. Il
metodo stemmatico rende la critica testuale una disciplina veramente scientifica. Si è così passati
da un approccio maggiormente interventista (che lasciava all'editore un ampio spazio per
modificare il testo) a una linea più conservativa (che rispetta maggiormente i documenti).
[1]: tutte le volte che uno dei cinque manoscritti presenta una lezione diversa da quella comune
degli altri quattro, il manoscritto isolato ha torto.
[2]; in questo caso si potranno scartare tutte le lezioni che compaiono nel solo Z, ma anche tutte le
lezioni che si conservano solo in U, solo in V e solo in Y (e in Z, che ne dipende).
[3]: in questo caso si possono scartare tutte le lezioni riportate solo dal G, solo da F (e tutti i suoi
discendenti, ma non condivise da G e H).
Questi tre esempi dimostrano l'assunto che il valore di una determinata lezione è strettamente
dipendente dal valore del testimone che la riporta. Inoltre, il valore del singolo testimone e
l'affidabilità della sua testimonianza si determinano dunque in base ai rapporti che il testimone
medesimo ha con gli altri testimoni dell'opera.
Una volta elaborato lo stemma codicum, si passa alla ricostruzione del testo originario (constitutio
textus). Nel caso in cui però lo stemma non permette di ricostruire automaticamente il testo
originario, l'editore dovrà decidere il da farsi: questa operazione si definisce SELECTIO, ossia scelta
tra due o più lezioni alternative.
Può accadere che però neanche questo sia sufficiente, perché può risultare che tutti i testimoni
conservati non derivino dall'originale, ma derivino da un manoscritto che era già una copia: in
questo caso egli dovrà procedere a ripristinare il testo soltanto col proprio ingegno, basandosi su
ciò che sa della lingua, dello stile, delle fonti, dell'ambiente culturale, della situazione dell'autore
che sta studiando. Questa operazione si chiama EMENDATIO.
LA RECENSIO
Con la fase della recensio è dunque possibile tracciare uno stemma codicum.
Per la ricostruzione dello stemma, esistono però due problemi di notevole entità:
In genere oggi si conserva soltanto una parte dei testimoni che esistettero di un'opera;
Le relazioni tra i testimoni non sono in genere dichiarate dai testimoni stessi, e vanno
quindi ricostruite;
Il metodo più efficace per comprendere i rapporti tra i testimoni di un'opera è il metodo degli
errori-guida. Il principio su cui si basa il metodo degli errori-guida è che la parentela fra due o più
testimoni non è indicata dalla loro coincidenza in lezioni esatte ma dalla coincidenza in lezioni
erronee.
La novità del metodo stemmatico, dunque, sta nel fatto che si possono individuare relazioni fra i
testimoni solo in base alla presenza in essi di innovazioni comuni, e non in base alla comunanza di
lezioni esatte, cioè conformi all'originale.
ERRORI = INNOVAZIONI
Non tutte le innovazioni possono essere utilizzate come elemento-guida per la ricostruzione dello
stemma. Per avere tale valore, un'innovazione deve soddisfare congiuntamente due requisiti:
Deve essere tale da potersi produrre una sola volta.
Non hanno perciò valore di guida le innovazioni poligenetiche, ossia che possono essersi
prodotte in linea indipendente in diversi testimoni.
ES: il salto di un verso perché inizia con la stessa parola, due parole uguali
Deve essere tale da non poter essere stata successivamente eliminata da un copista per
via congetturale.
Non hanno valore di guida quindi le innovazioni reversibili.
ES: introduzioni di spiegazioni per chiarire concetti difficili poi eliminati dal copist
Tipi di innovazioni:
1) Innovazioni involontarie e inconsapevoli: sostituzione, omissione, ripetizione,
trasposizione.
2) Innovazioni volontarie: riduzione, amplificazione, sostituzione.
3) Innovazioni forzose: quelle rese obbligate da guasti materiali (es: mancanza di una pagina).
ARCHETIPO
Uno dei punti più delicati della ricostruzione dello stemma è costituito dall'individuazione di cosa
si trova al suo vertice. Ci sono due possibilità:
La tradizione può partire direttamente dall'originale [1);
La tradizione può partire da un testimone che era già una copia, distante dall'autore [2];
Questo testimone α, quando esiste, viene chiamato ARCHETIPO dell’opera. I primi discendenti
dell’archetipo, quando esistono, vengono chiamati SUBARCHETIPI.
LA CONSTITUTIO TEXTUS
Dopo l'elaborazione dello stemma codicum, la ricostruzione testuale (constitutio textus) si svolge
secondo un procedimento relativamente meccanico: le lezioni dei singoli testimoni sono di volta in
volta automaticamente eliminate o tenute in conto a seconda della posizione del loro testimone.
Le lezioni che rimangono dopo l'eliminazione, sono quelle attestate ai piani più alti dello stemma: i
subarchetipi. Se la lezione dei subarchetipi è concorde, essa corrisponde all'archetipo o
all'originale (se non è dimostrata l'esistenza di un archetipo); se la lezione dei subarchetipi diverge,
occorre procedere a una scelta (selectio) fra le lezioni attestate. Infine, se a monte della tradizione
c'è un archetipo bisognerà chiedersi se la lezione che tramanda sia quella originale: se non lo è
bisognerà procedere all'emendatio, cioè la correzione congetturale del testo.
SELECTIO
La selezioni tra varianti concorrenti procede in modo automatico se i subarchetipi sono tre o più di
tre (tradizione multipartita), non procede invece in modo automatico se è una tradizione biparita:
in quest'ultimo caso sarà l'editore a dover stabilire quale sia l'originale, attraverso i criteri della
SELECTIO (lectio difficilior, usus scribendi, loci paralleli, comportamento dei subarchetipi).
Lectio difficilior Fra due lezioni concorrenti, viene considerata più probabilmente originaria
quella che, per ragioni linguistiche/stilistiche/di contenuto è più difficile rispetto all'altra
Questo criterio era motivato dal fatto che per i testi antichi (per cui il metodo è stato elaborato) si
presupponesse un modello di trasmissione per cui un testo originario di alto livello letterario
subisse una degradazione nel corso delle copiature.
Usus scribendi Fra due varianti concorrenti, quella originaria sarà quella che risponde meglio
allo stile dell’autore o della sua epoca.
Loci Paralleli Confronto con passi di altri autori o altre opere dove ricorrano espressioni simili a
quella indagata.
EMENDATIO
La presenza dimostrata di un archetipo a monte dell'intera tradizione autorizza l'editore a
emendare congetturalmente il testo, adeguandosi perfettamente a stile e lingua dell'autore. Per
effettuare buone congetture è fondamentale inoltre un'ottima conoscenza dell'autore, della
lingua, della materia e del contesto culturale.
La critica testuale nasce come emendatio fin dall'antichità e gli studiosi avevano emendato i testi
secondo due criteri:
emendatio ope ingeni: con proprie congetture;
emendatio ope codicum: mediante l'impiego di altri testimoni;
Oggi per emendatio si intende solo quella ope ingenii, in quanto quella ope codicum presuppone
l'esistenza di un codex optimus. Quando il testo tramandato è corrotto in modo insanabile, al
punto che nessuna ipotesi di congettura sembra risolvere la situazione, l'editore segnala
l'esistenza del problema con un segno diacritico, la CRUX, evitando di formulare ipotesi ulteriori.
L’originale molteplice
La critica testuale ottocentesca si è sempre mossa sulla certezza che la tradizione facesse sempre
capo a un solo originale ma ben presto si osservò invece che varie opere classiche potevano essere
prodotte in diverse edizioni antiche, forse tutte risalenti all'autore.
Nel caso di un'opera per la quale si registrano varianti d'autore, lo stemma è rappresentato da un
albero con più di una radice:
In questo caso l'opposizione tra le varianti non si colloca più sul piano sincronico (originale/non
originale) ma su quello diacronico (originale più antico/originale più recente).
Dunque le regole del metodo stemmatico possono essere più facilmente applicate alle opere
dell'antichità rispetto ai testi medievali (i quali hanno avuto modi di produzione e trasmissione in
parte diversi). Inoltre, molte opere classiche subivano meno modifiche intenzionali a causa della
loro valenza di autoritates, differentemente rispetto a opere medievali per cui modifiche da parte
dei copisti erano molto più frequenti.
È possibile dunque distinguere tra:
tradizioni quiescenti, caratterizzate da:
scarsa mobilità testuale
numero limitato di interventi migliorativi
circolazione in prevalenza scolastica o erudita del testo
stabilità garantita dal nome dell'autore o dalla sacralità del testo
impiego di un registro linguistico precisamente codificato
tradizioni attive, caratterizzate da:
forte mobilità testuale
tendenza dei copisti alla rielaborazione
circolazione non scolastica
impiego di un registro linguistico meno codificato
Il metodo stemmatico sembra potersi meglio applicare alle tradizioni quiescenti, mentre risulta più
difficilmente applicabile alle tradizioni attive.
Nel complesso, i metodi della critica testuale devono essere applicati con la necessaria elasticità.
Bisogna innanzitutto chiedersi quanto sia effettivamente necessaria la ricostruzione (che per alcuni
testi è necessaria, per altri è fuorviante o impossibile perché non è esistito un vero e proprio
originale), a cui seguirà la scelta della strategia e dunque del metodo di edizione, che dipenderà
dalla valutazione di vantaggi e svantaggi secondo un principio di economia.
CAPITOLO 3 – L’ORIGINALE CONSERVATO
Se di un’opera abbiamo l’originale, il compito del critico di certo non è concluso. Un originale pone
spesso problemi di descrizione, analisi e pubblicazione.
Quando di un’opera si possiede il manoscritto autografo, questo rappresenta indubbiamente la
volontà dell’autore e costituisce dunque l’originale. Ma il problema sta nel riconoscere
quell’autografo. Per i manoscritti moderni è facile perché c’è la firma, per i medievali no.
Soprattutto perché nel medioevo un testo non è sempre completamente autografo dato che veniva
spesso dettato oralmente e fatto scrivere da un segretario. In questo caso parliamo di idiografo e
in essi comunque possiamo trovare errori del copista e sfuggiti all’autore nella fase di controllo.
Un altro problema sta nella strategia editoriale. Il manoscritto autografo, per questioni di
omogeneità, verrà sempre sistemato dall’editore (scrivendo ogni intervento nell’apparato critico). Il
problema è che se si modifica troppo, l’editore finisce per sostituirsi all’autore.
Un ultimo caso è quello delle opere incompiute. Prima, sempre per questioni di omogeneità,
venivano completate, ora no.
Le VARIANTI D’AUTORE vengono chiamati quegli autografi di cui se ne conserva più di uno. La
molteplicità del testo rende più difficoltosa la pubblicazione di un’edizione unitaria ma comunque
si sceglierà, in base alle analisi che fa l’editore, di pubblicare quella “migliore” e che è più vicina
all’ultima volontà dell’autore. Anche quest’ultimo concetto è molto ambiguo perché quando i testi
sono incompiuti, essa non c’è, e talvolta anche quando il testo è intero, l’autore non sempre ha
controllato la sua opera prima di essere pubblicata quindi è capace che la casa editrice o il copista
abbiano comunque apportato modifiche.
Con filologia dei testi a stampa si designa lo studio critico delle edizioni a stampa. Essa nacque nel
‘900, stimolata dallo studio critico delle opere di Shakespeare. Essa indaga sempre sulla genesi di
un’opera, sfruttando conoscenze sulla storia del libro e della tipografia, e indaga i rapporti
intercorrenti fra un’edizione a stampa e l’altra (a differenza dei manoscritti dove lo stemma
codicum indaga le relazioni esistenti fra un testimone e l’altro).
CAPITOLO 4 – ANATOMIA DELL'EDIZIONE CRITICA
Quando si vuole dar conto delle varie fasi attraverso le quali l'opera è giunta alla sua forma
definitiva si parla di edizione genetica: il testo principale sarà il più recente tra quelli predisposti
dall'autore.
Quando invece si vuole rappresentare l'evoluzione del testo dopo la sua prima elaborazione, si
parla di edizione evolutiva: il testo principale sarà il primo che l'autore abbia licenziato.
Le edizioni comparative di solito hanno lo svantaggio di essere di difficile lettura, ma oggi i supporti
informatici consentono un'ampia elasticità di fruizione. Le edizioni ipertestuali possono infatti
permettere rimandi da un testo all'altro e altri vantaggi al livello di layout.
[[Esempi di edizioni comparative sono l'Orlando furioso curato da Debenedetti e Segre (i quali ne
hanno fatto un'edizione genetica, perché il testo scelto per la pubblicazione è il più recente), i
Canti di Leopardi nell'edizione curata da De Robertis (che è di tipo evolutivo, in quanto il testo-
base scelto è la prima stampa)]].
4.3 EDIZIONI DIPLOMATICHE, FACSIMILI, EDIZIONI INTERPRETATIVE
Edizione diplomatica: ha l'obiettivo di fornire un'immagine fedele del testo riportato da un
determinato manoscritto. In un'edizione diplomatica non compariranno modifiche dell'editore.
Spesso le edizioni diplomatiche peccano di scarsa leggibilità, inoltre sono diventate sempre più
rare con il miglioramento dei procedimenti di riproduzione fotografica. Per questo si preferisce
spesso pubblicare un facsimile, ovvero una serie di fotografie dell'intero codice che può essere
eventualmente accompagnata da una trascrizione continua del testo.
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