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Filologia Della Letteratura Italiana

Prima Lezione (20/04/2020)

Che cos'è la filologia? Per introdurre questo argomento  potremmo riprendere  la citazione di un
filosofo, poeta romantico tedesco, di nome Friedrich Schlegel, il quale agli albori della scienza
filologica, intesa in senso moderno-contemporaneo, ci dice qualcosa di interessante.  Ci dice
innanzitutto che ogni volta che leggiamo, facciamo un atto filologico, cioè scegliamo un testo con la
consapevolezza che quel testo sia un testo d'autore. Leggere, dice Schlegel,  è un atto filologico.
Scegliamo  questa citazione perché conoscere un testo in qualsiasi formato questo testo si presenti,
ha bisogno di un atto di coscienza filologico; non tutti i testi sono testi d'autore. Infatti  lo scopo
principale della filologia è l’Institutio Texit,  cioè la  "Costituzione del Testo”. Questo deve essere
ricostruito nella sua autenticità e nella sua veste autentica, intesa come unica espressione legittima
della volontà di un autore. Il testo di opere antiche e moderne va ripristinato compiendo ogni sforzo
per eliminare e allo stesso tempo documentare anche guasti, fraintendimenti, deformazioni
arbitrarie, che nel tempo, per cause differenti, possono essere introdotte nelle alterne vicende nella
trasmissione di un testo. Per questo procedimento  si usano terminologie e più tecniche rispetto alla
parola nuda "Filologia"; si usano infatti espressioni come "Filologia Testuale", "Critica del Testo",
"Critica Testuale", o "Ecdotica”. Tuttavia, la parola "Critica”, non va Intesa come "Critica
Letteraria”, come critica intesa come interpretazione generale dei testi, ma la  "Critica Testuale”,
porta a quel processo che ci conduce  alla autenticità del testo. La  filologia è una disciplina tecnica
che ha tutto un lessico specifico; ha tante procedure da seguire,  ma è anche una disciplina che si fa
ogni volta sui singoli testi. 
La testimonianza di quanto detto proviene da uno dei filologi (degli editori)  più importanti della
nostra tradizione della filologia della letteratura italiana. Forse il primo filologo che, accanto al suo
maestro Pio Rajna, ci forniscono due testi fondamentali della nostra tradizione letteraria.
Pio Rajna  ci fornisce l'edizione critica ( l'edizione del testo secondo le ultime verità dell'autore,
cioè quell’operazione che appartiene proprio alla filologia testuale) del "De Vulgari Eloquentia” di
Dante, mentre Michele Barbi  ci fornisce l'edizione critica del testo della "Vita Nova”di Dante.
E proprio Barbi, parlando della scuola di Rajna,  sostiene come la filologia sia un atto che si fa , e
non un sistema chiuso e complesso. Egli  afferma come "Ogni testo ha il suo problema critico, ogni
problema la sua soluzione, e che quindi le edizioni  non si fanno su modello e a macchina.
Non bisogna credere che tutto consista nell'apprendere norme fisse applicabili ad ogni caso, ma il
più si impara facendo".  Quindi noi abbiamo un sistema di regole,  ma questo sistema di regole  va
di volta in volta applicato al testo e alla tradizione del testo che guardiamo.
A questo punto  potremmo chiederci "Che cos'è un testo"?. Il concetto di  testualità si è molto
allargato oggi, vista la relativa facilità di accesso a testi disparati. Con il passare del tempo  infatti
abbiamo la possibilità di trovare svariati testi in rete;  questo però ci impone una riflessione sul
ruolo della filologia, perché ogni volta bisogna verificare  la veridicità dei testi e agire
filologicamente, chiedendosi cosa abbia voluto dire veramente l'autore, se possa essere un testo
d'autore o un testo studio, e quindi ricostruirne la storia e ripristinare le vere attribuzioni. Oggi si fa
presto a dire che siamo in presenza di un testo, ma il problema della testualità  è molto evidente,
soprattutto nel mondo di oggi nel quale abbiamo a disposizione tanti strumenti. Ad esempio noi
crediamo che, facendo una ricerca su Google, di avere a disposizione il vero testo di un autore,
quando in realtà non è così. Oggi si presenta un problema filologico che forse era lo stesso di quello
che un tempo si presentò agli occhi dei primi stampatori, quando si  ritrovavano di fronte a
stampare le opere fondamentali della nostra tradizione ( come ad esempio la Bibbia,  per quanto
riguarda la letteratura Europea, o la “Commedia” di Dante per quanto riguarda la nostra letteratura).
Questi si ritrovarono di fronte a tanti codici, e ne dovevano scegliere uno.
La “Vita Nova” di Dante viene ripresa da due tradizione critiche ( cioè gli editori del testo) diverse:
- una, che è quella di Michele Barbi del 1907, che la intitola "Vita Nuova”
-l'altra, che è quella di Guglielmo Gorni, il quale nel 1997 interviene nell'edizione critica del
Barbi,  cambiando innanzitutto  il titolo in “Vita Nova”.
Quindi dire “Vita Nuova” o “Vita Nova”  significava essere sostenitori di una tradizione o
dell'altra.  Nel 2015  uscì  il testo della Vita Nova  di Dante nell'edizione della "Salerno Editrici” ,
nella quale il testo riprende il titolo che tutta la tradizione critica (nel senso di filologica)  ha dato,
cioè la ”Vita Nuova”.
Che cosa significa "Edizione Critica”? Innanzitutto in un'opera troviamo una prefazione, una
prefazione di tipo discorsivo, nella quale l'autore può specificare i motivi che lo hanno condotto a
fare un lavoro di questo tipo. Poi  abbiamo un introduzione;  qui il filologo fa non solo un lavoro di
confronto tra tutti i manoscritti che contengono l'intera opera, ma non può fare a meno di conoscere
tutta la storia  della tradizione. L’autore , nell'introduzione, ci parla del lavoro dell'editore critico.
Ad esempio, nell'edizione del Barbi della Vita Nuova, sono rappresentati tutti i manoscritti che egli
ha collazionato  ad uno ad uno. Collazionare significa che l'autore andava nelle varie biblioteche e
controllava parola per parola quali fossero le varianti. Dopodichè  cominciò a collazionare le prime
edizioni a stampa, cioè controllava se avessero delle varianti significative che ci potessero
testimoniare altri spunti dell'autore. In  seguito  ha classificato i codici secondo alcune tradizioni
fondamentali. 
In definitiva, possiamo dire che “testo”, oggi più che mai, non significa essere sicuri se questo testo
rispetti la volontà dell'autore.
La  filologia della letteratura italiana ha come capostipite il problema di Dante. Questo perché
Dante è l'autore della nostra tradizione letteraria che non ci ha lasciato autografi. Infatti, il problema
che si è presentato per tutti coloro che sono venuti dopo Dante, è stato “ Qual è  il testo che ci ha
lasciato veramente Dante"?. Una  delle tradizioni più importanti  nello studiare  Dante, è stato
rappresentato da Boccaccio, il quale si era creato un libro delle opere di Dante;  si era creato una
propria silloge dove aveva aggiunto quella sua introduzione sulla vita di Dante,  che oggi
conosciamo come "Trattatello in Laude”. Quindi  la  filologia italiana si è sempre interrogata sui
testi di Dante fin da Boccaccio, e poi nel corso del tempo.La  filologia contemporanea però, nascerà
proprio con due opere di Dante:
 De Vulgari Eloquentia, Pio Rajna, 1896.
 Vita Nuova, Michele Barbi, 1907.

Seconda Lezione (21/04/2020)

Nella scorsa lezione abbiamo riportato subito una definizione romantica che ci fa entrare nel nucleo
del sistema, cioè ci fa comprendere che l’operazione filologica non è una operazione meramente
tecnica, ma è un'operazione storica; cioè non solo ci aiuta a leggere i testi, ma ci aiuta ad educarci
tecnicamente e a metterci di fronte ai testi in una disposizione critica.  La parola critica viene dalla
parola greca crino; la parola crino vuol dire non solo solo guardare ma anche discernere (scegliere).
La disposizione critica nei confronti della lettura viene per l'appunto da questo atto di
discernimento, cioè non tutto quello che leggiamo ne vale la pena che sia letto o che sia valutato
allo stesso modo, quindi è chiaro che solo nella filologia noi possiamo esercitare la critica nella sua
interezza.Le nozioni di “Filologia” sono complicate, Poterla definire, richiede infatti delle
competenze che forse uno studente non ha. Le definizioni di "filologia" nel Grande Dizionario della
Lingua Italiana (del Battaglia) e di Gianfranco Contini nell'enciclopedia del 900 sono complicate,
richiedono delle competenze che forse uno studente non ha; risultano quasi incomprensibili agli agli
occhi di uno che si avvicina al enciclopedia.
A queste definizioni vale la pena di aggiungere nel Dizionario Tedesco la parola filologia viene
definita "la filologia che comprende in sé una conoscenza critica dei libri e delle lingue". E’  una
definizione molto generica che porta la filologia verso la linguistica.
Abbiamo detto che si fa presto a dire testo, ma non sempre i testi che troviamo sono corretti e
corrispondono al vero testo d'autore. Bisogna interrogarsi su casi concreti.
I  2 casi concreti di cui ci occuperemo saranno la “Vita Nuova” di Dante e la “Fiaccola sotto il
moggio di D’Annunzio”; la Vita Nuova come caso di filologia antica fondata su manoscritti, e la
Fiaccola sotto il moggio come caso di filologia contemporanea più orientata su quella branca della
filologia che si chiama variantistica d'autore, che è stata per prima esercitata suì testi contemporanei
( quelli cioè di cui avevamo sia il manoscritto sia la stampa con le ultime volontà dell'autore),  ma
anche sui testi della tradizione classica.
Una domanda ricorrente in questo ambito è “Che cos’è un testo”?. Probabilmente qualunque cosa
scritta è un testo; noi distinguiamo nei testi, i testi letterari dai documenti. Testo  letterario oggi non
è soltanto quello che viene pubblicato e stampato, ma anche quello che viene pubblicato su supporti
diversi. 
Oggi però ancora di più, difronte a testi  che hanno una tradizione,  e soprattutto a testi d'autore,
dobbiamo di volta in volta verificarne la veridicità, che è il primo atto filologico che facciamo ogni
volta che leggiamo un testo;  non possiamo accontentarci  di leggere la prima redazione di un testo.
Se  noi prendessimo  ad esempio la “Vita Nuova”, ci accorgeremo che ci sono siti nei quali c'è
proprio il libro in PDF ( abbiamo la prima edizione della Vita Nuova di Barbi), e siti  nei quali il
testo della Vita Nuova  ha diverse redazioni, e  come abbiamo notato,  soprattutto diversi titoli (Vita
Nuova - Vita Nova). 
Il  testo della Vita Nuova più utilizzato dagli studenti  è quello presente su Wikisource. 
Qui  il testo della Vita Nuova è un'edizione del 1829, mentre in tutti gli altri, Abbiamo visto che c'è
stato uno sforzo degli  Editori, di dire che si affidano per esempio alla tradizione del Barbi, o alla
nuova tradizione di Gorni del 1996. In Wikisource invece abbiamo difronte un testo qualsiasi, senza
alcuna attenzione filologica alla scelta della fonte.
Lo scopo della filologia  è la Restitutio Textus, cioè la costituzione del testo; testo da ricostruire
nella sua integrità è nella sua veste autentica ( intesa come unica espressione legittima della volontà
dell'autore). vuole di costruire i testi di opere antiche e moderne  compiendo ogni sforzo per
eliminare e nello stesso tempo documentare guasti, fraintendimenti, arbitrarie deformazioni che nel
tempo possono essere state introdotte nelle vicende alterne nella trasmissione del testo. Quindi più
lontano è da noi il testo più è difficile ricostruire la serie di errori e l'ultima volontà dell'autore.
 Dante è per i filologi italiani un caso esemplare; questo perché di Dante non abbiamo nemmeno
una traccia di un autografo; non sappiamo nemmeno come fosse la sua grafia.
E’ ovvio che la filologia testuale, quella cioè che ci restituisce i testi, sia applicata,secondo me
dobbiamo fare ci dobbiamo levare zaino ci prendiamo cosa dice non è sicuro titolare per oggi ho da
quando gioca e poi ci prendiamo uno è sicuro intitolare la mia così rimpiazziamo Allora secondo
me perché dobbiamo fa' ci dobbiamo levare eriksen e prendere paga lì perché basta che ci non è
titolare fisso però quando gioca e ci vediamo anche a Zai però posto di Zaira Ci dobbiamo prenderli
trovare pizza così abbiamo tutti i titolari e passa da me nel caso di Dante, fin dal principio del
rapporto che abbiamo avuto nella nostra tradizione letteraria con le opere di Dante. 
Abbiamo detto che una  delle tradizioni più importanti  nello studiare  Dante, è stato rappresentato
da Boccaccio, il quale si era creato un libro delle opere di Dante.
Boccaccio allestì una sorta di manoscritto come se fosse un antologia. Il  manoscritto che Boccaccio
fa fabbricare è composto da una sua opera che si intitola “Trattatello in Laude di Dante”; è
importante questo libro di Boccaccio perché oltre  ad essere una copia unica (  allora non esistevano
le stampanti e macchine fotografiche, quindi era difficile produrre più versioni),  contiene tutta la
Vita Nuova, un'antologia di canzoni e tutta la Commedia di Dante.
Dunque è proprio il nostro rapporto con Dante che ci fa capire  l'esigenza che abbiamo di stabilire i
testi.
Tra  la  fine dell’800  e l'inizio del 900,  in quel tempo che si chiama Positivismo ( che cerca delle
risposte più tecniche al nostro studio della letteratura, e quindi si rivolge agli studi più scientifici),
troviamo Pio Rajna ( il maestro di Michele Barbi) con l'edizione dei testi danteschi; egli da vita
all'inizio della filologia italiana come scienza contemporanea. L'operazione filologica non è mai
strettamente tecnica, ma interpretata; cioè la costituzione di un testo non può prescindere dalla sua
comprensione profonda e dalla sua interpretazione autentica. Quindi ci vuole una buona base
culturale per mettersi di fronte ai testi o guardarli con un occhio filologico.
L’atto di nascita della filologia come scienza viene attribuita a Lorenzo Valla, che quando si
accinge a studiare un documento ritenuto a lungo fondamentale nei rapporti tra Chiesa e Stato, 
capisce che quel documento è un falso storico, studiandolo però  da un punto di vista  linguistico
( cioè questo documento non può essere del 300 d.C, dell'epoca di Costantino, perché riporta usi
linguistici che sono successivi all'epoca di Costantino; è stato scritto in un latino che sicuramente è
successivo all'epoca di Costantino, dimostrandolo.
La  costituzione di un testo contiene implicitamente la sua interpretazione e la sua valutazione
critica; cioè noi scegliendo semplicemente una parola, facciamo un'interpretazione critica. Non a
caso, i più importanti editori dei testi classici ( mondo greco-latino) sono non soltanto Editori ma
anche i maggiori interpreti di questo testo classico, perché giustificano le loro scelte in base al
sistema culturale dell'autore.
Quindi il filologo e contemporaneamente storico nel senso più ampio del termine, perché non solo
si deve avvalere delle nozioni tecniche ( i generi letterari come la retorica, la metrica), ma anche
delle Scienze ( come la paleografia oppure la linguistica storica) che sono in stretto contatto con la
filologia.
La  filologia è stata praticata sin dall'antichità; addirittura affonda le sue radici nella biblioteca di
Alessandria. Questi studiosi della biblioteca di Alessandria si occupavano di dare un testo definitivo
alla Bibbia, che è considerato il testo dei testi.
Con l'invenzione della stampa a metà del Quattrocento si instaura una sorta di culto per quello che
si chiama Vulgata di un testo, cioè per quello che è la trasmissione dei testi a stampa. Di solito lo
stampatore si rivolge al testo più noto di una qualsiasi opera; e quindi la prima stampa di una
qualsiasi opera nell'antichità classica o anche dell'antichità medievale viene ripresa da quella che
viene definita Vulgata.
Dobbiamo a Karl Lachmann due termini che sono fondamentali per la filologia, cioè la Recensio
( la distinzione di tutti i codici), e l’Emendatio ( cioè le correzioni apportate ad un testo). Importante
poi è l’Archetipo;è la parola chiave della filologia che significa "il primo dei manoscritti a cui
dobbiamo far riferimento, che probabilmente è quello più vicino alle ultime volontà dell'autore
(all'autografo)”. L’Archetipo è quello da cui parte una tradizione testuale.
Terza Lezione (27/04/2020)

RIASSUNTO LIBRO DI ALBERTO VARVARO “PRIME LEZIONI DI FILOLOGIA” (pag

Cominciamo dalla considerazione finale che ci fa Alberto Varvaro nel testo “Prima Lezione di
Filologia”. Varvaro  era un grande filologo romanzo che ha sempre avuto considerazioni
fondamentali in materia filologica. Ha insegnato nell'università di Napoli ( era siciliano di origine),
è stato allievo di Salvatore Battaglia ( colui che ha realizzato il “Grande  dizionario della lingua
italiana).
Varvaro diceva che la filologia non godeva di molta considerazione; i filologi sono accusati di
occuparsi di argomenti vecchi e di problemi che non interessano a nessuno,  perché hanno scarsa o
nessuna importanza per la cultura di oggi e nessun peso nella vita moderna.
Infatti, se uno pensa alla fatica che ci vuole per stabilire un testo di filologia delle varianti 
(come per esempio il caso della professoressa nella “Fiaccola sotto il moggio”), se uno pensa a
decifrare i manoscritti ( fossero anche carteggi e lettere di autori), potrebbe pensare che è tutta una
perdita di tempo; però a noi non interessa tanto il singolo soggetto per quanto complesso,ma quello
che interessa al filologo, è avere la massima cura per la trasmissione dei testi ( orali e scritti) e
insegnare quanto sia complesso interpretarli correttamente. Avere la massima cura per la
trasmissione dei testi significa trasmetterli così come volevano gli autori. Questo vale non solo per i
testi scritti e orali, ma vale anche (soprattutto oggi) per un messaggio di WhatsApp o per un
messaggio su Facebook, poiché oggi le forme di scrittura si sono moltiplicate.
Dice Varvaro che il filologo deve essere Innanzitutto onesto; non deve sovrapporre la sua voce alla
voce del testo che ha difronte. Varvaro  ci dice anche che oltre al problema del testo,  c'è un
problema più grave, cioè la superficialità e la trascuratezza che si usano per interpretare un testo. La
trascuratezza Varvaro  la trova ancora più colpevole quando uno non sa nulla delle tecniche di
trasmissione dei testi e quindi storpia un testo ( introduce cioè degli errori meccanici che alterano
per sempre il significato). In alcuni casi lo fa volutamente per lasciare in sospeso l'interpretazione o
per manomettere il testo originale.
Varvaro ci invita quindi a guardare con più attenzione i testi;  ci dice che oggi soprattutto, se noi
prendessimo un giornale ( nel quale viene trattato un determinato argomento), di solito il titolo
viene stravolto, indica un qualcosa di diverso ( che viene riformulato) creando caos nelle persone, le
quali sono profeti di qualche verità. Per esempio il caso dei test sierologici; infatti gli scienziati ci
dicono di andare cauti perché non sono molto sicuri; tutti però non conoscendo la materia si sentono
maestri della stessa materia. 
A questo punto potremmo chiederci : ” Che c'entra la filologia con tutto questo?”
C’entra molto perché la filologia ci fa ricorrere e scegliere il testo giusto ( cioè l'unico, quello che
contiene se non la verità una parziale verità che conduce ad un testo d'autore).
Possiamo dire che il nostro scopo è conoscere la filologia e i suoi strumenti per poterli tirare fuori
ogni volta che ci risulteranno utili;  ad esempio è importante conoscere la definizione di “Varianti”
proprio perché queste nozioni ci saranno utili per accostarci di volta in volta ai testi.
RIASSUNTO PAG. 24-25-26-27-28 ecc

“La filologia riguarda solo i testi letterari?”.

Un'altra domanda importante è: “La filologia riguarda solo i testi letterari?”.


Cioè uno storico ha a che fare solo con testi letterari o ci vuole uno sguardo filologico anche per un
altro tipo di testi. Varvaro ci dice che la filologia è spesso e soltanto dedicata, nel nostro
immaginario collettivo e anche nella dizione che ne danno i vocabolari, ai soli testi letterari; tuttavia
egli si chiede se questa limitazione fosse legittima. Questa è una limitazione che deriva dall'origine
della disciplina filologica, perché la filologia ha origine dallo studio dei testi classici e della Bibbia,
in entrambi i casi si tratta di testi letterari. La specificazione che la filologia riguarderebbe i testi
letterari ha avuto come conseguenza, per quanto infondata possa sembrare, la diffusione della
formula opposta: cioè che i testi letterari non abbiano bisogno di cure filologiche. Questo principio
veniva violato nel caso di testi non letterari di particolare importanza storica perché arcaici: un
esempio è la fibula prenestina del VII secolo A.C. con incisa un’iscrizione, trovata a Preneste,
vicino Roma. Era il filologo che decideva se valeva la pena di applicare ad un testo non letterario la
stessa metodologia applicata ad un testo letterario. Nel caso dei documenti di archivio, la pressi
prevalente è stata quella dell’edizione detta “diplomatica” che prevede la riproduzione degli
originali manoscritti rispettandone al massimo tutte le caratteristiche, e quindi conservandone la
divisione delle parole, l’uso delle maiuscole e minuscole, le abbreviazioni e così via. Oggi la
riproduzione diplomatica è sempre più sostituita dalla riproduzione digitale del documento tale e
quale. Nel caso di cronache o diari, l’editore è più attento al significato del testo che alle minuzie
formali. Si pensi alle grafie: non si può senza pericolo ignorare che gli usi sono cambiati nel tempo
e quindi interpretare o attualizzare una grafia antica senza sapere quale fosse l’uso grafico di chi
avesse steso il testo. Ne derivano errate identificazioni di persone e di luoghi o anche la
deformazione di frasi intere. Ciò accade anche perché l’editore di questo tipo di testi è di norma
molto più interessato al contenuto che alla forma, fino al punto da distorcere involontariamente
anche il contenuto. A pagina 28 possiamo renderci conto, nell'esempio di Varvaro, come i due testi
hanno un'importante differenza che non è soltanto interpretativa ma anche grafica.  
Nel testo di Luigi Chiappelli troviamo questo passaggio: “LI DISSEM CHE DEDENS LANCIA
DELL’ORO MI DREBBE LO PIU’ CHE POTESSE”;  in realtà il codice dice: “ LI DISSEM CHE
DEDENS LA CIANDELLORO MI DREBBE LO PIU’ CHE POTESSE”.
Come possiamo notare il senso cambia profondamente, perché nel secondo caso vuol dire “Mi disse
che avrebbe dato tutto quello che potesse alla Candelora”, quindi non c'entra LANCIA DELL’ORO.
Quindi qualsiasi testo scritto deve essere trattato con i metodi e gli strumenti della filologia.

“La filologia si applica solo ai testi scritti?”.

Particolarmente interessante è anche la domanda: “ La filologia si applica solo ai testi scritti?”.


In base alle definizioni osservate nei vocabolari, sembrerebbe che lo studio filologico non
comprende i testi orali, limitandosi a quelli scritti; in realtà, anche questa affermazione non è del
tutto corretta e si basa sulla tradizione della filologia classica, che ha sempre operato su testi
tramandati per iscritto con tradizione millenaria (come nel caso dei classici greco - latini o della
Bibbia). Tuttavia, sono di interesse (studio) filologico quei testi letterari che, tanto narrativi quanto
poetici, fanno parte della letteratura popolare e, data la loro origine, sono generalmente trasmessi
oralmente. In passato, fino al secolo scorso, per studiare i medesimi bisognava attendere che
qualche copista li mettesse per iscritto, mentre adesso si lavora ascoltando registrazioni sonore o
filmati che ne riprendono l’esecuzione; inoltre, questo studio sui testi tendenzialmente orali è
iniziato soprattutto con il Romanticismo, che aveva posto grande interesse nella riscoperta delle
tradizioni locali e popolari ma spesso tali studi sono stati condotti senza alcun criterio filologico.
L’esempio che vieni qui riportato per i testi orali letterari riguarda il poemetto “La baronessa di
Carini”, che ebbe grande fortuna sopratutto a partire dal 1870, quando lo fece pubblicare Salvatore
Salomone Marino, cultore del folclore e delle tradizioni popolari in Sicilia; lui stesso curò altre due
edizioni con notevoli differenze rispetto alla prima. Tuttavia, quando l’opera venne presentata,
Marino sosteneva di averla scritta sulla base di “un buon numero di versioni”, intendendo con esse
le varie persone che conoscevano la storia e avevano dato il loro contributo. Nel 1963 un altro
scrittore, Aurelio Rigoli, pubblicò le 392 versioni raccolte da Marino, evidenziando come il suo era
stato non un lavoro di restauro, bensì di riorganizzazione delle tessere di un mosaico, ottenendo un
prodotto finale - il poema integrale - organizzato sulla base delle combinazioni di sezioni metriche e
contenutistiche desunte dalle 392 varianti ( o versioni ) (4) raccolte; quindi, pur avendo forgiato
un’opera del tutto nuova, un falso erudito del XIX secolo,Marino ebbe il plauso della critica e
grande successo, in quanto il suo racconto è stato pubblicato dall’amico Pitrè (folclorista siciliano) e
nel “Canzoniere italiano” di Pier Paolo Pasolini. La storia, comunque, riprendeva un avvenimento
realmente avvenuto nel paesino siciliano nel 1563, vale a dire l’assassinio della baronessa e del suo
amante, riportato anche nei registri della locale parrocchia; Marino è come se avesse attinto da
un’ipotetico testo orale (dato dall’insieme delle versioni del racconto) che sarebbe stato formulato
di lì’ a poco allo svolgersi dei fatti, magari per suscitare sdegno e allo stesso tempo compianto
presso il popolo. Il procedimento di Marino non venne criticato poiché era già stato utilizzato da
altri illustri scrittori, come i fratelli Grimm, le cui favole di grande successo, in realtà, erano state da
loro costruite sulla base dei testi (orali) da loro raccolti ma innovativamente rielaborati. C’era una
concezione diversa della ricostruzione di un’opera, intesa non tanto come recupero dell’originale
ma come rielaborazione personale sulla base di ciò che si possedeva dell’originale. Forti
discrepanze si avvertono tra l’episodio di cronaca (l’omicidio della donna fu fatto dal padre del
barone per sanare i debiti contratti con il Vernagallo, amante della baronessa e non per delitto
passionale) e il testo, così come non è stato possibile individuare traccia di cantastorie che abbiano
tramandato la vicenda per operare un ulteriore confronto.

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