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Sbobina lezione 2/03 - Letteratura Italiana Contemporanea.

LEZIONE 1

● Informazioni generali:

Il corso è tutto in presenza, le lezioni sono in presenza, ovviamente la frequenza non è obbligatoria,
però sarebbe importante seguirlo.

Ho creato un’aula Teams per mettere i materiali del corso ed eventualmente per fare delle attività. Vi
chiederei dunque di iscrivervi all’aula Teams, il codice per accedere è 1i7hbkr. Nella sezione “file”
potete trovare i materiali del corso: in particolare il power point di cui mi servirò oggi, che, però, non vi
consiglio di scaricare perché è in fieri, ho cominciato a caricare le prime lezioni introduttive, ma lo
aggiornerò man mano col susseguirsi delle lezioni. Vi sono, poi, delle letture che faremo, si tratta di
letture integrative rispetto a quelli che sono i romanzi che andremo a leggere. Per esempio oggi è
probabile che leggeremo la prefazione del Sentiero dei nidi di ragno che trovate qui appunto. La stessa
cosa vale per qualche altro saggio, per qualche altro approfondimento autobiografico. Insomma tutto
quello che leggiamo in classe, lo ripongo qua. Perché, essendo un corso di magistrale, io ho un’idea: io
vorrei, da qui a giugno, organizzare il corso in tre moduli, in base al percorso diacronico che facciamo.
E, a fine mese, vorrei dare una proposta di tesina, di relazione di cinque pagine, una sorta di
riassunto diciamo e di approfondimento sull’argomento che abbiamo trattato.

Esempio, noi cominceremo col Neorealismo: il Neorealismo in Italia e soprattutto il Neorealismo a


Napoli. Cose di cui ovviamente sapete poco; di questo naturalmente parlerò, fornirò della bibliografia,
dei saggi, delle letture di autori che hanno raccontato la loro esperienza.

Allora, oggi è 2 marzo, per il 2 aprile, attraverso attività con una consegna definita, ideerò il titolo
della tesina e poi ciascuno di voi, me la invierà. E questo lo farei per i mesi di Aprile, Maggio, Giugno.
Per esempio, a Maggio, avevo pensato di fare un approfondimento su una delle opere a scelta di cui
parleremo. È molto probabile che leggeremo alcuni romanzi. Allora io vi chiederò, come seconda
relazione, di scegliere uno dei romanzi, -tanto li dovete leggere, quindi vi direi di cominciare a
comprarli e a leggerli-, e fare una relazione sull’opera; sull’analisi dell’opera, sulla base della
bibliografia. Dunque, sulla base di queste tre relazioni che voi andate redigendo durante il corso, anche
con il mio aiuto, nel senso che mentre scrivete potete anche sottopormi il vostro elaborato, dirmi:
«professoressa, ma va bene?», «cosa si può aggiungere?»; io insomma vi seguo.

L’esame che sarà a giugno consiste nella discussione di questi tre elaborati. L’esame dunque è orale, ma
è sulla discussione dei vostri elaborati. Così, voi avete la possibilità di approfondire anche
autonomamente delle cose, però, al contempo avete una traccia, sulla quale ci sarà l’esame orale, che
però è una traccia importante perché è uno scritto, quindi, ha un peso diverso; discutiamo di alcuni
aspetti e magari li approfondiamo.

Io la settimana prossima vi darò già le attività programmate, così che voi saprete cosa dovrete andare a
fare in questi tre mesi. E quindi vi invito a cominciare a recuperare tutto quello che serve per il
programma. È sicuramente importante che voi leggiate i testi e che li leggiate più di una volta. Una
volta non basta.

Il programma è sulla mia pagina personale.


Scaricandolo, avrete già avuto modo di vedere di cosa parleremo, parleremo del romanzo a Napoli tra
gli anni ’60 e ’70. In realtà, partiamo dagli anni ’50, dagli anni del Neorealismo.

C’è un testo di approfondimento che è la mia monografia: Napoli boom*.

E ci sono dei classici, delle opere.

● Chi di voi ha più o meno un’idea del contesto letterario del Neorealismo e degli anni ’60-70?

Io non vi ho dato un manuale di riferimento* però ci sono diverse soluzioni. Intanto, in biblioteca (a via
Duomo, nel cortile) è arrivato da poco questo manuale di Letteratura italiana contemporanea
(Letteratura italiana contemporanea. Narrativa e poesia dal Novecento a oggi. A cura di Beatrice
Manetti e di Massimiliano Tortore) che è diviso in due parti: una, dedicato alla narrativa; e un’altra,
dedicata alla prosa. E poi ci sono diversi capitoli dedicati ai periodi che interessano. E quindi,
all’interno di questo manuale, nella prima parte, nella parte della narrativa, ci sono due saggi: uno,
dedicato alle poetiche del Realismo e del Neorealismo; e un altro, dedicato alla letteratura degli anni
’60 e 70. Quindi, se volete avere un’infarinatura, un’idea generale di quello che stiamo trattando, questo
potrebbe essere uno strumento importante.

E poi ci sono tanti altri manuali, magari in più volumi, ma potete benissimo cavarvela con questo. In
modo tale da avere un’idea, perché comunque tutto quello che noi studiamo relativamente al contesto
napoletano viene poi rapportato al contesto nazionale e soprattutto, noi si, siamo presenti siamo vigili,
ma se dobbiamo approfondire per queste tesine, per queste relazioni qualcosa, avere un testo scritto è
importante.

Vedremo anche qualche film.

Un’altra comunicazione importante, abbiamo saltato la prima lezione, però in realtà c’è una proposta di
recupero che potrebbe essere interessante. Il 10 marzo, la mattina, abbiamo un convegno a palazzo del
Menslin, a via Chiatamone, su Domenico Rea. Domenico Rea è uno degli autori che andiamo a leggere e
a studiare che, probabilmente, pochi di voi conoscono.

Visto che noi dobbiamo approfondirlo, potrebbe essere l’occasione perfetta. Magari vi seguite la prima
sessione se non riuscite a seguire tutto. Noi cominciamo alle 9-9.30 e diciamo che alle 11 potreste
anche andare via. Si tratta di un convegno molto prestigioso, dove vi sono vari docenti importanti, ma
in particolare vi è Pietro Frassica, docente che ha lavorato all’università di Pringston, che approfondirà
il rapporto tra letteratura e cibo. Frassica ha pertanto questo approccio istrionico. Domenico Rea, poi
impareremo a conoscerlo, è un autore molto corporeo, quindi l’aspetto del cibo è primario. E quindi mi
farebbe proprio piacere che voi veniste ad ascoltare questa prima parte.

Per cui cerchiamo di recuperare questa lezione persa di martedì col convegno di venerdì, così da non
essere costretti ad aggiungerne un’altra a giugno.

A questo punto io comincerei la nostra prima lezione. Queste prime due lezioni le dedico a definire il
contesto del Neorealismo tra Italia e Napoli, che non è una cosa semplicissima perché quando si parla
di Neorealismo si parla di un’atmosfera, di un periodo, di un’esperienza che dal punto di vista della
periodizzazione, quindi dei limiti che noi mettiamo nella linea del tempo, dei limiti diacronici può
avere un’estensione molto varia. Noi possiamo intendere il Neorealismo, in maniera circoscritta, come
Neorealismo storico, come un certo tipo di esperienze letterarie o di romanzi che abbracciano l’arco
cronologico che va dal ’43 - ai primi anni ’50. C’è qualcuno che dice il ’55, che è la data in cui c’è la
messa in crisi del Neorealismo. Oppure possiamo cominciare ad estendere questa idea, questa
esperienza, addirittura partendo dal primo romanzo di Moravia, che è Gli indifferenti nel 1929, fino ad
arrivare ai primi anni ’60. Quindi il Neorealismo, se dovessimo figurarcelo è quasi un elastico che
dobbiamo imparare a definire. Perché? Facciamo un passo indietro, analizziamo la situazione del
secondo ‘900, circoscrivendolo a quello che è il romanzo, perché il nostro corso è incentrato sui temi e
sulle forme del romanzo. Quindi, andiamo ad analizzare un genere particolare, seppure ibrido e
contaminato. Se noi andiamo a guardare la situazione della letteratura italiana del primo ‘900 e
guardiamo un po’ cosa succede al romanzo, dal primo-al secondo ‘900, vediamo che, all’inizio, in Italia,
il romanzo, ha un’importanza periferica, cioè nel senso che nel primo ‘900, se andiamo a guardare i
grandi romanzieri e le grandi opere che sono entrate nel canone, troviamo i romanzi di Svevo,
Pirandello e di Tozzi. E anche la collocazione geografica di questi autori, non è centralizzata, cioè non
provengono dai centri culturali (da Roma, da Milano, da Firenze): Tozzi è di Siena, Svevo è di Trieste,
Pirandello siciliano. Eppure in un contesto in cui fa da padrona la poesia o il frammento lirico.

[Io vado per linee, non posso approfondire.]

Quand’è che questa cosa si comincia a ribaltare? Quand’è che il romanzo, nell’Italia culturale,
attraverso le riviste, attraverso il dibattito, comincia ad avere di nuovo una centralità nella società
letteraria, ma anche nella società dei lettori? Intorno agli anni ’30. In particolare, c’è un nodo
cronologico importante, che è questo del 1929, che è l’anno in cui Moravia pubblica Gli Indifferenti. Non
è che prima de Gli Indifferenti non ci fossero romanzi. Anche Borgese lavorava sugli indifferenti, e ci
sono tante riviste che in quegli anni, nelle loro pagine, pubblicavano romanzi europei, del modernismo
europeo proprio per fare in modo che la società letteraria italiana venisse rinnovata attraverso la
lettura di quello che veniva d’oltralpe. Penso ad esempio a Solaria. E quindi intorno agli anni ’30,
rifiorisce il romanzo e rifiorisce soprattutto in una direzione realistica, cioè un romanzo che non
rappresenta più la dimensione della coscienza o dell’inconscio, dell’interiorità (come era accaduto nei
romanzi di Pirandello, di Svevo, nel romanzo dell’autocoscienza sul modello di Proust, Joyce, Wolf; e
quindi, sulla base di una serie di tecniche narrative: il flusso di coscienza, il monologo interiore, la
polifonia, i flash-back. Tutto quello che era l’armamentario tecnico per rappresentare la coscienza).
Invece negli anni ’30, con il rinnovamento delle poetiche del Realismo è chiaro che cambia l’assetto e
quindi si raccontano storie, anche fatti, con tecniche narrative che, piuttosto che guardare a quei
modelli appunto Joyce, Proust, guardano al Verismo, a Verga, quindi ad un modo di raccontare anche
più vicino al racconto orale e quindi al tentativo di rappresentare la realtà, anche di trasfigurarla; però
magari, ad esempio, nella lingua si cerca di rendere il parlato, un dialogo che imita quello reale, e
quindi c’è un’attenzione diversa a quelli che sono i fenomeni tecnico-espressivi. Questo avviene dagli
anni’30. Negli anni ’30 siamo in pieno fascismo e quindi questo avviene già con Moravia negli
Indifferenti e mano mano comincia poi a diffondersi questa attitudine, grazie anche a questo sostegno
delle riviste letterarie. Riviste letterarie che noi oggi concepiamo poco perché non ci sono più. Perché il
dibattito delle idee e il dibattito letterario non avvengono su questo tipo di strumenti, probabilmente
non avviene neanche più con quella tenacia. Però dobbiamo immedesimarci in quello che era il
contesto degli anni ’30 e capire che c’era una società letteraria forte che orientava attraverso le Riviste,
quelle che erano anche le pratiche degli scrittori. E siamo quindi nel pieno del fascismo, questo
comporta sicuramente il fatto che ci sia un orientamento preciso. E si arriva poi agli anni ’40 dove
abbiamo scrittori come Vittorini, come Pavese, che si impongono soprattutto per i romanzi e anche per
la traduzione. Cosa avviene in questo periodo che verrà osteggiato dal fascismo? Una delle imprese più
importanti degli anni ’40 che è L’Antologia Americana, composta da Vittorini, con l’aiuto anche di
Pavese, che è una sorta di storia antologica della letteratura nord-americana. Le traduzioni messe in
atto da Pavese e Vittorini serviranno a nutrire, ad alimentare le poetiche del Realismo italiano delle
esperienze della letteratura Nord America da Poe, fino ad arrivare a Folkner, a Fitzgerald, a Hemingway
soprattutto, che danno un’indicazione precisa su come poter essere moderni nella scrittura realistica e
su come essere moderni nella tecnica espressiva. È difficilissimo scindere ad es. la pratica del dialogo
che emerge per esempio in Vittorini, in Pavese, ma nello stesso Domenico Rea, dal modello di
Hemigway, quel dialogo serrato, quel ritmo, quel modo di esprimersi molto calato nella verità,
nell’autenticità delle cose. E quindi tutto questo è fondamentale.

Per cui, si arriva a quello che è il periodo più critico che è la guerra (e questo lo preciso perché i primi
romanzi di Vittorini nascono nel periodo della guerra); ma l’elemento più critico è quando, dopo
l’armistizio, abbiamo: a Sud, lo sbarco degli alleati; e a Nord, c’è l’esperienza della Resistenza, perché il
Nord Italia è ancora occupato dai nazifascisti. Questo è un elemento centrale perché l’Italia si trova in
una situazione conflittuale e l’esperienza della Resistenza, in particolare; e a Sud, quella
dell’occupazione-liberazione degli Alleati, daranno vita ad una serie di romanzi che forniscono, che
costituiscono in qualche modo il bacino di quella che viene definita la letteratura resistenziale, la
letteratura della Resistenza, che è un po’ il nucleo più forte di questo Neorealismo che, ripeto, possiamo
intendere, a maglie larghe quindi a partire dai primi anni ’30- fino ad arrivare agli anni ’60, o provare a
circoscrivere, a considerarlo nel suo nucleo più ristretto che va dagli anni ‘43-‘44 (con l’armistizio
Badoglio; fino ad attraversare l’esperienza della Resistenza, quindi, la guerra civile in Italia, gli alleati al
Sud, con tutti i problemi che accadono e che vedremo, la Repubblica, i tentativi di ricostruzione e poi,
intorno al ’55, c’è già una modificazione antropologica, che ha anche degli effetti sulla letteratura, che ci
porterà su un asse diverso. Però cosa succede? Che tra gli anni ’50 e ’60 non è che non vengono più
scritte opere che raccontano l’esperienza della Resistenza, che raccontano la questione contadina, la
questione meridionale, le quali hanno un atteggiamento molto simile alla questione del Neorealismo.
Soltanto che, ci sono opere come quelle di Fenoglio (muore nel 63 e le sue opere vengono pubblicate
postume) o di autori che non conoscete come Marcello Venturi (il quale negli anni’60 pubblica un
romanzo sui martiri di Cefalonia, quindi un romanzo i genere Neorealista, però cronologicamente
siamo avanti). Quindi, tali manifestazioni come le vogliamo leggere? Già come romanzi storici? Perché
sono pubblicati negli anni ’60, ma rimandano ad una storia di 15 anni prima. Oppure vogliamo
intendere questo periodo come un lungo periodo e rifarci ad un’etichetta di Realismo più ampia? Il
dibattito è aperto.

Quindi, ricapitolando, atteniamoci per un momento a quello che è il Neorealismo storico, quindi alle
opere letterarie realistiche, che vengono prodotte in questo periodo di guerra, di Resistenza, durante i
primi anni della Repubblica in cui c’è anche il famoso piano Marshall tutta una serie di dinamiche e
che a livello letterario ha più o meno quelle due date di inizio e di fine.

Quali sono le due diramazioni più importanti da un punto di vista tematico che ritroviamo nel romanzo
Neorealista:

● Innanzitutto il racconto testimoniale, cioè un romanzo che è testimonianza di quello che è


accaduto. Quindi, non un romanzo familiare, non un romanzo sentimentale, non un romanzo
storico, ma un romanzo che testimonia l’esperienza di quegli anni.
Un romanzo che si contraddistingue dai romanzi precedenti e voi pensate soprattutto a quelli del
primo Novecento: pensate a Pirandello, a Svevo, ma anche ai primi romanzi di Vittorini e di Pavese.
Romanzi in cui si racconta innanzitutto perché si devono documentare i fatti, quindi ha un valore di
verità, perché documenta l’accaduto. La testimonianza è memoria, tant’è che in questo periodo
molti scrittori non sono scrittori di professione, ma d’occasione, si tratta cioè di gente che ha
vissuto, ha scritto le proprie memorie e le pubblica (questo vale anche per le poesie. In guerra, il
racconto testimoniale è frequente). In cui lo scrittore non è il vate, non è un personaggio che
espone la propria interiorità, ma si dà al lettore come testimone di alcuni fatti che hanno segnato
un’epoca. E lo fa perché vuole innanzitutto salvaguardare la memoria di chi è morto per la libertà e
per i valori di democrazia, uguaglianza e giustizia, che hanno guidato la lotta antifascista. Quindi,
innanzitutto, il narratore-testimone è un narratore che vuole sottolineare la forte morale del
proprio lavoro, attraverso la testimonianza dei fatti, per far in modo che, nel futuro, il racconto di
questi stessi fatti non venga tradito. Che non si faccia un’operazione di revisionismo, ma si faccia
capire come le persone che sono morte essenzialmente i partigiani o i deportati nei campi di
concentramento, nei campi di lavori o anche chi ha aiutato, tutto questo non vada perduto, non
vada mistificato nel fumo. E quindi importante è l’aspetto documentario, l’aspetto anche
celebrativo (siamo nel’immediatezza, quindi celebrare i caduti) e anche l’aspetto morale, in termini
antifascisti. Antifascismo quindi significa operare per gli ideali della democrazia, della liberta, della
giustizia, dell’equità (cosa che nel fascismo ovviamente non c’era).

● Il nucleo poi chiaramente più forte di questa esperienza è il romanzo della Resistenza quindi
romanzi che raccontano l’esperienza della Resistenza. E ce ne sono tantissimi: Uomini e no di
Vittorini, ambientato a Varese, racconta l’esperienza di partigiani. E sono romanzi di invenzione
però, ovviamente ispirati a fatti realmente accaduti. Quindi, mentre il racconto testimoniale è
vicino al memoire, al diario, cioè sono cose che sono accadute all’autore-narratore. Invece, il
romanzo è d’invenzione. Nonostante si parli di fatti ambientati in un determinato periodo.
La stessa cosa L’Agnese va a morire o Il sentiero dei nidi di ragno di Calvino, che è un racconto di
Resistenza particolare, perché narrato attraverso gli occhi di un bambino.

● Certamente ci sono poi tantissimi altri moduli del Neorealismo.


Il romanzo -e questo lo vedremo soprattutto attraverso le esperienze napoletane- dove in realtà le
distinzioni non sono poi così nette. Dove il racconto realistico spesso può diventare un racconto di
visione, un racconto di sogno, quasi surrealistico, come avviene con Annamaria Ortese. Oppure ci
sono romanzi iper-realisti che, partendo da fatti reali, arrivano a deformare la realtà, a caricarla
così tanto da inventare, come accade al romanzo di Malaparte, La pelle. Quest’ultimo è ambientato
a Napoli, è basato su fatti reali cha accadono all’autore, perché l’autore, Malaparte, era stato
appunto impegnato nell’esercito durante la liberazione degli alleati, però poi quello che descrive
della città è così visionario, è così eccessivo, che finisce per sforare il realismo e diventa una visione
iper-realistica, inventata, che però ha un forte effetto per quanto riguarda il significato, la
trasfigurazione.

Quindi abbiamo queste due direttrici principali, però intorno a queste c’è una grande esplosione,
proliferazione del romanzo. Possiamo dire che questo è il periodo in cui il romanzo è il genere
egemone [in merito a ciò c’è un libro molto bello di Spinazola, L’egemonia del romanzo, che è
un’analisi dei romanzi del secondo ‘900 più importanti. In cui si veicola l’idea che il secondo 900 è
l’anno in cui il romanzo è il genere egemonico rispetto ad altri generi come il teatro, come la
saggistica letteraria]. Quali sono i temi del Neorealismo?
1. Innanzitutto, abbiamo detto, la Resistenza;
2. Ma, affianco a questa, anche le condizioni delle classi sociali subalterne -quindi parliamo
delle classi sociali contadine e delle classi sociali operaie, dei proletari-. E bisogna
specificare che inizialmente l’interesse sarà ai proletari, ma successivamente diverrà anche
attenzione per il sottoproletariato.
Perché parlo di proletari? Questa parola ci riporta anche ad un aspetto ideologico, che
comincia a diventare centrale e discriminatorio per quel che riguarda la definizione del
ceto intellettuale e letterario. Quando parliamo di proletari ci viene in mente Marx, ci viene
in mente tutto quello che è il lascito del pensiero marxista nel secondo ‘900, ci viene in
mente soprattutto Gramsci che nel ’22, fonda il Partito Comunista Italiano, anno in cui in
Italia c’è l’affermazione del fascismo e inizia il ventennio. La storia del Partito Comunista
italiano è una storia molto diversa da quello che il comunismo ha rappresentato nelle
Repubbliche dell’est. La storia del Partito Comunista, e soprattutto della Letteratura
Italiana del secondo ‘900, è una storia a sé, per niente riconducibile -se non per aspetti di
propaganda- a quello che accade poi realmente nelle Repubbliche dell’est. L’Italia, dallo
sbarco degli alleati in Sicilia.
Piccolo appunto, ieri su Atlantide (programma tv) hanno trasmesso uno speciale su Lucky
Luciano, grande capo mafioso, che tra l’altro ha vissuto a Napoli per tanti anni, celebre per
l’accordo tra mafia e gli alleati. Quello è un passaggio storico importante perché definisce il
ruolo dell’Italia nel ‘900, dell’Italia che diverrà poi Repubblica, e, in qualche modo, anche
dell’Italia in cui siamo noi adesso. In qualche modo vi spiega, vi fa capire perché la
posizione dell’Italia è sempre molto più complessa rispetto per esempio alla Francia, alla
Spagna, ma anche per esempio rispetto a quello che accade nell’Est, perché l’Italia, più della
Germania, ha un’ambiguità di fondo (costitutiva, storica, politica), che poi determina tutta
una serie di problematiche. Un compromesso così radicato e storicamente legittimato, che
la fa uscire un po’ fuori. Questo per dire che, in quel periodo, nell’antifascismo, si
mobilitano quasi tutte le forze intellettuali italiane. Tutti gli scrittori, o meglio, quasi tutti,
sono antifascisti. Quasi tutti gli scrittori decidono ad un certo punto, dopo l’armistizio
Badoglio, di prendere le armi in mano e di combattere contro in nazifascisti (anche quando
sono i propri fratelli); sentono la necessità di entrare in campo, di sporcarsi le mani, di
uccidere in sostanza; di trasformare la speculazione intellettuale in militanza attiva. E gran
parte di questo antifascismo va a finire nei quadri del Partito Comunista, che è quello che,
ideologicamente e anche realmente, maggiormente combatte quello che sta accadendo.
Quindi, quasi tutti gli intellettuali che andremo a vedere, hanno avuto una militanza nel
Partito Comunista. Militanza è che andata via via scemando, quando dopo la morte di
Stalin, con Cruchov e i fatti di Ungheria, inizia a rendersi evidente anche in Italia, cosa
realmente sia il Comunismo come regime e quindi lì, le cose cominciano a cambiare. Quindi
ci sarà un distacco tra: la società degli scrittori e i dirigenti di partito. Questo è importante
perché in un periodo di ricostruzione post-bellica, far uscire dei libri, delle riviste, senza
soldi, è impossibile. Noi vedremo tante iniziative editoriali: riviste, di grande pregio che
finiranno perché molti redattori, molti capiredattori, decideranno di non pubblicare con il
finanziamento dei partiti (di quale partito? Del Partito Comunista, stiamo parlando
dell’Italia Repubblica, dell’Italia degli anni della Repubblica, del ’45. Pensate al Politecnico,
perché il Politecnico chiude? Erché Togliatti, capo del PF, voleva che questa Rivista
rispondesse ai canoni del Partito. E Vittorini risponde: E no, io sono autonomo, io sono un
intellettuale. Sono iscritto al Partito, ma nella letteratura e ella cultura faccio quello che
voglio, perché i miei ideali, sono ideali di libertà, di democrazia, ma non servo del Partito. E
quindi la rivista chiude. Stessa cosa succede a Napoli con la Rivista Sud. Una rivista molto
importante dove scrivono, dove danno il loro contributo tanti scrittori famosi, anche questa
pubblicata nel ’45 e autofinanziata con gravi difficoltà. Il PC vuole finanziarla, però il
responsabile che si chiama Pasquale Prounas, risponde di non poter accettare il
finanziamento del Partito, altrimenti rischierebbe di diventare un organo del Partito.
Ovviamente questa è una cosa che noi viviamo tutti i giorni. Nel caso dei giornali oggi,
vedete il CO, vedete chi finanzia il giornale e vedete che informazioni vi danno. Chi finanzia,
ovviamente orienta la testata (giornalistica, tele giornalistica, ecc.).
Ritornando ai temi principali del Neorealismo, abbiamo detto sono la Resistenza e la
condizione delle classi sociali subalterne, quindi ritorna in auge un tema molto molto
sviluppato nel secondo ‘800, cioè la questione meridionale. Cosa si intende per
questione meridionale? Le differenze economiche e sociali, un divario enorme che ancora
oggi esiste e perdura, tra Nord e Sud Italia. Da un punto di vista storico, l’esplosione della
questione meridionale risale all’Unità d’Italia, al 1861. L’unità d’Italia anche definita
Piemontesizzazione, è stata così chiamata proprio per sottolineare il fatto che in realtà non
c’era stata una vera Unificazione, ma in realtà era stato il Piemonte sabaudo a governare.
Tra gli scrittori che avevano raccontato il disagio del Sud e quindi la povertà estrema in cui
il Sud era stato lasciato, mentre il Nord, da questa Unità, aveva ricavato soldi, possibilità di
investire, di creare fabbriche, cooperative, bonificare i terreni. Tutto questo al Sud non
accade. Rimane un’impostazione feudale, di grande povertà per la maggior parte della
popolazione e invece pochi ricchi, ma tanto ricchi. Questo aspetto viene raccontato, nel
secondo ‘800, soprattutto da Verga, che racconta la Sicilia e racconta un po’ gli effetti anche
della questione meridionale. E tracce di questo Sud, poi piano piano, si disperdono; il
racconto del Sud, della questione meridionale, delle inchieste della questione meridionale,
poi si disperdono. Per esempio a Napoli, ci sono scrittrici come Matilde Serao che scrivono
tanto delle: condizioni di disagio del popolo napoletano dell’assenza di condizioni sanitarie
adeguate; delle epidemie di colera che nascono e tranciano la popolazione. E oltre a lei, i
racconti di….
Nel Neorealismo questo tema ritorna alla ribalta e ci sono diversi scrittori che raccontano
la questione meridionale, che raccontano la condizione di arretratezza, di miseria delle
popolazioni del Sud Italia, tra i racconti che più hanno segnato questo filone c’è Cristo si è
fermato ad Eboli di Carlo Levi. E ci sono, poi, per esempio, i racconti che provengono dal
confino: tutti gli intellettuali del Nord che vengono confinati, anche alla fine del Fascismo, al
Sud, e che raccontano condizioni quasi preistoriche di quello che è il Sud, intorno agli anni
della Repubblica. E quindi, questo ci serve a noi perché poi, in questo filone del racconto
della questione meridionale, delle classi contadine del Sud, ovviamente si inserisce anche
gran parte delle opere che vengono prodotte a Napoli in quegli anni. Penso, per certi
aspetti, ai racconti di Domenico Rea di Spaccanapoli, che non sono ambientati a Napoli, ma
in provincia, però il titolo è Spaccanapoli perché è un titolo che sta ad indicare proprio
questa strada che taglia a metà la città e da un punto di vista metaforico, è quasi la linea di
demarcazione tra due mondi. E il mondo che racconta Rea è un mondo primitivo, è un
mondo popolare, è un mondo di persone che vivono del lavoro della terra o che magari
fanno gli artigiani, quindi vivono in condizioni di povertà e hanno anche dei valori diversi,
dei valori non legati all’ideologia borghese, dei valori appunto quasi primitivi. È un po’
pasoliniano Domenico Rea come scrittore, e quindi rientra nel filone del racconto del
popolo, della gente dei vicoli, della gente vera.
Poi c’è, in ambito sempre napoletano, uno scrittore, Luigi Incoronato, che scrive questo
raccontino: Scala a san Potito, che può essere classificato come un racconto lungo, come un
romanzo breve, definitelo come volete. E in esso, l’autore mette in scena un romanzo corale:
un romanzo dunque, che non racconta la vita di un personaggio, ma che racconta più storie;
quindi, in questo senso, è un racconto corale, perché emerge il coro dei vari protagonisti
che sono tutti dei senzatetto. E sono senzattetto che vivono in una scala che ancora esiste
vicino il Museo Nazionale di Napoli; e sono senzatetto perché hanno perso la casa durante
la guerra, perché hanno perso il lavoro e non riescono a trovarlo, perché si sono trovati
senza aiuti, e anche se è iniziata la ricostruzione, si trovano in cndizioni addirittura peggiori
di quando Napoli era in mano agli alleati, perché durante l’occupazione americana, c’era
stato un certo benessere che era esploso grazie al commercio illegale dei prodotti. In un
momento di fame chi era che portava gli alimenti qui, chi è che portava anche alimenti che
non c’erano? Gli americani. Vi era il fenomeno del contrabbando, della borsa nera (di
alimenti, di farmaci, di sigarette; in pratica di tutto ciò che arrivava). E perché? Perché in
Italia non arrivava nulla. E questo aveva creato un’economia illegale, però l’aveva creata. E
quindi molte persone, in qualche modo, ,mangiavano grazie agli american. Invece, quando
poi gli americani vanno via, durante il periodo del piano Marshall, le persone del popolo
che in qualche modo erano riusciti a trovare un piccolo introito, si trovano senza nulla.
Questo è il racconto fatto da Incoronato e quindi non è un racconto di Resistenza, ma è un
racconto ce comunque rientra in questo Neorealismo, perché racconta appunto, attraverso
strategie realistiche, quella che è una condizione attuale. Perché, ciò che possiamo dire in
più che caratterizza questo neo-realismo. È l’attenzione all’attualità, a quello che c’è intorno
allo scrittore in quel momento. In questo senso accennavo prima che è possibile restringere
il campo al Neorealismo Storico, cioè scrittori che nel ’44, nel ’45, nel ’46, nel ’50, ci dicono,
nelle varie aree geografiche cosa sta succedendo attorno a loro, attraverso l’invenzione.
Invenzione che però parte da quello che è il contesto attuale, mano mano invece
assisteremo a quello che è il passaggio dalla attualità alla storia, ovvero il passaggio dalla
cronaca alla storia, per cui il romanzo non racconterà più la cronaca dei fatti, quello che
accade intorno, ma utilizzerà i moduli del romanzo storico, quindi tenderà a raccontare
cose più lontane nel tempo per indurre il lettore a leggere nel passato, qualcosa che si
rispecchia nel presente.

Quindi ritorniamo a ciò che dicevo in precedenza e analizziamo un po’ l’aspetto ideologico,
che è importante per definire gli scrittori. Gli scrittori di cui parleremo per Napoli, sono
soprattutto degli scrittori della generazione del ’20. Quindi, se facciamo un paio di calcoli,
vuol dire che sono ragazzi cresciuti durante il fascismo: sono nati tra il ’20, il ’22, il ’23,
considerate che il fascismo si afferma in Italia nel 1922; possiamo senza dubbio affermare
che sono, ragazzi scrittori che crescono durante il fascismo e quindi iniziano a maturare
l’antifascismo alla fine del fascismo, con lo scoppio della seconda Guerra Mondiale, quando
cominciano ad affacciarsi alla maggiore età. Quindi la generazione degli scrittori di cui vi
parlo è una generazione che è cresciuta in quello che si chiama il Fascismo di sinistra,
un’etichetta simpatica che cela una contraddizione. Cosa significa, cosa identifica il
Fascismo di sinistra? Sono scrittori cresciuti con una formazione che è quella che gli ha
dato l’istruzione pubblica, che era ovviamente fascista (hanno letto i sussidiari creati ad hoc
dal ministro dell’istruzione fascista e quindi senza una consapevolezza), però sono scrittori
che, anche all’interno delle organizzazioni fasciste, hanno avuto un’attitudine più aperta
grazie alle letture. Chiariamo questo concetto di organizzazioni fasciste. Non so se sapete
che il fascismo ha lavorato molto nell’ambito della formazione e ogni ciclo scolastico, aveva
anche dei gruppi, per es. in ambito universitario c’era il famoso GUF (il gruppo
universitario fascista), il quale era presente in tutte le università. Gli scrittori di cui
parleremo, hanno frequentato le università e hanno frequentato i GUF, ma con
un’attitudine, come vi dicevo, più aperta, grazie alle letture. I GUF erano dei luoghi di
coesione, di incontro, in cui gli amici si incontravano e discutevano, e proprio grazie a
questo scambio e alle possibilità di leggere cose, matura in loro un antifascismo che poi,
con lo scoppio della guerra e con l’armistizio, diventerà una presa di posizione vera, però
generalmente la generazione degli anni del ‘22 (nati nel ’22), vive i primi 15-16 anni del
fascismo come un isolamento, come una bolla, tutte le testimonianze di questi scrittori
dicono: «Noi vivevamo come pesci in un acquario»-> Noi vivevamo isolati perché, non solo
vivevamo in un regime che non ci diceva ciò che vi era fuori, ma in più, vivevamo pure a
Napoli. Eravamo in pratica isolati nell’isolamento, perché Napoli era ancora più lontana di
Roma, di Torino, di Milano, quindi era una dimensione così, particolare. Fin quando le
bombe non arrivano anche qua, nel golfo e allora succede qualcosa che li sveglia. E quindi
c’è il passaggio: c’è il momento della presa di coscienza ideologica e come vi dicevo, il
riferimento di questa generazione, è Gramsci che muore in carcere dopo essere stato
catturato dalle milizie fasciste. Fondatore del Partito Comunista. Siccome sapete bene che il
Fascismo è un regime a partito unico, non è dunque concepita un’alternativa, e soprattutto
un’alternativa così militante e potente. Per cui Gramsci viene incarcerato. Durante gli anni
del carcere scrive quaderni, riflessioni e la sua opera più importante è proprio I quaderni
dal carcere che non sono semplici memorie, ma sono una vera e propria guida
teorico-pratica e una sorta di teoria che riguarda l’essere dell’intellettuale nel mondo.
Quindi, in qualche modo, ne I quaderni dal carcere, noi abbiamo una disamina della società
intellettuale italiana; una storia della cultura e della letteratura, vista da Gramsci, con delle
proposte, delle proposte per il futuro. Gramsci scrive: «Il problema dell’Italia è che la
letteratura si è sempre mossa su due fronti. Esistono due culture in Italia: una cultura
popolare e una cultura d’élite. E queste due culture non si sono mai incontrate. La cultura
popolare è quella del comico, è insomma quella d’intrattenimento, e quindi la letteratura si
esprime con moduli più bassi, con uno stile più basso,medio; e non ambisce a far migliorare
il popolo, quella cultura che non ha la formazione culturale per comprendere cose. Poi c’è la
cultura alta, chiusa in se stessa, perché è la cultura fatta prodotta e recepita dall’élite che ha
avuto una formazione scolastica e superiore –e sono pochissimi-. Ora come può migliorare
un paese se queste due culture restano scisse se non si fa nulla affinché si possa creare, dice
Gramsci, una letteratura nazional-popolare? Che non è un qualcosa di negativo, ma anzi,
Gramsci e successivamente gli intellettuali gramsciani (e con questo capiremo perché si
afferma poi Gramsci nel Neorealismo): l’intellettuale contemporaneo deve avere questa
vocazione, chiamiamola pedagogica, per far in modo che, attraverso le proprie, opere la
società possa crescere. Ma la società non è fatta solo di élite ma anche e soprattutto di
popolo. E bisogna mettere in condizione quel popolo di capire e di parlare, anche se non ha
gli strumenti. E quindi nasce con Gramsci questo modello di intellettuale attivo nella
società a forte vocazione pedagogica e che ovviamente è un modello di militanza politica,
perché Gramsci è il fondatore del partito comunista, e quindi, quando lui scrive quelle cose
sulla letteratura, le scrive anche da militante di partito. E quindi, il Partito Comunista si fa
portavoce di questa tipologia di cultura e allora il Partito Comunista diventa anche
l’ombrello sotto il quale maturano un certo tipo di posizioni e matura l’idea
dell’intellettuale organico, perché dice Gramsci: l’intellettuale non può lavorare nel
proprio studio ma si deve sporcare le mani e deve lavorare a contatto con la politica. anzi
no, deve entrare nei quadri dirigenziali della politica. L’intellettuale non può starsene dietro
il suo banchetto, ma deve andare ad occupare delle posizioni amministrative, cioè deve
lavorare nell’amministrazione, nella politica, perché l’intellettuale ha la possibilità di
migliorare, ma lo può fare solo se è inserito in un certo contesto, sennò sta a casa sua e che
fa? Scrive? È poco. Allora nasce il concetto di intellettuale organico, ovvero un intellettuale
“a servizio” del partito; un intellettuale impegnato, il cosiddetto intellettuale engagé, e
questo concetto di impegno è il concetto dirimente, che ci fa distinguere: la posizione di
intellettuale di quegli anni (degli anni ’40, ’50) rispetto a quello che abbiamo visto prima
nella storia letteraria, anche per esempio di Verga. Di Verga abbiamo detto che egli è un
modello: racconta le storie dei contadini, racconta con una lingua che è in qualche modo
vicina al parlato; benissimo, ma Verga non era un intellettuale impegnato, era uno scrittore
come lo conosciamo. L’intellettuale della Resistenza e della guerra è un intellettuale
impegnato politicamente, culturalmente e poi, dopo, anche sul piano della dimensione
creativa. Lavoro intellettuale, lavoro politico insieme, afferendo al partito generalmente. E
quindi, questo tipo di impegno, in alcuni scrittori poi, piano piano, viene vissuta in maniera
sofferta per quella cosa che vi dicevo, cioè: io mi iscrivo al partito, però, poi, devo dire, devo
scrivere come il partito mi dice (quindi a un certo punto maturano dei conflitti). Però, il
modello gramsciano è fondamentale per capire questo. Ed è fondamentale capire che siamo
in un contesto di aperto antifascismo. E antifascismo per lungo tempo significherà
Comunismo, come unica forza politica che realmente si oppone –molto più per es. delle
correnti cattoliche che erano più compromesse-. Quindi, ciò che dobbiamo ricordare di
Gramsci è: il concetto di impegno; il concetto di letteratura nazional-popolare, cioè gli
scrittori gramsciani, gli scrittori impegnati cominceranno a scrivere nel tentativo di
abbattere il divario tra le due culture e quindi di comunicare, di farsi leggere e quindi anche
di insegnare a un pubblico più ampio, anche popolare (anche all’operaio che esce dalla
fabbrica alle 8 di sera compra il giornale, capisce questo raccontino che gli viene propinato
e ci riflette su). Ricordatevi un fatto storico. Ho parlato molto di storia, ricordate pertanto e
considerate il quadro storico, è fondamentale: la più importante operazione che fa il Partito
Comunista e che si legge soprattutto al Sud dove vi è una situazione di analfabetismo e di
ignoranza enorme. Considerate che a Napoli quando ci sarà il referendum per scegliere tra
monarchia e repubblica, vincerà la monarchia, Napoli vota monarchico, non vota
repubblicano; poi per una questione di maggioranza nazionale, vince la Repubblica, però,
fosse stato per i napoletani, noi stavamo sotto al re. Allora il Partito Comunista a Napoli
cosa fa concretamente? Va nei vicoli dei quartieri spagnoli, non a promuovere, ma a
educare, a spiegare alla gente del popolo, qual è il loro intento, che posso migliorare le loro
condizioni, affidarsi ai rappresentati di partito, considerarli degli interlocutori per
migliorare le loro condizioni concrete (non parliamo di letteratura, parliamo di acqua, luce,
gas). E nel PC chi fa questo? Gli scrittori, quelli che scrivono sull’Unità, sui giornali; quelli
che pubblicheranno romanzi. Domenico rea è iscritto al Partito Comunista. Ermanno Rea
che è un po’ più giovane è iscritto al PC; tutti sono iscritti al Partito Comunista, tranne La
Capria, che se ne va un po’ prima. Insomma tutta una serie di scrittori che crede che il
cambiamento possa avvenire in quel momento di ricostruzione magico, perché la guerra c’è
stata, però adesso c’è la possibilità di costruire un mondo migliore, grazie a un partito che è
alle spalle per poi rivelarsi tutto una grande delusione dopo il ’56. Dopo questa data cambia
un po’ tutto.
● Pedagogismo dell’arte, ovvero l’idea che l’arte abbia una funzione educativa. Quindi, l’arte non è
l’arte per l’arte, non è un orpello, ma deve avere un funzione.

Da un punto di vista linguistico-espressivo, come vi dicevo, il riferimento centrale per capire le


scritture del Neorealismo, resta ed è Verga, universalmente riconosciuto, insieme ad altri. Dopo ad
esempio leggeremo la prefazione di Calvino che è uno degli scritti più illuminanti perché racconta
appunto dell’importanza di Verga, di Paese, Vittorini e di Fenoglio, come riferimenti per quella
generazione.

E poi un’altra sede per comprendere il dibattito intorno al Neorealismo è l’inchiesta realizzata da Carlo
Bo intorno al Neorealismo, intitolata, Inchiesta sul Neorealismo, in cui Carlo Bo, intellettuale di altra
generazione, fa una serie di domande a scrittori, rappresentati della cultura italiana di quel tempo per
definire che cos’è il Neorealismo, ci sono domande che riguardano la definizione, domande che
riguardano la lezione di quegli americani, il cinema, l’ipotesi di bilancio. E tale inchiesta è interessante
perché è realizzata nella contemporaneità del fatto e perché in essa Carlo Bo riesce ad individuare degli
aspetti di un fenomeno che era in atto, qundi riesce a leggere il presente e abbiamo diverse risposte su
queste domande che ci fanno capire com’è difficile definire il neorealismo ed essere sempre attenti a
tutte le varie sfumature. Noi dobbiamo cercare in questo corso, anziché di parlare per etichette, di
circoscrivere e di dividere, di essere più analitici. Mentre alla triennale abbiamo una linea complessiva,
ora cominciamo a guardare tutte le varie sfumature, perché andando nel profondo si capisce meglio un
fenomeno che è tra i più importanti della nostra cultura. Io ci tengo tanto al Neorealismo, perché voi
potrete lavorare con il Neorealismo, perché il Neorealismo è l’Italia nel mondo. Se parlo d’Italia e non
sai chi è Roma città aperta, Ladri di biciclette, Le mani sulla città.

Chiuderei con la lettura della prefazione de Il sentiero dei nidi di ragno.

Il sentiero dei nidi di ragno, pubblicato nel ’47, quindi opera del Neorealismo, romanzo resistenziale, si
racconta della Resistenza. Nel 1964, ormai siamo fuori dal Neorealismo, Calvino scrive altre cose. Viene
pubblicato il testo con una prefazione, quindi con un testo di Calvino che commenta quel romanzo
scritto nel ’47, che era il suo primo romanzo. E approfitta per dare, dopo quasi 20 anni, una lettura di
quella che era stata l’esperienza del Neorealismo. Ed è una delle letture più illuminanti, più oggettive di
questo fenomeno.

[Legge la prefazione de Il sentiero dei nidi di ragno, concentrandosi sulle parti del testo evidenziate in
giallo].

«Più che come un’opera mia lo leggo come un libro nato anonimamente dal clima
generale d’un’epoca, da una tensione morale, da un gusto letterario che era quello in cui
la nostra generazione si riconosceva, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.»
[Riassume]:

Quindi cosa ci dice:

● Ci dona l’arco cronologico: la Seconda Guerra Mondiale.


● Ci dice in più: «Non è un’opera mia, è quasi un’opera necessitata dal tempo. È lo spirito dei tempi.»
● Quindi lui fa rientrare il suo racconto nel racconto di una generazione, una generazione che è uscita
dalla guerra e dall’esperienza della Resistenza per chi l’aveva fatta.
Per quanto riguarda i romanzi, dice inoltre, che i romanzieri non intendevano semplicemente
documentare, dare una testimonianza, ma intendevano esprimere. Cosa significa esprimere? Per
uno scrittore “esprimere” è essenzialmente “ricerca di linguaggio”, ovvero trovare un linguaggio per
comunicare un qualcosa di nuovo che c’è dentro (un’idea; un sentimento; un nuovo modo di
vedere; perché è anche la presa di coscienza della libertà e la libertà possibile). Quindi esprimere
equivale a cercare un linguaggio. Il neorealismo è un linguaggio, che proviene da quelle poetiche
del Realismo degli anni ’30 che viene rimesso in discussione. Quindi: ricerca di linguaggio, di
ricerca di tecniche, che avviene attraverso dei modelli che provengono dall’America, ma anche
dall’Italia. Quindi sta parlando della sua generazione degli anni ‘20

Non era facile ottimismo, però, o gratuita euforia; tutt’altro: quello di cui ci sentivamo
depositari era un senso della vita.
La rinata libertà di parlare fu per la gente al principio smania di raccontare: […].
La carica esplosiva di libertà che animava il giovane scrittore non era tanto nella sua
volontà di documentare o informare, quanto in quella di esprimere. Esprimere che cosa?
Noi stessi, il sapore aspro della vita che avevamo appreso allora allora, tante cose che si
credeva di sapere o di essere, e forse veramente in quel momento sapevamo ed eravamo.
● Quindi lui fa rientrare il suo racconto nel racconto di una generazione, una generazione che è uscita
dalla guerra e dall’esperienza della Resistenza per chi l’aveva fatta.
Per quanto riguarda i romanzi, dice inoltre, che i romanzieri non intendevano semplicemente
documentare, dare una testimonianza, ma intendevano esprimere. Cosa significa esprimere? Per
uno scrittore “esprimere” è essenzialmente “ricerca di linguaggio”, ovvero trovare un linguaggio per
comunicare un qualcosa di nuovo che c’è dentro (un’idea; un sentimento; un nuovo modo di
vedere; perché è anche la presa di coscienza della libertà e la libertà possibile). Quindi esprimere
equivale a cercare un linguaggio. Il neorealismo è un linguaggio, che proviene da quelle poetiche
del Realismo degli anni ’30 che viene rimesso in discussione. Quindi: ricerca di linguaggio, di
ricerca di tecniche, che avviene attraverso dei modelli che provengono dall’America, ma anche
dall’Italia.

Il «neorealismo» per noi che cominciammo di lì, fu quello;


● Quindi sta parlando della sua generazione degli anni ’20.

Il «neorealismo» non fu una scuola. (Cerchiamo di dire le cose con esattezza). Fu un


insieme di voci, in gran parte periferiche, una molteplice scoperta delle diverse Italie,
anche - o specialmente delle Italie fino allora più inedite per la letteratura. Senza la
varietà di Italie sconosciute l’una all’altra - o che si supponevano sconosciute -, senza la
varietà dei dialetti e dei gerghi da far lievitare e impastare nella lingua letteraria, non ci
sarebbe stato neorealismo. Ma non fu paesano nel senso del verismo regionale
ottocentesco. La caratterizzazione locale voleva dare sapore di verità a una
rappresentazione in cui doveva riconoscersi tutto il vasto mondo: come la provincia
americana in quegli scrittori degli Anni Trenta di cui tanti critici ci rimproveravano
d’essere gli allievi diretti o indiretti. Perciò il linguaggio, lo stile, il ritmo avevano tanta
importanza per noi, per questo nostro realismo che doveva essere il più possibile distante
dal naturalismo.
● Quindi, innanzitutto il Neorealismo non è un movimento, no n è una scuola, non c’è un programma,
non c’è una rivista, ma è fenomeno che però riguarda l’Italia tutta, non solo le grandi città, ma
anche le province, anzi soprattutto le province.
● E poi l’idea che, linguisticamente, c’è una lingua nuova, imitazione della lingua parlata. È una lingua
che assorbe il dialetto, perché le varie parlate d’Italia caratterizzano la nostra penisola, l’Italia è
fatta così, e quindi si parla il dialetto. Noi siamo tutti bilingue (italiano-dialetto), ma oltre al dialetto
c’è anche la parlata inglese (gli americani), la tedesca (dei nazisti). Quindi, è una lingua ibrida che
accoglie tutto quello che circolava in Italia, in ottemperanza a questa idea di Realismo.
● Quindi, Calvino riconosce nella capacità degli scrittori di impastare questa lingua anche uno
sguardo a quello che facevano gli scrittori nord-americani, che, con lo slang della provincia,
raccontavano il mondo della provincia americana. Es. la lingua di Uomini e topi, non è una lingua
british, ma è una lingua che per sapore di verità deve raccontare e si deve abbassare.

Ci eravamo fatta una linea, ossia una specie di triangolo: I Malavoglia, Conversazione in
Sicilia, Paesi tuoi, […]
● Quindi parliamo di Verga, Vittorini, Pavese.

La Resistenza; come entra questo libro nella «letteratura della Resistenza»? Al tempo in
cui l’ho scritto, creare una «letteratura della Resistenza» era ancora un problema aperto,
scrivere «il romanzo della Resistenza» si poneva come un imperativo; a due mesi appena
dalla Liberazione nelle vetrine dei librai c’era già Uomini e no di Vittorini, con dentro la
nostra primordiale dialettica di morte e di felicità; i gap di Milano avevano avuto subito il
loro romanzo, tutto rapidi scatti sulla mappa concentrica della città; noi che eravamo
stati partigiani di montagna avremmo voluto avere il nostro, di romanzo, con il nostro
diverso ritmo, il nostro diverso andirivieni...
● In questo passaggio l’autore riconosce che vi era l’esigenza di raccontare l’attualità, la cronaca.
● Ancora una volta l’esigenza di raccontare le varie realtà della Resistenza: Uomini e no è ambientato
nella cittadina di Varese, ma, ad esempio, quello che accade in Piemonte è un po’ diverso –anche dal
punto di vista paesaggistico-. E così Calvino giustifica il suo racconto, Il sentiero dei nidi di ragno.

Posso definirlo un esempio di letteratura impegnata nel senso più ricco e pieno della
parola. Oggi*, in genere, quando si parla di «letteratura impegnata» ci se ne fa un’idea
sbagliata, come d’una letteratura che serve da illustrazione a una tesi già definita a
priori, indipendentemente dall’espressione poetica. Invece, quello che si chiamava
l’«engagement», l’impegno, può saltar fuori a tutti i livelli; qui vuole innanzitutto essere
immagini e parola, scatto, piglio, stile, sprezzatura, sfida.
● Calvino tocca anche la tematica dell’impegno –che è un po’ il riassunto di quello che abbiamo
detto-.
● *Oggi= siamo negli anni ’60.

Contro chi? Direi che volevo combattere contemporaneamente su due fronti, lanciare una
sfida ai detrattori della Resistenza e nello stesso tempo ai sacerdoti d’una Resistenza
agiografica ed edulcorata.
● Questo passaggio è importante. Perché Calvino ci dice: siamo negli anni ’60. In questi anni, parlare
di impegno, inteso come impegno politico dello scrittore, è qualcosa di strano. Invece, subito dopo
la Seconda Guerra Mondiale, aveva un’importanza, un’esigenza, una verità, che oggi non
comprendiamo, perché sono passati 20 anni ed è successo quello che è successo.
L’impegno era anche dare un segnale di lotta a quello che era stata la politica precedente, quindi
dare uno spirito anti-fascista e dare dei valori nuovi, i valori su cui si sarebbe dovuta costruire la
nuova società. E lui dice: io volevo fare un romanzo della Resistenza e cosa volevo mettere in luce
della Resistenza? Da una parte, volevo evitare che si raccontasse male quell’esperienza, che non si
rendesse giustizia ai caduti; dall’altra parte, però, non volevo neanche che fosse un racconto
celebrativo, perché Resistenza è sempre guerra civile, sono sempre morti (fratelli che si uccidono)
e bisognava rendere conto anche di questo. E quindi trovare un equilibrio. Mentre, invece,
soprattutto in ambito cinematografico, ma anche narrativo, ci sono stati molti romanzi, anche
agiografici, che hanno diviso il racconto in buoni e cattivi: i buoni erano i partigiani; i nazisti erano i
cattivi; questa per uno scrittore è una semplificazione, una banalizzazione, anche una distorsione
storica del racconto. E per lo scrittore lo è ancora di più perché lo scrittore è analitico, è riflessivo,
va oltre la storia, va a pesare l’uomo e Calvino ci dice questo: io non volevo fare la celebrazione e
non volevo neanche che ci si dimenticasse cos’era stata la Resistenza dal punto di vista politico.
Per molti dei miei coetanei era stato solo il caso a decidere da che parte dovessero
combattere; per molti le parti tutt’a un tratto si invertivano, da repubblichini
diventavano partigiani o viceversa; da una parte o dall’altra sparavano o si facevano
sparare; solo la morte dava alle loro scelte un segno irrevocabile. (Fu Pavese che
riuscì a scrivere: «Ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione», nelle
ultime pagine della Casa in collina, strette tra il rimorso di non aver combattuto e lo
sforzo d’essere sincero sulle ragioni del suo rifiuto).
● Questo prendere consapevolezza dello schieramento è, in realtà, qualcosa che avviene dopo negli
scrittori. Quella scelta del comunismo, dell’impegno, è dettata dall’Antifascismo; è quasi qualcosa di
più viscerale, prima di essere intellettuale.
N.B. E questo ci deve essere chiaro.

Fu più che altro - diciamo - una potenzialità diffusa nell’aria. E presto spenta.
Già negli Anni Cinquanta il quadro era cambiato, a cominciare dai maestri: Pavese
morto, Vittorini chiuso in un silenzio d’opposizione, Moravia che in un contesto diverso
veniva acquistando un altro significato (non più esistenziale ma naturalistico) e il
romanzo italiano prendeva il suo corso elegiaco-moderato-sociologico in cui tutti finimmo
per scavarci una nicchia più o meno comoda (o per trovare le nostre scappatoie). Ma ci fu
chi continuò sulla via di quella prima frammentaria epopea: in genere furono i più isolati,
i meno «inseriti» a conservare questa forza. E fu il più solitario di tutti che riuscì a fare il
romanzo che tutti avevamo sognato, quando nessuno più se l’aspettava, Beppe Fenoglio,
e arrivò a scriverlo e nemmeno a finirlo (Una questione privata), e morì prima di vederlo
pubblicato, nel pieno dei quarant’anni. Il libro che la nostra generazione voleva fare,
adesso c’è, e il nostro lavoro ha un coronamento e un senso, e solo ora, grazie a Fenoglio,
possiamo dire che una stagione è compiuta, solo ora siamo certi che è veramente esistita:
la stagione che va dal “Sentiero dei nidi di ragno” a “Una questione privata”. Una
questione privata (che ora si legge nel volume postumo di Fenoglio Un giorno di fuoco) è
costruito con la geometrica tensione d’un romanzo di follia amorosa e cavallereschi
inseguimenti come l’Orlando furioso, e nello stesso tempo c’è la Resistenza proprio
com’era, di dentro e di fuori, vera come mai era stata scritta, serbata per tanti anni
limpidamente dalla memoria fedele, e con tutti i valori morali, tanto più forti quanto più
impliciti, e la commozione, e la furia. Ed è un libro di paesaggi, ed è un libro di figure
rapide e tutte vive, ed è un libro di parole precise e vere. Ed è un libro assurdo,
misterioso, in cui ciò che si insegue, si insegue per inseguire altro, e quest’altro per
inseguire altro ancora e non si arriva al vero perché. É al libro di Fenoglio che volevo fare
la prefazione: non al mio.
● Quindi, in realtà Calvino è quello che allunga i tempi. Calvino è un’autorità. È lui a dire che Fenoglio
riesce a scrivere, -sebbene fosse quello meno dogmatico dal punto di vista ideologico-; e che quindi
riesce ad offrire il vero racconto della Resistenza negli anni ’60, quando già la società italiana è
cambiata perché siamo in pieno boom economico, si racconta l’industria, la speculazione edilizia,
ecc.

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