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Pagina 4 - Cultura

Verticale del 1937


ASIS news Anno VI numero 3 - 15 febbraio 2007
Renato Calapso Nella nostra citt non molti ricordano la figura esile ed elegante di Giacomo Debenedetti. Anzitutto per motivi anagrafici, poich i suoi allievi, coloro i quali seguirono i suoi corsi di letteratura italiana e poi francese negli anni Cinquanta sono ormai pensionati e la loro pres enza tende purtroppo a diradars i. Debenedetti (Torino, 1901) fu il pi importante critico letterario militante italiano della generazione nata allinizio del secolo. Qui da noi la sua presenza fu legata alla parte s enzaltro meno felice e pi avara di riconoscimenti della sua attivit: quella accademica. Egli, infatti, fu s professore di letteratura italiana ma non riusc mai ad andare in cattedra. L accad emia g li n eg s emp r e q u es to riconoscimento, unultima volta crudelmente ancora un anno prima della morte quando era gi passato a Roma, nel 1966. Egli fu dunque sempre e solo professore incaricato e pure qui da noi, dove ebbe vita relativamente felice, dovette a un certo punto lasciare linsegnamento di letteratura italiana per passare a insegnare quella francese presso la facolt di Magistero. Ma fu un infortunio felice, perch da esso nacque il memorabile corso su Montagne. Le persone che ricordano Debenedetti sono da noi dunque sempre meno numerose, ma esse sono state, quando eravamo ragazzi, i genitori dei nostri amici, se non i nostri. Dunque nelle biblioteche occhieggiano ancora i dorsi dei suoi libri, nelle edizioni dellepoca. Se li apriamo, o torniamo ad aprirli, come periodicamente negli anni ci capitato di fare, tornano a colpirci le dediche spiritose, intelligenti affettuose, di questo brillante e timido ebreo torinese della prima met del Novecento, sodale di Gobetti, amico di Natalino Sapegno e Mario Fubini. Ci torna in mente laffabilit leggendaria di questo grande intellettuale di un altro tempo e di un altro mondo, che appare il rovescio della leggendaria intrattabilit dellaltro grande esiliato messinese della cultura italiana di allora, il filosofo Galvano Della Volpe. Poi i libri tocca leggerli, ancora una volta, sempre di nuovo. Cos ci imbattiamo in una ricorrenza, unaltra, duna vita culturale in cui ci rimane ormai quasi solo lambiguo piacere di commemorare il passato. Apriamo dunque la nuova serie dei suoi Saggi critici uscita da Mondatori nel 1945 e poi, notevolmente accresciuta una decina danni dopo. Dopo in saggi iniziali su Desanctis e Svevo, gi qui la scelta e significativa del suo gusto di crociano critico, troviamo un saggio davvero importante. Verticale del 1937. Sono passati esattamente settantanni. In quellanno cos difficile, in cui infuriava la guerra di Spagna e si preparavano le leggi razziali Debenedetti si applic a dare fondo alla recentissima produzione italiana. Lo fece quasi di malavoglia, per dovere di testimonianza, per tracciare il bilancio anzitutto morale dun tempo cos difficile. I giudizi limitativi o addirittura aspri non mancano certo. Talora al di l dello sforzo di consentire. Infine il trentenne severo critico torinese esprime verso i suoi contemporanei italiani un giudizio di sostanziale ripulsa, poich ad essi manca, a suo avviso, quella tensione religiosa senza la quale non possibile una grande letteratura. Ma chi erano gli scrittori italiani dai quali Debenedetti storna contrariato la sua attenzione per rivolgersi agli stranieri e agli antichi? A rileggere i nomi c da restare trasecolati, come il personaggio della poesia di Pascoli. Si apre con Corse al trotto di Emilio Cecchi, segue Iride di Bacchelli, Il palio dei buffi di Aldo Palazzeschi, i Racconti di Alberto Moravia, e poi ancora Marino Moretti, Alfredo Pazini, Massimo Bontempelli. Che conclusione trarre da questa vicenda cos chiaramente poco lusinghiera per la nostra vita culturale di oggi? Forse le conclusioni stanno nel fatto stesso e come tale lo presentiamo al lettore. Settantanni fa, il giovane critico Giacomo Debenedetti guardava con perplessit e tributava scarsi consensi ad una produzione letteraria che oggi ci apparirebbe assolutamente prodigiosa. Anzi a quei libri che torniamo devotamente ad aprire irrimediabilmente tediati da un panorama letterario povero e mediocre.

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