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ALBERTO PINCHERLE

LA FORMAZIONE TEOLOGICA
DI

5 A N T A G O S T I N O

EDIZIONI ITALIANE ROMA

o p r e t

L e t t e r a r i a

r i s e r v a t a

L'AIRONE

per farle tipografica - R O M A

AVVERTENZA Il presente lavoro non se non il rifacimento che, per quanto mi riguarda, verrei sperare definitivo di una disorganica serie di articoli pubblicati tra il 1930 e il 1934 nella rivista Ricerche Religiose (dal 1934 Rcligio) diretta da Ernesto Buonaiuti. Quegli articoli erano a loro volta il risultato dello smembramento di un lavoro pi vasto, concepito in origine come complemento e chiari mento di un volume di sintesi ; ma i pi di essi vennero riscritti via via, perch, come suole accadere, nel proseguire lo studio mi venne fatto di approfondire meglio alcuni punti, tener conto di pareri altrui e, insomma, ripensarci su. Perci non mancano m essi le ripetizioni e, se non vere e proprie contraddizioni, differenze di vedute. Siccome poi sullo stesso problema continuai a riflettere anche dopo il 1934, mi ero dato, nellestate del 1938, a preparare una stesura finale di questo saggio, in vista di una sua pubblica zione integrale negli A nnali della Facolt d i Lettere e d i Filosofia della R. Universit d i Cagliari. Riuscii per a preparare e conse gnare soltanto la prima parte, che infatti apparsa sul volume IX (1939), grazie alle cure che vi dedic lamico e collega carissimo pro fessor V. Pisani. Questa pubblicazione, !ho potuta vedere soltanto al mio ritorno in Italia. Continuai per ad attendere a questo stesso lavoro, non appena potei avere i numerosi appunti presi e laltro materiale prepa rato, durante lautunno e linverno 1938 - 39. Ebbi allora locca sione di discutere vari punti con lillustre abate del Mont-Csar, dom B. Capelle, che quelli articoli aveva recensito in modo assai lusin ghiero mentre contemplavamo quella Lovanio che, inconscia del futuro, mostrava ancora le tracce del passato martirio. Poi, stabilitomi non molto lungi da Losanna, grazie alla cortesia e allo
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squisito senso di ospitalit e solidariet tra studiosi dei colleghi di quella Universit, e in particolare del prof. Meylan, ebbi la fortuna di poter usufruire della Biblioteca della Facolt Teologica, oltre che della Cantonale e Universitaria. Cos condussi a termine il mio lavoro. Il manoscritto, con gli altri scartafacci e i pochissimi libri che potei racimolare, mi segu nel Per. Ricordo ancora lespressione di meraviglia con cui un amico, a Londra, poco prima della mia par tenza, comment la speranza, che gli avevo manifestata, di poter pubblicare col un lavoro siffatto. In realt, non fu possibile trovare un editore che se ne incaricasse per suo conto ; ed anche pi impos sibile, se si pu dire, il farlo stampare a mie spese. Accolsi pertanto con piacere lofferta di pubblicarlo nuovamente, capitolo per capitolo, nella rivista Sphinx , organo dell Instituto Superior de Lingui stica y Filologia dellUniversidad Mayor de San Marcos, nel quale insegnavo ; con lintesa che di ogni capitolo si sarebbe fatta una tira tura a parte cos che, alla fine, ne sarebbe risultato un volumetto. P er la sbadataggine di unimpiegata, ci non fu fatto. Daltronde, apparsi i primi tre capitoli (tradotti in spagnolo e alquanto rimaneg giati) in tre fascicoli di quella rivista (numeri 8, 9 e 10-11-12), tra il dicembre 1939 e il novembre 1940, e quando avevo quasi ultimato la traduzione del resto, listituto perdette lautonomia di cui godeva e Sphinx dovette cessare le pubblicazioni. Solo qualche anno pi tardi mi si present loccasione di ripren dere il lavoro tante volte interrotto, quando cio, in seguito allo amichevole intervento del prof. Rodolfo Mondolfo, il manoscritto mi fu richiesto, per prenderne visione, da unimportante casa edi trice di Buenos Aires. Ma oramai, dopo tanti anni di lontananza e di angosce per le sorti della Patria sempre amata e desiderata, oltre che di familiari ed amici, tornava ad arridermi la speranza, gi quasi certezza, di un prossimo ritorno. Era naturale, per contro, il timore che queste pagine, nel frattempo, fossero invecchiate e, con il progresso degli studi, dive nute superflue. Ho quindi cercato di conoscere, per quanto pos sibile, le pubblicazioni apparse in questi anni di guerra, e delle quali nel Per non si aveva notizia neppure indiretta. In parte, e specialmente per ci che si venuto facendo negli Stati Uniti, potei compiere questo lavoro di aggiornamento durante un breve,
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ma fruttuoso, soggiorno presso la Harvard University, di cui ero stato alunno venticinque anni prima e dove mi vennero concesse, grazie anche alla cordialit di G. La Piana e di G. Salvemini, le maggiori facilitazioni per luso della magnifica biblioteca ; in parte, e tra difficolt ben note agli studiosi italiani, nelle varie biblioteche di Roma. E mi sembra di poter dire, ora, che questa indagine limitata allidea che Agostino s fatta del cristiane simo come religione di salvezza e per conseguenza alla sua conce zione del peccato, della redenzione, del libero arbitrio, ecc. e che perci non pretende di rendere superflui tutti gli altri scritti rela tivi alla formazione ed allevoluzione spirituale di SantAgostino nonostante qualche probabile lacuna nellinformazione bibliografica, pu ancora essere pubblicata. Le conclusioni cui essa giunge potranno sembrare non nuove, ed alcuni le troveranno probabilmente molto, troppo, conserva trici . Esse divergono alquanto da quelle che ho esposto nel volume su ricordato. Sono dunque, in tutti i sensi del termine, una retractatio. Ma su quello che loggetto del presente studio si svolta, soprattutto in Italia, una vivace, e talvolta aspra, pole mica, provocata da uno scritto di Ernesto Buonaiuti, che, tradotto in inglese, ha avuto anche allestero una notevole risonanza. Allo inizio delle mie ricerche, io avevo creduto di poter concordare completamente con lui e recare anzi qualche nuovo argomento ? sostegno della sua tesi. Ora, questa coincidenza di vedute rimane circa !a conclusione generalissima, cio che, tra gli anni 396 e 397, si produsse nelia mente di SantAg ;snno ;.n <amb;amento importante a proposito di certi essenzialissimi punti di teologia. Ma, su ci, vi accordo tra molti studiosi, compresi vari che sono prettamente cattolici. Circa il modo, invece, in cui tale mutamento \a configuralo e sulla difficile questione degli influssi che Agostino risent in quegli anni rlecisivi, ic mi vidi oi-Wigatc a divergere sempre pi .letta mente da colui che mi fu maestro di Storia del Cristianesimo nella Universit di Roma; e nel quale, per grandi e gravi che possano essere la diversit di atteggiamenti spirituali e le riserve o le critiche relative a certe posizioni da lui assunte, tutti siamo dac cordo nel ravvisare lo storico di pi vasta erudizione e di pi profonda genialit, che lItalia moderna abbia avuto in questo campo.
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Egli amava atteggiarsi a maestro come, nellambito degli studi storico - religiosi, ne aveva pienamente il diritto ; ma con genero sit e larghezza d idee, non comuni, rispettava, anzi apprezzava, le personalit d e i, discepoli che, maturando, acquistavano una loro indipendenza di giudizio e di atteggiamenti. Ma bisognava andare oltre quelle polemiche. A tal fine, mi era apparso da tempo che si rendesse necessaria una ricerca condotta con la pi assoluta obbiettivit, cio con severo rigore di metodo, seguendo il criterio cronologico : leggere e rileggere attentamente, cercando di spremerne fuori, per cos dire, tutto ci che potevano darci di utile, le opere di SantAgostino neHordine stesso in cui con maggiore probabilit possiamo ritenere che furono pensate e scritte, e tenendo conto delle connessioni che esistono tra esse. Il che significa, poi, seguire in genere lordine stesso delle Retracta tiones, quando si abbiano presenti tutte le indicazioni che esse ci forniscono. Ho visto con piacere che questo criterio stato adottato anche da altri studiosi recenti, a proposito di problemi diversi, e con buoni frutti. Senonch oggi, quando questo metodo si' viene applicando, gi ormai da parecchi anni, anche ad un Aristotele, adottarlo per SantAgostino pu sembrare cosa ovvia e perfino banale. Non era cos quando ho incominciato. Se poi i risultati del lungo studiare e meditare nort hanno nulla di sensazionale, io per mio conto non me ne lamento, n trovo che sia stato perduto il tempo impiegato, mentre non mi illudo che possano soddisfare tutti. Molte questioni resteranno controverse, e alcuni punti non si potranno considerare mai come chiariti del tutto : perch la loro soluzione questione di apprezzamento e perch nonostante gli sforzi che si possano fare, rester sempre un certo campo aperto alle ipotesi, come inevitabile, quando si tratta di ficcare lo sguardo nella vita di una anima, e cos grande e ricca come quella di Agostino. Ma appunto per ci, sono tanto pi affascinanti i problemi e tanto pi varie le possibilit di risolverli; e anche lerrore meno inutile che mai, se in qualche modo ci permette, esso pure, di avvicinarci a Lui.

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Poco dopo aver pubblicato il suo primo scritto, De pulchro et opto, Agostino si decise al gran passo, di trasferirsi a Roma. Sa peva che i retori non vi mancavano, ma aveva coscienza del suo valore e dovette contare sul probabile appoggio di Ierio, cui aveva dedicato il suo libro, e su quello, immancabile, dei suoi correligionari manichei (1). Il suo stesso trattato di estetica non fu probabilmente che un tentativo di applicare, dando loro veste filo sofica, le idee della setta cui aveva dato la sua adesione (2). Ma, dopo vicende ben note, si present a Simmaco : il ricchissimo e nobilissimo senatore, capo del partito pagano, ascolt il retore pro vinciale e diede il giudizio favorevole, che procur a questi la no mina alla cattedra di Milano. Gli amici manichei che presentarono Agostino a Simmaco, difficilmente si saranno proclamati aperta mente seguaci di una setta proscritta ; pi probabile che si pre sentassero piuttosto come filosofi , aderenti in qualche modo al partito della reazione anticristiana (3). Ma non dobbiamo neppu re esagerare il contrasto tra lesaminatore e lesaminato, vedendo in questultimo gi lautore della citt di Dio (4). E possiamo forse anche supporre che Simmaco non vedesse, malvolentieri locca sione di collocare sulla cattedra imperiale qualcuno che dovesse a lui questo posto e potesse in qualche modo aiutarlo a controbilan ciare la crescente influenza di S. Ambrogio. Quanto ad Agostino, forse gi si affacciavano alla sua men te i primi dubbi e le prime difficolt contro il manicheismo, sia sotto laspetto scientifico sia sotto quello etico; e forse a lui pure, anche per questo riusc gradito lallontanarsi da Roma. Tuttavia, se allora si inclin verso lo scetticismo accademico, questo dovet9

te sembrargli non incompatibile con ci che vi era di essenziale nel la dottrina di Mani, cio il dualismo. Perch, dallosservare nel luomo lanelito costante verso il Vero e il Bene, insieme con lim possibilit di raggiungerli, si poteva dedurre che nella natura uma na bene e male sono commisti insieme ; e che un solo Dio non po teva aver creato un essere dotato di tendenze contraddittorie. Quin di, la fiducia di Agostino nel manicheismo, scossa per ci che ri guarda quella che la parte esteriore, e come il rivestimento, del la dottrina, dovette invece mantenersi, se pure non rafforzarsi, in un primo momento, quando egli si mise a studiare le dottrine de gli Accademici. Non illogico anzi il supporre che Agostino cer casse d interpretare lo scetticismo accademico da un punto di vi sta manicheo, o di spiegare filosoficamente il manicheismo appog giandosi su teorie che avevano illustri precedenti classici. Sarebbe fuori di luogo rifare qui la biografia di Agostino ed esporre ancora una volta il processo graduale della sua conversio ne, analizzandone i motivi e cercando di disfare e sbrogliare tutti i fili che, a volte nascondendosi ai nostri occhi, formano il tessuto complesso del racconto delle Confessioni. Influirono su questo pro cesso anche motivi di ordine pratico, ai quali pare non rimanesse insensibile neppure Santa Monnica (5). Agostino apprezz i van taggi che gli potevano dare un matrimonio vantaggioso e amici in fluenti ; ebbe le sue ambizioni mondane ; avrebbe gradito un po sto di certa importanza nellamministrazione dellimpero. Ma tut te queste considerazioni, sia che le facesse spontaneamente, sia che gli fossero suggerite da altri, non fecero, al pi, che fomentare e affrettare lo sviluppo di una crisi tutta interna e spirituale, L ori gine di questa, per quanto ci dato penetrare nella psicologia di Agostino, va cercata in quel contrasto tra le aspirazioni dellani ma sua fantasiosa e assetata di bellezza e purit, e la sua sensua lit sempre accesa (in relazione, probabile con quella stes sa fantasia cos vivace e ardente) : contrasto che aveva provocato le crisi precedenti. In questa incertezza, in queste angosce, pu avere arriso ad Agostino, in qualche momento, una filosofia scet tica e pessimista : egli pu aver pensato, a tratti, che meglio vale va rinunciare alla ricerca del vero, e, annullato il valore di tutte le scienze e distrutte le basi della vita morale, stordirsi nellattivit pratica. Ma non pare che questa si sia presentata mai come una
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conclusione. Dovette essere pi uno stato danimo momentaneo, che un convincimento maturato. Le esigenze dordine morali erano in lui troppo forti, e rinasce vano pi prepotenti ad ogni suo atto di debolezza. Quella che alcuni biografi seguendo una delle versioni che egli stesso d della sua conversione (5 bis) hanno voluto isola re come una fase scettica nello sviluppo spirituale di Agosti no, dovette essere in realt un periodo di dubbi e di lotte inter ne, non unepoca di accettazione piena di una .filosofia, che sod disfacendo lintelletto infondesse anche tranquillit e serenit a tutta lanima. Lo scetticismo accademico dovette dapprima appa rire ad Agostino come consono con le dottrine di Alani : ma al tempo stesso alimentare nuovi dubbi relativamente allo stesso ma nicheismo. Ma insieme, doveva riuscire difficile rinunciare alli dea di una vittoria del Bene sul Male, mentre, d altra parte, las serita impossibilit per luomo di giungere alla conoscenza della verit non era una prova sufficiente dellinesistenza di questa. La crisi si chiuse con la lettura dei libri neoplatonici (6) e la famosa scena del giardino . Su questa crisi di Agostino, come sullattendibilit del racconto delle Confessioni e sul carattere del la conversione, si discusso moltissimo. Io vorrei solo presentare qui alcune considerazioni. In primo luogo, non conviene dimenti care - - anche chi elimini qualsiasi elemento sovrannaturale che si tratta di ricostruire un processo psicologico dei pi sottili e deli-j cati : ogni nostro tentativo di analizzarlo e di ricostruirlo non pu non essere alquanto schematico e perci, anche qualora riuscisse a non trascurare nessun elemento, avrebbe sempre qualcosa di arbitrario. In secondo luogo, non va perduto di vista che allinizio deH*attivit filosofica di Agostino vi fu la lettura de\Y Hortensius ciceroniano : di u n opera cio, che riecheggiava il Protrettico di Ariste'?, quell Aristotele perduto , tuttora platonizzante, noto agli antichi ma a noi rivelato da indagini recenti. Di qui, e ricor dando che gli Accademici erano i continuatori della tradizione pla tonica, dovette venire malgrado tutto ad Agostino lidea che alla nima umana, purificandosi da tutte le scorie, non dovesse essere im possibile giungere alla scoperta del Vero. Anche il sentire in s laspirazione ad una vita pi alta e pi nobile dovette parere ad
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Agostino una prova convincente di tale capacit. Ma quellaspira zione andava favorita e sostenuta : con il sottrarsi alle tentazioni, con la fuga dal mondo, con il rifugiarsi, dalle tempeste della vita pratica, agitata da ambizioni e preoccupazioni, nel porto sicuro della filosofia (7). Ma appunto la riluttanza sempre maggiore ad accettare lo scetticismo accademico, doveva portare con s anche labbandono definitivo del manicheismo. Dovette fare profonda impressione, allora, nellanimo di Agostino anche largomento di Nebridio (8) ; un Dio, che pu essere vinto, anche momentaneamente, dalle forze del male, cessa di essere assoluto, non pi Dio. A poco a poco, il dualismo manicheo appariva assurdo; e, grazie allinterpreta zione allegorica, anche i racconti biblici, oggetto di tante critiche da parte manichea, si rivelavano invece pieni di sublimi ammae stramenti etici. Restava il problema del male ; particolarmente diffcile da risolvere per chi non sapeva ancora decidersi a conce pire Dio lunico Dio come assolutamente incorporeo. La lettura dei libri neoplatonici, e la conoscenza dellascetismo cristia no, con i racconti di San Simpliciano e, poco dopo, di Ponticiano, ebbero allora uninfluenza decisiva. Ma va ancora osservato, a proposito di questa crisi agostinia na, quanto difficile il determinare in essa momenti successivi e il segnalare dei cambi ntti di orientamento. Qualsiasi presenta zione di questo processo, che si voglia tentare con il proposito di non allontanarci troppo dalla verit, non sar mai abbastanza ricca di sfumature. Un esempio, ce lo d la relazione che corre tra gli avvenimenti esteriori e lo sviluppo interno. Alle ambizioni mondane, succede il progetto di realizzare labbandono del mondo, di ritirarsi in una specie, si direbbe con termine moderno, di convento laico ; qualcosa tra una Tebaide, che fosse centro di vita intellettuale oltre che religiosa, e una Platonopoli (lideale di Plotino) con un colorito ascetico-cristiano. Ma il momento in cui Agostino s prepar a realizzare questo progetto era quello stesso in cui si pote va gi considerare come ormai inevitabile il conflitto aperto tra Valentiniano II e Massimo, e si era fatto pi acuto il contrasto tra limperatrice madre Giustina e SantAmbrogio. E allora che Ago
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stino, allegando le cattive condizioni della sua salute, si ritira nella solitudine di Cassiciaco. Sarebbe senza dubbio ingiusto ed eccessivo attribuire lallontanamento di Agostino dallinsegnamento e da Mi lano a un calcolo opportunistico e al timore di prendere un atteg giamento netto nella grave crisi politica. Ma sarebbe alquanto ardi to, credo, laffermare a p r io r i che questa situazione non esercit alcun influsso su Agostino, per lo meno nel senso che esso contri bu a farlo decidere : anche in quanto pot accrescere in lui la ripugnanza per la politica attiva e il desiderio di abbandonare una volta per sempre quel terreno infido. Non possibile, infatti, ravvisare nel ritiro di Cassiciaco sol tanto laspetto ascetico, farne un atto di rinuncia totale al mondo ,e alle sue attivit. Si oppone a ci il fatto che precisamente allora, in quei pochi mesi di Cassiciaco, comincia lattivit letteraria pro priamente detta di SantAgostino. E come se tutte le sue ambizioni precedenti si fossero trasferite del tutto al campo della cultura. E ci pot ben essere dovuto, in parte, allinflusso di circostanze esterne, il quale venne a sovrapporsi, ad aggiungersi e quasi a confondersi, a quello della sua lotta spirituale. Dalluno e dallaltro il secondo senza dubbio pi forte, il primo forse con maggiore prontezza venne ad Agostino limpulso di dedicarsi a una forma superiore di attivit, dandosi a quella vita contemplativa, che tanto nella letteratura protrettica quanto negli scritti dei neoplatonici era presentata come la forma pi nobile di esistenza, anzi la sola veramente degna delluomo. Cos anche quellinteriore irresolutezza, quelloscillare tra laspirazione al successo materiale e alla vita filosofica, giunse al suo termine. Torn insomma a predominare nella mente di Ago stino lentusiasmo giovanile per la filosofa, destato gi dalla lettura dell 'Hortensius, ma ora fatto pi forte e pi intimo dalla maturit e consapevolezza raggiunta dopo una lunga lotta con se stesso; e con una rinnovata e prepotente vitalit che lo spingeva a scrivere. Non rinuncia, dunque, ad esercitare unazione sugli altri; non ri nuncia nemmeno, quindi, a continuare ad essere un maestro. Ma sembra non desiderare per s altro alloro da quello, pi duraturo di tutti, che procurano le opere dellingegno ; non dare alla sua vita altro scopo che la disinteressata contemplazione del Vero, nella perfetta tranquillit d animo del sapiente. E di questo vero parte
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integrante, essenziale, il cristianesimo. Ma un cristianesimo che, nel suo pensiero, coincideva perfettamente con la filosofia da lui accettata, e alla quale si accedeva attraverso le arti liberali, come propedeutica necessaria. Di qui anche il progetto di quella che stata chiamata, a ragione o a torto, 1 enciclopedia di Agostino, i Disciplinarum lib ri (9). P er mezzo dei quali egli desiderava, senza dubbio, anche acquistare fama; ma questa, come i vantaggi con seguenti, non era da lui ambita, ormai, se non come ricompensa della sua opera di studioso, di uomo dedito alla vita contemplativa. Si opera in questo momento una vera conversione , proprio nel senso etimologico del termine : la sua vita -prende una direzione nuova. Ma qui da fare unaltra osservazione. Molti, quasi tutti, i biografi e in genere gli studiosi di SantAgostino si domandano a questo punto se la sua conversione fu di natura filosofica o religio sa, se fu conversione al neoplatonismo o al cristianesim. Posto il problema cos, con un vero aut, aut, le soluzioni tendono natural mente ad essere nette, taglienti, e sempre con una certa intonazione polemica. In realt, il problema in quei termini posto male, come oramai si comincia a riconoscere (10). Perch, nello stabilire una opposizione recisa, quasi una incompatibilit assoluta, tra cristia nesimo e neoplatonismo, noi forse ci lasciamo guidare un po troppo dal nostro modo di considerare questultimo; e non possiamo di menticare che Plotino e Porfirio scrissero contro i cristiani. Ma, nel IV secolo, contavano anche gli elementi di cultura comuni a tutti coloro che avevano ricevuto un certo grado di educazione; contava la tradizione della letteratura protrettica; e contava anche tutto ci che del pensiero antico, e di platonismo e neoplatonismo, per tale modo e per sforzo cosciente di alcuni maestri, era gi pene trato nel pensiero cristiano (11). E d altra parte, era tuttavia vivo nella coscienza cristiana il problema, se tale cultura, pagana dorigine e di modi e tale ancora di spiriti in alcuni suoi cospicui rappresentanti, fosse compatibile con la vera fede. Agostino, sul quale influivano poderosamente e la sua formazione retorica ed esempi antichi e contemporanei, sem bra, almeno per ora, non avere dubbi in proposito. I disciplinarum lib ri vanno, perci considerati anche sotto questo aspetto, di uno sforzo cosciente per inserire nel cristianesimo il pi e il meglio della
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cultura antica, mettendola al servizio della Verit e di Dio, quali, del resto, le menti superiori dellantichit avevano avuto qualcosa di pi che un vago sentore. Nel fonte battesimale di lano, Agostino scendeva, entusiasta e convinto; ma se si dire vi faceva entrare con s anche Platone e Cicerone. **

dei gi Mi pu

Quei primi scritti di Agostino sono uniti tra loro da nessi strettissimi. Se ognuno si occupa di un problema determinato o insiste sopra un punto speciale, perch essi si completano a vi cenda : i motivi fondamentali sono identici, il pensiero identico. E in ciascuno, quandanche solo per via di accenni, in realt tutto linsieme dei problemi filosofici che forma loggetto della tratta zione. Ma questi scritti di Cassiciaco sembrano concepiti gi come parti di un complesso, e destinati a essere letti e studiati tutti in sieme. 1 Contra Academicos (12) , prima di ogni altra cosa, un 1 Protreptico , una esortazione alla filosofia. La felicit pu con sistere. secondo alcuni, anche nel solo ricercare la verit, senza trovarla ; ma Agostino* reagisce contro lo scetticismo degli accade mici, falsi filosofi che abusivamente si richiamano allautorit di Platone. A dir vero, per questo scetticismo non che un accor gimento, uno stratagemma difensivo contro gli stoici. L autentica dottrina di Platone si perpetuata, giunta fino ai pensatori con temporanei di Agostino : i neoplatonici (13). Cos egli pu combat tere lo scetticismo accademico e al tempo stesso salvare il suo Cice rone. La verit pu essere conosciuta (e dimostrare la ragionevolez za di questa fiducia nelle capacit dellanima umana per lui unesi genza fondamentale) ; conoscerla possedere Dio ; nel possesso di Dio la felicit. Ch la sapienza divina sapienza, e al tempo stesso il sapiente la trova in s; ma soprattutto modus anim i (14), predominio della ragione sulle passioni, cio moralit, senza la quale non possibile conoscere il vero. A questa eticit superiore, alla purificazione dello spirito, conduce anche il cristianesimo, che, esso pure, pratica e promuove la vita ascetica : pertanto cristiane simo e vera filosofia sono sostanzialmente concordi, e hanno comu ne anche lavversario : lo scetticismo, che tuttuno con il pessi mismo, con la dottrina dei manichei. Tra la filosofia platonica (ben
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diversa dalla filosofa di questo mondo contro cui S. Paolo e tutte le Scritture sacre ci mettono in guardia) Agostino non ravvisa alcuna differenza di sostanza. L ubv del Vangelo il dei neoplatonici, la vita dei Padri nel deserto il dei filosofi (15). Tale appare ad Agostino il genere di vita condotto a Cassiciaco : a diventare perfetto filo sofo occorre intensificare lattivit spirituale, rivolgerla a fini sempre pi alti, sbordinando anche gli studi meramente letterari pur senza trascurarli del tutto alla ricerca della verit, per mezzo della filosofia. Nemmeno il dogma trinitario presenta difficolt ad Agostino (16), perch anche per lui Dio trascendenza assoluta, il Cristo il Logos divino e al tempo stesso umano in quanto la ra gione non , in ogni uomo, se non una particella, una scintilla, di quello stesso Logos divino ; e purch essa ragione umana si ricordi della sua origine e del suo fine, e si purifichi da ogni carnalit, non vi sono ostacoli al suo ricongiungimento con Dio. Ges ha additato la via. Ma anche i grandi filosofi hanno conosciuto il vero, e pos seduto Dio e conseguito la felicit. E il De beata vita sembra scritto specialmente per dimostrare questa sostanziale identit tra religione cristiana e vera filosofia (neoplatonica); lo dimostrano, tra laltro, laccettazione del dogma trinitario e la chiusa con la citazione del verso di S. Ambrogio (sacerdotis nostri ), che fa riscontro in maniera assai significativa alla dedica a Manlio Teodoro (16 bis). Ci spieghiamo cosi la parte, molto importante, che in questo dialogo fatta a Monnica (17), personaggio reale ma, al tempo stesso, starei quasi per dire sim bolico (primo passo verso quellidealizzazione e sublimazione di lei che tocca lapice nelle Confessioni, dove essa reale e ideale a un tempo). Monnica rappresenta, non tanto la donna incolta, che ragiona col semplice e schietto buon senso ; quanto il cristiane simo, ossia ci che Agostino chiama ancora fede ingenua nellauto rit e che arriva di prim o acchito, e inconsapevolmente, alle con clusioni stesse cui il ragionamento condurr il filosofo. Ma questi vi giunge mediante la ragione; e in ci consiste la sua superiorit sul semplice credente. 1 quale, se non in grado di giustificare 1 razionalmente la sua fede, vive per, attenendosi ai precetti della religione, una vita moralmente buona; e cos adempie alla prima e pi importante delle condizioni indispensabili affinch la ragione
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possa elevarsi a riconoscere la trascendenza, unicit, bont e prov videnza di Dio. La beatitudine consiste nellunione con Dio, cum Deo esse, ma tale unione non ha nulla di mistico ; invece tutta, 0 quasi, intellettuale. N troviamo accenni alla redenzione : anche 1'admonitio quaedam quae nobiscum agit ut Deum recordemur (18) ncn conseguenza di un atto di Dio, che nella sua misericordia si protenda, per cosi dire, in soccorso del credente nella preghiera; non insomma il risultato di un atto dam ore; soltanto consc guenza del fatto che lanima umana partecipa in qualche modo della natura divina e, pur nellimperfezione di questa vita, non dimen tica la propria origine. Del resto, se cos non fosse, luomo non potrebbe neppure aspirare alla conoscenza della verit, ad ammi rare lordine che regna nel creato e a riconoscere nel Creatore il Sommo Bene. Parallelamente, nel De ordine, con un rafforzamento dei mo tivi polemici antimanichei, troviamo lesaltazione della vita contem plativa. A qualche accenno di sapore prettamente cristiano (Deum colant, cogitent, quaerant, fide, spe, cantate subnixi ) fa tuttavia riscontro il concetto che Agostino ha ancora della morale evangeliga come inferiore alletica ragionata dei filosofi : la Regola aurea un vulgare proverbium . Tanto ancora egli, pure riconoscendo li dentit della mta ultima, subordina lautorit, e la fede delle masse che si contentano del dettame oramai proverbiale, alla ragione e al filosofare cosciente. Dalla prima possibile elevarsi alla seconda, e ci anzi necessario, perch non si pu comprendere lordine che regna nelluniverso, senza possedere la cultura, che richiede lordine degli studi. Solo con uno sforzo grande e costante si arriver ad appren dere le varie disciplinae, ordinate in modo da condurre a Dio. Ch la filosofia, secondo una dottrina abbastanza diffusa (19), conside rata come suprema, tra le arti e le scienze, nel De ordine collo cata appunto in cima alle altre disciplinae (grammatica, dialettica, retorica, musica, geometria, astronomia) e completa il numero tra dizionale delle sette arti liberali (20). Cosi il De ordine ci si rivela come strettamente collegato, non solo con i due scritti precedenti, ma con la serie dei disciplinarum libri, tanto da non far parere assurda lipotesi che fosse concepito come una specie di introduzione, in cui esporre le conclusioni e i
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fini dellopera, alla enciclopedia , di cui Agostino andava com piendo, e in parte colorando, il disegno. Questa doveva essere appunto la grande opera, destinata a condurre la ragione umana dai primi elementi della scienza fino a Dio : intuito, s, dalla sem plice fede, ma dimostrato e compreso dalla filosofa (21) ; la grande opera alla quale Agostino, mutando ambizioni, aveva pensato di legare il proprio nome. E sempre un fatto degno di nota che, appunto nei giorni in cui si preparava a ricevere il battesimo e questa non era per lui una formalit vana egli attendesse alla redazione dei primi cinque libri De musica; chi di ci si stupisse, mostrerebbe di non aver inteso bene la vera natura e lo scopo di questo scritto, che si rivela chiaro quando lo inquadriamo nel com plesso dellattivit di Agostino in questo periodo. Il De ordine si chiude con la dottrina del ritorno dellanima su s stessa e con laffermazione chessa immortale. A dimostrare limmortalit, strettamente congiunta con lmmaterialit, dellanima sono destinati i due libri dei Soliloquia nonch gli altri due, il De immortalitate animae e il De quantitate animae. La prima opera si apre con la famosa preghiera, su cui s tanto scritto e discus so (22). Il carattere neo-platonico di questa preghiera stato rico nosciuto da tutti coloro che lhanno studiata; essa per allo stesso tempo una preghiera cristiana, nella quale vivissimo, per esem pio, il senso della paternit di Dio. Ma questo riconoscimento non deve poi trascinarci a ridurre il neoplatonismo di questa preghiera a pura apparenza superficiale; quello che dobbiamo riconoscere ormai , allo stato degli studi, ripeto, lesistenza di un neoplatoni smo cristiano, il cui principale rappresentante fu appunto quel Mario Vittorino, lesempio e gli scritti del quale furono cos potenti sullanimo di Agostino (23). Ma appunto per ci inutile, mi sem bra, sforzarsi di voler trovare nella preghiera dei Soliloquia quello che non c n ci pu essere ancora ; e, se vi fosse, non sapremmo spiegarci pi la sua assenza in opere posteriori (24). Del resto ritroviamo nei Soliloquia lidentificazione del mondo intelligibile con il mondo venturo e la dottrina della luce intima, del raggio divino che nellanima umana. Il De immortalitate animae riprende quello che anche il tema dei Soliloquia (24-bis). Ma la terza di queste opere, il De quantitate animae, merita che vi fermiamo sopra lattenzione, non solo per glintenti polemici
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antimanichei, bens anche per gli accenni al cristianesimo. L anima similis Deo, pertanto incorporea ; deve sottrarsi al dominio degli oggetti sensibili, che le sono inferiori, per aspirare alla sua vera patria; la religione cristiana cinsegna appunto a disprezzare tutto ci ch corporeo, ed a staccarci da questo mondo sensibile, affin ch possiamo ritornare simili a Dio, quali siamo stati creati. In ci consiste la salvezza dellanima, la sua redenzione. A questo con cetto si contrappone quello del peccato, che ne il presupposto. Agostino parla infatti di uomo vecchio e di uomo nuovo e mostra cos di aver presente la caratteristica terminologia di San Paolo. Ma fino a qual punto, e in che modo, ne ha inteso e assi milato il pensiero, e in che cosa consistono ora per lui il peccato, la redenzione e quel soccorso divino che ad ottenere questultima egli dichiara indispensabile? Il peccato, realt misteriosa che col pisce di riverenza e di timore e addirittura fa sbigottire Agostino, bens per lui una violazione della legge divina ; ma esso consiste nel volgersi alle cose carnali, agli oggetti sensibili, a quel mondo della materia, che ancora una volta identificato col mundus hic di cui parla il Vangelo e contrapposto a quello delle realt intelligibili (e questo, dunque, considerato ancora identico all ). Ch lanima umana si trova dinanzi due vie. Pu, accostandosi alla materia, degradarsi fino a diventar simile allanimale; e pu altres ecco in che consiste la redenzione elevarsi, per ratio nem atque scientiam, e divenire sempre pi simile a Dio, ritraen dosi dal mondo sensibile per ritornare a s stessa. L 'abrenuntio, che Agostino ha pronunciato nel ricevere il battesimo, implica appunto limpegno di sottrarsi al dominio degli oggetti sensibili, per innalzarsi alla conoscenza razionale di Dio : alla quale non pu non pervenire chi cerchi per puro amore della verit, pie caste ac diligenter. Si tratta di ritornare alla natura propria delluomo, per cui al disopra di tutte le creature e inferiore a Dio solo; di risplasmarsi secondo quell'immagine di Dio, che il creatore ha posto in noi e che quanto noi uomini abbiamo di pi prezioso. Questa purificazione, questo ritorno dellanima a s stessa, non possibile senza un aiuto divino. Ma tale aiuto da Agostino stesso paragonato alla creazione : il suo paolinismo non arriva ancora al punto da indurlo a meditare sulla morte e la risurrezione del Cristo. E, in sostanza, lindispensabile aiuto divino gi in noi.
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poich in noi il modello cui dobbiamo conformarci ; si tratta sol tanto di ricordarcene. In ci consiste il soccorso, largito a tutti. Preoccupato di combattere i manichei, Agostino mostra che, imma teriale come lanima umana che gli somiglia, Dio creatore del mondo continua a manifestare la sua clemenza verso il genere umano. Se il peccato fu un piegare verso gli oggetti corporei, la redenzione sta nello staccarsene, nel purificarsi dalle passioni. E questa cosa difficile, ma non impossibile : basta che luomo si ricordi della pro pria natura e usi quel soccorso divino che trova in s stesso, cio il libero arbitrio che Dio gli ha .dato (25). Da questo dipende che luomo si possa conformare al modello celeste secondo il quale stato fatto ; e perci laiuto che egli riceve da Dio tanto mag giore quanto pi egli procede sulla via della sapienza. Evodio, rimasto in fondo aHanma ancora manicheo, e per il quale lap prendere un crescere dellanima (quindi materiale), domanda ad Agostino come si spieghi che il bambino, venendo al mondo, non sappia nulla. Ed Agostino gli risponde con la dottrina della remi niscenza. Ma ci non toglie che lanima possa compiere un pro gresso continuo, attraverso i sette gradi della sua purificazione (26). Lo stesso concetto, che la sapienza si possa ottenere mediante un progressivo perfezionamento morale ispira i due trattatelli De moribus, redatti anchessi da Agostino durante il suo nuovo sog giorno in Roma (27). La felicit, cui luomo anela, consiste nel possesso del bene pi alto a cui possa aspirare : un bene, dunque, superiore alluomo e tale che non possa essere perduto. Rispetto al corpo, il massimo bene lanima ; per questa, tale la virt ; essa si raggiunge seguendo Dio. E a farci conoscere Dio soccorre per prima poich si tratta di apprendere lautorit, ossia la Sacra Scrittura; poi la ragione. Il De moribus Ecclesiae catholicae quindi in gran parte dedicato a dimostrare altro evidente mo tivo antimanicheo laccordo tra lAntico ed il Nuovo Testamento e il valore dellinterpretazione allegorica. Giacch i cristiani hanno di Dio un concetto ben superiore a quello dei manichei. L amore delluomo si volge -a Dio, a Cristo che virt, verit e sapienza; la virt amore sommo di Dio, e di tale amore le quattro virt cardinali non sono che aspetti diversi. Prim a tra esse, e sopra le altre lodata da Agostino, la temperanza, con leser cizio della quale ci si spoglia dell uomo vecchio e si riveste il

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nuovo. Anche qui dunque ritroviamo il linguaggio di S. Paolo; del quale Agostino ricorda con altri i due passi, in cui la cupiditas detta origine di tutti i mali (I a Timoteo, VI, 10) e in cui lapostolo mette in guardia contro la filosofia. Ma a tale proposito Agostino insiste sopra le parole et elementa huius mundi (A i Colossesi, II, 8) per trarne la conferma che non il filosofare per se stesso, bens lamore per le cose sensibili pernicioso ai cristiani. Anzi, non si possono neppure chiamar tali coloro, loggetto del cui amore sia altro da Dio. Ora, la temperanza ha come propria funzione il far disprezzare ogni attrazione esercitata dal mondo corporeo, o dalla vanagloria, per dirigere invece lamore a ci ch invisibile e divino. Ch il mondo sensibile pu sedurre lanima fino a farle credere reale solo ci che ha corpo, o se pure essa riconosca per fede lesistenza di realt incorporee, a pensarle e raffigurarsele per mezzo di immagini tratte daHingannatrice esperienza dei sensi. Allesal tazione della temperanza segue quella delle altre virt, e la glori ficazione della Chiesa. Mater christianorum verissima, essa insegna a venerare Dio, eterno, evitando il culto delle creature e di tutto quanto fatto, mutevole, corporeo questo il solo modo di evi tare linfelicit e ad amare il prossimo, nel che la fonte di tutte le virt : la Chiesa fornisce cos i rimedi a tutti i mali onde le anime soffrono, per i loro peccati (28). Cos nel De moribus manichaeorum, dopo aver insistito sulla trascendenza e unicit di Dio dimostrate anche argomentando in base alla ratio num erorum (29), Agostino pu contrapporre il falso e superficiale ascetismo manicheo a quello della Chiesa cattolica, che in possesso della verit; e contrapporre altres alle azioni immorali, compiute perfino dagli eletti manichei, la virt dei fedeli e leroismo dei martiri di Cristo. E chiaro, da tutto ci, che cosa Agostino intenda in questi scritti per cupiditas e come egli interpreti San Paolo. Insomma, il suo sforzo tutto diretto ad affermare il sostanziale accordo tra la filosofia e la religione (e la prima, cio la ratio, considerata superiore alla seconda, Yauctoritas), nonch la bont e lordine delluniverso, insieme con la trascendenza e la provvidenza di Dio. Agostino polemizza continuamente con i manichei cio con se stesso, quale era nel momento in cui s inizi il processo della sua conversione e perci ritorna continuamente sul problema che

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10 assillava, e di cui nel manicheismo stesso aveva creduto di trovare la soluzione : qullo del male. Di esso discute lungamente nei primi capitoli del De moribus manichaeorum ; e in polemica con essi condotta la dimostrazione del libero arbitrio, che s inserisce logi camente e non soltanto cronologicamente a questo punto dellattivit letteraria e dellevoluzione spirituale di Agostino' (30). 11 libero arbitrio delluomo rientra anchesso nellordine delluni verso, dipende da quella stessa suprema legge dalla quale il mondo governato. In che consiste, infatti, il fare il m ale? Non certo nel solo agire contro la legge, poich vi sono azioni, in s malvagie, che essa perm ette; d altronde ladulterio, per esempio, non certo male perch vietato ma vietato in quanto un male. E interes sante lossequio tutto romano, per la legge e lordine costituito che d vivezza alla discussione, il cui scopo, beninteso, sol tanto di condurre alla conclusione che esiste una legge eterna, mo dello alle umane, contingenti e mutevoli. Essa la summa ratto; in forza di essa giusto che tutte le cose siano ordinatissime ; essa mantiene lordine delluniverso. P er questa legge, per questo ordi ne, luomo, dotato di ragione, superiore agli animali ; e nelluomo lordine medesimo esige che predomini la ragione. Male dunque la violazione dellordine, lappetito smodato cui la ragione non frena. Ora, colui che giunge ad attuare il predominio della mens sulla libido il sapiente. Ma questo potere sulle passioni stato con cesso alla ragione dalla legge eterna ; dunque la ragione pi forte della libido, e del corpo. Quindi, se la mens si degrada sino a farsi compagna e complice degli appetiti, ci avviene perch essa lo ha voluto, di propria spontanea e liberissima iniziativa. E per tanto giusto che in tal caso la mens sia punita. A Evodio si presenta tuttavia ancora qualche difficolt : giu sta la sofferenza del sapiente, non quella dello stolto. E Agostino gli risponde in due modi. Prim a di tutto, cerca di annullare quella distinzione : tu, gli dice, presupponi per certo e chiaro che noi non siamo mai stati sapienti prima di questa vita ; in realt un problema assai grave, e da trattarsi a suo luogo, se prima di unirsi al corpo lanima non abbia vissuto u n altra sua vita, e se abbia vissuto secondo sapienza. Agostino non pensa a una vera trasmi grazione delle anime, ma soltanto a una loro preesistenza, nel

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mondo delle idee : dottrina della quale Agostino non ben sicuro, e che non sa se e in che modo possa conciliarsi con il cristiane simo (31). Perci preferisce ricorrere a un secondo ordine di argo menti. Bene superiore a tutti gli altri la buona volont, che ci fa desiderare di vivere con rettitudine e onest e giungere alla sapienza suprema, e alla quale si riducono tutte le virt cardinali. Dipende dunque da noi il vivere moralmente, cio Tessere felici, o no : perch alla volont cattiva tiene dietro necessariamente lin felicit, in virt di quella eterna legge divina, per la quale secondo la nostra volont siamo meritamente premiati o puniti. La volont buona consiste appunto neUamare quella legge eterna ed immuta bile, nel preferire cio i beni superiori e non transeunti ai contin genti e materiali; sicch coloro i quali preferiscono i secondi sono giustamente puniti. L umanit si divide cos in due categorie : coloro che inten dono e servono la legge superiore, gli , starei per dire, 0 meglio , e che sono pertanto sciolti da ogni legge tem porale. beati ; e gli altri, , , , sottomessi e alla legge temporale e alleterna, onde discende ogni giustizia, ma inca paci dintenderla ; e infelici. La legge temporale impone di amare 1 beni temporali, tra i quali sono la famiglia e la patria; sua caratteristica la coazione, limporsi col timore delle pene. P e r contro, la legge divina legge di libert. E chiaro, che Agostino ha presente qui anche la discussione paolina sul valore della legge, nelle lettere ai Galati e ai Romani ; e infatti la libert cristiana da lui intesa qui in modo perfettamente consono al suo concetto dell uomo veccfilo e dell uomo nuovo . La conclusione ultima che il male consiste per luomo nellessere soggetto a quelle cose, che dovrebbero essere sottoposte a lui; e pertanto il male non nelle cose stesse, bens nelluso che ne viene fatto, cio, in sostan za, esso dipende dalla nostra volont. Evodio si dichiara vinto : gli uomini fanno il male a causa del loro libero arbitrio. Ma egli chiede ancora se conveniva che Dio lo concedesse. Senza di esso, infatti, noi non saremmo stati capaci di peccare; se dunque Dio ce lo ha dato, egli in certo qual modo lautore primo delle nostre malefatte. Cos il dialogo ritorna, un po inaspettatamente, proprio a quella domanda fondamentale,
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che Evodio ha formulato fino dal principio : Dic mihi, quaeso te, utrum Deus non sit auctor mali? (32). Siamo di nuovo al problema che assilla lanimo di Agostino, e che egli dice di aver voluto risolvere seguendo prima lautorit poi la ragione. Con ci, egli applica alla propria vita il principio enun ciato nel detto profetico : nisi credideritis, non intellegetis (33). E chiaro per che con quel ritornare alla questione iniziale, Agostino intendeva aprirsi ladito a una nuova trattazione del problema che egli infatti promette di dare. 1 che significa che non gli pareva di 1 avere completamente debellato i manichei, e che qualche cosa nella sua dimostrazione lo lasciava ancora scontento, per quanto certo di poter giungere a una soluzione soddisfacente. Neppure senza significato, che per definire il rapporto ira 1'auctoritas e la ratio Agostino senta ora il bisogno di rivolgersi proprio alla Scrittura; quando, in altri luoghi dello stesso primo libro De libero arbitrio (34) egli ha anche dichiarato essere im possibile, ad uomini che desiderano di comprendere, il cercar rifugio nellautorit. Agostino si viene accostando maggiormente alla vita della Chiesa, desidera aderire ad essa pi strettamente, ser virla come apologista. Gli avversari restano sempre i manichei ; ma ora, in Africa, per combatterli, e con una confutazione che sia acces sibile a tutti, abbandona il campo della discussione filosofica e la forma del trattato dialogato, per quella del commento ai libri sacri, di cui ormai egli ha un concetto pi alto. E scrive appunto il De
Genesi contra manichaeos.

Gli si presenta subito una grave questione. I manichei, leggendo che < in principio Dio cre il cielo e la terra , chiedono che cosa ( facesse Dio prima della creazione e per qual motivo egli si sia deciso a creare. Era il problema, cui il loro mito dava pure una risposta. Ma per un ingegno filosoficamente educato, questo il problema del rapporto che intercede tra Dio e luniverso, tra la eternit e il tempo : problema che travaglier a lungo la mente di Agostino. Ora, egli risponde che in principio non significa allinizio del tem po, bens in Christo, cum Verbum esset apud Patrem ;, e che, del resto, anche ammettendo la prima interpretazione, il tempo stesso, opera di Dio, non poteva esistere prima della creazione. Ma si accontenta di ci e abbandona subito questo argomento, per ribattere le altre obiezioni dei manichei. Infatti, quella prima dif
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ficolt tendeva soltanto ad avvalorare il mito manicheo della crea zione, e questo, anche quando si accolga semplicemente come un mito, implica i principi dualistici su cui si fonda tutto il loro sistema, che Agostino vuole confutare. Si tratta dunque, per lui, di dimo strare la bont e perfezione del creato, giustificando il male che esiste nel mondo e nelTuomo, soggetto a morire. Ma, quando insistono sulla debolezza, le sofferenze e la morta lit delluomo, i manichei commettono un errore fondamentale : essi considerano infatti luomo quale dopo il peccato. E questo con sistito nella superbia, cio nellallontanamento da Dio. Nel peccato di Adamo e nella sua condanna si manifesta infatti ci che si veri fica ancora oggi. In un primo momento, si ha la suggestione, attra verso le raffigurazioni del pensiero o dei sensi che possono suscitare ma anche non suscitare una passione. Pu anche darsi che questa trovi a sua volta un freno nella ragione. Ch se invece questa, con o senza lotta, acconsenta alla passione, allora luomo veramente scacciato dal paradiso, perde cio ogni felicit. Vi dunque la possibilit di non peccare e il libero arbitrio riaffer mato, mentre la storia e le condanne del serpente e dei progenitori significano che non possiamo subire tentazioni se non attraverso quella ch la parte materiale di noi, nonch le difficolt e i dolori provocati dal resistere alle tentazioni stesse, dal far sorgere, in luogo della cattiva la consuetudine buona, dallaffaticarsi per giun gere alla conoscenza della verit. Quindi Agostino confuta le obbiezioni dei manichei contro la Bibbia. Egli osserva che i cristiani sanno interpretare allegorica mente i passi che quelli tacciano di antropomorfismo, .e sono ben lungi dal considerare Dio come esteso, cio corporeo. L espressione, che luomo fatto a immagine e somiglianza di Dio si riferisce sol tanto alluomo interiore, dotato dintelletto e di ragione, il quale pu essere chiamato anche uomo spirituale. Tale egli fu creato quando Dio glinsuffl lo spirito di vita . Quindi, nel Paradiso luomo era spirituale e solo dopo esserne stato scacciato divenne animale. E perci, noi creati dopo il peccato percorriamo la via inversa : animali dapprima, seguendo lAdamo spirituale che Cristo, ricreati e nuovamente vivificati, veniamo reintegrati nel Pa radiso. Questo ritorno si compie gradatamente, progressivamente, ed facolt delluomo liniziarlo, anche se forse non il condurlo a
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termine. Il corpo spirituale, perduto da Adamo, potr essere riac quistato da coloro che sappiano rendersene degni. Il peccato di Adamo ed va stato punito da Dio trasformando il loro in un corpo mortale, che ospita un cuore mendace ; ma la somiglianza tra la condizione di Adamo dopo il peccato e quella di tutto il genere umano non implica limpossibilit di giungere al bene. Vi sono infatti uomini, i quali anche in questa vita, riescono a odiare ed eliminare i pensieri falsi e mendaci, effetto della loro condizione mortale, e meritano con ci che il loro corpo venga trasformato in angelico e degno del Paradiso. Agostino infatti sa che vi un processo di rigenerazione, stabi lito dalla Provvidenza e di cui i sette giorni della creazione sono il simbolo. Questi sette giorni significano le sette et del genere umano : da Adamo a No, da No ad Abramo, da questi a Davide, lepoca dei re, quella dalla cattivit babilonese a Cristo ; col Vangelo ha inizio la sesta et che, a differenza dalle altre, non comprende un numero fsso di generazioni, sicch la sua durata ignota; e la settima giunger improvvisa, quasi vespera, quae utinam nos non inveniat, ma seguita per dal mattino, cum ipse Dominus in clari tate venturus est (35). Ma gli stessi sette giorni simboleggiano altres le varie tappe della vita spirituale, della nostra ascensione a Dio. Agostino le ha gi descritte nel De quantitate animae (36). Vi sono senza dubbio tra questi due luoghi delle differenze, ma identico in entrambi il concetto fondamentale della possibilit di una pro gressiva purificazione interiore e di u n ascesa graduale verso la perfezione morale, la sapienza, la conoscenza e il possesso di Dio in cui consiste la beatitudine. E ci, almeno per quando riguarda linizio e le prime tappe del processo, per mezzo delle sole forze umane. E infatti certamente degno di nota che Agostino, parlando della redenzione e graduale purificazione dellanima, non accenni affatto al battesimo. Non meno notevole poi che il grado nel quale luomo pu dire di se stesso : mente servio legi Dei, carne autem legi peccati (Rorn., VII, 25) sia soltanto il terzo; mentre se il passaggio dellindicativo al congiuntivo desiderativo significa qualche cosa egli personalmente si considera gi arrivato al quarto (37). Il problema dei rapporti tra 1'auctoritas e la ratio torna a pro porsi nel De magistro. Qui la lunga discussione sul linguaggio con
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duce a concludere che le parole altro non sono che signa delle co se, le quali sole contano : tutto ci che esse significano ci gi noto in una certa misura. E tale notizia si pu avere per i soliti due modi, la differenza tra i quali espressa da Agostino ricorrendo ancora una volta allo stesso testo di Isaia, VI, 9. Il credere pi ampio che Yintellegere o lo scire; per il credere anche ci che propriamente non si sa, utile. Tutto ci che compreso intellettualmente conosciuto; vero conoscere quindi soltanto Vintellegere; ma a ci le parole possono servire soltanto come richiamo. Senonch ora per Agostino, cono scere non pi soltanto un ricordare; le parole non risvegliano in noi idee apprese in una conoscenza anteriore. Esse bens rimet tono per cosi dire in azione quella mens che possiede la verit in quanto stata deposta in essa da Dio, in quanto cio vi nella anima delluomo come una particella, o un raggio, della verit e sapienza divina (38), io del Logos : Cristo, che abita e vive nel linterno di ogni uomo e si rivela a ciascuno esattamente nella mi sura in cui questo ha saputo compiere la propria purificazione mo rale, nella misura cio in cui ciascuno disposto ad accoglierlo, se condo la propria volont buona o cattiva. In queste parole, cos ce lebri, contenuta mi sembra una nuova giustificazione dellin terpretazione data pi sopra, deHaffermazione agostiniana che ne cessario alluomo, per redimersi, un soccorso divino. Infatti, se condo lo stesso De magistro, bisogna distinguere le cose sensibili e le intelligibili o, per parlare come la Bibbia, carnali e spirituali. Le prime, o sono oggetto di una sensazione diretta e immediata, oppure non si apprendono se non in quanto si presti fede alle parole altrui. Le altre, invece, che vediamo con lintelletto e con la ragione, noi parlando le abbiamo presenti in quella luce spiri tuale che cillumina internamente : chi ascolta, per poco che riesca a sua volta a purificare il proprio occhio interiore, le contempla anchegli, in realt, anzich farsene soltanto una pallida immagine attraverso le altrui parole. In questo senso si deve intendere che Cristo il solo maestro, come dice la Scrittura (39) ; le cui afferma zioni sono cosi dimostrate e chiarite nel loro autentico significato dalla filosofa. La quale rappresenta dunque un grado di conoscenza superiore e pi completo, ma il cui contenuto non diverso dal laltro. Praticamente il credere ci porta allo stesso risultato dello
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intellegere; ma questo soltanto ci permette di dimostrare, e pertanto conoscere veramente, la dottrina contenuta nella rivelazione. Di pari passo, la dottrina della conoscenza si modificata; e troviamo qui una spiegazione del conoscere pi conforme alla dottrina della crea zione delluomo per opera di Dio (40). Dallinizio della sua conversione al cristianesimo. Agostino andato dunque approfondendo via via la sua esperienza, affron tando i problemi che gli si presentavano, preparando unapologetica antimanichea e rivolta a dimostrare la perfetta consonanza tra la filosofia e il cristianesimo. Ma proprio in omaggio a quella concor danza egli lascia cadere qualcosa delle sue dottrine dun tempo e attenua in gran parte il vigore con cui aveva sostenuto la subordi nazione dell 'auctoritas alla ratio. Nel De quantitate animae (41) egli aveva osservato che il credere magnum compendium est et nullus labor, e aveva lasciato sdegnosamente questa via facile e comoda agli imperitiores : che, se volessero arrivare allintelligenza razionale, si sm arrirebbero; mentre coloro che non si contentano di credere e non riescono a frenare la nobile ambizione di percorrere la via pi ardua, hanno anche forze sufficienti a superare le dif ficolt. Invece ora, nel De magistro, il credere resta bens solo un passo verso la conoscenza vera; ma Agostino ammette che non tutto pu essere conosciuto; e, in ogni modo, dichiara di saper molto bene quam sit utile credere etiam multa quae nescio. Si osserver forse che si tratta duna differenza solo di tono, di una questione di forma pi che di sostanza; di una semplice sfu matura. Tuttavia, questa differenza non trascurabile. E per di pi, siamo arrivati a un momento, nel quale Agostino ritiene di poter esporre il suo pensiero integralmente e in forma sistematica.
NOTE (1) Sul seneo della dedica a Jerio, v. H.-I. Marrou, Saint Augustin et la fin de la culture antique, Parie 1939, p. 163. Sul manicheismo del De pul chro et apto, anche R. Jolivet. Saint Augustin et le noplaionisme chitlen, Paris (1932), p. 35. (2) Non riesce a convincermi J. Guitton. Le temps et l'ternil chez lotin et saint Augustin, Parie 1933, pp. 92 sgg., 102 sgg. ecc. (3) Con ci non si vuol dare un giudizio d'insieme sul manicheismo, glinflussi cristiani 6ni quale eono stati mese in luce sempre pi da recenti scoperte e studi. Ma neppure 6i pu trascurare limpiego nel manicheismo greco-latino di una terminologia filosofica, testimoniata da Alessandro di

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Licopoli e dallo stesso Agostino; o l'aspetto scientifico delle spiegazioni che davano dei fenomeni celesti; o il carattere razionalista delle obiezioni che i manichei facevano alla Bibbia e anche al Corano, riferite da S. Agostino e da fonti copte e musulmane. (4) Vorrei cosi precisare maggiormente ci che il Marrou, o. c. p. 399, osserva circa l'affinit della formazione culturale dei due uomini. (5) In una molto cortese recensione al mio Sant'Agostino d'ippona il prof. Tescari (in Convivium, 1930, p. 475) muove varie obiezioni a ci che a proposito di Monnica e della madre di Adeodato avevo scritto, forse con espressioni che trascinato da giovanile ricerca d'nna certa scioltezza di stile andavano un po al di l del mio pensiero. Ma, quanto alla so stanza, devo dirgli che non mi ha convinto. Si potr foree, per riguardo ad Agostino, dire col Jolivet del resto, ben pi eevero di me nel fondo che per un giudizio definitivo nous manquons des renseignements ncessaires (o. c., p. 85) sebbene questa non sia che una supposizione, di fronte al chiaro racconto tielle Confessioni, al quale dobbiamo pure attenerci. Il Tescari muove a me e ad altri un appunto circa l'interpretazione di Coni. VI, 13, 23: cuius aetas ferme biennio minus quam nubilis erat. Dopo aver citato Coni. IX, 9, 19, Virgilio (Aen. 7, 53) Ovidio (Metam. 14, 335) e Gicerone (Pro Cluent, 11) il Tescari conclude ch e pur nel passo delle Confes sioni, che ha scandalizzato tanti ,la parola nubilis non abbia significato di verso dai passi citati (e dall'altro passo di Agostino stesso) e % valga da ma rito . E gli potrei rispondere che in Coni. IX, 9, 19 non affatto indicato quanti anni avesse Monnica quando and sposa: che con ogni verisimiglianza fosse sui ventanni mera suppoeizione del Tescari, fondata sul fatto che Monnica mor di 55 anni, quando Agostino ne aveva 32. Ma ci non prova nulla, perch come il Tescari osserva nella nota della sua traduzione a cui mi rimanda, Agostino aveva una sorella, e un fratello, Navigio, di lui maggiore, ma di cui non sappiamo se fosse il primogenito e, anche in questo caeo, perch dovremmo supporlo nato durante il primo anno di matrimonio? Ma invece da aggiungere che proprio nei pasei citati dal Tescari (e Coni. IX, 9, 19 chiara reminiscenza vergiliana) nubilis accom pagnato da unaltra determinazione (plenis anniIs: Agostino e Virgilio che aggiunge matura; le due idee unite pure in Ovidio; grandis: Cicerone) a indi care appunto l'idea di un pieno sviluppo; mentre proprio in Con/. VI, 23 questa ulteriore determiinazione manca. Piuttosto, mi chiederei questo: se Agostino tace il nome della madre di Adeodato, sar proprio per disprezzo come si enuppone in genere o non piuttosto per delicatezza? (5bis) De util. cred., 2: racconto che Guitton, o. c. p. 250 ritiene ispirato da una tesi; cfr. c. II, nota 32. (6) Quali fossero questi libri, ei discusso di recente con una certa vivacit, specie tra W. Theiler (Porphyrius und Augustin, Halle 1933) e il p. Henry (Plotin et 1'Occident, Louvain 1934). Per mio conto, ritengo pi plausibile la soluzione data ora da P. Courcelle, Les lettres grecques en Occident de Macrobe Cassiodore, Parie 1943, pp. 159-176) secondo il quale l'espressione platonicorum libri indica veramente parecchie opere di vari autori quindi almeno il di Plotino e il De regressu animae di Por firio nella traduzione di Mario Vittorino, oltre, probabilmente, a un trattato di Manlio Teodoro che il Courcelle (Jp 124 sgg.) propone suggestivamente .

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d'identificare con l'uomo immanissimo tyio turgidus (Conf. VII. 9, 13) che pose in mani d'Agostino le opere dei neoplatonici. (7) Il trovarsi questa metafora due volte in scritti agostiniani poste riori alla conversione (c. Acad. II, 1, 1; De b. vita, 1. l) e il confronto con altri scrittori ha fatto pensare a G. Lazzati (LAristotele perduto e gli scrittori cristiani, Milano 1938) che essa derivi in qualche modo dal Protrettico di Aristotele. Pu darsji. Comunque, ha tutta laria di eesere un'espressione corrente. Cfr. anche le osservazioni del Marrou, o. c p. 213 sg, a proposito della sorte de phiiosophique , della tradition scolaire reprsente par toute une littrature de f lo r il g i et de manuels da cui spesso dipende Agostino. (8) Su costui, v. ora il breve articolo di John J. Gavigan, St. Auguttines riend Nebridius in Cathoic Hisiorical Rewiew, XXXII, 1 (Aprile 1946)* pp. 47-58. (9) Sulla concezione agoetiniana della e le fonti di essa, e in particolare le varie liste delle scienze e il fatto di aver omesso in De ordine, II, 12, 35; 16, 44; 18, 47 laritmetica; cfr. Marrou, o. c., specie pp. 191-197 e 213-217. Ma quanto al problema del perch Agostino non co minci, a redigere un De astronomia, e quasi certamente non vi pene nep pure, conviene non solo constatare, come fa il Marrou (p. 249), che Agostino probabilmente non si dedic allo studio di quella scienza (lastronomia ma tematica), ma approfondire l'altra oeservazione (jp. 196 sg.) relativa all'imibarzzo che Agostino mostra ogni qualvolta ne parla: esso non traduce solo la crainte toujours prsente de voir le lecteur confondre la science mathmatique et eon usage superstitieux , ma la resipiscenza di chi, per un momento, vi prest fede. Non ho potuto vedere, neppur io, il lavoro di De Vreese, Augustinus en de astrologie, Maastricht 1933, che anche i! Marrou conobbe solo attraverso la recensione in Philol-Wochenschr., 1934, col. 4555. (10) Mi associo quindi a quanto, recensendo lopera di Suor Mary Pa tricia Garvey (Saint Augurine: Christian or Neo-Platonist? From his retreat at Cassiciacum until kis ordination at Hippo, Milwaukee, Wiec., Marquette University Press, 1939) scrive O. Amand, in Revue bndictine, LII (1940), p. 166: Partant d une question mal pose, qui ne tient pas compte de lattitude philoeopliique, intellectualiste, du passionn de vrit qutait lex-professeur de rhtorique la rponse est nceesairement dficiente. C e st une gageure de vouloir eparer en lui [Agostino] le croyant, le chrtien sincre et ardent de Cassiciacum et l'ami de la sagesse, le quteur du vrai, celui qui a crit et pratiqu: Intellectum valde ama. Avec Jolivet, Grabmann, Boyer, Gilson et dautres, je reconnais volontiers quil ny a pas de contradiction majeure entre les Diaiogues et les Confessions et que Augustin qui se recueille dane la maison de campagne prs de Milan est un chrtien qui a soumis son intelligence la vrit divine se manifestant dane les Ecritures et dans lEglise. Mais je refuse rduire au minimum, comme le fait S Garvey, l'influence prpondrante du no-platonisme sur reeprit spculatif et avide d'explication rationnelle de notre converti ... Dresser la foi chrtierane en antagoniste irrductible de la mtaphysique et de l'thique de Plotin, cest indment simpliifer les donnes de fait . (11) E quanto mi ero sforzato di mettere in chiaro fin dal 1930 (jcfr. nota 13) e viene ora confermato da studi recenti: p. e. G. de Plinval, Plage, ses crits, sa vie et sa rforme, Lausanne 1943, specialmente pp. 84 sg., 131 sg.

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Si confronti anche, per la tradizione protrettica, il lavoro cit. del Lazzati, oltre, s'intende, gli dritti fondamentali del Bignone; e le osservazioni del Marrou, cit. alla n. 7; inoltre Courcelle, o. c , p. 169 sg. e p. 397: la con versioni dAugustin est la foie une convereion au no-.platonisme et au christianisme . (12) Di questa, come di varie altre opere di Agostino fino al De vera religione ha dato eccellenti analisi anche A. Guzzo (Agostino dal Contra Academicos al De vera religione, Firenze [1925]); buone osservazioni ha anche, tra altri, J. Guitton, o. c. Superfluo avvertire che non sempre mi possibile consentire in tutto con queti autori, o con altri. Avverto anche, una volta per tutte, che cos in questa, come nelle note successive, indico soltanto quei passi che hanno pi diretto e immediato riferimento con il testo ; ma che di ciascuno scritto agostiniano da tener presente l'insieme e l'intonazione generale; ossia anche ci che, a volte, per brevit di esposizione, viene sottinteso. Del C. Acati, ei veda: 1, 1 e 2; 8, 25 (la exercitatio); II, 1, 1; 2, 5-6; 3, 9 6, 14; , 1, 1; 9, 20; 17 sgg. (13) Agostino (riecheggila cos una tradizione di ecuola, come anche secondo osserva Courcelle (o. c., p. 165 6g.) riproduce una formula scolastica in C. Acad. Ili, 18, 41 (Agostino tanto simile a Platone, che si po trebbe credere fossero vissuti insieme, o meglio, che quesito fosse rivissuto in quello). Cfr. altres Solii, I, 4, 9 dove sono messi ancora insieme Plato et Potinus; e cos daltra parte Aug. Ep. VI, ad Nebridium: epistolae tuas... illae mihi Christum, illae Platonem, illae Plotinm sonabunt . Il prof. Teecari* nella recensione citata (p. 474), mi aittriibuiva evidentemente la tesi dell'Alfaric, non avvedendosi che proprio di neo-platonismo cristiano (o, se si vuole, di cristianesimo neoplatonico) io intendevo parlare. Cfr. anche c. II, n. 3. (14) De b. vita, IV, 33. (15) Cfr. De ordine, I, 11, 32; II, 2, 7; 4, 17. (16) Cfr. De b. v. IV, 35 (16bis) L'aver messo insieme questi due personaggi significativo: anche Manlio, studiosissimus di Plotino, venera in Ambrogio il vescovo; il modello del neoplatonico cristiano, che Agostino si propone d'imitare. Ci suppone la piena inserzione della cultura antica nel cristianesimo. (17) Cfr. De b. v. I. 10-12; 19; 35; anche De ord., I, 11, 31; II, 20, 52. (18) De b. v., IV, 35. (19) Macrobio, Sat. I, 24, 21; VII, 15, 14; cfr. Ammonio, In Isag. Porph. cit. da Courcelle o. c., p. 16: la definizione aristotelica della filosofia come

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(20) De ord., II, 4, 13 5, 14, cfr. II, 12, 35 16. 44; 18. 47; cfr. Marrou, o. c., pp. 191, 216 sg. ecc. , (21) De ord. I, 10, 29; II, 5, 15-16; 7, 21-24; 8, 25; 9, 26-27; 17, 45-46, ecc. 17, 45-46, ecc. (22) Solil., I, 1, 2-6. (23) Courcelle, o. c., p. 128: L'exemple de Manlius Thodorus montre qu'il existait, la mort de Thodose, outre le no-platonisme paen la i manire de Macrobe, un no-platonisme chrtien: la ligne de Marius Vi-

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ctonnus, qui cherchait accomoder les donnes de la raison et de la foi. La voie trace par les travaux de Thodorus n'a pas t s-uivie seulement par Augustin.... Cfr. note 11 e 13. (24) Non vi dubbio che le apparenze sembrano favorire l'interpretaz'one che ravvisa gi in Sol. I, 1, 2-6 la dottrina della grazia: Agos>tino implora da Dio che gli conceda di pregarlo bene, che gli dia la fede, o il valore, o la scienza, se l'una o laltra di esse mezzo per trovarlo. Ma, si noti bene, che trovano Dio coloro che si rivolgono gi a lui (Si fide te inve niunt qui ad te refugiunt); e che Do non abbandona chi lo cerca (Tu enim si deseris, peritur; sed non deseris, quia tu es summum bonum, quod nemo recte quaesivit et minime invenit). E bens vero che Dio cercato da tutti coloro che Egli fa che lo cerchino (Omnis autem recte quaesivit quem tu quaerere fecisti), ma appunto la frase denota che Agostino non ha in mente un numero ristretto di eletti, non pensa a una esclusione; e d'altra parte l'azione divina si riduce anche qui (Pater pignoris, quo admondmur redire ad te...; Deus quem nemo quaerit nisi admonitus) aU'admonitio quaedam del De beata vita (cfr. n. 18); che gi ei nota qui il ricorso al pulsate et ape rietur vobis (facis ut p/ulsantibus aperiaitur...; pateat mihi pulsanti ianua tua); e che, finalmente Agostino chiede a Dio che gli insegni il cammino per giungere a lui, nuLTaltro (Deus, qui nisi mundos verum scire voluisti... quem nemo invenit, nisi purgatus...; nihil aliud scio niei fluxa et caduca spernenda esse, certa et aeterna requirenda. Hoc facio, Pater, quia hoc solum novi; sed unde ad te perveniatur, ignoro). E accanto a questa va tenuit presente l'altra, pi breve, invocazione di Solii. II, 6, 9 (Deus, Pater noster, qui ut oremus hortaris, qui et hoc quid rogaris praestas, siquidem cum te rogamus, melius vivimus melioresque eumus; exaudi me palpitantem in his tenebris et mihi dexteram porrige. Praetende mihi lumen tuum, revoca me ab erro ribus; te duice in me redeam et in te). Il vero senso di tutte queste espres sioni appare quando si prendano nel loro contesto e ei mettano a raffronto con quelle, analoghe, di opere posteriori. Ma chiaro che Agostino non chiede qui a Dio che lo liberi dia un peccato, e meno ancora originale; il loro carat tere nettamente intellettualistico; e si veda com e chiaramente espressa l'idea del regressus animae . Gli autori che, dopo aver riconosciuto il carattere neiplatonizzante di questa preghiera, sentono il bisogno di sottolinearne, pole micamente, J'aspetto cristiano, lo fanno in parte perch suggestionati ancora dal libro deH'Altfaric, e in parte per quell'opposizione artificiale tra neoplatoni smo e cristianesimo, che l'Aliarle ha pure contribuito ad accentuare, e che non risponde alla mentalit della maggior parte dei cristiani colti del IV e del V secolo. (24-biis) Il De immortalitate animae fu scritto quasi come primo abbozzo di un terzo libro di Soliloquia (cfr. Retract. I, 2, 1); il De quantilate animaie, redatto a Roma, sembra invece alquanto, sebbene di poco, posteriore ai due libri De moribus. (25) Cfr. Solii. I, 1, 4: Deus... cuius legibus arbitrium animae liberum est e De quant. an., 80, cit. alia n. 30. (26) De quant, an., 3; 4 (i d e o q u e b e n e p r a e c i p i t u r e t i a m i n m y s t e r i i s ut omnia corporea contemnat u n i v e r s o q u e huic m u n d o r e n u n t i e t , qui ut videmus corporeus est, quisquis se talem reddi desiderat, qualis a Deo fa&tus est, id est similem Deo) cfr. ancora Solii. I, 1, 4 (qui fecisti hominem ad imaginem et similitudinem tuam, quod qui se

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ipse novit agnoscit) con un'interpretazione del testo biblico che superfluo sottolineare; 24; 34 (magnam omnino ... quaestionem moves, in qua iantum nostrae sibimet opiniones adversantur, ut tibi anima nullam, mihi Ago stino contra omnes artes scum attulisse videatur; nec aliud quidquam esse id quod dicitur discere, quam reminisci et reaoitdari); 55 (quamobrem... 7 ibenter in eo sermone demoror, quo admonetur anima ne se ultra quam ne cessitas cogit refundat in sensus, sed ab his potius ad se ipsam colligat et repuerascat cfr. Matt. XVIII, 3 quod est novum hominem fieri vetere exuto, a quo incipere propter neglectam Dei legem certa est necessitas, quo neque veniUs neque secretius quidquam divinis scripturis continetur. Vellem hinc plura dicere, ac me ipsum constringere, dum tibi quasi praecipio, ut nihil aliud agerem quam redderer mihi, cui me maxime debeo atque ita Deo fieri, quod ait Horatius, Sat. II, VII, 2-3 amicum mancipium Do mino. Quod omnino fieVi non potestr, nisi ad eius reformemur imaginem, quam nobis ut pretiosissimum quiddam et carissimum custodiendam dedit, dum nos ipsos nobis tales dedit, qualibus nihil possit praeter ipsum anteponi. Hac autem actione nihil mihi videtur operosius et nihil est cessationi similius; neque tamen eam suscipere aut implere animus potest, nisi eo ipso adiuvante cui redditur. Unde fit ut homo eius clementia reformandus sit, cuius bonitate ac potestate formatus est); 80 (v. nota 30). (27) Appunto, in Roma, doveva apparire tanto pi urgente e necessario ad Agostino rendere evidente il suo dislacco definitivo dal manicheismo. (28) De moribm Ecclesiae catholicae, 3 (Unde igitur exordiar? ab au ctoritate an a ratione? Naturae quidem ordo ita se habetr ut cum aliquid discimus, rationem praecedat auctoritas); 4; 12 (quid beneficentius, quid libera lius divina providentia dici potest, quae a legibus suis hominem lapsum, et propter cupiditatem rerum mortalium iure ac merito mortalem sobolem propagantem, non omnino deseruit?) 14-17; 26-29; 30; 39; 56-59 (sull'accordo tra il V. T. e il N. T., ecc.); 22; 25; 36 (Dicit ergo Paulus radicem omnium malorum esse cupiditatem, per quam etiam lex vetus primum hominem lapsum ?.sse significat. Monef Paulus ut exuamus nos veterem hominem et induamus novum. Vult autem intelligi, Adam qui peccavit veterem hominem, illum autem quem suscepit in sacramento Dei Filius ad nos liberandos, novum....... Omne igitur officium tempeiantiae est exuere veterem hominem e t in Deo renovari; id est, cQntemnere omnes corporeas illecebras laudemque popu larem, totumque amorem ad invisibilia et divina conferre); 37; 38 (cautissime 'jpostolus, ne ab amore sapientiae deterrere videretur, subiecit: et elementa huius mundi . Sunt enim qui desertis virtutibus et nescientes quid sit Deus, et quanta maiestas semper eodem modo manentis naturae, magnum aliquid se agere putant, si universam istam corporis molem, quam mundum nuncupa mus, curiosissime intentissijneque perquirant... Tali enim amore plerumque decipitur (l'anima), ut aut nihil putet esse, nisi corpus; aut etiamsi auctori tate commota fateatur aliquid esse incorporeum, de Hio tamen nisi per ima gines corporeas cogitare non possit, et tale aliquid esse credere, qualis fallax corporis sensus infligit); 62. ecc. (29) P. e. De mor. manich. 20 (docet enim ratio... Deum esse incorrupti bilem, incommutabilem, inviolabilem, in quem nulla indigentia, nulla imbecillilas, nulla miseria cadere possit) e 24. (30) Ma gi in De quant. an., 80 aveva addirittura negato che potesse

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esservi qu^leiasi difficolt nel conciliare l'affermazione del libero arbitrio umano con quella dell'onnipotenza divina: Deus igitur summus et verus lege inviolabili et incorrupta, qua omne quod condidit regit, subicit animae cor pus, animam sibi, et sic omnia sibi, neque in ullo actu eam deserit sive poena sive proemio. Ia enim iudicavit esse pulcherrimum, ut essei quidquid est quomodo est, et ita naturae gradibus ordinaretur, ut considerantes univer sitatem nulla offenderet ex ulla parte deformitas, omnisque animae poena et omne praemium conferret semper aliquid proportione iustae pulcritu\dini dispositionique rerum omnium. Datum est enim animae Uberum arbitrium, quod qui nugatoriis ratiocinationibus labefactare conantur, usque adeo caeci sunt, ut ne ista ipsa quidem vana atque sacrilega propria voluntate se dicere intelligant. Nec tamen ita liberum arbitrium animae datum est, ut quodlibet eo moliens ulktm partem divini ordinis legisque perturbet. Datum est enim a sapientissimo atque invictissimo tolius creaturae Domino. (31) Peir chi come me ritiene molto probabile che Agostino andasse de bitore di molte delle sue cognizioni e idee filosofiche a uno scritto di Manlio Teodoro che trattava appunto, tra l'altro, dellanima umana e della eua origine e natura ( l'ipotesi del Courcelle, o. c., p. 124 sgg.) vi sarebbe qui un altro segno del suo progressivo allontanarsi da Teodoro, allontanamento di cui Courcelle (p. 127) segnala una prima tappa gi nel De ordine. (32) De libero arbitrio, I, 1; 6; 15; 21; 24 (Ita istuc dicis, quasi liquido compertum habeos numquam nos fwsse sapfentes; adtendis enim tempus ex quo in hanc vitam nuli sumus. Sed cum sapientia in animo sit, u t r u m ante consortium huius corporis alia quadam vita v i x e r i t animus, et an aliquando sapienHer vixerit, magna quaestio est, magnum secre tum et suo considerandum loco); 25; 27; 28-30 (Itaque, cum dicimus volun tate homines esse miseros, non ideo dicimus, quod miseri esse velint, sed quod in ea voluntate sunt, quam etiam eis invitis miseria sequatur necesse est): 31; 32 (Recte iuclicas, dummodo illud inconcussum teneas ... eos qui tempo rali legi serviunt non esse posse ab aeterna liberos, unde omnia quae iusia sunt, iusteque variantur, exprimi dicimus, eos vero qui legi aeternae per boncm voluntatem haerent, temporalis legis non indigere, satis... intelligis); Iubet igitur aeterna lex avertere amorem a temporalibus, et eum mundatum convertere ad aeterna); 34-35. (33) Isaia VI. 9 nei Settanta: in De lib. arb. ,4. (34) 6 e 12. (35) De Genesi c. Man., I, 1-2; 3 (Deus enim fecit el tempora. Et ideo cinte quam faceret tempora, non erant tempora ... Et si tempus cum caelo et terra esse coepit, non potest inveniri tempus quo Deus nondum fecerat caeium et terram) 26 (In omnibus, ... cum mensuras et numeros et ordinem vides, artificem quaere. Nec alium invenies, nisi ubi summa mensura ct sum mus numerus et summus ordo est, id est Deum); 28 (Sed tamen noverint [i manichei] in catholica disciplina spirituales fideles non credere Deum forma corporea definitum: et quod homo ad imaginem Dei factus dicitur, secuimdum interiorem hominem dici, ubi est ratio et intellectus); 29 (hic illis primo dicenctum .est quod multum errant qui p o s t p e c c a t u m considerant ho minem, cum in huius vitae mortalitatem damnatus est et amisit perfectionem illam qua factus est ad imaginem Dei), 30*31: 34? 35-43; II, 6; 8; 10 (et ideo anima'nm hominem prius agimus omnes, qui de illo post peccatum nati sumus, donec

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assequamur spiritalem Adam, id est Dominum nostrum' Jesum Christum, qui peccatum non fecit; et ab illo recreati et vivificati, restituamur in paradi sum); 11 (spiritus autem hominis in Scripturis dicitur ipsius animae potentia rationalis); 12; 21 (etiam nunc in unoquoque nostrum nihil aliud agitur, cum ad peccatum quisque delabitur, quam tunc <tatum est in illis tribus, serpente, muliere et viro. Nam primo fit suggestio sive per cogitationem sive per sen sus corporis... quae suggestio cum facta fuerit, si cupiditas nostra non movebitur ad peccandum, excludetur serpentis astutia; si autem mota fuerit, quasi mulieri iam persuasum erit. Sed aliquando ratio viriliter etiam commo tam cupiditatem refrenat atque compescit... Si autem ratio consentiat, ... ab omni vita beata tamquam de paradiso expellitur homo. Iam enim peccatum imputatur etiamsi non subsequatur factum, quoniam rea tenetur in consen sione conscientia); 22; 32; 41-43. (36) De q. a., 70-76. (37) De Gen. c. Man. I, 41; 43. (38) Non si traftta, per, di identit di natura tra l'anima dell'uomo e la divinit: affermare la qual cosa saTebbe, secondo Agostino, ricadere per un verso nel manicheismo e commettere un gravissimo peccato: Et ipse spiritus hominis cum aliquando errat et aliquando prudenter sapit, mutabilem se esse clamat: quod nullo modo de natura Dei fas est credere. Non autem potest maius signum esse superbiae, quam ut dicat se humana anima hoc esse quod Deus est (De Gen. c. man. II, 11). (39) Matteo, XXIII, 10. (40) De magidlro, 37: Quod ergo intelligc id etiam credo; at non omne quod credo, icf etiam Melligo. Omne autem quod intelligo scio; non omne quod credo scio (cfr. Soliloquia, I, 3 (8): omne autem quod scimus, recte for tasse etiam credere dicimur; at non omne quod credimus, etiam scire). Nec ideo nescio quam sit utile credere etiam muLa quae nescio ; 38 (De universis autem quae intelligimus, non loquentem qui personat foris, sed intus ipei menti praesidentem consulimus veritatem (cfr. Confessioni, XI, 5, 7), verbis iortasse ut consulamiie admoniti. Ille autem qui consulitur docet, qui in inte riore homine habitare dictus est Christus, id est incommutabilis Dei Virtus aique sempiterna Sapientia, quam quidem omnis rationalis anima consulit, sed tantum cuique panditur, quantum capere propter propriam sive bonam sive malam voluntatem potest); 39j 40 (Cum vero de iis agitur, quae mente conspici mus, ild est intellectu atoue ratione, ea quidem loquimur quae praesentio con tuemur in fila inKeriore luce veritatis, qua ipse qui dicitur homo interior illu stratur et fruituT; sed tunc quoque noster auditor, si et ipse secreto ac simplici oculo videt, novit quod dico sua contemplatione, non verbis meis. Ergo ne hunc \quidem doceo vera dicens, vera intuentem; docetur enim non verbis meis, sed ipsis rebus Deo intus pandente manifestis). (41) De q. a., 12, cfr. 76.

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II
Fin dagli inizi dellattivit letteraria di SantAgostino, ci dato cogliere un fenomeno caratteristico. In una produzione cos vasta tanto da passare in proverbio sono scarsissimi gli scritti che non abbiano carattere occasionale o la cui composizione non sia stata provocata da una polemica. Per di pi, la composizione dei trattati puramente teorici e sistematici, fu interrotta continuamente, e tenne occupato lautore per moltissimi anni (1). E un fatto, questo, il quale si ripete con una tale costanza, che, se si trattasse di un feno meno naturale, si potrebbe forse essere indotti a parlare di una legge . E chiss non sia effettivamente, una legge o un ritmo spirituale : quelli propri del genio e della santit di Agostino, in perpetua tensione tra la filosofia, intesa come pura teoria, e lapo stolato, lanelito di ricavare dalla propria esperienza ci che me glio possa servire alledificazione altrui. Ma, approfondendo di pi, si scopre anche ci che unisce intimamente questi due diversi aspetti della mente e delloperosit di Agostino. La filosofia, infatti, fu per lui non solo il complemento e il coronamento della cultura intellettuale, ma un mezzo per ottenere la purificazione dellanima e al tempo stesso la culminazione della fede. Filosofo per vocazione, nel senso che i problemi filosofici furono per lui assai pi che un oggetto di speculazione intellettuale, bens qualcosa di profondairente radicato nella vita, qualcosa che rispondeva a unesperienza, Agostino (per quanto molti sembrino ancora volerlo considerare come tale) non fu mai il filosofo di professione e meno che mai il professore di filosofia che si dedica alla costruzione meramente intellettuale, logica, razionalistica, di un sistema che possa
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scomporsi nelle sue varie parti e ricomporsi poi, come certi giocat toli meccanici. Perci in ogni circostanza, la lotta contro lerrore, allo stesso modo che la ricerca e lesposizione sistematica della ve rit, non ebbero per lui un valore meramente intellettuale e teorico. Essi rispondono a una preoccupazione intima, a unesperienza di vita; e perci in primo luogo il frutto di questa esperienza che Agostino desidera far conoscere, affinch riesca di vantaggio ad altri. Perci egli concep, durante il processo della sua conversione, e nel momento immediatamente successivo, il progetto della grande opera, o serie sistematica di scritti, destinati ad esporre le varie discipline della , che fossero per al tempo stesso una iniziazione alla filosofia, ed elevassero cos gradatamente fino alla vetta, dove la vera filosofia e la vera religione si congiungono nella contemplazione e nelladorazione della Verit Suprema. Iniziata ap pena lattuazione del suo programma, si accorse per, e lo raf forzarono in tale convincimento anche le circostanze della sua vita, ch era indispensabile, prima, combattere i manichei. Lesecuzione del progetto pertanto dovette essere rimandata. Ma, pi tardi, Agostino dovette sentirsi in grado di riprenderlo e attuarlo. Una volta chia riti i problemi pi ardui della filosofia, dimostrate le sue attitudini di apologista nella polemica diretta, e la sua idoneit come esegeta, Agostino certo pens che sarebbe bastato riunire e svolgere armo nicamente i pensieri sparsi nei suoi scritti anteriori, per comporre u n opera sistematica e di ampio respiro. Essa avrebbe potuto eli minare, non solo gli errori degli accademici e dei manichei, ma al tres le prevenzioni dei fedeli contro la filosofia e la cultura tradi zionale in genere, e quelle dei pagani colti contro il cristianesimo. E noto quanto questo problema della conciliazione tra la cultura antica e la religione cristiana affatic e preccup SantAgostino, sug gerendogli finalmente lideale di una cultura specificamente cristiana, che tuttavia non rinnega, anzi mette a profitto lantica. Anche a questo proposito converrebbe forse studiare lo sviluppo delle sue idee per mezzo di un esame degli scritti di lui secondo l'ordine cronologico. Ne risulterebbe, credo, che questo svolgimento fu in funzione del suo modo di considerare il problema, per lui fondamentale e che lo torment fin dalla giovent, quello cio della na tura e dellorigine del male e del peccato (2).
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L accordo tra la cultura antica, con la sua filosofia, ed il cri stianesimo, segnalato gi fin dallinizio del De vera religione. Re ligione vera infatti quella che riconosce e venera un solo Dio, ravvisa e adora in lui lunico creatore e conservatore delluniverso. Ora, i filosofi antichi hanno riconosciuto la falsit del politeismo, pur continuando a frequentare i templi, perch non ardivano opporsi alle credenze del volgo ; tuttavia, se Platone fosse vivo oggi e un discepolo linterrogasse, riconoscerebbe sicuro che certe verit pu averle insegnate soltanto la sapienza divina. Tanto pi condannabili sono perci quei pensatori moderni, tutti dediti alle cose tem porali e sensibili, i quali hanno sempre in bocca il nome di Pla tone, ma tradiscono linsegnamento del maestro. E chiaro qui il nesso con il Contra Academicos. Insomma, soggiunge Agostino, se Socrate e Platone rinascessero ora, riconoscerebbero subito nella dottrina e nella prassi della Chiesa quelle verit che essi compresero, ma non osarono propagare, e si farebbero cristiani (bastando a ci modificare poche espressioni) cos come hanno fatto i pi tra i loro seguaci recenti (3). Ritorna in questo libro la dimostrazione del libero arbitrio, che Dio ha concesso agli uomini perch, da liberi, sarebbero stati mi gliori servi, che non da schiavi. La condizione presente deUuomo, soggetto a morire, effetto di una disposizione amorevole di Dio, come un ammonimento rivolto alluomo, perch si rivolga verso la Verit eterna. Ed il libero arbitrio, permettendo che la volont inclini verso beni inferiori, lunica causa del male, che pertanto non una vera sostanza (4). E ritorna la distinzione tra Vauctoritas e la ratio, ma nella forma che abbiamo veduto gi nel De ma gistro (5). Ritorna altres la distinzione delle sette et delluomo, corrispondenti ai sette gradi della vita spirituale ; e con essa quella interpretazione di S. Paolo che pure abbiamo trovato nel De quan titate animae. V luomo esteriore' o terreno, cio il vecchio uomo paolino, e il nuovo, interiore e celeste ; ciascuno dei due ha il suo posto nellordine del creato. Ma il primo si corrompe, muta, in due modi : per forza propria, tendendo cio a beni ancora inferiori, che sono pene ; o per un progresso del secondo, cio del linteriore, e allora esso si rif migliore, riacquista la sua primitiva natura nel giudizio finale, acquistando cos limmutabilit (6). Un passo, questo, dove anche pi che lintenzione polemica antima
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nichea interessante e importante luso della terminologia giuridica : il rivestire il corpo celestiale nel giudizio'Anale effetto di una vera e propria restitutio in integrum. Pena del peccato di Adamo stata la trasformazione del suo corpo, e per conseguenza del nostro, da celestiale e incorruttibile in mortale e soggetto alle malattie. Ma ci non implica la condanna di tutto il genere um ano; ch anzi, la pena puramente medicinale, rivolta ad ottenere che l uomo, con siderando appunto la sua fralezza, s induca a dirigere il suo amore alla verit suprema. La redenzione consiste, anche qui, nel sottrarsi al dominio delle cose visibili per entrare in quello delle spirituali ; dunque dipende, in primo luogo, dalla volont delluom o; e Ago stino riafferma vigorosamente lordine del creato e la bont e bel lezza di tutte le cose. E cos, partendo dalle sensazioni stesse che abbiamo del mondo intorno a noi, e giudicando delle stesse sen sazioni, siamo condotti a trovare che cos il bello e larte. 1 fon 1 damento di essa in una aequalitas o similitudo, di cui acquistiamo coscienza attraverso la memoria di ci che altra volta ci piaciuto o dispiaciuto; ma questa stessa aequalitas, e la ipsa vera et prima unitas, si comprendono con la mente, non si percepiscono con i sensi (7). Si tratta dunque di una legge, superiore a tutte le cose sen sibili, misura comune di tutte, universale e assoluta, mentre la nostra mente umana mutevole. Essa quindi superiore alla nostra mente, la verit stessa, Dio, cui l anima si ricongiunge, quando, par tita dalla visione del mondo sensibile sale ai gradi pi alti della contemplazione spirituale, anzich fermarsi alla humana delectatio (8). Anche le apparenze sensibili possono dunque ricondurci alla verit suprem a; Agostino ricorda ci che S. Paolo (Romani , I, 20) dice degli invisibilia Dei. Non vi quindi nulla, neppure i vizi, che non possa in qualche modo rincuorare gli uomini a conseguire la virt ; sono dunque essi che fanno il contrario di quello che dovrebbero, e antepongono il mezzo al fine; ma coloro che desiderano vera mente il fine, non si lasciano sedurre dalla curiosit n si rivolgono a cose esteriori, ben sapendo che la conoscenza certa quella che in noi (9). Siamo ricondotti cos alla dottrina del De m agistro; alla luce della quale vanno esaminate le frasi famose intorno al ritornare in se stesso e alla verit che abita dentro delluomo ; frasi
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che baster leggere con tutto il contesto per fare giustizia di tanti fraintendimenti e vedere che, come nel De magistro le parole, qui sono tutte le cose, e gli stessi vizi, che possono guidare lanima a ritornare su se stessa ; lanima, superiore a tutto ci ch nel mondo e a sua volta inferiore a Dio. E Dio la verit, e di questa ha deposto i germi nellanima umana. Contro questa dottrina Ago stino non vede altra possibile obiezione che non si riassuma nella po sizione dello scetticismo ; e questa egli combatte con largomento tra dizionale : dubita pure di tutto, non dubiterai di dubitare. Et si cer
tum est te esse dubitantem, quaere unde sit certum ; non illic tibi, non omnino solis huius lumen occurret, sed lumen verum quod illum inat omnem hominem venientem in hunc mundum (10). Nelle quali

parole vi sar forse anche u n allusione al manicheismo; ma pi certa e degna di nota quella al Cristo, Logos divino che illumina lanima umana e depone in lei quelle verit, che essa scopre tor nando in se medesima (11). Questo processo della palingenesi morale, che va di pari passo con la conquista progressiva della verit, dunque concesso a tutti. Ognuno in grado di sottrarsi al dominio delle cose sensibili, di far perire in s luomo esteriore e carnale, e di far progredire in vece luomo interiore; trasformandosi cos in quel perfetto cri stiano, che appena sfiora il mondo su cui pone i piedi, non si ad dolora per la morte di nessuno, non si lascia vincere o affliggere da alcun dolore o fatica ; ama il prossimo, ma non si preoccupa troppo della sorte di ciascuno ; e vive nel mondo, come in una dimora prov visoria (12). Nulla vince, nulla turba profondamente questo cristiano perfetto, nella raffigurazione del quale sembra di veder confluire elementi del cristianesimo primitivo derivati direttamente dalla pre dicazione evangelica, ed elementi che risalgono alla speculazione teo logica di un Clemente Alessandrino o di un Origene, ai quali risale in ultima analisi questa raffigurazione dello cristiano, la cui imperturbabile beatitudine ha pur qualcosa di stoico (13). A questo vertice della perfezione religiosa e morale si arriva seguendo la ragione e constatando quanto sian vani e fuggevoli i beni terreni, di cui non possiamo restar paghi. Si aspira a una libert superiore ed ecco segnata la via che conduce dalla ricerca del piacere e dalla superbia allamore di Dio e allesercizio di ogni virt. Dio ha dato alluomo la facolt di scegliere tra bene e male ; per aiutare luomo.
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la Provvidenza ha disposto due guide, lautorit e la ragione. La prima, antecedente in ordine di tempo ma subordinata alla ragione, secondo limmagine di S. Paolo (14) come il latte dei bambini, cui tiene dietro il cibo solido, cio la dottrina che permette di ravvisare nellAntico Testamento la prefigurazione del Nuovo. Ma non c alcun contrasto tra luna e laltra guida : i miracoli ora sono ces sati, per volere della Provvidenza ; ma anche alla fede nellautorit non si perviene, se non spogliandosi prima dogni superbia (15). Questo appunto ci che gli eretici non sanno fare. Eretici sono coloro che non condividono la fede ortodossa nella Trinit e sono perci esclusi dai sacramenti cattolici. Alcuni, come gli ofti e i manichei, ne hanno di propri, altri no, come i fotiniani e gli aria ni, che tuttavia sono anchessi fuori della Chiesa, cos come i giudei, qui in vetere homine remanserunt, e gli scismatici. Ma que sti ultimi vanno distinti dagli eretici, perch si sono volontaria mente allontanati dalla Chiesa, la quale avrebbe potuto tollerarli. In fatti soltanto coloro i quali si rendono intollerabili o non si vogliono correggere vengono espulsi dallaia del Signore, prima che sia ve nuto il momento della separazione finale. Altrimenti la Chiesa tol lera gli uomini carnali, cos come la paglia non va separata dal gra no prima del tempo (16). L accenno alla parabola evangelica (17), di cui Agostino far cos largo uso nella polemica contro i donatisti, merita di essere osservato con attenzione; e tutto questo tratto fa pensare ad una qualche conoscenza che Agostino avesse gi al lora dellopera di S. Ottato di Milevi (18). Ma certo non convie ne esagerare; ed evidente esagerazione sarebbe il ravvisare gi in germe in questi passi qualcosa come la distinzione delle due citt. Basta infatti pensare come per Agostino, ora, lessere carnale o spirituale dipenda dalla volont di ciascuno. Sia questa distinzione, sia la condotta prescritta ai buoni se accade loro di essere espulsi dalla Chiesa per le macchinazioni dei malvagi, sia infine anche la funzione attribuita alla stessa eresia nelleconomia della vita cristia na (19), appaiono semplici corollari della dottrina che nellordine dell'universo rientra anche il male, di cui Dio ordinatore, ma vero autore luomo, dotato di libero arbitrio. Ma pure significativa nel De vera religione la tendenza a vedere nel Cristo assai pi il Logos, la Sapienza divina, il Rive latore e il Maestro, che non il Redentore, il Crocifsso e Risorto ; a
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considerare il suo ministero in terra soprattutto come insegnamento ed esempio che conferma con la sua autorit suprema dottrine de dotte da principi razionali ed esposte da Agostino (20). Tuttavia men tre nel De quantitate animae la perfezione sembra ancora raggiun gibile su questa terra (21) qui, nel De vera religione, Agostino affer ma che il vecchio uomo sopravvive accanto allantico e la perfe zione non si consegue se non dopo la morte del corpo. Come tutte le cose create da Dio, anche la materia e il corpo sono buoni. Ma per quanto Agostino tendesse con tutte le sue forze a combat tere il manicheismo, non era facile neppure per lui sottrarsi allin clinazione di vedere nella materia, in quanto non - essere, il male. Tale propensione, cos come limpulso verso lascetismo, gli doveva essere suggerita da quella stessa filosofa cui aveva dato la sua ade sione (22). La redenzione dal male e dalla materia gli si presenta ancora sotto un aspetto tutto intellettualistico : il bene il vero cui la ragione tende quando si ricorda della sua origine e ritorna su se stessa. E ci dipende interamente da essa ; purch luomo lo voglia, pu ottenerlo. Cosi si comprende che nella professione di fede con cui il De vera religione (23) si chiude sia affermata esplicitamente la so miglianza tra la ragione umana e la divina, cio il Verbo, seconda persona della Trinit, per mezzo del quale furono create tutte le cose, buone, da Dio supremamente buono. Il problema delleresie nella Chiesa (e perci dellunit di questa) nton se non un aspetto del pi vasto problema dellesistenza del male nel mondo. Perci Agostino non meno attratto da due altre questioni : quella della creazione (24) e il dogma della Trinit : ossia problemi che ine vitabile affrontare quando ci si chiede come e perch esiste nel mondo il male. Nel De vera religione, egli li affronta o tocca tutti ; se qualche volta abbiamo limpressione di trovarci di fronte a dottrine male ac coppiate, o a qualche incertezza, ci importa poco. L interessante constatare lorientamento generale del pensiero di Agostino, e il fatto che egli credeva di essere giunto a una formulazione completa e definitiva di esso. Ci spieghiamo, cosi, il fatto che in questo momento Agostino, dopo un intervallo abbastanza lungo, tornasse a dedicarsi ai suoi libri sulle disciplinae. Ma altrettanto significativo, almeno per chi
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studia la sua formazione spirituale in quegli anni, che fra tutta la serie di quegli scritti, vari dei quali incompiuti (25), egli non si sia dedicato se non al De musica, aggiungendo, ai primi cinque libri, di carattere meramente manualistico, il sesto (26). Agostino vi espone una teoria della purificazione graduale della anima, in parte ripetendo, in parte sviluppando, motivi che ci sono gi familiari attraverso il De vera religione. Conseguenza del peccato originale che lanima, la quale prima dominava interamente il corpo, ora pu abbandonarsi alla tentazione di rivolgersi ad esso, e rim a nerne contaminata e diminuita, mentre il progresso dellanima con siste nel dirigersi verso Dio. Diminuzione, e per contro aumento, o regresso e progresso, dellanima, sono entrambi necessari, ma solo in quanto sono conseguenza di una scelta completamente li bera. Col dirigersi verso il bene superiore, lanima assicura anche la salute del corpo bench non possa, pur cos facendo, impedire c h esso sia mortale : la perfezione assoluta non conseguibile in questa vita e non si avr se non dopo la risurrezione. Tuttavia an che durante la vita terrena lanima pu prepararsi alla perfezio ne, vincendo la resistenza oppostale dal corpo e contrastando o domando i carnales motus. Essa , insomma, in grado di liberar si dal peccato, bench soggetta ancora alla pena ; e Cristo appun to, assumendo non il peccato ma la condizione delluomo peccatore, con la sua passione e la sua morte ammon gli uomini a sop portare la morte e a evtfare la superbia, a fuggire cio il peccaio di Adamo e a tollerarne la conseguenza, ossia la trasmutazio ne del corpo stesso di Adamo di perfetto in corruttibile e morta le. Il peccato originale dunque possibilit di peccare, di rivolgersi al mondo inferiore della materia, che cade sotto i sensi, e tro varvi diletto, da parte deHanima, relegata ora in un corpo tendente a ribellarsi a lei e condannato alla morte ; ma anche in questo da ammirare il piano della Provvidenza, che ha lasciato tuttavia lanima libera di scegliere tra ci ch superiore e inferiore. Perch lanima sia capace di frenare le passioni, necessario il soccorso della mise ricordia divina ; ma tale bont di Dio si manifesta gi nellincarna zione di Cristo, venuto ad insegnare alluomo come si possa conseseguire la perfezione. L aiuto divino e lazione del Cristo, conce pita anche qui come piuttosto esemplare, o ammaestratrice, che propriamente redentrice, sono dunque intesi in questo libro come*

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nel De vera religione. Lo stesso passo della lettera A i Romani (VII, 25), citazione la quale mostra gi la maggiore importanza che Agostino attribuiva ormai alla Sacra Scrittura applicato agli uomini non ancora giunti alla perfezione pertanto, non allapo stolo. Esso , inoltre, interpretato alla luce di una preoccupazione escatologica, quale poteva suscitare il ricordo di I Corinzi, XV : Ago stino pensa a difendere e giustificare razionalmente la resurrezione dei corpi ; nel che si manifestano a un tempo, lavversione al mani cheismo, e un distacco dal neoplatonismo puro (27). Il corpo essenzialmente buono : mortale, certo, ma la morte stessa soltanto pena del peccato commesso dai primi progenitori, dotati di libero arbitrio. Questa pena permane, e cos il male si per petua nel mondo, ma solo in quanto lanima, risentendo linflusso del corpo mortale, indulge e cede ad esso; per lanima capace di affrancarsi dal dominio dei sensi, sottomettendosi a Dio, e pre parare la restituzione anche del corpo alla perfezione primitiva (28). U nampia parte della trattazione appunto destinata a chiarire che lanima, rivolgendosi ai beni inferiori, si allontana da Dio, e in ci appunto consiste il peccato, la cui origine la superbia. Eppure amare chi solo pu appagare le aspirazioni dellanima stessa, non pu essere difficile. Ritroviamo anche il ritratto del perfetto cristiano, come Segue poi una serie di esortazioni. Dalla passione per i beni inferiori, vincendo la consuetudine cat tiva che le resiste, lanimo pu liberarsi mediante uno sforzo per seguire le virt, e specialmente la temperanza. Esse sono tutte con tenute nel precetto di amare Dio e il prossimo; e senza di esse impossibile raggiungere la felicit. Dobbiamo quindi ammirare la Provvidenza di Dio onnipotente, creatore e conservatore delluni verso, e dellordine che si ammira in ogni sua parte. Questo sviluppo costituisce la materia degli ultimi capitoli del libro, dedicato multo infiormioribus... quam sunt illi qui unius summi Dei consubstantialem et incommutabilem Trinitatem... duorum Testamentorum auctorita tem secuti venerantur et colunt eam credendo, sperando et diligendo. Hi enim non scintillantibus humanis ratiocinationibus, sed validis simo et flagrantissimo caritatis igne purgantur (29). Riappaiono qui due motivi antimanichei : in primo luogo, lunit inscindibile delle due parti della Bibbia; in secondo, limportanza attribuita alla fede. Lautorit non proprio collocata al disopra della ragione, nel
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senso, che questa debba sottomettersi a quella, per il seguirla non considerato come cosa propria di menti inferiori (30) : il che senza dubbio interessante. Infatti, il razionalismo appare ora ad Agostino una caratteristica degli avversari. Del resto, egli ha gi riconosciuto nel De magistro (31) che il credere, se anche non d la conoscenza perfetta, nondimeno utile. E appunto contro il razio nalismo manicheo Agostino scrive ora, divenuto prete in Ippone Regio, il De utilitate credendi. E questa una delle opere in cui Agostino mette a profitto la sua esperienza personale, dandole un valore normativo, a uno scopo di edificazione ; ma non senza importanza che ci coincida con il sacerdozio. Ma su di lui influirono anche (e del resto sono strettamente connesse con lo scopo principale) il desiderio di combattere manichei, che lo consideravano un transfuga e mostravano di com patirlo, facendo apparire la sua conversione al cristianesimo come dovuta a un indebolimento delle sue capacit intellettuali ; e quello di provare non soltanto la sincerit della sua conversione, ma il modo in cui si era compiuta, affinch tutti intendessero ch'egli non era indegno del suo ufficio ecclesiastico. Questa intenzione di Ago stino, che si manifesta anche nellinsistenza con cui egli sottolinea che al manicheismo non ha mai dato u n adesione totale, si purifi cata dai motivi personali ; e il racconto chegli fa della sua conver sione si trasforma in un invito ad Onorato, e ai lettori, di seguirlo per la medesima via. La realt della sua vocazione cos dimostrata nel pi nobile dei modi. Perch Agostino era divenuto manicheo? Precisamente per aver creduto di potersi affidare alla ragione, disconoscendo lautorit. Ma in realt questo non era stato che laccettare lautorit di alcuni maestri, la cui insipienza gli apparve chiara quando egli siesso ap prese a impiegare la ragione. Il racconto che egli fa della sua vita interiore pertanto straordinariamente interessante, anche perch si ricollega a quelli che sono i motivi fondamentali dellopera (32). Se nel De vera religione contrassegno della religione vera il monoteismo, qui, nel De utilitate credendi egli prende le mosse dal lanima : non vi religione, e tanto meno vera, senza la credenza in unanima immortale (33). Ma questa anima soggetta ad errare, finch non abbia trovato la verit, cui tuttavia essa anela, anche se irretita nellerrore e come sommersa nella stoltezza. Naturale dun46

que il rivolgersi a maestri, e tra questi, professanti opinioni diverse, a coloro che hanno acquistato maggior fama e pi largo seguito (34). N c da vergognarsi per questo: bisogna distinguere il credulus dal credens. Ma colpa grave insegnare la religione a un indegno, q u i fleto pectore accedit. La fiducia dunque reciproca : come il maestro crede alla buona fede e alla capacit dello scolaro, questi dimostrer la sua buona fede credendo al maestro. D altronde, dovremmo negare la religione a coloro che non sono capaci di per venire alla - conoscenza del V ero? Non sar meglio condurli grada tamente ai misteri pi alti? E che male verr agli altri, agli intelli genti, se da principio seguiranno la stessa via? (35). Ma agli stolti, sar sempre meglio attenersi ai precetti dei saggi che governarsi da s. E affinch lo stolto possa riconoscere il sapiente, ch da s non potrebbe, ha provveduto Dio ; perci per prima cosa la Chiesa cat tolica inculca la fede. Essa il primo passo verso la purificazione dellanima, condizione indispensabile alla conoscenza del vero (36). La ragione non ha perduto dunque qui la sua preminenza ; ma Ago stino riconosce la necessit di fare posto nella Chiesa a tutti, agli stolti non meno che ai sapienti. Cui la ragione fa difetto, abbia alme no la fede : chi non arriva da s alla sapienza, alla moralit e alla comprensione di Dio, trover almeno la norma della propria con dotta, e pertanto il mezzo per purificarsi e redimersi, nei precetti della Chiesa e nella regola della fede. E d altra parte questa puri ficazione morale necessaria a tutti. Vale la pena di rilevare che, da vero ecclesiastico, Agostino non ha pi di mira un gruppo ari stocratico e necessariamente ristretto di filosofi immersi nelle loro meditazioni, ma si preoccupa anche della massa deglincolti, che pregano con umilt. Ma questa umilt necessaria anche ai sapienti. Agostino si ricorda di quanto era manicheo e polemizza contro i suoi antichi compagni di fede, che accusano 1 Antico Testamente : coloro che credono di trovarvi contraddizioni, assurdit, immoralit non sono che degli stolti. I veri sapienti, sanno che la Scrittura Sacra deve essere interpretata allegoricamente. L interpretazione allegorica necessaria per lAntico Testamento, in quanto esso la Legge, fatta per i servi (ma utile) ; il rapporto tra legge e grazia da Ago stino concepito analogamente a quello tra autorit e ragione. L au torit, insomma, dice sotto il velame dell'allegoria le stesse verit
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che la ragione scopre da s : credere mettersi sulle orme del sapiente, che ci mostrano la strada verso Dio. Il quale, nella sua somma indulgenza e liberalit, ci ha facilitato il compito, avvicinan dosi a noi, mediante lincarnazione. E quale autorit pu essere pi salutare e insegnarci meglio il modo di staccarsi dal mondo per rivolgere il nostro amore a D io? Ch Dio abita nellanima umana : ma per riconoscerlo, per accostarci alla verit ed essere sapiente, necessario che lanima sia pura (37). La rivendicazione dellautorit dunque fondata ancora sugli stessi argomenti che si trovano nelle opere anteriori ; anzi, per certi rispetti, il De utilitate richiama i De moribus. L immoralit lerro re; Agostino dice ad Onorato chegli non cessa gemitibus... vel etiam... fletibus Deum deprecare ut te ab erroris malo libe ret (38) : singolare parafrasi del Pater noster! Ma qui, ci che interessa non tanto che lazione del Cristo sia considerata soprat tutto come quella di un maestro, bens il richiamo alla preghiera dominicale, e il manifestarsi di certe preoccupazioni proprie di un ecclesiastico. Con il De utilitate credendi, presenta vari punti di contatto il De duabus animabus. Anche qui, Agostino riconosce di essere stato manicheo, ma attribuisce il suo errore prima di tutto, a inespe rienza giovanile e alla facilit di essere sedotto da false immagini di bene ; poi allorgoglio, pure caratteristicamente giovanile, lusingato dalle facili vittorie che la sua abilit di retore gli permetteva di riportare nelle discussioni con cristiani incolti. Anche qui, come nel De utilitate credendi, egli polemizza bens con i manichei, ma pensa ai suoi amici rimasti tali, e li esorta e prega Dio perch si conver tano. E anche qui ritiene necessario, per intendere la Bibbia, rivolgersi ad interpreti autorizzati (39). L argomentazione popo lare, tutta fondata, in primo luogo, sulla differenza tra le cose sen sibili e le spirituali : tra queste la vita. Ora, le anime indubbia mente vivono, onde non si possono attribuire se non allautore della vita. Altro principio fondamentale di questo libro che i < vizi non sono che difetti . Da che segue, che il peccare ( dipende dalla nostra volont (40). E notevole, che pi volte Ago stino accenni alla necessit di una illuminazione divina per ben ragionare, anzi a una verit che come scritta da Dio neHanima di ciascuno, ma si riconosce solo qualora nella propria uno si
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prepari a leggere con sguardo purificato dallumilt (41). Ugual mente interessante che anche qui effetto del peccato originale soltanto la trasformazione del corpo umano da immortale in mortale, onde deriva la difficolt a tenersi lontani dalle cose sensibili e car nali. Di questo peccato, dunque, gli uomini continuano a portare la pena (42), alle cui conseguenze nondimeno possono sottrarsi, riconoscendo il bene superiore e la giustizia e aderendovi con ferma volont. Il medesimo ordine di idee si ritrova nel secondo libro De libero arbitrio (43). L indagine riprende al punto in cui era rimasta sospe sa, al termine del primo dialogo (44) : perch Dio ha detto alluomo, col libero arbitrio, la possibilit di peccare ? Evodio non ancora in grado di rispondere alle obiezioni dei manichei : egli crede, ma non comprende. Crede che il libero arbitrio sia stato dato alluomo da Dio, il quale giusto, e giusta cosa che i cattivi siano puniti e i buoni premiati ; da Dio, dal quale proviene tutto ci che bene (cio anche luomo, che volendo pu vivere secondo giustizia). Ma con ci, osserva Agostino, la questione risolta : se infatti la li bert ci fosse stata data da Dio allo scopo di farci peccare, sarebbe ingiusto punirci (45). Senonch Evodio risolleva subito il proble ma con unaltra oomanda : perch alluomo non stata data sol tanto la volont del bene ? Al che Agostino gli fa osservare, che non si pu chiedere se Dio dovesse o no darci una cosa ; al con trario, dal fatto che una cosa buona, dobbiamo concludere chessa viene da Dio. Onde i tre oggetti della ricerca : se Dio esista ; e da lui vengano tutti i beni; se il libero arbitrio sia un bene (46). La dimostrazione di Dio si fonda sulla superiorit della ragione. I sensi del corpo infatti percepiscono ciascunp un singolo aspetto delle cose, mentre il senso interno giudica di loro tutti (46 bis). A questo punto si fermano le bestie; ma luomo possiede la ragione, la quale superiore anche a tale senso interno che giudica delle sensazioni, perch essa intende non solo se medesima, bens la sapienza, che la trascende. Tuttavia, osserva Evodio, non basta dimostrare lesistenza di u n entit superiore alla ragione : Dio si pu chiamare solo lEssere al quale nulla superiore. Ma Agostino replica che gli baster allora dimostrare lesistenza di qualche cosa di eterno e immutabile, superiore alla ragione, e che questa scopre da s : esso sar Dio, o, ammesso che vi sia qualche cosa che tra
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scenda anchesso. Dio sar questultimo : comunque, Dio esiste (47). N importa qui ricercare che nessi esistano precisamente tra questa dimostrazione di Agostino e quella di S. Anseimo. Possiamo distinguere gli oggetti che vengono percepiti solo individualmente, e ci che viene sentito da tutti senza per questo subire alcuna mutazione. Ma ci che veramente si mantiene iden tico a se stesso, pur essendo percepito da tutti mediante la sola ra gione, e che si mantiene tale, indipendentemente anche dal fatto di essere percepito o no, la ratio et veritas num eri : a differenza da quanto si verifica nel mondo delle cose sensibili, sette e tre fanno e faranno sempre dieci (48). Ma ci che costituisce i numeri lu nit, che non percepita dai sensi e non si trova nei corpi (49). Agostino esalta quindi limportanza dei numeri come verit intelli gibili : e del resto anche la Scrittura mette insieme sapientiam et numerum (50). Ma, la sapienza, u n a? Molte sono le scuole filo sofiche, e ognuna pretende di aver ragione ; ma tutte cercano ugual mente il bene, un bene ; e quindi ricercano la sapienza, senza la quale non esiste beatitudine. Questa a sua volta consiste nel sommo bene, identico alla verit. Quanto al rapporto tra sapienza e nume ro, Agostino lo dimostra con linterpretazione allegorica di un passo della Scrittura e con u n immagine, che egli stesso riconosce non adeguata : ma, insomma, un fatto che entrambi sono veri e im mutabilmente tali (51). V dunque una verit assoluta, tale che non noi la giudichiamo, ma secondo essa giudichiamo le cose. E con ci, la dimostrazione compiuta. S trovato infatti qualche cosa di immutabile ed eterno, superiore alle nostre menti, e a cui nulla superiore. Questo qualche cosa la verit : dunque la verit Dio. Qui opportuno ricordare il dogma trinitario : il Padre consustanziale al Figlio, al Logos. La sapienza dunque il Cristo, la verit che rende liberi coloro i quali a Cristo si mantengono fedeli (52). 1 1 male, il peccato, dunque una deviazione intellettuale. Ma la verit, che intus docet, ci ammonisce di continuo; la sapienza, cio il Logos divino, cimpone il ritorno a noi stessi. E ben vero che noi siamo mutevoli nel corpo e nellanima; ma tutto ci che muta ha una sua forma, che riceve, ma non pu dare a se stesso ; e poich allinfuori di corpo e anima non esiste se non Dio, dob
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biamo concludere che tutto stato creato da Dio e che ogni cosa governata dalla Provvidenza, autrice di tutti i beni (53). Resta da dimostrare che il libero arbitrio sia un bene. Ma se tutto da Dio, tutto bene ; vi possono essere beni di cui si pu usare male, ma che non per ci cessano di essere tali. Beni dellanimo di cui non si pu fare .malo uso sono le virt. O ra, come la ragione conosce s stessa, cos la volont usa se medesima, pu rivolgersi a Dio, aderire a lui (e in ci consiste la beatitudine), e pu rivolgersi ai beni mutevoli e inferiori. Ma questa scelta volon taria e quindi giustamente retribuita. Ma, se non procede da Dio, donde viene il moto della volont per cui pecca? P er un momento, Agostino avverte il pericolo di Scadere nel manicheismo, e sente il bisogno di combatterlo. Il peccato un difetto , una diminu zione di essere e dipende dalluom o; ma, se cade, per risollevarsi luomo ha bisogno dellaiuto di Dio. Questa affermazione, per, va intesa, ricordando che per Agostino, ora, il Cristo quella Verit e quella Sapienza, la quale, anche per mezzo degli oggetti esteriori, ammonisce luomo a ritornare a s stesso. Quindi le virt sona in potere delluomo ; la mano di Dio tesa dallalto censiste nel lilluminazione dellintelletto. Dio agisce sulluomo in quanto Egli la Verit. E lopera del Cristo ancora soprattutto quella di un maestro. Ma al tempo stesso evidente che Agostino vuole anche mostrare la necessit della fede, ed egli insiste sul valore dell 'aucto ritas e della Chiesa (54). Tuttavia, si rende conto che non giunto ancora ad una soluzione del problema che lo tormenta ; e rimanda Evodio (e con lui il lettore e, ci che pi importa, s stesso) a un altro dialogo (55).
N O T E
(1) Mi riferisco come facile comprendere particolarmente ad opere come il De doctrina christiana, il De Trinitate, il De consensu evangelistarum, il De Genesi ad litteram e anche il De civitate Dei, che pure, come noto, fu suggerito all'autore da considerazioni di carattere polemico; cfr. Retractationes, II, 4 (30); 15 (41J: 16 (42]j 24 (50); 43 (69). Nulla pi interes sante che, fondandosi 6U questi e altri dati fomiti dallo stesso Agostino, l'an dare investigando, per mezzo di una minuziosa analisi interna, le tracce dei vari momenti in cui furono composte le diverse parti di queste opere, o delle loro varie edizioni (v. p. ee.. per il De doctrina christiana, d. D. de Bruyne, in Rev. bnd. XXX, 1913, p. 294 sgg.: tesi che si regge indipendentemente cte quella relativa all'J// ver sio).

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(2) Sarebbe ingiusto non menzionare qui, anche a costo di ripetermi, lopera del Marrou. Non tutte le eue conclusioni sono completamente con formi a quelle cui i miei studi mi hanno condotto; ma spesso il disaccordo pi Che aHro apparente, questione di sfumature; si vedano, p. e., le eue oeservazioni circa il carattere poco sistematico della filosofia agostiniana, a pp. 183 e 193, o sulla tendenza di S. Agostino allapostolato, p. 382. Alcuni punti, in cui dissento da lui, saranno segnalati via via. Ma probabilmente proprio il non aver tenuto con-to dello sviluppo del pensiero agostiniano, ci che forma il punto debole dello scritto del Marrou; alle cui ricerche sono venute ora ad aggiungerei quelle del Courcelle, o. c., pp. 153-182. (3) De v. religione, 1; 4; 6; 7: Socrate e Platone paucis mutatis verbis atque sententiis christiani fierent (cfr. c. I, . 13) sicut plerique recentiorum nostrorumque temporum platonici fecerunt . Agostino ha in mente senza dub bio Mario Vittorino e Manlio Teodoro. Cfr. per anche De d v . Dei, XXII, 27; Singula quaedam dixerunt Plato atque Porphyrius, quae si inter ee com municare potuiesent, faoti eesent fortaise christiani . (4) De v. relig., 21-44, specialmente 27 Usque adeo peccatum volun tarium est malum, ut militi modo sit peccatum, si non sit voluntarium... Po stremo, si non voluntaie male iacimus, nemo obiurgandus est omnino aut monendus, quibus sublatis christiana lex et disciplina omnis religionis aufe ratur necesse est... Et quoniam peccari non dubium est, ne hoc quidem dubi tandum video, habere homines liberum voluntatis arbitrium. Tales enim ser vos suos meliores esse Deus iudicavit, si ei libenter servivent ; 29: Quod vero corpus hominis... post peccatum factum <e& imbecillosum et morti desti l natum, quamquam iusta vindicta peccati sit, plus tamen clementiae Domini quam severitatis ostendit. Iba enim nobis suadetur a corporis voluptatibus ad aeternam essentiam veritatis amorem itostrum oportere converti; 39: vitium ergo animae est quod fecit et difficultas ex vitio poena est quam patitur; et hoc est totum malum. Facere autem et pati non est substantia; quapropter substantia non est malum. (5) De v. rei, 13; 14: illa omnia, quae primo credidimus, nihil nisi au ctoritatem secuti, partim sic intelliguntur, ut videamus esse certissima, partim sic, ut videamus fieri posse atque ita fieri oportuisse . A questo ultimo gruppo appartengono l'incarnazione, la Passione, la Morte e Resurrezione di Crieto. Inoltre, 45-47; 51-52. (6) D. v. rei, 48 sgg., specie 50: Sicut autem isti ambo nullo dubitante ita sunt, ut unum eorum, id est veterem atque terrenum, possit in hac tota. vil\a unus homo agere, novum verum et caelestem nemo in hac vita possit nisi cum ve tere nam et ab ipso incipiat necesse est et usque ad visibilem mortem cum illo, quamvis eo deficiente, se proficiente, perduret; sic pro portione universum genus humanum, cuius tamquam unius hominis vita est ab Adam usque ad finem huius saeculi; ita sub divinae providentiae 1 g bus administratur, ut Jn duo genera distributum appareat. Quorum in uno est turba impiorum, terreni hominis imaginem ab initio saeculi usque ad finem gerentium; in altero series populi uni Deo dediti ; 73-74: renascitur inte rior homo et exterior corrumpitur de die in diem. Sed interior exteriorem re spicit et in sua comparatione foedum videt, in proprio tamen genere pulerum...; 77: Corrumpitur autem homo exterior aut profectu interioris aut defectu suo. Sed profectu interioris ita corrumpitur ut totus in melius re formetur et r e s t-i t u a t u r i n i n t e g r u m in novissima tuba, ut iam

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non corrumpatur neque corrumpat. Delectu autem suo in pulchritudines cor ruptibiliores, id est poenarum ordinent, praecipitatur. Nec miremur quod adhuc pulcritudinem nomino; nihil enim est ordinatum quod non sit pulchrum. Nel passo dei c. 50 la distinzione tra il popolo d'Israele, e lIsraele spirituale suo successore da un lato, dallaltro la massa dei pagani: bisogna quindi resistere alla tentazione di vedervi come un'anticipazione dellidea delle due citt . (7) De v. rei., 29; 51; 54; 55: Porro ip&a vera aequalitas ac similitudo, atque ipsa vera et prima unitas, non oculis carneis neque ullo tali sensui, sed mente intellecta conspicitur (cfr. Rom., I, 20); 56. (8) De v. rei., 57-59 (cfr. per legge terrena e l'eterna, 58). (9) De v. rei, 101: Quid est autem unde homo commemorari non possit ac virtuites capessendas, quando de ipsis vitiis potest?; 103: coloro che iines ipsos desiderant, prius curiositate carent, cognoscentes eam esse certam cogniiionem q u a e i n t u s e s t (cfr. note 10 e 46). (10) De v. r e i , 73; 72: Quid igitur' restai, unde non possit anima recor dari primam pulcritudinem quam reliquit, quando de ipsis suis vitiis potest? (cfr. 101: cit. alia n. 9);... Ita illa boruXas a summo usque ad extremum nulli pul critudini, quae ab ipso solo esse posset, invidit, ut nemo ab ipsa veritate deiciatur, qui non excipiatur ab aliqua etiigie veritatis. Quaere in corporis voluptate quid teneat, nihil aliud invenies quam convenientiam; nam si resistentia pariunt dolorem, convenientia pariunt voluptatem. Recognosce igitrn quae sit summa convenientia; noli ioras ire, in t e i p s u m r e d i , i n i n t e r i o . r e h o m i n e h a b i t atL v e r i t a s ; e t si tuam naturam mutabilem inve neris, transcende et te ipsum. Sed memento cum te transcendis, ratiocinantem animam te trascendere: illuc ergo tende, unde ipsum lumen rationis accendi tur. Quo enim pervenit omnis bonus ratiocinator, nisi ad veritatem? Cum ad se ipsam veritas non utique ratiocinando perveniat, sed quod ratiocinantes vppetunt ipsa sit. Vide ibi convenientiam qua superior esse non possit, et ipse con veni cum ea. (11) Cfr. Joh. I, 9 e, per l'allusione al manicheismo, De Gen. c. man. I, 6. (12) De v. rei., 91: Quamquam temporalia non diligat, ipse recte utitur tem^ poralibus, et pro eorum sorte hominibus consulit, si aequaliter non potest om nibus... Tractat enim tempori deditos tanto melius, quanto minus ipse obdigatus est tempori. Cum itaque omnibus, quos pariter diligit, prodesse non possit, nisi coniunctioribus prodesse malit iniustua est. Animi autem conkinctio maior est quam locorum aut temporum quibus in hoc corpore gignimur, sed ea ma xima est quae omnibus praevalet. Non ergo iste affligitur morte cuiusquam, quoniam qui toto <jwmo Deum diligit, novit nec sibi perire quod Deo non perit; 92: In omnibus autem officiosis laboribus, falurae quietis certa exspectatione, non frangitur. (13) Cfr. le osservazioni di E. Brhier, Histoire de la philosophie, I, 2, p, 506 sg. (Parigi 1934). (14) / Cor., Ili, 2. (15) De v. rei, 93: Quem ergo delectat libertas, ab c/more mutabilium renun liber esse appetat; et quem regnare delectat, unj omnium regnatori Deo subditus haereat, plus eum diligendo quam seipsum. Et haec est per lecta iustitia, qua potius potiora et minus minora diligimus ; 45; 51.

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(16) De v. rei., 8; 9: possit enim eo s scismatici area dominica usque ad tempus ultimae ventilationis veJut paleas sustinere, nisi ven to superbito# nimia lev ita te qesstesent; 10: la chiesa cattolica per totum orbem valide lateque diffusa... carnales suos... tamquam paleas tolerat... Sed quia in hac area pro voluntate quisque v e l palea v e l frumentum est, tamdiu sustinetur peccatum aut error cuiuslibet, donec aut accusatorem inveniat, aut pravam opinionem pertinaci animositate defendat; 50. Circa gli ofiti, cfr. De Gen. c. rrum., 39. (17) Matt.. XIII, 31 etc. (18) Y. oltre, cap. III. (19) De v. rei. 11; 15: l'eresia utile ad verum quaerendum carnales et
ad verum aperiendum spiritales catholicos excitandb. (20) De v. rei., 32: Tota itaque vita eius in terris per hominem quem su scipere dignilus est, d i s c i p l i n a m o r u m fuit. Resurrectio vero eius ... nihil hominis perire naturae, cum omnia salva sunt Deo, satis in dicavit et quemadm odum cuncta serviant Creatori suo, stive ad vindictam peccatorum, sjve ad hominis liberationem, quamque facile corpus animae servicot, cum ipsa subicitur Deo. La stessa osservazione fa Plinval, a proposito di Pelagio (o. c., p. 79). (21) Gfr. De quant. an., 76; 79; 80. Tuttavia, in De Gen. c. man., I, 41

la settima et cominci col Giudizio; . II, 43, dove afferma nullum malum esse naturale, sed omnes naturae bonas esse... in quantum sunt... sed distin ctionis gradibus ordinatas . (22) Cfr. E. Brhier, o. c.r p. 461 eg. (23) De v. rei., 113. (24) Alcuni capitoli de. De v. rei., p. e. 36, non sono che commento al Genesi. (25) Retract. I, 5 (6); cfr. Marrou, o. c., App. C. pp. 570-579. (26) Il problema della composizione del 1. VI De musica stato risolle vato da Marrou (o. c., p. 580 sgg.), il quale osserva che vi sono tra questo e i primi cinque, differenze di tono e di idee, che non si possono spiegare soltanto invocando la diversit della materia. Il 1. VI pi filosofico, pi religioso, pdu ecctesiastico; p. e., mentre nei primi cinque ei citano versi di autori pagani, qui l'unico verso studialo di Sant'Ambrogio, e di contenuto ieligioso: Deus creator omnium ; inoltre nel 1. VI vi sono numerose citazioni bibliche, che man cano negli altri; in terzo luogo, Agostino nel 1. I parla della musica come di una scienza nobile e bella, mentre nel VI la disprezza come cosa vana e pue rile, infine, appare evidente in quest'ultimo la preoccupazione di non scanda lizzare le anime semplici, di ricordare loro che ci che importa la carit, per cui sono eupsriori ai dotti imbevuti di cultura umana. Esaminata quindi la testimonianza di Retract., I, 5 (6) eodem sex libros iam baptizatus iamque ex Italia regressus in Africani scripsi; incoaveram quippe tantummodo ietam apud Mediolanium disciplinam, trova che essa costringe a collocare la com posizione del liibro VI verso la fine del 387 o poco dopo, car il est difficile de supposer qu'Augustin ait pu encore s'occuper du De musica aprs son ordination (printemps 391) . L'intervallo quindi troppo breve per giustificare tali differenze; e anche quelle che esistono tra il 1. VI De musica e il De ve ra religione. La soluzione si troverebbe quindi ne'Epistola CI, del 408-09, con

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la quale Agostino accompagna linvio a Memorio di un esemplare del solo VI libro, quem emendatum repperi in luogo di tutti e sei, quos emendaturum me esse promiseram , ma non pot farlo, perch troppo occupato. Agostino avrebbe dunque riveduto e corretto il 1. VI prima del 408: il che lascia tutto il tempo necessario per giustificare il cambiamento di tono osservalo. Ma, quanto alle modificazioni introdotte in questa seconda edizione , il Marrou non sa essere preciso; e si limita all'ipotesi che il riferimento possa essere consistito nellaggiunta del cap. 1, (ch e forse quello in cui s affirment le . plus brutalement les traits caractristiques de la mentalit ecclsiastique ) e, forse, della conclusione, 17 (59). Ma in realt le differenze non sono poi tanto grandi. Per ci ohe riguarda le citazioni bibliche, lo stesso fenomeno si osserva, quasi nelle stesse propor zioni (e conviene considerare anche la materia trattata) nei vari libri De libero arbitrio ; e quelle di De mus. VI non sono pi numerose, n in senso assoluto n in senso relativo, di quelle che si leggono in altri scritti anteriori all'ordi nazione sacerdotale di Agostino: De moribus Ecclesiae Catholicae, de Genesi c. manichaeos, De vera religione. II diverso modo di considerare la musica, si spiega, quando si tenga presente il concetto, tante voflte espresso e commen tato da Agostino nelle opere di questo periodo: tutte le cose sono buone, ma ciascuna nel suo ordine. Di modo che la musica pu essere presentata al tempo stesso come nobile ed elevata per chi allinizio della propria elevazione spi rituale, e come vana e puerile per chi si sia gi innalzato fino al sapere filo sofico. La cura di non offendere le anime eempHci si ritrova pure in altre opere antediori al 391. Resta il tono generale, religioso o ecclesiastico che, secondo Marrou, si trova condensato nel cap. 1. Soppresso questo, le livre VI parait bien plus en harmonie avec les prcdente: le ton religieux y est moins apparent; il ne eaffirme que de facon progressive mesure qu'on avance et qui est conforme au projet d'Augustin d aiJer a corporeis ad incorporalia . Ma non dovrebbe sorprendere di trovare affermato con maggior forza il punto di vista e il proposito dell'autore nel preambolo del libro, lo scopo del quale annunciato gi alla fine del libro precedente. E daltra parte, circa il tono e la finalit dei primi cinque libri, proprio il Marrou che (p. 302 sgg. e 307) ha fatto notare che in quel procedimento p er corporalia ad incorporalia rien trano anche tutti quegli sviluppi tecnici, i quali servono come una specie di al lenamento, di ginnastica preparatoria: exercitatio animi. E dunque abbastanza naturale che, nei pjimi 5 libri siano citati poeti pagani e eolo nel sesto un au tore cristiano, con un verso di contenuto filosofico, che il libro stesso si pro pone di chiarire. Ma vi di pi. Marrou pensa che la seconda edizione non possa essere stata fatta da Agostino ee non dopo il 391. Ma allora, ci si pu doman. dare per che ragione, dedicando nelle Retractationes una notizia speciale al 1 VI De musica , Agostino l'abbia collocata prima di quella destinata al De utilitate credendi (I, 13 [14]), nella quale lindicazione che Agoetino la scrisse apud Hipponem Regium p re s b y te r ha per scopo evidente di segnalare che si tratta della prima opera di lui, posteriore al sacerdozio. Che se poi, si volesse supporre una revisione compiuta dopo la consacrazione epi scopale, allora, come apparir da tutto il presente studio, le differenze tra il VI e i libri precedenti dovrebbero essere ben pi gravi. Ma esaminiamo ora YEp. CI. Il vescovo Memorio ha chiesto ad Agostino i libri De musica , e questi gli ha promesso di correggerli e mandarglieli (1; ed.

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Goldbacher, C. S. E. L. XXXIII, p. 539); ma non ha potuto tener fede alla pro messa, a causa delle molte occupazioni. E fa la storia della loro composizione: initio nostri otii... volui per ista, quae a nobis desiderasti, scripta pro ludere, quando conscripsi de solo rhythmo sex libros et de mele ecribere alios forsitan sex, fateor, disponebam, cum mihi otium futurum sperabam. Sed poetea quam mihi curarum ecclestiasticarum sarcina imposita est, omnee illae deliciae fugere de manibus, ita ut nunc vix ipsum codicem inveniam... Sextum eane librum, quem emendatum repperi, ubi est omnis fiuctus'caeterorum, non distuli mittere caritati tuae (3 e 4, ibid. p. 542). Dunque, la redazione dei eei libri tutta anteriore al sacerdozio. Ma intanto, Agostino espone il suo modo di pensare presente, da vescovo: tutti questi studi, la cultura pagana e le disci plinae, eccetto forse la storia, non valgono nulla, se non in quanto mezzo per la formazione di una cultura cristiana e nellamibito di questa: per eum (Fi lium) namque praestatur, ut ipsae etiam, quae liberales disciplinae ab eis, qui in libertatem vocati non sunt (cfr. Gal., V, 13) appellamtur, quid in ee habeant liberale, noscatur . E chiaro, che quei primi cinque libri ormai non rispon dono pi a questo punto di vista, e dunque non meritano di esser letti: su periores quinque vix filio nostro et condiacono luliano... digni lectione vel cognitione videbuntur (2 e 4 ibid. pp. 540 e 542). Agostino si trovato in una situazione un po delicata: un vescovo gli ha manifestato il desiderio di leggere il De musica, opera di giovent e della quale non soddisfatto. Dapprima pensa di rivederla; ma glie ne manca il tempo. Non ricorda bene quando la scriese e ha l'impressione di aver com posto i 6 libri tutti insieme. Ma il VI gli appare, in confronto degli altri, tol lerabile; par essere inviato a un vescovo. Dunque, dice Agostino, sar etaito riveduto. Quando per nel 427 Agostino si mise di proposito a ripercorrere con l mente tutta la sua carriera di scrittore, la memoria lo aiu/t meglio; e tut tavia, accanto al ricordo della redazione del De musica in due momenti di stinti, ag su lui anche laltro, della composizione in una volita sola, ricordo tenuto desto probabilmente se possiamo argomentare dall'analogia con altri casi simili dalla stessa Ep. CI. Da ci le due notizie delle Retractationes. Nella seconda delle quali riappare anche l'idea che ipse sextus maxime in notuit, quoniam res in eo cognitione digna versatur . E dunque tanto pi strano, che Agostino, occupandosi due volite di questo libro, non menzioni mai di averne fatto una revisione tale, da meritare veramente il nome di seconda edizione . Ci non esclude tuttavia una possibilit, che forse un esame dei mano scritti potrebbe mettere in chiaro: e cio, che nel trascrivere il 1. VI per in viarlo a Memorio, egli vi intioducesse qua e l qualche modificazione lieve, di cui potrebbe essersi conservata traccia nella tradizione. D'altra parte, le somiglianze con il De vera religione, il De magistro e il secondo libro De li bero arbitrio sono tali, da obbligarmi a respingere l'ipotesi che il sesito libro del De musica abbia potuto essere redatto, o riveduto a fondo, molto dopo il 391. E lo stesso Marrou finisce con lessere della stessa opinione. In conclu sione, quindi, non vedo che v i siano ragioni sufficienti per rigati are l'assegna zione dei primi cinque libri al 387-88 e del eesto al 390-91. Lo spazio di tempo intercorso tale, da dar ragione delle differenze, e per di pi questa datazione ia pi conforme ai dati forniti dalle Retractationes, della cui esattezza non vi ragione di dubitare, come confermano anche ricerche recenti.

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Ho gi indicato pi eopra che il fine e il carattere filosofico del 1. VI annunciato chiaramente dalla conclusione del 1. V. Ecco il testo (De mus., V, 28): Sed iam si nihil habee quod contradicas, finis sit huius disputa tionis, ut deinceps quod ad hanc partem musicae attinet quae in numerie tem porum est, ab his vestigiis eius sensibilibus ad ipea cubilia, ubi ab omni cor pore aliena est, quanta valemus 6agacitate veniamus . Anche dopo le analisi di cui sono etati oggetto quei primi cinque libri, opportuno segnalare le riflessioni intorno all unit in V, 13. Per quanto riguarda la superiorit della ratio sull'auctoritas, interessante osservare que, eebbene la realizzazione sia alquanto imperfetta (cfr. le giuete osservazioni di Marrou, p. 309 sgg.). Ago etino, nel dialogo tra maestro e discepolo, s> sforza di procedere secondo la i tradizione e di far s che lalunno venga scoprendo il vero da s: cfr. Ili, 5 e 19: M. Sed iam mihi dicas velim, utrum his quae dicta sunt cognitis dssentiaris. D. Cognovi et assentioa*. M. Mihiine credene, an per te ipse vera esse perepiciens? D. Per me ipse sane, quamvis dicente te vera haec esse cognosco . Si ofr. inoltre i versi in IV, 4 sgg., p. ee.: Beatus est bonus, fruens enim est Deo ; Malus miser, eed ipse poena fit sua . (27) Ad Agoetino non sfuggiva che la conciliazione tra filosofia e cristianeeimo esigeva alcune correzioni, anche se non molte, al eistema neoplatonico (cfr. De v. r e i , 7, cit. alla n. 3); ma a giudizio dei neoplatonici pa gani, come Ma-seimo di Madaura (Epist . ad Awg. XVI, 4) egli si era gi allon tanato dalla loro scuola. (28) De musica, VI, 7: Mirare potius quod aliquid in anima corpus po test. Hoc enim fortasse non posset, si non peccato primo corpus illud quod nulla molestia et summa facilitate animabat et gubernabat, in deterius commu tatum et corruptioni subiaceret et morti: quod tamen habet eui generis puJcritudinem et eo ipso dignitatem animae satis commendat, cuius nec plaga nec morbus sine honore alicuius decoris meruit esse. Quam plaga-m summa Dei Sapientia mirabili et ineffabili sacramento dignata est adsumere, cum hominem sine peccato, non sine peccatoris conditione euscepit. Nam et nasci humanitus et pati et mori voluit; nihil horum merito sed excellentissima bonitate, uit nos caveremus magie superbiam qua dignissime in ista cecidimus, quam contume liae, quas indignus excepit, et animo aequo mortem debitam solveremus, si propter noe potuit etiam indebitam suetinere... anima vero istis quae per corpus accipit carendo fit melior, cum sese avertit a carnalibus sensibus et divinis sa pientiae numeris reformatur (cfr. Eccl. VII, 26); 13: Conversa ergo a Domino suo ed servum suum necessario deficit converea item a servo suo ad Dominum suum necessario proficit et praebet eidem servo facillimam vitam et prcpiterea minime operosam et negotiosam ad quam propter summam quietem nulla de torqueatur attentio ... Haec autem sanitas tum firmiesima erit atque certis sima cum pristinae stabilitati certo suo tempore atque ordine hoc corpus fuerit resti/tutum, quae resurrectio eius ante quam pienissime intelligatur salubriter creditur. Oportet enim arVmam et regi a superiore et regere inferiorem. Supe rior illa solus Deus est, inferius illa solum corpus, si ad omnem et totam ani mam intendas... Quare intenta in Dominum intell-get aeterna eius et magis est, magisque est etiam ipse eervus in euo genere per illam Neglecto autem Do mino inlenta in servum, carnali qua dicitur cincupiscentia sentit motue euoe quos ille exhibet et minus es't; 14: Convertenti autem se ad Dominum, maior cura oritur ne avertatur: donec carnalium negotiorum requiescat impetus, effre

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natus consuetudine diuturna et tumultuosis recordationibus conversioni eiue eese inserens; ita, eeddtie motibus euis quibus in exteriora provehebatur, agit otium intrinsecus liberum, quod significatur sabbato; sic cognoscit eolum Deum esse dominum suum cui uni eumma libertate servitur. Non autem illos carnales motue ut cum libet exserit, ita enim cum libet extinguit. Non enim sicut pecca tum in eius potestate est, ita etiam poena peccati. Magna quidem res st ipsa anima, nec ad opprimendos lascivoe motus suos idonea sibi remanet. Valentior enim peccat, et post peccatum divina lege facta imbecillior minue potens est au ferre quod facit; cfr. la citazione di Rom. VII, 24; 29: Quae vero euperiora sunt, nisi illa in quibus summa inconcussa immutabilis aeterna manet aequalitas?; 30: Ita peccantem hominem ordinavit Deus turpem non turpiter. Turpis enim factus es>t voluntate universum amittendo quod Dei praeceptis obtemperans poe>sidebat et ordinatus in parte est ut qui legem agere noluit, a lege agatur. Quidquid autem legitime, utique iuste, et quidquid iuste non utique turpiter agitur,- quia et in malis operibus noetris opera Dei bona sunt ; 33: in questa condizione l'uomo rimane fino alla resurrezione, in conseguenza della pena sta bilita dalla legge giustissima di Dio: In qua tamen noe non ita deseruit, ut aon valeamue recurrere et a carnalium sensuum delectatione, m i s e r i c o r d i a e i u s m a n u m p o r r i g e n t e , revocari. Talis enim delectatio vehementer infigit memoriae quod trahit a lubricis sensibus e cos domina 1'anima, indu_ cendoia a seguire i phantasmata scambiati per la verit (cfr. 32). Haec autem animae consuetudo facta cum carne, propter carnalem affectionem, in scriptu ris divinis caro nominatur. Haec menti obluctatur (Rom. VII, 25)... Sed in spiritalia mente suspensa atque ibi fixa et manente etiam huius consuetudinis impetus frangitur et paulatim repressus extinguitur. Maior enim erat cum sequeremur; non tam^n omnino nullus, eed certe minor, est cum eum refrena mus atque ita certis Kegreeeibais ab omni lasciviente motu, in quo defectus essentiae est animae, delectatione in rationis numeros restituta, ad Deum tota vita nostra convertitur, dans corpori numeros eanitatis, non accipiens inde laetitiam: quod corrupto exteriore homine et eius in melius commu tatione continget; 44: Haeccine (le cose tei rene) amare facile est animae, in quibus nihil nisi aecnialitatem ac similitudinem appetit, et paulo diligen tius considerans vix eiue extremam umbram vestigiumque cognoscit; et Deum amare difficile est, quem in quantum potest, adhuc eaucia et eordida cogitans, nihil in eo inaequale, nihil sua dissimile, nihil disclusum locis, nihil variatum tempore suspicatur?... laboriosior est huius mundi amor. Quod enim in illo anima quaerit, constantiam scilicet aetemitatemque non invenit...; 45; 46: Non igitur numeri qui sunt infra rationem et in suo genere pulchri sunt, sed amor inferioris pulchritudinis animam polluit: quae cum in illa non modo aequalitatem... eed etiam ordinem diligat, amittit ipsa ordinem suum, nec tamen excessit ordinem rerum... Aliud enim est tenere ordinem, aliud ordine teneri. Tenet ordinem, se ipsa tota diligens quod supra ee est, id est Deum, socias autem animas tamquas se ipsam (cfr. 43: la Scrttura insegna ad amare Dio e il prossimo, 40 e 54: 1'origkie dei peccato la superbia)... Quod autem illa sordidat non est malum, quia etiam corpus creatura Dei est (ecco, ancora una volta, un motivo animanicheo; cfr. anche 57, a proposto della creazione) et specie eua quamvis infima decoratur, 6ed prae animae dignitate contem nitur... A dilectione autem proximi tanta quanta praecipitur certiesimus gra dus fit nobie ut inhaereamus Deo et non teneamur tantum ordinatione illius, sed nostrum etiam ordinem inconcussum certumque teneamus . V. in generaie

47-53. Si osservino inoltre le citazioni bibliche e specialmente le allusioni alla resurrezione, attraverso i riferimenti a Rom. V ili, 11; / Cor. XIII, 12 e XV, 54. (29) De mus. VI, 59, cfr. 1. (30) Cfr. De mus. Ili, 30 e VI, 13 (cit. alla n. 28) e anche 52. (31) De mag., 37 e 40 (c. I n. 40) e anche De quantit. an. 17 e 76. (32) De util. cred., 2: Nosti enim, Honorate, non liam ob causam nos in tales homines incidisse nisi quod se dicebant terribili auctoritate separata mera et simplici ratione eoe, qui se audire vellent, introducturos ad Deum et errore omni liberaturoe. Quid enim me aliud cogebat annos fere novem, spreta religione quae mihi puerulo a parentibus insita erat, homines illos sequi ac diligenter audire, nisi quod nos 6uper6titione terreri et fidem nobie ante rationem imperari dicerent, se autem nullum premere ad fidem nisi prius discussa et enodata veritate,.. Sed quae rursum ratio revocabat, ne apud eos penitus haererem, ut me in ilio gradu quem vocant auditorem tenerem, ut huius mundi spem atque negotia non dim itterem, nisi quod ipsos quoque animadvertebam plus in refellendis aliis disertos et copiosoe esse, quam in suis probandie firmes et certos manere? 3: Cessino i manichei di dire che la luce mi ha abbandonato. Che luce era in me cum vitae huius mundi eram implicatus, tenebrosam spem gerens de pulcritudine uxoris, de pompa
divitiarum, de inanllate honorum ceterisque noxiis et perniciosis v o lu p tati b us Haec enim omnia, quod te non latet, cum studiose illos audirem, cuipere et sperare non desistebam. Neque hoc eorum doctrinae tribuo . 20: Ut enim

a vobie trans mar^ abscessi, iam cunctabundus atque haesitans, quid mihi tenendum, quid dimittendum esset quae mihi cunctatio in dies maior oboriebatur, ex quo illum hominem, cuius nobis adventus, ut nosti, ad explicanda omnia quae nos movebant quasi de caeio promittebatur, audivi, eumque excepta quadam eloquentia talem qualem ceteros eese cognovi lationem ipse mecum habui magnamque deliberationem iam in Italia con stitutus, non utrum manerem in illa secta in quam me incidisse paenitebat, sed quonam modo verum inveniendum esset, in cuius amorem euspiria mea nulli melius quam tibi nota sunt. Saepe mihi videbatur non posse inveniri magnique fluctus cogitationum mearum in academicorum suffragium fe rebantur. Saepe rureus intuens, quantum poteram, mentem humanam tam vivacem, tam sagacem, tam perspicacem non putabam latere veritatem, nisi
quod in ea quaerenda modus lateret, eundemque ipsum modum ab aliqua di vina auctoritate esse sumendum. Restabat quaerere, quaenam illa esset au ctoritas, cum in tantis dissensionibus se quisque illam traditurus polliceretur. Occurrebat igitur inexplicabilis silva, cui demum inseri multum pigebat: atque inter haec sine ulla requie cu piditate inveniendi veri animus agitabatur. Dis suebam me tamen magis magisque ab istis, quos iam deserere praeposueram.

Restabat autem aliud nihil in tantis periculis quam ut divinam providentiam lacrimosis et miserabilibus vocibus, ut opem mihi ferret, deprecarer. Atque id sedulo faciebam: et iam fere me commoverant nonnullae disputationes M e
diolanensis episcopi, ut non sine spe aliqua de ipso V etere Testamento multa quaerere cuperem, quae, ut scis, male nobis commendata exeerabamur. Deere veram que tamdiu esse catechumenus in ecclesia, cui traditus a parentibus eram, donec aut invenirem quod vellem aut mihi persuaderem non esse quae rendum. Opportunissimum ergo me ac valde docilem tunc invenire posset, qui

posset docere. Hoc ergo modo et simili animae tuae cura sit .

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Questo racconto, specie se mesco a raffronto con quello del De b ea la vita, 1 e con le Confessioni, tanto interessante, che nessun serio biografo e critico di Agostino ha potuto prescindere dal farne oggetto di esame. A m e, sono sempre parsi notevoli questi fatti: 1. Agoetino insiste sul fatto che il crietianesimo gli venne inculcato fin daHinfanzia, da entrambi i genitori: non vi cenno di una speciale influenza di Monnica, la quale non ha qui la funzione che aveva, viva, nel De beata vita, e non ancora esaltata com e nelle Confessioni; 2. la fase scettico-accademica di Agostino segue al suo distacco ideale dal manicheismo, ma non ancora alla sua rottura definitiva con questo; 3. non vi nessuna menzione della lettura dellHo/fensius; 4. nep pure vi sono menzionati i libri neoplatonici: in conseguenza di che, tutto U periodo del filosofare di Agostine si riduce appunto allaccademismo, e la conversione appare come un passaggio dal manicheismo, abbandonato gra datamente, al cristianesimo; 5. in questa maniera di raffigurare la conver sione di Agostino, acquista maggior risalto la figura di Sant'Ambrogio, da cui egli stato indotto ad accettare l'Antico Testamento in virt dell'inter pretazione allegorica; 6. la ricerca del vero si identifica con quella di unau torit che guidi ad essa. In confrorto con il De beata vita colpisce inoltre il non trovar m en zione di Manlio Teodoro, che nel De beata vita era ricordato accanto ad Ambrogio; ma vero che anche di questo non si fa il nome. E' invece ricor dato lattaccamento di Agostino al mondo, per, a differenza dal De beata v i t a e dalle Confessioni, esso presentato non quale causa di esitazioni a dedi carsi al)a vita contemplativa, bens come contemporaneo all'adesione al ma nicheismo. Agostino dice esplicitamente che non la considera una conse guenza del manicheismo, ma lascia intravedere che va imputato a questa dottrina falsa, la quale non stata capace dindurlo a compiere quella pu rificazione spirituale, che nel cristianesimo gli stata possibile ee non facile. Tutto ci colpisce tanto pi, quando consideriamo certe somiglianze anche formali: (p. e. la frase incidi in homines, De b. v.t 4; De util cred., 2; Confess. ITI, VI, 10: si direbbe che per certi avvenimenti della sua vita Agostino, abbia presto trovato l'espressione adeguata in una formula, che gli rimase impressa nella mente, e ricorse poi sempre). Ma anche evidente, che non ei pu affermare, con ii Guitton (o. c., p. 253) che nel De utii. cred. Agostino laisse de cot toute son hietoire morale, pour ne garder que lhistoire intellectuelle . Direi piuttosto che lele mento dottrinale e il morale sono ancora connessi, ma ij secondo subordi nato al primo, e considerato soltanto in funzione dell' illuminazione del lanima: che un fatto intellettuale, e non di fede. Ma ancora P* im portante che il racconto in esame mostri, come dice lo stesso Guitton quelle simpification Augustin pourrait tre tent de faire eubir sa pense, lorsquil veut dmontrer qu'il est utile de croire: insomma e. credo, involontaria mente serve ad una tesi. Ora, Agostino ci dice altres di aver concluso che non gli restava se non sperare nellaiuto dellfi Provvidenza, e pregare. Ma questa preghiera parte da lui, lui che ha deciso di farla e di continuare nella ricerca; ma il soccorso divino si limita a queeto: non vi nessuna in dicazione di un vero e proprio piano provvidenziale pfcr trarre Agostino alla fede; e, ripeto, Monnica non ha qui nessuna funzione. Pi ancora che le diffeienze materiali, conta, mi pare, il diverso atteggiamento spirituale. Certo non ei possono dimenticare i fini di questa operetta: attirare Onorato, impie

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gando quegli argomenti che eono pi suscettibili di far presa nell'animo suo, e dei suoi simili; e respingere le accuse dei manichei. Ma l'atteggiamento spirituale rivelatoci da questo racconto, e differentissimo da quello delle Confessioni, si spiega completamente solo mettendolo in relazione con le dottrine esposte nel resto del De util. cred.: larmonia tra le varie parti completa. (33) De util. cred., 14: N em o dubitat eum , qui v e m m religionem requi
rit, aut Iam credere immontalem esse animam, coi prosit illa religio, aut etiam id ipsum in eadem religione v e lle invenire... Anim ae igitur causa v e l sollus ve] maxime, vera, si qua est, r e l ig h constituta est . (34) De util. cred., 15: Fac nos repperisse alios aliud opinantes et di ve rsita te opinionum ad se quemque trahere cupicntes. Sed inter has fexce1lere famae interim celebritate quosdam a t q u e o m n i u m p a e n e o c . cupatione populorum. Utrum isti verum teneant, magna quaestio e s t ; se d nonne prius sunt exptorandi ut, quamdiu erramus, siquidem homines sumus, cum ipso genere humano errare videam u r? Che poi le chiese eiano frequentate anche da moltissimi imperiti, non un buon argomento (16). Ti

midamente, ed espresso in modo ancora imperfetto, collegato con il concetto del consenso universale, fa qui capolino l'argomento dell'universalit della Chiesa. (35) De util. cred., 22-25. (36) De U d . cred., 27: Nemini dubium homines taut stultos aut sa
pientes esse. Nunc autem sapientes vo co non cordatos et ingeniosos homines, sed eos, quibus inest, quanta in&sse homini potest, ipsius hominis Deique fir missime percepta cognitio atque huic cognitioni v ita moresque congruentes... Quis mediocriter intellegens non plane viderit stultis utilius atque salubrius esse p r a e c e p th obtem perare sapientium quam suo iudicio vitam d e g e re ?... Porro recta salio est ipsa virtus. Cui autem hominum virtus nisi sapientis animo prae sto est? Solus igitur sapiens non peccat. Stultus ergo omnis peccat, nisi in iis iactis, in quibus sapienti obtem peraverit: a recta enim ratione talis facta p ro ficiscuntur; 29. Huic igitur tam immani difficultati (che lo stolto riconosca il sa piente), quoniam de religione quaerimus, deus solus mederi potest: quem nisi et esse e t humanis mentibus opitulari credimus, nec quaerere quidem ipsam veram religionem debemus (si cfr. il De vera religione)... Recte igitur catholicae disciplinae maiestate institutum est, ut accedentibus ad religionem fides persua deatur ante omnia. Si noti, anche qui, lapparire dell argomentazione ricavata

dall'uso ecclesiastico. (37) De util. cred., 4: Reprehendentes Manichaei catholicam fidem e t m a


xim e V etus Testamentum discerpentes et dilaniantes com m oven t imperitos... Et quia sunt ibi quaedam quae suboffendant animos ignaros et neglegen tes sui quae maxima turba est populariter accusari possunt: defendi au tem populariter p ro p te r m ysteria , quae his continentur, non a multis admodum possunl. Perci Agostino fissa (5-8; cfr. De Gen. c. Man., e De vera relia.,

46 e 98-99; ma qui Agostino molto pi allegorista) le norme principali del l'interpretazione allegorica: quella usata appunto da Ambrogio (cfr. 20 cit. a n. 32; 9: N ec illam legefn necessariam esse dicimus nisi eis, quibus est adhuc
utilis servitus, ideoque utiliter esse latam, quod homines, qui revocari a p e c catis ratione non poterant, tali lege coercendi erant, poenarum scilicet ista rum, quae videri ab stultis possunt, minis atque terroribus; a quibus gratia Christi cum liberat, non legem illam damnat, sed aliquando vo s obtem perare

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suae charitati, non servire timori legis invitat. Ipsa est gratia, id est benefi cium, quod non intelligunt sibi venisse divinitus qui adhuc esse cupiunt sub vinculis legis. Uuos merito Paulus obiurgat tamquam infideles, quia a servitute, cui cefiio tempore iustissima Dei dispositione <9ubiecti erant, iam per d o minum nostrum lesum se liberatos esse non credunt... In quibus tamen legis p raeceptis atque mandatis... tanta m ysteria continentur, ut omnis pius intelligat nihil esse perniciosius quam quicquid ibi est accipi ad litteram... Si os

servi come la lettura di S. Paolo non abbia ancora presentato ad Agostino i problemi teologici essenziati, che gli riveler poi. 31: Nam ego credere ante rationem, cum percipiendae rationi non sit idoneus , et ipsa fide animum e x co
lere excipiendis seminibus veritatis non solum saluberrimum iudico, se d tale omnino sine quo aegris animis salus redire non p o ss it ; 33: cum enim sapiens sit Deo ita mente coniunctus (cfr. 13: T estar, Honorate . . . p u r i s a n i m i s i n h a b i t a n t e m D e u m ), ut nihil interponatur, quod separet Deus enim esi veritas nec ullo pacto sapiens quisquam est, si non veritatem mente contin gat negare non possumus inter stultitiam hominis et sincerissimam Dei veritatem medium quiddam interpositam esse hominis sapientiam. 'Sapiens enim, quantum datum est, imitatur D eum : homini autem stulto ad im itandum salubriter nihil est homine sapiente propinquius... Cum igitur et homo e sset imitandus et non in homine spes ponenda, quid potuit indulgentius e t libera lius divinitus fieri, quam ut ipsa Dei sincero aeterna incommutabilfsque sa pientia, cui nos haerere oportet, suscipere hominem dignaretur? 34: Haec est, crede, saluberrima auctoritas, haec prius mentis nostrae a terrena inhabitatione suspensio, haec in verum Deum ab huius mundi amore conversio. Sola est au ctoritas, quae co m m o vet stultos, ut ad sapientiam festinent... Sed id nunc a g i tur, ut sapientes esse possimus, id est inhaerere veritati:: quod profecto sor didus animus non potest. Sunt autem sordes animi... amor quarumlibet rerum praeter animum et Deum: a quibus sordibus quanto est quisque purgatior, tanto verum facilius intuetur... homini vero non valenti verum intueri, ut ad id fiat idoneus puigarique se sinat, auctoritas praesto est Cfr. anche l'esorta

zione finale ad Onorato, 36: Dio non l'autore del male. Ci che Agoetino ha imparato dai manichei, lo ritiene: ma presso i cattolici ha appreso Deum...
non esse corporeum, nullam eius partem corporeis oculis p o ss e sentiri, nihil de substantia eius atque natura ullo modo esse violabile aut commutabile aut compositicium aut fictum . (38) De util. cred., 33. (39) De duabus animabus, 1: Multa enim erant, quae facere debui, ne tam facile ac diebus paucis religionis verissimae semina mihi a pueritia salubriter insita (cfr. De ulil. cred., 2 cit. alia n. 32) errore v e l fraude falsorum fallaciumv e hominum effossa ex animo pellerentur; 11: Sed me duo quaedam m a xi me, quae incautam illam aetatem facile capiuntt per admirabiles adtrivere circuitus: quorum est unum familiaritas nescio quomodo repens quadam im a gine bonitatis tamquam sinuosum aliquod vinculum multipliciter collo in v o lutum; alterum, quod quaedam noxia victoria paene mihi sem per in disputa tionibus proven iebat disserenti cum imperitis, sed tamen fidem suam certatim ut quisque posset defendere molientibus, christianis; 23-24; 9: hortarer... ho mines... nihil nos iam quasi c o m p e r i l e praesumeremus, sed quaereremus p o tius magistros qui sententiarum istarum, quae nobis inter se pugnare v id ere n tur, pacem concordiamque monstrarent. Per un preannuncio di questo scritto, v. De v. relig., 17.

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(40) De duab. anim., 1: Nam primo animarum illa duo genera ... si m e cum sobrie diligenterque considerassem mente in Deum supplici et pia, l o t tasse mihi satagenti apparuisset nullam esse qualemlibet vitam , quae non eo ipso quo vita est, &i in quantum omnino vita est, ad summum vitae fontem principiumque pertineat: quod nihil aliud quam summum et solum et verum Deum possumus confiteri. Q uapropter illas animas, quae a manichaeis v o ca n tur malae, aut carere vita et anim as non esse neque quidquam velle seu nolle, appetere v e l fugere, aut si vive ren l, ut et animae esse possent et aliquid tale agere quale illi opinarentur, nullo modo eas nisi vita v iv e r e ; at si Christum dixisse constaret, ut constat, ego sum vita , nihil esse causae, cur non om nes animas, cum animae nisi viv e n d o esse non possint, p e r Christum, id est per vitam, creatas et conditas fateremur; 5; 7; 9: Nam et nos fortasse i m p l o rato in a u x i l i o D e o , (cfr. n. 47) facile videre possemus aliud esse vivere, aliud peccare e t quamquam vita in peccatis in comparatione iuslae v i tae mors appellata sit (/ Tim.'W, 6) utrumque tamen in homine uno posse in v e niri, ut simul sit v iv u s atque peccator. Sed, quod vivu s, ex Deo, quod peccator, non ex Deo... cum Dei conditoris omnipotentiam insinuare volumus, eliam pec catoribus dicamus, quod ex Deo sint... cum autem malos arguere propositum est, recte dicimus non estis ex Deo. 10: Etenim anima quamvis sit immortalis, tamen, quia mors eius rite dicitur a Dei cognitione* aversio, cum s e convertit ad Deum, meritum est aeternae v ita e consequendae, ut sit aeterna vita, sicut dictum est, ipsa cognitio. Converti autem ad Deum nemo, nisi ab hoc mund se averterit, potest; 14: Non igitur nisi voluntate peccatur... Definitur itaque hoc modo: v o luntas est animi motus cogente nullo ad aliquid v e l non amittendum v e l adi piscendum; 15: Prius etiam peccatum definiamus, quod sine voluntate esse non posse o m n i s { n e n s a p u d \9 e d i v i n i t u s c o n s c ri p t u m legit. Ergo peccatum est voluntas retinendi v e l consequendi quod iustitia v e ta t et unde liberum est abstinere; 19: ita enim nunc constituti sumus ut et per carnem voluptate adfici et per spiritum honestate possimus... Possumus enim melius et multo expeditius intellegere duo genera rerum bonarum, quoricjn tamen neutrum ab auctore Deo sit alienum, animam unam ex diversis adheere partibusf inferiore ac superiore, ve l quod rccte ita dici p o te s t , ex te riore atque interiore. Ista sunt duo genera, quae sensibilium et intelligibilium nomine paulo a nte tractavimus, quae carnalia et spiritalia libentius et familia rius nos vocamus. Sed factum est nobis difficile a carnalibus abstinere, cum panis verissimus noster spiritalis sit. Cum labore namque nunc comedimus p a nem. N equ e enim nullo in supplicio sumus peccato transgressionis mortales ex immortalibus facti. (41) De duab. anim. 16: quisquis secreta conscientiae euae legeeque divinas penitus naturae inditas apud animum intus, ubi expressiores certioreeque eunt, consulene...; cfr. i paesi nelle note 39 e 40. (42) Qfr. il del c. 19 riferito nella . 40. (43) P. Alfaric (V volu tion intellectuelle de Saint Augustin, Par6 1918, 484 sgg., note) ne ha segnalato minuzioeamente punti di contatto col De mu sica; ma delluno e dell'altro ha alquanto anticipato e spezzettato, secondo a me pare, la composizione. Conviene considerare anche le eomigiianze con il De vera religione, segnalate dal Drriee, o. c. Che sia cos, naturale, perch lintervallo di tempo fra queste opere minimo. Per me, 6gnificativo che proprio con il De duabus animabus si ri present ad Agostino il problema della libert del volere.

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(44) V. il cap. precedente. (45) De lib. arb., II, 3: Si enim homo aliquod bonum esi, et non poteei niei cum vellet recte facere, debuit habere liberam voluntatem, sine qua recte facere non poeset. Non enim quia per illam etiam peccatur, ad hoc eam D eum dedisse credendum est. Satis ergo caueae eet, cur dari debuerit, quoniam sine illa homo recte non poteet vivere. (46) De lib. arb., II, 4-7. Da notare 4: Donabit quidem Deus, ut spero, ut tibi valeam respondere, vel potiue ut ipee tibi, eadem, quae summa o m rium magistra est , verita te inlus docente, reepondeae. Cfr. 38 e 41. De m a g ., 38 e 40; De vera rei. , 101 e 72; De uMl. cred., 33 e 15; De duab. anim., 15: citati rispettivamente nelle note 52 e 53; c. I, n. 40; c. II, nn. 10, 34, 37, 40. (46 bis) A proposito dol eenso interno ei veda: R. Mondolfo, La t e o ria del sentido interior en San Agustin y sus antecedentes griegos, in In su la (Buenos Aires). I (1943), num, 2. (47) De lib. arb., II, 13-14 Cum ergo eam naiuram quae tantum e st n e c
v iv i t nec intellegit pra eceda t ea natura, quae non tantum est sed etiam v i v i t nec intellegit, sicuti est anima bestiarum, et rursus hanc praecedat ea q u a e simul esi et v iv it et intellegit, sicut in homine mens rationalis; num a r b i tr a ris in nobis, id est, in his quibus natura nostra completur ut homines sim u s, aliquid intveniri posse praestantius quam hoc quod in his tribus tertio lo c o posuimus?... Quid? si aliquid invenire potuerimus, quod non solum esse non dubites, sed ipsa nostra ratione praestantius, dubilabisne illud, quidquid ets , Deum d ic ere ? } (Ev.): No n enim mihi placet Deum appellare, quo mea ra tio est interior, sed quo nullus est su p e r io r ; (Aug.): S e d quaeso te, si non in veneris esse aliquid supra nostram ralionem, nisi quod aeternum atque in commutabile est, dubitabisne hunc Deum dicere?... (ratio) si nullo ad h ib ito corporis instrumento... sed per se ipsam cernit aeternum aliquid et in c om m u tabile, simul et se ipsam inferiorem et illum oportet Deum suum esse fa t e a tur... mihi satis erit ostendere esse aliquid huiusmodi, quod aut fa teberis Deum esse, aut si aliquid supra est, eum ipsum Deum esse concedes. Q u a re sive supra sit aliquid siv e non sit, manifestum erit Deum esse, cum ego q u o d promisi esse supra rationem e o d e m i p s o a d f u v a n t e m on stravero cfr. De duab. anim., 9 n. 40: imploralo in auilio Deo: aiuto divino cohsiste

nel fatto che la verit, la quale risiede nellanima, si fa manifesta, cfr. i paesi cit. alla n. 46. (48) De lib. arb. II, 15-21; per l'eeempio: cfr. 34, n. 52 e Confess., VI, 6. (49) De Hb. arb. II, 22: Unum vero quisquis verissim e cogitat, profecto
in venit corporis sensibus non posse sentiri; quidquid enim tali sensu attin gitur, iam non unum, sed multa esse convincitur... Ubicumque autem unum noverim, non utique per corporis sensum novi, quia per corporis sensum non novi nisi corpus... Porro si unum non percepimus corporis sensu, nullum nu merum eo sensu percepimus, eorum dumtaxat numerorum quos intelligentia cernimus. La legge che regge i numeri non ei comprende nisi in luce in te riore conspicitur, quam corporalis sensus ignorat (ibid., 23). (50) Eccl., VII, 26, cit. in De lib. arb. II, 24. (51) De lib. arb. II, 25; 26: Num aliud putas esse sapientiam nisi veritotem, in qua cernitur et tenetur summum bonum? Nam illi omnes quos com memorasti diversa sectantes, bnnum appetunt et malum fugiunt ; sed propterea diversa sectantur, quod aliud alii videtu r bonum... In quantum igllur

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omnes homines appetunt vitam beatam, non errant... Ut ergo constat nos beatos esse velle, ita noe constat velle esse sapientes, quia nemo sine sapien tia beatus est , N emo enim beatus est nisi summo bono, quod in ea veritate, quam sapientiam vocamus, cernitur et tenetur... Sicut ergo ante quam beali sumus, mentibus tamen nostris im pressa est notio beatitatis... ita etiam prius quam sapientes simus, sapientiae notionem in mente habemus im pressam ... Si summum bonum omnibus bonum est, oportet etiam veritatem in qua cer nitur et tenetur, id est, sapientiam, omnibus unam esse communem ; 28-29:

Abbiamo dimostrato che la sapienza esiste. Ma vi sano verit che tutti am mettono: verit morali e altre Manifestissimum est igitur omnes has, quas
regulas diximus et lumina virtutum, ad sapientiam pertinere... Quam ergo v e rae atque incommutabiles sunt regulae numerorum... tam sunt verae atqa& incommutabiles regulae sapientiae; 30: (adtingit a fine usque ad finem fortiter et disponit omnia suaviter [Sap. VIII, 1]); ea potentia, qua fortiter a fine usque ad finem adtingit, numerus fortasse dicitur; ea vero qua disponit omnia suaviter, sapientia proprie iam vocatur, cum sit ulrumque unius eiusdemque sapientiae; 32: Sed quemadm odum in uno igne consubstantialis, ut ita dicam, sentitur fulgor et calor, nec separari ab invicem possunt, tamen ad ea calor p ervenit, quae prope admoventur, fulgor vero etiam longius latiusque diffun ditur; sic intelligentiae potentia, quae inest sapientiae, propinquiora fe r v e scunt, sicuti sunt animae rationales, ea vero quae remotiora sunt, sicuti cor pora, non attingit calore sapiendi sed persuadit lumine numerorum. Quod tibi fortasse obscurum est. Non enim ulla visibilis similitudo invisibili rei potest ad omnem convenliam coaptari. Ma in ogni modo, illud certum mani festum est, utrumque (la eapienza e il numero) verum esse et incommutabiliter verum.

(52) De lib. arb., II, 34: Et iudicamus haec secundum illas interiores re gulas veritati tsv quas communiter cernimus; de ipsis vero nullo modo qiiiia* iudicat. Cum enim quis dixerit aeterna temporalibus esse potiora, aut septem et tria decem esse, nemo dicit ita esse debuisse, sed tantum ila esse cogno scens, non examinator corrigit sed tantum laetatur inventor. Si autem esset aequalis mentibus nostris haec veritas, mutabilis etiam ipsa esset. Mentes enim nostrae aliquando eam plus viderit, aliquando minus, et ex hoc fatentur se esse mutabiles, cum illa in <se manens nec proficiat cum plus a nobis v i detur, nec deficiat cum minus, sed integra e t incorrupta et conversos laetificet lumine et aversos puniat caecitate... Quare si nec inferior nec aequalis est, restat ut sit superior atque excellentior; 37: Ha?c est libertas nostra, cum isti sub dimur veritati, et ipse est Deus noster, qui nos liberat a morte, ed est, a con ditione peccati. Ipsa enim Veritas, etiam homo cum hominibus loquens, ait credentibus sibi [lo h ., VIII, 31]. Nulla enim re fruitur anima cum libertate, nisi qua fruitur cum securitate. Nemo autem securus est in iis bonis quae p o test invitus amittere; veritatem autem atque sapientiam nemo amittit in v itu s; 38: De toto mundo ad se conversis qui diligunt eam, omnibus proxi ma est, omnibus sempiterna; nullo loco est , nunquam deest; f o r i s a d m o net, intus docet; cernentes se commutat omnes in melius, a nullo in deterius commutatur; nullus de illa iudicat, nullus sine illa iudicat bene, 39: Tu autem concesseras, si quid supra mentes nostras esse monstrarem. Deum te esse confessurum, si adhuc nihil esset superius... Si enim aliquid est excellentius, ille potius Deus est; si autem non est, iam ipsa Veritas Deus est. Sive ergo illud sit, sive non sit, Deum tamen esse negare non poteris... C5 >

Nam si te hoc m o v e t, quod apud sacrosanctam disciplinam Christi in fidem recipim us, esse Patrem sapi/ifiae# m em ento rips etiam hoc in fidem accepisse , quod aeterno Patri sit aequalis quae ab ipso genita est Sapientia. Cfr. De Vera relig. 58 e 60-66. (53) De lib. arb., II, 41: Quoquo enim te verteris vestigiis quibusdam quae operibus suis im pressit loquitur tibi et te in exteriora relabentem, ipsis exterioribus formis retro revocat, ut quidquid te delectat in corpore e t per corporeos illicit sensus v id ea s esse numerosum e t quaeras unde sit et i n t e i p s u m r e d e a s atque intelligas te id quod attingis sensibus corporis proba re aut improbare non posse nisi apud te habeas quasdam pulcritudinis leges, ad quas referas quaeque pulcra sentis exteriu s . Non qccorre davvero rneistere su questo, e simili passi, per mostrare l'affinit col De vera religione: anche,

qui la Sapienza, che il Logos divino, 'quella stessa che c'impone il ritorno a noi stessi e insieme la suavissima lux purgatae mentis (ibid., 43) . V. anche 45: Hinc etiam comprehenditur omnia providentia gubernari. Si enim omnia quae
sunt, forma penitus subtracta nulla erunt, forma ipsa incommutabilis, per quam mutabilia cuncta subsistunt, ut formarum suarum numeris impleantur et agan tur, ipsa est eorum providentia: non enim ista essent, si illa non esset; 46: Quamobrem quanlacumque bona, quam vis magna, quamvis summa, nisi ex Deo esse non possunt. (54) De lib. arb. II, 52: Voluntas ergo quae medium bonum est, cum inhaeret incommutabili bono, eique communi non proprio sicuti est... veritas, tenet homo beatam vitam,- eaque ipsa vita beata, id est animi affectio inhae rentis incommutabili bono [cfr. il cum Deo esse dei dialoghi di Cassiciaco] proprium et primum est hominis bonum; 53: Voluntas autem aversa ab im mutabili et communi bono et conversa ad proprium bonum, aut ad e xteriu s aut ad inferius peccat: Ij peccato dunque 1' aversio della volont ab in commutabili bono et conversio ad mutabilia bona; quae tamen aversio atque conversio, quoniam non cogitur, sed est voluntaria, digna et iusta eam m ise riae poena consequitur ; 54: Si enim motus iste, id est aversio voluntatis a Domino Deo sine dubitatione peccatum est, num possumus auctorem peccati Deum dicere? Non erit ergo iste motus a Deo. Unde igitur erit? Ita quaerenii tibi, si respondeam nescire me, fortasse eris tristior: se d tamen vera respon derim. Sciri enim non potest, quod nihil est... Omne autem bonum ex Deo; nulla ergo natura est, quae non sit ex Deo. M otus ergo ille aversionis, quod fatemur esse peccatum , quoniam defectivus motus est, omnis autem defectus ex nihilo est, v id e quo pertineat, et ad Deum non pertinere ne dubites. Qui ta m en defectus, quoniam est voluntarius, in nostra est positus potestate. Si enim times illum, oportet ut nolis; si autem nolis, non erit... S sd quoniam non sicut homo siponte cecidit, ita etiam sponte surgere potest, porrectam nobis desuper dexteram Dei, id est, Dominum nostrum lesum Christum fide firma teneamus et exspectem u s certa spe et caritate ardenti desideremus.

(55) Evodio sa come rispondere a chi non vuol credere: costui deve di mostrare di essere incredulo in buona fede. De lib. arb. IIf 5 Tum ego demon
strarem quod cuivis facillimum puto, quanto est aequius, cum sibi de occultis animi sui, quae ipse nosset, ve lle t alterum credere qui non nosset, ut etiam ipse tantorum vn o ru m libris, qui se cum Filio Dei vix isse testatum litteris re liquerunt, esse Deum crederet... e t nimium stultus esset si me reprehenderet quod illis crediderim, qui sibi v e lle t ut crederem cfr. De util. cred. 23-24.

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Ili
Agostino ci si mostrato finora, tra laltro, animato da un gran fervore di combattere il manicheismo. Ma la polemica si svolta per lo pi indirettamente, in ogni modo non mai contro un avver sario determinato, quasi campione della setta. Sotto questo rispetto dunque una novit YAd Fortunatum, che viene cos ad essere la prima delle opere direttamente polemiche di Agostino. E tro viamo pure qui, per la prima volta, queHargomento contro i mani chei, del quale egli, nelle Confessioni, attribuisce la paternit allamico Nebridio (1). Ma nel resto largomentazione sostanzialmente non muta. Bisogna distinguere due generi di mali, il peccato, che volontario e opera delluomo, e la pena del peccato, la quale risale a Dio, che giusto e ha dato allanima umana il libero arbi trio, affinch tutto il creato le fosse sottomesso, purch essa volesse servire Dio. Quindi luomo pu redimersi seguendo, volontaria mente, i precetti di Cristo. Il peccato di Adamo opera del suo libero arbitrio ; dopo di lui il genere umano pecca perch il corpo mortale e tutto luomo reso pi suscettibile di lasciarsi sedurre dai beni inferiori e a poco a poco si avvezza al male e perde la capacit di resistere. Ma quando la grazia ispira alluomo lamor divino, la sua anima resa capace di liberarsi da quella consuetu dine malvagia da cui prima era come avvinta ; e quindi pu volgersi verso la giustizia e con ci procurare lelevazione del corpo, la quale sar completa nella resurrezione. !n tale modo Agostino interpreta ancora San Paolo. Quella che si trasmette alluomo la mortalit, cio la pena del peccato. Se cos non fosse, verrebbe meno gli sembra la giustizia oppure
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si attribuirebbe a lui lorigine del male, come fanno appunto i mani chei. Tuttavia non si affaccia ancora alla sua mente, neppure come un dubbio, lidea che nella lettera ai Romani lapostolo possa parlare di s, e non degli uomini in genere : perci i passi delle pistola, che sono presenti al suo spirito, Agostino li interpreta in relazione a I Cornzi, XV. Ci glimpedisce dintendere, anche in questo scritto, la grazia divina in modo diverso da come ha fatto nelle sue opere precedenti, e di vedere in essa molto pi che lillu minazione dellintelletto; cos egli, in conformit con questo modo di pensare, si riferisce assai pi ai precetti di Cristo, che non alla espiazione e redenzione operata da lui (2). Non dissimili da queste sono, relativamente ai problemi del male, del peccato e della redenzione, le idee esposte nel D e fide et symbolo. Ritroviamo anzitutto la distinzione tra coloro che si contentano di credere e gli uomini spirituali che non solo cre dono, ma intendono pienamente il contenuto della fede e hanno il cuore puro (3). A proposito della remissione dei peccati, Ago stino ricorda due volte il passo famoso di S. Polo, Rom. VII, 25, inteso del resto ancora come riferito a tutti gli uomini, non alla persona dellapostolo. Ma ivi si parla solo di mente e di car ne ; perci Agostino deve spiegare che lo spiritus, parte razionale dellanima, lo stesso che la mens e che lanima che desidera, beni carnali e temporali pu essere chiamata carne. Questa resiste allo spirito, non perch tale sia la sua natura, ma perch in natura si trasformata la consuetudine al male, in conseguenza del peccato di Adamo. Ci non toglie che lanima purificandosi, possa sotto mettersi allo spirito, e questo a Dio, bench pi lentamente. Il risultate ultimo sar la purificazione anche del corpo, restituito anchesso alla sua natura originaria, che buona; ma ci avverr soltanto pi tardi, con la resurrezione (4). Il raffronto con gli scritti precedenti di Agostino ci assicura che questo ravvicinamento della dottrina della redenzione con la resur rezione, e specialmente questo interpretare i capitoli centrali della epistola ai Romani attraverso il c. XV della I ai Corinzi, non una novit e non pu essere spiegato col fatto che egli sta ora com mentando il Simbolo della fede dove questi punti sono vicini. Ma a proposito della resurrezione, notevole come Agostino riaffermi qui la sua fede in essa contro le obiezioni di filosofi ed
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eretici (5). Questo proeccuparsi degli eretici non cosa nuova in lui, ma ora egli vi pensa in modo particolare e li passa in rassegna partitamente, a proposito dei singoli articoli del Credo. In primo luogo vengono coloro che negano lonnipotenza di Dio Padre, in quanto non attribuiscono a lui la creazione della materia (6). Appaiono qui i motivi antimanichei, evidenti anche nel passo intorno al peccato, e poco doco, a proposito di Dio e della nascita verginale del Cristo (7). A proposito del Verbo, sono segnalati sabelliani e ariani (8) ; e trattando dellincarnazione, ripetuto il concetto che lopera del Cristo quella di un maestro, v un accenno ad Apollinare (9). Quindi, venuto a parlare della Passione, Resurrezione ed Ascensione in cielo di Cristo, Agostino manifesta di nuovo la sua cura di combattere i manichei ed ogni forma di dualismo, anticipando quello che dir occupandosi della resurre zione (10), nonch la sua ansia di dimostrare la possibilit per il corpo umano, di riacquistare la perfezione primitiva. Come nello pera del Cristo egli segnala l'esempio, e attribuisce la massima im portanza alla Resurrezione ed allAscensione, cos per lui la reden zione del genere umano consiste nella purificazione ddl'anim a, che causa anche quella del corpo. Ma, nello stesso tempo, accanto alle indiscutibili somiglianze ideali con le opere precedenti, il D e fide et symbolo ci presenta qualche cosa di nuovo. Anzitutto, anche se su qualche particolare si possa o voglia rimanere incerti, vi il fatto della assai maggiore familiarit con gli scrittori cristiani dellAfrica (11) e una pi viva conoscenza delle condizioni di quella Chiesa : la precisione con cui segnata la distinzione tra scismatici ed eretici (12) mostra che Agostino conosce ora degli scismatici reali, e che anche delle varie eresie a parte i manichei egli ha una nozione pi concreta. Anche le citazioni bibliche, come e.Vcrno meglio tra poco, si fanno pi numerose. Del resto, il D e fide et symbolo redatto con molta cura, come prova la paludata classicheggiante solennit del periodare e luso delle clausole metriche il discorso che Agostino, presbi tero, pronunci di fronte ai vescovi adunati a concilio in Ippona, in secretario Basilicae Pacis, 8 ottobre 393. La disputa con. For tunato. lopera cio che secondo le Retractationes precedette imme diatamente questo discorso, ebbe luogo il 28 e il 29 agosto del 392. 69

Ma questo intervallo si riduce alquanto, se pensiamo che la reda zione per iscritto dell\4rf Fortunatum avr richiesto un certo tempo, e cos pure la p rep a ra to n e del De fide. Dalle Retractationes ( 3) . difficile ricavare qualche dato positivo : le espressioni eodem tem pore e per idem, tempus, impiegate con una certa frequenza in questa parte del I libro, non sono che formule, ed equivalgono all'altra: adhuc p re 'J yter o equivalenti (14). Conviene perci considerare linsieme del I libro delle Retrac tationes e il suo ordine. Il primo libro enumera altre 10 opere ante riori all episcopato; ma poich anche della data di questo si discute, dobbiamo contare anche altri cinque scritti, tutti anteriori alle Confessioni, per le quali si pu accettare la data del 397-8 (15). Per quanto alcune di queste opere posteriori al D e fide abbiano potuto essere iniziate parecchio tempo prima della loro pubblicazione, e quindi si possa essere indotti a collocare la loro redazione nello stesso torno di tempo in cui Agostino preparava il suo discorso solenne, restano sempre, tra il Contra Fortunatum e il D e fide alcuni mesi, poniamo sei o sette, di inattivit letteraria : cosa tanto pi notevole, se la paragoniamo alla fecondit del periodo prece dente e a quella del successivo. E appunto questultima, insieme con la produzione degli anni 391-392, cimpedisce di credere che questa sospensione dellattivit letteraria di Agostino si possa attri buire unicamente al fatto che le sue mansioni sacerdotali lo abbiano assorbito completamente. Se invece consideriamo che in questi mesi egli pu aver incominciato a preparare qualcuno degli scritti pubbli cati posteriormente allottobre 393, e se esaminiamo questi ultimi e i caratteri nuovi che presentano, allora tutto si fa chiaro. Quei mesi furono senza dubbio un periodo di raccoglimento e di prepa razione durante il quale Agostino, divenuto uomo di Chiesa e posto in pi immediato contatto con la vita religiosa del popolo, si accinse a rimediare alla lacune chegli avvertiva nella sua preparazione (16). In questo lavorio di adattamento alle nuove condizioni in cui si veniva svolgendo la sua attivit e ai nuovi compiti che gli venivano imposti, anche come scrittore, molte cose dovettero essere sottopo ste a revisione, e su parecchi punti egli dovette mutar di parere. La produzione letteraria successiva di Agostino ci fornisce la con ferma di questa tesi e ci presenta parecchie novit. Al pi profondo ed intimo attaccamento alla Chiesa di cui 70

son segni la maggiore preparazione teologica e la pi viva preoc cupazione di combattere le eresie si accompagnano una modifi cazione del metodo esegetico e lardente desiderio di accostarsi al popolo. 1 D e Genesi ad litteram Uber imperfectus ci offre la prima 1 di queste novit. Esso s inserisce nella polemica che dalla sua conversione in poi Agostino conduce contro il manicheismo e tanto circa il male e il peccato quanto a proposito dei rapporti tra fede e ragione ma circa questi ultimi forse insistendo un po mag giormente sullossequio dovuto allautorit della Chiesa (17) ripete considerazioni che gi conosciamo. Ma innegabile che il metodo dellinterpretazione mutato, e costituisce una novit degna di nota (18). Ora, se si ha presente ci che Agostino stesso ha detto nel D e utilitate credendi (19), nulla esser pi pericoloso dellaccettare alla lettera ci che detto nella Scrittura, questo mutamento richiede pure una spiegazione. Egli stesso non ci dice altro se non che, quando volle sperimentare le proprie forze in questo negotio sissimo ac difficillimo opere era ancora, in fatto desegesi biblica, un novizio (20). Pu darsi che, a un certo punto della sua lotta contro il manicheismo, egli abbia ritenuto utile di rinunciare alla comoda interpretazione allegorica, per prendere la via pi difficile e precludere cos agli avversari ogni scampo, dimostrando che, anche presi alla lettera, Vecchio e Nuovo Testamento sono lungi dal contraddirsi, giacch, come Scritture entrambe rivelate, non possono contenere che la verit. Ma questa non ancora una risposta sod disfacente, in quanto non ci spiega n come Agostino sia giunto a constatare lutilit di quel cambiamento di metodo, n perch esso sia avvenuto proprio in quel momento. L ipotesi c h egli, entrato invece nella vita vissuta della Chiesa, abbia sentito il bisogno di aderire pi strettamente alla regola di fede e di studiare la Scrittura per se stessa e non pi soltanto per trovare in essa la conferma di quanto la sua filosofia dimostrava ci permette di pensare che proprio da questa rinnovata e approfondita lettura della Bibbia gli sia venuta lidea di mutare il metodo della polemica e di attenersi anche nellesegesi a quel modo pi semplice, chera necessario adottare nella predicazione ai popolo. E infatti Agostino si rivolge ora anche ai semplici fedeli, non soltanto a quel pubblico colto cui sono evidentemente destinate le 71

opere da lui scritte finora. Il D e Sermone Domini in monte ha tutta laria di essere la rielaborazione di una serie di sermoni, tenuti forse ai catecumeni. Egli ricorre ancora, vero, allinterpretazione allegorica, cercando significati riposti e facendo qualche lambiccata speculazione sui numeri (21), ma il tono generalmente semplice e discorsivo, n mancano le allusioni di carattere locale, i riferimenti al punico e le spiegazioni alla buona di termini difficili (22). Non sono venute meno le preoccupazioni antimanichee e Ago stino cita, per confondere questi avversari, un libro non canonico, ma da loro tenuto in onore : gli Acta Thomae (23). Ma egli ricorda accanto a questi anche altri ei etici e scismatici, i quali si vantano dessere i pi veri, anzi i soli cristiani, perch patiscono persecu zioni (si tratta senza dubbio dei donatista e risponde loro che non v giustizia dove non esistono te cant e la retta fede e la disci plina (24). Ricaviamo da tutto questo limmagine di un Agostino che ha ormai molto maggiore familiarit con la Bibbia (25) ed molto pi legato con la vita ecclesiastica. Pure, la concezione del peccato e della redenzione rimasta la stessa. I bisogni fisici e la mortalit sono una pena; il peccato opera della libera volont umana, un cadere verso i beni inferiori, reso pi facile dalla consuetudine. Resistere difficile, ma non im possibile; il precetto della carit, il dovere d aiutare gli altri, deve essere tanto pi osservato da chi desidera per s laiuto divino. 1 quale consiste nei precetti stessi del Vangelo. Se gli apostoli 1 hanno potuto conseguire la perfezione in questo mondo, non escluso che vi possano pervenire altri ; ma una perfezione assoluta non sar raggiunta se non con la resurrezione. E anche il celebre inciso Romani VII, 25, come gli altri passi che Agostino cita, interpretato nella maniera che conosciamo. La fiducia di Agostino nei princpi che lo hanno guidato fin qui e ispirato in tutta la sua polemica contro il manicheismo tuttaltro che scossa : ma sembra di scorgere, neirinsistenza con cui quei passi ritornano sotto la sua penna, un certo bisogno, ancora da lui non bene avvertito, di vedere pi chiaro, di comprendere pi a fondo (26). Ci che Agostino dice degli scismatici nel D e sermone D om ini pu far pensare chegli avesse in mente i donatisti. Ad ogni modo, anche se ci non apparisse dimostrabile, sta di fatto che linizio della polemica ed una novit importante, anche se si voglia 72

vederne il preannuncio gi negli accenni del De vera religione (27) cade precisamente in questo periodo. Del 392 la lettera a Massimino di Sinitum (28), in cui troviamo gi largomento che la circoncisione dellAntico Testamento, prefigurazione del batte simo era unica, e quello cavato dalla parabola del grano. En trambi derivano probabilmente da Ottato di Milevi. Allaccusa che i donatisti rivolgevano ai cattolici, di ricorrere cio alla forza pubblica, Agostino risponde implicitamente, in quanto rinuncia allappoggio dellautorit ; mentre nella proposta di tenere una disputa in regola non forse avventato scorgere un riflesso della vittoria da lui riportata nella discussione pubblica con Fortunato. Ma linizio della controffensiva cattolica contro il donatismo segnato appunto dal concilio di Ippona. E in relazione con esso da porre senza dubbio il Psalmus abecedarius contra partem Donati, in cui linflusso di S. Ottato di Milevi evidentissimo. Nonostante la sua scarsa originalit e il mediocre interesse che presenta dal punto di vista teologico, questo Psalmus (interessante e assai studiato sotto aspetto letterario e metrico) costituisce per un documento importante, perch ci mostra Agostino sollecito di condurre una attiva propaganda tra il popolo. Ma accanto ad esso, lo scrittore che si era tanto distinto nella confutazione del mani cheismo sent il dovere di preparare unopera pi seria, e avendo potuto leggere uno scritto del fondatore della setta redasse il Contra epistolam Donati. Il poco che sappiamo di questopera perduta mostra che Agostino era tuttora non bene al corrente di questioni come quella del battesimo degli eretici e continuava ad usare codici della Bibbia di origine italiana (29). Assieme a cotesti scritti, e sempre in relazione con il concilio d Ippona, da porre con ogni probabilit anche YEnarratio in Ps. XXXV dove, nono stante la distinzione tra scisma ed eresia, Donato e il recentissimo Massimiano sono considerati come eretici, insieme con Ario (30). Che linizio della polemica antidonatista cada in questo mo mento della vita di Agostino, non certamente un caso. Sembra infatti strano che egli non avesse alcuna notizia dello scisma ante riormente al concilio dIppona. E vero che i dissidenti erano rari a Tagaste, e numerosi invece a Ippona, dove anche si associarono ai cattolici nel domandare che fosse confutato Fortunato (31); ed vero altres che la stessa gerarchia cattolica per parecchio tempo,
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prima del concilio d ippona, non aveva agito energicamente. Ma il primo di questi argomenti vale soltanto per il periodo successivo a) ritorno di Agostino dallItalia; sembra per incredibile che per anni, mentre visse in Cartagine, egli ignorasse completamente lesi stenza dello scisma che travagliava la Chiesa africana e aveva dato tanto da fare anche alle autorit civili. Pu darsi che allora egli lo considerasse con indifferenza ; e pu darsi che tale indifferenza continuasse anche dopo il battesimo e il ritorno in patria, allorch la sua preoccupazione pi viva fu quella di combattere le dottrine alle quali si sentiva rinfacciare di avere un giorno aderito e che ora egli detestava con tutta lanima. Ma se il donatismo cominci ad attrarre lattenzione di Agostino in Ippona, non dobbiamo di menticare che ivi egli si stabil quando fu chiamato al sacerdozio; se il suo disinteresse per lo scisma cessa nel momento stesso in cui i vescovi decidono di combatterlo, questa una conferma del fatto che, da questo momento in poi, Agostino incomincia a par tecipare attivamente alla vita della Chiesa. Colpi contro i manichei non mancano del resto neppure nelYEnarratio in ps. XXXV (32), e la polemica viene ripresa nel Contra Adimantum, che tuttavia non presenta grande interesse. V qualche punto di contatto con il D e sermone D omini in monte, in ispecie il racconto tratto dagli Acta Thomae, con somiglianze anche verbali (33). Vi ritroviamo il solito argomento principe (34) di cui abbiamo segnalata lapparizione nel Contra Fortunatum; ma su tutti gli altri punti che hanno richiamato sin qui la nostra attenzione contrasto tra uomo vecchio e 1 uomo nuovo e tra carne e spirito, distinzione tra peccato e pena, perfezione conseguita in terra dagli apostoli, ecc. non vi nulla di nuovo da segnalare (35). Pu colpire, forse, il fatto che lautorit tuttora subordinata alla ragione; ma questo affermare che si ricorrer soltanto alla ragione comune ad ogni polemica che si proponga di convincere lavversario o per lo meno un lettore senza pre concetti (36). Nuovo qui soltanto il metodo seguito nella pole mica, il quale consiste nellesporre tutte le antitesi tra il Vecchio e il Nuovo Testamento segnalate dallavversario, per confutarle minutamente una per una ; anzi, Agostino indica altre antitesi, ma che conducono a conclusioni del tutto diverse da quelle dei ma nichei. 74

Agostino si muove ora a tutto suo agio attraverso le varie parti della Bibbia e le citazioni si affollano numerose sotto la sua penna. E questa unaltra delle novit che riscontriamo in questo periodo, specialmente a partire dal D e sermone Dom ini in monte, e anche dal D e fide et symbolo (37). In pari tempo, il problema dei rap porti tra lAntico e il Nuovo Testamento, che gli si ripresenta nel confutare Adimanto, lo spinge ad accogliere il concetto di S. Paolo, che la legge stata il pedagogo del tempo della schiavit e a rav visare nell'Antico Testamento la prefigurazione del Nuovo (38) ; e ci a sua volta trattiene Agostino dal continuare il tentativo iniziato nel D e Genesi ad litteram e lo respinge verso linterpretazione alle gorica : ma soprattutto lo avvia verso uno studio rinnovato, e pi accurato e approfondito, del pensiero di S. Paolo.
N O T E
(1) A c ta contra Fortunatum, 7: Si Deus nihil pati potuit a gente tene brarum, quia inviolabilis eet, eine causa huc nos misit ut nos hic aerumnae patiamur. Si autem pati aliquid potuit, non est inviolabilis; 9: Si enim potest aliquiid nocere ei, non eet inviolabili^. Si non poteet ei aliquid nocere, quid ei factura erat gens tenebrarum? ; cfr. C. Adim antum t 28, 1: Q u id ergo incor ruptibili Deo factura erat gens tenebrarum, si cum ea pugnare noluisset? , da cui pi direttamente sembra derivare Confess., VII, 2, 3. Ecco dunque unaltra formula che rimane fieea: cfr. cap. II, n. 32. (2) C. Fortun., 15: Contraria isb quae te movent, ut adversa 6entiamue, propter peccatum nostrum, id eett propter peccatum hominis contigerunt. Nam omnia Deus et bona fecit et bene ordinavit; peccatum autem non fecit t hoc est eolum quod dicitur malum, voluntarium nostrum peccatum. Eet et aliud genus mali, quod est poena peccati. Cum ergo duo sint genera malorum, pec catum et poena peccati, peccatum ad Deum non pertinet, poena peccati ad vindicem pertinet. Etenim, ut bonus est Deus, quia omnia constituit, eie iustus eet, ut vindicet in peccatum. Cum ergo omnia eint ordinata, quae videntur nobie nunc adversa eeee, merito contigit hominie lapsi, qui legem Dei servare no luit. Animae enim rationali, quae est in homine, dedit Deus liberum arbitrium; sic enim poeeet habere merita, si voluntate, non necessitate, boni e6eemus. Cum ergo oporteat non neceeeitate, eed voluntate bonum e6ee, oportebat ut Deue animae daret liberum arbitrium. Huic autem animae obtemperanti legibus suie omnia eubiecit eine adversitate, ut ei cetera quae Deus condidit servirent, ei et ipea Deo servire voluis6et; autem ip6a noluisset Deo eervire, ut ea, quae illi^ serviebant, in poenam eiue converterentur, quare si recte omnia a Deo ordinat 1 eunt, et bona eunt, et Deue non patitur maium; 16: Peccando enim ad/versi eramus a Deo, tenendo autem praecepta Christi reconciliamur Deo, ut qui in peccatis mortui eramue, eervantes praecepta eius vivificemur...; 22: Liberum voluntatis arbitrium in illo homine fuisee dico, qui primus formatus est. Ille 6ic factus est, ut nihil omnino voluntati eius reeieteret, si vellet Dei praecepta

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servare. Postquam autem libera ipse voluntate peccavit, noe in necessitatem praecipitati eumus, qui ab eius stirpe descendimus... Hodie namque in actionibue nostrie antequam consuetudine aliqua implicemur, liberum habemus ar bitrium faciendi aliquid vel non faciendi. Cum autem ista libertate fecerimus aliquid, et facti ipsiue tenuerit animam perniciosa dulcedo et voluptas, eadem
ipsa consuetudine sua sic implicatur, ut postea vincere non possit quod sibi ipsa peccando fabricata est... et hoc eet, quod adversus animam pugnat, consue

tudo facta cum carne. Ipsa eet nimirum carnis prudentia, quae quamdiu ita est, legi Dei subigi non potesi, quamdiu prudentia carnis est; eed inluminata anima desinit illa esse caraie prudentia... Sed... illa carnis prudentia id est consue tudo facta cum carne, cum fuerit mene ncetra inluminata et ad arbitrium divi nae legis totum hominem elbi Deus subiecerit, pro illa consuetudine animae maLa facit consuetudinem bonam... Quamdiu ergo portamus imaginem terrena hominis, id est quamdiu eecundum carnem vivimus, qui vetus etiam homo nominatur, habemue necessitatem consuetudinis nostrae, ut non quod volumus faciamus (cfr. Rom., VII, 15). Cum autem gratia Dei amorem nobis divinum inspiraverit et nos suae voluntati subditos fecerit... ab ista lege liberamur, cum iusti esse coeperimus... Ex ipso (Adamo) enim omnes sic nascimur quia terra eumus, et in terram ibimus propter meritum peccati primi hominis ; propteT autem gratiam Dei, quae nos liberat a lege peccati et mortis, ad iustitiam conversi liberamur ut postea eadem ipsa caro, quae nos poenis torsit in pec catis manentes, subiiciatur nobis in resurrectione, et nulla adversitate nos qua tiat, quominus legem et divina praecepta servemus. (3) La dottrina cattolica stata formulata nel Credo, ut incipientibus atque lactantibus (cfr. 1 Cor., Ili, 2) eis, qui in Christo renati sunt, nondum Scripturarum divinarum dUigentisisima et spirituali tractatione atque cognitione roboratis, paucis verbis credendum constitueretur, quod multis verbiie exponen dum eeset proficientibus et ad divinam doctrinam certa humilitatis atque charitatis firmitate surgentibue. Sub ipsie ergo verbis paucis in symbolo constitu tis, plerique heretici venena sua occultare conati s u n t; quibus restitit et resi stit divina misericordia per spiritales viros qui catholicam fidem non tantum in illis verbis accipere et credere, sed etiam Domilo revelante intellegere atque cognoscere meruerunt (De ficfe et sym bolo, 1); cfr. 20, trattando della Trinit; verum haec dici possunt facile et credi: videri autem nisi corde puro quomodo se habeant cannino non possunt; si osservi per che ora Yauctoritas rappresentata solo dal Credo: vuol dire che la Scrittura, con la sua interpretazione, appartiene ormai alla ratio? (4) De f. et symb., 23: Et quoniam tria sunt quibue homo constat, spiri tus anima et corpus, quae rursus duo dicuntur, quia eaepe anima simul cm spiritu nominatur, pars enim quaedam eiusdem rationalis, qua carent be stiae, spiritus dicitur principale nostrum spiritue est... Hic enim spiritus etiam mens vocatur, de quo dicit apostolus [Rom., VII, 25). Anima vero, cum carnalia bona adhuc appetit, caro nominatur, et resistit spiritui, non natura eed consuetudine peccatorum... Quae consuetudo dn naturam versa eet secundum generationem mortalem peccato primi hominis... Est autem animae natura per fecta cum spiritui suo subditur et eum sequitur sequentem Deum... sed non tam cito anima subiugatur spiritui ad bonam operationem, quam-cito spiritus Deo ad veram fidem et bonam voluntatem, eed aliquando tardius eius impetus, quo in carnalia et temporalia diffluit, refrenatur. Sed quoniam et ipsa munda tur, recipiens stabilitatem naturae suae dominante spiritu, quod sibi caput estr 76

ruius caput est Christus, non est deeperandum etiam corpus restitui naturae propriae, sed utique non tam cito quam anima, sicut neque anima non tam cito quam spiritus, sed tempore opportuno in novissim a tuba (cfr. I Cor. XI, 3 ; XV, 52) ...et ideo credimus- et in carnis resurrectionem, non tantum quia reparatur anima, quae nunc propter carnales affectiones caro nominatur, sed haec etiam visibilis caro, quae naturaliter est caro, cuius nomen anima non propter natu ram sed proptes carnales affectiones accepit, haec ergo visibilis quae proprie dicitur caro credenda est resurgere . (5) De f. et symb., 24; Resurget igitur corpus secundum Christianam fidem, quae fallere non poteet. Quod cui videtur incredibile, qualis nunc sit caro adtendit, qualis autem futura sit non considerat; quia illo tempore immutationis angelicae non iam caro erit et sanguis, sed tantum corpus (ofr. I Cor., XV, 50)l. ... Philosophi autem, quorum argumentis saepius resurrectioni camis resistitur, quibus asserunt nullum esse posse terrenum corpus in caelo, omne corpus in omne corpus converti et mutari posse concedunt . Cfr. 13 alia n. 10. (6) De i.et symb., 2. (7) De f. et s.f 7: Ex quo iam spiritalibus animis patere confido nullam naturam Deo esse posse contrariam; cfr. relativamente a Maria Vergine, 9 e 10. (8) De f. et s., 3: Sicut enim verbis nostris id agimus, cum verum lo quimur, ut noster animus innotescat audientibue... sic illa Sapientia, quam Deus Pater genuit, quoniam per ipsam innotescit dignis animis secretissimus Pater, Verbum eius convenientissime nominatur ; 5: Hac igitur fide catho lica et illi excluduntur, qui eundem dicunt Filium esse, qui Pater est... Exclu duntur etiam illi, qui creaturam dicunt esse Filium, quamvis non talem, quales sunt ceterae creaturae . (9) De f. et s., 6: Christus hominem indutus, per quem vive n d i ex e m plum nobis daretur, hoc est via certa, qua perveniremus ad Deum ; 8: Sed quisquis tenuerit catholicam fidem, ut totum hominem credat a Verbo Dei eese susceptum, id est corpus animam spiritum, satis contra illos munitus est... Cum homo excepta forma membrorum non distet a pecore nisi rationali spi ritu, quae mens etiam nominatur (cfr. 23, alia n. 4) quomodo sana est fides qua creditur quod id nostrum susceperit Dei Sapientia, quod habemus commune cum pecore, illud autem non eusceperit, quod inlustratur luce sapientiae et quod hominis proprium est? . Questa allusione ad Apollinare, il cui errore sedusse per un momen L Alipio (Coni., VII, 19, 25) va aggiunta a quelle elencate o da Courcelle, o. c., p. 188, n. 4. j (10) De f. et s.r 13: Solet autem quosdam offendere vel impios gentiles vel haereticos, quod credamus adsumptum terrenum corpus in caelum. Sed gentiles plerumque philosophorum argumentie nobiscum agere student, ut dicant terrenum aliquid in caeo esse non poese... (/ Cor., XV, 44). Non enim ita ^Lictum est quasi corpus vertatur in spiritum et spiritus fiat, quia et nunc corpus nostrum, quod animale dicitur, non in animam versus est, et anima factum; sed spiritale corpus intellegitur, quod ita spiritui eubditum est, ut caelesti habitationi conveniat omni fragilitate ac labe terrena in caelestem puritatem et stabilitatem mutata atque conversa . (11) Nell'articolo in Ricerche Religiose, VII (1931) p. 45 accennai a una possibile reipiniscenza di Tertulliano, nel passo del De fide, 17, in cui Agostino tratta della Trinit; e al fatto che la pi rigorosa distinzione tra eresia e sci77

ema, in confronto con il De vera religione (cc. 9 e 10) potesse essergli e tata suggerita dalla lettura di S Cipriano. Soggiungevo che maggior luce su questo punto sarebbe potuta venire dalle ricerche di H. Koch sulla eopravvivenza di Cipriano , di cui la stessa rivista aveva intrapreso la pubblicazione. Il Koch raccolse il mio invito: e poco dopo espose le conclusioni a cui era giunto (in Ric. Rei., V ili, 1932, pp. 317-337) e che a mia vodta riassunsi e com mentai brevemente {ibid., IX, 1933, p. 399 sg.). Il Marrou, al quale il lavoro del Koch sfuggito, non d (o. c. pp. 420-21) che indicazioni molto sommarie: anzi sembra non accorgersi neppure che sotto il nome d Hilarius, nelle citazioni di Agostino, si nasconde, come ora universalmente riconosciuto, accanto a Ilario di Poitiers, anche l'Ambrosiastro. Secondo il Koch, possibile che S. Agostino conoscesse Tertulliano, pro babile che conoscesse S. Ottato e po66ibile che risentisse qualche influsso di S. Cipriano (Testimonia e lettere; quanto al De unitate vi sono argomenti in pr e in contro) quando scriveva il De fide et sym bolo; mancano tracce d'ogni influsso jdi Tertulliano e S. Ottato negli scritti anteriori; e di essi, soltanto il De magistro, il De vera religione e il De utilitate credendi offrono qualche indizio circa la possibilit che Agostino conoscesse il De dominica oratione e il De unitate ciprianei (oltre l'ep. 33, nel De util. cred.). Invece, nel De serm on e Domini in monte l'utilizzazione del De dominica oratione sicura, quella del De unitate probabile; ed fuori di dubbio l'influsso tanto di Cipriano quanto di Ottato (questultimo, gi segnalato da un pezzo) sul Psalmus abecedarius contra partem Donati. Come si vede, la ricerca rimasta incompleta riguardo a Tertulliano; ma i risultati del Koch sono tali da giustificare la conclusione esposta nel testo. Lindagine delle conoscenze patristiche di Agostino andrebbe per proseguita metodicamente: cfr. c. VII, nota 25. (12) De f. et s. 21: Haeretici de Deo falsa sentiendo ipsam fidem violant;
schismatici autem discissionibus iniquis a fraterna casitate dissiliuntt qu am vis ea credant quae credimus. tQuapropter nec haeretici pertinent ad ecclesiam catholicam, quoniam diligit Deum, nec schismatici, quoniam diligit proximum.

Cfr. anche la n. precedente. (13) Retract. I, 16 (17). (14) Retract. I. 3; l i (12); 16 (17); 18 (19): per idem tem pu s ; 15 (16). 20 (21); 21 (22): eodem tem pore (presbyterii mei); 4: inter haec; 12 (13): tunc . Cfr. 13 (14): lam ve ro apud Hipponem Regium presbyter; 14 (15): adhuc p r e sbyter; 15 (16); 20 (21); 21 (22) cit.; 22 (23): cum p resb yter adhuc essem. (15) Nel II libro delle Retractationes, le Confessioni occupano il sesto posto; all'ottavo sta il Contra Felicem manichaeum , al venticinquesimo il Contra litteras Petiliani, scritto circa il 401. Qualunque sia il momento, tra i termini estremi del 395 e dell'agosto 397 (IIII Concilio di Cartagine) in cui si voglia collocare la consacrazione episcopale di Agostino, l'ordine cronologico delle Retractationes resterebbe tutto sconvolto, qualora si accettasse per il Contra Felicem la data indicata dai manoscritti, ossia il dicembre 404. Fin dal lb08 per, P. Monceaux propose di considerare lindicazione dei VI consolato di Onorio, nei mss. del C. Fel., come un errore, leggendo invece: IV: il che ci porterebbe al 398 e permetterebbe di collocare le Confessioni poco prima, com e anche per altri indizi propone un sempre crescente numero di studiosi. (16) Cfr. l'ep. XXI a Valerio, in cui Agostino chiede che gli conceda tempo fino alla prossima Paequa per potersi dedicare allo studio delle Scrit

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ture; e non affatto necessario supporre che questa vacanza gli veniese prorogata. (17) Il libro si apre con una esposizione della fede cattolica secondo l'ordine steseo del Credo, che per ci stesso rivela un'affinit con il De fide. Circa il male, il peccato e il libero arbitrio, cfr. 1: esse autem omnia quae fecit Deus bona valde, mala vero non esse naturaiia, eed omne quod dicitux malum aut peccatum esee aut poenam peccati. Nec eeee peccatum nisi pravum liberae voluntatis assensum, cum inclinamur ad ea quae iustitia vetat et unde liberum est abstinere, id est non in rebus ipsis, 6ed dn usu earum non legitimo. Usu 9 autem rerum eet legitimus, ut anima in lege Dei maneat, et uni Deo plenissinfe dilectione subiecta eit et cetera sibi subiecta sine cupiditate aut libidine ministret.... Poena vero peccati est, cum ipsis creaturis non sibi servientibus cruciatur anima, cum Deo ipsa non eervit; quae creatura illi obtemperabat, cum ipea obtemperabat Deo ; 5: Quaedam ergo et facit Deus et ordinat, quaedam tantum ordinat. Iustoe et facit et ordinat, peccatores autem, in quantum peccatores sunt, non facit eed ordinat tantum . Orca la fede e Ia ragione: 1: De obscuris naturalium ierum quae omnipotente Deo artifice facta sentimus, non adfirmaAdo eed quaerendo tractan dum est in libris maxime quos nobis divina commendat auctoritas, in quibus temeritas adserendae incertae dubiseque opinionis difficile sacrilegii crimen evi tat: ea tamen quaerendi dubitatio catholicae fidei metas non debel excedere ; 3: Sed quoquo modo se hoc habeat res enim secretissima eet et humanis coniecturis impenetrabilis illud certe accipiendum est in fide, etiamsi modus nostrae cogitationis excedit, omnem creaturam habere initium tempusque ipsum esse creaturam ac per hoc et ipsum habere initium nec coaeternum esse Crea tori , parole in cui manifesta lintenzione di opporsi al manicheismo; 28: Se Dio ha potuto in qualche punto adattare il racconto aile necessit umane, ut ipsa depositio, quae ab infirmioribus animis contemplatione stabili videri non poterat per eiusmodi ordinem sermonis exposita quaei istis oculis cerneretur , pure chi sceglie l'una o l'altra di due interpretazioni possibili, dovr guardarsi dal fare affermazioni temerarie e ricordarsi (30) se hominem de divinie ope ribus quantum permittitur quaerere . (18) Si osservino le differenze e anche certe somiglianze tra De util. cred., 5 (Secundum historiam ergo traditur, cum docetur, quid scriptum aut quid gestum sit; quid non geetum sed tantummodo scriptum quasi gestum eit. Secundum aetiologiam, cum ostenditur quid qua de causa vel factum vel dictum sit. Secundum analogiam, cum demonstratur non sibi adversari duo Testamenta, vetus et novum. Secundum allegoriam, cum docetur non ad litteram esse acci pienda quaedam quae scripta sunt, sed figurate intelligenda), e De Gen. ad Iitt. lib. impf., 2 (Historia est cum sive divinitue sive humanitue res gestae com memorantur; allegoria, cum figurate dicta intelleguntur; analogia, cum Veteris et Novi Testamenti congruentia demonstratur,- aetiologia, cum causae dictorum factorumque redduntur). Ma, dopo aver fatto supporre che egli intenda offrire u i commento completo, poich osserva che il Genesi pu essere spiegato in quei quattro differenti modi, Agostino si affretta a soggiungere: Secundum histo riam autem quaeritur quid sit " in principio * e poi non abbandona pi l'in ' terpretazione letterale. , (19) De util. cred., 9; v. cap. II, n. 37. (20) Retract. I, 17 (18). 79

(21) Coei p. e. scelgo questo passo per la sua importanza intrinseca a proposito delle Beatitudini: esse sono otto e rappresentano i vari gradi, o tappe, delia vita spirituale. De Serm. Dom., 1, 10-12: Incipit enim beatitudo ab humilitate... dum se divinae misericordiae eubdit anima, timens poet hanc vitam ne pergat ad poenae... Inde venit ad divinarum Scripturarum cognitionem, ubi oportet eam se mitem praebere pietate, ne id quod im peritis videtur absurdum vituperare! audeat et pervicacibus concertationi bus efticiatur indocilie. Inde iam incipit cire quibus nodie saecuii huiue per carnalem consuetudinem ac peccata teneatur: itaque in hoc tertio gra du, in quo scientia est, lugetur amiesio eummi boni, quia inhaeretur ex tremis. In quarto ailtem gradu labor eet, ubi vehementer incumbitur t seee animus avellat ab eie quibus pestifera dulcedine innexus est: hic ergo esu ritur et sititur iuetitia... Quinto autem gradu perseverantibus in labore datur evadendi consilium: quia niei quieque adiuvetur a superiore nullo modo sibi est idoneus ut seee tantis mieeriarum implicamentis expediat; est autem iustum coneilium ut qui se a potemtiore adiuvari vult adiuvet infirmiorem, m quo est ipse potentior. Sexto gradu eet coirdie munditia... valens ad contem plandum summum illud bonum quod solo puro et eereno intellectu cerni po test. Postremo e6t eeptima ipea sapientia, id eet contemplatio veritatis paci ficans totum hominem et suecipiene similitudinem Dei. Octava tamquam ad cajput redit, quia consummatum perfeetumque ostendit et probat: itaque in prima et in octava nominatum est regnum caelorum. Septem eunt ergo quae perficiunt: nam octava clarificat et quod perfectum eet demonstrat. Videtur ergo mihi etiam septiformis operatio Spiritus Sancti de quo Ieaias loquitur (XI, 2-3) bis gradibus sententiieque congruere. Sed interest ordinis : nam ibi enumeratio ab excellentioribus coepit, hic vero ab inferioribus. Ibi namque incipit a Sa pientia et desinit ad timorem Dei... Quapropter si gradatim tamque ascendentee numeremus, primus ibi eet timor Dei, secunda pietae, tertia scientia, quarta fortitudo, quintum consilium, sextus intellectue, eeptima sapientia. Timor Dei congruit humilibue... Pietae congruit mitibus ... Et ista quidem in hac vita p o s s u n t compleri, sicut completa esse in apostolis credimus. Nam illa om nimoda in angelicam formam mutatio, quae post hanc vitam promittitur, nullis verbie exponi potest... Haec octava eententia quae ad caput redit perfeetumque hominem declarat, significatur fortasee et circumcisione octavo die in Veteri Testamento et Domini resurrectione poet sabbatum, qui est utique octavus idemque primus dies, et celebratione octavarum feriarum, quas in regenera tione novi horomis celebramus, et numero ipeo Pentecostes. Nam septenario numero septies multiplicato, quo fiunt quadraginta novem, quasi ootavus ad ditur, ut quinquaginta compleantur et tamquam redeatur ed caput, quo die missus eet Spiritus Sanctus . E per altri esempi, cfr. I, 31; II, 6-7, etc. (22) De serm. Dom . II, 18: cuius rei significandae gratia, cum ad ora tionem stamus, ad orientem convertimur; I, 23 (racha); II, 47 (mammona). (23) I, 65; cfr. anche II, 78-79 ecc. (24) De Serm. Dom. I, 13-14: Ubi autem sana fides non est, non poteet esse iuetitia, quia iustus ex fide vivit. Neque schismatici aliquid sibi ex ieta mercede promittant, quia similiter ubi charitas non est, non potest esse iusititia: dilectio enim proximi malum non operaiur . Propter me: propter eo<= additum puto, qui volunt de persecutionibus et de famae suae turpitudine gioriari, et ideo dicere ad ee pertinere Christum, quia multa de illis dicuntur 80

mala, cum et vera dicantur, quando de illorum errore dicuntur; et si aliquando etiam nonnulla falsa iactantur, quod de temeritate hominum plerumque acci dit, non tamen propter Christum ista patiuntur. Non enim Qiristum sequitur, qui non secundum veram fidem et catholicam disciplinam Christianus vocatur. (25) Agostino registra anche qualche variante, p. ee. In II, 30 a M/. VI, 13: ne noe inieras ; inducas ; patiaris induci. Agostino sembra conoscere questultima solo attraverso una tradizione orale ( multi autem precando ita dicunt), bench sia in Cipriano, de domin. orai., 7, CSEL III, 1, p. 271: ne passus tueris (patiaris) nos induci (induci nos); ma si confronti altres la variante ^ (ve/ - vel -) a Le. XI, 4 considerata ge neralmente come di origine marcionita. Streeter (The tour Gospels, Londra 1924, p. 276) non riconosce per come maicionita l'altra variante, a Le. XI, 2 * , di 162, 700, Greg. Nyss., Max. Taur., perch dal commento di Tertulliano ( A dv. Marc., IV, 26, CSEL 47, p. 509) non risulta sia degli eretici da lui combattuti; e lo stesso si pu dire di questa. Varrebbe dunque la pena di studiarla, anche perch questo l'unico luogo di Agostino in cui si trovi. Cfr. C. H. Milne, A recon struction of th O ld - l a ti n text or texis oi th G ospels used b y Saint Augustine,

Cambridge 1926, p. 15. Altre varianti in II, 74 a Mi. VII, 12, ecc. La conoscenza del greco e i criteri che Agostino adotta nello stabilire il testo, sono ancora quelli di un principiante. (26) Cfr. De serm. Dom., I, 15: In caelis dictum puto in spiritalibus fir mamentis, ubi habitat sempiterna iustitia; in quorum comparatione terra dicitur anima iniqua... Sentiunt ergo iam istam mercedem, qui gaudent spiritalibus bonis; sed tunc ex omni parte perficietur, cum etiam hoc mortale induerit immortalitatem [cfr. 1 Cor., XV, 53-54]; I, 34: Nam tria eunt quibus impletur pec catum: suggestione, delectatione, et consensione. Suggestio sive per memo riam fit, sive per corporis seneus... Quo si frui delectaverit, delectatio illa refrenanda est... Si autem consensio facta fuerit, plenum peccatum erit... Tria ergo haec... eimilia eunt illi gestae rei quae in Genesi scripta sunt, ut quasi a serpente fiat suggestio et quaedam suasio; in appetitu autem carnali, tam quam in Eva, delectatio; in ratione vero, tamquam in viro, consensio. Quibus peractis, tamquam de paradiso, hoc est de beatissima luce iustitiae, in mortem homo expellitur; i ustissime omnino. Non enim cogit qui suadet. Et omnes na turae in ordine suo gradibus suis pulcrae sunt; sed de superioribus, in qui bus rationalis animus ordinatus est, ad inferiora non esit declinandum. Nec quisquam hoc facere cogitur; et ideo, ei fecerit, iusta Dei lege punitur,- non enim hoc committit invitus; I, 54-55: Quibus laboriosius et operosius dici aut cogitari potest, ubi omnes nervos industriae suae animus fidelis exerceat, quam in vi tiosa consuetudine euperanda?... Verumtamen in his laboribus cum quisque difficultatem patitur et per dura et aspera gradum faciens circumvallatur variis tentationibus... timet ne aggreeisa implere non possit, arripiat consi lium, ut auxilium mereatur. Quod est autem aliud consilium, nisi ut infirmi tatem aliorum ferat, et ei quantum potest opituletur, qui sibi divinitus desi derat subveniri?; II, 23: Illi- etiam non absurdus, immo et fidei et spei nostrae convenientissimus intellectus est, ut caelum et terram accipiamus spiritum et carnem. Et quoniam dicit apostolus mente servio, ecc. , [ Rom., VII, 25] vi

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demus factam voluntatem Dei in mente id est in spiritu; cum autem absorpta fuerit mors in victoriam et mortale hoc induerit immortalitatem [/ Cor., XV, 54-55], quod fiet carnis resurrectiqne atque illa immutatione quae promittitur rustie, secundum eiusdem apostoli praedicationem, fiat voluntas Dei in terra sicut in caelo; id eet, ut quemadmodum spiritus non resistit Deo, sequene et faciens voluntatem eius, ita et corpus non resistat spiritui vel animae, quae nunc corporis infirmitate vexatur, et in carnalem consuetudinem prona esi, quod erit summae pacie in vita aeterna, ut non solum velle adiaceat nobie, sed etiam perficere, bonum... [cp. Rom. VII, 18] quia nondum in terra sicut in caalo, id' est nondum in carne sicut in spiritu facta est voluntae Dei. Nam et in miseria nostra fit voluntas Dei, cum ea patimur per carnem quae nobis morta litatis iure debentur, quam peccando meruit nostra natura. Sed id orandum est, ut... quemadmodum corde condelectamur legi secundum interiorem ho minem, ita etiam corporie immutatione facta, huic nostrae delectationi nulla pars nostra terrenis doJoribue seu voluptatibus adversetur; inoltre II, 44; 56; I, 78, ecc. e anche I, 10-12 cit. alla . 21 ecc. Con il passo I, 15 cfr. De Genesi c. M an. II, 21 cit. a cap. I n. 35. (27) Cfr. c. II, nota 16 e gli accenni analoghi nel De fide et sym bolo. (28) Epist. 23 cfr. Monceaux, Hist . liti, de 1 Air. chret.t VII (1923), pp. 129 sgg. e 279. (29) Cfr. Retract. I, 20 (21|); e 5 3), a proposito di Eccli. XXXIV, (XXXI), 30. (30) Enarratio in Ps. XXXV, 9; Monceaux, o. c., pp. 153 e 286, meglio che Zarb, in Angelicum , XXIV 1947), 47-69. (31) Possid., Vita August., 6. (32) Nello stesso oap. 9. (33) Cfr. Contra Adimantum, XVII, 2; De serm. Dom. in m., I, 65. (34) C. Adim., XXVIII, 1; cfr. la . 1. (35) C. Adim., V, 2; XIV, 1; XVII, 2-5; XVIII, 1; XX, 2; XXVI. (36) Cfr. C. Adim., XVII, 2: indoctos et impios... qui quoniam non sunt idonei videre ista, mole potius auctoritatis urgendi sunt. (37) Non mi stato possibile nelle condizioni in cui ho dovuto lavorare nel Per, senza avere a mia disposizione neppure la raccolta del Migne procedere a una nuova rilevazione; e qui, me n mancato il tempo. Daltra parte, sebbene qualche citazione e allusione mi sar quasi certamente sfug gita, come suole accadere, e sebbene una verifica sia sempre desiderabile e opportuna, non credo che un nuovo oonlputo (dal quale vanno naturalmente escluse le citazioni ripetute) potrebbe alterare i risultati da me ottenuti in maniera tale da costringere a modificare le conclusioni esposte nel testo. Comunque, chi volesse procedere a questa indagine, sobbarcandosi a un lavoro che esige attenzione e pazienza (pi di quanta non ne abbia in questo momento io etesso) ma che considero utile, dovrebbe altres curare non solo di raggruppare le citazioni e allusioni bibliche secondo i vari libri da cui sono tolte, ma altres in certi casi, come per le Epistole paoline, per capitoli o gruppi di capitoli, e persino per versetti, secondo -gli argomenti; e, nel preparare gli indici percentuali, tener conto della lunghezza dei diversi scritti di Agostino. Ripeto pertanto che i dati qui sotto riassunti debbono considerarsi sola mente come provvisori. Con questa avvertenza, ecco i risultati principali:

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1) fino al Contra Fortunatum; i eoli scritti agostiniani che contengono un nu mero apprezzabile di citazioni bibliche sono, in ordine crescente, De vera re ligione (56), De moribus Ecclesiae catholicae (75), De Genesi contra Manichaeos libri II (81, escluse quelle della stessa Genesi). Se ei consideri la diverea am piezza delle varie opere, le citazioni appaiono proporzionalmente molto pi ab bondanti nel De fide et sym b o lo (85). Per, pur con l'avvertenza che si tratta di dati soggetti a revisione, vi un vero salto quando dagli scritti esaminati si passi all'Enarratio in ps. XXXV (52; si consideri la sua brevit in confronto col De ve ra religione), al De sermone Domini in monte (280, escluse quelle di Matt. V-VII) e al Contra A dim antum (168). 2) le citazioni da S. Paolo man cano in De lib. arb. I e II; in alcuni scritti, raggiungono invece un numero ab bastanza elevato (De mor. Eccl. cath., 48; De Gen. c. Man., 36; De v. relig., 17; De fide et symb., 43; De serm. Dom., 116; Enarr. in ps. XXXV, 14; C. Adim., 45). Quanto ai paesi di San Paolo pi interessanti per la nostra indagine, 1 Cor. XV citato con maggior frequenza in De serm. Dom., Enarr. in ps. XXXV e C. Adim., e ancor pi in De fide et symb., che in opere anteriori (De vera rei., De mor. Ecc.1. cath. De Gen. c. Man. e De mus. VI). Ho trovato citazioni di Rom. VII, 25 in De Gen. c. Man., De muis. VI (2 volte), De fide et symb. (2), D e serm. Dom., Enarr. in ps. X XXV. E' interessante osservare che nel C. For tunatum questo versetto citato, insieme con Gal. V, 17 e VI, 14, ma da For tunato, non da Agostino. Comunque, il fatto che negli scritti posteriori al C. Fortunatum la cono scenza che Agostino ha della Scrittura e l'uso ch'egli ne fa si siano notevol m ente accresciuti il che stato rilevato del resto anche da altri mi seuibra posto ormai fuori discussione; come pure il fatto che, da questo momento, la eua attenzione attratta sempre pi dallepistolario paolino. (38) C. Adim., XII, 5; XIV, 3; XV, 2; XVI, 2-3; -.

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IV
Ecco dunque Agostino intento a rileggere e spiegare agli amici che gli fanno cerchio intorno, la Lettera ai Romani. Non assurdo supporre che fin dallinizio pensasse di poterne ricavare una volta o laltra un vero e proprio Commento in forma di libro. Sta di fatto che, su preghiera dei compagni e forse in vista di unelabo razione ulteriore, mise intanto per iscritto le dilucidazioni che veniva dando via via (1). Queste si riferiscono, evidentemente, ai passi che lo colpivano maggiormente, e in relazione con i problemi che lp assillavano. Quali fossero, lo dimostra il fatto che linterpre tazione dei capitoli centrali dellEpistola, dal V allV ili, occupa poco meno di met di questopera. Dovunque intravede il pericolo di cadere nel dualismo, o di stabilire unantitesi troppo netta tra lAntico Testamento e il Nuovo, Agostino corre ai ripari (2). Ma so prattutto, egli si oppone recisamente a coloro, secondo i quali San Paolo avrebbe inteso negare alluomo il libero arbitrio. La preoccupazione principale di Agostino dunque ancora quella di combattere il manicheismo. Gli stadi della vita spirituale sono ora quattro, descritti in termini molto pi strettamente religiosi e scritturali di prim a; lan tico linguaggio intellettualistico e di sapore filosofico messo da parte. Le quattro tappe, per cui passano nel loro cammino verso la redenzione, cos lindividuo singolo come lintero genere umano, sono: prima della legge; sotto la legge; nella grazia; nella pace. Nel primo stadio, prima della legge, siamo completamente vittime e schiavi della carne e delle sue passioni. Esse scompariranno del tutto soltanto nellultimo stadio, ma non in questo mondo. 85

bens con la resurrezione, quando saremo rinnovati del tutto. In fatti, se il peccato consiste nel non condiscendere alle passioni, sotto limpero della Grazia e con laiuto di questa, luomo gi capace di non peccare; per i desideria carnis per se stessi, in quanto conseguenza della natura mortale del nostro corpo in seguito al peccato di Adamo, non cesseranno se non quando il corpo stesso avr riacquistato limmortalit (3). E questa spetta a tutti coloro che, con la loro fede, si siano resi degni della Grazia, la quale rafforza il libero arbitrio, sicch luomo cos aiutato in grado non solo di volere il bene, ma altres di compierlo. E nel libero arbitrio delluomo lottenere, mediante la fede, questo aiuto della grazia, elevandosi cos dallo stadio sub lege a quello sub gratia. Quindi, la concessione della grazia implica una chiamata da parte di Dio, per giustificati non sono tutti i chia mati, ma soltanto quelli secundum propositum, ossia coloro, dei quali Dio nella sua prescienza sa che avranno la fede. Questa tut tavia dipende interamente dall uomo. Se di predestinazione si tratta, questa nettamente post praevisa merita o, per essere pi esatti, post praevisam fidem. Agostino infatti tiene ad escludere una giustificazione in virt delle sole opere. E ci senza dubbio molto notevole ed importante. Nel pensiero di Agostino, in questo momento della sua vita e del suo sviluppo spirituale, Dio non elegge le opere, bens soltanto la fede ; ma, ripeto, questa a sua volta dipende tutta dalluomo. Quindi, in fondo la concessione della grazia rimunerazione di un merito, di un atto dumilt, tale essendo da parte delluomo il riconoscere chegli per se ipsum surgere non valere. A coloro che, liberamente credono e pregano il Liberatore, Dio concede lo Spirito Santo e la capacit di operare il bene. Si tratta dunque di un premio concesso a chi vuole cre dere, cos come labbandono da parte di Dio, che trae seco loperar male e la pena, punisce la cattiva volont dellincredulo (4). Dio, perfettamente giusto, non agisce con larbitrariet di un tiranno, traendo dalla stessa argilla i vasa in honorem e quelli in ignominiam. Perci luomo, dopo avere preso di sua volont la deliberazione, se credere o no, non ha alcun diritto di lamentarsi di Dio. 1 1 solo momento in cui potrebbe dubitare della giustizia divina quello in cui luomo si trova ancora sub Lege; ma egli a questo punto ancora troppo ignorante per poter giudicare delle cose spiri 86

tuali. Finch ancora argilla , luomo troppo immerso nelle cose di questo mondo, troppo fango , per poter chiedere a Dio ragione del suo operare ; non appena si eleva allo stadio succes sivo e diventa vaso in honorem, la giustizia di Dio gli si manifesta chiara e incontestabile (5). 1 Affermare tale giustizia appunto ci che ora pi preme ad Agostino. Questa nuova lettura dellEpistola ai Romani fatta metodicamente e con ferma vqlont di afferrarne il significato pro fondo gli fa sentire tanto pi vivo il bisogno di conciliare lesi genza, impostagli dal testo sacro, di rendere a Dio il vero merito di ogni opera buona compiuta dalluomo, con laltro, di non attri buirgli un agire arbitrario e di non far risalire a lui lorigine del male. Difendere e mantenere il libero arbitrio delluomo per Agostino tanto pi necessario, in quanto il suo testo lo porta a sottolineare il contrasto tra la materia il corpo, questa carne mortale e agitata dalle passioni e lo spirito. Del resto, questo era un motivo suggeritogli gi dalla filosofia chegli conosceva e accettava ; ma che poteva anche ricondurre a un dualismo peri coloso, quando fosse venuto a mancare il correttivo, lidea della bont del creato e di tutte le cose, ciascuna nel proprio genere e ordine. Perci Agostino insiste tanto su questa idea. Per ora egli si trova di fronte al testo biblico. Fino a questo momento, egli stato sempre sorretto dalla tranquilla fiducia, che la vera religione sia in perfetto accordo con la filosofa, e che questa abbia rag giunto tutte le verit contenute nel cristianesimo. Ora invece, con la partecipazione pi piena ed attiva alla vita della Chiesa, la speculazione agostiniana si accentra intorno a un testo scritturale, che gli presenta il problema della salvezza sotto un aspetto in gran parte nuovo, non pi intellettualistico, ma strettamente reli gioso. P er il momento la grazia rimane, in fondo, per Agostino unilluminazione della mente, la quale corona e rende efficace lo sforzo delluomo per elevarsi verso il mondo spirituale, sottraen dosi allimpero delle cose sensibili ; il passaggio delluomo da car nale a spirituale effetto di un cambiamento che dipende intera mente dalla sua volont. D altra parte, sta di fatto che Agostino ora parla di predestinazione. Se non che, abbiamo veduto questa predestinazione quale sia; e il vero problema, quello del rapporto tra la predestinazione, la prescienza e lonnipotenza di Dio, ancora

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gli sfugge ; cos come non ha ancora una visione chiara di tutte le conseguenze del peccato originale. Quindi non si pu dire, che Agostino non abbia modificato in nulla il suo modo di pensare, ma neppure si pu parlare di un cambio completo e radicale. Indub biamente nuovo in lui questo sforzo di accostarsi al pensiero di San Paolo, non pi attraverso dottrine filosofiche, ma direttamente. E questo, anche quando non vi fosse assolutamente nuli'altro, gi molto. E si potrebbe dire che % moltissimo, o persino tutto, quando si considerino le conseguenze di questa novit ; ma esse sono, se guardiamo a questo preciso momento dello sviluppo di Agostino, soltanto potenziali. Ebbe Agostino allora coscienza della importanza di questo cambiamento, si da sentire d aver fatto un gran passo avanti e una notevole conqusta? Purch non si pre tenda di attribuirgli la previsione di ci che avvenne dopo, direi di s. Infatti, nonostante tutti i punti deboli della dottrina da lui appena elaborata, nonostante la sua poca coerenza, lessere ancora piuttosto una giustapposizione di elementi nuovi e vecchi, che non riescono a combinarsi e comporsi in un tutto veramente saldo e armonico ; di questa dottrina elaborata nel leggere la lettera Ai Romani Agostino sembra essere ora perfettamente soddisfatto. Infatti, si accinse subito a scrivere un ampio commento siste matico allEpistola. Non ne rimane altro che un frammento, ossia la Epistolae ad Romanos inchoata expositio. Egli stesso racconta come e perch si accontent di pubblicarlo (6). Il pensiero che vi esposto, come naturale, corrisponde perfettamente a quello che abbiamo or ora constatato. La grazia quella che rimette i pec cati ; ma sarebbe ingiusto che Dio non perdonasse a coloro che si pentirono ; il pentimento daltronde deve essere accompagnato dal fermo proposito di non ricadere e dalla coscienza che per evitare il peccato necessario laiuto divino. Dunque, la grazia precede il pentimento ; essa un ammonimento che Dio manda, una vocatio rivolta a tutti gli uomini in quanto esseri ragionevoli : insomma, essa in fondo unilluminazione della mente, per cui luomo, pec catore seguace dei beni terreni, si ravvede del proprio errore (7). L Expositio inchoata non and pi in l del primo libro; dal canto suo, la Expositio quarundam propositionum rappresenta sol tanto un primo tentativo, forse destinato in origine a circolare solo tra una cerchia di amici poco pi larga del gruppo che prese parte
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aila lettura del testo e alle discussioni su di esso. Per non avventata lipotesi che il materiale da Agostino raccolto, o forse una prima stesura del commento stesso ad alcuni passi tra i pi significativi, sopravvive ancora. Agostino stesso infatti ci racconta che le sue 83 Quaestiones (D e diversis quaestionibus LXXXII1), dispersae... per cartulas multas furono da lui fatte raccogliere quando era gi vescovo ; che per aveva incominciato a redigerle subito dopo il suo ritorno in Africa, nulla servata ordinatione ma solo per rispondere a domande che gli venivano rivolte (8). Anche nella raccolta pervenuta sino a noi risulta impossibile tro vare un criterio che spieghi lordine in cui sono disposte. Al con trario, si prestano a una suddivisione in gruppi, ognuno dei quali possiede una certa unit, un certo legame ideale, che si lascia scorgere abbastanza chiaramente. Cos, se soltanto consideriamo gli argomenti trattati, vediamo che in un primo gruppo si discorre spesso della natura deHanima, di Dio come creatore, dellorigine e della natura del male, del libero arbitrio (9). Appare evidente in questo gruppo lo scopo di combattere il manicheismo (10). Un esame interno pi accurato permetterebbe forse di stabilire paral lelismi di espressioni o di pensiero con questa o quellopera di Agostino, e quindi arrivare a una datazione, almeno approssima tiva, mentre lavversione al manicheismo per s sola, non basta. Ma un tale esame, per quanto interessante, ci condurrebbe ora troppo lontano ; e daltra parte lipotesi che si presenta spon tanea che queste Quaestiones siano precisamente le prime re datte da Agostino subito dopo il suo ritorno in patria, avvalorata dal fatto che solo nella qu. Z I troviamo una citazione biblica, solo nella qu. 29 commentato un passo di San Paolo, mentre ancora la qu. 31 intorno a un luogo di uno scrittore pagano (11). Per di pi, a partire dalla quaestio 51, troviamo tutto un gruppo che tratta, quasi senza eccezione, di materia biblica. Ma di nuovo non solo manca in esso qualsiasi ordine sistematico, ma anche il tentativo di considerare le varie questioni disposte secondo lor dine dei libri della Bibbia non d completa soddisfazione. Infatti, si passa bens dal Genesi allEsodo al Cantico dei Cantici e a un Salmo; ma pi innanzi ecco tre questioni suggerite da Matteo (e collocate in un ordine contrario a quello dei luoghi che commentano) interporsi tra un gruppetto di due e un altro di tre, che si riferi89

scono a Giovanni; e mentre in opnuno di essi seguito lordine dei passi nel Vangelo, i due gruppi riuniti non formano una serie (12). Per il fatto di poter isolare un intero gruppo di questioni di ca rattere nettamente esegetico, a noi potrebbe bastare, dopo quanto abbiamo osservato, per considerarle come non anteriori al pe riodo in cui Agostino si dedicato, dopo la sua ordinazione sacer dotale, a un rinnovato e approfondito studio della Scrittura. Non forse da escludere che troviamo qui un residuo (anche se ridotto a semplici tracce) dellattivit iniziale di Agostino nel campo della predicazione. Comunque, chiaro che le varie questioni sono di sposte secondo un ordine che , sia pure in maniera approssima tiva, quello cronologico : e ci sembra tanto pi probabile in quanto da supporre che tale sar stato, pressa poco, anche quello in cui le varie cartulae furono trovate e disposte al mo mento della loro pubblicazione. Tanto pi significativo e tanto meno sorprendente appare dun que il fatto che questo gruppo di questioni sia seguito da altre, destinate a commentare passi di S. Paolo; e che tre di esse, con secutive, e disposte nellordine del testo, si riferiscano alla lettera A i Romani (13). E dunque da supporre che devono essere presso a poco contemporanee agli altri due scritti sulla medesima epistola, teste esaminati ; e ne risulta almeno la possibilit, che rappresen tino, almeno in parte, lavori preparatori per il grande commento, che. come sappiamo, Agostino si era accinto a scrivere (14). Perci queste tre Quaestiones meritano di essere esaminate con una certa cura. La qu. 66 presenta anchessa la distinzione dei quattro stati, ante Legem, sub Lege, in gratia, in pace, con le solite spiegazioni (15). E notevole che Agostino ritiene che fino a Rom. VII, 23 parli luomo sub Lege (Apostolo non si riferisce dunque a se'stesso). In tale uomo, la consuetudo carnalis e la mortalit, conseguenza del peccato di Adamo, son ancora pi forti della vo lont di non peccare. Per vincere, occorre la grazia del Libera tore, onde luomo riconosce che suo il cadere, non per il risollevarsi ; e deve ancora lottare contro la mortalit della carne, che Adamo si merit per il suo peccato, ma non pu vincere. Alla prudentia carnis che tende verso i beni temporali e impedisce alla anima di adempiere i precetti della legge, si contrappone la prudentia
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spiritus, la quale fa rivolgere lanima verso i beni superiori e an nulla le passioni e la prudentia della carne. Ai piaceri carnali ce

dono cjunque coloro che sono ancora nella carne ; ma anche chi gi al terzo stadio, sub gratia, avverte in s, bench non si lasci vincere, quella lotta, che destinata a cessare solo nello stadio successivo e finale, con la resurrezione (16). La qu. 67 commenta Rom. V ili, 18-24 e anchessa contiene qualche dichiarazione interessante per noi. Il peccato di Adamo ha trasformato luomo sottoponendolo allinganno, che pena del peccato d Adamo, stabilita da Dio : ma temporaneamente, in vista della redenzione futura. Infatti col peccato luomo ha perduto il segno della somiglianza con Dio ed rimasto semplicemente crea tura, cio non perfettamente e autenticamente figlio di Dio. Ma anche di coloro che non sono ancora figli di Dio non si deve disperare : costoro, che pure non hanno ancora la fede e sono soltanto creature, crederanno anchessi e saranno liberati dalla morte, cos come gli altri che gi credono e sono figli di Dio, ma senza che ci appaia, perch ancora non giunta la resurrezione. E notevole qui che, ponendo se stesso e altri gi nel novero dei (( figli di Dio , Agostino mostri cos di considerarsi come gi per venuto al terzo grado, allo stadio cio sub gratia. Ma non meno notevole che in questo momento egli concepisce la redenzione come concessa, o per lo meno accessibile a tutti (17). Pi lungo discorso richiede la quaestio sequente, 68, su Rom. IX. 20-21. Agostino comincia col riprendere certe intepretazioni erronee : mentre la celebre domanda di S. Paolo rivolta contro la curiositas (18), alcuni empiamente vogliono sostenere che la postolo in quei versetti, non abbia fatto altro che cercare una scap patoia : sentendosi incapace di dare una spiegazione soddisfacente, S. Paolo secondo costoro avrebbero cercato di distogliere anche gli altri dal ricercare il vero. I manichei, poi, sostenevano che quel versetto 21 era uninterpolazione introdotta nelle lettere dello Apostolo, dalle medesime persone che, secondo gli stessi manichei, avrebbero introdotto nel testo dellapostolo le citazioni dellAntico Testamento. Contro tutti costoro, Agostino rileva che le parole dellapostolo si riferiscono non gi ai santi o spirituali che posseggono la verit, ma ai ''carnali , ai fangosi e terreni che, non ancora rigenerati, portano tuttavia in s limmagine di 91

Adamo: coloro stessi ai quali, non essendo ancora figli di Dio si applica (come egli ha detto nella quaestio precedente) il termine di natura : insomma, coloro che non sono ancora giunti allo stadio sub gralia, ma sono rimasti al secondo, sub lege. In fatti, dopo il peccato di Adamo, gli uomini sono formati secondo la carne, e divenuti pertanto una sola m a ssa di fango, che massa di peccato. Ora, avendo perduto co! peccato ogni me rito, e non essendo i peccatori, quando la misericordia divina s allontanata da loro, degni d'altro che di dannazione, come pu luomo che appartiene a questa massa chiedere a Dio che risponda alle sue domande? Per conoscere la giustizia divina, bi sogna liberarsi da questa condizione di fango e diventare figli ci Dio. Tali si diventa, grazie alla misericordia divina, quando si crede in Lui : il semplice desiderio di conoscere i segreti della giu stizia e misericordia divina non basta. Infatti tale conoscenza ricom pensa i meriti, che si acquistano con laver fede ; mentre a sua volta la grazia, concessa attraverso la fede, non rimunera alcun merito precedente delluomo, che finch rimane nel secondo stadio non che un peccatore. Cristo, dice ora Agostino, morto per gli empii e i peccatori, affinch noi fossimo chiamati alla fede, ma non in virt di alcun merito anteriore ; e credendo acquistassi mo dei meriti. Bisogna quindi incominciare dalla fede, perch i precetti di Cristo, che inducono i credenti a staccarsi'da questo mondo materiale, purifichino i loro cuori : quando luomo si sia purificato, allora conoscer i segreti della grazia e della giustizia, e sapr se vi siano meriti arcani. Infatti Dio opera secondo la sua volont sovrana : ha compassione di chi vuole e indurisce il cuore di chi vuole. Ma questa volont di Dio razionale e giusta ; quindi essa tiene conto di meriti nascosti e segretissimi, cos che anche se i peccatori costituiscono una sola massa, pure vi sono tra loro certe differenze ; alcuni, sebbene non ancora giustificati, sono degni di esserlo, altri no. Ora, ci deve essere una ragione di tale differenza. E nondi meno tutto dipende da Dio e dalla sua misericordia : non basta il pentirsi, non basta il desiderio, se Dio non viene in aiuto; Io stesso desiderio suscitato in noi da Dio. Infatti, luomo non pu volere qualche cosa senza aver sentito uno stimolo, ricevuto un invito, un richiamo, che gli pu essere rivolto sia dallinterno,

sia dallesterno (per mezzo di parole o di segni). Cos Dio che causa in noi il volere. La parabola del banchetto conferma questa interpretazione : vi dunque una vocatio rivolta alluomo, che libero, e della quale si pu dire che crea la volont buona o cat tiva, prima che esista ogni merito. Chi risponde alla chiamata, non pu attribuire a se stesso il fatto di essere stato chiamato ; chi non risponde, si acquista un merito negativo, per cui punito giu stamente (19). La giustizia di Dio : questo il punto che Agostino tiene a difendere, evidentemente contro i manichei (20). Pertanto egli tiene a far rilevare che il peccato conseguenza unicamente d un atto delluomo, ha le sue origini nel libero arbitrio. E, data quella sua concezione della vocatio, il rivolgersi a Dio, il credere a Cristo, diventa un atto del tutto volontario, libero, autonomo deUuomo; la redenzione consiste nella purificazione dellanima, nello staccarsi cio dal mondo materiale, seguendo i precetti evangelici. Cos, gli occultissimo merita, non si intendono se non come meriti futuri che uno si acquister credendo, e che sono tuttavia gi noti alla prescienza divina, ma ad essa sola; in tal senso, possono dirsi occultissimi. Agostino si sforza di avvicinare le sue concezioni, maturate e conservate per tanti anni, al pensiero dellapostolo, ma in fondo non le modifica sostanzialmente. Il pensiero che si mani festa in queste quaestiones ancora in sostanza lo stesso che abbiamo trovato nell Expositio quarundam propositionum. E della soluzione data alle difficolt che gli si presentavano, Agostino deve essere rimasto cos soddisfatto, che egli abbandon, vero, lidea di scrivere un grande commento a Romani; ma per qualche tempo non sent il bisogno di ristudiare questa lettera (21). Non mancano nelle questioni successive affermazioni dello stesso genere di quelle che abbiamo veduto or ora. Cos nella qu. 70, a proposito di I Corinzi, XV, 54-56, Agostino ribadisce il concetto che morte significa la consuetudine carnale che, desiderando beni terreni, resiste alla buona volont, cio allo spirito illuminato e vivificato. Questa la condizione in cui luomo si trova, onde ha bisogno dellaiuto che Dio gli porge mediante gli angeli e gli uomini buoni ; ne sar liberato con la resurrezione allorch egli avr rivestito il corpo spirituale e la volont buona non trover quindi pi ostacoli. Tale era stato creato Adamo; ma 93

dopo il peccato di lui, il genere umano ha meritato la morte (22). E allo stesso modo, sebbene in una forma abbreviata, direi di ellissi, la quale a prima vista pu forse indurre a una interpreta zione differente, mi pare che Agostino si esprima altres nella qu. 76, su Giacomo II, 20 (23). E infatti ancora nella quaestio 82, troviamo il concetto di una giustizia suprema e assoluta, che di Dio, e unaffermazione del libero arbitrio (24). Questa, della libert del volere, ancora la preoccupazione fon damentale per Agostino, che vi ritorna sopra nel L. Ili del De libero arbitrio. Al principio del quale sembra posto nettamente il problema del rapporto tra prescienza e onnipotenza di Dio, ossia tra la prescienza divina e la predestinazione, o il libero arbitrio umano. Evodio, anche ammesso il libero arbitrio, vuol sapere donde sorga la tendenza della volont verso i beni inferiori ; in fatti se questo moto dellanima fosse necessitato, la responsabilit morale delluomo svanirebbe. Al che Agostino replica che si tratta d un movimento volontario, ed Evodio si dichiara convinto. Ma propone una difficolt pi grave : come si concilia questa libert umana con la prescienza divina? Questultima non si pu negare e d altra parte, ci che Dio conosce, deve realizzarsi. Ecco h dubbio che, dice Evodio, ineffabiliter me movet. Agostino scorge il pericolo di ricadere nuovamente nel manicheismo, e questo ti more lo ispira durante tutta la discussione. La sua argomentazione alquanto complicata; ma, nonostante labuso della dialettica for malistica, e il perdersi in disquisizioni sottili che in realt non fanno progredire la ricerca, quella preoccupazione fondamentale appare evidente. Dopo quella schermaglia preliminare, si torna ad affron tare la questione in tutta la sua gravit. Dio nello stesso tempo giusto e presciente ; ma con che giustizia punirebbe peccati, il cui realizzarsi necessitato? Oppure ci sono cose di cui Dio ha pre scienza e che non si realizzano necessariamente? Oppure si pu non attribuire al Creatore ci che accade di necessit? E qui tro viamo finalmente la distinzione che aspettavamo : quella tra la pre scienza di Dio e la sua onnipotenza. L apparente contraddizione tra la libert umana e la prescienza divina, osserva ora Agostino, non dipende dal fatto che si tratta di prescienza di Dio, ma sempli cemente dallessere prescienza, conoscenza previa di cosa certa e rale. In tal modo, la prescienza di Dio pu paragonarsi alla previ 94

sione o prescienza delluomo. Allo stesso modo che tu egli dice a Evodio con la tua prescienza conosci ci che un altro far vo lontariamente, cos Dio, senza obbligare nessuno a peccare, prevede coloro che peccheranno per loro volont. Inoltre, la prescienza di Dio si pu paragonare anche alla memoria delluomo. Allo stesso modo che tu con la tua memoria non obblighi le cose del passato a essersi realizzate, cos Dio con la sua prescienza non obbliga a realizzarsi le cose future. Pertanto Dio pu castigare con tutta giustizia peccati di cui egli ha prescienza, ma non lautore (25). Questa argomentazione interessante, perch in esse sintravvede gi come unanticipazione delle profonde analisi psicologiche che sono caratteristiche delle opere .posteriori di SantAgostino e giustamente celebri. Per evidente che, animato dalla preoccu pazione di opporsi ai manichei e ribattere le obiezioni che essi pote vano sollevare, egli non ne vide altre, o non se ne preoccup molto. La sua ansia di combattere i manichei si fa evidente, quando lo vediamo insistere sullordine e la perfezione delluniverso e fondare la sua interpretazione della salvezza su questi concetti. L anima del luomo, legata al corpo mortale, ora incapace di nutrirsi del Verbo divino, cibo di ogni natura razionale : essa, ora, non sa pi sfor zarsi di comprendere le cose invisibili, se non per mezzo di conget ture che ricava dalle cose visibili. Perci il Verbo si reso visibile mediante lincarnazione. Gli uomini, in seguito al peccato di Adamo, erano soggetti al demonio : dominazione non fondata sulla forza, ma pienamente giuridica, perch, essendosi Adamo dato al demonio, questi ha continuato a possedere il genere umano, cos come al possessore di buona fede spettano i frutti dellalbero. Per ci il Verbo non ha neppur esso ricorso alla forza, bens provocando il consenso delluomo, allo stesso modo che il demonio aveva otte nuto il consenso di Adamo. Cristo dunque venuto a rivelare il bene, come un maestro. Ma si tenga presente, aggiunge Agostino, che ogni difetto qualche cosa che si contrappone alla natura della csa divenuta difettosa, e che pertanto questa natura i n . s rimane buona, e quindi va lodata ; quanto pi, dunque, il suo Creatore ! Da biasimare sono soltanto i difetti stessi, e i peccati. I quali, dun que, in quanto si contrappongono a Dio, sono volontari (26). Evodio tuttavia soddisfatto solo fino a un certo punto. Se non la prescienza di Dio quella che fa peccare gli uni e non pec 95

care gli altri, egli tuttavia vorrebbe sapere la ragione di questo diverso comportarsi degli uomini. E se la causa nella volont, allora qual la causa della volont? Al che Agostino risponde che questo ricercare continuamente la causa della causa un desiderio sfrenato di conoscere, una cupidigia non dissimile dallavarizia, radice di tutti i mali (cfr. I Tim . VI, 10). Del resto, questa cupi digia non che una volont cattiva : ecco dunque la causa di ogni male. Ma poi, dopo un'argomentazione piuttosto verbalistica, e in cui in sostanza Agostino dice soltanto che, qualunque sia la causa della volont, solo il determinarsi di questa verso il bene o il male che merita premio o castigo, egli riconosce che si rimpro verano alluomo anche azioni commesse per ignoranza. E questa osservazione, avvalorata anche da citazioni di passi biblici cruciali, conduce Agostino a considerare la condizione delluomo dopo il peccato di Adamo. La sua debolezza, la sua incapacit di essere buono una pena, e certamente giusta poich viene da Dio ; quindi pena di un peccato. Infatti questa incapacit di scorgere il vero non pu essere qualche cosa di inerente alla natura umana, che altrimenti, se il peccare fofcse per luomo cosa naturale, non sa rebbe pi imputabile, ossia non sarebbe peccato. Ma quando par liamo di libera volont di fare il bene, ci riferiamo alla condizione in cui luomo stato creato. Ma non si pu dire che la condanna dell'umanit per la colpa dei progenitori sia ingiusta-, tale sarebbe infatti soltanto se nessuno fosse in grado di sottrarsi allerrore o alla passione. Invece Dio sempre presente, e in molti modi chiama a s luomo ; da lui dipende lascoltare questa chiamata, o il respingerla. In questultimo caso, luomo si rende direttamente col pevole, per avere rifiutato la salvezza che gli stata offerta. Infatti le azioni commesse soltanto per ignoranza, o lincapacit di operare il bene, pur volendo, si chiamano peccati solo per metonimia, in quanto hanno la loro origine sul peccato del progenitore. Quindi il termine peccato ha due sensi, uno proprio e laltro estensivo, allo stesso modo che anche natura si usa talvolta nel senso di natura viziata , come p. es. S. Paolo in Ephes. II, 3. Ma, insomma, alla ignorantia e alla difficultas che lostacolano, lanima umana pu sempre sottrarsi, sicch la sua condizione gravosa, la sua pena, dovrebbe tradursi piuttosto in unincitamento a rispondere all'appello che Dio continuamente le rivolge. Cos Agostino tratto 96

ad occuparsi dellorigine dellanima. Tra le diverse ipotesi, egli rimane incerto e vorrebbe che ognuno, riconoscendo che si tratta di quesfione oscura e dubbia, rispettasse le opinioni altrui (27). Ma limportante che, se lanima incolpata non a causa di ci che essa ignora o di cui incapace ma per non aver voluto sapere o agire, Dio la punisce giustamente (28). Nellinsieme, come si vede, e se prescindiamo dalla discus sione, per quanto importante, intorno alla prescienza, non troviamo qui posizioni dottrinali nuove, in confronto con gli altri scritti di questo periodo (29). Per questo stesso problema della relazione tra prescienza divina e libert umana sembra presentarsi, ad Ago stino piuttosto per la necessit di respingere argomentazioni e obie zioni dei manichei, che per unesigenza completamente interiore sorta dalla riflessione intorno alla dottrina di San Paolo. E siccome egli ripete le spiegazioni date nei commenti gi esaminati, vi ragione di credere che, per il momento, queste gli sembrassero del tutto convincenti. Ma c ancora qualche cosa di nuovo. Agostino affronta un problema che non gli si ancora presentato. A qual fine, dato lor dine e la perfezione del creato, vengono al mondo quei bambini che muoiono nellatto stesso del nascere, incapaci quindi di deter minarsi in un senso o nellaltro? E quale sar la sorte di queste anim e? Egli non esita ad affermare che vi pu essere una vita intermedia tra il peccato e loperare bene, e cos una vita ultraterrena intermedia tra il premio e la pena. V anche sog giunge chi si domanda a che giovi il battesimo deglinfanti ; i quali, se muoiono subito e non hanno potuto acquistarsi n colpa n merito, non dovrebbero essere, in giustizia, n condannati n premiati. Che Agostino si prospetti ora queste difficolt partico larmente interessante, quando si ricordi quale importanza largo mento tratto dal battesimo deglinfanti assunse poi nella con troversia con Pelagio. Ed egli risponde che il Battesimo lin troduzione alla vita cristiana, cio alla via verso la perfezione, fondata sulla conoscenza del bene e ladesione, libera, a questo. Nel battesimo conta la fede la quale prestata agli infanti dai genitori. Da ci ognuno pu arguire quanto valga la fede propria : e questo basta per giustificare la prassi della Chiesa (30) nel battez zare gli infanti. Ma non meno importante che Agostino si preoc97

cupi di difendere tale prassi. Come non senza importanza che anche in questo libro egli si occupi delle eresie (31); per non pariare delle citazioni di San Paolo e del carattere pi strettamente religioso e meno intellettualistico che anche la sua polemica contro il manicheismo venuta assumendo. Accanto alla lettera A i Romani era naturale che attirasse la attenzione di Agostino quella A i Calati, a commentare la quale egli . si accinse in questo stesso torno di tempo, forse come esercizio preparatorio al Commento a Romani, oppure con lintenzione di redigere un commentario completo a S. Paolo. Anche qui ritro viamo i-quatro stadi gi segnalati, anche qui lApostolo conside rato in realt giunto ormai a quello sub gratia, anche qui il con cetto che Agostino ha della grazia sostanzialmente quello di una illuminazione intellettuale per cui luomo messo in grado di eser citare con piena efficacia il suo libero arbitrio. La grazia pre senta alla volont umana i beni superiori e spirituali che si con trappongono a quelli materiali e sensibili, affinch la nostra volont (che non pu non rivolgersi a ci che pi la diletta, e se le due attrattive sono eguali rimane incerta), cos illuminata, scelga i primi beni e non i secondi. E neppure la spiegazione circa la necessit della grazia, quando la si consideri da vicino, presenta alcunch di nuovo (32). Lo studio di S. Paolo ha dunque posto Agostino di fronte a qualche problema nuovo. Lo ha spinto soprattutto a considerare la salvezza dellanima non pi come un graduale elevarsi alla cono scenza della verit, ossia, intellettualisticamente (anche ammettendo che per lui la purificazione era condizione preliminare e indispen sabile per tale elevazione) bens in modo pi specificamente reli gioso, in termini di grazia, di fede, di giustificazione. Comera na turale, egli cerc di adattare il s io pensiero a questo nuovo modo di vedere, muovendo evidentemente dalla convinzione in lui ben radicata che nelle conclusioni ultime vera religione e vera filosofia coincidono. E poich in base a questo concetto, il male morale e lerrore sono a loro volta identici, egli ha potuto mantenere la sua concezione del mondo come ordine e del peccato come violazione di Questordine e quindi totalmente volontario da parte delluomo, e di Dio, supremamente buonp in quanto creatore e supremamente giusto in quanto punisce. Dalla giustizia divina egli fa dipendere 98

anche la condizione, delluomo, che nonostante sia dotato di anima razionale pu peccare e anzi in certi stati non pu farne a meno : e la pena cuf lintero genere umano sottoposto, da quando il corpo stato reso mortale. In tutto questo, non c come abbiamo notaio nessun cambiamento. Ma quellantico ottimismo, per cui Agostino si mostrava cos sicuro che glindotti affidandosi allautorit e i pi sapienti in virt della ragione avrebbero tutti egualmente potuto assurgere a una certa conoscenza di Dio e del vero, si alquanto attenuato. Egli non parla pi con lantico calore, della voce divina che risuona nel cuore di ogni uomo ; am mette che alla chiamata di Dio luomo possa non rispondere, anzi proprio pr dimostrare che la salvezza possibile (e quindi il pec cato volontario e la pena meritata e Dio giusto), riconosce che al cuni si salvano, sottraendosi allimpero della carne. E chiaro an che se Agostino non lo dice esplicitamente che ci rende tanto pi necessaria ladesione alla Chiesa e la partecipazione ai suoi sa cramenti. Il professore di retorica e di filosofia si cambiato in apologista e a questo, che continuava a ispirarsi in concezioni filo sofiche, si sono aggiunti in lui lecclesiastico e lesegeta. Non difficile concludere che lesercizio del ministero sacerdotale e la pi piena, diretta e assidua partecipazione alla vita sacramentale della Chiesa abbiano contribuito ad attenuare quellottimismo di un tempo, per cui Agostino si sentiva sicuro di essere del numero degli eletti. Ma questo cambiamento avvenuto attraverso la lettura e la meditazione delle Epistole di San Paolo. E si tratta di un cambio che non ha nulla di brusco, di rivoluzionario, e non ancora nemmeno molto considerevole; per fu un cambiamento ef fettivo ed ebbe conseguenze importanti.

NO TE

(1) Cfr. Retiact. I, 22 (23), 1. (2) Expositio quarundam propositionum ex epistola ad Romcmos, 9: ira di Dio significa in realt castigo e d'altronde di questira parla non solo l'Antico ma anche il Nuovo Testamento (a Rom. II, 5); 11: S. Paolo non stabi lisce alcun contrasto tra le due parti della Bibbia, per la Legge si deve interpretare allegoricamente (a Rom., II, 29); 49: l'apostolo non permette af fatto di concludere, dualisticamente tamquam ex adverso principio aliquam naturam, quam non condidit Deus, inimicitiae adversus Deum exercere (a Rom. VIII, 7); 53: falso che vegetali e minerai siano dotati di sensibilit

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(a Rom. Vili, 19-20 e 23); 54: solo agli stolti possono sembrare inutili certe tribolazioni, ohe invece Dio ci manda per il nostro bene (a Rom* VIII, 27). (3) Expos. quarr. propp., 13-18 (a Rom. Ili, 20): Quod' autem dicit * Quia non iustificabitur in lege... " et caetera similia, quae quidam putant in con tumeliam legie obicienda, eoi licite sa tis legenda eunt, ut neque lex ab Apostolo improbata videatur, neque homini arbitrium liberum sit ablatum. Itaque quat tuor istos gradus hominis dietinguamus, ante Legem, sub Lege, in gratia, in pace. Ante legem, sequimur concupiscentiam camis; sub Lege, trahimur ab ea; 6ub gratia, nec sequimur eam nec trahimur ab ea; in pace, nulla est con cupiscentia carnis. Ante Legem ergo non pugnamus, <juia non eoJum concupi6cimus et peccamue, eed etiam approbamus peccata. Sub Lege pugnamus, sed vincimur; fatemur enim mala esse quae facimus, et fatendo mala esse, utique nolumus facere, eed quia nondum est gratia superamur. In ieto gradu ostendi tur nobis quomodo iaceamus et dum eurgere volumus et cadimus, gravius affligimur. Inde hic dicitur Lex subintravit ut abundaret delictum (Rom., V, 20). Inde et quod nunc positum est per Legem enim cognitio peccati . Non enim ablatio peccati esi; quia per eolam gratiam aufertur peccatum. Bona est ergo Lex quia ea vetat quae vetanda sunt, et ea iubet quae iubenda sunt. Sed cum quieque illam viribus euie se putat implere, non per gratiam Liberatoris sui, nihil ei prodest ista praesumptio; immo etiam tantum nocet, ut et vehementiori peccati desiderio rapiatur et in peccatis etiam praevaricator inveniatur. Ubi enim non est Lex, nec praevaricatio . (Rom. IV, 15). Sic ergo iacens cum se quisque cognoverit per se ipsum eurgere non valere, im ploret Liberatoris auxilium. Venit ergo gratia quae donet peccata praeterita et conantem adiuvet et tribuat charitatem iustitiae et auferat metum. Quod cum fit, tametsi desideria quaedam carnis, dum in hac vita sumus, adversu6 spi ritum nostrum pugnant ut eum ducant in peccatum, non tamen his desiderile coneentiene epiritue, quoniam est fixue in gratia et charitate Dei, desinit pec care. Non enim in ipeo desiderio pravo, eed in nostra consensione peccamus. Ad hoc valet quod dicit idem apoetolus Non ergo regnet peccatum in vestro mortali corpore ad obediendum desideriis eius (Ro. VI, 12). Hinc enim osten dit esse desideria, quibus non obediendo, peccatum in nobie regnare non si nimus. Sed quoniam ista desideria de carnis mortaiitate nascuntur, quae trahimus ex primo peccato primi hominis, unde carnaliter naecimur, non finien tur haec nisi reeurrectione corporis immutationem illam quae nobis promittitur meruerimue, ubi perfecta pax erit, cum in quarto gradii constituemur. Ideo tutem perfecta pax, quia nihil nobi6 resietet non resistentibus Deo... Liberum ergo arbitrium perfecte fuit in primo homine, in nobis autem ante gratiam non est 1iberum arbitrium ut non peccemus, sed tantum ut peccare nolimue. Gratia vero efficit ut non tantum velimus recte facere, sed etiam poeeimue, non vi ribus nostri6, eed Liberatoris auxilio, qui nobis etiam perfectam pacem in re eurrectione tribuet (Cfr. per i 4 etadi, C. Fortun. 22 al c. , n. 2); 21: Deue per gratiam dedit, quia peccatoribus dedit, ut per fidem iuste viverent, id est ope rarentur. Quod ergo bene operamur, iam accepta gratia, non nobie sed illi tribuendum est, qui per gratiam nos iustificavit (a Rom. IV, 4); 30: Data e6t Lex ad ostendendum quantis quamque arctis vinculi6 peccatorum costringerentur qui de 6uie viribus ad implendam iustitiam praesumebant (a V, 20). Nel terzo eiadio homo iam mente servit Legi Dei, quamvis carne serviat legi peccati. Non enim obaudit deeiderio peccati, quamvie adhuc eollicitent concupiscentiae et provocent ad conseneionem donec vivificetur etiam corpus

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et absorbeatur more in victoriam (cfr. I Cor. XV, 55). Quia enim non consenti mus desideriis pravie, in gratia sumus, et non regnat peccatum in nostro mor tali corpore. (35; a VI, 14). Ma nel eecondo stadio, l'uomo peccatis vincitur dum viribus suis duste vivere conatur sine adiutorio liberantis gratiae Dei. In libero autem arbitrio habet ut credat Liberatori et accipiat gratiam, ut iam illo qui eam donat liberante et adiuvante non peccet, atque ita desinat esse *ub Lege (44, a VII, 19-20); In eo enim est damnatio, quod obtemperamus et servimus desideriis pravis carnalibus. Si autem existant et non desint talia desideria, non tamen his obediamus, non captivamur et sub gratia iam eumus (45; a Vii, 22). (4) Expos. quarr. p iopp. ex Ep. ad Roni., 55: Manifestum est non iustificatos nisi vocatos, quamquam non omnee vocatos, sed eos qui secundum pro positum vocati sunt... Non enim omnes qui vocati eunt, secundum propoeitum vocati sunt: hoc enim propositum ad praescientiam et ad praedestinationem Dei pertinet, nec praedestinavit aliquem, nisi quem praesciverit crediturum, et se cuturum vocationem suam (a VIII, 30); 60; Respondemus praeeeientia Dei fac tum esse, qua novit etiam de nondum natis qualis quisque futuru sit... nisi quisquam credat in eum et in accipiendi voluntate permaneat, non accipit donum Dei, id est Spiritum Sanctum, per quem diffusa caritate bonum possit operari. Non ergo elegit Deus opera cuiusquam in praescientia, quae ipse daturus est, sed fidem elegit in praescientia ut quem sibi credituTum esse praescivit, ipsum elegerit cui Spiritum Sanctum daret... Quod ergo credimus, nostrum est; quod
autem bonum operamur, illius est qui credentibus in se dat Spiritum Sanctum...

Quod si vocatus vocantem secutus fuerit quod est iam in libero arbitrio, mere bitur et Spiritum Sanctum... in quo permanens... merebitur etiam vitam aeter nam (a IX, 16); 62: In his quos damnat, infidelitas et impietas inchoat poenae meritum... bona per donum Dei operemur et mala per supplicium; cum tamen homini non auferatur liberum voluntatis arbitrium, sive ad credendum Deum, ut consequatur nos misericordia, eive ad impietatem, ut consequatur supplicium (a IX, 19 sgg.). (5) Expos. quarr. propp. ex epist. ad Rom., 62: Quamdiu figmentum es, inquit, et ad massam luti pertinee, nondum perductus ad spiritalia ut sis spi ritalis omnia iudicans et a nemine iudiceris, cohibeas te oportet ab huiusmodi inquisitione et non res<pondeas Deo (a IX, 21). Per le discussioni su queeto passo, v. pi avanti, cc. VI e VII. (6) Retract. I, 24 (25), 1. (7) Epist. ad Rom. inch. expos., 8: Gratia est ergo a Deo patre et Do mino nostro Iesu Christo, qua nobis peccata remittuntur, quibus adversabamur Deo; pax vero ipsa qua reconciliamur Deo (cfr. Expos. Epist. ad Gai., 3, cit. alia n. 32); 9: Sed hoc plane iustum est apud Deum: quia vere iustum eet ut ii quos peccatorum suorum paenitet, eo tempore quo nondum poenarum mani festus terror apparet, misericorditer eeparentur ab iis qui defensiones pecca torum suorum pertinaciter exquirentes nulla paenitentia corrigi volunt. Iniuetum eet enim ut cum his i\li ad consortium poenale copulentur qui vocantem Deum non spreverunt et peccantes displicuerunt sibi, ut quemadmodum ille peccata eorum, sic etiam ipei odissent sua. Ea enim demum est humanae justi tiae disciplina, non in se amare nisd quod Dei est et odisse quod proprium est, nec approbare peccata sua nec in eis alium improbare, sed se ipsum,- nec putare alie sibi esse ut sua peccata displiceant, nisi etiam vigilantissima deincepe in

tentione vitentur; nec in eie vitandis vires euas existimare sufficere, ni-si divini, tus adiuvetur. Iustum est ergo apud Deum ut ignoscatur talibus quaecum que antea commiserunt... Iusta eet ergo gratia Dei et grata iustitia, d\un in eo quoque etiam paenitentiae meritum gratia praecedat, quod neminem peccati eu i paeniteret, ni6i admonitione aliqua vocationis Dei . (8) Retract ., I, 25 (26), 1. (9) De diversis quaestionibus LXXXIII, qu. 1 Utium anima a se ipsa sit; 7, quae proprie in animante anima dicatur; 8, Ulrum per se anima moVeatur; 9, Utrum corporeos sensibus percipi veritas possit; 13, Quo documento constet homines bestiis antecellere; 3, Utrum Deo auctore sit homo deterior; 4, Quae sit causa ut sit homo delerior; 6, De malo; 10, Utrum corpus a Deo sit; 21, Utrum Deus auctor mali non sit; 22. Deum non pati necessitatem; 24. Utrum peccatum et recte factum in libero sit voluntatis arbitrio. (10) La stessa preoccupazione potrebbe ravvisarsi nella qu. 14: Non fuisse corpus Christi phantasma; e con essa formerebbero idealmente un gruppo le 16 De Filio Dei, la 18: De Tramiate, e la 23: De Patre et Filio. (11) Qaestt. 27, de Providentia (Luca II, 14); 29, Utrum aliquid sit sursum aut deorsum in universo (cfr, Coloss. III, 2); 31, Sententia Ciceronis, quemad modum virtutes animi ab illo divisae ac definitae sunt (Cie., De Indent., 2). (12) Quaest. 51, De homine facto ad imaginem et similitudinem Dei (Gen. I, 26; V, 3); 52. De eo quod dictum est Paenitet me fecisse hominem (Gen . VI, 6); 53, De auro et argento quod Israelitae ab Aegyptiis acceperant (Ex. III, 22; XII, 35); 54, De eo quod scriptum est Mihi autem adhaerere Deo bonum est (Ps. LXXII, 28); 22, De eo quod scriptum est Sexaginta eunt re ginae, etc. (Cant. VI, 7); 56. De annis quadraginta eex aedificati Templi {Joh. II. 20-21); 57, De cencum quinquaginta tribus piscibus (Ioh. XXI, 11); 58, De Iohanne BaptLta, 59, De decem virginibus (Matt. XXV); 60. De eo quod scriptum est De die autem illo et hora nemo scit (Matt. XXIV, 36); 61. De eo quod scriptum est in Evangelio Turbas Dominum in monte pavisse de pa nibus quinque (Matt. XIV, 15, 21); 62, De eo quod scriptum est in Evangelio < Quia baptizabat Iesus plures quam Ioannes, etc. (Ioh. IV, 1); 63, De Verbo; 64, De muliere Samaritana; (Ioh. IV, 9); 65, De resurrectione Lazari (Ioh. XI, 44). Si noti che la qu. 79 su Eso, VII, V ili e la qu. 83 g u M c J . V, 32. (13) Quaestt. 66, a Rom. VII-VIII, 11; 67, a Rom. Vili, 18-24; 68, a Rom. IX, 20; 69, a I Cor. XV, 28; 70, a I Cor. XV, 54-56; 71, a Gal , VI, 2; 72; a Tit. I, 2; 73, a Philipp. Il, 7; 74, a Coloss. I, 14-15; 75, a Hebr. IX, 17. Si noti il poeto assegnato a Tito. La qu. 76 su lac. II, 20; la qu. 82 eu Hebr. XII, 6. (14) S. Zarb, Chronologia operum S. Augustini, in Angelicum, X, 1933, p. 395 dichiara che ordo inter ipsas quaestiones servatus non est chronolo.cTL cus sed systematicus, ita priores quinquaginta quaestiones eunt potius philo sophicae, aliae vero sunt potius quaestiones biblicae, atque inter se ordinantur secundum ordinem Sacrorum Librorum ; il che vero, come si visto, sol tanto in senso molto lato, come riconosce lo stesso autore con quel potius. Marrou, o. c., p. 168, n. 4 riconosce che un certain nombre des Diversae Quaestiones LXXXUI doit tre rapport la mme priode (cio gli anni 386391); il est difficile de dcider lesquelles; j'utilise celles qui ont une porte priilosophique e cita le quaestt. 12, 31, 33, 35, 29. Poi, trattando di Agostino come esegeta, o s s e r v a a p. 382, n. 4: je ne dis rien dee 83 Questions cliverses 102

dont la rdaction s'est prolongee jusqu 396. Les questione d exgse et de dootrine y abondent, mais il est difficile de dater chacune d elles . Ora evidente che sarebbe difficile, anzi forse impossibile, trovare nel linterno di ciascuna quaestio gli elementi per una datazione precisa. Ma poich l'ordine di esse non che apparentemente sistematico, se ci proviamo invece a considerarlo come cronologico, vediamo che tutto si spiega, in relazione con la stessa evoluzione spirituale di Agostino. (15) Si osservi del resto che la distinzione dei quattro stadi si trova gi nella qu. 61, 7: In toto enim saeculo generis humani tertium tempus est quo fidei Christianae gratia data eet. Primum est ante Legem, secundum sub Lege lertium sub gratia. Et quoniam quartum adhuc restat ,quo ad plenissimam pa cem Ierusalem caeleetis venturi sumus, quo tendit quisquis recte credit in Christum, propterea se dicit turbam illam reficere Dominus, ne deficiant in via . Nella qu. 55, che secondo la mia ipotesi dovrebbe essere press'a poco contem poranea all'inizio della polemica antidonatista, troviamo il concetto della sepa razione dei buoni dai malvagi in fine saeculi , cio precisamente uno dei prin cipali argomenta di Agoetino contro i donatisti. (16) De div. quaest. LXXXI11, qu. 66, 1: Ubi ergo non est gratia Libera toris, auget peccandi desiderium prohibitio peccatorum. Quod quidem ad hoc utile est, ut sentiat anima se ipsam non sibi sufficere ad extrahendum se de servitute peccati., atque hoc modo deiuniescente atque extincta omni superbia subdatur Liberatori suo, sinceriterque homo dicat adhaesit anima mea post te (Ps. 62, 9) quod est iam non esse sub lege peccati sed in lege iustitiae ; 4: Ad primam actionem demonstrandam, ista testimonia interim occurrunt {liom. V, 12-13;. VII, 8 segg.) ...manifestum est quod superius ideo dicebat mor tuum et non deputari, quia non apparebat antequam Lege prohibente ostendere tur; 5: Ad secundam actionem ista testimonia conveniunt {Rom. V, 20; VII, 5, 7-8, 9-11, 14 eeg.; 20-23). Huc usque sunt verba hominis sub Lege constituti non dum sub gratia; qui etiamsi nolit peccare, vincitur a peccato. Invaluit enim consuetudo carnalis et naturale vinculum mortalitatis, quo de Adam propagati sumus. Imploret ergo auxilium, qui sic positus est, et noverit suum fuisse quod cecidit, non suum esse quod surgit. Iam enim liberatus agnoscens gra tiam Liberatoris sui dicit: Miser ego homo... {Rom. VII, 24); 6: Et incipiunt iam verba hominis sub gratia constituti, in actione quam tertiam demonstravi mus, quae habet quidem reluctantem mortalitatem carnis, sed non vincentem atque captivantem ad consensionem peccandi... In similitudinem carnis paeccati; non enim caro p>eccati erat, quae non de carnali delectatione nata erat; sed tamen inerat ei similitudo peccati carnis, quia mortalis caro erat; mortem autem non meruit Adam nisi peccando... Sic et prudentia cam is dicitur, cum anima pro magnis bonis temporalia bona concupiscit. Quamdiu enim appetitus talis inest animae, legi Dei subiecta esse non potest; id est, non potest implere quae Lex iubet. Sed cum spiritalia bona desiderare coeperit et temporalia con temnere, desinet esse carnis prudentia et spiritui non resistet. Eadem namque anima, cum inferiora appetit, prudentiam carnis habere dicitur; cum superiora, prudentiam spiritus; non quia prudentia carnis substantia est, qua induitur anima vel exuitur, sed ipsius animae affectio eet, quae omnino sse desinet, cum se totam ad superna converterit... Si tamen, inquit, Spiritus Dei habitat... vita est propter iustitiam {Rem. VIII, 9-10). Mortuum corpus dicit, quamdiu tale eet ut indigentia rerum corporalium molestet animam et quibusdam motibue ex ipsa indigentia venientibus ad appetenda terrena sollicitet. Quibus tamen,

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quamvis existentibus, mene ad illicita facienda non coneentit, quae iam servit legi Dei et sub gratia constituta est. Ad hoc enim valet quod eupra dictum est Mente servio... (/tom. VII, 25). Et ille homo nunc describitur eese sub gratia, qui nondum habet perfectam pacem, quae corporis resurrectione et immutatione est futura ; 7: Restat ergo ut de ip<sa pace dicat resurrectionie corporie, quae quarta est actio... Si ergo Spiritus... (Rom. VIII. 11). Hic et de resurrectione corporis evidentiesimum teetimonium eet, et satis apparet, quamdiu in hac vita sumus, non deesse molestias per mortalem carnem neque titillationes quasdam delectationum carnalium. Quamvis enim non cedat qui sub gratia conetitutue mente servit legi peccati, tamen cam e eervit legi peccati. Illis gradibus homine oerfecto, nulla substantia invenitur malum; neque Lex mala est quae ostendit homini in quibus peccatorum vinculis iaceat, ut per fidem implorato Liberatorie auxilio et eolvi et erigi et firmissime constitui mereatur. In prima ergo actione, quae est ante Legem, nulla pugna est cum voluptatibus huius saeculi; in se cunda, quae sub Lege est, pugnamus sed vincimur; in tertia, pugnamus et vin cimus; in quarta, non pugnamus, sed perfecta et aeterna pace requdeecimus. Subditur enim nobis quod inferius nostrum est, quod propterea non subdebatur, quia superiorem nobis deserueramus Deum . (17) De div. quaest . 63, qu. 67, 3: Vanitati ergo creatura subiecta est, non sponte . Bene additum est: non eponte. Homo quippe sponte peccavit, sed non sponte 'damnatus est. Peccatum itaque fuit spontaneum, contra praecep tum facere veritatis; peccati autem poena subiici fallaciae. Non ergo eponte creatura subiecta eet veni tati sed propter eum qui subiecit eam in spe , id eet, propter eius iustitiam atque clementiam, qui neque impunitum reliquit pec catum ,neque insanabilem voluit esse peccantem (a Rom. VIII, 20): 4: Quia et ipea creatura (Rom. VIII, 21), id est, ipse homo, cum iam^eignaculo ima ginis propter peccatum amisso remansit tantummodo creatura, et ipsa itaque creatura , id est, et ipea quae nondum vocatur filiorum foima perfecta, sed tantum vocatur creatura, liberabitur a servitute interitus. Quod itaque ait et ipsa liberabitur facit intelligi, et ipsa quemadmodum et nos, id est et de ipsie non est desperandum qui nondum vocantur filii Dei quia nondum cre diderunt, sed tantum creatura; quia et ipsi credituri sunt et liberabuntur a servirtute interitus, quemadmodum nos qui iam Dei filii sumus, quamvis nondum apparuerit quid erimus (a Rom. VIII, 21). (18) Sulla curiositas in senso deteriore, e la disistima di Agostino per essa, a partire dal De ve ra religione v. Marrou, o. c., pp. 148 sgg. 350 sgg, (19) De div. quaest. LXXX111, qu. 68, 1: Cum videatur apostolus corri puisse curiosos... de hoc ipso illi quaestionem movent et in ea eententia non desinunt esse curiosi qua obiurgata est ipsa curiositas; et impii quidem cum contumelia, ut dicant apostolum in solvenda quaestione defecisse et obiurgaese quaerentes quia non poterat quod quaerebatur exponere. Nonnulli autem haeretici qui non decipiunt niei cum scientiam quam non exhibent pollicentur, et adversantes Legi et Prophetie quaecumque de illis apostolus sermoni suo inseruit falsa et a corruptoribus immissa esse criminantur, etiam hoc inter ipsa quae interpolata dicunt numerare maluerunt et negare Paulum dixis se , etc. 2: Non enim apostolus hoc loco eanctoe prohibuit a quaerendo, sed eos qui nondum eunt in charitate radicati et fundati, ut poesint comprehendere cum omnibus sanctis latitudinem, longitudinem, altitudinem et profundum et cetera quae in eodem loco (Eies . III, 18-19) exsequitur. Non ergo prohibuit a quaerendo qui dicit epirituales... et illud praecipue Nos autem... (I Cor.

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II 15 e 12). Quos ergo prohibuit, nisi luteoe atque terrenoe, qui nondum in trinsecus regenerati atque nutriti imaginem illius hominis portant, qui primus factus est de terra terrenus {ibid. XV, 47-49)? Et quia ei a quo factue est noluit obtemperare, in id lapsus est unde factus eet meruitque post peccatum audire: Terra es... [Gen. III, 19). Talibus igitur hominibus dicit Apo stolus o homo... . Quamdiu ergo figmentum es, nondum perfectus filius, quia nondum hausisti plenissimam gratiam qud nobis data est potestas fi lios Dei fieri, quo poesis audire iem non dicam... [Ioh. XV, 15); tu quis es... et velis Dei nosse consilium? . 3: Et ut manifestum eit, non san ctificato spiritui, sed carnali luto ista dici, vide quod sequitur aut non habet... . Ex quo ergo in paradiso natura nostra peccavit, ab eadem divina providentia, non secundum caelum, sed secundum terram, id est non secundtun spiritum sed secundum carnem (cfr. De serm. Dom. in monte , II, 23 cit., c. III. n. 26) mortali generatione formamur et omnes una massa luti facti sumus, quod est massa peccati. Cum ergo meritum peccando amiserimus, et misericordia Dei remota nihil aliud peccantibus nisi aeterna dannatio debeatur, quid sibi vult homo de hac massa, ut Deo respondeat et dicat Quare eie me fecisti? . Si \ris ista cognoscere, noli esse lutum, sed efficere filiue Dei per illius misericordiam, qui dedit potestatem filios Dei fieri credentibus in nomine eius; non autem, quod tu cupis, antequam credant, divina nosee cupientibus. Mer ces enim cognitionie meritis redditur, credendo autem meritum comparatur. Ipsa autem gratia quae data est per fidem, nullis nostris meritis praecedenti bus data est. Quod est enim meritum peccatoris et impii? Christus autem pro impiis et peccatoribus mortuus est ut ad credendum non merito eed gratia vocaremur, credendo autem merita collocaremus (Var.: compararemus ). Peccatores igitur credere iubentur, ut ( et ) a peccatis credendo puTgentur ( <purgantur ). Nesciunt enim quid recte vivendo visuri eint. Quapropter cum videre non possint, nisi recte vivant, nec recte vivere valeant, nisi credant; manifestum est a fide incipiendum ut praecepta quibus credentes a saeculo hoc avertuntur, cor mundum faciant, ubi videii Deus possit... Quapropter rccte dicitur hominibus in vetustate vitae manentibus et propterea tenebro sum oculum animae gerentibus o homo... Expurga vetus fermentum, ut sis nova conspersio (/ Cor. V. 7) et in ea ipsa non adhuc parvulus in Christo ut lacte potandus sis (cfr. 1 Cor. III, 2) eed perveni ad virum perfectum. Tum demum recte et non praepostere audies, si qua sunt de animarum se cretissimis meritis et de gratia vel iustitia, secreta omnipotentis Dei . 4: Ex eadem ergo massa, id est peccatorum, et vasa misericordiae protulit, quibus eubveiliret, cum eum deprecarentur filii Israel; et vasa irae, quorum supplicio illoe erudiret, id est Pharaonem et populum eius; quia quamvis essent utrique peccatores et propterea ad unam massam pertinerent, aliter tamen tractandi erant qui uni Deo ingemuerant... Prorsus cuius vult miseretur et quem vult obdurat; sed haec voluntas Dei iniusta esse non potest. Venit enim de occultissimis meritis; quia et ipsi peccatores cum propter generale peccatum unam maseam fecerint, non tamen nulla est inter illos diversitas. Praecedit ergo aliquid in peccatoribus, quo, quamvis nondum 6int iustificati, digni efficiantur iuetificatione; et item praecedit in aliis peccatoribus, quo digni sint obtusione. Habes eundem apostolum alibi dicentem: (Rom. I, 28). Qnod eos dedit in reprobum eensum, hoc eet quod induravit cor Pharaonis; quod autem illi non probaverunt Deum habere in notitia, hoc eet quod cigni extiterunt qui darentur in reprobum sensum . 5: Tamen verum est quiri " non

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volentis neque currentis... (Rom. IX, 16)... Quia etiamsi levioribus quisque peccatis aut certe quamvis gravioribue et multie, tamen magno gemitu et dolore paemtendi, misericordia Dei dignus fuerit, non ipsius eet, qui si relin queretur interiret, sed miserentis Dei, qui eius precibus doloribusque subve nit. Parum est enim velle, nisi Deus misereatur; sed Deus non miseretur, qui ad pacem vorat, nisi voluntas praecesserit... Et quoniam nec velie quidquam quisquam potest, nisi admonitus et vocatus, sive intrinsecus, ubi nullus homi num videt, 6ive extrinsecus per eermonem sonantem, aut per aliqua signa visibilia, efficitur ut etiam ipsum velle Deus operetur in nobis (cfr. Philipp. II, 13). Ad illam enim coenam, quam Dominus dicit in Evangelio praeparatam, nec omnes qui vocati eunt venire voluerunt ,neque illi qui venerunt venire possent nisi vocarentur (cfr. Lue., XIV, 16-26). Itaque nec illi debent sibi tribuere qui venerunt, quia vocati venerunt, nec illi qui potuerunt venii*e debent alteri tribuere, sed tantum sibi; quoniam, ut venirent, vocati erant in libera voluntate. Vocatio ergo ante meritum voluntatem operatur. Propterea, et si quisquam sibi tribuit quod venit vocatus, non sibi potest tribuere quod vocatus est. Qui autem vocatus non venit, sicut non habuit meritum praemii ut vocaretur, sic inchoat meritum supplicii cum vocatus venire neglexerit . (20) De div. quaest. LXXX111, qu. 68, 6: Haec autem vocatio, quae sive in singulis hominibus, sive in populis, atque in ipso genere humano per tem porum opportunitates operatur, altae et profundae ordinationis est... Illud ta men constantissima fide retinendum, neque quidquam Deum iniuste facere, neque ullam esse naturam quae non Deo debeat id quod est: quia Deo debetur omne decus et pulcritudo et congruentia partium, quam si penitus persecutus fueris et usque ad omnes reliquias de rebus detraxeris, remonet nihil . Per la differenza tra pulcritudo e congruentia partium, cfr. Confessioni, IV, XIII, 20. (21) Nessuna delle altre Questioni si riferisce a questa epistola. E vero che il Comment completo rimale incompiuto; ma non c' ragione di du bitare che ci fosse dovuto a una ragione diversa da quella indicata nelle
Retractationes. (22) De div. quaest. LXXXIII, qu. 70; Morte eignificari arbitror hoc

loco carnalem consuetudinem, quae resistit bonae voluntati delectatione tem poralium fruendorum. Non enim diceretur Ubi est, mors, contentio tua? (I Cor. XV, 55) si non restitisset et repugnasset. Istius contentio etiam illo loco describitur " Caro concupiscit... " (Gal. V, 17). Fit ergo per sanctificationem perfectam ut omnis carnalie appetitus spiritui nostro illuminato et vivificato, id est bonae voluntati, subiciatur. Et sicut nunc videmus multis puerilibus delectationibus nos carere, quae nos pueros, si denegarentur, acerrime cru ciabant, ita credendum est de omni carnali delectatione futurum esse, cum perfecta sanctitas totum hominem reparaverit. Nunc autem quamdiu est in nobis quod resistat bonae voluntati, auxilio Dei per bonos homines et bonyos angelos indigemus ut donec sanetur vulnus nostrum non ita molestet ut perimat etiam bonam voluntatem. Hanc autem mortem peccato meruimus, quod pec catum erat ante omnimodo in libero arbitrio cum in paradiso nullus dolor denegatae delectationis (var.: denegata delectatione) voluntati bonae homi nis resistebat, sicuti nunc... Ergo " aculeus mortis peccatum est: quia pec cato facta est delectatio, quae iam possit resistere bonae voluntati et cum dolore cohiberi. Quam delectationem, quia in defectu est animae deterioris effectae, iure mortem vocamus. Virtus autem peccati lex: quia multo scele ratius et flagitiosius quae lex prohibet comnrttuntur, quam ei nulla lege

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prohiberentur . E superfluo rilevare le somiglianze con gli scritti che venia mo esaiiiinando; ed chiaro che si Iratta qui del passaggio dal terzo al quarto dei gradi da Agostino descritti e distinti. (23) De div. quaest. LXXXIII, qu. 76, 1: <Locue iste epietolae eundem sensum Pauli apostoli, quomodo sit intelligendus exponit... Cum enim bona opera commendat Abrahae, quae eiue fidem comitata eunt, satie ostendit Pau lum apoetolum non ita per Abraham docere iustificari hominem per fidem sine operibus, ut si quis crediderit non ad eum pertineat bene operari; sed ad hoc potiue ut nemo meritis priorum operum arbitretur Ge pervenisse ad domum iustificationis, quae est in fide... Apostolus Paulus dicit posse hominem sine ope ribus, sed praecedentibus, iustificari per fidem. Nam iustificatus per fidem quo. modo potest nisi iuste deinceps operari quamvis antea nihil operatus iuste ad fidei iustificationem pervenerit, non merito bonorum operum, sed gratia Dei, quae in illo iam vacua esse non potest cum iam per dilectionem bene operatur? Quod si cum crediderit mox de hac vita decessit, iustificatio fidei manet cum illo, nec praecedentibus bonis operibus, quia non merito ad illam, sed gratia, pervenit; nec consequentibus, quia in nac via esse non sinitur . Qui che cosa Agostino intenda per gratia non definito: ma dal modo in cui si esprime in tutto il passo e nell'intera quaestio chiaro che non vi pu eseere differenza sostanziale d'indirizzo tra essa e la qu. 68. (24) De div quaesi. LX X X lli, qu. 82, 2: Omnis isla hominum iustitia, quam et tenere animus humanus recte faciendo potest, et peccando amittere, non imprimeTetur animae nisi v esset aliqua incommutabilis iustitia, quae integra inveniretur a rnstis, cum ad eam converterentur, integra relinqueretur a pec cantibus, cum ab eius lumine averterentur. Quae iustitia incommutabilis utique Dei est, nc eam porrigeret ad illustrandos ad se converecs si res humanas non curaret Deus . (25) De lib. arb. ili, 1: (Evodio) cupio per te cognoscere, unde ille motus existat, quo ip6a voluntas avertitur a communi atque incommutabili bono, et ad propria vel aliena vel infima atque omnia commutabilia convertitur bona . 4: Quomodo est igitur voluntas libera, ubi tam inevitabilis apparet neceseitas? 7: Mihi ei esset potestas ut eseem beatus, iam profecto essem; volo enim etiam nunc, et non sum, quia non ego, sed ille me beatum facit. . (Agostino): non enim posses aliud sentire esse in potestate nostra, niei quod cum volumus facimus. Quapropter nihil tam in nostra potestate quam ipsa vo luntas est . Invecchiamo e moriamo senza volere: in tal caso pestiamo parlare di necessit. Quamobrem quamvis praeeeiait Deus nostras voluntates futuras, non ex eo tamen conficitur, ut non voluntate aliquid velimus... Cum igitur prae scius Deu sit futurae beatitudini^ tuae... non tamen ex eo cogimur sentire, quod absurdissimum est et longe a veritate 6eclusum, non te volentem beatum futurm. Sicut autem voluntatem beatitudinis, cum esse coeperis beatus, non tibi aufert praescientia >ei, quae hodieque de tua futura beatitudine certa est, sic etiam voluntas culpabilis, si qua in te futura est, non propterea vo luntas non erit, quoniam Deue eam futuram esse praescivit . 8: Quomodo ergo non potest aliud fieri quam praescivit Deue, si voluntas non erit, quam voluntatem futuram ille praesciverit?... Si enim necesse est ut velit [homo], unde volet cum voluntas non erit?... Voluntas ergo erit, quia voluntati6 est praescius [Deus]. Nec voluntas es6e poterit, si in potestate non erit. Ergo et potestatis est praescius. Non igitur per eius praescientiam mihi potestas

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adimitur, quae propterea mihi certior aderit, quia ille cuius praeecientia noa fallitur adfuturam mihi es6e piaescivit . 9 (Evodio): Nam et iustum Deum necesse eet ut fateamur, et praescium. Sed scire vellem qua iustitia puniat pecca ta, quae necesse est fieri; aut quomodo non sit necesse fieri quae futura esee praeecivit, aut quomodo non Creatori deputandum est quidquid in eius crea tura fieri necesee est . 10: (Agost.) Sicut itaque non sibi adversantur haec duo, ut tu praescientia tua noveris quod alius eua voluntate facturus est, ita Deus neminem ud peccandum cogens praevidet tamen eos qui propria volun tate peccabunt . Qur ergo non vindicet iustue, quae fieri non cogit prae scius? Sicut enim tu memoria tua non cogis facta e^ee quae praeterierunt, eie Deus praescientia sua non cogit facienda quae futura sunt... Quorum autem. est malus auctor, iustus est ultor (26) De lib. arb. 111, 12: Quapropter non te islud iam moveat, quod vitu perantur animae peccatrices, ut dicas in corde tuo melius fuisse si non essent. In sui enim comparatione vituperantur, dum cogitatur quales essent, si pec care noluissent .13: Illud quoque moneo caveas, ne forte non dicae melius fuisse ut non essent, sed dicas aliter fieri debuisse. Quidquid_ enim tibi vera ratione melius occurrerit, scias feciese Deum tamquam bonorum omnium conditorem . 14: Nam ita quidam cum ratione verissima videant melio rem esee creaturam quae quamvis habeat liberam voluntatem Deo tamen semper infixa numquam peccaverit, intuentes peccata hominum, non ut peccare desinant, sed quia facti eunt dolent.. Non cHament, non succenseant, quia neque ipsos ideo coegit peccare, quia fecit, quibus potestatem utrum vellent dedit... ; 15: Nam neque ab iLa creatura quam praescivit Deus non solum peccaturam, sed etiam in peccandi voluntate mansuram, abstinuit largitatem bonitatis suae, ut eam non conderet. Sicut enim melior eet vel aberrane equus, quam lapis propterea non aberrane quia proprio motu et sensu caret, ita eet excellentior creatura quae libera voluntate peccat, quam quae propteiea non peccat, quia non habet liberam voluntatem ; 18: Ex illo igitur quod etiam ingratus habes quod vis, Creatoris lauda bonitatem; ex .illo autem quod pateris ingratus quod non vit, Ordinatoris lauda i\istitiami . 21: Omnia tamen eo ipso quo eunt, iure laudanda sunt; quia eo ipso quo sunt, bona sunt. Quanto enim amplius eese amaveris, tanto amplius vitam aeternam desidera bis; 26: A chi dicesse che, allora, alla perfezione dei!'universo sono neces sari anche i peccati respondetur non ipsa peccata vel ipeam miseriam perfectioni universitatis esse necessaria, sed animas in quantum animae sunt: quae ei velint peccant, peccaverint, miserae, fiunt . 27 Hanc tamen cor i ruptibilem carnem etiam peccatrix anima sic ornat ut ei speciem decentissimam praebeat, motumque vitalem. Habitationi ergo caelesti talis anima non congruit per peccatum; terrestri autem congruit per supplicium . 30: II Verbo illoe (scii. : angelos) intrinsecus pascens per id quod Deus eejt noe lorinsecus admonens per id quod nos sumue cibo di ogrii anima razionale; ma quella umana ad hoc diminutionds redacta, ut per coniecturas rerum v :6ibilium ad intelligenda visibilia niteretur , perci eseo cibus rationalis creaturae factue eet visibilis non commutatione naturae euae, sed habitu nostrae, ut visibilia sectantes ad ee invi6ibilem revocaret . Prima di Cristo, il demonio dominava tutto il genere umano (31) tamquam euae arboris fru ctus, prava quidem ha/bendi cupiditate, sed tsmen non iniquo poseidendi iure (questo passo merita foree di essere segnalato ai giuristi, che studiano levo
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luzione del diritto romano nellet poet-costantiniana e le influenze cristiane, cfr. p. es. E. Alberta rio, li possesso romano, in Bull. Istit. Dir. Rom., XL, 1932, p. 5 segg.; anche: malitioea quidem nocendi cupiditate, eed tamen iure aequissimo)... Ita factum est ut neque diabolo per vim eriperetur homo, quem non ipee vi, sed persuasione ceperat; et qui iuste plus humiliatus est, ut serviret cui ad malum consenserat, iuste pei eum cui ad bonum coneensit li beraretur; quia minus iste (l'uomo) in consentiendo, quam ille in male sua dendo peccaverat. 37: Omnis autem natura rationalis, cum libero volun tatis arbitrio condita, ei manet in fruendo summo atque incommutabili bono, procul dubio laudanda est: et omnis quae tendit ut maneat, etiam ipsa lau danda est;omnis autem quae non in eo manet et non vult agere ut ma neat, in quantum ibi non est et in quantum non id agit ut ibi sit, vituperanda est. Si ergo laudatur rationalis creatura quae est facta, nemo dubitat lau dandum esse qui fecit; et ei vituperatur, nemo dubitat eius conditorem in ipsa eius ^vituperatione laudar*. Cum enim propterea vituperamus hanc, quoniam summo et incommutabili bono, id eet, Creatore suo fru non vult, illum eine ulla dubitatione laudamus. 38: Nullius autem vituperatur vi tium, nied cuius natura laudatur. 41: Vilium autem... ncn aliunde malum est, nisi quia naturae adversatur eius ipsius rei cuiu6 eet vitium . 43: Si cogit verissima ratio, sicuti cogit, ut et vituperentur peccata et quidquid recte vituperatur ideo vituperetur quod non est ita ut eeee debuit, quaere quid debeat natura peccatrix et invenies recte factum, quaere cui debeat, et inve nies Deum. A quo enim accepit recle facere cum velit, ab eo accepit ut sit etiam misera si non lecerit, et beata si fecerit. 34: Quia enim nemo superat legee omnipotentis Creatoris, non sinitur anima non reddere debitum. Aut enim reddit bene utendo quod accepit, aut reddit amittendo quo bene uti noiuit. Itaque ei non reddet faciendo iuetitiam, reddet patiendo mieeriam... si non reddit faciendo quod debet, reddet patiendo quod debet . 45: Deus autem nulli debet aliquid, quia omnia gratuito praestat. Bt ei quisquam dicet ab illo aliquid deberi meritie suis, certe, ut esset non ei debebatur. Non enim erat cui deberetur. Et tamen, quod meritum est converti ad eum ex qtio es, ut ex ipso etiam melior 6ie, ex quo habes ut sie?... Omnia ergo illi debent, primo quidquid 6unt, in quantum naturae sunt; deinde quidquid melius posmt esse, si velint, quaecumque acceperunt ut velint et quidquid oportet eae esse. Ex eo igitur quod non accepit, nullus reue est; ex eo vero quod non facit quod debet, iuste reus est. Debet autem, ei accepit et voluntatem liberam el sufficientissimam facultatem *. 46: Ueque adeo autem dum non facit cfuisque quod debel, nulla culpa est conditorie... Si enim hoc debet quisque quoti accepit, et si homo factus eet, ut necessario peccet, hoc debet ut peccet. Cum ergo peccat, quod debet facit. Quod si 6celus eet dicere, neminem na tura 6ua cogit ut peccet. Sed nec aliena. Non enim quisquis dum id quod non vult patitur peccat... Quod si neque sua neque aliena natura quis peccare cogitur, restat ut propria voluntate peccetur. Quod ed tribuere voluerie Con ditori, peccantem purgabis, qui nihil praeter sui Conditoris instituta commisit, qui si recte defenditur, non peccavit; non est ergo quod tribuas Conditori. Laudemus ergo Conditorem, 6i poteet defendi peccator, laudemus si non potest. Si enim iuste defenditur, non eet peccator: lauda autem Conditorem. Si autem defendi non potest, in tantum peccator est, in quantum se a Creatore avertit: lauda ergo Creatorem .

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(27) Si sa che su tale questione Agostmo respingendo tanto la dottrina manichea guanto quella di Origene si mantenne a lungo incerto tra le varie opinioni inclinando poi sempre pi vereo il traducianismo di Tertulliano, come ammesso generalmente agl'interpreti del suo pensiero, tra cuij. Gilson d \Intraduction 'tude de St. A u g m tin , Paris 1929, p. 65). Curioso che il Gilon non ricordi tra le fonti agostiniane n De Genesi ad litt. X, n l'Epistola T.XC; n sembra distinguere bene tra 1 Ep. CXL De anima et eius origine t il trattato in 4 libri contro Vincenzo Vittore ,il cui titolo esatto (cfr. C.S.E.L., 60) De natura et origine animae. (28) De lit. nrb. Ili, 47 (Evodio): Sed tarrien ecire vehem, si fieri potest, quaie illa natura non peccat, quam non peccaturam praescivit Deus, et quare ista peccet quae ab illo peccatura praevisa est. Non enim iam puto, ipsa Dei praescientia vel istam peccare vel illam non peccare cogi... Sed nolo mihi respondeatur " volun tas; ego enim causam quaero ipsius voluntatis. 48: (Agostino) avaritia cupiditas est; cupiditas porro improba voluntas eSt. Ergo improba voluntas malorum omnium causa est . 49: Sed quae tan dem esse poterit ante voluntatem causa voluntatis? Aut enim et ipsa volun tas est, et a radice ista voluntatis non receditur; aut non est voxuntas et peccatum nullum habet. Aut igitur ipea voluntas eet prima causa peccandi aut nullum peccatum est prima causa peccandi. Nec est cui recte imputetur peccatum nisi peccanti; non est ergo cui recte imputetur, nisi volenti... Deinde, quaecumque illa causa est voluntatis, aut iusta profecto est, aut iniusta. Si insta, quisquis ei obtemperaverit non peccabit; si iniusta, non ei obtemperet et non peccabit (cfr. 50). 51: Et tamen quaedam etiam per ignorantiam facta improbantur et corrigenda iudicantur (/ Tim. I, 13; Ps. XXIV, 7; Rom. VII, 19; Gal. V, 17). Sed haec omnia hominum sunt, ex illa mortis damnatione venientium; nam si non est ista poena hominis, sed natura, nulla ista pec cata sunt . L'uomo ora non est bonus nec habet in potestate ut bonus sit, sive non videndo qualis esse debeat, sive videndo et non valendo esse, qua lem debere eese ee videt: poenam istam esse quis dubitet? Omnis autem poena si iusta est, peccati poena est, et supplicium nominatur; si autem iniusta est poena, quoniam poenam esse nemo ambigit, iniuste aliquo dominante ho mini imposita est. Porro quia de omnipotentia Dei et iustitia dubitare de mentis est, iusta haec poena eet, et pro peccato aliquo penditur. Non enim quisquam iniustus dominator aut subripere hominem potuit, velut ignoranti Deo, aut extorquere invito, tamquam invalidiori, vel terrendo vel confligendo, ut hominem iniusta poena cruciaret. Relinquitur ergo, ut haec iusta poena de damnatione hominis veniat . 52: Illa est enim peccati poena iustissima, ut amittat quisque quo bene uti noluit, cum sine ulla posset difficultate, si vellet... Nam sunt re vera omni peccanti animae duo ista poenalia, ignoran tia et difficultas. Ex ignorantia dehonestat error, ex difficultate cruciatus affligit. Sed approbare falsa pro verie, ut erret invitus, et resistente atque torquente dolore carnalis vinculi non posse a libidinosis operibus temperare non est natura instituti hominis sed poena damnati. Cum autem de libera voluntate recte faciendi loquimur, de illa scilicet in quo homo factus est loquimur . 53: Coloro che ritengono ingiusta la propria condanna recte fortasse quererentur si erroris et libidinis nullus hominum victor exsisteret; cum vero ubique sit praesens qui multis modis per creaturam sibi Domino servientem aversum vocet, doceat credentem., consoletur sperantem, diligentem

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adhortetur, conantem adiuvet, exaudial deprecantem. Non tibi deputatur ad culpam, quod invitile ignoras, eed quod negligis quaerere quod ignoras; neque illud quod vulnerata membra non colligis, eed quod volentem eanare contem nis: ista tua propria peccata sunt . 54: % Nam iilud quod ignorans quieque non recte facit et quod recte volens facere non potest, ideo dicuntur peccata, quia de peccato illo liberae voiun tatis originem ducunt. Illud enim praecedens meruit ista sequentia... Non solum peccatum illud dicimue, quod proprie voca tur peccatum libera enim voluntate et a sciente committi tur eed etiam illud quod iam de huius supplicio consequatur necesse est . 56: N o erit nascentibus animis ignorantia et difficultas supplicium peccati, eed pro ficiendi admonitio et perfectionis exordium... Quamquam enim in ignorantia et difficultate nata sit (scii.: anima), non tamen ad permanendum in eo quod nata est aliqua necessitate comprimitur . 64: Non enim quod naturaliter nescit et naturaliter non potest, hoc animae deputatur in reatum, sed quod scire non studuit et quod dignam facilitati comparandae ad recte faciendum operam non dedit. 65: Creator ve-ro eius (scii.: animae) ubique laudatur, vel quod eam ab ipsis exordii ad summi boni capacitatem inchoaverit, vel quod eius profectum adiuvet, vel quod impleat proficientem atque perficiat, vel quod peccantem, id est aut ab initiis euis, sese ad perfectionem attollere ecusantem aut iam ex profectu aliquo relabentem, iustieeima damnatione pro meritis ordinat... Quod ergo ignorat quid sibi agendum sit, ex eo est quod nondum accepit; eed hoc quoque accipiet, si hoc quod accepit bene usa fuerit. Accepit autem ut pie et diligenter quaerat si volet. Et quod agnoscens quid sibi agendum sit, non continuo valet implere, hoc quoque nondum accepit: praecessit enim quaedam pars eius sublimior ad eentiendum quod recte faciat bonum, sed quaedam tardior atque carnalis non consequenter in sententiam ducitur; ut ex ipsa difficultate admoneatur eundem implorare adiutorem perfectionie suae, quem inchoationis eentit auctorem, ut ex hoc ei fiat carior, dum non suis viribus, eed cuius bonitate habet ut sit, eius misericordia sublevatur ut beata sit . (29) Ritengo che P. Alfaric (. c., p. 412 eg.) avesse ragione di considerare il terzo libro De libero arbitrio come non redatto di un solo getto. I cc. 13-17, p. es. hanno tutta l'aria dessere alquanto posteriori ad altri; lo stesso po trebbe dirsi de! cc. 50-62 (o forse anche 47-62); di questi ultimi sembrano essere contemporanei i cc. 63-76. Ma per me contano le idee manifestate nelle parti pi importanti del libro, e tali sono certo i cc. 31 e 51 sgg., che senza dubbio appartengono al tempo in cui Agostino si sforzava di approfondire il senso delle epistole Ai Romani e A i Galati. Anche se alcune parti dello stesso libro fossero state redatte in precedenza, evidente che le idee in esse esposte corrispon devano ancora al pensiero dell'autore al momento della pubblicazione. (30) Jbid., 66: Non enim metuendum est, ne vita esse potuerit media quaedam inter recte factum atque peccatum et sententia iudicis media esee non possit inter praemium atque supplicium . 67: Quo loco etiam ilJud perscrutari homines solent, sacramentum baptismi Christi quid parvulis prosit cum eo accepto plerumque moriuntur priusquam ex eo quidquam co gnoscere potuerint. Qua in re satis pie recteque creditur prodesse parvulo eorum fidem a quibus consecrandus offertur. Et hoc Ecclesiae commendat salu berrima auctoritas, ut ex eo quisque eentiat quid sibi prosit fides sua, quando

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in akorum quoque beneficium, qui propriam nondum habent, potest aliena commodari cfr. De quant an., 80: Cum vero etiam puerorum infantium coneecrationes quantum proeint obscurissima quaestio est, nonnihil tamen p rodesse credendum est. (31) De lib. arb. III, 60. Agostino considera qui soltanto quegli eretici che o non hanno un concetto esatto della trascendenza di Dio (cio, i manichei) o non intendono correttamente il dogma trinitario. (32) Epistolae ad Galatas expositio, 3: Giatia Dei est qua nobis dojiantur peccata ut reconciliemur Deo; pax autem, qua reconciliamur D eo (a I, 3); 16: Destruxit autem superbiam gloriantem de operibus Legie, quae de&trui et deberet et posset, ne gratia fidei videretur non necessaria, si opera Legis et iam sine illa iustificare crederentur (a II, 17); 17; M ortuum autem se Legi dicit, ut iameub Lege non esset, sed tamen per Legem; eive quia Iudaeus erat et* tauLquam paedagogum Legem acceperat, sicut postea manifestat; hoc autem agitur per paedagogum ut non sit necessarius paedagogus..., eive per Legem spiritualiter intellectam Legi mortuus est, ne sub ea carnaliter viveret. Nam hoc modo per Legem Legi ut moreretur volebat, cum eis paulo poet ait... ut per eandem Legem spiritualiter intellectam morerentur carnalibus observationibus Legis... Sub Lege autem vivit, in quantum quisque peccator est, id est in quantum a vetere homine non eet mutatus; sua enim vita vivit, et ideo Lex supra illum est... Nam iusto Lex poeita non est (/ Tim. I, 9), id est imposita, ut supra illum sit; in illa est, potius quam sub illa; quia non eua vita vivit, cui coercendae Lex imponitur. Ut enim 6ic dicani. ipsa quodammodo Lege vivit qui cum dilectione iustitiae iuete vivit, non proprio ac transitorio, sed com muni ac stabili gaudene bono (cfr.De lib. arb. II, 19: manifestum est ergo ea quae non commutamus et tamen sentimus corporis seneibus et non pertinere ad naturam sensuum nostrorum et propterea magis nobis esse communia quia in noetrum et quasi privatum non vertuntur atque mutantur... Proprium ergo et quasi privatum intelligendum est quod unicuique nostrum soli est, et quod, in se solus sentit, quod ad euam naturam proprie pertinet; commune autem et quaei publicum, quod ab omnibus sentientibus nulla eui corruptione atque commutatione eentitur ). Et ideo Paulo non erat Lex imponenda, qui dicit vivo autem etc. etc. Quis ergo audeat Christo Legem imponere, qui vivit in Paulo? (a II, 19-21); 46: Quod autem ait "caro concupiscit * etc. putant hic homines liberum voluntatis arbitrium negare apostolum nos habere nec inteiligunt hoc eie dictum si gratiam fidei susceptam tenere nolunt, per quam solam possunt spiritu ambulare et concupiscentias camis non perficere; si ergo nolunt eam tenere, non poterunt ea quae volunt facere. Volunt enim operari opera iustitiae quae sunt in Lege sed vincuntur concupiscentia carnis, quam s e quendo deserunt gratiam fidei... Cum enim charitas Legem impleat, prudentia vero carnis commoda temporalia consectando spiritali charitati adversetur, quo modo potest legi Dei esse subieota, id est libenter atque obsequenter implere iustitiam, eique non adversari, quando etiam dum conatur, vincatur necesse est, ubi inveneri! maius commodum temporale de iniquitate se posse aesequi, quam si custodiat aequitatem? Sicut enim prima hominis vita est an/te Legem, cum nulla nequitia et malitia prohibetur... sic secunda est sub Lege ante gra tiam, quando prohibetur quidem et conatur a peccato abetinere se, sed vincitur, quia nondum iustitiam propter Deum et propter ipsam iustitiam diligit... Tertia est vita sub gratia, quando nihil temporalis commodi iustitiae praeponitur:

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quod nisi charitate spirituali, quam Dominus exemplo euo docuit et gratia do navit, fieri non potest. In hac enim vita etiamsi exietant desideria carnis de mortalitate corporis, tamen mentem aid consensionem peccati non eubiugant. Ita iam non regnat peccatum in nostro mortali corpore, quamvis non possit Disi inhabitare in eo, quamdiu mortale corpus est. Primo enim non regnat, cum mente servimus legi Dei, quamvie carne legi peccati, id est poenali consuetu dini, cum ex itta existunt desideria, quibus tamen non obedimus; postea vero ex omni parte exstinguitur... (a V, 17; si osservi come Agostino qui finisca per commentare Romani)'. 48: Agunt autem haec (scii.: opera carnis) qui cupidi tatibus carnalibus consentientes facienda esse decernunt, etiamsi ad implen dum facultas non datur. Caeterum, qui tanguntur huiusmodi motibus et immo biles in maiore charitate consistunt, non solum non eis exhibentes membra corporis ad male operandum, sed neque nutu consensionis ad exhibendum con sentientes,- non haec agunt et ideo regnum Dei possidebunt. Non enim iam re gnat peccatum in eorum mortali corpore.., quamvis habitet in eorum mor tali corpore peccatum, nondum extincto impetu consuetudinis naturane, qua mortaliter nati sumus et propriae vitae nostrae, cum et nos ipsi peccando auximus quod ab origine peccati humani demnationisque trahebamus. Aliud est enim non peccare, aliud non habere peccatur. Nam in quo peccatum non regnat, non peccat, id est non obedit desideriis eius; in quo autem non existunt omnino ista desideria, non solum non peccat, sed etiam non habet peccatum. Quod etiam si ex multis partibus in ista vita possit effici, ex omni tamen parte nonnisi in resurrectione carnis atque commutatione sperandum est. (> V, 19-21). 49: Nam in quibijs haec regnant, ipsi Lege legitime utuntur a quia non est illis Lex ad coercendum posita: maior enim et praepollentior de lectatio eorum iustitia est... Regnant ergo spirituales isti fructus in homine, in quo peccata non regnant. Regnant autem ista bona, si tantum delectant, ut ipsa teneant animum in tentationibus, ne in peccati consensionem ruat. Quod enim amplius nos delectat, secundum id' operemur necesse est: ut, verbi gratia, occurrit forma speciosae feminae et movet ad delectationem fornicationis, sed sd plus delectat pulcritudo i ila intima et sincera epecies castitatis, per gratiam quae est in fide Christi, secundum hanc vivimus et secundum hanc operamur; ut, non regnante in nobis peccato ad oboediendum desideriis eius, sed regnante iustitia per charitatem cum magna delectatione faciamus quidquid in ea Deo placere cognoscimus. Quod autem de castitate et de fornicatione dixi, hoc de ceteris inteiligi volui (a V, 22-23) 54: Manifestum est certe secundum id nos vivere quod sectati fuerimus,- sectabimur autem quod dilexerimuG. Itaque si ex adverso existant duo, praeceptum iusLitiae et consuetudo camalie, et utrumque diligitur, id sectabimur quod am plius dilexerimus; sd tantumdem utrumque diligitur, nihil horum sectabimur, eed aut timore aut inviti trahemur in alteru tram partem, aut si utrumque aequaliter etiam timemus, in periculo sine dubio remanebimus, fluctu dilectionis et timoris alternante quassati (a V, 25). 50: Cum carnis et spiritus nominibus a poena peccati usque ad gratiam Domini atque iustitiam nos converti oportere praediceret (scii.: Apostolus), ne dese rendo gratiam temporalem qua pro nobis Dominus mortuus est, non perveniamue ad aeternam quietem, in qua pro nobis Dominue vivit, neque intell'gendo poenam temporalem in qua nos Dominus mortalitate carnis edomare dignatus est, in poenam sempiternam incidamus, quae perseveranti adversum Dominum superbiae praeparata eet .

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V
Nell 'Expositio Epistolae ad Galatas un altro punto colpisce la nostra attenzione, ed linterpretazione del passo II, 11-16, dop piamente celebre, per se stesso e nella storia dellesegesi, il quale racconta il dissidio tra Paolo e Pietro in Antiochia. Agostino ac cetta senza discussione la realt dellepisodio e nellattegiamento di Pietro, sottomessosi al rimprovero di Paolo a lui inferiore, ravvisa un insigne esempio di quellumilt che tutto il commento si pro pone dinculcare. Ma talune frasi hanno u n intonazione polemica, e lasciano chiaramente divedere che Agostino contrappone qui la sua esegesi a quella di un altro scrittore, secondo il quale Paolo avrebbe fatto a Pietro un rimprovero simulato; ch se la ripren sione da lui rivolta a Pietro fosse stata vera, avrebbe dovuto svol gersi in segreto. Anzi, Agostino sembra preoccuparsi di rispondere ad argomentazioni ricavate dalla condotta di S. Paolo in altre cir costanze; e al modo di comportarsi di lui, ispirato dalla carit, contrappone quello di San Pietro, suggerito da motivi meno plausibili (1). La stessa interpretazione del passo indicato, con la stessa into nazione polemica, anzi pi vivace e precisa, e con la medesima preoccupazione di confutare argomenti ricavati daflazione di San Paolo (2) si ritrova nellopera composta poco o immediatamente dopo YExpositio Epistolae ad Galatas, un trattatello morale, la cui presenza in mezzo a una serie di opere esegetiche ci sorprende alquanto: il De mendacio (3). Qui Agostino si pone il duplice problema, di definire esattamente la menzogna e di stabilire se sia vero che il mentire sia in qualche caso lecito e utile o addirittura
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doveroso (4). La prima questione trattata piuttosto rapidamente; alla seconda dedicato quasi tutto il libro, di cui forma il tema principale. Vi sono, dice Agostino, alcuni i quali credono che la bugia sia talvolta buona, e citano a prova esempi tratti dallAntico Testamento (Sara, Esau, le levatrici degli Ebrei) ; ma questi esempi non provano nulla, perch ci che scritto neliAntico Testamento, anche se realmente accaduto, devessere inteso in senso figurato. Invece nel Nuovo Testamento, eccettuate le parabole, non si tro vano n racconti allegorici n esempi che autorizzino la menzogna. Quindi molto pi plausibile lopinione di coloro che sono contrari a ogni specie di bugia (5). In seguito, Agostino passa in rassegna e discute minutamente tutti i casi in cui il mentire pu sembrare lecito. Non lo seguiremo in questa disamina : la cui conclusione che sempre meglio dire il vero, anche quando la menzogna sia detta per evitare un danno grave ; giacch nessun male peggiore che la corruzione dellanima. Sar lecito, egli osserva, commettere un peccato affine di evitarne un altro, allorch siano in pericolo due beni entrambi spirituali ; ma allora non sempre il caso di parlare di peccato. Quali sono del resto i beni da salvare ad ogni costo? La pudicitia corporis in realt non si perde, ove manchi il con senso; la castitas animi consiste nella volont buona e nellamore del vero bene, cio di quello rivelato dalla Verit divina ; la veritas doc trinae religionis atque pietatis non violata se non, appunto, dalla menzogna. Quindi noi siamo sempre liberi della scelta e poich la stessa verit divina cinsegna a preferire la perfetta fede anche alla castit del corpo (la quale nulla senza quella dellanima ; ed essa a sua volta consiste in un amore dei diversi beni rispettoso della loro gerarchia), sappiamo che nessuna menzogna lecita e che vano laddurre a nostra giustificazione un presunto stato di ne cessit. Mentire o dire il vero dipende da noi, come il preferire i beni inferiori e materiali o quelli spirituali e superiori (6). Appare evidente che anche in questopera Agostino mira a combattere i manichei, con la riaffermazione sia del libero arbitrio, sia dellaccordo esistente tra le due parti della Bibbia, quando per lAntico Testamento o almeno per quelle parti di esso che ap paiono scandalose si sappia ricorrere allinterpretazione alle gorica. Ma anche chiaro che Agostino non ha scritto il De men dario principalmente con questo scopo e altres che il problema del116

officiosum mendacium non gli si presentato che in conse guenza di un fatto concreto, quale non pu essere altro che quella interpretazione dellincidente di Antiochia, alla quale egli si oppone con tanta forza. E che si trattasse di una questione importante per Agostino come lo fu del resto per parecchi altri r.l punto da indurlo a scrivere un intero libro, si spiega allorch si consideri chegli si trovava ad opporre la sua opinione a quella del pi illustre esegeta del suo tempo, celebre anche come polemista : San Giro lamo (7). E infatti, questo dellinterpretazione del contrasto tra Pietro e Paolo in Antiochia uno degli argomenti della celebre controversia epistolare, tra i due grandi Padri latini (8), in cui Ago stino osserva appunto che lesegesi di Gerolamo mette in pericolo lautorit della Bibbia. I manichei sostengono gi che i passi del Nuovo Testamento a loro contrari sono falsificati e a mala pena li possiamo confutare mettendo loro sottocchio codici antichi e il testo greco : che avverr se noi stessi riconosceremo che gli apo stoli hanno scritto cose non vere? (9). Ma Agostino sembra an nunciare a Gerolamo uno scritto speciale intorno allinterpretazione dei passi biblici addotti a sostegno della menzogna doverosa : certamente il De mendacio. E sono questi accenni che possono aver contribuito a far correre la voce che Agostino avesse scritto uno pera polemica contro Girolamo : voci che giunsero anche a Betlem me e a Ippona e che Agostino, appena le conobbe, si affrett a smentire (10). Anzi, queste voci, e il rispetto per il solitario di Be tlemme, contribuirono a indurre Agostino a tenere il suo scritto per s. Veramente, nelle Retractationes (11) dice che esso gli parve obscurus et anfractuosus et omnino molestus, tanto che pens di distruggerlo e che per questo non lo pubblic, tanto pi, in quanto aveva scritto unaltra opera sullo stesso argomento, il Contra men dacium. Per non lo distrusse. Anzi, nel redigere le Retractationes, Agostino riconosce che il De mendacio, nonostante i suoi difetti, e ancora utile, anzi necessario, perch contiene cose che non si tro vano nel Contra mendacium : del che, dice, si rese conto nel rileggere tutte le sue opere. Ora, le Retractationes sono allincirca del 427, ma il progetto di scrverle alquanto anteriore (12); il Contra mendacium del 419 o 420. Dopo averlo scritto, Agostino man tenne la decisione di lasciare inedito il De mendacio, ma poi invece lo pubblic, tra il 420 e il 427, anno nel quale ne parla come di
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opera gi in circolazione da qualche tempo. 1 che significa che la 1 pubblicazione avvenne solo dopo che Agostino ebbe notizia della morte di S. Girolamo (30 settembre 420). N daltronde si vede per qual ragione, fuori di quella di non urtare la suscettibilit di Giro lamo (13) e di non riaccendere la polemica, Agostino avrebbe man tenuto inedito per pi di 25 anni questo suo libretto, senza distrug gerlo n alterarlo. E davvero paradossale, che lo scrittore contrario alla menzogna in tutte le sue forme, sia stato poi, nelle Retracta tiones, per lo meno reticente circa le vere ragioni per cui non pub blic il De mendacio : ma reticenza che costituisce un esempio di carit.
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Ci troviamo cos di fronte ad unaltra serie di problemi. Infatti, noi abbiamo veduto Agostino incominciare a informarsi degli scrittori ecclesiastici e prender loro a prestito argomenti e me todi (14). Gi in base a questo fatto si pone il problema delle fonti delle opere esegetiche di lui ; di fronte alla dichiarazione esplicita chegli ha voluto leggere il commento di S. Girolamo allepistola Ai Calati, non possibile sottrarci allobbligo di ricercare se e fino a che punto egli abbia utilizzato non soltanto quel commento, ma anche altri dello stesso S. Girolamo, nonch quelli di altri esegeti. Per quanto dato stabilire attraverso una rilevazione parziale (15), il commento a Galati di Girolamo fu letto e utilizzato da Agostino non solo a proposito dell incidente di Antiochia ma anche di altri punti (16). Del pari sembra si possa affermare con relativa sicurezza che Agostino conobbe e in qualche punto ebbe presente il commento di Mario Vittorino (17). Eppure, una lettura seguita di tutta l'Expositio agostiniana, condotta tenendo presenti anche i commenti dei pre decessori, fa risaltare in piena luce lindipendenza di Agostino chi anche l dove ha aderito alle spiegazioni altrui, accoglie bens il loro pensiero, ma si mantiene originale. D altronde, 1'Expositio stes sa ha tutta laria di derivare da un commento orale, anzi si direbbe qua e l, occasionale e forse addirittura improvvisato : ch, a parte qualche luogo in cui Agostino si addentra in discussioni di alta teo logia. lesegesi procede generalmente piana e semplice, senza le
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osservazioni filologiche di cui si arricchis.ce quasi ad ogni passo il commento geronimiano, e lasciando invece trasparire qua e l la persona dellecclesiastico e il tono del sermone (18). Un problema ben pi grave, anche per le discussioni a cui ha dato luogo, presentato dallAmbrosiastro, il quale commenta l'in cidente di Antiochia nello stesso senso di Agostino. Ora questi, po lemizzando con Girolamo non solo contesta lautorit degli esegeti da lui addotti a sostegno della propria tesi, ma contrappone a co storo S. C ipriano e S. Ambrogio (19). 1 passo del primo, al quale 1 evidentemente Agostino s riferisce, stato ritrovato ; non cos quel lo del secondo. Perci si presenta spontanea lipotesi che non di S. Ambrogio si trattasse, bens dellAmbrosiastro : al quale rimanda infatti il Goldbacher nellapparato della sua edizione, indicando il commento a S. Paolo ; mentre il Baxter costruiva unipotesi alquanto pi 'Omolicata, tenendo conto aliresi di quanto era stato assen'o da altri circa la conoscenza deirAmbrosiastrc da parte di Agostino, a proposito della lettera Ai Romani (20). Ma il problema reso al quanto pi complicato dal fatto che del dissidio tra Pietro e Paolo lAmbrosiastro si occupa non soltanto nel commento a Galaii, ma altres in una delle Quaestiones Veteris et Novi Testamenti. Conviene prima di tutto ricordare che lepistola 82 di Agostino generalmente assegnata al 405 circa, perci di un diecina danri. o pi, posteriore allinizio della polemica e a\YExpositio ; e che poco prima del passo riferito Agostino ricorda unaltra volta Ambrogio, ed esattamente, bench in maniera affatto generica (21). Ma soprat tutto colpisce il fatto che, nel suo Tractatus a Galati lAmbrosiastro esamina gli argomenti di Girolamo, ma in particolare quello tratto dalla circoncisione di Timoteo (22), mentre Agostino si ferma e solo per un istante a confutare laltro, che cio se Paolo avesse voluto rimproverare Pietro davvero e non soltanto quasi per uno stratagemma, sarebbe ricorso alla riprensione segreta. Quindi, se en trambi concordano nelPopporsi allinterpretazione accolta e difesa da Girolamo, questo accordo , direi, puramente negativo, in quanto, pur essendo loro comune il proposito di respingere llinterpretazione di quello, la confutano in maniera diversa. E vero che dobbiamo tener conto anche di quel desiderio di indipendenza, che abbiamo os servato in Agostino anche quando utilizza scritti di predecessori. Ma mi preme aggiungere subito, che, per quanto ho potuto vedere,
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non s incontrano nd'Expositio agostiniana altri punti di contatto con i Tractatus del misterioso contemporaneo di papa Damaso. Alla circoncisione di Timoteo, Agostino accenna invece nel De mendacio e pi ampiamente nel Contra Faustum e nella ricordata epistola 82 (23). Ora, si comprende benissimo che Agostino, nel commento a Galati si contentasse di respingere sommariamente linterpreta zione altrui per sostenere la propria, indicando solo largomento che gli pareva perentorio ; mentre poi, nella polemica diretta, doveva prendere in considerazione tutte le ragioni dellavversario, che non aveva certo bisogno di apprendere dallAmbrosiastro. Il che non to glie che Agostino abbia forse potuto conoscere anche il Tractatus in Galatas quando scriveva il Contra Faustum. Ma quello che importa stabilire ai fini del nostro studio, non tanto se Agostino abbia cono sciuto in u n epoca qualsiasi questo scritto dellAmbrosiastro, bens se lo conoscesse nel momento particolare in cui redigeva 1Expositio. E resta il fatto della nessuna somiglianza tra questa e il Tractatus Ma lAmbrosiastro si occupa del medesimo argomento anche in una delle Questiones : precisamente la LX dellAppendice nelled. Souter. In essa, il problema posto negli stessi termini di Girola mo : come mai poteva davvero rimproverare Pietro quello stesso Paolo il quale, circoncidendo Timoteo, s era comportato precisamen te allo stesso modo di P ietro? E la risposta identica a quella data nel Tractatus : se Timoteo, nato di madre giudea, fosse venuto al cristianesimo senza passare attraverso la Legge, ci avrebbe dato scaricalo a tutti i fedeli provenienti dal giudaismo. Ma non troviamo menzionati nella Quaestio (n, del resto, rei Tractatus) i cognati di Timoteo, dei quali parla invece Agostino nella lettera a Girolamo (24). P er contro la preoccupazione antimanichea da cui Agostino stesso sembra essersi lasciato principalmente guidare nel combattere Giro lamo, del tutto assente dai due scritti dellAmbrosiastro. Quanto alla relazione tra questi due, da considerare che molte delle Quae stiones lasciano chiaramente intravedere il loro carattere di scritti doccasione : non sembra quindi inverosimile che la Quaestio LX sia stata suggerita proprio dal desiderio di contrastare linterpreta zione di Girolamo. Certo non polemizza con laltro commento, quello di Mario Vittorino, in cui non vi traccia di tale spiegazio ne (25). Il fatto che detta quaestio, cos come la qu. LII, su Galati V, 17, manchi nella seconda edizione delle Quaestiones, si
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spiegherebbe qualora si ammettesse che fossero entrambe ante riori al Tractatus in Galatas, in seguito al quale lautore avrebbe ritenuto superfluo ripubblicarle (26). Ma, concludendo, credo di non poter rispondere affermativamente al quesito se sia la Quae stio sia il Tractatus fossero noti ad Agosiino nel momento in cui componeva VExpositio Epistolae ad Galatas.
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Resta tuttavia da considerare, a proposito della conoscenza dei Tractatus dellAmbrosiastro da parte di Agostino e dellinfluenza che essi avrebbero esercitato su di lui, la serie degli scritti relativi alla lettera Ai Romani. A tal fine non sar inutile esaminare il pensiero dellAmbrosiastro, almeno quale risulta dal corimento a Romani. Incominciamo precisamente dal passo che, per essere citato dallo stes so Agostino, ha in certo modo dato origine alla discussione (27). Da vero commentatore, lAmbrosiastro segue fedelmente il testo; e per primo sottolinea il parallelismo tra lunico Adamo e lunico Cristo, per cui mezzo soltanto il genere umano fu salvato, e che uno in so stanza con Dio Padre. Quindi passa a commentare linciso in quo omnes peccaverunt. Il pronome relativo, maschile, si riferisce evi dentemente a Adamo; quindi tutto il genere umano, discendente da lui, stato generato sub peccato e tutti gli uomini sono peccatori, perch Adamo prevaric e merit la morte. Ma questa solo la morte corporale, cio la separazione dellanima dal corpo e non va confusa con la seconda morte , quella della Geenna, alla quale siamo bens sottoposti in conseguenza del peccato di Adamo, ma solo in quanto esso fornisce unoccasione ai peccati personali, che sono la causa del la condanna. Da tale seconda morte sono dunque esenti i giusti sintende, quelli dellAntico Testamento , sebbene daltra parte le loro anime non potessero ancora salire al cielo, a causa appunto del la sentenza che ha colpito lo stesso Adamo (28). Vi sono dunque stati sempre dei giusti, anche se pochi, o per lo meno uomini che non hanno peccato allo stesso modo di Adamo. Giacche per lAmbrosiasiro il peccato fondamentale lidolatria e non diverso da essa lo stes so peccato di Adamo, il quale pens di poter diventare un dio. Nel suo sforzo per intendere il valore e il significato della legge, egli s i spira a questa considerazioie fondamentale : quello che conta il rap porto che gli uomini hanno o non hanno saputo stabilire con Dio.
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Prima della legge mosaica, esisteva gi tra gli uomini la legge natu rale ma si riteneva chessa valesse soltanto a regolare i rapporti uma ni, e s ignorava che Dio avrebbe giudicato le azioni di ciascuno. Ci divenne chiaro allorch fu promulgata la legge mosaica, ma gli uo mini avrebbero potuto e dovuto non ignorarlo ; senonch essi abban donarono Dio per venerare gli idoli, violando cos la prima parte della stessa legge di natura, che impone di onorare il Creatore e non attribuire ad alcuna creatura la maest e la gloria proprie di lui solo. Cos gli uomini peccavano, nella loro stolta illusione di rima nere impuniti, e se ne allietava Satana, sicuro che Dio gli avesse abbandonato luomo in possesso, a causa di Adamo. Ma la morte non regnava su tutti, perch non tutti peccarono in somiglianza alla prevaricazione di Adamo , poich non tutti abbandonarono il Crea tore. Coloro che rimasero fedeli a Dio, peccarono anchessi per ch impossibile non peccare ma non contro Dio, quindi su questi pochi la morte non regn. Cos il regno della morte cominci ad es sere distrutto fra gli Ebrei, che conobbero Dio ; e oggi distrutto ogni giorno pi fra tutti popoli, che in maggioranza si cambiano i da figli del demonio in figli di Dio. Ch Dio stabil di emendare per mezzo di Cristo ci che era stato violato per opera di Adamo (29). Venuta la legge mosaica, si vide che Dio punisce le cattive azioni degli uomini, ma questi dominati dallantica consuetudine radicata in loro, rimasero carnali e continuarono a fare ci che la legge vieta ; dominati dal senso della carne , che impedisce di credere alle ve rit spirituali della fede, vissero nel peccato, schiavi di esso. Anzi il peccato cio il demonio trasse maggior forza dal divieto e, spingendo luomo a contaminarsi sempre pi con peccaminosi pia ceri, rese ancora pi saldo il proprio dominio. L uomo . incapace, senza il soccorso della misericordia divina, di ubbidire alla leg:ge e di resistere al nemico; ha un corpo corrotto da un difetto della nima ed soggetto al peccato, in quanto il demonio pu imporsi alla sua volont e dominarla. Il diavolo non aveva questo potere prima del peccato di Adamo ; ma, dopo che questi ebbe dato ascolto al serpente, il demonio ottenne il potere di sottomettere lanima dellucmo e si gnoreggiarla; perch il corpo delluomo creato tale che, essendo unito allanima, non era soggetto alla morte divenne invece mor tale, soggetto a desideri inferiori che si comunicano allanima e le sono come un peso opprimente. Ma sin dallinizio Dio volle pre
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disporre un modo di riparare al peccato di Adamo e alle sue conse guenze : onde alla legge naturale subentrata la Legge mosaica e a questa quella della fede e della grazia. La grazia di Dio, concessa m ediante Cristo, ha liberato luomo dalla seconda morte e dal peccato rendendolo cos capace di servire con lanima la Legge di Dio, ben c h la carne serva ancora la legge del peccato, cio del diavolo, che attraverso la carne a lui soggetta presenta ancora allanima le sue tentazioni malvage. Ma quando si dice Legge di Dio si intendono ta n to la Legge mosaica, esclusa la parte cerimoniale, quanto la gra zia. Ora, in virt di questa, luomo, tornato alla consuetudine buona e co n laiuto dello Spirito Santo, in grado di resistere alle tentazioni e al nemico, mentre il corpo vi ancora soggetto. Ma il corpo non po tev a essere restituito al suo stato primitivo di immortalit, ostandovi la sentenza emanata da Dio su Adamo. Pur rispettando la santit della cosa giudicata, fu trovato dunque un rimedio, che rendesse al luomo la sua primitiva salute spirituale. In altri termini, alluomo gi re s o incapace di resistere alle tentazioni, stato restituito pienamente il libero arbitrio (30). E infatti Dio, nella sua prescienza, conosce coloro che gli saranno fedeli, e li elegge in base appunto alla sua prescienza. N o n si tratta dunque di una predestinazione nel senso stretto della parola ; ma anche nellAmbrosiastro come nelle opere di Ago stino che abbiamo esaminato di una predestinazione conse guente la previsione dei meriti. L Ambrosiastro non si nasconde la difficolt, che solleva il separare troppo nettamente la prescienza dallonnipotenza, il conoscere dal volere in Dio; sa e lo dice che le cose non possono svolgersi altrimenti da come Dio le ha pre viste. Ma a parte il fatto che largomento cui si interessa real mente molto pi la condizione degli Ebrei e la loro conversione (31) che non il problema della salvezza in maniera generale egli si preoccupa straordinariamente di salvaguardare la giustizia di Dio. Perci afferma che i decreti con i quali Dio stabilisce la sorte del luno o dellaltro sono posteriori al suo conoscere in che maniera si comporter ciascuno. L eleggere, cio il chiamare alla fede co lui del quale Dio sa in precedenza che dar ascolto, non un atto di favore, per cui, tra due uomini nelle stesse condizioni, Dio ne sceglierebbe uno in base a una specie di simpatia personale : anzi, Dio non fa considerazione di persona, ripete lAmbrosiastro, ricor128

dando ancora Rom. II, 11. Tanto forte in lui questa preoccupazione, che egli vede addirittura nelle parole del vs. 18, non lespressione del pensiero di Paolo, ma parole da lui messe in bocca a un supposto contraddittore. Insomma, Dio non agisce arbitrariamente, come fa rebbe il vasaio ; vero che noi siamo di fronte a lui come dinanzi al vasaio la massa amorfa, ma Dio sa bene di chi aver compassione giustamente. Non solo; ma longanime, aspetta che coloro i quali non hanno fede si rendano con la loro pervicacia indegni di ogni scusa ; e nella sua longanimit prepara questi alla rovina, e i buoni e credenti alla gloria. Ma tale preparazione consiste appunto nella sua prescienza, la auale pertanto non si pu in alcun modo disgiungere dalla giustizia (32). Gi da questa rapida esposizione facile vedere in quanti e quali punti lesegesi dllAmbrosiastro coincida con quella di Agostino. Sebbene animato da motivi che il secondo non condivide menoma mente (laltissimo valore attribuito alla Legge mosaica, la sorte del popolo ebraico, insieme con una mentalit di giurista che si manifesta ne! rispetto per lintangibilit della sentenza regolarmente emanata e passata in giudicato) pure in sostanza anche lAmbrosiastro distingue la storia del genere umano in quattro periodi, che corrispondono a quelli di Agostino, sebbene non li definisca altrettanto nettamente n dia loro gli stessi nomi. Ma anche per lui il peccato dovuto al dominio esercitato dai sensi sulluomo, incapace di sottrarsi, senza laiuto divino, e del tutto, asl'impulsi e agli appetiti di natura infe riore, che provengono dal corpo mortale. Concedendo alluomo, dopo la grazia della nuova legge, la capacit di resistere aglimpulsi mal vagi si noti che questa legge della fede la terza, dopo quella naturale e la mosaica ; facendo della seconda morte una pena speciale per il mancato riconoscimento dellonore dovuto a Dio; e introducendo il concetto di consuetudine buona e cattiva : lAmbrosiastro, precisamente come Agostino nelle opere fin qui studiate, fa del peccato un atto tutto volontario, riconosce come sola conseguenza del* peccato di Adamo la trasformazione del corpo da immortale in mortale (la reintegrazione completa appartiene a un quarto stadio) ; e per conseguenza (si consideri altres il valore chegli attribuisce allAntico Testamento) lAmbrosiastro assume un atteggiamento deci samente opposto a quello dei manichei, contro i quali, per di pi di fende la libert deHarbitrio umano (33). Con questo modo di vedere
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collima perfettamente la sua dottrina della predestinazione post prae visa merita, per cui Dio concede il suo aiuto a coloro dei quali sa fin dallinizio che non solo si rivolgeranno a lui, ma gli resteranno fedeli. Ma per lAmbrosiastro il peccato il demonio ; attraverso il corpo che, come si visto, rimasto mortale anche dopo la redenzione operata da Cristo, affinch non venisse annullata la sentenza resa da Dio su di Adamo esso esercita il suo dominio sulluomo, in virt di un suo preciso diritto. Quella sentenza di condanna infatti il presupposto di tutta leconomia della salvezza. E qui, credo, tocchia m o il punto centrale della soteriologia dellAmbrosiastro, il quale con cepisce la redenzione come un autentico riscatto che il Cristo fa del lumanit, passata giustamente e giuridicamente in potere del de monio. Adamo, cio, si volontariamente venduto ; Dio con la sua sentenza, rendendolo mortale (e cio ponendolo in una condizione per cui cede pi facilmente alle attrattive dei beni inferiori e alle sug gestioni del nemico) ha ratificato quel patto e messo il demonio stes so in grado di esercitare la sua padronanza. Ma nello stesso tempo Dio ebbe compassione del genere umano e ne predispose il riscatto, in modo per da non distruggere la sentenza che egli stesso aveva pronunziato (34). Questo suo modo di vedere spiega la preoccupazio ne per la sorte dei giusti morti prima di Cristo (35), la stessa forza con cui sostiene la lezione dei suoi codici in Rom. V, 14 (36) e quel la con cui accentua la contrapposizione delle due leggi di Dio e del demonio, la quale pu anche sembrare ispirata dal manicheismo ; ma ad esso lAmbrosiastro, come si visto, recisamente contrario. In questa concezione, che ci riporta col pensiero ad Ireneo, scrit tore del resto che lAmbrosiastro cita volentieri , io credo, la spiegazione dei passi in cui egli sottolinea la solidariet del genere umano con Adamo. Il parallelismo tra questi e Cristo devessere per fetto e come il secondo ha redento in s lumanit, cos il primo lha contaminata in s e asservita al demonio. Ma, nelluno come nellaitro caso, non si tratta dellumanit intera : lAmbrosiastro sa che Cristo non salva se non coloro che hanno, e continuano ad avere, fede in lui (fede che forma loggetto della prescienza divina ma non essa stessa puro dono di Dio) ; e cos Adamo non ha assoggettato alla morte spirituale, alla condanna eterna, se non coloro che hanno peccato a somiglianza di lui.
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Noi conosciamo il pensiero di Agostino in questo momento della sua evoluzione spirituale, tra lordinazione sacerdotale e la consacra zione allepiscopato. E facile rilevare le somiglianze tra questo suo pensiero cio il suo modo di intendere S. Paolo e quello dellAmbrosiastro. E facile anche rilevare le differenze (37). In com plesso, dunque, lo studio dellepistolario paolino ha posto ad Ago stino dei problemi nuovi, o almeno in termini e sotto aspetti rinno vati ; allo stesso tempo, la lettura degli scrittori cristiani anteriori, a cui si dedica da quando, diventato sacerdote, lautorit della Chiesa e la forza della tradizione hanno conquistato per lui un valore pi concreto ed evidente lo mette di fronte a qualche opinione da cui dissente (e che egli non esita a combattere) ma anche ad almeno uno scrittore, le cui idee in gran parte concordano con le sue.
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Ma VExpositio epistolae ad Galatas presenta ancora un punto interessante. Nel commentare IV, 21 Agostino annota che S. Paolo stesso chiarisce il significato allegorico dei due figli di Abramo, ma che lapostolo non parla di quelli nati al patriarca dopo la morte di Sara, e questo perch Abramo aveva solo due figli allorch accaddero i fatti cui allude il passo da interpretare. Molti dnque, i quali igno rano il racconto del Genesi, possono credere che Abramo non avesse se non due figli ; mentre ne ebbe altri da Chetura (cfr. Genesi XXV, 1 segg.). Questi furono anchessi generati da una libera ma non secondo una promessa di Dio : non possono quindi rappresentare il seme dbramo spirituale. Dunque Isacco lerede, e rappresenta il popolo del Nuovo Testamento, non solo perch nato dalla libera, ma perch cosa ben pi importante generato secondo la promessa. I figli di Chetura, nati essi pure da una libera, ma non in virt di una promessa bens secondo la carne, non hanno parte delleredit n appartengono alla Gerusalemme celeste ; sono i carnali che stanno materialmente nella Chiesa e vi suscitano scismi ed eresie. D altra parte la persecuzione che Isacco pat ad opera di Ismaele allegoria di quella che tutti coloro che vissero secondo lo spirito eb bero a soffrire da parte dei giudei carnali (38). Non questa u n af fermazione dellidea che i giusti debbono necessariamente patire in questo mondo; ma significativo vedere che la persecuzione di Isacco messa in relazione col fatto a chiarire il quale destinato
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tutto l excursus sui figli di Chetura che vi sono nella Chiesa uo mini i quali le appartengono bens materialmente, per, quali eretici e scismatici, non sono figli della promessa, n fanno parte del po polo del Nuovo Testamento predestinato presso Dio. Questa idea si trova anche (e lo abbiamo segnalato) gi nel De vera reli gione (39), ma espressa in forma differente. Qui poi si presenta con ben altra profondit, legata com strettamente a u n interpretazione biblica e a una visione completa di tutto il problema della salvezza. E nulla di simile si trova nelle altre opere esegetiche di Agostino che abbiamo finora esaminato, nulla di simile negli altri commentatori, della medesima epistola, che Agostino pot consultare ; e neppure in S. Ambrogio che nello spiegare gli stessi passi della Genesi parla in modo affatto diverso (40). Un raffronto invece ce lo offre invece una delle ultime questioni, la 81 ossia una di quelle composte pi tardi del De diversis quaestionibus LXXXllL In essa, in mez zo a una interpretazione tutta allegorica dei numeri 40 e 50, leggiamo che la Chiesa nel mondo soffre dolori e afflizioni, in attesa della re surrezione, con cui cesser la mescolanza dei buoni e dei malvagi (41). Qualche cosa di simile troviamo anche in u n opera alquanto po steriore, scritta o almeno pubblicata, da Agostino gi vescovo, ma che spiritualmente si dimostra contemporanea a quelle che abbiamo sopra esaminate, il De agone christiano. Qui l elenco delle eresie pi ricco che in scritti anteriori, quali il De vera religione e an che il De fide et symbolo (42). Ma ci che colpisce limportanza attribuita ai concetto della lotta contro il demonio, che costituisce il tema fondamentale di questo scritto (43). Questa lotta consiste nel sottrarsi allattrazione delle cose sensibili, e la salvezza dipende ancora principalmente da un atto di fede volontario, perch luomo dotato di libero arbitrio ; ad esso consegue la purificazione della condotta e deHanima, che mette in grado di conoscere la verit, prima accolta solo per fede. Primo passo verso la purificazione, dunque laccogliere i precetti di Cristo (44). Del resto, abbiamo dinanzi a noi lesempio dellapostolo stesso, S. Paolo (45) che dun que in questo scritto Agostino considera ancora come spiri tuale , sub gratia (46). Nella Chiesa, per, non tutti sono spiri tuali e ai buoni sono frammisti i malvagi, fino al momento della se parazione (47). E ! evidente che il problema delleresia e dello sci sma, cos come quello del potere della Chiesa di rimettere i pec127

cati (48) sempre pi ognora allo spirito di Agostino. In fondo, si tratta sempre di quel problema dellesistenza del male, che ha affa ticato Agostino fin dallinizio della sua attivit intellettuale : e che ora lo interessa anche sotto questi aspetti particolari, e pi propria mente ecclesiastici. E altres notevole soprattutto considerando, per ragioni che si vedranno in seguito, lepoca in cui fu composto che Agostino professi anche nel De agone christiano le medesime dottrine che abbiamo trovato nelle opere precedenti lepiscopato e di cui abbiamo osservato la somiglianza con quelle dellAmbrosiastro. Anzi questa affinit anche maggiore nel De agone christiano dove Agostino fa proprio anche il concetto della diuturna lotta contro il demonio ; mentre non si pone affatto un problema che, sembra, avrebbe do vuto occupare interamente la sua attenzione, dopo YExpositio in Galatas. Giacch la interpretazione chegli vi dava e che poi di fese sempre strenuamente dellincidente di Antiochia implicava come conseguenza inevitabile che anche un apostolo, uno spirituale certo sub gratia, come Pietro, potesse a volte comportarsi male, tanto da meritare la giusta riprensione da parte di Paolo. E una conseguenza che Agostino riconobbe esplicitamente pi tardi (49); ma sorprende che non se ne avvedesse immediatamente. Ma, daltra parte, era poi Agostino cos sicuro di stesso, come gli sarebbe probabilmente piaciuto, non dico di far credere, ma di potersi credere egli stesso? Si sentiva intimamente tale da po ter additare il suo proprio esempio come quello di un uomo che, per le virt della sua sola volont, dedicandosi interamente alla ri cerca del vero e alla meditazione della parola di Dio, si era defi nitivamente sottratto all'impero delle cose sensibili, e al dominio della carne e del peccato? Domande come queste non si scrivereb bero neppure, se la risposta dovessimo darla noi : ma essa data invece, in gran parte, dallo stesso Agostino e per il resto, pro prio dai fatti. Ch il fatto fondamentale, e che ci dice tutto, che egli non smise dallaffaticarsi intorno ai testi di S. Paolo, anzi inten sific gli sforzi per afferrarne pienamente il significato.
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erat,

NOTE

(1) Expos. Ep. ad Gai., 15. In nullam ergo simulationem Paulus lapsus quia 6ervabat ubique quod congruere videbat, sive ecclesiis gentium

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sive Iudaeorum, ut nusquam auferret consuetudinem quae servata non impe diebat ad obtinendum regnum Dei ... Petrus autem, cum venisset Antiochiam, obiurgatus est a Paulo non quia eervabat consuetudinem Iudaeorum... sed obiur gatus eet quia gentibus eam volebat imponere, ... segregabat se a gentibus et simulate illis consentiebat ad imponenda gentibus ilia onera servitutis, quod in ipsius obiurgationis verbie satie apparet... Non enim utile erat errorem quii palam noceret in secreto emendare. Huc accedit quod firmitas et charitae Petri... obiurgationem talem posterioris pastoris pro salute gregis libentissime susti nebat... Valet autem hoc ad magnuon humilitatis exemplum, quae maxima est disciplina christiana; humilitate enim conservatur charitas... Quoniam ex ope ribus legis , cum suis viribus ea quisque tribuerit, non iiistifioabitur oannis caro , id es.t omnis homo, sdve omnes camaliter sentientes. Et ideo illi qui, cum iam essent sub Lege, Christo crediderunt, non quia iusti erant, sed ut iustificarentur venerunt ad gratiam fidei . (2) e m en d ., V, 8: Et ideo de libris Novi Testamenti, exceptis figuratis significationibus Domini, si vitam moresque sanctorum et facta ac dicta con sideres, nihil tale proferri potest quod ad imitationem provocet mentiendi. Simulatio enim Petri et Barnabae non solum commemorata, verum etiam repre hensa atque correcta est (cfr. simulate iilis- consentiebat , Exp. Ep. ad Gai., 15, . 1). Non enim, ut nonnulli putant, ex eadem simulatione etiam Paulus apo stolus aut Timotheum circumcidit aut ipse quaedam ritu iudaico sacramenta celebravit, sed ex illa libertate sententiae suae qua praedicavit nec gentibus prodesse circumcisionem nec Iudaeis obesee. XXI, 43: Tanta porro caecitas hominum animos occupavit, ut eis parum sit, si dicamus quaedam mendacia non esee peccata, nisi etiam in quibusdam peccatum dioant eese si mendacium recusemus eoque perducti sunt defendendo mendacium, ut etiam primo illo genere, quod est omnium sceleratissimum (quello cio che " fit in doctrina religionis , cfr. 17 e 25) dicant usum fuisse apostolum Paulum. Nam in epistola ad Galatas, quae utique sicut ceterae ad doctrinam religionis pietatisque conscripta est, illo loco dicunt eum esse mentitum, ubi ait de Petro et Bamaba cum vidissem, etc. " (Gal., II, 14). Cum enim volunt Petrum ab errore atque
ab illa, in quam inciderat, v iae p ra vitate Refendere, ipsam religionis v iam in qua salus est omnibus, confracta et comminuta Scripturarum auctoritate, conan tor evertere. In quo non vident non solum mendacii crimen, sed etiam periurii

ee obicere apostolo in ip&a doctrina pietatis, hoc est in epistola in qua prae dicat evangelium . (3) L'ordine in cui gli ultimi scritti precedenti l'episcopato sono ricordati nelle Retractationes il seguente. 22 (23) Expositio quarundam propositionum e x Epist. ad Rom.; 23 (24): Expositio Ep. ad Galatas; 24 (25): Ep. ad R o m expositio inchoata; 25 C26): De diversis quaestionibus LXXXIII ; 26 (27): De mendacio. Per le 83 questioni , composte via via, furono pubblicate da Agostino gi vescovo, e la Expositio inchoaUi pu, in certo modo, consi derarsi contemporanea o di pochissimo posteriore a\\'Expositio quarr. propp. Si consideri inoltre il modo in cui Agostino si esprime: 22 (23), 1: liber unus accessit superioribus opusculis meis; 23 (24), 1: Post hunc librum exposui; 24 (25), 1: Epistolae quoque ad Romanos sicut ad' Galatas expositionem su sceperam . Evidentemente Agostino considera i due commenti come comin ciati nello stesso tempo. (4) De mend., I, 1: Magna quaestio est de mendacio, quae nos in ipsis quotidianis actibus noetrie saepe conturbat, ne aut temere accusemus menda-

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cium, quod non eet mendacium, aut arbitremur aliquando esse mentiendum honesto quodam et officioso ac misericordi mendacio . Sed utrum sit utile aliquando mendacium; multo maior magieque necessaria quaestio esit (IV, 5). (5) lbid., III, 6: Contra illi, quibus placet numquam mentiendum, multo fortius agunt, utentes primo auctoritate divina... (cfr. V, 8, cit. alla n. 2); XXI, 42: Elucet itaque discussie omnibus nihil aliud illa testimonia Scriptu rarum monere nisi numquam esse omnino mentiendum, quando quidem nec ulla exempla mendaciorum imitatione digna in moribus factisque sanctorum inveniantur quod ad eas attinet Scripturas quae ad nullam figuratam signi ficationem referuntur, eicuti sunt res gestae in Actibus apostolorum. Nam Domini omnia in Evangelio, quae imperitioribus mendacia videntur, figufatae significationes eunt (cfr. 43 cit. alia n. 2; 26). (6) lbid., XVIII, 38: Nemo tamen potest dicere hoc se aut in exemplo aut in verbo Scripturarum invenire, ut diligendum vel non odio habendum ullum mendacium videatur, sed interdum mentiendo faciendum esse quod oderis, ut quod amplius detestandum est devitetur... Sed in hoc errant homines, quod subdunt praetiosa vilioribus... Ex sua quisque cupiditate atque 'consuetudine metitur malum et id putat gravius, quod ipse amplius exhorreecit, non quod amplius revera fugiendum est. Hoc totum ab amoris perversitate gignitur vi tium. Cum enim duae sint vitae nostrae, una sempiterna quae divinitus pro mittitur, altera temporalis in qua nunc sumus, cum quisque istam temporalem ampliue diligere coeperit, quam illam sempiternam, propter hanc quam diligit putat esse omnia facienda... . 39: iam illa deeinunt esse peccata, quae propter graviora vitanda suscipiuntur... et in rebus sanctis non vocatur peccatum, quod ne gravius admittatur admittitur. XIX, 40: Ista eunt autem quae sanctitatis causa eervanda sunt, pudicitia corporis et castitas animae et veritas doctrinae. Pudicitiam corporis non consentiente ac permittente anima nemo violat: quid quid enim nobis invitis nuilamque tribuentibus potestatem maiore vi contigit in nostro corpore, nulla impudicitia est. Sed permittendi potest esse aliqua ra tio, consentiendi autem nulla. Tunc enim consentimus, cum adprobamus et volu mus... Consensio sane ad impudicitiam corporalem etiam castitatem animi vio lat. Animi quippe castirtas est in bona voluntate et sincera dilectione, quae non corrumpitur nisi cum amamus atque adpetimus quod amandum atque adpetendum non esse veritas docet.... Veritas autem doctrinae, religionis atque pietatis nonnisi mendacio violatur, cum ipsa summa atque intima veritas, cuius est ista doctrina, nullo modo potest violari: ad quam pertinere... non licebit, nisi cum comiptibi]e h o c induerit " incorruptionem " etc. (7 Cor., XV, 33). Sed quia omnis in hac vita pietas exercitatio est qua in illam tenditur, cui exercitationi ducatum praebet ista doctrina, quae humanis verbis et corporeorum sacra mentorum signaculis ipsam insinuat atque intimat veritatem, propterea et haec, quae per mendacium corrumpi potest, maxime incorrupta servanda est; XX, 41: Unde cogimur non opinione hominum quae plerumque in errore est, sed ipsa quae omnibus supereminet atque una invictissima est veritate, etiam pudicitiae corporis perfectam fidem anteponere. Est enim animi castitas amor ordinatus non subdens maiora minoribus. Minus est autem quidquid in corpore quam quidquid in animo violari potest ... Unde colligitur multo magis animi castitatem servandam esse in animo, in quo tutela est pudicitiae corporalie . (7) Cosi commenta S. Girolamo Gal. II, 11 sgg. (Comm. in Ep. ad Galatas ,

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P. L. XXVI, 363-4) : Cum itaque vidisset apostolus Paulue periclitari gratiam Christi, nova bellator vetus usus est arte pugnandi, ut dispensationem Petri, qua Iudaeos saivari cupiebat, nova ipse contradictionis dispensatione corri geret... Quod si putat aliquie vere Paulum Petro apostolo restitisse, et pro veritate Evangelii intrepide fecisse iniuriam praecessori, non ei stabit illud quod et ipse Paulus Iudaeie Iudaeus factus est etc. (cfr. I Cor. IX, 20) et eiusdem simulattionis tenebitur reus quando caput totondit in Ceneris (A c t. XVIII, 18) et facto calvitio oblationem obtulit in Ierusalem (Aci. XXIV, 11) et Timotheum circumcidit (Act. XVI, 3) et nudipedalia exercuit, quae utique manifestissime de ' caeremoniis Iudaeorum sunt... Legerat utique Paulus in Evangelio Dominum praecipientem (Le. XVII, 3) . (8) Aug. ep. 28 (Hierom. 56), 3-4: Legi etiam quaedam scripta quae tua dicerentur, in epistolas apostoli Pauii; quarum ad Galatas cum enodare velles, venit in manus locus iiie, quo apostolus Petrus a perniciosa simulatione revo catur. Ibi patrocinium mendacii eusceptum esse vel abs te, tali viro, vel a quopiam, si alius illa scripsit, fateor, non mediocriter doleo, donec refellan tur, si forte refelli possunt, ea quae me movent. Mihi enim videtur exitiosissime credi aliquod in librie sanctis haberi mendacium, id est eos homines, per quos nobie illa Scriptura ministrata est, atque conscripta, aliquid in libris suis fuisse mentitos. A lia quippe quaesito est, sitne aliquando mentiri viri boni, et alia quaestio est, utrum scriptorem Sanctarum Scripturarum mentiri opor tuerit: immo vero, non alia sed nulla quaestio est. Admisso enim eemel in tantum auctoritatis fastigium officioso aliquo mendacio, nulla illorum librorum particula remanebit, quae non, ut cuique videbitur vel ad mores difficilis vel ad fidem incredibilis, eadem pemicioeiesima regula ad mentientie auctoris con silium officiumque referatur. Si enim mentiebatur apostolus Paulus... quid respondebimus, cum exsurrexerint perversi homines prohibentes nuptias, quos futuros ipse praenuntiavit, et dixerint totum ihud quod idem apoetolus de ma trimoniorum iure firmando locutus est, propter homines qui dilectione coniugum tumultuari poterant, fuisse mentitum?. 5.: Et ego quidem qualibuscumque viri bus, quas Dominus suggerit, omnia illa testimonia, quae adhibita sunt adstruendae utilitati mendacii, aliter oportere intellegi ostenderem, ut ubique eorum firma veritas doceretur. Quam erum testimonia mendacia esse non debent, tam non debent favere mendacio... Ad hanc autem considerationem co-get te pietas, qua cognoscis fluctuare auctoritatem divinarum Scripturarum, ut in eis quod vult quisque credat, quod non vult, non credat, si semel fuerit persuasum aliqua illos viros... in scripturie suis officiose potuisse mentiri; nisi forte re gulas quasdam daturus es, quibus noverimus ubi oporteat mentiri, ubi non oporteat . (9) Cfr. altres: Aug. Ep. 40 (= Hier. 67), 4-7; Aug. Ep . 73 ( = Hier. 110, 4); Aug. Ep. 32 ( = Hier. 116), 5, 6, 7, 8, 12, etc. Per l'argomento dellimportanza che allo scopo di confutare gli eretici, ha il testo greco della Bibbia, v. anche Aug. Ep. 71 ( = Hier. 104), 4; qui con riferimento alla Volgata. La storia di questa corrispondenza tra Agostino e Girolamo stata fatta da molti; la cro nologia delle lettere presenta punti oscuri o controversi. Si ammette di solito che l'ep. 28, portata da Profuturo, e che S. Girolamo non ricevette mai, sia la stessa, da lui scritta ancora da prete, cui Agostino allude nellEp. 71, 2: nellep. 28 ei nomina Alipio, il quale, essendo ancora semplice sacerdot, visit Girolamo in Palestina portandogli il ealuto di Agostino; ed ora gi Vescovo. Perci come data dell'ep. 28 si suole indicare il 394-5; ma evidente che la

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datazione di essa dipende da quella che ei accetti per la consacrazione episco pale di Agostino. Questi poi, accorgendosi che la sua lettera non era giunta a destinazione, ecriese nuovamente a Girolamo lep. 40. Cfr. Cavallera, St. Jrme, II, 47-50; J. Schmid, SS. Eus. Hieronymi et Aur. Augustini Epistolae m u tuae , Bonn 1930 (Florilegium Patristicum, XXXII); D. de Bruyne, La correspondance change entre Augustin et Jrme, in Zeitschr. i. neutestom. Wis9ensch., 1932, pp. 233-248. (10) Cfr. Aug. Ep. 67 ( = Hier. 101), 2; 68 (= Hier. 102), 1. Girolamo ha conosciuto, in una copia, una lettera nella quale Agostino lo invita a scrivere la sua palinodia (evidentemente \'Ep. 40 di Agostino); Aug. Ep. 72 ( = HieT. 105). (11) Retract. I, 26 (27). (12) Aug. Ep. 143 ad Marcellinum, 3 (del 412). (13) Per la suscettibilit di S. Girolamo, cfr. YEp. 105 ( = Aug. 72). Si noti che gi i Maurini (Vifa Augustini, II, 7 e 8) e Tillemont avevano veduto che il De mendacio contemporaneo all'Ep. 28; e eottolineano il fatto che nel Contra mendacium non eolo non vi accenno al libro affine precedente, ma anzi Agostino significare videtur ee nondum Scripturae testimonia de mendacio discussisse . L'allusione all'incidente di Antiochia nel Contra m e n dacium (12, 26) brevissima e ecevra di ogni carattere polemico. (14) Per Tertulliano, Cipriano e Ottato di Milevi, cfr. c. Ili, n. .1. (15) Tengo a sottolineare che si tratta di una ricerca rapida e limitata ad alcuni punti, sufficienti allo scopo che mi ero prefisso. Rimane aperto il campo a chi volesse procedere ad un confronto completo e pi minuzioso. (16) P. es. a I, 1 Girolamo (P. L XXVI, 336) distingue quattro generi di apo stoli (Unum quod neque ab hominibus est neque per hominem eed per Iesum Christum et Deum Patrem; aliud, quod a Deo quidem est sed per hominem; tertium quod ab homine non a Deo; quartum quod neque a Deo neque per hominem neque ab homine sed a eemetipao ); Agostino (v. ix testo a n. 17) fa una distinzione analoga, tralasciando per la quarta categoria. Un incontro pi evidente sembra di poter trovale a proposito di I, 3-5, dove Girolamo (col. 338 seg.) osserva: Quaeritur quomodo praesens saeculum malum dictum sit. Solent quippe haeretici hinc capere occasiones, ut alium lucis et futuri saeculi, alium tenebrarum et praesentis asserant conditorem. Nos autem dici mus, non tam saeculum ip-sum, quod die ac nocte, annis currit et mensibus, appellari malum, quam ea quae in saeculo fiant... Unde Ioannes ait (/ Ioh. V, 19); non quod mundus ipse sit malus, eed quod mala in mundo fiant ab hominibus... ita et saeculum, quod eet spatium temporum, non per semetipsum aut bonum aut malum est, eed per eos qui in illo sunt aut bonum appellatur aut malum ; e Agoetino, pi brevemente e con allusioni meno cir costanziate ai manichei, ma con le medesime preoccupazioni d[ Girolamo commenta Saeculum praesens malignum propter malignos homines qui in eo sunt intelligendum est; sicut dicimus et malignam domum propter malignos inhabitantes in ea . (17) Per es. a I, 1 Mario Vittorino (P. L. VIII, 1147) mette in bocca a Paolo stesso questa conclusione: ergo credendum mihi et habenda fidee; et verum evangelium est quod profero ; Agostino dal canto euo commenta: Qui ab hominibus mittitur, mendax est; qui per hominem mittitur, potest esse verax quia et Deus verax potest per hominem mittere; qui ergo neque ab

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hominibus neque per hominem sed per Deum mittitur, ab illo verax eet qui etiam per homines misso veraces facit , etc. (cfr. n. 16). A II, 11-16 Mario Vittorino (col. 1163) annota: neque Petrus neque ceteri transierant ad iulaicam disciplinam 6d ad tempus consenserant; quod quidem aliquoties fit simulata consensione: verumtamen unde peccabat Petrus? quia non ille ad in ducendos Iudaeos ista finxerat, ut consentiret illis, quod fecit ipee Paulus et fecisse se gloriatur, sed ut illos lucrifaceret (ofr. I Cor. IX, 20); eed quod Pe trus simulavit quidem, in eo tamen peccavit, quod subtrahebat se timens eos qui erant cx circumcisione (coi. 1163); per Agostino, . 1. A HI, 10, dice Vittorino: Quod autem dixit ex operibus legis intelligamus esse etiam opera christianitatis, maxime illa quae saepe apostolus mandat... et caetera quae in hoc apostolo ad vivendum praecepta retinentur, quaeque opera ab apostolo omni christiano implenda mandatur. Alia igitur opera legis, scilicet observationes... intelligamus (coi. 1169). E Agoetino a III, 2: Sed haec quae stio ut diligenter tractetur, ne quis fabatur ambiguo, scire prius debet opera legis bipartita esse. Nam partim in sacramentis, paitim veio in moribus acci piuntur... Nunc ergo de his operibus maxime tractat, quae sunt in sacramentis, quamquam et illa inteTdum se admiscere significet. Prope finem autem episto lae de his separatim tractabit, quae sunt in moribus: et illud breviter, hoc au tem diutius. A IV, 5, Vittorino osserva: ut filii Dei simus, sed et filii ado ptione. Non enim filii ut ipse Filius, sed per Filium filii (coi. 1178) e Agostino Adoptionem propterea dicit, ut distincte intelligamus unicum Dei Filium. Nos enim beneficio et dignatione misericordiae eius filii Dei eumus; ille natura est Filius, qui hoc est quod Pater . (18) P. es. a IV, 8-10, dopo aver discusso il problema del male ( procu ratores auctoresque huius mundi nihil faciunt, nisi quantum Dominus sinit. Non enim latet eum aliquid, sicut hominem, aut in aliquo eet minus potens, ut procuratores atque auctoree, qui sunt in eius potestate, aliquid ipso sive non permittente sive nesciente in subiectie sibi pro euo gradu rebue efficiant. Non eis tamen rependitur, quod de ipsis iuste fit, sed quo animo ipsi faciunt; quia neque liberam voluntatem rationali creaturae suafe Deus negavit, et tamen poteetatem qua etiam iniustos iuste ordinat, sibi retinuit. Quem locum latiue et uberius in libris aliis saepe tractavimus ) rimandando, come si visto, al De libero arbitrio , soggiunge quest'altra osservazione, interessante dal punto di vista documentario: Et tamen si deprehendatur quisquam vel catechume nus iudaico ritu sabbatum observans, tumultuatur ecclesia. Nunc autem innu merabiles de numero fidelium cum magna confidentia in faciem nobis dicunt "die post kalendas non proficiscor Et vix lente ista prohibemus, arridentes, ne irascantur et timentes ne quasi novum aliquid mirentur (gi utilizzata da J. Zellinger, A ugustin und die Volksfrommigkeit, Miinchen 1933, p. 21). (19) Ep. 82, 23-24: Flagitas a me ut aliquem ealtem unum ostendam cuius in hac re sententiam sim eecutue, cum tu tam plures nominatim commemorave ris qui in eo quod adstruis praecesserunt, petens ut in eo ei te reprehendo er rantem, patiar te errare cum talibus quorum ego, fateor, neminem legi. Ma su sette autori invocati da Girolamo, quattro sono di unortodossia almeno sospetta (Apollinare, Alessandro, Origine e Didimo); ne restano dunque tre eoli, Eusebio di Emesa, Teodoro di Eraclea, Giovanni di Costantinopoli. Indi Agostino prosegue: Porro si quaeras vel recolae, quid hinc eenserit noster Ambrosius, quid noster itidem Cyprinaue, invenies fortasse nec nobie defuisse

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quos in eo quod adserimus, sequeremur . Si noti, tra parentesi, come Agostino sottolinei il suo ricorrere a Padri occidentali e latini. (20) Goldbacher (ed.), Sancti Aureli Augustius Epistolae pars IIf p. 376 (CSEL 34, Vienna etc. 1898); Hilberg (ed.) S. Eusebii Hieronymi Epistulae, pare II, p. 414 (CSEL 55 Vienna 1912); Baxter, in Journal of Theological Studies , 1922, p. 128; 1923, p. 187. V. anche cap. VII, nota 31. (21) Aug. Ep. 82, 21: Cur ergo non aperte dicis officiosum mendacium defendendum? nisi forte nomen te movet, quia non tam usitatum est in eccle siasticis libris vocabulum officii, quod Ambrosius noster non timuit, qui suos quosdam libros utilium praeceptionum plenos " De officiis " voluit apppellare . (22) Ambrstr. In Galat., a II, 11: <Reprehensibilis utique ab evangelica veritate, cui hoc factum adversabatur. Nam quis eorum duderet Petro apo stolo, cui claves regni caelorum Dominus dedit, resistere, nisi alius talie qui fiducia electionis euae sciens ee non imparem constanter improbaret quod ille sine consilio fecerat? 12-13: Nam et ipse utique cessit animoeitati e t audaciae Judaeorum, timens ne per hoc, quod facile est, subreperet ecandaum( quod difficile sedaretur; quia et secundum legem purificavit ee coactus et Timotheum circumcidit invitus . 14: Sed hic tota causa reprehensionis est quod, advenientibus Iudaeis ab Iacobo, non solum segregabat se ab eis cum quibus gentiliter vixerat (scii.: Petrus) sed et compellebat eos iudaizare, causa timoris illorum, ut quid horum verum esset ignorarent gentiles. Sciebant enim ipsum sscum non quasi Iudaeum v ixiss:e post autem audientes ab eo quia Iudaeorum instar sequendum erat, haesitabant utique quid esset verum... Apostolus autem Paulus, quando ad horam cessit, non hoc et euasit, eed rem se superfluam et inanem facere clamitavit, propter furorem Iudaeorum. Cui quidem rei non succubuisset, nisi causa interfuieset, qua audacia Iudaeorum plurimorum se iactaret. Erat autem Timotheus filius mulieris iudaeae, patre autem Graeco; unde factum est ut infans secundum Legem minime circumci deretur. Insidiabantur ergo, explorantes ei eum, qui Iudaeus natus erat, incircumcisum assumeret: quod illicitum putabant generi Iudaeorum, ooccasionem quaerentes qua eum eversorem tenerent Legis: hac causa ad horam cessit lurori eorum (P. L. XVII. 369-70). Cfr. anche In I ep. A d Corinth., IX, 20. (23) De mend., 8 cit. a n. 2; ep. 82, 12: Ergo et Timotheum propterea circumcidit, ne Iudaeis et maxime cognationi eius maternae sic viderentur, qui ex gentibus in Christum crediderant, detestari circumcisionem sicut ido latria detestanda est, cum illam Deus fieri praeciperit, hanc Satanas persuaseut ; 17: -longe ante quam tuae litteras accepissem, scribens contra Faustum manichaeum... ; C. Faustum, XIX 17: Inde est quod Timotheum, iudaea ma tre et graeco patre natum propter illos ad quos tales cum eo venerat, etiam circumcidit apostolus atque ipse inter eos morem huiusmodi custodivit, non simulatione fallaci, sed consilio prudenti; neque enim ita natis et ita in stitutis noxia erant ista, quamvis iam non essent significandis futuris neces saria... Si autem iis qui ex circumcisione venerant talibusque sacramentis adhuc dediti erant, ultro vellent, sicut Timotheus, conferre congruentiam, non pro hiberentur; verum si in huiusmodi Legis operibus putarent suam spem salutemque contineri, tamquam a certa pernicie vetarentur . ...Contra hos [i giudaizzanti] apostolus Paulus multa scripsit; nam in horum simulationem etiam Petrum adductum fraterna obiurgatione correxit . (24) Ep. 82, 12: Ergo et Timotheum propterea circumcidit, ne Iudaeis

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el maxime cognationi eius maternae sic videretur, qui ex gentibus in Christum crediderant detestali circumcisionem, sicut idolatria detestanda est . (25) Nella prima stesura di questo scritto (cfr. Ric. Rei, VIII, 1932, p. 135) io mi ero rivolto la domanda, se la Quaestio LX deirAmbrosiastro non possa essere stata occasionata precisamente dalle discussioni romane; ee, anzi, essa non sia da identificare con lo scritto contro Girolamo, attribuito ad Ago stino, e circolante in Roma, e se, addirittura, lo epunto non fosse offerto dalla stessa ep. 28 di Agostino stesso. Questo crea qualche difficolt cronologica, bench non insuperabile; infatti, volendo mantenere ci che detto nel testo, bisognerebbe ammettere che le Quaestiones della I edizione fossero state com poste durante un periodo abbastanza lungo; ohe tra la detta I edizione, il Tra ctatus in Romanos (per cui v. sotto), quello In Gulatus e probabilmente anche .a II edizione delle Quaestiones l'intervallo fosse invece relativamente piccolo. Ili complesso, preferisco per ora lasciare tutti questi problemi da parte. Si os servi per che la quaestio 109 De Melchisedech , sarebbe quella mandata da Evangelo a Girolamo (cfr. ep. 73) nel 398. (26) Cfr. A. Souter, nei prolegomeni (p. XII) alla sua edizione delle Q uaestiones (C.S.E.L. 50, Vienna 1908). (27) Contra duas epi&iolas Pelagianorum, IV, 4, 7 (C.S.E:L. 60, p. 528). (28) Ambrstr. In Rom. V, 12 (P. L. XVII, 96-97): Quoniam superius Dei gratiam per Christum datam ostendit secundum ordinem veritatis, nunc ipsum ordinem unius Dei Patris per unum Christum filium eius declarat: ut quia Adam unue, id est va (et ipsa enim Adam est) peccavit in omnibus, ita unus Chri stus filius Dei peccatum vicit in omnibus. Et quia propositum gratiae Dei eiga genus humanum ostendit, ut ipsa primordia peccati ostenderet, ab Adam coe pit, qui primum peccavit, ut providentiam unius Dei per unum reformasse do ceret quod per unum fuerat lapsum et tractum in mortem. Hic ergo unus est, pei quem salvati hanc illi reverentiam, quam Deo Patri, debemus, ipso volente... Si ergo soli Deo serviendum dicit, et Christo servire praecepit, in unitate Dei eet Chrislus nec dispar aut alter Deus. In quo, idest in Adam omnes peccaverunt. Ideo dicit in quo, cum de mu liere loquatur, quia non ad speciem retulit, sed ad genus. Manifestum itaque est in Adam omnee peccasse, quasi in massa; ipse enim per peccatum cor ruptus quos genuit omnes nati sunt sub peccato. Ex eo igitur cuncti peccatores quia ex ipso sumus omnes. Hic enim beneficium Dei perdidit, dum praevaricavit, indignus factus edere de arbore vitae, ut moreretur.... Est et alia mors,, quae secunda dicitur ingehenua, quam non leccato Adae patimur, std eius occasione propriis peccatis acquiritur, a qua boni immunes sunt; tantum quod in inferno erant f sed superiori quasi in libera (custodia?) f, qui ad caelce ascendere non poterant. Sententia enim tenebantur data in Adam, quod chirographum in de cretis morte Christi deletum est (cfr. Coloss., II, 14). Sententia autem decreti fuit, ut unius hominis corpus solvereetur super terram, anima vero vinculis inferni detenta exitia pateretur . (29) Id., a V, 13: In Adam omnes dicit peccasse, sicut supra memoravi efc usque ad Legem datam non imputatum esse peccatum; putabant enim 6e homines apud Deum impune peccare, sed non apud homines, Nec enim lex naturalis penitus obtorpuerat, quia non ignorabant quia quod pati nolebant aliie facere non debebant... Lex naturalis semper est, nec ignorabatur aliquando; eed putabatur ad tempus tantum auctoritatem habere, non et apud Deum reoe facere. Ignorabatur enim quia iudicaturus esset Deus genus humanum, ac per hoc non

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imputabatur peccatum quasi peccatum non cognitum eseet apud Deum, in curiosum Deum asserentes. At ubi autem Lex data eet per Moyeem manifesta tum eet curare Deum res humanae et non impune ii6 futurum qui malefacientes, quacumque ex causa in praeeenti evadunt. Nam utique ei inter ee, magistra iustitia vel natura, peccata non inulta ceneebant, quanto magis Deeum, quem mundi 6ciebant opificem, haec requieiturum non debuerant ignorare... Sed cum piaetermiseo Deo figmenta coeperunt in honorem Dei recipere, depravati mente, partem legis naturalie quae prima eet, calcaverunt. Quia lex na-turali6 tres habet partts, cuius prima haec est, ut agnitue honoretur Creator, nec eiue claritae et maieetas alicui de creaturis deputetur; 6ecunda autem paie est moralie, hoc eet ut bene vivatur, modestia gubemante; congruit enim homini habenti notitiam Creatoris vitam suam lege refrenare, ne fruetretur agnitio; tertia vero pare eet docibilis, ut notitia Creatorie Dei et exemplum morum ceterie tradatur, ut diecant quemadmodum apud Creatorem meritum collocatur. Haec est vera et chrietiana prudentia . A 14: Quoniam non imputabatur peccatum antequam Lex daretur per Moysen, 6icut dixi, ipsa usurpationis impunitate regnabat more, eciens sibi illoe devotos. Regnabat ergo more securitate dominationi6 euae tam in hoe qui ad tempus evadebant quam in illos qui etiam hic poenas dabant pro malie suie operibue Omnes enim soios eesse videbat; quia qui facit peccatum, servus est peccati (Ioh. VIII, 34); imipune iam cedere putan tes, magis delinquebant; circa haec tamen peccata promptioree quae mundue quasi licita nutriebat. Quo facto gaudebat Satanas, securae quod causa Adae relictum a Deo hominem in posseeeionem habebat. Regnabat ergo more in eoe qui peccaverunt in similitudinem praevaricationi6 Adae , qui eet forma futuri, quod in subiectie monstrabimus. Itaque non in omnes mortem regnasse mani
festum est, quia non peccaveru n t omnes in similitudinem praevaricationis A dae, id est non omnes contem pto Deo peccaverunt. Qui autem sunt qui contem pto Deo peccaverunt, nisi qui neglecto Creatore servierunt Creaturae, deos sibi constituentes quos colerent, ad iniuriam Dei? Idcirco laetabatur in i&Us dia bolus, qui v id e b a t illos imitatores suos effectos... Et peccatum A d a e non longe est ab idololatria ; praevaricavit enim, putans se hominem futurum Deum... Qui enim intellexit, s i v e ex traduce, siv e iudicio naturali , e t veneratus est Deum, nulli honorificentiam nominis ac maiestatis eius impertiens, si p e cca vit q u o niam im possibile esi non p eccare sub Deo p eccavit, non in Deum quem iudicem sen sit ; ideoque in huiusmodi m ors nlon regnavit. Jn| hos asuitem, sicut dixi, regnavit, qui sub specie idolorum servierunt diabolo... Maxima enim par6

mundi Deum fore iudicem ignorabat; perpauci autem in quoe non regnavit more. In quos autem regnavit, post istam mortem, quae prima dicitur, a eecunda excepti eunt ad poenam et perditionem futuram. In quoe autem non regnavit, quia non peccaverunt in similitudinem praevaricationis Adae, eub spe reservati sunt adventui Salvatoris in libera ... Sicut enim poet Legem datam qui idolis aut formicationi servierunt, contemnentes legislatorem, regnavit in eos mors; ita et ante Legem, qui sensum Legie praesenserunt, honorificantee auctorem eiue, non utique regnavit in eoe more;' propterea enim regnasse di citur quia cognitio unius Deei evanuerat in terrie... Primum igitur in Iudaea coepit destrui regnum mortis quia notus in Iudaea Deue (Ps. LXXV, 2); nunc autem in omnibue genlibue quotidie destruitur, dum magna ex parte ex filile diaboli fiunt filii Dei. Itaque non in omnes regnavit mors, sed in eo6 qui peccaverunt in eimilitudinem praevaricationie Adae, eicut eupra memo ravi. Adam autem ideo forma futuri eet, quia iam tum in mysterio decrevit

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Deu per unum Christum emendare, quod per unum Adam peccatum erat . Tutta l'esegesi che AmbrosiaOstro fa di questo passo si fonda sulla lezione qui peccaverunt e perci egli difende lungamente come originale, invo cando anche le testimonianze di Tertulliano, Cipriano e Vittorino, contro quella dei codici greci ( ) che del resto, dice, diffe riscono anch'esei tra loro. Cfr. Aug. De peccat, m ei. et rem iss ., I, 11, 13. (30) A V, 20: Sicut enim nativitas interit, nisi nutrimenta habeat quibus fota adolescat, ita et naturale iustitiae ingenium, nisi habeat quod respiciat et veneretur, non facile proficit, eed aegrotat et supervenientibus cedit peccatis. Consuetudine enim delinquendi premitur, ne creecat in fructum et per hoc extinguitur. Providenter ergo data est Lex in adiutorium, sicut testatur propheta; eed populus veterem consuetudinem sequens multiplicavit peccata . A V, 21 : Sicut per Adam coeptum peccatum regnavit, ita et per Christum gratia. Sic autem regnat gratia per iustitiam, si accepta remissione peccatorum iustitiam eequimur; ut videns gratia fructum se habere in bonie quoe redemit, re gnet in vitam aeternam, sciens nos futuros aeternos . VI, 19: Ut occasio nem nobis auferret timoris accedendi ad fidem quia quasi importabilie nobis et aspera videretur, ea mensura nos Deo servire praecepit, qu^ prius famula bamur diabolo; cum utique propensius deberet serviri Deo quam diabolo, quippe qui cum his salus, illic damnatio operetur; medicus tamen spiritalis non plus a nobis exigit, ne dum praecepta quasi gravia fugeremus, perpendentes infirmitatem nostram, maneremus in morte . VII, 5: Cum in carne sit, est enim in corpore, negat se es6e in carne,- qua hic dicitur esse in carne qui ali quid sequitur quod lege prohibetur. Igitur in carne esse multifarie intelligitur: nam omnis incredulus in carne est; id est carnalis ; et Christianus sub Lege vivens in carne est; et qui de hominibus aliquid sperat, in carne est, et qui male intelligit Christum, in carne est; et ei quie Christianus luxuriosam habet vitam, in carne est. Hoc tamen loco in carne esse eie intellegemus, quia ante fidem in carne eramus; sub peccato enim vivebamus, hoc est carnales sensus sequentes vitiis et peccatis subiacebamus. Sensus autem carnis est non cre dere spiritalia, id est: sine commixtione viri virginem peperisse... Manifestum est quia qui non credit eub peccato agit et captivus trahitur ad vitia admit tenda, ut fructum faciat morti secundae; lucrum enim tunc facit mors, cum peccatur. In membris tamen dicit vitia operari, non in corpore, ne occasio eeset male tractantibus corpus. VII, 11: Peccatum hoc loco diabolum intellige, qui auctor peccali est. Hic occasionem per legem invenit, quomodo crudelitatem suam de nece hominis satiaret; ut quia Lex comminata est pecca toribus, homo instinctu eius prohibita eemper admittens, offenso Deo, ultionem Legis incurreret; ut ab ea quae illi profutura data erat damnaretur. Quia enim invito illo data est Lex, exarsit ijividia adversus hominem, ut eum amplius vitiosis voluptatibus macularet, ne manus eius evaderet. VII, 14: Ego au tem etc. Hominem autem carnalem appellat, dum peccat. Venditus sub peccato: Hoc est venditum esse sub peccato, ex Adam, qui prior peccavit, originem trahere et proprio delicto subiectum fieri peccato... Adam enim vendidit se prior, ac per hoc omne semen eius subiectum est peccato. Quamobrem infirmum esse hominem ad praecepta Legis servanda, niei divinis auxiliis muniatur, hinc est unde ait Lex spiritualis est, ego autem etc.; hoc est, Lex firma est et iusta et caret culpa; homo autem fragilis est et paterno, vel proprio, subiugatus delicto, ut potestate sua uti non possit circa obedien-

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tiam Legie. Ideo est ad Dei misericordiam confugiendum ut severitatem Legis effugiat et exoneratus delictis, de caeteio Deo favente, inimico resistat. Quid est enim subiectum esse peccato, nisi corpus habere vitio animae corruptum, cui se inserat peccatum et impellet hominem quasi captivum delictis, ut faciat voluntatem eius?... Nam ante praevaricationem hominis priusquam se manci paret morti, non eiat hie (cio i satellites Satanae ) potestas ad interiora hominis accedere et cogitationes adversas inserere. Unde et astutia eius fa ctum est, ut confabulatione per serpentem hominem circumveniret. Postquam autem circurvenit eum et subiugavii, potestatem in eum accepit ut interiorem hominem pulsaret., copulans se menti eius; ita ut non poseit agnoscere quid suum sit in cogitatione, quid illius, nisi respiciat Legem . VII, 18: Non dicit, sicut quibusdam videtur, carnem malam; 6ed quod habitat in carne non esse bonum sed peccatum. Quomodo inhabitat in carne peccatum, cum non sit substantia, sed praevaricatio boni? Quoniam primi hominis corpus corruptum est per peccatum ut poseit dissolvi, ipea peccati corruptio per conditionem of fensionis manet in corpore, robur tenens divinae sententiae datae in Adam, quod est signum diaboli, cuius instinctu peccavit. Per id ergo quod facti causa manet, habitare dicitur peccatum in carne, ad quam diabolus accedit, quasi ad suam legem, et manet quasi in peccato peccatum; quia caro iam peccati est, ut de cipiat hominem suggestionibus malis ne homo faciat quod praecipit Lex . VII, 24-25: Hic quasi legem fidei tertiam inducit potiorem, quam et gratiam vocat, quae ex lege tamen spirituali originem habet, quia per hanc liberatus est homo, ut quia Moyees dedit Legem deditque et Dominus, duae dicantur, una tamen intellegatur quantum ad sensum et providentiam pertinet. Illa vero iniMatrix est salutie, haec vero consummatrix. Sed non hanc partem Legis dico quae in neomeniis est et in circumcisione et in escis, sed quae ad sacramentum Dei attinet et disciplinam... Hanc dicit mortem quam supra ostendit in necem hominis per peccatum inventam apud inferos quae appellatur secunda,- corpus autem mortie est cuncta peccata; multa enim unum corpus sunt, singula quasi membra uno auctore inventa ex quibus homo ereptus gratia Dei per baptis mum supradictam mortem evasit ... Igitur ego ipse, etc. . Legem Dei cum dicit, et Moysi significat legem et Christi. Ego ipse id est qui liberatus sum de corpore mortis... liberatus est a cunctis malis. Remiesio enim peccato rum omnia tollit peccata. Liberatus ergo de corpore mortie gratia Dei per Chri stum, mente , vel animo, eervio legi Dei, carne autem legi peccati , id eet diaboli qui per subiectam sibi carnem euggesticnes malas ingerit animae ... Mente servio etc.... Iam enim liber animus et in consuetudinem bonam re vocatus Spiritu Sancto adiuvante, malas suggestiones potest spernere: reddita est enim illi auctoritas qua audeat resistere inimico... Caro autem quia iudicium non habet neque capax est discernendi (est enim bruta natura) non potest inimico aditum claudere, ne veniens introeat atque animo contraria suadeat... Cum aulem unus homo carne constet et anima, ex illa pa^rte qua sapit Deo servit, ex altera autem qua stolidus est, legi peccati. Si enim homo in eo quod factus eet perdurasset, non esset potestas inimico ad carnem eius accedere et animae contraria susurrare. Ut autem totus homo minime reparatus fuisset Christi gratia ad statum pnsiinum (una specie di re&litutio in integrum) sen tentia obstitit data in Adam; iniquum enim erat solvere sententiam iure de promptam. Idcirco manente sententia, providentia Dei remedium inventum est, ut redhibiretur homini salus, quam proprio vitio amiserat, ut hic sanatus cre-

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deret quia adversarius eius devictus potentia Christi non auderet transpuncta eententia primae mortis hominem sibi defendere, adunato genere Adae, ne ad primae originis redderetur facturam, iam totus permanens immortalie . Vale la pena di osservare come, pur non usando un frasario tecnicamente giuridico, l'Ambrosiastro si ispira a concezioni proprie del diritto, h remedium va in teso come un vero e proprio rimedio giuridico . (31) Una considerazione che potr sembrare moito materiale, ma che pure ha, aggiunta alle altre, un certo peso, questa: su poco pi di 8 Colonne nell'ediz. dei Maurini che occupa l'intero commento dell'Ambrcsiastro a Rom. IX, poco pi di 5 sono dedicate ai vss. 6-28; una e mezza ai ves. 29-33. Le consi derazioni fatte nel testo, e del resto banali, sui motivi che ispirano lAmbroeiaetro non implicano affatto ( appena superfluo avvertirlo) una mia presa di posizione anche larvata, nella vex a ta quaestio deH'identificazione di questo scrittore. (32) Ambrostr. a Rom. VIII, 29: Istis quoe praescivit futuros sibi devotos ipsos elegit ad promissa praemia capessenda; ut hi qui credere videntur et non permanent in fide coepta, a Deo electi negentur; quia quos Deus elegit, apud ee permanent . a IX, 7: Hoc est quod vult intelligi, non iam ideo dignos esse omnes quia filii sunt Abrahae, eed eos esse dignos qui filii promiseionis sunt, id est quos praesciit Deus promissionem suam suscepturos... . IX, 11-13: Praescientiam Dei flagitat in hie causis, quia non aliud potest evenire quam novit Deus futurum. Sciendo enim quid unusquisque illorum futurus asset, dixit: hic erit dignus, qui erit minor et qui maior erit indignus. Unum elegit praescientia et alterum sprevit; et in illo quem elegit propositum Dei manet quia aliud non poteet evenire quam quod scivit et propo6uit in illo ut salute dignus sit; et in illo quem sprevit simili modo manet propositum quod proposuit de illo quia indignus erit. Hoc quasi praesciue, non personarum ac ceptor, nam neminem damnat ante quam peccet et nullum coronat antequam vincat. Hoc pertinet ad causam Iudaeorum, qui eibi praerogativam defendunt quod filii sint Abrahae. Apostolus autem consolatur ee... Minuit ergo dolorem euurn inveniens olim praedictum quod non omnes essent credituri; ut hie solis doleat qui per invidiam in incredulitate laborant. Possunt tamen credere, quod ex eubiectis aperit. Incredulis tamen praedictis non valde dolendum eet, quia non sunt praedestinati ad vitam^ praescientia enim Dei olim hos non salvandoe decrevit... Praescius itaque Deus malae illos voluntatis futuros, non illos habuit in numero bonorum... Sed hoc propter iustitiam, quia hoc est iustum ut unicuique pro merito respondeatur. ... De iustitia enim Deus iudicat, non de praescien tia... Non est personarum acceptio in praescientia Dei; praescientia enim est qua definitum habet qualie uniuscuiusque futura voluntas erit, in qua maneurus est, per quam aut damnetur aut coronetur. Denique quosecit in bono maneuros frequenter ante eunt mali et quos malos scit permansuros aliquoties prius eunt boni . A 14: '<Iustus eet Deus; scit enim quid faciat nec retractandum est eius iudidum. Hoc in Malachia propheta habetur: Iacob, etc. (Mai. I, 3 cfr. ve. 13). Hoc iam de iudicio dicit; nam prius de praescientia ait quia maior etc. (Gen. XXV, 23 cfr. vs. 12), sicut et de praescientia Pharaonem damnavit, sciene se non correpturum; apostoium vero Paulum persequentem elegit, praescius utique quod futurus esset bonue. Hunc ergo praevenit ante tempus quia neces sarius erat et Pharaonem ante futurum iudicium damnavit, ut crederetur iudi-

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caturus . A 15: Hoc eet " eius miserebor"; cui praescius eram quod mi sericordiam daturus essem, sciens conversurum illum et permansurum apud me... ei misericordiam dabo quem praeecivd post errorem recto corde rever surum ad me.'Hoc est dare illi cui dandum est et non dare illi .cui dandum non eet, ut eum vocet quem sedat obaudire, illum autem non vocet quem sciat minime obaudire. Vocare autem est non pugnare sed compungere ad recipien dam fidem . A 16: Ex hoc utique dantis Dei et non dantis iudicium se quendum est, quia non iniuste iudicat, qui omnes ealvos vult, manente iusti tia: inspector enim cordis scit petentem, an hac mente poscat ut mereatur acci pere. Et... propter diffidentes, ut mens eorum medelam consequi poseit, ne putent iudicium Dei iniustum dicentes: Unum vocat et alterum negligit, sic arbitrantes excusari posee damnandos, rebus ietud potiue probemus quam ver bis (esempi di Saul e Davide). A 18: Ex pereona contradicentis loquitur, qui quasi putet Deum neglecta iustitia alicui -gratiosum, ut unum e duobus pa ribus accipiat, alterum respuat, hoc est unum compungat ut credat, alterum induret ne credat. Cui quidem ex auctoritate respondet, servata tamen iusti tia... . A 19: N ec enim competit ei ut iniustus sit, cuius benevolentia tanta apparet... Qui ergo tam providus et bonus est, ambigi non debet quia iustus est. A 21: Manifesfum est vasa aliqua fieri ad honorem... alia vero ad contumeliam...; unius tamen eese substantiae sed differre voluntate opificis in honore. Ita et Deus, cum omnes ex una atque eadem masea eimus in substantia et cuncti peccatores, alii miseretur et alterum despicit (cfr. n. 29) non sine iu stitia... scit enim cuius debeat mieereri, sicut eupra memoravi . A 22: Ipse eensus est, quia voluntate et longanimitate Dei, quae est patientia, praepa rantur infideles ad poenam: diu enim exspectati converti noluerunt. Ideo ergo exspectati sunt, ut inexcusabiles deperirent. Scivit enim Deus hos non credi turos . A 23: Patientia et longanimitas Dei ipsa est quae sicut malos praeparat ad interitum, ita et bonos praeparat ad coronam; boni enim sunt in quibus spes fidei est. Omnes enim sustinet, eciens exitum singulorum; ac per hoc patientia est, quae illos qui ex malo corriguntur aut in bono perseve rante sunt praeparat ad gloriam... Eos autem qui ex bonis fiunt mali et in coepto malo perdurant, praeparat ad interitum... Praeparare autem unum quem que est praescire quid futurum est . A 24: Hoe quos vocavit praeparavit ad gloriam, sive eos qui prope erant, sive eos qui longe, sciens permaneuros in fide . (33) Cfr. Ambrostr. Q uaest . Vei. et N o v i Test., qu. 52 (II nov. 61, ed. Souter p. 446), a Gal. V, 19-21, 1: Qarnem non substantiam cam is eo loco intelligas, sed actus malos et perfidiam significatam in carne... 2: Hic itaque error, quem carnem appellat, concupiscit adversus spiritum, id est suggerit mala contra eundem spiritum, qui est lex Dei. Duas enim leges inducit, Dei et dia boli... His ergo repugnantibus medius homo est, qui cum consentit spiritui, non vult caro,- cum autem manum dat carni, spernit spiritum, id est legem Dei contemnit... 3: Ideo ergo haec apostolue publicat, ut ostendat arbitrio humano cui rei voluntatem suam .committat, non ut arbitrium libertatis inaniat, sed docet*arbitrium cui rei se coniungat. Si autem non est voluntatis arbitrium, ne que lex diaboli quae eet caro, neque lex Dei quae est spiritus, invicem sibi adversando hominem consiliie eollicitarent. Qui enim sollicitat, suadet; qui autem suaret non vim infert, sed circumvenit; qui circumvenitur, fallaciis qui busdam voluntas eius mutatur. Si autem non esset liberum aitoitrium, nolens

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homo traheretur ad ea quae non vult , cfr, anche Tract. in Gal., p. es. a V, 17-18: Duae leges proponit, sicut facit et in epistola ad Romanos, quae invicem adversae sunt, unam Dei alteram peccati. Quae ideo in carne eignificatur quia visibilibus oblectatur, cupida peccatorum; ut his eibi adversantibus medius homo non ea quae vult agat. Divina enim lex premit et fugat legem peccati, consulene homini ut vigorem naturae suae custodiat, ne capiatur ille cebris; illa e contra in insidiis agens, lacessit hominem blanditiis ut spernat praeceptum legis divinae. Cum ergo consenserit homo legi Dei, contradicit lex peccati... . E anche Tract. in Ephes., a II, 9-10: Gratia fidei data eet, ut cre dentes ealventur. Verum est quia omnis gratiarum actio salutis nostrae ad Deum referenda est, qui misericordiam suam nobie praestat, ut revocaret er rantes ad vitam et non quaerentes verum iter. Ideoque non eet gloriandum nobis in nobis ipsis, eed in Deo, qui noe regeneravit nativitate caelesti per iidem Christi, ad hoc ut bonis operibus exercitati, quae Deus nobis iam rena tis decrevit promiesa mereamur accipere . (34) Cfr. Tract.in Rom. a V, 12 cit. a n. 28; 14 cit. a n. 29; a VII, 11, 14f 24-25 cit. a n. 30. (35) Che d altra parte strettamente congiunta con la cura ch'egli ha di far rijevare il valore della Legge, a sua volta connessa con l'atteggiamento contrario al dualismo manicheo. (36) Cfr. n. 29, in fine. (37) P. es. Agostino non spinge allo stesso punto la contrapposizione tra il demonio e Dio senza dubbio per una preoccupazione antimanichea e, non avendo la mentalit giuridica dell'Ambroeiastro, non insiste affatto sul concetto di una sentenza divina vera e propria, pure parlando frequentemente di pena, ma piuttosto in senso morale. Tanto pi degno di rilievo mi pare il punto in cui anche Agostino fa sua, per un momento, la dottrina del chiro grafo (cfr. De lib. arb. III. 31 cit. a c. IV, n. 26). (38) Expo9. Ep. ad Galatas, 39 (a IV, 20): Non autem sufficit quod de libera uxore natus est Isaac ad significandum populum heredem Novi Testamenti; eed plus hic valet quod eecundum promiseionem natus est. Ille au tem et de ancilla secundum carnem et de libera nasci potuit secundum carnem, sicut de Cethura, quam postea duxit Abraham, non secundum promissionem sed secundum carnem suscepit filios... Qui filii de libera quidem, sicut isti de ec clesia, sed tamen secundum carnem nati sunt non spiritualiter per repromis sionem. Quod si ita est, nec ipsi ad hereditatem iinveniuntur pertinere, id est ad caelestem Ieruealem, quam sterilem vocat Scriptura, quia diu filios in terra non genuit. Quae deserta etiam dicta est, caelestem iustitiam deserentibus ho minibus, terrena eectantibus, tamquam virum habente illa terrena Ierusalem, quia Legem acceperat. Et ideo caelestem Ieruealem Sara significat, quae diu deserta est a concubitu viri propter cognitam sterilitatem. Non enim tales ho mines, qualis erat Abraham, ad explendam libidinem utebantur feminis, sed ad successionem prolis. (Anche questo inciso, e il fatto di averlo inserito, non privo di significato)... Senectus autem parentum Isaac ad eam significationem valet, quoniam Novi Testamenti populus quamvis sit novus, praedestinatio ta men elue apud Deum, et ipsa Ierusalem caelestis antiqua est... Carnales autem qui sunt in ecclesia, ex quibus haereses et schismata fiunt, ex Evangelio quidem occasionem nascendi acceperunt, sed carnalis error quo concepti sunt et quem

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eecum trahunt non refertur ad antiquitatem veritatis; et ideo de matre adule scentula et de patre sene sine repromissione nati sunt... Nati sunt ergo talee ex occasione antiquae veritatis in novitio temporalique mendacio. Dic.it ergo noe Apostolus secundum Isaac promissionis filios esse; et sic persecutionem passum Isaac ab Ismaele quemadmodum hi qui spiritaliter vivere coeperant a carna libus Iudaeis persecutionem patiebantur: frustra tamen, cum secundum Scri pturam eiciatur ancilla et filius eiue, nec heres e$se possit cum filio liberae . (39) Cfr. c. II, n. 16. (40) Cfr. Ambr. De Cain et Abel, I, 6, 23-24 (C. S. E. L. 32 p. 1, pp. 359-60); Explan, in Ps. X X X V I, 61 (C. S. E. L. 64, p. 118); De Abraham, II, 72 (C. S. E. L. J2, p. 1, p. 606). (41) De div. quaest . LXXXUI, qu. 81, De quadragesima et quinquagesima, 2: Et ideo ea quae nunc est Ecclesia, quamvis filii Dei simus ant tamen quam appareat quid erimus, in laboribue et afflictionibus agit... Et hoc eet tem pus quo ingemiscimus et dolemus exspectantes redemptionem corporis noetri (cfr. Rom. VIII, 23), quod Quadragesima celebratur... cum.., non solum credere quae pertinent ad fidem sed etiam perspicuam veritatem intellegere mereamur. Talis Ecclesia, in qua nullus erit moeror, nulla permixtio malorum hominum, nulla iniquitas, sed laetitia et pax et gaudium, Quinquagesimae celebratione praefiguratur . 3: Haec autem duo tempora, idest unum laboris et sollici tudinis, alterum gaudii et securitatis, etiam retibus miesie in mare Dominue noster significat. Nam ante passionem de reticulo dicitur misso in mare, quia tantum piscium ceperunt ut vix ad litus trahendo perducerent, et ut retia rum perentur (Luca, V, 6-7). Non enim missa sunt in dexteram partem (haibet enim multos malos Ecclesia huius temporis) neque in sinistra (habet enim etiam bonos), sed passim, ut permixtionem bonorum malorumque significaret. Quod autem rupta sunt retia, charitate violata multas haereses exiisse significat. Post resurrectionem vero, cum vellet Ecclesiam futuri temporie praemonstrare, ubi omnes perfecti atque sancti futuri sunt, iussit mitti retia in dexteram partem et capti sunt ingentes piscee centum quinquaginta tres, mirantibus discipulie quod cum tam magni essent, retia non sunt disrupta . (42) De ag. chr., 14, 16-32, 34. Notevole l'ampiezza del c. 28, 31, contro i Donatisti, qui 6anctam ecclesiam quae una catholica est negant per orbem esse diffusam (cfr. 13, cit. a n. 47) sed in sola Africa, hoc est in parte Donati pol lere arbitrantur e che i due successivi siano dedicati uno (32) ai luciferiani l'altro (33) a coloro qui negant ecclesiam Dei omnia peccata posse dimit tere... Isti sunt qui viduas, si nupserint, tamquam adulteras damnant et euper doctrinam apostolicam se praedicant esse mundiores . (43) Anche 1Incarnazione spiegata ora in relazione a questa lotta: Coronam victoriae non promittitur niei certantibus. In divinis autem scriptu lis assidue invenimus promitti nobis coronam si vicerimue... Debemus ergo co gnoscere quis sit ipse adversarius, quem si vicerimus coronabimur. Ipse est enim quem Dominus noster prior vicit ut etiam nos in illo permanentes vinca mus... Sed quia naturam nostram deceperat, dignatus est unigenitus Dei Filius ipsam naturam nostram suscipere ut de ipsa diabolus vinceretur et quem eemper ipee sub se habet, etiam sub nobis eum esse faceret. Ipeum significat 'Jicens (Ioh. XII, 31), non quia extra mundum missus est, quomodo quidam

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haeretici putant, sed forae ab animis eorum qui cohaerent Verbo Dei et non diligunt mundum, cuius ille princeps eet quia dominatur eie qui diligunt tem poralia bona quae hoc mundo visibili continentur, non quia ipse dominus est huius mundi, sed princeps cupiditatum eorum quibus concupiscitur omne quod transit, ut ei subiaceant qui neglegunt aeternum Deum et diligunt instabilia et mutabilia... Per hanc cupiditatem regnat in homine diabolus et cor eius tenet. Tales sunt omnes qui diligunt istum mundum. Mittitur autem diabolus forae, quando ex toto corde renuntiatur huic mundo. Sic enim renuntiatur diabolo, qui princepe est huius mundi, cum renuntiatur corruptelis et pompis et angelis eius (De ag. chr., 1). Si noti 11 significato del richiamo al battesimo. (44) De ag. chr. 2: Habemus magistrum qui nobis demonstrare dignatus eet, quomodo invisibiles hostes vincantur... Ibi ergo vincuntur inimicae nobie invisibilee potestates, ubi vincuntur invisibiles cupiditates... Non simus terra, si nolumus manducari a serpente. Sicut enim quod manducamus in corpus no strum convertimus, ut cibus ipse secundum corpus hoc efficiatur quod no su mus, sic malis moribus per nequitiam et impietatem hoc efficitur quisque quod diabolus, id eet similis eiue, et subicitur ei, sicut subiectum est nobis corpus no strum . 10, 11: Deus hominem inexterminabilem (cfr. Sap. II, 23) fecit et ei liberum voluntatie arbitrium dedit. Non enim esset optimus si Dei praeceptis ne cessitate non voluntate eerviret . 11, 12: Certi che discutono l'incarnazione (cfr. 1, a . 40) non... intelligunt quid eit aeteinitae De1 quae hominem adsum' Pit, et quid sit ipsa humana natura, quae mutationibus euis in pristinam firmi tatem revocabatur, ut dieceremus docente ipso Domino infirmitates, quas pec cando collegimus, recte faciendo posse sanari. Ostendebatur enim nobis ad qum fragilitatem homo sua culpa pervenerit et ex qua fragilitate divino au xilio liberetur. Itaque Filius Dei hominem adsumpsit . 13, 14: Subiciamus ergo animam Deo, si volumus servituti subicere corpus noetrum et de diabolo triumphare. Fidee est prima quae subiugat animam Deo; deinde praecepia vivendi quibus custoditis epes nostra firmatur et nutritur caritas et lucere in cipit quod antea tantummodo credebatur. Cum enim cognitio et actio beatum hominem faciant, eicut in cognitione cavendus est error, sic in actione cavenda est nequitia. Errat autem quisquis putat veritatem se posse cognoscere, cum adhuc nequiter vivat. Nequitia est autem mundum istum diligere et ea quae nascuntur et transeunt pro magno habere et ea concupiscere... Itaque prius quam mens nostra, purgetur debemus credere quod intellegere nondum vale mus . 27, 29: (Ioh. III, 18): hoc dixit quia iam damnatue est praescientia Dei qui novit quid immineat non credentibus . (45) De ag. Chr., 6 I>opo aver citato I Cor. IX, 26-27 e XI, 1: Quare intel legendum est etiam ipeum apostolum in semetipso triumphasse de potestatibus huius mundi; sicut de Domino dixerat, cuius se imitatorem esse profitetur. Imitemur ergo et nos illum . (46) La conseguenza di questo presupposto che in quasi tutto il capo 7 di Romani l'apostolo parlerebbe non di se etesso, ma a nome dellumanit non ancora sub gratia: cfr. De div. quas&i. LXXXIII, qu. 66, 5 cit. a c. IV, n. 16). (47) De ag. chr., 12, 13: Sed ecclesia catholica per totum orbem longe la-

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teque diffusa... criminatoree palearum euarum non curat, quia tempus messis et tempue arearum et tempus horreorum caute dili genterelle distinguit; crimina toree autem frumenti sui aut errantes corrigit, aut invidentes inter epinae et zizania computat . (48) Gfr. De ag. chr. 33, cit. a n. 42. .(49) Ep. 82, 5: At enim satius eet credere apostolum Paulum non vere scripsisse quam apostolum Petrum non recte aliquid egisse. Hoc si ita est, dicamus, quod abeit, satius esse credere mentiri evangelipm, quam negatum esse a Petro Chrietum .

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VI
L occasione di tornare a meditare sulla lettera Ai Romani fu offerta presto ad Agostino dalle domande rivoltegli da Simpliciano, successore sulla cattedra episcopale milanese, di S. Ambrogio, mor to il 4 aprile del 397. A quelle domande Agostino si accinse a ri spondere nel tempo in cui diveniva prima coadiutore, quindi suc cessore del vescovo Valerio. Ed egli deve aver colto tanto pi vo lentieri lopportunit che gli si presentava di spiegarsi meglio, in quanto coincideva con un suo bisogno spirituale (1). Del resto questa esigenza di chiarirsi sempre pi pienamente, con iterate letture e commenti, i libri fondamentali della Bibbia, sefnbra essere stata una delle pi appariscenti caratteristiche di Agostino dal giorno in cui entr nella carriera ecclesiastica : basta pensare ai commenti alla Genesi (2). La prima quaestio del primo libro concerne Romani, VII, 7-25. Quale sia lindirizzo del pensiero di Agostino rivelato fin dalli nizio, dove egli avverte che lapostolo si come travestito da uomo posto sotto la Legge (3). Il problema fondamentale quello del va lore che Paolo attribuisce alla Legge stessa : dopo aver parlato di Legge di morte (Rom. VII, 6 nel testo occidentale ) egli si preoccupa che si possa accusarlo di averla incolpata : cosa che non intendeva affatto di fare, pur dicendo che essa ha fatto conoscere il peccato. Se prima della Legge il peccato si poteva dire morto , cio ignorato, dopo la Legge esso venne conosciuto ( rivisse , il che significa chesso era gi vivo, ossia noto, nella prevaricazione di Adamo). Ma con la legge, essendo ormai conosciuto il precetto, si aggiunse il fatto della trasgressione volontaria. Bisogna dunque
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distinguere due momenti : prima della Legge, quando il peccato esisteva ma era m orto, senza la coscienza di peccare; dopo la Legge, quando il peccato viene commesso con piena coscienza ed pi grave (4). La proibizione non ha dunque fatto altro che ac crescere il desiderio e rendere il peccato pi dolce, perch gli uomini che non hanno ancora ricevuto la grazia commettono pi volentieri ci che vietato : cos il peccato ha ingannato gli uomini, promet tendo un piacere, che seguito da gravi pene e inducendoli alla trasgressione, e alla morte. 1 male non dunque nella Legge, bens 1 in chi ne usa male e la trasgredisce, non sottomettendosi umilmente a Dio per ottenere a grazia, si d poter divenire spirituale, capace di adempiere la Legge. L uomo spirituale, quanto pi si adegua alla Legge spirituale cio si eleva a desideri spirituali, tanto pi facile e dilettoso trova ladempimento, perch illuminato dalla Legge stessa : la grazia gli rimette i peccati e glinfonde lo spirito di carit, per cui ama la giustizia (5). Ma, poich Paolo applica a se stesso il termine di carnale , Agostino osserva che questo appellativo pu essere inteso in vari sensi e applicato a diverse categorie di persone. Carnali infatti in cer to modo si possono chiamare, come fa lapostolo con i fedeli di C o rinto (I Cor. Ili, 2), anche coloro che sono gi sub gratia, rinati mediante la fede e redenti dal sangue di Cristo. Carnali in senso pi stretto e proprio sono altres coloro che si trovano ancora sub Lege, schiavi Jel peccato e d! quella dolcezza ingannevole, trasgressori co stretti a servire alla passione e nondimeno consci di peccare. Co storo riconoscono la bont della Legge e vorrebbero conformarsi ad essa, e tiprovano ii male che fanno , ma, vinti dalla passione, ne subiscono il dominio. Paolo dunque, parlando in prima persona, si riveste della personalit di chi non ancora sub gratia (6). Costui consente alla Legge, in quanto sa che nella sua carne non dimora il bene; eppure nelle sue azioni cede al peccato. E questo peccato, donde viene ? Agostino distingue : v un peccato che proviene dal la natura delluomo in quanto mortale ed la pena del peccato ori ginale di Adamo, con cui veniamo al mondo. L altro deriva dalla consuetudine al piacere, un peccato ripetuto e che noi stessi ac cumuliamo vivendo. L una e 1 altra cosa, natura e consuetudine, si congiungono insieme e dnno forza invincibile alla passione : questo il peccato che Paolo dice abitare nella sua carne ed esercitarvi
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un dominio dispotico (7). Alcuni, osserva Agostino, credono che esprimendosi a quel modo Paolo abbia voluto togliere all'uomo il libero arbitrio ; ma errano. Lapostolo, dicendo che il volere a sua portata di mano, riconosce che in suo potere ; ma luomo che non ancora sub gratia non ha la facolt di compiere il bene, e questa la retribuzione del peccato originale, pena del delitto per cui fu mutata la natura originaria de!' uomo in mortele, quasi seconda natura, dalla quale ci libera la grazia di Dio quando ci trova- sotto messi a lui mediante la fede. Ma chi sta ancora sub Lege vinto dalla concupiscenza, che trae forza non solo dalla mortafit che ci dimpedimento bens dalla consuetudine che ci opprime. L uomo sotto la Legge, di cui Paolo assume la personalit, riconosce dunque che la Legge buona, in quanto si rimprovera di contravvenirle, ma nondimeno non riesce ad ottemperare ai suoi precetti. Si vede cos incolpato per la trasgressione ed indotto ad invocare la grazia del Redentore. Questo peso opprimente della condizione mortale si pu c'liamare leggi delle m em bra: legge, perch sanzionata da Dio con una sua sentenza a titolo di pena. Essa combatte contro la legge della mente, e prima che luomo sia giunto ad essere sub gratia lo tiene schiavo di se stesso e del peccato. Perci luomo che ancora in questa servit non deve presumere delle sue forze, come i Giudei si vantavano delle opere della Legge : chi ancora vinto, prigioniero e prevaricatore non ha altra risorsa che invocare umilmente la benevolenza di Dio e riconoscere che la liberazione non gli pu venire che dalla grazia. Dunque in questa vita mortale il libero arbitrio non capace di far s che luomo possa adempiere alla giustizia, pur volendo ; ma esiste, e conserva tuttavia quel tanto di vigore che basta a ottenere che luomo si rivolga supplichevole a Dio, il quale gli dona la forza di adempiere (8). Paolo dunque, ripete Agostino, non incolpa direttamente la Leg ge ; essa impone di fare ci di cui luomo incapace, se prima non si sia rivolto a Dio. Perci alla categoria degli uomini sub Lege, che sono da essa dominatu e puniti come contravventori, si contrappone quella sub gratia (terzo grado che si aggiunge ai due gi segnalati), i quali sono sottratti al timore della legge e messi in condizione di eseguirla per amore (9). Perci la Legge detta legge di morte per i Giudei; i cristiani invece si possono considerare morti alla legge che condanna. Cio, alla Legge, senzaltro : perch il ter
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mine si usa pi comunemente in quseto senso, e d altra parte non ci sono due leggi, come credono i manichei (10); ma la stessa legge promulgata con Mos affinch fosse temuta, con Cristo diventata grazia e verit, affinch fosse adempiuta. Allo stesso modo la Legge si pu c hiamare tetter che uccide > per i Giudei e per tutti coloro che, privi dello spirito di carit e di amore che proprio del Nuovo Testamento, la leggono ma non la . comprendono n eseguiscono: mentre coloro che sono morti al peccato attraverso il sacrificio di Cristo sono anche morti alla lettera (11). I motivi fondamentali sono dunque gli stessi che abbiamo sem pre trovato fin qui : in particolare, come era naturale trattandosi di commentare il medesimo testo, nella qu. 66 del De diversis quaestio nibus LXXXIII. Rimanee netta la distinzione dei tre stadi, ante Legem, sub Lege e in gratia caratterizzati alla stessa maniera. Agostino con tinua a pensare che San Paolo dicendosi carnale indichi non la propria persona, ma luomo sub lege; per lapostolo appartiene alla categoria degli spirituali, i quali ormai vincono le passioni ine renti alla carne mortale, sebbene siano ancora soggetti a sentirle. Sotto questo aspetto (anche se non trovamo qui la metafora della massa che d altronde il testo commentato non suggeriva) lumanit veramente una con Adamo : in conseguenza del suo peccato e per effetto di una sentenza di Dio, essa eredita quella perversione della sua natura originaria, che la mortalitas. Ma gli effetti della colpa di Adamo si limitano a questo : vi trasmissione della pena, non del peccato. Il peccato si ha quando luomo di fronte alla Legge, sentendo di non potersi conformare ai suoi precetti, trascura di fare ogni sforzo per ottenere il soccorso divino che gli necessario. Questa necessit affermata, e quindi luomo non si redime da solo : chiaro che Agostino era gi arrivato a pensare che luomo vale non in quanto si dedichi alla ricerca della verit ma in quatito viva nella Chiesa e partecipi dei suoi sacramenti (12). Ma oltre il rilevare gli effetti che tale partecipazione ha avuto psicologica mente sulla persona di Agostino impossibile andare, perch non troviamo traccia nelle sue opere di questo periodo, di una dottrina dei sacramenti, e anche lecclesioiogia in uno stato ancora em brionale, non avendo egli anccra sviluppato il concetto della per manenza di buoni e malvagi nella Chiesa sino alla separazione finale.
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Insomma, per Agostino, in questo momento, non vi peccato che non sia individuale; il passaggio dal secondo al terzo stadio dipende dal volere di ogni uomo, libero di commettere, non sotto mettendosi a Dio, un peccato di superbia, o di compiere un atto di umilt, invocando la grazia che lo metter in grado di adempiere i precetti della Legge con amore anzich per timore, acquistando cos la salvezza in ricompensa di un merito di cui Dio senza dubbio ha prescienza, anzi lo conosce eternamente, ma che un merito dello uomo : i predestinati sono coloro dei quali Dio nella sua prescienza sa che avranno fede. Il problema dei rapporti tra prescienza e on nipotenza di Dio non ha formato ancora loggetto di uno studio ap profondito. In questa serie di commenti a S. Paolo, Agostino ha dunque ela borato una dottrina, di cui sembra per ora soddisfatto. E il rilevare qualche oscurit non deve farci dimenticare chessa non manca di coerenza. Di fronte a ogni sistema pi o meno intinto di dualismo, tale dottrina salva lunit della rivelazione e di Dio, come la sua trascendenza e la sua giustizia. Certo, pu sembrare unincrinatura nel sistema che Agostino, ricordando il testo di 7 Corinzi III, 1-2 ammetta che vi siano uomini carnali anche dopo aver ricevuto il battesimo. Ma egli distingue con sufficiente nettezza questa cate goria di carnali , cos chiamati perch non abbastanza progrediti nella fede, dai carnali veri e propri, ancora sub lege. E anzi perch egli ha vivissimo il sentimento della diversit tra i rimasti nel secondo stadio e coloro che sono pervenuti al terzo, che Ago stino non vuole ammettere che ai gi battezzati Paolo applichi la qualifica di carnali nel pieno senso del termine. Non bisogna di menticare che, anche in gratia, luomo rimane mortale e ha quindi in s, come conseguenza inevitabile della mortalitas, la concupiscenza destinata a estinguersi soltanto nel quarto grado, in pace, quando con la resurrezione luomo riacquister il corpo spirituale. Sol tanto allora questa pena del peccato di Adamo scomparir inte ramente. Ma forse anche quella distinzione fatta piuttosto per salvare il sistema ; e forse il riconoscere che si carnali e che la con cupiscenza sopravvive anche in gratia, e quindi laver continuato a riflettere sopra un testo che non pot non metterlo per un momento in imbarazzo, non fu senza conseguenze sullo spirito di Agostino e sullo svolgimento ulteriore del suo pensiero.
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Nella seconda quaestio Agostino esamina Romani IX, 10-29. Come- gi nel De diversis quaestionibus LXXXIl (13), egli comin cia con laffermare che San Paolo non vuole abolire comple tamente le opere bens mostrare che esse seguono, non precedono, la fede : questa ottiene la grazia che pertanto condizione del bene operare, non conseguenza di esso. La grazia poi si comincia a ricevere quando si comincia a credere, ma non sempre e non in tutti essa sufficiente a procurare il regno dei cieli : cos accade, per esempio, nei catecumeni. Si delinea dunque di nuovo la dif ferenza tra coloro che non sono abbastanza progrediti nella fede e gli altri : infatti vi sono nella fede delle gradazioni. Vi unini zio, che assomiglia al concepimento, ma non ancora la nascita. Nulla si ottiene senza la grazia (14). Posto cosi il problema del rapporto tra lazione di Dio e quella delluomo nella giustificazione, Agostino si prepara a risolverlo. Le difficolt sono molte e varie. Si rischia da un lato di attribuire implicitamente a Dio anche lorigine del male o un procedere arbitrario e tirannico, contrario alla giustizia ; dellaltro, di ca dere in un razionalismo che prescinda dai dati rivelati o li neghi. La causa profonda dei dubbi in cui si dibatte Agostino deriva ap punto dal fatto, che egli attribuisce ora alla rivelazione un valore infinitamente pi grande di quanto non facesse allinizio della sua atti vit di pensatore cristiano. La ferma decisione, di rimanere ade rente ai testi biblici e di evitare al tempo stesso pericoli che conosce per penosa esperienza, lo inducono a non risparmiare gli sforzi. Ra giona cosi, non esponendo una dottrina gi fatta, ma argomentando in base ai testi che ha sempre presenti, e a contatto coi quali la fiducia nella soluzione gi raggiunta viene alquanto scossa. Perci egli procede in maniera che pu apparire contorta, e rende senza dubbio difficile il seguirlo. Assistiamo al lavorio, direi quasi al travaglio, del suo pensiero che viene faticosamente maturandosi. Alla mente di Agostino,, pur dopo quella premessa, si presenta un altro testo, Efesini II, 8-9. Ora, egli incornicia con losservare che Giacobbe non poteva essersi acquistato alcun merito con le opere, prima di nascere; e parimenti Isacco non sera meritato di nascere e che Dio promettesse ad Abramo una discendenza. Il vero Seme di Abramo , cib i redenti in Cristo, sono dunque coloro che comprendono di essere figli della promessa , anzi
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senza insuperbire per i loro meriti attribuiscono lessere coeredi 'di Cristo soltanto alla chiamata di Dio. Anzi, per escludere i me riti dei genitori, i quali avrebbero potuto avere al momento del concepimento disposizioni diverse, Esa e Giacobbe furono ge melli, concepiti nello stesso istante ; il che, tra laltro, mostra quanto siano vane le speculazioni degli astrologi (15). Ma questo serve ad abbattere la superbia degli uomini, col mostrare che la diversa sorte dei due gemelli o piuttosto lelezione delluno non pu essere dovuta che a Dio, il quale fa la grazia di chiamare; chi riceve la grazia compie poi le opere buone. Ma come si con cilia tutto ci con la giustizia di Dio? Come si pu parlare di una scelta , che non ha potuto essere fatta in base ad alcun merito, il quale non poteva essere acquistato prima di nascere n di poter fare alcuna opera buona, e neppure in base ad una diffe renza di natura, trattandosi di gemelli? E daltra parte chiaro che, se Dio giusto, non pot eleggere Giacobbe affine di farlo buono, prima che fosse tale. Ed ecco presentarsi nuovamente ad Agostino la soluzione adottata altre volte : forse Dio, nella sua prescienza, previde la fede di Giacobbe prima ancora che nascesse? Sicch, nessuno giustificato in base alle opere buone, perch non pu fare il bene se prima non sia stato reso giusto; ma, poich Dio giustifica in virt della fede, e credere nel libero arbitrio delluomo, Dio prevede questa volont di credere e, nella sua prescienza, elegge ancor prima della nascita, colui che giustifica. Ma la debolezza di questa risposta appare subito evidente. Infatti, se Dio previde la fede di Giacobbe, come possiamo escludere che potesse prevedere anche le opere e che non lo elesse per queste? E come si giu stifica il detto dellapostolo che lelezione non dovuta alle opere? Giacch, o diciamo che ci fu in quanto non erano nati ancora, e dobbiamo riconoscere che mancava loro anche la fede; o ricor riamo alla prescienza di Dio, e questa si estende certamente anche alle opere. Il problema resta dunque insoluto, se non in quanto possiamo escludere che lapostolo volesse farci intendere che la elezione fosse fatta in base alla prescienza. Eppure, se ritorniamo al testo, dobbiamo riconoscere che non il proponimento di Dio rimane fermo in seguito allelezione, ma che al contrario auesta dipende dal proponimento; in altre parole, Dio non si propone
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di giustificare in quanto trova negli uomini delle opere buone da eleggere, ma per il suo proposito di giustificare i credenti egli trova opere che elegge al regno dei cieli. La giustificazione p re cede lelezione, non ne dipende. E allora, se Dio ci elesse prima della creazione , come si possono spiegare queste parole, se non riferendole alla prescienza? La profezia che il maggiore ser vir il minore va intesa non nel senso di u n elezione di meriti, i quali si producono solo dopo la giustificazione, ma riferita alla liberalit di Dio, affinch nessuno si vanti delle proprie opere. Agostino ripete quindi il passo Efesini II, 8, da cui ha preso le mosse (16). E dunque lecito chiederci se la giustificazione sia preceduta dalla fede, che procaccia dei meriti, o no. Ora il testo di S. Paolo chiaro : esso parla di Dio che chiama. Senza questa chiamata, non vi fede : quindi la misericordia divina precede qualsiasi merito; Cristo morto per uomini che non si possono chiamare altro che empi. Da Dio che chiama dunque Giacobbe ottenne che Esa lo servisse. Ma la grazia consiste solo in una vocatio, che pu essere accolta, o no, e che non pertanto diversa da quella di cui Agostino ha parlato nei suoi tentativi precedenti (17). Ma con ci restiamo sempre allo stesso punto. Agostino se ne avvede, ed precisamente la possibilit di opporre resistenza alla chiamata quella che lo induce ad esaminare il problema non pi dal punto di vista del giustificato, ma da quello del reietto. Perch stato condannato Esa? Se dobbiamo escludere tanto i meriti delle opere quanto quelli della fede, e parimenti anche la prescien za, per Giacobbe, dovremo fare lo stesso anche per Esa ; ma da altra parte non possiamo ammettere che Dio abbia creato Esa al solo fine di odiarlo , cio condannarlo, cosa che Dio non fa per alcuna delle sue creature. Dio non punisce che giustamente, cio per una colpa. Ma se ammettiamo questo per Esa, attri buiamo anche a Giacobbe dei meriti reali. O negheremo forse che Dio sia giusto? Agostino, che ha gi riaffermato la sua convin zione della bont del creato, si rif ancora una volta al suo testo. Anche S. Paolo ha veduto il pericolo e perci ha ricordato le parole di Dio a Mos. Ma con ci, ha egli veramente risolto il problema, o non lha piuttosto reso pi oscuro? Ch se Dio avr compassione di colui per il quale lavr avuta, possiamo ben
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chiederci perch non lha avuta per Esa, s da renderlo buono come Giacobbe. Oppure quelle parole voglion dire che, se Dio ha per uno tanta compassione da chiamarlo, ne avr anche tanta da fare che creda, e, una volta concessagli la fede, lo metter anche in grado di compiere opere buone? Sicch siamo ancora una volta avvertiti di non insuperbire per le nostre opere buone : che cosa abbiamo, che non abbiamo rice vuto? (18). Ma resta il problem a: perch non fu concessa que sta misericordia ad Esa, ed egli non ricevette una chiamata tale da ispirargli la fede e renderlo capace di opere buone? Se ammettiamo che Esa non volle credere, allora dobbiamo rico noscere che al contrario Giacobbe volle, e la fede non fu pi un dono di Dio per lui che ebbe qualche cosa senza averla rice vuta. O il pensiero di S. Paolo che il credere dipende dal nostro volere, il volere dallessere stato chiamato, e quindi, tale chiamata non dipendendo da noi, il dono che Dio fa della fede consiste precisamente in questa chiamata, senza la quale non si pu cre dere contro la propria volont? In tal caso la vocatio sarebbe condizione necessaria, ma non sufficiente, della nostra fede; e infatti molti sono i chiamati, pochi gli eletti, cio coloro che non disprezzarono lappello di Dio. Ma che cosa significano allora le altre parole dell'Apostolo, che il volere e il correre a nulla val gono se Dio non usa compassione? Vuoi forse dire che non solo senza una chiamata non possiamo volere, ma che anche la nostra volont a nulla vale, se Dio non ci aiuti a ottenere ci che ne loggetto? Dunque, Esau non volle e non corse; ma se anche avesse fatto luna e laltra cosa sarebbe giunto alla meta solo grazie allaiuto di Dio, che con la chiamata gli forn anche il volere ed il correre ; senonch, egli, trascurando lappello, divenne reprobo. Bisogna dunque distinguere latto di Dio che ci d il volere, da quello che ci fa ottenere loggetto della nostra volizione. Nel primo, si ha cooperazione tra Dio e luomo : egli ci chiama, ma noi lo seguiamo. Nel secondo, egli solo ci concede di fare il bene e di conseguire la beatitudine. Ma neppure cos risolta la questione, perch, se dipende da noi il seguire o meno la chiamata di Dio, come avrebbe potuto Esa scegliere prima di nascere? E allora perch fu riprovato, essendo ancora nel grembo m aterno? Si torna sempre alle medesime difficolt. Se infatti ricorriamo
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nuovamente alla prescienza divina, ecco che la stessa spiegazione deve valere per Giacobbe e non solo per la sua fede, ma per le opere (19). Ma anche una cooperazione deHuomo con Dio va esclusa, perch l'Apostolo stesso si espresso chiaramente in contrario in un altro luogo, che va tenuto in considerazione nellinterpretare il nostro testo, e lo chiarisce : Filippesi, II, 12-13. Dunque Dio che opera in noi anche il buon volere ; ch se S. Paolo avesse voluto sostenere che la volont umana non basta da sola, senza laiuto di Dio, a farci vivere rettamenic, avrebbe potuto esprimere lo stesso concetto mediante la proposi zione reciproca, cio che la misericordia di Dio essa pure non sufficiente da sola, senza il concorso della volont umana : cosa manifestamente assurda. Inoltre chiaro che la volont buona non precede la chiamata, ma questa quella, e quindi il nostro volere il bene da attribuire interamente a Dio che ci chiama, poich non da noi dipende Tessere chiamati (20). Ma neppure con ci le difficolt sono finite. Infatti se la chiamata di Dio produce per se stessa la buona volont, anche pre scindendo dal problema della ragione per cui alcuni non sarebbero chiamati, v un testo che Agostino ha ricordato poco prima e che si ripresenta ora alla sua mente : molti i chiamati, pochi gli eletti . Fedele al suo principio di attenersi alla Scrittura, Ago stino si propone ora lobiezione implicita in questa affermazione, di cui non mette in dubbio la verit. Ma se gli eletti sono pochi per non aver risposto allappello, e il non rispondere era in loro fa colt, siamo di nuovo al punto di prima. Si pu tuttavia fare una altra ipotesi. Forse coloro che, chiamati cos come sono, non ac consentono, potrebbero, se chiamati altrimenti, indirizzare la loro volont alla fede : sicch vero che molti sono chiamati e pochi eletti, in quanto il medesimo appello non produce su tutti la stessa impressione e pertanto seguono la chiamata di Dio quelli che sono trovati capaci di accoglierla ; e non meno vero che il bene ope rare da attribuire a Dio, il quale rivolse il suo appello nel modo conveniente a coloro che lo seguirono. La chiamata giunse bens anche agli altri, ma era tale che non poterono indursi a darle ascolto (21).
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A questo punto, pu sembrare gi che Agostino abbia tro vato, o almeno intravveduto, la soluzione definitiva. Infatti egli non si rivolge pi le domande che ci attenderemmo, e cio quale la ragione per cui alcuni sono chiamati in un modo, altri in un altro ; e se la chiamata degli eletti fu efficace in quanto Dio ha saputo nella sua prescienza che essi avrebero creduto. Ma se egli non pone questi problemi in forma diretta, perch il suo testo, e il metodo chegli ha gi seguito, glimpongono di riproporli in ma niera indiretta : relativamente cio non agli eletti, ma ai reprobi. E infatti in relazione a questi che si pone con maggior chiarezza il problema della giustizia, ossia quello che gli sta particolarmente a cuore. E chiaro che la condanna deve essere motivata da un peccato. Perci Agostino considera ora il caso di Esa. Anche il Nuovo Testamento, egli osserva, ci presenta diversi esempi di fede e di incredulit, una serie cio di* casi in cui la medesima chia mata ag in maniera differente. Ora, non si pu dire che a Dio onnipotente mancasse il modo di rivolgere ad Esa un appello tale da indurlo alla fede. A chi osservasse che ci pu essere una ostinazione tanto forte, da far rimanere sordi a qualunque chia mata, facile rispondere che, se non si voglia negare lonnipotenza di Dio, bisogna ammettere che un appello rivolto in modo da non indurre alla fede ossia, tale da provocare quella ostinazione non pu essere che effetto di un abbandono da parte di Dio. E logico chiedersi allora se questo stesso indurimento di cuore non sia gi di per se stesso una pena. Siamo sempre di fronte' alla medesima esigenza, che Agostino (lo ripetiamo ancora) sente sempre come un problema vitale, di non attribuire a Dio lorigine del peccato e del male. Ma con una finezza esegetica che mette a pro fitto labilit acquistata in tanti anni di pratica della retorica (22), Agostino confronta ora i due versetti, che parlano luno della mise ricordia divina e laltro dell'indurimento del cuore da parte di Dio. San Paolo dice bens che la salvezza non dipende dalluomo e dal suo operare, ma da Dio che usa misericordia; tuttavia non soggiunge che la condanna non dipende delluomo che resiste o recalcitra, ma da Dio che indurisce. Dal confronto dei due testi risulta chiaro che cosa intende lapostolo quando dice che Dio indurisce chi vuole . E semplicemente questo : non gli usa mi sericordia. Dio a nessuno d qualche cosa che lo renda effet155

tivamente peggiore ; soltanto, non gli concede ci per cui possa divenire migliore. Ma possibile che questo avvenga fuori della giustizia, indipendentemente da qualsiasi discriminazione di me riti? Se ci fosse, chi non si lagnerebbe di Dio il quaie spes so lamenta che gli uomini non vogliono credere e vivere secondo giustizia, dichiarando con ci che essi sono i responsabili e non userebbe quelle espressioni che lapostolo respinge? (23). Siamo cos al culmine di questa lunga, faticosa, tortuosa discus sione, che ho creduto necessario seguire nei particolari, precisamente per assistere da vicino al lento, graduale e tormentoso processo di sviluppo del pensiero di Agostino. Lo abbiamo visto pi volte ritor nare sulle medesime posizioni, s che pare volesse mostrare coi fatti, urtando ogni volta contro lo stesso ostacolo, che le varie vie che si presentano sono in realt vicoli ciechi, allinfuori di una. Si prova un poco, a questo punto, la stessa sensazione che in certe escursioni montane, quando dopo la lunga ed inamena ascesa su di un ver sante ripido e monotono, si riesce infine ad infilare il vallone che conduce al colle, che tanti, pur piccoli ed incerti segni, ci fanno presagire vicino : finch sintravedono profili di nuove vette lon tane e gi ci rinfresca e allieta la brezza che spira dallopposto versante. Agostino, proponendosi di salvare la giustizia di Dio, che gli appare inseparabile dal libero arbitrio umano, ha cominciato con lammettere che liniziativa dellatto di fede per cui gli eletti si sal vano, spetti alluomo. Ma poich con ci si finisce per attribuire la salvezza alle opere, ha dovuto lasciare quelliniziativa a Dio. Gli pesa tuttavia ammettere che i reprobi siano condannati, prima dogni loro positivo demerito, da un atto di Dio : o una condanna la quale non sia giusta retribuzione duna colpa. Ed ecco che latto divino onde agli eletti concessa la fede si chiarisce come un dono, e il suo in durire il cuore dei reprobi semplicemente come un non usare mi sericordia, un non concedere quel medesimo dono ; quindi, se Dio giusto e segli non tenuto ad usare misericordia a tutti, vuol dire che ci che agli uomini dovuto soltanto la condanna. Non volendo n potendo concedere che Dio costringa i reprobi a peccare, ma at tribuendo soltanto a lui latto di misericordia che avvia gli eletti alla fede e alla salvezza, Agostino deve riconoscere nei condannati, che sono il maggior numero, una spontanea inclinazione al male. Dio giusto : il suo aver compassione di chi vuole deve essere
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dunque conforme a quella giustizia. Ma precisamente perch la giu stizia di Dio possa essere posta fuori discussione, bisogna che in base ad essa tutti gli uomini non meritino altro che la condanna. Allora possibile fare intervenire una distinzione : al diritto assoluto e rigido, lo strictum, ius, era stata da tempo contrapposta Vaequitas; e se nel diritto classico questo termine significa soltanto giustizia e Vaequitas pu volere decisioni pi severe di quelle imposte dal ius, nel IV secolo essa ha gi, sembra, incominciato ad acquistare il significato che nella compilazione giustinianea apparir ammesso pie namente, di mitezza, indulgenza, benignit, che permette di attenua re, e anche eliminare del tutto i rigori della legge. E in virt di que sto sentimento di benevolenza che un creditore pu rinunciare a esi gere il pagamento da parte di uno dei debitori senza che ci lo obblighi ad accordare il medesimo trattamento agli altri. Del resto, Agostino rileva altres che giustizia ed equit umane non sono che un pallido riflesso di quelle di Dio. Comunque, latto di Dio che usa misericordia sempre atto di equit, che dipende interamente dal suo arbitrio, senza che nessuno abbia il diritto di considerarlo come un'ingiustizia. Ch di fronte a Dio tutti gli uomini, morti cio peccatori in Adamo da cui si diffusa a tutto il genere umano come un contagio loffesa fatta a Dio, sono come il mucchio dar gilla di fronte al vasaio : una massa intrisa di peccato, debitrice di pena. Nessuna ingiustizia, dunque, da parte di Dio segli condona soltanto ad alcuni il castigo dovuto a tutti. Ma il voler giudicare di ci noi uomini pura superbia : si tratta di equit, cio di un vero e pro prio atto di clemenza da parte di Dio, che certamente non arbi trario ma trascende ogni giudizio umano; torna opportuno il ri cordare la parabola degli operai nella vigna. Ed vano largomentare in proposito, o il lamentarsi, come se Dio costringesse qualcuno a peccare : mentre egli si limita ad elargire la sua misericordia agli eletti, ed il suo indurire il cuore delluomo non che un rifiuto di clemenza, ed egli ha dunque pienamente ragione di lamentarsi dei peccatori (24). Se dunque qualcuno si turba, pensando al diverso trattamento fatto ad uomini che provengono dalla medesima massa peccatorum e ricordando che, se Dio aiuta o abbandona chi vuole, la sua volont onnipotente, a costui appunto da replicare con le parole di S Paolo. . Le parole sono evidentemente rivolte ai carnali , come dimostra gi
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limmagine stessa del fango di cui fu formato il primo uomo ; e poich in Adamo tutti muoiono , perci'dice lapostolo che una la massa da cui tratto anche il vas in honorem. Dunque anche leletto co mincia con lessere carnale, per salire poi al grado di spirituale. Ago stino che, come noteremo meglio in seguito, ha sin qui polemizzato contro se stesso e abbattuto con le sue mani ledificio teologico co struito nei precedenti commenti a S. Paolo, cerca ora di conservarne almeno una parte e di mantenere la distinzione tra i diversi gradi della vita spirituale. Correlativamente, egli si sforza ancora di man tenere Paolo tra gli spirituali; e non ancora disposto ad abban donare la spiegazione che del termine di carnali usato a pro posito dei fedeli di Corinto egi ha gi dato precedentemente (25). Ora, dal fatto che quellepiteto applicato anche a fedeli, gi rinati in Cristo, ma che lapostolo considera ancora come infanti da nu trire di latte, Agostino argomenta che molto pi giustamente si pos sono chiamare cos quelli che non solo ancora rigenerai o anche i reprobi. E tuttavia deve emmettere che carnali sono detti anche quelli che sono gi vasa in Jionorem (26). Agostino ripreso dal suo timore del manicheismo. Perci non solo conclude la discussione precedente ripetendo ancora una vol ta che Dio giusto, ma vuole riaffermare anche la sua bont. Loc casione gli offerta dal riavvicinamento di due testi biblici; se condo uno Dio non odia nulla, eppure secondo laltro egli ha odiato Esa. Come si possono conciliare le due affermazioni? Anche Esa stato creato da Dio, il quale ama tutte le cose che ha creato e che sono tutte buone secondo il posto di ciascuna nellordine delluni verso, e non ne odia alcuna. Nelluomo anche il corpo buono, ma lanima superiore; e Dio non odia se non il peccato, che una volontaria deviazione, per cui lanima si dirige verso i beni infe riori. Lorigine del peccato pertanto nelluomo, non in Dio il quale mand Cristo a redimere il genere umano giustificando i credenti. Nei reprobi dunque Dio odia non la propria creatura, ma lempiet ; e se egli rifiuta loro la giustificazione concessa agli elet ti, in base ai suoi giudizi imperscrutabili, non per questo essi non hanno una loro funzione nellordine del creato (27). Come si vede, basta che le preoccupazioni antimanichee ripren dano il sopravvento, perch Agostino ritorni alle sue concezioni di un tempo, e faccia quasi della giustificazione un premio. Conseguen
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za, s, di giudizi imprescrutabili, il che conforme al testo e non contraddice formalmente al concetto di equit ; ma, in fondo, im plica un ritorno momentaneo allidea che anche la giustificazione sia retributiva. Poi Agostino spiega perch non vi differenza, riguardo alla salvezza, tra Giudei e Gentili : ch se Dio sceglie i suoi eletti cos fra gli uni come fra gli altri, vi sono evidentemente dei reprobi anche tra i Giudei e ci significa che tanto gli uni quanto gli altri meri tano la condanna. Unica dunque la massa dei peccatori ed empi che proviene da Adamo. Ma se il peccato non deriva da Dio, che non fece gli uomini peccatori, quale n lorigine, e come s formata questa massa ? Ossia, come accade che si verifichi in ogni uomo quella inordinatio atque perversitas in cui consiste il peccato, per cui tutti non sono degni, in stretta giustizia, che di pena? Ora Agostino ha gi osservato che la massa peccatorum et impiorum proviene da Adamo ; dopo il peccato del progenitore, gli uomini furono resi mor tali. Egli ha cura di sottolineare che quello che importa la mor talit, non il corpo ; il quale, creato da Dio, per se stesso buono e mostra nelle sue membra una tale armonia che lapostol) ha potuto trarne unimmagine per illustrare lunione dei fedsli nell'amore. Il corpo, in s, non sarebbe quindi di impedimento al>a perfezione spiritu"e, giacch il Creatore ha disposto che le memrr; fossero ani mate da uno spirito vitale, e al disopra di questo dominasse lanima, che deve a sua volta sottomettersi a Dio. Si tratta dunque della stessa teoria che Agostino ha esposto tante volte, e anche poco pi sopra. Ma con la trasformazione del corpo umano in mortale, pena del peccato, s verificato anche un altro cambiamento : la concu piscenza, che regnava gi come pena del peccato, ha penetrato tutta la massa del genere umano, ha acquistato il dominio della carne, e con ci ha diffuso in tutti gli uomini non soltanto la pena, ma il peccato medesimo. Trasmettendosi di generazione in generazione la sua natura mortale, lumanit si trasmette anche questo predo minio degli appetiti pi bassi, la concupiscentia carnalis che lallon tana da Dio ed lo stesso peccato d origine (28). Ed ora Agostino si avvede di un altro pericolo. Anche se si afferma semplicemente senza attribuire il pec cato a Dio che alla trasmissione della pena si aoeompagna quella del peccato, la concupiscentia carnalis che impedisce allanima
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di esercitare il suo primato e rivolgersi unicamente al Creatore, non si viene a togliere alluomo la capacit di determinarsi al bene, non si nega cio il libero arbitrio? Questa conclusione quella dei manichei ed egli lha gi combattuta. Ma per evitare leresia, non vi bisogno di affermare la libert totale di ogni singolo individuo, cos come non affatto necessario negarla assolutamente. Agostino ha gi ammesso che nelluomo, dopo il peccato di Adamo, il libero arbitrio ha subito una diminuzione (29) ; ora egli sar portato ad accentuarla, senza con ci arrivare alla conseguenza estrema di negare completamente la libert umana. Bisogna ripetersi che di ogni nostra azione buona il merito va nettamente a Dio. Gi si ordina di fare il bene, ma chi pu compierlo se non chi stato reso capace, cio giustificato, e in virt della fede? Ci si ingiunge di credere, ma chi in grado di farlo, se non abbia ricevuto una chiamata, che lo metta come in presenza delloggetto della fede stessa? E chi pu far s che la sua mente sia colpita da una rap presentazione tale da indurre la sua volont alla fede? La volont umana infatti libbra, nel senso che essa si volge a ci che la diletta e varie sono le cose che possono attrarla ; ma chi pu fare che essa incontri loggetto desiderabile e che questo, incontrato, susciti il desiderio? E dunque soltanto la grazia che ci ispira e ci con cede di essere attratti dagli oggetti che conducono a Dio : il moto della volont, il tendere verso il bene, il compiere opere buone, son tutti doni di Dio. Ma si presenta ora alla mente di Agostino un testo, che un tempo lo ha indotto a pensare diversamente (30) ; un testo, che sembra affermare nella maniera pi recisa la priorit delliniziativa umana, seguita da un soccorso divino che ne quasi condizionato : chiedete e vi sar dato, cercate e troverete, bussate e vi sar aperto (Matt. VII, 7). Ma il vescovo dIppona constata ora che anche la nostra preghiera talvolta tiepida, anzi fredda e vana, a tal punto che in certi casi neppure ce ne ramma richiamo : ch se sentiamo dolore di questa frigidit, allora la nostra gi una vera preghiera. Ammissione ben significativa! E una breve frase, ma che cillumina forse pi di ogni altra : possiamo immaginare, vediamo, Agostino in orazione. La sua preghiera immune, ora, da ogni elemento intellettualistico, non pi tenta tivo di riconoscere con piena evidenza lordine delluniverso e di inchinare la mente di fronte al Creatore e Ordinatore del tutto, in

uno sforzo di intelligenza; bens slancio di amore, che impetra di ottenere dal suo stesso oggetto la forza di amarlo e che prega di poter pregare. E nella sua stessa esperienza che Agostino trova la ragione di quel monito divino. Esso significa, per poco che luomo vi rifletta, che anche il pregare, il chiedere, cercare e bus sare ci concesso da Dio, il quale ci ha imposto di farlo, affine di renderci coscienti di quella verit (31). lnsomma, due punti vanno tenuti fermi : che vi unelezione e che questa, non segue la giustificazione, anzi la precede e ne causa. Ma quanto alle ragioni di questa scelta, Agostino non sa trovarle, ed disposto a confessare la sua debolezza di fronte a chi possa saperne di pi, bench la sua opinione sia che quelle ragioni debbano rimanere nascoste agli uomini finch essi fanno parte della massa damnationis, Nessuna infatti delle ragioni che si potrebbero addurre soddisfacente, nessuno dei valori che gli uomini apprezzano stimato da Dio: non lingegno, ch vi sono fedeli certo intellettualmente inferiori agli eretici, non la moralit quale considerata dagli uomini (del resto non pu trattarsi che di un peccare meno, nessuno essendo senza peccato), ch vi sono uomini virtuosi tra gli eretici e i pagani e daltra parte meretrici e istrioni che si convertono e valgono pi di quelli per fede spe ranza e carit. Del resto, anche a questo proposito dellassoluta indifferenza di Dio di fronte ai valori umani, S. Paolo ha parlato chiaro (/ Cor. I, 27). E se, infine, volessimo dire che Dio sceglie la buona volont, dobbiamo riconoscere che la volont stessa s:. determina in base a ci che lattrae; e il farglielo incontrare non in potere delluomo. Con tutto ci, Dio giusto, in manira assoluta : egli il creditore, che a suo talento esige o condona il debito, nella pienezza del suo buon diritto; il creatore e lordintore del mondo. Non resta che inchinarsi ai suoi giudizi imper scrutabili. E la discussione, in qualche punto cos tormentosa e contorta e che in uno almeno ha assunto un tono solenne, termina con un movimento oratorio, ma parenetico, con un andamento da sermone (32). Qualche cosa dunque profondamente mutato nel pensiero di Agostino. Ma che cosa, esattamente? Il rispondere con la mag gior possibile precisione a questa domanda condizione indispen sabile per poter determinare anche il modo in cui avvenne il cam161

biamento, cio in virt di quali influssi esterni e sotto limpero di quali esigenze intime il pensiero teologico di Agostino si venuto svolgendo fino a questo momento : che a sua volta condizione indispensabile per unesatta comprensione dello sviluppo succes sivo della sua teologia. Se ora torniamo a leggere i passi dellExpositio quarundam propositionum e specialmente del De diversis quaestionibus LXXXI1I in cui si parla della massa luti, o massa peccati (33), e restrin giamo il nostro esame a quelle poche frasi, pu anche sembrare che non vi sia stato nessun cambiamento. Nella 68a delle 83 questioni Agostino dice infatti esplicitamente che dopo ii peccato di /dam o il genere umano si perpetua secondo le leggi delia gene razione del corpo mortale e pertanto gli uomini sono diventati una sola massa di fango, massa peccaminosa, con la quale Dio opera, come il vasaio con largilla. Ma abbiamo anche veduto che Ago stino riteneva che lapostolo abbia negato il diritto di tentare di rendersi conto del procedere di Dio solo a chi fa parte di questa massa, cio tuttora carnale; e lo abbiamo veduto altres conclu dere che con l'aiuto di questa grazia luomo pu divenire spiri tuale e questo aiuto Dio lo concede a chi vuole, ma in base a dei meriti, bench reconditi : i quali meriti consistono nellascoltare la vocatio di Dio, che nella sua prescienza conosce coloro che avranno fede, e li elegge, sicch il merito vero non loro, mentre propria dei condannati la colpa di non avere ascoltato tale chiamata. Ma questa per lappunto la concezione contro la quale Ago stino polemizza ora, facendo osservare che se lelezione fosse compiuta in base alla previsione relativa alla fede, non vi sarebbe ragione di non riconoscere una prescienza per quanto concerne le opere. Non solo; ma caratteristico della qu. 2 del primo libro Ad Simplicianum il voler risolvere il problema considerando gli eletti ma anche, e soprattutto, i reietti, i dannati. In questi. Ago stino aveva scorto una colpa particolare, quella cio di non aver seguito lappello divino; ora invece egli riconosce che anche in loro il libero arbitrio sminuito, in quanto si rivolge spontanea mente al male. A una sola vocatio. Agostino ne sostituisce ora due : una capace di indurre gli eletti al bene, in quanto presenta, e fa appetire loro, i beni di ordine superiore che li conducono a Dio ;
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laltra incapace di sostituire altri oggetti di desiderio* a quelli cui la carne si rivolge naturalmente. Infatti e qui tocchiamo il punto essenziale mutato nel pensiero di Agostino il modo dintendere la natura mortale dello uomo. Prima, la mortalitas gli era apparsa semplicemente una pena del peccato di Adamo, la quale aggravava bens la condizione dello uomo ma non glimpediva in maniera assoluta di elevarsi spiritualmente e di passare dallo stadio sub lege a quello sub gratia. La volont umana, per determinarsi al bene e volgersi a Dio, incon trava, vero, ostacoli nello stato dignoranza e di debolezza in cui lessere soggetto a morire ha posto luomo; ma si trattava di una consuetudine, che non era impossibile vincere. Ora, il posto di questa ignorantia et difficultas preso da una impotenza che totale, finch consideriamo le sole forze umane; in luogo della consuetudine al peccato subentrato un peccato autentico, quello di Adamo, che con latto stesso della generazione si trasmette in ogni uomo e lascia in lui la sua impronta. E per tale peccato che luomo merita soltanto la pena, sicch lelezione un puro atto di misericordia, da parte di Dio, il quale giustifica chi vuole, ren dendolo atto a credere, e largendogli la fede. Ch, se latto iniziale di fede fosse in potest deUuomo, allora la logica esige che si attribuisca la redenzione non pi alla sola fede che acquista un morite ma altres alle opere. Il monito dellapostolo, che Agostino aveva inteso come rivolto agli uomini ancora carnali, ora considerato da lui come diretto anche, almeno, ai catecumeni allinizio della fede. Il vescovo di Ippona ritiene per che vi siano diversi gradi nella fede; non tutti ne hanno quanta richiesta per ottenere il regno dei cieli. Egli non dice ancora esplicitamente che anche Paolo pu avere applicato lepiteto di carnale a se stesso, n si ricorda di avere attribuito a Pietro un peccato per cui considera che fu giusta mente redarguito. Anzi, si direbbe che a quella conseguenza Ago stino voglia sfuggire, o per Io meno che un punto gli sia rimasto ancora oscuro : ch se carnali sono i catecumeni, ancora impre cisato il valore del battesimo. Il riconoscimento che questo can cella il peccato dorigine, mentre lascia sussistere la concupiscentia carnalis, non verr che pi tardi. N si vede per quale ragione Agostino debba parlare di una doppia vocatio, e di una inefficace.
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se non perch di vocaiio ha parlato gi altre volte e, pur mutando, vuole mantenere questo concetto. Del pari, appena accennata ma tuttavia gi presente unaltra concezione caratteristica; quella del non valore della moralit degli infedeli. Il cambiamento dunque indiscutibile e profondo. Che Ago stino ne avesse coscienza nel momento stesso in cui si produsse, indubbio, perch, come abbiamo veduto, egli polemizza con s stesso; bench probabilmente non si rendesse conto, per allora, di tutto ci che implicava. Ma resta da vedere, nella misura in cui possibile, quali cause contribuirono a operare questo cambio.
N O T E (1) Il De diversis quaestionibus ad Simplicianum libri duo indicato nelle Retractationes come la prima opera posteriore all'episcopato. Agostino dice esplicitamente (I, pr.) che le questioni su cui Simpliciano lo interroga erano state da lui trattate in opere precedenti, ma che egli ha voluto riesaminare accuratamente i testi di S. Paolo che era stato richiesto di spiegare. Sul valore delle sue parole, v. oltre. (2) LA d Simplicianum differisce dai commenti alla G enesi , e anche dagli aitri sulle epistole paoline per eesere uno scritto occasionale, provocato dalle domande di Simpliciano; ma il fatto che Agostino non si content d'inviare all'amico una copia, o una riproduzione lievemente modificata, di uno degli scritti anteriori, prova come i problemi sollevati da Simpliciano corrispondes sero a esigenze profondamente eentite da Agoslino stesso. Ci sarebbe vero, anche qualora, per spiegare com'egli inviasse a Simpliciano alcune delle 83 questioni si volesse fare l'ipotesi che le domande rivoltegli dal successore di Ambrogio fossero provocate proprio dalla lettura di qualcuna tra le opere esegetiche di Agostino etesso. (3) A d Simplic. I, qu. 1. 1: Dicendo ego vivebam sine lege aliquando [Rom. VII, 9) videtur mihi apostolue transfigurasse in se hominem sub lege positum, cuius verbis ex persona sua loquitur ; cfr. 4, cit. a n. 4; 9, cit. a n. 11, cit. a n. 8. (4) A d Simplic. I, qu. 1 ,1: Et quia paulo ante dixerat "Evacuati su mus a lege mortis ... atque ita per haec verba quasi reprehendisse Legem pos set videri, subiecit statina " Quid ergo dicemus? etc. 2: Hic rursus mo vet, si Lex non est peccatum, sed insinuatrix (var.: inseminatrix) peccati, ni hilominus his verbis reprehenditur. Quare intelligendum est, ad hoc datam esse non ut peccatum insereretur neque ut extirparetur, sed tantum ut demonetraretur quo animam humanam quasi de innnocentia securam ipsa peccati demonstratione ream faceret; ut quia peccatum sine gTatia Dei vinci non poeset, ipsa reatus sollicitudine ad percipiendam gratiam converteretur. Itaque non ait. peccatum non feci nisi per Legem: sed " peccatum non cognovi (vs. 7). Unde apparet concupiscientiam per Legem non insitam sed demonstratam . 3: Consequens autem erat ut quoniam, nondum accepta gratia, concupiscen

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tiae resieti non poterat, augeretur etiam; quia maiores vires habet concupi scentia crimine praevaricationis adiuncto, cum etiam contra Legem facit, quam si nul]a Lege prohiberetur... Erat enim et ante Legem, eed non omnis eratT quando crimen praevaricationis adhuc deerat. : 4: Sane quod ait (vs. 10: " revixit ) satis significavit hoc modo aliquando peccatum id eet notum (var.: natum) fuieee, sicut arbitror, in praevaricatione primi hominis quia et ipse mandatum acceperat... Non enim potest reviviscere nisi quod vixit aliquando. Sed mortuum fuerat, id est occultatum, cum mortales nati sine mandato Legis homines viverent, sequentes concupiscentias camis sine ulla cognitione, quia sine ulla prohibitione. Ergo E go,? inquit "vivebam (vs. 9) Unde manife stat non ex persona sua proprie sed generaliter ex persona veterie (var., ojn.) hominis se loqui. " Adveniente autem " (vss. 9-10). Mandato enim sd obediatur utique vita eet. Sed inventum est esse in mortem, dum fit contra man datum, ut non eolum peccatum fiat, quod etiam ante mandatum fiebat, sed hoc abundantius et perniciosius, ut iam a sciente et prevaricante peccetur . (5) Ibid. 5: (vs. 11). Peccatum... ex prohibitione aucto desiderio, dulcius lactum est et ideo fefellit, hallax enim dulcedo eet quam piures atque maiores poenarum amaritudines consequuntur. Quia ergo ab hominibus nondum spiri talem gratiam percipientibus suavius admittitur quod vetatur, fallit peccatum falsa dulcedine. Quia vero etiam accedit reatue praevaricationis, occidit . 5; (vs. 12): In malo utente quippe vilium est, non in mandato ipeo, quod bonum est. Quoniam bona est Lex, si quis ea legitime utatur (/ Tim., I, 8). Male autem utitur Lege qui non se subdit Deo pia humilitate ut per gratiam Lex possit impleri. 7: "Scim us enim" inquit "quia" etc. (vs. 14). In quo satie ostendit non posse impleri Legem nisi a spiritualibus, qui non fiunt nisi per ^gratiam. Spirituali enim Legi quanto fit quisque similior, id est, quanto magis et ipse in spiritualem surgit affectum tanto eam magis implet, quia tanto magis ea delectatur iam non sub eius onere afflictus sed eiue lumine vegetatus, quia praeceptum Domini lucidum eet illuminans oculos etc. (Ps. XVIII, 3-9), gratia donante peccata eit infundente epiri tum charitatis quo et non eit modesta et 6it etiam iucunda iustitia . (6) lbid., 7: Sane, cum dixisset "ego autem carnalis eum" (vs. 14) contexuit etiam qualis carnalis. Appellati sunt enim ad quendam modum carna les iam etiam sub gratia constituti, iam redempti 6anguine Domini et renati per fidem quibus idem apostolus dicit (/ Cor, IU, 1-2). Quod dicens utique oetendiit iam renatos fuisse per gratiam qui erant parvuh in Christo et lacte potandi et tamen eos adhuc carnalee vocat. Qui autem nondum est sub gratia, eed sub Lege, ita carnalis est ut nondum sit renatus a peccato, sed venumdatus sub pec cato, quoniam pretium mortiferae voluptatis amplectitur dulcedinem illam qua fallitur, et delectatur etiam contia Legem facere, cum tanto magis libet quanto minus licet. Qua suavitate frui non potest quasi pretio conditionis suae nisi cogatur tamquam emptum mancipium servire libidini. Sentit enim se servum dominantis cupiditatis, qui prohibetur et se recte prohiberi cognoscit et tamen facit . 9: (vs. 15) Hoc enim non vult quod et Lex; nam hoc vetat Lex. Consentit ergo Legi non in quantum facit quod illa prohibet sed in quantum non vult quod facit. Vincitur enim nondum per gratiam liberatus, quamvis iam per Legem, et noverit se maie facere et nolit Quod vero eequitur et dicit Nunc autem (ve. 17) non ideo dicit quia non consentit ad faciendum pec

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catum, quam vie Legi consentiat ad hoc improbandum. Loquitur enim adhuc ex persona hominis sub Lage constituti, nondum sub gratia, qui profecto tra hi tur ad male operandum concupiscentia dominante atque fallente dulcedine peccati prohibiti, quamvis ex parte notitiae Legis hoc improbet. Sed propterea dicit non ego operor illud " quia victus operatur. Cupiditas quippe id ope ratur, cui superanti ceditur. Ut autem non cedatur, eitgue mens hominis ad versas cupiditatem robustior, gratia facit, de qua post dicturus est . (7) Ibid., 10: " Scio enim ", inquit, etc. (vs. 18). Ex eo quod scit, con sentit Legi; ex eo autem quodi facit, cedit peccato. Quod si quaerit aliquis unde ho<^ scit quod dicit habitare in came sua non utique bonum, id est pec catum: unde nisi ex traduce mortalitatis et assiduitate voluptatis (var.: vo lu n tatis}? Itlud est ex poena originalis peccati, hoc est ex poena frequentati pec cati. Cum illo in hanc vitam nascimur, hoc vivendo addimus. Quare duo sci licet, tamquam natura et consuetudo, coniuncta robustissimam laciunt et in vi ctieeimam cupiditatem, quod vocat peccatum et <licit habitare in carne sua, id 6t dominationem quandam et quasi regnum obtinere . (8) Ibid., 11 : Hie verbis videtur non recte intelligentibus velut auferre liberum arbitrium. Sed quomodo aufert, cum dicit velle adiacet mihi " (vs. 18)? Certe enim ipsum velle in potestate est, quoniam adiacet nobis; sed quod perficere bonum non est m potestate, ad meritum pertinet originalis peccati. Non enim est haec prima natura hominis, eed delicti poena, per quam facta est ipsa moi talitas, quaei eecunda natura, unde noe gratia liberat conditoris sub ditos eibi per fidem. Sed istae nunc vocee sunt sub Lege hominis constituti, nondum sub gratia. Non enim quod vult facit bonum, qui nondum est sub gratia, sed quod non vult malum, hoc agit, superante concupiscentia, non solum vinculo mortalitatis sed mole coneuetudims roborata . 12. Quid enim facilius homini sub Lege constituto quam velle bonum el facere malum?... Perhibet igitur testimonium Legi, quod bona sit, homo sub ea positus et non dum gratia liberatus; perhibet omnino eo ipso quod se reprehendit facere con tra Legem; et invenit eam bonum sibi esse, volens facere quod illa iubet, et concupiscentia superante non valens. Atque ita se praevaricationis reatu im plicatum videt, ad hoc ut gratiam Liberatoris imploret . 13 (vs, 22). Legem appellai in membris suis onus ipsum mortalitatis, in quo ingemiscimus gra vati" (II Cor. V, 4)... Quam sarcinam prementem et urgentem ideo Legem ap pellat, quia iure supplicii divino iudicio tributa et impoeita esit ab eo qui praemonuit hominem dicens (Gen., II, 12)... Haec lex repugnat legi mentis... et antequam sit quisque eub gratia ita repugnat, ut et captivet eum eub lege peccati id est eub semetipsa . 14: Hoc autem totum dicitur, ut demonslretur homini captivo non esee praesumendum de viribus suis. Unde Iudaeoe arguebat tamquam de operibus Legis superbe gloriantes cum traherentu/r con cupiscentia... Humiliter ergo dicendum est homini victo, damnato, captivo et nec saltem accepta Lege victori sed potiue praevaricatori, humiliter exclaman dum est " miser ego homo (vse. 25-26). Hoc enim rfestat in ista mortali vita li bero arbitrio, non ut impleat homo iustitiam, cum voluerit, sed ut se supplici pietate convertat ad Eum, cuius dono possit implere . (9) Ibid. 15: Quisquis putat eensiese Apostolus quod mala sit Lek (Ronu V, 20; VII, 4-6; I Cor. XV. 56; II Cor., III, 7)... et alia si qua huiusmodi Apo stolum dixasse invenimus, attendat ideo esse ista dicta quia Lex aug&t concu-

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piscentiam ex prohibitione et reum obligat ex praevaricatione iubendo quod implere hominse ex infirmitate non poseunt, nisi se ad Dei gratiam pietate convertant. Et ideo sub illa esse dicuntur, quibus dominatur. Eis autem domi natur quos punit; punit autem praevaricatores omnes. Porro qui acceperunt Legem, praevaricant eam, nisi per gratiam consequantur posse quod iubet. Ita fit ut non dominetur eie qui iam sub gratia suni, implentibus eam per charitatem, qui erant sub eius timore damnati . (10) Ibid., 16. (11) Ibid., 17: Ad Iudaeoe enim dicta est lex minietratio mortis ad quos et in lapide scripta est ad eorum duritiam figurandam, non ad eos qui legem per Charifeatem implent... Cur "mortui sumus Legi per corpus Christi (cfr. vs. 4) si bona est lex, Quia mortui sumus 'Legi damnanti (var: dominanti), liberati ab eo affectu quem Lex punit et damna/l. Usitatius enim vocatur Lex, quando minatur et tetfret et vindicat. Itaque idem praeceptum (timentibus Lex, est, amantibus gratia... Eadem quippe Lex quae per Moysen data eel ut formidaretaw gratia et veritas per Iesum Christum facta est ut impleretur. Sic ergo dictum est Mortui estie legi", ac si diceretur Mortui eslis supplicio legie per corpus Christi ", per quod sunt delicta donata quae legitimo suppli cio coetringebant... Lex littera est eis qui non eam implent per spiritum charitatis, qruo pertinet Testamentum Novum. Itaque mortui peccato liberantur a littera, qua detinentur rei qui non implent quod' scriptum est... Lex enim tantummodo lecta et non intellecta vel non impleta utique occidit, dune enim appellatu* littjera . (12) Come ei vede, convengo col Ma/r-rou (o. c., p. 162) che in Ippona il cosiddetto periodo filoeofico di Agostino finito. Solo mi pare impossibile, come ho gi indicato, far coincidere questo termine con l'ordinazione sacer dotale, anzich con il periodo di studio che segu. Per di pi, si notano anche nel periodo successivo evidenti sapravvivenze del precedente: le ha segna late lo steeso Marrou in alcune pagine (357-368J che sono tra le migliori e le pi equilibrate del suo importante libro. (13) De div. quaesti. I X X X I il. qu 76, 1; su lac. II, 20; cfr c. IV, n. 23. (14) A d Simplicianum, I, qu. II, 2 non ut opera extinguat, eed ut osten dat non esse opera praecedentia gratiam, sed consequentia: ut scilicet non se quisque arbitretur ideo percepisse gratiam quia bene operatus est, sed bene epenari non posse, nisi per fidem perceperit gratiam. Incipit autem homo per cipere gratiam ex quo incipit Deo credere, vel interna vel externa admonitione motus ad fidem... Sed in quibusdam tanta est gratia fideir quanta non sufficit ad obtinendum regnum caelorum; sicut in catechumenis... In quibsusdam vero tanta est ul iam corpori Christi et sancto Dei templo deputentur... Fiunt ergo iiichoationee quaedam fidei, conceptionibus eimilee, non tamen solum concipi, sed ettiam nasci opus est ut ad vitam perveniatur aeternam. Nihil (tamen horum sine gratia misericordiae Dei appunto perch le opere buone seguo no, non precedono, la grazia. (15) libid., 3: Nemo enim posset dicere quod operibus promeruerat Deum Iacob nondum natus, ut divinitus diceretur " et maior serviet minori Ergo " non solum ", inquit, Isaac promissus eet, cum dictum est " Ad hoc tempus veniam et erit Sarae filius": qui utique nullis operibue promeruerat Deum, ut nasciturus promitteretur, ut in Isaac vocaretur semen Abrahae, id est, illi

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pertinerent ad sortem sanctorum quae in Chrieto eet, qui se intellegerent filioe promissionis, non superbientes de meritis suis, sed gratiae vocationis (var.: gratiae vocationi) deputantee quod coherede essem Christi. Cum enim pro missum est ut essent, nihil utique meruerant qui nondu<m erant. ' Sed et Rebecca ex uno concubitu habens Isaac patris nostri Vigilantissime ait, ex uno concubitu " (gemini enim concepti erant), ne vel paternis meritis tribue retur si quisquam forte diceret: Ideo talis natus eet filius quia ipateT ita erat affectus illo in tempore quo eum sevit in utero matris, aut: Ita erat mater affecta cum eum concepit. Simul enim ambos uno tempore ille sevit, eodem tempore illa concepit. Ad hoc commendandum ait " ex uno concubitu ", ut nec astrologis daret locum, ve] eis potius quos genethliacos appellaverunt . Questo argomento contro gli astrologi, tratto dalla nascita di due ge melli con diverso destino, gi in De div. quaest. LXXXI11 qu. 45, 2-, lesem pio di Esa e Giacobbe si ritrova in C o n i e s s VII, 6, 10. (16) bid., 3: Sed... ad frangendam atque deiciendam superbiam hominum ingratorum gratiae Dei et audentium gloriari de meritis suis ista commemojantur. "Cum enim nondum nati fuissent...' (vse. 11-12). Vocantie est ergo gratia; percipientis vero gratiam consequenter sunt opera bona, non quae gra tiam pariant, sed quae gratia pariantur . 4: * Unde igitur ista electio, vel qualis electio, si nondum natis nondumque aliquid operatis nulla eunt mo menta meritorum? An forte sunt aliqua naturarum?... Si enim bonus factus est Iiicob, ut placeret, unde placuit ante quam fieret, ut bonus fieret? Non itaque electus est ut fieret bonus eed bonus factus eJigi potuit... . 5: An ideo "secundum electionem", quia omnium Deus praeecius etiam futuram fidem vidit in Iacob nondum nato? Ut, quamvis non ex operibus suis iustificari quis que mereatur, quandoquidem bene operari nisi iuetificatus non potest, tamen quia ex fide iustificat gentes Deus, nec credit aliquis niei libera voluntate, hanc ipsam fidei voluntatem futuram praevidens Deus etiam nondum natum prae scientia, quem iustificaret, elegerit. Si igitur electio per praescientiam, praesci vit autem Deus fidem Iacob: unde probas quia non etiam ex operibus elegit eum? Si propterea quia nondum nati erant et nondum aliquid egerant bonum seu malum, ita etiam nondum crediderat aliquie eorum. Sed praescientia vide rat crediturum. Ita praescientia videre poterat operaturum... Quapropter unde ostendit apostolus non ex operibus dictum esse maior serviet minori"? Si quoniam nondum nati erant, non eolum non ex operibus sed nec ex fide dictum est: quia utrumque deerat nondum eatis. Non igitur ex praescientia voluit intellegi factam electionem minoris, ut maior ei serviret... Quamobrem unde illa electio facta sit quaeritur... unde igitur? . 6: Non ergo secundum ele ctionem propositum Dei manet, sed ex proposito electio? id est, non quia inve nit Deus opera bona in hominibus quae eligat, ideo manet propositum iustificationis ipsius, sed quia illud manet ut iustificet credentes, ideo invenit opera quae iam eligat ad regnum caelorum. Nam nisi esset electio non essent electi, nec recte diceretur: " quis accusabit " etc. [Roma. VIII, 33). Non tamen electio praecedit iustificationem, sed electionem iustificat&o... Unde quod dictum est '* quia elegit nos Deus... " [Eph. I, 4) non video quomodo eit dictum, nisi prae scientia. Hic autem quod ait non ex operibus, etc. non electione meritorum quae post iustificationem gratia proveniunt, sed liberalitate donorum Dei vo luit intelligi, ne quis de operibus extollatur. " Gratia enim Dei... [Eph. , 8) (17) Ibid., 7: Quaeritur autem, utrum vel fides mereatur hominis iustifi-

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cationem, an vero nec fidei merita praecedant misericordiam Dei, sed et fides ip sa inter dona gratiae numeretur. Quia et hoc loco cum dixiseet " Non ex ope ribus non ait "eed ex fide ... ait autem sed ex vocan/te * (ve. 12). Nmo enim credit, qui non vocatur. Misericore autem Deus vocat, nullis hoc vel fidei meriti* largiens; quia merita fidei sequuntur vocationem potius quam piaecedunt. ' Quomodo" enim " credent quem non audierunt et quomodo eie, (Rom. X, 14)? ". Nisi ergo vocando praecedat misericordia Dei, nec credere quiisquam potest, ut ex hoc incipiat iustificari et accipere facultatem bene operandi. Ergo ante omne meritum est gratia. Etenim " Christus pro impiis m ortus eet" (Rom. V, 6). Ex vocante igitur minor accepit, non ex ullis meritis operum suorum, ut maior ei serviret . (18) IbicL, 8; Si autem verum est quod non ex operibus, et inde hoc pro bat quia de nondum natis nondumque aliqaid operatis hoc dictum, unde nec ex, fide quae in nondum natis similiter nondum erat, quo merito Esau odio habe tur antequam nascatur? Quod enim fecit Deus ea quae diligeret nulla quaestio est... Ut autem odisset Esau, nisi iniustitiae merito, iniustum est. Quod ei con cedimus, incipit et Iacob iustitiae merito diligi.... 9: Vidit itaque aposto lus quid ex Jiis verbis posset animo audientis vel legentis occurrere, statimque subiteit: " Quid ergo dicemus?... abeit * (ve. 14). Et quasi docens quomodo absit: " M oysi enim dicit ", inquit " mieerebor cui misertus ero et misericordiam piaestabo cui misericors fuero " (vs. 15; Exo. XXXIII, 19). .Quibus verbis solvit quaestionemr an potius arctius colligavit? Id ipsum est enim quod maxime mo vet... cur haec misericordia defuit Esau, ut etiam ipee per illam esset bonus quemadmodum per illam bonus factus est Iacob. An ideo dictum est (vs. 15; Exo. XXXIII, 15) quia cui misertus erit Deus ut eum vocet, miserebitur eius ut credat, et cui misericors fuerit ut credat, misericordiam praestabit, hoc est laciet eum misericordem, ut etiam bene operetur? Unde admonemur nec ipsis operibue misericordiae quemquam oportere gloriari et extolli... Quod si eam (scii.: misericordiam) credendo ee meruisse quis iactat, noverit eum sibi praestitisee ut caederet qui miseretur inspirando fidem, cuius misertus est ut adhuc infideli vooaiionem impertiret. Iam enim discernitur fidelis ab impio. " Quid enim habes " inquit quod non accepisti. Si autem, etc. " (I Cor., IV, 7). (19) lbid., 10: Recte quidem hoc sed cur haec misericordia subtracta est ab Esau ut non sic vocaretur ut et vocato inepiraretur fides et credene miseri cors fieret ut bene operaretur? An forte quia noluit?... An quia nemo potest cre dere nisi velit, nemo velle niei vocetur, nemo autem sibi potest praesta ut vocetur, vocando Deus praestat et fidem, quia sine vocatione non poteet quisquam credere, quamvis nullus credat invitus?... nemo itaque credit non voca tus; sed non omnis credit vocatus. " Multi enim eum vocati, pauci vero ele cti * (/f. XX, 16): utique ii qui vocantem non contempserunt, eed credendo ' secuti sunt, volentes autem sine diufrio crediderunt. Quid est ergo qued sequitur " Igitur non volentis, etc. ? (vs. 16). An quia nec velle possumus nisi vocati, et nihil valet velile nostrum, nisi ut perficiamus adiuvet Deus? Opus est ergo velle et currere... Non tamen valentis neque currentis sed miserentis est Dei " ut quod volumus adipiscamur et quo volumus perveniamus. Noluit ergo Esau et non cucurrit; eed et si voluisset et cucurrisset, Dei adautorio pervenisset qui ei etiam velle et currere, rooando, praeetaret, nisi vocatione contempta reprobus fieret. Aliter enim Deus praestat ut velimus, aliter praestat quod voluerimus. Ut velimus enim et suum esee voluit et nostrum, suum vo-

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cando, nostrum sequendo. Quod autem. voluerimus solus praestat, id est posse bene agere et semper beate vivere. Vrumtamen Eeau nondum natus nihil horum posset veile seu nolle. Cur ergo in utero positus improbatus est? Reditur enim ad illae difficultates, non solum sua obscuritate sed etiam nostra tam moiita repetitione molestiores . (20) Ibid., 12: Illa etiam verba si diligenter attendas "Igitur non vo lentis " (ve. 16) non hoc apoetolus propterea tantum dixisee videbitur (jfuod <idiutorio Dei aid id quod volumus perveniamus, sed etiam ex illa intensione qua et alio loco dixit Cum timore et tremore... pro bona voluntate " (/ II, 12-13). Ubi satis ostendit etiam ipsam bonam voluntatem in nobis operante Deo fieri. N*m ei prpterea solum ditum est (vs. 16) quia voluntas hominis sola non sufficit ut iuste recteque vivamus nisi adiuvemur misericordia Dei, potest et hoc modo dici: Igitur non miserentie est Dei sed volentis est hominis, quia misericordia Dei sola non sufficit, nisi consensus nostrae voluntatis ad datur. At illud manifestum est, frustra nos velle nisi Deus misereatur; illud autem nescio quomodo dicatur, frustra Deum misereri nisi nos velimus... At enim, quia non praecedit voluntas bona vocationem, sed vocatio bonam vo luntatem propterea vocanti Deo recte tribuitur quod bene volumus, nobis vero tiibui non potest quod vocamur. (21) Ibid. 13: " Multi vocati pauci electi (Mant. XX, 16). Quod si ve rum est et non consequenter vocationi vocatus obtemperat, atque ut non obtemperet in eius est positum voluntate, recte etiam dici potesi: Igitur non miserentis Dei, sed... An forte illi qui hoc modo vocati non consentiunt, possent allo modo vocati accomodare fidei voluntatem, ut et illud verum sit '' Multi vocati... ", ut quamvis multi uno modo vocati sint, tamen quia non omnes uno modo affecti sunt, illi soli sequantur vocationem qui ei capiendae reperiuntur idonei; et illud non minue verum sit (vs. 16) qui (scii.: Deus) hoc modo vocavit, quomodo aptum erat eis qui secuti sunt vocationem? Ad alios autem vocatio quidem pervenit; eed quia talis fuit qua moveri non possent, nec eam capere apti essent, vocati quidem dici potuerunt, sed non electi; et non iam similiter verum est: Igitur non miserentis Dei, sed volentis atque currentis est hominis " quoniam non potest effectus misericordiae Dei esse in hominie potestate... Illi enim electi qui congruenter vocati; illi autem qui non congruebant neque contemperabantur vocationi, non electi, quia non secuti, quamvis vocati . (22) Marrou (o. c., p. 3, cc. 4 e 5) ha segnalato molto bene tutto ci che in Agoetino l'esegeta deve al grammaticus che eopravvisse in lui sempre. Sa rebbe forse conveniente studiare ora i possibili punti di contatto tra l'esegesi biblica, nel periodo patristico, e quella giuridica: senza dimenticare che teologi e giurieti avevano ricevuto la steesa formazione durante il periodo degli studi secondari, sotto la guida del grammatico e del retore. (23) Ibid. 14: quie audeat dicere defuisse Deo modum vocandi, quo tiam Esau ad eam fidem mentem applicaret voluntatemque coniungeret, in qua Iacob iuetificatus est? Quod si tanta quoque potest esse obstinatio voluntatis, ut contra .oannee modoe vocationie obdurescat mentis aversio, quaeritur utrum de divina poena sit ipsa duritia, cum Deus deserit non sic vocando, quomodo ad fidem moveri potest. Quis enim dicat modum, quo ei persuaderetur ut cre deret, etiam omnipotenti defuisse? . 15: '' Ergo cuius vult miseretur et quem vult obdurat" (vs. 18); cum superius non utrumque dictum sit. Neque enim quomodo dictum est " Non volentis etc. " (vs. 16), sic etiam dictum est;

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non olentie neque contemnentis, eed obdurantis eet Dei. Unde datur intelligi, quod infra utrumque posuit: " Ergo etc * (vs. 18) ita sententiae superiori posse congruere ut obduratio Dei eit nolle mrieereri; ut, non ab illo irrogetur aliquid quo eit homo deterior, eed tantum quo sit melior non erogetur. Quod si fit nulla distinctione meritorum, quis non erumpet in eam vocem, quam eibi obie. cit apostolus "Dicis itaque. . ' (vs. 19)? Conqueritur enim Deus # saepe de ho minibus... quod nolint credere et rete vivere . (24) Ibid., 16: Queeto proprio alicuius occultae atque ab humano mo dulo investigabidie aequitatis, quae in ipsis rebue humanje terrenieque contractibus animadvertenda eet in quibus nisi supernae iustitiae qtiaedam impres sa vestigia teneremus, numquam in ipeum cubile ac penetrale sanctissimum atque caetieeimum spiritalium praeceptorum nostrae infirmitatis suspiceret at que inhiaret intentio... <juie non videat iniquitatie argui neminem poeee, qui quod sibi debetur exegerit? nec eum certe qui quod ei debetur donare volue rit? hoc autem non ee6e in eorum qui debitores sunt, sed in eius cui debetur arbitrio? Haec imago vel. ut supra dixi, vestigium negotiie hominum de far etigio summo aequitatie impressum eet. Sunt igitur omnes homines, quando quidem ut apostolus ait " in Adam omnes moriuntur " (/ Cor., XV, 22), a quo in universum genus humanum origo ducitur offensionis Dei, una quaedam massa peccati suppiicium debene divinae eummaeque iuetitiae, quod sive exigatur eive donetur, nulla eet iniquitas. A quibus autem exigendum et qui bus donandum eit, superbe judicant debitoree: quemadmodum conducti ad illem vineam iniuste indignati sunt (cfr. Matth. XX, 11)... Itaque huiue impuden tiam quaestionis ita retundit Apostolus: " O homo, tu quis es, etc/' (vs. 20)... Sic enim reepondet Deo cum ei dieplicet quod de peccatoribus conqueritur Deus, quasi quemquam Deue peccare cogat, si tantummodo quibusdam peccan tibus misericordiam iuetificationis suae non largiatur et ob hoc dicatur obdu rare peccantes quosdam quia non eorum mieeretur, noil quia impellit ut pec cent. Eorum autem non mieeretur, quibue mieericordiam non eeee praebendam aequitate occultissima et ab humanis sensibus remotissima iudicat. Inscruta bilia enim eunt " iudicia eius, etc. (Ram. XI, 33). Conqueritur autm iuste de peccatoribus tamquam de hie quoe peccare ipee non cogit. Simul etiam ut hi quorum miseretur hanc quoque habeant vocationem,- ut dum conqueritur Deus de peccatoribus compungantur corde, atque ad eius gratiam convertantur. Iuste ergo conqueritur et misericorder . Sul concetto di .aequilas v. P. Bonfante, Storia d e l diritto romano, 3a ed., Milano 1923, I, p. 370; id., Istituzioni di dir. rom., 8a ediz., Milano 1925, p. 7. Non ho trovato citato questo paeeo di Agostino, pure significativo anche dal punto di vieta della storia dei concetti giuridici, nel lavoro di M. Roberti, in S a n t Agostino, Pubblicazione c om m em o rativa del X V centenario della sua m orte f Milano 1931 (Rivista di filosofia neo scolastica, suppiem. spec. al voi. XXIII). Vorrei anche richiamare l'attenzione sullo stile alquanto pi etudiato e 6uHandamento oratorio almeno dei primi periodi del par. 16 in confronto del resto dell'opera. Agoetino li ha certo meditati e studiati pi a lungo, foree anche preparati prima. E anche questa considerazione che m'induce a chie dermi se il suo modo di argomentare in queeta quaestio non sia stato adottato ad arte. (25) V. sopra, p. 146 e n 6.

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(26) Ibid., 17: Sed si hoc movet quod voluntati eius nulJue reeietit quia cui vult eubvenit et quem vult deserit, cum et ille cui eubvenit et ille queam deserit ex eadem massa sint peccatorum... ei hoc ergo movet, O homo, etc. (vs. 20)... Eo ipso fortaeee 6atie ostendit se homini carnali loqui, quoniam hoc limue dpee eignificat, unde primus homo formatus est: et quia " omnee... in Adam moriuntur (/ Cor. XV, 22) unam dicit esse conspereionem omnium. Et quamvis alhi vae fiat in honorem aliud in contumeliam, tamen et ilihid quod fil in honorem nece6ee eet ut carnale e6se incipiat atque inde in 6piritualem consurgat aetatem. Quandoquidem iam in honorem facti erant et in Chiieto iam nati erant, eed tamen quoniam parvuloe adhuc alloquitur etiam ipsos carnales eppelat (/ Cor. III, 1-2)... Quamvis ergo carnales eos esse dicat, tamen iam in Chrielo natos et in illo parvulos et lacte potandoe... Ergo iam vaea erant in honorem facta quibus adhuc tamen recte diceretur " O homo etc. . Et ei talibus recte dicitur, multo rectiue eie qui vel nondum ita regenerati eunt, vel etiam in contumeliam (acti . (27) Ibid., 18: Qui nodus ita solvitur, 6i intellegamue omnium creatura rum esse artificem Deum. Omnis autem creatura Dei e st et omnis homo, in quantum homo est, creatura eet, non in quantum peccator est. Est ergo creato* Deus et corporis et animi humani. Neutrum horum maJum et neutrum odit Deue; nihil enim odit eorum quae fecit. Eet autem animu6 praestantior corpo re, Deas vero et animo et corpore, utnusque effector et conditor, nec odit in homine nisi peccatum. E6t autem peccatum hominis inordinatio atque perver sitas, id est a praeetantiore Conditore aversio et ad condita inferiora conver sio... hominee Dei conditione, peccatoree propria voluntate... Odit enim Deue impietatem. Itaque in aliie eam punit per damnationem, in aliis adimit per iustificationem, quemadmodum ipse iudicat esee faciendum illis iudiciis inscru tabilibus. Et quod ex numero impiorum quce non lustificat facit vaea in con tumeliam, non hoc in eis odit quod facit; quippe, in quantum impii sunt, execrabiles eunt, in quantum autem vaea fiunt, ad aliquem ueum fiunt, ut per eorum ordinatas poenas vaea quae fiunt in honorem proficiant ... Odit enim in eie impietatem, quam ipse non fecit . (28) Ibid., 19: Quod et vocavit nos inquit non solum ex Iudaeis sed etiam ex gentibus" (vs. 24), id est vasa misericordiae quae praeparavit in gloriam. Non enim omnee Iudaeoe, eed ex Iudaeis; nec omnes omnino hominee gentium eed ex gentibue. Una est enim ex Adam masea peccatorum et impio rum, in qua et ludaei et Gentes remota gratia Dei ad unam pertinent consper sionem... et ex Iudaeis eunt alia vasa in honorem alia in contumeiliam sicut ex Gentibus: sequitur ut ad unam con6peri6onem omnee pertinere inteMigantur.... 20: et immutavit viae eourm (Eccles., XXXIII, 10), ut iam tamquam mortales viverent. Tunc facta e6t una massa omnium, veniene de traduce pec cati et de poena mortalitatis, quamvis Deo formante et creante quae bona eunt. In omnibus est enim epecie6 et compago corporie in tanta membrorum con cordia, ut inde apostolus ad charitatem obtinendam similitudinem duceret; in omnibus est etiam spiritus vitalis terrena membra vivificans, omnisque natura hominis dominatu animae et famulatu corporis conditione mirabili temperata; 6ed concupiscentia carnalis, de peccati poena iam regnans, universum genus humanum tamquam totam et unam conspersionem originali reatu in omnia per. manante confuderat .

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(29) CJfr. ibid , 12 cit. alla n. 20. (30) Cfr. c. I, n. 24. (31) A d Simplic., I, qu. 2, 21: Nulla igitur intentio tenetur apostoli, et omnium iustifiQatorum per quoe nobis intellectue gratiae demonstratus eet, nisi ut. "qui gloriatur in Domino gorietur ". (/ Cor., I, 31). Quis enim discutiet opera Domini, ex eadem conspersione unum damnantis alterum iustificantis? Liberum voluntatis arbitrium plurimum valet, immo vero est quidem, sed in venumdatis sub peccato quid valet? '' Caro inquit '' concupiscit etc. " [Gal. V, 17). Praecipitur ut reGte vivamus, hac utique mercede proposita ut in aeternum beate vivere mereamur, sed quis potest recte vivere et bene operari, nisi iustificatus ex fide? Praecipitur ut credamus... sed quis potest credere nisi aliqua vocatione, hoc est aliqua rerum testificatione tangatur? Quis habet in potestate tali viso attingi mentem suam, quo eius voluntas moveaiur ad fidem? Quis autem animo amplectitur aliquid quod eum non delectat? aut quis habet in potestate ut vel occurrat quod eum delectare poseit, vel delectet cum oc currerit? Cum ergo nos ea delectant quibus proficiamus ad Deum, inspiratur hoc et praebetur gratia Dei, non nutu nostro et industria aut operum meritis comparatur: quia ut sit nutus voluntatis, ut sit industria studii, ut sint opera caritate ferventia, ihe tribuit, ille largitur. Petere iubemur ut accipiamus et quaerere ut inveniamus et puleare ut aperiatur nobie. Nonne aliquando ipsa oratio nostra sic tepida est, vel potius frigida et paene nulla, immo omnino in terdum ita nulla, ut neque hoc in nobis cum dolore advertamus? quia si vel hoc dolemus, iam oramus. Quid ergo aliud ostenditur nobis, nisi quia et (petere et quaerere et pulsare ille concedit, qui ut haec faciamus iubet? . (32) Ibid., 22: Quod si electio hic sit aliqua, ut eie intelligamus quod dictum est " Reliquiae... ealvae factae sunt " (I s a X, 22-23, ofr. vs. 27) non ut iustificatorum electio fiat ad vitam aeternam, sed ut eligantur qi% iuetificentur, certe ita occulta est haec electio ut in eadem conspersione nebis prorsus ap parere non possit; aut si apparet quibusdam, ego in hac re infirmitatem meam fateor... Restat ergo ut voluntates eligantur. Sed voluntas ipsa, nisi aliquid occurrerit quod delectet atque invitet animum, moveri nullo modo potest: hoc autem ut occurrat non est in hominis potestate... Et tamen quid dicemus? " Numquid iniquitas est a<pud Deum? " (vs. 14) exigentem a quo placet, do nantem cui placet? Qui nequaquam exigit indebitum, nequaquam donat alie num... Quare lamen huic ita et huic non ita? " O homo, tu quis es? " (vs. 20).. Debitum si non reddis, habes quod gratuleris; si reddis, non habes quod que raris. Credamus tantum, etsi capere non valemus, quoniam qui universam creaturam et spiritualem et corporalem fecit et condidit, omnia in numero et pondere et mensura disponit (Sap., XI, 21). Sed inscrutabilia sunt iudicia eius et investigabiles viae eius (Rom., XI, 33). Dicamus alleluia et collaudemus canticum et non dicamus: quid hoc? vel quid hoc? Omnia enim in tempore suo creata suni (Ecclus . XXXfrX, 19 e 26) . (33) Cfr. c. IV, nn. 5 e 19.

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V II
Intorno a quel suo cambiamento di opinione, Agostino stesso ci ha lasciato una serie di dichiarazioni : testimonianze che dob biamo considerare attentamente. Un primo gruppo comprende luoghi delle Retractationes in cui egli segnala passi delle sue prime opere, che i pelagiani hanno addotto, o potrebbero addurre, in loro favore. Qui per lo pi Ago stino o cerca di dimostrare che i pelagiani singannano, e talvolta rimanda il lettore ad altri suoi scritti, o fa osservare che allora la loro eresia non era ancor sorta e quindi egli non aveva da pre occuparsi di combatterla, specialmente in opere dirette soprattutto contro i manichei (1). In sostanza, egli si sforza di dare al lettore e a prima vista vi riesce limpressione che Pelagio lo citi abusivamente o lo abbia mal compreso e che in sostanza egli, Ago stino, non abbia mai mutato opinione. Ma chi tenga presente lo scopo primo e il carattere polemico delle Retractationes, specie nei primi capitoli, non pu dare a questo gruppo di dichiarazioni un peso prevalente, contro le altre. Ch in altri testi, Agostino ammette francamente di avere cambiato e invita anzi i suoi lettori a fare, come lui, ogni sforzo per intendere la Scrittura sempre pi e meglio. Nel De praedesti natione sanctorum (2) egli vuol dimostrare che la fede per cui si diventa cristiani dono di Dio. Coloro i quali dicono che da Dio la fede riceve solo un incremento, restano pelagiani, anzi dellopi nione che Pelagio stesso dovette rinnegare nel concilio di T)iospoli ; se linizio della fede nostro e da Dio essa viene solo aumentata, questo la retribuzione di un merito nostro. Ma poco
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dopo, Agostino riconosce di avere un tempo sostenuto anchegli le stesse idee : che cio la fede non fosse preceduta dalla grazia ma dalla sola predicazione del Vangelo, libero luomo di accon sentirvi o no. Tale opinione egli ha esposto in varie opere, scritte prima de! suo episcopato, e tra queste l'Expositio quarundam pro positionum. che i pelagiani ora si compiacciono di citare. Ma questo errore stato corretto nelle Retractationes, perch Agostino stato indotto a ricredersi, riflettendo intorno a un passo di S. Paolo stesso ( I Cor., IV, 7) che S. Cipriano ha citato nei suoi Testi monia, in un capitolo intitolato De nullo gloriandum, quando no strum nihil est : mostrando con ci di pensare che la fede, quindi la giustificazione e la salvezza, dono di Dio (3). I suoi avver sari sono dunque rimasti a questo punto : ma se piuttosto che di leggere i suoi libri per trovare in essi argomenti a loro favore, si fossero preoccupati di procedere pi innanzi neHintelligenza della Bibbia e di seguire negli scritti di Agostino i segni del suo pro gresso spirituale, avrebbero trovato chegli ha risolto la questione nel primo dei due libri a Simpliciano, di cui ha pure parlato nelle Retractationes (4). Nel De dono perseverantiae, Agostino ammette pure di avere mutato opinione, quanto alla condizione degli infanti (5). Egli ricorda altres come la sua dottrina della grazia si trovi esposta anche in opere precedenti di molto leresia pelagiana, come le Confessioni, e soprattutto VAd Simplicianum, in cui per la prima volta ha mostrato di aver compreso la questione pi chiaramente (6). La redazione del De dono perseverantiae di non molto po steriore a quella delle Retractationes (7). In queste, a proposito dellT Expositio quarundam propositionum, Agostino dichiara che la dottrina ivi esposta efa ancora imperfetta e insufficiente, perch egli :non aveva ancora approfondito lelezione della grazia e non si era preoccupato di porsi il problema se la misericordia di Dio segua e rimuneri la fede delluomo ovvero la preceda e la causi (8). Ma il luogo che concerne VAd Simplicianum pi importante di tutti, perch ad esso ci riconducono le testimonianze relative a questopera che abbiamo esaminato finora (9). Ora, a questo pro posito Agostino dichiara espressamente chegli cerc bens di sal vare il libero arbitrio, ma dovette venire al pieno riconoscimento del valore della grazia divina ; e di non aver potuto conclu
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dere se non riconoscendo la verit di quelle parole di San Paolo (/. Cor. IV, 7) che S. Cipriano stesso aveva fatto sue e conden sato nel titolo di un capitolo dei Testimonia (10). Se esaminiamo questa serie di dichiarazioni, vediamo che Ago stino tende generalmente a darci limpressione che quel versetto, la cui considerazione ha illuminato la sua mente, stato da lui ret tamente inteso in quanto contenuto nei Testimonia ciprianei, e in un capitolo dal titolo cos significativo. Tuttavia, una volta (11) egli allude soltanto alle parole dellapostolo, tacendo di Cipriano. Con questo in singolare contrasto il passo precedente (12), in cui il massimo rilievo dato invece allautorit del vescovo di Cartagine e il versetto paolino indicato soltanto come una delle testimonianze da lui addotte ; mentre di nuovo nelle Ritrattazioni lapostolo che viene in prima linea e lautorit di Cipriano invocata solo come sussidiaria. Un caso analogo ci presentato dal De dono perseverantiae. Qui Agostino ricorda che, molti e molti anni prima che l'eresia di Pelagio sorgesse, un potente antidoto contro di essa era stato preparato appunto da S. Cipriano, nel De dominica oratione su cui egli si sofferma a lungo ; pei poi concludere che, se non vi foa sero altre prove, il Pater noster basterebbe da solo a dimostrare vera la sua dottrina della grazia (13). Ma allautorit di Cipriano, e sempre a proposito di questo versetto paolino, Agostino ha gi ricorso in unopera precedente, il Contra duas epistolas pelagianorum. Pelagio, egli osserva, .ha detto di voler fare per Romano ci che Cipriano ha fatto per Quirinio con i Testimonia. Ed ecco Agostino passare allora in ras segna lopera del vescovo martire, soffermandosi sul De opere et eleemosynis, sul De mortalitate, sul De bono patientiae, sullep. 64, e sul De dominica oratione; verso la fine, egli ricorda i Testimonia, indicando il titolo del capitolo che serve a confutare Pelagio, e nel quale Cipriano ha inserito il versetto della Prima epistola ai Corinzi (14). Molte altre volte, invece, il medesimo versetto usato da Ago stino, senza la minima menzione di Cipriano (15) : il quale, anzi, nella polemica antipelagiana ricordato da Agostino come una autorit in suo favore per la prima volta appunto nel Contra duas epistolas pelagianorum. Per contro, nel De dono perseverantiae,
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oltre i luoghi che abbiamo gi esaminati. Agostino cita una volta I Cor. I, 31 e unaltra I Cor. IV, 7, in entrambi i casi ricordando i Testimonia ciprianei; ma almeno una volta questi ultimi sono citati senza allusione a nessun versetto di S. Paolo, bens congiun tamente con un passo di S. Ambrogio (16). Entrambi questi tracta tores excellentissimi divinorum eloquiorum predicarono la grazia di Dio e insieme esortarono ad adempiere i precetti divini (17). Questo modo di designare gli esegeti sulla cui autorit Ago stino si appoggia ci conduce a unaltra serie di tstimonianze. Nelle Retractationes, a proposito dell 'Expositio quarundam propositio num, Agostino avverte che egli aveva interpretato Rom. VII, 14 segg. come parole dette dallapostolo, non in persona propria, ma come sotto le spoglie delluomo ancora nello stadio sub Lege. In seguito per, dopo aver letto commentatori di grande autorit, com prese che quelle parole potevano essere riferite anche allapostolo stesso : dottrina che Agostino ha esposto nei suoi scritti antipelagani. notevole qui un certo sforzo che Agostino fa per mo strare che la dottrina della grazia in certo qual modo indipen dente dallinterpretazione dei versetti su menzionati, e si pu ritro vare anche ntW'Expositio quarundam propositionum; ma subito dopo egli confessa, come abbiamo visto, che a quel tempo non si era ancora reso conto t\Velectio gratiae (18). La medesima os servazione circa il suo primo modo dintendere il c. VII della lettera Ai Romani Agostino fa a proposito del De diversis quaestionibus LXXXIII e anche della prima quaestio dell< Simplicianum (19). 2 Non il caso di sottilizzare sulla diversit dellindicazione crono logica : dopo 1'Expositio quarundam propositionum, e molto dopo la prima quaestio tW'Ad Simplicianum. Ma il cambiamento non riguarda soltanto il c. VII di Romani, bens, come naturale, anche Galati, V, 17. E nelle Ritrattazioni stesse Agostino ha cura di segnalarlo (20). Queste non sono tuttavia le sole dichiarazioni che Agostino ci fa intorno al suo mutato modo dinterpretare quei passi. Nel Contra Iulianum (21) egli considera losservazione del suo avver sario. Questi lo accusa di avere inteso male tutto il passo Rom. VII, 14-25. Al che Agostino- replica che nellinterpretarlo come fa ora, egli non solo. Anzi, prima non lo aveva capito bene e gli sembrava assurdo che lApostolo, essendo spirituale, potesse attri178

buire a se stesso lessere carnale. Soltanto pi tardi, egli ader allopinione di interpetri pi acuti e alla verit stessa, che gli si manifest chiara. E cos fu indotto a intendere il passo in questione allo stesso modo di Ilario, Gregorio, Ambrogio e gli altri santi e illustri dottori. Non solo, ma in quel medesimo Contra duas epistolas pelagia norum a cui anche la considerazione del gruppo di testimonianze precedente ci ha riportato, Agostino ammette ugualmente di avere cambiato opinione riguardo al senso del medesimo passo di Ro mani. Senonch, qui, non linflusso di alcun maestro che lo h? condotto a una migliore intelligenza, bens una riflessione pi ma tura intorno al testo medesimo (22).
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Insomma, la menzione o il riconoscimento di un cambiamento avvenuto nel suo modo d interpretare San Paolo, non appare in nessuna opera della polemica antipelagiana anteriore al Contra duas epistolas pelagianorum; in questo, troviamo le prime ammis sioni di tal cambio, e insieme i primi richiami allautorit di S. Ci priano; nelle Retractationes ricordato ancora Cipriano, insieme con alcuni esegeti non specificati ; nel De dono perseverantiae, alla autorit di Cipriano si affianca per la prima volta quella di SantAmbrogio; nel Contra lulianum, Cipriano non pi menzio nato, ma in cambio, accanto ad Ambrogio, troviamo ora Ilario e Gregorio, cio il Nazianzeno (23). E quindi soltanto negli scritti pi recenti contro i pelagiani, che Agostino, in parte punto dai rimproveri che gli facevano gli avversari e di cui dovette turbarlo, non tanto laccusa dincoerenza (contro la quale si difende asserendo il suo buon diritto a progredire nellapprofondimento del significato delle Scritture), quanto quella di aver introdotto innovazioni, sco standosi da quella che secondo i pelagiani stessi era la dottrina tradizionale; in questi ultimi scritti che Agostino sente il bisogno di mettere in chiaro che le migliori autorit sono con lui, e che anzi il suo cambiamento di opinione fu causato dalla lettura dei loro commenti (24). Ora tutto ci pienamente conforme al modo di procedere di Agostino in questa sua polemica, il quale era gi noto, ma ha avuto una nuova dimostrazione da ricerche recenti. Il Courcelle (25)
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ha provato che Agostino si mise a studiare il greco (o, se si vuote, a ristudiarlo, ma questa volta seriamente) qualche tempo prima del 416, e che di una sua conoscenza diretta delle opere dei Padri greci Gregorio di Nazianzo, Basilio di Cesarea e Giovanni Cri sostomo non si trovano segni se non a partire dal Contra lalianum (o, per le Omelie del secondo sull 'Hexaemeron, dal De Genesi ad litteram). Di fronte ai critici dei suoi commenti, e soprattutto ai suoi avversari nellaspra polemica attorno alla Grazia (26), i quali erano sempre pronti a corroborare le loro asserzioni con la autorit di numerosi scrittori, Agostino, per evitare la taccia sia dignorante sia di novatore ed eretico, dovette adattarsi ad impie gare lo stesso metodo ed a combattere anch'egli a colpi di cita zioni. Ma quel modo di discutere era cos poco consono allindole di Agostino, che egli sembra seguirlo solo di malavoglia, e qualche volta reagisce : come quando, nel momento stesso in cui ammette di essersi arreso al parere d interpreti pi di lui dotti e sagaci, soggiunse : vel potius ipsi veritati (27). Agostino, in altri termini, non ha dubbi quanto allortodossia delle proprie vedute teologiche, n sente il bisogno di andare cer cando qua e l conferme della loro aderenza alla tradizione e ai sentire della Chiesa. Gli basta il fatto chesse si fondano su una interpretazione corretta delle Scritture, la quale, egli pensa, se esatta, coincide con ci che la Chiesa universale ritiene ; e, se de ficiente o superficiale in qualche punto, pu essere corretta me diante uno studio pi approfondito delle Scritture stesse. Per di pi, in Occidente, fino a Pelagio, nessuno ha messo in dubbio la crtodossia delle dottrine che egli, Agostino, ha esposto in nume rosi scritti ; ora, Pelagio e i suoi amici, specialmente Giuliano, invocano in loro aiuto lautorit di scrittori greci; ma Agostino ribatte che i Latini, gli Occidentali, fanno anche loro parte di quella Chiesa che universale e la cui fede una sola. Tuttavia, Agostino avverte la convenienza di verificare se gli autori su cui si appog gia Giuliano dicono veramente ci che questi vuole che essi dicano, e di mostrare che effettivamente i migliori esegeti sono d accordo con lui, e contrari a Pelagio. Da questo contrasto deriva quella discrepanza tra le varie af fermazioni di Agostino, che facile rilevare, e crea per lo storico l obbligo di fare almeno un tentativo per vedere quale, tra questi
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ricordi, sia il pi fedele al vero. Ora, in questo esame, conviene tener presente che, nei primi tempi della polemica, finch cio Agostino non sent il bisogno di ricorrere anche lui allautorit e di giustificare il suo cambiamento di opinione, egli evidentemente non avvertiva la necessit di parlarne, e quindi di fare uno sforzo per rammentare comerano andate precisamente le cose. Insomma, la menzione di uno scrittore nelle opere tardive non garantisce che Agostino lo avesse letto gi intorno al 395-96, come il silenzio dei primi scritti antipelagiani non prova che Agostino venisse a cono scere lo stesso scrittore soltanto tardi, nel corso della polemica. E impossibile e assurdo, anche in vista di quanto abbiamo notato, cio degli sforzi che Agostino fece dopo lordinazione sacerdotale per conoscere meglio la letteratura ecclesiastica (28), escludere che la nuova interpretazione di San Paolo nella qu. 2 del primo libro Ad Simplicianum potesse essergli suggerita da qualche lettura. Naturalmente, quando si parla dinflussi di questo genere, non sintendono come una forza che avrebbe spinto Agostino su una nuova direzione, in maniera quasi necessaria. Si tratta bens di determinare se e, in quanto possibile, fino a che punto tra gli autori che Agostino ha senza dubbio letto e apprezzato, ve ne sia quaicuno eh egli abbia conosciuto prima di redigere quella quaestio II e il cui modo dintendere San Paolo presenti affinit di pensiero, e magari verbali, con lo scritto agostiniano, tali da indurci a considerare possibile o probabile che la lettura di questi autori contribuisse a indurlo a riesaminare le dottrine da lui pre cedentemente accolte e sostenute, ad approfondire lo studio dei problemi che gli stavano a cuore o modificare le proprie opinioni. Ora, degli scrittori che Agostino nomina, Gregorio va senza altro escluso dalla nostra indagine, perch egli lo conobbe soltanto molto pi tardi del momento in cui il cambio si produsse. SantAm brogio menzionato da lui due volte (29), ma, una, in maniera puramente generica e laltra, citando un passo, la cui relazione con l'Epistola Ai Romani , a dir poco, assai remota, e che perci probabile si presentasse alla mente di Agostino soltanto allora. Restano cos san Cipriano e Ilario ossia lAmbrosiastro ai quali indagini e discussioni moderne, avvalorate, come ve dremo, da altre dichiarazioni di Agostino, hanno fatto aggiungere Ticonio. Ma non dobbiamo dimenticare che Agostino stesso distingue
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tra il suo mutamento d'opinione relativo al c. VII e quello che riguarda il c. IX della stessa epistola Ai Romani. Non si vuole con questa osservazione ignorare o ridurre il nesso esistente tra questi due capitoli (e, naturalmente, Calati, V, 17) e la loro inter pretazione : anzi, va tenuto presente che il nuovo modo dinten dere luno fece sentire il suo influsso sullinterpretazione dellaltro. Ora, col mettere in rlievo che la prima manifestazione del suo nuovo orientamento nella qu. 2 di Ad Simplicianum I (e un confrnto di essa con la qu. 1 dimostra che lasserzione esatta), Agostino sembra voler indicare altresi che il suo cambiamento di opinione fu causato appunto dalla riflessione intorno a Romani IX. E a pro posito di questo capitolo, Agostino segnala anche linflusso che circa linterpretazione di quel capitolo esercitarono su lui passi come : I Cor. I, 31 e specialmente IV, 7. Veniamo ora allAmbrosiastro. E noto come laver trovato nel Contra duas epistolas pelagianorum (30) citato, sotto il nome di Ilario, un passo del Commento dellAmbrosiastro a Rom., V, 12, e lavervi trovato quel termine massa, che si legge nella qu. 2 di Ad Simplicianum I, port il Buonaiuti a presentare la teoria, che ha provocato una lunga controversia. Secondo lui, limpressionante somiglianza verbale e ideologica tra quei due passi basta a pro vare la dipendenza di Agostino dallAmbrosiastro, al quale lafri cano avrebbe attinto la sua dottrina del peccato originale e per conseguenza quella della Grazia. Inoltre, lorigine remota di queste dottrine (soprattutto la caratteristica concezione agostiniana del pec cato dorigine) dovrebbe cercarsi in teorie dualistiche, ossia in ul tima analisi, nel manicheismo (31). Buonaiuti per non si pose il problema della data di composi zione della qu. 68 del De diversis quaestionibus LXXXlll o dovette crederla contemporanea per lo meno idealmente &\\Ad Simplicianum, mentre not la differenza tra questo, da un lato, e dal l'altro, il De libero arbitrio e YExpositio quarundam propositionum. E quando il Casamassa gli obiett, indicandogli il passo di questa ultima (32), in cui pure si legge lo stesso termine massa, replic' considerandolo come un commento fatto in modo del tutto adiaforo e genericamente edificativo . Il Casamassa faceva inoltre no tare che neWExpostio la parola massa usata nel commentare Rom. IX, 21, e che era improbabile che linterpretazione di questo passo
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potesse influire su quella di V, 12. Ma non ne risulta colpita la tesi della dipendenza di Agostino dallAmbrosiastro, il quale usa quel termine anche nel commento a Rom. IX, 21 (33). Ma le difficolt contro cui urta la tesi del Buonaiuti sono prin cipalmente di altro ordine, e non lievi. Infatti, la stessa maniera di pensare dellAmbrosiastro esclude, che egli possa aver provo cato, col suo influsso, quel cambio che abbiamo osservato in Ago stino e che egli stesso pi tardi riconobbe di aver fatto. Cos, per esempio, vero che le Quaestiones Veteris et Novi Testamenti furono per molto tempo attribuite ad Agostino ; ma, prima ancora che fossero riconosciute come indubbiamente opera dellAmbrosiastro, critici di fine discernimento teologico, quali i Maurini, respin gevano tale attribuzione in base al fatto che esse seguono un indi rizzo teologico diverso dallagostiniano, e anzi vi si scorge una certa tendenza al pelagianesimo (34). E quanto al Commento alle epi stole paoline, sarebbe strano che lopera la quale avrebbe suggerito ad Agostino le posizioni teologiche da lui strenuamente e non senza qualche esagerazione difese contro i pelagiani, fosse la me desima che, secondo ritengono vari critici (35), venne utilizzata dallo stesso Pelagio. E infatti, nel passo dellAmbrosiastro citato nel Contra duas epistolas pelagianorum, possibile bens trovare la trasmissione del peccato di Adamo al genere umano nel senso in cui la sostiene Agostino, ma solo a patto di mantenere il passo in questione separato dal contesto. Noi abbiamo infatti veduto qual il vero pensiero dellAmbrosiastro ; e abbiamo altres consta tato che esiste unaffinit tra esso e quello di Agostino, espresso ne\VExpositio quarundam propositionum e in altri scritti ante riori all^ d Simplicianum. Ci che non permette pi di accettare la teoria del Buonaiuti dunque il fatto che con essa rimane inspie gato e inspiegabile come mai, se fu linflusso dellAmbrosiastro quello che determin un cambiamento radicale e profondo in Ago stino, di tale influsso si trovano segni indubbi in opere che pre cedono quel cambiamento. La difficolt di attribuire labbandono di certe posizioni esegetiche e teologiche proprio allesempio di un autore che le mantiene, mi pare insormontabile. Ed- eccone una riprova. Abbiamo visto limportanza che Ago stino. parlando del suo cambiamento, attribuisce a I Cor., IV, 7. Ci si spetterebbe di trovare questo passo, o citato daNAmbrosiastro
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nel commento a Romani, o per lo meno interpretato nel senso in dicato da Agostino. Invece, non lo troviamo, e nel commento dello Ambrosiastro a I Cornzi Agostino non pot trovar nulla che lo invitasse a riflettere intorno alla Grazia, perch lesegeta romano non ricava da quel versetto assolutamente nulla a questo propo sito, e si limita a commentarlo in stretto riferimento alla situazione di Corinto (36). Inoltre, il nuovo modo dintendere Ai Romani, VII ha tratto con s, come conseguenza logica e naturale, una interpretazione nuova, e analoga, anche di Gai. V, 17-18. Ora, su questi versetti abbiamo non una, ma due spiegazioni dellAmbrosiastro : nel Commento a questa epistola, e in una delle Quae stiones della prima edizione (37), soppressa nella seconda, probabil mente perch resa superflua dal Commento stesso : il quale del resto non contiene nulla che non sia gi nella Quaestio. Vi leg giamo una difesa del libero arbitrio, e un esame di entrambi questi scritti ce li mostra del tutto conformi a quel modo di pensare dellAmbrosiastro, che abbiamo esaminato e trovato simile a quello di Agostino in quei suoi primi commenti, o abbozzi di commenti, a S. Paolo, i quali contengono le dottrine respinte appunto nella qu. 2 di primo libro a Simpliciano. Ci non significa che si debba negare ogni e qualsiasi influsso dellAmbrosiastro su Agostino. Soltanto, lazione esercitata da quello sullafricano va posta, come si detto, non immediatamente prima di quella che potremmo chiamare crisi definitiva di Agostino, cos da potersi considerare come causa di questa, bens in un momento alquanto anteriore. AHAmbrosiastro, Agostino non fu direttamente debitore n della teoria della trasmissione del peccato originale nel pieno senso del termine, n delle altre dottrine connesse con auesta. Gli venne per da quel commentatore un aiuto, e soprat tutto un impulso a studiare pi seriamente il pensiero di S. Paolo e ad esaminare il problema dellelezione dei giusti in relazione con la prescienza di Dio. La soluzione proposta dallAmbrosiastro fu accolta da. Agostino per qualche tempo, ma poi venne da lui criticata e abbandonata. Fu pure questa, per, una tappa nel cammino che doveva condurlo alla formulazione della sua teologia caratteristica e definitiva. Pu anche darsi, che quella metafora della massa facesse impressione sulla vivid? fantasia di Agostino : ma soltanto pi tardi egli ne ricav tutte le conseguenze (37 bis).
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E pi tardi ancora. Agostino ricord una volta dove aveva ietto per la prima volta quel termine che lo aveva vivamente im pressionato. E cosa degna di nota, infatti, che, mentre nella po lemica antipelagiana Agostino seguita a citare S. Ambrogio e S. Ci priano, e anche S. Ilario, pure di questo passo di Ilario * egli > faccia menzione una volta sola. E insomma pi facile pensare che Agostino rammentasse queste parole di Ilario in un momento nel quale aveva formulato gi tutte le sue dottrine, che non lam mettere che queste, e tutto il suo nuovo orientamento fossero effetto di una lettura del commento dellAmbrosiastro a Romani. E veniamo a Ticonio (38). Che questo strano scrittore abbia esercitato un notevole influsso su Agostino, cosa nota, per am missione di questultimo (39), relativamente allesegesi biblica, e in base a indagini di studiosi moderni (40) i quali hanno posto in rilievo questo influsso relativamente alle idee ecclesiologiche ed escatologiche, specie per linterpretazione del millennio. Ora. nel De civitate Dei, Agostino confessa che, un tempo, stato anche egli millenarista (41) : ma tale asserzione stata generalmente con siderata come generica e rrivi; dimportanza, n, che io sappia, la si riferita a un momento preciso della sua evoluzione spiri tuale, di cui si troverebbero segni negli scritti di lui. Ma tracce di millenarismo si trovano proprio in una delle 83 questioni che precisamente, secondo il criterio gi adottato, dovrebbe essere stata composta pressa poco al tempo dellordinazione sacerdotale di Agostino (42). Per contro, in parti del De diversis quaestionibus LXXX11I che dobbiamo considerare come posteriori (43), e cos pure nella Enrratio in Ps. LIV (44) laffinit con le idee di Ticonio evi dente. Potremo cos delimitare, allingrosso, tra lordinazione sacerdo tale e qualche tempo prima dellassunzione allepiscopaio, il momento in cui Agostino conobbe gli scritti di Ticonio. Ci trova conferma in quello che sappiamo del suo sforzo di acquistare maggior fami liarit con le questioni ecclesiastiche e la letteratura teologica. Per mettersi in grado di meglio combattere i donatisti, Agostino avr voluto leggere qualche opera di quel loro singolare scrittore ; cos come, quando si accinge a spiegare epistole di San Paolo, volle conoscere i commenti dei suoi predecessori. E infatti, idee affini a quelle di Ticonio si trovano anche nelYExpositio Epistolae ad Galatas, l dove Agostino parla dei figli
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che Abramo ebbe da Cethura, e delle persecuzione che Isacco pat ad opera di Ismaele; simboli, i primi, degli uomini carnali che, pur stando materialmente nella Chiesa, non le appartengono; e la seconda, del male che gli spirituali sempre soffrono nel mondo da parte dei carnali. Abbiamo gi osservato che considerazioni di questo genere rappresentano una novit in Agostino (45) e si visto pure che non sono state suggerite da S. Ambrogio : ma ora possiamo additarne la fonte in Ticonio. Per, il fatto che nella qu. 81 del De diversis quaestionibus LXXX11I Agostino si fonda sui rac conti evangelici della pesca miracolosa, [Luca, V ; Giovanni XXI), testi cio che non sono citati nel Liber Regularum, permette di escludere che Agostino abbia tenuto presente questa tra le opere di Ticonio (46). Ma non molto tempo dopo, Agostino, ansioso di approfondire le sue conoscenze bibliche, si devessere procurato snche le Regulae, che fecero su lui profonda impressione. Ci non una semplice congettura, perch trova conferma nella lettera di Agostino ad Aurelio, che i pressa poco contemporanea all'episco pato. e da cui risulta che egli ha chiesto varie volte allamico il suo parere su quel libro singolare (47). Ora, laffinit ideale tra il Liber Regularum di Ticonio e la quaestio 2 del primo libro Ad Simplicianum impressionante. Anche Ticonio contrario alla dottrina che fa consistere lelezione nella semplice prescienza che Dio avrebbe avuto della fede degli eletti, determinantisi in virt del loro libero arbitrio. Ticonio non ha dubbi : la prescienza di Dio strettamente connessa con la sua on nipotenza. Infatti, Dio sapeva, che vi saranno coloro che avranno fede liberamente, o che non vi saranno. Nel primo caso, non c pi discussione, appunto perch, nel secondo caso, Dio, che non inganna, non avrebbe promesso. In altri termini, questa promessa divina non pu essere condizionata da un atto libero delluomo ; se Dio lha fatta, perch sapeva che lavrebbe mantenuta : e che spazio rimane allora alla libera iniziativa delluomo? Non vince, se non colui per il quale vince Dio stesso; se dunque il vincere non cosa nostra, dovuto alla fede. E ogni opera delluomo si riduce appunto alla fede; e che cosa abbiamo che non ci sia stato dato? Da Dio abbiamo lessere ; a Dio, Salomone riconosce di essere de bitore della continenza. Ma vi di pi : in Ticonio troviamo pre186

cisamenfe il versetto di / Cor., a cui Agostino attribuisce unin fluenza decisiva sullo sviluppo del suo pensiero, insieme con laltro della medesima epistola, che leggiamo citati nella qu. 2 di Ad Sim plicianum I. E, ci che pi importa, entrambi i versetti da Ticonio sono interpretati proprio nel senso in cui erano adatti a far riflettere Agostino e ad avviare il suo spirito in una nuova direzione (48). Pertanto, se vi un autore che ha potuto avere influenza su Agostino, s da indurlo ad assumere un atteggiamento diverso circa linterpretazione della lettera ai Romani e delle altre simili, costui Ticonio. Ci a me appare dimostrato sufficientemente : nella mi sura, s intende, in cui influssi di questo genere possono essere og getto di una dimostrazione. Si presentano per due obbiezioni : La prima, ci porta a trat tare del terzo autore, che abbiamo dovuto prendere in considera zione. Se lo stesso Agostino, parlando dei versetti di I Cor., segnala San Cipriano e la maniera in cui questi li interpret nei suoi Testi monia (49), non ci sarebbe bisogno di pensare ad altri autori. Per pur prescindendo dal fatto che questo influsso di Cipriano su Ago stino menzionato da questi solo nelle opere pi tardive della con troversia antipelagiana invano si cercherebbero negli scritti del primo le altre affermazioni, in particolare circa il libero arbi trio, che troviamo per contro in Ticonio. Non si nega, dunque, che laver trovato il testo I Cor. IV, 7 nei Testimonia, e otto quel ti tolo, possa aver fatto grande impressione su Agostino; ma non facile ammettere che la sola lettura del versetto e del titolo del capitolo in cui incluso, sia stata capace, da sola, di determinare il cambiamento di opinioni che ci occupa. La seconda obbiezione, che sotto un certo aspetto si ricollega alla precedente, che Agostino, il quale contro i pelagiani ricorda tutti gli scrittori ecclesiastici che sostengono la sua tesi, non no mina mai Ticonio a questo proposito. Ma Agostino vuol dimostrare che, contrariamente a quanto dicono Pelagio e Giuliano, le teorie di costoro sono nuove ed eretiche, mentre le sue sono quelle orto dosse e tradizionali. Ci psto, qualunque fosse stata limportanza reale dellinflusso che Ticonio aveva esercitato su di lui, Agostino non poteva commettere limprudenza di nominarlo, poich qualcuno tra gli avversari avrebbe potuto scoprire che si trattava di un dona tista. E tanto meno avrebbe potuto farlo, dopo aver dichiarato
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che il donatismo non era pi uno scisma, bens una vera eresia. Agostino avrebbe potuto replicare : non ogni eretico tale in tutto e un donatista, eterodosso su certi punti, poteva essere un eccel lente testimonio della fede tradizionale per altri. Per di pi, Ti conio era un donatista sui generis, che, per difendere i suoi com pagni, dava loro torto. Ma con tutto ci Agostino si sarebbe trovato in una condizione di netta inferiorit, obbligato a dare spiegazioni e a difendersi. N Ticonio era autore di tal fama, che potesse riu scire vantaggioso il citarlo, nonostante i suoi errori, come poteva essere il caso con Origene : Ticonio in realt, fuori dellAfrica, doveva essere del tutto sconosciuto. Sappiamo del resto, che per Ticonio Agostino ebbe grandissima stima. Per di pi, non neppur vero chegli non lo abbia ricor dato, e a proposito della dottrina della Grazia. Nel presentare le teorie di Ticonio, non ho omesso di ricordare un passo nel quale egli ricorda che Salomone chiama la continenza un dono di Dio. Ma la frase che precede questa pu essere intesa nel senso che la fede, o almeno linitium ftdei, sia opera umana (50) : sebbene, poi, unasserzione di questo genere sarebbe diffcilmente conciliabile con il resto. Ebbene parlando precisamente della terza tra le Re gulae di Ticonio, a cui appartiene la frase in questione, Agostino, dopo averlo lodato, nota che egli non giunse ad affermare etiam ipsam... fidem donum Illius esse, qui eius mensuram unicuique partitur . Questa osservazione di Agostino risale precisamente allo inizio della sua polemica antipelagiana ; e appunto per questo egli scusa e spiega anche quellillogicit del donatista, avvertendo che se egli, Agostino, ha potuto andare pi oltre, stato precisamente perch la necessit di combattere la nuova eresia lo ha costretto a una ulteriore e pi approfondita riflessione (51). E in queste parole potremmo trovare anche la spiegazione perch Agostino, pi che su ogni altro punto a proposito del quale mut opinione nell 'Ad Simplicianum, insista sulla questione de\Vinitium fidei. Ma interessante che Agostino non omettesse di cogliere e segnalare lunico punto debole in'tutta largomentazione del donatista.
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Vari autori hanno creduto di poter segnalare una stretta affi nit tra la concezione agostiniana delia massa peccatorum et im188

piorum, massa peccati, ecc., e quella manichea della . Anzi, questa sarebbe lorigine di quella ; e la dottrina agostiniana del pec cato originale e della grazia sarebbe il risultato non solo della ri flessione sui testi biblici e della lettura di commenti, ma di un ritorno certo non intenzionale di Agostino al manicheismo. Tutto quel suo lavorio intellettuale attorno a S. Paolo avrebbe avuto come principale conseguenza di ridestare nello spirito di Agostino idee e sentimenti ivi deposti dal manicheismo, e che la conversione avrebbe, non eliminato, ma soltanto reso temporaneamente inattivi. Questa tesi ha avuto una notevole diffusione (52). Ora, una vera dimostrazione di questa teoria dovrebbe poter mostrare con una certa precisione il lavorio mentale grazie al quale la metafora della massa venne ad acquistare per Agostino un valore espressivo tanto grande da influire a sua volta sul modo in cui Ago stino si rappresent la realt, che quella metafora adombrava. B i sognerebbe farci seguire sui testi le varie tappe di questo processo, per cui l'idea della massa peccati avrebbe fatto rinascere, per cos dire, quella di Blos. Questa dimostrazione non stata data per ora, che io sappia : e cos la teoria rimane una mera ipotesi, fon data su di una semplice intuizione, brillante se si vuole e quanto si vuole ; ma nulla di pi. Inoltre, sembra a me che tra le due concezioni vi siano diffe renze non piccole. La massa peccatorum agostiniana formata dal genere, umano dopo il peccato di Adamo : la metafora si riferisce cio a tutti gli uomini durante questa vita terrena : degni di condanna, ma non ancora, n tutti, condannati. La Blos che, tra f altro, viene resa in latino con globus invece formata da tutte le < te < nebre che dopo il lungo processo di separazione della luce e la conflagrazione finale, tornano a riunirsi. La massa agostiniana un concetto prevalentemente soteriologico, la Blos prevalentemente escatologico. Riconosciamo la connessione tra questi due aspetti della religiosit. Ma bisogna pure ammettere che la concezione della Blos implica un dualismo di gran lunga pi accentuato di quello che si possa ritenere venga presupposto da quella massa peccati. D altra parte, quel cambiamento, quel nuovo orientamento spirituale, che avvertiamo nella tante volte citata qu. 2 del primo libro di Simpliciano, non dovette essere cosi brusco e violento, n sembrare ad Agostino che implicasse una rottura cosi netta col passa189

(o, come egli forse se lo rappresent pi lardi e come noi medesimi siamo forse un po troppo inclini a supporre. Cos si spiega che nel De agone christiano, posteriore allepiscopato, si trovano ancora dot trine esposte negli scrtti anteriori alYAd Simplicianum e che questa stessa opera sia stata pubblicata da Agostino senza considerare quella differenza, che a noi pare tanto notevole, tra la prima e la se conda quaestio del primo libro. Si spiega altres che Agostino si man tenesse fedele alla filosofia che aveva appreso nei libri dei neo platonici anche quando pare a noi moderni che il diverso punto di vista adottato rispetto al peccato originale e a W'iniiium fidei dovesse indurlo a modificare tutta la sua antropologia e, di conse guenza, anche gran parte della sua metafisica. Del resto, fondan dosi sulla metafisica neoplatonica che Agostino combatte il manichei smo, e chi considera queste due correnti spirituali appoggiandosi sugli scritti di lui portato a considerarle.come radicalmente, an titeticamente avverse una dall'altra : ma poi vero che la filosofia di Plotino fosse del tutto immune da ogni traccia di dualismo? (53). Ma nella polemica contro i manichei un certo cambio si nota, per anchesso graduale e progressivo. Anche negli scritti ante riori allepiscopato, vediamo Agostino da principio impiegare so prattutto argomenti di natura schiettamente filosofica, e poi accen tuarne sempre pi altri, come il ricorrere allautorit della Chiesa nell esegesi dell Antico Testamento : interpretazione allegori ca, ma non senza tentativi di spiegazione puramente letterale. Nelle opere antimanichee posteriori allepiscopato sono questi ul timi motivi che prevalgono. La questione principale viene ad es sere lopposizione che i manichei stabiliscono tra lAntico e il Nuo vo Testamento, e largomentazione viene sempre pi ad appoggiarsi su quel principio dellautorit della Chiesa, il quale ha trovato la sua formulazione pi piena, e celeberrima, nella dichiarazione del Contro Epistulam Fundamenti circa lautorit della Chiesa Cattolica come ragione per prestar fede allo stesso Vangelo (54). Ora, dallinizio della sua conversione, il pensiero di Agostino ha proceduto costantemente in questa direzione : dalla ragione alla fede. Da principio, afferma la loro indipendenza, ma concede il primato alla ragione, ch essa seguono gli spiriti pi perfetti, men tre per glignoranti basta la fede ; pi tardi invece la ragione certo, non spogliata di tutti i suoi diritti sottomessa alla fede e al
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lautorit. Da principio pare ad Agostino e i principii intellettuali si desumono bene dal suo modo di agire che la perfezione cristiana possa raggiungersi, non di certo fuori della Chiesa o senza di que sta, ma per mezzo di una vita ascetica in certo modo autonoma, mediante uno sforzo individuale, con la purificazione della mente e la piet personale. Pi tardi, non solo la necessit di apparte nere alla Chiesa formulata da lui con la pi assoluta e intransi gente rigidezza, ma vengono accentuate sempre pi quelle che oggi chiameremo la piet associata, la devozione liturgica. Certo, Agostino non parla come chi venuto dopo di lui ; ma questo suo atteggia mento evidente. Chi se ne voglia fare unidea precisa, non ha che da considerare come la stessa piet personale, pur senza sopprimersi, si modifica, e acquista un significato cos nuovo e diverso, che la sua stessa essenza ne risulta modificata. La piet ora non ha pi per fine principale la purificazione della propria anima, lo stabili re una relazione quanto pi immediata e diretta possibile tra essa e Dio, bens la lode di Dio nella quale altre anime possano congiun gersi con essa, e la confessione degli errori propri, che un altro modo di lodare Dio e viene fatta perch ha un valore esemplare, serve cio al fine superiore delledificazione di tutti (55). Quellattribuire gradualmente sempre maggior importanza al lautorit procede parallelamente con i progressi di Agostino nello studio della Bibbia. A questo egli si dedic con nuovo e alacre fervore dal giorno in cui, repentinamente e con sua sorpresa, gli venne conferito il sacerdozio. Allora egli avvert la necessit di co noscere a fondo la Scrittura, per poterla spiegare chiaramente e con esattezza, e commentare in maniera degna. Ma a ci si univa il desiderio di sentirsi inserito nella tradizione, anello di quella s rda catena, in consonanza perfetta con il sentire della Chiesa. In difesa della quale Agostino doveva ora combattere contro tutti coloro che ne minacciavano o insidiavano la compattezza, e quindi non pi libero, come prima, da scrittore privato, di scegliere i propri avversari anche contro i donatisti. Ma per questo gli era ne cessario conoscere bene lorigine e la natura dello scisma e log getto della controversia. Tra le opere che Agostino volle leggere, alcune lasciarono nel suo spirito unimpressione pi profonda. Abbiamo cercato di deter
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minare quali fossero, e che effetti avessero, nonchi la natura deglinflussi che esercitarono. Ma vi un punto sul quale conviene insistere ancora. Le opere che Agostino lesse, e certo quelle che lasciarono in lui tracce durevoli e lo spinsero a riflettere ulterior mente. o a modificare il suo modo di pensare, tutte trattano di San Paolo. Gli scritti di Agostino, negli ultimi anni del suo sacerdozio sono in enorme maggioranza, commenti a passi di San Paolo. Dopo il Genesi, a spiegare il quale si affatic nei primi tempi dopo la sua conversione e in piena polemica antimanichea (e torn ad affaticarvisi sopra pi tardi, da vescovo) quello che fra tutti gli au tori sacri lo attrae di pi, gli presenta problemi e gli suscita diffi colt, quello che egli si sforza permanentemente di intendere sempre pi a fondo, San Paolo. Ora ci non dovuto al caso n ad influenze esterne. In San Paolo, intorno alla risurrezione dei corpi da lui difesa contro i manichei e i . filosofi Agostino leggeva del corpo glorioso e spirituale. Da ci era naturale arguire che il corpo umano in que sta vita terrena, , s, buono, perch creato da Dio, ma senza dubbio anche imperfetto, se non suscettibile di essere assunto in cielo. E ci, visto che quel corpo stato creato da Dio, doveva attribuirsi a qualche cosa di sopravvenuto, a qualche menomazione da esso subita dopo la creazione di Adamo. Infatti, luomo ora mortale, e procrea; forse i primi genitori non procreavano? (56). Comunque, questo corpo soggetto alla morte, a tante infermit, ai sensi ; costi tuisce una remora e un impaccio alla purificazione dellanima. Tor nava cos a presentarsi ad Agostino quellangosciosa domanda : Unie malumP per rispondere alla quale aveva tanto meditato, faticato e sofferto. Ma alla stessa domanda lo riconducevano tutti gli altri temi che San Paolo gli presentava : efficacia delle opere e della fede, valore della Legge, contrasto e parallelo tra Adamo e Cristo, necessit della redenzione, e cos via. A questi problemi venivano ad aggiungersi, e agivano nello stesso senso, quelli suscitati proprio dalla partecipazione pi intensa alla vita della Chiesa e dallammi nistrare i suoi sacramenti; con lesistenza di eresie e scismi, con le debolezze umane dei suoi fedeli, in una parola, con lesistenza di malvagi nel mondo e dentro la Chiesa stessa. E tutto ci a sua volta lo riconduceva a San Paolo. Vi ritornava continuamente, ripetendo le stesse, o assai simili,
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spiegazioni, ma sotto lassillo di una insoddisfazione intima, che a lui stesso forse sarebbe stato difficile chiarire;, finch un giorno, quello che fu poi per sempre ai suoi occhi il significato pieno e incontrovertibile del messaggio dellApostolo gli apparve evidente. Vi fu guidato da qualche lettura, o vi giunse da s? Non mi atten terei di rispondere a questa alternativa. Se uninfluenza vi fu, e determin quel cambiamento tante volte menzionato, ho indicato quella che a me pare sia la pi probabile. Certo che, sebbene costretto dalla limitazione della sua preparazione linguistica a con tentarsi per allora soltanto di scritti latini, Agostino cerc di leggere tutto ci che poteva essergli daiuto. Ma si noti che queste letture, nel suo sforzo di rendersi familiare la letteratura propriamente ec clesiastica, non furono ispirate da mero desiderio di ampliare e arric chire le sue cognizioni, non furono dettate da ambizioni simili a quelle del retore n da preoccupazion di erudito. Ch parallelamente a questa evoluzione, di cui a maniera di con clusione delle ricerche analitiche, ci sforziamo di segnalare rapida mente, e assai imperfettamente, le grandi linee, se ne osserva unal tra, strettamente legata a quella, anzi parte di essa. Riguarda la stessa concezione della cultura. II cambiamento, anche a questo proposito, non poteva essere totale e non giunse, per fortuna, fino a un totale rovesciamento di posizioni. La primitiva formazione re torica di Agostino avva impresso in lui, tracce incancellabili : e ci ebbe importantissime conseguenze. Ma non meno importanti lebbe laltro fatto, che la cultura di Agostino, durante questo decen nio della sua preparazione teologica, tra il battesimo e lepiscopato, si fece decisamente, coscientemente cristiana. Ebbe cio come suo fondamento la Bibbia e ricevette lo spirito animatore dal Vangelo. Il De doctrina christiana evidentemente un tentativo di sin tesi, uno sforzo fatto per offrire quellopera di educazione totale, di che Agostino, allinizio della sua conversione e con mentalit differente, aveva cercato di realizzare a Milano e, con qualche diversit, nei primi tentativi dopo il suo ritorno in Africa. Con un titolo, che rivela gi per se stesso il cambiamento operatosi in Agostino durante questo periodo, il De doctrina chri stiana rappresenta, in questo'momento, uno sforzo analogo a quello gi fatto da lui con i Disciplinarum libri prima e con il De vera religione poi. Per la data della sua composizione evidente che
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il De doctrina chriStiana, manuale di formazione del cristiano colto, un prodotto di questo sviluppo che stiamo cercando di esporre. Ma il De doctrina Christiana rimase per molti anni incompiuto. Il secondo libro era finito, quando Agostino scriveva il Contra Faustum ; anzi la sua composizione era giunta gi oltre la met del terzo (57). Solo una trentina danni dopo, mentre redigeva le Retractationes, Agostino si decise a riprendere quela sua vecchia opera : termin il terzo libro, inserendovi le regole esegetiche di Ticonio, e vi aggiun se il quarto. Molto probabilmente, per, riprese in mano tutta lo pera, correggendo, riscrivendo, facendo cio quella che merite rebbe dessere chiamata una seconda edizione (58). Quello che interessa noi, per, il vedere ancora una volta unopera teorica di Agostino, in cui doveva manifestarsi una nuova tendenza del suo autore, rimanere interrotta. Questa volta, per, il nuovo orienta mento il definitivo. Non si pu dunque attribuire linterruzione a stanchezza o a insoddisfazione o a dubbi sortigli nellanimo durante la composizione stessa; e neppure alla difficolt del tema, che non ne presentava pi dal punto di vista teorico, e nemmeno pratiche : tra le altre cose, Agostino non si proponeva pi il gravoso com pito di compilare manuali di tutte le discipline. Lipotesi pi naturale, per spiegare tale interruzione, dunque che nel frattempo Agostino avesse posto mano a unaltra opera la quale, in maniera diversa, servisse allo stesso ideale, ubbidisse allo stesso fine, e in modo che a lui dovette sembrare pi efficace. E questopera, che nelle Retrac tationes va cercata nelle vicinanze immediate del De doctrina Chri stiana, non sar certamente il Contra partem Donati; sar invece, con tutta sicurezza, le Confessioni (59). In luogo di occuparsi soltanto di doctrina, cio di cultura nel senso intellettuale, Agostino giudic pi efficace, pi opportuno, e forse anche pi conforme alla sua qualit di vescovo trattare della formazione spirituale. Nulla pi significativo, nulla esprime me glio la personalit di Agostino, del fatto che il cambio di orientamento teologico si rifletta quasi immediatamente in un modo nuovo di concepire la cultura e leducazione intellettuale ; e che, poi, lo scritto composto con questo proposito rimanga interrotto, per lasciare il posto alla redazione dellopera destinata a inculcare i principii della formazione pi propriamente spirituale ; dellopera che ha per fine ledificazione dei fedeli.
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Abbiamo visto che le Confessioni furono scritte realmente poco dopo lassunzione di Agostino allepiscopato (60) e sono quindi an che di poco posteriori a quel cambiamento nellinterpretazione di San Paolo, al quale dobbiamo continuamente riferirci. E chi cerchi di penetrarne e sentirne veramente lo spirito, si rende conto che le Confessioni sono appunto il prodotto di una profonda crisi spi rituale. Bench in grandissima parte autobiografiche, esse non sono per autobiografia, n altro di simile : perch, oltre a tutto quanto si possa osservare a tale proposito dal punto di vista letterario, c il fatto che nulla pi estraneo allo spirito di SantAgostino che il raccontare la sua vita per mettere in mostra la propria personalit, o giustificarsi di fronte agli uomini o ribattere accuse diffamatorie e ingiuste. E se, giudicandole sempre da un punto di vista letterario, anzi retorico, si potr trovare che mancano di unit , (61) pure impossibile dubitare dellintimo spirituale legame tra le varie parti : il racconto autobiografico, la confessione di Agostino nel suo stato presente, e il commento del primo capitolo del Genesi, con le que stioni filosofiche che vi si riconnettono. Vi si deve aggiungere quel la che forma il tema dominante dellammirevole e varia sinfonia : la confessio laudis, che forma un tutto indivisibile con la confessio pec cati. Esse si integrano a vicenda : confessare i propri peccati e la de bolezza causata dalla concupiscentia carnis al tempo stesso lodare Dio, che con la pena stabil la redenzione. Ma il Creatore non pu essere veramente lodato dalla creatura, se questa non riconosca ap pieno il suo essere nulla. Cos questi due aspetti della confessio si completano e servono allo stesso proponimento. Infatti, la celebre invocazione iniziale a Dio, in cui trova finalmente quiete il cuore in quieto, ha il suo parallelo in quella ch al principio del libro X ; e il fine delle Confessioni ci si manifesta evidente in quelle parole, nelle quali Agostino riconosce che. essendo peccatore, confessarsi a Dio un dispiacere a se stesso, ed essendo pio, un non attri buire questo a se stesso, perch il Signore colui che bene dice il giusto, dopo di averlo reso tale da empio che era. La con fessione dei peccati proprii ha come risultato che si sveglino anche altri cuori, e si rendano conto del loro stato e della misericordia di Dio ; e si uniscano nella preghiera in favore di Agostino, cos come
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Agostina scrive le sue Confessioni a gloria di Dio e per ledificazione dei fratelli (62). Tale dunque il fine principale delle Confessioni : e il ricono scerlo ci chiarisce quel senso corale, associato, liturgico della Chiesa a cui Agostino pervenuto. Ma ci ammonisce altres contro ler rore di intendere quella sua evoluzione come puramente intellet tuale. Essa fu sviluppo continuo e graduale, ancorch non uniforme : e credo aver segnalato i momenti nei quai il movimento appare pi celere e si nota un cambiamento di rotta. Ed essa fu soprat tutto tormento, lotta e discussione affannosa con se stesso, per rag giungere la verit non solo nellordine logico, ma in quello morale e religioso. Fu sforzo di purificazione ed elevazione interiore. Abbia mo visto come pregasse ancora nei primissimi tempi dopo a con versione : e in che modo egli parafrasasse, poco dopo il Padre no stro ; e anche quella sua osservazione posteriore circa la freddezza, a volte, della preghiera (63) ; e come prega poi, nelle Confessioni. Teniamo pur conto, quanto giusto e necessario, degli elementi intel lettualistici e anche delle influenze altrui che poterono avere, che eb bero di fatto, importanza notevole nel determinare quellevoluzione ma facciamo ora la parte dovuta anche ai fattori propriamente ed esclusi vamente reliigosi. I quali si associano a quelle preoccupazioni morali, a quellansia verso il bene e la purezza, che appare dominante in tuta la vita di Agostino e si manifesta, intellettualmente, con la in vestigazione appassionata del problema del male. Agostino non fu un puro filosofo, intento alla conquista esclusivamente intellettuale d una verit capace dimporsi per il rigore cogente della dimostra zione, e per la coerenza tra le varie parti del sistema ; quella verit c h egli cercava doveva essere per lui anche luce e calore dellanima, doveva parlarle e confortarla. Agostino cercava sopra tutto Dio e la salvezza dellanima. Non intende Agostino e non si rende conto <jel suo sviluppo spirituale chi non consideri che il termine di questo suo periodo di formazione segnato da unopera nella quale la sua fede e la commozione per la riconosciuta verit si manifestano in espressioni liriche. Non intende Agostino chi non ravvisi in lui, in ogni momento anche se le esigenze dellindagine critica costringa no a prescindere da ci nel momento deHanalisi, il che rende tanto
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pi doveroso ridare a questo elemento il suo posto nel momento ulteriore della sintesi il mistico. Nascono cos linno e labbandono a Dio delle Confessioni, con il loVo linguggio poetico nuovo, fog giato sui Salmi, e con il loro intento duplice, personale ed edificativo. Termine e conclusione di questa evoluzione che abbiamo cercato di spiegare lalta opera di poesia e di preghiera in cui Agostino con fessa i suoi peccati e rende grazia a Dio.
NOTE <1) Re traci. I, 6, (7), (De moribus); 8 (9), (De libero arbitrio), 2: De gra tia vero Dei qua suoe electos eie praedestinavit, ut eorum qui iam in eis utun tur libero ar torio ipse etiam praeparet voluntates .nihil in hie lib rie disputa tum eet propter hoc proposita quaestione , etc.; 3. Quapropter novi haere. tici pelagiani... non se extollant quasi eorum egerim causam, quia muHa in his libris dixi pro libero arbitrio quae illius disputationis causa poccebat... Quo testimonio meo in quodam libro suo Pelagius usus est. Cui libro cum respon dissem, titulum lihri mei esse volui De naiura et gratia ; 4: quod in alile opusculis nostris salis egimus, istos inimicos huius gratiae, novos haereticos, refellentes; quamvis in his libris, qui non contra illos omnino, quippe illi non dum erant, ed contra maniChaeos conscripti sunt De libero arbitrio, non omni modo de ista Dei gratia reticuimus ; 9 (10) (De Genesi c. man.), 2-3; 14 (15), (De duabus animabus), 2; 4, 8: spiritalia diligere et iustitia iubemur et na tura possumus . Ibi quaern potest. cur natura , et non gratia, possumus dixerm. Sed contra manichaeos de natura quaestio versabatur . (2) De praed. sanet., II, 3. (3) Ibid., 3r 7: N on ede pius atque .humilie doclor ille sapiebat, Cypria num beatissimum loquor, qui dixit: In nullo gloriandum, quando nostrum nihil sit (Testimonia, III, 4). Quod ut ostenderet, adhibuit apostolum testem dicen tem Quid autem, etc. Quo praecipue testimonio etiam ipse convictus sum, cum similiter errarem, putans fidem qua in Deum credimus non eese donum Dei sed a nobis esse in nobis... Quem meum errorem nonnulla opuscula mea satis indicant, aiite episcopatum meum ecripta. In quibue est illud quod com memorastis in litteris vestris ubi est Expositio quarundam propositionum ex Epistola ad Romanos . Quindi cita RGlract., I, 22 (23), 2. (4) Ibid. 4, B: quia non sicut legere librce meos, ita etiam in ei cura verunt proficere mecum. Nam ei curassent. inveniseent istam quaestionem se cundum veritatem divinarum Scripturarum solutam in primo libro duorum, quos ad beatae memoriae Simplicianum scripsi, episcopum mediolanensis ec clesiae, sancti Ambroeii successorem, in ipso exordio epiecopatus mei. Nisi forte non eos noverunt; quod si ita est, facile ut noverint. De hoc primo duo rum illorum litro in secundo Retractationum pnimum locutus sum. (Retr. II, 1, U. Eoce quare dixi superius hoc apostolico praecipse testimonio etiam me ipsum luisse convictum, cum de hac re aliter sapere? .

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(5) De dno persev., 12, 30: Si enim quando libros De lbero arbitrio laicys coepi, presbyter explicavi, adhuc de damnatione infantium non renascentium et de renascentium liberatione dubitarem, nemo, ut opinor., esset tain ini ustus atque in vidue, qui me proficere prohiberet atqiie in hac du bitatione remanendum mihi eeee iudicaret . (6) Ibid., 20, 52: miror eos... nec attendere, ut de aliis hic taceam,'ipss libros nostros-et ante quam Pelagiani apparere coepissent conecriptoe et editos, et videre quam multis eorum locis, futuram nescientes, pelagianam haeresim caedebamus, praedicando gratiam, qua nos Deus liberat a malis erroribus et moribus nostris, non praecedentibus bonie meritis nostris, faciens hoc secun dum gratuitam misericordiam suam. Quod plenius sapere coepi in ea disputa tione, quam scripsi ad beatae memoriae Simplicianum episcopum mediolanensis ecclesiae, in mei epiecopatus exordio, quando et initium fidei donum Dei esse cognovi et asserui . 21 r 55: Videant t^men ii... videant, inquam, utrum in primi libri posterioribus partibus eorum duonlm quos mei epiecapatus ini tio, ante quam pelagiana haeresis appareret, ad Simplicianum inediolaiieneem episcopum scripsi, reinanserit aliquid quo vocetur in dubium, gratiam Dei non secundum merita iiostra dari et utrum ibi non satis egerim etiam initium fidei eese donum Dei et utrum ex iis quae ibi dicta eunt non consequenter eluceat, etsi non sit expressum, etiam usque in fineta perseverantiam non nisi ab eo donari, qui nos praedestinavit in suum regnum et gloriam . Cfr. XX, 53 pe r le Confessioni. (7) De dono pers., 21, 55: Quamvis neminem velim sic amplecti opera mea, ut me eequatur nisi in iie in quibus me non errasse perspexerit. Nam propteafea nunc facio libros, in quibus opuscula mea retractanda suscepi, ut nes me ipsum in omnibus me secutum fuisse demonstrem, sed proficienter me existimo Deo miserante ecripsiese . In 11, 27 cita Retract, l, 9. Quanto all'Ad Simplicianum, il paeso del De praed, sanet, che vi si riferisce (cfr. n. 4) cita esplicitamente Retract. II, 1, e ne dipende; quello del De dono p ersev (n. 6) omette tale riferimento forse perch contemporaneo. (8) Rlract., I, 22 (23), 3, 2: Nondum diligentius quaesiveram nec adhuc iiiveneram qualis sit electio gratiae... 7 (3): sed fidei meritum etiam ipsum esse donum Dei nec putavi quaerendum esse, nec dixi ; 8 (4): sed adlruc quaerendum erat utrum et meritum fidei de misericordia Dei veniat, id est utrum ista misericordia ideo tantummodo fiat m homine quia fidelis est an eliam facta fuerit ait fidehs esset . (9) Cfr. n. 8. . . (10) Reiract. II, 1, 3: In cuius quaestionis solutione laboratum est qui dem pro libero arbitrio voluntatis humanae, sed vicit Dei gratia; nec nisi ad aliud potuit perveniri, ut liquidissima veritate dixisse intelligatur Apostolus: " Quis enim te discernit? etc. Quod volens etiam martyr Cyprianus ostendere hoc totum ipso titulo definivit, dicens: In nullo gloriandum quando nostrum nihil sit " . ' ; (11) De praedest, sanci , 4, 8 (cfr. n. 4) (12) De praedest. sanet., 3, 7 (cfr. n. 3). ' (13) De dono persev. 2, 4: legete aliquanto intentius eius (scii.: oratio, nis dominicae) expoeitionem in beati Cypriani martyrie libro ... De Dominica oratione, et videte ante qiiot annos cntr ea quae futura rarit Pelagianrum

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venena zuale eit antidoium praeparatum e fino a. 5, 9; 7r 13: Si ergo alia documenta non eseent, hac dominica oratio nobis ad causam gratiae quam defendimus sola sufficeret , (14) Contra duas ep. Pelag., IV, 8, 21 9, 26 e spec. 9, 25: Item ad Qui rinum^ in quo opere ee Pelagius vult eius imitatorem videri, ait in lihro tertio:, "In, nullo gloriandum, quando nostrum nihil eit". Cui proposito testimonia divina subiungens, inter cetera posuit apostoJicum illud, quo istorum maxime ora claudenda sunt: " Quid enim habes, etc. "; 9, 26: nostrum nihil esee asse rens, propter hoc apostolum dixiese commemorat Quid enim, etc." . (C. S. E. L. 60, p. 552). (15) P. e.: De g estis Pelagii, 34; De peccatorum me r. et remisis.,. II, 18, 28 e 30; De spiritu e t litt., 31, 54, 33, 57; 34, 60; anche nello steseo C. duos epist , peag. II, 7, 15; IV, 6, 14). (16) De dono persev., 14. 36; " qui gloilatur, m Domino glorie tur 'In n u llo enim " gloriandum quando nostrum nihil sit*. Quod vidit.fidelieeime Cyprianus et fidentissime definivit, per quod utique praedestinationem certissimam pronuntiavit... hie Cypriani verbis procul dubio praedestinatio praedicata eet; quae 6i Cyprianum a praedicatione obedientiae non prohibuit, nec nos utiqiie debet prohibere . 17, 43: Hic procul dubio contradicitur Apostolo dicenti: " Quid enim habes etc. ". Contradicitur et martyri Cypriano dicenti In nullo gloriandum, etc. ". 19, 48: Quid ergo nos prohibet, quan do apud alique verbi Dei tractatores legimus Dei praescientiam, et agitur de vocatione electorum, eandem praedestinationem intellegere?... Puto tamen eis qui de hc re sententiae tractatorum requirunt, sanctos... viros, Cyprianum et Ambrosium.,,, debere euifficere... quia et isti viri, cum eie praedicarent Dei gratiam, ut unus eorum diceret " In nullo gloriandum etc. ", alter autem. " Non eet in potestate noetra cor no6trum et nostrae cogitationes " (Ambr., De fuga saeculi, 1), non tamen hortari et corripere destiterunt, ut fierent praecepta divina . (17) De dono persev. 19, 49. (18) Retraat., I, 22 (23), 2: In quo libro " quod autem ait, inquam, Sci mus quia etc. (Rom. VII, 14), satie ostendit non posse impleri Legem nisi a spiritualibus, quales facit gratia Dei Quod utique non ex persona Apostoli accipi vodui, qui iam spiritualis erat, sed hominis sub Lege positi, nondum eub gratia. Sic enim prius haec verba eapiebam; quae postea lectie quibusdam divinorum tractatoribus eloquiorum, quorum me moveret auctoritas, consi deravi dildgentiue et vidi etiam de ipeo apoetolo posee intelligi quod ait " Scimus etc. " ; quod in ei6 libris quos contra pelagianoe nuper scripei quan tum potui diligenter oetendi. In isto ergo libro et hoc quod dictum est "ego autem, ptc. " et deinde cetera... (vee. 14-25) dixi hominem describi adhuc eub Lege, nondum eub gratia constitutum, bene facere volentem, sed victum con cupiscentia carnis male facientem. A cuius concupiscentiae dominatu non li berat iiisi gratia Dei... Unde quidem iam evertitur haeresis pelagiana... ^ed in illis librie quoe adversus eo6 edidimus etiam spiritualis hominis iamque sub gratia constituti melius intelligi verba ista monstravimus . Per il seguito, cfr. . 19. . (19) Retraci. I, 25 (26) . 67: quod (Rom/ VII, 14) non 6c accipiendum ejsLquaei spiritualis homo iam sub gratia constitutus etiam eie se ipso non

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poesit hoc dicere et cetera usque ad eum locum ubi dictum eet " Mieer ego homo etc. " (vs. 25), quod poetea didici, slcut sum ante confeeeus . Reirad., Il, 1, 2: In qua illa Apoetali verba Lex epiritalie eet, etc." quibue caro contra pi ri tum confligere ostenditur, eo modo exposui, tamquam hmo deecribatur adhuc sub Lege, nondum eub gratia, conetitutus. Long e enim postea etiam epiritalis hominie (et hoc probabiliue) eese posse illa verba cognovi . <20) Retract. I, 23 (24), 5: eeroLiebam id quod dictum eet *caro concupi scit, etc. ad eoe pertinere qui eub Lege sunt, nondum eub gratia. Adhuc enim non intellexeram haec verba et illie qui sub gratia sunt, non eub Lege, pro pterea convenire, quia et ipei concupiecentias c arnie, contra quas epiritu con cupiscunt, quam vie eis non consentiant, nollent tamen illae habere si pos sent . (21) C. Iuiian. pel. VI, 23, 70: Quod autem verba apostolica (Rom. VII, 14-25) ... me * affirmae " aliter intellegere, quam totum ip6um capitulum * debet intelligi", neeciene mihi plurimum, tribuie. Non enim ego eoius aut prixmi6 sic ietum locum intellexi, quo evertitur haereeis veetra, quemadmodum vere intellegendus est; imo vero ego prius eum aliter intellexeram, vel potiu6 non intellexeram, quod mea quaedam illius temporie etiam ecripta testantur. Non mihi enim videbatur apostohie el de 6e ipso dicere potuisse " ego autem carnalis 6um ", cum eeset spiri talie... ego enim putabam dici ieta non poeee, niei de iie quos ita haberet carnis concupiscentia subiugatoe, ut facerent quid quid illa compelleret, quod de Apostolo dem enti est credere... Sed poetea me* lioribue et intelligentioribue ceesi, vel potiue , quod fatendum eet, veritati ut viderem in illis apostoli vocibus gemitum eeee sanctorum contra carnale6 concupiscentiae dimicantium... Hinc factum eet ut eie ieta intellegerem, que^ madmodum intellexit Hilarius, Gregorius, Ambrosius et coeteri Eccleeiae sanctj notique doctores qui et ipeum apostolum advereue camalee concupiscentiae quas habere nolebat, et tamen habebat, strenue conflixi66e, eundemque confli ctum suum illis suie verbi6 contestatum fuiese eenecrunt . (22) C. duas epist. pelag., I, 10, 22: Vieum autem aliquando etiam n rh i fuerat hominem eub Lege ieto apoetoli sermone (Rom. VII, 23-25) deeeribi, Sed vim mihi poetea ista verba fecerunt, quod ait "nunc autem iam non ego operor illud '* (ve. 17). Ad hoc enim pertinet quod ail et poetea (Rom., VIII, 1) et quia non video quomodo diceret homo eub Lege " condelector" etc. (Rom., VII, 22), cum ipsa delectatio boni, qua etiam hon coneentit ad malum non timore poenae 6ed amore iustitiae, hoc est enim condelectari, non niei gratiae deputanda eit ". Cfr. anche 11, 23 a proposito di Rom. VII, 24. (23) Agoetino lo confondeva con Gregorio di Elvira ancora nel 413 (Ep. 148, 10), poi conobbe i 6ermoni tradotti da Rufino-, ma sembra noi* distin guerlo dal Nisseno (C. Iui. I, 5, 15; II, 3, 7, I, 5, 19): .cfr. Coufffcelle, . c., p. 189 sg. (24 Non mi occupo qui di altri paeei, in cui Agoetino cita vari Padri, ma non allude al 6uo cambiamento di opimione: p. e. C. lu. I, 3; II, 6; Op. im peri. c. Iui, U, 36 e 164. (25} Courcelle, o. c., pp. 137-153 e 183-194. Queeta indagine accurata e giudiziosa riguarda tuttavia eoli autori greci; e d'altra parte ed s* che diffi cilmente rilevamenti del genere riescono completi. Perci continuo a credere che una raccolta quanto pi possibile completa di tutte le citazioni patristiche

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(eeplicite e implicite) nelle opere di/Agostino, disposta secondo l'ordine cro nologico di queste (coca che ha omesso di fare il Marrou), e previa un'attenta verificazione della esattezza, condurrebbe senza dubbio a risultati inte ressanti. (26) In questo senso mi pare si debbano modificare le conclusioni del Courcelle, il quale (pp. 145 e 151) sembra attribuire alla polemica contro Pe lagio e i suoi importanza di un fattore solo secondario, in confronto alle cri. tiche suscitate dai primi libri De Trinitate e alle prime Enarrationes in Psom o s ; cfr. per p. 191. (27) C. lu i VI, 23, 70 c it alla n. 21. (28) Cfr. c. III, pp. 69 sgg. (29) Cfr. note 16 e 21. (30) C. duas episn. petag., IV, 4, 7: Nam sic et sanctus Hilarius .infette* xit quod scriptum est in quo omnes peccaverunt ; ait enim: in quo, idest Adam, omnes peccaverunt, deinde addidit: manifestum in Adam omnes peccasse, quasi in massa; ipse enim per peccatum corruptue, omnes quos genuit nati sunt sub peccato . Haec scribens Hilarius sine ambiguitate commoluit, quo modo intelligendum esset in quo omnes peccaverunt . Cfr. cap. V n. 26. (31) E. Buonaiuti, Agostino e la colpa ereditaria , in Ricercke Religiose. Il (1926) p. 401 sgg.: santAgostino ha conosciuto, verso il 395, i Tractatus oell'Ambrosastro e vi ha attinto la metafora pregnante della massa peccati , da cui a sua volta ha ricavato, con un riferimento spontaneo alla massa di fango da cui il ceramista ricava i vasi che vuole (Rom., IX, 21), corroborato anch'esso del resto dai medesimi Tractatus, la concezione -della insindacabile e imperscrutabile libert di Dio nell'elezione dei santi ; Pelagio e Ambrosiastror ibid, IV (1928) p. 11. Cito questi ultimi scritti, che rappresentano la formula zione definitiva del pensiero del Buonaiuti, e nei quali si trover la bibliografia dei suoi lavori e della polemica che suscitarono. (32) Expos. quarr. propoj., 62; cfr. c. IV, n. 5. ^ (33) Ita et Deus, cum omnes ex una atque eadem massa simus in substantia et cunct peccatores, alii miseretur et alterum despicit non sine insti, tia Cir. cap. V n. 32. (34) Praeterea pelagianam haeresim quaestiones aliquot resipiunt... veluti Quaest. 79, 80, 83 etc. (dall*Admonio dei Maurini, P L. 35, 2205-06). (35) Cfr. A. I. Smith, The Latin sources of th commentary ot Pelagius on th Epistle of St. Pani lo th Rajnans, in Journal of Theological Studies, XIX (1917-18) p. 162 segg.; XX (1918-19), p. 55 sgg.; contro, l'articolo del Buo naiuti del 1928, cit. alla n. 31. Ma ammette l'influenza deH'Ambros^aster su Pelagio G. Plinval, Plage, ses crits, sa vie et sa r forme, Lau&anne (1943), pp. 86-92, il quale tra laltro scrve: Hilarius n'a pae t autant qu'on le dit parfois un des champions d u pch originel, et il ne faut prendre dane le sens absolu que leur prte saint Augustin les deux lignee souvent cites du Commentaire de lEpitre aux Roma ine sur le pch que " tous, quasi in massa, on commis en Adam De ce pch... Hilarius ne nie pas certaines consquen. ces, mais il en restreint l'influence et en limite la dure , etc. (p. 91). Non n i convincono invece certe ipotesi di B. Leeming. Augustine, Ambrosiaster and th "m o n o perditionis ", in Gregorianum, XI, 1930, pp. 58-91. (36) Ambrstx. a / Cor. IV, 7 (P. L. 17, col. 215): "Q u id enim ha-

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bee etc.? ^ Nihil illum boni ultra dicit coneecutum, ab aliisf qu-am alj eo acce perat, ideo frustra queri; quod enim habebant, ab Apostolo acceperant. Ad unum autem videtur loqui, quia ad partem plebis loquitur. " Si autem acce-* pisti, quid etc.? Hoc quasi insultatores Apoetoli agebant per imperitiam; ut eadem audientee, qua ab Apostolo iam didicerant, illum evacuantes, de horum magisterio gloriarentur . (37) Quaest. Veter, et N o v i Testamenti , qu. L.. App., 2, ed Souter, p. 447: Duas enim legee inducit, Dei et diaboli. Unde spiritum dicit... contra carnem, hoc est contra vitia, repugnare..* Lex autem diaboli, qui est error, contra dicit per oblectamenta luxuriae et mundana dulcedine. His ergo repugnantibus medius homo est, qui cum consentit epiri tui, non vult caro; cum autem ma num dat carni, spernit spiritum, id est legem Dei contemnit . 3: Ideo ergo haec apostolus publicat, ut oetendat arbitrio humano cui rei voluntatem euani committat, non ut arbitrium libertatis inaniat, sed docet arbitrium cui rei se coniungat. Si autem non est voluntatis arbitrium, neque lex diaboli, quae est caro, neque lex Dei, quae est spiritus, invicem sibi adversando hominem coneiliie sollicitarent. Qui enim sollicitat, suadet; qui autem suadet, non vim infert, sed circumvenit; qui circumvenitur, fallaciie quibusdam voluntas illi mutatur. Si autem non esset liberum arbitrium, nolens homo traheretur ad ea quae non v u l t . Tract. in Gal. a V, 17*18 P. L. 17, coi. 388): Duas leges proponit,... quae invicem adversae sunt, unam Deif alteram peccati. Quae ideo in carne significatur, quia visibilibus oblectatur, cupida peccatorum; ut his sibi adversantibue, mediue homo non ea quae vult agat. Divina enim lex premit et fugat legem peccati, consulens homini ut vigorem naturae suae custodiat, ne capiatur illecebris; illa e contra in insidiis agens lacessit hominem blandi tiis, ut epernat praeceptum legis divinae. Gum ergo consenserit homo legi Dei, contradicit lex peccati, euadens homini ne faciat quod imperat lex divina; e diverso autem lex Dei revocat hominem, ne faciat quod suggerit lex peccati. Quod quidem homo non videt esse absurdum: scit enim naturae suae con gruere, si faciat quod imperat lex Dei. Denique gaudet #quando haec agii, cum ea operatur quae suggerit lex peccati, videt se turpem et horret poet faotum. Ideoque legis spiritus praecepta servanda sunt et carnalia fugienda? ipsa enim conscientia accusat si ei consentiat, sciens horrori esse quae suggerit lex peccati . (37 bis) Cfr. aruche linsdslere sulla giustizia divina di?Ambrosiastro (cfr. cap. V n. 32) e quello di Agostino nei primi commenti .a Romani (cfr. cap. IV). .. (38) Su lui, mi permetto rimandare ai miei articoli, Lecclesiologia nella controversia donatista e Da Ticonio a Sant'Agostino, in Ricerche Religiose, I (1925) pp. 41 sgg. e 443 sgg.; quest'ultimo modificato dal presente lavoro. Jon credo, invece di avere sbagliato nello sforzo di stabilire i principi sui quali dovrebbe basarsi una ricostruzione del Commento aH'Apocalisee; alla quale ha dato un valido contributo la dissertazione di laurea r(Roma) del Dr. Francesco Lo Bue, mentre viene facilitata ora dalla pubblicazione delle Omelie pseudo-agostiniane fatta da . Germain. Morin. Sancti Caesarii episcopi Arelatensis O pera , II, 1942. (39) E superfluo ricordare che le regole di Tionio furono da Agostino incorporate nel De doctrina Christiana, III, 30, 4237, 56. Sorprende che il Marrou (o. c., pp. 384, 444, 480) si occupi di questo scrittore cosi, brevemente.

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(40) V. tra l'altro. T. Hahn/ Tychoius*Studien; Leipzig 1900 {Sdudien iu r Gesch. der Theologie und der Kircfoe, VI, 2); Scholz, Gfaube und U g la u te i n d e r W eltgeschichte, ein Kommentar zu A u g m tin s De civita te Dei, Leipzig 1911; P. Batiffol, Le ca th o lid sm e de S t Augustin, Paris 1910, I, p. 110; P. Monceaux, Hist. littr. de l'Afr. chrt., V, Parie 1920, p. 174 egg. A. Dempf, Sacrum Impe rium (tr. it., Messina 1933) per queeto riguardo dipende interamente da Hahn. (41) De civ. Dei , XX, 7, 1: Qui propter haec huius libri (Apoc. XX, 1 <e*gg.) verb primam resurrectionem futuram suspicati eunt corporalem; inter ce tera, maxime numero annorum mille permoli eunt, ... Quae opinio essfet utcum que tolerabilis si aliquae deliciae spiritales in illo sabbato adfuture sanctis per Domini praesentiam crederentur. Nam etiam nos hoc opinati fuimus ali
quando .

(42) De div. quaeat. LXXXII1, qu. 57. 2 (cfr. per il tempo, c. IV, n. 12) Fit autem separatio in fine saeculi... cum regnant iusti primo temporaliter, icut in Apocalypei ecriptum est, deinde in aeternum in illa civitate quae ibi describitur . Cfr. anche De musica, VI, 13. Si oeservi altres che, contraria mente a Ticonio, e come Agostino in questa quaestio, anche l'Ambrosiastro chiliastic in tendency: cfr. A. Souter, A stu d y of Ambrosiaster, Cambridge 1-905, p. 155; id., in Journ. of Theolog. Stud. V (1904), pp. 611-615. (43) De div. quaest. LXXXIII, qu. 69 (a I Cor., XV, 28), 4: Regnum enim eius (6cii: Ghri6ti) sunt, in quibus nunc regnat per fidem. Aliter enim dicitur regnum Chrieti 6ecundum potestatem divinitatis, secundum quod ei cuncta cratuxa subiecta est, et aliter regnum eiue dicitur ecclesia, secundum pro prietatem fidei quae in illo est; 10: Sane quod dictum est "Tunc et iipse Filius etc. * quamvis secundum susceptionem hominis dicatur... tamen recte ' quaeritur utrum eecundum ipeum tantum dictum sit, quod est caput Ecclesiae (cfr. Ephs. V, 23) an eecundum universum Christum, annumerato corpore et membris eiue (Gai. III, 16, 28, 29; I Cor. XII, 12)... Non dixit: ita et Ohristi, sed ita et Chrisius, ostendens Chri6tum recte appellari etiam universum, hoc est, caput cum corpore suo quod est Ecclesia. Et multis Scripturarum locis inveni mus Christum etiam hoc modo appellari ut cum omnibus suis membris intelligatur, quibus dictum est Vos estis e tc .' (/ Cor. XII, 27). Non ergo ab surde sic intelligimus " Tunc etc. '* ut Filium non solum caput Eccleeiae sed et omnee cum eo sanctos intelligamus, qui sunt unum in Christo, unum eemen Abrahae . Chi abbia presenti le Regole di Ticonio, avverte subito la profonda parentela 6pirituale, anche nel metodo. Altro passo caratteristico in* De div. quaest. LXXXIII, qu. 81 (cfr. c. V, n. 50). (44) Enarr. in Ps. LIV, 4: Hominee malos quos patitur commemoratu rus est, eandemque paeeionem malorum hominum exercitatiotiem suam dixit. Nfe putetie gratis esse mailos in hoc mundo et nihil boni de illis agere Deum. Omnis malus aut ideo vivit ut corrigatur, aut ideo vivit ut per illum bonus exerceatur . Con idee gi di Agostino (bont e ordine del creato, ecc.) je col concetto del Salmo, si mescola qui, e soggiace a queste espressioni, l'idea ticoniajia che i buoni devono soffrire nel mondo ad opera dei malvagi. Questo sermone, da P. Monceaux (Hist. littr. de l'Afr. chrt., VII, pp. 148 n. 4, 153155, 287) collocato negli anni 394r96 per la mancanza di accnni ila* ri conciliazine di Felicran Pretestato con i PHmianieti (397) mentre vi si ilitite -concilio di* Bagai (394):' Tra questi limiti, sarei incline ; a d -aceo1 203

glieie Mudata aiquanto tardiva. Zarb, in A n gelicu m , XXiV (1947) pp. 47-69 pone questa Bnariatio circa la Pasqua del 395. (45) Cfr. c. V, p. 126 6g. e note 47-50. (46) Potrebbe trattarei piuttosto delle Expositione diversarum causai rum: cfr. lart. Da Ticonio a S. A gostin o , cit. (47) Ep. 41, 2, del 396 o. 397 (efr. P. Monceaux, o. c., p. 297): De Tychonii eeptem regulis vel clavibus, sicut saepe iam ecripei, cognoscere quid tibi videadirt expecto . (4) T5can., Liber regni. Ili e VII Etenim impossibile eet eine grafia Dei habere aliquem gloriam. Una eet enim gloria et uno genere semper tuit. Nemo enim vicit, nisi cui Deus vicerit, quod non esi in Lege, eed qui fecerii; in fide-autem infirmum facit Deu6 adversarium no6trum- propterea "ut qui glo*. riatur in Domino glorietur (/ Cor., I, 31). Si enim quod vincimus noetrum non est, non eet ex operibue eed ex fide, et nihil eet quod ex nobis gloriemurr. Nihil enim habemue quod non accepimus (cfr. / Cor., IV, 7). Si eu. mue, ex Deo sumue, ut magnitudo virtutie eit Dei et non ex nobis. Omne opus noetrum fidee eet, quae quanta fuerit tantum Deue operatur nobiscum. In boc gioriatur Salomon scieee se non ex homine eed ex Dei dono eese continentiam (S a p VIII, 21). Iudicio Salomonis credendum est non ex ope ribus eed gratia Dei omnee iuetificatoe, qui scierunt opus legie a Deo impe trandum quo poesent gloriari Putant enim euperbi et beneficiorum ommpotentie Dei ingrati sua virtute aliquid posse et eapientia ditari... Et non quidem prudentibus divitiae et non scientibue gratia. Haec enim non 6unt in noetra potestate, eed a Deo conferuntur * Quid enim habes etc., . Dicunt enim quidam, qui promissiorum firmi talem et quae ex Lege eet tran sgressionem nesciunt, promieisse quidem Deum Abrahae omnes gentes, sed alvo libero arbitrio, ei Legem cuetodiesent. Et si pericula imperitiae quorundam in eofum ealutem patefacere prodeet, sed cum de Deo omnipotente sermo eet moderari dicenda debemue, ne silenda refutando memoremus et ex ore nostro aliena licet audiantur. Quare cum tremore loquentes 6ua cuique pe ricula coneideranda relinquimus. Manifeetum eet praescisse Deum futuros de libero arbitrio quos Abrahae promieit, aut non futuroe. Alterum eet duorum: si futuroe finita quae6tio eet, ei non futuroe fidelie Deu6 non promitteret. Aut ei hoc e6t etatutum apud Deum tunc promieeos daie ei promiesi velint, pro fecto diceret, ne eervue eiue credens quia quod promieit Deue " potene est et facere (Rom. IV, 21) ludificaretur Abraham. Promiseio autem illa eet quae nihil conditionis incurrit, ein minus nec promieeio est firma nec fides integra. Quid enim 6tabile remanebit in Dei promissione aut in Abrahae fidef si quod promissum et creditum eet in eorum qui promiesi sunt penderet arbitrio? ergo et Deue alienum promisit et Abraham incaute credidit (ed. Burkitf pp. 19-20, 79, 22). (49) Cir. nn. 3, 10, 14, 15, 16. (50) Omne opue noetrum fides est, quae quanta fuerit tantum Deus operatur nobiecum cfr. n. 48. (51) Non erat (Ticonius) expertus hanc haereeim, quae nostro tempore exorta nuUtum nos... exercuit, etc. ... multo vigila&tioree diligenti or aeque

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ieddidit, ut adverteremus in Scripturis Sanctis quod istum Ticonium minuer at tentum minusque eine hoete sollicitum fugifl * (De doctr. chript. Ili, 33, 46). (52) E. Buonaiuti, Manichaeism and A ugustines idea of massa perditionis ,

in Harvard theological R eview , XX (1927); F. C. Burkitt, The ReUgion of th Manchees, Cambridge 1925. (53) Cfr A H. Armstrong. The Architecture of th integibe Universe in th Phi)osophy of Ploiinus, Cambridge 1940, p. 86: He (Piotino) varies between regarding it (la materia) as a purely negative conception, abeolute potency, and as a poeitively evil, anarchie force with a power of resisting form. The two ideas are often found combined... "; p. I li : " When he is considering matter by itself Plotinus seems irresistibly drawn to regard it as th principle of evil . (54) Su questo cambiamento, v. l consdderazioni di E. Krebe,Sankt Augustin , Colonia 1930, p. 125 sgg. Contra ep. Fund., 5: Promfcttebae nkn scientiam v eritatis,et nunc quod nescio cogis ut credam. Evangelium mihi fortasse lecturus es... Si ergo invenires aliquem, qui Evangelio nondum cre dit, quid faceres dicenti tibi: non credo? Ego vero Evangelio non crederem* nisi me Catholicae Ecclesiae commoveret auctoritas . (55) Da questo punto di vista si dovrebbero, mi pare, confrontare le pre ghiere dei Soliloquia con quelle delle Confessioni, tutte intessute di teeti biblici, specialmente dei Salmi. A parte le considerazioni propriamente stili stiche, gi fatte da molti, vorrei segnalare questa tendenza spontanea alla salmodia, forma di preghiera collettiva, che viene mettendo sempre pi pro fonde radici nello spirito di Agostino. ' (56) Cfr. Retract. L 9 (10), 2; 12 (13), 8 (12) Q proposito di De Gen. c. man., I, 19, 30 e di De vera rei., 46, 88. (57) Precisamente a III, 25, 36. (58) Cfr. c. II, . 1. (59) Il De doctrina christiana la quarta opera composta dopo la con sacrazione; le Confessioni, la sesta, secondo l ordine delle Retraotationes. (60) Per la data delle Coniessioni, v. c. ITI n. 15. (61) Marrou, o. c.f p. 64: Naturellement il reste possible d'affirmer qui; exisle entre ces troie parties des Confeszions une unit profonde et eecrte. Mais ceux-l mme qui ont ruesi la montrer sont les premiere convenir que cette unit est d'ordre psychologique et non littraire . E inutile che indichi il mio dissenso. (62) Confess., I, 1-3; X, 1-4; XII, 38, (63) Cfr. c. VI, n. 31.

I N DI C E
A v v e r te n z a , .......................................................

pag.

CAPITOLO I: La conversione di
magistro

Note

al Cap. I

, r

S. Agostino - Dai Dialoghi di Cassiciaco al De ........................................................................ > 9 .............................................. 2 8 51 37

CAPITOLO II: Dal De vera religione Note al Cap. II ,

al 1 II De libero arbitrio . . , r ......................................................

CAPITOLO III: DallAd Fortunalum al Psalmus abecedarius; le conoscenze patristiche lo studio della Bibbia e l'inizio della polemica antidonatieta . Note al Cap. Ili ...................................................... > 7 5 CAPITOLO IV: Dall Expositio quarundam propositionum Note al Cap. IV ,
ex Epistola aci Romanos aYEpistolae ad Galatas e x p o s t i i o ......................................................

67

85

..................................................................................

CAPITOLO V: L <incidente di Antiochia e la polemica con S. Girolamo; Agostino, lAmbrosiastro e Mario Vittorino circa lepisftola A i Galati; il commento delTAmbrosiastro a Romani; carnali e spirituali nella Chiesa, eresia e scisma ................................................................ 1 1 5 Note al Cap. V .......................................................................................... 128 CAPITOLO VI: L'Ad S i m p l i c i a n u m .................................................................................. 145 Note al CJap. V I .......................................................................................... 164 CAPITOLO VII: Le testimonianze di Agostino circa il suo cambiamento; lintfluseo delAmbrosiastro, di Ticonio e di S. Cipriano, maesa e bloe; ragione e fede; il De dooirina Christiana e le Confessioni . Note al Cap. VIH , , , . . .

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