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D E G L I
SCRITTORI LATINI
CON TRADUZiONE E NOTE
. TERENTIUS VARRO
I
QUAE SUPE RSUNT OPERA
VENETUS
EXCUDI T J OSEPH ANTONEL L I
AVHEIS DONATUS )
M.DCrc.YMl
OPERE
DI
. TERENZIO VARRONE
CON TRADUZIONE E NOTE
VENEZIA
DALLA TIP. DI GIUSEPPE ANTONELLI ED.
DI . *
i846
L I B R I
DI M. TERENZIO VARRONE
millO UU UKGill ut iu
R I V E D U T I , T R A D O T T I , A N N O T A T I
DA P. CANAL
.M. I' eR. Va&RONI r e LL L1!(GKA L TIAA
PREFAZIONE
i er coinuDe otttI so de critici, scrive II Mulier {Praef. in Varr, de L. L,),
non V* hfi opem classica che ci sia venuta In peggio stato che questa di M. Terenzio
Varrone sopra la Lingua Latina : erano venticinque libri, e i^n oe rimasero che
sei, dal quinto al decimo ; e questi medesimi, la pi parte monchi e stroppiati.
Pensa, o lettore,*^qaal faccenda dovette essere il farne una traduzione. Dico una
traduzione, perch son certo chc questo vocabolo no 1piglieral a tutto rigore :
se ci non fosse, avrei detto meglio interpretazione ; perch In una materia, dove
s spesso il discorso vuol lu parola latiha ella uu forme nativa, una traduzione
strettamente detta non possibile ; e poniam fbsse possibile, non sarebbe qaelTo
che tu desideri, poich nessuno si mette a leggere un libro di qdesta fatta, se non
intende o bene o male il latino. Ci che pu giustamente desiderarsi una succinta
parafrasl, la quale con qualche chioserella bene innestata e quasi nata dal testo ti
faccia tirare innanzi, senza che ad ogni passo t abbi a stillare il cervello o ricor
rere a note. E questo, se non m riuscito, m'ingegnai almeno di fare ; e per fdrlo
mi convenne cingermi la giornea del critico, arrischiar congetture, rompermi il
capo fantasticando. Vero che la via era gii stata aperta e lastricata in gran parte
da due egregii filoioghi, Leonardo Spengel e Ottofredo Mfiller ; Il prmo de* quali,
per confessione del secondo, merit assaissimo di Varrone, perch con la sua edi
zione {BeroL 4836) condotta sul codice Fiorentino, ricca di congetture e riscontri,
pose quasi un muro, che non si potr mai varcare senza grw rischio, fra la scrit
tura proprie deir autore e I" interpolata {MUUer, Praef. in Fai'r. p. XXVIII) ; il
secondo poi, per confessione del primo (Philol Gditing, XVII, SB8), in un solo
anno rinscl a fare pi che non ha fatto egli in pi di trentatr anrti : tanta la
potenza d* alcuni ingegni privilegiati. Pur tuttavi lo stesso Miiller si dlcea loittaiio
dal credere ch la sua ftlca fosse Cosa compititi e tale da tenei^if campo per
molte et ; solo afidato dalla coscienza del proprio merito, ripeteva di s e dello
Spengel unitamente d eh* rasi scritto altrtl volta del Leto e del Rolandello, chc
a rimettere il testo nella genuina sua forma basterebbe un altro, il quale facesse
qtianto avea fatto ciascuno di loro due {Praef, in Farr. p, X \ e XL Ltps. 4833).
Terzo in ordine di tempo^ma lontanissimo in nerito, vengo ora io con questa
nuova edizione dell opera varroniana; e a dirtela schietta, o lettore, ti vengo
Innanzi concessa non senza qualche vergogna, pensando al poco eh io feci, rispetto
a quello che il Miiller pareva esigere da un terzo che rimettesse mano a cos fatto
lavoro. Ritoccai, vero, forse non sempre infelicemente, pi centinaia di luoghi, o
lasciati stare dal Muller come sfidati, o racconciali in modo che non mi parve
probabile ; e quanti mi sembrarono veri miglioramenti, proposti da lui o da altri,
per quanto io li conosceva e li poteva conoscere dieci anni fa (perocch tanti ne
corsero tra la pubblicazione del testo e il tempo in cui scrivo), da tutti trassi
profitto ; sicch almeno pet questa parte la presente edizione avvantaggiasi sopra
le altre che s usano comunemente in Italia. Conservai anche la divisione in piccoli
paragrafi, introdotta dal Muller ; perch, oltre al vantaggio d agevolare le cita
zioni e di dar Jume al discorso in una materia di per s sminuzzata, mi tornava
bene per affrontar meglio la versione al testo. Soggiunsi poi non poche note, prin
cipalmente dirette a giustificare le lezioni date nel testo, o a proporne delle nuove
che non mi erano cadute prima in pensiero. Potrebbesi forte desiderare eh io
v avessi Illustrato anche le dottrine insegnate dall autore : ma ci avrebbe ingros
sato d assai la mole delle note gi abbastanza grande ; e da altra parte chi ha
questo desiderio, pu trovargli pasto nella dotta opera dello Steinthal, intitolata
Storia della linguistica preo i Greci e i Romani (Berlino 4802-63), nella quale
sono anche esposte le dottrine di Varrone intorno a questa materia. A ogni modo
quello eh io feci, qualche cosa ; e tuttavia mi lascierei troppo ingannare dal-
amor di me e delle cose mie, s io non vedessi che molto e molto rimane a fare,
aia che le mie forze e la mia diligenza fossero scarse alla gravezza del carico, o
sia anche in parte che a dipanar la matassa, quand ben bene arruffata, la mag
gior fatica da ultimo.
Ma come c donde, chieder qualcheduno, tantj sconci entrati nell opera Tarro-
niana ? Rispondo volentieri a questa dimanda, perch il soddisfarle mi condurr ad
esporre, come avrei dovuto naturalmente fare, la storia di questi libri, e le vie
tenute o necessarie a tenersi per rammendarli. Il male, secondo crede il Muller,
sarebbe cominciato fin dall origine, per ci che Varrone non avrebbe messo fuori
egli stesso la propria opera, ne datole ultima roano. Vediamo ond ei argomenti.
Certo che Varrone non si mise a questopera che dopo il 706 di R., allorch,
rotta nell agosto di quell anno in Farsaglia la parte Pompeiana da lui seguita, si
ritir nelle sue viHe eh ei possedeva ricche e numerose in Tusculano, in Cuma, a
Monte Cassino ed altrove, e attendea quivi agli studii cou tanta tranquillit danimo
che solo pareva in porto, mentre tutti gli altri erano ancora in gran mare (Ctc. ad
fam, IX, 6). lia conformit de casi, detimori, de mpderati consigli, rafforz allora
fra lui e Cicerone quel vqcqIo damicizia che la stmiglianza degli studii avea
VII PREFAZI ONE Vili
stretto gran tempo prima (Cic. Jcad, Post 1,4) ; sicch a Cicerone volle dedicata
questa sua fatica, toltone I tre primi libri che aveva innanzi promessi a Publio
Settimio, gi suo Questore (Farr. L. L. VII, 409). Che il vedersi cosi onorato dal
maggior filologo di Ruma solleticasse alquanto la nota vanagloria di Cicerone, non
occorre dirlo: ne prova impazienza, con cui qua e l nelle sue lettere il vediamo
attendere adempimento della promessa, e Tessersi senza pi apparecchiato a ren
dergli la stessa misura, e da vantaggio, se gli fosse riuscito (Cic. ad AiL XUI, 42).
A questo fine rifece le sue Jccademiche, sostituendovi a Lucullo ed a Catulo, che
non erano uomini da tali dispute, la persona molto pi opportuna di Yarrone che
aveva udito in Atene lo stesso Antioco (Cic, ad Alt. XIII, 49 : 48 ; <6 e 25) j
e come prima ebbe terminato il lavoro, che crebbe assai di mole da quel eh* era
innanzi, nel 709 ne scrisse ad Attico lagnandosi che Yarrone, dopo avergli dinun-
ziata gi da due anni una grande e solenne dedicazione, avesse fatto come quel
Callipide che correva sempre e non acquistava mai neanche un cubito di strada.
11 medesimo rimprovero, sebbene un po inzuccherato, ripet allo stesso Yarrone
neir inviargli la propria opera. Quantunque, cosi a lui scriveva, esigere un
dono (fosse anche a noi stato promesso) non si suol fare n eziandio dal popolo, se
non sollevato ; tuttavia aspettar che io fo la tua promessa mi fruga che io le ne
ammonisca, non che tei ridomandi. Ti mando dunque quattro rammentatori non
troppo vergognosi (ci erano i quattro libri delle Accademiche) . . . ; e non
vorrei che essi per avventura adoperassero il sollicitare, quando io comandai loro
di domandare. Yeramente egli un pezzo che io stava aspettando, e riteneva me
stesso di non esser io primo a scriverti pruna d* aver ricevuto qualcosa da te, per
aver cagione di ricambiartene con un dono che al tuo al possibile somigliasse. Ma
badando tu, o piuttosto (come io intendo) limando la cosa, io non mi son potuto
tenere di non dichiararti come noi d* afiTetto e di studii siamo congiunti, con quel
genere di lettere che io potea (Cic. adjilL IX, 8). E similmente in sul principio
della stessa opera (cad, PosL I , 4), dicendosi da Attico che le Muse di Yorrone
tacevano gi da pi tempo che non solev^ano, non, a suo credere, per ozio in ch^
egli stesse, ma perch teneva celato ci che scriveva : No davvero, risponde Yar
rone ; ch scrivere ci che si vuol celare, mi par pazzia : ma il lavoro che ho per
le mani, grande ; perocch un pezzo che tolsi a comporre, per mandarle pro
prio a costui (e qui addita Cicerone), alcune cose, non vo dir quali, ma che son
certo di peso e eh io vengo limando con qualche cura. per queste appunto, gli
soggiunge qui Cicerone^beni^h di gran tempo le sto aspettando, pur, non ho cuore
d importunarti ; perch so di bocca del nostro Libone .. . che non gi per
riposi che tu li voglia pigliare, ma per la moka diligenza che ci metti, non levan
done mai le mani. Or non v ha dubbio che l opera di Yarrone, a cui accennasi
In questi passi, non siano i libri eh ei scrisse intorno alla lingua latina ; perocch
questi erano appunto cosa di gran peso e diretta a Cicerone, n si sa d altra
eh egli avesse a lui indirizzata. Che anzi gli antichi grammatici, tuttoch i primi
IX . TER. VARUOHE DELI A LINGUA 1 X
libri fossero dedicati a Settimio^pur nel citare quest opera dicono uni?ersalmente :
Cos Farrone nel (ale o tal altro libro a Cicerone ; donde raceogllesi che niunaltra
opera fuori da questa era stata a lui ietitohita, e questa'continuava col nome di lui
fino al termine. Noi sappiamo adunque per fermo che Varrone adoperatasi con
grande amore in questo lavoro nell anno 709 di Roma e nell antecedente ; che '
prima di quel tempo erano forse compiuti^ma probabilmente non ancor ripuliti,
certo non pubblicati, l tre Kbri dedicati a Settimio ; che I rimanenti, se pur li
vogliamo in buona parte abbozzati, nondimeno nel 709 erano ancora tanto lontani
dall esser condotti a perfesione, che l autore credeva di non poterne leggere
neanche un saggio ad Attico o a Cicerone senza arrischiare il suo onore.
Con queste deduzioni concordane anche gl* indizi! che qua e l trovansi tiegli
stessi libri ; perch ci che dicesi nel quinto della glrafa nuovamente condotta da
Alessandria in Roma (V, 400), non pu essere scritto che dopo agosto del 708,
ehe fa il tempo in cui per la prima volta fu data mostra al popolo di ^ strano
animale ne grandi giuochi {Plin. N. H. Vili, i8, 69 ; Dio. Cass. XLIII, 23) : e
intervallo di un giorno che pomi nel sesto libro (VI, 23) fra i Saturnali e le
Opalie, non poteva porsi piima della riforma Giuliana, che fu messa in atto nel 709.
Che se non occordasi con la riibrma Giuliana ci che vi leggiamo non molto prima,
del cinque ultimi giorni che solean torsi a Febbraio, quando intercalavasi il mese
di suppKmento (VI, 43); non so perch questo non possa essere un preciso indizio
del punto, insino al quale Varrone avea tratto il proprio lavoro innanzi al comin-*
dare dell* anno 709, cio qlfa riforma de! calendario. Basta supporre eh* egli abbia
lasciato stare ci eh era scritto, differendone la correzione insieme con la ripuli
tura ad un altro tempo ; e questa supposizione mi par probabile di quello sia il
credere che tosi Y una come laltro passo fosse gi scritto prima della detta riformo,
e sia poi stato"corretto uno e dimenticalo altro. Ma comunque siasi, qui comin
cia iljdubbio che autore non abbia dato mai ultima mano a quest* opera : n
sei^za ragione il crederlo, se nel 709 essa era ancora si poco innanzi. Diciannove
libri che tuttavia mancavamo al compimento, not erano cosa da tirar gi in pochf
mesi ; massimamente volendola lavorare con diligenza, perch non riuscisse inde
gna di Cicerone. Ondech volentieri concediamo al Muller che nel 74 , allrch
Varrone fu compreso anch egli da Antonio nella lista de* proscritti e fu miracolo
samente salvato da Caleno nella propria villa (jppian, B, C. , 47), avesse bens
tratto a termine questo lungo e faticoso lavoro, ma non avesse ancora pubblicato
n riveduto. E se cosi era, qual maraviglia che questi Kbri sieno stati fra quei
parecchi che Varrone stesso dicea scomparsi al tempo della sua proscrizione,
messigli a ruba gli armadK {Geli, If. A, I II , 40) T qtial maraviglia che il rapitore
medesimo per avidit di guadagno, o qualche altro men tristo, aHe cui mani fssero
poi venuti, per amor degli studii, gir abbia dati fuori cosi come stavano, non ancora
limati n licenziati dal loro autore, piuttosto che avessero interamente a perire.?
Tuttavia queste congetture poco varrebbero, se non fosse Tesarne dell* opera
XI P E A Z 1 n XI I
Bteesq, qual ci venutu, che d loro tontp pto do niuUrle quasi in certezza.
Poniomo pure che u q i s* abbia a (are niun conto della testimonianza di Cicerone
quanto allo special cura eh ei dice messo dall' autore in cpiupUare quest opera ; o
teniamolo per un suo presupposto non fondato in altro che nell* essere ormai andiiti
due anni da che attendeva adempimento della promessa^eh ei non imaginava di
tanta mole : ma ad ogni modo era naturale che, dedicando uno scritto al maggior
lume della romana eloquenza, non la si corresse poi tanto. Or non v' ha dubbio
che la parte rimastaci di quel lungo lavoro^nonch vi si vegga uno studio perch
non avesse a tendere 11Ano giudizio di Cicerone, resta assai di sotto per forbitezza
di stile dal Trattato dAgricoUiira del medesimo autore; sebbene anche questa
fosse materia che sdegnava ornamenti, paga dell essere insegnata. Vero e che la
pecca di negligenza non apparisce eguali^epte diffusa per tutta l opera : v hanno
preamboli e ragionamenti, non dir splendidi, ma luccicanti, di quel fare rotto ed
arguto che Varrone lodava in Egesia (Cic. ad U, XH, 6), e nel quale riconosci lo
scrittore delle Menippee ; l intera opera e ciascun libro, (uli^vedi orditi e diramati
a eccellenza : il male quando si viene a grammaticherie minute e a filatesse di
esempli. In cotesti luoghi, massime nel settimo U^ro, par propriamente che auto
re, dopo aver piantato le varie partite e notato in ciascuna que vocaboli o passi
bisognosi di chiosa che gli si offerivano allora, la^ciasi^e il conto cori ste per ag
giungervi di mano in mano que nuovi passi o vocaboli che gli venbsero o sotto gli
occhi net leggere o in animo nel meditare. Fatto sta che qualche cpnto vi sembra
rimastp tuttavia aperto ; perch segni^tamente nel settimo libro, npn optante la
scusa che vi si fa (Vl|, 409), non so a chi poj^sa entrare che Varrone abbia creduto
di saldarla con si poca spesa, qual un centUnwo passi, non tutti notevolissimi.
N tutte le giunte che probabilmente 1 autore avea notato nel margine, paiono
portate nel testo al debito luogo ; com del passo di Pacuvio intramezzalo a due
di Plauto nel settimo libro (VII, 60) ; n sempre yi si seppe distinguere le vere
giunte da qualche semplice memoria eh ei s* avea faUa per propria regola ed uso
nel rammendare, donde par nato l inestricabile viluppo di due luoghi, l uno del
quinto, altro del decimo libro (V, 78 ; 5. Fedi le noie a qt^sli due hioghi)^ a
voler pur tacere d un terzo luogo del quinto libro (V, 44), doviB, se le parole
/tir a merendo et aere non si rigettino, siccome intr^se^s ha un periodo storpio o
arruffato, e un' ^tinvologia fuor di sito, ripetuta poi variamente a non grande inter
vallo (V, 178). Qu^ntuqque non sarebbe qesto il solo caso che s al^bianp ripeti
zioni ed anche contraddizioni aperte Qquest ^pera : vQlte vi troyiai>ip data la
spiegazione della voce iufyar, con la medesima eUmolpgia e coi medfs|n( es?mPM
(VI, 6; VII^76); due vplt^si dice il cosi chiamato da perch da
segno coir ai)baiare (V, 99; VH, 32);^ ci ohe p^ggi4>^4ppo ver derivato
ympha dalla lubricit del suo scorrere (V, 74), iq ^llro lupgp si dice nato da
nympha (VII, 87) ; e vaticin^ari^ che i\el ^esto |ibrp (VI B?) si fa originato, per
ci che pare, dalla particella peggiorativa pel furor proprio do vii^cinanti,
XliJ , TEB. VARROMl DELLA LINGUA LATINA XIV
nel settimo invece (TU, 86) si supporrebbe disceso da viere, di qui traendosi
vates^ quasi tessitore di versi. E a dire che nel primo luogo si promettea di parlare
pi pienamente di cl^quando si venisse a* poeti, e poi nel settimo libro^clie
de4le voci poetiche, ci si scambiano le carte in mano, e siam mandati, quasi da
Erode a Pilato, a cercare una spiegazione pi piena dove si tratter de poemi.
Lascio, perch n ho toccato pi sopra, incostanza dell attenersi in un luogo
alla riforma Giuliana, e in un altro no ; n metter in conto tutti quei disordini
che il Muller giudica nati dall* aver male innestato le correzioni o giunte trovate
nel margine, perch qualche volta il disordine pu parer dubbio o derivato da
altra origine (\I , 70. Fedi a nota X, 44) : ma non so quali dubbi! si possano fare
n della verit n della causa della confusione nel sesto libro dal paragrafo 43
al 50, n dal i 8 al 20 nel decimo, n in parecchi j>assi del settimo che sarebbe
lungo e noioso lannoverare. Conchiudiamo adunque che probabilissima opinione
del Muller, accolta anche dal Merklin {Ind. Schol, Univers, Dorpal, d852), che la
prima fonte, cui s ha a recare i difetti di questi libri, sia esser tratti dalle bozze
non per ancora limute n interamente compiute dell autore, involategli al tempo
della sua proscrizione, com el dice in genere di non pochi volumi. N sar inutile
aver chiarito, se non con certezza, almeno con grande verisimiglianza, lorigina
rla causa dei male, perch a mettere in su la traccia della cura nulla pi giova che
il sapere donde il male nato.
Un altra fonte d alterazioni dovette essere la natura stessa dell* opera, che
spesso avviluppasi in minutezze e spinosit. Par che Varrone medesimo se l aspet
tasse, allorch sul fine del settimo libro, dopo una tirata di voci vecchie tutte di
Nevio, terminava dicendo : Ma non ondiamo pi innanzi ; perch anticaglie si
fatte, temo eh* io sar biasimato pi presto d averne raccolto troppe, che troppo
poche (\1I , 409). E pi espressamente mostrava questo suo timore nell* ottavo
libro (Vili, Bi), laddove dice: In questo particolare (era quel de*pronomi)
non ho voluto distendermi troppo, vedendo che i copisti, nel dar fuori queste
parti alqtitmto spinose, non baderanno pi che tanto. Certo i vocaboli disusati
doveano riuscire di frequente intoppo a copisti : peggio poi certi vocaboli nuovi
che l autore stesso viene formando qua e l di proprio capo per rischiarare eti
mologie, e sono le giuste forme che le parole avrebbero dovuto avere, se fossero
venute su dritte dai loro ceppo, senza pigliare una mala piega dalle volgari pro
nunzie. Cos (V, 22), traendo terra da ierere, dice : Igitur tera terra j e il sentiero
lo dice chiamato aemita ut seniiter (V, 35) j e la vendemmia, dall essere vinidemia
o vitidemia (V, 87) ; e Diana, cio la luna, quasi Diviana^ perch fa due vie ad un
tempo, per alto e per largo (V, 68) ; e il calamaro, prima che oUigo suppone che
siasi detto voligo da volare (V, 79), e la turma terima da ter (V, 94), e gli armenti
arimenta da arare (V^96), e vitulus quasi vigiiulus, perch vispa e vegeto (ivi),
e la capra carpa, e ariete arviges, e i cervi gervi, e la brassica praesica, e i
cocomeri atrvimtres, t il cacio coaxtus, t la rapa ruapa, e lo scudo seaitum, e il
XV P R li P A Z 1 E XVI
pile perilum, e la lappa ruitrumy e gU erpici iirpicesy e U muro moenus, e la prcUa
partda (V, 97, 08, 4M, 408, i45, i l 6, m , 478); e per raccosUre
iesca alia supposta origine tueor, finge tue$ca (VII, 4J ), e ambagio ed ocies e cla
pere per ispiegare adagio e eociea e c l ^ r e (VII, 31, 71, 94) ; e perch interpre
tazione di septentriones per stiie buoi non paia in aria, le fa un po di letto cremMlQ
la forma intermedia terriones (VII, 74). Sarebbero bastati meno eaempii di questi
a provare che fu consuetudine di Varrone giustificare le etimologie de vocaboli,
soggiungendone alla forma corrotta e dell uso la genuina e nativa da lui supposta ;
a ogni modo non sar stato inutile aver moltiplicato gli esempli, percM da ei
apparisce che non solamente us farlo, ma che il pratic di frequente} di maniera
che in questa pratica s ha una buona regola per indrizxarvi sopra la correzione
d alcuni passi, dove la stranezza degrimaginati vocaboli e la loro prossimit ai
veri fu causa che furono contraffatti od omessi. Cosi giustamente il Miiller nel
paragrafo 43 del libro 1 scrisse adveniinum (non Jventtnum, com ne* codici)
ab adventu /iomintim e. nel 449 del medesimo Kbro pede/tiu secondo lo Seioppo,
non pedevis secondo i testi ; e nel 436, dove i testi portano a quo ruturbairi, mi
parve che si potesse mantenere quasi inalterata la lezione, scrivendo a quo ruiu
ruairi j n crederei in verisimile che nel 4i4, in luogo di Tunica a tuendo corpore
tunica ut in ^ca, o indica come hanno i pi de codici, s avesse a porre : Tunica a
tuendo corpot'e luica aut tuinicaj e nel 446, Oladius .. a cade . .. cladius, non
gladium o gadius, come leggesi comunemente ; e nel 448, cibo cibila dieta,
non eillxba, Quant poi alle omissioni, cui poteano dare occasione cosi fatti scontri
di vocaboli simili, credo che una ve n abbia nel paragrafo 438, dove la parola
pallia proprio necessaria ; come per lo contrario credo aggiunta senza ragione
dal Miiller nel 48, dopo di ut troula, la voce trulla : e leggerei volentieri nel 49
del libro VI, Quoni etiam in corpore pilij ut arista in spica hordeis horrent,
horror^ j e nell* 86 del libro VII, stella Ludfer, quae in summo quod habet lumen
diffusum, ut leo in capite iubam, iubar;!. N meno frequenti che nei tre primi, erano
certo , gli scontri di voci simili nei tre ultimi Kbri che trattano dell analoga i cosi
stretto il cerchio, per cui v spesso obbligato a rigirarsi il discorso, massima-
mente dov* entrasi in materia di forme. Ond ragione di credere che anche ivi
eieno rimaste aperte non poche piaghe per questa causa medesima delia facilit
che ha occhio di saltore da un luogo a qualch altro simile ; e che in questo
supposto sia da cercare innanzi a tutto il rimedio ne passi errati, come gi fece
assai volte il Miiller, e non ha guari il Christ nelle emendazioni do lui proposte e
soggettate poi a giudizioso esame dallo Spengel {PhiloL Gtting, XVI e XVII) nel
Filologo di Gottinga. Il male che nel riempiere l vuoti, poniamo pure che non vi
sia dubbio del senso, se occorrono troppe parole, non s mai sicuri d avere indovi
nato la forma e lordine dell autore; sicch almeno da usare gran parsimonia e
cautele, per non attribuirgli modi e costrutti, di cui egli stesso non ci porga esem
pli. Fa poi maraviglia che alcuni voeabolaristi (e son di quelli di prima riga) abbia-
1, Ter. VAfinewE \.. L
XVII AI LIBRI DI M. TER. VARR. INTORNO ALLA LINGUA LATInX XVIII
no preso per buona moneta qualcheduno di que* vocaboli matti che abbiamo detto
finti a posta, non perch abbiano corso, ma perch servano una sola volta ad age
volare lo spaccio d* unetimologia. Tale \ fanare^ registrato nevocabolari!, e, ci
che peggio, interpretato per dire j dove Varrone non Tusa che a dichiarazione di
profanatum^ e lo spiega egli stesso per fare de! fanoj cio lasciare per intero of
ferta in propriet del tempio (VI, 54). E similmente mi pare che non avrebbe avuto
diritto di comparire fra le voci latine, neanche come anticato, superrimusj per la
sola autorit di Varrone che il d per intera e naturai forma di supremus (VI, 5 ;
VII, 54) ; n lo stesso actiosus, da cui fa nato axitiosus di Plauto, tanto pi che
luogo d* incerta lezione (Vii, 66).
Ma lasciamo le intrnseche e originarie cause d alterazioni e di guasti : veniamo
alla sorte che tocc a quest opera ne' tempi di poi. i testi di penna, in cui. ci ve
nuta, non sono molti; ma neanche cosi pochi che, se fossero buoni e di origine
dair altro diversi, non potessero essere sufficienti. Ha per disgrazia derivano tutti
da una medesima fonte, e ben altro che pura : n sicuro argomento il trovarvi in
tutti questi soli sei libri ; in tutti le stesse lacune, gli stessi spostamenti e in gran
parte gli stessi errori. N intendo solo quei piccoli trasponimenti che discendono
forse, come ho detto sopra, sin dalla priaia trascrizione del testo varroniano : ie
parlo qui principalmente d* una grande e indubitabile spostatura che trovasi nel li
bro V, e fu gi osservata dal Buchanan (Turneb. Adoers. XX, 29), riconosciuta da
molti, riordinata nel suo testo dal Miiller. Tutto il tratto che corre di dopo le voci
qui ad humum del paragrafo 23 fino all ut Sabini del 32, ne codici vien dopo a
quello che di l stendesi fino al Septimontium del 41 ; i quali due tratti cosi disposti,
come stanno necodici, turbano affatto lordine della materia, e lasciano nelle estre
mit perodi mozzi che non si reggon da s n si collegano punto; dove per lo con
trario scambiandoli di luogo, come s fatto, s ha il giusto ordine nella materia, e
gli addentellati si combacian benissimo. Codesti trasponimenti di lunghi tratti na
scono naturalmente da sbagli commessi nellj ordinare i fogli quando si legano i 11-
br ; ed in questo caso ad una spostatura, dopo un giusto intervallo, ne dee corri
spondere un altra simil#e dugual misura : o, se ci non , il trasponimento s ha a
creder nato da carte staccatesi di sieme e non rimesse al debito posto. Or questa
appunto ne devessere statala causa nel detto luogo di Varrone; perch i due trat
ti scambiati pareggiane! nella misura, e ciascuno era sufficiente a riempiere una car
ta da s; non facendo noia il divario dun centinaio di lettere in due migliaia e mez
zo, massime in un codice, dove uso che vi si faceva dabbreviature, poteva toglie
re anche questa piccola differenza. E il conto torna giustissimo anche per quella
parte che precede al luogo del disordine; poich le 7400 lettere incirca che vi si ha,
formano prossimamente tre carte della stessa misura media di 2450 lettere per cia
scheduna, ond verosimile che ivi appunto cascasse il termine duna carta e il prin
cipio d'un altra, e che il distaccamento e la spostatura seguitane delle due carte sia
proceduta da una sola causa, cio dall essersi rotto nel filo della piegatura il fogliet-
XIX PREF AZ I ONE XX
to medio dei quaderno. Vero che una misura alquanto minore di f460 lettere
alla carta raccogllesi da quel brano del decimo libro (X^3435) che, stando fra
due lacune, in ciascuna delle quali i codici notano il mancar di tre carte, non pote
va occupare che un numero intero di carte, e precisamente due, contandovisi 4i40
lettere. Ma neanche questo divario non dee parere gran cosa, se si considera il bre
ve spazio d una lettera e quante ne vanno alla riga; tanto pi che la materia
stessa ivi trattata domandava forse in pi luoghi che si spaiieggiassero le parole,
n permetteva un largo uso d'abbreviature. Del resto il mancarvi di tre carte da un
lato e d altrettante dall* altro d fondamento a credere che il foglietto conservatosi
fosse il medio del quaderno; sicch al paragrafo 35 sarebbe incominciato un nuovo
quaderno, che avrebbe compreso il rimanente del libro cosi monco, qual ci rest,
per la perdita deseguenti fogli. E di vero dal paragrafo 35 sino al termine sha in
torno a 17000 lettere, che distribuite per otto carte ne danno da 2400 per ciasche
duna; misura vicinissima a quella del foglietto medio sopraccennato. Quant poi al
sesto del codice, la congettura fatta piglia fona anche da ci che vi si ha nna con
venevole ed ovvia spiegazione del perch il codice Modenese e due Vaticani, in sul
principio del libro \11, notino la mancanza di nove carte, dove il Fiorentino ed altri
non ne confessano che la mancanza di una ; cicch pot nascere naturalmente dal-
Vaver creduto alcuni copisti che, oltre alla carta, la cui mancanza era chiara, si fos
se ivi perduto un intera quaderno. Se da queste indagini del Muller intorno al sesto
del codice e alla contenenza delle sue carte possa ricavarsi qualche utile deduzione
rispetto a luoghi pi guasti e alle minori lacune o notate o supposte, per certe cor
rispondenze che shanno a trovare cosi nelluna come nellaltra cosa, n egli il dis-*
te, n io qui il dir, per non filar troppo sottile e tenermi tanto allo sdrucciolo; mas
simamente che il contenuto delle pagine apparisce minore nel decimo che nel quinto
libro, n si sa dove incominciasse a scemare. N possiamo neanche dire con buon
fondamento con che sorta caratteri fosse scritto il codice : il IViebuhr sembro averli
creduti Longobardici {Scritti Min. p. 260) ; ma al Muller sapeva male che quel
grand uomo n* avesse solo toccato cosi alla sfuggita, senza dichiarare da che lo in-
feHsse; perch, a dire il vero, se guardasi atesti che ne derivarono, ed ai loro pi
frequenti errori, non vi si trova nulla che accenni ad una pi che ad un altra scrit
tura: sono le solite sbadatoggini de copisti, aiutate dalle ordinarie somiglianze di
lettere, dalla mancanza del puntino nell t e di spazieggiatura tra parola e parola,
dalla stranezza di qualche vocabolo, dal frequente e non costante uso dabbreviatu
re. Poich abbreviature, ve navea certamente; ce lo dice la natura defalli e delle
varie lezioni, che vediamo ne* codici da esso usciti : n guasta che fosse scritto in
nanzi al secolo undecimo, al qual tempo ne fu tratto il codice Fiorentino; perocch
uso delle abbreviature antichissimo, e ne fanno fede i palinsesti delle Istituzioni
di Gaio ed altre vecchie scritture. E qui dovrei aggiungere uno specchietto delle
principali sigle ed abbreviature che probabilmente v erano usate, perch apparisse
qual fondamento abbiano alcune correzioni che possono sembrare un purtroppo ar
XXI AI LlBBl DI M. TER. VARR. INTORNO AfXA LINGUA LATINA XXll
dite: ma tetno da?TeN>, o lettor^di farti rinegare la panehza con tante minnterte;
onde qeMa parte io credo per ora di lasciarla, e di dartela solo a ritaglio e a stret
to bisogno ndle note.
Da quest codice^quale i abbiamo descritto secondo le congetture del Miiller,
lacfvo in modo da non offrire neanche una quarta parte deir opera ; guastato qua e
l d manbanie e da spostature di fogli ; difTormato da lacune^da abbreviature, da
ogni maniera di errori, salvo che volontari! e provenienti da saccenteria; da questo
codice cos malcapitato, mmle a poche tavole rimaste dopo il naufragio, uscirono
tutti, o immediatamente o mediatamente, i testi varronlani che possediamo; sicch
ogtti lezione'od aggiunta che non paia sgorgare da questa fnte o dalle citazioni de
gli attichi grammatici, sha ad etere per interpolata. Immediatamente mostra es-
Bem useito (onde giustamente il ricordiamo per
4.) il codice Fiorentino o Laurenziano, che indicheremo nelle note con la lette
ra P. itiembt'anaceo, di lettera Longobardica, del secolo XI: appartenne un tempo
alla biblioteca di s. Marco, e fu gi consultato dal Poliziano e dal Puccio. Un esatto
spoglio ne fece pi Pier Vettori, aiutato da Iacopo Diacceto, e lo annot in un esem
plare dell edizlon prima, che conservasi nella biblioteca di Monaco. Da questo tras
se h) Spengel l sua edizione, assicurato dalla nota diligenza di Pier Vettori e dalla
dichiarazione, che Aggiunse in fine dell'esemplare, <f avere usato fa pi scmpohsa
osseroanty fino a registrare le scoirezioni.f ut, non ostante la diligenza del Vetto
ri, convien dire che qualche variante gli sia sfuggita dagli occhi; perch alcune le
zioni che il Niebuhr trasse dal codice Laurenziano, non convengono in tutto con
quelle del Vettori; sebbene il Bandin (Calai Bihl Lattrenl. I I j p. B29) sinbri aver
dimstrato coft ben fondate ragioni che il codice Marciano spogliato dal Vettori
tutt uno col Laurenziano. Sarebbe quindi desiderabile che s esaminasse il codice
direttamente; tanto pi che i rscontri del Keil accrebbero i dubbi!. Angelo Mai fu
davviso che sia questa la fonte di tutti i codici varroniani che esistono: ma la sua
opinione fu confutata dallo Spengel coti buoni argomenti.
2. Dal medesimo archetipo, non direttamente da esso, n per via del codice Fio
rentino, ma mediante due altri codici collaterali del Fiorentino, credons! discesi i
tre Parigini che contrassegnansi colle lettere Oj b, c. Fratelli appariscono il secon
do (Bibl Imper. n. 6149) ed il terzo (n, 7635) ; ambedue imperfetti, non contenen
dosi in quello che i tre primi libri e sette paragrafi dei seguente, in questo una sola
parte del primo libro dal principio sino al paragrafo 4 2; ambedue pieni derrori
non volontarii, in mezzo i quali conservano qualche preziosa lezione. Da ottima fon
te, molto diversa da quella degli altri due, mostra dessere sgorgato il primo dei tre
Parigini (Btl. Imper. n. 7489), codice d accurata scrittura, che non cede forse a
nessun altro in bont, se tolgasi il Fiorentino. Ninno per altro di questi tre codici
cartacei pregevole per antichit; stante che ! due primi sono scritti nel secolo XV,
il terz nel XVI. Di tutti e tre lo Spengel pubblic le varianti in sul fine della
sua edizione, secondo che gli erano state trascrtte dal Donndorf; ma, al sentire
XXIII P R E F A Z I O N E XXIV'
del ikfifler, v h& iaoghl che blso^ferebbe riteoncrere di , non apparendone
il netto.
3.Da utio stesso esemplare, fratello del primo Parigino (e), erede II Mttller che
aleno stati trascrtti tanto lHaviiiese, qaanto il Oothano, ehe tono depi autorevo
li. LHavniese {H) cartaceo, in forma di piccolo quarto, scritto per ci che pare
In sul fine del secolo X.1V; difetta nel I. VI, doTe, Mnia alcun indizio di lacnna, dal-
k parole del paragr. 66 item ah Ugendo legtiii qui ieem (cos tI si legge) saltasi
all ut non ipondet ilh dl parafr. 79. Fa spogliato dai Niebubr ancora gloTineUo
In servigio del KOIer; e di queMo spoglio pot TatersI pienamente lo Spengel per
cortesia del Seebodio. Il OothtHa {G) membranaceo. In qoarto, di bella scrittura
in apparenza antica, ma in fatto non pi vecchia M aecolo XVI a giudizio del Blum.
Per buon tratto del I. V aggiunge daltra mano le iezloni detesti Interpolati, e di
pi annota nel margine qualche cengettara moderna, come il ruenimbihit del Cri
nito (V, 7). Fu spogliato con somma dillgenEa dal Regel in servigio del Milller, che
ne diede Intera la lezione, parte nelle note e parte In fine del libro.
4.Un de migliori (u anche testo a penna, di cui fece aso Adriano Turnebo.
Il Mfiller sospetta che sa tutt uno con quell' anno testo della biblioteca
Mesmes, di cui parla Isacco Vossio in una lettera indirizzata all Heinsio {Syllo-
gt Burmann. , 66S).
6.Un breve frammento del I. V (4166) conservasi In penna nel Monastero
dt Monte Cassino sotto H n. Sei ; la lezione ne f\ii pubblicata da Giambattista Mor
gagni bella Raccolta veneta d'opuscoli teientificij T. IV, p. S e seg., e da Enrico
Heil nel Museo Renano (184S).
I codici che ho notalo fin ora, sono i soli non interpolati, ia cui lezione siasi fat
ta pubblica con la stampa : havvene per alcuni altri che forono appena sfogliati, e
pure sono anch essi dei buoni d esenti da Interpolazioni. Tali sono tre Vatieani
(1666, S949, 330S), che Indicheremo con le lettere greche et, , y . Il primo, che
il migliore, cartaceo, trame il foglio 4.eh membranaceo ; ha fotma di quarto,
e serlttnra onciale, pare dei sec, XIV j tutto interpolato, ma d altra mano, e reca
nel margine parecchie giunterelle e indicazioni. Segue in uno stesso volume ad al
cuni lessici latini. Il econdo i parimente cartaceo in forma di quarto, e vien dietro
allopera De montibus, fuminibus eie. del Roocaccio. Il terzo in ottavo, cartaceo,
a due colonne, mancante dei primi 91 paragrafi j appartenne a Fulvio Orsino, del
^lale vi si legge II nome. Onesti tre odici, massime il primo ed il terzo, concorda
no fira loro in mdo che, a gfudixio del MSDer^formano una sola famiglia ; e chi
n abbia riscontrato uno, 11ha riscontrati tutti. Ei ne possedevo le varianti dei tre
primi paragrafi del 1. VII e le indicazioni delle lacune, copiategli da Olao Retler-
mann. Esente da Interpolazioni e non per ancora spogliato aeche II Gmlfetitita
no. I l Mtiller k avea ri cetto un saggio dalla ebrtesia dello Sehneide^in, e lo disse
non molto Averse, ma assai pi scorretto dei Fiorentino. A questi sono da aggiun
gere due codici membranacei, In 4.*, di belHssima lettera, imbedue pregevoli, non
XXV U LIBRI DI . TER. VARR. I STORSO ALLA LINGOA LATINA XXVI
per antichit^ma. per bont di leiione ; dieo V mbroiiano (Se. 74) e il Modenese
(n. 22). 11primo, secondo che leggeei nel frontispizio, appartenne ad Annibaie Co
mero : in sul principio d i vocaboli greci con gran diligenza, ma di poi li omette ;
tace il numero di ciascun libro, e massimamente nel determinar le lacune conformasi
assai al primo dei tre PariginL Un po pi antico di questo il Modenese, splendido
esemplare, in cui vanno uniti i libri d* agricoltura di Catone e di Yarrone ; d giu
stamente per quinto il primo de libri sopravvissuti ; le voci greche, le omette o le
scrive con lettere latine } scempia i dittonghi, secondo la volgare pronunzia, e tol
tone tniHa e Delphoi e quur e partisy per lo pi ammoderna ortografia ; non ren
de precisamente nessuno degli altri testi conosciuti, ma concorda quasi sempre con
qualcheduno de migliori ; abbonda massime ne primi libri, di giunterelle interli
neari e marginali, raccolte dal confronto d ottimi testi j pecca in parecchie omis
sioni, alle quali rimediasi in margine presso che sempre ne primi libri, ma rare vol
te negli ultimi. questo il codice che pi di qualunque altro dispiaceva al Miiller
di non aver consultato; ci chei dichiarava che non avrebbe certo lasciato di (are,
se avesse potuto impromettersi di dare un testo racconciato in modo da tenersi in
posto per lungo tempo. Quantunque ei vedeva bene, e il dicea 1 esame degli altri
codici, che i vizii di quest' opera sono assai vecchi, e per poco pu sperarsi dal
moltiplicare i riscontri, stante che era gi viziato il fonte, da cui derivano tutti i
testi o esaminati o non esaminati che possediamo. Glie ne posso far fede anch io che
tengo l intera lezione di questo codice diligentemente riscontrata sopra un esem
plare dell edizione dello Spengel, n mi rincresce gran fatto d* averla avuta dopo
che era gi compiuta la stampa di questa mia fatica, perch veggo che poco profitr
to n avrei potuto cavare. Giova non di meno il trovarvi qua e l confermata qual
che bella e contrastata lezione ; come per esempio il leggere espresso nel paragra-^
fo 54 del libro V, vimineta fuerant j e nel 434, Prius de indutui aut aniictui j e nel
i45, et quae vendere vellent : e di qualche compiacenza sarebbe riuscito al Mtller il
veder sostenuta dall* autorit di questo codice la sua congettura dove nel paragra
fo 46 del libro Vili egli legge, Propter eorum qui dicunt^ $unt declinati casus s e
lasciato in bianco uno spazio dopo la voce inficientem nel paragrafo 78 del libro VI,
ov ei sospett lacuna. Anche in quelle parti, in cui questo codice si dilunga dagli
altri, ha qualche cosa del buono. Non parlo d alcuni trasponimenti di parole o muta
zioni di tempi o rivolgimenti di costrutto ; non della sostituzione di qualche sinoni
mo, come di occisus ad interfectus (V, 46), di virum fortem a civem fortem (V, 448),
di invocent a invitant (IX, 48), i inscitiam ad inscientiam (IX, 4i3): queste
cose s hanno ad avere per la pi parte come sentori della saccenteria ormai nate,
e preludii de pi gravi danni che dovea soffrirne quest opera : parlo d alcune va
rianti che non danno presa a cosi fatti sospetti. Notevolissima quella che troviamo
al paragrafo 20 del libro IX, dove tutti gli altri codici^di cui sha Aotizia, recano
concordemente: Quem enim amor assuetudinis potius in pannis possessorem retinet^
quam ad nova vestimenta traducit? Che sia luogo errato, chi pu farne dubbio? ma
XXVII P R E F I I O N E XXVIII
trovarci 11rimedio sembra difflelle, n riasci ancora a nessuno : io stesso JHiiller si
content di segnarvi nna croce, e notare eh era passo manifestamente viziato, ma
che non vedea modo di raddrszario. Ora il codice Modenese con nna mutazione
lievissima par che vi rechi il rimedio, leggendovisi patri, cio palriit, in iscam-
bio di potins. Buone lezioni, eh io accoglierei volentieri, mi sembrano anche l ut
et culmi in luogo di ubi et culmi (Y, 37), e il quod hae proiiciunl ante eot (non
ante aKo : intendi muro. V, 14), e il quod ibi (non ubi VII, \ ) mytteria
fiunt aut tuentur, e il J fe[m]ia in luogo di Etmiut Ennia (IX, 65). Io
poi ebbi caro di trovarvi nel paragrafo 9 del libro TI ab tolui cos intero e lam
pante, che conduce quasi di necessit a credere che il seguente tohtm sia nato,
da un abbreviatura di solitus tum, eom io aveva congetturato ; e vedendolo pi
volte scambiare da neirten a non e da notr ete a nse, mi parve daver guada*
guato un sostegno alla lezione da me introdotta nel primo verso del par. 26 del
I. VII ; e qualche peso mi parve anche acquistare la lezione posta in sul principio
del par. del medesimo libro, standovi propriamente Ma del codice Mo>
denese basti cos; ne dar lintelra lezione, se ristamper, come spero e veggo
necessario di fore, questo mio lavoro ; veniamo ora agli altri codici. Due se ne
conservano in Roma, uno nella libreria Barberina (n. 2i60), l altro nella Chi-
giafia (H, VII, 319). Il Hiiller li pone fra quelli che sono esenti da Interpola
zioni : ma tranne l esser ricordati dal Blum nel suo Fiaggio fatte in Italia, e il
vedervi lodato per eleganza il secondo che scritto nel <140, del resto confessa
il Miiller medesimo non sapersene nnlla. Un altro ne possede la biblioteca reale
di Stuttgard : ma anche di questo, salvo che dicesi scritto in sul- cominciare del
secolo XV, non se n ha altro lume. D ottimo conio sembra essere stato quello,
non si sa qual fosse, cui ebbe per le mani il Sahnasio (ad Solin. p. S86) ; e buoni
sha a creder che fossero anche il Basileese e il Vossiano, della cui fede si vale il
Gronovio, insieme con quella del Fiorentino, contro lo Scioppio fObterv. /, ,
p. 49): ma neanche di questi non s ha aotizi.
Bendi siasi detto, qui il torniamo a dire, che poco profitto ci possiamo ripro
mettere dal riscontro di nuovi testi ; tuttavi sa male il vederne ancora parecchi o
dimenticati in tutto o non ispogliati che in parte. Il drivar tutti da uno stesso in
nanzi non toglie almeno la speranza di raddrizzate, per via di confronti, quegli er
rori che non provengono dal primo e comun fdnte; e quanto a questi, pur qualche
cosa il trovare nella costanza di certe spropositote e insignificanti lezioni un indizio
dli* antichit degli errori e della buona fede de codici, e cos accertare, e, dove va
riano punto, moltiplicare le tracce della giusta e genuina scrittura. Il male di cer
ti codici, direi quasi, rifatti, he possono trarre faeilissimamente In inganno perch
le sdruciture e le toppe non danno nell occhio, se non vi si fissa : sono lavoracci di
quella et, in cui i bumi studii rinati avevano ornai abbastanza dintelligenza e dar
dire da avvedersi degli errori e attentarsi alla correzione, ma non ancora tanto di
pazienza e di senno, quanto ce ne voleva per non acciarpare. E da uno di questi
XXIX Al LIBRI DI M. TER. YAllR. lUl ORWO ALI.A LWGUA LATINA XXX
codici interpolati, non per de peggiori, PompoDio Leto cav la prima editione, cbe
fu fatta in Roma nel i474 ; e il medesimo teeto fu ricopiato da iingelo Tiferna (Ro
ma, 4474, m 4.), senonehi qualche ritocco data qua e U fa vedere eli ei non era
sproTYeduto di buoni codici, cui sarebbe stato meglio seguire. Un testo in tutto si
mile al Pomponiano per detto del Hiiller, conservasi in penna nella biblioteca del
Senato in Lipsia. Molto meglio merit di Varrone il Trivigiano Rolandello fyenet.
4476, f), che esamin buoni libri e aan molti luoghi, tanto che, se ristringasi
a lu, non parve del tutto falsa la lode che gli si d in fine del libro con queste pa
role : Si quispiam tertio loco fragmenti Farronit lantum addiderit, quantum Pom-
poniut primo, deinde Francitcus Rhohndellus Trivitanut tecundo, tuo uterque stu
dio ac diligentia, contulit s nimirum . Farro rmivisceL Nella sua edizione com
pariscono le voci greche e non poche parle e fino a interi periodi, che mancano
nelle antecedenti ; e tutte queste cose egK trasse non dal proprio capo, ma dalla te-
stimonianaa de libri, di maniera che a giudizio dello Sp^ngel tale edizione da non
poterne far senza chi voglia rammendar Varrone. Solo qualche cosuzza, erede I
Spengel chegli abbia mutato di sua testa: n io il negher; noto soltanto che le due
lezioni, contra eam (V, -1) scand>io di contra sa, ed fstxcyttcf scambio di />
(V, S), trovansi anclM nel codice Modenese, bencti la seconda vi corretta
in Dtargine>11testo del Rolandello fu poi ristampato parecchie volte, per lo piA In
uno stesso volume<;on Nonio e con Pesto! se la cosa camminava cos, manco male.
Anzi qualche miglioramento vi si pu dire Introdotto nel ristamparlo da Battista Pio
(Mediol. 4610, f.y e da Michele Sentine (Perii. 45f9, m 8.*), e da qualche altro eh
non espresse il suo nome. I guai ricomincian peggio ohe mai con edizione che ne
fece nel 4667 in Roma Antonio Agostino, valendosi d* un codice, il ^uale, com di
chiara egli stesso in una lettera a Latino Latlnio {nted, Litter. Romae 4778,
voi. I l, p.SSO), fu dAchille Maffei, e concorda eoo uno (B) spogliato gi dal Vettori e
rapportato dallo Spengel. Qui le interpolazioni son proprio al cohno : glossemi anti
chi e nuovi intrusi mescolatamente nel testo, toppe mal enclte, locuzioni ammoiler-
nate, la grafia mutata. Fa maraviglia cbe il dotto uomo si sia lasciato IngaMiare da
queir apparente ricchezza e facilit, e che sottosopra la sua lezione aia quella che
ebbe corso fino a d nostri. E a dire l che II Tumebo non si perit di chiamare lA-
gostino il salvatore unico, il vero Escalapio) il tetto di Varrone 1 ben vero che al
la sincerit di queste lodi Io Spengel non crede, e pi che alte facili parole sta al
fatto de molti biasimi che tacitamente gli d nelle sue deraria. Certo il Turne-
bo era uomo dacuto e purgato giudizio; e di pi aiutato da un ottimo codice, eh* eb
be fra roano, vide pi avanti che qualunque altro di qoedotti vecchi nellemendare
Varrone ; ma nell encomiare Agostino, pi che al cattivo testo eh egli avea dato,
guard forse alle buone congettare, parte sue e parte de suoi amici, che vi avea
soggiunte. E non inutile opera iii materia di congetture e di note fecero anche il
Vertranio (Lugd. 4668,8), e lo Scaligero (Coniect. in Farr. ex offic. Htnr. Steph.
467S), e Io Sdoppio fattosi forte con la schede di Fulvio Orsino flngoltt. 4609,13):
XXXI P R E F A I I O N E XXXII
ma con tutte queste belle cose, noi vediamo il testo dell Agostino, ripetuto dal Got-
tofredo, dal Popma, dai Bipontini, portar corona fino a di nostri, e un' infinita d
citazioni erronee di l cavate allagare gli scritti di quasi tutti i grammatici, e per
due buoni secoli nessun pi attendere alla correzion di Varrone. Dico nessuno, per
ch non mi pare che eia da mettere a conto la Lettera Critica che G. D. Kciler in
dirizz air Heyne intorno a venticinque passi di Varrone, e che ad ogni modo fu
scritta nel 4790 (Duisburgi ad Rhen. 8 min. p. 39). Pi che le sue congetture no
tevole il grave giudizio eh ei da sul cattivo stato di questi libri^secondoch anda
vano attorno, e il maravigliarsi che, ove ad altri men degni soprabbondavano i com
mentatori, Varrone si lasciasse stare in ^ cenci. Ed una huova edizione ne pre
parava egli stesso ; ed a questo efifetto faceva esaminare il codice Havniese, e, diffi
dando delle proprie forze ed aiuti, ricorreva all Heyne.
Risanar Varrone, tenendo per fondo edizioni cosi interpolate come correvano,
non era cosa riusciblle : bisognava In tutto ventre al taglio ; buttare tn un canto
le edizioni veglianti ; farsi da alto, porre a fondamento un codice, se non per
fetto, ch tali non ce ne ha, almeno esente da frodi ed antico ; delle interpola
zioni de cattivi libri non far pi conto di quello che fassi delle congetture dei
critici, che, quanto pesano, tanto valgono. Ci appunto fece lo Spengel, pren
dendo ad innanzi delia sua nuova edizione il codice Fiorentino, corredandola di
tesori critici dogni maniera, e certificando con una diligente censura che di quan
to aggiungevasi dal codice dell Agostino e simili, non v avea parola che non fosse
suppositizia. N opera di ripurgar Varrone gli parve finire nel toglierne queste
nuove giunte : vide egli bene che di glossemi, ancorch meno macchiato, non era
tuttavia netto neanche il testo Pomponiano, n lo stesso codice Fiorentino ; ed
anche questi cerc di sceverare con fino giudizio. Tolti gli errori della saccen
teria, restavano quelli dell ignoranza : e in questa parte lo Spengel avvi il lavoro,
ma non lo tir molto innanzi ; perch la prima e necessaria cosa eh egli ebbe
in mire, fu porre il fondamento, su cui ed egli e gli altri potessero poi edificare
sicuramente. E di fatto Guglielmo Pape di l a tre anni diede fuori le sue Le
310111 Varroniane (Bero. i829) ; e .Io stesso Spengel nel <830 pubblic in Mo
naco un Primo ayjyio di Emendazioni Varroniane, Senonch lutti parvero am
mutolire e ritirarsi dal campo, quando con una nuova edizione vi fece mostra
delle gigantesche sue forze Ottofredo Miiller {GoUing. 4833, 8). L eccitamento a
questopera gli era venuto dal vedere in Varrone un tesoro di antichit Romane,
che per la scorrezione de testi si potea dire tuttavia nascosto ed intero ; e pi
avea confortato la buona riuscita del saggio fatto, quando, scrivendo Gli Elru
schi, gli venne sanata e chiarita mirabilmente quella parte del libro V che rag-
guarda gli Argei e le are di Tazio. Cosi preso animo, narra egli stesso dessersi
ingolfato tutto in Varrone, leggendolo e rileggendolo da capo a fondo pi volte ;
perche gli pareva che miglior frutto se ne potesse ritrarre dall addomesticarselo,
che da un minuto esauip di quanto crasi fatto e detto da critici intorno ad esso.
.M. l KB. VaRT. PKLI.A M>Gl'A ?\
\XXI I I Al LIBRI DI . \\. VAlUl. liNTOKNO ALLA LLNGIJA LATINA XXXIV
D(on disprezzo per gli studii altrui : lod quelli del Turnebo^deHo Scali
gero, del Popma, e ne cav il meglio ; di quelli poi dello Spengel mostr di fare
gran capitale, confermandone i giudizii e ponendo edizione di lui per fonda
mento alla proprio. Che mano miracolosa per molte piaghe di Varrone sia stata
quella del Muller, non occorre dirlo : basta la fama di queir uomo^e raBuaira-
zione della soa opera, tal che nessuno eh* io sappia, n mentre ei visse, n per
pi anni dopo eh ei mori, s* arrischi di ripigliarne seriamente la cura ; eccetto
che il J acobs pubblic le varianti d' un codice di Gotha (Lips, iS36), e il Lach-
mann tratt dalcune voci, dichiarate da Varrone, nel Museo Renano (4830,^843).
Torn finalmente K) Spengel agK studii varroniani, come ad an primo amore e
ad un antica sua gloria ; e ragion prima nel Giornale d' Antiquaria (1846)
intorno ad un brano del libro quinto (V, 7 5p.), poi della Critica in genere di
cotesti libri (Abhndl, der philos. histor, Cl der Bayer, Acad. 1864) e del modo
di rammendarli (iionac/f. 1858); e non ha molto rivide magistralmente nel Fi7o-
logo di Gottinga le congetture del Chrlst, il quale, insieme col Roth (PhiloL
Gdtltng, 1860) e con C. E. L. Ox (De M. Ter, Karr. eiymis quibtisdam, Gymn,
Pr. Rreuznach, 1858), va pnr ricordato fra quelli che novellamente occuparonsi
nel correggere ed illustrare Varrone.
Mi resto a dire d'una recente operetta dAugusto Wilmanns, pubblicata nel
1864 in Berlino, intorno agli scritti grammaticali di Varrone e ai loro frammenti.
Riprovandosi ivi, fra le tante cose, opinione dei Miiller che ai libri de lingua
/atma sia mancata 1 ultima mano dellautore, forse era meglio parlarne allorch
esposi questa opinione non discostandomene che in qualche piccola parte. Tuttavia
mi parve che non ne sarebbe seguito nessuno sconcio se avessi differito sino a
questo punto : ora poi che il discorso, seguendo ordine de lavori fatti su i detti
libri, v! caduto da s, non potrei passarmene. Rispondo adunque alle obiezioni
del Wilmanns che n il Miiller n alcuno di quelli che lo seguirono, pretende cer
tezza, ma probabilit ; e questa parmi sussistere. Sia pur vero che ad un uomo di
quella vena, di cui era Varrone, a conti fatti non fosse mancato il tempo per ulti
mare e pulire la propria opera prima d* esser proscritto ; sia vero che il silenzio
di Cicerone non basti a provare eh egli mor (nel Dicembre del 711) senaa aver
ricevuto il dono promessogli : ma che per ci? Se non manc il tempo, sovrab
bond forse ? Se il silenzio di Cicerone non conchiude, non ha tuttavia qualche
peso ? Pretender poi che questo lavoro di Varrne non gli avesse a costare gran
tempo perch in pi parti avea fonti greche ove attignere e in qualchaltra attinse
da suoi proprii scritti, assottogliarla un po troppo ; come se il raccogliere, lesa
minare, 1accomodare al latino, massime nella sintassi che era >ia non battuta an
cora da niun latino, fosse stata cosa da corrervi a spron battuto. E che vuol egli
inferire quando appunta il Muller d aver pigliato sicurezza da un dubbio asserto
del Popma che la divisione della festa d Opi dai Saturnali sia cominciata con la
riforma Giuliana, e d aver quindi precipitato il giudizii) nel corre argomento da
\ \ \ \ P K L l z O N t XXXtl
quelle parole del libro VI ( 22): Satut-nalia dicla ab Salurno qnod eo die feriae
eiuSj ut post diem lerlium Opalia Opis ? Se non v ha testimonianze in furor del
Popma, havrene forse in contrario ? E se non havrene delle contrarie, non dee
bastare dall* altro lato la stessa testhaonianza che ne rend^ivi \arrone? Chi auto
rizza il Wilmanns a credere che le parole post diem tertium sielio state intruse da
qualche saccente dopo il tempo d* Auf iisto ? La divisione di quelle dt>e feste con
IntervaUo d un giorno non riscontra forse con aggiunta di due giorni fatta a
Dicembre netta riforma Giuliana^? E se Macrobio fSat, I, 44) stette su le generali
senza specificare questa particolarit, s ha per a negare? Ma peniamo che in
questa parte abbia ragione il Wilmanns : tanto pi terr la deduzione finale del
Miiller che Yarrone non ripul la sua opera; n ci sar bisogno di supporre, come
fece il Muller, eh egli abbia ritoccato qualche luogo e qualch altro no. Ecco a
che riesce opposizione del Wilmanns. Ma, se quest Qpera fu carpita ancora im
perfetta air autore, ond , chiede egli, che nessuno di quegli antichi (e son pur
parecchi) che la ricordano, fa menzione di questo fatto? Come e quando usci ella
in luce, se non fu autore che la diede fuori ? in che modo Varrone ne pot fare
un compendio in IX libri, come sha dal catalogo di . Girolamo, se non la aveva
fra mano ? Oh 1questo voler sapere un po troppo. V* ha nessun libro varro-
niano di cui sia detto che fu trafugato all' autore e dato fuori cos imperfetto ? E
pur Varrone ci attesta che glie n erano stati trafugati non pochi. Sia pure chegli
intendesse di quelli che non andavano attorno e credea forse perduti ; ma non
vha nulla onde credere ehe i libri de lingua Ialina siano venuti in luce vivendo an
cora l'autore; anzi per non crederlo a ha largomento di Verrio Flacco che, per
confessione dello slesso Wilmanns, non pareva aver letto cotesti libri. Ma se Var
rone ne fece un compendio, li aveva dunque fra mano. Giusta di qualunque altro;
ma non dell autore, il quale era impossibile che non avesse in mente ordine e
la sostanza del proprio scritto, e nello smarrimento stesso dell originale aveva
uno stimolo a pubblicarne almeno un compendio, poi eh era troppa la noia del
rifar tutto da capo. Senonch il pernio della quistione non ist in queste cose che
abbiam sinora discusse : importanza quell ntima persuasione che nasce da
una diligente lettura dell* opera stessa, e fu qiiella che trasse il Muller e dietro
a lui il Mercklin, il Lachmann, il Ritschel in quel supposto. Contrastare a minuto,
punto per punto, se gli sconci possano venire da qualch altra causa, seminar
dubbii per non raccoglier che dubbii. Concediamo allo Spengel e al Wilmanns
che nel voler recare a questa origine ogni maniera di sconci il Muller largheggi
troppo: basta che dall altra parte mi si conceda che la negligenza apparisce in
quest* opera molto diffusamente, e creder giusto il conchiuderne che la radice
prima del male sta nellaqtore. Che se qqestopera, la quale inviandosi a Cicerone
avrebbe dovuto vincere in accuratezza le altre, n anzi scadente, e alla maestria
del disegno non accompagna la bont dell esecuzione; che s ha altro a dire se
non che autore non le diede ultima mano ? Ma di ci basti : di questo piccolo,
X X X V l l Al LI BRI Di M. I KR VAl \ R. I NTOU. NO AL l . A TJ NGUA L ATI NA X XX Vi l i
XXXI X FUI u FAZI OlNE a i LIBHJ 1)1 1>I. I L U . VAHUUNK XL
ma ricco volumetto del Wilmanne parler nuovamente nel supplimento ai primi
libri di Varrone che verr qui appresso.
Ora non altro mi resta se non chio preghi il lettore d* avere a mente che^sq
se nel rammendare il teto non trassi profitto da alcuni lavori che ho pur qui ri
cordati^io non poteva neanche farlo ; perch son forse dieci anni da che com
piuta la pubblicazione del testo : tanto son badati a seguirlo, n occorre dirne il
perch, questi preamboli. Del resto non temo eh' ei non sia per usare con me
quella indulgenza che merita la difficolta del lavoro, pensando che in si fatte cose
chi ne vede una e chi un* altra, nessuno le vede tutte.
. TERENTI VARRONIS
DE LINGUA LATINA
LIBRI I, II, III, IV.
^ intera opera Varroniana intorno alla lingua Latina era divisa in venticinque libri; e di
questi in sul principio ne perirono quattro. La prima cosa ci detta da 8. Girolamo nel suo
catalogo delle opere Varroniane; Taltra ricavasi da*migliori testi d penna e dalle citazioni
de* grammatici che danno per quinto il primo de*sei libri rimasti, e cos avanti gli appresso
(V. la nota 4 al L V). Se Varrone non tocca che di tre libri antecedenti a quello che diciamo
quinto (V. 4 ; VII, 409), ci mostra solo che il primo libro era come un preambolo ; e lascia
insieme vedere perch Aldo e parecchi altri editori abbiano creduto quarto quel che doveano
dir quinto. E di vero a persuadersi che il. primo libro era pi che altro un preaubolo, bosta
guardare ai disegno dell opera. Poich la materia vi si Riandava distinta di sei in sei libri ; e
ciascuna di queste parti, che naturalmente erano quattro, suddivldevasi in duo corpi minori di
tre libri per ciascheduno. Simili divisioni cosi uniformi, non ostante il dover parere puerili, se
la materia non vi si arrende spontanea, Varrone le am e le pratic a bello studio anche in altri
suoi scritti, certo nelle Imagini e nella grande opera delle cose umane e divine. Or la prima
delle quattro parti, che quella dell etimologia, pigliava le mosse dI secondo e terminava col
settinio libro ; ondech il primo non poteva essere che un proemio. Non ce n* rimasto di certo
nessun frammento : e non pu nemmeno alTermarsi con sicurezza che anche questo, come i tre
libri seguenti, fopse indirizzato a quel P. Settimio che Varrone ebbe seco in qualit di questore.
4 ogni modo non credibile che vi si spendessero molle parole nel dedicarglielo, quando vedia
mo che non se ne spende nessuna nell inviare il rimanente dell* opera a Cicerone. Resta adunque
che se non era in tutto simile al primo libro della Storia Naturale di Plinio, gli si avvicinasse
nella sostanziale sua forma, cio nell espoiTO il fondamento, 1*ordine, la divisione dell opera ;
che fa il modo tenuto da Varrone anche nel primo libro delle cose umane e nel primo delle
divine {S. ugusL C. D. VI,*3). La stessa forma, in cui l'autore ricorda in sul Gne del settimo
libro daver/a//o tre parti del suo lavoro, accenna ad una divisione proposta sin dal princi
pio ; e pi apertamente lo dice il cominciare del libro ottavo che : Ouom oratio natura tri
partita essety ut superioribus libns ostendi etc, ; dalle quali parole rnccogliesi che upu solo
XLIIl UBl \ l DI M. TE RE NZI O VARRONE
la divisione s* ora proposta iiegll ontecedenti libri (e quel altra vi si potrebbe intendere, se non
il primo ?), ma eh* erosi altres dimostrato eh essa aveva il suo fondamento nella natura. Le
parti eh egli avea fatto del suo lavoro, Varrone le dice tre ; perch tre sono i capi pi principali
della materia presa a trattare, cio Torgine, la declinazione largamente intesa e Tordinamento
delle parole: ma, eiecorao la seconda parte terminava col decimoterzo libro, e per restava
alla terza un numero doppio di libri di quei che s eranadaU a ciascuna delle altre due, cos
probabile che autore seguitando il suo passo abbia ridiviso in due questa terza parte, ed asse
gnato anche a ciascuna di queste parti nei libri. Ma voler dire qual fosse questa divisione, e
quale la sua suddivisione di tre in tre libri, sarebbe un fabbricare in aria, non trovandovisi in
ci che resta di Varrone nessun fondamento. Benel deir altre due parti, sebben non le abbiamo
che per met, ci resta quasi intero il disegno, ed questo :
Parte 1di libri V! dal 11al VII.
Suo argomento ; Ouemadmodum rebus Luiina nomina essent imposila ad usutn noslrum
(VII, 109,110; Vili, 1).
Sezione 1.* teorica, dedicata a P. Seltimio, dal l. II al IV.
Sezione 2.* pratica, dedicata a M. Tullio Cicerone, dal l. V al VII.
Libro II : Quae dicantur quor ^ ncque ars sii neque ulilis sii.
----- I li : Quae sinl quor et ars ea sii et ulilis sii.
----- IV : Ouae forma etymologiae.
Libro V : Origines verborum locorum et earum rerum quae in locis esse
solent,
VI : Quibus vocabulis lempora sint notala et eae res quae in lem
poribus fiunt,
---- - Vll ; De Poeticis verborum originibus (VI, 97).
Sua divisione
Sezione 1.*
(V,1;V1I,109)
Sezione 2.*
(ivi)
Parte 11 di libri VI dalPVm al Xlll,
dedicata a Cicerone.
Sezione 1.*
(X, 0

Sezione 1.* teorica dal 1. Vili al X : De declinationum disciplina.


Sezione 2.* pratica dal I. X! al Xlll : Ex eius disciplinae propaginibus.
Suo argomento : Quo pacto declinala in discrimina abierunt (Vili, 1; VII, <0).
Sua divisione
(Vin, 24)
Libro Vili: Quae dicerentur quor dissimilitudinem (ivwfx>tav) ducem
haberi oporteret.
----- IX: Quae dicerentur quor potius simiiitudinem (ivaoylav) conve
niret praeponi.
----- X: Giusta teorica della declinazione: fundamenta^ ordo, nalura.
Sezione 2.* dal l. XI al XIII: Delle forme declinative, coniugative, derivative in particolore;
cio de formulis verbo'um (X, 33), o de copia verborum (Vili. 2, 20).
Ho posto qui coe minutamente il disegno delle due prime pacti per comodit deMettori,
giacch occasione il portava ; non perch io creda che Varrone, rendendo conto del suo lavoro
nel primo libro, sia disceso in tante particolarit. Ho anzi per ferm eh* ei vi proponesse eolten-
to la divisione generale, e la mostrasse nata dalla ragione intrinseca delle cose e delle parole :
ma che le suddivisioni si riservasse di proporle a mano a mano che finita una parte passava a
un altra. Cos nell'ottavo libro il vediamo esporre la materia desei nnovi libri che vi co-
lincidDo, e specificare gli argomenti de' primi tre; ma riepetlo ai tre segaenti soggiungere che
dichiarer V orgomeiilo di cioeciino dietintamente, quando, spacciate ad una ad una le cose
assegnale a primi, metter mano agli altri (VIU, 24); il qual eileozio e la qual promessa sa-
rebbero quasi ridicoli, se fin dal principio si fossero poste in mano al lettore tutte le fila. Non
tirer neenche ad indovinare quanto innanzi foss egli andato nel dichiarar la natura e l uti
lit del linguaggio: basta che qualche cenno ne dovette dare, n pot esentarsi dal dire che
cosa sia paroJa e quale il suo rispetto alle cose. Possibile eh* abbia occupato tre libri in filo
sofare su etimologie, e tre su analoga, e forse il doppio su la sintassi, e non abbia poi detto
sillaba per chiarire e fenware que concetti eh* erano come il perno deir intera opera? In qual
maniera avrebbe potuto n)ostrere senza di ci che la divisioue da lui promessa era fondata sn
la natura? Solo il vedere che nella distinzione delle varie parti del discorso lautore si distende
non poco nel libro ottavo, allegandovi varie opinioni senza dare indizio d averne fermato una
sin da principio, ci vieta il credere che nel primo libro fosse disceso neanche in questa parte
a minute particolarit.
V*ha nn*altra cosa che nel proemio dell opera, quale ho detto che era il primo libro, ve
niva tanto a proposito che appena se ne pu credere omessa : ci era il motivo che avea con
dotto l autore a trattare questa materia ; per quali vie e a qual punto si fossero traiti gli studii
della grammatica in Roma ; che bisogno avessero di nuova spinta o indirizzo; che cosa egli
intendesse di fare e quali orme seguire. Per due vie diverse i Greci aveano promosso cosi fatti
studii ; per unn, i grammuticl d Alessandria e di Pergamo ; per altra, i filosofi, massime gli
Stoici :in questi campeggiava acume ; in quelli erudizione {Varr. L. L. VI, 2). La necessit
di esaminare la verit de* giudizii e dei raziocinii nella loro espressione fece si che gli Stoici,
per quella somma diligenza che posero nel trattar la dialettica, entrarono anche nella gramma
tica ; e delle sottili loro disquisizioni s* aiutarono poi non poco anche i grammatici prcpriamente
delti. Quando Cratete di Mallo port primo in Roma queste discipline, verisimile che, essendo
egli stoico, non siasi contentato di sposizioni erudite, ma che v abbia fatto altres conoscere le
acnte indagini de' filosofi pertinenti a lingua, e innanzi a tutto la dottrina dell* anomalia, per
cui avea combattuto contro Aristarco. Senonch In Roma il terreno non era ancora apparecchiato
abbastanza per questo seme ; e u imitazione si stette al riandare con un po di cura qualche
poesia poco nota, ma che pareva pur bella, massimanente di persone care gi morte, o cos
metterle in voga col leggerla e commentarla {Svet. IH. Grarnvu 2). Pieno inviamento ricevette
poi la grammatica, allorch venne la sua stagione, dalla voce e dagli scritti di Lucio Elio ; di
maniera che da indi innanzi non isdcgnarono di trattarne qualche parte neanche gli uomini
della pi alta levato, e si dice che nvolte se n ebbe in Roma pi di venti scuole, tutte frequen
tate (/; 3). Kd anche d lui da credere che nell inviamento dato accoppiasse all erudi
zione le stoiche sottigliezze ; perch Aulo Gellio (XVI, 8) ne ricorda un opera de praloquiisy
eh era nateria trattata con diligenza dagli Stoici nelle loro dialettiche {Diog. Laert. VII, 65
e seg.); e Cicerone attesta dichiarataniente ch ei volle essere stoico {Bru. K6). Dice volle
essere, non fu, quasi appuntandolo d* aver messo bocca in matria non sua ; n diverso il
giudizio che troviamo in Gellio della sua opera : ma ad ogni modo chiaro che, se dove ei valse
fu lerudizione, o bene o male penetr anche nellaltro campo. Varrone adunque non si metteva
per una via nuova^quando vegghiava in quest* opera della lingua latina non solo alla lucerna
( Aristofane^ ma anche a quella di Cleante (V, 9); n egli il dissimula, almeno per una
parte, dicendo che Greci e Latini aveano gi fatto molti libri, chi a favore dell analogia e
chi contro (Vili, 23); fra quali, tuttoch mai noi ricordi, dovette certo con)preudere Giulio
Cesare chQ, durante la gueiTa Gallica, scrisse due libri su l analogia e li dedic al medesimo
('iceroie. Tuttavia, se Varrono non era il primo fra Latini che entrasse nel dfppiu campo, ern
XLv INTORNO ALLA IJ NGUA LATINA XLVI
per altro il primo th pigliesse a correrlo intero ; ed anche per quelle parli eh erano gi trattate
(aoltri scrillori latini, qnont' a dottrine, lasci stare i rivi e ricorse alle fonti greche; e nel
ricorrere aGreci non si ristrinse a scegliere gli ottimi, ma si fe* giudice delle varie opinioni,
non giurando in nessuno. Universalmente segu gli Stoici, ov era migliore e pi largo il pasto:
tali erano in fatti, e proprio stoici di prima riga, Cleiinte e Crisippo e Antipatro di Tarso chegli
dichiara daver preso a guida (V, 9; VI, 2; IX, I ), come apparisce ch ei fece dal riscontro delle
sue flottrine con ci che sappiamo di quegli antichi da Diogene Laerzio, da Sesto Empirico, da
Stobeo e da altri. Per questa via Tavea indirizzato sin da fanciullo lo stesso Lucio Elio^che
gli liu maestro nella grammatica ; n pot poi valere a ritramelo la scuoia e amicizia del ce
lebre accademico Antioco d scalona, perecch questi non solo nella dialettica accolse a braccia
quadre le dottrine degli Stoici, ma in lutto manc pochissimo (e questo pochissimo si ristrinse
air etica) che non fosse on poro e pretto stoico (C*ic. Acad. 11, 21, 67 ; 48, 132 ; 46, 143). Varrone
adunque poteva senza contraddizione tenersi stretto ad Antioco (C/o. ad All, Xlll, 12, 10) e
parere opporluno a sostenerne le parti nelle Accademiche di Cicerone, e non di meno apparire
stoico ne* suoi libri intorno alla lingua latina. Cosi cade a terra la supposizione del Mttller che,
non vedendo come accordare la stoicit'aperta di questi libri con Tesserne stato autore di-
scepolo e seguace d Antioco, imagin che Varrone avesse lasciato Accademia ed Antioco
per riparare alla Stoa, e che Cicerone ignorandolo abbia dato in fallo quanto alla parte asse
gnatagli nelle sue Accademiche. Veramente 1* errore sarebbe stato un po grosso, se fosse cre
dibile in quelle persone e in quel caso, massime dopo le consulte fatte con Atlico. Resta fermo
adunque che Varrone, come nella parte sopravvissuta, cos nel rimanente delT opera, s era atte
nuto alle dottrine stoiche, non dico servilmente in ogni minimo elle, ma nella sostanza delle
cose ed in genere.
Il saper d* nn opera perduta quali opinioni vi si profssavano, non poca cosa ; o se si
fossero conservati gli scritti degli Stoici greci a cui Varrone avea attinto, s avrebbe meno a
dolersi deir esserci venuto cosi imperfetto un lavoro che ad ogni modo il monumento antico
pi prezioso che abbiamo in si fatte materie. Ma degl insegnamenti degli Stoici in operadi
grammatica quanto poi quello che ci venuto, e per quali vie ? Angusto Wilmanns nella sua
operetta intorno agli scritti grammaticali di Varrone e ai loro frammenti, ribadi opinione di
Rodolfo Schmid! che quanto leggesi in genere d etimologia ne Principii di dialellica di
sant Agostino, sia propriamente cavato, facendone un piccolo fascio, da ci che Varrone aveva
ampiamente.esposto nel secondo, nel terzo e nel quarto libro, assegnati a questa materia ; e dal
primo di Varrone crede altres derivato ci che Agostino vi dice intorno alle parole c al rispetto
che hanno alle cose, de quali punti, come ho notato, Varrono non potea passarsi nel proemio
della sua opera. Le dottrine che insegna ivi Agostino, sono certamente le stoiche; sicch in
ogni caso nell attribuirle a Varrone si pu fare a fidanza, da che non preteudcsi d induvtnarie
le parole, ma i concetti e non pi. N questa generale conformit de principii il solo argo>
mento in cui fondasi opinione del Wilmanns. Saut Agostino avea letto, c ce lo attcsta egli
stesso {Confess, IV, 16, 50), ItUli i libri di quelle arii che diconsi liberali : pensate savea letto
un opera di tanta importanza, com era questa de lingua Ialina^ ei che stimava assaissimo au
torit di Varrune e la alleg tante volte, massime nella Cill di Dio, N mancano indizii parti
colari. Agostino dice nel capitolo VI eh ogni ricerca appartenente alle parole riducesi a quattro
capi, alla loro origine, al signiQcato, alla declinazione, all ordinamento. Or non questa la
divisiou generale che aveva fatto Varrone della sua opera, senonch i due primi capi credette
necessario trattarli mescolatamente e pi scarseggiare nel secondo (V, 2) Trovatemi un solo
detto in Ago.^tino che discordi da principii varroniani. Quanta conformit nelle etimologie! le
quali o son le medesime che troviamo in Varrono ne* libri rimasti, o si gim*orebbe che orano
XLVII . TERKNZIO VAKKOtNL XLVIII
. TERENTI VARROiMS
DE LI NGUA LATI NA
AD C I C E R O N E M
LIBER QUINTUS
-------------------------------
1. I . QuemadinotluiTi vocabulacMenlimpo
siti rebus iu lingua Ulina, sex libris exponere iii-
(itui. De his tris ante hunc leci, qnus Seplimio
misi ; in quibas est <Je disciplina, quam focaut
{ : quae contra eam dicerentur, vo
lumine primo; quae pro ea, secundo; quae de
ca, tertio. )o his ad te scribam, a quibus rebus
vocabula imposita sint in lingua latina; et ea
<|uatt lunt iu consuetudine apud poelas.
2. Quoro uoiusqaoiusque verbi naturae sint
liiae, a qua re et in qua re vocalmlum sit impo
situm ( itaque a qua re sit pertinacia quom quae
ritur, ostenditur esse a pertendendo ; in qua re
.sit impositam, dicitur quom demonstratur, iu
4|Uo non debet pertendi et perteudil, perlinaciam
45se ; quod, in quo oporteat manere, si in eo per
stet, perseverantia sit) ; priorem illam pariem,
libi quor et unde sint verl>a scrutantur, Graeci
vocant /^ ; illam alteram vift ^
: de quibus duabus rebus in his libris
promiscue dicam, sed exilius de posteriore.
3. Quae ideo sunt obscuriora, quod neque
ojsnif impositio verborum exiat, quod vetustas
quaedam delevit; nec quae exlaL, sine mendo
omnii imposita ;ner quae recte est imposita, cun-
M. T bb. Va ^hor b, d e l l a l i n g v a l a t i h a .
1 . H o tolto a sporre in sei libri per quai
modo siuusi dati i nomi alie cose ntlla lingua la
tina. Tre n' ho gi fatto e mandato a Settimio ;
ne'quali havvi quanto ragguarda arte che chia
mano etimologica : ci che se ne dice contro, ne!
primo ; ci che in pr, nel secondo ; ci die a
proposito, nel terzo. Ora in questi scriver a te
da quali cose siansi presi i nomi nella lingua la
tina, partitamente anche quelli che usano dai
poeti.
a. Due cose si possono considerare in ogni
vocabolo: da che sia preso, ed a che appropriato. .
Cos, se dimandasi da che sia pertinacia^ si fa/
vedere che vien da pertendere^ tener duro ; e '
ove dimandisi a che s'approprila lo si dichiara
dicendo che |>ertinacia se tengasi duro in cosa,
in cui non dovrebbesi ; perch lo star fermi, ov'
male il cedere, perseveranza. La* prima parte
che indaga origine e i| perch delle parole,
detta da Greci etimologia; la seconda, de'* si-
gnificati, lo in questi libri dir mescobtameote
d'ambedue queste cose ; ma pi scarsamente della
seconda.
3. Son eue pi oscure che non dovrebbero,
perch n tutti i nomi dati conservansi, avendone
alcuni cancellato il tempo; n quanti conMrvan-
si, furono tatti dati a dovere ; n quanti furono
M. TtKIiNTI VARRONIS
4
.eia roanel ( mulla enim verba Uleris commuUtis
sunt interpolala ) ; neqae omnis origo estnoitnie
linguac c vernaculis Terbis ; cl multa verba aliud
uunc ostendunt, aliud ante significabant, ut ho
stis : nam Ium eo verbo dicebant peregrinum
qui suis legibus uteretur; nunc dicunt eam, quem
tum dicebant perduellem.
In quo genere verborum aut casu erit il
lustrius unde videri possit origo, inde repetam.
Ila fieri oporlere apparet, quod recto casu quom
dicimus impos obscurius est esse a potentia^
quam quom dicimus impotem ; et eo obscurius
fit si dicas pos quam impos, videtur enim pos
significare poUus pontem quam potentem.
5. Vetustas pauca non depravat, multa tollit.
Quem puerum vidisti formosum, bunc vides de
formem in senecta. Terlium seculum non videt
eum hominem, quem vidit primum. Quare illa
quae iam maioribus nostris ademit oblivio fugi
tiva, secula sedulitas Muti et Bruii retrahere ne
quit. Noii, si non potuero indagare, eo ero tar
dior ; sed velocior ideo si quivero: non mediocreis
enim tenebrae in silva ubi haec captanda } neque
eo, quo pervenire volumus, semitae Irilae ; neque
lion in tramitibus quaedam obiecta, quae euntem
relinere possent.
G. Quo verborum novorum ac veterum dis
cordia omnis, in consuetudine communi quot
modis literarum commutalio eit facla qui ani-
luadverterit, facilius scrutari origines patietur
verborum ; reperiet enim esse commutata, ut in
superioribus libris oslendi, maiime propter bis
quaternas causas. Literarum enim fit demptione
aut additione, et propter earum adtraclionem aut
commutationem, item syllabarum productictie *
aut correptione, denique...... one quae quo
niam in superioribus libris, quoiusmodi essent,
exemplis salis demonstravi, hic commonendum
esse modo putavi.
7. Nunc singulorum verborum origines ex
pediam; quorum quatuor explanandi gradus. In
fimus is quo etiam populus venit ; quis enim non
videt unde arenifodinae et ? Secundus
quo grammatica escendit antiqua, quae ostendit
quemadmodum quodque poeta finxerit verbum,
lonfinxerit, declinarit. Hic Pacuvi rudentum si
bilus^ ilio incurncers^icum pecu\ hic clamyde
v.lupeat brachium.
8. u iiu> gradus |uo ptiilosophi:i ascendcns
ben dati, si mantengono interi, ch molti ne fu-
ron guasti da scambii di lettere ; n la nostra
lingua vien tuJla da latine origini, c pareoebiej
voci altro suonano ora da ci che indicavano
avanti. Cos jostis valeva un tempo forestieri
non soggetto alle nostre leggi, ed ora vale nemi
co, cio quello che dicessi allora perduellis.
4 Nel cercar origine d una pa^^'mi far
da quella forma o caso che ne pu dare piJame.
chiaro che si dee fare cos ; perch quando, a
cagion d esempio, diciamo impos in caso retto,
non s palese eh ei venga da potentia^ come
quando diciamo impotem ; e si fa via meno pa-^
lese se dici pos anzich impos^ parendo iignifi.
car ponte meglio che potente.
5. Poche sono le cose, cui non guasti il tem
po ; molle ne consuma in tutto. Chi vedesti bello
in giovinezza, or vedi sformato dalla vecchiaia ;
la terza genei^zione non vede pi quell'uomo,
cui ha||l|B|||prima. Sicch vien tardi la cura
di per poter ri torre all' obblio ci
che ha rapito a' nostri maggiori,
lo, perd^^PRlti uu' indagine, non per questo
mi sconforter ; bens piglir animo, se mi rie
sca : ch molto buia la selva, dov ho a scavare
s falle cose; n c via battuta che guidi al se
gno; e ne'viottoli stessi s'attraversano intoppi
che potrebbero tenermi il passo.
6. Chi abbia notato per quanti modi nel co-,
mune uso si sono falle mutazioni di lettere nelle
parole; ond' lulla la diversit fra gli antichi e
i moderni parlari ; perdoner pi facilmente il
bisogno di rifrugar le origini delle parole, ve
dendo eh' esse furono alterate, come ho chiaritoj
negli altri libri, per olio cause principulmentcJ
Poich ci avviene per sottrazione o aggiunta di
lellere, per attrazione o scambio di esse, |>er al
lungamento o abbreviamento di sillabe, final
mente per inversione o raddoppiamento. Le quali
cose, avendole gi dichiarate a bastanza con
esempi! ne' precedenti libri, qui ho creduto di
ricordarle soltanto.
7. Svolger ora le origini delle varie parole.
Nel dichiararle ci son quattro gradi. L ' infimo
quello, a cui giunge anche il volgo ; poich chi
non vede che arenifodina detta dal cavarvisi^
b sabbia, e viocurus dall aver la cura delle vie ?
11 secondo, no sale che la grammatica antica, \a^
qual fa vedere io qual modo i poeti per compo
sizione o derivazione formarono ciascuna voce.
Qui appartiene il sibilus di Pacnvio per dinotare
il ischiar delle corde, c incur\^icervicum pecus^
cio armento dal curvo collo, e clatnfde clupeat
brachium^ cio s'avvolge al braccio la clamide in
vece di scudo.
8. Il terzo grado c quello a cui Icvossi la filo-
^5 DE LINGUA LATINA LIB. V.
pervenit, atqoe en qnae in confoctudine cororon-
ni esseot aperire cocpt, ut a quo dictum enet
oppiduniy vicus^ ^ia. Quartus abi eat adi tua ad
initia rerum : quo ai non perveniam, scientiam ad
opinionem aucupabor : quod etiam in salute no*
alra nonnunquam facit, quom acgrotamua, me
dicus.
Q. Quod si snmmum gradum non attigero,
tamen secundum praeteribo ; quod non solum ad
Aristophanis lucernam, sed etiam ad Cleanthis
lucubravi. Volui praeterire eos, qui poetarum
modo verba ut sint ficta expediunt; non enifn
videbatur consentaneum quaerere me in eo verbo
quod finxisset Ennius causam, neglegere quod
.inte rex Latinus finxisset, quom poticis multis
verbis magis delecter quam uiar, antiquis magis
utar quam delecter. An non potius meo verba illa
quae hereditate a Romulo rege vcoenmL q^am
quae a poeta Livio relicta f
10. Igitur, quoniam in hnec lunt tripartita
verba, quae sunt aut nostra aut aliena aut obli
via; de nostris dicam cur sint, de alienis unde
sint, de obliviis relinquam. Quorum partim quo
ita invenerim, * partim quo * ita opiner scribam.
Ili hoc libro dioain de vocabulis locorum et quae
in hia sunt; in secundo de temporum et quae in
Ilis fiunt; in tertio de utraque re a poetis com
prehensa.
1 1. Pythagoras Samius ait omnium rerum ini
tia esse bina, ut finitum et infinitum, bonum et
iiialuro, vitam et mortem, diem et noctem. Quare
i lem duo, status et motus: quod stat aut agitatur,
nupus; ubi agitatur, locus; dum agitatur, tem
pus; quod est in agitatu, actio. Quadripartitio
magis sic apparebit : corpus est ut cursor ; locus
stadium qua currit; tempus hora qua currit;
actio cursio.
la. Quare fit ut ideo fere omnia sint quadri*-
partita, et ea aeterna ; quod neque unquam tem
pus quin fuerit motus, eius enim intervallum ten^-
pus ; neque motus ubi non locus et corpus, quod
alterum est quod movetur, alterum ubi ; neque
ubi id agitatur, non actio ibi. Igitur initiorum
quadrigae : locus et cofpus, tempus ct actio.
i 3. Quare, quod quatuor genera prima re
rum, totidem verborum ; hocuiuiam de binii, lo-
cia et iis rebus quae in his videntur, in hoc libro
summatim ponam. Sedqoa cognatio eius erit ver-
sofia, incominciando a spiegare quelle alMM pa
role che sono nel comune uso ; per esempio, onde
vengano oppidum^ ificus^ via. Il quarto grado
quello per cui entrasi ne' principii stessi delle
cose. Che se io non vi potr giungere, cercher
almeno opinion pi probabile; come fa talvolta
il medico, quando siam malati anche nel latto
della nostra salute.
0. A ogni modo, s io non toccher il sommo
grado, patter almeno il secondo, perch ho ve
gliato alla lucerna, non pur d'Aristofane, ma
eziandio di Cleante. Ho voluto entrare innanzi a
coloro che spiegano come sian fatte alcune voci
de* poeti, e non vanno pi l ; poich parevami
contraddizione cercare il perch d un vottbolo
fatto da Ennio, e non curar quelli ch^avea fatto
avanti il re Latino ; tanto pi che molle voci
poetiche ion pi d'ornamento che d^uso, e le
antiche in vece pi d'uso che d'ornamento. Non
fono forse pi mie quelle parole che mi vennero
in erediti da Bomolo re, che le lasciate dal poeta
Livio?
IO. E poich distinguonsi tre n^aniere d voci,
nostrali, straniere e divezze; delle nostrali dir
il perch, delle straniere indicher l'origine, del
le divezze lascier stare. E queste cose verr
scrvendo, parte perch cosi ho trovato in altri,
e parte perch cosi credo io. in questo libro apor-
r i nomi de' luoghi e di ci eh' io essi ; net
secondo i nomi de'tempi e di ci che avviene
ne'tempi; nel terzo d'ambe le cose qoauto ai
poeti.
t f . Pittagora di Samo dice che doppii sono t
principii di tutte le cose, come finito e infinito,
bene e male, vita e morte, giorno e noUe. Cos
dicasi di stato e moto ; ne' quali pu considerarsi
la cosa che sta o muovesi, cio il corpo ; il dqve^
cio il luogo ; il quando, cio il tempo ; il fatto
del muoversi, cio azione. Questa divisione ap
parir meglio cos : il corpo, a cagion d'esem
pio, nelle cone il corridore ; il luogo, lo stadio
per coi corre ; il tempo, l ' ora in cui corre ; a-
zione, il correre.
la. Da ci viene che quasi tutte le cose sono
quadripartite ed eterne ; perch non vi pot mai
esser tempo senza che vi fosse moto, non easen^
do il tempo che l'intervallo del moto; n vi pot
mai esser moto senza che vi fosse luogo e corpo,
essendo uno il subietto, altro il dove del muo
versi ; n vi pu non essere azione dov' corpo
che mnovexi. I principii delle cose formano adun
que due coppie, luogo e corpo, tempo ed azione.
1 3. E poich quattro debbono essere i sommi
generi, come delle cose, cos anche delle parole ;
di due fra questi, cio de' luoghi e degli oggetti
che vi si veggono^ tratter soonneramentc nel
ftl. TEKfcNTl VARRONIS
bi qote radices egerit extra fiues suas, perseque-
mur ; SMpe enim ad limitem rborii radicet sub
ficiiii pr<xlierDnt segetem. Quire noo^ qoom de
locis dcaro^ si ab agro ad agrosum hominem, ad
agricolam perrenero, aberraro. Multa societas
TcrboruiD ; nec ' siae uino expediri, nec
curia Caimbra mnn calatione potest aperiri.
11. 14. Incipiam de locis ab ipsius !oci origi
ne. Locus est, ubi locatum quid esse potest. Ut
nane dicunt conlocatum, veteres id dicere solitos
apparet, apud Plautum :
Filiam habeo grandem cassam dote at^ue in-
iocahilem^
Ifeque eam queo locare quoiquam ;
apad Enniam :
O terra Threea^ uti Liberi fanum indutum
Maro iocavi,
i 5. Ubi quidqoe consistit, locas : ab eo prae
eo dicitur locare ; qood osque id emit, quoad in
aliquo consistit pretium. Ind locarium quod da
tor in ftabalo et taberna ubi consistant. Sic loci
muliebres^ abi nascendi initia consistunt.
III. i 6. Ii06i natdrae tecondum antiquam di-
isiooeoi prima duo, caelum et terra ; deinde par-
ticulatim atriasque multa. Caeli dicantur loca
supera, et ea deorum ; terrae loca iafera, ct ea
hominam. Ut Asia, sic caelum dicitur modis duo
bus: nam et Asia quae non Europa, in qua etiam
Syria ; et Asia dicitur prioris pars Asiae, in qua
est Ionia ac provincia nostra.
17. SSc cadum et pars elns, sommum nbi stel
lae, et id qaod Pacuvius quom demonstrat, dicit :
Hoc vide circum supraque^ quod complexa
continet
Terram ;
qaoi snbiongit :
Id quod nostri caelum memorant.
presente libro. Non mi rester tuttavia ae qualche
parola sar trascorsa con le tue radici a Ikr messa
di l da questi termini $ siccome accade spesse
volte degli arbori posti ne* confini che viaggiano
con le radici sotto le messi del vicino. Non $ar
adunque un uscire di via se, parlando de' luoj^hf**'
da ager^ che vale quanto dir campo, verr ad jft'
grosus cio ricco di campi, e ad agricola. Largo
il parentndo d#i vocaboli ; n pu spiegarsi Vi-
nalia senza vinum^ n curia Calabra senxa ca
latio,
IT. 14. Trattando de^ luoghi, comincier dal-
origine dello stesso nome locus^ cio luogo. Fu
cosi chiamato dal potervisi locare alcun che;
poich a quel modo che dicesi ora conlocnte^\
antichi usavano dir locare. Lo troviamo in Plauto
ove dice :
f
C a ^ a i
figlia gi grande, tenia dote,
irtito ; n trovar so alcuno,
[arb per moglie ;
e presso Ennio in questo passo :
O tracia terra, dov* io Maro illnstre
Tempio a Bacco locai.
i 5. Come il luogo quello dove si ferma la
cosa, cosi locare^ o allogare, s detto anche dei
banditori ; perch negl incanti si fanno essi com
pratori, finch altri vi dice sopra ed in lui fermasi
il prezzo. Quindi locarium lo stallaggio o fitto
che pagasi per la fermata ; e loci si dicono nelle
donne quelle parti dove si ferma il seme.
. 16. 1 luoghi della natura, secondo la pri
ma e pi generai divisione, son due, ctelo e terra :
havvene poi molli partitamente neiruno e nell'al
tro. Caeli si dicono i luoghi di sopra, proprii dei
numi ; terra gr inferiori, ptoprii degli nomini.
Ma il nome di caelum^ come quello d Asia s'usa
in due aensi ; perocch tanto dicesi Asia per tutta
quella terra che non Europa e comprende an
che la Siria, quanto per noa parte di essa, dov'
Ionia e la nostra provincia.
17. Coti cielo tanto una parte di esso, cio
la sommit dove sono le steDe, quanto tutto ci
cbe intende Pacuvio cos additandolo :
...................... Questo contempla
Cbe aopra e intorno, e in s la terra abbraccia,
e soggiungendo poi :
Ciclo il chiamano i nostri.
DE LINGUA LATINA LIB^V. to
A ffio ktparUla cltisl^M Locfins Boorura unius
et vigilili librorum InUiom fedi hoc :
Aetheris et terrae genitabile quaerere tempus.
18. Caelum dielam tcribil Aeltos, qaod est
GteUlum ; atti, coiitrario nomine, celaium, quod
afierlum est. Non male; qnod posterius mullo
potius a caelo, qonm cielum a caelando. Sed non
mino iliad alterum dft celando potuit dici, quod
interdie celatur, quaro quod noclu non celatur.
*19. Omnino ego magia pntoa C/ieorAovm, *
hinc cavum * et hinc caelum ; quoniam, ut dixi,
itoc circum supraque^ complexu continet
terram cavum caelum. Itaque didt Andromacha
NocU:
Quae tava caeli signitenentibus conficis bigis ;
el Agamemnon:
in altisono caeli clipeo^
eatiim enim diprum ; et Ennlui ile d cava-
ttooem :
caeH ingentes fornices
ao. Quare, ut a caYo ca^^ea et caullae^ el con-
vallis cjiTata Tallii ; et caelum a cavatione : at
cavum sit ortum, onde omnia apad Heaiodom,
a Chao ; a cavo caelum.
IV. aI. Terra dicta ab eo, at AelSos scribit,
quod teritur; itaque terra in Aogurum libris
cripta cum K ano. Ab eo colonis locas commu
nis qui prope oppidam relinquitur, territorium^
quod maxime ieritar ; hinc linteam, qaod teri
tur ;corpore* extermentarium ; hinc In messi
tritmra^ qaod tam framentam teritur, et tri^o
Aim, qoi teritor ; bine fine grorom termini^
qaod eat parteis propter limitare iter maxume
terantur ; itaqae bine, quod is in Latio aliquot
l odf dicitur, at apad Acciam, non terminas sed
termen, hinc Graeoi qaoqae T^f/ueve : pote tcI
illino ; ETaoder enim, qui io Palatiam venit, e
Graecia Arcss.
Secondo questa bipartite divisione cominci Lu
cilio i suoi ventun libri a questo modo :
Delia terra e dell' eira il genitale
Tempo indagar.
18. Caelum fu dello, seCndoch scrive Elio,
quasi caelatm^ per essere fregiato di stelle; o
veramente, con nome contrario, per esser chiaro
ed aperto, cio non celato. Meglio la seconda co
sa ; perch' asMi pi probabile che venga caelare
da caelumj anzich opposto. Ma quauto al per
ch deir altra origine, pu dirsi ugualmente che
siasi nominato cielo da celare^ perch si cela di
giorno, quanto perch non si cela di notte.
19. A ogni modo io credo piuttosto che da
Chaos siasi fatto chous e cavus e caelum ; per
ch il cielo ; come ho detto, questa griin cavit
che sopra e intorno e in s la terra abbraccia.
Ond* che Andromaca dke alla Nolte:
1 u che il concavo ciel con la stellala
Biga misuri ;
ed Agamennone t
NeHo scado del cielo allisonaute;
ove dalla sua forma detto scudo per cavil;
cui parimente accenna Ennio, scrivendo :
La gran volta del ciclo.
ao. Laonde, come da cavo si disse cavea la
gabbia e caullae i pecorili, e si form convallis
quasi valle cava ; cos dalla sua figura concava fu
nominato anche il cielo. Sicch da Chaos,, orif:inC
secondo Esiodo di tutte le cose, si fece ca^us^ e
da questo caelum.
IV. ai. La /erra, scrive Elio, fu cosi della da
terere^ cio logorare ; e per ne libri degli Au
guri sta scritta con un solo R. Dalla stessa origine
si chiam territorium,^ come il pi battalo, qiel
luogo che si lascia a comune uso presso la citt \
ed extermentarium 11 lenzuolo, perch logoro
dal corpo ; e nella messe si chiam tritura il treb
biare, perch vi si batte il fWimento, e trivolum
la trebbia, perch con tsu si batte. Dalla stessa
origine si son detti termini i confini de campi,
perch quella parte la pi battuta, essendo ivi
il tragel to. E poich in alcuni luoghi del I^zio
non si dice terminus^ ma termen^ com pure io
Accio ; anche i Greci ne h^nno fatto 4^.
Quantunque potrebb esser opposto, che i i a l i
ni V avessero preso dai Greci ; perch Evandro,
che venne a slanzbre nel Pallino, era greco
d Arcadia.
11 . TEEENTl VARRONIS
aa. Fioy sicut ifer, qnod ea Tehenclo tcritar,
iler ilu. Aetusy qaod agendo teritur. Eliam am-
hitus est quod circameando teritur ; nam ambi
tus circuiluf, ab eoque xii Tabularum interpre
tes ambitus parietis circuitum esse describunt.
Igilur tera itrra^ et ab eo poetae appellarunt
summa terrae, quae sola teri possunt, sola terrae.
a3. Terra, ot putant, eadem et humus ; ideo
Ennium in terram cadentis dicere :
cubitis pinsibant Immum ;
et quod terni stt humus, ideo is humatus mor
tuus qui terra obrutus. Ab eo, quom Romanus
combustus est, si in sepulcrum eius abiecta gleba
noo est ; aut si os exceptum est mortui ad fami
liam purgandam, donec in purgando humo est
opertus ( ut Pontifices dicunt, quoad inhumatus
sit)y familia funesta manet. Et dicitur humilior
qui ad humum demissior, infimus humillimus^
quod ia mundo infima humus.
Humor hinc ; itaque ideo Lucilius :
Terra abit in nimbos imbrtmque ;
Pacuvius :
terra exhalat auram at que auroram hu-
midam^
humectam. Hinc ager uliginosus humidissimus ;
hinc udus uvidus ; hinc sudor^ quod fluit * deor
sum in terram.
a5. Unde sumi p o t e , n i s i potius quod
f Aeolis dicebant, ut morafiv *, sic
a potu, non ut nunc A puteis op
pidum Puteoli^ quod incircum eum locum aquae
frigidae et caldae multae ; nisi a putore potius,
quod putidus odor i^i laepe ex sulphure et alu
mine. Extra oppida a puteis /wfico//,* quod ibi
in puteis obruebantur homines; nisi potius, ut
Aelius, scribit, putieulae^ quod putescebant ibi
cadavera proiccta. Qui locus publicus ultra Ex-
qniliai ; itaque eum Afranius subluculos * in to
gata appellat, quod inde suspiciunt perpetuo
lamen.
aa. Tanto via che iter si son posi detti dal-
esser battuti, quella per veicoli, questa per gite.
Cosi actus chiamossi la carreggiata 4le campi da
agere^ trasportare, perch IjattuU da traini. An
che ambitus quella linea che resta battuta dal-
rire intorno; perch vale in fatto circuito, e
per gP interpreti delle Dodici Tavole dichiarano
che per ambitus parietis vi si ha ad intendere
il sentiero intorno alla casa. Terra adunque
quasi fera, cio trita ; e i poeti ne dissero xo/tim,
cio suolo, la superficie, perrh'* la sola che si
pu battere.
aS. La terra, per ci che s avvisano, fu detta
anche humus. Allegano Ennio, il quale os que
sta voce descrivendo i cadenti.
Che percotean col gomito la terra :
n dircbbesi humatus il morto quando sotter
rato, se humus non valesse quanto a dir terra.
Anche pei Romani che bruciansi, se non s' git
tata la zolla sopra il sepolcro, o se fu riservato
un osso del morto per purgar la famiglia; in
ambedue questi casi i Pontefici, dichiarando con
taminata la famiglia finch queir avanzo del mor
to non sia coperto con la terra nel rito di purga
zione, si valgono della formola quoad inhumatus
sit. Per questo exiandio si dice humilior chi
pi depresso a terra, e humillimus infimo;
perch la terra la pi bassa parte del mondo.
a4- Di qua viene humor^ cio umore ; onde
Lucilio :
S ' assottiglia la terra in nebbia e pioggia ;
e Pacuvio :
Manda nebbia la terra, c i matutini
Vaport esala.
Di qua campo uliginoso^ cio umidissimo; di
qua'tf(/iij, o uvidus, cio bagnato; di qua sudor^
perch* umore che va gi verao terra.
a9. Dal potervi attignere fu^cTf puUftsW
pozzo; o piuttosto da ci che gli Eoli,com^hia4
mavaoo ^ non rere^oV, il fiume, cosi*
diceano vc^sov, dal bere,, quello cb^ora dicono
fSf> cio pozzo. Da' pozzi ebbe ii nome la citt
di Pozzuoli, perch intorno ad essa v' han molte
acque e fredde e calde ; se per non vogliasi no
mata in vece del puzzo, che v' frequente, di
zolfo e d* allume. Da' pozzi trassero pure il nome
que che si dicon puticoli fuori delle citt ; per
che ivi entro a pozzi si seppellivano gli uomf \
Potrebbero per altro dirsi puticulae^ come scri
ve Elio, per ci che vi si gettavano i cadaveri a
la
i3
2G. Lacus lacuna muglia, ubi aqua contineri
potest. Palus paululuin aquae in altitudinem, et
palam latius diiiusae. Stagnum a Graeco ariyvov,
quod non habet rimam : hinc ad villas rotunda
stagna, quod roluudum iacillirae continet, anguli
maxime laborant.
37. Fluvius^ quod floit ; item flumen : quo
kg praediorum urbanorum scribitur :
impuzzolire. In Roma tono essi iin luogo pubbli
co di l dalT Esqaili ; onde Afratiio nella sua
togata li dice suhuculi^ perch hanno sempre il
In me dall' alto.
a6. Lacus fu detto il lago, pcrch' una gran
de laguna^ cio cavit, atta tener l'acqua;
palus la palade> o da paululum per la poca al
tezza deir acqua, o da palam perch spandesi in
saperBcie ; e stagnum fu chiamato lo stagno dal
greco crtyf^ otturato, perch non ha a[>erture :
onde nelle ville gli stagni si fan rotondi, per ci
che il tondo tien meglio e gli angoli pi di leg>
gieri fan pelo.
27. Fluvius chiamossi il fiume da fluere^ cio
scorrere ; cos anche flumen. Onde nella legge
de' fondi urbani sta scritto :
pL LINGUA lATlNA LIB. V. 14
Stillicidia flumina^e ut fluant ita cadaniqut^
Inter haec hoc interest, quod stillicidium eo
quod stillatim cadat; flumen^ quod iluit con
tinue.
a8. Amnis id flumen quod circuit aliquid;
nam ab ambitu amnis. Ab hoc qui circum Atcr-
num habitant, Amiternini appellati ; ab eo qui
populum candidatus circum it, amlit; et qui ali-
ter facit, indagabili -j- ex ambilu causam dicit.
Itaque Tiberis amnis^ quod ambit Martium
rampum et Urbem. Oppidum Interamna diclum,
quod inter amnis esi constitutum ; item Anlem
quod ante amnis, qua Anio influit in Tibe
rim : quod bello male acceptum consenuit.
29. Tiberis quod caput extra Latium, si inde
nomen quoque exfluit in linguam nostram, nihil
d 46\^ latinum ; ut, quod oritur ex
Samnio, Volturnus nihil ad lalinam linguam.
At quod proxumum oppidum ab eo secundum
mare, Volturnum ^ut ad nos iam ut latinum
vocabulum ; ita Tiberinus nostrum : et colonia
enim nostra Volturnum, et deus Tiberinus.
3o. Sed de Tiberis nomine anceps historia ;
nam sunm Etruria, et Latium suum esse credit ;
quod fuerunt qui ab Thebri vicino regulo Vc-
ientum dixerunt appellatum primo Thebrim ;
sunt qui Tiberim priscum nomen latinum Albu
lam vocitatum literis tradiderunt, posterius pro
pter Tiberinum regem Latinorum mutatum, quod
ibi interierit, nam hoc eius ut tradunt sepulcrum.
VL 3i. Ut omnis natura in caelum et terram
divisa est, sic caeli regionibus terra in Asiam et
Europam; Asia enim iacet'ad meridiem et aa-
Grondaie e flumifluiscano cadano come
fanno ora.
Fra stillicidium^ cio grondaia, eflumtn^\2i dif
ferenza qtiesta, che il primo cos detto dal
cadere a stille, Tnltro dal fluire alla distesa.
28. Amnis fiume che inlomia un qualche
luogo ; perch cos detto da una particeli che
signiHrn intorno. Perci quelli eh'abitano intor
no airAlcrno si chiamarono Amiternini; e si
dice ambire il candidalo che va bucherando at
torno, e chi rompe cos la legge fatto reo d
ambito. Quindi il nome di amnis si d anche ai
Tevere, perch gira il campo Marzio e la ctll.
Da amnis fu denominala la citt Interamna^
perch* posta intra fiumi ; ed Antemnae^ perch
giaceva davanti a due fiumi, dovei' Aniene metto
nel Tevere ; ora mal condolta dalla guerra ruin.
39. Stante che il Tevere ha la sua origine
fuori del Lazio, se di l viene anche il nome nella
nostra favella, non ha che fare col latino etiraolo>
go; come non appartiene alla lingua latina il
Volturno^ per ci che nasce dal Snnio. Pure a
quel modo che anche Volturno spelta a noi come
vocabol latino, in qoanto nome di citl posta
ivi presso lungo il mare ; coai pur Tiberinus e
voce nostra ; perocch Tollurno una nostra co-
fonia, e Tiberino un nostro dio.
3o. Ma su '1 nome Tiberis ambgua la sto
ria ; oh Etruria il vuol suo, e suo lo vuole an
che il Lazio. Poich v' ebbe chi il disse chiamato
da prima Thebris da un signorotto de'Veienti
ivi presso dello stesso nome ; e V ebbe in vece
chi lasci scritto che antico nome latino del fiu
me Tevere fu Albula,, e s ' poi mutato nell'al
tro, perch vi mor Tiberino re de Lvtini^ onde
questo fiume come dicono il suo sepolcro.
VI. 3i. Come universo dividesi in cielo e
terra, CU8 dalle plaghe celesti la terra c distinta
iu Asia cd Europa ; perch Asia quella parte
i5
. TERETI ViKfiQNlS
9lrum, Enippa ad sqplcnilrioDa ct aquilonem.
Asia dicta a Nympha,,a qua ellii|>eto Iradilur
Prometheui. Europa ab Europa A genor ig, quam
ex Phoenice Mallius scribit taurum exporlasie;
quorum egregiam imaginem ex aere Pythagoras
Tarnti fecit.
33. Europae loca multae incolunt nationes.
Ea fere nominata aut translaticio nomine ab ho-
Boinibus ul Sabini et Lucani^ aut declinato ab
homiuibus ut Appulia et Latium : utrumque ut
Etruria et Tusci, Qua regnum ftiit Latini, uni
versus ager dictus Latium^ particulatim oppidis
cognominatus, ut a Praeneste Praenestinus^ ab
Aricia Aricinus
33. Ut nostri Augures publicf disserunt, agro
rum sunt geoera quinque, Romanus, Gabinus,
Peregrinus, Hosticus, inoertu. Romanus dictus,
unde Roma, ab Romulo. Gabinus ab oppido Ga-
Lis. Peregrinus ager pacatus qui extra Roma
ui|ia et Gabinum, quod uno modo in his ferun
tur auspicia. Dictus peregrinos a pergendo, id
est a progrediendo; eo enim ex agro Romano
primom progrediebantur. Quo circa Gabious
quoque peregrinus: sed, quod auspicia habet sin
gularia, ab reliquo discretu. Hosticus dictus ab
hosiibus. Incertus ia ager, qui de his quatuor
qui ait jgooralur.
34. Ager dictas in quam terram quid age
bant, et onde quid agebant fractus causa: alii
quod id Graeci dicoot Ut ager qno agi
poterat, sic qua agi acius. Eius finis miaimua
eonstitutuf in latitodinem pedet quatoor, fortas-
fe II ab eo quatoor qood ea quadrupes agitur ;
ia loBgitudioem pedei czx ; io quadratum actura
et latum et longum ease oxx. Multa autiqoi duo-
deoario oumero foieroot, ut u i decoriia actum.
Sb. lugerum diotom iunctis duobus actibus
quadratis. Centuria primo a oentum iugeribus
4ieta; poft duplicata retinuit nomen, ut tribus
tDolliplicatae idem tenent nomen. Ut qoa age-t
baot, actos ; sic qui Tehebant, viae dictae ; quo
frocCos^cooTehebintor, villae ; qoa ibant, ab ito
iferappellarunt} qoa idanguste^ semita otife-
miter dicta.
che stendesi a mezaodi t*d ostro, Eumpa quella
che giace a settentrione e tramontano. Cbiamossi
Asia la prima da una ninfa, la qtialc voce che
di Giapctu generasse Prometeo ; ed Europa Pal-
tra da Europa figlia d* Agenore che di Fenicia
fu qua portata da un toro, come scrife Blallio e
fu egregiamente figurato io bronzo da Pittagora
in Taranto.
32.1 luoghi d'Kiiropa, come son lenuli da
Tarii popoli, si sono anche per lo pi chiamali o
col nome stesso del loro popolo, come Sabini e
Lucani^ o con un nome tratto da quello come
Appulia e Latium^ o talrofta ancora in ambedue
le maniere oome Etruria e Tusci. Tatto quel
paese, in cu re^o fiatino, a' detto gtotralraen*
te Latium : in particolare poi rice?ette qua e l
arii nomi dalle sue varie castella : come ager
Praenestinus da Preoeste, Aricinus da Arici.
33. V'han cinque sorta di territorii, secondo-
che divisano i pubblici auguri, romano, gabino,
peregrino, ostile, ed incerto. 11 romano ebbe il
nome donde il prese Roma, cio da Romolo ; il
gabino dalla citt di Gabio. 11 peregrino terri
torio soggettato oltre i termini del romano e del
gabino ; che quanto al modo di pigliare gli au
spicii, in questi due il medesimo. Fu detto pe
regrino da pergere^ cio innoltrarsi, perch pri
mo ofi'rivasi a chi andava pi l dal territorio
romano. Vero che per questo rispetto dovrebbe
comprendere anche il gabino; ma ne fu separato
per la diversit degli auspicii. L ostile fu cosi
detto d a c i o nemico; Vincerlo^ dall'i-
gnorarsi a quale degli altri quattro sppartenga.
34* Ager si nom, da agere cio condurre,
quel terreno, dove e donde si conduceva alcun
che per cagion di frullo : allri il vuole dal greco
che vale il medesimo. Come ager si disse,
quello, in cui conducevasi ; cosi actus si chiam
lo spazio, per cui poteva condursi. V alto mini
mo fu slabilito di quattro piedi in largo ( forse
qualtiro perch vi si menan quadrupedi) e di
cento e venti in lungo ; il quadro poi, di cento e
venti si.in largo che in lungo. Parecchie cose gli
antichi han determinato pe> dozzine ; e cosi fe
cero neir atto che stabilirono di dieci dozzine.
35. Il giugero fu cos dello, perch' due atti
quadri congiunti ; e la centuria^ perch da prima
era cento giugeri, poi raddoppiata ritenne l'an
tico nome, siccome accadde delle trib non ostan
te il moltiplicarsi che fecero. A quel modo che
dal condurre si nom atto ; cosi da vekere^
cio trasportare, ai dissero vie quelle per cui tras
por tavansi, e ville i luoghi in cui trasportavansi i
frulli ; cosi da ire ai chiam iter il calle per cui
caoiminavasi ; e S4mita^ quasi umit^ cio loez-
zu calle, uo sentiero suelto.
iC
*7
DE LINGUA LATJ NA IJ B. V. i8
36. Ager cultas ab co qaoJ ibi cum terra se
mina coalcflcebaut, ut iaconsitus incultus* Quod
pi'iroum ex agro plano fructus capiebant, cam
pus dictus. Posteaquam proxima superiora loca
colere coeperunt, a colendo colles appellarunt.
Quos agros non colebant propter silvas aut id
genus ubi pecus posset pasci, et possidebant ab
usu suo, nominarunt. Uacc etiam Graeci
ro/uflii, nostri nemora.
3;. Ager, quod videbatur pecudum ac pecu
niae esse fundamentum,y<//i</Kf dictus ; aut quod
fundit qaotqiiotannis multa. Vintta ac vineae
a vile multa, f^itis a pmo, id a vi ; hinc vinde
mia^ quod est vinidemia aut vitidemia. Seges ab
satu, id est semine. Semen quod non plene id
quod inde ; hinc seminaria^ sementem^ item alia.
Quod segetes hrxxiiU fruges ; fruendo fructus ;
ab spe spicae : ubi et culmi, quod in summo
campo nascuntur, et summum culmen.
38. Dbi frumenta secta, ut terantur et are
scant, area. Propter horum similitodinem in urbe
loca pura areae: a quo potest etiam ara deuro,
quod pura; nisi potius ab ardore, ad quem ut
sit, (it ara : a quo ipso area non abest, quod qui
arefacit ardor est solis.
39. Ager restibilis qui restituitur ac reseritur
quotquotannis ; contra qui intermittitur, a no
vando nopalis. Ager arvus et arationes ab aran-
lo ; ab co quod aratri vomer sustulit, sulcus;
quo ea terra iacta, id est proiecta, porca.
40. Prata dicta ab eo quod sine opere pard-
ta. Quod in agri^ quotquotannis rursum facienda
eadem, ut rursum capias fructus, appellata rmra.
Dissidet in eo, quod scribit Sulpicius plebei rura
largita ad arandum. Praedia dicta, item uiprae-
des^ a praestando, quod ea pignore data publice
mancupis fdem praestent.
nunc est Roma, Septimontium
3 1 . T k b . V a i i o h e , d e l l a l i k g d a l a t u t a .
36. ^ger cultus si chiam il terreno coltivatOi
perch crescevano ivi le sententi nutrite ^alU
terra, ci che iicesl coalescere ; come per op
posito il terreno noo seminato fa detto ager in
cultus. Da capere, che vale pigliare, si pose alle
pianure il nome di campii perch furon le prime ;
da cui si pigliasse frutto ; e dopoch si tolsero :
coltivare anche le alture vicine, queste da colere !
si dissero colli. Que* terreni poi che non si colti- '
avano perch selvosi o di natura buona da pa
scolo, e s possedevano solo pel proprio coosuroo,
si denominarono saltus Diconsi anche dai
G reci, e nemora dai Latini.
37. Chiamossi fondo il terreno, perch pare
il fondamento de* greggi e dell ricchexza, o per
ch fonde^ cio spande, ogni anno tante cose. Fi
gneto e vigna dalle molte viti ; vite da vino |
vino da vis^cio forza : quindi vindemia o, come
ora diciamo, vendemmia^ quasi vinidemia^ o v^
tidemia^ cio toglimento del vino o spogliatur
delle viti. Seges si chiam il seminato da serere^
cio seminare; e semen la semenza dall'esser
meno di ci che rende : quindi seminarium il
semenzaio, sementis la seminagione, e via via.
O^ferre che vai produrre, ci che i seminali
producono fu detto fruges ; e dal fruire si nomi
n il frutto; e dalla speranza la spica;e culmus
(poich fa anch''esso a questo luogo ) si chiam
il gambo, perch fa colmo al terreno.
38. Jrea fu della Taia, perch dove mettesi
a trebbiare e inaridire il frumento dopo segato;
e per somiglianza si dilat questo nome alle spia
nate nelle citt. Forse ne vennero anche, come
rinelte, le are degli dei : senonch par meglio
dair ardere, al qual uso si fanno ; e da questa ori
gine non sarebbe lontano nemmeno area, perch
quello che vi secca il grano ardore del sole.
39. Restibilis si disse il campo che resta sati
vo e si risemina ogni anno ; quello alP incontro
cui si d riposo, dal rinovarsi detto novalis.
^4ger arvus cio campi sativi, ed arationes cio
terre arabili date dal comune a dedma, son dal-
arare; sulcus dal levar via, perch il vano
fatto dal vomere; porca da proiicere^ perch'
aiuola in cui si getta la terra levata dal solco.
40. Prata si dissero dall' esser parali senza
lavoro : rura da rursum^ perch ogni anno vi s
debbon fare di nuovo le stesse cose, chi ne voglia
di nuovo i frulli ; bench dissente Sulpicio, il
quale scrive che rura si son chiamale da arare
le terre salive date alla plebe. Come praedes
que'che stanno per altri co' loro fondi, cosprae
dia si son detli i fon<li da pratstare^ perch dati
in ipotc<< stanno sicurt al pubblico per la fede
l ^el compratore.
V. 4i* lliuogo dove ora c Uoma, si dicea
a
*9
. TERti l Tl VARRONIS
noiDiiialum ab tot montibus, qaos poaiea urbs
ranvis comprehendit. L quis Capitolium diclum,
quod hic, quom fundamenta foderentur aedis
lovis> capot humanum dicitur inventum. Hic
mons ante Tarpeius dictus a virgine Vestale
Tarpeia, quae ibi ab Sabinis necata armis et se-
pulta ; quoius nominis monimentum relictum,
qood etiam nunc eius rupes Tarpeium appellatur
saxum.
4a Hunc""antea montem Saturnium appella
tum prodiderunt, et ah eo late Saturniam ter
ram, ut etiam Ennius appellat. Antiquum oppi
dum in hoc fuisse Sa/ur/iia scribitur. Eius vesti
gia etiam nunc manent tria : quod Saturni fanum
in faucibus ; quod Saturnia porta, quam lunius
scribit, ibi, quam nunc vocant Pandanam ; quod
'posi adem Saturni in aedificiorum legibus pri
vatis parietes postici muri sunt scripti.
43. Jventinum aliquot de causis dicuut. Nae
vius ab avibus, quod eo se ab Tiberi ferrent
ave ; alii ab rege Aventino Albano, quod ibi sit
sepultus; alii adventinum ab adventu hominum,
quod commune Latinorum ibi Dianae templum
sit constitutum. Ego maxume puto quod ab ad
vectu ; nam olim paludibus mons erat ab reliquis
disclusus, itaque eo ex urbe advehebantur rati
bus : quoius vestigia, quod ea, qua itum, dicitur
Velabrum ; et, unde escendebant, ad infumam
novam viam locus sacellum Vtlahrum.
44 Vtlahrum^ vehendo. Velaturam facere
etiam nunc dicuntur qui id mdrcede faciunt.
Merces ( dicitnr a merendo et aere ) huic vectu
rae, qui ratibus transibant, quadrans ; ab eo Lu-
ciHus fcripsit :
Quadrantis ratiti.
Vlll. 4^ Reliqua Urbis loca olim discreta,
quom Argeorum sacraria in septem et xx partis
urbis sunt disposita. Argeos dictos putant a prin
cipibus, qui cum Hercule Argivo venere Romam
et in Saturnia subsederunt, E quis prima est
scripta regio Suburaua, secunda Exquilina, tertia
Collina, quarta Palatina.
46. In Suburanae regionis parie princeps est
Caelius mons, a Caelio Vibenno Tusco duce no
bili, qui cum sua manu dicitur Romulo venisse
auxilio contra Tatium regem ; hinc posi Caelii
mortem, quod nimis munita loca tenerent nequc^
sine suspicione essent, deducti dicuntur in pia-
Septimontium pei sette colli che furono poi com
presi dentro alle mura della citt. P'ra questi il
Capitolium^ o Campidoglio, prese il nome da un
capo umano che vi si dice trovato nello scavare i
fondamenti pel tempio di Giove. S ' addomandava
prima Tarpeo da Tarpea vestale, che fu ivi da Sa
bini uccisa con gli scudi e sepolta ; del quale an
tico nome di esso monte rimane ancora questo
ricordo che la rupe vi si chiama sasso Tarpeo.
4a. Prima d' allora voce che questo monte
fosse detto Saturnio^ e comunicasse per ampio
tratto al paese il nome di Saturnio^ qual e chia
mato anche da Ennio. Scrivono che in antico fosse
ivi un castello, di nome Saturnia : ne restano
ancora itt indizila cio il tempio di Saturno al-
imboccatura, essere stata ivi la porta Saturnia
ricordata da Giunio, detta ora Pandana ; e il tro
var chiamati, nelle leggi su i privati edificii, muri
postici^ cio mura di dietro, le pareli delle case
che son dopo il tempio di Saturno.
43. Del nome A ventino dan pi ragioni. Ne
vio il vuole da asfiSy uccello, perch vi si andas
sero a posar gli uccelli dal Tevere ; allri da Aven-i
lino re d Alba che dicono ivi sepolto ; altri, quas?
adventinus^ dal trarvi della gente al tempio di
Diana comune ai Latini, ivi costruito, lo il credo
piuttosto da ady^ehere^ tragittare ; perch una pa
lude lo segregava un tempo dagli altri colli, onde
dalla cill vi si tragittava sopra travate. Ne rima
ne ancora questa traccia, che il luogo, per cui vi
li andava, dello Velabro^ e in fondo alla via
nuova, dove cominciava ascesa, la cappella
Velabra.
44. Velabro in fatti da vehere^ trasporta
re ; onde si dice anche oggid velaturam facere
chi trasporta a mercede ; il qual nome di merce
de da merere, guadagnare, e da aes^ danaro.
E perch chi passava su la travata, la mercede per
questo tragitto era un quadrante ; pen:i scrisse
Lucilio :
Quadrantis ratiti,
Vlll. 45. Il resto della citt fu diviso in part
sino ab antico, quando si distribuirono per ven
tisette luoghi della citt i sacrarii degli Argei.
ArgeiW credon chiamati dai principali fra que che
vennero a Roma con Ercole Argivo e fecero stan
za in Saturnia. Nella descrizione di que'luoghi
posto primo il quartiere Suburano, secondo V E-
squilino, terzo il Collino, quarto il Palatino.
4 6 . lo capo del quarlier Suburano il monte
Ce/io, il qual ebbe il nome da Celio Vibenno,
nobile c-apilano Etrusco, che dicesi venuto con
la sua gente in soccorso di Romolo contro re
Tazio. Morto Celio, essendo i luoghi tenuti da'suoi
[> forti n essi eseoli da so.ipetlo, fama li
21 DE LINGUA LATINA LIB. V.
aa
nura. Ab eis dclas vicus Tuscus ; et ideo ibi
Vortumnuin stare, qaod is deus Etruriae prin
ceps. De Caelianis qui a suspicione liberi essent,
traductos ili euro locum, qui vocatur Caeliolus^
cum Caelio nunc coniunctum.
47. Huic iunctae ^Carinae, et iiiler eaj quem
locum Ctroliensem appellatum apparet, quod pri
mae regionis quartum sacrarium scriptum sic est :
Ceroiiensts ; quarticeps circa Minervium^ qua
e Caelio monte iter in Tabernola est.
Ceroliensis a Carinarum iuncta diclus Cari^
nae^ postea Ceroliuy quod hinc oritur caput Sa
crae Fiae ab Stretiiae sacello, quae perlinet in
Arcem, qua sacra quotquot mensibus feruntur
in Arcem,et perquam Augures ex Arce profecti
solent inaugurare. Huius Sacrae Viae pars haec
sola vulgo nola, quae ext a foro eunli primore
clivo.
48. Eidem regioni attributa Subura, quod sub
inuro terreo Carinarum: in ea est Argeorum sa
cellum sextum. Subura lunius scribit ab eo, quod
fuerit sub antiqua Urbe : quoi testimonium potest
esse, quod subest ei loco qui 1erreus Murus vo
catur. Sed ego a pago potius Succusano dictam
puto Succusam ; * quod in nota etiam * nunc scri
bitur tertia litera C, non B. Pagus Succusanus,
quod surrurrit Carinis.
49. Secundae regionis Exquiliae. Alii has
scripsere ab excubiis Regis dictas ; alii ab eo quod
excultae a rege Tullio essent ; * nlii ab aescule
tis. * Huic origini magis concinunt loca vicini,
quod ibi Lucus dicitur Facutalis^ et Larum
(Juerquetulanum sacellum, et Lucus Me/itis et
lunonis Lucinae : quorum angusti fines, iion
mirum ; ianxliu enim late avaritiae unae est.
5o. Exquiliae duo montes habiti, qood pars *
Oppius^ pars Cespeus mons suo antiquo nomine
etiam nunc in sacris appellatur. In sacris Argeo
rum scriptum est sic ;
Oppius mons ; princeps Exquiiis ouls lucum
Facutalem; sinistra t>/a secundum moe~
rum est.
tramutassero al piano ; donde il vico Tosco^ e il
trovarvisi il tempio di Vertunno, dio principale
deir Etruria. Aggiuntesi che de compAgni di
Celio, que che non diedero ombra, furono trat
tatati nel luogo che chiamato Celialo ed ora
unito col Celio.
47. A questo seguono le Carine^ ed in esse
quel luugo che troviamo dello Ceroliese^ poich
il quarto sacrario del primo quartiere disegna
lo cosi :
Nel Ceroliese^ sacrario quarto presso al tem
pio di Minen^a^ su la via che da monte
Celio va per la Tabernola,
11 Cero//exe,. siccome unito alle Carine, veniva
sotto un nome eoa esse ; ma fu poi detto Cero-
Zia, stante che ivi dalla cappella di Slrenia comin
cia la Fia Sacra^ che fa capo alla Rocca, e s'
nomata via sacra perch ogni mese vi si va in
processione alla Rocca con le sacre cose, e gli
Auguri, partendo dalla stessa Rocca, usano pi
gliarvi gli augurii. Volgarmente per Via Sacra
non %intende ora che questa sola parte ohe la
prima ascesa, venendo dal foro.
48. Al medesimo quartiere fu ascritta anche
la Subura, perch' di sotto dal lerraglo delle
Carine: in essa il sesto sacrario degli Argei. Fu
detta 5ci^Mro, scrive Giui^o, dall*esser sotto del-
aulica citt, quasi sul urbe; e fa perlui Tesser
ella eilttivamente al di sotto del terraglio, chia
mato il muro di terra. Ma io credo in vece eh ab
bia preso il nome dal borgo Succusano, e si di
cesse Succusa ; perch in abbreviatura si scrive
ancora col C, non col B, nel terzo luogo. Quel
borgo poi si chiam Sucusano da succurrere^
perch vien dietro alle Carine.
49. il secondo quartiere quel tWEsquilie.
Chi le volle da excubiae cio guardie, chi da ex
colere cio abitare ; perch ivi fece suo capo e
lenne suoi presidii re Tullio ; altri da uua selva
d'ischi. Questa origine si confa meglio coi nomi
de' luoghi vicini \ essendo l presso il Luco Fa-
cutaie che quanto dire de faggi, e la cappella
de" Lari Querquetulani quasi dicasi del quer
ceto, e il Luco di Mefite e di Giuntone Lucina,
Vero che questi luchi hanno ora angusti con
tini : ma qual maraviglia, se gi buona pezza
che Pavarizia si fa far largo da lutto ?
50. Le Esquilie abbracciavan due monti, VOp-
pio ed il Cespio ; perch ne sacri riti parte sono
distinte con 1 uno e parte con l altro nome. Nel
ceremoniale degli Argei sta scritto cos :
Monte Oppio. Sacrario primo delle Esquilie
di l dal luco FacUiale^ via a sinistra
lungo il muro.
93 . TEREHTl VARRONIS
4
Oppius mons; tertieeps cis lucum Exquili
num; dexterior via in Tabernola est.
Oppius mons; quoriiceps cis lucum Exquili
num ; via dexterior in Figulinis est.
Cespius mons ; quinticeps cis lucum Poete
lium .............. Exquilinis est,
Cespius mons ; sexticeps apud aedem lunonis
Lucinati ubi aeditumus hahere solet.
5i. Tertiae regionis colles quinque, ab deo
rum fanis appellati ; e quis nobiles duo colles. Fi~
minalis a lo?e Violino, quoi ibi arae : sunt qui,
quod ibi vimineta fuerint. Collis Quirinalis ob
Quirini fanum : sunt qui a Quiritibus, qui cum
Tatio Curibos venemnl Romam, qaod ibi ba>
buerint castra.
5a. Quod focabulum conianrtarum regionum
nomina obliteravit : dictos enim collis plureis ap
paret ex Argeorum sacrificiis, in quibus scriptum
jic est:
Collis Quirinalis ; tertieeps cis aedem Quirini,
Collis Salutaris ; quarticeps, advorsum est
Jpollinar^ cis aedem Salutis,
Collis Martialis ; quinticeps apud aedem
Deivi Fidi in delubro ubi aeditumus
habere solet.
Collis Latiaris ; sexticeps in vico Instelano
summoy apud auraculum ; aedificium
solum est.
Horum deorum arae, a quibus cognomina ha
bent, in eius regionis partibus sunt.
53. Quartae regionis Palatium^ quod Palan-
tieis cura Evandro Tcnerunt, aut quod Palatini
Aborigines cx agro Reatino, qni appellatur Pa
latium, ibi consederunt. Sed hoc a lii a Palanto
uxore Latini putarunt: eundem hunc locum a
pecore dictum putant quidam ; itaque Nuefius
Balatium appellat.
54. Huic Cermalum et Velias coniunxenint ;
quoJ io hac regione scripturo est
Cermalense quinticeps apud aedem Romuli ;
et
Feliense sexticeps in Velia apud aedem deum
Penatium.
Monte Oppio, S aerario terzo di qua dal luco
Esquilino^ via pi a destra nella Taber
nola.
Monte Oppio. Sacrario quarto di qua dal luco
Esquilino^ via de* vasai a mano destra.
Monte Cttpio. Sacrario quinto di qua dal
luco Petelio................ Esquilini.
Monte Cesplo. Sacrario sesto di presso al
tempio di Giunone Lucina^ dove suole
stare il san tese.
5i . 11terzo quartiere comprendea cinque colli
che presero il nome da' va rii dei, di cui v' erano i
tempii. I pi rinomati fra questi colli son due ;
do il Viminale cosi chiamato da Giove Armino,
di cui v'avean Tare ; ben ch'altri il Toglia da*v
mini col am macchiati ; e il Quirinale che trasse
il nome dal tempio d Quirino. V' ha per chi il
vuole da*Quiriti che vennero di Curi a Roma con
Tazio, per ci che avessero ivi il lor campo.
5a. Questo vocabolo, dilatandosi alle regioni
vicine, fe' dimenticare i lor proprii nomi. Certo
pi colli troviam nominali nei sacrifttii degli Ar
gei, dove leggesi :
Colle Quirinale. Sacrario terzo di qua dal
tempio di Quirino,
Colle Salutare. Sacrario quarto dirimpetto
al tempio d' j4pollOy di qua da quello di
Salute.
Colle Marziale. Sacrario quinto presso il tem-
pio del dio Fidio^ nel delubro dove sta
per uso il santese.
Colle Laziare, Sacrario sesto a sommo il vi
co Instelano presso V oracolo -f : fab-
brica sola.
Nelle Tane parli del detto quartiere stanno le are
di questi dei, da cui pigliano il nome.
53. Nel quartiere quarto, il Palazio s' cos
nomato da' Palanlidi che ci Tennero con Evan
dro, o deir esservisi stanziati i Palatini Aborigini
da un luogo di quel di Rieti, detto Palazio. Al
tri han creduto in vece da Palanto moglie di re
Latino ; ed alcuni il credono anche da halantes
che quanto a dir pecore, onde Nevio il dice Ba~ ^
latium,
54. Al Palazio s un il Cermalo eie Velie;
poich fra i sacrarii di questo quartiere dise
gnato come
Quinto^ il Cermalese appo la casa di Ro
molo ;
e come
Sesto^ il Feliese nella Felia appo il tempio
degV iddii Penati.
aS
DE LINGUA LAI INA LIB. V, kC
Cermalum a gertnanis Romqlo et Bemo; quoti
ad ficum ruminalem ibi ioventi, quo aqua iberna
Tiberis eos detulerat ia alveolo expositos. Vtlia
unde essent, plures accepi causas, in qnis quod
ibi pastores Palatini ex ovibus ante toosuram in
ventam vellere lanam siiit soliti, a quo vellera
dicuntur.
IX. 55. Ager Romanus primum divisus in
parteis tris, a qno tribus appellata Tatiensium,
Ramnium, Lucerum. Nominatae, ut ait Ennius,
Tatienses a 1 atio, Ramnenses a Romulo, Lu
ceres^ ut luniut, a Lucumone. Sed omnia haec
vocabula Tusca, ut Volnius, qui tragoedias Tuscas
scripsit, dicebat.
56. Ab hoc qua tuor quoque parteis Urbis tribus^
dictae ab locis Suburana^ Palatina^ Exquilina^
Collina. Quinta, quod sub Roma, Romilia : sic
reliquae triginta ab iis rebus, quibus in tribuum
libro scripsi.
X. 67. Quod ad loca, quaeque iis coniuncta
fuerunt, dixi : nunc de his quae in locis esse so
lent. Immortalia et mortalia expediam, ita ut prius
quod ad deos pertinet diram^ Principi dfj^Cae-
lum^ Terra. Hi dei idem qui Aegjpti Serapis et
Isis, etsi Arpocrates digito significat ut taceas
ctm. Idem principes in Latio Saturnus et Ops.
58. Terra enim et Caelum, ut Samothracam
initia docent, sunt Dei Magni^ ut hi quos dixi
multis nominibus. Non quas Samothracia ante
portas statuit duas Tirilis species aeneas. Dei Ma>
gni ; neque, ut Tolgus putat, ii Samothracii Dei
qui Castor et Pollux : sed ii mas et femina, et hi
quos Augurum libri scriptos habent sic: Divi
qui poteSy pro illo qood Samothraces ^fe/
varoi.
5q. Haec duo, Caelum et Terra ; quod anima et
corpus, humidum et frigidum terra. Sive
Ora parire solet genus pennis condecoratum^
Non animam^
ut it Ennius, et
post indu venit divinitus pullis
Ipsa anima ;
Cermalo si dice da germani Romolo e Remo,
perch furono col trovati presso il fico ruminale,,
portativi dalie acque grosse del Tevere, abban
donati dentro a una conca. Velie poi donde e
perch siansi dette, il trovo narralo in pi modi :
uno che i pastori del Palatino, prima che s im
parasse a tosar la lana, usassero in quel luogo
sveglierla dalle lor pecore ; ond' he le lane si
chiaman veliera, j -, ^ ^
IX. 55. 11 tenere di Roma fu diviso prima in
tre parli,<fra Taziesi, Hannii, e Luceri, detti per
tribi. Si nominarono, .secondo Ennio, i Taziesi
da Tazio e i Rannesi da Romolo ; i Luceri^ se
condo Giunio, da Lucumone. Ma, se crediamo a
Volnio autore di tragedie losche, son tutti c tre
nomi toschi.
56. Ad esempio di queste si chiamarono trib
anche le quattro parti della citt, che dal proprio
luogo si nomano Suburana^ Palatina^ Esqui-
lina^ Collina, La quinta trib, come aggiacente
a Roma, sappell Romilia : cos le altre trenta
ebbero il nome da varie cause che ho gi esposto
nel libro su le trib.
X. 57. De luoghi e delle loro aggiacenze basti
fin qui ; veniamo ora alle cose che sogliono es5er
ne Iuoghi. Esporr s le immortali e si le mortali ;
ma farommi prima da ci che spetta agli dei. Gli
ilei principali sono Cielo e Terra : li adora I E-
gitto sotto i nomi di Serapide e d* Iside, bench
di questa t*accenna Arpocrate col dito di dover
4acere ; li adora, come principali, il Lazio in Sa
turno ed Opi.
58. Perocch Terra e Cielo, secondo che in
segnano misteri de Samotraci, sono gli Dei
Magni; quali son questi che ho indicato ora con
varii nomi. Ch Dei Magni non sono gi quelle
due figure maschili di bronzo, che i Samotraci
hanno posto davanti alle porte ; u gli Dei Samo
traci sono Castore e Polluce, come crede il vol
go : ma quelli son maschio e femina, e Castore e
Polluce sono i medesimi che i nostri libri degli
Auguri chiamano Divi qui potes^ cio Dei po
tenti; il qual nome suona una cosa coti quello
che danno loro i Samotraci.di ^ot ufaroi.
59. Gli dei principali son questi due, Cielo e
Terra, perch v' anima e corpo, e la terra cosa
umida e fredda. O sia ci che dice Ennio che
Genera uova, non la vita, il gregge
Che tli peone sabbella^ e poi da cielo
Ne' polli entra la vita ;
^7
. TERENTI VARRONIS a8
sive, ut Zenon Gtieui animalium semen ignis is
qui anima ct meiTs ; hio caldor e caelo, quoti hic
innumerabiles ac immortales igoes. llaque Epi
charmus de ment humana dicit : Utic est de
sole sumptus ignis^ id est sol est, isque totus
mentis est ;
ut humores frigidae sunt humi, ut supra ostendi.
60. Quibus iuMclis caelum et terra omnia i;x-
genuerunt ; quod per hos natura
Frigori miscet calorem atque humori aritu
dinem.
Recte igitur Pacuvius quod ait r
Animam aether adiugat^
et Ennius, terram corpus quae dederit^ ipsam
capere^ neque dispendi facere hilum. Animae
et corporis discessus, quod natis is exitus, inde
exitium ; ut quom in uuum*ineunt, initia.
61. Inde omne corpus, ubi nimius ardor aut
humor, aut interit aut, si manet, sterile; quoi
teslis aestas et hiems, quod in altera aer ardet et
spica aret, in altera natura ad nascendum cum
imbre et frigore luctare non yolt et potius ver
expectat. Igitur duplem causa nascendi, ignis et
aqua ; ideoque ea nuptiis in limine adhibentur,
quod coniungit. Hinc et mas ignis, quod ibi se
men ; aqua femina, quod fetus ab eius humore.
62. Et horum vinctionis vis Venus, Hinc
Comicus :
huic victrix Fenusy
Videsne haec ?
non quod vincere velit Venus, sed vincire, ipta
Victoria ab eo, quod superati vinciuntur. Utri-
que testis poesis, quod et Victoria et Venus di
citur Caeligena. Tellus enim quod prima vincta
Caelo, Victoria ex eo. Ideo hac cum corona ct
palma, quod corona vinclum c;pitis, ct ipsa a
vinctura dicitur id esi vinciri ; a quo est in
Sola Ennii :
o che il seme stesso degli animali, come vuol Ze
none di Cizio, sia quel fuoco che vila ed ani
ma ; come che sia, questo calore non pu venir
che da] cielo, dove sono innumerabili e perpetui
fuochi. Onde presso lo stesso Ennio dice Epicar-
mo deir anima umana ;
E foco tolto al sol, per che tulio
Anima il sole ;
come per contrario ho gi indicato di sopra che
gli umori appartengono alla fredda terra.
60. Temperando umore e calore^ il cielo e la
lerra hanno generato tutte le cose; poich per
essi la natura
Mesce il freddo al calor, umido al secco.
Onde Pacuvio ha ragion nel dire che
L etra alma vi lega ;
ed Ennio che la terra^ come d il corpo, cosi
poi il riceve senza perder nulla, li dipartirsi
deir anima dal corpo, siccome esito che dee
avere ogni cosa nata, fu detto exitium; e initia
il loro congiungersi, quasi dalP ire in uno.
61. Quindi ogni corpo, dove soverchi Tumi
do o il caldo, perisce o, se pur dura, sterile : di
che fannoci fede la state e il verno; perocch in
quella, cocendo aria, le spighe si seccano, e in
questo la natura non suol lottare per nascere con
pioggia e freddo, e aspetta piuttosto la primave
ra. Due sono adunque le cagioni del nascere, fuo
co ed aequa ; ondech nelle nozze s'apprestano
sn limitare queste due cose, e con ci fassi u-
nione. Per ci pure ignis maschio, perch in
esso il seme ; ed aqua femina, perch dall' u-
more di essa formasi il feto.
6a. La virt di queste due cagioni congiunle
dair avvincere fu detta Venere ; onde scrisse quel
Comico :
Vedi, Venere tu che annodatrice
A lui fosti, tal falto ?
che certo victrix^\a. chiama ivi, non gi dal vin
cere, ma perch suole avvincere. Dcesi anche
Vittoria per ci che avvince quelli cui doma.
0' ambedue queste cose ci rendon fede i poeti,
nomando caeligena^ quasi dicano figlia di Ciclo,
s la dea Vittoria c s Venere; poich la prima
vittoieia fu (|ucllo slesso congiungimento della
terra col cielo. Quindi ohe la dea Vittoriji figu
rali con h corona c la palina : prrchc la roroiia
29 Dt LINGUA LATINA LIB. V.
3o
Ibant malaci viere Veneriam corollam ;
palma, quod ex utraque purte natura vincla habet
paria folia.
G3. Poelae de cacio quod semen igneuro ceci>
disse dicunt in mare ac naiam e spumis Vene*
rem, coniunclione ignis et hunioris quam habe
rent vim, significant esse Veneris. A qua vi naiis
dieta vita^ et illud a Lucilio :
Vis est \^itat sfides ; vis nos Jacere omnia
cogit.
4. Quare, quod caelum principium, ab salu
est dictus Saturnus^ et quod ignis, Saturnalibus
ctrei superioribus mittuntur. Terra Ops^ quod
hic omne opus, et hac opus ad vivendum ; et ideo
dicilur Ops mater, quod terra maler ; haec enira
terris genteis omnis peperit^ et resumit denuo
^uae dat cibaria^ ut ait Ennius. Quae, quod ge
rit fruges, Ceres; antiquis enim C quod nunc G.
65. Idem hi dei, Caelum et Terra, luppiter
et luno ; quod, at ait Ennius,
Istic est is luppiter quem dico^ quem Graeci
}focant
qui ventus est et nuhes^ imber postea,,
Atque ex imbre frigus^ ventus^ post f it aer
denuo,
Hatcce propter luppiter sunt ista quae dico
tibi^
Quoniam mortalis atque urbes belluasque
omneis iuvat.
Quod hinc omneis et sob hoc, eundem appellans
dicit :
divomque hominumque pater rex.
Pater,, quod patefaciat semen, iam cum est con*
cepium et inde cum exit quod oritur.
vinculo der capo e ditesi riVri cio avvincersi,
come in quel passo d'Ennio nel Sola ;
Ad intrecciar sen gta la delicata
Schiera il serto di \enere^
dove sta viere per intrecciare. Anche figurasi con
la palma, pereh* natura di questa aver quinci
e quindi due foglie uguali appaiale.
63. 1 poeti, fingendo che sia caduto dal del
in mare igneo seme e che dalla spuma sia nata
Venere, dichiarano che la virt di Venere ap
punto quella che hanno cielo e mare con unione
di fuoco ed acqua. da questa v^ij, cio virt
generatrice, s* nominata la vita; onde scrive
Lucilio :
Forza la vita, il vedi : arcana forza
Ad ogn opra ci spinge.
64. Essendo adunque il cielo principio delle
cose, fu detto anche Saturno^ ab satu^ cio dal
generare ; e perch' esso fuoco, ne' Saturnali si
mandano i ceri a' padroni. La terra poi a chia
mata Opi, perch nelhi coltivazione di essa stava
ogni opera, e di essa aveano d uopo per vivere ;
e questa Opi dicesi madre, perch la terra ma
dre delle cose, e fu ella, come scrive Ennio^
Che tutte gener, qaaote son genti
Su la terra ; d i cibi, e li ripiglia.
Per ci poi eh' essa porta le biade, da gerere che
vale portare, fu detta Cerere ; stante che gli ^
tichi usavano il C in cambio del G.
65. Anche Giove e Giunone dod sono che
questi medeiirai dd, Cielo e Terra; perocch,
come dice Ennio,
Questo quel dio che Giove io chiamo, e i Greci
Aer nomaro ; dio eh' vento e nube.
Quinci di nube si fa pioggia, e gelo
pioggia, e di gel vento, indi di nuovo
In aer torna. Questa vece Giove,
Perch a bruti, a ciltadi, ad uomia giova.
E perch lutti sono da esso e sotto di esso, il
medesimo Ennio lo nomina
11 re padre degli uomini e de' numi.
La qual voce pater,^ poich qui cade in taglio,
da patefacere,^ aprire, pel mostrarsi del seme pe-
terno, sin da quando vien concetto e di poi quan
do ne esce in luce il portato.
3 . TliRJ iMl VARnONlS
2
6G. Hoc iJcm magis otlendit anliquius lovij
nomeii naji olim DiovU el Diespiter diclus, il
ci\ lies palcr. A quo dei dicli qui inde ; el dius
et rfiVoi, ande' 51/0 <//Vo, Dius Fidius, luiqiie
inde eius perloralura leclum, ut ca videalur di-
, id esl caelum : quidam ncgant sub ledo per
Irnnc deierare oporlere. Aelius Dium Fidium di
cebat Diovis filium, at Graeci kmxofop Casio:
rem, el pulabat hunc esse Sancum ab Sabina
lingua, el Herculem a Graeca. Idem bic Dis pater
dicitur, iuAmus qua est coniunclus terrae, ubi
omnia oriunlur, ubi aboriuntur; quare, quod
fiuis ofof, Orcus dictus.
G7. Quod lovis luno coniux et is coeKim,
haec lei*raj quae eadem Tellus; et e dicla,
quod una cum love^ittrat^iuno, e| resina^ qud
huius omnia Terrestria.
G8. Soly vel quod ita Sabini, Tei quod lolus
ita lacet ut ex co dies sit. Luna^ quod sola lucet
noctu ; itaque ea dicta Woctituca in Palatio, nara
ibi noctu lucel templum. Hanc, ut Solem polii-
nem, quidam Dianam vocant ; Tocabulum Grae
cum alterum, alteram Latiuura ; et hinc, quod
iuDa in allitadinem et latitudinem simul eat, Di-
Tiana appellata. Kpicharmus Enni Proser
pinam quoque appellat, quod solet esse^ab ter
ris. Dicta Proserpina^ quod haec, ut serpens,
modo in dexteram, modo in sinistram partem
lale movetur. Serpere et pntterpere idem dice
bant, ut Plautus quod scribit :
Quasi proserpens bestia,
G9. Quae ideo quoque videtur ab Latinis
luno Lueina dicta, vel quod t ea terjr, ul Phy
sici dicunt, et lucet ; vel quod ab luce eius, qua
quis conceptas est, usque ad eara, qua parius
quis iu lucem, luna iuvat, donec meosibus actis
produxit in lucem, ficta a iuvandn et luce luno
Lucina : a quo parientee eam invocant; luna enim
nascentium dux, quod menses huitis. Hoc vidisse
antiquos apparet, quod mulieres potissimum su
percilia sua attribuerunt ei deae ; hic enim debuit
maxime collocari Ium\ Lucina, ubi a diis lux da
tur oculii.
GG. Ci chc dicevamo di Giove, ci dichia
rato aneor meglio dair antico suo nome; poich
appellavasi un tempo D o k hs e Diespiter^ cio
padre del giorno. Quindi si sou detti dei^ quelli
che di lui nacquero ; e dius o divus si nom ij dio
Fidio ; onde dicesi stare sub di\?o chi a scoper
to. Per ntl tetto di questo dio sta aperto un
foro, acciocch per esso pos|a vedersi il divo^ cio
il cielo ; ed alcuni aifermano che per questo nutne
non sia permeilo il epurare in luogo coperto. Elio
il voleva detto Dius Fidius quasi Diovis filius^
cio figlio di Giove, al modo stesso che i Greci
chi>tmarono AieVwfOK, cio figlio di Giove, Ca
store; e gli era avviso di' ei fosse il medesimo
che detto Sanco nella sabina ed Ercole nella
greca favella. Dello stesso cielo Tinfinifli parte,
dove si congiunge alla terra, iti cui tutto nasce e
muore, si chiam Dis pater., cio Dite \ cd aucke
Orcoy perch ^ e quanto dir fine.
67. Come Giunone moglie di Giove, e Gio- *
ve il cielo ; cos essa la terra, e loti uno cmii
la dea Tellure. S'addomand Giunone, perch
giova anch'essa insieme con Giove; e s'intitol
regina., perch ci eh' in terra lutto suo.
68. H Sole ebbe questo nome, o perch i Sa
bini cosi la chiamano, o perch solo basta col suo
lume a far giorno. \ Luna poi, perch fa luce
di notte; onde s'onora col titolo di Noctiluca
nel Palatino, perocch ivi splende di notte il sao
teojpiu. Come Jpollo il sole, cosi alcuni chiama
no Diana la luna ; de quali no^pi uno c greco,
altro latino ; poich la luna fu cosi delta, quasi
distiano., perch ia due vie ad un l^mpo per alto
e per largo. Onde nell Epicarm di Ennio de
nominata anche Prserpina, perch, come narrasi
di quella dea, suol dimorar<^ sotterra. S ' poi
detta Proserpina dal deviare che fa, a modo di
serpente, quando a destra e quando a sinistra,
perocch diceano del pari serpere e proserpere^
come Plauto l dove scrive :
Quasi bestia che serpe.
Gg. Anche par delta da Latini Giunone Lu
cinay o perch anch essa terra, come inseguano
i Fisid, e d luce ; o percli da quella sua luce,
cio da quella notte, in cui uom fu concetto, per
insino a quella in cui viene in luce, la luna che
il giova, finch, passati i debili mesi, lo fa uscire
alla luce. Perci le partorienti invocan Giunone
Lucina; perch la luna guida a nascenti, reg*
gendo i mesi. Che gli antichi avessero posto mente
a ci, si fa manifesto dal vedere che le donne de
dicarono a Quella dea segnatamente le lor sopn-
ciglia; poich'era giusto che a Giunone Lucina si
assegnasse innanzi agli altri quel luogo, dove gli
dei danno agli occhi la luce.
DE I J NGDA LATINA LIB. V.
S4
70. Ignis a oasoendo^ qnod hioc naaciliir, eC
omnt quod natcilar ignii gignit : ideo calel, ut
qui denaicilur eam amittit ac frigcjoil. Ab igoia
iam maiore vi ao ?iolentia Volcanus dictos. Ab
co qaod igiiia propter apleodorem fulget, etyW-
gor fXjulmtR tljulgur^ et fuiguriium * quod
fuiiDoe ictum oootraris dei#.
71. Ab aqaae lapto labroo lympha. Lympha
luturmOy quae ioTaret; itaque aegroti,
propter id nomen, hioc aquam petere folent. A
lbnli)>ui e( flomioibua ac ceterii aquie dei, nt
TVAtrmffi ab Tiberi, et ab lacu Velini Vtlinia ;
el Lymphat Commotiae ad lacum Cutilieniem
amotu, qnod ibi insula in aqua commovetor.
73. Neptunus^ qood mare lerras obnnbit ut
nubes caelum, ab nuptu, id est opertione, ut an
tiqui; a quo nuptiae nnptus dictus. Salacia
Neptuni a salo. Fenilia a veniendo ac Tentu illo,
qum Plaulof dicit :
Quod ille dixit <fui secando Mento vectus est
Tranquillo mari^ ffentum gaudeo,
73. Bellona a bello nunc, quae DueUona a
duello. Mars ab eo quod maribus in bello prae
i t aut quod a Sal>nis acceplus ibi est iMamers.
Quirinus a Quiritibus. VirtuSy ut viri ?is, a fi-
rilftale. Bonos ab honere, sive onere; itaqoe
honestum dicitur quod oneratum, et dictum :
OnuM St honos qui sustinet rempuhlitkm,
Castoris nomeu graecum ) Pollucis a Graeoii !
ia Latinis literis veteribus nomen quod est, in*
Kribilur, ut ^(, PoUtioes, non ol nuno
PoUux. Concordia a corde congruente.
74Feronia, Minerva^ Nw^nsidts a Sabinis.
Paulo aliter ab eiadem didmus Herculem^ Ve
siam, Salutem^ FortunamFontem^ Fidem,
Et arae Sabinum linguam olent quae Tali regis
volo tunt Romae dedicalae ; am, ut Annales di-
oont, vovit 0^1, Florae^ Fedio\^i Saturnoque^
S9/1, Lunae^ Folcano et Summano^ itemque
Larundaty Termino^ Quirino^ Vortumno^ La
M. Tea. VABBona, della lingua lativa.
70. Ignis sl chiam il fuoco dal nascere, per
ch da lui lotto nasce, e quanto nasce, egli che il
genera, ci che i Latini dicono gignere. Quinci
che ci ehe nasce caldo ; e ci che muore, perde
il suo fuoco e si fredda. Quando il fuoco ha pi
di forza e violenza, da questa appunto s'addo-,
manda Vulcano ; e perche il fuoco col fiammeg-;
giare rifulge, s detto anche secondo varii rispetti^
fulgore e fulmine e folgore, e fulguritum si '
diase an laogo che sia colpito di fulmine da nomi
avversi.
71. Dalla lubridt venne alP acqua il nome di
linfa. Linfa Giuturna fn detta perch credeasi
giovare ; onde molli infermi, a cagione di questo
nome, osano berne acqua. Pi fonti, e Aumi ed
altre acqne diedero il nome a lor proprii dei ;
come il l*evere a Tiberino^ il lago Velino a Ve
linia : le Linfe Commozie poi si son cosi dette
dal commooversi, perch l nel lago Cutiliese
un' isoletta che galleggia e muovesi su acqua.
73. Nettuno si chiam il mare, perch fa velo
alla terra come le nubi al cielo, da nubere che
presso gli antichi son velare ; onde nozze, quasi
velamenlo. Salacia^ moglie di Nettuno, da salo
che quanto dirmare. Venilia dal venire e pro
priamente da una venota di quelle, onde scrive
Plaato :
Come disse colni eh' ebbe al suo corso
Placido mar, prospero vento ; io godo
D* esser venuto.
73. Bellona la bell, cio guerra ; ond'era
prima Duellona, quando s' usava dire duellum.
Marte da' maschi, d cui preside io guerra ; o
da Mamerte, ch cos il chiamano i Sabini, da cui
ci venuto. Quirino da' Quiriti : Virt da viro,
quasi maschiezza : Onore da onere^ cio peso ;
onde honestus si nom, quasi onusto, chi regge
pubblici incarichi, e a* detto 1
Onere^ pi che onore, il comun carco.
Castore nome greco j Polhtee atorto dal greco ;
e di fatto, secondo che nelle vecchie scrittore
laHne, si dicea Polluees al modo di ^
non come ora Pollux. Concordia dalla con
formit del cuore.
74. Feronia^ Minerva^^ Novensidi vengono
da' Sabini ; n mollo diversamente da loro nomi
niamo Ercole^ Vesta, Salute^ Fortuna, Fonte
e Fede. Tengono del sabino anche i nomi di
quelle are ebe furono consacrate per voto di re
Tazio; |>oich narrali gli Annali ch ei vot are
ad Opiy a Flora^ a Vediove e Saturno, al Sole,
alla Lunoy a Vulcano e Summano^ e cosi pure a
35 . TERENTI VARRONIS 3G
ribus^ Dianae Lucinac^ue. E quis nonnulla no-
mina in ulraque lingaa habent radices, ol arbo
res quae in confinio natae in utroque agro ser
punt : potest enim Saturnus hic de alia causa esse
dictus aique in Sabinis, et sic Diana et de quibus
supra dictum est.
XI. 75. Quod d iramortaleis attinet, haec ;
deinceps quod ad mortalis attinet Tideamos. De
his animalia in tribus locis, quod sunt in aere, in
aqua, in terra. A summa parte ad infimam de
scendam. Primum, nomen omnium, alites ab
alis, volucres a Tolalu ; deinde generatim, de his
pleraeque ab suis vocibus ut haec : upupa, cucu
luSy corvus^ hirundo^ ulula^ bubo ; item haec :
pavo-f anser, gallina, columba.
76. Sunt quae aliis de causis appellatae, ut
noctua quod noctu canit ac vigilat, lusciniola
quod luctuose canere existimatur atque esse ex
Attica Progne in luctu facta avis. Sic galeritus
et motacilla, altera quod in capite habet plumam
elatam, altera quod semper movet caudam. Me
rula quod mera, id est sola, volitat; contra ab eo
graculi quod gregatim, ut quidam Graeci greges
Ficedula et miliariae a cibo, quod al
terae fico, alterae milio fant pingues.
XII. 77. Aquatilium vocabula animalium par-
tim sunt vernacula, partim peregrina. Foris mu
raena, quod ^ Graece, cfbium, et thyn
nuSy quoius item partes Graecis vocabulis omnes,
nt melandrya atque uraeon. Vocabula piscium
pleraque translata a terrestribus ex aliqua parte
similibus rebus, ut anguilla, lingulaca, sudis ;
alia a coloribus, ut hacc ; asellus, umbra, tur
dus ; alia a vi quadam, ut haec : lupus, canicu
la, torpedo. Item in conchyliis aliqua ex Graecis,
ut peloriSy ostreae, echinus ; vernacula ad simi
litudinem, ut surenae, pectunculi, ungues.
XIII. 78. Sunt eliam animalia in aqua quae
in terram interdum exeant, alia Graecis vocabu
lis ut polypus, hippopotamios, crocodilos, alia
Latinis ut rana, anas, mergus ; a quo Graeci ea
quae in aqua et terra possunt vivere, :
Larunda, a Termine, a Quirino, a ertunno,
ai Lari, a Diana e Lucina, Di questi nomi hav-
vane alcuni c' hanno radici nell' una e nell* altra
lingua ; come avvien degli arbori che, nati nel
conBne d ' un campo, serpeggiano anche nelP al-*
tro. N impossibile che Saturno, a cagion d
sempio, siasi detto presso di noi per altra ragione
che nella Sabinia : cosi t Diana e gli altri che ho
toccato di sopra.
75. Ci quanto agl' immortali ; vediamo ora
seguitando ci che ragguarda i mortali. E poich
fra questi gli animali sono distinti per tre diversi
luoghi, ci sono aria, acqua e la terra ; mi
far dal pi alto e discender gradatamente al
pi basso. Primieramente, quanto al nome comu
ne di que'che sono nell'aria, son detti alites
dall ali, volucres dal volo ; quanto poi alle lor
varie specie, la pi parte trassero il nome dalle
proprie voci, come upupa, il cuculo, il corvo l
perci hirundo si chiam la rondine, e ulul^t
Palocco, e bubo il gufo, ed anser Poca; e la
stessa origine hanno pavone, gallina, colomba,
76. Ma vi son anche uccelli che presero if
nome da altre cause ; come la civetta che si disse
noctua dal vegliar cantando di notte, e il lusi
gnuolo cos chiamato pel luttuoso suo metro,
onde credesi che sia P attica Progne Tolta fra il
lutto in uccello. Cos galeritus si nom P allodo-f
la, e motacilla la cutrettola ; perch quella hv
una piuma che le sorge su capo, e questa muo
ve sempre la coda. Cos il merlo denominossi da
merus, quasi soletto, perch non vola mai in com
pagnia; e per avverso le cornacchie si dissero
graculi, perch volano in greggia, ci che alcuni
Greci chiamano ^. Cosi fnalmente il bec
cafico s detto ficedula, e gli ortolani milia
riae, dal loro cibo ; perch quello ingrassa coi
fichi, questi col miglio.
XII. 77. I nomi degli animali acquatici son
parie nostrali, |arte stranieri. Di fuori e propria
mente dal greco ci vennero muraena, cybium,
thynntts, e gli stessi nomi delle varie parti del
tonno, come melandrya ed uraeon, 1nostrali poi
il pi sono tratti da cose terrestri in qualche parte
simili, come anguilla, lingulaca, sudis ; altri
dal colore, come asellus, umbra, turdus ; altri
da virt che hanno, come lupus, canicula, tor
pedo. Anche delle conchiglie, alcune hanno nome
greco, come pelris, ostreae, echinus ; altre no
strale, dato per somiglianza, come surenae, pe
ctunculi, ungues.
XIII. 7H. V* hanuo anche animali d'acqua,
che talvolta escono a terra, e per dai Greci si
son detti anfibii, perch possono vivere tanto in
acqua chc in terra. Anche questi hanno parte
vocabolo greco, come il polipo, P ippopotamo, il
37
DE LINGUA LATINA LIB. V.
e qui rana a tot dieta Yoce, anai a oando, mer
gus quod mergeodo aquam eaptal
79. Itcm alia in hoc genere a Graecia, ut
querquedula xff aeovf A, halcedo qiiod ea Xxuf ;
Lalpa, ut /tff/iK^quod testa tectum hoc animai,
Mligo quod sub?oIat, litera commutala, primo
oMgo. Ut Aegypti in flamine quadropea, tic in
Lat^o : nomiuati ftra ^Xfiher; lytra, quod suc
cidere dicitur arborum radices in ripa atque eas
dissoWere, ab \6u\ fiber, extrema ora fluminis
dextra et sinistra maxume quod solet videri, et
anliqai^^rtf/n dicebant extremum, a quo in sa
gis fimbriae et in iecore extremum fibra^ fiber
dictus.
XIV. 80. Quae sunt hominum propria pri
mum, deinde de pecore, tertio de feris scribam.
Incipiam ab honore publico. Consul nominatus
qui consuleret populum et senatum ; nisi illinc
potius onde Accius ait in Bruto :
qui recte consulaty consul siet.
Praetor diclus qui praeiret iure el exercito ; a
quo id Lucilius :
ergo praetorum est ante praeire,
81. Censor ad quoius censionem, id est arbi
trium, censeretur populus. Aedilis qui aedes sa
cras et privatas procuraret. Quaestores^ a quae
rendo, qui conquirerent poblicas pecunias, et
malefcia quae triumviri capitales nunc conqui
runt ; ab his postea qui quaestionum iudicia exer
cent. Tribuni militum^ quod fferni tribus tribu
bus Ramntnm, Lucerum, Titium olim ad exerci
tum mittebantur. Tribuni plebei^ quod ex tri
bunis militum primum tribuni plebei facti, qui
plebem defenderent, in secessione Crustunierina.
crocodilo ; parte hanno latino, come Ia rana,
anitra, io smergo; de'quali s* delta rana W
primo per Ia sua voce, anas V altro da nare cio
dal notare, mergus il terzo dall immergersi come
fa in acqua per beccarvi il cibo.
79. 1 n questo genere v han parimente degli
altri nomi, o storti dal greco come querquedula
e halcedo^ per cui i Greci dicono aifxoc/f/( e
aXxvw, o al tutto latini come testudo e lolligo.
Poich testudo chiamossi la tartaruga da testa^
cio dal nicchio che la ricopre, e lolligo il cala
maro dal sorvolare che fa, onde fu prima volligo
e mol poi la prima lettera. Come Egitto ha
nel suo fiume un quadrupede, cos ne ha il Lazi<^
ne* suoi, e li nom lytra e fiber, Lytra chiam"
la lontra da //y cio sciogliere, perch dices^
rodere le radici degli arbori lungo la riva e cosi/
distaccameli : fiber poi addoman J il castoro
quasi estremo ; perch suol mostrarsi massima-^
mente su estremo margine a destra o a manca
del fiume, ^fiber presso gli antichi valeva estre
mo, onde fimbrie si dissero gli orli de' sai e
f^ra estremit del fegato.
XIV. 80. Dagli animali che sono in aria ed in
acqua passando ora a quelli che vivono in terra,
dir prima di ci che pertiensi agli uomini, poi
de* bestiami e in ultimo delle fiere. Per gli uo
mini comincier da' magistrati. Console da con-
sulere che significa consultare e provvedere, o
perch suo uffizio chiamare il popolo ed il senato
a consulta, o per quella causa onde scrive Accio
nel Bruto :
Console sia chi ben consigli.
Pretore dissero da/>rae/re, cio stare avanti, chi \
dovea presedere a giodicii e all esercito ; perch
scrisse Lucilio :
Dunque a pretor sta esser primi.
81, Censore chi dovea fare il censo del popo^
lo secondo eh ei credeva, ci eh pur detto cen
sere, Edile chi avea la cura degli edifizii sacri e
privati. Questore^ da quaerere, chi dovea racco
gliere il danaro del comune e disaminare i delitti
riservati ora ai triunviri capitali ; onde pass poi
quel nome a chi tien giudicio nelle inquisizioni.
1 tribuni militari trassero il nome dalle tre tri
b de* Rannii, Luceri e Tizii, perch ne davano
un per ciascuna air esercito. I tribuni della plebe
dai militari, perch i primi che si crearono a tu
tela della plebe nell* ammutinamento di Crustu
merio furono gli stessi tribuni militari di quel
tempo.
38
39 . TEREI fll VARROWIS
8a. Dictator, quod a contale dicebalor, qooi
dicto audeolef omoej eitent. Magister e^uitum^
quod fumm polesUt hiiiut io cqatcs et accen-
fot, ut est summa populi dictator, a quo ie quo
que magister populi appellatus. Reliqui, quod
minores quam hi magistri, dicti magistratus^ ut
ab albo albatuf.
XV. 83. Sacerdotes uniTersi a sacris dicti.
Pontifices^ ut ScaeTola Quintua Pontufex Maxu-
mus dicebaf, a posse et facere ut potifices : ego a
ponte arbitror; nam ab his Sublicius est factus
primum ut restitutus saepe, quom in eo sacra et
uls et cis Tiberim non mediocri ritu fiant. Cu
riones dicti a curiis qui fiunt ut in his sacra
faciant.
84. FlamineSt quod in Lalio capite velato
erant semper, ac caput cinctum habebant filo,
filamines dicti. Horum singuli coguomina habent
ab eo deo, quoi sacra faciunt ; sed partim sunt
aperta, partim obsrura : aperta, ut Martialis^
Volcanalis ; obscura Dialis et Furrinalis^ quom
Dialis a love sit (Di ot i s enim), Furrinalis a Fur-
rina quoius etiam in Fasiis Furrinales feriae tunt.
Sic flameo Falacer divo patre Falacre.
85. Salii a salitando, quod facere in comitio
in sacris quotannis et solent et debent. Luperci^
quod Lupercalibus in Lupercali sacra faciunt.
Fratres Arvales dicli sunt qui sacra publica fa
ciunt proptcrea ut fruges ferant arw, a ferendo
et arvis feratres arvales dicli. Sunt qui a fra
tria dixerunt : jratria est Graecum vocabulum
partis hominum, ut Neapoli etiam nunc. Sodales
Titii dicti ab titiis avibus, quas in auguriis cer
tis observare solent.
86. Feciales^ quod fidei publicae iuter po
pulos praeerant ; nam per hos fiebat ut iustum
conciperetur bellum et, ut inde desitum, ut foe-
derr fidg pacis constitueretur. Ex his mitteban-
lar, autequam conciperetur, qui res repeterent ;
et per hos etiam nunc fit foedus, quod ftdus
Ennius seribit dictum.
XVI. 87. in re militari praetor dictus qui
4
8a. Dittatore da dicere, perch nomintvasi
dal console accioccb ognuno elesse a detto di
lui. Maestro de'* cavalieri da magis che k
quanto dir pi, perch aveva il poter supremd
su i soldati a cavallo e di supplimento ; come pei
una simil ragione si chiam anche maestro del
popolo il dittatore dalf avere il poter supremo
del popolo. Gli altri ufficiali, come inferiori
questi maestre, s'addomandarono maestrati^ al
modo che da albus si trae albatus,
XV. 83. Sacerdoti si dissero in generale dal-
Paver la cura delle cose sacre. Quanto poi
a particolari lor nomi, i Pontefici^ secondo che
fu avviso a Quinto Scevola pontefice massimo, fi
son chiamati cos, quasi potifices^ da potere e
fare ; se non eh' io li credo piuttosto denominali
da ponte, perch sono essi che hanno fatto da
prima, come poi rifatto pi volle, il ponte Subli
cio ; onde vi si usano sacrifizii dalPnna e dalPal
tra parte del Tevere con molta pompa. I Curioni
poi hanno questo nome dalP esser destinati a fare
i sacrifizii nelle curie.
84. Flamini si sono detti, quasi filamini, dal
filo o velo, onde porUvano cinto il capo, perch
dentro al Lazio il doveano sempre tener eoperto.
1 soprannomi poi qualitativi di ciascun flamine
soo tutti presi dai nomi de' varii dei, al cui culto
attendono ; tuttoch alcuni di questi soprannomi
non sono apertissimi. Si palesan da s Marziale
e Vulcanale ; m Diale e Furrinale sono un
po oscuri ; perocch il primo da Diovis che
quanto dir Giove, altro da una certa dea Fur-
rina, per cui troviamo anche notate ne* Fasti le
ferie Furrinali. Similmente flamine Fa/acre da
un dio delio stexso nome.
85. Salii son da saltare, come osano e deb
bono ne* sacrifizii annuali nel comizio. Luperci
dal sacrificare che fanno nel Lupercale il d delle
Lupercalie. Frati Arvali si dissero da ferre,
produrre, e da arvum^ campo, perch fan pub
blici sacrifizii per impetrare buona ricolta : altri
li vuol Bfratria^ che nome greco di compa>
gnia ed anco usasi in Napoli. Sodali Tizii dagli
uccelli di questo nome, cio da palombi, cui so
gliono osservare ne* loro augurii.
86. Feciali dal soprantcndere alU fede pub
blica tra popolo e popolo, poich per essi face-
vasi che non s'imprendessero se non giuste guer
re e che, finito*il combattere, si fermassero le
condizioni della pace legandovisi per fede. Prima
di rompere, si solca inviare qualcun di loro a di
mandare soddisfazione ; e dura tutUvia il costu
me che per mezto hro si lanno le alleanze che, a
detta di Ennio, son parimente chiamate foedus^
quasi da tWc.
XVI. 87. E venendo alle cose militari,/^re/ore
LINGUA LATI [fi LIB. .
praeiret eierdffai. Imperator i b imperio populi
qui eD, qai id IlenlMienl, oppressit hoslcf. Le^
gati qui lecti publice, quorum opem consilioque
uteretur peregre roagietratui, quive nancii teoa-
tus aut populi enent. Eatereitut^ quod everci-
land fit melior. Ltgioy quod leguntur milites in
delecto.
8. Cohors^ quod, ut in ei pluribus le>>
clis coniungitiir ac quiddam ftt unum, sic hic ex
manipulis pluribus copulator cohors; quae in
villa, quod circa eum locum pecus corceretur ;
tametsi cohortem in tiIU Hypsicrates dicit esae
Graece xdfrm apud poeUs dictam. Manipuhi
exercitus minimas manus, qoae unum sequuntur
signum. Centuria qui sub uno centurione sunt,
quorum centenarios insto nomeros.
69. Milites^ qood trium milium primo legio
fiebat, ac singulae tribus lltiemium, Ramnium,
Lucerum milia singula militum mittebant. Ha^
stati dicti qui primi bastis pugnabant, pilani qui
pilis, principes qui a principio gladiis : ea, post
commutata re miKtari, minut ilhistria sunt Pilani
triarii quoque dicti, quod in acie tertio ordine
extremis subsidio deponebantur. Quod bi subsi*
debantv ab co subsidium dictum ; a quo Plaulus:
Agite nune, subsidite omnes quasi solent
triarii.
00. Auxilium appellalam ab auctu, quom ac
cesserant ai qui adiumento essent alienigenae.
Praesidium dictura qui extra castra praeside-
bant in loco aliquo, quo tutior regio esset. Obsi
dium dictum ab obsidendo qoo minus liostis
egredi posset inde ; item ab obscidendo, quom
id ideo facerent quo facilius deminuerent bosteis.
Duplicarii dicti, quibus ob virtutem doplicia
cibaria ut darentnr institutum.
91. Turma terima ^E in U abiit ), quod fer
iqoites ex Ihbos tribobus Titiensium, Ra
mnium, Lucerum fiebant, itaque primi singula-
vmm decoriaram decurionts dleti ; qui ab eo in
s ' detto da praeire^ percMera il capodelPe*
sercito; imperatore dall* aver salvato riroper<t
del popolo romano, schiacciando il nemico che iR
minacciava ; legati^ perch eetli dal comune a
giovar con opera e col consigfo i magistrali
quand' eran fuori, o a portar le ambasciale del
senato o del popolo; esercito^ perch addcstra-
vasi con gli esercizii ; legione da legere.^ cio
raccorre scegliendo, come si fa nelle leve.
89. La coorte ha tratto il nome dalle corti
delle masserie ; perch a quel modo che pi tetti
raggiunti fanno ivi in certa guisa un sol lutto,
cos qui negli eserciti unione di pi manipoli
fa una coorie. Le corti poi delle masserie hanno
il nome da coircere^ affrenare, perch nel loro
giro sta chiuso il bestiame : sebbene Ipsicrale la
vuol voce greca, dicendo che ne'poeti queste
corti villerecce si trovano chiamate Ma
nipolo s* cos detto, perch' la minima mano,
cio compagnia, deir esercito, che abbia bandiera
propria. Centuria^ perch il suo giusto numero
di cento soldati, retti da un capo detto per
centurione,
69. Militi da mille, perch tanti ne dava
ciascuna delle tre trib, cio i Tizii, i Rannii ed
i Luceri ; onde da prima la legione fu di tremila.
Astati SI dissero quelli che combatleano primi
con Tasta; pilani gli armali di pilo; principi
quei che pugnavano con la spada dalle principia:
i quali nomi non balzano ora agli occhi, perch
s' mutato uso della milizia. 1 ptlani si chiama
rono anche triarii^ perch si lasciavano in serbo
nella lena linea, acci dessero aiuto ne'casi cstre^
mi ; onde da questo stare di rispetto, cio suhsi-
derey venne il nome di sussidio^ seoondocli
disse Plaoto :
Allo ; restale
Qui lutti di rispetto, come fenno
1 iriarii.
90. Ausifii si dissero, da augere cio rin-
grossare, gli aiuti che si mandavano dagli stranie
ri ; e presidio^ da praesidere cio stare avanti di
guardia, que'che mettevansi in qualche luogo
fuori del campo a guardare il paese. Ossidione^
da obsidere^ cio dal porsi di contro, per tagliar
uscita al nemico ; e forse anche da ohscidere^
stmte che facevasi pr soggettare i nemici pi
fiMilmente. Duplicarii chiamaronsi qoe* soldati,
a* quali in premio del lor valore si tolse a dare
doppia porzione di cibo.
91. 7*rma qoasi terima^ mutata la li in U, :
perch dalle tre trib de Tizii, Rannii e Luceri
si faeean Ire decnrie di cavalieri ; onde il capo di
ciascuna decoria si chiam decurione^ e dora
<3
. TERENTI VABRONIS
44
sogulU lurroiff sunt eliam oanc terni. Quos hi
primo adroinislrofl ipsi sibi adoptabant, optiones
Tocari coepti; quos nunc propter ambitiones tri
buni faciunt. Tubicines a iuba et canendo ; si
militer liticines. Classicos^ a tlasse, qui lituo cor-
nuve canunt tum cum classes comitiis ad comi
tiatum vocaot.
XVll. Qa. Quae fortuna vx>cabala, in his
quaedam minus aperta, at pauper, dives, miser,
beatus, sic alia. Pauper a paulo lare. Mendicus
a minus, quoi, quam opus est minus multo est.
Dives a divo qui, ut deus, nihil indigere videtur.
Opulentus ab ope, quoi ea opime. Ab eadem
inops qui eius indiget ; et ab eodem fonte copis
et copiosus. Pecuniosus a pecunia magna ; pe
cunia a pecu : a pastoribus enim horum vocabu-
loram origo.
XVIll. q3. Artificibus maxuma causa ars, id
est ab arte medicina ut sit medicus dictus, a su
trina sutor; non a medendo ac suendo. Quae
omnino ultima huic rei, earum rerum radices; ut
in proximo libro aperietur. Quare, quod ab arte
artifex dicitur nec multa in eo obscura, relin
quam.
94. Similis causa, quae ab scientia Tocantur
aliqua ; ut praestigiator^ monitor^ nomencla
tor: sic etiam, quae a spatio quodam dicuntur,
cursor^ natator^ pugil. Etiam in hoc genere
quae sunt yocabula, pleraque aperta ; ut legulus^
alter ab oleis, alter ab u t s . Haec s i minus aper
ta, vindemiator^ vestigiator et venator^ tamen
idem : quod vindemiator vel quod vinum legere
dicitur, vel quod de viti id demuot ; vestigiator,
a vestigiis ferarum, quas indagatur; venator a
venatu ; quod sequitur, verbum, ab ventu et
inventa.
XIX. 95. Haec de hominibus : hic quod se
quitur, dc pecore haec. Pecus ab eo quod per-
pasccbant; a quo pecora universa. Quod in pecore
pecunia tum consistebat pastoribus, et standi fun
damentum pes ( a quo dicitur in aedificiis area
pes magnus, et qui negotium instituit pedem
posuisse); a pede pecudem appellarunt, ut ab
codera pedicam et pedisequum ; et peculia tori
tuttavia il costume die iiv^ogoi torma i decprioni
son tre. Optiones si dissero i loro aiutanli, da
optio che vale scelta, perch da prima se li sce
glievano a modo loro gli stesti decurioni ; non
come ora che, per ovviare a' brogli, li fanno tri
buni. Tubicines sono i trombetti da canere
tubay oo dal sonare la tromba ; cos liticines^
que' che suonano il lituo. Classici poi si son noj
minati da classe quelli che, a suon di lituo o di
corno, chiamano a' comizii le classi, in che di
viso il popolo.
XVII. 92. Anche de' nomi che risguardan Tes
sere delle persone, havveue alcuni di riposta ori
gine ; come povero, dovitioso, misero, beato ed
altrettali. Povero dal poco suo essere. Mendico
dair aver meno assai di ci che gtl e d' uopo. Z)i-
i^ej, da cui dovizioso^ perch non bisogna di nulla
a uso d'un dio. Opulento da opis per opimo
suo stato ; e dal medesimo fonte si nom inops
chi n ha manco, e copis e copiosus quei che
n' abbonda. Pecuniosus dalla quantit di pe-i
cunia ; questa da pecus^ cio dal bestiame ; per
ch questi vocaboli nacquero da' pastori.
XVIII. 93. Pei nomi d'artisti la propria e
princple origine l'arte che fanno ; come dal-
arte del medicare e del cucire si dicon medicus
c sutory non immediatamente da mederi e suere^
cio dal medicare e dal cucire. Bens prima e pi
rimota origine per cotesti nomi son le radici, onde
nascono gli steui nomi delle varie arti; comedi-
chiarerassi nel seguente libro. Poich adunque
gli artisti si chiamano dalla propria arte, e io
questo particolare non v*ha molto d'oscuro, pas
ser avanti.
94. Somigliante origine hanno i nomi di chi
professa qualche scienza, come praestigiator^
monitory nomenclator; o qualche esercizio di
corpo, come cursory natatory pugil : ed auche;
questi son quasi tutti piani. Cos da legere st
chiama legulus chi raccoglie o le olive o I' ava.
Dello stesso genere, bench non tanto patenti,^
sono vindemiatory vestigiator e venator : poi
ch vindemiator si dice, o perch coglie il vino,
o perch il leva alla vite, siccome suona il latino
demere; vestigiator poi dai vestigi delle feret
eh' ei va ormeggiando ; venator da venagione ; t
il verbo venariy che n* la radice, dal venire e
rinvenire la preda.
XIX. 95. Basti sin qui degli nomini : venia
mo ora, come ho promesso, ai bestiami. Si sono
essi chiamati pecora dal tenere in pastura; oud'
vocabolo generale d' ogni bestiame di pascolo. E
perch ne bestiami stava allora tutto avere di
que* pastori, e piede la base su cui sostensi una
cosa ( onde si d questo nome alle piante degli
edifzii, e ehi avvi un affare si dice avergli dato.
DE LINGUA LATINA LIB. V.
4G
ac o?et aliudre qofd, iJ eoim peculium primum.
Hinc peculatum publicum primo lom cam pe
core diceretur mulla, et id esset coaclum in pu
blicum, si erat aversum.
96 Ex qoo fructus maior, hic est qui Graecis
usus. Sus quod ^ bos quod ^ iaurus quod
item ovis quod o7 ( ; ita enim anUqui di
cebant, non ut nunc m-f^arow. Possunt in Latio
quoque, ut in Graecia, ab suis Tocibus haec ea
dem ficta. Armenta^ quod boves ideo maxime
parabantur, ut inde eligerent ad arandum, inde
arimenta dicta; postea tertia litera extrita,
/tfj, quod Graece antiquitus ; aut, quod
plerique vegeti, vigitulos. luvencus iuvare qui
iam ad agrum colendum possel.
97. Capra carpa, a quo scriptum est omni
carpae caprae. Ircus^ quod Sabini fircus. Quod
illi fedus, in Latio rure edus qui in urbe, ut in
multis A addito, aedus. Porcus, quod Sabinis di
ctus aprunus porcus por, inde porcus ; nisi si a
Graecis, quod Athenis in libris sacrorum scripta
98. Aries^ quod quae educabant areis veteres
nostri arviga^ hinc arviges. Haec sunt quorum
in sacrificiis exta in olla, non in veru coquuntur,
quae et Accius scribit et in pontificiis libris vi
demus. In hostiis eam dicunt arvigem quae cor
nua habeat ; quoniam his, qnoi ovi mari testiculi
dempti, ideo, ut natura versa, vervex declinatum.
9Q. Pecori ovillo quod agnatus, agnus, Ca
tulus a sagaci sensu et acuto catulus : hinc canis ;
nisi quod, ut tuba ac cornu aliquod signum cum
dent canere dicuntur, quod hic item et nocticu-
bus in custoilia et in venaudo signum voce dat,
canis dictus.
XX. 100. Ferarum vocabula item partim pe
regrina, ut panther^ leo^ utraque Graeca ; a quo
piede ) ; ersi da piede, donde e pedica e pedise
quus^ si |dcnorainaroiio pecudes ; e per peculio
s'intesero da prima tori e pecore ed altre cose di
simil falla, perche questo fu il primo pcculio
Quinci il nome di peculato pubblico alle ladro
naie ; perch le multe che raccoglievansi allora a
favor del comune, erano besliami.
96. De' bestMmi che dan pi profitto, usiamo
gli stessi nomi che i Greci ; poich diciamo sus,,
cum' etti il porco ; e bos^ come il bue ;
e tauruSy come (7|^ il loro. Cos ovis rende
il greco eVi ; polche a questo modo chiamavano
un temprrla pecora, non come ora irfflarop
Tuttavia poirebb' essere che questi nomi si foe-
sero formati uguali in Grecia e nel Lazio pei*
un uguale ragione, cio imitando le voci di qui-
gli animali. Armenta si dissero dall arare, per
ch sopra tulio s procacciavano buoi per averne
di buoni da arare ; sicch chiamaronsi arimenta.,
e se ne lev poi la terza lettera. Fitulus^ o perch
i Greci diceano anch* essi anticamente /'< il
vitello, o quasi vigitulus perch la pi parte son
vispi e vegeti. luvencuSy cio giovenco, da gio
vare; perch cosi chiamasi quand in et da
lavoro.
97. Capra quasi carpa dal brucare, che fa,
ogni cosa, tanto che s dello omnicarpae ca
prae, Ircus si chiam il caprone per ci che i
Sabini lo"^TTcono frcus. Cos dal sabino feduSy
ne contadi latini s'acdomand e ^ ^ l becco; ed
in Roma aedus^ aggiuntavi un A, come in tan-
t altre voci. Anche porcus si pigli da Sabini
che dicono por il cinghiale; se per non invece
dal greco, giacch nel cerimoniale degli Ateniesi
troviamo KcTff# WfaM.
98. Aries si nomin, quasi arviges^ ariete,
perch i nostri vecchi diceano arviga quegli ani
mali che allevavano nelle aree, cio ne cortili.
Questi sou quegli animali, le cui interiora ne sa-
crfixii si cuocono in olla, non su lo spiedo, se
condo che scrive Accio e troviam ne libri dei
pontefici. Che anii nelle vittime, arviges si dico
no propriamente quelle che hanno corna ; poich
qoeH agnello, a cui siansi tratti i granelli, per
questa ioversion di naiura, s in vece nomato
vervex.
99. Agnus da agnatus, quasi nato in ag
giunta al gregge pecoriuo. Catulus il cagnolino
dicatus per l acuto e sagace odorato. Quindi
anche canis ; se peraltro non chiamossi in vece
da canere., come s usa dire di que che danno il
segftaTe i qualche cosa con tromba o corno, per
ch d il segnale anch egli con la sua voce e
quando fa guardia la notte e quando va in caccia.
XX. 100. Anche i nomi di fiere sono in parte
stranieri, come panther e /eo, ambedue greci;
47
. TERENTI VARRONIS
etiam et rete quoJdain panthera et muliercula
pantheris,et leaena. Tigris qui est ut leo yariug,
qui Tivut capi adhuc non potuit, vocabulum e
lingua Armenia ; nam ibi et aagida eU quol ve-
hementissiiuum, flumen dicitur tigris. Ursi Lu
cana origo; vel unde illi, nostri, ab ipsius voce.
Camelus suo nomine Syriaco iii Latium venit;
ut Alexandrea camelopardalis ouper adducta,
quod erat Ggura ut camelus, maculis ut panthera.
l oi . Apri ab eo quod in locis asperis; nisi a
Graecis, quod hi Kefrfoii^. Caprea a similitudine
quadam caprae. Cerici, quod magna cornua ge
runt, gervi, G in C mutavit, ut in mullis. LepuSy
quod Siculi quidam Graeci dicunt : a
Roma quod orli Siculi, ot annales veteres ootlri
dicuiit ; fortasse hinc illuc lulerun t et hic reli
querunt id nomeu. Volpns^ ut Aelius d icebat,
quod volat pedi bus.
XXI. loa. Proxumo animalia sunt ea quae
vivere dicuntur neque habere animaro, ut vir
gulta. VirguUum dicitur a viridi; id a vi qua
dam humoris, quae si exaruil, moritur. P'itis^
quod ea vini origo. Malum^ quod Graeci Aeolis
dicunl .9. P inus...... Inglans^ quod quora
haec nux antequam purgatur similis glandis, haec
glans optuina ei maxuma ab love et glande iu-
glans est appellata. Eadem r u x , quod, ut noz
aerem, huius sucos corpus facit atrum.
io3. Quae in hortis nascantur, alia peregrinis
vocabulis, ut Graecis ocimum^ m%nta^ ruta qoam
nunc vif>ajfor appellant. Itera caulis^ lapathium,
rapum ; sic enim antiqui Graeoi quam nime ra
phanum. Item haec Graecis vocabulis: serpil
lum^ rosa^ una litera commutala. Item ex his
Graecis Latina, coriandron^ malachem^ cymi^
non. Item lilium ab lirio, et malva a malache,
ft sisumbrima a sisymbrio.
104. Vernacula: Lactuca^ a lacte, quod olus
id habet lac ; brassica^ ut praesica, qnod ex eius
scapo minulalim praesicatur ; asparagi^ quod ex
asperis virgultis leguntur, et ipsi scapi asperi
sunt, non leves: uisi Graecum, illic quoque enim
licitur elwcifejej. Cucumerei dicuntur a -
donde poi naicooo leatna che lia koattsa,
panthera che tanto una aorta di rete, qoanlo
la pantera femina. 11 tigrt^ che quasi nn leone
laccato n s' e potuto per ai^cora pigliar vivo,
trasse il nome dalla lingua armena, in cui vuol
dire saetta, onde, perch rapidissimo, \i si chia
m Tigri anche un fiume. Orso vien da'Lucani,
o cos il nomarono anche i nostri per una causa
medesima, cio dalla sua Toce. 11 camela port
seco il proprio nome dalla Siria ; come port aeoo
il nome di camelopardalis la girafia venutaci di
poco da Alessandria, dove coti chiamavasi perch
alla figura rendeva imagine d ' un camelo, ed alle
macchie d'una pantera.
101. jpri si sono delti i cignali dallo atare
ne* luoghi aspri, o perch i Greci li addomanda-
no Caprta il camoscio, perch tien delle
capra. 1 cervi, quasi gervi, raulato eome apeno
avviene il G in C, per le grandi coma che por
tano ; poich gerere significa portare. Lepus il
lepre, perch alcuni Greci di Sicilia lo chiamano
XivofH ; e, siccome, a della de'nostri vecchi an
nali, i Siculi vengon da Roma ; cosi probabile
eh' abbiano essi e lasciato qui e portalo ivi que
sto vocabolo. Volpes^ secondo Elio, dal vobre
co' piedi.
XXL ioa. Agli animali seguono quelleeoie
che non hanno anima, ma pur ai dicono vivere,
come i virgulti. Virgulto da verde ; vtrde da
cio dalla virt dell* umore, diseccalo Uquale
il verde muore. Malum chiamotti il pomo, per
ch i Greci Eoli lo dicoio . Pinus ..... Ju
glans la noce, perch, prima che sia mondata,
somiglia alla ghianda ; onde, come ottima e mas
sima fra le ghiande, si disse iuglans^ cio ghian
da di Giove. 11nome poi di nocey ebbe da no,
|ierch il suo socco annera il corpo, come lanoUe
l ' aria,
103. Degli ortaggi alcuni han nomi stranieri ;
poich nomi greci hanno ossimo, la mejtte, la
ruta ; comech ora la dicano wwymew; e mede*
simamente U cavolo^ il lapa%io^ la rapa ; cb
cosi la dicevano gli antichi Greci, non fptnoi
come la dicono ora. Nomi greci, beitch guasti
d'una lettera, hanno altres il serpillo e la rosa ;
e serbata in tutto la greca forma, si disse corian
dron il curiandolo, e malache la malva, e c/mi-
non il cornino ; e, con qualche licenxa da Xi/fift
si fece lilium.^ e da malva^ e da
fifivi sisumbriunu
104. Da latina origine lactuca^ cos chia
mata dal latte che ha questo ortaggio ; e brassi^
ca che quasi praesica., per ci che s fatta ra
gion di cavoli tagliasi dal proprio torso per pi
riprese ; ed asparagi^ a cui danno il nome gli
aspri virgulti onde colgousi, c l ' asprezza degli.
Dii LINGUA LATINA LIB. V. 5o
ore ut curvimeres. Dicii fructus^ feruiido, rei
el eae quas fundus, et eae quas * quae in funclo,
ferunl ul fruamur. Unc declioalae fruges elfru
menta : sed ea e (erra ; etiam frumentum quod
ad exta ollicoqua solet addi ex raoia, id est ex
sale raolito. Upae ab uvore.
XKII. io5. Quae luanu facla suul, dicani de
viclu, de YCflitu, de iiistrumeuto, et si quid uliud
videbitur his aptum. De victu antiquissima puls:
haec appellata vel quod ita Graeci, vel ab eo unde
scribit Apollodorus, quod ita sonet quom aquae
ferventi iusipitur. Panis, quod primo figura fa>
ciebapt Dt mulieres in lanifcio, panus ; postea ei
Bgoras facere instituerunt alias. A pane et facien
do panificium coeptum dici, ilinc panarium ubi
id servabant, sicut granarium ubi granum fru>
iDenii condebant; unde id dictum; nisi abeo
quod Graeci id a^iiffiy, a quo a Graecis quoque
granum. Dictum et in quo eadem conduntur hor
reum ab hordeo.
106. Triticum^ quod tritum e spicis. Far a
faciendo, quod io pistrino fit. Milium a Graeco,
naro id %\. Libum qnod, ut libaretur prius-
qoam essetor, erat coctum. Testuatium, quod
in lesta caldo coquebatur, ut etiam nunc Matra
libus id faciunt matronae. Circuliy quod mixta
farina et caseo et aqaa circuitum aequabiliter
fundebant.
107. Hoc quidam qui magis iocondite facie
bant, vocabant lixulas et semilixulas^ vocabulo
Sabino ; itaque freqaeolati a Sabiuis. A globo fa
rinae dilatato, item in oleo cocti, dicti * globi.
Crustulum a crusta pullis; quoius ea quod ut
corium et uritor, crusta dicta. Caetera fere ope
ra a vocabulis Graecis sumpta, ut thrion ti pla
centa.
108. Quod^edebaiit cum pulte, ab eo pulmen-
M. Ta. Vaohe, d/.m \ lihgva latuti.
stessi lor gambi; sc per non trassero questo
nome dai Greci, ch cosi anch essi li chiamano.
Similmente i cocomeri si son detti quasi cunfi^
merei, per la loro curvezza ; c dal fruire, o da
ferreche va! produrre, s nominarono frutti tutte
quelle cose che son prodotte a nostro godimento
dal fondo o da ci eh' e in esso. Quindi fruges e
frumento: dico quello,, cui d la terra; perch
frumentum anche quel taiito di mola^ cio di
sale e farro macinalo, che suole aggiungersi ne' sa
crifci alle interiora les.vate. Uva fnalmenic di
usfor che significa umore.
XXIL io5. Ora verr a dire de Iavori ili
mano, o siano cibi, o ve.ititi, o strumenti, ed al
tre cose che mi paiano connesse a queste. Quanto
a cibi, il pi antico, che la polta^ fu cos chia
mato o perch il dicono allo stesso mudo anche i
Greci, o, come scrive Apollodoro, perch, quan
do gittasf neir acqua bollente, rende un suono
simile a quello del proprio nome. Panis quasi
panuSy [leixh facessi da prima a modo di pan
nocchia, come quegr involti di trama che le fe
mine nel lanifizio chiamano appupto ;>a/2i ; poi
si variarrHio forme. Da pano e fare, la fabbrica-
xiune del pane si nomin panacium ; come al
tres dal pane si chiam panarium la credenza,
ove tenevasi in serbo ; al modo stesso che gra
narium si disse il luogo, in cui riponevasi il
grano. Che anzi per questo riporro che si fa del
frumento, dopo eh* trebbiato, Be' granai, par
che da gerere sia venuto il nome allo stesso gra
zio ; se per non tratto in vece per simil causa
dal greco, giacch il riporre in granaio, i Greci
lo dicono Questo medesimo luogo, in
cui ripongonsi i grani, s' chiamato ancV.c hor
reum da ha ni ornili ro dalP orzo.
106. Triticum quasi tritum^ cio trebbiato.
Far o farina dal fare, perch si fa nel mulino.
Milium dal greco che vale egualmente
miglio. Libum^ perch si coceva per far con esso
la libagione prima di mangiare. Testuatium dal
cuocersi in un testo caldo, come fanno ancora le
matrone nelle feste di Matuta. Circuii^ perch
sono ci mbelle d una pa.^ta di farina, cacio ed
acqua, tirata uguale a forma di circolo.
107. Alcuni che le facevano pi alla grossola
na, con nome sabino le diceano lixulac e semi
lixulae ; ch cos s' usano presso i Sabini. Globiy
perch son pallottole di farina stiacciate e cotte
similmente nell' olio. Crustulum^ dalla somiglian
za che ha con la crosta delle polte ; e crusta^
cio crosta, da corium ed urere^ perch la su
perfcie e quasi il cuoio della polta abbrostito.
Gli altri lavori di pasta generalmente hanno nomi
tratti dai Greci, come thrion e placenta.
108. 1 camangiari, perch da prima luangia-
IH. TLRENTl VARROiNlS
tum^ ul Plaulus; \ \\c, pulmentarium dicluni.
Hoc priinum dcbuil pasloribus caseus^ a coacto
lacte ut coaxeus diclus. Deinde, poslcaqiiam de
sierunt esse conienti his quac suapte natura fere-
]). sine igoe^ in quo eraul poma ; quac mious
cruda esse poterant, decoquebant in olla. Ab olla
oler dieta ; quorum a genere cruda oler. L
quis, ad coquendum quod e terra erueretur, rua-
pa, unde rapa. Olea ab elaea. Olea grandis or
chitis, quod eam Allici orcliio morian.
109. Hinc ad pecudis camera perventuro. Ul
suill.i, &Cub aliis generibus cognominata. Hanc
primo assam, seniiido elixam, tertio e iure uti
cocpisse, natura docet. Dictum assum^ quod id
ab igni assudesdl.Uvidam enim quod humidum,
el inde, ubi id non est, sucus abest ; el ideo su
dando assum destillat calore, et, ut crudum ni
mium habet humoris, sic excoctum parum habet
suci. Elixum e liquore aquae dictum ; ei ex
iurc^ ((uod iiicundum magis conditione suci.
110. Succidia ab suibus caedendi.s ; nam id
pccus primum occidere coeperunt domini et, ut
servarcMit, sallere. Tegus suis ab eo quod eo te
gitur. Perna a pede sueris. Kx abdomine eius
off'ula dicla ab offa minima e suere. Insicia ab
co quod insecta caro, ut in carmine Saliorum est
quod in extis dicitur nunc prosectum. Curtatum
murta, quod ea large fartum.
1 1 1. Quod fartura intestinum crassundiis, Lu
canam dicunt, quod milites a Lucanis didicerunt ;
ut, quod Faleriis, Faliscum \'>entrem, Fundolum
a fundo, quod non ut reliquae partes, sed ex una
parte sola apertum : ab hoc Graecos puto r&pXoV
cVrSfOKappellassc. Abendcm farturaJarciminam
extis appellata. In quo, quod tenuissimam intesti-
nuni fartum, hila ab hilo dicta, quod ait l^nnius :
Ne(/ue dispendi facit /tilum.
Tansi con la polta si son chiaraati pulmenta corae
li troviamo detti in Plauto, e quinci poi pulmen--
taria. 11 primo polmentario de' nostri vecchi^
siccome eran pastori, dovette essere il cacio ; 0
questo fu detto caseusy quasi coaxeus^ perch
latte coagulato. Dopoch gli uomini non si con
tentarono pi di quei soli cibi che la natura di
per s appcestara senza bisogno di fuoco, quali
eran le frutta ; si pigli ad intenerire nell' oli#
ci che crudo non si poteva comodamente man
giare ; onde da olla, questi cibi lessali si dissera
oler ; e per essere del medesimo gene*e, appro-
priossi tal nome agli ortaggi anche erodi. Fra
questi, la rapa fu cos) detta, quasi ruapa^ dM
eruere^ cavare, perch ai cava dalla terra pei*
cuocerla. Olea da! greco iXala ; e parimente^
oliva grande ti chiama orchitis^ per che gli
Attici la dicono ifxtv^.
lOQ. Da questi cibi si venne fino alla carne
degli animali ; e le sue varie qualit s distinsero
con nomi presi dagli animali raedesini, come
suilla per la porcina ed altri cosi fatti. I>a natura
stessa ci dice che dovettero usarne prima arrosto,
poi allesso, e da ultimo in umido. L'arrosto fu
detto assum da assudescere^ cio dal risudare
che fa per la virt del fuoco ; perch anche la
carne, ci che la fa sugosa umore ; e dove non
uraore, non v' neppur sugo : onde pel caldo
arrosto suda e gocciola ; e, corae crudo ha trop
po di umore, cos, se stracotto, ha manco >()i
sugo. L'allesso si chiam elixum da liquido,
come colto in acqua ; ed ex iure 1' umido, per
ch il condimento del sugo lo fa pi giocondo.
1 IO. Succidia il salume, da sus e caeder0:
cio dal macellare i porci ; perch fu questo i l
primo animale che i padroni abbiano preso ad
uccidere e serbare insalandolo. Tegus se ne disse
il lardone, da tegere cio dal coprire ; perch
quello ond' coperto il porco ; perna il presciutr
to, da piede, perch n' la coscia ; insicia la sal
siccia, da insecare cio tagliuzzare, perch
carne sminuzzata: onde nel carme Saliare insicia
sta in luogo di quello che nelle interiora delle
vittirae chiaraasi ora prosectum^ cio pezzo di
carne. Murtatum poi fu detta la mortadella, per
ch empiuta profusamente eoo bacche di mirto.
111. Chiaman luganiche certi grassumi im
budellali, perch furono le milizie che le impa
rarono a fare da' Lucani ; corae Faliscus venter
la ventresca, perch s'impar da Falisci. Fun
dolum da fondo ; perch questo budello aperto
da un solo capo, non da amendue, corae gli altri ;
e per credo che i Greci V abbiano dello intestino
cieco. Da cotesto infarcire trassero il norae di
farcimina i ripieni d interiora ; e fra questi si
dissero hila quelli che iosaccansi nel pi follile
53 LINGUA LAI INA LJB. V
54
Quod io hoc iarciminc lumrao qaiddaro eminet,
ab eo quoU ut in capile apex, apexabo dieta.
Terliuin fartuni etl /o/i^aio, qaod longius qaani
duo illa.
iia. Augumtntum^c^uo ex irainolala hoxlia
desectum in ieeore in porriciendo augendi causa.
Magmentum a magis, quod ad religionem magis
pertinet ; itaque propter hoc magmentaria fana
instituta locis certis, quo id imponeretur. Mat
teae ab eo quod Graeci fiarrtieu. Itenj a Graecis
singillatim haec, bnlLum.....
XXlll. I I 3. Lana Graecum, ut Polybius et
Callimachus scribant. Purpura a purpurae ma
ritumae colore ; et poenicum^ quod a Poenis pri
mum dicitur allata. Stamen a stando, quod eo
stai omne in tela Telamentum. Subtemen^ quod
subit stamini. Trama ^quod trameat frigus id
genus vestimenti. Densum a dentibus pectinis,
quibas feritur. Filum^ quod minimum est hilum ;
id enim minimum est iu Testimento.
114. Panus^ Graecum, qui ea fecit ; panm^eU
lium dictum a pano et ToUendo filo. Tunica a
tuendo corpore tunica, ut induca. Toga a tegen
do. Cinctus et cingulum a.cingendo, alterum
viris, alterum mulieribus attributum.
XXIV. 115. y^rma ah arcendo quod his ar
cemus hostem. Parma, quod e medio in bmnis
parteis par. Conum^ quod cogitor in caeamen
vorsus. Asta^ quod astans solet ferri, laculum^
quod ut ittciatur fit. Tragula li traiciendo. Scu-
tum a sectnra nt seeotum, qaod e minute con
sectis fat tabellis. Umboneis a Graeco, quod
ambones.
iiG. Gladius^ C in G commutato, a clade.
budello, perocch hium vale una menomissima
cou, come iu Kn io ove dice : Neque dispendi
facit tilum^ cio non perde un minuzzolo.
Un'alira maniera di cosi Inili ripieni fu denomi
nata apexabo., perch le sporge di sopra un non
so che di simile air apice che i sacerduli portano
in capo. La tersa specie, che il longavo^ s ' cos
chiamata percir pi lunga <)cilc altre due.
1 12. Augumentum si nomin, .la augere che
vale anche ofTi ire agli dei, quel pezzo di fegato
che ne' banche!li sacti si Inglia dalla vittima im
molala, per offrirlo su Tara. Simili oiierte diconsi
anche magmenta ^^magis^ quasi maggior do
vere, di religione ; onde per questo s' diiicarono
in certi luoghi stabiliti delle are dette magmen-
tarie^ perch si ponessero sopra di esse cotesl*
oilrte. Matteae si chiamarono i manicaretti dl
grero uarruat ; ed anche in particolare v* hanno
pi nomi di cibi, tratti dal greco, come
bulbi e tant'altri.
XXIII. I I 3. Lana vocabolo greco per testi
monianza di Polibio e Callimaco. Purpura s
chismata perch colorita con la conchiglia mari
na di questo nome : dicesi anche poenicum., per
ch recataci, secondo che narrasi, la prima volta
dai Peni. Stamen da stare, perch quello onde
sta e tiensi insieme tutto il tessuto. Subtemen la^
trama, quasi sottostame^ perch passa sotto nl
ordito. Trama la tela, da trnmeare.^ cio pas*^
ssre, perch questa maniera di vesti lascia fassarq
il freddo. Tela densa si chiam da dente, comet
pigiata dai deuli del pettine. Filum da hilum,,
cio minuzzolo, perch' la miuima cosa chc sia
nella tela.
114. Panus che il fuso del ripieno con cui
essa si fa, vocabolo greco : dicesi uche panu-
vellium dallo stesso panus e dalP avvolgervisi
del filo. Tunica da tueri^ difendere, perch
difende il corpo ; e si form tunica da tueri^
come induca da induere. Toga da tegere., cio
coprire. Cos da cingere s' fatto cinctus e cin
gulum., che sono certi grembiali, quello degli uo
mini, questo delle donne.
XXIV. i i 5. Armi si dissero da arcere^ per-
ch con esse si tien lontano il nemico. Parme^
quasi pari da ogni parte, perch sono scudi di
forma tonda. Cono il cimiero, da cogere., perche
si raccoglie c stringe in punta. Asta da astare^
perch si tien rilla davanti. laculum da iacere^
essendo fatto per giltare. Tragula da traiicere.,
cio lanciar oltre. Scutum., quasi secutum., Hai
segare, perch si (a di tavolette sottilmente sega
te. Umbones poi, cio quelle piastre che rilevano
in mezzo lo scudo, si Sun chiamate dal greco -
fiwu che vale il meilesimo.
ii6. Gladius si nom la spada da clade.
51. TERENTI VARRONIS
56
quod fit ob hoslium cladcm gladium. Similiter
ah onnt pilum^ qui hostem feriret, ul pcrilum.
Lorica^ quod e loris de corio crudo pectoralia
faciebant : postea subcidit Gallica e ferro tub id
ocabulum ex anulis ffrrea tunica. Balteum^
quod cingulum e corio habebant bullatum, bal
teum dictum. Ocrea^ quod opponebatur obcrus.
Galea a galero, quo mulli usi antiqui.
117. Tuhae a tubis, quos etiam nunc ita ap
pellant tubicines sacrorum. Cornua^ quod ea quae
nunc sunt ex aere, tunc fiebant bubulo e cornu.
Fallum^ Tcl quod ca varicare nemo posset, vel
quod sinf^ula ibi extrcmn bacilla furcillata habent
fguram literae V. Cervi a similitudine cornuum
cervi. Item reliqua fere ab similitudine, ut vineae^
testudo^ aries.
XXV. 118. Mensam escariam cillibam appel
labant : ea erat quadra, ot etiam nunc in castris
eat. A cibo cilliba dicta. Postea rotanda facta ; et,
quod quae * a nobis media a Graecis 4^ mesa
dicta potest ; nisi etiam, quod ponebant pleraque
in cibo mensa. Trulla a similitudine iruae, quae
quod magna et haec pusilla, ut troula, trulla * :
hinc Graeci . Trua^ qua e culina in la
vatrinam aquam fundunt, trua, quod travolat ea
aqua. Ab eodem est appellatum truUum ; simile
enim figura, nisi quod latius est quol concipit
aquam, et quod manubrium cavum non est, nisi
in vinaria trulla.
119. Accessit matellio a matula dictus, qui,
posteaquam longius a figura matulae discessit, ah
aqua aqualis dictus. Vas aquarium vocant/u//;;;,
quod in triclinio allatam aquam infundebant.
Quo postea accessit nanus com Graeco nomine,
et cum Latino nomine Graeca figura barbatus.
Pehis pedeluis a pedum lavatione. Candelabrum
a candela, ex his enim funiculi ardentes figeban
tur. Lucerna post inventa, quae dicta a luce., aut
quod vocant Graeci /.
120. Vasa in mensa escaria, ubi pultem aut
iurulenti quid ponebant, a capiendo catinum
mutato il C in G, perch' destinata alia strage
degP inimici. Similmente si disse pilo quasi peri-
Ium., augurandosene cos la morte del nemico.
Lorica si chiam la corazza da lorum^ perch
facevasi allora con istriscie di cuoio crudo ; poi
sottentr sotto questo nome la corazza gallica, che
e quasi una tonaca tessuta con cerchietti di ferro.
Balteo si disse, quasi bullatum^ per le borchie,
di cui guernita questa cintura di cuoio. Ocrea
lo schiniere, quasi ob crus., perche protegge la
gamba. Galea elmo, dal galero onde usarono
parecchi antichi.
117. Tube le trombe, da que'cannoncelli che
i trombettieri de'tacrifizii anche al presente chia
mano tubi. Corniy percb'* eran corna di bue, non
fatti di rame siccome ora. Vallo., o perch nes
suno potea di la valicare, o perch, formandosi
di rami forcelluti, nelP estremit rende imagine
di contin i V. Cervi le palificate di rami forcuti
per la somiglianza che hanno con le corna di cer
vo. Cos per similitudine s son nominati presso
che tutti gli altri ingegni di guerra, come la i>/-
gna^ la testuggine^ ariete.
XXV. 118. La mensa, su cui mangiavano, da
cibo chiamavasi cilliba ; ed era di forma quadra,
qual s' usa ancora nella milizia. S' poi fatta ton
da ; e s appell mensa^ quasi media ^ come
dicono i Greci, dallo starvi intorno a mangiare^
ovvero, quasi misurata, perch il pi de'cibi vi
si apprestava in misurate porzioni. Trulla s'ad-
domand il romaiuolo con diminutivo di trua^
perch le somiglia alla forma, salvo che quella
grande e questo piccino : i Greci han quinci!
detta . Trua poi si disse da travolare
cio passar prestamente da un luogo alP altro,
perch' la cazza con che travasasi acqua dalla
cucina nel bagno domestico. Da essa si chiamQ
anche trulleum il.bacino, perch trae dalla sua
forma, sennch ha pi spasa la cavit che ricevo
acqua, e manca di maniglia; la qual soltantqr
nelle trulle o coppe da vino.
119. S'aggiunse il mesciroba, detto mnielhtt
da matula che il pitale ; sicch quando se iw
dilung troppo nella figura, gli si diede in vece
da aqua., il nome d' aqualis. La ciotola da acqua
si chiama futis dal fondere, per ci che in essa si
versava acqua portata nel triclinio. Se ne ag
giunsero poi d* Altra foggia, le quali con grec6
nome si dicon nani, e con latino barbati^ tutto^
ch serbino la greca forma. Pehis quasi pfd^t
luis dal lavarvi i piedi. Candelabro da candela^
perch s'infiggevano in essi delle funicelle ar
denti. Fu poi trovata la lucerna., che cos nomossi
da luce, o perch i Greci la dicono .
lao. Del vasellame da tavola, quel piatto, in
coi servivansi polle c cibi brodosi, si disse catino
57
DE LI NCI A LATINA LIB. V.
58
nominarunl ; nifi quoti Siculi dicunt Atriror ubi
assa ponebant. Magidam aulem, aot langulam^
altcnim a magnitudine, altcnim a lililudine fin
xerunt. Patinas a pattilo dixere ; ut pusillas, quis
libarent coenam, patellas. Tryhlia el canistra
quod putant esse Latina, sunt Graeca ;
enim ct noaouv. Graeca reliqua, quod aperta suat
unde sint, relinquo.
XXVI. 131. Mensa Yinaria rotonda nomioa-
batur cilibantum^ ut etiaro nune in castris. Id
videtur declinatum a Gracco kc/Xhi/m, id * a po
culo ojlice. Quae in illa, capis el minores capu
lacs a capiendo ; quod ansatae, ut prehendi pos-
sent, id est capi. Harum figuras in tasis sacris
ligneas ac fictilis antiquas etiam nunc Tidemos.
122. Praeterea in pocolis erant paterae.^ ab
eo quod latum * Latini ita dicunt, dictae. Hisce
etiam nunc in publico convivio antiquitatis reti
nendae causa, quom magistri fiunt, potio circnm-
fertur ; et iu sacrificando deis boc poculo magi
stratus dat deo vinum. Pocula a polione; unde
potatio., et eliam repotia. Haec possont a poto,
quod 6< polio Graece.
ia3. Origo potionis quod aequa sum
ma. Fo/iJ unde funditur e terra aqua viva, nt
fistula a qua fusus aquae. Vas vinarium grandius
sinumiiti sinu, quod sinum.maiorem cavationem,
quam pocula habebant, liem d i c t a e q u a e
eliam nunc in diebus sacris Sabinis vasa vinaria
in mensa tleorum suul posita. Apud antiquos
scriptores Graecos inveni appellari poculi genus
; qtiarc vel :nde radices in agrum Sa
binum et Romanum stiiit profectae.
124 Qui vinum dabant at minutalim funde
rent, a guttis guttum appellarunt ; qui sumebant
minutalim, a sumendo simpulum nominarunt. In
buiusce locum in conviviis e Graecia saccessit
epichysis et cyathus; in sacrificiis remansit gut
tos el simpulum.
125. Allera vasaria mensa erat lapidea qua
drala oblonga, una columella : vocabatur carti
hulum. Haec in aclibus ad compluvium apud
mullos me puero ponebatur, el in ea et cum ea
aenea vua. A gerendo cartibum, unde cariibulura
posi dictum.
dal capire, perch i Siculi cosi chiamano quello,
in cui mellon Tarrosto. Magida e langula furo
no delle altre due sorta di pialli, Tuna per la
sua grandezza, altra per la larghezza. Patinae
quasi patnle ; come patellae le minori, in coi fa-
cevansi lu libagion tiella cena. Tryblia poi e ca-
nistra^ sebben v'ha chi li crede nomi Ialini, sono
in tallo greci ; perch diconsi in greco ///
e neofovv. Altri vocaboli venuti dal greco, essen
done chiara origine, li lascio stare.
XXV]. 121. tavola rotunda pei vini si chia
mava un tempo cilibantum^ siccome chiamasi
anche oggid tra'soldati. Par nome storto dal
greco x&Xi&sror, che <la xc//, calice. De' ?asi
che sono in casa, certe coppe si son delle capides^
o capulae s' eran piccole, da capere cio piglia >
re, perch guernite di presa. L ' antica loro figo-
ra, la vediamo ancora serbala in alcune coppe di
legno e di terra, tra vasi sacri.
122. Fra le lazze, che s'usavano un tempo,
erano auche le patere^ cosi chiamale da una pa
rola latina che significa spaso. Se ne servono an
cora, per mantenere l'antico uso, nel banchetto
pubblico per l'elezione maestri^ portando
intorno da bere ; e nel sacrificare agli dei il Ma
gistrato presenta loro il vino con ana lazzl( di ;
questa foggia. In generale poi i vasi da ber i
son delli poculi da pozione, donde s' fallo an
che potatio e repotium. Ne potrebbe essere ori
gine il greco ^rorof, che vale anch'esso bevanda.
123. L'acytfa, che fu la prima bevanda, si
chiam cos quasi aequa., perch ha piaiia la so*
perficie. Fonte da fondere, perch manda fuori
dalia terra acqua viva ; come dalla stessa origine
si dicon fistule i cannoni che gettano l ' acqua.
De' vasi viiiarii, il pi grande si denomin sinum
da seno, perch' pi cupo e corpacciuto de* bic
chieri. Cos lepeste si dissero certi vasi vinarii
che si pongono ancora so la mensa degli dei nelle
fesle Sabine. In vecchi scrii lori greci ho trovalo
una maniera di lazze chiamata ; sicch
potrebb' essere che quesla voce avesse di l viag
giato con le sue radici fino alla Sabinia ed a Roma.
124. Quella boccia, di cui ser\ivansi a versare
il vino a minuto, da^u//a o goccia s* appell gut
tum ; e il bicchiere, con cui beveaai parimente a
minuto, da sumere o bere si chiam simpulum
Ora ne* convili sottenlr in ^ece la greca moda
deir epichisi c del ciato; ne'sacrifizii per re
starono il gotto ed il simpulo.
125. Usavasi anche un'altra tavola per vasel
lami, delta cartibulum : era di pietra, quadran
golare bisltinga, sostenuta da un aolo piede a
colonna. L' ho veduta, quand' io era fanciullo, in
parecchie case nell' ultimo piano sopra la corte, c vi
slavano posati i vasi di bronzo. Onde da gerere.,
. TLRENTI VARRONIS
Go
XXVII. laG. Praetcrca eral lertium genus
meiifae et quadralae Tasorum, tocalum urna
rium^ qiiocl urtias cum aqua poslas ibi polissi-
mum hab^banl in culina. Ab eo eliam nunc aule
balineum locua, ubi poni tolebal, urnarium -
catur. Urnae dictae quod urinant in aqua hau
rienda, ut urinator. Urinare ett mergi in aquam.
127. Imburvom fictum ab uryo, lod ita fle
xum ut redeat sunum Torius, ul in aratro quo<l
ett urtom. Calix a caldo, qnod in eo calda puls
apponebatur, et caldum eo bibebant. Vas ubi co
quebant cibum, ab eo caccabum appellarunt.
Feru a versando.
XXVllI. ia8. Ab sedendo appellatae sedes,
sedile^ solium^ sellae^ seliquastrum. Deinde ab
his subsellium : ul subsipere quod non plane sa-
pit, sic, quod non plane erat sella, subsellium.
Ubi in eiusmodi duo, bisellium dictum. Arca^
quod arccantur fures ah ea clansa. Armarium
et armamentarium ab eadem origine, sed de
clinata alUer.
XXIX. 129. Mundus muliebris dictus a mun
ditia. OrnatuSy quasi ab ore natus ; hinc enim
maxume sumitur quod eam deceat, itaque ob id
paratur speculum^ Calamistrum^ qnod his cale
factis in cinere capillus ornatur. Qui ea ministra
bat, a cinere cinerarius est appellatus. Discer
niculumy quo discernitor capillus. Pecten^ t|uod
per eum explicatur capillus. Specalum a specien-
<k>, quod ibi se spcclant.
i 3o. /^ex//x a telis ; fe/a ab eo, quod s^elhts
lana tonsa uiiiversa ovis; id dictum, quod velle
bant. Lanea ex lana facta. Quod capillum conti
neret, dictum a ret^ reticulum ; rete ah raritu
dine. Item texta fasciola qua capillum in capile
allii^arent, dictum capital a capite, quod sacer
dotulae in capite etiam nunc solent habere. Sic
rica ab ritu, quod Romano ritu sacrificium fe
minae cum faciunt, capita velant. Mitra et reli
qua fere in capite postea addita cum vocabulis
Graecis.
che significa portare, st chiam cartibum, e poi
cartibulum,
XXVII. 126. S'aggiungeva a queste una terza
specie di tavola per vasellami, quadra aich'essa,
detta urnarium ; perch sovr' essa prlncipaliiien-
,te tenean posale nella cucina le urne con acqua.
per questo che anche adesso quel luogo davanti
al bagno, dove s' usava porre quella tavola, chia
masi urnarium. Le urne poi si son cos dette
da urinare^ cio dal luflarsi sott'acqua, siccome
fanno uelP attignere, a uso de* marangoni chia
mati perci urinatores,
127. Imburyfum si form da ur\*um che il
bure deir aratro, perch, a modo di bure, si piega
e poi toma in su. Calice da caldo, perch in
esso servivasi la polta calda, o si bevean cose cal
de. 11 vao, iu cui si cocean le vivande, dal cuocere
si disse caccabus^ e veru lo spiedo da versare^
cio dal volger l arrosto.
XXVIII. ia8. Da sedere si fece sedes,, sedile^
solium^ sella^ seliquastrum per dinotare i varii
arnesi da sedere. Da sella si disse poi subsellium
lo scanno, quasi sedia imperfetta, come si dice
subsipere ci che non ha il giusto sapore; e quel
lo-scanno che basta a due, si chiam
Arca da arcere^ tener lontano, perch ti
lontana dai ladri la roba, chiudendola io s;
dalla stessa origine, sebben con forma diversa, si
nominarono armarium e armamentarium i ri-*
postigli de'varii corredi.
XXIX. 129. Mundus muliebris chiamossi la
teletta donnesca, perch munditia quanto dir
lindura ; e ornatus se ne dissero i finimenti,
quasi ore natus^ cio conforme aU'aria del voltos
poich de' ?arii ornamenti 1 donna studiasi di
sceglier quelli che le si vengono meglio, e per
s*us lo specchio. Ce/am/Vfru/n si chiam il ferrd
da inanellare i capelli, perche si scalda nella cni*
gi ; cinerarius^ da cenere, chi lo appresta caldo';
discerniculum,,A disccrnere, il dirizzaioio, per
ch spartisce i capelli; pecten^ da/>ec/ere, cio
distrigare, il pettine, (lercli ravvia i capelli ; spe-
culum^ da specere,, cio gUirJ arc Io specchii,
perch vi si stanno a guardare.
i 3o. f'^este da velo; x'elo da \cllo, che in
generale la lana pecorina tosata ; vello dasv;glic-
re, perch da prima la lana sveglit?asi. Ctc se la
veste falla di lana, diccsi lanea. La reticella, con
cui fermavansi i capelli, da rete fu detta reticu
lum ; rete poi c dalla sua rarezza. Similmente quel
nastro, con che annodavansi i capelli su'l capo, da
capo si chiam capitai : usano ancora le sotto-
sacerdotesse. Cos rica da rito, perdi' rito ru
mano che le donne sacrificando si velino il ca[o.
Mitra poi e gli altri abbigliamenti del capo, ge
neralmente s'aggiunsero dopo coi lor nomi greci.
6 DL LINGUA LATINA LIB. V. 63
XXX. i 3 i. Prus dein indutui, tura amiclui
f|uae sunt tangam. Capitium ab co quod capii
pcclus, id cit, ut anliqui diccbant, comprehendit.
Indutui iilterum quod subluf, a quo subucula ;
alterum quod supra, a quo supparus ; nbi id,
quod ilem dicuntOfce. Alleriut generis item duo:
unum quod forii ac palam, palla; alterum quod
intus, a quo intusium^ id quod Plautu dicit
Intusiatam patagiatam caltulam ac croco
tulam.
Multa post loxuria attulit, quorum vocabula ap
paret esse Graeca ut (Abeston*
i 32. Amictui dictum, quod ambiectunf est,
id est circumiectum. A quo etiam quo Testilas se
involvunt, circumiectui appellant; et quod ami
ctui habet purpuram circum, vocant circumtex
tum, Antiquissimis amictui ricinium : i d , quod
eo utebantur duplici, ab eo qood dimidiam par
tem retrorsum laciebant, ab reiciendo ricinium
dictum.
i 33. ilinc, quod facta doo simplicia paria,
rilia primo dicti ; R exclusum propter levita
tem. Parapechya^ clamjrdes^ sic multa Graeca.
Latna^ quod dc lana multa; duarum enim toga
rum instar. Ut antiquissimum mulierum rici
nium, sic hoc duplex virorum.
XXXI. 134- Instrumenta rustica quae serendi
ut colendi fructus causa facta, sarculum ab se
rendo ac sarriendo ; ligo, quod eo, propter lati-
tadioem, quod sub terra fadlios legitur ; pala a
pngendo ( G. L. quod fuit ) ; rutrum ruitrom
ruendo.
i 35. Aratrum^ quod arruit terram eius fr>
rnm. Vomcr^ quod vomit eo plus terram. Dens,
quod eo mordetur terra. Sapra id regula quae
stat, ifiVa ab stando ; et in ea transversa regula
manicula^ quod manu bubulci tenetur. Qui quasi
temo est inter boves, bura a bnbus; alii hoc a
curvo U/V0/7A appellant. Sub iugo medio oavuro,
XXX. i 3 i. Toccher ora di ci che serve al
vestilo, prima airinleriore, poi alPesteriore. Ca-
pitium^ cio capezzale, dal verbo capere^ onde
esprimeano gli antichi ci che direbbesi ora com
prendere ; perch^ una camiciuola che comprende
ed involge il petto. De' festili interiori uno, cio
la camicia, si porta sotto, ,e per fu detta subu
cula ; altro, cio il guarnelletto, di sopra, c
per il chiamarono supparus. Anche i vestili
esteriori son due : ano si disse palla,, quasi pale
se, perch' di sopra; altro intusium da intus^
perch* al di dentro. quello, cui Planlo dice
Abito rimboccato, del colore
Di fiorrancio c di croco.
Pi altre foggie di vesti ci ha poi recalo il lusso,
i cui nomi si palesan greci da s, come asbeston,
i 3a. Ci che serve alP esteriore vestito si disse
amictus^ qoasi amiectus cio gittato attorno :
onde anche quel panno, in cui s involgono al di
sopra delle vesti, lo chiamano roba da gittare at
torno cio circumiectui ; e quella sopravvesti
eh' orlala di porpora, la dicono circumtextum.
La sopravves la pi antica eh' abbiano osato por
tare le nostre donne, fu il ricinio, che cos no
marono da reiicere, cio arrovesciare ; perch^
osandolo doppio, una met del panno s'arrove
sciava su l ' altra.
i 33. Per questo appaiarsi di due tagli uguali
sovrapposti uno all' altro, si disse parilium, poi
palliumy omessa la H per pi mollezza di pro
nunzia. Parapechya e clamfdts e iimIIc all re sou
voci greche. Laena pui si chianj una specie di
zimarra dalla quaiitil della lana, perch equivale
a due toghe. Come per le donne il ricinio, cos
per gli uomini la lena fu la pi ant ica delle so
pravvesti doppie
XXXI. 134. Quauto agli sirumenli rustici
(atti per seminare o coltivare i fiutti ilella terra,
sarculum si chiam il sarchio da serere e sar~
rire che valgono seminare e chisciare ; Ugo il'
marrone da legerent cio cogliere, perch, essendo
pi largo, coglie pi facilmente che il sarchio ci
che si vuol cavar di tollerra ; pala il badile da
pangere^ cio conficcare, poich da prima avea il
G in luogo della L ; rutrum la zappa, quasi mi -
frum, da ruere cio scavare.
i 35. Similmente aratrum da arruere^ per
ch il suo ferro scava la terra. Fomer da vomere,^
perch serve a gettar fuori dal solco pi quantit
di terra. .Dens la puuta dell'aratro, perch, a
guisa di dente, intacca il terreno. 5/iVe,da stare,
perch' il manico che vi sla sopra ; come mani-
cula si dice astrcciuola che attraversa la stiva,
63 AL TEBJJNl l VA^RRONia
quod hura eilrema addita oppilatur, vocatur eous
a cavo, lugum et lumtntum ab iuuclu.
i 36. Irpices regula compluribus dentibus,
quam item ut plaustrum boves trahunt ut eruant
quae in terra serpunt ; sirpices (postea S detrita)
quibus dicti. Rastelli^ ut irpices, serrae leves;
itaque homo in pralis per fenisecta eo festucas
corradit, quo ab rasu rastelli dicti. Rastri^ quibus
dentatis penitus eradunt terram atque eruunt;
a quo rutu ruatri dicti.
187. Falces a farre, litera commutata : haec
in Campania seculae a secando. A quadam simi
litudine harum aliae; ut, quod apertum unde,
falces fenariae ei arboriae^ et, quod non apertum
unde, falces lumariae et sirpicuhe. Lumariae
sunt quibus sccant lumcta, id est quom ia agris
serpunt spinae, quas quod ab term agricolae sol
vunt id est luunt, lumeta. Falces sirpiculae vo
catae * ab sirpis ; hi * ab sirpando, id est ab alli
gando. Sic sirpata dolia quassa,.quom alligata hia,
dicta. Utuntur in vinea alligando fasces: incisos
f f a c u l a s ; hasfaculas^ quae sirpo ne^ae,
dicuntfasces.
.138. Pilum^ quo<i eo far pisunt ; a quo, ubi
id fit, dicitur pistrinum ; L et S inter ae aaepe
locum commutant. Inde post in urbe Lucili pir-
strina et pistrix. Trapetes molae oleariae ; vo
cant trapetes a terendo, nisi Graecum est ; ac
molae a molliendo, harom enim motu eo coniecta
molliuntur. Vallum a volatu, quod, cum id ia-
ctant, volant inde levia. Ventilabrum^ quo ven
tilatur in aere frumentum.
139. Quibus comporiiiiitur .fructus ac ueces-
sariae re^ de his fiscina a ferendo dicta; corb^^
perch quella cui liene in mano il bMblcu. L ' a l
tra stanga che spvrge a modo diliiiuuKriameKap
i buoi, da' buoi nominossi l^ira: ebiam^si aBcbe
urvum da curvo. Quell'incavo sotto iljnezzo del
giogo, ov'entrando adattasi Tutremit dell>ure^
da cavo si disse cous, lugum poi e iun^eMium
sono da iungere^ cio aggiogare.
136. Gli erpici son quei travicelli con molti
denti, che son liruii da' buoi, al modo de' carret-
ti, per cavar dalla terra le erbe che vi serpono \
sicch da queste si dissero sirpices^ e poi irpi
ces^ smussatone il principio. 1 rastrelli sono ai)^
eh'essi legni dentati, ma pi leggieri degli erpici,
e per con essi si rasliano le festuche dai pr4ti
dopo segalo il fteno ; onde per questo rastiare li
son chiamati rastelli. Rastri poi sono quelli che
hanno denti da intaccare e rastiar pi a fondo I
terreno ; sicch da ruere si son cos detti, quasi
ruatri,
7 . he falci hanno tratto il nome dal farro,
mutando una lettera: nella Campania le dicon
seculae dal segare. Per qualche somigliaoza con
queste falci da micLere diUtossi il medesimo
uome anche ad altre specie ; onde si disaero.( ed
chiaro il perch ) falces fenariae ed arboriae
le falci fienaie ed i segoli, e falces lumari e
sirpiculae i ronconi e le roncole, de quali d a
nomi non manifesta 1' origine. Lumariae si
dicono dall' uso, a cui servono, di tagliare gli
spini, se ne serpeggian pei campi ; i quali spini
si chiaioan lumeta da /aere, sciogliere, per que
sto appunto che i coltivatori li sciogliono dalla
terra, cio gli sterpano. Le roncole poi si son 00-
jninate sirpiculae da' sirpia cio 4' vinchi, e
questi dasirpare die quaato a dir legare; onde
sirpati si dicono i dogli scommetti, quando li
stringono con questi vinchi. Se ne servono i vi
gnaiuoli per legar le fascine: le bacchette tagliate
si dicon faculae^ e queste legate con uu vinco si
dicon fasces^ cio fascine.
138. 11 pestello, con cui tritasi il grauo, si
chiam pilum da pisere che vuol r pestare;
sostituita la L alla S, come in pi altre parole.
Quindi pistrinum il luogo, in cui tritasi il gra
no ; e mutati gli usi in citt, troviamo dato fin
da Lucilio il nome di pistrina al forno, e di
pistrix alla fornaia. Trapetes sono i macinatoi
per le olive, denominati da terere^ cio dal trita
re ; se non piuttosto vocabolo greco. Mole poi
si dicon le macine dal mollire, perch col loro
moto molliscono ci che vi si getta. Faglio dal
volare, perch agitandolo si fa volar via le.parti
leggiere. Ventilabro diitlo sventolare il grano
spargendolo aU' aria.
139. Degli arnesi ohe s ueaao per raunare i
ricolti e le varie bisognet ti chiam la
Dii IJNGUA 1 LIB. V.
ab ev quoti co sptcas aHu<i?e quid corruebant :
hoc mnorea eorbulae dictae. De is que iunien-
U ducQQti tragula ab eo quod trabtnr per ler-
ram ; sitpexy quod rirgis sirpatur, id est colli
gando iraplicalur, in qua stercus aliudve quid
lehitur.
i 4o. Vehiculum in quo faba aliudve quid ve
hitur, quod ex viminibus vietur aut eo vehilur,
brevi est vehiculum dicium. Ex aliis vehiculi %
arcera quae elim in duodecim labulis appella
tur, quod ex tabulis vehiculum erat factum ut
arca, arcera dicium ; plaustrum ab eo qaod non
ol in bis quae supra disi, sed ex omni parte pa
lam est quae in eo vehuntor, quod perlucet,, ut
lapides, asseres, tignum.
XXXl l . 4 . Aedificia nominata a parte, nt
inuUa : ab nedibus et faciendo maxume, aedifi
cium. 1^1 oppidum ab opi diclam, quod munitor
opis causa, ubi sint et, qUod opus eSt ad vilam
gerundam, ubi habeant tuto; et * oppida quod
opi muniebant, moenia dicta. Quo moenitius
esset cpiod exaggerabant, aggeres dicti; et qui
aggerem cuntinerel moerus^ quod moeniendi
causa |K)rUbalur, moenus [ quod sepiebant op
pidum J, e quo moenere moerus.
I fa. Kids summa pinnae ab his, quas insigniti
milites habere in galeis solent, et in gladiatori
bus Samnites. Turres a torvis, quod eae proi-
ciunt ante alioi. Qua viam relinquebant in mnro,
qua in oppidum portarvnt, portas.
143. Oppida condebant in Latio Etrusco ritu
multi; id est, iu|Ktis bobus, tauro et vacca inte
riore, aratro circoiDagebMit sulcom ( hoc
banl religionis cada die auspicato ), ni fossa et
muro essent moniti. Terram onde excolpterabl,
fossam voeabeot, et iotronom iactam murum.
Poet ea qoi febat orbisi uii>is principrm ; qoi,
q a o d erat post munuD,/)oWmcerimdictinn cios,
q a o autpicia urbana fniontor. Cippi pomeri
sUmt et circum Ariciam, et circom Romam. Quare
et oppida, qoae prios erant circumdocta aratro,
b orbe et urvo urhes ; et ideo coloniae nostrae
oBEUiis in literis antiquis scribuntor urbeis, quod
M . T S B . VARBORE, DELLA LINGUA LATIRA.
cesia da/erre cioc dal porlare, e corbes le corbe
da corruere^ perch vi si gettano a mucchio le
spighe od altrellali cose: quindi corbulae le mi
nori. Di quegli arnesi poi che son tirali da glu-
menfi, si disse tragula la treggia da trahere^
perch si strascica per terra ; sirpea il carrello a
cesia da jiV/>are, perch inlessulo di verghe a
uso di trasportare letame o altre cose.
140. Quel veicolo, in cui trasportasi fava c
alireltali cose, per brevit si chiam, da i>eere,
veicolo col nome stesso del genere ; se pure non
suo nome speciale per ci che fatto con vimi
ni insieme avvinti, e avvincere dello viere.
Delle altre specie di veicoli, arcera^ di cui
fatta menzione anche nelle dodici tavole, s' cosi
nomata da arce, perch* formala di tavola a modo
di cassa ; il plaustro poi da palam^ perch, es
sendo aperto alla vista da ogni lato, fa palese ci
che vi si trae, come pietre, p.inconi cd altri le
gnami.
XXXII. 141. Edifica si dissero, come tan-
l allre cose, da una loro specie particolare, cio
dal fare le case che i Latini chiamano aedes e
sono la pi frequente specie d ' editicii. Oppidum
si nom il castello da opis^ aiuto, perch fassi
cos munito come luogo d'aiuto, ove stare e te
nere in sicuro ci eh d*uopo alla vita; e da
questo munirsi delle castella, perch siano d aiu
to, venne ai ripari il nome di moenia. Siccome a
renderle pi riparate vi alzavano argini; que
sti, da aggerere cio ammonticchiare la terra, si
dissero aggeres ; e il muro che incamiciava di
fuori argine e circuiva il castello, come facevasi
per meglio munire il luogo, fu dello moenus^
poi moerus.
i 4a. I merli che fannosi sopra le mura, s no
minarono pinnae per qualche somiglianza coi
pennacchi che portano per distintivo sn Telmo i
soldati e fra i gladiatori qne'che si dicon Sanniti.
Torri si nomarono quasi torte, perch sporgono
innanzi al resto della muraglia ; e le aperture^
come lasciavansi per poter porlare ci che occor*
re va dentro al castello, cosi si dissero porte,
143. Neir edificar castella nel Lazio, molti
tenevano il rito Etrusco ; cio messi a giogo un
toro e una vacca, s che questa fosse dalla psrle
di dentro, con V aratro condocevano on solco in
giro (e per religione il facevano in giorno di
buon augurio ), per ripararsi con fossa e mura
glia : il vano fatto col cavare la terra, diccano
fossa : e il terrapieno alzato, arrovesciandola in
dentro, murus cio moraglia. 11 circolo, che se
guiva a questi ripari, era il principio della citt,
c se ne diceva il pomerio, quasi postmoerium^
perch era dietro alla muraglia: esso era il con
fine degli auspicii urbani. segnare il pomerio
5

6; Mi T f c i l l i M l VAKHOi^lS
60
itero cundtlae ut Horoa^ cl ideo coloubc ot urbet
c o n d u D t u r , qiiod intra poincnum ponuntur.
44' Oppidum, quod primum oonditum in
Latio stjrpis Romanae, La^finium; nam ibi dii
Penates nostri. Hoc a la t i ni fdia quae coniuncta
Aeneae, Lavinia appellata. Hinc post triginta an
nos oppidum alterum conditum Alba : id ab sue
alba nominatum. Haee t navi Aeneae quom fu
gisset LaTinium, triginta parit porcos: ex hoc
prodigio post Lavinium condituro annis triginta
haec urbs facta, propter colorem* suis et loci na
turam Alba Longa dicta. Hinc malcr Romuli
Rhea; ex hac Romulus ; hinc Roma.
145. In oppido vici a via, quod ex utraque
parte viae sunt aediBcia. Fundalae a fundo, quod
eiitum non habent, ac pervium non est. Angi
portum^ si id angustum, ab agendo et porUi. Quo
conferrent suas controversias, et quae vendere
vellent quo ferrent,ybriim appellarunt.
146. Ubi quid gcneratim, addiium ab eo co
gnomen; ut forum boarium^ forum olitorium :
hoc erat antiquum macellum^ ubi olerum copia.
Ea loca ttam nunc I^acedemonii vocant macel
lum: sed Iones ostia ortorum macellotae orto
rum, et castelli macella. Secuuduni Tiberim ad
] unium + forum piscarium vocant: de eo ait
Plautus :
Apud piscarium^
Ubi variat res.
Ad Cometa forum cupedinis a Gupedio \ quod
Tnulti forum cupidiiris a cupiditate.
147. Haec onttiia poSslcaquam ronlracia in
unum locum* quae ad victum perlinebant, et
aedificatus locus ; appellatum macellum^ ut qui
dam scribunt, quod ibi fuerit ortus ; alii quod
domnt foerit qnoi cognomen fuit Maeellus, quae
ibi publice sit diruta; e^ua acdificatuai hoc quod
vocetur ab eo macellum.
stano piantati alcuni cippi oolonnelli Ui liiComc
mI Aricia ed intorno u Roma; L cstelldun-.
que cui, nd fondwle, si guidava fartorso P aratro,
o da orbis^ giro, o da urvum die H bure del-
aratro, ti dinominaroiio urbes ; o ifdle antiche
scritture le colonie romane soo tutte etibioatc
urbeSy perch si fondavano al modo steMo di
Roma ; e il fondare queste colonie e castelli dicesi
C0ndere cio riporre, perch i obiiBidono dentro
al ponerio.
i 44 11 primo castllo i ronien sangue, he
siasi fondato nel Laiio, fu Lavinio ; penHMh ivi
sono gli dei Penati de' Romani. Denominossi da
Lavinia, 6glia di Latino, maritata ad Enea. Da
questo di l a trent' anni fu edi6cato il second
castello, chiamalo Alba da una troia bianca che
dalla nave di Enea era fiiggita a Lavioio e sgra-
vaiasi di trenta porcellini. Per questo prodigio,
trent* anni dopo edificalo fjavinio si fece questa
nuova citt, e addomandoisi Alba. Lunga pel co
lore della troia per la natura del laogo. Di l
enneRea, madre di Romolo$4a questa Ranwl o,
e da Romolo Roma.
145. Nelle cilt le contrade ti disaera m i ,
peroh sono vie fiaocheggiate da (abbrdia. Le
vie cieche, prive d ogni ruacita^ on fitn-
dulae dalP aver fondo) e se liaiio Btrelte amgi^
porti da ager e portus^ perch vi si entra eomc
in un porto. Quel luogo dove portavano e le liti
a sciogliere e le robe a vendere, da Jrre che v
quanto dir portare, ' chiamato foro.
146. Secondo le particolari specie di merd che
vi si vendevano, i fori si contraditiftinaero con
vani epiteti ; come di boario da* buoi, e di e/i-
torio dagK ortaggi chiamati oler. Questo dtce-
vast anticamente macellum ; e ooa ehiamansi
ancora da' Lacedemoni cosi fatti luoghi: gU looi
in vece dicono macellotes le chiusure degli orli,
e macella quelle de'castelli. Lungo il Tevere,
presso il tempio di Giano, quel che dicono forum
piscarium^ cio pescheria ; di col scrive Plauto :
Presso la pescheria, dov di tulio.
Il mercato alle Comete si disse forum cuptdi-
'nis da un certo Gupedio: molli il vogliono quaai'
forum cupidinis^ws^ mercat deUe ghiottonecie.
147. Dopoch queste txm pertinenti al vitto
si raccolsero tutte in un solo luogo edificato a
quest' uso, gli si diede il nome di macellum per
esservi stato prima un orto, secoudoch scrivono
alcuni. Altri dicono in veea ok'era ivi la casa
d' un certo Macello e he fu atterraU per pub
blico ordine ; onde, essendosi poi fabbricato con
essa quel mercat, gir rest il nome di raaoelW;
D& UNG^A LATINA LIB! V. 7 0
4^ l i i foro i ecMi n C urthim Gurti o il
ei mn OMMiat;* e t (1 o tri cep ; neitt et
PradK(PBoo^Ml efli ^roi i t*qBd Pisa nee qood
9i Corn^l i as SlHo modHis. A Prod l i o r el ah i n in
eo I mo t k i tte l erram, ei id ex S. Coa. ad ru-
tpMe#tl atum c m ; r cfpossum Deum Maftiom
poal ul iontni postulare, id est civem rorl issfoum
eo deraiUi ; turo qaeudam Curl ium ci fem fortem
armafeon aaceodiase i o equnm el a Goacordia
versom oi m equo eo praecipitatum : eo fiiclo l o-
ttua ooMt 1<| ' corpus ^Mni tos hamasse,
o r al i qoi genti>aeae monvmeotum.
1^9. Fiso ID Annalibus scribit, Sabino beilo,
qood foit JBLoffittlo et Tatio, Tiram fbrlisenum
Melium Curlium SabinuAt qoom Romuktt cum
soie ex soperiore parie impressionem fecisset, in
locum paUstrem, qoi tum iuil in foro, nteqoam
ci oocioe sontiMtoc^ teotigitse atqoe ad suoi se *
in Gapitoliom recepisse ; ab 00 bcam invediaie
iSiO CornolSas et Lolaties; scriboni, eum lo
ia ilgaritum, et ea SeoatiM Goa. aeplom
m ; id qood fiMloBTntt a Conio CoofoU <}00i
MorcoaGcaolBfattooHeg&,Curlion appeUatam.
iSi* ^rs9 Ir arcando, qund is locus munitis-
si ni u urbis, a qno faetUtma poatit hos^ prohi
be ri Carberttoomeiidovqwde^ireiQolusi pro-
hibaaterw lo ifeoopott quae aub terra TuUianum^
ideo qood additnm a ToUo rege. Qood Sjracusis,
ibi: idem cianai cuatodsuntur, vooanlor latomiae,
imleZtfiiilMM vtmMlatumH quod hic qnoqoe in
o Imo lapidMioae f u m a i .
iSa. In eo Luretum ab eo qood ibi sepullus
est Taline rex qui ab Laurentibus interfectus est :
el * ab siira laurea, quod, ea ibi excisa, est ae-
diloalua Teos \ ut Inter Saeram viam et macel-
Ivfo edi ta ! Comta a , quae abseisaae loco
roHqoerant nomeof fA Escmlttum ah eaeolo di-
etom, >et Faguiml a fo ( nnde etiam Tohs Fa
faEisJ, qnod ibi, jMeUnm^
i S 3. ALrmUMSUtmm uh M99hku lualri. Locus
idem Cirtu Mmmiimut d^loa, qood, oincom
apaatncnUa aedificatia, ibi ludi fiiMl, el qud ibi
cifcoo malaalerliav fiompa etaqui corrunt. lia-
Quel luogo dd foro che chiamasi lago
Curzio^ tutti s'aocordau nel dire che fu denomi
nato da Curzio: ma se ne contano tre dircrse
storie ; poich Procilio dilungasi dalla narraxion
di Pisone, e Cornelio Stilone da quella d en
trambi. Procilio narra che in quel luogo s'*aperse
un tempo h terra ; onde per decreto dei senato si
ricorse agli aruspici, i quali risposero che il Dio
de' Mani chiedeva che gli si mandasse gi il cit
tadino pi forte ; e che allora un certo Curzio,
prode cittadino, mont armato a cavallo e, par
tendo dal tempio della Concordia, vi si precipit
dentro insieme col cavallo: ci fatto essersi chiusa
la voragine e, seppellito cos per opera divina il
cadavere, esaer passato quel luoge, come un suo
monumento, alla gente Cnrzia.
149 Pisone scrive negli Annali che, nella
guerra sabina fra Romolo e Tazio, avendo Ro
molo co soi>dato la carica-da un ponio pi allo,
nn valoroaissimo uomo Mezio Curzio aabioosi
ritir in un luogo palustre eh era allora nel foro,
prima che si facessero le cloache, e per di l si
ridusse appo i suoi nel Campidoglio} onde qnel
lago ricevette il nome da lui.
I So. Cornelio e Lutaxio acrivono che quello
un luogo colpito di fiUmiue, e per sbarrato
per decreto del Senato : come ci arvvenne n^
consolato dt Corzo eh' ebbe a coHega Masco
Genuxio, oos quel luogo essersi chiamato Curzio.
i 5 f . La rocca si disse arx da arcere che vale
tener lontano, perch la parte meglio riparala
della cilt^ ond' pi facile tener lontano il n>
mico. Carcere da oorcere^ afirenare, perch a
quelli he vi si chiudono tolto uscire. La parte
aoilerranta del carcere delU Tulliano^ perch
^ fu aggionta dal re ! nome di Latmmia
stocto da quel di latomia, onde chiamasi in Si
racusa il luogo ove guardansi simili condannati (
perch in qnel sito v' erano anche qui delle cave
di pietre.
152. Neir Aventino, quella contrada che ai
chiama Laureto^ ebbe, questo nome dall' etaer
sepolto ivi il re Tazio ucciao da que? di iMirenlo,
o dall' esservi stalo un boaoo di lauri prima che,
Uglialolo, vi si fabbricasse quella contrada ^al
modo stesso che altura fra la Via sacra e il Ma^
cello si nom Cometa da' cornioli che, sebbei^
recisi, Uaclarono il lor Toaaboio al liaago ; c E
Uraise*l nome dagl* iachi, e i l F a n a le
da' laggi} onde anche U cappella eho ivi aocge,
della Giwe FagiUaie.
153. JrmiJusUum.A %inv vi aifii
imI lustro. Lo slesso Inogo chiamasi anche Circo
Massimo^ perch vi si aia a gnurdar^ gli s p e l l a i v
ili loggie edAfiaie in cerchio, e io cerchio corro-i
, 1:1 VKKOWS
que Uicluo) in Ck>rnicularia millij adventu qucni
circumeunt ludentes :
Quid cessamus ludos facere i Circhi noster
ecce adest.
In circo primo unde millunlur equi, nunc dicun
tur carcereSf Naeviuj oppidum appellat. Carce-
rej dicli quod cocrceniur equi, ne inde exeant
antequam magistratus tignum misit. Quod ad
muri speciem pinnis (urribusque carcercs olim
fuerunl, scripsit poeta :
Dictator
ubi currum insidit^ peri^ehitur usque ad op*
pidum.
154. Intumus circus ad Murcitn locatur, ut
Prociiiat aiebat ab urccif, qaod ii locus esset in
ter figulos. dicunt a rourteto declinatum,
quod ibi id fuerit : quoius yeetigiam manet, quod
ibi sacellum etiam nunc Murteae Veneris, Itera
simili de causa circus Flaminius dicitur, qui cir
cum aedificatus est Flaminium campam, et quod
ibi quoque ludis Tauriis equi circom metas cur
runt.
155. Comitium .fkh eo quod coibant eo corni-
iiis curialis et litium causa. Curiae daonim ge
ncrum ; nam et ubi curarent sacerdotes res <lT-
nas, ot Curiae Veteres, et nbi senalus, bumanas,
ut Curia Hostilia quod primum aedificavit Hosli-^
Hos rex. nte hanc i 2ox i r a; quoius loci * id
ocabulum, quod ^ex hostibus capta fixa sunl ro
stra. Sub dextra huius a Comitio locus substru
ctus, obi naUonum subsisterent legati, qui ad se
natum csseot missi. Is Graecostasis appeltatas a
pavte, ut multa.
i 56. Senaculum sopra Graecostasim, obi ae
dis Concordiae et basilica Opimia^ Cenaculum vo
catam, nbi senatnsaut ubi seniores consisterent ;
dictum ut gerusia apud Graecos. Lauiolae a
lavando, quod ibi ad Janum Geminam aquae cal
dae iaeroot. Ab his palus fuit in minore Fela-
hroy a qoo, quod ibi vebebantor lintribus, Vela-
bram ; oi illud maias, de quo supra dictum esi.
Do i cavalli c portensi iu processione le cose sacre
intorno alle mete. Onde nella Comicularia, al
sopravvenir d ' s o l d a t o , gli vaiui< allonio con
befiCe cosi dicendo ;
Su, raano a' giochi ; il nostro irto froDio*
Le mosse, cio quel luogo in su principio
circo, donde si lasciano i cavalli, al presanic si
chiamano carceres ; ma Nevio le dice ^ppidmm.
Carceres son nonainale da co'reere^ affreaar,
perch vi si tengono in freno i cavalli, ch non
nc escano prima che venga il segno dal magisira--
lo; oppidum poi, cio castello, lo chiam il poeta,
scrivendo :
Come so cocchio il drtlator s'assise,
Fino al castel s nvania,
per ci che le mosse erano fatte a somiglianza
delle mora, coni merli c torri.
i 5{. La parte pi interiore del Circo dieesi
ad Murcim^ econdo il credere i Proctlio, diagli
orci, perch quel luogo era in raexao a'vasai.
Secondo altri da' mirti, de' quali ToglioM foaae
ivi un boschetto : certo ne resta on indizio, che
nella cappella ivi posta a Venere, le si d ancora
il nome di Murtea, Per sinriK cause fu denomi
nato anche il Circo Flaminio^ perch s co**
strutto intorno al campo Flaminio ed anche ivi
ne' giuochi Taorii i cavalli corrono circa le mete.
155. Comizio da coire, adonar^ perci
che in esso adunavansi per gli squittinii delle
curie e per cagion di litigi. Curie dal cacarvi
( poich ve n ha di due sorta ) o i sacerdoti le
cose divine, come nelle Curie Vecchiey o il se
nato le amane, come nella curia, chiamata Osti-
Ha perch edificata la prima volta dal re Ostilio.
Innanzi a questa sono i Rostri; il qual luogo hai.
il nome dall euervi fitti i rostri, o sproni, de'oa-'.
vigli presi a' nemici. Di presso a qoesti a roaoo
destra verso il Comizio si costrosse on luogo, in
cui s'avessero a fermare gli ambasciatori maodati
dalle altre naaioni al senato ; e da una natione
particolare, come s ' fatto io tanV altri Romi, si
chiam Graecostasis^ cio stanza de Greci.
156. Di l dalla Grecostasiy dov' il tempio
della Concordia e la baslica Opimia, era il Sena-
colo che cos nomossi dal dimorarvi del senato o
de' seniori, al modo stesso che Greci chiamano
gerusic simili luoghi. Lau/o/ae dal lavare ; per
ch ivi, presso al tempio di Giano Gemino, erono
fonti di acque calde, che formavano ona palvde
nel Vtlahro minore^ deoeminato anch esso da
DE UNGILA LATlflA LIB: V.
l i
1 q Mq*>twMeK iKmuir
poblioo qaod regouni oocaparR Toloit il. Loco
ad Busta Gallica qaod, Roma recuperala, Gal-
loruA.oMay qui pomdcrool urbero, ibi coacer
vala ac oonaepU. Locus qui vocatur Doliola ad
cluacam maxumam, nbi non licei detpuere, a
^AlioHsfob lerra. Koraim doae Iradtlae hieloriae,
quod falli ncife aiual oaaa cadaverumy, alii Nu
raaePoaipilti peligioea quaedam poeC mortem eius
ipioffa. ArgiHum suot qui aeripserunl ab Ar-
gola, aeu qaod it hoc yenert ibiqoe aitiepi^llas;
alii ab^rgilU, qeod ibi id genm ierrae.
i 58. CU90S Puhlicius ab aedilibaa plebei
PaUioif qui eam publice aedificaranl. Simili de
caoia Pullius et Cosconius^ quod ab hia t oco
ria diooniar aedificati. Clivoa proxomoa a Flora
BQiaTevfoi Capiiolimm vitas^ qnod ibi Bacellum
lovi, lanoniiy Minerfae^ et id mtiqaiot qoam
atdij q i a m CoqHtolio facta.
159. EtqoKt ptcvs Africusy quod ibi obd-
dea ex Africa beNo Ponieo dicantur cuatoditi.
Ficus Cypwims a cy^ro, quod ibi SbinroiTes
additi oonaederant, qui a bone ornine id appella-
mnt ; am cjpnim Sabine bonum. Prope bone
viems SceUratus^ dictin a ToUa Tarqoini Su
perbi oxore, quod ibi quoro iaceret pater occi-
aB, aspra cam cerpentam mnlio ut inigeret
it.
XXXill. 160. Quonim vicui eonttat ex do-
mibut, none eanim vocabohi videemui. Domui
Ovaccum ; et ideo in acdibui aacria ante cellam,
ubi ,aedet dei aunt, Gracci dieunt po^o/uar ; quod
poUi 2e<ft> ab adito, quod plano
pede adiiMDt Jtaque execdibus efferr indictiio
funarc praeoo etiam eoa dici! qui ex iabernit ef-
feruntur^ et ornaci iu ccneo Tillaa inde dedioa^
muaacdea.
161. Gavam acdiaai diotom qui loeiia tectua
intra parietes relinqiebatr patula, qui eaaet ad
commime omnium neum. In boc locuf ai nallua
eAerw, come il maggiore di cui ho parlato di so*
pra, perch vi fi andava sopra barchetle.
157. Aequimtlium dall essere stala iti la casa
di Melio, che fu poi spianala o, come i Latini di
cono, acquata^ dal pubblico, perch volea farsi
re. La perle della Busti Gallici^ fu cos chia
mata perch, come suona il nome, Tossa de Galli
che sperano insignoriti di Roma, quando la cill
fu ripresa, s ammonticchiaron tulle in quel luo
go e si chiusero con un ricinto. L allro sito, dello
i Dolioli^ presso alla cloaca massima, dov proi
bito sputare, ha trailo il nome da piccoli dogli
che vi stanno sotterra. La sloria narrasi in due
modi diversi ; perch*altri vuole che vi sian den
tro ossa di morii, ed altri alcune cose pertinenti
a religione che, dopo la morte di Numa Pompi
lio, siansi col sotterrate. W Ar^ileto^ scrivono
alcuni che siasi cos chiamato da un ceflo argivo
eoulo a Roma e col sepolto; altri da Mrgill,
per esser quivi tei qualit di terra.
158. 11 c/iVo Pu/fcio ebbe il nome da'Pu
blicii, edili della plebe, che edificarono a pub
bliche spese. Parimente il Pullio e il Coscorro
da dee soprantendenti alle vie, cos chiamati, che
li fabbricarono. Il clivo appresso, salendo dal lem^
pio di Flora, si dice Campidoglio vecchio per
essenri una cappella di Giove, Giunone e Miner
va, pi amica del tempio che si costrasse loro
nel Campidoglio.
159. Nelle Esquilie, il pico Africo deriv il
nome' dagli statichi africani che voce essersi
ivi cpstodfti nella guerra cartaginese. Il ifico Ci"
prio da cipro^ voce sabina che significa quanto
dtr buono; perch, essendosi accasati in esso i
Sabini accolti in citt, cos il chiamarono per
buoi augurio. Allato a questo il vico Scelera
to^ che trasse il nome da Tullia, moglie di Tar
quinio il superbo, la quale vedendo ivi giacere
so padre iioeisof comand 1 cocchiere d sospin
ger le mule e passargli sopra col cocchio.
XXXllI. 160. Siccome i vicoli son formati da
case, vediamo ora i varii nomi che appartengono
a queste. Domus^ che n' il vocabolo generale,
voce greca ; e per ne tempii la parte davanti
alla cella ov il dio, da Greci chiamasi TfoVo-
e la parte di dietro ^. Aedis si
nom da prima la casa a un sol piano dal verbo
adire cio andare, perch vi si va senza salire
Ond che nel bandire i moviorii, anche s ab
biasi a levare il morto da una baracca, il gridatore
usa il modo efferre ex aede ; e le case di cam
pagna si registran tulle nel caluto col nome di
aedes.
i6f. Capum oecfisim chinmarono qnel luogo
coperto che lasciavasi Kbero in messo il ricinin
deUa casa, perch fosse a comune uso di lulti. Se
T i W m t ^AHRCNIS
7(^
rekctm ertlt l ab diToqut m e t , ^kcbalor 4esiu~
do b lesliidinf miliiadine, ut est in |re(orio
in castrif. Si reliclnro rat in medio ul iucem ca
peret, ileorgiuD qao iroploebaC ciumimpiuv^fmit
autom qua compluebat compluvium ; ulromque
a pluvia. Tuscanicum dictum a Tuicie, poalea-
qam ittoroBi cavuni aedium gmulare coeperuut.
4 irium appellatum ab trialibiis Tuk s ; illine
eiiim exemplum fumptum.
16^ Gircam oaTam aedium ennt onina quo^
inique rei ntilitatia causa parietibof disaepla. Ubi
quid condilntn esse Tolebanl, a celando cellam
ppeUaruQt ; penariam^ ubi penua. Ubi cnbabani,
cub9uliim : ubi eoenabant, oemaculumyot\a^
bantf ui'atiam nane Laouvi apad aedem lunonis
et in cetero Lalio ac Faleris et Cordubae dicnn-
tur. PosUaqnum in parte coenitare
coeperant, snperiory domus universa coenacula
<jiicta : postcaquaro ubi coenabant, plura facerc
coepcrunt, ut in caslris ab hieme bibema, hiber-
ffum domus vocarunt ; contraria................
Bie defeeit rempfar fbliU duoina.
XXXIV. i 63................ ligionem Porcins desi
gnai 4|uom de tinnio acribens dicit eom coluine
Tutilinae loca. Seqoitur porta Naevia^ quod in
nemoribus Naevii* {Naevii ^ eteoim looa, ubi
en ) sic dicta. Deinde Rauduscula^ qnod aerata
fuit. CS rqudus dictam : ex eo veteribus ili man
cipiis scriptum :
Raudusculo libram Jento,
Hinc Lavernalis ab ara I^veroae^ quod ibi ara
eiui.
164. Praeterea intra niuros video portas dici
ili Palatio Mucionis mmugitu, quod ea pecus in
bucita ciccum antiqaom oppidum exigebant ; al
leram Romanulam, ab Eoma dictam, quae habet
grailus in Nova via ad Volupiae iracellum.
iG5. Tertia est lanualis dicla ab iano ; et
ideo ibi positum laiii signum; ei ius institutum a
Pompilio, ut scribit in Annalibos Piso, tti sit
ftf)erla smper, nisi qiiom bellum sit nasquam.
non vi si aveva lateiato alevno i p n i o scop(!rto, si
dicea testudo da ana colai soirtigliania cot nicchi
deUe leituggini ; e tal R prelotrto ncRa^milfoib.
Altrimenti, se nel mezxo vi aveva lasciai aw
vano, per cui entrasse la luce; la parte di sotto si
chiamava implutium e la superire Aim,
ambedae dal piovere^ da che questa vi^raegli^
va 00^snoi pendenti acqoa piovana, e Tallwi ta>
rioev^a. Questo vacao ia meizo la casi^ dopoch*
vi ai v^lc imkar la foggia de' Toschi, g im&
anche Tuscanicum ; come atriwm denomiooM^
il portico che gin Mdetto corflles perch se w
pigli esempio dai Toschi d' Adri .
i6a. lotomo al medesimo eorlHe efan fanff
luoghi separati da mari, quante sono le occr
rerne di casa. Dotc voleano riporre in serbo al
cun che, dal celare la diceano cella ; penaria^
s ' eran mangiari, perch penus ogni cosa da
mangiare. La stanza da letto, dal cubare si solca
chiamare cubiculum ; e il tinello, dal cenare,
cotnaculum ; siccome chiamansi ancora presso
il tempio di Giattooe in Ijuiavio^ e nei rert del
L a o e in Faleria ed iir Cordova Ma dopa cks
venne in uso il cenare nella parie sopodore della
casa, le stanse dell- oitimo pisao ai dissero4**
cencoli : e poich, oltre al mangiare, tollero s
farvi moli' altre cose | perci, ooo vocaboia^pvot
prio de' soldati che il trassero da hiems^ inverno,
si chiam anche il cenacolo hibernum omui^
cio il qnarliero d' invcrao delb casa........... ..
Qui nell uemplart m^nean due ffi
XXXIV. i 63................ r indica Porxio allora
oh, parlando di Ennio, dice ohe abit presso
airara di Tutilina. Vien poi la porta Nevia^ coti
chiamala dall' essere nella selva Nevia^ come que
sta da un Nevio che la teneva. Quindi la Ram
duscula, dall*esser coperta di rame; poich il
rame diceasi raudus^ ond' scritto aelie antichr
leggi de* maocipii : Raudusculo libram ferit&n
cio Tocca col rame la ^/eacto Sagnitando,
la porta invernale ; e qaesla si oooi da Lave*-
na, perch n' ivi l ' ara.
16 i. Anche delle porte che sono dentro alle
mnra, quella di Mucione nel Palalino apparisce
che si nom dal muggire, staale che per essa si
menava foori armento ai pasaoli eh' erano in
torno air antica cerchia. La seconda porla, cio
la Romanula, ebbe li nome da Roma, ed quella
ov" la scalea dalla cappella di Vulnpia in Via
Nuova.
i 65. La teria la Gianuale denomiuala da
Giano;, sicoh 0 ' .ivi la alaiaa, e per islituaone
di Numa, come scrive Pisone ne* suoi Annali, dee
restar sempre aperta, eccetto il caso che non
77
DE LINGUA LAI INI LIB. V.
Trailfii^: .floemorUe Poaiplio rege hfte
opcniMOk et fM>st Ti ipMunlio Coniale, bello Car*
tliagiiiieitfi priiDo confecto, et fcodem o q o
perUm^
XXXV^.i(6. Svper lechilia origines qua
Tcrli bae* IttcUca^ quod legebant ade eam fii
cerepi stnui^eala .atque herbam, nt etiara mine
fil ia dal iii , Ltc^ tquod, ne esfent d terra, su*
bl i ^ in bia ponebani; disi ab ^quod Graeci
aoliqu licebaat X^xrfor, lectrisiA potios. Qui
leclifam iavolfebaot, ^od fere stramenta crani
e segete, feststxiam appelUrunl, ut eiiaoa nane
iu castris ; nisi si a Graecis^ nam 9iy9^w^, Ubi
leaus mortui fertur^ UiceliaDt ftrttrum nostri,
Graeci 0e>frfoi^.
167 Poftleq<iMa Isansierunt aU culoltasi qood
in ea. aoosranl toaaeotaaa alindfe ^I<1 calrabanf^
eb inoaloando. cm/ci/o dieta. Hac qodqeid in
Icnadbattl^ab Vcwntt strugulum appeUal>ant.
/ iv/iiMer fcl a pbiribus rei a polulis dedinarnat.
43iibMS)opartbaotuv,<ofMrimnto^et pallia ^per^
fiuia dixecant; in bis malta peregrina,iit Mgmm
t i reo0 Gallica, et fouMocum et amphimallum
Graeca. ConAM-Lilinoai <orB/,qaod anta torom ;
et torus a torso, quod iis in promptu. Ab bac tl-
m^iUidin^ io jaulierie capite onMto;
1O8. Qua aimpUci scaaaione scandebant in le-
cUira non aitino, scaeUwn; in altioreni, scam
num. Duplicala scaMsio gradus dicitur, quod
gerii in inferiora sopeviorcm. Graera sunt
'giromata ci peripetasmata^ ci si alii quid ilem
convTi causa i b i
XXXVI. 169. Mtika pecuoiac signaUc roca-
buia siHit. Aeris et argenti haec. As ab aere. /^-
pondius a duobus ponderibus, quod uiium pon
dus ahsipandium dceba|r : id ideo quod aserat
libra pondus. Deinde ab itumero reliquum di<>
duro usque ad cenluasis, ut as aingalari numero ;
ab tribus assibus rcf/i/yct sic ppoportione uiqiie
^d 4tntssis4
aTe guerrar in Bcmtea |>arle. Narrali ebe aia
tata chiusa regnando Numa; poi di nocivo cbio-
sa nel consolato di Tito Manlio, dopo finka la
prima guerra cartaginese, e n d r anno sloia ri
aperta.
XXXV. 166. De* nomi che ragguardano il
giacere, le origini che ho notato aon queste. Lei-
tiga da legere ebe quanto a dir cogliere,
perch a farla coglievaai paglia ed erba, come
s' usa ancora tra soldati. Lectus s chiam il lello ,
da sublices^ cio da' piedi, so cui il sollevavano,
perch non islesse su la terra ; se per da prima
non fu detto leetrum per ci che gli antichi
Greci Taddomandavano Xixrfw, La coperta,'onde
involgevano la lettiga, si denomin segestria da
seges che significa biada, perch solitamente ser-
Ta di coperta la* paglia delle biade, com' a n c m
coslume nella milizia ; se anche segestria non si
trasse da' Greci, che la dicono Quel-
arnese, in Cui portasi il letto con sopravi il mor
to, i Greci lo chiamano piftrfifs feretro i nostri.
167, Quando si b' passaggio alle materasK,
come le riempivano di pula o borra o che altr
fosse ; cori da inculcare cio calcar entro, le dis
sero culcitae. Ci che vi distendevano sopra,
<hllo stemere chiamarono stragulum. Puhinar
il capezzale o da plures pi, o da polulus picco
lo, perch quasi un altro e minor materasso. Da
operire cio coprire, dissero operimenta le co-^
per te, ed opercula le sopraccoperte. Di queste
v ha molli nomi stranieri, come sagum e reno
gallici, gaunatum ed amphimallutn La
tino toraly che vien da toro cio cuscino, per-
tib.disfeiHlesi innanzi ad esso ; come loro da
iof t o, perch faceasi torcendo checche veniva, fra
fiaiio. Dalla somiglianza che ha con questi ruo-r
, ti chiam torulus quell' abbigliamento che
usano in capo le donne.
168. Quella predella a un olo scaglione, per
cui si monta su '1 letto ; se non sia moli* alio la
dicono sgabello ; altrimenti scanno^ da fcande-
re. Se gli scaglioni son pi, si chiamano gradi
da gerere^ portare, perch portano abbasso chi
sa di sopra. Peristromata e peripetasmata (che
cosi cbiamansi t tappeti ed i cortinaggi) son uomi
^reci, come anche gli altri vocaboli apparleneuli
ai paralo de' le,Ili per li convilL
XXX VI. 169. V* ha parecchi nomi di inonete.
Di quelle di rame e d' argento, i nomi soci que
sti. Jsse da acj, cio dal rame ond' fallo.
Dipondioy quasi di due pondi o libbre, si chiam
la moneta che valeva due assi, al modo che un
solo fondo o libbra si diceva assipondio ; c ci
perch 1* asse ew una libbra in peso. Da^ due
'assi ai cento, delti centuss^t^ i-uomi sou ii^lli lor-
inali da aM dal proprio numero, e dicousi nel
79
. VARRONIS 8
^. ] denario numero hoc rauUl, quoU prt-
iiiuiii csl ab decem assibus decussis^ secundum
ab duobus decussibus vicessis. * Reliqua cootc-
liiunt, quod esi ul tricessis proportione usque
ad centussis^ quo maius aeris proprium Tocabu-
lura non est ; nam ducenti et sic proportione quae
dicuntur, non magis asses, quam denarii aliaeye
quae res significantur.
171. Aeris minima pars sextula^ quod lexta
pars unciae. Semuncia^ quod dimidia pars an*
ciae : se Talet dimidium, ut in selibra et semo
dio. Uncia 'ab uno dicla. Sextans ab eo quod
exta pars assis, ut quadrans quod quarta, ei
triens quod tertia pars. Sentis^ quod semis, id est
ut dimidium assis, ut supra dictum est. Septunx
a septem et uncia collisum.
179. Reliqua obscuriora, quod a deminutio
ne, et ea quae deminuuntur ita sunt ut extremas
sj^llabas habeant. Uudeuna dempta uncia, deunx\
dextans^ dempto sex tante; dodrans^ dempto qua
drante ; bes^ ut olim des^ dempto triente.
173. In argento nummi: id a Siculis. Dena-
ni^ quod denos aeris valebaut; quinarii^ quod
quinos. Sestertius^ quod semis tertius ( dupon
dius enim et semis antiquus sestertius est, et f e
teris consuetudinis ut retro aere dicerent, ita ut
semis tertius, quartus semis pronunciarent), ab
scmistertius dictus.
174* Nummi denarii decuma libella.^ quod li
bram pondo aeris valebat, et erat ex argento par
va. Sembella^ quod libellae dimidium quod semis
assis. Teruncius u Iribus uuciis, quod libellae ut
hjec quuria pars, sic quadrans assit.
175. KaJeni pecunia vocabulum mutai, nam
potest item dici dos, arrabo, merces, corollarium.
Vos^ si nuptiarum caasa dala : btec Graece
rtvn^ ita enim hoc Siculi. Aii eodem ; nam
Graece, ut ipsi, et, ut alii, ' /ua et, ut Al
lici, . Arrabo^ sic data ul reliquum redda
tur: hoc verbum ilem a Graeco Reli
quum^ quod ex eo quod debituni reliquum.
sicifolare come asse. Cosi un tre assi ohiaroasi
tressis^ e via a questo modo fino a nonussis
oio ai noTe assi.
170. Quando viensi al dieci, v e questa Taria-
zion che i nomi procedono non pi per onit,
a per decine di assi ; sicch il primo decussis
cio dieoi assi,U secondo vicessis cio venti, il ter
to tricessis cio trenta, e cos aegoitaodo con la
stessa regola fino a centussis che vuol dir cento
assi ed la maggior somma in rame eh' abbia ro-
cabolo proprio ; perch da indi in sa, quando di
cesi o dugento o altro simil numero, del pari che
assi possono intendersi denari o altra cosa qual sia.
171. La parte minima delPasse si chiam sex
tula^ perch' un sesto d oncia. Semuncia quan
to dire meix oncia, perch la particella se signi
fica mezzo, come in selibra che mezza libbra,
e in semodius che mezzo moggio. Uncia da
uno. Sestante dall essere un sesto d asse, come
quadrante un quarto, triente un terzo. Sem^ss
dair essere in fatto mezzo asse, come suona il no
me per ci che ho dello di opra. Septumx da
feptem ed uncia con piccola collisione.
173. Men chiari sono i nomi delle altre parti
delibasse, perch le denotano per via di levameQ-
to, e la quantit da levare vi sta di nanitra che
tien ultima sillaba. Cosi deunx nn aste, tol
tone un' oncia ; dextans^ toltone un sestante ;
dodrans, toltone un quadrante. Bes poi <1 des^
come diceasi in antico, Tallre due parti che reata-
QO, tolto un triente.
173. In argento abbiamo 1 nummi, Toce Te--
nuta da'Siculi. Denari si dissero, perch Taleano
dicci assi ; quinarii quelli che cinque. Sesterzio
sincopato da semislertio^ perch anticamente
cambiava si per due aui e mezzo, ed il vecchio
uso nell indicar le somme degli assi era di con
tare all' indietro dal nomero maggiore pi prossi
mo : sicch due assi e mezzo diceausi semistertius
cio mezzo il terzo asse ; poi mezzo il quarto e
via via.
174* La decima parte del denaro si ckiMB
libella cio libbra piccohi, perch Taleva una lib*
bra di rame cio un asse, ma, essendo d argento^
era piccola. Sembella per sincope dall' essere
met della libella, come il semiitse dell* asse. Te
runcius da tre oncie, perch' la quarta parte della
libella, come il quadrante dell' aste.
175. Olire che per variet di valore, la pecu
nia mula Bomi per diversit di rispetti ; poich,
rimanendo una la quantit, pu dirsi ora dote,
ora pegno, e quaodo mercede e quando giunta.
Dote s'appella, se data per cagione di nozze ;
e questa anche i Greci, certo quei di Sicilia, cbia-
nMin imrtfn. Dalla stessa origine domo ; peroc
ch in greco, come il dicouo i medesimi Siculi,
8 DB-UKGL LATINA UB.lV.
|, guoia ipiaui r
fe(am qtiam quanti constat Lucrum^ ab lueiir
do, si amplius, quam ol exsolveret quanti esset,
caplum. Detrimentum a detrilu, quod ea quae
trita mmoris pretii. Ab eadeto mente intertti
mentum ab eo quod duo, quae inter se trita, ei
demii^ula l, q^UQetiam L^t^trigo dkla.
177. Jldulta pecMoiA quae a magistratu dicta
ut e^igi posset ob peccatum. Qood singulae di
cuntur, appellatae eae multae; quod olimunum
dice^nt mullam il^que quom ia doiium aut ca^
leuni ?iqm addunt rusUci^ pcima urna addita,
dicunt.eliam uunc..Pi>e/7a a pHnieado, aut quod
post pecca lMnx3equitur> Pretium quod emptio-
bi a aestimati|onisve caus^ constituitur, diclem a
peritia, qnod bt aoU possunt, facere recte id.
^78. Si quid dalujn pro opera aut opere, /ne/v
W a merendo.. Quod mana Caelum erat et datum
pro eo, manupretium a manibus et preUq. Co
rollarium $\ additum praeter quam quod debir
tam eius : ocfluro fictum a cocoUis, quod eae,
cura placuerant adores, in scena dari solitae.
Praeda est ab hoslibus capta, quod manu parta,
ut parida, praeda. Praemium a praeda, quod
ob recte quid factum concessum.
179^ Hi' datum quod reddatur, mutuum,^
quod Suculi /M^ror; itaque scribit Sopbroo/cioi'-
ro dwri . Et munus^ quod mutuo animo
qut auBti dant officii causa. Alterum munus quod
mniendi causa imperatum ; a quo etiam muni^
ciperi qui MoamuQUS fungi debent^ dicti.
180; Ea pecunia quae in mdiciun venit in
bmy sacramenium a saevo. Qui petebat et
<|oi jnfitiabatur, de aliis rebua utrique quingenos
aecis ad pontem deponebant, de alus rebus i4em
cevto alio legitinao.numero assum ; qui iudicio vi-
cevaty suum sacrsroentum e sacro auferebat, victi
ftil ararrum redibat.
M. T e r . Vabbow TWA.
^mo ; sccondocb altri, ; secoodoch gli
Aitici, dati, Arraho ti chiam il danaro dato a
patto ch'abbia a resliluirKne quel tanto che sar ^
di 4vre; t d anche questo Toebelo greoo.
Btliffunm si disse il danaro che da restituire,
perph' ,quel che rita dopo soddisfatto H debito.
%)&, Danno, da demere cbe yvuA dir lerare
quando d' una cosa si ritrae meno di qol ch^
costa. Lucrot da luere cio dal pagare, quando
si ricava pi che non avrebbe bastato a pagarci
del capitale. Detrimento da derere^ trassina-
nare, perch cosa trsssinata scema di pregio. Per
simil causa s diss inUrtrimentum il calo, per>
ch le cose con lo strofinarsi msieme ( eh oos
suona la paroU ) si logoralo. D qua ptire inUr-
trigo, scorticatura.
177. Malta somma iotimata da ort magi-
sCrato percb possa esigerti per qualche oolpa.
Siceome ibtimaosi voka per vaila, cosi s disiero
molte, perch in antico ' matta chiamavasi uno,
e i contadini anche oggid, nel rpri'e in botti
od in otri il vino, la prms secchia che vi ripon
gono, la dicono malta. Pena dal punire, o forse
anche da dopo, perch va dietro al pecca
to. Prezzo ds perixia, percM a far bene la stims
di d che da comperare o valutare, si vuol
perixia.
178. Ci che si dava per qualche servizio o
lavoro, dal meritare addomandossi mercede. I^e
manifatture, cio tanto i lavori di mano che il
prezzo dato per essi, da mano e prezzo si dissero
manupretia. Coro//ar/o, se s aggiongea qualche
cosa sopra il dovuto ; nome derivato dalle coro
ne che su la scena s' usava dare agli attori quan
do piacevano. Preda quasi parida parta^
cio guadagnala a dauno del nemico. Premio da
preda, come quel tanto cbe se ne donava ad al
cuno per qualche bel fatto.
179. Dare perch sia ridalo si dMe mutuo
dal sicilisno \ da che propriameBle^
quale il descrive Sofroae, 90 aurC /,
cio grazia per grazia. Di qua viene anche mu^
nus in qaant significa dono ; pereh coloro che
hanno aniipo Mrviziato e grazioso, danno per
cortesiar, L altro munus che vale incarieo, dal
munire ; dacch s impone perch il comune sii
ben guardato, Quindi municipes quei ohe hanno
a reggere iasieme cotesti carichi.
180. La somma che si di in pegm> nei litigi,
si nom sacramentum da sacro, l'anto chi rido
mandava in giudicio, quanto chi negava, depo
nevano entrambi al ponte in alcune liti cinque
cento assi, in altre altra somma, secondoch era
stabilito dalle leggi : il vincitore pigliava indietro
da quel luogo sacro il soo {legno ; quello del vin
to s incamerava.
6
83 . TERENTI VARRONIS 84
181. Tributum dictum tribubus, quod ea
pecunia, quae poputo imperata erat, tributim a
ingUlje pro porlione census exigebatur. Ab hoc
ea quae assignata erat, attributum dictum ; ab
eo quoque, quibus attributa erat pecunia ut mi
liti reddant, tribuni aerarii dicti ; id quod at
tributum erat, ats militare. Hoc eat quod ait
Flautoe :
Cedit miles, aes petit;
et bine dicuntur milites aerarii, ab aere, quod
stipendia facerent.
182. Hoc ipsum stipendium ab stipe dictum,
quod aes quoque stipem dicebant. Nara, quod
asses librae pondo erant, et ^ qui acceperant ma>
iorem numerum non in arca ponebant ; sed in
aliqua cella stipabant, id eSt componebant, quo
minus loci occuparet ; ab stipando stipem dicere
coeperunt. Stips ab fortasse^ Graeco rer-
bo. Id apparet, quod, ut tura institutura, etiam
uuuc diis cum thesauris asses daut, stipem di
cunt, ct qui pccuniam alligat, stipulari et re-
stipulari. Militis stipendia ideo, quod eam sti
pem pendebant. Ab co etiam Ennius scribit ;
Poeni stipendia pendunt.
i 83. Ab eodem aere pendendo dispeiisator ;
et in tabolis scribimus expensumy et inde prima
pensio et sic secunda aut quae alia ; et dispen
dium ideo quod in dispendendo solet minus fie
ri ; compendium quod, quom compenditur, una
fit: a quo usura, quod in sorte accedebat, impen
dium appellatum ; quae non accederet ad sortem,
usu usura dicta, ut sors quod suum ft sorte.
Per trutinam solvi solitum , Testigium etiam
nunc manet in aede Saturni, quod ea etiam nunc
propter pensuram trutinam habet positam. Ab
aere aerarium appellatnm.
181. Tributo k da trib, perch le graiezze
imposte al comune esigevansi per trib secondo
estimo di ciascheduno. Quindi il soldo asse
gnato a qualcuno fi chiam attributum ; e gli
ufficiali, a cui consegnayasi il soldo da distribuire
assoldati, tribuni aerarli; ed aes militare il
soldo da distribuire. Onde aes lo chiama Plauto
ove dice ;
Va un soldato, e vien altro e il soldo chiede ;
e gli stessi soldati si dicono aerarii^ perch stan
no a soldo.
i8a. Questo soldo militare si chiam anche,
stipendio da stips ch'era quanto dir asse. Imper
ciocch pesando ogni asse una libbra, e per usan
do coloro che pi ne ricevevano, anzi che riporli
tu cassa, stiparli cio metterli a mucchi in qual
che stanza, perch pigliassero men luogo ; inco
minciarono a dirli cos quasi stipe : e forse la
prima origine n il greco arotfiti che Tale altre
s mucchio. Certo delP antico senso della Toce
stips abbiamo questi documenti che, secondo
uso entrato allora, chi d qualche asse in limo
sina nelle cassette degli dei, si dice anche oggid
stipem dare ; e obbligarsi in qualche somma
a vicenda si dice stipulari e restipulari. Adun
que da questa voce e da pendere cio dal pesare,
si son nomati stipendii le paghe de' soldati, per
ch gli assi non avevano anticamente conio, ma
si davano a peso ; onde Ennio scrsse :
Pesano i Peni gli stipendii,
volendo dire li pagano.
i 83. Cos dal pesarsi delle monete si chiam
economo; e ne'^quaderni diciamo
expensum, cio spesa, uscita, e prima pensio,
secunda pensio altra che sia, le varie rate dei
pagamenti. Cos dispendium si nomin il disa
vanzo, e compendium il guadagno ; quello dallo
scompartire il peso nelle due coppe della bilan
cia, questo dal riunirlo in una ; da che ivi s' ha
contrasto e perdita, qui aggiunta del contrappeso
al peso. Cos impendium si chiam V usura in
quanto appongasi al capitale ; perch altrimenti
se non si lascia ad aumento della sorte, s* detta
puramente usura dall' uso, come sorte si deno
min il capitale, perch la sorte che il d. Che
ne* pagamenti scusasse della bibncia, ne vediamo
ancora un indizio nel tempio di Saturno, dov'
erario; perche vi sta ancora in pronto una bi
lancia a uso di pesare. Aerarium poi da aes,
che vai rame o moneta di rame.
85 DE LINGUA LATINA LB. V.
8G
' X X X V I I . 184. Ad Tocabula quae pertinere
samiu rati, ea quae loca et ea quae in locis suDt,
satis arbitror dicta; quod ncque pamm multa
funt aperta, neque si amplias yelimus Tplumen
pateretur. Quare in proxumo, ut in primo libro
dixi, quod sequitur de temporibus dicam.
XXXVII. 1 8 4 . Quanto a'nomi de'luoghi c
delle cose che son ne' ruoghl, parmi a bastanza
ci che ho gi detto ; poich degli altri non pochi
son chiar per s; e s io volessi seguire, noi soster
rebbe il volume. Passer adunque a trattare nel
seguente libro, come ho promesso da prima, ci
che tocca ora riguardo ai (empi.
. TERENTI VARRONIS
DE LI NGUA LATI NA
AD . TULLIUM CICERONEM
LIBER SEXTUS
I. 1. O r i g i n e i Terboram quae sini locoram
et ea quae io his, in priore libro scripsi. In hoc
dicam de Tocabolis temporum et earum rerum
quae in agendo fiunt aut dicuntur cum tempore
liquo, ut sedetury ambulatur^ loquoniur. At-
que, si qua erunt ex diferso genere adiuncla,
potius cognationi Terborum quam auditori ca-
lumnianti geremus morem.
a. Huius rei auctor satis mihi Crysippus et
Antipater, et illi in quibus, si non tantum acu
minis, at plus literarum, in quo est Aristopha
nes et Apollodorus, qui omneis verba ex verbis
ita declinari scribunt, ut Terba literaa alia assu
mant, alia mittant, alia commutent, ut fit in turdo
et turdario^ turdo licet. Si declinantes Graeci
nostra nomina dicunt Lucienum Ktmuntiw et
Quintium Kotrrfv ; et 'hfiarafxc9 illi, nos Ari
starchum^ et / Dionem : sic, inquam, con
suetudo nostra multa declinavit a vetere, ut ab
solui solitus sum *, ab loeheso liberum^ ab
Lasibus Lares; qnae obruti Tetustate, ut pote
ro .eruere conabor.
II. 3. Bicemns primo de tfmporibni, qumn
quae per ea finnt, sed i t ot ante de natura co-
I. I. IVelP altro libro ho dimostralo le origini
delle parole che s ' appartengono ai laoghi ed agli
oggetti che sono in essi : in quest esporr i nomi
de' tempi e di quelle cose eh si fanno o dicono
con rispetto a tempo, come siedesi^camminasi^
parlano; e se rerrammi in taglio qnalehe vo
cabolo d'altra natura, ma pur legalo con questi,
(ar pi caso deir affinit de* vocaboli che delle
accuse di qualche maligno uditore.
. Bastami in questo fatto autorit di Cri-
sippo. e d* Antipatro e di quegli ^Jtri che, se han
meno acume, hanno per pi di lettere, come
Aristofane e Apollodoro, i quali lutti insegnano
da parole nascer parole, quali col prendere, quali
col gettar via, quali col cambiar qualche lette
ra, come avviene in tordo e tordaio^ che pur
deriva da tordo. Se i Greci, traendo alla loro
(orma i nostri nomi, dicono per Zu-
cieno e Ko/mof per Quin%io ; e il simile fac
ciamo noi de' nomi greci, declinando Aristarco
e Dione e gli altri alla nostra foggia ; nella stessa
guisa col mutare dei tempi ci siamo dilungali in
parecchie voci dall'antico uso, e non diciamo pi
soluiy ma solitus sum ; non loehesus^ ma Uher ;
non Lases^ ma Lares : e questi modi ornai se
polti dal tempo, mi stnier quanto posso per
dissotterarli.
II. 3. Prima di venire alle cote che si fan net
tempi, dir degli steflsi tempi, e innanxi a tutto
rum ; ea enim dux fuit ad yocabala imponenda
homini. Tempus esse dicunt inler?allum mundi
motus. Id divisum in parleis aliquot maiume ab
solis et lunae cyrsu; ilaquc ab eorum tenore
temperato dictum, unde tempestiva ; et
a molu eorum qui toto caelo coniunetus, mundus.
9*
4. Duo motus* solis: aller cum caelo, quo
ab oriente ad oc^casum Tenit; quo tempus id ab
hoc deo dies appellatur. Meridies ab eo quod
medius dies : D antiqui, non 11 in hoc dicebant,
ut Praeneste incisum in solario vidi. Solarium
dictum id in quo horae in sole inspiciebantur,
quod Cornelius in basilica Aemilia et Fulvia in
umbravit. Diei principium ma/ie, quod tum ma
nat dies ab oriente ; nisi potius quod bonum an
tiqui dicebat manum^ ad quoiusmodi religionem
Graeci quoque, quom lumen adfertur, solent di
cere .
. TERENTI VARRONIS
5. Suprema summum diei ; id a superrimo.
Hoc tempns XII tabulae dicunt occasum eue so
lis : led postea lex Plaetoria id quoque tempus
iobet esse supremum, quo praeco in comitio lu-
premam pronuntiavit populo. Secundum hoc di
citur a crepero. Id vocabulum sum
pserunt a Sabinis. Unde veniunt, Crepusci no
minati Amiterno qui eo tempore erant nati, ut
Zucif prima luce; in Reatino crepusculum si
gnificat dubium. Ab eo ret dictae dubiae cre-
perae^ qaod crepuiculm dies etiam nunc sit
an iam nox, mullis dubium.
6. iVbx, qnod, ut Catulus ait, omnia, nisi in
terveniat sol, pruina obrignerint, quod nocet,
nox ; nisij quod Graece ; nox. Quom stella
prima exorta ; cum Graeci vocant no
stri vesperuginem ut Plautus :
Neque vesperugo neque vergiliae occidunt ;
id tempuf dictum a Graecis Latine ve
sper :ut ante tolcm ortam, quod eadem stella vo-
della loro natura ; perch fu questa che servi al-
Vuomo di guida nel nominare le cose. Il tempo
dicon che sia intervallo del moto del mondo.
Se ne distinguon pi specie massimamente pel
corso del sole e della luna ; onde dalla loro tem
pera o regolato tenore, si disse tempo^ come ci
mostra il derivato tempestivo che se ne trae. Si
milmente dal moto di que' pianeti che con
giunto con tutto il cielo, fu denominato il mondo.
4. Due sono i moli del sole : uno quello, per
cui insieme col cielo va da oriente a occidente ;
c dal dio che muovesi, il tempo di questo moto
s* detto di. Meridies da medius e dies^ per
ch in fatto il mezzogiorno, e dagli antichi si
proferiva col D in luogo della R, come ho veduto
inciso neir orologio solare di Frenesie. E poich
qui viene in concio, orologio in genere si chia
ma solarium^ perch i primi orologi furono i
Molari, e fu poi Cornelio che introdusse un oro
logio air ombra nella basilica Emilia e Fulvia.
11 principio del giorno si disse mane, o perch
allora emanala luce dairoriente, o perch gli
antichi dicevano manus per buono ed aveano
forse un religioso costume simile a quello che
vediamo anche presso de' Greci, i quali allorch
recasi il lume, sogliono dire aya^o^y cio
buona luce.
5. Suprema lo scorcio del giorno ; voce
sincopata da superrima^ estrema. Nelle dodici
tavole dichiarato come il tramonto del sole : ma
la legge Pletoria stabil poi che s'abbia ad avere
altres per suprema queir ora, qual eh ella sia,
che il banditore avr annunziato come tale al po
polo nel comizio. 11 tempo chc vien dietro a
questo, si dice crepuscolo da creperus che si
gnifica incerto. E voce presa da' Sabini. I Crepu
sci in fatti hanno questo nome, perch in Ami
terno, donde vengono, cos chiamasi chi nasce
al crepuscolo, come Ludi son quei che nascono
sul far della luce ; e in quel di Rieti crepuscolo
si usa per dubbio. Quindi res creperae si dicono
i casi dubbiosi e di rschio, perch del crepuscolo
molti dubitano se ancor duri il giorno, o 9*abbia
gi incominciato la notte.
6. La notte si deMa nox dal nuocere ; per
ch se non sopravvenisse il sole, lutto, come
dice Catulo, resterebbe indurito dalle brine : se^
nonch forse dal greco / che vale il medesi
mo. Quando gi nata la prima stella ; da che i
Greci la chiamano Esper e Vesperugo i Latini
com' in Plauto, ove dice :
Non le Pliadi, non Esper tramonta;
perci questo tempo s'addomanda ^ dai
Greci e dai Latini vespero. E poich la stella
9^
93
DE LINGUA LATINA LIB. VI.
94
calar iuhar qaod iobaU, Pacuvinue didt pa
stor :
Exorto iubare^ noctis dcurso itinere ;
o qu3 i
jiiax^ quod * lumen, iubarne in coelo cerno ?
7. Intcr TeaperogiDem et abar dieta nox in
tempesta^ a l in Bruto Gaisii quod dicebat Lu
cretia :
Nocte intempesta nostram devenit domum.
Intempettam Aelius dicebat quom tempui agendi
est nuUuM ; quod alii ooncuhium appellarunt,
quod omnes tunc cubarent ; alii ab eo quod \e-
rtiur^ silentium noctis: quod idem Plautas tem
pus conticinium ; scribit enim :
Videbimus ; factum ifolo ; redito conticinio,
8. Alter motus solis est aliter ac * caeli, quod
moyetur bruma ad solstitiom. Dicta bruma^
quod brevissimus tunc dies est ; solstitium quod
sol eo die sistere Tidebatur, aut quod ad nos ver
sum proximum est solstitium. Quom venit in
medium spatium inter brumam et solstitium,
quod dies aequus fit ac nox, aequinoctium di
ctum. Tempus a bruma ad brumam dum sol re
dit, vocator annus ; quod, ut parvi circuli anuli^
sic magni dicebantur circites ani ; unde annus.
9. Unius temporis pars prima hiems^ qaod
tum mulli imbres ; hinc hibernacula^ hibernum :
vel quod tum anima quae Oatur omnium appa
ret, ab hiatu hiems. Tempus secundum i^er, quod
tum virere incipiunt virgulta ac vertere se tem
pus anni ; nisi quod Iones dicunt ver. Ter
tium ab aestu aestas; hinc aestivum; nisi forte
a Graeco Quartam autumnus-----
medesima innanzi al nascer del sole si chiama
tubar^ cio Lucfero, perch ha quasi una criniera
di luce ; perci dice quel pastore presso Pacuvio :
Sorto in cielo Lucfero, e fornito
Della notte il cammino;
ed nnio :
Che lame, Aiace, quel che in eielo io veggo f
Lucifero forse ?
in ambedue i quali luoghi per Lucifero detto
iubar.
7. Lo spazio dair apparire di Esper a quel
di Lucifero si chiatna nox intempesta^ come nel
Bruto di Cassio quando dice Lucrezia :
AI nostro tetto
Ei venne che gi ferma era la notte.
Elio dice chiamarsi notte intempesta quando
non pi tempo da far nulla ; e questo quello
spazio che altri dissero concubium^ perch tutti
ornai dormono ; altri silenzio della notte^ per
ch s tace. Pianto chiam conticinium questo
medesimo tempo, l dove scrive :
Il vedremo ; lo vo' ; toma qui a notte.
8. L ' altro moto del sole diverso da quello
del cielo, perocch muovesi dalla bruma al solsti
zio, cio dal tropico boreale alP australe. Bruma
si chiam quasi brevissima, perch' il giorno pi
corto ; solstizio poi da sole e da stare, perch
in quel giorno il sole sembra far sosta, e sta per
rivolgersi nuovamente a noi. Quando giunto
alla met dello spazio fra un tropico e altro,
quel tempo detto equinozio^ perch i giorni si
pareggiano con le notti. 11 tempo consumalo
.dal sole, partendo dal tropico boreale, per ritor
narvi, s* chiamato anno ; perch a quel modo
che i piccoli cerchietti s\addomandano anelli^
cosi i grandi cerchi si diceano ani ; donde poi
si fece anno.
9. prima parte di questo tempo, cio V
verno, s* dello hiems per le pioggie che allora ;
abbondano ; o dair iato della bocca, perch allo
ra, ce alcuno alita, se ne vede il fiato. Quindi /-^
bernacula i quartieri d inverno, ed hibernum il
luogo in cui svernasi. La seconda parte o stagio
ne, cio la primavera, s ' chiamata ver o da ver
de, perch allora rinverdiscon le piante, o da ver
ttre^ girare, perch il giro dell'anno si rinovella;
o forse meglio da tff che il nome, onde appel
lano g r Ioni. La terza stagione della estate dii
95
. TERENTI VARROmS
9
IO............... ab sole, tic mensis a lanae mola
clictus, dura ab iole profecta rursas redit ad eum
Iona, qiiod Graece olim dieta ^, nnde illorum
\ ab eo nostri. A mensibus intermestris
dictus, quod putabant inter prioris mensis sene
scentis extremum diem et novam lunam esse
diem ; quem diligentius Attici {wnv xmi vicv ap
pellarunt ; ab eo quod eo die potest fideri extre
ma et prima lana.
\\. Lustrum nominatum tempus quinquen
nale a luendo, id est solvendo ; quod quinto quo
que anno Tectigalia et ultro tributa per censores
persolvebantur. Seclum spatium annorum cen
tum vocarunt, dictum a sene, quod longissimam
spatium senescendorum hominum id putaraat.
Aesfum ab aetate omnium annorum ( hinc acf*-
quod facium est eeferniimj, quod Grae
ci mva : id ait Chrysippus esse aa/ Ab eo
Plautus :
ffon omnis aetas ad perdiscendum est satis ;
hinc poetae Aeterna tempU eo4li,
111. la. Ad naturalia discrimisa ciTiiia veca-
buia dierum accctserunt. Dicam pris qoi deo
rum causa, ium qui homioam sint instituti dies.
Agonales per quos rex in regia arietem immoUl,
dicti ab agone, eo quod ielerrogaiur principe
civitatis ei prioeeps gregi imaiolatur. Carmen
talia nomiMaMur, quod era tum et fieriae Car-
mentis.
i 3. Luperealia dicta quod in Lupercali lu-
perct sacra faciuni. Rex, qoonj fierias menstruas
Nonis Februariis edicit, hunc diena Februatum
appellat. Februum Sabini pargamcBlum, et id
iu sacris nostris verbum ; nam et Lupercalia fe
bruatio, ul in Antiquitatum libris demonstravi.
Quirinalia h Quirino, quod ei deo feriae el
coriun bominitm qui Furnacalibus suis non fue
runt feriati. Feralia ab inieris et ferendo, quod
ferant tam epuks ad sepulcrum, quibas ius iiii
aestus die quanto a dir caldo : se Don invece
dal greco che significa ardere. Quindi
aestivum il soggiorno da state. La quarta si disse
autunno . . . .
10. Come dal giro del sole, cos il
mese ebbe il nome dal moto della luna ; perch
il tempo eh' ella consama per ritornare in con
giunzione col sale dopo essersene allontanata,
la luna.dagli antichi Greci era detta /iifri ; onde,
anch' essi denominarono { i loro mesi, e di';
qua poi venne il nome latino. Da mese si chiam
intermestris V interlunio, cio quel giorno che
poneano in mezzo fra la vecchia luna e la nuova.
Gl! Attici il chiamarono pi propriamente w
*ai via cio Tecchia e nuova, perch in quel
giorno medesimo pu vedersi il fine dcHa pre
cedente e il principio dell' altra luna.
1 1. Lustro si disse lo spazio di cinque anni,
da luere che significa anche pagare, perch ogni
cinqn' anni per mezzo de' censori si pagavano
le gabelle e le contribuzioni spontanee. Secolo lo
spazio di cento aonii da seoe, cio vecchio ; per
ch cent' anni parve L pi che un uamo possa
invecchiarsi. Aevum^ da cui eterno sincopato da
aeviternus^ si chiam intera et, cio lo spazio
indefinito di tutti gli anni dal greco itkr che ha
lo stesso valore e che Crisippo dice formato da
all' oK che quauto a dire sempre esistente.
Quindi leggiaoio ia Plaolo :
Scarsa ad nn amante
Per apprender saria inlera etade ;
e i poeti chiamano efeme le regioni del cielo.
HI. l a. Alle naturali disttnziom de* tempi si
aggiunsero le civili eoi lor proprii nomi ; e fra
queste dir prima de'giorni presi per gH dei;
poi verr agli uomini. Giorni agonali son quelli^
in cui stabilKo che il saerificolo imraoH nella
reggia nn ariete. Si son chnmati cosi, perch il
ministro nel vibrare il colpo, domanda prima
agone? che tanto a dire quanto cA' io vibri?
e ci domandasi al sacrficolo cio al capo della
citt, e immolato il capo del gregge. Carmen
talie si dissero dalla dea Carmenta, di cui ca
dono in quei giorni i sacrifizii e le ferie.
i 3. Le Lupercalie trassero Hnome dal sacri
fizio che laperci Amno nel Lupercale. Il sacrift-
coo, quando alle none di Febbraio annunzia le
ferie del mese, chiama questo d Jehruato; perch
fehruo in sabino vale purificazione, ed voce
usata nei nostri riti, ed anche le Lupercalie sono in
latto una purificazione, come ha fatto vedere nei
libri delle Antichit. Le Quirinalie nomaronsi dal
dio Quirino, d cui sono la festa ; alla quale par-
tecipano^anchc tutti quelli che non festeggiarono
9^
DK tlNGUA LATINA LB. Vi.
9
pfireiiUre. Terminalia^ qaod la diet anni extre-
mot constilotas ; duodecimus tfnim mensit fait
Februarias, e t , quom inteMlatur, inferiores
quinque diet duodecimo demuntur mense. Equi
ria ab equorum cortu ; eo di enim ludis cur
rant in Martio campo
1 f . Liheralia dieta, quod per totum oppi-
dura eo die sedent sacerdotes Liberi, anni edera
coronatae, cum Hbis et foculo pro emptore sa
crificantes. In libris Saliorum, quorum cogno
men Agonensium, forsitan hic dies ideo appel
letur potius Agonia, Quinquatrus hic dies unus,
at nominis errore obserfatur proinde ut sint
quinque. Dictus, ut ab Tusculanis post diem tex
tum Idus similiter Tocatur Sexatrus^ et post
diem seplumnm Septimatrus; sic hic, quod erat
post diem quintam Idus, Quinquatrus. Dies Tii-
hulustrium appellatur, quod eo die in atrio Su
torio sacrorum tubae lustrantur.
15. Megalesia dicta a Graecis quod ex libris
Sybillinis arcessita ab Attalo rege Pergama, ubi
prope murum Uegalesion templum eius deae,
onde advecta Romam. Fordicidia a fordis bu
bus : bos forda quae fert in ventre. Quod eo die
publice immolantur boves praegnantes in curiis
complures, a fordis caedendis Fordicidia dicta.
Palilia dicta a Pale, quod ei feriae, ut Cerealia
a Cerere.
16. Vinalia a vino. Hic dies lovis, non Ve
neris. Huius rei cura non Icts in Latio ; nam
aliquot locis vindemiae primum ab sacerdotibus
publice fiebant, ut Romae etiam nunc ; nam fla
men Dialis auspicator vindemiam, et, ut iussit
inum legere, agna lovi facit, inter quoius exta
caesa et porrecta flamen primus vinum legit. In
Tusculanis sacris est Mriptum :
Vinum novum ne vehatur in urbem ante
quam vinalia kalentur,
Robigalia dicta ab Robigo: tecundum tegetet
haic deo tacrificator, ne robigo occapet tegetei.
17. Diet Vestalia^ ut virginei Vettales, ab
Vesta. Quinquatrus Minusculae dictae Ioniae
Idot ab similitodine Maiorum; qood tibicines
tura feriati vagantur per urbem, et conveniant
ad aedem Minervae. Dies Fortis Fortunae ap-
M. TiB. Vamohb, d e l l a lingua ,.
il loro giorno nelle Fomacalie. Le Feralie da
inferi^ morti, e ferre^ portare, perch in quel
giorno si portano i funerei cibi al sepolcro di fa
miglia da chi v'ha diritto. Le Terminalie da
termine, perch ivi finiva Panno, da che il duo
decimo mese era Febbraio, e, quando aggiungesi
il mese intercalare, al duodecimo si tolgono i
cinque ultimi giorni. Le Equirie dalle corte
eqnettri, di cui in quel giorno ti d spettacolo
nel campo Marzio.
14. Le Liberalie si son cos dette, perch in
quel giorno stanno sedute per tutta la citt come
sacerdotesse di Libero cio di Bacco, certe vec
chie incoronate di edera, con focaccie e fornelli,
sacrKcando pei compratori Ne' libri de'Salii so-
prannomati Agonesi, potrebbe essere che questo
giorno fosse perci chiamalo Agonie, 11 Quin
quatro che accasca qui, non che un d solo ; ma,
per un errore nato dal nome, si osserva come
fossero cinque. Si chiam Quinqoatro, perch'
il quinto giorno dagl' idi, come i Tusculani chia
mano ancora Sesastro il d sesto dagP idi, c set
timatro il settimo. La festa delle Tubilustrie
s ' cos nomata, perch in quel giorno si purifi
cano nell* atrio Sutorio le tube dei sacrfiii.
15. Le Megalesie coschiamaronsi con greco
nome, perch Megalesion il tempio di questa
dea presso alle mura di Pergamo, donde fu por
tata a Roma, quando per consiglio de'lihri sibil
lini fu domandata al re Attalo. Fordicidie si
dissero da forda e caedere^ perch in quel gior
no s'immolan dal pubblico nelle curie molte
vacche pregne che, da ferre cio dal portare nel
ventre, i Latini chiamano forde. Palilie dalla
dea Pale cui sono sacre, come Ceree/ie da Cerere.
16. Vinalie diconsi dal vino ; e bench t si
onori anche Venere, tuttavia son propriamente
festa di Giove. Del vino si prendeano nel Lazio
non lieve cura ; perch in pi luoghi la vendem
mia doveva esser fatta prima da'sacerdoti, sicco
me usasi anche presentemente in Roma ; poich
il flamine Diale apre egli la vendemmia, e dopo
avere ordinato che si colga uva, sacrifica a Gio
ve un' agnella, e in quel tanto che fra uccisio
ne offerta, coglie primo uva. Nel ceremo-
niale de' Toscolani sta scritto : Il vin nuovo non
si porti in cittdy se prima non siansi bandite
le Vinalie, Le Robigalie tratter il nome dal dio
Robigo, a cui si sacrifica pretto i teminati, per
ch le biade non tiano ofTete dalla mbigine, cio
dal melnme.
17. Come Vettali le vergini, coti Vestalie ti
ditte il giorno consacrato alla dea Vetta. Quin
quatrie minori chiamaron gl' idi di Giugno dalla
tomiglianza con le maggiori, perch ti fctteggia-
no da' tonatori girando per la citt e raccoglien-
7
99
. TERENTI VARRONIS
pelUlus ab Servio Tullio rege, qaoJ is fanum
ForUs FortuQie secundum Tiberim ezlra urbem
Romam dedicavit luuio mense.
18. Dies Poplifugia videlar oominaloi, quod
eo die lumuUu repente fageril populos ; non
mullo enim post hic dies, quam decessus Gallo
rum ex urbe, et qui tum sub orbe populi, ut
Ficuleates ac Fidenates et finitimi alii, contra nos
coniurarout. Aliquot huius diei vestigia fugae* in
sacris apparent, de quibus rebus Antiquitatum
libri plura referunt. Nonae Caprotinae^ qnod eo
die in Latio lunoni Gaprotinae mulieres saerif-
cantur, et sub caprifico faciunt ; e caprifico adhi
bent virgam. Cur hoc toga praetexta data e i s .....
19. Apollinaribus ludis docuit po
pulum. Neptunalia a Neptuno ; eius enim dei
feriae. Furrinalia Furrinae, quod ei deae feriae
publicae dies is ; quoius deae honos apud anti
quos; nam ei sacra instituta annua et flamen
attributus: nunc vix nomen notum paucis. Por
tunalia dicta a Portuno, quoi eo die aedes in
portu Tiberino facta et feriae institutae.
20. Vinalia Rustica dicuntur ante diem xiv
Kalendas Septembres, quod tum Veneri dedicata
aedes, et orti ei deae dicantur, ac tum fiunt feriati
olitores. Consualia dicta a Conso, quod tum fe
riae publicae ei deo, et in circo ad aram eius ab
sacerdotibus ludi illi, quibus virgines Sabinue
raptae. Volcanalia a Volcano, quod ei tum fe
riae, et quod eo die populus pro se in ignem ani
malia mittit.
a i . Opeconsiva dies ab dea Ope Consivia,
qaoius in Regia sacrarium, qood ideo artum, ut
eo praeter virgine Vestales et sacerdotem publi
cum introeat nemo. Is cam eaty suffibulum ut
habeat^ scriptam. Id dicitur ab subviendo, ut
subligaculum. Vortumnalia a deo Vortumno,
quoius feriae tum. Octobri mense Meditrinalia
dies, dictus a medendo, quod Flaccus flamen
Martialis diccbat hoc die solitum vinum novum
ut vetus libari et degustari medicamenti causa ;
quod facere solent etiam nunc mulli, quom di
cant ; Novum vetus vinum bibo ; novo s*eteri
vino morbo medeor.
dosi nel tempio di Minerva, ita feste di Forte
Fortuna ebbe il nome e orgine dal re Ser
vio Tullio che nel mese di Giugno dedic il
santuario di questa dea foor di Roma lungo il
Tevere.
i8 Il giorno del Poplifugio p r cos nomi
nato per ci che in esso sia fuggito il popolo le
valo ad improvviso tumulto. Ed in vero questo
d poco dopo a quello, in che i Galli lasciarono
Roma ; al qual tempo i Ficolesi e i Fidenati ed
altri popoli presso, che formavano alloca i sob
borghi di Roma, le congiurarono contro. Ne' sa-
crifizii di questo giorno v'han.pi ricordi che
accennano a si fatta fuga : ipa di queste cose ho
trattato pi pienamente nei libri delle Antichit.
None Caprotine si d isser, perch nel Lazio le
donne in quel d sacrificano a Giunone Caproti-
na, e questi sacrifizii si fanno sotto on caprifico,
e vi si usano verghe di caprifico. Perch poi in
questo giorno concedasi loro la pretesta,.............
19................insegn al popolo co' giuochi A-
pollinari. Nettunalie chiamaronsi da Nettuno^
perch son feste d questo dio. Furrinalie da
Forrna, della qual dea questo giorno era la pub
blica festa. Perocch questa dea era in onore
presso gli antichi, talch le avevano istituito sa
crifizii annuali ed assegnato un flamine : ora po
chi sono che ne conoscano appena il nome. Por
tunalie si dicono da Portuno, a cui in quel gior
no fu dedicato un tempio nel porlo del Tevere
ed istituita una festa.
ao. Si d il nome di Vinalie rustiche al di
ciannove d' Agosto, perch in quel giorno si de
dic un tempio a Venere, ed a questa dea sono
sacri gli orti ; onde d feriato per gli ortolani
Le Consualie trassero il nome da Conso> a cui
onore si fanno allora pubbliche ferie, e da' sacer
doti nel circo presso all' ara di questo dio si ce
lebrano que giuochi, ne' quali furono rapite le
donzelle sabine. Le Fulcanalie cosi chiamaronsi
da Vulcano, perch son feste di lui, e perch il
popolo in questo giorno getta nel fuoco animali
in cambio delle proprie vile.
a i . La festa Opiconsiva ebbe il nome dalla
dea Opi Consivia, di cui nella Reggia sta il san
tuario, stretto a bello studio perch non vi possa
entrare nessuno oltre alle Vestali e al pubblico
sacerdote. Al .sacerdote leggiamo prescritto che,
quando v' entra, abbia una specie d'accappaloid
che vi chiamato suffibulum ; e questa voce I
da subviere^ cio legare di sotto. Vertunnalie s
dissero dal dio Vertunno, di cui sono ferie. Lei
Meditrinaliey che sono in Ottobre, dal medica
re ; perch in questo giorno, a detta di Fiacco
flamine marziale, s' usava libare ed asuggiare il
vin nuovo, chiamandolo vecchio e considerandolo
100
DE LINGUA LATINA LIB. VI.
32. Fontanalia a Fonte, quod is dies feriae
cius : ab eo Ium et in fontes coronas iaciunt et
puteos coronant. Armilustrium ab eo quod io
armilustrio armati sacra faciunt, nisi locus potius
dictus ab his; sed quod de his prius, id ab lu
dendo aut lustro, id est quod circumibant luden
tes ancilibus armati. Saturnalia dicta ab Saturno,
quod eo die feriae eius, ut post diem tertium
Opalia Opis.
23. Angtronalia ab Angerona, quoi sacrifi
cium ft in coria Acculeia etquoius feriae publi
cae is dies. Larentinae^ quem diem quidam in
scribendo Larentalia appellant,ab AccaLareotia
nominatus, quoi sacerdotes nostri publice paren
tant, secto die, qui ater dicitor dum parentatam
Accde Larcntinis.
24. Hoc sacrificium.'fit in Velabro, qua in
No?am viam exitur, ut aiunt .quidam, ad sepul
crum Accae ; ut quod ibi prope faciant Diis Ma
nibus Serxilibus sacerdotes ; qui uterque locos
extra arbem antiquam fuit non longe a porta
Romanula, de qua in priore libro dixi. Dies Septi
montium nominatus ab his septem montibas, in
quis sila Urbs est ; feriae non populi, sed monta-
norom modo; ut Paganalia^ qoi sunt aliquoiot
P*g
25. De statutis diebus dixi ; de annalibus nec
dum statutis dicam. Compitalia dies attributas
laribus Vialibus ; ideo ubi Tiae competunt, tum
in competis sacriHcatur. Quotannis is dies conci
pitur. Similiter Latinae feriae dies conceptivos,
dictas a f^tinis popolis, qoibus ex Albano monte
ex sacris carnem petere fuit ius cum Romaais, a
quibus Latinis I^lioae diclae.
36. Semtntipae feriae dies is qui a Pontifici-
bufldictus; appellatos a semente, quod sationis
causa susceptae. Paganicae eiusdem agriculturae
causa sosceptac, ut haberent omnis pagus, unde
paganicae diclae sunt. Praeterea feriae concepti
vae, ^oae non sunt annales ; ut hae quae dicuntur
sine proprio Tocabolo, aut cum pcrspicoo at No
vendialis sont.
qoal medicina. Molli il sogliono fare anche ades
so, dicendo certe parole che cos suonano :
Yin nuovo-vecchio beo ; curo con tale
Vio nuovo-vecchio il male.
22. Fonlanalie da Fonte, di cui qoel gior
no la festa ; onde allora gettan corone ne' fonti
ed inghirlandano i possi. Armilustrio dal nome
del luogo, in cui sacrificano armati ; se per al
contrario non fu il luogo che traue il nome dalla
festa. A ogni modo quello che primo si chiam
da lodo o da lustro^ perch giravano giocando
armati d' ancili. Saturnali si dissero da Saturno,
di coi son festa ; come, tre giorni dopo, le Opa
He da Opi.
23. Angeronalie da Angerona, coi si sacri
fica nella coria Accoleia, e di cui in questo giorno
si fa dal pubblico la festa. Larentine^ o Laren-
talie^ come alcuni le dicono, nome tratto da
Acca Lareniia, a cui i sacerdoti romani fanno
pubbliche esequie, dimezzando il giorno, che di
cesi atro finch non sieisi fatte ad Acca le dette
esequie.
24. Questo sacrifizio si fa nel Velabro, dove
si sbocca in Via Nuova al sepolcro d'Acca, come
alconi il dicono, poco discosto al sito, in cui i
sacerdoti similmente sacrificano ai Mani Servili.
Ambedue questi luoghi son foori dell' antica cer
chia, non lungi da porta Romanula, di cui ho
parlato nel precedente libro. La festa del Setti
monzio s ' nominata dai selle monti, su cui
posta Roma^ e non feria del popolo, ma de' col
ligiani soltanto ; come le Paganalie son ferie di
qoe' ch' appartengono a qualcbe pago.
25. Delie feste fsse ho parlato ; di qoelle che
si celebrano ogni anno, ma non han per ancora
giornata fssa, parler ora. Le Compitalie son
festa assegnata a' Lari Viali ; onde in essa sacrifi
casi ne'crocicchi ohe i Latini chiamano compita
da competere^ cio dal mettervi capo pi vie.
Festa non fissa son anche le Ferie Latine^ che s
stabilivano da' popoli latini che avean diritto di
partecipare in un coi Romani alle carni de' sacri-
fizii su '1 monte Albano, onde da que Latini
s'addomandaron latine.
26. Le ferie Sementive si stabiliscono da' Pon
tefici, e traggono il nome da semente, perch
istituite per la seminagione. Le Paganiche furo
no ancb' esse istituite per la coltivazione de' cam
pi, sicch vi dovessero partecipare insieme tutti
quelli d' uno stesso pago ; e per questo si sono
dette pagaoithe. Havvi inoltre delle ferie mobili
che non fannoei ogni anno; qaalison quelleehe
non hanno alcon nome proprio, ma eoi generale
vocabolo chiamansi conceptivae^ cio non fisse.
i o3 . I bREMTl VRROms
.o4
1V. 2j. De hie diebug nuiic iam, qui hominam
causa constiluli, rideamus. Primi dica roensiuro
nominali Calendae ab co quod bis dieboi calan
tur eius mensis Nonae a poniifcibus, quintanae
an septimanae sint futurae, in Capitolio, in curia
Calabra sic : Dies te quinque calo luno Casella.
Septem dies te calo luno Coiteli a.
a 8 . 19onae appellatae aut quod ante diem no
num Idus semper, aut quod, ut noTUs annus Ca
lendae Isnuariae ab sole appellatae, novus
mensis b * no?a luna Nonis ; eodem die enim in
urbem ab agris ad regem conveniebat populus.
Harum rerum veeUgia iu sacris Nonalibus in arce,
quod tunc ferias primas menstruas quae futura*e
sint eo mense, rex edicit populo. Idus eo quod
Tusci Itus, ?el poliufl quod Sabini Idus dicunt.
29. Dies postridie Calendas, Nonas, Idus ap
pellali /ri, quod per eos dies novi incipercnl.
Diesfasti^ pt*r quos praetoribus omnia verba
sine piaculo licet fari. Comitiales dicti, quod tum
ut esset populus constitutum est ad suffragium
ferendum ; nisi si quae feriae conceptae essent,
propter quat non liceret, ut Compitalia el La
tinae.
3o. Contrarii horum vocantur dies nefasti^
per quos'dies nefas fari praetorem do^ dico^ ad-
dico ; itaque non potest agi, necess^enim aliquo
eorum uti verbo, cum lege quid peragitur. Quod
si tum imprudens id verbum emisit ac quem ma
numisit, ille nihilo minus est liber, sed viti ; ut
magistratus vitio crcatus nihilo secius magistra
tus. Praetor qui tum fatus est, si imprudens fecit,
piaculari hostia, facta piatur; si prudens dixit,
Quintus Mucius ambigebat eum expiari, ot im
pium, non posse.
Si. Intercisi dies sunt per qaos mane et ve
speri est nefas; medio tempore inter hostiam cae
sam et exta porrecta fas: a quo, quod fastum
ioierccdit aut eo est intercisnm nefas, intercisum.
Die qui Tocatur sic: Quando rex comitiavit^
o se han nome proprio, P hanno per s patente,
come le Novendiali,
27. Ma tempo omai che parliamo de gior
ni istituiti per gli nomini. Il primo di ciaKun
mese si nom calende da calare che t u o I dir
chiamare, perch in quel giorno i pontefici nella
curia Calabra, in Campidoglio, chiaman le none,
cio bandiscono se saranno a d cinque o sette del
mese, con queste parole : Per cinque^ o Per sette
giorni ti chiamo Giunone Covella^ cio luna
nuoTa.
* a8. None si dissero, perch sono immutabil
mente il d nono innanxi agl' idi ; o a quel modo
che le calende di Gennaio dal nuovo sole si son
chiamate anno nuovo, cos esse dalla nuova luna
possono essersi chiamate none, quasi mese nuo
vo; perocch in quel giorno concorreva il popolo
dalla campagna in citt presso del sacrificolo. Di
queste cose resta un ricordo ne' sacrifizii che si
fan nella Rocca il di delle none ; da che in essi il
sacrificolo pubblica il principio di ciascuna feria
che dovr osservarsi in quel mese. Idi chiama-
ronsi, perch gli Etruschi li dicono i/i, o meglio
perch i Sabini li dicono parimente idi.
39. I giorni che seguono immediatamente alle
calende, alle none d agl idi si dissero a/ri, per
ch da essi incominciano nuove serie di giorni.
Fastiy da fari cio dire, si chiamarono quelli, in
cui i pretori possono pronunziare senza sacrilegio
qualunque delle lor parole solenni. Comiziali^
da comizii, quelli in cui era stabilito che il po
polo si raccogliesse a render partito, se non fosse
stala qualche feria mobile, come le Compitali o
le Latine, che lo vietasse.
30. 1 giorni di natura contraria a questi si son
chiamali nefasti ; vale a dire son quelli in che
vietato al pretore di profferire le parole do^ dico,,
addico^ cio do, giudico, aggiudico ; onde in quei
giorni non pu tenersi ragione, perch, quando
si d sentenza, d ' uopo usare qualcuna di quelle
tre parole. Che se un pretore in un di que' giorni
rabbia profferita inavvedutamente e con essa
abbia affrancato alcuno; l'affrancato libero,
bench dalla parte del pretore v' abbia difetto ;
come un magistrato per difetto d'elezione non
resta d'essere magistrato. Bens il pretore che
pronunzi in quel giorno quella parola, se fu
inavvertenza, se ne dee purgare con vittime espia
torie ; e se fu malizia. Quinto Mucio era di cre
dere che, siccome empio, non si potesse n anco
espiare.
3 1. Giorni intercsi son quelli, in cui la mat
tina e la sera nefasta ; ma il tempo che si fram
mette tra l'occision della vittima e l'offerta delle
interiora, tutto fasto ; sicch da questo interce
dere di tempo fasto, o meglio dall' esserne inler-
io5
DE LINGUA LATINA LIB. VL
i 6
fas^ is fliclus ab eo qaoJ co die rex sacrifictolug
ilal ad coroiliuro, ad quod lempag est nefag, ab
eo fas ; iUqne post i*l teropus lege acturo saepe.
3a. Dies qui Tocalur : Quando stercum de-
latum^fas^ ab eo appellatos quod eo die ex aede
VesUe stercns eTerritor et per Capitolinum cli-
Tom io locum defertur certum. Bies Alliensis
ab Allia A u t o dictus; nam ibi exercitu nostro
fugato Galli obsederunt Romam
33. Quod ad singulorum dierum Tocabula
pertinet dixi. Mensium Tocabula sunt aperU fere,
si a Martio^ ut antiqui constituerunt, numeres.
Nam primus a Marte. Secundus, ut Fulfius scri
bit et lunius, a Venere* quod ea sit Aphrodite ;
quuius nomen ego antiquis literis quod nusquam
inTeni, magis polo dictum, quod ver omnia ape
rit, Aprilem, Tertius a maioribus ; quar
tus iunioribus dictos lunius.
34 Dehinc quintus Quintilis^ et sic deinceps
usque ad Decembrem, a numero. Ad hos qui ad
diti, prior a principe deo lanuarius appellatus ;
posterior, ut idem dicunt scriptores, ab diis in
feris Februarius appellatos, quod tum his pa
rentetur. Ego magis arbitror Februarium a die
februato, quod tom febroatqr popolos, id est lo-
percis nudis lostrator antiquum oppidum Palati
num gregibus humanis cinctum.
V. 35. Quod ad temporum vocabula Latina
attinet, hactenus sit satis dictom: nunc quod ad
eas res attinet quae in tempore aliqoo fieri ani-
madverterentor, dicam, ot haec sont : legisti^
cursus^ ludens. De qois doo praedicere volo,
quanta sit mnltitodo eorom, et quae sint obMU-
riora quam alia.
36. Quem Terborom declinatuum genera sint
quattuor, unum quod tempora adsignificat neqoe
habet casos, ot ab lego legis^ alterum
quod casus habet neque tempora adsignificat, ut
ah lego leetio et lector; tertium quod habet
utrumque et tempora et casus, ut ab lego legens^
lecturus ; quartum quod neutrum habet, ut ab
lego lecte ac lectissime : horum vocabulorum si
primigenia sont ad mille, uk Cosconius scribit,
e i eorum dcdiaaiionibus verborom discrimina
cito il nefasto, son detti giorni intercisi. II dl che
si chiama : Quando rex comitiavit Jas, cio fa
sto dopo che il re fu al comizio, s' cos nomato
perch in quel giorno il re sacrificolo dee andare
al comizio, e sino a queir ora tempo nefasto,
da indi in poi^fasto, e per spesse volte dopo quel-
ora fu tenuto ra^one.
3a. 11 dl chiamato : Quando stercum dela
/cim, fas ; cio fasto dopo che fu portato via lo
sterco, s ' cos detto perch in quel giorno si
leva lo sterco dal tempio di Vesta e pel divo ca
pitolino trasportasi nel luogo assegnalo. Giorno
Alliese si disse dal fiume Allia, perch ivi i Galli
ruppero il nostro esercito e ne passarono a strn
ger Roma.
33. Quanto a' nomi de' vsrii giorni particola
ri, basti sin qui. Per ci che s appartiene a'mesi,
i loro nomi son quasi tatti chiar, le li conti da
Marzo^ secondoch li hanno ordinali gli antichi.
Perocch il primo da Marte. 11 secondo, Fulvio
e Giiinio il voglion da Venere, perch si chiama
Afrodite : ma io, non trovandola nominata in al
cuna delle nostre antiche scritture, credo in vece
che siasi detto Aprile pe ci che la pnmave-
ra apre ogni cosa. 11 terzo denominato Mag^
gio da' maggiori d' eia, come Giugno il quarto
da' giovani.
34.1 seguenti traggono il nome dal loro nu
mero, come Quintile dall' essere il quinto, e cos
gli altri fino a Dicembre. Dei due mesi aggiun
ti, il primo si chiam Gennaio da Giano, dio
principale ; il secondo avviso ai sopraccennati
autori che siasi delto Febbraio dalle esequie che
si fanno allora agli dei infernali : ma mi quadra
meglio che Febbraio sia dal d februato^ in cui
si purBca il popolo, cio i luperci ignudi giran
purgando l'antico castello Palatino, circondato
un tempo da greggi ed ora da uomini.
V. 35. DI ci che ragguarda i nomi latini
de* tempi parmi aver detto a bastanza ; dir ora >
di ci che appartinosi alle cose che notansi sicco
me falle in qualche tempo, quali sono leggesti^
corso^ giocante. Della qual ipatera parlando,
voglio premetter due cose, cio come grande sia
la quantit di cos fatti vocaboli, e quali sieno pi
oscuri degli altri.
3G. Quatlro sono le specie di derivativi fatti
da verbi : una hu la distinzione de' tempi, ma non
ha casi, come quando da lego si fa legis e leges ;
la seconda ha casi, ma non distinzione di tempi,
come, dallo stesso lego^ lectio e lector ; la terza
ha tutte e due queste cose cio casi e tempi, come,
parimente da lego^ legens e lecturus ; la qnarla
non ha n una n l ' altra cosa, come lecte e lectis
sime dallo stesso lego. Poniamo adunque che sia)
un migliaio di primitivi : variandoli secoudo tutie4
7
51. TERENTI VARRONIS to8
qiiiogenta milia esse possant iJeo, qaia singulis
verbis primigeniis drciler qaingcntae species de
clinationibus fiunt.
3^. Primigenia dicantur verba at lego^ seri
bo^ stoy sedeo et cetera quae uon sant ab alio
quo verbo, sed suas hibent radices. Contra verba
declinata suut quae ab alio quo oriuntor, ut ab
lego legii^ l^garn^et sic indidem hinc pe r -
multa. Quare si quis primigeniorum Terbornm
origines ostenderit, si ea mille sunl, qningentum
railium simplicium verborum causas aperuerit
uoa ; sin nullius, tamen qui ab his reliqua orta
ostenderit, satis dixerit de originibus verborum;
quom, unde nata sint, principia erunt pauca;
quae inde nata sint, innumerabilia.
38. A quibus iisdem principiis, antepositis
praeverbiis paucis, immanis verborum accedit
numerus ; quod praeverbiis mutatis, additis atque
commutatis aliud atque aliud fit ; ut enim pro
cessit et recessit^ ixK^accessit et abscessit ; item
incessit et excessit^ sic successit et decessit,
concessit et discessit ^Quod si haec decem sola
praeverbia essent, quoniam ab uno verbo decli>
nationum quingenta discrimina fierent, his de
cemplicatis coniuncto praeverbio, ex uno quinque
milia numero efficerent ; ex mille ad quinquu
gies ceotum milia discrimina fieri possunt.
39. Denocritu, Epicurus, item alii qui infini
ta principia dixerunt, quae unde sint non dicunt,
sed quoiusmodi siot; tamen faduni magnum,
quol, quae ex hia constant in mundo, ostendunt.
Quare si Etymologos principia verborum postu
let mille, de quibus ratio a se non poscatur, et
reliqua ostendat, quod non postulet ; tamen im
manem verborum expediat numeram.
4a De multitudine qnoniam quod satis est
admonui, de obscuritate pauca dicam. Verborum
quae tempora adsignificant, ideo locus difficilli
mus %^ quod nequ his fere societas cum
Graeca lingua, neque vernacula ea, quorum in
partum memoria adfuerit nostra. De quibus, ut
dixi, quae poterimus.
le quattro specie predelle, noi ne potremo avere,
come scrive Cosconio, fino a cinquecento migliaia
di forme diverse; poich da ogni primitiv sene
fanno da cinquecento.
37. Primitivi diconsi que verbi, come legg^
scrivo^ stOy siedo e gli altri, che non derivano da
alcun altro verbo, ma hanno in s le loro radici.
Derivativi in vece son quelli che nascono da
nn'altra forma, come leggiy legge^ legger ed
altri mollissimi che nascono tutti da leggo. I>aon-
dechi abbia dichiarato le orgini de* primitivi, se
questi sian mille, avr dichiarato a un tempo le
origini di cinquecentomila parole semplici ; e po
niamo non ne dichiari alcuna, ma fiiccta solo di
rapportare a'primitivi tutti i lor derivati, non di
meno avr fatto assai quanto alle origini delle
parole; perch le radici, onde nascono, saran
pochissime, e i derivativi che ne nascono, innu
merabili.
38. S aggiunge a questi un infinit di parole
che si fan tutte da que' primitivi medesimi col
premetter loro poche preposizioni ; poich dalle
varie combinazioni di queste e accozzate e scem
pie s' hanno altrettanti verbi diversi. Cosi da
cedere^ con aggiunta delle particelle pre o re,
s indicher avanzarsi o il ritrarsi ; con le par
ticelle ab o abs^ accostarsi o lo scostarsi ; con
la in o la ex il venire o il partirsi ; con la sub o
la de, il sottentrare in un luogo o il levarsene ;
con la cum o la dis^ accompagnar visi agli altri
o lo scompagnarsene. Ancorch le particelle che
possono preporsi a' verbi non fossero che queste
dieci ; tuttavia, formandosi da un solo verbo cin
quecento voci diverse ed essendo dieci i verbi
che per quella unione si traggono da un sol pri
mitivo, pigliato il decuplo di cinquecento, si
avrebbero cinque mila voci derivative per ciascun
verbo primitivo, e cinque milioni per mille.
39. Democrito, Epicuro e gli altri che pon
gono un indefinito numero d'elementi, di cui
non dicon le orgini, ma solo le propriet, senza
pi fanno assai col dichiarare le cose che nascono
da quegli elementi nell'universo. Cos se un eti
mologista assuma un migliaio di vocaboli elemen
tari, di cui non gli si abbia a chieder ragione, ma
bens da questi la renda di tutti gli altr ; non
istar per questo eh*egli non ispieghi un numero
tragrande di vocaboli.
40. Detto cos quanto basta su la moltitudine,
resta c h ' i o dica qualche parola su oscurit.
L etimologia delle voci che denotano tempo
tema difficilissimo ; perch fatti vocaboli rars-
sime volte hauno che fare col greco, e come no
strali hanno orgine cosi rimota, che non me
moria la qual vada s addietro. Ne dir adunque,
come ho gi avvertito, quel che potr.
109
DE LINGUA L\ 1 INA LIB. VI. no
41. Incipiam hinc primum quod dicitur ago,
Aelio i b agitatu facta ; hinc dicimua agit gestum
tragoedus, ct agitantur quadrigae ; hinc agitur
pecus pasturo. Qua agi potest, hinc angipor
tum ; qua nil potest agi, hinc anguliis ; quod in
eo locus angustissimus, quoius loci is anguKis.
VI. 4a. Actionum trium primus agitatus men
tis ; quod primum ea quae sumus acturi cogitare
debemus, deinde tum dipere ac (acere. De his
tiibus minime putat Tolgos esse actionem cogita
tionem: tertium, in quo quid facimus, id maxu-
mum ; sed et quom nos agitamus quid ei eam
rem agitamus in mente, agimus. Itaque ab eo
orator agere dicitur causam, et augures agejre
augurium dicuntur; quom in eo plura dicant
quum faciant.
43. Cogitare a cogendo dictum qoom * mens
plura in unum cogit, unde eligere possit. Sic e
lacte coacto caseus nominatus ; sic ex hominibus
concio dicta ; sic co'tnptioy sic compitum no
minatum. A cogitatione concilium ; inde consi
lium ; quod et vestimentum apud fullonem quom
cogitur, conciliari diclum.
44* Sic r e m i n i s c i ea quae teuaitmens
ac memoria, cogitando repetuntur. Hinc etiam
comminisci dicturo a con et mente, quom fin
guntur iti mente quae non sunt; et ab hoc illud
quod dicitur eminisci^ quom commentum pro
nuntiatur. Ab eadem roente meminisse dictum ;
et amens qui a roente sua descendit.
45. * Meminisse a memoria^ quom id, quod
remansit in mente, init, quod rursus movetur ;
quae a manendo ut manimoria, potest esse dicta.
Itaque Salii quod cantant Mamuri Veturiy si
gnificant veterem memoriam. Ab eodem monere.^
quod is qui monet proinde sit ac memoria. Sic
monimenta quae in sepulcris ; et ideo secundum
viam, quo praetereuntis admoneant et se fuisse
et illos esse mortalis. Ab eo cetera quae scripta
ac facta memoriae causa, monimenta dicta.
41. Gominciero prima dalle cagioni del verbo
agere. Azione si disse, quasi agitazione, dal muo
vere; code agere s" usa del tragico che atteggia,
e della qaadriga che scorgesi, e dell armento chc
menasi alk pastura. Quindi angiporto^ simil
mente da agere^ dove appena si pu passare ;
ed angolo^ dove pi non si passa ; perch d* on
luogo qualunque, angolo la parte, in cui pi
angusto.
VI. 43. Delle tre maniere d'azioni che s'han
no a distinguere, la prima quella della mente ;
perch, qualunque cosa abbia a farsi, bisogn
prima peiMare, e poi dire e lare. Di questa prima
maniera, cio del pensiero, il volgo non s avvede
eh un azione. Gerto azione massimamente la
tena, in cni facciam qualche cosa : m anche
quel moto spirituale della roente che raggira in
s alcuna cosa, bench non appaia di fuori,
azione; e per giustamente dicesi agifare la cosa
chi la considera dentro da s. Per simil ragio
ne diceai deir oratore che tratta nna cau
sa, e deir augure che interpreta gli auspicii;
tuttoch uno e altro vi spendano pi parole
chc fatti.
43. Cogitare si disse da cogere che significa
radunare ; perch la mente, quando che pensa,
raduna in s molle cose, da cui poter poi fare la
scelta. Dallo stesso verbo si chiam cacio il latte
rappreso, e coacione una radunanza di uomini ;
e nella stessa guisa da altri verbi si chiam com-
ptio la compera di pi cose a un tempo, e com
pitum il luogo dove concorron pi vie. Simil
mente dair ammassare si nom il concilio^ donde
poi consiglio ; perch conciliare dicono i Latini
anche de' panni, quando si ammassano e pigiano
presso il purgatore.
44. Gos reminisci si chiam il rammentare,
perch* ripetere co! pensiero ci che la memoria
e la mente hanno conservato. Quindi, da con e
da roente, si disse in vece comminisci chi finge
nella sua mente ci che non ; ed eminisci chi
10 esprme altres con parole. Per simil ragione
11 ricordare si chiam meminissent ed amens chi
fuori di roente.
45. Meminisse vien da memoria ; ed quan
do essa, movendosi indietro, rincontra ci che
rroase nella mente; sicch potrebbe essersi detta
memoria dal rimanere e dal muovere, quasi ma-
nimoria. Gosl i Salii, quando cantano Mamuri
Veturiy vogliono dire memoria antica. Dalla stes
sa (bigine venne monere^ perch chi ammonisce
altrui gli tien vece di memoria. Perci monimen
ta si dicono le inscrizioni de sepolcri ; e pongoosi
appunto lungo la via per ricordare a chi passa
che anch' egli, come coloro che sono ivi sepolti,
dovr morire. Di qui roonumcuti si chiamano
. TERENTI VARRONIS
46. Curare a cura dictam ; cura qaod cor
urat ; curiosus^ qui hac praeter modum utitur.
Recordare rursus in cor revocare. Curiae^ ubi
scoatus rempublicam curat, et illa ubi cura sa
crorum publica : ab his curiones.
47. Folo a voluntate dictum et a Tolatu, quod
animus ita est, ut puncto temporis pervolet quo
volt. Lubere ab labendo dictum, quod lubrica
nens ac prolabitur, ut dicebant olim. Ab luben-
do iibidOf libidinosus ac Poenus Libentina et
Libitina ; sic alia.
48. Metuere a quodam motu animi, quom id
quod maium casuram putat, refugit mens. Quom
vehementius in movendo, ut ab se abeat, foras fer
tur, ; quom pavit, ab eo pavor.
4g. * Hinc etiam, ut * metuo mentem quo
dammodo moto, vel metuisti amovisti ; sic, quod
frigidus timor, tremuisti timuistt Tremor di
ctum a similitudine vocis quae tunc quom valde
tremunt, apparet. Quom etiam in corpore pili ut
arista in spica hordei, horrent.
5o. Maerere a marcere, quod etiam corpus
marcesceret. Hinc etiam macri dicti. Laetari ab
eo quod latius gaudium propter magni boni opi
nionem diffusam. Itaque luventius ait :
Gaudia sua si omnes homines conferant
unum in locum^
Tamen mea exsuperet laetitia.
Sic quom se habent, laeta,
5 r. Narro cum alterum facio narum ; a quo
narratio^ per quam cognoscimus rem gestam.
Quae pars agendi est ab dicendo, ac sunt aut
coniuncta cum temporibus aut ab*his ; eorum hoc
genus videntur (.
anche tutte le altre cose o fcritte o fatte per con-
servar la memoria di qualche cosa.
46. Curare si ditte da cura ; cura da cor ed
urere^ quasi brncior di cuore : donde curiosus
chi usa di troppa cura. Da cuore si disse anche
recordare il richiamare in cuore ; e da cura pre
sero il nome le curie^ s quelle dove il senato ha
cura della repubblica, e s altre dove il pubbli
co ha cura delle cose sacre : donde curioni i sa
cerdoti di queste curie.
47. yolo si disse ugualmente nel senso di vo
lere e in quel di volare, perch anima di tal
natura che vola in un attimo a ci eh' ella vuole.
Lubere fu detto di cosa che piaccia, da labi cio
sdrucciolare ; perch a ci che la alletta anima
lubrica e piglia presto andare ; onde prolabi
dicean gli antichi questo correr df 1 anima a' pia
cimenti. Di qui libidine e libidinoso e Vener
Libentina e Libitina ed altri si fatti.
48. Metuere si chiam il temere da un certo
moto dell* animo, onde rifugge da un male che
stima gli abbia ad accadere. Che se pel troppo
impeto di questo moto animo spinto fuor di
s stesso, cos fatto timore da fuori si disse for^
mido; e se fa battere il cuore, da pavire cio daf
battere s* dett pavor,
49. * Quindi anche, a quel modo che si disse
metuere dal muovere o per un certo agitarsi del-
animo o pel fuggire eh* ri fa; cos, per quel
brivido cui produce il timore, si nom il temere
dal tremare ; e ce ne ia fede la maggior somi
glianza de' due passali tremui e timui, li tre
mito poi si nom per imitazion della voce, qual
essa appare in chi trema assai. Che se di pi s'ar
riccino i peli nel corpo, dal somigliare alle resi
d orzo, questo si chiam inorridire,
50. Maerere si disse V essere afiBitti dal mar
cire, perch l'afflizione dell*animo strugge anche
il corpo. Di qui pure venne il nome a' magri.
Laetari dissero il gioire da lato cio largo, per-
ch' un gaudio versato nell' anima pi largamen
te dal pensiero di qualche gran bene. Onde disse
Ginvenzio :
Se pur tutti i mortai ponetser tutti
I lor gaudi in un cumulo; la mia
Letizia a pareggiar poco saria.
Chi in tal condizione dicesi lieto.
51. narrare da narus che l'opposto di
ignaro ; perocch narrare far chiaro altrui di
qualche cou. Di qui narrazione si dice quella
che ci fa conoscere un fatto. Di questa seconda
specie d'azione che sta nel dire, le etimologie
de' principali vocaboli che han distinzione di tem
po, o nascon da questi, credo che sian le seguenti.
ii3
DE LINQUA LATINA LIB. VI. u4
5a. Fatur u qui prmura homo eigoi6oiJbUeqi
ore millit Tocem. Ab cq, quam ila faci^at,
puer dicoDiur infantes ; qqoin ita factan^ iam
fari; cura hoc vooabulura^ a similitudine Tocis
pueri, ac faluus fari sit dicturo. Ab hoc teiupore,
quod lum pueris constituant Parcae fando, dictum
fatum et res fatales. Ad haoc eandem Tocero qui
facile fantur, facundi dicti ; et qui futura prae
divinando soleant fatidici : dicti idem vati
cinari^ quod vesaoa meute faciunt. Sed de hoc
post erit usurpandum, quom de poetis dicemus.
53. Hinc fasti dies, quibus verba certa legiti
ma sine piaculo praetoribus licet fari ; ab hoc ne-
fasti^ quibus diebus ea fsri ius dod eil, et, si fati
sunt, piaculum faciunt. Hinc ^ata dicontor quis
augures fioem auspiciorun^ caeleslum extra ur
bem agris sunt efifati ut essel. Hinc ^ a ri templa
dicuntur ; ab auguribos enim fantur qui in his
iines sunt.
54. Hinc fana nominata, quod pontifices in
sacrando fati siot finem. Hinc profanum est quod
ante fanum, coniunctum fano. Hinc profanatum
quid in sacrificio, atque inde Herculi decuma ap
pellata ab eo est, quod sacrificio quodam fanator,
id est ut faai leg fit. Idem dicitur polluctum^
quod a prriciendo est fictum ; quom esim ex
mercibus libamenta porrecta eunt Herculi in aram,
lum polluctum est, ut, quom profanatum dicitor,
id est proinde ut sit faoi factom ; itaque ibi olim
fano consumebatur omne qood profanatum er^t,
ut etiam fit quod Praetor Urbis quotannis fi^it
quom Herculi immolat publico iuvencam.
55. Ab oodem verbo fari fabulae^ uti tragoe
diae et comoediae, dictae i hinc fassi ac confessi
qui lati id quod ab his quaesitum : hinc profes
si; hinc fama et famosi. Ah eodem falli^ sed et
falsum et fallacia ; qoao propterea qood fando
quem decipit, ac contra quam dixit, faciat. Itaque
si quis re fallit, in hoc non proprio nomine falla
cia, sed trala titio, ut a pede nostro pos lecti ac
betae. Hinc etiam famigerabile ; et sic c9mpofi-
titia alia, item ut declinata, multa, io quo et Fa
tuus et Fatuae.
50. Loqui ab loco dictum, quod qui prino
M. Ter. Varboue, de l l a lingua latiita.
52Fari si dice do' primi suoni significativi
che i fanciulli mettono; onde, avanti che il faccia-
no, chiamansi infanti^ e fanti quando gi il (#0-.
no ; perch con questo vocabolo volle; esprime^
re, per imitatone de suoni puerili, quel parlale^
a modo degli ^ m i , th per ci appunto diconsi
fatui. E perch sin da quel tempo le Parcho di
segnano a fanciullelti la loro sorte, pronuoiian-
dola con parole ; quindi^/o e cose fatali, palla
medesima origine, chi ha facile la favella s chia
m facondo^ e fatidici quelli che sogliono prono
sticare il futuro ; i quali por diconsi i^aticinare^
perch, quando il ianno, son fuor di s. Ma di
questo verr in concio il parlarf, quando apdre-
mo ai poeti.
53. Di qui fu^ti quei giorni, in cui i pretori
possono profferire sema sacrilegio le parole pro
prie de' giuilicii ; e per nefasti quelli che non
lecito, ed sacrilegio se il fanno. Di qui ^'ato
quello spazio fuor di citt che gli auguri hanno
dichiarato qual termine degli auspicii celesti ; ed
e^ari detto de tempii, perch i confini ne son
dichiarati dagli auguri.
54 Di qui il nome di fana venuto a tempii
per la medesima causa che nel consacrarli i pon-
tefici ne dicono i confini. Di qui profano ci che
innanzi a l ^ n o e peritene ad tuo. Di qui pro
fanata si dire la parte eh' offresi ne ^acrifiwi^ *
in particolare per la decima d Ercole ; perch
con una specie di sacrifiiio, viene, a cosi dire,
fanata, cio per legge divenU quasi del /ano.
Ondech profanatu, torna il medesimo che pol
luctum, voce storta da porricere che vale offrire ;
poich nelle libagioni delle merci, che fanuosi ad
Ercole,7>o//ac/i/m esse averle oramai oflerte
su la sua ara ; e profanatum quanto a dire che
la cosa ormai fatta del tempio; t per una voltai
ci eh' erasi profanato, cio oflerto, si consuma
va ivi tutto in uso del tempio, come s usa fare an
che adesso della giovenca, che il Pretore orbano
sacrifica ogni anno ad Ercole pel comune.
55. Dallo stesso verbo fari si nominaronoy-.
bulae le tragedie, le commedie e le altro recita
lioni; efassio confessi si dissero quelli che ben
dichiarato ci che fu loro chiesto; o si form pro
fessare e fama e famoso. Dallo stesso verbo si
tXoTst fallire e falso t fallaci ; e questi, perch
Jallire pigliare altrui con parole, e fare altri-
iDcnti da quel che si disse: onde chi tragga altrui
in errore coi falli, si dice usare fallacia, non per
propriet, ma per traslazione, a quel modo che il
vocabolo piede si trasporta da noi ai letti ed an
che alle bietole. Dallo stesso verbo in line si fece
famigerabile, e tantaltri e composti c derivativi,
come son Fatuus e Fatuae.
56. Loqui da loco ; perch chi incomincia a
8
i i 5
. TERNT1 VARRONIS 116
dictar iara fari, et ?ocabula et rellqaa Tcrba di
cit, ante quam sao quidque loco ea dicere polest,
hanc Ghrysippas negai loqni, led ot loqui : qaa-
re, ut imago hominii non lit homo; sic in cortis,
cornicibus ; poeris primitus incipientibus fari,
erba non esse verba, quod non loquantur. Igitur
ia loquitar, qui suo loco quodque verbum sciens
ponit ; et is tura primo locutus, quom in animo
quod habuit, extulit loquendo.
57. Hinc dicuntur eloqui ac reloqui in fanis
Sabinis, e cella dei qui eloquuntur ; hinc dictus
loquax qui nimium loqueretur, hinc eloquens qui
copiose loquitur; hioc colloquium quom conve
niunt in unum locum loquendi causa ; hinc ad-
locutum mulieres ire aiunt, quom eunt ad ali
quem locutum consolandi causa ; hinc quidam
loquelam dixerunt verbum, quod iu loquendo
efferimus. Concinne loqui cum cinno, ubi inter
se conveniunt paries ita, ut * instar cinni condiant
aliud alia.
58. Pronuntiare dictum enuntiare ;;?ro idem
valet quod aule, ut in hoc : proludit. Ideo acto
res pronuntiare dicuntur, quod in proscenio enun
tiant ; quo maxume tum id dicitur proprie, no
vam fabulam quom agunt. Nuntius enim est ab
novis rebus nominatus, quod a verbo Graeco
ifios potest declinatum ; ab eo itaque Neapolis il
lorum Novapolis ab antiquis nostris vocitata.
59. quo etiaia extremum novissimum quo
que dici coeptum volgo, quod mea memoria ut
Aelius, sic senes aliquot, nimium novum verbum
quod esset, vitabant ; quoius origo, ut a vetere
etustius ac veterrimum, sic ab novo declinatum
novius, et novissimum quod extremum. Sic ab ea
dem origine novitas et novicius,, et novalis in
agro, et Sub novis dicta pars in foro aedificio
rum, qod vocabulum ei pervetustum, ut Novae
viae^ quae via iam diu vetus.
60. Ab eo quoque potest dictum nominare^
quod res novae in usum quom additae erant, qui
bus ea novissent, nomina ponebant. Ab eo nun
cupare^ quod tunc civilale vota nova suKipiun-
lur. Nuncupare nominare valere apparet in legi
bus, ubi nuncupatae pecuniae sunt scriptae ;
item in choro in quo est ;
pronunziare i uomi e le altre parole, e sa
metterle ancora al loro luogo, si d i c e ^ n ; ma
loquiy cio parlare, nota Crisippo che non pu
dirsi, se non per una talquale somiglianza ; onde
a quel modo che imagine d un uomo non uo
mo, n tampoco d' un corvo, d' una cornacchia ;
cos insegna egli, ne' bambini che incominciano
allora ad articolare i suoni, non sono vere parole,
perch quello non parlare. Parla adunque sol
tanto quegli che intendendo pone ciascuna parola
a suo luogo ; ed allora solo comincia a parlare,
quando esprime parlando ci ch'avea nell animo.
57. Quindi eloqui e reloqui dice, nc tempii
Sabini, degli dei, quando parlano dalla lor cella ;
quindi loquace chi parla troppo, ed eloquente a
cui abbonda il parlare ; quindi colloquio^ quan
do ci troviamo in un luogo a parlare insieme ;
quindi a/Zo^i/i chiaman le donne il visitare altrui
condoleodosi ; quindi loquela dissero alcuni le
voci che mettiamo parlando. Concinne loqui si
disse, dai cinni o composte, quel favellare in cui
le parli conveugonsi fra di loro in guisa che, co
me gP ingredienti nelle composte, una parte di
condimento all altra.
58. Pronuntiare quanto enunciare ; se non
che la pr vi dice innanzi^ come in proludere
che il provarti iunanzi alla battaglia. Onde pro^
nuntiare si usa degli attori scenici, perch stanno
a recitare dinanzi alla scena ; e per con tutta
propriet ci dovrebbe dirsi di loro, quando fan
no qualche rappresentazione nuova : perocch
nunzio ebbe il nome dal dar novelle, cio da
nuovo; e nuovo pu essere dal greco via che vale
lo stesso ; onde quella che i Greci chiaman Neapo
lis^ i nostri vecchi solean chiamare Novapolis.
59. Di qui pure entr ora uel comune uso no
vissimo per estremo ; la qual parola mi ricordo
io che si schivava e da Elio e. da alcuni altri vec
chi come troppo nuova. Nacque dal declinare U
voce novum pe ' suoi varii gradi ; onde a quel mo
do che da vetus si fa vetustius e veterrimum^
cos da novum s volle far novius e novissimum
per indicar ci eh' ultimo. Dallo stesso fonte
novit e novizio^ e novale ne' campi ; e Sub novis
si chiama un ceppo di edifcii nel foro, e questo
gli nome antichissimo, come si segue a dire Fia
nuova^ bench da un pezzo si possa dire via vec
chia.
60. La medesima origine ebbe forse anche no
minare ; perch, quando si metteva in uso alcun
che di nuovo, gli si imponeva il nome per con
trassegnarlo e conoscerlo. La medesima origine
ebbe nuncupare^ quasi novum capere,, in quanto
signiQca imprendere nuovi voli per la citt; o
quasi nomen capere^ in quanto vale generalmente
oominare, come vedesi nelle leggi dove nuncu-
117
DE LINGUA LATINA L1B. VI 118
A enea ! Quii enim est qui meam nomen
nuncupat?
ileip in Medi
Quis tu eSy muliery quae me insueto nuncu
pasti nomine f
6i . Dico originem hubet Grecm, quod
Graece ius ^txn\ hioc eiiira dica^ atque hioc
dicare, Hinc indicare^ qaod tonc iat dicatur ;
hioc iudexy quod iudical, accepta potestate, id est
qaibasdafn verbis dicendo finit ; sic etiam^ aedis
sacra a magistrata, pontifice praeeante, dicendo
dedicatur ; hinc ab dicando indicium ; hinc illa :
indictivum indixit Junus^ prodixit diem^ addi
xit iudicium ; hinc appellatam dictum in mimo
ae dictiosus; hinc in manfpalis castrensibus dicta
ducibus; hinc dictata in ludo; hinc </ic/a/or
ragister populi, quod is a consule debet dici ;
hinc antiqaa illa: dicis numero ti dicis causa
et addictus.
6a. Si dico quid inscienti,quod ei quod igno
ravit trado, hioc doceo declinatum; vel quod,
qoom docemus, dicimus ; vel quod qui docentur,
inducantur in id quod docentur. Ab eo quod scit
docere qui est dux aut doctor, qui ita inducit nt
doceat; ab sciendo ducere disciplina et discere^
literis commutatis paucis. Ah eodem principio do--
eumenta qaae exempla docendi caasa dicuntur.
63. Disputatio et computatio ex proportione
potandi, qnod valet purum facere. Ideo antiqui
^xixjxm putum appellarunt; ideo putator^^io^
rbores pnras facit; ideo ratio putari dicitur, in
qua somma fit pura : sic is sermo, in qoo pure
disponontar verba, ne sit confusus atquc nt di
luceat, dicitor disputare.
64. Quod dicimos disserit^ item translatitio
atqoe ex agris verbo : nam, ut olitor disserit in
reas soi qooiutqoe generis res, sic in oratione
patae pecuniae equi tale a somme determinate^
similmente nel Coro ove dice :
Enea ! Chi noma il nome mio ? - r
e in quel luogo del Medo :
Femmina, chi te tu che mi chiamasti
Con insolito nome?
Gr. Dico da origine greca; poich da'Greci
il diritto si chiama ond' il latino dica^
da cni s' fatto dicare Di qui giudicare.^ quasi
ius dicere^ cio render ragione ; di qui giudice^
perch' deputalo a renderla, e il fa col profferir
certe formole ; di qui parimente dedicare i tem
pii, perch anche questo si fa dal magistrato col
dire certe parole, che gli vien suggerendo il pon
tefice; di qui indizio; di qui i modi indictivum
Junus^ indixitfunus^ ne'mortori! che intimansi
per via di bando ; e q u a n d o ag
giornasi ; e addixit iudicium^ quando si fa luogo
ad azione; di qui dictum e dictiosus del mot-
teggiare de'mimi, e dieta degli ordini dati dai
capitani ne'militari drappelli, e dictata degl'in
segnamenti impartiti nelle scuole; di qui Tessersi
chiamato dittatore il supremo magistrato del po
polo, siccome quello che dev esser dello, cio
nominato dal console ; di qui gli antichi modi
dicis numero e dicis causa quando si vuol salvo*
almeno il colore della giustizia, e addictus per*
dinotare chi passato in altrui potere per debiti.
6a. L'ammaestrare si disse docere o dal dare,
perch ammaestrando si d altrui quella cogni
zione ch ei non aveva ; o dal dire, perch s am
maestra dicendo ; o da ducere^ perch ammae
strato vien quasi scorto e introdotto in ci che
gli si insegna. E poich chi scorge o ammaestra,
sa scorgere se fa ch'altri impari; quindi da ducere
e scire^ cio dal saper iscorgere, si nomin, col
mutamento di poche lettere, disciplina la scnola
e discere imparare. Dalla medesima origine si
chiamarono documenti gli esempli chediconsi in
ammaestramento altrui.
63. Disputa e computo si disse per analogia
da putare che vale potare e generalmente pur
gare; onde gli antichi osarono putus per puro.
Quindi potatore^ perch purga gli arbori ; e si
milmente putare rationem^ quando si purga,
cio si liquide, un conto. Cos disputare fu detto
quel distribuire nel discorso le parole si netta
mente, che non v'abbia n confusione, n oscurit.
64. Anche disserere fu detto per metafora
tratta egualmente daU'agricoltura ; perch diser
tus si chiami qoegli che fa ne'tuoi ragionari a
>'9
. t e r e Ut i v a r r o n i s Mo
qui facit, disertus. Sermo^ opinor, esi a serie,
unde serta el io vesiimento sartum quod com
prehensum; sermo enim non polesl in uno ho
mine esse solo, sed ubi oratio cum altero con-
iuocla. Sic conserere manum dicimur cum ho
ste ; sic ex iure manum consertum vocare ; bine
adserere manu in libertatem quom prendimus ;
sic augures dicunt: Si mihi auctor est veruSy
rem mnu asserere dicit f.
65. Hinc* tonsortes; hinc etiam, ad quae ipsi
consortes, sors; hinc etiam sortes^ quod in his
iuncta tempora curo hominibus ac rebus ; ab his
sortilegi; ab hoc pecunia qua in foeoore, sors
rsl, impendium quod inter se iungat
tSS. Legere dictum, quod leguntur ab oculii
literae; ideo etiam legati^ quod, ut publice mit
tantur, leguntur, item ab legendo /e^u//qui oleam
aut qui uvas leguot ; hinc legumina in frugibus
variis. Eliam le^es quae lectae et ad populum la
tae, quas observet ; hinc legitima. Et collegae
qui uua lecti; el qui in eorum locum suppositi,
sublecti; additi adlecti; et collecta quae ex plu
ribus locis lo unum lecta. Ab legendo ligna quo
que, quod ea caduca legebantur in agro, quibus
in focum Qtereutur. Indidem ab kgendo legio et
diligens et dilectus.
67. Murmuratur dictum a similitudine soni
tus; dictus qui ita leviter loquitur, ut magis e
sono id facere, quam ut intellegatur, videatur.
Hinc etiam poetae murmurantia litora. Similiter
fremere^ gemere^ clamare^ crepare ab similitu
dine Tocis sonitus dicta. Hinc illa: arma sonant^
fremor oritur ; hinc :
nihil increpitanda commodes.
'68. Vidna horum tfuiritate^ iuhilate. Otii
ritare dicitor is qui Qoiriiftrt fidem t:laaiaos im
pl o r i . Quirites t Cnrasfbus, ab Hs qei c a
Tatio rege in locielattm \ettefant civitatis. IA
modo dell'ortolano, quando distribuisce i semi in
diverse aiuole secondo le diverse specie, ci che
dicesi propriamente disserere. Sermone pare da
serie, ond hanno il nome anche i xerfi, e sattum
dicesi ne' vestimenti ci eh' attaccato con cuci
tura; stante che sermone non pu essere in un
solo uomo, ma discorso appiccato con altrui.
Cos conserere manum diciamo razzuffarsi col
nimico, ed ex iure manum consertum vocare il
far querela al tribunale, e asserere manu l'affran
care. Cosi manu asserere dicono gli auguri il far
libero con l ' armi ci eh' tenuto o minacciato
dal uimico, allorch etmsigliano a battaglia con
questa formola : Se il dio non m' inganna^ sua
volont che franchiamo il nostro con la forza.
65. Di qui il nome di consorti; di qui anche
ior/e, in quanto quello, in cui siamo consorti,
cio compartecipi ; di qui le sortii come Ticende
annesse agii uomini ed alle cose, donde poi sor*
tilegi; diqui^enalmeDte lo stesso Home di sorte^
in quanto il capitale messo ad usura, perch va
crescendo con uuione del frutto.
66. Leggere si storse dal auo proprio lensa
che crre o scegliere, perch leggere ua coi^
re, che si fa con gli occhi, le lettere. Dallo stesso
verbo ebbero il nome i legati, quasi scelti per
esser mandati a nome del comune ; e leguli sad*
domandarono quelli che colgon uva o le olive }
a legumi s dissero pi maniere di civaie. Aiicht
le leggi han derivato il lor nome da questo fontei
perch sono lette e promulgate al popolo, acci 1^
osservi: da legge s poi fatto legittimo, E col-
leghi dallo stesso fonte si dissero gli eletti insie
me, e sublecti i sostituiti, e adlecti gli aggiunti,
e collecta le cose raccolte da pi luoghi in u d o .
Cos da) raccorre le legna morte ne'campi per
valersene agli usi del focolare, denominarono
legna; e dallo scegliere, legione e diligente e
di letto.
67. Mormorare voce formata per imitazione
del suono, e si disse di chi parla s piano, th
sembra aver voglia di susurrare pi che di farsi
intendere ; onde i poeti ch|amano mormoranti
anche i lidi. Voci formate per imitazione de' suoni
son anche fremere^ gemere^ sciamare^ crepita
re ; onde nacquero le locuzioni ^ttnano Varmi^
ttn fremito si Itv, e quel detto:
Nulla col tuo
lucrepar m'atterrisci.
68. Vicini a questi son quiritare e iubilare.
Quiritare si disse di chi implora gridando k fede
de'Qoriti, e Quiriti chiamoroasida'qiic Careia
che sotto re Tanto eotrarcao in comoosnza di
DE LINGUA LATINA LIB. VI.
quiritare urbanorum, sic iubiare msticoram;
ilaque hos imitans Apritaiue -|- ail:
r, Bacco ! Quis me hthilatt
Tricinas iuus antiquus.
Sic triumphare appellatam, quod com napera-
lore mUle^ redeuntetdaroitant per urbem ia Ca
pitolium eonli: Io triumphe, Id a ^^ ac
Graeco Lberi cogaomento, potest diotum.
69. Spondere est dicere : spondeo a sponte ;
nam id valet folanlate. Itaque LikIds scribit
de Cretea, cum ad se cubitum Teoerit ua -
luotate,
Sponte ipsam suapte adductam^ mt tunieem
el cetera reiceret.
Eandem voluntatem Terentius significai, oom it
satius esse
Sua sponte recte facere^ quam alieno metu.
Ab eadem sponte, qua dictum spondere, decli
natum spondet et respondet et desponsor el
sponsa^ item sic alia. Spondet enim qui dicit a
sua sponte : spondeo; spondettiMm sponsor^ qui
idem liioiat obKgatur.
70. Sponsus consponsus. Hoc Naetius signi
ficat, com ait consponsi. Spondebatur pecunia
eut iilia noptiaram causa ; appellabatur et pecu
nia el quae desponsa erat, sponsa ; quae pecunia
inter re contra spotisam rogata erat, dicla spon'-
sio; cei desponsa qune era, sponsus; quo die
sponsum erat, sponsalis.
71. Qui spoponderat filiam, despondisse di
cebatur, quod de sponte eius, id est d voluntate
exierat; non enia si volebat, dabat, quod sponsu
erat alligatus. Nam, ut in comoediis vides dici:
Sponden' Nictm gnatam filio uxorem meo ?
citt eoi Roroni. Come ^uiW/ere parola citta
dinesca, cos iubilare de'rustici dairinterie-
sione io ch*usan chiamando; onde Aprissio-f%
volendone initare il linguaggio, pose di ritconlro
iubilare ed io in un luogo che dice :
Ol, Buccooel Chi mi grida? Un vecchio
Tuo vicioo.
Simile origine ebbe triumphare,, dal gridar che
fanno : Io triumphe^ i soldati reduci dalla guer
ra, quando accompagnano per mezio la citt al
Campidoglio il lor comandante. Triumphus poi
potrebb' essere dal Greco eh un so
prannome di Bacco.
69. Spondere eqnivale a dicere^ ed tratto
dft spnte che significa volont. Onde LucKo,
parlando di Crelea che venne di sua volont a
giacersi con lui, scrive che
dal voler sospntii
La tonica gHt, con gK altri paimi ;
e dove qui dice volere^ tr i sse egli sponte. Nd
medesimo senso di volont l'uso Terenxio o?e
dice che meglio
Far di sno grado il ben, che dalla tema
Altrui costretti.
Da sponte., come si fece Spondere., in quanto
dire, cio significare altrui ci che vuoisi, vien
parimente spondere in quanto promettere o
salletare, e respondere e desponsor e sponsa^ e
cos via; perch chi promette, d la sua parola
di volont propria, e cos pur fa il malle?dore,
chiamato sponsor^ obbligandosi a stare per altri.
70. Sponsi s ' addomandaroD gli sposi, qnaii
promessi uno air al Ir: lo accenna Nevio c<^
dire consponsi. Ne'coniralii di noue si promet
teva o la figlia o q' amaoenda^ c tanto l una che
altra si dkea sponsa., cio promessa; la aomma
di danari stipulata per ammenda, chi avene man
cato alla fede data, si chiam sponsio ; e sponsus
quegli, a cui alcuna fidanzava ; sponsalis il
giorno, in cui fidsnzavasi.
71. Chi avea tdanxalo la figlia si dicea de
spondisse^ perch quanto a questo era omai fuori
de sponte., cio di libert, non istando pi in lai
il darla o no, dopo eh era legato dalla promessa.
Ed in vero a quel modo c ht dicesi despondere
filiam di chi promette la figlia, perch, come vedi
velie commedie ai chideva al padre:

Mi prometti di dar la tua AgKaok


Per iiposa a mio Agli ?
23 . TERENTI VARBONIS ia4
quod Ium et praetorium iu ad legem el oenio-
rium iudiciura d nequum existimabatur; sic de
spondisse animum quoque dicitur, ut despondis
se filiam, quod suae sponlis statuerat finem.
72. qua &ponte dicere cum spondere quo
que dixerunt, tum ad spontem, respondere^ id
fst ad voluntatem rogationis. Itaque qui ad id
quod rogatur non dicit, non respondet ; ut non
spondet ille, statini qui dixit : spondeo, si iocandi
causa dixit, neque agi potest cum eo ex sponsu.
Itaque quoi quis dixit iu tragoedia :
MeminisM te spondere mihi gnatam tuam i
quod sine sponte sua dixit, cum eo non potest
agi ex sponau.
73. Ltiam spes a sponte potest esse declinata,
quod tum sperai, quom, quod Tolt, fieri putat ;
nam quod non volt si putat, metuit^ non sperat.
Jlaque hi quoque qui dicunt in Astraba Plauti:
Nunc sequere^ adsequere^ Poljrbadisce; meam
spem cupio consequi.
Sequor hercule quidem ; nam libenter^ mea
sperata, consequor:
quod line sponte dicunt. Tere neque illa sperat
quae dicit adolescens, neque illa sperata est.
74Sponsor et praes et vas neque idem, ne
que res a quibus hi, sed e re simile. Itaque praes
qui a magistratu interrogatus in publicum ut prae
stet; a quo et, quom respondet, dicit: praes.
Vas appellatus qui pro allero radimoninm pro
mittebat. Consuetudo erat quom reus parum es
set idoneus inceptis rebus, ut pro se alium daret ;
quo caferi postea lege coeptum est ab his qui
praedia Tenderent, Tades ne darent. Ab eo scribi
coeptum in lege mailcipionim :
Vadem ne poscerent^ nec dabitur.
75. Canere et accanit et succanit^ ut canto
et cantatio^ ex Camena, permutato pro ot.' n.
Ab eo quod iemel, canit; si saepius, canUt. Hinc
cantitatyiitm alia; nec tine canendo./i6ici/i^....
onde poi si valutava rammenda, cui dovea pa
gare chi non avesse tenuto patto, e pel diritto
pretorio secondo la legge, e per giudicio censorio
secondo equit; nella stessa guisa si dice anche
despondisse animum del disperato, perch ha
posto gi l'animo e rassegnalo la sua volont.
73. Come spondere fu detto anche il parlare
di propria volont ; cosi respondere si disse il
parlare a volont altrui, cio secondo il senso dejlA
domanda. Sicch chi non parla a proposito di ci
che gli domandato, non si pu dir che risponda;
come non pu dirsi spondere^ cio promettere,
chi soggiunge tosto : Prometto, se fa da burla ;
n t ' luogo a querela di promessa non attenuta.
Onde chi lagnayasi in quella tragedra, dicendo :
Non ti rammenti che promessa a sposa
Tu m'avevi la figlia?
non potea farne querela davanti al giudice, perch
quegli non avea promesso di vera volont.
73. Anche il nome di spes^ onde chiamasi la
speranza, tratto forse da sponte; perch si spera,*,
quando si crede eh*abbia ad avvenire ci che si
vuole, e chi atlendesi ci che non vuole, questi
non ispera, ma teme. Ond'anche nella Basterna
di Plauto, allorch dicono :
Polibadisco, or via segui e consegni; *
Ch la mia speme d'ottener mi tarda
lo seguo in ver; ch troppo d'ottenerli,
Speranza mia, mi larda
n la giovanotta che dice sperare, spera da vero,
n ella sperata, perch no dicon di cuore.
74. Sponsor^ praes e vas non sono una cosa,
n denominati da una cosa, ma da cose simili.
Praes adunque si chiam queglj che davanti al
magistrato fa sicurla al comune, ci che si dice
praestare; onde interrogato se la voglia fare,,
nell' acconsentire vi risponde praes. Si chiam in
vece vas chi prometteva di vadere^ cio compa
rire, io luogo d' un altro. Era costume di chi si
fosse obbligato ad altun cosa che, quando non
v'era sufficiente da s, sostituiva in sua yece un
allro; il pei'ch si provvide poi contro le preten
sioni di quelli che vendeano fondi,con una legge
che non si desse loro alcuna cauzione personale;
e per s scirisse di loro nella legge de'"mancipii :
Non pretendano pegno.^ n si dar.
75. Canere eh' modulare la voce, ed acca^
nere cio accompagnarla, e succanere cio ri-1
sponderle, come altres cantare e cantatio^ tras
sero il nome da Camena^ mutata la v in v. Chi
125 DE LINGUA LATINA LIB. VI. iati
dicti ; oranium enim horum quoddam canere.
Etiam bucinator a vocis aimilitudine et cantu
dictus.
76. Oro ab ore el perorat et exorat oratio
et orator et osculum dictum. Indidem omen^
ornamentum : alterum, quod ex ore primum ela
tum est, osmen dictum; alterum nunc cum pro
portione dicitur folgo ornamentum, quod, sicut
olim, osnamentum scenici plerique dicuut. Hinc
oscines dicuntur apud augures quae ore faciunt
auspicium.
V l l l . 77. Tertium gradum agendi esse dicunt,
ubi quid faciant. In eo, propter similitudinem
agendi et faciundi et gerundi, quidam error his
qui putant esse unum. Potest enim aliquid facere
et non agere^ ut pota facit fabulam, et non agit ;
contra actor agit et non facit, et sic a |>oela fabula
fit, non agitur ; ab actore agitur, non fit. Contra
imperator, quod dicitur res gerere^ in eo neque
facit, neque agit ; sed gerit, id est sustinet, trans
latum ab his qui honera geruut, quod hi su
stinent.
78. Proprio nomine dicitur facere^ a facie,
qui rei, quam facit, imponit faciem. Ut fictor,
quom ciXfingo^ figuram imponit; quom dicit
informo^ formam ; sic, cum dicit facio, faciem
imponit ; a qua facie discernitur, nt dici possit
aliud esse vestimentum, aliud ?as; sic item, quae
fiunt apud fabros, fictores, item alios, alia. Qui
quid administrat, quoius opus non extat quod
sub sensum veniat, ab agitatu, ut dixi, magis age
re, quaoi facere putatur. Sed, quod his magis
promiscue, quam diligenter, consuetudo est usa ;
iranslatitiis utimur verbis: nam et qui d i c i t , f a
cere scerba dicimus ; et qui aliquid agit, non esse
inficientem.
79............. qui adlucct. Dicitur lucere ab lue
re ; et ab luce dissolvuntur tenebrae. Ab luce No
ctiluca. Lugere item ab luce, quod propter lu
cem amissam is cultus institutus. [Acquirere est
modula una volta si disse canere; chi spesso,
cantare. Di qui cantitare^ ed altre simili parole ;
e da canere presero anche una parte del loro no
me i sonatori di tibia e d' altri strumenti, detti
tibicines^ tubicines e di quelPandare; perch di
tutti questi proprio un certo cantare. Anche il
trombetta si chiam bucinator. un imitazione .
del suono e da canere,
76. Orare da oi, bocca ; come anche per
orare, ed exorare ed oratio ed qrator ed oscu
lum. Di qui pure omen ed ornamentum : quella
si disse osmen, perch i primi presagii cos chia-
mati, eran le voci uscite di bocca a qualcuno ;
questo si dice comunemente ornamentum^ e si-^
milmente i suoi simili, ma una volta ( e cosi fa
ancora la pi parte degli attori scenici) si diceva
osnamentum. Di qui finalmente appo gli auguri
si chiamano oscines quegli uccelli che danno
auspicio col canto della lor bocca.
Vl l l . 77. Il terzo modo d'azione dicono che
quando si fa qualche cosa. Nel qual particolare
s'ingannano alcuni che, per la somiglianza di si
gnificazione che tra i verbi agere, facere e
gerere^ li credon tuti' uno. Poich v'hanno casi,
in cui non pu stare uno per altro : cos del
poeta, il qual compone una rappresentazione,
suol dirsi facere ; ed agere in vece delPattore che
la rappresenta ; non indifferentemente : e la di
stinzione medesima si Conserva anche nelle loro
forme passive, che sono fieri ed agi. All incon
tro n P uno n Valtro verbo fa al caso del capi
tano, di cui dicesi gerere^ perch sostiene, anche
non operando, tutta impresa ; onde per somi
glianza, s pigliato a prestito questo verbo da
que' che portano pesi.
78. Facere vien da facies^ e per dicesi pro^-
priamente di chi d faccia, cio forma, ad alcun^
cosa. A quel modo che si disse fingere il dar figu
ra, e formare il dar forma ; cos, quando diceSi
facere, s ' intende imporre alla cosa la sua pro
pria faccia, per cui s'abbia a distinguere che quel
lo un abito, questo un vaso, e cos ogni altro
lavoro di materia o dura o molle che foggiasi
da'varii artefici. Che se l'azione non termina in
nulla che venga distinto al senso; a questo, me
glio che il nome di facere^ credesi convenir quello
di agerey preso, come ho gi detto, dal muovere.
Vero che questi due verbi non si sono sempre
usati nella stretta loro propriet ; ma alcune volte
si scambiano: tuttavia ci iassi per traslazione ;
come quando diciamo facere verba di chi ragio
na, e chiamiamo inficiens ozioso.
79................chi fa lume. Lucere da luere
che quanto a dir sciogliere : la luce in fatti scio
glie le tenebre. Da luce si chiam Noctiluca la
Luna adorala nel Palatino ; e parimente da luce
127
. TERENTI VARRONIS
ab ad et quaerere ; ipsoni quaerere ab eo qaod,
quae res ut reciperetur, datur opera : a quaerendo
quaestio ; ab hiaqut quaeStor\.
8o. Video a vi ; quinque eDim aeneuuin ma
ximus in oculis : nam, quom aenaua nullus, quod
abest raille pastus, sentire possit; oculorum sen
sus TS usque pertenit ad stellas. Hinc visenda^
vigiUni^ ifigilium^ invident; et Attianum illud,
ob yiolavit : Qui invidit? invidendum. A
quo etiam violavit virginem pro Titiabit dice
bant ; aeque eadem modestia potius cum muliere
fuisse^ quam concubuisse, dicebant.
Ai. Cerno idem valel ; ilaque pro tideo ait
Ennius :
Lumen iubarne in caelo cerno ?
Canius :
Sensumque inesse et motum in membris cerno.
Dictum cerno a cereo, id est a creando; dictum
ab eo quod, cum quid creatum est, tunc denique
cernitur. Hinc fines capilli descripti, quod finis
f idetor, discrimen ; et cernito ^in testamento,
id est facito tideant te esse heredem : itaque in
cretione adbibere iubent testes. Ab eodem est
quod ait Medea :
Ter sub armis malim vitam cernere^
Quam semel modo parere ;
quod, ut decernunt de vita, eo tempore multoram
rideatur \ilae finis.
8a. Spectare dicturo ab antiquo, quo etiam
Ennius usus :
Fos epulo postquam spexit ;
et quod in auspiciis distributum est qui habent
spectionem^ qui non habent; et quod in auguriis
eiiara nUuc augures dicunt avem specere. Con-
suetodo communis, quae curo praeTerbiis con
iuncta fuerunt, etiam nunc servat, ut aspicio^
tt disie lugere il far lutto, perch un costume
ifltituito per quelli che hanno perduto la luce.
[Acquirere si fece dalla prepoaizione ad t da
quaerere ; quaerere poi da quae res e re, per-
ch adoperarti a riaver qualche cosa. Di qui vien
quaestio e quaestor.'\
80. Video da vis^ forza ; perch de'cinque
sensi, la maggior forza sensiva negli occhi : ch,
mentre gli allri non poston torre oggetto a un :
miglio di distanza ; Tocchio con la sua virt giun
ge fino alle stelle. Di qui visendum ci eh' de
gno d'esser veduto, e vigilare lo stare ad occhi
aperti, e vigilium la veglia, e invidere il por l oc
chio, e quel modo d Accio : Qui inviditi i\ cam
bio di viol, ed incidendum ci che fa invidia.
Per la stessa ragione tliceano copertamente viola
re una vergine, anzich viziarla ; e con pari roo-
detlia, essere stati con donna^ invece d csser gia
ciuti con essa.
81. Anche cernere sta per vedere, come in
quel luogo di Ennio :
Qual lume . . . . in cielo io veggo ?
Lucifero forse ?
e in quello di Canio :
K senso e moto nella membra scemo.
Si disse cerno da cereo^ cio dal creare, perch la
cosa si vede solo quand^' gi falla. Di qui discri
men si dissero gli spartimenti della capellaturH,
perch delle divisioni proprio il farsi vedere.
Di qui il cernito de' testamenti, che quanto a
dire: Falli vedere siccome erede ; onde per ac
cettazione delle eredit, che da questo cernere si
della cretio,^ prescritta la presenza di testimo
nii. Di qui cernere vitam per cimentare la vita,
l dove dice Medea :
Pi volte
Vorrei nell' armi cimentar la vita,
Prima che partorir sola una volta;
perch quando combattesi, si vede allora qual fosse
il corso di vita segnato a molti.
8a. Spectare da un antico verbo, di cui |>
nio us il passato spext l dove dice :
Poi ch*avvisovvi epulone;
ed abbiamo il derivativo spectio nelle leggi che
diffiniscono chi abbia ispezione negli auspicii c
chi no; e la radice stessa conservasi anche oggid
uegli augurii, dove osservare gli uccelli si dic^
dagli auguri avem specere. Nel comune uso
^ 0
DE LINGUA LATINA LIB. VI.
iSo
conspicio^ suspicio^ despicio^ tic alit ; in qoo
etiam exspecto^ qaod ipectare folo. Uinc specu*
lor ; bine speculum, quod in eo apecicnaf imagi-
aem ; specula^ de quo prospicimus ; speculator^
quem roillimns ante, ut respiciat quae volumut.
Uofi qui oculot inanguimuf quibui fpedmus,
specillum.
83. Ab auribus Tidenlur dieta verba audio et
ausculto. Audio ab aveo, quod bis a?erous disce
re semper ; quod Ennius Tidetur { osten
dere Teile, in Alexandre quom ait :
Jam dudum ah ludis animus atgue aures averti
A Sfide exspectantes nuntium.
Propter hanc aurium avidilatem theatra replen
tur. JVb audiendo etiam auscultare declinatum ;
quod hi auKultare dicuntur qui auditis parent, a
qoo dictum poetae :
audio, haud ausculto.
Litera commutata, dicitur odor olor ; hinc olet
et odorari et odoratus el odora res.
84. Sic kb ore edo^ sorbeo^ hibo^ poto. Edo
a Graeco i : hinc esculentum et escae^ edulia ;
et qa od Graece yii/ire/, Latine gustat. Sorbere^
item bibere^ a Tocis sono, at fervere aqoam ab
ius rei simili sonita. Ab eadem lingua, quod
*0%potio ; uTt, poculum^ potatio^ repotia.
Indidem puteus., quod sic Graecum antiquum,
Dn ut nunc dictum.
85. A mana manupretium ; mancipium,
q a o d mtfnu capitur ; quod coniungil plures ma-
manipulus ; manipularis, manica ; ma-
mubrium^ qood manu tenetur ; mantelium^ ubi
manus tergantnr.
M. U ta. Va mo se, d i l l a l ibg l a l at ina.
restano ancora i composti che se ne fecero con ^a-
rie preposizioni, come aspicio^ conspicio., suspi^
cio^ despicio ed altri di simii fatta ; fra quali sl^
pure exspecto^ perch tanto aspettare, quanti]!
voler vedere. Dallo stesso verbo si trasse specul^
ri; e speculum si chiam lo specchio, perch vi ai
veggon le imagini ; e specula quella, da cui pro
spettasi ; e speculator si manda innanii a spia
re ci cLe vogliamo ; e specillum lo siilctto dar
unger gli occhi, che sono gli strumenti, con cui
vediamo.
83.1 verbi appartenenti agli orecchi sembra
no essere audire ed auscultare. A udire viene
da as>ere^ cio dal desiderare, perch con gli otec
chi desideriamo sempre d apprendere. Ennio stes
so par ch abbia volato indicare questa etimologia,
allorch disse nell Alessandro :
Da buona pezza in avido desio
Stanno gli orecchi e il cor, qualche novella
Aspettando da* giochi ;
ed argomento di questa avvita degli orecchi il
veder zeppi i teatri. Dal verbo audire si trasse
poi auscultare; perch si dice di chi presta ob
bedienza a quello che ha udito; donde la distin
zione del poeta :
Odo, ma non ascolto.
Con Io scambio d una lettera, si dice odor in
vece di olor. Quindi olere il mandar odore,
odorari il fiutarlo, e odoratus organo con cui
si fnta, e odora la cosa che manda odore.
84. Cos, quanto alla bocca, si disse edoy gu
sto^ sorbeoy bibo^ poto. Chiamossi edere il man^
giare, dal greco i^ity che vale lo stesso : di qui
esculentum ci eh' mangereccio, ed esca il ci
bo, ed edulia i camangiari. Anche gustare dal
greco, perch in quella lingua dicesi yttftc^ar.
Sorbere poi e bibere son voci fatte imitando il
suono del sorbire e del bere, come per una simile
imitazione fu detto fervere il bollire delP acqua.
Dal greco anche potare^ perch -roroK chia
mano i Greci la bevanda : di qui poculum la Uz
za, e potatio lo stravizzo, e repotia le nozze ri-
novate in casa il marito. La stessa origine ha pu
teus ; perch cos si chiamava dagli antichi Greci
il pozzo, non come il dicono ora.
85. Da mano si chiam manupretium la ma
nifattura ; mancipium la cosa venuta in propriet,
per ci che pigliasi con la mano ; manipulus una
compagnia di soldati, perch pi manipoli uniti
fanno una mano, cio un esercito ; manipularis
chi appartiene al manipolo ; manica ci che av
volge le mani; manubrium il manico, perch
0
3
tiensi In nuno ; manulium k tal?ietta, perche t
li DctUa le roani.
. TERNTI VAaaONIS lU
IX. 86. Nodo primam ponam de Censoriis
tabolis:
Ubi noctu in templum censurae auspicave-^
rii atque de eaelo nuntium erit^ praeconi sic
imperato ut 9ros vocet ;
Quod bonum^ fortunatum felixque saluta-
reque siet populo Romano Quiritium^ reique
puhlicae populi Romani Quiritium^ mihique
collegaeque meOy fidei magistratuique nostro !
omnes Quirites^ pedites^ armatos pri^atosque^
curatores omnium tribuum^ si quis pro se sive
pro altero rationem dari volet^ voca inlicium
huc ad me.
87. Praeco in templo primum vocat; postea
de moeris item vocat.
Ubi lucet i Censor^ scribae^ magistratus
murrha unguentisque unguentur.
Ubi Praetores^ Tribunique plebei^ quique
in consilium vocati sunt^ venerunt; Censores
inter se sortiuntur uter lustrum faciat.
Ubi templum factum esty post tum con--
ventionem habet qui lustrum conditurus est,
88. In commentariis Consularibus scriptum
sic inTeni :
Qui exercitum imperaturus erit, accenso
dicit hoc: Calparni.^ voca inlicium omnes Qui
rites huc ad me.
Accensus dicit sic : Omnes Quirites^ inii-
cium visite huc ad ludices.
C. Calpurni, Cos. dicit, voca ad conventio
nem omnes Quirites huc ad me.
Accensus dicit sic : Omnes Quirites, ite ad
conventionem huc ad ludices,
Dein Consul eloquitur ad exercitum : Im
pero qua convenit ad comitia centuriata.
89. Qnare hic accenso, illic praeconi dicit,
haec est causa : in aliquot rebus, item ut praeco,
accensus acciebat, a quo accensus quoque dictus.
Accensam solitum ciere Boeotia ostendit, quam
comoediam Aquilii esse dicunt, hoc Terso :
Ubi primum accensus clamarat meridiem.
Hoc idem Cosconius in actionibus scribit, prae
torem accensum solitum tum esse iubere, ubi ei
tidebatur horam esse tertiam, inclamare boram
tertiam esse, itemque meridiem et horam nonttn.
90. Circum moeros mitli solitus quomodo in-
IX. 86. Ora porr qui prima Ia formola trai-
ta dalle tavole de' censori :
Quando la notte si sar avuto nel tempio
augurale auspicio per la censura e i l cielo
dar il segnale^ ordina al banditore che aduni
i maschi d* et virile.^ cos :
Se ci abbia a tornare in hene.^ in prosperi
t e felicit e salute al popolo romano de"*Qui
riti e alla sua pubblica cosa^ a me ed al mio
collega^ adempimento fedele del carico no-
f i qui popolo presso di me, chiamando
tutti i Quiriti^ pedoni^ armati e privati^ e i cu
ratori di tutte le tribii^ a render confo, secon
do che vorranno, o per s o per altri.
87. I l banditore chiama prima dal tempio
augurale; poi f a il simile dalle mura.
Quando f a giorno, il censore.^ i segretarii,
i magistrati s* ungono di mirra e d* unguenti.
Quando son venuti i pretori, i tribuni e i
chiamati a consiglio ; i censori traggono a
sorte qual di lor due abbia a fare il lustro.
Quando fornito il tempio^ allora quello
dei due che ha da fare il lustro, tien radu
nanza.
88. Ne comentarii de' consoli trovai scritto
cosi:
Il console che ha da tenere i comizii^ dice
al donzello : Calpurnio, f a qui popolo, chia
mando tutti i Quiriti, presso di me
Il donzello dice : Quiriti, venite qui tutti a
vedere, che si fa popolo presso i giudici.
Caio Calpurnio, dice il console^ chiama in
adunanza tutti i Quiriti qui presso a me.
I l donzello dice cos: Quiriti, venite qui
tutti in adunanza presso i giudici.
Dopo ci il console intima all* adunanza
Seguitemi al luogo pei comizii centuriati.
89. Che uno d ordine al donzello e Paltro al
banditore, la ragione che in alcaae cose anche
il donzello, del pari che il banditore, ayeva il ca
rico di chiamare; ed anzi per questo che si
disse accensus da accire, cio dal chiamare. In
fatti che anche il donzello facesse da gridatore,
ce lo mostra la commedia, che s intitola Beozia
ed credau d* Aquilio, con questo verso :
Come il donxel gridava il meztogiomo.
Lo stesso scrive Cosconio nelle Azioni; ot che
il pretore, quando gli pareva ehe fosw tersa, era
solito di ordinare al donzello che la gridasse :
cos a mezzogiorno ed a nona.
90. In qual maniera il gridatore che s usava
i33 DE UIWiUA LATINA LIB. VI.
34
lcerti populam eatif, unde vocare pouet ad
conlionem, non folam ad oonsulea ei censores,
sed etiam qoaestorea coiniDeDtarom indicat ve
tas anqoisiiionis . Sergii Mani filii Quaestoris,
qai capitis accasavil Trogani, in qua sic est :
Auspicio orando sede in templo auspi^
cii^ dum aut ad Praetorem aut ad Consulem
mittas auspicium p%titum.
Commeatum Praetoris voce^ ut ad te reum
de moeris vocei, praecnid impera reportet.
Cornicinem ad pr9ati ianuam et in Arcem
mitias^ ubi canat.
Collegam rogis^ ut comitia edicat de Ro
stris, et argentarii tabernas occludant.
Patres censeant exquaeras^ et adesse iu-
bjas. Magistratus censeant exqmaeras % Con-
sules. Praetores Tribunosque plebis collegas-
que tuos^ et in templo adesse iuheas omnes ;
acy eum mittaSy contionem advoces.
ga. In eodem commentario anquisitionis ad
eztreronm scriptam caput edicti hoc est :
Item quod attingat qui de Censoribus clas
sicum ad comitia centuriata redemptum ha
bent^ uti curent eo die quo die comitia erunt^
in Arce classicus canat^ tum circumque moe
ros et ante privati huiusce T. Quinti Trogl
scelerosi hostium canat., et ut in Campo cum
primo luci adsit.
93. E i inter id, quom circnra muros miltilur
et cum contio advocatur, interesse lempus appa
ret ex iis quae interea fieri inlicium scriptum est.
Sed ad comilia tum vocatur populus ideo quod
alia de causa Kio magistratus non potest exerci-
lam orbanom convocare ; censor, consul, dicta
tor, interrex potest : quod censor exercitum cen
turiato constituit quinquennalem, quem lustrare et
in orbem ad vexillum ducere debet ; dictator et
consul in singulos annos ; quod hio exercitui im
perare pote, est coeat ad * id quod propter cea-
luriata comitia imperare solent.
94. Quare non est dobium, quin hoc inli-
eium sit, quom eircom muros itur, ut populos
inlieiatur ad magistratus conspecturo, qoi Qoiri-
ttisndare intorno alle mura, facMie popolo, che di-
cevasi inlicium^ cio attirasse gente in parte, don
de potesse poi chiamarsi a conclone, non solo pres
so i consoli ed i censori, ma anche presso questo
ri ; ce fanno vedere le antiche memorie d d pro
cesso fatto dai questore Marco Sergio, figlio di
Manio, a Trogo, in causa capitale, dove sta scrit
to cos :
91. Siedi a pregare V auspicio nel tempio a
c/, mentre die mandi od al pretore od al con
sole a domandare auspicio.
Ordina al banditore che riporti licenza
dalla bocca del pretore per chiamar daUe mth
ra dinanzi a te V accusato.
Manda uneorntUorey perch suoni dinanzi
alla porta del privato e nella Rocca.
Invita il collega ad intimare dai Rostri
che si venga ai comizii ; ed ai banchieri di
chiudere le lor botteghe.
Chiedi i l parere d^ senatori^ e ordina loro
che sten presenti. Chiedi il parere d^ magi
stratio cio de consoli^ de* pretori^ tribuni
della plebe., e de" tuoi colleghi., e ordina che
sieno tutti presenti dentro al tempio ; e quan
do va il messo, chiama a concione.
92. Nella memoria medesima di quel processo
sta scritto in fine questo articolo di editto :
Similmente^ per ci che dee appartenere a
que'* che hanno in appalto da' censori il carico
di far le chiamate ai comitii delle centurie^
sar loro cura che nel giorno^ in cui saranno
i comiziiy il cornatore suoni nella Rocca., quin
di intorno alle mura e innanzi alla porta di
casa di questo scelerato T. Quinzio Trogo., e
che su fare del giorno si trovi nel campo
Marzio.
93. Che fira il mandare intorno alle mora e il
chiamare a concione anche qui si ponga alcun tem
po in mezzo per quello che dicesi inlicium^ il roo-
stran le cose che in quel tanto scritto che sgab
biano a fare. Che se qui allora non si fa popolo
presso al questore, ma si chiama ai comizii ; ci
perch questo magistrato non pu convocare Te
serei to urbsuo, che per questa sola causa. Pu
convocarlo bens per pi cagioni il censore, il
console, il dittak>re, interrege; perch il cen
sore forma dalle centurie an esercito per cinque
anni, e tocca ad esso fame la rassegna e chiamarlo
in citt sotto le bandiere; e cos per un anno fa
il diltatore ed il console: ma i questori, la sola
cosa che possono comandare alP esercito, di adu
narsi a quello, per cui sogliono ordinare i comicii
delle centurie.
94. Non v** dubbio adunque che inlicium
non sia questo andare intorno alle mora per atti
rare il popolo alla presenxa d' un magistrato, coi
i35
Itf. TERENTI TAWONIS
iS6
tes * vocv pokfi, in eum locum,. unde voi ad
9ontieneni Vocanlii ci^ifU(]iri postit..Quare
origine nlici et inlicis quod in Choros Proserpi
nae est, et ptlUxit quod in Hermiona^ quora ajt
Pacavini:
re^ni alleni cupiditas pellexit.
Sic E lid i /oi/xera in Aventino ab eliciendo.
% I
g 5. Hoc Buoc aliter ft tlque olim; quod au-
Contali adesMum com exercitus imperatur,
ac praeit quid eum dioere oporteat. Consal augari
imperare solet, tit ia hiliciuiii vocet, nn coenso
.ai>l praeconi. Id iaceptvm crddo, euta non adesset
'ccn8iivtt nihil intererat quoi impemret^^et dicii
fiebant qnaedam neqae item facta neqde
item dicta semper. Hoc ipsum inlegium scriptum
inveni id M. ludii commentariis ; quod tamen ibi
idem eat, quod inlicilo inlexit qua 1 cum E et C
um O mafnam fiabcnl communitatam.
X. Sed quoniam id hoc de paacis rebus ver
ba feci plura f d t pluribus rebus verba faciam pau
ca, et potissimum quae a Graeca lingua putant La-
Una, ut scalpere a &/, sternere a arfuv
vtfuify lingere a X/Xfcaa^si/, i ab l/, ite ab /t6,
gignitur fiyptraiy ferte a ^ipfrf providere a
iTfotdiuV, errttre ab ab eo quod dicunt
^eeyykftv^ trangulare; tin^uere riyyU,
t^ra^lerea abes ab a i r u; ; ab eo quod illi -
wtify nos malaxare; ut gargarissare a yetfya-
putere a ^^^ domare a ^~
^iffy mulgere ab ^ pectere a ^,
stringere a vrfdyyttv; iude enim rfayyi^ ;
nt runcinare a runcina, quoius ftntavn origo
Graeca.
XI. 97. Quod ad origines verborum huius libri
pertinet, satis mullas arbitror positas huius ge
neri. Desistam ; et quoniam de bisce rebos tris
libres ad ta mittera institui, da oraliodt soluta
stia cbiamare j Quinti, sioch>rAccolgasi io luogo,
onde il po.ssa .adirar qtiando invita a concione.
Vien esso adunque dalia raedceima origine, da cui
ci cV ttiraltivo fu detto inUx nel Coro di
Proserpina, in Pacuvio pellexit sta per attrasse,
quandi) scrive nelP Ermione :
Del regno altrui desio attrasse.
Cos da elicere^ che qeanto a dire trar fuori, fu
nomata Para di Gioire /1010.nell Aventino.
95. Nel far questo illicto si tiene ora altro
modo da quel bhe teaetas no tem^o ; perocch
al console, quando comanda, come suol dirsi, Te-
aerei lo, assiste ora n ngurc Che gli saggerisce
ci che ha da dire ; e non al donzello o al bandi
e r e , ma allo stesso augure il console suol ordi
nare che faccia popoto. Cominci que<t' uso, cre-
d io, iancndo per avventura il donzello, perch
non iacea nieote he ordine fosse dato ad uno
piuttosto che un altro, e la certe cose, che toii
sperano sempre fatte o dette ad ufi modo, bastava
fosse salva apparenza. Ne* comentarii di M. Gin-
nio, in iscambio di inlicium, trovai scritto in/e-
gium : ma torna il medesimo, perch da inlicere
si fa pure inlexit^ per la grande comunicanza
che hanno 1 con la E e il C col G.
X. 96. Ma poich su questo particolare per
poche cose ho speso molte parole., ne spender
ora poche per molte cose, trattando in ispezielt
di que* verbi che credonsi venuti nella latina dalla
greca favella. Cosi scalpere^ cio incavare, da
0^/; sternere da ^ ; lingere, cio
leccare, da ; e una stessa voce, i ed ife,
suona in greco e in latino il comando d'andarsene;
e gigni s detto il nascere da yiyv%9^m ; e
fiTf, del pari che ferte^ vale portate ; e providere
viene da vfo/V^i/V, errare da strangulare
da >(, tingere da riyy^tY, Arrogi ahes
ed che stanno ugualmente per ci ch
sarebbe tu sei lontano; malaxare e \9%^
che importano parimente ammollire; gargaris-
sare^ o gargarizare, che una cosa con ya^r
; putere che sta altres per putire, come
il greco ^%^ ; domare che da ^% ;
mulgere che da iy%^v, cio mugnere ; pe
ctere che da /, cio pettinare. Cos strin
gere dall antico ^rfeyyfiy, donde ai chiamano
vr^aryyiii le goccie che si fan gemere strin
gendo ; c runcinare dal greco ^ che equi
vale al latino runcina^ cio pialla, da cui a'
detto runcinare il piallare.
XI. 97. Di quel genere di parole, di cui toc
cava a questo libro il dichiarare le origini, parmi
che il numero finora esposto debba essere auffi
ciente ; sicch far fine. E poich intorno a questo
i 37 DE LINGUA LATINA UB. VI. i 33
duo, de poUca urtata; et ex folola oratione ad
te misi dao, priorem lodi elqaae in locii saiit,
hunc de temporibus et qoae ciim bis sant con-
iuncta ; deinoeps io p r o x m o de po&icis terbo-
ram origioibas scribere institoL
argomento m) aon proposto di toandarti tre li
bri, dae per la linguA prosaica^ ed uno per la
poetica ; e dae te nt lio gi mandato per ci che
rag^uatdavft 1 lingua prosaica, net primo dei
quali esppti i aomi de^laogbi e delle cose che y
i trovano, 1 altro i nomi de' tempi e i Toca-
boli che incbindono rispetto a tempo; a voler
compire ci che mi sono propoito, ti seri?ero nel
segaente libro intorno allo origini delle t o c
poetiche.
. TERENTI VARRONIS
DE LI NGUA LATI NA
AD M. TULLIUM aCERONEM
LIBER SEPTIMUS
1. Hic deest in txemplari folium unum^ in
^uo est principium libri rii.
[Temporum Tocabnla et eorum qaae eomonot
font, aut in agenda fiant, ant cum (empore aliquo
enuntiantur, priore libro ixi. 1b hoc dicam de
poeticis vocabulis et eorum originibusf ki quis
multa difficilia. Nam]
I ................. repent ruina operuit; ut verbum
quod conditum est e quibus literis oportet, inde
si posi aliqua dempta sit obscurior 6 t vokintas
impositoris. Non reprehendendum igitur in illis,
qui in scrutando verbo lileras adiiciont aul de
munt, quo i^l facilius^ quod sub ea voce subsit,
videre possint. Ut enim facilius obscuram operam
Myrmecidis ex ebore oculi videant, estrinsecui
admoTenI nigras selas.
a. Quom haec admioicala addae ad eruendam
voluDtatem impositoris, tamen latent muUa. Quod
si podice, quae * in carminibus servavit multa,
prisca quae essent, sic etiam quor essent posuis
set ; fecundius poemata ferrent fructum. Sed ut
in solata oratione, sic in poematis neque * Terba
omnia, quae habeant irwfia, possunt dici ; oeque
multa ab eo, quem non erant m locubrtlionc li<
1. Qui ntiP sempiar9 manca una carta in
cui era ii principio d^l libro nt,
[Net precedente Ifbro ho parlato de vocaboli cbe
denotano tempo, od hn rispetto a tempo, perehi
riiguardauo il fare; o se risguardano Tessere,
portan per considerazione di tempo, cio sono
Terbi. In questo libi*o parler ora de'vocaboK
poetici e delle origini loro, fra le qnaU ce n' ba
molte che aon difficili. Perocch]
............... la raina tdrueciobndo le ricoperve.
Cos) se la voce era chiara quando fu compoeta oo
tutte le lettere cbe le si dovevano ; levatane poi
qualcheduna, non apparisce pi qual fosse la men
te di chi invent quella voce. Sicch non havvi
ragione di biasimo, se, scrutinando un vocabolo,
si aggiunge o toglie una lettera, per vedere pi
facilmente ci che vi sta sotto; ch il simile si
costuma fare negli avorii di Mirmecide, dove con
nn contorno di nere setole ' aiutano gli occlii a
rilevare quelle minate e quasi invisibili opere
a. Cosi ci bastasse ; ch non ostante si falti
aioti per discoprire h mente dell* inventore, molli
TocalMli reitano non di meno ocoolti. Cbe se Tarla
del poetare, a quel modo che serb n'verbi molta
forme invecchiate, cosi ce ne avesse anebe dichia
rato il perch ; la lettura de poemi ci sarebbe fe
conda di mafgior frotta. Ma come nelle prote,eos
anche nelle poeiie,n di tatti i vocaboG li pod dir
,43 . TERENTI VARRONIS
44
terse proseculae, mullum licet legerit. Aelii, bo-
rainif in priuio iti literis Lalinis ezcrcititi, inler-
pretationem carminum Saliorum yidebis ei exili
titera expeditam, et praelerita obscara mul(
S. Nec mirum, quom non modo Epimenides
post annos L. experrectus a multis non cognosca-
titr, aed etiam Teucer Livii post annos xv ab suis
qui sit ignoretur. At hoc quid ad verborum poe
ticorom aetatem? quorum st Pompili regnum fons
in carminibni Saliorum, neque ea ab superioribus
accepta, tamen habent d o c . annos. Quare quor
scriptoris industriam reprehendas qui herois tri-
taTum, alavum non potuerit reperire, quom ipse
avi, tritavi matrem non possis diceref quod in
tervallum multo tanto propius nos, quam hinc ad
initium Saliorum, quo Romanorum prima verba
poetica dicunt inlata.
4. Igitur ife originibos verboram qui mulla
dixerit com node, poli ns boni consulendum^qnam
qui aliquid nequiverit reprehendendam : prae>
sertim curo dicat etymologice non omnium ver
borum dici pos^ie causam, nl qait quare res ad
medendum /nee/Zcina ; neque, si non norim radi
ces arboris, non posse me dicere pirom esse ex
ramo, ramum ex arbore, eam ex radicibus quas
non video. Quare qui ostendit esse ab
equitibus, equites ab equite, equitem ab equo,
oeqae equus nnde sit dictt ; tamen hic docet et
^lara^et satisfacit grato; qaem iimlari possimasne,
i f i e Uber erit indicio.
II. 5. Dtcam in hoc libro de verbis qaaea poe-
ffe eimt potita, primum de locis, deinde de bit
qaae in locis sQnt, tertio de temporibuf, tum quae
cum temporibus snntconiuncta; sed ita^atqnae
6om hii sunl coniuncta, adiungam ; e t i i qaid ex
cidit ex Jiac quadripartitione, tamea in ea ut
comprehendam.
6, Incipiam hinc :
Vnms rit quem tu tolles ad caerula caeli
Templa,
donde vengano; n il pu dir che di pochi, per
istudiar eh' abbia fatto, chi nel suo jtodio non
abbia avuto a compagna Tarte de'grammatici. Lo
stesso Eliu, uomo quant'altri mai addestrato nelle
lettere latine, tu puoi vedere con cht magfo co-
roento si sia sbrigato Be'carmi de'Stlii, e quante
cose saltasse degne di spiegazione.
3. N dee far maraviglia; poich non solo
Epimenide dopo cinquant'anni risvegliandosi non
rioonoseiuto dai pi, ma lo stesso Teucro, de
scritto da Livio, dopo quindici anni di lontananza,
quando ritorna fra* suoi, non trova pi chi il rav
visi. pare non egli questo un nonnulla all'et
di tante voci poetiche, le quali, posto che non si
fossero gi trovate in nso, ma le avessero allora
per la prima volta fatte, quando,sotto il regno di
Numa, le adoperarono nei carmi de' Salii, avreb
bero non di meno settecent'anni? Perch recar
gli a difetto d'arte,se uno scrittore non ha potato
pescare il bisarcavolo di qualche eroe o pi l,
quando tu stesso non mi sapresti dire chi fosse la
madre di tuo avolo o di tuo bisarcavolo ; che
pure una distanza tanto minore da noi, che non
il farsi sin dal principio de' Salii, al cui tempo
dicono introdotte le prime voci poetiche presso i
Romani ?
4. Sicch nell'esporre le origini delle parole,
chi abbia fatto aggiustatamente di molte, dovr
aversi a grado, anzich dargliene carico se non gli
avvenne di tutte: massimamente insegnandoci
Tarte che non di tutte le voci si pu dir la ragio
ne, com' a facile a dire perch medicina siasi
chiamato, da mederi cio dal rimediare, il rime
dio ; e che, sebbene lo non vegga le radici del
l'albero, non resta per ch io non possa dire che
la pera venuta dal ramo, e il ramo dall* albero,
e l ' albero da quelle radici che pur non veggo.
Laotide chi fa vedere che equitatus nomossi la
cavalleria da equites c\i^ sono i cavalieri, e qnest^
dal sao singolare eques^ ed eques da equus che;
il cavallo ; tuttoch questi non sappia poi dire
donde sia equus^ pore ha chiarito pi cose, e de-^^
'esserne p*go chi non ingrato: che se io potr
meritar qualche biasimo, sar solo io<quaato non
sappia T r i t a r l o .
IL 5. In questo libro sporr i vocaboli usati
da'poeti,prima pei luoghi, poi per gli oggetti che
son nc luoghi, indi pei tempi, e in ultimo per le
eose ch'han rispetto a tempo. Ma di questi qttat^
tro capi tratter in guisa che distenderommi ao-
che alle loro attenenze ; e te vi sar cosa che non
paia in essi compresa ve la recher ad ogni modo.
6Comincer di qui :
Un vi sar che negli azzurri templi
lanaizerai del deio.
M5 DE LINGUA LATINA LIB. Vii. >46
Ttmpum Iribaj modis dicitar, ab natar, ab au-
fpiciendo, ab timililndine : naiara, in caelo; ab
Dfpiciis, in ferra; ab tirailitudine, sub lerra. In
cacio Icmplura dicitur, ut in Hecubn :
O magna tempia caelitum^
Commixta stellis splendidis;
in lerra^ ut in Periboca :
Scrupea saxay Bacchi tempa^ prope adgre
ditur ;
sub terra, ut in Andromacha :
Acherusia^, templa alta Orci^ saWeie^ infera.
7. Quaqua initium erat oculi, a tuendo pri
mum templum dicturo: quocirca caelum, qua
Ituimur, dictum templum. Sic:
Contremuit templum magnum lovis altito
nantis;
id eit, ut aitNaeyius,
Hemisphaerium^ uhid aethra caerulo
Septo stat.
Eius templi partes quattuor dicuntur, sinistra
i b oriente, dextra ab occatu, antica ad meri>
diem, postica ad septentrionem.
8. In terris dictum templum locus augurii aut
aaspicii causa quibusdam conceptis lerbis finitus.
Concipitur ?erbis non isdem usquequaque. In
Arce sic :
Templa tescaque me ita sunto^ quoad ego caste
lingua nuncupavero,
Ollaec arhos^ quirquir esty quam me sentio
dixisse^ templum tescumquefinito in si
nistrum,
Ollaec arhos^ quirquir esty quam me sentio
dixisse^ templum tescumque finito in *
dextrum.
Inter ea conregione^ conspicione^ cortumione^
utique ea rectissime sensi.
9. In boe templo faciundo arbores constitui
lines apparet et intra eas, regiones, qua oculi con-
M. T s . VAAaOHE, DELLA LIBODA LATINA.
In tre modi si disse tempio^ per natura, per gli
auspicii per somiglianza : per natura, in cielo ;
per gli auspicii, in terra ; per somiglianza^ sot
terra. In cielo dicesi tempio, come nell Ecuba :
O templi alti de' numi.
Sparsi di lucid' astri ;
in terra, come nella Peri bea :
S? appressa agl irli
Sassi,templi di Bacco;
sotterra, come nell' Andromaca :
Io vi saluto, o abissi
Acherontei, dell'Orco oscuri templi.
7. liS parte, doyc cominciava l'occhio, si disse
templum da tueri primum^ cio dal guardar pri
mamente : onde s'appropri questo nome al cielo,
per quanto ci sta innanzi al guardo. Cos :
Trem di Giove altitonante il grande
Tempio ;
cio, come dice Neyio,
L ampio emisfero, dove all'etra siepe
Fa il ceruleo ricinto.
Delle quattro parti di questo tempio, sinistr^^
jchiamasi l'orientale, f ra l'occidentale, anter
riore quella che sta a mezzod, posteriore quelli
che sta a tramontana.
8. In terra si chiam tempio un luogo divisato
con certe formole per augurii od auspicii. Queste
formole non son le medesime per ogni luogo.
Nella Rocca usasi questa :
Il tempio e il tesco sieno per me stabiliti den
tro a' confini, eh'* io sinceramente diviser
con parole.
Queir arbore^ qual eh'* ella sia, di cui ho in
teso di parlare^ termini il tempio e il
tesco a sinistra.
Queir arbore, qual eh' ella sia^ di cui ho in
teso di parlare^ termini il tempio e il
tesco a destra.
Fra que' termini sieno il tempio e il tesco per
dirittura e prospetto e intenzione^ e per
appunto secondo che fu il mio pensiero.
g. chiaro che, nel far questo tempio, si sta
biliscono per confini degli arbori, e in mezzo a
10
*4?
. TERENTI VARRONIS
4
ipiciant, id est lueamnr ; a quo templum dictam
et contemplare : nt apad EDoiam in Medea ;
Contempla^ et templum Cereris ad laevam
aspice.
Contempla et conspicare idem esse appiret ; ideo
dicere, tam cam tvmplura fiicit, aagurem conspi
cione^ qaa ocalorom conspeotqm finiat. Quod,
com dicunt conspicionem^ addunt cortumio-
nem^ dicitur a cordit tsu ( cor enim oortamionii
origo.
10. Quod addit templa ut sint tesca^ aiunt
saacta esae qui gloasas seripsermit. Id st falsum ;
aam curia Hostilia templum est, et sanctam non
at. Sed hoc ut putarent, aedem sacram ease tem
plum taseum, fktum quod in orbe Roma plera-
que aedes sacrae sunt templa, eadem sancta ; et
quod loca quaedam agretiia, quod aliqaoius dei
sunt, dicuntur tesca.
1 1. Nam apud Accium in Philocieti Lemnio :
Quis tu es mortalisy qui in deserta et tesca te
apportes loca ?
Eaim loca qoae sint designat, qqom dicit :
Lemnia praesto
Litora rara^ et celsa Cahirum
Deluhra tenes mysteriaque
Pristina castis concepta sacris ;
deinde :
Folcania templa sub ipsis
CollibuSy in quos delatus locos
Dicitur alto tth limine caeli ;
et
Nemus expirante vapore vides.
Unde ignis cluet mortalibs clam '
Divisus,
questi lo spatio per dirittura, ohiaBato conregio^
doT' hanno gli occhi a guardare} ondech da
rcieri, cio da questo guardare, a' detto iem-
plum e contemplare. Cos presso Ennio, odia
Medea, quando dicesi :
Contempla
E di Cerere il tempio manca osserva ;
si fa palese che contempla ed osserva toma il
medesimo; e che perci gli auguri, quando fanno
il tempio, chiamano conspicio il prospetto, cio
quello spazio entro al quale circoscrivono la vi
sta ; perch conspicere tanto , quanto osservare.
Aggiungono cortumio^ cio intenzione, per in
tuito deir animo che accompagna quello degli
occhi ; poich cortumio da cor,
10. A tempia notano qui i chiosatori che ag
giungasi tesea, intendendo santi, per ci che i
tempii 80 santi. Ma questo falao ; perch la ca
ria Ostilia tempio, e aon luogo santo. Ci che
ha fatto lor credere che templum tescum stia per
aedes sacra^ che in Roma i luoghi delti aedts
sacrae per la pi parte son tempii, e per tempii
santi ; e che alcuni luoghi selvaggi, per essere di
qualche dio, chlamansi tesca.
1 1 . Cos leggiamo, presso di Accio, nel Filot-
tete in Lenno :
Chi sei tu che mortai t'appressi a questi
Deserti lochi e teschi
Ma quali luoghi chiami egli cos), lo dichiara ore
dice:
Di LeuBo a te davanti
Stanno i deserti liti;
Qui da' Cahiri i santi
Delubri, e puri riti,
Custodi de'vetusti
Sacri misteri augoMi *
e in ci che segue :
Qui templi i monti sono.
In cui Vulcan e* accoglie,
Vlto, se vero il suono,
GtdaH'eteree sogUei
e dove soggiunge:
Vedi dalPermo loco
Qual igneo fumo esali?
Di l rapito i! foco
Fu diviso a* mortali.
DE UNGUA LATMiA LIB. VII.
i5o
Qa i i ^ haec qaod tettt dist, noD erravit ; nqoe
ideo quod mu c U, aed qoed obi royateria 6oat
aat tventar, tueaea dieta.
l a. Tueri dao lifntfical: uaam ab aipeclu^
ni dili ; unde eat Enni illad :
Tueor tcj senex^ pr luppiter!
et :
Quis pater aui cognatui volti $contra tueri
Allerora a curaodo ac tutela, ut cam dicimut
belle: Tua tueor^ et tueri villam ; a quo etiam
quidam dicunt illuoiy qui curat aedes facrai, aedi
tuum, QOD aeditumum. Sed tamen hoc ipsum ab
eadem est profectum origine ; quod, quem t oIu-
mui doBBum curare, dieimo: Tu domi videbis ;
ut Plaotnsy oom ait :
Intus para^ cura^ vide quod opus siet.
Sic dicta vestispica qoe veslem spiceret, id est
videret vestem ac tueretur. Quare a tuendo et
templa et tesca dicta cum discrimine eo quod
dixi.
i 3. Etiam indidem illud Enni :
Extemplo acceptum me necato etfilium.
Extemplo enim esi continuo \ quod omne tem
plum esse debet continuo septum, nec plus unum
introitum habere.
14. Quo eit apod Aedum :
Pervade polum,
Splendida mundi sidera^ higis ;
Continuis et sepi spoliis.
Polus Graecum; id significat circum caeli; quare
quod est Pervade polum^ valet : Vade per po
loni. Signa dicuntur eadem el sidera : aigna
quod aliquid aignificent, ut libra aequinoctium |
sidera quae insidant atque ita significant aliquid
Non err dunque Accio nel chiamar iesca quei
luoghi; n li chiamano cosi, pereh aanti; ma
quasi tuesca^ da tueriy perch vi si fanno o cu
stodiscono misteri.
la. Perocch tueri ha due sensi. L ' uno, sic
come ho detto, mirare ; ed a questo modo lo
usa Ennio in quel passo :
Gran dio! te miro, o veglio?
e oeir altro :
Netfuuo degner mirarci in volto,
N congiunto, n padre.
i l secondo senso a?er cura e tutela ; come quan
do diciamo non senza grazia : Tua tueor^ cio :
Mi curo del fatto tuo ; e tueri villam^ cio cu
stodire la villa: ond'anche il santese, chi il chia^
ma aedituuSy perch ha cura del santo, e non gi
aeditumus. Tuttavia questo secondo uso d lucri
si riduce al primo ; perch, se diamo ad alcuna la
cura domestica gli sogliamo dire : Tu domi vi
dehs^ cio : Tu avrai occhio alla casa ; come
in quel di Plauto :
In casa pensa tu, disponi, l occhio
Abbi a ci eh' mestieri.
E similmente da specere^ che quanto tueri o
vidtre^ si chiam vestispica la massaia che ha
cura de' vestili. Dallo stesso tueri^ pei due diversi
suoi usi, nascono adunque e templum e tescum ;
quello dalP osser?are, questo dal custodire.
13. Di qui viene anche avverbio extemplo^
d cui us Ennio in quel luogo :
Prendici, e tosto
Me uccidi e il figlio.
Perocch extemplo quanto a dire senza inter
ruzione, stante che ogni tempio ha da esser chiu
so senza interruzione air intorno, n dee avere
pi che un ingresso.
14. Onde leggiamo presso di Accio :
Spingi il cocchio per le cerule
Vie degli astri; e, ira gli eterni
Fuochi inserte le tue spoglie^
Chiudi il tempio de' superni.
Per cielo ala ivi polus, che voce greca e denota
circolo celeste ; onde andare pel cielo vi detto
pervadere polum. Per costellazioni sta sdera
che t ut f uno con* signa ; perocch signa si
cliiaoiano dall esser segno di qualche cosa, come
5 . TERENTJ VARRONIS | 52
io lerrif perurenJo aliudvc; quare ut signum
candens in pecore.
i 5. Quod est :
Terrarum anfracta revisam ;
anfractum est flexuro, ab origine duplici dicium,
ab ambilo et frangendo. Ab eo leges iubent io
directo pedum V i l i esse, io anfraclo XVI, id est
in flexo.
16. Eonios:
Ut tibi Titanis Trivia dederit stirpem Uberum.
Titanis Trivia Diaut est, ab eo dicta Trivia,
qood io trTo ponitor fere in oppidis Graecis ;
Tei quod luna dicitor esse, qoae io caelo tribus
Tiis raoTetor, in altitodinem et latitodioem et
longitudioem. Titaois dicta, qood eam genuit
Titanis Lato ; Laio enim, ut scribit Maoiliul,
Est Coeo creata Titano^
et, * ut idem tfcribit,
Latona pariit casta complexu lovis
Deliadas geminos^
1J est Apollinem et Dianam ; dia quo Tilauis, De-
Hades eadem.
17. O sancte /ipollo, qui umbilicum certum
terrarum obtines!
Umbilicum dictum aiunt ab umbilico nostro,
quod is medius locus sit terrarnm, ut umbilicus
io nobis; qood utromque rsl falsum. Neque hic
locus est terrarum medius, neque noster umbi
licus est bomitiis medius; itaque pingitur quae
Tocalur i/xwr ric/>a>ofer, ut media caeli ac terrae
lioea ducatur iofra umbilicum per id, quo discer
nitur homo mas ao femina sit, obi ortos bumaous
similis ut in mundo, ibi enim omnis nascuntur
in medio, qood terra mundi media. Praeterea si
quod medium, id est ombilicus ; ot pilae intima,
non Delphi, medium est terrae. Medium, non
hoc, sed qood vocant Delphis; in aede ad latus
est quiddam, nt tbesiuri specie, qood Graeci -
la libra deirequinoiio; sidera si sono dette da
insidere cio dalP improntare, perch infloiscono
col bruciare od altro, e cosi fanno segno io terra;
come signa si chiamano quelle marche a fuoco,
di cui s'impronta il bestiame.
15. Do? egli dice :
A riveder le flessuose vie
Torner della t e r n ;
per fleuuose vie sta a / ^ a c f a , che voce di dop
pia origine, da una particella che vale intorno e
da frangere. Qoeslo vocabolo troviamo anche
nelle leggi, dove prescrivono piedi otto nel dritto,
e sedici nelle svolte.
16. Dice Ennio :
Ove t te fgli
La tilanide TriTa abbia concessi.
La titanide 7*riVia Diana, chiamata TriTa,
perch solitamente nelle citt greche si trova po
sta ne' trivii ; o perch dicesi ch'ella sia la looa,
la qual fa tre vie, movendosi in cielo all ins e
per traverso e per lungo. Titanide poi s ' detta,
perch naCque della litania Lalona. Latona in fatti,
siccome scrve Manilio:
Dal Tilan Geo fu generata )
e, come scrive egli stesso,
Deir amplesso di Giove, i due gemelli
Numi di Deio partor la casta
Latona ;
i quali numi di Deio sono Apollo e Diana ; onde
Titanide anche Diana che la stessa dea di Deio.
17. O santo Apollo, tu che umbilico
Verace lieni della terra.
Umbilico vogliono che siasi qui detto per ci
che Delfo sia il mezio della terra, come in noi
umbilico; ma queste cose sono ambedue false.
N quel luogo il mezzo della terra, n umbi
lico il mezzo della nostra figura; e in quella
che dicesi imagine di Pitagora.^ il mezzo del-
1 universo rappresentato con una linea tirata,
di sotto dall umbilico, per quella parte da cui di-
stinguesi il maschio dalla femina, dov' il princi
pio della generazione umana, al modo stesso che
nell' universo lotto nasce nel mezzo, perch la
lerra ne tiene il centro. Ma quando pure um
bilico foue il mezzo dell oomo ; quel della terra
f , come in una palla, la parte pi interiore, e
i53
DE LINGUA LATINA LIB. VII. i54
cant ^ qaera Pjlhonos aiunt Itimolum :
ab eo nostri ioterpretei umbilicum di
xerunt.
i8. Pacuvius:
Calfdonia altrix terra exuperanfum virum.
ager Tusculanus, sic Calydonius ager est, non
terra : sed lege poetica^ quod terra Aelolia, in
qua Calydon, s parte totam accipi Aetoliam voluit.
19. Accius :
Mystica ad dextram vada praetervecti.
Mystica a mysteriis, quae ibi in propinquis loris
nobilia fiunt.
Enni :
Areopagitae qui dedere sumbolam,
Areopagitae ab Areopago : is locus Atheois.
90. Musae^ quae pedibus magnum pul
satis Olympum,
Caelum dicunt Graeci Olympum, montem in Ma
cedonia omnes ; a quo potius puto Musas dictas
Olympiadas. Ita enim ab terrestribus locb aliis
cognominatae Libethrides^ Pimpleidety Thespia
deSy Heliconides,
a i . Quasi Uellespontum et cZoiOire, quod
Xetrses quondam eum locum clatfsit ; naro, ut
Konius ait,
Isque Hellesponto pontem contendit in alto:
nisi potius ab eo quod, Asia et Europa ubi colli
dit, mare itiler angustias facit Pro|>oulidis fauces.
22. Pacuvi
Liqui in Aegeo freto.
non Deifo. II mezzo della ferra ; non in proprio
senso, ma secondoch chiamali in Delfo ; ) una
spezie di ripostiglio che y' da lata nel tempio
ed ove voce che sra sepolto il Pitone. E perch
i greci lo dicono ^ i nostri, voltandone
letteralmente il nome, hanno chiamato umbilico.
18. Pacuvio:
T41 calidonia terra,
Madre di forti.
Come il tenere di Toscolo si dice ager^ non terra;
rosi anche avrebbe dovuto nomarsi quello di Ca-
lidone. Ma perch terra Etolia in cui Cali-
done ; il poeta, conforme alle leggi della sua arte,
disse terra calidonia, denotando con la parte Pio
ter Etolia.
19. Troviamo in Accio ;
Poi che dietro rimasi alla lor destra
Furu i mistici guadi.
Mistici disse pei famosi misteri che vi si cele-
brano nel luogo presso.
In Ennio :
Gli A reopaci li che lor voci diero.
Siconsi Areopagiti da Areopago, che un luogo
in Alene.
ao. Muse, che il grande Olimpo
Col pi premete.
1 Creci chijmano Olimpo il cielo: universalmente
poi cos chiamasi un monte della Macedonia ; e
da questo mi par pi probabile che le Muse siensi
dette Olimpiadi; perchsimilniente da altri luo
ghi terrestri le vefgiam nnmate Libetridi^ Pim
plee^ Tespiadiy Eliconie.
21. Cosi in luogo d" Ellesponto si disse aiichc
claustra.^ cio la chiusa ; perch Serse chiuse un
tempo quel sito, quando, come scrive Ennio,
D' Elle neir allo mar protese un pouie :
se non crediamo piuttosto che siasi chiamala
chiusa per ci che il mare, ridotto ivi in istretto
dalle terre Asia e d' Europa che vi si affronta
no, fa la bocca della Propontide.
22. Pacuvio dice fretum per somiglianza E-
geo, dove scrive :
l^scini nel mare Egeo.
i55 . TfcRENTl VARRONIS
56
Dictum fretum a linitlilodiae er?enlif aquae,
quod in frelum faepe concurrat aeitui atque ef-
ferfcfcal. Aegtum diclum ab iusulii, quod in eo
tnari scopuli in pelago vocantur ab fiinililudine
ciiprarum aeges.
a3. Ferme aderant aequore in alto ra
tibus repentibus.
%
Aequor mare appellatura, quod aequatum quom
commotum vento non est. Ratis navis longas di
xit, ot Naevius quom ait :
Conferre queant ratem aeratam quin perbitet^
Sei^ dum mare sudantes eunty aliques sedent ?
Ratis dicta navis longa propter remos, quod ii,
quom per aquam sublati sunt dextra et sinistra,
duas ratis efficere videntur; ratis enim, unde hoc
tralatum, Ullc ubi plurea mali aut assei'es [iuncti
aqua ducuntur. Hinc naviculae cum remis ratia-
riae dicontur.J
Hic deest in exemplari folium unum.
III. a4 [ agrestis infulatas hostias^
Agrestis ab agro dictas apparet ; infulatas ho
stias^ quod velamenta, his a lana quae adduntur,
infulae. Itaque tum, quod ad sepulcrum ferunt,
frundem ac flores addidit ;
lanas^ sed i^elatas frondentis comas.
a5.
Cornuatam umbram iaci.
Dicere apparet cornuatam a cornibus : cornua a
curvore dicta, quod pleraque cnrva.
26. Musata queis memorant nomen esse
Casmenarum,
Priscum vocabulum Ila natum ac scriptum est ;
alibi Carmenaenh eadem origiuesunt declinatae.
In multis verbis, in quo antiqui dicebant S, po
stea dictum R ; ut in carmine Saliorum sunt haec:
Freta si aomano propriamente gli stretti %fer
9eret cio dal bollire, per ci che ivi dal frequente
urto delle maree acqua sembra bollire. S* poi
detto Egeo per le isole ; dacch in quel mare gli
scogli, che vi stanno in mezzo, si dimandano per
similitudine aeges, cio capre.
a3. Eran gi presso, per acquoso piano
Scivolando le navi.
Aequor^ cio piano, cliamato il mare, perch' '
naturalmente agguagliato, ae il vento Don lo
sconvolge. Disse poi rates le navi lunghe, o galee,
al modo di Nevio l dove scrive :
Come addur salva la rostrata nave ;
Se, mentre gli uni vanno in mar sudando,
Siedono gli altri ?
rates chiamansi le galee per cagione de* remi
che, quando son levati attraverso liacqua a destra
e a sinistra, par che facdan due zattere ; perch il
vero senso di ratis^ donde si trasport alle galee,
pi travi o tavole unite, tratte daUa corrente.
Di qui le barche a remi si dicono ratiariae.
Qui nell* esemplare manca una caria.
III. a4. agresti vittime infulate.
pittime agresti chiaro dirsi da' campi, dove
s'allevano ; infulate poi, perch infuU son quelle
bende di lana che si metton loro su capo. Onde
allora, stante che la viilima non tratta all' ara,
ma ad un sepolcro, dice il poeta :
Fronde
E fior le appose, non di lana il eapo.
Ma di fronzuti rami ineoronando.
a5. Mandar ombra cornuta.
Chi non ved che cornuata^ cio cornuta, da
corna ? Corna poi si dissero dalla loro curvit,
perch la pi parte son curve.
a6. O Muse, che nomate dicono Casmene,
Questa, non gi Camenae^ fu originaria forma
e la pi antica scrittura del loro nome ; donde
altre volte si fece poi Carmenae^ allo stesso modo
che in tant' altre parole, dove io antico era la S,
fu sostituita la R. Cosi nel carme de'Salii, l dovt
dice :
i 57
DE LINGUA LATINA Llfi. VII. i55
* Cozoiauhido* et ; omiita enim^eFO
Ad patula" ose" misse lani cusiones,
Duonus Cerus eset dunque lanus ve^et,
Posi :
Melios eum recum
Eie spatium decem linearum relictum
erat in exemplari.
27. . . . foedtsum foederam, plusima
plurima, meliosem meliorem, asenam areoam,
ianitos ianitor. Quare ex Casmena Carmena,
carmina^ carmen^ el, R exirito, Camena fa-
ctom. Ab eadem yoce canite ; pro qao in Saliari
Terso scriptum est eante^ hoc versa :
Di^om empete cante^ di^om dio supplicate.
a8. l o carmine P r i ui i quod esi :
Feteres Casmenas cascam rem odo profari^
E t Priamum ;
cascum significat Teios; ius origo Sabina, quae
osque radices in Osotm Hofoam egit. Casoam
Teios esse significat nnios, qod ait t
Quam Prisci^ casci populi, tenuere Latini.
Eo magis Manilius, quod ait :
Qascum duxisse Cascam non mirabile est^
Quoniam Caron eas conficiebat nuptias.
Item ostendit Papini ^^ qood io
adolescentem fecerat Cascam :
Ridiculum est cum te Cascam tua dicit amica^
Fili Potonis^ sesquisenesi puerum.
Dar alia danxa i sooni; cb fli oreochi attesi.
Di Giano i cnrioni gi i i segnali han resi.
Sari di beni aotore Giano che non sanore,
sta eso per ero, ed oses per aures^ ed Uri di
qocsto andare ; e di poi : Melios eum reaun^
per melior eorum regum.
Qui nelt templare mancavano dieci linee.
%. Similmente in allre antiche scrittore tro-
Tamo foedesum per foederum^ plusima per
plurima^ meliosem per meliorem^ asenam per
arenam^ ianitos per ianitor. Da Casmena adun
que si fece Carmena^ da cui carmina si dieser
i Tersi ; e di l i poi, leTatone Ta la R, s fe' Ca
mena. Dalla stessa Toce si disse canere il cantare;
in luogo del coi impcratiTo canite^ nel carme dei
Salii leggiamo cante in quel Terso ohe significa :
Alzale al Nume i canti con festosi moti ;
De* numi al nome innanti chini fTrtte i Toti.
28. Nel carme di Priamo, doTe s legge :
Dalle Camene antiche, t o ' che Priamo, aolie
Storia, si narri ;
per antica storia sta cascam rem. Cascrnn in.
fatti significa antico ; ed Tocabolo di Sabina
origine, donde poi propagossi fin nelP Osco idio
ma. Che tal ne foase il Talore, ce lo mostra Ennio,
chaamamlo casci populi Prischi Lathii, li dofe
dice:
Tennerla i Prischi
Latin, popoli antichi ;
e meglio ancora Manilio, usandolo per vecchio in
quella celia :
Una Tecchia un Tecchio ha lolla ;
Grande il caso non far;
A Caronte questa Tolta
Far il pronobo tocc.
Medesimamente ce di a Tedere qneir epigram-
metto di Papinio, eh' era stato fatto per un gioT*
netto dei Caschi, e dice cos :
Mi fa rider la Ina dama,
O buon figlio di Potone,
Qoaodo Casea la ti chiama,
Ella Tcochia Ce garxone.
i 59 . TERBNTl VAEROMS
Dc9 illam pusam : sic fiet mutua muli;
iCd
Nam ^tre pusus tu^ tua amica senex.
29. lleiD ostendit quod oppidtfra vocatar Ca
sinum; hoc eniro ab Sabinis orti Samoites tcone-
ninl, et nunc nostri etiam nane Forum Vetus
appellant, llcm significant in tellanis ali quod
Papponi senem, quero Osci casnar^ appellant.
3o. Apud Lucilium :
Quid tibi tgo ambages Ambivi scribere coner?
Profectum a ferbo mbe^ quod ioest in ambitu
et ambitioso,
3 i. pud Valerium Soranum:
vetus adagio est^ o P. Scipio ;
quod Tcrbum usque eo evanuit, ut Graecum pro
eo positum magis sit apertum; nam idem est quod
afo//u/cnr Tocant Graeci, ut est :
Auribus iupum teneo.
Canis caninam non est.
Adagio est, littera commutata, ambagio dicta ab
eo quod ambit orationem, neque in aliqua una re
consistit eob. Ambagio dicta, ut ambustum quod
circum ustum est, ut ambiegna bos apud augures
quam circum aliae hostiae constituuntur.
3a. Quoni tria siut coniuocta, in origine ver
borum quae sint animadvertenda, a quo sit im
positum et in quo et quid ; saepe non minus de
tertio quam de primo dubitatur, ut in hoc, utrum
primum una canis aut canes sit appellata ; di
cta enim apdd veteres una canes, itaque nnius
fcribit :
Tantidem quasi feta canes sine dentibus
latrat ;
Lucilius ;
Aequam et magnus homoy laniorum immanis
canes ut.
Vuoi pigliarne buon rotClof
Fa che bimba tu la dica,
Dacch il bimbo se' tu in fatto,
E la grima la tua amica.
29. Un altro argomento ce ne porge il castello
detio Casinum ; perch quel castello fu tenuto
prima da* Sanniti che vengono da* Sabini, ed ora
i nostri, conservandone tradotto il nome, lo chia-
mavauo tuttavia Foro Vecchio, Ce lo conferma
no in fine alcuni scrittori d'AtelIane, dando il
nome di Vecchio Pappo a quel personaggio ohe
gli Oschi ilicono Casnar,
30. Troviamo in Lucilio :
Non ragipn che a scriverti le ambagi
D' Ambivio mi travagli.
dalla voce ambe^' che vale intorno ed entra in
ambitus e ambitiosus,
3 1. In Valerio Sorano, la dove dice :
O Publio Scipion, proverbio antico,
per proverbio, leggesi adagio ; ia qual parola
sparita dalfuso a segno che chi adoperasse in vece
il vocaboi greco equivalente, sarebbe pi di l eg-'
gieri inteso. Perocch importa ci che i Greci
chiamano // ; quali sono questi modi: Io
tengo il lupo per orecchie ; Cane non mangia
di cane. Si disse adagio quasi ambagio^ con It
sostituzione d' una lettera ; perch il suo senso
non fermasi nella sola cosa particolare che dicesi,
ma le gira intorno e distendesi a tutto ci che ha
somiglianza con essa. Si f* poi ambagio nel modoi
stesso che si disse ambustum ci eh* bruciato^
air intorno, ed ambiegna bos si chiama dagli au-i
guri quella vacca eh' intorniata da altre vittime.
32. Poich nell* origine delle parole accadooo
da esaminare tre cose fra lor congiunte, vale a
dire da che sia tratto il vocabolo ed a che dato e
come dato ; di frequente avviene che si dubiti
non meno della terza che della prima cosa, come
per esempio se la prima forma del siogolare sia
stata canis o canes. E di vero noi troviam negli
antichi detto canes d una sola cagna o cane ; co
me in Ennio ove scrive :
Quasi sJendata cagna
Che latra a guardia de' lattanti 6gli ;
e in quel passo di Lucilio :
Un poltron d'ooMCcioDe, pari a grouo
Cau di beccaio.
lc
DE UNGUA LATINA LIB. VII.
162
I m p o t i t l o Qoi u e d t f b o i t tate caB i , p i D f a m c a a e i ;
f e d n e q o e E i h i q j c o a n u t o d i a e n i l l a m t e q u e n j
r e p r v b e n d e n d u s . Dee U q u i d o i c d i c i t : Canis
caninam non est, S e d c a o e i , q u o d J a t r a i u ii>-
g n o m d a n t . ut t g o a c a n u n t , c a / t e i a p p e l l a t a e ; e t
q u o d e a y o c e i n d i c a n i n o c l u q u a e l a t e o t , latratus
a p p e l l a t u .
33. Sic dictam a qaibuadam, ut una canci,
una trabes.
trahes * remis rostrata per altam ;
Enoios :
Utinam ne in nemore Pelio securibus
Caesa accidisset abiegna ad terram trahes ;
q u o i u t ? e r b i s i n g u l a r i s c a s u s r e c l u s c o r r e p l u S | i c
facta trabs.
34. l o Medo :
Caelitum camilla^ exspectata advenis^ sai^e
hospita.
Camillam.^ qui glossemata interpretati, dixerant
administram; addi oportet, in bis quae ooealtio-
ra ; itaqne dicitur nuptiis camillus., qui cume
rum fert, in quo quid sit, in ministerio plerique
extrinsecus nesciunt. Bine Casmilus nominatur
Samothrece mysteriis dios quidam administer
Diis Magnis. Verbum esse Graecum arbitror,
quod apud Callimachum in poematis eius inveni.
35. Apud Ennium :
Suhulo quondam marinas propter astabat
plagas.
Suhulo dictos, quod ita dicunt tibicines l usci ;
quocirca radices eius in Etroria, non in Latio
quaerundae.
36. Fersibus quos olim Fauni ^atesque
canebant.
Fatmi dei Latinorom, ita ut Fanse* et Fiona
it. Hoi Ttrtiboi, qaos vocant Satornios, in silvt
Alribus I0S traditam est aolitos sri fotura, a quo
fando Faunos dictos. Antiqui poetas kiletappel
M. T e r . Va r i o i i b , d i l l a l i n g u a l a t i n a .
La prima ionnti Ut] oumero dell" ooo dovette
ser canis^ e canes in quello dd pr : non $om
per da riprendere n Ennio cbe tenne uso di
verso, n chi dice ora : Canis caninam non est.
Del resto s' addomandarono cani^ perch danno
segno con Tabbaiare, e del dav segna dicesi cant
re ; come latrati chiamafonsi i loro abbaiar da
latere che stare nascosto, perch con essi la
notte porgono indxio di ci eh' naseosto.
33. Al modo di canes, aleaiii diisero nei no-
mioativo del singolare foche trahes ; com' in
qael lugo :
Spinta da* r4oai
U mmr fendeva la roairals^ l^ave ;
e in queir altro di Enoio :
Oh ! se caduta al suol mai mai non fosse
Trave recisa da sonanti ferri
Nelle selve del Pelio !
11 nominativo singolare di questa parola fu poi
accorciato, e im venne trabs.
34. Nel Medo, ove dicesi :
Salve, rasoistra de' celesti^ amka
Visitatrke ; deMt gioogi,
per ministra sta camilla^ che i chiosatori inter
pretarono appunto per ministra: bisogna aggiun
gere, nelle cose pi occulte; ond' cbe nelle noz
ze chiamasi camillo quegli che porta il paniere
coperto, in cui che cosa stia dentro, i pi de aer-
venti no M pouoo sapere da ci che appare di
inori. 11 perch in Samotracia dicono casmilo
ne'misteri un certo nume ministro, degli Dei Ma
gni. Credo sia voce greea ; perch Tbo trovala
nelle poesie di Callimaco.
35. In Ennio ove dioe :
Sfavasi un giorno presso alla marina
Di flauto un sonator,
per sonatore di flauto si legge subulo. Cos lo
chiamano i Toschi ; onde la radice di questa pa
rola s ha a cercare in Elruria, e non gi nel Uzio.
36. Versi, quali cantar solcano un giorno
1 Fauni e i vati.
I Fauni sono dei de" Lalioi, tali che v Fauno
e Fsnna. NarrAsi di loro che io akuat loogbi
silvesUri fossero ioliti a predir lavvenire con quella
sorte di versi obe si dioon saloroii, e cbe per da
11
i63 . TERENTI VARRONIS
labant a venibus Tieqdis, ut de * poematis cam
scribam, ostendam.
37. Corpore Tartarino prognata Palu
da virago,
Tartarino dictum a Tartaro. Plato io quattuor
fluminibus apud inferos quae sint, in bis unum
Tartarum appellat; quare Tartari origo Graeca.
Paluda a paludamentis : haec insignia atque or
namenta militaria ; ideo ab bellum quom exit im
perator ac lictores mutarunt Testem et signa in-
cinuerunt, paludatus dicitur proficisci : quae,
propterea quod conspiciuntur qui ea babeot, ac
fiunt palam, paludamenta dicta.
38. Plautus :
Epeum fumificum^ qui legioni nostrae habet
Coctunt cibum,
Epeum fumificum^ cocum ; ab Epeo illo, qui
didtnr ad Troiam fecisse equum Troianum et
Atridis * cibum curasse.
39. Apud Naevium :
Atque prius pariet locusta Lucam bovem.
Luca bos, elephas. Quor ita sit dicta, duobus
modis inveni scriptum. Nam et in Corneli com
mentario erat : Ab Libycis Lucas ; et in ^irgilii :
Ab Lucanis Lucas ab eo quod nostri, quom ma
ximam quadrupedem, quam ipsi haberent, voca
rent bovem, et in Lucanis P jrrhi bello primum
vidissent apud hostis elephantos, item quadrupe
des cornutas (nam quos dentes multi dicunt, sunt
cornua), Lucanam bovem quod putabant, Lucam
bovem appellassent.
40. Si ab Libya dictae essent Lucae, fortaue
an pantherae quoque et leones non Africae be
stiae dicerentur, sed Lucae; neque ursi potius
Lucani, quam Luci, * si ab Lucanis Luci. * Quare
ego arbitror potiuf Lucas ab luce, quod longe
rclucebant propter inauratos regios clupeos, qui
bus eorum tum ornatae erant turres.
farit cio dal pacare, siensi nominali Fauni. '
Vati poi si chiamarono anticamente i poeti da
viere^ cio dal legare, per quel legame che for
male al verso.
37. La paludata
Dira, discesa da tartareo seme.
In luogo di tartareo detto tartarino^ che pa
rimente da Tartaro. Platone fra i quattro fiumi
che pone nelP inferno, uno ne chiama l'artaro ; '
ondech origine della voce Tartaro greca. Di
cesi paluda^ cio paludata, la dixa, dai paluda
menti, che sono insegne e fregi militari ; per cu},
quando il comandante parte per la guerra e i lit
tori mutarono veste e le trombe hanno gi dato
il segnale, dicesi eh' ei parte paludato. Quelle
insegne poi si nomarono paludamenti da palam^
perch distinguono quei che le hanno, e ne fan
palese la dignit.
38. Dice Plauto :
11 fumi fero Epeo, che ha rotto il cibo
Al nostro reggimento.
Fumifero Epeo tanto quanto cuoco, per qael-
Epeo che nella guerra troiana dicesi aver fab
bricato il cavallo troiano, ed atteso alla cucina
degli Atridi.
39. Nevio chiama Lucas boves gli elefanti in
quel luogo, ove dice :
Innante
Da una locusta nascere
Vedrassi un elefante.
Il perch di questo nome, lo trovai esposto in
due maniere diverse. Nel commentario di Corne
lio notavasi ; Lucae da Libici ; e in quello di Vir
gilio era scritto in vece : Lucae da' Lucani, ag
giungendo che, siccome i nostri erano usi a dir
bue il maggior dei quadrupedi che aveano essi ;
cos, quando nella guerra con Pirro videro per
la prima volta in Lucania gli elefanti nelle schiere
oemiche, con quattro piedi e coma, al modo dei
buoi (perch quelli che molti chiamano denti, ef
fettivamente son coma), li credettero buoi di Lu
cania, e per li dissero Lucas boves,
40. Ma se Lucae si fossero detti, perch na
tivi di l^ibia ; anche le pantere e i leoni, sarebbe
staU ragione che s chiamassero, non bestie afri
cane, ma Lucae ; come per l'altra parte, se ave*-
sero tratto il nome dalla Lucania, anche gli orsi
non si direbbero Lucani^ ma Luci, Laonde i o
sono di credere che siansi piuttosto cosi nomali
i65
DE LINGUA LATINA LIB. VIL 166
41. ApadEoni am:
Orator sine pace redit^ regique refert rem.
Orator dictus ab orlieoe; qui enim verba ora
tiooom haberet poblice adversas euro quo lega-
bator, ab oratione orator dictos. Quoro res maior
erat, oratores * legabantur potissimum qui cau
sam commodissime orare poterant; itaque En
nius ait :
Oratores doctiloqui.
4a. Apud Enniom :
Olli respondit suavis sonus Egeriai.
Olli valet dictum illi, ab olla et ollo. Quod alte
rum, comitiis quom recitatur a praecone, dicitur:
Olla centuria^ non illa ; alterom apparet in fune-
ribos indictivis, quom dicitur: Ollus leto datus
esty quod Graecof dicit id est oblivioni.
43. Apud Ennium :
Mensas.constituit idemque ancilia * .
Ancilia dicta ab ambecisu, quod ea arma ab
atraque parte, ut Thracum, incisa.
44 Lihaque.,fictores.^ Argtos^ et tutulatos.
Liha^ qaod libandi causa fiunt ; fictores dicti a
fingendis libis ; Argei ab Argis. Argei fiunt e
scirpeis simulacra hominum X X l l l l ; ea quotan
nis de ponte Sublicio a sacerdotibus poblice deici
solent in Tiberim. Tutulati dicti ii, qoi in sacris
in capitibus habere soleot ut metam ; id tutulus
appellatos ab eo quod, matres familias crines con-
Tolotos ad verticem capitis quos habent vitta *
Telatos, dicebantor tutuli, sive ab eo quod id
tuendi causa capilli fiebat, sive ab eo quod altis-
simunl tn urbe quod est, a n , tutiuimom Tocator.
da luce, per lo splendore che mandavan da Iungi
pei regii scudi dorali, ond' erano ornate le loro
torri.
4i . 1'roviamo in Ennio :
Bitorna orator, ma non adduce
La chiesta pace, e tutto narra al duce.
Oratore si disse da orare, perch questo nome si
dava a chi orasse in nome del comune alla pre
senza di quello, a cui era invialo. Quando occor
revano cose di grande importanza, si sceglievano,
per inviarli in qualit d'oratori, quelle persone
che potean trattare nel miglior modo la causa ;
ond' cheiu Ennio si parla di oratori da lui detti
doctiloqui^ cio dotti nelP arte di favellare.
4a. 11 medesimo Ennio osa olii per i7//, che
quanto dire a lui, in quel verso :
In dolce suono Egeria gli rispose.
Gli antichi, in vece di ille ed i//a, diceano ollus
ed olla Quanto alP uno, allorch il banditore
chiama ne'coroizii le centurie, dice ancora Olla
centuria^ e non illa ; dell' altro poi abbiamo
esempio ne' morlorii intimali per via di bando,
allorch si dice ; Ollus leto datus esty cio : Que
gli morto; giacch letum sla pl de Gre
ci, che vale oblivione.
43. Leggesi in Ennio :
Da lui principio degli dei le mense
Ebber, da lui gli ancili.
Ancili ti dissero da ambe e caedere^ cio dal ta
gliare intorno, perch quegli scudi sono incavati
da ambedue le parti, come quelli de' Traci.
44 Segue :
e le focacce,
1 formator, gli Argei, i sacerdoti
Dal conico berretto.
Per focacce il testo ha liba^ perch servono di
libagione ; per formatori vi sta fictores^ da fin
gere che equivale a formare, perch sono quelli
che formano le focacce ; gli Argei trassero il no
me da Argo, e sono ventiquattro figure d'uomini,
fatte di giunchi intessuli, che solennemente si
gettano ogni anno da'sacerdoti dal ponte Sublicio
nel Tevere. Quelli poi che diciamo sacerdoti dal
berretto conico, si chiaman nel testo tutulati ; e
sono quelli che ne' sacrificii sogliono portare su ' i
capo una specie di cono, nominato tutulq per la
somiglianza cbe ha con racconciatura delle madri
di famiglia, che s aggruppano i capelli sopra il
i7
. TERENTI VARRONIS
i 6 S
45. Eandem Pompiliam ait fcie flamines,
qni qoom omnet sunl tingolis deii cognominati,
in ({oiboadam apparent |<rc//uery ut cor iit Martior
lis et Quirinalis ; soni in quibo flaminnro co-
gnominibof latent origines, nt, in big qui soni
Ttriibos, pleriqne :
Voltnrnalem^ Palatualem^ Furrinalem
Floralemque^ Falacrem et Pomonalem Jecit
Hic idem ;
quae obfcura nuit. Eorum origo Voltomn, diva
Palatua, Furrina, Flora, Falacer pater, Pomona.
46 Apud Ennium :
lam eata signa fera sonitum dart troce pa
rabant.
Cata acuta ; boc enim ^erbo dicunt Sabini: quare
catus Aelius Sextus
bon, nt aiunt, lapieni, aed acutui ; et quod eal :
Tunc cepit memorare simul cata dicta^
accipienda acuta dicta.
47. Apud Lucilium :
Quod thfnno capto cohium excludunt foras ;
e t :
Occidunt elopes^ saperdae et iura siluri ;
el :
Nmritae atgue amiae^
piaoiam nomina iunt, eorumqae io Graecia origo.
cocuxzolo, altorcendoli con bende. Queste capel
lature cos aggruppale a lodo di piramide si di
cono tutuli, o da iueri, che sta per proteggere,
siccome falle per protegger meglio i capelli;
da tutus che quanto a dire sicuro, per imagi
ne cbe rendono delle rotebe, le quali poste nella
parte pi alta della citt, se ne chiamano, siccome
sono, il luogo sicuro.
45. Aggiunge Ennio cbe il medesimo Pompi
lio istitu anche i flamini : e nei nomi di questi
(ch ciascuno il trasse dal proprio dio), elimo-
logia in altri chiara, ed in altri meno chia
ro donde si chiamino il flamine Marmiale ed il
Quirinale: ma non il medesimo nella pi parte
di quelli che son ricordati ne'seguenti versi :
Ei stesso
Fece il Palaluale, il Voltumale,
11 Fnrrinale, il Faacre, il Florale
E il Pomonale.
L' origine di questi nomi sono la dea Palato,
Volturno, Furrina, il padre Falacre, Flora, Po
mona.
46. Catus su per acuto in quel luogo di
Ennio :
S* apprestavano ornai con fiera voce
Il segnale a mandar le acute trombe ;
ed in questo senso usano io fatto i Sabini. Il
perch anche dove s d questo epiteto a Sesto
lio, si dee intendere acuto, e non saggio, come
altri dicono ; e caia dieta si vogliono interpre-
tare per molli acuii in quel verso che, rettamente
esposto, significa :
Allor si diede
Insieme a rammentar gli acuii molli.
47. Thjrnnus^ cobius ed altri oscuri vocaboli,
cbe troviamo in Lucilio l dove dice :
Fuor getta il ghiosso chi pigliato ha il tonno ;
e l dove scrive :
Elopi, sarde e brodi di siluro
Adducono alla tomba ;
e in queir altro luogo, in coi dice ;
Neriti ed amie,
son tulli nomi di pesci, la cui origine e da cercai j
re in Grecia.
69
48. Apad Ennhim :
DE LINGUA LATINA UB. VIL
46. lo nnio :
170
Quat (qute id eit corpora) cava eaeruteo plo
cortina receptat.
Cava cortina dieta qaod est io ter terraoi et eae-
lum, ad fimililudDem cortinae Apollinis; ea a
corde, quod inde sortes primae existimatae.
49. Apod Enninm :
Quin inde inviiit sumpserint perduellibus.
Perduelles dicantur hostes : ut perCecit, sic per-
duellum ; et duellum^ id postea bellum. Ab ea
dem causa facta Duellon Bellona.
5o. Apud Plautum :
Ifeque iugula^ neque vesperugo^ neque vergiliae
occidunt.
Jugula tignuo
qnom ait :
quod Accius appellat Oriona^
citius Orion patescit,
Huioi signi caput dicitur ex tribus stellis, quas
infra duae clarae, quai appellant ameros ; inter
quas quod videtur iuguluro, iugula dicta. Vespe
^ugo stella quae Tespere oritor, a quo eam Opilius
scribit Vesperum, lubar dicitur alterum. Vesper
alter, qnem dicunt Graeci
5i. Naevius:
Patrem suum supremum optumum appellat.
Supremum a superrumo dictum ; itaque in XII
tabulis dicunt :
occasu diei suprema tempestas esto.
Cui (cio i quali corpi) ricetta la concava cortina
NelP azxurro suo velo.
Concava cortina detto lo spazio che fra il
cielo e la terra, a tomigliaoia della cortin.* d' A-
pollo. Questa poi ebbe il nome dal cuore, perch
da esso si credettero venire i primi oracoli.
49. in Ennio, ove dice :
Senza che tr se deggiano, a malgrado
De nemici ;
io luogo di nemici sta perduelles. Come da per e
fecit si fa perfecit, cos s ' fatto perduellum da
per e duellum che significa guerra e s' poi mu
tato in bellum ; onde anche la dea della guerra,
che diceasi,prima Duellona^ fu poi chiamata
lona,
50. In Plauto, l dove dice :
N Orine, n Vespero, n Pleiadi
Non tramontano mai ;
in cambio d Orione leggesi iugula ; ma in fatto
la costellazione medesima che Accio chiama in
vece Orione, dicendo :
Primo Orine al guardo si dischiude.
Tre stelle unite ne fanno il capo : sotto di esse ve
n ha due di chiara viste, che se ne appellano gli
omeri ; e perch lo spazio, che vaneggia in mezzo,
pare che ne sia la gota, cio latinamente iugulum^
cos intera costellazione s'ebbe il nome di iugu
la. Vespero poi chiamato ivi da Plauto vespe-^
rugo^ da vespera che quanto a dir sera 5 per-
ch' quella stella che nasce appunto in so la sera,
onde anche latinamente Opilio la chiama vesper.
Quello che i Greci dicono cio dop^
pio Vespero, da' Latini distinto con due diversi
nomi : iubar^ cio Lucifero, uno, e vesper^ cio
VesperoTTiltro.
5 1. Dice Nevio :
Ei ottimo supremo suo parente invoca.
Supremo quanto dire che di sopra d' ogni :
altro ; perch* una storpiatura di superrimus,,
qual dovrebb'ensere il superlativo sceso da xu/7er.
Quindi vale anche estremo; ed a questo modo
nelle dodici tavole chiamano diei suprema tem
pestas lo scorcio del giorno, comandando che
j41 tramontare del sole sia la parte estrema
del giorno.
171 . TERENTI VARRONIS
*7
Libri Au gurum pro tempestate tempestutem di
cunt supremum augurii tempus.
52. Io Corniculana :
QiiJ regi latrocinatus dtcem annos Demetrio.
Latrones dicti ab latere, qui circam latera erant
regi atque ad ]atera habebant ferrum, quos postea
a stipatione stipatores appellaruiii ; et qui con
ducebantur, ea enim merces Graece dicitur Xerrpov.
Ab eo yeteres poetae nounuuquam milites tppel-
lant latrones, quod item et milites cum ferro, aut
quod latent ad insidias faciendas.
53. Apud Naevium :
Risi egomet mecum cassabundum ire ebrium.
Cassabundum a cadendo. Idem :
Diabathra in pedibus habebat amictus epicroco.
Utrumque vocabulum Graecum.
54. In Menaechmis :
Inter ancillas sedere iubeas^ lanam carere.
Idem est hoo verbum in Cosmetria Naevii. Ca
rere a carendo, quod eam Ium purgant ac dedu
cunt, ut careat spurcitia ; ex quo carminari dici
tur tum lana, cum ex ea carunt quod in eu haeret,
neque est laua ; quae in Romulo Naevius appellat
assulas solocis.
55. In Persa :
lam pol ille hic aderit credo congerro meus.
Congerro a gerra : id Graecum est, et in Latina
cratis.
Nella stessa guisa i libri dagli Auguri denotano
Testremo spazio di tempo conceduto alPasgurio;
senonch, in vece di tempestatem^ dicono tempe
stutem.
52. Nella Cornicularii, ove dicesi :
che fu dieci anni al soldo
Del re Demetrio,
per essere al soldo usasi il verbo latrocinaris La
trones s ' addomandarono le guardie del corpo,
dette poi stipatores dallo stiparsi d'attorno al re,
o perch gli erano allato, o perch avevano da
lato il ferro, o perch stavano al soldo del re
questa maniera di soldo in greco dieesi .
Quindi gli antichi poeti chiamarono alcune volte
latrones gli nomini di guerra, stante che anche
essi hanno da la lo il ferro, o perch si studiano
di stare lalenti per aggnalare.
53. Nevio, l ove dice:
Risi ben io che venir meco il vidi
Ebro, cascante,
per cascante us cassabundum.^ che parimente
da cadere. Sel medesimo Nevio, per denotare
due particolari foggio d' arredi, una da piedi,
altra da vita, troviamo diabathrum ed epicro-
cum.^ che sono tutti e due vocaboli greci. Il luogo
l dove dice :
par di pianellette a' piedi avea,
E indosso di vel rancio una gamurra.
54. Nei Menecmi leggiamo crere per petti
nare la lana, ove dicesi :
Fa che sieda
ra le fantesche a pettinar la Una ;
e il medesimo verbo troviamo anche nella Cosme
tria di Nevio. E da carre che vale esser privo,
perch la lana col pettinarla si purga e striga, si
ch abbia a rimaner priva d' ogui suddume. Di
qui carminari.^ o cardare, quando se ne leva via
qoanto V* attaccato die non sia lana ; ci che
Nevio in Romolo chiama assulas solocis^ cio
bruscoli irsuti.
55. In quel luogo del Persiano :
Gnaffe,
Non pu star che sia qui quel mio baffone ;
per baffone dicesi congerro. Viene da gerra^
corbelleria; ed vocabolo greco, il cui primo
senso graticcio.
73
56. In Meoaechrois :
Dii LINGUA LATINA LIB. ViL
56. Nei Menecmi
*74
Idem istuc aliis adscripiipis fieri ad legionem
sotet.
Adseriptivi dicti, quod olim adscribebanlar iner-
raef, armatis militibas qui inocedercDt, i i qaii
corom deperisset.
57. In Trinammo ;
nam illum tibi
* Ferentarium esse amicum intentum inieU
lego. ^
Ferentarium a ferendo, id eit inanem ac tine
fractu ; aut quod ferentarii equitet hi dicti, qui
ea modo habebant arma quae ferrentur, ut iacu-
Ium. Huiutcemodi equites pictos vidi in Atiscniapii
aede Tetere et ferentarios adscriptos.
58. In Frifolaria:
Ubi rorarii estis ? En sunt. Ubi sunt accensi ?
Ecem,
Rorarii tficti ab rore qui bellum committebant
ante, ideo quod anta rorat quam pluit. Accensos
ministratores Cato esse scribit : potest id ab ac
ciendo ad arbitrium eiug, quoius minister.
59. Pacavi
Quom Deum triportenta .
Go. Iu Mercatore :
Won tibi istuc magis dimidiae ^st^quam mihi
hodie fuit.
Hoc itidem et in Corollaria Naevius. Dividia tb
dividendo dicta, quod divisio distractio est do
loris ; itaque idem in Curculione ait :
Sed qmd tibi est? Lieik enecat^ renes dolent^
Pulmones distrahuntur.
Questo suoi farsi
Anche con gli altri soprannumerarii
Ne' reggimenti.
Ci dicesi, perch agli armati s usava una volta
Qclle legioni alcani disarmati che sot
tentrassero loro, se Alcun ne periva; e questi per
ci chiamavansi adscriptivi^ cio soprannumerarii.
57. Nel Trinummo :
S, davver che un amico ferentario
Ti fu trovato in loi !
Ferentario detto, o per antifrasi da ftrre^ pro
durre, quasi vano ed infruttuoso ; o per trasla
zione da' ferentarii della milizia, quasi uomo che
gitta lazzi e vuol la baia d un altro. E di fatto
cavalieri ferentarii si diceano, da ferre in quan
to vale portare, quei eh' erano guerniti di sole ar
mi da portare, cio da gittar contro. Ne ho veduto
dipinti nel vecchio tempio d'sculapio, e v ' e r a
scritto il nome di ferentarii.
58. Nella Frivolaria :
I rorari ove sono? Eccoli Dove
Sono gli accensi f Eccoli qui.
Rorarii si dissero quelli che appiccavan primi la
zuRa, da ros che vale rugiada ; perch, prima di
piovere, comincia uno spruzzolo a mo' di rugia
da. Gli accensis secondo che scrive Catone, erano
gli aiutanti degli uiEziali ; e potrebbero essersi
cosi nominati da accire^ cio dal chiamare agli
ordini di quelli, di cui erano aiutanti.
59. Pacuvio :
Quando la dea triforme.
60. Nel Mercatante :
Non t cd di pi strazio, che non lia
Stato oggi a me.
Qui per istrazio ita dividia ; e alla stessa guisa ne
us anche Nevio nella Corollaria. E dal dividere,
per quello strazio che fa il dolore ; onde il meile-
simo Plauto dice nel Gorgoglione :
Ma via che hai La milza mi trafigge.
Mi dolgono le reni, mi si stracciano
1 polmoni.
175
6 i. In Phagone :
Honos syncerastQ perit^ pernis^ glandio.
Syneerastum est omne eduliora, aniiquo Toca
buio Graeco.
6a. In Parafilo Pigro :
Domum ire caepi tramite dextera via.
Trames a transferto dictui.
63. InFugitifia:
Jge respecta^ vide vibices quantas, lam in
spexi quid esset.
Vibices a ?i, excitatum verberibus corpus.
64. l o Cistellaria :
Non quasi nunc haec sunt hic limaces lividae?
Limax a limo, quod ibi ?Tt.
Diobolares^ schoenicolaty miraculae.
Diobolares a binis obolis. Schoenicolae ab schoe
no, nugatorio unguento. Miraculae a miris, id
eit monstrii ; a quo Accius ait personas distortas,
oribus deformis, miriones.
65. Ibidem :
Scratiacy scrupipedae^ strittabillae^ tantulae.
Ab excreando scratias hic adiigntflcal. Scrupi
pedas Aurelius scribit ab scauripeda ; Inventius
comicus dicebat a verraicnlo piloso, qui solet esse
in fronde cum mollis pedibos; Valerius a pede ao
scrupea. Ex eo Acci positum carioM ; itaque esi
in Melanippa :
61. Nel Fagone :
M. TEaENTl VABRONIS [ . 7 6
Scredkatc ornai ion le fricawee
Le ganasce, i proscintti.
Per fricassee sta qoi syneerastum antico Tocabolo
greco, onda chiamasi mMuglio di caaMngiari.
6s. Nel Parassito Pigro :
A casa m' avviai per fa traversa
A man dritta.
Traversa i qoi trames, che voce derfata anche
essa dal traversare
^ 63. Nei Fuggitivi :
Ors, guarda qi dietro (
Ve' che grossi bernoochi ! <Ho gi guardalo
Che cosa fosse.
Questi bemocchi, od cD6alure del corpo per a?er
tocco le busse, sono detti vibices da vis^ quasi
nascente furiate.
64. Nella Cestellaria :
Non ti paiono proprio atre lumache
Queste donnette che son qui f
Limaxy cio lumaca, da limo, perch five nel
fango. Segue :
Stradine
Da due soldi, che putoa di manteche.
Brutte befane.
Ov detto da due soldi, il testo ha diobolares^
cio propriamente da due oboli. Aggiunge schoe
nicolacf da schoenum che unguento di niua
valore ; poi miraculae da mirus^ cio mostri ;
donde anche Accio chiam miriones certi perso
naggi da scena tutti storti, con isconci visacci.
65. Quel eh' ivi segue, par che significhi :
isi da sornacchi.
Zoppicanti, spedate, nanerelle.
Dissi pare ; poich la prima voce, ohe scratiae,
cono da excreare cio dallo spurgarsi, cosi si
manilesla da s ; m la seconda voce, ohe e j ct i -
pipedae, s'interpreta in tre yri modi. Aaretio
la dice storta da scauripeda^ quasi dioasi da' pie*
nocchiuti ; il comico Giuveno la volea derivata
da quel fermicello peloso con molte gambe che
suol trofarsi nelle foglie | Valerio da pts e serupa
cio dal rancare, come fiachi aoi per una iirada
sassosa. Di qua il titolo della commedia d' Aedo,
177
LINGUA LATINA LIB. VJL
Reiicis
178
Albs tt reit^ionenty scrupeam imponis mihi'*?
strittabillas a sI rillilaDJo ; i l rtl Ure ab eo qui
si i i i i aegre.
66. In Aslraba :
Axitiosae annonam caram e vili concinnant
viris.
Itidem * in Silellilergo iJcm ail:
AittUer ci, uxorcula ; vir ego : novi^ scio axi
tiosum.
Sic Clandiut scribit axitiosat demonitrare con
supplicatrices. Ab agendo axitiosas: at ab una
faciendo factiosac, sic b una agendo actiosae
dicUe.
67. In Cesislione :
De strebula aut de lumbo obsona bucera.
Strebula^ ut Opilius scribit, circum coxendices
sunt bovis ; id Graecum est ab eius loci versura.
68. In Nervolaria :
Scobina ego illum actutum adrasi erim.
Scobinam a scobe ; lima enim materiae Tabri-
lis est.
69. In Poenulo :
Vinceretis cervum cursu, vel gralatorem
gradu,
Gralator a gradu magno dictus.
70. In Trnculento :
Sine virtute argutum civem mihi habeam pro
praefica.
M. TbB. VaBR05B) DBLLA lingua L4TI!A.
che quanto si fosse detto Ia scrupolosa ; e simil-
nienle nella Melanippe, relgio scrupea periscru
polosa ossertanza, l oTe dicesi :
Tu il duver disconosci, e me si stretta
Legge ne fai ?
In cambio di spedate, il testo ha strittabillae, b
Toce storta da strittilare^ da cui dicesi anche
strittare chi mal si regge so i piedi.
60. NelPAstraba, ovvero Basterna, ove dicesi:
Buona massaia fa signoril vitto
Con pca spesa ;
per massaia leggesi axitiosa ; e similmente nel
Silellitcrgo, o Nellssecchi, dello stesso autore,
ove dice:
Moglina, to sei donna, e sou uomo io ;
Ti conosco, so ben che sei massaia.
Iaudio dice altres che axitiosae si chiamano
quelle che s'uniscono a supplicare. voce tratta
da agere, cioi dall operare ; ed a quel modo che
da facere si dissero factiosi quelli che s uniscono
a far qualche cosa, parimente la agere si dissero
axitiosaCy quasi actiosae, le cooperatrici.
67. Nel Cesistionc :
Fa la spesa
D un buon taglio di manio> di culatta
O d* argnone.
Per culatta vi detto strebula ; col qual vocabolo,
secondoch scrive Opilio, chiamansi i tagli intor
no alla coKia del bue. Viene dal grecp, per la
svoltatura che fa ivi il corpo.
68. Nella Nervolaria :
lo trovai tosto all uopo una scoffioa.
Che raschi bene il riccio.
Scoffina, o scobina, da scobs che signiHca ra
schiatura ; perch la scoflna la lima, con cui si
raschiano i legni.
69. Nel Penulo, o Cartaginesino :
Superereste al corso un cervo, al passo
Un che vada su i trampoli.
Chi va su i trampoli s detto gralator, da gra~
dus cio da passo, pei grandi paui che fa.
70. Nel Trocnlento :
Un dicitore argulo.
Senza uicrti, a una prefica il pareggio.
>79
. TtRENTl VARRONIS 1 8 0
Praefica dieta, ul Aurelius scribil [mulierJ ab
loco, quae comlucerelur quae ante domum mor-
lui laudeis eius caneret. Hoc faclilalum Aristote
les scribit in libro qui inscribitur
fixer. Quibus testiraooiuro est quod Freto ioest
NaeTii ;
ffaec quidem hercle^ opinor^praefca est; nam
mortuum collaudat,
Claudius scribit : Quae praeHceretar ancillis
quemadmodum lameolarenlur, praefica est dicta.
Utrumque ostendit a praefectione praeficam di
ctam.
71. Apud Ennium :
decem coclites^ ques montibus summis
Ripaeis fodere.
Ab cocles^ ut odes, dietus qui unum habe
ret oculum ; quocirca in Curculione est :
De Coclitum prosapia te esse arbitror ;
Nam hi sunt unoculi.
IV. 73. None de temporibus dicam. Quod est
apud Cassium ;
Ifocte intempesta nostram devenit domum ;
nox intempesta dicta ab tempestate ; tempestas
a tempore : nox intempesta quo tempore nihil
agitur.
73. Quid noctis videtur in altisono
Caeli clipeo? Temo superat
Stellas^ sublime etiam cogens
Atque etiam noctis iter.
Hic multam noctem ^stendere volt a temonis mo
tu ; sed temo uude et cur dicatur, latet. Arbitror
antiquos rusticos primum notasse quaedam in
Praefica^ secondoche scrive Aurelio, si nom,
dal luogo in cui faceva il suo ufficio, il qual luo>
go era innanzi all' uscio del morto, quell donoa
che, presa a soldo, ne rantava le lodi. questo
uso parla Aristotele nel libro intitolato ; Consue*
tudini straniere ; e vi si arroge la testimonianza
di Nevio in qnel luogo del Freto, ove dice :
Una prefica certo la cred* io^
Per che loda il morto.
Claudio scrive in vece cht praefich si disse quella
che si preponeva alle ancelle, perche ne regobsse
il piagnisteo ne' mortorii. Qualunque di queste
due sposizioni s'abbia per vera, ambedue sacc^r-
dano a dire che praefica da praeficere^ cio dal
porre innanzi.
71. In Ennio ;
Dieci di que' monocoli, che l ' oro
Disotterrar' ne' vertici Rifei, ^
Per monocolo sta quivi cocles. Cos chiamoesi ila|
oculuSy quasi oc/ex, chi ha un occhio solo ; oodej
leggiamo oel Gorgoglione :
Io credo che ta sia del nobil sangue .
De' Coditi ; perch son ei che stanno
Con un occhio a sportello.
IV. 73. Veniamo ora a'vocaboli che appar
tengono a tempo. Quanto a quel luogo di Cassio :
Al nostro tetto
Ei venne, che gi ferma era la notte ;
se per notte ferma dicesi ivi nox intempesta^ ci
perch intempestum^ o intempestivo, come a
dire fuori di tempo ; poich viene da tempestas^
e tempestas da tempus : onde intempesta nox
qudi' ora della notte, che non pi tempo da far
niente.
73. In Ennio chiede Agamennone :
Quant' oltre p*ar la notte
Nella gran volta altisonante?
a cui il vecchio risponde :
11 temo
Gi sormonta alle stelle e alta noUe
Pi e pi nel corso incalza.
Per questo moto del timone vuol significare che
era notte avanzata; ma donde e perch liasi detto
temo o limone, non palese, lo sod di credere
6
Dii LINGUA LATINA LIB. VH.
i 8 s
Gelo signa, quae praeler alia erant nsigna, alqae
a<l aliquem usum, u t * culturae teropu designao
Ioni, convenire animadTerlebaolur.
74 E^iut signa aunt quod has seplem slellaa
(traeci, ut Hon)eruf, vocant */ur^ et |iropQ^
quuni eius aignooi Borny ; nostri eat aepten\
steHas bopes et temonem et prope ea axem.
Triones enirn borea appellantur a bubulcis eiiam
nunc, niaiunie quota arant termm ; a quia ut di-
eli valentes glebarii qui facile proaoindunt gle
bas, aie omnis qui terram arabant, a terra terrio
nes ; unde triones ut dicerentur K detrito.
75. Temo dictus a tenendo ; is enim continet
iugum. El plaustrum appellatam, a parte totoro,
ut multa. Pouunt frionei dicli aeptem, qood ita
sitae itellae, ut teroae trgona factant.
76. * Aiaxy quod lumen, iuharne in coelo
cerno ?
tubar didlur itclla Lacifer, quae in aummo quod
habet luraan dififusum, ut leo io capite iubam. Hu>
us ortoa significat circiter case eitremam noctem ;
itaqae ait Pacuvius:
Exorto tubare^ noctis decurso itinere.
77. Apud Plautum io Parasito Pigro:
inde hic bene potus primo crepusculo^
Crepusculum ab Sabinis, quod id dubium lem-
pus ooctis an diei sii. llaque in Condalio est:
lam crepuscula sera clamant: Lampades ac^
cendite
Ideo dubiae res creperae dictae.
78. |n Trinummo :
Concubium sit noetis priusquam ad postre
mum perveneris.
che gli antichi contadini siano stali i primi a con
trassegnare nel cielo alcune coslellaiioiii pi che
le altre notevoli, che s* erano trovate acconcie a
qualche uso, come a dinotare il tempo de' lavori.
74. Ce ne porge indizio il vedere che da Gre-
ci> e fra gli altri da Omero, queste sette stelle aon
chiamate carroy eBoote^ cio bifolco, la costella
zione vicina ; e che da* nostri queste sette stelle
medesime sono distinte in bjioi e timone, e pres
so quel che nomano asse. Ho detto buoi, perche
il nome di trioni non auona altro che buoi, e eoai
li chiamano anche oggid i bifolchi, masiimameote
quando arano la terra. In quella guisa che usano
dire valentes glebarii^ cio gagliardi aollevalori
di zolle, que* buoi che fendono con poca pena il
terreno ; cos tutti quelli che a:doperavano ad ara
re, da terra li dissero generalmente Urriones;
donde, levala , stfece triones.
75. Temo si disse da tenere, perch tiene il
giogo. Per carro si disse anche plaMtrum^ deoo
minandolo, come tant'altre coae, da una apecie
particolare. Del resto quelle sette sielle potrebbe
bero essersi chiahiate trioni^ perch poste io mo^
do che, pigliandole per ternarii, formano dei
triangoli.
76. Che lume, Aiace, quel che io cielo io
Teg*oi
Lucifero forse ?
Lucifero qui detto ii<5({r4Krch oella parte di
sopra gli si spaod?intorno uo chiarore, come le
giube su capo al leooe. Quando nasce questo
pianeta, vuol dire che la notte gi su lo scorcio}
e per disse Pacuvio :
Sorto in cielo Lucfero, e fornito
Della nolte il cammino.
77. Nel Parassito Pigro di Plauto, l ove dice:
Indi ben cotto al primo far del giorno,
sta in vece primo crepusculo. voce presa dai
Sabini, appo i quali significa dubbio ; perch'
quel tempo che dubbio se appartenga alla notte
o al giorno. La stessa voce us nel Condalio, cio
oeU'Aoello, ove dice :
Avanzata la sera mai c^intima
Che s'accendano i lumi.
Quindi res creperae i casi dubbiosi e di rischiti.
78^ Nel Trinummo, ove dicesi:
Tarda notte verria prima che giunto
Fossi air estremo ;
,ft3 . TERENTI VARRONIS
Concubium roncubitu dormifnli caosa cliclum.
i84
79. In Asinaria:
ridebitur,facium volo; at redito huc conticinio.
Putem aconliciscendo co/ific//i/um,8?e, ui Opi-
lius scribit, ab eo quom conticuerunt homines.
V. 80. Nunc de his rebus, quae adiif^nifcant
aliquod tempus quom dicuntur aut fiunl, dicam.
Apad Accium :
Ueciprca tendens nervo equino concita
Tela.
Reciproca est, quom unde quid profectum, redit
eo. Ab recipere reciprocare fictom; aut quod
poKere procare dictum.
81. Apod Plautum :
Ut transversus^ non proversus cedity quasi
cancer solet.
Prooersus * dicitur ab eo, quod init quo est
ersos, et ideo qui exit ia ^eslibulum, quod est
ante domum, prodire et procedere; quod cum
leno non faceret, sed secundum parielem transver
sus iret, dixit: Ut transversus cedit quasican^
cery non proversus ut homo.
8a. Apud Ennium :
Andromachae nomen qui indidit, recte indidit,
Item ;
Quapropter Parim pastores nunc Alexandrum
vocant.
Imitari dum voluit Euripidem et ponre fvoyy
est lapsus. Nam Euripides quod Graeca posuit,
irufjta sunt aperta. Ille ait, ideo nomen additum
Andromachae, quod : hoc Ennii
quis potest intellegere illum * versum significare :
Andromachae nomen qui indidit., recte indi
dit; aut Alexandrum ab eo appellatum in Grac-
per tarda nolle concubium noctis. Chiamasi
cos da concubitus.^ quasi ora d' andarsene a letto
per dormire.
79. In quel luogo delPAsinara :
11 vedremo, lo vo ; toma qui a notte,
per dire a notte Plauto us conticinio; credo dal
tacere, perocch Tora^ in cui, come scrive Opi
lio, gli uomini tacciono.
V. 80. Ander ora a*quelle cose che portano
seco qualche rispetto al tempo, in cui si dicono o
fanno.
Accio chiam reciproci i dardi, descrivendo
Filottete,
Che si traeva al petto i risalenti *
Dardi sospinti dalP equino nervo.
Reciprocum si dice quel che torna al punto, da
cui s' mosso. Da recipere^ cio dal rimettersi,
si fece reciprocare ; se non in vece da procare
eh* quanto a dir chiedere, quasi repetere cio
tornare al suo luogo.
81. In Plauto, ove dice :
Ve* ch'ei non va diritto, ma per fianco.
Proprio al modo de' granchi ;
per dirilto adoper proversus. Cos dicesi, da
pr innanzi e ^^versus voltato, chi va contro la
cosa a cui voltato ; e per chi vien fuori nel ve
stibolo, dacch questo innanzi alla casa, dicesi
prodire e procedere. Siccome poi quel mezzano,
di cui parla Pianto, non facea cos, ma se ne an
dava per fianco rasente il muro ; perci diue che
camminava a sghimbescio come un granchio, e
non dritto via come fanno gli uomini.
82. Troviamo in Ennio ;
Ben li nom chi nome
Andromaca ti pose ;
ed in altro luogo :
E per non pi Pari, ma Alessandro
Il chiamano i pastori.
In questi due passi volendo imilare Euripide ed
etimologizzare) diede in nulla. Perocch in Euri
pide che scriveva in greco, etimologia era pia
na; egli dicea che ad Andromaca ben si veniva
questo nome, perch in greco suona apertamente
donna che gareggia o contrasta con 'gli uomini :
ma chi pu intendere che ci sia espresso da quel
i85
DE LINGUA LATINA LIB. VIL
i80
eia qui Paris fuiitet, a^quo Herculem quoque
cognomioatum Alexicacorty ab eo quoti defensor
essei hoiniauni T
83. Apod Acciom :
lamque auroram rutilare procul
Cerno.
Aurora dicilur ante solis orlura, ab eo quod ab
igni solis tum aureo ar aurescat Quod addit ru
tilare^ est ab eodem colore ; aurei enim rulili, et
lode etiam mulieres ^alde nafae rutilae dictae.
84. Apud Terenliura :
Scortatur^ potata olet unguenta de meo..
Scortari est saepius meretriculam ducere, quae
dicta a pelle ; id enim non solum antiqui dicebant
scortum^ sed etiam nunc dicimus scortea ea,
quae ex orio ac.pellibus sunt facta. Inde in ali
quot sacris ac saoellis scriptum babemus:
Ne quid scorteum adhibeatury ideo ne mortici
num quid adsit.
In Atellanis licet animadvertere rusticos dicere
te adduiisse pro scorto pelliculam,
85>Apad Accium :
Multis nomen vestrum numenque ciendo.
Numen dicunt esse imperium, dictum ab nutu,
omnium qnod eius imperium maximum esse vi
deatur ; itaque in Jove hoc et Homerus et aliquo-
tieus Livius.
86. Apud Plautum :
Si unum epityrum estur^ insane hene.
Epityrum vocabulum est cibi, quo frequentius
Sicilia, quam Italia^ usa. Inde vehementer quom
vellet dicere, dicit insane^ quod insani faciunt
omnia vehementer.
verso di Ennio: Ben ti nom chi nome Andro^
maca ti pose? e chi s apporrebbe dal secondo
passo, che Paride si fosse in Grecia chiamato in
vece Alessandro per la ragione medesima, per cui
Ercole vi fu soprannomato */0() cio^dal-
Tessere stato difensore degli uomini?
83. Scrive Accio :
E gi lontana rutilar Vaurora
Veggo.
Aurora chiamasi il tempo inninii al nascer del
soli, perch Paria pare allora inaurarsi per gl in
focati raggi del sole. Soggiunge Accio che la vede
rutilare^ per questo colore medesimo; perch ru
tili quanto a dir aurei, onde rutilae si dicono
eziandio le donntf che tirano ad un rosso carico.
84. Tereniio, ove dice;
Se sbordella, sbevazza, si profuma,
Lo fa del mio,
per andare sbordellando us scortari. Viene da
scortum^ che da pelle pass a significare femina
di mondo. E di fatto non solo gli antichi diceano
scortum la pelle ; ma anche adesso ci che fat
to di cuoio o pelle il diciamo scorteum. Cos
nelPordine scritto in alcuniiempetti e altri luo
ghi sacri, che non vi si adoperi alcuna cosa
fatta di pelle^ perch non vi sia nulla di morti
cino. Si pu notare che i contadini delle Atellaoe
quando vogliono dire d*aver recato al piacere
altrui una mala femina, furbescamente la chiama
no pellicula^ che pu essere del pari da pellis
come da pellex,
85. Leggesi in Azzio :
Con molte preci il vostro nome e il vostro
Nume invocando.
Nume^ secondoch dicono, si chiam il comando
da nuere^ cio dal far cenno col capo ; stante che
questa pare che sia la pi alta maniera di coman
do ; onde Omero e talvolta anche Livio ce la di
pingono in Giove.
86. In Plauto :
S ' anco non vi si mangia che un tortino
D ' olive, dovrei starvi arcibeoissimo.
Questo tortino d'olive, chiamato epityrum^ ci
bo usato in Sicilia pi che in Italia. Per arcibenis-
simo dice poi insane bene^ quasi bene alla pazze
sca ; perocch i pazzi, qoaluoque cosa facciano, vi
ai gettano a furia.
18;
8 7 . Apud Pacuvi um :
M. mE N T l VARRON18
8 7 . I n PacuVio *.
18 8
Flexanima^ tanquam lymphata * aut Bacchi
sacris
Commota. *
Lymphata diola a lyropha ; lympha * a nyrapha,
ut, quod apud Graccos /^9 apud Ennium :
Thelis illi mater
In Graecia oomraoia meole quos nymphoUptos
appellant, ab eo lymphatos dixerunt nostri. Bao^
chi: est Liber, quoius coiniles Bcchae, Et vinara
in Hispania baccha.
88. Origo in his omnibus Graeca, ot quod
apud.Pacu?iam :
lcyonis ritu litus ptrvolgans furor ;
haec enira avis nane Graece dicitur aXxumv^ a
iiostris alcedo. Haec hieroe quod pullos dieitur
tranquillo mari facere, eos dies alcyonios appel
lant. Quod est in versu alcyonis ritu^ id est eius
institoto ; ut qaom aruspex praecidit ut suo quis
que ritu sacrificium factal, et nos dicimus XII vi
ros Graeco ritu sacra, non Romano facere. Qood
enim fit rite, quod * id ratum ac rectum est; ab
co Accius recte perfectis sacris volt accipr.
89. Apud Ennium :
Si voles advortere animum^ comiter monstra
bitur.
Comiter., hilare ac lubenter; quoius origo Grae
ca inde comissatio Latine dicta, et in
Graecia, ut quidam volunt, comodia.
90. Apud Atilium :
Cape, cede^ lide^ come^ conde. +
Ca/fy unde accipe. Sed hoc in proiumo libro re
tractandum.
Forsennata, qual donna cui maligno
Spirto o furor di Bacco agiti alma.
Cotesta donna invasata da maligno spirito, nel
testo della lymphata. Lymphatui da lympha^
e qnesta una storpiatura d nympha. Siccome
quella che i Greci chiamano Tetide, da Ennio
fatta Tlide l ove dice:
Tclide gli fo madre ;
cos il^greco nympha da'nostri fo malato in \ym-
pha^ e que forsennati che in Grecia dicesi nym
pholepti^ cio presi dalle Ninfe, presso di noi per
la ragione medesima si sono delti lymphati, Bac^
'co poi il dio Libero de' Latini, e le sne compa
gne s'appellano Baechae o Bocanti. Mbe il
vino in Ispagna chiamato baccha,
88. Tutti questi vocaboli hanno greca origine,
come pur quello d alcione^ che troviamo io Pa
cuvio l dove dice :
Per lutto il lido dal oror porla!
Iva e rediva, d'alcione in guisa.
Cotesto uccello da'nostri si chiama ora alcedo;
e perch dicesi ohe d'inverno, qoando fa i pai*
cini, il mare in bonaccia, que' gioroi s'appella-
Do alcionii., L ' espressione poi uMta da Pacuvio
per dire in guisa d'alcione, alcyonis ritu; pe
rocch rito equivale costume, n altro inictade
l ' aruspice intimando che ciascuno sacrifichi se
condo il suo rito, e noi quando comunemente di
ciamo che il collegio dei dodici tiene il rito gre
co, non il romano. Che se il grammatieo Atzio
vuol che per rite s'intenda compiute rettamente
le cose sacre, ci perch quel che fassi confor
me al costume, approvato e retto.
89. Ennio, ove dice :
Se por mente vorrai, scoperto il vero
Lietamente ti fia ;
per lietamente us comiter.^ che quanto a dire
di buon grado e con festa ; poich l'origine n' i
greco ^ che significa una gozzovigliata feste
vole. Di qua il latino comissatio che vale il me
desimo, e, secondoch vogliono alcuni, il greco
nome di comoedia.
90. Dice Atilio: CapCy cede^ lide^ come^ cqn^
de. -f Cape tanto quanto piglia : fissene accipe^
che sta per ricevi. Ma a questo dovr tornare nel
seguente libro.
i 89
9 1 . Apod Pcuvi uni :
DE LINGUA LATI NA LIB. VIL
9 1 . Pacnvi o, ove di ce :
>0
nulla res nequt
Cicurare^ neque mederi potis est^ neque
Reficere,
Cicurare roansaefacere ; quod enim discretam a
fero, id dicitur cicur^ et ideo dictum cicur in
genium oh tenue, roaosuetum ; a quo Veturii
quoque nobiles cognominati Cicuri. Hinc natum
a cicco cicur videtur. Ciccum dicebant membra
nam leouem, quae est ut in malo Puuico discri
men ; a quo etiam Plautus dicit :
Quod volt demensum^ ciccum non interduo,
9a. Apud Naevium:
Circumvenire video ferme iniuria.
Ferme dicilor quod nunc fere: utrumque di
ctum a ferendo, quod id quod fertur, est in motu
atque adveniat.
93. Apud Plautum:
Evax^ imrgio uxorem tandem abegi ab regia.
Evax verbum nihil significat, sed eflutitiom oa-
luraliter esi, ut apud Ennium :
Hehae ! ipse clipeus cecidit ;
apud Eonium :
Eheu! mea puella^ spei quidem id successit
tibi;
apud Pompilium :
Heu ! qua me causa^ Fortuna^ infyte premis ?
Quod ait iurgioy id est litibus; itaque quibus res
erat in controversia, ea vocabatur lis; ideo in
actionibus videmus dici : Quam rem sive mi li
tem dicere oportet ; ex quo licet videre iurgare
esse ab iure dicturo, quom quis iure litigaret: a
quo obiurgat is qui id facit Histe.
Nessuna cosa il pu lenir, n
Medicina o ristoro ;
per lenire pose cicurare che da cicur, col
quale epiteto si contrassegna il contrario di fo
rum^ cio quello che dimesiico e mansueto. Di
qui cicur ingenium si disie in cambio di indole
delicata e mansueta ; e privilegiandosi per questa
dote i Veluri, n'ebbero il soprannome di Cicu-
rii. Pare adunque che la radice ne fosse ciccum.,
che sono quelle dclicale membranuzze che divi
dono, a cagion d'esempio, grano da grano nel
melo granato, e da cui PUoto traase quel modo :
S'ei vuol la provvigione, non fa cica.
ga. Nevio, volendo dire:
Quasi circonvenir mi veggo a torto,
per quasi us firme ; ora drebbesi Jere, L*uno
e altro da ferre che sifEnifica portare ; perch
ci che si porla, gi in moto ed in via,
93. Plauto, ove dica:
Ben sta ; col mio piatire ho alfn cacciala
Dal suo domiaio quula mia, do o moglie,
Ma tiranna.
in luogo di ben sta scrisse evx^ che non ona
parola significativa, ma un' interiezione naturale.
Cosi per espression di dolore troviamo /lehae in
questo luogo di Ennio:
Ahi l ahi I lo scudo stesso gi caduto :
ed eheu in quest'altro:
Ahi! figlia mi, l'avvenne
Ci che pur t'aspettavi ;
ed heu nel seguente passo di Pompilio:
Ahi! per qual colpa, infesta
Mi persegui, o Fortuna?
Dove sta scrtto col mio piatire, il testo ha iurgio^
che quanto a dire con liti. Se v'era controversia
sa qualche cosa, anche qursla si diceva lite; onde
nelle azioni vediamo usar qualche clausola : o cosa,
o lite eh" io la debba chiamare. Di qui apparisce
che iurgare da iure e importa litigar di dirit
to : onde obiurgare si dice chi il fa giustamente.
*9'
94 Apud Lucilium :
M. TERENTI VABRONIS
9 4 . Dice Lucilio :
192
Atqut aliquos libri ab rebus clepsere foroque.
Clepsere liiil, unde eliera alii clepere^ id est
corripuere : quorum origo a clam, ut lit dicturo
clapere, unde clepere, ex E. A. commutato, ut
niulta. Polest vel a Graeco dictum xXiirrUv.
95. Apud Malium :
Corpora Graiorum maerebat marrdier igni.
Dictum mandier a mandendo, unde manducari ;
a quo in Atellanis edonem senem Tocant Man
ducum,
96. Apud Matium :
Obscaeni interpres funestique ominis auctor.
Obscaenum dictum ab scena^ eam ut Graeci, at
ut Accius scribit, scaena. In pluribus verbis A
ante E alii ponunt, alii non ; ut quod pariim di
cunt sceptrum partim scaeptrum ; alii Faene
ratricem Plauti, alii Feneratricem : sic faenisi
eia ac fenisicia ; ac rustici Pappum Mesium,
non Maesium, a quo Lncilios scribit :
aecilius Pretor * ne rusticus fiat.
Quare turpe ideo obscaenum, quod, uisi iir scae
nam, palam dici non debet.
97. Potest vel ab co, quod puerulis turpicula
res in collo quaedam suspenditur, oe quid obsit,
bonae scaevae causa, Scaevola appellata. Ea dicla
ab scaeva^ id est sinistra, quod quae sinistra sunt,
bona auspicia existimantur; a quo, fieri tum comi
tia aliudve quod sinit, dicitur avis sinistra quae
bona est. Id a Graeco est, quod hi sinistram vocant
. Quare quod dixi obscaenum omen, est
omen turpe; quod, unde id dicitur, osmen^ equo
S extritura.
Altri al foro rapiti ed a' negozii
Furon dai dotti libri ;
e per rapirono vi usa clepsere. Altri dalla stessa
radice e nel medesimo senso dissero invece clepe^
re. Pare che origine ne fosse clam vale a dire
celatamente, e che il verbo formatone fosse c/a-
pere^ donde sarebbe venuto regolarmente il pas*-
sato clepere, mutala A in E, come in lant allrlli
passali. Pu nondimeno esserne stato origine an
che il greco che ha Io stesso valore.
95. Dice Mazio :
Forte il cor gli'piaogea nel veder tante
Salme di Greci divorar dal fuoco.
Per esser divorate sta ivi mandier,, che da #-
dere^ da cui pur manducare. Quindi nelle Atei-
lane il vecchio pappone detto Mandueus,
96. Nello stesso Mazio, ove dice :
Qualche indovino interprete del tristo
Augurio abbominatoy
per abbominato sla obscaenum. Viene da scena;
il qual nome, tnlloch dai Greci si scriva senza
dittongo, in Accio scaena. V' ha molfe parole,
in cui altri preraetle un'A all' E, ed altri no. Cosi
per esempio chi dice sceptrum^ chi scaeptrum ^
e Usuraia di Plauto, chi la noma Faeneratrixy
e chi Fe/iera/rix; similmente la segatura del fie
no, chi la dice faenisicum^ e chi fenisicium ; e
il Pappus Idaesius delle Atellane da'rustici
detto Mesius ; onde scrive Lucilio :
Che Cecilio pretore
Rustico non diventi^
profferendo cio il nome praetor con la semplice
E. Da scena adunque si chiamarono oscene le cose
turpi, perch non si hanno a dir^ palesemente,'
salvoch su la scena.
97. Potrebbero anche essersi chiamate cos
per quelle turpi figurine, che s'appendono al collo
de' fanciulleUi per guardarli dal fascino, e per
diconsi scaevolae. Poich scaeva quanto a dire
augurio o influenza : significa propriamente si
stra ; ma si trae a buon senso, perch gli auspicii
da sinistra s'hanno per buoni, tanto che il nome
stesso \ sinistri si diede prima agli uccelli di
buon augurio da sinere^ cio dal permettere che
si facciano o i comizii o tal altra cosa. Scaeva
adunque dal grec che vale sinistra ; ed
obscaenum omen importa siccome disti, augurio
193
Dii LINGUA LATINA LIB. VII >94
98. PUotQin :
Quia ego antehac te amassi * et mihi amicam
esse creici, *
Cret>i ttAei constitui ; itaque here, quoro consti
tuit se heredem esse, dicitur cernere et, quom
id fecir, crevisse.
99. Apud eundem quod est :
Mihi frequentem operam dedistis^
valet assiduam ; itaque ei * qui adest assiduus
fere et quoro oportei, infrequens opponi solel.
Itaque illu J quod eaedem mulierculae dicunt:
Pol istoc quidem nos pretio tanti est frequen^
tare ;
Ita in prandio nos lepide ac nitide accepisti;
apparet dicere : Facile est curare ut assimus,
quom lam bene nos accipias.
100. Apud Ennium :
Decretum est fossari corpora telis.
Hoc verbum Ennii dictum a fudtendo; a quo
fossa
101. Apud Ennium :
Vocibus concide^ fac is musset obrutus.
Mussare dicturo, quod muli non amplius qaam
dicunt; a quo idem dicit, quod id minimum
est :
nequey ut aiuni^ facere audent.
lou. Apud Pacuvium :
Dei monerint meliora^ atque amentiam
jiverruneassint,
M. Tei. Va be o be , d s l l a l i n g u a l a t i n a
turpe. Omen poi secopdo etimologia, dovrebb'es
sere osmen ; ma ne fu tolta S.
98. In PIauto,^o?e dice :
Se prima d ' or ti volli bene, e feci
Pensier che tu dovessi essermi amica,
per feci pensiero sta crevi. In (alti da cernere^
ed quanto a dire : Ho stabilito. Cos dell crede,
quand' egli si stabilisce per tale, accettando so
lennemente eredit, dicesi cernere^ e crevisse^
quando ha gi fatto.
99. Il medesimo Plauto, volendo dire:
Assidua opra mi desle,
in luogo d'assidua us frequentem. Cos) infre
quens suol contrapporsi a chi presente quando
mestieri e presso che assiduo ; t frequentare
in quella stessa scena di Plauto sta per trovarsi
quasi assiduamente in un luogo, quando quelle
dunnicciuole rispondono :
A questo prezzo in vero mette conto
Lo starti sempre attorno : si gentile
Accoglienza ci festi a larga mensa ;
che quanto a dire : Non ci sar gran fatto Tesser
qui di continuo, quaodo ci accogli s bene.
100. Ennio, ove dice :
Han fermo in core di lasciarsi ai tVrri
Tutta aprir la persona,
per aprire pose fossare^ e il form da fodere^
donde anche fossa.
101. Il medesimo Ennio, dicendo :
Dagli in su la voce,
S che borbotti soffocato invano,
per cotesto barbotlare us mussare un verbo
tratto da quel mu che unico suono cui prof
feriscano i muti ; da cui il medesiroo autore, vo*
tendo dire :
Non ardiscon neanche far un tilto,
Come suol dirsi,
fece il modo mu facere^ quasi il minimo suouo
che possa mettersi.
loa. Pacuvio ove dice :
Miglior consigli il Ciel l ' inspiri, e tanta
Follia rimova,
a
96 . TERfcNTl VARRONIS
. 9 6
Ab iTerteodo as^erruneare ; ot deai, qui }n eis
reboi praeett, ^^erruneus, Ilaqoe ab eo precari
foleot, ui pericula avertat.
io3. In Aalalari
pipulo te diferam ante aedis.
id eft conyfcio ; declinatum a pipatu pullorum.
Molta ab adiohalium focibui tralata homines,
paftim quae rant aperta, parUra obicura. Perspi
cua, ut Ennii :
animus cum pectore latrat ;
Plauti :
Gannit odiosus omni totae Jamiliae ;
CaecUii :
Tantum rem dibalare ut pro nilo habuerit;
Laplii :
Haec^ inquam^rudet ex rostrisatqueeiulitabit;
cioidem:
Quantum hinnitum attfue equitatum !
104. Minos aperta, nt Porcii ab lupo :
volitare ululantes ;
Bnni a ?itulo :
Tibicina maximo clamore mugit ;
tinsdem a bo?e :
clamore bo9antes ;
eiusdem a leone :
pausam fecere fremendi ;
per rimuovere us averruncare che da averte
re, Cosi il dio sopra ci detto Averrunco^ e ad
a lui ricorresi, perch rimuova i pericoli.
103. Neir Aulularia leggiamo :
Far davanti alP ascio un pigolio,
Che sarai la novella del paese.
Pipulum, cio pigolio, sta qui per gridio, ed
voce derivala da pipare che esprime il pigolar
de' pulcini. V' ha molte parole pertinenti a~voci
d'animali, che trasportaronsi egli uomiui ; le quali i
in parte son chiare, ed in parte oscure. Chiaro
quel d'Ennio :
Latra anima in petto ;
e quel di Plauto :
Con quel suo gagnolar ha tuttaquanta
Fradicia la famiglia ;
e quel di Cecilio :
Che di gir belando
Del fiitto sol, non ebbe alcun rMpetto ;
come pure quel di Lucilio :
Cosi) dico,
Raglier, metter strida dai rostri ;
e altro del medesimo autore:
Quanto
Annitrio ! quanta fre^ cavallina!
104. Meno aperti sono i traslati segenti : in
Porcio lo scorrazzare ululando, per somigliane
xa deMupi ; in Ennio il muggir de'vitelli traspor
tato al sonatore, quando
l'ulta sua lena nella tibia inspira ;
e il boato de' buoi dato agli uomini,
eh' alto boato
Mandan gridando ;
e il fremire de' leoni appropriato similmente agli '
uomini dicendo : \
Dal fremir si restaro ;
>97
dem ab haedo :
DE LINGUA LATINA LIB. VII.
9
Clamos ad catlutti voivendui per aethtra vagit;
Soeti a fireodicc :
Frtnde et fritinni suaviter ;
Maccii io CaiDa a friugiUa :
Quidfringutis ? ^uid isiuc tam cupide cupis
Sacti a belila iraU et a lardo :
Tecum irrit neque in
ludieium Aesopi nec theatri trittilet
io5. Jq Colace :
Nexum
Nexum Mamilius scribit orone quod per libram
et aei geritur, in (fuo sioi maocipia. Mulius qaae
per aes et libram fiant ut obligentur^ praeter
quam mancipio dentur. Hoc verius case, ipsum
erbum ostendit, de quo quaerit; nam idem quod
obligatur per libram nequesuum fit, inde nexum
dictum. Liber qui suas operas in servitutem pro
pecunia quadam debebat, dura solveret, nexus
Tocatur, ut ab aere obaeratus^ Hoc, C. Poplilio
auctore, Visolo dictatore, sublatum ne fieret, ut
omnis, qui bonam copiam iurarunt, ne eisent
neii, sed solati.
106. In Casina:
sine amet^ sine quod lubet id
Faciat^ quando tibi nil domi delicuum est.
Dictom ab eo qaod deliqoalam non tir, at torbi
da qoAt soat deliquantor, ut liquida fiant. Aare-
KcM oribit delicuum esae abliqdtdo ; Glaedins b
^qoato. Si qoif aitenrtrom malet, babebit
aoQtorem apud Atilioni :
e vagire^ che propranlenle il belar de* capretti,
detto per somigliania d'<i/t c/amor che per Paria
Al oiel si volge di vagito io suono;
cosi in Suezio il fritinnire, cioA qoel cotal frig
gere delle rondini^ trasportato ad uomo, ove dice:
Friggi con dolce tremito ;
e fringutire^ che proprio de* fringuelli, usato
in questa guisa da Plauto nella sua Casina :
Perch tanto sfringuelli ? Perch muori
Di questa voglia ?
ed in Suezio irrire t irutiiare^ tolti, ano dal
ringhiare delle bestie irate, altro dal tordo, ove
dice ;
Teco digrigna, a non Irutilar contro
Il gadicio d Esopo e del teatro.
105. Nel Colace, do nairAdolatore, leggiamo :
Nexum
Nexumy secondo che scrive Mamilio, qoanto
concludasi solennemente, cio con bilancia e mo
neta, compresi quindi i mancipii. Muzio lo defi
nisce in vece ci ^he si obbliga con quella solen
nit^ senza che diasi in mancipio. E che ci sia
pi vero, ce dice 1 parola stessa eh ei vuol de
finire : perocch /lexum, cio cosa legala, si chia
ma appunto per questo eh' vincolata altrui con
le dette formalit e non passa in mano di lui. Si
milmente unjibero che per qualche somma era
tenuto a prestare altrui la sua opera in qualit di
servo fino all intero saldo, si disse nexus, come
anche obaeratus da aere^ cio dalla somma che
egli doveva. Questo uso fu tolto via per proposta
di Caio Publilio nella dittatura di Yiaolo, stan
ziando che chiunque ha dito una siearl reale
sufficiente, non sia pi vincolato nella persona.
106. Nella Casina, dove si dice:
Lascialo amoreggiar, lascialo fare
Ci che pi gli talenta, quando nulla
Ti fa in casa d'aperto,
per aperto ata delictam ; coma ai dceaie noUa
obe ataai Itqaidlol cio chiarito, si modo deUe
ooae torbide che ai chiarificano col liqoidack.
(M e Aarelio che deiouum aia da liquido ;
Glandio da deliquare^ cio dal liqoidare colando.
99
. TERENTI VARRONIS
200
Ptr laetitiam liquitur animus,
A liqaando liquitur fictam.
VI. 107. Multa apuJ poetas reliqaa esse verba,
quorum criginea posainl dici, non dubito : ut apod
NacTnm in Heaiooa :
enimvero gladii lingula^
a lingua ; in Clastidio :
. i^itulanteSy
A fitula ; in Dolo :
caperata fronte,
a caprae fronte ; in Demetrio ;
persibus^
a perite, itaque sub hoc glossema callide subseri^
bunt;*D Lampadione:
protinam^
a protinus, continuitatem significans; iti Nagidone:
elucida tusy
suavis, tametsi a magistris accepimus mansuetum;
iu Romulo :
sponsux,
contra sponsum rogatos ; in Stigmatia :
praebia^
a praebendo ut sit tutus, quod sint remedia in
collo pueri ; in Technico ;
confictant^
a conficto, convenire dictum ;
108. in Tarentiila:
luculehtumy
ab luce, illustre ; in Tuniculari
exbolas quassant^
tragulas quae eiiciunlnr, a Graeco verbo
dictum ; in Bello Punico:
nec satis sarrare -f,
ab serare dictum, id est aperire; hinceliamserae,
qua remota fores panduntur.
VII. 109. Sed quod vereor ne plures sint fata-
ri, qui de hoc genere me, quod nimium multa re
scripserim, reprehendant, quam, qaod reliquerim
quaedam accusent ; ideo potius iam reprimendum
quam procudendum poto esse volomen. Nemo
reprehensus qui e segete ad spicilegium reliqait
stipalatD. Quare, institotis sex libris, quemadmo-
Con qualunque dei due vorremo stare, ci dari
appoggio quel luogo d Atilio,
S strugge di letizia il core ;
poich si strugge vi significato da liquitur^ che
storto da liquare.
VI. 107. Non dubito che non rimangano nei
poeti molte altre parole, di cui si posaao dire le
origini. Tale lingula^ diminutivo di lingua^
nell* Esione di Nevio, ove dice :
Con la linguetta
Del pugnale, vuoi dir ;
e vitulantesy cio schiamazzanti per allegrezza, da
vitula^ nel CUstidio ; e caperata fronte,, cio con
frotile increspala a modo di capra, nel Duloreste ;
e persibus da perite^ cio saviamente, nel Deme
trio, nde vi scrvon sotto la chiosa callide'^ e nel
Lampadione, protinam Awl protinus^ persignifi-;
care continuazione; enei Nagidone, clucidatus
per soave, dal greco yXffxij sebbene da maestri
udimmo spiegare per mansueto; e nel Romolo,
sponsus per denotare un eh' richiesto contro la
promessa ; e nella Stimazia, cio nel Servo bollato,
praebia per que' rimedii che mettonsi al collo dei
fanciulletti, da praebere^ quasi dicasi cosa che
porge lor sicurezza ; e nel Tecnico, confictant da.
confingere^ per rimanere di concordia.
108. Cosi nella Tarcntilla luculentum da
luce, e sta per isplendido ; nella Tunicolaria, ex
bolas quassant quasi dicasi :
Squassano i giavellotti,
dal greco che quanto a dir getto; nel
la Guerra Punica, nec satis sarrare significa :
N ben aprire,
cio intendere ; ed verbo tratto da^rare, don
de serae si chianiano le stanghette, col levar le
quSfTTaprono gli osci.
VII. 109. Ma perch'io temoche in questo
nere di parole sar pi facii trovare chi mi ripren
da d'averne raccolto troppe, che non chi m'ap-
punU d'averne lasciato alcune ; credo meglio le
varne le mani, che tirar pi avanti con questo li
bro. Certo a nessnno si rec mai a colpa, se nella
ricolta lasci per la spigolatura le stoppie. Cos
aoi DE LINGUA LATINA L1B. VII. 202
doro rebns Ltlina nomina etseot impotilaad afni
noatram ; e qui tres scripsi Septamio qui mihi
fuil Qaaestor, Iris libi quorum hic est terlius ;
priorei de disciplioa Terboruin originis, poslerio-
res de Terborum originibus: in illis qui ante luot,
io primo volumine est quae dicanlur qucit Vry
ncque ars sit neque otilis sit, in secun
do quae slot quor ei ars ea sit et utilis sit, in ter
tio quae forma etymologiae.
I IO. Io secundis tribus quos ad te misi, itm
generaiim discretis, primom, in quo snnt origines
Terborum locorum et earura rerum quae in locis
esse solent ; secundum, quibus vocabulis tempora
sint notata et eae res quae in temporibus fiunt :
tertius hic, in quo a polis item sumpta at illa,
quae dixi in duobus libris, soluta oratione. Qoo-
circa, quoniam omnis operis de lingua Latina Iris
feci parteis, primo quemadmodum vocabula im
posita essent rebus, secundo quemadmodum ea in
casus declinarentur, tertio quemadmodum con-
iungerentnr; prima parte perpetrata, ut secuo-
dam ordiri possim, huic libro faciam finem.
mi sar adebitato'de'iei libri, ch io avea promes
so, su modo in cui si nomarono ad uso nostro le
cose in lingua latina : tre ne ho scritto a quel Set
timio che fu mio questore ; tre a le, e n' questo
il terzo : io quelli esposi la dottrina su le orgini
delle parole; in questi son venuto alla pratica e le
ho indagate : nel primo di quelli mostrai con qua
li argomenti si creda abbattere la possibilit e la
utilit d'un' arte etimologica ; nel fecondo con
quali provisi che questuarle esiste ed utile ; nel
tene qual sia la forma dell'etimologia.
Ilo. Gli altri tre libri che bo4ndiriszato a te,
sono och'etsi fra lor distinti di maleria. Nel pri
mo do le origini de'vocaboli che ragguardano
luoghi e le cose che aolitamente vi sono;Il fecon
do de' vocaboli pertinenti a tempi ed alle cose
che avvengono in essi ; il temo questo, e vi ho
trattato dei due medesimi ordini di vocaboli che
negli altri due, tolti per da' poeti, non, come io
quelli, da' prosatori. E poich dell' intera open
su la lingua latina ho fatto tre parti, l ' una del
modo in coi si nomaron le cose, l'altra del snodi-
ficarsi di questi nomi secondo i loro accidenti, la
terza delle leggi con coi onisconsi nel discorso ;
ora che ho gi fornita la prima parte, porr fine
al libro per poter disporre Vordito della seconda.
. TERENTI VARRONIS
DE LI NGUA LATI NA
AO M. TCLUUM aCERONEM
LIBER OCTAVUS
1. 1. Quom oratio nator Iriparlila emet, ut
tuperioriboa librit ostendi, qaoiu prima para
qeemadmodQm Tocabola rebua eiaent impoitta,
secaoda qao pacto de bis declinata io diicrimDa
ieroDt, lerta ut ea ioter ae ratione coniancta teo-
tentiam efiferaot; prm parte exposita, de secon
da incipiaVn bine ; ot propago omnia natora secon
da, quod pros illud reclura onde ea sit declinata ;
itaque declinator in Terbia : rectnm homo ; obli
quum hominis^ quod declinatura a recto.
a. De boiosce moltiplici natora discriminum
orae sunt bae: qnor et quo et quemadmodum
in loquendo declinata tunl Terba. De quibus duo
prima duabus causis percurram bretiter: quod
et tum, cum de copia Terborum acribam, erit re-
trMtandum ; et quod et de tribua tertium qood
est, babet soas per mullas et maguM partes.
II. 3. Declinatio indocta in sermones non
solom Latinos, sed omnium bominum, utili et
necessaria de cauta : nisi enim ita esset factoB,
neqne discere tantum nomerom terborum posse-
mos ; infinitae enim sont nttorae, in qoaa ea de^
clinntar; neque quae didieissemo, ex hia, qoo
inter se rerom cognatio esset, appareret. At none
ideo f idemos qood itmile est, qood propagatum.
1. I. Poich il mio discorso, come ho dieha-
rato ne' libri innanzi, si steodefa natoralmeate a
tre parti ; e la prima era in qi|kl modo siensi dati
i nomi alle cose, Paltra come qoesti nomi si arre
sero a Tariet di flessioni, la terza come a' oni-
scano insieme a rappresentare i concetti : ora eh
bo aspoeta la prim^arte, ander alla seconda,
.per qodla naturai i ^ e che prima la pi|pta di
ritta, e poi le propaggini, in cui storce; n Ta
altrimenti la coaa nella declinaiton de* Tocabofi
dote homo, a cagion d'esempio, i il caso retto,
quasi la pianta diritta ; ed komimis il caso obli
quo, cio la propaggine che se ne storee.
a. Le Tarie cose eh' io ho a trattare io questo
libro, s ridocono sommariamente a questi tre capi :
per qual fine, in quali parole, e con quali leggi siali
introdotto uso di declinare del cliscorso. Dei due
primi capi toccher leggermente per dee ragioni,
ri perch dotr rimettervi mano quando tratter
della copia de tocaboli, e s perch il terzo capo
ha senza pi pef a stesso molte grandi parti.
IL S. Fu introdotto uao del declinare nell
Vitelle non por de'Latini, ma di tolti i popoli^
per oiilil insieme e per necesail. E di tero, ae
non si fosse fatto eoa), sarebbe impossibile OmbhU-
re a mente si gran nomero di parole qoaate too
le forine c Im , senza confine, se n traggono col de
cliiiare ; e in qoelle stesse che afvssiino mandalo
a mente, non ipparrebb ql affinili abbian
a>'7
. TERENTI VARRONIS
ao8
Legi ul declinatam esi Ugo^ duo tiinal appa-
rent, quodamroodu eadem dicfet non eodem (em
pore &ctum : at ai Terbi grafia alterum horum
diceretur Priamus^ alterum Hecuba; nullam uni
tatem adsignificaret, quae apparet io lego et legiy
et io Priamus et Priami.
4. Ut in hominibus quaedam sunt agnationes
ac gentilitates, sic in verbis. Ut enim b Aemilio
homines orti Aemilii, ac gentiles ; sic ah Aemilii
nomine declinatae Tooes in gentilitate nominali :
ab eo enim, qood est impositam recto casu Ae~
miliuSy orta Aemilii^ Aemilium^ Atmilios^
Atmiliorum^ et sic reliqaa eiusdem .quae sunt
stirpis.
5. Ooo igitur omnino verborum principia,
impositio et declinatio : alterum ot fons, alteram
ct riTus. Imposititia nomina esse voloerant quam
paocissima, quo citius ediscere possent ; declinata
qoam plurima, quo facilios omnes, qnibus ad
usum opus esseot, dicerent.
6. Ad illad genas quod prios, historia opas
est ; oisi descendendo enim, aliter id non perve-
nit ad nos : ad reliqaam | ^ i s quod posterius,
rs ; qaam opus est paMs praeceptis, .qaae.
snnt brefia. Qua enim ratione in ano focahulo
declinare didiceris, in infinito numero nominum
uti possis. Itaque notis nominibus allatis in con
suetudinem, sine dubitatione eorum declinatus
omnis dicit populus : etiam no?icii servi empti in
magna familia, cito, omnium conservorum nomi
nis recto casu accepto, in reliquos casus declinant
7. Qui st nonounquam offendunl, non est
mirum ; etenim illi qui p^imi nomina imposue
runt rebus, fortasse an in quibusdam sint lapsi.
Voloiue enim putant singularis pes notare, ut ex
his in multitudinem declinaretur, ah homine
homines ; sic mares liberos voluisse notari, at ex
his feminae declinarentur, ut est ab Terentio
Terentia ; sic io recto casu quas imponerent
voces, at illioo essent futarae quae declinaren
tur : sed haec io omnibus tenere neqaisse, qaod
et ooae dicuntur scopae^ et mas et femina
/a, et recto et obliqao vocabulo m .
Ira loro le cose significate. Ora invece noi ci appo-
oiam facilmente che ana cosa simile a uo'altra,
per questo appunto che da essa ha il nome. Cos,
per esempio in legiy derivato com da lgo^ si
pal ano due cose a un tratto; cio che le azioni
dinotate sono a un di pressale stesse, e non lo
stesso il tempo, in cui si son fatte. Che se per con
trario quest'azione del leggere, una in s stessa,
si fosse contrassegnata con due diversi nomi, se
condo i dne diversi tempi, a cui si rapporta, ver-
bigrazia con quel idi Priamus nelP uno e con
quel d'ffecuba nlPaltro ;*uoii^i lascierebbe pun
to vedere questa unit, che si fa toccare quando
si dice ego e legi^ Priamus ^Priami.
4. V' ha in certo modo famiglie e schiatte
nelle parole, come negli uomini. Perch, a quella
guisa che i discendenti di Emilio e intei*a schiat
ta si dissero Emilii ; cos dal nome di Emilio si
pigliarono le varie voci per tutta attenenza del
nome ; cio da Aemilius^ che il caso retto e
primo, si trasse Aemilii, Aemilium^ Aemilios^
Aemiliorum^ e cos gli altri casi che vengono
dallo stesso ceppo.
5. Le parole adunque, per rispetto alla loro
orgine, si dividono tutte in queste due specie :
altre son primitive, altre derivative ; quelle son
quasi fonti, queste i loro rsi. Le primitive si
vollero pochissime per poterle imparar pi pre
sto ; le derivative quante pi era possibile, perch
qualunque cosa accadesse dire, fosse facile trovar
vocabolo appropriato.
6. Per la prima difision di parole d' uopo
la storia, perch ci vennero non per altra via che
passando d' et in et ; per la seconda fa di me
stieri Parte, e questa si tiene a pochi e brevi pre
cetti. Perocch basta aver imparato il modo di
declinare nn vocabolo, ch la medesima regola
giuoca in infiniti altri ; talch se mettasi in uso
qualche nomo nuoto, tutto il popolo lo declina
da s per tutti i suoi accidenti sema dubitar
punto ; e in una famiglia, comech grande, i servi
che v'entrano nuovamente comprati, udito ch'ab
biano il nome de' lor compagni nel^sso retto, lo
sanno dire senz'altro in tulli gli obliqui.
7. Che se qualche volta danno in errore, non
gran fatto; perch pi volle ci diedero forse
quegli stessi che primi imposero i nomi alle cose.
Credesi in fatti che, quanto al numero, fosse lor
volont che la prima e nativa forma fosse il sin
golare, e d qui si traesse il plurale, per esempio
da homo homines; che quanto al genere, prece
desse Dei liberi il nome del maschio, e da questo
si storcesse quel della femina, come da Terentius
Terentia; cosi quanto al caso,che primo fosse il
nominttivo, e se ne traesMro poi tulli gli altri :
ma noo di meno, tuttoch questa paia essere stata
aoij DE UNGU LATINA LIB. Vili.
aio
8. Quor haec non Uni aiot in culpa, quam
l^ylant, pleraque solvere non difficile; eed nunc
non necesse. Non enim quid potueriot adiequi,
sed quid voluerint, ad hoc quod propoiitum est,
reierl ; quod nihilo miuus leclinari poteal ab eo
quod imposoerunt scojoatf scopa^ quam li impn-
suissent scopa^ ab eo scopae ; sic alia.
11). 9. Causa, inquaro, quor * ab impositis
nominibus declinarint, ea est * quam ostendi. Se
quitur in quia voluerint der.lioari aut nolufriot,
ut generatim ao summaUm, ilem in formia. Duo
enim genera verborum : unum fecundum, quod
declinando multas ex se parit dispariles formas,
ut est lego, legis^ legam^ sic alia : alterum genus
sterile, quod ex se parit nihH, ut est etiam^ via:,
cras^ magts, quor.
10. Quarum rerum usus erat simplex, ibi
elam vocabuli declioatns ; ut in qua domo unus
crYua, noo servili opust nomine ; in qua multi,
pluribus. Igitur et in his rebus quoiosmodi sunt
nomina, quod discrimina vocis plura, propagines
plures ; et in his rebus quae copulae sunt ac iun-
gunt verba, quod non opus fuit declinari plura,
fere singula sunt : uno enim loro alligare possis
vel hominem vel equum vel aliud quod, quidquid
est quod cum altero potest alligari. Sic quod di
cimus in loquendo : Consul f u it Tullius et An
tonius ; eodem illo et omnis binos consules colli
gare possumus, ?el dicam amplius, omnia nomina,
atque adeo etiam omnia verba, cum fulmentum
ex una syllaba illud et maueat unum. Quare duce
natura, si quae imposita essent vocabula rebus,
ne ab omnibus his declinanduiu pularent.
IV. 11. Quorum geoerum declinationes oriun
tur, partes orationis suut dnae, si, item at Dioo,
in tris diviserimus partes res quae verbis signifi
cantur : unam qoae udsiguificat cassus, alteram
quae tempora, tertiam quae neutrum. Oe hia Ari
stoteles orationis duas partes esse dicit, vocabula
ct verba, ut homo et eguus^ ct legit et currit,
M. 1 ' e d . Va r b o n e , d e l l a l i n g u a l a t i n a .
la lor volont, noi veggiamo che in alcuni nomi
non venne loro tenuta questa regola ; perch fco-
pae^ con la terminazione del pi, dicesi anche una
scopa sola, ed aquila cos il maachio come la fe
mina, e vis la fona tanto nel primo caso che nel
secondo.
8. Vero che nella pi parte di questi casi
non diiEcile a dimostrare che errore men
grave eh' altri non pensa : basta, qui non occorre
il farlo. Perocch al nostro proposito ci che im
porta , quale sia stata la volont di que' prini
che posero i nomi alle cose, non quanto sia lor
riuscito di Care) che del resto nello stesso modo
che da scopa^ se tal fosse stala la prima forma, si
avrebbe ottenuto declinando il plurale scopae ;
cosi da scopaey poich tal questo nome, ai pu
venire al singolare scopa ; e simUmenle negli altri.
III. 9. La ragione adunque, onde tollero che
si moltiplicassero i nomi eoi declinare, qeella
che bo gi fatto vedere. Ora da mostrare, non
solo sonsHiariameote ed in genere, ma anche nelle
particolari iorme, quando abbiano voluto o 00 che
si declinasse. V ha due maniere di parole : altre
sono feconde^ che declinate producono molte al
tre diterae forme ; oonie lego, legis^ legam e
cosi ria; altre sono sterili, che non producono
alcun altra voce, come etiam^ vix, cfas^
quor.
IO. Per quelle cose, il cui uso era semplice,
semplice fu anche la variaxione del nome, a quel
modo che in una casa, dove non che un servo,
basta nn sol nome servHe, e pi se ne vogliono,
dove i servi son molti. Onde nelle oose^ quali sono
i nomi, ve ha luogo variet d'accidenti, anche
la parola si varia per molte forme ; e quelle voci
che sono i legamenti del discorso, D<m biaognan-
do di variaiioni, se ne stanno a una forma sola;
perch a legare una coaa a 'altra pa esser buo
na una fun sltsu, sisu cavalli od uomini, o altra
cosa qualunque atta a legarsi. Cosi a quel modo
che diciarao : Fu console Tullio ed Antonio^
con la medesima congiunzione e, possiamo invoe
legare qualunque altra coppia di consoli; dir
anxi di pi, tutti i nomi, e finanche tutte le p r o
le, restando sempre ad unico sostegno questo mo
nosillabo e. Fu adunque la natura stessa che
guid i primi autori dttl linguaggio, quando cre-
dellero che non ogni vocabolo si potesse variare
per diverse forme.
IV. 11. Le parti del discorso, che possono
variarli per diverse forme, si troveranno esser
due, se d' significati delle parole ai ^cetano,
come fa' Dione, tre dtvbioni, secondo ohe hanno
^ aigificatione del caao, o la sigili-
ficazioue ilei tempo, ovveff n Tana n rallni.
Di queste tre divisioni Aristotele non fa die due
>4
. TERENTI VARRONIS
aia
la. Ulriosqae gcnerit, et ?ocbali t verbi,
qoaedam prior, quaedam posteriora : priora, at
Aorno, scribit; posteriora, ut doctus, docte : di
citur enim homo doctus^ et scribit docte. Haec
sequitor t locus et tempus ; quod neque homo
oec scribit potest sine loco et tempore esse ; ita
ut magis sit locus homioi coniunctus, lampus
scriptioni.
i 3. Quom de his nomen sit primum (prius
enim nomen est quam verbum temporale, et re
liqua posterius quam nomen et verbum ; prima
rgitur nomina) ; quare de eorum declinatione,
qoam de verborum, ante dicam.
y . 14. Nomina declinantur aut in earum
rerum discrimina, qutrum nomina sunt, ut Te
rentius Terenti ; aut in eas res extrinsecus, qua
rum ea nomina noa sunt, ut ab equo equiso. In
sua discrimina declinantor aut propter ipsius rei
naturam, de quo dicitur, aut propter illius, qui
dicit. Propter ipsius rei discrimina aut ab toto, *
aut a parte. Kh toto, * ut ab homine homun
culus^ ab capite capitulum : propter multitudi
nem, ut ab homine homines ; ab eo quod alii
dicunt cervices^ * id Ortensius in poematis cert.
i 5. Qoae a parte declinata, aot a corpore, ot
a mamma mammosae^ a manu manubria; aut
b animo, ut a prudentia prudens^ ab ingenio
ingeniosi. Haea sine agitationibus : at ubi motus
maiores, item ab animo, ut ab strenuitate et no
bilitate strenui et nobiles ; sic a pugnando et
currendo pugiles et cursores. Ut aliae declinatio
nes ab animo, aliae a corpore ; sic aliae extra ho
minem, ut pecuniosi, agrarii^ quod foris pecu
nia et ager.
VI. 16. Propter eorum qui dicunt, sunt de
clinati casus, uti is qui de altero diceret, distin
guere posset quom vocaret, quom daret, qoom
accosaret ; sio alia. Eiosdem discrimina, quae nos
et Graecos ad declinandum duxerunt, sine con
troversia sunt quinque : quis vocetur, ut Hercu
ies ; quemadmodum voceinr, ut Hercule ; quo
sole parti dei discorso, cio vocaboli e verbi ; come
uomo e cavallo^ ^^88^^corre : le altre ne sono
giunture.
la. In ambedue i generi, cio tanto ne voca
boli che ne' verbi, altri iK>n principali ed altri di
pendenti : per esempio uomo e scrive son prin
cipali, dotto e dottamente son dipendenti ; per
ch si dice uomo dotto^ e scrive dottamente. Ad
ambedue i generi s'accoropagna idea di luogo e
di tempo ; perch n uomo n scrive pu essere
senza luogo e tempo : pure con uomo pi stretta
idea del luogo ; con scrive idea del tempo.
i 3. Come fra le parli del discorso la prima
il nome ; dacch il verbo finito vien dopo il nome,
e le altre part dopo il nome e il verbo, ond'
primo il nome ; parler innanzi delle variationi
de' nomi che di quelle do' verbi.
V. 14. 1 nomi o si piegan solo seguendo le
variet della cosa, di cui son nomi, come quando
da Terentius si fa Terentii^ o passano ad altre
cose di fuori, come quando da equus^ che il ca
vallo, si chiama equiso il cavalcatore. Nel primo
modo, ciof dentro alla lor famiglia, si variano o
per la natura della cosa onde parlasi, o per la na
tura della persona che parla. Si variano per la na
tura delU cosa, applicandoli or come tutto, ed or
come parte : come tutto, quando da homo e da
caput si chiama homunculus un omicciattolo e
eapitulum un capolino ; e cosi pore, quando per
la differenza del numero da homo si forma Aomi-
neSy e per converso quando Ortensio dall' usitato
cervices trasse nelle sue poesie il singolare cervix,
i 5. Si variauo in vece applicandoli a modo di
parte, tanto nelle cose del corpo ; come quando
da mamma dicesi mammosa chi ha grandi pop
pe, e da manus si fa manubrium ; quanto nelle
cose dell' animo, come quando dalla prudenza si
noma il prudente e dall' ingegno ingegnoso
N solo dove non movimento notevole, come
negli addotti esempli ; ma altress dove pi di
moto, come in strenuus e nobilis da strenuitas
e nobilitaSy per ci che ragguarda animo, e in
pugil e cursor^ da pugnare e currere^ per ci
che ragguarda il corpo. E come fansi dirivativi
rispetto all' animo e al corpo ; cosi altri se ne
fanno anche dalle cose che sono al di fuori dell'uo
mo, per esempio pecuniosus^ agrarius e somi
glianti ; giacch il danaro ed i campi sono cose al
di fuori di noi.
VI. 16. Per la natura della persona che parla,
s'introdusse la declinazione per casi, acciocch
potesse distinguere se chiamava, o dava, o acca
sava, e cosi gli altri accidenti. Di queste dififerenae
di caso, donde i Greci e i Latini furono condotti
a declinare, quelle che non han contrasto son
cinque ; chi sia quagli che chiamavasi, cio per
ai3
Dii LINGUA LATINA LIB. YllL
214
Tocetar, ut d Herculem ; qooi vocelur, ul Her
culi ; qaoius focetar, ut Herculis.
VIL 17. Propler ea verba quae erani proinde
c cognomiaa, ul prudens^ candidus^ strenuus ;
quod in bis praeterea suut discrimina propter in-
cremeotum, quod maius vel minus in bis esse
potest ; accessit declinationum genus, ut a cand-
doy candidior^ candidissimum, sic a longo di
vite^ id genus aliis, ut fieret.
18. Quae in eu res, quae extrinsecus, decli
nantur, sunt ab equo equile^ ab ovibus ovile^ sic
alis. Haec contraria illis quae supra dicta^ ut a
pecunia pecuniosus^ ab urbe urbanus^ ab atro
atratus. Ut nonnunquam ab homine locus, ab eo
loco homo ( ut ab Romulo Roma^ ab Roma Ro
manus, '
19. Aliquot Tuodis declinala ea quae foris:
nam aliter qui a maioribus suis Latonius et
Priamidae ; aliter quae a facto, ut a praedando
praeda, a merendo merces. Sic alia sunt, quae
circum ire non difficile ; sed, quod genus iam vi
detur et alia urgent, omitlo.
VIII. ao. In verbornm genere, quae tempora
adsignificant quod erant tria, praeterilum, prae
iens, futurum; declinatio facienda fuit triplex, at
saluto, salutabam, salutabo, Quoro item perso
narum natura triplex esset, qui loqueretur, ad
quem, de quo ; baec ab eodem ?erbo declinata :
quae in copia ferboram explicabuntur.
IX. 21. Quoniam dictum de duobus, decli
natio quor et in qoa sit forma ; tertium quod re
linquitur, quemadmodum, nunc dioelur. Oecliua-
tiooom genera tuoi duo, Toluntarium et natura
le. Voluntariam est, quo, ut cuiusque tulit yolun-
tas, declinavit. Sic tres quom emerunt phesi sin
gulos servos, nonnunquam alius decliuat tionirn
b eo qui vendit Artemidorus, atque Arternam
appella! ; lius a regione, quod ibi emit, ab lonia^
lona ; alius, quod bpbesi, Ephesium ; sic alius
ab alia aliqua re, ut fisum est.
22. Contra naturalem declinationem dico, quae
non a linguloram oritur voluntate, sed commu-
esempio Hercules ; come si chiami, cio Hercu
le ; dove si chiami, cio ad Herculem ; a chi.
cio Herculi; di chi, cio Herculis.
VIL 17. Per quelle parole che hanno natura
di soprannomi' e per diconsi addiettivi, verbi-
grazia pruiens, candidus, strenuus ; siccome in
esse la cosa dinotata pu variare anche nella
quantit, avendovi luogo il pi ed il meno ; cosi
%aggiunse la declinazione per gradi, come ce/i-
didus, candidior, candidissimus ; e cosi in hn-
gus, in di^es e negli altri di questa fatta.
18. sempii di voci che variate passarono ad
altre cose al di fuori, sono equile da equus, ovile
da ovs e somiglianti ; perch il cavallo e la pecora
non sono n tutto o parte della loro stalla. On-
dech questi diridativi sono contrarii a quelli-che
ho detto di sopra, ci erano pecuniosus da pe
cunia, urbanus da urbs, atratus da atrum. Co
me i luoghi dagli uomini, cos talvolta anche gli
uomini prendono il nome dai luoghi : da Romolo
si disse Roma ; da Roma Romano,
19. Anche di queste declinazioni al di fuori
ci ha pi maniere ; ch altro quando si noma
alcuno da'iuoi maggiori, come il Latonio, i Pria-
midi ; ed altro quando dal fare si denomina la
cosa fatta, come dal predare la preda, dal meritare
la mercede, E ce n' ha degli altri di questi modi,
n sarebbe cosa difficile a volerli distinguere: ma
perch omai apparisce qual la natura delP in
tero genere, ed altre materie m* incalzano, li la
scio stare.
Vili. 20. Quanto a' verbi, essendo tre i tempi
a cui raccbiudon rispetto, cio il passato, il pre
sente e il futuro; convenne fare una tripliee de
clinazione, com** per esempio saluto, salutabam,
salutabo. Similmente, essendo tre le persone, cio
quello che parla, quello a cui parla, e quel di cui
parla ; si pieg il verbo anche a queste tre forme.
Ma di queste cose tratter distintamente, quando
verr a parlare della copia de vocaboli.
IX. 21. E poich dei tre punti proposti n'ho
gi spiegato due, cio perch e in quali parole
abbian voluto che si decliuasse ; passer ora al
terzo, cio al modo di declinare. V' ha due modi
di declinare, uno volontario, l altro naturale.
Volontario quello, per cui ciascuno declin pri
mo secondoch port il genio. Cosi di tre padro
ni che siansi comperato uno schiavo per ciascuno
in Efeso, veggiamo talvolta che uno, storcendo il
nome da un Artemidoro che gliel vendette, lo
chiama Jrtemas; uno, perch il compr nella
Ionia, dalla regione lo dice lon ; altro da Efeso,
Ephesius; t cosi altri da altre cose, come lor
pare.
22. Naiurale in vece chiamo quel modo di de
clinare che non viene dalla volont di nenono in
ai5
. TliUfcNTI VARRONIS aiG
ni consensu. llJh|ue omtics, impositis nominibus,
coTuro ilem decHminl ca&m, a!que eo<lem mo<io
dicunt huius Arttmat et huitis Ionis et huius
Ephesii ; sk in cssibus aliis.
a3. Cura utrumque nonnunquam accidat, et
ut in * declinatione anirnadvertatur na
tura, et in naturali voluntas ( quae qaotusmodi
sint, aperietur infra), quod utraque declinatione
alia funt sieailia, alia dissimilia ; de eo Graeci
Latinique libros fecerunt multos ; partim quom
alii potarent in loquenda ea verba sequi oportere
qoae a similibus similiter essenl declinala, quas
appellarunt ^ ; alii cum id neglegendum
potarent, ac potius sequendam dissimilitudinem
quae in consuetudine est, quam Tocant -
: cum, ut ego arbitror, ntranque sit nobis
sequendum; quod in declioatione voluntaria sil
anomalia, in naturali magis analogia.
24. De quibus utrinsque generis declinationi
bus libros faciam bis ternos: prioris tris de earum
declinationum disciplina; posterioris, ex eius di
sciplinae propaginibus. De prioribus primus erit
hic, quae contra similitudinem declinationum di
cantur ; secundus, quae contra dissimilitudinern ;
tertius de similitudinum forma. De quibus quse
eipediero singulis libris; tum de allerts totidem
scribere ac dividere incipiemus.
X. 25. Incipiam, quod huiusce libri est, dice
re contra eos qui similitudinem secuntur ( quae
est : ut in aetate puer ad senem, puella ad anum ;
in verbis, ul est scribo scribam^ dico dicam) ;
prius contra univers.im analogiam ; dein Ium de
singulis psrtibu. A. natura sermonis incipiam.
XI. 26. Omnis oratio cum debeat dirigi ad
utilitatero, ad quam tum denique pervenit, si est
aperta et brevis ( quae petimus, quod obscurus et
longus oralor est odio); et cum efficiat aperta
ut intellegatur, brevis ut et cilo intellegatur, et
apertam consuetudo, brerem temporantia loquen-
tis; et utrunique fieri possit sine antilogia : nihil
ea opus est. Neque enim, utrum Htrculi an Her
culis cla^m dici oporteat, si doceat analogia,
quom otrumque sit in consuetndine, non negle^
gendum, quod aeque sunt et brevia et aperta.
particolare, ma dal comune consenso. Cosi, se
stette prima nella volont di ciascun padrone il
dar quel nome che pi gli piacque allo schiavo
comprato ; quando gliePhan dato una volta, tulli
il declinano pei varii casi allo stesso modo, di
cendo nel genitivo Artemae^ loniSy Ephesii^ e
cos avanti.
23. Come per qualche volta avTeogono tutte
e due queste cose, che nella declinazione volonta
ria li lascia veder la natura e nella naturale in
vece la volont; perch s in questa che in quella
(e ne mostreremo pi ionanzi il modo) v ha de
rivativi simili, e ve n'ba di non simili; cos e
Greci e Latini scrissero molti libri su questo ar
gomento. Altri erano d'opinione che nel discorso
si debba stare airanalogia, secondoch la chiama
rono, cio le parole simili abbiano a declinare
similmente; ad altri in vece era avviso che a que
sta proporzionalit non sia da avere nessun rispet
to, ma s all' uso, qual eh'esso , senza regola, cio
a quella che dissero anomalia, lo credo in vece
che debba siarsi ed all* una rd alPaltra; perch
nella declinazione volontaria ha luogo massima*
mente anomala, nella naturale analogia.
24. Su queste due maniere di declinazione
scriver sei libri : nei primi Ire sporr la teorica,
negli altri le conseguenze. In questo, che sar il
primo dei Ire precedenti, riferir quanto dicesi
contro lanalogia nel declinare; in quel che verr,
ci che diresi contro anomali ; nel terzo mo
strer la natura e i confini dell'analogia. Quanto
alla materia degli altri tre libri, la dichiarer di
ciascuno distintamente, quando, spacciate ad una
ad una le cose assegnate a questi, dar roano a
quelli.
X. 25. Or Tengo senza pi a parlare, come
4)0 promesso per questo libro, contro quelli che
prendono a gui da Tanalogia, la quale posta nella
medesimil de rapporti ; onde per esempio nella
eia sta puer a senex come puella ad anus^ e nelle
parole scribam a scribo come dieam a dico.
Parler prima contro analogia in generale ; poi
minutamente per ciascuna parte.
XI. 26. per pigliare le mosse dalla natura
del favellare, ogni discorso dee pur ferire a qual
che fine, n vi pu riuscire che con la jcbiafezia
e la brevit ; perch ogni parlatore, a oscuro e
lungo, torna in fastidio, e la chiarezza fa che e'in
tenda, e la brevit fa di pi cbe s'intenda presto.
Ora In chiarezza viene dall'uso, la brevit dalla
temperanza del dicitore ; n il seguir uso, o
essere temperanti nel dire, dipendono dall' ana
logia. Dunque essa inutile. E di vero che im
porta che analogia m'insegni che s'ha adire
clava Herculis e non Hereuli^ se uno e altro
neir uso ed egualmente bwve ed aperto ?
217 DL LINGUA LATINA LB. Vili. 2 1 8
XIL 27. Preterea^ quoia uliliUli caos
quaeque res sii intenta, s e i ea quii i j sit con
secuius, roplius ea scrutari quom sit nimiam
oliosi ; et cum utililalis causa verba ifleo sint im
posita rebus, ut ea significent ; si id ooosequimur
una consuetudine, nihil prodcst analogia.
Xll L 28. Acccdii, ut quaecumque asQS caos
ad vitam sint assumpla, in his nos aiilitatera
quaerere, non similitudinem; ilaqoe in Testitu,
quom dissimillima sit virilis toga tunicae muliebri
stola pallio; tamen inaequalitatem hanc seqaimur
nihilo miniM.
XIV. 29. In aetlificiis, quod non fidemot
habere atrium a<1 * vff/arvXoy similitudioem, et
cubiculum ad equile, quod tamen propter ntilita-
tem, in his dissimilitudines potitis quam similitu
dines sequimur ; itaque et hiberon triclinia et
aestiva non i|em valvata ac fenestrata facimos.
XV. 3o. Quare quom, ut in vestitu, aedificiis,
sic in supellectile, cibo caeterisque omnibus quae
nsu ad vitam sunt assumpta, dominelor inaequa
litas; in sermone quoque, qui Mt usus causa con
stitutus, e non repudianda.
XVI. 3i. Quod si quis dnpUeem putat esse
sommato, ad quas metas naturae sit pervenien
dum in usu, utilitalis ct elegantiae ; qood non
ohim vestiti esse volumus ut vitemus frigas, sed
etiam ut videamur vestiti esse boneste; non do-
roum habere ut simus in lecto et tuto svlum, quo
necessitas contruserit, sed etiam ubi voluptas re
linere poMit ; non sohim vasa ad victum habilia,
sed etiam figura bella atque ab artifice (quod
aliod homiiki, aliud humanitati satis est: quodvis
sitienti poculum homini idoneum; humanitati,
nisi bellum, parum): sed, cum discessum est ah
utilitate ad voluptatem, tamen ia eo ex dissimili-
litudine plus voluptatis, quam ex aimilkudine,
saepe capitur.
32. Quo nomine et gemina conclavia dissimi
Kter poliunt, et lectos non omneis paris magnito-
dine ac Rgora faciuot. Qood si esset analuga pe-
tepda supelleelili, omnes lectos haberemus dotui
ad ooam formam el mH com fulcro, aut sine eo;
nec, cora ad tridiniareu}, gradum, non item ad
Gobicularem ; neque potius deltetaremor sopelte-
etile, distincta quae esset ex ebore,aliisque rebus
disparibtts figuris, quum grabatis qui
ad similem formam pleromqoe eadem materia
fiont Quare aot negandam uobii disparia esse
iuconda; tat, quoniam necesse st coofitcri, di-
. 27. Senzach in ogni cuss, quando se
n'ha ottenuto it fine, per cui fatta, il brigarsene
pi oltre da uomo che non sa che fare del tem
po ; ir flbe poi, onde si posero i nomi alle cose,
fa perch ne fossero segno ; e a ci basta uso :
siocb nulla giova F atoalogia.
Xlil . 28. Aggioogasi che in tutte le eose o-
trodotte per gli osi della vita, noi guardiamo al-
P utile, oon alla somigliansa. Cosi ne' vestiti, per
csgion d'esempio, bench la toga de' maschi dii-
ferentissima dalla tunica delle donne, e il pallio
dalla loro stola; noi tutUvia teniamo questa dis
formit.
XIV. 29. Parimente negli edifizii se non ve
diamo gli atrii somigliare ai peristilii e i dormi
tori alle stalle ; tuttavia, facendosi per ntilit, vi
preferiamo la diversit alla somiglianza ; e ne ti
nelli di state non leniamo uno stesso modo di
finestre e d imposte, come in quelli d inverno.
XV. 3o. 11perch, se ne'vestiti, negli edifizii
e medesimamente nelle soppeQettilif ne cibi e io
ogoi akra cosa iutcodotta per gli osi della vita,
domina incostanza; non regione di rigetUrla
dalla lingua, che fatta aocb esia per gli usi del
la vita.
XVI. 3r. Senonch dir alcuno che non la
sola otilita, ma due sono in lutto i fini che nato-
ralmente ci proponiamo in ci che serve alla vita,
rotilit insieme e Teleganxa. Forse che ne ve
stiti ci basU avere on riparo dal freddo, o non f i
cerchiamo anche signorii vista? Ci eontentiamo
per casa d un ricoirero, qual eh esso sia, dove d
abbia giltato la necessil, purch vi si stia al co
perto e in sicoro ; o oon la vogliamo anche tale
che ci alletti con piacere a restarvi? E nel viel-
lame, ci par egli assai che sia opportuno pei cibi,
se non ha bella forma e maestrevol lavoro? Altro
ci che basta all uomo, ed altro ci che doman
da la ci villi: all uomo assetato basta qualunque
bicchiere; alla civilt, se non bello, non basta.
Sia por vero lotto questo ed altro : ma, se dalla
consideratione dell olile si vnol passare a qoella
del piacere, non egli allreri vero che pi spesso
torna in piacere la variet che la somiglianza?
32. per qocsto che noi veggiamo dare a
stanze gemelle intonachi differenti, e i letti nOd
farsi lulti d tina foggia e d una grandezza. Che
se nelle maswriiic s avesse a guardare Taoak-
gia, noi avremmo nelle nostre case i letti tulli di
una stampa o coi piedi o senza ; e il predellino,
come in quei da convito, cosi in qoei di dorroira;
n ci piaceremmo d arnesi fregiali d avorio e di
altre cose di varia forma, pi che de lellucci por
tatili che pur si fanno solitamente, secondo ana
logia, pari in materia eil in forma. O convien
dunque ue^re che U varief diletti ; o, j^ich
aio
. TERENll VARRONIS aao
ceodoRi verboruro dissimilitudineni, qoae tit in
coDfueiadine, non esse filandam.
XVII. 33. Qaod si analoga sequenda esl no-
bis; aut ea nobis observanda est qaae est in con-
saeludine, ant quiie non est. Si ea qaae esl, se-
qaenda est ; praeceplis nihil opus esl, qaod,qaom
consueladinem sequamur, ea noi sequetur : si,
qoae non esl in consuetudine, quaeremus; ut
quisque duo ?erba in quslluur formis finierit si
militer, quamvis haec nolemus, tamen erunt se
quenda, ut luppitri^ Marspitrem ; quas si quis
servet analogias, pro insano sit reprehendendus.
Non ergo ea est sequenda.
XVllI. 34. Quod si oportet id esse ut a simi
libus similiter omnia declinentur verba ; sequitur
nt ab dissimilibus dissimilia debeant fingi, quod
non fii. Nam et a similibus alia fiunt similia, alia
dissimilia, et ab diuimilibns partim similia, par*
lim dissimilia : ab similibus similia, ut a 0/10et
ma/Oy onum ma/um ; a iimilibus dissimilia, ut
ab /upuf UpuSy lupo lepori; contra ab dissimili
bus dissimilia, ut Priamus PariSy Priamo Pa
ridi; b dissimilibus similia, ut luppittr ovis et
lovi 09,
35. Eo etiam magis avaXoytitMi dissimilia
6nguntur, * quod non a similibus finguntur
ted etiam ab iisdem vocabulis dissimilia ;. naque
dissimilibus similia, sed etiam eadem. Ab iisdem
Tocabulis dissimilia fingi apparet, quod, cum duae
sint Albae, ab una dicuntur Albani^ ah altera
Albenses ; cQm trinae fuerint Alhenae, ab una
dicti Athenaeiy ab altera Athenaeis^ a tertia
Athenaeopolitae.
36. Sic e i diversis verbis multa facta in de
clinando inveniuntur eadem ; nt quom dico ab
Saturni Lua Luam^ et ab luo luam. Omnia fere
nostra nomina virilia et muliebria multitudinis,
quom recto c h s u fiunt, dissimilia ; cum dandi,
eadem * : dissimilia, ut mares Terentiei^ feminae
Terentiae; eadem in dandi, viris Terentieis^
et mulieribus Terentieis, Distimile Plautus et
Plautiur; et commune huius Plauti^ et Marci,
XIX. 37. Denique, si est analogia, quod in
multis verbis est similitudo verborum; sequitur,
quod in pluribus est dissimilitudo, ut non sit in
s ermone sequenda analogia.
iPi, 38. Postremo, si est in oratione, aut in
omnibus eius partibus est, aut in aliqua; ct in
questo non si pu non concedere, sar fona dire,
che la disparit delle forme nel declinare, quand'
neir uso, non cosa che si debba fuggire.
XVII. 3a. E poi qual questa analogia che si
vul darci a guida? QnelU che gi nelPuso, o
quella che non ? Se intendono quella che gi
nelPuso, non mestieri precetti : basU cammi
nare con uso, e analogia ci verri dietro di
necessit. Che se intendono quella che non nel-
uso; quando alcuno con due parole abbia fatto
quattro forme che stiano in proporzione fra loro,
vogliansi o no, bisogner ad ogni modo accettar-
tarle; come luppitri^ Marspitrem e somiglianti,
che son pur tali analogie da farc avere per pazzi,
chi le voleue ouervare. Dunque Tanalogia non
regola.
X Vili. 34. Che se comnn legge delle parole
che le simili s'abbiano a declinar similmente; nc
vien per converso che le dissimili si debbano de
clinare dissimilmente. E pure ci non avviene;
perch tanto da voci simili che da diuimili s firn-
no forme simili, e se ne fanno di non simili : si
mili da voci simili, in bonum e malum da bonus
e malus ; diuimili da voci simili, in lupo e lepo
ri z lupus e lepus; alP inconiro dissimili da dis
smili, in Priamo e Paridi da Priamus e Paris ;
simili da dissimili, in loifi ed o^i da luppiter
ed ov/x.
35. Che anzi s fanno anche form^ tanto pi
dissimili per analoga, quanto che sono dissimili,
venendo da voci non pur simili, ma in tutto egua
li ; o sono non pur simili, ma in tutto eguali, ve
nendo da vuci dissimili. Che da voci eguali si
traggan forme diverse, ce le mostrano i seguenti
esempii : poich, essendovi due Albe, quei deir una
s dicono Albaniy e quei delPallra Albenses ; ed
essendovi stata una triplice Atene, da una si no
marono Athenaeii da un'altra Athenaeis, dalla
tena Athenaeopolitae,
36. Cosi da parole diverse vediatno spesso de
rivar forme al tulio eguali ; cerne quando si dice
luamy che pu tanto essere da Lua figlia di Sa
turno, quanto dal verbo luere. Quasi tutti i nostri
nomi maschili e femminili, nel numero dei pi
fanno il nominativo fra lor diverso, e il dativo
eguale. Cosi Terentiei diconsi i maschi, Teren
tiae le femmine ; e quando viensi al dativo, Te-
rentieis serve ai maschi, come alle femmine. Di
versi son Plautus e Plautius ; ma il genitivo
Plauti il medesimo. Cos Marci ed altri.
XIX. 37. Finalmente, se vuoisi analogia nella
lingua, perah in molte parole v' somigliania ;
noi diremo con pi ragione che analogia nop
regola nel favellare, perch le pi son diverse.
XX. 38. E poi, se v' analogia nella lingua,
o sar in tutte le sue parti, o in alcnnc. Ma ia
&ai DE LINGUA LATINA LIB. Vili. aaa
omnibui DODest, in liqaa ette param efi ; nt
albom eise Aethopam non talts ett qood habeat
candidos dentes. Non est ergo analogia.
XXI. 3g. Qaoro ab similibus verbis qaae de
clinantor, similia fore polliceantar qai analogias
esse dicunt, et cara simile tam denique dicani esse
erbo terbam, ex eodem si genere, eadem figora,
transitum de cassa in cassum similiter ostendi
possit; qui haec dicunt, utrumqoe ignorant, et in
quo loco similitudo debeat eue, et quemadmo
dum spectari soleat simile sit necne. Quae cum
ignorant, sequitur ut, quam analogiam dicere non
possint, sequi debeamus.
4o. Quaero enim, verbum utrum dicant vo
cem quae ex syllabis conBcta, eam quam audi
mus; an quod ea significat, quam intellegimus;
an utrumqne. Si vox voci esse debet similis, ni
hil refert qnod significat mas an femina sit, et
utrum nomen an vocabulum sit, qnod illi interes
se dicunt.
4i. Sin illud, quod significatur, debet esse si
mile ; Diona et Thtona^ quos dicunt esse paene
ipsi geminos, inveniuntur esse dissimiles, si alter
erit pner, alter senex, aut anus albus, alter Ae
thiops ; item aliqua re alia dissimiles. Sin ex atra-
que parte debet verbum esse simile, non cito in
venietur quin in altera utra re claudicet ; nec
Perpenna et Aiphena erit simile, quod alterom
nomen virum, alterum mulierem significat. Qua
re, quoniam ubi similitudo esse debeat nequeunt
ostendere, impodentes sunt qai dicunt esse ana
logias.
XXU. 4a. Alterum illud quod dixi, quemad
modum simile spectari oporteret, ignorare appa
ret ex eorum praecepto, quod dicunt, quom tran
sierit e nominandi casibus in eos quos appellant
vocandi, tum denique posse dici rectos esse simi
lis aut dissimilis : esset enim ut si quis Henaech-
mos geminos quom videat, dicat non posse indi
care similesne sint, nisi qui ex his sint nati con
siderant num discrepent inter se.
43. Nihil inquam, quo magis minusve sit si
mile, quod conferas cum altero, ad indicandam
extrinsecus oportet sumi. Qoare, cum ignorent
quemadmodum similitudo debeat sumi, de ana
logia dicere non possunt. Haec apertius dixissem,
nisi brevius eo nunc mallem quod infra sunt pla-
tutte non certamente, e essere in alcune non
basta ; come non basta, perch sia bianco un Etio
pe, chegli abbia candidi i denti. Dunque non v'
analogia.
XXI. 3.9.1 suoi difensori, quando aAicurano
che le forme tratte da parole smili dovranno es
ser simili, aggiungono che parole simili sono
quelle, in coi pu mostrarsi che da uno stesso
genere e da una stessa figura si pass di caso in
caso similmente. Ma dicendo questo, noe sanno
n in qual parte debba stare la somiglianza, n in
qual modo s'usi provare se due cose siano simili
no. Ondech si dovrebbe seguire nn' analogia,
eh'essi medesimi non possono determinare.
40. Poich, domando io, che cosa intendono
essi per parola?Quel suono, composto di sillabe,
che ci tocca gli orecchi ; o ci che quel suono si
gnifica, onde tocca la mente ; o tutte e due que
ste cose? Se intendono che la somiglianza debba
esser nel suono, il significato non ci ha che fare,
sia pur maschio o femmina, sia nome proprio o
comune. Perch vogliono adunque che di queste
cose li tenga conto?
41. Se intendono che la somiglianza debba es
sere in vece nelle cose significate; le stesse parole
Olona e Theona^ che essi dicono presso che ge
melle, si troveranno euer dissimili, dove uno
sia fanciullo e altro vecchio, o bianco uno ed
Etiope laltro, o per qoalcM altra cosa dal-
altro diversi. Finalmente, se le parole si voglio
no simili per ambedue i rispetti, del significato e
del suono; non sari facile a trovar parola che non
vada zoppa o dairuna o dall altra parte; e fin
Perpenna ed Aphena non saranno simili, per
ch quello nome di maschio, questo di femmi
na. Non saper dunque mostrare in che debba es
sere la somiglianza, e tuttavia dire che v* analo
gia, da uomo che non ha faccia.
XXII. 4> L'altra cosa detta, eh'essi non un
no il modo, in cui s'ha ad esplorare la somiglian
za delle parole, ce la fan vedere con quella rego
la, che due nomi non si possono dir simili n dis
simili, finch non siasi conoKiuto qual mo<lo ten
gano nel passare dal caso retto negli obliqui ; che
tanto , quanto se alcuno dicesse di due gemelli^
posto che similittimi come i Menecmi di Pianto,
che a voler giudicare se siano simili o no, non
basU vederli, ove prima non siansi esaminati ben
bene anche i loro figli, non forse avessero qual
che dissomiglianza.
43. Per giudicare della somiglianza di due
cose, non pu mai far bisogno ana terza cosa da
riscontrare con esse e vedere se sia pi o meno
simile. Imparino dunque a determinar prima la
somiglianza, e poi ci vengano a parlare d' analo
gia. Queste cose, le avrei esposte pi chiaramente.
123 . TERENTI VARRONIS 324
nius asurpaoda. Quare, quod ad onTeriani natu-
ram verborura allinet^ hacc alligiite modo sa
tis esi.
XXIII. 44 Quod ad partis singulas orationis,
deinceps dicam ; quoioi quondam sunt divisiones
plures, none ponam polissimum illam, qaa divi
ditur oratio, secando, ut naturam, in quattuor
partis : in illam quae habet casus, el quae habel
tempora, et quae habet neutrum, et io qua est
utmmque. Ilas vocant quidam appellandi, dicen
di, adminiculandi, iungendi: appellandi dicitur,
ut homo et Ntstor; dicendi, ut scribo et lego;
iungendi, ut ct que ; adminiculandi, ut docte
' et commode.
45. Appellandi paries sunt quattuor; e quis
dicta a quibusdam provocal>ula, qute sunt ut
quis^ quae ; vocabula, ut scutum^ gladium ; no
mina, ut ilomu/i/x, iZe/ncfr; prouomioa, ut /i/c,
. Duo media dicuntur nominatus; prima et
eitrema articuli. Primum gequs est infnitum, se
cundum ut infinitum, tertium ut etfinitum, quar
tum Anitum.
46. Haec singulatim triplicia esse debent quoad
seiumt multitudinem, casum : sexum, utrum virile
an muliebre an neutrum sit, ut doctus, docta^
doctum; multitudinem, unum an plura significet,
at hic hi, haec hae; rasum, utrunrrecto sit, ut
Marcus^ an obliquo, ut Marco^ n communi, ut
IPL,
XXiV. 47* discretis partibus, singulas
perspice, quo facilius nusquam esse analogias, quas
sequi debeamus, videas. Nempe esse oportebat
vocis formas ternas, ut in Y q c \humanus huma
na humanum; aed habent quaedam bioas, ut
cer\'us cerva ; quaedam aingula, ut aper, et sic
multa. Non ergo est in huiuscemodi generibus
analogia.
XXV. 4^ Et in roultitudine, ut uaum sigui-
ficat pater^ piares patres ; sic omnia debuerint
esse bina. Sed et singularia solum sunt multa, ut
eicer, m e r ; nemo enim dicit cicera, sisera; et
multitudinis sunt, ut salinae^ balneae * ; non enim
ab bis siugulari specie dicitur salina et balnea.
Neque abeo qaod diouot balneum^ habet mulli-
todinis coasoetudo ; nam, quod est ut praedium,
balneum, debuerint esie plura, ut praedia, baloea,
quod non est. Non est ergo in his quoque ana
logia.
se qui non credessi belh la brevit, dovendole
svolger da poi. Basti adunque ci che ho toccato,
su l'analogia in generale.
XXIII. 44 Ora la considerer a mano a mano
in ciasctna parte del discorso ; e poich le divi
sioni che si fanno, son varie, qui terrommi a
quella, per cui il discorso dividesi, come la natura
partendolo in quattro elementi ; cio in quelle
voci che hanno casi, iu quelle che hanno tempi,
in quelle che non han n casi n tempi, ed in
quelle che hanno si 1' una che P allra cosa. Al
cuni facendo pur quattro le parti del discorso,
le distinguono in appellative, spositivc, coadiu
vanti, e copulative: appellative son, per esempio,
homo ^Nestor; spbsitive scribo, t lego; copu
lative et e que; coadiuvanti docte e commode.
45. Le appellative si ridividono in quattro;
perocch altre si chiaman da alcuni provocaboli,
come quae ; altre vocaboli, come scutum^
gladium ; altre nomi, come Romulus.^ Remus ;
altre finalmente pronomi, come /ite, haec. Le due
spezie di mezzo .^i dicono anche in genere nomi,
comuni i primi,'.proprii i secondi; le altre due
spezie si chiamano con un solo nome articoli.
Quanto al concelle, la prima speiie indetermi
nata, la seconda quasi indeterminata, la terza qua
si determinata, altima determinata.
46. Queste quattro spezie debbono avere tre
modi di declinazione, per sesso, numero e caso :
per sesso, come doctus., docta^ doctum^ secon-
doch la cosa, onde parui, maschio o femmi
na, ovvero n uno, n Taltro; per numero, se
condo eh' uno o pi, come hic ed Ai, haec ed
hae ; per caso, secondoch' retto come Marcus^
od obliquo come Marco., o comune come lo^is.
XXIV. 47 Efamina ora ad uno ad uno questi
tre modi, che ho distinto, e t avverr di vedere
pi tacilmenlc che non v analogia da poter
pigliare per regola. E di vero, per la distinzione
del genere, le voci dovrebbero avere tre forme,
cora' in humanus^ humana., humanum ; e pure
alcune voci n hsn due, come cervus., c#na, al
cune una sola, come aper ed altre assai. Dun
que ne' generi non v' analogia.
XXV. 48. E quauto al numero, come si dice
pater d" un solo padre e patres di pt, cos ao*
che le altre voci avrebbero dovuto avere questa
doppia forma. Pur ve n* ha molle che hanno la
sola forma del meno, come cicer e x/jer, ch
nessun dice cicera e sisera; e molte hanno in
vece la sola forma dei pi, come salinae e bai-
neae., ch i singolari salina e balnea noo dicont.
Che anzi, avendosi pure il singolare balneum.,
il sao plurale in veee fuor d*uso; perocch,
comt praedium fa nel plorale praedia., balneum
che della stessa natura, dovrebbe far balnea;
225 DE LINGUA LATINA LIB. VIIL 2 2 6
XXVL 49* habeot et redo et obli
quos, alia reclos solum, alia modo obliquos. Ha
bent utrosque, ut luno Junonis; rectos modo,
ut luppiter^ MaspUer; obliquoslolucn, \xiIovis,
los^em. Noii ergo iu his csl aualogia.
XXVn. 5o. Nunc videamus io illa quadripar
tita. Primum si esset analogia in infeineiteis ar
ticulis, ut est quis quem quius^ sic dicerelur
qua quam quaius ; et ut est quis qui, sic dictr>
relur qua quae (oam est proportione simile), ut
deae bonae quae sunty sic dea bona qua est ; et
ut est quem quiSy sic ques ques : qaare quod
nunc dicilur qui homines^ dici oportuit ques.
XXVili. 5f. Praeterea, ut est ab is ei, sic ab
ea eae diceretur, quod nunc ilicitor ei; prootto-
liaretur ut in iis sic eis mulieribus ; et ut
est in rectis casibus is ea, iu obliquis esset eius
eaius^ Nunc non modo in virili, siculio muliebri,
dicitur e/i/^,sed etiam io neutris articulis, ut iW
i^/W, eitts mulieris^ eius pabuli ; cum discrinji-
neutur in rectis casibus ix, ea, id. De boc genere
parcius atligi, quod librarios haec spiqoeiora in
diligentius elaturos putavi.
XXIX. 52. Ue aomina4ibus quae accedant
proxime a8 intinilam naturam articulorum atque
appellantur vocabula ut /, equus, eorum de
clinationum genera suot quattuor: unam nomi
nandi, ut ab equo equile; alteram casuale, ut ab
equo equum ; tertium augendi, ut ab albo albius ;
quartum minuendi, ut a cista cistula.
53. Primum genus, ut dixi, id eil cum aliqua
parte orationis declioata sunt recto caso vocabu-
U, ut a balneis balneator. Uoc fere triplicei ha
bet radices: quod et a vocabulo oritur, ut a vena
tore venabulum ; et a nomine, ut a Tibure Ti
M. TbB. Va RROHB, DBLI.A LINGUA LATINA.
CQcbe non . Dunque ue anche nel numero non
v analoga.
XXVI. 49 Cos, quanto ai casi, vediamo che
alcune voci hanno tanto i#retto, quanto gli obli
qui; ed altre invece hanno il solo retto, altre i
soli obliqui, lunoy per esempio, ha tutti i sooi
casi ; di luppiter e di Marspiter mancan gli obli
qui, di lovis il retto. Sicch non v" analogia
nemmeno rispetto ai casi.
XXVII. 5o. Vediamo ora se siavi partitamente
nelle quattro spezie di appellativi che abbiam
noverato. Cominciando dall'articolo indetnito ;
se vi fosse analogia, come dicesi nel maschile quis^
quem, quoius ; con nel femminile dovrebbe dirsi
qua, quamy quaius ; e come per la differenza
de'nnmeri i due nominativi maschili sono quis
e qui^ cosi, a voler seguire la proporzione, i due
femminili sarebbero qua e quae ; onde d pi
dee si direbbe deae bonae quae sunty e d'una
dea sola dea bona qua est. Similmente, se guar
diamo i casi, ai singolari quis e quem dovrebbe
ro corrispondere i plorali ques c ques ; sicch
avrebbe a dirsi ques homines^e non, come si
usa ora, qui homines.
XXVili. 51. Oltracci, come iV nel terzo caso
fa ei, cos il femminino ea dovrebbe far eae ;
e nel plurale, come degli uomini si dice iiV, cos
delle donne si dovrebbe dir eis ; e come i primi
casi sono is ed ea, cos i secondi vorrebbero es
sere tius ed eaius ; mentre il fatto che il me
desimo eius serve non solo al mascolino ed al
femminino, ma fn anche al neutro ; onde si dice
del pari eius viri^ eius mulieris ed eius pabuli ;
comech abbiavi per tutti tre i generi un nomi
nai ivo diverso. Ma in questo particolare non ho
voluto distendermi troppo, vedendo gi che i co
pisti, nel divolgar opera, non ti sarebbero fatta
coscienza di troncar parte di qneste spinose mi
nuzie, se non avessi troncala io.
XXIX. 52. Pei nomi in genere, qaelli che pi
s' accostano alla natura indefinita degli articoli,
sono i comuni, detti vocaboli; come, per esem
pio, ifomo, cas^allo. Questi hanno quattro ma
niere di declinazione ; una la denominativa,
come quando da equus^ che il cavallo, si deno
mina equile a stalla di cavalli ; un'altra la casua
le, come quando da equus si fa equum e simili ;
la terza aumentativa, onde da album., che sta
per bianco, si dice albius ci che in comparazio
ne pi bianco ; la quarta la diminutiva, per
cui da cista si chiama cistula la cestella.
53. La prima maniera, cio la denominativa,
, come ho detto, quando da qualche parte del
discorso s forma un vocabolo nel caso retto; per
esempio, quando da balneum.^ che il baguo, si
dice balneator il bagnaiuolo. perch tre sono
i 5
7
. TERtNTl VABRONIS
22%
burs ; et a verbo, ut a correndo curtor. In nul
lo borum analogiam sertari Tidebis.
XXX. 54. Primum cum dicatur ut ab ove et
flue o\>ile et suile^ tic a boTc bovile non dcilur;
et cum simile sii avis et ovis, neque dicitur ut
ab ave aviarium^h * ove oviarium, neque ut ab ^
ove ovUe^ ab ave avile 5et cum debuerit eue, ut
a cubatione cubiculum^ sic a leuione sediculum,
non est.
35. Quouiam taberna ubi venit viaum, a vino
vinaria^ a creta cretaria^ ab unguento unguen-
taria dicitur; si essent vocabula,
ubi caro venit carnaria, ubi pelies pelliaria, ubi
calcei calcearia diceretur ; non lanitna ac ptll-
suina et sutrina. Et sicut est ab uno uni, a tri
bui trni^ a quattuor tfuatrini; sic a duobus dui
d , non &1/1Xdiceretur : nec non nt quadrigae^
trigae., sic potius duigae quam bigae. Permulta
sunt huiusce geoeris, quae quoniam admonitos
perspicere potest, omitto.
XXXI. 56. Vocabula quae ab nominibus oriun
tur, si ab similibus nominibus similia esse debent ;
dicemus, quoniam gemina sunt Parma, Alba,
Roma, ut ^Parmenses^ Albenses % sic * Komen*
ses*; aut quoniam est similis Roma, Nola, Parma,
dicemus ut Romani.^ Nolani^ sic Parmani : et ul*
a Pergamo, ab Ilio similiter, Pergamenus^ Ilie-
nus; aut ut Ilius * et Ilia mas et femina, sic Per
gamus et Pergama vir et mulier: et quoniam si
milia nomina sunt Asia, Libja, dicemus Asiati
cos et Libyaticos homines.
XXXII. 57. Quae vocabula ducuolor a verbis
ut a scribendo scriptor^ a legendo lector^ haec
quoque non servare similitudinem licet videre ex
bis: cam similiter dicatur ut ab amaodo amator^
et ab salutando salutator et ab cantando canta
tor; et cum dicatur lassus sum metendo, ferendo:
ex his vocabula non reddunt proportionem, quo
oou ft ut messor et fartor. Mulla suoi item in
hac specie, in qoibos potius consuetudinem se
quimur quam rationem verhonim.
le parti dei discorso, da cni sogliono origioarfi
vocaboli ; aocbe qoesta maniera rdividesi in tre :
una quella de vocaboli originati da altri voca
boli, come venabulum da venator; la seconda
de' vocaboli originati da nomi proprii, come Ti
burs da Tibur; la lena de' verbali, cio dei voca
boli originali da verbi, come cursor da currere.
In nessuna di queste maniere vedrai osservata
analogia.
XXX. 54 E primieramente, se le stalle di
pecore e di pbrci si dicono, ovile una da ovi>,
suile altra da sus ; perch la stalla di buoi non
dicesi allo stesso modo bovile f Se avis ed ovis
sono vocaboli simili ; perch aviarium il serba
toio degli uccelli, ed ovile qot:] delle pecore ; anzi
che avile anche qoello, od anche qoesto avia
rium ? Se da cubare si chiam cubiculum il
luogo dove ci corichiamo ; perch non sedicu
lum^ dove sediamo ?
55. A quel modo che la bottega dove si vende
vino, detta vinaria ; e dove creta, cretaria ; e
dove unguento, unguentaria ; cos, se valeste
l'analogia, la bottega dove si vendono carni, sa
rebbe delta carnaria^ non laniena ; e dove si
vendono pelli, pelliaria^ non pellesuina ; e dove
calzari, calcearia^ non sutrina. E come i distri-
botivi cbe formiosi da mif, da tres^ da quat
tuor^ sono unit trini^ quatrini ; cos da duo si
farebbe non bini come dicesi quadri
gae e trigae^ cos direbbesi anche duigae e non
'bigae. Ma le anomalie di qoesta fatta sono molti-
sime : basta che n' ho fatto on cenno, perch cia-
scono le potr notare da s.
XXXI. 56. Venendo adunque a'vocaboli ori
ginati da nomi proprii, se dee aver luogo l'analo
gia, come quei di Parma e quei d'Alba si dicono
Parmenses e Albenses^ cos quei di Roma (poich
Parma^ Alba e Roma sdn nomi in tutto gemel
li) si diranno Romenses ; o poich gemelli son
Romat Nola e Parma^ come da quelli si fa Ro
mani e Nolani^ cos da questo si far Armani ; c
come da Pergamum Pergamenus^ cos da Ilium
dirassi llienus ; o come Ilius ed 7/ra, stante i due
sessi, cos Pergamus e Pergama ; e come Asia
tici quei d'Asia, cos Libratici si diran quelli di
Libia, perch Libya ed Asia son nomi simili.
XXX^l. 57. Quanto a'vocaboli originati da
verbi, quale scriptor da scribere^ lector da le-
gere^t che neppur essi stiano alla regola della so
miglianza, il puoi veder dagli esempli. Si fanno
pur similmente amator da amare^ salutator da
salutare^ cantator fla cantare ; e poi, tuttoch
siano tra loro simili metere e Jerre.^ si fa messor
dall' uno, c dalTallro non si fa fertor, E di questa
fatta ne abbiamo assai, dove seguiamo anzi uso
che la ragione lei verbo
339
DE LI NGUA LA I JNA LiB. Vl l L
a3o
58. Praeterea quom sini ab eaJem origine
erborum ?ocabula dissimilia superiorum, quod
simal habent casas et tempora, quo vocantur par
ticipia ; el multa sint cootraria, ut amor amo, seco
ecor : ab amo et eiusmodi omnibus fcrbis oriua
tur praesens el futurum, ut amans t\. amaturus ;
ab eis verbis tertium quod debet fingi praeteriti,
in lingua Latina reperiri non potest. Non ergo
est analogia. Sic ab amor, legor el eiusmodi ver
bis vocabulum eius generis praeteriti temporis
fil, ul amatus eram,sura, ero; neque praesentis
et futari ab his fit.
59. Non est ergo analogia ; praesertim quod*,
curo tantus numerus vocabulorum in eo genere
interierit quod dicimus, in his verbis quae con
traria non habent, loquor et vtnor^ tamen dici
mus loquens et venans^ locuturus ei venaturus^
quod secundum analogias non est ; quoniam di
cimus loquor et venor : unde illa erant supe
riora, ea minus servantur. Quid, cum ex his quae
contraria verba non habent, alia efficiunt terna,
ea quae dixi ; alia bina, ut ea quae dicam, cr-
rens ambulans^ cursurus ambulaturus ? tertia
cnira praeteriti non sunt^ ut cursus sum, ambula
tos sum.
60. Ne in his quidem, <{uae saepius quid fieri
ostendunt, servatur analogia; nam ut est a can
tando cantitanSy ab amando amitans non est, et
sic multa. Ut in his singularibus, sic in multi ludi-
ois; sicut enim cantitanteSy sedilantes non di
cuntur.
XXXIIL 61. Quoniam est vocabulorum ge
nas, quod appellant compositilium, el negant
conferri id oportere cura simplicibus, de quibus
adhnc dixi ; de compositis separalim dicam. Quom
ab tibiis et canendo tibicines dicantur, quaeruui,
si analogias sequi oporteat, cur non a cillia: ; r{
psalterio et pandura dicamus citharicen el sic
alia : si ab aede et tuendo aeditumus est, cur non
ab atrio et luendo* potius atritumus sit quam
atriensis. Si ab avibus capiundis auce/i# dicatur,
deboisse aiunt ex piscibus capiundisi at aucupem^
sic piscipem dici.
58. V' ha un'altra maniera di vocaboli, simili
a questi per ci che anch* essi sono originati da
verbi, ma diversi in ci che olire a' casi hanna
auche tempi, e per chiamami participii. Di que
sti, siccome tre sono i tempi, cos tre dovrebl^ro
ftser le forme in ciascuna delle due voci contra
rie che hanno luogo nella pi parte le' verbi, cio
tanto neirattiva che nella passiva. Ma il fatto sta
che in tulli i verbi attivi noi non ne troviamo che
due, una di tempo presente come amans^ Taltra
di tempo futuro come amaturus; la terza forma
che serva al passato, nella lingua latina non si sa
trovare; onde non v' analogia. E peggio net
passivi, dove non bassi che un participio solo, e
questo di tempo passato, come da amor, amatus;
il presente in vece e il futuro vi mancano affatto
contro ogni debito d'analogia.
59. Tanto pi apparir non euervi analogia,
quando s consideri che, mentre in questo genere
di verbi, di cui parliamo, mancano tanle forme;
air incontro in loquor venor^ che non hanno la
corrispondente voce contraria, diciamo tutlavib
loquens e venans^ locuturus e i^enaturus^ che
son fuori di regola, perch i verbi sono loquor e
i>e/ior, n si conservano pi loquo e t^e/io, da cui
cadrebbero le dette forme. Che an^ questa manie
ra di verbi, che ha una sola voce, tanto pi di-
partesi dalPanalogia, quanto che alcuni fanno tre
participii, come quei che ho detto, ed altri soltan
to due, come quei che dir ; verbigrazia curro ed
ambulo^ che fanno currens cursurus^ ambulans
ambulaturust ma non gi cursus ed ambulatus
che sarebbe la terza forma pel tempo passato.
60. E in que che dtconsi frequentativi per
ci che dinotano il frequente ripetersi detrazione,
osservata forse Tanaloffia ? Bench da cantare
si faccir CA/i/i7a/ix^ da amare si fa egli amitans^
e tanl' altri simili? O ha luogo almeno l'analogia
nel plurale, cosicch quelli che stanno spesso se
duti si possano dir seditantes^ come cantitantes
s dicono quei che cauticchiano ?
XXXIII. 61. V' ha un'altra sorta di vocaboli
che s' addomandan composti ; i quali poich non
vuoisi ch'abbian riscontro co'semplici di cui ho
finora parlato, consideriamoli pure separatamen
te. Dimandasi adunque per qual ragione, le dee
tenere I' analogia, si chiami tibicen^ da tibia e
canere^ il sonatore d tibia ; e non si chiami simiU
mente citharicen il sonatore di cetra, e con la
stessa regola quel di salterio, quel di pandura.
Perch, se aeditumus^ da turi aedem^ il guar
diano del tempio ; il guardiano delP atrio non sia
anch' esso atritumuSy non atriensis. Se uccel
latore, da capere as^es cio dal pigliare gli uc
celli, si disse auceps ; chi piglia i pesci non era
ragione che si dicene pisciceps?
93 . TERENTI VARRONIS a32
6a. Ubi lavetur aet aerarias^ uon aerilavinas
nominiri, ut ubi foJiaiur, * aerijodtnas : ubi fo
diatur* argentum, argentifodinas Jici ; iiequc
ubi fodiatur ferrum, ferrifodinas: qui lapides cae
dant, lapicidas ; qui ligna, Iignicidarnon dici:
Dcqoe ut ai/r^cem, sic argentificem: aon doctuitf
dici indoctum non salsum insulsum, Sic ab hoc
qooque fonte quae profluant, animadvertere est
facile.
XXXIV. 63. Relinquitur dc casibus, in quo
Aristarchei suos contendunt nervos.
XXXV. Primum si in his esset analogia, di
cam debuisse omnes nominatas et articulos ha
bere totidem casus; nunc alios habere unum so
lam ut literas singulas omnes ; alios tris, ut prae
dium praedii praedio ; alios quattuor, ul mei
mellis melli meile ; atios quinque, ut Quintus
Quinti Quinto Quintum Quinte ; alios sex, ut
unus unius uni unum ime uno: non esse ergo
in casibas analogias.
XXXVI. 64. Secando, qood Crates, quor
quae singulos habent casus, ut literae Graecae,
non dicantur alpha alphati alphalos. Si idem mihi
respondebitur quod Crateti, non esse vocabula
noatra, sed penitus barbara ; quaeram quor idem
nostra nomina et Persarum et caeterorum, quos
Tocant barbaros, curo casibus dicant.
65. Quare, si esset analogia, aul, ut Poenicum
et Aegyptiorum toeabula, singulis casibus dice
rent, iut plaribas, at Gallorum ac caeterorum ;
nam dicunt alauda alaudas^ et sic alia. Sin,
quod scribunt, dicent, qnod Poenicum sint, sin
gulis casibus ideo eas litteras Graecas nominari;
tic Graeci nostra senis casibus, qinis non dicere
debebant: quod cura non faciunt, non est ana
logia.'
XXXVII. 66. Quae si esset, negsnt ullum ca-
eum duobus modis debuisse dici; quod fit ron-
tra. Nam sine reprehensione volgo alii dicunt in
singulari hac os^i et ai^i, alii hac oi>e et ave; iu
iDultitudinis hae puppis^ restis^ et hat puppety
restes. Item quod in patrico caso hoc genus dis
pariliter dicuntur diritatum^ parentum^ et civi
tatium. parentium ; in accusandi hos montes^
fonttSy et hos montis^ fontis.
6a. Andiamo innanzi. 1 luoghi, ove purgasi il
rame, si dicono aerariae : perch non aerilavi
nae, come aerifodinae quelli in cui caTasi?
gentifodinae son le miniere d argento: perch
non ferrifodinae quelle di ferro? Se lapicida
chi taglia pietre, perch non dir lignicida ii ta
glialegna? Se aurifex si chiam l orefice, perch
non argentifex argentiere? Formare indoctus
da non doctus^ e da non salsus formare inxii/-
xux? Anche ne vocaboli che sgorgano da questo
fonte, chiaro adunque die non vale proporzione.
XXXIV. 63. Resta a dire de* casi : e qui dove
gli ristarchii si mettono coll'arco dell'osso.
XXXV. Se vi fos.se analogia ne'casi, diro io
loro primieramente, tutti i nomi io genere, tulli
gli articoli dovrebbero averne il medesimo nu
mero : ma ftto sta che alcuui ne hanno un solo,
come lutti i nomi delle lettere; altri ne hanno tre,
come praedium praedii praedio; altri quattro,
come mel mellis melli meile ; quali cinque, come
Quintus Quinti Quinto Quintum Quinte ; e
quali sei, come unus unius uni unum une uno:
onJech ne'casi non v' analogia.
XXXVI. 64. In secondo luogo domander an-
c h ' i o con Cratete, perch quelle Toci che hanno
un solo caso, come le lettere greche, non si decli
nino in vece al modo deH'altre ; per esempio, aU
pha^ dlphatos^ lphati. Se r t i sar risposto, co
me a Craiete, che non sono voci nostrali, ma al
tutto barbare ; chieder loro onde sia che altre
voci, tuttoch persiane o d altra barbara favella,
si variano per casi come le nostre.
65. Se vi fosse analogia, o si terrebbero tutte
per indeclinabili, come i nomi fenicii ed egiziani ;
o tulle per declinabili, come i nomi de'Galli e
degli altri popoli, dacch dicesi in fallo alauda
di una sola allodola, e alaudae di pi. Se mi di
ranno, come Icggesi ne'loro scritti, che i nomi
delle lettere greche non hanno pi d una termi
nazione, perche soii fenicii; io risponder che a
qucslo modi3 anche I Greci nel rendere i nomi
nostri, avrebbero dovuto usare di sei casi, e non
gi di cinque : ci che per altro non fanno. Dun
que non v' analogia..
XXXVII. 66. S ' ella vi fosse, un caso stesso
non dovrebbe avere pi che una desinenza. Pare
non cos ; ch lablativo di ovis e d ' avis chi il
fa uscire in i, echi in e, a suo piacimento; e
nessuno ha che ridire: cosi nel nominativo plu
rale chi (lice puppis e chi puppes^ chi restis e
chi restes. Ka medesima incostanza nel geniti
vo plurale di questa spezie di nomi, dicendosi
indiiTerentemente civitatum e civitatium^
rentum e parentium ; come pure nell' accuM-
tivo, che tanto montes^ fonteSy quanto montiSy
fontis.
233 DE LINGUA LTlN LIB. Vili. 234
XXXVIII. 67. Item cura, fi t( aoalogia, de
beant ab siroilibus verbii imililer declinatis simi
lia fieri) et id non fieri ostendi possit; despicien
dam eam esse rationem. Alqai ostenditur ; nam
quid potest similius esse quam gens^ mens^ dens?
quom horum casus patricus et accusativus in mul
titudine sint disparilis; nam a primo gtntium
et gentis, utrobique ut sit 1 ; ab secundo men
tium et mentes^ ut in priore solo sil 1 ; ab tertio
dentum et dentes^ ut in neutro sit 1.
68. Sic itero, quoniam simile est recto caso
sciurus^ lupuSy lepus, rogant quor non dicatur
proportione sciuro, lupo, lepo. Sio respondeatur
similia non esse, quod ea vocemus dissimiliter
sciure, lupe, lepus (sic enim respondere voluit
Aristarchus Crateti: nam, cum scripsisset similia
esse Pbilomedes, Heraclides, Melicertes, dixit non
esse similia ; in vocando enim cum L brevi dici
Philomedes, cum longo Heraclide, curo A brevi
Melicerta ) ; in hoc dicunt Aristarchum non in-
lellixisse quid quaereretur, sic eum solverit.
69. Sic enim, ut quidque in obKqais casibus
discrepavit, dicere potuit propter eam rem rectos
casus non esse similis : cum quaeratur duo inter
se similia sint necne, non debere extrinseeos as-
umi cur similia sint.
70. Item, si esset analogia, similiter ut dicunt
e w , Oi^eSysues^ dicerent item et avium, ovium,
suium. Si analogia est, iuquit, cur populus dicit
dii Penates^ dii Consentesy cum sit, ut hic reus,
ferreus, deus, sic hi rei, ferrei, dei 7
71. Item quaerunt, si sit analogia, cur appel
lant omnes aedes deum Consentum et non deo
rum Gonsentium Pitem quor dicatur miile dena
rium^ non mille denariorum ? Est enim hoc vo-
cabolum figura, ut Vatinius, Manilius, denarius ;
debet igitur dici, ut Vatiniorum, Manilioruro, de
nariorum: et non equum publicum mille assa
rium esse, sed mille assariorum ; ab uno enim
assario multi assarii, ab eo assariorum.
72. Ilem secundum illorum rationem debemus
secundis syllabis longis dicere Hectorem^ l'iestd
rem ; est enim ut quaestor, praetor, Nestor ;
quaestorem, praetorem, Nesto"rem ; quaestoris,
praetoris, Ncsto~ris. bt non debuit dici quibus das,
quis das ; est enim ut hi qui, his quis, aut sicut
quibos hibos.
XXXVIII. 67. Inoltre, se avcue luogo ana
logia, da voci simili, declinandole, com'essa vuol,
similmente, dovrebbero uscir forme simili. Che
se pu farsi vedere che ci non avviene, vorr
dire che non si declinano similmente e che non
tiene la regola. Ora il fatto lo dice; poich quali
voci potrebbero esser pi simili che gens^ mens
e dens ? pure nel secondo e nel quarto caso plu
rale discordano; poich dalla prima si Ugentium
e gentiSy ambedue con 1; dalla seconda men
tium e mentes^ uno con 1, Paltro no ; dalla terza
dentum e dentes^ ambedue senza.
68. Parimente, essendo simili nel caso retto
seiurus^ lupus e lepus ; ond che non fanno
similmente sciuro^ lupo e lepo Si risponder
forse che questi non son vocaboli simili, perch
differenziano nel vocativo, che sciure e lupe
ne' primi, lepus nel terzo. Tal fu la risposta, con
cui Aristarco si credette di turar la bocca a Cra
tete, rimproverandogli d' aver chiamato simili i
nomi Philomedes^ Heraclides^ Melicertes; men
tre, diss egli, escono diversamente nel vocativos
il primo in S con breve, il secondo in lun
ga, il terzo in A breve. Ma che dicono i Gratesii ?
Che Aristarco non intese la quistione, quando la
sciolse cos.
69. Poich a questo modo basterebbe qualun
que differenza de casi obliqui per togliere la so
miglianza de retti. Quando s* ha a vedere se due
Cose sieno simili o no, le somiglianze o le diffe
rente s' hanno adunque a cercar di fuori P
70. Se vi fosse analogia, come apex, oveJ, suts,
cos direbbesi similmente anche asfium^ oviutn^
suium; n andrebbe per tutte le bocche dii Pe
nates^ dii Consentes^ in iscambiodi dei; mentre
deus come reus e ferreus^ che ntl plurale fan
no rei t ferrei.
7i. Ond , continuano a domandare, che i
tempii degl dei Consenti si chiamano da tutti
aedes deum Consentum^ e non deorum Consen-
tium ? che on migliaio di denari, tutti il dicono
mille denarium^ non mille denariorum ? Se va
lesse TOnalogia, come da Vatinius^ Manilius si
fa Vatiniorum^ Maniliorum ; cos da denarius
che della medesima forma, si farebbe denario
rum ; n direbbesi mille assarium per significa
re la somma data dal pubblico pel cavallo, fna
bens mille assariorum ; perch da assaritis
cade il plurale assarii^ di qui assariorum.
72. Aggiungono che, chi volesse stare alla
dottrina degli Aristarchii, dovrebbe dirsi Hecto
rem, Nestrem^ allungando la seconda sillaba ; e
cosi via negli altri casi obliqui, seguendo il modo
di quaestor e praetor, a cui sono simili. N do-
vea farsi da quis il terzo caso plurale tanto quis
che quibus ; perch, esseodo simili i doe pronomi
a35
. TKRENTI VARRONIS a36
73. Qaom iJicalur caiu palrico familiae^ si
analogias seqai vellent, licere non debuerunt hic
paterfamilias ; quod est ot Aliniae Scaliniae la-
miliae, sic una AUnia Scatinia familia, llem plu-
res patresfamilias dicere non debuerunt, ied,
ut Sisenna scribit, patres familiarum.
74. Neque oportebat consuetndinem natare,
lios dicere boum greges, alios hoverum ; et si
gna alios ioum, alios Jove rum : cum esset, ut
lovis, bovis, struis; et Io?em, bovem, struem;
lofi, bovi, strui. Nec, cum haec convenirent in
obliquis casibus, dubitare debuerint in rectis, pro
quibus nunc in consuetudine aliter dicere, pro
lous Inppiter, pro bous bos, pro struus strues.
XXXIX. 75. Deinceps dicam de allero genere
vocabulorum, in quo contentiones fiunt, ut a/-
5fim, albius^ albissimum ; in quo item analogias
non servari apparet. Naro cum sit simile salsum,
caldum, et dicatur ab his salsius, caldius^ sal
sissimum^ caldissimum ; debuit dici, quoniam
simile est bonum, malum, ab his bonius el malius,
bonissimum e\ malissimum. Nonne dicilur ho~
num^ melius, optumum ; malum^ peius pessi
mum
76. In aliis verbis nihil deest, ut dulcis dul
cior^ dulcissimus ; iii aliis primum, ut peium,
peius^ pessimum ; in aliis medium, ut caesior
caesiusy caesissimus. In aliis bina sunt quae de
sint ab eadem voce declinata, et ea ita ut alias
d^int srcundum et tertium, ut in hoc mane ma
nius manissime ; alias ut duo prima aluinl, ut ab
optimum optius optum ; alias ut primum et ter
tium desit, ut a melius melum meliuimum.
77. Praeterea si dicerentur similiter, cum si*
milia essent macer sacer tener el macerrimas sa
cerrimus tenerrimus, non discreparet in hfs ma
crior et magis sacer et tenerior ; neqoe alia tri
syllaba, * alia quadrisyllaba * fierent. Et si in his
dominaretur similitodo, diceremus, ut candidis
simus candidissima, pauperrumus pauperrima, sic
candidas candida, pauper paupera ; et ut dicimus
doctos docta, doctissimus doctissima, sic dicere
raus frugalissimus frugalissima, frugus et fraga.
78. t si proportione essent verba, ut uno
vocabolo dicimus virum et mulierem sapientem
hi e 71/1, analogia voleva che si dicesse guis
come /li/, hibus come quibus.
73. N dovea dirsi paterfamiliasy quando il
genitivo familiae^ come Atiniae, Scatiniae^
perch sono simili i nominativi familia^ Atinia^
Scatinia: e nel plurale, se volea seguirsi analo
gia, meglio che patresfamilias^ era il dir con Si
senna patres familiarum.
74. N doveva ondeggiare la consuetudine, si
che delle mandre chi dicesse greges boum e chi
bosferum; delle statue di Giove chi signa loum
e chi loverum ; mentr' era aperta analogia in
/0W15 bovis struis^ lovem bovem struem^ lavi
bovi strui. E convenendo questi nomi ne* casi obli
qui, non si potea dubitare anche de' retti ; ove ora
Tusoli ha dilungati un dall'altro, dicendo luppi
ter in vece di Jous^ e bos per bous^ e strues in
iscambio di struus.
XXXIX. 75. Dir ora, seguitando, di quel
li altro genere di vocaboli, in cui fannosi compa
razioni; come album^ albius^ albissimum; ed
anche io questo vedrassi che non mantenuta
analogia. E di vero, se da salsun} e caldum si
trae pei gradi superiori salsius salsissimum^
caldius caldissimum ; anche da bonum e malum^
che sono lor simili, si dovea trame bonius e ho
nissimumy malius e malissimum. Ma forse che
non diciamo in vece bonum melius optimum^
malum peius pessimum
76. In alcune voci non manca nestuno di que
sti tre gradi, come in dulcis dulcior dulcissi
mus ; in altre o manca il primo, come peium a
peius e pessimum^ o quel di mezzo, come cee-
sior a caesius e caesissimus ; in altre ne man-
can due, come a mane il secondo e il terzo, ad
optimum il primo e il secondo, a melius il primo
c il terzo.
77. Senzach, se nel declinare i vocaboli per
questi gradi valesse lanalogia, essendo simili i Ire
addiettivi macery sacer e tener, e di pi simili i
loro superlativi macerrimus^ sacerrimus e te
nerrimus ; non s ' avrebbe poi questa ditconve-
nieiiza che di sacer mancasse il comparativo sem
plice, e negli altri due si formasse differentemen
te : cio IrifilUbo, siccome maerior^ nell* ano ;
quadrisillabo, com' tenerior^ nell* altre. Pari
mente se valesse la proporzione, come ai superla
tivi candidissimus e candidissima^ per la difle-
renxa de'sessi, corrispondono i due positivi can
didus e candida, cosi a pauperrimus e pauper
rima dovrebbero corrispondere pauper e pau
pera ; e come frugalissimus e frugalissima^ cos
direbbesi anche frugus e fruga.
78. in quella guisa che una termioazionc
sola serve al maschio e alla femmina quando s' ha
237
DE LINGUA LATINA LIB. Vili. a38
et diligentem, et sapieniiorem et diligeotioreiii ;
tic ^dicercnao ilem cam perrenisserDas ad sum
mam, qaod ouDc factmos aliter ; nam Trum dici
mus sapientissimum et diligentissimum, (emi
nam sapientissimam tV diligentissimam. Quod
ad Tocabulorom huius generis exempla perlinet,
mulla sunt reliqna : sed ea qnae dicta, ad iudi-
candum salis sunt quod analogias in collatione
Tcrbomm seqni non debemns.
XL. 79. Alagnitndinis yocabala cum possint
esse terna, ut cista cistula cistella ; in aliis me
dia non sunt, ul in his : macer macriculus me
cellttS^ niger nigriculus nigellus. Item minima
in quibusdam non sunt, ut avis avicula a?icella,
caput capitulum capitellum. In boc genere ?o-
cabulorom quoniam multa desunt, dicendum noo
esse in eo potias sequendam, quam consuetodi-
oem, rationem. Quod ad vocabulorum genera
qoatuor pertinet, ut in hoc potius consuetudinem,
quam analogias dominari facile animadverti possit,
dictam est.
XLI. 80. Sequitur de nominibus, quae dlfle-
runt a vocabulis ideo quo<l sunt finita ac signifi
cant res proprias, ot Paris^ Helena; quom voca-
bala sint infinita ac res communis designent, ot
v/r, mulier. E quibas sant alia nomina ab nomi-
nibas, ut Ilium ab Ilo, et Ilia ab Ilio; alia a
vocabolo ut ab albo Albius^ ab atro Atrius, In
neutris servata est analogia.
8t. Nam et cum sit a Romalo Roma^ propor
tione non est quod debuit esse; et * Perperna mu
lieris nomen esse debiiit et nata esse a Perperno ;
quod est, at Arvemus Percernus, Perpernus; Ar-
erna Percerna, Perperna. Quod si Marcus Per
perna virile est nomen, et analogia sequenda ;
Lucius Aelia et Quintus Mutia virilia nomina esse
debebant.
8a. Itera quae dicant, ab Rhodo Andro Cy-
zicOf Rhodius Andrius Cyticenus^ similiter Gj-
licios debuit ; et civis unusquisque, non ut Ae-
naeus dicitur rhetor nomine, etsi non sit Athe
niensi). In hoc ipso analogia non est, quod alii
noroen habent ab oppidis, alii aut non habent aut
nciti, ut debent, habent.
a dire sapiente o diligente, ed altres in compara
zione altrui pi sapiente e pi diligente ; cos, se
le parole serbassero la voluta proponione, anche
quando viensi al supremo grado, non direbbesi
diversamente del maschio e della femmina, jo-
pientissimus e diligentissimus uno, sapien
tisima e diligentissima altra. Molti esempi po
trei aggiungere per questa fatta di vocaboli : ma
i pochi, che ho recato, mi paiono assai perch si
debba inferirne che neppur nei gradi di compa-
raxione non da seguire analogia.
3JL, 79. Tre diversi gradi possono aversi an
che nel quarto modo d declinazione, che abbia
mo detto diminutivo ; quali vediamo in cista ci
stula cistella, Pnre in alcuni vocaboli non tro
viamo che il primo ed il terzo grado, come in
macer macellus^ niger nigellus ; ch macricu
lus e nigriculus non dicesi : in altri il primo e* il
^condo, come in avis avicula^ caput capitulum;
non per il terzo, che sarebbe avicella e capiteU
lum. Ondech difettando di tante voci, anche in
questa filiazione de* vocaboli non potr dirsi che
vi si debba pigliare a guida la ragione pi presto
che uso. E poich il medesimo s'era prima di
mostrato degli altri tre modi di declinazione^che
possono aver luogo ne' vocaboli ; amai chiarito
abbastanza che universalmente ne'vocaboli signo-
reggia uso pi che analogia.
XL1. 80. Veniamo a'nomi proprii che diffe
riscono da'vocaboli, cio da'nomi comuni, in
questo che sono determinati e proprii d' solo
particolare, come Paride^ Elena ; dove i vota-
boli sono indeterminati e comuni a un'intera spe
cie, come uomo e donna. De' nomi proprii a|^
sono originati da altri nomi proprii, come Ilium
da 7/i/i, llia da Ilium ; altri da vocaboli, come
Albius da albus^ Atrius da ater. Ora in nessu
na di queste due specie conservata analogia.
81. Perocch lo stesso nome di Roma^ ve
nendo da quel di Romolo, non quale il doman
da l'analogia; e Perperna avrebbe dovuto essere
nome di donna, e Perpernus dirsene il padre,
con la distinzione medesima che fra Arvernus
e Arverna^ Percernus e Percerna. Che se ilfor-
cus Perperna nome di maschio ; perch non
diremo del pari, quando s* ha da stare all'analo
gia, e Lucius Aelia e Quintus Mutia^ priando
di maschi?
8a. Cos, quando da Rodi, Andro, Cizico, si
d ad alcuno il nome di RhodiuSy Andrius^ Cy-
%icenuSy analogia vorrebbe che si dicesse Cyu
cius ; e che si nomasse a questo modo da' luoghi
solo chi n' cittadino, non come il retore Ateneo
che col nome si dice ateniese, e non . Ma non
v' ha costanza n anche in questo che le persone
piglino il nome da' luoghi ; perocch altri il
a39 . TERENTI VARR. DK LINGUA LAT. LIB. VllI. a4 o
83. Uabenl plerique liberliDi a municipio mi-
tiumifsi ; in quo, ul socielalum, et fanorum servi
non servarunt proportionem. Ratione et Rorot-
norum liberti debueruot dici, ul a Faventia Fa-
ventinuSf ab Reate Reatinus, lic a Roma Roma-
QUi ; ut nominautur, e libertinis, orti publicis
serris, Romani^ qui manumissi ante quam sub
magistratuum nomina, qui eos liberarint, su<ce
dere coeperint.
84. ilinc quoque illa nomina Ltsat^ Uftnas^
Carinae^ Maecenas^ quae, cura esient ab loco
ut Urbinai, item Arpinas, ab his debuerint dici
ad nostrorum nominum similitudinem. . .
Hic spatium I U I chartarum relictum
erat in exemplari.
pigUaoo altronde, 0 que' che il piglian da' luoghi,
no fanno sempre debitamente.
83. Traggono il nome dal luogo i pi de' li
berti affrancali da' municipii : ma vanno fuori di
questa regola i servi de' tempii, come quelli delle
societ. Secondo l analogia, anche i liberti de Ro
mani avrebbero dovuto ricevere similmente da
Roma il nome di Romanus^ come ricevono gli
altri, da Faenza quello di FaventinuSy da Rieti
quello di Reatinus. Ma qui nou tiene questa re
gola, se non nei fgli di pubblici servi affrancali
prima che incominciasse uso di por loro i nomi
de'*m*gistrati, da cui hanno la libert.
84. Ond anche i nomi Laenas^ Uftnas^ Ca
rinas, Matcenas ; essendo questa desinenza di
patria, come in Urbinas^ Arpinas ; dovrebbero,
secondo analogia de' nostri nomi, derivare dai
luoghi. Pur ci non
Qui erano nelt esemplare quattro carie
lasciate in bianco.
. TERENTI VARRONIS
DE LI NGUA LATI NA
AD . TULLIUM CICERONEM
LIBER NONUS.
------------
I. 1................. neteioDt docere, quam dfteere
qae igDoranl. In qoo fuit Crates nobiKf fram-
maticos, qai fretui Crjtippo, homine acotininio,
qui reliquit sei libro# nrff/ vofMaXim^ hit libris
contra camXvyt'a alqoe Aristarchoro est oixos;
icd ita, ut scripta indicant eius, nt neatrhis -
deatur pervidisse TolnnlaCeni: quod et Crysip^
pus, d inaeqnabiliute cum scribit lermonis, pro-
positnm habet ostendere stmiles res dissiaiHibas
erbia t similibus dissimiles esae focabnlis nota
ta, id quod est TCrum ; et quod Aristarchos, de
aequabiKtate cnro scribit et de Terbomm similitu
dine, qaomndam indinationes sequi inbet, quotd
pntiatar oonsueludo.
a. Sed ii qui in loquendo partim sequi inbent
ooe consaetndinem, partim rationem, non tam
discrepant; quod consuetudo et analogia conim-
ctiores sunt inter se, quam iei credunt.
3. Qood est nata ex quadam consuetudine
analogia, et ex hac consuetudo, ex dissimilibus et
similibos verbis, eorum quod declinationibus
constat; neque anomalia neqne analogia est re-
podiaoda, nisi si non eti homo ex anima, qood
est homo ex corpore et anima.
4. Sed ea quae dicam quo facilius pervideri
potsiof, prius do tribus copulis discernendum ;
nam con eonfusim. ex utraqoe parte pleraque
dicantur, quorum alia ad aliam referri debent
BH. T i i . Vaieohs, dbl l a l iwgva l at ina.
I. 1...................Hannovi alcuni, i quali, innan-
xi che apprendere, vogliono farti maestri di quel
che non tanno. Di qnetto numero fu Cratete,
grammatico di gran nome, che da' sei libri lascia
tici su P anomalia da qnelf acutissimo ingegno
cbe fu Crsippo, prese baldanza a combattere Ari
starco e analogia, senza bene intendere ( e ne
fanno fede i suoi scritti ) che cosa volesse n un
n altro. Poich Crisippo, parlando delP inco
stanza delh lingua, si propone di far vedere che
ci ha cose simili contrassegnate con voci distimili
e cose diuimili contrassegnate con voci simili,
ci eh' verissimo ; ed Aristarco, ove tratta della
costanza e della conformit delle voci, vuole che
le desinenze d'alcune siano di norma per altre,
in quanto il comporti uso.
a. Or chi prescrve che nel favellare debba
starsi alPuto, non poi tanto diverso da chi vi fa
guida analogia ; che analogia ed uso sono pi
strelti fra loro, eh'altri non pensa.
3. Perch da un talquale uso nata analo
gia, e dair analogia nasce Tuso, per quanto ha di
costanza nella declinazione delle parole, parte si
mili, parte dissmili ; e il rigettar dalla lingua o
V anomalia o analogia, sarebbe quanto negare
che Tuomo abbia anima, per ci che ha unita
mente anima e corpo.
4. Ma perch sia pi facile andare al fondo di
quel eh' io dir, convien prima distinguere quanto
a tre doppi rispetti, che pu aver la quistione;
poich trattandola, come suol farsi, confusamente,
16
. TERENTI VABRONIS
44
gummam. Prtronm de copulii oalurae ei utuis;
haec enim duo sunt qoae exigunt di?erta, quod
aliod esse dicere Terborom analogias, aliud dicere
uti oportere analogiis: secundum de copulis mul
titudinis ac finis, atrum omnium verborum dica
tur analogiarum usus an jnaioris partis : tertium
de copulis personarum qui eis debent uti, quae
sunt plures.
5. Alia enim populi oniTcrsi, alia singulorum;
et de ieis, non eadem oratoris et poetae ; qood
eorum non idem ius. Itaque populus uniTersus
debet in omnibus Terbis uti analogia et, si perpe
ram est consuetus, corrigere se ipsum, quom ora
tor non debet in omnibus uti, quod sine offensio
ne non potest, cum poetae transilire lineas impune
possint.
6. Populus enim in sua potestate, singuli in
illius ; itaque ut suam quisque consuetudinem, si
mala est, corrigere debet, sic populus suam. go
populi consuetudinis non sura at dominas, at ille
meae est. Ut rationi obtemperare debet guberna
tor, gubernatori unusquisque in navi ; sic popa-
lus rationi, nos singuli populo. Quare ad qusm-
cnnque summam iu dicendo referam, si animad-
Tertes, inielliges, utrum dicatur analogia esse an
uti oporteret redigeretur, dici id in populum ;
aliter, ac non de omnibus, dici in eum qui sit in
popolo.
II. . Nunc iam primum dicam pro universa
analogia, cur non modo videatur esse reprehen
denda, sed etiam quor in usu quodammodo se
quenda. Secundo de singulis criminibus, quibus
rebus pouint quae dicta sunt contra solvi, dicam
ita at generatim comprehendam et ea quae in
priore libro sunt dicta, et ea quae possunt dici
atqne illic praeterii.
III. 8. Primam quod aiunt, qui bene loqui
velit, consuetudinem seqai oportere, non ratio
nem similitadinum ; qaod alteram si neglegat,
sine offensione facere non possit; alterum si se
quatur, quod sine reprehensione non sit futurum ;
errant, quod qui in loquendo consuetudinem qua
oportet ati, sequitur, non sine ea ratione.
IV. 9. Nam vocabula ac verba quae declinamus
similiter ac in consuetudine esse videmus, et ad
eam conferimns et, si quid est erratum, non sine
si accumulano dagli uni e dagli altri molte partite
spettanti a conti diversi. La prima distinzione e
fra natura e pratica, le quali due cose portano
esigenze molto diverse; ch altro dire: V' ana
logia nelle voci; ed altro il dire: Bisogna attener
visi nella pratica. L altra distinzione ragguarda il
numero e i limiti ; cio se analogia voglia esten
dersi a tutte le parole, o basti alla maggior parte.
Il terzo rispetto quello delle persone che han
no a uure ; perch anche queste possono esser
diverse.
5. Altro il comune, altro l'uomo in pertico^
lare ; e questo, non indifferente che sia oratore
o poeta, Tulli han diritti diversi : al comune sta
di seguire Panalogia in tutte le vod, e se malav
vezzo, correggersi ; oratore no *1 dee fare in
tutte, perch no pu senza carico; bens al poeta
concesso di passare i trmini.
6. Il comune in fatti psdron egli del atlo
suo 0 di quel d' ogni individuo; ed a qoel modo
che dover di ciascuno di mettersi nella buona
via, se n' fuori, cosi dee fare anche il comune.
Ma io non ho alcun diritto su oso del comune ;
bens il comune sul mio. Come in una nave cia
scuno deve ubbidire al piloto, e il piloto alla ra
gione ; cos alla ragione deve ubbidire il cornane,
ed al comune ciascun di noi. Laonde, sebben io
ragionando non mi dar la briga di dichiarare
per ogni partita in qual conto si debba mettere,
ti sari facile intenderlo, se porrai mente che ogni
qual volta si dice : V' analogia ; o. Si dee fare
cos e cos^ sicch siavi ; si dice questo rispetto al
comune, non a ciascuno di quelli che ne fan parte,
pei quali da dire diversamente, e noli lo stesso
per tutti.
II. 7. Ora tempo eh' io tolga prima ad
esporre ci che fa universalmente a favore del-
analogia, mostrando che a torto le si da biasimo,
mentre anzi la pratica le si dovrebbe in certa guisa
acconciare. Passer poi alle varie accuse speciali,
e far vedere di ciascheduna con qunli argomenti
possa sventarsi, abbracciando genere per genere
tutto ci che ho detto nell* altro libro ; e qualche
altra cosuccia che poteva dirsi e non dissi.
III. 8. Chi vuol rettamente parlare (di qui
comincian costoro ) dee seguire usanza, non la
ragione de'simili ; perch non potrebbe n dipar
tirsi da quella senza corraccio dei pi, n abban
donarsi a questa senza cadere in censure. Ma stan
no in errore ; perch in effetto chi nel parlare va
dietro a quel giusto uso che si dee seguire, non
pu non ricorrere insieme alla ragione de* simili.
IV. 9. Perocch, quando decliniamo nn nome
od un verbo secondo che 1' aso ci par domanda
re, no ragguagliamo noi forse con la misara
45
DE LINGUA LATINA^ LIB. IX.
a4 6
fa corrigimui. Nam ut, qui Iricloiura contira
ruDt ti quem lectom de tribat unum iroparem
potuerant aut de paribut nimioin antparam pr
duxerunt, una corrgimua et ad oontuetudinein
communem et ad aliorura tricliniorum analogia! ;
tic ti quit in oratione in pronuntiando ita decli
nat yerba ut dicat ditparia, quod peccat redigere
debemut ad ceterorum timilium Terborum ra
tionem.
V. 10. Cum duo peccati genera tini declina
tionum, unum qod in contuetudinem perperam
recepturo ett, alternm quod nondum ett et per
peram dicatur ; nnum dant non oportere dici,
quod non * tit in contueludine ; alierum non
conceditur quin ita dicatur: ut tit timiliter, quom
id faciant, ti quit puerorum per dcliciat pedet
male ponere atque imitari valiat coeperit, hot
corrigi oportere ti concedat ; contra ti quii in
contueludine ambulandi iam factut tit vatia aut
compernit, ti eum corrigi non concedat.
II. Non teqoitnr ut ttnlte iaciant qni pnert
in geniculii alligent terperatta, nt eorum depra
vata corrigant crura f Curo Tituperandut non tit
medicos qg|! e longinqua mala contuetndine ae
grum in meliorem traducat ; quare reprehenden
dos sit qui orationem minus Talentero propter
malam consoetudinem traducit in roeliorem f
VI. la. Pictores Apelles, Protogenes, sic alii
artifices egregii non reprehendundi, quod con-
soetudinem Miconos, Dioris, Arironac etiam
superiorum non tunt teculi; Arittophanes impro
bandos, qui potius in qoibosdam ?erilatem, quam
consuetudinem tecutus f
VII. i 3. Quod ti viri sapienlistimi, et in re
militari et in aliit rebot mulla contra yelerem
contuetudinem cum essent uti, laudati; detpi-
ciendi tunt qui pntiorem dicunt ette contuetudi
nem ratione.
VIII. 14 An quom quit perperam coniuerrt
qoid facere in civitate, non modo patiemor, sed
etiam poena afficiemos : idem, ti quit perperam
conioerit dicere verbum, non corrigemus, cora
id fiat tine poena ?
IX. i 5. t bi qoi poeros in lodom mittoni,
ot discant, qnae nescioni verba, qnemadmodom
Mribant ; idem barbatos, qoi ignorabunt verba
quemadmodum oportoit dici, non docebimos, ot
sciant qua ratiooe conveniat dici ?
X. 16. Sed ut nntrix pueros a lacte non subito
avellit a consuetodine, cum t cibo prittino in me
liorem tradncit ; tic mars in loquendo a minos
commodis verbis ad ea quae sont coro ratione,
modice tradocere oportet. Com liot in consutto-
de'simili ; e s' altri ha sgarrato, no correggiamo
con essa? Se nel preparare un triclinio non siansi
ben uguagliati i tre potti, e il parato dell uno sia
vantaggialo o scarso dalla misura degli altri due ;
lo racconciamo secondo il comune nso, quando il
rechiamo alla proporzione degli altri triclinii : e
se ad alcuno vien fatto errore nel discorso, sdruc
ciolando in terminazioni fuori di regola, che altro
modo terremo per aggiustarle, se non questo me
desimo di ridurlealla forma delle altre voci timilif
V. 10. Piano, ritpondono ; che non tutte le
terminazioni erronee tono da pigliare a mazzo :
ce n* ha di erronee in t ttette, ma gi accettate
dalPuto; e ce n'ha di erronee non per ancora
accettate. Quetle, ragion di fuggirle, pereh
non tono in uto : ma nelle altre, non permetto
dire altrimenti. Ci quanto concedere che, te
un giovinetto incominci per giuoco a por male i
piedi e fare il bilenco, d uopo correggerlo ; e
vietar di fare altrettanto, se ha gi preso la mala
piega neir ordinario uto del camminare.
II. Non ne viene forte che fanno male tutti
quei che t'ingegnano di raddrizzare le gambe ai
giovinetti, se le hinno ttorte, legandovi i ginoc
chielli f O loderemo il medico che s'adopera a
migliorare le male abitudini degl' infermi, totto-
ch vecchie ; e biasimeremo in vece chi, trovan
do infermo il lingoaggio per male abitodini, lo
migliora e sana ?
VI. la. Sar tornato in gloria ai pittori Apel
le e Protogene, e ad litri eccellenti artefici, lesserti
allontanati dall' uto di Micone, di Diore, d'Arin-
na e d* altri pi antichi ; e ti dar biatimo ad
Arittofane, te in alcune voci, pi presto che l'uto^
am di teguire la verit f
VII. i 3. Che te nomini tapientittimi furono
lodati per estere molte volte ntciti dalla contoelu-
dine antica e nell' armi e in altro ; ti dovranno
anzi tener per nulla le ciance di coitoro che vor
rebbero far valere la consuetudine su la ragione.
Vi l i . i 4* Se qualcheduno nella citt usa male
operare, non solo no 'I lasciamo fare, ma lo pn-
niimo : e i pravi nti del favellare, non li correg
geremo nemmeno, dacch per questi non vi son
pene
IX. i 5. Mandano essi alla scuola i lor figlio-
letti, perch v' impirno come s'hanno a scrivere
le parole che non sanno : e s'eglino stessi non
conoscono le parole come s'hanno a dire, ci guar
deremo dal farneli istrotti, per ci che han grigia
la barba 7
X. 16. Por tottavia, come la balia nel divet-
zare i bimbini di latte non li h passare di tratto
dal vecchio al noovo cibo, bench migliore ; coll
anehe nel recare gli adulti dagli scorretti parlari a
que'che toc di ragione, non si dovr andare troppo
47
. TERENU YARRONIS 246
dine conira riUonem tla fcTb ita al ea facile
toUi pouiiit^ alia ut videantur cut fixa : qnae le
viter baerent, ac line oHentione commutari poi-
ioty stalim ad rationero corrigi oportet : quae
autem lont ita ot in praeaentia corrigere nequea
quin ita dicala his oportet, fi ponia, non ati ; aio
enim obsolescent, ac postea iam obliterata facilius
corrigi poterunl.
XI. 17. Quas noTas yerbi daclinalionet ratione
introductas respuet forum ; his boni poetae, ma-
lime scenici, consuetudine subigere aureis populi
debeot, quod poetae multum pouunt in boc :
propter eos quaedam Terba in declinatione melius>
quaedam deterius dicuntur. Consuetudo loquen
di est in motu ; itaque aoient fieri et meliora de
teriora, et deteriora * meliora. Verba perperam
dicta apud antiquos, aliquos propter poetas, non
modo nunc dicuntur recte; sed etiam quae ratio
ne dicta sant tum, nune perperam dicantur.
XII. 18. Quare qui ad consuetndinem noi vo
cant, ai ad rectam, aequemnr; jn eo quoque enim
est analogia : si ad eam invitant qoae est depra
vata, nihilo magis sequemur, nisi cum erit necetse,
quam ih ceteris rebus mala exempla ; nam ea quo
que, curo aliqua vis urget, inviti aeqnemnr.
X l l l . Nequeenim Lysippnaartificum priofua
potius est vitiosa eecutna,qnam artem. Sic populus
ioere debet : etiam singuli^ tine offensione quod
fiat populi.
19. Qui anissa non * modo quaerant, sed
etiam quod indicium det; idem, ez aermone si
qutd deperiit^ uon modo nihil impendunt ut re>
quirant, sedeliam contr iikUoea repngnant^ ne
restituatur verbum.
, Quod novum et ratione introductum, quo
mistts ut recipiamus vitare non debemua.
XIV. Nam ad usum in vestimentis, aedificiis,
supellectili, novitati non impedit vetus consuetu*
do. Quem enim amor assuetudinis potiua in pan
nis possessorem retinet, quam ad nova vesti
menta traducit f
XV. An non aaepe vetere leget abrogatae no
vb cedunt T
bruscaoMnle e di aalte. V'ha certi scorretti usi
che facilmente t'arrendono a chi li voglia levare;
e ve n' ha degli altri che paion fitti. Quelli adun
que che hanno poca radice e si possono svegliere
senza corruccio d'alcuno, si dovranno tosto re
care alla regola della ragione : gli altri in vece che
coa di tratto non si posson correggere, e bisogna
in tutto dirli a quel modo, converr almeno, se
necessit non ci stringe, cercar via di fuggirli :
cos ne verr che andranno io disuso ; e dimenti
cati che siano, tari poi facile emendarli.
XL 17. Sar uffixio de' buoni poeti, massima-
mente scenici, indocilire col loro uso gli oreechi
del popolo a certe nuove desinenze introdotte se
condo ragione, che il foro tuttavia rigettaste. 1
poeti possono valer molto a ci ; ed per opera
loro, che alcune voci si declinano ora pi regolar
mente che un tempo, e qualch altra peggio. Cato
che le lingue non posano mai ; sicch Unto dal
bene vi si pu venire al male, che dal male al be
ne ; e noi veggiamo che alcune parole, in cui er
rarono gli antichi, si dicono ora correttamente in
graiia di qualche poeta, e veggiamo insieme che,
colpa loro, qualche altra parola ti diceva un tem
po secondo ragione, ed ora vi ai fa ^||ore.
XII. 18. Prima adunque di abbandonarci alla
consuetudine, che costoro ci voglion dare per gui
da, noi guarderemo a' ella buona o cattiva : se
buona, le anderemo dietro, perch con essa sta
analogia; ma ae cattiva, non la seguiremo fin
che neoetsil non ci sproni, niente pi eie non
Cacciasi de' mali esempli nelle altre cose ; ch an
che questi pur forza seguire, bench a malin-
oorpo, quando la necessit cel comanda.
XIII. Cos credette Luippo di dover piuttosto
seguire la ragion dell' arte, che i viziosi esempii
degli artefici che avean preceduto ; e cos dee
fare il popolo nelle parole : n solo il popolo, ma
anche ciascuno in particolare, finch gli pu ve
nir fatto senza richiamo del popolo.
19. Che anzi di richiami poco avr da temere}
perocch, mentre nelle altre cose, checch siati
perduto, non tolo se ne va in cerca, ma ae ne do
manda indizio a ciascuno ; nelle parole mvece, te
n' perita qualcuna, non che darci attorno per
ricuperarla, ci opponiamo ansi a chi ne d indi-
Ilio e ce la vorrebbe restituire.
ao. tanto meno dobbiam temere per le no
vit che ci saran consigliate dalla ragione.
XIV. Forsech negli abili, negli edifizii, negli
addobbi, le vecchie foggie hanno mai potuto far
contffasto alle nuove? Chi che, per amore del
consueto, voglia restar ne* suoi cenci rattoppali
e tucidi, ibnanxi che mutare vestito f
XV. E nelle tietse leggi, foneoh le vecchie
non dtnnosovente luogoad aUre di nuovo fatleP
M9
DE LmOUA LATINA LIB. IX.
5o
XVI. ai. Noone bvsuUi ornu Ttaoroin r-
ccotibue ex Graecia allalis obliteratae aatiquac
oonscneladioit linorum et capalaram species T His
ibrmis Tocabalorum al coDtamDatis ali noUenU
quBS docuerit ratio praeter ooosuetudioem fete-
rem? t tantom ioter doos seosus iotercsse vuliiot,
ot oculis aemper aliquas figuras supeliectilis novas
conq^uiraat, contra auris expertis feliat esse
XYIL aa. Qaotas quisqoe ian aerrof habet
priscis nominibas? quae muKer eaum iostromeii*
tum yestis atque aur Yctcribus Tocabulls appel*
lat ? Sed indadis ooa m iraaoeoduia y qnam
buiuKe praviuti patroois.
aS. Si enim usquequaque oon esset analogia,
lam sequebatur ut in Terbis quoque non esset ;
Jioii cem esset usquequaque ot est, oon esse in
erbis.
XYl l l . Quae eoim est pars mundi, quae oon
innumerabiles babeat analogias : caelum, ao mare,
an terra, ao ar, et cetera quae sunt in his f
a4- Nonne in caelo, ut ab aequinoctiali crcolo
ad solstitialem et bine ad septentrionalem divi-
sum sic contra paribus partibus idem a bruma
Tersum a contraria parte ? Non, quautum polus
superior abest * a septentrionali circulo et is ad
solstitium, tantundem abest ioferior ab eo quem
antarcticum vocant astrologi, et is ad brumalem f
Non quemadmodum quodque signum exortura
hoc anao, quotqoot annis eodem modo exoritur f
a5. Nora aliter aol a brunui fenit ad aequino
ctium, ae contra cum ab solstitio venit ad aequi*
ooctialem circolom et inde ad brumam P Noone
luna, ut a sole discedh ad aqoiloaem et inde redit
in eandem viam, sic inde fertur ad austrum et re
greditur inde ? Sed quid plura de astria, bi dif
ficilius reperitur quid sit aut fiat in notibua dia-
aimiUterf
XIX. afi. At in nari, credo, motus non habeot
similitudines geminas, qui io XXIV boris lunari
bus quotidie se muUot ; ac cura sex boris aestus
creverunt, totidem decrevemot, rursus idem,
itemqu ab his. An hano analogiam ad diem ser
vant, ad mensem non item alii motus, sic item
eom habeant alios ioter se convenientes de qui-
biu in libro qoem de aestuariii feoi, scripti t
XVI. ai. E nelle forme de* ?ul, lenooTe fog
gio venute di Grecia non fecero dimenticare le
coppe e i fiaschi aU' anlioa ? Pereh duaque si
avr a temere che il popolo fagga, a guba di sco
municati, le nuove foggie di terminauoiii, eoi
detter la ragione; e fra il aeoso della visU e quei
dell'odit debba (are si gran diffiereoxa, che, men
tre agli occhi si procaccia sempre ouovo pasto
variando mode, voglia poi lasciare digiuni d^ogni
novit gli orecchi ?
XVII. aa. Ma ch^ anche ne' vocaboli a' ami
anxi la novit eccoti prova. Quanti ci restano omai
che contrassegnino i servi coi vecchi nomi? qnal
donna che segua a chiamare con gli antichi voca
boli il suo fornioMolo di vesti e d'orerie P Se-
noQcb, dicono, non taoto da pigliarsela contro
A fatte novit, quando aooo gi entrate io uso,
quanto piuttosto contro i pairocinator di cotesta
corruiion del linguaggio.
a3. Che ae non vi fosse analogia da per lutto,
potrebbero forse aver ragione di non volerla nelle
parole. Ma ella in tutta la natura; e potr esclu
dersi dalla favella ?
XVHI. V* parte alcuna dell universo che
non abbia analogie senza numero? Quante non
ne ha il cielo* il mare, la terra e Taria, e il resto
che vi si accoglie !
a 4 Alle divisioni che sono in cielo dal circolo
equinoziale a quello del solstizio estivo e da que
sto al settenirionale, non corrispondono farse al
trettante dTiiioni air opposto lato verao il aolati-
zio invernale ? quanto dal polo di sopra al
circolo settentrionale e da questo al solstizio esti
vo, non egli altrettanto dal polo di sotto a quel
circolo che dagli astronomi chiamato antartico,
e da questo al solstizio invernale ? Ed a quel modo
che ciascun segno nato quest' anno, non nasce
forse tutti gli anni ?
a5. Non veggiamo il sole rivolgersi con la
stessa legge dal solstizio invernale all* equinozio,
come per lo contrario dal aolstizio estivo airequi-
oozio medesimo, e quindi all'altro aolstizie? Non
veggiamo la luna, come si parte dal sole tenendo a
tramontana, cos poi lotnare so la medesima via,
e di l volgersi ad ostro, e da ostro rappresursl
al sole ? Ma a che gittar pi parole favellando de
gli aslr^ se nei loro moti difficile trovar cosa
che non sia ed avvenga oon uniformit ?
XIX. a6. E i moti del mare non hanno an-
ch* essi una doppia convenienza, se in ventiquat-
tr'ore lunari ai mutano ogni di quattro volte con
qoeata uniformit che per aei ore la marea cresce
e per aliretUnte discresce, poi fattasi da capo si
milmente cresce e discresce? N solo v' questa
proporzionalit ne'moti diurni delle rame; ma
anche i mcnsuaN hanno an simile corrispondenza,
aSi
. TERENTI VARRONIS 352
XX. 27. Non D terra is latinibot serfits
analoga ? oeo qooiiisiDodi in praeterito tempore
Iroclaoin genera reddidit, similia io praetenti
reddit? et qaoiaimodi, tritico iacto, reddit fege-
tes^ sic, ordeo sato, proportione reddit parilis f
Non ut Eoropa habet Bomina, lacns, montis,
oampos, sic habet Asia ?
XXI. a8. Non in Tolacribos generatim serra
tor analogia ? non ex aqoili%aqailae, atqne nt ex
tardis qai procreantor, tardi, sic ex reliqois sai
qooiosqoe generis ?
XXII. An aliter hoc fit, qaam in aSre, in aqoa f
non hic conchae inter se generatim innumerabili
numero similes? non pisces? an e murena fit lu
pos aut merula ? Non bos ad bo?em collatus si
milis, et qui ex his progenerantor, inter se Tituli?
Etiam ubi dissimilis foetus, ut ex equa mulus,
tamen ibi analogia : quod ex quoconque aiino et
equa nascitur id est malos aut mola, at ex eqoo
et asina hinnolei.
XXIII. 29. Non sic ex firo et muliere omnis
similis partus, quod pueri et puellae? Non horam
ita inier ae non omnia similia membra, ut sepa-
ratim iu suo uiraque genere similitudine sint pa
ria ? Non, omnis cum jint ex anima et corpore,
partes quaeque horum proportione similes?
3o. Quid ergo cum omnes animae hominum
sint difisae in octonas paricis, eae inter se non
proportione similes ? quinque quibus sentimus,
sexta qua cogiUmus, septuma qua progeneramus,
octata qoa voces mitti mas? Igitor, qooniam lo-
qoimor voce orationem, hanc qooqoe necesae est
natura habere analogias; itaque habet.
XXIV. 3i. An non yides, ut Graeci habeant
eam quadripartitam, onam in qua siot casus, alte
ram io qua tempora, tertiam in qua neutrum,
quartam in qua utromqae, sic noe habere? E^oid
erba, nescis, ut apud illos sint alia finita, alia non,
sic uiraque esse apad nos ?
3a. Equidem non dobito quin animadverterint
item in eum innumerabilem similitudinum nu
merum, ut trium temporum ferba, ul trium per
sonarum.
XXV. Qoia eoim poteal non una animadver*
titae io omni oratione esse ut legebam lego leganty
che ho gi fatta federe nel mio libro sa le ma
remme.
XX. 27. Cos anche in terra osservata Tana-
logia nelle seminagioni. Le qualit di frutti ch ella
rendeva per lo passato, rende anche al presente ;
e come seminata di frumento, rende frumento ;
cos, seminandovi orto, d orzo, secondoch do
manda la proporeione. E come Europa ha fiu
mi e laghi e monti e pianare, cos ha pur Asia.
XXI. 28. E ne'varii generi d'uccelli non
conservata forse Panalogia ? Dalle aquile non na
scono aquile, e da' tordi i tordi, e ciascan altro
uecello dal proprio genere ?
XXII. O questa regola vale soltanto per aria,
e non anche per gli animali d* acqua e di terra ?
Non ci ha conchiglie e pesci senta numero, tutti
fra loro conformi secondo le proprie famiglie?
Dalla^ murena nasce forse il lupo od il merlo? 11
bue paragonato col bue non gli forse simile ; e
cosi i vitelli che di lor nascono ? Che anzi negli
alessi parti diuimili, come quando da una cavalla
esce un mulo, pure tenuta V analogia ; ch di
qualunque asino e cavalla ci che nasce mulo o
mula, e di cavallo e d' asina nascono sempre
bardotti.
XXIII. 29. On' altra somiglianza da conside
rare ne parti e* anche questa che, siccome aon
maschio e femina i generanti, cosi parte maschi e
parte femine sono i generati. Che se diflrenta
fra generati io alcane membra, le diflTerenze son
tali che, raffrontandoli separatamente col proprio
genere, cio i maschi coi maschi e le femine con
le femine, si trovano in tatto simili. Tolti poi
sono ngaalmente composti d'anima e corpo ; in
tatti Vanima e il corpo hanno le stesse potenze.
3o. E di vero lotte le anime umane han quelle
otto potenze, di cui cinque servono al sentire, la
sesta al pensare, la settima al generare, ottava
al parlare : ondech per tutti questi otto rispetti
stanno in proponione di somiglianza una con
Taltra. Che se v* analogia nel parlare, egli poe-
sibile che non vi sia naturalmente nelle voci, con
cui parliamo ?
XXIV. 3i. Non vedi che, siccome i Greci
hanno quattro sorta di voci, cio quali con casi,
quali con tempi, quali con ambedue queste cose e
quali senza ; le medesime quattro sorta di voci
abbiamo anche noi ? Non sai che i verbi, come
presso di loro altri sono finiti, altri infiniti, cosi
sono anche presso di noi ?
32. Io non dubito che vi sia alcuno, l qual
non abbia oltracci notalo quell' infinit di somi
gliante che sono offerte dai tre tempi e dalle tre
persone nei verbi.
XXV. E chi non dee avere insiememente os
servato che non solo in tutta la lingoa v' ha quelle
a53 DE LINGUA LATINA LIB. IX. 254
tic leg tegis hgii^ cara hsec eadem dicanlar
aliai at tingala, aliai ut plora fignificeotur f Quia
est tam tardas, qoi iliat quoque non anioiadTer-
tert similitudines, qaibue ntimur in imperando,
qoibus in optando, qoibat in interrogando, qui
bus in intectis rebus, quibus in perfeclis, sic io
aliis discriminibus ?
XXVL 33. Quare qui negant esse rationem
analogiae, non fident naiuram non solura oratio
nis, sed eliaro mundi : qui aulero fident et seqai
negant oportere, pugnant conira naturam, non
contra analogiam ; et pugnant folsillis, non gla
dio, cum pauca eicepta ferba ex pelago sermonis
populi minus trita affennt, cura dicant propterea
analogias non esse : similiter at si qui fiderit mu
tilum bofem aut luscum hominem claudicantem-
que equum, oeget in boTom, bominum et equo
rum natura similitudines proportione constare.
XXVll. 34. Qui autem duo genera esse di
cunt analogiae, unum naturale, quod ut ex lenti
bus seminatis nascantur lentis, sic ex lupinis lu
pinum ; alterum Tolontarium, at in fabrica cum
fident scaenam ut in dexteriore parte sint ostia,
sic esse in sinisteriore simili ratione facta : de his
duobus generibus naturalem esse analogiam, ut
sit in motibus coeli ; foluntariam non esse, quod
ut quoiqoe fabro lubilum sit^ possit facere partis
scaenae ; sic in hominum partibus esse analogias,
quod eas natura facist, in ferbis non esse, quod
ea homines ad suam quisque f oluntatem fingat ;
ilaque de eiidem rebus alia ferba habere Grae
cos, alia Syros, alia Latinos : ego declinatus fer-
borum et oluntarios et naturaleis esse puto, fo-
lontarios qoibus homines Tocabula imposuerint
rebus quaedam, ut ab Romulo /2omo, ab Tibore
Tiburtes ; naturales, ut ab impositis focabulis
quae inclinantur iu tempora aut in casus, at ab
Romulus * Romulo^ Romuli^ Romulum^ et ab
dico dicebam^ dixeram.
35. Itaque in foluntariis declinationibaa in-
constantia est, in naturalibtas constantia : quas
utrasque quoniam iei non debeant negare esse in
oratione, quom in mundi partibus omnibus sint,
et declinationes verborum innumerabiles, dicen
dum est esse in bis analogias. Neque ideo statim
due triplici distinzioni, V una di tempi, come /e-
gebam lego legam; altra di persnoa, come lego
legis Ugit: ma che di pi a qaeste forme, le
quali s'usano parlando di an solo, ne corrispon
dono alcune altre quando s* ha a parlare di pi ?
Hsffi mente si grossa che non siasi addata di
quelle desinente comoni che adoperiamo, quali
nel comandare, quali nel desiderare, quali nel
chiedere ; altri nelle axioni compiute, altre nelle
imperfette, altre in altri accidenti ?
XXVI. 33. Per la qual cosa chi nega esserri
ana regola d'analogia, non fede li natura non
pur del linguaggio, ma n delP intero aniferso ;
o se, TedenJola, tuttaTia nega che debba pigliarsi
a guida, combatte contro la natara, non contro
analogia ; e combatte con le molletle non colla
spada ; perch tratte fuori poche parole men 1a-
Torate dalla corrente del comun afellare, fuol
per dire che non f * analogia ; che il caso stesso
di uno, il quale, per afer feduto uo bue Con un
corno mono, o un uomo cieco d an occhio, o un
cafallo zoppo d'un piede, si precipitasse a dire
che nella natura de'buoi, degli nomini, de'cafalli
le parti corrispondenti non hanno pruponione
fra loro.
XXVII. 34. Ma non a' hanno a confondere,
dicono alcuni, due difcrsi generi d'analogia: uno
naturale, come per esempio che, seminando
lenticchie, vengano lenticchie, e di lupini lopioi ;
altro folontario, come quando feggiamo la
facciata d' una fabbrica armonixxata in modo che
le porte a destra si corrispondono con quelle a
sinistra. Di qaeste due maniere d* analogia ha
luogo, dicono, la nataraft, com' ne moli celesti ;
ma altra non regola, perch ogni maestro pu
far le due parti della sua fabbrica, come gli tiene
il meglio; e cos da dire degli uomini : f ' pro
porzione nelle loro membra, perch natura che
le fa ; ma pu non essere nelle parole, perch se
le fanno gii nomini, ciascuno a suo piacimento,
tal che una cosa medesima ha dTferso nome dai
Greci, dai Siri, dai Latini, lo a costoro rispondo
che il declinarsi delle parole in parte volontario,
in parte naturale: folontario quello, per cui si
imposero certi nomi alle cose, traendo a cagion
d^esempio Roma da Romulus, Tiburtes da Ti
bur ; naturale in fece il fariarsi de' nomi steui
per tempi o casi, cio che da Romulus si faccia
Romulo^ Romuli^ Romulum^ da dico dicebam^
dixeram e somiglianti.
36. Nella declinazione folontaria t ' dunque
incostanza ; nella naturale costanza. E poich non
debbono negare che nella fafella f ' tanto una
che altra cosa, perch le Irof iamo in tutte le
parti dell universo, e innumerevoli sono le voci
che fannosi col declinare ; confessar debbono
a55
. TERENTI VA^aRONlS aS6
ea in omnibot verbis est seqoeoda ; amn qva
perperam dedioavit Terba coosaetudo at ea ali
ter * efferri noo potami * sioe offeosiooe bquIIo-
runiy hinc ratiooem ?erboram praeleraHleodain
ofteodii loqaendi ratio.
XXVllI. 36. Qood ad aniTersan pertinet caa-
lani, cor aimilitudo et sil in oratione et debeat
obserrarl et qaam ad finem qnoqne, salis dictum.
Quare qaod sequitur de partibus singulis deinceps
espediemns, ac singula crimina, quae dicunt in
analogias, soWemns.
37. In quo animadvertito natura quadrupli
cem esse formaro, ad quam in declinando accom
modari debeant verba : qnnd debeat sabene res
quae designetur ; et ut sit ea res in usu ; et ut yo~
cis natura ea sit quae significavit ut declinari
et similitudo figurae verbi ut sit ea quae
ex se decKnata genus prodere cerlum possit.
38. Quo neque a terra terrus ut dicatur po
stulandum est, quod natura non subest ut ia hoc
Mlterum maris, alterum feminae debeat esse. Sic
neque propter usum, ut Terentius significat unum,
plores Terentii, postulandum est ut sic dieamus
f ih a et fabae ; non enim in simili usu utrumque.
Neque, ut dicimus ab Terentius Terentium, sio
postulandum ut inclinemus ab A et B, quod non
omnis voi natura habet declinatui.
39. Neque in forma colbta quaerendum so
lum quid habeat in figura simile, sed etiam non-
nunquam in eo quem habet effectum. Sic enim
lana Gallicsna et Appula videtur imperito similis
propter speciem, curo peritus Appulam emat plu
ris, quod in usu firroior sit. Haec nunc strictim
dicU, apertiora fient infra. Incipiam hinc.
XXISL 40. Quod rogant ex qua parte oporteat
simile esse verbum, ah voce ao si^ficalione, re
spondemus ab voi:e: sed tamen nonnunquam
quaerimns genere aimiliane sint quae significan
tur, ac nomen virile cum virili conferimus, femi
nae cum muliebri; non quod id, quod significant
voces, commoveat, sed quod nonnunquam in rt
dissimiles figurae formas indissimiles imponunt
dispariles : ut calcei muliebris sint an virile^ di
cimus ad similitudinem figurae, cum tamen scia
mus nonnunquam et mulierem babert calceos v
rilu et virum muliebris.
insieme che v* hanno analof^ie Ira le voci. Non per
che analoga debba seguirsi in tutte le parole a
chius' occhi ; perocch se in alcune pecchi ormai
uso, n ce ne possiamo partire senza corruccio
dei pi, la buona regola del parlare consegna
allora a lasciar da parte quella delle parole.
XXVIII. 36. Ma per ci che risguarda la qui-
slione in genere, cio se v' abbia somiglianza tra
parole e fino a qual segno debba esser di regola,
ho gi parlato abbastanza. Resta ora ch'io esami
ni ad una ad una le varie parti, e risponda capo
per capo alle accuse che roettonsi a campo contro
le analogie.
37. Nota adunque che quattro sono le condi
zioni, a coi debbonsi naturalmente acconciar le
parole nel declinare. Innanzi a tutto non dee man
care la cosa da dinotarsi ^1 declinato ; di pi de-
v'essere io uso; in terzo luogo la stessa parola ha
da confessar natura atta ad essere declinata ; final
mente la sua somiglianza d figura ha da esser
tale che non lasci incerta la forma dei declinati.
38. Laonde non si dee pretendere che d /er
ra si possa far terras ; perch la cosa non di
tal natura che v' abbian luogo due nomi, uno pel
maschio ed un per la feroina. Cosi, quanto alPuso,
non a'ha da esigere che, al modo in coi dicesi
Terentius e Terentii^ secondo eh' uno o pi,
possa dirsi ugualmente faba e fahae ; perch Tuso
che s i della cosa, non domanda qui questa mi
nuta distinzione. N dee nemmeno volersi che, al
modo di Terentius Terentii, possano variarsi
per casi anche A ed il B ; perch non ogni pa
rola ha natura atta a declinarsi.
39. N basta sempre che le due voci parago
nate sieno simili di figura, se non s ragguaglino
anche i loro effetti, cio le forme che se ne trag
gono. A chi non pratico, anche la lana dell Gal
lia par simile alla pugliese per quanto dice 00-
chio: ma chi n ha fallo esperienza, paga pi la
pugliese, perch fa lavoro pi sodo. Ma basti ora
aver toccato queste cose; chavr a spiegarle pi
avanti. Veniamo alle obbiezioni fatte.
XXIX. 40 domanda che fanno, in ohe si
abbia a cercare la somiglianza delle parole, nel
significalo o nel suono, rispondo che nel suono.
Pur qualche volta guardiamo anche se le cose si
gnificate convengano nel genere, e il ragguaglio
faui de' maschili co'maschili e de' femminini coi
femminini ; non perch il significato abbiavi alcun
valore, ma perch talvolta, quando discordan le
cose, anche le parole discordano in qualche forma
corrispondente. Cosi, allorch diciamo calzari di
uomo o di donna, noi guardiamo solo alla somi
glianza delia loro figura ; tuttoch sappiamo che
qualche volta v' ha uomini oon calsari di donna
e donne oon calzari d'uomo.
5; Uh LliNGUA LATINA LIB. IX. a58
41. Sic ilici virum Perpen //1, ut Alpheamn,
muliebri forma ; et cooira parittnty ut abittem^
esse forma similem, quom alterum vocabuluni <li>
catur ^irile, alleruro muliebre, et utrumque Da
tura ueutrum. Sic ilaqne ea virilia dicimus, non
quae virum sigoifcant, sed quibus proponimus
hic ei hi; et sic muliebria, io quibus dicere pos
simus haec aut hae.
XXX. 4> Quare nihil et quori dicunt Theo-
na el Diooa non esse similis, si alter est Aethiops,
alter Gallus, &i analogia rerum dissimililuiliues
assumat ad discernendum vocis verbi figuras.
XXXI. 43. Quod dicuuf, simile sit necoe oo-
meo nomini, impudenter Arislarchum praecipere
oportere spectare non solum ex recto, aed etiam
ex eorum vocandi casu ; esset enim deridiculum, si
simileis inter se parentes sint, de filiis indicare : *
errant, quod non ab eo obliquis casibus fit ut recti
simili facie ostendantur, sed propter eos facilius
perspici similitudo potest eorum quam vim ha
beat : ut lucerna in tenebris allata non facit, quae
ibi sunt posita, similia sint ; sed ut videantur,
quae sunt, quoius vis sint.
44 Quid similius videtur quam in his est
extrema litera X, critr, Phryx ? quas qui audit
^oces, auribus discernere potest nemo ; quom
easdem non esse similes ex aliis verbis iniellega-
mus. Quod, curo sit cruces et Phryges, et de hia
extremis syllabis exemplum s i t E ; ex altero fit,
ut ex C el S, crux ; ex altero, G et S, Phryx :
quod item apparet cum est demptum S ; nam fit
unum cruci, allernm Phrygi.
XXXII. 45. Quod aiunt, cum iu maiore parie
orationis non sii similitudo, non eue analogiau ;
dupliciter stulte dicunt, quod et in maiore parte,
et, si in minore sil, tamen sit : * nisi etiam nos
calceos negabunt habere, quod in maiore parte
corporis calceos non habeamus.
XXXllI. 46. Quod dicant nos sequi dissimi
litudinem, itaque in vestitu, in supellectile dele
ctari varietate, non paribus subuculis uxoris ; re
spondeo, si varietas iucunditas, magis rarium esse,
in quo alia sunt similia, alia non sunt: itaque sicut
abacum argeolo ornari, ut alia paria sint, alia di-
Kpiiria, sic orationem.
M. TH. VaAROPE, d e l l a LINGDA LAlllfA.
41. Nella stessa guisa vediamo declinarsi su la
forma femminina, Perptnna uomo, come Alpht-
na femmina ; ed alP incontro paries ed abies^
smili anch'essi nella forma, e di lor natura n
maschio n femmina, tuttavia seguire uno il
genere de' maschi, altro quel delle femmine.
Ondech nel dire un vocabolo o maMhile u fem
minile, non guardiamo gi alla natura della cosa,
ma solo al nome in s stesso, secondocbc gli si
accompagna articolo maschile od il femminile.
XXX. 4a Dunque danno in nulla dicendo che,
se l'analogia nel ragguagliar le figure de'vocaboli
dee mettere in conto le difierenxe delle cose si
gnificale, neppur Theona e Diona non sono li
mili, solo che l'uDo sia Etiope e altro Gallo.
XXXI. 43. Domandano poi con qual fKcia
Aristarco poteste dire che pel ragguaglio de' 00-
mi^non bastano i casi retti, se non si confrontino
ncbe i lor vocativi. ben ridicolo, ci cantano essi,
che per giudicare de' padri, se si somiglino, sia
prima d' uopo squadrarne i figli ! Ma anche que
sta volta mordono ari : perch non gi che il
riscontro de* casi obliqui faccia si che appaian si
mili i retti ; bens aiuta a scoprire di che valore e
natura sia la lor somiglianza. Neppur la lucemn
portata nel buio fa somiglianti gli oggetti che vi
son posti ; fa per vedere ne' somiglianti, di qual
natura siano.
44 Qual cosa iu apparenia pi simile che il
medesimo X su la fine dei due vocaboli crux e
Phryx^ dove non orecchio d' uomo che valga a
notar dififerenxa? Pure il riscontro d'altre parole
ce'l fa vedere diverso : ch dovendo essere i due
nomi interi cruces %Phryges^ed essendosi levata
la E dall' ultima sillaba \ ne venne lo X dal rac
coglier la S in un segno solo nel primo nome col
C, neiraltro col G. Or questo appare ne'casi obli
qui, quando n' scacciata la S ; perch 1' uno fa
cruci l ' altro Phrygi^ e cos appresso.
XXXII. 45. L'altra cosa che dicono, cio non
esservi analogia, perch non trovasi somigliauza
nella maggior parte della favella, una doppia
corbelleria ; perch in effetto la somiglianza tro
vasi nella maggior parte, e posto che fosse nella
minore, a ogni modo vi sarebbe; se per avventura
non voglion dire che noi non abbiamo i calzar,
perch non H abbiamo nella maggior parte del
corpo.
XXXIII. 46. Ma il bello, dicono, la variet :
noi la cerchiamo negli abili, negli arredi ; fin nelle
camicie, le nostre donoe. Che la variet piaccia,
chi il nega ? ma non v' anzi pi. variet dove
alcune cose rispoudonsi, ed altre no? Siccome
usiamo nelle argentere ad ornamento delle cre
denze, ch'Jtre vi sono appaiate ed altre sole; coli
nella lingua.
7
a59
. TtRfcNll VARROMS a6 o
47. Rogant, si siraililudo sii squeada, cur ma-
limiis habere leclos alias ex ebore, alios ex leslu-
Jine, sic item geoere aliqiio alia Ad quae dico
UGO diuimilitudioes * solum nos, sed simililudi-
nes quoque sequi saepe : idque ex eadem supeU
ledili lioel Tder ; oara oemo ficit triclDi leclos,
nisi pareis el maleria el alUtudioe et figura. Quis
facit mappas tricliniareis qq o similis inter se ?
quis pulfioos ? quis denique caetera quae unius
generis sunt plura f
48. Cum, inquit, utilitatis cauu introducta sil
oratio, sequendum nou quae habebit similittidi-
l i e m , sed quae utilitatem. Ego quidem uliliUlis
l ausa orationem faciam concedo, sed ul veelimen-
tum: quare ut hic similitudinea sequeremur ul
virilis tunica sil virili similis, ilem toga togae, sic
mulierum stola ul sit stolae proportione el paU
lium pallio simile ; sic cum sint nomina ulililatis
causa, lamen virilia inter se similia, item mulie
bria iuler se sequi debeamus.
XXXIV. 49 Quod aiuDl, ul persedit et per
stitit sic percubuit.... quoniam non sit, non esse
analogiam ; f el in boc errant, quod duo posterio
ra ex prioribus declinata oon sunt, cum analogia
polliceatur ex duobos similibus similiter declinatis
similia fore.
XXXV. 5o. Qui licunt, quod sit ab Romulo
Roma el non Romul, neque, ul ab o?e ovilia^
sic a bove bovilij^ non esse analogias^ errant ;
quod nemo pollicetur e vocabulo vocabulum de
clinari recto casa singuUn in rectum singularem,
sed ex duobus vocabulis similibus casus similiter
declinatos similes fieri.
XXXVI. 5i. Dicunt, quod vocabula literarum
Latinarum non declinemur in casus, non esse
analogias. Ui ea quae natura declinari non pos-
suul, eorum declinatus requirunt, proinde ul non
ca dicatur esse analogia, quae ab similibus verbis
similiter esset declinata. Quare non solum in vo
cabulis literarum haec non requirenda analogia,
sed ne in syllaba quidem ulla ; quod dicimus hoc
ba^ iiuius boj sic alia.
52. Quod si quis iu hoc quoque velit dicere
esse analogias rerum, tenere poteat. Ut enim di-
cuul ipsi alia nomina, quod quinque habent figu
ras, babere quinque casus, alia qualluor/ sic mi*
nus alia ; dicere poterool esse literas ac syllabas,
in voce quae singulos habeant casus, in rebus
plurimos: quemadmodum intrr se conferent ca
(|uac quaternos habebunt vucabulis casus, item
*:a inlei sc quae ternos ; sic, quae singulos habe-
47. Ma, ae dee cercarsi la somigliania, ond' ,
continuano essi, che noi vogliamo i Itili, quali di
avorio, quali di tartaruga e quali daltra materia?
Certo, rispondo io, noi non vogliamo le cose tulle
simili ; ma neppur tutte dissimili. Guarda pure,
poich sei entrato nel parlicolare de' letti, le mas
serizie di casa : trovi tu alcuno che non faccia i
letti del triclinio tulli eguali in maleria e in altex-
za e in forma f Chi non vi fa eguali e le salviette
e i cuscini ed ogni altro finimento ?
4. il linguaggio, dicono, fu introdotto per
utilit, e per vi si dee cercare, nou la somiglian
za, ma la comodit delle forme. Concedo anch' io
che il linguaggio fallo per utilit, ma al modo
de* vestimenti ; sicch in quella guisa che voglia
mo in essi la somiglianza, e facciamo le tuniche e
le toghe virili tulle a una loggia, e il medesimo
fanno le donne nelle loro stole e ne' loro pallii ;
cos a cagiou d'esempiu anche i nomi, lutloch
trovali per utilit debbano essere fra loro simili,
i maschili a maschili ed i femminini ai femmiuioi.
XXXVI. 4^ Ma veniamo al particolare. Di
cono che non v' analogia ne' composti ; perch
sebben facciasi persedit e perstitit^ non si fa per
percubuit n .......... Anche qui fallano ; perch
analogia porta solo eh' abbiano ad esser simili i
declinali corrispondenti di due voci simili : ma in
questo caso le due voci paragonate non vengono
dalle altre due.
XXXV. 5o. Fallano medesimamente dicendo
che non v' analogia, perch da Romulus ai fece
Roma^ non Romula^ e ovi/e chiamasi la stalla di
pecorc, non cos bovile quella di buoi. E di vero
nessun pretende che possa declinarsi nome da no
me, procedendo cos da nominalivo singolare a
nominativo sipgolaie i ma intende solo che i
casi corrispondenti di nomi simili deouo esser
simili.
XXXVI. 5i. Negar poi l'analogia per ci che
i nomi delle lettere latine non si varian per casi,
volere che si declini ci che di sua natura non
declinabile, e trarne argomento a negare ana-
logia dove s* hanno declinati simili di voci simili.
Laonde non s ha a cercare analogia, non pur nei
nomi delle lettere, ma neanche iu quei delle silla
be ; perch si dice, senza declinazionc alcuna, &a,
be e simili, qualunque sia il caso.
52. Nondimeno chi volesse dire che anche in
questa partila v' analogia dal iato delle cose, non
darebbe in nulla. Perch come insegnano essi me
desimi che alcuni nomi, risptb> all'uscita, hanno
cinque casi, ed altri quattro, ed altri ieno ; coe
polrasai anche dire che vi sono i uomi delle let
tere e delle sillabe, i quali non hanno che un so&o
caso, quanto all' uscita, bench gli accidenti del
la cosa sian molti. Onde a quel modo che si
hunt, ut conferant intfr se, dicentes, nt sii hoc
A huic A, esse hoc K * hoc K.
26 f
XXXVii. 53. Qaod dicont ewc qoaedam ver
ba quae habeant declinatus, ut caputa quorum
par reperir qaod non possit, non ewe analogias;
respondendum, sine dnbio, si quod est singulare
erbum, id non habere analogias. Minimura duo
esse debent verba, in qnibus iit similifudo ; quare
in hoc tollunt esse analogias.
54. Sed in nihil vocabulum recto rasu apparet
ifi hoc:
Quae dedit ipsa capit^ neque dispendi facit
hilum ;
quod valet nec dispendii facit quidquam. Idem
hor obliquo apud Plautum :
Video enim te nihili pendere prae Philolache
omneis homines ;
quod est ex ,ne et hili. Quare dictus est nihili qui
non hili erat, cash stante, cum commutatur de
quo dicitur; de homine dicimus enim, hic homo
nihili est, et huius hominis nihili ; et hunc homi
nem nihili. Si in illo commutaremus, diceremus,
nt hoc linum et libum, sic nihilum, non hic nihili,
et ut ^huic lino et libo, sic nihilo, non huic ni
hili. Potest dici patricus casus, u( ei praeponantur
praenomina plura; ut hic casus Terentii, hunc
casum Terentii, hic miles legionis, huius militis
legionis, hunc militem legionis.
XXXVIII. 55. Negant, cura omnis natura sit
nut mas aut femina aut neutrum, non * debuisse
ex singulis vocibus ternas vocabnlonim fguras
fieri, ut albus alba album ; nunc fieri in mullis
rebus binas, ut Metellus Metella^ Ennius En
ni ; nonnullis singub, ut tragoedia^ comoedia ;
sic esse Marcum^ Ifumerium^ at Maream, at Nu-
meriam non esse; dici corvum^ turdum^ non dici
corvam, turdam ; contra dici pantheram^ tneru
lam^ non dici pantherum, merulum : nuIHus no
strum filium et filiam non apte discerni marem
ac feminam, ut Terentium t Terentiam ; contra
deorum liberos et servorum non itidem, ut lovis
filium et filiam lovem et loram : item magnum
DB: l i n g u a LATINA LIB. IX.
paragonan fra loro que'nomi che hanno quattro
uscite, e parimente fra loro quei che n* han tre ;
cosi potrebbero anche paragonarsi insieme i nomi
che hanno un'uscita sola, dicendo : Sta A nomina
tivo ad A dativo come E nominativo ad L dativo.
XXXVII. 53. Ma ci sun p.^role pur declinabili,
ripigliano essi, che non hanno nessun riscontro,
siccome caput: dunque non v e analogia. S
certamente : se v* qualche parola unic nella sua
forma, quests non ha anilgie : perch ci debbo
no essere almen dne parole accioccb vi sa somi
glianza ; e per in questo caso tolta ogni possi
bilit d'analogie.
54. Mi quanto a /7, i he la sua forma inte
ra nel nominativo sia nihilum^ quasi ne hilum^
ce lo fa vedere quel luogo d Ennio ove dice che
la terra il corpo,
Cui di, riceve, ed oncia non ne pe^^e ;
poich Pultima sentenza v' cosi espressa : Neque
dispendifacit hiium^ che quanto dire : N per
de nulla. E il regolare genitivo di questo nihilum
troviamo in Pianto l dove dice :
Vedo che tu,
A petto di Filolache, non stimi
Tutti gli uomini un frullo;
perocch il testo ha te nihili pendere. Ond' che
nihili si disse anche ftssolulament d un uomo
da nulla: n per declinasi, quando varia di caso
il nome, a cui legasi; poich diciamo homo nihili^
homi is nihiliy hominem nihili. Che se variasse
anche il nihili^ come diciamo ho6 linum^ hoc li
hum^ huic lino^ huic liho^ cos dircbbesi anche
nihilum^ non hic nihilL, e nihilo^ non huic ni
hili. Ma ogni genitivo dipendente resta invaria
bile, bench varii il nome, da cui dipende ; onde
dicesi hic casus Tetyntii^ hunc casum Teren
tii^ hic miles legionis^ huius militis legionis^
eccetera.
XXXVIIL 55. Dicono che tutto in natura
maschio o femina, o non n Tuna n Paltra cosa;
e per in ogni vocabolo s dovrebbere vere tre
diverse forme, al modo di albus alba album. Ma
in molte cose ne abbiamo due, come Metellus
Metella^ Ennius Ennia ; in alcune una sola, co
me tragoedia^ comoedia ; di Marcus e TVieme-
rius tra gli uomini, di eorvus e turdus fra le be
stie non usasi il femminino, di panthera e me
rula il mascolino ; in tutti i nostri figli distin>
guonsi comodamente i maschi dalle fcmioc con
due uscite diverse, come Terentius e terentia ;
non cos ne figli degli dei, n de servi, ch n
Giovi si nomino i figli i Giove, n Giove le
a6 2
263
. TERENTI VARRONIS
a6 4
namerum ?oCAbulorum in hoc genere non eertt-
re analogiai.
56. Ad haec dicimus omnii orationii, qoamTs
re natura euhiil^ tamen si ea in usum non per-
Tenerit, eo non perrenire Terba : ideo equus dici
el e<fua^ in uiu enim horum discrimina ; corvus
el corva non, juod sine usu id quo dissimilis na
tura. Itaque quaedam aliler olim ac nunc : nam
el cum omnes mares et feminae dicerentur co-
lumbae^ quod non erant in eo nsu domestico quo
nunc ; nunc * contra, propter domesticos usus
quod inlernoTiraus, appellatur mas columhus^
femina columba.
57. Natura cum tria genera fransit, el id est
in usu discriminare ; lotum denique apparet^ ut
est in doctus et docta et doctum : doctrina enim
per tria haec transire potest, el usus docuit dis
criminare doctam rem ab hominibus et in hii
marem a&femioam. In mare et femina et neutro
neque natura maris transit, neque feminae, ne-
que neutra ; et ideo non dicitur feminus femi
na feminum, sic reliqua; itaque singularibus ac
secretis Tocabulie appelbti sunt.
58. Quare io quibus rebus non subest similis
natura aut usus, in his Tocabulis huiuscemodi ratio
quaeri non debet. Ergo dicitur, ut surdus vir,
surda mulier, sic surdum theatrum ; quod omne
hae res ad auditum sunt comparatae. Conlra ne
mo dicit cubiculum surdum, quod * ad silentium,
non ad audiium: ai li fenestram non habet, dici
tur caecum, ut caecus el caeca; quod omnia ubi ^
habitent, lumen habere debent.
59. Mas et femina habeni inter se natura quan-
dam societalem ; neutra cum his, quod sunt di
versa, non interest, quodque de his perpauca sunt
quae habeant quandam communitatem. Dei et
servi nomina quod non item ut libera noslra tran
seunt, eadem est causa : quod ad usum altiuet,
institui opus fuit de liberis, de reliquis nihil atti
nuit ; quod in servis gentilicia natura non siibest
in usu, in nostris nominibus, qui sumus in Latio
et liberi, necessaria, llaque ibi apparet analogia,
ac dicitur Terentius vir, Terentia mulier.
60. Tertium genus in praenomi ibus ideo non
iit, quod haec instituta ad usum singularia, qui
bus discernerentur nomina gentilicia ; ut ab nu
mero Secunda, Tertia^ Quarta; in viris ut
figlie; e infiniti dicono essere i nomi che in questa
decl i nazi one per generi non serbano analogia.
56. A ci rispondiamo che in tulla la lingua,
bench siavi in natura la cosa da nominare, pure,
se non se iie fa uso, non ha ne anche vocabolo. Noi
diciamo adunque eguus ed equa^ perch de' ca
valli facciamo uso secondo la diflTerenia de'sessi ;
ma non diciamo corvus e corva^ perche ne* corvi
questa differenza di natura non appartiene airuso
che ne facciamo. Ondech in alcune cose si diceva
un tempo diversamente che ora : poich, mentre
columbae si nomavano indifferentemente tolti i
colombi e maschi e femine, quando per ancora
non si nutricavano in casa ; ora in vece il dome
stico uso port che si distinguessero, chiamando
columbus il maschio c columba la femina.
57. Quando la natura stessa distendesi per
tulli tre i generi, e Tuso vuole che si distinguano;
si lascia vedere P intera forma declinaliva, qual
in doctus docta doctum: perch la dottrina pu
trovarsi in ciascuno di questi generi, e l uso in
segn a distinguere la cosa dotta dalle persone
dot le, e in queste o uomo o donna. Ma chi potreb
be pretendere che s* avesue ^rimenle a dire^mi-
nus femina feminum^ altra cosa simile? Certo
nessuno ; perch essere maschile o feminile o
neutro non si possono accomunare ; e per hanno
nomi solitarii e proprii.
58. Laonde ogniqualvolta n^nca nelle cose la
somiglianza della natura o dell' uso, non si pu
richiedere nei vdtaboli questa triplice forma. Cosi
surdus dici.imu d'un uomo, surda d'una donna,
Hurdum d un teatro ; perche tutte e tre queste
cose son fattr per ricever suoni : ma non sarebbesi
deltocu6fCu/iim perch le camere amano
in vece il silenzio. Bens direbbesi caecum^ se doo
avesse finestre ; perch ad ogni stanza sta bene
il chiaro: e per anche in questo vocabolo hanno
luogo tutte e tre le forme.
59. Del resto maschio e femina sono appaiati
in natura ; ma i neutri non han legame con essi,
perch sono diversi, e pochissimi che abbiano un
certa comunicanza. Quanto poi a' nomi degli dei
e de servi, la ragione che non passano, come i
nostri, ne figli, parimente l uso che domandava
quel contrassegno ne liberi, e no curava negli
altri. Poich ne servi non ha luogo per alcun uso
che debba farsene, la distinzione gentilizia, la quale
necessaria invece nei nomi di noi, che abbiamo
i diritti de Lntini e de liberi. Onde qui si lascia
v e d e r e ranalo^iii, e diciamo Terentius \\maschio,
Terentia la femina.
60. Non ha luogo il neutro ne pronomi, per
ch son note introdotte all uopo di oonlraddistio-
guere quei c hanno comune il nome di schiatta.
Cosi dal numero si dicono Secunda^ Tertia^
365 DE LINGUA LATINA LIB. IX. a6 G
Q u i n t a Sextus^ Decimus ; sic ab M t rebus.
Curo eiteot duo Terentii aut plures, difcemendi
caoM, ot aliquid siogulare haberent, notabant ;
forsitan ab eo, qui mane natus, ut is Manius es
set ; qui luci, Lucius ; qui post patris njortero,
Postumus.
6 r. E quibus, quae cura item accidissent fe
minis, proportione ita appellata declinarant prae
nomina mulierum antiqua, Mnnia^ Lucia^ Po
stuma, Videmus enim Maniam matrem Larum
ilici; Luciam ^o/amimam Saliorum carminibns
appellari ; Postumam a mnllis post palris mor
tem etiam nunc appellari.
6a. Quare quocumque progressa est natura
cum usu Tocabuli, similiter proportione propagata
est analogia ; cum in quibus declinationibus t o -
luntariis maris et feminae et neutri, quae Tolun-
taria, non debeant similiter declinari, sed in qui
bus naturales sint declinatus, hi qui esse reperiun-
tur. Quocirca in tribus generibus nominum inique
tollunt analogias.
XXXIX. 63. Qui autem eas reprehendunt,
quod lia Tocabula singularia sint solum ut cicer,
alia multitudinis solum ut scalae^ cum debuerint
omnia esse duplicia ut t^uus e^uiy analogiae fun
damentum esse obliTiscuntur naturam et usum.
Singulare est quod natura unum significat ut
e^uus^ aut quod conioncta quodammodo ad unum
usum ut bigae ; itaqne ut * dicimus una Musa^
sic dicimus unae bigae.
64. Multitudinis Tocabula sunt, unum infini
tum ut Musae, alterum finitum ut duae, tres, qua-
tuor; dicimus enim, ut hae Musae, sio onae bigae
et bina et Irinae bigae, sic deinceps. Quare tam
ifffi et unae et una quodammodo singularia sunt,
quam unas et una et unum : hoc modo mutat,
quod altera in singularibus, altera in coniunctis
rebus ; tt ut duo, tria sunt moltitudinis, sic bina,
trina.
65. Est tertium quoque genus singulare, ut in
mnltitadioe, uter^ in quo moltitudinis utri ; id
est uter poela singolari, otri poetae mnltitodinis
est. Qua explicata natura, apparei non debere
omnia TocaboJa moltitudinis habere par singola
re ; omnes enim nomeri j doobus sosum ?ersos
soollitodinis sont, neqoe eorum quisqoam habere
Quarta Ic femine ; Quintus^ Sextus, Decimus
i maschi; o similmente da altre cose. Per esempio,
se erano due o pi Tereniii, dovendo pur distin
guere dalPaltro, li contrassegnaTano con
qualche cosa di proprio, e chiamaTano Manio
quello che per a?Tentora era nato su l mattino,
o Lucio s'era nato di giorno, o Postumo se fosse
gi morto il padre.
61. E similmente, occorrendo queste ragioni
in donne, da questi sperano tratti anticamente an
che per esse gli analoghi prenomi di Mania^ di
Lucia^ di Postuma, In fatti noi Tcdiamo chia
marsi Mania la madre de* Lari, e Lucia Vola-
minia Iroviam ricordata ne' carmi de' Salii ; e
Postuma si noma ancora da molti quella che na
sce dopo la morte del padre.
6a. Sicch quanto si estese la somigliania di
natura e il bisogno del Tocabolo, altrettanto si
estese anche analogia ; perch quanto haf?i di
Tolonlario nelle declinazioni per generi non ha
obbligo i secondare analogia ; e in quanto son
naturali, si lro?ano in (atto quali debbono essere.
Dunque negano a torto analogia nei tre generi
de' nomi.
XXXIX. 63. Quelli poi che appuntano ana
logia, perch alcuni nomi hanno il solo singolare
come c/cer, ed altri il solo plorale come scalae e
simili ; mentre lutti i nomi, dicono essi, doTreb-
bero avere tutti due i numeri ; si dimenticano che
il fondamento dell' analogia la natura e uso.
singolare il nome, tanto se dinota cosa che sia
una in natura, come equuSy quanto se le cose sian
pi, ma in qualche modo congiunte a un unico
uso, come av?iene in bigae ; e per, come dicia
mo una Musa^ cosi diciamo unae bigae,
64. Dei plorali, altri sono indeterminati come
Musae^ altri determinati come se dicasi duo,
tres^ tfuatuor Musae: ma ad ogni modo non
possono cominciare che di U dall' uno. Ora, co
me diciamo determinatamente nel singolare una
Musa, e poi, passando al plurale, due Muse, tre
Muse ; cosi egoalmente diciamo unae higae^ e poi
binae e trinae bigae^ e ?ia a questo modo. On-
dech unit unae^ una sono in certa goisa singo
lari, non meno che unus^ una^ unum : la sola
difierenta questa che la seconda forma si ado
pera in ci ch' uno in natura, e l'altra in ci
eh ono per oongiontione. Bina poi e trina
sono plurali come duo e tria,
65. V anche uua tersa maniera di singolare
che pure abbraccia pi d'uno : ed iifer, il cui
plurale utri, sicch singolare uter poita^ ed
utri poitae il plurale. Spiegata cosi la natura
de* numeri, chiaro che non tutti i plorali deb
bono avere il loro corrispondente singolare; per
ch tutti i numeri di l dal due sono plorslt, n
267
. TERENTI VARRONIS 2 6 8
polest singulare rompar. Ininrin igitnr poftoUiH^
si qua sint singularia, oportere habere mulli
tudinis.
XL. 66. Item qui reprehendant quod non di
catur, ut unguenium unguenta, vinum vina, aie
acetam aceta, garum gara, faciunt imperite, qui
ihi desideraDt roultilodinis vocabulum, quae aob
mensuram ac pondera polias qaam aub naroerura
succedunt ; nam in plumbo, oleo, argento, cum
incrementum acceuit, dicimus multum oleum,
sic multum plumhum^ argentum, non mulla
olea, plumba, argenta ; qaom quae ex hisce fiant,
dicamus plumbea et argentea ( aliud enim cum
argenteum; nam id tam cum iam ?as; argenteum
enim, si pocillam aut qoid item); quod pocilla
argentea molta, non quod argentum multom.
67. Ea natara, in qaibos esi mensura, non
numeras, si gedera tn se habent plura et ea in
iiaum Tenerunt ; e genere multo sic vina, unguen
ta, dicta ; alii generis enim Tinum quod Chio,
aliod quod Lesbo ; sic ex regionibus aliis quae
ipsa adducantur nane mollias unguenta, qaorum
nane genera aliqnot. Si item discrimina magna
essent olei et aceti et sic ceterarum reram eius-
inodi in usa communi, dicerentur sic olea, ut -
na. Quare in ntraqae re inique rescindere conan
tur analogiam, et quom in dissimili usu similia
ocabala quaerant, et quom item ea quae meli-
mar, atqae ea quae numeramus, dici putant
oportere.
XLI. 68. Item reprehendant analogias, quod
dicantur mullilodinis nomine publicae balneae^
oon baloea ; contra quod priTati dicant unum
balneum^ quom plura balnea non * dicant. Qui
bus responderi potest non esse reprehendendum,
qnam * quod scalae et aquae caldae^ pleraqne
quae cam causa, multitudinis Tocabulis sint ap
pellata neqne eoram singularia in nsum Tcnerint,
idemqae item contra. Primum, balneum nomen
at Graecum introiit in urbem, pablire ibi conse
dit, ubi bina essent conioncla aedificia la?andi
caasa ; anom ubi viri, alternm ubi mulieres Ut-
rentur. Ab eadem ratione domi saae quisqae, ubi
lavatur, balneum dixerant; et quod non erant
duo, balnea dicere non consoevemnt, cum hoc
antiqui non balneum, sed la**atrinam appellare
conaucssent.
69. Stc aquae caMae, ab loco et aqua quae ibi
ce n* alcuno che possa avere un singolare corri
spondente. 11 perch pretendono torto che non
et debba essere singolare senza il proprio plorale.
XL. 66. Similmente chi oppone che unguen-
tum e vinum hanno il loro plurale, ed air incon
tro acetum e garum non hanno, fa oso di poco
senno volendo il plorale in cose, le quali cadono
meglio sotto misura e peso che sotto numero ;
poich nelPolio, nel piombo, nelPargento, qaando
crescono di quantit, si dice molto olio e molto
piombo od argento, non gi molli olii o piombi
od argenti. Bens ne lavori che se ne fanno, han
luogo i plurali plumbei ed argentei; perch allora
non pi l'argento che consideriamo, ma i lavori
falli con esso argento, come coppe od altro; sic
ch diciamo molte coppe argentee pel loro nu
mero, non per la quantit dell argento.
67. Pure anche le cose non soggette a nume
ro, ma a misuro, se abbiasene di pi qualit che
siano gi in uso, per rispetto alle qnalil diverse,
si dissero cos in plurale vi/io, unguenta ; perch
altro il vino di Chio, altro quello di Lesbo, e
cos varii gli unguenti che oggid con troppa
mollezza traggonsi anch essi da altre lerre. Che
se nel comune uso vi fossero pi qualit ben di
stinte d olio e d'aceto e d altrettali cose, come
di vino ; avrebbero neh essi il loro plurale. Co
loro adunque che sforzansi con questi eseropU di
abbattere lanalogia, fanno doppio errore, e qaan
do pretendono vocaboli simili in cose d oso di-
aioailc, e quando credono che s abbia a tenere
ano stesso modo in ci che ha numero t in ci
che ha misura.
XLI. 68. Tassano inoltre l analogia, pench
i pobblici bagni si dicono nel numero dei pi
balneae^ non balnea ; mentre de privali si dice
balneum, s uno, ed ove sian pi, tuttavia 000
dicesi balnea. A costoro si pu rispondere che
in ci non havT che biasimare, pi che nell es
sersi detto scalat ed aquae caldae nel numero
dei pi, escludendo quello dell uno, ed in altri
nomi facendo invece il contrario ; le quali cose
hanno pur tutte la loro buona ragione. La pri
ma forma, sotto cui quel nome entr in Roma,
fu balneum secondo il greco uso : ma, perch il
bagno pubblico, a cui s applic, formossi di due
fabbriche unite, acciocch vi si lavassero separa
tamente, in una gli uomini, nell altra le donne ;
cos chiamossi balnea^ non balneum ; donde poi
la moltitudine, pigliando per singolare quel no
me, ne fece balneae, A somiglianza del pubblico,
ciaacuno chiam allora balneum anche il suo ba
gno domestico ; ma no '1 disse balnea^ perch
non erano doe. Primi d allora cotesto bagno do
mestico si soleva dir lavatrina,
69. Cos, quando i nostri, per le delzie dei
a6.j
DIl l i n g u a LAllIS LIB. IX.
2JD
scalerei, cum ul colercnlur venistel in luum uo-
Iris, cum aUae ad alium morbum iduoeae eeteol,
eae cura plurei cssent, ut Puleolis et in Tufcis,
quibas a t c b i o t u r , roulliludiois polius quam s d -
gulari Tocabulo Hppcllarunl. bictcalas, quod ab
scandeodo dcanlur et singulot gradus scaoderenl,
nagis erat quaerendum, si appetlasseoi singulari
vocabulo scalam, cum orif o uomioatus osteodcrel
coDlra.
XLll. 70. llem rcprehvnduulde casibus^ quod
quidam nomioalus habenl reclos, quidam obli
quos ; quod dicuoi utrosqu iu vocibus oporlere.
Quibus idem responderi polcst, in quibus usos
et natura Bon subsii, ibi non csie aDalogiam.
71. Sed ntrc in vocabuHs que declinantur, si
transeunt e recto casu in rectum casum ; quae
tamen non discedunt ab ratione sine iuita causa,
ut hi qui gladiatores Fausiini. Nam quod pleri>
que dicuntur, ut tris extremas syllabas habeant
easdem, CasceUiani^ J^uiliani, Caeciliani;
animadvertant, unde oriuntor, nomiiMi dissimilia
CasceDius, CaeciHus, Aquilius, * Faustus : quod si
esset * Faustius, recte dicerept Fauslianos. Sic a
Scipione qoidam male dicunt Scipiooinos ; nam
tst Scipi^mriOS. Sed, ut dixi, quo<l ab buiusoe-
modi cognominibus raro declinanlBr cognomina,
neque iu osum etiam perducta ; oatant quaedam.
XLlll. 72. item dicunt, cum sit simile stultus
luscus, et dicatur stultus stultior stultis simus ^
non dici luscus luscior luscissimus ; sic iu hoc ge
nere multa. Ad. quae dico ideo iieri, quod natura
nemo lusco magis sit luscus> cum stultior fieri
videatur.
XLIV. jS. Quod rogant quor nou dicamus
mane manius manissime, item dc vesperi ; in tem
pore vere magis et minus esse non potest, ante et
post poteal ; itaque prius est hora prima quam
secunda, non magis hora ; sed magis mane sur
gere tamen dicitur qui primo mane surg^t, quam
qui non primo. At eiiiiu dies non polesl esse ma
gis quam mane; itaqua ipsum boc quod dicitur
magis, sibi non coustal, quod magis mane aigni-
dcal primum onum, ma^is s^espere novissimum
vesper.
XLV. 74 abhuiusceinodi similitudinibus
riprehendilur atoalugia, quod, cum ait auus cadu
luoghi e per aequa cbe vi scaturiva, tolsero a
frequentare le fonti termali, essendo buone quali
per uu morbo e quali per un altro, e per varie
le fonti di cui usavano, in Pozzuoli, in l'oscana
ed altrove, le chiamarono nel numero del pi
aquae caldae^ amiche in quello dell' uno. L
scale poi, traendo il nome da scaudere, sarebbe
stato piuttosto da farne carico se si fossero nomi
nate nel numero dell' uno; mentre Torigiuc della
parola, nou salendo&i che di gradino in gradino,
voleva il contrario.
XLll. 70. Auche ne'* casi dicono zoppicare
l'analogia, perch alcuni nomi hanno il solo ret
to, altri i soli obliqui; mentre, com' loro avviso,
in tulli ci dovrebbero essere e questi e quello.
Ala vale anche qui la solita risposta che, dove
mancii la natura e uso della cosa, cessa insieme
analogia.
71. Lo stesso dicasi della declinazione de' vo
caboli da nominativo a nominativo ; tuttoch non
partasi presso che mai dalla regula senza una giu
sta ragione, come pu vedersi ne' gladiatori delti
Fausiini. Poi eh ben vero che la pi parte
degli altri s chiamano con desinenza diversa Ca-
scelliani^ Jfuiliani^ Caeciliani; ma da notare
che son por diverse le origini Cascellius^ Cae
cilius^ Jguilius, t Faustus: che se il nome fosse
stalo Faustius^ allora s che avrebbero dovuto
dirsi Faustiani Cos da Scipione akuni (anno
nsalamente Scipionini; perch si dee dire Sci
pianarii. itf a nomi proprii da nomi proprii, come
ho gi dello, nou se ne Iraggon che rari, n son
tanto in oso ; sicch alcuni ondeggiano#
XLlll. 72. Domandano pui per qual ragione
ni luscus u taol'allri addicttivi, non si declinino
per gradi; mentre stultus^ cbe pur simile a
scusy ia stultiar e stultissimus. Ci viene, ri
spondo io, perch, dicendosi luscus obi devo
d' un occhio, iu ci la natura non comporta gra
di *. bens nella slolteakza ba luogo il pi ed il meno.
XLIV. 7^ Anche a quelli che vorrebbero
gradi negli avverbii mane e vesperi^ similmente
rispondo che nel tempo non prende veramente
luogo il pi ed il meno, ma il prima e il da poi ;
onde la prima ora rispetto alla seconda chiamasi
antecedente^ e non pi ora dell' altra. Tultavia di
chi levasi su'l primo fare del giorno, usiamo dire
eh ei sorge magis /isa/ie,cio pi di buon mattino,
che non chi si levs a d fallo : ma propriamente
nel giorno pi cbe di mattina non vi pu euere ;
ch sarebbe ntte, e non gi mattina. Ondech
questo uso medesimo di magis nou ha costanza ;
poich magis mane dinota il principio della mat
tina, e magis vespere invece il fine della sera.
XLV. 74 Anche Be' diminutivi Irovan difetto
d* analogia ; perch, essendo simili anus e cadus
271
. TLKLNll VAKRONIS 2 9 2
timile et lit ab uu anicula anicilla^ cado duo
reliqua nou sini propagata ; aie nou dicalur a pi-
icioa, pitdnula, piscioilla. Ad huiuMemod foca-
bula aoalogias eue^ ut dixi, ubi inagotudo ani-
roadverteada tit in unoquoque gradu, eaque sii
io U8UcominnDi, ut est cista cistula cistella et
canis catulus catellus^quod io pecoris usu esi.
Itaque coosuetndo frequeotius res in bioas di fidi
partcis ut maius et mious ; ut lectus et lectulus,
arca et arcula^ sic alia.
XLVl. 75. Quod dicuDt casus alia uon habere
rectos, alia obliquos, et ideo noo esse analogias,
falsum est. Negant habere rectos, ut io hoc frugi*
frugi frugem^ il em colis coli colem ; obliquos
non habere, ut iu hoc Diespiter Diespitri Diespi
trem, Maspiter Maspitri Maspitrera.
76. Ad haec respondeo et priora habere no
minandi, et pusteriora obliquos. Nam et frugi re
ctus est natura frux ; atsecundum consuetudinem
dicimus, ut httec avis, hec oys, sic hsKC frugis.
Sic secundum naturam nominandi est casus cois,
secundum consuetudinem colis; cum ulrumque
couveoiat ad analogiam, quod e( id quod in con
suetudine non est, quoiusmodi debeat esse appa
ret, et quod est in consuetudine nunc in recto
casu, eadem est analogia ac pleraque qoae ex mul
titudine cum transeunt in singulare, difficulter
efferuntur ore. Sic cum transiretur ex eo quod
dicebatur hae oves, ona non est dicta ous, sed
additum I ac factum ambiguam verbum, nomi*
nandi an patrici esset casus, ut ovis et avis.
77. Sic in obliquis casibus cor negent esse
Diespitri, Diespitrem, non video, nisi quod mi
nus est tritum in consuetudine quam Diespiter :
quod nihili argumentum est ; nam tam casus qui
noo tritus est, quam qui est. Sed esto in casuum
serie alia vocabula non habere nominandi, alia de
obliquis aliquem : nihil enim ideo, quo minus siet
ratio, percellere poterii hoc crimen.
78. Nam ut signa quae non habent caput aut
aliam quam pariem, nihilominus in reliquis mem
bris eorum esse possunt analogiae; sic iu vocabu
lis casuum pouunt item fieri, ac reponi quod
aberit, ubi patielur natura et consuetudo : quod
nonnunquam apud poetas invenimus factum, ut
in hoc apud Naevium in Clastidio :
yita insepultmy laetus in patriam redux.
di quello abbiamo i due gradi inferiori anicula
ed anicella ; ma non li abbiamo di cadus^ n
tampoco di piscina e d'altri. Rispouder ci che
ho detto altre volte, che anche iu queste voci I V
nalogia noo vale se non doye occorra notare la
grandezza della cosa in tulli i suoi gradi, e se ne
faccia comunemente uso. Cos delle ceste; onde
dicesi cista^ cistula^ cistella: cos de'cani che,
servendo all uso de' greggi, hanno parimente i
tre gradi canis^ catulus^catellus. Ma solitamente
baslan due gradi, ticch distinguasi il maggior
dal minore, come lectus da lectulus^ arca da ar-
cii/a, e somiglianlL
XLVI. 75.11 dir poi che ad alcuni nomi man
ca il caso retto, e ad altri gli obliqui, sicch nou
v' analogia ; dir cosa non veni, lo (alti quali
on questi nomi 7 Manca il retto, dicono essi, io
frugis frugi Jrugem e colis coli colem ; manca
no gli obliqui in Diespiter e Maspiter.
76. N i due primi nomi, rispondo io, difet
tano di nominativo, n di casi obliqui i secondi.
Il nominativo naturale di frugis kfrux : ma se
condo uso diciamo Jrugis, al modo di as^is ed
o\fis. Cos deir altro il vero nominalivo sarebbe
cols ; usitato eolis : ma n uno n lUo
ripugna all' analogia { perch, se il primo 000 s
usa, per chiaro qual dovrebb' essere ; e quello
che s* usa ora, segue la regola di tanl' altri nomi
che, nel passare dal numero dei pi a quello del-
uoo, darebbero aspro e diffidi soono. Cos da
oves volendosi fare il nominativo nel numero
deir uno, non si <lisse oui, ma ovisy tuttoch po
tesse confondersi col genitivo che parimente o\^is.
77. N veggo perch si neghino i casi obliqui
Diespitri, Diespitrem^ te 000 perch meno usi-
tati di Diespiter: ma questo argomento da nul
la ; perch il farsene poco o molto uso non toglie
che non siano ugualmente casi. Ma concedasi pure
che vi sia qualche vocabolo, a cui nella serie dei
casi ne manchi alcuno, a chi il retto, a chi qual
che obliquo. Questa mancanza non guasterebbe
punto, sicch non reggesse analogia.
78. Poich a quel modo che in una statua,
V aver mozzo il capo o qualch'altra parte, non Fa
s che la proporzione non resti nelle altre mem
bra ; cos ne' vocaboli b mancanza di qualche
caso non toglie che possano ragguagliarsi gli altri,
e restituire quei che vi mancano, in quanto il pa
tiscano la natura 0 oao ; come reggiamo aver
fatto alcune volle i poeti. Cos da' casi obliqui
trasse Nevio il nominativo redux in quel luogo
del Clastidio, ove dice :
Lieto con 1' alma
Al sepolcro fuggita ia patria torna.
DE LINGUA LATINA LIB. I X,
XLVIL 79. Hem reprebcndaul, qaod dicatar
haec struesy hic Hercules^ hic homo ; debuisset
eoim dici, fi esiet aoalogi, haec stroi, hic Hercal,
hic homeQ. Haec osteDduot non analogian non
eise, scd obliqao casui non habere capul ex ma
analogia ; naiB al si in Alexandri stalua imposue
ris caput Philippi, membra conTeniant ad ratio
nem, Hcel ad Alexandri membrorum simolacmm
caput quod respondeat id non sii. Non, si quis
tunicam in asa ita consuit at altera plagula sit
angostis cUt s, altera latis, utraque pars in suo
genere caret analogia.
XLVIll. 80. llem negant esse analogias, quod
alii dicunt cupressus^ alii cupressi: item de ficis,
platanis et plerisque arboribus, de quibus alii
extremam US, alii EI faciunt. Id est falsom; nam
debent dici Ii et I fic i ut nummi, quod est ut
nummi fici, ut nummorum ficorum. Si essent
plores ficus, essent ut niauus diceremui, ut ma
nibus, sic ficibns, et, ut manuum, sic ficaum ; ne
que has ficos diceremus, sed ficus, ut non manos
appellamus, sed * manas ; nec * consuetudo di
ceret singularis obliquos casus huius fici neque
hacfico^ ut non dicit huius mani, sed huius ma-
nus^ et hac mano, sed hac manu.
XLIX. 81. Etiam illud putant esse causae
quor non sit analogia, quod Lucilius scribit :
Decussi^
Sivt decussibus est.
Qui errant, qaod Lucilius non debuit dolMlare,
quod utrumque. Nam in aere usque ab asse ad
centussis numerus aes adsignificat, et eius numero
finiti casus omnis a dupondio sunt, quod dicitur
a multis duobus modis hic dupondius et hoc du
pondium^ ut hoc gladium et hic gladius. Ab tres
sibus virilia multitudinis hi tresses^ et His tres
sibus conficto ; singulare Hoc tressis habeo, et
Hoc tressi conficto : sic deinceps ad centussis.
Deinde numerus aes non significat.
$a. Numeri qni aes non significanli, osque a
qoaluor ad centum, triplicis habent formas, quod
dicontur hi quatuor, hae quatuor, hacc quatuor :
quom perfentum est ad miliarium, assumit sin-
M. Teb. Vabbobb, dbl l a l ihgda l at iba.
XLVll. 79. Un altro argomento per negare
analogia Ireggono dai nomi strus^ Hercules^
homo^ perch dofrebbesi dire strus^ Hercul^
ed homen. Ma che significa questo ? Forse che
non t ' analogia? No, ma soltanto che in questi
nomi i casi obliqui non hanno il proprio retto
corrispondente. Cos per esempio, se dalla statua
di Filippo si mutasse il capo in quella d'Alessan
dro, ci non guasterebbe che le altre membra non
istessero in proporzione fra loro, bench il loro
capo non sarebbe quello. E chi si facesse una tu
nica con larghe liste da una parte, e strette dal-
altra ; ci non ostante ciascuna parte avrebbe
analogia nel suo genere, quella con le laticlavie,
questa con le angusticlavie.
XLVIII. 80. Negano inoltre che sienvi analo
gie, perch nel nomine!ivo plurale altri dice cu
pressus, altri cupressi^ e il medesimo de' fichi,
de' platani e della pi parte degli arbori, che i
loro nomi plurali chi li fa uscire in US e chi in I.
Ma errore di chi non conosce la vera uscita ;
perch al tutto dee dirsi fic i con EI, cio con 1
lungo, al modo di nummi^ stante che i genitivi
sono fici e ficorum,^ al modo di nummi e num
morum. Che se il nominativo plorale ioue ficus,
seguirebbe la regola di manus^ e ficibus
come manibus, e ficuum come manuum^ e lac
cusativo sarebbe ficus^ non /icox, come e manus^
non manos. Cos nel numero dell' uno non s'use
rebbe dire fici e fico, come non dicesi mani e
ma/io, ma bens manus e manu.
XLIX. 81. Si fanno arma a combattere l ana
logia anche di quel passo di Lucilio, ove dice ;
O decussi o decussibus^ qual vnoL
Ma hanno torto, perch Lucilio non vi dovette
far dubbio quando pose ambedue le forme. Poi^
ch ne computi in rame, da un asse a cento, il
numero consignifica a/, ed i varii casi sono tutti
determinati dallo steuo numero, salvo che nei
due aui, che molti dicono dupondius nel genere
del maschio, e molti invece dupondium nel neu
tro, come la spada tanto gladius che gladium.
Dai tre assi in su diciamo nel plurale maschile hi
tresses e simili ; Bis tressibus conficto. Con
vengo per li tre assi, eccetera ; e nel singolare.
Hoc tressis habeo^ Ho questi tre assi ; Hoc
tressi conficto. Contengo per questi tre assL
Cosi con questa regola fino a centussis, cio a
cento assi : di l non s aocorapagna pi al nume
ro la specie aes.
8a. 1 numeri che non dio^no bench
dal quattro al cento non abbiano ch una sola
uscita, servono per a lutti tre i generi^ cio dice
ti Qgaalmente hi quatuor^ hae quatuor ed haec
id
. TERENTI VARRONIS ^76
gelare neotnim, quod didior hoc millt dena
riunty qao muItitodDi fit milia denaria.
83. Qoare, qoom ad analogiai qaod pertineat
non eit ul onioia fimiKa dicantor, aed at in lao
quaeque genere timililer declinentur; ttuUe quae
runt, cur ai et dupondint et trestis non dicanlur
proportione, cum as sit simplex, dupondius fictus
quod duo asses pendebant, tressis ex tribus aeris
quod sit. Pro assibus nonnunquam aes dicebant
antiqui ; a quo diciraus assem tenentes : Hoc aere
aeneaque libra, et Mille aeris legasse.
84. Quare, quod ab tressis usque ad centussis
numeri ex eiusderomodi sunt compositi, eios-
demmodi habent similitudinem ; dupondius, quod
dissimilis est, ut debuit, dissimilem habet ratio
nem ; sic as, quoniam simplex est ac principium,
et unum significat et multitudinis habet suum
infinitum; dicimus enim asses: quos eum finimus,
dicimus dupondius et treisis et sic porro.
85. Sic videtur mihi, quoniam finitum et in
finitum habeat dissimilitudinem, non debere u-
trumque item dici ; eo magis quod in ipsis voca
bulis, ubi additur certus numerus in miliariis,
aliter atque in reliquis dicitur ; nam sic loquon-
tur: Hoc mille denarium^ non Hoc mille denarii,
et Haec duo milia denaria^ non duo milia de
narii. Si esset denarii in recto casu atque infini
tam multitudinem significaret, tunc in patrico
denariorum dici oportebat, et non solum in de
nariis, victoriatis, drachmis, nummis, sed etiam
in virifl idem terrari oporteret, qoom dicimus
iodiciom fuisse triumvirum^ decemvirum^ non
triumvirorom, decemvirorom.
86. Nomen antiqui habent analogias, qood
omnibus est una novenaria regula, duo actus,
tres gradus, sex decuriae, quae omnia similiter
inter se respondent. Regula est numerus novena
rias, quod ab uno ad novem cum pervenimus,
rursus redimus ad unum, et hiac et novem et no
naginta et nongenti ab una sunt natura novena
ria ; sic ab octonaria, et deorsum vertas ad sin
golari ptrveninbl.
(juatuor. Qoando vienti al migliaio, osasi mille
singolare neutro a questo modo: Hoc mille dena
riumy Questo migliaio di danari ; e se ne fa il
plurale milia denaria^ migliaia di danari,
83. Domandare adunque perch as^ dupon
dius e tressis non tengano una medesima regola,
una scioccheria : perch ci che richiedesi alPa-
nalogia non che tutte le voci sgabbiano a dire
in un modo, ma che ciascuna convengasi col pr
prio genere. Ora as parola semplice ; gli altri
due composta : dupondius dall esser due pondi,
cio due assi, in peso ; e tressis dal proprio nu
mero e da aeris^ cio dall' equivalere a tre assi.
Perocch gli antichi usavano qualche volta aes
per asse; donde seguitiamo a dire, tenendo Passe
in mano: Hoc aere aeneag^e libra^ cio Con
questo asse e questa bilancia di rame ; e nei
testamenti mille aeris legasse quanto a dire
Aver lasciato un migliaio d* assi.
84. Quindi che da tressis fino a centussis^
euendo tutti i numeri composti dallo steuo aeris^
seguono anche la stessa regola ; dupondius io
vece, com' formato diversamente, tien anche di
verso modo; ed ai, essendo semplice e primo, ha
tanto il singolare, quanto il suo indeterminato
plurale asses: quando poi si determina il numero
di questi assi, diciamo dupondius se sono due,
tressis se sono tre, e cos avanti.
85. Siccome poi determinato ed indeterminato ti
diflerenzian di genere, non parmi giusto cheTuno
e Paltro si dovessero dire allo steuo modo; tanto
pi che anche nelle migliaia, quando se ne deter
mina il numero. Io stesso nome si dice ahrimeoti
che neir altro caso ; poich d'un migliaio di danari
si dice hoc mille denarium^ non hoc mille dena
rii; e di due migliaia, haec duo milia denaria^
non duo milia denarii. Se si fossero dinotati pi
danari senza determinarne il numero, il nominati
vo sarebbe stato denarii^ e per il genitivo dena
riorum. Che anzi questa differenza fra il plurale
determinato e P indeterminato pu non solo in de-
nariusf in victoriatus^ in nummus^ ma auche nel
nome vir ; ch, parlando de'triumviri o dei de
cemviri, non diciamo iudicia triumvirorum^ ma
triumvirum^ n decemvirorum^ ma decemvirum.
86. Negli antichi numeri v' analogia, perch
procedono tutti con la misura del nove, e si divi
dono in due grandi ordini fra loro simili, con tre
gradi corrispondenti in ciascuno, onde nascono tei
decurie. La misura il nove; perch, quando dal-
uno siamo giunti al nove, ci rifacciamo da capo
alP uno ; sicch nove, novanta e novecento too
d'una stetui natura : cos otto, ottanta e ottoceo-
to, e tutti gli altri corrispondenti, finch vienti
alPuno, cio ad una sola uniti, ad una tela dedoa,
a un tol centinaio.
377
DE LINGUA LATINA LIB. IX. 9 7 8
87. Aclof primoa est ab uno ad noagenU, se
cando! a mille ad nongenla milia. Quod idem
valebat unam et mille, uirumqoe lingulari nomi
ne appellatar ; nam, ut dicilar hoc unum^ haec
duOy ^sic hoc mille^ haec duo * milia^ et sio
deiuceps muUiladinis in duobus aclibus reliqui
omnes item numeri. Gradus singularis est in utro
que actu ab uno ad novem ; denarius gradus a
decem ad nonaginta; ccnlenariui a centum ad
nongenta. Ita tribns gradibus mx decuriae fiunt,
tres miliariae et tres minores. Antiqui his numeris
fuerunt contenti.
88. Ad hos tertiam et quartam actum adicien-
tes minores, imposuerant vocabula, non quae ra
tione, sed tamen non contra eam, de qua scribi
mus, analogian. Nam deciens cum dicatur hoc
deciens ut mille hoc milicy ut sil utrumque sine
casibus vocis ; dicemus, ut hoc mille huius mil
/e, sic hoc deciens huius deciens ; neque eo mi
nus in altero, quod est mille, praeponemoi hi
milUy horum mille.
L. 89. Quoniam in eo est nomen commane
quam vocant ^^ obliqui casos ab eodem
capite, cbi erit %^ qao minus dissimiles
fiant analogia non prohibet. Itaque dicimus hic
ArguSy cum hominem dicimus ; cum oppidum
Graecanice hoc Argos^ cum Latine Argi. Item
faciemus, si eadem voi nomen et verbum signi
ficabit, nt et in casus et in tempora dispariliter
declinetur, ut faciamus a Me/o, qood nomen est,
MetoniSy Metonem ; quod verbum est, metam
metebam.
LL 90. Reprehendunt, cam ab eadem voce
plura sunt vocabula declinata, quas
appellant ; ut Sappho * Sapphoni et Sappho^ *
et Alcaeus Alcaeoni^t\ AlcaeOytic Gerjon Ge
rjoni et Geryonae. In hoc genere, quod casns
perperam permutant quidam, non reprehendant
analogian, sed qui eis ntuntur imperite. Quod
quisque caput praehenderit, sequi debet eius con
sequentis casas in declinando, ac non tacere, cam
dixerit recto casu Alcaeus, in obliquis dicere Al-
caeoni et Alcaeonem : quod si miscuerit et non
secutus erit analogias, reprehendendus.
Lll. 91. Reprehendunt Aristarchum, quod
haec nomina Melicertes et Philomedes similia
neget esse, qood vocandi casos habet alter Bfeli-
87. Dei dae grandi ordini il primo da uno
a novecento, altro da mille a novecentomila )
ed per questa conformiti dell'uno col mille,
che ambedue hanno nome singolare. Perch al
modo stesso che dicesi hoc unum, haec duOy di
cesi anche hoc miVe^ haec duo milia, e cos se
guitando sempre nel namero dei pi tanto nel-
Tuno, quanto nell* altro ordine. In ambedae v'ha
tre gradi, il primo di unit da uno a nove, il se
condo di decine da dieci a novanta, il terzo di
centinaia da cento a novecento. Cosi tutti i nu
meri sono ordinati in sei decarie, tre minori, e
tre millenarie. Gli antichi non andaron pin l.
88.1 moderni poi, aggiongendo a questi due
altri ordini, non osservarono, vero, nei nomi
dati intera regola degli altri ; ma non ascirono
nemmeno in tutto da quella proporzionalit, di
cui parliamo. Perocch usandosi il deciens neu
tralmente, siccome mi7/e, e non variandosi n
un n altro per casi ; potremo dire hoc de-
cienSy huius deciens^ come hoc milUy huius
milUy e ci non ostante nel secondo ordine, che
del mille, si potr premettere hi mille, horum
mille.
li. 89. Allorch un nome medesimo comune
a cose diverse, l'analogia non divieta che da qoella
origine equivoca, per qaeslo appunto eh' equi
voca, si traggano casi obliqui dissomiglianti. Cosi
per togliere equivocazione, essendovi un Argo
uomo e un Argo citt, dell'uomo diciamo hic
Argus, e della citt hoc Argos alla grechesca o
Argialla latina. E non altrimenti avverr, quando
una voce medesima sia tanto nome che vecbo ;
poich declinata piglier due forme diverse, l'un
di tempi e l'altra di casi ; come, per cagion d'e
sempio, da Meto, in quanto nome, facciamo Me
toniSy Metonem, ed in quanto verbo, metam,
metebam,
LI. 90. Tassano inoltre quelle che con greco
nome si chiamano sinonimie, cio quando una
sola voce declinasi in pi modi diversi ; come
Sappho che fa Sapphoni e Sappho, Alcaeus che
fa Alcaeoni ed Alcaeo, Geryon che fa Geryoni
e Geryonae. Ma quanto a ci, se alcuni scambia
no forme appartenenti a ceppi diversi, non se ne
dia biasimo all* analogia, ma a costoro che non
sanno usarle. Ch qualunque il ceppo, a coi ci
appigliamo, ragione che ci attenghiamo ad esso
in lutti i casi che ne discendono ; e quando s'
detto Alcaeus nel nominativo, non dicasi poi
Alcaeoni ed Alcaeonem ne' casi obliqui. Chi fa
tali miscogli e non segue analogia, egli che
merita il biasimo.
LII. 91. Riprendono Aristarco perch neg
che Melicertes e Philomedes sieno nomi simili,
(oeado o d o nel vocativo MelicertOy e altro
79
. TERENTI VARRONIS a8o
certa, ilter Philomedet : sk qui dicat lepus t
lupus non esse simile, quod alterius Tocandi ca
sus sit lupe, alterius lepus ; sic socer^ macer^
quod in transitu fiat ab allero trisyllabum soceri,
ab altero bisyllabum macri.
ga. De boc etsi sopra responsum esi, cum dixi
de lana, hic quoque amplius adiciam similia non
olnm a facie dici, sed etiam ab aliqua coniuocla
vi ct potestate, qnae et oculis et auribus latere
soleant; itaque saepe gemina facie mala negamus
esse similia, si sapore sunt alio : sic equos eadem
facie nonnullos negamus esse similis, si nationes
ex procreante dissimilis.
93. Itaqne in hominibus emendis, si natione
alter est melior, emimus pluris; atque in hisce
omnibus similitudines non sumimus tantum a
figura, sed etiam aliunde, ut in equis aetas, ut in
OTS cuinsmodi faciant pullos, ut in pomis quo
sint succo. Si igitur idem sequitur in similitudine
erborum quis, reprehenduodum non est.
94. Quare dissimilitudinum discernendarum
causa nonnunqoam ut pronomen assumitur, sic
casum aliquem assumi ; ut in bis nemus, lepus,
hic lepusy hoc nemus^ itaque discedunt ac dicun
tur hi lepores^ haec nemora ; sic aliud si quid
assumptum erit extrinsecut, quo similitudo peni-
tns perspici possit ; non erit remotum a natura :
neque enim magnelas lapides duo, inter se simi
les sint necne, perspicere possis, nisi minulum
xtrinsecus prope apposueris ferrum, quod simi
les lapides similiter ducunt, dissimiliter dissimiles.
95. Quod ad nominatuum analogian perlinet,
ita declinatum arbitror, ut omnia quae dicuntur
contra, ad respondendum ab his fontibus sumi
possit.
LUI. Quod ad verborum temporalium ratio
nem attinet, cum paries sint quatnor, temporum,
personarum, generum^ di?isionnm, ex omni parte
quoniam reprehendunt, ad singula respondebo.
LIV. 96. Primum quod aiunt analogias non
ervari in temporibus, cum dicant legi lego le
gam et sic similiter alia ; nam quae sint ut legi
perfectum significare, duo reliqua lego et legam
inchoatum; iniuria reprehenduut. ex eodem
genere et ex divisione idem verbum, quod sum
ptam est, per tempora traduci potest, at disc-
Philomedes ; medesimaraente chi dice che le
pus e lupus non sono simili, discordando i lor
vocativi lepus e lupe^ e che non sono neanche
simili socer e macer^ stante che nel passare dal
caso retto agli obliqui uno diventa soceri tr
sillabo, e altro macri dissillabo.
93. Quanto a ci, s' gi risposto sopra con
Tesempio della lana gallica e della pugliese : pure
dir qui per giunta che la somiglianza non si giu
dica soltanto a vista, ma che vi li dee tener conto
anche d' una certa affinila di natura e di virili, che
solitamente si cela all' occhio e all' orecchio ; e
per due poma che sian tult'uno a vederle, non
di meno, come spesso incontra, le diciam dissi
mili, se hanno sapor differente; ed alcuni cavalli
che occhio dice gemelli, neghiamo che sieno
simili, se differiscon di razza.
93. Cosi anche nel comperare gli schiavi,
guardiamo alla nazione, e quanf migliore, pi
li paghismo ; e in tutte queste cose non pigliamo
le somiglianze solo dal di fuori, ma anche da al
tre parli, qual ne cavalli l et, nelle nova i pul
cini che danno, nelle poma il sugo. Che se qual
cuno lien la medesima regola nelle somiglianze
delle parole, chi lo potr biasimare l
94. Il ricorrere adunque a qualche caso per
discernere le dissomiglianze de nomi, in quella
guisa che ricorriamo alcune volte alParticolo, co
me in lepus e nemus^ che siccome portano uno
articolo maschile e altro il neutro, cos li ve
diamo poi dilungarsi, e nel nomiuativo plurale
l uno far lepores e l altro nemora; il ricorrer
dico in questa guisa medesima a qualche al Ira
cosa di fuori, con cui si possa scandagliare pi a
fondo la somiglianza, sar anzi tanto quanto se
guir la natura. Poich in qual modo potresti tu
vedere se due caiamite sieno simili o no, senza
appressar loro di fuori qualche minuzzolo di fer
ro, essendo naturai legge che le simili il traggano
similmenle, e le dissimili dissimilmente?
95. Per ci che lagguarda l analogia de no
mi, credo d averla sin qui difesa in maniera che
non siavi obbiezione fallale, a cui da queste fonti
medesime non si possa trar la risposta.
LUI. nder adunque all analogia de* verbi ;
e poich son quattro le cose che v hanno luogo,
tempi, persone, generi, divisioni, ed io ciasche
duna trovan che opporre, risponder a cosa per
cosa.
LIV. 96. Dicono in prima che 1 analogia non
serbala nei tempi, perch legi (e il medesimo
d ogni altro verbo) non ha, rispetto al passato,
la natura stessa, che ha lego rispetto al presente,
e legam rispetto al futuro ; stante che legi dinota
azione di gi compita, e gli altri solo incoata. Ma
hanno torto; chpreso un verbo, qual eh esao
a8f DE LINGUA LATINA LIB. IX.
a8a
barn disto diseam^ et eaJein perfecti sic dice
ram^ didici^ didietro.
LV. x qoo licei scire Terbonim rationem
constare; sed eoa qui triura teiaporum Yerba
p r o n u D t l a r e elint, s c i e n t e r id f a c e r e .
97. Itero illad reprehendant, quod dicamus
amor^ amabor^ amatus sum ; d o d enim debuis
se in una serie unum Terbura esse duplex, cum
duo simplicia essent. Neqne ex divisione si unius
modi ponss ferba, discrepant inter se; nam in
fecta omnia simplicia similia sont, et perfecta
duplicia inter se paria in omnibus verbis, ut haec :
amabar^ amor^ amabor; amatus * eram, sum^
ero,
98. Quare item male dicunt /eno, feriam,
percussi; quod est ordo feriam^ ferio^ ferie
bam ; percussi^ percussero^ * percusseram. * Sic
deinceps in reliquis temporibus reprehendenti re
sponderi potest.
LVJ. 99. Similiter errant qui dicant ex atra-
l|ue parte verba omnia commutare syllabas opor
tere, aut nullam, in his : pungo^ pungam^ pu
pugi; tundo^ tundam^ tutudi; diuirailia enim
conferunt, verba infecti cum perfectis. Quod li
infecta modo conferrent, omnia verbi principia
incommutabilia videreutar, ut in his : pungebam^
pungo, pungam; et contra ex utraque parte
commutabilia, si perfecta ponerent, ut pupuge
ram^ pupugi^ pupugero.
LVII. 100. Item male conferant/mi, Jum,
ero ; quod f u i est perfectum, cuius series sibi, ut
debet, in omnibus personis constat, quod est fue~
ramy fuif fuero. De infectis, sum quod nunc di
citur, olim dicebantur esum, et in omnibus per-
sonu constabat; quod dicebantur esum es est,
eram eras eraty ero eris erit. Sic huiuscemodi
cetera servare anaiogian videbis.
LVllI. 101. Etiam hoc reprehendunt, quod
quaedam verba oeque personas habeot ternas ne-
sia, pu farsi passare per tutti tre i tempi, senta
mai uscire dello stesso genere e della stessa divi*
sione. Cosi discebam^ disco^ discam dinotano
rapprendere nei tre vrii tempi, come atiooe in-
coata ; didiceram^ didici^ didicero, come azione
compita.
LV. Onde pu vedersi che v' ha una regola
costante quanto ai tre tempi, solo che non se ne
falli la scelta.
97. Trovano mendo anche nel ternario passi
vo amor^ amabor^ amatus sum^ perch non
avrebbe dovuto esservi in una serie sola una sola
voce composta, mentre le altre due sono sempli
ci. Ma anche qui Terrore sta nella scelta ; peroc
ch pigliando*tutte e tre le voci da ona divisione
medesima, si troveranno conformi; tutte e tre
parimente semplici nei tempi imperfetti, e tutte
e tre parimeute composte nei perfetti. Semplici
infatti sono amabar^ amor^ amabor^ che nolano
cosa incoata nei tre vari! tempi ; composti aH'in-
contro amatus eram^ amatus sum^ amatus ero^
che notano cosa compiuta.
98. Il medesimo errore fanno dicendo ferio^
feriam^ percussi ; perch l ordine feriam^ f
rio^ feriebam ; percussi, percusseram^ percus
sero: onde, sebbene il verbo ferire sia difettivo
e debba ricorrere sd altro verbo, non di meno
conserva intera la proportionalit in ciascuna di
visione. Nella stessa maniera si pu rispondere
alle obbiezioni che fanno per gli altri tempi.
LVL 99. Similmente s'ingannano, allorch
vengono in campo con queste serie: pungo^pun^
gam^ pmpugi: tundo^ tundam^ tutudi^ perci
che la terza voce si varia, non solo nelPuscita, ma
anche nel principio ; mentre analogia vorrebbe
che la variazione da ambedue le parli dovesse
succedere in tutte e tre le voci o in nessuna. S'in
gannano, dico, perch confrontano tempi fra lor
dissimili, cio i perfetti cun gP imperfetti. Che
se confrontauero imperfetli con imperfetti, ve
drebbero che il principio vi costantemente in
variabile, come in pungebam^ pungo^ pungam ;
mentre nei perfetti variabile tanto il principio
che il fine, come vediamo in pupugeram^ pupu
gi, pupugero.
LVll. 100. Cos malsmente confrontano fui,
sum ed ero; perch fui perfetto, e il suo ter
nario fueram f u i fuero, in cui tutte le voci e
le persone concordano. E qoanto a' tempi imper
fetti, da notare che in cambio di sum dicevasi
anlicamenle esum^ e per v era costanza in tutte
le persone e le voci : poich dicevasi esum es est,
eram eras erat^ ero eris erit; e similmente nel
le altre forme corrispondenti.
LVin. l o i . Ci oppongono inoltre che qual
che modo non ha n tutte tre le persone n tatti
a63
. TERENTI VARRONIS
qne lempor lema. Id imperite reprehendonl,
ui si qais reprehendat nataram, qaod non oniat-
modi finxerit animalis omois. St enim natara non
omnes formae Terbomm terna habeant tempora,
ternas personas ; non habeant totidem verborum
divisiones. Qaare, eam imperamus, natara quod
infecta verba solum babel, cum el praesenti et
absenti imperamus, fiunt terna, ut ege^ * legitOy
legat ; perfectum enim imperat nemo. Contra
quae non * sunt imperandi, ut lego legis legit^
novena fiant terba infecti, novena perfecti.
LIX. 102. Quocirca non si genus cum gene
re discrepat, sed in suo quoiusque genere si quid
deest, requirendum. Ad haec addita si emnt ea
quae de nominatibus supra sunt dicta, facilius
omnia solventur. Nam ut illic ex senis caput re
ctus casus, sic hic in (orma est persona eius qui
loquitur, et tempus praesens, ut scribo, lego.
i o3. Quare, ut illic fil, st hic item acciderit
in formula, ut aut caput non sit aut ex alieno
genere sit ; proportione eadem, qoae illic, dici
mus, quor nihilominus servetur analogia : item,
licut illic, caput suum non * habebit, et in obli
quis casibus transitio erit in aliam quam for>
mulam ; qua assumpta, reliqaa facilius possunt
videri verba unde sint declinata. Fil enim ut re
ctos nonnunquam sit ambiguus, ut in hoc verbo
volo^ quod id duo significat, unum a voluntate,
alterum a volando; itaque a volo intellegimus et
volare et velle.
LX. io4 Quidam reprehendunt quod pluit
et luit dicamus in praeterito et praesenti tem
pore, cum analogiae sui cuiusque temporis verba
debeant discriminare. Falluntur, nam est ac pu
tant aliter ; quod in praeterito U dicimus -
gora, pluit^ luity in praesenti breve, pluit^ luit ;
ideoque in venditionis lege fundi ruta caeSa ita
dicimus ot U producamus.
LXI. io5. Ilem reprehendunt quidam, quod
putant idem esse sacrifico et sacrificor^ et /a-
vat et laifatur; quod sit an non. nihil commovet
analogian, dum sacrifico qui dicar, servet sacri
ficabo et sic per totam formam, nec dicat sacri
ficatur aut sacrificatus sum ; haec enim inter
se non conveniunt.
tre tempi. Stolta aceosa ; come se ti rimprove-
raue la natura di non aver fatto tutti gli animali
ad un modo. Imperciocch se alcune forme de'ver
bi non hanno in natara i tre tempi e le tre perao-
ne ; non neanche possibile che le divisioni ab
biano tutte uu egual numero di voci. Onde nel-
imperativo, non avendovi luogo per sua natara
che ioli tempi imperfetti ( poich cosa di gi com
piuta non si comanda ), e due potendo essere le
persone, a cui si comanda, cio tanto un presente,
quanto un lontano; nascono quelle tre voci e non
pi, come lege^ legito^ legat. Negli altri modi al-
incontro, dove non si comanda, si fan nove voci
di tempi imperfetti, e nove di perfetti.
LIX. 103. Vi sarebbe adunque difetto, se con
siderato il genere in s, vi si trovasse mancar qual
che cosa ; non per differenza che abbia da altri
generi. Che se uniscasi a questo ci che ho detto
sopia rispetto ai nomi, sar vie pi facile lo scio
gliere qualunque nodo. Poich, come ivi fra' sei
casi il ceppo il retto; cosi qui nella coniuga
zione del verbo il ceppo la prima persona di
tempo presente, come scribo^ lego.
i o3. Onde se accada anche qui, come talvolta
nei nomi, che il ceppo manchi o che sia d'altra
natara ; applicando al fatto de'verbi ci che ab-
biam detto de' nomi, affermiamo che ci non
ostante v' analogia. Soltanto si dovr dire an
che qui che manca il ceppo corrispondente, e che
qnei rami appartengono ad altra pianta ; suppo
sta la quale, apparir chiara la lor formazione.
N gi insolito il caso che per determinare il
ceppo si ricorra ai rami ; che ci pur fassi di ne
cessit quando il ceppo ambiguo, come avviene
in Qoloy che tanto pu dinotar il volere, quanto
il volare.
LX. to4. Alcuni colgono cagione da ci che
pluit e luit e somiglianti servono insieme e al
passato e al presente, mentre l ' analogia vorrebbe
che ciascun tempo diverso fosse contrassegnato
diversamente. Ma s'ingannano, che la cosa al
trimenti da quel che credono, perch, servendo
al passato, questi verbi prolungano la vocale U,
che breve invece nel presente; e per .nella
vendita de' fondi, se aggiungesi ne' patti 1' ecce
zione del ruta caesa^ noi profferiamo la prima
di queste due parole in modo da farvi quasi sen
tire un doppio U.
LXl. io5. Tassano anche i verbi sacrifico e
sacrificor, lavo e lavor^ perch, a loro credere,
sotto torme opposte significano una cosa stessa.
Sia vero o no, per analogia non fa nulla ; pur
ch presa una Torma, non ci partiamo da quella.
Il coutruto sarebbe se, dopo aver detto sacri
ficOy dicessimo sacrificatur e sacrificatus sum
in cambio di sacrificat e sacrificavi.
i 85 DE UNGUA LATINA LIB. IX. a86
106. Apod Pkalam, cam dict : 106. Vero che io Plaalo, o?e dice :
Piscis ego cr^do^ qui usque dum vivunt lavant^
Diu minus lavari^ quam haee lavat Phrone
sium ;
d lavant lavari non convenit, ut 1 lit posire-
mam, led E : iid lavantur analogia lavari red
dit Quod Plauti aut librarii inendum si esi, non
ideo analogia^ sed qui scripsit est reprehenden
dos. Omnino et lavant et lavantur dicitur sepa
ratim recle in rebus cerlis ; quod puerum nutrix
lavaty puer a nutrice lavatur^ nos in balneis et
lavamus et lavamur.
107. Sed consuetudo alterum utrum cum satis
haberet, in loto corpore potius utitur lavamur^
in partibus lavamus ; quod dicimus lavo ma-
nus, sic pedes et caetera. Quare e balneis non
recte dicunt lavi ; lavi manms^ recte ; sed quo
niam in balneis lavor^ lavatus sum sequitur : ut
contra, quoniam est soleo^ oportet dici solui ut
Cato et Ennius scribit, non at dicit folgus soli
tus sum debere dici ; neque propter haec, quod
discrepai in sermone pauca, minus est analogia,
nt supra dictum est.
LXIl. 108. Item cur non sit analogia, asse>
runt quod ah similibus similia noo declinentur,
ut ab dolo et colo ; ab altero enim licitur dola
vi^ ab allero colui: in quibus assumi solet ali
quid, quo facilius reliqua dicantur, at in Myr-
mecidis operibus minutis solet Heri. Igitur in
verbis temporalibus quom similitudo saepe sit
confusa, ut discerni nequeat nisi transieris in
aliam personam aut in tempus ; quae proposita
sunt non esse similia intellegitur cum transitum
est in secundam personam, quod alterum est </0-
las^ alterum colis,
109. liaque in reliqua forma verborum suam
utmroque sequitur formaro. Utrum in secunda
forma verbum temporale habeat in extrema syl
laba AS an IS aut ES, ad discernendas dissimili
tudines interest: quocirca ibi potius iodex ana
logiae quam in prima, quod ibi obstrusa est
dissimilitudo, ut apparet ia bis: meo, neo^ ruo;
ab his enim dissimilia funt transitu, quod sic
dicuntur : meo, meas ; neoy nes ; ruOy ruis ;
quorum unumquodque suam conservat similitu
dinis formam.
Neanche i pesci che nel bagno tutta
Consumano la vita, non cred'io
Che stien tanto a bagnarsi, come questa
Fronesia ;
nel senso di bagnarsi, leggiamo prima lavant^ e
poi lavari^ quantunque uniformit chiedereb
be che parimente nel primo luogo si dicesse la
vantury o nel secondo lavare. Ma da chiunque
sia provenuto errore, o dal copista, o da Plau
to ; certo la colpa non dee cadere su analoga,
ma su lo scrittore che err. Difgiuntamente pu
dirsi, secondo i casi, tanto lavant^ quanto lavan
tur ; poich della balia che lava il iauciullo si
dir puerum lavata o pauivamente puer lava
tur^ e del lavarsi che facciamo ne'* bagni pu stare
ugualmente e lavamus e lavamur.
107. Tuttavia uso, bastandogli o una o
altra di queste forme, dice pi volentieri lava
mur di tutto il corpo, e lavamus di qualche par>
te, come sono le mani, i piedi od altre membra.
Onde il dir /api, parlando de bagni, non retto
uso ; giusto lavi manus; ma del bagnarsi, come
il presente lavor^ cosi il pastaio dovrebbe es
sere lavatus sum. Per la ragione medesima, es
sendo il verbo soleo e non soleor^ dovrebbe in
vece far il passato soluti come troviamo in Cato
ne e io Ennio, e non gi solitus sum^ come a* usa
ora Ma poche ecceiioni, che sMucontran nel-
USO) non butano a togliere l'analogia,come ho
detto sopra.
LXll. 108. Nuova guerra alPanalogia fanno
dicendo che da parole simili cadono forme diui-
mili ; quali sono i due passali dolavi e co/ai, tut
toch discesi da dolo e colo che son similiuimi.
In queste cose avviene come nei minuti lavori di
Mirmecide, che a ben discernerli bisogna aiutarsi
con qualche ingegno ; perocch spesso ne' verbi
la somiglianza confusa, n si pu distinguere
senaa passare a qualche altra persona o tempo.
Cosi i due verbi allegati si vede chiaro che non
sono simili, quando si passa alla seconda persona,
che neir uno dolaSy nelP altro colis.
109. Onde poi ciascuno segue la sua propria
via in tutto il resto della coniugaxione. I/ uscita
della seconda voce del verbo ; secondocb sia o
AS o IS o ES, quasi il lutto per dislioguere le
dissomigliarne, tanto che indizio deir analogia
da cercare pi in questa che nella prima voce,
dove la dissomiglianza non mai aperta. Eccoti
prova nei verbi meo, iteo, rao, che nel passaggio
si manifestano subito come dissimili, facendo
uno meas^ altro nes^ il terzo ruis^ e procedo
no poi sempre con questa regola.
d87
. TERENTI VARRON15 a88
LXliJ. 1IO. Analogian item de hit quae ap-
pellantor participia, reprehendanl mulla iniuria;
naro non debent dici terna ab ingulia verbis
amaturus^ amans^ amatus^ quod est ab amo
amans et amaturus^ ab amor amatus. Illud
analogia quod praestare debet, in suo qnidque
genere habet casus, ut amatus amato et amati
amatis ; et sio in mulieribus amata et amatae :
item amaturas eiusdemmodi habet declinatio
nes; amans paulo aliter; quod hoc genus omnia
sunt in suo genere similia proportione, sic virilia
et muliebria sunt eadem.
LXIV. III. De eo quod in priore libro ex
tremum est, ideo non esse analogian, quod qui
de ea scripserint aut inter se non conveniant, aut
in quibus conveniant, ea non consuetudini ; di
screpant verbis otrimque. Sic enim omnis repu
diandum erit artis ; quod et in medicina et in
musica et in aliis multis discrepant scriptores ;
item in quibus conveniunt, nt scriptis sibi, etiam
re pugnant naturae ; quom, ita ut dicitur, non
lit ars, sed artifex reprehendendus, qui debet in
scribcndo non vidisse verum^ non ideo non posse
scribi vernm.
II a. Qui dicit hoc monti et hoc fonti, cnm
lii dicant hoc monte et hoc fonte^ sic alia quae
duobus modis dicuntur^ com altemm sit verum,
alterum falsum, non uter peccat tollit analogias,
sed uter recte dicit, confirmat : et quemadmodum
is qui peccat in his verbis, ubi duobus modis di
cuntnr, non tollit rationem cum sequitnr falsnm ;
sic etiam in his quae non duobus dicuntur, si
quis aliter putat dici oportere atque oportet, non
scientiam tollit orationis, sed suam inscientiam
denudat.
LXV. 113. Quibus rebus solvi arbitraremur
posse quae dicta sunt priori libro contra analo
gian, ut potui, brevi percucurri. Ex quibus si id
confecissent quod volunt, ut in lingua Latina
esset anomalia, tamen nihil egissent ideo quod in
omnibus partibus mundi utraque natura inest,
quod alia inter se similia *, alia dissimilia * sunt.
Sicut in animalibus dissimilia sunt, ut equus, bos,
ovis, homo, item alia ; et in unoquoque horum
genere inter se similia innumerabilia. Item in
piscibus dissimilis natura muraena lupo, is soleae,
haec mnraenae et mustelae, sic aliis, ut maior ille
numerus sit similitudinem earum quae sunt le-
paratim in mnraenis, separatim in asellis, sic in
generibus alii>.
LXIII. ii o. Hanno pur grate torto qoando
combattono analogia ne' participii ; perch non
vero che cisscun verbo ne debba aver Ire al
modo di amaturus^ amans., amatus^ poich i
due primi appartengono al verbo attivo, e il terxo
al pauivo. bens dovere d'analogia che ciascun
di loro si declini per generi e essi regolarmente;
e questo il vediamo fare per appunto in ama
turu^ e amatus. Che se 1*altro participio amans
si diparte alquanto dal modo di que*due; ci
avviene, perch lutti i nomi di questa fatia hanno
una sola declinazione, comune al maschio e alla
femina.
LXIV. I l i . Quanto alP altra obbierione che
ci hanno fatto sul fine dell' antecedente libro,
cio non esservi analogia perch gli autori che
ne trattarono o discordan fra loro, o pooiam che
s*accordino, ne discorda l uso; sono in contrad
dizione con s medesimi. Poich a questo modo
converrebbe negare qualunque arte, perch an
che nella medicina e nella musica ed in moli' al
tre varian gli autori, e come variano ne' loro
scritti, cos anche do?e consentono, hanno con
traria nel fatto la natura ; e pure di cosi fatti eoo-
irasti ci vanno cantando che non si dee dar cari
co alParte, ma s all^artista, di coi s' avr a dire
che non vide il vero, e non gi che non si possa
scrivere il vero per eh' ei non lo scrisse.
Ila. Se alcuni dicono nelPablativo monti e
fonti., ed altri monte e /on/e, e cosi altrettali
nomi di doppia uscita ; estendo una la buona, e
falsa Tal I r a , non ne viene che chi segue b falsa
distrugga l'analogia, ma bens la conferma chi
segue la buona. siccome chi falla in queste pa
role di doppia desinenza non toglie via la regola
colano fallare; cos anche dove la desinenza
una sola, chi falla nel porla diversa da quel che
dev' essere, non nuoce alla scienza dal favellare,
ma scopre la propria ignoranza.
LXV. I l 3. Ho scorso rapidamente, come ho
potuto, ci che mi pareva bastante a sciogliere
gli argomenti recali nell'altro libro contro l ana
logia. Ma quando pure qn^gli argomenti fossero
riusciti a provare ci che gli avversarti pretendo
no, che nella lingua latina v ha anomalie ; noa
avrebbero fatto nessun profitto; ch non parte
del mondo, dove non regni analogia insieme e
anomalia, essendo tutte le cose parte simili e
parte dissimili. Cos negli animali terrestri tro
viamo spezie dissimili, quali sono il cavallo, il
bue, la pecora, uomo e tant'altre ; e in ciascona
spezie ' ha individui simili senza numero. Nella
stessa gnisa, fra i pesci la morena non somiglia al
lupo, n il lupo alla sogliola, n la sogliola alla
morena o alla mustela o ad altra spezie; ma non
s, che il numero delle spezie dissimili oon a
a89
DE UNGUA LATINA UB. IX.
390
114. Quare, cum io decIDationibus ?erbonim
namerus sit magnas a dinimilibus verbis ortos ;
qood etiam Tel maior est io qoibus similitodioes
rcperiaolor, confitendum eit esse analogias. Item-
que cum ea ooo molto mioos, qoam in omnibus
Terbis, patiatur oti cootoelodo commuois; fa>
tendom illud, quoqno modo aoalGgian seqoi oos
debere unifersos, singulos aotem praeterquam
qoibos verbis otfensuca sit coosoetodo commu
nis, qood, ot dixi, alind debet praestare popolos,
aliud e populo singuli bomines.
1 15. Neque id mirum est, cum sioguli quoque
non sint eodem iure ; nam liberios potest pota,
qoam orator, sequi analogias. Quare cum hic li
ber id, quod pollicitos est demonstraturus, ab
solverit, faciam finem : proxumo deinceps de de
clinatorum verborum forma scribam.
scarso appo quello degi' individoi simili che tono
nelle morene, negli asioelli e in ogni altra anezie
separatamente.
114. Per la qoal cosa, sebbeoe fra i dfeclioati
ce o' ha di molti che oon somigliaoo alla loro
origine ; tottavia, esseodo maggiore il oumero di
quei che somigliaoo, forza coofessare che v ha
analogie. E siccome il comone oso ci consente di
attenerci all' analogia presso che in lotte le voci ;
convien por coofessare che debito delP ooiver-
sale attenervisi ad ogni modo, e di cuscono io
particolare quaoto il patisca oso comooe ; ch
altro il dover del popolo, altro d' oo iodividoo.
115. N ci dee far maraviglia ; ch gli stessi
iodividoi ooo haono tott egoali diritti, e mag
gior liceoza ha il poeta che oratore, se vool se
guire analogia. Ma per questo libro io mi son
gi sdebitato di quanto aveva promesso ; sicch
ir fine, riservandomi a trattar nel seguente della
vera forma dei declinati.
l em. Va e b o r i , d i l l a l i r o d a l a t i k a .
. TERENTI VARRONIS
DE LI NGUA LATI NA
AD M. TULLIUM aCERONEM
LIBER DECIMUS
I. I. i o Terbornin decHotlionibot ditcipUoa
loqaendi difrimilitadinem to aimilitadiaem -
qoi deberei, malti quaetieronl; cam b hii ratio
quae ab limililadiae oriretur^Tocaretor analogia,
reliqoa pan appelbretar aDomalia. De qoa re,
priore libro, qoae dicereotar qoor dinimilitudi-
Dem daoeiD haberi oporteret, dixi ; fecando con
tra qoae dicerentor qoor potias timilitodioem
coDYeniret praeponi. Qoarom rerom qod oec
fondamenta, ot deboit, poaila ab ollo, neqoe or
do ac natora, ot rea poatolat, explieila ; ipae eioa
rei formam exponam.
a. Dicam de qoatoor rebos qoae continentor
declinationiboi ^erborom, qoid aii aimile ac dia-
limile, qoid ratio qnam appellant Xyov, qoid
proportione qood dicant thaXoyoTy qoid con*
aaetodo : qoae explicatae declarabiint tfXoyiea^
et drii/uaXiar, onde fit, qoid ait, qooioamodi ait.
'. 3. De aimilitodine et diaaimilitodine ideo
primom dicendom, qood ea rea eatfondamen-
tom omniom declinationum ac continet rationem
erborom. Simile eat qood rea pleraaque Tidelor
habere eaadem qoaa illod qooioa qoid aimile:
diaaimile eat qood ?idetor eaae contrariom hnioa.
Minimom ex dooboa oooatat orane aimile, item
diaaimile ; qood nihil poteal eaae timile qoin ali-
eoioa fit limile, itero nihil didtor difaimile qoio
ddatar qaoios iit dinimiU.
I. I . S e arte di ben parlare debba attenerai,
nel declinar le parole, alla norma de' aimili o no,
fo coaa diapolata da molti, chiamando analogia
quella norma che naace dalla aomiglianxa, e ano
malia il contrario, lo, di ci trattando, gi apoai
nel primo libro ci che ai dice in fa?ore del-
anomalia, perch a' abbia da pigliare a guida ; e
aoggionai poi nel aecondo ci che ai dice in con
trario, facendo goida analogia. Ma perch neaao-
no poae i fondamenti di qoeate coaecome do?eTa^
e ne avolae ordine e la nalora come la materia
domanda; diviaer io tutto ordinatamente.
9. Dir di quattro coae pertinenti alle decli
nazioni delle parole, cio che aia aimile e che
diaaimile, che a^ntenda per Ioga o relatione, ohe
per analogo o proporzionale, che per consoetu-
dine o aao. Chiarite queate quattro coae, appari
r inaieme onde naacano analogia e anomalia,
che coaa e di che maniera aiano.
II. 3. CouTien cominciare dal aimile e dal dit-
aimile, perch il fondamento d'ogni declinazio
ne e fa la relazione delle parole. Simile adunque
quello che moatra aver qoalit per la pi parte
comoni con ci coi aimile ; diaaimile inrece, ae
la pi parte paion di?erae. Ogni aimile ed ogni
diaaimile abbraccia almeno doe coae; perch nien
te aimile, ae non ha coi, e chi dice diiaimile dee
ioggionger da che.
*95
. TERENTI VARRONIS 9 6
4. Sic dicitur similii homo homini^ eqoas
equo, et ditsimilif homo equo ; nam eimile est
homo homoi ideo quod eafdem Bgoras membro-
rum habent, qnae eoa dividunt ab reliqnornm
animalium specie. In iptis hominibus simili de
causa Tir Tiro similior quam Tir mulieri, quod
pluris habent easdem partis ; et sic senior seni si
milior quam puero. Eo porro similiores sunt qui
facie quoque piene eadem, btbitu eorporie, flo :
itaque qui plura habent eadm dicuntur similio
res ; qui proxome accedunt ad id ut omnia ha
bent eadem, vocantur gemini, simillimi.
5. SuDt qui tris naturas rerum putant esse,
simile, dissimile, neutrum, quod alias Tooeat non
simile, alias non dissimile. Sed quamvis tria sint
simile, dissimile, neutrum, tamen potest dividi
etiam in duas partes sic, quodcumque conferas
aut simile esse aut non esse; simile esse et dissi
mile, si videatur esse ut dixi ; neutrum, si in
neutram pariem praeponderet, ut si duae res,
quae conferuntur, viceuas habent partes, et in
his denas habeant easdem, denas alias, ad simi-
litndinem et dissimilitudinem aeque animadver
tendas. Hanc naturam plerique snbiiciunt sub dis
similitudinis nomen.
6. Qoare quoniam fit ut potius de vocabulo
quam de re controversia esse videatur, illud est
potius advertendum, quom simile quid esse dici^
tur, qain quoi parti simile dicator esse ; in hoc
eoim aolet esse error, quod potest fieri ot homo
homini simile sit et non sit, ut multas parteis ha
beat similis et ideo dici possit similis habere ocu
los, manus, pedes, sic alias res separalim et una
plura.
7. Itaque quod diligenter videndum est in ver
bis, qaas partis et quot modis oporteat similis ha
bere ut similia * dicantur, infra apparebit. Is lo-
ns maxime lubricus est. Quid enim similius po
test videri indiligenti quam duo verba haeo suis
et suis? quae non sunt, quod alterum significat
ipere, alterum suem ; itaque similia esse vocibus
ac syllabis confitemur, dissimilia esse partibus
orationis videamus, quod alterum habet tempo
ra, jilterum caioi, quae duae re vel maxime di-
icemunt analogias.
8. Item propinquiora geoere inter se verba
ti^ilem saepe psriunt errorem : ut in boc quod
nemus et lepus videtur esse simile, quom utrum-
que habeat eundem casum rectum ; led non est
4. Cosi diciamo ximili Vuomo all' uomo, il
cavallo al cavallo, e dissimile invece uom dal
cavallo ; perch gli nomini han tutti la medesima
fazion di membra che li assomiglia fra loro e li
difide dalle altre specie animali. Per lar ragione
medesima negli stessi nomini pi simile il ma
schio al maschio che il maschio alla femina, per
ch hanno pi parti uguali : cosi il vecchio al
vecchio che al fanciullo, e procedendo, tanto
pi sono simili quei che hanno l'aspetto, il por
tamento, i lineamenti presso che ugnali. Onde
pi simili si dicon quelli che pi han di comuqe ;
e quei che per poco non han comune ogni cosa,
si dicon gemelli o similissimi.
5. Fra il simile ed il dissimile alcuoi pongono
in metzo un altro rispetto delle cose, che ora
chiamano non simile, ora non dissimile. Ma seb
bene questi tre rispetti siano veri e distinti, tut
tavia possono ridarsi a due, dicendo che tutte le
cose, chi le paragoni fra loro, o sono simili d non
sono wnili. Simili o dissimili son quando appa
iono quali ho gi detto ; e non sono n simili n
dissimili, che altro rispetto, quando non v'
preponderanza da un lato pi che dalP altro : co
me se, per esempio, due cose paragonate avessero
ciascuna venti parti, e dieci di queste fossero le
medesime in ambedue^ e le altre dieci diverse;
ficcb non vi avesse da notare niente pi somi
glianza che diuomiglianza. Questo terzo genere,
i pi lo comprendono sotto il dissimile.
6. Laonde, poich il contrasto par pi del vo
cabolo che della cosa; converr piuttosto guar
dare che, quando una cosa si dice simile, non
dicasi per avventura simile per qualche parte sol
tanto ; ch qui sta spesso errore. Perciocch a
questo modo pu essere che un uomo, per cagion
d'esempio, sia simile a un altro, e non sia, tutto
ch abbia pi'parti simili, e perci possa dirsi che
ha simili gli occhi, le mani, i piedi, e cos altre
parli separatamente od anche pi insieme.
7. Si mostrer adunque pi avanti, con quella
diligenza che si domanda, in quali parti ed in
quanti modi debbano convenir le parole, perch
si dcauo simili. cosa ov' facilissimo errare.
Niente infatti pu parere pi simile a chi non
guardi pi che tanto, di suis e suis, che pure
son lontanisiimi, significando l ' uno cucire e l'al
tro porco ; onde che per lettere e silUbe li 000-
fessiamo simUi, ma come parti del discorso li veg*
giamo in fatto dissimili, poich l ' uno ha tempi
altro casi, che sono i due caratteri pi valevoli
a differenziare le analogie.
8. E simile errore nasce sovente aoche da vo
ci di pi vicina natura ; quali son nemus e lepus
che, endo aguale termiaazioae oal caso retto,
paiono simili, e non sono| ptrfb a formare L
99
filoile, qaod cit certa
DE LINGUA LATINA UB. X.
eimiliUriiae opus iiut,
hi qao est Dt io genere opminora siot eodem^
qaod in hi oon eat ; om io yirili genere et! le
pos, ex neutro ueinni ; dicitur enim hic Upm et
hoc nemus. Si eiutdem generi eoenl, atriqoe
pnepooeretnr idem, ac diceretor aot hic lepot
et hie nemusy aot hoc lepoa et hoc nemus.
9. Qoare quae et quoioimodi funt genera
similitudinum ad hanc rem, perspiciendum ei
qui declinationis verbrum proportione sintne
q ow ti, Qnem locom, qoed est difficilis, qui de
his rebus sctipseront^ ant TlaTenint, aot ince
perunt neque adseqni potuerunt.
10. Itaque in eo meno^ ncque ea uniusmo
di apparti. Nam ali de omnibos uni?eriis discri
minibus posuerunt numerum, ut Dionysius Si
donius, qui scripsit eas esse septuagioU unam ;
alii partis eius quae habet casus, quoius ideukhic
quora dicat esse discrimina quadraginta septem,
Aristooles rettulit in literas quattuordecim, Par-
meniscus octo, sic alii pauciora aut plura.
11. Quarum similitudinum si esset origo recte
capta et inde orsa ratfo, rainns erraretur in dedi-
nationihus verborum. Quarum ego principia pri
ma' duom generum sola arbitror esse, ad quae
similitudines eiigi oporteat; e quis unum posi-
tnm in verborum materia, alterum ut in materiae
figura quae es declinatione fit.
la. Nam debet esse unum nt terbum verbo,
unde declinetur, sit simile ; alterum ut e verM>
in ferbum declinatio, ad quam conferatur, eius-
demmodi sit: alias enim ab similibus verbis simi
Wler declinantur, ut ab herus ferus hero fero;
aUas diuimiliter herus ferus heri ferum. Quom
utrumque et verbum verbo erit simile et declina*
tio declinationi, tbm denique dicam esse simile,
ac duplicem et perfectam similitudinem habere,
id quod postulat analogia.
i 3. ^ d ne astutius videar posuisse duo genera
esse similitudinfim sola, cum utriusque inferiores
species sint plurep, si de his reticuero, ut mihi
reUnquam latebras ; repetam ah origine similitu
dinum, quae in conferendis verbis et inclinandis
sequendae aut vitandae sint.
14. Prima divisio, in oratione quod alia verba
nusquam declinantur, ut haec vix mox ; alia de
clinantur, ul ah iimo limabo, a Jtro ferebam. Et
qttom, nisi in his verbis quae dediiiantur, non
possit esse analogia; qni dicit simile eue mox el
somiglianxa son necessaiM eerte determinate con
formit, qnal nei nomi qoeHa del genere, che
qui invece diverso, maschile nelPnaoi, neutro
nell' altro, il fatto che a lepus si prepone l'arti
colo maschile hic ; a nemus il neutro hoc. Che
se fossero d* un medesimo genere, arrebbero an-
the il medesimo articolo, ambedue il maKhile o
ambi due il neutro.
9. Onde chi vuol vedere se abbia o no pro
porzione nelle declinauoni delle parole, dee pri
ma conoscere quante e quali sono le varie specie
di somigliane per questo rispetto. poich
difficile il ben distinguerle, quei che scrissero di
cosi fatte materie, o schivarono affatto questo
punto, o vi fecero poco buona prova.
10. Sicch vi troviamo discordia d'opinioni
da pi lati. Perocch altri diedero il numero di
tutte le specie universalmente, come Dionigi Si
donio che le fe* settantuna ; altri si ristrinsero a
quella parte che ha casi e, mentre Dionigi vi n<H
vero quarantadue spezie, Aristocle le rapport a
quattordici lettere. Par menisco ad otto ; e cosi al
tri, quale a pi, quale a meno.
11. Che se si fossero fatti da alto alla vera ori
gine di queste somiglianze, di l pigliando fonda
mento ai riscontri, si errerebbe meno nelle dedi
nazi^ni ddle parole. 1 sommi capi, a cui s'han da
ridurre le somiglianze, a mio giudhno, non son
che due : uno posto nella materia della paro
la ; altro in qudla colai forma che le si d de-
dinando.
12. Poich nel confronto conviene in prima
che sieno simili fra loro le due parole che s'haono
a declinare ; e conviene secondaramenle che la
variazione introdottavi declinando sia in ambedue
la medesima ; perocch le parole, tuttoch simili,
tanto si possono dedinar similmente, come herus
ferus^ hero fero^ quanto dissimilmente 00me se
si facesse herus ferus^ heri ferum. Quando-sa
ranno simili ambedue queste cose, s parola a
parola e s declinazione a dedinazione ; allora aolo
dir esservi vera somiglianza, cio quella doppia
e perfetta conformit che voluta dall analogia.
13. Ma perch non credasi che Taver posto
due soli generi di somiglianza sia stata un'astuzia
per ischermirmi dal noverare le varie spezie sog
gette, che sono molle tanto nell* uno, quanto
ncir altro genere ; spprr, facendomi dalla loro
origine, tutte quelle somiglianze, cui deesi avere
o non avere rispetto nel ragguagliare e dedinar
le parole.
14. La prima divisione sta in d, che nel di
scorso alcune parole non si declinauo mai, come
pix mox; ed altre si declioano, come da iimo si fa
lijnoko^ da fero ferebam. Siccome poi analogia
nn ha lur*go,se non fra parole che si declinano ;
a99
. TERENTI VARRONIS 3d o
nox^ errant, qaod o o d ett eioideni geoerii o t n ^
qne verhaia, eum nox succedere debeat tub ca-
faura ratione, mox neque debeat neqoe pcoit.
i 5. Secunda diTUio ett de hia Terbiaqoae de
clinari poiiant, quod alia aunt a volantate, alia a
natura. Voluntatem appello quom unuiquifia a
nomine alio imponit nomen, nt Romulus Romae
Natnram dico quom nnifersi acceptum nomen
ab eo, qui imposuit, non requirimus quemadmo
dum is Tclit declinari, sed ipsi declinamos; ut
hoius Romae, bane Romam, bac Roma. De his
duabus partibos, Toluntaria declinatio refertur ad
consuetudinem, naturalis ad rationem.
16. Qnare, proinde ac simile, conferri non
oportet, ac dicere, ut sit ab Roma Romanus^ sio
ex Capua dici oportere Gapuanus. Quod in con
suetudine, yebementer natat; quod declinantes
imperite rebus nomina imponunt, a quibus cum
accepit consuetudo, tnrbulenU neaesse est dicere.
Itaque neque Aristarchi! neque alii in analogiis
defendendam eius susceperunt causam, sed, ut
dixi, hoc genere declinatio in communi consue
tudine Tcrboram aegrotat ac languescit, quod
oritor e populi multiplici imperio; itaque in hoc
genere in loquendo magis anomalia, quam ana
logia.
17. Tertia ditisio est, quae f erba declinata a
natura * difidit in partis quattuor t in nnam quae
habet casus neque tempora, nt docilis^ facUit ;
in alteram quae tempora neque casus, nt docet^
facit ; in tertiam quae utraque, ut docent^ f a
ciens ; in quartam quae neutra, ut docte et face
te. x hac di?isione singulis partibus tres reli
quae dissimiles. Qeare, nisi in sua parte inter se
collata erunt Tcrba, si * confeniunt, non erit ita
simile ut debeat facere idem.
18. * Quoniam species plures, de singuli di
cam. Prima pars casualis di?iditnr io parteis duas,
in nominatus sciliaet et articulos, * quod finitum
neque finitum est, ut hic et quis, Oe his generi
bus dnobus utrum sumpseris, cum reliquo non
confundendum, qnod inter se dissimiles habent
analogus.
19. In articulis vix adnoabraU est analogia,
et magis rerum quam vocum ; in nominatibus
magis expressa, ac plus etiam in Tocibus ac sylla
bis * quam in rebus suam obtinet rationem. tiam
illud accedit nt in articulis habere analogias osten
dere sit difficile, quod singnla sint verba ; hic
contra facile, quod magna sit copia similium 00-
cod chi dicesse siaili mox e nox, commettereb
be errore, perch son parole di diverso genere,
stante che Tuna dee cadere sotto la legge de^ casi,
e Taltra n deve n pu.
15. La spexie declinabile (lasciata altra, ove
Tanalogia non ha luogo) ridividesi in due, secon-
doch la declinatione volontaria o naturale.
Volontaria dico la prima impositione del nome
che ciascuno a suo piacimento fa ad una cosa,
torcendolo da quel d'un* altra, come quando da
Romolo si nom Roma) e naturak chiamo quella
declinatione, per cui, udito che abbiamo il nome
da lui prima imposto, di per noi stessi il declinia
mo tutti ad un modo senta domandare la volont
di chi primo impose. Cor da Roma tutti fac
ciamo naturalmente Romae^ Romam, Roma, La
declinatione volontaria appartiene all' uso, la na
turale a regola.
16. Non si dovranno adunque ragguagliare
come simili, n dire che da Capua s^ha da far
Capuanus^ come da Roma Romanus. Ci che
appartiene alFuso incertissimo : perch glinven
tori de*Aomi li formano per lo pi alla grossa ; e
come Puso gli ha da loro, cosi non pu non tenere
qualche mistura ne'suoi parlari. Onde n gli Ari-
sUrchii n altri si fecero mai a sostenere analo-
gb in questa sorta di voci ; ma da questa parte,
come ho gi detto, la declinatione nel comune
oso va toppa, perch piglia origine dai varii umori
del popolo, sicch vi prevale anomalia.
17. La spetie, ove ha luogo declinatione na
turale, si ridifide in quattro : una ba casi e non
tempi, come docilis^ facilis ; un'altra ha tempi e
nan oasi, come docet^facit ; la tersa ha una e
altra cosa, come docens^ faciens ; la quarta
non ha n una n altra, come docU e facete.
Ciascuna di queste quattro spetie dissimile dalle
altre tre ; e per se le voci paragonate fra loro
non apparterranno alla medesima spetie, pognamo
che sian conformi, la somiglianta non sar tale
che s'abbiano a declinare ugualmente.
18. poich queste spetie abbracciano pi
parti, dir di ciascuna. La prima, cio quella che
ha casi, si difide in nomi ed articoli ; e questi
sono o determinati, come hic^ o indeterminati,
come quii. Di que' due modi qual che tu abbi
pigliato, no dei confonder con altro, perch
hanno analogie separate.
19. Negli articoli analogia appena adom
brata, e su pi nelle cose che nelle prol e) nei
nomi rileva meglio, ed ha riscontri di lettere e
sillabe pi ancor che di cose. Sentach negli arti
coli difficile il far vedere che v' analogia, per
ch son parole unicbe nella propria spetie ; qoi
air incontro facile, perch i nomi limili tono in
3 DE LINGUA LATINA UB. X.
3oa
mmatiniin. Qaare non tam hanc perlem ab ili
difidendom, qaam iliad videndam at aatia all
verecQodi etiam illam in eandem barenatn Tocare
pagnatum.
20, Ul in articnlia doae parlea, finitae et infi-
Dilae, aie in nominaliboa * duae vocabolam et
nomen; non enim idem oppidum et Roma^ qoom
oppidom alt Tocabolom, Roma nomen. Qoonim
diacrimen in hia reddendia ratonibna alii diaoer-
nont, alii non : noa aicubi opoa fuerit, quid ait et
qnor, ascrbmna uninaqaoiasqne prtea.
ai. Nominatui ut aimilia dt nominatua, habere
debet ot ait eodem genere apecie eadem, aie ca-
au, exito eodem : genere, ol, ai nomen eat quod
conferaa, cm quo oonferaa ait nomen ; apecie ai-
mile, ni non solum, aed utmmque ait Tirile; caan
aimile, ut, ai allerum ait daudi, item Itemm ait
dandi; exitu, ot qoaa unnm babeat eztremaa li-
teraa, eaadem alterom habeat
aa. Ad bone qoadroplicem fontem ordinea
deriguntnr bini, uni tranarerai, alteri derecti ut
in tabula aolet, in qua latninculia ludont. Trans-
Tersi snnt qui ab recto caso obliqui declinantur,
ut ahtis al bi albo ; derecti aunt qui ab recto ca
so in rectoa declinantor ut aUus alba album,
UtrSque sunt partibus transTersorum or
dinum partea appellantur caaua, derectorom ge
nera ; utrsque inter ae implicatia, forma.
aS. Dicam proi de transTerais. Caaoom t o -
cabula alius alio modo appellatit: noe dicemoa,
qui nominandi caeaa dicitor nominandi Tel no-
minalTom............
Eie detunt trio folta in exemplari
a4................. et seopae^non dicitur una sco
pa ; alia enim natura, quod priora aimplicibus,
posteriora in coniunctis rebus Tocabula ponun
tor. Sic bigae^sic quadrigae a conioncto dictae ;
itaque non dicitor, ut haec una lata et alba, sic
una biga, sed unae bigae ; ncque ot didtur hae
duae latae albae sic hae doae bigae et qoadrgae.
gran copia ; sicch non tanto giusto che non con
fonda osi insieme queste due spezie, quanto da
Tedere piuttoato che non sia Tergogna il chiamare
qoello scarao nomero al paragone con si gran tor
ma in una medesima arena.
ao. Come t ' han doe sorta di articoli, il de
terminato e indeterminato ; cosi v'hanno anche
doe aorta di nomi, comune e proprio: ch altro
dire easiel/oy ed altro Roma ; quello e nome co
mune, e questo proprio. Di cos fatta differenia,
nel collaxionare i nomi, altri tengono conto ed
altri no : io, se mai possano occorrere queste pi
sottili distinzioni, credo bene di soggiungerle a
ciascona spezie notandone il come e il perch.
at. 1nomi, perchsieno smili, debbono ooih
formarsi in qoalit e genere e caso e terminazione :
in qualit, che se proprio quello che paragona
si, sia proprio anche altro con cui paragonasi |
in genere, che ae uno maachile, aia maschile
anche altro ; in caso, che ae uno dativo, aie
anche V altro datTo ; in terminazione, che quali
aono le ultime lettere nell* uno, tali sieno anche
nell* altro.
aa. A questo quadruplo fonte mettono capo
doe dTersi ordini. Tono trasTcrsale, altro di
ritto, al modo d* uno acacchiere ; il trasvertale
degli Dbliqui che cadono dal caao retto, come
Mus albi albo ; il diritto de' retti che cadono
parimente da retti, come albus alba album. Am
bedue gli ordini hanno aei parli : quelle del tras
versale diconsi casi ; quelle del dirtio generi, con
doppia distinzione pel numero delPuno e dei
pi ; e dalP intrecciamento di questi due ordini
naice la forma o declioazione.
a3. Nel trattare di questi ordini, mi far pri
ma dal trasversale. Quanto al nome de' casi, chi
li chiam in nn modo, e chi in un altro : io dir
nominatifo qoello che a'usa per nominare..........
Qui nelt esemplare mancan tre carie.
a4. Nel fatto de' numeri neceanria unp
certa medesimit di natura nelle cose significate.
Onde, sebben pare che, a quel modo in cui dicesi
lata e laime, alba ed albae^ debba anche dirsi
scopaci e scopae^secondoch nna scopa o pi ;
tuttavia scopa non dicesi, perch cl paragone non
vale, atante la differenza delle cose ; aTTegnach
la prima forma, cio quella dell'uno si usa nelle
cose semplici, e in ci eh' uno per accoppia
mento usasi inTCce la aeconda forma, cio quella
dei pi. Coa una biga fu detta bigae^ e una qua
driga quadrigae; perch sono una o due coppie
unite ; n vi ha luogo 11confronto col singolare
feminino lata ed alba^ n col suo plurale latae
3f3 flf. TERENTI VAREONIS
3o4
a5. Itera fgura verbi i|UbIi tit refiort, qood
in figani voci alies commoUlio fit io primo ver
bo : ittin ut modo, fui; aiM in medio^ ut curro
eunito ; alias in extreno, ut doceo docui ; aUai
communit, ut Ugo UgL Refert igitur ex quibnt
Kterit quodqoe verbum conetet, et maxime ex
trema, quod ea io plerisque ooromutatur.
a6. Quare in bis quoque partibus timiUtudi
net ab aliis male, ab aliis bene quod solent sumi
i casibus conferendis, recte an perperam fiden
dam. Sed ubicumque conunofentnr literae, non
solum bae sunt animadvertendae, sed etiam quae
proxumae sunt neque moventur ; haec enim vi
cinitas aliquantum potens io verborum declina
tionibus.
27. In quis 6guris non ea similia dicemus
quae similis res signifleant, sed quae ea forma
sint ut eiusmodi res similis ex instituto significare
plerumque soleant; ut tunicam virflem et mu
liebrem dicimus, non eam quam babet vir aut
mulier, sed quam habere ex instituto debet ; po
test enim muliebrem vir, virilem mulier habere,
ut in scaena ab actoribus haberi videmus; sed
eam dicimus muliebrem quae de eo genere est
quo indutui mulieres ut uterentur est institu
tum. Ut actor stolam muliebrem, sic Perpenna
et CaecUa et Spurinna figura muliebria dicun
tur habere nomina, non mulierum.
a8. Flexurae quoque similitudo videnda ideo
quod alia verba quam vim habeant, ex ipsis ver
bis unde declinantur, apparet, ut quemadmodum
oporteat ut a praetor^ consul^ praetori, consnli.
Alia ex transitu intelleguntur, ut ocer, macer,
quod alterum fit socerum, alterum macrum.,
quorum utrumque in reliquis a transitu suam
viam sequitur et in singularibus et in multitudi
nis declinationibus. Hoc fit ideo quod naturarum
genera suo| duo, quae inter se conferri possunt :
unum quod per se videri potest, ot homo et
eqmts; alterum sine assumpta aliqua re extrin
secus perspici non possit, ut eques et equiso^
uterque enim dicitur ab equo.
ed al hae; ma il singolare wae (i^e,non mna
biga, mil plurale binae^ trinae bigae^ ion duae
bigoei ir et bigae.
a5. Similmente converr tener oont della
figura della parola, perch talvolta vi succede il
cangiamcoto d* una lettera sul principio, Come
in sunt, qual ora, che forma fui ; tal altra nel
messo, come in curro cursito ; tale invece sul
fine, eome in doceo docui, e tale eziandio in pi
luoghi a un tempo, come in lego legi, Ond' da
guardare alle lettere, di cui composta la parola ;
e sopra tutto all' ultima che suol mutarsi pi
spesso.
a6. Non basta adunque la conformit dell'u-
adta ; ma convien vedere come e quanto s* abbia
a curare nella collazione de'casi anche la eonfer*
formit di quest'altre parti, nel che molti fallano.
Che anzi, dovunque avviene un cangiamento di
lettera, si dee por mente non solo alla lettera can
giata, maanche alle sue vicine, bench non si
cangino ; perch la vicinanza ha qualche valore
nella declinazione della parola.
27. Quanto poi alla somiglianza delle cose si
gnificate, perch i nomi si possano dir simili nel
la figura, basta che quella forma che hanno sia
destinata per uao a significar cose simili, senza
guardare pi l se nel caso particolare le cose si-^
gnificate sieno effettivamente simili o 00. Cos
nel dire una tunica virile o muliebre non abbiam
rispetto a chi 1*ha indosso, se sia uomo o donna,
ma al comune uso degli uomini e delle donne ;
ch del resto potrebbe alcuno, tuttoch nomo,
essersi messo una tunica di donna, ed e converso,
come veggiamo fare agli attori su la scena : ma
muliebre diciamo quella che ha la forma assegna
la dal costume alle donne. Onde a quel modo che
dicbmo un attore scenico aver la stola muliebre,
cosi Perpenna^ Caecina, Spurinna diconsi aver
nomi di figura feminile, non per nomi di femine.
a8. Risogna aver ocohio anche al passaggio
de' nomi, cio alla piega die prendono nel pas
sare dal caso retto agli obliqui : perch se la pie
ga non la medesima, non si potranno dir simi
li, n sempre se ne ha sicuro argomento dal caso
retto. In praetor e consul ciascun sa dire, quan^
do li ha uditi, che finranno praetori e consuli:
ma di soeer e macer chi penserebbe, udendoli,
che Vuno dovesse fiir socero^ e altro macro T
Rasta per altro averne osservato il passaggio ;
perch la piega che pigliano da principio, la con
servano poi in tutti i casi si del singolare e si del
plurale. Ci avviene perch universalmente delle
cose paragonabili altre s'intendono per s, come
homo ed equus^ ed altre hanno d' uopo d'un
riscontro di fuori per essere intese, come eques
ed equiso che sono originati da equus.
3o5
Db: LI NGUA L ATI NA LI B. X. 3o6
*9 Qoarti homiiieiD hoinini similem esse ut
non esse., si xoiituleris, t% ipsis homiabus oi
roadTersis scies : al duo iuter se simili ierne sint
h>o(riores qoara sunl eorum IValres, licere non
pofsis,' si illos breviores, cum (|uibiis confuruu-
tur, quam loiigi siol iguores. Sic Utirum alque
al l i orum, item caelera eiusdem generis^ sine as
sumpto e&trinsecus aliquo perspiri similitudines
non possuni. Sic i gi l ur quidam casus quoil ex
hoc genere sunl, non facite rst dicere similis esse,
si eorum siogul orum slum aniinadvertiis vnces,
Disi assumpseris allerum, quo flectitur in trans
eundo TOX.
30. Quod ad oominalunm si niitudines sni-
roadverteudas arbitratus sum tatis esse tangere^
hjiec suot. Relinquitur de articulis, in quibus
qusedam eadeni, quaedam alia. De quinque enini
generibus duo prima habeiit eadem, quod sunt el
Trilia et muliebria et neutra, et quod alia sunl
ut signi6ccnt unum, * alia ut plura ; ? t de casi*
bus quod habent quinos, nam vocandi voce no
tatus non est. Proprium illud habtrnt quod par-
li m sunt finita ut hic et partim infinita ut
<fuis et quae. Quorum quod adumbrata et tenuis
analogia, in hoc libro plura dicere non * necet-
se est.
3 1, Secundum genus quae verba tempora ha
bent neque casus, sed habent personas, t or um
declinaluifiD species sunt sex : una quae dicitur
temporalis, ut legebam gemebam., lego gemo ;
altera personarum, sero metOy seris metis ; tcr-
lia rogandi, ut scribone legane^ scribis ne legis
/l ef quarta respondendi, ut Jingo pingo^ jingis
pingis ; quinta optandi, ut dicerem facerem^ di
cam faciam; sexta imperandi, uicape rape, ca
pito rapito.
3a. Iteni sunl declinationum spei ies quatnor^
qae 1emf)ora habent sine personis : in rogando,
ul foditurne ? seriturne ? el fodieturne ? sere^
furne? ab respondendi specie eaedem tigurae
fiunt, extreifiis syllabis demptis : optandi species,
u< viscatur ametur^ i^iveretur amaretur : impe
randi dfclinstus sintne, habet dubilatinncm, ct
eorum siine haec ratio: paretur pugnetur., pa
rari pugnari.
33. Accf dunt ad has .pecies a copulis tlivisid-
num quadrinis : ab inieuti et perfecti, emo edo,
emi edi i a semel el saepius, ut scribo lego, seri '
ptitavi l ecti tari ; facienili el patiendi, at uro
ungQy uror ungor ; a singulari el multitudinis, ut
laudo culpo, laudamus culpamys. Huius geiie-
M. . VaRHOMF, PELL4 115 LAllKT
29. O n j e se uo nomo somigli o no < un al
tro, sol che ne facci il confroolo, lo rinioscerai
da loro stessi c ol f osservarli : ma a dir di due
uomini, se ciascun di loro sia ugualmente pi lun-
del proprio fratello, come puoi fare, se non
sai quanto sien lunghi i due fratelli pi pccoli,
con cui si confrontano? C(;si le ragioni di lar-
^hetia e al l etta e si falle, impossibile vedere#
se si corrispondano, stando a due soli termini.
lo stesso d' alcuni casi, th sono auch' essi
d quelle Cose che hanno bisogno d* un riscon
tro di fuori ; sicch non fatile a dire se siano
simili o no, stando ad essi soli , senza osservare
la piega* che la f oc e piglia passando al secondo
caso.
30. Queste sono le cose che ho creduto di do
ver toccare, come bastanti a chiarire le somiglian
ze de' nomi . Resta a d i r degli articoli, i quali,
sebben convengono in alcune cose, in altre non
han che fare. Sono comuni auche ad essi i due
primi fra i cinque generi di declinazione, poich
si variano per sesso e numero : casi poi non ne
hanno che cinque, dacch il vocativo non vi ha
voce sua. II [>roprio de^li articoli che altri sono
determinati, come hic cd haec ; altri iodelermi -
iiati, come (fuis e <juae. Ma giacch in essi non si
rinviene che una tenue ombra d analogia, sareb
be superfluo il ragionarne pi a lungo in questo
libro.
31. Passer adunque al secondo genere di pa
role, cio a quel le (be hanno tempi e pe r i t one in
cambio di rasi, l o queste prendono luogo sei mo
lti di drrliuazione : il temporale, come legtbam
gemebam., lego gemo e tali ; il personale, come
sero meto, seris metis ; interrogativo, come
scribone legane^ scribisne Ugisnr ; il risponst-
vo, come Jingo pingo, Jingis pingis ; Toi l al i vo,
ci)mc <y cerem 'facerem^ dicam faciam ; 9 Ti m-
peraiivo, come cape ropCy capito rapito.
32. A que.<li sei moili si debbono aggiungere
forse altri <piattro che hanno tempi, ma non per
sone, onde cliiamansi impersonali. Tnl , interro
gando, seriturne? e fodieturne?
sereturnt ? Le sU ssc forme valgono pel modo
risponsivo, traendone ultima sillaba. Jl terzo
modo impersonale ottativo, come vivatur
ametur^ viveretur amaretur. 11 quarto sarebbe
impersonale imperativo; ma si fa dubbio le
siavi, e se abbia la fornja paretur pugntlur, pa
rari pitgnari.
33. Seguono altri quattro modi, che nascono
da allreltante divisioni bipartite, che hanno luogo
ne' verbi. 11. primo dalla divisione de tempi in
perfetti e imperfetti ; come emo edo, emi edi, e
simili. Il secondo dalia doppia forma, singolare
t frequentativa, come scribo lego^ scriptitavi
. TE RE NTI VARRONI S 3
rit vrbortim, qaoi ni spcci exposui, quro Uie
^uidque pHleat et ciniismodi efficiat ffrijm. .in
)ibrb,qui i4e formulis TrborHin erunt, diligenlius
xpeiJielur.
34 Tertii generila quae declitiiniur cum tem
poribus ac catihu, ac vocantur a mullis ideo par-
ticipalta, snnl hoc ge .
Hic destini iria folia.
35............quemadmodum declinamus., quae-
Hfous casus eius; etiamsi is qui fiiixil poeta ali
|uod vociibulum et ab eo casum ipse aliquem
perperam declinavit, potius eum reprehendimus
qoam sequimur. Igitur ratio quam *dico, utrobi-
que est et in his verbis quae imponuntur, et in
his quae declinantur; neque non eliam lertia ilia
quae ex utroque miscetur geoere.
36. Quartim unaquaeque ratio collala cum al
tera aut similis, aut dissimilis, aut saepe verba
lia, ratio eadem; et nonmititjuam rutio alia, ver>
eadem. Quae ratio iii mor amori^ eadem in
dolor dolor i ^neque eadem in dolor dolorem ;
I cum eadem ratio quae est in timor et amoris^
sil in amores ei amorum; tamen ea, qiiod non
in ea qua oporiei, confertur materia, per se so
lum efficere non potest analogias prupter dipa-
rilitalem vocis figurarum ; quod verbum ropule-
liim singulare cum niuilitudine, ila cum est pro
portione ut eandem habeat rationem, tum deni
que ea ralio conficit id qood pos4iJt analugLa, de
qua deinceps diram.
fll. 37. Seqiiiltir tertins 1ocn, quae sil ral4o
{MToporlione quae a Graecis vocatur tiveiXoyov : ab
analogo dicta analogia. Ex eodem genere quae
re inter se aliqua parte dissimiles rationem ha
bent aliquam, i ad eas duas ret alterae dtiac
ollalae sunt quae rtioncm habeant eandem ;
quol ca verba bina habent undem >, diei-
Uir utrumque seprvitim ^ ; simul coHalu
^nuluor analogia.
38. Nam nt in geminis quotn simile dicm^^s
-esse Menaechmum Menarci)mo, de uno dicimus;
cufn limiUtudincni esse in bis, de utroque : sic
lectitavi; il terzo dalla doppia voce, attiva e
piissiva, come uro ungo^ uror ungor ; il quarto
ilal doppio numero, dell* uno e dei pi, come
laudo culpo^ laudamus culpamus^ Quanto df-
stendasi e quali figure produca ciascuno dei modi
esposti in questo secoodo genere di parole, s far
vedere minutamente oei libri che tratteranno su
le coniugaiioni de' verbi.
34. 11 terio genere di quelle parole ch si
declinano con tempi e casi, e per da molti si di
cono participii..........
Qui mancano tn carte.
35, Che se per avventura in qualche nom
composto non troviamo i casi secondo che deeli-
nansi nel seniplice ; quand' anche il primo che
dcclin cos sregolatamente quei casi sia stalo io
stesso |H)eia che form il vocabolo, ro, nonch
creda di doverlo Seguire, gliene do biasimo. Dun
que la relazione, di cui parliamo, ha luogo si nei
primilivi, .e s ne derivativi, tanto in ciascun dei
du generi separatamente, quanto paragonando
i-uno con J altro.
36 Se si confronti ona relazione, qna| ch ella
sia,con un'altra, o le si mostrer simile o no:
avverr eziandio olte volte cbe le parole saran
diverse, e la relazione nna stessa, e tafvolta iti
vece opposto, che la relazione sar diver|^ e le
parole une tiesse. La relazione che fra amor e
amori, e altresi fra dolor e dolori ; non per
Tra dolor e dolorem^ bench la parola* sia l me
desima. Che anzi, tuttoch sia moris ad amor
come amorum ad atnores; ci non di meho que
sta medesimit di relazione non basta all'analo
gia. perch il ronfronto non cade nella debita ma
teria, essendo figure diverse. Quando s accoppii
Hsingotar col plurale da ambedtie le parli, e I
relazione sia nna medesima ; allora si che questa
relazione ha efficacia ric*liieslMdall* analogia, di
cui verremo ora a parlare.
HI. 37. Poicli gi tempo che dichiariamo
la terza delle quattro cose proposte sin da prin
cipio, cio cbe sia relazione .proporzionale, ol
analogo, come la chiamano 1Oreci, onle venne
il nomed analogia. Se con due cose d un medr-
simo genere, ma iti q^jalche parte dissimili, che
riscontrale haino una qualche relitzionc fra loro,
se ne collazionano nllre due,, che abbiano seco la
relazione medesim: ciascuna coppia scparata-
irenlc dicesi analoga dall' aver romune^il mede-
airoo logo o relazione, e le due coppie poste a ri
scontro diconsi analogia.
38. Come in materia di so:miglianza, ' i di'co
de'due gemelli : Menecmo simile a i^lenecmo^
btnob la cosa per s reciproca^ pure io la dtct>
3,^9
DE LI NGUA U T I N A LI B. X. 3t
<)uoii) Ui'imua en<lemralionern habere astem ad
semissem, (|iian hahet in argento libelki a<l sem-
hrltarii, qui.l Caiialogoo osteodimus; qoom a
Irobiqiie dicimus e t 'ia aere et in ar^ieolo esse
eaiidem rationem, tum dicimus de aualoj;ia.
39. Ut sodalis el sodalitai, civis et ci?itas non
est idem, sed ulrumqtie ab endem ac coiiiunctuin ;
iic Miudogon et an^lof;ia idem non esl, sed item
est congeneratum. Quare si homines sustuleris,
sodlissustuleris; si sodalis, sodalilateni: sic item,
ai sustuleris >, sustuleris analogon ; si id,
analogian.
40. Quae fciKu inier se tanta sint cognatione,
debeb*is subtilius udire, quam dici exspectare ;
id est, cum dixero qui<l de utro, quod ei eril
commuiie ne exsf>ecies dum egu in scribendo
transferam in reliquum, sed nl potius tu perse
quare aniiuo.
4 i.liaecHunt in dissimilibus rebus, ut in nu
meris si contuleris cum uno duo, sic cum decem
viginti ; quam * rationem duo ad unum habent,
eandem habent viginti ad decem : in nummis, in
similibus, si est ad unum victoriatum denarius,
sio ad idlerum Victoriatum alter denarius.. Sic
iteia in aliis rebus omnibus proportioue dicuntur
ea, tn4|uo.esl sic quadruplex natura ; ut in pro
genie, quomodo est filius ad patrem, sic si est filia
d matrein; et, ut est in temporibus meridies
d dierii, sic media nox ad noctem.
4a. Hoc poetae genere in similitudi ibus utun
tur ; mullum hoc acutissime geometrae ( hoc in
oratione diligentius, quam lii, ab Aristarrho
gr^mipaticf ; ut quom dicuuiur proportionesi
milia esse amorem amorifdolorem dolori^ quom
ita dissimile esse videant amorem et dolori quod
csl a^o casu, item dolorem ti^dolori.
43. Sed dicunt quod ab similibus nonnum
quam raticnes habet implicatas duas, ut. sit una
derecta, altera transversa. Quod dico, apertius
sicTiet. Esio sic expositos eise numeros, nt in
primo versu sit unum, duo, qnatuor ; in secundo
decem, viginti, quadraginta ; in tertio centum,
ducenti, quadrigenti. In hac formula numerorUm
duo inefuot quos dixi Xoyot, qui diversas faciant
analogias : unus duplex q*j} est in obliquis ver
sibus, quod est nt tinos ad duo,*sic duo ad qu-
tuor ; alter decemplex in derectis ordinibus, quod
eit ut unus ad decem, sic decem ad centum.
d* un solo ; e per opposto s io dico che v* t tr
lor somiglianza, comprendo in up sol rispetto
ambedue: nella stessa guisa s'avr un analogo
s'io dir, [>er esempio, che Ta^se al semisse ha
la relazione medesima che ha in argento 1liti
haalla ttmhela ; e %' io dir invece che da ambe
le parli v'e la relazione medesima, ivi io rame
jui in argento, avrassi un* analogia.
39. Analogo ed analogia, bench non sieoo
una cosa, son per congiunti ed originali da odo
slesso principio, come compagno e compagntM,
cittadino e citt. Senta uomini non hai compago,
e senza compagni non hai compagnia : similmen
te senza logo o relazione, non hai analogo ; n
senza analogo, analogia.
40. Onde lo s|iecifcare minutamente iu cose
tMjito vicine, star pi a te nelP intendere, che a
me nello scrivere ; non t'aspettal e cio che di
quel-ch'avr detto per Tuna delle due cose, in
quanto sia comune, ne debba far;: scrivendo -
plicazione anche all'altra ; ma falla tu stesso nel
la tua mente.
41. Queste proporzioni si fanno e in cose di'*
simili, paragonando, esempigrazia, nei numeri
il due cou ]' uno e cosi il venti col dieci, giacch
la relazione la stessa ; ed in cose simili, seni
pij^razia in opera di monete, se dirai essere un
viitoriato a un denaro come un altro vitturiato a
un altro denaro. Cos parimente in ogni altra
cosa si dice esservi proporzione quaudo s'ha
quattro termini .^u quest'andare; per esempio,
se in materia ^i figli pongasi stare il figlio al pa
dre come la figlia alla madre, e quanto a tempi
il meriggio al giorno come la lueziauotte alla
notte.
42. Di questo genere si valgono i poeti nelle
similitudini; l'usano mollo e sottilissmamen-
le ^geometri ; e nelle parole, cou pi diligenza
che gli altri grammatici, lo adoperano i seguaci
d Aristarco : come quando ci dicou simili per
proporzione le due coppie amorem amori^ do
lrem dolori^ sebben veggono che dolorici dia-
somiglia in caso da amorem^ ed altres da do
lorem,
43. Ma ci non ostante le dicono simili per
proporadone, perch nelle proporzioni che fannosi
di cose simili, alcune volte s' ha due relazioni
intrecciate, P una per dritto, altra per fianco.
La cosa si far pi aperta con questo esempio.
Suppongansi tre file di numeri ordinati io modo
che nella prima stia uno, due, quattro ; nelfa se
conda, dieci, venti, quaranta ; nella terza cento,
ducento, quattrocento. In questa formola s'avran-
DOdue relazioni atte a dare pro|>orzioni diverse ;
uua del doppio, se si procede per fianco, per
ch sta uno a due come due a quattro ; altra
'Stt . Tl i RI i i NTl VAKRONJ S 3 12
4/}. Similiter iu Terboruiu declinationibus est
bivium, quod et ah reclucaiu declinatur in obii
i|Uiim, et nb re^io casu * io rectum, ita ut formu
lam similiter efficiant; qaoii sil primo versu hic
albus^ huic albo^ huius albi ; secundo haec al~
ha^huic albae^ huius albae ; tertio hoc album^
huic aibo^ huius albi, Itiqae liunt per obliquas
drclinationes ex his analogiae hoc genus : Albius
Jtrius^ ^Ibio AtrlOy quae scilicet erit particula,
ex formula analngiaram de qua supra dixi, bina
riR : per derectas iletlinationes : Albius Atrius^
Albia Atria^ quae scilicet erit particula ex illa
45. Analogia quae dicitur, eios genera st^U
duo, uuum dciunclam sic est : ut unum ad duo,
sic lecem ad Tiginti ; alterum coniunctuin sic :
ut est unum ad duo, sic duo ad quatuor, in lioc
quod dno bis dicuntur et cum conferimus ed
unum et tunc cum quatuor.
/}6. floc quoque natura dicitur quadruplex.
Sic c septem chordis citharae, tamen duo dicun
tur habeie letrachordM, quoil quemadmodum
crepat prima ud quartam chordam, sic quarta ai
septiimam respondet ; media est alterius prima,
ulterius extrema. Medici in aegrotis septumos
dies qui obs^rTant, quarto die idto diligentius
iipna morbi advvrlunt, quod qnar rationem ha
boif primos dies ad quartum, eandem praesagii
habiturum qui est futurus abeo quarius et qui
est septnmus a primo.
47. Qnaprnplices deiunctae in canibus eint
vocabulorum, ut rex regi*^ lex legi*, Coniun-
ri;ie suni triplices in verborum tribue tempori*
bu5, ut legebam lego legam ; c^uod quam ratio-
neu) habet legebam ad lego^ hanc habet lego ad
legant. In hoc fere omnes homines peccant, quod
pt;rpcram in tribus temporibus haec verba dicuui,
quom proportione volunt pronnncrare.
Nam cnm sint verba alia infecta, ut lego
el legls^ alia perfecta, ut legi et legisti^ et debeanl
jiui qUoiusque generis in coniungendo copulari,
el cjuom recte sil ideo lego ad legebam ; non
recte est lego ad legi^ quod legi significai quod
perfectum : ut haec tutudi pupugi^ tundo pun
go, tundam pungam, item necatus sum^ ver
hcratus sum^ necor s^erberor^ necabor^ * ver
berabor^ iniuria reprchendaut, quod et iofecti
dei decuplo, ac si va per diitto, perch sta uno a
dieci comY dieci a ceuto.
44 Similmente nella declinazione deUe parole
V*hanno due vie, poich <leclinasi e da caso retto
ad obliquo e da retto a retto ; onde nasce una
formola pari all'antecedente ;* dove rremo, pfer
cagion d* esempio, albus albo albi nella prima
fila, alba albac albae nella seconda, album albo
albi nella terza, l'enendoci adunque alle decli
nazioni trasversali, ne trarremo proporzioni di
questa fatta: Albius Atrius^ Albio Airio; e
questa sar quasi la particella di ragion doppia
della formola numerica che ho sopra esposta :
procedendo invece all* ingi, ne formeremo Al-
bius Atrius^ Albia Atria^ clic sar la particella
di ragion decupla della detta formola.
45. Di questa proporzine di cui parliamo,
che tutta di simili, v hanno due specie; la dis
continua, eh' a questo modo: Sta uno a due,
come dieci a venti; e la continna, qual , per
esempio : Sta uno a due, come due a quattro ;
perorch qui si ripete due volte il due, e quando
si confronta con uno, e qnando si confronta il
quattro con esso.
46. Anche questa specie si dice aver quattri
termini, a quel modo che le cetre di sette cord*
ci non ostante si dicono avere due tetracordi,
perch la relazione di suono che fra la prima e
la quarta corda, altres fra la quarta e la setti
ma : cos la corda di mezzo la prima d iin te
tracordo e estrema deiraltro. Similmente i me
dici che osservano ne'maiali il settimo giorno,
nolano anche con peculiar diligenza i segni della
maUttia nel quarto, perch d presagio che quale
fu esso in comparazione del primo, ta) debba es
sere il setiimo, th al pari*distante, in compa
razione di esso.
47. Proporzioni discontinue di quattro ter
mini ci sono date dai casi dei nomi, quali sareb
be rex regiy lex legi ; *le contnue invece di tre
termini, le troviamo nei tre tempi corrispondenti
de' verbi, quali sono legebam lego legam
ch la relazione medesima che fra legebam e
legOy e anche fra lego e legam. Qui e dove quasi
tutti pigliano errore; ch, volendo mettere in
proporzione secondo tre tempi i verbi, fallano
nella scelta.
48. Poich, essendo i verbi altri di tempo im
perfetto, come lego e legis^ altri di tempo per
fetto, come legi e legisti^ e dovendo i termini
di ciascona coppia essere fra loro omogenei ; il
giusto ragguaglio di lego a legebam^ e non gi
a legi che significa cosa compiuta. Onde hanno
torto coloro che paragonano i tempi a questo
modo, tutudi pupugi^ tundo pungo^ tundam
pungam^ e nella voce passiva necatus sum^
3i 3 DL LI NGUA MB. X. 3 . 4
inier e siiiiiliii sunt et perfidi inicr le ; ut tun
debam tundo tundam et tutuderam tutudi tu
tuderOy ti6 amabar amor amabor et amatus
eram amatus sum amatus ero. Itaque repr>
hendoDt, qui contra analogiae licuiit quor Jispa-
rililer in Iribui tcroporibui dicantur quaediim
Terbfl, natoraiD.
49. Cum quadruplex sit natura analogia; ut
nonniinquani* ut dixi, pauciores Tdetur hHhere
partis, sic etiam alias pluris, nt quoni*rsl : Qufni-
admodnm ad tria unum et duo, sic ud sex duo
ctqualuor; quae tamen quadripartita compre*
henditur forma, quod bina a<I singula conferun
tur. Quod in oratione quoque nonnnnquam rr-
perietur, si cum Diomedes conferiur * Diomedi
ei * Diomedibus^ * sic diciUir nb Hercules Her
culi el Herculibus.
50. Et ul haec, ah uno capite, ab recto, cnm
duo obliqui descendunt casus ; sic contra multa,
b duobns capiiibus recti cum* confluunt in obii*
qiiom anum. Nam ut ah his rectis, hi Baebiei^
hne Baebiae^ fit his Baebiis, sic est ab his hi
Caelii^ hae Caeliae^ his Caeliis. Ab duobus
similibus similiter declinantur, at fit in his, ne
mus oius^ nemora olera : alia ab dissimilibus
similiter declinantur, ut in articulis ab /c, iste^
hunc istunc.
5 1. Analogia fundamenta habet aut a volon-
tale hominnm, aut a natnra verborom, aut re
iilraque. \olnntaiem dico impositionem vocabu
lorum ; naturam declinationeVn ocabuloram,quo
decurritur sine doctrina. Qui impositionem se
quetur, dicet, si simile in recto t:asu dolus et
innluSy fore in obliquo dolo et malo; qui natu
ram seqnet ur, si sil simile in obliquis Marco
Quinto^ fore ut sit Marcum Quintum ; qui
iJirumque aequetur, dicei ab hoc simile, transi
tus ut est in servus serve^ quod sil item in cer
vus cerve. CoAimune omoiiim est ut quatuor
figurae foois habeant proportione declinatus.
5a. Primam genus tst ortum ab limilitdine
in rectis casibus; secundum ab similitudine quae
est in obliquis; tertium ab similitudine quae est
in transilibus de casu in casuro. Prirao genere
verberatus sum^ necor verberory necabor verbe-
rabory e nepano proporzionalit in riascun verbo
da se ; poich eficttivamente Ia somiglianxa non
manra, purch il confronto non fiieciasi fra tempi
perfetti e imperfetti mescolatamante ; come Mp-
pariiice in tundebam tundo tundam^ tutuderam
tutudi tutudero., e parimente per la voce passiva
in amabar amor amabor^ amatus eram ama^
tus sum amatus ero; e per chi combatte Tana-
logia, dicendo che in alconi verbi i tre 1 non
sono simili, combatte la stessa natura.
49. Bench la pro^iortione per sua natura
di quattro termini ; pur rome ho detto che alcu
ne volte in apparenza ne ha meno, cosi altre volte
enihra averne pi, erme quando dicesi : Uno e
due stanno a tre> corbe due e quattro a sei. Ma
aosiunzialmente anche'questa forma compresa
nella quadripsiriita, non difierendo in altro, se-
nonch in ciascuna coppia il primo termine c
doppio. Il medesimo si trover avvenire laUolla
nelle parole, se, per esempio, si confronti />/0-
medi e Diomedibus con Diomedes^ corae retto
comune d^anibeJuc i numeri, e similmente da
Hercules si far cadere Herculi el Herculibus.
50. E come abbiamo qui queste proportini
dal diramarsi <li due casi obliqui da un retto
comune ; molte altre di simil fatta ne nascono,
quando per lo contrario due casi retti mettono
in un obliquo comune ; perch a quel modo che
dai nominativi Baebii e Baebiae si fa parimente
BaebiiSy da Caelii e Caeliae dee farsi Caeliis.
Poich non solc^da simili si forroan simili, come
da nemus ed oluSy nemora ed oler ; ma til-
volta anche da dissimili, come hunc ed istunc
da hic ed iste,
51. Le proporzioni si fondano o su la volont
degli uomini, o su la natura delle parole, o in
tutte e due queste cose. Volont chiamo impo-
nimento de' nomi ; natura la loro declinazione,
per ri che va pe' suoi pie<li, n oestieri chi te
la insegni. Chi star all* imponimeoto, dalla somi
glianza de' casi retti, come io doltts e malus^ in
ferir simili am be gli obliqui, come dolo e malo;
chi stari alla natora^ dalla somiglianza d' un caso
obliquo, comedi Marco 9 Qt/i/i/o, inferir simili
anche gli altri, come Marcum e Quintum ; final
mente chi si terr a tutte e due, dir simili i due
nomi, allorch li vegga passare dal caso retto
agli obliqui con la variazione medesima, com'
in servus serve^ cervus cerve. Qualunque di
queste vie si tengan, hannosi quattro useite pro
porzionali.
5a. La prima via parte dalla gomiglianza
de'casi retti; la seconda dalla somiglianza fra
obliqui ; la terza dalla somigliania (he nel pas
sare da un caso alP sitro : la prima dalP iinpoui-
3i 5 . TERENTI VARROJilS 3i 6
b imposito ad naturam proficisci mu r, in tccun-
do coDlra, io. tertio ab utroque. Quocirca eliara
&0C tertium potest bitanam divisum tertium et
quartum dici, quod iu eo yei prosus vel roios
potest dici.
53. Qui iuilia faciet ani(K>giae impositiones,
b his obliquHS figuras declinare debebi t; qui
aturam, coiitr ; qui ab utraque, reliquai decli
nationes ab eiusmodi Irausitibus. Impositio eat in
uostro dominatu ; oos iu iiaturae. Quemadmo*
dum enim quisque volt, imponit nomen ; at de
clinat queniadmodum volt n*tur.
54. Sed quoniam duobus modis imponitur
ocabulnm nut re singulari ut multitudine, fin-
gulari ut cicer, multitudinis ut sr.alae ; nec du
bium est quin orlo declinatuum, in quo re|
aingulares declinabuntur soUe,^b singulari ali
quo casu proKteiscatur, nt cicer ciceri cicerix ;
item contra iu eo ordine, qui mnltitudinis erit
solum, quin a multitudinis aliquo c n s m ordiri
conveniat, ut scnlae scalis scalas: aliud viden
dum est, quom duplex natura, copulata, ac decli
natuum biivi fant ordines, ut est mas tnarets^
ulffde lura ratio analogi)ie dtbeat ordiri, utrum
ab singulari re in multitudinem, an contra.
55. Neque enim, ti natura b uno ad duo per-
Tenii| idcirco non potest'amplius esse in docendo
posterius, ut inde indpias ut, quid sit prius,
osten.dai. Itaqoe et hi qui de omni natura dispu
tant atque ideo vocantur physici, tamen ei his,
ab universa natura profecti, retro, quae essent
principia mundi ostendunt. Oratio quom et Jilc
ris constat, tamen ea grammatici de literis oalen-
dunl.
*56. Qnare, iu demonstrando, quoniam potius
proficisci oportet ab eo quod apertius est, quam
ab eo quod prius est, et potiuj quam * ah cori'u-
pto * ab incorrupto principio, ab natura reVum
(|uam ab libidine hominom ; et haec tria quae
sequenda magis sont, minus sunt in singularibus
quam in.multiludiuis* : a multitudine commodius
potest ordiri, quod in his principiis niinus est
rationis verbis fingendis verborum forma.
.57. Facilius singularia videri poyse, quam ex
singularibus, ex * multitudinis, haec ostendunt :
trabes^ trabs ; duces^ dux. Videmus enim ex his
verbis, trabes^ ducts^ de extrema syllaba E lite-
ram exclusam,, et ideo in singulari factum esse
trabs^ dux: contra ex singularibus non tam vi
demus qurinadmudum facts sint ex B et S trabs,
t ex C et S dux.
mento che volont, va a ci che natura ; la
seconda dalla natura all* imponimento ; la terza o
da questo a quella, o da quella a questo. Onde-
ch, quest' altima essendo doppia rispetto alla di
rezione, si pu anche dire che siano quattro le vie.
53. Chi muove dalP imponimento, trarr da
esso le uscite de' casi obl i qui ; chi muove dalla
natura, far il contrari o; e chi muove da ambe
due, inferir dai detti passaggi le uscite degli
altri casi. L ' imponimento dipende da noi ; noi
dalla natura ; poich ciascuno i mpone il nome,
secondoch vuol e; ma lo declina,secondoch Tool
la oatura.
54. Ma^poich il nome pu essere imposto
tanto nel numero delP un con>e ci cer, quanto
in quello del pi, come scalae ; pur da vedere
se nelle proporzioni debba procedersi dal nume
ro dei r uno a quello del pi o al contrario. Pe r
ch se il nome non ha plurale, chi pu far dubbio
che nel decli nare non debba partirsi da qualche
caso del singolare, come in c i c e r ciceri ciceris i
e similmente se il nome non ha singolare, non si
potr non partire da qualche caso del plurale :
ma se vi sieno ambedue i numeri, come in mas
mareis^ e la decliiiai ione s' abbi a a condurre per
tutti i loro accidenti ; non senza ragione il chie
dere onde abbiasi k cominciare.
55. Poich, sebbene in natura si va dalP uno
al due, non ist per questo che nelP i nsegnar
non torni bene talvolta il farsi da ci c h ' secon
do per dichi arar ci eh' primo. Onde anche i
fisici, trattando, come dice il lor nome, della na
tura in universale, partono dall e considerazinue
del mondo, qual esso , e di qui tornano indietro
a mostrare quali ne fossero i principii ; ed i gram
matici, tuttoch il discorso sia formato di lettere,
spiegano le l ettere per t s del discorso.
56. Che se nell' insegnare sta megljo il pren
der le mosse da ci che pi chiaro, non da ci
che primo ; e da un principio incorrotto, anxi-
ch da un guasto ; e dalla natura delle cose, noo
dal talento degli uomini : metter pur conto che
ne' riscontri' si parta dal nominativo plorale,stante
che in esso le tre dette cose, a cui vuoisi princi
palmente guardare, si trovano pi che Del si ngd.
lare, il quale ha meno riscontro con le fari e voci
che se hanno a fare nella decIiiAzione dei nomi.
57. E di vero che i singolari medesimi si pos
sano pi facilmente conosc'ere dai lor plurali che
da s stessi, cel mostrano i>nomi trabes e trabs^
duc^ dux. Poich dai plorali trabes e duces
vediamo che i singolari s^n divenuti trabt e dux^
per essersi levata l E dai r ultima ilUba ; e dai
singolari all' incontro non apparisce tanto che
uno e l ' altro nacquero siniilmcnte dall ' unione
della conabnante vicina con la S.
3i 7 DE LINGUA LATINA LIB. X.
3i S
56. Si niultiludinis rectus cafus farle figura
corrupta erit, il quod accidit raro ; prius id cor
rigemus quam inde ordiemur. Ab ^obli quis casi
bus assumere oportebit figuras eas, quae iiod
eroot ambiguae, sive singulares* sive maltitndi-
nis, ex quibus i ti quoi usmodi debet esse, perspici
possit.
59. Nonnoroquairt al l eram e i allero videtor,
ut Chrysippus scri bit ; quemadmodum paler ex
fitio et filias ex patre: neqoe minus in fornicibus
propter sinistram dextra stat, quam propter dex
tram sinistra. *Quapropter et ex rectis casibus
obliqui, et ex obli quis recti, et ex singularibus
multitudinis, et cx multilodinis singulares ooa-
nai cqnam recoperari possunt.
60. Principium id potissimum sequi dehemus,
ut in eo fundamentum sil in naiura, qund in de
clinationibus ibi facilior ralio. Facile rst enim
animadvertere, peccainm magis cadere posse in
impositiones eas quae fiunt plerumque in reclis
casibus singularibus, quod homines imperili el
dispersi vocabula rebus imponunt quorumque
os libido invitavit ; natura incorrupta pl mi m-
que est suapte spoule, nisi qui eam usu inscio
flepravabii.
61. Quare si quis principium analogiae poliua
posuerit in naturali|ius casibus quam impositi
f i l i ; non mull a in consuetudine occurrent, et a
iialnra lubido humana corrigetur, non ab lubi-
dine natura, quod qui impositionem sequi t %1u c -
rint, facient contra.
6a. Sin ab singulari quis politis proficisci vo
l et, id illum fiicerc oportebit ab sexto Casu qui
est proprius Latinus nam eius casus finis li le-
rarum discriminibus facilius reliquorum varie
tatem discernere poterii, quod i habeA exitus
aut in A^ut hae terra; mu I in F), ut7/ac lance;
aut in I, ul haclevi; aul in O, ut*/ioc caelo;
ul in U, ut hoc versu. Igi l ur ad deiVionstranda^
dccIiiTationes biceps via haec.
63. Sed quoniam ubi analogia, lri,' unum
quod in rebus, alterum quod in vorihus, tertium
quod in utroque, duo priora simplicia, terliuni
duplex ; animadvertendum haec quam vi ter se
habeant rationem.
64. Primam ea quae sunt disc^imina in r e
bus, partim sunt qua^ ad orationem nnn atli
neant, partim.quae pfsi tineant. Non pertinent, uf
ea quae obserrant in ae^fificils et signis faciendis
^8. 9 e p e r t vr enl ur a ( me il caso raro) ao-
ohe nel nominativo plarale vi fosse vizio, con
verr prima* Correggerlo, e poi pigliarlo a prin
cipio. Al quale eflTelto si prenderanno dai casi
obbliqui qoelle figure o singolari o plorali, in
coi non ha luogo dubbio, acciocch dal loro ri
scontro possa apparire qual dovrebbe essere la
vera figura anche del nomioativo.
59. Perch v hanno cose, come sorire Cri -
sippo, che si dan lume a ricenda, e di per s sole
non potrebbero neanche intendersi. Cosi avvieii
nei coucetli di |>adre e figlio, che non, si pu
^ver uno senza del l' al tro, a quella guisa che in
una volta la parie destra reggesi per la sinistra,
non meno che la sinistra per la destra. Onde aor
che nei casi potremo riavere talvolta i retti dagli
o b l i a l i e i singolari dai ploral i, come s hanno
gli obliqtii dai retti e plurali dai *singnliiri.
60. Giover adunqne partire, pi che da altro
caso, lai nominativo plurale, a volersi fofidare su
la natura e cosi agevolare la decli nazione. Peroc
ch facile avvedersi che pi di leggeri pu ca
der vizio nella forma, sotto coi il nome prima
mente imposto, che per lo pi il nominativo
singol are; stante che i nomi son dati da uomini
rozzi, senza consulte, secondoch li porla il ca
pri cci o; e la naiura all* incontro, quanto sta in
essa, suol mantenersi incorrotta, se non chi , no
sapendola usare, la guasti.
. 61. Sicch, ponendo a prineif*io delP analogia
un caso nal oral e antich la prima denominazio
ne, rade volle alla regola contraster Tuso ; e ai
corregger iJ capriccio degli uomini con la na
tura, non la naiura col capriccio; come' fa inveee
chi pone a principio la denominazione.
62. Che se ad al aj no piacer meglio partire
dal numero delF uno ; il dpvr fare dal sesto ca
so, che tilto proprib de' Latini. Poich Tuscit
di questo caso pu servire con le differenti sue
lettere a conirassegrtar facilmnte lo differenze
degli altri casi, aecondoch esce 6 io A, come
terra ; o in E, come lance ; o in I, come levi;
o in O, eome 'caelo ; o in U, come versu. Sicch
nel dare la regola per la declinazione dei nomi,
si pu partire o d a l i ' u n o o dal Pal tro*dei detti
principii.
G3. Ma quando si dice esservi analogia fra
pi cose, ^i pu intendere ih tre modi ; o pel sem
pli ce ris[>el lo. delle cose, o per qnello dei vocabo
li, o per ambedue ad on tempo. Ond* a vedere
che sorta di*relazine debba aver luogo a que*
st' uopo.
64. E romineiando da qt>elle relazioni che
stanno nella cosa, aonvi alcune specie che non
hannp a far nulla col favellare, ed altre hanno
che farvi. Non f' lia che f^re niuna di quelle che
3..J . TfcRliNH VARKOMS 320
caeterisque rebus rliGcei, c quis vocunlur
harmonicae, fic i lem aliae nominibus aliis: sed
nulla lidfum fil loquendo pars ad orationem.
65. Qaae pertinent res, eae sunl quae verbis
ilicuQtur proportione, neque a similitudine quo
que focum declinatus habenl, ut luppiier^ Mas-
piter^ loviy Marti. Qaec cnini geuer nominum
t numero et casibus similia sunt inter se, quod
utraque et nomina sunt, et virilia sunl, et singu-
hiria, et casu nominandi et dandi.
G6. Alterum genus vocale et, in quo voces
modo sunt proportione similes, non res; ut biga
bigae^ nuptia nuptiae. Neque enim his res sin
gularis subest uua, quora dicitur biga^ quadri
ga ; ncque ab his vocibus quae declinata sunt
muliiludiuis, signifcant qtiidquam ; i<leo quod
oiunia mullitudinis quae decliuMntur ab uno, ut
a merula^ merulae^ sunt eiusmodi ut singulari
subiunganiur tic : merulae duat^ catulae tres^
faculae quattuor,
67. Qoare curo idem non possit subiungi,
quod Don dicimus biga una^ quadrigae duae^
nuptiae tres^sed pro eo unae bigae^ binae qua
drigaty trinae nuptiae ; apparet non eue biga
et quadriga^ et bigae et quadrigae : sed ut est
haius ordinis ana, duae, tres principium una ;
sic in hoc or<lifie alter /tae, binae^ trinae pri n
cipSum est uoat
68. Tertiora genus est illud duplex quod
di xi , in quo et res et vores similiter proportione
dicuntur ut bonus^ malus^ boniy mali ; de quo
rum analogia et Aristophanes et alii scripserunt.
Eteoim haec denique perfecta, ut in orati one;
illae duae simplicei, inchoatae MnaIo|{iae : de qui
bus tamen sepamtim^ dicum, quod his quoque
utimur in loqun<lo.
69. Sed prius de perfecta, in qua el res et vo
ces quadam siu)ilittHline conlinentir ; quo ius
genera sunt tria, unum vernaculum . domi na
turo, alterum adveiililiuni, tertium nolhum ex
peregrino hic natum. Vcrnaculum esi ut sutor
et pistor^ sutori et pistori; alTentitiuro est ut
Hector es Nesto res., Hector as Westoras. Ter
tium illud nothum ut Achilles et Petes.
70. Degenera multi uluniur, non modo poe
tae, eJ etiam pleriquc, haec. IViiuu omnis qui
suluta oratione loquniitur, liiceh.iiii, nl quaesio-
reni, praetorem, sic Hecto"rem^ Nesto rem ; ita
que bnni us ait :
Hectoris natum de muro iactarier.
gli artisti osservano nel formar fabbriche sta
tue od altrettali opere, e quali chiamano armoni
che, quali con altri nomi: queste non entrano
col favell are. ,
65. V' hanno parte fe cose, quando i toro no
mi stanno in proporzione fra loro, tuttoch' iano
ambidue irregolari nella propria declinazione;
come luppiter e Maspiter^ che fanno lo^i e
Marti, Poich queste voci s' assomigliano e iu
qualit e in numero e iu caso, essendo tutte t
due ndnii proprii, tulle e due maschili, e di nu
mero singolare, e di caso nominativo e dativo.
6. Il secondo genere di relazione quello dei
vocaboli , quando Ja proporzione sta ip questi
soli, non nelle cose; come sarebbe se si facesse
biga e bigacj nuptia e nuptiae. Perch qui man
ca la cosa singolare ed una che pussa intendersi
{>er biga o quadriga ; e i plurali dedotti ret*o-
larmeute da queste voci, noji dicono nulla. P e
rocch tutti i plurali che partono dall* uno, come
merulae^ gli si continunno sotto questa forma,
merulae duat^ catulae treSy faculae quattuor.
67. Ma qui queste forme non hanno luogo ;
perch non diciamo biga una^ quadrigae duae^
nuptiae tres^ ma diciamo invece ttnae bigae^ bi
nae quadrigae.^ trinae nuptiae. Onde appr i s c e
che questi nomi non sono biga e bigae^ quadri
ga e quadrigae : ma, come nell' ordine una^
duae^ tres il principio //, cos in questo se
condo ordine il principio unae.
68. Il terzo genere quello che pu dirsi
dop[tio, perch la proporzione s nelle cose e s
ne vocaboli ; come in bonus^ malus, boni^ mali.
Del l ' anal ogi a di questa specie tratt Aristofa
ne ed Uri ; perch questa sola la vera analo
gia perfetta, secondocb domanda Pioter natura
delle parole ; e le altre due semplici non ne sono
che abbozzi. Tuttavia pacler anche di queste
separalamenle, facntlosene pur qualche uso nel ,
favellarik
69. Ma cominciamo dalla perfetta, in cui e
cose e vocaboli sono legali in una colai somigliao-
ZH. Ce n ' ha di tre mani ere: altre son nostrali e
nate fra noi, altre son venilicce, ed altre soii
bens nate fra noi, ma non di ceppo nostrale.
Esempio della prima maniera sntor e pistor^
Sutorit p i s t o r i della seconda. Rectores
e Neslores^ Hectoras e Nestoras ^estmyio della
terza Jchillet e Peles con la loro declinazione.
70. /Juesle forme spurie s'usn da molti, u
solo da poeti, ma in tolto dui pi. Da prima t utti
i prosatori dicvano Hectorem^ Nestrem al on*-
do di quaestorem^ praetorem ; e cosi fece anche
Ennio in quel verso che suona tradotto:
Dalle mure scagliar d' Etl ore il figlio.
321 DE LINGUA LATINA LIB. X.
3ai
Acciiii hec in tragoedi ii lar(;Q8 a prisca consoe-
tuJine moTere coepit, ot ad formaa Graccas ver
boram magis re?ocaret ; a qao Valerius ait :
Aecius Hectorem noeifieert, ffeetora malte.
Quod advenlilia pleraqoc habemas Graeca,
taro ut de oolhis Graecanicos quoque nominatus
pluri mum haberemos. Itaqne ut haec alia Grae
ca, alia Graecanica, sic analogar.
71. E quis quae hic natae sunt dcclinationes,
de his aliae sunt priscae, ut Bacchideis tiChrf
sideis ; aliae iuniores, ot Chrysides et Bacchi
des ; aliae rerentet, ut Chrysidas et Bacchidas.
Qaom his omnibus tribua ulantur nostri, maicu-
me qui seqfiontur media in loquendo, offendant
minimum ; quod prima parum similia videntur
tue Graecis unde sint tralata, tertia parum si
milia nostris.
IV. 73. Omnis analogiae fundamentnm simi
litudo quaedam, ut dixi, quae solet esse io rebus,
in Tocibus, et in utroque : in qua harum parie
cumque sit, in terendo, et qnoiusmodi, tidrn
dum. Nem, ut dixi, neque rerum neque vocis si
militudo ad has duplicis, quas in loqnendo quae
rimus, separatim satis est, qnod utraque parte
opus est simili ad * analogias verbomm exprimen
das; quas ad loqoendam ut perducas, accedere
debet osus ; alia enim ratio qui facias vestimen
tum, alia quemadmodum uia re vestimento.
73. Usui pecies videntur esse tre*: una con
suetudinis vel eri s; altera consuetudinis hui us;
tertia neutra. Vetera, ut cascus casciy surus
suri ; huins consuetudinis, ut alhus caldus^ albo
caldo ; neutra, ut scala scalam^falerafaleram.
Ad qnas accedere potest quarta mixta, ut amici
tia inimicitia^ amicitiam inimicitiam. Prima
est, qua usi antiqui, et nos reliquimus ; secun
da, qui nnnc uti mur; tertia, qua utuntur poetae.
74* Analogiae, non item ea definienda quae
Krigitur ad naturam verborum, aique illa qune
ad usuiti loquendi. Nam quae prior, definienda
sic : Analogia est verbornm similium declinatio
similis. Posterior si c: Analogia est verbomm si-
mSlium declinatio similis, noh repugnante con
suetudine communi. Ad qnam hamm duarum
quom * ad extremum additum erit hoc, ex qua
dam pnrte ; poetica analogia erit definita. llrum
M. T r k . V^ABioiiK, nir.LA t . i t i o u a .i^tv.
Fu Accio il primo che con pi l arghei i a tolse
nelle sne tragedie a staccare questi nomi dalPan-
tico uso per ritirarl i verso la greca declinazione ;
onde Valeri o ebbe a scrivere :
Accio vorria
Bectora, non Hectrem,
Siccome, poi i nomi veniticci per la pi parte f on
greci , cot i ne venne che anche gli spurii fossero
quasi tutti grecheKbi . Onde, secondoch i nomi
sono greci o grecbeschi, tali sono anche le ana
logie.
71. Dell e terminaxioni introdotte dai nostri,
conforme alle dette analogie, altre son vecchie
come Bacchideis e Chrysideis ; altre pi giova-
vtini, come Baechides e Chrysides ; altre no
velie come Bacchidas e Chrfsidat. Tul l e e tre
sono in uso : ma chi pi tiensi a quelle di metxo,
va pi alla sicura ; perche le prime si dilungano
troppo dalle terminazioni greche corrispondenti,
le terze dall e nostrali.
IV. 73. l i fondamento d' ogni analogia , co
me ho tetio, ona cotal somiglianza che suol tro
varsi o nelle cose o nelle voci o in queste e in
quelle ad un tempo. Onde ogni volta che si vuole
usarne, convien vedere in qual parie la somi
glianza sia e qual sia. Poich la semplice somi
glianza o delle cose o delle voci disgiuntamente
non pu bastare a quella doppia prcfi orzi onal i li
che richiediiimo nel discorso, perch non s' abbia
solo un abbozzo d' anal ogi a: n questo i ancor
tutto, se primn di porle in pratica favell ando,
non si consolli nso ; che allro come s' abbia
a fare un vestimento, ed altra come a* abbia a
portare.
73. Le specie d' analogie usate paiono tre ;
cio quelle ch' e bbe r o corso in antico, come c a
l c i c i cascia suru^ suri; quelle che hanno ora,
come albus caldus^ albo caldo ; e quelle che non
hanno ora, n ebbero mai, come scala sca
lam^faltra Jaleram, Si potrebbe aggi ungervc-
ne una quarla specie, mista di usitato e di nuovo,
quale sarebbe amicitia inimicitia^ amicitiam
inimicitiam. Della prima fecero uso gli antichi,
e da noi a' gi snessa ; della seconda facciamo
uso al presente ; della terza fanno uso i poeti.
74. Dell e analogie non da detinire ugual
mente quella che guarda la natura delle parole
in s, e quella che guarda uso da farsene nel
favell are. La prima si definir dicendo che ana
logia la declinazione simile delle parole simili ;
della seconda dirassi che analogia la drlina-
zinne simile delle parole tiroili, in quanto non
a opponga la consueltidine comune. Che se a
questa delle due definitioni soggiungasi la clau-
21
323 51. T L K L M I VARRONI S 324
l^riinara sequi debel popuius, secuudain omnes
siuguli ex populof lertiain poelae.
^5. Haec diligentius quara aperlius dieta esse
arbitror, sed noo obscurius quam de re simili de-
foiliones graminalicoram suol, at Aristeae, Ari
stodemi, Aristocli, itero alioruro, quorara obscu
ritates co mious reprehendeDdae, quod>plerae-
que defiaitiones, re incognita, propter summam
brefilatem non faciic perspiciuotor, nisi artica-
latim sunt explicatae.
96. Quare magis apparebit, s erit apertum
de singulis'partibas, quid dicatur verbum, quid
aimilitado verbi, quid declinatio, quid similitudo
declinationis non repugnante consuetudine com
muni, quid ex quadam parte.
77. Verbum dico orationis vocalis pariem,
quae sit intlivisa et minima, si declinationem na-
turelem habeat. Simile est verbum verbo Ium
quom et re quam signifcat, et voce qua signifi
cat, et figura io transitu declinationis parile. Ue-
clinatio est qnom ex verbo in verbum, aul ex
verbi discrimine, ot transeat meos, commutali o
fit aliqus. Similitudo declinationis, qaom item ex
aliqua fi gura in figuram transit, ot id transit
cum quo confertur.
78. Adiectum est : non repagnante coasoelu-
dine communi ; quod quaedam verba conlra usum
veterem inclinata patietur, ut passa Hortensium
dicere pro hae cervices^ cervix ; quaedam non,
ut si dicas profauces^ faux. Ubi addilur, ex qua
dam parte,significat non esse in consuetudine in
his verbis omnes partes, ut declinatum amo /ro,
amor ius?or
V. 79. Quid videretur analogia in oraiione, et
quas haberet species, et quae de his sequenda ri -
derelur, ut brevi potui, informavi : nunc in qui
bus non debeat esse, ac proinde ac debeat soleat
quaeri dicam, tla fere sunt qoatoor genera: pri
mum in id geons verbis quae non declinantur,
analogia non debet quaeri, ut in his nequam^
mox^ \ux,
80. De his magis in alio quam in alio erralur
vei bo ; dant enim non habere casus mox et vix ;
nequam habere, quod dicamus hic nequam et
huius nequam et huic nequam, Cam enim dici
mus /rtc nequam ct huius nequam^ tum homi
nis eius, quem volumus ostendere esse nequam,
dicimus casus*, et ei proponimus tum hic nomen,
quoius putamus nequitiam.
i sula : per gual che parte; si ssra definita ana
logia poetica. Ali a prima specte dee tenersi il po*
polo in universale; alia seconda ciascuno in par>
ticolare ; alla terza i poeti.
75. avveggo anch* io che in queste cose
sar stato pi diligente che chiaro: ma noo meno
oscure sono le definizioni che danno in questa
materia i grammatici, come Aristea, Aristode
mo, Aristocle ed altri ; la cui oscurit pur me
rita scusa, perch le definizioni per la somma
loro strettezza, se non ai conosca la cosa, riescono
soli tamente difficili a intendere, finche non sono
spiegate punto per punto.
76. Onde la cosa si far pi aperta dichiaran
do di parte in parte che cosa intendasi per parola,
per somiglianza di parole, per declinazione e per
somiglianza di declinazione in quanto non s ' o p
ponga la consuetudine comune; che cosa infine
per quella clausula : per qualche parte.
77. Chiamo (}ui parola la minima parte intera
del discorso, che sia di natura variabile. Simili
son le parole quando concordano e nella cosa che
significano, e nei suoni con cui la significano, e
nella variazione che nasce col variar d' accidente.
Declioazione appunto questa variaiiooe che
Tassi nella paroU per condurla ad un senso vicino
o ad una moilificaiione del suo. Somiglianza di
declinazione v ' quando le parole passano da un
accidente all" altro con la medesima variazione.
78. Ho aggiunto : in quanto non s' opponga
la consuetudine romnne ; perocch essa dar pur
passo ad alcune novit, e ad altre non lo dar :
rome per esempio lasci dire ad Ortensio cer
vix in luogo del plurale cervices, e non ti pas-
sereBbc faux in luogo di fauces. Finalmente la
clausula, per qualche parte, mira a quelle parole,
in cui alcune parti non sono in uso : come ne si
aggu^igliasse/tti o ad amo nel l' intera coniuga
zione attiva e passive.
V. 79. Ho mostrato con una specie di schizzo,
per quanto potevasi cos io bre^e, ci che pare-
vami essere Tanalogia nel parlare, di quante ma
niere sia, e quale tra queste, a mio avviso, debba
seguirai. Ora dir in quali voci analogia non
liefiba aver luogo, comech da molti vi si preten
da. Non dee aver luogo a un di presso in queste
quattro specie di voci ; cio innanzi a tutto nelle
indeclinabili, quali sono nequam^mox^ vix.
80. Vero i che non in tutte queste voci s' erra
ugualmente; poich di mox e di vix concedono
che non han casi, ma nequam pretendono che li
abbia, per ci c^ie si dice hic nequam^ huius ne
quam^ huic nequam. Ma quando coni diciamo,
non recitiamo gi i varii casi di nequam^ ma s
della persona che poniamo tale e chiamiamo hic
quasi col suo Tceuonie.
3a5 DL LI NGUA LATI NA LI B. X. 3aG
8i /Quo( ] vocabulum raclum, ut ex non cl
s'oo nolo^ sic ex ne el quidquaniy ilem media
exlrila syllaba, coacturo est nequam ; itaque ut
euro quero putamus esse non bili, dicirous nihi-
l i ; sic in quo putamui esse nequidquam, dici
mus nequam.
82. Secuado, si oouro soluro habent casum in
\oce, quod non declinantur, ut literae omnes.
Terl i o, si singularis est vocabnli series, neque
bubet cum qua comparari possit^ ut esse putant
caputi capiti^ capiiis, capite. Quarto, nisi ea
Tocabula, quae conferuntur inter se, ralionemj
liabent quani oportet; ut tocer socrusy soce
rum socrum.
VL 83. Contra in qutbus debeat quaeri ana
logia, fer totidem gradus debent esse coniuncti.
Prinjuro, ut sint res; secundum, ut earum sit
asus; tertium, uti hae resTocabula babeont ; quar
tum, nt habeant declinatns naturalis. De primo
gradu, quod natura subest et multiludinis et sin
gularis, dicimas hi asses^ hosce asses^ hic as^
hunc assem; conira quod in numeris fnilis mul
titudinis natura singularis non est, dicitur hi duo
et /il tres, his duobus et his tribus.
84. Secondo gradu, si est natura, neque est
usus, id geaus nt sit discriminandum ; ut ft in
faba el id genue, quae itero et ex parte el uni
versa nominamus. Non eoiro opus fuit, ut in
s e r v i s .
81. Come da non e volo si fccc wo/o, cos ne
e quidquamy cacciata la sillaba di mezzo, si si f i n
sero in nequam; e come hi ci p%r la nulla, il
diciamo nihili^ quasi non hili^ c o i chi crediamo
che non valga puDto, cio nequidquam^ il dicia
mo nequam.
82. in secondo luogo non dee cercarci P ana
logia in quelle voci che quanto all* uscita hanno
un solo caso, perch non si declinano, l ' ali sono
lutti i nomi delle lettere. La terza specie di quei
nomi che sono unici nella propria declinazione,
la qual per non pu avere riscontri. Tale si cre
de la decliuazionc di t:aput. La quarta specie
quando i nomi coliazionati non hanno la debita
relazione, come se si ponesse socer a socrus
come socerum a socrum.
VL 83. Al contrario, perch nelle voci s ab
bia a cercare analogia, vi si debbono presso a
poco unire altrettante condizioni. La prima
eh e la cosa esista ; la seconda, che se ne faccia
uso; la terza, che abbia un nome ; la quarta, che
questo notne sia naturalmente declinabile. Quan
to alla prima condizione, noi confrontiamo, per
esempio, i casi plurali coi jsingolari di as; perch
gli assi possono essere e uuo e molti : alP incon
tro nei numeri determinati di moltitudine con
frontiamo solo plurali con plurali, come duo e
tres con duobus e tribus^ perch i singolari non
istanno nella natura della cosa.
84. Per la seconda condizione non basta il
fundamento della cosa, se Tnso che se ne l';i, noti
porli quella distinzione di nomi e di forme, che
si pretende di trovare. Cos di faba e > fnlti, in
cui non v' che un nome per la specie senza ri
spell o a nmero ; perch non occorreva, come
ne' servi
FRAMMENTI
D E I U B R I I N T O R N O A I i U L I N G U A L A T I N A
DI M. TERENZIO VARRONE
LIBER
I. Philarg, ad Firg. Eci, ii, 63.
Varr ad Ciceronem libro Urlio: Sicut
noct pBnthera et Je.
Pipffifd, ^ p, 377 Usil
Reptrimus . . . . ficlas e/ fi xDi___Varr
ad Cictrontm teriio fjioin
3. Serv. ad Virg. i ;39 ; et , Ifi,
Dtos aeternos {alt J. perpetuos) dicimus^
divos 9tro qui ex hominibus fiunt, (Sed Varr
ti jitteius conira sentiuni^ dicentes
petuos, Aleof qui propter o contecratiooeni li
mentur, ut SUOI dii manei Ad Aen. , 45)
Niin (qood) Graece iioi^ Latino timor Tocatur;
unJe deus dictoa eat. (A quo etiam Jena gene-
rale eal omnibua), quod omnis religio ait timori^.
Varro ad Ciceronem tertio ita respondet (Col.
respondeant) cur dicant deos^ cum omnia (cod.
omnibua) anliqai dixerint divos.
LIBER YUL
4. Gellius 11, 2S.
M. Varronis liber ad Ciceronem de lingua
Latina octavus nullam esse observationem si^
LIBRO I I I .
1. Filargirio al v. 63 delV Egi 11 di Virgilio.
Varrone us lea per leonessa ne! terzo libro
Cieerot dicendo ; Cerne oaoee peatera leo-
a. I Homede L i a f . 877 E ei l
Troviamo e fictus e fictus, Varrone nel
terzo libro a Cicerone aa fixum,
3. Servio al v, 13g dei /. sii e al 9, 45 del /.
deir En. di Virgilio,
Dei chiamiamo qoelli che furono sempre^ e
divi gli nomini diviniziati. Ma Varrooe ed At-
teio aon di contrario parere, dicendo invece cbt
divi sono gli eterni, e dei quelli ctye temiamo
per la loro deificaiione, quali aono i Mani. Pe
rocch deus dal greco ^^ che vale timore.
Onde poi qoeato nome ai estese naturalmente a
tutti, perch ogni cullo vin dal limore. Co ri-
aponde Varrone nel lerxo dell opera a Cicerone,
perch ai dicano dei^ laddove tulli gli tDiichi li
dicevano divi,
UBRO Vffl.
4. Gellio Ji, a5.
L* ottavo libro di Marco VarroAe intorno
alla lingua latM, indirizzato a Cicerone, volto
33 F R A ai E N T 1 33a
milium docet^ inque omnibus paent verlii
consuetudinem dominari ostendit ; eicuti cum
(liciiuus, inquit^ lupus lupi, probus probi, et
]epus leporis: item paro paravi, la?o Uvi^ pungo
pupugi, tundo tutudi et pingo pinxi. Cumque,
inquit^ a coeno et prandeo et poto, et coeiiatus
sum et pransut sum et potus sura dicamus; et
ab adstringor lamen et extergeor et lavor, ad-
strinxi et extersi et lavi dicimus. Item cum dica
mus ab Osco, Tusco, Graeco, Osce, Tusce, Grae
ce ; Gallo tameo et a Mauro, Gallice et Maurice
dicimus. Item a probas probe, a doctas docte ;
sed a raras noo dicitur rare, sed alii raro dicunt^
alii rarenter. Idem M. Varro in eodem libro :
Sentior, inquit^ nemo dicit, et id per se nihil
est; assentior tamen fere omnes dicunt. Sisenoa
unus assentio in seaalu dicebat, et eum postea
multi secoti, neque tamen vincere consueluJi-
uem potaeruQt.
LIBER IX.
5 . Charisius p. io6 Keil.
Albani dicuntur ab Jlba^ Albenses auiem
ah Alba Fucente ; cuius rei causam Farro ait
esse^ quod analogia in naturalibus nominibus
tantam servatur, in voluntariis vero neglegitur.
Nam ut a Roma Romanus dicitur, a Nola Nola-
Dus, ab Atella Atellanus, sic Albanus ab Alba dici
debet : in illa autem Fucenie Alba hoc oon con
servatur, quod alterius nomine cognomiuatur.
Quod magis apparet cum dicimus Hispanos et
Sardos, item Hispanienses et Sardinienses. Nam
cum dicimus Hispanos, nomen nationis ostendi
mus; cum aotem Hispanienses, cognomen eorum
qui provinciam Hispanam incoluot, etsi oon sint
Hispaoi.
6. Chirisius p. 91 Keil.
Pix singulariter dicitur, ut ait Varro de simi
litudine verborum secundo.
L I B E K X I.
7. Charisius p, i/|2 Keil,
Varro ad Ciceronem xxii ; rure veni. Quem
Plinius ad eundem \\^ rure ordinatum arbu
stum, dixisse laudat.
a mostrare che la regola de simili non ha luogo,
ma che non v' quasi parola, la .quale non sia
soggetta air anomalia dell'uso; com , scrive
egli, quando diciamo lupus lupi^ probus probi^
e diciamo poi lepus leporis ; e quando da paro
facciamo paravi^ da lavo lavi^ da pungo pupu
gi^ da tundo tutudi e da pingo pinxi li laddo
ve, continua egli, da coeno e prandeo e poto
facciamo coenatus sum^ pransus sum^ potus
sum ; per lo contrario da adstringor, da exter
geor ^da la\?or iacciamo adstrinxi^ extersi^ lavi.
Similmente di Oscus^ Tuscus^ Graecus gli av-
verbii sono Osce, Tusce^ Graece^ dove da Gal
lus e Maurus diciamo invece Gallice e Maurice.
Da probus facciamo probe^ da doctus docte ;
ma non per questo da rarus facciamo rare, sib-
bene raro o rarenter. Sentior^ aggiunge il me
desimo Marco Varrone nel medesimo libro, noQ
chi Puei; e cos solo non signiBca nulla : pur
quasi tutti dicono assentior. Hsolo Sisenaa di
ceva in senato assentio; e molti poi lo seguirono,
ma non riuscirono a vincere uso contrario.
LIBRO IX.
5. Carisio a f . io6 Keil,
Si dicono Albani quei d'Alba, e Albenses
quei d'Alba Fucezta. 11 perch di questa diver
sit , dice Varrone, che la legge d analogia si
osserva solo nelle denominazioni naturali, ma
nelle volontarie trascurasi. Poich a quel modo
che da Roma si fa Romanus^ da Nola Nolanus^
da Atella Atellanus^ effettivamente da Alba
dee farsi Albanus ; e se ci non osservasi quanto
ad Alba Facezia, perch soprannomasi col nomo
delP altra, l^a cosa vie pi aperta nella distin
zione che facciamo tra Hispani ed Hispanien-
sesy Sardi e Sardinienses ; poich col nome di
Hispani^ dinotiamo la stirpe, e per Hispanien-
ses intendiamo invece quelli che abitano nella
provincia di Spagna, tuttoch non sieno di san
gue spagouolo.
6. Carisio af.Qx Keil.
Pix non si usa che nel numero ddf uno, se-
condoch dice Varronc nel secondo su la somi
glianza delle parole.
LIBRO XI.
7. Carisio a f, 1^2 Keil.
Varrone nel ventesimo secondo a Cicerone
usa rure, non r; i\ ove dice : Io venni dalla cam
pagna ; e lo stesso fece, come il cita Plioio, anche
333
DEI MBRI I NTORNO ALLA LI NGUA LATI NA
33i
8. Charisius p. 141 Eeil.
Pomatornm et in 11 et in in idem Varr
adsidue dicit et his ponialis, tamquam nomi
nativo hoc pomalnm sit et non hoc poraa.
Nam et ad Ciceronem xi horam poematorum
et bii poematis oportere dici.
9. Charisius p, 80 Eeil.
Varr ad Ciceronem xt catinufi dixit, non
catilli,
10. Charisius p. i 3i Keil.
Gii. Varro ad Ciceronem x/, per omoes
casui id Qoioeo ire debere conmeminit.
LIBE R M I L
II. Charisius p> 189 Ktil,
Varro ad Ciceronem xiii olii et olio (f) pu
tatjieriy inquit Plinius sermonis dubii libro
sexto.
la. Charisius p, io5 EeiL
Palpetrai per T Varro ad Ciceronem xiu
dixit,
LIBER XYI U ii^
i 3. Nonius p. 127, ai Mere
Inditcriroioalim, indifferenter* Varro de
Lingua Latina libro decimo octavo: Qoibus
nos io hoc libro, proiude ut nihil inimii, ate
mur iodiicriroinatim promifce.
LIBER XXII.
/'ide supra fragm 7.
neir undecimo della medenima opera, dove ri
corda un albereto bene ordiualo nella campagna.
8. Carisio a f . Eeil,
Varrone flesso nel secondo e nel terzo {su i
pomi) dice costanlemenle poematorum nel ge-
nilTo, e poematis nel dativo plurale, come se il
rello fosse pomatum^ e non poma. E di rero
anche nell undecimo a Ciceron ei 'voole che
debba dirsi pomatorum e poematis.
9. Carisio af.So Eeil.
Varrone nell' undecimo a Cicerone disse ca
tinuliy come diminutivo di catini^ e non catilli,
IO. Carisio a f . i Z i Eeil.
Varrone dice nelP undecimo t Cicerone, che
il nome git de passare senza Tariatiooe per tolti
i casi.
LIBRO XIII.
11. Carisio a /! 139 Eeil.
Dice Plinio nel libro sesto sn le Io c u z o d dub
bie, che, secondo Varrone nel decimoterzo a Ci
cerone, pu farsi tanto o///, qoanto olio (f).
la. Carisio af. loS Eeil,
Varrone nel decimoterzo a Cicerone disse ^
palpetrae col I, io luogo di palpebrae. *
LIBRO x v m .
i 3. Nonio p. 197, ai Mere,
Indiscriminatim vale indi0ereDtcmente. L'u
sa Varrone nel decimo ottaTo intorno alla lingua
latina, ove dice: Noi io questo libro Ji adopere
remo iudifferentemente alla mescolata, comese
non ci corresse nessun divario.
LIBRO XXI L
Vedi pii\ sopra il fram, 7.
335
f r a m m e n t i 336
L DE R XXUL
14. PkUarg, ad G%org. ui, 43i*
Farro ad Cicerontm in libro zxiii : Inglo-
\ief tori, inquity fant circa gulem,' qui propter
piogaedincro tuiil atque oteriecla htbcot rogas.
' LI BE R XXIV.
i 5. Geli, xyi, 8, 6.
. Varr in libro de Lingua Latina ad
Ciceronem quarto et vicesimo expeditissime
ita finit: Proloqtiitiai est leoieatia, io qua oihU
desideratur.
16. Priscian. x, 9 ; i, p. 609 Krehl,
Farro in xiv ad Ciceronem : Quara
dem liMricrot.
FRAGMENTA
I K C E R T l L I B R I
17. Serv, ad Georg, i, 76.
( ride tur y) . . . . Farro die Lingua Latina
alani colmum fabae dicere.
18. Laetant, de opij. Pei c. 5 ; 11p. 84 Dufr,
Datnm (capili^ hoc nocoieot est, ut quidem
Varro ad Ciceronem scribit; qaod hinc capient
iiiiiium sensos ac nerri.
19. 5erp. ad 4eu. 4<>9*
Secundum Varronem senior ei iunior (al.
iuvenior) comparaliri 9un( per . . .
Krgo senior non salis senex ; aicut iuniov
salis iuvenis, intra invenero; sicut pauperior in-
Ira pnuperein. Dicit autem hoc Varro in libris
ad Ciceronem. fCf. 'en, , 3o4).
liDRO xxm.
14. Fihrgirio^ Georg. 111, 43i .
Dice Varrone ael.Tentesimoteno a Cicerone:
Inglupies propriamente il soggolo, cio quella
carnosit che vien di grassetta intorno alla gola,
ed solcata da rughe.
LIBRO XXIT.
i 5. Gellio XTi, 8, 6.
Marco Varrone M libro ventesiraoquarto in>
torno alta lingua latina a Cicerone, si sbriga in
due parole, diffinendo proloquium per una aen-
leuaa che nnlla lascia a desiderare.
16. Prisciano x, 9 , 1. 1, p. Sog KrehL
Varrone nel Tentesimoquarto a Cicerone usa
haurierint^ non hauserint^ laddoTe dice : Con-
ciossiach abbiano attinto alla medesima fonte.
------
FRAMMENTI
D I l i l B fR O I N C E R T O
17. Servio^ Georg, i, 75.
Par che Varrone nelPopera intorno' alla lin
gua Ialina chiami ala il gambo deHa fora.
18. Lattanzio de opif. Dei c. 5; 1. 11, p. 84 Dufr.
11capo, secof|iloch scrive Varrone a Cicero
ne, s* cos chiamato da capere., cio dal pren
dere ; perch di l prendono principio i sensi ed
i nerti.
19. Servio^ ai v. 4^9 del /. dell' Eneide.
Senior e iunior^ secondo Varrone, aono com*
parativi per diminuaione.... Onde senior uomo
non ancora pienamente vecchio, e iunior nomo
non ancora pienamente giovine, cio di sotto
dalla giovent, come pauperior di sotto da
pauper Ci dine Varrone nei Kbri che indirizz
a Cicrone. (Cf. il commento dello stesso Ser^
rio al . 3o4 del 1. vi delt Eneide).
337
DI i l LI BI U I NTORNO ALLA LI NGUA LATI NA
338
30. Diomtd. p. 3fti Keil.
Quirito . . Varro ad Ciceronem : De fe
nestella quiritatur.
31. Charisius p 8o Keil.
Varro . . . (de lingua Latina ex Pri-
sciano I. vn, p. 328 Kr. ) ait vocabula ex Graeco
iumpta, si suum genus non retineant, ex mascu
lino in femininum Laline transire el A litera ter
minari Telut cochlea, herma,
Xtxfrm charta.
30. Diomede af.Z^i Keil.
]| verbo quirito. . . . Tultatia Varrone ne4.
opera a Cicerone us, sollo forroa deponente,
quiritatur^ volendo dire : Grida accorr uomo
da un fnestrino.
ai. Carisio af. So Keil.
Dice Varrone (nell' opera intorno alla lingua
latua Cosi Prisciano nel /. vii af. 338 Kr.)
che quei nomi, i quali, passando di greco in Iali
no, mutano genere, ove siano maschili, diven
tano feminini ed escono in A; come
cochlea^ herma^ charta.
NOT E
AI LIBRI DI M. TERENZIO VARRONE
INTORNO ALLA LINGUA LATINA
LIBRO V.
PRIMO Uti SOPRAVVISSUTI.
Scriro Terenti eoo Io SpeogeI e coi Mulier,
perch cos ha il coUice forentoo, e bench Var
rone diiipprovtfie quest'uso (Charis. pg. 78
A'ei/J, pure Don inyprohebile ch'abbia credulo
ili doverlo teguire ( viii, 36 ). Quanto poi al dirti
quinto quello libro, non quarto, quale detto
iu tulle le edizioni dalla fldina fino alla fpenge-
liana, ci posa su autorit dei mif^liori codici,
cio del fioreiitiuo, del modenese, di due Talica
ni, e su la corrispontlenia di questo e de' seguenti
numeri con le citaiioni degli antichi grammatici.
Che se nel preambolo di questo libro si parla di
altri tre libri soltanto, mandati gi a Settimio ;
ci dicesi rispetto ai sei che dovean lratl<ire del
etimologia ; del reato era conveniente che pre
cedesse a questi un filtro libro, il qual contenesae
il proemio e il disegno dell* intera opera. Lo
Spengel e il Miiller credettero che vi si trattasse
intorno aT origine della lingua latina. Ma
opera citala sotto questo titolo da Priiciano e
da Apuleio (Fedi la nota i.a ai Frammenti)^
era in tutto cosa distinta dai libri intorno alla
lingua latina, come fu certificato dal Rilschci.
I. La divisione dei tre libri su retimolugia
era adunque simile a quella dei Ire su l'analogia ;
al modo d' una caqsa, in cui parla prima l'aLTU-
satore, poi il dilcnsore> e da ultimo il giudice.
Cos s'ha da intendere espressione, fors^trop
po chiusa, de ea.
a. L ' interpunzione che ho seguita in qesto
capitoletto, dovuta al Muller e prima in fiarte
al Pape (Lect. Varron. Berol, 1829, 4a). I
codici hanno a pertendo^ non a pertendendo.
Lo Spengel, dopo aver introdotto nel testo la se
conda lezione, data gi del Rolandello, dal Ver-
tranio, dal Gottofredo, se ne pent (af. 66f ):
tuttavia il Muller conserv pertendendo^ tale es*
sendo Fuso pi frequente in Varrone, se qualche
furma speciale del primiiivo non s' accosti pi
al derivato ( 4 )* scriverei volentieri a per
tento^ o pertenso che, lasciata la medesima radi
ce, ofTrrebbe una forma pi vicina al derivato e
declinala. L'etimologia, bench involta,non me
ritava la censura del Vossio, che non consider
alla comune origine di teneo e tendo dal greco
TiiV, e air antico uso di obitinet per ostendit
ricordato da Feito. Onde che Varrone'sarebbesi
bens appiglialo alla forma pertendo per cagio
ne del significato; ma, valendosi del participio,
avrebbe indicato la medesimil primitiva dei due
verbi teneo e tendo ( cf. v, iG;). Il Verlrauio
avea mutalo senza xtctuxXk pertendit in perten
ditur; dico senza necessit, perch attribuire
alla stessa pertinacia il pertendere ed alla perse
veranza il perstare^ i una apecie di metonimia
n troppo ardita n inusitata. Onde non so come
il Miiller abbia credulo di trovare io questo ed
litri simili luoghi una nuova forma d'imperso
nali ( VI, 55, 73; V, 176. Nel vi, 77 probabil
mente dee legiferai aliquis^ non aliquid). Intendi
pertinaciam esse { qua^i impositam esse) in
quo (cio in <a re in qua ), cc.
34J
N O T E 344
4. quom dicimus impos. Cosi comunemen
te ; nelle Tecchie ffampe e ne' coilici, <fuem di-
cimuSy fuorch nel coilice di Pier Vellori, che ha
cum dieimus^ e nell' Haiiniese che ha <fuae dici
mus. riolisi ci che qui Uicp Varrone Iella facilit,
con coi potrebbe confonderti pos con pons^ e
confrontisi col nolo uso delle abbreviature cos.
per consuU ces. per censor^ mess. per menses,
Veg^asi pnre il capilolello 118 di questo libro.
5. secuta sedulitas Muti et Bruti. La simi-
liludine tolta da servi fuggitivi, e d^Jugiti-
varii che ne andavano in traccia per ricondurli.
L espressione poi Muti et Bruti^ il Muller la
crede proverbiale: ina ad ogni'modo sarebbe
nata dalla diligenia di questi due giureconsulti
nel ripescare il senso di molti modi e vocaboli,
end erano piene le antiche leggi, omai caduti in
disuso. Quinto Mucio Scevola, lodato a cielo da
Cicerone, nominato per antonomasia da Orazio in
luogo di eccellentissimo giurista (11 Epist. 2, 89),
allegato in fatto da Varrone per P etifnologia di
pontifex (v. 83), per la definizione dei nessi (vn,
io5), e per le violazioni dei giorni nefasti (vi, 3o).
Anche Marco Giunio Bruto fu peritissimo nel dirit
to, e gli si attribuivano sette libri ntorDo a questa
materia (Digest, i, a, Sg) ; dei quali per il detto
Scevola non teneva come opera di Bruto che tre
soltartto (Cic. pr Cluent. 5 1; rfe Orat. 11,55, ec.).
6. Quo sferhorum no^orum^ etc. Cos il Miil-
ler ; ne codici e nelle vecchie stampe Quorum
i>erhonim^ etc. dal Rolanddlo in poi, comune
mente Quoniam verborum.^ etc. Non so peraltro
come il Miiller abbia chiuso il periodo dopo di
scordia omnis ; giacch la discrepanza fra gli
antichi e i nuovi parlari non nasce certo da ci
che detto sopra, ma dalle mutazioni di lettere,
onde parlasi dopo. Intendi Quo est ( cio guo
fit) omnis discordia., etc. Le parole aut corre-
ptione, denique fprono aggioote dal Muller, ed
erano domandale dal productione antecedente.
Egli pur vide che al novero non compito delle
otto cause erano da aggiungere le metatesi ; re
stava I' ottava causa, n potrebbesi dire sicura-
toenle qual la volesse Varrone. A voler pieno il
novero Ielle mutazioni avvenute nella forma delle
parole ( ch delle mut;izioni di signiticalo toccasi
prima ), converrebbe altres distinguere, massime
nei linguaggi motlerni, la pronunzia dalla scrit
tura. Del resto alcuni spacciaronsi col leggere
ternas causas^ altri has quaternas^ altri has
quatitor. Lo SpengeI propose et propter earum
adtractionem et productionem ; item syllaba
rum commutationem. De* quali tentativi parmi
supeifl^ il mostrare la sconvenevolezza.
. Infimus is quo. Cos il MUller, preferendo
a ragione infimus dell Haunifse e de Perigini
al primus degli altri codici, e mutand o 1 in quo
in is quo. Chi potrebbe poi dire se fosse pi vi
cino air arefofodinae dei codici il cretifodinae
del Tumebo, o Varenijod inae del Muller? o se,
mancando a questi v ocaboli altra autorit che di
Ulpiano non fosse pi licuro lo scrivere argen
tifodinae., adoperato gi altrove da Varrone (viii,
6a), e che ne codici p eleva essere arittifodinae.,
secondo il volgare uso di arientum per argen
tum ? Le edizioni comuni hanno aurifodinae^ a
cui favore lo Spengel allega il codice fiorentino,
del quale per sembra poi dubitare ( a f. 662 )
Secundus .... quo escendit. Cos lo Scioppio, se
guito dallo Spengel e dal Muller ; i codici descen
dit * confinxerit., declinarit. Cos il Mttller,
seguendo l'avviso dello Spengel; i codici quod
confinxeritf quod declinarit. Ma tre qualit di
nuove voci poetiche sono effettivamente distinte
negli esempli, cio voci in tutto nuove, fatte per
imitazione (ftctae come il sibilus di Pacuvio ;
oci nuove nell* unione, non negli elementi (con
f i c t a e come Vincursf^cers?icus del medesimo
Pacuvio ; e voci nuove nella forma, non quanto
alla railice ( declinataecome clupeare da clu
peus. Quanto ai passi di Pacuvio, veggasi Cic. ad
fam. vili, a e Servio.4en. i, 87; Quint. i, 5, 67 ;
Non. p. 87 Mere, alla voce cljrpeat,
8. ad initia rerum. Cos il Muller, facendo
insieme profitto della congettura del Vertranio^
che et initia rerum^ e di quella dell Agostino,
che ad initia rei : nedodici sta et initia regis^
che il Turnebo e lo Scaligero credettero senza
fondamento un modo proverbiale. i da notare
che alla filosofia si assegna il terzo gradino ; onde
il qnarto dee riservarsi a cose pi alte, cio alla
scienza arcan ; e Varrone vi entra in fatto, spie
gando i nomi caelum^ terra^ ignis, Venus^ ec.
Onde non improbabile che debba leggersi a
tus ( non aditus) et initia \Ce\reris,
9. non solum ad Aristophanis lucernam^
etc. Varrone confidasi di poter oltrepassare il se^
condo gradino, perch non istudi solo le opere
dei grammatici, ma anche dei filosofi, e propria
mente di quelli che spiegarono, secondo il siste
ma fisico, la mitologia. Tal fu lo stoico Cleante,
discepolo di Zenone, e maestro di Crisippo, il
quale si diede gran briga d'interpretare le au
liche favole con fisiche ragioni ( Cic. de Nat,
Deor, 11, 24 ; m, 24 ), e fe dio il mondo, e -
nima del mondo, e gli astri, e Teiere che tulio
cinge (Cic. de Nat. Deor. i, 14 ); con h: quali
dottrine giova confrontare ci he insegna Var
rone intorno al cielo, al luoco^ all etere, ec. Ari
stofane poi di Bizanzio fu discepolo di Zenodoto
c maestro d Aristarc, grammatico di molto gri-
do(c/ TI, a; IX, l a; x,68).
345 Al LI BRI . TE RE NZI O VARRONK 346
IO. Quorum partim quo ita^ etc. Cov< il
Miiller, aggiangentlo il secondo partim quo che
manca a' coiJici, e pi^liaodo il quo nel senso di
quodt come nel lib. viii, 57. Ma questi due luoghi
non bastano a provare questo nuovo e poco cre
dibile Ufo di quo ; perch il primo luogo certo
erralo, e nei secondo al quo pn sottintendersi
vocabulo. 11 Rolandello scrisse cum ita
rim, ut opinar scribam ; dove malamente con-
fondesi Paulorit altrui con opinion di Varro>
oe. Tuttavia questa divent la lezione comune;
senonch vi si sostitu opinor col Vertranio e
col codice Hauniese. Lo Scioppio propose quom
cerium non invenerim^ ut opinor scribam ; il
Gottofrcdo cum ita evenerit^ ut opinor seri-
barn ; il Turnebo quod ita invenerim^ ita opi
ner, scribam ; lo Spengel cum ita insfenerim^
ut ita opiner^ scribam ; e autore dell* articolo
aul Varrone di Spengel ( Paedag. Philol. Litte
raturblatt zurallg. Schulzeitung 1827. Abth,u
JV, ifp. 5 )yquorum partem quotam invenerim^
ut opinor^ scribam, lo leggerei volentieri de
obliviis relinquam purimum, partim^ quod ita
invenerim aut opiner., scribam,
eius enim intervallum. Cos il Vertra
nio, Ib Scioppio, il Gotlofredo, lo Spengel, il
Miiller; i codici per hanno quasi tutti eius ani
mi ; trattone il codice del TuToebo che aveva
eius annui, ond' egli trasse congetturando an
nuum intervallum. Lo Spengel sugger eius ac
mundi ( cf. vi, 3 ), e il suo censore, ricordato nel
la precedente nota, eius omne. Ma Venim pare
in tutto necessario. Piutlosto muterei volentieri
sul principio del capoverso le parole Quare fit
ut ideo in Quare fit ut item^ per togliere quel
li inutile ridondansa ubi id agitatur. Cosi il
Miiller: i codici ubi (manca ad alcuni) is (o
itis) agitatus ; c forse nou domandava correzio
ne, dicendosi anche sopra quod est in agitatu^
actio.
i 3. horum iam de binis. Ne'codici Aorum
enim (od enim horum) de quis (nel cod. del
l'urnebo del Vettori quibus) locis, etc.
Lo Spenge] ( Emend. Varron.^ p. 10 ), suppo
nendo Vhorum ripetizione di verborum e Xenim
nato da e creduto abbreviatura di enim^ profuse
e quis de locis ; e similmente il Vertranio avea
introdotto nel testo de his locis^ omettendo Vho
rum enim od enim horum., che il Turnebo mu
t invece in horum. L'emendazione
che ho seguito del Miiller: ma neppur questa
^pu contentare. Forse, continuando la metafora
del quadrigae^ potrebbe qui leggersi de horum
bigis ovvero horum de bigis. Sed qua co
gnatio, etQ. noto Puio di segnare i confni tra
campo e campo eoa pini, olmi ed altri arbori
(Farro R. R. i, i 5 ; Hor. 11, Epist. 2, 170).
Non so perch lo Spengel supponesse qui vizio
di lezione.
14. Il luogo d Plauto nelP Aulularia 11, 2,
i4i donde fu sanala la lezione che ne'codd. di
Varrone cassa . . . . iniocabili. Nel luogo poi
di l^ntiio ho seguito la lezione segnata in margine.
nel testo dello Spanhemio e riferita dallo Schnei-
der (In vita Varron. p. 240); lo Spengel e il
Miiller leggono in civium Moero. Il cod. Haunie
se e il Gothano hanno in fatto Maro ; il Fiorenti
no Muro ; tutti e tre in civium : Inclutum fu gi
proposto da Giano GuglTelmo ( Verisim, i, 19 ).
Maro fu nipote e compagno di Bucco, fondatore,
secondoch dicesi, di Maronea nella Tracia. Lo
not auche il*.^Iiiller nel Supplimento a f. 299.
15. quod usque id emit., etc. Credo inutile
il registrare i tentativi fatti da varii critici per
mutar questo passo che giusto e chiaro. A bea
intendere il senso di emere in questo lOogo, ba
sta considerare che chi piglia a^tto o in appalto
dicesi redimere^ quasi ricomperare ; perch la
cosa si ha per comperata dal banditore al prezzo
da lui bandito, finch altri non gli dice sopra, od
offre patto migliore. 11 Miiller crede invece che
il banditore dicasi emere^ perci eh' ei compra
opera rfeli'appallatore : ma in questo senso non
potrebbesi dire ch'egli la compra finch fermasi
il prezzo.
r6. Loca naturae. Ne codici natura Io
nia ac provincia nostra. Lo Spengel credett
che fosse da omettere la particella congiuntiva:
ma nota giustamente il Miiller che la provincia
d^Asia comprendeva la Frigia, la Misia, la Carla
e la Lidia ; nell' Ionia invece par che vi fossero
alcune citt libere.
17. Questo passo di Pacuvio allegalo anche
da Cicerone (de Nat. Deor. 11, 36, 91 ), ma in
modo alquanto diverso; poich vi si legge: Toc,
qttod memoro ( forse memorant) nostri cae
lum.^ Graii perhibent aethera. Qui per la pre
sunzione di maggior fedelt ita apertamente dal
lato di Varrone ; senonch le parole Graii per
hibent aethera^ omesse da Varrone, erano certo
di PacQvio, come apparisce da ci che segue io
Cicerone. Lucilius suorum unius., etc. Nei
codici LucretiuSy e lo stesso scambio si crede av
venuto nel Hb. vii, 94. Ma se non pu credersi in
nessun modo che Luerezio avesse scritto veotoa
libro, e che Varrone pi vecchio di lui l'abbia
citato, e che questo fosse il princifro del poema ;
anche la sostituzione di Lucilius^ fatta dallo Sca
ligero e universalmente accettata,' poco proba
bile ; perch questo nome s'incontra non po*che
volle in Varrone scritto esattamente, e perch i
libri di Lucilio oltrepassavano senza dubbio i
trenta, e non suppongasi che prima ili Valerio
(Palone vi avesse luogu una ditisioiie diversa t
propriamente in veni un libro.
18. Inleud Elio Stilone, dottissimo in greco
e latino e nelle antichit romane, maestro di Var
rone (Cic, Brut. 56, 2o5>ao7 ; Geli, i, i8 ;
S^tton. de ili. gramm. f ), citato per molte eti
mologie e sptegationi da Plinio, da Grllio, da
Feito, da Qointiliano, ed altre lette volle da
Varrone in questi libri medesimi. Il lugo del
lib. at, che pure allegato da Gellio (x, ai),
lascia vedere che Varrone intende propriamente
Elio Stilone, non tLlio Gallo, il cui nome fu falsa*
mente inserito in qualche codice. La aua etimolo
gia di eaeluifiy che vediamo qui meritamente ri
gettata, fu altre volle spacciala per buona merce
dallo stesso Varrone nel scrivendo : ^p~
ptUatur a caelatura caelum^ Graece ab orna-
tu ^ Latine a puritie mundus (Proh,
ad Virg. EcL vi, 3 i cf. Plin, N. H, ii, 4 ) il
Mailer mut il posterius ( nei codd. posterior )
in priuSy non so perch.
19. Omnino ego magis^ etc 11 maggior du-
raero de' codici ha qui eo, non ego l*t parole
hinc cavum furono aggiunte dal Aliiller, essendo
volute principalmente dal fine del capitoletto se
guente. CoZiiim, scrive h'tto, potae caelum 4i'
xerunt a chaOy ex quo putabant caelum esse
formatum. Quanto ai tre luoghi citati, bench il
trovarsi nominalo Enuio solo nel terto possa far
credere che gli altri due siano di un autore di
verso, pure ti tengono anch'essi comunemenle di
Ennio. Vero che argomento tratto da Festo
(Septentriones)., il qual cita Enuio parlando
del CarrO} di poco peso, perch nop vi si con
serv intera neppur tutta la parola superata on
de sta a vedere se il passo allegatovi era quello
che troviamo qui accennato e pi pienamente
esposto da Varrone nel vii, 9 3 . Pel terzo passo
coofrootisi Cicerone de Orai, 111, 40
30. La leiiooe di questo capitoletto, da caul^
lae in poi, incertissima ; cos come la oifro io,
del Mailer. In luogo di caullae i codici hanno
cavile o cavillae : ma la sostituzione di caullae
fu gi su^^geritt allo Scaligero dallo steuo Festo,
il qual dice : Caulae a cavo dictae; antiquitus
enim ante usum tectorum oves in antris clau
debantur, Ci che poi segue in Varrone, fu cre
duto dal medesimo Scaligero una goffissima glos
sa : certo fa maraviglia che si tragga da cavum
la prima sillaba di convallis ; con la qual regola
concavum sarebbe formato da cavum cavum.
N meno scorrette ed incerte sono ne' codici le
pafole seguenti, le quali sono ; et cavete ( cava
re^cavace) cavitione (cavitiones, cavicione )
ut cavum (cavium) sii (sic) ortum undeom-
347 n o t i :
nia apud Hesiodum a chao cavo caelum. Pos
sibile che Varrone tirasse da cavum auche il ver
bo cadere con lutta la sua famiglia delle cauzioni
e cavillazioni e che so io 7 Lo Scaligero vi cer
c cavaedium; il Gottofredo casa a cavatione
( e cos pur leggesi in Festo ) ; altri il caviar di
Frslo; sopra tutti parmi awaotaggiarsi d'aisai il
Aluller. Ad ogni modo su ultima clausola non
dee cader dubbio ; perch corrispc/ide al conte
sto, ed accennata anche da Apuleio (de diphth.
i 5, p. i 35 Osann.) scrivendo : Caelum dictum
aiunt ab eo quod sit caelatum^ id est sideribus
sculptum, Marcus Terentius scribit caelum
dictum a cavo. Cavum poi, soggiunge Festo,
chao dictum ex eius inanitate.
ai. Questa falsa etimologia di terra ripetuta
da Isidoro ( Origg. iiv, i ) : del resto con R sem
plice pure nelPosco terum e nel sanscrito d/ta-
ras ; n sembra che il dovesse raddoppiare, se
nacque per metatesi, come il tedcKO Erdcy fin
dall ebraico Extermentarium^ o ter-
mentarium^ com* in qualche codice, voce
Dota per questo solo luogo, 'senonch Festo regi
stra termentum per trimentum, e un Glossario
Greco-Latino ms. citato dal Du Cange, reca ter
mentorium^ ^ do spatzalura o uet-
tatura trivolum^ qui teritur. pi parte dei
codici ha 9110, o quod : ma a ragione il Muller
prefer il qui d'istrumenlo, frequente in Varro
ne limitare iter era stato mutato dal Vertra-
nio in militare iter^ di che a ragione lo riprese
il Gottofredo, ricordando la legge dejle 111 l a-
vole, per cui tra fondo e fondo dovea lasciarsi 011
tragetto largo cinque piedi. La lezione de'co
dici *nel rimanente del capitoletto si scosta al
quanto da quella che ho dato seccQilo le conger-
lure del Mailer. Essi hanno itaque hoc cum his
in latio ( o latino)................. hoc quod Grae
ci, ete,; il primo de'codici parigini : itaque cum
in latio is. Mi parrebbe pi naturale il leggere :
itaque hoc quod (confuso con quom^ onde il
cum) finis (cf. x, 6a ) in Latio ( ovvero in Lar
tio finisy secondo l'ordine del codice parigino),
aliquot locis dicitur^ ut apud Accium^ non
terminuSy sed termen. Hoc Graeci quod rf f/ua-
va^pote vel illinc. Notisi che termen con piccola
mutazione certamente anche voce oaca, e ter
mini in lingua latina son prcrpriamenle le pietre
terminali, il cui culto fui introdotto in Roma da
un re sabino. Festo registra termo, onis con au
torit di Ennio.
aa. Fia, sicut iter, ete. Cos il Muller, ag
giungendo la nota : Bestat aliquid vitii^ perch
non pare il legame cos stretto, come il dnrtian-
derebbe la conchiusione : Igitur tera ferra. 1co
dici haODO : Fias quidem ( Fac. ), Fia siqui
3 4 8
M o
AI LIBRI DI M. TERENZIO VARRONE S5o
dem (G.) o Vita siquidem (H.) o Via quidem
.( B. ), e poi lulli iter iterum. Non lo .yedcre di
meglio ( ?, 35 ) quae so{a teri possunt. II
Turnebo e lo Scarigero amerebbero solo: ma
DOD direbbesi possunt.
a3. Ab eo, quom Romanus^ etc. Coti il )1QI*
ler ; ne' codici quod si in sepulcrum eius etc,
11 si oianca a* codici ; lo ag(;iunse il Turnebo, e
con esso il Mulier quoad inhumatus sit. Nei
codici quod ; in Hac. omesso il st^e con questa
omissione ti tanlaggerebbe il discorso, secondo
il Moller. Quanto al rito accennalo, se non ave-
vasi comodit di rendere prontamente i funebri
onori ad un morto, o gli si recideva un dito pri
ma d bruciarne il cadaTere (Feslo in Membrum
abscidi)^ dopo bruciato, se ne ponea da parte
qualche osso, e quel dito o questo osso riservatasi
pel funerale ; ciocche per fu vietato dalle iti
tavole, salvo per chi morisse in guerra o io viag-
.gio ( Cic. de Legg. ii, a46>). Del trasponimen-
to dr fogli che qui supponesi avvenuto nei testi
di Varrone, veggasi quel ches'drtto oella pre
fazione.
24. /li'fc sudor etc. Cos il Miiler per non
lasciare il luogo senta alcun senio, secondoch
^ic'egli modestamente. 1 codici hanno: hinc
sudor quamx^is deorsum in terra (terram b. ) ;
alle quali parole le antiche diiioni compresa la
principe, soggiungono umbra, che forse nei no
stri codici fu trascurato per la somiglianza col
seguente unde, salvo che il codice del Vittorio
ne serbava la traccia in imber. Non c a dire
quante prove siensi fatte per sanar questo luogo.
Fu chi scrisse : /tine sudor qui%^is deorsum in
terra imber ; altri hinc udor : aquae vis deor
sum in terrOy imber; altri hinc udor aquae vis
deorsum. Hinc^tefra Umbria; altri in altro
modo. Non sar gran male, se a tante congetture
ne aggiunger un'altra, lo muterei soltanto ^u-
dor in sudum^ voce men nota e pi meritevole
d* interpretazione, perch variavano in fatto nel-
ori gi narl a, e |ier aoche nel definirla, gli aoli-
chi. Che anzi ntflT uio stesso degli scrittori la
troviamo tratta fino a sensi contrarii ; perocch
alcuni la fanno equivalere ad udum, come se la
S vi tenesse vece deir aspiraiiooe dovuta alla
greca origine; altri la vogliono seudum^ o su-
budum, t per corrispondente a sereno o nuvo
loso (Verrio presso Festo; Serv. Aen. viii,
5ag ; Philarg. Georg, iv, 77; Non. p. 3i Mere.
ecc.). lo leggerei adunque: hinc sudum^ quam
vis deorsum in terra umbra. Forse and per
duta la spiegniione etimologica soggiunta a ju-
duni^ cio Seudum o subudum^ di cui serb un
vestigio il solo codice del Turucbo, che ha sudor
udore i.
a5. La prima etimologia di puteus k coti gof
fa, che appena pu credersi tana la lezione; mas
lime che pot vicinissimo potu : ma da altra
parte passasi alla seconda etimologia, come a cosa
io tutto diversa. Meno male che lo stesso Varro
ne non ^mostra farne gran.conto; poich nel
I. VI, 8/ e nel passo allegato da Gellio (t, 18) non
ricnnU che la seconda. Questi due riscontri non
lasciano luogo a dubbio quanto al senso del pre
sente passo, tuttoch la scrittura vi sia molto in
certa. Ne'cdilicie; ut orafi(potamon Q\\.
potamen a.) sic potura potu (potum GU.). La
lezione che abbiamo data nel testo, fu suggerita
dal Buttmann, lodala dallo Spengel, accolta dal
Muller, e fondasi nelPusft eolico di sostituire in
alcune voci Y all' O. Convieo per confessare
che dilungasi troppo dalle tracce de'codici; e
lezione men dotta, ma pi ovvia, sarebbe : ui
^ sic vorira potu. Lascio le molte al
tre rongeliure che si sono fatte su questo luogo
Puteoli. Nel end. Fior, e neH'Hauo. ut Pu-
teoli odor ibi buona congettura del Muller ;
ne'codd. oc/or/NX. L'intero passo era forse in
Feslo : ora leg^esi compendiato, sotto le due voci
Puteolos e Puticuli.^ in Paolo ; e colesti Puti
culi dei sestiere Esqutlino troviamo pure descritti
nella satira viii del 1. 1 da Orazio, e dal commen^
latore Cruquiano a quel luogo (Cf. Epod. v, 100).
Non so come il Muller si dicesse condotto dal
contesto a mutare il cuticulos o puticulos dei
codici iieir ignota voce subluculos ; poich il
putiluculos notalo in margine nel codice del
Vittorio ed accolto dallo Spenge^ parea calzare
assai meglio, solo che il o perpetuos
com'c in pi codici, si cangiasse in per puteos.
Ma anche cosi v' ha. un non so che di goflo. For
se puticulos da lasciare intatto, e il vizio sta in
eum o cum (H). Se si leggesse itaque orcum
Afranius puticulos in togata appellat etc. vi
si avrebbe almeno un po' di sale..
a6. Feslo e Servio traggono invece./acK^a
da lacuSy ed hanno ragione : ma le parole di Var
rone non parnii che si possano piegare fiuo
questo segno, comech il Vossio (Etymol) mo
stri averlo creduto. N pu neanche supporsi
che 1' etimologia sii aotlintesa per accenno del
contineri a ^r od a laqueus ; perch^ le noo
mancanza nel lesto, ai pretenderebbe troppo
dal lettore non habet rimam : cosi lo Scali
gero ; ne' cdici nomen (non c.) habet primam.
27. Cf. Heiuecc. Antiq. Roman. 11, 3, 5..
a8. quod circuii aliquid: altri codici ali
quod Aternuni era voce sformata da copisti
et qui aliter Jacit., etc. 11 Muller d questo
passo per isfidato, e si conteuta .di proporre, iu
luogo d indagabili ex ambitu^ interrogatus
35 E 353
ege amhitus. Ci per al Ir iiod basta ; ch le
parole qui aliter facity se hanno a pigliare il
loro senso da ci che precede, dicono il contra
rio di quel che dovrebbero ; onde il Gotlofre'io.
pensava di sostiluirvi qui ad \honores\ iter af
fectaty ovvero qui honores ita affectat, ti il
causam dicit pu sif^nificar propriamente esser
fatto reo ? lo credo anzi che tutto il male stia qui,
sicch una lievissima mutazione di causam (forse
caussa) in Cassia basti a sanar tutto. Cos do-
vrebbesi scrivere :>/ qui (cio siquis Cf. vii,
4) aliter facit (L Un>to suggello delle leggi
y. Festo in Aliuta), indogabiie (mutato in in
dagabili da chi il credette ablativo) ex ambitu^
Cassia ( cio lex Cassia^ con nota ellissi ) dicit.
Accenoerebbesi alla legge tabellaria dd tribuno
1j. Cassio Longino, che fu certo una delle pi
antiche io questa materia; e se ne allegherebbero
le parole : si quis (o qui) aliter faxit^ indaga
bile ex'ambitu (esto)^ cio quaeratur. E di vero
che nella stessa legge Cassia potesse usarsi la voce
ambituSy Don improbabile (Cic. de Leg, iii,
.30 ; L9. IV, a5 ; vii, i 5 etc.) qua Anio: cos
scrivo io ; ne' codici quanto ; lo Spengel e il
Muiler qui Anio. Ecco il terzo nome proprio
ignorato e per alterato da'copisti in un solo
capitoletto. Preferisco qua Anioy intendendo
amnis per amrtes ; perch la caaia delT errore
pi aperta, e manliensi il costrutto della clan-
sola antecedente, e dicesi cosa pi vera, essendo
efiettivaroente due i fiumi, TAniene ed il Tevere.
29. nihi ad etc, j^ad fu ag-
griiiito dl Muller, che racconci a questo modo
anche il rimanente del capitoletto, dove si legge
ne'rodici : Volturnum ad nos iam ad Latinum
vocabulum ut Tiberinus et colonia^ etc.
Leggerei pi volentieri, risparmiando un'aggiun-
la e mantenendo il costrutto costante : Ut^quod
oritur ex Samnio f^olturnuSy nihil ad Lati
nam linguam ; (^ quod proximum oppidum
ab eo secundum mare Volturnum ad nos iam^
id Latinum vocabulum ; ita Tiberinus nomen
(Cf. n. 26).
30. u Varro 1ybrin a 'Jyberino quodam rege
Latinorum, quod ibi interierit, dictum trndil. y>
Cos Servio Aen, viii, 33o.
31. Europa Agenoris; alcuni aggiungono
filia Mallius ; altri Manlius ; probabilmente
ManiliuSy come dee pur leggersi nel 1. vii, i o 5
(Cf. Geli XVII, 7, 3 ; Festo in Sexagenarios ;
rarr. R. R. a, 3, 2 ; 5, 11 ) ; perocch il MaHio
allegato da Macrobio (Sat. 1, 10), apparisce ivi
alesso posteriore a Varrone. Questi, come fu av
viso al Muller (Nota al l. vii, i o5) ed all Orelli
(Onomast. Tuli) fu quel Manio Manilio che
scrisse Ire hbri di gus civile (Pompon, in Di^
gest. I, 3, 38), ed ra consultato da lutti in ogni
materia (Cic, de Orat. 111, 33). Tenne il conio-^
lato neir anno 6o5 Pittagora poi il celebre
statuario di Reggio, discepolo di Clearco, lodato
da Plinio (N. H. xxxiv, , ig), da Pausania (vi,
4, 2) e da altri. Questo medesimo gruppo di Eu
ropa portata dal loro, ricordato anche da Ta
ziano (c, Graec. 53 p. 116 Vorth )
32. Varrdne adunque non ha per Ialino il
nome Lucania^ che trovasi poi in Mela ed altro
ve. Egli in fatti, avendo a nominar U Lucania,
dice Lucani (vii, 39). Cos ad Etrusci mostra
almeno di preferire il nome Tusci^ ed Etruria
a Tuscia. Deir antichit di quest'ultimo nome
dubita anche il Cellario, tuttoch leggasi in al
cune iscrizioni, non per del bel tempo. Vero
che qui tulli i codici hanno Tuscia o Thuscia :
ma il contesto, come gi not lo Scaligero, vuole
Tusci ; onde fa maraviglia trovar, registrato nei
vocabolari! latini il nome Tuscia^ allegando solo
questo luogo di Varrone che sembra anzi esclu
derlo. Per lo contrario dovrebbe specificarsi nei
vocabolarii (e no trovo fallo) questo uso di de
notare coi nomi di Lucani^ Sabini, Tusci^ i
paesi tenuti d^ questi p opul i . Qua regnum
/fuit Latini,^ etc. Qui Varrone trac il nome di
Latium da quello del re Latino; e pure trovia
mo in Servio (Aen. viii, 322) : u Varr Latium
dici putat quod laici Italia inler praecipitia (al,
praerupta) Alpium et Apennini^ Quidam ferunt
a Inalino dictum Latium; alii ipsnra Latinum a
Lalio. n 11 passo allegato da Servio tolto adun
que da un'allra opera; e Varroue, anche in que
sta come in altre etimologie, mut opinione. I
codd. hanno laiius in cambio di Latium.
33. Augures publici FGc. publice Hab
Ga6/yFHahc. Gabiis G. lirtorgon questa scrit
tura 'veggasi la prefazione e la nota 1.a ferun
tur auspicia la lezione pi comune de testi a
stampa ; ma non par modo Utino, se non inten
dasi per conseguire gli auspicii : il cod. Fior, e
P flauu. hanno seruntur; c questo non parnii
offrire alcun senso : pi probabile il secuntur^
cio sequuntur^ del cod. Goth. preferito diil Mul
ler, e lo intenderei per continuano: pi proprio
servantur^ come alcuni leggono ; perch servare
de caelo modo augurali, e nulla vieta che di
casi pienamente serbare auspicia^ come servare
sidera e simili Gabinus quoque: ne codici
quo sine o quo sive^ e poi quos non quod: la
prima correzione dello Scaligero; Tallra del
Turnebo. Pi gravi errori crt;dono alcuui col
Miiller che siano caduti in'queslo capitoletto, non
parendo loro probabile che uno steso modo di
auspicii potesse aver luogo nell agro romano e
nel gabino ; ma sibbeue etruica in quello, seconda
353 Al tlBRl DI M. TERENZIO V RROlNE 354
ci che narrasi del rito clrusco seguito Ja Ro
molo nella foadazone Ji Roma, e greco-latino
in questo, giacch iu Gabio iltcevati Romolo isti
tuito nelle greche discipline (Dionis. I, 75 ;
Plut. in Rom,). Ora la diversit fra e
altro modo era tale che, dote Pangure j^reco
aTca oriente a destra, il roro;no aveva a sini
stra ; e similmente nel porre i limili de' fondi,
quello eh' era il cardine ne* Romani, era il de-
cumano ne* parsi Sf roigreci, come tra' Brutii e
Campani (lui. Front, de colon, p. 109; Hygin.
p, 154^316). Basii a?er accennalo questo dub
bio; che il toglierlo non d* una nota.
34. Quintiliano, dopo arer mostralo quanto
siano trascorsi vaneggiando alcuni etimologisti,
soggiunge (I, 6, 3^) : u Sed coi non post Varro
nem sit venia 7 qui agrttm^ quod in eo agalur
aliqaid ; et graculos, quia gregatim volent^ di
ctos Ciceroni persuadere voluit (ad eum enim
scribit); quum alterum ex graeco sit manifestum
duci, alterum ex vocibus avium (Cf. Varr. L. L.
V, 76). Sed huic iHnti fuil vertere, ut n^erula^
quia sola volat, quasi mtra volans nominaretor
(Varr. ib.). V' ebbe chi pens di purgare Var
rone da questa accusa di Quintiliano, dicendo
che Toriginazone di ager da data da
Varrone medesimo. S, dala ; ma come d'altri :
egli non par sottoscrivervi. Fatto sta che Varro
ne non ricorre nii, se non a malincuore, ad 01 i-
gini greche ; e quando vi ricorre, o si mostra in
forse tra Vorigine latina e la greca, o crede che
una causa medesima possa aver prodotti il voca
bolo medesimo iu ambedue le lingue (V, 96), o
alligne al siculo (V, loi, lao) o al greco anti-
chiuimo (V, 96; Vi, 84 eec,), o fnalmente dice
di sporre opinione altrai, non la sua (Vi, 96).
Ad ogni modo parve tenere la lingua latina tutto
il pi per sorella, non per figlia della greca ; u
sar ora chi gliene dia carico. Cos fosse stato pi
largo di riscontri sabioi ed oschi! Quant* alla
preselle etimologia di ager^ sembra che Quinti
liano vi leggeue in qua terra^ pigliandovi agere
oel senso di fare ; e sotto il medesimo rispetto
traggono ager da agere^ Donato (Ter. Adelpi.
Ili, 3, 47) e nt Isidoro (Orig. XV, i 3, i). Pure
il lesto di Varrone non parmi lasciar luogo a
dubbio ch'ei non prendesse agere nel senso di
condurre ; n potea fare altrimcnli, vedendo e
confessando la medesimit delle due voci ager e
perch origine doveva esser comune.
Le due definizioni delP atto minimo e del-
V atto quadro sono allegate da Colamella (V, 1),
col nome espresso di Varrone ; e bench le paro
le sieoo in parte diverse, paiono tolte di qui,
perch nel trattato de re rustica non trovasi che
la seconda (I, io). CJ'. Isid. Orig. XV, 5, 4*5 ;
M. Taa. Vaer ohe, de l l a l isg ij a l at i na.
Boeth. de Geom. a. Oel resto i codici hanno ali
quid (o aliquod} id Graeci dicunt >(. Ut
ager quod^ etc, e verso il fine et latum et lon
gum esset^ il qual costrutto potrebbe anche di
fendersi. La prima e ultima mutazione opera
dello Spengel; la serondu dello Scioppio : tutte
e tre accetute dal Milller.
35. Che la centuria abbia alcune volte varialo
secondo estensione de'campi che si dividevano,
cc Io attesta Iginn (De limit. constit. p. i54), ed
per s slesso credibile: ma che la sua antica
misura fosse di cento iugeri, bench raflcrmi
VaBroiw e lo ripetano quasi a verbo Isidoro (XV, -
i 5, 7) e Columella (l. c.), forse non ha altro fon
damento che etimologia, nel supposto che l*an-
tica unit di misura sia stata il iugero. Pure lo
stesso Varrone conosceva 1 heredium che equi
valeva a due giugeri^ sicch cento di essiiorma-
vano appunto una centuria, secondo la sua ordi
naria misura, u Bina iugera, scrive egli (R. R. |,
10), quae a Romulo primum divisa dicebantur
viritim : quae, quod heredem sequerentur, here
dium appellarunt, w E questa divisione (alta da
Romolo, assegnando ad ogni centinaio 4i citta
dini cento eredii^ fu propriamente, secondo Fe
sto (Centuria e Centuriatus ager)^ origine
del nome centuria^ in quanto misura di terre
no. Del medesimo avviso fu Siculo Fiacco (De
condit, agror, p, i 5); senonch specific meglio
la cosa, riferendo questa divisione, non al primi-
tiro territorio romano, ma alle terre tolte in
guerra ai nemici ut tribus. I codici hanno ut
tribus actibus^ manifesto errore nato da una
falsa chiosa. L ' emendazione e data da Columella
(l. c) : u Ceuturism nane dicimus, ut idem Var
ro ait, ducentorum ingernra modum; olim autem
ab centum iogeribus vocabatur cenluHa^ sed
mox duplicata nomen retinuit, sicuti tribas di
ctae prfmum a pariibat popnli tripartito diviai,
quae tamen nunc multiplicatae pristinam nomen
possident, n Le due etimologie di viae vilia aooo
ripetute da Varrone R. R. 1, a, 14, ore aggiiin^
che ne'contadi si dicevano veha avella. Con
frontisi il tedesco Feg. ah ita: ne*codici ah
abita (habitu Fc.) Ci. Isid. Orig. XV, 16, 8-9,
36. A coalescebant il Mdller loitiln coa~
scant ut inconsitus: ne'codici e/ (ut F. allri
' omettono) ah inconsitus ; donde alenai con
getturarono et ah eo quod inconsitur^ non os
servando che questo modo qai disconviene,, per
ch inconsitus (voce che non ha allri esempli)
non d la ragione elimplogic di intuius. ^ Ho
scritto unitamente abusu^ non come suolsi ab
usu, e l ho attaccato con poesidehamt^ non eoo
nominarunt^ perch, Iraltaodosi di Inogo ioool-
lo, pi proprio abusus che cricij, e perche
a3
possidebant doroaD Ja che tt ne dichitri il modo.
Del resio chi sa dire, se Varrone origioi satus
(Cf. ?< e il tedesco Vald) da saietn nel
senso di solo, sicch forse abbia a leggersi abusa
solo^ non suo ; o come trae cultus da coalesce
ris quasi coaltus^ cos creda saltus dello quasi
sealtus^ cio non coltivato; o s'abbia inleso di
dirlo cos chiamalo, quasi ab se altuSy cio cre
sciuto da s sema coltivazione ? Comimcmente
si suppone (f^ossio, Forcellini, ec.) che Varro-
no abbia nirato l s;iUeilar?i dev'greggi: ma di
qoetla ragione non v pur seniore.
^ Zj. Semtn non piene: cos il MOlIer;
Ile* codici piane. Anche qui la radice non aper*
ta : altri la suppongono semis^ cio meizo, altri
se iftinus. Del reslo chi pu dubitare che semen
loo sia da passato di sero ? Sementem :
molasi costrutto ; soltintendi dixerunt. Cf. V,
86, ifa. \ Jructus^ pare strano il veder data
una nuora e diversa etinologia in questo libro
medesimo a4 capo verso io4 ubi et culmi : -
goslino not in margine uti per congettura.
38. a quo potest : intendi esse o dici, Cf. V,
96 ; VI, 58, 68 ; VII, 58, ec.
39. Se Varrone intese propriamente di trarre
la voce sulctis da sustulit^ nulla di pi ridicolo :
ma se ha luogo anche qui incertezza lasciata in
saltus e altrove, poteva forst accennare a soli
tavum^ oche Ho io. Meglio assai Servio lo raf
fronta ad ^, che da /r. Quanto a
porca^ Varrone stesso da s diverso R. R. I, ag,
aceodola ivi cos chiamata, quod ea seges fru~
mentum porricit. Altre etimologie leggonsi iu
Feato, in Nonio, mCarisio; ma anch'esse poco
probabili; n ancora s* trovato nulla di buono
(Cf. il tedesco Purch t il sabino porculeta).
. La medesima etimologia di pratum in
Varrone R. R. I, 7, in Plinio XVlll, 5, in Colo-
nella 1, 17, in Isidoro XV, i 317. Dissidet^
eie. ne' codici sla : Dividit (Divit G.) in eos
(enini eos Turn.) eius (al. cum) scribit Sulpicius
(sulpicias H.) debei rura largiter (al. largitur)
0d aream. Lo Scaligero propose : Alludit eo
cum scribit Sulpicius plebei rura largitura
adoream. Ma che ha ci da fare col rursum TE
alludere in questo senso pu credersi usato da
Varrone ? Il Vertranio se ne spacci dicendo il
luogo guasto, e insanabile senza aiuto di nuovi
codici. Lo Spenge! congettur .... Ennius seri-
bit : sulcis spicas plebei rura largirier ad
aream; 11 Miiller scrisse: Dividit illico Sic-
eiuSy scribit Sulpicius^ plebei rura largiter ad
artam ; inteodendovi I>. Siedo, o Sicinio, l)en-
Utot, eia ptrlizione dell'Aventino a'plebei da
lai ottcoata insieme col tribuno Icilio (Dionis.
X, 3r, 32). Seoonchc, lasciaodu stare gli altri di
355 N E 556
felli, anche queste sostituzioni peccano in ci
che non dicono nulla che valga a dichiarare il
senso o P origine di rura. La lezione che ho in
trodotto io nel lesto, non mi contenta ; rea al
meno di4 un'altra elimofogta di rura, che inse
gnata da Servio col riscontro del greco affo, n
dovea forse sfuggire neanche a Varruu. Pure, il
ripeto, non mi contenta ; e, considerando che il
codice coliazionato dal Vittorio all'eoj aggiun
geva o sostituiva agros^ scriverei mollo pi vo
lentieri : Dividi tamen agros jet rus^ scribit
Sulpicius ; glebae rura^ et agri terra adorea,
k noto che nel codice Gioslinianeo e nel Teodo-
siano gleba significa un intero fondo; e questo
uso conveniva ad un giurista, qoal fu Servio Sul
picio Rufo, autore di forse cento ed oHanta libri
(Pompon, de Orig. lur. i 4), lodatissimo da Ci
cerone che ne riporta anche la dichiarasione di
postliminium (Top. Vili, 36). E ad un giurista
conveniva altres nn' esatta distinzione fra rura
ed agri; n qui potea stare, se non in parte, la
dislinaione posta da Servio (G. IK e da Isi
doro (Orig. XV, i 3, 7); perch rwf, secondo la
data etimologia, doveva almeno comprendere
agros^ cio terre coltivale. Dall' altra parte la di
stinzione rhe ho supposto io, conserva, quant'
possibile, le definizioni d'Isidoro e di Servio, ed
ha insieme rispetto all uso comune della parolii.
Allrimcnti leggasi glehae in rure. Come qui
data pignore^ rosi in Plauto leggesi dare Joe
nore (Curcul. IV, i, 19). Vedi Schneider Gvaram.
Lai. II, I, p. 202. Ne'codici mancupes^ non
mancupis.
41. Lo Spengfl (Emend. Farron. p. 18) pro
pone : Septimontium olim erat. Septimontium
nominatum etc. il Miiller pi brevemente : erat
olim Septimontium nominatum.^ etc. Ma (Lo
cus) ubi nunc est Roma., Septimontium nomi
natum (fuit) etc, costruito regolare ; e ag
giunta dello Spengel edelMuller suppone che
nel lugo di Roma vi fosse prima nn'al^a citt
o un consorzio di pagi dello Septimontium ;
ch del luogo non si direbbe erat olim. Or ci
da Varrone non si raccoglie.
42. et ab eo late Saturniam^ etc. Bench
Dionisio (I, 25) e Feslo (Saturnia) e Giuslino
(43, i) distendano il nome di Saturnia a tutta
antica Italia ; da questo luogo parrebbe che i
suoi confini fossero anzi da ristringere assai. In
Inogo di late chi legge Latium : ad ogni modo
non pu attribuirsi con certezza ad Ennio che U
sola voce Saturnia, non TinlerA clasula late
Saturnia terra^ come fecero il Colonna od il
Merula. L' ara di Saturno u fu alle falde del colle
presso la via che mena dal Foro al Campidoglio
(Dionis, l, c)'^; ed ivi medesimo, secondo Fello
^SS-
LI BRI DI . Ti VARRONt 358
(i, c.), era il caslello clt Sal uniia. 11 Giunio nuo
vamente allegato nei capoveisi 4^ e 55, e nel 33
det 1. VI, c seni dubbi o M. Giunio Grccano
che trasse questo soprannome lai! sua amicizia
C. Gracco (Plin. N. H. X X X l U , 2, 9), e
Scrisse de potestatum iure (Cic, Leg, 111, 20,
49 ; Lydus de magist. pop. Rom. I, 2/j). Lo tro
viamo anche citalo da Censorino (de die nat. 20)
e (U Macrobio (Saii.l^ i 3) Vengasi il Mercklio,
De lunio Gracchiano Commentatio^ Dorpati
1840.
43. Varrone fu d' al t r o avviso tu origine
del nome Avcnti noy allorch scrisse de Gente
Populi Romani^ dicendovi : u Sabinos a Roi nu'
10 tascepto islam accepisse montem, qaem ab
Avente fluvio provioeiae suae appellaverunt A-
veniinunn. (Swrv, Atn. V l l , 667) alii ad-
veniinum^ tic, cos il Miiiler, n ae ne pu du
bi tare; n e ' codici Aventinum ea qua
itum : ne' codici qua tum. Parrai impossibile
che questa aempltcissima mutazione oon sia ca
duta i a mente a<| aicuoo ch' io sappia. 11 MaHer
aggiunge in vece tre parale, e scrive : qua tum
ehebaotur, etiam nuac (iiciVur, etc. lo Spengel
(Emenda Varron^ p^^) pi brevemente qua
ad9ectum ad in jumam novam viam : cos
11 Turoebo, e con h Spengel e il MiUer; dei
codici, il Fior. h rumat/t, il Goth. fimam^
V Haun. e il Pari g, 1 funam^ in l uogo di i/i/l
mam. Cf. Geli . XVl^ 1 7 ; Li v. V, 3a, 5o, 5a ;
Ver ro L. L. VI, a 4
44^MerceSt eie. Cos i codi ci ; e cos credetti
di lasciare, ponen^lo il segno di parentesi alle
parole dicitur a merendo et aere^ che arieggia-
n a d i glossa. \ qui da pigliare per si qui (Cf.
V, a8; VII, 4) ^ mutare io quom. 11. Mailer
mut e Lraipoee in questo modo : Merces^ dici^
iur^a merenda et aere, Huic fiectura qua
drans \ ab eo Lucilius scripsit: Qtirait':s
retiti, quia ratihus transibant, A quia sostitu
poi quod per osRcrvaeione fatta dallo Speogel,
che quia non trovasi in nessun luogo accertato
di quest' opera di Varrone. A ogni modo il pri
mo iociso rompe importunamenl e il filo del di
scorso ; huic | | a i id mercede faci!) oscuro e
generale; la ragione del quadrantis ratiti i n
terrotta, o appare U perche^Secondo Festo (Ra
titum) e Plioio ^iV. JET. X X X I l i , 3, i 3), i qua
drasti e i trienti si sarebbero detti ratiti dal-
impronta d' una Irvata che portavano nrl rn-
vescio in luogo del rostro di nave pr^>prio dl-
asse. Ma il latto che queele part 4101 si diff;-
rfentiavano nelj improntai dall' ini|ero aste (.
Eckkel D*J9, V, ,^^. i 5). L' eti mol ogi a di
merces data da Varrooe al cap. 178 senza in>
trodurvi cos gofTsmetile aes.
45. Questa distribuiione degli Argei e attri
buita da Livio QNuma. t: Multa alia sacriiicia,
dic' egli, locaque sacris faciendis, quae Argeos
pontifices vocant, Numa dedicavit (I, a3)v
4C. 1 codici) in luogo di TaJium^ dauno.
tinum : errore gi corretto dal Puccio ; in
luogo di Caelio (.), Uri danno Coele (GH,) o
Ce/e (abc.) ; tutti poi Cee/iV. Veggasi Tacito An
ne!. V, 65; Dionis. II, 36 ; Serv. Aen. V, 56o>
Festo in Lucerenses^ e il principio del discorso
deir imperator Claudio per la cittediounza'dei
Galli. Quanto poi al Vico Tosco, aggiuirgasi Dio^
nis. V, 36 ; Liv. H, 14 e Feslo in Tuscus Ficus^
e si vedr quanta era la discrepanta delle opinion
ni. La sua postura fts nella valle ire il Pallind
ed il Campidoglio (Dionis, l. c.) Caeliolu^
cum Caelio nunc^ etc, L ' aggiunte del nunc
congettura del Bunseo (Descr, Urb, Romae T, I,
p, 691), seguilo dal Miiller. Se ne frasse indisio
da ci che i migliori codrei dicono qui Caelion^
o CoeKon^ o Celin, non Caelio^ e la n poo es^
sere abbreviatura di nttne^ tanto piucbeileodice
Fior, a questa n. sopreppoae un c. Questa ag
giunta sembra supporre che il Celiolo, ^3condo
la pi antica divisione della ciila, non fosse coro^
preso in una regione stessa col Celio, o fra ano
e l'altro vi stesse un tratto disabitato ; della qual
cosa non so se abbiami inditi sufficienti, rtma^
nendo tuttavia incerto dove propriamente fosse.
Del resto anche al tempo di Varrone e pi tardi
si distingueva per proprio dome dal Celio (Cic,
de Har. resp. i 5, 32 ; Mari. XII, 18).
^),.Huic iunctae. Queste due parole sono
aggiunte dal Mfiller ; il VertraniOv lo Scioppio^
il Gottofredo staccano dal periodo precedente le
parole cum Caelio coniunctae (c o m leggono col
codice del Vitterio) e le aUSccano al principio di
questo. CerOliensts voce coirosciuta per^uest
solo luogo; e qui pure anche i niglrori codiei
hanno una velia Cerontensis ; tulli poi Cerio-
nia^ ton Cerolia^ pi eotto. N pu iperarsi
aiuto dall'etimologia, che sembra indicarsi eoo
le parole qua sacra .... feruntur in Arcem, ci
sarebbe gerere (Cf. 64 e lor) ; poich n a cere
monia, nk a spiegar cerus per sacer non'
ehe Varrone abbia pendalo. Ma' ad ogni modo
eliiriologia starebbe e con I ' una e c o r l' altra
forma. Ceroliensis, se seri^eti poi CeroUft^ ne
dee estere l ' aggettivo ; e per nella dtcriziooo
dell* Argeo s'avrebbe s leggere Ceroliense (-
cnrmm-Cerolienses FH ), com' pi sotto Cer-
malense e Veliense: tanto pi che qui dicesi
espressamente : quartnm sacrarium scriptum
sic est; laddove nelle altre descritiofii cbe in6-
minciauo col nome del luogo nel caso rei io, tecesi
sacrarium e si dice solo : In sacris Argeorhm
tcriptum sic est^ e Valtra Tolta : in quibus (la-
crificis) scriptum sic est, Quarticeps (?. g.
gli altri quae triceps ; donde lo Spepgel quatti
ceps^ (orma che non corrisponde alle lucneuive)
ft qui lo stfuo ufficio che princeps nell deicri-
zione del primo sacrario del monte Oppio poco
pi lotto, e per dee talere nulla pi che quarto,
come princeps non Tle che primo. Cosi da
dir dei seguenti terticepSy quinticeps^ sexti
eeps; che non significano altro che terxo, qoin-
lo, sesto, sottintciori sacrarium ; come appari
sce dui preambolo posto la prima volt : quartum
sacrarium scriptum sic est; e come fannosi
vedere con nuo?i argomenti nella nota capi
tolo 5o di questo libro. Quanto poi alla forma di
questi ddieilivi, parmi ohe non sia neanche da
dubiUre che le uscite terticepsoisy quartieepsois
non siano Ycri errori di scrittura, ottimament
correlii dal Mailer che ne stecc oi>, e ne for*
m cis, circa Minervium, qua e Caelio^ eie,
cos il Mailer; ne'codici in Caeio ; il Bunsen
vorrebbe qua in Caelio monte (o Caelium mon
lem) itur: (sinistra via) in Tabernola est, 11
silo del Minervium, cio del tempio di Uioerv
Capta^ ci descritto nche d Ovidio (Fast Ili,
835).
Caelius ex alto qua mous deiceodit ia aequun,
Hic ubi non plana est, sed prope pian vi.
Similmenle per estensione dell via sacra, mag
giore neir antico che uel corrente uso del voca
bolo, abbiamo anche la teslimonianta di Pesto,
che riscootrata con quella di Varrone ci d il
dove preciso di alcuni luoghi, u Itaqur, dic'egli
(io Sacram viam),ne eatenus quidem, ut vulgoa
opinatur, sacra appellanda est a Regia ad dotnum
Regis sAcrificuli, ed eliam a Regis domo ad sa-
cellMn Streoiae, et rursus a Regia usque in Ar*
cero, n Ivi medesimo ci dichiaralo da Pesto
cb I processione meosuale, di cui perla Varro
ne, cadeva propriamente agl' idi a Carina
rum iunctu, etc. l uMoch iunctus non abbia
altri esempli oli, aocerlato dal riieoolro deU
inter easCeroliensem, detto prima: onde
le Carene sarebbero siate divise in due rami, fra
i quali sarebbe tato posto il Ceroliese. Ma non
credbile che questo uome di Cerolia o Cero-
liese, cosk poro nota che non trovasi ricordalo
da nessuo altro, e vieu determinato da Varrone
per argomento tratto da documenti antichissimi,
sia il nom pi receute di quel luogo, lo credo
iu lutto che debba leggersi postea Carinae, i/i>
d i a Cerolia, etc. 11 Bunien mui4 il postea Ce-
rolia iu Postea acra via ; ciocch non garba
al MUllar perch il nome resterebbe senta slcu-
359 N 1 ^
na elimologin, che pure il flne per cui si ricor
da primore clivo : ne codici primoro.
48. in ea est Argeorum, etc. Ne codici in
eo, che manifesto errore quoti in nota etiam
sono parole aggiunte dal Mailer, e forte vi stan
no di soverchio; poich lo stesso Pesto (in Su
huram), valendosi dell argomento medesimo a
provare che la Subura si chiam prima Succusa
dal soccorrere, si contenta di dire indicio esse
quod adhue ea trihus per C literam, non
scribatur, senza specificare se ci si faccia nelle
abbreviature od altrove. Dd resto II dove e il
quando, scrivendo a que tempi, era facile a in
tendere. Onda che parrebbe bastare in questo
luogo di Varrone il cangiamento di munc in nam,
secondo che propose lo Sdoppio, senxa alcuna
aggiunta; srbben Quintiliano (Inst. Ora/. 1, 7,
39) abbia Toluto dire la cosa pi apertamente
quod succurrit Carinis. Leggesi in Pesto : Su
buram F'e r r im sa pago Succusano dictam
ait : hoc vero maxime probat eorum auctori
tate qui aiunt ita appellatam et regionem irr-
bis et tribum a stativo praesidio^ quod solitum
sit succurrere Exquiliis, infestantibus eam
partem urbis Gabinis. II eonfronto del dne
passi pu. far credere (e eosl credasi in fallo) che
succurrere sia da pigliare am*he in Varrone nel
seneo di correre in aiuto. Ma possibile che, quan
do dicesi sensa pi che un luogo succurrit ad
un altro luogo, s abbia ad intender altro ehe
succede? Bench una la radice, la ragion dei
nome poteva rsier diversa in Varrone ed in Pe
sto, com altre volle; tunto pi che in Pesto
dicesi Exquiliis, in Varrone Carinis, Vero
che a questo modo etimologia data non fa gran
de onore a Varroiie, fondando*! in una propriet
comune a qualunque luogo. Ma chi piglerebbe
combattere per la gloria di Varrone in materia
d* eliniologieT Quanto poi al sito del psgo Suc-
. cusano, se fu creduto che la Subura avesse preso
il nome da essa, eonvien dire ohe, secondo la tra
ditione, il pago Suceu)no era la sleasa Subura,
o almeno la comprendeva ; poich il quod ei vi~
cinus fut del compendiator di testo non per
ragione bastante. Un altra elirailogia di Suburu
data dal commrntalore Cruquiano (Borati
Epod. V, 58), che la vuole cos chiamata a isi-
burendo, quod in ea regione Momme aliquando
subustionibus paludeta siecata sint. Meglio il
Doerdcriein la raiTronl ad quasi re
gione alle basse de* monti.
49. De codici, altri hanno Esquiliae, altri
Exquilinae. La seconda forma^ in qualit di
nome, ignota ; onde il Muller ne fece Exqui
liae : la prima poi coslanle ne' Greci, frequite
ne fratini, c conforme all elimologia pi natorale
a6 o
3Gi Al LIBRI DI M. TKRKNZIO VARRONt S6
del aome ab excubiis Regis. Coll Ovidio
{Fasi, III, 24S):
excubias regi Romanus agebat
ine hxquilias nomina eolUs habet.
Ci Tuoift dello propriamente di Romolo, che
odia guerra conlro di Tiio ccampoM oelP E*
iquiliiio (Dionis. Il, 37). Ha, se Vtrroee ditte
regis teuvi pi, o iutese u d presidio ordioario,
o dubil del re. 11 primo ch'ebbia comprefo
oella citt Etqulno, facendolo ami sua slama
e difendendo la vaUe, che lo divide dal Quirina
le, con un tcrralo che si condutse forse pi tardi
a sette stadii di lunghezza e piedi cinquanta di
grossetsa, fu il re Servio l ullio (Cf. Li^, I, 44
Dionis. IV, i 3 ; de. ie Rep. 11, 6; Pesto im
Patricius Viout; Strab. V dopo la met ; Soli
no 1, a) alii ab aesculetis un'aggiunta fatta
dal Mailer e domandata di nccessl dal oooteato
(CJ. i 5a). Parve l uppor U il NarJiiii (Roma Ant.
11, a), quando, ricordate le due precedenti eti
mologie, soggiungeva quati con le medesime pa
role di Varrone : u Ma perch non ah aesculis f. .
gran fatto che, siccome il bosco Fagutale fe ivi
dello da faggi, il Querquetulano dalle querele, e
il moale Viminale suo vicino tratte il nome dai
vimini ; Esquilino dall' eschie si denominastef 19
loca vicini FH ; gli altri luci vicini: forse
loci vicini. Pigliando luci, non saprebbesi come
iulerprctare V ibi ; perch non lutti i luchi ri
cordali di poi erano nelle Esquilie; e il \^icini o
contraddirebbe alP/^i, o darebbe in nulla. Pd
lucus Fagutalis o Facutalis veggati il capover-
80 i 5a di questo libro medeiimo, e^Fetlo alla
voce Fagatal. Il luo poi de* ^ri QuevqaelulMiii
ora probabilniente il raedetimo di quello cui pre-
aedevano anche le Ninfe Querqueliilatii, e da cui
itoHAOSii la porla fra Esquilino e*l il Celio (Fe~
sto in QurrqutlulanMe vira^ ed in Querquetn-
laria; Plin, W, H, XVI, 10, i 5), 11 tempio di
Mefle (Vedi Servio Aen. VII, 84) posto da
Fetlo nir estremit delle Eiqiiilie \er$o il
Patriuo (in Septimontio) ; e il tempio di Giuno
ne Lucina dovette essere sul declino del Cetpio
(Fedi il capit. seg. Cf. Ovid. Fast. Il, 4^5)
iamdiu onim late^ etc* modo nuovo, ma simile
al male et laboriose est tuo Catullo (CatulL
XXVIll, a); cerio pi aignifitialivo che il late
avaritia una est dato dal Vcrlranio e dal Got-
lofredo, o il late ttvariiia viva est Ongeltarato
dallo Spengel, o il latae avaritia viae est dello
Soiitftpio. Lo Spengel t il MUller diedero con le
antiche edizioni, late avaritia nunc est ; e cos
sembra avere anche il codice Fiorentino. Del re
sto io H. sta unafi iu Ga. in e. nne. Ne
anche avaritia fuori di dubbio ; perocch il G.
d autarica^ U. aucaritia. Forse da scri
vere aucta vicis urbs est^ o alcun che di simile,
togliendo quella poetica bravata contro ingor
digia o come meglio direbbesi, empiet pubbli*
ca, che avea spogliato gli dei della pi parte dei
loro Inchi.
5o. ifuod pars OppiuSy etc. Le parole Op-
pius^ pars, smo un* agjtiunta, se non necessaria,
certo astai probabile, del MdUer; delle cui emen
dazioni mi pnr difficile il poler trovare di meglio
in quetlo e ne' tc(;ueuli capitoletti, fnch non
s abbia aiuto o di nuovi codici,'o di pi minu
le cognizioni soi luoghi dell' antica Roma,
lezione Exquilis ouSy cio Exquiliis uls^ ab
bastanza vicina %\VExquilisouis del cod. Fio
rentino ; negli altri il principio pi guasto ; ma
la fine, cbe oius od oniSy accenna con eguale
probabilit ad ouls. Certo accusativo lucum
Facutalem, cbe segue, domanda una preposizio
ne; e questa doveva estere d forma poco comu
ne, dacch i menanti non la riconobbero. Io
luogo di /fieum, e qui, e ne* passi seguenti, i ro
dici hsnno lacum^ o /a/um, o locum : ma la le
zione non pu estere incrrta, se confrontisi il
capitoletto antecedente (Cf. Solin, I, a6) sini
stra via. Cosi il MAIIer con lo Scioppio. 1 codici
hanno quae in luogo di vi ; e credo a neh' io col
Bunten che si potesse lasciare, perch via sottin-
icndesi di leggieri. Invece di secundum moerum^
10Spengel diede sub moerum ; not peraltro che
11Cod. Haun. e fors' anche il Fiorentino hanno
secundum. Alcune edizioni aggiungono qui Op
pius mons bicepsos simplex ; e a dir vero, se
guendo per ordine il novero de' sacrarii pertinenti
alle Esquilie, pare che qui dovetse indicarti il
silo del secondo. Ma ad 0|(ni modo quelle parole
mancano a'codici ed alle antiche edizioni; n
paiono di sana lezione tertieeps ciV, eie. una
probabilissima congetlura del Mfiller : i codici
hanno tertiepsois^ 0 tertieeps ois^ o tertoce
psois. Che si dovesse leggere tertieeps^ e pari
mente pi sotto quarticeps., quinticeps^ etc. era
gi stato notalo anche dallo Scaligero. Pure, noo
so |>er quale biizarria, tanto gli editori di Var
rone, qtianlo i voraholaristi, parvero innamorati
di questi mostruosi vocaboli ticepsos^ tertice
psos^ quarticepsos o quadricepsos^ e slmili, da
non volerli per alcun patto lasciare. Li imagina-
rono composti da caput con aggiunta del oa-
mero, e vi credellero indicale per ordine le varie
ctrtie di ciascun colle. 11 Brocchi poi (Memoria
sullo stato fisico del suolo di Roma., P 4? *
teg.Vi lenendo la stessa originazione della parola,
la interprel invece per seconda^ terzo, quar
to^ec. capostrada, ^ta in tatto sono vocaboli
3G3 N O T E 364
rooitruoii e fuori fPo^nl aoalogit, uaii ilaU nnirr
la preposizione eis^ che seguiva, con gli ordinali
tertictps^ quarticeps^ ec. formali al modo stesso
di princeps; e qasli numeri ordinnii li riferi-
scono propriamente a sacrarium^ come apparisce
dal capiloletto 47*" cd allre.i dal 54^ dov'
detto con forma pogellivale neutra Germalense
quinticeps^ Veliense sexticeps. Del resto per
riconoscere che le parole terticepsois o terti-
cepsos e eimili, non son che errori di copisti,
basta considerare che queste forme compariscon
ne'codici soltanto allora che segue un accusativo
sema preposizione che il regjfa ; laddove nei Ire
casi in cui segue apud^ nei due dell' in e in quel
lo deli' ad^ersum^ i codici dsnno schiettamente
sexticeps^ quinticeps, quarticeps. Onde chia
ro che della terminazione di quegli strani voca
boli da formare una preposizione (e cis vici
nissimo airoi>^ che regga gli accusativi seguenti
via dexterior in Fit;ulinis est. I codici han
no viam dexteriorem. 11 Bunsen vorrebbe mu
tare I' in Figulinis in imis Exquiliis Ctspius
mons^ etc. Cos corresse il MuHer, seguendo il
Bunsen: ne' codici Sceptius mons. Ma Cespeus
o Ctspius M gi accennato prima come uno dei
monti delle Esquilie, e questi monti ai soo delti
due e non pi ; sicch, essendosi parlato prin>a
dell'Oppio, qui non pu stare che Cespius, An
che nel capoverso seguente, dove il cod. Fior,
ha chiaramente Cespius^ l ' Haun. di Qtptiut,
Pd vto segnato poi non indizio ne'codici:
ma lo suppose a ragione il Miiller. sexticeps
apud aedem lunonisy etc. Cosi FH., il Holan-
dello,' ec. ; la prima edizione ha septiceps. Del
tempio di Giunone Lucina, veggasi Ovidio Fai/.
Il, 435 ; 111, ^4^ posto monte sub
Exquilio (Cf. Marini Iscriz. All. p. i).
5 1. a lov Vimino., quoi^ etc. Comunemente
Viminio^ o Vimineo : ma i codici hanno Vimi
ne^ toltone forse il primo Parigino che sembra
avere Viminio, Quoi una congettura del Mul
ier, che migliora forse il costrutto, ma non ne
cessaria. Ne' rodici, quod. Vimineta non ha altri
esempi! noli ; ma sustrnuto dall' analogia, e sia
i nG. ; gli altri codici danno >////, o x^mina
nata (forse vimina sata)^ o vimitata ' ob Q<ii-
rini fanum, L' ob aggiunto dal Muller; e par
necessario : le note marginali del Vettori, seguile
dal Vertranio e dallo Scioppio, danno ubi Qtii
rini fanum venerunt Romam, lu FH. ab
Roma, error manifesto (CJ. Ser.Aen. VII, 710).
52. adversum est Apollinare cis^ etc. Cos
il Miilkr: in H. pitonarois^ in G, polinarois^
in a. pilonaris^ in b. pilontutis^ invece di Apoi
li(ijar^ cis, 11 Bunsen fu incerto ira quella con
gettura, e la ina, che era puhinar^ cis; inten
dendovi il pulvinar Solis che, fecondo Qainii-
liano (1, 7, 12), fu iuxta aedem Qirini^ e dove
probabilmente fu posto il primo orologio (Plin.
Ti. H. VII, 60). Non so perch il MtHer non ab
bia levato dinanzi ApoUinar tst^ che altera
il solito costrutto e dovrebbe esser nato dall*
di Apollinar Collis Martialis^ etc. Cos lo
Scaligero, segnifo dal. Mailer : in GH. mutialis ;
in Fabc. mucialis. Secondo Dionisio (IX, 60), il
tempio del dio Fidio fu appunto nel >coUe Mar
ciale Collis LatiariSy etc. In F. colles latio^
res ; in H. collis latioris. Jnstelano^ o Inrtel^
lano (ab.) none ignoto e di oscura origine. Il
frammento Cassineae d in Stefano ; delle eli>
zioni, quali in stelario o in stellario con la in
ora unita, ora divisa, quali mustellario. Anche
auraculum parimente vocabolo ignoto : il l ur-
nebo e lo Scaligero ne fanno auffuracul^m^ le
edizioni turaculum^ o tkuraculum Horum
deorum arae^ etc, Gonvien dunqae credere che
nel colle.Laziare vi fosse on tempio di Giove 1^-
ziare, da cui si nomasse il colle. Di questo tempii
era avviso al Nardini cbc parlasse Plinio {Pi, H.
XXXIV, 7), quando narrava che ia statoa di Gio
ve eretta nel Campidoglio da Spurio Carvtilio con
le spoglie Sannitiche era si grande, ut conspice
retur a Latiar io love. Per gli altri colli la coti
piana.
53. Palantieis pose qui il Milller oon form
greca, giacch il nome gentile per cotenta citt
di Palanzio in Arcadia Ua\Xttfriivs<% seconk>
uia Pausania (Vili, 4^Kdove oarra della venu
ta d* Evandro, o del nome che di l prete il Pa-
lazio di Roma, e dei privilegii concessi in ricor
danza di ci dall' imperatone Adriaco a quella
citt. Secondo Stefano Bitantino, diconsi anche
/ o TlaXkjcomii, I codici per di
Varrone hanno qui PalanUS' o Pallantes^ co
la lolita variet della doppia .1. o scempia mI
quod Palatini, e/c. Cosi il Vertranio, lo Sciop
pi, il Miiller con Je note marginali del Vettori;
KH. qui et Palatini^ c. qui etium^ b. quod e/.
Il Paliizio degli Aborigeni fu a venticinque stadii
ila Uieti sulla via Quiitzia (Dionis. 1, 6) a Pa
lanto uxore Latini^ et<. Ui Fc. Palanti^, io
Ha. Pallantio^ in G. pallantia^ in b. palancia.
Ma non aenza ragioue anche il M>iiller scrisseia-
lanto^ cora' in Feato (alla v. Palatiuiny.; perch
non credibile.che una tcrmifiaaione aoliiaitienle
maschile fosse introdotta in un nome di donna
da quattro codici eda'cofMaii di Feato, se ndo
avessero trovata proprio cos. Servio per la
dice Pallantia (Aen Vili, 5i); ed notabile
che vi cita Varrune.' Ma ci che vi si Jrg^e, d
sospelto di meudo. Poich delle quattro origina-
lioni dtl Qooie Pslatium^ che tooo accennale
S65 Al LIBRI DI M. TtUENZlO : 366
qtii da Varroae, due te vediamo date per opinio
ni allroi ; e quelle cui preferiice Varrone, sono
aperlkmeute le due prime ; ci eh pur coiifor-
me al costume di Varrooe, itpeiso iocerto fra le
origini fiationali e 1 greche ; laddove Dionisio
(1, aa) giunge a chiamare letocche lutte le alire
etimologie, tranne la* prima. Oru Servio nel detto
luogo d invece, come piniod di Varrorte, la
terza etimologia ; e passando poi alla quarta, la
attribuisce ad altri. Aggiungi che Pallanzia vi
della ifiveoe figlia di bvandro, Violala da Ercole
e sepolla nel luogo, a coi avrebbe dato il nome
(Cf. Dionis, 1, 23 ; in Ftsto detta madre^ non
roglie di Latino),
54. Scrivo Cermalum^ non Germalum ; per
ch cos Hanno i migliori cdici, e cOi sla pure
in Festos dove l'ordine alfabetico assicura da
rrore. Anche in Cicerone 1V, 3, 3)
ottimi testi dicono Cermalus; e tal fa pure Tav*
viso del Niebuhr e del MOIler (Addenda ,'),
Quaivlo poi all' autorit di Plutarco (Vita di
Rom.), il quale, spooendo la medesima etimologia
che data qui, aggiunge, secondo la comune le
gione, che quel luo^o chiamaVasi probabilmente
on tempo Germano e non Germano ; credo che
non sia da farne Icun conto; pereh Plutarco
sapeva, e lo-^insegna anzi egli aless, che i Ro
mani non cominciarono ad usare il G che intor
no al ine del V.** secolo (Questi Ram. LIV), e
per dev'esservi errore nella lezione. Basta por
mente al contesto per vedere che il supposto di
Plutarco che in antico siasi detto Germano^ o
Germano^ qtiello che ai chiam poi Cermalo o
Germalo apttd aedem Romull. La casa di
Romolo tt fu nel lato che dal Pflanleo piegasi
vero ippodromo >//#. I , 70). 11 tempio
poi degli dei Penali u fu non lungi dal Foro in
quello tcorcio di via che guida alle Carene; il
qual luogo chiamoat Velio n (Dionis. 1, 5g) ibi
inventi. Cosi il framm. Caisis. seguito dal lUiil-
ler ; gli altri codici, et ii (G. /ti) ibi inventi. Lo
Scaligero ne congettor e Tibri invecti: ma non
calza beue.
56. Ab hoc in Gabc. ; in H. e fors' anche in
F. Ad hoc Sic relicuae triginta^ etc, A que
sta lezione che il Tumebo ricav da' suoi testi,
accennano anche le abbreviature trita e tria dei
codici GabcH.: se ne discosta F. che ha texta^
donde il Vettori congettur extra. Mi dispiace
d'aver seguito il MUller nello scrivere his (H.
iis)^ non solo qui, ma anche in pi altri luoghi,
dove la consuetudine domanda iis. Lo stesso
scambio trov spesso Orelli iie codici di Cice
rone ; e par nato dall' antico ua di scrivere un
solo .1. in luogo di due, onde ii scritto a qncl
modo si credette poi qd errore io luogo di hi.
In tribuum libro (ne codd. in tribum libros ;
negli stampali, in tribuum libris) una conget
tura dello Spengel, accolta anche dal Milller. Se-
nonch il Miiller sembra essersi inganiiat nel
credere che quesio libro fosse una parte della
grande opera de Rebus Humanis; dov* pi
probabile l'opinione del IVIercklin (Quaestiones
Varron. in Ind. Schol, Univ. Dorpat. a. i 852),
che il lime per un lavoro separalo e da s, e * a-
dopera di pi a provare che quanto leggiamo in
torno alle trib romane in Paolo ed in Pesto,
tratto da euo. Qui basti il notare che il modo, in
cui si esprime Varrone anche in questo lungo,
conforme a ci che troviamo in Festo, e che ci
attestato apertamente di Varrone da Dionisio (I I ,
47); cio a dire eh* ei rigett l'opinione volgare
che facea nominale le trib dalle Sabine rapile,
ma le credette chiamate parie da'Iuoghi (onde
dicesi Sic)y parte da loro capi (onde soggiungesi
generalmente ab iis rebus con ci che Sfgue).
57. Notisi .i. scempio in ambedue idem
che pure stanno per iidem ; e fors anche in Ae-
gfpti^ perch il riscontro del c. 79 non pr ba
stante a provare che Varrone abbia usato Aegy
pti per in Aegypto. Forse da leggere Aegyptiis
etsi Arpocratet^ etc. Cos) lo Spengel e tl
Miiller col cod. Fiorentino (Cf. Polit. Misceli,
c. 83). La scrillura degli altri codici, che ut
tota seam in H., ut tatas eam in a., ut cataseam
in G., ut at at-scam in bc., accenna ad ut tutus^
o cautus^ eam. Ci che leggesi nelle comuni
edizioni, cio qui sunt Tautes et Astarte apud
Phoenicas^ non ha n fondamento di codici, n
verit, n legame ; onde anche al Turnebo ed
allo Scaligero parve un' aggiunta di qualche sac
cente.
58. Le parole Samothracum e Samothraciay
comech guaste ne codici, non lasciano luogo a
dubbio. Pare strano, non ostante la nota inco
stanza di Varrone nelle sue dottrine, il trovare
in Servio (Aen, 111, 12) attribuita a lui un'opi
nione affatto contraria a quella chequi leggiamo.
Varr quidem^ scrive Servio, unum esse dicit
Penates et Magnos Deos ; nam et in basi scri
bebatur Magnis Diis ... Idem Varro et aliicom
plures., Magnos Deos adfirmant simulacra duo
virilia in Samothracia ante portum sita^ qui
bus naufragio liberati vota solvebant, Alii
Deos Magnos caelum et terram putant., ac per
hos lovem et lunonem. Da questo passo racco-
gliesi bens una probabilissima congettura, che
nel testo di Varrone s abbia a scrivere ante por^
tum dove sta comunemente ante portas : dico
probabilissima, perche il plurale ante portas
per s poco credibile, e aggiunta fatta da Ser>
vio, quibus naufragio liberati vota solvebant^
367 N O T E 368
conTiene picuaroenlc a portum. Qui nt o poi al-
opinione al l ri bui l avi a Varrone intorno a quei
due si mulacri, il passo ili Servio certamente er
rato o guai to ; perch c naturale che due statue
poste diuatizi al porto, ambedue maschili e ono
rate da mari nai, rappresrntasser CNSture e PoU
luce non Ci elo e Terra ; e che i Mugui dei de' Sa-
molraci fossero Cielo e Terra, fu sentenza di
Vrrune diflusameule esposta iu quel li bro delle
cose divine^ in cui IralIaT prupriaroenle de' mi
steri Samotraci (s, Augutt, C. D. VII , 28), e ri
petuta nel Logi sl uri co intitolalo Curto de deo
rum cultu; dot e nsegnaTa ilegli dei Cielo e
Terra : In haec duo divisus mundus; item duo
initiales^ unde omnia et omnes orti^ et i dii
magni appellati in Samothrace. {Proh, i
Virg, Bue, p, a i , Keil,). Ci che sembrami i n
certo se le ultime parole di questo capiloletio,
oTe trattssi degli dei poteSy sgabbiano a inteude-
re degli slessi'dei Msgui , o meramente di Castore
e Polluce. Tuttavi a credo assai pi probabil e la
prima opinione, 1 " perch il nome stesso di Ca
bi ri pr che debba pigliarsi dalU radice
e non suoni altro che. potente; a.** perch unche
in un luogo di Cassio bmi na (Macroh. S. I l i , 4)
^li dei uvetroi si < l ut i ' uno coi >/ ; 3."
perch Varrone avrebbe qui avuto un argomento
cont ro ci che h* del lo poco prima del l ' anti co
oso delU voce divus^ se divi qui potes fossero
qui chiamati Castore e Pol luce ; 4** perch nel
luogo sopraccitato del Curio^ A^arrone stesso
senibra pi gli are come dedicato, sotto titoli diver
si, ai medesimi dei Ci el o e Terra, le tre are del
Ci rco, che portavano le scritte Diis Magnis^
Diis Potentibusy Diis Terrae et Caelo, Prego
adunque il lettore di correggere la versione del
presente capitolo in questo modo : Perocch
Terra e Cie/o, secondo che insegnano i miste
ri de" Samotracia sono gli Dei Magni, e quelli
che ho dinotato ora con varii nomi. Che gli
Dei Magni non sono gi quelle due figure ma
schili che i Samotraci hanno posto davanti al
porto ; e s' inganna il volgo credendole gli dei
Samotraci^ dove son Castore e Polluce : ma
quelli son maschio efemina^ e propriamente
i medesimi che,, ec. Parimente nel testo latino
alla I. a.a leggasi et in luogo di uty perch cos
hanno i codici ; alla 1. 4<a pongasi portum per
ci che s ' det t o; e alla 5a Samothraces^ in
vece di Samothracii che fu un errore di stampa.
59. Nella i .a linea, dopo Terra,, pongasi la
sempli ce vi rgol a ; e il punto maggi ore nella I. a.a
dopo corpus^ togliendolo ii inanii a si^e ; si cch
la versione sia : Questi due dei Cielo e Terra^
son come anima e corpo. La terra cosa umi
da fredda. Parimente nella I. a.a della faccia
seguente rimettasi caldor^ com' n e ' codici,
in l uogo di hic caldor, 11 iVIilller suppone un
vto dopo le parole, Humidum et frigidum
terray ed il riempie cos : eaque corpus ; Calder
caa/i, et inde anima. 11 Verl rani o invece mulo
frigidum in calidum^ omesso terra che sole
in t' H. nou par nrcrssari o n aggiungere^ n
mutar nulla Qva parire solete etc. 11 post del
secondo puso di lanuto i uol continuarsi al tesio
di Varrutie, e poi scrivesi inde^ sebbene il post e
quel modo sia inutil e e disro. A me parve che i
due passi di Isunio siano un tutto, interrotto solo
dalla ci tai i ooe ut ait Ennius ; ed ora che, d o ^
molli anni dalla pubblicazione del l ei l o, mette
mano alle note, mi goJo di trovare che nel pen
siero medesimo entrarono anche il J^achiDana
(ad Lucret. I, 119) e il Vahleh (Enniamaa Poi$
Reliquiae^ Lipsiae i 854). Sono per eocor f ol e
nel supporre il verbo induvenit in luogo di inde
venit, L' insinuans l e , che soli tamente aggiui-
gesi dopo il pullis^ non dato da codici, ma
preso da Lucrezio che dice (I, 117) : Anpecmdts
alias divinitus insinuet se^ Ennius ut ncsi4 r
cecinit iiVe, ut Zenon, etc. Secondo Zenone
di Ci zio, capo degli Stoici, un fuoco artificsoacs
che la natura o dio, informa, uHinve ed anime
le materia (Cic, ff. D. 11, aa, 59-58) ; l ' ani ma
umana una particella di quel fuoco ( d e. ib, 1,
9 19) ^ Est de sole sumptus i^nis^ etc* Stel i i
coi vecchi che attaccano l' istic al passo dell' Epi -
carmo, non al lesto di Varrone, come fanno lo
Spengel e il Mail er ; perch non credibil e che
questo luogo appartenga a l l ' o pe n stesse del pre*
cedente per la diversit del metro, e perch
frapponesi la llazion di Zenone. Lo stesso trovo
essere stalo l ' a vv i s o del Bergk (Prooem. Emr
ped. p. Zx) e del Vahien (Enn, Pois, Rell, p,
168); senonch essi^ creda a ragione, tengooo
per una chiosa la voce ignis^ ed ottengono un
giusto trocaico in Istic est de sole sumptus,, is-
que totus mentis est, se'iza bisogno di separare
V istic che noti potrebbe neanche essere ultime
parola del verso antecedente. Del resto la voce
igniSy InlUjcU sl raniera al verso, per neces
saria pel concetto e |>cl costrutto; sicch dee
aversvper una il ichiarazioue aggi unta dallo stes
to Varrone ( C f V i l i , 48). Ci spi nge e credere
che sia dovuta a A arrone anche la seguente chio
sa, omestt in tuli o dal Miill er, id est sol est (b.
idem soles ; c. idem solem) ; la quale, come not
lo Spengel, par che ragguardi il seguente isque;
ond' fuori di l uogo, ci che avvenne pur delle
prima che si riferisce ad istic. Probabi l mente le
due dichiarazioni erano dallato oel margine ; fi o
che parvero un tutto. Che mentis sia stato ado
peralo de Enni o per mens^ cosa notala da
869
Al LIBRI DI H.-TRCNZIO TARRONE S 7O
PHseUt^o tVH, la. 64^ *^'^ ^P * "o**' cli, le-
coodo t dolti^fia Ii Piiagoi, ili cui Kpicarmo
U bmico fu uno t* pi segnatati litcepoli, -
rilina '* emanzione del'Hoco oentralf, cio
it sole, che quali 11 tcdetta U1 Giove, e il
fotite delb dt' fDog. Lert. VIIT, al)): la qual
dottrina intorno 1 origine ^anim feimho-
leggiate anche ntta faroh di Pirometeo. Se E-
picarrtio di Kmno foste ua rrsione del poema
d'Epicarritio, od unVlibera' tpb^zione delle sue
dfttti^^, noli cosa fidifb a delerVuinaf^.
. Quibus iurtctii\ tte: Cosi il Mtiller ; nl
cddtd incti. Il leguente trocaico fu posto dal
Cblonna Ira \ frammenti Ennio': ma gS
10 Scalifjero che poeo mutalo Icggesi in fConio
fp, jt Mrtj^ nome di TrrneV 11 passo poi
di Picfi (nel Cris) cotVleg^es intero nel ine-
deimo Nonio ("p. ;5 Mtrt.) atta Vce a<//c/^ai^e :
"MaUt' 9tt terra: eU parit 'corpus animm
etker dittgat : ' ! fo corrtto errore dei
todicl che in Yrrone ' haiino diungat; ed lu-
#em titertil in Nonio la eiito *
leggcrnd'visl in codi'cPP/co/u^. Quanto
poi al ^^uen^ luogo di Ktihi', essb rclc^^in-
ttt dar vhdesim6 Tatrbne at ^ del t. Xi
Vit'? Qtidt'teU ipsa'capita hetjut isptnit
Jhcit 'hitnm fCf. V, tu);" onde b t|ni poiio de
cferiV in tuogo di ppeHt o deperii; cohi #^e
coditi, fi Cdlna ne^Trar^menlf delP Kpicafniiy
dieilc qaett terso ridotto due HiDpasralo
ciprivi kaVis i l af/fk/j.' Co^rW Spngl
eil IMffilfer ii lo ScippioV poco tfiVefirtteft-
f''if Viirtranidi atis ili iits : ne^'cdilid,
>/ (. ri) sexius (F. setits h/sep^us).
11Pape (Lect, Frr, p, Sg) prpose, nati sit
exuni, *'
6f. iii altera <r>,>!fc. Nel pnwVhiogo r co
diti^ hiSnb i/ i nel secoh.^o, tranne bc.,
*talli gli tiri;' hi litra. Lti Spen^fel, essendo ptir
necessatt^ T uni^ifilf, pose in ambeitiie i liiry^
^\i\ altero ; il Ulttlhir, ahe^ ideo (non id^i-
^ae.trhe flT im Vrrre di WfrjpaJ'eir nptits^ re.
f? flirt nli, e lento eMfalittle atf notte, che pei*
oha iposa' Teisen^ entralk In casa iharit'o e
rcmrri sfata accolta 'aqua e tjgni^ equlT^letand
Air eslerdiWiiiila'propriaH^nte nro^lie. N par-
bVa pi drilesiametHA'a^ron^nell^cvpe^aTf^ Vita
P. R.\ Bimie'upparisr' dulie^dUkni di Nnio
(^hi v./br, ttion fl\f, e di Scotio (AtnA^'^
\*j. \Cf>^ints, '\y ^o\ 'Lnctant: l, t8'Vby.*
IMle dhe' ccctina Pforatco dr questo riib
(Quesi. Rih, f), 1^ prima l'nedimii th
ddatm qui da Varroti^. Ma qiiale debla qui et--
er la'|iHftll(ira, te kl f bf i l l ggere hnc con
.^ hic con gli attr e<Sdict, e per sii la
pr<iiMiHlrprcIflitieb^^ parmi^^tii atolli dubbi/
ftl. T kB. Va BIOVB DCr.LA L15CU1 LATI2l.
Il Millter alle parole ah eius sostitu alitur^ certo
coii troppo arilimento.
62. sfinctons vis una felice congetlum del
Pape, accuItMlai MQller. 1 codici hano iunctio-^
e suis (G. sumit) huic victrixy eie. Cosi i
codicf: ^a i probabilissima U congettura dri
Lachmaun (ad Lucret, I, 3 11), approrata dal
hihhetY' (Comic. Latin. Rei.), che debba leg
gersi hai! Il titolo di ^rcfr/x'troTisi dato a Ve
nere hi iscritrokii anche fuori del l^atio. Pi
larco narra che Fabio Fabricfano, parente di
f^ibi Massimo, presa Tuxint (?) citt princi
pid de^Sanniir, irakporti) ' a Komb niv
ti7r Ttet^irnw ' Vzk0'fok (Pari.
XXXfVfl)^ e fors allorWle fu eretto un tempio
nel Campidoglio. L* antichit e t diTusione di
qurso cultd d qtialche pHo etimologia di
Varron; bench non T^hsi dubtilo che i tf^omanl'
ne interpreta vano coiunemente II nome Jal vin
ere^ niassiniarr'nte dopoch prevalsero i Giulii,
e prese piede ' o^inioiie deTP origine troianii.
Pors per q^sfb r>(^ione si'fe'tutt* uoo con ia
dei-Vitlrit, ficcli H'tempio ' ^Reato dPom-
y|fail lub fi^atro, da altri''detto di Venere,
iltt'iillri di Vlitorlt (G^l. if. J . X, 7; Ter^
jalt. de Sp^. X> viert, id est WnciW. Cosi
fo Stopplb ; ne* coditi piVrfe est vincire (G. pi/-
cre; i i nfotb di Sof, come ita ne'codici, ac-
Hatb 'dtf un lettera di' M. Cesare, pubblicata
t le per'di Fi*onlue dal Mei (IV, i), ove
t\eggesi' Sdt'\E/jnins (Cf. FcSto alla i^.'tori-
stfM). li^^ifit^'ti'Testum p. lo credie un
cPVcia^^nto In fuo^o di Sotades. Il Verso poi
di Flnnio recato anche nel Frammento sggiuo^
a Censorino (a XlVf, ome esemplo di teri
Ionico l^tfenari, che uria specie di Sotadici ;
it^nonch ti si legge corof/iim iuvere M coM~
lam. Veggasi pur Festo alla voce f'^iete.
Z. dihncto igns^ et iii/noris, etc. >si
MSdoppi, ieguito anche di Mftller; ne codici
eAut^ctfny t poi habent [1\. fiaberent ; t. ha
befy. Slgnjiant esse Perteris' onJ congettura
propuila dkllo Spengi e accolla dal eiuUer: nei
bdici //^/i//Ti?ciw/i se veriSy severi si Veris
in cambio di f^eheHi le^gesi in Ha. anche altro-
TcJVI, 16). A voler coMseriaf, lecondo sta ne?
codidl coHiunctione ed habtint o habertnt^ co'
terrebbe pigliare ignis e humoris per nomina
tivi pliirati; e il inimero del pi non par qui
liolurvle. N't verso di Lucilio il Dousa legge, col
Vrtranio e con lu Scioppio, quae nos per vis
rts:
64. quod Jtic mne optis. Nelle vecrhie edi^
zoni, innanzi al RolHndetln, hinc; forse con lii
1gtir lertso; senonch Vhic pi a iiccosla alla
' ragione addotth altrove da Varroii stesso, quod
24
37
c. y i l , a 4l4
Quaolo poi 1 pasto di klunio, apiiirUiieul^* ^e-
op()Qyb credesi, H' i^picaripo^ vMaiinp luogo
|\i dubbij. Alouff.attr^buiscppo ad Konio aocho
)q parole^ quoi ^erit Jru^es, ^Cer^s ; p
^uppoti^pi|0 ifhe |l s^coiido trocaicq^f<^yfl^ : I^^qeci
fimi cibaria gifod gerii frifg^^^ Ceres
(VAbUof , Po's. pfvfrp^./ir
s^qeq fiat cibaria^jxtaee om,r^tiS fiC^g^gAr{t
(S^lig, Cpni^cpJl, ^llpi.jJiippo V<.iifvJ^;Ae Pl-
rpe 7i4a, 9(ismtfr^gS^ Cnres,;^^,pr^uc^
If autegaiepU /c^ar^ (B^r.gK\4^
Cann,fial.jrd.p. yi\\)\ w\U' tt}^ i pivi) cf c-
Iqpq opposto. F^aLmeo^t^liribpiU
le parole , r f ( i f ^.^^^/^
via QCc;rto u flbbapsi,.fllacoirc 1 rrfium^
Ifii, ., PcT.la^jiyia cpia, cb,f npp
fA ila )5 fi gra iJ^P ay.ei;^
Kf!pe .d Mi>,^o/i;f^p,;. g.UA:Qlv^
allora .par^e ,(4j^stf eMmolpgja,/di, Cef;e4t, pcccasf-
in yarrone lon pu allf^cpi^rsi .s^pta^m^la;
;tjopiyp,lani,9.; abVa
della ^egu^te fJ^Uf^U
r^sl^ ^ipgo i^:,dp|)bioM,Q^ai|lQ pu
quae dai c i ^ r i p , i poiffpoo:nfgVe,itd,flp^
1^0 ph^ suppp^epiple upa chioo
ges^ \^ j^oi o^l4e^ip ^ippri, Uj,luogp,.,Wi| (
probul^iUt s^airV^iiq^fi; p^efc^ ^^|| ,^-
(^^pa una ,chQ|^ li ifpa^tlopuj.io^
bi spguf rnf ^i M pi |i fuppooje^plrpijoUa^rl
i|i 4uq?9i fi W *\*icV^n| u\y'iflif^cl^t,upp.
y; h;f;chcj i*rr. Ov^ ppj^^ /illfi^sci^pp
pe^pbf ;b|ii|i^pp un |ipi^p egame. Cosf d^l |J^r^
ipaslc&fa tf.rra si^djfpp^ di^ Fagjopi, |1 j^epfrarf
? il Co^ViJ
cvn it^ojfa projjabi|j| ; i^e codici^ fiq^f^^ ^/
quod nttuc (H indf) e(, , i i ; ,
^5. I d e m e i e . C^on&optlsi ^1, ca|;i(olftto
57^N^I v, a.ii Mj|(^c. scrive al V,e^U*i-
Ilio; pci;vh^ il^lro^nvi^K ^ ip Ha, #;p))iri^
ipdiwo ch^ (j^,paiola ,(^|.^3 cpn ^Merp g^re-
che. Del ref^o i^ F]^. \tg^t,^r^eJn \f^f^.,A,rem)y^
che >1 lOf jliy, P^l Tprsp; e, cyi sUpip il, Vahica '
ne {ramnicpti. delT Ivpicarmp. .IJiel 3 ; v. i codid
^lapno luUi ve^ti^i ^,4** >nop.//qeetfe^
eh' M,pa cogetluri dello 5{>^)gel ,^^ 9al
, ^ Valjlep il.,Xuroeb^, tea proposto,
Istaec i nell ulliqp Tprsp, iu luogq di Qfioni^m,
che ^oftitgito J^l Mul|er, i, codici,danap. Q^a.
(li. for^e QiaJ, g\\ sta(D,pati Quiq Qd fiiaq
omneis, etc Cos lo Spengel c il Milller; ne'cp-
dic hict iarn cum conceptum,\etc, Ne'co-
dcj /lam tura; il Gplhapp per ha /: nel,
r^slo non ho /notato nulla,, ftlpl^q ,pii]^ ae ne di-
liing il H^iUjcf ecriv/eudo, / tss^ cqa
ceptum pcLtely inde, <ffn e?n/^/iorf 9;4<:; i^be
^l piire i|i goffo epu^cUp e poi^ n,|pl|ip^7ef^.
^ 6Gf ;et Dlfjpile^ ///Vi/,,ete, la F. Displt^r^
che qui |iup fksu'l/ipdpsi
fli Plut^onr. }4 i|ie.lesipio cpi|j(;e ba ppi tj^em io^
luogo (di tdes(^ |9 Di^sj^ur
aulica e ;ipl^ (prpia^ d^ genjlito.d^ J^acrpbjo ^fidii
Swvip^ e.*jpi. folppdosi,.trarre
^pme a lignificalp d^^c^/p, al# b ^ 11iu\cr,pre7
S^ioit pa^re ^,.,f<fella negi^eplc clnu^la
prego il kljpre ilijoJer p^m^re 1 pMfM?fFl^^l
le/^tp miu^/e I^.Tefsip^pp i^ji^nf, ^ipfiilaepip : a
^uo ^\fi\^icti qui inde^ et diqs fi
tic. e /a |p)Mle,:,^ pa^f, die| fi^o,..p^4rf
gi^rivo ^ dalla q^uafypc^ quelli pf>^
serQ lei, c/iiamarfin^iprit/ia ^ f ^ Ac(
ufasf ancora ayb diyp /^r <ie/ip/^e a ^
perto, e <f/cefi pius n j
r^^iliuc d( ci^ il fr^qi^O^. 3
f - i / i V i M t erpiiwj^i
pri^i^iali dy4 i^di^e ffWICf., ,ph^, lale irft
splejiffr4f e
^lefsp, polpe, ?<< e /o/if. ,)>folif|;c|ieil /Q^piup
di Giofe,,dello^me^ ffic^lis Di^
<i(j. Ghejpepueslo ^ pp^ al poi,^ giur^cf
vhe a 9do fcppj^rlo, pu^.c^fc-deNtii.d^J^ulurp^
nelle Qiiex/^ i^p, j(,XXy111), f ripelutp.i^ ^Vffv
?", (i^ ihfmk^v'Pr 494
Aicrc, a/Ie .^ipiluis),. L d' ^o^.^flp-
ne.tV. l ^ola a| c. leggi,aji)cl^c,<i<;l. c^nofeil-
^io di cuksi .ipie^lf; Fiylii^^p^nr
pof^itu^ y^etur^ ef 4ft^ia, ^l^ifVi.il^
luyfip ac t.l^pfu,^rp fli^^ quod-st^e
pro\litera d ^/e^/t/nr. ^f.pio ipy^e .iuler*
preta Medius per testis^ o per seroidio
loyU fdius, i4 e^fie^uli{f^ ,Mtcgi,v>,ft^|^l)ipn
nisii i l ^ ilo) PC,,Ira Ufipipe 4 i i ^ i p e j i O v J o .
Zivi niW4e^v^ t4pival/m#,|i!0^;dj q^e^p ptiaie
al aebipp Saoco les|itkla a;pc||e,Ua lc;sto a|U
T. ^ei^^eU al|ro?f,/(/: ^^^^^, ,
<i f W ; P^onis. Il, 49 iv.ple liu-
gubipe Ifo,?a>i fpea^o>pilaipeiH94^V^fii^^p^^.
c^e par ^ignificure pidius Sgn^t^^ ^eppi^Uij^^
(4e mws. $8). il ponie ^oiicp in Jipgp^ j abi ^
aigniftqiiva^ ,cielQ ; tif^as^k cq^rjfpp^pia .pfintp
alla 4oUrii^f. quj d# Vfr^ppe.^oche qvt
p^H, cyroe in pi a)(i(ir IvpgKj,. Jefigc?^ 5^
c/n/n^ebp lo $qilige^o nA|t;| :-
iunqpe ;: ha.^q >,p9Q a p p ^
gip in EusebA. (H^t. i 3|, iq.K AgoalS
; no r e D. XVllI^ ip), in Si|ipl4aiic<i (V.IIlw4^4W.
' e ip ajtri^ A^uup a^p>U9(;riv<i* ..cppgipplpaica^
. Sancttis,^ Jd/n tkic Ds paten^ ,et^
I Fjp, ^diP4 .Gaii.: lii e / ^ W f U. dm^spiur.
i i e iltfii ki Wdore ^OW^r
In ^ftrtii^eciHci U rL ii i ki ni yZXfV: Itisi. I ; i4K
PfUrd Idtirni est Dispkt^r* : tf/// Or-
a|ypentlone k\YDii'patet^ h
flh oo di4 dh\eut HoM> am!^uiir 4lk
. lUti^rtli ia kttonf divf^ d/e I
i^'hniinx ^ st tonikriats^ 4rrt^
M^Orknt\ t ^titnht^' l G. atotiuntv*^^ ii (te^
niimp' tiAiJ ^boi^iuniu^ ' fyr'um 'ifuod'ifinisi
orturk^wriut lOds^f^alA: ( i1<ci>ej lei Tartii^
bv'X>rc4V^'rO/ ^iajl 11 tottit^^
hfiMut\^ ^ta estfconitsncktiS terrns uhi omnia
u^Oritiiur\ Hm'brikm^^f*; ffaare^<^u>6dfinis{
ertasi Ottu9 dictis: liJ iai ^ifparew viM:
tAraeirhialiira^; %1 dbpfitd lie li iriljie'oww#
la oritu per anliiras, uoo poteva acog1ieHo thy
HI iti9U ^/og4iWVVktfliUtt* deHe'etifinfo^^ic' ^ale
kjlHi htUK (F hi, in ; Sf >/ *;
\ J iiji 'VHI , 4is)' 'rtrf )*<^>*.
re } 'OQrle Ilo petto
Cbf law^ aHlff Ao^fine c^e' d'giiaila*
j[iali6T 'Fiiidi sfcn '1 meglio^
10 nt^rei al qui dul'^uroM dc c^
dioi i*i! ser\ ^'^ gudfitis Orcus,
$at diotuw ^^669^9, !<&, ^, *3^, c;;.
^s<dM mrvfabt Oiov^
cio N'cii^ tNfUa ^ia>nfima fktrfe;
t0ftftu'ge ti lM tmr^^M ci fr i nwc rrtb->
si chikm Dis" patty ti^i Padr'iB
prrtfk '^iifin ' tote^si nom ^Uncfk^
dftf &nUtkiHo Orouf^^ ^cidifi-Hlik.'
ti doltiiiHlrii'^dM' V#r(me 'i t i d i ;
f nbttM
in/im^ pr( t %ii^si diMide^'il tne
(futa et rectdni m/iia in tirrkt 'e &rin*
taf^t'ertii^ (N. >. I l ;^5); M lAUiifliiit^ <hi^
'<^ i|ti^ta^Pvip^Mbivd V'Mft&^Uhi^mi
oYhifttury , (f^kta uhi) -i^
rbhe (V^tfMido^ satollo. Tulfavi* er^flb ^#o*
11 ^i4irtO perch la ^eMa voce
la le f(f. 91^ p<eivfi Mitilnra avere
ili prTe fvttalo la^d^floiri^ne UU
dU,' a^piibt^ p^tefii ^vaV^'^t>cb^^
pera coi iiii^/te; dAttilo'
Biltim pH*fn^ hc est Orc^^ ti6>^tn0h et"
ii^fimain pnei-irturtdi ; V p^^Urtiirt'la' pii^^
ti* M|)ri<ii<c diA |M)eCrrt
di Gitive, che anim del moudo e lolothik^pt^
i ts^ 0],*) >, 5, t.) "
es!
i^l soUini \Gttek N.^I)i,
OtVtVfiM^ 7( \ de^k Ae)i^aAi *|^
.li iiu ire fdrno pkt' da ,'( iaH/kim
Iht^mm hht D! corhpcrti/io Vtt Fsib flt c^.*
Aurii^n^) \re chV Mnome^iWndet t\ fbirt
Al LIBR] DI M. TEtVENZIO VAERONl^
' afhl) pfe^tffecH <Kt efi gf'Atiriii, ; ^dHie
i e^lHmav)in8V'aDlicinifitv'>^^^^^A f^^oiio <^osV
irn^iiiati pMb^'ei^nd 'orlf^loarM ' drlla SvNiWav
e irf K'oitia lt^rtero dal pubblic on 4lKv^<f ove
! sa^fSfeare aV^<4e. ft:e*ibia vbi^ eoi^^
; poila dall radice cOitiOOe t Kunim'
ch^i Sh*fi4'dieserei jrirxrf/it7^ le Aaruro)^
0 SXti^^fl '^ Uiniy ^koAiiaacft^ etc
Nt* ^odioii>^0 Bt Luiii vel 6 ; tfvei 1)
nt quod, (orse manca qviaibh^ cnf^'ikAtlo ^
d' rievi^ip ebtl/ im Luna f^-quod ita Sttbi
fir, t., poieh arirhe'il-nbme dlia-
Luna,'ifel capitolo: 71} >d(;vii tenere tlel Rbiiix>.
SrioAcfie fih)fTf-^qualhe^Ylltiei>1l'neVxa^, che
nori lil^ i-aio. n^le ^hii* dapk*eferird I*
itciWe d* odiel^ Ilc. krasport^do dopo it
qUof^ li*gpf r t l l r i f t , ut^lit'{o iAe-
%i'sf) hicei nctu'; rto' a 'Lkn^ty ptr^
ch lh ffuti Ji^s^ sipia^ te'eglio^fetali
di n^tie ^ GraeaM ^heram^ i
dtol premetioiio Aptkit^ chfr
' oAet^o dilo ^clpp>?o fe dk1'M9rlfr, edtfiie'ui
I ditosa '/ '^rfl, ^apptUta^f o tt i '
MQfttir tttft lo 9eelo[ipio'; h' dodici^^f iu 'lilog^ <Ti
tfitl. Non n><^inle^ Falii^tlr coti/ futti ^blk ao-
VMrhfe ivgtilrato l Vocc^iV/d^A rtel siid*
Glossarium^U^lictM* v'dte c+i'ti \lttii' ^>ci-
' itfxM'iitftBs auipifeUe' il* ^'Wtne^ ^efla toce
. Dlatt,^{M*tra^^ 4l>(tiipp<^ allMbie^
' guii^ l iierte^ei^le^h*. Pr^ al^E'gti Vi)'. MoMi
alfie pi^'lrttfeWiild qw Ift (Witoal^^l
ir ffttodk^ pfef* Ir cairsa: Clcrohe'
flt: Z^.ll,'7) Itf tr^de-WieW ieila'^iW^ d*
itSy ^idhi^df q'ualf d.' L^e^in^n>! ()
, chet <fl^^l PrMr||!lida e'DMnaV'Ait^ofhr a\>
Iribu^a^l ad'tiuttiii nbrt'^af rigtUfa da'VMrro-'
' rie; pfth re^imologlW thre ir d&vMii fbhda ri'
^|^#(6. Nell^opt'a ' dell' tisf^n'ma^^
I o ft. Aagi/stl C: Zy. A^U, i4) VeV'infeco'
Iln<g'firf(<i^i>h4^n)annoa-i la d^-'*
Ila Vtst^k,' *cti 'thlifitMa iftitif ' e a pr'ife^paht
Jlrugi'.^Be (nipsWbite.eh non abbia oss'NMid
, )^!4 Ul^q^si boni^tok' grccd llfp-
*^pofh, il jiisfoc|lil cllor di Plaut rie! i^ertU-
Io>,>74. * ;
' Qt' id {pqe; V/c. Cbi GHa. ; ]gli
I affli dwdW '6Wtetioin>Il Ti^fali > rire-
' iteikb' dhd^ni t. 8i ti ia te//a, ie) Coil^
Iil>Aluller;-Qtt.'e gli all^iitdtill. tfiflpfer-
Ir r * 5AiMih <ie?lo 'del^IVi^l(b 'aTeSra'afr^ <
. terrai Setfdnddhr'tiofa' ilHfAllly mir <ji Vir^
rdtl' t^ Aina^ri fe D^nVdrifb' cb'Miwerd fl'
I p'iVTljl' '
xi 0 t f f f^trcfi, Ptc. PiiloS.
j 11, a5). Ancb Sendfatii^ t:he prallro-bpn e di
^l^orri ^rk'Fhtc , avetaf imagruAto la liink coie
una terra di mlte citt t monti d abitatori
(Cic, Acadtm. 11^39, j a3 ; Lactant, Jasi H,
III, aS) ah luc 9us^ etc, 11 MuIIat cr/ede sol-
lnleoderst diei: mt non parrai vero, locando
il luce riferirli per etimologa alla luna, c Irai
taodofi propriamcnle di nolle. Luna iuvat onat
l^usta conitetlura dello Scioppio, tlattdo oe** co
dici fiifa iw^t Hoc vidisse anti<fuQS^ etc, lo
FGUi. antiquas, Vengasi Fcatp al titolo $upet>
eilia in lunanis tutela^
70. i^nis gignit. Coli AfOiHno 4* tuoi co*
dici ; corouuemeate ignis scindit ; doode lo Sca*
ligaro ignis indite H Yertraoio e lo Scioppio
ignescit Bench gignit par necafaario per eli-
roologia ; ppre d una iliicchevole ripeliViooe di
concetto, n corriaponda bene all' ideo ca/a/,ed.
a ci che tcfac Forte da acri vere, et in amn^e
quod nascitur (otvero ^t omni quod nascitur)
ignis se indite che riiponde all eum^anuttit
et fulgor et fulmen^ etc. Le parole etjugor et
mancano a GH; e V et fulguritum t ona giunta
del Turnebo^ accettata anche dal Miiller ; sebbe
ne il Papf (Lectt, Farronn. p. 60) non abbia,
creduta neceturia, parendogU che fulgur pafffii
denotare Mche la eota olpila dal fulmine. Forte
da m u t a r a J n i l fulgor^ e et fulgur U
et fulguritum alcuna aggionfa.,
71. NeLc 67 d,al 1..V11 fi fa infece difcendefc
jrmpha da nympha. Fu dimtaticaoM, o panti-
nienfo T o guasta in uno dai due luoghi la |e-
xiope Qui sarebbe Cecile il mulare
turaa in nympha luturj^a;. tuttoch iymp^^
Iroviff senza dubbio uiflo; in luogo d nympha
(Varr, A, I, 1 | Serv, Jen, 11, ^77 s due
iscrizioni trovaci,unitmfinte Nymphis Ljfp-
phiique). Ma il nome nympha potrebbe mai do*
dursi ah aquaf lapsu lubrico ? Dall'altra parta,
il secpndu luogo beni) guasto ; ma la derivar?,
zione di lympha da nympha ?i par nece^aria
e Varrone non patema i^^norare ch^ 9/^^ top
cabolo greco ufitatiuimp. O cony^rr ad^nqoe,
aggiunger qui nisi ab eo jquod Graece Bjmpha,
o aleuti che di simile; o dire che Varroue ^ n .
f(i ota|te a # ste^o. Del fonte. Giuturqa presso,
al Numicio, e Iella salubrit delle sue acque, veg-,
gsii Servio (Jen, XII, iSq) -? ao ceteris^ afuis.
Ne codd. ac ceteras uguas Commatiap, Nfi
codd. coqtitiis ; rAgoilino not.^da un, (cgdicf;
Commotif, Di queste, acqua Coinmpxia o
meglio.<lire di questo nome, confesaa il itfalkr,
di nqn aver trovato cenno in alcun a|tro aulofe;*
quant.un^que della loro virt medicipale parlai^,
Celio Anrcliano e Celso, e del lago Coaligliano,
e deir isoletla che vi galleggiava, ra^itma Plinio
in pi luoghi e Seneca e Macrobio, ec.
7. FeniVa^ etc. Nc codici Veneli^^ salvo
375 N 1\ E 3 7 6
che in a. venalia^ in c.^f<tnaUa,'Oe\ resto Virgi*
lio (Aen, X, 7G) la diof, Fenilia; e cosi aambra
averla nominata Jo stesso Varrone nell opera
delle case umane e dittine^ se^udoelia appari
tee da molli iMoghi dis^Af^osHno (C. D,\IU
aa). Salacia e Vcnitia aono ivi.coAe diatinle : Fe
niiia^ inquit (Farrol unda^tst^iiuae adiitus
ifenit; Sahcia qt^oe.in salmm redit: le quali
parole aon pur rifar^et ^ nome di Varroo^ dal
glossario d Isidorn ; aenotMb vi ai legft Feaf
tjA' ac ventM i7/o Cosi lo.Scioppao^ segtlo
anche dal Miiller (Cf Vv94) codd yento. Il
passff di Plauto nella Cialallaria |, 1, i 5 ; se-
nonch i oodioi di Varrone offrano ^mI primo
verso ibi {0 , ubi) \b Iu|o di i7/f,,; e il aeoonlo
verso accorciato* >
^Z^;a.$abBs.jaccept$*s^ etc.. Cosi leggesi co-
innni^menla : ne codipi >seoia pr^posiaione,
binis. * alla vpcf Mamers^ prppria apche
de'Sanai|i, da cui nomaronsi i Maepertini, vf^
gasi.Fasto /alle y. /Mamera Mamereos, Mamerti*
ni. Cf DJod XXI, p, 49^ fFess.).^ Quiri
nus a Quiritius : ip H. Quiribus^ donde il
Miiller c o n g e t t u r , Jlu4l^#llra.op^a lo
stesso Varrone (PioniSf 11, 4^) insegnava invece
che Quirino (Ki/ffraf) noipc; ^n, cui i Sabini
chiaroano il Aio bnialia; (b dice dubbio tela
citt di Cura fi fosse denomioata da lui, o da
fffiri><che in t^o aigaiGca asta. Anche qui
poco dopo ricordasi QniVa^a fra quegli dei, le
cui ara fturono ereUe da. Tatio,. e i jcni nomi tea^
gono 4eiU lingua sabina (JFesto , . Quriiuiae
PqL in Curis ; Fhtifrcq in Ham. 99 i Macr^b^
9K^ Bonos ^norey e<c. Cosi il Miil
ler ; na odd.. Bqnos, ab honesto onere, K con-,
gettnira poc probabile, tuttoch trovisi hqaera
iq Fa, anche al c, ,77 del l. Vi. Forte l'agginuU^
! y hon^ito h dialo ad onere^ non solo.p^r terape-
racne il senso, ma auchtt.,per conferaare -
' molonU'Cou una forma, med.ii* che vien c^rio da
' /iore, e pure ha l'.e nel secondo luogo ed k
foggiata come foue da hon^re Pollucis a
Graecis, ets Qui i^Miiller mulo l ordine del*
la parole senza ragjoue, Krir.ando : Pollucis a
Grancif nomen quo4 Latinis liberisye^
teribuis iofcribitury ^etc. Pare on^vac ijomprat-
Iso, la fqrza, del quqd est, che vale qual i seoon,
. diQcht sta, Uus fMcm quasi, anedia l eunacQ
Puffue^,
74. F-rron/<^ il c|i cplle (^*
nji, ^gli Umbri, agli fcJruachi^ c4vam:he aiLatini
ed ai Volsci fffio/tis, 11,49; UU i
i Vili, s i BoraL Sat. i , 5^4%^Jr comparisce,
forse Delle iscrizioni uml^f^e. e mvsichc^ sotto il
nome , di Varrope ue iiitcff rlp
)vcdta il nofc f^uafi Fidoaia (S^rv, 4 en^ l, c j ;
377
Al LIBRI DI Mi ^ VARRONE
Uri lo vallavano in $rtto A*9^ p 4fo6t
9Tfp0W9 ^ ^ (Di 0nU. ntl .. /. cJ ; mUri
hi,d<!ttnQyCofli;chMi9al 4mMuo|JOdove $\i Spt
(9#ne'ca4pi Pomeolifii^.e Uluogb
da per io che il marct.gli ateva coli
portali (Di oni s, i./. e.J , 11 nome poi^di Aim^r-
P0 lil^lg/e#i;nche Bc*m^iiUbeiili soHo la
Urm M^ner fa Mtr nfa ; bench 4a;radice
. dr qucato nome aia Manine .al ftt, e al laiinn
semini, ie.) la forma
c#<ie ecfla italica. GU dei 4^^ No*
vpnsiU (Mar. . FiKtorim. s Orikogr, .
,, ,^ompariac<i%> io due tabeUiohe
(Mommsen^ Unter i t. Diai, p. 339, Sfa), oUo
la (owm I9fS9dt, W eresc(iro fleonetM {Jr
eo^.^^II, 3839, 44) 1^ dirersamettle apie^aviiii
tl(o0ndoeh il nome Iraetwi o. da^ovMf ao,
vem: ood^cheae,pe fecero o le nfove o
f dfi iniiiiUgiiiii dd |iiloloe^ o f li dei> iof-
sii cio gli ervi ditiouz*U,.o ^^diM Mran|f
iXttovamenle intediali la . Roma
e<c,. XI nome di Erodi eioaiianeiiit
otch^i00rtlu$. A ^etMS n|liIriiachi ./fer-
pZf. Ja Scalifr9>jMipail 4|4k.crv<MMnella |fio
ne,.ipamdpfK Jropofftihile che al tnicorreue
,uhPO per.r,orK>iia M umie broole,. do*eni
p pronao, il giteCQ Ma iVarrpde ttos
pino .rioorr^^ ,a1 rfiwco cl^ divceMi ,4i
mprphffbile che il yoe *4 rcole ila Icomvie
afrrifalap .ed ai Graci .per ^i tlie l abbiano
inaio .dff 00.foBle .siedcsImok. Lo^sleato fbrw
da dir.dcl nomC' di Vetta r il cui c#llo ha 00'ijii-
pronta apeciale presto frilalini iKin.poco diV
Y^fsa da iieelU della frrfca/^i. Le leAlfmo-
niarfieabe fi^pno iqtrbdotto: in Rompefl'la;prifil
olla il aitg di Vtl dal ^abieo^NiAnia, 4U>on
intenderai q qvanto V(Sla hM foe ar t pubhl i c
dtUa criz/e, carne li qprii^e Cicronet 4in
polo d*milia^.ct?i|^ OpoUliic# ; per non cbth
Iriddicooo, puo)t,<^4IU altre ^tAflUnonianpe, chf.ej
ricordffi^ mtdeim#,..c^to in Alba* ii)
in Ti?p|i T-r Fontm^ Coti FG ; HJ.
frQff^em ; a^./flricm, Jj.Miller prefar'vi^or^em
C9,9iipa^ca /MUoJo ,$|icnn;|, ,XviiiiKa rimeiao
">1^ sc4Pchialiimp;
pv^h la,^s9onitrPfft.^< pippoffifia ne codici,
e perchf^^or^iMiii|Fpr/em| non.mipar,prpbfr
bijf^ pe i^paipi^^y 1^09 pon^ cHa. aotMai^eola
(fniti^ ,i) ^neqfloj ifiiimne
dine ;,fcnic,he, il quilp. For tuna dklW
introdoilp da Sfivvo Tullio obeaopenn% ad
^Ijra uri^Qf fj^orr. L.^L, VI, 151). M4io^o/i#
o Fontus B^liq^li cd ^y^va im>nt
lica ra sul Gfamcolo pr r ^ al llfpoIcVo ili
(Cic^ de Leg,,\ ^^:^^by^mo^ 111%pgK ^d iq
aliri lupg^i. In Marxiano CapeUa.O.Ijaop^poilo
le dee e onn iglFdi f9pensilt^
a m^i^titali lai|01>*vali' laff^ti coi ori\
001 la Madrw de^^ani> cmt\ Fiara;,^tc: ^ t
ar ae Sahinurtt' iinguam^,9/,' un-emendxi<m%
che po dirifrta^'4k l MttUer!; ne^ codioi alf to
re ia U o ^ di et eroe Di 4|oeste are ae t trb-
b<poNieordaiti come fft>ete ^ T. 'aio, anche
da. Doam (11, e^d a. Agf>clio (G.J D.I V,
a3) ; cio quelle di Sa4icn<i,.di Opi,' del Sole, ddhi
Luna, <UVolano, e di Liicttia< (el>ianaK Diont
sio affng moitewatamente 94, he qvi,
aeondo A. i^Viioal Turntbo ed al.Miller, i*or-
riapMdda L a r v e d a ^ i i ^ e d ehe equivale
a Marie QairtftD v lermiu poi il novero con^que
se>perole.lKei* lUkaif ^0^ th'J cmXiftw ift-wiv
^ ^ w nfi r a, Amm S.'A<|^ottioo
oftfiunger t alips-,i^ mi er qas
9iiam dtamCl oaci am ; Il esito Mia qal dea
bcaoh do corrano due Wg|{nde .divete, in atn-
betlilb' fmrt si f uiHCTsahficiift isiiluil da Tasiq
^. ; ff. XV% Agivlfii} lAcimm. Al ao
eeo.di Dobiao evdi i. Afoatino. aoD^ ferio de
aggiunfrere^ eeoondo la loro. iDente. que^tli dei|
di:cui iMu^raai/cbe, quao<lo edi6eoui 11lem pio d|
GiovaC^pUolino^'tnoii abblanov.ToUto,eed^e
lAopo Mvfa<<r hfo da. Taa / ^ V Iv55), cio
ikdio Termina i^,la.deaGiofcikiu/^/pu>. W 7A
#. AgoM^l jtiMD\qttali s. A^dtftbo pone ambe
MailCL i l eatU^poi di Flofavebe^apptorlefi0saa^
eh# a'Sabbi,; e provelo eeianilio ,dalle iaeriiiotfi
eaehcv oe elli^ #ehra .ponaf Miniwiie di Fluusm
0 darp 1oowB a d ^ mfae.^ ^lk onlae^e .qMeite
ineerlesu sul nnmero delle are poste da Teuo%
il direoei agginMie de Nui^ \ ppcbe al-
Ir il^M^Ufri Mp *oi (roMwfi< ioad
con troppo iirdimeAlo, aii qaeiio luAgo \ Varco*.
tie.uii aiaKima re^i^ioao di l^jfliiji dc^.ohf mafi^
q pi^^prio de' Sabini ; iolorno al.q^ale veggaM
il P.r<nMv (ftmiicbeMxiqlQgfA, Berlin iSSfli,
;i. ^9)vJ*Jire/alliei ingannala il Malici
nel,pve/erke/^<J/o, S^t^r^Qq9,w, ((tdi a*
vi S f {F9hc ili b, ve/ i.o^i ; Gii;. V0dis
lOP/ylf Mparwb ruki>e ifi uu>ra a^l^ di Xoi>i
Sa$WfMfH0 :|aulo ivrobib|W% qM^nip iprec^e
probabile aiiella di Fedioyi.SWHKf?0^u$^V>^fnf
oser?a MM^wnmieo p. 35i>, Ma
di ci V:ev;vi4o Ip ^#
Ideile ^eCii^ne a Fealo (f^. )(U V>/p-<*^4> i c i) 4a|
m, ef rfa tic. codd* ^^d <(<:,
7;^, J Rrmm%^^mfn 9mnium% ftodd*
f^^ni n$^m IvofP di.pi/i/iiji. ,he wn* otljiina
ccM^feUMjra del JH^lUei:^^ 4^ //. (^ i| HVoe^
bo cp<Mci^
, k iorte in ., |1 fUci -Wlici
haQBO g a l ^ r i ^ P gi?//erC#^,-r f /f,
QMeala ciinivlogis, c U irgiiealc d* g^.acuH (ip
37
t i l t t T 380
. VI JjtXi Ffktek i o lGit<icar/aM^ sneo
gK^vnkcnlt rjyffeicf<laQiiliitltAii>i^/ il#l. Of<i K
<:( k iiMok c CUi'^noet pot ^
nm ^ubd' ia 4igaur
/ tA*
ctwflS 'Cictr^m ptarsuudrM >^oimit^(d Mtm
irihit^^ ^u%ini ai%ermi4 \esfg^aee&' wUrn^mfe-
^tMm\({ttt^airum eae^oeittS aimm Seftae
'iiifit^ v*erJt(k^iui nmtmhi^iptSw^o^ volt^
ffUQth meiwyfnin>n9mk'/thfMK^^iffafet.i>un
ffopfHiwrm'HeU SoA^cro^f n^ ol tf
7 7 , / Tvfebkrf piMktm's ftN Phc^ oomi
4'Uomv Uitoiuivfronriibwiilr ch^lMMii^
s(| pmei fkeh '^64''divrtMibfi^tftiHc
coiichi^lieC^ lativ'4lo|Ms ^me <1!Un fni
r e M p t r a t c r " ; i WI trni e'Uffi:iilImp eli
ctif ^itVAfMrUto' pnm ' i^ 4fUllfo 'JiiioooMnamt
gnicH legger
V^rucuhk e ' n o pimant^ eiie I*
pnl, di ti* 4pltmv ' dMtli^
MDilev^CyAMA (fArobl>U|Men4tfl/>WaAii^
P. h^cffyhimm^^n^G, ^itikint^; iii>HbJ )>
Oi S^qaa'^b' WreifVtf <(clUI i coJtci slon<*:6re
^ufl i^lt ra^oftfNiK 4 niite Aonm ^itmibe >frti
lf/ ijriifef rAkin/ tviv ii^ritiura'' llvkbiai/
78/'^^'^/> T4H'qetw^di|piM
^/ 0fiA^i^^)BrUl;'*eriKrnnlr0td^ ^llki
4kffpio> # Mailer/ Ti|D<it |iiA, Vttoo^Io H
ata ^<<44
VartiiM lo ' h nt4fo'*Yiitiiic
cftNPtio
txtfafk.
j Hi i jrttsr I f / i r M I t f i U l i
l^iiwAiiiVfw*e' ^nlfcpewfW'brAofbmo
yt dKf^lo; *ywch weifid- iM
ir^NH <5ehr4 n I ' . t j r w , i
llc.^ kr(t/4t\. 7yifri,' tu A AiVto, fo WI^^
ttt^ik etb tytt^n; cfttsitHbtf i^^o^0rifii
^feerSMVo (lfntiititt
Ufirti ilttU rortif, pigiti
eOffrVh! il Mffl l i t tu !o
n *i !^l l tV^e6v j/i i n i / V^ggrt* l ^d fi H i >H e
Fiiif i l l i Vli
6. )i?ey b^fiiit^ . Irt'totgH
:tl s U i y ^ h Ih
FON. Ma>c<nri<//A^, tit ni eijhfu1ek^^l%
/ I/ / ciat, 4'<^##^#. *1 *>*^{\
ma
feMit in|^hr^i #MbVf.V f
gl VM
anche dallo Scaligero nelle
if'i^ts cfuit, k IHid/ n'i^feU^flbe^chc
il K iM ^k te F i irf
) | y ^ / 7Viec/rjit w U. Tt^^at }
n4^ it -SlaNt^ liongisltwiil iJ. tgo
p^tetruiy k^te
Vtfi rati i<n^1t' f beiii
Pmgfh.^lAe^t: '^eot dHt
pre^ * il ' l iiw*b<y e6 5 citipp6>niW^\ Il
olttidir*
Otnm^^ic: \ ^%9^9 i<l
tnrtMilfile Nl>||wificaU dt rkslhrC W^*rt^1oeh1?f
Va^riiW anelvei n l l <i *l fM| rbi :pf^'l l rJf*| 4l ^, *
INfreciTall 1*^ilN>fi>Jelf^a>^ eiOai
lo^b iiiiWftcele rd g M ic^HeoM*^ IbsiW
^ Hi fMMrm, ii Gl ttttthmy K
4tkm,, *\
M^e^a^oai^uinnt, 4t&) CrM H<lalli>
he M finnioM '** ^^HiMpofU fslih^eei^
piA 9fMccUrnNrtil4 qacM S^flar'ff^. Tit<^ *<
V. 5)^lvV|tM^i^iitinb <fHflh'^flt PttnUtie
lttMiim4*;<>oo^^Y#<b<fcsMrU^ /W
tlt/fif^ag^nt0i |l^r^< IMtt drlfctitlels' cBA
^^gg09fh\ che Mtrh^#gl Q^0tM^ t^piffi^
<.0 TemlAe Ja eubi cdici
ttee^i ei mi ^ Dtf ufRMT 'f^H vi
poel, H( '^^ >dirl**1.1 ^e
. 7^*<!. l 4/4<t4 i i b | M<*tyiii d(
VrMMe, tK%VPh<MolYtXViM)*Ipir ^t
fidicolif^^ Oi/I r4to.n< I Si i m n*'l^lli>a tolti-
eiiHe'-^'^imm'/mpv i 'i il *l l MuHWfAV'cdtIM
' 4|* Jict^Uiifiki^Hle palHi farfrtfitW iiK* d-
iRM eofDff^rii delkr<ritUnfficAievd^ <|lraKVMM
oMrree,*di* |>bn4<SaljH^a,'>gW4ietirvi0r ^
lil*le>gp(diif<2i(*Flic; bitnnf Wf; CkJ iwt
fud J n -ixki; en. '^i 4^A *;'
th W ^/ f >favb.<1^ t6p<k^^fe^
tiai >cbi'ftbft-
fuii coom/ B ftoritr* poi b^hcK
lii4 ehbiaii- 'Jla/ / ftW ;'ipei*!fi*':e^^bid\ ne
>< , *4iMW;^ >M*I(V ^'tlot^reiVid
pii\ olW^'*'fnlf^lUi*r(iHjUeliii M*Mt i^tei^ e fe-
llaHs ^h^i ^n\ *'Wfeel>if^tf*Hr l ^Ih^Hire:
Aiihfc Poi& '4Sm e^Ifti l^o; ' nerr offrigli la
iMHlMiVk# HhTvhi^tA'^^^B^gifih^oH^ 6h 'f\ ditt
fli^itkt: P*^ia'<l*la r^grn ^t
tfpilMMtA 4;e|ftiteifte ba fcrft U icbtid
f t^M tnVtf/ M, f^ikHjaby>*tf/ y'<iji
H Pftiilrtri^ ^w r vii, 45;
CbsVi 'F^t^Vifiili ilir
CNldrittfifWifo^'WfiVi'ttilir/KiOho poi
U t^rAitt "|V>^ pefio er-
^m^^Lnptrti; tr! tifeVc. i3' dri. TI rj^geti
I l Cobm/ Hcr le^fciipfrcsUk'fi 'htifiiMViibd tll
litfpeTti; rfhtfjUpt^tH'Bpfcl shrd fa
tikfii^ 616 tiIp^Subf libidi^ Ma'b'hc^i cb qui
i4folU *4iftisa T mifhc iTorfitf airuir he Degli
i^fieW^rtiViiUtigii*?^ <iH rfc^ree k\ laere per
sai
Al LlBBl DI SI, Jt* VARRONE 363
ca/?^a^^.chj^ir ,6<Ti^^re ^pfi^ lPspar-
ri^pc^idente ^} f ?**^^,95
l st^ta .raeaie d '4
^f^ratras ary^pft^,^N^c94^(^i/r<^<W .
y.trgW* N
f 4. ,|I?J.T III; y ^^^rwaljwienr^
iti per^ib delU / Snpofi{aPy ,f^n^oi>o
f(|ch^i^UaUpH.ct I..V .e.|;f|ifc#M^R
1 ^ il F^bsTf ,?/ / ; Jcri#4e / 44
i 5*^abolirli -r TiViVirflPiAUtf ou l^fpaitw
GHaP;!;i(9 ,F.. ^IC<^vOMi | HUll>C4L | j$4(flil)^
A, 5^) r,e^iilrA ceiMi : vpIgM,
^non Ialino, <lc' palombi ; c nl meikiim^
^,,^/ :^ uell^,lGoiiiiinlc4 MVi>t x4WtMorp
(pri^. :>7fia). Sec<MKlQiTfiiiW YwAif,J/34).
U i pi ^l i i ^.4 ^'Ti,Vl^r^.Pltp ^tlilMio MvHhm
ia T. TW 9 , rr^efe<^/ >,irgkH*i^i aift Sahieo^
rum facris iUUr
lp;rc| j*ppljaiirtnfi^;q<3d ^yfeiipn^,| li .7hc),..C .4
^ <lel^.ji,rik>M ilft'Tuii AKf
qi^ # ^Qglii filb^itsi^eU* elimol^fiit icWtt| i
M( 4| ^VarcuiAC.;. po ^ I ^Ure
(1^qi| eiU ftii)Hef^i<pfi>IM4tpe
4 , p . |Mi | i4. tUM; ]^m ^Mpi ip; 4i*
Vf/ rf/ / | ^, ppppofl^ilQiy^ ii^q
^| 4^ij^fiai \ , 4^ ^^,^^
fk(c,I Ho.afggiiKMp.
I>l , percl)^ cfa sj^W MPJc|iv . ^*
^Qiielj,qMCI| li) 4 #^fciiir..pM
| | ^4| ^fUrv. U<LjQeH),m<r
^bbe nRO^n (Iut p! AkauiiCoUic.prfcpfiiiK^t
np M)i(^e J ' .
mj pfcv^ dl.TpUrtf uM%.4mo<;M i|ll<|f|iMM
nf. ,/ ^e ^.cffnae (iVif a Jlv.V*^| eu Y/ i%c.;
l^ibr, L,V)
r^v.f^P
8^ /li^ /4^e& (</^4
fis ; n^ie etlii^iii c^n>| i| | cnicote.JMiP;i(fA
qiUjI^^^lio )' AfCU Cb i ^-(UMiia>iT4A3#Kv
^ cpogeiM^ra iieifMiUlttr
coer^fif^tui^ ndl YttiK j^3(D41 VtkA^
nip je<u ; \ F- <pr<fe<i4r, io G^H/ i^c^reX44rv4>
a, ca4 <rre;| i^ I' priii4<ntv <^hflfc^r
re/ Mf, / cct/ iAr.e<44r , Uiellc AiifiefllHYM4>g;4.
JUiJprp.T fi Vli I^ng04<^ p^ii.Tje9#'
libili iijfil^r.a c<iQriret^; mjiel.CKH,
iiir4iUo c pel feiiso fi^t^lp ,qul V ^ V mihI
d^lle m\Kxt f^\ t^,cof^rtarftir o,C^/:vf^Hr
Ifyj^crQtp^, ^rtipifpiiiijcp (( it|hA,4a<A/
Gelljp 1^, ti9wat(>lpr4 4'4m'Qp^/ 4 444;if^>
U s a Gruecis, .a^OffUn >m^U-<flUf',ppMi^*
ipsicratcs. La voce ;t?pnjfpv^v,^ 4a
s#]/n oot^fl. ctfAvifV'
cme^HHe aUeiiiii;ht4it0ni>w.
ptJ atkiU, U>MftUtr iliiefiile \ coi>Hri.>esnipir
fVt<&9vii4 l'qieOf*>bffaiM raUliliien tU cDMrnK>
to .ipji 4ir ffPa, ^bprinio tle^iAorcmrnpii
volto^Hwertov f *^'MG*mKs chi-pe^ p&h ile ilii-
kit| i, kw m MU ^4^1<'/ (^ *V, ga).* Ii=
.i p iMfiifl^r^ ditsofpan^^dn^9i i ^i . . ^
minima. mamn>^\ m^*Ma9pyi{Qht rrgfeeb*^
Wti eoiuel*nicnlev cpaJ tela tiiMletipae .4 mh
BfMs{<\ n nUn M fT^CetumQ it* F.;: acgtr
Ufi; CfA^iirAe.* itttlUUi t>i f <chiiM*.4i*
o(m9\i* il AlUkr^^di cui J*
laioqe^bf 4 >binno;(UJ^
.1 {^44( Mulfsifi^H^.t Mkf iUftf, i bIU)
4lvMe( IHitieur^} li)..aritec ectfiar^
che| cnfiVc^Nwetf Ue\ ttl(Uoi, eiiiU rf r^Urlo
mm\ o U* ex/ Mm tntiiilts*
^vflilerAvcbc Kmii rin
wh P i i i U i a U i Wt f r f b f f A l / f M i V p o r el ni/^trA/rcAut^^
11 verso d Plauto (i^ftirF9 4t#|4^ ^ 4a, L m^
idnfif%iiiSttlUl^iiH^M tuppA^e unil#^4uc| Jin
qhex cakco%bML 1 V^t faiU,
tf4(SwUiii#>Subiitiia) c 4ai netoinio VTifl
(Vll , 5a)V
li 901 J ?wsi4mm, ydic^mnk\ ^m\ eic^ h^F^<^
dMium ^; ^ il4^honieiiiB^ / eOatov
QaH Qiiii qtt ilfvii. io/ lptl
k'opltrain\ nSiMfiMf id^l^ioaieeert, ;
ifi d9^t^TO\ d^ i>kk MB<irm^ b. Conv^fi4r
-*^jUnn<iii^i;cii<^#4o{nfilfap4 ^^
b%lepfmata^Al Pfpef!wtfl^
ii6 l.<#ficsiloi iw b.'9 icjnd^/ tifi>;>*<iii *. dii*-
dtkd, in F'0^ia&ffciea(lci;
Gbe!Saii-elB'iKnlica/ ornia ^
jiAfa,^rtfiuf(ffkaf% l-b4iiiib4| (*Mi^><4'
bwbik^' flt | trtn<^afh fiip| iiigii.4)i pViml-
tvai sf^wivi>pbs^di^M ' ^ 'dihiciltni enfastf
, jpr4tfOODhdUiidliN^: | >>>efftHbhi tl ^k
; prtpesisipiie nort t firndeVbif / Ohe brA^'
*cAi^opnili ciMipiv ci (potco Min puri t| Hiw<*
UHun t4mbl^1ft^
I l* ^^^rwMLi^ete^^^umk Ir^nidlelirti pfl#
. It^^^oMi i' Fiitos fVv/ hi^r.'lJurA^ViiHriMlvV
CurifiMi \2ahiMm'f9Mietfm, :4iQ^egK4^tf/0ieii
esibiti U GmratiSv ^iteki^itriman^f>^ao/likr*.
: duni^^ifmitS^nsA ^! Tiii0iuium
. YjtrroM tFGb. i aci tnfi a ^ JMu^mimm,
, MUfmjSeif/U: itefue primitin^uiar^m
riarum decuriones*diotis -fui ew wt in siHgulis*
twtmi^sunt tMmnuneiHmnk kmhm* ^k Qptio
; vi>^ilc9 9 '!# kaitdaaini iitialofi, jenoooh.<il
letiq 4ca?ii)rtuQti4ir.\ if;
' Qpaioi aai^^>^itpptlak^r^
I itf Adi^iQr^dittr / ' > 5Ff
s n
T E
m
MHitum; qui ex 9 tempore^ gu^ fMem
lents \^entariomhms ptrmi9$mm ^ermt ^ptare^
etiam tx {aio $rtitu9 >M C/em*
C0S^eie. Goti i4 Mailer x m ancH qui pi
| tiuir.8MiMli^ii.'luru e >|oov probabile ; ptr>
cli i luQ,cfttct: btt. cbepiMfbriiMii coiMervlif
(IdlU fiuit 1eiVoB haotto Oriunm
altri paffl, i^e iKtb rt^ge ^ea d ^h
tgc fC/ Vlv9i^i e |Mr'jMie> ihl ve-oeitifi An^
eh il e u|Cfimto ^ eornm^ prceiitf
aakro berne (poich ti'-coiU. i di Miu#
itn item)^ nini pu feiiif dti*cpiili \b
Mifit!* la tsUtiitine fdU dal MiUer diiifd al
item: ma iiiticm d / atHjk^i cJt/r, chi^
prr4crebtt ^ ^ ^> Ut$titm9^e ul1e
^meat, k tt^nl>fiM>d la caia - l d#bbl^>/lnr
cunk /aifej; ttc, 1' Kb. ur emm ei si i '; 'K
uti tmf eum <- ad ; nc
coddi ad il Vcflrattlo^ MYrgefr^ co
mki atum mdMcmnu #>*haeiia ^ad*comiiiatu\rm
(et d cntiwiBm) vcmii
\ ^9. Pmtper a pmtJ o are. M)ll lgfolf e
pautolmr^' M%nim^ eie,* Atomi i.*#iii^
Ugelli; ini eyioi J Ti prii ii <cdialo>iNanni
mendicus. Vi ai legge poi, guoi cmm (H. cm
etnrif Q^us^'ett^ rmtkts) mtdo est. Il
UikUac acritsej fmmi '^uo ops u miHu Mihiio^
asti cofDevaoo propalb l Scoppio.e U PaU
M t i o t mnwekt qiic^ pfekn^m< minus hUl
ei Me e nloi'dipartU^,^^ierclic4l mgmo diniHm
lirii parct ^cia|eriio i i o f 4i'pro^tifif; -9
affcitlkto %oleulMfi col w 41raddbp
piartiealQ^U yonaoo^tiHi' iti Aifo Uneptob^
bilt i)i#nido'Aon l^eae. <|lMrtn6o Aatfi
ragioitti Kqo ptrr 'che . piaoobroS itieppar
iikif.che4oJDa4iliiil.io pttKibcNicke qM->
fi j^oo ti dcJla>prbiipitUb 4
nendifUft, laf0 oi^fpefaiionai il r^lu.
L" etinKlofi d* laidorofQr^ Xy i ^Sk^>ittpeiiii.
naohc d Ppi, aiiilM>par.loM dalla ^Vrroatr
n, iooilaiidoii neK'4MMl]mdefiimi cooo^lo;;
:pf^ anibcfloe 1 pr^ ddlt paeolw^
Mendicus aci4fc)0gl fud i^inii kmktt
u^dm dcgaU BU iil^n JOtcmM il paaM>di
VanroM po#s|i fAr4iioi{o n.ditgtre^, ln:aAouM edi*<
ftiooi fogguogetl: Bmti^s. fui mmitA boma put
sidet^ ofn per ' codeivi jion Uri ihb,'
Opuienimss ett, D' cdieit qali katmo a; !
eae; alcMc^enlki PaMbele m
codid capiis.Oops rosuoaf iato jU^Priitiaiia
come il conlrario di iaops^, *< ^
.<93. Ho rioMMo inUramenle la ftetione, qoef
uc-icodid ; jcpobah h poato i4 fioalo doptf
utendo. I^Spciigel #fta rivollaMi i*rditfe^
goemmlo'S^iligoe e lo Adoppio : il Mailer a^cta'
ufomo^r AlNC^r^ e miitto ukima^ tdmae.
CiM 1* * detto' Infilila, Jr^tificibus m^uma
cusa rs ; coti pi dloest of hicdiiihio' costrut<
lo, Qa omHin kltim (causa) huie ri festj^
(Sunt/eai^am ^ram radices : e to^^ing^i;
in pTimt>{y. prokum) libr'aperieturI ^>er-
ch delle firoU che dirioUno o cohiighifictDO
ltnp, eimie'folm f ^rbi; IratUi'nMibf^e %t^
gctit, t m^efi^tukr^ ei e altre parole fndi^
duini 4'cierekio'delle taHe alrit, ioAr trbi: 0i
qM ai^parraee ^a*'iife^Mll d^'iioa ' p^coa t&tt^
ii<mi,'chprego 41. leUok-^ ^i '>oY^' lAtrodorre
Mi letto; ci nf otar e Vl to/ i ih nam nell
daueola moka^tdfrtd ac suendo; e'di itii^
' n e l l a ' v e r a M M i rtoh
immediaiaMemU,
I ^.'imilh cimsdi r/c. * ictilto ^o<^i/irifr
er VeriralNto,'^>4W Ju ^Sdop^io, etc.,, ih%og d#
p0cmiri :om* ic'coHei, pcn^h il leiiao fuole
io ceil 5ic que a sptio^ cfci L
Sdojppi^ propoae sui in lugo di spatio. Ila
non to^perc^ 'ti pend a iiniailOrti;' te il priio
etpi'prnfidu eefiibdf i/Miiiiim p^uni crto/;
9^Mirdnate dot ti dnfto fpeHaOh di tintil
1^11^ ut le$4flu, qtllie fiaro1e il Mfliher
pip^e>wn lafttu) il Yvilrbib e lo Siiioppia
o4n /to^lc ivr^ieaH Mi* Agotlin^ gfftah^<]/no
et 9indmetior:* H diiart th) qtMil* giunta'
non p^tlir^ faVt di cbr tapTM'^be
h^uims dieHi ndie *di cM ct>||^ie V'utg. io uon
so edere alcana mancanza, dicendoti anch nel
C. 66 del li hb ige^do legnli qut oeain atti
qiti iHnis legitnt -^ iamen ideM : fuod ttcl Cb't
beffin lcodid j*ma firitto dm^o, j^fbabHrtla-
le ergalo. Il Milllefvolniie niiii>r/c/errr
(che iilld melarono in id es} iride ^st : <na m
quet modo daae poi lenta lo Mlegere ditifur^
non cdeiidnti' prch dica leggere dote T eUmd-
l)fia <dn^e, n>ercbiig|langti diitut.
Itti pat pt probubile che^niHicfii- la voce legu
lus^ e che aia da tcrifefe : tamen idem qafd (
; qui) lguluSr viMdtmiaior^ vH quod^ eie,
[qmms mdmgrniur, C<m (tH. ^ hr^ ac: ; gfi allH
qmas4nd<iar ~^'afi^n( et inventu bou
Icbc m ini onyellura ; ne* edd. Jirit'dm et
inomtm {hi fi9ent) In Scalifefo ' prpote
, 9ena9t peato^ piod sqtieuf* certfiim ad i^en
tum ; H04 a >>entu tHa);i^ia^d<i
it iifd*om^*ie cb*lifci. lo credo''iche* Varhine
aegna^fr^ etimolgStaando, T ordine ecdnnato
nel c. 93*; e per dica che venator dt 'Qenari ;
ifenari poi, che il verbam qibd sentii far,' df
iFe/iiVe tnl laofo ddla prcla c rinvni^l. La
ido ttare'la falttl dell* elimoto^a t cb'nnn ark
if to^lo^afni di Vrroti. Quanto allo tcrivere b
' vttiu^ confrvw Pesta dcti. VI, e
ac'^ntu d^l c. 73 del I; V.
385
Al Li br i d i m. itittENzio v a r r o n l 386
95. Pecas ab eoy tc, 11 MuUer pone iullo fra
parentesi UII' a quo hI pastoribus^ sicch ordi-
(ne sia ; Ab eoquod perpascebant pecus^ et stan-
^difundamentum pes; a pede pecudem appel
. larunt; e nella parentesi legge con TAgoslino
pecunia tn luogo li pecora^ coin ne coJici.
lo ho creduto di tornare alla lezione e punteg
giatura comune) anche per non avviluppHre con
ana nuova parentesi il periodo gi atvilnppatu
di per * stesso ahba$lania. Oltracci mi pare
impossibile che Varron abbia lasciato senzii eti
mologia il nome pecora^ che comprende intero
genere, di cui entra ora a* parlttre; e ripeta inve
ce P etimologia di pecunia^ che gi data poco
pi su (92 sul fine). Par forse strano che si deri
vi pecus da pascere ? Sia pur falsa ; ma certo
etimologia che ne solean dare gli antichi (5ert*.
Aen, I. 435; Isid. Org. XII, 1, 5 e 6; XII, G,
1). Da forse migliore ? Quanto poi al dire
che pecora focabolo generale d ogni bestiame
di pascolo, ci conforme all uso che rie f qui
lo stesso Varrone, Com|Hrendendo sotto questo
genere tanto il bestiame grosso (c. 96), quanto il
minuto (c. 97-99). Veramente strano che ricor
rasi per pecudes ad un* origine diversa, bench
qui medesimo si confondon nell* uso (Quod in
pecore pecunia. . . ; a pede pecudem appella-
runt). Ma Isidoro fa anch'egli il simile, traendo
pecora da pascere^ e pecudes invece da pecu e
da edo, quasi animali mangerecci (Orig, XII, 1,
6). Bnsi leverei volmtieri, come un'aggiunta
volgare e fuor di proposito, I*ut ah eodem pedi-
cam et pedisequum - et peculia tori atque
ovts^ etc. Cos il Muller; ne' coditii et peculato**
riae o\fes ^(b. peculatorem^ c. peculiarie ; nel
cod. del Turnebo^ peculacoriae). Il 'l'urnebo
propose, et peculia^ a pecore, oves, etc, Pectt^
lium a pecore^ scrive anche Fusto ; ed Isidoro
{Orig, V, a5, 5 : Peculium a fiecudibus dictum^
in quibus veterum constabat universa substan
tia ; ciocch ripete anche altrove (Orig, XVI, 18,
4) tum cum pecore^ ere. Ne codici ut cum, e
poi sse invece di esset. Vedi Pesto alla v.
Ovibus,
96. Ex quo Jructus maior. Queste parole,
che a'attaccavano all*antecedente periodo, furo
no qui uifite dal Muller, mutato il qua in quo^ e
V hinc in hic. Di ci ehe segue, parmi inulrle il
notare- le leiioni de varii codici, che secondo il
solito ora omettono le voci greche, ora le stor
piano, ora le scrivono con lettere latine; perch
ad ogni modo non vi ha luogo dnbbio. Vita
luSy etc, Graecia antiqua^ ut scribit Timaeus,
tauros vocabant . Cosi il medesimo Var
rone R. R. Il, 5.
97. Ircus^ etc. Solo in G. hircus. t4Gli anti-
M. Te. VarhonB', della lingua latima.
chi, dice QuDtilianoY//ix/. Or. 1, 5, 20), furouo
scarsissimi dell' H anche inuani a vocale ; poi>
che di^evano oedos ed ireos, n In Apuleio (de
Not, Aspir, i 3 /7. 94 Oja/aJ leggiamo : Marcus
Terentius scribit hedum lingua Sabinorumfe~
dum vocatum,, lomanosque corrupte iiedus
pro eo quod est fedus habuisse^ sicut hircus
pro fircus et trahere pro irafere. Secondo Velio
Longo e Scauro {p. aa38, e p. 2262 P.), Jtdus e
fircus si sarebbero anxi delti in antico uitresl
,^a' Latini, come pur fasena per arena^ e f*r-
deum per hordeum^ e fariolum per hariolum,
L di vero quanto spesso, anche nella lingua Ialina
TF ed il V tengano il luogo dell'aspiraii< ne, c
cosa notissima. Rispetto poi al dittongo ae, che
qui troviamo in aedus in luogo di hoedus., leg
gasi nello stesso Apuleio (De Orthogr. 3 /?. laS
Os.) : Haedus scribit Terentius Varro in li
bris de origine linguae Latinae (oppra^diversa
da questa) quibusdam placuisse per AL diph-
thongon notari,^ ut a verbo edo in quibusdam
suis casibus discreparet (ciocch viiol dire che
alcuni vi ommetievano ) ; aliis vero visum
esse ait., ut aspirationis nota hanc differentiam
faceret, Seni>nch nel presente luogo di Varrone
non parlasi solo di.una difTerenza nelL scriltura,
ma insieme d' una differenza nella pronuniia ; e
se ne raccoglie fuor d ogni dubbio che il dup-
[fio suono ne* dittonghi si'Hceva aucora, almeno
in p.irte, sentire. Bens nel contado (e questo pa
re un de'caratteri distintivi del parlare rustico
dair urbano (Cf VII, 96) smoziicavansi di fre
quente le parole raccogliendo i due suoni dei
iittonghi in uno, od omettendone il primo; e
questo uso, come ci attesta Varrone (VII, gt),
all'et sua era ornai comune a molti per molte
parole anche nella citt. Di qui apparisce come
c perch nella lingua italiana siesi perduta quasi
ogni traccia dei dittonghi latini ; ma.^simanjente
che la lingua italiana, come'volgare e sorta col
cadere della potenza romana, attaccasi pi stret
tamente al rustico che al linguaggio urbano drgli
antichi. Porcnr, etc. Ne'codici : Porcus quod
Sabini (H. Sabino) dicto aprimo (b. p mo^Gc.
pruno) porco poride (AH. poridie) porcus.
prima edizione e pi altre appresso hanno di
cunt in luogo di dicto ; donde il Verlranio for
m : Porcus, quod Sabini dicunt de aprino
porco poridus^ porcus ; e lo Scaligero, dicunt
aprum porcum^ proinde porcus ; e il Popnia,
dicunt a primo porcuni por., inde porcus. Il
Mtiller suppose che le parole aprimo porcopor
appartenessero al ceremoniale sacro de' Sabini, e
le lasci intatte, leggendo : Porcus quod Sahinis
dictum aprimo porcopor^ inde porcus : m
della supposta formala sacra non ^tndi di
38; N 1
38
|iroTMrc in alcun motlu b prohabiliU, n dicifc
rare il senso. Dopo ili lui Uenop, vedenfln che
Varrone, nel de R. R. c. 2y, leriva poreas
la porricerct compoje la lezione, dictus a pri
mo porco porriciendo porcus, 11 Momrosen
(Unterit. Dial. p. 353*4)i *oarit4 opinione del
Miiller (perch espression di Varroue risguar
da certo il parlar famigliare de'Sabiai), e non
ben contento deM proposta delP Henop, d di
suo ingegno un altra Ietione;ed : quod Sa
bini dicunt aprum oporcum^ perimdt porcus^
Gontien dire che quetia lezione paresse trppo
ofvia airHuschktf (Osk. und Sahell. Sprachd.
perch ne cerco un'altra, forse pi
erudita, ma certo meno probabile. Snppone e^li
che in luogo di a primo^ fosse scritto ap pri-
mo^che, secondo la solita abbre?iatura del proy
avrebbe dovuto leggersi apro primOs ma, non
inteso, trasforroossi in a primo. Cos Ih giusta
lezione sarebbe : Porcus^ ^uod Sabini^ dicto*
apro'primo porcoper^ inde porcus {dixerunt).
porcoper crede egli che sia quasi perco-aper^
cio porco nero^ dal greco 'rrfpxej. Ma, lascia
to il resto, basta a scartare questa proposta, il
costrutto che non n rarroiiiano n tollerabi
le. Non pretendo per che la ma lezione sa pun
to pi probabile di questa n d* iilcun'altra delle
anzidette. Mi basta solo mi si conceda non esse
re fnor di ragione il supporre che il nominiitivb
singolare eWaprus solito a interpretarsi per
apros o verres nelle Tavole Kugubne, fosse
apor o aper^ e che nella volgare pronunzia po
tesse essersi contratto in por o per^ al modo che
dalb forma Hfidiettivale apernut sembra esxersi
chiamata perna la coscia dello stesso mainle
scripta e/c. Cosi il Veriraoio segui
to dai pi, senonch il Vertranio ha scriptum
est^ e scripta il Mtiler. Ne codc, scripta [h.,
scriptum) est porce (H. porcae) porco. Assai pi
probabile la lezione dell' Haschlce (L c.)^ seri
pta est nrfxti p (pr) porco; c pi probabile
ancora mi parrebbe^ scripta est rofxir porca.
Del resto anche nel II." de R, R. dice Varrone
che porcus voce greca andata in disuso.
98. Ne'codici : Aries qui (H. quod) eam di^
cebant ares (b. a^gn) veteres nostri ariuga (co
ti F ; gli altri arviga)^ hinc ariugas (HG. arvi
gas ; he. arvigus). Haec suot quorum in sacrifi
ciis exta ( b. esca ef, forse da escae) in olio fin
collo a. molla G.), non in veru coquuntur (b.
vere coquitur)^ quas et Accius (altri Actius)
scribit^ etc, Parimenle pi sotto il cod. Fior, d*
ariugem; %\\%)\t\arvigem. Il Liiidemann nelle
note a Testo a f. 44? racconcia intero rapitolo
irs) : Arits qui eiiam dicebatun areSy veteres
nostri arviga^ hinc arvigas. Haec Sunt quarum
in sacrificiis exta in olia^ non in veru eequun
tur^ quas et Ateius scribit et in pontificiis libris
videmus. In hostiis eam dicunt arvigem^ quae
cornua habeat ; quoniam^ si cui ovi mari testi
culi dempti sunt^ ideo^ ut natura versa^ vervex
declinatum, 11 Mulier non approva la sostituzio
ne di Ateius ad AcciuSs perch sono troppi i
luoghi di Varrooe, in coi troviam questo nome,
e perch il costume di Varrooe non mai d'alle
gare autorit de'suoi contemporaoei. Egli poi
legge cosi : Aries, quod eum dicebant dfip ve
teres^ nostri arviga, hinc arvignus. Haec { per
ffae inteso d hostiae) sunt quarum in sacrifi
ciis exta in olla, non in veru coquuntur^ quas
et Accius scribit^ ete, lo era incert, se dovessi
scrivere areis^ come ho fatto, o non piuttosto
>, come avrebbe sugger lo Donato {ad Ter.
Phorm, l\\ 4* 29), il qual dice; Haruspex ab
haruga nominatur ; nam haruga dicitur ho
stia ab hara^ in qua includitur et servatur: ha
ra autem ei/, in qua pecora includuntur. Al-
omissione dell* H non era forse da badare, scri
vendosi anche aruspex ; tanto pi in Varrone.
Similmente almeno dubbio qual delle due for
me qrviga od ariuga^ per tacere dell haruga di
Donato, sia da preferire ; perocch sono scritture
che ne codici si confondono f^cilissimamente ; e
se nel compendio di Pesto troviamo Uarviga di
cebatur hostia^ cuius adhaerentia (?) inspi
ciebantur exta^ troviamo in vece io Velio Lon
go {af. aa33 P,) approvato harispex, in luogo
di haruspexy perch iu hariuga,, dic egli, che
u* l origine, sta propriamente . Chete par
migliore la scrittura hariuga,, si potr^ credere
per la spiegazione datane che questa voce ti fa
ceste composta da hara e dal verbo iugoo tan
go^ dicendosi degli animali che teneansi legati
Ila mangiatoia; e per avrebbesi un addiettivo
variabile per tutti tre i generi ; nel qual caso con
verrebbe in Varrone Sostituire hinc ariuguSs e
pi sotto In hostiis edm dicunt ariugam -
ideo ut natura versa ete. All iVeo, i rodici pre
mettono un et che il Lindemann, come abbiara
veduto, cangia in sunt^ attaccandolo al dempti;^
il Mitllrr ha per indizio d* un vto che riempie
scrivendo et cornibus care/. Il Vertraoio propo
se est ideo... declinatus; il Rutgers, ei no'
nten . , . declinatum.^ il Gottofredo, si cui (come
poi il Lindemann). . . dempti ob id . . . declina
tur. Non so se Varrone intenda di trarre intera
mente vervex da verto^ o dall unione di versus^
di arvis. Nel secondo caso si avrebbe un forte
argomento in favore della forma arvis^ arvigis^
anche pi sopra.
99. Catulus catulus. Cosi il cod. Kir. ;
gli altri omettono il lecendo catulus^ di cui per
3*9
Al LIBRI DI M. TKRENZIO VARRONE
3 j p
bc. Iifctann lo tptto. Credo ?i debhe stare, pr<to
come addietlivo diminu ivo di catus. Quanto al
seoJo, che qui ilato catus^ di sagace ed acuto,
ci cooforme alP inlerprelatioae che ne Ironia
RI anche nel c. 46 del I. VII : ma fa maraviglia
il reder derivalo catulus immediatamente da
catus^ dove nel e. del 1. IK si fa discendere
catulus^ come prima forma diminutiva da eanis
corna aliquod. Cos cungettur il Miilier;
ne codici cornua^ o cornu quody e poi dtntt in
luogo di dtnt nocticuhus una mia congrttu
ra ; G. nocticulus^ Hbr. noctucuius ; tV e il
cod. del Turneho, noctulucus, II Miilier ne fece
noctu lucuque ; lo Straligero nictaculus o no-
lo Spengel dubillivamenie, noctuvi
guius. Tuttoch nocticubus sia voce nuova,
tuttavia regolare, e sembrami couirapporsi bene
al correre iu caccia, secondo che dicesi del
giorno.
loo. Cosi i codici, tranne il Gothatio, che ri
volta ordine e di pi confonde con questo il
seguente periodo Tigris qui est, eie. Tutti poi
daimo panthera nel primo luogo, e panther nel
secondo; e -panther soggiungono et leaena^
che in GF. ricumparisce sul fine, dove abbia
mo posto, seguendo lo Speugel e i.l Muller. In H.
omesso et muliercula pantheris, Sebbeire i
codici hanno lutti panthera nel primo luogo^ e
Varrontt stesso ntl I, IX, c. 5>, non riconosce per
voce d' uso che il nome di panthera tanto per la
femina quanto pel ui%9chio ; tuttavia ho mutato
di luogo panther t panthera ; 1.perch in un
passo, dove tutti i codici *confessano una qualche
confusione avvenuta ndia collocaiione delle pa
role, una licenxa che non pu ragionevolmente
negarsi ; a." perch Vexpressione muliercula
pautheriSy seppoiie prima panther,, essendone il
genitivo; 3. perch panther^come nome del
maschio, corrisponde al greco ; e il nome
delia rete senta dubbio panthera. Che se Var
rone non riconosce aliruve che un solo nome per
ambedue i ses<i ; ci ragguarda la consuetudine
comune, cui per cre<lev che fosse uffizio dei
dotti il migliorare col proprio esempio : seozach
io quel luogo escUidesi soltanto la forma panthe
rus. 11 Muller credette mcf^lio atteuersi all* ordi
ne del cod. Gmomettendone per le ripetizioni ;
onde air utraque Graeca fece tosto seguire et
muliercula pantheris et leaena; e form un
nuovo |>eriodo dell a quo etiam et rete quod-
datn pantheK et leaena. Pare adu4><|ue* eh* ei te
nesse pantheris come il feminino di panther ; e
leaena come nome di rete : ma nd ambedue i
supposti manca ogni fondamento qui vivus
capi,, etc. La tigre, per testimonianza tli Plinio
N. M. Vili, 17, 65, fu per U prima volta moslra-
ta in Roma da Augusto nel consolato di Q. T u
berone e Fabio Massimo, cio anno* di R. ^
Ursiy etc. Cf . VII, 40 camelopardalis^etc.
La giralTa, si vide per la prima volta in Roma
ne' giuochi Ci rcensi, dati nel 707 da Cesare dopo
vinto Farnace (Plin, Vili 18, 69; Dio
Cass. X L l l l , 23). Varrone adunque scriveva que
sto libro nel 707, o poco appresso ; poich dice
nuper.
101. quod hi Io H. T f , in G. ce-
;?ron, negli altri apros. Ho posto e non
xenrfo<; perch Varrone usa declinare anc he !
nomi greci, serondo vuol e il costrutto. Forse era
meglio xfl^for Cervia etc. In luogo di gerviy
che non un nome, ma una iorma etimologica,
come^tant' altre che abbiam trovato, i codici han
no corvi G in C mutavit in GHac ; in Fb.
mutata. Il Muller prefer la prima delle due le
zioni, perch Varrone usa i nomi delle lettere nel
genere neutro. Del resto la seconda lezione da
rebbe un andare pi spigliato al discorso ; n sa
rebbe gran cosa sostituire mutato^ dove pur fosse
certo che Varrone non avesse mai usato i nomi
delle lettere nel feminile, di che avremo a far
qualche dubbi o quod Siculi quidam, etc.
Ne oodd. Siculis. Parimente nel 111.^ de R, R,
c. 1 2: L. Aelius putabat abeo dictum lepo
rem^ quod levipes esset ^ ego arbitror a Grae
co vocabulo antiquo, quod eum Aeolis Boeotii
Xf vof i r appellabant; e in un frammento Rer,
Divin. allegalo da Aulo Gellio (1, 18): Non enim
leporem dicimus^ ut ait (Aelius), quod est levi
pes ; sed quod est vocabulum antiquum Grae
cum illuc tulerunt HG. , in bc. tulerant^ in
F. tulere, in a. manca.
102. Proxume, etc. Ne* codd. proxuma o
proxima; tenonch quei del Vittorio avevano
proxime^ e quello del Turnebo proxima me.
Cf . VII, 3 ; Ballast, lug. 22 ; Cic, VI ad Att. 5
ad. Pinus. Sebbene i codici non notano
qui luguo ; senza dubbio v' , e giustamente la
notano lo Spengel e il Miilier. Forse dice lo Spen-
gel, Pinus^ quod Graeci alcun che di
simile.
103. Quae in hortis,, etc, in G. ortis; in tutti
gii altri Aor f . H. nota laguna dopo la voce ruta
e dopo appellant ^apum pose qui il Muller ;
ne' codd. radix: lo Scaligero, urvXo'(, Xa^^tov^
'fehrc/{. Anche de' seguenti nomi la grafia c uu
po' variaU ne' eodici : non per in modo da la
sciar luogo a dubbit. Tranne vir^flrvory niun altro
nome d i indizio di lettere greche.
104. ut praesica congettura del l u r j i e b o ;
ne' codici passica o blassica o vrassica, SimiL
mente in Paolo : Brassica a persicando (al. per
secando^ dicta avvfyef, l o F. asparagus;
9 i
ili Gbc. onisio, niiJe pare che bvcse mere
xcrilto con lettere ffreche Dictifructus^ etc.
"oliiamenie atlaccevasi il dicti al periodo prece*
ilente. Nel c.^y rati dello parimente: Quod se
getes ferunt^ fruges ; a fruendo fructus et
eae <juns quae^ etc. 1) quatk uu'aggiunta iatia
dal Miiller ; ma par necestaro ad exta ollico
qua una coDgeilura del l'urnebo, accolta anche
dallo Spengel e dal Miiller: in Fac. extaollico
quo., in G. exta elico quo., in H. extra olito quo^
in b. ex tao lieio quo. Leggeii in Paolo alla v.
.4ulas, usata anticaroenle per ollas : Aulicosia
(aulicoqua) exta^ quae in ollis coquebantur., di-
Cehanty id est elixa. Confrontisi il c. 98 di que
sto medesimo libro.
io5. Del tIIo trattasi (ino al c. 113 ; da que
sto al i i 5 del Testil o; poi degl islrumentt belli
ci, doniestics rustici ; da'quali si passa agli edi-
fitii^ c da ultimo alle roontte. Vero che, trattan
do degl* istrumenli domestici, ritornasi a cose
pertinenti allestire; e ci che dicesi dei letti
(167-8), starebbe'(orse meglio ove parlati degli
arredi della casa ; e pi cose che risguardano ftib
brichc, non aTtebbero sconvenuto alla prima
parte del libro, ove trattasi de' luoghi. Di qui lo
Spengel (Emend. Varron, p. 17) trasse argomen
to a credere che alcune parti sieno uscite del loro
luogo, e s'ingegn di determinare il modo, in
cui dovrebbero riordinarsi. Ma giustamente nota
il Miiller che, se si fosse confuso ordine de' fo
gli, impossibile che non se ne trovaste indiiio
in qualche parola o riausula rutta. Che ami la
facilit de trapassi d argomento a credere che
non siasi spostato nulla. Poichi dal vestire en
trando in materia d istrumenli, si comincia dalle
armi che ton quasi vesti del soldato; e quando
dagl' istrumenti ritornasi al vestire, la toletta
donnesca che vi riconduce il discorso; e de'letti,
poich la consuetudine antica auegoava loro uu
quartiere a posta nelle case, fu ragion di parlarne
fra gli ediiiii e le loro parli ; e (inalmenle fra gli
edifxii era impossibile non toccare un poco dei
luoghi, e fra luoghi degli edifizii ; ma per quan
to era fattibile, queste due Iratlazinni procedono
distinte quod ita Graeci. Cf. . 1 codici
hanno poi aqua, che lo S*'ioppio mut io aquae
^ Panis. . . panus. Il Miller piglia qui panus
per genitivo retto dayi^iira, secondo \\pannibus
d Lnnio postea. Cosi il Miiller ; i codd. ^o
steaquam ; il Vertranio e lo Sdoppio posteaque
quod Graeci id Cosi ho scritto, se
guendo pi presto il icnso che la lettera de'co
dici ; perocch in luogo di yitfitv il cod. Fior,
d KPOKKN, H. KPO ; negli altri laguna. Cre-
desi coraunemente che, do(v> a quo a Graecis
quoque granum^ manchi la voce greca corrispou-
N O T B
dente a ^ra/ifim,che dallo ScJigero' dal Beoti*
no supponesi : ma i codici 000 v' hanno
alcun segno di mancanza ; aenzach , trop
po Jontan da granum. In luogo poi di xfoxiK, il
l urnebo propose ; non tenne per tmpo5
libile che lo stesso x^xn dal Vignificato di sabbia
potesse essersi trasportato a quello di grani e
granaio. Qualche affinit con granum avrebbe
ro anche yiya^rw^ orawo il raddoppiamento, e
X^oi : tua Varrooe, quauto corrivo nelle de
rivazioni dal latino, altrettanto dee aversi per
malagevole nelle derivazioni dal greco, lo boiup-
pojito che unde id dictum nog raggaardi l o
rigine di granarium k granum^ma d granum
dal ger e congeri nel granaio, Inttoch la parola
non vi sia espressa. Ma da una parte non so cre
dere che autore abbia tjui lasciato la voce gra^
num senza etimologia; e nferire a granarium
I' unde id dictum, mi pare una prolissit stuc
chevole, contraria al far di Varrooe: da altra
parte mrhe nel 1." de R. R. c. ^8 egli stesso de
riva granum da gerere ; e questo verbo, suppo-
Sto dal condere^ gli potea qui sembrar facile
sottintendersi. Ci posto io non poteva non cer
care nel x^Kiv una parola affine per significato
e suono al gerere., siccom' yti^tw Dictum
et in quo., etc. Forse etiam in luogo di ef, che
per manca a pi codici. Del resto la voce Di
ctum suole unirsi al periodo antecedente hor
reum ab hordeo. Ne'codd. horreum (c. /lor-
deum) ah horrido. Credo che debbasi leggere
pienamente httrreum ah hordeo; AorJ^m(ov
vero id) ab horrido. Certo fu questa l'opinioo
d Varrone uel libro de.origine Linguae Lati
naey dove, per testimonianza d' Apuleio (De Di
phth. 38, p. 107 Osann,)., egli traeva horreum
da hordeum^ e questo ab horrore. Il Miiller stac
c dalle precedenti le parole, Hordeum (cosi
legge in vece di Horreum) ab horrido; e inco
minci con esse il nuovo capitolo.
106. Far a faciendo. Cosi ne' codici*: il Miil
ler a farciendo, intendendo de'porci che a'in
grassavano con la crusca da'loruai, detti peir da
Plauto sc^ophipasci priusquam essetur e le
zione d^ta dal cod. del Turnebo : negli altri we/
ut od esset. Essem per ederem ricordato gi
da' grammatici, e formasi al modo stesso chee^ie
da edere e comesse da comedere.,
io>y. Hoc quidam^ tic. Il Monomsen (Unte-
rit. Dial. p. S5a) sospetta che s'abbia a leggere
Hos frequentati un' emendalione dello
Spengel ; ne , frequenti unito il seguente a.
In luogo poi di semilixulas., in Ha. stmixu
laSy in G. simixulas ; ed li semixulas o simixu
las acceitnano pure b. e c. che hann9, ^^raissu-^
las il primo, struxulas il secondo dicti globi.
39J
Al LlBKl DI H. TERENZIO VARRONE
34
Ne'coi l d. dicti a globo globi: ma a^globo una
DOtile chi os , perci omesta tlal MuI Ur ut
corum et uritur. Cos io abr. negli allri exuri^
tur. Varrooe ipiej^a crusta^ quasi fosse coriu^/ a,
ci o corium ustum. Nou so perch il MuHer ab
bia sosl il uil o per congettura ut cprium exuitur.
loS. JJoc prjmum debuit^ etc. Simile omi s
si one dell esse trovasi col potest (V. 38, 9 6 , 1 1 8 ;
VI , 58, 6 0 , 6 8 ; VI I , 58, ^5). 1 codici danno poi
coxeus in luogo di coaxeus^ che congettura
(lei Verlrani o in qua trant poma. I ntendi in
quo genere ; modo usato spesso dii Varrone
r e/ V . I l i ; VI . 2 , 55, 8 a ; VI I , 2 6 ; X , 8 , 4 )
quorum a genere^ etc. Cos i codi ci; e |l senso
| >armi chi aro e giusto. Solo scriverei volentieri
quorum a genere et cruda oler ; tanto pi che
confuso spesso per la sua sal i ca scrittura
colla semplice e, poteva essere facilmente omessa
dopo d'unae. I l Olulier soMitu} bench dubi
tando, qaare degenera terra erueretur
coDgetl ura del Turnebo, acculta didlo Scioppio e
dal Mi i l l er: i ccmIc, pi o meno correttamente,
<iauuo terrae rure Attici orchin moriam. I n
FG. Attico^ donde lo $peugel e il Mai l er l eggo
no negli altri antiqui o antiquam. Di
poi iu FH a. orchenmora^ in G. orchemmor^m^
in c. orchemor^^ in b. orchemoa. 11 Butlmaift
ne fa il composto \ il Miiller rchinto
morian 11 pri nci pio, di questo capi toletto
cos allegato da Carisio (Instit. Gramm. I , p.
Keil) : Varr ad Ciceronem V pulmentum aiV,
quod id cum pulte esset; et inde pulmentarium
dictum.
1 0 9 . Ut suilla^ etc. Cosi il Mul i er; oe'codd
est suilla : e poi ab illis in luogo di ab aliis
Hanc primo assam^ etc. Cos abc. ; negli altri
HinCf etc. et inde., Coi i ii Mulier ; ne codd,
et ideo et ideo sudando .assum destillat ca
lore la l esione de'codi ci ; senonch FU. hanno
sudandum^ e poi calorem. 11 Mulier sostitu : et
ideo sudando assum destillat humorem ; ci oc
ch suppone oso attivo di destillare^ ,che i n
certissimo. l o terrei volentieri assum per una
chiosa, e tcri verei : et i i (U. ide) exsudando de
stillat calore, ^ol a poi a ragioe il Mull er che
il discorso sembra qui volto a moi l rfre che uvi-
dus^ sucus^sudor^ ed mssus son tutte vuci sorelle
(CJl ) e quanto alle tre prime, non c' che
opporre ; roa di assus^ chi !o pu credere (Cf.
). Vero per che assus vale aoche general
mente secco^ privo <T umore,
I IO. saliere in c. ; negli al tri salire. Ma an
che Diomede (1. p, )\ P.) cita questo luogo ad
esempio di sallo per salio^ cri veodo : Varr
ad Ciceronem V : ut servarent sal lere. (Cf. ,
alius ; poTkofy folium ; ^ saio^ etc.
Tegus in Ila, e nel cod. del Turnebo (Cf.Plaut,
Capt. I V, 3, 2, e il Gloss. CIsidoro) ; negli al
tri tergus Ex abdomine c on' i ogegooi a cor
rezione del Mul l er; ne codd. a nomine. Senon-
ch abdomen vi si dovr prendere nel suo pi
largo senso ; perch picio (VII, 4) distingue
espressamente \t ofelle dall addome, e Varrooe
t\eto^(de R. R. 11, 4) aderenti alle costole.
Il seguente dieta manca a tutti i codici, toltone
il Fiorentino. Anche e sucre una correzione
dei Muller, fondala sul cod. del ' lurnebo, che
aveva minimae suerae ; negli altri codd, mini-
ma, o nimia^ suere^ o suerae. Quanto alle forme
sueris e suere^ veggasi ||. 74 *
so per qual negli geoza d^Mt ampat or e o mia, fu
omessa la versi one di questo peri odo, che era :
Offula^ come piccola offa^ la braciuola^ essen^
dona il minimo taglio quod ea large fartum.
Cos il Rolandello, e pi altri appresso; seooo-
ch v'attaccano ci che segue. Cos punt il
Turoebo. Ne codd. /r/iV, e prima eo ad (ab^o
a) large. Sappiamo principal mente da Piioio che
le bacche del mirto teneaoo luogo auli cameote
del pepe.
111. Crassundiis voce nuova, ma data dai
codici, j eooi i ch rGHac. hanno crassundas. Il
Muller la iuterpreU per le budella maggi ori ;
onde le premise un e noiv dato da codici : ma
lutto il contrario prescrive Apicio 11, 4 P^r la lu-
conica^ volendo che il budell o.sia perquam te
nuatim productum; senzach il contesto par
domandare piuttosto una qualche determinazio
ne del ripieno, prl quale Apicio raccomanda ab
bondantt grassume. A questo senso mi parve
acconciarsi e origine e la terminazione di cras
sundia ; non per che il preciso valore non u
resti dubbio. 1 codici hanno poi lucanam^ come-
ch il nome comune sia lucanica quod non
ut reliquae partes lezione dura, non ostante
aggiunta del non fattari in dal Verlranio^ For
se quod non utraeque partes^ o qualche cosa
simile. Non >inveriaimile che anche questo nome
4'i.Jundulum. viva ancora nel nostr hondolu,
come murtatum in mortadella^ e lucanica io
luganica ^ in extis : ne* codici ocftessa la in
^:Jn quo. Cos il Mi i l l er; ne codd. A quo (a.
Ab eo) in eo. Confrontisi uso fatto dell In quo
nel c. 108. Se d o f o n quo^ che par mutazione
necessarii, convenga o nb conservare l ideo che
raccoglierebbesi dll i/t eo, non so ri solvermene.
Hillaef scrive Acrone (^d Hor. Sai. II, 4)
dicuntur salsa intestina hirci: positum est di
minutii^e haec bilia ; quidam in diminutione
neutri generis esse dicunt: alii dicunt farta
salsitia ; e il^commentatore Croqui ano (ivi me
desimo) : Hilla est deminutivum a positivo hira.
395
N 1 li
3 9 G
et significat intestinum salsum ; ie/, ut alii
dicunt^ fartum salsitium, Alii dicunt hiMum in
neutro genere ab hilo, id est parafo seu minimo.
Pel framroento di bnnio, vedi la nola al c. 60
longius quam duo illa. Coii Irasa^ro d' loro
codici i! Turucbo c Agostiuo : lo SpengeI e il
Miiller ritennero hila^ com iImnegli altri codi
ci. 'J'rovaai anche longano e longabo e longao :
ma queste torme ipiegaiiti tulle da longax^o ; non
viccTema.
113. La letione di queato capitoletto fu cos
sanala principalmente ilei l urnebo, che tosti lu
Augumentum (Ghc.) od Augmentum (FHa.) ad
Agumentum o Aramuntuin^ come leggevasi ;
ed augendi causa^m agendi causa (i codd,
tranne quello del Turnebo) ; e addit magmen
tarla in luogo di montana (FGHa. mentarea ;
il cod. del Turn. cuntarea ; bc. montana)^ ed il
lustr il signitcato di magmentum (tiHabe. e il
cod. del l'urn. magnentum f F. magnetum). In
porriciendo poi una congettura dello Spengel,
accolla anche del Miiller : KG. danno in porien
do; Hac. impartendo ; b. imponendo. Il Salma-
fio (Exerc. Plin.p.^. 129. difeae la
legione magmentaria cana^ che trov in un co
dice (Cf. Glossar. Philox,) : ma * de'cane
stri sacri tt questo effetto, secondo parve al Miil-
ler, non credbile ne' tempi, cui accenna Var
rone. Di magmentum la spiegaiione, credo, pi
pieu quella cbe troviamo in Papia, e leggesi
un po* guasta auch nel Glossario di Placido:
Magmentum^ dicesi ivi, alii pinguissimum in
testinum ; alii secunda prosecta, Cornutus
vtro^ quidquid mactatur^ i desi distrahitur.
Confrontisi Servio Aen, IV, 57, ed Arnobio nel
1. VII kitorno alla metft Matteae. Cosi il Mttl-
ler, seguendo il Popma : ne'codd. matheaes mat
tae^o mactae., ometto in qaalcuno tl dittongo.
Che il corritpondente greco fosse da scrvere eoa
lettere greche, n' ioditio la laguna che in pi
codici, ed Hche ha : il Fiorent. haMATTYB.
Prima di questa Toce mi parrebbe meglio Grae
ce, cdihi in a. Item a Graecis^ ete, L' a
manca a* codici ; in FH. graecis ; negli altri
graeci. Solo in F. si legge Aaec, 09um^ bulhum;
in H esse^ nef li altri f, in luogo di haec ; e poi
in GHac. ovum soltanto eoo ona lagona, ii b.
uno spaxio vlo per un vocabolb. Probabilmente
a questi due egoivano ^i altri nomi di cibi ve
nuti dal greco ; e invece di bolbum da aeriver
bnUus {0$), Lascio aloone altre minote ve
neti di letione. Qoi potrebbe riferirsi ci che
leggiamo, bench guasto in Apicio VJI, la: f^ar^
ro inquit (v. W i^iid) de bui^s elixis (v. dixit)
in aqna {9. in aquam) quod veneris ostium
4fuaer&nt ; drinde ai legitimis muptiis in coenm
ponuntur^ etc. Il patto di Varrone sarebbe a un
di presto quetto: Possunt tamen et bulbi a io/-
po, dicti\ quod elixi in aqua Feneris ostium
quaerunt ; quare^ eie. Ma pi probabile che
foste d'altra opera.
113. LaniKt ftc. Anche il cumnnr ab
bastanza vicino: tuttavia sembra accennarsi piut
tosto Affro( (Doric. uuto anche da Eschilo
et poenicum. Cosi il Miiller, ricavando et
dalla terminazione di colerent che sta in Habc.
in luogo di colore (FG). Ho conservato, parimen
te col Miiller, aliata^ coro* in GHabc. pereh
pu riferirti a purpura^ o toltinlendervisi vestis.
In F. allatam^ da cui fasti allatum-^ quod tra-
meat frigus^ etc. Cos il Turnebo ; ne' codd. tra
mat. Tanto te pigliti trama nel tento volgare
fServ, Aen. Ili, 4H3 ; Isid. Orig. XIX, 29, 7 i
Papias)s contervatsti nella lingua italiana, cio
per lo ttesso filo (Subtemen) che t'incrocia al-
ordito ; quanto te tpieghiti nel tuo proprio e
stretto tigniBcato per tettitura,; non ph negarti
che qoetto luogo di Varrone non offra qualche
diffidolta. per migliore, come not il Votao,
la lezione de' codici che qual si sia delle emenda
zioni proposte : batta allargarvi il concetto di
trama alP intero tessuto, ed intendervi ona tra
ma semplice, che difficilmente pu ferrarti tanto
che non li rompa.
114. Panas^ etc. Cos oe'codici, mlfo il
leggerviti ubi in luogo di ycit, e pannus in luo
go di pannus^ e Graecus non Graecum, Ma chi
non tenie che queste motazioni, aggiontovi an-
che te Yuolsi,^c</ invece di fecit che noo vi ala
in nessun modo ; non son per safficienti a dare
al ditcorto un andar giusto e naturale? Nella ver-
iione ho tuppotto cbe la letione tia: Pamus
Graecum, qui (avverbio d'istrumento, amato de
Varrone) ea (vestimenta) fiunt ; e mi par meno
male. 11 Mailer mut anche la puntatara, e tcrit-
se ; Pannus Graecum, Qui eum faciunt^ pan
nuvellium^ etc. Ma pannus in questo aento eoo
parmi che si dovesse dir greco; e come nai se
condo leogo (a panno^ o pano) panus certo il
fuso, intoroo a coi sta avvolto il ripieno; ooai
parmi cbe anche nel primo luogo tanto ricino
non posta avere altro tento. Quanto poi al rad
doppiamento deir/i, non da Csrne caso; perche
tra panus (Tiiraf, doric. -rerei) e pannus ti tro?
quati sempre la conftttioe medesima ; e qui pure
a. d pano., ed F. panvelUum^ ed H. panuve
lium.t e al c. io5 G. pannus, gli altri panus
PanuveUium voce d'iucerta scritture. Oe* co
dici, quiil vi raddoppia la n. quale la qual tutte
e due queste lettere, qoale nceauna ; b. poi he
pamullum : in baichio, secondo la pi probabile
kzioof, wwfotmXtos (in ') ; nel Gloitario
397
Al LIBRI DI . TERESI O VARRONE 3r>8
di Filoueno, panucellittm. Altre forme dimina-
live di panuJfy equtvaleuti od ligoficato,
panuly panulaty panuliae, paniculae^ panucu-
lae^ panuelae^ che Irofiamo iu Paolo^ >o Nonio,
io Ifdoro, io Ptfpi Tunica^ etc. Aoche qui
ha qnalcbe iocerlczia : il lecoodo tunica soole
staccarsi dagli aotcceJenti, come si soggian^esse
in tunica ut induca (in b. indua^ negli altri
codd. indica) una secnda etimologia di tersa,
che olterrebbesi per via di metatesi da induca^
Forse da soritere : Tunica a (o ab^ cora io
F.) tuendo corpore tuica^ aut induca. Di que
lle forme etimologiche, che oon soo da pigliare
per voci d* uso, oe Irotiamo parecchie.
115. Parteis in F., negli altri partis ; vor^
sas io G., oegli altri versus; asta per hasta in
lutti ; umboneis io F, come poi amboneis^ dove
gli altri hanno ambonis. Ho scritto ambones col
Mlier; perch in una Toce greca probabile
che siasi tenuta uscita greca, eh' era anche la
tin.
116. ah hostium cladem GH ; ab hostium
clade c. ; ad hostium cladem^ che mi par da
preferire, gli altri. Del doppip genere gladius e
gthdium^ reggasi il 1. IK al c. 8i ab ornine:
ne'ciidd. ab /jomi/ie, aperto errore emendato gi
dal Vertranio. Similmente nel c. tSg, a bona
ornine appellarunt Gallica e ferro, .. .fer
rea tunic. Cos il Mailer: ne'codd. Galliae
(FGU. nel cod. del Turneb gallia e, in a. gal
lie^ in e. gallia^ in b. gallus) ferro . . , ferream
tunicam. Acceuoasi, come nota il Miiller, Ila
corazza Xurt^mrn^ che anche DioJoro (V, 3o)
ttriboisce a' Galli. Proprie lorica^ dice Servio
Aen. XI, 679, est tegimen de corio^ tan^uam
de loro factum ; quo maiores\in bello uti con--
sueverant Balteum^ etc. Bench oon si noli
leuna Tarieta di lezione, credo che la second
volta s'abbia a legger bulteum^ come forma eti
mologica di mezzo tra bullatum e balteum ; al
trimenti una ripetizione inutile. Del resto il
medesimo Varrooe altre volte diede balteum per
Toce etrusca ; e us anche ivi nel genere neu
tro (Charis, Jnst, Gram, I p. 69 P,) quo
muULt etc. Cosi il Mii>l^r col Vertranio e col
Goltofredo : ne' codici quody che dovea torse la
sciarsi stare, avendosi anche galerum neutro
(Ser\\ e gli Scoi Veron, Aen, VII, C88) e amao-
dosi da Varrooe uti col quarto cafo. Queste
berrette di cuoio in cambio di elmi, sono de
scritte anche da Virgilio (l. c.>, feJcl pittore delle
antiche memorie. A questo luogo di Varrone, iu
cui tratta delle armi, dovrebbe riferirsi il se-
guenie passo di Lido (De' Magistr. Rom, 11, i 3,
116) : '/9;^ nrarfitti oi xai
$\rtof ToV XtKTrnfa Xiywar rti eXnv ru
ti fienai oi rLof nafraju^forj r yrf 'tXj-
xafra idifri/af ' ort
Ta,aaieV rouri r ^ir/uri9r> o Tw-
BaffMir Ir fltflXi^ ^ ^ifi 'Fa;/Lfai-
jtjfi ^taXixrovj V ^taf^fSurat voia Xi
iariv A'ioXtxiit ) xai ori
M f a tf />>
ctryxv^liomw yCv ^^ ^ ri
$3 Ma ne qui n altrove (roviam
menzione di questa voce gallica, cartalamia
(cos oe' vecchi glossarii). Diremo adunque che
sia qui lacero il testo di Varrooe P 11 MUller cre
de piuttosto poco degno di fede lo stesso Lido ;
ch certo uella descrizione, eh' ei oc U qui, oei-
SUDOricoooscerebbe i libri varrooiani sulla lin-
gua latina,.per quanto laceri si vogliano sup
porre.
118. Cillibam propriamente ne'codici, fuor
ch in b. che ha cibillam ; ed voce da non du
bitarne, anche per la testimonianza di Paolo e
per l ' equivalenza del greco xilkifiai. La falsa
etimologia, che ne di qui Varrone, trasse in in
ganno pi critici e vocabolarisli, che imaginaro-
no la nuova voce cibilla ; bench non sia questa
la sola volta che Varrone ricorre a metatesi nelle
etinologie. Bens nel secondo luogo forte da
leggere a cibo cibilla dicta^ come forma etimo
logica e non pi. Cibilla hanno ivi in fatto bc.
^et quod quaey etc. Cos il Muller con lo Sciop>
pio ; ne' codici senza il quae ; e poi dici^ non
'dicta che una probabilissima congettura del
medesimo Huller ^C/I V , -38, 96; VI, 68, ec.).
Questu luogo cos ricordato da Carisio (Inst,
Gramm. 1 />. 43 I*) ' Memam sine n littera
dictam Varro ait^ quod media poneretur .... :
sed et mensam cum n posse dici idem Varro
ait quod et mema edulia in ea [esco
lenta\ ponerentur (Recens. KeiI). Che della
innanzi all s facciasi poco conto, ci per la
pronunzia romana, di cui ri danno indizio le
scritture Cos, per consul^ toties e totiensyec.
(Cf. V, 38) ut troula, trulla*. Che Varrooe
abbia scritto troula (Fabc. forse anche G.; in H.
torula)^ non truula^ naturale pel concorso dei
due o. Mi iispiace d' aver poi aggiunto col Miil
ler il trulla^ che non u'codici ; .** perch pu
restar dubbio, se Varrone per avventura ooo usi
talvolta incorporare due forme congiuntive in
una, sicch il quae quod equivalga a quod haec
(Cf\\\y 76; LX, 61, 68, ec.) ; a. perch ad
ogni moJo ut troula basta a significare est
quasi troula, Siniilmenle il Muller aveva scritto
pi sopra, sema fundamento di codici, quod po
nebant pleraque in cibo mensa^ mensa rfi/w-
Xnv una curigettura dello Spengel accolla anche
dal MiiHer : l'. trullea^ G. trullam; nulla fu
abc^ ci eh' ioditio che la parola doveva eisere
scritta eoo lettere greche; Trua qua e culi-
, etc. Cos il Miiller ; ne' cod J. truat qume. Il
dirsi dopo quod tra^lat ea aqua^ cio scorre
per essa V acqua^ fa credere che vi si abbia piul-
toslo ad intendere la pila deti acquaio col tuo
smaHitoio; onde che lavatrina sarebbe, qui b-
Irioa, e aireraendazirtoe. del Muller sarebbe da
preferire la lezione comune: Truae^ quae od
e) culina in lavatrinam aquam fundunt^ truae
quod^ etc. Certo per che anticamente l'acquaio
era presso al bagno (V, laG). Paolo non i;i con
serv che un antico significato di trua (in An
troare)y nel quale equivaleva a trulla; ed in
questo allegalo anche da Nonio (p. 19 Mere.)
Ab eodem^ etc. In Ffl. truleum ; nel pi
delle edizioni, forse roeglio, trulleum quod
concipit. Cosi ne codici ; senonch F he quod
concipiat^ donde il Muller ongettur quo con
cipiat,
119. ma/eZ/fd, sebben ne'codici scritto al
quanto confusamente, non lascia luogo a dubbio
(Cf. Paul, Fest.). A dictus i codici soggiungono
nuovamente et dictus (G. ductus) ; e poi pre
mettono et ad ab aqua. 11 Turnebo, lo Scioppio,
lo Spengel, il Muller omettono et dictus ; e
nell'ei ab aqua chi cancella et, chi il ritiene,
chi il mula in est nanus una correzione fat
ta dal Turnebo: ne'codd. magnuS. Toglie ogni
dubbio Feslo, in cui leggesi : Nanum Graeci vas
aquarium dicunt^ humile et concavum^ quod
vulgo vocant situlum barbatum.
120. xflfTiwK in FG. con lettere latine; man
cando per a bc., pre che dovesse essere scritto
con lettere greche. L Scaligero vi sostitu xcrra-
wof Magidam,, etc. La forma pi probabile
sembra magis^ idis {^>). Per testimonianza
di Cornelio Nipote (Plin, N, H. XXXlll, 11, 52)
cos chiamaronsi fino alla sua giovent anche i
bacini della bilancia, detti poi lances. Langula
'^o lancula^dev'essere diminutivo di lanx
PatinaSy etc. Tranne forse b., i codici hanno
patenas. Quis libarent ima congettura del
Mailer: ne' coitici quod iis^o quod his Try-
blia^ etc. Notisi quod^ come altrove quom^ nel
senso gi conosciuto di quamvis. ' conget
tur lo Spcngel da ci che in F. canunum., nel
cod. del Turn. cavurn^ in H. xctv^ in Gabc. lagu
na : ee vecchi xvtov o Graeca re
iqua^ etc. Ne' codd. de Graeca o de Gfaeco^
che mojti attaccano alla clausula antecedente; ma
non ist bene n ivi, n con la seguente: non ivi,
perch* de Graeco falso, e Graeca
noa ripetiziooe stacchevole ; non colla clausula
seguente, perch ridicolo il dire unde sint re
linquo^ se dichiaransi vocaboli greci, lo credo
399 N O T E
4oo
che debbasi leggere: rfufiXtw enun etxmvuv
idem Graece (sottinteso significant). Reliqua,^
etc. Notisi che la parola precedente ha in fine m
io luogo di n, qual dovrebbe essere, sicch ot-
liensi idem naltjralmente.
l ai . Cilibantum Fab., cylibantum Gc., cf~
labantum H., cillibanUm il cod. del Turnebo.
In F. manca poi il nunc ; e certo non necessa
rio, perch il solo etiam pu equivalere 'anche
ad etiam nunc id* a poculo, L' id qui ag*
giunto dal Miiller, e par necessario Quae in
illa capis^ etc, lyogo ottimamente risanvlo
dal Muller : ne' codici qui (G. quod) illa capii,
Quant'era a capis in luogb' di capita 1'aveaoo
gi indicato e il 'l'urnebo ed altri.
122. ab eo quod latnm* etc. Cos il Mlicr :
^ma modo duro. Ne'codici ab eo quod Latini
ita dictav (in G. ita dicunt dictae) ; e cos ap
punto, com' in G., parmi che debba alare, senza
alcuna aggiunta ; perch Vab eo quod Latini
ita dicunt equivale ad ab eo quod Latini patere
dicUnty cio dalt esser larghe., ci che i Latini
dicon pHtere quom magistri fiunt. Di quali
maestri da intenijlere ? Secondo il Muller (ed
opinione pi probabile), fi*magistri delle cu
rie, de' vichi, de' municipii. Il Turnebo e lo Sca
ligero v' intesero semplicnenle quelli che di-
ceansi maestri del convito: ma la scelta di questi
non era cosa di tanto rilievo, che vi s dovessero
usare vasi a posta per rispetto all' antichit et
etiam repotia. Nel I. Vi, c. 84 eadem lin
gua (Graeca)., quod nrorov^potio ; unde pocu^
lum^ potatioy repotia ; i\oQie il MuHer introdus
se anche qui repotia in luogo di postea che
ne codici. Il Turnebo avea congetturato posca ;
lo Spenj;el poteria : confnnemente poma.
123. dictae lepestae,, etc^ Lepestam dice
bant^ ubi erat vinum in mensa positum,, aut
galeolam aut sinum; tria enim /taec similia
sunt ; pro quibus nunc acratophoron ponitur
(Schol. Veron. e Serv. atf gl. VU, 33; Non. in
Sinum p. 547 Mere. ; Prisciano VI. i 5, p. 714 P.).
Lepistae etiam nunc Sabinorum fanis paupe
rioribus plerisque aut fictiles sunt aut aenae
(Non. in Lepistae p. 547 Mere.). Cos Varrone
medesimo de vita P, R, (Cf. Patii, in Lepista, e
i Gloss. antichi in Leuista, Lepistra e Lepistum).
Ambedue le forme lepesta e lepista paiono tere;
non per fiepestae^ com' qui ne'codici. Ae^er-
<rTcry una congettura del Miiller; ne'codd.,
ivafrropf ici a., ' in , depestam in
FG. Quantunque s'abbiano nel medesimo senso
e ivai e tnrafrfov^ ciocch fa probabile anche
^CB-earer; tutta la forma sostituita dal Miiller
ha il vantaggio d'essere, ncn solo probabile, ma
certa, e pi vicida al latino.
Al LI BHl DI . VARUONE 4<a
tt6. xfocaimurm^yium, Goti lSpiivd c il
llalkr 1 DCr' oldJ v0<w/ir.
ta9wfJm^^nweiAforie MUet ; cor*-
unmni : i !Ci , i mpur r &r i ^pur
riiMN b. mpur o ood ^ toj^^a . iiUtiuioIo-
ia, olMie Qfl <l) Doa Moibra dumportsre in al-
OBti mollo rii:b ^ A dal
e(^fli<utfcei('iietU vertionc, da ouocere,
cibo ; icchm*gliif>pariac riciimologia eo-
KoaU<d.ylroBet che TnoKccciCfir qmfi eoe-
ciaf^ Vti reato il 'plfitrla empliciiucDlc 4
cotfmer ia^bbe certo rtieiWbt mi^le (Gf.^xjhucoreo^ ;
a^iiriroa cairortoo ^^ ; >e^ro col priroilivo
uMoroliaUi crfii^);
f afi. soimm^ ^elia^ stliifuetitrum. In KBa.
4^ilae^ siliquastrum ;'to-Gi so^ium^ sel
latf siilifuastrums Leggevi iw Fello : Stliifua
sira sedilia f oatitfui ' gtrwHs appellantur V
iera imL eani^e^se^mttimiin Slla factum
ssi f fuas *non^mirtus a
s0ibnd*dica^snt, U>D6^eHeii crede /^-
/tnm.rC^mpoklp da^#//a tfuadra ^ tfuod Or-
cwmatur. Csrl Scioppo ed f Miilkr | q^codici
arve^niiir ; eofmioetnenie mrtentun
calefactis^ atMjfritCcalfactis ^ spn
dendo. In FU. s^iciendoi iiV G, spicio ^ se
specint. Cofi^n eb.'; in V. espectant^\n esc
pctni, ili H. exspectant. Checche u abbia pei;-
fWo Io SpAgel, ho prteritu coi Wuler se spe
ctant; altnmenl vi fti Ha un' inutile ripetiioue
'deir a speciendo ; lenzach expectre espe-
ctare% sUr guanlapd da un lugo.
i 3o. ^uod velebnt manca atl H; in F. quod
vellabant^ in Gab. quod veahan. / elimologia
Itlljdlllfbrtrati gi ala Mc. 54 f ripetevi da
VarVrie l'teifo II . . i f, 9, e h PUrtio TV. H.
Vili, S', 73. Fellus probaWlmnle uo diiutnu-
4t? del greco ^ Lanea, Cos il Slilllr c^l
Turinebof ne eotfd. /^artcr.
r3>r; Priu ein>inditi, tte. Cos il Mlier :
bM coll. Fj PHus dindt ut'ititm thkictui^ che
dwafi)irlmertt>e'U teziohe dello Spetige^ Prius
l idutai, tum amittui; e cuf |>ure WcCtniiaito
fi f aitici tiodkif dTrit d'F in ci6 <olo che, io
luugo>di Gtf*. hnho 'ui vitiam^ 'da.
mtvitruA, lli|30d. piidef Tunftebo aperla-
mnCe de indtui. Code c^ie questa parmi in
tmio-li vera teiine. A dii sehibraise inifreclibilc
i|uft forine clhHiee, tegga prima in qinl nioilo
usi Vaffood ^ indurai e 1' amicWi in tjue*lo t
neh egaeol capiilifo t oel del 1. X ; poi
coiiifretoti'^'le'allritf'larwie lllllrhe, analoghe a
qoetis ' f<rsti) dkdi ( VH,36); in multitudi
nis (Vili, 60, 66), ex mulitudihis (X, SG,
e floinif lianli. N so federe perch ai ANliler sem
bri qaaiu necrsario il.</eia, coofiDuando#, dice
M. '. Vi Ki one, d bi xa l i r g da l a t i u a .
egU, in materia omaraeiKi doooestlir; poich
ad ogni otode fa dein non sarebbe buon legame i
e poi el mundus'muliebris non slreHameote
dato che il c. 129; fiensi quindi llevesliv prima
del cap04 poi del rimanente della perdona. Che se
cominciasi dalle dbaiie, ci naturale per ap
picco dato dagli antecedenti Htsi id^ quod
item ditunt Osce. Dopo^ supparus^ aggiuttgati
nella versiocH! : S pure ne presero il nome
dagli Osehiy che' cos il chiamano anch* essi
^, lo 8lrr opere lo stesso Varrone deriv^^
a pmlla^ iH rJkfH', ab irrugatione et mobili
tate^ quae eti ciYoa'finem huiusmodi vestium
^Srrtf. jien. 1,64B>; eiimologia ripetuta ^ochede
Isiddre^Ori^. XIX, 26, 9). II passo di Planto
oell* Epidieo U, i , f\js
i3a. ambiectum : ne* odd. ^ableetam o abie-
cUtm, coBM'po\ circumiectum quo vestits
G. ; negli eltri quod Antiquissimis Iciione
Ticordafre dal Toinbo, e accolta dkl Muiler ; nei
codici, antiquissimi, che pttrebbe in qualche
moUoistr?i utebantur : <na non v he
dubbio die ilfa lezione oou sia pi naioralc.
iiei medeslhte eliaBologia di rici/iium in Isido-
ro XIK. a5, 4
l'ultoeh il nome non ne aie esprciso,
per certo che qiti daasi Telimolugia xWpalUum^
una col specie era il rici/iiKw. lu ioog di
eaolusum^ coin soritse il MttUer col Goitofredo,
i codici <kennui rescuium F., resclusum fla.,
reckuumGh, Il Turnebo avea proposto ri ex
clksum I sicoh parilia si otterrebbe palia.
. per chiaro che esdtaso 1 e r, come
sool dirsr, asainileto. La formetioDe regola
rissima ! belisi strano che per palla e pallium
s cicorraiad origini difei** &^a gi pcf rica e
rictntiim s^ Ttto k>steesOi.
134. Ho rocHato in semplice firgoW il panlo
maggiore jelito prsi innaott a sarculum ae
sarrien'io e lezione comune; ne codici sarcen*
^o G, L. quod fult, Co hanno i codici ; e
beocb modo stretto, *smbre dire abbastaoia
chiarameuie he fu prima pagUy poi pala, 11
Milller sostitu\ X, G quadfuit. Comu*
oemenfe 1 G in L mtatum quodjuit
135. quod arruit ; ne codd aruit^ V ius
ferrum fa credere che si ricopra pioitosto d
erusre o ad altro verbo deHa stessa famiglia, che
non ed arare, de coi a ogni modo ooir trarreb^
besi aruit. Sembra enti che aratrum diasi pr
priameote per un composto da a fruire od eruere
e trra^ quasi arateriam ; c o r t e 'lrnnmente
suppone oche Isidord, sMIituito fiero arare t>
arruare manicula* Nei cod. del Turmebo ma
nibula ^ unfom. Ne ro43. cur^um caus a
caQtP, Il\ coUs^ i GH. coufn, io a. cpiF, in b.
a6
4.3 b
44
coaus^ 9 poi,K,C4J. co^o^ jilt cano, P*oIm
!!^; Qohufn lorMm^ qao hurU:^am
i^o cMgAtur^ 41 coMfiAdo ieitm \lu Wk
le iu PpiA Coftium, ^ene.
.iii6.,ifua^Jn^$eirrs, 4rpuntL Co^ il Tiri)^
bq, 1>,(> ne\cQtldi StUni ^ $
eSyr^c,^Coilruiici 4^ iuieadi: a qnihitji (indurr
ra.s^pc^tikuL} dicti iif\pi^e$^ poiH dtirita S
(ntmpp, irpU^s)., 4 nl oo4. tiel l'urnr
bu; |K|;li alirivO* yi<(6<AMmv chc> n<(0 Tggo
IpiiKtpou Miertf Hend( irpx* iirpM \C. !
ii nome comMUflft ilqutl ivMMM bcI
ttoiira frpice: m.iVof4;ariU>Jd )*^< fece forte
fk$rm pw.M^urale .4 In ltao|(o^ '
li S,dtniiQt'Cyme Ma purknobl^ nd 1. lUl
l'uruebo, F. ha tfuae detrita (f, p&siedgue S tU-
tritajy UQa. Si .detif\itm. Certo < prferire
detrito; perobv/i oonii dtUe * Vemo^ie
iuolc :ii^prarli ol i\caW. li UiUler ''risia :
airpces^ ^Ua itpS* S detritb a tfuikutdant
dii -y- iiaga Momo^ eic. Intendi: rta^ue
p<r quello che ona Kevt) hom^ (000 'i
conio fieU ^pice) in pratis pah fa^mistetm o
(diccii eo rastelo uel' naMVo delPuhov^oob
ostante essersi dello prima rax/eZ/i, perche rap
portasi pii komm, a coi noa'ne cBTiea cb^iuno)
festucas corradit^ eie, I^e tole motatione Ionie
ntrodolio ita^ue infcweiditife ifua: il rrslo
lalquale. 0' odici, itonok vi ai Veri nel porre
il itiUoago o no \t fo9ni$tftta^ che pr^abtlioenw
le dee iB|(iart^ io Joenisecia^ odm'e^a lo tetionc
co^rcfile innaBB aHo.Speo^eL 11 MtiUer acmW*
miia.fet gnaalalo queslb luogo^ acrieAdovto; ifto
yft /tmo il p^isi, par fifsMCta ^imd^
sAu^as corNidUy stc. tfuihus d^tatis. Coa
il l'asncbo e gli. altri %:. 4oddi:<^9^<
lis a quo rutu ruairi ditii Xomi ho^tx^iako
diiiftcfrer <|ni legi^rtf, perch ^eo^ pud dirsi che
la AeVoodici iruturbairi ; iirGi fratwabatriJ^M
coMderi la faiUl. di onfoodere. il hi eoo.V.u.
elle olicheacffiltive. li MiNer'legge'cooloSew
lig0o. a*^u0 tuu rmsiri'; il rl^urliebo, *
iruiUrastri :. w^^a. ripetizinne idi rastri ^inn*^
lile ec^>g^Mide biso^m d'mia fooma mkdia
tra la radice^ UdoriitsUo? lasU n? ia HaUnia.
Del reislo ben dosa airaDa^ ohe ftatUum. uoa
ricoaosoaai per diiMooli^ di i>ta$tntnu v
'i ^ hatc i n .Campania^,ttc, Coli iob'.i dc^
gl .aUri /mm.* ma quealo araifido nenciaipro*
babile ib .Vairone tr* arori9 E,^\ arb^ieeat
GHa. feenca inmefe . ha G.y lumatah,^
gli,alici lumecta. <</4^dice Paolov,^e/w#.Aer^
iae^ vei p^tifs spinsk ; fpan,^
dumu OQO ,tua sarchile < ^Uce ^roftiuiiia
(Cf. %l^^oei^im0st Uscrimsit odor oZerCi
fUco e d^licQyec.\\ v c o m e ai^iiohi, (p#r i9li-
Wiodi^iiMi diFoeld firn Pmo o^i ^ Ma
in luogo di dumeta^ coai potrebbero i
AMie e de 1 iKrikMm, #^<9
Eaks'Jirpiesiim^jtt<x Qbeate^akcilnDf^oi >
4dch oeM^bi d i 'i agi i eel l Qrv i ^ Vai none
c di. Catone e feaaa)'gMiABiBeDle oreikail oo4
ehiafbate djvepCKo cott 4n i^filbre raddtilai*
aacnlo deUa paioeiooele^tQm<peii* ^Varirenv^e
4erita cedo il nafBe4la(fAttfl*ftatC9^Vi<hoiotfo^
dotlvff^tf7fM perch T Air* e^gbnio<el
^uomW%nfaaeaa.9lqh oam ci<ifcrti|
e perch ini)k'de d tke^ieHa(dsie|iaBeoott
japeaiivtydCM bsUcecMiria paceotddi^iifcafOf
fustes, etc. Ho staccata qoMlc fatele* Maioiolauw
als aiittoedcnl, mulei.poi aHa dil|Beralc,
\ZMrioatirtf BJiulU diiHMHio^ .il afattacoie^ del
capitoletto. Dopo,k' iavi^ifMiu;. faut^ i co*
Jici dauuo ; i0i pAfiWa^<ta 6v, t ieaitio io
pn fungati;. W^KfisncUs)i kmnoke9oas\G<
X:!kermMSfi9^^^JC^k^rfmtn0sm^ 9t, QmIc
ediiiooi a^iin^0#o./tfe4l. .ll TiiMeboeMkMe
t1Areia^luUo i l peciodctto/. ifiu pLamias^^tt^ i
lo Scaligere ?i Os|^ltilffeoo
sonesitae ^ .CfrerouNicAMC.; tpure-Eitf^lni^
la^Ghrmes^^ff^)[P.9tmite,diuUi iliPoproa
(de liistr. Tunki c' liel . 3 efill Script,.
R. R. p.,46tt ed. Bip,) lesse : Pqcu^as (yti i^og^o
iit\faculas i^rtQetit) has pha^cilias ffermi
nisecae dicunt ^lo Speng;el si conteut di rifei;!'
re opinione dei Turnebo ^il MuUr diede a/f-
c/ex, secondo la proporla dello Sca!i|^ero^^^,|^i
Ciersonesioe^ 9nnolanlo che^^uesti emersone
sii non si SAcpi si^en ,, i 1 -
, i 38. Z; e4 S f oe^i^dd,.^ ef 5 .
jfilum 44 pi^r^ opwcipf, non
eh' eplrp iq Woft d^sU'^, .DIon .p per#llr6
jqua^lq,;fi^. Tisro she <i|icile consooaiiti/M
scambino spesso ira lotf^i(^i|irf,ffMeO T<iri-
gipe i forf guiK mhf9ipnx^k9<>piiumuMca
plvitoslq^pcf UHa iotma lkt
jpimijiva piflum -r lffds^it^ 9tii, LuoilAM
i/l,Maaphle^ v pistri4m
nel gepi?r: W fenjigg io lu0g^ 4i piirimmm
(Caris. 1p. fipAptXU ^Mrsndoj A
l\ t r ^ ^ s r - ,^^, Qosk cee
A%^igfrp;:Wj' coi^d. a ^^^.^ mlemUh^
poi mQlmptMr io imii^ ipUoiifi b. dieiba mokttt^
^ur ^ ,Falhm ^i^uli^^M contrailo regelec-r
rneniA,. di. e, opnrr.vtiR nel ncMMir H
glio (Cf. Vfilose n^ Glo#. dei Uu Cwigr>> gior
ph non ^ra rag^ppp di ^tiioif.it v>ap/HMAi
quieto, trilli, i >dt|iDf io
Spengi e^i| Mullec.r. ,
.>3(9. t^aguU a coi^iw^. Coel uoifvtaalmek
te i ttfaUilampali^ frfqrse a^f fli^ekrtsediel^isMl
5
AI LI BRI DI . TEREN ZI O VAHRONK 4 o(i
li (6U. 0i il MOUr i
nl^o^. (Aie mh> mWa 1tain 4i^
P 9^#; i IV.
ifo. vietur e otlmaletioiie, lata dal co<l. (Id
Toe*b> ; G tereiu^^, in b.
uiW9mtr^ias ^i a 'hi etti i f c unrmia eoo*
fMluM, /matM^doI luppealo r.heoAicttAtr,'<
vMalM>b?M p#r.te.pooki ftsee scriUii
in febbre^titv^ fb FG^. wt nii i vel, inHa. est
fliicv.kii f .qombneniflnU Ab iUiii etiam dietunL,
eh Bonvejife fiarUMifiBnHiifelT*lltii: di qaeaCo
dal preeedwNe e?c|o ( il 'Mailerlaoritic :ut aHh
eHt cbaioo l* c<abbag1aitca'dbtara.>Avrci pulo>
lo tr.*ilW/,*' cHilrtfi(tCB/lr i totliiitewUa
faolliMiti ma fln bo^lceiMo; pcrch il lefani
i 4ia(nd6ur. imch .^ipiausttram. U* paaao ^Idt
XM'afttie^ fhe i;afgHrdaT o w r f a in Gtltio
XJCy filate in a i^eAti/t/M^rcanie dire quae-
maatreg 4 eottirfrajatim iio^i%ciato perlueeti
c(Ml^ W odrc4 potendoti 'cvmadiimedle mieih
ddre dellor^leia aaraoi<n*iefiKt>4e^ricfcerrf.
t 4^9, mpe^te U lenone de*cilifi, rii
diillo'SpengalfS leggeri per4 {Qi.N, iS5 ; VII;
Bi oppidam^;^eie, heia^i^ J' et ? Cerio
pi nalanle erala vtMbi'' ltMoe< Maxamum
medyUmm ebt oppidum'^9 in |-
che HHnfD''(cb in (iilto bm iionr iit
eni) ^f>ca* frirao efv dMio afgiunlo up altro
Xrrinoc'tpla^a aggiunta e la pvntMo^
rn iti pafl'HNitiifa;.' la'Vxiaiw che Kn data, ti
fonda lir^oodiaii e climotniria niht n ^fc^,
aofllario!^nc parola (V'Iatdoro XV, a, 5, ^ a
qoell li Ciccron< fFtti in Oppilfim). Solo ri-
amtffci Tolelilier i\ fuedopi mnietintm <fUO
p ettiO pere ) munietnt, i) MQHer^oriife i
E i -oppidum api ditium <jtod munhur opti
4^ uhiHt (b. 7gli'pUri e/ iiaod pus
ot*0d>9Uim Utifile* coiW. Uhi)
%aheretH <d tua ooi|^riira : Fi*foi Ae(eon, GHi
hakitentf tuta <FG. i m Hab. tato) oppla ^sod
operis <oe'ooild, p^rt; in b* op^) fnniehMis
mokMta dieta (in F. ometan <i!rf//eto/. er^Bj
efferea, Snliluitcsii ^t ^ui gg^rem tott-
^ret^ Atoonus (oc' oodd. moerum) ; quod moe*
niendi causa portabatur mam (nV'dd.
nsj^ guo ftqteGt quod |tli ahri) sepielqnl oppi
dam: ex.*o moefnre moarrij (in lurtgoVIr er eo,
F.^ e *s G. er <. H. esse d, a. eoe hj. Olire al-
rjteloril iks oolici, induce a Uhfr qui manu^
iJ aedcre cHe Isidoro (XV, a, i8) e Papia dtrvvn-
no parimente moemia e mu'rus da tmtnir^ e
munire *la imntiS ; enKrft tdlu Vatrone ac-
oaoalrdue tiraolofie in ma o per fnoertetia
della foilta^ a ^ercli^ a' mcMemmo iniieh>e. Goti
pr. o^|hViiModegfisi tra opf tdopsf qui
da manus si passerebbe i moenire^ da moenire
moetus^ torn^ fotse moenus Itrtione del
MtiHe^ qulta ob abbtnioi4ala nel tetlb, aafvo
cb ? legye sepiebani: '
' t^2. TmereS a toMs^ etc.'ln b. a turhis^
fK altri towi^is. Chfccb tia>quaoi* alla icrii*
tura di qaett: voor, che vedretn tonnare Qa*t3o*
diai al c. 167 ; esaa non ^ altro nel lignificato che
H^emiine torms^ eon oui chiamasi tultoci che
rilalhi toidaggi, come ruotoli, cordoni, ma-
coli, ee. <Cf. turge^ ittrio, teres) ^ quod eae
proiciuni.>C6i F.H. ; in Gab 'quod haec (a ,
b. hj) proiietUnL Questo uso intransitivo di
proiicere i acrcrtata* anche ^a un esempio ili
Pacuvio presto Gelilo IV, 17; e legati beoa
coli r^l^mologta data: pere mn^i allo^peogel
eor^^ prospiciunt, t^he nhn si tinTene con
Ha/ife alias, e ad ^gni modo a^At^erebbo ad
d etimologia dl%*^rs, e)o a ieri,
43: Etrusco rifu rkHlti, ^tc. Cti t'codici 9
il MnWi^f acrohe h eoiigettorn deirAgoHiHil.r.lM
cangili muitlxTi tir/^u/ra. Rifpetto a quarto tH,
fggasi il ptsio di Catone che allegato da Ser-
to fv^en* V. 755) ; 'e cnfrOhlisi 'con ct ctM'^i>
eno Plijtafco nelljr Vita di Roralolo, e lldoro
XV, a, '3*-4 introrsum litctam ona erget>
tura d^t Mailer ; ne' cddd. fattm faeturk
pstmeriun dictnm eins, qu, et. Csi II Tur-
A'ebo frguh<^ dal i file'cotfil. >fW)/il ; ne
gli sta'mpati, iramie i pi nltcfii, eia^que ambi-
ttt. hitorno a qaettV elimbgia di pomerium^
aeggaii 1>?vo I, 44 Arieiam un congeliura
dello Sdoppio, accettaci dillo Spengcl e dal Mul
ier ; rte' cod^. \arslitm : il Tumebo pr*pos jr^
det^ ^ coloniae et krbes. Coti icodici, aerH*h-
eh^ a. omette l ' et : co^unerttenle cif urbet. 0 '
dtre n^ l vocabolo proprio, dice Servio' i^e-
Vfl, 3t>3<come cretsri le* sacerdoti, dtte
Ve^li ! tt si potrebbe mutare.
4<. >^', Colli coditi'r trita
probabile la nn^eltura' dett ()^ngeV 'mtrdbttn
nel tealo dal MiHIer ; Hot . . . . appeUtum ; al
modo che teglie iNAlba id . . . . itominatum
qaotn fugisSt la lesione tortrefit; ft ae ii pu
dubitare, sbbenr I codici hanno f uissetfts^
parit per partita io peptrii. Jba^ dice
Servio 4 en. Vi l i , 4^* -eolte pohcae ; Longa
a po*itiofie (C^, i4en. 111^ 3^9o).'
145. ex utraque pcfMt la 4tionr, ptt'dirn,
ooime^ f>n<lala u| cod. R.*. in- Fab. dxitii qui^
k\G, desira quodt, io H.<dedttraqiie. Il MAliar
dubita ^n orae bbia a leggersi ifte^adxira^
qu ^'^itum non habent. Cos it cod. 'B. se*
guito dal.Muller; negli allrr Aaer-^ s i
^Mailer sua e^ngettuta, Wh
quod id angustum^ s9e ab agenda et prtu.
Anche irei J VI, c. 41 derivasi angiportum da
47
4$
Qgtrt ; ciocche la proiiunii io(rnia dell iriii-
iiMuii p4eva rtmlere p) tolleiubile. Det r
tto Donalo (Adtlph, IV, a, S^)c Festo e il Gloi-
sario (li Placido dicono che dagli antichi ai ui
portus nel teojo di casa o porta; cedeTogliotto
che angiportus aia come dire adito angusto.
1^6, et castelli macella. Coi il Mailer; nei
codd. macelli. VegjtbsTiiiichio alle foci
01 e \ ^ ad lunium U ieiiooe de' cdi>
ci, toltone H., o\ vimum. Lo Soaligero ni lepge
lanium ; altri lanum : e il tempio di Giauo in
tende il Sachse nella sua Stor. e Deicr. di. Roma
T. I, p. ia6, Nardini prefer col Vertranio
<!<//ttAoniiim, intendendovi PedicuU di Giuno-
ne puala da Rufo nella regione XI.* col Vico Pi
scari. Il Bonten vorrebbe leggere secuadum
moerum^ che sarebbero le mura di Servio
Plautus, ete. ^e^ Curcul. IV, i 3 lef^geai apud,
forum piscarium # non pi ; onde questo passo
suoi puocsi tra i fratomenli d'incerta coromedii^
(Framm. i). Tuttavia Osao.n si siudi di mo
strare che il pesso dovrebbe stare cos nel Cur>
cuiiog^e Ad Cometa. Cf. V, i 5a. Veggano gli
antiquarii qoal capitale possa farsi del\a glessa di
Placido : Corneta^ locus^ quem nunc ex parte
magna templum lovis occupavit a Cupedio,
L'ho preso coree nomeprvprio,perchaltrimeun
ti mi pare che aarebbesi detta a ct^pediis^ o a
cupedia; lenzach quesU. etimqtogia sarebbe
troppo simile a quella che si.soggiunge, e idrot
cherebbe invece eliraoKgia che sola attribuita
a Varrone, tuttoch p^rrtinente ad altra operir.
Cuppes et cuppedia^ leggiamo in Paolo, antiqui
lautiores cibos nominabant : inde (et) m^el^
lum forum cujttdiais appellabant. Cupedia
autem a cupiditate sunt dicta, ifel^sicut Var^
ro ait^ quod ibi fuerit Cupedinis equitis dt>^
mus^ qui fuerat ob latrocinium damnatus,
Coofroatisi il patso tli Donato che rchertm
nella oota segoeate. Certo, per dio t copiati 4^
Varrone intesero qui cupedia ; poich x^uasi ntiin
veraalment leggcst, i^on cupedio^ rea fastidio
che fu senia iujbbio una chi^at sostitoiia poi ql
testo, come polanp i commentalori; Veggasi ndt
Glossarii. Cupes o Cuppes ^Cupedi a., .Cupedio
sus,ee, ^ quod multi^ etc. Ne'codd. ; e
poi in KH. cuppedinis^ ie G. cujtedinis^ in ab*
cupidinis^ per quaoto p>re.
1^7 Troviamo in Donalo {in Ter. Eunuch.
11, 2, a5): Varr Humarum Reram: Tiumeriue
Equitius Cupes, ioqnH, et Romanius (Aianiut^
od Omanius) Macellus singulari latrocinio
multa loca habuerunt infesta. His in exilium
actis^ publicata sunt bonoy et aedes, ubi hubi^
tabant dirutae ; eque ea pecunia scola Dem
Penatium aedificatae sunt. Ubi hbitabant.,
locns ubi v>Mireut t quat vescendi cmasa
Urbem,erani aUmi. >la^ue ab aiter Mett^
lum, ab altero Forum CupediniA&ppiiatum
tsi.
f i4S Proctlto, ricordato anche pi foUonal
c. ferisse dopo iJtHonio alriseoo ili Pdmpo,
cio dopo il 79 a; C.^ seeoudneh rioeogiteii'tia
Pliuio Ni H. V14I, a. Pre eh'aWa trattato ro*
scelalaroente di aloria e di gGglrefia ; poich C i
cerone ecrive ad Attico (IL ^ a) cbe pi ;ehe k
Proci I0; avrebbe trovato da apprendere f Di
rerco. I luoghi ehmtae allega Varrone, moetraeo
certo eh' ei s*occif> tialla <icvioe :d Rosila
Iitoraio gli Annali di L. Clpotnio Pitene
Fmgiv leggasi .Cicerone (dt Orai. IL la^Sf :
Brut.aj^ 106, ^'CpPneliits SHlo. Godi
ne codici ; e Cornettu vwti ripete^ pilK>l4d licf
capVtoletIo iSo^ Soio^in B. leggeit : Aeius^Moh
atitnitovr forae-p*r cagina. di Srila^nhe a*lro?
seguire^ Da alUra |>arte maeoa ogni fondamente e
credere, ci|e vi aia.a(*e u^altro I^Ho Siilobe d*
verso da cfdel Ldcio, che (a anche maestro di
VanOne ( onde cb:e il C. J ^ u i ' nn credibile
che sia qui genvioo. Non. per faeile toiif^*
turare come sia entralo SfiVe, th pure e' e-
dici Deum' Manium : ne codd. ma d
postiiianemi Cos seritati/in luogd 4 \f^tuHo
netn^ perch cos 'ne'codici. Soltanto Iie
posiulionem., ed a. pistHionem. 11 augtaMnt
dell* Il breie io i con l'allongarii della parola,
Sostenuto dalla ragine e daU* analogia di consi
liumy exiliuin^ ec., come cela il IMetter^ id^st
ci^fetn^etc, 1! (tfiiller ometta T e/f, ne ottiene
un rostrutto che, gd faequenle ne' Greci, fWf
rarisiimo pe'if^aUni (C/. ifocare 4oHcium.
tes VI, 88), com'ei confessa. Ma gli stanno coi-
tro tiriti i codici; n mi |iar vcrb eich'egli dice
che est vi storpi il tento : iul4o ata tiel pigli*re
^ilifro ne1;s4io,aigmftcato acro, jiceh postUio^
nem postulare non aia una sempnice forni plo*
naslioa. In luogo poi 'di e de^iiti\ ohe tma
congattura del\Turnebo, i cotld, danno-ee<lnit
ntitti a Concordia. Lo stligenr e mSeiop^
pio vorrebbero ad.Concordiae ^ ^oftcto H. ;
gli e\li\ ^umfacto, o ^\
1.^9. ^Curtium"} in lcum^ e^c. hanno i codi
ci; ma Curtium probabilnenta uaa chiose^
come .not il Miiller. Ne'codd. laeum ott locmn
se'^in Capitolium., eie. Il se un aggiunta dei
Muller : compinemenfe s'era acconeiato il co^rut-
to, ometiend innani a suos. <
15o; id ^uod factmm esset. Cos ACuHer : net
oodd. id quod^ o idifue^ Jactum st, o feium
esse ; io hfactum.. Geuiseio Aagurino e C.
Curiio F>lohe furono contoli intieinev'nel 309 di
Roma.
49
Al UBKl DI M.;TEaEDIZO VAHRONE
4io
. tidl. P^rfr,.0^Ci ^< /fUasf arareSi
tU<5e)3er4>u.^0ii* f^cuJidum Farronem
(Gf.Jsid.X\\ a . 4C^ r- ijk/k^ il
Alttllerp4{IfMflolo Jul cod.,b. che ha indmi ;
cerdo il iiigqa4*iP idtm^cUmii
iMft cOnftHur^ : n* co<M. uhi, d^ cflusa, U
niMQr eiinfiifmfito^ in ansa ;. per^^h
ctf udefn, polM^muvtUfbidi.
owno, M^MIo..4n|,{HAUr, proppic deiicii
causa; I Inione eprrtntc ;cra ubi ijmill. d
causa ^ ind^LmlUnua^ Cos .il. Muljer;
n* 0(hM. ti de : il Turnebo propose} exinde. Non
SQpenth, ifl igguiiee ioi>nii 1 quod
hU^^ue^e^i}x%\ an , trao4)iU.ne' codvr
tiX.Lautumo^i UM^|orm ^9^^* Roma
Cvrooo ^'apoUqp, .cgagAinU, j^coq^lo
cfirocve l!uMi^|io. Delle
Cicr4>iie iidU^ecood Vwina^.lii b. lcir
dicime, . i .1;
i 5. i codici,,Qe <J^q ]liiiot
il MMIqc fCifo la|(Qn# ;.e \in e0^4a puf
nHcMM^eob< ivn p^ rilrirsi a ciq die prec:e-
dkv.nU,bo4>n: rgomeDlo^ IqH t/^awefit i^de^
cfa ,pne Ih4<^ coreiti, > mde non Ct
1|ifffpofii94 perch dalU ^^
vhe fo,ueU* Aveotiuo (f^arCn prMA^
iiacrg, JH, la ; i/i TnUMinit/>,
IV, /T. xy* ^ gr^i9 rn
ir.,jl t;e/ .af^MDlQ^.j^i) ^luller;,.U
>;^p|>i<>, iilQa ,|MHpftilo fiui; Ib Sj|.cnifer, n(
potius o alcun che di simile. Di quesip b o ^
d'llori .tocca >*och^ PliiMO^^.oei ^^ tciM^lo; e
Di oofgt, UtMci fe^du A ffn i Bo ;(11144K di ce
ebo wiliciiiegi^^e .era.ocpupd^tD Upitale ,J?o^|
maniera e inMa^zi, #; li|ilo> 4 Uori bellisfripi';
#cide una paMM ii ^biaio^f. janeoni U^f^
pno, sebbcoc ,oriRM (Mieiutl^ ipgoipt^ro.d^
P4iblio VilUre disliqguf. due t c I; iiU)p ifel
Lorio raiiiqrei altro del,^i|^|ioi;e, , oqi.era
la statua Vi^^tunpo,, lp,log. d^est aedi/feor
tu9n0I?1 ^:.'1><,. i9i^ie. haoDo 4
a^dificaHus -r- a. cqri^t i^qpa cpdici fuf^r-
ch<;a B. .
xfh^. Lo^US ^dm f^cus ma3f{m^s^^.etc, Io
('Gb. iftU, rrtfciiius.jn
lapfCk di ;ia2xiitfKr. ^Qu<m , mai|eii<VHU^ dell* af-
miltt^kP al Cii^^.mnw^^.niise io inibro^Upif
in,discordia gJi aixtiquaru^ A .ofoiimoslo ifi * liap^
96 diflcplt ^periCQoqiderla }, ve^.n' ha, opp ni^^pp
pr oefr U j; fi r attaAo^r qui lo^nf al U ^^laus^M
^oMscedcote, i legger pqi : i /e/| t,
eome iprrej^be il NarUioi, nn>^.ppes|bi|e ,--
^^^/ una congettura dclMUeii; Qf pp^d.
aefltfica^s Corniculana ; pe' pdii Corni-
culuy c qQKie Ql,r 5a deM* s e epfjL, dimo?
ilr! il Hi reo bel che effeUivaanenle intilcJatasi
questa cpmme<lia, di PUiiAo.^Oode rimeHaati nel
leto \CornJc^Ia, \^rrQut noa ne nomina au<>
tore n una n Pllra olla, probabilftfnte
perch non lai lenef.ai4di Plauto.t ceri, per quan
to si.^u iuferMe, non.ora eooipresa ndle Varro^
niapCi Ne'cdfld^\leggesi poi mi/iVctf in.lnog^di
miljiis In circo prim^ ne'codd. primuM
-^coHr.couiurAu VQ,/eoercuntur^ in U. coer-
cuituTf io b. coercerentr.^ ad mitri speciem
una^congeilura del 114 ne? codici a mris
partem ; donde cAngbteiitiroesi t muri parte^ a
MurMA parU^, a Murcis (a Murciae) pat^.
Alla prima coofcll4ira che ia lesione coerente,
'. alleane il Buriien (DesetLi^.dL Rrha T. 1,
pt. t .De inferl\ehe il>ftxurd di Servio .liraue
fiouial GirooMaisimo y le altre iccm^lure^ sono
io lutto esdu^ da ci4 che a^ire salir posizione
dlie Mucete, conlfr.ia a qaella delle mqss rr^
poB^aj Certo id atcaso Meiio aCeiinelo pctma. .In
B. .sostijotlo /tii#W; doode f feooe che que*
slapaaio fu feglslraip i rai fraromeiilt liloaio,
e agfiuoloiB quelli di ^eio iiti1tan4o era dal &ib*
beck. La grande IGefiUt;del metro Saturnio,, re oh
deqoiiooer^ la.iUtUiofir^ se pur v'ha dubbio'.
,11 F(eckeisen ^rrebbe insidet i/Vce^di insidit.
1^ #/ banoo.i oodici.t, tranne quello
del Tufocbo che ha murtim^ G. che' ba nmrei*
sum, e.b^ ohe., ha niurum lir^Salttiasip propose
d Murciam ; e certo Appuleio (MeL.W^ p\.
BipJ TerfAiltiano {de Spectac., 1chiaraaDO
Murciae o Murtiae le mete del Circo* Pure nou
impossibile, osserta il MiiUer, .cba>Ja .dea al
tfinpo di Vafrone fose deir Murcit* Veramea
te CfKdiaiim a Plinio (N) B. XV, 36).ed a
FlttlarcoyQci<tf('i7o/if; XXy^ fu prim:dtla
tea^.p^^iM/ircia rtne iUqueste lerolaotqr^t pou
^4a ia^e |rrn.case 1perch, i palpane.leiintelo-
gfUiKodp al propi9s^to de' rairtf^ sicoK potiebbir
essere soltanto un loro supposto. Fallo che
Varrone la pbiam qoi Vfnus Hurt^^ e4*ima-
|(ina#e. come filmer >alcuni due At Murcte o
Mitrtee iliverae, ; un #pgpp. Secpud^^ Paolo {in
Uurc4iii) e Servo (Aen, VUU636)il pen-
dip .d<Lir Aveniiao, oopxiivafi Mtitcu$y .e> valUs
Mur/cia tutta> valuta del. Circo. Alkl eagipni di
qu^lo noiQf^Adlotte, qoi >da-Varfope;,aggkunge<
Tf0QjleMiii i' emi\itWe Murcia,, |ttasi miirei-
da^.^\e> letsa Venere^dair mnip|lice cb'ella fa
daVpori; o la TaJle stessa daUa qualit,molliccia
delsui^o/Scry. /. c./ Allo Ue^mpdo potrebba
dirsi che|Sccooie mu^cid^ uHa cosa eoo mar
cidtts^ Aoiiji poitiossi Murala aio ManK quella!
TaUe da Aocp S^aitiio obe prioa^ Ja pupolp, tra-
omlaodofi i l^alioi f i n t i 13B)..C cappella
di.Vepere, che fu al piideU'Atentiootid confi**
ne mfridioBale del Circo, ifrebbe.p^eto il potne
4r
Pi 0 T E
lei lini|fO ^ voMlr, i P tti U fi tte: Os)
or ftltiensi anche il nitri Pcatum*
Di Pi^lk>(, TCiii UiioU k 0. /
i^b. Utiam 4mttsa, ;. ; iu Fb.
ifG. e ( e,e ^ausat)^ in li. em
dfentio,e con 'ef , esse) Cafiae Veteres, eie,
0 Curiae^ dice Feito^ prexim eompitvm
Fabricium aedificatae smnty ffkod parum am
piae erant veteres a Jlomulo ftktae^ ubi is p9*
puium et sacra in pariit triginta distributmt^
ut in iis ea sacra carareat, tfuae cum ex ^ e \
ribus in noffas^'vooareniuA' septem ( f
riarum> per religines >evocari nonipotueruhi,
Itcufue iP^t^nis^ Rapt^e^ FeliensV%litine
rm.-divimae^ fiunt ia veteribus curii*. nvJ^nd
l/* 4e f^itmP. , VmVone ^deriiv ctia 4
cura (Npn^ p. 5f M*rc y <fu9(hprimum^ ^etel
1 F per e( -cKe pace, ptvmus. Aiicfee ^Aseonib
(in Orat, /?^o<A/i S^ci 1< che ? vec4:bt Ko^
tift^enko'^d Cemiurn, prope, Sumia Curia
<^ms ioei* et II ieci
aon fe)j|giuntt>4liil Ahilier; Il biilo||t)>civile ecoii*
1 era nnlo'^olM dallo Spciigal *-
Sub dxtri ef< CorriapncNic mtptmmonp di
PInio<N.:UvXXXlllv6>. irt H^rwcostasS,
tunc fupra Comitrmm erat, NcHiivverMOuf oili
iiHfoafi : Di sotto da i^uerti a man destra^
Ui^ palt no^aiiMissiaio per hi fiosMraud luiti
qatffti tdffii'^ quel el) in P4inioyV. ffi
VII, )^della r^o|ia Ohe lenvvaai fVe? ltindie il
aaenngorno e Hti^Miito.
56. Seiacuhmi ' liu H Campidoglio ed il
FWovdic Feito U- Latoit^ appi drliCempl^
doflio^ sui Foftf : C4 (fycfl^ il iermritM! ^ddla eotf*^
quijia d T t i o fAefi^. 8 r 0#iVH
Fasti IV onde i Oiaao Gemioo i kttfbu*. '1
ce4d., toltone bi, baMo etratemetfrte/e#/riiW^
Coiifrootifi il . 44^oee perla del V.eUbrovnef:*
grey ' '
157: J^9^*ntliumi '^i04 Le Ma di Melia,
note qui il Mullcr, fa nel vidcf Giugario, ci li
l dal CampAloglio a cd^uif. origine mede-
aime dell* bquimelU e 4alA '4 Oicei-onre l<LU
fU ^ Busta Goilion,-Quello peftti>d( Vai'roti^^
dice q^ il Mbller, *iehibre abballer opinine
del. t^evdmi 'dt4^5 a<rhie olle k Muft Oatici
foiiero preiee al Golbiutty.*' QuaiHti al Nrfdiniv t \
dice j^ld che quelle r^pIfitotW ^Igte^ prit
ferallro^ d'egni anhirif; e foixlfete ol iHuAir
Icggifi^aloignaMe^el nom^eon qo^^i dt. A-
(iree' io PoiiifgeH). A\ggiai*ge cK le prole' d^
lUrioi niedin' urbiTs Batt ^iUc>
#tffit,.p<ffebbr'eeci| naalne ei '^| / 410#-
plUo|g|io, 1 da) G^lsete>:'Ma peVrto
?1>4 'oig#efitk M'eltiin p^sv, lafHo ltiUo^
die? egli, air rbilfio di ciiichfilano. i Dolio
/et Secondo*i^lv4i^(V; iftf) V Fllo yiVrifif. In Do-
lidi), que^to'luogo ' ebbe .invece^ H'nnrtl^ dill^'e
VeHi neHa eeppetle vietna^atla di
flktnrfi Qumu^, le-secr^ eoee, qttaii^i ti dd^
teWabbandonire l eilf iM^rtiaMo e* G*II^SedA=^
di -i. trgiltum ; nt' tbihK At$^am^ n ^i
tgiceini. Sulle pttaitlohe^ileH^ A^gllero'contre^
jttatr i$ik. 11 Mlh^ erede ch^ de Viefilio f/ien*
VHKS45)^bhe inirinilt^fii irala niep<Tar^
ed il Lrtperele. Le viHe ;iradiieNi-Biin* origine
dii quello nome, aoAo rti4!MhV4a^Ser^^ neKem^
mto el \leito luog di Virgilio ^ j # ^ 2e,
9eu^ eie. Argedn FG,^ argh ln H^ tsf^Ua
irt a., arg94e^Hb. i m * #^^^ vieniB
a dir^uila/il Tumebo prApM ab rguisps\*
o meglio a A^ula ikiu Argo, gaih Argta
dettoif Sertlo; I l MolUl^ eerHiie b Argkt
stu A^ohi iuMndendovr qeMP'Aureli
d ('ui narra Paujania (I, 26, 3) che traiiMftoe^
eotilptb^idl Sieilili^ln Acaroaoie^^'dieaii iver
fondMolif aniiche *inanv dHe roe^ d^At^^ M
altro fioii ife atec'potuto iroYire lo^iteiiio'PM^
satol^i^ A d|^i*tn<^ln il ^eti, te non < erralb, -w
ehieme qualche dlirefenvat mi at a ipederq^,
cfklc^ iiCditionl efiit molle. Ho detto te ii6u
^er^h lo ietao nome no^ he
alte'' l^tiHicmianxe che' queete ( e ehi
iti dello Atgivo' (St^>ham. SyX^ AoitW
Kf: Ab Ai^gi perrebbe ilr bene per l t-
flAiblogle e pel Unt VDdiidngeai trofipu pierl^
tcfitture.
i i W. divo9*PuhltittSi elli. Ne*cedd/
f0i> o pbU^os,^ er. F^ol id Publithis Cliousi,
tfd OViNb Fait. et per
PMiciisi, lei^bd* U nlM^ pi volte
PsUiui (loOi Pabl4usy et CcstoHiiti^ eic^eb
clitd frullio d e l f i l o d ndtitfe Snlloo , ^
dfenilb fch Taffrinld''aWf^ nih'Ei^uilie io^
pra a cho PuUi presso i luce FagutmU^
a Flra s'usuts efe. Co# il Villtrlo; tl l\inilM{
krSclbppity;forSpefigl, i'Meiler: ^. ^
ras usus, io B. a flr in
usus^ fenonch in b* eggionla un#aopre il pi->
mb r M< ^ VI, ^T Il
Capifltm ^ I b j *poW da*P. V<Wore Alia
Semir phop^ kemplmm ^lre ; ^Mide ecfie
Mariiale ; iS : Quei ifidet aniiifuum rmHoa
Ftffta foifm. Hi t4u* G.Fr; Gronuviv belle
tiGelK^r (IX^'4)^ in itivg^ di di/VoreVeMe
ehe< * abbia ^Fio^ie^ ^;il Vmicbd
lien per booala-leioiidel' tue codice, a fio^m^
susu^ ^,^^ Florus pr i^rtlvo entico et
nidcr ffamilis^
Exifmilii ierM^i RMiHtei^fC^4ll #
9 sopt FubMis per PthliiUfy e e-
l^allrt di qiTetli Mie: le Ge. Es^uitiv, in FH/
43
%1 LIBRI DI . T EEtmi O VARHOr^E
414
ExquiiHM^ iu b. r^,ypriM^ Guti.nei
cwiiliyUc im.lorM b:cb|par( -
i9po4aJa)<9iioD\orreole. L mtrdcfkoa v^riel
di cfitiqr \ k^ 'm cj pr o e cypmm, Giuoooc
Copra aoiK crebbe dunqpe cbf li idea Booa dei
a4biai.xV.era hit i^rabouf '(V 4^ a) ce lu d
per npnm eUom a ip firaiio eoQUQ p^ cgo^
iqenli, rac^uili dal 1)(9 (UnUrU^ DiaU
V UuKbke i Dotan ^ .di eiit
prM col MKKKcii/Kire i ^ n Scl^rt^tmMi Pi-
(IV, 3g) cooComl^ farse 9ue(o wa ol prtt
cedctt^. Uqa niio,\iU 4leacri|ioqe djei, loro^ i|l*
yaccoflj^ dai L i t i o 48)^. tnigtre^, OpMIra-r
P cop^itar F.uifio.Ocaiiio, ae^do.ai(aa
J,^cQpp0S ipi^'GH. 0tqfef\ io a. injigcert^
if&b* mietere.
,i6u. Credo inulte il reiMrre te naria leei^
m4tt*^MUci iu 4ue4o iciipUpleiiot eueodn
d^perti envri |^ tUii i^ia aatbe dalle qongoi
fc^liaioui. H mIo pa#9 be'pu^-far Uio^u
be..4ubbio^ y, aecAdacb^
il Af<ttller.l fi ^tMikdwU dicamtU%
liMiiDe ,b. cbeiJia / Ie4i -,itaf|ipa
luiQna c^mttuvneqM inde 4icimus,tSe in Var ^
irqvasfe uf^tpr^iiniico Adu:^ endo per i m
taf ebbe rw^oQp di,aq9p|iit4i:e ebe foa#e daiegger
endod$famus nd $%nt^ md^amus. Ma tegta
^rfvqrxeff a^fgrnip uipvt, 4r^YanM.>lie| i^aQQ^
<H Sciploiiei prraaiA 1 WjUo >19)^t i
Cifierpue medcaira/On pr, Flettca il moda
dedicare. in centu <n ce/ijcim, <ehe\giwflM
malo parve el G^pnavi# (neUe,nete a QeUier al
/. c,) offrire anche qui la ralla IniuiM. Scn^ocb
egli, a ^ f e aalo dfdisamus il A|^l%c #/dedi
camini. ,Qu#MI' #U' e|i>oakigia. di nedfS^ leMeai
io ApuUiof (de f>ipiuh. ^ |%7 Osaup^: Jede^
ab pdeudot seoi^dum Varronem deriemium
41 : eti9log^. boo mifLioce di qiKa^ b\et
4ied^ A;Tiie in |io'alira opera*.
CVim rc.^CC ViAr?. VI, 3.
QwXo pasto leggoii fi^rpialo i q . ^ i i o ( J en .\
%ob) ^oeiip i d p 4of^oj^r^ dmLingu^. Itafina
ad Ciceronem : Jf9uedibms hetu patulas relin^
qmbatUK tti^ ditw > trmt relfcttte. et,conte^
a$us er^t^ appeifahatur \testudo^ m ee^trie.
CiiaLccHOttneaienjUc ne^ coddv etcaUriMi eec^Mo
fiumm propriamenk jM^'>c<Mbcl, Iraoac
Gb. ebe banoo i ufi i ^n Contcffati^el
uofiro jrM#o dt^um^ jetc. Qi >Strr^,den.
iBaulo alia v. , iU*qiialiv olir 0
4|ii4MmreiiaiMii diie alUe i filologie ; V,a%m. bf
U fiqol qoaai. aterr^^tm^ p*rcb ora Id. lerreoi
rallra^.qoati a/r<ins^rob io oolico' era,Hi Ia
oofiQa; U Podtrleiq Io l^e da Mfsow^ eoaM^uo
g^^porlo, JDe' cafodii o degli ^rii difpul,M0oq
b fUMTi oMiUodo ,in campo nuove opipiooit
il vioaiiiioq.Giffoppc Riva (VtMto \Picuttii
i8a8). ^.
i^3L jLa/ mfi e Fal er i ^ pe^r Lar nuvi it Fate-
rii^ baooQ i migliori eodicK Tanlo Falesia io
Kir|iria qjMaolo ConIpTO io lapagMv erano oolo-
De^rofnaoe, dette, qiiella GiiMooia^ quetla Pa
(citi^ OihIo n)po cnu^J^agiore cilisf io leaftlmo-
nii.ite'reoebi oai e dentirainadiiooi*oiiiaoe-^ffir
defe^ K e^c> Coti nolano Fa.: aifoilme^ gli al>
Irl oonCva^Of la roanoaaia di,do^cKlew lo qoe-
flci non K^e a del^fniinaro .fer ntioulo oi
ebe MIfO 1*aotore t cerio^<ome ootk il^Blutler,
Bel noterare le porlo i.fece.dalUCaptna odia ilo
Trif eoioO ; giaecb qutlle che fi ricordano ap
prefo^aunoo fra qife^le.do^. /
i 63..........ligionem Kb., iegionem iiga^
Atom, ..^'P or ci i U iCi VU io4)
pare Poroio Lieinio, cbe t)oi jqnorbo al 640 d
RoiBa^/eecoodo opinio dell*OreUi, diterfO id
et^<<ial -Weiebert Lati p^^-38) ehe il fa
ceelon^poiaocQ. a Teceosio.-Cnedcii dh' abbi
orili<\uoa4felqale Alori delta poesia Ialina fCi c.
deFi mt: ). lu Gellio (XIX^, 9,'3) ae. ii%
^oggfc uii;opigriifimo o d\ie Irocai^-ii rag^^uavdenl
fir*e>tiMH4 iPCVllva9i 4^)4foioblli ItetiOne !-<
trodotUfi da lb. Lion\,ooo< v'^oootportole dal
coBiealo En%h^ ete^6ecood il. Cmiicu
d' I^tfebio^ J ^ ^ a b i l d i^UwaUna. Della de
TBiilina/veggaii , f 4; i fr :, iTeHIHa^
a'deSpeotae,i ^ e s. Agdslino. f/e w, D. IVv^
^ PUn. if. XVUK a) ^ N^e^ms, eie. le-
liMie: pri^slO\ d^llo SfOngLied aeceUato dal
IliMleil (iQf. Fetton e .Paolo fCaew alUa)^! ai
codioi manca il ffaevii,; e piSHiia leggati Nqetfiia
(FHb.) ^ovHir (Ga) ti U^ht ^Pqi t. 5ccjj
X. V, py 79) vMoifOda*il p^elaiNeviosiiaidi kii^
non io ooaae 9^ < U ileo Fasto (giaecb.lo
I r ^ e io ae eoAiertaso aocbe bel Mtfo lac<sO
franmioOto) poUsaero ioclere ouittd^m Xefeii
^eeur i hae i n mancipiitk ^Cf^^y J codiei
promeUono la ^it anobe a eeter i bu eR au di ^
iomOv^* Veggasi Festo a.qOefto oee< e ValOr
rio|lartimoVv6/ 3i
164. J n PnUitio^ete, Tolle-e Ite qocMe ^
te,, eooie aoo iKMale oon oMori prcgteaiivi^^ciA
ter a la Romaooia, tertia U Giainiale; ^ devo
DOtsiere comprefe aolio^ DdieaiQoe* i a\ Pal a*
iUie ppei Ungoiio #iriiotkotudi BOfoWv
dai lati del Foro, del Campidoglio e della.Rocoi
(Vi. Booieo, DettK di Motna T. h p><44)<
priioa deia ia .Paola Muginnia; d un ts^to
Mogia chea* ebbe 1;goardta ; e Soiioo (4 a) la
poDB sn^^ol ieroiiiqe d^Ilp Via Nno?<s; jexMocb
UKardioi il Tiu^ coalra?Wiioo^ OPq por
QP VarroQf, roa ancbe ooo s^ ,nieil|imo (Qf
/^. 53| .Mere, i n Secei^diinji^ fiioniM. 11
4 ri E 4 1 6
ucita chiatti. Cos UMiHIer: ne'oodil.
i/i bucitatum ; lo Scaligero, in badia tum . . ;
txigebat ROfnhnUltn, tc, P&rta ierHn^
dice KefflW, ihsiriuta 'est a Romul in {nfifn
clivo yietori9'; ^ui toeth gradHmif in
drdtuiram formaiis Apptilata ini rem A#
& mSabtl pt^e^ipuf^ ta peximus
aihttf erme Romam. Qui^ mi
pia^ I co^M'^htti> fb. o^ili) : mi Il
cngiitiieiits ^tiii|IIUto gi 4hMe dal
Mardini^ io^jcal <da Vari*oiie fMbo nel . 94
<lel I. VI. Cli, artabbiakl per gitiMa VUv4i6tYioie.
dlSblt)qvadlo iHa prirla Ja
porte, 1 Mugofia 1* Komntfla; *reb4mtO'Mi
ai due capi delia Vi#<Nuo<* ;'qti^|1 I lrpertore,
qeila jin'ir(if^ror. ^
'16&. opettami efc -Cos il Freinthemib nelle
able;al o. a dH Ui di Floro : nt^emld, apertam;,
il Tiiruebo a?tv uggerili o^erVe^ imrroe di
aperta^ ^ore leggsi>pr\nii 1/ difteria seniper^
lUoeaoflo pok if itut^uam alia clauialtt ae|te<iev
come foltfkfi larq ^ Tit MaHli Cm9tde,^nt
P aoQo d'Rk'Si^^ W'codd. Ttiio Manille^ o co
li nnlnle Tita ^ ei'todertt anno perntm: Coti
i odici. Il Malie# itielle I* e,^^^brff 4odeni
nno operiam ei apertami
t66. und tam foctentt la lettone comoftoe ;
eWdifel j omfkilu^o d am
tu. Coti il Milliw Tttrnebo' ; rve*'4;diei lecti^
tas': ma che tifarli'deMeIli, ifon <#H llobbi
il riecontro' ol ^eeo X^titfo t oihi
tuia coi^filr4 r ne'vodiel, subUnrir.' MTprnebo
erede ^be llBt1o^ro||liati'^)lnt) da lelllga, pei^h
Mrvrappoire?#pi e eiva r tiia tctitia non eHIei-
cr beti aUfa ifiie^^ione'iie d <)iii prima T'u-
lore. irilller' li^fitenta' in loalliul in li
manHiiv dic'|tliV elimdogla
d^ fbcabold. iLecI! dicfuSy Paob>, >voi d
coihtis foUis 4id cmhitandmm^ fel\qUdfatiga*
tos adke. t4liciat{M a irtiec Xi'rrfr. ^ Qui
lettica)n^ tOi Goa il lttUer "cb Viforio oi|
alaie tcchie^^ediiioniir rie* eodd. gum, lieti*
cam. Coofronliai il passo dr Varriirre de Vita
P, R. bbe retato dif Ironie alla toriiium
fpri Mere.) rQuofi Qua) ' froniem lectica
struhant^ ex ea Herha (otta lorum ppeHa^
tum^^MC ^iod'^imicitar^ eiiam nune toraldici-
hr ; hticam tu involvebant; segestria tppel
labant.
167. in es acus boa bel) congeMura^' di
Trfrnebo : ne icodici m ee sgus Pulvinar^
eie. Ho lascbto in Iella la lezione ile' codici per
rispefto iiruiurli' <)tfl Turnebo e AlMIMr
ebe la ci^d<Hio Alla : del rklo Uroolgia t du^
rUtim, t r*fpretiioile ttn ioilotiifetl. AlclitiK
k^gon j^hitnis^ p^'ptllaiis (pr pellitulis)^;
Yft'i pelibgs. Lo Scitigrb tool IlOtir lo leiao
tignifieald iA poluHi^ pe^eid tfh p<^a t deflnit
10 uit glstari# per pUn st liata'fttta^^ai
tita^ et ^aanaeum^ Xrt HMttlltrv poe
cosland^ii^al'fNirnrbo er ilalfo S(bal^eto,* iih
pfoposro; quegli O^if/dafgunate ; xjaegt ^*
lica, ^aunacunr i he^eodci GUi'guid\fi}.'fod)
gaunaeunta {fL^giiiincumfa, b. gnacumay.
11 CKecolti(i*. pres>rtl Oori iSffttbi ikteK itonr.
T/VllL p. 179^; |^r<i^se : t sa^m rhen Qai^
Ih; ^d'gaunatiirm Ptfhtum^ amphimattH
Girac^ ! lAa 'sta coltro, Ir rtoiVfow'allro, Hdii^i
prl^fe 7/i his multa peregrinai th ghii^aeum
lai tce perir*A4*' 4!eHo : ma i Laio e b b ^
per Tta de' Greci (ken^ditW). Seiiro riconntoe iiTr^
bedue le scrilture caunaca e gauna^a, Gonvieit
dire che all* et di Varr^iie qenle airaoie-
re fbiier etiraie imuib' di fresco e presto pocfirt^
simi i puich I^Huio iV. M. yiH, ^3 : ^nti*
iorus ^ si)ramtnt\a erat{ quater etiam
nane in tstr, Gaurafwputris mei rnmoria
tbptre tnpklmaUa nostra ^ forai
efrMfone *deir AgoMliio : ki F. t^rae^ in 041 b.
tor vtls in a. fore li# *-* e torsy gttoditCi^ etc.
Hrt iaptto cdrt |er irame ton senib; che por
confrme all* delIrfnfc' dell atort ff'. la not
/^.^6), e air ewAolcfgl che danno cortliiiie-
<iolihi 7 5 n>.^i#A. 1, j^o8 ; N, 9^;
Jstd. XX; 1, ft, e.).* Torso per tetto ^ **
ctinoiclutv da Prllciwn^ l^el r<**lo"i cdici
hnnoi torpo ; t po s^non ii> - t&rults. Goal
Af!^stmO di un sit u pertna f \ Fa. iorftus^
In GB: tor^nus;^n hi torptis.
168. ^d getiti etc: ilrano qaeilo Hvtl||i^
Ineofio'd* o h l i f i V M il'dlceDderie^yiokt pre
cedette'il salire. ^il^'coA sta fn'FH. Vero che
rorviiaoae dlPi/i'in Gib. e if fe|;gerti poi In i.
rK;>erira, darebbe qualche Aindametilo a chi
volesse ritollar csffreiili)n. Frtrie^r ibrote ivea
scriiIb fi^nanieole,' fi^ ^tit infirotfk in
fupei^iora et in injtiora speritem ^ et si
Ititi ifui,'etc, R^m^ttvai, com' ite'codei,'#if
<tii<fid items e/c^; o Inflo il X^\^ coneerviii V ef
il'(in G. et^ric). Il feno rimarr il medeaiMoi
poich d%l rhcrtilro >di rrii lughi pirrtir ivn
revlir longo a diibHio, che Vairone lioif bbii
Icun folle'osato ifcl iiu primo tena
l^li^ologieo, ehc alias <fHis ; a quel nodo che
Cicerone dirte (l Catti. 8) r Dabitas^ si hic meh>
rri aequ0>animo. non potef^ abire iwaiiqwn
terrasT e**racilo (l. . 4)^ iis <faim
rmis. >qmibus Rhodi specit seesnu ekaUm
grit\ ^Uftm iraM et simtklatiortem
medltatumt Qol ftoi 4n Vaffotie've'n* ha> pM
^Hipt^ie aliacife danno i edicf.^
cM il e. 37 del l. ? l loltii'c^ierbanno'itf/fi/o.
4?
Al LIBRI DI . TERENZIO VARRONE 4.8
non ei> 9110, verbo ; ed aliquo M ripete F. an^
ehe ne) secondo loogo'^ e tl c. 10^ del I. IX torti
i codici dicono non aliam quam^ for
mulam, Lfoode Doo ?eggo rf^lotie di abbando-
nwre in questo luogo 1 faida de' codici^ per se
guir Jo Scaligero che priipone inve in cn^
oiis^ utgmuSpa^ il Mtier che t i pi l^ma-
tendo iolera cleatuUi a questo modo : sic alia
quatdam coHpq^ ui.gausap^. Anche al l'urne-
bo parreionnesiio il discorso; non afvertendq,
come no<a il Gottofreilot, ehe i^i 000 ragguarda
le cose/ma propriamele i letti de' cenacoli. Mag-
g4or piaga fi ispcHa lo Bpengel (Emend, Varr,
p 16) ; il quale, ome ho <ktto altrofc (nota al
e. ro5), crede ie pi parli sconvolto l ordine in
qneslo libro ; e qui torrebbe scrivere : sic alia,
Item con99i^ausa ibi multa ; facendo poi sct-
goire ci che hassi prima so le mense, so armi
sugli edIfMi^ e 4)i pui : Pteumiae signatae
cabala aeris et argenti haec. Ma questa opinio-
DC) come ho gi' notalo al suddetto luogo^ non ha
fondamento bastante; e ad ogni modo comrer
rebbe supporre che il ^lislogamento fosse avve
nuto innanii alPet di Priscisno, che, allegando
il fegnent traMo di Vatrones vi legge Multa p
caniae si^naeta^ eie, (V. h nota seg.)
' M6g, 'As ab aere. Ambedue gli Apulei pub*
Micsiti dairOsson, atiribUiscono a Varrone la
sentenza oppoala che sia aes da asse (p, 11, 45,
ep. 29, II)..Tutto questo tratto so le monete,
dal c. 169 fino al principio del 174. rifenio da
Priscano (De Fig Num, 111, i 5*i6). Confrontisi
Anche ci che agghange Vairone nel I. IX al
c. 6i e segg.
170. bicessis leggesi in P^risciano; in a. vi-
^ssis; negli Uri codd. bicessis^ per la facilit,
don cut si confondobo il b col Dpo questa
vee i codd. aggiungono quod dici solum (nel
cod. del Tor, solitum) a duobus decussibus (ne
mancano Gb.> bicessis ; ma lo Scioppio, lo Spen^
gel e il Mailer hanno per ona ckint, ed in Pri-
fciano non trovasi et sic proportione. Cosi
ottimamente Prisciano ed a. ; gli altri in propor*
tinealiaeve quae FGH., seuonch ad FH.
manca il lijitiongo in aliaeve ; ali a., alte ntque
hi^aliaequ Prisciano.
%*}i*4e oalet dimidium^ ut in selibra et se^
modio. Cosi comnemente; ne'codd. sic, ecc.
Qnjt parole non appariscono in Prisciano ; e
eerto sentono nn poco di chioss. Chi pu crdere
che Varrone giudicasse bastante se eti uncia a
formar semuncia ir e non vedesse che Te^i^ra
stesso e semodius sono invece fornati per con-
Iratione da iemiit^ra e semimodius SenoDch^
per rimediare ci, basterebbe scrvei* xemf, non
so; e da altra parte, se questa abbiasi per una
M. Tea. Va bio h b del l a l ir gua l at ina.
chiosa, a che riferirassi poi ut supra dictum
est ? Oncia at uno dicta^ in Priscino ed in a.;
gli altri omettono di e t aSe mi s quod semis,
id est ut^ etc. Parrai probabile la congettura del
Turnebo, approtata dal Mailer, che debbi leg
gersi quod^emiasy sicch corrisponda alla spie-
gaxione soggiunta ut dimidiumOSsis^ e a ci che
aggiangesi, ut supra dictum est ; giacch non
pu riferirsi che all'interpretaiione di semi data
pi so^ro. Anche a/, premesso a dimidium
assisa non pare che potesse aver luogo, ses'afes
se a iolandere del vaJor del semisse^ aniich
deir interpretatione etimologica delU parola.
Questo ut in Prisciano omeso. 11 Rrehl nelle
note, in luogo di semis^ o semias^ vi propone
semissis coUisum, Cos in Prisciano; i'
FGHb. conclusum 1.^ma a., un cod. dell' Agosti^
no ed no dello Scioppio concordano con Pri
sciano, dando conlisum^ che al tutto par la vera
scrittura, e fu introdotta nel testo anche dal Ver-
trabio.
^173. linde una dempta. Cos il cod. Mona
cense di Prisciano, consultato dallo Spenge! ; se
nonch dempta vi pri^nesso ad una : gli altri
testi di Prisciano omettono unde. Ma ne ifaiino
iodiaio anchf GHab.v ove leg^esi ut de : in F. ut
a decem^ donde si fece comunemente ut a duo
decim.
\. id a Siculis, Giulio Polluce (IX, 6, 81)
afferma anch' egli con l ' autorit d' picarmo e
d'Aristotele, cUe >( voce greca, rut
TreeX/fC Jteri ^Sestertius\quod
etc. Toltone la punteggiatura, ho seguito in tutto
la scrittura de' codici; perch non veggo bisogno
di mutar'nulla. Il dire : Sesterzio da ^emister-
tius, perch mezzo il terzo^ con la dichiara^
ziooe che segue ; mi pare un discorso naturale e
vero* Che se in Prisciano v ha qualche divario,
non da fame caso ; perch vi si vede la mano
d' un copista tanto ignorante che non inteae ne
anche Espressione retro dicere^ e l ' interpret
rt^icolosamenle, scrivendo III jemi/ quintus^ se*
mis quartus, semis tertius. L ' intero passo, se
condo vi si legge, cos : Sestertius^ duobus
semis. Dupondius enim et semis antiquus se
stertius esU veteris consuetudinis ut retro
aera dicerent, ita ut semis quintus^ semis
quartus^ semis tertius nunciarent ; ab semis
tertius sestertius dictus, li Mtiller, che pnr not
la goffaggine del Iraicriltore di Prisciano, Credet
te per di poterne fare qualche profitto cosi ac-
conciand la sua letione ; Sestertius, quod duo-
bus semis additur * (dupondius enim et semis
antiquus sestertius est)^ et veteris consuetudi^
nis ut reiro are dicerent^ ita ut semis tertius^
quartus semis pronuntiarent^ ab semis tertius
a?
4'9
N O I E
4*P
gtsttrlius dictus. DslDgueti rotico ciUrzio,
percL, louUto il peto fi cambi pi
tardi per quaUro asti (Plin. N, H, XXXlll, 3,
i 3) ; Mroprf per per ou quarto *li deoaro.
174 ifuod libram .... aeris. Coai lo Scioppio:
ne' odd. as io l uogo di asris Fura^ha da ieri-
erai aes^ dice il MUller quod stmis assis,
Soali luUcaii nella Iraduitone cii un stmisst <-
quod liMlae^ ic 11 Milller omel i e il quad; ma
acmbra eoglieroe ar|EorociHo di qualche laguoa.
Tul i o i l a oei r arameliere, o oo^ che il teruntio
fuise mooela io argento ; poich, ammetto ci,
nalurale che l i giutifichi U1 lato del ralore, non
polcDdofi da quel lo del peso^ esterti dalUi ie-
runcio^ cio ire dodioetimc parti di libbra. Ora
ordine tteiao del diacorto mi aembra moitrare
che Varrone il d proprianrentc come una root
ueta i n a r g e n l o ; e tale il credono cerio molli
eruditi .
175. ut ipsiy miioa. Iti F. ui issedanion \
negli allri laguna: il Turnebo IroY io un odice
utasstdonium; in un al ir ut a st domufn :
nelle antiche edizioni, ut ipse donion ; donde poi
ut ipsi i^iipor. 11 Turf tebo propoae i i f Asiaa
^ofor ; lo Sciopplo, ut Icnes il Bullmann,
nam Graeci ipsi Marnar. Quatito al mi
lembra probabile : ma ipsi^ bench ri ci oo di
iuono, poco credibile. L ho nondimeno lasoia^r
lo, perch ?i ha il litoio di poNeato fio dalla pri>
ma edizione, e dall ' allra parte non so vedere di
meglio.
176. re facium. Cos sta ne'codici : il Tur
nebo propose refectum; lo Speofl^l redactum ;
il Miiiler diicnde la ;leaione de* codici con gli
eaemf ii ^uid ec nomine facias quid ilio fiet
ed altrettali. Credo che pi propiiamente equi
^alga al dire e re factum est. Del rest le oMir
taziooi del Tumebo e dello Spengel lasciano
senza aogf^tlo il consiai exiolfferet. 11 Mller
considera questa come una di quelle forme im
penooalt, di <ui a' e dello al e. a ; ae pure, ag
giunga, a' ha.da leggere exsolvetur. Qmt
ito mi parrebbe pi duro^ tuttoch regolare. JM
retto il aoggetto, che is a quo capitur^ pigliati
facilmanie da captum. intertrigo una cor^
regione del Benlino; ne'codd. iatrJgo,
177. MuUam^ Uggiamo io Festo, Osce dici
putant poenam quidam. M. Varr ait pataam
esse, sed pecuniariam ; de qua suhtiliier in l, 1
Quaestionum Epist. refart. Vocabulum autem
ipsum mullae^ geiunge A. Gellio Xl^ 5, idem
M. Varro uno et vicesimo Rerum Humana
wunu, non Latinum^ sed Sabinum esse dicit ^
idque adsuam m^oriam mansisse ait in Un^
gua Samnitium^ qui sunt a Sishinis orti Che
la detta opinioo di Varroae aia contraria a quella
che trofia^o qoi mi par oqn chitra. Pure il
Mfrcklinio {Jn^ejp Schol. J^qrpat, orfeb
he (Conciliar Variroine ego mdeaimo, perci
che, trasudo multa dalP ad4iettifo maltus^
tea riiguardare anche mii/iii# ooae foce pari^
mente Sabina i e si marpv,iglia eheil Hiiller, quan
to all'origine Ui nmlUSy ai riaoi^Ta ,4i credexe
piuttosto a ci che infegna Varrone neiropete
delle Cose Umane% che a quello, ehe insego io
qaeata ; come ae questa, dic'egii^-non fesie opem
ieritta dopo di quella. Il pcime no catillo; nelle
aeconda oaservaziooe m^etra <no intendere eh
il Mailer non oonsidera la sola aiilorit in a slea-
sa, ima nnlamente alla totu E.di ?er0 qnesla
originaiiooe di multa da muitas^ ad aliasi, come
ho fallo quasi interamente, alla serti Iurte de o;*
dici, una atiracchiaiura delle >pi hizeatre. Si
ingegn il UuUer di temperarne, la'straneise^
seri fendo. . . . quod singulae dicuntut additae
esse (ne' codd. appellatae esse^ in G. /lae^in e
eae^ in b, et) ' multae ; perci iche. i mafistrali
arcano facolii di aumentare io<molla a^giianten*
do di giorno in giorno 4in agnello od nn'boei
dalla minima^ ch era apponto. dVun agnllo o
d'Uff hut, fino alla suprema ch'evaidii dne egnelli
o di trenta buoi (Geli, l. c, Cf, Aiehuhr Sior.
Rom. T, II, p. e segg.J, 4 pere che eeche
io antico fosse trovala atrena qnasla ellmoiogie
di Varrone; perch la no^fubi sckirq de'gram^
malici^ come ivi dice A. Gelilo, pure Insialendo
nella derivazione medeaima, ieirs^net^a. invece
che multa siasi chiamala pez ^tifrasi^ come
tant" altre cose, 11 Mommien //ii/eirf/. DiaL
p. 281) nota che, dando a multus il aeoeo.di itm
multus o multus tantus, potrebbe crederai detta
multat aollipteao poena, qnaai il quenlp' della
pena. Ma torniamo al testo di Vaarone. Men
male mi parrebbe il leggere: Quom l(oe'icodd.
quod) singulae dicantur diuntJui^
appellatae eae multae (F. mulctaSy Hab mui*
tas), qod olith unum dicebant multa (Cbsi G4
in F. mulctae^ io Ha multae, in b,:muiti} ; ita*
que, ete. La versione avrebbe : Tuttoch uae^si
chiamarono mullae, cioimplte, 'perch
intimai moltiplicato ci ;che da eme
uno. Cosi ancora i contadini,, fei\riporre in
botti od in atri il vino, gittata che hanno la
prima secchia^ dicono multa^ cio ripeti. Vero
che il senio dato al quod olim unum dicebant
multa, non senza aforao ; e ben pi chiara la
aoitiiozione del Gofoben, qood odditum mnui
dicehant multant. Il Muller scrive di poi, pri*
mam urnam additam dicunt etiam tmnc muU
ttun (Coronneroenie multa ; me no be'eodiei).
178. Merces a merendo. Cf. e. 44 ****
tmm{\aitn\ manupretium) eius. Lo Seioppio
4 2 1 Al LlBRliDI M. TE RE NZI O VARRONE
4 aa
propone per congettura est in luogo di eius.
Pr aeda, ete. In Apoleio (De Di phth. 23, p. i 4i
Osann) leggcsi ; Mar cus ^ero Ter enti us ser i
bi t pr aedam a par tendo dictam, quasi par i
tam.
179 fiotroK Nc'codd. moeton^ meton^mae
ion, maetony mecon vr i fiotrou. In
luogo di cirr/ /uo/roc/y ne'codici anthymo^F. an
thimo Ha., anchimo G., anchi ni o b. Eiichio d
per proverbio Siciliano ; ed i tuoi
interpreti, paragonandolo con quefto pano di
Varrone, credono che in ambedue i luoghi abbia
a leggersi ci che ho dato nel lesto. Lo Scaligero
propose ; il Miiller
> cio Pr esto J a mesto ; ma solo per via di
nota diati, 1 codici soggiungono si w, che
non s' attacca u a ci che precede, n a ci che
egoe. Sarebbe nato da sunt f o vi segno d'una
laguna f
180. I n i udieium venite etc. Tranne b., gli
altri codici danno i ndi cium o inditium^ quali
premettendo 1/1, quali no. Noto ci, perch
espressione non pare in tutto esstta ; ed stra
na cosa che si dica solo di questa somma che no-
mossi sacramentum da sacro, senta aggiungere
il perch. Ce lo dichiara Festo (in Sacramentum,
aes etc.)y scrivendo : Sacr amenti nomine i d aes
di ci coeptum est^quod et propter aer ar i i i no
pi am et sacrorum publi cor um multitudinem^
consumebatur i d in rebus divini s. Intendi il
pegno del perdente, che Varrone dice solo inca
merato, come dice anche Gaio (l. IV, l)
Qui petebaty e/c. *Ne'codd. Qui s ad pontem.
Dove si deponesse il pegno, n Gaio n Festo
non ne toccano punto. L ' Agostino trov in nn
codice ad ponti fi cem ; e cosi volevi anche il Pi-
thou ed il Kler (Li t. Cr i t. in Var r , p. 8) de
uli i s rebus, etc. Poena autem sacr amenti , scri
ve Gaio /. IV, 5, 14, aut qui ngenari a erat aut
quinquagenar ia ; nam de rebus mi lle aeris
plur i sve, quingentis assibus, de mi nor i s vero
quinquaginta assibus sacr amento contendeba
tur ; nam ita lege XII tabularum cautum erat
e sacr o GH., ex sacr o a., E sacr o F. Da ci
si vede che il silo ad pontem^ dove faceasi il de
posito, era qualctie luogo sacro ; e questo intende
forse Varrone, quando dice da principio jacra
mentum a scro.
181. Il passo di Plauto nelP Aulularia 111,
5, 52.
i8a. quod asses librae pondo erant. Cos
comunemente; ne'codd. li br as; il Mulier,
les ; lo Spengel vorrebbe cancellato er ant e
conservato li brasi Forse V erant nacque dall'^/,
che ho aggiunto dopo, e manca accodici, ma par-
mi neceuario al periodo Sti ps in b negli
altri codici, stipa Lo /SWseguente incbmin-
ciato con lettere greche in a. ed in H. ; manca a
Gb., ed scritto STO EBE in F. Mi l i ti s sti
penditi, Cos lo Sdoppio, seguito dal Miiller; co
munemente Mi li tes sti pendi ar li ; ne'codd. M i
lites stipendii. 11 passo di Ennio collocato
dal Vahlen nell'ottavo libro degli Annali (269),
dal Merula nel settimo.
183. inde, secoudoch pare, iu Ha. e tal
pare la lezione corrente; in FG. in : nnlla in b.
^ IO dispendendo^ etc. Sono forse i soli esempit
accertati dei verbi dispender e e comprender e ;
t qui pure non fanno prova dell'us, perch ser
vono all* etimologia. A ogni modo sono contrap
posti Puno all altro, come dispendi um e com
pendium, per virt delle due preposizioni ; l nna
delle quali significa divisione e per toglimento,
altra unione e per aggiunta. Del resto non so
se nella versione io abbia colto nello il pensier
deir autore ; ch anche al Miiller questo capitolo
parve un po' oscuro usu usura dict^a. Cos il
Mailer con edizione Aldina ; comunemeote ex
usu ; ne' codd. usum. Parimente nel quae non
acceder et ad sortem, ho introdotto il non per
consiglio di lui; poich ne'codici sta quae cum
(m quom). Ma la distinzione che n'esce tra
usura ed i mpendium, non parmi aver fonda
mento ; ond' era forse meglio lasciare il testo
come stava.
184. ar bi tr or in F. ed la lezione corren
te: GH. ut videor, ab. ut ar bi tr or ea quae
loca., etc. Forse da leggere : ea quae locorum
et quae in locis sunt. Vedi la n. 1 al I. VI in
pr i mo libro. Intendi lu *1 principio del libro.
Vedi il c. 10.
NOTE AL LIBRO VI
SECONDO
DEI SOPRAVVI SSUTI
------------- - i ----------- -
et ea yitae in kis, Q q mIo ea^ehe dovreb
be eittre tar um reram^ o do etraDO tierapo
KaltMziooe. Pone ha ragione B. e la pi parte
delle editioni, * omesso V ea. Cos nl ^ io
del I. V : I n hoc Ubto dieam dw voeabulis io^
cor umt ^uae i n'hi s sunt; in secundo tem
por um tquQ% in fti sfi unt; e nel c. 97 del I. VI :
md te mi si duo (libros), pr iorem de locis etquae
i n loci s flirti, hunc de temporibus et quae um
his sunt coni uncta quae in agendo^et, Cf:
Vi la ger emus h. ; gli allri oodd. oremus,
a. Chrysippus^ etc il celebre iloco, che
iertase anche sei libri intornoiranomaiia (IX, i).
Varrbne iltee nomo acalNoio, e il ricorda pi
vlte. Quello Antipatro poi par che ila il Tarsefe,
stoico ancb' egli, grande avversario di Garoeade.
A qaetti ftloafi algiange qoi Varrone doe chiari
grammatici, Arsioiane Bizantino ( F edi la n,
al V, 9) e Apollodoro Ateniese ; perch a are on
bon etimologista ^iccorre non meno riccheaxa
d'rocftizione, che fioetza di giudizio. Apollodo
r o , olire alla Biblioteca^ che si conaerv, aveva
aerino pi altre opere, di cui veggasi il tabritio
(Bi bl, Gr . Ili, 27) a tardo li cet (Per errore
tipografico fu dimeniicato V a), Cos' bo scritto
per congettora ; e iie laido giudicare altrui le
probabilit. In F. turdeliee^ premesio il segn*
.T.; in G. turdalice^ e prima in tr dar i o ; in
lA,turdelite^ premesso parimente il sgno .T. ;
nel ood. del Turnebo ed iu a. tardelice^come io
F. ; in b. turde licet. Il Turnebo ne fa Tur del i -
c , come nome proprio ; lo Scioppio, tur delli s
(tur dei i s); i pi, lasciando turdelice^tuppoiero
il nme tur deli x, qnal diminutivo di ftoova stam
pa da tur dus a vetere : cos i codd. in F. ut
a vetere : intendi consuetudine. Il Miiller accolse
la congettura dello fipengel, che ut a peter
tus ab solui solitus sum k una mia congellu^
ra : ne* codd. ab rolu {\n h. ab solum) slum.
Lo Scaligero propose oh solo solium ; perocch
stima che in :quel verso di Ennio (Ctc. de Di vi a.
I, 4^1 107) * Auspi ci o r egni stabi lita scamna
solumque^ stia solum per solium^ ciocch non
par vero (CI. sola r egni del redeiimo Ennio
presso Festo in Solum ; e Varrone V, 22). Sol-
tussum^ se tuppougasi scritto, com' probabi*
Itasimo, in abbreviatura, potea confondersi facil-
menie cen solum, A ogni modo non avr posto
in bocca a Varrone cola non sua (IX, 107). Che
un tempo si dicesse solus nel genere maschile
il uolo, come imagina il Tornebo per non loc^
care il letto, non ha fondamento ab loebe--
'so liberum una ciigetlnra del Mller ne'eo^
dici ab libero liberam. Che gli amichi dicessero
loebesum e loebertatem, ce ne avverte Paolo ;
donde Loebasius chismavM Bacco presso i Sa
bini (Serv, G, I, 7 ; Gloss. Pl ac. e Papi a io Li-
bassius).
3. intervallum mundi motus. Cos il Miiller
cot Turnebo ; ne' codd. mundi et motus. Simil
mente nel I. V, c. la il tempo defioito i nter
valium motus ^ et a motu eorum. Cosi Hsb. \
iu F. motory in Xy, motore^ come anche nella
prima edizione. Anche Isi<loro Xll, i a scrive:
Mundus lati ne a phi losophis dictuSy quod i n
sempi terno mctu sit.
N O T E
4a8
4. Duo motus * solis^ prole confre^
ee fra i due atterischi son |giuAl 4! Muiar^
che sao coti quello luogo eoo laoia probabilU
da noo poterli desiderare di meglio ; bench sia
ardilo il supposto che fosse stata omessa un' idH^<
ra linea. Ma fatto sta che P autore propone qui di
parlare dei due moli solari, e che del diurno
parla Uetiivamenle t^op idxapilloletu> 8,, dove
entra s dire*dell|' ani|a^. no|T v' ha. dul^
bio che non si dovesse qui defiiSre il moto' diur
no; e le frasi stesse son quasi volute di necessiti
da quelle, con coi descrivesi poi il moto annuale,
e dair addentellalo che rest, del casum (o casa)
veni i. Gli antichi interpreti non videro, o finsero
di noo vedere P iocongrucnia della lezione cor
rente ; il Kler (LU, Cr i i , in F'ar r, p. 9) la not
senza trovarvi rimedio ; il Pape (Lectt, Var r on.
/ I . 5i) oe propose uno; ma a ragione non piacque
ai Mttller. La sua emendazione, che parte dalla
clausnla antecedente, questa: et duo motus
eorum : alter quo loto caelo coniunctus rhun-
dus a deo motus (ab ortu) occasum venit ; quo
tempus id^etc. Certo U dottrina, sposta da Var>
rone oelP oper delle Cose Divine^cke ano Com
il dio somtao e q9esio#<aa del mondo^ ai folle
kilTodurre a torto in qoeslo paaio ; ohe qvi> dove
dices ah hoc dee diet appeiUttur^ vi si. die io
tendere il aoJe, o meglio forse il cielo che fi ohia<
m dium (V, 66)* credibile.ch> dopo avee
dtto et duo motus er um (lolis eft lunae), si
patstfse eosi bricao>eatc, ael descri%'ere il pri
mo d questi moti rispetto I sole, a fiir aoggttto
mundtis quod Cornelius^ tc Questa baeiiica
detta iosieme Emilia Folviaypertib iu creila
M. FqIto Nobilire, oh' ebbe a collega M4
Emilio.Lepido ( a r d i 5^3^ nellaeosuraed
la BcdesiCDa, seooedo crede il Mlier, ehe fa ri^
fiorala da L< EdiHo Paulo il vipieiiore di Perseo^
quando f censore uel 588 (Stat, Si iv, 1 1, 3o)
rioofala dalP edile Eimiio Padlo iolorBo al
700C Che ia qudsu Wil ica foue tato un rolol
gi, dofrji-oonosce che da qdesto luogo di Var-
rene.. Il Miillef cngellura che al tempo stesso^
in co* Q. Mercio Filippo pose appo i Rostri u
orologio folart, il primo cke c^rispondeas al
oUctia di Roioa (Var r ,.pr esso Vllv
asehe L* PanUs che gU ere cdllega oeHa oenn
sura, abbia fregiato la sua basilica di un simile
orlogo. Seoenoli Varfom omba qi CoTne
liOy qtfal che ai fear, e noo L. Paak< lo eredo
che il verbo* i numbr ant abbia qui llro seoMi!
qoeltb ehe gli si attrbuifoe^ e oKe orolofio^ di
cui si parla, sia qoello CM Cor noUus Nasi ca
Censof ex aqtsafeci t___; quod I i psum eoo
eosuetadi ne hascndi tf si e horas^ solr i u n
coeptum vocar i (Censor, de . XXl l l ). Gi
fni come MiMige Plinio R. U. VII, 60, nelP anno
dl^ Roma'SgS* L'aggionta quod Cor neli us i n
basilica^ etc, non po certo intendersi del primo
orologio solare che siasi veduto in Roma ; e l'in
letfreiare, come fnno alcuni, V i numbravit per
coperse di tetto a modo di loggia, la pi strana
cosa del mondo ; perch inumbrar e in questo
soo dirsi d^qualuni|e ^lUo Qgfelto, ma
d' un r^o^o Soffre. S<izadi par cosa
che accadefse qui ricordare, i che etimologi-
fta noo poteva dimenticare, era il dirsi soi ar ia
anche quegli orologii che pur noo eran solari ; e
questo ci che sembrami toccar qui Varrooe;
tanto pi che corrisponde a qoeslo supposto il
nome Cornelio. I numbravi t vale qui adunque ci
che dello in Plinio (h c.) sub tecto di cavi t; e
contrapponesi alP Aorae in sole inspiciebantur^
che precede. ggiungesi che P espressione stessa
in basi li ca non par convenire d' un orologio so
lare ; pei quali invece vediamo dirsi apud aedem
Qui r i ni ; ad Rostra^ o secundum Rostra^ in
columna ; ad aedem Di anae in Aventino^ec.
5. Parimente uel c, 5i del I. VII; Supremum
a \Sup^rrumo di ctum ^ i taque 1/ Xvll tabulis
diouni i Soli s occasu di ei suprema temposi at
osto ( Cf Gel i . XVll, a; CensHn, de P . 19.
XXIV i Macr ok ^Sat, 13^ l ex Plaetor i a
00^ (orreiionr dello Scaligero^ ne^codd. J ejt
praetoria Noo.laMa luogo a (^^bhioCeeaoiino^
il quale ella legge deUe XU tavole soggiiaage
(L c^: Sed postea M. Pl ator u Tr i unus
pUbi s soitum tulit^ i n quo scriptum^osi Ptao-
tor Urbanus^ qui nune quique post hc
fuati dma lictor es apud se kabeo^isque usqu
ad supremam ius ifkter ci vi s dicito. Come rac*
cogligli d Varrone, vi al diebiarava di poi qual
dovesbe averli .pef^M/>rensa. Ne*eo4iei ai leg^
pr aetor in luo|^ i praeco. Quanto alla regola^
che ea il banditore pel* delerroinara quest'or
supi^erea' veggasi Plinio CL VII, 60 Crel
puseulum, e/o. SimilmenU ael c. 77 del LVU:
Cr epuseulam ab Sabifg^ quod i d dmium ttrth
pus noctis an diei s i t . . . . I doo dubiae res cre-
per ae dktae (Cf. Censor , do / H. XXIV \
Paul , F. i n Creperum e Dcerepitdi) I n Rea
tinoi e/e. Coti il Mttller ; P Agostieo a t ea notaio
io argiiM Ooo^ lezione d* im coUioe* la
H^ i o r otione, itk FG. in. creaioue, in b. mo
eteaci one. Il tenere d Rieti fu onou^alp prime
da'Sabini parlili di Amiteroo. Vafrcoe, ttelivo
oon>' era di Rieii dovea Apeme Mlinguagfio.
G. Catulus (Fab., CatuUus prohaJbil
sente ii medcfimo Q. Lutezio Catvio, la eui
atfloeit ellefete nel . 5 Lo Sealigero vor
rebbe > invece Pacuvi us per una talqaele ao^
mitiea con i che leggeli in Varron, de
Al LI BRI DI M. TCRfiNZlO VRRONG 4Bo
R. l . i , 3^5: Fer umeni tn est i Uud PacwUs
Sol si perpetuo si i aut noXy fl ammeo apore
aut fr i gor e ter rae fr uctus omnes inter ir e. Le
medeiifD elinologi d dmf da Servio
Aen. 1, 69, e da Isidoro V, 3i, 1, m per ragio
oc diivraa, cio yeorf ocuI noceat -* cum
Graeci^ etc. Non sq come nella ilampa sia qui
caduto cum doV era mia iotenziooe di fcriyer
^uod (cum H. probabSfBcnte da ^o/nicambiato
con ifuod)^come appariaee dalla tradutioae. I^re
fierifi Acciocch j^isaltast elimolgia, e
procedes pi ^piglialo il diacono, e fiorriepokH
dMK iU foroa fegileide: ui anti $olum ortum%
qued, ete>Dici reato oop iipitce otaaclie)'
Graeciy etc. pi d* Godici* a uUi MtiMipe il
Miiller ppocndolp ffa pj;fnlfs( 700 ^r|i d ternm
pus. Lo Sciopplo voleva ' in luogo i cum
od eum: 11 pano di Plauto nell' Anfitrione 11,
i L 9 f ed ^ ricordato nuovamente nel c. 5o del
L VII iubar^eie. Pr opr i e iuhary ferite Ser-
yio Aen, IV |3o, L uci fer dicitur^ qupd iuhar
uois effundi t ; in laidoro (111, 70, 18): quod
i uas lucis effundat^cio, come aggiunge dopo,
quod in modum iubae r adi t,... extendantur
( Cf Vii, 76). Pacuvi anus di ci t paxtor. Cosi
il Vittorio 3ligato dallo Sptngfl, il Turnebo ed
il Mullr : ne codd. Pacuvi us (in n, pacu). pa~
stqr (Ga. pqrf^r, p . pactor^b. purcor ), 11 Hib-
beck (Tr agi c, L ai . p, a8i) aoppone che
qvasto verao apparteuefse alf Antiopa ; e con
esso, f ntrando ain da principio iq iacepa, #alu>
tassa TaoiOi-a il pastora dtl ,Ciierooeche vi^uc
due 3 gli d* Aotiopf^, Aafioiic e Zfto jJ ax,
fjuo * etc. Quesito nedetiiQO passo recato an
che nel.c 76 del 1. VII, dove i >eodici darniQ ali -
guod (Q ali^uot) lumen iubarne i n xaelo cet-^
no? Qui invece i codici danno espressamente
A i a x; sooch Hab. wrivono Al ax, Riscon
trali i due InogUi* il Mailer ne iftasR per
la Itsione J i i axs quod; qui credette dofersi
ggiongere *1 guod ( Cf VI, 8j ). Il Rihbeck icri-
TiAi Ai ax^ Boc lumen i uhrnest ^uod i>oae/o
cer no? e le crede anch'egli dol Jtfiiller parele
Irailte dallVAiacc di Ennio, q s' ingegna di deter-
nioasne U luogo (p 71).
7, in Br uto Cassi , Cm%\o hamio i codici, 0
qai, e c. 7 del I. VII, dove ripelesi il mede
simo Verso. C. Aeeto avrebbero voluto sostituir-
vi'H Vittorio, il Turobo e lo Scsiiger ; certo
Dn aeaia ragine, percbi il Bruto di Accio i-
tatoanohfl nel 0. del I. V, e se oe conservano
pi fraO>menli ; lad^ve, stando a' codiei, si va
ineosktro a non lievi dificolt, qnalunqne dei due
Gassii vi si voglia intendere, uccisor di Gcaare
o il Parmense ( V, Ribbeok neW op. eit, a f 349-
5o). Del resto errarono il Vittorio e %\ altri nel
r attribuiffe ad Accio il prenome Caio* iszieh
qullo'di L uci oc ma gi anche fiele. 80 del t. V,
dove FGw danno Accius^isi Ho lggevi tatis^in
ahc. tacci us quod idem Plautus^ et. Che fa
qol la voet tempus ? Sarebbe iuta ohiosa del-
idem ? & che, so ti scrivesse ; quo (o seittpli-
otroele ^ o . Cf. V, 6) idem Plautus coniioi^
nium ; tto.pr i a qual r agione Plauto chiatn
eonlictniura'guelfo medesi mo tempo ? nelfA-^
sinaria III, 3^96 ) dove per leggeai r edi to J tuc^
eome in G. a l e . 79 del I. VII che rpote questo
verso. AIcnni distinguono questi okti, che qui
si faiwo luft'UBO.
8. afi ter ac * caei. Cosi il Miillry domaiir
dt>doIo t senso (F", l a nota ai c. 4) ^ ne' eudd.
alter caeh aut ^uod ad , etc. Il MdKer
vorrebbe tolto IVtfiif, non aggiangeodosi lenna
nuova etimologia. Lo^calig^o voten prima quod
solo eo die ; sicch s^avessero dae etimobgio 4i**
verse. Tona sola stti o ; Taltva sli s stati o;
giacch io Fb. leggesi aut , quod sol ad no5, ei^
Cori conterrebbe scrivere: solstitium^ quodto o
eo die sist^re videbatur ; aUt qiod sol ad nos
versum pr oxams eiit, soi i sti ti um ; perooeh 41
modo, in coi lo Scaligero inteade cacconcire il
secondo merobro, non ha punto 4lr probsbiliti.
9. hiemi^ ti c, propriam^nCe che vogliasi
trarre hiems do imber^E pur era forae ^-
tano hiems da ^, che aestas do as^r Sai t
Senonoh Vetrone sembra glottidoare la su eti
mologia coi due deHvati hi bemum t hi bema
cula^iQ cui oomervsi il b^com' in i mber ; ed
'per questa ragione che rompe il filo del discor
so, inlrodoceowlo <ira nn'timologla e Poltra qoai
due derivati. Nto ci per rimediat al difetto
delta mia traduzione, ohe non ebbe rispetto oci.
Credo d avere errato nel tradurre hibernum
per luogo in cui sver nasi ; giacch in questo
senso non so che trovisi snai nd singolare. Sosti-
tuiscssi : ed hibernoM /0 stesso tempo d^inverno
vi r er incipiunt^ eie, 1 lexioiie corrente,
ohe ni parve da prefenro a qulla de^/todici, cbe
k vigere inci pi unt, Apche hiJoro V, 35, 3 trae
ier da virere^>ln loogo di *ff, cbe fu qui iotao*
dotto dallo Spcogel, i codici hanno eA
10. Quantnnqoe i codici 0 le pi veo9hie
ziooi non notano alcuna anCanza ; Iut4*via non
se ne pu dubitarew A ragione per H MuUer ront
ta (Quaedam desunt il Multa desntfdt^ avcano
qui notato il.Vertranio, lo Sdoppiio e gli aUrl ;
perch la raancaaaa non pu tesser gvaol. F^prat
non manca ohe reliatolo^ia 4l*ailismnsi^ aulfina
del capitoletto aoteceileato e poi aegnivat {Ut
annus] ab solis^si c mensis, ete. Ed pur pro
babile, oboi etimologia d^neiilkemui si pifliaste,
come io Ftaio^a^^muetu; e ohe il perieli# 4erml
I fl ,
E
43.
naiie ripetendo U roce ftesM autumnus ; onde
per U iciiglUihxa della tcrillora con ut ariMur,
il fooreo rocchio del oopiila, laltatido aoa o
doe linee.
11. Saeculum, icrite Apuleio (de DiphtA. 26,
/. 4>*3 Osann) per breve deberet notari^
quoni am a xeyki^r, vel^utplacet Far tOni , a tene
deri ptuM est.' Potrebb^euer per he Varrone
il ti pel ease anche allrove} perch in;una1lro luo
go del medetiiDo Apuleio (29, ;i: ijSK doTetL
danno le slfsie lirarologie, 'a' tlribuisce Var
rone una doUrina che qui non Iroirianlo. Fuer
r unt quidam^ dicesi ivi, Mar co Far r one ieste^
f ui eak dhi i obet (reta, demutn, deni^ue^ in
pri nci pali bus pr odacti s ' diphthwtgari putti
rtnu, quia ab eis dictiwtibus^ derivarentur^
quae' in pr i nci pali bus ,e. cor reptam haberent^
ut vi deli cet ipsa dphthongus esset i ndi ci o cor*
reptionem primitii;iorum in deri vati s non ob^
ser var i ; teaenut a aes, daenns pe/ daenariua a
decem, aaeculum a aequt>r vel sene senescen
dorum hominum. Cosi in Plauto, nola qui il
Mttiler, placenda dos^ per eunda puppis e timili
putar ant H., putant Fa putar unt Gb.
ti or una cof^geUura dello Sperigei, approva*
ta dal MUllcr; in FG. eOn ; laguna in Oab. 11
paao di. Plauto ol Trucnienlo 1, 1. Dal me
defimo aevum poteva trarsi |>i ragionevolmente
anche saeculum^
12. A d natur ali a discr i mi na . dierum.
Goa il Mlier con lo Scioppio^ aenonchi queati
t'aggiunge cael i : ne'codici, a natur ali di str i
mine,,, di m J gonaes^ etc. Cadevano nel
di 9 Gennaio. Veggaai: Paolo in Agonium^ec. ed
Ovidio Fast, 1, 317 e segg, lo luogo di eo quod
scriverei volentieri-l ^</>* sicch vi li accen-
naue 00'altra ragione della medetima etimolo*
gi, cio P estere qui agi t civitatem il sacrifica
tore, e qui agi i gregem il sacrifidatore ^ Car
meniali a ntW 11 e nel 15 Gennaio.
13. Le Lupercalie celebra vinsi nel i 5 Feb
braio; le Quirinalie nel 17 ; le Feralie nel 21 ; le
T^roinalinel a3 ; *le Kquirie oel 27. Alle For
Dacalie non trdvasi negli pl i chi . Calendarii aaae-
guato giorno ) ed Ovidio /W/. l l , ' 5dft, le dice
anii eipreasareeote non stata /aera. Tuttavia
raccogliea da questo luogo d Varroae e da Ovi
dio, che il d delle QuiriiiaHe ne era in certo
Dodo illertnine. L essere bandite dal Curione
Massimo e celebrate per curie, buon argomento
deUa grande antichil di queste feste. Ovidio,
dopo aver detto che il Curione Massimo le ban
diva con la solenne forraola,
I nqu9 Foroy multa ci r cum pendente tablla^
Signatur, ter ta Cur i a qua^qut nota ;
oggiungei rispetto airnltimo giorno, io a
quello delle Quirnalie:
Stultaqe par s populi quae si t sua Cur i a nt^
sci t ;
Sed faci t extr ema sacra r elata (al. relicta^
die.
Intorno alP nao ed al modo di pubblicare le
ste, vengasi pi sotto it c. 28^ e ci ebene dice
Macrobio ne'Saturnsli 1, i 5 Februum Sabi
niy etc. */(, scrive Lido de mens. IV, 20,
9 Td i rtfi r i f 9 ^^* 4 ^
rM *> uai
^ ?' Aoi/*ifxerf
xetfTT^w. Che Februo li nbmasse Dite, %ksa
affermata anche da Srvio Gerg. 1, 43 e da Ui-
dr V, 33 } e vi accenna frse anche Varrone
nel c. 34 di questo medesimo libro : ra chetasse
nome etrusco, tuttoch possibile, la (>ba accuia'*
tetza di Lido lo fa ihiprobabile et i d in sacr i s
nostrum verbum. Ce lo prova lungamente Ovi
dio nel li.dc'Fssli, ove scrive {v. 19 e segg.) :
Febr ua Romani di xer e pi ami na patres :
'Nunc quoque dant verbo plur i ma si gna
fi dtm.
Ponti fi ces ab tege petunt et flamine lanas,
Queis veter i lingua J ebr ua nomen erdt.
Quaeque capit li ctor domibus purgamina'certis^
Tor r i da cum mica^arra^ vocantur idem,
Nomert idem ramo^qUi caesus ab arbore puta^
Casta sacerdotum tempora fr onde tegit.
I pse ego Flami ni cam poscentem febr ua vi di ;
Febr ua poscenti pi nea virga data st.
Deni que quodcumque est^ quo pector a'nstt-a
piamur.,
Hc apud intonsas nmn habebat avos.
Mensi s ab his dictus^; secta'qui a ptl le Luper ci
Omne solum lustrant, idquepiamen habehl^
nam et Ia comune lezione : ne' codd. ^von et
Fur nacali bus Ia scrittura de^ codici, toltone G;
che Yimfor nacali bus. I>a ritenne anche if Mtfite#
per Panalogia di fur nus e fur naceus Fer al i a
Miis i nferiSi noU un 'vecchio Calendrio ; e per
inferis., non infer ii s.,kk 4enere anche qui. /^er
ro, dice Macrobio Sat, I, Fer al i um (vi Fer i a-
lium) diem ai t a fer endi s in sepulcra epuli s
di ci Terminalia^ etc. Questo luogo farebbe
credere che Varrone avesse sorhto il preienle li
bro innanii alP anno di Roma 706, chiamato
P anno della confusione per la riforma che itro*
duss Cesare nel Caieodario ; laddove per lo co^
trarfo i giorni assegnali nel e; 22 alle feste Satur
nali ed Opali, corrilpondeodo solo al nuovo
At LI BRI DI . TI RENZI O VARKONl :
<4
l' omputo cleirauiio < crcJcr oppoitp. Il
MuHer ^ d' uvri so che coulravldiiiuoe sia
nula JtIl aTer Varrone riloccalo io parte il pre>
telile libro dopo la riforma Giuliana; ma che
efleltivainetile avesse gi acrilto prima. Del re-
elo noto rJie inoifnii alla riforma. Uopo le l'er-
fuioalle iiitercalnvasi i! mese di siipplimeqlo, detto
Merce*loiji ; io 6ne del quale *i lra>porla?anu i
ri nqae ultimi giorni lolli a Febbraio Equi r i a,
Jn l'Ga. ecur r i < in Hb. ecur i a r eo die enim,
l u GH. 0 enim die ; in b. oniesu enim
iudts cur runt, lo F. omenso il ludi s. Nola il
MiiHer, quanto a quel l o ablativo non reito da al
cuna preposizione espressa, che i| simile occorre
in nuptiis al c. 34 del I. YU, e*l '\\\ Pj r r hH>ello
kl c. 3^ del niedeaiiQo libro.
14. Liberalia^ Di es J gonalis^ oolooo i Ca
lendarii al 17 di Mario (CJ l Oifid. Fast, il i ,
stdent. Cos tutti i codici : il Vittorio e lo
Spengel lo dividono in te dent ; il Turuebo e il
Gullofredo tengono Sedente e lojnteodono per
feriantur^ come ee fosse in luogo di resident.
Non so vedere perch non s'abbia a pigliare nel
ilio vero e proprio ^enio, se , di sacerdoti,
come ci descrive anche Ovidiq, sostenuto in
questo giorno da vecchie incoronate di edera t-he
stanno coceiido a loro fornelli f vend^nt^o a)
popolo focaocie, chiamale liba (CJ . Serv. Aen,
VII, 109; Var r , VII, 44) ideo^eie.
Qual la ragione accennala dair/</eo? Attaccasi
forse al sacrijcantes^ perci che agonia^te ere-
dHmo a Paolo si chiamavan le vittinoe ; el agere
i'uporla anche sacrif>are (Cf, facere)^ come par
supporre anche lo tles.so Varrone nel c. la, par
lando delle feste agonali (Cf, Os^id,Fast. l , 3ai)?
lo non so vederne aljra ; e questa lauto pi mi
par vera, che il sncrific^anies nel luogo, ove sla^
non cadrebbe forse apoolaiieo, s( non fosse per
fare la strada alla congettura seguente
guatrus, dice auche Gellio 11, ai, 7, ^uod quin
que ab idibus der^m numerus sit. Veggasi
Feslo alla voce (Quinquatrus^dove ripete ed ain-
plitica le cose drite qui da Yarrone. Nell'errore
che qui riprcndesi, pur caduto Ovidio^ il quale
Del 111. de* Fayti al T. 309 e seg. dice :
. unt scr a Mine-'K'ae^
Nomi naque a i unctis quinque diebus habent.
Peraltro, checch sia stato in origine, certo che
queste solennit celebravaitsi picr cinque giorni
dal 19 al a3 di Marzo (CJ . Hor at, \\ Epi st. a,
197). Nel primo giorno area luogo la ilanza dei
Salii nel Comixio - r ab Tusculani s : io Gab. a
Tusculani s, Cf, V, 3o^ Tubulustr i um FG.,
iu ab. lubulustrum^in H. tubilustri um. Cadeva
M. T . Va SBo M de l l a LIIIGIA LATK'ia.
nel a3 & i a r x o. Hi c dies^ dice Verrio ne' Fasti
Preneslini, appellatur ila^ quod in atri o u Iq^
r i o tubi (Vrdi pi sopra Varrujic V, 11;) lur
strantury quibus in sacr i s utuntur,
Megalesi a : dal 4 *1 10 Aprile. Forotto
Celebrate in Hoina per la prima volta nel 5G3
arcessita : in Fab. accer sita Per g^ma, Cs
hanno i codici ; la lezione corrente e Per gami .
A ogni raodo da pigliare come nome dell
citt, perch gli srgue ubi. Non improbabile,
come nota il Miiller, che dalP accusativo j^-eco
ni fyaua liesi formalo iu Ialino. t|n nome della
prima declinaiione, Pergama^ et*condoch av
venne d'altri.nomi simili. In luogo di ubi^che
dato da a., gli altri codici hanno ibi, Quanl/>
poi a iegalesion^tX lo vuole nome del tempio,
e a questi mi sono attenuto anch'io; chi il nome
del muro, e con questi ilMillr; altri tinaU
mente, come lo Scaligero, credouo errata Ih le
zione. Cerio non pouibile intendervi che Me-
galesi on dinoti qui il tempio edificato iu Roma,
come pur vorrebbero alcuni. templum i codici
premeltoiio in, che fu ragiooevolmeute omesso
tanto dallo Spengel, quanto dal Miiller Fmr-
dicidiUf nel i 5 Aprile. Trovasi scritto ed horda
e for da nel senso di pregna ; code apparisce che
la^vi ti en natura di digamma, ci. che rende
improbabile opinione dell'autore, che sia detto
for da dal J er r e Pali li a^ dette anche P ar i
lia., e pi tardi Sagre Romane; erano il ai d A-
prile Cer ealia : in F. Cer i ali a t crlcbravansi
dkl la al li) d' Aprile.
. y^inalia: nel a3 d* Aprile. Che molti la
credessero lesta di Venere, pel buon tempo che
vi si davano le meretrici, dov' era propriamente
gioruo di Giove, cosa notata anche da Masurio
preuo Macrobio (Sat. 1, 4) e da Ovidio ne' Fasli
(IV, 877*900). Al cullo d Giove si mescolava
per quello di Venere, massimamente nelle se
conde Vinslie, che s dicevano Rustiche, e festeg-
gavansi ai 19 d ' Agosto (c, Cf. deR ,R , ^
I , 6). Se facciasi qualche londatnento su la leg
genda ohe corre quanto all* origine di queste due
solennit, toltone il ripieno iniessutovi da'gre-
cizianl; la prima darebbe imagine d ' un voto
fatto agli dei Libero e Libera, sotto le appellazio
ni d Giove e Venerr, prr una buona vendem
mia ; l'altra dello scioglimenlo del volo con l'of>
ferta delle primizie (O^id, l c Ver r i o ne Fasti
Prenet.y P/ utqr co Quest. Rom. XLV, Festo in
Rustica Vinalia). per certo che nelle prime
Vnalie, ai voti per la futara vendemmia 'univa
almeno la gioia per la passata ; poich era il gior
no, in cui spillavasi per la prima volti il vin
nuovo, facendone iunanz, eom'era di dovere, la
I libagione a Giove (Plitt, IV. H, XVlll, 39;
a
435 N O T E
4^6
Paralo in Caipnr e in Vinklia). Cosi iviano prov-
vciluto le leggi rIU alule pubhlca, felando li
bere il vino, le non era 'riposalo per meno
. Or come errassi ad intendere ci che qui
lice aulor della lihagion falla dal OaRiine Diale
del nuore vino, e lei lermine posto, innanzi al
qunie non doTea poriarxi inVill? Ambedue (jtie-
sle sogliono riferirsi (e cos fa tra* moderni
il P4*rller) alle seconde VitiHlie; perch non si sa
Tedere come possa pailar! di vendemmia in A-
prile, e perch delle condotte del vino scrive
apertamente Pesto: Rusti ca r i nal i a XI W Kal.
Septembri s celebrabant^ quo di e pr mum in
urbent \num deferebant, DalP altra parte stra
na cosa che, piirUndosi qui delle prime Vinalic,
diasi per anticipalo, senta atvisairnc in alcun
modo il lettore, ci che nppartiensi olle lecoDde,
e per dovea riservarsi al ventesimo capitoletto;
el certo insieme che assaggio del nuovo
vino erano stabilite, comc dice espressamente
Plinio, le Finalie prime^e all' assaggio precede
va la libagione fjtta per opera del flamine a Gio
ve. Sarebbe qui frse da pi;*liHr vindemia in
allro senso dnlP ordinano? Allorch Varrone di-
tinse due etimologe diverse di questa voce, quod
est vindemia aut viti demi (V 87 ; Cf, 94)
mir fors* anche a due significati diversi, uno
de^ quali converrebbe a punto ulle prime Yinalie
per ci che in esse, come dice Paoh, vinum no
vum in doli o demi tur ? Maggiore difficolti par
offrire il secondo passo che ragguarda la condot
ta del vino nuovo in cilti : pur, se Varrone alle
g per prova i monumenti Toscolani, ci vor
rebbe dire che questa pratica tra gi smessa da
lungo tempo, e per Feslo avrebbe potuto pi-
gli;<rv{ errore. Ma chi ponga mente al cnniealo
delP intero capiloletio, si persuader di leggieri
he P antica legge di Toscolo c recala a prora di
ci che dicesi da principio, che oo tempo anche
nel resto del Lazio, come ancora in Roma, si
prendeano non poca rnrn quanto al metter mano
al vi<i nuovo ; perch auchc ivi era proibito fino
il portarlo in citl, prima delle Vinalie. Cos per
ur bs dovr ivi intendersi la stessa Toscolo, a cui
P essere oppidum non loglie che si potesse dire
anche urbs ; e alla comune lezione I n Tuscul a
nis sacr i s sari da preferire, come fanno lo Speii-
gel il Preller (Rm, Mythol p. 1^5, n. 1), quella
cui chiaramente accenoa il codice Fiorentino,
cio in Tusculani s or ti s od /tortis ; cosicch il
senso sia che nelle ville 1 osculane leggevasi an
cora il divieto di portare il vino nuovo io citt
prima delle Viiiwlie - por r ecta la comune le
zione da! Vertranio in qua: ne'codd. pr oi ecta
pr i mus vinum Itgit. Cos il Mailer; ne' codd.
porus^ iu luogo di primus^ o pr or sus che la
lezione corrente mantennla ancora dal Preller
fi. c.) I n Tusculani s sacr is. Cos GH. e Forse
ab.; in F. sortis^ probabilmente per orf/j, cio
hortis^ secondoch chiamavatisi aiiticaniente le
intere ville (Fedi / n. ao) Rohi gali a : nel
d a5 d Aprile. Tra questo capitoletto c il se
guente, il Miiller not laguna, saltandosi lulto il
Maggio, che pur ha qualche festa di nome non
abbastanza aperto. Il simile fallo poi del Set
tembre : ma forse v era tutto chiaro.
17. Vestalia^ a d 9 di Giugno; dal 7 al t 5
continuava la purgazione del tempio di Vesta.
Ne codd. aut Festa in luogo di ab Festa^ che
congettura dello Spengel accettata dal MiiHer
Quinquatrus Minusculae^-n d i 3 di Giugno.
Veggasi Feslo in Minusculae For ti s For tu
nae^ a ^ a) di Giugno. Di Servio corse voce*
che lo facea P amico della ForKina, come Noma
d Kgeria.
18, Il Poplifugioy le T9one Cap)rotine e fa
Fi tul azi one, secondo P opinion pi probabile,
tono qUAsi Ire atti iP un solo dramma. Il fatto
riferito oncho da Plularco (in Camillo 53) e da
Macrobio (Sat. I, 11) al tempo, a cui Io rlfcrisre
qai Varrone, cio alla terza dillalura di Camillo,
allorch Roma, uscita appena dal pericolo de* Gal
li, fu minacciala da' Ltini da' Volscl. Net pri
mo giorno commemoravasi Io scompiglio e la
fuga de'Romani; nel secondo il soccorso, che
riconoscevHsi come ottenuto da Giunone Capro
lina, o, secondo un'antica leggenda, da un'astu
zia delle fantesche ; nel lerzo l'esultanza della
vittoria (Pi sone presso Macr obio Sai. Ili, 2). I.a
seconda festa (c ce io dire etiche il nome) era a
d di Luglio; la terza agli 8; la priiua, secon
do Pisone,avrebbe dovuto essere alle stesse None,
o il d prima : ma da credere a' Calendarii r.he
la pongono a i 5. Del resto, quanto al Poplifu-
gio ed alle None Caproline, correva pure altra
voce, che vi si ricordsste 1' uccisione di Romolo
presso alla palude Capra ^D/oniV. 11, 56 ; P l u
tar co in Rem. ag, ed in Cam. f. c.). l'accio P o-
pinion di Pisone; perch il nominarvisi la guerra
contro de'Toschi, anzich contro de" Latini, non
so qual dilferenza possa importare. Il noe trovar
qui toccala P astuzia di Filolide o l'ulula, parve
al Niebuhi un argomento che Varrooe la avesse
per una favola. Ma in tallo tra il fine di questo
capitoletto e il principio del seguente v' una
laguna, come not lo Sdoppio ; e in questa pur
probabile che fsse spsta qaclP antica leggenda,
secondo crde anche il Mailer. Cerio dagli anti
chi non si d ragione del privilegio con
cesso alle fantesche di Vestire nelle Nne Capro
line la stola matronale ( J gl i autori ci tati ag
gi ungasi J usoni o EH. XVIII, 9-10, th tocca
I LI BRI DI M. TE BKNZI O VAURONK 438
i questo pri vi legio), Vero per che il dirii
^uod eo di e in Latto (ooo solo io Rem) l unoni
Capr oti nae muli er es sacr i fi cantur (GEb. ; tie>
gli altri sacrificant)^ dilaoga il pensiero da una
origine che sarebbe latto propria d Rona^ e
ritgoarderebbe le iefve, noD tutte le donne. Ma
quanto alla seoond coia^ anche io AUcrobio^
ov' delta frsta della aocelle^ a^cgiungeti tuttavia
eh'lier ae par i tr anci llaeque sacr i fi cant sub
ar bor e caprifico^ in memori am benignae vir^
tutis^qiiae i n anci llarum animi s pr o conser
vatione publi cae di gni tati s apparuit:
19. 1 gioothi Apollinari regitranii ne'Ca
lendarii dai eal i 3 di Lu;;lio^ cominciando coai
coi gioi^no sitato dtlU Fortuna Muliebre e com>
prendendo i gioocbi ])el natele di Cesure. Anti
eaeiente per uon era deificato loro che un solo
giorno; ci secondo f/ (XXVll, a3), il 5
di Luglio; pi lardi per, come lerobra racco
gliersi da Cicerone, e dal luogo, in cui son qui
neordati, il la dello sleito inese. ^ Neptunalia^
nel a3 di Luglio. I codici, in luogo di dei^hanno
di Furri nalia^ nel a5 di Luglio (Cf, V, 84 ;
Vn, 45) nel 17 d'Agosto. P or
tunus^ negli Scolli Veronesi fJ en. V,
), t</ Var r ait^deus port\_uum por ta^rum
que praeses. Quar e hui us dies festus For tuna-
/la, qita aput veteres claves in focum add[^ere
prope'] mare institutum. Hunc Gr aeci Pal ae
mna vocant. (]osi scrisue il Reiima, tuttoch
ardila, forse p probabile la congettura del
Preller (Rm. Mythol, p. 158, n. a), che, colla
zionando queio con altro passo di Varrone,
legge invece quo apud veieres aedes in por tu
et fsr i ae i nstitutae. Il tempio di Portuno, come
n o t a n o . i Calendarii antichi e P. Vittore, fu al
ponte Soblicio, detto poi Emilio, presso al teatro
di Marcello. Figuratasi eoo una ohi?e in mano.
ao. Vi nal i a Rusti ca. 1codici hanno qui XII,
e non XIV, Kal. ; ma de?* essere stalo nn error
d occhio o di penna, come not l Agostino; per
ch ita contro universale testimonianza de' Ca
lendarii e auiuril di Feslo. Veneris^ dire il
medesimo Varrone de li. R. I, i, . . . pr ocur a
ti o . . . hortrumy quo nomine r usti ca vinalia
instituta ; 00rie nna delle siie salire Menippee
invola vasi Vi nal i a vtf i ^^- ; e molto
vi-no, dice Plutarco (Quest, i 2o/n. XLV), si spar -
gea bel tempio di Vener e nel gi or no deli a sua
festi vi t nominata Vi nal i a. Anche questo per
detto da Fello giorno di Giove: eodem autem
die Vener i tempia sunt consecrata., alter um
ad Ci rcun\ Maximum^ alter um in luco L i bi
tinensi^ quia i n ipsi us deae tutela sunt hor ti
(aM V. Rusti ca Vi nal i a). Che t Veoere fossero
neri |li orti, coia della datanti, che sarebbe
vana tuiica raccoglierne le Icslimonianze : iova
piuttosto notare cite in quanto essa ha p:trlc [>ec
ci nelle Vinalie, il vocabolo di orti da pigliare
nel suo antico senso; per cui nelle dodici Tavo
le e nel l a stesso Cicerone si f corrispondere
vi l l ae dicantur . Cos giusliimehte il Mttller ;
ne' codd. dicuntur fi unt: in b. sunt Con
sualia., nel ai d Aj'oslo Vocanalia^ nel a3
parimente d' Agos l o. il simile nrrMtio Feslo ed
Oviflio al proposilo i\e Ludi PiVrd/oriV, che nel
di Gi ugno facevansi dal Prcinre urbano pei
pescatori del ' l evere ; quor um'quaei tns non in
Macellum pervenit^ sed fer e in aram Vul cani ;
quod i d genus pisci culor um vivorum datur ei
deo pr o animi s hutnanis,
a i . Opeconsiva ; in Ha. opeconsivia ; ne C-
lendarii OIMC. al a5 ! Agosto Ope Consivia.
Cos disgiontamente in Gb. (senonch b. ha Con-
i ilvi a) ; e questa parve anche al Miilter la scrit
tura da preferire, perci che Iroviarao in >1acro-
bio (Sat. Ili, 9) Opem Consiviam^ e Consi vius
aggiunto anche di Giano, che sotto questo a-
spetlo corrisponde forse a Satrno, marito di Opi
quod ideo artum Cus) avevii io scritto : ma
rimettasi pare, com' ne'codici, quod ideo actum^
eo.icch s iulenda dell'essersi posto qnel santua
rio nella stessa Reggia di Noma, che fu atrio al
tempio di Vesla, acciocch non v'entrasse nessu
no, fnorch le Vestali e il Pontefice, che soli
potevano entrare anche nel tempio di Vesta. f)a
tal segretezza e dalla prossimit del tempio stesso
di Vesta, dove s'erbavansi 1pegni della perpetuit
dello stato romano, nacque forse opinione che
Opi Consivia fosse la dea lutelare di Roma (Ma-
crob. /, il Muller aoslitut quod ita actum^
non so perch suffibulum ut habeat: ne'codd.
all/, in luogo di ut ; comunemente haud. L'es
sere stato il sujjibulumy come il definisce Feslo,
nn accappatoio bianco, di cui le Vestali copri-
vansi il capo nel sacrificare, mi condusse a mutar
V aut in crf, piuttosto che in haud ; perch, di
cendosi prima che in quel sacrario d^Opi non
era dato entrare che alle Vestali e al sacerdote
pubblico, il soggiungere che anche questi, en
trandovi^ doveva avere accappatoio, come le
Vestali, naiuralissimu ; non il contrario b
subviendo.CoiX in B., eeos) ho scritto per vervi
un vocabolo di nota significazione. Del rest i
codici hanno Ut a (F. ab) suffiendo subli gacu
lum : ma il senso di suffi r e non ha che fare con
quello di suffibulum^ che domanderebbe piutto
sto, seeoodo le traccie di Feslo, %suffibulando.
Ho poi trasportalo V ut per consiglio dell* Ago
stino, del Vertranio e ddi Scioppio Vor -
tumnaliOf paiono quelle che ne' Calendarii son
dette Vohur nal i a, e pongousi al *7 d' Agosto.
In F'. vorturno^ in G. vortunno^ omc9sr> in ara-
\}edue il deo^ t h sta ptr6 in Ilib. I^c due parole
Octobr i metst che, segoendo il Muller, ho tia>
sportalo 1 princpio del periodo appresto, so
gliono attaccarsi a l l ' antecedente contro Ih leti-
inoniaoza de' CHiendarii. Seponch cof (e io con
tessa anche il MHer) il discorso piglia un andare
Itenialo. Forse manca qnilcos: mtdto, non pare;
perch, se saltalo il Settembre, non ti sa nean
che vedere quali nomi di fette domaudaitero
dichiarazione Mtdi tr i nali a^ a d i i d' Otto
bre. Similmente in Paolo : A edttr inali a dieta
/ de causa, Mos tr at Lati ni s populis^ quo
die qui s pri mum gustar et mustum^ dicere
omi ni s gr ati a: Vetus novum vinum bibo, veteri
novo morbo medeur. A quibus sferhis etiam
Medi tri nae deae nomen conceptum^ eiusque
sacr a Medi tr i nali a dicta sunt, Pare un arlitizio
per gustare il vino ancor vergioe ad onia dtl-
antica legge delle Vinatie ( Tedi la . ), chia
mandolo nuovo-vecchio, e dicendo di berlo per
medicina. Per questa ragione ho creduto di do*
ter porre ut in Inolio di et nella frase vinum
novum et vetus Flaccus, Due furono i Lucii
Valerii Fiacchi flamioi mariiali. Questo credesi
il secondo, che fu contemporaneo di Varrone
Nooum vetus vinum bibo, GHab. omettono il
Novum ; in GH. libo.
22. Fontanaliay^\ i 3 d ' Ot ob r e . Intorno al
FonSy o Fontus eggasi la nota al c. 74
I. V. In Paolo diconti Fcttti n^li a Ar mi l u
strium^ al 19 d* Oi tobre Satur nalia, Secon
do che dice Macrobio (Sat, 1, 10-11), le Saturna-
lie si festeggiavano un tempo insieme con le
Opalie U 19 di Dicembre ; ma con la riforma del
Calendario fatta da Cesare, ne furono divise e
trasportate al 17, c u m ' notalo n e ' Calendarii.
Questo pasto adunque fu ritoccalo da Varrone,
conforme ho detto nella nota al c. i3.
a3. Anger onal i a, al 21 di Dicembre: ne* Ca
lendarii son dette Dislalia. Che questa Curia
Aculeia ( in b. Acul ea ; in h, e nelle antiche edi
zioni Accalia)^doxe si sacrificava ad Angemua ?
5acrobio (Sat. I 1) dice che i pontefici il face-
ano nel sacello di ^ sulla coi ara slava
U simulacro di essa dea Angeroun ; e il sacello di
Volupi, secondo rbesrri\e V^rrone nel c. 1G4
del I. V, standovi alla pi probabile lezione, era
in Via Nuota. Ma dell Curia Accaleia non si
trova fatta menzione che in questo solo luogo.
Nel frammenlo de'Fasti Preneslini, appartenente
a questo giorno, leggesi al quarto verso in Ali .
ed al quinto OCCVL . . Supponesi I n ar a cu
r i at Occulei ae Larentinae^ al a3 di Dicem
bre. Uo lascialo Larentinae^ oom' ne*cod:ci,
perch non forma improbubile, eil Lar enti nal
439 N O T E
sostituito dal Mailer nuovo, se non in qu^lo
Lattanzio (I, lo) dice Lar enti nali ai i ^ect di L a
r entali a par entant secto die^eie. Ne codici :
par ent ante (in b. an ) secto die qui atr a (in
GH. ara, io a aera, in b. acta) di ci tur di em
Tar entum Aecas Tar entinas. H fondamento
della mia correzione esaer {acslo giorno ae-
gnato ne Calendarii eome nefastus primo,, cio
f ssus secondo il ocabolo aihiperalo oel.^iaa
per testimonianza di Servio (Aen, VI, ; al
qual modo poteva dirai anche jecfif#, forse pi
esattamente, non essendo il giorno interciso, na
dlmetrato. Lo Scaligero propose i festo rfie, quia
altera dicitur^ oh ditem Tar uni i um^Acca *
r unti a (Plutar co, Quest. Roto. XXXV, t i n
Romolo 4 5). Il uwiebo a' ingegna di giuslifica*
re sexto die per ci eh' il sesto dal principio
de Saturnali; e poi legge qui Acca di ci tur ,
efcludendo, come intrusov il eslu. Lo Spengel
sospetta d'una laguna : similmente il Mmicr,che
la noia innanzi a J/em Tarentum^ e prima acrir
e : par entant J esto die, qui ab ea di citur . Nella
laguna suppone nrrata la leggenda 4 Acca La
renzia, che vriamente troiasi spnaU in Gelli
VI, 7, in Macrobio Sat, I, l o-si, in Plutarco ai
due luoghi sopraccitati, in Lattanzio J, 20, io
TerUilliiino ad Nat, U, 10, in s. Agostino de C.
D, VI, 7, ed pure accennala da P.ao|o, da* Fasti
Prenestini e da 0 i<lio Feif. Ili, 55 e 11
divieto di par entar e ne'giorni neri (Macr ob,
Sat. 1. tC), non mi parve guastare il mio suppo
sto; perch ad ogni modo non ^ che un'opinione
di Serviliano^
2(\. Servilibus, Lo Scaligero Tolaa sostituire
eius i bi od arvales ; il Fopma, sexti li bus, t un
sacrifizio ignoto i n pr i or e li br o ale. 43,
i 64 P codici hanno pr i or i Paganali a
ne' codd. paganalius. Per umissioue dell' eo-
r i i m , veggaji i a nota 1 a questo libro.
aS. necdum statuti s dicam una mia o**nr
geltura: ne Codd. nec de statuti s dicatn. Lo
Spengel e il Miller sci isser) de annalibus nunc
dicamy omettendo anche il nunc anteiedente
Lar i bus Vi ali bus. Coti ho -itlo, 'tcf(uen<l(> il
consiglio del Bongaraio : ne eodd. Lar i bus Mt
ali bi (in a. albi). Il MQller ne (ce Lar ibuS Com
pitali bus senza ragione; perebi Lari Viali#on
ricordali da Plauto (Mere, V, 1, 22) e da Servi
(Aert, 111, 3oa) e da antiche itorizioni fOr el l i
n, 1762-1894), e quanto alla aeriti ora, Vi al i bus
vicinissimo a ut ali bi (Cf. V, *5). Di questo
viso veggo che anche il Prellr (Rm,
thol, p, 493, n, 2) carnem petere^ etc, Veg-
gasi princi|almeAle Plinio H, HI, 5, 9.
26. Sementivae G. ; gli altri ood<l. Sementi -
nae : incertezza di I zione che ha pur luAgo iti
4^
44<
AI LIBRI 01 . TEDENZI O VARRO:^E
44
lant! Mllf ttohm ohe U ricordarlo Pagani co.
Suuo eHe fliverie lulle PagaiMlie loccaU ^i so
pra l c. 94 ^ $\\ perocch quelle ri si
cDtrppoii|ooa al SeMioonai , e per sembrano
feste de' pajfhi urbani ; di queste aggtuiigesi in
agr ts^Wt per ItOiuiione, e per loTeltero ap^
parienere a* paghi nittici {V in agr i s che dee
stare dopo habertnt^ tu omesso per errore di
stampa) ut hahtr tnt in agr i s omnis pagus,
Comunemenle ut habtr tt in agr i s (od greis)
mni s pagus: ne coIH. u4 haberent (m G. ha
beni ) .., mnes'{%i G. ohnis) pagus; e eosi
hanno piire le pi antiehe ediiioni^ seoonch
sostituiarono/70^0/. Il MuMer ^'ave posto
che d il coatrutln p^ of vin, non perd pi pr
babMe, ma sene rierelette nelle Giont. Dell#
formatione de' paghi, trggasi procipalmenti
Dionisio IV, i 5.
27. nomi nati ; in Gl i . nomi natae ** di ts te.
Cos giuitamehte emend Orsino In ambedue
i l uoghi suTla fe*lr d' antico codice i e cosi
forse anche in ab, ; lrgK altri coJd. di etae. f )i -
cesi per gi or ni tinq^ue^o sette ; |^rch i l ponte
fice, secondo scri te Macrobid I, i 5* ripeteva
in fatto cinque o sette w t l e la parola ctf/o, con
forme doTcano esaer he None at cinque o al setta
dfel mese. Dicesi Gitmoue Ci^//<s (che cosi pr*
prametite coillci, non Novella coni la le
zione corrente da co\*us o cous^cio cai tti, per
ch era luna crescente, ed annuiitiavasi che alle
I^one sarebbe mezta. L' t hcerl et za delle None fil,
come dice' ivi Macrb' o, perch la luna nuora
non dorer annunziarsi, se il potitefce ci noa
Favea prima veduta; ma dall*aspetto che offriva
nei suo apparire, s*argomentata quando aresse
fallo. Ci prima che Gneo Flario pubblicasse i
Fasti.
a8. ab ^no9a luna il Miiller; ne'codd.
omesio ab Nonis, Se si scrivesse Nonae,
come vorrebbe lo Scioppio, ne seguirebbe una
qualche ambiguit j perch regolarmeile s a?reb
ber ad hitendere le Noue di Gennaio, e non
quelle di ciascun mete. Tra per la stessa ragione^
e per la siranma del supposto, non mi piaik
neanch V opinine del Mailer, che ha Aon<> per
una foriMa indeclinabile nata dall' uso continu
delie date, lo lo credo propriamente un ablativo
di tempo, e che il coslruflo sia menti s (appella^
tus est) noifus Nonis eodem die enim^ ete.
Cos sta ne' codici; mi par che a torto il Miiller
n abbia tolto iaVenim ; perch il supposto che
sensi d>lie None quasi nuovo mese, dor in fatto
11' era gi c<rsa uua quarta parie, domanda certo
uno giustificaitone^ e quesi data da ci che
segue. Allo stesso modo Macrobio Sat. 1, 15 seri
e : I deo antem mi nor ponti / ex numerum die
rum qui ad Nonas saperessent cablando pr ode
bai ; quod post noiiam lunam oportebat Nona
rum die populares qui in agr i s essente con
fl uer e in urbent accepturos causas fer i ar am a
rege sacrorum;, scr i ptur oi que qui d esset to
mense faci endum : unde qui dam hi nc nonns
aestimant dictas^ quasi. no\*ae i niti um obser
Sationis ; s^el quod ab eo semper ad i dus novem
dies putantur t si cut apud Tuscos nonne plu-
res habebantur^ quod hi nono quoque di e r e
gem suum salutabant et de pr opr i i s egotiis
cnsulebant '(CK. Festo in Nonae e Nundinae ;
Plutarco Quest. Rom. XXIV, ec.) sacr i s No
nalibus.'Q , Vi, i 3. ^^) male Io Scaligero sug
gerisce fer i as prj vas. ^ I dus, ett. Ct. Macrob.
L e. Tra itu e idms non v* diliiercoza cbe di
proMinsia: anche in etrusco i duar e valeva di*
videre.
2^ quod per eos dies novi^ ete, II Turnvbn
voleva Aggiungere i7m7^. Io SpeitgeI non, innanzi
a noeL A qouto loodo mancherebbe, Ia ragion
del nome. Bench corresse opinione i^e ^orni
airJ i diceuero generalmeote, quasi funesti e di
mal augurio, per grandi sciagure avvenute in
essi; pure oche Irf gli antichi non tutti n'erano
persuasi, non trovando n sufficiente severo il foo-
damenlo de* fatti (Pl utar co Qush Rom. XXV);
ed alcnni) velut ad emendationem nominis^
come dice Macrobio, li chiamarono strmpltceanen-
te gi or ni comuni . Non difficile adunque che
Varrone n'abbia dato anche un'etimologia di
versa dalla comune, erededone atprto^ il nome
da alteri^ cio posteri o posth'di ani , come son
hiamati in Nonio (alla v. Atri p. >)ZMerc\ ) e in
Macrebio (Sat, 1, 16),. o pi propriamente, .ae-
condo diceti qui, qual nuova .serie di giorni
ut esset populus; eie, Cus ala ne* codici, cd.
buon modo latiuo ; onde senza ragione il Mlier
vi aostitu col r ft ad esset; tanto pi che eti-
Aologi di comi ti um s' gi data nel libro nle-
cedente^ n qui era d'Uopo ripeterla. Varro^
dice Macrobio, in augurum li bri s scr i bi t in
verba hmec : Viros vocare feriia non oportet : ai
vocavit, piecnlum cito. Ne' codici omesso ut
innanzi a Compitalia
3o. necesse enim^ etc. Cosi il Miiller ; nei
cwid. necesse esti 11Turnebo avea proposto quod
necesse est ; il Vertranio e Io Scioppio, necesse
est enim : ma probabilissimo che e/i//n, es
sendo scritto in abbreviatura, siesi preso, come
altre volte, per est Qui ntas Muci us ambige*
bat^ete. Cosi G^ e fona b. ; iu a. agebat; in FH.
per quanto pare, abnegabat^ in luogo di ambi-
gebat. Pr aecepti negligens^dice Macrnbio, mti/-
tabatun Pr eter multam vero affir mabatur
entn^ qui talibus diebus impr udens ali qui d
w N O I E
444
gisiet^ por co pi acu um dar edthr ^; pr uden
tem expi ar e non posse ScatsHtla (Q. Mocu)
pont j ex affirmabat,
3i. I nter cisi , Qui i co lici danno i nter censi :
ma non ai dubitare della trra Ictione; per-
che, olire al troTarsi delti i nttr ei si da Macrobio,
qui stesso, quando vieosi alla ragion del nome, i
codici anibe<iue le volle hanno intercisum. Nei
calendarii sono segoiiti con la nota t N. die spie
gasi per endotercisuSy o entercisus porrecta,
Anche qoi ne'codd. scritto proiecta^ come al
c. i6 aut eo est^etc. Cosi il QSuller} ne'co<UL
aut eoi, etc, Di e tfui vocatur, etc. Cos
Ile*codici; TAgostino, l'Orsioo e lo Sciofipio,
seguili dallo Spengel : Di es <fui notai ur ; ed
esprimono poi li fortaola eoa le a>lite nol dei
Calrndarii ; Q. B. C. F. soggiuntavi la spiegaiio-
ne : ma il fanno di loro arbitrio sacrificioiMiS
itat. La prima voce, tuttoch data da F. e accen
nata dagli altri codici che hanoo sacrificio^ o
acrifitio^ iW, piM^e probabile, perch il sacri-
ftcolo dovette uomarsi, non da sacrificium^ m
la sacr a facer e ; t la forma liminuliva noo w
ha ehe fare. La secooda voce una cougetikira
deir Orsino aceoi4a da molti, seblMu lontana dalU
scriltura de'codici, che hanno dicati e altacCaU^
ad un solo at del frammento di Festo (in Regi
fugi um^, L i tat mi par pi vicino ma non ho
ardito porlo. Questo giorno nota to nel Calen
dario de' MaAei e oel Prenes lino add 4 di
Mann,
3a. Di es qui vocatur^ etc. Anche qui lo Spe-
gcl sostitu con Orsino notatur^ aggiun|jLeiido
poi la formolo in abbreviatura. Ster cum io
FH.; negli altri i/ercux: la prima forma pu
ssore difesa da altre analoghe. Questo giorno
era il i 5 di Giugno, secondo d i ' notalo no' Ca
lendarii. Stercus, dioe Festo, ex aede Vestae
XVH Kal. l ui . defer tur in angiportum medium
fer e di vi Capitolini,, qui locus ci uudi tur porta
Ster cor ar i a. Tantae sanc i tati e maior es no^
str i esse iudicavere^ Secondo Ovidio Fast, VI,
227 e 913, gtiavasi poi nel Tevere J J ie* A l
li ensis notato n'Calendr t a d 18 di Lugiiov
33. sunt aper ta fer e, lu Qh,fer e sunt aper
ta, in n. fer e oper ta sunt^in H. sunt ftr e aperta
t'ui ^i us , , . et luni us. Intendi Giutrio G^ac
r^no ricopiato u'a pitoleiti 4^ c 55 del 1. V;
di Fulvio non si ha notizia, se nmi in qunnlo i
citalo pi vulle da Ct*uswriuu<, iiuienie con Gin
nio, in questa nuleria medesima. Aotnina^ ilice
rgli de D, I f, X\ \ ^ decem mensi kus anti qui s
Romulum fecisse^ Ful vi us et luni us auctoras
suat; et quidem duos pr i mos a par enti bus suis
nominatses Mar ti um a Mar te patre^ Apr i lem
ab Aphrodile^ i d tst Ventre^ unde mai or es
eius or i undi dicebantur : prottimos duos apo-
puloy Mmimm a maior ibus natu^ l uni um 4t l u
ni or i bus; ^aetros ah or di ne quo singuli er ant^
Qui nti lem usque ad Demetr i um, peri nde nu,
mero, Var r o aulem Romanos a L ati ni s nomi^
na mensum accepi sse ar bi tr atur : Auctor es
eorum anti quiores quam Urbem fui sse sati s
ar gute docet. I taque Mar ti um mensem a Mar te
quidem nominatum credit,, non quia Romuli
fuer i t pater^ sed quod gens L ati na bellicosa ;
Apr ilem, autem, non ah Aphr odi te, sed ab ape^
riendo, quod tu ne fere cuncta gi gnantur et
nascendi claustra aper iat natur a; Mai um
vero, non a mai or i bus, sed a Mai a nomen ac
cepissfs quod eo mense tam Romae quam an-
tea in L qti o r es,divi da Mai ae fi at et Mer cu
r i o i luni um quoque a lunone poti us ^quam
iunioribuSy quod i llo mense maxi me l unoni
onores habeantur ; Quir^tilem, quod loco apud
Latint>s fuer i t quinto ; item.Sextilem^ ac dei n
ceps ad Decembr em a numeris^ adpellatos,
Caeter um I dnuar i um et Febr uar i um postea
quidem additos^ sed / tominibu^ i am*ex L ati o
sumptis^ et l ani ar i um ab lanoy cui adtri butus
est AOfitf/i, traxisse^ Febr uar i um a febr uo. Est
iebcuum quidquid pi et purgaSque^ et fcbrua-
nenta purgamenta ; item februare pur gar e ei
puratM facer e. Febr um aulem non idem usque
quaque di ci tur ; nam ali ter in ali i s sacr i sft-
bruatur, hoc est pur gatur . I n hoc autem mente
Lupercali bus^ cum Roma lustratur^ salem cal
li dum fer unt^ quod febr um adpellant; unde
di es Luper cali um pr opr i e Februatus, et ah eo
por r o mensis Februarius vocitatur, D ci ap
parisco che. anche dti uo^jii dei mesi Vitrronc
ave tratlato, pi dislesameute. altra opera;
di l probahiliuenle Irasse Macrobio ci che ue
allega ul I de'bvt. al o. la, nifm^n Vener i s ne
sub regibus quidem apud Romanos s ei L ati
num vel Graecum fuisse^ et ideo non potui sse
meusem a Vener e nominar i, Djco da #ltra ope
ra, non da questo iuqgo.<fe li ngua latina^conic
crede il Mulier; perch:Ia le.vt|nion|ai>Z8 fiU^gala
da Macrobio c pi risoluta ed perla. Cincio area
nomato atich*eg|i, come dice ivi Maerpbio, che
Venere non era mai ricordat ne versi Saluri,
o aveva fesle in Aprile.
34. deinceps omesso in b. ; giuslameote,
secondo pare allo ^pengel ; per uuo scorso d' uv*
chio lOdi penna^ secoo^o crede con pi ragione
il 51ailt*r. a numero. Similnu ote a numero,
poi a numeri s nel sopracciiaio passo di Ceuso-
rino. Noto ci, non per bisogno che n'abbia
l espressione, ma perch il Koler (Li t. Cnt, in
Var r . p. 11) volea sostituire X (cio decimum)
numero qui additi. Secondo Licinio Macro c
Feneslella, anno l sarebbe computato in Roma
il) Ila principio ili flosci meli. Sed magis^iog*-
f!ni)^e Censorino c. XX, l un o Gr acchano t
Fulvi o et Var r oni et Suetont ali i sque ctc
dfndum, qui decem mensium putaver unt fui s
se^ ut tunc Al bani s erat^ unde or ti Romani^
e/c. Confrouiisi Tallr passo Ii Censoriu, cbe,
ho recalo pi sopra par entetur 1 lezione
comune, e cosi lee slare ; ih G. par etur ; negli
\\\^par entur , \^eggajl il c. i 3 e la nota appo-
ilavi.
35. si t sati s di ctum. Anrhe lelP omissmne
li que&to iari/, lo. Spengel nella Prefatione fa
argomento d lode a cur sus in GH.; in
a. cur r us; nepli altri cur r ens con la vulgata. Ho
preferito col Miltier la prima lezione, perch t
fosse un esempio anche < un nome verh;le.
3G. decli natuim. Co il MOIler con l'edizio
ne prima : in Fa. declnativum^ in GH. decli -
nantium.^in b. decli na eia si nt. Il Turnebo pi^o-
decli nati onum ab lego tgiss leges. Cos
il Mutler: in'FUG. ut ali lego leges^ lego ; in .
ut ab lego leges ; ih b. ut ah lege legeS: lege.
Qualunque debba essere ! vera scrillur, poco
rileva. Del resto, avendosi leges nel secondo la-
go in tutti i codici, pareva da corservafe ; e ne!
terzo tcriTerii/e^ero (di cui lego col g tagliato
irebbe abbreviatura), o fors'anche/e^i, sic
ch s aveise un presente, un futuro e un passato
mi li a hanno i codici e qui ed altrove, cos in
questo, come in altro autore; n contrasta col
singolare mi lle per cagione delP i* soggiunto che
tende a immedesimare con s uno degli /, come
avviene in lius da iTkofy fl i um da , me
li us forse d ec.
3^. Rimettasi in ambedue i luoghi aliqtto in
vece di ali o quo^che ona congettura poco fon
data del Muller ; stente che ali qui s nel suo primo
genso etimologico di alius qui s giustifica,
come hc^ mostrato altrove, d un sufficiente nu
mero di esempir ; e qui nel primo luogo ih tutti
i codici, nel secondo in F. (negH altri alio) si c
i ndi dem htne Ga. ; io F. govrabbouda un in
dopo si c ; in H. itidem hn ;'in b. i nidem hinc.
38. mutati s F. e probabilmente G. ; manca
negli altri processi t fu qui suggerito allo Spen
ge) dal suo amico Fritzich, n pu dubitarsene
et discessit*". Manca a* codici; lo aggiunse
qui il Muller, seguendo le Iraccie del Vcrtranio
e dello Scioppio, che, mutato l ordine, vi avra-
no posto r / et.concessit. Chi aggiunse
invece praecessit^ o processit^ non pose mente
al proceder che fassi per via di contrapposti.
39. Epi cur us k ona congettura del Turne
bo : ne' codici securus o secutus quod quae,
ete. C09) la vulgata : la proisimiti del 711# avca
4^5 Al UBUI DI M. TERElifZlO VAUROWK
446
fatto dimenticare ne codici il quod ^ quod non%
postulet, Gos il Miiller; ne cdd. quod non
postulat^ che frse era da lasciare, standovi irl
quod pr quod genus^cio quae.
i r aua te rodici era itkto mutato iti est
. Noto ci perch pi-u volle abbiamo no
tato e noteremo in avvenire il Medesimo vcnroi-
liio dlia e con ed et per V uso delle abbre-
vitqre.
^\, Acti o ab agitata, K qoanto dire che il
primo scuso di agere fu, com' in greco, conr
rferr ,*dotil poi far e (Vedi la nota V, 34). Ci
che strano che angipor tum ed angulus fac-
ciansi brignati ager e; bench sappiamo ch
li n innanzi al g spesso non radicale, t restava
qua<i immedesimata col ^ nella proniirroia (Var r ,
in Pr isci ano T. 1, p, 87 K r . p. 556 P.;. Abbiam
teifulo che il MOIlef, per rimediare in parte a
questa* bizzarria nel c. 45 de^ I. V, ov' data
pienamente etimologia di angiportum^che per
qui toccasi soltanto, vi mut la lezione de'codici
e v'introduftve una seconda origin che sarebbe
angustum. Nort potendo qui fare altrelt^nln per
angiportum^ Tolte farlo atmeno per angulus^
premettndo ue/ a quod in eo locus angustitsi^
mus, hi B. quoius loci angulus.
4i. qnom nos agi tamus. Cosi il Miiller con
lo SealigerA : he* codici /<of (FbU.) od os (Ga. ed
H. di seconda mano). Os tennero il Vittorio e lo
Spengel : ma rigettalo dal contesto rtfm agi^
tamus. tn F. cogitamus^ come ha la Tutgata.
Dopo agimus,, aggiungansi le parole et cum pr o-
nuntiamuSy agimus^ che per disattenzione ho
saltate.
43 quom * mens^ete. aggiunto il quom^
per non lasciare sconnesso il discorso. Mutato ona
volta in ciim, poteva poi facihnente sfuggire per
la somiglianza con la termioaiioiie di ditum
eligere ha il Rolaodello e forse a. ; in Fb. el i ce
re^in G. ellicere^ in H. di cer e^ cseus. Qt. V,
t8. Dei nomi segunti, pu farsi dubbib in quali
si consideri la sola forza del ct/m, in quali Fapie
na formazione da coger t. Fra questi ho posto
contio o conci o ; perch autore lo fa dichiara
tamente di concilium^ e al concetto di conci o
(quasi coniato) basta quello di cger e quod
ut vestimentum^ etc, 11 Miiller n ha tolto via il
quod concili ar i . Cos 1*Agostino, il Vertra-
nio, la Scioppio, il Miillr : ne codici consiliar i.
Mancano fondamenti klla scelta.
44 emi ni sci (oe'cddd. rerhiniseij verbo
conosciuto per le Note Tironiane, e il Glossario
d^Isidoro e il Parigino pubblicato dalPHilde-
brand, e Papta, senooch v' spiegsto per rei^o-
car e o rtiducere i a rnmoriam: L Heusiuger lo
introdusse in Cornflio, Alci h. a, trscnlon argo-
47
N O T E
44
ifucnlo ila queitd luogo di Varrooft cirtrgli priiiiu
coti emnda. Lo segui il Mullcr,;. o io vedere
<|umJ altro verbo potesse qui stare meglio <li que
sto a mente sua descendi t. Cosi ne codici
e nelle vecchie ediiioui : ^na convien confessare
che d i sced i come leji^ouo il .Vertranio; lo Sciop
pio, ec., reade.niegliu il valore della parlicella a
di (Cf. VI, 3), e d un modo usato pi
olte da Cicerone (de Di vi n. II, 55; Br ut. 79) ;
laddove descendi t torna nuova, e corrisponde
piuUosto A demens,
45. La dispo^itoae <fe sef uenti cinque capi-
lolelli cos ordinala dal MiUUr : qe'codici que-:
alo sta pel luogo del.49" viceversa. Come possa
essere avvenuta q^iesta.trasposizione non di una
luter pagiaa^ ma di due brevi traltj, uon facile
spiegare. Tuttavia il vedere che il capiloletio
49^ DosUiiosamente storpiato e lacr, f strv
da alle congetture, e pcocsccU fede al supposto
lei Mailer. Anche Lpriocipio del 4^" o ^ue
del precdente, dnuo ^|uiilche .iodizio d*essere
lati iocebi dal ^i^pista, che,. a?vedutosi del suo
errore, pem a saldare, cvnie poteva, la piaga.
Cerio 00 possibile che dopo aver detto Ab
eadcm mente memi ni sse s i /loggiunges-
se, senza alcuna particeli^ oppofjiiva, Memi nisse
lO memori ai che< una cntraddiiuoe bella e
buona. Ecco quaj ;crcdo che debbf essere, la
irera leiiobe, coipinciaixlo dalhi clsusula anleet-
dente : Ah eadem mente <cio ila,/ne# e mane
re) memi ni sse (quasi mente mansissf)^ di eti m ;
(non e c o m e leg^csi) amens <fui a mente stia
di scpdi l (che i^contrario di manere) : vel *
memi ni sse a memoria (quasi memori a inisse)
etc. i ni i , quod j un mia congeUura : pe co
rdici in id<t qupd; la Scipppio lo omette il Muller
ne fa i ndeque Mamur i Venturi, u ^Icaoii
scrive Plutarco nella Vita di N.uma, vogliono che
Veturio Msmurio (il fabbricntor degli ancili) si^
quegli cbe vieo cantalo d#'Salti: ma allrj pr^tea-
douo ohe il loro c^to si^ noo. per questo arte
fice, ma per peterem memoriam^ per rinnovare
cio, queliSntica ^eqoria. ^n FG. memur i i
v^terum^*111 U. mentr i veterum., q ab. mamur i
veterum^ ne'codd. del Turnebo Mamur i veteri
(Cf. Festa in Mamurii Velurii, ed Ovi di o Fast.
Ili, a3g, 38g). 11 codice H. il solo che dia poi
veterem^com' neoes^^rio, innauzi a memoriam
monimenta, G. monumenta^ come pur gli
altri, toltone F., la seconda Tplln.
46. Citriosusy qui^,ftc, Cpsi F ; io Gab, quod
in luogo d i qui. La Vulgata, il Vertranio, I9
Scioppip scrivono poi ur i tur invece di uti l ur ;
io H. vertitur^ iti G. urftur. Fra uti tur ed ur i
tur^ urti ioceito qual fosu ili preferire Cu-
riai^y etc* Cf. V, i 5S.
47. Luhere, Qui i eodici hanpo Uber e: ma
pi.sotto han lutti iubendo^ e b. anche luhido.
Osserva il Muller che non consuona abbastanza
eoo questo luogo di Varrooe ci che Jeggesi in
Nonio alla voce Pr olubi um p. 64 M er e: Var r
de lingua Lat. lib, Proluhiem et prolubi di -
nem di ci ab eo quod lubeat ; unde etiani lucus
Vener i s Lubentinae di catur ,
I fi, quom pavit, , quom pax^et ; in
F. soggiungesi et. 11 soggetto che rtgge pavit^
lo stesso pavor ; e per aggiungesi ab eo. Mi paro
impossibile d* efser io il primo a introdurre una
correzione che tanto semplice, e d uri'etimo
logia ripetuta almeno tre volle da Isidoro. Il
Muller, di pavet et (tee per avia it,
49. Ho gi notalo pi sopra che questo espi-
tolettu lien oe' codici il luogo del 4^ ^che pro
babilmente poco ha di aano. l'utlavia la necessit
del tradurre ha fallo s ch' io vi tentassi una
qualche medicina ; laddove il Muller si content
di trasportarlo qui tal quale ne' codici * Hi nc
etiam^ ut^etc. Ho agjsiunto Tu/, o piutlosto
mutalo est che ha qui b. ; perche, essendosi
detto prima Metuere a quodam motu animz^
etc.^ non e credibile che qui se ne ripeta eti-
.mologia, se non per tndirelio, e ! seguente si c
no indizio moto. Ne*cod<^. mofa/n. torse
era meglio : ut metuo a * mente (b.) quodam
modo mota^etc. horrent. detto in genere,
come prima tr emunt ; 0 dee leggersi hor ror .
Nel libro intorno origine della li ngua l ati
ne, Varrone traeva i n v e c e , %hor r i
dum (Vedi la . al V, (5) : m-^ queste dimenti
canze o )u Varrone non furono rari.
50. marcesceret. Cos il Muller, igppdo il
consglio dello Spengel : ne'codd. mar cescer e;
de' testi a stampa alcuni aggiungono vidatur^
altri dci tr . Io Apuleio (de Di phth., 80,77. 139
Osann) questo passo cos ricordalo : Ut M ar
cus Ter enti us aity maereo di ci tur q6 <0 quod
etiam cor pus marcescere faci at Laetari^
etc. Nel medesimo Apuleio (19;?. i 38|): L aetut
dictum a lati tudine mentis^ I si dor o teste
atque Var r one Gaudi a sua., etc. Piglisi gatt
di a come fine del verso anteneilnile; sicch De
escano dei giambi senarii : allrimenli, avendosi
no trocaico, non pu acconciarvisi bepe il 7 a-
men mea^etc. Similmente il Petrarca :
Quanta dolcezza unqoaoco
Fu in cor d'avveiiiurosi ani nti, a*rolla
Tutta iu uu, luci, quel eh' io seuto nulla.
^ ,Quaepar s^ etc. C0.1 ne'codcii tolte
alcune scorrezioni (est ab adi acendo F., et ak
adiactndo H., et adiacendo G.. est a' di agtndo.
44fl
LI DRI DI . 1E RE NZI O VbRONb 45
A c quae sunt a., tst a iacendo. Si c sunt b ). liO
Spen^^el (Emend, Var r . p. \ \ ) vorrebbe: S-
cunda^ ovvero AUera\ par s agendi est ab di
cendo^hc guai sunt. . . . /tis^eor um hoc genus
vi dentur i r uuu. II M6llr : Quae par s
agendi est* secunda^ in qua expli cabimus quae
snnt ab dieendoy ac sunt. . . . Eor um, ete. A
quest con^etiiim fit e|tli rr|o ilalU
convenienta che il p^isaggio seconlo |*enere
d alti, cio ai dire, sia iidicalA 6ti dui primo pe
riodo. Ma non mi f<ar che nar rare il Tooabolo
che comprenda tulio quealo secondo genere,
eicch potesse premettersi qui a questo mnd<r.
Aggiuojrasi che fi discorso, qual esce dalla corre*
zioiie del Miiler, nofi procede gtiislo, confon^
dendosi la parte in s con la sui Iratlaltiione. Ho
creduto adunque di Usciere il leslo com* , es*
scudo persuaso che relrmolo^ia di nar ro sia
stata qui intrusa fuori di luogo, ror<e perch
trovossi agfrionia n*fl fuar^ine evrum : nei
codd. earum. Il pieno costrullo sarebbe : [f'^er*
\ ei us par ti s agendi quae est ab dicendo^
ac, etc,
52. cum hoc vcabulums ^tc. Tltone f'aver
p<iSto si t dictus (che coai decf Itiggersi) in lno|(o
di i d dictum^ ho sejiuito Ia lezione di F. : gli
altri hanno cum hac vocabulorum similitudine^
e di pi a. omelie V ac Innanii a fatuus. IMi pare
uuH funna stretta e chiusa, ma non errala, lo la
iufendo cos come si dicesse: Poich focsbolo
latto per imiiaziooe de auoui puerili | e f a r i di
cesi dello stesso scemo, che per ci anii s chia
inato fatuus. Ho poste si i ; ma forw da prefe
rire item, che confuso, come sp*sio avvenne con
idefrt^poteva accorciarsi in id, A ogni modo mi
par noeisario, perch sia piena U defi^izioue di
/nr/, secondo la dislintione espressa pi aperta
mente al c. 55, il ritenere Pac fatuuSy che lo
Spentfel vorrebbe escluso, e che il >I(iHer eHetti-
vamcnte escluse insiemv con far i . La ragione,
eon cui si gioslifica il Mtiller, cio estere Teli-
tnologra li fatuus data pi s)lto al c. 55, per me
non vai punto, preudenduvi io fatuus in altro
senso J d hanc eandem^ etc, Ne'coiM. A d
haec eandem (H. eadem) vocem. La lesionr, che
ho sejjuito, del Mfttler ; ma n questa, n al^
-.un'altra di quante so o veggo, mi contenta. Ab
hac eadem iH>ce modo piano, ma prolisso ; ami
inutile, dicendosi fantur . Ad haec eandem vo
cem non parn dare alcun senso. 1^ lezione del
Miiller, se non equivale al dire; Seguitando di
ci chti apparti ensi a questa medesima voce ;
non so che sgtiifichi post erit. In F, posten.
53. quis augures,, etc. Ne'codd. qui. Lo Spen-
gel avea in>s1o quia ; ma lo ricdi pt>i (Emend,
J 'ar r , p. 5) pet i clic Varrone us acmpre
!V1. T k b . VaB B; *P (2 d e l l a m n g i l a t i n a .
quod: e quod pose qui anche il Miiler, mutando
inoltre ut esset in ubi esset. La mia lozione ha
un po' del contorto quanto alla forma ; ma nel
concetto mi st robra molto pi naturahv lnten<li :
Hinc ejata (loca) dicuntur ogr/, quis (cio qui
bus) augures tffati sunt ut esset finis auspicio^
rum caelestum {QM. caelestium) extra urbem.
Forse era n>eglio scrivere iirancamente ejfatixw
luogo di effata^ ^g^r, dice Servio Aen, V, 197,
post pomoeria^ ubi Captabantur auguria,, dice
batur ^tus; e n e ' t'bri deh auguri il pomerio
era del io locus intra agrumejfatum (Geli, X l l l ,
14. C f Varr, L. L, V, i 43) ab auguribus
enim fantur^ etc. Cos leggo c divido io : c^mu-
oemenle si segna la posa dopo auguribus ; e in
vece di enim faniur i coJd. hanuo ^Jfantur (F.
affantur,, e cosi lo Spenge! e il lltller). Fatar in
senso passivo riconosciuto anche da Prisciano;
e ad ogni modo non sarebbe punto pi strano di
effatur o affatur, L' enim scritto iu abbreviatu*
ra^ oola fonte di simili ersori.
54. profanatum quid^ Coti nel codice Fio*
rentioo ; negli altri quod in l uogo di quid. Il
Muller lo omet t e; a me par necessario p e r c i
che seifue di questo nome d;ito in pMfticolare alla
decima d ' r c ol e . Di quis per aliquis,, Varrone
larghissimo uso atque inda Herculi decu
ma^ etc. Comunemente atque ; in FGII. ad quae;
in a. adque. Herculi t qui genitivo (Tedi Vi l i ,
96). Fanare probabilmente un ardimento da
elimologista, non una voce d' uso : ma il senso
u ' dichiarato dallo stesso Varrone ; oi^le fmma
raviglia vederlo inlerpretato ne' lessici in si gni
ficato di dire. Nel medesimo modo spiegasi poco
dopo profanatum come fa n i factum ; ci he
mi condusse a scrivere anche nel primo luogo id
est ut fani lege fity sebbene i testi a penna ed a
stjropa v abbiano sii. Ma questo nacque, secon
do io credo, perch non s intese il particolare
uso che qui fatto d e l l ' 11/ (Cf, VI, 56; VII, 17,
44' 9 > 45 ; Xi 11) Idem dicitur pol
luctum. Ho scritto Idem^ perch il contesto mi
per che il domandi( e il suo scambio con /c/,
eom' ne' codici, facilissimo. Certo l autore
tende qui a mostrare che profanatum e pollu
ctum (Ne' codd. pollutum) tornano il medesimo,
e s' usano ambedue in (larticolare della decima
d' Krcole. Profanare in fatto leggesi in questo
particolar aenso, oltrech nell' autore de Orig,
Qent. Rom,y in Masurio Sabino presso l acrobi o
(Sat, 1, 6), in Festu \Ut voti Potitius e Porri
ciam^ ed io FronttuKf (de Fi T. Als. tp. 3 ed, li) ;
poilacere poi fu t ant o propri* della decima
d' Krcol e (Festo l, c.^ Macrob. Sui. IL 12; III,
13 ; As i /o in Prisciano IX. i ; hertz.
35^8 presso Henzen ne' Suppl. Ored. 0 / r
^9
45. N O I E 45a
scr itto poluuclu), che i comici iraisem un* iiifini^
l di moJi (Jalla lauteiza di qiicMe pubbliche
cene, io coi erano perroesae ohinia esculenta et
poculenta. Dell origine di queala olferla, veg-
gansi Festo ; Dionisio 1, 3i ; Diod. IV, ai ; Plu
tarco Quest, Ront, XVIll ; Mucrobio Sat, 111, 6,
ec. i bi olim fono. Cosi il Verlranio e lo Soiop
pio ; senouch di pi preraeltone la in a fono :
ne'codici ubi olim fono. Similmente oel c. 19
del I. VII, i bi i n propinquis locis ; c io Flauto,
i l li c in Alide^ i lli c Alide^ ibidem in /ilide^ i lli c
apud vos. Il Miiller oiuiie ubi^ dichiarando
per che non per tanto il loogo non gli pareva
soato. Nella mia versione loilituiscasi, si con
sumava tutto i vi nel tempio ut eti am etc.
Lo Spengel vorrebbe aggiungere nunc ; ma non
fa bisogno. In luogo di Pr aetor Urbis^che le
lione inlrodotta dal , F. ha P , R, urbis^
G. e ta prima edizione populus romanus urbis^
H. ha P, R. urbes . R. R. urbem^ b. ur bi s: la
lezione vulgata pr aetor urbanus (Cf, Macrob,
5a/. Il i, 12) fiipencam. Secondo Dionisio ],
3o, un vitello ; secondo Ovidi Fast. I, 679, 00
loro.
55. Fatuus et Fatuae. Coi i codici, sencHi-
ch scrivono fotue. I.o Spmgel (Emend. Var r .
p. ) crede che sia qui da introdurre Fatuellus^
che Servio Aen. VI, 776 d per sinonimo di Fau
no. Ma di questo nome dubila il lUuIler, peroc-
i:h i codici vi hanno quali fatuclus^ quali fa-
tuelus. Onde che egli e atiieue alla lezione Fa-
//ae, e vi crede dinotale le antiche donne divi
natrici che cosi chiamaronsi (J Uartian, Cap. a),
e diedero origine al nome e al suierslizioso con
cetto delle Fate. Pu tuttavia restar dubbio, se
abbia a leggersi nel singolare Fatwi^ che
equivale a Fauna, come Fatuus a Fauno. A ogni
modo mi parve meglio rispettare nel c. 52 la le-
lione de codici, e pigliare qui Fatuus come equi
valente di Fauno, nume profetico, che gli antichi
dicono parimente nomalo da for i . Veggasi Ser
vio J en. VI, 776; VII, 47. Vil i, 3i 4 ; I si d.
X, io3.
56. sed ut logui manca ad H.; e il Dder-
lein fu d'avviso che le tre paiole loqui quar e
ut sieuo da toglier via. Di questo uso delfii^per
(fuasiy vedi la nota al c. 54, dove scn notali pi
altri luoghi naloghi ; e quanto a negata gi
nota da molti esempii la sua propriet, reggendo
due membri, di negare nell uno e non nell altro
et is tum pr i mo locutus una mia congettu
ra : comunemente et istum prolocututn^ e cos
hanno pure i codici, lo ho creduto il pr abbre
viatura di pr i mo: le altre niutasioni vengon da
s; poich sci ilio unitamente istum^non si potea
uon iscrivere prolocutum, li MuUer scriste et
istud prolocutum^ e suppose in prolocutum
senso passivo.
57. Di questa specie d* oracoli Sabini gett
qualche congettura Pctit-Uadel negli Annali del-
Istituto Archeol. a. i 83a, p. a4o; ma non se nc
sa nulla di pi di ci che dice qui Varroue ad
aliqttem locutm. Cosi u codici; salvo che
11. ha locum^lutti poi 0/49110/L'Agostini not
in margine da un antico testo^ aliquem locum ;
e questa leiioue fu preferita dal Mller. lo la
credo nata dall unum locum, che prima oel-
etimologia di colloquium qui poi, per eti
mologia stessa, mi par convenire locutum. L uso
di collocuti o per condoglianza fatta con qualche
amico, nota per molli esempii. Forse, parlan
dosi di donne, era anobe da lasciare aliquam
Conci nne loqui^etc. Qui forse fui troppo ardi
to. La lezione le' codici : Conci nne loqui (G.
a concinne^ ubi i nter se
conveniunt par tes i ta (ab. et) i nter se condeant
(a. condiant^b. coi'ar^t) ali ud ali i. 11 Miiller ne
fece : Concinne loqui a concinno^ ubi i nter se
conveniunt par tes ita^ut * in ter se conci nQnt;
ali ud alii. Quest emendazione non mi pafTe
giusta, perch era impossibile che concinunt^
conteDcudu espreasameule l'etimologia, fusie mu
tato in condi ant: seuzach conci ner e nel senso
di convenire erd gi in uso anche all et di Var
rone in modo, che il dire i nter se conveniunt
par tes ita ut i nter se concinant^ una prolissit
|credibile. Aggiungasi ch ali ud al i i non
si trova luai in Varrone, bench l opportunit
ne sarebbe conlinua. lo lio cretluto chp sopra
ogni altra parola fosse da tener saldo il co/i>
diant ; perch quasi impossibile che una voce
lontana di suono da concinne^ e che pur gli si
alta'ca per significalo, seconda gli antichi etimo
logisti, fosse qui entrala per caso, ed io fallo
(/ onQ in Coocinuare p, 43 Mer e, ed i n Ciumie
p. 59). Di qui presi ardire a mutare il seconda
i nter se, che di per s stesso mi 'larve poco pr-
babile in instar ci nni (forse cti ). Duro il
principio, dov era torse da lasciare : Conci nne
loqui a concinnoy che pu alare senza alcuna
mutazione.
58. Dopo le parole quod in prosceni o enun
tiant^aggiungasi poetai cogitante, ^.Uemi sfugg
oel trascrivere. Lo Sdoppio vorrebbe poetae co^
gi tal a quo maxume tum i d di ci tur . Cosi
leggo io : comunemente quod ptaxume tum di
ci tur ; ne codd. quod maxume tum i d (Gl ri
pete qui tum) di ci tur - - ab novis. Cosi il Tur-
nebo e lo Scioppio, seguiti dal Miiller: in FGU.
a quis, in a. eyeix, in b. aqui bus ; nelle vecchie
edizioni ab //i, o ab his manca accodici,
ma sembra necessario. Molti aggiungono vi der i
453 Al UBRJ DI M. TbRE NZl O VARRONK
454
innanzi a potesi; ma omissione delPe^^e a
questo modo frequente in A^arrooe.
59. Aulo Gelli o X, a i , dupo aver dello, cioc
ch per non f ero, che Cicerone non volle
usare, novissimus e novissime^ perch L. Elio
Slilone ni altri dotti dell eia le coosideravaiio
come voci non latine, soggi unge: Proplerea quid
quoque Varr de isla voce exi stimaverit, ver
bis ipsius Varronis ex libro De Lingua Latina
ad Ciceronent sexto demoostraudum putavi.
Quod extremum^ i uqoi t, dicebatur^ dici -
simum coeptum vulgo ; quod mea memoria^ ui
Aelius^ sic senes a/i i, quod nimium novum
verbum esset, vitabant : cuius origoy ut a ve
tere vetustius ac veterrimum ; sic a novo de~
clinatum novius et novissimum. Da questo luo
go fu aggiunto \\ novius nel testo di Varrone,
che v^ omesso da* codici: per voce sema
esempii. L ' aliquot fu lasciato ; perch sta me
gli o, e V alU di Gelil e si vede nato dai rverne
slaccato \\ quod^ che fu poi omesso i onani i ad
esset, Del principio e del l ortografia non era da
Car c o o l o ; perch quel lo fu mutato in parte per
renderlo iodependente da eid i h c precede ; que
sta fu anMDoderiiRta.
60. quom additae erant, 1 codici danno quo
modo invece di quom : solo Agostino reqa
quom^ e b. ha qu quibus ea. Cos ne' ci v
di ci ; l Agostino vi reca qui^ e il Vertranio sosli-
lu easf il Muller scrisse qui eas. 11 qui potreb
be avere io stesso senso di quibus ; eus uoi
necessario, usando Varroue non poche volieque*
si i trapassi al neutro. Par che nominare si deri
vi, come dovessi, da noscere ; e solo questo
novus: forse, introducendo insieme nell*eli*
mologia e m^fus e noscere^ ti volle lasciare la
sceUa incerta civiiate ae' codici ; lo Spen-
gel vorrebbe civitati; il Mailer difende questo
ablativo col riscontro di agris detto per in agris
nel c. 53 : aggiungi ibi /ano nel 60. Senoncli
parmi pi probabile che qui stia in luogo di a
civitate in choro hanno i codici, da . in
fuori che ha coro, .11 Ribberk congettura che vi
ai abbia a l eggere in Hectore^ e che il passo ap
partenga al prologo degli Anledoridi d ' A i i i o .
Aenea sarebbe dtlt> da Ettore apparso in sogno
ad. Enea (V'irg, Aen.\\)\ a c u Enea risponde*
rebbe con ci che segue (Trag, Lai, JReliq.
p, 3i$). Sembra per dii&cile che in uo prologo
si potesse inUodurre quel l ' appari zi one e quel
dialogo. Enim solo in U . ; il Bothe vi aggiun^
ge is ^ in Medio, Cos hanno i codici ; i qnali
per al c. 3f del I. VII danno, altri Medo^ altri
Media, come anche in Pesto. U Mullcr crede
buone ambedue le forme ; perch il Aglio di Me^
dea che nei pi in Esiodo hiiitioi
Qui s tu e/, etc. Le prime quattro parole sono
allegale anche da Carisiu Hd esempio di quis detto
di donna (IV, p, a4o P.) ; ma non ne dice n
anfore n il lungo : in Nonio poi (in Cuis p. 198
Mere.) e in Diomede (li, p, 449 -P.* 454 ^ei l )
leggasi l'intero verso col nome di Pacuvio, il cui
Medo ricordalo da varii autori. Ho dello che
anche Diomede allribuisce questo verso a Pacu
vio ; perch, sebbene il tesio del Putsch vi no
mina Ennio, un codice vi ha espressamente Pa-
cuvium^ed un ahro cuuium^ onde nacque En
nium, In un testo a penna dpi Commentario di
Pompeo sopra Donalo (V. Ruhnken, in l ui . Ru-
fi ni an, p. a6a) si legge : A pud maiores nostros
indijffrenter inv nimus hoc pronomen quia vir
et quis mulier. . . . Est autem r ati o et or igo
hui us pr onomi ni s a Gr aeco.... autem apud
illos est tam masculi ni generi s quam femi ni ni .
Er go .... servaverunt eti am genus anti qui , ut
est: quis tu es, mulier, qui me hoc nuncupasti
nomine ? Qui mulirr habemus et in Enni o et
imPacuvio et in ipso Terenti o. N di questo
hoc sostituilo ad insueto^ n del qui squi s chc
leggesi in Nonio per quis, non da far conio.
61. Dicoy etc. K pjssu di lezione incertissima.
1 codici hanno : Di co originem habet Gr aecam,
quod Gr aeci NlcflhE (Coei F. ; negli altri la-
gu^ia). Hinc Enni us dico qui hunc dicar e (b.
aggiunge qui habet, come alcune cdiiioni, cupit
o potest). Ne' testi afelampa fu posto, Gr ae
ci fixetfai (ne pi vecchi <) ; e il Di co qui
hunc dicare^ tulloch sieno parole vote di senso,
furono date come un frammento di Ennio. Cos
fece anche il Muller, che ristrinse vizi il fram
mento al solo Di co quiy segnando poi laguna, c
traspprtando nel testo di Varrone Ulne dicare
indicti vum una mia congetlura : ne'codd.
indiciti llum ; il Turnebo, il Vertranio, lo Sciop-
pio eJ' Agostino da un testo, i ndi ci t hellum ; lo
Scaligero i ndi ci t illi ci um ; il Mulier i ndi ci t duel
lum. Ma non so perch di indicere s ' avessero a
dare due esefopii, ripetendolo una volta nel pre
sente, l'altra nel passalo, laddove pei due verbi
seguenti si tiene il passato in mi mo la vul
gata ; ne* codici in minimo di ci s numero. In
F, di ci numo^in II. di ci mimo, in G. di ci mi ni
moy in a. dicimi(to, in b. di ci in unoy in un cod.
del Turnebo dicuni iito ; comunemente di ci s imo.
Tuttoch numero possa corrispondere a loco,
ratione^e num possa esserne un' abbreviatura ;
tuttavia confesso che questa mia congettura avreb
be duopo di pi forti puntelli.
6a. inscienti . Cos, il Miiller ; ne' codd. scien
ti, che CQiUraddice al quod ignoravit. Lo Scali
gero e I q Soioppio proi>osero loSpep-
gel sci ens nescienti ^ quod ei. Con lo Scioppio,
455 N O T E 45G
5<*^tiitn ilallo iirlle note, f lai Muller :
iic' . quod ietf ft>rsL per. Iic oe)ru1)brcvilu>
ra di quoti era expresso anche il d Ah eo
quody eie. Il iVIiiller aftace ipiesla oUustila, fino
a<l ut doceatf ni perieli o anlece<tente, e mulo il
quod in qui. Ne'cot<I. ductor, h sdendo
ducere, etc. Cogl mi parve domanilare il conte
alo : ne codil. ab docendo (h. dicendo) docere
disciplina discere. Il Muller scrisse t Ab doeen-
do discere^ disciplina.
63. ex proportione putandi. Ne' cfnW. et
praepositione (in F. propositione) putandi. Lo
Spengel propose e propositione putandi; il Mtf-
Icr erjjui Ir Tiil^al cum praepositione a putan
do. Molisi /em translatitio atque ex agris
x^erbo preinrsso nel c. seg. all' etiroologia iJi dis
serere.
64 translatitio. Cf. VI, 78. Qai i rodici han
no, tralatio F . , translatio GH., traslatio a.,
translacio h. et in vestimento in H ; etiam
in vestimento in F. e for^e negli altri ex iure
manum consertum vocare. Cf. Cirer. pr Mu
rena 12, a 6 ; de Ora/. 1, 10, 41 ~ adserere
manu: ne*codl. mani/m ; come pure pi aoIlo
manum asserere est verus^ etc. Cos ho scrit
to per con veltara : ne codici, est verbi (G.omette
verbi) nam manum asserere dicit. Lo Scaligero
suppose es urbi con una laguna dopo queste pa
rol e; e laguna nolo pure il Miller e qui e dopo
dicity sebbene i codici non ne diano indizio. In
gegnosa la congettura del Berglc, pubblicata
non ha guari nel Filologo di Gottinga. Si mihi
auctor ex, legge egli, verbenam manum adsere
re, Certo sarebbe desiderabile che questa formula
augnrale fosae puntellata da qualche testimonian
za : ma non per tanto la sua semplicit la fa pro
babile. Manumy nota egli, ha pieno riscontro
nel Manim aserum della tavola Banlina (Anno
X I V . i 8 ) , e non gi actrusaliv, ma
settimo caio.
65. Hinc consortes. Mi parve sufficiente r a g
giunta d un hinc a sostenere il discorso ; ed ove
pure l i accetti la congettura dri Bergk nel prece
dente capitoletto, e si muti in dictiW dicit che vi
sopravanza, noo per questo hinc rester d es
sere necessario ad qnae ipsi, etc. Cos hanno
i codici, salvo il trovarvis ad qui (in b. atque)
in Inogo di ad quae: nella prima edizione e in
pi altre antiche, ad quod ; la qual lezione mi
dispiace di non aver aeguito. A ogni modo la di f
ferenza leggiera. Ci che parmi strano che
tanto lo Spengel, quanto il MUllcT) ieusi qui di
lungati dalla lezione de' codici, per tegui r la t ul -
gata, che lo steiso H&ller non pot lare a mrno
di chiamare asaal dnbbia, e dove dirsi In Ivillo
ialaa* Ei m : hinc ttiam ipsi eomoriei^ adquos
eadem sors impendium parve al Tiirncbo ona
chiosa ; s ingann, come itolu il Mtller ; ch
10 vuole il senso. Cf. \ y i 83.
66. Leger e dictum. In a. omesso il dictum
^ leguli. Qi, V,94.
67. Mur mur atur , etc. Il Mitller si confessa
egli siciso troppo ardilo nell* aver lascialo la le
zione de codici, ehe quale abbiamo dato nel
tcilo, per iscrivere ; Mur mur atur dietum a si -
ni litudine soni (anche pi Mdio sonitus) sur^-
*, quom * qui (per quis) etc. Forse meglio lo
Spengel crede aolitinlo intruso il dictum * ni hi l
me, ti c. Probnbiiment^ ni l per cagion d^rl oietro,
come scrisse il Bibbeak, cHe rifer -questo passo
IrHi frammenti e favole incerte (Trag^
L at.Bel .p, a3i. CXXXV).
66. ab hi s qui cum Tatto In lezione vulga
ta, seguila anche dal Muller; ne codici omesso
11 qui civitatis Cosi il Mitller con lo Sciop
pio; iie cftdd. civitates, Easendo lunga la aecon-
da sillaba di quiritare^ non so oorae il Docder-
lein n' abbi (aito un frequentativo di queror
Apr i ssi us. Cos i codici, senonch quello del
Tttrnebo aveva Chrysippus, e b. Aprisims. Lo
Scaligero v'imagin il CrisipfK> di Accio; e pri*
ma aveva proposto apte Atti us ai t in Bacchis^
comprendendovi cosi mutato V io hutco, Batf
questa coogctlora poco fondala dello Scaligero,
perch il seguente pasio si registraste tra i frana
menti delle Baccanti di Accio ; ira i qnali lo ri
tenne anche il B^ithe, quantunque il passo non
teuga punto del tragico. Giustamente il Ribbeck
10 trasport, sotio incerto nome di Aprisiio,
fra i rimasugli de Comici (p, aSi). chiude il
verso con vicinus tuus^t riserva aUegnent sol
tanto anti quus. Bucco |ersonaggio nolo nelle
Atellane. ]n luogo di fi/v#, G. d atovus^.
r if cod. del Turnebo Atus c Grtttco^ etc^
Cosi F. ; in b. a Gr aeco. li Miiller omise ec,
che B vero dire sembra svercbto.
69. a 9oluntate. Cos il MUHer con con
la prima edizione, con le altre auliche e col Ro
landdlo ; he^ili altri codd. et a v o l u n t a t ecum
ad se cubitum venerii. Di qui suul comiuoiarsi
11 (tasso di Lucilio, io le crealo parole di Varroue,
come anche il cae$era soggiunto a tunieam , e
perci ritenni il swm volnntatty che lo Scaligero,
lo ScioppiH lo Spengel e il Mtiller escludono,
come uua chiosa. Il paaso ili Lqcilio probabile
meole: . . . . spomte ipsa suapi e Adducta ,
tunicamque r ei eci t.ki r i nomi di vesti,compreu
da Varrone nel caetera^ compievano il verso. Il
paaM> poi di Terenaio negli Adelfi I, i , 5o
a qua dicttun spondert. Anche queste parole, lo
Scioppio ed il Mtllcr le hanno per una chiosa.
A me paiono neccssartc,fenrndosi a foci che non
457
Al LI BRI DI M. Tl i RENZI O VARUONI i 45ft
derivino immediiUmenle da sponte^ m per Ta
di spondere. Ces) lo spondet che icgite, qui da
prendere nel leoso corriipondente a respndet,
cio di dire, come dichiarasi nel capilofetto 7^ 5
poich questi varii derivati di spondeo si ven);o-
no dichiarando ad uno nd uno, riyollatone or
dine. Ho per errato nella versione, non per aver
credulo che lo spondet aveste s}!nificato div'jrso
da quello del primo spondere^ ma bens oelPor-
dine dei due significali. Perucche quello df dire
dee slare per spondet nel secondo luogo; e il
principio del paragrafo dovea tradursi eosr.Spnii-
*lere dire Spondeo, si ccome f a ehi promette o
malleva ; ed voce tratta da ponlei che signi-^
fi ca volont. Nel secondo luogo poi auftilisca-
ai : Da sponle adunque^ come si fece spondere,
i n quanto premettere o mallevare^ cos Se ne
trasse poi tpondere, in quanto e respon
dere, ec. spondet eti m la vulgata; ne^codtl.
spondit (cos anche pi sopra) est qui idem ;
ha O. ; gli altri quidem ; la vulgata qui idem
ut. Lft Scioppio, seguilo dallo Spmgel, sostitu
qui dum. Ma la lexioue qui idem faci at obliga
tur^ sDsteuta, come not il Mailer, dalle stesse
formule delle sponsioni. Sponsus^ dire Gaio
(I nst. Ili, 116) ita i nter r ogatur ; I dem dor i
spondes ?
70. Consposos^dfoe Paolo, anti qui di cetant
fi de mutua colligatos appellabatur. Prima
d questa'parola, il Mailer, seguehdo il conaiglio
di Guglielmo T. Kraot, aggiunse intera claUsu
la nam, ut i n tomoedi i s vides di ci : Sponden*
tuam gntam fi li o uxorem meo 1 16 credo che
ella stU meglio nel paragrafo seguente^ dov la
danno i codici ; perocch, accennandosi qui tanto
la promem, quanto ammenda, non mi par con
veniente H dividerne la dichiirrazione, frappo
nendovi pi altre cose. A ogni modo per cosi
fatti ardimenti et cogliono ragioni pi forti
tui dsponsn quae erat. CJosl il Mailer, potatovi
quoi ; com in in liiogo di cui ; \ codUI
hanno qnod ^ 0 invece di quae. Cod fatte
forme sono fVequenti in Varrone. Sponsus, dice
Servio ^en. X, 79, qui promittitur^ sed qui
spondet et sponsores dat.
71. non tnim^ si vohat^ dabt. K la letione
de* coditi ; n ragion di mutarla. Il Mailer so-
stitti non enim^si noleba^non dabttt^ Spon
deri^ tuam gnatam. Nc codd. Sponde.^ eccetto
G. che ha Spondeo^Onatam forse in b. ; negli
altri agvafam. Da questo luogo di Varrone, con*
forvne a ri che scrivono intorno agli antichi rtif
degli Spunnali Senio Aen. X, 79, e Isidoro Orig.
IX, 7, 3, si riccogh! che la promessa tdcevasi
liat piiln* della spsa secondo le ordinane forme
delle iponiiotii ; doijde oatreva prr^Hamenfe
on^azione civile c^ulro chi avesse man(?kito al)a
parola djla. Ci dichiara Varrrme con le parole
quod tum praetor ium i us ad legem exi sti ma-
batur. Un simile costume dur lungamente nel
Lazio; ed cos des^ritto da Servio Sulpicio
presso Aulo Gellto (IV, 4) Qui uxor em ductu
rus erat., ab o unde ducenda erat^ stipulaba
tur eam in matrimonium ductum i r i ; qui
datur us eriit^itldehi sti pulabtur daturum. I s
contr actus stipulationum sponsionuhique di
cebatur sponsalia, Tum quae promissa erat^
sponsa appellabatur ; qiii spoponderat ductu
rum^ sponsus Sed si post eas stipulationes
uxor non dabatur aut non ducebatur^ qui sti
pulabatuF* ex sponsu agebat. J udices cogno
scebant. ludex^ quamobrem data acceptave
non fi i i sset U3tor^ quaerebat : si ni hi l iustae
edusae videbatur,, litem pecunia aestimabat ;
quantique interfuerat eain uxorem acci pi aut
dari^eum., qui spoponderat aut qui sti pulatti i
erat^ conde'mnabat, 1'oltii pi tanli azione
fiuridice per gii tpotisafi, rest nondimeno Ia
nota dMnfiimia contro chi li avesse violati (Fr , I,
/r. i 3, 1^4* ^ notant.), TeggatI
peraltro intorno a qaetto passo di Varrone, e a
tutta questa materia Huschke (Zei tschr tftfr
gesthi chtl Beehti wi ssensch. X. 313-339), che
dissente in parte de ci che s* detto.
j%, A qua sponte^ et. Tranne aver posto
respondr iin ieogo di responderet o responde
rentt In ltto il resto holtaciatola lezione de'co
dici, tebbeot lqnenio contrta. Tum ad spon^
ient iif b. ; gli altri hanno' citm a sponte. Il
Mtler aostiiu ; A quo sponte dicre^ r espon
dere quoque di xer unt; quom ad spontem r e
sponderent^ e te. ; espressione ch' io coi^sio di
non inteodcr. 11 senio dato dalla leztooe de*^o->>
dici certamente giusto; perch, quando vogliasi
che r espondere aias7 detto sio da principio in
lutb ampiezza del suo significato, par uecssa-
rfr supporre che spondere st usasse anche gene-
ratmcnte per dire, E lo upposero in fatto gii
antichi etimologisti ; poich leggiamo \n Paolo !
Sponde^ ponebatur pr o dicer e ; unde et re>-
sponder dhuc manet quoi quis. Cos otti-
mamenle il Mailer : in a. quis qui, in GH. qui^
in Fb, qui squi s in tragoedia. Forse in co
moedia^nota loSpengeh ma ad ^ modo, non
sapedosentf altro, d alare accodici ; come fece
anche il Ribbeck che registr quealo Terso fra'
rimasugli di tragedie incerte d* autori incerti a
f. aa5. CHI ^ Memi ni sti n^. Cosi la rolgata ;
ne* codd. Meministine^ eccetto !I. che omette il
ne. Ho scritto poi spndere col Lachmannr^>fi<i.
Rhen. 1839, p. 119), ih luogo di desponder e;
bastando It^glier In de^ nata ior dal/e tutcce-
4Go
per avere un pini lo ienario. Qnatam k la
leiion oomunc; in FG. agnatam^ coma nel pa-
raj^r^fo ani eceJeot c; in cognatam; in ab.
cognatum.
73. I taque, hi quo^ue^ eie. ^c'cod!. hi c ;
che il Miiller ritenne, credendolo tlello per ,
come altrove /iaec per /fae. Che i due versi di
PluLo siano un <lialogo, ti fa chiaro U qpesto
/ii qui dicunt^ e dal quod si ne sponte dicunt,
8o|;giuolo; poich da altra *6 vi si parla ad
uno (Polyhadisce^ mea sperata)^ e nel numero
dell* \xv\o (cupio^sequor^etc.) ^unc sequere^
adsequere. Ne' codd. Ne (per lo pi. uuilo a
Plauti ) sequere^ adseque (in.b. pare adseque-
re). 11 Muller accetl anche egli il Nunc, che
una cqngcttura dello Spengel; e conserv adse
qu^ come un avanzo tielJ* antica forma sequo.
Ma cos in mezto a Sequor e cnsequpr poco
probabile hercule in G. ed la lezione vul
gata; in Hb^ hercUy in a. hercUm, in F, haer e
dem. Ho preso mea sperata per vocativo, come
il credelte anche lo Scaligero e il , e pare
acceuni^to dal neque i la sper ata est. 11 Bothe
omise il Ne o Nunc da principio, e scrive poi
her cle ; onde hannosi ilue trociici letramelr
talelli neque illa sper at quae% etc. Cosi ho
scritto, perch lo vuole il contesto. lezione
comune neque ille sper at qui^etc. che torna il
medesimo tX neqne i lla sperata est ; Uddpve il
tlo del discorso (I ti quoqms qui dicunt^ etc, ..v,
quod si ne sponte di cunt, gere^ti c,) oonduce a
questo che n n i* altro dicasi sperare dav
vero. Cerio la giovanott chiama sua speraota
Polibadisco ; e questi di ricambio ie dice mee
sperata. L ' aso poco frequeolt di adolescens
nel iei||iiiino Irasse.probabilmente a acrivere ///
e qui ; sebbene mi B. propriamente iUa.
74.//^/ praestet. Cos io tutti i codiai ; e.sj-
milmen^ nel c. del l. V, si legge : Pr aedi a
dicta^ item ut praedes^ a pratstando^ quod ea
pignor e data publi ce mancupis fi dem prae^
stent,, Ch questa sia la vera scrittura di Varro
ne, ce ne fa testimonianza anche Apuleio (de
Dip/ ith. i%^p. l i t OsnnnJ ^in leggesi : Pr aes
a praestando fi dem dicitur^ Var r one Uste,
L'* etimologia medesima anche in Paolo alla vooe
Manceps; onde che pare pon sia da dubitar
ne, se non in quanto la chiarezza doaiandcrtbbe,
come lesse il Salmasio (de modo ui ur . iG) ; i/i-
ter rogatus fi dem publi co ut praestet. Cionco
ostante il trovare in Paolo{alU v. Praes^ che la
domanda del magistrato era si prxtes si t, a coi
risponde vasi praes, lece nascere; pi congetture
su questo luogo. Lo Scaligero, al detto luogo di
Paolo, pfopose an praesest ; il Palmieri (Spi ci
leg. ad Ter ent. Phor m. Ili, 3, t 8, 85i), ut
pr aes siety 0 lo siifiil il MfilUr; il Cramer (J n
A. Geli lo E xc. IV, p. 73 Ki li ac i 83a), an prmes
est a quo et cum r espondet praes^ di ci tur .
Una nuova elimolojiia di/?rarJ|mbblir il Bergk
nel Filolo{;q di Gottinga (Anno XIV. P. p.
i 85) secondo il quale non sarebbe altro rhe una
contrazione tWlpraevas, Validissimo argomento
n' ^ forma praevides, oftcrl dalla legge Toria ;
perch da un lato conduce regolarmente a prae^
vades, dall'altro a praedes. ,Qua\ o poi alle
sicurt volute dui pubblim con pegni e malleva
dori, ed alle leggi a c^ rhe costituivano il l us
praediatori um^veggasi trivio XXII, Oo ; A>cou.
i n V er r .,\ 54, 55 ; Cicer. pr Balbo ao, ad
Aui c. Xll, 4>7 { Val, Mass. Vili, l a, 1 ; Svet.
Claud. 9.
75, accani t Gb. c in certf guisa anche aH,
de'quali il primo ha separatamente q c canit^ il
secondo a canit : in F, cani l pr M. N. Cos
il Muller; ne'codici rivoltatu l'ordine: altri
omettono il pr con una delle due lettere ti bi
cines, Dopo questa parola ho notato, laguiwi,
come fa i l VfiJler ; perch omnium . . . horum
SMppone che siensi noniipa^j prtna piu^ltri so
natori, cqine tubicines^ liticines^#iv (CJ . V. 91)4
quoddojn caner e c ooa ipia cno|ettura< net
codd. quod{\\\ H. quid) a caner e; lo Spenge!
il Miiller V attennero al qui d a cantre. Ho la-
sciato, poi buci nator con un solo.^c.j com' in
F. ; perch, traendosi, , da kucca^ ma da
un' origine assimilativa, come bubo (V, 7^) e
hombuSy non par voluto il raddoppiamento.
76. cum propor ti one. Cos ho scritto, non
trovando di n^eglio. Certo If lezione de'codici,
che cum propositione o praepositione^non d
alcun senso. 11 medesimo cangiamento ho fatto
anche nel c. 63 di questo libro, e vi accasca me
glio che qui. Pure anche j n questo luogp d un
concetto giusto ; laddove la lezione de' codici non
ne d neMuno. Direbbrsi cum propprtione^cio
secondo analogia ; perch in or namentum con
servasi la .consonante prppfia della radice, che in
omen s perduta, ed pur confonde all'analo
gia che l'antica pronuncia osnamentum siesi
ammodernala in ornamehtnm. Del resto osna
mentum una congettura dello Scioppio : i codici
vi danno di nuovo or namentum. Il Vertranio
serisie alterum nunc cum R, positione, Stm^l-
mente nel c. 1 ag del 1.. V insegn Varrone saersi
detto or natus quasi ab or e natus sceni ci .
Forse senices^cio senes^nota qui il Muller. Non
credo, perch cozzerebbe col si cut olim. Qui
sceni ci contrapponsi a vqlgo ; ed pur credibile
che in quest'arte,essendo or nament il vocabolo
proprio de' vestiti e de' parati scenici,si continuas
se a.frangerne S, secondo l'antica pronuncia.
4G.
Al LlBBl DI M. TERENZI O VARRO^E 4G3
97. honera iu Fu. ; in GHb. onra. Cf, V, 73.
78. item alios^alia, Coi de*odici ; n su
vedere perch il MtlUer abbia prefeciio la itira
leiioiie, item ali os apud^ del lolo codice b.
sub sensum gli aliri sub sema,
79. Il Mlier d o i qui lagana ; e la coufesM
il principio coli rtillo, coni , di quesln apil-
l^to. Totlavia il vto non de?'eiier gninde ;
perch cid che toccasi della loce, cerio per ri-
fpelto al vedere, che e il primo de'ieosi; e delle
asion de'seaii naluralmenle parlava! per ri*
spello al fare, che la prima delb tre maniere
d* ationi diliinle da Varroiie ^ t ab Imce,
De' codici, quali hanno ei Itice^ quali ab luce^
o a luce. Pare che sa da leggere nm luet^ o
ab luce enim ; ch forse s* perduto e/iim, per
essere scritto in abbreviatura Luger e una
congettura del Popma, accolla anche dal Miiller :
ne codd. lucere J cqu r er e, Tutta questa elau-
aula sembra spostala. Lrggesi in Apuleio (de
Diphth. a3, Osann): Ut Mar cus e// Te-
rentiuSy quMero ex quae et re componitur ;
pr ope (proprie) enim quaerere est quat n t res
ali qua investigare. Qui per YaiYone dice tosa
diversa ab hisque quaestor. Cos il Miiller |
ne^codtl; ab hi s conquaestor,
8^ a ifi, luogo emendalo dal Pauv\io (in
Phryni c, p. 71 Lob.) : ne'codd. a visu quod
absit. In F. qood abest Atti anum, Cos il
Nunnesio (in Phr j ni c. p, 70 Lob.)^ seguito dal
Milller: in F. in Ha aetati quom^ in
G. aetati cum^in b. acticum ; lo Sdoppio not
in margine J i ti acum ; il l>ai hmimn (Mas. Rhen,
1845, 611) ne trasse Atti^ e lasci WcumtX
passo seguente insieme con i llud ob violabit :
Qui i nvi di t Y et invidendum, t uuft ritia aon-
getlura, la aggiungere alle molle che si son fatte
su questo ludffo. 1 codici danno ohlivio lavt qui
i nci di t in videndum. Il Nunnesio ne fece obvio
lavit quod i nci di t in videndum / lo Scaligero,
lolla via U cilszione di Accio, legge alla distesa :
Ri ne visenda., vigilavit., vigilium^ et invident^
et vitium i l li obtulit^ violavit., quod i nci di t in
videndum ; il MiUlcr suppone detto invidendum
per non videndum., elegge: Atti anum i l l ud:
Oculi s vi olavit qui vi di t invidendum il Rib-
beck (Tr ag, Lat. Rei. p, tga), seguendoli Lach-
ifiHnn, liene intalla Ia leiione de codici, e scrive:
et Atti : cum i llud obli vi o (cio con la dimeni-
ranz4, dl nominativo oblivium) lavet^qui 4nc -
di t invidendum, lo v' ho supposla un allusione
al nolo pjisso del Menalippo, ricordalo con lode
(ImCicerone (Tusc. Q. Ili, q), Quisnam (in No
nio qui mortali s ; p. 5 ^\evc.) fl or em libertm
i nvidi t ment ? Questo ardintenlo di Arcio^ se
parve niitabile a (jccrone) pi dovea ri-
chiiiiBare l ' attenzione d un graromatico. Quanto
poi al sopiposto us dell p, cf. VII4 91.
6i. Rnni us, Vedi la noia al 0. 6 di questo
medesicao libro Cani us, La vulgata C. An
ni usf ma i dodici hanno propriamente Canius.^
tranne b. ov' acani us. In qualunque dei Ira
modi acrivasiv autore ignoto a cereo, Co<^
n* dodici e nelle antiche edisioni ; il creo,
che alooni aveano aosliloiio, non hanno fondai
mento. Cer us sfiiegasi per cr eator da Paolo ; e
cereo non sarebbe che la forma piena di creo,
quantunque appaia accorciala fino nella radice
saqserita K r i , che significa parimente far e. For
se da leggere a cer o ^ Ui ncfi nes capilli, Nola
Carisio (I. p . ^ P.) che, secondo Varrone, si do-
vea dire capi llus i\e\ siiigolare'. Hl^liiller omette
il fi nes ; Agostino, il Veriraoio eti allri leggo
no discr eta in ^nogo di descriptio L omissione
fl nes non mirspianerebbe: ma ib supporlo nato,
come fa i Mlter, aa una varia lesione del se
fuente^/iiV, non mi par giuato. Di scr eti poi
inoKiuderebbe la'cosa .stessa che si vuol hiarire ;
e dall altra parte in senso di or di na
r e e partire.^ iion nuovo et cer ni to * in
testamento. Cos eongcttururono V Agoslino, il
Vertranio, lo Scioppio, il Santi; con pi ele
ganza il Turnebo, segnilo dal Mulkr> et quod in
feiftfmenlo, cer ni to^: ne eodd. el 4j ui i d (ia
GH. omesso Vid) i nlestamento. Ln esem|iio
di questa fo^mnla in Gaio (I nst, 11, 174) : Zi-
citts Ti ti us ieres esto^ cer ni toque i n diebuS
cenium prximi.^ quibus sci es poter i sque:
quodnl i ta creveris^ exher es esto Ter sub
ar mi ti ttc, pass della Medea esule di Enoio
(Cf. Rur i p, Med, aSa) riportato due volle hneht
da Ntonfo (p. a6t ^erc.^ cHe un volta vi pre
metta Ham,' l eodici' di Varrone hanno erronea
mente multa io>veee di vitam, 11 Dothe (Pot,
Scen, Fragfn* 1 p 53) fa un trocaico tetr. cat
da Ter a modo ; il Ribbeok (Tr ag. Lat, Rei ,
Vi,) e il Vahlvn (Enn^ Poes, Rei , p, Sq.
VI.) premettono il Aam, e tengono la divisione
che sbbramo data nel testo.
8a. tb antiquo. La vulgata, e con esea il Miil-
ler, aggiunge ^e^/o ; ma ikmi ne codtc% ne mi
pac netetsario epulo., etc. Pare un brano
allegato poco fedelmente a memoria del 'verso
d* Knnio, che leggesi in Festo alla v. Spicit^come
appartenente al XVI degli Ahitali (cosi ha 1] co
dice per testimonianza del Keil; non VI, come
scrivsi cominemfite)v 11 verso, secondoch lo
dft il eoilee, : Quos ubi r ex..., ulo spexi t de
contibus celsi s ; ' o sia, com sanalo dal Vahien
(Enn. Po's, Rei, p. 61. IX), Quos ^ibi r ex po
pulos spexi t de cautibus celsis. Secondo quesla
lezione^ in Varrone dovrtbbesi scrivere: (^uos
4G3
N O T E 464
pofm ot poti quam i pexi i . Dinuiile iffc fougel-
tiire furono futle su quello tergo dai loHi ; e
p o M o o o vederi} ne commenti Feslo^ qui ha
bent spectionem^ qui non habent. ComoMmenle
habeant io nmbtilue i luoghr: i codiai nel primo
hw^o danno habent^ nel fecmdo altri habeant
(^.K allri habebant (GHI>.). Lo Spengrl e il MuW
Icr ti Uonero al od. Fm perch in Vermi V ii*
coslanta de'modi non cosa in soli la (VUgS)
Vi l i , I V Forse fecero bene ; perch nel
aecosdo luoftq la discrepaaia de* oodid oou to
glie probabilit alla lezione habeant^ acieiwan*
do?i tolti Hi ne speculor. Cos ho scrilio per
togliere la ripetitione di specula., che qui nei
itodir. de qu0. lu G. de qua qui oculoSs
etc. il qui d*ulrunenlo, di ui uatpetao Vrf>
rooe : in F. quo^in b. quia.
83. Ab auribus^ etc. Ho alerpretato a
quealo modo, per non ater ^ i a toccare la letio
ne de codici l dove dioeai Audi o ah %ed
J b audiendo etimm auscultar e ; e perch k
leiaa forma ripetesi uel passare ' Terbi prrlir
neuli al gusto : Si c ^ ore^do^eU.^ dere ab
non iodica certo deri^ntione. Il Mailer fu pi
Ardito^ ed ebbe forile ragiotie, seriteinlo Aur i s
ah aveo^ ed ometleudo Si c ab nel principio del
paragrafo 84 iom dadam^ ei e. Vedi i fram
menti di hlnnio raceonciAti dal Vablen a f* 99.
111._Qudio^ haud ausculto, C<t il Turnebo^
il Vertraiiio, lo ^eioppi<i, c.: in FGHb. aut 'i
luogo di haud ; in a. audio ausculto., come toU
lero lo Spengel e il Mtllejr. Ma la differenxa fri
aydi o ed ausculto^\ qual proposito recalo
questo dello, come rifalla ipiccalisiiroa leggendo
haud^cosi quasi svaoiace omellendolo; e dall'al
tra parte poteva avvenire facilmente in un
codice l'omissione di questa sillaba innanzi ad
on' altra di simil suono e scrittura, che afgiiio*
la di ssa iu tulli gli altri.Simile que! di Pacu-
io, ricordato U Cicerone al proposito degli
auguri; Magi s t\udiendum^ quam auscultan
dum censeos e quel di Cecilio (Non, in AuscnU
tare p. ^{6 M.) : Audire^ i gnoti quod imperant^
Soleo., non auscultar e Li ter a comutata, etc.
11. Mul^r intendeoutalo au in o, sicch da at^
di r e traggasi odor ; altrimenti mancherabbe, dice
egli 1 i* di o</or. Poesibile rhe questo
d i c a s i mutare una letler|i, e che non abbiasi alcun
lispetlo alla quantit della prima sillaba? Del re
ato Tetimologii nOD mancai perch odor ti la
nato da ol or ; quimtnitque il ritooiMro col greco
f i i r mostri pi antica la forma odor che non
gi altra (Cf. Paolo e Feito io Odefhc t) odo
ratus, Coli lo 5})engel e il Miiner: ne'codd.
odoratur,
84. escae^eduli a, Kc" toiULescedulia^teQQQ
che b. ha eseendmlia. Forse esca et eduli a
repotia una congettura recala dall* Afostino ;
n eodd. repotatio. Cf. V, i2fl puteus. Cf.
V, aB.
85. quod coniungty etc. Ilo .preso manus
per notniiiiTa, iuttcl sembri opporvlsi or
dine delle parole, e U convenienza ohe manus
inrendasi qui io ieiiao proprio, e la probabUH
che manipulus o martiplus diui effettivamenle
come composto da manus e plus. Nondimeno
rho fallo per conciliar questo luogo con altro
(V, 88), io cui ai d mani pulus come on dimimi-
tiro di manus. Del resto, per gaUaf autore <b
una contraddizione, ho caricato di colpe frge
maggiori. Fra questi vocaboli appartenenti i ma-
nus^come strunieuto principale del toccare, nou
troviamo alt un terbo ; bench questo libro aia
dato propriamente a verbi, e molli ve ne cades-
aero io concio. |Ma senza, dubbio fra questo e il
geguente paragrafo ha luogo una grande laguna,
dote, lermMala che fosse la materia del toicar,
dovea venirsi avverbi spettanti aire^ere, c da
ultimo al gerere^aecondo la divisione premegsa.
Certo tutto ci che argue sino al paragrafo qG,
pon ragguarda che una parte del gerere,
86. censurae. Cos il Miiller; iie todd. re/i-
sura ; de' tesli a stgmpa, i pi tplit Ui stanno cui
codici ; degli altri, quali hanno censor auspi ca
verit^ quali censura auspi catur ,. Censor tot-
tinteao; e censura qui sla per ceviso. nuntiu.m
er i t : il Vcrtrauio e lo Sdoppio, nunti atum er i t
pr aeconi la lezione comune ; i c<idd. pei
danno praeconis.^o pr aeconi i s ^.) Quod bo
num,,.. siet, Cf. Iiv. XL, 46. Si et la lezione
vulgata : in b. si et; negli altri si erit^ o sierit.,
o quae^sitferit^ ouitovi il que delta parola ante
cedente si ve pr alter o. Cosi Io Sdoppio ;
ne'codd. si verbo alter o ^ dar i. Il Groiiovio
scrive dar e (Observ, IV, 3) voca inli ci um
huc : ne' codd, vocat,
87. Ubi l ucet: ne eodd. ,// l i cet; ma uon
da dubitare che la prima lezione, comuaementc
seguita, non sia la vera fCJ l Ubi noctu i n tem
plum ' censur ae auspicaverit., atque de caelo
nunti um er it) sorti untur , Coi ne*'codici.
In Nonio, all a v. Sor ti r ent (p, 471 /.;, alleganti,
da Varron e Rer . Hum, l. XX., le parole : curn
vener int (al. venerunt)^ censores i nter se sor
ti ant (at. sor ti unt). Onde che loSi>engel sospetta
che ancle qui t' abbia a porre sor ti ant ; il MuU
ler, sor ti unt Uhi templum factum est. Que
ste prole solcano continuarsi al periodo antece
dente: le staciO il Miiller, |erch corrispon
desse anche questa alla forma delie altre clausu-
le, e |eixh il fatto sta che s' avea a stabilire uu
nuovo tempi o uel Campo Marzio prtsso all* ara
465 Al LI BRI DI . TERENZI O VARRONE
4
d Mar i e.(Liv, XL, 45, 4^) ove leoer r<lunan
2*, che deifiro al pomerio non ti poteta pi
sotto il-c. 98, e Geli. XV, 27). post tum* Cosi
al c. 4 deinde tum^ e al c. 25 Irl I. VJII. dein
tum. Quaof air uso di conventio per contiof
lo nia anche Paolo.
8 6 . Cosi pnr chiaroTansi i conoli
fCi e, III. Leg. 3 ; LiV. i l i , 55) Calpttrni^Cos.
In Fa. nitameole CalpurnicoSy in G. Calphur ni
coSs *0 H. carhunicoSy in b. Col puni us ad
exer ci tum, etc. G. Fr. Gronovio (Obser, I, i)
legge : et exer ci tum imperat, conveniat^
eie.
89. hi c accenso^ etc. Ne' codd. hinc. sn-
perfloo atvertire che i7/ic fta qui ptr ille. Hd'
poi uni Io I* haec a cusa., ahzich a dicit^ come
aolevast item ut. Cosi emend Agostino:
fie' codd. idem ut c G. frappone est acci ebat
la lezione rulgala ; ne' codd. errneamente ac
ci pi ebat a quo accensus. CI. VII, 58 A -
quilir. Coti ilTurnebo e il Gronovio (in Geli.
il i , 3) : ne' codd. alti ; edittone prima vi to>
frappone il segno d* uti'abbrevialara. Della
zia, lef geli in Gellio (l. c.>, eke passa? cme
d'Aquilio, ma'che Varrone lavblefa di Plauto ;
donde apparisce pereh qui scrivasi, qam co
moediam Aqui l i i esse dicunt. Anche in Gellto
per si fa quaftthe dubbio fui nome d'AquiHo ;
e il fliiachcl sospetta che vi ai abbia ar leg^^re
'Atilio. Il verso ricato qui^ part che dovesse ap
partenere al disborso del Parassito, di coi Gellio
ci conserv un lepidissimo tratto; Tli questo uso
di gridare il niezzogirno, veggasi Plinio I f. H.
VII, 60 (Cf. pi Sopra if c. 4 di quello libri').
Solitum tum esse. Cos ne'codici^ toltone H. che
ha tu io luogo di tum^e b. che lo emette. Il Vit
torio, lo Scioppto, lo Spengel e il MiHIrr esclu
dono anch' essi il tum : ma non so cederne altra
ragione che la caeofoui ,' di cui in Varrone non
da far conio.
90. moer os una congellnra di Fulvio Or
sino, accolta dal MUller, e tenuta per probabil
anche dallo Scaligero e dal Gottofiredo. Ne'codd.
aur as ; Dlia vulgata aras ; nelle Tcchie edizioni
aures. Il Vittorio sostifui or as'-^ ineum^ unde.
Coli i codici e le antiche edizioni. 1Muller ag-
gionse con la vulgata locuih ; ma non fo lonta
no dal credere che questa ellissi fosse comportala
dall' uso. Vedi la noia al paragrafo i 56 del I. V
anquisitioni s not in margine l'Agostino;
iie codd. inquisitionis^ voce nino propria, e
acambiala spesso con altra. Vedi pi sotto
par. 9:1, dove latti i codici conservarono sicure
le treccie di anquisitionis. Di questo processo di
T. Quinzio Trogo (qui i codd. hanno Rogum^
ma pi olio Tr ogi ) non si aa hulla di pi, se-
M. ER Va ERoSK. DtLLA ..
nonch, teneodosi da' Questor i parricidiarii ^
dovrebb precedere all islitusione de'triumviri
sopra delitti capitali, cio 1 465.
91. Auspi ci o orando sede in tempio auspi
ci i la lezione volgala, seguita affche daliVIul
ler : ne* codici ^u^;>iro (a. Auspici um) oranda
(GB* orandae) sd in tempio (G. tempo) aufpi -
ci i s (G. auspitiis), I /Orsino Irovt^ in un codice :
Auspi ci or um ndo sede ; e cos scrisse lo Spen
gel, escludendo, come chiosa, le parole in tempio
auspi ciis. I Questori, come magiatmlo minore,
non aveano che gli aoipicii rulnori, ne* quali era
prescritta la preghiera fSer%f Atn, III, 3^4) t n
poteano pigliar gli auapicH da s (Geli . XII, i 5);
n aveano il diritto di citazione, n di presura
(GelL XIII, i 3). Di qui chiaro perch il Que
store dicasi pregare nel tempio dell' atijtpicio, e
perch nandr chiedeodo l ' auspicio al Pretore od
al Console, ed ordini 'al banditore di ottener li-
ceuz di cilare il reo dalla bocca del Pretore.
Quanto al sedere fllpettaado gli auspicii, veggasi
Feito i n SUentio e io Soi ida Sella Commetta
tum^ti c. una mia congettura. Ne'codd. Com
meatum praetor es vocet ad te et eum de muris
vocet preco i d i mper ar e portet (F. opcrtei).
il Mailer acriise : Commeet tum praeco^ reum
vocet ad fr, et eum de moeris vocet praeco : i d
imperare oportet. I / Agostino, il Vertranio, e Io
Scaligero aveano proposto anch*essi praeco reum
vocet ad 4e;' commeatum poi, che lo Sdoppio
muta in comitiatum^'i pi s' attacca al periodo
aniecedenie. lo Sealg^ro ne fa Cum eat^ Cor
nicinem. Cesi emend il Tnrnebo : in FGa. cor
nicem^in H. tornicene in b. cervicem. Cur i ata
(comitia) per lictor em cur iarum calari^ i d est
convocari (scr ibit Labeo) ; centur iata per cor
ni ci nem (Geli, XV, ^7). pi noto che, per or-
dinfemento delle XII Tavole, i giditii ciipitali
eran ritervalf ai grandi comitit delle centurie
(Cic. 111. Leg. 19 ; de rep. Il, 36, ec.) ; e i que
stori par r i ci di ar i i non n'erano che presidi
Collegam rogis. 1 delti questori erano due. Ilo
lajrciato rogiSy rom' ne codici, bench pare al
tutto che vi si abbia a orivere roges., come fece
il Miltier, che primo diede luce a quesja clausula,
staccando le parole Collegam roges^o, come leg
Iterasi, Colleffam T, Tr ogi , dalla djusula ante
cedente exquaer as. Ne* codd. exqueras ; co-
mnnemente exqui r as. Nel secondo .luojro poi i
codici hanno ex ara., che Agostino e il Vera-
itio molano in exire^ lo Sdoppio unisce a cen
seant (ne' codd. censeat^ in G. censent) e n f
I censot^es^il Muller muta in exquir as. colle-
gaSque tnos. Cosi lo Scioppio, seguito dai Mul
ier: ne'codd. ioi, nella volgala suos in luogo di
tuos. C9//r*^ae in largo iriiso erMiio ti^tir qii<ri
3.
47
N O T fi 4 6 0
magielrali^ che li ctev^io coi jjicUcfinii auspicii
~ omne$, Cps lo ^ioppip : oe' coU4. homints
advoces. Forse Jmttrn^re ^vocf, cpm ia
FHb. ; sicch abbiasi d i|)loi]cr Uri preseilcre
che far in proprio il Questore lunaiizs,
BceoonoiaUli ohe abbia gli altri magislrati. A
c|u)ta opinione parve ioelinare aocMe il Gotto
freilo : il Turnebo e Die mostr inebrio.
93. anqui si li onls ha forse b., acqui siti oni s
FG., agui si ti oni s H. Quanto %f^rafa, QuUbile
che ila b. in inori, ov' forse Censoribus^ gli al
tri codici hanMo Cwori u^^ che sembr# M^to,
come aola lo Spengel, dair abbreviatura Cess.
Parimente ooubUe I* scrittura / tostfum per
ostium^che in tntli codici, come altrove /
(V> 7 I ; VI, 77) e barena <X, 19) oassi cus
canal tum Ja vulgate : ne' codd. canatum
(FGH.K o cannatum (a.) o canaciuvn (b.). Que*
sio tt antico uso che, se alcuno accusato venisse
mI delitio capitale . . se n'andasse il banditore
di buon roAttirio alle porle di luie chiamasselo a
sun di tromba, e prima di ci i giudlei non des-
scr mai ?oto co^ilru di esso ; n rit ordato con
(|alc parl mi&ilesiine da C. Gxacco presso Plii*
tarco Gracchi poco pr i ma della me/4) Gf.
Tae. Ann. Il, l a ; Sen. de I ra^ I, i6, 9 ec.^
adsi t: io a. aX5i/,che il MiUler prrfriw I.0 Sviop-
pio, adsiei^tolto \ia et dal principio del para
grafo seguente.
93. fi er i inli ci um, lu GHab.yirri i nli citunu
1^ Soio|>pi< ed il Miiiler oirtet-iouo I Micium ; inn
ho credulo, bene lasciarreh*, perch altre volle
usalo il) modo quali d' a\Terbio, f da altra parte
il discorso noq par cpu>piuto, se uoq espriina
che il tempo Uscialo ii| nvexso appunto per
CMgione di questo iftliciw^ lustrar e. Cos il
Grouovio, seguito dal Miillcr: ne'codd. lustra'
r et; il Veriranio c lo Sdoppio, cum lustr at
quod tue exercitui^ eie, una mia congettura ;
aoii}. quud hi c exef^i i ui i mperare pote$t
quo e/, i d eU:, ; e cofj pur leggei compuemeu-
te, senouch la Scaligero mula il prqptar in pen
^4 uua correzione faHa da| Ycrtrij-
itio: ne'i:odd. quo^n qui Quir i tes vocare.
Cos il Mulltr : la vulgata era quod consul vo
car e ; ne' co4d. qi fi r os (in H. qui res, in a. qui
roi\ iu b. quirinas) vocar i inli ci GUb., i l l i
CI, F., i mpi i i ofide pare secondo ciso di </z
li ci um; e per anche il seguente i ^l i ci f sar
secondo caso di inlex^o jVi/c con^e il vuple No
nio. Questo coro di Proscrpiiu secondo lo Sca
ligero, fu nella Laodamia di Lvip Andronico^;, e
tra frammenti di essa favpU riporlo anche i|
Bolhe la voce J nlicius (Pot^ Scen, Fr agm. 1.
p. ia)> cb cos egli qui legge con molte edizio*
ni: la ripet peraltro tra i fraromiroU inctrli (i vi
p, a95); po^h il supposto dello Scitligerp
ha alciin fodame|ito t Hermion^i H ^the
scrT il frammento a dHuiigo j n usi solo
(p. u 3)( Ribbfck ne fa di^ versi rotti, por
tando pel l exi t da cap9 (Po^t, Tr<>S P
VUI). F*rse^ nota il Bothe, vi si pajla d IVS'f*^
: lovi s ara. ,Cmv il ViI|orio, il Yertrfnio, lo
Si loppio, lo Spengi), iWu/ler: ne c^dd. lovi s
vis4 (. cu$q),qfa, questuar# pnrUuo Ovidio
F.qj l IIJ, c s?gg. ; Liv. 1, a* ; Plutarco i|i
I9umai ^i Plin. J5T. |I, jS3 (54).
95. ut is i l l i ci um, Xe cgM J i4t U (i s ix b.)
l ium ; nella vulgata ut i nli cium i nhgi um.
N-e C4*dd. ; eooA.ch| Jo ^i:iopjxio pot
Qi^l margina eUtgluniy lezioijie d un tcc-
cliio codice^ ,J1 Alulkr scrisse : inlegi um inle^
xi t quod i ki idem est quod i nli '
eium i/i/ejri<; quod (tt I cum etc. I^a l ag;-
giunta deir nt:l primo lupgp si convieu
poco con la forma Hoc pi ^m .... scr iptum im*e~
ni - i bi idtm Cgs fin dal Vertranip; nc^c^dd.
ibidetfnt tranne (orie a. ^ quod i nli ei p inUxit^
qu a l etc. Cos ho scritto; per. Utaire quaul*
possibUe<. cpip Iji lezione de'eoiid, che quod
i nli ci te (Fb. Ulexi t, quae cum E etc,
lutcndi i nli ci o fscit inlexi^ (pi chiaro sarebbe
ab * i nli ci o i nlexi^y prp magna communitate^
quam habn^nt^etq. la a. Jfggc;si quam cum . i ,
uegli alici codd. oi^esfo J'I.
9G. a Gr^eQu li ngua putant, jCflifnQ. Nei
cofld. in Graeca^ eie ; lo Scioppif) soslitu a ad
(/), e dicuntur a putant ; il Mi^lier Lvnne la primn
emendazione, e rig^i, come non ntce^saria, la
tccooda.N^ir cipendare il rimanente di quesfb par
ragrafo, fece otlim prova lo $pcpgel; e gliene d
vanloanciK il Miiller. l^e pari.de greche non sonp
date ohe dal codice Fiorentino : gli altri v' hanoo
laguna ciux\%uaat. Cos il Dullmann seguito
dallo Spengel e dal kluller: ia F. SCoLPSu. Jl
Rolandeilo, il Verlranio, lo Scioppio, ec.cxaXf</im^
9Tfvmfnf,Cos I9 Spe/i|(cl cqo li) Scioppio : in
F. Sl KONYIN. 11 floUndelh crpffrrvrai ; comu-
nemente \></ /;^^5/.Cos l^Spen*
gel : nel ,cfid.^h^/uot^Te; nelle edisjpni Xi^va^^eny
Xixff'S4^4, ab ile
ab ^gnitur a yi ynten. lu F. (GH. i d est^
a. .i.|- ab hit ijie (Gtab. i i tm) ab hi li, gni
(Jb. gignitur.^a. cignitur ). a yhyy^irt. Pi tutiu
nell|: edizioni non app|fivau<^ cbe poche trac
ci c ptfi r i etc, F. feretfi^ a poi r^a^^ehN ed
fifflhrJ crfoyyaXvr V , ^r 4^ngalu ; l edizio
ne prim9, strangulam i le altre,
^ah o. vr^ayya\tX%tv, 11 Buttmann propose
^Tfayyakfiv tingmere a r i yyM . Nel cod. 4/e-
gue{co9 anche gli altri) a 1^^'. La lezione
seguita e del Buttoiaon. L'edizion* prima : ti n-
4<5g
Al LI BHl U1 M. TKRbNZl O VARROMi
4;
gue a gr aeco; le tllre: tinguere a graeco
d^tyyvuif^o ti ngere 3 tyy%tVy ovvero ^tyywfin
ahes [a&] a<rsi( uqs coiigel lura dello Spen-
gel: uel co. ades (. aedes ; uclU i.a eil. e nel-
l ellre i oti che adesj ^ t C . Coti lo
Spe|(el oel covi. cli h MXEbN ; il Bullroann
^ ; curauoemeote /^i/v
Nirl codice ANAPrAFHClE; il Bult-
intinn, wayofyepiVai ; lo Spengel e il Muller,
wayafyaft^i oSai putere a vo$i aSat uo
mi* coiigettur ; in F. potare (cosi auche gli al
tri, traone H. che ha portare^ come redixioiie
prima) a <rof0 ECTl. Lo Spetigel soslilul puta-
re a t prima comunemetile leggevaii
potor e a . Ma questo l'allonlana troppo
lai codice^ e ripete uu' eiimologia data gi altro
ve (VI, 84) ; I' altra lezione ontraria al primo
e proprio temo rhe Varrone altribuisce a puta
re (VI, 63) ^. K. A/uot/tIiv : nelle edi
zioni (T/uciir, ^. F.
pectere a una congettu
ra del^Miiller. lo F. petere a ; donde
Io Sprugcl uoii s'arrischi di trarre alcuna lezio
ne ; Ga. danno pectere^ H. pectore stri nger e
a 9T^yytn\ inde enim cr ^ayyi i ti una luia
congel tura. Jn F. stri nger e a ; i d
enim . Il Bullmaiin, seguilo dallo
Speugel c dal Muller : stri nger e a or fayyaXt9at\
i d enim a ar^etyya^if tjuoius ha G. De verbi
latiui derivali dal greco avea scritto un opera
Cloazio Vero (Geli. XVI, la).
9^. c/e poti ca la lezione vulgata : ne codd.
omessa la de institui. Co ha F., il cod.
Guelferbitano e il Modenese : in II. in in G.
laguna : in ab. supplito incipiam.
NOTE AL LIBRO VII
T E R Z O
DEI SOPRAVVI SSUTI
Manca il principio di qifCflo libro ^ pnich^il
hrtTe presiobolo, con cui comoci, fino alle pa*
rol repens r ui na'aptruit^ cnia dubbio sifp-
poslizio, COTDCnolM il Miillcr, e^fn quiggiunlo
da qualche eiradito, clie yoIIc caslsanareiiqual
che modo la piaga. N' indiiCo il non trovarti in
FGHab Dei Ire codd. Vaticani .^ nel Mode-
neie e nel GuelferbUano ; ma solo in B. enel
Lipiiano, della cui ffede nod da fare gran cooto.
Que'teati invebe confeitaop oo ^ e cerio un
Tto maggiore 4i q^icUo, eoi batterebbero airiem-
pire quelle poche linee. AggioAgasi ohe questo
preambolo noti che oa s(cobeole ripeliaione
di cose e par^e d^(e altrove ^; VI, i,
^7); e lant vi apparisce la frella di sbrigarsi alle
corte, che II trapasso al repens r ui na ed a ci
che segue, riesce duro ed inaspeltato. Che ami
10 scrittore del coJice Lipsiano, cerc di naleon>
der innesto,] smussando il vecchio addentella
to. Anche la nuota proposizione che fassi nel
paragrafo 5, lascia facilmente credere che questo
preambolo foase pi luogo, e forte diversamente
esposto, ^el determinare per Petleotione di
quella laguna, dbcordano i codici. Il Fiorentino
nota II mancanza d' nna aob carta ; come anche
11 primo Parigino e l 'Hadu i eDi e: due Valiisaoi
invece (e e fi ) dicono mancare nove ar t e; il
tereo Vaticano, aei; il Modenese registra tn
exemplar i hi c erant carte 9. eum dimi di a non
scr i pte ; il GaelferbiUno nota lagona, ma
dice quanti. La testimonianza pi probabile,
cui t' atlenue anche il Moller, certamente la
priiua ; poich non'manca che una parte del
premboloi che termina col par. 5 ; n credibile
che foti^ coi'i lungo da riempile per giunta altre
nove carte. L ' errore di q copisti che ntttaro-
nu unii laguna di nove carte, ncqne, aecrtnd il
Mfiller, da ci che, oltre alla pirima earla del qara-
detno imperfetto, toppoter mancare intero
qukdernor antecedente^
T. peruiei Cosi it Turnebo ne'codd. ape^
Yui t, 11 MUller aerive poi : cri si (codd. ut) .
inde postifuam (codd. post^ volg. si post) i . . .
ohtcur i or (volg: e forse H. v gli altri co^ld: ob
scurius) fi at (odd. fi t) voluntas impositoris
(codd. i n posterioris), L^ lostitunione di impt^
si tnri s una oongetiora del Vittorio e del Tur
aebo ^l i t er a s F. e i du Vatic. ay; gli altri
li ttr am o li tteram quo id. Ceti lo Speifgel ;
ne*codd. guid^ H. che ha quod Ut
eni m tcrisse il Vittorio ; i eodd. etenim M fr -
mecidis. N' confuta If tenitura ue' codici : ma
Don te ne pu dubitare (Gl IX, 108). Fu celebre
per lavori minutissimi^CVc. Acad, IV, 36, lao;
J el i an. V, H, I. J Plin. 19. H, VII, ai ;
XXXVl, 4 (5), 29^ eU^ ; fra quali ricordasi una
quadriga col suo cocchiere, che stavano tolto ali
d* onaiDotca, e un iulero^dittioo torilio. a lettere
d oro io DO granello di iMmo.
. 2. yuae * aggiunta dal]|Miiller peroonget-
tor delio Spengi ; il Turuebo aggiunte invece
it servavi t : u* codd. servabi t quor e
ona cougeltura dello Scioppio, leggendosi io U.
quom, in G, ciim, negli altri eur posui sset:
ue' codd. posuissent^ senonch b. ha potui ssent
^f ecundi us baoQo lort *b.; gli tUt secundius
4,5 1 li
ntque * verba omnia. NeVoiM. n II n-
i;he ho credulo uecessirio aggiHn^iere. II
Mulier crive: %'erba non* omnia^ quae habeant
(GH.; in b. haber ent; ue^li tMxx habent) iroua^
possunt dici. Neque multa ab eo er uentuf * (
uii fua agffiuuia), quem^etc, l i te rae prose
cutae, 11 IVimier inleuiJe qut>gli tluiJii pi lli li
tlutofa^ tii cui lo^a Variouc ,oel c. 9 dei KV.
Quelli occorrevauo pi propriamtnte allori, iraU'
landoii della naliira e deitli dei : qui sembra ba
siare erudizione propria de'^raminalici ; n
altro pu e(!Dfcarii con literae. Che se quesU
erudizione dicesi uoo a?er bastalo ad fellio pet
inter^iretiire il Carme Sliare, non colpa rhe se
ne feccia i lui) ma diifcolt che noUsi delU cosa:
nltrimeoli non sarebbesi detto nudamente literae
in ambedue i casi. Pare io leggerei volentieri
ncque culpa ab eo (penes euniK qutm^ etc, ; e
tulio sarebbe chiariuimo. lutorno a C. Elio Sti
lline, vegjrnsi la nota posta'al c. 18 del I. V.
3. Epimeni des, lo Fa. sogginngesi opus^ in
b. opes : il Turnebo ne congellur somno^ lo
Scaligero cor pus .... expergitum. Di Epimenide,
vegga! Sui<ia, e Diogene Laerio 1, 110, e Plu
tarco nella Vika di Solout l a T eu ct Li vi L
Da questo luogo congetturarono il Turoebo td
il Bolhe (P. Scen, F r , l , p . i 4) che Iivio Aodrp-
nico avesse qritto una tragedia intitolata Tefr-
cro; il Ribbeck per allega pi,cautamente qut-
slo passo (ra i frammenti di arole incede di quel
poeta (p^5. XI) post annoi XV. Cos GHa. ;
in b. Uggtai apti quindeci m apreassaeote; iii
K. Xll qi si t. Io H. quis si t: ma la nota dl-
stinzione tra qui e quH ooa trovali n' pi aoti-
cbl, e-uappur aewpre mgli icriltor del bel tenu^
At hoc. Cos la vulgata^ aeoondo la eorrev>
zione del Villorio: be'codd. ad \ fi ,ah)hoc
multo tanto, G. ortielt multoi^m, tanto, per
laodo acoerlalo esaropii di Plauto >inlata,
Ne'oodil. Lai i na i il Muller protata,
4. qui malia di xeri t, etc. Per questo oso M
qui tiel scaso si quisy confrqotinti i se|Foeoi
luog^hit y , 44 ^ ' causam. Cosi U
Speogel, daoii i codici causa (hi h . ed ); comu-
iiemeta Citusas^o caussas ut qui t h aaa eak
coogctturav qual eh' Ila aia^o per dir eegRo
rappezsatora : oe' codd. ut quia quare rS ad
mtdendum nudieina ; e cosi pof nelle auli
che edizioni. Lo Sdoppio reca damicolice: ut
quia a medcTtdo mtdiciua^ a re si i medicina ;
la qual leaiooe tutlocfa evrata, daveibe iodi
di qualche inaiMattza nell' altra, ebe potrebbe ai
di presso sitf^lirsi in qvestu modo : ut a qua re
mederi , quem a medenda ma ci na ;of ^tr o:
ut^ quia a medendo a qua^re sit
mrderi (Cft V, 9S, e laiiofi apposrvi). Il Tur
nebo lesse ; ut quaerere a qua re sit^ad me
de ndum medicina , lo Spengel : ut qui a qua re
res ad medendum wedi ctna ; il Mfliler: ut a
qua r e, etc,^omessone soIv^.hIo il che forse,
afr uo Pltutriio, avrebbe potuto lasciarsi senza
che alterasse punlo il sigiiiCrato dell 11/ non
possem t la vulgata ; ne'codd. non posse me
peiHmUftke, Cf, X, 9. qui decli nati ones ver-
b^um ppopi r t one si ntne qtkoeret, He'codd.
possimus ne.
5. deinde de his. in G. dein ; Hah. ometto
no de his. Scrivi de ii s sed ita, * Cos il Miil-
Jer : in FGa. dis ; in b. hi s ut quae : ne co
dici atque Sb nt coniuncta. Ne codd. si nt
coniuncta ; e cosi scrissero lo Spengel e il Mul
ier. Ma forse i ropisti posero iin/, perci che
prima lessero utque. Nelle antiche edizioni sta
sunt >quadr ipar titione. In GUtf. quadr i par
tione ; in b. porci one,
6. I ncipi am hinc. Che s ai esse a staccare
dairantecedute periodo, lo not gii lo S|>eugel
(Emend, Far r . p, 6) Unus er i t, etc, fc versa
ragguardunte la deiticazione di Romolo detto da
Marte a Giovef conac raocogUeai Ha Ovidio che
lo ripete due volte (Met, XlV^ft ;
485); pu tkibi4ari cbc non sia toUo tlagli
Annali, naturalmente M primo libro^ di Eab
CEan. Pes. Rei , , l a. XLVIl . FaMenJ . Par
che Varrone n abbia noninalo l autore,
come d^un vano ootisaimo.-^ in Hetaha^
dia * Ennio. Tanto il Bolhe (Pot, Scen. Fr , I,
p. 4 6 ), qianto il RibWck (Tr ag, Lat, ReL p. 3 i.
U) e il Vahle ( Op.ci t,p, 117. Il> aaoeolgona i
de dimeiri, in mi a**! dividerai qiitalo fram
mento, IOun ae4o giambo trtrameiro in Pe~
riboea^tragedia dtPacttvo. au letrametronofi
foate, aeOondo \ Boihe 1S9) 1 il Ribbeck
(p. 99. XXVII) divido e scrive, tccond l opioio*
ne del Bergk :
. . scrupea Saxea Bacchi
Tempia pr opt adgredite !
SaxeUt per tesiiifionMa del Lacbmao e del
Bergk, propriamente in F. ; adgredite poi pare
MM coogetlora, perch aolo anche il Ribbeck che
i codioi hHia adgfedi tur o aggredi tur (in b.
egreditur) in Andrmhcha^ tragedia d* En-
aio. paaao recato anche da Cieerone (Tusc,
Di sp, I, 1, 4^K >0 P*rte mota>o(, io parte ac-
eresciito (Rihbeek p, %o. Vi ; Vmhlen p, >.
VI). le Ciceroae aleuDi codici daaoo J oher ua
ia^eXi Acheronti a,
7. Quaqua atea coageUura dell' Afosliao,
accettata dai pi : ne codd. qua quia initium
77
AI LI BRI DI M. TERKNZI O VARROi St
47
erat, Cu^k i codici : rAgotliiK, intuemmt ; lu
^loppio, i ntui ti er ant; i^Miiliur^ intui tus erat.
Notisi che il cielo li lice ooinioal templum per
nulpira (c. 6); ficcli non par conTcuienle 1>-
etimologi c la riigione ili efsfe, loltoci
che flinnii agli occhi, come si fa pelle
Oetle ooagellMre. Per^onlrario V i niti um dato
iU' codici, non solo oomspmxle al feguenlp pr i
mum^ma li pi tocca con lutto propri del cie
lo ; cio che da etfo ha principio il nastro
re, perch di l ci rieoe la luce, e per l corrono
prin)ieramente gli iguardi. N mi par improba
bile che Varrooe deaae temp um come composto
da tueri e primum^ a (jufl modo ohe liidoro lo
compone da i uer i ed amplum * quantunque pi
volte ti rirordi solo tueri, come parte pi prin
cipale (c. 9, e la). i>cl realo maggior dubbio dee
cadere auj quaqua aoiituito al qua quia de* co
dici pri mum. In Fh. pri mo qua attuimur
Se non fosse lAe Varroot non sembra usare del
q^ia^ leggerei voleniieri quia attuimur. Simil
mente I Sci4ppio lesse quod tui mur ; senonch
il semplice tui mur qui non bl Contremuit^
eie. Crec|esi tolto dagli Annali di Ennio. Forse
era tiosno H* altro poco fa allrgato, Unus er ti
qum tu^eie. ; peroctrh il tremar delPCMimpo
olito effello dcU'accennare di GioTe (Omero
I L I, 528; f^irg. Aen. X, 115, ec) : ed Gtidio,
che nella deifcatioiie di Romolo (Fast, l , 485)
iroU Enio, lauioch f li lolse Npeso il ?erao
Unus erit^fc., 4 stesso, dieeT, ^la pre
ghiera di Marte soggiunge: J upiter adnuer at:
nutu tremefactus uterque Est polus, etc. II
Vahleo k>pone tra i frammenti d'incerto luogo
a f. 70. LXX Hemisphaerium^ He. k luogo
iocertisiimo. j b lezione de' codici (dopo ftemi
sphatrium^ di cui solo da notare che F. gli
premetie in) U seguente : in F. uhi cca {con
sopraW una specie di n) cherulo septum stat;
G. ubi cune/ i eherulo^ etc, ; H. uhi cttm ca
cherulo^ eie. ; oel cod. del Turnebo, uhi conca
ceruloy etc, ; in . uhi conca cheruleo, etc ; in
b. ubi nebacha cheruloy etc. ; in B. uhi tetra
cher i na^ei c,;nefla i.a ed. tetracherulo. etc.^
e cosi anche nel cod. Lipsiano; nel Guelferbita-
Oo^uhi i r ta cAe/ttlo^eie. Tutte queste leiioefi,
tolgasi d che hanno di comune, non tNnno
rhe due varlt soltniei} di cui ima con
uAet, o concava ; hltr pare aethr a ; ch terra
diflicilaienle sarebbe stato alterato, lo mi sono
Aileoulo ad aettma 4 lo SoaUgero oolGroii^
vio : ma conlesio or che mi par meglio fondala
altra lesione, qual la diede il MOfler, che ,
Bemi sphaeri um ubi concai o
Caerulo septum stat.
Notisi per che, intpndendo?i per hemisphae
rium la terra, il contento domanda : i d e s t ,
(locus) uhi stat hemisphaerium,^ei e.; e che pre
messo V ubly rhi lee^ease poi con loS|)engel ffn-
cha caerua^ HvrrlKbe un verso saturnio bell in
tero passi. Ei us templi. Gab, omettono
templi,
8. isdem. In FGH<*. hisdem ; in b. pire i/#-
dem Tempi a me. Ne'eodd. item
testaque me': m non si pu dubitare della vera
legione, qual fu ttabUiia dal Tumebo e dallo
Scioppio, spit-fandiisi poi ad una ad una queste
parole ; tempia nel c. 9 ; tetca ori lu, ove diceai
espres'sttmente'QucK^ addU tempia utsi nt iesca.
L'antico uso di me per mi o wi hi ricordat<
dji Pesto caste lingua. Coai lo Scalig^o ; n
codici eas te (in b. ^am) lingum - OllaeCf
ei* illaec^ una mia cihgcUura : ae codd. /-
I ntr ; il Miiller con Io St-aKgero, Olla ve ter
f in FGab., detto airiioiica per
qui s anche nel femmioo : in H. quur quur ^
fi ni to una congettura del MiUer : ne*codici,
anr^he pi sotto, festa Ollaec, Qui variano i
codici : in G. u//a^er, come pi sopra ; io a. o/-
laher ; tu F. ol laner ; in b, ahlahr. Ho suppo
sto la scTtiura ollulteCy cio ollahaec ^ i n ^
dextr um la vulgata : 1 codici omettono in
utique dal AfUUer interpretato iu nuovo leoso
per utcumque, lo ho preso |ier et uti,
9. Contempla^ ttc. Questo verao, per ad^
denlellaio offerto dalla voce comune cntempla^
fu soggiunto ad un altro he recato da Nonio,
t k%Asta., atque Athenas aniioum^ opulent
i um oppidum (in Contempla^p. 470 Mere.). Ser
coodu il Ribbek fTr g, Lat, Bel , p. a5a), aa-
rcM>ero parole rivede da un suo oompagoo a
Teseo, additandogli la patria, ani procipto della
Medea Ateniese^ come la dice il Welcker. Sen
nonch il Bergk di credete ohe questa Medea
Ateniese, che si suppone tratta dall* tgeo di So
focle, sia un sogno ; e che^Eonio non abbia scritto
che una sola Medea. Anche unione dei due dfIli
versi, beoche approvata dl Boihe (p, 54>9K dal
Bibbeck (p. 4i) e dal Vahleiy (p. da tenere
in luogo di dubbia - idem not il Benline ; nei
codd. i d tum cum templum^ Goa il Turne-
bo: in FGb. cum coniemplum ; iu Ha. cum
* templum,
IO. iemplum tescum una min ooogetlura,
chf mi par voluta dal contesto. 1 codici, in luogo
di iescum^ripetbno w e , che loSpengel e il MiM-
ler escludono senu-Jilcun sosUluzione. QuesU
voce fexcom, perch'p^o nota, trovasi quasi
senpr^ alterala ne'codici, che la niutauo in /-
ctum^texi um (c. 9), coin tesca in testa (c, 8)
e dextr a (c. 10); e iimitroeale appresto. Lo
<79
N O T E <80
Scioppio mol* il econJo ette in ideo. Se credi-
luo d Acrone. (Horat. EpiH. I, i 4<>9). tetqa
r voce Sabina.
11. Quis tu es, eie. Terso llegalo anche da
Flo *114 voce Teica; Ulcorifcoulro iccerUti
U letione Philocteta^ che coiifu ne'coflio^ e
fu foililuiio adportes o apportes (io Feefo ad*
portas) apponet che qui haono i leili
Eni m, Coi sta ne codici ; e non necessario
scriver Eteni m jcon lo Spengel, od E a enim col
Moller, giacch M V enim pollo coa da piinei-
pio s hanno pi esempii di Plaiilo, di Tereniio,
di Locreiio, e fora anche di Cicerone pr ae
sto li tor a rara. Cos nol^ io margine l* Agusli
110, come leiiott d"un codice : negli altri codd.
pr esi (praeest GB. ^ est b.) oli tor araYat.
L'Herniaon, io luogo di rara, pratose prima
iamiam^ imii il Bergk, chxra ; il Miiller
tenne rere, inledendo infrequentia, e con lui
BlM il Ribbeck (p. 173) il Cramer (L. Atti i
Fr agm, p, 48). tenes. Il Bergk propoae tues
{Ephtm. Ar chai ol . 1849, n. 4), ma il Ribbeck
prefer tenes^ come pure il Gramer. mfSte
riaque^etc. L ' Hermann propose mjrSUria queis^
iuterend dopo il acguenle verso qac due ana^.
peitici che son riporUli da Cicerone (de N. D, I,
4a, 1 19) ; yoctur no adita occulta coluntur Si i -
vestr i us sepibus densa, 11 quale innesto, qoau.
tuiique non sia paruto probabile al MiiHerr ebbe
lutlaviM soMenitori non pochi, coi quali sembra
alare il Rib^ck casti t concepta sacris. In
FGH; castris. U Bergk, seguilo dl Ribbeck, pr
pose qni (Le.) un'iugegiiosa correiioB, th e
Cfstis consepia eacrts ; e poi v'attacca anch e(H
i due versi conservali da'Giterotie - deinde F. ;
in OH. e fore' anche in ab. dein, che Hermann^
eguilo dal Cramer^ unisce >. compiere il reguen*
le vers. 1 ^odd. hann<o poi t^olgania, e lumitf^
in lugo d^'mi/ie. A teeft'soggiunge l'Hermautt
e con esso il Cramer* come line del medesimo
Teri o, il segueule ri, sicch il trailo di Accio aia
tolto aMilufigo-r-^etti. Cos i migliori c4i-
-ci ; nel Lipsiano, in D. etiella i.a Ne^.ius o
Naevius, ehe lo Swjigeto s'avvide non pole^ qui
stare in lcun modi; nel Guelferbilano, geni us.
V Hermann lepjfe q* t r a v i a ; lo Scaligero nuU
a capriccio ignis clueL, etc. luogo allegato
anche da Cicerone (Tusc. Disp. Il, 10) ; donde
fu preso il c/em, omesso da codici di Varrooe, e
rorrelio ignes in igniSn e rfiW/ in divisus, {Cf.
B et. ad Heretin. IV, 6, 9). Cluet nelP alUiu,
e forse in b. ; in FGHa. c/ove/; ne'codd. di Ci-
ceroite eluct., ducei, lucet, 4n Cicerone segue,
aecofiilo la leiione comune : eum dicius Pn^nt
iheus Clepsisse dolo^ poensque l ovi Fato ex
pendisse supremo quod in a., qut in l u quo
negK allri ubi mysteria^ eie. Io D. ibi myste
ria, ei e., la qual leiiode tv>n basta a sanare il
luogo, se non mnlisi anche con la vulgata l' aut
premesso a tueniur in oc od ei ; perch, conte-
nendosi in i uentur la ragione di tuesca o fesca,
non pu esserpost io modo diegiuiitiTo. Il MuU
ler.oe foce attuentur, trovandosi questo compo>
sto anche nel 6. 7 : m^ ivi sta per guardare ci
ch s'ha innanzi; qui non varrebbe che cui/o-
dire^ al quaj lignificato non prestasi la preposi
zione premessa.
12. ut di^i , net c. 7 ^ a. Er mi i ;
negli altri codici fu confuso con enim. Era fram
mento dimenticato da'raccoglitori dei rimaitigli
di Ennio, e per congettura dello Scaligero attri
buito invece al JUcdo^ di Paeuvio (Boi he .p.i Zi .,
8), 11 Hibbeck (p. 5a. IX. Cf. ^. 277) e il Vablen
ii'7..XVlU) hanno renduto al suo vero ad*
tore Qui s pater., eie. Regimiravasi, come uo
esametro, tra i rimasugli, del^.l. I degli Annali di
Ennio, e supponevuoai parole dette dalle Sabine
rapite. Recavaei anche a^l esempio, insieme con
uno di Manilio ed uo.di Auionio, per provare
che ultima sillaba. dr.cDfirra qualche volta fu
falla .breve. Seiiontb esempio di Manilio (II,
a53), fu escluso dal Betifleioche vi mostr errati
la leiione; e dell autoriia d* AuM>nio io qnesla
materia non da far.coiitoi Ora fu tolta anche la
testimooianta Ir Ennio; perocdi il Ritichel
(I nd, Schol. Bonn. i&Si, p. XV) moair
as^i probabile che il/pfttomelito V abbia a di^
sporre cos :
. <fms nos pater aut cognatus volet
Contr a tueri s
fi che appartenga^ non agli , ma alte (r^
gfdie; alle quali lo attriby^^ p^rl'autori l del
Ritich^ auclie li Val^kn (p^149.XXIV). belle^
Tua tueor. Ho scriito coti, p e r c h iuear^
secondo' leggesi comuuccneul, mi pare incredi
j^le : del resto neanche la tuia letione non mi va
gran fallo a genio. Ne' codd. la scntiara dubbia ;
perchyse F. d chiarartiente hiluni iueor, in G.
Uguna ; in a. i o\ o,ielL;\ i i H. parimente bell^ c
h b. beLt te^mi' iu ambedue da lagona. 11 Ver-
tranio legge con Agostino vell i uer i villam;^
Jo Scioppio, velluf i uear ei i uer i villam, aggroh>
^endo in pupiUum (ieor., come conget
tura d'uii anonimo aeditumum. Ne'codd.
aedilamum : ma, coirne noia il'MuHer, forma
simile.a fi ni ti mus e legitimus, ov' naturale Ih
sostituiione dell 11, non dsU'o. Varrone usa qui
il modo quidam dicunti perch, com'ei scrive
altrove (de B. B.\ ^ 2, 1 { de Lai . Serm. Il in
Gellio Xll, 10, 4)) il vero e giusto vocabulo em
4. Al LIBRI . TERENZI O VARRONE 4*
aeditumus, c Itro era (^na ciruJi neioa,
imirotloltu forte da^pedinlt quid /ius>siet.
Cusi Aosiirio ; quid in Ga.^ sfet tn B. ;'
allri quod opus*fiat^ 1^0 cfte facciasi ci e/t*
mestieri. Il Vertriii premeite ut Jht ;j& an
che il Muller lo cre<i necessar . ' l i mi l e -il tu
intus cura quod opnr t 9t (Trin. IV, a, i i 4>i
mi intero patto in Plauto oon iroTaii; oi i d'
4a porre t* rAmmen\ vestispica 4ieile al
dina ; in FGi ^stisfiai itt t i . pJl i fea, in' a. ve^
stist(L, Q b; Psii$Oi Cf . Nonio , f. l a Mero, e
Fapb et tempia niawa ^il F.
i 3. i7/irti4 Cosi laScal i goro: t Ml i e quMcodd.'
{Of, 12) vaano ooof u eoR mim. Il Bothe (e
a lui conteato^il VhMo p. 1 iS. V) ooofronlan-
do qoeMo Vei^o eoo ^qiiel d' lLirtpide, i
eAdi ^yyar^i ^ {Oet,. 368), lo
a^i^lYea atPBcuba d'Inn^ e vi b f g e 'acce
piam (prfarrebbe arrtptam. ctme il Voasio) e
filiam (1. p. 48 I l). Il Col oi ^a r ve v a ati ri bui
to l l ' Aodromaca n e c a l o pps qui lo Sca/li^
^cro^ ne^-cod^l. negato -^ oMinuo septum, etc.
Minora i^mpioy d i e Fei l o, ^i at . a6 auguribus^
cum oca aHqu> tabais aut linttis saepiun4ury
ne uno amplius ostio pateant^ certis vtrbU
definita. Itaque templum' est lacus ha ^atus
aut ita saeptus^ utaa aria parte pateaiy angui
losqae adfitos htAeat'ad terram. L 6er f i o
I V. 00: Templum diunt^ noti Aolum
quod^oiest eiaudi^ verum etiam quod palis
aut heutis aut aJiqu tali re^^tiinei^ aut loris
aut simili re septt^m tsi. Qaod et fctum est,
amplius^ ano xittt in eo esse non oportet^ cum
ibi sis'cubiturar auspica/is.
i 4 Quo est; ne*codd. Qitod est: ftia con
qoeiU lie?e mutatione ho voluto legare pi sCret-
latnente il ditcorso^teooodo la lezione ila o-
trodoCI tiel fiasao d^Acoin. Di quo a<loperalo^
qnestv ^modo nel tevao quare^ veg| aiisi gli
eaempii V;G? V1),45 VIUv58 j IX, 3 i>ar-
i^de polkm^t. Non itii cono allontaoalo da co-
dkiycbe Beilo farol Coniinuis et jepi^ le quali
ivi soo Contiauiifi. contini) se oiepH (a%eoe*
pit) ; # U J toulatiooe 4 tale vhe^pianto alla acrit
tura, no h neanche bisogno di Mere giutiifi-
eata. Perocch, tolta da fo ia / per formare con-
tinuiSi^ tutti poi saifiOo quauto petto ttatti
eoolofa. ne*eodlci 1 e con et ; e che da sepi si
laoesse ccpity nulla di.pi Maturale, lo | >(^
che questi.versi appatteiiesiera ad un coro, in cui
fotse celebrala 1. deificazobo di KrcoJe, coro
nei r ultimo coro del l*lrcol e El eo di Seuect t
delle iLradidi d ' E o r i p ^ e . . J I collocskneoto dei
trofei d' Ercole, cio deUe lcre da lai uccise, Ira
i ogni eieati, era ceri 4 uu coiiccho ed u|)portii-
uo e poetico. Ora che ccio abbin tralla(o questa
Al . T l B . V l R R o n R D I ' T L l 5 & . \ \ (.
materia, raccogltesi cMarameiite da Prisdano VII.
p. 762 P. e da Cicerne de Ff. D. I l i , 16, 4<
Ercnle adunque, non a Fetonte, come credette
lo Scalgero e rtpelerouo il Dth^ ed if Muller,
10 ho pei^ fermo che sa dt rrlerire questo fram
mento. Kfella i^Ietima opinione tr^vo ora esser
venuto aitche il Hibbeck, quanto al crelere Ac
cio antore d* una tragedia i n f o i l o ad Ercole
(p. 341) : ^ s guant o aTI^at1riburl il presente
paiso, non pare che gliene sia enlrato n4.anclie il
ao|>etlo. Perocch e^Ii le|rge : Pervade polum,
spHndidis mundi Sidta binis ((ssl anrhii il
Bothe ed il MtiHer) continnii sex (crsi anche lo
Scaligero, il Botlie ed 11MUller) Sapti spolHs
(lo Scsiigero apti signis^ il Bothe opti spoliis,
11 Mtller Addita signis) ; e congettura che que
sta passo ^ia da nire a qel che leggiamo senza
nb*Tie d tutore in CenioHi^o (frgm. c. i 4)^
cio : Orte beato lamine^ i>olitansr Qui per cae
lum candid UT^qatas? t che anibtdue appsv-
teAgan al PronieteiD, < siend patule dette da'
c^ueir inielic al Sole i ovi t amMo a far picse a
tutti ci ch*e^li indegnamente soffriva (p. 3ot)
vaet i>fr' emeiidaaioue del Vittorio ; iie'-codd.
pnd per potm hanno F i . e U vulgata : in
Ga. fieri^itm, inf H. periopolum ; oode il MuU
le^* ieoe rlf/ nrXoy siditra quae insidunt.
Cosi la vulgata^ seguita d^llo Spf ngel e dal Miil-
ler ; e co forse in b.;> begli altri codici sidera
quae si insidunt. Ma se sidera' e signa sono
una cota, '{cbe fa il ? Non sarebbe meglio
qua (cio <^uatenus) ^ tque ita. Cosi i codi
ci ; il Mtller item, lu f i . signant io luogo di si
gnijicant. Il cosirutlo io ci che segue stentato,
l o oredo che si* da tenere il signant del cod. 11. (
tanto' fd che il significant veniva quasi chiama
to dalV ateordente iignificents e per.ha meuo
di autori t; e che s' abbi a a l egger e: atque ita
signant-aliquid in terris perurendo aliave qua
rei ut signum candens in pecore, AIU voce
insignit^ nota il Glustario di Placido : transita
turni aB animalibus^ quae nota signantur. Cf.
Paolo u Dignorant,
16. Tertarum^ etc. Il lugo stesso recato
pi -pionameale da Monto (in anfractum, p, iqS
il/erc. /cume tolto dsU' Eurisacu di Accio. Notisi
che, se Varroue iwjn dice qui l ' aut ore, eootoua
net poeta medesima <'be citato prima. Credousi
dal i iibbecli (p. 33o) laiueoti di Telambue nel
partire per esi^iio. l o Ub. amfracta; e cosi
pi totto^ eccetto i n i u t i i {(li altri codici am-
yrac/f/m., L' i ucertezza medesima,continua poi io
anfracto * iubenf. Lo 3t'iippio aggiunge viam,
che ad:o{:nl modo dfev' essere sottinteso. ,E leg^e
dei l e . Xl i Tvole tuWfi servifit de"predii rustici,
V Digest. V i l i dt Si:n*. pratd rust. In luo^n
S i
453
N 1 L
454
ili XVI (F.), in GH. lU iioovumente Vili, in .
XIV, in b. XIII ; tna letU verit iella (iriroa Je
lioae non da far dubbio.
16. Ut tibt\ eie, 11 MulUr cr^de nato quMio
verio dal 714 e 71$ dlla Medea d* &uripide e
per lo aggiudica alU Medea d' Eunio. Queata
congellura parve probabile al Ribbeck (p
e l*u accolU sicuraiDCute dal Vulileii//1.56. XXV)
Ti tani s Lato. Lato enim uiH bella con|;el-
tura del Miiller, che d poi luce a (ulto il para
grafo. Ne'codici : uf (manca in b.) in (in a. ni ;
mHQca in Ub.) plauto (GHab. plautus) latoea
(G. Utoa^ H latoea^a. latonata^ b. Imtona). La
iurnia greea Za/o non improliabile ju Varrone
che anche nelle Salire (GclL XIII, 9a 4)
eccotidoch alcuni leggooo. Alaniltu^ alle
galo anche pi aolio nel c. 28 : ma non te ne ta
nulla Cpeo creata. Co) ottimamenle il MUl-
ler : ne co<ld. concreata (a. cr eata, b. concepta^
un ood. allegalo dallo Scioppio e B. concreiaj
et *y ut. Ho aggianlo e/, perch voluto dal-
ordine del diiqorai, e pole%a euere facilmente
omesso innanti alP ut Latona^ ti c. Secondo
il Ribbeck e il V/ahleo, nei!' idem da intendere
Lnnio^ non gi Manilio ; on>le che fegistfaiio
quello Uiogo Ira i frammetill d EniMO 4i.suggft
lo incerto (Ri, 5&. XXXV ; /$1, . ^ .
VII). Ambedue pot leggono nel secondo vefso,
cou la vulgata e col Miiller, Del i deos geminos.
I codici per vi baniio Deli a deos gemi nos ; ^
perch io n abbia ftto Deliadas^ apparisce dal
line flol paragrafo. Nel primo verso poi, Uapne
GH., gli altri codici btinno casto ^,di a quo
Titani ss etc, N*codd. di i {h, dis) quod Ti ta
nis Deli adae (b. Deli ade) 'eadem (. eodem}*
Le vecchia edizioni e U vulgata, dopo Di^nam^
soggiungono solo, J(/e/n de eodem z O sancte
Mpolto^ etc. Lo Spengel suppone lagena dopo
Deli adae; il Muiler dopo eadem. Aggiunge que-
tli la congellUTw che s' abbia a lepgrt in luogo
di di i ^uody e/c., lUm quod : Ti tani s Delia^
dafy eadeni \^numina sign^cat\ . Il Ribbeck
coiilinu a registrare questo ini'ornie luogo c'/?ei
(cos scrive egH) <fuod Ti tani s Deiiada/f^ Ira i
fmrnmeAli d'autori e tragedie incerte a f. ao2.
VII 1*1^ Sptrngel Tarea credulo di Manilio.
17. O sancte ApeilOy etc, anche in Cicero
ne de Dii^in. 11, 56, 115: ma n* ignoto autore
(Bothe P, Scen. Fr . I'. p, 279, 2^1 Bi bbeck
p. 201. VII). Tanto il Bolhe, quanto il Ribbeck,
omettono cOl'GruUro %principio , per pa-
reggiar questo col fers soggiuniof;li in Cictro-
ne, che trocaico t. c. \ leggasi peraltro na codi
ci cos di Cicrrone, come di Vurrone. In Cicerone
codici, tranne queUo dell* Oreino, haiuio obsi^
des ^ quae K*ocatur ittLf 3^ Ne'cu
llici : qui vcatur 1 cos if'.; Ub. lo omet
tono j in Ga. lagup) Pythagor a (, pifAagora^
b.^pilhagor as). Sintilmente le aMtiche edizioni
hnno ichton Pi thagor a ; lo Scioppio
fece ri a Pytiagora^ e il Tumebo n X$mw
Pythagora^ tenendo Pythagora per genitivo
dorico. A quest* ultima Irzione s altamero altres
10 Spengel e il MQller^iMsrirrndo per^coo lettere
gMcJie anche la seconda parola ; qtlanliMi^ue il
l^beck (Aglaoph.:p.^^^\ spotieiido la Alottrina
del miorooosmo, abbia disppro?lo queatojt^**'^
senza per dime il petcb. Ju ioo pettlilo d'*-i
vergli aoatituia tfsr, e torno volentieri alla le
zione gi divcnot cosnane. Da ci^ che Varrnne
crede qui non ripugnare alle iWtrine di Pitagora
11 dir che la terre lietie il mezza dell' uvtecsi>,
ehiarameiHe raceoglicsi eh ei f tra colora, i
qunli, come attesta 6iaiplici (in AristQt
coelo Ck i 3), ioien^evano nel fupoi centritU^dt
Pitagura una tona generalricer poaki nel mexzo
della (erra. Di qui ia (erra al3S8a rupfveienUla
dalla parte geoilale dell uomo* cl e|r^ocie
si mili s ut in muMido con ii elie aegist {Qf V,
quo di scer ni tur la rulgaie: neVccnld.
quod i bi enim lezione che V AgmIuo e<(
in nargtif&, croe tratta de un>rodice t nrgli aliri
codd. ubi enim* Il MUer soaiilui ub Mi om '
quod ter r a mundi media, Atiche Diogene Laer-
zioi imIU %ila di PitagM, gli lribusce queela
opiiiione : ma n* e divt rte Plutarco, ia ^
Praeterea^ si quod, etc* Ju Gb. qui d ieJMOg<
di quod. Il Miiller cancella pei Ir parole i d St
umbilicus^benrh aonooCrr(c da tulli i^eodici ;
c scrve : Pr aeter ea si qod mediuPh ^Haa
(F. ut pila^ GHab. pila)^ terrae; non Delphi
medium. Seci (ne*co4 d. e0 ter r ae medium ; n^n
Aoc, sed quod vocant Delphi s ; in aedi , etc, l o
forse lui troppo arili lo nel mutar 4tr r i infi
mo ; |erch, non ostante 4|ieUa mutazion, re
sta nel discorso un non so ch^ di sientalo ad
latiiS ha F. ; in (jU. allatus in a. illoius^^in b.
oblatus. Anche Strabone (k iX)4<ik>fM>aver delICk
che il lempfQ delfico, per eaaer^quasi nel mez^
della Grecin c pri creduto orotro del mondo,
chiama vasi umbiliou della terra, aoggienge cbo
nel tempio sletso nujatravasl jun luogo ornato m
drappelloni, chiamato prapriaerrfiile / ,
bra di marmo bianco fPau. X, 16), a volle ^
onde che il Lobeck vorrebbe qui leggere e r -
quatum invece di ad latus tumulum, Goa
il Miiller: io FGah. tumuloss tn 11. cumulo^.
Del resto nolo ci che narra Pl(areo di Epi
menide, eh* abbia interrogalo le atcasv eraetdo
intorno alla norrlle^delle dee aqail o cigni,
che, partili a an tempo* dalle contrarie estrems
ta della terra, diceansi calati iniifme a Dello,
495 Al LI BRI DI M. Tl i RtNZI O VAllROPfE
e^he n' bbia avulo in rispotla (Del maneam,
degli Orae, da principio) ;
N della (erra, n dl mare in meno
Evf umbilico ; o e ve ti' ha pur oo^
Solo agK dei^ noo ai mortali, noto;
18. Coiydonia^ tf. Il Ribbeck confrdnla
qfiealo pasto con quel d'BifHptle : J ynf e-
X& ff piXtmrop KaXv^iipcf j e t
eniirhidde che apparteorgfe alla Peribea di
covio. Coi) Dtofinede vi avrebbe aalulato la parria
(p. 2^9), 11 Dekio aveva attnbvilo alPAla-
lanlf.
19. fe. Il Bolbe (I. p. 49) Mrive
qoeiio frammento al Filettele, e v' iplede la Sa-
moirae die rimane a destra nel navigare da
Troia a Lenno l ^l i ordina le parole con:
rffstica A d dextr am pr oada 9ei}ii\ Anche
Hermann {Opus. H^139) lo rad nn fra^*
ineDio del Filoitele! m in quanto legge, my
Stic a Dexi r a pr aeter vada peeti, avvero M f
sti ea dextr a per vada vecti^ e lo piferiere allo
' fciogltmento 4 tr aiidrte, efie' mi si i ei gaadi in-
tende II lido di Leo001 odo piace n al MiiUer,
n al Ribberk (p. Sto), )1 Metter creile aceeoMio
piutlotio Hlida.tileoiioo; e noia rhe quella,le
zrone rigettai lai consento de' buoni teift.
Megli il Ribbcck, aenxa< toccar nalla^ divide eoai
(p. 191. X I V i l i ) : mx^tica ad dextr am vada
Pr aefer ve&i i '^ Areopagiime^ etc. tin nodo
non acioMo ancora d# alcuo $ n la mta lesione
pmtto migtiore <leHo altre, auppMiendo ki jmit-
ola, cio synibaia^ un seUso che non prover
da eaeivipik 1 ooilioi danno ^i Ar eopgi i a ^ui d
(H. ^uod)deder a <a. debere) tfuam padam, l^e
due uliime parple ti^no omcat# da GB. ; lulle^
^r ^k la prire, dal eodioe del Tumebo, lo B.
Ar eopagi tae qui d dedere^aUmd quiam pedam ;
Agoaiioo nolo io mrgine peratM.J Turnebo
congettur ^a d deder e quam pudet ; lo Scali*
gero, dal rifconiro di Kaehila. (S^men, 679K
Areopmgiti cam eae r e v^antr petr am ; 1*A*
cqimvtvar allegato dallo Spingali Ar epagum
i nde eam di xer e petr am ; iiaiflmente il VoMf
Areoptigtii^ ' ind^qui di xer emmpetr am ; il
Botbff, Areeq>agiae qui edi dete a^qum pa
lam ;\ \ Mttlhetf Analmearte, Ar eopgi tw quidem
dedere eqaam pmgtam : sebbene il Ribbeck
fp, S4*'XViH) 4 a mstaddBill^ di questa letfo*^
rtc^ pure n egli< n il Vahien fp, >i3. Yl) seppe
trovare >d^ megbo| seoonob qneati \ dedere
aoggi(fi#g n et ^ 1 Fleckeisen. Soppenesi
parteflMcr alle ltUimoidl^ il MtiAev lo rafironla
profivl#mcntf al vera d'EscliUo, io cui dice Mi
nerva : OV yetf rrriaW^yy shk* ^iutr
^9y dXttSf i l /acus la vulgata ; n' codd:
Aie locis.
ao. Musae^ etc. Anrhe qui l essere omesso il
nome dell autore^ giusto inditio. che contnua
il sopraccitato. Servio iofatli fAea. XI, G60) alle^
ga come di Ennio le parole quaepedibus pulsa
ti s ^Olympum Sappiamo poi da Varrone me^l^-
simo (de ], 4) l^nuio inconHoci
dairinrocasione delle Muse: onde questo verso
suol collocarsi nel principio J<gli Annali.
ai. Quasi Hellespontum^ ttc. ia leiiori
de* codici, ma certo errata, lo luogo di Quasi^
Orsino e il Cantero avean proposto C. Attius^
lo Sdoppio Cassi us (CJ , VI, 7): a questo a'at
tenne il Milller, senonch pose nel genitivo Cassi ,
A questo modo le seguenti parole,
et cl austr ar i i ebbero, pel luogo allegato di que
sto Cassio, qual ch'egli fosse ; e si ripet poi con
lo Scaligero claustra nel trsto di Varrone, come
prima parola oi viene a dichiarare. il conte*
sto ripugni alU leiioue Hellespontum et clau
str a; perocoli esso mostra apertamente che
HeHespontum e claustr a sono una cosa meilcsi-
*ma. Onde lo Scaligeco propose invece A d Rei *
lesponti claustra^ e raTront qusto luogo a
^e l l o della Medea d'Euripide (V aia), E V
A/ufrfor Tvreu KXii Ua erxif 3| aggiudican-
dolo pes alla Mede d' Ennio. ,Ma fa somigliali-
ta fra qnesti luoghi non tale, che j'abbia a ri-
manerae persuasi} e^ sebbene incentissinia, H
Ribbeok (p^a i 3. LVl) conserv la scritlnva dei
eodiei, e ne disse auai dubbio autore (p^35o),
ed agg4jnse la congettura che Tinlro laogo
loMc: Quasi HeUes pontum claustra (di cunt
maritima)^lo orederei che in un modessai pi
semplice ai potesie qui ottenere qualche cosa di
Cagionevole e |el concetto e pel nieo^ lecifien^
d^ : E^asi HelhsppnCi a claustra ; cio r dif
dei r Ellesponto F or cai la Simil
mente Virici Lio chiam dauStr a lo sttilo Sci-
llano (Aen, 4>*) '^ Uque Hellesponto^ etc.
Suol rllocani nel Xl l l degli Annali ubicol-^
Udi i. iii\ n A)uller f n^codd. i bi col l i su (F.
coUadit).
%%,<Li qui i et. j q SeaV|^ero attrkbal quealo
pMio al Dulovfstir (rf, Eur i p, Helena 1140K
vi lesse AUi^Ui (pr Al l exi } in cambio di L i quL
Ma una copgi^tiara incertissima, come notai*<^
no il Bothe (p. 116. Dui, 1) ed il Mailer. 11 Ribi
beck lo pone tra i frammenti d'iocerla iarola
(p* Ita. XLVllI) diotuPn fr etum, lo b. fr e^
tttmditum ; donde coiigeum lo Spengti p. XT
che sia da orn/etler ldi ctur k, Itfa simiK Iraspo-
Siziopi sono frequenti ne' testi di Virrowe. Leg
giamo In Isidoro XIII, 18^ a : F/ela di eta i i
Var r quasifervida^ i d estJ eiiyentia et mtum
*7
p 4M
fkr\ foris habentia aeges. Cf. PUoiu N. . IV,
II, iR, hilloro Xlll, i6, 5, e Io Scoliaste -
tonio ^^^/7. 1, 83i) ; i qoali per parlano tli
una soU isdiii, o pi presto co}:lin, itu Teno e
Chio. Fesio ihvece, pretto Ui Paolo^tU cou Var
rone. Arlemitloro (Oni r ocr , II, 12)1 vuoi leiio^
initilo ^0 dalle grandi. oaJe, chie i Greci
chtamaoo capre. Nolisi che b. ha Populum . .
i ^catur ,
23. Ferme adtKant^etc. atcriUo dallo Sca
ligero e (IhI BolheY;?. 117-5) ai Dulorcste di Pa-
cuTo'3 prcli, Uicendoii Taulore, pr ehe con
tinui i( precedente.) 1VI quanto d orttribuirlo al
Duloreate^ aoo fondamenlo ; o quanta al
rt|Mler,.come fii il Bothc con ie Teochie ediajooi
e con R., b ^oct Aeges tui principio loJ verio
contro rftrftorU de* buoni codici. Pi infej^no-
a la congettura dello Scioppio^ che, eland<
ptire oeglf ntgomenti trattati d PacoTn, da
fer m ad^rant trae Ber mi ona, U verso potrehr
he poi essere: E^rrant aetjuore i n ai ta r ^tibt
repentibus. Ma non par bisogno di nnilar miUa.
Il Mller c il Hibbeek (p, asQ. CXXV) dividoio
ott : . . . Fer me ader anf 4i eguor e i d alto J lati^*
bus refientibus^ coma due part di giambi otto
nerii, certo un po' troppo licentiowe. Non so per
ch noti posta latcfars, coitle un giambo tenario,
seri Ito alla distesa Aequor^scrivi. A poieio (de
Diphih, p. 128, 9 Qsann^ . . . gttod aeguam, J to^
bei superficiem^ ut Var r v I ^idoras te
stantur -r- hn^QS, Cw iJ Mailer; oe ocxld.
longa Conferre^ etc, L aver la TulgaU Ea
ni us io Iqo^o di Naevius^ fere riporre questo
pasto tra i fraiDment ili Enoi^ : ma i codici, pi^
u iptDo cttftlaineDlQ, fi daeiHi AeiiW. 1 versi poi
ne'codici stanno coti : Confer r e queant {cos il
cpd. del l'urncbot negli aitri Confer req^e autj
^tem aeratam qui per i tei (coni il rod. deJP
gostiao s io h* par i t ; negli altri per i i et) qui
dum mare sudutntef eunt atque sedantes. Lo
Scaligero ne fce : r ate moerai ^que peri te P er
liquidum mare eant sudantes atque sedentes ;
il Miiller u Confer re (Addicoda p. 3o3) ^ueaat
r atem aer atam, qui P er li quidum mur e.su
daates eunt atque ^dentes^ notando th per
recare il aecoQd)> ferao a gioaio .netto aaturoio
(giaecb egli erede che aia luo^o tolto dal penia
itxU priio* guerra Puoica) baslA posporre V 'eurti
\V atque. (Inu mi parve ch qoeeta emeudaxio-
ne fosse falesia rinaaaerne contenti; e ne tentai
uqa nupTe. Il primo.vmo mi rioacl senza sten
to tanto : freqaeni ' codici. la. mutaiioM
deir a n t i c o , i n per i te .' .ma iJsecondp, an
corch fi ti acri va mar i in luo^o di mar^ per
iHgliorare il Te^SQ, tirn troppo dc^lo iforzalo
Chi JoitiMiirgli, Qn/, dum murt undanr
tes r uunt aquae^, sedent l lo faccia daas re-
tis. Cos il Miiiler con loSeioppttx; ne'codd. dttas
parteis. La correiione ci suggerita da Servijit
(Aen, I, 43) che cita questo pasto di Varron
r os i : r ar r o ad Ciceromemc Raeti s dieta nvi s
longa propter. remoSy quod .i i Sapr a^fuam
sublati dextr a et si i slr a duas rates efficere
videntur Rates enim i unde Mac translatum^
uLi plures. mali vek^trt^^s ^sunt) i unci i aqua
ducuntur, Ui fi c na^eui ae cum r emi s r ati ar i ae
dicuntur. Di quiipureai tratti^ JDntinuation^
dei testo, che ine' coiUci 1. Varraie termina
asser ts (in S^nrio segi^ilo un vote che
i codici (Fila., il ftlodenese, Ambroaiano e il
Vatiomip a.) dicbno d .ndfc certe. Pu (irsi dub
ito aoltaaMo 4<ultuna claoaulfr Bi ne napi ut
iae^e/c.vse.appar4en^a al tetto di Valrrooet o sia
uu*ag{(iunta di Servio.
(a$resii$ ifuUna hosti a). CheUl i oste
almeno in pane il paaeo citato,.eacooglieti da ciiQ
che segue: del retto,no, De?o>dici ^i n f u l a
tas hostias, Coa il Miillerc ii^fulas ho^
sti i s ; negli altri teUant rtifitas fundem^
eic.< Coti ha G. 1gU.%\\xyJ ronde0%^l^m 4]al ^007
letto <he q.oeat du,faan)ioanli ItiwMrU'un,iic-
deivnio. autore e d un m^deiiiuo hiogo. 11 cori.
Lipsiany e la prim ediiione^ Seguita d%pi al
tre,, interrompono il tecondoi limmittenlo aog-
giungendo a lUajhlfinas^I deo Maet^ius ai t: Serf,
tc, : ma certo, uu' iatincpolaiiott^ Por lo Se
ligero ne fece catr^ e ccp(r,Qa|^ ^ t ^ luogo coi
84^^49 dellVAlqettc d' Lur^ide^ loiniagin
appartenete ali' AlcefVa di Nt^viut^Meglio areb-
beti detto di,Accio Ci. Hermnn n^Eur i p.At
cest, p, XIX^ Ua .questi.t diqe il.Bolhe, ton prdu
pria ogni d'iofermi /'^/83. ne l nla), Forjf,
nota il iUbbcc (p, 3 i 4)v * narravano fune
rali procur^ti da Antigono H ,PAd^Mor;
Iuog0 deir Antig<fene,di Aecro.
25. Cornmtamy emiJ L eor nuafat-
rum{Q^ tam\ a. taurofum/'.tA^br^tm (U. umbra)
i acL Pi.aolto poi nella dicbimiione tutti baiv
no tornuotam^ tranne F. ^ e ba conurlam, e b.
che ha eorn^arum/ . aiccb la <lesione che.racc^^
giteti da etti quella che abbiamo rimetta nel
testo, e che acceuau dal ^pibe <1^} 79, a5K
e dal Bibbk (p. aag. C^^lH^emntbqiiBsll
tcrire ciocch no iepMqe neanche al
Bothe Lo Scaligcco, nnnido^iil eguale
apparet^ n'avea fatto : Comuni Um
bram iCit : i cer epate$ ;. i4 AlaUer, J n * <or-
nuoiam i auran\ * umbram iaei^ co^oolando^
lo col greco, *A<^aK ca<jfkt pru J im^iai
(Greg Cfpr . 1^,LeUtSJ L <J \^cL 11/ ioo>.
Possibile che Varrone Jitcte .credalo nectiprio
dchiarafe >Utocc eorj$UQiwm% ^uanienque noi
49
Al LI BRI DI M. TEBfcRZlO VAttRONlt
49"
non tie conosciamo aUri eaempi^ e fuei itale
dellA d* uD vacca, e non in tenso ttgnrato l 11
Bothe suppone che vi si dipinga un oaceialore
troppo voglioso che pi^ilia per un t t r o cert o
un* ombra cormrla f eteos) polrebb* etaere mi bel
mo<Jo proTerbitile : n)a converrebbe acri ere ioi.
i l Ribberk nota che potrebbe riferirai alla Uioa:
raa non so come, didndosi eornula ombra gii*
. lata -rr Cornua a curvare doia, qttpL, ete. Iti
b. i^rnu a curvare^ .^ud^ et,
26. Muso9s quti s memorante ie. La voce
Musati smembrai oe* codici in molo cbe,
unendosi io parte.I urva delPaMlecedeiite pa-
ragraio, vi fofwp cur^amusi e nel rmaHcote fO
mutala in Q at {B.)^ (yad {h.), Vi seguie poi
tfuaa (ab. quae) memorant ^GFl. jntmcrat^ a.
tntmorOe) nasce (Gii. nosie)xnt>t (oaoca a4l H.)
esse(F.e)i La* voce Caj'ncnariMT}, non so ae
oe" Itatirs4<soritla iti tnoilo eh'abbia ad aiticoar
alla seguentt) chioan, o Dou pqss anche unirai^ni
verso chiosato. Lo Spengel t il lUuller li ripeto^
no ia ambedue i lueghi.; titlocb,i codici non
bbiao che una voUa sola Quanto alla lezione
da me intrcnlottay mi pareche efenMiiMse
da mutali, sietome.lto:da lutli i ctfvKcii e fUh-
sc^o nosse^nos^Io congeltarai nato.daireaaer^
stata brilla confusamente la m di notnen^e tal-
l averne preso l*ulUrAa n per un'iabbrevialnra
dinof. Me ne usci ui^ Verao atumiu, e potrebbe
esaer diil<Ie^io Del.resto non ri pa non sospet
tare ohe n9scts c nos esse^ cio nos e r , sbno
4Utt' uno, Mi4i forse da nos ne , cio da nos no^
mi ne ; ond per questa parte non improbabile
la congeK^ra del MiiHef^ ohe propose, Musae
Quas.meitnorane Gr aii y nos nomine Gasmna
runu aitriboetodo eaainelro che d'vscc^ agli
Annali di bnoio^ Credo dbe il Vahlen (Enn.Pos.
R ei p* Scabbia peggioralo i|Desta Irttone^ sfri^
tendo : Aiulas Gr ati mrharant^\ noi a*
smenarum^Il Koch (Exer c, cr i i , Bonnae 86
/>. 6) propose ghiribizianc^o, nos ciemtts sas
Cosmeaas - r Carmenae. Forae Carmentae f
nota qui il Miilter : vedi per il paragrafo 17*^
i n ^uo la eulgalav e vs bene (Gfv Spenget
men. Var r on..p, 9) : in.b< 900, negli alir.codir.
i n quod dictutn suggeri lo Spengel (L e
fu accolto dal Mullert in dicunt; io H, dici?
iftr, in a. dicunae^in bi nulla Coxoiaulido*^
etc^ Z trovasi^,per-iestimonMnia'di Velio
J<oDgO' p. a2i7.Pt, uel,carme Saliare. Del testo
fueslo i>iinifrbto -ct>tt racconei^io e int^rpre-
lato dal Gvolelrnd (Mudint. Lng. Umbr. Par -
tic* llv hannos^. i86). I*a neeeas^l di
coixirapporvi una. tradtizione mi coslrinse a date
il (e&lo cvs> interpolalo: nYan ho fasciala ad-aK
tri la>iirldllcvcri|. Ne'codici'sU cos: Co^eulo-
doi teto (in GH. Corenlodoresoy in a
dnrieso ,in bi Cor culodor i e ) omnia \^ero (in
GUi e/tr/ra,.in hi non) adpatula coemisse (in b.
orenu^e^iamcusianes (in H. lamcusianes^ in
a. ianeusianess in h, lacrisiones^ nell'Ambrosi
lanciistanes) duo ^miscerases (in GHab. e nel
rod; Ambrot. duonus eerases) dun (in |G.
in'H^ dun^ in a<e nrlFAmbroa. c/tffieionwj, uni
tavi lfMifola segtMnte) ianusve vet (in ab. e nel-
l Ambfos. <eve **>H; venet) ps (in
GHa. e neM'Ambros. post) melios eumreeum.
Kidi Itvgofiav che'Ha. Ambros; e il Moden. de*
lenn\nJno a iHetl linee; Cofi mollo ingegno e
dottrina dpul su questo luogo il Bergk (de
Crm^, Saiiqrtum Reiq, I nd. lect, Mar h. hih-,
i647 4^)t pa#PMatraoo io>nialerta cos inlrt^
cala, il tni^rvi spiegazioni mollo diverse. Cosi
per esempio in dal principio'egli legge J uxl
adoziose^. cio So/ (V, Paola in Aur ei i am) ve
nerande ; e rosi wanCl. Certo il'Grotcfend con-
cekse iroppc al supposto ahe il ritmo foSse il Ne
ttano ff^: Di omede p. . e che le parola
allegate foasero uo bramo eontiaiiafo; laddove
veoansi come esempii ili veci pronunciate un
tempo cn S in luogo di R, e premetlesi I n ear
mi n SalBorum stuitthae (vera). Che se-fosse
stato nn .Intero 'brano, noni e da diibilare
VHrrone vi avrebbe soggiunto le proprie ohiosis ;
e a ci dieci lineeiartbbero state poche. Non oe
^ ^ e per'chi gni,parola* avesse a conlenere^
dn lempid del detto scambio, eome pens lo*
Scaligero : kmsai^%^he io ciescon frase.se ne con-
tenesae uno. Tale sarebbe il duonas Cer usi s per
6onae>Cerem'eongelturalo dal BluUer in.^o>
nas'cruses ; e il Mani tusi ones (curioaes)^ cui
forse polrebbepo-unirsi, in Dna si4e frase le pre-
oedvnti perole ad Paiatm^i (codd. adpatmia)
eonvnisse (cos tn codd*dell'Agoetino^ o eoeL
wisse t tfe qua) fr^e 4if>parlerebb alle rubriche,
e non gi ai canlk 11 duonus cer us eA duenus
J anuSs Hok bonus Geni us ^4 Bonus lanus
(Ber gk c. ; Mommsey Vnter i t Di aL p.
bench si raceomandi da pi lati, ha lo scapilo di
non oJTrre nesssho dei richisti esempli ; n
irove iostegnd cen a manus di Paelo, ohe
nna fras diversa^f ew#* rciim Interpretalo
dal Qrotefend per eo>*ttm/legumrmn pi presto
ehe'dare a /Tie/ibr il genitivo, piglierei eum r e-
cum^ o eu (cf. il dUvb ei> recti per f p reg&^
Chi molasse prima il pos in ;i>, oUei^rebhe la
frase compiuta t Qfti melior eo rege f
\ j,^Qure ex. Cosi Orsino forse era me-
{Hio Quar e , com* in b.: negli aJlri codil.
<^ttare il< Miiller aggiunse (kti 14r innanzi a
car mi na. a me parve meglio.aggiungere eiiii-
Danzi ad jR b. exi r ac4o ^ Cani t^^t
49
10 aitcsia ancKe Polo^ parlMuU ilffjVi nlk'Ut<in
genere; perch eoe f i rtolata <Ja knolti cbe fi
11 de leffgert canU t /##^.^ can/d
e cantata Divom Mmpte^ei e. Co ii^role*
feriti, rb UileoiJ pr divina i mpetu: io vVhe
coositJeralo i movirocnli del corfw. Ne'.uuclJ.l^A
vitm empia (io H. tm4a} cante^dit^um de fp*
pacante; oeU'etlUiaue prnotp a m B.v
non empta^ e sul fine suppUc9'^<U. ^supplicee)
cante: 1eion6t:U ^ itfftac^in al Mulldr^ po-
tenJoai pigliare li per aa1Q6 avverbio^
al m<l 4i celere^ m#itre,./>#^J^cov icona
not lu Soaligero RG>raeni ((Mg* P o^ J l m.
p, 55) 9[te{/[ empta^ dair anlwo ta^i Jie/vitjnf
che fu stfMert (PauU io Bmer t)i ph eU*^
cta^ cio.per la palle che i offriva agli ilei;
Bergk lo radia in tempia ^ divom dittai Gimio^
dice Macrobio SmL 1^94 Sa/Zeruf ..u. antfui ^
si mi s ca^miibit dortm dus cani tur ;^^p^r
ei, s'intiloU Pater * '
28. In>earmme^ 'Pfi amL Frae^m. qiieiU
perle <)l poema^ tn ci ii ierfvo vdi Pf iamo z
uel qual senao il ferso citate potrebbe ttnberii
ella <? Pjf/i/ea/di^letjot'.percb il
faluroio^ e l'evio nrigir^ gli odii< fri CarljpgfM
neai e i Romani dalla loole cbe Virgili, o
ntosse dtfll guerra Iroiaiia. l o . e delle veecbte
edittooi soggiornati apud Aeci um iaa ccrl<i
n' ioferpolaaiooe t Pr iamum* Goii lo $a-
lgervv seguito deir Uernaoii,! dnlld Sfingei, .dal
Mailer: ne'codd. et.pri mum, k vetm i ^ d d .
io|;giungofio tiecmnda; ialerpgjmoo^ ori^ioete
del]' et primum^ cetnke momil M'ilUer :. te b<eed
Cascunij io pieoeroenlerMf^icifm, >e jos^
inum^ da cui coMnar (Gl osx Plac,) o cmsnar\
ono due aggelivi .d^oe nedeti radice t e,
bi^b, VarroM le dica Voci ^bineedotcbe (
Paul , in cesaetV^ catflo heono foprae eggeliTele
laCin \ e la radicc^ ohe fm reearii lenta ai ear
fi car i n quanto al ead di ad^e co4m9fr^ oon
he biiogDO d^estere cercala foori del Iniiuo. Ma
tulio ci ii re^gc |r U pareoUla cbe fi Ite
e il llioo} t il dirii tooaboli oiohi^ wu^
che Ialini^ poUebbe tenire de ei cheeM' eli di
Varroueei ^arfUf aeo^ enoora dagli Oecbi ed ereno
mesi dai Lati \ Al iegoetHe-^ters di Bnoio^
che lol pofii ol i degli Aemali ^p. 8^XXll.
Vaklen)^ecceooaoo anche Cicerone TVjc.
K 971 c t. Girolamo Bpi n. d Wiceam p, 34
M i pi . Ttvmere i*aa eorrexioae del Colonna in
l^nnio : i codtK beoao genuer. Su b diatiatione
di Pr i sei L ati ni coniultiei il Niebohf . G, I,
p. 78 ed a.a Manilius^ Cf. VII, 16. Che iie
autore iUWAstronomicon^encor-ch feMe po-
tibile non serebbe io ni mi mudo probabile
Caram as una congctlov dello Sctligerj, ac
colla dal ll&Mcr : in FGli. eartoras^ iit b. ea
Wores, ncUa nilgtla eanoras. Fulrio Orsino
prepose Charoneas^; il Reur^ns (Collect, L i t
ter, p. t^3i) tiisnareas^ cio, come ipirga^ cen-
fm reates eh emor* ormai omeito | e questa le-
tnne <lu:iotrolo4la dal Mc]fer Dell'Antuiogia
BirnlatnHna da lui ritoccata, lo preferirei ea
rtofoi,'fhe ricinissimo alla scritture de'codi^
cil; n tu perch, ooroe car ies e car i ati i vecchi,
coti cariostiemuu l potessero dife le loro notte.
Vero e th il quoni am a questo modo non iste
bene: ma non ifiA meglio negli altri. Se poteise
intenderti d* ei vecchie eh avesse menilo un
4' CnscH, le eota mi parrebbe piena : me il la*
erscM 4)0h laddove se ne fa Chiaro ii lettore pel
segileotb epigremmt, sfa contro a queste inler-
prtaiione ->-->>Papi ni nome incerto. Il iroveeti
questo'epigrimme medesimo atlribaito de Pri->
Setiio Y/iis/^lll, p . 6oa. P ) a Pomponio (che
cos^ lggtfsv ili letH i codici, iraone il Perigino),
f m criedere errala la acriftare io Varrone ; tanto
pi che Prifciano vi cita prpri Varroue cOn
queste pnde: Pomponi us i ti ep g^mmate^
gu0d M Vurro^ in i i hr i r qui fUnt dm li ngua
Latine^, f^fi r t : lu amioi tenei. Ma il Bcrgk nel
Gtoroale Marburg, i 85u p. sSi, gindic errooce
eili^uoa e a^raserittura, soeiilatudovi il nome
di Pompiti^ ricordalo.da Var-rortemoche fk solfo
l.pari 93r e Mila eiHirt Xfu^firessu Nonio
p. V io Ciuet. Disseoi da lui il Bibbeck,ehe
ne^tFramoienli de'Cumiei ettribuWovece a Pem*
pooio anche altro |esso recato apertamente da
Varreue<;col nome di*Ppmpilto (VII, 9^); e ci
perch ue codiei trovni pi mite Pmpi ni us
<heTeglt drede ch abbia a slore Pampanius^co-
m'uUri dMoo YCejfti Lut. Eel Lips. i 856,
5) Ci non oataifle >1Kil crredetio prevaler^
Ic' ra^ni del Bcrgk, e Bello stpmtatA di Pr^
sciino (Lips. i 855t icrise PompUiu (oeicod.
Parig. ami ca. Ne' oo4^d. or ni ci :
i B. e nella principe, ami ca P^tonis^ ei e.
Cfiii corresse il Tornebo, seoodch efi i scrisse
Ptani ; in F< Potoni s est qui senex ; io G
44 qui seXy io U. Potoni es qui senex^
in e. Potoni ses qui Senex., In bpoeinis es qui
senex Di ce iltam pusam. Cosi il MAHer, se-
f uefndo oella sostanza MTororbo, che propose
D i et u i llam pusam: ne eodd. luogo misto
di ehiose e della giusta lesione, dieeodpvtii :
di ci t {h, di")^ rilerito al precedeote puerum^
pusnm^ puellam pusam mutua muli, Coo
suona col proverbio Mutuum muli scahunt^ do
cui Varrone intitol na delle nicMenfppee (Cf.
J uson, CCC SAj.). 1 cedici alteccioo a mudi il
seguente na/n.
39. tt ^unc nastri^eie. Ho seguito il Torof b .
il quale inUn<le che In flejso Casinum tufldeilo
roruaiitnenlQ fr tn inifrprttQ<l9
per vecchio il nome. Casi num iiMpoiV^f^i 4!
Sanuit ; n pu 1 intcfiileni, <|^iaD.<lp fi
omrlt, come ho f(luio con GUb^ 1 Tocc.Ca*
sinum che gli all ri coOiei ripel*ino iootfnaf
fofum. Dello fletso afviio HoticKkei
un Sab. Sprachdenk. p. 3g3. Ei fer h. i 85G^(
il quale afigiuoge una tua congeUura ehe il
c o i m I o nunc Jta nato da func, o ifiin. aulita noia
<li Muni ci pi um ; ontle abbia a le^getii e$ nttitc
nostr i (cio i Romani) eti am muni ci pi um
num For um Vetus appellant^ p*icb e earl
che quella citt dopo la guerra Sociale^ Co falla
municipio. Coti pu r tuli la Juretsa lei 4mm
nuncy U primo de* quali parte allo Spcngei eh
fotse da Utar ?. Diser* piatene avea portalo
il iVIorottiten (Uni nt. Di aL p, 349); a cui petv
che il firimo ftii/ic aia al tetto da ooieitere* f ebe
il nosfr i dbba rapportarai alla ptilra lU Varru-^
ne, aicch dica che ali'et aut i Sabini; ehta-^
4j3 Al UBI U DI T^LR^:^ZIO VAURCNE
494
inatano tullafia casinum un cilt Nel-
einendaiiode delP Hutcke mi dispiacque.iltuiv*
f[o trnu^o dalP etiam ; nell' inierpridaziiinc.. del
Montrneefit ni aa male il inteio de'^abini
oo4ro Tuso di Varrooe ^od, w a i i i
^uod una cnngeHara : in GH. ^
unitamente, in f' . al i quot; e prima in
gni ji cat ^ qoem Oxi casnar : ne'eod<l,<^oii'
Osci casnar (in Gfl carnar). Coo queakr lievi
muiazioni lio reao chiaro il sento, il enitccto,'
volto mostrare ohe ca/cti^ coine^lir veeirhio^
di origine osca, perch anrhe le voci afliiii
num e casnar vi htinuo il meJesimu tignifioalo.
Il Mfkller fu di rre^lere che mancaste qui qiiiltfhe
cosa, tanto pi che avrel>bii domto dir Casna^
rem nel quarto caso: diche arllrjr a prova il
casnar ts riferito da Nonio {p 86 Mre.}, fcm->
do la correKiune dell *Srali|f*ro. Ma^la A^ma'
camaSy come proprismenle loggeti in Nonm^
orae giusta e laiiniitata^ per nirglief- dire
ammodernata ; gisech le iityite ai i s ed ar i 9\^e
ace<irotalaioente a/d ar^wm tuti'uno. Iiai>
de Varron% avrelVhe poiuio declinare heivM U
t^rma ltin<i casnali t o enrnaiis^ e iMciare in-
letliualo anivco r.asikar^ tii-.coine forma rinm
aiMsolo fra gli Oschi. Cni s h i | fare delle v o c i
greche; bench alt'd di Varrone il greco forfie^
noto in Hom meglio che 1^osco. Credo.inutile
il toccar qui dei diJ>bi che si fuiino da alcuni
per ci he QutuliliauoY/iiir. Or. 1, 5, 6) seni
bra interpretare rasmar per assectator ; perche
nessuno dei o*lici, di cui siconosce la lattone,
vi ha catnar (V, le note dello Spaldiag}^ e ad
ogni modo potrelib^ssere un tra^porlameniiv di <
senio pel coslue attribuito a Pappo vercliio
oeUa AieMarie; quarttonqve il riicoalro del ro-
I rotuieo Cartard (Upgitefori, Glossai r e de la
UagU4 / .) fa piultofl^ credere che il voc,abo*^
l0.lUio;per ^IHao; daQninIliano noii abbia che
; farexol coJ/i^ di Varrooe, ripetolo nel mede-
siflDQfenso di vtccfrA <U mtdU ghoisi^rii. Ma ri
tornando al pesseidji Varrote on!emenf|pzioiie
pi 4ef^Uef te ne pu Tere mutando il solo
Osci in Osc^ cio>scrlvendo : l i em si gnificant
ili 4 ^fUani s alii/u^t^ Pappum stnem quod
Qsce ^. cdme propose il Keu-
veM (CoHe^i J ^itkir. p, %ifi\ j . n ?erameotc,
com^ Mcive il JMon>Hu (Qp, cit, p.^^) , ed
approvn. il Bibbe^k ^ne' Fraiumeoti de'Comici
(p. ,a33),: Upm significat^ in Atellani s ali quot
Pappum seaeffn quod Osc^ Casnar appellant^
, R e per quanto pre in b. j
in GU, amhM%in a^o^ci^ J mhi yi am equivale
hi^ium * inierlff^niilc obe per ifglio o
. ^ ferisM iljfoio ialrMiA I>. Ambivio
'J'4irpipnc;K eomQ uet il Jlltller, achcrtainio sol
nome* (Xuanf;o^Ad,<i/is6e cf,.V, a3<; VU^43.'Cer-
riap^sdei^i firece ctime ^amhp ad
>(^er.io d>gi pffrtjoell#, %pp\NB pv iroaginersi'
c g m esi)a^ ne'oofnposU a e u i eisere auisisliu
r sfpara(pmeiite,fieai|]hc in<fbrnui.pi piena.
31. /'^eiewV ^oranp detto d Cicerone
(de.,Qr. i l i , Utter afissi mut omnium to
gatorum. Se il Valerio. ,ei la lo due Ure ^olie aia
' i^ mcde#im.Oi i ' (VII, 6 5 1 70). L ' o
preme### a P , Spio%> G, idem est
CoH il MAtlet4 pe'.c4 d.^idem ^ dur i bus /
pmn tpnto k prof crino spie^M dalki flesso Te -
reeie ,oel|*'ormQue.Ulv a, a ; V alteo prover
bio aUegl^o,/col: qome Variane dall'antico
seol^lcsdi Gmenale l v. ' i5>deUa tel. XVI a
vivft ancosra oe| nostru elgp * umbagio. Coti
hO;^rii^q aiAiwdue le volle. colTiimebo^t^com
: pa^re emAv^/tfc^;perch r\ par^ oMlodoroan-i
ii il ctml^tAo ;nV;cffdiji U peleie volta
la aefouda ^gio e ii(/iimi^..L*Jirr^re nacque daU
l aver iraluvraio la liiKella^ che mrappoaia
all' a indiatirau. a'itolese st ab ^gi^
I per. deriva Itfaieiili ^tmA^butiim fu
pollaio in adiksutm ^^ir cum. Cos forte
' b. ; irogJi ih ri quacitoum o^Aie^o. In Paolu
ambtgna / ^cni^ ^orcebbe anehe qi il Tome
bo. ila Fulgeniif ^ pWado pare che
bi>ba. leggersi ambigtnos-^. ube ti tragga da
ctfta; e'jglnttarii pubblioali dal Mai C/. Auci ,
Wi 'M i od Vlll^ &3v resta incefla la tcriliera
I fra ambdgna ed ambtegna^ e etimologia fra
amigeni t ed ar^e^agna,
3 t. Tan4iderhf ete^ Il Menila altrlbol questo
,vcrto agli Anoalii riferendola glie*minfttcie d
Galli tornatt( vane : tua potea ittre in oent' altri
4-j5
N 0 : T E
49G
Idogli; onde ragione it Vahlen lo Irfe i
fVMmmtfnti i tt incerU (, 76%'). l oPG.
/efa, in h, fr eta ^ Luci l i us. K II fraimn. SS.
d'incerto libro nell r^ecdlM del Doniti. '1 ^dd.
immQnes^.\tt ^a){iooe del canes /er-
trattt. Ne codd. I ntrmta. L ' lfraologii^ mdefi-
ma a' era pk hUiii uel c. 99 d^l f. V.
83. tr abts * remix, eie. i>t Voce free/ men
ci n codici, ptrth^estendo ger Ito il tferio a d}-
lungo col letto, fi preiw pr nna viziosa ilpetU
zone. II Colonna credeneToiiilttione pi grande;
e compi il vert> cosi r L ai i ur uncta rabtS
(la una trahs) etc.^ aserivefidlo ad' Kdofo: Ma
il trovar poi l^nio citato, tetiia premettergli n
ancKe tWem, pel segxienl^ ffainmoloi |arro
allo Sp^igel fp. LX) t at Mtill^f Un Talido lirgo
hkento per creder quett^V'di V|batch*'all^o aeilore.
li Vhleu peto nn d gttirt peso a qii^to argo^
raenlo; oocrtlau a porr< sot^o '> di En*
nio il dtto frammento 8^. CXKXl): *Se
ni us era flcritto da lato, polena inlendefiri ' di
ambedue i luoghi Vti num n nnnroret */c.
aoto luogo ddia Mdea, etWgaro da varii ^-
beck. p. 36. \ \ p, ia4< 1). in,Vairone
cold., toltone b.^ danno acidisst ; io^Cicefone
e hi Pritcio9i oi%i ceci tUMt totne b.\ ht
acce iisset o aci di sfet rectup eetreplus*
CoA emend lo Scio|pio : rte*cod4: r*cte'or~
reefUS ; forte iiVJa. eorrepftt&.
34. i n Afedi i ^Gi i h.t //) Aftfd Pa. Il Mniler
(VlvGo) difese ambeiire<l6'sor1t tnre,^<)ur prefri<
la prima: ma Mtdi h.fm prohthififlA intrinse
ca di eorr a ti li e, per cui meriterebbe pi fHe
anche un solo endice chedeure P * tcriltara.
Comvoemeote t^era ^ai' agginto nome dt
EoniOf che ooti ne'codici, e 00 dee it*te;
perche i certo he n^Afeder fu di ^acirvlo, totto
il etti Domexqasto rodesimo tero fu'llegato
da Serm den, SfS e da Mkoftfbi iSar.lHv8.
Aggiungono essi ehe viefparU Medea (Cf.
Rlbbeck, Ttagt L ai , Rr . p. 88 XU< /9. 994I*
cami l lam terisse il Mailer; ne? oodd. ^amiUa'
nuptiis, F. negli al tri in nuptiir. Cosi altmte
I mdisiV , i 3) eco^niiiM (VI, 1 e*
demmo nupi i is {\ \ )^) per tacere della m omessa
negli abUliri di laogo, efr/x, fari0^ oiviiQtt. ^
CQmiilus, In FGa. xcemi7/ttx, in seaniUus^
forse da e<ismiHms^ ohe sarebbe giusta seritture.
Ma precedendo una parola terminata da S, le
debilarne eunerum e una txrrezmie del
Tufoebo i cf.-Pauk i n cumeram e cymeram) :
ie*cQdL ciim. merum\ 11 nieUeirao Taroebo^
corresse in nesci unt il nectunt delcodici
mothrece. Cosi i oodiei, 4ranue b. cIm ha sama
eratej Cf. V^>i4 Itrove (V, 58)1 U tofit-/
tura dti'cadtci cceo sl Satnothracia, Cal^
limthum. In M^icrobio (i. c.) leggesi: ^ai i us
TuUi ati us d 9t>tehulis rerum libro primt>miv
di ss s^ Caili maehum TuSCtrS' Cami llum ap
pellare' Mer cur i om ; quo vocbulo' si gnifi cant
praemi ni strum deorum ; il <(Uil pasto tipelti-
lo iliiohe iu Servio. IJnlfimaon,. secondo t*vu
Jel MuHer, non parlavaHlv'loschi, ma do 'l'ir-
reMt del loro Mercurio, detto Cadmo, CadAiilo
o 'Casmilo, in Sumotracia ^ e Servio, alloneh
dfele Cami l lo come linnve et roteo, 4ton ebbe
forte che q a et tofMliofn lamento Xy 55A).
Dionisio dife rhe i giovinetti, i qukli terWvUno
a'aaterdnti nel culto de' Cureti e d<igli di
gni <ta i Tirreni, e primn untore fra* Pebsghi
(uAcio tinMle a qucUo de' Cami l i i in R^ma),^vi
ti chieraavano Cadali i (Ant^.Rom, 11, aa).
35. Suulo^etc, SinMlorente in Feito : Suhu
la Tusce ti bi cen di ci tur ; e aliegall il medetimo
etempii. in A^ar^roue leggeva*! aqua^ iu luogo
di .;i/a^aX, clm dato Fetlo ed luto dal
tert (t t. c.). Acuiameoie il Miiller lo riier 1-
apologo^uaMuto da Ciro agl? lonii ed agli Loli,
del fiutitU che slava totiaiido tulle spiaggia, e
tp^rara coti di trarre i potei a temi (Erod, I,
141. B a h r i o Il Vehien lo pot tetio
tri iramoMoti datile Salire a fi 161 ; tlove^eerlo
sta meglio che tra i inanimruti delle tragedie, fn
cui leggevMsi presso del Butbe. Del resto, tutto*
cii.^rrooe niaudi a cercare in .l^truria le radici
della Toco x/4dtWo ; sta le ha pure nel Lazio in
sibilum sibilare^ eil furmaU per'imilaaiune
del tuouo. X.dalelli veneti contorvauu ^icqr^
l'antica pronuncia, dicendo subio il libilo, e xii-
biare lo tufolare, e subiotta il llai>4o.
> 36. Fersibusy ete, ludgo rieortiaio pi volle
da Ci etr ot c e^aUr i / Fakl en^ p $ii, L . Vii. I).
Ne'ccxld. <li Varroue Fauni ety forte in luogo
di Faunei .'i t^ tegiepte chiosa allegala da Ser
vio. ^Geo^. 1, M ) a,quellOi mudo: Varno ad
Ci^ronem ila ail: Di i LcUanorum i ta ut F an
nms et Fauna si t per * ex s^rsibus^ qfios uo-
cant Satur ni ost i n si li ^i tr i bus locs oUlos
f ar i futura^ atque i nde Faunos dictosA*vt qiH>
tU tetlimonianza di ^rvio, il MuUe/soggiunte
t f ar i J utur a, che manca a' letii di. Varrone, e
par.ne>esario. Slt^come leggeti io Servio, an
che in liah. ; in G. x/c, in F. 4imt. Non credo
per ol)e jsi ti ubbia <al intcudere- uu dio. riua-
irodilo ; perch nsn evrrebbe luogo il plurale, n
Fauua drebbesi moglie di. Fauno. Quanto poi.
MWfU^ue inde^\ WQ. aperlameal< Aio'.iuterpo-
laxione o Servio o<de'.aaoi .Itatctillori.. Nei
letti di Varrone omessa a inoaitii quo,
Anti qui ,. U tcrUo ci^ non antiquos^ cum'
ne codici^ perche era Ctnile^'he il.tetuu<tc po~
tas lo tirasse tir accusalivo, c 1' estitczM dIU
f e 7
AI LJ DBl 01 . TEBEiNZlO VARRONE
4 9 8
fpreisione doniAnJa anti qui . Vi acccnna V olim
d'laidoro, io cui leggeii (Vili, 7, 3): F aUs a
pi mentis apptUai os Var r auctor est, vel a
vi endi s carminibus^ i d est fl ectendi s (f. necten
dis)^ hoc est modulandi s ; et pr oi nde poetae
Lati ne vates olim^ et scr i pta eorum vatici ni a
dicebntur^ eie. Di qui pur naioeil sospeiloche
nel tesio di Varroiie sia da ecrifere ^^cUes a vi
menti s appellabant^ vel a versibus viendis Sr-
Qooch, proniclleodosl di Irailare allrote questa
materia, liidoro potrebbe aver cavalo di U la sua
ctUzione. per strano che qui si niaodi il let
tore al Iqo^o dove tralterasi de' poemi ; perch,
come oola il Muller dei vaticiosre e di ci clie
gli si pertieue, parca th autore avesse prones-
o di parlar qui (VI, S2) : ma torse anche ivi da
leggere poematis^ o ad ogui modo poti s noo vi
si ha da con fondere eoo poti ci s vocabulis^che
la parie trattata in questo l i b r o de*poma
tis, de omessa da' codici, che hanno pure
offendam in luogo di ostendam. Nel catalogo di
s. Girolamo delle opere VarroBaoe si regisirano
tre libri con questo tilolo,
37. Cor pore Tar tar i no, eie. t verso allegato
anche da Piobo (in Vi r g, EcL vi, 3 i), allribuen*
dolo agii Annali di Ennio e soggiungendogli uo
altro verso,* che : Quoi par inber et igniSj
spi r i tus et gravi s terra ; senonch in Probo
leggesi Tar tareos per lacere di corpora e palu^
de che sono manifesti errori : sebbene anche
quanto a Tar tar i no non da dubitare, che
recato altres da Kesto, spiegandolo per orrendo
e ter ri bi le (V Vahlen^ p, ^5, LUI). Il Mtller
interpreta questo modo : Pai uda virago^cio
Pallade tyi oxa^ pr ognata cor por e Tartarino.^
nata cio da Pailante 6glio della 'terra e di Stige
(Ci c. de W. D. i ^, 93, 59), mista, come poi di
cesi, de'quattro elementi, perch narrasi insieme
che u, fosse figliula di Neiiuno e dtlla palude
Tritonide, e . . . poi adottata da Giove n (Er o
dlo IV, 180). gi noto che, siccome i Greci
confusero con le proprie le trad ioni de' Libii
intorno a Minerva ; cos iHomani colsero occa
sione dall Somiglianaa dei nomi Pai l ante e P ai
lanzi a con quello di Pal l ade, per appropriarsi
in parte le traditioni greche, e confusero spesso
le varie Minerve. Il Tiiruebo inodesUmente dice
di sospeltare che Varrone siasi ingannato nel
credere che Ennio abbia osalo paiuda per palu
data ; ma crede piuttosto che vi si avesse a leggir
palude.^inlendttidovj il lago o palude 'I ritonide.
A ogni modo che, sfondo la mente di Varrone,
debba qui stare pai uda e intendersi fuiludata, n
egli lece dubbio, n altri j l pu fare dictum a
Tar taro F. pospone il dictum ; gli altri scrivo
no di eta (b. dicto) Pi ato in quattuor.^ eie.
M. Te a . Va bbo r i , dbt .l a l i a c u a l a t i n a .
Vedi il Fedone. I n quattuor una corretione
dello Scioppio ; ne' codd. in quarto (in GU. lill)
de propterea in H., negli altri propter,
38. Plautus, non si u in qual commedia. Che
peo sia stato il. fabbricatore del cavallo troiano,
oltre a VirgUio^ lo riferisce Proclo da Lefchea
(cf, Pausani a 11, 29). (Costui dicesi aver dato
l'acqua agli Atridi, e lo ricorda Stesicoro presso
Ateneo {X p. Lugd. i6ta). In questo atto
era dipinta ne! tempio d'Apollo, nella tavola ove
era figurata la guerra troiana et Atr i di s
una congettura del Vittorio ; oc' codd. et Ar gi -
t>i>, tranne il Fiorentino che da Ar gi vi s et apte.
Forse di A t n si fece apte^, e un chiosatore vi so
vrappose Ar gi vi s,
39. Naevium. Cosi tutti i codici, senonch
alcuni omettono il ditlongo. Solo in B. e con esio
nella pi parte delle ediiioni leggcsi Enni um ;
e con questa autorit il passo addotto solca ri
porsi, alteralo per mutarne il metro, tra i fram
menti degli Annali. Il metro saturnio, oome
nota il Miiller, e da dividersi cos: . . . . atque
pr i us par i et locusta Lucani bovem Cor neli
in Gii., Cor nel i i in Fb., cor neti i in a : nella
vulgata C. A ei a, Veggasi la nota al paragr. 148
del I. V Vi r gi l i i . Cosi ne' codici ; nella vul
gata Ver gi ni i , L autore del tutto ignoto qua^
drupedem hanno Gb. ; gli altri quadripedem,
Cf. V, 79 - item. Ne'codici idem non i tem; in
uno dello Soioppio, i d est non item. Lo Spengel
e il Miiller scrissero i d est. Giudicando come gi*
dicano anch'cM che le due dette lezioni non
siano che due note passate nel testo, io credo cbe
la vera lezione sia item che comune ad am
bedue ; in luogo del quale un corretlore avea
notalo doversi leggere idem, e altro i d est.
Certo il senso non si ha giusto ed intero che con
i tem: m il soverchio intreccio del periodo in
gann que* due correi lori. Se la scrittura prioai^
tiva non foste sUta item, perch notare che do-
vca leggerai idem, e l ' altro i d est^non item ?
4fuadr upedes GH; gli altri quadr i pedes^ cor
nutas. In GHa. cor nuatas, Cf. Vii, a5 appel
lassent GU.; gli altri appellasse. La stessa o r -
gioe di questo nome cosi indicala da Plinio
N. H, Vil i, 6, I : Elephantos I tali a pr i mum
vidit Pyr r hi regis bello, et boves Lucas appeU
lavit in Lucani s visos, anno ur bi s quadr in
gentesime septuagesimo secundo,
40. * si ab L ucani s Lucae ^ Ho aggiunto
qoeste parole, che mi paiono necessarie a com
piere il senso, e che facilmente potevano esser
saliate per la aooiiglienza che hanno con le pre
cedenti. In p. e nelle antiche edizioni : Si ab
Lucani s dictae^ ur si cur potius Lucani , quam
L uci di cti ? ma un'interpolazione roanifeila.
32
^)9
N O T E 5oo
Lo Spcngel per ne fece ingegnosamenle profit
to, inneilantlooe parte oella lezione de' codici a
quello modo : neque (si ab Lucani s dictae) ur si
potius Lucani^ quam Luci , Pefrgior proTa fece
qai il Mulier, ohe moto neque in Atqucs latcian
do intaiia nel reato la acriltura de'codici ; peroc
ch a quel modo o non n' eace aento, od falao.
Non mi pinee neanche la correzione proppita,
non ha guari, dairBuichke fOsk. und Sabtll.
Spr ach, p. 4i 8)i la quale : nec, si a L ucani s^
ur si poti us quam L uci ; perch auppooe, non
aolo che i Romani a tessero conosciuto per la pri
ma folta gli orsi nella Lucania, ma di pi che i
Lucani steasi non ne afessero avuto il nome : al
trimenti era aitai pi probabile che i Romani ne
apprendessero il nome da loro (V, loo)^ piuttuato
che dirle bestie Lucane.
4i. Or ator si ne pace^ etc. Il Colonna, e con
esso il Vahlen (p. 33. XVlK intende Cinea, orato
re mandato da Pirro al senato romano; onde
questo Terso ai colloca nel VI degli Annali, dove
narravasi la guerra fatta con Pirro legabatur.
Cosi lo Scaligero ; in FGHa. legebatur^in h. de
gebatur ^ maior erat, or atores Cosi il Mttl-
ler : ne codd. maiore (G. maiorem) ratione.
Orator es sarebbe stato scritto in abbreviatura
or es Ennius^ etc. Tra i frammenti di sede in-
cerU a f. 83. CIV. Vahlen.
4a. Oli i respondit^ etc. 11 Mller prefer re
spondet con GUb. e in qualche modo a. che ha
respondent. Ma probabile che vi si tenesse la
semplice forma narrativa, come negli appresso
luoghi de' paragrafi 4^9 44 <4^i trattano pa-
rimeute di Numa, e dovettero essere vicini a
questo nel 11 degli Annali. Anche il Vahlen pre
scelse r espondit (p, ao). Eger i ai fn qui posto
dal Vittorio : in Fa. egr ia ./., in GH. egri a i d
est^in b. egregia Quod alter um. Cosi tutti i
codici; il Muller, quorum alter um r ecitatur ,
A>Scioppio propoae invece r enunci atur ; mu
tazione, se non falsa, certo non necessaria
quom ha giustamente la vulgata ; i codd. quo
OlluSy etc. Festo, che reca aneh' egli questa
formula (alla v. Quirites), dopo Oi lus aggiunge
QauViV ; e coai avrebbe volato anche qui l ' Or
sino.
43* Mensae. 11 Vahlen intende quelle mense
che leneano luogo di are nelle atdes sacrae^se-
condoch leggiamo in Paolo ed in Feato. an
cilia. Questa voce qui necessaria, essendo il
soggetto della seguente chiosa ; pure fu onqessa
da codici per esser poi ripetuta. Lo Scaligero
compie il verso aggiungendo pr i mus incisa.
A questa parola l ' edizione principe aogginnge
Satur ni o in carmi ne : che certo una falsa an
notazione di qualche saccentf. In B. (e cosi not
pure in margine Agoslioo) leggesi intece et
item ali bi ; ciocche indusse lo Speogel a credere
che qui manchi qualche cosa ; tanto pi che nel
c. 4& diccsi eundem Pompilium^ ne apparisce
nominato prima. Al JtfaHer fu avviso invece che
non manchi nulla ; perch i buoni codici conti
nuano Li baque a i nci sa seiix' altre parole n io-
tervallo io mezzo, n v' era bisogno di premet
tere I dem al nuovo verso, trattandosi di chiose
che accompagnano probabilmente capo per capo
un pasto continuato. Ci non ilese l'interpolai
tore che aggiunse V et i tem alibi. Che ae poi
dicesi eundem Pompi l i um ; chi polea t>on io-
tendere, quantunque non ai fosse nominalo, che
si parlava anche prima di Numa Pompilio? Vero
che, in luogo di Libaque^ in FGH. leggesi sa-
libaque (in GU. propriameute sali ba quae)^ ed
in .J ali ba quae. Ma il sa premesao poteva na
scere facilmente, come osserva il Milller, dall* ul
tima sillaba di i nci sa; sicch prova piuttosto
interezza del testo, non che possa traraene ar
gomento d' alcuna mancanza.
44 Libaque.^etc. Questo verso leggesf anche
iu Pesto ed io Paolo alla v. Tutulum ; e ne soo
pur dichiarate a* loro luoghi le varie parole.
J r gei ^ e/c.ln FGHb. leggesi apertamente XXIIII ;
in a. XXlll. Aldo sostitu XXX, che divent la
lezione comune, probabilmente perch Dionisio
I, 39 dice trenta le imagini, che ai gittavano ogni
anno agl' idi di Maggio dal Sublicio nel Tevere.
Da un altro luogo di Varrooe (V, 4^) parrebbe
invece raccoglierai che queste tmagiui fossero
ventisette; perch, se ventisette erano i sacrarii
degli Argei, essendo posti iu ventisette puuii
della citt; e se queali aacrarii erano iusiemc i
sepolcri di que' nobili Argivi che veunero con
Ercole (Paolo in Argea) e ch^rano rappresen
tati dalle dette imagini ; uguale ne dovette euerc
il numero (Schweiger R, G, 1, 3961 Mar quar dt
Handb. IV, aoo ; Preller^ Rm. M j th. p. 5i 5)
deci. Cos emend il Kolandello ; ne' codd.
duci appellatus in lutti i codici, bench
pare strano precedendo i d: solo in b.leggesi ap
pellatum si. Varrone, come nota il Mtiller, fu
spesto ardito in cosi fatte attrazioni vla * c
una congettura del Mller: ne*codd. uti ; il Cu*
pero e il Dacier nelle note a Pesto, aveano pro
posto reti. La sostitnzione di vitta fu suggerita
al Muller dal medesimo Pesto, iu cui leggesi ;
Tutulum vocar i ai unt Fl ami ni car um capi ti s
ornamentumf quod fi at vitta purpurea i nnexa
crinibus^ etc. ar x hanno Ga., ed H. di secon
da mano ; di prima ar es ; onde il tres di F., i d
cui Io SpengeI vorrebkM legger tur r es. In b. ee-
saries per unione dei precedente ei, com
pure in H. in luogo di est.
5
Al LIBRI DI M. TtlRENZl O VARRONE 5oa
^5. sunt. Cos cofliot^ tranne G. a coi ti*at
tenne il Uller, che ha si nt f^olturnalemy
etc. Non ostante la natura in lotto prosaica di
qoesli versi, si roara?iglia il Mtiller d esser egli
il primo a sccTerarli dal lesto di Varrone. Solo
il Tornebo ' a d t i i e d e che d o T e a o o esser versi,
perch di oesi apertanente in his . . . . versibus ;
ma non s* appose che fossero esametri ; quanlun-
qtte la materia che trattano e il non citarsene
l'autore, era buon inditio che ti continua En*
o i o , e propriamente lo sleuo Annale che parlava
di Noma. In questi nomi di Flamini sono nel
pitirale; in lutti i codd. d e l ^ue soggianto a
Fl or alem l ' fatto qui ; e nessuno r a d d o p p i a la
"R in Fur r i nalem : ma Fa. hanno p o i Fur r i na
(Cf. V, 84 ; VI, 19) Fai acer pater^ Pomona,
Cosi ottimamente il Mailer (Cf. V, 84), prece
d a l o in parte d a l Turnebo e dallo Scioppio: nei
codil. Faiacer^ Pater pomor um nam ; senon-
che il nam sulo io F., avendosi in Gab. laguna
lino a catay aeuta^ e in U. fno al aeguciile di
cunt. Fra i d o d i c i Flami i minori, non conoscia
mo i nomi che di nove ; cio i sci ricordali qui,
e di pi il Volcanale, il Carmentale ed il For
tunale.
46. l am cai a, etc. il. IV tra i frammenti di
sede incerta, perlioenll agli Annali, pella raccol
ta del Vahlen fp, 67). Fer a scrisse il Mailer; io
F . f i r e catus^ etc. Vi precede Egr egi e cor
datus homoy come bassi da Cicerone (de Rep. 1,
18, 3o ; de Or at, I, 4^1 *9* Tusc, Di sp, 1, 9,
18); il quale sembra essere d' avviso contrario a
quel di Varrone quanlo al dovervist inlendere
acuto e non saggio. 1 Glossarii, che registrano
quasi tulli la voce catus, uniscono ambedue le
iulerprelazioni. 11 Mtrula colloc questo verso
nel VI degli Aunali ; e ve lo lasci il Vahlen
(p. 5o) Tunc coepit^ etc. In H. cepi ; in tulli
memorati. V. Vahleu a f. 96. LIX. tra i fram
menti di.sede inccrla.
47. Luci l i um, Vedi il I. IV della raccolta del
Dousa, dove i tre frammenti dannosi uniti secon
do la lezione dellu Scaligero (^uod. Cosi il
Mailer: ne codd. quidem^ toltone quello del
Tornebo che ha quidam cobium una con-
gellura del Mailer: oe'codd. cor i um; nella vul
gata cor 9um eiopes una mia coagellura :
oc codd. lupes ; tranne F. che ha lupos, e b.
che ha pes, 11 Turnebo e lo Scaligero ne fanno
Lupe^ imaginandovi senala la ghiottoneria di
P. Rulilio Lupo, che sappiamo cerio malmenato
da tiucilio ocl I. 1 saperdae. In FH. aper de
le, in Gh, aperdite^ in a. aper dere. Il Turuebo
ne fece saperdae te, pigliandone S dal fine del
precedente lupes. Poco meno probabile era la
perdita deirS per cagioae del precedeute *iVa-
r i tae atque amiae. La necessiti d* una lezione
che potesse esser tradotta, mi trasse a questo,
noo vedendo di meglio. 11 Mailer non arrischi
nessuna oongettura^cooleotaDdosi di segnar come
errata la lezione de'codici, che iSiime (in G.
Sumere) r ete (in b. recte) atque amiam (in F.
amian). Il Tornebo propose: Sumi na te atque
amiae ; e lo Scaligero, Sumere te atque amia.
Ma non poteva entrarmi questo sumen o sumi
nOf dicendosi sabito dopo che sono nomi greci
di pesci.
48. Quae^etc, C ho raccoociato per con
gettura questo luogo lacerato da' copisti e dai
critici. 1 codici danno : Quaque (b. quoque) in
cor por e (b. coper ) causa (cd b. eam IL) cer u
Uo (B. coeruleo^ b. cernolo) feto (GH. foedo)
or ta nar e (Ha. mare) ceptat (G. coeptat^b. ce
pi t). In questo coofuao ammasso bisognava pri
ma cercare il cava cor ti na chiosato poi da Var
rone ; e qui s' accordarono lutti nei riconoscere
il cava in causa o ca^e il cor ti na io or ta /larc,
levatane ultima sillaba, che unita a ceptat d il
ginsto termino d' un verso. 11 disaccordo, come
la difficolt maggiore, nel resto. Il Turnebo
propose cava quaeque in Cor por e caeruleo
caeli cor ti na r eceptat ; lo Scaligero, Quaeque
fr eto cava caer ul ea,cor ti na r eceptat; il 1>
ler. Quae cava cor por e caeruleo cor ti na r ece
ptat; e cos riport questo verso il Vahlen, come
XI tra i framm. del I. 1 degli Annitli, dicendolo
egregiamente sanato (Quaest. Enn. p, XXfV),
sebbene il Mailer se ne confessava invece molto
dubbioso. La mia em^dazione si fonda nel sup
posto d' uno schiarimento necessario del Quae,
che sarebbe stato ioserito da Varrone medesimo
(CJ . V, 59, e la nota cor ri spondente). L' i d est^
per essere scritto in abbreviatura con on sempli
ce I., si sarebbe mutato nell' i n\ onde il cor po
ra^ tra i n e caeruleo.^ sarebbe passato in cor
pore. Dopo il verso di Ennio, nella vulgata
notato Desunt quaedam: ma n da'codici, n
dal senso pu cavarsene indizio.
49. Qui n inde^ etc. Cos Fa. ; in G. quoius
inde^in H. quius inde^in b. quod inde., nel cod.
del Tornebo quid unde. Vedi il Vahlen a f. 146,
IX, e il Ribbeck (Tr ag. Lat, Rei ) a f. 59, XLl
et duellum^ etc. Forte e duel lo: i d etc. In
G. ideo postea.
50. Apud Plautum.^nell' Anfitrione 1, 1 , 119.
Cf. pi sopra VI, 6 Acci us. Presso il Ribbeck
a f. 193. XXXI. lo H. patefi t in luogo di pate
sci t umeros in F. e per quanto pare in
negli altri humeros Opi li us ha la vulgata;
FGHa. opilius^b. capi llus, Cl. VII,67, 79. Nella
prima edizione e nelle altre vecchie, Tur pi l i us
Vespe rugOy etc. SoftiloiscM nella traduiione :
5<3 N O T E 5o4
f^esper poi chi amato i vi da Plautq Tefpe-
rogo ; ed quella stella che nasce su la sera^
donde scri ve Opi lto che f u nomata desper o
luhar^ etc. una mi coogellara forse troppo
ardila. Ne'cod<I. i taque (in a. ita ; in b. itaque
cum^ orocsfo il eguenle dici tur ) di ci tur alte
r um pesper (b. vespero) adest quem^etc. 1 lesti
del Tarnebo t'ee li Mller non tent
nessun rimedio.
5i. Naevius^ etc. probabilmente nella Guer
ra Punica^ giacch il metro pare saturnio. Pres
so il Botbe e tra t frammenti d'incerta tragedia
(1. p. 95, a3) SoHs occasu^ eie. legge recale
da Censorino de D. '. a4^ da Feste in Sapr e
mum^da Gellio XVII, a, 10, e da Marrobio Sa/.
), 3. Censorino e Gellio, che paiono pi diligenti
nel riferirla, danno Sol oecasus ; e cos vorreb
be qai il Dirksen. In Macrobio et Soli s oeca
sus ; n Feslo Sols^ indi laguna. A tulli poi
manca il di ei o die (cos b.) che pare un' aggiun*
ta di Varrone dicunt. In F. toggiungesi i d
est. Cf. iupentas e iuventus.
5a I n Cor ni cular i a, Sostituiscasi I n Cor
nicula^ cora' ne*codici; e vegliasi la noia al
par. f 53 del I. V. In Nonio (p. i 34 alla v. Latro
cinari. Mere.), che rila anch'ei questo verso,
leggesi Cor ni cular i : ma il ria sembra nato dal
regi, cominctandoviii eoo latroci natus, un
troc. l. e. omessa I elisione fra decem ed annos
II Bothe, recandolo tra i framm. di Flauto ( T,
111, p, 55), traspose senza ragione le parole,
come gli rimprovera il Miiller ab /a/ere. Que
sta etimologia di Varrone ^citata da Servio
XII, 7, dopo altre due che sono latere e Xcerpf <
vftr. Far r o tamen di ci t, soggiunge egli, hoc
nomen poss haber e eti am Lati nam etymolo*
giamy ut latr ones di cti si nt quasi laterones,
quod ci r ca latera regum sunt^ quos nunc sa-
telKtes vocant et qui. Cos i codici. II Mfiller
lostitui cOn lo Scioppio aut qui ; ed ragione,
passandoti ad un'origine diversa. Pure ho la
sciato e/, perch dicesi qui e non quia,
53. Naevi um danno Fab., GH. Enni um. 11
Bothe attribu questo verso al Licnrgo di Nevio,
per congettura dello Scaligero (I. p. 86) ; ii Rib-
beck (Com. Lat. ReL p. aS, XI11) lo colloc tra
i framm. Neviani d'incerta commedia scassa
bundum hanno qui i codici con doppia S ; e cosi
registrasi questa voce nella pi part de' Glossa
rii. Ma ohe vi si raddoppi! la S, per ci che l'ori
gine ne sia cassare in qnuto d da cassus e vale
evacuare ; non saprei consentirlo all'Hildebrand
(Gtoss. Lat. Par i s, p, 4^ nota 48 Gtti ng
1S54): ch dove pure non fosse autorit di
Varrone ohe lo deriva da cadere^ lo vorrebbe il
signifrato. Del reslo i mo ixiarTgUa eh in
una parola antica si vegga serbato uso di rad
doppiare la S dopo una sillaba lunga, massima
mente dopo Iti ca Di abathra ed epicr ocum
sono dichiarati da Paolo. 1 cndiri, in luogo di
pedibus^ hanno pecudi bus ; e GUa. ad amictus
premettono erat ; h. et erat. Lo Scaligero, ar
guito dal Bnthe, oniice questu frammento all'ao-
tecedente.
54 I n Menaechmi s. Aggiungesi Plauti^ o^
messo in GHb. Il MuIler la crele una chiosa,
perch Varrone ' poemi noti non suole unire il
nome dell'satore. Vedi Plauto,<Men. V, a, 4^
i dem est hoc. Sostituiscasi I dem hoc st^
com' in GHab. Cosmetr ia scrsse il Bothe
(P. Scen, Fr , 1. p, i 4), e fu seguito dal Mailer ;
a coi per altro non ispiaceva la congettura del
Turnebo, seguito ora dal Ribberk fOp,ci tp. 10),
che Commotr ia, lu FGU. cemetri a, in a. ca-
metria^in b. comedia ex quo car mi nar i di
ci tur tum lana, 11 Neukirch (Delle J av. tog.
de* Ronr ) suppone qui intruse queste parole, che
sembrnn fare due cose diverse di car mi nar e e
di carere., facendone in effello una. Gli accon
sente il Milllel*, purch abbiasi per una nota ap
posta da Varrone stesso nel margine. Checch sia
deir origine, credo aucli'i 'he qui non debba
no stare car unt. Cos il medesimo Neukirch,
seguilo dal MQller : ne codd. car ent quae i n
Romuoyetc. una ma congoilura: ne'codd.
quae in Romulo Naevius appellat asta (in
ejca, in ab. hasta) ab osci s (G. a boscis, K ab
hostis). Il Miiller mut il quae in quam., e di>
chisr pel reslo che non vedea presa a con^et*
ture probabili. Il Mommsen (Unter i t, Di ai , p.
a5 i) crde che queste parole siano da slaccsre
affatto dalle precedenti, e sia un rimasuglio di
un' altra glossa, forse d* un passo di Plauto.L'Hu-
schke finalmente (Osk. und Sab, Spr achd. p. 39^)
vi legge casta in luogo di asta; se pur, dicVgl,
non pu tenervisi hasta., comparendo non dt
rado h nelle voci osche in vece del c. Casta
poi, crede egli che non sia altro che un derivato
di carercy quasi carta^cio purgnla. Certo una
congettura semplice e bella : ma converrebbe ciie
avesse interpretato il passo.
55. I n Per sa 1, 3, 9, presso Plauto I d
Graecam., etc. Cos lo Spengci e il Miiller 5 nei
codd. /ire, e sol fine gr ati s o gr ates {%.): ma il
secondo errore fu corretto da un petto.
56. I n Menaechmi s 1, 3, 2 presso Plauto.
57. I n Trinammo., intendi di Plauto, l i , 4,
54. Manca a'codici il secondo verso, che il sog
getto della gloMa. Certo il copista ttll da un
fer entar i um all' altro, come not lo Spengel
i d est inanem h vulgata ; ne'codd. i d est ina
ne, Il Mailer dichiara che 1160 Intende, n tede
modo d rieconviar qocslo pasto ; perch net ni-
lato luo(!o di Plaoio fer entar i us ha feiiza dub
bio il senio opposto^ cio quell di soccorrilore.
PremeUere un non ad inanem non sarebbe gran
easo, se potesse a^^iastarsi il ree lo : ma non se
ne sa Tcder via. Forse Varrone suppose nell' in^
teiligoqutW specie d* irooia che si esprime spesso
con puto^o credo o allretlali Terbi. Slasimo, -
deniio il soo padrone rifiutare il grasso partito
oflertogli in nome di Lisitele, e crederti ucceHato,
gli dnrebbe : Sei ta sano di mente^ che chi odi
cos la por ta alia for tuna ? .Poi ch i l ^eggo
bncy hai trox^ato in lui un ami co i nuti le e che
vuol la baia del fatto tuo ar ma quae fer r en
tur , 11 medesimo Varrone de vita P, R, cos
cr Te presso Noni o (p,9%o Mer e, in Detur i o
nes) : Eosdtm (accensos) etiam quidam voca
bant ferentarios^ qui depugnabant pugni s ei
lapidibus^ his armi s quae ferrentur^ non quae
tenerentur,
58. Fr i volar i a itititolavasi niia delk c'^mme-
die perdute di Pbiiilo (Bothe^ T. I I I ^ p. 56o, 3).
A compiere il rerso sude aggiungerei nos^ L
medesima etimologia ti f or ar i i a?eva dato Var
rone nel 111 de vita P, R.y sorTei>do: Ror ar i
appellati^ quod i mbri bus fer e pri mum rorare
i nci pi t (I 9on. p, 553 Mere, sotto la medesima
voce) ab acci endo. Cos il MttHer, dichiaran
dotene per dubbioso : ne' codd. ab ar bi tr i o
nam inde. Da acci re trae senza dubbio Varrohe
la Toee accensus in due luoghi a noi conoaciuti :
Tuno iu quest opera VI, 8f>; l altro era in
quella delle Cose Ornane^ ed conservalo da
Nonio a f. 59 Mere. Ma la causa, per cui si vuol
dato questo nome, diversa nei dne diversi Ino*
ghi. Nel primo quella che ai raccoglie anche
qui, posta emendazione del Miiller; neiraltro.
non il chiamare altrui, ma esser chiamali essi
a voloht de lor capi per le frequenti bisogne,
che li f' dire accensi quaai accer si ti . b questa
ragion del nome raecoglierebbeti anche qui dalla
lezione, qual ne codici, con un lievissimo can
giamento ; leggendovi cio: Potest i d ab mrbt
tr i o ; nam idem (intendi accensus) ad arbi
tr i um eius quoi us minister. Cos se oe farebbe
origiue eenstre^ cio ar bi tr ar i (cf, Var r , de
vi ta P, R, e de R, R, presso Nonio i n Censer e
p, 519. jlierc.y, al modo stetao che dtcesi nomato
Censor^ ad quoius censionem^ i d est arbitrium^
censer etur populus. Dal medesimo censere^ma
per on* altra ragione, deriv k> slesso Vsrrone il
Dome accensi in un altro kiogo {lion^ p. 5ao
Mer e, in Decuriones), cio dalK essere adseri^
ptivi^che qaanto dire topraniiumerafii. Veh
coalanxa di Varrone! lo credo edoDqut che sa
rebbe migliore avviso il .riraelter qui l lezioe
55
de codici con quella piccola mutazione che ho
detto, drir inde in idem^ non curando ponto la
contraddizione che n esce, con l'etimologia data
al par. 89 del 1. VI.
59. Pacuvi us, V. Rbbeck, Tr ag, L at. Reh
p. 107. XIX. Tri portenta^ secondo il Mailer,
sarebbe detta Ecate : ma chi pu farsene malle
vadore f A questa parola segue immediatamente
ne codici in mer cator e. Ma, se non altro, dove
precedere la dichiarazione del passo di Pacuvio;
ondech lo Spenge! e il Mttller, seguendo l avvi
so dello Scsiigero, notarono qui una laguna.
60. //] Mercatore^ intendi di Plauto^ 111, 4i
34. Nella vulgata premettevasi I dem ; onde fa
all ribalte, seoz altro fondamento, uoa commedia
di queslo nome anche a Pacuvio, e si diede a lui*
questo verso, ohe per esservi franlese le appres
so parole, fu riptuto altres tra i frammenti della
Corollaria di Nevio. Nella* raccolta del Ribbeck
fu renduto a otascuno il suo Non ti bi . Dopo
queste parole i codici ripelooo in mercatore. In
Plauto Nec ti bi di vidiae st. Ne codd. di vi
di a (in b. dividua) est^ errore gi corretto dal-
Agostino Hoc itidem et. Cosi il Miiller, se
guendo in parte le coogetture dello Spengel. Nei
codd. Hac eadem e^/( b. omette V est) in Co
r ollar i a fievius. Il Ribbeck (Com, Lat. Rei.
p. 11. IX) soriase : Hoc idem est i n Cor ollar i a
N a evi ^ i dem in Cureuli one* Plauto, 11, i, ai.
Notisi I idem riferito all autore del Mercator^
cio a Pianto, no oslanle Tesseri toccato per
incidenza di Nevio Uen enecat in b., e vi
accennano anche Fa. con li ene negai, lo G. Uen
negat; io H. li ne negant ; in Plauto comuae-
menie Uen necat, lo fine di questo paragrafo il
solo B. nota Par um deest.
Phagone una congettura del Pio, co
munemente approvata : ne codd. pagane. L O-
sano (Analect, p, i 63) imagin che l iniero nome
fosse Pultiphagon^ e fosse un secondo litoio del
Penulo ; sicch al Penolo a avesie a rendere que
sto verso che non vi compirisec. Vedilo tra i
frammenti di Plauto pre5so il Bothe T. IH. p, 56a
per i t. Lo Spengel,/rer/Zf; non seoza ragio
ne, come noia il MUller, |>ei meiro glandi o.
Cos corresse il Pio ; oe'cotid. gladioSs enonch
pare omesso da a. omne eduli um la lesione
comarte: Be codibi omne medulUum (io GH.
medulam^io b. medullum). 11Mailer, omni mo
dum edulium^tupponendo la scrittura de codi
ci nata dati* abbrevia Idra omnim eduli um.
forte il solo esempio di eduli um nel singolare:
ma registralo io molti Glossario
62^ P a r a si P i g n h Vedi il Plauto di Bothe
T. 111. p. 563, dove cootioaafi per coogettu-
ra al frammento che recalo pi sotto oel
Al LIBRI DI M. TERKNZI O VARRONI: 5o 6
5 o 7
N O T E 5o8
paragrafo dexter a in G. ; negli altri
dextr a.
63. Fugi ti vi s, Il Dothe, in Plaalo, T. HI. p.
56o, racconcia questo frammento coli; Age^ agel
Spectavi Vi bi ces quantas ! vide ! l am
i nspexi . Qui d i d est? Ne' codd. a (in G. e) ger
gt (in H. grege) specta vivices (in i>. in vices)
etc. 11 Turnebo ue tratte ge respecta^ vide^
etc. ; Io Scaligero, J ge age specta^vide etc-----
quid est ? Vi bi ces a vi una mia congettu
ra : ne'codd. vivices alii . 11Turnebo ed il Mailer
Tollero etclnto V alii^supponendolo parte d' una
chiosa pattala dal margine nel testo ; Orsino ne
faceta Aeli us. In Paolo leggesi : Vi bi ces plagae
verberum in corpor e humano^ di ctae quod vi
Jiunt.
64. Ci stellar i a hanno i codici, tenonch F.
acriTe Ci stelar ia. In questo ed in altri luoghi,
in coi riiroTasi questo nome premetto a Trani-
menti che non compariscono nella Cistellaria di
Plauto, quale ci resta, lo Scaligero l atea mutato
in Clitellaria.^ cio Astraba ; e i raccoglitori
troppo corrivi a?ean collocalo questu e gli altri
frammenti tra i riaiasugli di quella commedia.
Era egli credibile che in due luoghi tanto vicini
la commedia medesima ti citasse prima col nome
di Clitellaria, e poi con quella di Attraba ^c. 66)?
Come non avvederti che la Cistellaria, qual ci ri*
mane, .un moiilro ; e te havvi continuiti di filo,
manca per il ripieno, e talvolta anche ordito?
Ora la cota potla fuor d*ogni dubbio dai fram
menti ambrotiani di Plauto pubblicati dal Mai ;
dove leggti un lungo brano della Cittellaria non
coootoiuto prima, che contiene anche due patti,
allegati ano da Nonjo, V altro da Pritciano, tome
appartenenti alla Cittellaria, e che t'erano dati
air Attraba. 1 tre versi ch ne allega qui Varro
ne, e per la materia medetima che vi ti tratta, e
pel modo, in cui ti recano, debbono avere appar
tenuto ad un luogo aolo: i due primi, per quanto
pare, tenta interruzione, core ti tegcono qui
tramezzatavi la tola chiota ; il terzo a poco inter
vallo, di che pose indizio il premesso ibidem. E
di vero in Festo, dov' recalo il teoondo verte,
oggiungeti quetio : Cum extr i ti s (in Paolo ex
torti s) talis^ cum todelUs (in Paole todiHis)
cr usculi s. N imporla gran fatto che il terzo
erto tia attribuito da Gellio 111, 3, 6, c da Nonio
p. 169 Mere, (altr i vi leggono Aulularia.^ altr i
Fr i vol ar i o) Nervolaria ; perocch un mede-
timo verto poteva euere ripetuto in una materia
medetima in due diverte commedie ; tanto pi
che in Varrone troviamo tantulae^ in Gellio ed
in Nonio sor didae haec sunt. Di haec per
hae a^hanno pi eiempi in Plauto e in Terenzio
schoeniolae dichiarato allo fteafo modo
da Petto ; e bench varSino i codici, non htciano
per debbio tulla tcrillura di qoetla voce ^ a
hinis obolis una congettura del Vittorio, n ti
pu dubitarne : ne' codd. sabi ni soboi i s^ mi r a
culae. Notano Paolo e Nonio che gli antichi coti
chiamavano le cose bruite e mottrnoae: ma esap
scrivono mi racula. Strano il mir iones : ma
pare in Tertulliano, sebbene io tento alquanto
diverto.
65. Scratiae^ etc. Cot il Miiller ; ne codd.
scr aties (in b. stracies) ruppae (in ab. ruppe)
i des (in Ga. idest^in b. i.) r ittabi llae (in GHab.
ritahile) tantulae ; cio, dividendo altrimenti lo
lettere, scrati^a^e^ s [ c] ruppeid(a)e^ stritta^
hillaey tantulae. Poi nelle chiose scraties^ e
scr uppidas (in Ga. scruppidam^ in Hb. scr upi
dam), e str i ttabi llas (in F. scrittahillas^ in
strutabillas^ in G. stritahilasy in b. scr utabi l
las). Qui farebbe lungo e noioto il voler recare
tutte le varie lezioni che ci danno per qnetlo
verto i codici di Fetto, di Gellio e di Nonio ;
matsimamenle che, citandosi dagli ultimi due
una commedia diretta, non vi si pu fare gran
fondamento. Basti il dire che, per quanto so, que
sta emendazione del Muller universalmente ap
provata scr ati as hi c adsignij icat. Cos il
Miiller; ne codd. si c asignificata.^ ec
cello F. che d adsignijicat^come la vulgata, ed
a. itt'cni leggesi ad si gni ficata. Anche allo Spen-
gel fu avviso che a'aveste ascrivere adsi gnifi
cat ; ma tenne il iic, credo a ragione. Forte
scr ati a se si c adsgnificat^cio si palesa da s
con la sua or i gi nati one Aur eli us citalo
due altre Tolie in questo libro (c. .90, c 106) ; ma
non se ne sa nulla di pi ab scauri peda. Cos
il Bolhe seguito dal Mller. Se v'ha dubbio, non
tocca la sotlnnta ; perch sta nell oA, che in F.
tti^negli altri am, unito alla tegnente parola. Lo
Spengel ne traeva ut E x eo Acci^ etc. Coti
ne' codici : in B. curiose, come icrive il Ribbeck ;
ne^testi a stampa, toltone gli antichi, i ncuri osa ;
i critici non trovarono ancora nulla di buono. Io
prego il lettore di sostituire nella tradutiooe,
dopo sassosa^ le tegnenti parole: E cotesto
tcrupta, i l pesc egli i n quel luogo <TAtxio^
ove di cesi nel Melanippo ; nel letto poi terivati
curiose^ ita quod est in Melani ppo : Rei ci s abs
/e, etc, Melanippa (corr. Melani ppo, ch tale
fu probsbilitsiroamenla il titolo di quetla trage
dia) : ne' codd. Menali ppa Rei ci s- in F.,
r ei i ci s in ab., r ei ices in G., r eii ci es in H. ^
imponis. Ne'codd. tenonch b. ha im-
ponam^e B. impones. Il Miiller scrive ut * scr u
peam imponas ti bi *, per provvedere, dic' egli,
al meiro ed al tento. Il Ribbeck (Tr ag. Lat, Rei ,
p, i6a. VI) di iatcro ptcso coi) : r ei ci as Abs
5 o 9 41 LI BRI DI V. TERENZI O VARRONE 5
te religionem^ neve scrupeam i mponas ti bi
str i tti lando io B. ; io F. str etti llandc, io G.
stretilandoy io b. scrutillando^ io H. attr et
tando str i ttar e io F., str i tar e io GH.,
sci tar e io B.
66. Astr aba, lo FH. astriba^ io G. ascriba
Axi ti osae ha ldio : io FGHb. ac sitiose^
10 a. exi ti ose I ti dem poae qui il Mulier per
congellora : io G. idem^oegli altri ideo uxor
cula^etc, in parie uoa mia congellara. Nei
codd. uxor culavi t (io G. exorculavit^io b. usar^
culari t) ego novi sci o ac si ti o aquam (in Gb.
acsci o aquam, ia a. axi ti o aquam). Axi ti osam
liede aldioa. IjO Scaligero propose : Muli er eSy
uxor . Cui a vi r ?Ego novi^sci o: axi osa es. Lo
segu il Mtiller, senooch mol il vi r in vis^ e
axi osa es io axi tiosam. II Bothe scrisse : Mu
li er es, uxor cula : aBU te ego novi ; sci o axi
ti osam Claudi us llegalo rii qu ot o ne* pa
ragr. 70 e 106; ma altro oon se ne sa demon
strar e iu G., negli altri demonstr ar i acti o
sae. Il Mailer aggiunge et axitiosae^ che par
volulo dal cooleslo. Gonfroolia paolo io A xi
tiosi.
6j . I n Cesisti one, Cosi ne codd., tranne
b. che ha i ncesistio est. titolo ignoto d' ona
commedia, per quanto da credere, di Plauto.
Lo Scaligero suppose Gasinone^ cio Gastrone,
(Pl auto . \^ p. 56i. Bothe) De strebula.,
etc, e una mia coogettura. Ne' codici : distri bula
(in b. deiscibula) aut de lumbo obscoenabis (ob-
seoenabis in GH., observabis in b.) cera (unito
alla voce appresso). Il Muller, lasciando da parie
le antecedenti congetture che t al uno poco, ne
fece : Da stri bula aut de lumbo obscoena vi
scer a ; mirabiloienle, se guardasi a somiglianza
di scrinare: ma ooo pu negarsi che l'epiteto
(li obscoena 000 sia ^ui fuor di luogo, e che il
Da non supponga cosa poco probabile sulla sce>
na. La mia lezione poco pi dilungasi da' codici.
Ho scritto strebula ; perch la e ne' codici (e in
Varrone avTenne spessissimo) si confonde fecil-
mente con 1* 1 ; e orii'ine donde lo trae Varro
ne, e l'autorit di Fealo e di Paolo, domandan
cos. Certo il Muller ti pose Da per ci che nella
chiosa strebula apparisce plurale neutro : ma
11 caro strebula d' Arnobio moalra ch' uh ag*
gettivo; onde pu pigliare naturas di aostantivo
tanto nel neutro, quaato nel femminino, sottio-
lesovi car o. Feslo, e eoo esso il s d o compendia-
lore, la d per voce ombra.
68. adr asi erim ooa mia congettura r nei
codd. adr asi enim ; il Mttller adr aseri m. Hd
lasciato er im in luogo del regoUre erem ; per
ch nl fatto di queste terminaiioni da andare
a rilento, teuendosi, quant possibile, a'codiai.
11 trailato chiaro, e coDveoieiite t commedia.
Lo scobinam de' codici era gi stato mutato in
scobina dallo Scioppio. Il Turnebo voleva, inol
tre li ma in cambio di i llum o i7/am, com' in
H. Vedi Plauto T. Ili, p. 561. Bothe.
69. I n Poenulo, intendi anche qui di Plauto^
111, 1, 37 cervum cursu. Cos giustamente
aldina : ne codd. ci fcum curso.
70. I n Truculento^ di Plauto, 11, 6, i 4 ab
loco. Cosi ho scrino per congettura: ne'codd.
ab luco^ od a luco. Altri ne fece ab luctu ; e
starebbe bene, se, precedendo il dicta^ il senso
non riuscisse ambiguo : liri ad luctum^ attac
candolo a ci che segue -t yo/ui/ua corresse il
Tornebo ( ne' codd. nomina., e poi barbarica
(in H. barbara) con lettere latine quod Fr eto
i nest Naevi i e una mia congettura: ne*codd.
quodfr etum est Naevii., che non d alcun senso,
come nota il Miiller. m1 pi, aggiunge eglf, vao
col pensiero ad una commedia Neviana,cbe fosse
intitolala Fretum^ col qual nome se ne ricorda
unH di Plauto, lo. credo, continua egli, che vi ai
chiuda un nome diverso ; forae Quadrigeminis^
che 000 sarebbe mollo lontano nella scrillura da
quod fr etum est, ^ 11 supposto del Muller noo
piacque al Ritschel,che propose invece la lezione
fPar er g. I, 98): Quibus testimonium est quod
ojffert idem Naevius ; e neppur questo piacque
al Ribbeck, cui avviso che la genuina lezione
sia Quod fr etum est Naevii (sottintendi loco)^e
che il Qui bus testimonium est non ne sia che
una chiosa. 11 verso allegalo certo di Nevio ; e
come tale recalo anche da Paolo alla v. Pr ae
fi cae : ma che Nevio avesse icrilto ona comme
dia intitolata Fretum^ non se n'ha alcun'altra
testimonianza. Solo sappiamo da Gellio III, 3,
che della commedia cos inlitolala, bench cor
resse col nome di Plauto, si dubitava per sul
vero autore. Il verso, secondo leggesi in Paolo,
cos : Haec quidem mehercle^ opinor^ praefica
esty quae si c mortuum col laudat; t il quae si c
di Paolo vien preferito dal Rilschel al nam di
Varrone. Il Bihbeck (Com. Lat. Rei, pi a5, XXII)
vi sostitu quasi col Bothe.
71. 11 Vahien registra questo luogo di Knoio
tra i frammenti delle Satire (p, i6a. Vili); il Me
rula avea posto nel IV degli Annali ques.
Coli lo Scaligero, seguito dal Muller; ne'codd.
quas ; il Vahien queis. Toccasi, nota il Mllr
col Turnebo, la favola narrala da Aristea degli
Arimaspi monocoli, che, presso agl'iperborei,
cavavano ne' monti Rifei l'oro custodito da'Grifi
(Er odoto IV, 13) Ripaeis^ o meglio Ri pei sj
com' in FHa., secondo l'antico oso di
aspirar mai le coosonaoti. Anche Servio Aen, IX,
82 riconosce la aorittura Ripeis^leooucb a torlo
5.1 N O T E Sia
li vorrebbe allrt con t^Rhi phaeL lo b,r i phei i ;
in G. rhi pei s ut ocles. Motto meglio lo Sca
ligero e il Voifki traggono cocles da xi/xXirf.
in Cureulione^di Plauto, 111, 23. Ne'oodi-
ci, tranne forse b., mancia il f innanii ad esse.
72. Cassi um, Coti il nome anche allrove
(VI, 7), allcgandovtai qneilo' medesimo Terao ;
onde noQ probabile opinione del l urnebo e
di molti allri che fi si abbia a leggere C. ictium.
Ma ae questo Cassio sia uccisore di Cesare,
da farne gran dubbio. Vedi il Rihbeik Tr ag,
L ai . ReL p. 349.
73. Qui d noetisy etc, luogo citato gi nel
I. V, c. 19. Ne restano Iraccie anche in Feste alla
V. Septentriones ; e ti accenna Appuleio (de deo
Socrat. c. , p. l ai Oud,J scrivendo : Suspi cien
tes i n hoc per fectissimo mandi^ ut ai t Ennius^
clfpeo^ etc. Le prime parole sono di Agemeo^
none, come ha notaio Vartone nell' altro luogo ;
le altre s<iao la risposta del Vecchio, come racco
glieai dal contesto, e dal riscootro dell' Ifiglnia
in Aulide d' fcluripide aul principio. Sicthe non
v' ha dubbio che questo braoo non appurtcnease
all'Ifigenia d'Ennto, ch'era un'imitnziooe di
quella d' Euripide temo superat. In Festo era
rToltato ordine di queste due parole Stei
la$^etc. Cosi scrisse il Muller: ne* codd. Steli as
sublime cogens [Qihiagens) eti am atque eti am
nocti s iter, 11 Turnebo voleva J ubli mi s agens ;
10 Scioppio, sublime agens ; Io Scaligero, cogens
subli me; lasciando il cesto com' ne'codici. II
Bothe. (P. Sc. Fr . I, p, 5o) . . . . superat temo
Stellas^ subli mi s agens i ti ner Eti am atque
eti am ; levatone il noctis corae una falsa chiosa,
dotedosi intendere che altavas il carro, e le
stelle Tolgeano invece al tramonto. 11 Ribbeck
(p. 3a) e il Vableo (p, 119-ao) s'attengono al
opinione dell' Hermann (in Kurip. J phig. Aul .
8), il quale scrive: Temo super at Cogens su^
bli me eti am atque eti am Nocti s iter, escluden
do stellas, 11 Boeckh (Gr , trag. pri nc. p. 279)
crede pi probabile la scrittura Noctui s i ti ner
ut * ctdturae. L' ut qui aggiunto dal Miit
ler ; il Turuebo vi propose ad: o 1*uno o altro
par necessario,
74*et prope eas axem. L' eas risguarda solo
11 oves et temonem \stellas\^ cio le due stelle
egual i che \?an quasi a par o e si dissero buoi
(Hfgi n, Astr on. 11), e la teria (Ali oth) che qui
detta timone. A xi s equivale a quelle che altri
dicono ruote^e comprende le quattro rimanenti
atelle ^ Tr i ones enim. Cosi b., gli altri codici
ad enim soggiungono et. Che tri ones sienii detti
buoi, quasi terr iones o teriones (Cf. V, ai),
cosa ripetuta da Festo in Septentriones^ e da
Servio Aen. Ili, 5nG, che cita espressamente Var-
rooe. Pi pieoameiUe poi e ioocatp quello luogo
da Gellio l i, ai che, dopo averdetto di quelli
cbe riaguardivaoo irXonef come una terniiaacBD>
Depriva di ligoificatoi proprio, ioggiuBge/ Sed
ego quidem cum L , Ael i o et , Varrone, sen-
tio^ qui tr iones r usti co certo, ^^abulo. boves
appellatas gribant., quasi quosdam ierrionas^
hoc est turandae oolendaeqae ter r ai idoneos^
I taque hoc sidus^ quod a fi gur a posiimraique
ipsa^ quia si miler plaustr i widetur^ anti qui
Gr aecor um a/uar|enf diaetrunt^ nostr i quoque
eeteres bubas i uncti s sepUniriomes appella^
runt^ i d est a septem stellis^ ex quibus quasi
i uncti tr i ones fi gurantur^ Pr eter hanc .
opinionem i d quoque Var r o addita dubitare
sese an propterea magi s hae stytem stellae
tr iones appellatae <sinL,. quia i ta tuat si tae ut
ter nae stellae pr oxi mai quaeque i nter sest
faci ant trigona^ i d est tr i quetr as fi gur as ^ E
detrito lezione d ' un oodiee, notala in margine
dalt Agostioo, ed accolla dal Vrtranio, Aalio
Soioppto, dal MiUler. Ne'codd. Irt/ii, JraiMie
G. che lo omejte. Il Turnebo propoae ut dcer ot
er detritum. Cf. V, i 36.
75. E t plaustrum^' eie, Sosiiluiscasi nella
tradiitione in lugo del aeoondo periodo t e cosi
chiamassi anche ijitero Car r o col nome deli a
parte^t come in tanC altre cose PossUnt, .
di cti . Cosi GHab. ed modo ellittico frequeoie
in Varrone. La vulgata^ e forse F. hanno dici,
76. Ai ax, quod. Ne codd. Ali quod, Veg-
gansi le note ai e. 6 ed 81 drl I. VI; E una cAn-
gettora del Popma, accettta dnbilosamente 4ai
Miiller. Lo S^ngel propose Apud Enni um quod
est quae in summo quod^etc. Non ho ardito
di toccar nulla, bench non sarebbe difficile la
mutazione di quod in quoddam ; ma non ho
fatio, perch nessuno pu dire sino a qual puivTo
fosse comportato 1' uso di quis per aliquis^ e se
il quod. . . . lumen non potesse equivalere ad
ali quod lumen. Quantunque, dandosi qui reti*
mologia del nome iubar^ sembra iti tatto che
quod s'abbia a pigliare nel senso di perch^ e aia
necessaria qualche mutazione od aggiunta, lo
credo che dopo iubam fosse ripetula la voce
iubar ; sicch abbia a leggersi, quae i n summo
quod habet lumen diffusum^ ut leo in capi te
iubam^ i ubar ; il qual modo d'esprimersi ha
moltissimi riscontri in Varrone. Certo I' in sum
mo appartiene a Lucifero, perch corriipoudevd
in capite rispetto al leone ; n pu approvarsi
opinione del Muller cbe crede mancante questo
luogo e il vorrebbe compier cosi : stella^ L uci *
f er quaey in summo (noctis cum apparet^ ap
pellatur ; cum post soli s occasum^ Vesper ugo)
Pacuvius, 01. VI, 6.
5i 3 AI LI BRI DI M. TERENZI O VARRONE 5i 4
in una
5: /n tf e
. Par asi to Pi gr o. Vetii i frammeoli ili
PUuio Del T. III, p. 56l . Bothe ^ bene potus.
Coti il Pio: ne'codi, denepotus^ dove in
*paroU, dai ) du. Lo Sealigero vorrebbe
btne apotU pr i mulo cr epuscu o Cr epuscu
lum, In F. toggiiingesi dictum^ rbc Varronc pi
petto omelie f Cot H Mu41er ; nei
codl. et id, Cf. VI, 5 Condalio, Vedi Plauto
T. Ili, p. S58. Bothe l am crepuscula^ etc*
una mia congeUura, pubblicata gi da pi anni
lift' Fr ai nmenti di Pi anto da me r i veduti e tru~
foffi .*oe'codd. Tarn cr epusculo fer e ut amant
lawnpade accendi ti , reirablle, nota qui il
Mailer, la concordia de* tetti io quetto pauo;
bench, quanto al sento, pi ohe crepotcoli ri
fian vere tenebre, n
76. I n Tri nummo^ di Pliiulo, IV, a, I>i
tetti di Plauto preio V ad^ che nanca co
dici di Varrone.
79. I n j isinar ia^ di Plaoto, III, 3, 9$ at
r edi to hue. Cos il Muller; io Pianto cornane-
inenle r edi to huc ; ne'codici di Varrone, at
r eddito huc in G., ad r edi tum in a., ad r edi tu
in F., i d r edditum in H r edi tu in b.. un cod.
dcU* Agostino 1, redito^e cot scritte lo Spengel
conti ci scendo Cab. ; conti scendo FH ; nella
vulgata conti cescendo. La prima forma fre
quente io PIruIo.
80. Apud Acci um^ nel Filotlele, come racco-
glieli da Servio Aen. IX, 6aa che allega questo
rfiedetirao verso Incorainoiaodo da tendens. L'arco
acitico, qual fu qudlo d'rcole, ereditato da Fi
lomele (Tecr . XIU, 56, e i l sua Scol.)^ detto
<raX<Kraro(, cio reciprocus^ da Eschilo nelle
Coefore al v. 159. pr ocar e la vulgata, n vi
ti p^i iar dubbio: ne'codd. progare.^ o pr or o
gare. Anche Fetto deriva reci procar e da pr
81. Apud Plautum^ nel Piendolo IV, 1, 45 ;
dove per leggeti alquanto diversamente. Lo
Spengel vol.*va che prevalesse in qoesto luogo la
testimoniauza di Varrone : ma il Ritschel ci non
ostante credette di dover istare ai codici di Plau
to, e continu ascrivere; Non prorsus., verum
transver sus cedit., quasi cancer solet (Plauti
Com, T. II, p. 140. Elberf. 18S1) Pr over sus *
efc. lemione proposta dallo Spengel : ne'codd.
di ci tur ab eo quod <G. qui) in i d quod est ver
sus. 11 Vertranio e U>Scjoppio acrivono qui i t in
i d ; e pf'i il Vertranio quod ett versus.^k>Sdop;
pio quod est in verSu. II Miiller, quod in id,
qao i t , est versus.
8a. Apud Ennium., probabilmente nell' An*
dromara (Ribbeck, p. ao, 11 ; Vahlen.p. loa, I);
1 ' altro verjio poi dovette appartenere a l i ' Ales
sandro (Kihb. p. 17, V ; Vahl . /> 99. VI recte,
M. . Vabr owe, dr ij LA Linon r a t i k a .
1 oodd. aggiungono e/, che per omettono pi
sotto, dove ripetesi il medesimo verso i llum
versum. Cos ho scritto per congettura. Pi chia
ro sarebbe : hoc Enni um qui s potest i ntelleger e
i llo (od eo) versu si gni ficar e, 11 Mulier mnt
l ' in versum in viro adversam ; lettone che mi
par impossibile di trovar ripetuta dal Ribbeck e
dal Vahlen sema Carvi dubbio, perch non si
unisce bene con ci die segue.
8J. Acciuth., in incerta tragedia; forse neHa
Nfctegresia^ la congettura del Valero,
non rigettata dal Ribbeck (p. 307), fondata nel
confronto di qoesto luogo coi v. 53i (535) e seg.
del Reso d* Euripide aurescat GHab. ; in F.
aurescit., conforme alla vulgata. eti am. Cosi
il Muiler con la vulgala, e, a quanto pare, con .
Negli altri codici /irm ; donde lo Spengel so
spetta Enni o.
84. Ter enti um, negli Adelfi I, 9, 37 ; dove
per leggesi Obsonat in luogo di scortatur. 11
Miiller crede qui pi a Varrone ; ma probabd^
mente noe osserv che il verso appresso comin
cia con Amati onde il cambiamento, s' avve
nuto ne' lesti di Terenzio, non dev* essere d' una
sola parola I nde aggiunge qui la vulgata ; che
non n'codici ne qui d scorteum., etc. Cf.
Ovidio Fast, I, 639 in Atellanis^ etc. Simil-
menje in Festo : Scor ta appelflantur mer etr i
ces ex consjuetudine rusticorum^ (q^i^ ut est
i n Atell ani s apud antijquos^ solebant difcere
se attuli sse pr o scorto) pel l i cul am; omnia
(namque ex pellibus facta scortea) appel-
J antur .
85. Acci um., noo si sa in qual tragedia. Vedi
il Ribbeck a f. iga. XXX di cunt esse, Jn b.
di cunt anti qui omnium quod eiW, etc. Cos)
scrisii, per averne un qualche senso ragionevole;
perch dalla leiione de'codici che omnim (frse
in F. omino) sunt eiuSy e da quella del Miiller
che numi na sunt^ quoius^ non so taccappei*
zarne alcuna. Certo ila sunt) quod il passaggio
non naturalissimo \ non grandt per, se la pri-
ma*^mutazione suppongasi \\ cum, Quant' poi
al confetto, non so che altro Varrvue potesse o
dovesse dire : tanto solenne e notevole questo
modo di comandare deferii lo in Giove da Omero
(I I , 1, 5a'|); et ali quotiens la legione comu^
oe ; ne codd. et ali us aliquoti ens. Forse et la^
tine ali quotiens,
86. Plautum., Mi l. Glor . 1, 1^4 I P^f^
la lezione comune non poco divjersa, maisimar
mente per questo che dall* essere unito estur ad
insane, le ne fece estur iens e poi esur iens o
esuriem. Il Ritschel (Plaut, T, I. El her f, i 84{>,
p. I I . Mi l. G/or.^, riscontrali i codici di Plauto
con quelli di Verune, scrisse rosi ; ni si Unum
33
5i 5 N
5 r6
epityrum estur insanum i mant htne, TuUa
ii, guardando al conlfslo crederei che steue
roeglio Si unum^cono' in Varrone; e che Ira i
tarii senti fosie da preferir questo : E se mi d
per pr anzo sol torti n d* o/iVe, si a gr anfe
sta. Se v' , dice ii panssilo, chi sappia Irorare
un Rodomonte pi vano e pi bugiardo di que>
sto, io soD conlenlo di darmigli schiavo, e di ve
der sempre la fama in aria. A questo modo deside
rerei corretta la traduzione, che ho posta da lato
al verso di Plauto, ripetendo nella chiosa gr an
festa in luogo di ar ci beni sstmo Epi tyr um.
Che si usasse principtlroente nelle citt greche,
cosa detta anche da Columella, il quale insegna
altres il modo di farlo (XII, 87, 9. C f Cat. 119)
I nde. Ne codd. i d ; nella vulgata i dem; il
Muller i d edi *, che muta il coDcetto di Plaato,
Neanche V inde non mi par probabile | e forse
id^o . . . quod vi starebbe roeglio.
87. PacuKum, passo allegato pi piena*
mente da Cicerone de Divi n. I, 36 a questo
modo V
Flexani ma., tanquam lymphata aut Bacchi
sacr i s
Commota^ in tumuli s Teucr um commemo
r ans suum.
Par detto di Esione nfl Teucro (Rihbeck^ p. ita.
L , e p. 389). Ne codici di Varrone leggesi solo :
fl exani mat (iii flexani ma^ in b. J lexar ant)
aquam (in a. aqua) lymphata^ omessa poi que
sta parola sul principio della cbioiia ; donde ap-.
patisce la causa, per cui furono saltale le voci
aut Bacchi sacr i s Commota^che pur son chia
mate dalle seguenti chiose, come not il Tume
bo I j mpha * manca accodici ; e fu aggiunto
dallo Spengel, conservato dal Muller- Thel i s
una congettura del Turnebo ; ne' codd. Thetis.
Varfone de R. R, 111, 9, 19 : Anti qui ut Theti n
Thel i m dicebant., si c Medi cam Meli cam sfoca
hant (Cf. Turnebo Advers. 1, a6). Spiace
soltanto ohe esempio non calia, perch le let
tere scambiate non son le medesime : apparten
gono per al medesimo organo. Lymphae^ dice
anche Paolo, dictae sunt a nymphis. Vulgo au
tem memoriae pr odi tum est., qui cunque spe
eiem quandam e fonte., i d est ejjigiem nymphae
viderint^ fur endi non feci sse fi nem ; quos Gr ae
ci t^oeant^ L ati ni lymphati cos
appellant (Cf. Tertnll. de Bapti sm, 5) nym
pholeptos. Ne'codici non apparisce traccia di
scrittura greca. In F lympholemptos^ in GH.
lympholentus^ io ab. limpholentos. Il Mfiller
tcTne nympholemptos ; perch da* monumenti
e da'codici raccogliesi che nelj^ct alessandrina
fu in oso *e Tuttavia m po
trebbe anche essere un* aggiunta de* copisti, nata
d^lla pronuncia eorreate, come in temptmre e
simili di xer unt omesso da b. ; fftBalaaaente*
secondo avviso dello Spengel p. XIV.
88. Pacuvi um: forse nellMliooe (Ribbeck^
p. 2gZ) pervolgans. In a. penwlans fur or ,
11 Vittorio, il Turnebo e lo Scaligero suppongo^
o fer or . medesima comparsitione in Apol
lonio Rodio IV, 363 - alcyoni os nella prinei^
pe ; alcyoni s in ab., aleyona in FG ; a4ti ona in
H. Vedi Plinio iV. ff, X, 3a, 47X//pi>o. U
Muller crede che s'abbia qui a leggere X F l 9^
r os ; perch gl' interpreti de' libri Sibillini, cifeto
presedevano anche alle feste ApolKoari e ad altre
solennit per la pi parte greche, non for<ao
mai dodici ; ma due fino al 887 di Roma, poi
dieci infno a Siila che li accrebbe di cinque {
finalmente sedici per l'aggiunta d'un sacerdote
fatta da Cesare nel 707 a ciascuu collegio (Di o.
Cas$. XLII, 5t ; XLIll, 5i). Pure i codd. li fan
no qui lutti dodici, Fab. in cifre, GH. in lettere
quod i d ratum^ ttc. flo aggiunto H ftiod!, e
unito in nn solo periodo questi membri, mutan
do in una chiosa il r ecte per fecti s sacris^ che
davasi per un brano delle Trachinie dri poeta
Accio. Certo noi troviamo allegata autorit
d'Accio in cose grammaticali ; e se ne ricordano
da Gellio, da Nonio e da Prisciano le Di dasca
liche. Che sia poi diverso dal poeta o ao, qn
nulla importa; ed ove pure in tutti i looghr, in
coi citasi, forse corso errore, e s'avesse a scrive
re Ateius^ secondo l avvisa dell'Osann e del
Weichert ; il medesimo errore potrebbe esser
corso anche qui ; che non impossibile che Ateio
Capitone, maestro come fu di Salustio, sia citato
da Varrone. 11 Turnebo propose : r i te per ftcti s
sacri s, r ecte volt acci pi ; giacche r i te in luogo
di recte, legione d' un codice notato in margi
ne dall* Agostino.
89. Enni um, Ribbeck p. 56. XXVili; Vahien
p 1^0 Xll comissatio In FHa. comi sati o,
in G. comessatioy in b. comi sacio comodia.
In Fa. comodiam, in GH. comoediam., in b. co-
mediam.
90. Ati l i um. Uibbeckf Com, Lat. Rei . p. 37
Cedcy lide. Cosi FGH. ; di ab. non notasi
nulla. La vulgata caede^ 11 Miilkr tenne poi
li dt, cbe suppone usato per laede^come ne'com
posti ; la vulgata ha Lyde, lettone approvala dal
Lachmann (in Lucr et. 3s4); lo Spengel vorreb
be elide ; lo Scaligero lude conde. Il Turnebo
propose tundt ; ch quanto al come, lo intende
per conci alo bene, nel qual senso dicesi anche
pecter e, e da noi pettinare, in pr oxumo.
Cos scrtto in G.; negli altri in pr oxi mo. Dice
5
Al LI BRI DI M. TEREtNZlO VARRONE
5i8
che ae toccher di net segueole libro,
dove oomballefi Ttoalogia. Forie vt fi reca?
ad ciempio de'cambiaiDeoti che Tveogono nei
conpoall) e paiono far contro alP analogia. Coai.
apieg ii MiiUer. Ma lallo qoesto oapilolello par
lecero. II Ribbeck s attenne alla lezione Cape
caedty Lj dty come conde,
91. Pacu^ium : forge, secondo che a' appone
il Ribbeck a f. 291, nell' Ermion. 11 frammento
poli egli lo scrTe cos, fp, 108. XXVI), con le
nutazioni configliate dal Lechmann : nulla r es
Nee cicurare^ ncque meder i poti s est^ ncque
refingere discr etum a fer o. Leggati a fer o
discreiumy ch coa ne' codici ob tenue.
Coi) hofcrilto per congellura ne'codd. otti
9teo^che non mi pare accettabile in neatun modo.
I ngeni um tenue oppofto anche da Qaibliliano
a for te et i ndomi tum (I nst. Or . X, 2., 19). Qui
poi il tenue chianuto quasi di neceuit dal-
etimologia, traendosi ei cur da ci ccum che di
cesi appunto membrana teuuis. E ob in luogo
di pr, non dee parere pi strano in questo caso
che quando s'adopera nelle vendite e ne' canobii
Ci cur i , Coli FGHa. ; in b. Ci cour i Ri ne
natum. Cosi il Muller : ne'codd. i nnatum-
Plautus.yai iFramm. d* incerteeomm. p. 1957.
Ili (Bi bl. degli Scr i tt, Lat. Venezia^ Antonel
li). Questo frammento soleva omettersi come se
fosse il f . 22, A. 11. Se. 3, del Rudente, che ha
solo di comune il ci ccum non interduim^modo
ricordalo anche da Ausonio (CCCL), come pro
prio d> Plauto - demensum una mia cooget-
Inra : ne* codd, densum. 11 Muller ne fece elen
chum, e intese per gr ossa perla.
92. Ci r cumveni r e. Cosi in b. ; negli altri
ci ccum venire, 11 Muller ne fece Eccum veni
r e ; ma veggo ora che il Ribbeck (p, 12. VII),
teni^ anch' egli Ci rcumveni re^ che s'unisce bene
con iniMria. Notisi che Varrone d come voce
emessa e poetica a? Terbio fer me ; che par tro
vasi anche in Cicerone ; per non dir nulla degli
scrittori da poi, che presero pi dagli autori che
dair uio popoUire.
Plautum ; nei Menecmi 1, 2, 18, dove
per leggesi a queslo modo: Evax^ i ur gi o her-
de uxor em tandem abegi ab ianua. Ne' codici
di Varrone ab (G. a) regia ianua in luogo di
abegi a ianua ; ma l'origine deli'errore e chia
ra, e la correzione certa, lo presi propriamente
on granchio. Credetti che i codici avessero abegi
ab r egi a ianua ; e per tenni come lezion di
Varroue ab regia^ed il ianua come nna sosti-
lazione indicata da qualche correttore \ cheavei*
ae.coUazionato questo passo coi lesti di Plauto.
Poogui adunque ianua io luogo di r egi a; e
nelU fcrsioDe al fecondo vcrio intero ed al terzo
rotto sostituiscasi i n su /' uscio mi a moglie
Enni um. Ribbeck p. 52. Vi l i ; Vahlen p. 1 15.
VII. Nel grammatico pubblicato dall'Otto, de
generi bus nominum^a f. 3o leggesi similmente :
Cli peus gener i s ut Enni us: cecidil cli
peus. Della tragedia e del luogo, a cui forse ap
partenne questo frammento, veggasi il Ribbeck
a f. 276 Eheu I mea puella., etc. Cosi lesse il
Muller questo verso : ne' codd. heu (in b. hau)^
e spe (in H. saepe^ in b. sepe) quidem i d sue
censi t (in Fa. succenset ; in b. succenses) libi .
Mi par migliore la lezione del Ribbeck (p, 61.
LVll), accolla dal Vahlen {p. 148. XX) che :
Eu^ mea puella^ e spe qui dem i d successi t ti bi
Pompi l i um, poeta ignoto in acti oni
bus^etc, A questa formula, come nota il Tume
bo, accenna Cicerone pr Murena 12, 27 mi
litem. Ne' codd. mi litem.
9^. Luci li um. Cosi i moderni col Vertranio
e con lo Scaligero : ne* codd. Lucr eti um ; nome
scambiato assai volte con quel di Lncilio l i
briy etc. e una mia congettura : ne'codd. i bi ; lo
Scaligero ne fece ibus (per e poi scrsse fo
roque in laogo di for o qui che i la lezione dei
codici. Il Mailer ne accett 1' i bus; ma tenne
for o qui cotr i puer e. Leggasi corripere^ co-
m' ne' codici ; e nella versione, dopo clepsere^
sostituiscasi cos : che dal verbo clepere, ado
per ato in questo senso anche da altr i . Par e
che ec. . . donde poi clepere, mutata A
in Ey come i n tanC altr e par ole ex E . A,
commutato : ne' codd. et ex (h. omette 1' ex) ea
commutatio.
95. Mati um ; certo nella versione dell' Ilia
de. Par.corrispondere al v. 56 del 1. 1, secondo
l'avviso del MiilUr; tati lo pi che dicesi prima :
all/ &i rvpa/ ttxi i w xalovro ^; se pure
i gnis non chiamala la stessa pestilenta. 1 codi
ci hanno maerebar,, tranne s. do?' mi rabar
manducar i usarono gli antichi come depo
nente : ce lo attesta Prisciano, e Nonio ne d pi
esempi! edonem senem una mia congettu
ra : ne' codd. ad obsenum (P. secondo il Keil, e
Gb. obscenumy H. obscoenum) ; comunemente
obsonium. 11 Muller coogettur prima apnd
Dossenum^indi Dossenum ; e per questa secon
da congettura rinunzio ora volentieri alla mia.
Che Dossenusy o Dor senus (ch in ambedue t
modi trovasi scritto) fosse anche un personaggio
delle Aldlane, ormai non se ne pu pi dubita
re ; e che vi sostenesse le parli di parassito o pap
pone, coM probabile, non per ancora abba
stanza provata, 11 Duntier (Mus, phi l. VI, 288)
propose edacem; lo Schoher (de A teli, p, 18),
personam. Cf. Ribbeck (Com. Lat. Rei ) a f.
23i - 32.
5i 9
N O T E Sa
96. Mai i um ; parimeiitc aeUa vcrsiooe del>
ril tdc, fonti del I. 1, v. 62 per a'vriso del Mul
ier scena, eatn ut Graeci^ ai ui , , , scaena
QD mia coDgellura ; poco divcrsameote i codi^
G, scena (. soaena) ea ut Gr aeci , aut J eoius
scribit^ scena. Ho crillo at ut ; perch Varroue
adopera qui non poco per mostrare che o
scoenum poteva essere da scena non ostante il
diltongo. A questo luogo sembra accennare pa
leio (de Di phth. la, p. i 3a Osann.)^ il quale,
dopo aver detto che nel latiniiiare te voci gre
che scritte per .ir, non avendo un segno proprio
per r . e. lunga, si valevano alcune volte del dit^
loogo .ae.) soggiunge: Ver um de hui usmodi
scr i bi t Var r o exti ti sse i^ariam ceter um opi
nionem^aliis scena per ,e, si mplicem^sicut apud
Graecos^ scr i bendum asseveriintibus^ al i i s in
si gnum productioni s per .ae. esse notandum ;
et si c in emeteris huiusmodi^ quod nobis r e
cti us K'^idetur, II Mulier scrisse : Obscaemiro di
ctum ab scaena ; ea, ut, Graeci, ut Ac
ci us scr ibit, scena ac rustici^ etc, Veggaai
la nota al paragr. 97 dei L V. Del resto, come
questa c le altre voci precedenti sono eiempii di
ci che detto prima che in plur i bus verbis .A.
ante ,E, alU ponunt, ali i non ; cosi non pu
aver loogo dubbio su la loro scritlura, ancora
variino i codici Caecilius^ etc. La vopc pr e
tor fu aggiunta qui dallo Spengel per V autorit
di Piomede li, p. 44? (4^^ ^^*0 allega
questo passo ad esempio di barbarismo commes
so col toglimenlo d' uua leitera, ut si detr acta
.a. li ter a pretor dicamur^ ut Luci li us : prctor
ne rusticus fiat (al, fis), cum debeat xte, pr o
nunti ar i praetor. Francesco Dousa (L udi , ReL
Fr . 97 incert, l.) vi crede punto Q. Cecilio Me
tello, il qual sappiamo da Oraiio che fu segno ai
satirici strali di Lucilio. Ma forse qui non tocco
che di rimbalzo : pare un precetto d'ortografa
da porsi insieme con gli altri nel IX libro, di>
cendosi solo che chi pronunciasse pretor , di pre
tore uftano il muterebbe in rnstico per l'usanza
runica di profferire per semplice .e. il dittngo
.ae. Il Mailer scrive Ceci li us in scaenam (b.
scenam). Comonemente in scaena ; e cos forse
in H. II Muiier cre<|etle di conservare qpesto
accusativo (quasi per la scenajy tuttoch strano.
Stranissirpo poi dee parere che si giudicassero
j>ermeise alla scena quelle turpitudini, che il pu
dore e la civilt proibiva fuori da essa. Ma il fatto
sta cos ; t V ob premessa in obscaetijum, se si
trac da scena^ noi lascia interpretare altriiuent.
Tanto tduUvasi ai vizii popolan negli spetta
coli !
^, puer uli s t uo creendazione del Tufoe-
bo : ne' codd. puer i li s. Lo Spengel scrisse pueri s.
con B. e con la volgala che ha putr ti s a quo
fi er i (scrivasi invece et quod edi ti ) tum. corniti^
alludile quod (scrivasi quid) sinit^ di ei tur inns
j i ni str a quae bona est^ una rota congetiiira.
Ne'oodd. a quo (in G. quod) di ci tur (coti H.;
gli altri di cuntur) comi tia aliudve qui d sit, di*
ci tur (cos F. di xi t G., di xi Hab.) aut (f. ut in
a. ed as^ein b.) si ni str a quae nune est, Oocata
etimologia di si ni ster dala da Plutarco nelle
Questi oni Romane LXXVlIi, da Pesto in Sini~
strae aves^.e. da Isidoro Ori g, XI, i , 68. Il MiiU
ler scrsse t A quo di cuntur cmmitia aliudvm
quid sinistima^ si ni str a quae nuno sunt^ Ma
non SD con quali testimonianze possa difendersi
l ' espreasione comi ti a si ni str a
98. Plautum : nella Ctttell. I, f, i. Le parole
et mi i ami cam esse cre9 , che tncMadono il
soggetto della chiosa, mancano accodici insieme
col seguente cr evi cernere. Ne* codd. eanere^
manifesto errore corretto gi dal Vitlorio.
99. eundem: nella Cistell. 1, t, 7.1 codjoi, iu
luogo di quod est: Mi hi , che lezione notala
gi in margine dall- Agostino, hanno quod eii-
mi ,quodesi my quodesmi e fno quod sensum
itaque ei \ etc. Cos ho scritto per congetlo-
ra : ne* codd. i taque qui adest (in b. quidem)
assiduus J ^r et (f. in b. J er r e) quem ( omesso
in b.) oportet^ is (in G. his) J r equens opponi
solet, Forve era meglio scrivere assiduus fer
quom oportet, senza fr conio dell'estrema let
tera di fer r et. Non mi par neanche da dubitare
che Varrone non ispieghi il fr equens di Plauto
per contrapposto dell' infrequenss eh' era la nol
solita darsi a' soldati ohe non erano presenti alla
chiamata ; ed , credo, per questo che adopera
il modo qui adest assiduus. In questo supposta
fondata la mia correzione. Il Miiller lesse : I ta
que qui adest assiduus ; fer r e quem operam *
oportet^ is fr equens opponi tolet; dichiarandoli
per dubbioso nelle note se opponi possa stare o
no questo modo. Il l'urnebo lo volea mutato
in appel lar i : ma non basterebbe neanche qae-
sto ; che 1' eseere obbligalo ad un servigio oon fa
l uom diligente e, come d ice v a s i , m a
si adempierlo con assiduit tanti est Cosi
ne' codici, senonch F. ha per tanti est^ ad H.
tanti esse: ne'testi di Plauto, faci l e est; onde
il Mttlfer, pigliando il per dal cod. F., e il faci l e
est da testi di Plauto, scriue qui per faci le est
tam bene e la vulgata: ne'codd. i am bene
(Cf. VII, 77).
100. Enni um, Vahlen p. 83. CV. decre
tum est fossar i . Cos il Colonna ; 1 vulgata ha
con B. decretum est fossor e ; pe' codd. decr e
tum est star e. Il MUUer s'attenne aoeh'egli alla
vulgata, hia omise est;t\ Vahlcii l e lo rimiar.
5a i
Al LI BRI DI M. TERENZI O VARRONE
52
w>i. Enni um, Vahleo p. XIV ; Ribbeck
p. 60. XLIX. Nc'tiodd.ycimiif e/, lcnne quello
del Ttirncbo che ha J aci mus musset, ll Turncbo
caof^eiur face mus^et; il Miiller, per sTcreun
eiMrio giusto,ybe i s musset; il Ribbeck, egoi-
lo J1 Vahlea, fi sxi s j . . . muset. Noi Servio
yien. XII, 65^: Enni us rausMre pr tacere po^
sui t (Cf. . XVll . fr. VI. Fahl en) quod
i dF .\ gli Uri i ^uod--^ neque, etc, Vahleo
p. 175. X. Ctriaio allega neque mu facere^ i n
quam (di prima mano unquQm)^ da Luciiio ; e
mutmut non facer e audet^ da Apuleio il pialo
iiico (p. 2^0 i^e/Z,* 2i 3- i 4 P)
. Pacuvi um: nel Criae, come apparisce
da Nonio che ne ciu il Di moneri nt meli or a,
ad esempio di moner i s per monueri s (p. 507
M.) ^ quantunque il medesimo Nonio (p. 74
alleghi Hltro^e col nome di Lucilio, intero ver
so 3 Di mi nuer int monerint) melior a
\at<fue\ amentiam awr uncassi nt tuam ti \ ivi
iteuo il mdesiino terso, con la soslili^ooe d
maluer i nt a ronerin^e meam a tuam^ool nome
di CtceroneY</e Fian.)s probabilmente perch se
u' era giovata acoooiodaDdo) al proprio caso.
pare io Paolo alla voce Ver r uncent ; ed anche
ivi sul fine s'aggiunge /tram .* sioche non sem
bra da dubitare che 000 aia d scrivete : Di mo
ner i nt meliora^ ai qae amentiam averruncas-^
si nt i uamJ in un sulo lelrametro. Cf. Rbbeck
p. 74. XXI ab avertendo. Cosi il Mdtler col
Turoebo ; ne codd. a vertendo,
103. Aululari a^ di Plauto, III, 9, 3a. Il Ver-
tranio, differam hic^ coro e in Pianto pi pa
tu. Cosi il Mtller con V Idina ; ne^ codici piatu.
L*augel pia^dicea par Guido Cavalcanti En
ni i , Vahleo p. 83. CVI. Latrare^ scrive Paolo,
Enni us pr o poscer e posui t Pi anti , Boi he
T. Ili, p. 566, fr. 6. Lo Scaligero vorrebbe og
ganni t, Ganni ti o, dice Paolo^ eanum querela^
mur mur ati o Caeci l i i , In FH. Ci l i i , RIbbeck
(Com, Lat, ReL) p. 64. VII. Lo Scaligero vi vo-
lea leggere Tantam^ iol^udendofi divorar e
tanta sostanza^ciocch par contrario alla mente
di Vairone L uci bl ; Di VI delle Salire, come
alleala Nonio p. ao M. alla v. Quiritare^ ove
ggiuogesi : Concursans^ veluti antarius^ da
reque qui r i tans, lo Fa. heilitabit^in GU^ heli
<a6il, lu b, eli lahi t. La giasla lesione data da
Nonio eiusdem^ non si sa io qual libro delle
Satire. il fr. 99 presso il Dousa.
104. aperta^ut. Ne'coJd. aper i ant Por *
di , Veggasi la noia al 1. V, c . . i 63 ^ ;
Vahlea p. i^5. VI. Scrivasi labore in luog* di
clamore^ che eolr qui non so per quale disaU
teaftione eiusdem ; Vahien p. 81. CVI e CVII.
Ne codd. cl amor em; iu H. hovantls,^Nel feim
meato apprcaso i codici hanno tutti facere^ e
non fecere.^ che una congettura del Colonoa.
11 Vahien scrisse pausam facer e ore fremendi^
non so con qual fondamento* e6 haedaQ, \ in
a. aerfo, in FHb. edo. Cf. V, 97 Clamos, Cosi
anche il Lachmann (in Luer et, VI, is6o): nei
codd. Clamor , teog tiene il {Niiiler. L'Agosti*
no propose A d eelum cl amor ; il Ritschel
(Par erg, I, 27), Clamor et ; lo Scaligero, Cl a
mor i t ad caelum voli tatque per aelher a va
gor . Vedi il Vahien a f. 76. LX. Sueti a f r en
dice . Cosi il Mtller ( ne* codd. Sueta J r endi
ce. Laici intatto il fr endi ce^ perch gli parve
non improbabile che sia nome ignoto di qualehe
uccelleMo : totlavia non era lontano dall* appro
vare la congettura dello Scaligero, che vi legge
i r andine^ cerne ho snpposto oella versione.
Quant e poi al Sueti^cio Suetiy laggevasi que
sto nome in Cariiio, seconda la scrittura di
Putsch, a f. 80; ma la lettone ne codici in
certissima, e ohi ne trae un nome e tihi un altro
(V. il Carisio del Keil a f. io3<1. ag). Il Ribbeck,
recando questo coi frammenti d incerta comme
dia e d* incerto autore {p. 101. XVIII), leggte col
RitschI : I nsueta^ ut ah i rundine : Fr ende et
fr i ti nni ; t ttht insueta contraisegni on tetro
ordine di voeabolii essendosi detti per spi cui \
primi, meno aper ti i secondi} dopo quali r-
staTa pur qualche cosa, perch non fofeie falsa U
divisione premessa di aper ti ed ofcam'. Certo
questa oongettora probabilissima! s'avvici
nerebbe ancor pi alla scrittura de rodici, omes
sovi ut th non necessario. Tuttavia dispiace
il non trovarvi il nome dell* autore, ohe sempre
espresso negli altri cfcmpii Fr ende et fr i i n
ni, CosVanche il RitschL'l (Parerg. Sa); di coi
mi godo d* avere indovinalo il pensiero senza
averne alcun sentore. 11 Muller aveva scrii lo : B
fr unde fr i ti nni suaviter^ dilungandosi senta
ragione da codici, che hanno i Fr onde (G. Frmn^
de) et fr uti nni suavi t r e de Varrone, second
le cui parole^ fr i ti nni dev essere applicalo ad
nomo. Maect i n Casina. Ne* codd. Macci s
(in GH. Mactius^ in b. forse Aoci us) i n Casi^
na: in a. soggiungesi Plaati , H verso allegalo
in latto il 49 della Se. 3 dell A. 11 della Caaina
di Plauto, il quale sembra oroai e^to che fosse
T. Maociot e non M. A4rcio (V. intorno a ci la
diuert. di Martino Herlt-Berlino i ^ 4)
io, rat p^rve che fosse da togliere il segno di la
guna posto di sua eoiigetlura <| Melici' tra la
parola Macci^ o Mati eoro egli terive, e il se-
gaente verso. Tuttavia strano che qni si citi
per Maecius^ ovt altre volle ciialo sempre
per Plautus ; e qnaodo trattasi di eArarn)edi ri*
c o D O K i a i e aelvcrlalinenle per f d e , s e ne tace
5a3 N O T E
5a4
antt il nome. Oo de non a torto il Ritschtl vi
meoclo; ed atlaccaodo questa voce al
sopraccitato verso, ?i fa ; Fr tnde et friti nni^
suavi tate mactus es, quesU parte(>er ilftib-
beck ti divise da lui, e s'atleone al suavi ter --r
Sueti abel ua irata^ ti c. Il Sueti aoche qai
del Mailer; il resto mia coogettura, certo ar
dita, raa qual conTeniva ad un caso che tutti
danno per isGdato. Ne' codici sla cos : Saes avo-
luerat i ta tru de4e<fue (ia F. traded^q^ io a.
trudedegue) in r eneque (io F. in r e ntq^in G.
in rem eque^io a. irreneque) in iudicium^ etc.
11 Mlier diede Sueti a volucribus^ lasciando
aeoza eraeodatiooe il resto; lo Spenge] propose
a volucris ina disper anch' egli del rimanente ;
il Ribbeck, sulle tracce del Ritschel, comincia il
frammento dell* ignoto poeta da fcif avolaver at:
I ta tr adi di ; se ne la?a le mani, e nta che
tri tti les per suo avviso aggetli?o inteso di vo
ces^ e che il senso pare : Sua avolaverat: ila
tradidi) naque aut Aesopi poetae fabulosi de eias
rei verilate iudicum aut increduli popelli sibi'
lum ilocci facio. n
io5. Colace^ commedia di Nevio, rifatta e
dati per nnova da Plauto ( F . Ri tschel Parer g,
99 e ^^88) pMo che Varrone toglie acbio
fare, manca accodici ; e la s t ^a parola Nexum^
che probabilmente, per esser prima in ambedue
i luoghii fa causa dell'omissiou, fu scritta qui
pigliandola dal principio della chiosa Marni-
li us F,, mamuli us GUa.| mani li us forse b. Non
improbabile, secondo il Mlier e lOrelli, che
sa questo il celebre giureconsulto Manio Mani
lio, di cui ricordansi nel Digesto Ire libri sol
diritto civile. Mti o poi Q. Scevola il pontefi
ce, intorno al qule veggasi la nota V, 5 r
pr aeter quam hanno tutti i codici; ed modo
Don improbabile nel senso di quin tamen. 11
Niebuhr (S,t, Rom. T 1, p, 6oa, ed, a.a) soslilu
pr aeter quae^xht fu accollo dal Mailer den
tur, Cosi emend il Niebuhr ; ne' codd. detur
nam idem. a. nam i d est^ e cos scrive
aqcbe il Niebubr nexum dictum GHa. (nexu
b.); in F. nexus dictus servi tutem GHab. ;
in F. ser vitute quadam b. ; gli altri quam;
onde fecesi quam debeat^ dat io luogo di qua^
dam debebat C. Poplilio^ etc. Cos il Miil-
ler : ne* codd. C, Popi l i o (in GH. Pompilio^ io
a. popillo) vocare (io a. vacare) Si i lo (in a. si ila)
dictator e (in G. dictare^ in a. di ctator ) etc. lo-
leode il Mlier quel Gaio Publilio, come il dice
Livio Vili, aH, e che eoo forma pi antica non
improbabile che sia qui detto Popli l i o (cf. pu
bli cus da poplus^ Publi col a e Poplicola^ POP.
e POB. per U trib Poblilia), il qaale beilo pri
mo il popolo allo scioglirocDto de'nessi. Vero
che, ecoodo Livio^ questo seiogUmeoto avvenne
nel consolalo (a di R. 44) e non oeUa diilature
(a. di R. 4^5) di Petelio Libone : ma.oott
infondala opinione del Mlier^ che ia oi.ac-
ctifa Livio di errore. Aoche l'Agosltoo avea pvo-
posto la lezione C, Poeti l o Vi sol o di ctator e *
ui omnis. Ne' codd, et omnis (in G. omnes) -
sed soluti . Cosi UMlier : ne' codd. di ssol uti ;
itt B. e per quanto pare io b. sed di ssoluti. La
quistione nessi , e tu qtiealo luogo di Varro^
n che n' uno de* priocipali documentiyfu Irml-
tata con mollo bollore in questi ultimi tempiy
dopo che il Miler la ridest, dal Savigny, dallo
Scheorl, dal Sell, dall* Heusde dal BachoCen e
dair HuKhke.
106. Caxina, di Plaulo, 11, a, 3a. Ne'codici
il nome della commedia confuso col priooipio
del verso : ma il riscontro dei lesti di Plauto to
glie ogni dubbio. Strano il modo, ia cui a' to-
terpreta da Varrone qoeato luogo di Plauto;
quantunque anche questo aenso vi calta beoitsi-
mo. Dico tuttavia tirano; perch/eii^num pane
io lotto da delinquo^ com reli quum da r eli n*
quo ; e lutti v' ioteod6oo quando non i i manca
nulla in casa. Che anzi fra gli stessi antichi non
manc certo chi lo iulendease cosi ; perch tro
viamo in Paolo : Deli quum apud Plautum si -
gni fi cat minus, Quanto poi al ricavarsi da'co-^
dici di Varrone ames in loogo d o/nef, ed al
Icg^crvis apertamenl faci as io luogo di fati ate
sono errori'cli menanti da non farne conto<</e-
liquatum non sit. Ne'codd. deli quandum ' {jin
Gb. delinquendum^ in a. deli quam, dum) non
sunt (in b. sit). Anche il Mlier s'aitenue a si t;
scrsse per deliquandum^ e sol principio della
glossa aggiunse Deli^uum^ come soggello della
glossa medesima. A/me parve dichiararsi pi il
senso intero che la parola ; e per credetti che
non fosse da fare alcuna aggiunta, ma piuttosto
da mutare deli quandum in deli quatum. Tolta-
via ne sono dubbioso Aur el i us k citalo anche
ne' par. 65 e 70 di questo libro ; e Claudi o nel
66 e nel 70. Altro oou se oe sa Ati li um, Io
H. Attilium^ oel cod. del Turoebo Accili um^ io
B. Caeci li um, Cf. VII, 90. Queslo esempio prova
che liquar e e li qui s'adoperarono aoche oel
medesimo seoso: il cangiamento di quantit che
vi ha luogo, come io di car e e dicere^ duear e
(oc' composti) e ducere,
107. Che tolti gli eiempii recati in questo e
oti segueole capitolo, e perci anche le opere da
cui sono tratti, appartengano al medesimo Nevio,
erede il Mlier che lo si debba conchiodere dal
citarsene il nome da prima senza soatitoiroc poi
afoon alhro ; dal continuarsi la serie delle coro-
medie lecoado P ordine dell* alfibelo, e lenendo
5a5
Al LI BRI DI M. TERENZI O VARRONB 526
empre 1 1 forma oel panare da ssnipio a<I
eferppio; fnalmenle dal chioderai la lerie col
ftocma della Guer r a Puni ca^ il qual niano pu
dobitare ch non ibsie di Netio. Di che iropor-
tama p5asa eisere quetla oaiertatione, li vedr
appresto in Hesiona. De Ungala^ecrire Gel
lio X, 5, 3, quoni am est mi nus J requenSy ad
monendum exi sti mo Ungulam foeteres dtxi sse
gladi olum oblongum in speciem li nguae f a
ctum ; cuius memi ni t Naei^ius in tragoedia
Hesi ona. F er sum Naevi i apposui : Si ne mi hi
{I9e mi hi fa preferito dal Ribbeck ne Frainro.
d*Trag. p. 7) gerere morem vi dear lingua^
perum li ngula. Di qui appariice che e/iimuero
gl adi i tlmeno fuor di luogo. Probabilmente di
Mevio 1 sola voce lingula^hX modo de'seguenti
eseropii ; e segue I chiosa di Varrone enimvero
gladio^ a lingua ; che viene a dire: cio con la
spada^ cosi chi amata da lingua in Cl asti
dio. Cf. IX, 98, dov* espresso SI nome di Nevio
(Ribbeck^ Tr ag, Lat, ReL p. aS5 e 348) Polo
deriva parimente vi tular i s da vitulus. Nonio da
vita i n Dolo. Coti hanno i codici, non Dulo-
r este che un' interpretatione fatta in B. e nella
vulgata. Cosi ^ tolto ogni fondamento per attri
buire questo passo a Facuvio. AXuv fu pure il
titolo d'una commedia d'EuhuIo: ma di ci
veggasi P Haupt fPhi lol, I, 875) che s' oppone al
Klussmanii. Questo luogo registralo dal Rib
beck tra i rimasugli delle commedie di Nevio a
f. I a Demetr i o (Ribbeck I. e.) persibus
qui avverbio ; in Paolo sibus e in Festo P er
si cus (I. Per si bus) sono invece aggettivi, spie*
gali il primo per calli dus si ve acutus^il secondo
per peracutus. Si pus ritrovasi due volte nella
Tav. Bantiua unito a per um dolom mallom^e vi
si spiega per sci ens per dolum malum ; ed ap
partiene allo stesso ceppo di opofj <, sa
pere^ ec. In si bus n' rammollita la consonante
^ Lampadione, Vedi il Hibbeck p. i 3. Nonio
alla V. Pr oti nus p. 375-76 cita questo luogo di
Varrone cosi : Var r o eti am de lingua Lati na
lib. F U : vel protiuam vel protinus continoatio-
oe vel praeteritae vel futurae longitudinis di ci t
in Nagi done. Vedi il Ribbeck p. 14. Ci uci -
datus fu qui posto per congettura dello Scaligero
fondala sol riscontro di Paolo, che registra nel
senso di soave tanto clucidatum^quanto gl uci -
datum^traendolo da yXuxvf. La chiosa mansue
tus^cio ammansato^ abbonito^ fa ragione, non
solo della radice, ma anche della formatione della
parola (clucis^ clucidus^ elucidare^ clucidatus).
Il Lindemann crede che dulci s sia in origine
cl uci s in Romulo. Cf. VII, 54. Credesi la me
desima favol a pretestatay che detta da Donato
(Ter , Adelph, IV, 1, ai) Ali moni um Romuli et
Remi , Vedi il Ribbeck ne' Framm. de^ Tragici a
f. a35 sponsus^ etc, Cf. VI, 70, dove per ci
tasi, come modo di Nevio, consponsi. Onde che
fi Neukirch vorrebbe anche qui : consponsus,
eontra sponsus: ma la lezione comune fu difesa
dall* Hermann ne' suoi Opuscoli, e dal Lachmann
nel Museo Romano (1889 p. 118). Similmente
sponsio nel luogo sopraccitato del 1. VI si defi
nisce pecuni a quae i nter se (cio i nvicem) con'-
tra sponsum rogata erat^ cio l ' ammenda sti
pulala, caso che nn manchi alla promessa. Sosti-
luiscasi nella versione: per denotare sti pulato
a guarent gi a della promessa Stigmatia,
Vedi il Ribbeck ne'Framm. de'Comici a f. 16
Techni co. Vedi il Ribbeck op. cil. p. 19. Co/t-
^//2/e un'emendazione del Tornebo : ne*codd.
conficiant.
108. Tar enti l la commedia citata molte
volte col nome di Nevio da Carisio. Pure il sog
giungersi qui ne' codici : Pacuvi i (a. pacuvius)
dum ab luce illustre., svea fatto si che anche
Pacuvio si credesse autore d' nna commedia di
questo nome, e se ne allegasse, come un fram
mento, la voce i llustre. Ma era egli possibile che
i llustr e si giudicasse da Varrone vocabolo poe
tico e meritevole di chiosa? Giustamenle s'avvi
de il Muller che il vocabolo chiosato dovea ce
larsi io pacuvi i dum^ e che abluce n'era eti
mologia, i l lustr e il significato. Cosi anche per
questa commedia restava sottinteso, come per
altre, il nome del suo vero autore, cio di Ne
vio, come aveva sospettato anche il Vertranio.
Egli scrisse adunque praeluci dum ; ma dichiar
che quanto all' essersi appostq o no al preciso
vocabolo di Nevio, non av**ebbe messo pegno. Io
ho preferito luculentum., perch vale propria
mente illustre^ ed da luce senza aggiunta
d'altra parola, ed vocabolo usato principal
mente dagli antichi comici e creduto bisognoso
d chiosa anche da Paolo e da Nonio. Che se
guardisi alla scrittura, io no 'I credo certo pi
lontano, se non anzi pi vicino a pacuvi idum.
Il Klussmann propose \z^tce palluci dum ; voca
bolo eh' ei suppone formato per giuoco da pal
lore lucido f c questa congettura fu accettata dal
Ribbeck op. cil. p. 19, quantunque non corri
sponda alla chiosa, n abbia alcun fondamento
d'autorit Tuni cular i a (nel cod. del Turne-
bo aur icular ia) commedia nota di Nevio. An
che questo frammento s era attribuito a Pacuvio
tr agulas ho scrtto per congettura : ne'codd.
aulas (in a. alias premesso a quassant; ci che
fa anche G. di aulas, e secondo il Keil anche F.
di aulas^ od ati l as che v' ^scritto di prima
mano). Il Ribbeck p. ai scrisse exbolas Aul as
quassantt come parole di Nevio. Probabilmente
NOTE Al LI BRI DI H. TERENZI O VARUOISE 5ae
Qon gli appartiene ohe il lolo txbolat^ al mo<fo
degli altri laoghi isMoiali. Cerio la tcrillufa del
cod. B. ch omette ulas^o pei* roeglio dire Io
aoiace ad exbolas (exbaulas cou Vo fopfa
fa eospelUre a ragione che au as non y' abbia
luogo. Como che e passo dt leiione incerta ;
e loltanlo da tenere per Tero che Ne?io us
xbolas o tcbolas per i acuta (forse pi vicino
o missilia^iccoodo il greco signi6oa
lo nec satis sar rare. Coti ne'oodici. In
Paolo ed in Festo leggesi : Sardare^ inteUigert.
Navi us : Quoti br uti ntc sati s sardare queuat.
Son due frammenti^ od uno? Si credettero due:
ma si dei r uno, come dell'altro, la lezione in
certissima. Il Turuebo vuol sarr ir e, che doman
derebbe poi obser ar e; il Vertranio r eser ar e;
lo Sealigero o^rire, on aperire^ aecondo il
ienso dato a setar e da Papit^ ptr conlrappoelo
di reserar e.
109 e 1 10. quatrt fuod reli quer im. Coak fu
emendato oell aldinei i codici hanno qumfumm
(b. qui quaedam) r eli quer i nt (QH. deli querint)
Quar e, eie. Credo che di qui tino al fine del
libro non sla che uo solo penodov interrotto da
nna lunga parentesi^e ripigliato poi da Quocirca^
quoniam^ etc. ^uis /rei. Nola qmi il M4 l
ler che non da far caso di trovarai a eo poco
intervallo tres e tr i s\ che. lo aleuo fecenc(be
Virgilio (Cf. Gel k XHl, ao, 11) neque ats
si i. Cosi corresse lo Spengel pel rttconlra tdd
segoente et ar i ea sit. Ne'codd. en in luogo
di ar s.
NOTE AL LIBRO Vili
g D A H T o
DEI SOPRAVVI SSUTI
I. lercrtil. Qiretta ocosUd d tempi, cone
bbiam ooUlo lire volte, d o o i rtrs io Varro
ne ; e per non fa bisofno di por qoi ierimt^ te-
ooodo che vorrebbe lo Soioppio
a. Dt tuiuice^iollBadi par ti s ; e roilmente
nella.Tersiooe poogati in par te dote ata
i n <fUgi0 Uhra di scr i mi num orae. )1 Mllcr
ad or ae ioalilu raiions Se io?eee di orme^
aeette iroTalo acfiUo fines ; avrebbecgli credalo
necesfario il eaof tarlo ? Certo non baala che un
modo tenga alquanto del odo?o, perch abbiasi
a'rigetlape ^uot et quo^etc. In G. qtmr negli
kri eur : ma per queste motasioni die?'esser sufr
ficiente qualunqne, anche lieve inditio. Il ^Jio
pi qui.oerto anbiguo, ae non fosse interpre*'
Ilio dal riaoontro ile' paragrifi 9 e ai ; n im
probabile ehe:debba leggerai i n quo\ come sta in
B. e nella vulgata. Della prima delle treeoae, che
qni dietingo, tratta dal par. 3 ai 9^ della seoonr
da ino al as ).da%queala al a5 getta i foniltmenii
di ci che appwrtiensi ^Ib terxa 9e cosi obiode il
proemio .delU seconda parte.deir opera, cio dei
tee Jbffi che regfinardano analogia ac ma^
gnai, l a 1$. ac permagnas.
3. 4/cMre. Coslotlimamente il Miiller ; e cos
volnlo 4 a1 senio e dal riaooolro' del segneate
d4di d0semas eA<^\\^discere del per.5 . Ne'codd.
di cer e : Xf 1 irT, eU, Cor in h\ ; ntgti altri,
loltontiK chelo omelie, legiatrL 11.Mailer scrisse
L egi che non mi par naturale. Il le-
gneote a io^p . dato dalla vulgata edaB. | e
sebbene omeiio di ' codtot,: par necesiarlo at
si^etc. Cos giustamente il Mkller : ne' eodd. Hi
M. Ta . Va i bo n b, d el l a l i ngua l at i h a.
i lego et legi. GHb. omettono l et, che tro
veremo parimente omesso pi altre volte in simili
easi. Cos ab. lo omettono, come domanderebbe
la corrispondenea, innan a Pr i amo, lu F.
Pr i ami ! ma Varrone il pi delle volle a seguire
immedialameote al nominativo il dativo,
4. a^nafio>iei, etc. In F. cognati ones ad
(ad pure in Cab. et in B.) gentilitates^ Lo
Spcngel sugger ac, e lo segui il Muller et si c
r eli qua, Cgai G. ( gli altri ef si t r eli quae,
5. et decli nati o * un' aggiunta congettarata
dallo Spengel, e introdotta dal Miiller. 11 menante
a' era gi addato di queata mancanxa in e vi
avea malamente aupplito acrivendo i mpositarum
et decli nator um quam paucissima. In GU.
perpauci ssi ma ad usum manca a G, : in
adversum di cerent. Cosi le editioni Venele :
in FGHb* dicer entur ; in a. discer entur ; nella
vulgata discerent. Lo Spengel s ' alleane alla vul
gata; il Muller alle Venete. Di cer entur suppor
rebbe omnia ed esset ; e II concetto 0' uscirebbe
pi pieno, secondoch Pho interpretato nella
veraione.
6. historia ; cio della cognitlonq del fatto-
decli nai us la leiione comune : in QUab. d&-
di n ai ; in.F. decli namus ^ conservorum no
mi ni s, Cos U Miillar, aecundo la congettura
dello Spengel : ne' codd. ojnax#od omnet, L ' A-
gostino propose nomina *- reli quos casus.
Scrivasi reli quos obiiquos, com' in tutti i testi
e a stampa ed a penna.
j .Qui si , Cos T aldina, e le succesiive : nei
codici e nelle pi vecchie editioni qui s illi.
34
531 E 53
Cosi pure aldina : oe^ coJJ. i la ^ unat k ona
oorrezione certa, introdolla qui dal MulUr. Cf.
X, a4 Ne'codd. una et; neJIe edizioni una.
L'antico modo d scriver V et fu cagione che fi
confondeste non rare tolte con e. ^
8. Qui d p. a, sed quid. Cos lo Scioppio, se
guito anche dal Muller : ne'codd. ambedue le
Tolte gi ; nella Tulgata ^no^.
9. Quor *, In Ha. quuf^; negli altri cuf- Cf.
Vi l i , a. Il cod, B. dopo cur aggiunge : eas voces
quae descendunt a recto^ caussa est cur. Lo
Spengel introdusse nel lesto questa ag(iunta^ e
per procacciarle un talquale It'game, tra le voci
recto e caussa inser casu decli nari nt, Ma al
totlo, come osserva il Muller, questa aggiunta
tcoropiglia il filo drl discorso, ed da avere per
uua falsa chiosa del decli nari nt. Bens anche i
buoni codici a cur soggiungono eas od eam
(Ga.) ; donde il Miillcr fece ea est (east)^ e Io
trasport dopo declinarint^ dov' necessario.
Da che potesse nascere questa trasposizione nei
codici, non facile a dire : ina certo la correzio
ne ha faccia di vero in quis^ e propriamente
in queis la letione Tui gata : ne'codd. in quas.
Lo Spengel propose inde quas^ che a ragione
non piacque al Mlier ; perch autore, -dice
egli, entra qui a mostrare ^110, i d est in quae
for mar um genera decli netur : ond' egli, il Ml-
ler, sostitu in quae, lo sto col Miiller nel riget
tare la propoete dello Spengel : ma quanto alla
ragione addotta, t all' emendazione sostituita,
OD d*altro avviso; perch, po.ton in quae^ap
pena veggo modo, per cui possa reggerei in fon-
mi s; e nel par. ai, dove si ricapitola questa ma
teria, dicesi apertamente decli nati o... in qua si t
for mUf ed il 700, osalo nella proposizione fatta
al par. a, modo incerto. N meno dubbia ri
mane la cosa, se guardasi alla malerta trattala in
questa divisione; perocch vi si comprendono
ambedue le cose, e quali parole ai declinino, e in
^oali forme si declinino. Che anai parteai pro
priamente dalle prima, si viene alla aeconda
eome a materia che non pud separarsene lego^
legis. Cos ne'codici. Lo Spengel (Emend, Far r .
p, ta) congettur ego^ legi ; sicch seguendo
legam^abbiasi n compiuto esempio di variatilo^
e per fehipi. Credo che a ragione il Mailer ab
bia lenoto legis, che aggiunge un esempio di
Tariaitone aeoondo persone; tanto pi che legi
Don il passato corrispondente al presente lego^
e al fntnro legam^Mccouo le dottrine di Varr
ne (IX, 96 e segg. X, 47, 48).
10. ibi, 11 Muller, innaiui qecita voce, ri
pete con lo Scioppio il si mplex : ma qaante el*
liasi pi dor non abbiamo altrove! --ser vi l i
opust, A quella aulica ibrma accenano i codici,
che hanno ierpi Uo post. Lo Scioppio scrisse so
lum opust ; lo Spengel ser vi l i opus est quo~
iusmodi una mia congettura, fondala nel ri
scontro della forma appresso et in his rebus quae
copulae sunt, etc.y e nel supposto che quoi us
modi siesi confuso con quorum (ch cos nei
codici), per essere scritto, secondo il solito, in
abbrevia ter a. Dicesi quoiusmodi, e non quae^
perch non restino escluse le altre frMe decli
nabili, quali sono i verbi. Il Verlranio scrisae
quarum ; lo Spengel quae (Emend. F ar r , p. 12);
il Moller quae verba * sunt t ^nomina i un
gunt. Cos il Muller: io F. iunguntur^ in GH.
coniunguntur colligar e la volgala : ne' co
dici colligere. Lo Spengel vorrebbe alligare^
come sta sopra : ma il caso alquanto diverso; e
qui certo sta meglio colligare^come ivi alli gar e
vel dicam^ etc. Lo Spengel propose ut dicam
etc, ful mentum. Cosi egregiamente il Mdller :
nt' cod.fulmeu tunc (in G . /iim/ Lo Spengel
propose ful ci mentum duce natura. Sottin
tendi factum est ; ellissi un po' dura, ma non
singolare. Il Mlier aggiunse institutum esty e
mut in ut il segoeote si . Lo Spengel* dopo r e
bus not con la vulgata multa desun t,m nelle
Emendazi oni Far roni mne p. i 3 non se ne mo
rir persuaso ; ne i codici -ne danno ioditio
decli nandum. In FHa, declinandas^ tn G, de
vli nandi s:\ \ Mttller eon la vulgata, deolinatus,
1 1. Quorum generum la lezione vulgata, a
coi s'attenne anche il Mollar : ne'codd. Quar um
generum. Lo Spengel (l, c.) propose Quar um
r erum. I codici hannd poi orimntur^ che forse
non neeessario molare Non ai sa quale
dei doe.) se P Accademico, o lo Stoico unam^
e cos poi alteram^ ha B. ; la volgala una ed al -
i er a ; i booi codici unum ed alterum^ ma poi
tenia cassus^come eausi a e smili. Cf. Vi l i ,
3>9( X, 63. Ne'codd. capus ; del qoale errore
not orgine lo Spengel nella Preftiiooe a i,
LXVl Ar i stotel es, etc. Foeteres, dice QoinlU
liano 1, 4* 1 quor um fuer unt Ar i stotel es at
que Theodectes, verba modo et nomina ei eon*-
vinctiones tr adi der unt [partes esse orefionis] ;
vi deli cet quod i n verbis vim sermomis^ m ho^
minibus mate fi am (quia alterum est q^sed -
quimur , alter um de quo loquimur}^ in convin
cti onibus autem complexum eorum esse imdi-
caver unt: quas coniunctiones a pler isque di ei
sci o; sed haec videtur ex ^% magis pr o
pr i a traslati o, Prisciaoo poi K, p. ^74
(cehe^ second i Dialeltioi, le parti <del>diaeoiM
aon due, nome e varbo ; perch queste mnte W
stano anche sole a formare un diicorao compfts*
lo ; e che le altre parli le chismavano aumam-
TtfW/tiatrf cio consignificani i, m
5S3
Al LI BRI DJ . TERENZI O VARRONIS 534
I. quaedam posteriora. Son qaelle che, #c-
eoodo PrisciMo^ lice?ami eonsi gnifieanti ; per-
tfc Hdodic ooo P4UieltTo un tallo, cio il
oggetto cosi determinato, eapreaio con due o
pi vocaboli, antiche con ano, per ci che la
Kogo non ha ?ocabolo proprio. Lo tteiso da
dire ritpello al ?erho aecoppalo all'avverbio,
ehe il suo additllivo. Dj ci apparisce che Var
rone fu diKgenle e fedele atllo sporre la dotlrina
d'Arialolele in questa materia. Quanto poi alle
migiaiuont che a delta di QaintiKano, avreb
bero forsialo secondo Ariatotele una tersa parte
del diacorao, dinenlicala qui da Varrone; U dif-
ierenta ala pi nelle parole che nella soalanxa :
perch Varrone dice solo che Ariatotele non le
riandar dava come vere parti del diaeorao, essen
done giuntare e non membra, necessarie solo
belle claasule rigirale e composte Haec se*
quitur^/C. Cf. V, 94.
il. CoiI pudt il Moller. Il quare aggiunto
i%el ripigliafe il filo dopo la parentesi, o per me
glio dire posto in luogo di A</ic, non cosa in-
folita. Cf. X, I ; VII, 109-1 IO.
14. Ter enti Fa. ; tn GH. Ter enti i de quo.
Cos^ sta na' codici; Il femminino, a cui aegue, es-
seadp weSs pi di leggieri pu ametlere queato
eanginieolo di genere. Similmente de R. R. J, 1
sul finM : Ci r cumci si s rebus^quae non arbi tr or
per tinere ad agr i cultur am ; e pi altre volte,
be n' ha pure, esempii di Cicerone, di Salustio e
d'altri ^,a b toto^eie* Cosi la vulgata ; i oodici
salleno da un ab tato alPaUro ab capite. FHa.;
in G. capite^e roti prima a tot4f ^ i d Or ten
sius^Cosi il MMer ; e |o not prima lo SpengcI : '
ne' codd. et i d Or teasi us (in GH. Hortensius^
eom' in tulli i codd. nel 1. X, c. ^8). Cos or ti
|ia G nel I. V, c. to3. Posto tulio alla bilancia,
parm da preferire Qoant' poi al-
l easere suu> Orletisio il primo che os cer vi x
ne( tingolaccr usandosi solo cerifices nel plurale ;
Vurrone il ripete anche nel 1. c. 70. Q.ninti-
llapp perYiioi/ Or, Vi l i , 3, 35), accennando la
stesa cosf la tempera con un videtur : cerio a
ragione, perci S0 fie citano esempli di Pacuvio
di Eaaio.
, j f i . qui dieunt^ sunt^etc, Coij il MUer, sot-
^nlenden<k> .discfimina^ per la corrispondenza
alla diviaioneantecedente (c. : Pr opter ipsi us
r ei discrimina^ etc. I codici hanno dicuntt^r^
pere errato : ma la sua terminazione nnita a
, ' potrebbe dare laiim, cpme scriase il Ver-
(ranio ;seiiQpch egli ritenne anche il sunt. Cosi
embbe loU# via u m dura eUisai; e ci che pi
ifn^rta, aerebbe reoata a verit espressione ;
poich If differepze de' casi non muovono certo
dalle difTcreiue di chi pede. Meno falso il qui
dicuntur : ma non so intendere perch s'avesse
a dir qui ; come se il nome, per li cui varit acci-
denti sono introdotti i casi, non poteste indicare
uua cosa qualsiasi : bench da altra parte chi scri>
vesse quae di cuntur con lo Scioppo e con B.,
allargherebbe troppo il concetto. Io m appiglie
rei adunque alla lezione : Pr opter eorum^ qui
dicunt^ utumy decli nati casus, etc. Scelgo qui
dicunt, perch a questi s riferisce il discorso in
ci che segue, uti i s qui de altero diceret^ di
stinguere posset, etc. Che se usum non dice
nulla di proprio e determinalo, ci non guasta ;
perch la delerroinatione aggiunge#i dopo S
iusdem. Cos nn'cqflici. Sottintendi casus, pi
gliandolo dal plurale antecedente. 11 Hiller go
itla.eiusdemmodi^e, unendolo* all' antecedente
si c alia, coutinu la clansnla fino a duxerunt.
Coti est ha troppo, e troppo poco la seguente;
dove il si ne controversia risguarda propriamen
te i Greci. 'I ra le quittioni grammaticali, che
Quiptiliano (1^4.3^) trattate dal maestro,
anche questa, si tne apud Gr aecos vi x quae
dam sexti casus, et apud nos quoque septi mi ;
nam, quum dico hasta percntsi^ non utor abla
ti vi natur a ; nec, si idem graece dicam, dati -
vi. (CL DiomeJ. p. 277 P.; Priscian. p. 673*74.
P.) Her culem. Tulli i buoni codici soggiun
gono: o quo vocetur, ut ab Her cul e; che
certo un'aggiunta di qualche saccente, il qual
non a' avvide che tra i cinque casi inconlraslati,
comuni ai Greci e ai Latini, ablativo non avea
luogo. Onde cbe questa aggiunta fu giustamente
omessa da B., dalla principe, e da pi altre edi
zioni.
17. proi nde ac cognomina. Cosi ne'codi
ci ; seponch GHa. sostituiscono ut ad ac. Il
Mailer pose proinde cognominata, cerio con
poco accorgimento; perch n'esce un modo in
forme, e che per giunta non dice nulla. Gli ad-
dietlivi sono giuslamenle assomigliali a'sopran
nomi, perch coniigni6cano il soggetto insieme
coi nomi. Vedi pi sopra la nota al par. la.
18. ab Romulo, etc. Ne'codd. a Romul o;
ma poi in H. ab Roma.
19. Latoni us la vulgata : in F. Latonus^
in H. Latonum^in G. Laton, in a. Latony a
facto. L ' a manca a'codici. Secondo il par. 178
del 1. V, dov' pur daU la medesima etimologia
di merces, si dovrebbe qui leggere a pariendo^
non a praedando. Ma se ne di forse praedar i
come origine prosaio^a, e non quodge
nus i am videtur n etc, 11 Koeler (Li t. Cr i t. i n
F'arr.) a f. 16 giudic erralo questo luogo per
qoe certa asprezza, di cui gli parve tenere ; e
propose la motatione : sed hactenus iam sai i s
9i detur. Soggiooie per che il Mnsq poteva es
535
N O T E S36
sere, senza mutar oulla : Ma in generale n' ho
gi par lato abbastanza. chiaro che o fa
bisogno di cangiamenti, t che il senso a ^uel
modo rasentato, ma non colto in pieno.
ao. futurum F. ; gli altri et futur ur h ad
quem omesso da' codid ; ma necessario.
ai. duobus. Ne' codd. duabus^t poi declina-
tionibus. Cf. Vili, a, 9. L'emendatione opera
del Mailer J or ma, Ne* codd. fama ; errore
toUo gi dallo Scioppio Fl untar i um, et.
Vedi IX, 34 ; X, i 5 tqUe Ar temam. Cos in
GB.; io Fa. Ar temi dor um, 11 Mlller introdusse
Tona e V alira forma a questo modo : atqae A r
temidorum^ si vt Ar temam; perch e Ar t-
masy eh era accorciamento usitato di Ar temi
dorus^ come Zenas di Zenodorus^ Mens di
MenodoruSs Apol l oi di Apollodorus^ Epaphr as
di Epaphr odi tus e simili; potea qni essere en
trato a oaso^ n Artemidorus^ che chiamalo
dair appresso paragrafo, secondo srriyono I codi
ai, poteta essere omesso, lo mi sono appigliato
al solo Artemam^ giudicahd piuttosto un arbi
trio de' menanti l*aer sostitito Ar temi dor i ad
Ar temae nel seguente paragrafo; perch, Se if
nome psiu al tervo fosse Artemidorus^ non so
come si potesse dire declinato^ cio strto dal
nom^ del padrone che il medesimo I ona
H. ; in Fa. lonam ; in G. lonem. Cf. Diana e
Theona Vil i, 4 * ; 4^
aa. Ar temae. Ne codd. Ar temi dor i , Veggari
la nota anteiedente loni s Ka, ; Gfl. I oni,
et ut. Cosi ne* cdici ; e cos ritenne an
che il Mfllltr, quantunque Pordine domandefeb^
be pi propriameole ut e/, come propone l
Spengei infra. Vedi X, i 5- i 6 ^ Aiii/Hi/i-
tudinem ha la vulgata, e forse a.$ FGH. si mi i i
tudinem.
4 expedi er o. Cos scrisse il Mfiller: oe^codd.
exper i er o ; tenonch B. ha expetiero^ e Ago
stino not in margine, come lesione d* un codice,
expedier int. Questa lezione fu acclta dal Ver^
trauio, e mutata in expedi er i m dallo Scioppio ;
lo Scaligero area proposto ex pri ori bus. Nluna
di queste lezioni pu contentare ; e il conlesto
par che domandi : De quihus guom expeditus
er o si nguli s li bri s ; tum etc. ; alla qnale emen-
flazione mi sono attenuto nel tradurre tnipit-
Pnus, Cosi ffo Scioppio; in FGa. incipimus ; io
H. incipiamus.
a5. secuntur Ga.; gli altri squuntur*-^ quae
est^<tte. Ho chiuso fra parentesi qOefeti esempii
d* analogia, perch in pr ius contr a etc, mi par
ripigliato il ftio del discors precedebte, d o b co-
roiftciato un Tiuofo; e le parole natur a stt^
mnis incipimm^eoo cih si suol rhludera itile-
r periodo, mfpare che diebban ilare da l;
forraaodo il trapano al primo argomeoto, con cui
s'entra a combaUere analogia * din tam
FGa.> in H; dei nde tum, tionit nel cap; 4^ M
lib. VI.
a6k obscurus et longus diede aldia | iaF*
obscurum et l ongi ; gli aliri saltano de un hrtvi
a l l ' a l t r o II/el uoa cortgettra dell Spen
gel, accolta anche dal MtAler : ne'eodd. r, che
Aido muid io ut, JEf per eta^fu osalo da Ver-
rose acche altrove (V, ib 6 j VII, Sa^ ;) Bec
col i geoitTo nat<g^dalla fohaa e^icai amfrM>
#9, ee. Cierooe ne usa Hpi Ml d Tolt
quod aeque^suht la lezione tiilgala : i^eodiei
ripetotao de volte smnt a qisestai mo^do 1 #snil
qktod aequ surtt, '
37. do' ottima ooirgettara 4el Mil
ler; il qoale inoltre eoo una roigliore puotegfU
tura diede luca a questo periodo. Ne' etMlU. qtod
ius (H. , F. >, 11Koelr ai^ea proposto eoo
pco senno fSco<f sii o \& Spitgel,
quor^si ; Agostino,* il Vetlraltio, lo Solo|iplo
lo Scaligero, quom seoz* altri'ag|:ittta:
a8. ut quaecumffue. Csl G^ii i gli allfi
quaecumque ^ i n hi s vto*/ Qta ttti* cngttu-
ra ! ne coddk in 4o no[ H WOMr;
do la proposta dello Spendi,* rut il in ne
cese, cht tion fa al proposito; perch gli tsem*
pii che seguono, parlano^ d' uso, bOn di idotere.
N so perch siesi redot e^fobeo il co^itrollo
Accedi t ut quaecumqucy ere, M Aii nos ufili^
tatem quaerere, Sidiilissimo 4 qeMi Livio, V,
i5 : Si c li bri s fatali bus tr adi i unt St^tqoan-
d aqua Al bana mbundasSety tum si n Ro
manus emisisset, vitriam de Ft enti bu^ duri ;
e pi duro assai quello il' Ufpla)> (Otg. KXXV^
a, 6a) : Boc secundum luli anaS ait^ ttr si duo
r ei sti pulandi fiteririt^ in ea re di i i di i nter eo$
deber obligationem^ etc. ^tunicae Muli ebr i ,
Cos i codici, senodcb scrivono uniC. 1! Cu*
pero, seguito fbtse a ra gioire dillo Sphgt e dal
MillleTi propose muli ebr i s atiacttlo a stla.
Crto nel seguente lb>o; doVe rb^llI qneMo
argomento (c, 148), sta sci'ilto dsi i Qttr ut hi
si fni li tudines SeqUePhur^ ut \firiUs' tunica i i t
vi r i li similisy item toga togae^ si c mliir^um
stola ut si t stola propor ti one t paUtur k^al
Ho simile.^tc. Il cpistfc che mut rtini^e In
tunica^ dovea pur mutare htuli ebri r io mmlit^
briy credendotelo Unito.
quod non ibidemut^ etc. la lztotte def
coilici, senonch GHa. hano ^idamus, L' Agd^
slino congettur qui d? In lugo di tfud; l
Spengei quod qum ; Il BIftNei qu^. M ioti
(efluio a'codici^ prcb tto di qdp^
quamtfi sht h pehi esempii t^stratl' e ric^
ei^oi ad * od'g|iutt
537
Al LlBKl DI M. 110 VARBONE 938
t del MftlUr. 11 Ver(rtDo e lo Sdoppio foritaero
vffirrC/ ; lo Scaligero pr i styi i i ^uod ta*
men^ eie. Coti i codici; n mi par oeceeMrio
rallonlBoartene ; perch basta toitinteoJerfi an^
eh il wmplice funi , 11 Uiiilcr onite U
se^uimttr. Cuti aaohe il Mikllcr: D'ooild. se^
fuamur.
3o, usu I tolgata : oe' codd. ^
usuty donde lo Speogel eoogettor <fuo9 usus
causa (Emend. Far r , p, io), u A nie^ dice il
MAller, aeiubra eiifficicnto il oolare, che usa f i
Ita per usui, w
3 r. qua netesscu u' eroeodaiione ooo li
sa di chi, notala dall* Agoslioot e richieila anche
dal sed itam ui^che segue. Ne' oodd. fuod
ar ti fi et. Dopo questa Yoce io FH. lasciala uni
pieco4a lacuna ; onde. Ira pei questo e per la for
ma aMungeta del perodo, lo SpengtI'sospett
qualcKe manoaota. M ad ogni modo il perido,
eonie oeta il Mfiller^ procede giusto: solo da
aTfcrtire chis il sed ia qui ufficio, come tante
vitre folle. i rtasiumere il discorso^ e s*eccosta
al senso di inquam^ o i gi tu r ^ nisi ieilum la
vulKats, e cesto vera lettone: iie'eodd. sihtiluiH
^ discessum est, ^e'co<l<l. discessum et,
3a pUunt. Cos ottimamenie il IMtller t net
eodd. pollent. V emendMone medesima era giA
stata proposta dai Koeler (Li t. Cr i i , in Far r .
p. 17), pigliando per poli r e nel senso ordinario
di ornare, non in qaello d' i ntonacar ti come la
il MilUer. si esset. Me codd. si essent nec
cairn, etc, in H. ntc tum non item. Cosi nei
codici, e risponde btnissimo 1 precedente neo
cmm. 1.0 Speogel forrehbe mutato il non is
nune ; il filltller lo omette. Ma parmi che ambe
due abbieno franteso il senso di questo luogo,
legando fricZ/nimii con gradum^ ainich cou
lectum Vcl Xyof, Cosi parte anche al Mlier
di do^rer qui scrvere, nsandofisi questo modo io
sigiiiilcato atterbiale: ne* codd. analogon for^
ma uMta anche da Piatone ; e forse, dice il Mttl
ler, da rimeltere in molti luoghi di autoH
greci, ddfe fu Iterat.
33. seijfuamur F. | in a. sequimur^ in Q. e
perqwiold pare anche in H. sequemur ^fi n^
xtr i t. Cos il Maikr col Verirartio e con lo Sciop-
pio i ne oodd. j i nxetunt (in a. fiscerunt) ; che
non fii al luogo, p e r c h - n o n qui tutti^
me un solo qualsi asi
S4 i d ss mi parte pi giusto e pi ticino
i r i d est (F.) o idem i6Ha.) de* oodiei, che non
il*ita esso |Msto qui dal MOller^i^iiW/i^ii#.
Coll'Io Speogel, e con esso ilMtller: de*co.
hi s si mi libus ^o t a si mi libus la vulgata i i
codfdi omettono a conim Cosi l i tnlgeta)
i codici contrari a ^ Par i di , Ne'codd. Par k
35i in^oytxuf. Cosi U prncl{^, e le iltrir
antiche, seguite dallo Spengel e dal Itf iillr : nel
codd. analogias ^ * quod non a si milibuS fi n
guni ur *, Ho aggiunto questo iuoiso, che mi par
Tolui dal contesto) e che per I* ripeililone del
fi ngantur potea facilmenie' euere omesso. C^sl
posto, come ho fatlb, il punto maggiore dopo
eadem, tutto proeede chiaro e ben connesso. 11
MuUer aggiunse del suo ia do luoghi, e con
tutto ci non ottnne Itn andar giusto e sponta*
nro Eo eti am magis^scrisse egli, ttkityiaL^*
non solum a si mili bus * dissimi lia finguntur^
sed eti am ab isdem vfcabuli s di ssi mi li a ; ne-
que a dissimUibus simi lia\ se4 ^iiam ^adem ab
dissimi libus * ooeahulis fi hgi appar at> ah
iiidem^ Ne'cudd. A&fdeivi ambedu le lolte
ab al tem Alhenses* Vedi il Trammenlo 1 def
I. IX, * 33i Athenaei s, Coei il Mlier, se
condo la lezione de' eodici, che Athenai i s io
P., thna i i s in a., Athenaus in GH. 9 U tol
gala, introdotta dal Pio, ere Atheni enses, La
fbrm Athenaeis^ cio ^A3 trwa$if, dal singolare
*A&nirats (Cf. Pal anti ei s V, 53), 000 ha altre
teltlmonianle che questa, inserra eonr'^ di Ver*
rene. Stefano Biiantin, comech distingua fino
a oVyAleni diverse^ non d altri oom di citta
dini he *A>>iryerof ed
36. Si c. In G. sed L ua Lam, et ab luo
luam una congettura del Miillert ne'codd. lu
(in GHs. lui ) et n (in H. ah) solvendo ablao io
G. absoho) abluam (in G. absolvmji Che la
ssiabta del concetto doVesse stare in cic che la
medesima toce luam tento pu essere accusa^ito
di Lua^ nme d' una dea, quanto una forma di
terboTnd tbe tale sciogliere^ l'atea gi tedulo
e notato ancie Io Spengel ; ed Al. T. Saerdsieo
(Fi ndi c, prac, Bntl, p. 2) atea proposto la
corretione : L ua Luam^ et a solvendi verbo luo
luam. Ma prte al Miiller che le parole ab sol
vendo non potessero essere che uni chiosa di ab
l uo; di che pore Indizio la tarlante dei codfse
G. ; e che per fossero in tutto da escludere*
L ua Satur ni nominata in capo in un'antica
^egbiera alkgsta da Gellio Xlllvaa, % nomi
na viriHa, N* cndii omnia liberali a. Il ^Hnro
errore fu corretto dallo Spetrgelf i^s<^eondo Beo
dsllo Scaligero ^ eum dai^ eadtm : * dissi^
miii^ett. Cesi il Mailer/ ne* codd. eum dant
ftitm ddndi ha la prineipe) di ssi mi li a ( ;
similia^. Se atesse t>atato il dire siMiUts imhio**
go di eaem^ P aggiunta era'ottia ed offerta dal
ondici: melicontesto/come oei^i il Mttller,
tuoi propriamente eadom ^ Tor onti ei FGa.,
come poi FG. ; gli eltr Ter enti i o
Ter enti i s ^ hui us Plauti et Mar ci . Ne fodd.
ut hui us Fl uti ot Mfi r ci P l auti (eiaiioa d a.f
S3^
N O T E 5 4 0
B. et huitts Plauli i ) ; nelia f olgaU tt communia
hui us Pl auti et hui ui Plauti i . Il Mutler, secou-
deh parm, ti Itluog qui troppo lai nalorale
per amor di dottriaa tcrt?endo ei commune
L uci Pl auti et Mar ci Plauti^ e intendendo
nel primo il retore L. Plauiio, o fors' anche il
poeta ricordalo da Gellio (III, S, i o) , nell'altro
il' comico Plauto. Ma il costruii^ aicsto rieaoe
duro; n par ragione di acendere al particnUre:
aetitacfi non Marco;, ma Titn^ fa probabilmente
il prenome del comico Piatito. Forae era acritto :
9t commune hui us Plauti . Ut hui us Plauti et
Mar ci ; polendo anche qoeito etiere il genitivo
tanto di iiarettf, quanto \ Mar cius^ per uao
di non raddoppiare i* 1. Similmente aul fine del
c t6s L IX: Ut 09$ t a^i s; cio Quel che ho
detto di oyif^ da dir% ^nche i/i avia.
Z), est similitudo. Coti giustameatQ U. -
gata : ne* codd. et si mi l i tudo, .
28. aut in mlixfua. Coli B. la vulgal* s i mi*
gliori codici aggiungono esse parum^ focae per
Boa certa confuaiofie nata con incso. aegueDte
in ali ^ua esse par um est ef in Ofnnilw^,
Forse at in omnibus ; o et ne aoa|iie le veci
ut album esse^ etc. Nuliii aingolarit di co
struito. Lo Scioppio, sostiiui ut ulbus si t Ae
thiops. lo F. quod hohet ; in OUk, quod hajbeat.
pare erralo> in.luogo ^'l Aethi opa.
lo .G. Aethi opem,
$9, si mi le tum ha g^ustumeute la togata :
na* codd. si mi l i laetum (in G. letu(n) po>o
lo SpengeU ne* codd. si t cassu e;pui cassum
h F. ; gli altri ^ e casum (Cf. VIU, 11)
mt quam analogiam^ etc. uua mia congettura :
ne'jCodd. quom^q cum io luogo di quam^Il Ver-
Iranio e lo Scioppio, seguiti dallo Spengcl e daj
Miiller, aggiungono invece non innanzi a de
beamus.
40 confi cta GUa. ; io F. estficta^. come ha
U valgala an quod ea. Cosi hanno giustamen>
t ei codici; e cosi ripiise il Miiller in luogo della
vulgat* ,an quod eam quod i l l i e la legione
oofflune :.in GHa. quod ilie.; in F. quod illae.
41 Di ona et Theona F. ; negli allri dtona
al atheqna. Gf. IX, e il Lob^ck nelle noie a
Frinico a 58 alkus^ L* Agoslioo, e con lui
lo Spengel, vorrebbe qui Ga/,,come ala in
luogo di albu^ nel sopraccitato piMagfafo del
L Ma.parmi che a ragione il Miiller creda pi
prcito erralo, il corrispondeote luogo del 1. IX
ehe qato i tanto naUirale il eontc^poslo di
<i/4/.ad Aethi ops (Cf. luven^U, , Ad al ^r
Aethi ops in F. premcMo. et ; qon per negli
allri dissimiles* Ne'codd. di ssimi le quin ;
cio qUod non ^ Perpitnna^ o Per per na ^CC
81 ; IJC, 4 r X* ^7) poco noul is oh. ambedaci
trovami in molle itcrixiooi. Alphena poi qvi
un po' guasto ne'cod<i ma accertalo abbastan^
la dal contesto, e dal paaso corrispoudente del
IX libro.
4 spectarim Cosi il Vittorio e Agolino,
seguiti dal Vertraoio, dallo .Scioppio, dallo Speo
gel, dal Muller : ne*'codd. expectari^ forje ret
tamente * ex eorum praecepto. Intanili d'Ari-
atarco e 4e' suoi seguaci (IX, 4^) quom transie
rit. Sottintendi v e r b u m num discrepent. Cosi
correase 1' A goal ino : ne' codd. nunc di scr epat.
44* illam^ qua di vi di tur oratio^ secandOi
etc. una mia congettura : ne'codd i am qua
(in U. quur) di vi di tur . Or ati o secanda (in G.
secunda ; in a. fecunda) ut naturam^ etc. Nella
vulgat fn soatiluilo natur a ; e cosi jcnisaero anr
cbe lo Spengcl e il Muller >in illam. Ne' codd.
in iam^toltone a. che d in eam^coma acriase il
Stiller. Lo Spengel a*attenne aMa. volgala, che
scrive 0/iam, e prema (le poi alteram^ tertiam^
quartam^secondo il loro ordine, alle varie parli
Hos vocant^etc. non da iniendere come ae
la corrispondenta abbia a stare nelle singole par
li ; poich ben vero che le appellative aoo
quelle che hanno casi, e le Jposilive quelle che
lunoo tempi: ma taolo le copulaiiv4;, quaiilo le
coadiuvanti, sono compresa iu quelle che noa
hanno 0' caai ne' tempi ; e il quarto genere, cio
quelle che hanno insieme e casi e teo^pi, non
tiene una parte distinta nella seconda divisione
-> adminiculandi^ iungendi. Nella sposi^ione
1' ordine rivoltalo : ma ci poco imporla ut
et et * que. Cos il Muller : iie' cod<f. ut que (in
a. quae) ; nella vulgata ed in B. ut atque. L uai-
formit domanda anche qui doe eaenpii*
45. qui s, fiMiCt Cos l ' Agostino ; e la cooget-
tura sembra confermata da a.:.negli altri qui s
que vocabula omesso da FGH., ma necea-
sario. Cf. 5a; X, 20. Delle varie dislipiioni tfn
appellatio o nominatu.s^e vocabulum e nomen^
veggasi Quiniiliano 1, 4, i ^a o; e Diomede pt3o6
P. gladium. Cos la vulgata: oe'eodd.,i<
gladium fi ni tum F. ; negli allri errooiMimeBte
ut fi ni tum.l a G. per IVni appuntalo.
46. quoud ha la vulgata; i codici qufifi
haec. hofi Cos il Miiller codici, oncltOQO
V haCy senonch a. pare cbe abbia prima io
luogo di hi communi F., communis a., com
mune GH. Il Miiller prefer commune; aggiou-
gcndo che il aoggello vocabulum% 060 Casus.
SI certameote : ma il caogiameoto di coslruUo
oon probabile ut lovi s. Forse iif oois^nota
lo Spenfel: ma il Miiller crede che Varrone poaaa
avere avuto rispetto airaolioo uso di Booio e
d altri ; quaotonqiie dicasi pi sotto che l 09e
D09 ba pomioalifo suo proprio (c. ,49)
54
Al LIBRI DI M. TEREflZlO VARRONE
54
47. Jiscrttit. Goti emeiHlarono f Agsllno e
i! fcrtratiio : oe codd. dtcretis,
48. blheae * m i ne ' sodi ci ; idi fd aggtan
10 dallo Speogel, perch tototo da ci che
legue. Gf. IX, ; X, 54 halnetim, Gf. JX, 66
hahet multitudinis^ iotendi par, parem for
mam o alcon che di simile. Bfolle altre tolle
queaio multitudinis adoperalo coi), corae
nome iodeclidabile, per dna di qoeile eIKtii chb
DO frequeoli nel linguaggio famigliare t oeMer-
miaali dottrinali, cio in lolli quei modi che pel
loro frrquedie oto amano e permettono la bre-
til. Qui isolo F. ha multitudinem, Gf. Vil i,
60, 66; IX, 65, 87 ; X, 57, 5^ debuerint Ga. ;
gli altri
49. luppiter G, ; gli altri lupiter Maspi
ter. Coli hanno i codici in qoeslo luogo, come
anche nel par. 76 del I. IX; bench *pi iropra
(Vili, 33) t i ilia gcrilio Marspitrem:, L'affioil
ddia R (ron U S, e la facilil con coi ai icambia-
no insieme, rendono probabile omtisknc della
R anche in questo nom^, come io susum^ rusus,
prosa e limili.
60. in aia quadripartita. Cosi ne'codici :
11 flittller, egucndo lo Scioppio, omise in, lo
la credo forma ellittica, che dotrebbe essere m-
tera : 19unc pideamus [a/t sit analogia'^ in illa
quadripartita \distribtione\ Cosi nel par. 3 1
del I; IX: J n non ^ides^ t Graeei habeant
tam quadripartitam, cio parimente quelle
quattro specie in infeineiteis. Ho consertalo
col Miiller qeste traccia di aulica acriltari, come
ai raccolgono da' codici, che hanno in iufer in eS
ieis (Fa.), ovtero in rofei mei tris (G.), o in in
feimiteis (H.). Il primo che indorino ta giusta
letione, fu lo Spengcl (Prefaz, ai Framm. di
Cec. Stazio) : U Tolgala ra in his tribus, 1 co^
dici premettooo 1//, che a ragione fa omesso dal
Idallcr, perch questi lono delti articuli infiniti
atnz il temperamento deH* ut (e. 45), che ad
ogni modo aarebbe fuori di luogo qua^ quam,^
quaius, Gos not in margine Agoilino i nei
codd. quae quam^ir^ a quis qui. Gos il -
ler: ne^codd. a quivis {\n G. quoius^ in
ius) qui (in F. cuij quae sunt. Cos lo Speii-
fl, legnilo dal Mailer: ne* codd. quae sit ; don
de lo Scioppio quae sint qua est un emen-
fiaMtfoe ddllo Sdoppio: I codici hanno quae est
ques ques. Cosi ho credulo di scrifere, non
quos ques^ com' ne' codici, e icriteti comune-
nenie'; perch al singolare quem risponderebbe
regolarmente il plurale ques, come ad hominem
homines. Il ood. B. e la principe l danno effet
Irtamente quis^ cio queis o ques quod nunc
dicitur. Aggiunge niinc, perch, come nolo, gli
antichi dissero nel plorale ques io loogo di qui.
5 i. s ei la tnigata : io Fba.^ his^ in H. i h
: iis viris paYimenle la tolgala : ne^codd. his
t>/m et, in TOH. es; in a. est is ea , , ,
eius eaius. Gos il Mtiller con la tolgala : ne' co
dici a id . . . eius eaius '(io F. ea ius, in H.' ea
vis). Lo Spengcl ti pse is a id : ma del neutro
parlasi dopo in virili sicut in muliebri, l'iota
giustamente lo Spengel che conterrebb ritollar
forditof, e dire in muliebri sicut in virili. Foi^
se ut ^ in viriiit sic et in muliebri ^ sphosib^
ra la tnlgala : in FGH. sponsiora^ Ib a. spn-
sorta indiligentius scrisse \o Scitfppi codd.
indulgentius.
5 a. De nominatibus una corretione dell6
Spengel, appro?ala dal Alller (Gf. 45) t ne* codd.
De nominativis. In H. segoc^ur; negli altri
quae ad infihitam, Gos emend Agostino,
ripres a torl datl Spengel, come nota il
ler : n codd. ad finitam (Gf. 80).
53. t>oco&/e. Ne codd. vocabulum^ manift-
sto errore rorrelto gi nella tolgala Tiburw
Tiburs; et, We codd. Tibura Tibur^ sed
servari a. ; gli allri servare,
54. Borile, scrtr Carisio I, p. 81. P., vetat
dici Varr ad Ciceronem libro octavo^ et ipse
semper bubiie (cos nell'cdixione ^el Keil) dh-
cit: sed Cato de abrogandis tegbus bovile
dixit ^oi^e oviatium^ neque ut ab* k un ag
giunta falla egregiem'ente dal Mller, come d^
maudata il contesto. Quanto facilmente ti poteaae
errare l ocdiio del copista, cosa manifesta d
s. Gl* interpoUtori s erano accorti del vtoy f
PaTeano rotznmente riempiuto soggingendo ad
avile^ non est^ neque ab ove oviarium ^ sedi^
culum. Bench Varrone non riconosca qoeslo
vocabolo, pure in Paolo Irotiam registrato : S^
dfculum, sedile,
55. ha la vulgata ; i codd. anal^
gion, Gf. 35 dove per i codiei danno analo
gias, Qui pir vicino aarebbe come od
par. 3i ab uno F. ; gli altri ab unus a tri
Auj. In H. ab tribus ~quatrini, Gos la tolga
la : ne' codd. quadrini.
56. ut * Parmensesi Albenses^ * sic * Ao
menses *, 1 codici hanno solo Parm^ises, Un
anonimo, allegato dall Agostino, ave gi vedol
il diielto, e proposto Romenses et Albenses^ ut
Parmenses, Pooo diversamente il MAller scris
se : ut Parmensesy Albenses^ Romenses, Io non
mi aono attenuto queste emendszioni i" per-
tAt Albenses in fatto il nome de cit Udini
d*Alba Fuceiia (c. 35^; a." pereh a itabilire
una norma d*analgia conveoienltcheaTechinn
almeno due casi simili^ come pi aoito Holmni e
Romani i Z,"* perch acni il sic il discorso rietoa
confuso; 4* b medeaim forma t al
648 W E
544
pi folto \nut J9mQni^ siq Pa^nani
e$t similis, Forf St simile perob^ U coo-
froatQ pon cdr eulU citU, mi palU p r o l a
u t *, l codici omi^tiooo V v i i g unto /locht qui
dl Adller fUus^ i codici sof^iungupo.M/^u;
9 ^. ducuntur mi p i r e ? pi opporluoo che il
di ountur de' codi ci , pplcb queato modo nop
eiempii certi, ip Vjrcooe, rimetlatt
j^ppdici yerbis ggiiiiigono che one
^hvoM del dicuntur et ab Iji ffobedue i pigimi
w i F. orpette Ter, che per, ijo. GHm ^tt ab
cmntandQ^ ^tc, U Popma iplrod^o^qQi Ja parti
celi oegativa; e a tero dire della pantaior
QOQ cpootcMo ompii che d'et^ pi iarda.
Pur questo oca l areb^ fondameuto bastaote per
mptane la lesiooe de' codici, fe pon agglMiigef
te U ^oovenii^sa che il copirooto facciali qelU
i;ooiugaiooe medefima, e iodi^do fJel periodo
noovalo eoo Tef cum dicatur, picch, quaoiuo-
que il MAller riprenda di ci asprameote il Pop-
nia; io inclioerei ascrivere poco diversameiM^
da lui : cum similiter dicatur^ -ut ah gt^ando
amator^ ab salutando salu4ator^ non * est (in
luogo di etj ab cantando cantator ^ lassus
sum. Quello pupi^llo di ferendo e.metendv pare
ftrano, perch iqtolito j ma In jofoigiianxa
negl' ii6oiti noo larebbe alata coai aperta, come
oe gerundii quo non fit. Coti oe' codici :
me oon credo ohe di queato luogo e d" uo altro
iocertiaaimo (V, io) poaaa farti fondamento per
ittabilire Tuao di guanti aeaao d ifuod, lo diiai
0i Della nota al aopracciuto luego del K V.vche
^uo potrebbe aocbe jpiegarai per in jquo voca-
buia: ma aia pur questa uoa aoltiglietu poco
probabile ; domando lolo qukl capitale abbia a
farai della focitlura de' codici in due vocaboli
cos vicini e cosi spesso confusi l uno con altro
^^feror G,, gli altri omettono Pel.
58 ^uo^oeaniur. Co^< i codici ; la vulgata
hmquae vocaMur seca secar Ir'a. ; Sffco se-
ftforH.; ^^uo senfuor G. Qni.domandasi un
verbo ehe abbia le due voei, attiva e passiva -^
ut amans ha giiiitamente la valgala;, icodd.-tf/
amahs ab amor una corresine dell* Ago-
ftiho : n%eodd {non si ia di a.) ambor ** oer^
his un'altra corretiooe fkita dall'Agoafino :
oe'eoddi eerbi (inrGh vei^bumj esi ammtu
la leiione eomone t oe' codd. erralamenie am
tur u^
59. ifwod * cum. Ne' codd. emm. Con queata
ggianta, e col molare la punteggiatura, ed emi-
itffa In ea minus^ spero d aTar Meeondalo qua
alo perodo, di coi seriaae il MAllcr : Vix mihi
pereoadeo boc loco omoia aana esse, n La aua le
siooe s praesertim cum tantus numerus ooea
uUrmm in eo genere interierit ( ?u t f i o F.
ni0rtri^iiy |o G^ inierorieril^ io H. introie
rit quod dicimus in his 9erbi$^ oon^ror
ria non habeni^ loquor et venor.: iamen dici
mus loqoeoi t veoane, locutaros et^eataraa,
quod secundum analogias non >est : quoniam
dieimus loquor venor, Und iUa( \oodd. qoi
aggiungono erant) superiora minus { ne'eodd.
eminus) servantur^ quod { i oodd. aggiuogono
cum ) j^x his quat contraria ver ha non habent
et, * Quid^ cum una oongettor notate, io
margiue dairAgoftino. QuH quod ipiosita^
to:.ma non da rigettarsi neanche altra lorma
habent 9 in 6.; negli ^tri eodd, habentur,
60,. seditantes. Non seditot m sessito^ h il
frequentativo di sedeo (sessum) foluto dall'-
oalogia ; e queato trovasi osalo aocbe d Cice
rone.
61, dicantur, Iq F. dicuntur * aeditu
mus etc^ Tutte queste parole compreae fra OQ
tuendo e Taltro mancano a' codici : aooo agginor
le in B. e nell' aldina^ lenoncb questa pone iu-
veee il non innanii a potius, ambedue poi aori<-
Yono aedituus e atrituus. Olla atritumus^ pro
priamente atrutumus (,0. a turtumus) hanno i
codici ; ond' era da acrivere atoMlmenle aeditu^
mus (Cf. VII, la) come fece il Mller-*-ca/iiiiJt>
dis G. ; gti altri capiendis ambedue le volte -
piscipem. Cosi i codici; la vulgata piseicupem
con formt intera. Cf. stipendium da stipiden^
dium^ arcubiae du arcicubiMo, limitrophus da
limititrophus ec.
li), aerilavinas. Ne' oodd. aerelavinas ^ ut
'ubi. Coti ho aicritto per congettura ; ne' oodd. et
ubi ^ *aerifodinas : ubi fodiatur.* Ho aggiav
40 qqeate tre parole, che mi parvero neeeaaarie
alla proporiiooe de eoqlrapposti: Quanto faeiU
merite potettero afuggir occhio, io dicon da a.
E pero vero che la voce aerifodina non e acce^>
.tata: ma tuttavia probabilitsima, ed io.B.
nella vulgata al 0. 7 dei L. V. lignicidas nom
dici, l o G. non lignicidas dicL
63. ^cem qqa mia congettura : ne* eodd.
dicant; nella vulgata dicunt; il Niiller discant
Carlo il discant ( Aristarchi; giacch Varron#
iraUa qui la cauta de' CraUrii) ha pi di colore ;
ma qui necessario ua ferbo ed una forma, de
cui potaa.ricavarsi mentalmeple il quaeram che
aollinteso nel capitoletto aegnente : ^Secumd^
qtd Crates eie. Al quale nffido il dicam ter
ve cos beoe, che pu bastare anche per t ^f i or
minatur. Cos lo Spenge! ( Cfi 5a) : ne' codd. no^
minativos cus#. Cf. Prisolano V. p. 673j P
64 Crates. Ne' codd. grateSt e eosl poi gra^
teti ( in a. gratteSi^ in G. graeci) ^ idem. Cos
i codd. Intendi iidem nostra nomina, cio i
latini greciiaati Al oootrario rantecedeole mastra
545 Al LIBRI DI . TbREMZIO VARRONL 5<6
ra^gaftrdti i Groi, stendo perole delle dagli
Aritletch dicunt. Ne* codJ. dUaL
f m/r Mhi a; i codd. exie/il (F. essft)
in -r* alauda alaudas iuaa congcUun dello
Scaligero^ che di pi vi prencille ab : U pccoUero
nebe lo Speogel e il HuUer, perch non Iroyosti
di meglicw Ne'oodd. a lacco (io G. lacQy in H.
lactos io alawus {kk O. lacuft a.
laucus), Cht^aiaida ei tqco ce io alUr
IBDO Pliuio e Mroello Empirico. Chi volesse^
pigli pure aaudas peV geoilbo tingitlere *-r Sn^
^uod Jcribunt^ Cosi*corrette tt PofMM. Ne'codd
U prini:* Si unito ni precedente aiia (falvoch
in dav' ali^r poi leggete in scribtnt.
nolo che le lingue temilicUe non decliiuo per
etti ^ faciunt, i codici : JUiiUcr totiilui
faciant.
66. hacvii.etc^ In iibedue i lunghi GBa.
htnao Uac Jtem (foliiulendi n,t^anl tsst ana
logiam) ^uody tic. hQCgtnui. Interni i 90ca
hula hoc gnus ; onde li regge ^o e il dicuntur
de codici, tenzii che vi lia biiugno di moltrlo in
duatur^ fioist fece il MulJer.
6y, genti m^nSy d^n$, .Variano i codici iiel>
ordine ^ gu^m, Coi il Mullvr ; in G. quo
rum ; negJi *llri cum I omeiso la prima i;
la tertt fcrilt da luili i qodk; anche la seconda
da da P Q. mulnto iin. id ft, tirano ci
ohe 4|ui integn 1*anlorr, che il unitivo plurale
di dens d^ntum* Ww dcjla l ezi^q uun h\
po dubitare.
68. V AgptltfiO;; neVc^)dd.
#iiri4f , te a^ienU pi eolio ^,pro/Hfrfiq/f^ f
gli altri propqrfQO0/n, } no\u Ibrma .avverbiale,
q w i pr pqrtioofi iu .Varrone ue ahbiaqto va-
dulos ae f edr. f ^o laolti, altri esempi^ -77 dici
philomcdBS. Cp^l .il MuUcr: ne' ^odd. ^ ncUa
val g. dici.Pki^On^dt cutn, a\lr%*i JUciicerr
ta<MCoti lo S^ippp^s* cadil. t;um, Ir^vi Meli-
eertfi, I voch4. soO(9
MtXfCifr^^ CAt IX*. 91 T-: u c cum saliferit. Coti
14 ; oe> o4 d*><i/ n^a soherft,^
^i f hanoo i codici e vi ala benitaiioQ. IJ
MitVkr preieri i l . ^i ^elPalUioa, di e noe ti vpen
beon col dic^r^ fiotuit, c d un periodo infurnie
<- 4milU Qt-i 4fnilfiA \
190. </wcrTe la Tulgtla: forte di^ secondo la
tcrillur e la pr^omxia ^olgarr. ^U'coMd dei^
die contrario,<il siM<^.' Notisi cbe dice populus^
poich Varrone am la forma regolare Jfi
fcrr^us .,* ferrei. Cosi sugger lo Spengel : nei
codd.^ri/tf (in i^G^.ferei).
7I;. f^^tinjius lii^la, vulgata ; Farinius i co*
d ^ : 9ia poi in Ha. Fatinioram ^ esse 4U ^
valtre^ wte pi, altre volte. Ci che torna strano
cbe la tom>nsi dtla |xl cavallo dictsi milk
M. T e r . , d i l l a , l a t i n a .
tisi ; poich, secondo le altre tesHmonitnze, la
tomvna era diecimilt, e in aniioo doeniit, per
acquisto, daemilt poi e dt prima qutltrocento
tuonalmeote pei maaleoimeolo. Vtrie tpiegatio-
ni, dice il Walter (Storia del Dir, Rom, i , i 4>
104 94)> iVotto.tentate di questo nodo: ma
niuna pot soddisfare tanto n quanto.
73. quis das. Cos i codici ; e cos ho voluto
lasciare, roulaodo pioitosto in Tei dei codici.
U llluller scrisse iofeoe his das : ma l ei non ha
allora nessun ntiurale risconirx>. Forse da scri
vere das ; est errim ut hi qui., his quis% aut
(Cos lo Speogel; il MuUer ac ; FGa. at ; H. et)
sicut quius hibus ; o fors* nnche eis. , , e i . . ,
eibus.
7^, casu patrico familiae una mit conget
tura : oet' codd. da patri familiai (in Q,familia
ri, in afamiliam).lo scritto familiae in luogo
di familiai^ perch coti sorivesi pi sotto nel
confronto con Atinia^ Scatiniae, Casu patrico
poi e d'-uso trroniano, n ha bisogno della pre-
pQsiiione in <Cf. Vi l i , 68 recto casu, ec.). Il
NiUler ' allenne a codici^ notando: u Mutare
oon ausus sum quidquatn, licei sinl iu his quae
mirationem laciant v^ Scatiniae la vulgata ;
ne'oodd. catiniae Sisenna^ dice Carisio h
p. 83 P., fu causa che non enlr in uso paterfa
miliae^ quantunque il genitivo in foese ornai
smesso, col.noiare che nel plurale s'avrebbe da>
vuto dire patres familiarum^ ci eh era duro
e sonava maU. Osserva per Carisio che.in ci
Siseuaa inganoavasi, perch in quel genijlivo non
si ha riapetto alla famglia particolare di ciAScbe-
duno. Aggiunge che Varrone ui matres fami
liae^i e Graeco patres familiae.
74 natare. Cos ho corretto per congettura ;
ma la correiione parmi certa : ne'cc^ioi notare.
Cf. IX, 71^ dpve F. ha natant ; Gli. nolani; X,
,i6, ec* ^owarii/fi. Questa tefminaxione fu, pro
babilmente comune iu antioo a tulli i nomi della
terza declinazione, e corrspoaile airutcila io
esum del genitivo plurale ideila meileshna deeli-
nasfone ne'ilialetli saballici. Ne reil la traccia
nella quinta declinazione.-^ loum. Cosi i codici,
senonch H. ha hjs^in debuerint K , debue^
runt.GH, pr qmbus Coi ho scritto 000-
getturando ; ne* eodd. CU. propinquibus^; negli
altri non si conosce : comunemente propaquio
r i b u s l o u s bous ,., siruus, Ne'co<ld. lo^
vis bus struus. Cf. JX, 79. Il MulJer ferisse
Jovis^boi^iSn siruf.
75. in quo item. Cosi il Miiller \ ne codd. in
quo id malumi peiuSy pessimum aggiunto
in B. ; manca a' buoni codici.
76. deest ha giustamente la volgala ; i codd.
est. i quali altres omettono 1' ut innanzi a cae-
35
sior desint una corretioiie Jcl Mlter; nei
coflJ, sifU a meius mtlum meissimum, Coi
lo Spengd, seguito dal Matlef, tenonch icrine-
ro melissumam^ oe' coild. a mtlum (io F. me
lus) melius mtlistimam (in P. melissumum).
Ho preferito meissimum^ perch ne'codiof lutti
i luperlatifi Dtecedenti sono faHi uteire in
imum.
77. macer. In Ha. aeer^ e coll poi acerri
muSy cd io a. anche ecrior et magis sacef
manca a* buoni codicf ; onde il Mailer la crede
an interpolazione, tanto pi che avrebbet otc-
ce dovuto dire che il eomparatTo manca. Con>
fesso anch'io che la scrittura connine da me se>
^uita non cootenta pienamente: ma certo quella
de' codici peggio ; perch, omettendo et ma-
gis sacer^ si affermerebbe il compiniti^u sa-
crior^ e dalP altra parte la iorma magis sactr
non poi tanto strana per dire che manca il
fomparalifo semplice et tenerior ha la vul
gati ; FGH. tenerrimus^ a. tenerimus ^ alia
quadrisjrllaha * un'aggiunta dello Scioppio,
approvata ilal Miiller ; il Vertranio mut trisil
laba tn quadrisyllaba, 11 Popma in perisiosyl
laba frugus et Jruga invece che frugi per
tutti due i generi. 1 fautori dell'analogia voleva
no inoltre frugalis nel primo grado, .non frugi^
perch corrispondesse a frugalior tfrugalissi
mus negli altri due (QuintiL 1 , 6 , 18); ma in
questa seconda parte del paragrafo Varrone con
sidera analogia rispetto ai generi soltanto. Nota
a ragione il Mailer che l Spaldlng, nelle note tfl
sopraccitato luogo di Quintiliano, s ingann nel
creder qui errala la letioue, e proponendo pau
perissimus pauperissima e poi frugissimus
frugissima,
98. Et GHa., en .
79. aliis media. Cosi un anonimo pcesso'PA-
l'ostino: ne' codd. metiiVi. Tanto avicella. da
cui il nostro augello^ quanto capitellum^ entra
rono pi tardi in uso.
80. designent la vulgata : in I^Ga. desi^
gnenterj in H. designetur Itium ab Ilio et
Jlia ab ilio. Cos) rettamente la vulgata: ne'codd.
illum ab ilio et illa ab ilio. Intendi la citt di
Ilio^ cio Troia, dal tuo fondatore Ilo, ed llia
madre di Romolo e Remo dalla citt dMlio, don
de traea la sua origine Atrius. Cf. X, 44 ^
nome conosciuto per pi iscritioni ^ et cum.
In G. ut eum^ in U. cum. Il Mailer attacca a
qucito paragrafo il principio del seguente Uno a
debuit esse ; e suppone poi una laguna, in cui
sarebbesi originato il nome Perperna da Perpe-
rene o Parparone d* bolide ; giacch il nome di
Perperna, di c ' egli, uon pare pi antico delle
pratiche e de' traffichi de' Romani in Asia.
547
%i. proportione nonest^ eie. Certo da
mulus arrebbe dovuto dirsi Romola o Romu
la ; onde l^nrico Stefano a debuit esse aggiun
geva Romulay non Roma (Cf. IX, 5o). Ma chi
volesse il discorso intero, vi dorrebbe aggiunge
re anche il termine di confronto ; e dove -*
tendasi quato, non difficile a supplir con la
mente anche hr prima cosa ei* Perperna^ etc.
Quanto alla lagona che suppone qui il Mailer, i
non credo che i Perpernt fossero tal casato da
muover Varrooe ad eltmologiuare su l'origine
del loro nome, massimamente pr un origine
straniera. Il difetto d' analogia che notasi in que
sto nome, 1' esser comune al padre e alla figlia ;
laddove, dicendosi questa Perperna^ il padre
avrebbe dovuto essere Perpernus. Coil procedesi
pei varii modi di nomi proprii nati da altri nomi
proprii ; cominciando eon Roma da luoghi no
mati da uomini ; poi con Perperna venendo atf
uomini nomati da altri uomini, cotae i figK dai
padri ; e passalndo in ultimo agli uomini nomati
da' luoghi, prima agl ingenui, indi ai liberti. Re
sterebbero i luoghi denominati da altri luoghi :
ma, essendo motto il 4)ne, ndn al pu dire se vi
si fosse notati alcuna sproporzione. Non parmi
adunque che vi sia fondamento per segnar qnt
laguna. Che anzi delle parole date da'codtoi, io
ho credulo piuttosto di doverne levare alcune,
che scompigliatano 11 filo, e mi pirean tenere di
chiosa. E di fatto i codici hanno : Perpenni filia^
non Perpennae (manca ad H.) Perpenna m/i/rV-
ris nomen esse debuity efc. Ho catasto le prime
parole, pertb ripetono ci che poi detto iA
modo un poco pi chiuso con TeitprHsion et
nata esse a Perperno ; o^de n seMbranro, cofnie
diceva, una chiosa. Ho tenuto con U vntgati e cot
Mailer, Perperna^ perch d uha fomiglianza
pi a[pAriscente eon gK altri notnt, a coi pafft^
gonasi. Del rest anche Perpenna nome irono,
e trovali nelle iscrziooi fin anche co4 prenme
Marcus che gli 'dato qui (Cf. Vil i, 4 1 J IXiiii ;
X, 17). L' et che ho premesao a questo fMme,
poteva forse cavarsi dall'eiM, cio ee , precetfenle
che ti par superfluo Arvemus... Arwerna.
Ne' codd. Arhernus... Arberna Ptrcernms ...
Percerna. Ne' cotld. Percelnus ... Pereelna (in
H. Procelnus ... Procelna), Ne'monumenti tro
viamo Percernius e PercenniuSy e nelle iscri
tioni anche il prenome Percednus^ Percennus^
Percenus,
8a. Item quae dicunt^ etc. Il costrutto 000
avrebbe nulla di singolare, se in luogo di quae
si ponesse quod. Ma te sta bene col qnod^ perch
non col quae? Il Mailer continua il paragrafo
antecedente fino ad Athenaeus ; e innanti a
questo nome segna laguna, di che non apparisce
N O T K 4
549
Al LIBRI DI . TERENZIO VAHRONE 55
indito ne* codici Cjrzicius debuit. Ne codl.
Cyzieius dici; lo Spengel t*aggiunge dehet ; il
Muller, debebat. Mi parre di trovare ona causa
delPopioione in un'elliasi usala alIroTe da Var
rooe. chiofalore t avrebbe icritto fopra dici;
e questo si sarebbe poi preao per una correiione
et civis unusquisqucy non ut^ etc. una mia
coogetlura : oe* codd. nam io luogo di non. Il
Miiller tcrive: et sic eivis unusquisque. Nam
ut,.,. ; e qui, come ho dello suppone laguna
Athenaeus, La vulgata preroelle ab Atheneis ;
ma non ne' rodici.
proportionem. Ratione. Ne' codd. pro
portionem rationem ; nella vulgata proportio
nem et rationem ; il Mulier secoodo Ia conget
tura dello Spengel, proportione rationem ; Io
Scioppio omette rationem^ e muta il seguente et
in Etenim ut nominantur e libertinis^ eto.
C o s i i codici ; senoiicli v ho poslo e io vece di
a. 11 Miiller scrisse: At nominantur libertini
orti a publicis serviSy Romanenses^ etc. Il nome
Romanus trovasi effcltivamente in molle auliche
iscrizioni magistratuum. Cos lo Scioppio,
seguilo anche dal Miiller : ne' codd. magistratus
liberarint... coeperint. Cos F.; gli altri /i-
herarunt (io H. di prima mano liberaverunt) ...
coeperunt,
^4 Lesas, V Agostino not in margine Lae
nas ; ed probabile item Arpinas (forse me
glio et Arpinas) una congettura: ne'codd. ta
men (in F. et tamen, in a. tam) Urbinus si
militudinem dianca ad FGa. e al cod. Ambro
siano.
Hic spatium.^ etc. Cos notalo in a. e nel
cod. Ambrosiano. Anche il cod. Modenese con
fessa con altre parole la mancanza medesima di
qoattro carte. 11 Fiorentino invece e il Valicano
a. dicono mancare una sola carta : ma neanche
le quattro, secondo il Miiller, poleano bastare
alla quantit della materia che rimarrebbe a trat
tare ; sicch egli crede che, oltre a queste> si fosse
perduto un intero quaderno. Quali casi si discor
resse, pu generalmente inferirsi dalla divisione
proposta nel paragrafo 44i particolare dal
riscontro del seguente libro, dove ribattonsi ad
uno ad uno gli argomenti recati in questo contro
l'analogia (Vedi per IX, 7). Innanzi a lutto do-
vea parlarsi delle sproporiioni che trovansi nei
nomi proprii originati da vocaboli, cio da nomi
comuni (c, 80). Consumato ci che risguarda le
parti appellative (c. 44), dovea venirsi alle spo
sitive, cio tt' verbi, che pei varii loro rispetti of
frivano larga materia. Qui la sproporzione Ira
paro paravi^ lavo lavi., pungo pupugi^ quanto
alla formazion del passato nella voce attiva ; e la
confusione delle varie voci in coeno coenatus
sum.^ prandeo pransus sum^ extergeor extersi^
lavor lavi, ec. (Framm. del I. Vi l i , a f. 329). Qui
il difetto d'analogia tra' verbi semplici e i com
posti, coro' in sentio ed assentior^ in capio ed
accipio (VII, 90). Dopo ci doveva almeno toc
carsi di quelle parti del discorso che si son dette
copulative ; e finalmente delle coadiuvanti. Del
le quali parlando, notavasi l ' anomalia che, dove
da Orcus, Tuscus^ Graecus gli avverbii sono
Oxce, Tusce^ Graece^ da Gallus si fa Gallice^
da Maurus Maurice ; e il non dirsi rare da ra
rus^ ma raro o rgrenter (Framm. cit.). Mei le
vasi fine con un argomento generale preso dal
disaccordo di quegli stessi che si fecero sosteni
tori deir analogia (IX, 111).
NOTE AL UBRO IX
Q U I N T O
DEI SOPRAVVI SSUTI
i . Fi t , per cosi dire, Paccuia deir aalo
oe cornincia ora la difsa ) lioch ticanche
questo libro eiprime propriamente I* opinion i
Varrone intorno a siffatta maleria; ma solo il
seguente, iri oui, dopo avere udite le ragioni
una e dell' atira parte> pronunzier egli, tome
giudice, la u t e n z a Desunt quaedam. Coii
8cri?e la vulgath ; e certo, atteto l ' brdine dell
cose, non |>u mancar molto In do nu*
mro ^ sex libros omesso da FGH. ^ his
ibris, Ne cocid. /tei (in GHa. lei come poi ipet-
eo per iij libri {Q E. libre!) sermonis B. |
gli altri SermonSy senonch d a. non notati
nulla inaequabilitate F.-; gli aHri inaequa^
litate^ e cos appt^esso aequalitdte et simili-
bus dissimiles. Cosi parroi domandare il conte
sto, e a questa lezione accennano, con B., le an
tiche edizioni. Ne codd. tt dissimilibus simi~
les ; senohch H. omette le parole verbis et dis
similibus ^ et quod. Cos il Mailer; ne*eodd.
cum fquom). u In Latino sermone, scrive Getto
(II, 25), sicut in Giraeco, alii wetXoy/etwsequen
dam putaverunt, alii /^. eti
similium similia declinatio, quam quidam Latioe
proportionem focant. ' est inaequali
tas declinationum consuetudinem sequens. Duo
autem Graeci Grammatici illustres, Aristarchus et
Crates, snmma ope, ille ^/, hic ^
defensitaTit. M. Varronis liber ad Ciceronem de
lingua Latina octaVus millam esse observationem
similium docet,inqne omnibus paene verbis con
suetudinem dominari ostendit ...Sed idem Varro
in aliis libris mdlta pr dveiKoyia toenda scripsil.n
a. iei F. ; io G. lei (Cf. c. i) ; in H. ii,
S. Ho lasciato intatta la lezione de* codici, aiH
C(^V*eh si repuH unlverialmnte errata; perch,
sebbene un po'astrusa, d un senso ginito,
migliore a mio avviso di quello che dato dalla
correzione del Miiller. T u t t o f a , credo, nelPaT-
viertire che 1*eoram (frte horum)^ si rilimice a
similibus ; ond la tradiziooe llterale, che Tr^
rei fostitaila in luogo di per quanto^ ec., : ^ -
rceh^ essend te parole^ partt simili^ parte
dissimili, uso costante nel declinare le si
mili, il Mttller tcrisse : Quod est nata ex qua
dam consuetudine analogia^ et ex hac * con-
suetudihe itetn anomalia ; itaque consuetudo
ex dissimilibus sirnitibus sorborum quod
deciinationibts constati^ etc. La sostituziooe di
Serborum n ^rbis eotum ei'a stata suggent
dallo Spengel ex anima ha la Vulgata ; Fsk
ex anima quod est ex anima ; H. et anima ri
petuto due volte; omette poi hmo^ forte gin-
stamenle, la teoondar volta ; in G. manca il retto
dopo i l primo x anima.
4. cum (in a. quom) conjusim ; toirfntendi
gitar, dicitur. 11 Mtitler omise il Cim, datovi
da' codici, senza ragione - usuis una ginslis-
sima congettura dello Spengel (Emend. Varr,
p. 9) : ne codd. suis; nella vnlg. sueis, u H. Var
ronem (dice Gallio IV, 16, t) et P. Ni^diam; vi
ros Komatai generit daetlssiinot, compHmdt afn
lltier elocutot ette et scriptrsse, quam senatuis
et domuis l fluctuiSs qui ctt patrint casos ab o
quod est senatus^ domui lfluctuS; hioe feno-
tui^ dmui^ caeteraque htl eontknilia
555 N O T E
556
pariter ilixifse exigunt la vulf(ata e cos
Dotati, di G. j negli altri co'dd. erigUnt^ londe io
Spengel (l, c.) congettur derigunty cio diri
gunt. Tuttavia il Miiiler tenne anch' egli la vul
gata esse dicere, Ne'codd. est diedre': I d
Spengel propose est dicere esse (L c.) : non rac
colse il Miiiler, perch omissione del verbo so
stautivo in Varron Ir^eqpentifsioso. S ; ptr^
questo ho mutato pidtlosfb y pst io ess>e^: ma
esse non doveva omettersi, rappresentando il
concetto principale ed opposto ad uti oportere
analogiarum usus Cos il Mulier: ne'codd.
analogia (in G. analogias) an usus. Lo Spengel
ha per una chiosa le toci an usus.
5 ieis P., leis lis H., dis G. non idem
ius. G. IX, i i 4' i i 5 non debet FHa. ; non
debeat G. non potest. Aggiungi facere^ come
De'codici: fu omesso solo per disattenzione.
6. nos singuli. Cos rettamente la vulgata:
ne'codd. non (in a. no^ an uti oporteret re
digeretur, Cos i codd. Intendi (ut) redigeretur ;
cio o come converrebbe che si riducesse. Al
lorch oportet regge il soggiuntivo, solitamente
omettesi V ut, pur da avvertire che non
trum^ W il dici idy etc. retlo da intelUgeSf e
il enso : intenderai che^ quando dicesi una
di queste cose : che / analogia^ o come s* a-
yrebbe a fare sicch vi Josse: ci dicesi del
popolo (e non de' siqgol;) ; perch nel primo caio
parla#! deir uso comuaa ; TaUrp tioa, pu, risr
gaf dare se dqd chi ha padrojqaoza sopra U iior
gat aliter ac de una mia congejturaf
Forse era meglio : aliter^ neque idem in omni
bs. fip* , aliter, ac inde omnibus, Accfo-
oasi alia disUoxione falla tra oratore e il poeta,
li OUiilier giudic motzo il discorso, e iuppU a
questo modo : inteUiges^ utrum dicatur ana
logia es^e an uti opqrUwe ea l et quom po
scitur^ ut usus ad id qupd * oporteret redige
retur^ dici id in populum, oUturt Qo* in eum
qui sit in populo.
, no^ modo, Enrico Scbdo e il Feriaonip
^jee//e note alla Minerva del Sanzio IV, 7) vor
rebbero aggiunlo un non. Ma tanto abbondano
^li esempii di questa forma llittica in Ltio e
ia Ctoarone medcfimo, che oon sembra pi leci
to il dubiUroe (Cf. IX, 1.4) ^comprehendam
U.( gli altri comprehendanL In G. fcrivesi quasi
sempre col dittongo ae,
tine r^i>rehensiqnM, la H. non sine re
prehensione errant. Ne' codd. ro/ /ion
sine ea ratione^ Cosi i codicl ( s^onch io. |1.
(essendosi coufoso ca con ea) io luogo di
ea, lo oon Irpyo n toperfluo ea che ri^biama
al sifnilitudinum^ o jifnprobabile romiifiooe
di sequitur (hanc pQtuetudinem) che dovreb-
1)^ essere ripetuto. Il MQller scrisse: sequitur^ *
em sequitur * non sine ratione, che muta il
concetto; perch intenderebbesi ragione in ge
nere, e non la norma de'simili, la quale^ come
' dtto*pi sopra, non va scompagnata dall' uso. E
tanto pi fa bisogno che sia qui determinato il
concetto di ni/10, perch vi si ricorre eoo un
semplice '^d eam^. e sine , oel periodo se
go cute.
9. ac in. Cosi il Miitler : ne' codd, ea in. Pi
esempii mostrano che Varrone nou rifuggi dal-
usare ac e nec innanzi a vocale (V, 59 ; Vi i .
32, ec.) ad eam. Cos rettamente la vulgata:
ne' codd. ad ea.
\o, non* sit. Cosi l' Agostino ed altri: nei
codd. omesso il non conceditur F. ; gli altri
concedunt (H, concedant) ut sit similiter.
Cosi il Mailer: ne' codd. ut si similiter ; nella
vulgata ut sit simile.
11. traducat. Cos H. ; gli altri traducit.^ e
la seconda volta in G. traducat,
12. PictoreSy etc. Lo Schulz (Annali del
lahn a, 1829. V. i l i , p. 72) propose Ut picto
res : ma il discarfo procede meglio seoza u/,
csbe domanderebbe.poi nell apodosi : ita * neque
Aristophanes improbandus^ etc, e toglierebbe
f oru c colore all'argomentazione. Poco felice,
oltre che inutile, anche la congettura del Sil-
lig (Catal. Art\f. alla v. Arimna^ p. 83), che
vorrebbe scrino; J^icfores Apelles^ Protoge
ntSs sicut alii artifices egregii^ reprehendendi^
quod consustudiaem Afyconis^ Dioris^ Arim-
nae et aliorum superiorum non sunt.scuti
artifices. In F. artufices Mitonos. Fu
coQiemporaoeo di Poiignoto, iosieme eoi quale
gio.%0 non poco a perfeziooar la pittura, massipie
il colorito (Plin, N. H. XXXl l I, i 3, 56; XXXV,
6, a5). Dioris Arimnae son due nomi igooli.
Cos stanno nella vulgata ; e a qucata scrittura
accennano pure i cadici che haooo Diorpsarim
(F. Diorosarisy H. djorosari) me (a. ne). Lo
Spengel cqogefciur Poljgnoti^ Arcesilai; il
Mtiller, Cimonos^ Eumari: ma nl uno n Tal-
Iro s?aQld di toccare il testo etiam superio
rum. Cos FGU. ; in a. et superiorum., che mi
parrebbe da preferire; nella vulgata et aliorum
superiorum Aristophanes (Cf. V, 9) di Bi-
zaozio, fo discepolo di Zenodoto e maestro d' A-
riilarco ; onde qui ricordasi qoasi fondatore
della grammatica e padre degli Aristarchii.
13. multa baono i codici ; la vulgata multis,
Varrone adoper altre volte uti con i'accosativo
(V, 109). Essent ausi a'offre spoDtaoeo alla men
te in luogo di essent usi : ma ooo necessario,
e qui forse meno cooveoieote dicunt esse.
Cosi GH. ; gli altri frammettono oportere.
55; At LlBHl DI M. 10 VRRONB 556
i 4 modo, Vedi pi fopr Ia nota M e. 7
Idem^ oo nos Udem, Id F. id est.
15. In Ha. . Lo Speogel
Bt ut h i Se ?8 a melar qaalhe ctota, porrei
eosdem in Juofro^di idem sol priucipto deU* po->
doli. A ogni modo ^ hi io Cambio di hos pe^
ratlrarone del qui aegaente: flgur non irata
10 queitt oitruHi cosi rivoltati dello Alile famt^
gliare oporteat GHa. ; Id F. opo^Puit.
16. maioris in. Coll il MAlien ne'oodd. in
maioris in consuetudine la vulgata : i to-
diei omettono V i n s i a t i ) n una congetlura
del Miiller ! ne'eodd. si enim que autem.
Cos Ga. ; in F. quae tum *in H. quae sunt (che
potpoito dagli altri) aut. Il MUller rriise quae
tamen (fuin ila dieos. Cosi nel c. 10, non
conceditur quin ita dicatur.
17. ratione. Ne codil. rationes possunt
G possint Fa., potest . solent fieriy ete.
Ne codd. solet fieri et meliore (in a. meliore^
tn H, meliora) rfeferio/, meliora ; neMa vulga
ta ex meliore deterior. Meliora, etc. ; il Mdller,
seguendo io parte Io Spengel : solet f e r i ex me^
liore deterior., ex deterior melior. Ac^ etc. La
mia emendazione muta meno, e s*avvantaggia tn
ci che corrisponde al quaedam melius^ quae
dam deterius^ a rui continuisi ; hddov la le-
lione del Mailer ilice un vvio^ndarsi di megKo
e peggio in universale nunc dicuntur G. e
per ci che pare anche a. ; in FH. nune dican
tur-^ nunc perperam. Cos) retlament lavala
l^ta; num pewperam non perperam H.;
di a. non notato nulla.
18. quam in ceteris rebus aiia ma congeU
tura : ne* codd. sequar in ceteris rebus, ]| MiiI
ler aggiunse iXquam^ che eeirio' neoeasario^dopo
sequemurI i Ira preferflo di soatiluirlo a se-
quary pereh il loogo mi pare pi opporluDO^
perch sequar oalaralmeote sospetto perla Ibr-
iD aingplare e pel entraslo ohe la al precedente
sequemuTy e finalmeate perch vicinissimo ael>
la scritlora,'poilo che< Hse poteva nascere dai^
antecedente necesse artifiCum, In G. ar/ii-
f i c u m S i c populus. Cos i codici. Il Mailer :
Si * sic populus,
19. Qui amissa non * etc. Sole eoDtiiHiavsi
I precedente periodo ; oe lo lacc giustamente
11 Miiller. Manca poi a' codici il ^ \che fu eg-
giunto dal Vertranio e daJlo Scioppio.
ao. supellectili. In FG. suppellectilis, io a.
supellectilis^ in H. suppelecti^ possessorem'f
voce de codici, certamenlc errata, ma ehe non
si teppe ancora emendare. Nella versione ho pen>
aalo a proscissis,
ai. sinorum et capularum. Cf. V, l a i , i a3
ut contaminatis. Cos egregiamente il Mul-
lr : oe codd. incontaminati quas emend
Enrico Stefano ) ne* codd. quao praeter. Cos
il Vittorio o il VertraniQ : ne'odd//^op/er.
. Sed inductis. Cosi codici: I vulga4a
oaaeUe il MaI tolto necessario; perch
non so come s avesse a pigliar qaeata husla
aUrift)entf die per n* obbietione gi^ nato
uso deH enim -nelle rispofte, come fassL qi ;
dove fi Si enim equivale a Si, certo ; se, ecii
a3. Si enim. Vedi la nota prec^anle non
esset la vulgata ; i codici haniio nomen esset^
donde apparisca ohe nomen v era-prim ferkt
in abbreviatura -V an aer et cetera in B. e
nella vulgata, ma non ne' codici. Il Mailer fa ere*
de un'aggiunta, non pure mutile, ma inoppor^
luna.
24. a contraria parte. Ne codd. omesso
e ; forse non ncessari Non^ quntum
poluSy etc. Cosi il Mailer, parte di sua cooget-
tura, parte seguendo lo Scaligero e lo Scioppio.
Ne* codd. non qantum polo superior ahest et
abeti et (in a. omesso qusto et) a septentrio^
nali oiroumit cum his ad solstitium ; tantun
dem abest^ etc. In G. .omesso, come nella vnU
gata, ItttlA ci che fra sperior ed abest infe^
rior antarcticum. Nella Volgata scrivesi eoa
lettere greche ; e cosi fece adohe il Maller^ ma ae
ne penti ppi, non trovandone inditio ne odid
quotquot la volgala; ne codd. quod quot^
quot.
a5. ac G.} negli altri cum ab solsiS^
tio, lo a. omettesi il cum ; tutti poi hanno ad
solstitium. La correzione del Mailer.
.. similitudines. Cosi ottimanieole iiiMCIl-
ler : ne codd. dis4miUtudtnes^ fbrke perch
non s intese il significato ironico di credo ^
XXIV pow qui Ai4<S come; dee sUre: in FH.
XXl l l , io G. Xl l l ; io ;a. noo; ooio. Dopo qu0^
tidie (in F. cotidie) aggiungasi quater che. fu
omesso per errore nelU sMmpa rursus idtni^
etc. Intendo rursus (suntji iidem(aeitus)^ iiem^
que post hos, 11 rursus ideiti suole Itaccarsi a
decreverunt; e quanto all' iumque ab his^ -
gostioo il volea mutato in ideniidem aliis ; lo
Speogel io Item que, ab his alii motus. Cosi
ho Kfilto per congettura : ne codd. alios mo^
tus, 11 costruito : cum sic item alii motus ha
beant alios^ etc, 11 Muller rivolt l ordine delle
parole, scrivendo: alios motus cum habani^
sic item aliosy etc, ^de aestuariis: 11 Krahner
e i l Merkel sono d credere che questo libro su
le maremme, .come pur quelli che citanti coi ti^
Ioli de littorlibus e de ora maritima^ noo
fossero che parte dVuu opera stessa, cio dell ef
femeride navale a Pompeo : ma il Aitjchel
d'altro avviso.
55c) N O T E 56o
ay. in praesenti rtddii Ga. \ gli lirijcodd,
hanno w t t t reddat reddit tegetes, etc. Cosi
la Tolfale, parmeole pi soxio reddit parilis
(patHeis) ; iie' oodd. reddidit airtbecJte le ?olle.
ad. sui quoiusque generis, Coil il. MttlUr:
Do'codd. sais^ quoinsque (FH^ euiusque} gene
ris*y Anche la vulgata ba sui in aqua Forte
4 a aggiungere atU in terra -** on e* Cj<r A-
goslino ; i codd. sane^ ut ex equa. La Tutga/-
ta, aeguila dallo Speogel e dai lUiiller^ a>;iuiigt;
et asino quod ex quocunque. 11 coaletto, e
la onriapoadeota del teguenle e equo et osi
ROv' paiono doreandare quod quodcunque ex^
Aggiungati che id manca d' appicco, te non
pigliai il quod per cioech; nel qual caso manca
il legame con gli antecedenti ; cosa assai rara, e
qai non credibile, negli antichi. Se ne aTTdero
il Vertranio e lo Scioppio che mutarono id est
(nelle veaele idem) iu item.
ag. quod pueri et puellae. Coti ne codici i
li Miiller omiae, il quod^ che ad ogni modo
lare. Sic quod^ e sic quia equivalgono ad ideo
quod; e non ae mancano tempii, ^ non omnia^
Lo Scioppio omite il non. Appena parrai pota-
bHe che il Miiller abbia tegnilo; pokht e la
oegtzione non fotae ne codici, vi larebbe tutta-
Tia abbaitama, onde aggiuogeHa utraque
di mia coogettora : ne oodd. utroque, ^ s i m i
litudine sint paria. Coti <>tUramenle il Mfiller:
oe codd. similitudines intra paria (nella vulg.
sint yarilee) -ork/tis F. e forte a. j gli -aliri
omneSi
30. octonas parteis, tetondn 'la dollrlha de
gli Stoicli Vedi Diogeue Laerti olla Vi4a li
Zenoqe di Ciiio VII, 63 , n o quoniam, Nr
codki qtioniani quti.
3 1. habani. lo H. hahent ^ sint ostts.
Ceti mi {Sarveche folte da Scrivere,'conforme a
i che iegue, ed agli allri luoghi timlU,
empre il plurale (VHl, i i , 4 4 ; *7) ~ E<:
quid. Cos lo Scioppio ed il Mtiller* i codd. Et
qttid(%, qui) sint, Seta ragione lo Scioppio
silitu sunt ali non^ sic utrque ha retl-
nenlc la vulgata : ne" oo<ld. alia ne sic utra.
Sa. quin animadi^ef terint un coog^ltiira
dello Spengel, approvata dal Miillet^: ne'eodd.
qui animadt^ertunt (in a. animadvertunt) in
eum. Coti il Miiller : ne codd. in eam^ e poi si^
militudinem non animadverterit una oor-
rezioiM iatia dallo Speogel, e accolla anche dal
Miiller : i codici hanaona/i animadvertit in
imperando. Goti lo Speogel e il Mailer : a' codi-
oi manca in, il &oeler (lt, Crii, in Farr,^
p 19) propote : Equidem non dubito qui ani^
madverterim (ov?ero quin animadverterint )
item in ea innumerabilem similitudinum nu-
merumy ut, trium tumporum verha ut trium
personarum (qui enim non poteit animadver
tisse) in omni oratione sse^.
33. non vident. Ne cotid. non videt, errore
emendato dallo Spenge 1 sermonis populi mi^
nus trita* Ho tcritto papali minus in Itfogo di
pulminibus (in G. pulii minus ; di a. non no<
talo nulUU com' ne* codici. Il Miiller tcune
pulis iiitendeudo del ^ingtggo proprio della
plebe- pullata, cio vettita, com'era . ujo, di
Una tcura non tinta. LoSpeugel t attenne UVal
dina e al pi delle alire edixioai, che hanno puri
manus, Yofse ^, poll (pef paulo) minus,
Cf. V, 1G7 si qui viderit. Ho fdrilto qui (nei
codd. qUs), tegueiido poi regei lenta alcuna
particella congiuntiva ^ in* ovom Ne' codd.
in cornibus bovom (in H. boviim, in Qa. boum)*
l i r i c o SteCauo lasciando il cor/zt&M^ coriitpon-
dente I mutilum, propose tniilmenle di poi,
ocutii hominum et pedibus equorum. Alio
Scioppio in vece (fuseguilo dillo Spengel e-
dal Mailer) parve pi probabile che il or/ii^:<x
ita alalo intruto da qualche chiosatore.
34* Qui autejn (cos G., in H. aut, in F. cum,
in a. omeiieai) eie come ti dieetae : Quod au
tem quidam, etc . ego^ etc. Vedi Ih nota al
. 8i.del I. Vili; Analo^fo) uso di qui per si
quis, che abbara notato pi volle fCf, V, a8 ;
V], 4v C,) ex entikus seminatis in B.; ex
lentibus nateis (sateip o satis, secondo T Ago*
slino e il:Verlraiiiol nella vulgata; ex natis nei
codfei ^ e x lupiais lupinum pur ieeABe di B.
e del Verlranio: ne'codd.- et lupinum quair
que ha B.^ quoque FHai., quaeque G. ^ Romu
lus*^ manca a' codici ; d' vn' Aggiunta dell
Spenge!, approvale dai Mailer^ dal quale non mi
aon punto tlaccato in qnetto capiitoJello dice-
bam^ dixp[am, \)^\ Stel'ao^ frappone dixL
Keoaa di poco inonieoto^
35. iei W., ei GHit. Cf. lX^ 2, 5 quom
quam FG.; di H. non potati nulla : la eulgala
qod^ sint GUa., sit , ^ ^ e r r i non pos^
sittt dat dalia vulgata^ ma non be'codici.
Diti parrebbe pi onfrme' che ^erri air.uao
di Varrone rationem a. ; orationem gli allri
eooae alire volte.
36. in analogias. Coti la. vulgata : i eodid
omettono in,
37. utsitears in utu, GHa. ofheiluioo il
quae significavit. Cosi i codiei^ 11 Mtiller
predelle neecaaaria aggiunta d un id fra que
ste due parole, lo confetto d'avere errato nella
ver^ioDe, e prego il lettore di sostituirvi : in ter
zo luogo il significato del primitivo dee mo
strarsi atto per via di declinazione a indicar-
la^ Nel paragralo 83 del I. X, ti ripetono pi
Al LlBBl DI M. Tti aENZl O VARRONE 5 6i
tacoiolettcnl qaeile quattro l ef gi metUiime nel
tegtinle modo: /t timi rei; ui tarum sii
usu$ ; uti ae w ^oeabula habeant ; ut ha*
Ireant declinatus naiutais ^ JSgvrae. Coll il
Mailer: Jtgura, Cf. c. 3^ >pos$it.
Coll mend i Agottino : In . possia ; negli
Ufi cfici possunt.
3%,Ja, Cf. Vili, 48; X, Quinto lU
ragione, (ter cui non te tee oia il plu^al, vcg
gansi i paragraA e legg. Ballava noniioarla in
genere come legurtie, aenva Hipetlo vvritl Ji
ipecie, n al numero de* grani ^ simili usu
una congettura dello S^ngel (Emen Varr
p, lo)^ iccetiata dal Mailer: ne'codd. similius;
nell vulg. similibus
$9 Sic enim la^ etc, Cf. IX, 92. f^elierl-
bus primisy dice Mirtiale XIV, iSS, Apulia^
Parma secundis Nobilis ; Altinum tertia lau-
dt Oi^is. (Cf, Plin. N, H, VIII, 7$, 4^1 Colu/mi
VII, a).
4<i. Quod rodunt. VIII, 4^ voces ha I
vulgata ; l cddd, voeem dissimiles Jigurae^
etc. C01 al ne* co4ici ; lenonche FGa haajio
dissimilis^ t G dissimilis in luogO: di i/if
dissimiles^ ed H. dispares per dispariles^ II
MilHer toaislul : dissimili similis * figurae Jor-
mas^ in re ^simili imponunt dispariles ; cfecib
Con pi diivrettar^ nni cen loverchio rdinleotcs e
(orte non beoe m\ propiitd perch la seconda
rosa non ci ha che fare, lo redo che tutta la dif-
fieoh di quello piglio naica d una di quelle li
cerne che i copiali di Vairone, eome ^pariace
dal confronto de* yarii teiii, 11 preiero aiaa di
frequente^ cio deirrer niutvto uno.con al
tro di hiogo il nome Jotmas con indissimiles^
che il reput tuo aggcttTo. Tutto iareb))e chia
ro, lolo che si scrTeiae : sed fuod nonnumquam
in re dissimili^ figurae indissimiles^ formas
(io mo4li di deciinre) </i>^arfVe/.
41. ut Jlpfienam (Cf. Vlll^ 41). Coat il Mul
ier; lo Spe^gel scriaae aut P, Laenam: ne* co-
diot uut pJenam forma, 1 codiciybrma/a aro-
lieilue le volte, eiccetto fona a. qaom scrisse
il Mttller : ne' oodd. yo ; uelb vulgata cum
^irum ha retlftmente la vulgata : fa (.<^///,
ili G. utrumgue.
4a. Go Uus iboehe^qvi forse'.d%scrivere al
bus, conie nel 4uogci>ctirrspoiHlenle Vil i, 41.
43. i^uod dicun. VUl,* 4* * ^ ^ ^ ^ ^ ^'
gli altri 9iniiits~ i^mprudeter hi valgs;
I codici, forie meglio Mpudenter due al a bi*
hincis cou deridiculum ^ *:trrnt, Cl il fllIftU
lervse^oniU ravviso defilo Spcngd: i<oodlei pr
mettono ii U Vulgata ; 1 oodd. sit: di
a. per non si parla simili F. simile GUa-
ifuae sunt^ quius vis sint. Co$ iio scrino per
M. l'fift. Va BROBB, Dtt.LA MXGUA LATIRA.
ooogetlara : ile' codd. quae suni^ quoius (in li.
eius) dissint voce p>, sebben qui ooa espel
l isi per, conforme air espressione usata nella
priori pane della comparatione, ove dicesi : pro^
ptmr eosfaoilius perspici similitudo potest eo
rum quam, vim abeai* Cf. IX, U Mulier
s' at tenue aila vulgata quae sint quaeve desint^
e aggiunse nelle ttote U.congeUura quovp distent
id luogo di quaeve desini,
44 extrema GU*| externa F.; nen chiaro
di a. Phryx ha aldina ; a codd. frix ; la
v u l g . S i m i l m e n t e le altre volte. Frux^ nota
il Muller, non probabile, perch era voce ornai
disusata al tempo ti V a r r o n e . exemptum.CoH
la vulgata eoo Aldo; i codd. exemplum,
45. Quod, aiunt. Vi l i , 3 ; et in maiore
parie est. 1 codici, eccello H., aggiungono et in
minore parte est^ e cos pnne sul fo della ciati
iola a tamen sit soggiungono in maiore. Che la
ptiroaag^iuqta fosse da, levare, come una falia
corrraione di qualche sacoenle^ non trovo eh' al
tri il notasse prima delMller; ma p^rmi cosa
da non istame dubbiosi. Quanto poi.all' in ma-
iorcy anche lo Speugel ne consigli .1' omissione ;
e parte senza dubbio da ujna simile origijie. iii
ricu Stefano, vi avea proposto : et si in maiore
non JiV, tamen sit in minore^
40 Qiod dicuat (Vili, Sa) nos sequi. Cosi
la vulgata eoa B. ; i codici omeltono il sequi
iucunditas hanno qui i codici, senonch G. seri*
ve iocuitditas: la vulgalSt est iucunda. 11 inodo^
coin ne codici, tien del proverbio alia pa
ria, si ut^ alia disparia. Cos la vulgata con B,;
iu GUa. alia disparia.^ in F. alia paria.
47^ solum no/, sed similitudines * . una
aggiunta falla dal ftliMer. Pi semplicemenie Et;-
rico Stefano proprie: dico nos similitudines
quoque sequi: ma sto aocb'io col Mailer che
erede pi probabile, come pi conforme al modo
di Vacrone, la tua correzione saepe : idque.
Anche qnesta, uua mutaiione f*tta dal Mailer :
i codici hanno saepe ito^ue^ che suole attaccarti
miilsfenenle ;al membro appreMo Quis ha la
vulgat,a>^ forse a. ; ^ i ajiri codia i Qui sunt
plura Scrivi sint plurn^ico^^ ne' codici.
4^, Ci 4m, inqnit. Cos | codici: il. Vertraniu
e lo Scioppio, seguili dal Muliei* soslituirotio
Cum^ inquiun^. M^aoclie nel 1^Vil i, v, 70, ben
ch la forma dominante %v^4icunf^ negant^ ro
gdflt^ e/c si uaa, on^ volt# ,il medesimo jaquit,
seni ve il 3eDtle9Yin,fora<^ 1. Sai. 4,
70), p^rpeloa i>rmula esl, ubi aliquid Ci adverso
nobs obiici ^t opponi Angimus,, sive id ab uno
seu pluribus, live ab absenleseii praesente liat. ^
qu4 dopo alcuni esempii di Clcorbne e d'sl-
tei, soggiunge: m, Ita centies eiccntiesque apud
3G
S6 } E 4
Senecam et QuntUanum. n rooilo vciioto lai
cifume delle aringhe, do?e la parte avversar
re(presenlala da uno seqturemur^ Cosi
ne'coirci; n mi parte neeetsario il loetiioirTr
sequtmur^ com fa il iVIuller con la fulgala, con-
linuandoviti un corto riipello al factam conce
do. ogni modo avrebbe almeno dorato dirii
sequimur^ e non sequemur. Ho posto invece de^
beamus in luogo di debemut sut (oe del periodo
- - stplae ha rettamente la vulgata; i eodd, itola.
Dopo questo piragrafo il MttHer not Ugana,
flebbeiie i codici non ne danno indillo : /iia chi
guardi Ila durexza del Irapatfo e airoicurit
del sfguente capitolettof non istenter a c<iiice*
derglilo. Spenge! suppose iuvece (Emend,
Farr.p. 19) che il paragrafo appresso sia J^uor
di luogo. In questo vano accascava forse anche
il frammento conscrfaloci da Carisio (Framm.
dell. IX. a/ 33i).
sic percubuit. Che prima o dopo d* per
Cttbuit doressc qiH stare un nitro verbo, lo dice
eh5 che : ma qual verbo fosse, chi il pu in
dovinare? Periacuit sarebbe verbo fuor d uso ;
non lontano nella scrittura da percubuity sicch
potesse essere H-ascursto ; e volgercbbesi inoltre
sulla stessa rtles dello stare, che comune agli
altri tre verbi, siccb pi spcchi anomalia del-
Tessere i due primi in uso, e gli altri no. A ogni
modo io credo che l'autore p*rU qui do'compo
sti, contro i par.'Oi e Ga del preeedeute libro;
poich, essendo essi hi prima forma di declina
zion retta^ poteTansi comodamente unire coi
nomi nati da altri oom, d) cui Iralissi nel para
grafo appresso. Ma certo non da pensar-e che
^e risposte abbiano a seguire in queslo libro col
nidcsirao ordine, con cui furono disposte le ac
cuse nel precedente ; perocch sembra che l' au
tore abbia dato a bello studio uo certo colore
rettorico a questa tratlasiouc, e che per v' ab
hi tenuto il modo degli oratori, i quali nel ri
spondere tigli argomenti UelP altra parte ne tnr^
bann artifiiiosamenle ordine, per toglier loro
fur/a ed aver maggiore comodit a dissimulare a
ccprire. Ne abbiamo avulo prove anche negli Jin-
teeedenti paragrafi, dove pure non cadea S0S}>el-
to sull* interezta del teilo vel in hoc errant.
Csi lo Spengel e il IVlklIer: ne cold. .w/ in luo
go di ve/, senonch in II. un sIto fido a poili-
ceatttr ; nella vulgata ef.
Qo. Qui dicunt. Vil i, 5 ^^^ os^ilia ... bo
v^lia. Ne cedd. ovilla\, lovilla non esse.
Cos) pare che abbia a., cohie* area* pure conget-
inrato Hnr. Stefano r GH. omettono \ non ; F.
anche esie.
5 i. Di cunt. Vili, 69; Spengel crede che
s'abbia a legger Qui di cunt : non a torlo, se
guendo hi <, ete, analogia qni ahi pel con
creto . Non sarebbe per lontana 1 so-
sliluzioue: proinde, ut non ea dicantur ' esse
analoga^ quae ab similibus verbis similiter
essent declinata. In G. f^ie declinata ; in B. a
nelU vulgata : quae ah similibus s*erbis simili
ter declinatis similia declinat ne manca ai
codici, tranne forse bu GHa ; ha F, ah B.
e la vulgala, io anil>duo i laoghi. Vuoisi on*
sillaba ; non il nome d* una lellera, qual aarebb
ha ; n una parola, aiccom' ab,
5 a. poterunt GHa., poterint F. in ^oce^
cio quanlo al suono Idia parola che resta in
tillli i casi il medesimo. Il MQller soslitu) in vo^
cibus -in rebus plurimos (scrivasi p/iireiV^
una mia congettura : ne' codd. in rebus pluri
mis. Con queste parole .suolai cominciare il nuo-
vo periodo : mn no |o come, n in qual senso
v^ai poasaito atlaccare vocabulis. Cos i codi
ci. Ha lo slesso valore che pi sopra voce, e nota
una distinzione rendala necessaria dai precedenti
contrapposti in voce ed in rebus. Il Miiller so
stitu) vocabula quae ternos una correzione
soggerita dal Koeler ( L l Crit, p. 2), e tale che
pu dirsi certa: ue'codd. nuovaanente quater
nos. 1 nomi di due sole terminazioni, noia qui il
MikUer, paiono omessi, perch rarissimi ; onde
non fa bsof^no raggiunta quae binos auggerita
dal Roder >huic E. I codici preineltono huiu
see Es le stampe huius E.; che certo un'ag
giunta di uhi credette che al datiro dovesse pre-<
cedere il genitivo; o^alP apporsi del Miiller,con
fuse con huiusce E la scriltura unita de' co*lici
huice. Questa cofreziooe fu gi iudicata dallo
Spcnirel r ut conferant. Torte ea conferent.
S3vquorum par. Cos giustamente i codici :
nella vulgata quorum pars.
in nihil. C l*>Scioppio ; i codd, ini
tium Quae dedita etc, Cf^ V, 60. 1 codici
hanno qui ira per ipsa^ t caput per eapit : il
primo .ercore fu corretto dallo Sciopf>io ; il se-
condo daHo St^aligero Plautum nella Mostel
laria I, 3, 86 (ijo). l testi di Plauto Mettono
Venim Phiolache ha Ls vulgata, Philolacha
i codiai ^ tasti stante una mia cnogellura.
Troppo diverso dalla scrittura de'oudici,. che
casu parve il casw mutante sosti
tuito daliMiillert Aiogni.nsodo il acnso dev esser
questo dicimu^ eaitn. lo a. premesso 1' e-
1/, come volev^i io Scio|)f>io ibum ... libo^
Cosi il/M.ii}lcr*r ne' oodd. limum limo et
{ie ^ il Mailer; lo Sp^ngel ut<; i codici,. lolton
H. , omesso, praeponantur^ Cos il
Mlldr, seconda vuole il conleito^: ne'codd.yvrae-
poQuuiur,
55. egant. Vili, 4 ? non * debaissi. Cosi
56S
Al LIBRI DI li. TllRLNZlO VARRONE 566
il Mtltlfr; i codici ometlono il non, Similmeirie'
pi follo rtullrusnon. Lo Spngel lospcll
inVece cfatlcK mancanta magfriorf Mettila^
Ili F. Mttllue, negli UH MttelU cor^km..,
eorvam. Ne codi*. corbum... eorbam ; no*
strum ha retlamenle la Tulgala; i coil<J. neu
troj -^ apte CutV pur la fu)gal9 ; i coiM. apta
^ Uidem ftlla fulg^la; ididem in FG^ ididem
in Ha. Io\'^em. Coai i codici ( lTvlga^
ta,^/ram non Jovem : ma la ri^lizioue dl fton
non necessan.
56. in usum la fiilgata : He' cotiJx usu
discrimina parinniciile ^ tlgialft: ne'codd. di*
scrimine quo dissimilis- natura CeaV ha
fcrilto congelluratid: i cunIv hnuo ^uod^ d/j*
HmHis natura^ e ot tcrisse il Mulkr; Il Ver-^
tranio c lo Scioppio mularorto natura in nata
rat. La mia letioue coftirappoila Mallaroenle
air altra in ufu It^rnm discrimina^ che ome
dire: iV, quo diisimilis est torum natura-^
nam et FGa., nani 'etiam H. ; liilli |>a^ tum 4n
luogo li cum. 11 MuHer oitilni : nam erat
tum ; t cum poi^ anche Sp^ngel diceren^
tur FU.] Miltier prefi diciantur^ come
iT in H. M* dicerent tir Unto pi <lev'cMcr te
ntilo prr Tro, in qnanlo dato da codici, dove
coni rafia col nam et tum prtcifonl^^ nunc *
cOntra. Quelo nunc un' aggiunta d<;llo $peo
gel, approvala dal Maikr.'
57. liattrra (i H. mf, onde in G.-nem^ cum
tria^ etc. Forte cum per tri4yetc. tiscrimi
nare (la 1! aldina ; i codd. dhtrimine ^ docius.
Cos la Tolgala ; i todA- docta. Ma ^ni itareh
he poi doctum ? ^ dottam rm GHa docias
tes F. ntaris. Coi lo Spengl e il MUller; i
codd. mares, U vulgaii mast'
58. dicitur F., i^itur G., in H. tr cnn sopravi
an kae res una congeilor* riferita dairA-<
goslino e pprorla daHo Scipplo t ne'codd.
tres ; il Miiller, tres tes quod* ad silentium,
H quod non ne* codici. Ksiiendo cosi ^iciiVo il
sunt comparatae^ mi parte btstMre ' quod^
t e i f scrTere qud tri coi) lo ^loppio, o qut>d
idctA afitller qud' omnia ubi * haitefii
nna ma congeliure t ne'ctidd; quod omnia ita
hetH. Il RHlIfcf o^iie r/io^bnf, giudicandolo
un** altra ltone' corrispofilnfe ^ad habere dt^
hertt. tlon mi ft eonfeofetite il (HinGiitk> riilrel-
lo a cfifticfi/a, cio alfe ilante da telltff deNe<)uaH
tnollre non tb pvrch s'areise a dire omnia^ e
non piulloilo baec quoque.
59. neutra cum his^ etc Goi ila ne eodici ;
senonch Ga. hann inter se in t^ogo di inte
reti che in FH.; lulli poi quoquo per qod-
que. Intendi: Heutris non interest fsocietsj
cum hi$^ quod sunt divetsa^ quodque^ eie. Ui.
cesi poi neutra in luogo di nettlris^ per furia
del seguente coslrutto quod (neutra) suni di-
^rsuyetc,\ eatando coti da priacipio, mi par
meglio in un alile iamigliare, .che se fosse neu
tris; tanto pi che tolta cosi o g n i incertezea tnl
soggetto di dii^ersa e di perpauca sunt. Cf. IX,
78. Onde non a perch il M u l l c r abbia rifallo
di suo capriccfo questo periodo Mr T e n d o : Mat
et fet^fHL habent inter se natura quandam so
cietatem : contra nullam plerumque habent
societdtem * neutra eum his, quod non * sunt
diversa inte^ se, quodque^ etc. ui libera no*
Stra (intendi nomina) una strana espressione,
lo credo al Inllo che 4 ebba leggerai : ut in libe*
ros'nostra eadem est causa. Cos lo Spea
gel, e con etto il Mailer t ne.'codici eadem et
(ft)rse H. ex) causa mulier H; gli altri f,
mina*
60.'Tertium. Cosi emend il Vittorio: nei
codii Terentium Secunda, La tulgala pre
mette Prima ; ocectu anche qeslo fu prenome
oaitalo. natus, af is Manias esset. Ne'* iodici
natus diceretur., ut is Manius esset. Il Miiller
icamhi. di luogo diceretur, con esset: a me
l^arve piutlosto una d<tppia IcMoue^ ed ho preCe^
rito esset che non sente, nulla* di chiosa Lu
cius ha la vulgata ; i codici, tranne forse a., Lu
cilius, Dioesi forsitnn ab efly come tap^
piamo da Feslo (in Manius) e principalmente
dairautore del. libre de nominibus, pi altre
origini ai davano dr.qusti prenomi.
;6r.\ quibus^ quae. CancrliisLil quae, cbe
in FGH., non per in a. ; e soslilitiseasr accidis*
jer che cos in tulli i codici. Quell'uso d'un
doppio viaculo relaiiro,. tultoch strano, rai pa
reva da rispettare per qualche analogo, bm dub
bio, esempick Ora inclino a ereilere ohe anche qui
siensi confuse duc; lezioni diverse : E quibus^
cum iim acci4^set ; e Quae^ cum item acci
dissent^irm le quali^ dtcendosi poi declirtaranf.,
mi sembra pia ver Lt^rraa Il MiHler a'appi
gli anoh'egli a qucaia, od iiKiJlre mut antiqua
in antiqi matrem Larum. Cf. Varrone
preaio mobi(^ >*^ gfe/U. Ili, 4' Macrob.
Sat: I, 7 f^olaminiam'^'Ge.y roluminam
H.4 /^/ la vulgata. Gli dei Folahinist
yolumn^ a cui raccomanda vanti i bambini na-
ttenli (s^j^ugust. Q, D. IV, a,i), toa iortc altra
co?
6a. pocabuli la vulgata j ne'codd. vocabula
cum in quibus^ etc. Bench sul tensio dt>l lui
4o non cada dubl)io, alcune parti ton certo osco-
re. A ogni modo io tcriverei cum in tribus^ etc.
bench ci forte non i>asli a spianare ogni difli-
coll. Il Mller mut neutri in neutra ; c pigli
i genitivi maris et feminae conte modi ellittjci.
;

56
eui foUinlenUas formae altra iimil parola
tiooh titano qui tq luogo li oomiiiairo^ com
Altre folte dandi (oaiut), multitudinis (forma) e
sirmlf, ridotii a quliti di oonii ioleclinabili
sed in quibus etc, > Spenge! tospetl ohe man-
caise qbi qualche eoia : ma gli ai oppise a ragio
ne il Mmler. Ia tradutione leilerale : me (per
tutte e tre qmette forme dee degnarsi tolo^ in
que^ nomi^ do9t SM naturali Rideste dolina-
xioni^ che vi si trovano essere in fatto ; cio e
queste vi si trovano in faUo iaiqut. Cos la
vulgata ; ne' codJ. in quae, toltone iurte a
6 3 . repreJiendunt. Vi l i , 48. Cf. X, 64 - ei
usum : Qe'codd. el (in B. ut) usu (io GH.
sus) ; nella vulgata; Nam et usu * dici
mus, I/ ut nn' aggiunta cootigliala dallo Speu-
gcl. Falla dal M&ller/
64. hae Musae. Il conletio tembra richiede**
re, nota i| Muller, una Musa et duae Musae,
Ma Ita Musae pu eater forie tuffidente di*
notare io genere vn plorale di namero delermi*^
nato. Otteriti in btti che pi sopra il plurale
indeterminato ioTece espreito da Musae acnxa
artcolo ir#ii et unae G. e forte H. ( gli altri
pokpongooo uni-^ Cf. Servio jien. Vil i, 168.
6 5. ut in multitudine^ Coti i codici : il Mal
ler trasporta V ut innanti <] uter, lo ho crduto
di Imiarlo ove ata^ poIcmJofia intendere pr
sebbene utri. In a. utre^ in F. ut utre^ in
GH. ut ulrae ; nell vulgata, ut uter mtrei; se
condo il Mailer, ut utri * utrae id est FH.,
,. Ga. 11 Mailer acritte Inde singulari. In
tendi vocabula multitudinis sunt, lu
omesse il sunt
66. argento ha la tulgal, aceto ioodlci ^
dicimus. Coti la vulgata ; i codici r* aggiungono
enim argenteum enim ha giuttamente la vulf
gta ; i codd. argentum enim,
67. Ea natura^ cio quella specie. Essendo
collcilivo, trattato come plurale. Comunemen^
t natura ccBS in q|iali( d'ablaiiv a ci
che segue e genere muUo. Queste parole so
gliono unirsi al membro precedente, lo GHa. a
gtnere^ e coti In liilto e da scrirere: io K. et io
loof di 0. ^ olii pr alias os por Varrone de
/7. i t a. Questo jnodo di declioaiione conve
niva iDAasioiameoie a questo libro, dove difcn-
desi MtlogU quod Chio^ ete. Notisi qoeito
modo ellittico quae ipsa adducuntur nunc
MolliuM unguenta,, quorum, etc, una mia^con-
geltor. 1 odici dann : quae ipsa dicuntur
nunc melius unguenta^ quoi (o cui) etc. Il Mul
ier contenioisi d* avvertir oelle note che il testo
e cerio erralo, e ohe forse, cominciando d Le
sbo^ a* ha a leggere : sic ex regionibus Arabiisj
quae Petraea dicuntur^ niinc, etc, ut vina.
Ne* codd. O vina re inique rescindere e
un'altra miacoOgeltjura. Simil0i0Ae nelc. 6a;
inique tollunt analogias. Ne codd. demque re,
scindere; e cosi scriita anche il MOlier
quom, I codd. sed invece di el , , che nell4 vul-
gala.
68. Item reprehendant* Vil i, 48 non *
dicant, yi * aggiunto dal Popmsi coofprme
a ci ohe dicesl tui 6oe, balnea dicere non cqnr
sueverunt (a. consuerunt). Lo ^pengcl ferisse
balneas s ma parve inclinare, come poi il Mulier,
alla coogettura deiPopasa ^ Quihus responderi
potest^ etc. Qui il Mulier 000 emendo, ma rife
ce. Eccone la leiooe ; * idsmque item contro^ *
quod scalae et aqu^e caldae pleraeque * mul
titudinis vocahUlis sint appellata^ neque forum
singularia i Uum venerint, * Quihus respon
deri potesi- non ess^ reprehendendum ; q^od ,
pritmim halatum (namea ut Graecum introiit
in urhtm) publice^ eie, lo ho lasciato intatta, la
lezione da* codici, Irapoe ure aggiunto il
f e/am * innanzi %quad; il quale quanU> facil-
meuie poieue essere trascurato^ noQ bisogno
h'so il dica, osterebbe qui per nagis quam^
uso non ratiatima. dix^eKunt GHa,, <^Xxe-,
rint F.
69. scatenti Ga scattrenf F., staret H.
venisset ,i gli altri yem*e/i/ ae GHa.^/<a^
F. ^ dicantur F., dicuntur Gi)a.
jQ, reprehendunt, Vlll^ 4v> auf Qa., au
Um H., et F. Tra qdftto l appresto paragreib
HMailer not Ugvua ; non per che i oudici ne
diano inditio. Crto alla declinazione obliqua per
vati rtiuniaSL nel c. ; Uddov^ i frapposti csi>i-
loMii trallano della declinazione retta, nella qual
materia l'autore era enlrato nel c. 5o, se non an
che joel precedente: oude il disordioe chiaro;
e non bastando a rimedio il riordinare, pu dirsi
chiara anche la manransa di qualche parte. Veg-
gasi tutuvia \e npU posla al e, 49.
71. Sed nec. Coti UMailer : ne' codd. Sed ne,
FauStini, Coti parimente il Roller : oc' codd.
Faustinosy c\xi la vulgata paeniette dicunt Ca
scelliani F., casfieliani Ha., fastellianiQ,\ e
poi F. Casselius^ G. Catelius^ H. Cassellius^ a.
CaieJlius, Anche, jn Oraiio, dota ricorda il giu-
reconsullo Aulo Casceilio (J Pot, 369), e nei
suoi scoliasti, ha luogo la medesin^ Dcertttu di
scrittura. C^rto Cascellius leggasi ne* monumen
ti * Caeciliani ^^un'aggiunta della vulgata,
se non forse in a. A ogni modo richiesto da
ci che segue animadvertant ha la vulgata ;
animadvertunt i c o d i c i * Faustus ; quod si
esset, * Coti aggiisate il Mailer coqforme al coo-
teato onatant Fa, Cf* Vili, 7^ ; X, 16. In GH.
notant.
569 Al LIBRI DI . TtRfcXZlO VARRONE 5^0
7. t4m dicun, Vltl^ 76.
75. Qu9dr rogmnt, VIII, 76 ^uor nor, II
non lato o\o I O. evetperi: in tempo
re oongHIora Iti Popma : ne' coit|. dWve*
spertino tempore, nr< StcfiMio t i tolc scrive*
re: Qtspere^ verperie^ eesperrime: mane em
%*espere^ efe. II Veriranio c Io Sdoppio potero
|Hi ptBptre pn luogo i i pere: 1 Ia rlpoiU ha
da fisfdarilare imitine vespere e marie; e II
vere calta betiiitvfno yi i i non prinfo. Cogl
e^rej^mtittt il Mftller: na cod<l. ^ui non prior
poie qui fl Mflllcf : iie coiKI. ut,
reprenditur, VIII, 7 9 relicua
nan^ete: NeVcodief frt reliffm eno> ripelcni H
fuod anaio^iat esse ' analogias
analogia st oelP aldina s :nia diceiMloit fioi in
hinas dividi il cottrallo medeaiaiio lift
da etier cful, lolfiolttovi dtco ob rleatati men-
tlmeote dell* mt disti ( Ct V, )>. Mutar 4|etto
In disti non V permeet dal Itfnto ^
im corretioiie fiitla dal Miller : ne' codd; ea (A
H et) fnae in pecoris usa t f r. Goi koictit^
I , perch'cofli tuolt apertametite il eoniMio ; iel
codki e nell editipni in pecoris wm non est
dividi. Coti 09^codici : la valgala hi dividiti
75. TorDMi nel b roalerta del e. 70 col/V,
eol(<t colerne Coe il MilMer : n^todJ. rolem r^
lis role^ aenon^ H. ne rirolla ^ordioet tt^lli
vulgata ror/#, rpr^m^ tore, eieniplo ohe noti fa
al propolilo^ euendone il nominativo ro confor
me air analogia Maepiter^ ett, GmI ita nel
codici. Cf. Vlll^ 49. La Tolgal ba Maspiter^ ed
onelte poi Maspitri Maspitr^m^ ome pur pri
Diespitri Diespitrem, f oraei, dice il Meiler;
a Diespitri d a Masptri da fHremeMert nn
non, lo credo che itiai meglio tema^ ffstndo il
coalrollo : Dicukt ll^atlv da negnt) iia vaca*
hula non hahert ohli^uos^ ut (ciac quales sunt)
in hoc Diespiery Dietpitrr Oieipitrem.
.76. cols. Cosili M^lllcr: in FGH. rois^ in a.
rolis ; e poi in FGa. hfiis, in U. yoUs ac ple~
ra^ae hanvo retlaroeoe i codici ; b valgala ad
pleraque kae ooes. Ne codd. haec oves : ma
qui, dove il pronome arlioto dis4inlivo del ge-
nirre, del netter del calo, ikni pu credersi
usato ambiguo haec in luogo dt Itae ous ha
la vulgata: i codici aggiungano /i>e n/ia, da cut
lo Spengel vorrebbe ricavare sino /, o sine l U :
ma aarebbe aggiubla peggi che itkntile Ut
ot^Xr. Scrivasi cosi, premcitovi il punto maggio*
re ; e nella I radusiune agfioogasi s Lo stesso di^
osi di aTis.
77. nikiti una eorreiione dell^ Agostino : in
FGa. in nihil, in H, nihii ^tam casms, Enrico
Slelsno vi toggiuoge s. Il senso chiaro anche
arnia ; n so qual de* due modi fosse pi varro-
nisno esto congetlota dello Spengel : nei
codd. est siet forrn<Vi| Mailer da si et, che
la lesione de'codici. Il Rolandcllo iiV. Cicerone
stesso, come noia il Mailer, aveva eguiilmenle per
lecito t sit e siet (Orator, 47i \^)^poerit
GHa.,/)Oiertfr F.
Nam ut sfgna^ eie. Questo nomifiativo
afa per atl.raxion, cme dicono i grammatici, del
ffuae seguente. Cf. IX, 9 aut atiam ifuam.
Cosi scrisse il MQIIer 1 in F. et aut aliquam^ io
Ga. et aut aiam aliquami in H.>r nt aita ali
ifuam. V*gKssf la>ooia al l . V, c. 170 sic in
VocMis casuam. Avvertasi che caiuum deve
essere distaccato d# voabulis^ed retto dal sol-
tinVeso analogiae ^ in Clastidii. Cf. T U, 107.
Vedi il Ribbidi ne' Framm, de^ Trag. Lai, a
f. ^35. Il nbmintrvo redu frt gli antichiiiimi
non era adunfpe in tiso.
79. Item reprehendunt. Vfl f, <>4
cties forse in a., negli altri ffertttlis ^ d\eais-
set OH., ehuissen , hie homen, Cbsli ho
scritto, perch da homon^ Com'^ ne'codici, si
farebbe Aomo/tii, *oi hotHirrs, Parimente nel
c*Hci haec ttrs tiene il potfo dr meno; eiVrel
dovuto fasdarvelo, perch ib queste cose gli an*
llchi erano mteno aempolOBl, o, per megl^ dvre,
men pedanti di noi. In Vattone sieiio ite sb
bittn Veduto altri esem|%li lae efstendttrk
non ha la vulgata : i codici aggiungono nova (r.
n^vam) idoantf a non iett ho scritto per
congettura: ne'cdd. sieety follone a. che ha
tt et. Il MitHer ne feee si e t id^non sit
n altra mia oongaltUra ; n codd. item est
Forte era meglio UsciaitvI e^f. Il H&ller vi pose
non item est Ifon; si quis. Cos II Mtfller ;
i codici e WvwIgaU, Nam^si qnis,
%o, cupressi y%UTi i codici t ma da el che
segue, raeogliesi che la gfafia d i 'Varrone*^ cu
pressei e fioei^ secondo Hprecetto di Nigidio e
di Lucilio ; perocch he* codici sta propriameni
E Ifaciant, e noh /facimnf come ie^ero il Ver-
iranio e lo Srioppi; e parimenle pi sotto fcum)
E et ut nummifici. Il Mttller omie queste
parole, che pur sono in lutti'i codici; eccello
ove manca etiandio il {fuod est, lo ho creduto di
UiCiarle; perch, regtsirandosi poi i vani casi
d'ambedue i numeri, ragione Ke ntisi il ge^
bifivb tanto deir uno, quanto deN'altro, come
prova di declinazione ebstinte; giacch, secondo
detto pt volte, il contrssseguo d^tta decKoa>^
tione sta nel passaggio dal caso retto agli obli*
qui. manus ; nec * n^ aggiunta falla dallo
Spengel, ed approvala anche dal Mttller. La vut*
gala ha solo ncque ; i codici nulla ut non di
it. Csi h vulgata t,FHs. dici, G.Jtci,
8f. analogia ia vulgati| la Ictione de co-
N L 5^1
lici, im^naogia Decussi, Coi il ilUller : in
F . deeuis^ 4i GB. detitts^ nella ^ decus
sis. TmUu dtcustiy qufilo decussis paiouQ ap^
poggiali tu buoni eMfii|>ii : ma del seeonJo. doq
ha luogo dubbio Uafieatun lato; <U1 primo
qualche gcru|K>lo. Sentach la scntliira de'codici
cMQOa meglio decussis ; lanlo pi che FHm.
mivono poi decussibus eoo ir areinpia. Quali
aiaji questi icru|K>li, il vedremo ora aes mdsi
gni/icat. Quella etpreuione dichiarala da ci
che acf ue nei par. 83, dove diceti che tressis
eoa) chiamalo da tribus (pondsribus) aeris;
ciocche deve timilmenle inleodecsi di quadras
tis^ <^uincussis?y sexisy e di tulli gli aliri. Onde
che quelli corepotli t o ragguagliali alle forme
ditgiante oetoHis aeris^ mille aeris, te, ; io ci|i
declinati il naroeiro, ed aeris rimane iuvertabile.
Ci temhra dello ripressamenle parole; eX
tius^ (aeri^) nnmwro casus sunt. Ne te-
f uir^bbe adunque <he loMi quetli nomi tarebh^
rq indeclinabilli e probabilmente iieulri ) come
iutegna Marciano Capella, il to|o fra ^li aoli^i
|i;rammalici il quale parK di q^ictta maleria (l, IIJ,.
c. de anal.)* L ' ablaliva lutlocl> ad^pt-
. da qualche autore pi receule, poIrebbpB
adunque non ettere rieonoteMlo da Varrone, h
per Tero che alIrovie.^V, 169. ,Cf* Pfisciano de
l'ig, Num. 13 ) il medeMmo,Varroiie d que^
ali fH>ms come.forma)i lai numero e <|a asse^
che cello la vera etimul)*g ^de per qu^tU
origine dovrebbero eifere invece e dedipabili e
maichili; ed vero i n i ^ e che qai si approva
decussibus^,e ti atlopera /re<#^#, e si tcrive hi
tresses. Ma quanto alla,prima cosa, non fa ncaiH
che bitogfQ di xicorrere per la risposta ella noia
incostanza di Varrne; perch ia quello libro
egli perla a nome degli Ariflerchi con 'lutre le
licence d' un dralore. Qusnio i.poi elliiMqonda^
parnii non esservi riipofit, te non a' ammetta
uue-diti iiu ione /re il tingoUre e il plurale; sic*
ch quelloeia pure indeclinabile c neutro, qne
aio declinaJ)ile e maschile: ddla qtiaf difterenta^
ebben qui uon reiidcii ragion^^forse con sareb
be diiRcile il farlo, ogni modo ci che iuse-
gnati \lichiaeaiemeiite io ci che segue Bis
tressibus coejicto. Cos ho teritio per qonfellu-
ra:ne'codd. his tressibus canfido. Per ,questo
verbo confictd^ reggasi il par. 107 del 1. VII sul
fine I ma chi Ucredesse troppo ^imno, il muli
pure in conficio^ verbo nptiaslmo In questo sen
to, e po^ pi.loolauo uelU tcrillura da confido.
Oca questi , due esempli ai dice fenaioente
tressiSy e prr anche i suoi ainiili, Iccluiabiie e
roaachile>ncjiuniero del pi. Certo decussibus e
centussibus troviamo.in Felo alla v PecuiaiuS^
come parole^ secopdoih pare, dUa legge l ar-
pea ; ePapia registra decpssis e centussis come
maschili -r- fioc tressis habeon et Eoe tressis
(coti da scrivere, non tressi) confido. Coti
hanno precitamenle i codiei, Iriione cori^/9, ia
luogo del quale anche' qui dann^ yConfido, Con
questi due esempii ai d il ai gole re ili tressis
come indeclinabile e neiUro signiftcat la
vulgata ; la Ictioae de'codici significatH^
S|>engel e i l MiiUerai tennero jilla.V4llg<Ma^ anzi*
ch a'colG ;x onde la loro Iciione tuli*'altra
cosa. Ab tressibus^ arrivotio eoi, viriUa multi
tudinis hie%e et his Irettibut, cumsit (M.
siet) singulare /c .Iretsis,. et ab eo hoc Iressi,
e/ cum siet{\m Tolg. t lo Spengel eo, omrtao
il precedente et e laUo ci che segue) sic deiar
ceps ad centussis* la una materia cos poco nota
mi parve dovere il tenermi tiretto a'eodici.
miliarium. Cos il Mailer ; ne codd. mil
le qmartum.; lo^ioppi, tegulo dlUlo Spenge!,
miilenarium. Cf. c; mille denarium, Cf.
Vi l i , 9^. milia, la G. mille mijia ; negli a4ri
milia, l\ grammelioo Pompto a el commento al-
PArie di Donato p. i^a, sos Lndem. iotrgna
eapretaamevleheaccendo il precetio di PUnio,
nel tingoiard tcrifesi mille^ ma^nel^rfurafe mi-
Ha, Vedi la seriltura de'codH ai fiar. 36, 37, 38
del L VI. denaria hnQ<^i codici ; Agosino
vorrebbe denaristmi me /ideo duo milia dena
ria ritorna anche pi sotio nel par. -85. '
83. quom, Cosi^.pareva., V. cm, .,
11 Miiller toftiH quoniam : ma rum o quo*n^
tome vogl i ati tcri vere, nel t s rfi quoniam^
ccatrui to con indiealivoi, gi not e registra*
to con esempli di . Ci ceroee as i / t CosHa^vul
gal, e forap a. ; gli nitri codUi, adsit pende^
bant. Cosi i codici { e certo pu starei dicendosi
io general e di lutti i dipondii . Pure non fuor
di ragione il cospetto che i copisti vi abbiano
posto pendebant p e r c i ^ h e n o v a^peVeno che
duo anche accusNliro Hoc aerei Cosi lo
Sdoppi o : ne codd. hoc ah aerea...
84 ud centussis, lo ,av adacentussis^ negli
altri ad duoentussis. Ci. V^ 170 eitisdetfi^
mQdi. Cos i codici.t la'vulg^ efimoc/i ; i l Muller
omise e;c -r- suum infi/titum. Non ao perch il
Miiller abbia soaliluito a qaesta lexione, che
de' cadici, ienitfrra infinitum.
nniliatiis^ o, com' egli serive, milliariis^
ana congettura dello Spengeh nt^ cod>, ^tilita
ris loquontur. F. Quanto poi al loodo milU
dnarium e limili, veg^anii priacipalroenlc Aulo
GelHo 1, 16, e Macrobio Sai. 1, 5 ; uve dicesi che
in siffatte IcA^uiioni /nf//eela per non per
XiXei^ onde segue loro 11 verbo di terxa persona
tingolare miii denaria. Qui i cedici tcrivi*
00 millia ; pi iillo V, ha mHi : latti poi anche
573 il LIBRI D! M. TERLNZIO VARROME
quell volta Hanno tnaria drachmis l qui
I et rachthis V., et rachinis GHa.
Notisi ci che qui sl <)ioe ili questo genitTO f)1u^
rale tlelertoioilo drachmam^ al modo'ili Aenea
dum |)cr Aeneadarum ; la qual licenza norr da
credere he foste coneeduta tollanlo queste
perche erano foci ^eche, m* (rTas p<rimenle
in caelicolam e in qualche altro vocabolo. A
gni modo u per intfuenza greca; giacch le de
sinenze osche e tabflliche sorto azum ed asam,
oporteret. Cosi lo Scioppio: ne'codd. opor
tere ^triumvirorum^ decemvirorum. Il primo
omesso da' codici, e in luogo del secondo vi sta
centumvirorum ; ondecredei dal Mailer che, di-
cendosi iudicium fuisse^ si toccasse lotte e tre
le maniere di giudici, cio i triumviri capita
leSy i decemviri stlitibus iudicandis ed i ceit
tUmviri,
86. novenaria. Cosi fa nilgata ; i Co.di^i pre
mettono un non regala, Co lo Scioppio,
conforme al seguente Regula est numerus no
venarius : codd. regula unum G.{ gli altri
unam et hinc ha la tulgata ; I codd. et (Olla.
ut) V hinc novtm et rtortagint una con
gettura dello Spciigel : ne codd. IX (in GHa.
LX) et,
87. ad nongenta. Re^codicl in rifr ; onde
in FH. resta escluso ad^ icrivendovii dcccc *
milia FGa., e cos pi sutto G. sic hoc
milje^ haec duo ^ liii Hggiunta fatta dal -
ler, e con pic^cola differenza dallo Scioppio : certo
la vuole il contest denarius ha la vulgata ;
ilenarios i codici a decem ad nonaginta.
tinsi rettamente la vulgata ; tie codd. decem ad
LX (in H, hoc) ad nongenta. Anche q*ii i co
dici dccce miliariae, ^e codd. miliaria
et tres. Ne eodd. et res.
88. adicientes minores una mia congcttu'
ra: ne'codd. ah'deciens minorem (in a. d' rfe*
ciw minores). Parimente ho miitartor il neque
de'codici in quae ; ed ho scritto con'H. con
fra eam^ omeiio V est th vi fi appongono gli
altri. Il Mailer rifece questo luogo cosV, aggiun
g(!ndo del lo cinque parole : Ad hos tertim et
qartuth acium^ ab deciens minorem^ *a de-
ciens milierif marem addentes^ * imposue
runt vdtahaa ; nqu rton^ sed tamert non
ontra ant^ de qU \scribimus^ anlgian
Ifam i/riiVy. CosVIo^Sjtehgel : ie'code], tidm ut
( ut nieffo, d# G. ; non istrbbe riilb mo-
talo in et) decienis (in dcenrs) line casi
bus. Vedi Gellio I, , ov all^gahsi antichi
eiempii dj milU nelP ablativo, noq per alcnn
altro cdso. fufs'fe il li mite di decussi e cen*
lussi.
89. Quoniumin e^ eie. liHendi capite. La
ragione cosi premessa, come f^tto qui, fa parer
pi duro questo trapasso, che efFe^tTamente noit
sia. Ad ogni modo potrebbe bens tnancare qRal-
che cosa prima, come sospetta il Afiiller ; ma della
lezioDC non parm da dubitare 4:^
come poi o'/Uftiyvci/tfv, e nel seguente paragra
f sono scritti in Iu4li i cotici coti
lettere latine qUo minus. 1 codici ripeto
no prima obliqui casus^ che pare una chiosa
fatta per richiamare alla mente il sol et t o
Graecanice. Cosi il-Pio: in F. gr^exancerie, ii)
W, grecaneatne^ ih G. graecam xaene ; in a.
manca questa con altre parole In H.
Argeiy qual fu probabilmente la scrittura di Var-
fone. Vedi la nota posta al par. 80. nomen ei.
Cos il Pio : ne codd. nbminet ; tranne forte a.,
di ciii non notasi nuWa,-^ signijicait pari
mente una correzine fatta dal Pio: be'codd.
(lion pi sa di 9 .) significavit^ per la lolitA coniu-
sione del v col b.
t)0. * Sapphoni^t Sappho:* Ho aggiunto
queste tre parole, e \oVAlcneoni^ perch il con
testo dornaiMa lue uscite diverte d ui) caso obi
quo medeiimo d un medesimo nome. Tra rati
obliqui ho preferito il dativo; perdt in Varrone
tolitameiite il primo dopo il nominativo,
fierch ne serbano le traccie le paiole et Alcaeo :
tenzach Poniistione di Sapphont e Sappho^
precedendovi Sappho^ ptobabilissima ; non
cosi quella At Sapphonis et Sapphus. Veggasi
Prisciaud VI, 3o, p. 74^ P Servio Aen, VJ>,
G6a, ec. Il Miiller scrisse: ut Sappho * et Psdp
pha ^(v. l Etjmol. M. p. 485, 4*) Altaeus
et Alcaeo^ sic Gerfon) Geryoneus {F. gerio^
nuSy G II. gerhnis)^ Geryones consequentis.
Cosi lo Spen^el : i todd. consequenti dicerw
pani una chiosa del facer antecedente, usalo
spetto grammatici iti quetto senso, e qui pi
conveniente ie dicere perula prossimit i di
x e r i t ^ et non secutus^ ere. Cos i codici, le-
iTonch tcrivono poi reprehendendum (FG. re~
pfaehendendum)f che ti poneva fofse lasciar
cosi. 11 Miiller con Agostino, omette qui Vet;
t di reprehendendur fa il reprehendant th
manca a codici lul principio del paragrafo se-
guenfe. 11 diire non secuus erit dhetlogiat senza
|), non parmi ^onchtione tufficrnte.
. Reprehendunt. Vili, 60. Qneita voce ne-
cettaria al contetta,' fu ometta dk^cot^stf per la
tomiglianza col precedente reprehendendam ^
Phtlmedes, Ne cdJ. e netta vulg. Phihmtde,
Coti cor*esse ir Mtller,
g. de tana. IX, ' 39 adictant., addittm
FH.y 'adiitfam G, #1 nationes ex procreante
diiiiniitisl Cosi i dodici, salvo ^ c hanno in e
non ^1. Lo Sdoppio congettur : si nationy Sti *
57 i
575
N O T E
5 7 6
prccreaiioncy dissitntU ; Io Speofel : si naio
ne eoi procreante dissimilis ; il Mitllcr: si na
tione exprocreati dissimili.
ut in o9s. Cos ho icrillo per congetti-
ra : iu Hm. ut in 11, in ut in his ; il Miilier,
ut in gallis reprehendundum. In . repre
hendendum^ iu F. repraehendundus, iu G. re
praehendenduSt 'xn H. reprehendendus.
94. Quare, In G. Quor dissimilitudinum.
Cos Ift vulgata t i>e' coiM. dissimilitudinem >
assumi il aogg^tlo di non erit remotum a na*
tura: li 0110 quasi una pa^
reiilesi ; con sic aliud si ^uid^ ete, ripigliati il
filo, bench i muli coalrulto. Il Miiller^ da Ot
in his^etc. %. Sic aliudy etc.% form invece un
nuovo periodo ( e in luogo di itaque poae ita
non erit H., non enim erit Fa., non enim Q,
95. nominatuum. Cos lo Speugel e il Mul-
Ur : \n naminatiiu^ in F. nominati^om, in
G. nominativum^ in H. nominationum, Cf. Vili,
C3 analogian, Ne'c^dd. analogia deeli
natum, Coi ne* codici, inleudi licgli argomeoli
de Craletii. Il lUiiller fostilu delibatum sumi
possit. Coli i codici. 11 Miiller * allenne alla vul
gata, che ha sumi possint ; lea^giie ieuz dubbio
errata, perch cos da questi fonti vpriebbero
prese le oppos&ioni^ aniich le ris|>oile. 11 co-
itrutlo : ut ab his fontibus sumi possit {quod
satis est^ alcqn che di smile) qd responden
diim omnibus ( omnia per nttrszione del quat
aegueute^ e sta bene sul principio), ^uae dicun*
tur contra,
96. ut legi. Cos AgosCino,, secondo ci che
segue : ne codd. ut legerem perfectum . . . ,
ittchoatum tcTWe la vu^(ata ; i co.^erfcctam
inchoatam (in, U. inchoatum) >lego et legam,
1 cod<L aggiungono iiuovanirntc et lego ; qudf la
vulf. legam et lego et ex divisione, Cof t
codici Siuiiluiente oel r. 108: in al tafn perso
nam aui ifi tempus rationem. Ne- tod,d^ ra-
tQne^-~ scienter idJacere, C*i lujij j codici,
senouch a on^elte lo sciente/. Tutltvia pariui
cerlistifoo che vi si dee leggere inscienter,
97. ttem illud. Cos.il ftlHer: ue'codd. iden%
i l h s qui ; nella ite/n,illos quii I*
lezione giova riinr llcre, niultio che siasi
/er in inscienter -r ^eque ex, Hequeea'^,
eZp. etc^ JVqm inferta^ etc, Cf. X, 4 *
(Tram, su^'!^ roancf accodici. Fu supplito d^llo
^pengei.
gb,feriiimyferQ^ feriebam, Cos sta tcritto
in GH. ; in F. omesso ferio^ i %, feriam, Lof^
dine vorreb|>e ferio nel prm^ IgogQ anche io
questa, CQroe nelle alLre. formule cllaiionate --p
percussi^ * p^cuss^ram^ percussierq. Cos il
lliiller, per compiere Ugiusto ternario di lempo
compiuto: ne'codd. ;>#rcii.liCL dichiarazioni,
ch ho intfodutto nella versione, mi scusano qua
lunqi^e nota sul senso di.queslo capiloletlo.
99. infecti hauno i codici, e pu itar bene*
Cf. X, 48 vulgata ha infecta,
100. personis, Lp, vulgata aggiunge et fprmis
dicebantur G. ; gli altri dicebatur,
io\. Etiam hoc. Cos la vulgata; ne'codd.
Etiam in hoc : ma segue la forma, Id imperita
reprehendunt animalis hanno i codici, che,
come nome di genere maschile, nuoto : Ago
stino vi volea sostituito animanieis ^ infecta
verba G., infettaba F. (onde lo Spengel suppo
na infecti verba)^ Ha. infecta et absenti. Cos
la vulgata, e, per qusnto psre, G. ; gli altri co
dici aui legito. Pare che diasi come impera-
tifo di lempo fuluro^ comune per la seconda e
per la terza persona. In questo modo lo spie^
gano Priscisno ed allri antichi grammatici
qaae non * sunt imperandi. Ho aggiunto per
congettura il /lo/t, come s' dovuto fare in molli
altri luoghi. Lo Spengel propese invece la mu
tazione.di imperandi in indicandi^ e cos scrisse
il Aluller: Is vulgata sostitu fatendL Ma non
.solo indicativo, dove abbiano luogo le due
divisioni.
l oa. quoiusque. Cos giustameute il Miillfr;
ne'codd, quisque nominatibus . cougellura
dcH Spengel (Emend, Varr, p. 6) : ne* codd.
nami^ativis supra IX, 7$ e egg. ex tenis
una inia congettura; ne oodd. externi; nella
vulg. extremum rectus GUa., rectos F.
io3. si hic GU. ; sic hic Fa* proportione.
Ho posto il punto minore innanzi a questa voce ;
il lMCil|er lo pospone; lo ${cngel e la vulgata
continuano senza distinzione dicimus. Cos i
codici; il Mailer i/ iximax p^ congettura dellg
Spengel non * habebit. Ho ^giunto il non,
perch mi sembra voluto dal contesto. Cf. IX, 79
aliam quamf. Cos il Miiller : i cod<|. aliquam^
Vedi Ipiootfi al 1. Ci iSS ^ ^ossu^t F., post
sint GHa. Jl^ctus detto .qui per fpmigliauM
il princpio, o, come chiamasi prima, caput, dt\
verbo (Feggasi il pat^agrafo precedente). Oi|de
non bisoguo dice il M|ier, di.suppor qui al
cun mancamento aecoudoch vorrebbe Enrico
Stefano, lo eonfes^ pero di pon Sftper ^npiliarf
la. prolisaiti^ del fine di ,questo apiioletlo cor
lVniMop^ di ci che p^nrebhe efsenzV(,^p
del coqie, T.aual^gif po^sa con^pojrtare, uu apq
s^ss9 in due c*rpi^diverti ; fan lo, pi .che, le hiUt
irregolarit del y^rbo ye/Ze avrebbero pffex.tq
abbondante materia. Ma forse all*, autore, parve
bastante il cenno .Catto pi appra, perffi/avesse
a raccoglierne che alcune membra della coniugar
zione di vo/o, afpsrleogouu ad altro capo, cio
5j 7
Al LIBRI DI M. TERENZIO VARRONt: 578
velo ; e quanto al resto, di tiimul, piutl oi to
che entrare in roinute disquisi zi oni. A questa
materia de' terbi ambif;u nel l oro capo, ri torna
l i pi sotto ne) paragrafo 108.
104. longurn pluit^ luti. Qui i codici omet
tono tl noto segno di sillaba lunga, come anche
nel c. 72 dei 1. V i l i ; lo. usano per nel 70 del
I. X. V pure omesso il //V, e in GH. anche il
pluit : ma li rioatano d.l reelo del paragrafo.
105. sacrifico et sacrificar et lavaf. Cos
reltumenle U vulgata : ne'codd. sacrificio et sa-
crtfico rela^at. L ' antico uso d sacrificor in
forma deponente per sacrifico^ registrato da
Getlio XVIU, la, 10, e da Nonio it qual reca due
esempli dello stesso Varrone (p. 479 Mere.)
J urn sacrifico. Cos emend TAgoslino : in FGa.
dtini sacrifici^ in H. durn sacrificii nec di
cat. Cosi la vulgata ; i coild. ne dicat sacri
ficatur. Cos propose lo Spengel : ne codd. sa
crijic^iurus,
*io6. /4pud Plautum^ Tt uc uI. II, 3, 1.
107. utitur Fa. , utimttr GH. oporiet. Coti
codici : il Miiller sostitu oporteat^' facendolo
dipendere dj| precedente sequitur. Ma ne viene
uu costrutto involto e contorto senza ragione.
108. dicantur. Cos i codici ; ed verbo non
disacconcio a notare la formazione de'successivi
declinali dal loro capo, siccome parve anche al
Mailer. Il Koeler (Lit. crit. in Varr, p. a3) pro
pose <iiicer/iafirr; lo Spengel videantur ut
in Myrmecidis, Cf. VII, 1. I codici darebbero
propriamente Murmecidis^ grafia pi probabile
aut in tempus. Intendi aiiid tempus, Cf. IX,
96 non esse. Cos primo il Vertranio : n e ' co
dici nosse.
\o^ utrumque. Cos lo Scioppio : ne' codd.
uterque verbum temporale un' emendat i o
ne del MUller: ne' c odd. verborum temporale.
chiaro che il verborum fu suggeri to al copia
tore dal precedente in secunda forma aut
5 una mia congettura : nelle stampe, anche
dello Spengt l e del Mitller interamente omesso.
Ma non era ragione che si tacesse questa tersa
desinenza distintiva di una delle Ire coni ugai i o-
ni ; ch tre iaonosi appunto da alcuni antichi
grammatici per questa triplice uscita xJella secon
da persona singolare dell* indicativo presente. E
di vero all an is i codici soggi ungono at si (F.
solo / di cui non curaronsi gli edi tori ; e negli
esempli recali appresso comprendonsi tull i e Ire
queste termi naiiooi. N importa il dirsi Utrum^
perch questa panicell< usasi anche di tre e pi
cote ; tanto pi le|faiidusi la terza alla lecooda
con V aut. Sull anto ordine de' seguenti eienipii
vorrebbe an ES^ aut IS ; e a chi li camBiasi e
cos di luogo, io non avrei che opporre, eoo-
M. . N'abrorb d e l l a l i k g v a l a t i k a .
trappesandosi da un lato e dftir altro gl'iudizii
de'codici ohstrusa. Cos scrisse il Mtller : in
G. obstura^ lo H. obtrusa^ in Fa. abttrusa^
ruo... ruOt ruis hauno i codici ; la vulg. veho...
v^eho, vehis suam ... formam GH. ; F. suas
formas; a. s u a m formas.
IO. reprehendunt. Vi l i , 58 amaturus^
perci che pare, a. ; gli altri ab amaturus ab
amor la vulgata ; i codd. amabar amatis
ne' codici, e fu malamente omesso nella vulgata.
Anche qui il primo obliquo il dativo, come il
pi delle volte in Varrone mulieribus. Lo
Spengel suppone eh' abbia ad essere muliebribus
eiusdemmodi Ga. ; gli altri eiusmodi.
III. esse analogian. Cos il Mailer ; i codd.
est analogia ea non consuetudini. Co5 ho
scritto per congettura : ne'codd. ea cum con-
suetudinis ; in H. omesso il cum. Lo scambio
di cum eoo rton avvenne pi volle in Varron; e
il modo conciso che n'esce per questo mutamen
to, mi par pi conveniente al far dell'autore che
la slombata prolissit dell' ea tfum consuetudinis
discrepent verbis^ che la comune lezione. Vero
che il discrepant (cos i codd.) verlis ii/rmi-
que (tit* utrumque)^ di cui fo la seconda
parte del periodo, non contenta pienamente. Ma
da altra parte, ove si consideri che nella vulgata
il periodo storpio, bench vi ai muti utrumque
in utcumque; che lo Spengel ricorge all'ovvio
spedienic di supporre una laguna dopo di utrum-
que., sebbene i codici non ne diano indizio ; che
il Miiller finalmente non seppe trovare miglior
rimedio che lo scrivere amovebis in luogo di a,
verbiSy introducendovi cos un modo aiTatto nuo
v o a Varrone e che tien troppo dello sforzalo ;
spero che parr comportabile la mia congettura.
Soltanto ne vorrei mutata l ' interpretazioue ; per
ch fu un vano scrupolo che mi ritenne dal dare
a queste parole il naturale lor senso, il qual : //
contrasto da ambe le parti sol di parole
ut scriptis sibiy etiam re pugnant naturae^
un' altra mia congettura ; e neanche que.ita tale
da riralinerpe in tutto soddisfi, perch sembra
unire in un tempo stesso i due contrasti che do
vrebbero essere spiccatamente disgiunti. 1 codici
hanno : ut scriptis.si etiam repudiant natura ;
il Vertranio e lo Scioppio, ut scriptis sic etiam
repugnant naturae ; lo Spengel propone repu
diant naturam ; il Miiller scrive, omettendo Vut
ed il fi, scriptis etiam repugnat natura
^tiom. Ne'codici quod qui debet equivsle al
dire quem oportet^ cio di cui convien dire. N
fa bisogno d* a^ginngere dicendum o altra cosa
simile, all'ultimo inciso; pen-h il dicendum
non diffcile a supplirsi mentalmente, traendo-
lo da reprehendendus.
3 7
579
NOTE Al LIBRI UI M. TEREtIZIO VARROMK S8o
Il a. Qui dicU, Vlll^ 66 f/cani. la GB.
dicunt qui piccat. Coti lo Speogel e il Miil-
ler : nc'cotlJ. qui cu/n (ia U. nonj peccat^ non
duobus ha U fulgaU: i codd. non in duobus
orationis. Eor. Stefano e il Pcpma aostluiacooo
rationis, ciocch non appro? il Mflller.
I l 3. egissent la Ttilgala; i coJd. legissent
alia inter se similia* alia dissirnilia*^ sunt,Cot
il aAiillcr : i codici omellono similia e dissimilia
natura maoca ad Fti, is soUae* Coi lo
SpanffI il Mailer: Da'codd. Itii soleae * //in-
raenae ha4a Tulgatai mureae nerena FH.,
nerene a.
114. conitendam la vulgata ; i codd. eonfe
rendum quoquo modo, lo F. quo quando^ io
G. quo qn ^in H. quoquo qu^ io a. quod quan
do, odia Tulg. quodammodo^ cbc non calia. Cf.
IX, 5 . Il IVliiller scrisse quoque modo.
115. singuli quoque, Cf. IX, 5, 17 absol
verit la TulgaU: ne'codd. absolverim de
manca accodici, e fu aggiunto dal Pio; il quale
poN par forma in luogo di firma.
NOTE AL LIBRO X
U L T I M O
DEI SOPRAVVI SSUTI
1. cum ab his ratio, eie. Queste parole $\fo
Icano Jfidere col ponto maggiore dalle prece
denti, continuando poi il periodo sino al fermine
del capitoletto, e chiaJendo fra parentesi tutto
ci che leggesi da de qua r a conveniret prae
poni ^ potius similitudinem. Ne'codd. potius
dissimilitudinem^ manifesto errore corretto nel
la vulgata ut debuit. Cos la vulgata : ne' codd.
ut debita^ tranne H. che ha ut debite,
a. continentur. Cos corounemeote : lo FH.
continent, in Ga. continet proportione. Cos
il JMailcr coi codici ; comunemente proportio,
Inleodi ratio proportione^ com' nel capitolet
to 37 ofc dicesi : Sequitur tertius locus, quae
sit ratio proportione^ quae a Graecis vocatur
draXoyov. quod dicunt Ia vulgata, offVrta
anche da G. ; negli altri codici quid dicunt.
3. videtur habere. Cos F. e la Tolgala : in
GHa. habere videtur quoius quid *!>
ma emendatione del Uiiller: io G. quoiusque ;
negli altri codici cuiusque,
4. simile est FHa., cui por s'alteooero
Speogel e il SlOller, qoaotooque la volgala simi
tis est sostenota anche dall* aotorit di G., e
qui almeno assai pi naturale. Vedi tuttavia
Vi l i , 4 > 6, 38, etc, filo. Cos i codici ; e
questo oso di lum per lineamenti del corpo
noto per pi eiempii. Comooemenle simili:'\\
Mailer, etjplo,
5. putant GHa. ; putent F. quod alias ...
non dissimile manca a GB.: maggior piaga in
a., dove ultasi dal primo al secondo neutrum.
L ' intera claaiuU Std quamvis.... aut non w e ,
crederli Mailer che aia qui intrusa, e fosse piut
tosto m* ofservazione ggianta nel raargioe.
Certo n* turbato ordine del discorso, o sa-
prebbesi dove collocarla.
6. quin quoi parti GHa ; quin cui F. ; co-
muoemente quid cui; lo Spengel e il Mailer
omettono Hquin: a me parve da lasciare, inten
dendo videndum ne cui (alicui) parti etc. et
non sit. Cos gtostameete U vulgata : i codici
omettono V et plurm GH.; plut es F.
7. ut similia dicantur. Cos la vulgata, ae-
nonch ha simileis in luogo di similia: ne' co
dici manca il similia ; e Vut posposto a di
cuntur^ ch cos vi ai legge in vece di dicantur.
Il Mailer omise il dicuntur^ e tenne ntl resto la
lezione de'codici, continuando inoltre il periodo
fino a lubricus est, Tulto h io abbia seguilo la
Volgata, credo per prul>abile U correzione dd
Mailer, che in fatto pi ticina a' codici \ e se
omette il dicuntur, ha di che farlo: perch non
diffoile che infra dituntur fosse ooa nota ap
posta nel margine al quas partis et quot mo
dis, etc, ut infra apparebit itaque hanno i
codici: il Mailer lo sciolse in t/a quae; parmi
senza ragione. Leggasi poi videmut non videa
mus che un errore di stampa.
H. quom. Cos il Mailer: oe'codd. quod
cum ; nella vulgata quod eis certae la tol
gala ; ne'codd. eas certe in virili genere.
Dopo qoeste voci codici ripetono nominum
tint eodem essent G. eoo la vulgata ; gli altri
codd. esset aut hic leputy eie. In FH. aui
hic lepuSj aut hit nemuSy aut hoc lepus (H.
583
N O I E
584
mus), hoc nemus (\\. lepus) ; donile sosptU lo
Spenge! che t'tibhia a lejrgere : nut /tic lepus^
hic nemus ; aut hoc nemuSy hoc Itpus : ma G,
confermano la letone vulgata.
9. Quem locttm, Coi il iVKiller : ne' codJ.
quod iocum vitas^erant la vulgata ; in Fa.
vitoi^ernt, e poi inceperat; in G. cuncta\^e
runt^ in 11. curarunt^ e poi in ambedue ince
perunt.
10. eas. Intendi similitudines partis eiuS
quae hahet^ etc. Cosi il Mulier (Cf. 18): ne*codd.
partes eius quae habent^ etc, idem una con
gettura del Mulier : ne'codd. eidem ; nella vulg.
eadem quadraginta G. come la vulgata ; qua
dringenta F., quatringenta a., quadringinta
l!. : ma non ha luogo dubbio, dicendosi tellan*
luna le specie universalmente Aristocles Fa. ;
non so, dice il Miiller, se lo stoico di Lampsaco,
o il Rodio che fu contemporaneo di Varrone
rettulit \\%.^rutuUt F., retulit G.
11. erraretur^Qo il Miiller col Vertranio t
con lo Scioppio ; ne codd. crraret^ che potreb
be esser retto da ratio. Lo Spengel propose er
rarent ad quae. Ne codd. atqucy errore cor
retto fin dair aldina ut k omesso da H, Cf. VI,
54. 56 ; Vii, 17, 44^9' #Vil i, 45. Per oeccstario
<|nesto leniperameoto, sicch basti intendere il
solo transito ; ultrimcnti analogia, quaudo pur
tosse, tornerebbe iontile alla pratica.
\2, conferatur. Cos la \ulgata, seguila an
che dallo Spengel e dal Miiller : in FG. eonjere
tur^ in 8. conferretur^ in H. confertur esse
simile. Coi . ; e vi si era gi apposto lo Spen
ge! : gli altri codici esse similem.
13. inclinandis FHa. ; in declinandis G.
Questo uso di inclinare per declinare confer-
juato da molli esempli, priucipalmeule di Aulo
Gellio.
14. limo volg. ; oe'codd. lima ^ mox et
nox Fa. ; gli altri nox et mox. Il parlarsi poi d
nox prima che di moXy oou parmi argomento
per una pi che per l'altra disposizione ra
tione. Forse rationem. Cf. IX, 66; Vlll> 83.
15. Secunda divisio^ etc. Cf. Vil i, ai , aa
alio. In Glla. aliae. Forse, nota il MuUer, alio
vealioe, Tarmi che si desidererebbe piuttosto
a nomine unius rei aliae imponit nomen
Romae Glia. ; gli llri Roma ad rationem.
Co!i giustrfmeule vulgata: i codd. ad oratio-
nem, scambio avvenuto rnche in altri luoghi.
16. conferri. Llnrico Stefano voleva confer
re^ o raggiunta di Capua cum Roma o alcun
che di simile. Ma la libert usata da Varrone nei
cosirulli, fa compoi labile |ueAla mutazione di
soggetto, tenta che si aggiunga o si cangi nulla.
Co>i fu avviso anche al Muller ac languescit
manca a codicii ed , nota il Mailer, uno dei
rari esempii di varia lezione che trovisi nell'edi
zione principe e nelle altre da poi, la quale non
parta da'codici noi conosrinii e non paia nean
che un' inlerpolaziune populi. Cos U vulg*
la; ne'co'ld. populo,
17. declinata a natura discidit. Cos il Miil-
ler ; Cf. i 5 : ne cndd. declinata (io Fa. declinat
a) natura: ea dividitur. Certo disnsio discidit
non una bella cosa : ma pur meno male che di--
visio diyfiditur reliquae diede qui il Mullcr:
in a. relique ; negli all ri codd. reliquere^ che
potrebbe essere reliquae re si conveniunt.
Comunemente si non conveniunt ; e cos pure
oe'codici. Ma il conlesto mi parve escludere il
non.
18. Ne'codici questo paragrafo sta dopo il
19 : lo trasport qui il Muller, e qui necessaria
mente voluto dall'ordine del discorso, com'
facile a vedere et articulos un'aggiunta
del Muller, domandala dal contesto e indicala
apertamente dal principio deli appresso paragra
fo quod fintum^ etc. Intendi quod genus^ se
condo espressione seguente de his generibus
duobus. In luogo di neque finitum^ come sta nei
codici, la vulgata, seguita anche dallo Spengel e
dal Muller, d et infinitum^ conforme al modo
usato pi sotto nel paragrafo ao (Cf. Vil i, 4^i
5a). L ' uniformit de'codici mi parve da rispet
tare, trattandosi di un uso strano di neque.
19. rerum quam vocum GHa. ; in F. rivol
tato l'ordine : ma il coutesto e la cosa slessa non
lasciano luogo a dubbio nominatibus. Cosi
corresse ottimamente lo Spengel Varr,
p. 6): in FHa. nominibus^ in G. omnibus, 11me-
dcfimo scambio s' gi travato pi volte ac
sfllabis. Rimettasi ac similitudinibus^ come sta
ne'podici ; e intendami riscontri di suoni e de
sinenze simili. Il Muller scrisse vocuni in luogo
di vocibus ac ; le qual mutazione non mi par
necessarii, e ad ogni modo riuhiederjbbbe dopo
quam in rerum obtinet, graii tli F.
optinet hartnam ha F., arenam GII., are-
nanam a. u Alcuni, dicc Velio Longo (p. a&3o
P.), vogliono barena con H........... altri sema.
l o sto cgi primi..........massimamente per ori
gine di questo vocabolo ; slanle che i Sabini, come
ci alteeta Varrone, dicono fasena, e S. va fa
cilmente in R., e l ' F . nell aspirazione vicina.
Cf. V, 73; VI, 9a.
ao. nominatibus una correzione proposta
dallo Spengel (Emend. Varr. p. 6), che, sel>ben
lontuiissinia da vocabulis., qual la sci il tura
de'codici, pu tuttava, dirsi certa, secondoch'
parve anche al Muller ascribimus. Cos scri
vono i codiri. Sosliiuiscasi nella Iraduiione :
585 Al LIBRI DI . TERENZIO VARUONK 58C
i r mai possano occorrere queste pi sottili di
stin%ioni a mostrare il come, e il perch^ ere
do intanto di soggiungerle a ciascuna specie;
e si cancelli ci che viene apprireso.
ai. Nominatui. Coii il lMu>ler: ne'codici no
minatus ambedue le voile; lo Scioppio pose no-
minatui nella secooda. Forse antica proomuia
baslaTa a togliere ambiguit dei due nomina
essendo ono Domi nal i fo, al t r o genitivo
eodem a n' emendaitone introdotta dal Miil-
ler : ne' codd. eius^ die suole unirsi al membr o
appresso, bench rigettato dal senso cum <fuo
conferas dat o dal solo F. non solum^ sed.
Cos la vulgata : i codici omettono il sed. Forse
vi dMaggiunger prima anche unum, come not a
il Mailer.
aa. deriguntur, e p<i derecti la scrittura
ofTerta da ; pi sotto poi tulli i codici hanno
derectorum, senonch GH. ne staccano la de, A
questa scrittura non manca pure autorit di
bnoni codici d' altri sfritlor e di qualche antico
marmo latrunculis. Ne* codd. latrunculus
appeltantur. Ne'codJ. expellantur genera,
Ne' codd. genere forma. Cos la vulgata i io
%, formam ;\n Jormas ; errore nulo, se
condo il Miiller, dalf avere Atlccalo questa .pa
rola al perodo seguente. Cf. o. ^3 e 44.
a3 . Hic desunt, etc. Cos fatano Fa. e il cod.
Vatic. a.: la mancanza medesima di Ire carie
coufessata con parole poco diverse da 11., dal Mo
denese t dair Ambrosiano ; in G. lascialo un
vlo di due linee e mezzo. Certo qui manca tulla
la dollrina de'casi, e In maggior parie di ci che
appartiensi alla declinazione diretta per geneie e
numero ; della qual ultima trallazioue un ri
masuglio il capitolelto seguente. Veggasi inoltre
la n. 3o.
a4. C f . v n i , 7; IX, 63 X, 67 // F.,
aliter II., alit G., ahit a. ut dicitur. Cosi il
Vertrauiu, e con esso il Muller : i co|d. ripetono
naovMwenle ut topo dicitur ; lo Scioppio omel
ie invece il primo ut, ci che pr meglio allo
Speligli. Forse dn ouieltere intero ut di
ci tur,
a5. in primo verbo, etc. Ne'codd. in uno
verbo suit{in li. fuitj modo suit (in H. suis).
Che ad in uno fosse da sostituire in initio od in
primo, il notarono gi lo Speugel e il MuHer ; e
u' argomento, presso che non direbhesi cerio,
il trovar poi disliuli i due casi in medio ed in
extremo. Ma quMl fosse l'esempio di mutazioni
avvenute nel principio della parola, diHcile
a indovinare. ) ulli 10 esempio di mutazioni,
che lego legiy apparisce che qui coniprendunii
anche le sole roulazioni di quanlil ; ed a questo
modo lo stesso suit, piglialo una volta come
presente, altra come passato e con la prima sil
laba lunga (Cf, IX, io4), potrebbe fare al propo
sito senza che si cangiasse nulla, e tutto il pi
premettendovi ut, BSa questa mutazione direb-
besi propriamente fatta in primo verbo o in ini
tio verbi, se caso simile quel di legi, dove
allungamento dell'e sembra dirai cadere in me
dio verbo? Non senza ragione il Mailer crede che
principio del verbo s'abbia qui ad intendere io
istretto senso; onde il caso consideralo sarebbe
quello della prima sillaba raddoppiata per la for
mazione del passato, o meglio per suo avviso
raggiunta delle particelle che fanno i composti,
come da sunt^esunt, A me par difficile che qui
si trattasse d altre mutaziotti che di quelle che
avvengono declinando ; e per ho scritto : sum,
ut mo<io (anticamente, secondo Varrone IX, 1009
era esum), fuit. Questo cangiamento per non
mi garbava gran fatto quando lo introdnssi ; e
tanto meno mi garba ora che lo rileggo dopo pi
anni, quantunque non so vedere alcuna emenda
zione probabile.
a6. pro^umae. In Fa. proximae ; in G. pr
xumae ; in H. proxime aliquantum, in G.
aliquantulum.
a7 res similis. Cosi fu corretto dal Mailer :
uc oodJ. res similia. Intendi eiusmodi ftgu^
rae, Cf. V, laft soleant sta nell'Aldina: in
F. solent ; in a. Soleat ; in GH. s,olet ind
tUi, Cf. V, i 3 i Perpenna. Cf. Vi l i , 41, 81 ;
IF, 4 * Spurinna nolo Agostino nel margi
ne : in FGa. purinna ; in U. omeuo.
a8. apparet una correzione falla dal Pio:
ne' codd. appeilarit equiso. Cf. Vi l i , i 4*
39. Quare hanno i codici : il Muller gli sostir
tuisce Quippe hominibus. Cosi a. ; e parmi
ciie il conleito il voglia : lo Spengel e il Muller
leggono con gli allri codici homini ignores
u qui posto da Aldo : ne'codd. ignorent; nella
vulg. ignorentur, e prima si illis breviores
sic la vulgata ; i codd. si ^ in transeundo ha
giu5tamenle la vulgata ; FHa. in transeundum ;
G. intranseundi.
3o. nominatuum G. ; gli altri nominativum
o nominativom, c.mc pi a!lre folte efxe/art
iere. Cosi la vulg. : ne codd. est (in a. esse) an
gere. Notisi la licenziosa relazione : Quod etc. ...
haec sunt ; non per erronea, n strana in Var
rone De quinque generibus, etc. Alle Ire
maniere di dcclinazione spcrificale da poi, per
genere, numero e caso, paiono da aggiungere,
perch sieno cinque, accrescitiva e la dimi
nutiva (Cf. Vil i, 5a); e toccavasene forse nelle
tre carte perdute. Qui se ne tace, perch chia
rissimo che non possono convenire agli articoli
o pronomi o clieccli altri vogliansi dire unum*
aggioolo dtlU ful g ! ^ t i Je easibm^ eie,
Rapportifi 1 quaedam eadem, quaedam alia^
suppleoJo eoa la meale 1 imperfexMc del co
ilrutlo quorum 1 r dg. ; i co4 d. et quorum
y non * ftffQOlo dalU vulgata.
Zi, Secumdum genus, mpeito alia divicioiie
fatta uel c. 18 sed la Tolg. ; i codd. ti. Qaan
lo i a' raodi de' terbi, Diomede ( l I, p. 3a8 . P.),
dopo aver dtto che quasi talli i gramroaliet con-
veogono oftl farli cinqoe, sofrgioDge : Nam qui
sex 9olueruntf wario iudicio alii promisaTum
(cio indicatiTo futuro), quidam imperaoaalem
coniungunf ; qui septem^ utrumque prioribus
adiiciunt ; qui amplius^ percottlaturum <cio
quella che Varrone dice qui declinatio rogandi.
Gf. Varr. IX, 3a; Max. Victor, p. 1948. P )
mimf ; ftopcm, conioncliTuro a aubiuncli?o
separant ; qui decem^ etimm adhortalivan fame
mus, teneamus^ etc.) adscribunt,
3a. declinationum ita acri Ito di prima mano
in H. e forie in a. ; ma certo da preferire de
clinatuum^ com negli altri codici ab re
spondendi^ FH., ; Ga. a respondendi: il Miiller,
credo a torlo, ac respondendi sintne habet...
et eorum sintne. Coti la tulg. ; i codd. sumne
habent... et eorum sintne parari, pugnari
Pottibile che queati infiniii li siano attribuiti da
chicchcsfia al modo imperativo impersonale?
TuttaTa non par neanche probabile che manchi
qoalcht cosa, e fossero dati ad esempio di modo
infinito, come comooe anche alla forma imperso
nale ; poich a questo modo le sue specie di de*
clinazione diverrebbero cinque, e non qoatlro
iiccome diconsi, quando non te ne escluda, come
dubbia, la quarta. Al tallo ci che si desidera in
questo esempio, parator, pugnator^ come im-
peralT di tempo futuro, secondo credunsi da
pi grammaltci antichi e probabilmente dallo
ateaso Varrone (1X| 101). Cos gli esempli si sten
deranno anche in questa, come nelle tre antece^
denti specie, a due tempi : ed ragione, premei-
tendasi di tulle quattro le specie che hanno tem
pi senza persone.
S4 > Probabilmente hoc genus, non
hoc est gerundi^ come fu inirodollo nella vulga
ta. La mancanza di tre carte confessata da FHa.
dal Vatic. a; nel Modenese il 8 fu mutato in
8 ; io G. son lasciate soltanto tre linee Tote. Do-
ea parlartisi de' participii ; poi delle voci che
Don hanno casi n tempi, ma beni declinami
per gradi ; e qui calevano in taglio generalmen
te la declinasione accrescitipa e la diminutiyfa.
Chiariti cosi i quattro generi di parole (X, 17) e
le specie in cui ridividonsi, perch non cerchisi
vera somiglianza tra parola di specie o genere
diverso; si dovea passare alla ragione o logo^
5Sy N O T E 588
die la teoonda cosa proMetn dopo b aoroi
gliatiia (X, s). A questi, materia apperteagooo l
e. S5 e il 36 ; aenonch il secondo fa ntierot la
strada a trattare degli analoghi e dell* analogia.
35. etiamsi is qui, Io Spengel propose etiam
si si qui; e la |>roposta no dispiace al Mailer,
tuttoch non la introduca nel tetto. Pi voleatie-
ri ometterei pi sotto Ircongitiotione et (nelle
pi vecchie edd. ut) che sta iniiaiiti ad ab eo
casum ipse aliquem^ etc,
36. materia, ^e'codd. a materia singu
lare, Ne* coild. singularem. Lo Spengcl vorreb*
be poi multitudinis : ma anche dell* aNra for
ma, nota il Muller, s' hanno pi esempit (Vili,
46,48,67).
37. Graecis vocatur. Ne codd. graeee (in
Fa, graeco) vocantur collatme. In , allatae
analogia. In FH. analoga.
38. similitudinem. Ne' oodd. similitudine
argento. Cos il Pio (Cf. V, 174) : ne' codd. ar
gumento^ e'poi singulam in luogo di sembellam
et in argento, FH. omettono </ tum
FGe. ; cum . come la vulgata. Con questo cujvi,
innanzi alla correzione del Mailer, comiaciavasi
un nuovo periodo, con cui passavasi nel tegoenle
paragrafo.
40. audire FGH. ; non si sa di a. : nella volg.
anditi ^ commune^ ne. Manca a'codd. il ne,
che fu aggiunto dallo Seioppio de utro, quod
e/. Intendi alterutro. Cosi ho tcrillo per con
gettura: comunemente ne'testi a penna ed a
stampa, de utroque et,
41. Haec ala forse per hacy e s* ha da inten
dervi analogiae ( o comprende insieme analoghi
.ed analogie sic F. ; si GHa.: il medesimo
scambio ha luogo anche pi sotto ^ nam (fa,
omesso per errore di slampa) quam rationem.
Cosi il Pio : ne' oodd. manca il quam in'simi
libus hanno qui lutti i codici : il Miiller lo mut
in similiter^ credo a torto ; perche l riscontro
deir in dissimilibus rebus domanda l tuo con
trapposto, e supponeti gi dichiarato ove dicesi
uel c. 43 : Sed dicunt, quod ab similibus^ e/c.,
ed verissimo che 1 analogia o proporzionalit,
ha lu<go tanto fra coppie omogenee, quanto fra
coppie d genere differente, purch sia simile il
rispetto; distinzione che fa espressamente anche
ICucliile nelle diiinizoni 8 .a e 9.a del I. V. Ci
eh' neceisario mutare, l'ordine delle due
parli, cosicch leggasi : Haec fiunt in similibus
rebus nel primo luogo e in nummis dissimili-
bus nel secondo; perocch anche nei numeri,
quando raffrontansi, la specie una, o due per
le due coppie ; ed anzi ragione che, non espri
mendosene alcona s'intenda dorare la specie
medesima- in ambedue le coppie : laddove inrcea
5
Al LIBRI DI M. TEEENZI O VARRONIi 5 9 .
nel ieconJo eicmpio, co^fronUodoii villoriali e
denari, s' buoo due specie aperUroeote dTtrie,
Qac4la roulaiiooe Tolula anche da ci che fe-
gue; perch eia giusto U quadrttpUx natura
co* suoi eteropii, in cui paragonaosi cote di di
verso geoere ; e d che soggiuogc de^ poeli e
degli Arislarchii} e il poni i numeri ad esempio
della proporaione ab similibus nel c. 43, e della
proporzione continua nel c. 4^) ; perocch questa
domanda senza dubbio termini tutti omogenei
si tsi sic* Forse si u t .... sic. Ne' codd. sic
est (in a. si) ... si ; comunemente sic e s t s i c u t
1/1 ifUQest. Cf. V, 108 i VI, S9; IX, G7 in
progenie, GL IX 29 quomodo. Cos il Miil-
ler : in Ha. quom ; in FG. cum sic si est. (los
i codici: coiounemente omellesi il ji. Intendasi
St rispello alla formoli, come fosse dicatur^ o
ponatur esse. Cos poco pi sopra, si est ad
unum i^ictoriatum denarius^ etc. ; e nel c. 49i
ut quom est: Quemadmodum^ etc.
4 a. Hoc potaegenererete. Intendi della pr-
porzionalil che fra coppie li diverso genere.
Aristotele nel c. XIX della Poetica, fra le quattro
specie di metafora che t distingue, pone per prin-
cipale quella che fasci per tia di proporiione,
cio u quando di quattro cose in cui sta la secon
da iuTerso la prima come sta la quarls interso la
terzi, pel nome della seconda pigliasi quello della
quarta ed converso, . . . . come per esempio,
alando similmente la sera inverso il giorno che
la fecchiezza inferso la vita, chiamasi la sera vec
chiezza del giorno, e la tecchiezia sera, o, come
la disse Empedocle, occaso della TIa. Dallo
stesso fonie si traggono le similitudini o imagini;
e ne tratta il medesimo Aristotele nel c. 4 del
I. Ili della Rettorica ; non diversificando esse
dalla metafora, se non nella forma. Diconsi usar
ne ipoeti ; perch, u sebbene questa figura del-
imagine, come insegna iv^ Aristotele, utile
ancora alla prosa, non di meno vi si dee usare di
rado per esser poetica ^ acutissime, 11 Kler
vi legge accuratissime dicuntur hanno i co
dici ; la Tulg. dicunt quom ita^ Cosi i codici ;
il Vertranio, lo Scioppio e la vulgata cum item.
Forte quom tamen^ soggiungendosi : Sed di
cunt^ quody etc,^ c volendosene inferire che gli
Aristarchi! pongono proporzionalit anche in
dissimilibus rebus^ cio tra casi diversi ; ciocch
dichiarali poi con la distinzione delle due serie
j)roporzionali, obliqua una, diretta l'altra. Que
sta procedendo da retto a retto, volgeii tutta in
similibus; altra discendendo agli obliqui, in
dissimilibus, Amorem amon\ dolorem dolori^
una particella della serie obliqua amorem
et dolori. Cos il Mailer : ne* cud<l. amorem et
dolorem ; nella vulg. amorem dolori dolo-
rem et dolori. Cos il Mailer per sa!rare la cor
rispondenza con la forma antecedente amorem
et dolori : ue' codd. manca P et. Quanto all' et,
indiiTerenle Taggiugnerlo o no, roassiiDBroeolc
se facciasi in ambedue i luoghi : ma ci die par-
mi necessario il porre amori iu cambio di do
lori nel secondo luogo. Ognun vede quanto fa
cilmente poteva nascer lo scambio,
43. ab similibus, Soitintendi genus hoe^ o
proportio. Dicesi ab similibus per Je due specie
di proporzione che si ton gi distinte nel c. 4>
Questa che c di simili, li fuol tutti, se sono nomi,
nel medesimo caso (X, a i ) ; secondo pongonai
qui in ciascuna fila per dritto. La medesima se*
rie, procedendo per fianco, dar proporzioni di
dissimili, cio di casi diversi, qual era 1' esempio
recato pi sopra, degli Arislarchii. C05 disten-
desi analogia ad ambedue i modi di decliiM^
zione, cio tanto alla diretta, quanto all' obliqua,
purch non oppongasi nella prima la volont^ in
ambedue uso. Cf. X, aa implicatas. Cosi
nel c. aa : utrisque (ordinibus) inter se impli
catis, lu Gli. duplicatas derecta Fa. ; gli al
tri, directa ;.tutti, secondo pare, pi sotto dire
ctis^ e nel paragrafo appresso directas, Veggasi
per ta nota al c. aa ducenti quadringenti
F, : ducenti quatrigenti a. ; CC. CCCC. GH. ;
nella vulg. ducenta quadringenta ^/. Cos
il Vittorio, e con etto il MuHer, leggendosi logoe
in F. ; in GHa. logos faciant hanno i codici ;
la vulg. faciunt,
44. * declinatur in obliquum^ et ab recto
casu * uu aggiunta falla dal Midler. La neces
sit di questa aggiunta, origine dell'omissio
ne, son chisre in rectum. Cos il Muller : oei
codd. in recto hoc genus, Do|>o queste paro
le solea notarsi laguna : ma i codici non ne dan
no indisi Tutto slava nell'ordinare e ritoccare
nella lezione il retto del paragrafo, come s'avvi
de il Milller quae scilicet erit particula^ etc.
Cos mi parve domandare contesto. 1 codici
danno,, dopo Albias Atrius (Cf. Vili. 80), Albia
Atrio : per directas declinationes (manca
GH. fino da Albius) Albius (albus QVL.) A triui^
Albia (alba G.) Atria^ quae scilicet erit parti
cula ex illa vicenaria (vieinaria G. ; ducenck-
ria neir ed. priuc.) atria quae scilicet centena
ria Jormula analogiarum^ de qua supra dixi.
Che sia qui confuso 1' ordine, unendo i do# di
versi riscontri che doveano stare disgiunti, non
si pu it dubbio; ed pur conveniente che il
secondo quae scilicet con ci ohe segue, dichia
rando eipresiaroente U cosa collaiionata, cio
formula analogiarum^ de qua supra dixi^ stes
se nel primo luogo. Senzach la vicinanza di vi
cenaria o ducenaria a decenaria^ lascia vedere
591 W E 5()a
che il (iriroo riscontro apparliene al secoDilo luo-
f'o ove parlasi Iella declDaiioiie lirella ; poich
nel capitolo antecedente $*altrihuitce apertamen
te la ragione decenaria alle file dritte, e la bi
naria alle oblique. Da ci pur segue che a cen]
tenaria da suilituire binaria^ come decenaria
a ducenaria, llesterehbe solo che uel primo luo
go si potesse scrivere con minor variazione: quae
scilicet binaria formula analogiarum^ de qua
supra dixi. Ma non so vedere perche nel secon
do luogo s'avesse a dire particula^ e non nel
primo; e da altra parte le cause stesse ond na
scono le mutazioni d'ordine, portano facilmente
anche omissioni. Mo lasciato decenaria (Cf. Du
Cange, Glossar.), perch mi parea quasi espresso
in ducenaria : del resto voce poco probabile,
dovendone essere la giusta forma denaria. II
Milller scrisse : lbius Atrius, Atrio Atrio ;
qua scilicet erit particula^ ex illa binaria; per
derectas declinationes : Albius Atrius^ Albia
Atria ; quae scilicet centenaria formula ana
log ia rum, de qua supra dixi.
45. sic: ut. In Fa. sicut ; in GH. sTc et
cum. Ne codd. et tum et tunc F a ; in G. e
torse in H. et tum.
46. e septem chordis^ etc. In a. leggesi o in
luogo di e; fulti poi scrivono cordis^ tetracor
da e cordam ; grafia forse vera, secondo anti
co uio di non aspirare le consonanti aegrotis
volg. ; ne codd. aegrotos,
47. lex legi un'agginta del MOller, ^olula
dal contesto ad lego'ro]^. ; ne'codd. ab, o a
lego ad legam Ga. ; a legam FH. Questa pro
porzionalit continua nei tre tempi imperletit
de' verbi non da pijgliare secondo il rigor ma-
tematicov ma in quanto varinno solo nella termi-
nazione, conservandosi nel resto eguali.
48. Cf. IX, 97, 101 ^ lego ad volg. ; Ga.
ego et ; FH. legi et negatus volg. : i codd.
haec (a. her) catus * necfir verberor * una
aggiunta fatta dnl Mtiller, perch il ternario fos
se compiuto. Anche il seguente necabor non
ne' codici ; lo ha per la vulgata reprehen
dant. Ne* codd. reprehendunt^ onde zoppica il
perodo. La correzione dovuta al Muller, che vi
miglior anche la pnntalnra naturam manca
a GHa.; F. natura. Anche questa correzione, e
Taver qui segnalo il punto maggiore, opera
del Mailer.
49. ut nonnunquam. Cos ho scritto per via
di congettura : comunemente id nonnumquam.
Della vicinanta d'nn altro ut non mi par che in
Varrone sia da far caso; ch, senza penare a cer
carne esempli, ne abbiamo uno qui presso nel
c. 55. 11 Mfliler proposeJaltro modo di puntellare
il perodo, mutando didetur in videri si cum
un'altra mia congettura : in Fila, sicut ; io G.
sic ; il Mailer sic ut. Parni necessario il ciim,
perch s'intenda che il soggetto 11 doppio dati
vo Diomedi DiomedibuSy collazionalo con ^10-
medes, come nominativo tanto singolare, quanto
plurale. Lo stesso modo in $i contuleris cum
uno duo, sic, etc. <c. 4 0 * Diomedi et * man
ca a'codici : la necesiitfc d'aggiaogerlo fu notata
gi dallo SpengH.
50. Et ut haec. Cos il Muller, incoroincian-
do di qni, che non faccTasi, ona nnova cjautula.
In F. er ut hae hic ; io GH. et ut hae ; in a. et
ut he ab recto, cum una mia coogellora,
senonch Vab era gii stalo introdotto dal Mai
ler : ne codd. ac (H. et ; a. forse a) recto casu,
credo per essersi interpretata abbreviatura cu
per ciT, cio casu descendunt FH. ; disce
dunt Ga. recti cum. Anche qui leggevasi re^
cti casuum (a. casum), che data ona strana for
ma, e lasciava appena modo d^interpretare il
precedente multa. Donde possa esser nato Ter
rore, ho dello poco pi sopra Baebiei. A
questo nome e propriamente *a qnesta fcriltura'
accennano senza dubbio i codid, collazionati i tre
luoghi olus... oler. In a. holus ... holera
. istunc. Comonemente istum: maJl contesto do
manda istunc ; e il not anche il Mulier.
5 1. 06 hoc simile. Cos F. ; io GH. si sit si
mile, in a. saltasi dal precedente simile a que
sto ; nella vutg., a cui s' attenne lo Spenge!, si sit
similis ; il Mailer, si sit simile, attaccando tran-
situs a ci che segue. Ma 1' ab hoc di F. dev' es
sere io tutto vero, perch non saprebbesi come
u donde potesse nascere ; tanfo pi che 000 reg-
gesi col seguente fore ut (ch cos v' hanno i co
dici in luogo di quod) : laddove il si sit degli al
tri codici dovea star nelle orecchie o nella mente
de'copiatori per le antecedenti forme. Quantun
que il trovar poi fore ut anche in F., conduce a
credere cht il primo errore sia alato avere
arritto fore ut in cambio di quod per la memoria
dei due luoghi innanzi ; e che questo errore ab
bia poi tratto l'altro. A ogni modo V ab hoc di
F. ha intero il suggello d'autenticit; e \\ quod
gli dee seguire di ntcessit. Cos esce chiaro e
giusto il concetto, che nella vulgata va zoppo, e
nella lezione del Mailer almeno contorto. Seb-
ben poi transitus universalmente il passaggio
da un raso all* altro ; spesso dal retto al suo pri
mo obliquo ; pure qui saltasi dal retto al vocati
vo, per importanza che attribuivano a questo
<-aso gli Ariitarchii a voler distinguere In somi
glianza de' nomi (IX, 43^9 1 ) figurae GHa. ;
figura ^.\figuras volg.
5a. vel proiut vel rosus. Cos scrisse il Miil-
ler, pigliando'i due \fcl da GH. (in F. u t .... et ;
5ij3 AI LIBRI DI H. TERENZIO VARRONI
594
iu a. M/; ; claKriUura prosus rosus^ per
prorsus rursus^ <la un ialquale coofento^i tulli
i codici. Cf, Vili, 49 Ai due vel preferirei
u t .... eL
53. qui ah utroque, SoUinteoJi initium der
clinqndi facitty t^ooU bcoIaiim lei cotlruU
lo; le pure ooQ ila omeilere ab naturae.
Cos emeod Eorico Stefano : ne' codd. natura*
54* aut multitudine. Forte multitudiniSy
com^ ripele! dopo cicer, Cf. Vili, 48,
scolae. Cf IX, 63 mas mareis. Ne codici
Mars Martis ; il j^uller mas mares ; lo Speii>
^cl, dubilaodo, arSy arti s^ debeat GHa., de
buit F.
55. amplius Forie apertius (aptius). Cf.
c. 56 ex his, Par e* abbia ad iulendere (qui
dam) ex his (pbj^sieis) tanien ea grammati
ci de litfiris ostejidunt. Coa GUa. ; io F. eam^
e poi ostenderunt. |l Mulier nolo : Luogo oscu^
ro, e foggfUQH : ^sPere mancar i|ualche co,
vceb il fcaao.ioife : Bcncb il fUtcorto coropcK
Ito di jellere, pMre i grammatici dovettero Cirei
dalle parole per rooilrar di che leltere gieno codt-
po^le. w Senu t.oeiare n aggiunger punto. qoao*
do leggali ea/oratione)^ pu trariene un eoo
cello giuiio. Co ntlla Retlorica ad Kreoitto
(11, ) : De his prim.um partthus ostendendum
est; cio bisogno^ iti^biarar prima queste parti,
5G. proficisci G. e per quanto pare, pr-
ficisse 11. ; profecisse F. Dopo quetta Toce i co
dici ripU)DO </e Uteris ostendunt dal paragrafo
anteeedeiite el, polius quam * ab corrupto.^ *
ab incorrupto principio. Ilo aggionto le dee
parole ah corrupto^ die lon volute dal eeoio e
potevano, eatere facUwiireamente omesse, li Mtil-
ler scrisse : et potius ah incorrupto p^incipio^ *
quam (mutandolo in questo luogo) ... et potius'*^
(che non c ne' codici) ; e opt ebe, aebbene possa
averli per certo il matioamenlo del contrapposto,
tutlavia . quasi impossibile indovinare qual esso
foitse. Che il nominativo singolare non offra al
cune volte la radica sana ed aperta, come fa il
plurale; si dichiara |lopo nel c. 57 ab luhidi
ne hominum perch luliiamnle (Cf. 60) i nomi
sono imposti nel nominativo singolare
in multitudinis : * a multitudine. Co ho scrit
to per congettura : i godici hanno solo quam in
multitudine in is principiis (volg., i codd.
principibus) minus^ est rationiSy etr. Cos aveva
scrino, 9C}oliei)do V orationis de^ codici in e'
(cio est) rationis : ina non poteva n poaso es
serne contento^ pf rch non a'ha esempli li or-
dior ip scnsp passivo, e il verborum forma coti
preso e tutta espressione tiene alquanto dello
slenlato. Sosliluiscaii : commodius potest ordi
ri, quod in his principiis minus errationis
. T f B . VABaOUB DELU LIUGUA LATUTl .
verbis fingendis verborum forma ; cio torner
meglio che l declinazione parta dal nomina
tivo plurale^ perch da esso si va pi diritta
mente a qualunque cato vogliasiyore. Similis
sima la forma usata nel c. 11 di questo medissi
mo Kbeo, ove dicest: Quarum similitudinum
si esset origo recte capta et inde orsa ratio,
minus erraretur (cio si procederebbe per la
diritta, con meno ambagi) in declinationibus
verborum. (Quarum ego principia prima^ etc.
Coti spero che poco o nulla possa rimanere d'in
certo nella legione di qusto capitoletto, che da
tasi quasi per isfdalo.
Faciliusi etc. Ho staccato queste parole
dal precedente periodo, a cui s'univano senta al
cun senso ; ed ho premesso eoi che non ne te
sti, a multitudinis trbs F., trabes GHa.
dux F., duces GHa. Traps/ \ce Cessiodoro
p. 2291 P., ab eo quod dicifUr trabis, et orps
per P. debet scribi)'licei Farro per B tcri^
bendum puttt^ quod in reliquis casibus B ha
beant. Ci che qui dicest del B e del C; avvieni
anche nel P e nel G \ aggiUogasi assorlnmeiilo
del D, T, N ed n 'nelFS finale, prch non vi
concorrano due di queste consonanti^, e omis
sione non rara deH* N finale.
58. Si multkudinis. Cosi ttimamente il Miil-
ler : ne'codd. similitudinis ; nella vulg. si simi
litudinis Ab * obliquis (cancellisi casibus^
che non ne testi) assumere oportebit. Ne co
dici Obliquis assumere oportere ; il Mailer, aat
de * obliquis asswnere oportebit multitudi^
nis volg. ; ne codd. multitudines debet. . . .
possit. Cos il Muller : ne' codd. debet... possunt
(in G. possint) ; volg. debent,,, possint.
^ Nam rtonnunquam. Cos da scrivere :
fu omesso il Nam per errore di stampa ~ mul
titudinis. Ne'codd. multitudines^ tome nel pre
cedente paragf'afb; errore emendato dal Vrlra-
nio ex multitudinis FHa. ; In G. ex multitu
dinibus.
C. fst enim Ga.; enim est.\ enim H.
invitavit. In G. incitavit nisi qui. Cf. Vl^ 67
nelle note, e VII, 3.
61. multa ha la vulgata ; i codd. miltae., se-
nonch Incesi di a. lubido . . . tubidine. Cos
Krive Gi ; gli filtri libido c libidine corttra
fol^f. ; ne* cdd. contraria.
69. iJ volg.; ne*codd. in ^proprius Lati
nus. Ablativum f dice Diomede p. P., Grae
ci non habent : hunc tamen Varro ' interdum
sfltom, interdum Latinum appeltat^ quia La
tinae linguae ptoprius est finis. Questa pa-
rola mi parve celarsi in his (Cf. V, ai, e Ia nta
corrispondente), qnaii f i i s ; e Ia giustezza del
coicctlo sembra volerla, perch Tinditio della
38
5()^i
rufi
k*clinaii'iic fjui | oDsi nell'ullima vocelc. -
Icr, unendo ipieslo /lis prfcelcnte casus^ oe
fenc casstxiss *^io casus (Cf. Vi l i , i f ; IX, 4)
varietatem discernere. Co il Miiller ; iie' coIJ.
varietate discernere ; nella sm\^. varietatem di
scere: biceps via haec ; vale a lire il nominn-
livo pliinile, o L*l1^livo singolare. Cni honoriu
lo per congi)llura: ne roiM. biceps una haec. Il
Miiller propoKit vice prima haec,
r>5. Maspiier FGa. ; Marspiter li. Cf. Vili,
4 9 genere s*imc qui.il Miiller : iie cod!. ge
nera -r- similia sunt. Cos i colici : In vulgaU
aggiunge proportione^ c poi Hpele timiiia (nel
la principe, e iti pi allre, simileS) ^ utrqiie
VG.\ nirumque H.
OG patulae hannn i coilei : volg. caculae,
Q9. quod non c un correzione Mila tlallo
Sdoppio: in II. quom; negli altri.cod<l. cum
biga una, " coihl. bigae unae Anche quesla
correnone viene lallo Scioppio ; lenonch egli
ucriue una biga. 11 Miiller rivolt ordine, ie>
contlo ne coilic*; non esse biga. Cosila vulg.;
ne' ctxld, non esse a biga na, dtiae. Cos
giuslaincnic la riilg. ; ne' codil. unae^ duae,
G8., Aristophanes, Veggasi la noia al . 9 del
1. V. ut in oratione. Comouemenle aitaecasi
al membro Kgucnle inchoat^ FH. ; incoha-
tae Ga.
G9. Peles Ha. ; Peleus F. ; pellaes G. Per
analogia mi parve neceesaro Ptles. Diconxi
forme spurie, perch, tehben nomi greci, decli-
nansi iti l>iion:i parie alla la(in.
70. Degenera . . . haec una mia rongcUura :
nc'codici De generehaC. Il Mailer errisse
Eo genere^ e poi <\on tinrico Stefano ac. Ma la
giusta relatione Hoc genere^ non Eo He
ctorem. Il segno della lunga troTasi espresso in
F. Cf. Vi l i , 72 Ennius.^ certo nell'An<lro-
niaca, secnnilo l<i con;:ctlur dello Scaligero
Pos. Rei. p. i o5, XII. Vahltn). I eotlici a muro
(Scalig. moero)^ prt-mellono la glossa Troiano ;
c poi hanno iactari. Il verso, come nolji il Mul
ier, duten rct'ar&i giusto ed intero^ perch dalla
sua contlizione giambica si potesse raccogliere
senza esiUnza rlie era liectris, non Hectoris,
Similmente trovasi HectGrem nel secondo verso
dei due, che sono sdlegati da Cicerone Tusc.
Disp. I, i o5, e per congettura dello Scalige
ro sogliono unirsi con questo ut .... revoca-
ret.. Cos ho scritto |er congettura : ne' codd.
e t r e voc ar e et. lio Spengd e il Miiller conser
varono la vulgata C/.... revocare; e poi quegli
propose di trasportare et dopo o quo ; questi
lo omise f^atrius li Sorano (VJj, 3i), o -
ilituo ? IL Miiller ntt sta in forse nominatus.
C9 fi lo Speliel (Einrnd f'orr. ), seguito
dui Miiller: nc'ciiild. nominatos. Iiilorno hIPuso
di Litiniztare i nomr^rei t, ct>v scri ve Quinlili'a
no insti Or. 1, 5, 5g e seg. Si repetiai gram
maticum veterum amatorem^ neget qndquam
latina ra-tionie Mutandam . . . ; quin etiam
iaudet virtutem eorum^ qui poteniiarem facere
Unguam latinam slndebn^ hec lenh egere
instiiufis Jntebantur: inde Castoi'^m, mtdi
sjMaba prmluctos pronuntiarunt^ quid hoc
omnibus nostris nominibus 'ccidkibf^> quorum
prima positio in easdem^ qitas Castor, literas
exit ; ei ut Palaemo ac IVIxryo et Pialo {nam
sic eum Cicero quoque appellat) diterentur,
retinuerunt ; quia latinum quod O et N literis
finiretur^ non reperiebant. Ne in A quidem at
que S literas exire temere r^ascuiina graeca
nomina recto casu patiebantur ; ideoque et
apud Caeliuvn legimus Peli eindnnatus, et
apud 1^essalam Bene ferit Eikllii*, et apud Ci
ceronem Hermagora ; ne mirenhtt quod ab an^
tiquorum pleriique ktnt% Anchisa sit dictus.
Nam sii ut Haooenas, Su0 enQ, Asprenas dice
renttir^ genitivo casti,, non E Utera^ sed TIS
sjrJlaba terminarentur, Inde Olympo et tyranno
acrttam mediam syllabam dederiint,, quia dun-
MS longis sequentibus primatn hte\^em acui
nqster sermm axm patitur. Sic genitivus AfchiHi
et Ul i ! fecit ; sic alia plurima. Nunc recentio-
res instituerunt graecis nominibus graecas
deciinationes potiuS dare: qad tamen ipsum
non semper Jieri potest. Mihi autem placet la~
tinam rationem sequi quousque patitur Jbcor.
Nqu enim iam Calypsonem dixerim^ a^luno-
wem; Hamq>u<imsecutus antiquos C. Caesar
utitur hac ratione declinartdi 7 sed auctorita
tem consuetudo superabit. In caeterit quae
poterunt utroque modo non indetenter efferri^
qui graecam lingum Sequi inalet, non latine
quidem^ sed citra reprehensiofiem loquetut.
p , quae hic 'natae sunt. Oojri ho scritto per
<tongettura : ne todd. qune hic notc fiunt (in
F. sint), aenoncli di a. min nolrisl r.ulla. Di qui
fecesi comunemente quae hit nothae fiunt, che
mi par duro per hic e [>el presente Jiunt. \
definizione data pi sopra (o. 69) Tertium no
thum ex peregrina hic mi sembra dare
la correzione di questo luogo Bacchidis et
Chrysideis. Cos il Mililer, seguendo la proposta
dello Spengel. J cablici datino anche qui bachi^
des et chrysides (. chrisides) iunioreS
una correzione falla dallo Scioppio: ne'codd.
miaores recentes. Cos nell*aldina ; ne rodd.
regentes qm sequantur F. ; iu a. persquon-
tur, in G. persequuntur, in H. seqUuntur
sint troiata V ne^li altri fnt (iu G. su>tf)
translata.
597
AI UBKl DI M. TtKENZIO VAlillOM: 5i)8
72. in terendo c una congettura tuggeritaroi
dal contesto: ne' coJJ. J^o Scioppio
a?eji proposto inserenda ; il Mulier, scartala Ia
proposta dello Scioppio, not oscuro il Inogo, e
tir innanzi. Credo dicasi in terendo^ perch
trattasi dell ordinario uso, non d' una licenza
che potr pigliarsi alle volte, massime da un poe
ta. Il cunque poi da prendere separatamente,
non unito al qua ad analogias verborum
exprimendas. Ali parve cosa pi piana Pagginn*
gerc ad con lo Scioppio, che trasportare col MiiU
ler queste prolc, cos come stanno ne* codici
senza preposizione, dopo ad has duplicis che
poco pi opra. Analogia expressa equivale
(piasi a perfecta^ come adumbrata (c. 3o) a in
choata (c. 68) quas pose qui il Miiller ; i co
dici detono quae qui G. ; gli altri qua,
73. Usui hanno lutti i rodici. Sprngel
(Emend, Farr.p, 10) propose Usuis (cio U-
sus) ; e seppe buono al Muller. lo sto con la vul
gata ; perrh qui oon s' ha da distinguere tre
specie d* uso, ma pi propriamente tre specie
d'analogie che possono recarsi in qualche modo
ad uso, secondo espressione precedente quas
(analogias) ad loquendum ut perducas^ etc.
Notisi differenza tra consuctudo ed usus ; della
terza specie negasi ogni ronsuctuJin^, e tiillatia
soggiungesi utuntur poetae neutra. Co.<i lo
Spengcl e il Muller con la valgHta. ScrTasi tut
tavia neutrae^ coni ne codici, perrli corri
sponda anthe questo agli antere<lenti costrutti. I
genitivi neutri e neutrae sono accertati da auto
rit di grammatici e di esempi! scala, Cf. IX,
GB, 68 ; X, 54 falera hanno qui i codici inve
ce di phalera^ ( he, come qui iiolast, non esiste
nel singolare inimicitia. Ve^gMsi Nonio a que
sta voce p. 129 Merc.y ed Aulo Gellio XIX, 8.
Comunemente usavasi nel plurale ; non si f'
per scrupolo d' usarlo nel singolare lo stesso
Cicerone, come Paveano usato prima i poeti.
74. Analogiae. Co.\i rettamente i codici ; nel
la vulg. Analogia quom. * Mi parve necessa
ria questa aggiunta per la giustezza del costrut
to ; perch quam harum non pu significare
qualunque di queste^ stante che la prima non
dirigitur ad usum loquendi. Non fi pose mente
lo Scioppio, quando propose, per racconciare il
period<, At quom in cambio di Ad quam.
75. Aristocli Cf. IX, 10. Gli altri due sotto
gl allunatici ignoti, forte della fdiiiiglia drgi Ai i '
sUrchii, coiirMV\iso al Mtiller. Quanti grai.i-
inalici Iroviiiino ricordati io Varrone; e non ce
ne resta che il iioiuc ! sunt explicatae. In K.
5U/I/; in GHa. ///; in tutti explicata^ che lo
^Scioppio rci- al feminino.
76. apertum. Coj il >1: ne'coM.
perte.
77. vocalis volg. ; ne codd. vocabulis S i
mile est k una congettura dello Spengel, accolla
dal Miiller; ne* codd. smiUm quom et re..
Cosi il Miillfr ; ne codd. quoniam (in a. qm ) tt
r t s voce. Cos parimente il DIiiller: ne codd.
vocem et figura in transitu. Cosi ho per
ruuiforiuit e 4hiarezza del distrutto, e perch
i ct.dici consentono meglio in transitu che in al
tra terminazione. In G. transitu^ in H. transi-
tii^ in F. transitum^ in a. fmnsitus: del resto
premettono / a figura. Il Muller scrisse et in
figura transitus.
78. veterem. In a. vettrum Hortensium.
Cf. Vi l i , i 4 Cos liiirico Stefano: nei
codd. hac s i ; nella vulg. has f a u x . Cf. C/za-
ris. I, p. 72 P. omnes partes FH. ; omnis
partis Ga. Mi parve pi probabile il primo per
rompere 1 uniformit delle cadenze iuva . . .
iuvor F. ; in GHa. vivo . . . vivor.
79. ut brevi pofui. In GII. ut brevi potuit.
bo. dant hanno i codici ; la vulg. dicunt
praeponimus GH.; proponimus Fa. nomen.
Cos emend lo Sdoppio : ne codl. non, certo
lall essere stalo scritto nomen per via d abbre
viatura.
81. Ut ex ncn et volo, etc. K luogo cos al
legalo da Aulo Gellio VII, 11 : Ut ex et ex
Volo nolo f i t ; sic ex ne et ex qnidquam, media
syllaba extrita^ compositum est neqnam. Si-
niilinenle Cicerone III Tusc. Disp. 8, 18 : Ne-
(piitia (etsi hoc erit fortasse durius ; sed ten
temus ; luiisse putemur^ si nihil sii) ab eo
yaoi/nequicquam est in tali homine; ex quo
idem nihili d i c i t u r - - nequidquam FHa.: il
Miiller prefer nec quidquam^ come sta in G.
82. quod non declinentur. Ne c(dd. quod
non declinetur Quarto^ nisi. C'.s ho scritto
per congettura : ne todd. Quartum (in G. Quar
to) si. Ma la negazione necessaria; e se n av
vide anche il Muller che per aggiunse un non
innanzi ad habenl. Io non so credere che l au
tore, come disse pi'iiu secundo e tertiOyCo qui
non abbia detto quarto. Cerio la loulazione
lievissima, e questo uso di nisi uon raro in Var
rone. vocabula, Iu Glia, soggiungesi qua-
tuor (in a. quattuor) socerum socrum. Cos
la vulgata, ii Verlranio, lo Scioppio e lo Spengel:
ne' codd. socerus socrum (in , socerum)^ se-
non.he di G. oon notasi nulla ; il Miiller soce-
roj , socrus.
83. res vulg.; Cf. 1\ , 87 : ne codici tres.
84. ut fit G. ; negli 1 ut sit faba. Cf.
i Vi l i , 48; IX, 38.
NOT E
AI FRAMMENTI
Non si lon qui raccolli, se non i soli frsm-
menitt o poco pi, che trovansi espressamente
sllegalf conio presi dai libri ili Varroot tu la
lingua latina. Molli forse se ne poircbbero
giungere per congettura ; mi non facile |iporsi
con buon fun<laroento iu un autore che acrists
pi opere sopra malerie similissime, per non lire
ugnali. Cos aver creiluto'che k' opera ioli lolita
de orgine lingule Latinat non tosse che una
parte e propramerile il primo libro <li questa,
avea conifotlo a registrare per primo ntta pre
sente raocoltv uo Irammeoto che ci dato <ia
Prisciano sotto quel Illoto (lnst* \^ p. 3o
556. P>). Ora il catalogo Irlle opere varroniaiie
compilalo Ja s. Girolamo non lascia iubilare che
i libri intorno all'origiue /della lingua latina non
fossero cosa diversa d< quelli che s* iutitolano de
lingua Latina: quelli erano tre, questi veulicin
que ; quelli indiriiiati a Pompeo, qursti a Selli
mio ed a Cicerone. N la caso che il frammento
recato da Apuleio DZ/^/X/., 38, p. 107 O-
sann.}^ come appartenente all* opera su origine
Iella lingua latina, s ' avvicini assai a ci che leg
giamo nel c. io5 del I. V de lingua Latina (Vedi
la nota posta a quel luogo) ; perch, come ho
toccato da prima, V^inOne Iratl pi volte mate
rie simili, u si guardo gran latto dui ripetere e
neanche dal ridirsi di ci eh* avea dello altrove,
lo spero adunque che non me ne sar dato cari
co, se la presente raccolta, non che essere impre
ziosita da alcun nuovo acquisto, si nioslm anzi
pi povera, scemata, coni' , nel |)rinio fram
mento.
LIBRO I I I .
I. Nola qtii Filargiro che gli antichi diceva
no leo tanto il maschio, quanto la femina (Cf:
Of^iSyboSy ec.) ; e che Cicerone s ltiena^ Var
rone lea.
3. I espressione prpTet sui cnsecrtio
nem timentur^ d t vedere che U flia rigitia-
zione delliome detis^ registrata qui da Servi e
ripetuta da Pesto, da Isidoro, d Papia, ^ra pro
priamente iuspgnuta da Varrone; e che per non
gli fi debbono adribuire soTtanlo le ultime paro
le, ma intera dottrina. Dico la dottrina, perch
le paiole sembrano in parte fli Servio. Cf. V, 06.
LIBRO Vin.
4. Questo frammento dovette appartenere al-
estrema parie del libro, che and perduta; e
se ne pu.rrre argomento dalle risposte date nel
seguente libro, che vi tengono parimtnie ulli
mo luogo dal r. 91.' sino alla fine. Il Muller cre
de anzi che questo brano stesse propriamente
nella conclusione ; e la rapidit, con cui vi si toc
cano cose si svariale, cio nomi, verbi ed avver-
bii, tiene in fatto pi d'un epilogo che d'una
giusta trattazione. Ma chi pu dire se Gellio ab
bia recato disleiamente le parole di Varrone, o
Doo a* abbia piuttosto fallo un compendio f
LIBRO IX.
5. Bench di questo frammento Carisio non
registri n il libro n opera; tuttavia uon du
bilo di ascriverlo, secondo avviso del VIuller*
6o3
al nono libro ; pcr h cuntiinf la necessarie ri-
sposta sir ohbietioiiL falla da' Cratexli liel t. ,3^
del libro aiileceJenle. Sia per a vedere qDale e
<]uaola parie se ue dee a Varruiie. (Questo appa>
rcnle diletto d* analo|;ia, per ci che da Alba si fa
parimente Albanus e lbenss^ toccatp anche
da Quiutilianu: ma alla ri|MistH non vi s accen
na punto (Inst, Or, 1, 6. i 5).
6. Questo stcondo libro su la somiglianza
delle parole non pu esser che il nono su la Un-
{!ua Ialina, che il secondo dei Ire, io cui Iral-
tasi deir analogia. Il (asso citato da Carisio ca
deva probabilmenie Ira i| c. 66.* e il 70.**, come
risposta alP ubbiezione falla nel e. Ifi!* del libro
antecedente.
LIBRO XI I L
II. Confusa ed incerta la scrittura di que
sto luogo ne'lesti di penna. Ad osso non si pu
qui pensare, perci rVafi declinatione di
oi, Carisiu traila pi sopra, e vi cita anche Var
rone ; e .rojTo (da *(, oce/o^ inlrodutlovi dal
Lindeniapu cd accettato dal Keil, privo d* au-
toriltt, n dovcf cadere tra i nomi d'incerta de
clinazione. Che se pare unirsi bene con oliyo;
eia oQlare per che utche quella Iczioiie vi
tuli'altro che certa ; poiihc nel coA^lice sleale, d|
cui si valse il Lindeiuaun, stava oHiy e U scriuu-
ra o/fVo et nacque forse dii o/iVcr/< Ilo. scritto
adunque per cougeltura olii pt olio : u era f**rf<;
bisogno di raddoppiare la stando alla fri ttu
ra di Festo iu OloeSn e alT, aylico ufo, eh* ei notai
ivi medesimo, di non rjiddoppiare le consouauli,
Cos b lezione si sarebbe tenuta pi presso alle
tracc'e de'codici. Vero che di allo od 0/0 non
s'hanno esempli : ma nlls fin fine il dtivo re
NOTt: Al I HAMMhMI Go4
golare di olhis^ e niente pi sitano che alio in
luogo di alii. Panni poi chiaro, sebbene il Putsch,
lo i>pengel e il Miiller abbiano puntato allrimrn-
li, che Vintuii appartieni a PUnius^ Llla cui
opera serinnis dubii trasse Carisio pi altre ci
tazioni di Varrone. Infatti i migliori rodici non
hanno putat, inquit^Jieriy ma putat fieri^ in
quit ; la qual collocazione di inquit toglie ogni
dubbio.
LIBRO .
13. f voce promisce potrebbe essere Nggiun-
la da Nonio a nuova dichiarazione indiscri-
minatim.
LI BRI INCERTI.
19. Vurrone ohianiava Tuomo s^nio^ dai
quaranUicifiqiie ai seisanl'aniki ; <diji sien alU
morie, snex Vedi ci th oe allega Ceiwirino
de Die Nat, XIV, probabilraenia dal J'uleroae,
s, de ^ita Lumanm, Dal riscontro di ci che .scri
ve il medesimo Servio al v^3o4 del 1. VI delfti-
neide, parcelle queala4:ildzione non lia U>Ua di
rettamente da A^arrone,. ma <la Piioio,
ao, luogo incerto, nella lezioue. For*^, sor
spetta;it Keil, ' qui ,laguna nel lesto di lDiome
de; e quiritatur preso dall bpiloivi di Fewe-
stella. Orl o Varroiie nel VI de Lingua LL al
r. 68.us due volte quiritaro Hltivamentt. lo,
stnhj alla lezione aorn', h creduto dijKfoixle
re fenestella per dtniinulivo *1fenestra.
A G GI UNT A
A L L E N O T E
Nel Giornale di Gottinga, intitoljto Philolo
gus { , i86o P. I, p. 176), Icggonsi alcune mula
ioni die il ttg. C. L. Roth Torrehbe falle qua e
l ne' libri di Varrnne tu I lingua latina. A <lir
vero non sono mutaxioni ili inulto rilievo ; ed in
alcune aveva gi prevenuto il Miiller; in altre
io rneilesimo. Pure crethirei mncre al mj u de
bito, se, essendone ancora a tem|>o, uou ne la
reui fiarte al lettore.
V, 94. Propone la lezione : Etiam in hoc ge
nere ywaf sunt ^ocabula^ pleraque aperta ; ut
oleitor, vinilor, alter ab oleis, alter ab uvis,
mulaiione ar*lita, perch u legulus^ coni' nei
codici, si sostituisce oleitor^ x^initor^ che ne sono
lontanissimi; e |erch o/e/for, tuttoch proba*
bile, voce nuova. Aggiungasi che ab uvis non
conterrebbe etimologia di vinitr. Non so |>er-
ch s'abbia a supporre ostorpio o difetto in que
sto luogo, se Varrone stesso dice altrove (VI, 66);
ab legendo leguli qui oleam aut qui uvas le-
gunt,
V, 104. Legge praesecatur in luogo di prae-
sicatur,
V, 136. Legge : Rastri^ et..... a quo rasu
rastri dicti. Non mi par probabile, perch ripe-
terebbesi etimologia aniecedenle (quo ab rasu
rastelli dictij^ senza tener conto del penitus ag-
gianto qui e delP eruunt.
V], aa. Legge Fontanalia a Tonto. Che vi
fi abbia ad inteodere il dio Footo, 000 mi par
dubbio ; e cos aveva gi ioteso anch' io, come
pu vedersi dalla nota, e dalla lettera maiuscola
che preposi al nome. Non credo pt*r accentilo
che il nome di questo dio sia propriiUiieule Fon-
tus, e non auche Fons.
VII, 31. Ned passo di Lnuio logge Is qui Hel
lesponto. Il fuudiimeuto non mi j>ar euflcicule
I>er allontanarci da codici.
VII4 88. Attribuisce a Varronc, e non ad Ac
cio, le due ultime parole volt accipi, L avea fatto
anch io, aggiungendo qualche cosa di pi a in
terpretazione di quel luo|;o.
Vili, 84. Le^ge Lesas^ Stiffenas^ Carinas,
IX, 43 Propone allius in luogo di Gallus.
Visiera apposto anche ilMullcr; ma non gli
parve probabilit suiTiciente per alterare il testo.
Anch*io mi contentai di notare: u Anche qui
forse da scrivere albus^ come nel luogo corri
spondente Vi l i , 4 *
X, 14. Le^ge sub casuum rationem (codd.
ratione). Ho notalo anch* io : u Forse ratio
nem^ wcol riscontro d aliri due passi. Ma non
senza ragione, se la cosa parve incerta inche il
Muller.
X, a5 . Legge in uno verbo suit modo si7it.
Era interpretazione accennala gi dal Muller nel
la nota corrispondente a questo luogo: ma il
Miiller and pi avanti.
X, 5o. Legge ; Alia ab dissimilibus dissimi
liter (codd. similiter) declinantur. Non so qual
senso intenda cavare da quel luogo intero.
X 57. Vorrebbe traps,^ non trabs. Cos fu
avviso anche al Miiller : ma il contesto sembrimi
stare piattosto per la scrittura de codici, che
trabs. Perocch dicesi adlanto de extrema s i l
laba E liteVam exclusam^ et ideo in singulari
factum esse (ral>s. A ogni mudo cosa di poco
iiiomento.
Frammento 1. Sostituisce docet a nocet.
INTORNO ALLE OPERE
m W. TEREKZIO VARRONB <>
Q u el precetto che diede Vairone nelle sue Menippee: Legendo et scribendo vilam pre-
cadilo (Menipp. ed. Oehlr, p. 2S9), gli stesso fu certo il primo ad adempirlo nel modo
pi esuberante. Difficilmente nftti trovefesti fra gli scrittori della latinit classica chi gli
vada innanzi per molteplice fecondit. Cicerone lo appellava / ^ (ad Att. , 18)
in un tempo, in cui non aveva scritto aqcora la met delle sue opere; Aulo Gelilo nelle sue
Notti Attiche ( 111, iO ) afiferma eh* egli a settantaotto anni avea gi scritti <| itttroeento ao*
vanta volumi; Plinio soggiunge (H i st Nat. X XXI X, 4) che giunto agli ottant otto non avea
smesso ancora lo scrivere, e Quintiliano, dopo averlo chiamato il pi erudito dei Romani,
cortcbiiJ de, compreso di dmmirzione : Ouani ^ uno pene omnia tradidN ( I nj ti t
Oi-ijt. X I I , 2).
Senoct uiia testimnianza pi pieii e eterminta alla infaticabile oprefil lette/ rta
di Varroi la rse pi if S. Otrotaiho irt nila lttr a S. Paola, doV^ poneodb a confronto
la scinza umana culla divina, di frnte all* indice deNe opere di Orign, (esse quello delle
opere di Varrotoe. Tale Fettei'a, che gi si sapeva dver esistere, fu scoperta solo Tent* aimi
fa in un esemplare di antico codice delt bibKotiec di S. Vedasto in Artois, e Tiridiee venne
per la prima vlta | :\ ibblicdto nel Museo filulogico dfert Universi Renna di Benna: iudi>ne
venne litografto il fac-simile, tratto per cara dello Scblencher dal codice Atrebatenee in capo
al progranmia edito dalla Universit sleusa al (ominiar dell'anno scolastico 18484.
Eco indice di S. Girolamo,
a Marcum Terentium Vairouerii mirotur antiqute* cjdod apuA Latlns innameraliiteB libros
s'cripserit. Grtidci Chblcnterum'miHs efHdrunt landbiis quod tantoe libros <^onfposuerit, qoantos
quivis listrrri ienos siia manu dscribere non polest. Et quia non Otiosum est apud Latinos
groecorum voiiminm indicem texere, de eo qui Itilin sci*ipsit aliqua commemorabo, iit in-
telligamus noe Kpinienidi dormire Somnttti, t stcidiom, qUod illi poeuerunt in eruditione
ecularium littrarun, in^coogregandis oplbus ponre. Scripsit igitur Varro :
I
XLV. Librs anliquiUtluht, LXXXVl.'
IV. )c vita poputi Bomaiii. De lngiia Ialina^ XXV.
Imaginum XV. (Opera la quale' Va pi conu- Didrfpfinatum^ IK.
nemenle sotlu il noni di Hebdomades). De sermone Ialino^ V:
(i) Gli cdilori lanno'crcdui far co^a gria itddirti;iteU offrir loro il calalojr Ielle
opere di Varrone compilalo da's. Giroam, c scopcrlo poclii - fa,'^ ohe non fu possibile,
lcr ragione di lempo, collocare dopo !a Introduzione generale sulla vila i lo opere di Varroiie.
l NTt RBO ALKK OPKRK PI M. KB V a RBo WE. 3)
Quaestionum Plautinarum^ 4 pito^^ da 4iiBgua^latina ex libris XV, li-
Annalium, 111. br IX.
Ve origine lingua t latina e ^111 De principiis numerorum, I X
De poematis^ 111. Rerum rusticarum^ libros 111.
De originibus scenicisj U. ) iak k iit tumida^BbrunM^(chc il Ril-
De scenicis actionibus, III. schei crede um cosa sola col logistorico
De actis seenicisy 111. Tubero).
De descriptionibus, III. De suavitate libros. III.
De proprietate scriptorum. III. De forma philosophiae^ libros 111.
De bibliothecis. 111. Rerum urbanarum^ libros I I I .
De lectionibus, III. Satyrarum Menippearum, libros CL.
De similitudine verborum^ III. Poematum, libros X.
Legationum, 111. Orationum^ libros XXI I .
Suaeionum, 111. Tragoe^iamtn^ libros VI.
De Pompejo; \\l Snttfrarum^ libros IV.
Singulares, X. olia plurima quae enumerare Kmgum
De per sanie, IU. e.nt. Vix medium descripsi indiceni, Ct legen-
De jfire c/ vi/ iV XV. libus fastidium est.
Aipitomen anti^uitat^im 4:jc librix X L i l , li-
iiroB J X.
11 cliiar. Bossier io alcuni eUidj ^pra la vita e le opere di Varrooe (Par i s, 1861 ) porta
indice di S. Girolamo (cu i dichiAra d aver preso dalFedizione delle SenteuEe di Varrone
di . Chappuie) alquanto alteraV). Si fonda eg^i suU autprt di S. Agostino (Ciu, D. K/ ,
0. 3 ) fwr cambiare J / jV libros aniiquiiaium in XLI , e ^osi pure^^iu^ica errare degli ama
nuensi le cifre X L l l eV J Epitomen AtUiguitaium e. XV e\ V jEpilpmen de lingua latina,
sostittieiido ella prima X L l al ^ seconda XXV. luoltre mostra di aver del tutto ij^norato il
facsimile del endice Atreftaiense, pientre intfoduce peir indice senza muoversi alcuna dim-
colt un ", ex linaginun^ librfi XV libros IV, e in luogo dei libri De suavitate (quale
la lezione indubitata del suddetto codice ) aostituisce D^ sua vita libros I I I . Di pi nota
invece di Tragoediarum^ libros V/ , Pseudo-tragoediarum, accennandoesser questa la lezione
che presentano due dei manoscritti consultati da M. Chappuis. Credo possano su^stere ambe
due; perch si ha notizia icA)e abbia ^t t o tragedie^ e di pseu^itrag^ie avauzano pure
alcuni frammenti per aUro assegnati a questi componimenti solo per congli^ettur^. Vedi Riese
Intr. aHe Sat Menipp. Quel viz medium descripsi ini/ iceiM^ osserva poi giustamente lo stesso
Bossier certo non dover iutendei^si nel senso che opere della wconda, met messa deir in
dice sommino a. tanti libri, a quanti ammontano quelle annoverate nella prima met. Se cos
fosse, Varrone si farebbe, antere di ciiOa un migliajo di libri. Ma egli stesso nella prefazione
alle sue Hebdomades, dichiara di aver avuti ottantaqnattro anni quando aveva dati in luce
quattrocento novanta libriv Converrebbe dunque a questi soli sei ultimi anni attribuire non
meno lavoro che a tutta lo precedente sua lunga vita. 11 che quanto sia fuori di ogni proba
bilit non chi noi vegga. Le opere dunque della seconda met dell* indice, bench almeno
altrettante di numero, pure devono ritenersi inferiori a quelle prime, per importanza e per
estensione. Ma per quanto si voglia attenuato il valore delle opere stesse, dobbiamo pur finire,
attribuendo agK ultimi anni di, Varrone unVoperosit che riesce quasi incredibile, chi non
riflette che t^kli.ai^ni funino appwto quelli in cui pot darsi pi riposo tanto sospirato dagli
affin i, n oh egli doveva avere iiinncnsi materluli gi^ j>reparali.
IMOKNO A.LL OlhUt C12
Delle IreoC otto opere almenov <!*> mancherebbero u compitrter 1 indice di S. GiioU-
nio M itofo Boeeier tte annovera ben trenta oHre a i r Ewicpi ex Imagitmm Ubriu e ui ire
libri De sua viia^ che per lui formainoipart della priftia met deli* indice: lkscoae i .ti| oli cmii
uccanto notati gli autori onde eon tratti.
Oarmert (lcer. Accad. I, 3; Qiniiit. 1,4; Lactant (Alilo GUi, XI V, 7).
J u8t. div^.41,19. Oui^etoisdrbbe on poma ftrt. <MoerQb., Sat. 1, ).
didaeeKco/ >e rferum herfnia. Noi s <i *80 Dt imiiHs mrbitit&mae liberiQmnli^,^)
d Introdtttione delle saUre Miiippe irV^ De gtadUmst (Serv- in Acoeid. V, 412).
M discuase le* ragioni per coi io non credo Sp^emeris navaUi Hber (Nonio, priec., itiu.
all*esistenza di questo poema, e come sia da Alex.)
intender questa parola carmen). navalei (Vegeaio, V, 41).
De compotiiione satyrarum liber (Nonius v. De ra itiariiima (citato tre volte da Servio).
Parectatae). Litoraia, ( Solino, Poi. ).
De philosophia liber (S . Aug., de Civ, Dei, i w/ aani #/ i 6#r (Var r ., De ling. lat. I X, 26).
XI Xj 4). De astrai Hber ( Cassfod., De art et disc.
De gramatiea liber. ( Cassiod., de Ortogr., 1, VI, 560).
p. SS, 86). De Geometria liber { Cassiod., id. ).
De uiilUate sermonis libri ( Il IV citato da Forse faceano parte dei libri De discipUnix.
Carisio, i , S I ). Mensuralia (Prisc., Vi l i , 818).
De antiquitate litterarum libri ( Il I I ne j)^ Mensuris (Boez., De'Geom.).
citato da Prisciano). Numeromm libri. (S. Aug., de gramm. 2008).
Rhetorica (Prisciano, I X, 878 ne ciia il 111 Epistolarum libri ( Carisio, 1,18).
libro). Epistolicae quaestiones (Au l o Gellio e Ca-
llrpi (Carisio, I I, 14 ne cita il libro I I I , risio).
se forse non sia da ascrivere alle Meoippee). De seculis (Servio ad A. Vi l i , 256).
De comoediis Plautinis liber. i ^/ . (Cic. ad Alt. XVI , 11 ). Aggiunger
De Poetis libri, j Gellio. ^questo Indice i libri theatrales citati da
De familiis Trojanis (Serv. in Aened., V, 704). Servio ad Aen. X, 894, se pure questo non
De gente populi Romani (S. Aug., Non. etc.). nome collettivo che si riferisca ai libri citati
Aetion liber (Servio lo cita pi volte). pi sopra De originibus scenicisy etc.
Tribuum liber. (Varr., De ling. lat, V, 6 6 ).
Ad alcuni critici tanta e cosi svariata attivit letteraria di Varrone, consideralo specialinenle
il tenore di alcuni anni della sua vita, parve improbabile. Essi perci si studiarono di abbreviare
il catalogo delle sue opere con questa congettura, che pos^a essere sotto diverso nome stata citata
I* opera stessa presso diversi autori. Ma tale congettura mal regge ora al confronto delle cifre di
Aulo Geli io e di Varrone, meno poi regge ora scoperto indice di S. Girolamo; e d'altronde
l ammirazione di Quintiliano e di quegli altri antichi deve pure aver avdto per causa una straor
dinaria fecondit. A spiegare la quale si pu trarre argomento dall infaticabile amore allo studio
di Varrone nulla rallentato dalle oceupazioni della vita civile e militare, per cui trovava nello
studio il riposo dagli affari e negli affari stessi occasione di studio, e si dalla natura delle opere
del nostro autore, alcune delle quali ne compendiano delle altre, ei e pi, convien confessarlo, non
sono^ltro'che dotte compilazioni e quasi il riassuntojielle sue lunghe letture. Compilazioni, le
quali per erano in gran pregio a que giorni, in cui, essendo rari gli esemplari d un opera o
quindi assai difficile e dispendioso procacciarsi tutte quelle che avessero trattato intorno un tale
^oggetto, si sopea ben grado a chi ne avei^se compendiato molte in una sola ; ma non lo sareb*
(5i3 DI >1. I tKL NZl O VAHKU?ib (m4
bero ftrse meno per noi in tanto difetto in cui ci^troviMnp delle clateicha antichit^ cosicch
voramcnlo da lamentaro che di tanta mesao di lavori eruditittimi di Varroae non eia rimasta
che la parte senza confronto minore: di molti, Marai ed inoerti Arammenti, dai pi appena il
nome. Dei quali lavori peraltro acema alquanto ammiraaione se si conaiderino ^lal lato estetico.
Da Atene, ove etudi con Cicerone filosofla, ed ove probabilmente si ferm assai a lungo, port
seco Vurrone tanta predileiione per le cose greche,'ehe di moltedelto spe opere la ^^aterja stessa,
di tutte la forma greca e si risente troppo di servile imitazione* Lo stUe poocede trasandato
anzich no, n la frette di scriver tanta'avrebbe potuto tescior tempo allo studio tra^qoillo della
forma ealimae abor'; cosicch Q u i n t i l i an oO r a / . XI , i i 93)bbea eoacl^iudere di Var
rone: Plurimos ei dociisttmot broit^mpotuii........... plui tamen scier^iae coUaturm quam
eloquentiae.
iV. B. La discti^sine speciale spra questi lovori di Varrone viene riipes^a allp introduzioni
particolari che no precederanno UtrcMluzione.
(ii5 AKLK OPLRK DI M. TER. VAlU\ OiNl:. it
I FR4MMENT1
D E L L E
S A T I R E H E N I P P E E E DEI L O G I S T O R I d
DI
M. TERENZIO VARRONE
TRADOTTI ED ANNOTATI
DA FEDERICO AB. BRUNETTI
INTRODUZIONE.
Deir origitie detta itlara e kli crHri d$lkt Suiira' Mmippea
e in pitrlicotare dette Menippet di torrone.
Qoiu tiHooo coei 4eoorfc (Iella SeUra Romana ^<>Salini quidem toto nostra ifsiy in qua pri-
mua itnigntin leijKlem adaptoa Luciiuia quosdam ila dnditpa eibi adhuc ainat>rea, ut eum
non eiusdem modo a^eria auoU^r/ ibua^Bed omoibuai^etif praeferre non du^ltent. Ego quantuni ab
iltis taiHumab Horatio dQBaiik) qui | ucUiuifLlM^r;e lutuleplum, et esse allquid^quod tollere poa-
iaptalM......... M^Hpm (E| Hgrator ncpuruamagis Uoir^tiue et (uon labor eius amore) pracci-
puus. Multum et verae gloriae, quamvis uno libro Persius meruit Sont.c^lari hodieque, et qui
ulim nominabuntur Mierum. iUud eCmn prius ^ Qenus^fed non $ cartpinum va
rietaie rmapimn conditiil Tpreniius Yurro vir romauocuip erqditiaeimua. d Anche il gramma
tico Diomei^ ficooosce )due geoeri di aatii^ quantunque aieno altri quelli, cb egli nomina per
cultori del aecondo j^eoert. E w m J e parole: dicitur^carfien apud Romanos
quidem maledicum et ad carpenda homivum viti;^ arcbaae comoediae caractere compositum,
quale scripserunt Lucilius et Horatius et Persius, at oUm carnien quod ex variis poematibus
constabat, Satura vocabatur, quale scripaernot Papuvius Enoius. Dal confronto di questi
due passi io traggo queste cona^gw^e: a) che il genere Varroniano, pi antico del Luci-
liano; ) che il genere Varroniaoo j l ge^ier^ stesso diJ Dnuio tranne Tessere non sola car
minum varietate mixtun. 41lrioaDti aarebbe necessari^ ammettere un triplice genere di sa
tira, e questo contraddirebbe ato tc^iimqnianze ora f^llegate.
Ma, quantunque que^tte consegueuza aeguano a Glo dai passi dei due grammatici, pure
non andarono a versi di tutti, ^uaUt ,PP^^ndQ nou asserirle lejj^ittime, si volsero piutto-
slo a dichiarare corrotte le fiarvl^ di Quintiljano ( i l , quale, a dir yero,. non si espresse con
troppa chiart?zza), e precisamente V etiam priut. E primo viene eruditissimo Riese, bene
merito) cotanto dellet M^iipif^e di yarrooe,.del quale ci conviene arrecare le parole, che non
uffriramto tro| ipa -reai^e^isji al qoi9 }>atterle. a Carmea quale scripserunt Ennius et P.^cuvius
DOtt aaae ooiiiuudai)4uin^uiii>atura Yarropjapa. . . . psa A}uintiliani verba claiiiant, Varronem
vaUerom iHIud geutts p. coadidiase perhibentis. Litieraruiu euiii^ genu:^ aliquod condere oihil
allud oi8id iDVBiiira prinMtmqtie fucplere potrei siguijpcare^^eodem^u^modo quo singula carmina
veraoeve qui iiWeit acribitqiiev oocdare ea dicit. ^mi.^^ggjero, ; il pondo di queste ragioni,
contraddette anzi dal fatto che condere genm IjiHerarMmj in Ialino non significa necessario-
lYiente oiiiiid. iuvenirie primumque excolere, ina ha. o^cora la semplice nozione di excolere.
AdoperarofM, a questo modo condere Qu^iUiliano al Capo I dui Lib^^ ^ e. Vergilio neir E>
j:logn X.
Uh vi Chalcidico quae sunl mihi condita vcrsu
tUtrmnw, pantoris moflulabitr avena.
La emendazione proposta flai c| ii^r{Hise | satorae geous et ooo
8ola carmnom varietate mixtQm, ed apporta per ragine <fbl eoa'emendamento: a alludere
Qnintilianom ad aatorae vocis deCnitionem inter veteres iam divulgatam qua ad saturae lancis
legisque similitudinem hoc principale in satura-duxerunt, ut diversa ibi miscerentur, voltum-
que ipsa quum maxime varium multiplicemque praeberet Questi sono puntelli ad ediQzio
d ogni parte minante.
Ne acquista miglior probabilit di essere ben accetta la correzione dello Spaldingio in
proprttim 0 interpretazione del Gessnr : pr i l a praetianiiui, n i l mutare coi r j ahn il con
didii in condivit-
Ma quautui^uetD farmemente siteog^.essere a^niai^eiiQre^^i l . teatp ^i Quintiliano ^l e quale
Dnoi venne per trodizione universale, non intendo per altro di dare alle parole etiam prim un
senso troppo vasto quale fu dato dal eli. Gl C. Volpi^ il qiale l e riporta ai rozzi cosi detti
exodia delle Atellane, la cui origine narrata diffusamente da Tito Livio nel principio del VI I ,
delle sue storie. I l derivare da essi la satira romena, se ne eccettui tra i moderni il LAblcer,
opiniime ormai da tulli rigettata, e chi un p w ri CMoeca dei ftnaimiieBti Vorrooianf^ non
trover punto in ui questi exodia delle Ateltane si convengano colle Menippee. neceM*
rio adunque confessare che te parole di Quintiliano non ad altro alludevano ^ ad Bnolo.
Ma per intendere rettament che si volesse QiuUKano tiolPagigimgre >air'nteedeftte sen
tenza le parole non M a caminum varitie mttitm, ei oecesslMio dir qualche cosa della
satira d* Ennio di Lucilio.
1 f^mmentl dlie satire d Ehnio cl Ync^tfarto apertamente ehe questb peeta os in esse
variet di metri. Cosi p. e. Stvio ci citi^erv un fremMento del Hbro 11 delle satire in esa
metri e Nonio altro dello stesso libro in Versi quadrati. Macrobio ne reca uu esem^o dal libro
intitolato <9eipfone, che ra qusi genralmente si annovera tra leaativt e che qui gioVa rifeHce,
dove quattro tetrametn sono ^eguiteti d qdttro^metrt.
Mundiis caefi vatts constiiit sitenti
Bi Nepiunut iaevus unii aiprs paUm dedii.
Sul equis iier rpfetsil ungui votuiiiibun
Constitere amnes perennSj arbrei veni& aeani:
l iu r in antiquam syvam stabula Ulta' ferarum.
Procumbunt piceae^ sonat ictu seeuribas itex
Fraxiftcaeque trabes: cuneis'et fissile tvbur
Scinditur^ advolvunt tigenHs montibus 0rfS.
l ale frammento, se mal non veggio, arguisce falsa la inte^netaz(one dta M Ohiaris&
Aless. Riese, seguito del Vahlen, al passo del grimatico temette d hoi eoi^-a vecflto. Le sen
tenza inialli di Diomede: efsersi chiamato on temp satkr t mm ftd variis pemoh
tibus constabaty fu dal suddetto idtrpretatk a questo mudo ; 'uluro^ Oi o^^a/ u m/ u w
constabat ex vpriis poefiiaiibs sciket ex singulis saturs. interpreteaidne seguite-
rchbe, d il Rese acccfte la conseguenza, che ed ogni singola wlire corri^KMidvsee un ingoio
metro. Ma questa deduzione contraddetta dal fatte di EneSo che ir un solo frammento us dop
pia ragione di metro. Mglio giudl fi Casaubotio scrvendo o appsfret miseelloin diversi ge
neris carmYbum fuiss Emiii suturai; nn sofom ei\ hn ex dlvereis IHiris aliod atqnevlind nie-
trum usurpaverat scd etiam in eodcni libro (I ). o
U) Vcili Noni u sul l o le >oti politiones, t r i m i n n l ^
D tl .L t SATI Rt MKMPPtt t OLI LOGISTOKICI GaJ
Che alla variet dei metri fosse congiuota nelle Satire d* imip varieU ancora d argomenti,
aeeai probabile, quantunque di certo afiimar non ai possa per lo scarsiaaimo numero di
frammeolL
Lucilio, al contrario, non si cur di variare i metri in uno steaso conipooimenio, come
Ennio : quasi sempre lurlle satire Us dell'esametro, ed a ritener per fermissimo che grande
fosse in lui la varietA d'argomenti, se, come attest Qutntilisno, eruditione mra liberlaieve
atque inde acerbitate t i atmnaniia $alis eommendabair.
Detto della forma esterna delle salire cbe precedettero la VarroBeiia, ci re^ta a dare in
tero il seoso delle parole di Quintiliaiioi Se le satire di Varrne, quantosque appartenessero al
genere pi aotico di salire, pure no si distnguevano per la sola variet di carmi, ne conse*
gue che quel genere primo per essa sola si distinguesse: e volei^o supplire le parole del
grammatico,, non si dotrebbe cM o iulenkre en iota emrmmim \ i4 e9t argumentorum^ $ed
etiavituetrorum nfi^elae misiutn,. peffcb4]uesto abitiamo gi asserito d Eiuiio ; ma unica
* ragionevole e possibile aggiuula si quesla r etiawi meirprum ,cum prosaico tefnione
coniuneiorum varietale ndxtum, E che questo merito d^a?er nelle aatire intre<:ciato prosa
a versi s appartenga fra i Uomini primo a Varrone, cosa in cui tulli gli antichi e i pi
assennati fia i moderni Qootedgooo*
Una dissertazione pobblii^ta nei 1865 dal prof. Mhly; nella quMe prende ad esaminare
qu^to passo cos contrdyerao xU Quintiliano, e'propone miovi emendamenti a qualche fram
mento delle Menippee^merita (fi essere a questo punto ricordata; L* autore c i ^e con noi che in
questo (luogo velease^Quintiiiaqo aoceBan^e a quest alternarsi di prosa e di verto nelle Me-
nippee, ma perattaso che i l pbsso aia corrotto o per lo meoo vi si debba riconoscere una
lacuna ch egli | #opcme di aupplire a questo modo : alterum iUud'etiam priue eaturae $eno9
sed QinLf^o\ ,B^eatminunivrieiate tmstmn con^dit Tereniius Varr (orat. sol.': oraiionis
solutae); l o lascio agli eruditi il giudizio su questa eoieadakioneL E gli interpreta poi in un modo
diverso; da quello che noi abbiamo di sopra additato, la difireuBa ricordata da Oointillano, fra
il generediE nnio eriapettlVeowntedi Vainrone, ed il genere di Ludlio; Noi abbiamo creduto
eh* essa riguacdaaae la forma esteriore, egli reputa^al oontrafio, eh eaaa si deva ripetere dal
modo di verso con cui Ennio (e quindi Vbrrooe) e Lucilio si servirono della satira^ QuMta, dice
rautore,erainLuiliopidifrequenAe, in Ennio quasi mai odi jrado fiersooale. Manca, permi,
il fondamento per decidere* E ^n do quasi del detto'smarritele satire d Ennio, non si pu fsre
il necesssrio raffrostos 0 o franunentl Varroniani, quantunque aoarsi, ai trovano ailiisioiii
personali pi 0 meno coperte^ tenendo | >er altro come certo ch^egii ti tenne ben lontano da
quella libert nel notare 1 vi zi i privati di cui us Lucilio,; seqondoi la nota , testimonianza di
Orazio, Satin lib l i , 1 , 61 seq;, e di Cicerone p, ad fam. i. X l l , i6.
Questo accoppiamento 4ii prosa, e ,di verap e ^sso che distingue lasatir e di Varrone da
tutte le altre aat;ire Roiafne; ed una delle cause per cui esse si ebbero i l titulo di Menipi
pee. Della ragione di queato ^itolo^ oecessario dire alcuna cosa pi a lungo.
Gellio (U, l e, 6), seguito da Macrobio, cosi lasci cr itto: i j i i qoqque non pauci servi
fuerunt, qui post^hiloeophi cl^ri extiterunt. iEx quibus ilW Meaippua fuit ouiua libros M.
Varr in aaturis ae;!nulatus: est, quaa alii cynicaa ipseappdiat Menippees. E d.inaltro luogo:
o Saturarum M. Varrqnis q^aa partim cynicaa alii Meuippeaa appellant. Varrone stesso
cosi atlo narlar da Cicerone nei ccadem, (cp^S): a EttaiDen In illis veteribus nostris,
quae Menippum imiUU non interpretati,, quadam hilaritate conspersimus, taiilla adoiizta ex
iuiliiia pbii^eophia multa dicta dialectice elc; d Probo^ al contrario, in apparenza par che de
rivi la altra causa la ragiona del titolo Menippee, u Varr qui et Menippeus non a magistro
cuiua etacs longe praecesserat, .nominatus, sed a societala ingenii, quod is quoque omnigeno
M. T eb. Var eobf , Sat ibb . ijo
6a5 . ILRliNZIO VARKOMl 6 2 G
27 DtLLi ; SAIIKK MliNIPPlit R Dt l I.OGISlOlUCI 62
carmtoe saUras suas expoliverat to Queste sentenza di Probo b ot ntoti oppugnatori, ma
quando avremmo detto quanto si ea di Menippo e d^^l eoo modo di comporre^ si vedr <sbiaro
essersi il dotto commentatore di Virgilio apposto al vero, e in nessun modo contrsddire le
sue, alle pareie di Oellio.
Franosco Oebler fist6 con buone rgioni i l florir dr Meoippo Gtdareiiie^ circa Olini^
piade GOl Poco sappiamo dei casi di eua vita: la sua eondiiione srvile resa eerta da un
frammento dell opera dello stesso Menippo irpSvicg. Soo ^d r e r un Xenlade. fi gl i
stesso presso Luciano confessa d aver dato i l suo nome fra I cbI c; scontratosi belP Infrno
con Cerbero: o 0 Cerbero, gli dice^ io son della tua r axi percb son cane atich i o (Lue.
Bicdog, Morii, C i l ). L acre suo spifito. i mordecl snofr sali resero il suo nome ftimoso per
tutta la Grecia, e molti gli si aggtonser seguaci. Si diede volontario la morte c. 40).
AmpUsaima testmonlanza di Menippo noi troviamo nelle pere di Luciano che ne lasci
scritto: L uomo veramente libero, che non si ourS di nulla questi Menippo (I bi C .
a (Menippo) voccbio, culto, coir un niaittello^randellalo che muvesi ad ogi poeo di *
vento, ed rattoppato di vari! colori ; ride sempre e spesso motteggiti codesti filosofi vani
tosi (I b. . i ).
Di trdici opere, che se sia da credere a Diogene Laerzio 401) furono serte da Me
nippo, non uvanearoifo ohe soli <e l^gieHssimi firan^nAentii Lo steqso biografo le chima
un tessuto di derisioni e di scherui; me un^attenta lettura dei dialoghi) di Luciano, in cui per
testimonisnxa degli antidi t*itratto eoo an^nirabile fedelt it modo di filosofare del Gada-
reMe, oi indvee tutt^altra opinione. j scrivere di Mesippo appartener a ifoel geare che
Strabane acconciamete apf>el c^ir6u<f7Uoitv, un misto cio di serio e di. faceto per far mag
gior breccia negli aqimi ; *geber d scrittura passato quasi in *erodil uella ^ula itiica. Un
ritratto del genere dj atHe beato da Meslppo noi troviamo nel ilielogo di i L ucano: a L accU'
sato .didue accuse^p In; eso il I M ogo querelatosi egli Dei d esseve stato dal Gliieu^ Siro
privato di ^quanto: lo fkoeva nobile e venrMdo, Soggiunget I n fide non so dove andato a
cavare quel Menippa.veedhioucbo rmghiaso e . morderla e me ha ai zu to addosso come
vero e terribile mestino che J norde ella sprowiata, che cos ^ i ndeddo assnna.
Che Meoippo se la phmdeese principalmeiite eoi filsofi 6 cesa cho inenffestamnte si
scorga dalla lttnra di Leciabo: n beffe la vita, tic scheimiepe e contraddizioni, ne oansona
i prineipi4 ba di ohe ridere u Pitoue^su Aristotele, su Crisippo, su Znonie, su Steratei, mo
stra c t e i Aora eeaquipeMi sproloqui nqn erano che ciance te Vanit* Menippo ^ eltro rovin
t sistemi di tntti^ non ne hresse egli alcuno ; egK fu seguace di quella aapienta che 11M6nmsen
scolpi con un eolo vocabolo a BundeWeishbK. Dra ci resta.a vedere^ ed importaatssiinoi
quale fosse l esterna forma data da ( ai uoi componimenti. Alcuni giudicati,' ed le
sentenza pi diCNiSa^h e egli de/ Kasse i sooi libri totti in prosa; 4lri, fra cui II Casaubono
(De ohe egli s cr i ve^ s in prosa,^ta meecoldndovi parodie di versi altrui. I l
Preller poi ed il Bies tnsegnaroo ch egli ni noi Rbri ^Iteraatese versi a prose^ e siesta
opinione ini parve, per i motivi che ddurr poco appress, la pi vicina ul vero.
Dal dialogo di Luciaino Mmippo o la Ngroteanaia si pu dieduri^ facilmente che Me
nippo usasse inserir parodiando nHe. sue opere versi altrui. Cosi in qilel Halogo incontratasi
con Pilonide risponde alle dimando d ^ amic con versi di Buripide e di Omero, e di questo
facendo PilOnide gran mraviglia, soggiunge Meni^K) : Non mersvigfirti, amieo mio. Sono
stato test con Bripide e coo Omero, che ini han pieno il <^po di loi<versi, ed om i vtfrsi mi
vengono spontanei su la booca. Da queeta eda testimonianza sarebbe egaohneiite (bo gw t o
oonehiodere che Menippo alternasse nei uoi libri versi e pirosi^, ovvero to\ OasMiborio, che 000
vi frammelttsse che parodie; e ove non avessimo lle mani altro arg>menCo, eai'()bbe lo lite senza
dubbio indecisa. Mo un argomento validienmo per ottrbiiire o Menippo quei^ta nirslut d di versi
e*di prosa, mi pare di trovare in un aKro Uiogo di Luoieno, tratto dal dialogo sopra allegato
jPaccosato didue.acouee. la ^sao LuciaiM) Ca parlare il Dialogo, ii qtiale, lamentata l antica
e ormai perduta grandezza, aoggiunse: a Ma il pi insopporUbile ch egli (l l en i ppo) mi ha
raffpsaonato in una guisa tlMoa: if non^sona pi n prsa n verso (oOtt lirl
fAlrpM ma come un ippoeeetauro paio a ehi mi asoolia un nuovo e moetruoeo compoeto.
Il qual luogo non ai potrebbe certaateiite spiegare oonvenienteinmite in altra guiaa che eo1l*am-
mettere nel dialoglii di Meotppo questo attei'nerei di versi a prose, fi quale molto aeconcamenle
pertanto si para^na all ippocentauro. Queste opinione veggo ora abbtcciato da doftisaimi fra
moderni, ed la sola che BoAiefaccta, n intendo cm I* Oehier, il quale trov^ e ^l n n o di
applicare questo passo di Lueieiio al Kiodo seguito da Vorrene nello sci^vet^ le iu salire, ricfus
di'applicarla a Menippo, ai qaale soltanto si rferlecon. Le tesitimonianze adunqtie di Gellio e di
Probo sopra riferite si suppliscono, in luogo di escludersi a vicenda ; e se avea ragione Gelilo di
asserire che il nome d Menippee era^eeatoaUa Satira di Verrne, perch questi avea mossi i
passi suir orme del filoeofb di Oadara, non ne area meno Probo affermando che tali eransi dette
perch nel dettarle avea seguito il genere di scrittura, di cui aveagli porto bellissimo esempio
Menippo.
Le parole tutiatvia qsate de Probo: che Varrone abbell le sue satire. earmiHe. e
che sembrano trovare appoggio in un passo di Cicerone, meritano d^^seer ehlarite petendo es
sere facilmente cagiaie di equivoco.
Che Varron osasse nelle sue satire di vevsi ooea cotedrdetnente affannata. Cosi Gellio
attesta che nella satira cpi Varrone M ti ^ delle eeiie yelattoote del suo tempo, toc
cando dei generi e della natura di cibi, tpe amodurd ^tfiU ftu wenibuB^ stsso
incorda un fraoMneuto peetio M i a satr DUm au$ Seria. Ma asisireodoi le stesso guam-
roalico cbe Varrone riforbi le sue salire oninigno eurmine^ e non afeodosi d* allr parte al
cuna testimooianza espresse ohe Verroneiri mceeolasse anche prosa, il ROper, fattosi forte derluo*
ghi sopra allegati df Probo e d( QuintHino, e di un terso, he or eiteremo, di Cicerone, asser
che^tutte le satire di Verreiie erano<descritte in versi. Questa epintone del tutto a rigettare.
I l l^sso di Cicerone tmtto dai 1 Academ. hi e^so, dopo magnifietti i meriti d Varrone
quale archeologo ed erudito e grammatico, soggiunge: Ipse varium et elegans^omni ferme nu
mero poema feeitii. Ma per chi sta questo passo? Per nessuno. Affermerebbe troppo, e hi con
esso volesse provale il genere mljto di verso e di prose, e ehi dolesse intenderlo e spieg,arlo
delle sole saHre. N lo credo col Riteahel ( Mur phil. Vi, 4 f4) che qtiieielliide ad un poema
didasealieo Be^rertun natura^he vuoisi sritt da Verroae, perocch in tal casoi la buona ra
gione grammaHeale imnde che si xrnfiee elegans ad omni ferme wmer o, i e questo sarebbe
tuttaltro che un el egi oe Vaitene, venendosi a dire,che nello scrivere il suo poema avea, in
qualche parte almeno^ peccato. Ma lasciando di questo poema didascalico ooroe di cosa in
crte, in^ibitBtd ehe Varrone lasci alcuni tovori poetici, e l iodiee di S. Girolfmo ricorda
dieci libri primatum, un frammento (ed Tottoo) dei quali ci in oonservate da Diomede
(400ym Ed; R ei l ) sotto lindicaeionet J tirr in poetico libro, L indfeo stesso ricorda quattro
libri di satire alla maniere LuciKana, dunque in esametri, e si sa che acrisie alcune cosi
delle psendo-tfagedie. A questi- lavori poetici di Vafrohe potea i'iferirsi adunque Cicerone, e
nD Tiene di nacessitA ohe alludesse alle setine^, come pretende il ROper.
P i aopra abbiamo indicata (a gignltozk>ne piana naturale della sentenza di Quintiliane,
che assaliva etisere il genere usato da Varrone nelle satire eiiam ptius^ sefd non sola oor-
var4taie fHixim, I l ROper giudic he <jtieste perlo favorisero la swa opinione, sti
randole a qnfsto modo, nn sla carmimim id est metrorum varieiate mixtum. sed etiam
;) DI >1. TERtl^ZIO VAilKONl: ( 3
iocoiique sermonis coniunetione. lo non neglier eho Varroue a tempo e luogo lleroaBee
stile serio e foceto, negher soo che questa sia coea cosi propria di lui) ohe non si posea ai-
tribuirla ad altri mille, tale iosomma da far. diatingoere il suo genere di coiQpoeisiooeda quello
di tutti i precedenti.
La falail poi dtiir iuterpretasiooe data dd Rdper alle parole di Probo cos evidente ohe
basta accennarla. Probo asseriece che Yarrone amnigeno eartnine libra , suo expolivit II
ROper spiega expolire i eeu^mnibui pulohris et expolUis oonsiatite taHrai^ Boriterej
Oltre di che asserendo Probo la stessa oom di Varrone e diJ Ulenlppo, m verrebbe di con
seguente che anche Menippo scrivesae in versi le sue opere, svarione che non fa asserito n dai
ROper n da aliriy tanto niadofiiala 11 ROper quindi si coutraddiee e condamia da g.
Che pi ? Parmi che Varrone stesso dichiari daver p^cacciaU variet al suo stile alter
nando versi a prose Diiatti nella satira Bimwnius ha questa fraounento :
Ae me pedai versuutn,.A, lardar
Refrenet arU, comprimo rftylmon. serium ;
le quali parole (se pure il frammento sano) dicono chiaro eh egli fino a quel tratto avea
scritta la sua satira in vei^so, ma per procedere pi libero e n z pastoje, lasciava il nu
mero e seguitava in prosa.
Altro argomento mi offrirebbero non pochi frammenti delle satire, in cui lo stile rimesso
la coetrosione stessa, la scelta" delle parole niente hanno di poetico, e credo inutile arrecare
esempli per*confondere un opinione che si tradisce per tante capi falsa.
I l R^^er sentiva nei franuDenti Varronbai un non so che di .ritmo^ e si aecollty la stra
ordinaria fatica di ridnrli tatti a numero, non a dire con quante stirature, coatorsioni, dislo^
gamenti. E isolle orme del AOper moasero altri I pas^i, specialmente il Kock, ed i l Vablen;
ma quest'ultimo con maggior senno, svendo gi pronunciato il suo gudiiio ; doversi assoluta
mente ammettere nelle satire di Varrone questo p r ovol e alternarsi di versi a prosa.
d ora che abbiam detto della forma esterna dei libri di Menippo, e delle satbe di Vsr-
rone, e della ragione per furono dette Menippee, ci necessario psrlere slquantod^a loro
natura.
Colae nel segno il Cagaiibono quando qs^rl che Menippee foron dette le satire di Varrone
perch io esse era serbato un cotale temperamento giocoi^o, quale in materie non diesimili
avea usato Menippo, co^l che l uno e altro dei due scrittori puossi chiamare <><<, e
il lor modo di scrivere, una scherzevole filosofia. Palesare, insegnare la verit piacevolmente,
ecco lo scopo e artificio delle Menippee. Varrone conosceva il suo tempo: no rigido maestro
che si fosse meuo in capo di dar a suoi concittadini severi precetti di morale e di virt^ col ci
piglio dei sofi, col lare ispirato degli oracoli, avrebbe avuto in sorte il disprezzo o le borie,
conveniva quindi prendere ona via di taezzo, rendere col lenocinio-dello acherzo fMScevole la
filosofia, lasciare dallnn canto le questioni troppo avviluppate e ohe mn mirassero airutile prati
co, le altre render gradite colla festivit dello stile. Questo genere fra il serio ed il p i a c el e, gi
osato da Menippo, insieme all alternarsi di verap e di prosa costituisce essenza della satira
Menippee. Ma questo stile,, mezzo tra il faceto ed i l serio, deve eepnpre.esser diretto ad oa
fine superiore che non sia il diletto: il fiue di istruire, di correggere, quale fa nei cinici che
Varrone si era presi a modello. E li imit cosi dappresso che Tertulliano non dubit di chia
marlo Romanorum eynieum^ e romani Uyli Diogenem. Dai cinici trasso il titolo di otto
( secondo il R i e jiove ) satire, lintero corpo delle quell non solo era chiamato eaiire Menippee
ma ancora salire dniohe. E come Menippo se la prese per lo pi colle dottrine filosofiche che
<3i DLLLt SATHIE MENIPPKE E DEI LOGISTORICI Gi
avcano erodito al suo tempo e con idifoeocl di quelle, cos Varrone, a giadicare dai titoli, in
gran parte di esse evolse temi OlosoBci, quantunque, aia per tempera d'ingegno pi mite, aia
per altre ragioni, non menaeae c^a aspramente il flagello come il Gadarense.
Nell* effetto altres fu Varrone men lortanato di Menippo: le ape satire non raggiunsero lo
acopo che sera preOsso, e gi Cicerone modestamente notava che in esse philosophiam inhoa^
verai ad impelfendum toiia, ad edoandum pamm ; non fond una scoolo, non trov chi cami
nasse sull;8neqnne: e non ei | M)tea easare, not ilMoipme^n ; il oplure delle Menip^ee tale
phe son si pe separare dall et daile biludini di un nomo coai amante deir aulica setnpKcit
come V^rone^n dalla sua prodigiosa emiaoiiei
Un altra differenza tra Varrone e Menippo. Questr si prese gabbo d'ogni sistema dogni filo
sofo, Valtro invece era discepolo venerabundo di qnella che cktaai etifiei YerHaiemAiiicae
philosophiae o/ iiiniia%oh altro e8ere non potea se noe quella a Socrate eosl fedeliente pro
clamata, per guisa che di Varrone potea dirsi ci chegli a non so chi riferiva :
Phque auro cut genere aiti mulUpiei seientia
Su/ flaiUi qtiaeriiSocraiii oest^a. (Smii gaiho).
L indirizzo che Varrone volea dare alla loeofla era un indirizto tetto pratico e lo dte chiara
mente in un frammento dove rimprovera ad un.tate: Si quantum pere eumptiiii ut iuuipi
stor bonum facetet panetti eius duodecimum philosophiae dedisees^ipse bonus ium pridem
eses faeius. Nunc illum qui norunt volunt emere mHlUnu oentum, t qui novit nemo cen
tussis.
Oltre poi al retto filosolare, volea Vrrene indurre: altrea^i anot Romni render migliori
i costumi; e di qua il richiamarai doloroso alla setnplicit e castigatezza degli avi Cf. Trpovro-
ff. 2, 3, 9; Bimarcus l 44 ; gaihp L 3; IPtuitetittfet; 20, elV>pporvila corruzione
introdotta dai grossi guadagni, dall'affluir delle cortigiane, dairaridtt del poeaedAre, e da ogni
sorta piaceri; CL. Modius 43,14; Sexagessis 8, 9, 43; 8,9 40, 44; J atoe fr.
un.; MarSpor 45; Lex Maenia 4 ; A*.5p*iroVoi; 4; Endymiones 4. Serapia Pr. un.t Prometheus
f. 3; ^^ 6; ToyiS 6,43, 48,4i>, 24; e il prdDdere insgnameot nobilissimi
Cf. *^ 2 ; Eunienides 20; Andabatae 4; Modius 4; Bellum Caprinum 2; MareopoHs
42. Quando poi rargomeofco dimadava qualebe dilucidazione scientifica, la quale non potea nuda
nuda farai strada nel piacevole stilo delle menippee, bello vedere come Varrone sappia vincere
la difficolt, e vesta di belle forme le pi alte apecnlaziont Cf^ Andabatae 44. e Matuum muli
seabunt 4.
Credo inutile aofistioare per dedonre dalle Menippee un completo sistema I losofico: questo
lavoro fu fatto dal Krahner, quantunque io non mi possa associare alla sua opinione: ohe lo
stoico Cleante fosoe nel filooofare a Varrone duca e maestro. Taccio che nome di Cleante
non ai tr ovi l ai espresso nelle Menippee, actordo volentieri che Varrone facesse graa conto
di Zenone e della aoasouola ^Cf. Sesqueulixes 24); ms certo che non risparmi agli stoici
le ano punte; conUxr dt essi era volta la satira : Lonye fugit qui suos fugit, nelsecondo fram
mento della quale, buona dose di ridicolo ei versa sopra gli stoici nella ^persona di Cleofante.
La satira Sumenidesy in cui ai fingono racooti a banchetto io casa Varrone fibsofi di varie
scuole, sotto questo aspetto assai notevole ed importante. Cf. ancora Cyenus f. 4 ;
11, 3; MareopoHs 4.
Tocc ancora dei riti sacri. Varitone certo non peccava di auperstizione: era troppo dotto
per credere a tante baie che si spargevano sul culto degli dei> e sappiamo da Servio che
avea con tutte le forze preso a combattere il culto dei mimi*alessandrini: e da varii firain-
DI . TERENZIO VAsRRONE ,3/,
<'35 DELI,!?; SATIHE MENl PfEt li DEI I.OCISTORICI 63<i
meuU Bi (a chiaro il profondo ^leprezse per. *11 impuri ntieteri di Cibeie. Cf. catombe .(.!
*< 5 K$! modtu meMae; Bumenidit 1, S7, 34, 35, 39.
Buono argomento per coiioecere la natura della satira ti offriranno ancora molti fra i titoli
delle ane Menippee, alcodi dei quali tono grezioaisBlmi, ricordati con ispecial lode ancora
da Plinio.
Sarei lungo, quantunque l'opera non rieseirebhesgraditej a voleeai annoveirarele bellezze
poetiche di alcuni frammenti. Mi baefl itame alcoiri tratti Mardpor A. *-7; il frammento
della sai Dolium omI Seria f i>lamenti di Prometeo incatenato alta rape,- le imprecazioni
contro gli spregiatori dell arte del canto, ed i l ritratto di una avvenente giovanotta (Papia-
papat f. 1-6 ).
Tatti qneeti pregi delle Menippee cl fann<doler viKmtente ohe tanta parte e aia andata per
duta; e ohe delle venati a noi che troppo scarsi frammenti, tnuilli a
scorrettissimi.
Ho parlato Qn qui delle satire Menippee, quasi {pese accertato quali libri fra i molti scritti
da Varrone, debbano ascrverai aderse. I l oatal oe^ B. Glfolhn ne ricorda 450, ma di cin-
quantaquaUro non abbiamo la pi picoola traoda, la pi6 parte dell altre vi fu allogata per con-
ghietture. I criterii di cui usarono gli eruditi per ascrivere taluni libri di Varrone alla classe
delle Monippee, piuttosto che ad un aMra^ li indnsMro a credere come tali:
a) quelli che ^e furono grammatici I ndteti come Menippee, 1-6.
b) quelli ohcorroqi> setio-il nome di etniche, .7- 8..
c) 0 furono detti fol meol *ati f% 1
d) quelli che presenUno un doppio titolo colla prep. tpi, constando che aicnne fra le satire
indubbitmeote Menippee erano fumitedtal doppio titolo, 1W7.
e) quelli nel cui titolo ai fa meokione dei cinici, 48-53.
f ) quelli di cui avanzane frammenti mieti di prosa 9 verso, 54-7.
g) quelli ohe presentano un titolo proverbiale^77.
A) quelli di oni non avanzano ohe frammenti-proaeicij m'fr che dal titolo s pu arimreohe vi
fosse qualche parto potica, 83-88. '
0 0 ae avBiai (psiche frammento poetico non si psea il IH>r scrivere He peeod-tra-
gedi e, ^.
* ) quelli di cui .dobbio se appartenessero dlle satire o He^peendo-tregedle
0 <lae incerti, 05^98.
Dietro queste norme si compil l indice seguente :
(Mdcrobio, 111, i 8 , 6). SetfuMixetXti. ib.>.
S. (Gelilo, I I I , 18-5). 13. tUfS (, VI , 1; I ).
3. Netcit fuid ve$per $ertu oeAat Gellio, 14. Hf^ piie9(Mecrt)biOj , , * ).
X1U, i l , 11 Macr, I, T, 19. 15. TI M (Geliio, X n i , 99, 5).
4. .! (Gellio, X I I I , S5, 4). Tetlatn^lw (Oellio, I I I , 1, 13).
5. . (GelKo, X I I I , 81). 17. De ealute ( Philargiritia in Verg. Ceorg
e. De offleio murili (1 , 17,4). HI, 386).
7. DoHum atti iena (Probus in Verg. ecl. 18. ^ftoriyiM(*preW.>pi*(yei5),
VI, 31). 19 *A(fev ( (I]pl fiapyvpi;).
8. Posi vinum sepiaria felel (id. ih.). 20. *1 (*p! ycycj^lian^;).
9. ! w iiiii ol 7' (Gcllio, VI I, 5,10). 91. Oopritwm proeHum (>?-iiJ ovii).
10. iTx</ effle/ Wu>(Gellio, XI X, 8,17). 99. Columnae / fereulis (tpl ; ).
. Plaxtabula (Plinio, . N. pref. 94). 3. Cyewut (*tp
037 m I L!;liNZ10 VAlUlONl: GSft
24. Deiuloriui (^p* Tffijwniy).
35. Dtvicii (tpi f (),
26. 'EM^r^y^^irtpi .^9().
27. Epilaphiones ^).
28. ^st modm malulae (cp
20.. vpo TTTSfA^('f 7C^finx^nv),
30. "jEx a(it*pc ),
3.'^ woTi (wrp wp>v).
32. Glorin (cpi ^>9).
33. | (')^3 ^ We| rfw).
34. M^roopoUi (-^rpi ).
3* UUmm )..
. Qc(^etti9 ( TrejMapwVtf). i
37. (.)^{*>)
38 ^ 3( in d libri, U sedondo dlia
<p %),
39. Pseudmf^ poU (^repl J^iOv ^*).
40. JSerrriui (wipi ^(| 0 )
41. Ivvifyf^Q^(-irtpi ipfwnii).
42. THhonuM (mpi ^).
45.. Ti? notipi^t Hritfibr (^<p^4^).
44. Tp6if<T*ji ^< ''(< '^};).
45. ( ,).
46. Vinafia (wipl a^podUerfm).
47. ? (fp ).
48. Cynicus,
49. .
)0. ^';.
51. Kyvoppiitaji.
52. Trt^Mcviwtow; \
53. nXoVtott>pvyy<.-
54. kgath,
519. k^e modo.
56. Atiduhltm
57. Bimarcus.
58. Bndymwuks
59. Sueitid>es.
60. (^(^9(.
61.Tua^t ^.
62 HercuUt ivani .
63L i^j Moteniu
64. Memims.
^urdpot\
e a Mnfeori^
67. Modiut.
68. Myttfsria.
6<>.'0 >(K Wpdc.
TQ.Parmho.
7 f. BipS .
72*ecpci^^iiyi<
73. Pro\ mtkB%u Itber.
74. i^ififi4oli*ur.
75y )Seka^eiii^
i7^. Vtr gkl hina-,
IT'Oeve amtut,
l%* Crf otedoj hie thit.
Ait iiw fili.
/^ 4^ /lir/i/.
81. mm^i paraiu^
82 Sardi venales,
9!S,Aix stronintcius,
84. Bakte,
85. ^(sles.
d6 . Hnrcuies Scmiiew.
87. Oedipoihyesles.
^ ^r p i h
180; HfayHum ifj^entuHL
eO: Aethri.
9, Ariotkitn indiehim
92. CtmiiUs
*95. .
Wl fseitdaentQS.
95. Pruetofiuno/ ,
. '96. TpiXdipevo^.
Io avvertiva pi che: qiiiit rte bI la oagwn, Varrai0 o4d Tici>aiqnlure Una;Bcuo-
la, o, in tiltre prol0,>i non v ebb dopo d i 'W altrolecrilfore di Heoippee. A mia
propoaizione aemira in apfiariiM oppoMi . il latto atei ^#lttori^tempere dai imitali o fu
rono da essi o da altri chiamate Menippee. Ma ove si ritenga fermo che proprio dello Me-
nippee , quanto alla forma, alternare di verei e prosa, quanto alla sostanza, proporsi lo
scopo d ammaestrare ridendo, non p a r m L s i f i U ? L ^ P P O s t i al vero quelli, che scrittori Menippei
chiamarono fra antichi Seneca e Giuliano imperatore, fra moderni Giusto Lipsio. Dicia
mone una parola u parte. Seneca., per adulare Nerone, il quale avea impedito esecuzione del
Senatoconsultu che dichiarava il defuuto Claudio degno di onori divini, scrisse la sua -
, in cui foge che imperatore si preeeoti alla soglia deir empireo, faccia la sua do
manda d essere ascritto fra gli dei, ma respinto perch trovato reo di troppo grvi delitti,
sia condannato invece a giuocare eternamente a dadi con un bussolo senza fendo. Ecco i
sommi capi dell opuscolo di Seneca, il qAale sebbene, in quanto I l a forma, abbia seguito il
genere di Varrone mescolando versi a prda, pure nella sostanaa non oompoM che uno scfher-
zo, e come tale lo consider egli pare sviamente intitolandolo luds; nd fu che zel a scoa-
siderato dei suoi ammiratori, il Ruhkopf^ Ora gli altri, e Liberto Fromond, di farne uno scrit
tore di satire Menippee.
Le quali osservazioni valgono anche Oaeiaredi Giuliano. Seneca non si feoe beffe
che di un solo. Giuliano di tutti gli imperatori, i quali finge che ai preseotino al concilio de
gli dei per aver parte con essi negli onori divini. Ma, provato ad uno ad uno che non ne
sono degni, sono rimandati col danno e eolie beCTe. Giuliano alterna aoeh egK, come Seeca,
versi a prosa, ed ha questo solo di comune con Varrone, lo non vogUo asserire che nell amino
di Giuliano non fosse anche di dare bsI suo libro un qualche utile documento apepia(iDent)B ai
principi; ma questo consiglio troppo riposto, a differenza di Varrone. Qatati nelle aue stttire
sferza il vizio sul serio, non fa il burierole se non quando ed in quanto crede troppo dure
le verit che espone, e si serve del faceto per insinuarle negli animi; Gi u l i vo invece ^tta
qua e col qualche seria sentenza ohe coovien ripescare in quel mare ( mi si passi la meta*
fora) di scherzi. Anche a Gioliano creda sia,a negare la palma di s c r i t t a Meippeo.
Giusto Lipsio, dottissimo ed elegantiseiaio scrittore, dett una satira Somniumj contro la
critica smoderau, e la chiam aatira. Alenippea. E come tale fu applauditav e, fra gli. al
tri, dallo Scaligero e dal Dousa, il quale noa dubit in una aua elegl^i di scrivere Volgeodoai
al Lipsio:
An (tcUiceL: ieavi i t ) Matirai nobit imtaurare Ikreuii
Inque Menippi ponere clie pedem ?
E pi sotto : Gaude Yarro^nigra ei qui* Ubi ienstts in urna.
En eiiam in Baiala natte hcts aure libi.
Ma queste lodi non facciano velo al giudizio. Troverai si nell operetta del Lipsio qua e
col dei versi; ma sono versi d Omero d altri poeti messi quasi ad ornamento; lAentre in
Varrone formano parte sostanziale dalla satiia : e vi manca quel carattere di serio e faceto
quale usarono Menippo e Varrone. Tutto I opuscolo del Lipsio in narrare una visione,che
finge csserglisi manifestata alle falde del Campidoglio, dove gli antichi poeti e storici latini
espongono le ingiurie sofferte dai critici, e li 'Vogliono sterminati ; ma si riducono a pi mite
consiglio dopo una eloquente arringa di Vairone.
Per concludere : non Varrone solamente il sommo ma l unico esempio di scrittore di
satire Menippee ; le altre che si spacciarono tali, non ne meritano il nome mancando ,deir uno o
dell altro dei caratteri proprii di tal genere di lavori : e cosi non ci avesse ingiuria dei tempi
privato di tanta parte delle Menppeeo ch avremsQo a bearsi di un gustosissimp genere di scrit
tura, e altri argomenti oe sarebbero formiti per mai]pvigliar9i del multiforme ingegno di quel-
I erudftf83mo fra i Romani, di quele^isUtore in ogni maniera di divina ed umana disciplina.
G39 DELLt SATlBIi MENIPPEB fc DEI LOGISTOKICl
A P P E N D I C E
Non credo inutile aggiungere qualche cenno sulla storia delle Menippee di Varrone, attenen
domi principalmente alle erudite ricerche dell Oehler. La testimonianza di Cicerone basta per
provare che al suo tempo, le satire di Varrone erano lette e conosciute da lutti. Orazio, toccando
deir amore soverchio a quanto sapeva di antico, nomina alcuni poeti che non meritavano gli
onori loro elargiti da questi invidiosi delle glorie contemporanee; a quei poeti probabile che
volesse aggiungere anche Varrone; n per altro motivo, annoverando fra i seguaci di Lucilio
Varrone, vi appone il cognome di ttacino, se non perch alcuno non intendesse il Reatino, le
satire del quale erano ancora in onore. Se non che la venust, la grazia, eleganza dei poeti del
l et d Augusto fecero cadere ben presto in dimenticanza Varrone che ritraeva piuttosto degli
Ennii e dei Pacuvii, e cadde cosi, che quando si parlava di un poeta Varrone, nessuno intendeva
altrimenti che Varrone Atacino, come puoi vedere in Ovidio.
Nel secolo 1 dopo Cristo, fu solo forse a conoscere e studiare le Menippee Seneca ; Plinio
non ne ricorda che due titoli : pi tardi, tiraudo il gusto all antico, le Menippee salirono novel
lamente in Gore, ed Gellio che ne fa fede. Pi furono studiate sotto gli Antonini, ma per eoli
Bcopi^lessicografici ; in quanto i grammatici videro necessario interpretarne le parole antiquate,
i scusi ormai lontani dall* usus loquendi comune : e dai spogli che ne furono fatti ci consta che
d esse ebbero notizia dopo Gellio, Censorino, Marciana Capella, Nonio Marcello che ne con
serv il maggior numero di frammenti, Diomede, Macrobio, Carisio, Prsciano, e forse Mario
Vittorino, Attilio Fortunaziano, Flavio Sosipatro, Filargirio e Porfirione; Gno adunque al se
colo V dopo Cristo. Non far meraviglia se alle barbariche orde che arrecarono alle belle pro-
vincii d* Italia tanti guasti, e furono causa che si abbandonassero gli studii e si rompessero io
tradizioni scientiGche, si ascriva anche la perdita di quasi tutte le opere di Varrone troppo vaste,
troppo erudite per essere trascritte in uumerosi esemplari e studiate da molti, e fra esse, delle
Menippee. Solo per mala fede pot asserire Oehier, che la perdita di queste satire tutta da
;ittribuire ad un Gregorio PonteGce, che per pio od empio furore le facesse abbruciare. L* et
cosi detta del Rioascimento delle lettere si occup anche di Varrone e delle iue satire. Primi
a raccogliere i frammenti delle Menippee furono Roberto ed Enrico Stefano che li pubbli
carono nella collezione dei frammenti di poeti antichi latini, le cui opere andarono perdute
{Fragmenla poelanm vclcrum latinorum quorum opera non extant. Anno MOLXlll. Excud.
Henr. Stephanus illustr. viri Huld. Fuggeri typographus).
Secondo a publicare coi frammenti delle satire, quelli delle altre opere di Varrone fu An
tonio Riccoboni in calce del suo libro De Historia impresso a Venezie nel 4568 : edizione
ripetuta a Basilea nel J 579.
Dodici anni dopo troviamo una nuova collezione edita da Ausonio Popma s<tto il titolo :
Fruymenlu M. T. Varronis Sa/ yt arum Mcnippcurum. Lngisoricorum IlfpciTca Pro
methei, lib. I l ; De phUosophia libri. Eilente et recensente Ausonio Popma Frisio.
Franqner. excud. Acijid. Hadaeuti, Ord. Fris, Typ. in Acad. Fianqucr. CK) IO IXC in 8." E
.. Ol'KHft Di >1. '\ Vh V' AKKoNk. |1
(1/^3 DKI.I.t, SATIBE MlsNIPHEK fc. UtI LOGISIOIUCI 6^4
nello stesso luogo puhiic il medesimo Popnia euno 1899 una edizione complele di (reiii-
inenti varroniani, edizione ripetute diciolto anni appreaao, arricchita di note e conghietture :
M. Terenlii VarronU Operum quae extant. Edente et reeemente Au$. Popma Fririo.
Eiutdetn Ausonii in eadem nolae et coniectanea. Ex off. Plautiniana. Apud Cristoph. Raphe-
lensium Acad. Lngduno Bat. Typogr. CIO DCl.
Pi notevole l edizione uscita in luce in Dort M. Terenlii Varronit Opera cum notiJ o$.
Scaligeri Adr. Tuniebi, P. Yieiorit et Augustini. Ace. tabulae naufragii teu fragmenta ejusdem
auctiora. Dordrac, 19. I l Palrt. in 8 ' Nel 68 troviamo i frammenti delle Menippee in
calce dei libri De L. latina nell ediz. Bipontina.
I franinienti delle Menippee^ei trovano nelle grandi collezioni dei poeti latini, coai in quella
del Maittaire a Londra, come in quella dell Amato a Peaaro, e nelle coai dette Cataleeta ed
Antologie, fra le quali ricordo quelle publicate dallo Scaligero e dal Burmann.
Della satira Varroniana menippea scrissero G. G. Haptmann e Francesco Ley. A giudizio
dell' Oehler, il lavoro del primo di nessun conto ; pi notevole il secondo. Molti furono poi
che conaacrarono lo loro fatiche ad emendare il testo e a cercare il senso degli importanti
quanto acarsi frammenti delle Menippee: fra essi noteremo il Popma, che si dimostra ordi
nariamente privo di senso critico, cos nello scegliere e proporre le varianti lezioni, che nella
interpretazione; il Tnrnebo, al quale dovuta la correzione di moUiasimi luoghi, fr che non
di rado spiega assai felicemente passi e costrutti di non lieve difficolti. Assai bene merit
delle Menippee il grande Scaligero; il quale, coll acutezza dell ingegno, divin assai di fr e
quente l ottima lezione, san, riducendo a giusta misura metrica, luoghi per poco disperati,
e molti fino a lui rimasti enigma, spieg e interpret mirabilmente. Si noli per altro che
qualche fiata le sue congetture sono ardite troppo, colpa della strabocchevole erudizione e
dell amore un po smodato di trovare, dir cosi, nuove terre, e di non muover mai il passo
sulle orme d altri.
Proposero sovente buone lezioni Adriano Giunio, il Mureto, G. Mercero e Giano Guglielmi.
Fra i moderni fecero soggetto di studio l e Menippee F. Oehler, il Rbper, il Vahlen, il
Riese. F. Oehler uomo di molta erudizione, e come tale le sue ricerche e le sue spiega
zioni arretJ ano molta luce I le Menippee. Ma assai di spesso infelice nella scelta della le
zione e nelle congetture ; poco curante di ricercare quali dei frammenti si debbano ritenere
poetici, quali scritti in prosa, scambia questi con quelli; e nulla affatto si prende pensiero del-
ordine probabile dei irammenti.
Del ROper n o n aggiungeremo parola dopo quanto avverlimino pi sopra, sopra Tinfelice lenlati-
vo di ridurre tutti a n^etro i frammenti delle Menippee. Ci duole tanto apreco di Umpo e din
gegno per una causa fallita, per sostenere un'opinione che il Bernahrdy stesso chiama un pa-
radosso.
II Vahlen fece opra le Menippee un giudizioso ed utile lavoro. Le sue non sono che con-
getture, sopra alcune satire o passi pi controversi; ma debito confessare che esse sono
dotUesime e gindiziosiseinie; e se non fosse che alcune volte si Dda un po' troppo al giudizio
dell orecchio, non saprei che appuntare al suo lavoro.
Ultimo per ordine di tempo viene il Riese, il quale per conseuenza pot far tesoro degli
studii fatti prima di lui. La sua cura tutta rivolta a dare quanto sia possibile corretto il te
sto delle Menippee: e, adi r il vero, vi riusc quasi sempre. Utilissimi poi sono i commenta
rii sopra la satira Varroniana, e sopra quanto ad essa si lega, premessi alla sua edizione.
Dal discorso fin qui palef e, molto essersi Titto per le Menippee , non tutto per altro :
v hanno ancora luoghi la cui lozione non si riusc finora a sanare, o uhe non ebbero ancora
l...i.,vole interpretazione. Bene meriter delle lettere latine chi con pazienti cure ed intelli-
{'enti proporrasei di coronar edifzio tirato a coovenieutc altezza da uomini di tanto senno
e dottrioa.
E a coDfermare, se vi fosse d uopo, questo giudizio basterebbe il saggio che il Prof. Mbly
di Baeilea publicava contemporaneamente edizione del Riesej ove si tentano nuove corre
zioni e pi fondate interpretazioni ai passi maggiormente controversi delle Menippee: non
rimanendosi il eh. Prof, di confessare che molti luoghi ancora attendono una mano pietosa
che li salvi o risani.
Dovrei dire qualche cosa della mia traduzione. Chi conosce la malagevolezza di questi
lavori sapr perdonare se non fu scelta sempre ottima delle lezioni, e data interpretazio
ne migliore, lo non dimando favore ; ma compatimento.
J S'B, Neirindicare i codici di Nonio, da cui si derivarono i varii frammenti, la lettera B in
dica il cod. Bambergense, la lettera H il cod. Arleianense, la lettera L il cod. di Leida, la let
tera W il cod. Guelferbitano e la lettera M il cod. Marciano, che potei consultare e che mi
forni qualche buona lezione.
4 DI >1. TtRK N ZI O VARtl ONL
DEI L06IST0RICI DI VARRONE
l i indico di S. Girolamo, fra Taltre opere che ricorda di Varrone, novera LXXVI libri,
ch'egl i chiama / ((!, vocabolo con grande probabilit foggiato da Varrone medeeimo.
Questi libri ancura toccarono acerba sorte dei loro frutelli, andarono tutti perduti, tranne gii
8carsi83mi frammenti che qui si offrono per la prima volta tradotti.
Il titolo dato a questi libri da Varrone ne dimostra la natura. Essi erano destinati a svol
gere alcuni argomenti o GlosoOci o morali od educativi, e per illustrarli o renderli di pi aggra
devole lettura trova vasi in essi mescolata molta parte storica, che gli forniva documenti oppor
tunissimi alle sue dottrine ed insegnamenti.
Un modello in questo genere di scritture gli si offriva nelle opere d un Eraclide Pontico, che
fiori tre secoli circa av. C r , discepolo di Platone e di Speaaippo, e che vari con questi, dir cosi,
intermezzi storici i suoi libri, e coir introdurvi, come attesta Diogene Laerzio (v. 80)Gloso0, o
gente d* armi e di affari a dialogo, riesci a guadagnarsi piacevolmente gli animi dei lettori. E
che Varrone si attenesse nei suoi logistorici alla maniera di Eraclide lo si pu provare dalla te>
stimonianza di Cicerone. Esso scrive ad Attico (XV, 27) excudam aliquid '>^<quod lateat
tu thesauris tuis, promessa che ripete epp. XVI , S. <^(, $i Brunduiium salvia adorie
mur, E perch non rimanga dubbio di che lavoro egli ha fatta promessa, ne reca le prime pa
role (XVI , 3.) : O^od vero scribis te magis et magis delectari, 0 Tite si quid ego auges
mihi scribendi alacritatem, E siccome sono queste le parole con cui principia il suo l i br o,
Cato de senectute^cos sicuro che questo era il libro ch*egli chiamava 'HpXcto\ rov. Egli at
testa pare che Varrone aveagli promesso un 'Hpasn^cr^y, ma che al momento in cui scriveva non
ra ancor riuscito a cavarglielo d mano: \ arronis..........a quo adhuc >^ illud non
abstuli (AdAtt, XVI , P* tardi narra d'averlo alla fine ricevuto: De *> Far-
ronis negotia salsa^me quidem nihil unquam sic delectavit. Da questi passi si pu trarre la
deduzione seguente: Cicerone chiama < il suo Cato De #erfee/ u/ e ; ma noi sappiamo
che Varrone scrisse libri di questo genere, e li intitol appunto cosi : da un nome proprio, e ag
giuntovi argomento propostosi da svolgere ; dunque probabile che appunto in questi libri, nei
logistorici cio, egli si attenesse alla maniera di Eraclide, chiamaudo cio la storia in soccorso
delle sue dottrine, o per ornamento o per prova. Dissi a consiglio a probabile , non certo h
come vorrebbe il Riese. Imperocch, noi sappiamo che Varrone aveva promesso dedicare a C i
cerone la sua grande opera De L, latina^ che avea gi destato dal solo annunziarla grande
espettazione, e che sarebbe stata Cicerone stesso, a cui era diretta, nuovo titolo di gloria. Ora
potrebbe essere che questa e non altra fosse l opera di cui rivelava ad Attico, aver tanto deeide-
rip, che forseper la difGcoltA, o per non vederla comparir mai, egli piacevolmente chiaipat
9 ua lavoro un* impresa tla Ercole. K questo mio sospetto prende corpo per altro motivo. Qo^
.' DKI I.l. sAi i ni : >iKMi>phl: l u g i s i o r k i r>:>o
si 7\ , che Varroiie dtstiiiava o CicerunQ, dovea essere4ino scambio di o^irit^sia, una pru>
vn di gratitudine per (a dedica che 1 Arpinate avea fatta al Reatino dei suoi libri delle questioni
accademiche. Varrone, se non volea esser debitore di troppo, dovea corrispondere con un dono che
0 eguagliasse o superasse il ricevuto : col dedicargli uno dei suol logistorici, gli avrebbe dato
troppo poco: dedicandogli i suoi libri De lingua latina^ricambiava invece esuberantenente il
dono avuto da Cicerone. La mancanza di altre testimonianze non ci permette di formare che con
getture, questa seconda per altro parmi presenti maggiore fondamento di verit.
I libri di Varrone, che dagli antichi ne furono ricordati quali logistorici. hanno tutti un doppio
titolo ; cio un nonie proprio, e Targomento ; per esempio : Catus, De liberis educandis^Tubero,
De orgine humana etc. u c* traccia mai di greca iscrizione. Soggetto di dotte ricerche fu
investigare la ragione di questi nomi proprii, da cui Varrone intitol i suoi logistorici. da
escludere aifatto la sentenza (che fu difesa pure dal Ritschel)che quei nomi fossero i nomi delle
persone alle quali fosse dedicato il libro, e che avessero qualche parte nella trattazione, la questo
caso poco onore, per verit, ne sarebbe venuto, per esempio, ad Oreste della illustre famiglia
degli Arelii, console, Vincitore dei Sardi e onoralo del trionfo, al qnole si sarebbe dedicato il
logislorco De insania.
Ma se si osservi che questi logistorici erano condotti a forma di dialogo, come si rileva dai
frammenti del Catus, e dalla testimonianza di Diogene Laerzio e di Cicerone, ci pare assai verisi
mile che il nome proprio da cui prende titolo il logistorico fosse il nome di colui che avea nel
dialogo la parte principale, ch'era chiamato ad esporre i pensieri deHautore, come vediamo fare a
Cicerone. Poteva adunque dedicare i suoi logistorici ad altre persone che quelle nominate nel ti
tolo, come Cicerone, che dedic ad Attico il Lelio ed il Catone ; alle volte sono persone gi morte,
da col essi prendono il nome, vive talune altre, come Attico e Nepote, da cui ne vediamo due in
titolati. L argomento dei logistorici era, come dissi pi sopra, o di genere morale o naturale o
storico; e, checch ne dica il Rper, trattato in prosa, se si voglia giudicare dai frammenti che ai
conservarono, in nssono dei quali si scorge ombra di ritmo.
I logistorici di coi si ha memoria sono i seguenti :
1.Catus^/> 0 liberis educandis. 10. Gallus Fundanius De adtrandis,
2. Messala. De valetudine (forse lo stesso che H. Pappo. De indige[ntia'\ .
dato da S. Girolamo col titolo De vale 12. Scaurus. ------
indine tuenda lib. L 13. Laterensis. ------
3. Tubero. De origine humana. 14. Nepos. ------
A. Curio. De deorum cxiltu. 15. Calenus. ------
.1. Marius. De fortuna. 16. Scaevola. ------
6. Atticus. De numeris ( lAldina forse a ra- 17. ----- De moribus (>).
gione: De muneribvs ). 18. Tanaquil (?). De pudicitia {?).
7. Orestes. De insania. 19. De philosophia (^).
8 . Pius. De pace. 20. ------ De sacculis,
9. Sidentia. De histona.
FRAMMENTI
DELLE S ATI RE MENI PPEE
1.
borigenes.
[ Di pi Twv , ^vc<J.
t (2 cdiz. Oehicr) (Nonio, p. i 56, a3. Ld. Mere.).
Mugli bos, ouis baiai, equi hinniunt, gallina.
Pipat.
2. (i) (Nonio, 114, 24).
Grundit tepido lacle satur mola mactatus
Forcus.
3. (3) (Nod. 8 2 , a3).
Sed neque uetutus caoteriui qiiani uoaellus
nitrliur ncc canitudini comes virins.
4. (4) (Non. i 56, 19)
llaque brer tempore magna pars in deside
rium pu|iarum et si|eillorum ueniebat.
5 . (5) (Non, 171, 25).
Ila sublimis s|>eribus
belalo oinuia ac uolitanti*s alios ailen. tradito.
11.
Aeihrio,
Aut trigidos niiiibos aquae caduciter ruentis
Peiiinturiiint aquatilis qnerquelulae naUnlfS
(Noniu 91, 1).
1 .
G i i Aborigeni,
[Intorno aJla natura uman].
I .
Mugge il bue, bela la pecora, i cafalli
triscono, la gallina pigola.
2 .
Grugnisce il porco sazio di tiepido latte, i
grassato di tarro.
3.
Ma n un ca?allo alquanto innanzi cogli anni
a tener pi in conto di un puledro, u alta
canizie va compagna la virl.
4
Pieslo adunque sorgeva nei pi il desiderio
dei i'antocci e delie imaginelle.
5.
Levato allo cos dalle speranze ta d'ogni
cosa pompa e gli altri che aleggiano con grand
sforzo discaccia.
2.
Etrione,
O dei freildi nembi d'acqua che a precipizio
si devolve, seiilr sgomento le acquatiche anitre
nuoUnii.
r.5r.
fRAMMt-Ml OtLLl . SAURI . MEiMPPtK 6 S6
jgalho.
I . (i) (Non. 167,4* 356, 3u).
Pueri obscenis verbts noaae ouptuU aurei
rcluraiil.
2. (2) (Nou. 247% 18).
Virgo de coiiuiuio abducatur ideo quod maio-
rea iioslri uirj$iiiis acerbae auris Veneris uoca-
bulii ioibui noluerunt.
3. (8) (Non. 345, 1).
< qui meritat, hominem se
aeruuio iacit.
4. (3) (Non. 4"o *4)
Ul pueri in aedibus
Sarpiui pedibus offensant, duro petasones musieos
In carnario fluitare suipiciunt.
5. (7) (Non. 99. i 5).
Nuninam in mnu dextra sryplius
C<elo dulitus arlem ostentai Mentoris?
6 . (6) (Non. 46, a8).
Neque auro aul genere aut multiplici scieutia
Suiflatus quaeril Socratis uestigia.
7. (5) Non. 46, 33).
Quid multa? tactus sum esperlilio ; neque
in rouribus piane neque in volucribus suro.
8. (9) Non. 4, i).
Haec postquaro di it, cedit cilu celsu' lolutim
9. (4) (Non. 187, 8).
[Quid Irialiorem video te ese quam antidhac
Lampadio? numquid raroiliaris filius
Amai nec spes est ausili armentaria
Ideoquc scapulae metuunt \irgindemiaro 7]
111.
IV.
ge modo.
\ (n (Charii. I, 21, 5. Kd. Lind ).
Ai^o ciiiremeio.
2 (2).
Charisius I, 16, 26 : u Quamvis ueteres hic
Aenea dixrrinl sine 1 ul Varr in Age modo.
Idem, a , a3 : Hic Aenea sinc s Varr dixit
in Age modo. ^
3 (3).
' l ena cultnrar rauM attributa *lim partirula-
titn hominibus, ul Ltruria. Tuscis, Saninium SabeU
lis (Ap. Philarpvriuni in Verg. Georg. Il, 167).
le orecchie
gutone,
1.
1 giovani aprono ad osceni
della novella si>osa.
2.
Si allontani la vergine dal convito, perch i
maggiori nostri non vollero che orecchie di ver
gine non matura a none a'imbevessero di o%;t nf^
3.
Accoiiciarii a vili guadagni farsi schiavo.
4.
Come i ianciulli nelle case inciampano di
frequente mentre stanno fssi collo sguardo in
alto ai succosi salami fluttuanti nella dispensa.
5.
La tazia, ch^, lavorala a resello, tieni nella
destra, mostra forse dell'arte di Mentore?
6.
Non montalo in supcibia per le ricchei^e,
per i nobili natati, o per la molteplice scicnia,
si mette sulle orme di Socrate.
7
Che pi? cccoiiii nottola; n tutto sorcio,
n tutto uccello.
8.
Ci detto, vassene il cavaliero ratto di por
tante.
9
(Perch mi li mastri, Lampadione, pi triste
che per lo innanzi ? Forse che il tu' figliuolo
innamorato e di.<i|era trovare chi gli impingui
il borsello, e per questo presentono le sue f|alle
una ven<ieiniiiia di verghe ?
4.
nimo ufia vaila!
Argt vthK-ir
2.
C a r i s i o Quantunque gl i antichi abbiano dtit>
u lo hic Aenea' senta b s oine Varrone nH-
l ' uAge modo. Varrone nell' u Age modo w
disso /ite A enea senta la s.
3.
Per ragion di ltura fu la terra un tenip
assegnata questi o a qutgl i uomini , couir.
Ktrui a ai usci, il Saioiii* ai Sabtili.
C5;
1)1 >\1. TtUtNZl O VAHKOM*: r5ft
j4jux Slramenlicim.
(Non. 5i 3, 28).
Acre arger inetlicoi exi}uisiliiii conuoc^bal
ut cuiiualcscerel.
V .
VI.
* '?.
I. (2) (Prifciaiius, VI, p. a3 i, i 3).
ifiauiJaque maler fifperit loui puellum
a . ( I ) .
Maerobios, Saturti. III4 12, 5 : S*lioi au
tem Htfculf dberlaU docIVn^ altiori tiltigiial,
(se. V^rg.) qui ii deui et pud ronliAces idem
qui et (Uart habetur. K( lane ila Mcnippea
(Meiippa P.) Varroni tdfirmat, quae inscribitur
4> ^^, in qua cum de Inaiclo
llercHile luquvrclur eundem esse ac Marlem pro
bavit.
VII.
^\9 /.
[tripl >].
1. (i) (No. 117^ i 3i).
iNos barbari, qu<>d innocentes in ^ahalum auf-
figimns
IloiDnes, ci uos non barbari qui ooxios abso-
luitisf
a. (a) (Non. 179, 10).
Quaero te, atruro hoc adduierit caeli lem
peratura an lerrae bonitas?
3. (3) (Non. 395, i6).
Eteniin quibus segei praebeat doiourn, escaro,
polionem quid desadeveeaus ?
4. (4) (Non. 552, a5).
Quem secuntur cum rytundis uelitfi leuei partnis
AutMigiiani guadratii rouliisigoibus tedi.
Vili.
ndabatae,
1. (i) (Non. 34, 29).
Non niirum si caecuttis; aurum enim nou
niiuus[praestringit oculos qoam u
<.
S i T i K E M r k i p p p f , d i iM. l ' r. a ^
juct di paylia.
Gravemente inermo chiamava in pron dili
genza i medici per risanare.
5.
6.
Qtitli nn altro Ercole.
E la pravida
bambino.
madre i>arlor a Ciiovt;
Macrobio, IH, la, 5. Egli ^iOc Ver
giRo) assegna poi ad Ercole i Salii, ricco com
di riposta fclenaa, sendooh Ercole acinoTerato
fra gli Dei, c presso i pontefici se ne fa una
cosa sola con Marte. L lo conferma per vero la
Meftippea H Varrone, cIm s ' intitola: iquelti
un altro Ereolf, n in evi, parlando dell* infitto
Ercole, prov che questi uno e lo stesso Marte.
7 .
/ / msuraort i k l h poioert.
[deir avaritia]
I .
Noi barbari ptrckc gli iunoceiiti conlVggia
mo in croce ? e non barbari voi che mandate
assoluti i col(cvoli ?
dimando : questo da ascrivere alla tem
peratura deipari^, o alla bont della terra?
3.
Qual cosa in verit augurar di vantaggio,
a cui la terra offra ricovero, cibo e bevanda ?
4.
Cui segooDo i leggieri veliti delle rotonde
larghe quali antesignani e difesi da gran nu>
mero di scudi variamente dipinti.
8.
G l i ndabati.
Nessuna meraviglia se vedi losco, poich
oro non abbacina la vista meno che il vin
puro bevuto in gran copia.
4a
))
FHAMMENTI DLLLli SAI IKK MKNlPPtl::
2. (2) (Non. i 35, 19).
G6<.
idem caecQS, non Inscio- Ldepol
csl.
3. (3) (Non. 2G7, II).
Nec rnanus iiisco tenaci tinxcral auri caslas.
i\. (4) (Non. 4*9^ 4)
El me ]uppiler Olympiae, Mincrua Alhcnis
suis roysiagopi iiindicassenl.
. (5) (Nod. 384, ^1))
iMortales multi rursus ac prorsus meanl.
G. (C) (Macrob. de dff. et soc. etc. a3, 8).
Sed quoti haec loca aJiquicl genunt.
7. (11) (Non. 483).
Candidum lacte e papilla cum fluii signuin pu
tant
Partuis, quod liic sequatur mulierem e partu
liquor.
8. (7) (Non. 46, 1^).
Idepque altecnm appellamus a caleodo calo-
rem (tei caldorem) allerum a iernor^ febfijm.
9; (8) (Priacian. VI, 209, 2).
Sed quiduis potius homo quam carunrula
nostra.
10. (10) (Non. 426 16).
In reliquo corpore ab hoc fonte diffusasi
anima ; hioc animus ad intejligeniiafn tributus.
11. (9) (Non. 4a i , 21).
Anima ut conclusa in uesica quando est arie
ligata, si [rtndcris aera reddet .
1\ .
Aj'wpv'TTo TToir.
( -/Vi^>t3txr;)
(i) (Non. 174, i 5).
Vulgoqiic anarus fenerator spe lurri
Rem scrplioiic duplira*aT.
2. (2) (Non. 379, 8).
Non fit lhcsaur9 non auro pectu'solutum ;
Non demunt animis curas ac relligioncs
Persarum montes non atria di ili' Crassi.
3. (3) ( Non. 226, 14 ).
Dotis dato insulam Chrysam, agrum Caecu
bum, seplasia Capuae, macellum Romuli.
4. (4) (Non, 53, 23).
l H>mcnacu. , (pii prim< Ifl urre ; i l unm i nar-
? l i ppio sol et .
Kgli e cieco in verit, non di coria vista.
3.
Non avea impigliale nel tenace visco delPoro
le pure mani.
4.
In Olimpia Giove^ Minerva in Alene mi avreb-
bere liberato dalle mani di quelli che volessero
condurmi in giro ad osservarne le meraviglie.
5.
Gente in gran numero se ne va indietro e
innanzi.
G.
Ma perch questi luoghi danno alcun fruito.
7
Quando scorre dalle papHle il candido latte
lo giudicano iodizo di parto, perch.questo li
quore nella donot coQieguenx <)el parlo.
L perci uno dalP esser caldo, chiamano
calore (caldura) altro. Perch ferve^ febbre.
0
Ma quest' ombra di carne che mi resta,
quel che vuoi, tranne che uomo.
,io.
Da questo fonte si derivano in lutto il resto del
corpo, gli spiriti vitali, all' anvH^a si lasci in
telligenza.
I I.
Come se tu fai un foro iti una vescica ac
conciamente legala, Paria entro rinchiuM ti da>
r un suono .
L a Oti degh nomini.
(lei nal^litio).
I .
K la pi delle volle l*Nita!*o usiira)tr pet spe
ranza di lucro avea notata nella scritta d'
una somma maggiore del doppio.
2.
Oro e Icsori non sgombrano il petto; non
liberano Tanimo dagli affanni e dai timori, nei
monti di Persia n i palazzi del ricco Oasso.
3.
Dalle in Iole isola Crisa, Tagro Cccnbo, il
foro di Capua, il mercato di Roma.
4.
Kil Iinencti 5o)ilo a dar fin tlall prime il fmidn
alle lKrsc
tOl . VAKRONL l)C2
5. (5) ( Nol i . 47 , )
-^ iie dAref : ne p>lliceres qaoil dalum eil.
(i. (6) (Non. 55i , 6).
Non moilo oi nuni dure, ted etiaoi, ul Plaulus
aii w inurrinam^ |>isum, defrutum.
X.
rmonm judidum.
1. (2) ( Non. 477, 21 ).
lllic uiros horlari, ut rixarent praeclari phi
losophi.
2. (i) (Non; 4 ^7, 23).
Ut in li tore cancri digituli s primoribus sta-
XI.
Bajce,
,,^. i4, C).
Quod non solum innubae tiunt t^immuuia,
sed eliam uctulae puellascunt et multi pueri
puUaerunI.
XII.
Bimurcus.
I . (25) (C^ehl. I, Vahi en) (Non. 44 ')
Cur a Qui nt i por Cl odi us tot comoedi as si ne
ul l a i eceri t Mu , <;g9 unum l i bel l um non edo
l em ut ai t b n n i o s . . .
2. (22, lo) (Non. 530) 20).
rpirov; qui non modo i gnorasse me
Cl amat , sed omni oo orai i s .heroas negai
Nesci sse.
3 . ( i 4i 9) (Non. 383, 2C).
l^brius es, Mar ce: Odyssi an cni m l l ome r i r u
mi nari i nci pi s, cura rpoVov scr i pt ur um le,
sci o, receperi s.
4. ( 2 1 , 4) (Non. 55, IO).
Ideo fuga host i um graece toi ratur ; hi nc
spolia capU fi xa in sti(ilibtfs appel l amur tro-
pata.
5. (23, 5) (Non. 223, 4).
JC^p<7( est ei i i m nera cum in r andr Uhr o
pendet strigile.
5.
Non dare ol tre misura : n |iromellere ci
che una volta in dato.
6.
N ti basti dar , ma ancora, come dice
Plauto 44 d murrina, passo, ?in coll o, n
40.
I t giudizio dtilt armi.
L a far animo alla gente, perch quei pre
clari filosofi finissero col contendere.
2.
Come (sogliono) starsene sul lido i granchi
suite punte delle piccole branche.
M.
Baja,
Perch non solo le nun maritale divenlaii co-*
sa del publico, ma* anche le prove!le si abbando>
nano a laaeivic, ed a lascTe molli fra'giovani-
12.
B ima reo.
Menlre Quintipore Cl odi o tnle commedie ha
scritte sema il favore di alcuna Musa, non avr io
a comporre un sol li bello, come dice Knnio
2.
Il quale va gridando ch'io non solo ho i gno
rato il variare dei tropi, ma asserisce di pi ch io
non lui conobbi punto dei fall i d' alcun eroe.
3.
Sei brillo, o Marco : poich cominci a vagheg
giare rOil issea di Omero, mentre hai impegnala
la lua fede, lo so, a scrivere sui tropi.
. 4 \
Per questo si chiama dai greci la iugi
dei neiiHci ; di qua venne il nome di trofei, alle
prese spoglie allsse ai limitari.
Questo abuso iu seu.5o proprio
candelabro penda la str*'gghia.
. he dal
M i
bKAMMbLNII ULLLl: i>A l JKK Mli NIHHIJ.
(iW
. (17, 26) (Non. 91, i 3).
Non le pudet, Mani, cum domi luae uiiles
commilitonum tuorum cohorli a teruis l ui i muli-
strare caemenla ?
7, (18, 2^) (Non. a4S, 7).
Socius es hostibus ; sociis bellum ila gerit ul
bella omnia domum auferas.
8. (19, a5) (Non. 167, ao).
In inuidia Ycoiant io hoc ipso rapiuntores.
9 (7i *9) (Non. 2^2, 16).
Non Hercules pol csl qui (cum) ugi ae egis>
sei xnfov.
10. (4> i 4) (Non. 25, 8).
. . . cohortis cocorum alque hamiotarum
aucupumque.
11. (1, ao) 12. (2, 21) ) (Non. 180, i 3, 44, 18).
Tonc repente caelitum allum tonitribus lem|Jum
tonescat,
Mt pater diuum trisulcum tulmen igni feruido
actum
.llitlal in tholum macelli.
i 3. (3, aa) (Non. 17, >4).
Magna uti tremescat Roma et magnae u man
donum gulae
>4* (9 (Non. 210, ).
N3S ergo nihit egimus quod legem Li ci niam
luci claro lalam obscuro Titamus?
15. (10, 13) (Noo. I l i , 17).
Quod utrum sit roagoora an pariMin, facile
an diiHcul.
16. ( I l , 6) (Non. i 53, 4 )
Ul nouum cri brum paxil lo pendeat.
17. (8, i 3) (Noo. 70, 9).
Ipsisistis diciteul abdae n et uiuos contemnite ui i;
Anticipate atque addite calcar; stultos cootemniie
docti 1
18. ( 24, 16) (Non. 107, 3).
Tpsum propere uix liberli semiatrati exequiaDlur.
19. (16, a) (Non. 1G8, i 3).
Inihi, cum dudum stili rostro papyri inieui
scapos concipio nouom partum poeticon.
20. ( i 3, 7) (Non. 53a, 3o).
Naulae rcmiuagam moucut celocem.
a i . ( l a, 8) (Non. 180, 8).
Ul leuis tippulb fymphon frigidos transit laeus.
22. (20, a3) (Noo. ICO, 29).
Scaena quero senem Latina uidit derisissi mam.
23. ( i 5, 11) (Noo, aao, 21).
Ne me pe dat us ............ versuum tardor
Refrenet arie, comprimo rhytmon scrtum.
.
Non ti vergogui , Mauiu, al veder in tua
casa le coorti dei tuoi commil itoni fornire ai tuoi
schiavi le pietre da l uf oro?
9
Tu hai patti coi Domici ; tu conduci per modo
contro gli alleati la guerra da tirarti in casa ogni
pi preiiosa cosa.
8.
Anche per questa rapina si tirino adosso gli odii.
9
Non lo pu roiile stesso, che dopo aver spaz
i ato le immondezKe dalle stalle di Augia
IO.
.schiere di cuochi di pescatori di uccellatori
D'i mprovviso allora Palla inaggion dei cele^
sii romoreggi pel tuono, ed il padre dei numi
agi tal o da ardente foco fulmine tfisulco scagli
contro U volta del mercato.
13.
Per modo che la gran Roma ne tremi, ne tre
mino le ampie gole dei ghiottoni.
14.
Non abbiam dunque 1( niente noi, perch la
legge Li cinia promulgata al meriggio, fatta sera
violiamo ?
15.
Il che se sia ini portante o da nulla, facile o
difficile.
16.
C>mc un vaglio nuovo penda da novell o palo.
<7
E a loro proprio dite u o svergognati n e voi
vivi, i vivi non curale: fate presto, date di sprone,
gli stolti non curate o dui ti !
18.
Gli fanno in gran fretta i funerali, i divenuti
appena (allora) li berti, vestiti mei zo a gramaglia.
9
Col mentre col rostro dello stilo sto vergan
do il fusto del papiro concepisco un novello parto
poetico.
20.
Spingono i naviganti la navicella che va a for
za di remi.
ai .
Come la snello tipuila scorre sulle fredde onle
del lago.
20.
Quel veechio, il pi ridicolo nhc f i tti veduto
mai su Ialina scena.
23.
b perch il freno del compor versi a misura
non inceppi l arte, calpesto il serto poetion.
(kifl DI . TEREiSZlO VARROXK
GCti
24 (, 17) (Non. aoi, i).
Aui el alaui ii<slri, cuin aliura ac cepe eorum
iierlia ulerent, tanicu oplunie animali erant.
35. ( 5, i 5) (Non. 48i , a 5).
Cum nouiuiroe putaret quanluin sumpli fecerit.
26. (26, 3) (Non. 543, 37).
Vulcaiiumne ciim nouie lagoenae ollarum figu
ra (Knguntur) ter precantur 7
X I l l .
Caprinum beilum.

I . (1) (Noii. 267, a3).


Ne nobis censeam ti atl me referretis.
a. (a) (Non. 3 , 22).
Uuam uii tutem propriam mortalibu' fecit ;
Cetera promisqne uoluil communia haberi.
3 (3) (. 3 o 2, a i ).
. . . non pone se eam amplius perferre ; ta
men suadet et uncal.
XIV.
Catapiilus.
butycUius, U Jiscern. confmg II, 1, p. 2169
(EJ. Ptttjcb) : ttSeabercI Ciam... natavimufl qaati
tertiae cofiiugatiouU, lioet mittum iui alium foe
dum apud ahqem iotrrim (eterum ?) cogaoui
mus nisi infiniliuum u scaberet apud iUcnippeun
Varronem in Catamito n.
XV.
Caue canem.
(Non. 75, aa).
uti riuut praecipitate in nemore deorium
Rapilur alqae offensus aliquu a scopulo lapidoso
albicatur.
24.
fc |arole degli avi e proavi nostri sapeano
d'aglio e di ci|iotla, m* erano pieni rottimi tpirili.
25.
Facendo per ultimo i conti di quanto avi*a
speso.
aG.
Non innaixann furse la triplicata prece a Vul
cano, quan4lo formano i nuovi orci a forma di olla ?
4 3 .
Una guerra caprina.
(lei piacere),
f.
Perch non ve n'abbia a far rimprovero se vi
riporterete al mio giudizio.
a.
La sola \irl fece retaggio proprio de'mortali;
tutto il resto volle si considerasse sciiza dstinrio-
ne, commane.
3.
-----non poterla sopportar pi oltre, tuttavi
(la) invita e (la) chiama.
14.
// Ganinhedt.
Euticbio, De diseern^ con^ug. Il, 1, p. 2169
(Ed. 'Ptttacb) tt Anobe s e a e r e t . . . . abbiamo ag
giusto alla teraa conjogMiooe, quantuaqM ooo
abbiamo traccia che alcun degli antichi (7) l'abbia
usato in aitro modo, se ne eccettui Vari'one Me>
nippeo che nel u Gatemilo ^ adoper Pinfinito
scadere.
45 .
In guardia dal cane.
-----Come un rivo che a precipiaio gi nella
aelva ai devolve, e se intoppa in marmoreo scoglio,
di bianca puma si copre.
FUAIVJMliNll DLLLh SAi IliK :>1.. Gii
Cofumnae Htrcxiis.
(wipl )
(Non. 82, 3 1).
lla<|uc cas inceraui (et coiiscribillau) Herculis
athlis
XVI.
XVII.
Cra$ credo hodie nihii.
I. (I) (Non. 112, 9).
Quibus inslabilii animus ardent
IVIulabiliter auel habere cl non habere lasliilililer
luconsltnti pectore.
a. (a) (Non. iSg, 9).
Atque ut igni erviJo medullitus
A(|uiloniau) intus eruat frigedinen.
XVIII
Cycnns,
[-rrtp! ^].
1. (I) Non.
Tua lenipla ad aita tani properans cilus itero.
2. (a) (Non. 23o, 16).
Quare Heraclides Fonlicus plus sapii, qui prae
cepit ut Goroburereot, qutra Democrilas, qui ut
in incile fteraaieiit Quera s r u o l ^ t seului essel,
|>eream ti cetilun denariis calicem mulai enere
potfimus.
3. ( 3) (Non. 497, iG).
Denique si ueftimenta e opus sunt quae iers,
cur conscindis? si non opus suiit cur tcrs?
XIX.
Cyniais,
(Priscianus , p. 37G,
Si me herculcs pcrgunt, et dcorum rum non
satisl'acilur reipublicac
4
Lr coonitt d'Ercbh.
[Iella gloria]
Pertanto le spalmai di cera [e vi srarabocrhiai
sopra] con uno slVrio da Ercole.
17.
Domani i i fa credenza, oggi no.
L'ardente instabile lor animo nelP incostante
pelio con alleroa vicenda fastidiosamente deside
ra avere e non avere.
2.
E per cacciar con ardenic fuoco aquilonar
gelo dair intime midolle.
>18.
// Cigno.
[Del se|H>lcro].
1.
Al tuo tempiOf al tuo santuario si aiTrelta di
vorando il cammino.
a.
La pensa per pi saviamente Eraclide Pon
tico, il quale vuole che fieno abbraciali che noti ,
Denoerito che vuole Meno conservati nel raele. Se
il volgo gli avesse preslelo retta, eh' io possa mo
rire, se per cento denari oi sarebbe dato avere
n' ampolla di vin dolce.
3.
IMa alla fine o queste vesti che porti son ne
cessarie, e perch lacerarle ? o non lo sono, e per
ch portarle?
>19.
I/ Cinico
Se ?n verit vanno ihnkiiti di questo passo e
coir onorare pii dei non si soddisfa alla r*pu-
blic
6 DI . TKRENZIO VARRONI . (iyry
XX.
De officio mariti.
Gellius 1, 17, 4 Secundum hanc (sc. Socratis)
scntcnliaro quoque Varrp in Satura Menippea
quam ile olTicio mariti scripsit u nitium v inquit
u uxoris aui tollendum aut ferendum est. Qui lol>
Iit uilinm, uxorem commodiorem praestat ; qui
iert sese roeliorem facit, y*
XXI.
De saiult.
Philargyrus in Verg. Georg. II, 336 ; u Si
crescit {mundus) deficit. In quo videtur seculus
Lpicururo qui aii : omnia quae orta occidunt et
aucta scoescunL Varro aiUero in satura quae scri
bitur de salute ait, mundum haud naturo este ne-
que mori. Plato autem, non natum &ed mori, etc. n
XXII.
Desnllorhis.
[wfpl T /fatpu
I . (1) (Non. 5o3, 22).
Kcruere piratis uaatariquf omnia circum.
2. Non. 534. 32).
Alius domini delicias phaselon aptum
Tj tonsilla a litore mobile in fluentum
Soluit.
XXUI.
Jitvieii.
[ntpc ^].
I. (i) (Non. 82, 17).
Quis rutiHidain iacerc evtrani neqoeat?
2 i ^ ) Noo. 490, 8).
hicat pugilis: u spectatores qui misernro putatis
uitoci,
Quaero a uohi: si supercilia aducrsarius mi^aeetis
l>esi;obinarit, tiumqnis nam ucstrum sua mi est
daturus? ?
90.
Dell'officio di uu marito.
Gellio 1, 17, 4 Giusta questa sentenza (di So
crate) anche Varrone nella Satira Menippea, che
chiam u delP oiKcio di un marito, )) disse cos :
la colpa della moglie si deve o correggere o sop
portare. Chi la colpa corregge, fende la moglie
pi maneggevole, chi la sop(K>rta, fa migliore s
stesso.
24.
Dtla salute,
Filargiro al verso 336 della IIO^org. di Vergi
lio : Se (il mondo) cresce, vien meno. Ed in ci |iar
eh' egli segua Epicuro, il qual dice u tutto ci che
nasce muore^ e ci che^^tce invecchia, n Varro
ne poi nella satira che intitola u della ulule asse
risce u il mondo n esser nato, n morire; Platone
al contrario: non esser hato, ma morire, ec. n
I
i l cavallo ammaestralo.
[Dello scrivere ( ? ) ].
1 .
l u l t o air intorno <r}l]^Qi^a di pirati ed messo
a rovina.
Un altro stacca dagli uncini del lido la leggia
dra navicelb delitia del juo signprei c la lancia
nelle mobili onde.
[L)cir avidit di contese],
f .
Chi non polHr firr l i rotnda targa ?
2.
11 lottatore dica: apcttatori, i quali giudicate
una sventum 1' ejter vinto, lo vi dimando : quan
do l'avversario col suo cesto mi avni strappate lo
.Mipracciglia, vi s k j ti^a voi chi vorr ilaniii le 5ut r
f ,7 . Fl l AMMKNI l U b b b t b m a b MbNI Pl bl CjB
3. (3) (Non. 499, 25).
Li bel me epigrainmalia facere, et quonam no
mina DUO lueiuini, quoU iu tolum mihi uencrit
ponaro.
(4) (Nwn. |56, |3).
Profieratc
Viuere, puerpCf qus liut aetatula-----
Ludere et alitare et Veneri tenere bij^ai.
XXIV
.
Gellius . A. VII, 5, io).
Tu rum pulum.
XXV.
Dolhm aul Seria.
(Prob. in f'^erg. EcL VI, 3i)
IVIundus dooiuf eat maxuma horoulli
Quam quinquc altitonae flamnsigerae
Zoaae cingunt per quam lirobus
Bis sex sigois stcllumicantibus
Aplus in obliquo aetere Lunae
Bigas rece|>(at.
XXVI.
Ecdemtma.
ffielHili XI X, 8, 17)
Ouailrigam.
XXVII.
',
[ ntfi- ^w<y^v ] .
1 . ( 1) (Non. 1 13, io).
LyJon tlucns sub SarJibus llpmcn tulit
Aurum, latore quoti coiiquadrauit rv^io.
2. (a) (Non. 28).
VexiiU pbalera gemniea atqut cpblppia
K( arma miirgariticandicania.
3 . ( 4) ( N o n . 46Cai ).
yW ut cruore laueret ararum aggerti.
3.
Mi sento in vena di far qualche breve epi
gramma, ma perch la memoria non mi soccorre
alcun Dome, vi metter quello che mi cade sotio
la penna.
4.
Vi affrettate a goder della vita giovinette, cui
la tenera et concede di scherzare, cantare e se
guire il cocchio di Venere.
24.
I vecchi son due vofie fanciuUi,
Puro, senza orpello.
95.
La bolle o t orcio.
Immensa stanza di quest'omicciuolo c la ter
ra, cui cingono cinquQ tonanti fammigere
zone, e cui corre intorno una fascia, che trapunta
di dodici segni scintillanti di stelle ricovra ne'tuoi
obliqui alberghi le bighe della Luna.
26.
L ex soidalo di Demetrio.
La quadriga.
^7.
L' EcaiQtnbc.
[dei sacrificii].
1.
Il lidio fiume che scOtre *4 Sardi meni
oro, che fu ridotto regii quanirclli.
2.
Vessilli, gemmati ornameuti, selle ed armi
apleodfwti per iDargherile.
3.
Il padre pi;r lavar di sangut ara innalzala
DI . TERfcNZlO VARRONIi
f,74
(3) (Non. 5a i , 4).
Al regi entii Miigune imbuiti nijgro.
5. (5) (Non. 7, a3).
. met igtir hectombe>pur tc put.
6. (6) (Non. a7, i 5).
Socrate cuiu in uincult publicki essel et iaiu
bibitsel xMvciov in exolio uitae
7 (7) 17).
Hftbet, qui el cuius rei causa feceriro becalom>
bem. In quo epo, ul inilo, qdouiam eli luere sol
ucrct luUui.
XXVIII.
Enfmionei.
\. (2) (Non. 231 , 32).
Animutn niill o speculatum loia urbe, ut, (|ui<k
facerenl homines cum experrecti sint, m lact-
rem cerl iorem ; si quis melitis operam suinei et,
ut eius consilio potius uigiUum ailnitniculareni
uosl rum. Quid uiJil aliuil [ac] ronuinantes in
extrema nocl' s tempora?
a. (1) (Nuu. 4 /. 3)
Quare, si in somnum .rcccilcris i n <f' oOifcwoTi
eris ilerura ei porrccl us.
3. (3) ( Non. 348, 33).
Qui si, ul ui^ilarc mature coepisli, in c> (te)
retinueris.
4. (4) (Non. u49, 6)
Discumbimus inuitati ; dominus maturo suo
cenam commil l il .
5. (6) Non. 543, 16).
diuitum amphora* Chias ad conununem
Reuooat malelUni.
6. (5) (Ni . n, 407^27)
nm sermone cenulam variamus interca lo-
nuit bene tempesUte serena 'i.
7. (7) (Non. 356, 33).
Sic ad vos citius opinione uertilabundus mi
ser cecidi.
8. i8) (Non. aSo, 7).
I3l Mcrcuriuin Arradon c l*nium
XXIX.
Epiiaphionts.
(iripi ).
( i ) (Non. l o a , i)
Donec ioraa nos inlu* euallauerunt
Sat ec Mi f i ppef . M 1 V a i
4
Ma s p t d del re i ntri sa di ner o san*;uo.
5.
La mia ecat ombe adunque pura e si ncera
G.
Socrnl e chi uso nel l e pubbl i che carcer i e presa
gi la ci cuta, in sul t ni r del l a vita .
7*
Eccoti chi son io che f cci , e per ch fc ci Teca-
toni be. Cr edo aver sacri c u buon esi to, poi
ch ho soddi sf o sacri f i c ando al mi o debi t o (?)
28.
Gli EndimtQH
Mando ani mo a piare i n ogni part e dell a
c i l U I i saper da Ini che facessero gl i nomi ni desti
dal s onno; se al cuno si melles. te con mi gl i or sen
no ai r opera, percl i da consi gl i di lui veni sse al le
nostre vegl i e maggi or conf or t o. Ch e al tro vile
egl i mai se non gente che ti rava a l ungo i cont i l i
luttu- quant o l unga la not t e ?
.
Per ci , se ti l acer ai un' a l t r a vol ta vi ncer lai
sonno, non li ver r fatto di i nc or a stendtrr le
membra.
3.
Se tu come presto hai comi nci at o a vegl i are, vi
Il terrai cost ant e.....
4
I nvi tati ci poni amo a desco ; il padrone con
uova toste da pri nci pi o alla cena.
5.
. .ecct che {la natura :*) fa fl ui re nel d o mi
nai pital e il l i t|uor di Cbi o del i t i a de r i cchi .
.
fc ment r e fra vari m^i onari preudi acDo la mo
desta rena, ecco tuonare a i i fl ser eno ; augur i o
feli ce 1
7
Cosi |ii presto che non cr edeva, caddi tra vo>,
mi sero 1 preso da ver t i gi t w.
H.
Come Mei cur i o bi tatur di Arcadi a.
2 9 .
Gli ambiioii di epitafii,
(tlti sepoK i i).
I .
Fi no a rhc i ' jual i fr ^\am dent r o ca' ci ai on
fuori .
675
J RAMMENTJ DELLE 5ATJM: WhNIPPtf:
3. (2) (Non. 416, 17).
Pieni libri, inquaro, uhi nianeant epitaphii
coruiD, quorum in sepulcrif nec noia nec aeitigium
eitat.
XXX.
Est modus matulae.
[wtpl fileni]
I. (6) (Non. a8, 18).
Vino nihii iucundius quiaquani bibit.
Hoc aegritudinem ad medendam inuenerunt,
Hoc bilarltalis dolce seminarium,
Hoc continet coagulum conuiuia.
. (i ) (Non. 146, 8).
Dolia alque apothecae tricliniaris,
Melicas, Calenas obba et Cumanos calices .
3. (a) (Non. 5, 8).
Quis in onni vita u heluo v olfa
cit temetum?
4. (4) (Non. 83, a4).
Tu cupas uinarias sirpare noli ; adde cyathum
uini in uxorculae pocillum,
5. (5) (Non. 544, a6).
Non uidei ipsos deos, si quando uolunt gusta
re uinum, derepere ad hominum fana et teme
tum ipsi illi Libero simpuuio uinitariP
. (3) (Non. 173, a5).
Ismenias hic Thebagenes fluit scaturrex.
XXXI.
Eumenides.
I. (Oeh). 4 liibbeck, 1 Roep) (Non. 8, 3a).
Quin mihi caperratam tuam frontem, Strobi-
Ic, omittis?
a. (a, 7, a) (Non. 10, 3i)
Contra curo psalle Pisia (?) et cum Klora lur
care ac strepis?
3. (8, 5, 3) (Non. 199, i4).
.1 nuno corius ulmum tuusdepanil. Pergis?
Heia!
4 (34>*54' Vahlen) (Non. a36, i 5).
Capite aperto [is] esse iubet [el] ante lucem
suscitat
rigore torret, venatum eicii iriunio uellicum.
5. (3a, t i , 5) (Non. 345, ao).
Simulae languido
Corpori solif alidior uisa f i t aura
Riboccano, dico, i libri in cui passaao ai (tolle
ri le lodi tessute dopo morte,.di persone di (ui
non restano nel sepolcro nemmeno le ceueri.
80 .
I l troppo itroppia,
[dcir ebbrezza].
1.
Nessun bevve mai rosa pi dolce del fino :
questo trovaron rimedio a ridonar salute :
questo, racchiude i aotvi germi della gioja :
questo forza che tiene insieme i conviti.
.
Botti e depositi di vino pel triclinio,
coppe, e fiaschi Caleni e calici Cumani.
3.
K chi, u o ingordo, che le lazze tracanni w, hi
di voi gusta mai il sapor del vino ?
4.
Non legare le botti dt*l vino ; aggiungine un'al
tra misura nel bicchier della tua moglieretta.
5.
Non vedi gli dei stessi quando vogliono gustar
il vino trascinarsi furtivi nei nostri tempi e far
essi ancora un brindisi a Bacco con lazze di vin
.^incero ?
.
Da qiii'sta fonte nato scorre il tehano Ismenia.
3 4 .
Kche, Strobilo, non mi spiani quella tua froiilc
corrugata ?
3.
tu invece a far gozzoviglia e schiamazzare col
musico Pisia (?) c con Flora ?
3.
La tua pelle mi ha ormai logora la sferza; Ti
sbrighi o no ? Avanti !
4.
Ordina al villano di starsene a testa nuda, lo
sveglia prima che aggiorni, lo fa basir di freddo
e a corpo vuoto lo spinge alla caccia.
fi.
Tosto chc al languitlo corpo pi calda stmbri
la solare vampa
1> v a r k o j ^ k
(4* 3, 7) (*. i 5a, 32).
Quoa ea de mea era! praebitio, in ianuaro
u caue caoenD r%ntcribi iubeo.
7 > 6) (Non. l a i , 6).
Ciim io co euem occupatus, atque in achoU
inirarer, ut icrbit Scaotius u homo per Dyoiiy
aia. . . . n
(6, 17, 8) (Non. 345, 2).
Primuiii iste qui merct aetlerlios uicenos.
9 (7' >8' 9) (Non. 344, 19).
plus, iuquit, iDcrere debet in quo est
6 .
I O. (5, 16, i o ) (Non. i 8 i , 6).
tunc quaistus Iricliiuus eral, nuiic est
Quia
lirlus.
Quoti
uber.
II. (11, 9, 11) (No d . 543, 3a).
Palella (que) eauilenii posita prouocat
Neapolilnas piacinas.
la. (10, 8, la) (Nou. 627, a5).
Kx hit atque eiusroodi insiituti ac uila uel ad
Herculis alhla alhlelae lacli anni.
13. (a5, a3, ao, 164 Va) (Non. i 5 i , 4)
Ubi dicalur prirotis Zenon nuuam haercsim
nouo paxillo sospendiise.
14. (a3, aa, 19, i 5) (Non 55o, i 3).
LnipedocUfs natos homines ex lerra ait ut
b l i i u i i i .
15. (3o, 24, aa, 17) (Noe. 55, 3a).
Postrem nenio at'grolus quicquam somniat
Tam idl'aiidura4]uod nonaliquia dioM philofophus.
16. (ai, 3, 16, ai( (Non. 271, 3a).
Ajax lum credil ferro se caedere Vlixem,
Cum baccbans suite incedii porcosqne trucidai.
17. (a4, ao, a3, 18) (Non. io5, 6).
Numnc ftirrntem eiuluin Nonacrium inaamit
equiso
Ex hibernii morbi educet flurtibus unquam ?
18. (aa, 31, i 5, i 4) (Non. aoi , ai).
Quid dubilalis ? uiruni nunc ailis cercopitheci
An colubrae an volvae de Albuci snbus Alhenis
9 (0> 6; * 2) (Nor-5^4i ^
Tu non iiisanis? qui tihi
corruniitis mero?
ao. (33, 19, 18, a3) (Non. 392, i).
Deniqoe qni sit iuarui
Sanos ? cui si atei lerrai Iradilus orbis
Furando tanien ac morbo alimulaloa eodem
Ex aese ipse aliquid qn^erat cogaique peculi.
ai . (a6, 48, a4, 24) (Non. 35, i 3),
Nam ut arqualif el lutea quae non siinl el
quae sunt lutea uideutur, sic insanif, fini et fu*
I tosi esse nidentur insatii.
Perch era io in quel giorno che dava la ceoa,
fo scrivere sulla porla u in guardia dal cine.
tlssendo in questo irattenuto, e nel luogo di
convegno, relocillato rome scrve Scanzio w con
novelle frutta, durante i Baccanali n . . .
8.
Prima costui che guadagna venti sesteriii.
9
Perch, dice, la preferenza dovuta al merlo.
Perch allora il guadagno era magro,
grasso.
I I .
Uno scarso desco poeto innanxi ad un affamata
non la cede ai vivaj di Napoli.
la.
Con lali e cosi falle norme e tener di vita
giunsero a emular gli atleti le prove d'rcole.
13 .
Quando si sffermi ; che Zenone il primo, so
spese, a dir cosi, da novello palo la novella dot-
Irina.
14.
Empeilocle <l!re : elicgli nomini fon nati <Ulla
terra come il blito.
15.
Non v'ha, per finirla, inlermo che sogni cosa
s strana che non Irovi eco in un filosofo.
16.
Allora crede Ajaue di trafiggere Ulisse, quan
do furiando si agita nel porcile, e mena strage
dei |>orci.
7
Forse un insano cavaliero salver dal pericolo
di una invernai malattia nn ardente desiner
d' Arcadia ?
18.
Che dubbio v'ange? essere ora o scimmie o
serpi o in Atene veiilresche delle scrofe di Albucio?
9
Tu non se p^izo lu che li consumi il corpo
c d I vin prelio T
20.
Finalmente come sar col cervello s casa l'ava
ro ? il qaale se avesse in poter suo la terra e
quanto in sessa raechiude, pure stimolato daqae>
sto morbo ruberebbe a s slesso per trovare e
razzolare tesori.
ai .
Poich come chi e malato d' itterizi vede
tinti in giallo gli oggetti sieno o no gialli, cos
gli iosani; oredono egualmente pazzo chi sla e
chi non sta bene iil csrtello.
F K A M M K M I D M . L K S A I I R t : . . ^
U'J (9, a5, | 3) (Non. 35>, \).
IVinsquam reipoii<lerera. torii uesrio quis
re iuilirare.
23. (48, a ; , a5) (Non. /,5 i, Sa),
ht reieri sdolaftici saluris auribiia t chui i o
(Upe atque ebriis feslica <7^, consur
giious ciuuis oculis.
a4 (49, aC. aC| (Non. 498, i 3).
Lgo aulcm qui eisem |*lenus nini cl Veneri^.
a5. ( l a, 28, a8) (Non. a 5a, 3a).
Slolam calceosqne muli ebri s propter poailos rapio.
a6. (17, 33, 44i ^3)27. (a; , 3 i , 45)(Non. 4$o, ag).
li ospes qiiitl miias antroos curare Serapim ?
Qntii ? quasi non ci irel lanli ilein Arisloteles?
Aul ainhus mira aut noU mirare r o e . . . .
28. (18, 3a, 4^1 <o) (Non. a oi , 8).
In sqn>nif uenil, iubel me ce pam eitQ el sisyiii*
brium.
29. (iG, 29, 43 la) (Non. 4t'i 26).
MKgo medicina, Serpi, ul or n coti<lie precan-
li:r. lul el l ego rectc scriptum esse Oelphii u ^<9
fpa. n
30. (20, 33, 46 >) (Non. 394, 7).
il Nunc (le te n i nquii u meliusculam spem
habeo qui rem spurcissimam gustare no
luerim.
3 |. (28, 44, 3a) (Non. 255, 4).
Propl er percrepis
Voci bu' uolilans aureii iiulgi .
32. (43, 45, 3a I) (No.,. i 53, 2).
u V i i uulgus eonfliiil non F uriarum sed
puerorum alque ancillarum, qui omnes me bi^
lem alrain agitare claniitanlis o|iiuioiicni milii
insaniae mt^e cunii nii anl.
33. (35, 34 35, 2) (Nm. 529, i 3).
Commodum praeter Malr s D<riiiu aelem
exaudio cyinbdiorum sonitum.
34. (38, 35, 30, 3) (Non. 119, i).
Cuni illoc ut^nio, nidei) gallurum Irequen-
liam in tempio, qui duin mes.^em hornam adla-
tam imponeret aedilis signo CyheUe, deam gal-
lantes nario recinebant strepitu
35. (3G, 36, 37, 4) (,. 49' *9)
Td>i lypana non inanis sonitus iUalrr Deum
l onimu' (ranimu') tibinos tibi nunc semi
iereltMi) comam nolantem iactant tibi galli.
3,. (37, 37, 38, 5) (Non. 334, >4)
IMirygins per ossa cornui' liquida cnit auima.
Prii che io riapoudvui, non S3 oht li luori
nii prevenne nel dar qutlla spiegatiooe.
a 3.
(lu) e gli altri filosofanti ri a'tamo cofle
orecchie satie li quelJa dotta imbandigione ed
ebbre di quelP allegra parlantina, ma cogli occhi
abbacinati.
a i
Io poi colto di vino e di libidi
25.
Do di piglio ad una reste ed a caliari dunoe>
schi che eranmi.prt'sso.
2G, 27.
0 pite perch ti maravigli esser Serapide me
dico degli animi ? Che P Non forse buon me
dico del pari anche Aristotele? O ambedue quelli
ammira, o non far di me le maraviglie__
28.
Mi si mostra in sogno e lui comaada di man
giare cipolla e sisimbrio.
29.
u lo lo uso della n edicina, Serapide, "n di
cono ogni giorno pregando. Inteudo quanto a
ragione stia scritto iu Delfi : A Dio graiie.
30.
u Kd ora, n dice a me, che non volli ap>
pres5are alla bocca cosa tanto schifosa, u ora ho
speranze migliori sul tuo canto.
3 1 .
Viciu viciiM) aleggiando alle orecchie del vol
go, con risonanti voci
32.
Tosto, rifluisce il volgo, non di Furie, ma
di servi e di ancelle, che grillando tutti ad una
Tore che io era agitilo dalla nera bile, dao corpo
al sospetto che io aveva della mia pasiia.
3 3 .
In queir istante appunto mi ferisce f l i orec
chi un risuonar di cembali che vien dal tempio
della Madre degli dei.
34.
Giunto col.i, ve^go il tempio una gran
turba tli sacei doli, i quali, m^ntre V edile po
neva dinanzi all' immagine di Cibele le novelle
messi l arrecate, agitali dal luror delia dea, can
tavano con vario tumulto ;
35.
A tuo onore echeggiano i risuonauti tiinpaui
sacri alla Madre degli dei
a tuo onore troviamo ora noi m
mini i modi sulla tibia :
a tuo onore i viziati saccjdvjti a^ilauo la
svolaizante delicata chioma.
Per l ' or sa d i corr e il soavw suono dei fri gi i c o mi .
hi >1. I F.H tN Zi O VAKKONr: G82
3; . (39, 38, 39, 6) (Non. 102, 6).
Vhi iiiilrnt se ri>tainlo ex ara <*
non po59f, ^ripere incipiunt.
38. (4 *, -k>, /Jo, 8) (Ntn. 4871 a^)
Probil^iteiii ac ptulorem galliinri, roepii, niihi
lliilf* S5
3ij. (4 i , 41, 9) (Non. 119, 1) (32G, 28)
Nani qtiae ntnusl as tiii* aileid f;IIantibiis ?
Qii ae (-sia nestis? tens i|nac inlesit'nlinm
Qna* Irneri s sperics ?
4<>. (/|2, 12^ 29) Non. ?.5o, 7).
Vi Naiailt- s ( Naicles ? ) nnil i col ae . . .
/Ji. ( i 3, IO, 29) (Non. 53; , 2^).
Partiin uenneta muliebri urnali sloia.
43. ( i 5, 14, 47) (Non. 549, 9).
Anroi-te at ostrinam liic iniluins eu||>aru4i^
Cnronarn ex auro et gemmis fulgentem gerit,
l .nce lorum afficiens.
43. (14, i 3, i 4) Non. 452, 3).
Illae ut tragici prodennt ruin rapile gibbero,
cum aniiqua lege ail frontem superlicies acce>
debat.
44 7 ' 4 ' 4t 7) (>*" ' 4 a& )
Apage hinc dierectam a domo nostra istam
itisanitatem \
45. (45, 4a, 3o) (Non. /J34, 17) (295. 23).
Sed nos simul atque in xnmmani .tpecnluni ne-
ninios,
Vi lemns populum Furiis inslinrtnm tribus
1> uersnm ferri exterritum tbrmidjne.
40. (4<>i 43, 3 i) (Non. 390, 9).
l'rtia Potniarum,
Insania, itans nexa in uulgi
Prrtore (lucteanti intonsa con>
Sordida uestitn ore soner.
47 (3 *. 40i 21) (N.n. 3G;, i ; ).
Propter eam porticuir. sMuin erat dolium
48. (29, 47, 49, 19) (Non. 86, 2(i) (242, 2G).
Kt ecce de inproui.<o ad nos accedit rana Veritas
Attices philosophiae alumna.
49 (44 4^ 34, 25) (Non. 285, iG) (3 8 i , 18).
Forenses decernunt ut Kxistimatio nomen
menm ia sanornm numerum referat.
XXXII.
Eaipir 6 ^,
[-rrcpJ ^^^].
I. ( I) (Non. 399, 27).
Ego unu.< scilicet antiquorum hominum sub-
fluctis inpertinis dicam : u , ;^.
Quando vedono essere inutile il canto ad al
lontanarlo dalTara^ comiociano a itrapparnelu
a forza.
38.
Poni mente, di grazia, si fe' a iPirmi. alla pro-
bil ed al pulore dei ministri di Cibcle !
19
Serbano essi per vero alcun decoro questi f u
ribondi ?
casto il lor abi to? Qiialtf Tela dei giovani?
Quale la bellezza di quei garzoni ?
4o.
Come le Najadi abitatrici dell"onde
4
Parte adorni di bella vette muliebre.
4 a .
\i (|uesti, indossata la veste c)lor ostro dei-
Aurora, cinge una corona risplendente d oro
e di gemme, e il luogo tutto irradia di luce.
43.
Esse, come i tragici, si avanzano colla lesta
di alti ornamenti coperla, mentre, per antica
legge, la persona non et misurnva che tipo alla
fronte.
44.
Via alla malora da e^sa nostra questo pazzo!
45.
Ma noi, giunti appena sopra aMa velella,
vedianif) il popolo incilato da I r e Furi e, andar
(|ua e l, atterrito dal tMior dei ferri.
46
I^a terza delle Pene, l ' Insania, padrona gi
dei ( Uori del volgo, colla chioma futiuante dis
adorna, sordida delle vesti, triste nell ' aspetto.
47
Pre$S( a que l | orlico i ra col local a la botte.
48.
Ed eeco tarsi a noi d' improvvi.o vicina la
gri gia Verit, alunna dell'attica filosofa.
49
1 legisti decretano che la St hna scriva il mo
nome nel novero degli assennati.
^7
3f.
L a lazza trov i l ttto coperchio.
[di chi ha preso mogli e].
I.
Aff eh' io sar lolo fra gli antichi oso di dire
con faccia tosta : u prender moglie avendo sano
il certello.
VHAM^IKNTI UKLLK SAHHK AlfcNlPPKt
a. (a) (Non. 478, a).
Ila III cramu Rui i ia i n bal i i ci i , |>lo(lei^
ooepi i DUf et mor mur ar i .
3. (3) (Non. 537, i 4).
Ci i j u i ubi anni f mul l i t [nnl l uni ] raascul i ve.(i-
gi u*n.
liiventiinift.
x x x i i i .
a%.
[! ,].
I . (t) (Non. 73, 7).
pruina ne iaceiilern
Siibilealbt*! algu ilanli (rigore
a. (2) (Non. 179, 4)
Aerea terla nilel galea.
3; (3) (Non. aa7, 33).
Te!a dextra uibrant ruu[arqiir] alae micaut
Slatque insigiiiuis [<luxj Marlis lorqoe aurea ;
Scula caelala llibero [ex] argento grui
Crebra rulgenl.
4. (4) (Non. 342, 17).
Sapiens et bonum Terre polesi modire et ma>
luni lorliler aul leuiter.
XXXIV.
6>c T CT f.
[-Itifl .
I. (i) (Non. 27, i 4)
Vilae cursuiii ul cognoscere |M>ssem et quae
servitutis el liberiaiit ab origine al exodium
adduclae. . . .
a. (2) (Nou. a 16, 3).
Non posse ostrea se Koioac preebere et echino!.
XXXV.
Faxtabufa.
[pi tix>5v ] .
I. (e) (Non. 219, i 5).
QuidT tu uon iiides in nineis, qnod tria pala
halieanl tripalfs diciT
Cora' era uso noalro a Homa nei bagni,
cominciamo a batter le mani e sircpitare.
3.
Per molli anni di leguito non a ebbe traccia
di germe virile.
33.
Sei mia.
[della fortuna]
I.
(Il) coprirai perch, meni re riposa, la
brina nou imbianchi, con queato ireddo che
agghiada.
a.
*Risplende il terso elmo di bronzo.
3.
Vibran colla destra armi, fiammeggiano i
rosseg^iunii pennacchi, adorno il duce d' aurea
mariial colaniia, splendono i molli scudi intar
siati di masatccio argrnto Iberio.
4
Il sapienle moderalo nella ventura, forte
e paziente nella disgrazia.
34.
E fino n quando ?
[del l e e l i ] .
I .
Perch |olessi conoscere il corso della vita
che dal principio al fine si bilancia Ira servit
e libert.
Non potergli ofli ire in Roma n ostriche, n
marino riccio.
35.
l i accatiator di voti ( ^
[delle provincie].
I .
Che T non vedi tu che nelle vigne ( le %fiti )
% chiamano tripali perch da Ire pali sostenute?
(;8 DI . TfcKfcNZlO VARRONt
(8 G
2. (2) (Non. 27, i).
Mulli enim> qui limina itilrruil integrii
nculis sirabones sudi facti : habet quitldam entm
cXxwrtxv prouiicialis i'orroonsala ui or.
3 . (3) (Non. 391, a8).
Al qi i f i <lJam quanli misercorilia mea he-
reilibus mei ^ quot misero lulileuaueri in.. ..
4. (4) (Non. 2, 3).
Domo exeo, iiilro et pedes corrigii s com
pelilo.
5. (5) (Non. 82, la).
nee dolorem adiaphoron ff se. Quom
>hilofophia commalaxare me pararem^ ii eque irato
mihi habenas dedi umquam, neque cupiditati
non impotui frenos.
6. (6) (Non. 458, 3a).
Quare, o Maro*, praosum ac paratum e9se ho
minem oportel.
XXX\ I.
fpoy^cSiSecjxtfXof.
1. (5) (Non. 214, a4).
Quoti rn priacQt homo ac rotl i cut Roroanus
inter nundinum l>arbam radebal?
2. (10) (Non. 47, a4).
Nooos maritus lacil ulut laxim uxoria solue-
bat ciogi llura.
3 . (8) (Riene i 5) (Non. 166, 4)*
rapta a nescio quo mulione raptoris
Rumices rumpil .
4. (I l ) (Noo. 55, a).
Vehebatur cum uxore nehirulo semel aut bis
anno rum uarceram si non uel l e^oj ^st erneret . ^
5. (a) (Noo. 18, 37).
Manius Gurius consni [in] Capi l ^i o rum di>
lectum haberet, ncc citatua in Iribu ciuts rcspou
disset, vendidit tenebrouem.
6. (4) (Non. 195, i 5).
Noclu cnllro coquioari se traiecit ; nonduro
enim i ibi inoecti erant coltelli empaestuli c
Biihynia.
7. (6) (No*. 337, la).
Vil ici, quod dodo Mlia l i bi uix putani, lau
tum [habebant].
8. ( i 4) (Non. 267, 5).
brgo turo sacra rell igio castaequc (uerunt
Res omnes.
Poich multi che ne varcaron la soglia cogli
occhi sani, d?ennero guerci : ha un noo s<> che
seduceuir, Ifggiadretta mogli e di provincia.
3.
E se io aggiunga in quanto onore sia la mia
pieti* presso i mici ei*edi, quanti miseri abbi
trailo di slento
4.
Esco di casa, entro l, i l ri no c*n coregge
i pietli.
5.
n il dolore essere cosa indifferente.
Datomi a rammollire alla filosofia, non mi lasciai
andar sul collo le briglie quando era in ira, e
tcn i a freno le cupidigie.
6.
Perci o Marco, coiiviane all' uomo d' esser
sempre in ordine e le.%lo.
3 6 .
U lrutlor (ki vecchi.
Quante volte mai uno degli antichi, od un
romano di villa, si rase la barba mentre durava
il mercato T
.
11 marito novell o scio^>lieva lacitaniente e
s e ni sforzo il cinto Iella moglie.
3.
rapita da non so qual muUiItero fa
scoppiar i polmoni alht h*upatore.
4
Si facea tirare colla moglie in un veicolo
una o tlue volle anno ; n allestiva la tutta
chiusa lettica contra sua voglia.
5.
Mentre Maoio Curip console scriveva Teser>
cito nel Campidoglio, non avendo il cittadino,
tratto sorte dalla trib, risposto all ' appell o,
vendette quel ribvlle.
.
Si mutil di ootle eoo un coltello da cucina
poich non erano l portale ancora dalla Bili
le lame cesellate.
7
I villici erano Iraricchi con quello che or^
credono che appena appena lor basii.
8.
Lra allora adunque tenuta roine usa sacra
la religione, tutto era pudore.
68; MiA>l:MKNTl SATIBK MfcMPPhK
686
9. (7) (Niui. 86, II).
ut rui n ocul i mi hi r. accuttii int
Al l ego l e r uut uli in nni f coi t l r clonii os ...7
10. ( i 5) (Noi), 86, 9).
In qiiibus l^ihysM riliu lasi-iis cin|!| forre.
11. (16) (Non. l^^, 17).
Vel flecero mensis ubi una nairpieiit graiiitri.
12. (17) (Non. 47^ ai).
Vineis uhi mpla cella iorculuni S(^>nJel.
13. (18) (Non. 3 ) 4) >5).
Yl n ^rauce pascanlur alque alanlur |>anonuin
g n get
14. ( i 3) (Non. I la, aa).
[Turba] conlluil muli erum loia Uc n ; quae
noctu fieri iuitio solila eliam iiunc pinca fax
inilical.
i 5 . (9) (Uirse 3 ; Non. 543, 7).
bed siiunl nanibua trahere lanam, iicc non
simul ornlis obi eruai e uMam |iuilia ne a'Iuralnr.
16. (l a) (Non. 261, 16).
Non uides apud Eiinium esse scriptum ;
Ver sub armis mjjiiu uiUm cernir*', y> quam
mel modo parere.
17. (3) (Non. 190, a8).
Hoc eal magnuni, censorem esse ac non elu
dere tDullos rarios Cacere.
i8. () (Non. 8, 12).
Piilas eos non ri lius Irioas AulUiias quam id
f \l r i t el ur os?
XXWII.
Gloria ( f )
[Tttft -'].
\. (i) (Non, 3a5, i 4).
Vosqiie in iheairo (|ui tnduplalem auiibus
Huc aurupaium concucurristis'doipu
Adesie et a roe <)iae feram [animo] ij^nosrile
Domnm ni feralis ec theatro litteras.
a. (a) (Non. i 4ft, )
Turo denique omnis cum lucerna combusta est
In lucubrando oliuitasque consumpta eit.
Soli gli occhi che mi 10 IraTcdcrc o vidi io
i strvi io arme contro i |or padroni
IO.
In cui le imporle sono rinterzate con cor-
leccie di libico cedro.
I ).
O dove tengano chiusi per dicci mesi i granai.
12.
Dove If vasta caolina ed il torchio rispondo
no airampiezza della villa.
13.
Dove i |tascano e si educhino i numerosi
greggi di pavoni,
14.
Ribocca tutta Roma di una turba (7) di don
ne : cd oggi ancor la face di spiii ne ricorda
quello che i ^mpi pcinii sol e^ celebrar di
notte.
15.
IVla te.ssrre di 5ua mano la lana, e tenere a
mi tempo occhio al pajuolo che la polla non
k abbruci.
16.
Non %c<li rhe sta scritto in Eonio: u Vorrei
metter pi volte a rischio la vita fra Tanni,
piuUosto che partoiire solo una volta. ^
*7
Cosa notevole ! Esser ccosore non darsi
pensiero di ingroisa^r le fUe dei Ceriti 1
18.
Nim) cretti che torner loro pi agevole scio
gliere un nodo AlelUno che qucal'imbroglio ?
37.
La Gloria,
[ deir Invidia ]
I.
F voi che da casa acoorreale qoa io folla
per divertir nel teatro orecchio, allenii! Fate
di mie parole I rsoro per ritornar ricchi di dot-
trina dal teatro a casa.
a.
Quando alla fine ogni lucerna tu S|ent9, e
dato fondo, lavorando, ad una annata intera
d' ogi i o

DI . 690
CMVTi,
I. (It Ochlr . Ribbeck) (Non. a58, 27).
Age nane contende alleram genn
fov : oe quid ibi uiderit meliut. . . .
. (a, 8) (Non. 4g, 12).
Non aoimtdaertitis cetarios cum utderc tio-
lunl in mari thunnoi, escendere
u lu malum alle, ut penitui per aquam per-
spiciant pisccs? n
3. (3, 9) (Non. 169, i 4).
Ut cretntbto corpora
Fierent maiora, paruo ut tuclu caudidei
i ^ct i s-----
4. (4) (Non. 140, 10).
Deiu certo aluit iluclu, ut aiccum
Pareret luanium, quom ueuaruin
Sanguine riuos compleret.
5. (8. a) (Non. (J9, 28 ; 283, 3i).
Nil sunt Muiae Polyclii uestrae
Qua aerefice duxit ? . . . .
. (5. 3) (Non. 148, i 4).
Vi sidera cadi
Diunm, circam terrara alque axem
Quae uolonnlar molo orbito.
7. (7, 4) (Non. 266, 33).
Candens corpore
Taurus triuio lumine lunae.
8. (6, 5) (Non. 374, 9).
Non subsilies ac pisudes et ab Arato pnsces
astricam coronam? Quid enim hoc mirins?
9 (9 6) (Non. 243, 22).
. . Non uidetis unus [iste] ut paruulus Amor
Ardifeta lampade arida agal amantis aestuantis?
10. (10, 7) (Non. i 4>, 16).
t rex et misellus ille pauper amat babetque
ignem intus
Acrem : hic ephebum mulierauit, hic ad moechada
adulescentem
Cubiculum pudoris prirous polluit.
11. (1, 11) (Nun. 25, 21)
Nonne homullum scribunt eue grandibus
superciiiif, silonem, quadratum?
12. (12, 12) (Non. 402, 20).
Qui secundum naturam perfecti homines, ut
non mod) eof speciemus led etiam imitemur.
XXXVIII.
Sa t i r e . , d i M. 1>b Va r r ' f e
Conosci te ilesso.
38.
Su, confronta adesso altra classe di gente
cupida di ricerche ; (temo) lu abbia a trovare che
nod per quella il Tanlaggio.
.
Non a?ele osservato che i pescatori quando
vogliono vedere in mare i tonni, montano sol
Palio deir albero, perch non fuggano loro i
pesci di vista, spaziando per ampio tratto col-
rocchio?
3.
Perch i eorpi cretoeeeero per via d' incre
mento, come col snggere poco candido latte..
4.
Li alimenta dappoi con un tal succo, che
dissecchi il muticato cibo, perch, fatto sangue,
riempia i rivi delle vene.
5.
Sono esse ad avere per nulla le vostre Muse
effigiale in bromo da Poliole?
.
Come le stelle del cielo, e la celeste vlta
che si girano roleando intorno la terra e asse.
Un toro candido di corpo al lume della
trivia luna.
8.
Non balzerai di gioj^v non farai plauso, non
impetrerai da Aralo un'a.f/rica corona ? qusl
cosa pi mirabile di questa?
9
Non vedete come il piccioletto Amore da so
lo coir accesa splendente face incalza i focosi
amanti ?
IO.
Amor Ieri e il re e quell' iuielicc mendico :
entro li cuoce un' ardente fiamma : 1' uno vizi
un giovinetto di primo fiore, 1' altro fu il primo
a macchiare il casto talamo di giovane spo^a.
Non lo dicono un omictiallo dalle lolle so
pracciglia rincagnato del naso, quadrato ?
12.
Quali sieno gli uomini perfelli secondo na
tura, non per ammirarli soltanto, ma ancora
per imitarli.
6c>f FRAMiMKNI I D b L L t SATJRC MLNlPrEE
XXXIX. 39.
iiga
Hercules Socraticus,
1. (i) (Non. 168, 16).
Quid i sulrioas facere ioscius nihil, homo, agU?
2. (a) (Noo. ^4a, i 3>,
111 omuibua rebus boois conuiainua, cobo
in Sariliinie lapelibus> chlamyda cal purpurea
amiculn.
XL.
Uercuka tuam fdem,
( I ) (Noo. 4 7 , 3a>.
flociu Hannibalia curo fugaui exerri4uni
Tolanua ob talamlum Romae Duocupor ;
flACpropler omoea., qui labopaol^ iutocaul.
2. (2) (Non. 47, 28).
Non Tulilnam, quam ego pae iuuoeovquuJ
meae aurea aba te obaiikidur.
3. (3) (Noo. 4 6 7 , 22).
... per luafiiiioas oraa uaga(.
4. (4) (Non. iiy i),
Proceil frigida alle
ObriKil ccIuceiQ. .
XLI.
Idem ili quOd Titi.
(Non. 40) >)
Quid el ? quid lalra^V quid rahiv (|uid
f i i libi?
XLIi.
'^.
I. (2) (Non. 36, 29;.
Apulloniiim ideo excuriant <|ui nihil Kabebl.
2. (r). (Gt)liua 18, 5).
M. duteiu Varr i o satura Meiiippea quae
^ iuscripla et, equiles quuadam dicil
4 pedariot rt appvllalos : uidelurque eos signH-
care qui nondum i ccnsoribus in aeoalum Icvti
Ereok Socratico.
1.
Che ? Se noo sai fart i cahar non avrai,
uomo, ad occuparli ahramAt e?
2.
Nuotiamo nelle prosperit : mio lelto sona
i tappeti di Sardi, mia opravfesta una clainidr
di |K>r|iofa.
40.
Ercok (per) la tua fede.
L' aver messo in tuga di notte esercito J
Annibaie, mi valse in Roma, dalP officio del di
fendere, il nome di Tetano : perci m* invoca
chiunque in IravagKo.
2.
Non Tutilina, che invoco anch io, perch fr
mie orecchie sono da le assed*te.
3.
Ta vagando per le oMrine piagge.
4.
Una fredda procella sommerga del tutto
A i .
Ci che ti Aito di Tifa.
Che ? A che falri ? A he li rodi ? Che
ti vuoi?
4f.
l i Cttvatiere cinico (?).
Cacciano Apollonio di cuiia perch al verde.
2.
u Marco Varrone |>o nella satira >!eni|ipee,
che ha per titolo , dice esservi alcuni
cavalieri chiamali pedarii : sembra che egli in*
Icnda coloro che non erano senaltn, per he i
. TliHIiNZlU VAHKONfc
sentiores no eraot, ie<l quia Uonoribus populi
usi erani in senalum ueniebant cl scnicniiae ius
habrhaiit.
XLIII.
,
[TTfp ].
1. (i) (Non. 3, 24).
Phrygio, qui puluinar poterat pingere, soliar
<1epingebat.
2. (2) (Non. 83, 10).
Singulos lectos stratos ubi habuimus, ami
simus propter cariem et Uniam.
3. (3) (Non. 53; , 24).
Mulieres? aliam cerneres cum stola oitof.
>.
4. (4) (Non. 4, 20, 157, 20).
Propter cunam capulum posituro
Nutrix tradit pollictori.
5. (5) (Non. 538, 16).
Tog tracia est
l*Jt abolla data est; >1 lurbaro i i.
Fera militiai rouner^ belli
iJt praestarem.
6. (6) (Non. 224, 3).
Africa terribilis : contra concurrere civis
Ciui atque Aeaeae misceri sanguine sanguen.
7. (7) (Non. 5o3, 23).
Aique
At'grus fluctus quam lauit amne aquilo,
Saeuus ubi posuit Neptuni flius urbem.
8. (8) (Nuu. 233, 33).
Detis habenas animae leni.
Dum nos uentus flamine sudo
Suauem ad patriam pefdeoM.
XLIV.
*.
(Jun. Phylaiij. itd f^^rg. eorg. 47?)
eclipsis quando sil, cum luna labo
ret ; et si hnc ridiculum credunt, dirant quid
laboreni.
censori non liaveano ancora eletti; ma che, per
aver coperlo un posto cunile Tenifano in se
nato e aveano diritto di e.iporre il loro parere.
43,
La Mestola dei mondo.
[della dislnionc del mondo].
1.
Il Frigio che sarebbe Mat^dattnlo da isto>
riar origliere^ dipiogeva la coperta ilei soglio.
2.
Tutti veT*rao il proprio letto gi guemito.
ma cel divorarono gli anni^^ le ligovole.
. 3.
Donne? tu ne avresti veduta taluwi io veste
tutta di porpora.
i
\ natrice affida a) becchino il cataletto po
sto presso aUa calla.
5.
Ci fa levala la toga, e dta b cappa ipililare,
mi unii colla turba^ per compiere qual soldato,
il duro servigio di guerra.
6.
Terribile Africa: pagna il cittadino oon>
Ir il cittadino: sangue fi' Knea quel che in
ambo i campi scorre e ai oonfbode.
7
Cui lava la bruna onda deir Egeo, l dove
piant u citta il crudo figlio di Nettuno.
8,
Spirar deh! fate un'aura mite, fino a die
con tranquilto alito il ventos cara patria ri
adduca.
44.
i l Testiinoo cinico.
quando avvenga eclissi, perch si
scemi alla luna il sito raggio; e se tengono ci
ridicola eau, dicaDo essi, quali sono i lor studii.
1 OrOLl.K SAI IKK AIKMFHKK
\ L V
Kuvciiise^x^^ix ,
(Atiliui l'orliiiiatiaiiiis, p. 2676 Pulich).
u Sccundum primum npondeum insertus huic
hendecasyllabo anapaeelus iunicuni solaJeum ta-
cil sic :
cailae Jociis Pieriilcs nouem ^orres.
L\ quo DOD est mi r au<l um quoti Varr in
rynoilidascalico Phalccioo melram ioiiicum fri-
metrum appellat, quidam ionium minorero.
(Terentianas Maunii a. a633-a848)
t l quinlam brcutler tomen luquerour.
Sponileum siquidem inter et secundum
Quem scis dactylon hic solere poni.
Si tradas anapaeston inierasqur,
lungas caetera, iam uidebis ipsum
CoDSMto pede Sotaden loculum ;
Carmen Pirids dabunt sorores
Si dicam u lepidae ^ : palam est profecto ;
Quod sit pes anapaeilua : iniero ergo
Spondeo medium alqiie coaseqoenti
Hoc nomen u lepidae vi; 11 omne lale:
t( Carmen lepidae Pieride dabunt sorores, v
Idcirco genus hoc Phalaeciorum
Vir doctissimus undecunque Varro
Ad legero redigens iooicorum
Hinc natos ait esse, sed minores.
(Idero uersa. 2882 et seqq.).
u Nec mirum poto quando Varro vcraus
Hos, ut dixiiDot, ex Ione ot i o
Dislinguai numero pedum ntinorei.
XLVI.
.
(Diomede^ . 36;, 2(i)
Celerius mater amixit
XLVII.
Lex Maenia.
I. (6) (No d . 171, 11).
CoBtr lex Maenia esi io pielate, ne
patribus tuci claro suggillent oculos.
filii
45.
// caiechisino dei cinici.
u Un anapesto, inserito dopo il primo spon
deo di lale endecasllabo, lo mu!a in jonico so>
ladro, come :
Cstae docils Pierids nouem sorrrs.
Perci non a fr le meraTiglie se Varrone,
nel u Cjnodidascalico, chiama trimetro jonico
il metro Falecio, mentre altri lo dicono jonico
minore.
u E diremo brevemente della quinta cesura
(cio: degli eodecasillabi ). - Se dopo il primi
spondeo nel luogo che, come sai, per lo pi
occupato da un dattilo, tu t introduca un ana
pesto, vedrai nell' usalo suo metro parlarti il
Sotadeo : Sia ;
u Carmen Pirids dabunl sorres. m
Se dir epdae^ piede, come si tede, ana-
peslico e lo inserir fra il primo e il secondo
spondeo, ne risulla;
u Carmen lepidae Pierids dabunl sorres. r>
Per questo ^,' uomo per ogni capo dot
tissimo, riducendo questa specie di faleci sotto
la legge degli jonici, di qua esser nati asserisce
gli j onici a minori.
u N mi fa inaraTglia che Varrone chiami
pel numero dei piedi minori quelli Tersi, che,
rome detto, nacquero di Jonia. >*
46.
i l Cinko reiore.
La madre vesti pi presto
4 7 .
La legge Menta,
l'ulla piet al contrario la legge Nenia:
u che i fgli non chiodano in piatta gli occhi
ai lor padri.
DI . VARRONI :
a. (7) (Non. iu6, 5).
Si qui paireni, rntioreni prenlem extin-
in eo eit culpa; qao<1 facii pr sua parte
if, qui le eunuchat aut alioqui libero [non]
proJucit.
3. (8) (Non. 106, io ).
Nemo est tara fieglegeai, qoin s a mn dili
gentia elgat aiinum qui saam saliat equiUro.
4. (5) (Non. 79, ai).
Ad btuiraro uenio. Cum uellera ostendere
quid aellero, Metamelos, Inconstantiae filius me
reprehendit.
5. (a) (Non. 207, 16).
Lxercehar ambulando, ui siti capacior ad
cenam ueniret gultur.
6. (1) (Non. 369h 81. 38a, 4).
Nos admirautes quod sereno fantine
lonuisset, oculis coeli rimari plagas.
7. (4) (Non. a45, 18).
Non hos Pactolni aurea andai gens
Eripiet unquam e miseris;
8. () (Non. 397, 20).
Signa lune sacra esse desierunt, posteaqnaro
homines sunt lacti [sacri].
9. (1) (Non. 225, 32).
Neque in bona segete nullam est spicum ne-
qiiarh, neqne in mala non aliquod bt>fiura.
XLY IIl.
^.
(Non. 182, iG).
Haec lanigeras detonderi doruit tunii*areque
homtilhrti.
XLIX.
Jjong^ fugitqni suos fugit,
I. (1) (Non. 2o4i 22).
Sed uli seral haec legumina arte parua pa
ra uUa : cicer eruillam, sptr^gp (?) ; alioi o^prios
ccteri [relinquaQ.
a. (2) (Non. 271, 9).
Solus rex, solus rhetojr, solus turmoeus, fortis^
aequiis ifl ad aedilirium imodiuiu, purus putus :
2.
Reo chi attenta ai giorni della patria la
prima sua madre: e vi attenta, chi si mutila o
per altra ragione non geeera figliuoli.
3.
Nessuno cos negligente d. non scegliere
con gran cura asino per aver dalla saa cavalla
nobile prole.
4
1 eccomi alla donna che fu di due mariti
gi sposa. E mentre era per es(K>rle il mio desi
derio, il Pentimento, tglio dell'Incostanza, mi
riprese.
5.
Mi affaticava caniminando perch venuta Tor
di pranzo, la mia gola sentis.<e maggior desiderio
di bere.
6.
Maravigliati che avesse tunaio.a ciel sereno
scrutavam cogli occhi k celesti regioni.
7
Ne li leverebbe li travaglio unc|uauco il
Fattolo che oro nenie sue onde travolvc.
8.
Le immagini de' oami cessarono allora dal
esser sacre, quando gli nomini divennero scel
lerati.
9
V' ha tra Teletta messe alcuna spiga trista,
come a volte dei caiiivi uocclii ai ianoo di buo
ne scheggie.
48.
Guerra th parole.
Qiteti insegn a ttar le pecore, per Urne
air iimo vesti.
49.
Lontano fu^g chi i suoi fngge.
lUa semini questi che poca arte richieggono :
i ceci, il veggiolo, gli asparagi ( ?) ; agli altri
[luci] il resto dei legumi.
2.
Solo egli, re, solo retore, solo Tago, forte, giu
sto come il ronggio degli edili, puro senza mar
KRAIVfMIiNin ^:. SATIRE : 700
si a<l rliar^cUra Cieophanlus coiiuenint, ca
re alligeris honiincm.
L.
Mgnum taientnm,
(Priiciano, IX, p. 4^2i 3).
DelotoiKcral forcip'ihas uiliariiini leris.
LI.
. Manim.
I. (2) (Non. i 6 i , 4)
Funere familiari cororaoto anilo ar. patrito
more precabtmtor.
a. (i)(Non. 79, a8).
Aulumedo meut (quoti pad Plolium relho
rem babulcitarai) erilt dolori non detail.
3. (7) (Non. i 3i, io).
Htc ut quadrato latere tliptlae ftrnes.
4. (8) (Non. 5).
Quod dum adroinistrant, in scrobe fodiendo
inueniunt arcam.
5. (18) (Non. i 33, 27).
Tum ad n>e faerant, qnod KbellifMiem esie
tciebant.
6. (22) (Non. i 83, 1).
Nec natui est nec morielur u uiget ueget ut
(H>le plurimum, w
7. (17) (Non. 147, 9).
Lex neque innocenti propter simultatem ob
slringillaf, neqac ooopnli^ pcqpter amicitiam igno
scit.
8. (19) (Non. 543, 32).
Quodrca .oportel hositm ciueni legihu .parere
*?t deos c<>lt*re, in patellam^ dare .
9 (ao) (Non. 480, a).
Non maledicere, p e d ^ in focum n impo
nere, sacrificari.
10. (21) j[Non. 448, 4)
Li cara corrigia disrupta tdat haridum, reli
quum pedem penala scortea pertegere.
11. (i6j (Non. 74, 18).
Maoioi roan^ suscitat, rostrunr su) Vostra ad-
IVrt, popularo in Ibram condocit.
12. (i i) (Noo. 2 1 1, i 3).
Nec tumptibu' fuera
l.egihu' [nec Inxu] statues finem mrdamqne.
chia : se questo i( ritratto di CIfoUnto gnardati
da lai uomo come da peste.
oO.
// talento maggiore.
Colle <lure forbici avea poltio il vignelu.
Mania,
Cominciato il funebre r i t ^noi pregavamo co
me f a usanza deg^ avi e dei padri.
2.
Il mio Automedyute Ifcrch avea imparato a
schiamazzare foggia di bifpIcQ presso il retoFe
Plozio) divise il dolore poi 4110 padcooe.
3.
Qo come calaste di Upali quadrelli.
4.
Mentre sono in ci occupati, scavando una fos
sa trovano una cassa.
Allora venoero a n^perisb^.s^p^va^och io era
un tale che schiccherava de' libri.
6.
N principio ebbe, n avr fin*? wprospera, iti
fiore quanto pi esser lo potrebbe. ^
La legge non opprime per occulti odi Ti
cente, n al malvagio per amicizie perdona.
8.
Spetta, pertanto al buon cittadino obbedire alle
leggi, QDorare li dei, oifrire nei sacri tondi i
frusti di carne.
i)
Non maledire, nom ^ettere i piedi sul focola
re, sacrificare.
10.
E quando spezzandosi la erreg^la manda un
suono secco, coprir di una pelle l'altra parte del
piede.
1 1 .
Manio fa di buon tnattlno levar tutti, prta il
suo becco sotto ai rostri, raduna il pbplo nel foro.
la.
Colle leggi non porrai un Ireno alle spese, n
at lnsio, confine o misura.
701
>1. TERENZIO VAKRONt: 70:1
i3. (5) (Noe. 2a5, 32).
A gr (lerdDqaetemf m pertret
SqDnle tcabrcque, iniaoie I ui t l i l uJ M.
4 (9) (Non. i 3; 44^^
Habens
AnteposHam alimoDiain, MJetMaMiisalfeooYuuiplu,
xNecpie pli refpicico ncque ne prapltna, aedi
limuf iotra
Limites culoae.
15. (6) (N.. 159; 31).
Huoc Caere) dbi imaifU^ frugibus vais> p o mi .
16. ( i o ) (Non. aoi, 1).
Dulcen quam bibat salubrem et flebile esilet
oepe,
17. (la) (Nmi. 1 13, la).
Nam eum, ad queiu ueniunt in liosiJitium, lac
bumanum felasse.
18. (4) (Non. 87, 10).
Harum aeJitoin symmetria conflabat ar-hi(e>
ctones.
19. (3) (Non. 545, 10).
Haec adventoribus accedont: cellae, clauet,
claustra, caroaria, dolia.
ao. ( i 5) (Non. 543, 16).
Ledo strato matellam, luceruaia, (eteas res
esui usuique pr;ie se portaut.
21. ( i 3) (Non. 54, 25).
Alterane bene acceplum dormire super mphi-
lapa bene molli.
22. ( i 4) (Non. 487, S).
[Lectulo] strtit iuoentos quem labus inotlem
lodi.
LII.
Marcipor.
I . ( i 4)(Non. 4501 ^2; i o5, 3).
Hic in ambi io, naaem conscendimus palu
strem, quam uaulici equisones pei uiam, curn
ducerent, l oro. . . .
2. ( i 3) (Non. 254, ao).
Proponlis unda quam liqueuli caerula.
Natantem perfundit, cape !
8. ( i 5) (Non. 451, 5).
Hepenle noclis circilei meridie,
Cum pictus ar feruidis late ignibus
Cadi chorcan astiiceii oslcndcrt t,
i3.
Squallore, scabrezzi^, socxura^ abbandono fa
rebbero deserto il campo e ne andrebbe a rovina.
14.
Ha dinanzi aul desco pposlo il cibo, rimpiii^
za a spese d altri^ noo Biir mai n idnansi n it>-
dietro, ma colla coda dtiroeobio acflftpre all cocina.
i 5.
A costui. Cerere del fitto laioislr^, i suoi rtlt
dinieghi.
iG.
Be?a la dolce aqu salubre, la bgriuiosa ci
polla sia suo cibo.
7
Imperoocb (anche) quegli coi divenifano
ospiti aveva umano latte succhiato.
i 3.
L'aspetto regolare di queste case dava lo scac
co agli architetti.
19.
Ecco ci che si presenta ai lurestieri : guarda-
darebbe, chiavi^ sbarre, dispense ove si tengou le
carni, vasi ove si guarda il vino.
30.
Acconciato i^ letto, portauo i vasi acquarii, la
lucerna, i cibi e quauU spetta al servizio della ta
vola.
ai.
L' altro orinai ben sazio (di cibo e di v.ino) si
abbandona al sonno sopra uu molle tapelo d* am*
bo le parli velloso.
va.
Kuss^ (sul letto) la gioveul d<l travaglio
sihuta.
5f.
Itlarcipore.
Qui gtuiili ad un bivio moniiaino U palustre
nave, che accompagnata dai marinai con un cuo)u
lungo la riva . . . .
2i
L onda della Pi^ponlide, di cerulei sprazzi
irrora la nuotante ! 'rieiUi salda !
3.
D ' improvviso quasi-^ mezzo il suo corso era
la notte, Taere da mille ardenti luochi trapunto, ci
mostra le stelle che intrcccinn nel rido lor -
r.>le.
7o3 FRAMMfcNlI DLLLb SAllKt MENIPPIl L 704
4. (16) (Noo. 45, 32).
Nubei aquali, 'rigtdo utk leucs
Celi caaerDAf aureas subduxeraot,
Aquam uoroenlet ioterain mortalibu.
5. (17) (Non. 46, 4).
Vei Hqae frigido 8enb axe eruperaot,
Phrcnoli ci fepleiBtnoaom fitti,
Secum fereutes legulae raroos lyru.
6. (18) (Non. 79, 12).
Ai tiot caJuci, naufragi, ut cicooiar,
Quaruro bipennis fiHniins phimas uapor
Perussit, alle maesii in lerrani cecidimus.
7 (la) (Non. 4 5 i , 16).
Di xe regi, Medcam adueetam per aera in reda
anguibus.
8. (10) (Non. i 58, i 3).
Pelian Me[dea . . . ] et permisisie , ut se nel
iiiuum degluberet, duromodo rrddeiret fiuelluni.
f). (4) (Noo. 344, la).
Lodem conierisse mera roiracola nescio qua.
10. (11) (Non. 178, 29).
Uaec in ano bis terne tudiculasse.
11. (5) (Noo. i a6, 10).
Vi eat ac rempublicam administret, quod pulti
ieiiteot.
12. (19) (Non. 8a, 3 i).
Astrologi non suot qui conscribi Ila mo t pi>
gmeutis caelum ?
13. (6) (Non. 3 18, 19).
Qui quidem uideol es circumstant non rident
credo : uidere hiantes videor, ridentes oon audeo... .
14. (7) (Non. i 33, i 5; 214, 24).
Vi ri magis kunt pueri? hi pusilli pigri, qui
spectant nundinas, ut magister dimKal l usum?
(d) (Non. 213, 23).
Altera exoral patrem libram ocell atorum, alte*
ra uirum semodium rnargarilarum.
16. (5) (Non. 46, 1 1).
Spatul e euirauil omoes pueros ueueriuaga.
17. (2) (Non. 358, 24).
Dein mittit.
Virile ueret rumi n flumen, ofl eodi t bucuam Vo-
lumuio.
18. (3) (Non. 79, 12).
. del imat bipinnis ut leuis passerculus.
19. (8) (Noo. 358, 10).
L i Diogenes cynicos, qui ab Alexandro rcge
iutsus optare : quid ueUet se lacluruio
Le nubi aveano dal piovoso Irigido vel o l i be
rate auree grotte del cielo, d' aeqqa oo torrente
gi vomi ^ado a* mortali.
5.
Si erano dal freddo pol o scatenati i venti l're>
oetici figli del setteutroue seco tra voi vendo tego
li, rami, pol vere e fango.
6.
Ma noi mal fermi, naufraghi, col cuor pien di
meali a cademmo a terra, come ci cogne cui Par>
dor della acuta folgore abbruci ambo 1' ale.
7
Aver detto al re: che Medea fu per gli aerei
campi tratta nel suo cocchio da serpenti.
8.
Mt [ de a . . . ] aver acconsentito a Pelia si scuo-
jasse por vivo, purch rendesse il lauciullo.
9
L entro avea gittate noo so quali mostri.
10.
Che due o tre volte avea rimeicolati nel
pajnolo.
11.
Vada, prenda sopra di s il governo della re-
pubi ica perch i polli beccano.
12.
Non sono astrologhi quelli che usando dei
colori tutta tracciarono la superna volta
1 3.
Quel li che vi si trovao presenti non ri dono no,
io credo : |jarmi vederli a bocca aperta stupefatti,
oon ardisco peosare che rtdaoo.
4
Chi fra loro tien pi del i auciull o? Questi
pigri garzoni cui tarda il momento della fiera, per
ch il maestro cessi di lle lextoui, o . . .
15 .
L*una supplica il padre per una libbra di pal-
lotolline da giuoco, altra il marito, per un mea-
zo moggio di margarite.
16.
La liceuziosa crapula snerv tatti i fanciulli.
>7
18.
Mette a terra Tal e come agile passerotto.
>9
Ld il cnico Diogeoe che invitalo dal re
Alessandro a scegliere, ci che gli fosse pi a
grado ol t cnf i e da lui .
DI . TkHtNZIO VARRONE
7 0 6
Marcopoiis,
[trcpi ^].
I. (i) (. i8, 2.0-
Cui Celer -/ Anlipatri itoici
iilius, ruiro capul (1'SpUnat.
a. (2) (Nort. 81, 9).
Nat ura humani s oni ui a l u n t paria
Qui pole plui, urget, piscii ul laepe minutoi
Maguu' cunieat, ul n enicat accipiter.
3. (3) (Nou. 199, 18).
Nemi i Fortuna currum a carcere intimo rai sf um,
Labi inoffensum per aequor candidum ad calcm
sinit.
4. (4> (. 209, i6).
Seiisua portae, ueuae hydragogiae, cUuaca
intestini.
5. (5) (Non. 233, 33).
Noctducam tollo, ad focum ferro, inilo, ani
ma reuiuifcit.
LUI.
LIV.
3Ieleagri,
1. ( i ) (Nou. 49* ' 4)
Quaero uirum truclu's au delectationis cau
sa ? Si IVuctuis, ut ueudati s. .
. (2) (Non. 99, aj).
Sin autem delectationis causa uenamini, quan-
lo salius esi, saluis cruribus in circu spedare,
<|uam hi descobinatis iu silua cursare?
3. (3) (Non. 2o5, 6).
Currere, uigiiare, estirire : quando harc l'a
rere oportet ? quem ad tinem ?
4. (4) (Non. a36, a8). 5. (5) (Non. 386, i 4).
Non modo suris apertis, sed paene natibus
apertis ambulans, cum etiam Thais iVIeoandri
tunicam demisiam habeai ad talos.
. (6) (Non. 187, i 5).
si non malit uir uiraccam uxorem
habere Atalantam.
7. (7) (Non. 3a3, 1 1).
Adde hydram Lernae am et draconem Hcspe-
dnm. ' hextiae l\icrnut imm;*nt'c !
S a t i r k . . i m M. 'I ta. VAaar^rcr.
53.
L a citt di Marco.
[ fel governo].
I .
Celere Conunsohl emmatologoy figlio dello
stoico Antipatro, gli spiana con una zappa la
testa.
2.
Non fa natura diflerenia fra gli uomini : ma
chi ha maggi or la potenza gli altri opprime,
come il pesre gro.so mangia spesso il minuto,
come avoltojo fa strazio degli uccelli.
3.
A' nessuno fu concedo dalla Fortuna di di ri
gere incolume nel circo, dalla sbarra fino alla
candida mela, il suo cocchio.
4
I sensi ne son le porte ; le vene gli acque
dotti ; le inieslinn la cloaca.
5.
Prendo la fac*, la avvicino al focol are. stf-
fo, aria si riagita.
54.
/ Mekayri.
Vorrei sapere se il facciale o per guadagno
per liletto ? Se per guadagno, per ioler
vendere .
2.
Che se andate alla caccia a puro tollatzo,
(pianto noi) megli o starsene colle gambe sane
a goderla nel ci rco, che non zoppo o sciancato
ondare scorrendo per la selva ?
3.
Correre, patir di sonno, di fame, ma quando
tu ci necessario? K a qoal pr?
4, 5.
Camminando non solo coi calzari slacciati,
m, quasi non dis9, colle natiche al sole, quando
l>er fino la Taide di Menandro reste una tunica
talare.
t.
Se non sia piultoMo eh' egli ambisca pren-
l^re in mogli e la maschia Atalanta.
7
Aggiungi l ' i dra Lcni ea, il drago dello I.^pr-
rid. Mostri si %idero >anlo immani !
RAMMENTI DLI. Lf c S A' I l Kh MLNJPPLK 708
8. (8) (Non. 553, 26).
\ul ille, ceruum qui iiolabilem curren
Sparo i f c u t u s t ragul aue Iraiccil .
y* (9) a 53, 26).
Quid hic ueii alor non cepii ?
10. ( i o) (Non. 383, 33).
Qii em itieirco terra non cepil et caelum recepit.
I I . (11) (Non. 48, 5).
Funus exequiali slanles ad sepulcrum anti
quo more filictfrnium coniecirous, id esl (*
(fciirvov, quo [iransi discedentes dicimus alius
alii u uale.
LV.
M o d i n s.
I. (3) (Non. 17G, i 5 ; 180, 6).
Sed, o Pelrul le, ne roeunr l ai i s libruiu,
Si te defigeri t hic modus scenatilis.
2. (4) (Non. 96, la).
Si displicchil, tum libi Uturn njare
Parabit aliquam spongi am drietilem.
3. (i ) (Non. 17, 2^).
An qui gradu tolutili
Te medium usque agrum molliter uectus cito
Reli nquat ?
4. (5) (Non. 55, 29).
Non eos optume uixisse, qui diutissime ui
xont sed qui modestissime.
5. (6) (Non. 141, 3).
Qui d aliud est, quod
u Delphice canit columna litteris suis
My,^cv
iubens nos facere ad mortalem modum, u me>
di oxi mc ut quondam palres nostri loque
bantur ?
6. (2) (Non. 176, 19).
Omnes uidemur nobis esse belli, festiui, sa
perdae, CUDl simus aawpot.
7. (7) (Non. 362, 26).
Quod tum erant io Graecia coma promissa,
rasa barba, pallia trahentes.
8. (8) (Non. 448, 28).
.... quam istorum, quorum uitreac togae osteo-
tant tunicae clauos.
9. (9) (Non. 549, 18).
Sed cynicis inuolucrura et pallium luteum
non est.
10. (lo) (Non. i Gi , i 4).
Quis poculis argenteis chorum introibit popiuo?
8.
O colui, che ioseguendo a corsa un alato
cerTo lo pass parte a parte con agreste telo
o coi r asta.
9
E che prede non tV mai queeto caccialore?
10.
Lui perci la terra oon accolse, accolse il cielo.
11.
Compil a la funebre cerimonia imbandimmo
10 piedi presso il sepolcro, secondo uso antico,
11 funerale banchetto, e n e l f accommiatarsi dopo
il pranzo ci dicemmo l ' u n altro: u addio. )
5 .
I l Moggio.
Se ti ferisce, o Petrull o, questo mio modo
da scena, lascia dall' un canto il mio libro.
2.
Se ti spiace, ecco che il vasto mare ti prov-
Teder di spugna da cancellare.
3.
Forse quel lo che dopo averti di corsa c moU
lemeote portato fino a mezzo il campo ti lasci
d' un tratto ?
4
Otti ma vita non la langhissi ma, ma la mo
deratissima.
&.
Che altro mai vuol dire la lentenza u niente
di troppo, cui ci ricaota la delfica colonna
imponendoci di agire, come mortali, u moderata
mente, ^ secondo ne ripeteTano i nostri padri?
6.
Noi ci crediamo tutti belli, faceti, salsi,
quando putiam di rancio.
7
Perch avea allora in Grccia nomi i dall e
lunghe chiome, dalla barba rasa, strascicanti il
pallio.
8.
che di questi, le coi trasparenti t o
ghe lasciano vedere le porporine liste dtlla tunica.
9
(Via non s noc e i n la sottoveste, n il
pallio dei ciiii i.
Qual taverniere si insinucr/i nel coro co
argi ntce tazze?
709
1)1 . TERENZIO VARRONE
. ( i i ) (Non. 3G5, l a).
Capitis corona baccif [iiberi
Faciem labore fUlili uiridif premit.
12. (12) (Non. 5, 7).
. . trimodiam amphoramque eandem te
meti ac tarris modium.
i 3. ( i 4) (Non. 70, 14 ; 353, 32).
Asse uinum, asse pulmentarium, asse cunota
quo naturae aurigatur nos necessitudo.
*14 ( i 3) (Non. 55, 18).
Et hoc interesl inler Epicurum et ganeones
noti ros, quibus modulus esi uitae colina.
1 5. ( i 5) (Non. g 3, 11).
In bucolico cubiculo dormi re mallem, scilicet
Potus uinum meum cibarium, quam regiae domi
l eiunus cubarem.
16. (16) (Non. 93, ao).
Potat fore hoc, qnod his comedonibus con-
ueni t usu, quibus, mola roluptate cum edunt,
dumtaxat gula gaudet.
17. (17) (Non. 55o, 17).
. ! hanc eandem (ego) cluptatem
Tacitulum taxim consequi lapathio et ptisana
possum.
18. (i8) (Non. 229, 24).
Quaere, i, meas tibicinas ac tibios bilinguos.
L \ I .
Mutuum muli scabunt,
[TTcpl ].
1. (i) (Non 1 15, 19).
Vt, grallatores quis gradiuntur, perticae [soni
li gna] f<pvv axtvyjToc, Sed ab homine eo, qui i n
stat, agi tantur, sic illi animi nostri sunt : grallae
crura ac pedei nostri, ex se axtvtjrot, sd.ab ani
mo mouentur.
a (2) (Non. 157, 20).
Itaque st plures dies inler medici discessum
et aduentum pol lictoris interfnerunt, ecquid re
stet, uideas.
3 . (3; (Noo. 22, 25).
Vt ueoalem tanicolam poneret cotidie, ut nel-
leret colum, denique etiam [si] suis manibus
lanea tracta ministraret inlectori.
4. (4) (Non, 234, 3 i).
Vbi liicut opscus, teneris fruticibns aptos.
Una Terde corona d' uve, di coi ha cinto il
capo (io diresti lavoro di getto), scender a co
prirgli la faccia.
12.
. di tre moggia, c la stessa antera di vi
puro, ed un moggio di farro.
13.
Un asse basta pel t i no, un asse per la polla,
un asse per tutto quel lo cui bisogno di natura
ci domanda.
4
E questo corre tra Epicuro ed i nostri ghi ot
toni sfrenati, pei quali norma della vita la
cucina.
15.
Mi sarebbe pi caro dormi re in pastoral tu
guri o dopo i t e r bevuto il mio spregevole vino,
che non riposare in una reggia, ma a gola asciutta.
16,
Crede che avverr, come suol toccare a
questi ghiottoni ; mangiano non appena se ne
svegli il desiderio, ma solo a goderne e il palato.
>7
Lo stesso gusto posso io procacciarmi senza
un travaglio al mondo, col lapazio e colPorzata.
18.
Va, cerca le mie tibicine e le bil ingui tibie.
5 6 .
I muH si fregano V un V nitro.
[della separazione].
1.
Come le pertiche, che fan di tram
poli, sono di natura immobili, ma messe sono
in molo da chi sopra vi si regge, cos) le no
stre gambe, i nostri piedi fanno alP animo nostro
V ufficio di trampoli : per s immobil i, ma han
no il moto da lui.
Che se corsero pi giorni tra allonta
narsi del medico ed il giungere del beccbioo,
pensa to che ne rimase.
3.
Fornisse ogni giorno una tunica a vendere,
dinaspasie, e desse di propria mano al tintore
la lana flata.
4
Dove [] un' opaca selva, densa d ter.cre
piante
. S M I K K
LVI1 57
; r j
y at t r i u.
(1) (Non. |3, i 4).
Prisca horrida
Sileni oracla crepera in nemoribus
. (a) (Non. 76, i 5).
Licei uidere mullos coliJie liieme in ole
apricari.
3. (3) (Non. 46, 24).
'ulpinare moJo et concursa qualubel errans.
4. (4) (Non. a4, 19).
Ae< tJetVauJasse cauponem, bouam luto oble-
uiste, rum portitore serram duxe.
5. (5) (Non. 99, II). .
Sed tibi fortasse alius niotit et depsit.
. (6) (Non. 280, 17).
Illud urgeo, dos a temioa, ut auferaiur. Quae
mihi poslea quam ad concordiam ( ? ) dicla ei(
7. (7) (Non. 391, i 4). .
Nascimur enim spissius i|uani emorimur.
Vix duo homines decem mensibus edolalum
unum reddunt puerum : conira una peslilenlia
aut lioslica acies punclo temporis immanis acer-
uos facit.
LYIII.
Nescis quid vesper serus veh^L
(1) (Geli. X.11I, 11, I seqq.).
4; Lepidissimus liber est M. Varronis ex sa>
liris Menippeis qui inscribitur u Nescis quid uesper
serus uelmt, in quo disserit de apto conuiua-
rum nuoiero deque ipsius couuiuii habitu cul
tuquc. Dicit autem, conuiuarum numerum
incipere oportere a Gratiarum uumero et pro
gredi ad Musarum, id est proficisci a Iribus et
consistere in nouem, ui., cum paucissimi conui-
uae sunt, non pauciores sint quam tres, cum
plurimi, noD plures quam nouem. 3. u Nam
multos u inquit ^ esse non conuenit qnod turba
plerumque est turbulenta et Romae quidem stat,
sedet Atheois, nusquam auleru cubat, ipsum
deinde conuiuium conslat inquil cx rebus
quattuor, et Ium denique omnibus suis numeris
absolutum est si belli homunculi loniecli sunt ;
si electus locus, si tempus leclum, si apparatus
noti ueglectui. Nec loquaces antera u inquit n
conuiuas nec mutos letere or>nrlcl, quia elo*
/ Misit rii.
Tacciono nelle selve i prischi, orridi, incerti
oracoli.
Potrai vedere ogni d delT inverno molti a
pigliarsi il sole.
3.
Ora fa mostra di tue arti scaltrite, corri va
gando ove ti piaccia.
4
Aver Talbergalore rubato il denaro, tinlu il
vaso di l oto, garrito col gabelliere.
5.
*
6.
insisto perch ai privi quella femmina della
dole. Dopo che eisa mi fu promessa per la con
cordia (?)
7
Pi leilo il nascere rhe il morite. Due
uomini, n senza travaglio, danno la vita ad un
solo fanciullo in dieci mesi formandolo, mentre
una sola pestilenza od una schiera nemica fanuo
in un istante monti di vttime.
58.
I l maltino non risponde della $era.
I . (Gelilo XIII, II, I).
u V*hf un lepidissimo libro di J. Varrone,
fra le saiire Menippee, col t i tol Q : u Nescis quid
ueaper serus uehat, n io cui discorre, quanti
debbano essere i convitati^ e quale del coovi*
to la disposizione e la norma. 2., Dice poi che
il numero dei conviuti dee comiuciare dal nu-
mero delle Grazie e crescere fino a quello del
le Muse, cio cominciare lai tre e fermarsi ai
nove, co> che quando i commensali sono nel
minor numero, non aicno meno che tre, quan-
do reggiungono il numero maggiore non paasi>
no i nove. 3. Dfatti non convien u dice ^ che
sitano molti, poich la -roohiludine il pi spesso
turbolenza, e in Roma per vero sta in piedi,
siede in Alene, in nessun luogo si accascia. l
con vito stesso abbisogna, u egli dice * di quattro
cose, per essere perelto convito : che y\ abbia
una eletta di begli uomini ; il luogo c il tempo
sono scelti a modo ; e apparato non sis ne
i3 . 'I KUtNZIO VAKKONb
7'i
i|ueiili in ioro*el subsellio, xilciilium uero
iioii iti coiiuiiiio sei in (uliirulu iie debcl. ^
4 Scrnioues igiiur l lemporis hbea<lo cen
set nuli super rebus anxiis aul tortuosis^ seJ iu-
runJs alqae inuilabiles, el cum <|ua>iain itile-
cobra i uuluptale uliles, ex quihnt ingeoium
nusiruin neiiuslius fial et aiiioeiiiot 5. u Quod
prolecio u inqui -weuenicl i Je iti genus rebus
ail cuiiiinuneio uila: usum pcitinenlibus cnnfa-
hiileinur, de quibus in loro alque in negolits
agenli non. esl utaro. Dominum auleiti u in
quit n conuiuii esse oportet non lam lautum
quam sine sordibus, et in conuiuio legi non
minia debetil seti ea |>olissimum, quae simul
siili et deleolent. 1* 6. ^eque non de se
cuiiili5 quoque mensis cuiusmodi esse eas opor*
leal, praecipit. Ilis eniiti uerbis utilur u Bella-
ria u inquit ea utaxinie sunt niellila quae mel
lita non sunt; - eniiQ cum societas
iitliila. rt y, Quod Varr in loro hoc dixit
bellaria, ne quis l'orle io bac uoce baereat, si-
gniicat id uocabulum omiie iiiensae secundae
genus. Nara quae Graeci aul >-
dixerunt, ea uetere* nostri bellaria appella
ufrunt. Vina quoque dulfltr vai inuenire in
conioediit antiquioribus hoc nomine appellata
dietaque esse ea Liberi billaria.
a. (Gellius, 1, 2a, 4 seqq.).
llaque IVI. Varro in satira quae inscripta
esl : M. Nescis quid neaper aeras uekat r su|>er-
fuisse dicit immodice et in lempestiue luisse.
5. Verba cx eo libro haec sunl. u In eonuinio
lej;i nec omnia debent et ea potissimum quae
sini et delectent pttius, ut il quoque
uideaMir noi> deiuitae magis quam tufcribiese.
LIX.
Ociogeuis
[ v i ^ V0fM9fiCTv].
I. ( i ) (Non. 5 I O, a; ; ao lo).
^oslqualnauida libido rapere ac comedere cocptl,
Sincqve opifici non probiter clepere...........
a. <a) (Non. 17 i, i')).
Hoc erat iDConanodi quod Dcfcirbirout, te>
mei uDum singulum esse.
glelto. Ne sono, u dice, ma scegliere commensali
loquaci muli, peicli l'eloquenza a suo
luogo nel foro e nei tribunali, il sileoxio poi
non si addice al convito, ma nella stanza ove li
riponi a dormire. 4 Giudica poi che i discorsi
da tenere a questo ti*ro|o non abbiano ad essere
di cose o troppo serie od iiitrelciaie, ma lieti e
piacevoli, ed utili ancora, e con una ceita at
trattiva e giocondit, cos che il nostro spirilo ae
riesca pi cullo e ingentilisca. 5. E questo, u ag
giunge, n avveir senza f^llo, se i nostri discorsi
si aggireranno intorno a cose che spettano al-
1 uso comune della vita, ma di cui non ci dato
trattare nel foro o fra le faccrode. Bisogna di
pi, u riprende, che chi d il convito non tanto
si mostri splendido quanto non sordido, n a
mensa lecito legger qualsiasi cosa, ma solo ci
che Ionia ad utile della vita ed iusieme a diletto.
G. D ancora alcuni avvisi intorno alle seconda
mense. E cos ne parla : u Quelle ira le seronde
mense son pi dolci, che meno han di dolce:
poich, contriti e digestione se la dicono poco
bene insieme. 7. Varruiie adopera in questo
luogo la voce bellaria^ e perch essa non li
Uccia intoppo, sappi ch^ con quel vocabolo egli
intende, in generale, la seconda mensa. Impe
rocch, quelle che dai Greci furon dete wi/ o
Tpa>nfAaTa, S chiaiMroiio dai nostri vecchi btla-
ria. K troverai nelle commedie pi mliche coti
chiamarsi i vini pi dolci, c dirsi : u Liberi
bellaria, w
a. (Gellio 1, aa, 4 e seg ).
u INI. Varrooe nella satira che ha per titolo:
u Nescis quid neiper aerus uehal. w adopera su
perjuissty per: essere stato f u o r i ' d i modo e
di tempo. 5. E le parole son queste, traile da
quel libro : u Non si dee a menta leggere qual
siasi cosa, rea quelle apecialnenle che uniacaiK
air utilit il dilello, coti che che Mi c he
questo non vi mancato, piuttostoch esscr\i
stato di troppo. ^
59.
Ottanta assi /
[del denaro].
I.
Dacch le non mai sazie cupidigie, misero
su tutto la roano e divorar tutto, empiamente
rubando, senza durar alcun travaglio..........
a.
Questo ci dava pena : ignorare che un vi
uno fa uno.
'y5 FHAMMt NI I DELl . E SATl Hfc MbNl PPLt : 71G
3. (3) (Non. 98, 3).
lii quo nolt[if rfl]ilioi esi phii ippeum quol
accipiroun, quam quod bibimii i, cum altenim
ddamuf iii bulgam, all erum in ueaicain.
4. (4) (Pri sci enu VI, p. 209, II).
Non haec res le Venere paeta slrabam iacil.
5 . (5) Non. 5 i 3, 16).
Vine raeque aroa mutuiter.
LX.
Oedipothyetlet.
(Non. 473, a8).
Per ifem tempus Oedipus Athenas exui t c-
iiire dicebatur, qui coniolaret.
LXl.

(Non. 4^3^ a8).


I. (2) '(0 ebler 1. A^ahl. 1. Ribbech). (Non. 3o, aa).
Qui iabularum coniocant exordia.
2. ( i 5, a, a). Non. 176, 29).
Phonatrus adsum unci' suscitabulum
Cantanliumque gall u' gallinaoeua.
3 . (18, 11, ] 3) (Non. 100, 3 i).
Quam mobilem diuum lyram
Sol harmoge quadam gubernans molibus
Dii t uiget.
4 4, 9) (Non. 49, 28)
Si quis ( fhic in]esl ,
Fraetepibus se retineat forensibus.
5. (17, 5, 10) (Non. 171, a5 ; iG, i 5).
Quibus suam del ectel ipse amusiam
Kl auiditatem speribus lactei suis.
6 ( *9. 7' 7) 101, 1).
Neque orlhiopsallicum all uli t psalterium,
Qui bus 5onanl in Graecia dicteria.
7. (ao, 23, 5) (Noii. 17C, i 5).
Vt comici cinaedici fcenatici.
8. (aa, G, 3) (Non. 372, 22).
A^alete meque palmulis produci te.
9. (5, i 5, II) (Non. 79, 3 a).
Primum eam esse physi cen, quod sit emphy-
tos, ul ipsa vox, basis eius.
3.
Come nai c' pi al i l e il fl ippo intasca
to di quello bevuto ? ono gonfia la bisaccia,
l ' al tro la vescira.
4
Nod questo piacer di Venere che di lu-
aohelta la guercia.
5.
e m' ama di matuo amore.
6 0 .
Edipotiegte.
Correr voce che a quel tempo circa, lidipo
se ne venisse esnle ad Al ene per consol are. .
6 1 .
L asifto aUa lira
Quel li che danno princi pio all* azione.
.
Son qui io maestro di musi che note ad ani
mar il canto, io il gallo dei cantori.
3.
11 Sole che tempra con inesplicabile armonia
la mobile lira de' numi, non interrompe mai il
di t i no suo corso.
4.
Se qui v ha alcuno cui non torni armo*
ni a della musica, se ne rimanga tra la chi uu del
foro.
5 .
Dove (cio praesep. f orens. ) egli di sua mu
sical rozzezza si riconforti e sua ingordigia culli
con spernnze.
.
N arrec il psalterio dagli acuti suoni, al
quale sposano i Greci i salsi e pungenti carmi.
7
Come gli istrioni, i saltatori [il resto della]
gente di scena.
8.
Addio, e il rostro plauso mi accompagni.
9.
Prima di l ulto essa [ri. Part e musi c] vien
da natura, perch in noi infusa come la voce,
che ne la base.
7*9
f)l . TERENZIO VARRONE 7 1 8
10. ( l a, 16, la) (Noo. 56, a i ) .
Homioet raslicus*in aindemia incoDilila can
tare, larcinatricis in machinis.
11. (7, i 3, i 4) (Non. 483, 7).
Non uiJisli si mulacrum Iconis ad Idam ro
loco, ubi quondam, subito eum cum uidissent
quadrupedem, galli tympanis adeo fecerunt man-
suem ut tractarent manibus?
l a. (4, a i , a i ) (Non. a i 5 , i 4).
Et id dicunt suam Briseidem producere,
quae eius neruia tractare solebat.
i 3. (a, l a , i 5) (Non. 7, 9).
Saepe totius theatri tibiis cerno flectendo
Commutare mentes, trigier animos eorum
*4 (9i >7i *6) *>5, i 4) .
Scientia doceat, quemadmodum in psalterio
extendamus neruias.
i 5. (3, ao, ao) (Non. 5, ao).
Maerentis ut quietus ac demissior probandus
u 'AxcXXiw; ( xvvatcfov. n
16. (6, g, 4) (Non. a 3o, 1 6 ; i 8a, 37),
l urgare coepit dicens :
u. Quae scis, age qui in uulgum uulgas ar-
temque expromis i nertem?
17. ( i , 14, 18) (Non. 55, 33).
Voces Amphionem tragoedum, iubeas Am
phionis agere partis: infantiorem quam meos
est mulio (iuuenies).
18. (10, 18, 17) (Non, 93, 1 1).
Tuus autem ipse frater cibarius fui t Aristoxenus.
19. ( 1 1, 8, 6) (Non. 14I1 9)
Si non plus testiculorum offenderis, qoira in
castrato pecore in Apulia, uincor non esse ma
sculum ad rem.
ao. (8, 10, 8) (Non. 555, a8; 554^ 3a).
Nempe (aut) suis sil utticos in montibus seciaris
Venabul o aut ceruos, qui tibi mali nihil fecerunt
Verrutis ah arteru praeclaram !
a i . ( i 3, 19, 19) (Non. 80, i).
Equi colore dispares item nati :
Hic badius, iste gil uas ille murinus.
aa. (14, 3, aa) (Non. 87, 3a).
Pacui discipulus dicor, porro is fuit Enui ,
Enni u' Musarum. Pompil ius cl ueor.
Cantano rozzi carmi i villici della vendem*
mia, e le cucitrici nelle lor loggie [?].
11.
Non vedestu mai il simulacro di un leone
presso Ida, l do?e un giorno i sacerdoti di
Cerere, non appena irider quella fera ramman-
sarono di on tratto ca' timpani si, che si lasci
palpeggi are?
ta.
E dicono ci esser dovuto alla sua Briscidc
che ne solea temprar le corde.
i 3.
l o vedo spesso che al variar di tuoni della
tibia, risponde io tutto il teatro il variar di con
sigli : balzare i c u o r i . . . .
' 4
La scienza ti apprenda come dobbiam ten
dere le corde nel psalterio.
15 .
Per chi si duole convi ene [un tuono] tran
quil lo e un po' dimesso, per un Achille Teroi -
co, per un saltatore joii ico.
16.
Si fece ad i ngiuriarmi: o tu, disse, perch
al volgo dispensi la tua scienza ed a molle arte
informi ?
>7
Chiamaio il tragico Anfone, accolagli le parti
di Anfone [ l o troverai ] pi inetto a parlare
che non il mio mulattiere.
18.
'l'uo fratello poi , fu un cattivo Ari slos-
seno.
*9
Ma tu poi dai la caccia sui monti o a' cin>
ghiali collo spi edo, o colla chiaverina ai cervi
che non ti han f al l o un male al mondo. Oh
arte bellissima !
a i .
Nacquero pure cavalli di color diversi.
Questi bigio, quel sauro e gri gi o altro,
aa.
Discepolo^ mi vanto di Pacuvio, questi il fu
d Ennio,
Ennio delle .Muse. Pompil io ho nome.
l DIil.Lt SATIRL Mfc.MPPtI :
7 2 0
LXll.
Papiapapae.
[ /]. ^
I. (i 4 ) [O ch . I V t h U t t ] 455, 2)
Al i l e auris nodo ex croK3fli tubpariiuli
l oi orti eiiiiltebaiilur sex cincinnuli ;
Oculis suppaetulis nigelli pupuli
Quaiilani liilarilaleni sigiiifcanles aiiiujiis!
2. (12, 2) (Non. 218, 2G|.
Quos calliblepharo naturali palpebrae
Tinctae uallatos mobili seplu Imeni.
3. (-pg. al 14." tlopo il 2 ) (Non. 455, 3a).
Riclus paruissimui ul refrenal (oris) risura ro
seum.
4. ( l i , 3) (Non. i 35, 3o)
Laculla in mento imprefM Amoris Uigiltilo
Vestigio tlemon.^lral moll il udinem.
5. ( i 3, 4) (Non. 53q, 10).
Collum procerum, fictum loui marmore
Regillae tunicae iltrfinilur purpura.
6. (8, 6)"(Non. 478. 2).
l i oc Graecis renun(iaU\ ui facile intellcf;eres
nos ab liis aniari^ conniunuuraniur .
7 (9i 9) (Non. 281, 21).
Dominum conuiui, uinum alMlue qui! mi
laudalo !
8. (5, 10) (Non. 2 i 3 , 23) .
Imperito nonnumquam conca uidel ur mar
garita, uii rum siniarglo9.
9 (7 3) (Non. 322, 2).
Qui pntest laus uideri uera, cum mnrluus
saepe furacissimus ac nequissimus ciuis iuxta ac
Publius Af r i c anus . . . ?
10. (10, nnieo) (Non. 83, i 5).
Dii m uixi |>romisrc auis mei in chortibus paui.
( I , 5) (Non. 83, i 5).
Ille ales gallus^
Qui suscitabat Atticarum musarum scriptores,
An bic qui rabuIaruiD g r e g e m . . . . ?
12. (3, 7) (Non. 495- *0).
Omni opstanl i niinisierium inuidum labes.
i 3 . (4, II).
Praetor uesler eripuit mihi pecuniam. De ea
questum ad annum ueniam ad nouum magistra-
tum, cum hic rapo umbraro quoque spei deuo*
rassit.
1 |. ((>, 12) (Non. 18, 27)
Si ct accusator el reus rrunt tenobrioiios.
uterque utrtimque nituperato.
6 2 . .
Smaiicrie,
{dc^li cncomii].
I
Pendeano sopra le orecchie in maglia chiusi
sei ricciolini raccolti in treccia : ne reggiano le
pupillelle delP occhio loschelto: veh come ridon
della gioja dello spirlo !
2.
Le chiudono nella lor mobile gronda le pal
pebre tSnle di. non fucata bellezza.
3.
Boccuocia piccolina Quando frena il roseo
riso delle labbra.
4
Delicato il mento a guardar la pozzetta
che v' impresse il piccolo dito d Amore.
5 .
All o il collo alabastrino, sUretto dalla pur
purea fascia della tunica.
6.
Essi yanno fra s borbottando : Se vuoi facil
mente persuaderti che noi siamo da essi amati,
riportati ai Greci.
7
Lodami chi ne offre il convito^ il fi no o
che altro diamine vuoi !
8.
Un ignorante prende tal tala una conchiglia
per una margherita, un vel ro per uno smeraldo.
9
Come prestar fede alla lode se spesso un
ci ltadino fior di ladro e di canaglia, quando sia
morto [ s i c el ebr a? ] , noo altramente che uii
P. Africano . . .
IO.
Fi nrhc mi l>a<l la rita, hn fornito nei miri
Tortili Pesca a quanti uccelli capitassero.
I I .
Quel gallo che inspirava gli aitici scri ttori,
o questo che mette in moto il gregge dei liti
ganti . . . . ?
12.
tabe dell invidia guasta a tulli le uova
nifi paniere.
13.
Il vostro pretore mi tolse il denaro, ' frascorso
Tanno verr a lagnarmi al nuovo magistrato
perch questo ladro mi ha rapito fuio alP om
bra della speranza.
.4.
Se accusatorc c reo saranno due impnsl ori ,
si lavino uno altro il capo.
721
. 2 VARROTK
5. (a, 6) (. a6, 6).
Qure rrticlif lingolcat, oplrecl*iorct lui,
i.ni iiuiic murmurantes dicunt :
u > tc( fivfAnatrai.
L X l l
j- PappHS atti Index.
(Non. la, 19).
Nailumuro nonne uidesideo dici, quod natura
(orqueal, ul uistitpicam, quod uestem t|iicial ?
LXIV.
P a r meno.
Il (1) (Non. a8, 3 ; 4^>> ^4)
l^pufculi limentia hoc quadrangulum
Dedii Diana : rete nexile, arcjas
Viicuio fugai iineamqae conopedam.
a. (7) (Non. 79, 4).
eneunt cili^ strepant, bouut.
3. (8) (Non. aSi, G).
Cedit uelocilius
Juuenis inembris, leui iiilidus pleo
4. (9) (Non. 193, 33).
Cauo fonte uti cum inrgauit
Cauata amuium anlracta, in siluam uocans.
5. (3) 6. (a) (Non. 8G, i 3 ; 79. l a).
Alius
Caballum arbori ra<no in humili adiigalu n
Relinquit, lerens ferream nmeio bipiimeiu
bccureiu.
7. (4^ (Non. i 5i, 10).
Alius teneratn bieleiu folus percellit.
^ 8. (5 ) (Non 4^^^ *)
Caedilur lolos (alque) aliaciros decidit
Pailiilie ; pblanui ramis...........
9. (G) (Non. 178, 3a; 494, 3a).
Alla tr^ps pronis in humum acndens pro>umac
(Frangit rauios cadens.
10. (10) (Non. 347, a6).
Micandum eril cum Graeco, utruoi ego illius
numerum an ille meum sequatur.
1 1. (11) (Non. 4^3 37).
Tudel ine taedium Musarum agnoscere, pigei
currere ct una sequi.
la. ( i 3) (Non. a4o, 3o).
De:i]i(lit acris pedore curas cantu caslaqae
i5:
Sa t i b r Mf.Ki
poesi.
I M. l>.a. Var r o mb
Perci quelli |igri Knguacoioli luoi detrat
tori giii fin d' ora dicono mormorando :
k pi facile fare il inomo che 11 mimo, m
6 3 .
Ptippo o V iiiterpreie
Non Ii accorgi che si chiama nasturniut per
ch lorce il naso, come si dice i^stispirc dal
regi ar sulle vesii 7
64.
Parmenone.
0 timidi lepratti ecco quattro armi che
Diana ne concesse; i groppi della rete, le rea>
glie, il vischio ad impedir la fuga ed i larci.
a.
. . cleono in furia, strepitano, mugghiano.
3.
Si avania il giocane dalle membra snelle,
iiilido per scorrevoi olio.
4
siccome quando |vr irrigare dedusse
nella sua seWa onda da raro fonte per gli
scavati meandri.
5, G.
1 'n altro lascia il carallo legalo al basso lamo
d' un albero, e s reca sulle sjj^allc una bipenne.
Un alt'o abltaUe da solo un tenero abele.
8.
Si atterra il loto, cade Palt ulivo, il platano
di rami ( spogliato)
9;
1/ aIia trave prona ripiegandiei Terao terra,
spezza, lade id ', i ra ni dell'arbore vic ino.
10.
Dovr lar nll a mora col Greco, e vedere ae
egli liri il mio nutnero, od io il suo.
1 1.
Arrgsso dalla vergo{;na alio icorgerc chi U
Muse vengono a noja ; non lui laleqta di cor*
rcre c unirmi alla brigata.
13.
11 ranto e la casta poesia ti liberano il petla
dagli aflanni.
46
r UAMWKNTI DF XL h f t AT I l h MF. NIPPKF
v k
13. (12) (Non. a i 3, 10).
Pjilri hujus na<icunlur pueri Rhyl mus t
Melos.
14. ( i 5) (Non 428, 6).
Poema est lexis cnrylliinot^ icl cal ucrba.
plura modice in quandam coniecta formam. ](a
quecl i ai o dislichon epigrammation aocant poema.
Poesis e i l pcrpeluam argumentum e i rli ylhmit,
ui llias Homeri cl Annalis Ennii Podi ce est ars
earum reni m.
15. (i4) (Non. 3; 4i ^)
In quibus p^rlibus in argumenl s Caecilius
posi'it palmam, in r^ioiv erenliui, in sermoni
bus Plautos.
LXV.
rifpi
I. (I) (Non. j4, 27).
Porro inde ab unoquoque coMtpiio leniae
niac oriuntur, e quil ms singulae cxilum ac
babcnt propriuui. compito dt.'Xtmuni
uiam munit LpirTirrs.
a. (2) (Non. i ; i , i 4).
Ncque in pollubro mystico coquam carnes,
Quibus salullcm corpora ac famem uenlris.
3. (3) (Non. 3 5i , 22).
'Jum conti'cmu'la aquilenta apud ulla
i<ilor.i oriris ar nobilis omnibus rriucfs.
LXVI.
n#pi
I . (1) (Gellius, VI, iG, 1 seqq.).
M. Varro iii sjtura quam wrpi
inscripsit, lepide admodticn ct scite factis uersi-
Inis cenarano *ciboruMi(que) exquisitas delicias
lomprebcndi t. Nam pleraque id genus, quae
helluones isii terra et mari co quimnl, exposuit
itfclusitque in numeros senarios. Kt ipsos qui>
dem uersus, cui oliiim eri t, in li bro quo dixi,
politos legat; genera autem nomiDaque edulium
ct domicilia ciborum omnibus aliis praestantia,
quae profunda ingluuics uestigauit, quae Varro
obprobans execulus est, haec sunt ferme, quan
tum nobis meiuoriae est: Pauus c Samo, Phry-
^ attagena, grues Melicae, bsedus cs Aiobra
<ia, pelamis Chalccdonia, murena 'rartessia. aselli
i3.
Da qi%tto padrt han vita i due figli Ritmo
e Canto.
14.
Poema discorso in ri tmo, ci o, pi parole
gii tale, a dir rosi, con debita proportione io
una forma; quindi, chiamano poema anche un
epigramma chiuso in un distico. Presia, un
argomento continuato, espresso in ritmo, come
Iliade di Omero, gli Annali di Knnio. L' a r t e
di comporli dicest la poetica.
i 5
In questo rampit Ce:ilio ba la palma pcgli
argomenti, Terenzi o pe' raratieri. Pl auto pel
dialogo.
.
Delie scuole fil0go/ iche.
Da ria^cun lapo della via- si spir.rano Ire
stiade, ciascuna delle quali ba propria usiita c
proprio termine. La via a destra che si st*ca
dal primo capo aperta da Epicuro.
2.
N cuocer nel mistico catino le carni roa
cui satollar i corpi c la fame del ventre.
3.
. . . Sorgi allor presso gli alti lidi palpitante,
nunzia di pi<gg*a cd in Ina piena luce a tul l i
rifulgi.
ce.
'Delle leconne
1 . ( 1 ) (Gel io, VI, 16, 1 segg.).
u M. Vai rone, nella satira che disse tripl
l^capictTcov, in niodo' assai lepMo e con bei vervi
numera le 5|uisite dcHiie de [>ranzi e de cibi.
Poi ch egli scbi ei c chiude in versi senarH 3
maggior numero delle cose gh:>itte che questi
papponi cercano per terra e per mare. Chi ne
ha agio, veda questi versi nel libro che ho
ricordato. La specie poi e il nome dei cibi e i
luoghi in mi , a preferenza, tali ghiotlornie fan
buona prova, ricercati da una smoderala go-
losil, i h Varrone flagt'Ila. son que.<ti pres
so a poco, per quanto mi l:ala )a niemT'a
il pavone di Sumo, il fran oHiu> di Frigia, If
gru di Midii^, il c^p c:tu di Ambmcis. la pe-
Di Al. IKRtNZIO VAUnONk 7afi
Pessinuntii , ostrea iarenl i, pectunculus {C/titis?)^
belops Rhodius, j cai i Ci lices, iiiires Thasiae,
(>alnia Aegypii a, glans Hiberica.
i . (a) (Gellius XV, > i , *eqi{.).
Nou paucisftimi sunt in qnos potest con
enire id quoti M. Varr clicit in satura quae
inscribitur -iripl ^. Verba haec sunt: Si
quantuii operae sumpsisti, ut tuus pistor bonum
laceret panem, eius duodecimam philosophiae
dedisses ipse bonus iampridem esses fai tus. Nunc
illum qui norunt uolunt eaiere millibus cen
Ium, te qui nouit, nemo centussis. ^
J* 3. (Apiiius, De arte coquinaria^ 111, a),
u Betaceos Varronis. Varro : Betaceos sed ni
gros quorum detersas radices et muUo dei ocias
cum sil e niodit o et oleo, uel sale, aqua et oleo
ili se coques, iusculum iacie.i et potabis ; melius
eri t si in eo pullus sit decoctus, n
f 4 (Apicius, VII, 12).
u Varro : Si quid de bulbis dixi in aquam,
qui Veueris ostium quaerant, deinde in legiti
mis nuptiis in cena ponuniur sed et cum nu
cleis pineis aut cum erucae succo aut pipere, n
LXVII.

I. (i) (Non. 345, i 5).


Quaerit ibidem ab Hannibale, cur biberit
medicamentum? u Quia Romanis u inquit ^ me
Prusiades tradere uolebat. r*
3. (a) (Non. 400, 9).
Andromeda uincta et proposita celo non de
buit patri suo, homiui stupidissimo, in os expuere
uitam ?
3. (3) (Non. 117, 21).
Non uituperamus cum iciamus digitum prae
cidi oportere, si ob eam rem gangrena non sit
d brachium uentura.
4. (4) (Non. 336, a;).
Queoinam te esse dicam.
Fera qui manu corpori s feruidos fontium
aperis lacus sanguinis leque nila
l.eu3S terreo ense ?
lamida di Calcedonio^ la murtua di l ai t esso,
gli ashielli di Pessi nunte, ostrica di l'aranto,
il pettunrolo (t/i C/iio ?)^ Tel ope di Rodi, lo sca
di Cdici, le noci ili l'aso, i datteri d' Kgl ttov
1j giraii da d' Iberia.
a. (a) (Gelilo, KV. 19, 1, seg'.).
u No sono in troppo scarso numero quelli
a cui si attaglia quanto dice Varrone nella satira
che intitola spi <?^. Le sue parole soii
queste. Se la dudicesim i parte dtlla cura che hai
spesa percl il tuo pistore ti preparasse il pane
a modo, avessi donala alla filosofia, tu da buo
na pezia ti saresti emendato. Ora chi cono
sce quel pistore darebbe 100,000 sesterzii per
averlo, < ne daieli be 100 per te chi ti co
nosce. ^
3. (Apirio, De art e cotj. i l i , 3).
u Kielo'aiei ili Vitrrone. Co t i insegna V a n o
ne: piglia rudici di bietole nere, inondale e
tulle disiare al luoco in vino melato con poco
sale ed o l u , od onclie in acqua con sale ed idio.
Ne fatai un brod<i grasso che berai. Se il vuoi
i i i i gl i oi e coi sui i uvi un pollo ('l'raduziune di G.
B. Baseggu).
4 . (Apirio, VII, 1 3 ).
.1 Varroue : Se dissi alcuiij cosa dei bulbi
cotti neir acqua che tirano alla porta di Venere,
e che per si danno a cena nelle legittime noi -
zc, ma con pinocchi e con sugo di ruchetta e
j epe 1 ( l rad. dello sle.-so).
(7 .
Dtlla morie.
K qui a chieder ad Annibale perch avrete
ingoiato il veleno? u perch w rispose u Prusi a
volea darmi in mano ai Romani.
3.
Andromeda legata ed esposta al marino mo
stro non dovea torse sputar Pani ma sul Tolto
del padre stollo uoruo ed i ni quo?
3.
Non ci lamentiamo di lasciarsi recidere un
dito ptT impedire alla cancrena di apprendersi
al braccio.
E che dir di le che con nemica mano ti
apri i caldi riri drl sangue, o con un ferro li
Uf i di vita?
FRAMMENTI Dhi XE SATIRE 72
5. (5) (Non. 352, i 6) .
Quid puer rogassel et pelaaalus capite ad
nuUicl ? Ao discedens numero ueoire al l adu
lescentem.
6. (G) (Non. ai ).
Quam syinpalhiain lurabi ad oculos haberent?
quid inguinum inleressel, pueruin cum essera
deuirginatura usiiroe, ao uoltii appareat ?
-{- dum cogito.
LXVIII.
< '^.
1. (i) (31acrob. Sat urn. 1 1 i3, 2).
u Testalur eliam M. Varr in ea satura, quae
inscribitur xcpawov, maiores solitos dcci-
mam Herculi uuuere, nec decem dies i ntermit
tere, quin pollucerent ac populum
cam corona laurea dimil terent cubi tulu r.
a. (3) (Non. 28, i 5 ).
Conlisione nubium fulget ; tonitrua fulguris
a fulmine orta.
3. (2) (Non. 263, 18).
Cum dixisset Vitulus, ecce tibi caldis pe
dibus quidam nauicularius semustilatus irrumpit
se io curiam.
LXiX.
.lltpiTXocyC.
Li ber 1.
1. ( I ) (Non. 171 , 17).
Tum uero doces historiam necessariam : se
mel unum singulum esse.
2. (2) (Non. 191, 29).
In hac ciuilate agros colunt harenosos; prae
ter bos fluit amnis, quam olim Albulam dicunt
uocitatani.
3. (3) (Non. 3 iG, i 4)
In hac civitate tum regnabat Dionysius, homo
garrulum et accr.
Li ber II.
[-TCipt ].
I. ( i ) (Non. 392, I/J).
Et, ne erraremus^ ectropai esse multat :
oiunino tutum esse sed spi ftum iter
5 .
Che coaa avrebbe il givanetlo rkkiet(. c
che cusa concesso quel tale cpperto Ia testa dal
cappello? Allontanandosi disse: che il giovane
se ne veniva tosto tosto.
6.
68.
Della folgore,
I. (Macrob. Sat urn. Il i , 12, a).
Anche M. Varrone, nella satira che s'iutitQla
7r(p( xcpavvov, attesta essere stato uso de' nostri
maggiori far voto ad blrcule della decima, n la
sciar scorrere dieci giorni senza ofifrirla, e mandare
il popolo a riporsi, dopo averlo convi tato senza
che nulla pagasse, e regalato di una corona di
lauro.
2.
Dalla collisione delle nubi nasce il lampo, il
tuonar della fulgore vien dal fulmine.
3.
Avea detto Vil ulo, ed ecco un pil oto mezi o
abbroci cchiato che, divorando coi piedi il tam
mino, con e a rotta nella curia.
6 9 .
Della Cirattiinavigasione.
Li bro 1.
1.
Oh allora insegni davvero una coaa neresM'
ria: che l un via un fa uno.
2.
In questa citt coltivano campi sabbiosi, li
circonda un fume che, com' fama, chiamaTtai
Albula un tempo.
3 .
Questa citt era allora governata da Di oni
sio, uomo arguto e fero.
Li bro 11.
[della flosofia].
t .
E perch non avetaimo a sviatci, etservi
molti viotloli : cammino sicuro, ma lento.
79
DMVl. VAHKONfc
a. (a) (Non. i 3i, 21).
Nulla ambrosia ac nectar, non ali in et sr*
Jae feti u panis, pemroa, lucuns, dibu' qui puris-
liniu multo e^l. t
3. (3) (Non. 455, i 5).
llaque uicleas barbato rostro illum coromen-
tarri, et unuroifnodque aerbam ttatera aui^ria
pendere.
LXX.
-| xi p ,
(Charisius, 1, p. 189, a5).
u Coniala atiRt aduerbia. Varr sic ait in i l i
ircp : propius, proxime. 1*
LXXI.
.
(Charisius, p. io5, 5).
u Scriptulum, quod nunc uulgus sine t dicit.
Varr in %> dixit,
LXXll.
f Post uinum sepla$ia fetet
(Prob. in Ftrgilii^ Ecl. VI, 3i).
Appellatur a caelatura caelum, graece ab or
natu ^, latine a puritia mundus.
LXXllI.
- f Praeloriana (?).
(Diomedes, 1, p. 3; 5, a;),
u Deleor, delitus et delelus : Cicero ad fi
lium : ccrt deletis ; Varro in Praetoricna : deli
Uc litierte.
a.
Non ambrosia e nettare, non alio e sardinr,
ma u pane, iocaccie, e il pan buffetto ohe tutti
avanza d' assai in puretza.
3.
Vedi colui cerne sensato farella colle barbute
labbri e pesa ogni parola colla biltnc>a d<1(Strato.
70.
D caralleri,
(Carisio, 1, p. 189, a5).
u Gli avverbi mioeltono. griul' Cos Var
rone nel 111 -ircpl ., dice propius^ proxime.
71.
La mestola delle ricchezze.
(Carisio, 1, p. i o5, 5).
u Varrone, nella satira , us scrip
tulum senza la t come si dice ora comuneinentc. >
78.
^ Dopo i l vino puzzano anche i profumi.
(Probus i WEgl . di Vtrg. VI, 3i).
E si i:hiama caelum perch caelatum ( fre
giato di stelle), in greco ila suoi ornamenti xo-
, in latino, per la sua purezza, mundus.
73.
f Pretoriana,
(Diomede, 1, p. a^).
u Deleor fa delitus e deletus: Cicerone 1
figliuolo : ceris deletis t Varrone nella Praeto
riana delitae litterae. ^
73
KRAMMKNn i mA. E S A i m t MKNfPFl^fc.
L X X I V . 74.
Pransus paralus.
I. (i) (Noh. 4^3 0 .
Liiuii c x pe c um Adriaai se iliner Joiiguin l er-
roone leuare.
a. (a) (Noii. 353, i 4 ; 488, 5).
Con Ira coactus ceruu' latratu canum
Fertur bisulcis ungulis niles hurou.
LXXV.
PromethtHt liber.
(I) (Noii. a8, 3).
Kgo infelix non queam
Vim propulsare alque inimicum orco iomi l terc ;
Nequiquam saepe, aeratas manuis compedes
Conor reuellere.
2. (2) (Non. 199, 25),
Sum uti supernus cortex aut cacumina
Morientium in querqueto arborum aritudine.
3. (3) (Non. l o i , 3 i).
alquc (artubus)
Kxsanguibus dolore euirescat colos.
4. (4) (Non. 417, i 3).
Mortalis nemo exaudit sed late incolens
Scvtharum inhospitalis i)i|iis uastitas.
5 . (5) (Non. 172, i).
Leuis mens numquam somnurnas imagines
Adfatur, non umbrantur somno pupulae.
6. (6) (Non. 7 1 , 22).
Humanae quandam geniem utirpis coiiro(|uit,
. Frigus calore atque umote aritudinem
Mifcet. 1
7. ( I I ) (Non. 172 5).
Cum sumere coepisset, uoluptas i elineret,
(Et) cum sal haberet, satias manus <lc mensa
Tolleret.
8. (10) (Non. 217, i 4).
Retrimenta cibi qua exi rent per posli cum,
callem feci.
9. (8) (Non. 492, 18):
aemulum illius artis atque obstri gilatorem;
qua propter aliquot annos quarsti nihil fecerit ....
10. ( i 4) (Non. 27, 23).
Crjsosandalus locat sibi amiculam de lacte et
cera Tarentina, quam apes Galesiae coegerint
ex omnibus floribus libantes, sine osse el ner>
uis, sine pelle, sine pilis, puram, putam, proceram,
candidam, teneram, ioimnsam.
Lesto spedilo.
E promettono di cassare^ uovellaiKlo, la ao^a
del lungo viaggio da Li mi ad Adria.
2.
Corre il cervo incalzato dal Utrar dei cani,
colie bisulche unghie dirorando il terreno.
7 5 .
Promeieo iibtro.
C i r i o non possa, infelice! sottrarmi a tal
violenza, e precipitare all' orco il mio nimico f
Invano spesso mi sforzo di liberar le mani dalle
ferree catene.
3.
Sono a guisa di galleggiante severo o di
vetta d' arbore che muoja di seccori oel querceto.
3.
Impallidisca il colur delle membra per la
doglia esangui.
4.
Nun un mortai in' ascolta, ma d' ogni parte
inospitala solitudine doroinit gli Sciti campi.
5.
N mai la mente favella rogli aerei notturni
sogni, n mai fa il sonno vt*lo alle pupille.
6.
Mette a cuocee un cotal impasto d' umana razzi,
u il freddo mescoUndo al caldo, alPumido il secco.
Quando aveste cominciato a prenderne, lo
facesse continuare un colai gusto, e quando ne
avesse preso a sufficienza, ta raziel gli facesse
levar le mani dlla mensa.
8.
Ed un calle vi leci perch la morchia dri
ci bo e ne ne andasse pel dietro a casa.
9
emulo di queir arte ed oppoi i tore: onde
per alquanti anni non ci avrebbe gnadagoato ....
IO.
Ciyiosaii dalo si forinn una donnicna di latte'
e etra Tarentina condensati tlalle api Galesie
libando da ogni sorta di iuri, senza osi n
nervi, senza pell e n p r i i , pura, puiisiroa,
svelta, candida, delimtP. mirnrolo di bellrzza.
733 DI . TtftEVZIO VARItONI :
734
1 !. ( | 5) (Noli. 537, 16).
Alia cmil mitram riciuani aul inilram Meli
lenieiu.
13. ( i 3) (Non. 378, 5).
Eburneis lectis et plagis sigilUii^.
i 3. (12) (Non, lao, 20).
In tenebris ac suili uiaunt, nisi non forum
liara atque homines ibi nunc plerique sues siint
cxiitimandi.
i f (16) (Non. 497i *6).
1(1 ut scias, autli boc, qood falsum dicis esse :
nemini ocutos opus esse, si habet.
LXXYl.
Pitudaeneai.
(Prisciai)us, 11, . 8i, 6).
Per
Afuiltrnam hominum domum,
lellurem, prupero gradum.
LXXYiI.
Psendulus Jpollo,
[<rrcpi ^].
1. (i) (Non. 468, 22).
Curo SiX pueri et iiueMulae pariter ilem se&
Aul septem in utroque cum choio pari uagaiunt.
2. (2) (Non. 478. *3).
Quod in eius dei lompla calccili introeunt ;
iiam in oppido quae est aedes pullinis et quae
ibi ad. Herculis, ul iniioeal i)emo se excalceatnr.
LXXMIl.
Quinquatrus.
1. (1) (Non. 190, 23; 3 i 4, 3 ; 33G, 27).
Quid medico mi est opo' 7 unm perpetuo ab-
siniium uli bibam grauem
Et castoreum leuemque robur?
2. (2) (Non. 99, 22).
(Grsl at) hic bipennis, ille forcipes dentharpagas.
3. (2) (Non. 229, i 5).
Tu, Piedi, cum trartabilem audes dicere,
rum in borato Iccto ac purpureo pcrisironute
L' altra compera una mitra fornita di su>
dario, o letsula a Melile.
12.
Jn eburnei letti, e coperte ad animali istoriate.
13.
Vivono fra le tenbre e nei porcili, se por
cile si dee riputare il foro, e porci la pi degli
uomi i che vi bazzicano.
>4
Perch tu Io sappia, asci la questo che dici
e<ser faUo : nessuno ha bisogno degli occhi se
ne sia provveduto.
76.
I l Pteudotnea.
/
(Pr<sciano, 11, 81, 6).
Il pass ) ttfTretto per questa perpetua stanza
d ir uomo, la terra.
7T.
poUo tolto menlite spoglie.
[ilei riconotcere gli Dti],
I .
E sei giovanetti e giovanettr, o sette, sen
van girando in due cot i egualmente partili,
a.
Che entrano calzati nei tempii di questo nu
me, c per vero n qui ( in oppido^ cio in
Uoma) dove il santuario di Apollo, n l o%e
quello di Ercole, nessooo ai scalza |Mtr entrarvi.
78.
// Quingnalro,
Che ho a farne dii medico? Forso per ingol
lare in elei no Tamaro assenzioed il castoreo e
stremar le mie forte ?
2.
(Porla) questi bipenni, quello tanaglie da svel
lere i denti.
3.
Tu, Pledo, osi dirlo trattabile, se lo vedi ms-
l.do in purpuno li tio cd in pnrpuref coperte, e
535 RAMMENTI Dt L I . b SATIHK UKMPPEb ,36
cubare uideas egrolum et ciui priuf al aum
cjuam Iordani lubdiiccre malia ?
4. (3) (Noi>. 36, 4). ,
Quam io lesludioeo leclo culcita |>1 in
diem dormire*
5. (4) (Non. 260, a).
Qui Tarentinum luum ad Heraclidem Pon-
ticon contenderet.
6. (5) (Non. 66, 17; 871, la).
An hoc praestas Herophilus Diogeni, quod
ille e uenlre aquam mi ui tf Hoc te iactas? At
hoc pacto utilior te Tuscus aquilex !
7. (7) (Non. 71, i 3 ; 253, 33).
Cape hanc caducam I^iberi mollem dapem.
De iroiide Bromiae cutomnilatis uuidam i
. (8) (Non. 145, 1).
Quora lyropharo melius e bcupa fontium
Adlatum nido |>otili peroiisceil.
LXXIX.
Sardi uettaiet
(Non. 496, 23).
Non tc tui salleru pudet ai nihil mei reue-
reatur T
LXXA.
S e r a p i s .
(Non. 104, a6>.
Recte [(] luirgatum scito, qu<m oidehii
Romae in foro ante lanitnas pueros pila eipul
firn ludtre.
LXXXl.
S e r r a n u s .
[ * P <].
I . ( I ) (Non. 16. 9).
Ait, consuleio unhi pilum cedcie. Subsilio
et hoslias tl txtispicis disputantis nbnquo.
a. (a) (Non. 71, i 3).
Retinet uiatoreni meridie praeiereuutem fons,
quod aulumnilas in anni tetrachordo mrnsnm
l>rfUTerat.
ami meglio lubricargli il ventre eh strappargli
il tordo^
4-
Che il dormire a giorno astji inoltrato sopra
letti cesellati a tartaruga, e in coltrici di piuma.
5.
11 quale dirigesse il tuo Eraclide di Taraoto a
quel del Ponto.
6.
per ci forse che Erofilo ha la palma su
Diogene perch ei sa estrar Tacque dal ventre?
Per questo neni s gran vanti? M fatta ra
gione, arreca maggior vantaggio di te il l'oscano
scopritor di fonti.
7. #
Ecco il caduco ibo IIc fruito di Bacco spiccalo
pieii di succo dalle fronti deirautunnal Bromio.
8.
Giovandogli pi roeaoelare l'onda altinla a
puro fonte con ampio bicchierc.
7 9.
I Sardi aiV incanto.
Se non vuoi a me usar nspetto, non ti preii<e
almeno di te vergogna?
8 0 .
Serapide.
Tienti prr sanato del tutto, . che vedrai
in Roma lanciulli giuocarc, laltclUndo, alla paUa,
nel foro dinanii al macello.
S .
Serrano.
[Iella Si tila dui magislr^ti].
I.
Dire, che il consolo mi ccde le insegne. Balio
in piedi e lascio le vittime e gli aruspici liligant*.
a.
Una fonte fa fermare in sul meisodi il vian>
dante che passa, perch autunno nel letraourdo
dcir anno area rotta ermonia.
7^7
DI . VAKBO.Nh;
73S
3. (/|) (Non. 1G4, 2o).
Dum in agro sludiosius ruror, aspicio Tr i p
tolemum st ulpoueal um u hi^as sequi cornuUs. w
/|. (5) (Non. 292, 6).
Occipitium ambiguo deo ostendo, cx oraclo
elimino me.
5 . (3) (Non. 259, 23).
1 petere imperium populi el conlciiJere
honores.
6. (G) (Non. i 36, 33).
Noster AUlius^ hilaris homo, item lectus in
curiam macore macescebat.
7. (7) Non, 354, i 5).
IJunc uocasse cc liquida uila in curiae ue-
strae faecem!
8. (8) (Non. 477, 21).
Dormit alius. Nimirum uigilant, clamant, ca
lci)! rixanl.
9. (9) (Non. 4^5, 10).
rostrum protrudendo incesserent.
L X X X I I
Sesqueul i xes.
I. (20 Oehler, 2 Vahien) (Non. 344^ )
Diogenem poslea pallium solum habuisse et
habere Ulixem meram tunicam ; pilleum ideo
habere .
2. (10, 3) (Non. 367, i 5).
Quod Minerua propter stet, id significare
cum propter doctrinam . . . .
3 . ( 1 1 , i )(Non. 4o5, 20).
Nauibus duodecim domum profectum decem
annos solidos errasse.
4. (4. 4) (Non. 3 i, 21).
Omni.5 inritaus uentos omnesque procellas.
5 . ( i 5, 5) (Non. 32i , 18).
Ipsum auidum uino inuitaui poclis large atque
benigne.
G. (iG, 10) (Non. 299, 28).
(perque) vias aetheris stelligeras
Kxplicat aere cauo sonitum hic nocturnus
7. (12, 8) (Non. 451, 29).
Ventus buccas
Vthemenl i u' sufflare el calcar admoucre.
8. ( i 3, 9) (Non. 179, 1).
lii^el uolitans miluus ; aquam e nuhitu' tortam
Indicat fore, ut tegillum pasior sibi sumat.
Sa t i r k , pi . I i r . \' a r r i *m,.
3.
Mentre sto a mio grand' meriggiando
nel campo, veggo Triptolemo armato di scar
poni seguire le cornute bighe.
4 -
Vol go le spalle all' ambiguo nume, parlo dal
luogo d t i r oracolo.
5.
L dimandar il comando del popolo cd estor
cere gli onori.
G.
Attilio nostro, uomo gioviale, d pi, accolto
nella curia, a vista d' occhi o immagri va.
7
Aver chiamato cosl ui da una vita pura alla fec
cia della vostra curia.
8.
Un altro dorme. Anzi vegliano, schiamnzzano,
si arrovel lano, si accapigliano.
9
proYocasiern col cac. iar innanzi il
ros t ro.
8 2 .
U n l/liisse e mezzo.
Diogene poi aver solo il pallio, ed Ulisse non
altro che la tonaca, e quindi esser fornito di cap
pello . . . .
2.
L' essergli a' fianchi Minerva, indizio ch' egl i
(venne in nominanza) per la sapienza . . . .
3.
Partito per la patria con dodici navi,
errato dieci anni interi.
4.
Tul l i sfi dando i venti tutte le procelle.
5.
Largo c cortese, lui avido di vino, di vino
empiei.
G.
Per le stellate eteree vie un suono spande d<il
cavo bronzo questo notturno .
7
Con maggi or violenza gonfiar le gote il vento,
e raddoppiar l ' impeto (dell'onde).
8.
Stride volteggiando il ni bbio a presagir la
gragnuola ; avviso al pastore di riparar nella
rap.inna.
17
j3.j
1IIAWMLNII DLLLt SATIRL MLNIPPLt / ,o
9. (3, 7) (Noq. 28, 3).
Quocumque ire uellemus, obuius flre ; ubi
corpori aciinas com|iedes iinpoeilai uiJeo . .
IO. (24, G) (Noo. 247, 24; 276, 3).
AJuersi ueoli cecideruol : albumst mare.
Quotisi (lergunt diulius mare uolatre^ uereor
ne me quoque, quom domum ab Ilio cossim
uencro, praeter canem cognoscat Demo.
11. ( i ; , i 5) (Non. 242, 26).
Vbi quod iupam alumni teil arunt olim
12. (18, i6) (Non. 3G8, 23).
Vbi bitidi epbebi, uesle pulla caudidi,
IVlodestiam iiilus pascuut pectore .
*3. (19, 17) (Non. i 3 i, io).
Vbi et dicuntur barbari innumerabiles
Lateres aureos habuisse . . .
14. (25, 24) (Non. 538, 6 ; 542, 9).
Suspendit l ari bus manias, mollis pilas,
Rcticula ac strophia.
15. (6, 11) (Non. 401 3).
Antequam militia subactus aliquot annis eral.
16. (2, 12) (Non. 86, i 4)
In castris permansi inde caballum reduxi a!
ceosorcm.
17. (3, 12) (Non. 44* 32).
Itaque tunc ecum mordacem calcitronem(ue)
horridus
Miles acer non uitabat.
18. (4, i 4) (Non. 49, i).
Nunc emunt
'1'rossuli nardo nitidi uulgo Attico talento ecuin.
19. (i, 25) (Non. 48, 28).
Hic enim omnia erat : idem sacerdos, prae
tor, parochos, denique idem senatus idem po>
pulus, kapi i t .
20. (5, 22) (Non. 248, 8).
Qui d enim est, quod homo masculus lui:en-
tiu4 uidere debeat bella uxore?
21. (9, 23) (Non. 208, i 4)
Qui se in ganeum ac censum coniecit amicac.
22. (21, 20) (Non. 492, 4)
Pieri dum comes
Quae tenes caua geloque acri [horrida] montium
S?^xa !
23. (22, 21) (Non. 5 i 8, 4)
Iu Thespiadum choro derepente
24. (8, 18) (Non. 99, 3).
Vnam uiam Zenona moenisse duce Virtute,
hanc f ssc nobilem ; alteram Carneadem dc^uhn-
55, rorporis jcculum.
Da qualunque parte ci volgessimo, ci sofljava
contro ; avvisatomi, che il vento u' ave impri
gionati
10.
Placarsi i contrari venti, tranquilla onda.
Davvero, se non cessano di battere pi a lungo il
mare, temo che quando ntoroer da Ilio in pa
tria solcalo da rughe, non sia chi mi riconosca,
tranne il cane.
1 1.
Perch 1 un tem|>o la lupa sugger dette ai
lanci ulti.
12.
DoTe i bei garzoni^ candidi sotto nera veste,
nulrono nel petto la modestia.
13.
Ove fi dice che que' barbari avessero auree
quadrclla senza numero.
4
Sospende ai Lari i fantocci, i molli gomitoli
le reticelle e le bende.
15.
Prima d' esser domato per alquanti anni dal
le fatiche della milizia.
16.
Rimasi al campo, poi riconsegnai il cavallo al
censore.
7
Il fiero ed orrido soldato non rifuggiva allora
da un cavallo che desse morsi e tirasse calci.
18.
Ora codesti zerbini profumati di nardo com
perano un cavallo per lo pi per un talento attico.
>9
Poich questi era lutto : egli sacerdote, pre
tore provvigioniere: che pi ? egli senato e popo
lo, capo (e piede).
20.
E che altro mai dee veder pi volentieri un uo
mo di animo maschio, se non la prudente moglie?
21.
Chi si abbandon, come fosse cosa di lei, al
turpe amor delPamica.
22.
Compagna delle Pieridi che abiti i ravi spec
chi montani, orridi per acuto gelo 1
23.
Di subito nel coro delle Tespiadi.
L' una strada lastricala da Zenone dielrn la
guida della Virt, e questa la nobile ; un'allra
c scavata da Cameade che si laliia diciro i beni
Ir! nirp.
DI >1. I KKI l N /K ) VARKONfc
7'r-^
2^ (7, *1)) (Non. 'S, r/|).
Alleraiu uiain detorniasse CarneaJcni iiirtulis
e cupis acris acelt.
L X X X I I I .
S e X a g e s s i s.
(1) (Non. loG, a5 ; 49, 3) (*)
Se rrrumspexe alque intienisice, se, cum <Ior-
mire coepissel lam gaber quarti Socrale*, esse
farlum ericium cum pilis albis, rum proboscide..
2. (2) (Non. 359, 1).
Romam regressus ibi nibii ofTcndi, quoil anle
annos quinquaginta cum primuro dormire roep,
reliqui.
3 (fi) (Non. 216, 21).
' nupliae iiidebant osiream I^urrinam
4 (3) (Non. 212, a5).
A^bi lum comitia habebant, ibi nunc fil mer-
calui.
5 . ( i 3) (Non. 4o326).
In quarum locum subierunt inquilinae impie-
liis, perfdia, impudicitia.
G. ( i 4) (Non. 407, 8; 422, 16).
Nunc? quis patrem decem annorum natus non
modo aufert, sed lollit, nisi oeneno 7
7. (4) ( No o . a 83, 17).
Auidus index reum ducebat esse u xotvv
'F.pfxviv? n
8. (5) (Non. 5o2, a3).
Quod leges nuuc oon laciunt u <^ fe-
ruit. w Omnino.
9. (12) (No D. 22D, 12).
Sic canis (it e catello, sic e trilico spica.
10. (8) (Non. 167, 7).
Ergo Ium Romae parce pureque pudentis
Vi xere in patria; at nunc lumus in rutuba.
I I . (10) (Non. i 58, i 3).
O stolta nostri pectoris dormiti o
Vigilabilis^ quae me puellum impuberem
Cepisti !
12. (9) (Non. l oo, 1 ; 3 a8 , 21).
. . Adest Tax inuolula incendio! 'f
i 3 . (i 5) (Non. 167, 11).
Qui nobis ministrarunt pueri diebus textis
ricer, uiri equis nos pniuocare cum audeant, nos
illos reuocare timemus ?
25.
Cn' al t i a strada per la virili fu spianala da
Cameade con coppe di acre aceto.
83.
f / f i sessagei i arw.
Aversi guardalo intorno e veduto, r h egli, il
quale quando lo colse il sonno era calvo ( ?) come
Socrate, erasi mutalo in riccio, con bianchi peli e
col grifo.
2.
Ritornato in Roma, nulla vi trovai di quanto
vi avea lascialo cinquant' anni fa, allorch mi prese
il sonno.
3.
Allora le ostriche f<ucrine erano u cibo da
n o n e
4
Dove si tenevano allora i comizi, ivi si tiene
ora il mercato.
5 .
Succedettero in lor luogo, come avessero
presa a Pitto, empiet, la perfidia, Timpodicizia.
6.
Ld ora chi giunto a' di eci anni non si solleva
solo del padre^ ma via lo leva altramente che
col veleno?
7
I / avi do giudice stimava egli il ,reo a un gua
dagno in comune? n
8.
Perch ora a niente valgono le leggi ; non si
ascolta altro ormai se non : u d e prendi.
9
Cos il cagnolino si fa cane ; il grano spica.
10.
Vissero allora in Roma lor patria moderati,
puri, verecondi ; adesso siamo al caos.
11.
O stolto mio sonno, dal quote dovea esser
riscosso e che mi sorprendesti i mpubere fanciullo !
Ecco la face di fiamme ardenti !
i 3.
E se questi che fanciulli ci fornirono nei di di
festa i ceci, uomini fatti osano provocarci ad eque
stre gara, dobbiaro temere di provocarli noi pure
alla nostra volta?
() Ln nnnieraxion#? la sli ' so regnila dal Ri ese, tranne che noi non accettiamo quel l o che dal Riese
dato prr pri mo frammenlo : co^ di r r|Mr||n rhi* per noi il numero 1, per lui il numero 2 e ro: di ie-
puito. V Annotazioni.
I ' ! \)\ S A I I h L MKNIIMMJ.
7
i/j. ( i i ) (. 187, 17).
Eo, ni Mal lcum ex arcul a ai Mcrera i n uul gam.
i 5. (19) (Non. 86, 24).
Scnibus crassis, homuli , non uiJimus quod fial?
16. (iG) (Non. 480 23).
Fergts, in^uit, Marce, accusare nos: rninaris
aniiquitalis.
17. (17) (Non. 214, 12).
Accil i sumus ut depontaremur : murmur
ferus.
18. (18) (Non. 86, 20).
u Vi x ecfatus eral cum more maiorum ul-
Iro casnares arripiunt, dc ponie in Ti beri m de
turbant.
19. (2 ) Non. 69, 22).
An si equam emisses, quadripedem ut meo
asino Reatino admitteres, quantum poposcissem,
dedisses equimenti ?
20. (21) (Non. 460, 2).
Nequiquam is agil ipennii auates tremipedas,
Buxeis (cum) rostris pecudes (in) paludibus.
(De) nocte nigra ad lumina lampadis sequens.
21. (7) (Non. 200, i 3).
Vt niiens pauoni collus, nil exiri usecus sumens.
L XXXIV
K I ot a,
(<'( )
1. (Gellio, X l l l , 23).
l'e Anna Peranna, Panda, i^ato, te i*ale$,
^er i enes (et) Miiierua, Fortuna ac Ceres.
2. (Non. i 3 i , 21).
u Vi uum pemma lucuns oihil adiuuat, ista mi-
isirans.
3. (3) (Non. 10, 12).
Postremo quaero : parebis legihus an non ?
Anne exlex solus u!ui.% ?
4. (4) (Non. 489, i 4 ).
li go, i nqui t , eam suppetias, quirum mihi
nec res ncc ratio esi u dissocialaque omnia ac
nefantia 7 n
5 . (5) (Noti, aoa, 3).
Hoc dico, compendiaria l i oe ulla sollicilu
dine ac molestia durundi ad eandem uoluptalem
posse perveniri.
.4.
!VI*i ne ?o per acconci are le provvigioni dalla
cassetta nella bisaccia.
15.
E noi ometti, non vediamo noi che ne avvenga
degli stolti vegli ardi?
16.
Tu non la vuo finire, Marco, colle lue accuse:
non biascichi che anticaggini.
*7
Ci chiamarono per precipitarci dal ponte. Si
leva fiero un mormorio.
18.
u Ci detto appena ecco giusta Tusanza dei
padri, afferrare i vecchi, e dal ponte precipitarli
nel Tevere.
9
Se avessi comperala una cavalla per accop
piarla al mio asino Reati no, m' avresti dato per
la copritura tanto quanto ti avrei ri chiesto?
20.
Indarno seguitando nelle paludi a ibsca notte,
al chiaror di faci, lo stuolo delle anitre dalle agili
penne, dai piedi tremanti, dal rostro di busso.
21.
Come lo splendido collo del pavone che non
trae d' altronde sua bellezza.
8 4 .
U n a pugna co l e ombr e.
(del vapori).
I .
>, o Anna Pernna, roi Panda, fiatona, Pa-
lade, voi Neriene e Minerva, Fortuna e Cerere,
a
Punto ci giova, col fornirci vino^ iocaccic,
pan buffetto.
3.
Ai r ultimo ti demando : obbedirai o non ob*
bedirai alle leggi ? O vorrai tu solo esserne
sciolto ?
4'
lo, dissi, volar in soccorso di qoelli coi quali
non vo' d' accordo n di (atti n di pen.^icri,
ove lutto discordia e nefandezi a ? ^
5 .
]o dico: che per un traghetto, senta gli affanni
e la molestia del guidare, si pu raggiungere 1<
stesso piacere.
hi >1. ll.RLNZIO VAURONfc
LXXXV.
S y n e p h e b u x.
(mpt Ifx^ovy);}
I. (i) (Non. 355. 3).
Crede raihi, plurcs dominos semi romederiinl
quam canes. . . . Quod si Actaeon occupasset et
ipse prius snos cancs comedisset, non nugas
saltatoribus in theatro fieret.
a. (a) (Non. i 56, 3).
Verere, ne manu non roittat ? cum tot Rn-
roae uicarios honestos auidissirao dare possis, mit>
tet. Qiiodsi non mittet, fugies, si me auilies ;
cura tempus revocat, ea praecox est fuga?
3. (3) (Non. 3a4^ 20).
Quid te tacere oportet, litteris imbulum so
lis Mineruae ?
4 (4) (Non. aio, 6).
Ilodie si possamus, quod debemus populo,
ili foto medio luci vero decoquere.
5. (5) (Non. 5aG, ).
Ilio narium seplasiae.
Hi c y/cJ*v7rvov; N apolis.
L W W I .
Teipjf MfWTTTOty.
(2. Och. I. Vahieu) (Non. 333, ai).
(Menippus) ille nobilis quondam canis
Ilie liqnit homines omne in terrae pila.
a. (5, 5) (Non. a48, 8).
In charteo stadio ago ^ qno
qui certasst ani mo, helliis homo mags delecta-
Ins (sii) Sioicorntn pancratio quam athlelarum.
3. (4, a) (Non. 318, 13).
Saliem internus lenetor 4 xex; . Atqui
habet homines solitcilos, qn**d cum peiii formi-
<lant, quam fulto ulolam.
4. ( I , 3) (Non. 86, 18).
Srd ut canis sine coda.
5. (3, 4) (Non. a3o, 3a).
Diogenem litteras srUse, tnmusioni quod sa
tis esset, tum quod etiam a**rosi b<ttorurn
homi i i i i i n.
6 . (fi, fi) (Non. a i 7 , 14; 4o -21).
Perrexit iii interioris partis domuit po.^licae,
nt ait Plautus penitistunne.
85.
/ / compagno d i gi ov a ne z z a .
[della costanza].
I.
Credilo a me: pi furono i padroni divorati
da lor servi che dai cani . . Che se Atcone
avesse piglialo il tratto innanzi, ed ave.tse egli
prima divorato i suoi cani, non sarebbe per gli
istrioni argomento di giuoco sulla scena.
a.
Temi che non li manometta ? Ti farai libero
quando vengati latto trovar in Roma per quel-
uomo s avido, un numero d schiavi che ser
va in tua vece. Se non ti doner la libert, fuggi
rai, ove tu ascolti il mio consiglio. 11 tempo striglie
appanni e sar precoce la fuga ?
3.
E che ti resta a fare iniziato solo nelle lettere
di Minerva ?
4.
Se possiam oggi dilipidare nei foro a pien me
riggio ci che dovuto al popoli.
5.
Qui prof umo per le nar, qui dol ci sonni di
Napidi.
86.
/ f u n e r a l i di Meni ppo.
Menippo, quel cane s nobile un tempo, qui,
nel ricurvo seno della terra, die^in ad<lio agli u o
mini tutti.
a.
Jn uno stadio cartaceo celebro gli agoni fune
rali ; un dabhen uomo che vi si meltense delPani
mo, proverebbe gueto maggiore djl pancrazio de
gli stoici che da quello degH atleti.
3.
Ncir interno almeno, si contenga questo .ipirto
tormentatore. Ma esso lien gli uomini in aiTanni,
che di lui paventano pi che il tintore dtll' allocco.
4
Ma come un cane senza coda.
5.
Diogene sapeva di .lettere quanto bastava per
proprio oso e quanto si richiede per trattare
colla gente a modo.
G.
Si ritir nelle parti interne del di dietro
della casa u riposti.<(Smo r> ooir.e dire Plauto.
7 7
I KAVIMtNII OKM.R SAHUK Mfc,NIIM>l.l.
7 (7' 7) (^' 0 o 6 ' 4)
u Uhi iubel, ire licei trcubilom ! vt Acci li stre-
uo subsilimus, quod esurigo findebat coslas.
8. (9i 8) (Non. i 52, 23).
Inde putidas uvas, acinis electis et comest5,
exlendit in lectis quondam
9 (>5, 9) (Non. 27, i4).
Quod coeperas raodo in uia, narra, ut ad
exodium ducas.
10. (10, i 3) (Non. 542, 1).
Nihil magis decere mulierem muliebri ricinio.
11. (i I, 11) (Non. 48, 17).
u . 10^' ywov'. w
Edones Romam, ut turba incendant anno
nam ; et propter Phagones fcelulum pinguem
aut turdum nisi uoantem non uideo.
12. (12, 10) (Non. 214, 24).
Romam /, non qui in urbe inter
nundinum calumniarentur.
13. ( i 3, 12) (Non. 132, i 3).
Nec pistorem ullum nosscnt, nisi cum, qui in
pristino pinseret farinam.
14. (24, 23) (Non. 492, i 4).
Aliquot Romae sunt, qui cellae ninarias Iruc
tuis cauxa fecerunt.
15. ( 1 8 , 2 0 ) (Non. 48i >3).
Antiqui nostri in domibus latericiis paulu
lum modo lapidibus Rufiundatis, ut umorem ecfu
gerent, habitabant.
16. (23, i 4) (Non. 3o8, 32).
Ut hirundines uirgultig oblitis luto tegulas
fingebant.
17. (22, 25) (Non. 251, 3o).
At in segetibus post messem colligebant stra-
mrnta qui domicilia colerent.
18. (16, 17) (Non. 129, 4).
^ paaimenla et parietes incrustatos.
19. (14, 16) (Non. i 4o, 2).
(lacuna)ria mihi facirs meandrata ft
vermirnlala, et in medio pinges nrbem terrae.
20. (19, 18, 21 Rifse). (Non. 5<4i >).
Sed qaae necessitas te iubet aquam effundere
domi tuae? Si uasa habes pertusa, plumbum non
habes? ad quam rem nobis est confluuiam ? ad
quam rem urnarium ?
21. (17, 19, 20 R.) (Non. 48, 23 ; 488, 5).
In pauimento non audes facere laeonam, at
in humu calceos facis elixos !
22. (20, 22) (Non. i 52, 19,).
No ides in publico ante taberna^ qua po
tt A lor comandi, in tavola ! m A tal invito ci
leviamo di balxQ, perch Ia fame ci frugava acer
bamente le coste.
8.
Spiccati e divorati gli acini, stende le fradicie
uve sui letti un tempo (politi? belli?).
9
Prosegui a narrare ci che avevi poco fa
cominciato per via, se vuoi venirne a capo.
1 0 .
Nulla conviene maggiormente alla donna del
muliebre ricinio,
1 1.
. . parte dai piedi dell'Atlante (con
corrono) i Ghiottoni iu Roma per incarire, col
gran numero loro, i viveri ; ed, per questi
Pacchioni, che non si vedono, se non in aria, i
grassi beccafichi e i tordi.
12.
(calavano) a Roma in numero quanto
arena, non a seminar calunnie nella citt du
rante il mercato.
1 3.
N conoscessero altro pistore che quello, il
quale pestava il grano al mulino.
.4.
V ha chi costrusse in Roma cantine per trar
ne guadagno.
1 5.
I nostri antichi abitavano in case ammatto
nate, dove leggiero strato di pietre poste prr
fondamento teneva lontano umidore.
1 6 .
Formavano le tegole con virgulti coperti d
fango, suir esempio delle rondini.
7
Fatta la mietitura raccoglievano nei campi
la paglia per ornanie le case.
18.
Pavimenti a mosaico e pareti incrostate.
9
Mi farai un rotondo soiTitto a meandri e
tarsie, e nel mezxo vi dipingerai i] terreilre
globo.
20.
li qnal necessit li stringe di lasciar scorrer
acqua in tua casa? Se i vasi son forati, non
hai piombo? Perch abbiamo gli scoli? Perch
V urnario ?
21.
Tu non ti senti di fare una pozza nel pavi>
mento, ma sopra un suolo di terra che ti ba
gni i calzari !
22.
Non vedi la straba di nanzi alle I xi l t eghe dov e
DI . TtRt.NZIO VAIlKONt Tjo
pulus aruhulandu |troiiide ul iu aralo purcas
reildil ?
23. (21, 21) (Non. 1G9, 10).
Non iiiJes io magnis peristylis qui cryptas
domi non babenl, sabuium lacere a paritle ul
in xysli s, ubi ambulare possiot 7
24. (8, 24) (Non. 4 16, 17).
Haec Numa Pompil ius fieri si uideril, sciet
suorum insl itulorum nec uolam nec uesli};ium
apparere.
LXXWIl.
T e s l a m e u I u m.
1. (j) (Non. i 58, i 3).
Sic ille puellus Veneris repente Adoii
Cecidit cruenl as olim.
2. (3) (Non. 77, 27).
Venio nunc ad allerum genus testamenti,
|uod dicitur physicon in quo Graeci belliores
quam Romani nostri.
3. (2) (Non. 478, 17)
t mea nalis, quos Menippea hae-
resis nutricata est, tutores do u qui rem Roma
nam Laliumque augiscere uullis.
4. ( 4) (Gellius, 111, 16, i 3).
Si quis mihi flius onus pluresue in decem
mensibus gignuntur, ii si erunt ovoc , exhe
redes sunto. Quod si quis undecimo mense
' > natux est, Accio idem quod Titio
ius esto apud me.
LXXXVIII.
Tilhonm.
[ / ].
1 (1) (Non. 193, 9).
Qud uuluplate aeuitatis extimam attigit mclam !
2. (2) (Non. 123, G; 44^i '^)
. Quam dereliquit multicupida iuuenilitas.
3. (3) (Non. i 56, 18).
Ar mammam lactis sujuei^lcm paKere pupum.
4. (4) (Non. 199, a5).
Sic inuitala matura anima corporcum curti-
rem iacilc relinquit.
il populo coi camminare forma delle aiuole come
in un campo ]>er cui sia passato aratro?
23.
Non Tedi che quale non abbia luoghi coperti
in casa, sparge la sabbia nelle spaziose loggie, come
s' usa nelle terrazze, i>er poter ivi passeggiare ?
4
Se Numa Pompili o Tosse testimonio di questi
falli, conoscerebbe che delle sue istituzioni
sparita anche ombra.
87.
// testamento.
Cosi cadde un tempo Adone il crudele figlio
di Venere.
2.
Vengo ora al f altra specie di testamento che
si dice u fisico, rt in cui i Greci sono pi equi
che i nostri Romani.
3.
Ai figli della mia passione del l invidia, nu
trichila dai Menippei precetti, assegno per lulori
voi cui sta cuore la grandezza di Roma e del
Lazio.
Se mi nasce un figlio o pi d' uno entro i
dieci mesi, questi se scemi, sieno diseredati.
Che se me ne nasce alcuno nell undecimo mese,
come pensa Aristotel e, fieno tutti, per mia parie,
pari nei diritti.
88.
T itone.
[della vecchiaja].
I .
Con qual piacere tocc estrema meta de
gli anni !
Cui abbandon la giovent che si pasce di
brame.
3.
Nutricare il bambino che sugge il latte dalle
poppe.
4.
Cos invitala, anima gi Irolla abbandon
senza sforzo li corporea corlercia.
1 ULLLt SAIIUL MLMPPLl
952
5 . ( j ; (Non. 1 7 ).
iDulhim lusi roodire iambu.
LXXXIX.
T iT i -ti;
[wfpl >].
1. (i) (Non. 71, 3o).
Tu quiilem ut taceas renseo, qiionani tu quo
que adliuc adoiescentiaris.
2. (a) (Non. 216, 4)
Ncc niullunumraus piscis ex salo caplus
Helopt, ne(|ue ostrea illi mago captala
Qui ui l paliitum suscitare.
3. (3) Non. i 5G, 26).
li CgrnJo aulem et scribendo uilam procudito.
xc.
Trari l'cv.
[ntpc ].
1 . ( i ) (Non. 344, 1).
;\o liberos parare mi necesse si i ?
Non est inerum hoc, ut edepol quid simuics tuis? (?)
2. (2) (Non. 77, 22).
Annos roullos quod parere ea non poterai, mu
lierem foras betere iussit.
3. (3) (. i 8 i , 12}.
An eliarnsi audisset, reddere potuisset mulieri
tctricac? ducat ad Appiam, moribus bonis
( uirgineiii ? ).
4. (/|) (Non. 9, 5).
Quare si divum gens es ad amussim, per nie
licci idsuroas / cvray .
XCI.
Tpixefpawf.
(Appianus, Bel l . Civ. 11, <j).
it K al oWt fi i i i ri nact *
r i ; .
9^
^ t|>t)'xf / Tptxoipavov.
Kisi multo, scberiai modeiatu coi giuinbi.
5.
8 9 .
L ' umjueilo iopra le lenlicchie,
[della beala veccbiaj].
I .
Sull di parere che tu debba una volta tace
re, poich seguil i ancora a farla da fanciullo.
9 .
N elupe, pesce che trail o dall' onde pro-
ciu;cia assai ben grossi guadagni, n la grande
ostrica per lui pescata, pot stuzzicargli il palalo.
3.
Leggendo e scri vendo lira in lungo la vita.
00.
Quale il padre, tale i figlio.
[del generare i figliuoli].
I .
iMa chi stretto da necessiti di generar
f igliuoli? Non ci solo per darla a bere a
luoi ( ? ) ?
2.
Coroand alla donna d'andarsene perch per
multi anni non n avea avuto figliuoli.
3.
L*avesse pure udi to, avrebbe potulo rendei(li)
ad una donna austera? Li conduca ad Appia
(vergine) morata.
4-
Se ripeti quindi la tua origine propri o dai
numi, mettili, di'* io non ci ridico, fra i figliuoli
di Giove.
9 1 .
Tricipiie,
li questi tre (Cesare Pompeo e CrasSo) a
tulli soprastando in potenza, si conferiroDO a vi
cenda gli uflci dello Slato. Uno fra gli scrittori di
lor gente, Varrone, volendo abbracciare questo
accordo in un l i bro, lo intitol .
753
DI I I IU NZIO VAHKONK ;54
XCII.
Tp/eJiTi v pi r f Mf .
[iTipi >}].
I .
(Scruius ad Ferg*Geor^. 1, 34).
u Varr laiiurn a l te legisw Eropedoli rao cui
dam Syracutano a quadam potestate diuina mor*
(alem asprclum deiersum eumqu<; inler cetera
tres portas uidisse tresque uias : unom ad
i gnum scorpioni^ qua Hercules ad deos itte di
ceretur; alleram per limitem qui est inter leonem
et cancrum ; tertiam fie inler aquari um et
piices. n
2 . ( i ) (Non. i 6G, 4)
Pi i us quam in orchestra phythanles inflet
tibias^ domi suae ramices rorapit.
3. (a) (Non. 4>* ; i o 5, 3o)
Sed ut eqnu qui ad uehendura est natu.%
laroen hic traditur magistro ut equiso doceat
tolutim.
4. (3) (NoO. 4 10, 2).
Illud uero quod animae meae [insidet]
Vt ego non metuam Tulmen, non aruipicem
Tri stem, simul ac diiril, quaero.
5- (4) (N'n. 2o8, 6).
Nec coruscus imber, alio nubilo cadens multus^
Grandi ne implicatus albo.
XC III.
T P I 0
[wipc ppcv6Tr<Te?J.
I . ( 1 ) .
(Charisius 1, p. 8o^ 11).
u Calamistros, Cicero in Oratore masculine
dixit, et Varro de scaenicis originibus u hnnc
calamistrum ; sed idem ( u calamistra
et Planius in Curcul ione u pecten, speculum,
calamistrum meum, m
2. (2) (Non. i 3 i , 29).
Kgo nihil, Varro, uitleo; ita hic obscurat qiii
ante me nescio qui longurio.
2.
L ' uomo in un irivio e fra ire porle.
[ d e i r acquisto della virt].
I .
tt Tuttava attesta Varrone d' aver letto, che
un Empedoli mo di Sirarusa ebbe, per opera di
non so che dio, pur^'alo lo sguardo mortale, e
che Va altre gli si ofl*r5ero allo ngiiarlo tre
porte e tre una verso il segno dello scor
pione, per cui si diceva esser passato Krcole
quando sal fra* numi ; l' al tra. Ira il leone e il
cancro; la terzi , fra l ' aquari o e i pesci, w
a.
prima che il sonator di tibia gr nfi il suo
istrumento oelP orchestra, si squarcia in casa i
polmoni.
3.
Anche il cavallo nato al corso, eppure si
d al cavallerizzo perch gli insegni a prender
ambio.
4
Tosl o che egli ( aruspice?) romincia a par
lare, io vo' investigando per quali disposi zioni
del mio spirilo io non paventi n il fulmine, n
il dotto aruspice.
N la lucicante pi oggi a che cade in copia
dal l ' al U nub, misla candida grandine.
9 3 .
Priapo.
[della virilili].
f .
u Ci cerone nell ' Oratore adoper cal ami stros
in genere mascolino, e Varrone, nel li bro De
scaeni ci s o r i g i n i b u s u hunc calamistrum; n
ma egli stesso nel < ha u calamitra e
pi anto ne! Gorgoglione u pcrteii spectdum ca-
l.iniixtrum meiim. ^
2.
lo per me nulla veggo, o Varrone ; tutta la
luce mi ruba cosi ni che mi innaiiii lungo
(ome una picca.
S A i i R f ^ U . N i p p R t , ni IVI I r . a V a r b o n r .
I DLI .Lfc SATI HE M t.M PPtL 75t
XCIV.
F i a ! i a,
[wfpl ^.
(Non. 7, 27).
.Elenio) sic uiJe : utrum niercetiem accipit
is qui meas uenit segetis ut arrial, an ego ob
itio? Sic ego cum tuus sim artor, si tu plus
lahuras quam ego, do.
xcv.
Firguia dmina,
1 . ( 1 ) (Non. 47^ i 3).
Primum uenit io urbem atque intra muros;
ileinde accedit proUins atque introit domum, id
el inlr priualos muros.
a. (2) (Non. 7, 9).
Lt pullos peperit fritinientis.
3. (3) (Non. 336, 19).
Quos non lacte nouo leuata pascat.
4 (4) (Non. 2G4, 26 ; 33. 3).
Sc4l pancarpineo cibo roacto
Libamenta legens railuca uii tus.
5. (5) (Non. 336, 5 ; 629, 8).
A*l qnof tum uotucris uenit pusillos
Usque ad limina nidica esca uilis.
6. (6) (Non. 537, 6).
Non quaerenda est homini, qui habet uirtu-
leni, paenula in imbri.
7. (7) (Nun. 478, 2).
Praesertim cum uentrem meum coberceam
ni c i!iurmurari paliar.
8. (8) (Non. 223, 29 ; 538, 20).
Curo neque aptam roollis umeris fibularo sa
gus ferret.
9. (9) (Non. 55o, io).
Oleum in lucubrationem ierubirous, quum
in sparagi>s toium lecythum euerlamus.
10. (10) (Porphyrio, in Hor. S^rm. 1, 8, 4^)
Kgo nunc posttdeni Agamemnon meum !
'l aniis cothurnis accepit Crithonia c.nliandrum.
94.
Le F inatte.
[dei piaceri].
Ma la questo conto: riceve fa mercede chi
viene nel mio campo |>er serchiarlo, o io da l ui ?
Cosi seminando nel tuo campo, la do io a te :
se il tuo lavoro supera il mio.
05.
L a verga magica.
Prima viene in citt ed entro le mura, poi
sempre pi si avanza ed entra in casa, cio a
dire, entro le mura privale.
2.
E partor i pulcini cinguettanti.
3.
Che ha a pascere senza esser confortata di
nuovo latte.
4.
Ma il vitto (provvede) ammollendo ogni sorta
di frutta che raccolse cadute dalle libagioni.
5.
L venne allora (ino alla soglia del nido a
a picrioletli uccelli usata e<ca.
6.
L' uomo virtuoso non lo coglic mai la piog
gia senza il mantello.
7
Specialmente tencudt in in dovere il mio
ventre, n consentendogli di mormorare.
8.
Non coraportandu il lanoso sago una fibbia
adatta agli omeri.
9
Risparniicremo f o g l i o per la vegghia invece
di versar tutto orciuol o sopra gli asparaghi.
lo.
Che mi v<*l^a io ora al mio Agamennone ! C o
s troiii i parlando, Critonia si adatt la par
rucca.
7>7
1)1 . IKIiKNZiO VAliUOM
1 I.
Tpc^J^v.
(Gellius, XIII, 3 i).
Noli uii lcs Miiesilhcuin scribi tria ge>
tiera esse aiui, iitgruni album medium quo<] uo
cMi t xtp^v; el nouuni uelus medium? el effimere
iiigrurf) uiris^ a bui n uriiiain medium <; no-
uum refrigerarfi uelus catefiicere.) lordidm esse
prandi um caninum?
E X N C ERT IS SAT VRS.
I. (Priscianus, IX, p. <8, 7 ; f\).
Capil e permulso.
} 2. (Non. loo* 1).
Qui d milii i omno si dormi lio tollitur.
t a. (Non. 66, 23).
Quid miruni ? ex agri depolilioiiibue eiciuii*
tur, (lic iu cenaculo polito recipiuntur.
f 4 . (Non. 59, ao).
Ilercle si iam in regiam arcam iin|tancraranl...
f 5. (Servios in f^trg, At n. 1, 44)
Trisulcae forei
PessuJis liberaUe deKitcont g m e s ,
Alqae inixae (aercac) in caraDuAi turbine
Tai dos. . . .
G. (Sergius in Donatum^ p. S64> 7 fc^d. Keil.).
Iluie similis (ex) curi s expedita lamentatur.
f- 7. (Macrob. Saturn. V, ao, i 3).
u ^ autem seorsum pro multis
Varro saepe in Menippeit l u i i posuit.
+ 8. (Non. 206, 24).
Ful i oeol um oeuti o, ut est in proaerbio quo
Varro utitur saepius: fulmenta leLtom scandonl.
-j* 9. (Seneca, , c. 8).
u *(< i^< non potest esse : ovxt
& -. Stoicus ? qno-
modu potest rotundas esse, ut ait Varro, sine
apite, sine praeputio? ^
10. (Tertullianus, Apologet, c. i 4).
ti Sed et Diogenes neicio quid in Herculem
ludit, et Romanus cynicus Varro trecentos loues
(siuc luppitros dicendos) sine eapitibus introdu>
d i . (ldm ad notiones^ 1, 10). u Sed et Dio
genes nescio quid in Herculem lusit el Romani
stili Diogenes Varro tiercii los loues (seu luppi-
teres dirrndum eil ) sine eapitibus indurii.
90.
l / n cane a ma n t e de W acqua.
Non vedi che Mncsitco scrive ci serti <^
sorta di t h O) il nero, il bianco ed uno di e
tiene d' ambedue, del lo ro*se}!giiinle ? il nero
serve alla nutrizione^ il bianco all** orina, il nw-
seggianle alla digestione : il nuovo rinfresca, il
vecchio riscalda^ quel di mezi o insipida.
DA SATIRB INCERTE.
Ac r ami al a la tr^la
2.
<he ha a far con me il snniio. se rn* negato
il dormi re?
3.
Che meravigli a? Non li vogli ono a coltivar il
campo^ li accolgono nel polito tinello.
4.
Davvero che se di er' Tassalto alla regia rasia!
6.
ferree pouderose trifulclie porte, liberate
dalle sbarre f|iaianransi fissate nei lenti perni.
G.
A coUui simigitanle, levala d*aflan i, si lagna.
7*
u Varrone spesso nelle sne Meii ippee, allonlag
nandosi dal modo comune, ier dir molti * u<
u deu>i tome polvere.
8.
Trovasi fulmtntutn al genere neul ro, come
nel proverbio di cui fa uso assai frequente Varr o
ne lectum scadunt,
9
u Dio Kpi<rureo non pu essere : questi n si
prende, ne d brighe. Stoico? ma come pu essere
rolondo, dice Varrone, sema rapo, senza pre
puzio?
IO.
u Ma anche Di ogene si prende non so che
giueco di Ercole, e Varrone, il cinico romano, in-
trodare trecento Gi ovi (o Gi upi tri ) senza lesta. ^
Lo stesso, nel libro A d nationes^ I, 10: u Ma
anche Diogene lancia non so che scherzi su t r c o -
le, e Varrone, il Diogene di Roma, mette in scena
{ me n t o Giovi (o Giiipiiri) *eni.i capo, rt
Ut LLb . SA I IUF. MENII'I KI; 1)1 M. . VAKRO.NI.
l* i f . (Diomedes, I, p. 871, 23).
u Haec ile quatluor coiiiugalionibus, quae
perlinent aJ uerba, quae aiialugiac pareiit, qua-
niin Mem|ila passim perscripta suiit et suul
I l o t a . Quae si quis cuiiceperit animo, non facile
labetur. Suul enim eviJenler expositi (et Laci>
lio) et Varroni Menippeo. n
12. (Arnobius, Vi, a3).
Vbi (lenique Apollo (lininn., cura a pira
tis roaritimisque praedoibus et spoliatus ita est
et i oensus, ut ex tot auri ponderibus, quae
infinita congesserant saecula, ne unum qnidem
babiierit scripulum quod u hirundinibus hospi
tis. Varro ut dicit Menippvus, ostenderet?
-{i 3, (Augustinus, De musica^ IV, i 5).
Ver blandum Tget aruis (el) adest hospes
hirundo.
4 (Incertus, De generibus nominum^ 263).
u Pelleum generis neutri ut Amarro w est tibi,
inquit, si festinas, pelleum.
f i 5. (Idem, p. 269).
Porrum genens neutri ; sed Varro u ponon*
tur tenues' porri.
f I6.BYI1RA.
{Placidi glossae apud Maium class.
auct, JJI, p; 437).
u Burrae uatroniae ( uarronianae ? ) ; fatuae
et stupidae ; a fabula quadam Vatronis ( a sAtura
quadam Varronis?) tuctoris quam Burra inscrip
si t; uel a meretrice Burra. n
f -iy. CAELEBS.
(Non. 195, 25).
Galli coroporiani carros, acervaliraque po
litos . .
u Questo delle quattro coniugaiioni dei verbi
che obbediscono alle leggi delP analogia, e; al -
P occasione ne anccammo gli esempii, e sondi
gi noti. Chi li avr ben iiupressi nella mente,
non preoder errore facilmente. Ne trattarono
assai chiaramente ( e Lucilio ) e Varrone Me
nippeo.
12.
tt Dove finalmente il vate Apollo, il qoale, do>
po spogliato e incendiato da'corsari e rubator di
mare, per modo, che di tanta massa d' oro ac
cumulala da numero senza numero d'anni, non
gli a?anz un picciolo da mostrar, come dice il
Meoippcu Varrone, u alle ospiti rondini 7
13.
Spira sui campi blanda. prinia?era : gi si
vede l' ospite rondine.
14.
u Usasi pelleum al oeutro, come Varrone in
questo passo est tihiy inquit^ s i festinas
pelleum.
15.
"Porrum tit genere neutro : ma in Var
rone : ponuntur ienues porri.
16. BURftA.
Le Barre ?*(ronie ( f ) ( TarroniancT ) tono
stupide e inette : U ragione del nome a ripe
tere da una comiBcdift di Vairone, Burra (da
usa satira <11 Varione (?) >Bmrra^ o 4ella mere
trice Burra.
17. CELIBE.
1 Galli cooducooo i carri, e ammonticchia
tili
FRAMMENTI
DEI LOGI S TORI CI
DI . TERENZIO VARRONE
Uicus.
[de naraeni (?)].
(Censorinut, 2, 3 teq.).
u ScHicet al Varr Icstalnr in eo libro coi
ltolus ett AUicas et eit de iiumerii, d morii
inflilulique roaiorcf nutiri lenaeruot, ut com
die OBlati roonai aonal genio loluerent, ma
nam a caede et sanguine abslinerent, ne die qua
ipti lucero accepiiient, aliis demerent. Denqae
Deli ad Apolliois genilorif ai am, ut Timaeus
aoctor eif, Demo Koalbm caedit, lllud eliam io
hoc die observandum, quod| genio factum ne-
mineit oportet ante gustare quam eum qui fe-
erri.
11.
Calenus.
(Servium'/ ./e/i., IX, 53).
Duces cum primum lioslilem agrum introi
tum ierant, ominis causa prius hastam in eum
agrom mittebant, ut castris locum caperent.
i .
Uico,
[dfi numeri (?)].
u Cj ome fa fede Varrone ne! libro cbe io-
titolo Atticus<i e tratta dei numeri, i nostri
maggiori ebbero in costume, e si forioarooo
una legge di tener nette le mani dalle stragi e
dal sangue nel giorno natalizio in cui facevano
annuo sacritiio al Genio, per non tur ad altri
la Tita nel giorno in cui Tayran essi ricevuta.
Da ultimo, ne attesta Timeo, che nessuno sgoiza
titiime in Dtlo all ara di Apollo genitore. L
questo altres da guard^ire, che nessuno gusti
delle cose offerte al Genio prima di colui rhe
le offerse.
2.
Co Uno,
I .
I capitani, al primo por il piede in ^crra
nemica, vi lanciavano per trarne augurio nn'asia,
prendevano il luogo per raccampamenlo.
terra
e COSI
i HAMMKMJ DIJ I.UGISTOlUCi
;<ii
Cut US,
[Ue liberis educandi].
I . (Non. ^7 e. Q. adniDlc.)..
Qtiod petsli ut eiug eduotii onis ftcreiH Ubi
socius, quosd potui adrainiculaui luani votuota*
tera scribendo.
. (Non. 1 4 1 J . e.
Ex quo pfrspcQdm est roiorem curani ha
bere noi maisuppii quam viiae nostrae.
3. (Non. i 3 i s. u. ioexl.).
Mala enim consueludo diu inroborata est
inexlinguibilis.
4. (Non. 494 . pueril.).
Velim^ meheircules, inquil, ipse usu magno
puerilitatis formulani audre.
5. (Non. 44? s u. educ.).
tlducit enim obstetrix, educai nutrix, insti
tuit pedagogus, docet magister.
. (Non. 35a e. u. numtro).
Ut qui conlra celeriler erant nati, fere Nu-
merios praenoioinabant, quod qui cito facturum
quid se ostendere tolebal, dicebat, numero id
tore; quod etiam in partu precabantur Nume-
riaro, quam solent indigetare etiam pontifices.
7. (Non. 167 s. u. rumam).
Hisce Duminibus lacte ftnonuino: Quninae
propter conas, Ruminae propter rumam, id e#l
prisro focabulo mammam, a quo subrumi nunc
dicuntur agni.
e. (Non. 494 i. u. anuis).
tam nutricem oportet esse adulescentem ;
anuis enim ut sanguis deterior, sic lac. Lac
enim, ut quidam dicunt physici, sanguinis spuma.
0 (N^on. 3o8 5. u. Angere).
Magnum est enim, ut Ariston scribit, in
primordio pueruli, quemadmodum incipiat fingi;
a<l id quasi euadct.
10. (Non. 108 s. u. Educam).
Cura primo cibo et polione initiarent pue
ros, sacrificabamur, ab edulibus Educae, a po
lione Potinae nutrici.
11. (Marrob., Sal. III, G, .5).
Nutrix haec omnia faciebat in uerbenis ac
iubis sine hostia, ut Del ad Apollinis Genitoris
aram.
12. (Non. 5d2 s . u. turunda).
Alii atitenini lilimn ao liininilam.
I I I .
Cato,
[deir educatione dei tgli].
I.
Con quella acrtttura mi i k i Mai, Secondo po>
lere, di fare il piacer tuo, di Tenire cio, come
mi hai pregato, compagno alP opera della sua
educatione.
.
Ci mostra pi chiaro della luce stessa, es
serci pi a cuore la borsa che la vita.
3.
Alala usanza da lungo tempo abbarbicata non
si sterpa.
4.
Vorrei da?vero, disse, a mio grande vantag'
gio, udire per quanti gradi passa un fanciullo.
5.
Poich la le?atrice raccoglie, la balia nutrire,
il pedagogo informa, il maestro insegna.
.
Se alcuno nasceva con parto assai spedito,
avea quasi sempre il soprannome di Nomerio,
perch, chi rolea dar a vedere che si sarebbe
presto sbrigato d qualche cosa, usava la for
mula numero id fore,, e perch inoltre nei parti
supplicavano a Numeria, cui sogliono invocare
anche i pontefici.
7
Si fanno sacrificii col latte, non col vino, a
questi numi : Cunina, che il nome ha dalle.u)e;
Rumina, da ruma^ vocabolo aulico di fnamtoel
la, per cui a* d nostri ancora gli a^velli dicousi
sub rumi
8.
La b<ili(a uol essere giovane: ch il Ulte
come il sangue delle atlempfeic mea -sieroso.
Difatto il latte, al dire di alcuni che si conoscono
nelle cose di natura la spuma del sangue.
9*
cosa che imporla assai, come scrive Ari
stone, il primo formarsi d' uu bambino ; come
s torma, per lo pi lai riesce.
10.
Quando porgevano a fanciulli tii il primo
cibo e le prime bevande, di parte di questo cibi
tacevano un sacri tizio ad Educa, di parte di que
sta l)cvaiida a Potina nutrire.
1 1.
Tutto questo era dalla nutrice cou ver
bene e con tubi senza vitlimr, come in D<lo
air ara di Apollo Genitore.
13.
Altri portano la focaccia e la toronda.
765 1)1 . ThRIiNZIO VARKONl :
)Ci>
i 3. (Non. 53a).
u Slatilinuin et Slataniirn et Fabulitiam pre
idis Deos V^arro Ceto ad de liberif educandis
puerilitatis at'firmal : Vii Statano et Slalilino quo
rum nomina habent scripta pontifces, sic cnnr
prirao fari iacipicbaot^ sacrificabant diuo Fa-
bulino
14. (Non. 81 e. o. buas.)
Cuni cibum ac polioneiD buas.ac pappas
uocent t t inalrem roanimam, patrein lalam.
i 5. (Non. 494 u. praecani.).
Ut faciunt pleraeque, ut adhibeaot praeeaa-
trices nec medico ostendant.
16. (Non. 201 s. u. cepa).
Ut cibo utalur modico et idoneo, ut vitet
acria, ut est sinapi, cepa, aliam.
17. (Gellius, 1\ 19).
tt Pueros impiibes compertum est, si plurimo
cibo iiimioque somno uleirnlur, hebetiores ftrri
ad lieterni usque aut eluci tarditatem, corpora*
que eorum improcera fier^minusque adolescere.
Idem plerique alii medicorum philosophorumque
et !VI. Varro in logisiorico scripsit, qui inscrip
tus est Calus ant de liberis educandis, n
18. (Non. io8 s. u. ecul.).
Fortuna se illos oon natura praeslare, si
quid his datum sit esculentum.
19. (Non. fu8 i . u. ephip.).
Mihi pueru modica una tuil tunica et toga,
sine fanceis calceamenta, ecus sine ephippio, bal
neum noii cotidiaoum, alveus rarus.
ao. (Non. 179 s. u. terta).
Alii ita sunt circumtonsi et teiti atque un
ctuli, ut mangonis esse uideantur serui.
ai. (Non. 94 s. u. cirros)
lta<|ue Ambraciae primum capillum puerilem
demptum, item cirros ad Apollinem ponere
solent.
aa. (Non. 363 . a. protel.).
Hemolisiimum ad discendum formido ac
nimius limor et omnis perturbatio animi; contra
lelectatio protelat ad discendam.
a3. (Non. 5oa dat. pro abi.).
Non solum qui primug io allerutn re prae
stet alios, sed etiam qui sit secundus tt tertius.
2^. (Nom. 5ao s. u. modestia).
Omnia, inquam, in docendis pueris, quae
dempt a non prohibent uerum bonum Heri, mc'
diociia sunt.
25. (Non 2i3 u. melos).
Omnes cnini qni Intuiitur habere dchent
f|iio:iddni melos.
iJ.
u Varrone, nel Calo o delf educazione dei
figli, afferma che Statilino e Statano e Fabulino
erano dei che presiedevano all infanzia. Co j
sacrificaTano a Statano e a Statilino, i nomi dei
quali sono scritti nei libri de' pontefici : e quan
do snodavano i fanciulletli la prima volta la
lingua, a Fabulino.
' 4
Chiamano il cibo e le bevande bombo c
pappa, e la msdre mamma, e il padre tata.
15.
Come fanno molte di consultar le indovine
per tacersi col medico.
16.
I cibi sien pochi, ma opportuni ; non usi
degli acri, quali il senape, le cipolle, Taglio.
U L fallo, che il mangiare e il dormir so
verchio negli impuberi l rende cos fiacchi da
star a paro rolla mollezza di chi torco da le
targo o sfibrato, e che il corpo loro rattrapiscc
e non si fa gagliardo. Tanto fu scritto da pa
recchi medici e filosofi e da Varrone nel
logistorico Calo o delP educatione de' figli. ^
18.
tutto merito della fortuna, non della na
tura, se ad essi fa data alcuna buona cosa
nutrirsi.
i g
l fanciullo non ebbi che una sola e raoile-
sta tonaca e una Ioga, calzari senza fasce, cavallo
senza sella, bagno non giornaliero, tavolieri da
giuoco, rado.
ao.
Altri sono co> tosati, e lisci e imbellettati
che sembrano al fervizio di chi fa comraertio
di schiavi.
ai .
Usano per questo in Ambracia di deporre
suir altare di Apollo i primi capelli recisi dal
fanciullo,.ed i ricci.
aa.
Grave impedimento all' imparare sono la pau
ra, il timor soverchio e qual sia turbomentp
d*animo; d'impulso, invece, il gusto.
a3.
Non solo chi nell' una cosa e nell' altra il
primo, ma anche chi secondo e terzo.
a4.
Tutto ci, dico, di cui facendo senza nell* e-
ducazione dei fanciulli, non toglie eh* essi rie
scano veramente buoni, <li pregio mediocre.
25.
Non si p u parlare senza un qual che gor*
{hcggio.
HUMMliNTJ UtJ LOGl SrOl UCI
96
aG. (Non. 77 s. u. Msa voce).
Melus allerum in cantibus eit bipertitunV,
unum quod est in atsa uoce, allerum quoJ f o
cani organicom.
27. (Non. 395 I. u. siccum).
Persae propter exercilalioues pueriles modi*
eas eo sunt consecuti corporis siccitalero, ut oe-
que spuerent aeque eraungerenlur sulflatoue cor
pore essent.
38. (Non. 88 s. u. cibar.).
Vvl maxime illic didici et sitienti uideri
aquam muUom, [et] esurienti panem cibarium
siligineum et exercitato, somnum suavem.
29 (Non. 168 s. u. reiculas).
Kt ut in grrge opilio oues minus idoneas
remouere solet, quas reiculas appellant ; saepe
enim unus puer petulans atque impurus inqui
nat gregem puerorum...........
3. (Non. i 33 s. u. lusus).
Ab huiuscemodi lusionibus radices crudclitat
agere solet.
3 i . (Non. 94 s. u. catellos).
Quare meliusculae coosuetudinis puerilis il
lorum, qui suis catellis ministrant quod edaot.
32. (Non. 542 s. u. eocomb.).
Ut puellae habeant potius in uestitu chlamy
das, encombomata ac parnacidas quam togas.
33. (Non. 162 s. u. pium.).
Ktenim nulla q^iae non didicit pingere po
test bene indicare, quid sit bene pictum a plu
mario aut textore in puluinaribus plagis.
34. (Non. 483 s. u. quaesti).
Noo inserunt manus opificio, qui bys<o uel
lino quid faciunt aut palma ; nam liberi quae-
stuis rausa diribunt guas res pueris.
35. (Non. 494 n ntui<).
Itaque domi rituis nostri qui per deum Fi
dium iurare uult prodire solet in compluuium.
36. (Non. 367 s. u. propter).
Id quod postea uirum esse
37. (Gellius, XX, 11, 4).
ifc Sculnam acripium eue in logistorico M.
Varronis qui inscribitur Catus . . . J.auinius . . .
admonet.
2 6 .
L ' altra S|>ecie di melodia nei canti ai divide
in due rami ; uoo il canto non accompa*
gnato da suono, il secondo quello detto iatru-
mentale.
27.
1 Persiani con poco eserrizio fin da lanciuUi,
asciugavano per guisa gli umori che n sputa
vano, ne si sofiavano il naso, n il corpo aveano
gonfio.
28.
li massimamente imparai che nettare a
chi set ogQ rivo, pan buielto 0 chi ha fame
quel di cruschello e ioavc il snnao a chi lia
travagliato.
9.
Come suole il pecoraio segregare le pet*o-
re marcie che chiamano reictilas ; perch spes
so un fanciullo solo petulante e corrotto infetta
un bianco d'altri raociiilli..........
30.
In questa fatta scherii suole metter radxe
la crudelt.
31.
Promettono quindi alquanto pi qu*i fan
ciulli che hanno in uso di dar offj a* lor ca
goolioi.
32.
Le ragazxe scelgano Ira i generi varii di
Testi, clamidi, grembiali, pellicdc d'agnello piut
tosto che toghe.
33.
Poich nessuna, che noo si sappi di pittura,
pUQ giudicare a dovere, quello che sia ben di
pinto dal ricamatore o dal tessitore nei guaoriali
istoriali.
34.
Chi lavora in bisso, in lino n in palma,
come non mettesse mano al lavoro, perch i figli,
per averne un qualche guadagno, dividono le
cose loro tra fanciulli.
35.
Presso di noi per tanto at anu che se al
cuno Tuol giurare pel dio Fido esr^ nel ourle.
36.
E questo che dappoi . . . . esser uomo . .
39.
u Lavinio ci avvert che nel logisto-
rico di M. V^rrouc., C a t o ................ sta scrtto
sculnam,
DI . TKKIiNZfO VAKROM :
7 7 0
Curio.
[ile c]eorum cul l uj .
1. (Augostinii s, De ci u. Z>ei\ VII, 9).
u l o u e r a ........... non alium possunl exisli mare
quam niuudum In hanc senlenli am etiana
(|uosdm uersui Valerii Sorani exponit idem
Varro in eo libro quem seorsum ab iftlis de
cuUu deorum scripsit, qui uersus hi sunl :
Juppiler omnipotens regum rei umque dcumque
IVogenil or geuilrixque^ deum deus, unus et
omiies.
Exponuntur autem in eodem libro ila ut
cum marem exi sl imareni qui semen emil terel,
feminam quae arciperet ; louemque esse mun
dum et eum omnia semina ex se emittere et in
se recipere; qua causa, inquit, scripsit Soranus;
u l uppiter progenitor penitri xque nec minus
cum causa unum et omnia idt*m esse. Mundus
enim unus et in eo uno omnia sunt.
2. (Probus, Verg. ecl. VI, 3 i).
Tres arae sunt in circo medio ad columna.,
in quibus stant signa : in una iicri ptum ic dis
magois, io altera u dis potentibus, t in ter
tia u dis l e r r a e et Caelo. In haec duo di-
uisus mundus.
3. (Augustinus, De ciu. Dei\ VII, 3/^).
Terenti us quidam rum haberet ad lani-
culuni fumlum et bnhulcus eius iuxta sepul
crum Nomae Pompilii Iraicietis aratium eruisset
ex terra libros eiu, ubi satroruni institutorum
scriptae erant causae, in urhern pt-rtulit ad prae
torem. At ille cum inspexisset princii>i.i, rem
tantam retulit ad senatum. .Vbi cum primorea
quasdam causas leissfiit. cur quidque in sacris
l uerit injititutum, Nnn^ae inoitun senatus ad-
sensus est eosquti libros tamquam religiosi pa-
ti es conscripti praetor ut conibureret censuerunt.
4. (Angustiiius, ib. VII, 35).
u Nam et ipse Numa hydromantiam
facere compulsu? est, ui in aqtia uideret imagines
d e o r u m........... a quibu.i audi rrl qiid in sacris
constituere atque ohseruare deberet. Quod ge
nas diuinationis idem Varro a Persis dicit alla
tum, quo et ipsum Numam et postea Pylhago-
ram philoso|>hum usuro fuisie commemorat ;
ubi adhibito sanguine etiam inferos perhibet
sciscitari et * graece dicit vocari .....
Varro illorum sacrorum alias nescio quas causas
uelut physicas interpretatur Quod ergo
aquaro egesserit id est esportauerit Nuraa Pom
pil ius, unde hydromantiam f*cerel, i dto nym-
FbAMMENTI d e i l o Gl i T o R I C I DI M ' I e b . Va h b
Curione.
[lei culto degli dt*i].
u Non possono intendere per Giove altro
che il mondo. Cos interpret lo stesso Varrone
alcuni versi di Valeri o Sorano nel libro che
scrisse a parte intorno al cullo degli dei ; e i
versi soD questi :
Dei re e del l ooodo degli dei
Geni l or, genitrice onoipoesente
Giove, nume de numi c solo e tutti.
Il libro stesso li spiega, giudicando maschio
chi gitta da s il seme, femmina chi lo acco
glie: Giove pt)i e.were il mondo, e lui gitlar
tutti i semi e lutti raccoglierl i, ci che fe di
re a Sorano : u Giove progenitor e genitrice
e con pari diritto, che egli uno e tutto. Poi
ch Il momlo uno, ed in quest uno tutto si
contiene.
2.
In mezzo al ci rco vi son tre are presso alle
colonne: sovr esse tre statue : in una sta Tiscri-
zione : agli dei supremi ; nella seconda : agli dei
potenti; nelP altra: agli dei Ci el o e Terra, i l
mondo diviso in queste due parti.
3.
Un rotai Terenzi o avea un fondo presso al
Gianicolo ; e trasrinando un suo villano l ara
tro non lontano dal spolcro di Noma Pompil io,
ne trasse fuori i libri di lui dove erano le cause
delle sue istituzioni; e li port in Roma al pre
tore. Lettone il principio, egli in cosa di s
gran momento volle riferirne al senato. I pi
principali tra padri, vedute alcune delle ragioni
per cu' ateano avuto origine i sacri riti, con
tennero nel pensiero del morto Numa, e presi
di lel' gi oso tiiiiore ordinarono i padri coscritti
che il pretore desse i libri alle fanime.
4
u Poirh Noma stes.to si trov indotto a
ricorrere all idromanzia per vedere a mezzo del
l'acqua le immagini degli dei . . . . e cosi intender
da essi che bisognasse stabilire c osservare nei
sacrifzii. Il medesimo Varrone dice che questa
specie di divinazione fu portata da Persiaui, e
ricorda che ite usarono e Numa e pi tardi il flo-
sot'o Pitagora, e aggiunge che col mezzo del san
gue si evocano anime de morti, e questo chia
marsi con greca voce oecromanzi a..........Varrone
altre non 10 quali ragioni di que saTifuii riguarda
come f i s i t he........... 1** aver Numa Pompilio fatto
scaturire o'sia condurre ac^qua per ragione dil la
li
77*
FRAMMENTI Dtl IX)GlSTOKIC/
77
pliam Egeriam coniugem dicitur habuMe, que-
inatlmodum in supradictu Varronis exponilitr.
Galus Fundanius,
[le adniiratiJif].
I. (Scrvius, in Georg. I l i , i i 3).
u De hoc Varr in libro <^ui Mirabili um
inscribitur: Eri chtoniura primum qoal tuor iun-
xissc equos ludis qui Panalbenaica ppeHenlur. n
(Philargir. tb.).
u Varro in libro qoi Admirabil ium iscribitur
Ericlhoniom ait primum equos quattuor ienxisse
ludis qui Panatheuaica appellaator. n
a. (Arnobius, VI, 3).
u Templ orum si quaeris audire qnis prior
fuerit fabricator, aut Phoroneas Aegyptius ut
Merops libi fuisse inonfi rabitnr, arit ut trailit
in u Admirandis rt Varro, louis progenies Aeacus, rt
3. (Non. 217 s. u. putei oeutr. ).
Secundo de statiuis aquis, nt l uot lacus et
stagna et putea cl inaria.
4. (Charisius, p. 61, 1 7 ; Prisciaoas, p. 3 3 i).
In mare aquam iVi^idam oriri.
5. (Non. 21*5 s. u. Prelum mascul.).
luter lialiam et Siciliam qui est Iretus inter
Khegium et Messanam.
6. (Macrobius, 111, i 5, 8).
In Sicilia quoque maou capi murenas flutas,
quod eae in summa aqaa prae pinguedine ilu-
lenlur.
7. (Non. 71 s. u. aboriatur).
Vinum quod ibi uatum sil in quodani loco
si praegnans biberit* fieri ut aboriatur.
8. (Charisius, p. 90, i 3 i).
In siloa mea est glis nullus.
9. (Charisius, p. 72).
Magnum mentium.
10. (Non. 220 s. u. papauei).
lul ri ai se papavereni.
11. (Non. 218 s. u. perdica>>.
Perdi car Baeotios.
Laleremis.
(Diomedes, p. 3 6 8 ; Priscianus, X, p.
Parsurus pecuutis bene partis.
idromanzia, die' spaccio alla foce che avesse ii
moglie la ninfa Egeria come parola nel sopra^
del l a libro di Varrone, ri
Gallo Fondanio,
[Ielle meraviglie].
u Di ci parla Varruue nt*l li bro delle u . \f '
ra?igli e; che Eri Ionio, cio, fu il primo ad f-
IVenare quattro c l valli, oei giuochi delti Pana-
teoaici. n
Varrone, nel libro u delle cose AramirabJi, n
dice : che Erittonio, a' giuochi Panatenaici, fu il
primo che accoppiasse quattro cavalli, n
2.
u Se brami sapere chi fu il (irimo a piantare
un tempio, ti si alditer o Foroneo d' Egi tto
o Mrrope, o, come insegna Varrone nel li bro
udell e cose Ammirabili, n Eaco progenie di Giove, n
3.
l o secondo laogo, delVacque senza corso, come
quelle dei laghi, degli stagni, dei p o n i , del mare.
4
I / acqua fredda aver origine nel mare.
5 .
Fra Italia e la Sicilia, ed lo strelto che
di fide Beggi o da Messina.
6.
Anche in Sit ilia si prendono a roano le lam
prede, perch esse sono s grosse che ondeggi-
no a galla.
7
Una pregnante che in un tal luogo beva d
quel vino, vi pei de U vita.
8.
Nella selva non vi ha ghiri.
9
Ditell o grande.
IO.
Aver sfoglialo il papavero.
I I .
Le pernici di Beoii a.
LaUrense.
I c r i in ur b u i dauari beo guadagnali.
75 DI : VARUOM^.
77
Marius,
[ d e F n r l u i ) ] .
I. (Schol. Veron. tn j4tn. VII, ).
tt Hic tCaeculos) colierliciis psloribut Prte*
nelle fandauit. Hunc Varr a Dipidiia i>atluriw
boa educaluiD ipaique DepiJio oomeo fuiase et
cognomeiiluiD Caeculo 1radit libro qni inscribi
tur Marius aot de fortuna.
2. (iVIaerobiaa, Satur. Ili, i8, 6).
u Eat a u t e m natio Homi nur D iuxia agnim
Praencitinum, qui Carsilaui (?) oocanlur ^
, cuius rei meminit Varro in l^gialurico
qui inscribitur Marius de fortuna.
Mesi al a.
[de ualeludiiie].
(Probus, in Verg, ecL VI, 3i).
u Varr etiam in logietorico quero inscripsit
Messala de ualeludine, ait, antiquos agrestes ue-
naodi peritos^ curo pluriroura in siluis agerent,
quod ueluti Diana duce ad inuestigandas feras
solai et deuias siluas peterent, Deuiaiiam appcl
lasse Dean, mox Dianam quod itUelligerent
eandeni esse quae diera nascentibus daret.
NepO.
(Cbarisius, p. 59).
Varr in Nepote praesepes dixil.
Ovesles.
[de insani].
(Gellius, XIII, 4).
u In libro M. Varronis, qui inscriptus est Ore*
stes nel de insania, Olympiadem Philippi uxo
rem fcstiuissime rescripsisse lej;imus Alexandro
filio. Naro cum is ad roatrem ita scripsissct t
u rex Alexander louis Hammonis filios Olym
piadi matri salutem dicit : u Olympias ei re-
srripsit ad hanc sententiam : Amabo u inquit ^
Mario.
[della Fortuna]
u Questi ^Ceculo^ fond Prei)<te con pa
stori ragunaticci. Varrone, nel suo libro u Mario
o della fortuna^ ricorda ch ci fu educato dai
pastori Depidii, e che chiamavasi esso pure De-
pidio, e di cognome Ceculo. t
u V Ka presso Pagro Prenesirino U naaioiie
dei Carsitani c b ' ebbe il nome dalle noci (
) : e lo ricorda Varrone nel logisloriro
u Mario o Iella firltina. >
Mesgah.
[della salutp].
Varrone, nel logistorico u Messala o della
saKite, ^ dice che antica gente di villa, esperta
nel cacciare, passando il pi del tempo nelle
selve, perch, guidala a cos dire da Diana,
s* immacbiava per acovar le fiere in foreste
solitarie e non segnale da alcun* orma, died^
alla dea il nome di Deviana, e poi di Diana,
per richiamarsi che ria Iri i mortati hanno il
giorno.
iVepofe.
sepes.
Varrunr, nel u Nepote, lisse /taer prae-
Ottsie.
[della demenz].
u Nel libro di M. Varrone Oreste o della
demenza si legge una assai festevole rispo
sta di OliUopiadc moglie di Filippo al figlio
Alessandro. Avendo egli scritto alla madre in
questi termini : u Alessandro, figlio di Giove
Ammone, alla madre Olimpiade ; tssa cosi gli
rispose: u Vorrei che In ti Isressi riserbo^ n
. \ )\ .OGISJ OHICI y
Illi fili (|iii( sra5 ix qi i c Kfcras me i i eque cr i r ai -
nere aduersum Iti nonem ; mal um lui l ii pr crsi i i
magnum dj bi i , ( um tu me i Mttrl i l ui s pel i cem
rsse illi c onf i Ui i s.
I fi s.
[.I , ac.].
((clliiis^ l i , 18).
u M. V a n o . in l i bro qiit-m scr i psi t Pi o*
ul f pace, C. Sal l usi i um i c r i pl or em sei iae i l l i us
cl seuerae oral i onl s . . in ai l ul l er o de pr e he n
sum al) Anni o IMilone l uri s bene caesum d i c i t ;
t'I ( nin dedi s sf i pecuni am, di mi s sum.
Scaevola.
( Mi * ( : r o b 115, rie diJj' et soc. Int. K'frh. h ) , 32).
Kk ut ni atrrm ii di ui di cure.
Scaurus.
I. ( Srr vi us, in Georg., 1, 19).
a Cer er i que sacra pr i mus ( Tri pt ol emus) i ns t i
tui t quae ^ gr aece di cunt ut (ait) Var r o
de sccni ci s uri gi ni bus II et in Scaur o.
(Cl i ari si us, p. 77).
u Var r o i n Scauro bal tea di xi t et l uscum
uocabul uMi ai t esse. >'
3. (Id., p. 88).
Gl i i ti um f ei uut Daedal um i nTeni sse.
/(. (Id , p. loG).
Var ro in Scauro pal umbi dici i .
S i s e 7111 a.
[de hi sl nri a].
(Citliius., X V I , j), 5).
Quo ! si non hor um amni um ai mi l i a esset
|irinripi:i ar post pri nci pi a, susque i l eque es.set.
mi mettessi in canzone, o mi cal unni assi a G i u
none : grandi sci agure mi f ar ebbe pi over e a d
dosso, quando tu col l e l ue l ettere ri vel assi c he
i o sono concubi na del nume.
Pio.
[ d . l l a p a r t ] .
u . . . Racconta . V*r r oup, nel l i bro cui c hi a
m u Pi o o del l a pace, 11 che C. Sal l usti o, scr i t t o
re di quel l a seri a e sever a orazi one , . . . . col t o
in adul t eri o da Anni o Mi l one, tu batt uto a col pi
di stafi le di santa r agi one, e l i berat o, dopo pagat a
un' ai ni i i ei i da.
Svevola.
I*. come ho udi t o di r e la madre.
Scarno.
u Fu il pi i mo (Tri pt i i l emo) a fare in onor e tli
Cer er e quei sacr i f ui i detti con greca voce Tesmo-
f o r i c i f econdo sentenza di Var r one nel secon
do del l e u or i gi ni del teatro e nel l o Scaur o,
2 .
u A^arrone nel l o Soauro n us ba l f e Ot r! i c
di ce es s er voce toscana.
3.
Tanno Dedal o i vent or e del gl ut i ne.
4
u Var r one nel l o .1 Scauro scri sse palumbi. ?
Sisenna.
[ d e l l a s t or i a] .
Che se ugual e non fosse il pr i i ni p are e il
pr og r edi r e di tut ti questi l ut t o ne ai i di ehhe n
soqquadro.
777
DI >1. IKUKN/ JO VAKIIOM :
77
Tubero,
[ilt? origine hiimanti].
I. ( Pr obus , in f 'erg. ecl. VI , 3 i ).
Caelum ut lesta, iterti ut nilellura f erra;
inter illa tluo quasi (/ inclusus at^r in quo
oalor.
2. (IJ. i b ).
Iu eoJem eliam libro Varro interpretatur
uitriluiii appellatam, quia generet vitalia.
3. (Censorinus, c. 9).
u Hac CaMeorurn sententia explicata, transeo
ad upiniuneni Pythagoricam Varroni tractatam
in libro qui vocatur t ubero, et intus subscribi
tur : De origine humana . . . . Alit enim |>lerique,
cuni omnes partus non uno tempore fiant ma
turi, una tamen eademque tempora omnibus
conforniaoilis lederunl, ut Diogenes Apollonia-
tcs, qui masculis corpu, ait, quattuor mensibus
furinari, et leraiDis quinque, uel Hippon, qui
diebus LX iolaotem scribit tormari, et quarto
mense caroeni feri cuncreUm, qui nto ungaes
cpil lumquc nasci, sepli mo iain hominem esse
perleeturo : Pythagoras autem quoti erat credi
bilius dixit, partus esse genera iluo, alterum
septem mensum, alterum decem, sed priorem
'aliis dierum numeris contermari , aliis postcrio*
rem. Eos uero numeros, qui in unoquoque
partu aliquid adferunt mutationi.% dum aut se
men in sanguinem, aut sanguis in carnem, aut
caro in hominis figura converti tur, inter se
conlatas rationem habere eam, quam uoces ha
bent quae in musicis ' uorantnr. ^
De moribits.
(Macrobius, Sat. III, 8. 9).
u Varro de Moribus, morem dicit esse in i n
dicio animi, qnem seqtii debent consuetudo. y>
Tanoqnii
[ dc pinlicitia ].
I . (Non. 166).
rSon modo absens quicquam de te sequius
cogitabit, sed ^tiain ruminabitur humanitatem.
Tuberone.
[.Iella origine dell uomo].
Il cielo come il guscio, la terra il tuorh
fra quello e questa imprigionat.i come un umore
aria sede del calrtre.
2.
Nello stesso libro Varroii e sp egj uso latto
Iella vootr x^itellum ddl generare le parti vitali.
3.
u Svolta ({uesta opinione dei Caldei, paso alla
Pitagorica di cui tratt Varrorrt, nel libro che
chiam u Tuberone, >e arreca qual titolo secondo
u Della origine dell uomo .... Poich altri molli,
quantunque non tutti i parli si maturino in egual
tempo, pure assegnarono alla lormazione del cor
po tenpo egual e per tutti, come Diogene Apoll o-
iiiale I he dice : formarsi il corpo dei maschi in
quattro meiti, quel delle femmine in cinque, oti
Ippone che scrive formarsi il corpo in giorni Go,
e il quarto mese iarsi spessa la carne, il quinto
nascer unghie e i capelli, il settimo esser gi
uomo perfetto, Feile maggiore si merita la sen
tenza di Pitagora: esservi due specie di parli,
uno in sette mesi, io dieci Ta l l r o; ma in
numero di giorni differente. E questi numeri,
che in ciascun parto arrecano alquanta lififereu-
za, mentre il seme si tramuta in sangue, c il
sangue in carne, e la carne prende forma uma
n a , Ira- loro confrontali, hanno il medesimo
rapporto che le voci, le quali in musica diconsi
consonanti.
Dei costumi.
V arrone, in quel lei u Costumi, '>'* dice: il co
stume riposare in un giudizio del l ' ani mo a cui
si deve altcnere la c>nsuetudine.
Tanaquile.
[ del l a pudi ci zi a] .
Non solo lontano non penser niente ili
male sul tuo conto, ma rivolgei seco la tuu
cortesia.
DI U LOGI STORI CI 1)1 .M. . VARB()^K
7 8 0
(Seruius, in f^erg. ^t n. ViH, 256).
u Varro De pniHoUit <it, auspices in nupliis
ppellalos ah auspiciis, quae afa marito et noua
nu|)(a per lios auspices capUbanlur in nuptiis, n
De saecnUs.
(Seruiu9, in 'erg. Aen. VIII, 5a6).
u Varro De snecutis audiiuin soiiuin lubae
catlo dicit.
Ex incerto hgUiorico.
(Serviois in Vtrg, Aen. lo).
Salfe et vale secundum Varrouem in lo-
gistoricis synoniroa sunt. ^
(Idem XI, 97).
u Varro in libris Logiitoricis dicit ideo mor
tuis salve et vale dici, non quod valere aut salvi
esse possint, sed quod ab his recediroos, eos
onquam visuri, n
Varrone, in quel dellaupudici i, ndice esser
nelle nozze venuto il nome agli aunpici, dagli
auspicii che per loro ministero erano presi nelle
none dal marito e dalla sposa novella. ^
Dei secoii.
u Varrone, nel libro u Dei secili, dice es
sersi udito dal citio il clangor dt*lla tromba. <*
Da incerto ogislorico.
Secondo Varrone nei u Logistorici, salve
e vale son sinouimi. r
MVarrone nei u Logiitorici n asserisce darsi il
salve ed il vale ai morti, non perch possano
ancora esser sani, ma perch da essi ci stacchia
mo per non vederli mai pi. n
N O T E
L / prima parie d d litohi ri mofllra, che
A^arrne l i al l in (questa Mlira lei primi ahila-
lori d ' i ul i a ; la seconda poi che si spinse a pi
generali osservazioni intorno alla orgine e na
tura della schiatta umana. Uguale iscrizione por
tano un dialogo di Platone e un' opera di De
mocrito, di Siralone e di Zenone.
a. Grundit; le edizioni antiche di Nonio
grunnit.
4. 11 Roeper, perch ne risultasse una forma
metrica, propose la h zione;
..............itaqut hrtui magna tempore
Pars in desiderium puparum et sigillorum
uenit.
Sigilla chiamavaiisi alcune statuette ol ima-
ginclte per lo pi in basio rilievo, da Ora-
zio chiamate Tjrrr/tena, pei che se ne altrihoi?a
agli Etruschi invenzione. Se ne facevano poi
di terra cotta e di bronzo, ma anche d oro e
di argento, e perfino con pasta di farina e di
mele, e si mandavano a regalare specialmente ai
fanciulli, mostra di qu<fste bagatelle trovavasi
parte nella coni detta wa sigillaria^ parte nel
mercato dei sigilli, C09 nel campo Marzio, come
neU'Esquilino. Ricorderemo poi anche la sigila
laria^ festa puhlica, continuazione e chiusa dei
Saturnali (21 e 22 decembre), a memoria delle
offerte fatte da Numa a Saturno di uomini effi
giati in creta, in luogo cUi crudeli sacrifci!
umani da prima soliti a farsi a quel nume. Il
Mommsen ( Hist, Rom. Il, 4 ' ^ ) crede che il
frammento si riferisca alle innumerevoli imma
gini degli dei introdotte in Roma; POe bl e r
i nvece al rimbambire dei vecchi.
5. Di questo frammento, miseramente cor
rono. 110110 |ir'ptslf rnolirpiici rorrei i o In
vece di jactato^ j acta te ( Prellcr ) \ nivece
omnia^ nomina tuo (H. L. W. ) ; nomine tmo
(Reuvcns), (Graveil), natato maria (Pop-
ma), jactato nomen (Vahlen); io luogo di voli
tantes^ voluntatis (.), alios nitens^ altos ni
tens ( H. L. W. ) , altos montes ( Popma); alto
nido^extrudito, vel excludito (Reuveuf). LOIm:-
ler ha data questa lezione, che non so cui
quanto iondamenio si possa sostenere :
Ita
Sublimis sperihus jucta te nomine
Nati volitantiSy altos in deos trudito i
In mezzo a tanta variet di lezioni mal m
poti ebbe stabilire ci che Varrone abbia volulo
sci i vei e e far intendere in questo Irainnien-
to. Dev' eier certo una st*iccata a qualche
anil /uioso: credo sia inutile sofeticare di vai-
laggio. Potrai consultar con vantaggio U Roeper
[Philologus^ 11, 2a5-a3i ).
11.
1 libri di Nwuio allegano questo fiammetHo
sotto il titolo et ratione, 11 Mercerio e Oehier
corressero in erratione^ come se la satira con
tenesse gli errori e le avventure di un viaggio.
Noi abbiamo accettala la conjiftlwra del Vahien,
il quale dalla circostanza che chiamavasi Acthrio
uno degli synephehi della commedia di Cecil io
che da esi ebbe il nome, argomenta che cosi si
appellasse il synephebus di Varrone.
quae. I^a pi delle edizioni, dietro i co
dici, in luogo di aquae leggono aqua icta (H,
L. W. ), aquauictu (Palai ), aqua ista ( Aid ).
\j correzione dovuta allo Scaligero, che pro
pose la lezione praeinnuere in luogo di per
timuerunt, e lo s| >i'g upr r ptc agi r e la piog-
V.N'NOI. Al 1RAMM. DtLLI i SATIKE l)i:i I.OGISIOUICI
7<
gi. V liiloriio Ile auts quertfuedulae {tfutrqtie
fa/ae^ Rie.'c), v. Varmi i f , L. at. V, 7^,
Jll.
L prub^bile di e questa slira, in cut s liisfiu
lava della iialura deli' amore, prendesse il iioroe
da quei r Aliatone di e u tratta cosi acutamente
nel Symposio di Platone. 11 frammento testo ad
(>)! modo ci costrin};e a pen.<are ad un disce
polo di Socrate. I / accennare poi ai versi i'escen-
niui {obscena nerba) e le parole mafores nostri
( t'r. 2), ci mostra che Varrune applicava quelle
dottrine ai bisogni o costumi della propria citt
1. Nuptulae^ nuptae (. . ) ; pe* returant^
restaurant (>V. L.), redurant (Mercerus luuius),
obturant (Popma). Qui si arcenna alia consuetu
dine degli antichi Romani di permettere ai gio
vani che cantassero licenziose canzoni al cospetto
delle fanciulle, quando, (atte fpose, deponevano
la pretesta nel tempio della Fortuna virginale.
2. Abducatur^ abdicatur luite le editioni
da Aldo in poi ; acerbae u Igitur si tamdiu
uirgo est qnamdiu acerba est desinit uirgo esse
rum matura cognoscitur. (Tcrtull. de ue-
o uirg.).
3. . Duloresle (Nake, ap
poggial o alla lezione dei MS. in cui si trova
f^arro Agathone Duloreste^ come te il titolo
della salir Tosse Agatho Dulorestes). Altri {Ca
tal. Bonn. 1822) credono che dopo la |>arola
Agathone ci sia una lacuna, e le segua il nome
Pacuvii.^ come se il frammenlo derivasse dalla
tragedia ro> nominata, di Pacuvio. Ma citando
Nonio immediatamente un' altra satira di A^arro-
ne, con un idem asserisce |)er conseguenza a
Varrone anche questo frammento : fovAonpc-iri,
(Oehier) (Popma) qui meritat
homo se seruum (Gong, di Kaber) hominem et
servum (L. VV. Oehier).
4. Noi abbiamo adutlata la lezione e gli emen
damenti di Vahien ( Conject.^ p. 78). Il Blese
legge : Saepius pedibus offensant^ dum recentes
musteos in carnario fluitare suspiciunt {peta
sunculos). Sebbene la parola musteus possa in
tendersi anche delle torme molli e tenere di cacio
(Vetli Plinio, XI, 97), lulUvta carnarium pare si
dall i meglio se si parli di salami. Cos) Mariiale:
Musteus est: propera^ caros nec differ amicos
Nam mihi cum uetulo sit petasone nihil.
Ritenuto, come par pi proposito, il mu
steus per aggettivo (Cf. Nonio i 36, 6 ; Scalig.
Conj. , p. 204) vien da se esclusione di recr/r-
tfs per non aver due rpileti senza sostantivo.
Il rorcel lini stesso considerando chc il mustios
ed U recef^tes qui sarebbero sinonimi, ritiene il
recintes una glossa. Petasunculus una -
gelhira di Koeper.
5. Cotlatus., W. ed Oehier, dopo la parola
numnam. Ma si pu tenere per glossa dal cnelo
dolitus. Intorno a Mentore cos scrive Pli uio (^.
. VI, 27) : Phidiae Juppiter Olympius cotidie
testimonium perhibet; Mentori, Capitolinus et
Diana Ephesi quibus f uere consecrata artis
ejus uasa^ c a! libro XX Xl l I , i 54 : Mirum auro
caelando neminem i nc l arui sseargent o mul
tos. maxume tamen laudatus est Mentor de
quo supra diximus^ quattuor paria ab eo omni
no facta sunt., ac j am nullum extare dicitur.,
Fphesiae Dianae templi aut Capitolini incen
diis. l^arro se et aereum signum ejus ha
buisse scribit.
I i Marziale (Kp. I I I , 4 1 ) :
Inferta phialae^ Mentoris manu ducta
Lacerta uiuit. et timetur argentum.
6. Nola r Oe h l c r che molti qui vogliono tro
vare un allusione ad Alcibiade, ed egli pure pare
assocarvisi. 1 / avvertiamo senza dare aloun peso
alla confettura che ci pare assai poco probabile.
7. Junio riput doversi questo iVarameoto
p r t i r e in due versi senarii.
9. Quest' ul ti mo frammenlo fu dai critici
moderni ritenuto come spurio. Il Ribbeck {Com,
lat. sell. p. I seq ) lo crede frammento di una f a
bula palliata. Il Rcheler ( p. 4^4 )<> osservando
che il vocabolo antidhac era al tempo di Var
rone fuori d uso, risalisce fino a Nevio, e lo
riporla al Lampadione di quel poeta. Rper
{Phil. XV l l , 89) crede che nel pauso di Nonio
si deca ammettere una Ucuna, cos che sarebbe
a scrvere : Varrei Agath\pne . Naes^ius
Lampadi]one^ ed osserva giu^lanente che non
si pu fare troppo fidanza caAV antidhuc^ per
ch noi lo IroTanio anche io Plauto Cas. prol.
88 (Vedi Ritschel parerga, p. i 8 3 ). Firginde
miam^ { uirgarumdemiam H. L. . uirgide-
miam Scalig.) ut vindemiam hoc est virgarum
adparatum vel demptionem vel decerptionem
ob verbera (Non., 1. c ). Le altre varianti sono di
poca importanza. Nel terzo verso lo Scaligero
propose di emendare amat nec spes, in, amat
ne? spes. Familiaris filius., disse anche Plauto
Gap. II, a, 23 (V. Lindemann ad. loc. f^irgide
miam ulmeam., Pianto ludens^ III, 2, 22).
IV.
Niente obbliga a tenere con V Oehier che
questa isrriiioiie Agf modo^ sia pro^tibiale;
5 ) . TLKIi NZlO VAKHONL 76
raa pare piuUoslo presa J<gli Ufi comuoi della
vii. La roenxione di e si tro? degli Argooauti
c di Enea put forte l ervi re d' esempio di uo
ooslaDza messa a dure prove e coronata poi del
pi felice successo.
V.
11 llits<-1il {Mus. phi loLWX^ i 52) d ' o p i
nione che A j a x stramenti ci us debLasi rite
nere come una fra le pseudolragedie di Var
rone. Ma non si , per quanto pare, bene ap
posto, poich quelle constavano di soli versi, e
qnesto frammento uon presenta torma poetica.
Pi difficile deleruinare la ragione del lilolo.
Lasciando altre opinioni meno probabili, ci sem>
bra aver buon iondamento la congettura dello
Scali*retO, il quale pensa che lo stramenti ci us
dbbasi intendere di quelle figure strane di pa
glia messe negli orti a spauracchio delle fiere e
degli uccelli, ai qoaii erano tanto terribili, quanto
lo fu ai greggi ed agli armenti Ajare, quando,
pr f castigo della violenza fatta a Cassandra, fu
coll o da sacro furore. 11 Hieie dubita potesse
essere, a dir cos, una parodia del racconto che
si trova in Pausania, 111, 19, 12. Del resto cf.
Apollodoro di Gt l a nella commedia
(presso Suida ) e Polluce, X, i 38).
In luogo di acre, l ' Oelder, feguendo il Tur-
nebio, Ugge hac re, credendo che Puso di acr e
in questo modo sia di raro uso in Ialino. Egli
pure con altri : conuocabas.
VI.
K naturale che una cosi vaga iscrizione l i
aia da varii applicala o a questo o a quello.
Gaiiford, e dopo lui Ochler., riputarono nnn po
tersi ascrivere a ne.^suno inp<;lio che a Teteo, le
cui falirhe vanno cos celebrale nel cielo mito
logico gret o. Il Kralinur {De Var r . phi l .y p. 7)
vi Irova in vece un' allusi one al filosofo Cleante,
riputalissimo stoico <he per lesiMnonianz di
Diogene Laerzio (VII, 169, seq.) fu chiamato
^ *^^ e5S<ndosi sottoposto ad ogni
pi dura fatica per amore deHa filosofia, lo poi
iK>n sono lontain dal crrdre che quest.i iscii>
*ionc si debba prendere in senso affatto romico,
di uno, il quale, avenilo compiuto un qualsiaai
fallo di lievissima importanza, se ne vanta cos,
come avrebbe a\uto tliritio di menar vanto
Er c ok dopo compiute le sue famose imprese.
Cos, ad esempio, in un epigramma greco {Fedi
Jacobs (lei. Epi g. Graec. VI, l or), un colale,
ilopo avar ucciso un sorcio Zrv irocTtp, iTiciv,
ifvTfpov > Diogcniano ( I , 0 5 ) vi
S a t i b L t L d g i s t h i i c i , ni M. ' *. V a r r o n l .
aggiunge per secondo lilolo : irl xpoiTcpv
xat *. Gr aui da quas (Parisiensis 796J,
Saec. /X), gr avi dae quae (Bernensis poster, al
secolo X). Per intelligenza del passo di Macrobio
giover portare le parole di Servio, il quale an
notando il verso di Vergilio (Aen . V i l i , 275),
in cui Ercole si chiama communem deum (cio
alla gente di Evandro e di Enea) dopo riferite al
tre opinioni, coni contnua : al i i communem deum
{Her cul em) i deo di ctum vol unt qu a secundum
Ronti fi cal em r i tum i dem est Her cul es qui et
Mar s : nam et stel l am^ Chal daei s di centi bus^
unam habere di cuntur ; et novi mus Mar t em
communem di ci .... h t m .... dat Sal i os Hercul i ^
quos Mar t i s esse non dubi um est. K pi i n
nanzi (ad u. a85) : Sunt autem Sal i i Mar ti s et
Her cul i s quoni am Chal daei stel l am Mar ti s
Her cul em di cunt: quos l ar r o sequi tur (V.
anche Plinio H. N. II, fi) Cii^ri h ne sia delle
varie opinioni, V istillilo <iri Salii non ccrlo di
origine latina, nia si pelaS);o-gicca ; el era pro
prio dei culto di Ercole, fino a (he Num;i non
lo assegn a quel di Marte Gralivu.
VU.
Il titolo di questa satira non lovuto che
ad una congettura, essendo lale b variet presen
tata dai codici di Nonio, che male si potrebbe
stabilire la genuina lezione. 11 Vahien non trova
troppa corris[>on<ten/a fra le lue iscrizioni e in
clina |>inttoslo a mutare P fippwv in -
.(. si dee lacere che la seconda
parte del f iscrizione si trova mutata in .-
(Cf. Vahien, Conj ect. p. 212), senz altro,
per viziala legione. La regione principale, per
cui abbiamo leguita la lezione comunc, si fu
per IMI quali he riscontro che ci parte trovare
fra il titolo rd il terzo franimenlo. L iscriziotie
adunque avrebbe forza di proverbi o; vale a
dire : essere l avarizia tale passione che mai non
si satia, a quella guisa che chi si mettesse a
noverare i granelli di sabbia non ne verrebbe
senza dubbio mai a capo. Il Mahly crede tutta
via che questo titolo abbia bisogno del medico:
egli propone ^ u possiedi indarno. '>1
Nel prim Iraminento Oeliler onimise -
mi neSf evidentemente per incuria. I nvece di
absol vi ti^^ correzione di Junio, i Cdd. obuesti s^
dair Orhi er inalaiuenle mutato in consuesti s.
U Mercero, sol ui ti s. Gabal um^ annota Nonio :
cr ucem di ci ueteres uol unt.
2. Quaer o ex te (luniu), a te. (Ito^'per), che
muta, poi il tcrrae in ter r ai per fonoare un
settenario.
3. Segetem. SegeSy ni questo senso di terra,
5u
1^1
AiNNOr. AI f UAMiVI. D tL L t SATJRP. L Ofcl LOGSTORCI
78
fu usalo aiiclicda Vcrgilo HI, i 4a)i if/c/iim
saeges aegra negabat^ e da Orazio : Hate sages
ingratos tulit^ e da Cicerone (in y^rr. IV, 86).
4. Multi signibus (Ri eae), multis insigni
bus (Oehler), multi insignibus (Meineci), cul
tis insignibus (Erycius). Per la seconda di que
ste 1>1 Lachmanii in Lucr, 11, 4<^a.-An-
tesi^'nani sono feraroenle quelli i quali marcia
no ioiiaiizi alle iosegne: Ante signa^ dice Li t i o
(38, 21) , modico intervallo veiites eunt. Do?e
non convien credere che uelites tigivificht armati
alla leggiera, perch gli antesignani crafio iena-
pi e coperli di grave armalora ; e siceome prima
della tlivisione dell" esercito in manipoli e re*
gioni, i uelites starano dietro ai trisrii, coti an
tesignani potevano chiamarsi anche i principes
e gli hastati. Al tempo di Cesare eraoo delti
antesignani i 3oo soldati i pi raiorosi e scelti
11 ciascuna legione, ai quali era affidato ufli>
eo sostenuto prima dagli extraordiniani^ di
fendere cio avanguardia ed U rclrogardo.
Chiamavansi anche expediti^ perch sciolti e
hheri da ogni bagaglio, e a difTifrenia degli altri,
mentre non perdevano mai il loro posto deter
minalo nella legione, pm*e o marciavano o assa
livano secondo il bisogno, ancbe tuori degli
ordini.
V i l i .
Andabatae si dicevano in Roma quei gi
tlialori, i quali scendevano arena a combat-
tcre coperti la taccia di una visiere senza che
vi fosse un' apertura (n*gli occhi ; cosicch, me
nando le mani alla cieca, davauo buon molivo
agli apetlalori di iur le grosse risa. Di qui u
facile il passaggio ad un senso t raWai o, polen-
tiosi egualmente chiamar con tal uomo tulli
quelli che, o nel parlar o nel l ' agi re, non serba
vano alcun regola di prudenta o di accortezza:
e cosi tu veramente adoperalo ila parecchi scrit
tori, e tra questi anche da Cicerone. Ma in qaal
senso us qui Varrone? I frammenli che ci
rimangono, provano evidentemente che argo
mento della satira era filosofico, e certo pure,
che essa era condotta a modo di dialogo, i l
Krahner {De Varr. phil.^ p, 20 e seg. ) crede,
fondato sul (rammento IV, che si trattasse del
ascendere e del discendere dvlle anime dal
cielo, le quali, scontrandosi, combatteslero tra di
loro alla cieca a guisa degli andabati. JVIa panni
ehe il fondamento sia debole trop|>o. Sar alata
piuttosto una / fra filosofi, i quali non
si risparmiano a vicenda le ingiurie (Cf. framm. 1
e III), dove uno mostra ad esempio, essere
tulio nel provare esistere neH' uomo un doppio
j'iiH*iiiu raiiotic ( C f . Ir. IX tr seq ) ; uu al
tro insiste li pi nelle cosc e cause naturai
(fr. Vliy. Il Turnebo fioalmente credette potersi
inlerpretare de h^minmm caecitate et errore.
1, la lezione del Mercero
molto pi probabile che il xi & di Pop-
ma o il ^ del Laorenberg. in qualclic
codice manca.
2. Questo frammento pare levato di peso da
Pl aut o: Miles Glor. Il, 3, 5 i ; edepoi tu qui
dem caecas^ non uscitiosms. Il vocabolo luscio
sus fu spirgato da Nonio iu altra forma che da
Pesto. 11 primo : lusciosi qui ad lucernam
non uident et moeopes uocantur a Graecis ;
al t ro: luscitio^ uitium oculorum quod cla^
rias oesperi quam meridie cernit. 11 Uitschel
crede attribuito questo frammento a Varrone
solo in cooseituenza di una lacuna nei codici (Cf.
de Var r . discipt, libr. p. 17).
5. Abbiamo seguita la lezione auri (uiri ca~
stasy Ricsf, uiris castas sem amaritia^ Costa;
tincta erat uiri casta^ Meinek data dall* Ochl er,
perch ci parve quadrasse meglio al conlestov
e rispondesse pi a puntino alla spiegazione
data da Nonio al castas: castum a f u r t i s et ra
pinis abstinens (Varr. in Andab.............. se, ava
ritia ). Del resto comunittimo il paragonare
To r o al visco, per la simiglianza degli effetti
che dair uno e dall* altro derivano. Manibus
uiscatis disse anche Lucil io.
4. Per dichiarazione della parob mfstagogus
|>u servire questo passo di Ci cerone nelle Ver
rtne : ei qui hospites ad ea qttae uisenda sunt
solent ducere et unumquidque ostendere quos
illis mystagogos uocant. Conviene avvertire per
altro che la parola mystagogus non avea questo
senso indicalo la Cicerone, che solo nella Si ci
lia ; i Greci davano questo nome a quelli che
esperii nei sacri misteri accano incarico di ini
ziare in essi gli a<lrpti. l o qsesto l ango di Var
rone, credetti opportono atleDermi alla interpre
tazione di Cicerone, perch misteri di Giove
Olimpio o di Minerva non si conoscono.
indica se nt nel senso di liberare, come P us
Vergilio Grajumque bis uindicat armis (Aen.
IV, 228).
6. Raec sola in luogo di haec loca (Popma
e Krahner). La forma genunt., quasi da geno fu
usata, oltre che da Varrone, anche da allri pi
antichi. Parlando di generi^ cos diceva Macro
bi Genui ex quo themate ueniat nullus scity
licet Varr dixerit genunt.
. Lacte,, nominativo casu ah eo quod est
lac (Nonio, ad loc.).
8. Per ideoque^ leggono id que H. L. W. e
Popma. Caldorem Ia lezione difesa da L. Miiller
|>er ridurre il frammento .1 teliamelro ippoiiatco.
78J
m M. I tRE NZl O VAKUONt
Vii"
Del roslo, tulle e lue le |roJe si trovano nel
lemma di Nonio.
9. Caruncula diminutivo di c aro, come
ratiuncula di rat9. Ct'. Prisciano. In un Uxi
con del secolo XI I , edito dal Mai, trovaci anche
carnuta,
10. Nonio : Animui ei anima hc di stant :
tnimu5 ^st qu sapimus^ anima ui ui mus.
A d inteiligendum ^Oehler).
11. La lettone pertuderi s e pi comune,
pi probabile, pi eipresaiva che il per fuder i s
di alcuni codit i, il percuder is di Aldo ed Wper
eui er i s di lunias.
IX.
Si presenta subito allo sguardo la di s c ol i a
del dare una esafla ragione del titolo, di e non
armonitza punto coi rimasti frammenti. L -
Ib ipieg;*lo dall Oehlcr per uni-
\>erso. Che noi (lossiamo chiamarci cittadini del
mondo sar verissimo^ ma non sar per questo
tolta la diiRcoli neirintelligeiica del titolo, che
dato quasi costanlemente dai codici. La se
conila aggiunta poi, rtpl 7^^(9, fattura di
roano posteriore, del tutto fuori di tento,
almeno considerando i frammenti che le appar>
tengono, che per lo pi terobra prendano di
mira avarizia. Anche per qoetto adunque con>
vien attendere che la loce ti faccia. L' Juni o
credelte tosse a leggere -. Bujo via
bujo.
1 . Scriptionem. Scriptio non qui la cilra
segnata nelle tabelle centuarie come fu spiegato
da alcuno, ma si quella syngrapta^ con cui uno
si lichiarava debitore di una somma presa a
prestito. La lettone nu/^o^ue auar u/, quantun
que comune, per altro oscura. Mi p^re ragio>
nevole il sospetto del Riese non sia piuttosto da
l eggere hulgaeque auarus. Bulga o uuga^ spe
cie di piccolo sacco da riporre vettovaglie od
altro, fu usato dal nostro in due frammenti (Cf.
Octog. e Sexag.)f e qui non sarebbe certo fuor
di luogo.
2. Per animis^ lessero auris Ti. W. 1 monti
di Persia si usavano a mo di proverbio, come
a'* di nostri la California per indicare ui> immenso
inapprezzabile tesoro, poich si ritenevano lutto
oro pretto. Lo troviamo nello Stichio di Plauto
( 1, I, 24) : Persarum montes qui esse auri
perhibentur. Proverbiale era pure la ricchezza
di Crasso. Il pensiero poi cosi nobile e vero di
questo frammento lo troviamo pi altre volte
ripetuto dai poeti, da Ti bullo e da Orazio fra
gli altri. Camerario lesse Croesi in luogo di
Crassi. Torse a Varrone potea convt'nire ili ri
chiamar attenzione sopra le sfondolate dovizie
d an cittadino romano, che correano gi sulle
bocche di tatti, e saranno state pi noie che non
quelle del re di Lidia.
3. Cfirysam (Chriam W Chium Aldo). In
torno a quest^ isola Plinio {H. iV. VI, 21) : extra
ostium Indi^ Chryse et Argyre ferti l es metal
lis^ ut credo, Nam quod aliqui tradidere^ au
reum argenteumque eis solum esse^ haud facile
crediderim. I campi Cecubi nella Campania era
no celebratissimi per i vini, temulentia nobilis^
dice Pii io {ff. N. III, 20 ), succo per omnes
terras inclyto. Caecubum fu corretto dall ' Aldo :
fj. W. portano accuhum. Seplasia chiamavasi
il foro di Capua, dove facevasi mercato di pre
ziosissime merci, specialmente di profumerie.
Pli nio {H. N. XVI) accenna alle trufferie che vi
si praticavano. Anche Cicerone (Orat. in Pison)
la nomina ricordando la colonia spedila da C e
sare a Capua. Si adopera tanto nel f<im. siiig.
quanto nel plurale neutro. Si chiam macellum
il mercato di Roma, perch esso fu stabilito in
un luogo dove prima non erano che ortaglie
^). Varrone (nel IV, cap. 35 de L. L.)
ri corda che gli loi i j chiamavano (>, ostia
ntque castelli. sso era circondato da botteghe
e da portici, e stava presso la porta Esquilina
e gli orti di Mecenate. Vi si vendevano spe
cialmente pesce, carne ed erbaggi. Pi spesso
si usa chiamarlo macellum Liuiae.
4* Co# dichiara questo frammento il Tur -
nebo {adu. XXI, ao). Lauare (lovea dire lauere)
alum marsuppio pereleganter a Varrone di
ctum est pro: marsuppium exhaurire. Quae
enim eluuntur ea mera inaniaque relinquun
tur^ cum alioqui eluere pro consumere sole
rent frequentare ueteres. Hic significat sump
ptuosas esse nuptias^ maritosque earum primo
stalim auspicio impendiis inaniri.
5. Questo frammento fu cos detto dal POeh-
ler : Ne dares ne polliceres quid: dcCtum est.
La parola ( v^cp^Airov B,
(. L. ) , *eu3 , Merceru ) pare richiesta
dal contesto. Non dubitammo quindi d acce!
tare la lezione del Riese.
6. 11 passo d Plauto qui accennalo da Var*
rone, si trova nel Pseudolus ( l , 4^ ^ 0
rhina^ a quanto pfire, era un viii dolce, in cui
era |>er soverchio di delizia mescolata la mirra.
Ne Iroverai testimonianze in Plinio (. N. XI V,
Intorno al defrutum V. Colum. XII, 20.
Intorno poi al passum cosi scrive Servio (i n
Verg. Georg, II, 9$) passum dicitur a patien
do. Nant decoquitur mustum et inde fit pas
sum. Hic defrutum dictum est quod defrauda
tur et quasi fraudem patitur.
79
ANNOT. Ai FRAMM. DKLLIi SATIRE h DEI LOGISTORICI
79^
X.
La celebre contesa fr i capitani dell eiercito
Aclieo (Cf . Hom. Odys. , 54, 3 *cq. ) per le
armi 1 Achille, iortii vnllt* xoggello di Ira-
^cdi', cos pressu i Greci che presso i Romani.
Lo svolse fra quelli Eschilo nella xpttrrc, fra
questi lo Irattarouo Azio e Pacuvio e Pomponio
Secondo ((^f. L. MiiHer p. 93). Varrone trasport
questo titolo a significare una rissa tra filosofi
senza che se ne possa indovinire n il premio,
n la cagione. incerto per altro se debbano
questi frammenti piuttosto riferirsi ad una psru>
dotragedia.
a. Questo secondo trammcnto fu. riguardo
Ila forma metrica, scri tto diversamente :
Ul i n l i ttor e cancr i di gi tul i s pr i mor i bus
Stare (Vahien)
Ut i n l i tor e
Cancr i di gi tul i s pr i mor i bus stare,i \ V\ tc\ t\ st \ ).
Abbiamo accettato il di gi tul i s in l uogo di
di gi ti s (Ri ese) c di gi ti bus ( Biiohelcr), special
mente per aver trovato la medesima forma in
Plauto (Pseud. Ili , i , 63): qui dem hercle^
i l a pauxi l l a est^di gi tul i s pr i mor i bus. La c or
rezione lovuta ai r Oehier e approva anche
il Vahlen. Di gi tus pr i mus (la punta del dito)
disse Catullo ( II , 3 ). Pr i mor i bus. Pr i or es et
pr i mor es hanc habent di uersi tatem : pr i or es
eni m eompar ati ui sunt gradus., pr i mor es sum
mae quoque res (Nonio).
XI.
II titulo ed ii (rammento rimasto n)oslra,no
apertamente che qui si prendevano di mira i
sensuali piaceri. Baja celebre per le sue deli-
zie, come altri luoghi del l ' agro Campano. Cuj us-
ui s gener i s ui /i or um di uersor i um fu chiamata
da Seneca que^ta famosa citt.
XII.
11 titol alquanto sibillino di questa atira ha
esercitati non poco V ingegno e l' acume di etli-
tori e commeutalor. Ne riporteremo le (.riuci*
pali opinioni.
L Oehler pensa che essendo comunissimo in
Roma il prenome fli Marco, Marcia si chiamas
sero facetamente i Romani stessi, cosicch B i -
mar cus (in Nonio 22 volte Fi mar cus., una volta
Vi mnr gus) non esprimerebbe se non uno che
fo%%e e di nome e di patria Mar vo^ cio Romano;
conghiettura che dovrebbe valere anche per le
due salire MapxoVo^tv ( secon<Io lui la republica
romana) e Mar ci por (schiavo romano), e che con
ferma con autorit di Seneca {wf\ Vy4pocol ocyn~
thosi )., in cui Clautlio Cf^ssre, nato iti Lione,
chiamasi, secondo legge 1 (thl er. Mar ci muni ci
pem, Ma, per quanto io mi sappia, le antiche me
morie non giustificano questa opinione, ed il
passo di Seneca si potrebbe interpretare con mi
glior fondemento in altra forma se non fosse imi
tile arrecarlo qual prova, perch le edizioni pi '
corrette leggono : Munati i muni ci pem. Non si
vedrebbe poi alcuna relazione fra il nome a que
sta guisa piegato, ed i frammenti che per sorte
non sono s .scarsi da lasciar luogo al dubbio. Il
Riese, ponendo mente alia forma di dialogo che
domina nella satira, crede avessero nome Marco
ambidue gli interlocutori, a cui nn terzo si ag>
giunge, Manio ; per cui uno sarebbe lo stesso
Varrone, altro un ben conosciuto sciupatore e
ghiottone. Se non che egli facile accorgersi che
questa supposizione del tutto gratuita, perch
di questo secondo Marco io non trovo in alcun
frammento la pi lieve traccia. Vicn terzo il
Vahlen, il quale, parmi, se non si pu dir cos di
botto, eh abbia collo nel segno ( e di chi mai si
potrebbe d i r l o ? ) , confort la sua congettura
di buone prove e non ricercate col lanterni
no. E innegabile una stretta uuinne fra le due
salire Sesqui ul i xes e Bi mar cus. Lo provano
il contenuto e certe allusioni chiarissime, e la
seconda non sarebbe che la conferma delle idee
espresse nella prima, all incirca comc fa Orazio
a proposito di Lucil io nella quarta e decima satira
del prinio l i bro. E a i|uesto modo, concedendo
pur qualche cosa allo scherzo e al festivo ingegno
di Varronc, si potrebbe trovar una ragione di
questo titolo Bi mar cus ; cio : io Marco ( Var
rone) che ora scendo in quest arena *000 quel
Marco stesso che gi prima armeggiai per la
causa stessa, di cui sono quindi due volle cam
pione.
E di chc trattava Varrone in questa satira?
La parola (framm. 2 e 3) col suo duplice
significato di costume e di traslazione ( in senso
reltorico) divise anche qui in due campi gli espo
sitori. Per gli uni non questa che una satira
contro i pervertiti costumi ; per gli altri l ' ar go
mento e del Uitlo reltorico. Inclino alla prima
sentenza. Nell ordinare i fii^mmeiili ho seguilo,
anche questa volta, il Riese ; mentre TOebl er li
ha infilzati l ' un dopo l altro cos come venivano.
I . Quintipore Cl odio {Ciadiano Carri o ed
Oretli Onom. Tul i . ) non nolo che par la memo
ria qui fatta da Varrone e per un frammento di
lettera scritta dallo stesso Varrone a Fufio, fram
1)1 . IfcBLNZlO VAUUONK
mento conserfsloci da Nooio (p. i 44^ i i 7i 4^)^
ma miteramcnie corrotto. Kmo suona coti, f i ut l a
emeixUiiuoe d Mommseo : Qunti pori s Cl odi
anaforas (Antiphofi ts (Ki-s#), for iae (Edil.) ) or
poemata [ejus] gar gar idi ans dices : O f or
luna o For s For tuna quantis commodi tati bus
hunc di em........... Qurste parole da Qnintpore
rubate al Formoue di Terenzio e meiae co
male a , e il giudizio che fa Varrone delle
opere di lui, ci mostrano essere stalo quello
uno se ri bacchialo re di commedie senza merito e
seni ' arte. Il passo poi di 114>, a cui qui allude
Varrone^ o fu riportato monco o iutsaltaitirnle
da Nonio, perch ollusione si d*?e ri l erire non
h\V edolem^ ma s, come richiesiM da) senso,
ad una sentenza o frate che formi il contrap
posto del si na ul la Musa, Nel rerso 207 degli
zi nnal i troTansi le parole uolenii bus cum ma
gni s dis^aggiunta, pensa giustanienle il Vahleu,
che qui tutta al pro(iosilo, e a coi proba*
bile che il gramioalico stesso si riportasse. Il
frammento quindi sarebbe a leggere cos: Cum
Qui nl i por Cl odius tot comoedias sine ul la f e
cer i t Musa^ ego unum l ibellum non edo
iem^ ut al t Enni us u uolentibus cum magnis
di s ? rt
2. 1 Tp(So, di cui fatto cenno in questo
fraiuinenlo, sono essi da prendere n^l significato
ili esistami. oTvero in enso rel tortco? Il dop*
pio sgnifcalo della parola lascia veramente luo* |
g a dubbio. 1 inclinano v vedere nel 6-
Tpircv; accennaib quel totale l uulamtnlo
dri costumi qhe perinelle ai pi dissoluti di di
fendersi coi r allegare la usanza comune. Credono
a mi i ditensori di questa sentenza (il Mercero,
il Mercklin; P Oehler, il Biese), ch elle sa cos
ben fondata che proposero perfino di intiloktre
la salir stessa . Ma seiKia delrar
punto al merito ed alla perajiicieia di questi
commentatori, credo che la loro coogettura non
abbia fondamento, esaminando altentamente il
contesto. E che, |>er vero, hanno qui a fare i
costumi cogli eroi ? Che coW Odi ssea d' Omerp
del frammento seguente, ma con questo intima
mente connesso? E come si spiegher il secondo
iccp't TpoiTttv (fr. 3 ) che messo quale contrap'
|K>sto air omerica epopea ? E come si spiegher
quei r aggettivo vera (frauim. 5) aggiunto a
9) ? Se mal non m' apf>ongo, parmi che
queste difficolt cessino collo spiegare e
e </ in senso rettorico. Qui Vairoue
evideiiicmenl e studia dil'cn.lerai da qualche ca
lunniatore, il quale gli negava la cognizione de
gli antichi fatti eroici, ed attaccava la sua scienza
grammaticale. Ed perci che per rispondere
alla prima accusa fa intendere che egli stuiliava
il poema Omeri co; per ributtare la seconda ac^
cenna alia scritiura sui tropi intorno a cui U
votava. L epiteto t^era poi aggiunto al vooaltoo
)(, che I Orl i l cr spiega con una frase
corrispondente al nostro u proprio un mondo
alla rovscia, parrai a bella posta usato da
Varrone per distinguere abuso di coi ivi pa
rola, dalla figura rettorica di egual nome ; ch
allrimt*nti non s velrebbe fa necessit di quel>
aggettivo, l o ho ardil o attenermi piuttosto al
l' autorit di un solo ( i l Vahien) che a queHa
dei pi, essendoch, come in altre cose non
poche, afiiche nell questioni filologiche, il nu
mero dei difensori non sempre argomento
siruro della bont delta causa. a notare an
cora in questo frammento come le due negative
negai nesci i se equivalgono ad uni negativa sola.
3. La spiegazione d questo frammento di-
pemle da quanto abbiamo accennato poco sopra.
Nonio stesso interpreta il r eteper is per pr o
mettere pol l i cer i , l o luogo di scioy Sci o (Riese),
ser i o (Erjclus).
4. Anche da questo fi^ammehto parmi venga
qualche conforto a i r opinione es| K>sta al fram
mento I. Volendo Varrone pirlar dei tropi^ ac
cenna ai varii usi odi si prende 41 vocabolo
t less.
5. Con res empi o delia stregghia che pende
dal candelabro Varronc^ iflustra il senso ilella
parla (). Non fa bisogno avvertire che
uso della stri gi li s si limitava ai bsgni. Poco
comune la forma str i gi k stri gi l i s (fem.).
6. Nme scoooaciulo ^qnesio Manie, e la sen
tenza oscurissima. Caementa^ pietre di piccoli
mole per uso delle fabbriche.
7.* Soci i s s /tostis (Lipsius). Pare ch' Varro^
ne qui condanni qne' generali ch dietro l ' esem
pio di Verre manonei l evano tult Wcoie dei ne
mici senza alcun riguardo di religione o di piet.
Cimi spiega il Merdero. 1/ f ri bellum e
bella ia qi buonisaimo giuoco.
e. I n hc i pso; forse qui s*allu<le al mal uso
che facevano >qofsti oonquisiaiori delle spoglie
nemiche, le quah adoperavano non per bene della
republica, ma per comperarti amici e fautori. La
frase m invi di am veni re fu usata anche da Sve-
tonio in vita Ti ber i i .
Nelle edizioni anteriori all* luno cosi si leg
geva questo frammento: Non Hercul es potest
qui Augehes Sed conpron^ senza che desse quin
di alcun senso. La corrteitone Augi ae e xirpoy
s e o u dubbi o esatta perch Conforme a quanto ne
tramandarono gli antichi niitologi. Ao'gia, re del-
V Elide, avea una stalla con tremila buji, la quale
per pi anni ( 3o 7 ) non era stata ri(>uiita dalle
immondezze. Ercde, venuto in KIad**, lece pas
59-'
. Al . U t L L t SATIRE t Dfcl LOGISTOIUCI
796
81 per U eUUa il fome Alfeo e cosi I rimood.
Ne nacque quindi il (troverhio Augi ae f tabula
repurgare^ li com ossai malagevole a compiere.
Determinato cos il teoio, r^t dubbio ul verbo
<la usarsi. Il VahUn difeude V auersit^il Mcrcero
egessit^ Oehier agebat. Nonio vmmcnte
cita il frammento sotto la pruU agere che spiega
per gerere. Ma probabile debbasi leggerr. egerere
agere; in questo seuso fu usalo anche da Vergilio,
membri s agi t atra venena. Varrone in altro
t'rammenlo d il nome di porci agli uoinini cor^
rolli e teos ( Cf. Pr ometheus liber, ). Tutta b
xenlenia poi assai^ bene illustrata, nota il Vah-
!en, da un passo di Luciano {^ a3), io cui
Ercole, per ottener da Giote di non eurre mao>
dsto ad estirpare le selle dei filosofi, gli sog
giunge: u io rimonderei assai pi voleolieri
un' altra volta le immondezie di Augia, che
non a?er a fare cou gente di quella fatta.
IO iS. Essendo tale la corrailione che Ercole
stesso sarebbe impotente a disperderne le trac-
eie, il poeta invoca il fulmine di Giov^^ e vera
mente con versi sonor;. Altri editori credono
pi opportuni gli indicativi tonesci t e mittit.
In luogo di actum, Qcutum un codice di Basi
Ica, actutum (Meineck), al tum (Vahien). noia
la definitione di trisulcum ful men daia da Fe
sto : quia i d aut i ncendi t aut di scuti t aut te
rebrat. Pi sem|>liceiDente Nonio ; sulcus omne
gni dqui d in longitudi nem aculeatum est. Tho
lum chiama Vergilio {Ac, IX, ^oZ) Ia volta di
an tempio (V. Servio ad V). Mando: diluviatore,
<*osi detti perch a gi^isa appunto di certe figure,
le quali con beirariifiiio movevano di continuo
la bocca in atto d'inghiottire, essi ancora non
erano moi sazii di rimpinzare la i;ola. Gul at
mandonum disse anche Lucilio.
i 4 L'Oehler pensa etser impossibile ormai
ritornare questo luugu alia vera leiione. La prima
incertezza verta sul nome della legge a rui qui
allude Varrone. Che fosso uoa delle molte leggi
sumptuariae^ X sici^ro. ma quale ? 11 Riesif o edc
acccnnata la leg^e Licinia riportala Ua Gellio
(11, a4^7): L i ci ni a.......... cum ei carni s et
sal samenti certa pondera i n dies singulos con
stituissety qui dqui d esset tamen e terra ui te
arbore promi sce atque indefinite largi ta est ;
e Lucilio : Legem uitemu^Li ci ni , La maggior
p r t e |>er altro dei oo<lci offre Lucanum {Luca^
nicam ). Pi forte il dubbio tal verbo che di
pende dal quod. Due codici, il Guelferbitano, ed
uno di Leida, presenUno scutulans^che il Pop
ma prolung iu scutulamus^ la prima delle
quali lezioni fu seguita anche dal Vahien. Questo
sarebbe uno strano verbo che vorrebbero formato
dal (;rcco ; modo di scrittura segrela usala
dagli Spartani. Esso consisteva nello scrivere al
cuna cosa sopra un cuoio. o>t una qualsiasi striscia
che ai avvolgeva intorno ad un bastone, in una
linea non inIerrotU, per modo che non potesse
leggersi se non da colui che avesse un bastone di
eguale grossetta per isvilupparla. Dove nolano
gli acoliasli che ai generali, i quali partivano |>er
aua spedizione, si consegnava una met di questo
baalone, altra restava in citt. Qui adunque sa
rebbe quanto, teuer celalo, coperto, lasciar alfom-
bra. Potrebbe, se veramente esisteva, formarti
anche da scutula^ esistendo il part. scutulatus,
L' Oehier si abrig con un sustulimus^e crede il
luogo disperalo. Il Kiese legge: secutiy mane . .
e supplisce, demum a conxfivio sur r exi mus. Qui
conservata ironia : dell opportunit della cor-
rezioue e della sostituzione libero a chiunque il
giudicare. E la lezione, da noi accolta, dei Mah-
ly, tu quanti pie si regge, domander il lettore 7
Su quanti buia per non cadere a Uirra d' uo col
po. Se si osservi che il senso domanda un con
trapposto di cl ar o luci^ se ti richiami il legem
uitemus L i ci ni di Lucilio, la correzione acqui-
ter molta forza. La forma obscuro l uci non
far arricciare il nato a chi ricordi che obscura
l uci ed obscuri tas l uci s disse Livio ( 34, ai ;
Zj t obscuro l umi ne (Sallustio, Gittg, 1 21),
obscuro diei (Tao. Ann. a, 89).
16. Questo frammento viene consideralo quale
proverbio per dire che c o s a nuova vuol forma
nuova. Us la stessa immagine nella satira Eu-
menides,^ dove dice di Zeoone che: suspendit
haeresi m novam paxi l l o novo^ per siguificare
che da nuovo errore tirava anche nuove conse*
guenze.
17 I psi s i sti s correzione dell Oehier. Sen
si sti s nell Aldina, depsi sti s (Scaligero), il quale
ilivise il frammento io dimetri trocaici. Labdae
vocativo difieodente da dicite^ come in quel
d Ovidio: quis mi/ ti non u demens n quis non
mihi barbare" n di xi t ?
18. Pr oter ui lesse il Turnebo in luogo di
propere. Non pare correzione lodevole. dubbio
|K)i se il ui x debbati prendere nel senso di sta
tim,, e cosi accrescer forza al propere, V i x in
luogo di statim us Varrone stesso nell Eume
nidi^ e ci to propere disse Plauto nella Casi na
(111, 6, 17). Uuito a liberti^ significherebbe
quelli che divennero tali allora allora per la morte
del loro padrone. Noi abbiamo teguifo questa se
conda interpretazione.
19. Frammento dato scorrettissimo da Nonio^
e quindi non poco dai posteriori torturalo. Noi
abbiamo adottalo I i ni bi dal Riese se non aliro
perch non costringe a soltinleodere alcun ver
bo. 11 Vahien Usse: mi hi dini, dum sti l o nostro.
797
. TEBbNZIO VARRONK
7 9
papyri in I tui scapalo novo par tum poeticon^
(Jofe con vico lappiire un adspi rarunt oJ on
verbo cos fatto, e qofUo scapul o risullcrebbe
da una dittografia ( teapo$ scapi ti o anlica le-
lione viziala). Nun rui leinbra pfr al Iro multo
propofilo. Nei codici di Nonio trovali papi r i in
i euii scapo$ capi tio ; quindi era forse pi nala>
rale trovare una correiioue a eapi tio che non
lupporre la dittografia^ scapai scapi ti o ; Unto
pi che non efistendo la parola scapitius o sca
pitium^ fa biiogno d una nuova mutaiione in
scapali, L'Oehler lesse : Mi hi gueciui^ dum sti lo
nostro papyri in l eui scapos^ capi tis nouum
par tam poeiicon^ dove il dai (da cere ) po
trebbe pur lostenersi; ma non si potrebbe dir
egualmetite del capitis che una freddura. Altre
mutazioni furono fatte dall uno e dall'altro cri
lico, ma sicconic non riescoo a far maggior
luce, sar inuliie ricordarle. Sol dir delP OrclK
che curonicniando il verso 71 delia salita I, X
d' Orazio, col caput scaberet del Venosioo, con
fronta questo di Varrone: scabens caput nouo
parta poetico. Riportai questa lezione perch
non ricordata da altri e perch parmi degna di
ronsiderazioite. Orazio ha u<ala coiri/i//Viere uiial
tra costruzione : qaodcumqae semel char ti s in
l eaerit. Scapos papyri bel modo per chrta^
pagina,
ao. Celocem, Questo nome fu usato anche
nel genere maschile da Livio in due luoghi
(31, 17, 3) celoces uiginti cfec/ac/ae (87, 27, 4)
pi r ati cos celoces^ V. Gellio (X, a5) celoces ut
Gr aeci di cunt . Corrisponde a quel che
neir ordine della nostra marina dicesi asfviso,
a i . Tippulla^ dice Nonio, ani mai lenissi
mum qaod aquas non nando std gradi epdo
transeat. La sua leggerezza era proverbiale:
Plauto {Pers, 11, 2, 62) : 'Heque ti ppul ai leuius
pondust quam fi des lenoniae. Non trovai esem
pio di questo vocabolo usalo in italiano. Li mphon
iacas^ come in altro luogo: fer ui dos fonti um
lacus sanguinis.
22. Vuoisi che questo vecchio sia Pappo,
personaggio notissimo delle Atellane, nelle quali
veniva preso a burla ptrl viver sordido e per le
cure affannose di arricchire. 1- variante di r i s
si mum sarebbe poco a proposito. seguita an
che dal Forcellini.
23. Questo frammento cos leggesi viziato
nei codici di Nonio: Ne me pedatus uersuum
tar dor neprenet torte cum pri tymon cerfum.
]>a lezione data dall* Oehler : Nec me pedatus
versuum tardor r efr enet; tarde enim per i t
3 <3 sertumy cvideniemente opposta alla le
zione da noi seguila. E tanto pi sospetto pare
a noi (|ue5lu <nitiidainculn in '(uanlo che pro
babile che Varrone stesso non credesse troppo
alla sua vocwioDe poetica; allrimenli sareb
be stato infelice profeta. In luogo di compr i
mo eto., al Vahien piacque : compar i rythmon
certam. Questa lezione i>er altro assai oscura.
Primo offende il genitivo certum^ per il quale
non , o |>armi, buona difesa il Gal l um per
Gal l or um usato dallo stesso Varrone ; pel senso
equivarrebbe al pes certus di Orazio e Tibullo
e al tempora certa modosque. Secondo: oltre
air iiallage del primo verso tar dor pedatus uer
suum per tardor pedatorum uersuum^ biso
gnerebbe ammettere una seconda ifaNage, cio
ar te compari^ in luogo di ars comparum
rythmon. Queste due ifallagi, cosi una appres
so altra, a credere che non potessero andare
ai versi allo stesso Varrone. Il frammento poi
serve a giositleare il metodo usato da Varrone
oeir allrnare versi a prosa; e vale : fin qui ho
conilotto la satira in versi, ora mi libero dalle
pastoie del numero e tiro innanzi in prosa.
24. L Oehler trova un bel giuoco di parole
fra oerent e ani mati . Chi gli dar ra
gione ?
25. Putar et (Oehler computaret^ mutitaret
IJpsius, mutar et altri codici, mitteret Aldina >
in qu sto senso fu usalo anche da Plauto {Tr i
nummus^11, 4) >4)
Sero atque stulte pri us quod cautum oportui t
Postquam comedi t rem^post rationem putat.
(Cf. Varro, De lingua lat.., VI, 63).
26. F'ulcanum eccum (Oehler), necnam (B.
U. L. W.), necdum (Po|)ma). I d hiogo di ollneue
fi gur antur ( Riese ), abbiamo seguito la lezione
del Vahleo, coUa quale si guadagna un buon
colpo di staAHe contro coloro che ormai aveano
recati gli orci alb proporzione di olle. Questo
il solo luogo da cui si ricava Poso di iorocar
Vulcano nei lavori figulini (1). Il frammento
serviva forse per rendere ragione di qualdie in
vocaaion spetiale fatta da Varrone in alcuno
dei suoi libri.
Xl l l .
Non fa biaogno spiegare che s' intenda |>er
heUum capri num. espressione quasi (>rover-
biale e notissima. Inloruo al piacere scrissero
(1) Si sa d'altronde che i vasai aveano costume
di collocare presso al fuoco un^ iromagioe di Vulcano).
(V. EusUzio al verso 4^^ del 7 libro delP Odissea.
Cf. Mieupoort, Ant. Aom., p. 187, Ed. Vcn.).
700
Al KUAMM. DELLt SATIKK t l i ti I.OiilSlOlUCI 8 0 0
luollifiiiui, pecialroetilc tVfc i Greci, e tuoUi che
questa ulira iouc Jirell a oorobaUerc appunt
il libro che del piacer e icriue Epicuro. op
nQne senxa fonJaroenlo sicuro, come lenxa foo-
daiiiento quelU di Krahner, che pretende et>
ier la satira composta dietro Torm del
Cloante. 1 tre framioeati che rimasero non po-
sono dar peso a qualsiui congettara.
I. Censeam per succehseam (Nonio, I. c.).
a. Pfomi sque (pr omi i ue Burmaun Anth,)
come iorma pi antiquata sembra da preferire
al promi scue delle edizioni. Molti leggono ha
beri per habere,
3. Posses tam ampHus {non posses Oehier)
H. facile, ammellendo infinito, supplire:
ijuum di xi sset od un che di simile. ad in
tendere di qualche amante che non sa far troppa
forza a s stesso, cos che alPira succedono as
sai presto nuove lusinghe e nuovi vezzi, l^a con
gettura di Junio e Popma : suadet ut noceat^
non sarebbe per avventura sottile di troppo?
Confesso candidamele di non intendere il mo
tivo della lezione dell'Oehier aut notata e di
non prestare punta fede alla bont della spie
gazione: i mel l i go locum de muliere quae quam
uis inuisam mari to se esse sciata ni hi i o ta*
men magis linguam coercet sed semper ali~
qui d suadet aut notai ,
XIV.
IVrtulliano, nl suo Apologetico^ parlando di
Vorroiie, accenna come questi ()er metter in ridi
cola mostra gli dei |K>polari abbia inl^odotli a
{tarlare cento Giovi senza testa ; ed a ci alluse
anche S. Agostino nel suo libro Dt Ci u. Dei.
K pare che a ci fosse appunto diretta questa
satira, cos che tanto ci riesce pi grave che non
ne sia avanzalo un solo irammenlo. Avverlbmo
di pi che non fuori d'ogni dubbio se si
debba o mi ascrirere questo lavoro alle Menip-
pee, perch usavano gli antichi nel nominare
Varroiir, aggiungergli questo epiteto M^nippeoi
solo per distinguerlo da Varrone Ataci no, Ca
tami tus (gr. dicrvasi quei fanciullo che
si taceva servire a disonesti piaceri. Catami tus
|K>i dicevasi per antonomasia, Ganimede; come
io attesta Festo (Paul. Fesil, p. 4) Catami tum
pr o Gani mede dicebant. con questo nome
Cicerone chiam fier is^razio Antonio (Fhil. 11,
3 i ); ergo ut te Catamitum^ nec opi nato cum
te ostendistis, volendo burlarsi delle ipocrite
tenerezze che fece alla moglie Ful vi a m i s uo
ritorno da Narbona.
XV.
ra uso antidiissimo di scrivere sopra la porla
cave canem^ quasi per tenerne lontani i malevoli
e gli sconosciuti, mollo spesso stavano a guar
dia delle porte forti molossi^ ma non di rado an
com si usavano porre all' ingrestco cani di marmo
o di|inti sulla paret*; aggiuntavi sempre la scritta
caue canem. Senza ricorrere ad altre iestimo^
nianze ci fa fede di questo costume Varrone
stesso, che in un frammento delle Eumeni di la
sci scritto. . . . //I ianuam caue canem i nscri bi
iubeo. l'uitavia sar forse miglior consiglio veder
qui un'allusione alla mordacit dei cinici che non
guardavano in faccia a persona, e tutti attaccavano
senza rispetto, senza piet. In luogo di uti^da al
tri si legge ubi. La correzione di Roeper ( Cf.
Phi l ol ogus, IX , p. a3 i).
XVI.
Varrone qui trattava dells gloria. E siccome
ella cosa che si vnol conseguire a prezzo di
grandi travagli e di continue privazioni, c<*s non
costa meno latice di quello che costasse agli anti
chi di spingersi fino alle colonne d** Ercole ripu
tate estremo confine della terra. E questo parmi
sia il senso ovvio della iscrizione ; mentre quello
a cui inclina Oehier, che cio, dopo aver rcole
riempiuto il mondo della lama di sue imprese e
di sue fatiche, abbia voluto lasciare nelle sue co
lonne un etrrno monnmento del suo nome, impe^
disce la bella applicazione morale agli storti dello
spirito pel conseguimento della gloria, e lascia la
maggiore incerlezza sul modo con cui Varrone
avrebbe sciolto il suo tema.
Del resto anche qm la solita corruzione nei
codici di Nonio die' luogo a molteplici correzioni
e mutamenti. I taque in ceram H., i ncer aui L. W.
i nscri hUl oui Mercer., eas in ceram conscri bi t-
l aui t le Eld. prima del Mercero. Arcettamnio la
correzione del Roeper, il quale, |er seguire il suo
costume di comporre quanto pi possibile que
sti frammenti a ritmo, mut poi eas in tabulas
e cos ne form un settenario trocaico. Mwmmsen^
nel voi. i l i della ua Stori a Romana, mut
V athl i s in columni s, ma nn tro\ chi lo seguis
se. V Oehier legge cer as conscribiUam\ e <li-
femle la sua lezione con altri passi analoghi, come
conscribere mensas ui no di Ovidio, sti li s me
totum ulmeis conscri bi to di Plauto. Nel te
nere la lezione athl i s e nel tradurla per sforzo
mi parve di servire anche alla tradizione mitolo
gica, in cui le fatiche d* Ercole occu|iano tanto c
s relebre posto.
) TLRIiNZIO VAKRONI: 8 0 ?
Il senso della ioscriiione troppo nolo per
ch s abbia a pendere parole in dichiararlo.
Forse il primo framniento potrebbe far crolere
che questa satira porgesse alcune regole di pru
denza per guardarsi dagli animi leggieri ed in
costanti. La sola variante lezione str uat in luogo
di er uat rnerila d'esser nolata. Il seruat si rac
comanderebbe s|ecialmentc per inltis die pre
cede, ma diventa iiicomprensibile come reggano
conteroporaneamenle il l'reddo e la fiamma ar
dente, senza che Tuno di questi contrarii agrnti
b vinca sull'altro.
xvm.
Scoom<i i cigni allora mandano pi dolce e
sonoro il loro canto quando sono sul morire,
cos Cycnus si chiam questa satira in cui Var
rone trattava forse delle pompe iuoebri e delle
cure da prestarsi ai cadaveri.
1. a notare la forma itero derivala rego-
lamenle da ifer, mentre i ti ner is e gli altri casi
devono ascriversi ad nn nominativo fuori d uso
posleriormenlf, ititker. Lue. Muller vuol trovare
in questo iramroenlo un allusione ad Ali, quel
gtoviuetio frigio amato da Cibele, ai misteri della
quale fu, dalla dea slesM, preposto a patto che
si serbasse vergine. Caduto in fallo, ebbe per
castigo un sacro furore : e sircome non rispar
miava nemmeno s slesSo, In dalla dea mutalo
in pino. La forma templ i ad alta fani puosi
confrontar con quel di Virgilio a tempio ahy
thisqtte e non sarebbe che Io schema xot.5'
xoc .
2. E*aclide era un discepolo di Platone, ma
C05 vago di far fiompa di belle vesti he per
ischemo, in luogo di Ponticus^ dal luogo di
sua nascila, chiamavasi Pompicus. Kgli cooper
a cacciare Clearco tiranno della sua patria, e
corre fama sia stalo colpito di apoplessia rato
tre voleva persuadere, con un finto responso
deir oracolo, a* suoi cittadini che dovessero do
nargli una corona d"* oro. Kgli compose circa
cinquanta opere di varia erudizione, per lo pi
iiloSbfiche e politiche, fra le qtiali non si trova
dagli antichi citata quella Trcpt ((, la sola
che a noi sia pervenula eolio il nome di Kra-
elide. Si potr cjuindi ritenerla come una rac-
eolla di irammenli di questo filosofo. Intrno
alla propriet del mele, di cui qui parola,
scrive Plinio (VII, 3 ): Mel l i s quitltm ipsius
natura tali * est ut putrescere corpora non
sinat.
S a t i r h l L' Gi sToni ri , d i !V1 T u r Va r r o n u .
XVII. XIX.
probabile che qui Varrone difendesse le
dottrine e il modo di vita lennto dai cinici,
come lo fece Lnciano in un libro egualmente
intitolato. Del resto, il frammento che ci resta
non solo non autorizza a proporre alcuna con
gettura, ma non offre anzi alcun senso. Solo
noteremo uso di faci tur in luogo di fi t e la
variante purgant (Oehicr ed altri) in luogo di
pergunt.
XX.
Dubitasi, e con buon fondamento, se Gellio,
nelP allegare questa satira De officio mariti., abbia
riportato questo titolo tal quale egli ha ritrova
lo, o non pi tosto abbia tradotto dal greco.
Nonio Marcello, nel ricordare egli pure questa
satira, la intitola <vpc* V) 'Kepi -
, ed in nn altro luogo ntpl ^ ; cos
che da queste due citazioni risulterebbe il titolo
completo fwpcrj , IIcpi
/ ^ in cui la seconda parte tra
dotta esallamente da \ u\ Deoffci o mar i ti (1),
la prima un modo proverbiale che suona : u il
vaso trov il proprio coperchio, e si pu con
frontare col fiorentino u ogni vite vuole il suo
palo, n II giuoco di parole ira tollere e ferr e
fu spiegato da Gellio medesimo, che interpreta
il primo di questi verbi per corri gere.
XXI.
Le parole di Varrone citate da Filargirio
possono indurci a credere che si esaminassero
in questa satira le varie opinioni dei filosofi in
torno alla origine del mondo, e Varrone difen
desse eternit della materia. Fra gli editori e
commentatori delle Menippee sorse anche per
questa satira il dubbio se debbasi ritenere ge
nuino il titolo De salute o non piuttosto come
nella precedente, una traduzione delle parole
ntf\ . Se nella satira De officio mar i ti
ci siamo nccostati alla sentenza di quelli che
ammettono come primitivo il titolo greco, non
lo fH>uianio fare egualmente per questa. Il Vahien
avvent una congettura, alla quale non prest
(1) Le obiezioni conlro questa congettura sono di
pochissimo peso, e quindi accrescono for** alla con-
irnria opinione. Vedi p^r allio Sat. XXXII.
8o3 . AI KRAMM. DMLLi SATIRI: li Dtl LOGISIOIUC!
8 u4
egli sleiso troppa leilc, e si c li crc<lerc che
questo frammento debbisi riportare alla satira
Manius per analoga della sentenza, che suo
na : nec naius est nec morietur^ uigef neget
ut pot plurimum. Suppone di pi che il Me
nius dovesie eiiere fornilo di doppia iscrisio-
ne, da cui Filar(*iro avrebbe tradotto il suo
De salute. Ma queste fuppositioni non han<
no Icuna apparenza di verit. K qual bisogno
di unire ioei?me quei due frammenti ? Sareb
be una vera lavtologia, e convicn ben giiar*
darsi darne il carico a Varrone senza biso
^to. Ma t ha di pi. Nonio cita ben veiilisettc
volte la satira Manius^ e la cita sempre con qiie
sio solo titolo senza aiunta alcuna. Le stesse
oppo.^izioni valgano onrhe pel Mfnklinio, clic
vuide aggiungere questo iraminento alla satira
Dotiuni (lut Scriarn^ sulo perch ancln ivi si
parla ilei mondo e dlb sua costituzione fisica.
In questo passo stesso di Kdargiro v' ha chi
vuol inlrodurre un secondo cangiamento ; cio :
in luogo di Varr . . o//, Farro sic., e Ita
questi il Valden c Ochlcr, il quale di pi
crede tolte da Varrone anche le sentenze di
altri filosofi riportale dopo quelle di IMato-
ne dnllo stesso grammatico. Qui si potrebbe
rispondere con un jju essere, sebbene
non sembri (|uesto sospetto una buona ragione
per n)utare il testo di Mlargiro. Forse si ap*
posto pi saviamente il Prcller, credendo che
quelle parole del grammatico nou esprimano che
in complesso la dottrina della satira ; e parrni
l'hc l'intera forma in cui Filargiro espose il 5no
commento a questo passo di Vergilio accresca
peso alla sua congettura.
xxn.
Desultor es (gr ) si dicevano quelli
che erano esperti a combaltere cos a terra come
a cavallo, e quando o stanchezza od altro bisogno
richiedesse, con somma prcste/ia da pedoni di
venivano cavalieri. Ctsi si chiamavano ancora i
cavalieri li Numidin, i quali procedevano in
guerra con due cavalli, e quando uno di questi
fosse spossato, saltavano sull* altro agilissiinamcn*
le. Questo, che nei casi or nominati era eserci
zio guerresco, fu oggetto di gara nei g'uorhi.
Pausania (5, 9, 1) racconta clic nei giuochi olim
pici per un tratto di tempo ( dall Olimp. \
alla 8^) alcuni cavalieri, allorch il destriero cor
reva a briglia sciolta si precipitavano di sella c
senza lasciarsi fuggir le redini di mano studia-
vausi uguagliar il cavallo nella corsa. 1 cavalli
che si adoperavano io questi escrciiii diccvansi
f/ri'M//or/i(V.Suct.. Cacs. 3)) V. notevole un passo
di Cicerone nella oraz. pr Murena (cap. )
dove rimproverando Postumio, perch egli, can
didato alla pretura, cozzava con Murena candidalo
consolare, dice che questa gara cos dienguale
potrebbe paragonarsi alla gara che vfissfc fare
un di questi cavalli tmmacfitrati a reracollare,
collo splendore di che ai iacea pompa nella corsa
delle quadrighe. Varrone stesso ( R. R., Il, 7 )
nota al i ter qundrigaritts ac desutori us. F'ra
giuochi equestri cheavean luogo, rompile le tfacre
cerimonie dei fratelli Arvali, si not anche que
sto dei desultores (V, Prellcr, Myt. p. ^29).
K naturale poi la domanda, come si ri.tpondano
le due parti del titolo, o se sia da ammettere
una corruzione nei codici? Alla prima non pos>
siamo che soggiungere : per fpianto strana paresse
la secontla parte del titolo, essere fuor di luogo la
maraviglia, principalmente, perch Cf)1la perdita
<li quasi tutti i frarmnenti ci tolto di vedere se
veramente v' era una parte io cui ambedue con
venissero; ed esempi! di queste H'Iationi rimo-
tissivne ne abbiamo non pochi nelle Menippee.
L che la parte greca del titolo non risulti che da
congetture di erodili, pure on fatto. Nel co-
dk:i di Nonio leggesi 1 Tcv , ovve
ro TT 1. Ora la correiione di lunio
wfpt ToV pairmi meritare la preierenta per
la sola ragione che introduce minor miiiamentn
d lettere che non altre immaginalfe dai ponlC'
riori. K qual fondamento iii verit per correi-
gefc col Mercklino wguito anche dal Ricae iu
? F*rse--perche nel primo
Irammento si fa meozionc dei piraH ? r t chi non
c che non veda quale strada larghi.ssima sarebbe
con ci aperta ad ogni arbitrio il pi strano?
Il Vahicn proporrebbe la lezione -ript -
, come se A'arronc che in altra satira inve
contro gli eccessi della caccia, qui prendesse di
mira la soverchia cura del nutrire i cavalli, ed
uno afrenalo uso degli eserciiii cavallereschi.
Noi per altro, per la ragione detta di sopra,
non gliela meneremo buona. L' Oehler vuol tro
vare fra il desul tori us e il iripl ypctytt questo
di comune: che a quella guisa il desultor passa
con somma iacilil e deatrezia dall' uno in un
altro cavallo, cos egli egualmente era es(>erlo
neir osare ed alternare il verao alla prosa. Cr e
dai qui uelit. Per me io credo inalile ed in*
fruttuosa la briga di trovar la oorrispondenu
fra le due parti, nuii ben conoscendo se una
di esse sia la vera e genuina, e tanto pi man
cando nel teato il fondamento ad investigare
congetturare. La lezione del secondo frammento
da noi adottata tale quale fu proposta dal
Roeper, il quale vi riconobbe versi sotadei.
L ' (ehlcr lo ronsider prosaico. Or t o a torto.
o5
1 >1. IfcUtNZJO VAHKONK
u(;
IL \Utit, : Tansii[ia de] iHore, lo. Tonsilla^
se cslU U tpMgazQue di UmIoto (Orig^IX,
2, i 4)v srbbe un uucino ovaficcalo tul liJo
cui ei MliJftanu le l'aui ilelle iuit. Pacuvio
ilo|>er tonsi ll a nel scas di p*lf> piantalo a
<4iMlo slciao scopo sul lilo. Accessi ' ctd eam^
(ti tonsi ll am pegi l atuo in l i li or e. Forse po>
Irebbe essere ou JiduuIvo di toasa la parte
eilrtnfta del r^roo ed il n;tDo stesso, l / edizione
di luuio legge: nclus i aasi ll as li ttore, mouii
conflictum liileedaini dii pu.
XXIII.
QueMa salila lu da aluuiii inlitolala i l^ae
ui cti sl ras seuza buon fondaiueio dei co<liei.
Furse #vr coqdaiMialo |)li ecoessi che trop^io
S|K8So tengono tlieiro ad una siltOria, la poca
osMXfauia dl C4sl uhiqu precello : parcere su^
bi^ctis4 Anche questa voU, ooine aceade ii pi
spetto, dai rraoimeuii che appartengono h <]ue
sU sall*j, noti poasiaoao Cuc un beii iontlato
gi^dilio suUa ragiuae e eonvenieiixa ^dertloloi
I I. Cetrath. Celrci chiarasi uno scutfa
di co<>)o roUudo, di cui.iiloraam Irpssro Vaso
dalle Spagne. Pi tardi, si armarono dii esso p
soldaili leggieri. Ne faano mentron anche Ver
fftlio nel VII Erteide^ GiuUo Cesare nel l
De Bri, Cie. opp. 89, )^ j 5.
2: AMMamo ladDtlat 4a |ptone di <|!
t^e orda questo ramnWuto in ottonani ' ^ro
c-Moi In hiogo <dt< oewsidtfi^lo, con^e gli altri
edilwri^ proaaio.< SoU> Uel t e n oi v Mo, in vece
di ti scohinarlv J ttca^ sbinbra pi oppoKuna fo
correiione da noi riiala'tiel VMeir: t dir il
vero, U mw obn. troiMi n la alcan odine,
n io dcima ednienr^;e sarebbe in ^rslo^tHi-
^ poco poeiko. Notbrmor qui aiKora ccre^/rV
per cfesiiitff. d 1 rara vitrbo Hesc0kinare; A^\
Kuese earbioto in dtscopinare^ ha pfcima E l i
ne confortata di teslimonianze roafigiori. Pel
serrijitice x c o ^ a i %u Vari*. . L. VII,^ 68, da
scolfs^ raschiatura.
3. Ajiche queste irjunmoto i o giudieaio poe*
tio dal Roap^r ; vnav non preeeiifa alcuna iracf-
ota di poesia n nel concetto, n nella forma.
Qui a nota^ il dii inutln> epigrammarrurn^ c
per u^o di memi ni amosatTo, V. Znm{]^t ,
Lat. Gri^am. kd/ 11, 44" N>rma ^itid^uid in
solum u m t era Ksata a l^oma come proferbio,
per due : a cMOvOcnfta |roppo porti atlettitone
99sioiili: Cos Cicerone (J J e J fat. Deor,, J. a3 sub
rnie): qti<^doum<fue in slum Henk^ tt dicitury
fj^ngi s atque afficis : t nel 9.deile Famigl. 2(3 :
eonnit O r/r/er/or, ibi loquor quod in Sohtm,
ut dicitur, li origine di quf.sla lociizioiir
o.tcura (V. Wolf. Li ti . Ann. IV, 3/(7, seg.).
4. Ntl secondo verso, dopo aetatula, alcuim
propose ludos^ e Luciano Miiller fl ti xa. Nel
terzo in luogo di cantar e la letione comune c:
esse amare. La correzione si raccomanda per
poter evitare quel disgustosissimo iato. B gas
tener e F eneris^ come chiaro, bel modo e
fivace per indicare I* abbandonarsi a^li amo-
Tosi piaceri. In luogo di quas sinit^ ad alcnni
piace il qua si ui f. Sarebbe pi espressivo, ma
Torse parlandosi qui a giovinette, il quas (liu
a proposito.
XXIV.
Per diehiaraxione di quett<> trammenlo non
ci resta che recare le parole di GelKo. a Si Irors
scritto pnrum patum^ non solo nei palli stretti
ooi ' Cartaginesi, ma roxi in molli libri di anti
chi, cqme ancora nella tragedia* Alexander di
Q. Fnnio e nella satura di Vrron . trotuf. f
7|> MDel resto, accoppiati a questo modo i due
ggettivi, trovane! pi che iiiia volta in Plauto,
p* Cr*. pnrus putns tst fpss^ lu, hon c '
che dire, in carne 'ed osstt purtts purns iic
sycophanta e i t nn sicfofnta aetto e !pu((6.
Kd in un senso molro sffin Citerone hiarri
potissi ma ort orazione porgjitissima, pc^fetlii-
vkna. Orogiiiaim (IV, a^g^nnpe al pnonn un
ieeondo titol*, t'iti > J^pot; rvy-5r9t-
l'ptV.
XXV
I41 Mcriiione ha Hftle f aivps^ctlz rjitti k
proverbiale; rrrt In- spfegtirb Tii'<rit
fnorii ad'atcilo. ^MnSfArn rirori-ere col-
I^OeKIeT alla hrile di Ii i6 *^rtfe o Kr ahner
e quella' che ervaisiti ili lorm^ 'rtStnnda bel-
I' atrio^ Venta a simboleggiare Ha nur delt'a
terra | perch, wfehe ahimesso che la prima
parte i>el titolo all6 dess6 All* una o altra
di queste due butti, resterebbe por sempre ad
a^ipettare il suo t*.dippo qnelP enigmatico out
seria. Il Riese suppone, peritando bens, che il
l i tf do valesse quanto a d i r e : cc io sonn iiidilTo
reite tanto ili a' me la botte, qXianto V orcio,
lo non ineli<iO' n a rfueslo, n a qnello.
Kvdentemente la .satira trattava rWla rrgine
del mondo. I / elegante frammenlo e la citazione
di Probo a proposito di un pas.io di Vcrpilio,
in ( ui il poeta tocca della dottrina di Gpicuro
intorno a qiieslo ritale argomento, ne sono una
prova. Per illusirazit ne di qursto fraromento
So; ANNOI. AI llAMM. D AAl S A T l R t E DLI LOGISIOIUCI 8o8
)Mgsono servire i bei versi del cantor del-
EneJe : Georg. I. 33 1 >gg.
I dr i r co c^rfis dimensum parti bus orbem
Per duodena regi t mundi sol aureus astra.
Quinque tenent caelum zonae: quarum una
cor usco
Semper sole rubens et torri da semper ab i gni ;
Quam ci r cum extr emae dextr a laeuaque tra
huntur
Caeruleae^ glaci e concretae atque imbribus
atr i s;
J ias i nter mediamque duae mortali bus aegris
Munere concesse diuom^et uia secta per ambas
Obliquus qua se signorum uerteret ordo.
Io luogo di homull i ii Crinito lefse omnium^
ma il contrailo fra il lupeiUlivo maxi ma eil
il diminutivo homull i i|ui tanto opportuno,
che rende affai lofpetta la bont della corre
zione proposta. In luogo di fl ammi ger ae lene
fl ammae Othler che naturalmente dJ|>one in
altra forma il frammento.
Quam qui nque al te fr agmi ne zonae^ Bik-
cheler. lo luogo di aptus^ TOehler al tus. Assai
male. La parola aptus in questo senso , per
cos dire, termine tecnico. Cosi Vergilio nel IV
deir Eneide, parlando dell' asse mondiale, lo
chiama stell is ar denti l us aptum^ e Cicerone
disse pure <;oelum aptum. Fra gli antichi au-
cora non era ben sicuro se aptus si dovesse con
siderare come sinonimo di insignitus^ ovvero le
eorr9p)nda a! nostro : fitto, compatto [{^].
Considerando per altro che il circolo dello zo
diaco non si pi>tr:bbe con troppa verit chia
mare quasi una massa di stelle, mi attenni alla
prima interpretatione. Servio, net commenta
re le parole poco sopra accennate di Vergilio
( En. IV, 4^2), mi. larebbe contro verameuie,
ma nou c vuol molto a vedere ch'e(ili cootrad
dice a s medesimo, perch intendendo, come
giusto, axi s per la \lladcl cirlo, aogj^iuoge
non doverci spiegar aptum per insignitum
stellis^ essendoch asse, sporgendo ai fioli,
. Ma gli S pu rispondere : se axi s
(]ui eguale a coelu^ potrehbesi dir con ve
rit del ciclo che ? Probo compie la
' sua citazione colle parole : et appel latur a &~
\latun^ caelum^ Gr aece ab ornata latine
puri ti e mundus. Questa aggiunta st de as*ri-
vtre al grammatico? l>o vedremo in altro luogo.
XXVI.
Non andremo multo lungi dal vero, pensando
che in qnesLo scritto V^rrone si proponesse di
mostrare iiHitilt delle ricchmiime pompe re
ligiose, dei riti superstiziosi e coti via, tanto
comuni a* tuoi tempi. N sarebbe questo Tenico
luogo, in cui egli combattesse la superstizione
dei suoi concittadini. Altre testimonianze ne for
niscono S. Agostino e Lattanzio, e Servio giunse
a chiamarlo, acrem ubique reli gi oni s expugna*
totem, Luciano, i cui principii filosofici e rao^
rali consuonano tanto con quelli di Varrone,
lasci egli pure un libro irepl che era
tutto in combattere la necessit dei sacrificii,
fondato sulla massima : r oO Mitrai
I . Lydon fl umen non pu esser altro che
il Fattolo, il qiule era celebratissimo fra gli an
tichi per aure sabbia che menava, donde si
ebbe anche il oome di ChrfSorr oas, Latei'e
quod conquadraui t regio. Questo pasenr 4*u tocco
e ritooco. Alcuni leggono l ater regius^ altri
l ater quem conquadr auit; in l ateres quod con
quadraui t rel gi o (cos Oehier). Si allude poi
al re ('reao, il quale, come narrato da Ero-
dolo (I, lo), coir oro ottenulo d*lle sabbie del
Fattolo form un buon nomero di aurei qna-
drelli, e li mand in dooo ad A|k >Uo Delfico
per averlo propizio nella spedizione che intra*
prendeva eontro Ciro.
3. Vexi l l a: buona correzione in luogo di ubi
i l la (II. L. W. ed Oebler). Phal er a (gen, orum)
e aeigen. arum) chiamavaai propriamente un ire-
gio deir elmo, il quale serviva nello stesso tempo
a difesa delle guaneie e ad oniamentct. Si us
chiamare poi con egual tome le piasti e di 'me
tallo die rafforzavano il inrso dei cavalli, come
pure gli ornamenti onde ai abl>ellivatio la fronte
ed il petto dei destrieri. Phaler a dicevaiisi an
cora quei fregi portati sul petto dei prodi che
aveano sul campo compiuta jualohe singolare
impresa e date prove di distinto valore. Mar
gar i tum iu genere orulro fu uealo iit qualche
altro luogo da Vairone, l'uttavia di oso pi
raro che I ieiiiminile.
3. Lauere qui nel senso di polluere^ Egual
mente Vergilio (G. I li, 2ai) l aui t ater corpora
sanguis ar ar am aggeres agger em}
nou che una circonlocuzione per aras. Ar a
non |i dislingue da al tari a e non quaiito ii ^c-
n(*rle si distingue dal pi fpeciale. L* ar a era
formata di terrkx'io o di aasfi o di zolle, talora
rotonda, talora bilunga, alcune violte quadrala,
al tar ia (pi tardi al tar e) era pi ella, pi
solennr, destinata pi partioularnsenle elle tI-
liiue ed in onore degli dei maggiori. In ciascun
tempio era uu' ar a od ///| e la prima,
volta ad oriente e dinanzi alla statua del nume,
accoglieva le preghiere e gli inccnsi. A me Ir-
8u9 DI il. IbKbiNZIO VAKKONb: l i
vaTMisi ancora oei saolyaiii famigliari, looJe
forf TcipreuioQe arac et foci , I , per
allro, itfaiobiavaoQ facilmenle Tuua coii'altra,
coli ara per al tar ia usalo io questo luogo
Ua Varrooe, come da Vergilio : tpiusque
cr uor fumabat ad aras ; al tana ar a us
per esempio Vergilio stesso (En. Vi i , 71) castis
adoUt dum ltmria taedis*
4. I mbuere qoi uel suo eoio primi Ufo,
cio macyJ are^poJ luere^^nficere. Questo Iraro
mento e aiiteceJeote si |ioasoiio facilmeote ri>
ferire al faiuoeo sacrifiiio J Ifigenia. Allora, il
sangue, ili cui si dice schiazzala la spada del re,
sarebbe quello della cerva sostituita da Arte
mide air iunoceule f ergiue ( Riese ).
5. Pur am ac putam, Ved. Co i d i d . alla sa
tira XXIV.
6. Exodi um una composizione dal greco
^ Jov. Qui si allu<le, senza dubbio, alle
parole dette da Soorsle al auo discepolo Ghtonc
in sullo spirare : O Critoue, ho fatto volo ad
Esculajiio di un gallo : adempilo prr oe, n lo
dimenticare (Piatone, nel Fedone, 118).
7. Lutaui in luogo d l ui , l i MiUler a? ver le
questo luogo che nell'uso di questo verbo
l utare VarriMie attese piuttosto alla ragione rA-
miologica del vocaliolo (Vedi de L , L VI, 11 )
che non ai seoso iu cui prendevasi alla aua et.
Del resto il giuoco di parola vi InuileliigiUlc.
Potrebbe sacre nuche i ui aui zz: litau/^ l i tare
presa nel senso frequentisnieao di sacrilieare eou
buon augurio (V. Livio 5, 38, 1)*
XXVl l .
Gclliov nel ktogo citato^ discorrendo intorno
ai principio stabilito da Frontone : di e quei vo
caboli i quali iitchiudon in s la notione di
moltilline, debbano tarsi al plurale, aggiunge:
u Frontona ci incit, ad invesiigore questo to>
caboJo {quadriga^ arena e simili ), non perch,
io penso, li credesse usati da alcuno degli antiolii,
ma a mettere alla prova la nostra pazienta del
leggere per far iii;erca <li parole usale pi raca-
meute. Trovammo in fatto, ci che solo sem>
brava rariuirao, quadri gam usata iu numero
singolare, nel libro delle satire di M. Varrone,
iniitolaAo Eodemetr i us (Exdemetri cus, Orbler
ed altri) Servio in Donato (p, i 843^Putacii. /(32,
25 Reil). Quadri gas di ci t numeri tantum pl u
ralis^ sed Far r o di ci t et numero si ngul ari .
Nel libro De l, 1. X, 2^, Varrone non ricono
sce tfuadrigam. N di questa satira si sa o si
pu dir di voltaggio. Aduttai la lezione Exde
metri us che ha ancora rappojrgio di codl.
Lugdunensi.
XXVI li .
J! titolo ed i tre primi frammenti ne ind*
cono a credere che questa satiri fosse diretta
contro coloro che si lasciassero dominare s)ver-
chiamentedal sonno. La saga di Endimione non
nnica nel ciclo mitologico. Due tradizioni, Tuna
neir Elide, altra nella Caria, eon\en^ono nel
riconoscere in Endimione il bel dormiente e
amato da Selene, ma non si accordano nel
narrarne le avventure. Quella di Caria lo imma
gina in preda ad eterno sonno in una grotta
del monte Laimo (^, da ^, obliare)
visitato ogni notte da Selene th si riposa al
suo fianco. Endymi ones <|uindi si chiamarono
tutti i dormigliosi, e Cicerone altres, per ac
cennare nn saporitissimo e profondo sonno, lo
dice somnus Endymi oni s (De fithus^ V, 55).
I. Per sumeret^ saper ti {OMtt). La chiusa
del franimenlo fu mirabilmente variata. Cur uan
i em extr ema nocti s tempori (Codd,)' turbanttnt
{ Popma ), extr emo nocti s tempore ( lunius ),
tempora ( Aldina ). Vi dei *^lliov coronantem
xtfema noci i s tempora^ cio quoil uigi l ium,
quale soggetto. Questa lezione, congetlufa del
Orbler, non si raccomanda per qualsiasi mo
tivo. Prima perch non ha buon fondamento
nei codici, poi perch non che una spiega
zione poco importante del ui gi l ium. Forse in
un frammento prosaico sarebbe non troppo a
proposito una immagine piuttosto ricercata come
^ e s t a del sole eli> iucorona gli eatremi spazi i
delia oallcv leiiooo che noi seguimiao nna
ingegnosa a l>ella correzione del Valiien adot>
tata anche dal iliese ; ed una buona sterzata
ai crapuloni.
a. Sembra ohe Varrooe voglia accennare in
qufsto irammento alla morte, e per vero in una
maniera del tutto nuova. Siccome, spiega TOehler,
quelli che. calano .neU*oncn S004 avro(, privi
quindi di q^cl piacere die si prova nel ri4 o-
nare svegliaudosi, Tdast cit alle proprie: mem
bra, cos se ^ vuoi gpderne a lungo serva mo-
deratiqnp nel sonno, iu Nonio leggesi tr ii ou-
: fu variamente corretto. *v *At^ov ovirvi-
ToT( lesse Oehler, ma correzione spinta trop
po oltre; tv a<tou n^nort il Tuniebio.
3. Ai.aturum di ci tur celer (Nonio). In que
sto snso fu usto anche da VergHio, mentre
nel frammento seguente equivale a mi/e, coctum,
\ , Di scumbi mus inui tnti . Di scumbi mus
mussati la lezione pi comune, lezione per
altro che non pare abbia mollo peso. Mussare
() vle quanto: borbottare, parlar fra denti,
e qui non sarebbe forse a proposito.
Hi i ANNOI . DLLLK SATH\ t II DKI I .OGI STOl UCI
1 2
5. Amphor as {ophocas 1). I I . L. \ V apoi ht
cas^ Turnebio e Lifisio) C/iias^ rioc il vino di
Chi co> celebralo. Il sento del fraromenlo
troppo chiaro.
6; Che i luoiii ciel sereno fosMro r i f ut r
dati cuintt fclcsaimu ugorio e a luUi gi aolo.
Forse Varrone qui ebbe dinanii agli occhi il
verso di Ennio i Quum ^onui t i aeuum ene
tempestate serena,
), f^ertilabundus. Vocabolo orornesto nel
L ex di Freuod. Come da sorbeo sorbillo^cos
da uerto mertilto,
8. Intorno a Mercurio cM fa il suo sog
giorno iti AroMlia, V. Pautania, EHac pst.,
c. 2G.
XXIX.
11 titolo d* questa satira donilo ad uilo
corriiode deirOehIer. 1^ |an4a ^pitap/iiones
fu piacevolinele inventala da Varrone per de-
atgttfve colobo i quali ripongano la loro i4ura
grandetta negli aplendidi e s|ierticali elogi he
si incidono sui sepolcri Almeno u6t, per espri
mer cosa falsa, la dicianao vera come un epilo-
iio. Nella leiione dei due fra^imenii non ba
<)uasi altra diversit se non che OeMer; in
luogo di epi taphi i (fr. a), legge capuU. Credo
a torio ( I
XXX.
La iacrMone di vfoesta satira coli eomine^-
tal dal Tumebo . . . fimo hiScVipeieitr -
nehut i Mi beHdum mj dum ^inrpatationi e/
ebrieimti, Nerm e matuU ptuht si gnijkamty
cum cibum si niorem in uentrem^ Utfiidiorem
i nwi ti cam descenderas censerent. Dovessi adun.
que cessar di bere, perch mnHat plnae j afn
factav^crani,
. ApotheSk, Qui hoh d i intebdere n
ua cdnlina sotlerranea, itv cui n^n i s^rlMita
chr il viqo pi file^ il logo nell -
pcriore detta ca!a al -iefbaVa II vino geite-
rot<, perch pot^fss eliscre itiVeslil dal fumo,
chre, a lor gio<lizi, tM aerreace^a la f o r i ; ma
piutlollo'dl un qaafche ripostigifov in cui si
() hlpitaphn Hicevsmi le Oraste Ai lebU pw ce-
l<4;rac meriti di ,un -deraatc*. Ecco perch Varroae
dice che si coneervano lUfi libri., f(oLa poi la grande
ahbouiianza cb re o' aret ; e osserTaiioae giusta.
Da priocipio esse frano n onore poitumo a quelli
che ben meritato della patria j in appresso,
cadute al Basso le glorie cittadinr, queste orazioni
divennero on argomento d ambizioni privatH e quiiiHi
si moltiplicarono onxx numero.
lnHsrro pruriti r*l di ino clic tnswro
necessarii pt*l coiivilo. Vocabolo *11si-
jtn^calo incerto. Forse potrebbe me r e una cosa
sois con specie farticolare di Uxta d cui
fa meuioiie anche Ateneo {Dipnos. Xi^ i(8G). U
Foroeilini riferisce tncUcas md apotkecas, come
fosse uini mel l i i i plenas. Non (>are, principalh
mente perch qui non si parla di ini, ma di
soli recipienti itbs, Obba era il mime an-
lioo tli un taso grande e figonfio, di legno o
di vimini, a serbarri il r o .
3 . Iltwv buoMi cofrezione tli lunio in
luogo del dei Codd. (enettim era il
vhio sincero e paro. i>a distiniiome chiarissi
ma in quenle pafole di Cicerone fiiel 3.De
Rep.) car ent temeto mulieres non uin. L ' oS'
servaiione qui latta da Varrone gtu^isstfti.
Gusla il saper M \inu chi lo sorseggia, non
chi lo iliircdia.
Cnpas. Citp, qtirR arnse io coi raeco
glie vano il foosto gi sprertiul. It Torabolo cupa
per eUna^ a?ea in sguMcato ampio come
in questo verso'di l^icafto^ Ham^ue rafm wtt-
4tKoe suitentamt hdiqtt tupUe, ^ Si rpare,
Vetrone (liti V *l L. L,^rp. 1^7), spiega i>-
par c per oA/rfare e- si r pi per vfoehi. ^oci U
lufn e diflftitfvio di pocnlm. Opi ci il um o*l
pocHlam Oxldi i nupi s uiUnM (lun.) ui nopo-
cHlum {iMUtP).
5. L' ultim jiiiso \ qiMito frsMmnto pr-
senta'4>n poche MlhxliA> ai rigurilo alla le
zione che al selisO. 1 Co^Jd. el degli
editori lessero tamen tum , ui ni tnri . I/ Oeh>
ler mul il ui ni tar i i ti minitari^ e diede un'ae
rea spiegaiione : gli dei scesi nei tempii ed
inel>riak4si, ae U prendomt llo con Bacco il
largiior del viw e<4o tniwaciiiaie coi bieden.
Di pi, Hi i iniieri non'si trotta regis|ralo nei les-
sicli e noi oe demmo <fnNa itHerprctasiowe che ei
parve mepo^ itraiWi lw>Baatigero lesse uaa i ar i.
Si mp^ui am non ha Uri esempli eh? qbesio.
Coti ess di aeoenna ad Ma tac, il cnr npme
p* on>4e|u^' e^ si mpuium non
eo*Ae pffisli Varrone^ quasi f(ts.ie smmpmitu^i a
eumeiido)^ usata nel rili ucviv e da cui tal4i i
sacerdoti attingevano.
6. Scatr r ex i r %ca4urri g. U funie qui ac
cennato un huMie Hi Beoiie, il quale nosce dal
colie Isroenio, d o n ere oi tempio ed nn oracolo
di ApoH ^brod. 1 , 5a), sgrgendo da ofia sorgete
della-Mdia, e die, attraversata Tebe, unisce le
sue acque con quelle deUa sorgetke Oiike e
sbocca md lago Hylike. Og(;i delto A Ianni.
8i3
1)1 . tUtNZl O VAttRONt
8 i/j
XXXI
Il pciieicro clic lotuinava Varronc nello seri
vere questa satira era |o stcxso U ohi era ani
mato Oraiio quando fingeva Ji litigare col lai*
Ilio Damasippo in giornea li stoico, f:he, iniljoc-
ralu <la Stertinio, si era |resa U briga li coiiviii
ere il porla, die l^tli dal pi al neiiu ( gli stoici
soli i-cctituali), fon pazzi. chi rivul*;a lo sguar>
lo a questi rraroinenti non potr non risov?enirsi
Itila satira cosi ricca in bellezze del Venosino^
specialmente osservando gli esempli, dei quali
uno die altro d i due stoici si la forte. La
ragioiTC dd titolo sta tutta nella credenza antica
rl>e Taccrramento delle mcnli limane fosse 0(era
li una divinit nemica, delle Furie. N crcdu sia
la insister trop|>o come fa il \^ah|en, nel cercare
una corrispondenza fra questo insano della sati-
ra, ed Oreste inseguito bile Knnienidi pel ma>
tricidio commesso : uno stesstv titolo *onviene ad
ambelue i comfioninienli, ci a qu*sta Menip|iea
die al capolavoro di Kichilo, senza rlie per qiie*
sto ne deliba venire necessariiimente una stretta
orriapoiilenza nello svolgimento della materia.
La dispofiiione lei frammenti varia aenza
Inbbio, a seconda dd punto li vista immaginato
dai conimentalori. Non dico delP diirr che li
dispone a caso, mentre, quantunque mutila, qiie>
sta satira offre un filo <d orditura. 1 / argo
mento viene cnj esposto dal Hiese. u Durante i
Saturnali un cinico (Varrune stesso come sembra)
dispone un convito di filosofi. Dopo le ingiurie
e le querele lei servi che dispongono apparato
(I V) entra il 'inico ( VII), sopraggiungono
}ili ospiti filosiifi. Contendono subito per ordine
dei posti ( X)^ uno li riprende aiGuch non ti
rino in lungo il momento di saziare la fame (XI).
Il cinico comincia dalle lodi dei maggiori (XII)
poi trova che Appuntare ai filosofi e corne p z z i
li disprezza ( XVllI). Uno lei filosofi commen
sali gli rimprovera i vizii da cui esso c dominalo
e che lo rendono insano ( XX). lite, di cui
in>n si pu esattameote dire corno fosse cindolta,
termino c>l dire che non sa qual d' essi, sia in
sciiiM) (XXI). Si levaDo. Uno, non so ehi, li deter
mina a cousuliare;a questu proposito Serapide
( XXIll ). Solo colui ( ic io r> Varrope (?) ) o
fosse pi degli allri desideroso lei vero, o perch
pi degli altri caldo di vino e di piaceri, va a
oiisullar il nume ( XXX). Questa cosa si spar
ge fra il volgo, ed egli si acquista la nomea di
pazzo ( XXXllI). Non avendo punto guada
gnalo consultando Serapi<le se ne va a Cibdc, il
ulto Iella quale ( XXXVJI) da un tale ce
lebrai* ( XLII). l allitagli ambe qui la spe
ranza, se nc parie adiruto ( XLIV ) e si ri
congiunge coi compagni. Nun ao come, la nar
razione passa in allegoria ; ledono le Furie causa
ddle umane pazzie ( XLVI) e seguendo Dio
gene (XLVll) luce dei cinici trovano finalmente
la Verit che li guarisce del tutto ( alla fine).
1. Caperrare. Verbo figurato, preso, come
dice Nono^ a caproruin fr onti bus crispisi ed
esprime il golcar Iella ironie in allo d' ira.
Strobi lus. Nome di servo. Cogj si diiama Anche
ni'ir Aulularia di Plauto un<i dei servi.
2. Cum psalte Pi si a. Lesione data per cwii^
gel tura dal Kibbeck. Cum psalte psall i t ((er-
lach el Oehier). L ur cati maugiare avidamen
te. liichiamili, lettore, alla ole le crapule ed
il baccano cui davano occasione la festa ed i
giuochi in cniore li Flora (Cf. Treller How.
Myth. Fd. If, p. 3 8 i).
4. Tor r er e non usasi solo dire lei fuoco
m^ del fieddo ancora. Lgualmrnlc urtre. Ure
bant montana niues (Lucr. lib. IV) pernoctant
uenatores in niue^ in montibus ur i se pati un
tur (Cic. 2 Tusc ). Vel l i cum in luogo di w////-
cww, come uella |>er uilla. Alcuni codd. uel-
licem,
G. Intorno al proverbio cave canem^ vel.
quanto abbiamo Ietto alla Sai . XV.
7. Occupare spiega Nonio per rursus deti
nere. Scanzio un poeta affatto ignoto. Pare
non sia da atlriburgli che la sola irase /torno
per Di onysia (1).
8, 9 . Mtr et: humi l li mum et sordi di ssi mum
quaestum capit (Nonio) e nel frammento 9 equi
vale a meretur.
10. Tri chi nus. Nonio deriva la parola la
, capelli, cos che c()uivalerebbe a tardo
impedito, ovvero secco, senza umore. Forse
pi naturale ritenerlo quale forma aggettivale
di tr i cat (V. Roeper, prog, saecul, i 858, p. 22).
11. Neapol itanas pi sci nas. Allude ai vivai
ctlebratissimi del lago Lucino e <)eMc coste Na-
politafie. Lucullus., ilice Plinio {R, ., X, 5^)
exci so eti am monte i uxta Neapolimf maiore
impendio quam uil lam aedificauerat euripum
l mar i admi si t. . . . Quadragies . S. pi sci -
rtae a defuncto i l io ueni ere piscs.
12. A^e/, qui uuto in settso di efiam.
13. Il senso del frammento ; die Zenone
da principii nuovi trasse nocelle conseguenze.
(1) Il Vableo tuttavolu ^ di parere clit honu>
ia qui a prendere aTTerbialmenCe. Che homo abbia
io laiiao 4|uesi0 uso certo, ma non credo che ia
cos sicuro^ esserti da Varrone ntnlo in questo luogo
quale avTcrbio. Esteodo la sentenza incompleta, po<>-
vono 5UMstere ambedue le interpreuzioni.
Ai5 . . DtLLK SATIHIi li Dtl LOGISTORICI 8>
E paxi l l o pendere fu usato da Varrone anche
nel Bi mar cus (f. 16). N mi par necetsaro ri-
lenere colP Oehliir che dehhaii intrmlere de r e
bus pr aeter necessi tam susceptis, Qaeilo Ze
none I*antesignano eil il IbnJatorc delta sella
stuira.
14. Koi|1edocte di Aur;:ento, uomo d slato,
poeta, investigatore sotlilissimo della natura st
propose lOine scopo della sua filosofa di accor
dare la (\iica Ionica, la melafisica Eleatica, ar
monia di Pitagora: per lui nessuna nno?a pr-
duxione, nessun annientamento. ^el mescolarsi
o nel disciogllersi dei combinati dementi rite
neva consstere la vita o la morte. Suppose quat
tro prQcipi elementari. Blitum^ genere d
erbaggio, senza sapore c senta acrimonia, usata
|>er rimedio ad alcune malattie esteriori come
morsi di scorpione, ecc. (V. Plin., H. N.y XX,
Kra assai comune fra gli antichi che gli uomini
fossero, dir cosi, germogliati dalla terra. A^edi
Lucretio (V, 789-815; V, c Vergilio
(Georfficoy 11, 3 ^0).
. . ui rumque
Ter r ea progenies duri s caput extuUi t aruis.
15. Peusicro ripetuto ancora da Cicerone
(De Diw^ 11, 119), sed nescio quomodo ni hi l
tam absurde di ci t potest quod non dicatur ab
al iquo phi losophorum. Sennonch comparati gli
assurdi di filosofi ai sogni d' infermi, espres
sione ne riesce pi sensibile e vigorosa.
16. In luogo di sui le i ncedi t: si laam caedi t
'(II. L. W.) cum uaccas flagro caedi t capr osque
'fr uci dat ( Korpcr ), cum uaccas l or o cedi t
(Mahly). Questo passo ci richiama naturameutc
a (|uello di Oraiio :
,4j ax funi cr edi t fer r o se caedere Ul i xem
Cum baculo caedit si luam porcosque tr uci dat.
17. Frammento di leiione incertissima, rd
iuesplicabile quanto al senso. Ecul um {eculeum
l i bri passim)^ diminutivo da equus. Che siano
|K>i questi eculci Uamacrioi {Damacrianum^ Ii
bri passim ) assolutamente ignoto. Il Uoeper
{Philos^y XVII, 99) propose Damasi ppe (1).
Equiso^ eques (Nonio). E x hi berni s exhibebis
cd exhi beti s ( libri ), ex rabi di s ( Oehler ), ex
hibus ( Uoth.), ex saeui s (l'urncbo). Fl uctus
morbis^ frase ardila che si potrebbe forse com-
(1) Io ho data usa Icbodc che non so se sar ac
colta con favore eculum Pfonacriuntt cio cavallo Ar
cade : era il nome della parte di Arcadia
che era iotoroo al Peneo, per inetoniioia applicato
a tutta PArcadia. Ovidio {Met., I, 690, a, 4<>9, 8, 4^^)
iivloper Nonacrinas^ Nouacrinus^ Nonacri
parare con quella di Geremia : tempestates
fami s,
18. Qui presa a dileggio la metempsicosi
f>ilagorica. La fine del frammento leggesi iu
Nonio assai depravata : an boluae an de a lu.
cibus labus Atheni s. Il Ries corresse: an beU
uae an uel bucinus fl auus ahenus? e fonfl
la sua congettura, ingegnosa feramenle, sopra una
conyenienza che gli parve trovare fra questo
passo cos corretto ed uno di Aristofane (Rane,
932). Ivi Aristofane ricorda un tw-ire-
XcxTpvcva, animale immaginario fra il cavallo ed
il gallo e di color fulvo, che stava quale orna
mento di bronzo (ahenum) sulle navi persiane.
Buci nus poi interpretato da Petronio per
gallo. Per altro ci parve meritasie la preferenza
emendamento di Roth. AIbncio, cavaliere ro
mano, ci dato da Cicerone nel Bruto, c. 35, quale
perfetto Epicureo: e le parole uoluae de A buci
subus consuonano con quelle d Orazio Epi cur i
Se grege porcns. un fatto ancora che Albuco
Tssc a lungo in Ateiie (V. Schoemann, Comm.
al lib. de Nat. Deorum di Cicer. L. 33, Ed. 11).
La uolua delle troje era in boc< one prelibalo,
cos presso i Greci che pei Romani.
Ni l uolua (cio Sui lla) pul chr i us ampla^
dice Orazio ; e Marziale :
Te for tasse mngis tapiet de uir gi ne
Me materna gr aui de sue uulua capiet.
( X i n , 5;).
An de Al bi mullabus et hinni s ( Roeper) .
Non meno grazioso lo scherzo di Orazio quan
do (Epistola I, 12), alludendo alla Metempsicosi,
dice : seu porr um et caepe trucidas,
20. Stare qui nel senso di plenum esse. Cos
Vergilio: iam puluere coelum stare uident.
Cogere per corr ader e (Nonio).
21. I>a similitdiiie tratta dagli itterici qui
tutto al proposito se s intenda di questi filosofi
che, tocchi net cervello, non sanno poi fare
distinzittne alcuna fra savii e pazzi. Morbus
arquatus detto pi comunemnite morbus r e-
giuSy s ^ n d o alcuni, J^erch ritenendosi Punico
mezzo a guarirne, abbandonarsi ad ogni sorta
di piaceri, il soddisfarli non era cosa che di per
sone traricche. Cosi Celso : per omne ero tem
pus utendum est exerci tati one fr i cti one si
hiems est, balneo si aestas., fr i gi di s natati oni
buSy luto eti am et concl aui cultiore clauso l oco
uti et l udi s l asci ui a per quae mens exhi l ar e
tur, Ob quaw regius morbus di ctus ui detur.
Aut mala quem scabies aut morbo regius ur
get., disse anche Orazio sulla fine della Poeti ca.
Ar quati i et ueternosi s (Ed.l. ani ).
8.7
DI , T^liUENZIO VARRQ^K 8 1 6
2,. ELrios ek ieiunot non uinolentQS al
sitie c/Ao, sud ca^pleos {vtl nexphtos) tfualibet
re posfupuis tNeere (Nonio), ki luo^o di feni ca^
motti U g g o n o JperantologQS iniuria
(Ochler), urgh (Romper). 11 sento chiaro.
26, 27. L' itilioip legaiiie (Uquesti dee irm
roait mostra eh* essi jiod debboni forintro^ che
un solo. Nd ^^^ verto una varieot noAabilis
tima nummo m loogo 4li unimos {ammo) L
connessione dei pensieri ci dermiu a tceglirre
animos, lo falli, queslo ioMno filosofo, per gua
rire della sua pazzia, tuoi TtsiUre alcoui san*
tuari e prima fi rivolge quello di Serapide.
L ficoomc uno <letali asUiHi gli fa otaervare che
Serapide mdico iulo dei corpi, ei gli risponde
ccfllc parole qui arrecate dal iraroiaeikioj Se si
legga nummo il pentiero drtnl 'oscuro, e
ai intende pip la ^gione 4 ei secondo tei so, D
cui alUo risponde che per qaelU cdra lauto
vai Serapide quanto Aristotele (cio una seno)
filosotca) tanti iivrty zz aeijUe. Una corruiione
manifesta ueUe ultime |>arole del irammen-i
to. 11 Kieae: mi rare deum m De eodtm, D
me ommise l ' i j n b , ed il Roeper espuDie de
eodem.
28. Illustra r|neato frammento un pasvj di
Cicerone {De Diu.y 11, i 23). Qui igitur conut
ni t aegros a conieotore smniorum pofms
guam a medi co peler medi ci nam An Aescu-
l apiu an 'Ser api s pofest nobi r praetcr ihere
per somni um curati onem ualetudinit,deptunu^
gubernanti bus non potest?^ Vesci eumi num
(Oehier, Vahlen dopo limiat). Anche 1 sisiio-
brio per altro raccomandato tome erba med^
cinele ila Plioirt riel XX De H, N. Se si tiene
il cuminum^ parrebbe non si adattasse bene i4
uesci^ perch ai iitava farne ona bibita. Cos
Pliiio, ed Orazio (Ep. 1, 19, 1 8 ) : biberent e
sangue cuminum.
29. Frammento di iensb'iicertd come il ee-
guenle. L' iscrizione delfica (^3
(Benliuo), o &r& (lunio),
Roeper) ci del tutto Ignota. OHre le due
notissime e MijJiv ayay, >e ne atera
U11' altra <\ Interpretata mirabilmente da Plu
tarco, che la riconosce una conlessione d^lPunit
di Dio. (Ci, Centofai>lf; ^ii// pita c sulle opere
di Plutarco^ pag. CLXIII). Ma di t|oeet qui
accennata da Varrone net uolam nt uestigium.
So che il Gltiiivg ne ha scritto appoiita diser-^
tazione (^eriV^fe sths. Ges, d. Wiss.^ %1\\
p. 3o8), ma siccome non mi i o dato aTerfa alle
^ mani, cos debbo a* quella rimandare il lettor.
30. Spurium, zzueltemens asperum. V i nqui t
si deve riferire al nume comparso in sogno. AI
i Meirero cd alfOchler piact|ue il nol uer i s in
S a t i h r e ,oGisTi Rici DI M '1 EB. Va r h o n e .
luogo di nolueri m. Ma siccoo^e Mnofuerim non
si deve riferire aU /ieea, cof quanto diceste:
nunc de te mel iuscul am spem haheo^di ci t de
//le, qui (qui ppe qui ) spur ci ssimam rem gu
s^art j(ioluerim (Vahlen).
3 i. Pr opter a questa guisa fu usatg aochc .
da Ovidio (uolucris } pt opler humum uolitat. .
Qui ai deve iutendere della Faroa^ Non m pu |
ommeUer di notare Vuso stranov a d i r -fero, e
che noQ ha altri esempii deli'aggeli i vopercre-
pus. La maggior parte con Nonio lo ritiene
come ve^bo^ ma veramente aggettivo.
V i x spiega Nonio per statim. Ma, essendo
eifivto ordinario ili questa particeli quello d' i n
trodurre la pvodoji del periodo, ai pu riteoc-
re che egli abbia ommesso una preposizione
colla cumy p. e. : cum fama uulgalur od alcun
che di simile, lu falli, in un codice elvalico,
*<lopo ui X' ci ' ha una lacuna. Atr a bils
la roelancoQta. Spl endi da biies fu detta da
Orazio.
Z2,\Cmmodum^Nonio, domutn, Errore evi
dente. Demum (lunio). En commodum (Vahleu).
D quest avverilo abbiamo esempii in Catullo :
Commodum enim ul o ad Serapi m Defer r i
(X, 26 Ann. di Hand) e in Plauto ; Cotnmodam
radiossus se ecce sol superabat ex mari
(.Emeudazioue di Bucheler), quindi equivale a
cofnmodo e commode. Opinionem., non f a
mam, come spiega Oehier, ma suspi tionem,
come nota giustamente Nonio.
34. Questo frammeuto cos si leggeva nei
Codd. Noi^n. ; cum ilio uento^t uideo gal L fr eq.
in tempio qui dum ess^aa hora nam adl atam
imponeret aedi l is si gnosiae et deam g. u. re
tinebant studi o. Il I^ohmana (seguito dal Vahlen)
corrette: cum i l io uenio uid, gal L fr eq. in
temp. qul dum inessenh-hg^notn adl atam imp.
Atti di s si gn synodi am gl lantes uati o retin.
studi o, QiHtla lezione non digerisce esaenzial-
mente da quella che abbiamo adottata. Ci parve
buona cosa mantenere aedi l is perch vi fosse
chi funge la parie di pontefice. (Cf. Iscr. Ordii
i 38i , S142, 388a, 59^7, 6 i i o , G997.) Riese.
Signor Atti di s signo (jybelae vengono a si
gnificare pretso a pooo lo. tleaso, perch il cuU
lo di Ali cou quello della l^lagua dea quasi
una cosa ieb. Str epi ta: il B.oe|)er xmo,
Gal l i ai .dioevauo i sacertloli.dell'entusiastico
culto di Cibale. ^ Gallare^ z= bacchre,
35. Questo trammenlo risulta da tre luoghi
di Nonio, e con non poca latice se ne formarono
tre versi galliambi. Easi voglionsi riferiti^ al fa>
vorilo di Cibele, Ali ; Tfpana tonare^ anche
Lucrczio nei notissimi versi typana tenia to
nanL^ ecc. i nani soui tn (Scaligero ed allrr) tibi
ftig
ANNOI. Al I UAMM D tL L t SATIRl: E DEI LOGISTORICI 8 j>
nos (lo s(eiso). 11 Cod. Marcboo: Sonitus Ma
tri s Deorum tonimus l i bi nunc semiuiri.
36. AnimOy zz sonus (Nonio). Fr i gi os. Sollo
qyealo nome a' io lentie la libta. ^
/ ( Suid ). Li gui da BpiegtU per
oate, dolce.
S7. Excantare^ in icnio di excluder e osalo
nchenla Plauto. Qui non si sa precMmente ehi
Il volesse allontanare dall'ara ; probabUmenle co*
lui che ?i era odalo a cercar salale pel soo male
affello ccrtello.
38. Proli tatem^ prudi i atem an (B. H. L. W.)
pud tatem (Aldina), rudi tatem (Oehier), pr ocaci
tatem (Preller), propudium (Ribbeck). Coep t
equivale a coepi i sci sci tar i quaerere. Iu egual
senso OvidQ {Fasti IV, a i 5 seq ).
Desi er atycoepi meur bui e genus aere^leones
Pr aebent insol itas ad iuga cur ua iubas?^^ *
Desieram^ coepit, fer i tas mol li ta per il lam
Cr editur , rt (Vahleii).
Videsis^ uider i (libri) ini bi ui der i (Vahiefi).
39. Casta uestis. Allude forse all* impedicke
tesl muliebri indoasale da qutsii iturpi sacer*
duli di Cibele.
42. Aur or ae ai ostri num; (Aur or a tonstri
nam B. H. L. W.), tostrinum ( Cod. Susii ).
Supparum. Supparum^ dice Nonio, femor al e
l inteum usque ad talos pendens^ di ctum quod
subtus appareat.. Varrone, nel IV De L . L.^la
dice voce osca : Capi ti um ab eo quod capi t
p ect u s , . . al terum quod subtus a quo subu
cula^ al terum quod supra a quo sUpparus.
Wisi quod i d di cunt osce. Era paroU di dop
pio signifieato : si osava coti per veste muliebre
che virile. Era coti chiamata anche una vela mi
nore deUa nave. Vedi, per esempi, i Lex.
43. Gi bbero {libero L. M. Vf. ), qui nel
senso di extanti ed emi nenti . Si dotr inlender
del capo cofierlo di alcun berretl. Superficies
qui pare equivalente a persona.
44. Queste parole si possono ri ferire ai Gal l i
che scacciavano dal tempio il plizxo supplicante ;
Domum nostram allora il tempio di Cibele.
Domus' in questo tento anche presto Calullo ;
sequi mi ni Phr ygi um ad domum Cybebes (ao)
ili domuvt Cybebes tetigere l assulae (35). Po
trebbe essere per altro anche una esclamazione di
alcuno desideroso che stesse lungi lungi dalla sua
casa i)uesto furor dei Gal l i .
Dier ectam (i n dierectam^ hinc dierectam).
Nonio Id spif^ : di erecti di cti cr uce f i xi quasi
ad di em er ecti e Paolo abbrerialore di Fetlo :
dierectum di cebant per antipfirasitn olentes
si gni fi care tnalum diem. Prubabilraente nc Tuno
n ftitrn ha dato nel segno. Il modo equivale
aM' alkO frequeniitsimo in malam crwcem, ed
assai frequente fra i coreici. V. Plauto, Capi, i l f ,
Hk3, dove per altro il tenso n alquanto nodi5-
calo, cori nel Mercator e nel I fudens.
46. i nsani a f Roper ), i nfami a ^ fluctuan^
ti ( L. W. ) fl uctuatim (Edd. ant.), fl uctati m
(Vableo), fi ai tanti ^Hermann), ^ u a l e dispone il
frammento in diiiclri anapesla e forma un mo
no metro di nexa in uulgi*
47. Pr opter ~ j uxta^ dqfyipi evidente-
mente quello di Diogene.
48. Al umnus ti dice qui al i t e qui al i tur.
Cana Veritas^ come disse Vergilio cana F i
des^cana Festa. Il Vablen penta rhe per qoeita
Verila debbati intendere h nuova Accademia rap-
pretenlala da Antioco Atcalonila maetlro di Var
rone (Ci. Coniect.^p. 82). lo repiiio che per
est ti alluda a Socralc e alla tua dottrina di ciiv
er* ammiratore.
4o For tnses: qui in for a uersuntur et agi
tar e causas seleni . D un contro tento la lezione
di Popmt e>deir Oehier in i nsanorum numerum
referat.
XXXII.
Parlando del titolo della^atira De officio mariti^
ho gi detto comci al i adavvitocheuontienoadt
tlinguere le due satire come fossero due compooi-
menti diversi^ ma che De qfi ci a mar i l i non eia
che la latina versione della seconda parte del litoio
Pure, per ri
spetto ad alcuni eruditi di vaglia che sostengono
oppotto parere, non ho unito intieme U (rtm-
mento della tatira XX eoo quelli della XXXII.
Del greco proverbio, da coi prende nome
la tatira, quantunque chiaritsiioo e forse assai
volgalo, non abbiamo altra traccia che quetta di
Varrone. Fra i latini lo dice comonttimo S. Gi
rolamo (Ep. 4^) Accessi t hui c patellae.^i uxta
tri tum popul i sermonem prouerbium^ dignum
opercul um ; equivale propriameute a /sa
zer, patella.
I . Subducere : eti am sui um ducer^ leuare
(Nonio^
a. E noto che i Boniani facevano dei bagni un
on luogo frequentatissimo di convegno dove di
sputavano, e specialmetite i ^oeti novellini anda-
^vano a leggere i loro romponiioenti per venire in
fama e passar per le bocche di loolli.
3. Multi s anni s^cio continuis^ Framoieuto
di senso incerto.
9 .
.
Giuslamcole, purmi^ Ochler crede che U li
loto <lcl Irammeolo posu rifenrit a quelle parole
tli Metrodoro coofervaled da Cicerone nel V dtUe
Tuscuiarte^eti^, 16: Metr odorus uoccupaui ten
intfuiiy For i una at^ue cepi^ omnes^ue adi tus
tuos i ntercl asi ut ad me aspi rare non pcssts,
I . Krammentp sopravvissuto scorrellissinio :
me i acentem sub di e Ambessetal gus dentientem
(Seal.). Jl Vahlcn corrane: ne i acentem
sub l of^ dealbet algu . . . d^nti fr i gor e.
3. Russae^ue al ae: r ussa aci e (Oebler),
r ussa iria^ r ussa tri na (laoio e Roeper), r us-
santia (GerJaoh). Ad illoslraziooe di questo
trammcfilo serve uo passo di Polibio (VI, a3, 12)
tt si adornano ( i soldati Roroani ) con un* alala
corona e con tre ali o rosse o neregfianti, diritte
e hioghe cirea uo braccio, n Erano cio tra lunghi
pennaochi che porta?ano per fregio delf elmo, e
ehf, credo, solo da VarroDC forono chiasiati con
questo aoiBe di aae, A torlo spiega Oehter
russa aci es p e r v c i e i chlamydata Anche Ver-
gHio alluse a qaesto costume quando, parlando
deir elmo di Turno {j i en, IX, So ), dice : er i si a
^ue tegi t galera aurea rubra. La lexioue da noi
accetuta quella dal Rieae Non sicura per al
tro. Egli vi aggiunse il dt^x^ c corresse atque
imsignibus dai codici. Il Roeper e Oehier ten
tarono altre eorceuoni.
XXXIV.
Ottimaraeote nna satira cbe priava delle
victuiludiiM dei^tenipi fu intitolata Quousque
tandem, lo, luogo di ttcpl , Aldina legge
trrpl cio Defi ni bus. 11 senso dei due frani
rocnli h ehiara e le varianti di poca importanza
e ponto ottoMroae.
XXXV,
L'iseriQQC di questa satira del tutto gio
cosa, e nessuno rieic coBeQenleeDte a spie
garla, e si pu credere che nessuno ancora riesci-
r. Lo Scaligero volle trovare il significato di
flaxatabula^supponendofi axar e fr axare^ pa
rola da Festo spiegata per ui gil i os ci r cuir e. Lo
scambio fra / e /Vai pu difendere col confrdtito
per esempio di confrages^ n conflages ; suffra
men^z z sufflamen, fr axinae^ z^fl axinae^ ecc.
Ma, ammessa ancora aggiuitatezia di questa de
rivazione per rispetto all' etimologia, non cessa per
questo la difficolt delluspiegare : cbe si voglia dire
con queiraggiuiito di tabula. Se fero che questa
satira trattava del governo delle provincie, potreb
be forse, dice Oehier, qui intendersi di uno, il
quale girasse intorno a guisa di sentinella per
comperarsi i suffragii ( tabulas ) dei citiadini
affine di ottenere una grossa proviucia. Mera con
getlura. Il titolo d questa satira venne ricor
dato da Plinio nella sua introduzione alla Stori
Taturae (cap. a4)f i nscr i ptionis
apud Graecos mi ra fel i ci tas . . . . Nostri gr os
siores^ Anti qui tatum, Exemptor um Ar ti umque
faceti ssi mi ...........paul o minus adseri t Var r o
in satur is sui s Sescul i xem et Fl txtabal a
{sic) (1). II trovarsi in Nonio due volte, certo per
errore, fl axabul us e fl axabuli s^ fece supporre
a qualcuno che qui si trattasse invece del mo<lo
di governar le provincie, credendo il fl exaba
l am un istrumnto per torcere, piegare. Ma, per
contutare questa asserzione, baiti l avvertire co-
n^e la lezione fl axatabul a nei codd., meno quei
due unici esempi!, costante, e non si ha memoria
fra gli antichi di un Istromento chiamato a quel
modo.
1. Tripales.^noi aggiungemmo nella versione
viti. Ci parve quest aggiunta necessaria : mal po
tendosi queir aggettivo in questo luogo applicare
alle vigne.
2. Strabonem fi er i equivale all altra irase
adoperala da Orazio : obli quo oculo li mare.
3 . Star e qui equivale a uahre, constare f i
xum esse. Quot miseros., ecc. Oehier qnod quale
particella causale : lezione non so se giustamente
riprovata dal Vahien come u inetta. Questo ul
timo propone tot. nel signifcato di tam adeo.
5 . Frammento nei codd. scorrettissimo : nec
dolorem adi afur on esse quod phi i. con mal a
xar em ea patrem ntque i rato mi/ ii auenas
dedi unquam ncque cupi di tas non imposuit
fr enos. Il Roeper (V. Phi lologus.,W^ *470 usan
do di soverchia licenza, corresse :
Nec [dubito^ dolere adiaphoron esse: quod
phi losophi a
Conmal axaui animum et arte neque dedi i rato
mihi
Unquam habenas nec mi fr enos i mposiuit cu
pi di tas ;
{ uel : u. h. neque cupi di tas i mposuit fr enos
mihi) oltredicb, non pare che il'frammento accen
ni d'esser poetico. Non apprpverenio la lezione
(1) In un magnifico eieraplatf in pergamena del-
opera di Plinio, una Tra le primissime opere sUm
pat a Venesi^ e che religiosamente conierTasi nella
pablica biblioteca di Havenaa, trorai la lesiooe ;
substuiit et flexibili a : subttulit k ceno errore, non
4irei cosi di flexi bi tiu. Ifun rol lio darle troppo poo,
DiiTtara
ai A NNOI . Al I UAIVIM. bK L L t SA TI UL li Dli.l I .O(i l bTOl U Cl
ba4
JeirOehter che torma di tulio tin penoilo, perch
il quod qui accenna paiiaggio aJ una nuova ideu
e nuoto cosirullo. Buona la correiione di Popi-
ma seguila con poche variazioni dal Vahien: quod
phi l osophi acommul axaram me epathenuCom^
malaxar e il greco da Noiiio spiegala
^xercere e maturefacere. Ne pai la Varrone nel
VI de L . L. kap. 96.
L*Oehler aggiunge a quetia satira fin stliroo
frammeulo delitae litera, Diomede, (p.'S^a, .
Putsch) cita questo frammento come apparl^enl^
ad VLT libro di Amarrane Praetor iana (?). Ma cre-^
do sia troppo ardire, ammettere che Diomede
iiitemlefse accennare a qtresta calirav pc^ch traila
De proui nci i s, K sii*coree non ai ha sicura noliiia
che Varronc abbia scritto un libro inlilolato b
qnesto modo, crederemmo cosa* pi predente il
pensare ad una errata legione nei rodd. di Dio
mede.
XXXVI .
Tale era la corruiione dei tempii Unto difficile
il ricondurre la virt prisca ch Varrone, il quale
volea pur prendere sopra di s la? grave cura di
porre an qualche argine ^l disordine, non seppe
definir meglio questo suo travaglio che col pnra>
gonarsi ad uno il qulte si accinge a dar scuola ad
un vecchio. In qust satira si lo(ano la sempli
cit, la* innocenza, l severit dei maggiori, si
rimproverano i disordini, le lu5$urie clie teneano
ornai il tirannico regno.
1. noto che solo nel 4^4 di Roma vennero
dalla Sicilia i primi barbieri. Delta superstizione
accennata qui da Varrone di non radersi ai tempo
del mercato, non abbiamo, olire questa, altra testi
monianza. Un consimile pregiudizio ricorda Pli
nio (H. N. XXVIll, 2) a proposito del tagliarsi le
ungtie. Se alcuno s tagliasse le unghie mentre
in Roma era il mercato, osservando intanto il si
lenzio ed iiicomiocianda dall' indice, ai credeva^
sovrastaas rovina alle sostanze di molti.
2. Taci tul us taxi m. L'avverbio / axi / nt-i n
altro luogo spiegato da Nonio per si ne opera.
Potrebbe essere tinonimo di sensini ed ocouUe.
Si usava per lo pi unito al / a c i V / i f . Coj Varrone
in altra satira. Abbiamo un esempio di Lucilio, in
cui sta solo : si maui t taxi m ad nares, delphinus
ut olim. Per alcuni altri non opportuni muta
menti introdotti in questo t'rammeuto v. Vahien
Coniect.^p. 68 e seq. Pella importanza del cin
golo nuziale e per gli usi che vi si riferiscono,
ved. gli scritti di antichit romane. 11 Prellcr
[Rm, Myth.^p. ^iS^Nota 3) crede questo fram
mento un' alluiioae ai Baccanali.
3 . An neseio (L. F.), Raptor nel sento
di strupratore ricchissimo di caempii.
4. Feh cul o. iManca nel cod. Oisino e lu cas
sato dal Diiiitzcr. Ar cer a era un carro lutto chiu
so a guisa di arca^ in cui si trasportavano i vec
chi gli stremati di forze. Gettilio (XX, 1, a5) ri
corda un passo delle XII Tavole a ffucalo prop
sito, si in i us uocat^ si morbus aeuitasme iV
i ium esci ti qui i n i us uoeabit i{tmentum da
to ; si noleit ar^eram sternilo^ .Ved. Varr. d^
L , L . V, i 4> ^i sterneret Popm
e dai Mercero.
5 . Questo fraramenlo ri i e t e i ol t e Ustia luro
dalla narrazione di Valerio Maatimo (VI, 3, 4)
Narra .lo storico che essendo tirella ncceasit di
scrivere un esercito contro* Pii ro e nou volendo
alcun dei,giovani dare il ndine^ egli, mesti in
nn' urna i nomi delle, tribu ne 'etlrtsfe una, la
Pollia ; intli Irasi il donve di odo ilcri4to kk
qocsia liih, e, non aveodb ristiqslo air appeHo^
n' ebbe i beqi coafisctli. Appell, crei ti ai^tri-
baci, raa Curio, dicendo diet k repitblioa non
sapea che fare di cittadini i quali .non tapeiseror
obbedire, vend lui ed i juoi.ibebi air incanlo.
I / aggiunto di Perotlof aiiatufi. w trJ iums^ h da
qnesto patso qoindi mostrata crcimef. Tenebr i a
1 ns^ qui mendaci i s ef astuti i s sui s aebulam
' quamdanv i tenebras odjciuAil (Noniof.
G. Cul tel l i >etnpaeiiati. La legione pnt eo^
' nusiic i mportali , Empestai us strel^e il greco
1r^o, adorno di segni e di figure. In geue*>
rale adunque armi (fuitil per bei iavortt. 11
Mommsen, nella sua Stori a Romana^ ci la e t
pere che questi coltelli di Bilinia erano una specie
particolare di ferri usati dagli immondi sacer
doti di Cihelc per mutilarsi.
f). lezione che io tdoUtt da certa =ua tento
migliore che non presenti iqndU deirOehler.
nU i co qud habent satte si bi 'ui x putant
lautum,
8. Siccome Nonio interpreta qui easi umi ^r
religiosum^ ed aggiunge per. ttQMka etempio
quel di Virgilio, quique sacerdotes casti dum
ui i a maneret^ cos ne nacque il sospetto che
quella voce, che non sarebbe che un lemma,
siasi poi a torto introdotta nel frammento Var
roniano ; di ^ a varii'leutalivi per dergli forma
nuova ed andamento, come lo domaivltiva, poe
tico Il KocJi :
r ^o
Reli gi osae tum sacrae cas^aequc fuer unt
Res omnes.
Correzione troppo violenta ; c non Io meno
questa dfel Vabh-n :
ErgO 'i um R^frnae sasiae cnstaeqne fttr r unt
Res omes.
8a5 D M. 110 VARUONh: H2 (>
j.' PiTlIfer {J en, Li tt. Zei fung 7, *^7)
ridertele r e j omnWLdd cdirtmerci con tonne.
Bes h i\ In feliri^wnctc senso, ma non
pare tli qui si arJalli a propsito.
l. Cifri iS. Si iiilncie<p.iella speie parlico-
larc di c e v o ch ci^wcea in Maoriiana, a che
formata un 'aflicof ^npHillc iK cominerci
colpitati^. rtrio glie riile le-i inpste signd-
rili, o* rtfe "formavan mfise, che in lalVba
non teni?ano V^operle di lvagffa. F^aseis qill
spiegalo da Tonio per corifee.
Li bfssn per'Z/T'irf, cos Oafullo Li hyssat
ar tne t Lnoino Li hyssae terrae. Il Vahien
dispse iF IVamrtirnlo a ^'ettenarii trocaicf,
i 3. rei/e equlflent a mw/zerm wn/c/*. A"n-
che in ldesco, per Riempio, nell'uso ftmigfiare
aggeUtVo 5^Aw>l?r ha Ta medesima forza,' cos :
schweref Gtd:, per dire bna grossa sorVimai dr
danai^. 'Pascere ! a re ; la diflerenia'sta in
ci he l et i la cnra he si ha per l conser-
Taitni della mt3, pascere il nutricare 1 nati.
iljj Confl ui i ftiuUtruhi //a ?om.'Rigelfo
la spiegatioifie dHOeMer^wor^i/oV sunt Romei e
mireyeSy che qui lenra do'hhio falsa ; il ge
nitivo mxiietum dra dlpcnd^re da una voce
da rVonirt oiirtmest, ma ch ra facile supplr,
cohn tufh^ h alcuna simi'gDantc. Cosi iin gTi
^ssererti 'bfnb V t/tita che egli con aTcuni
cowTici rtinrtne. Qft? fhi i i o nresrtrio peF
ctntri^rpoilo, e1' d pi confermato da un
paiso consimile di Servio nel Vm. W Egl o
ga VIIJ, V. 29 di Vergilio: ^r to in Aetl i s
di ci spo'nsas iiid fces pr aei te quo antca
nonni si per ncttnt nubntes ' ducebritur a
spnsis K lcerf s debba leggersi pineti
J rdeS O pi na fhxi , Addotlai qust' ollima per
ch'^iKtvr^ a nio favote pi certe Icsiimoniaii-
ze. L pi'infiini degli sCrttlori di etiliche cose
romlaii con<drdef'rilT aifttn^tre che qnestfe
taci si ttviifir o dr ipino biahc o di corniolo.
15. Otiam, as epaeiskimuin (Nnio). Pi dsi
V. Virr. de L. L. IV, cap. XXll.
16. Il frammento qui citalo appartiene alla
Medea di Ennio, d citato dallo stesso Var
rone nd VI de L , cap. 81: Oserter6 per
altro che quantunque i due scrittori alleghino
qnst passo di Ennio* a proposTito d*'I1a parola
cernere, sono per altro ben lontani nel signifi
calo che gli attribuiscono, perche Varrone spiega
cernere per ni dere ^ percb nel combattimento
si Vede quale sia 11 corso della vita segnato
morr, Noni invece to Spiega per amittere En
nio poi l*tia tradotto senza dtibbib ' da' Eciripide
(V. Medea, V. 252).
17. / i er r ios facer e. Esprime visi colla f>as
tufrarhitri liqttem faci'\ il diritto concesso ai
censori di rim<lovere oit>tadini che avessero
meritato per qualche delitto, dalla clasie in cui
erano ecrilti\ e d annvcrarlv fra i Cerili^ ossia
d quelli fra i ci f tadi ni tli erano pr i ti del diritto
di suiTragi^ e del i us Hnorturt^e vht nonpoteaiio
servire nella Irziom. S i dioerano aeraril^p^ch
non pagavano ' i mpcpa d e l l ' i per 1000,
ma bens un i gomma {aes): arblttariamente >>
afsegnala dai censori ( i . W. Wofssenbom ad
Ti t. Li u. lib. IV, c. 24. r^nge, Rom, aiterth. J,
Partlor, />e aerariis^Berolini' v^S)' . '
18. Tr i cae : imptd enta^impHeaiones ^o
nio). Le favole Atellan erano' per s isempllcis-
sim ^a prlnelpto^ d^p, per difelo d arie, si
oggrovigliarona per^modo che facea mestieri
rtescire ad una toIilzVne 'colf fuori d' ogni etfpct-
tazitie e d^gni appareir^i di \'cro, che passa
rono meritamente in prt-ibio. L Oehier ag
giunge rh diteasi anche tr icas tllans con
dupl icare 9i|ualtd \ino acmniula^se varii prote
sti per 8otirarii a qualche rosa spiacevole o
moiit.
XXXVII.
1 due frammenii qui arretrali'prtatif il firi-
mo : Var r gl ori am iztfi ; il secondo
Far r o in glori o per i /oVo7, corruzione evi
dnte* di per i J thnuy e cfhe ei ludo per cnse-
gitwt opinione d chi voFa tarne due salire
distinte. Siccome c ^onsuetudfn quasi generale
di Nbfiio di lion citare i frammenti v^roniani
colla prfepositine /w, cosi qui ragitivole il
dbbio s questa stira debbasr intitolare /n^/o-
r ius 5 . Il Ppma' la dfenomina Kco-
ma contro ogni bnn regola di critica.
DelPbCcasin e ddi a cdnomi -dHla satira sia
mo pcrfcltamcnte al bujo.
I gnosci te: rururh noscite uel di sci te (Non.).
Adeste adeste . fer amque gn. (Scaligero), mi
gnoscite 6 mi i gnosci t ( Oehler ), cognoscite
(hmio). Questo ha tulta Paria d essere come il
* delta satira. O/Trir/rti.* fr uctus ol ei ;
vocabolo nsato da Varrone am he nei libri De Re
Rusf. (v. 1, 5g, 6), Catone a dd er (R. R. (>8)
oti tas (Ohler).
xxxvin
a Conosci tC stesso, provcrlito qualun-
(jtiC ne sl P autore, celebratfssin)0, e qui usa
to <?a Vfrrone per metter in onore gli studii
delfir filsfia, pi far l ro po^ di strada fra
i milt staratissimi negotii cin Si danno gli
nomini, ' negozii ttti in lsi a procacciarsi comodo
e f. ic vfven^ ( Cf . S. Agostino De cin. Dei ,
ANNOT. AI FRAMM. DELLt SATlKfc E D tl LOGISTOIUCI 8 a&
cep. XIX, 3); E x tribus ui tat generi bus oti oso
(rio di quelli che danno a meri studii ipeeola-
tifi ) actuoso et ifuod ex utroque composi tum
esty hoc ter ti um si bi placere (^) affi rmat.
Un 5^ difende la fiksoita morale ( li) e
la naturale ( VII), che uno degli astanti prende
a dileggio (Vili), dicendo g^e tutto questo non
l)Uon rimedio all cupidigie ( X). Finalmente,
ad esempio di Socnte ( XI), si giudica oltiroo
quel genere di raczso (Xll).
1. E e qui d i bi uidere si t melius ha proposto
U Vahkn. Forae non era bisogno di queeio muta-
' mento, potendosi al uideri s sotlointendere an ti
meo ; come avviene anche in greco assai di fre
quente. Altri coi codJ. ui deri t,
2. 11 senso del fcammeiito pare debb' essere
questo : chi vuole arrivare al possedimento della
pi nobile delle cognisioni, la cognEone di s
stesso, egli deve sollevarsi al di sopra di ci che
Io circonda come i pescatori di tonni, per vederli
montano sull'allo dell'albero. CelaW, nome ge
nerico di quelli che si danno alla peKa di animali
di gran mole.
3 . Frammento di lezione molto incerta, per
ch parte scrivono par ua io luogo di paruo^e lo
riferiscono a corpora^ parte riferiscono par uo a
suctu^ parte finalmente a cremento. Candi do
(Hermann), candida^(U. L. W.).
4. Qui accenna al processo di digestione ; per*
ci adottai la lezione cornane fl uctu in luogo di
fr uctu (proposta dal Riese) e intesi per esso qad
glutine che insieme unisce le masticate vivande e
le rende acconcie alla digestione : a questo si pre
sta il senso di siccum^che fu usato anche per ejter-
ci tum. Mansum qui nel tempo pssato, ma alle
volte equivale anche a mandendum. Cos mi par
ve pi opportono ritenere al ui in luogo di aluit^
e quo in vece di quom,
5. Pol ycl i s: pol i ci s (H. L. W.), popul ici s (W.),
pol l ici s (Rulgers), pol i ti s (sci l icet : hominibus)
(Oehler), lezione che non so come si possa soste
nere sul serio. Policlei rinomatissimo scultore.
Cicerone, in una lettera ad Attico, ricorda eoa
slatna di questo artefice posta nel Campidoglio
rappresentante Ercole (V. Preller, Rmische
Mfth., p. 6 5 5 ). Aerifice^ da aeri fici um quod
f t ex aere (Nnio).
7. Per Tr i ui o scrisse triuiae rOehIer, senza
bisogno perch i fal lage era chiarissima.
8. Di questo lepido frammento, dice a ra
gione Vahlen, che non ha d'uopo di emenda
zione, ma di spiegazione. Quello qualunque sia
egli che si dalo a t ut i ' uomo a speculare il
corso degli astri, persuaso di aver progredito
d assai in questa scienza dimanda per s la co
rona astrica^ vocabolo, la cui efficacia molto
sensibile |*er noi che non abbiamo n co
rone murali, n valUri^ n civiche, eoo. In seoso
aHine dir in alit satira M^r ean ustri cen, E
la dimanda ad Arato, il poeta che caot del
corso dei pianeti delle loro leggi U poeta, di
cai diceva Ovidio cum sol e t luna semper
J r atus e rat. Tolse quiadt grau parte della ve-
nusltf di questo passo Oehier quando disse che
il nome di Arato era preso, come nelle Eume-
nidi quel di Aristotele, per antonomasia. Mollo,
improbabili sono le correzioni astri ctum (luniu),
asti cam (Mercero), ar atri cam (Turne^).
9. Frammento d'incerta lezione : Ar di fer a
l ampade ari de agat amantes aestuantes (For-
celUni ). Ma, se non fosse per altro, per |e esi
genze del metro non berie appoggiata. L'a-
r i da pare sia da prendrrsi nel senso in coi scrisse
Plauto ari dum argentum ; e i ' ardtfjeta^ voca
bolo che si pu credere coniato da VariOoe se
pur genuino, sarebbe quanto ar dor is .
10. Ephebum: ep h o b u l u m ef f o et u m . ^
lutiio, e dujio Ini Oehier, il quale, nello spiegar
questo frammento, si dilungato assai assai dal
vero, spiegando per esempio il cubi culum pu
dor i s per cubi culum qnod homo pudi cns i nha
bi tat aut (a questo egli per inclina) dictun^esi
pr pudore aut pudor is sede. Nam adolescentis
cor pus adirne tanquam sedes pudufris est. Pi
opportuno per altro sembra<credere quelle pa
role si riferiscano anzi a thalamus, Moecha
da (eccellente congettura dello Scaligero) sarebbe
detto per prol epsi n.
11. Si lones, Nonio: superci l ii s promi nen
tibus di cti si gni ficat tome mani festi? quod Si l e
nus hirsuti s superci i i i s fi ngeretur. Tuttavia noi
crediamo che Nonio steaio qui s'abbia ingan^
nato o che alcun dei posteriori vi abbia mesto
la mano. 5 i/o, infatti, c per oao comune e per
antiche testsmoniaaxe dei grammalici e il greco
( v. p. Festo, p. 34o ) ; in, qufto >senso^
per arrecare pur un esempio, fu adoperato da
Plauto (Rudens, II, a, 12).
Ecquem
Recaluom ofi , si lonem senem st a t u m i>eti-
triosum
Tor ti s superciliis^ contr acta fr onte fr audo
lentum ?
Tesser unito a grandi bus super ci l ii s muta
il dubbio in certezza. Un passo dello scoliasta alle
Rane di Aristofane arrecato da Tiberio Hem-
sterhujsio per illustrare un luogo di Luciano
( Di al . mort, 20, 4 )i prova cha il Irammenlo
Varroniano allude a,Socratc. A-
9 ZfJnvcf (di qui iorsc origine deirer*
89
DI . TKRENZIO VARRONE 83
rore) ^<(. c ^
Quodr utamf nec r aci Um obesmth tri wiaim
ram tpi ngit i y I>o Hesso Tocabolo icMp^-
t Greci. Nei ^ t t i di SccoikIo llotoib,
volgarimli 1* Brneti Lmd u Sot n t . . . . fu
laidinimo vedere; eh'eglt^ era pccolo mata-
menlef^ d mpa il follo piloto^ le nari ani}iie e
rincagnale, ia leilaicaH e cavala, piloto il collo
c |;li omeri, le gambe toltili c ra?voHe.
XXXIX.
Fo cki wiMt vedere in qnetlo lilolo un* al-
lutione a cinici che lo qiiilche inodo pteanfi
chiamar Ercoli per lo stono e b cotlanxa di
emutare quella <^ e toNerma di coi atca
daloSoerftle t r chiari eseoipil. Per me io credo
mollo pr probabile pinfone del Riete che
crede qeeto lilolo foria^ a modo delle Alel>^
lane, e da poterei confrontare con altri, come
Pappus a%rcola^ Manus Var r ae
grotus,
I. Cudd. ed alcuni ed d. ^ui. Subtri -
no9 H, L. W.) i nilttlo rnagis (Hotb^), ni hi l
domo agi s (Ochlrr).
a. Cnuiuamus^ con^ettnra del Rtese. Leiio-
ne quasi comone coi idi ani s {eotidhtnuty Oeh-
ler). yimicum ptr amtcmiof errore tir lezione.
XL.
In doppio modo sf ptr intendere i titolo
di qneia satira : puoi al vocabolo tolto
intendere imploro postulo^ecc., oTfro crederb
una formula di giuramento.
1. Si ingano poi Oehier quando crede una
cosa sola Ercole e Tutano, l'ulano era ono della
lalange dei nomi inVocttti negli J ndigitamnta^
il quale, insieme colla dita Petfonia e col Deus
RtdiculuSy avea tempio e cuHo nel Jnogo dve
Annibale, tpafimlato da celesti appartctoni, fece
dar folta alP e s e n t o (Ved. Romi sche iytU, fon
FreHer, Il Auf., p. Sqo). Oh twtandum, corre-
xione del Riete. Il frammento pretto allri edd.
rompreto PObler: Tutanur^ hoc Tutanus
Romae nuncupor.
2. Tmi dnar n, Tolilina era la dea che
presiedeva al riporre e contieffar nei granai la
messe (S. An^ /> ciw. D. IV, ) : fr umenti s
coHectis^ ut l uto seruareritur deam Tuti l i nam
praeposuerunt.
4 Al ter Al ta (Oehiei) ante (Popma).
XLI.
I dem Atti quod Tiiii^ proferbio comunis
simo secondo la teslimoniaiiza di Gfllio, per
esprimere che noti s ia alcuna differenta fra
due oose. L atr ai : l ateras {Cod. del Mercero)
blateras (Ionio). Lo ttetiKi proterbio usa Var
rone nella tal. Testamentum.
XLII.
IncerU TallntioDe del lilolo. Potrebbe inten
derti di un caraKere romano che elette farla
da cinico; potrebbe estere anche un cinico, il
quale qui tratlatse della condizione dei cavalieri
romani.
L' Oebler volle trorare nel primo frammenlo
argomento a determiore il tempoi^ in cui fu
compoita la talira. Cicerone, ritpondendo ad At-
tico, coti scrive: de J pol hni o tfuod serihis^
qui i l l i dii. i r ati ! homi ni graeoo qi contur
bare quidam pui at si bi l i cer e; qaod equi ti bus
r omani s : nam Ter enti us suo i ure. Giusti il
tuo parere adunqoe quetlo Apollonio, di cui
parb Cicerone, tarebbe lo steMo Apollonio
qui Vareooe rioord caccialo di uria, e sicco
me U lettera fu adrtia il 694I Roma, coti aU
l\aono stesso ti dovrebbe rtferire la compoti-
U**oe della satira. Credo, per altro, che il sol
confronto dei due passi basti per mettere in
rhkra hic quanto sia debole ed infermo ar
gomento deir OehIer. Imperocch Cicerone qui
non parla di espulsione dalla curia; non dice
altro ae non che : Apollonio^ contur bat {nescio
qui d). Se ti volesse spingere ancora la dedu-
livne pi innanti, e si voleste accordare la iden
tit deir A|H>llonio nominato da^ Cicerone e la
ina espulsbne dalla curia, nemmeno in questo
c^ao. i due passi contooncrebbero, perch per
P UDO ne tarebbe cauta lo spirito iurbolunto del
Greco, per l'altro Peftere tfomito del occcsta-
rio ccoiQb
a. Intorno.*a questo frammento noteremo
tolo,. che non ben accertato quali dirilti aves<
tero quetli cavalieri atfunti in tenato prima che
i centori li eleggettero regobrmenle. Secondo
alcuni (V. Fetlo) ti dicevano pedarii^perche pe
dibus i baat i n sententi am al ior um i e quetla
opinione del tutto opposta a quella che qui
da Gellio altributa a Varrone. Pedar i i po
levano estere lolo quelli deir ordine eqnetlre
che entravano in t ^a l o tenia ver coperto aku-
iia carica jpiimle. Gellio atetto (HI, 18) nota che
si chiamavano senatores pedarii^ qui pedibus
ibant in curiam^adunque che non aveano dirillo
831 . AI FIUMM. DliLtli SAI IKE H D LOGISTOUICI
(li usare la snJia cumle. Vedi Lange, Romi scht
AlteritumT^ II, 827, fg.
XLIII.
lia secon^la parie del btolo d ^ luee
sulla prima eiiigolare daf reto e iirtea :
^. XcpvvT) 4 delio dai Greci quell*rnes
cuti cui riincstaTano le vivatele al 4ioco e qui
npplicalo al mondo non si pu intender d'altro,
se non che, giunta MllirBa ora del mondo, gli
riemenli tutti si coni'underanno, si agiteranno,
cos come le. vivande rimestate . In una
cominedi*' gr9ca un meretrice 'vien chiamai:
3t<xTpo^ppvviji 11. Monq)itn s(iigB weii Mi fer *,
Credo sa alnieqo a dubillve delia esatleaia della
versione.
I. Pl ttj r sh, LiTgU>sea di StiiK)<piega cu-
pictar^ e. non 4i iaicndor allrtmenii, ^
rendasi tiche soliar lwooe pi
|>rolabile fbr#e che non eni gtbat ( Uercero
i oeui gul i (Scaligero e Lauremiier^),'i^^nfi*frl
<l'umebu)^Weac^6e/<ec.stpoeste, Othler)slum
liorno xWier v. Fiato, f i 98, ed.
MUUei.
4. Capul um dicitmrt ^ui d^ui d a Hfuatn r^m
i ntr a re capii^ . M^m sarcphmgtn ids aepui*
cr um capulum /ic, uteres Uolunt ^uod ear*
poro cafi at (iion.), ^ Pal l i etar (poH MCiar)
era oolui che, in ajuto del libitinarius^' rea
ufficio di lavale ell ufigere i ca^iri, dello
cosi, ecOAdo Servio^ a polii/te ifuo niortuis of
oUiui^bant.i
5 . Frammento >rieonOsciilto petioo tda iutfi,
credo, gli tdilori, trenne che dall' Oebkr^ qiao^
iunqoe gU uai lo acositorcaiio per iornmifie un
metro,, gli altri kin alivo; ?>aWeni { p.
op. cii.V; il quale neTttva anch'egli di mlij
anapedict ma soati^ cotue : ( fi#m ) i ^a
i raotast t i datasi i f<^i loeoan^io delti
varianU tham per turofn^ nel i pir tUi;
noteremo che, in luogo di mi, fu Uno: sriri
(U; Li B. W. > ibi u mi fi i (Pilmeno ), 5/
( Vahleti, Anal eoti N^t>n^ p. 87). Fer u mi l i -
ii^ eie, : fhr t M niiiitia (Vahkn), ser a mi
l i ti a i n mutr a (B. tH. L. W. ), sr a miUti a
(Ochler).
. Gf. bunio, {/4 \ IX): 'Afr i ta terrihHi
tr emi t / torrida ter r a ttrmUal La giterni etnica
eui qoi Varronc non ptid fssere <^e qdelfa
comiMfttuta <4'Pom|>eo cenUro H paH^l d^ Mi
rio (6^4 d. R.X V^reb qttella f^'Ponupi;o e
iiesar catld^ io ui tempo,'in coi Vkti^one arrwi
cessato gi dallo Scrivere k Menippcti^ di e iu,
sefondo Ctcvroiie^ il 709 di RutOa. Cntur
r tr t ibis atque Aenea (L. W.), Aeneae (Aldina),
concur ret I beri s A c gens Aentae mi scebit
(Lipfius). L ' Ochler ssa i due. punii <k>po ean
currere. )1 enso rio de esee bmb bello.
7. lguf>V< qiHsW f i f l A idi>Ke l i 4ni ^ A o *
scrula (liudi U eitl.chei^ni ii^ Uioe .da Joi foihi
data, ft'orpe si deve Mend^e^/^'ofpo/i (liabeif)^
i f^ptuni fdiuS ia qtptli versi ili Lueilio
Tuhulus si Luci us unquam
si Lupus aut Garbo (autj Neptuni fi l i us
dove spiegalo da Gellio (N. A. XV, ai) per
homq saeuus ji^.^gioAe^delia noia
fierei.ia di jPvdUeiBo Clier/chio9e3iQrouc ec, ger-^
oiogl^ di Nettnno. Y^dk se .tale spie^|^io|i po
esie i^ppljcarsi > questo ^^ in qui alloi:4 jo*
?cebbe aminftursi uua UcMoa.,^Ct Schomana ad
Cic, De nat, deor.^ l^ 3). Am^Cy buoiM
congetlura in luogo di i^nte. Aegto^ ( p c b k r ))
fl uctu (Popro^),
XLIV.
Nientq possiamc^dire del lilo|o< nob vendo
irammenti che ne lo dit'bis[rtno. ' ^'ella leaioile
qon ha dpUajU: le due<correzioni dl Riese :
cf/m in , luogo di. cur e l obqrei iu luogo di l a
bareni.; noo m^ parendp cbe<ce u^ iosae biaogoo,
essendo ambidue i vocaboli contortali dai maggior
numero dei codici e dando un buonissimo senso.
Labor es lunae uon ^on altro, secondo Vergilio
nel passo allegato, che le ecclissi binari. Vedi pres
so Servio le .n^icffi ^da Uii portate Iu cwupo del
nqnie lab^r per. cc^lifsi. fl i di cul um (Riese),
pi omuoe ri di cule,
/ ,XLV.
Fu chi vol^e dare al titolo di questa eatirt
fqrexa sostantivai^: ma efseiulo cosi Sf^edito sol-
lint^i^dexiisi ^/, cessa 1* qeoeasila delis cor-
r,elione : l aol o pi cbe abbiamo, lire ci U i i oti chc
si possoop coD roultM eoo quffl4^ p. e. i Gellio
(UU IN 4)* A^ci us. i n pri^np^ 4idascaiic4K
Come si vede, qui traltav;^ de re metri ci^ ar^
gomento non nuovo per satira ^po ohe e diede
Lucilio esempio. Cf. i passi coueervalioi da Rw-
f.o e Diomede.intorno a questa oAleri^ ma come
parte dt l f aUrai. opera Z?e X. L o M e , (UbrolV)*
Vedi anche Riticl^) (Quaesi, i<arr., p. 2^ seg )
e W'diuann (De Tar r . lib* gre/nni^, p. 69 e leg.)
bss
1)1 >1. TEHkNZlO VAEHON^.
8 S4
XL V K
l i t^olo^ iorni*(o I U Kwafotfu nu.
uuicp tVfinmeiilo che <|i i i ^.uUrt h coni erv -
to, Doo | frmeUe qu al fM cingeAtMra; ^/ / i/ cip
usilo ila J Bruiq M U pffa^ione io lodo di App9|
ClMJ4jip,./7< / /0^(1 pr ^ffexfq ami mU,
Hercul es Socr aticus (V. Raep.^ pa^. a5i).
XLVU.
I o CTf do p oppPMunQ co^f^eairc . ^l u a
bagi el i .Dieiili; fai'piaiQM d( >qu?lta liegfic Mcu^
cunie feeriftcono i iQ^ileiinl ^Escuna^i, cheiiqq
cavillare comc^ a Qchlec, che .Msegna^
I tggf: ad, Utt C, Mf^q UtI^uqq del * (fi2
. C . i^ha, yeiQ, m^pr i a di MPa^cgf^? ,Meni^
pro| io<u nel .4 ^ 7 ,J a,,,WM Me/ *j^, 4,Vj^ CjcaTf
Brut^s^ 56), ma ^fpsi ^^^ che^fic|
efi a aveAie qui fi guar do, Wr pM f Qm^sI <cgi5^
i iifaili iu>D ^sfceva ^^biUre^ ut z(i i ncertum
jconiifiorum, euen{uni, patfvs actores fi ^rent:
f f * ipipurli^niusjiDB ^y wa non ^edo eome jo-
Ifiiie, tornir 9jrgo.ipe<)lQ ^d ut\9 satira. E gli ci(^
f>9 i cpvlorti^re U su^opipoDe i| Wnllh^r {Gtsc/ i,
(S J lott^MefifitSf {\ . 3(, teg.), ^d uus Dm.
Hac<;Keifmiia / e^^/ a<. Vec^muirpl Grypl.
i 843v , K g*)* ^veiidp polulo averli
Ila ipauot^nuu ppsso ad etsi rimandare il
l el l or c4 ina noq iaranop, Ipr^e ^he iueU^r in sudo
Tesisleiiza di I^gge Menta. Se uiterviaiAo ^il
primo frammento, esso ci indica che questa b*gr
Menia si occup anche dei doveri dei fgli
verso i loro padri, perci alcuni proposero per
questa satira il secondo titolo ircpl .
1. Non, cliiaro; che s TugUa d| re.iu questo
l uof^ ^cluro / ci, fi M odo qui ( el l ^j u
iiK^o festivpf Pplrfibbe ,iut^f9(^cxii tprje c^c fi
luculcasiQ i figli 4 nop apC9f)Q4r/>^ ^ilQrJ a
\il^ pt^r goderu^ pofcia r e r * ^ l 4> ( *
2.J l i oqui (correi, di H i b b e c k ) , , , ( U . ) ,
aliq^{d, (B,K i^^^d \aU<fua
(IVj^fna)<wey//<Wi u^h f.eqm (KuchelfliK
(Ropcr)^ QUt ol i i , ^Uh. perduci s
leO*^*T- Chi consideri ilcoulesto (^cl fra^aieMtu ff
accorger che la ivi^lior 9orrezk>0<% sw i m db^
blo, aliqquf ; cpm uecessacA dc|
/IOO, fenfa del quale tul4o .riesce iuinteUigibil^
N credo probabile la lezipoe dell' Oeblcf. al ibi
cio qum in patri a, n quella del Valdcn, aut
talis^essendo poi oostretlu a sotto iutcndef^: qua
les ui tal es esse uel Succurrere patri ae ne-
queunt. Cpf,egli come il Mullcr,ercon,o il IVam<
mento pociico e Tordinaiiu iu sellCDarii tr^c^ict.
Non c certo bisogno ricordar^ come una delle
Sat i bf . k L o g i s t 'Ri c i , di >1 T er . Var r o n l .
piaghe diyRoma negli iillin.iempi della repu-
blica fosse qucsla ripugnanza alle k{;4lLLfDti nosic^
e quanto Augusto stesso si sia stutlialo di inipc-
%]ire il pericoloso clibft<s ipeciaHnente Ira .le
i'ai^i^ic di pi alto graik.
f^a scrittura tff/iiiem..io luogo di tcnl am
( i. e, quulam).ie^e. >ni^9ccre uf* Riese.il .so-
spotto ohe la. Aalira a> alata scriiui da Varruiie
aaaai tardi, poich , lu. acaiftbio dcir i per
doYolo! pcinoipalinetitc a Cesare. Perei egli c^m-r
chiud; ^ ^r nm-i fi si , p^<fpur.au^t4fritai9m ui r i
{Caesarky casuetudinet^ factam apud
Gasjiod> Mh;!^ nmempl^mtmotrahili appares,
Bi ui r a. Queste duone, aecosdo la teslimor
nboie di Muiaio, tratto crismale tielP ueo tomuuc
qdI iK>ne 4 i.,tefioffl mt ctrtouche,i vocabolo
ha.per t sigoiiralo pi aopio, quaolunque nun
creda ceo Oeblerv che vi si Jflchluda serrtpre
il concello d doppia vedovanza. Non a df(ire-
giare il sospetto del .VtoKleU, che Bi ui r a qui sia
dello per prolepsin di una vedova di un solo
marito, ma eh ambisce e fecnde:Qzte. Qni.c
cKptale un<i U. quale wioso ^li preuiler moglie,
e fal4a m*U >pfokc6o zittelle,*!, rivolge ad una
^dovAyTtrlMU* (Z^ enq/t. cast. i3 )>ha uni ui rp.
6. Catl i r i mar i piagasi Eneio c cae/i Sru^
tm^tur^phf ^s.Qv pla^a mI sif^ifioato di i.pa-
zio^empiQ; usato; coli u if h e da Virgi!*o.
&. QaeaAo frani meato, sici^me dal monco
da N^nio,\OQS di luogo e parecchie conghiellure
r.uea pix delle altra j^robabil^ rotuo quella del
Oehler, di cui loccbenmo^ii evaoti^ch e senza
dubbio da rigeiUre Nonio eddoce il fraroiaenlo.a
spiegare uso di Sttcer per slestus e detesta
bilis^ma nelle parole come son date dai Codici,
manca il vocabolo che d 4uogo all'esempio. Fu
primo il Fi'uterio (I n f'er i si mi l i bus 11, 4) ><l
accorgersi ^flla ed pggUiki|^re .sul fine del
freiD91epto. il che fabuoaiailm giHefto di
peronMpaiia eoi j ae r a e he ila iulpriodpig. Nopio
coetiueia I frammeul4 oeUt parole Si gnati saora^
cb(9 Lipaio correMeio <r/gnaitfi/tiX^cra ed il sor-
pfanMnn>9liatP Fralerio tk signaia.^aoru^ dove
i h^Qcro eoanivo ed il. si gnata pfegatn per
intmioif ,invQlif4Q: I0. noi^ urgo ohe W .si gnatus
ab^ie qucstp ^ilfo, se 4Wliot per esemplo, di ver>
giUfL uifgi nfmr.si g^atam {J 'oas
si gM us mila Volgala), me d'altr.a parte
sicuro ,che il\fr^n^uitq%); virsef pirvivo e |)i
regolare.se, si prenda, i l q u a l e eggetlivo.
Cos cbc qpi Varrioue ,fUol> dirci, che.collo ipe
gqfrsi.oegli apimi della piet*, allurch iusomma
gli Mg^ipi ^di^ep^r9 Hpii allora ccsi
anche il, ^ e l k imuiagini dei numi. Ma
ihi^si aspcllcr^bc/m^i uua lcii(00e come questa
pioj>i*5U,dair i)chKr ; signata (na^fj sacnt esse
53
835
AN> 0 1 AI KRAMM. DELLE SATIRE L DEI LOOlSTOUlCJ
H3G
desieruni posUaquam homines i unl J acti T N
meno leiU leziooe singolare U ipKgaziooe che
ne trae c che riferir ad lilteranl : res sacrae et
detestabiles desi erunt res esse si gnatas . e.
intactae fi l i i s posteaquam Ai hmines smn$ fa
cti. //. e. tanto laborat nostra iuuentut ui i i o et
morum cor ruptel a ut paene i ure possi t di ci uel
ipsi s natal i ti is i am omnem mdestiae specieta
exuisse. Sed haec conj ectura est. E si Uero^
tuggiuoge il Vi^leD, et mi sera <fuidem. J1
n<Mi metio doqaeniemenfe/riportete te opkiioni
d allri cdkori, aggiunge: Oeklero taeeo, II
MilUrr crede il frareroenlo Bettedferio Ircx^ioo, il
l'ruller iaiubico oUonavio.
9 Spi cum. QueUa fiarola fu omU io gemce
neniro contro oche da Cicerone duevo4|er ^Z^
Senect, o. 15, 5 ) e pielU traduzione del podina
ili Arala (Cr. De fiat. Deor . Il, 4^i ^)
XLVi ll.
. Ginsta'cpMnlo ha premesM nelU breve inlo
(lutione a queste salire incerto, h I m
da ascrivere alle* satire od alle pieodotregedia
probabile che sotto fuest nom Varrone fi
prefulesse giuoco delle interminabili e violenli
dispute fdosoflche; Come fece ||fi'neirillra satira :
/ I r mor um i udi ci um. (Cf. Porphyrio ;iit Hor at.
Serm. Il, 4) ..... Epi cureos qui dicunt^ sUm
mum bonum r erum honestarum, Vnde
stoi ci gui ae et cor por is libidiHem cr imi nantur;
X7,v rflk , e. ni l ii mere nec cu^
pere summum bonum esse. Vnde Var r dicit^
i nter i l los effe,
XLIX.
L assai pn>babile che io questa Ultra Vairone
rivcfksse le buccie agli stoici che cuii superbo
disprezzo affettando di vivere separali, |v cus
ilirc, dah'umano c^nei>rme, forroavano unsociet
nella socici. veramente a ^ohsre che non s si-
no di talialir^Oonscrvali che due soli frammenti:
loiSfro siati pi numero^, Mrefobc stalo caro
di mettere una n fronte dell'altro : Varrone ed
Orazio, che in qnesio ptinlo (P abbiamo gi al
trove noi alo) convenivano pienamente. Per quel
che spella al filoio, egK c chiaro, certo prover
htl(*. Cf. anche quel di Terenzio {Phor . V, 3, 3)
fugi<is ne praeter casam^ quod dicuni .
I . Trammento di lezione assai coniti versa ipc
riaimcnie la seconda parte: Er ui i l lam (H),
tr ui l i am (MwStfi ac par egi a al i a spi r ia ceteri s
(II. fi. >V;), cepa regia^^ai l ia cyprin (funio), spi
r eta (uel) ac fiyra (Paimcrio), atparagos (Oeh-
Ici), f ar paregia (Hirsc) ; tlios ofpri os i cr w
in luogo deir / ospria del lUcse, parcudonai
inutile quel grecisroo che non avrebbe altri esem-
pii, mentre l altro fu da altri autori adoperalo
(J l i a asperiora ceur i (Oehler), ac far r agi
nem ad ospti a retmm) (Rper) che nt diapula
a lungo uel gioVuale Phi l ol ogus, Anno I X ,
p. a36-94a. lo scrissi sparagosy perch uja tal
voce Varrone nella satira Vi r gul a Di ui na (IFraiu-
menlo 9).
a. 11 Mhly {Varroniana,, p. 1 N.) giudica cor
rono questo frammento. 1 mss. presentano modius
in luogo di thdiumy ed ecus per aequus. Egli
suppone qulndr ch il modiut posta esser corru
zione di modicus^ e che la ecs sa final di un
qualche vvrbio, per c. i ntrinsecus. Propone
quindi la lezione ( intri ns)ecas (uel ad i l i a i n ^
tus) niodcs^ purus putus. Quantunque queste
proposte non sino da rigettare affatto, mi parve
buono alienermi alla lezione comune che presenta
un senso soddisfacente. Ropcr ( F . Phi lol ogus,
1X5 243-246) per manlji di Irovr l luti numero
poetico, form del framment un epi^smma tn
due dstici, che il MHldy troVa riproVeVoir persetle
(scusate se c poco) argomeiiti diversi. Ed ha ragio
ne. L'aggettivo aequus in questo luogo inter
pretato diversamente dal <Forcel1tn] e dalOcViach;
la spiegazione di questo cu u de aequi iate ni hi l
detrahi potest meritamente prefeHtr. Del mog
gio eddicio non si trova falla menzione in nessun
antico, tranne in questo luog di Varronc, se
pure genuino. La forma piroverbrle (Cf. anrhe
Erasmo, Adagia^p. 5 a5, ed i paraemiog, Gr aeci ,
p. 432).
!..
Non so intendere com il Popma volesse tro
vare un proverbio nelle pirole magnitm talen
tum. \{ magnum talentum e^uvaleta ad 83 fib-
brc romane e quattro oncie, osrfa a 100 fDnc t
tiche ( Cf. Prifcbni, De huneroruni figaris^
c. 14, p. 410).
r. Vi ti ar i um/ i l o accllato questo vockboin
usalo in alhrf luoghi da Vrrne stesso. Vi tti fe-
r i s {Cod. pai^igino 74|, Uern. Bmb.), uitani
feris^ {\Ub ma.) ni tarpr i ti s (Lugd.), i r pi feti s
(ms. S^gallense), k:hi tar pi fer i s (Ed. Colon,
i 5 i 8), ui ti caj i i feri s (Pupma), ai tes ar idas f-
r/V\Kerti), Detofndert for eiptbas ui i car pi
fcr i s (Othler).
LI.
L parola Mantus c qui adftperalo per giuoco
Se Varrone stcs nel IX (tap ) De L Lat i na.
5prga manius prr nio, munt natus rsf. av-
37 ni . TEKtNZI O VARUONt
Verte poi in a l l r oi uo^ che il cnmparalivo ed il
superltlivo Jt mane non iono q uso ndia lingua
latina. Se quindi si roglia ritenere che con questa
parla qui VarroneinlcmleMe designare un uomo
vigibnte loaUiuiero , con?iene coosideraHo pi '
ounie up nome proprio, e sempreusal quale f-
celia, Motoraacn lo litidusae : la qnp-
sta satira Varinoae fngr^ che nei cf ar una fossa li ^
scoprissero i libri di Numa (?), e di qua coglie ar-
goroento per M m la vtrl e la aenipliciU dei
prischi tempi. Il Vahlen voole assegtiaile un
condo titolo (Vedi Coni tei , pg^ 199).
2. Piotium>^:Eu(y^fiil primo relorehe
aprisse scuol in Roma (Vedi $?lst. De tl . gram.
rap. a), BuM ci i ar e : ttiultitm more cl amate
et Strepere qui opposto al' dedaoare. L'ikti*e
parole ert7i\ il Rkse ritiene jlitie dallo
stile di Varrone e pi proprie del Gceronipef e
le argsa^quindi tra firgole. R l or i aocuralezta di
^samoun po'ecdesii?a iBubulcitare lterali do-
M e non dbuii^sarisse Koeh.
>4 /^KcdMi ioilioet^ l i bror um i hi mae Pom
pilii^ come si ititende<)a talli geamlmeole. lor
torno a questo dissoilefaicMto piaeemi arrecare o d
IVammeuto delloislrsso Varrpne.Irattodii uno dei '
soi Logialorfci <C4lrio^ fr. Ul) \ Tettoti uai fui dani
ctt*n habertt' 41^mniculum^fundum^ ei( bubul
cus eius i uxi aMtpul crum tfumae Pompi l i i tr ai
ci ens ar atr um erui sset ex Vetta J i bros eiiii,
ubi^act\ 9tum i A si i t ut or i scr iptae erant cau
saey\ in,urkem peri ult sadypragt^erm. Alti i l ft
cun^iiaipe;^isset pfi^cipifl^ rpm inta/ n ds/uli^
ad senatum. Vbi cum pri mores quasdAm caur
SOS iegi$set^ cur .qui dg^ci i n sars.fitetU i n-
sti tutm^ Nurnae mortuo senatH^^ adsensusvest
eosque li bros tamquam r el i gi osi patres -
scr i pi i pt^^^r ut ^omlMitt,ttt CAimi:etunt. Lo
stesso fallo narralo auclie da Valerio Massimo e da
Li%io (Xl^ag) pi4 minutamente e in qoakbe |>arle !
non esteotiale diuente da Varrone. Il lettore potr ;
fame il riscontro (Vedi Preller, hm. Mi th, pa .
gipa.^MK sd ogni modo confessare che
csnliiand9*<il presenta ,frnnieittO'del JUanius, ;
.quanto seri tno Varrone, nel* C^r/sii, e Ji?io ;
neUa sua storia^ ai seQte.alouna cipugnama JH) mt [
meilfire di bcU/cht si traiti dt'Uo solo e medet
simoTatto. Se peff!erjttt.il Libellio^ aiuKu ^ i v
it qaeal^roa, lo aleso Varroo#^ la on del
tuAto loootopsrtj^k^ poich, secondo Litio, questi
supposti libri di Num iuvod sdopeHi del di
JKoma ( 181 . Cf Uto), cinque anai dopo della pub*
bliesMoedtliS. G. e Bacthanaii bus^^ l i wtoht
nacqoe\MJl 1698 ^ ;Gristo), a ^ q u e m i H^ooU
f>ptfmoi QuelU\periDlo ebe ?4glitino<soMeoeifp
ideviil^del fatto,ircdovnoopot]tanBo.dtfodcrla
rhe supponcQde ua fmaikfne pietica, per'cui
Varrone faccia apparire succeduto al suo tempo
ci che oltre a ccuto anni priuia di lui i^vca arulo
luogo (V. Langc, R m . Al ter t. 11 215. I^asauljr,
i ibtr di e Bi i chet des i ini gs Numa, i n den
Abu. det, Bayr^ Akad, Phi i osoph. CI. 1^49)
VI. Qui >jillMde air.origiue del mondo. Vedi
quanto si dett intorno alla satira De Salute.
VII. I n patellam^ ccc Queste parole e j il
pedem in focum non imponere del frammento
s^^gurnte^ si voglionusriferire al. culto degli/^<^1
famigliari, i L afes. nolo che io ciascun ban
chetto, dopo il primo servito, si offrivano in
piccoli tondi (patellats^ e di qua il nome di Dei
patellarii) slcune porzioni di carni^ e determi>
nata qqaotil di fifio j ai Lari e Penali, fK>pra
il focolare, e ooq s riioett^vauo a mangiare se
il fuoco Bon resse divorato, le inerte, e, non s
fosfe innalaalo il ^rido; Di i , pr opi ti i ! (Vedi
Prrlkr op. 4 9 ^f Plinio, XXyiJ^l, 2, G;
Ovidio, FciAti^ VI, 6, scg. Forse ambedue
i* friuDmenii 7 ed 6 ooo devpuo formare che un
do (Ved. Vahien, Coniect.^ p. 44).
L J Ul iquum ptdem oscurob 11 Biese
^fo()orrebbe.re^*5araiif, pertegere^ {protegere
Popina).
\ 1. Oscuro il senso. La traduzione di tal
frammento riesce ad up, bisticcio non potendo
conservarsi il giuoco fra tostrum (di Matiio) e
r o i i r e (lai tribuna degli oratori nel fero). Il For-
ceUiot non cita questo esempio di Verone, ma
ne arreca di altri autori^ in.irui w / r u m si ap
plica: aikche ad .uomo (OiUdio, ,. , 19C
lo applica alle saonci dei biacchi.)/ Forse qui si
allude sul ua qolcba ciarlone che avesse, in .uso
di farsi folto ai rostri a vendere al popolo le
sbe cianca. Ma iouiile slsaanaccMe^ ;contento
idi a west ire che con cgusl scherio (?> iCieerone
hiiOcy(Ad fam. 8, i , 4 hqucUi del moate Ctlio ;
i ubtostr anL
XlUiVec iiiarci omiticsso V* t arerchie edi-
itoni. frani mento cerlifmenfe poetico^ quan-
iimque le. jum troppo squisite orecchie dcU'Oeh-
lei^ aon vi abbiano , Irotalo poetico ritmo. Que-
Ao editore, quanluhqiie legga il fraiamenlo con
servando toite Ib .|>arole la noi date, le'dispone
perai11*0 in ah mIo non a>Mo dai Ialini del bel
tempo' in oaai^ianli oolrdtii..
XHI. La seconda* parte del frammento, Ws'
tratta da Pacuvio, che dice: sqnahs scabres^
ifue intitUa uasti tudi nt. H Meineckt r eli nque-
reitM^y ^ r ottenefe'ne uil stnario.
i . Xl V. BelMooo per illplngere un ingordo
parassito. La lezione puossi dire coatante.
i fam eum ; Tarn (H. U W ), l am
tHpor>, Tum VPbpta). FtUa're t eUsugere^
lftmbete. \%kn% del irarasneato chiai^ Ciasru
ANNOI . AI FR'A>IM DK L L t SATI L E DEI LOGI STOi UCl
Ili) nefl cl; th ci ]<* ahl*lTB sicufo e
cllnfiJ ciflc ifiUo Wtefilt rffir '^pet^lic Mv>evB
che tanto eglr quanto collii ila i irhicdeta
ospitalit >rano rtfUi, bambini, roit roano' Ul'-
te cresfcitili. eg^Bitta'' <Jdell piace
rebbe airO^hlH: exsugere *ntrt*hiam: Ai k\ \ e io
italiano si |ni'ilsare aioliifo. Ehihlci^ '^ ^i:be-Mg
j:er dftle Nino, tt. **
XVIII. Confuftie ; ct>njortbni tl^wre^-
berj), i- syMrtitria ; ^H^nrHetria (Roih.)^ suin^
ma ai ri a ( T o n i c o , Adu. X 1X> Sai-
XX. P fae se prrrU. Forwe mok\ ft^bbe
male a proposifb il a p p o r r e eA Riese ifii ki ogo
A\ p^ae xe, praeso,
XXI. Ben^ mcceptui ^ kvt\ M o\ f^qwnti s^
sinO ir^Hgnt awi pi unigi te M iti no. N oh par fin
p e i allr ebe cornee Oehle, i<a ditcv
i nl eti d. i e slit Virto ; ma' 6iir2tf aectptus imtohi
ofio il <Ttia ha $imM^6 i 4>ise|^ Hi wal ert,
b\ rbe si |<tl ahl>4VifowVe te prOiiinilo i wi i w.
Ampitfipn, t\ ia^ iMia be ilaifibl
Ira parte \efl<)eo. * ^
XXM. I lugi ili \rterirt fsterni fu^ lufii us)
ifherit*ifs iti\ro /ee/icw^*. W. t ) Ito-
nfo. Naltirlnu-iile at!ora il ectulo oranaewoi

h i f
1>btan^t< lf?'Wr Wrt cpiral<*hti'Sihiarinenlf)
al liioto <Wla sMr b^ 'ift arnrti i o
Lbc a qi'T rtoin * hoii ' a dare una
fropp^y largii esWttijidi, ma p^tiiloeto 'ter re-
f0iiWl!e <ibtf Viai^i^ite^nrehJeeieiH f a r b r t ni sua
IM^iVula:' tri qnHla at)f, dvr inpie-
gre^ilfard/por pernir u sr^o ftortfcmo^ rbt
per un tovo'iteewrUli* Verroev forte folle
riirarrel <4^allre doli' J r g l r anticbi
eer**i Koiimiif. Watrp^rer (Veti. ', XXXIIf,
aG ) nome comuninximo agli anticbi famigli di |
Romavi^omirclicfiieHi che Varrone IX, 2) ti
lagnflra eiserc) gU eadtlti in dtioso : qatue qui-
& S9ttt0S hbet /rriscrs nomnihus
af^irovan condannate le edpidgiei'cou'cfempi
li IMI tneroaanltafoipre in loft qpi ^ e crA^
rondi(I^VIW'<'Oll^ e^ropiadi PeHw(X>: Qu^
ale fiiho gUUArnibi tupeafituoti (*^XIV): AlPavif
(Jit ed alla libidine Uudonv fi fnlimB. XVXVI4I)[
Bral obi^ oottieblDiegme :(XiX>, s4 ildikkinare
le proprie togNe.
i r Equi snes\ 'Epi i $optr ^tt^ colui ebereg^t
il catallo, io aenao pia largo tu usala la^k.ar
iicbi per ai^oiAotre al; quale* spetti di .diri
gere qoftlaiaoi 'Coaai ' '
3 . firidiem, OH ^ticb^ dice-I<9otiid, d fan
fe<le ooH loro <mMUk che ehlaimfaii mfiritiii
non fulo mnidgiarMo, ma oobe la letona<lr.
Cftoreri astricen ; Onts / (luwio) (Vedi
Sat. IH fr. 8).
5 Sytui ' fw/w# H , syros j>i/x Sea-
\\:) ia<Gmeto f^agis^trwdtum est^<tm\ bv -
Hat no9 scapsi r usi if i ea aomi rte'^rti s
ffocd/iir. Gnr N(nioi Credo tiatlaviart:bc quantun
que la' drivatione eiitrinlcigiea 'fifl ciella, poie
no ^ia ogudaienle gitwio il ieifnrfej^lo |
ghinld da Noiiio, perch jryrif^'qui il %*t:oo
cio'iult qalU rbp fletie in-
ieme Iraactnalo amnionliccl^iatb per 1
pi dal i T ^ o : foUeie, iango', apaztature, ecr.
Per axi t ai iqiieipi peaao^ cmh hS questo
Uh^ ii06a^ il f>blij cUenlHoniile ( Cf . Verg.
^0|% 11, S90'>1U 'd5 i). i f ^r umr qui d qui d
misBuM st
6. Bi pemnit ; bteicoto | V<I ForceIKoi ad
uerbt^v
> ' (VAtiioeiKi 7-10 Wuiitm alla>lapnoe ati-
gticme dgli^Arffooaoii I* nel irany. Vi l i v*^ba
una lacuna cbe il Bfeat cnfde auppb>e mi M-
deam ^rfijxfe. l>et reato quetli-eeufil di Varrone
iidn cotvrtfagiMHi iMi quaiili vieti narrato A
Ofidio j#ri.< ^.y .
Oi i nt' nit^Wue'{Li J keetiioe noiy
(ati; Ald.K -AiPciwe aee m nobis
fMrcero). ' Gf pef. eiiio Orirf. ^^ 5i k > ^5 .
n . ; iknt^m,^^m essere
e *r urto lihroi
Pigmeutir Ailolt^is db parsemi ba^na,
qitesK^ cfWfofie dl -GugliHntt JII, i 5):
pi ngenU'{K \ e^ ^AA, H l i . :), fgmeni i s
(Oeblery.
I a.> ba M o n e qoeiK ffeiAnae^to^ Inei^'
ma; 9teWfA^rtWef#t^^.'L. M. W.);fiRl*e:
X?wi q M tm bidentem ti ^eunti i ant W-
) ' derlt^
(B> tOred^' Hdete htttnti, tiiSid hSoritf^ iioh
\ f dtn4i s].
QifMia/ bfxione idtt fr ^ >i ivor^niMldi''pd
bidtnten-, nt lale^tr^do. 4# porger il am
a<t pi chktri. It' pl fetie^ il leolalifo del^
I ' OeMert <i pti *qmdi eui deH^ irtxtntttnt^ non
credo ui dee hi^nteM id^ i dent t non
fillio;Non ivoglo 4 are un j^^udiuo M qucata ooci-
gbietlviras ^rbef U ailfpftt al ginditio dei dot
ti, qqantanqlie'per larlo fcneierti ^ R f t b o g l i o moti
i ricbiin<><oqbi t^mO. ifwkjumqutkudewiter
oircrnnsUittt noBj ridi^nt^ crdo, ri dere ki antes
iii</ros kridfinie 0/elegge ilfabbro prao-
0 fi Meveer<^ il ^lale l i t Mde ^ r o l e oone
dette <fla un srdo. Qui tfuid 0 t qUi?) uiden-
i hr oimrnstrnnt ridetti^tredin r l der t Ai-
anfer^>non audi o.'Qami 'r nUum parie'mi pare
4
ch asM si raccoiuaoili. 11 Geiiacli suppone le
parole ronie Ielle da 4>i persone. La lezione
che io adtlollai lata dal Vahleo^ il quale spiega
la io modo, che a p(iqi^i^U>,^fl9Vdis-
V |pllflipj:,iK up
cpgitari^, /,/(> i'Vll*.
s?nle, r i . ^ > d ^^^i voi, ,^i,de.U toI, pefic^^ ,i?p9
vi Uovji^le ^ l i e p9sl^,;p^ <j^ue'^
lroyaroq<^ |^r^eepi, p,yi^.a^rfpqp,rifO| p
sarfntio fta|f a fp^fa ,pec, n^aT^li^.,
roa non possp .lgiJWW . c ^,di i jciclefe a Tj ^r ^
punta voglia.
14. ioe^ ^^^ ^^ lp..4
Qone nprpf iiiveili di /11^14^, 4 N p w h
esempii, Non credo pe^eM^rip | Pot)^lein
M, p. ;8), crede;rlo ,un pMfQ s^pin<^. Gli sc<^
Uri, in, qcrlc cifcpi^t^^y c^ipe ^e\ ^^^^
aveano feria^ ed affrellaTaoo q a a ^ Aejpnpp, c^i
desiderii. Coij^e^^ipp^^!
.18. ^ JRor^el-
lini. l)la ^iss<; , torse |)?^^ egli.adot^p )f
lefix>ne ^elirn^e ip^^nis, Lp 3 ^ige^^
ter 11 ^ a o Jivenicbbe b^q Jlf;o.
un sa^gio^^^. il Jetlore ne a % f ^ . d ' u ^ v
Qorrciioqe dei (jpdicK di Nopic^ i)^^ir|; che
in Iu9f,9. i l^gg* /><^-
terf^{us. E ^^.,, ,(i4iiw
c c i m y l
hW.
N^n ,r(Pggqfldq,>^ ^ ^
,ler li 4^^cV4| dV9fl^rco,^.pff^
ip c r e d o c b e * . q i Yr^
rupie epooess# qp^k ^ceblw j i > g w l i fl k
B^^ioTvfo^MM ^ |Wr(ip^O:^;4WUJ<iegt4*
va^.(ffl^ei;f,^,i9osl,,ii#, pejr ioffmarnj^
ipfHl^lli\fii^,!Wl^r#Une^e Ja .i^pp
f 'Ch^.uMhW)WV;U ci^vschft,ioleino\#o9dare
J>^^V-^e,iTtpiniMSo Mosf> C^^D^II^ o se 9t
voglia, qvD94freflqu^f; ePV PMf) eej|fifp|p,}cw^
ttai^e^U xj uf^ebp ed^MUri ^,.#
siiwa; Ptrwk4p^#clM?r5>
,1. \ burM^,cngnamf,.qv^ ^fl9 .^i;Vitere>|i
il suo rondaroento storico in ci 9^ifaicp
.iiaiiiL ^ A ^Q . ^i ( mf f l C I > l V^l i i ( C da
un^ l^l;PCOpQfiwll^tg^^*
cppca fl^lriqppate
wpr f H. ^MPtpKflpiffim^^fl ^||;kgis^p.,
>8 ,(SF#U-
^tfoU ;
chiarbainio. ,.-, ,, f ,.> -i
3 * Mi h r$trAvig% a l c ^ j <wmf^9 l^lpiy
fiiilinu f r ricavare M acqo di quei
DI M, IJCimiNZip V ^ R Q i S b ,
vp^tpt w nM f , qt^ Varr4^qe
qon accenna^ n d , a l l ' ms t i ^ b | U : i > , 4 H 4
i'orluna. Pare che il trarre iuamagini dalle corse
s4 i?l'iWV'Q*M .MftMi con^tti ee^nac^e il
di dire a car cer e ad calcem^ prr signi
ficare d^l|irioipii$yaLAQc. .5 i u i ^r / i ^i U W ),
si ni t (Gugl.), subi i (Scalig.).
/ 9 . a ( K o r t i ) .
UV(.
.dell, aaUu Don oad dubbio.
(MU (^cHfOfm hiqarfUiidi un eaccialores fi
<9 xTpfif fi pi^pcacei Isr ntfonlc per sovarobio
4i\aridir^ si maci a.'4%>bla#e UU roaccic 4
UMft llBCH vi^epcrfappai)^ IShiflMi vpoi Mrleagri
i. pnepia^Mri,.parche MUJ^flis^iolo . i>eU;'fmtichiti
X^k m 4 .>lVMe4g<^. QgliiQ:i4#.iii)pi bla qcoile il
lAr^btle q)^hiNl^, UCeroni. iar alrage
^ 1^3; U rOM 4 ) Ire Iprinwifrimroeiilf lcchi
riujmqa sono le obbiezioni di uno ch avverso
.d / .' 1^' y. WI . *. -jj ;* :. *
ria caccia. Fructuis^ antica furma in luogo di
frtfiu$^d*raaj ailo)UrlKK<ovedtf/MMr dotns^
uiotis^ ^t/ Mt^i s^ri ^dir mnmir r i tui t,
<*. ) eaAtm dbbld ai f4r i ^ imara
Hpsion atte ^nfi t ti m^ liaecta di cireo, pef te
qfeaK ii nvfDanoier ^appMrionatUsifDOs cao-
eie che presero enormi proporzioni, se si pensi
cie>p*mt>tos. piO^^pikae kiAi^:ipao'Sd^t^ 5oo
M n i ^r.tnoR'fhjriid^alir* A4k dite ai fa*
^^.efiiballe#e lr*)ks^Qro^-^ereV aNe
oUf aavotav dsrvnoj(loto ila cacciai i oosi 4 rtli
bestiarii^ ovvero quelli tib\eraDb>adaqali ad
eitiaM )%\> ^uma9iim\ iPer quel che
aMa UziPDe, k*ddeiWriaoti^ptioipali s*dno:
eK/eotofra luogb di J^preiai^a, >* cumr \
lot^go di cuturtte, <Utir^sii^e l<prima (fra c4ii
r^Oehkried il 'Ritte)* t yi e j ^ -^^^wofe^ >:' we^e
sua o speetr mof aagio^kio. Ma r ddie |iasa,
arrecati a prova (Plauto, Aul uL IV, 8, 6, e Pe
lronb,^x^ 17) mm'si paiV^ stitfcihii per ittr-
roi me4ar\ di paem- La inuline WAr^ ^ rbe
comune dei libri e di lesa dall' Oehier (che la
fwbfokia^sil t^JesoavvMlta^QNis^'W^A % schfftn
- certoirvars >^rb nor4 <iiaBtea
^'^1 ttslMMhilt> D^l itvto. l nrfi
il f i ' b i e ^ * werwnr : bbe^se*
et6 frfctitWiHitfvo ipui'ia bencr lugo.
I rt'mwmeol^ 4^5 'deoia evidenieereote iame
nH i hr OI0 cbf 'talMnif^ pierIdeili che non
a ^ n o diritti' al lalidvlo ghmgev ehe'peo
al di sotto flel ginb^oUioS il portarbiVno al 'blone
era proprio delle matrone. Qui portato a bella
posta in campo Tesempio di Taide U nota (,
prrch queste di mal affare non t'iavaiio
ANNOT. Al FRAMM. DfeLLE SAttR E Dfl .OGISTORICI
la prolsM luima; eoe! che uVi laK: prK> At V^
(Nonio 54i , i o ), f i fa le mtvavi|;lie^: >
J hieretnet cum U49te i ungu ^ Per egr i n
i n hteo
Sol ent tutandi cauta tft^ sumere.
Mollo incerU la MrUtf Jet iram. 6. Eeio
suoiiaxxM in Nonio: uer ci um mmgnarum ui ri um.
Varr Meleagro, ti noti Ma i t u r ui r ati ut uxo
rem hab, j i taL, e nella pagina antecedente a?ea
scritto ui r i atum dietim er i 'mai^Hrtim irSum.
Prima di tutto a>labqno tocerto ae M e
ritenere crilfura di Nonio ui r i atat o uiratiut^
i n d i , ae la prol a debbati derirare da ui r i hut
da uiri i 9 (amkiHey. Questa seconda i s r e ^
be in o^ni modo ii qneito labgo da escludere.
Lo Sca|geiO n>eMdica il<vocabolo'uiVtfttam
(f. ad Fstuin sub d. uiretHiS), il quile fi ?
cina atuissimo, al lemma di Nonio irirrc/f/m, ed
alla scrittora di un codice Leldetfe ehtf in luogo
\ i nati us prcseiila la (orma : u r oQci i ^. V ht
poi, chi sostiene ui r aci ut {fe^ cui il RineK%e
Ip cpncocdf va i r . ..Parmi^vper altro che con-
tenga piji applicarlo ^Ai al antam^ s/0%\ afnosa
per la tua^roidtxU e ikirteaia.nella cccia^ e^p*
dileiia nelle oorse^ Vi r aoi a |> il grco
Tl9Mpai ; (.
7^ AMsios <ad Ercole^ 4Credo(mu1i|eiesporire
il recuonto latilologic cht. nofissimo. Tot^he^
sti ae t i Qual tHiese)^ i / mtt (Cod. Bemeee)^ yo/
(Oekler ed. L. W.)^ Tot qui l^sato^^coaae spsao
nel senso di elica Xdoii
9. 1| Vaklen. tonte inlendete qneeto . ed il
aeguenie Mn^uAo<di rfircele. <11 Ries ncloa
a irotarti im'aUuiionjft ad Ovioolei fanioio cac-
ciaiore egli .putfe ^^C^ Ovidio, F<ojiiV V, 54o).
Quam neffueami^dixit (icilioei Or i n\ ,ui ncr t
null a for oi e i l , e .ife leri pi setta
I /I
Otti i U Orift. Lmtotm ni tentibut a$i r it
Addi dU e/^ferillv/re)fvinvAV'^ hake, ^
i- 1.
11. Si ofi Ut. (Rise)^^ L auU (Lipsius,, Vablen^
OebWr), timm j a t ^ (Inniue), aui de (Mertero).
Si l i cer ni um. Cps* ^luaMtasi il.banchetto, jfuK
ner^e t:h4<sussfgwtia ^imrtlediatamantttAaUa .^Acir
matio. Mollo gvazioaatnenterferci^^erewp. (a<^
iV^ si^iei^niufr^up.teoehiq, |>er-
ohe gi <po nn p^4k. wil ..ftepolcro 41 vicina s r l
ce^vere onora della . iunAbn^rceiMUr(Vedi Pf^el
I tSi J iQm* 4 l i Aaii.) ,-
L V .
Qiiantn^u lla crto*^ che la salir direfla
i ookhbttr le Varie sfreiisieite, pecttlMcnlc
cntrspponet>do id ese^'s(fi>pif dfYr|!alif.V coh-
tinrixa, mdeitis >cc.V'^uV non si ^iotyclihe ^on
jri kiciirzta profe^?rii giudhTio sutla ragine
del litoio, qnatfdo non'ti tlcMe dl\pe cft^ e^li la
ihtitl cl nm^ di'viif^thshi/soti) fr -
ti^e che fn lult cntl^ ieVbi*e un ^liikio nt zi
t principlibet n ronngii^e e nel beic. C\
non si piace di semplici spiegazini ricorit a
quella specie di hr6^p1o he* Impo-
Vivan spr R rpo del lor SV!ru|)i<T. Guilichi
It lettore. Il pHhio Fiaf^metiio ne indica qiiale
dbtea sir 21 cIoV dato questa' salir d*a
Tarron^ 1(Vdi Mahly, F'a'rrmkhk^ che'h^li-
crr lnp). "U t. ,
I. Defger i t scrissi, r pr gt (ih cui la mu^a
U liquida Tann* Riie);*/)*^/^l2/ (11.
L iV.); pi gbi t ' (Turnb^i), "pj>if;'et (Scaligero),
defi 'gt \Ot\\tr)y pp geri t (Lue. Mulr Mahly),
haec rhd ienati ft \ . sr pslsse me) Ries,
hie rfidiit 7/ic modi '(Virh<^).
. De et l i i rioh 'qud datr fd qttod
' (Noiiib); Ii feconda (iiirt^ahimelt pi'
tarlanti: prahis (Afth'ly, lohi,,'Oeher),'
(Riese), par ato (Scaligero) in luogo di quntatn^
tuam tum ( Riese ), quantum (H. L. W.), tan
tum (luniuf). La leiion bhe seguii la propo
sta dal Mhly, che mi suddisf tra tutte.
3. i^i*atniiiertio d i senso'incerto e pi itircrlo
^11i lezione; thntte* ^ chfe essen/l arrecato
Nbni Stto la toc gl^adrii/t\ t^i^^sta tocf' poi
ffon ti HieoiSfra netl^'etnpi che inrea prva.
7*e mtdisqui^i B, L. W;>, te medi h vamph
(M^reefb), t mel iut^qunt {kthnk ed Oehtev),
i ute ni ofl i ter i H. U ^fi d Oehlc^, m/ (Mer^
cto); T t inettium uiifue dgmh'{^ee, sed du^
'bitrtter): S>er{iAl : aj^runi: Ag^ioti^d; ;bbe^e ia
bim looKbnb dM' ac<HrtlaMa; la ' d-l
Poprfi i fHke pratsidntior^ est H h qwi, gradu
tel e f i 'et cpdtt ' mierti^* Ve tto' pratuer fH
et eintctHty in)tuper mel us Utfui^ quM tu
qui mhi ter et oti os fuftti ueett. Che te ne
sembra' ieltb*^? '
5*.' Alunl dilrHMMit|)i>ier V^ueVlorfradimeb^
t iu^tktabid ottonari. Parnd*pid ptvipotiti^
(ipp*i-c^ Riis che le pemi D ef f ^k e^t u i s
sien trt^ Va^irnde= pkiiiia, e coe'rU
o^flei^bb atl^iirt)Wz<cn ^el pr^mi,^neo' |M#lerK
credere eh Varrtte* abbia 'voluto eaprr una
sentenza met in prosa mela in verso. (V.iMlhtj,
'f^arrriYi^ (>ag. i r )i Ho segnato Vehienda*
rhtoVo dMlfigk: fifeitv, in Inn^ di ymam* pr*
45 . TBRENZiO VARHONE 846
ponto flal Benfioot c ila! fiitK* c'ill uidtam; coi^
rutiuiic tlfr>o<}ic4
6. Saptrdmt qQii mphni es utl eeganur.
QiM*eU tpir|rpion^ t#r * ootofrmat: Jt
FeUK j y [Sope^ei ] g0atis j ^si mi
pl hci s sepi eni em sfgnifieat^ rfeiw ai i
Vur r \ nenur tuf^u 'sprdm^ cu{m fi mu
caitj^ocJ. A ilir -Terti'foiioo'inteodototte'queiU
ik vii sifMeni^'tl posfl mkt M l ^ i ^ di smi
perda: lo Iradotn^ m|so,* eareli>iicilo>giaiilU
rarni^ Sairif<KclUMDAvM> i fred do obui pctec
(li pco conio;eh*i ine4ii faklo MPioe I# m
ringhc c le ockiifhe tta etti apode pat apfwr*>
leneise^ (}uii(la^ |ii cfa ir m e ar ehaniMa\xo^^'^
xn^j 'Non avenl eiso (loBqile'alcuo .oarattcra
pedale per coi poeaae eabert 4)ut portalo ad
esea>fHo cralllt cht aok* il 4ale di citi ti naav
cuprtrlovfaae avolo ilinanti' agli ordii da Var
rone, o qoiodi repfe beoe i a op(>oaiaioo oao
oohrpc, a^ll>t adfiperalo per lo pi di pesci
die fi crrooipno e! c;adi poisano eaofi sci
Itili. Il cqlice MaNlno >dl Nonio l^gg eai^ ii*
mas .tfe/io/MV edi il aolo codice' che abijia que
sta lezione, lo noo ho inirodolU nel lotto;
l^erch noA m' eroipe/anafo. Kvmn99 tHeei il fior
di sanibuc0'U .f|tfale mondai 41I1. odore sgradTi
littim, ril)ullanle anzi^ come agradeol'e rfbot
lanle la snoiclv di .cgl<4^ rhe l eredon ricoUi
di prfgi e di af.Yetoeina o nori^e hancica. Dello
ci, io'pento che \<ariopi'i*t9o9 di acrllura
per ^ i ti \0 scaMbio ddl^ lettore ?i poi-
Ultare.
7. Quoti ; Oehirr: quot. Se mi ooo m op>
pot){;o fiarmi che Varrone qui alluda ai Iciioti
maeslri di tibia, e si aftebbe allora un bel rKon-
Ir con Oraiio :
. pwisc&e mo mm^te ac luscmritm ddi^
di i ar ti
TbUetf^ traxUqumua^ut pT pulpita ue$itm^
1 TroriMiicnii & e 9 poo haono binpgiio di aU
runa aniiolazione, n preienlano alcona ariaiHe
lexioiic che roerili dT r i i f r e rki>rdolai
to. ^r^n<cr/i(GflocK)vOn^nir<iiM><Oe)i1er,
Rie^), ar ge^t^m (Hv L; W,). Popm^ o il
uVerniero chi froquenla le Utorn. QmiM^ifui
(L.). Il fiUk\x\fX'Qiits poe^iis' or geai eum'r ofem
hibit popino ^j I!
TI. Questo iVaoDroeiilo c oa presetitalo).dai
Codd. Nuniani : ./>nrmr#ie, iger^ e^i Varr
llodio: eapi ti s emrfHta tatthi s^ Hrei fi i c^ui
iabare / I aliti uir i dt p ^mi L dovuto al Vah-i
Icn Mmerito d'^aVor rcao iotelliggibile questo
fraiorrtclitosC coiiYcnreoletiieiilc InterpfetalOk
rft Ltber i ipii non sarebbe altro l ' lUa {Ck\
Ovid Aie/. Ili, #6, racemfftr is' fr nUm ciV-
tumdaHith uis^ parlando di Raoro). Lbar f l a
ti li s qui Hon^v'eomeM|t vede, da iilerprHar alla
lettera, ma per rflaxiiMi df* sM|liaifza. Il tutto
poi non serve che a descrivere la corona di cui.
si dingeTiaol# Uremie net Verg. Ecl .
y tSi)^faseitr ti ltgn^s (SciHgeTo); faci tm ( I d.).
L'Oehlrr : Capi ti s cor ona fasti s i i ni t {se.
brat tic/ twgit)^e spiega il labor fl ati l i s in ma<
ifteii 'dir s t f m pe'Hoc|>dii% inella, pHr 'Sau-
sdlndero SUlUung r i n^mk l ^tst dtts ffr antt^
*rfii0rattle poodu della oorboa). Forat la tro- <
dtttioil eKo oUanlO' da retaro^to
ptrt^be HspooderO' al Mlhl^f^ <*be lodando V e
mtovdainenlo idi Vihien ^i 'ricdnla fht uua o'
r n rmpiiis^ eoprire- il volto.
la. F ar r i s: oooFiy# i(H. <L. W4, o r a m (D.),
tforrir <Odd)' Parigio 7666). <pef mo
dium Bi^'WuoiK.dii'cta dal Mably {Varroniana^
|K I7)k
i ^AskBf^^dSm\ u^i m sm^A,yN,y p. 70)^
1^ ui num a/<e (L. (Hib),
^aeiiiiiftiiix^^d^' La leziofe do 'Dovae^oita e dd
Miihly. Nelle edikioni ' inpaetl 'nerwssi tado va
osr #foK il^quale dfeT^'etafre cerio ervoi^e, perchc
nte9S4 htdo e iib Aire non fauno le fugna in*
Jieme, nti qui h^n sono eh la stesso cosa. Farmi
ben' fondala ancora la molaiione del sktnndai
in tnst^cmncta,
f 5. rarmi che anche hi 'qorlo frammento il
Vahlen abbia pnefereuia degli alirt edi^ri collo
diriltmenie hbtaegn,equtndi darvtttHiY H Inio-
ite^h' egli he ho dala.' Siccome atmoi eddd. da^n
cubiculo^all ri bucolico^coi probabile die ara-
bidue debbano andar congiunti. L'oiigioaria lc>
zione di Nonio : in cubiculo dormi re mallem
scilicet^ poti us ui num cibarium^ quam ego do-
Thiftus esemplo arrecalo a pinoposto di
cfaH9tm\ quod 'nane ait de pane sor di do
(Ved. Gler. Tuseul.^ L, V), ut de'ali o indigno
i/feafiir. Inluogo di'meiirn lesse il PopniO'me
nriir.11 Riese:'/^ ebi ouh dtmi r e mallkm'ti m
pl i cei (ti t licet^ Popma), prus {p'otiiis^ libri)
uinum meUm eiarium^ quam r egiae domi nus
rird^e fW (eorreiloiie di *HOper^ A dir il vero^
quatftufnqoe 41 thiar. si' ila giovato delle
erretioni di arii; parmi tin abbia ^ l o ona le-
alrine troppo felioe. E'chii dir deHa lezione e
della spiegazione dell Oehier ? Bsta notarle pet
glidiei^teMVi^tfColied dotmi t^ Malleyi sci li cet
potius^ mtuM yi num c nuM <^Uah ego^doml-
kits gustarent) Vtba\ ^ \ egii, uidentu^esse
domi ni uel pr ehi tor i s coni ui i qui lepide pr o
fi tetur se multo poti us mali e maxi nras i ncom
modi tates perfer r e quam ci bar i um stium^qttod
in cella seruet uinum^ustate. Videant consulcs
847
ANNOI. Al FR'AMi. DEJ l tX SATIRE E DEI LOGISIOUICI 8 (
Aiitho il ftliihly cmiuim ^uexlo |>am
nay 2^). Hi|>rovj. U Uilof^ JeU Qekilt d
'Oiiibania o par) Icoipg i Jiui Jt'guil^del
Vobleti ( :prtipvA<^ lil .iUA r
in cubi l i bktOQtko 4^rm T moM ^
j fotui uiokn\ ^ibrium^. ^^
gQ dorninns jfuui^^^tm^ *. .
Non ini perft flie quwU
lare Ja c mo u h qAeUa,Ud. Vhlet. li^
, qiMSle parole tt bocca d <li 4^rM
moderalo che: an^ nie((tiiutfoito fialtergt teilo>.|tu^
larfe uh ^Inrt oomunt ()lrTfftorkrst dalk'fMiohc
del fioroo^ pintlG8t<;h*^II Hmapo irrvaton
getUrs com, damii^us^ acipri oiueuQci leia,
sciita trovar pia ih llle {liume.
iy.$\l\'9fUM \ hk! iti Mt teaf/m'diHnnmoUa
salire iortoi9i)h^ir^u^teiiuf^^o<ii Su^j
tr acitus traxirn (B.), sol lo la voce pisantrt^com
|nire in Uh obilkedt Ij4 ' del secolo Ki. U Riese
crede il ff^otoien^toi pr^sai: na la rase.icu7Zci/
fax-im imOIkcreder poliou Fra l mariitfBDlalkyj
di corrcitaiKsaildoUai quello dd.Miblf.
i&. Noiio nreca^orfto iVairtin^fitb ad seiD*>
pio di tibia itt'getiene fIachi)e^ e Idv.ctJa ooM:
^larr fneof l uhi d nts ac ' bi l i ngui .
I / Oebler :c6l B.ifae,'(7a/4 mw J uhi boe.! Nt ll
quarty u il qual e qui sembrano )^ ^>
le varie W^ip9i ifd pery^ d# .p r e i e r i q u e l l a del
Malily, il qqal^ pep allro era ip qMalffbe mop
preveMiptPi p l e b i lup^ , b a - S Q C i U a > ( d
il Getrla^b ^u a ef meos ibicentr^ T i h ot :(Ar
(>er e Aietfe)* ^
un.
P;roverj3io uaitaCtfcinqo ',^^
Aw/i/. ((;i. Varrone vD L, I VU ad 4^^^
mal i ; SyiniTi..ep. X, l i ApSOQ.
ad mfinosfll\)^ e p4r^ #4P0<v'giMfi:bii elle r^dffi
la partita, h 9 notata,por aUeo th non rcOi^
nizM con aIquiiaUei fri^inpBli aUegJtli^olla qnt
lu 4i(olo,>e n^tp. oli SPo4 a ,
pV io pl^dorpel idiso io ,cii fu M4alq
da piaMie(Pbacd )^>cifi delU Sprax9ii4
ddraMma nel p<rp9i( ^^
,^TQV ,(|;). A cbi$ ,si pil>40|teDffe 40 dtH
prinii,jtra9ipiep|i. o !' !
I. Il ^amro^nlo. (^^ rIU/ille
corre^iioai di Y*aru.<Q(^^M PMOv^d.JNoninvv()fAl^
rufor^s ^t4ni, c^l qi af/ ffftri ^ grvKarfiytmm s^fM
fus.ts,^ui ,mi i tuni an ff rr^.^ii^tm mv i$4to^
ai A^i ^gr^ct iTipi ,^i*^i^iix\gr^alt^orSquigrm^^
^liuat^^ry^ptrli(j^,^4^y.^gn[^j^n^rtinQ^Ui ab
I tominc eq qui i^isjaf\/ingiii^ i{i4r j si c Hia^imi
axistrrysut gdUae^ cr ura ic pttti vtoverV,. es
siarentivrixot, sed ab homine ,^t>0utnUtit,y
l igneat ^i iU ani m^ propMOj.AWieii^y ^^
sbspea e>vid ghiifo per iqnaelOi credeUt
ohe lovesse miilliit*AMua/vDeegtca, ma quella da
lui tr2|fa cQDn^^k cl <onceiio(> < ^(vr^a
>U e pu uaieMffii.
corrti^iuDitida poiil4>lUla m t*Uiqne)jyb d^l V^bku,
perch M\ efi r n del;odoe.qorfispoi^^i i9rMir
gle<(quau<o1al Seiiao^ qiMtobositi* tforiliurai.\iori*
aio Sf4w: L(>4leiiso>h. dtl^4)fcdbSMiL da omeiece
unl , ligma. G> Mlla^jcciaiidilk|jan lUI ranl-r
fneplo ho ,se|iMio teinAerpwiiwoMe diri Krahner
{Dt 4i a^ phio^^ii^i t 5)^stic>iUi (A.f bomines
f u i 'gr al l i s stanici ani mi nosti eunt t>gral lae
[ R M afgM^u i 4 oe piuilii) f r r a oc pedes^.
Greduirbe il sDnita ilid l#ammfcplaih<in aia oacaru;
oirfoid'iii liHii <ihc PcrpafPb4< tiiQ.piediisi itMiove*
aebhcvo Offe'f* anima oon<ini|irifDeae^qro il fnoAf^
coin i trauditoli nvp sino^?bveb4en>setinofion
li Mit'urtvue e eonacniicastc* loro il aiolo Del reslu
in altro lno|rd Verrine'(Gii6, XVI4 i6> patv
goq piedi e lei gamc' delf liomo^ ai irami di
1Ibroi '
t ^ l i e^i d -restt. Gumftioife ><lel Vahlen<R;
Ji/lii' W. e^rOehker t et <id
) h i ^ i e e t edam, Goifgetlui^< diol ftie:
\iidre^tMm (t. fi.'Wv), uirei^trtam (Palme*
l)ilacere/.tni?:(8calig^>j (P^atUm ip geo^rc
tMtltro*c pi vaPOMsai ohetidn roaaohile; diate
pt altro apchei Tlbullii <i!^lg; L> Tractcquede
niueo uellere dacia. Injectori^ iniectori (li.),
if7tp40tcri^(Vi,).
I M h
Il Popma pensa che qui Varrone si lamenlasftc
daf^dispjctta^u cni eraoorailutv i :d^CB^rati mi
\^riis ^edo, se si tratti di Varrone, pi op|iortu-
no 4Tipular ^he\eqj, aoagliaaie* la soa pieira per
ischeriiirli cogli altri.
* ' 1. Cr epe^aziz^tbi a^ da sul crepusculum de
etepiUiS; en,
3. Er r ami ettias- (ti. L. IW.)
^^^Bouar.:PnA di iriccHo >gin6ealo Up'au-
tic ylnaa^ cuu esif srp^s^ forse
ialegniai<^ dii .an i veko'iTufr IdPgo ritagliar
lo ^qitasrft.foriv. di i|iistoatpent. Un knn
scritto presenta la legione cuponem^un altro ca-
pdnettt,<, C^a m vuole Iraralrvi caupartam,
ad.allri fNacqe> d ' f l Cu)acio ohbam.
L'>Qebkr ootolroU oMNNrcon tamam r^Ved.
Fslbiad 9.)^ e trede.qtii irMate altra
serm^ fr i at^e de MtapaU^re phor m^c^ol a
nel acio\ medi c qm batmm (V. Plip. XXI V, 8
ei XXVI, t) cnr^r J pl ti di usJ r auduUnt j r ar
849
. l l i BbN/10 VAUliQNK
85
iiJ icUs usus erat. Da uii vaso vinario aJ un
luraore non c troppa cliilania! Scciga il dii-
crelo Itllore quale Ira le varie leiiooi od iiiler-
prlazioni gli piace, eiiemlo quelle e quelle con
troverse.
6. I l l ud urgeo ; init uirgo (Oehler), inquU^
turo (Vahleii). Ad concordiam^ iulende Popma
il lenipio della Coecprdi dove si ioglievano e
coropanevano. le discordie mariLali.
y. pro|)abile che alla fine, di rqueelo
mcn^o fieno da aggiqngere le^ilLre parole aog-
giunte da Nonio : et {et per i i plus libri).
LVUl.
Non ia certo d uopo ipender troppe parole
jier ispi^gare che eignifichi il che Varrone
appQse ad ,uoa satira ip cui parlava delle d^i i i e
dei conviti. naturale ch'egl i adornbraese il pen
siero gi,pur troppo comune: goi}ere questo d
che ci dato senza prendersi pensierp delP in-
ceiclp domane proverbio usaronp Verg.,
GeQrg, 1, p, .6i Tilf> l^ivio, X L V, 8, 6. l l M er -
cklin volea aggiungervi anche -rtpc ^^. Ved.
pre^ao i l Vahien , p. ao5, con^t^ta quesU opi
nione. Gelido, come si vede, ne d il pensiero
della .sati^a^ opp Vprdinc ed il contento. 1 roede-
simi tratti, e quasi ad v^rburo^ li;ovifaio in Ma
crobio Sat. l , 11 ^
LIX.
L iofcriiione dovuta all' Othicr che giu-
slaniente corresse in octogessis^ le lezioni vol
gari oclogesif octogesis. octogesimo quelle
pi strana del Pproa : '-^^ (expul tr i x
angorum) In torno alla dt lla parola
rf. Prisciano De pondtr ibus (p. i 356. Ed. P.),
che la difende colf autorit dell stesso Varro
ne, il .quale ammetteva che tino a cen ussi s si
iormassero composti con assis.
. Comeder^. Correzione del Rper, con
cedere (B. H. U W.), co/ic/Were .(i.aurcnberc),
corri pere uel corradere (Oehler), caedere (L.
Mulli^). ^Sl neque (Kiesf) si yuae (Guglielmi),
sci tque (l^aurenberg), seque (B. H. L. W. cd
Oehjer ^che in questo taso, fa cepere : ~ sub^
trahere), Optjicio (Popma), opiiico ms. L.
\V. p. ao), opijice IL 1^. 5 i o), opifica
(Gugl.)
3. Nobi s^uti li us^oc\ } exerc. cri t. p. 27), no-
i i i us (H. \. Ochler), accepi mus (PiJmerio).
P^r ispiegafe in qualchq modo il senso del fram-
mfepto cooT|ien ammettere che oltre alla moneta
detta Fil i ppo si conospesse ed usasse una bevan
da di egMal nume, della quale per altro non ci c
STIBF H ^5, DI >1 '1FR. ^''
avanzata alcuna mcmuiia H V^hltn (Jnalecta.
Non. p. 25) fra il quam ed il quod erede si possa
proporre xvwiXXo uini. -r- Addamus : Guglielmi
in Plaut, Cist. c. 4 ' abdamus.
4. Ci. Horat, Sat. I. 3. 43 strabonem A p
peilat paetum ^/er seqq. Pressu Oehh r ve
di, se ti piace, la maravigliosa spiegazione di
questo passo data dal.Popma. Dopoyci/ in mol
te edizioni sp^ggiunto ^^*. a rite
nersi per glossa.;
LX.
il Ritsche giudica che EdipotieSte debba
aspriversi alle pseudotragedie. Si prendesse gabbo
delle incestuose libidini dei Romani, o le sfer
zasse non si pu aflerm^re. t credibile ch'egli
lamentasse e vituperasse tanto disordine ab-
hominazioni e le sciagure dj Edippo e di Tieste
godevano pressp gli antichi di tristissima, rino
manza.
LXI.
Questa satira miraya a provare la importan
za della musica |>er la educazione del cuore, e la
sua efficacia ad ingentilire gli animi eil i costumi.
Si combattono quindi coloro che non trovano
pi utile od amabile ricreamento, del girare pel
foro, del cacciareo di cpse siffatte, trascurando del
tutto la musica. L'iscrizione proverbiale, ed
abbreviata. A volte si trova:
^ . (Diogeniano, Vii, 33) ^ -
< wra * jetc. Vale
a dire: sei cos disposto per natura a gustare le
bellezze della musica come lo un asino ; ov
vero: in te morto ogni sentimento del bello, di
buon gusto, eco. Credo che vi possa corrisponde
re, in quanto al senso, il proverbio fiorentino:
Ppr^o non fatto per gli asini. Il Riese parmi
ordin molto saviamente i frammenti. Un mae
stro di scienze musicali {phonascus^ che corri*
sponde al nostro : maestro di coro) fa il j)anegi-
rico della sua arte quasi a mody di prologo
(1 Vili), indi asseri^c^ che amore alla mu
sica c insito nell' uomo ( X ), che ha molla
efficacia sopra gli animali (XI) e sopra gli uomi
ni ( XIII): si parla dei suoi progressi ( XV).
Si leva iwei sario ( ) e ne combatte
gli argomenti, per eui il framm. XVl l una op
posizione a quanto altro asser nei framm.
X1 - - X 1I; nel framm. XIX torca della vila di
sonesta dei musici, e (XX) da uno di, questi
preso a gabbo (XXI). Si decide ehe ogimno pos
sa vivere a suo talento. Al framm. XXl l non si
pu assrgfiaic )nogo si uro. (^oji .puea ditersilH
ANNOI . AI .. DELLL SAI IRL L OLI LOGSI OKICI
onliiM ci csfiune qiicsli f'iainrn. il Vilileii {Coni .
|). 3 sct|<| ). fi (Ubbccl liMama alleiiiione so
pra Antiopa di biuripiilt; i;iifs1an)(?nle : ma noVr
conveniva per altro insister troppo sull* imil-
ijiiiMie. TiallaiMio eguale argonirnlo, ini^tos*
iibile non isconlrar! qualche volta anche colle
eeii lenze.
2. Phonascus adsunt^correiione ili lupio,
iioJtl. ili Nonio foni ci a sur, Phcn c a adsum
(Oehier). Kffo cerca sostenere ibrida parla per
mezzo della etimologa : ) e cieo. Questo noi-
acnglio di greco e Ialino sa lale; n parnii alPuo
po farsi puntello del vocabolo praeci a zz prae
co. Photni ci s \>et for ni ci s adi um (Turnbo),
Phoeni ci ae (ScW^tvi). ^ u n i Ribbtck.
3. Non saprei come ispit'gare meglio (|ucsto
franunenlu cl ritenendolo uu allusione airar-
nijnia dei corpi celesti da Plagora e dal suoi
(Tiscepoli t'nat:emenlt difesa. Sera utile I cnsaK
lare Ma^robio al cap. Ili, lib. Il del suo com
mentario al Somnium Sci pi onis. Ritenni il
tfuadam dei codd. 11 Eiese proponeva c/am ae
qua. Harmoges in questo senso non notato n
dal Forcellini n dal Freund. Plinio lo adoper
deir armonia dei colori Cf. Cicerone De nat.
Deor.' I, /J6, 1 19.
Frammento riprato da G. anlero. i / e i i -
fer diede niutifo di un' piede if piimo tenariu ;
sMngand poi nel crcd'ere, che qin si lamenti Ti
trasruiarzij in g^ere,delle arti liberali. II con
testo ricbiede lie si debba restringere solo alla
musica ^ uel ^ (nnio), melo
dis naeniis (Scalig ). l i c inest. Buona couget-
tura Tel Riese.
5. Questo Framuiento e slrcttameiie co)U*galo
col precedent.////irii/az/i.' male interpretato lial*
Oeliter per rozzezza in generale, perch, co
me a\'vertimmo, c|ui ii>n si parla che di lii ca,
e ne dica ci che , d Freund, IMu ibtcirpre;
tato bcnusimo pe< : l hkunde in der Aiusih. Le
cilz. aiiticiie amasium.
6. La descrizione del Psalteri o data da
Dione Crisostomo in Pr oth. ad Psatm, e pi
opportuna al nostro luogo da S. Gio. CrisQ-
.itomo in psahn CX L I X . Orth opsal ti cum
Epiteto, se genuino, conialo Ja Varronc. Altri les
se orthopsalticum^ orthophal li cum, lo spiedo
ori hi opsai tfcus : il psallerios da cui si possono
trarre aripooie del '^ ^ ; vale a dire suo
ni acuti e giulrt. Doa parlicotarizzala dctcri-
ii(nc di (piesli vuot ci trarrebbe troppo in lungq.
io rioiando (]uindi agli autori cbc nc trattarono
4 parte. Chi volesse senza ingoifarsi in dlsijui^i-
7ofii minute acquistale (|uaichc biioiia Mca sulle
fC'iric londamrntaii deliba miisicj rc^a pn leg
gi l e il ca|) XI della Stori a della l etteratura
greca di Ott MQller. Dl cteri e^itvale certa
agli: (fx^fx/iaroi dei frreci. Ij'ailopcr trrcbe Mar*>
ziale, VI, 3 .
I
Omnibus ar r i des: di cteri a di ci t in &mrtS.
e. Nonib : 'comici nothidi . Ci naedi ci e tox^
rezlnc dello ^Scaligero. Il Vatileii scrive : ut mi^
mici., perch, egli dice, non si (MttrebberO tro
vare comici ch^ non Ibssero g)ente d^ tctna. Que
sto jwirebbe valer*, ^ Vairone qui non voles
se nchluiere anche tutti qcUi che senza essere
istrioni, davano dalla scena spettacoli al popolo.
Nothi di i (lunio), ni ti di (ante^Merceruio), noe
ti ci (Ribbeck), schemati ci (Idem). Soltoiiil. Si mu
omnes (Resr)/
iQ. C^>n questo frammento par ri s ^i da 9
i|uc1l{ che* troppo i fau torli iTlta dispositione
al canto connaturale uonio. 'S), vicn uatutv,
risponde^ ma bisogna vi cncr>rra a perfezinrf
Tarte, altrimeiiti noh v*i avr altro canto ihc
quello di vinileiniiifori o delle cucitrici. Nonio !
Sar ci natr ici s non ai qutdm ulunt u sar ei
i r i ci s ryquasi a Sarciendy sed magl r a sr ci -
ni i quod p ttti mum ustinm sumttnty {sant
per sumant corrrsse il Guglielmi in vroi. l, la^,
e bene mi pare). Il Gngteimi steS^ spiega che si
debba iniridere perV^bc^Z/i/i in qeft luogo:
machinae pergul ae sunt in quibs sarcinaCr^t
ce$ opus facti tabant non hoc modo Afi ner
uae^ sed al terum quoquo i l l ud^ni fallor^ Ve
neris. Questa seconda parte non ha certo che fare
C(d nostro' luogo, quantiiiique paia che tali donne
non godessero troppo bnh nome. Cf. Cicerone
(De pet. consul, cap. 2) qua tamen (C. Antonio)
/(i magistratu ami cam, quum patam domi ha
beret^ emi t de machi ni s.
1 i. Qui si prota con un esempio, che le fiere
non si possono sottrarre alla efficace azione del
la muMca, Per le refaziuni di leone col cullo
della magna dea potrai consultare il carme di
Catullo per Atti (CT. anche S Agostino De^ciu.
Q. Ili, 24). Il Koch, il RibCeck, il Vahlea ti
ingegnarono di ritlur a metro fraromento, na-
turalninle introducendovi atcine variet. Panili
senza scro|>olo si pssa considerare prosaico.
la. Il Moinmsen interpreto questo traromen-
lo. Achille celebra ancb cgTi col canto fe impre
se degli de? e legH eroi ; ma quantunque usi
sempre il verso eroico, pure a volte solenne
robusto, a vdle pi dimesso, pi lene: eia ra
gione di questo alternarsi non a ripeter che
dalle varie gradazioni di suoni che Brseide trae
dalla sua lira. Rltci i suam Br i s. 11 Blese pro
pose suitui. !>e sa a Srrivere neruitrs o nrui
in qnrslo luogo. Hi Ntniu! vedi Valileii. p. ' 3G.
DI . .N7J 0 VAKKONK
l i . Cerno, ('on^etlara, iJl- Uit sr, pi :<-
iic crebro. Chi ,qe*ia. Ivii<nc <lev
IjiQrre . ?crho un nrscisy per
^<^. Flectendo tibi is, f. fiectere^ ci\ntus
(Lue. VI, \ i ^^et^q^e . , . ut^cejn (Ovid.
i l , ^ %S)yfiectere ^onos (.-. N, XVJ. 171).
Nel aecooOo ?efSo ,in Iqc^p.fJi fr i gger (Vat^n),
il Uieie col Biiclieler Jesie er i gi !Vli uop mi par
ve opportuna la rnulauone.pcrcb U IVammenlo
arrecalo da Nonio a|i|mnto ad .esempio del-
M9o.^\ fr i ger e vt fr i ger e est ei j r i guti fe et f r i
ti nni re sussilir^ cum fo/op uel er i gi et exi l ir^
quod quatcunque fr i guntur uel fr i gent nimio
cal or e uel (ri gor e cum.fona susum sussi l i-
unt v. 11 cod. Marciipp hj iofatto fr i gi ^nitnos
eorum. Cqft\ n utari {^oali^^ro), Deorum in
luogo di eorum (Ri);)|bec|i)^ .
i 5^ ?| oipviQ nelPacl^, .mufif^c tle?e -
damare alle vari^ (copdj^^pi 4leli>
le pcrsoQe che agi^no^o allo sUtp deU'^nirpq;
e lo spiega cpn ire esempi : il (folqre, il vero
dplore amjis uu% ^res^qj i e tr.fnquilla ; aid ^chil
1^ cunyienf 110 g^f^e^gi^odio^^ solenne ; per i
danzatori, y un9, ^ V ^llro .di q i ^ i ,farebbe acou'
veiieote, e dimtndalo una |vi yito, pi inps>
so, I j Oehl^r, soriven<)i) '^^ ^^
cinaeifus^ ha yizialpja be(l^ senlci^i^a, e. intro
doMa uoa poslfqzioQe c^^oiofia. fiienp, r a
rigvVUrc Ia sua I pquifur scr i ptor
de pjantomimo inde quidem laudflndo guo4
<% Bris^ide^ ^ Patr ocl i
mor te^ maertati^ dolorem qui eti us ac,dten\is-
j/iLf, gu0m, uifjgo soiety repr^saent^utrat ^
quel chq i) ^ meraviglia si ch' ag^i icuessf
Ia sua congeUura e Ia sua iuterprelaiioue per la
sola vera ! Pepch convjQog^ ai miioi il genere
jinico, sar chiaro a chi abbia una qualche idea
della jonU roolleua. Cos\ l,<ucilio pr^ss^ Nonio.
Sl uU saltatum te i nUr uenisse ci naedos;
t Plauto (7. glor,^ 111, 1, 74)
Tum ad saltandum non cinaedus malacus ae>
qut$t^atqu9 ego,
Cf. eiiaodio PlauU {Stich* V, ,).; Pseud. V,
I, 29)v O#aio {Curm. JJI. 6, a;).
16. Qiiae sci t (&ies#)^ pi comune fci s.
IPVahleii Mttgae s^nt^ quo^.J keis. |l Hiu^^l;
l ar gar e ^ctpi t ;di er ns: quat i ptnfi i ci s e{,qHor.
f ...
Le prime parole io cifedo th rifuggali^ dal)
parere poetiche: il reslo lu trailo prr avvenlura
da qualche anlic pocla.
1;. Uno 1100 puu il'un trailo lai si |u i Uw
iieirarle Minsicah*. S^tiega qiie.Ma xrnlenza con un
esQn>pi(. Se in d'improv\i$o comandaxsi ad nn
tuo servo di vestire il coturno^ di emulare il I ra
gico Anfone, crederesti per avventura di venirne
a capo? Lo troveresti pi iropaccialc^ | i netto
del mio rouUltiero. Ch^ qui s'inle.nda parlare di
uno ^chiavo, e ipaniteeto cosi per sere contrap
posto al mulioy come iincora per la consuetutii-
romana, di cui fa lede il Momrosn, di chia
mare gli schiavi eoa doppio uome Timo proprio,
altro che qe indic^^se gli u(ficii Vedi altri escm-
pii preMo il V^ahlen (Co/i/Ve(. p\ 27).^D quc.<i(
I ragedo Anfiooe pon abbiamo, al Iri^ notiria che
qu^s^ di Varrofif^ e qii)nlunq\ie sia riteneir
che questo pome fosse una remiuisc^nif del fa
volosp fondatore fli. I V be, pur^ ai dee rigettare
.del ,t^Up rppinlone deirO^|iler ^(V. Korcel. alli
voce mlio) f^\i^mphi oni s agerepart^s voglia
significare in questo luogo fi di bus t ca^lu sa-
3^a fit I npidtS moutre. Manca nei codd. Nonn.
Tapodosi. Il Roper suppose un inu^n^iw.
18. 1pai significalo del vocaj^olp cfhari us
toc(;amf^p (, Earn^i non essere
opportuno abbandonare la spiegazione^ di Nonio
per riercarne una pi squisita riposta; co^i
y**ha chi vuole^ unire airi^ea di c/^eriMX quella
di collactaneus; c meno prolMbilmeplc il Gii^liel
mi spiega qui cibari us u qui congerroni suo
i mpendio cur^qt eiqu^ tanquam pr cibo est.'>'>
Aristoxeno era,un fip^fo e mu^co Tarj^i^o
( 3 i 8 f, a.. C.J discepolo di Ari^l<^leje. Scrisse
varie .opere, iVa le quali si, conservarono i tre
libri intitoligli pj^ovtx^ ^^, dpv^ egli il prjmo
cerq una legge razionale delU musira. Qui
u^io per ant^^pomasia.
ao. Pempe aut (l,Ueso)^ Nempe tu, (VahlenJ.
Ob aritm praecl. (Aldina). Vpdemma pi/i sopra
{Meleqgfi\ a. Varropc andawe poca a* ver*i
i|, tropp9 amore. alU oaccie.
2.1,. Jtem.,} luuio //, male ^ AJurimus {W.).
aa. Distico ricuperato d^^ I.achmpnn (in Lu
cret. p. 3), -T porro is dicorporis
^ )l bicorporis (Bentiiio), bicordis (Rotli), t ri
corporis (0 <ann.). Cf. Varr. De l. /. VII, ()3.
LXII.
Il iVIommscn tradusse assai felicemente il ti
tolo li questa satira colla voce popolare (che
sul gusto del Pape Satan ) Paj>perlapapp^ che
riunisce insieme il CQOcetia di scioechezza e di
go.SagiO^v.Pair ipsieoc^e poi dei Irammenli si ap
palesa che V^rrone qui comh^iUva <iucl modo di
lodare^ ,cV piut^pstp/adubre, per cui si vupi
far parere tutto belio,, lutto snblii ifi (hi si
ama, o a cui si vtiol (uarerc;.
55 . Al >. ULLI.l SA *: L Ubi lOGl STOBl CI 85G
1 cinque |irimi raiuiuenli sonu sUt con nii-
ral)ile ecnme o diligeiiia ricuperali tlallo Scali-
i^ero. In queste correzioni v'ha certo dett'* arb
trio, ma Wno ad ora non si seppe quasi far
roegli.
1. Nodo. Il Vahlen propose commode, L t
eJJ. comunemente modo. E x suholibus ero-
byl (Gifanio), ex cr ol f l i subpruuli (Rlese),
emittebantur (Hle), demitteharitur (Edd.), de-
mi ti uni uf (Scali^.), ut ci nci nni (t/ipso). Su-
petulis nigellis popul i (B. . L. W.), suppae
tul is nigell is pup l s {lunio). nigelti (Riese),
ocul is SMppoetu ni gell is pupul i (Ribbeck.
p. i(4) Quantum (Hiese), (fuandam (ScaKg.),
qtinm (libri), liquam (Glfani), ani mi tui \o
tenni collo Scaligero, perch ha niaggior Ibnda-
menlo nella lettera dei Codd. ntmlr (Riete),
animi (libri); Intorno ai ci ni nni Cf. Miiller {ad
Festum., p. 63). L OeMer non si accorsa che il
frammento fosse poetico.
2. Ti nctae, C/ncfae ( Scaligero ) , mohiles
septo (unio).
3. Frammento monco cosi sul principio che
sulla line. Lo Scalgero scrisse di suo apo
At rictus r is candi di [dentes candentes']
r i ctui ut p. Refrenat or e r oi ea [labr o] (R5-
per, phi l, IX, 2%^). Refr. ore ri su rosea [l a-
bila] (id. ib. XVll, 93), puri ssi mus ore fr e
nato (Li|>sio), refrenatus (GifMilo). I^a lezione
del Vahlen approvata e seguita dal Riese : r ictus
par ui ssimus ut refrenatu r isu roseo, ItWahly
ftellesue Var r oniana (pag. i 5) pi^pos la lezione
che a noi parve buono adotlare. L'aatore stes'
so voHe Spingere' pi innanzi la propr corre
zione mettendo in campo Urta seconda lezione :
ri ctus par ui ssimus ut reni det ori s r isu roseo.
Mi parve da preterire la prima delle lezioni che
meno s allontana dalla lettera dei codici.
4. Nonio scrive sul la demonstrat. Lo Scali
gero corresse Si gi ll a (anche Oehler). Nou pare
probabile, perch io f|uesto senso non ri sa che
sia Sl at o uftto questo vocabolo. Al contrario, la
fece lacuna ha parect^hi esempli. Cos Apuleio
[Fi or, l i , i 5) medio mento launa^ Ovidio
{Art. Amat^ 111, 283).
Si nt modici ri ctus paruaeque utri mque la
cunae.
Lacul l a (Rper), mento : inmento ( lunio),
pr i mor is di gi tul i (Guglielmi), demonstrant
(Edd.) Col lum fi ctum l ei ma^mre: eoo
egual fgura Ovidio disse : marmorei s pnti s
(if/el. Ili, 481) e niarmoreo poll ice (XHl, ^46)i
5 . Regi ll am tuni cam di ffingi tur purpura
(B. H. \,. W.), regilla tunica definitur purpur a
uel purpurea (Hopei); di sci ngi t (Othler), il
quale* ri aggiunge questtf memorabile spiegazio-
ne: di sci ngi t ( n prii^at h. e. praestat\^ diffi
ni tur (Scialig.), di stingui t (Vebleu). Ttmi cu-
lam ( Vahlen ). Delia tUn eula regi la abbianolo
memoria aaphe nell Epi dkb di Plauto (li, Sq),
dote si prende giuoeo dal variare ad ogni istante
fog^i^ o materia di* vestire. Quindi parmf ppor-
luno il genitivo; tn caso divei'So cnvied spie
gare col Rper pufpti ra ~ purpurea.
7. M i o quid in (Gifanio), improbabile;
laudabo (Gerlach), eonui ui tu uinum (Miiller,
p. 4 i 4).
8. Margar i ta "ut amethystus smaragdus
(luoio), uitrum. (Mercem),
smatr. (Gerlach ed Oehlef), stmargdos (Ribbeck).
Roper lo cre^e fr. pdetldo. '
9. Fer a : Versa (Codd.). Csi sta in Nonio
frtlriim. Qui potest laus uideri taers ? cum
mtus saepe fur aces ei semus. ac nequi ssi mus
ibis i uxta ac P , Afr icanUs, L ' Othler nou
mut che V i bi s m ciuis. Vdi apprMo la stesso
la spiegtione data dal Mrctoi^ che Questa volta
cammina sui trsfmpoli. La letin' ttoslr do
vuta alti cTtrigenta del Ribbeck.
10. Pr omi sear i s (H. .); pi^omis carus
(funio), promi s car i s ^Tumebo, XKIX, l a i .
Btlccheler, p. 44^)i proMi seo aui s (Reald), pro-
mi scum me (Laureoberg), promi scua aui s (MUl
ier, p. 415).
11. L' Oehler spiega al es gal lus per bella
persica (il gsltd ^ra insegna militare prraiana),
da Erodl descritto nei suoi li(>rr(inlilolli dal
le nove muse), lo credo che non si potrebbe H*
pescare pi a fondo.'
i a - i 4 La lezione di questi Tramm. , meno
pco ndevoli mutazioni, quasi eostanie.
i 5. Resi di s: resides (Mercero) si di t (Par.
7667), resident (Aid.), si lent (Roper).
II proverbio toscano risponde a capello cui
greco usato, s'iiileude, frequentemente.
L X l i l .
Avvenimmo gi non ascriversi questo fram-
menio alle Salire ae non perch non si sa a qual
opera assegnarlo. Il titolo senza dubbio cor
rotto, n si trov ancora la 'via di rabberotarlo.
V ha chf propose Pappus aut iader^ Pappus
aut I ndi ges, Pppus de I ndi gentia ( Riisehel
che lo annovera fra i logistorici) : Oohler sostie
ne nt I ndi gena: Pappo era tm veocfaib
introdotto sempre nelle Atellane. Vesti spi ca
(V. Varr. Dt /. /. VII, 12).
85 7 1)1 . TtRtNZI O VAKRONK 85
LXIV.
Anthe rigniHrdo a queel Iftolo tUmo c-
ttf^ettr a ooofeseare eerci iropoMib^le cbrtie
sodJTsboeffle s|)igitiDneV Si ctVco Intano iMri
crrere ad UD gf^co proverbi!: Ev -
h Hv {I n app. prou. Il, 87,
ap. ^uiirh. I, p. cio: bene l ; ma non ha
ehe far nieofir'cl porco di ParmenoiHe.
Qifetro^ proverbi, che ? a quelli che ti pfo-
' di imilanr aleun ^enta' Yleit^nri, Vachi
nato dall' abiUU di pit<^re Prmeiioni che
aveta dipinto un por^llino %ofl ianla bratnra
che parea ftao grdaiae, e 'tgfiera 'p^ranu d
far ^megif. Piorare irti V. i dieile Diiipti-
te CoirritraH narra la >ola ^iin po* dhrriaront.
<c Era Pjiriiienone oa \cdsllrfte cotitral!a<!itore
delln tee del prco : l^ino cmpgn peremo
Itilone fttro ancor uM lor pror t cntr-
renza, roa av^do di gf gfi ohntdi ripieni gli
orecchi del suono di costai . . . rispondeano spes
so : bene, ma non ha che far nreute col porco di
Parroenone. Il lettore s di gi accorto che
qsto proverbio* nn'si addatti putito n poco
Bf fraronentf; e <juesti sllessf no^ onthgono
trk di l'; cb, uri met parla dei tptagli per
ibbMttre'ttn ieWa; Taflrii' lihefi (rattb di poesia
e deir arte potica, troprb^abile V oi^loher del
MrcViirto, che questi sfeno IVamtanti di uh lo-
gitoric.
1. Ti menti s: le edix. timentes^ trmttis
(Kotk; p. 28) qadtnguldm (V. iScltg. ad
Vrr, D el , . V, p. 46, ed. B i p . ) i f^iirw/
f^ar ^f ugan (H:'L. W. ) , /i / ^ (B. H. L. W.
p. 451), fugel e 'etf, \^(l;2)^'fagar^M (Sca
ligero), (Tiirtebov X X I 17),
nrtm (A1d.);yiittr/i/nr(Of>ry, Hr/ /ie:tir7e. Ori-
dio nxi l i butpi agi i fM^t. l i , f99)t Tfofa II Lade-
\rig (ad 'Fetg, y4eti j che iet^et r tti Quelle
reti da caccia eh* erano a pi larghe maglie,
p agae qtttWe tht pmp^iaeaenle serri vabo a
prendere I aeWggint g wi i s a ^ arcydS : io ere*
derei false ixie^li^ seritre
a. Per framhiehtt I l -i IX^t. Ennio'
VI, frag. l ' d. Vahfb:
J nce^unt] arbu$t^^p^r\ alt^^ ^' cati ^n^
Per ,Q^unt <J u^cuJ ^xxciditt^tf . //fjp,
Fr oxi nu' fr angi tur at^u abi ts consteri\ i tur
alta
Pi nus proceras ptrifot^tui^t ; omne sonabat
Ar bustum fr emi tu si tuai fr ondosai ,
3. A/li (Rieie), edd. eis i n forrnna^sel-
feiiarii trocaici il V^ihleo, Sol^iiei, \. Mtlll^ (pa<^
gina 4'^) '
4. Cauo e Qu (Popma). Ahtni um . , .
olarhs^ congetturar del Kiese che sottoiritende
nenantur uiri. Le eiliziorii aur um . . . uocaHS.
Il Vahten
Cauo fonte uti cum i nr igaui t au
ri um anfracta i n si luam uocans,
ovfero per mutare il bachiaco in eretico: caua
gli spieg : Cmpti rti oni s r atio in eo fr ag-
ntnla haec esse uidetar^ ut in si lum ille
nsc'^ (fis Uodn aureS acr i uoce <fuasi f r i
^ida atfua i nr i gat dtcatur ,Scti \ hn veramehte
trdpp strab us d i nri gare i\it questo senso.
Aeeettaf l\ft'Corietifve ^rm/nVm, riteni tVuoans
dito da hiCtl cdei O'ttnendbsf, ahcH cih
s'ebhen mnco, pure n sen^. mni s {ter hi-
scello o ^((ttnto ardito; non pkM strano pr
altro se fu lecito Vergili^ osarlo ffell' acqua
Blleill *tb una daldaja {AeAJ VI I , 46&, Vedi.
XII, 4 ^7) ^tVanimnti V^IX furn ncuperaU
ed ordroati dallo SeaKge^.
8. Lots {Mttceto) utos (B1 H. m. s. L. W.),
I tius (Bentun)/ i i^/i^irfRies), fcftf (Vah-
Krn),'-^J^' (L. W. Ohler). Unisee II platno
i ltO' ^autre del Colei :
A M a plata'iii, i nter quai i mpi lotoS .
Prmi 6bb)a^ prtfc errore O'ehlir, 'fl qole mr -
r(ftbe finire iri uba sola sententa al ta fi ns -^
y;miS\ prima p e r d r h s i m cos^iratlne che
' i'e risulfa, dorer4h)S ahmettre patdnuS m ca-
s genitir; poi; perch fr ons Pal l ad s , se
condo* la cotuniisiifDa setitnta, olivo noh^il
](ilat^ric^.'
9. C r Gtollo, LXIV; log:
/
I l i a pr oeui r adici bus exturbata
Pr bn cadity l ate <jua est impetus, obi aftan.
gens,
IO. Sequatr : asseqatur (Vahlen), die sem
bra pi proprio detTuso latino in questo kenso.
Wdl prsso )o less, (pa^. ^), comens"*indnslria
di Itvlr uh game fra t{ueirlo ed i precedeVi-
ti* frammenti.
11. 11 Iramhienlo neHi nstra l^ione d-
futo a congetture del Riese. ll'VahUnf ri -
stum ed aitihiette na'lacdna che
rorr<^be Supplire con doet niM mtm amu
si am, e ritiene la leiione comune ^pudet me
tui,
la. Cur as; in altro luogo Nonio ^267, i 3 )
lesse lurtus.' Casta egli spiega : suauis iucun-
dot. Cf. Horal. Sat. 1, a, 110 et sqq.
r3. ' Pirfril' (Ribh^ck i2<J), patr i (Poprria)
pnci ih'(ri. L. W.)'^o^irta ' (Oehler), Compa
gi ni s id estJ xpov et (Valilenf.'
ANNOI 1 KHAAlM. Dt LMs - LOGl>TOKlCl 8<m
i 5. i^3 (9(v(Oi.l)lei).<Cl Carisio, p. 241 v
ift alt ra,rro.i e l atm9 sermafif^ librq y^nt4 '
l i s al i is seruare conutwt quftm Ti l i ni o. TV* ;
rentio ttae ; ifn utr o Trabea ^tilitAS Caf- '
ci l i us faci l e mouerunt. *
LXV .
Che qai.\"arcone trt(^ic ^Mle ,rie scuole
filo^pfioUe lo imparifoio. flal e Ul, prino
framoieiUn, l<> d e f i l i l e , ofv^ro raccoainn*Jwc
UDQ, ji|jeciaie siMema iraposMlie fqc^riare, .CC.
S..Agosliv ciu. Dfiiy X|Xu, I : M^f^arro
lam, ^ dog^maiuta. MarJ etaXew dili^em
fer et (( scrutqtus qdu0r4it\ /i< ^d
^L X X ^F i i l s^tas non quae 4 esun4^
Sfd quae e^seposseaty adkiben^ quaf4am diffe
r entias fpicill^nu peruenkreL
I. \\ ^ommcntQ questo iraipfpeuto^ fi ,iU)d
pieoiisimo da , A^s(ino ^ c[iu, D. i-3 .
Da etso ti deduce c(ic ^ueati ^qmpU^i ciop j
priacipii iyqdafn<enl^li c(i9 terTgao ,aUe jnvesli-
^aiionl Blosofii he era^a per Varrpne, :
uqluptcts^ ,, u/ rumfue^ pr i ma Ofiturjte, Le
ternae uiae^ in cui ciaj^un capo, i|. liparle^ .fi
ri&rUeonq alla firl, in qua^lo.che a' j as
SQggettap di pr efer i ta Q ,n\,rongiungt. 19^coh^
i;uiu)^q^o. di .upo tiM ^opr^dUetli. ,(^p|e9fo
apprliei^ .qiDdi alla t^rzf e que^p pfv
slo jgli fu aMCgm^9 Varrone/^e
phi iosop/ iia, \ qps^jc S Ag|osliuo .ha Iratlo le
idee che capere al ca|K> ciuio ; qui io vece gJi
dato il primo posto. Credo che ci qqu i^
sti per concludere^ c ^ : aiiro eguisse iii. un
libro, altro in altro. A ragione il Vahleo ri>
gelU^la .taccia data, avVarroqq i^jdl* O^hler, che:
exi tpm ft non. aia chp u^a ,laTtplugi^,,pirr-
la parola ^ qui usasi in doppio senso ;
nel suo naturale di /</?, ed in quello speciale di
i ommi f ben,e^c^mi? ^. Msato ilal.paiJar Iji^sp^co.
Nessuna T^r^le cfie; ^^riti peserVazione.
, Pe l ub^o, La Inione cpdci. e di quui
l^tle le tlanspc prima d^lo S^alige^p era puiu^
re. Partemi neceasario aeguire s buona correr
xipne. M tU o; mitico, ( y. L. \V).;L PL*h-
ler sUiCogli anl^hi, ,
3. ,CQntremula.: / ^GugUel-
mi^. aqtmltnta (i^) chi^rp pl^. q^i h cceiir
na alla luna.,
LX.V1.
11 MercUipa (. Xll,,
ya6,.^fyc^.), a(rerni^ nasiera q^^e*M.fatifa una
cp^ sola^oi^] quella. ^hcy^in1iV>lai
aespr */ir/ial. Tale ojiinion^r fu pjcii^a-
mctile conibattula dal Vahlen {op. cit. p. 206
eqq.); e con ragionv perch in una si danno le
norme per i conviti, nell altra si combalte la
yizipsa rioerca^ua^lo? cibi. Pr il catalofBO dei
cibi cf. Uoi% Sat. Il, Mf<*<^vjri4 (ir-
li if) ;.><eiiar. Dopo pectncul us i op4 fC biooo
una lacuoa/la quak daUe odd. f u <soppUla. coti
Chius : assai ,prPbahile^ so)p he|>arlan-
<k), di questa (V/i\f4iigUin Api^ip n) Plinio (JU.
N. IX, 4&) faop^ me^xiocK ^el l uff o in i^sa
pif^vAva mfgUp. I fc^n. 3 ,e 4*. aatriTo-
HP.a que^ jHt^a cUi^^fei-.o^HigetliMia <lell'HiioM!l
lierg .(nell',ed. tdi.^pivifo,a, 94 Ov.e<.^<1 !Rittolid
\ Pi(, l^arr.^^i^^ip, Jibi'p.rfiS).
Hq sie^ijip la l<^i#iie,U0ir<tumeilborg ; gui-
tpniipe avyer^irf e ^ r e inccj(U wsai
furj^ erri)t^lJa l^ i^ e .; ; t^uid^e di xi ,
I! nel|p^^. .*4 proppnv>:i l :
m4^ : . . k xw e | pp-
t^ebl^, diferidefe sapendosi .1 e ifi^ ia t venerea
dei blil^^f ideiti, pervio/ ^)che sqlaces^,
Gli: stoici, p erip eUc^^.il suicldi^^ Questo
prip^ipfv^ Hscfi^o^a.yarrpo^;Del|5|-fat^
ffl 4^;5^ .JLl j M e n ^ j in p . ^ ^cce .una c o ^
,U colla ^e^g^s^9y m a ^ co|^gralo ptens-
piemie fi^V (>oei. p. ao#).
Prufi i fldes; Pru^^(U (^)^ Cpsi pi;be
Lucilio (cL Gcllio, IV, 17) chiam Scipipoe 3 ci*
piadeSy^
a. ifVlo^.a. cpi. qui Sf allude vedi i
^ra| . ^ ^l upi ^s^i t^l tus.et ^njut^s (^onip)
in ffS exspuere \ uitqm. Altra j(^ipue ^
la :prima (| pu osfeaAre.cpl cunficunto di.
Mais. (Ili, hky^P P W q ( A iV, ^7), ch<parr
landa;d^:l)^ fof4ei;ja (|;.aniroo, ,rops^f^tn; da Aiias-
i ^ w a e.a|?iU^rU i ?pl^^
W^^JT^P*v li*uup di;t|MP> Uiaup.iknietlesi-
q^p. vrbPr ^ ;
..4. L ' Ue%wWk {EJ m doft^Vt^i, |^^.33) .47
jpa^Q, tuV&p L Ccammolo .a fiaimf; bfcphcp
tenia distribuzioue ip,ffr#Q |;Ki,bbec|( fece al
Vrpstentiliivp. fogDi|npf|P '(i M Ora?j; traccia
di cretici p. e: da corpari s ~f qper4$- ..
5 . Questo Irarameoto fu dal Ribbeck credu
to uri cntihxitioo del s^otld $ i ri^
leriWbbe ad Atidftea. IMbti ^tiindi par ih
pitera.
1

,lp,,fliift|fl,sati^% Vai^TPOe ,qp(p^atieT^ ^ su-


|K!rsljit9^^, c|c tjiili' Mrurjft i *^^**5
in Roma rirca alle lol^ori mostrando qofo'
86f 82
sono d asti4vere a Cagini pUrahicrt') nattal.
Che l i aalif'iafesse adhe an azi ht'^ ^ale^fe
dal i'rartimeulo i l i . 'Piluherunt.'W iel-ho pol '
J ucere c Urniioe riluale, c ?al c|uanto 4* offrire n
sempre inteso per in' relazione al cullo d' Er^
cole. In senso pi speciale da ioleudere del
btnheUo ttne^ H' qhal liii in^aii itiai di
far iid deUa deidim vA'Tivi. Che* ^;iiia pot eW
iitere'noecfl*ro dice' Feit (p. a5S>. H'ercuU
Htth omni ei cul e^a poll/ e //ce^ (.coi'
do l'eiteodaiiofie di P^tfllc^) e V^irroe {eL l .^
\ i ^5Hfgom iiitii exr t i tMbus UBmtnta por^
r tta sutit I Trai i 'itt ran^^utn pl uci ufit
eiif. Qbteslb kipud iii'diirr arclif diV' prs-
(e luogo, p^r'fk Ifrta dct'toi'alx>!o oujji^^ovVLa
ribchetia W \ Quste ceie {lohn era
ormai proferbiale, ed i comiri se ne'se^vii^no'
per derivarne ogni maniera di schermi. Gl*. Nae-
tius Col ax p. 9 (ed. l(ibbeck)^ Plaul. Bacch,
IV, 4. i 5; Cur cul I, 3, 37. M otU l A, i , ,a3.
Rudens 1 Stleh , 2, 8 V. 3,*6 . *rucuL
11. 7, 11. Veti, anch Prller Rom. Mylh. p. 65a
e' duVe troverai ifnh i riti prpri di (jiie-
sta pm^a soliie. di qusta decima ?o*
lita ad rcbl non^'er |irdpr1 ili Koma;'ma
Cdrtt *d)lW 'co^ti^d* d't^tia, <im e prova-
id'd lctin i v e i ^ i i t n i i l WaorJ ina ria' ric-
ihezia di cui tVctsro* pih^ Iti questa diifaa
Siila e Crasso ci', plutarco : Sul la 35, Cr asso a.
In generale v. Mororaien C! 1. L, 1. p. 4 9 <:
a. Conli si one nubium rimise nel leslo il Rie
st- a buif dirilt rigtiando le ^l i assinrde
li'tiAK Cf.*Sei^vio i/i';#e/ijl; 4^^ Myios^ iful
fi icufit iotfitieif^& nhhtni fui w 'n cra^. C
gniti& enr/t (W. 'lf. h. *rod. Jrl MerCtro)
ro^it/li# 'tni /' ofiirruf4^h^(A\(t\(). Ctgnicio
etiiM trifriy fufj^frite tn trul ful gi tr i s [fai
gtthh Safibakio) (Mv^cro), to^nUo '/' (o/ii-
irU 'l fl ^l ( Geilch ]f i t 'thhlti'utim 'fulgur
(i^ehlei-y. ' '
3. ^tla^ un ariifc di' Varroie. Vd. D
' ; ' , . Il , I I , 12.
Licrx.
' Qila^luiique dtiblia siemK/'jr'ilrario Vtrder <jue-
*>^> in' diit paVll^ pure abb/.inio uH
Mcienti |.rve |>* aacrlV/Ho alfe J^^ire.' ^11100 il
doppio litulo, indi il suo ctlore lesUvo ctrii'lro-
vdril niiMi a |trb^a. Wmio la* ciia tre
volili 3*>tlo il do(f|iio litol, mr volta sob /0I pri
mo. Vedi' Uftsclii*! Dedi s^ci pl naruni l i ri s p. 15,
in tuiMl th. editore aggiunge : urath ptr 'U-
ri as tetr s petegri rrtroUei n peti pi unt i l i c m
si mpbi tet' oppoi ttcffti p'rari i l i
ti tr i tn Hti hl per'ph l i upi i ath vjusrju uari as
regiones facto (eh. Weu^ Rhei n. Museu XI,
53c)). Mercklin XII, 3i)7, et quaest. Far r . p. i 3,
et seq.
1. Hi stori am. ' naturatiiierkte nn 0
(^rendersi II isns proprio; Ttii di qi^eiiia p^
rola, come fu qui doperal da Varron, si con
srta ancra nel paHar famigliare : 'oh /ni consta
che ibbti Vii' liaHaii Wuii eseUpto dr'scrlfCor
cUs:ii'ci.
2. Atnnis\ nt/l grViere lemrtitnile tr^t affv-
rii di PUuto. ~ Aluly nome antid del Tev
re. CA. De , . V, 3 o, snt tfui ' Ti beHi i t. :
j^lbm")Utiiaium ti teris tradideruflt^e Ver
gi fio T h f br i ---- amtsi c Uer'u uetui j i ihutet
nmeti.
' Grti ti s^eit Yurtafn 'Cordatius (NeiK
' ' L W Ti.
' I . EttYopas : exsttpha (L\ W.) ;'
Oehier.
a. Nul la de null a (ed. prima del Mrce-
ro). L' Iunio, il Turitfebo ed il RiiichuI credet
tero dover dividere questo IVammeiilo in due
esrtietri e qtnnJI Inrris^ru aldini liidi-
iiciloiii ; hia tf Bii^fkler cHo migfror fotida4
rehto'^rof, slo la iecan'iTa prte dovehrt rr^'
tneh: corri poetic prftiiaibet l gimlic'
un 'vei-so di Locilio. iu knsb']^rfoiHiro
dtld d'ogrti vrvahda ttta al ucd ; in* settto-
p1 speciali, dei cibi prrpiraii dai pikfore^ o dei
chiTti che servivano ah seconde' mense.
cuHs. S' tfisputa suUa etnlJlVgiciMetlmiofte de^
VrtCab'W e suII cosa di cdi ^sii ^gti/i. Si
dri-^arl d^ qtk^i fisse in 'pne aspe#^
ao di ifafinra 'candidmima: 'Moteifo| che o^K
gToiiiriii di Placido si tine larcuns eguhs all*e-f
hraico / i i ou Sarobhe hei'/?<^nij'
ili ^en^rate. Solo os^ei'V die q'Oi scus gV-
nrale \li pane sarebbe uiV rip^liF.ione'fiir di
\(>. Pi prmi si avvicina aT vro idii fti con-
frontd cl greci)' >, cl "cibo ucirtatoi
sulla padella, e, cme aggiunge Esic^i', a cni (>
sia mescolato del formaggl o ne i h
LXX.
Non si hanno sddi*argokikefl(V per aicritere'
quello'' lavor alle 'satire, il6t\ f hc'hanno di
saT'It per h^)n a^Kivt^rlb. ' fi4s6iafto"quindi la'e>
d li ittri. Abbiamo vtitlo la satira atcdehie
diHsa ili dc lilyti,' qui\idi hii dtTt f^rfci migra
vi gli* se qMta ne abbia pi d dt*, tre pt?r Irr
nieno. Incerto anc(ira il significato deF tilolo;
l>oleiidiis' intendere cori ddle iminagini ittipres^i?
net sibili c n^lhs gemmr, come dir itrdoh^lhrafc
di^^li uOiu^tii.
m . Al FRAMM. U(ELLK ATUVK E DJ vI LOGISTORJ CI
m
LXXI.
Il titolo fJi questsi.salir ai ^esee io raodi tli>
versi ; Plautorino^ plutori nen (Poproa quasi da
- e / IZ //ma), (^Oeh'tr cf.
p. 195). II Rieie [iropote Plautocyon^il R^ilschel
(Patfrg I> 78) ,nX0VT0T0pyy>) che r?)i per-ve buo
no seguirr. Se poleseimo far caio delT esaliti
za nfl citarf li Arnohiof sarebbe degno di os
sei:?9Soue questo tratto ddU sua opera , Adu^
GenL V.l, 2 3 ; Vbi deni que Apol l o .di ui nus
ctim' a pi r ati s mari ti mi sque praedonibus tri
spol 9(us i ta esf t i ncensus ut f x tot aur i
ponderibus^ quae infinita congesserant faecu
la. m unum qui dam habueri t tcri puluni quod
V, hirundi ni bus hospitis r\ Far r o ut di ci t Me~
nippeus^ ostenderet. II libro cilato potrebbe es
sere questa satira.
LXXl l .
Ili qvasi tulle le^^'1|1 il tramipeuto cb^
qM si .diqhiora,^ dato pone ^^^
deir T,^ sotto {1 titolo : Doltum aut
Serifl, Ma upa opti Iroppp sottile iuvestigazioae
bssU, a farci ricredere. Osservaodo ipfatti dili-
^eo|inei|le i codici di Probo trovi^nio cos scrit>
tp: Caelum ,y quem eundem mundun^ et
di ctum prqb^t Far r o in Cyni ci s quam i nser i
psi t ,Pql i um ant Seria^ si c: Mundus qc-
ceflaty Post^m} cui seplasia fetet : Appel l a-
tur , *mufldf4S. .primo il Buc^;ler (Mus.
pk i l X]X* 47^ seqq ), ad accorgersi che qui si
avei| a fare cop due satire diverse^ Ila prima
della qua|e appartiene il frammento .* mundus
fino ad accfiptat^ alla seconda questo, pestava
correggere il Postumi . Il Bucbeler lu credeite
nome proprio e scrisse: Postumi cur seplasia
ftteJ L Al Riese parve invece che se ne potesse
cpf^r^ un proverbio, fd sua congettura il ti
tolo eh' io pure ho accettalo. Ad ogni mdo^
pur necessario che tutto questo non esca dai con
fini del probabile. Notevole poi ancora come
Varrone si coutraddica cos nella etimologia di
mundus che di caelum, ^el VI, 3. De /. /. egli
trae mundus da motu^y^ft nel V, 18 della stessa
oper/i riprova la derivazione etifoologica di cae~
cael ando data da El|o^ confessando che
egli rilenea pi vero caelufn .9 celando con
trari o npmirfe y* (Plinip, H. N. Jl^ 4)
xo^v Gr aeci, nomine, ornameftti .appel lauere
eum nos a perfecta ahsolutaqt^e elfigantia^
mund^m. Caelum quidem haud dubie cael ati
argumento dicimu ut i nterpretatur I d. F a r
ro. 1/0 ronlraddiziiTue si potrebbe spiegare la-
dilmeute per 1 distJQza che corr<; if%..il ,
in cui iurono scritte le si^tire e, quello
publico i libri Je iingu latina.
L X X I I I .
ContrQvejso c il titolo., La pi dei coitici leg
ge Praetorina^e cosi ivanteanp il Biese; i codici
dello Scioppio leggono Pr attqr i a^ayt pervenni
ben fallo seguiili. Nelle antiche ediziout ^ecq^
rinae. Improbabile opinione dell Qehler, eh
questo fraoimento sppartepga plla.s*|ira. Fl axatt^
bulae^ wfp ^ , ei/. De praetur i s.
avendo altre prove, n^n p^rmi sis da aiproe^tere
in Diomede tanta licenza nel muitave i titoli. C<-
r is deletisy disse, .(^iceroQe a Calyo (V. Priscia-
no, p. 49.,)^
LXXJV.,
-a orz^ del motto : ^pransus p^r^fus non
ha certo d uopo di (^siere illustrata.
I. Luna^ nobile citl p ruscs (V. PIjnio H,
N. n i , i 3) y/i/r/a, y. Iqflesso ,(idi ib. 15).,
a. Ni tens : neces (B. t. WJ, Huj^um ui dent
(bbri, p. 488), m ed iJI ^paftenef.aao
al frammento se^^ieqte cbe del resto aqd
toj n^em uiVe/ii (Turnebo, XV, 1).,
I-XXV.
Siccome, negli antichi codd, dj rfopif? Ifeg^CL-
yasi Pr omeheus li^y ,os\. .ne vej)B& tirrpre
di credere questo lavoro este^^n pif^ libri Se
ne cita ftno .il XV. Primo il l^ercero ,oresll<^ io
Pr om. liberatus. Parmi pe^ i^llro i p i ^ i ^ la
correzione delf Qehier, .P/Om. .pff^b
qui V'arrone non.s'occupa \aato della Ijbera^ipoe
di Prometeo, alla qual allude nei primj framr
menti quasi a forma di epilogo, quanto della
formazione delf uomo cui mise ,egli mano^ riac
quistala la libert. Il Vahien (p. 1O8) confronta
il ^ / d' Kschilo, il Ribbeck, il
Prometeo d'Azio. Sto col Vahlen, perch alcuni
di questi frammenti sem)>rano una traduzione
di alcuni passi del tragico ^reco. Cfr, il princi
pio del Prometeo d' (Ischilo e i fr%oim\ 1, 4
I . Non queam. Non quea a w f (Qe)i^l^r>,
queo aui m (Mercero).
a. Sum uti supernus tum, super
nus (k\ ^,)^dum iVf (Sc^ig.) on paro
le d^llo stesso Prometeo che si r'4*erisi}ppo ^lla
rupe a rpi era conftto, alla sete da cui jcra tor
mentato. : al ti tudine (jiunio).^
3. Ar tubus. Manca questa parol^ nelle edd.
e nei codd., ma essa od un^ di aifne significalo
8G5
m >1. VAHRONK 166
iialuralmenie ricliietla <la (nleslo. Ei san-
gui calore^ (Scalgero).
/|. Scyt/ iarom. Partita no|u xnspettt. Snhfm
rum ( I u m o , clic propose anihe barathrum).
Sr.it iarum propone il Rirse ihe iit**fue perahr
la lezione comune.
5. L eui s rnens : Leni so nnn ^rUtns (SrM<| .),
eu us nens (B<nlleio). Creil o pi opporiun
>ei* ahro crri l ere il i tis <*p?ielo ili i mngi nes.
(V. l^ahlei, p. 6 9 ). Soni ri i mns non ha irtir
eftempi rhe quel lo. Quiilrniio credrl l e queslo
vocabol o corrotto, na cni ^ t'omlanin*
lo. Il Freun ! nel suo Lex. corresse so/nnuruS.
Somnor i nas ( anfe Mcr eruni ). Sonor i nas
(Scali g.)
6. Humanae (Scili^ero).'////wriwarMm (H K.
W ), rrum humanntntfi (Codd^ilel Kabri e ()
sanno). Humanam (AM). Fr i gus Mi scet,
Qoesto trammcnio |K>el'rcx) assegnato Kpi-
(armo <] t^nnio (fiamm. 2.* f. 167. Vahlen) ed
allegalo da Varrone stesso al C. De /. l.
Lo Scalgero pare non prestasse fele e quet<
palernil d Ennio. Ct. annotazione del eh.
Prof. Piefro Canal al luogo accennato di Var
rone:
8. Il gitoco di questo lraitimenlo sta nel
posticum^ che era una j>orla al di ditro della
casa per cui li potea escire inosser^ati.
il nosH-o a dietro a casa t i corrisponde
a ca|(>eIlo, perch li usa nel doppio sen5o. Cosi
nel Malmantile (11, 1i) u Volta alle drmne it die
Ir a cesa e svigna. ^ Vail tm (l^raurenl>rg),
tralum (Popma), euaUiJeirentnt{S^'\\^tro)^ Eual
lejeci (Mercer), uaitfeci (Laclim^pn), cana^
lem (Runken), cnllem (Kriry rtl laupt).
To. C/i rjrsosanf al os: (.'hrysen doul os (Tur-
iiebo, XVMI, Gol dschuh iradnssr il Momnisen.
Il Rper lo creile on nome propri o, ma epiteto
di Prometeo ; egli stesso ilijfpiriie il frammento
in versi e mula il Mi esi ae (Bri l esi ae^ Meineck)
delle ediz. (anche del Ri .sr) iki Ga es ae.
Parvimi buona la congcMnra, per raggi un
to d Tarenlina che veu qui dato alla cera
Cer a Ar et i na nel Reti na (lunio).
11. .4 Ua emit mitram {Aliae mitrant B.
H. L. W ) Correzione d* 11* Oehler. Bici-
nam. Rica dceamt gli antichi rio t^hc pili
lardi fo chiamato Sudarium. AJelitenserit^ per*
che Melite era n isola celebre opere d
tessitura
12. Plagis sigillatis. Plaga fu spiegato in
altro luogo da Nonio (53; , 20) grande Un
teum tegmen quod nunc totale uel leetuariam
sindonem dicimus qitorum diminntiuum
plagula. I/aggcIlvo sigillata corrispomle/di
tro anche le spiegazioni <lct glossari^ al gr*o
S a t i r p . h , 5 , PI >1. |>. . Va r k i n k .
n : >. cio diptiirla od isloriata ad
animali* e ai arttper delle vsli (ilth,y
dei (apetli (Pollc. 7v 55), delle' gualdrappe (PoUb.
3 i , 3, 10). Anche Plauto ha: belUinto tQppttia,
i3. Sibi nnnc: qui nunc inm (ValiUn,
A'na. Pian. p. 3<>) qui (h. e cuiufmodi) nunr
(Oehier)
A X V l .
Non .10 se sia bu^n fondamenta per aacii*
vere, col Riischel^ U Pseudoen^a alle pseudotia-
grdie (Cf. Krahtier, De Far, philos. pag. i<)).
11' titoli iliibi inolte^ variazioni. Pseudenia (Ms.
I.ugil. Carni S:ng.), pseudenea (Paris, p. /p)6.
Rem, Hall.), Psemena (edtl. ani.), Pseudonea
(Alti.), Pseiidoneo {qui templorum eultum rrs-
fuit inutilemqne aittuirta't) Popma.

Vuoisi vedere in questa satira un* allusione
ad Apoll c<tme <|ueHo che fotto mentite spo
glie serv' a' l.aomednte, o ifiegli, ad Ad-
nieto, senta darsi mai a conoscere |Wr di.
Questo la spiegazf^fne del Turnebo. Il Bche-
lr'n fece crede debbasi qui intendere di Sera*
pide, il culto del quale, come forestiero, era avver
sato da Varrone. Il tiwio greco fu riparato d.il
Mi'rreto 1/OeWer conghlet^ra #^1 Apol^
lo, quantum|ue mantenga egli pure la lezione
comune e spieghi il pseudous i r . che
parViii qui non berte a luogo. Poieasi tradurre
fot se atirh cos il lit<do u II f al so Apollo
I . Aut septem. Il Popma e TOr b l e r : hand
sept<m sinuero : cio uult parem chornm.
nec imparem numero admittit. Paroii ' che
questi ragione induca anzi maggiormente a rite
nere la lez one <omnil e, perch il numero disjiari
era sacri, e religio.tantenle s<(*rvato nella l i tur
gia roiiioiia. Anche nel coro solenne pei giiitx'hi
secolari, erano ventisene i fanciulli, ventisette le
faiiciulle di.Uribuiti a nove a nove.
a. / oppido^ infentli in Roma, lorc a pie-
sla et non era che un solo tempio in onore di
Apollo presso il rir*o Flaminio ibi in '?1
(Riese). Cf. Buchefer (p. 4& ) qnae est (H. II.
L. W. ), in quo tst (Scalig ), ibi ad (edtl.), ibi
alia (Oehier), xcalceat (V'ahicii).
LXXVII I .
A Minerta ra sacro il quinto giorno do|)o
gli idi (Ir Marzo e di Aprile, e qtiesto giorn
charaTaif Quinq/atrus (V. Variane, De l. l.
VI, I ^1), quindi il Marzo od il Gnigno,
in mi sr ricorilano la consarra/.ione <ln suoi Ine
A67
AI I lUMIVI OtLLIi. SA I IRls L Dtl LOGISTORICI 8011
tetD|\i uir Tentino e uni Celio. S permeile
appresso il primitivo sigdiBcato dri nomr, e per
^tiirufuatrus s itiU>tc Jo epaaio dei cDqve (tior-
ni eatrti a lV1inera dal 9 I ^3 Marzo (Ved.
Ov. , Fast. I l i , 809 834) ; * aiK-he ili {tieeto
raso fdo il primo era veramente ft-sliro, gli
altri quallro aveaiio rijjtnardo pMllosfo a Miner
va quale guerriera, e si inauguravano qt)'>n<li
rollo spella*oIo tifi gladiatori e rhiiid*van<)
( /Hbiiusfrum, Qj i ri l a fell a rra un omaggio reso
alla dt* cui -r4feri vasi inveniine di lk* ^t ii pi
utili, e pi nobili* alla d<ra innomma di^fa scien
za dell* arie, t per non dire ellr> unto
chi* in questi giorni gli coleri goik*ano di una
v^ranza, dulia <|ualf, coin Varronc in altra sali
la n* avrrtp, erano assai lesder05. e dax'ano
.'i inae^^ri uo lono drlto appunto Minerval; e
he era I*sl3 pure dei m dii, i quali venera-
vatu romt* lor proieiific*. Minertia Medica. K
st>mVira appt nl o che Varrone inlriiduca in que>
sta satira una compagnia ^i me>^ii.i rhr .rarrollisi
insieme a (;debrere il. ifuirt^fuair^^ vrngci.i^o a
disputa intorn<^&ir arte J0104 e ris^*ndvno alle
at'cusv di uii opposi t(*re. U>rie un Ci^M^^' ^>rsc
nell persona 4 i lui^ Varrone sksso (Vedi Freli
Itr. lim, . p. 260 t e Afgionen
p. i 33).
1. J Vtt/n perpetuo (Rieie), Nempe tuo (LI.
!.. W. ed Oehler)ir nempe in pgrpetaum (Bii
cheler), nempe ideo (Koch)s Meni ppt tuo <Mer-
t'ero). Castortutn diceasi un iimoc acre che i
castori ra eoi l i t i dono in nua ?esriclietla sotto il
basso ventre e che a<|o|ieraTa ad U5 |M*^i-
Qali. Robnr sr. mi hi (Riest).
2. Gestnt aggiunse il BuclirL r hipennis:
hipensilfj ( l u n i o ) , hipinsilo (Paria. 7G6S)
Dentharpagas Z i 1 greco /.
3. La lezione di questo Cranimenlo iurer-
ta per pi cppi. Essm addotto ad esempio
della parola turdus^ u<alo nel lemmjuiuo tarda,
ma nei cudd. Noniani non si trova n turdum
n turdam^ ma s tjrpen. lo tono persuaso che
tjrpen non possi essere corruzione di turdum ;
n, d' altra parte, (>aionmi hune correzioni quel>
le proposte dal Le j us zi: cuus in tnso
Irauslato, in senso proprio fumo^ vapore^ ^ dal-
l Oehl er , zz/xwri Vm, priuci palmente per*
rh mnl si unirebbero colla nozione di suhdxtr
cere. a nutare ancora che le parole di Nonio
restringono a scrivere turdani in luogo di tur
dumy mentre Varrone slesto nel libro 111^ 5, 6
De /. /. non ricoi>oscc che il genere matc^lino
di questo nome ; turdi qui cum sunt nomine
niareSs reuera /eminae quoque sunt^ e pi
cspr sjtamcnlo nl I X, 55 De /. , alletta : dici
rurnutu tnfdum> non diri cvrnam turdam.
N meno incerto il principio J cojd. Tu
phedi conta (contro} randrs audes dicere^ che
rOehIer corresse : tu phe^i contra *turdes au
des dicere^ il Merrero : rontra qui d audes^ il
Eoth : contr a ac ui des au^eSs IMunio Qontra
audes. Il VaKlen Sospetta che vi stia sotto una
voce greca, ma o non si prov o non riascr di
Itamela. Anrhe i tentativi del iXahley approda^
rono a nuNa di certo. Cos il Phedus che il
Pledu^^ se genuini, sono nomi sccAOosciati.
lettore, avr gi nqtjto qui il doppio sento di
subducere^ A.*he non mi riesci di conservare ip
italiano.
5 . Tar entinum. Qu^3li Eraclide da Ta
ranto che fioriva tre secoli av. C r , celebralo
per la sua dilig^'nta, percU non Tolle scrivere
se non di cosa ,4a s s|KriiQ^nUta. Si conotee
d. lui y opera Tcr^ ^^' xat ^
>. Per Jiraclide Pontico, V . .la nota .al fram
mento 2 d^Ha nat. Cfcnus. L' Oelder crede ,che
Varrone qni dolesse insi'gnare che i fwjdici ijeb-
bano attingere dai filosofi i (K<'ipii dirci ti vi
e fot4 amenl^Ii delTarle Uro.
6. t tr ophi us. Cdebre luedifo^ dt
Calcedonia ch* for sotto l'olomeo figlio di,La>
go, e che diede grande impulso alle ricerche
anatomiclie<
7. Dapem .{Laohniann
Deptnde^ fr ntem (libri) Brotnio^ (^calig.),
bromi (libri)^ Bto/ ni i ( Aldina K ttvi dam ci|.
proUm /Riesi').
8.' Quomt (Riese), (Kdd.), n i d o p o r ,
lo (S^^Iig.). ni d^ (R. L. \V.>, nidus poculi
uio), poci l li (PaInferi4). f 7iern/Jccaf (Gerlach)^
.
il proverbio stesso fm sso Cicerone (ad
Vllw 2^), Sar di uennles ai ins ol io ntquiowy per
iiidirare gente di poco conto. t'e>>i< (p. 332^ qe
d origine di tal proverbii. Mei giuochi capi
tolini si teneva un iircanto di schiavi, veienti.
creduti per origine Sarii, e ai coraiiKava dal
vendere nfUo difettosi, |oi sempre i peggiori,
fno a che per ultimo si es(oneva a'compratori
un vecchio omnium deterr imus ornato di pre
testa e della bulUt^ clie Torniva occasione a mille
lazzi e scherni. Quieta origine storica del -
lo peraltro da alcuni motleroi comballuU.
LXXX.
1 Codd^ Ser apar ^te. L ' Oehler J^tpaicapixti}
I /l uni o: Ser api recfe ; il Allecklin : SerrgnOj
r tcte ; U Vahicn {Amslecta NoiO. p. &8). Ser a
napcffTc; ma nelle Copiect. t|i. 311) divide 04!-
ione l ci r tike lia a Ic-fii-re' par^ctato*^
cof, secondo spiega Non'm, p. 67, i r : hi
tqui de pueri tia ueni unt ud pubtri atem : gr e
co uocaulo sumptum. Par *i olleiia la nte^-
|ire1aziun ji iiai i i al r xeparaiido il r*ecty che
diviene ta j>rima ' parata del tVamnienl.
(ly. tunio, Mertk.), ectt '^ff.
^ogiun^c l P'it*?e. fi ectt te' oi^iniejsu 'IM*
i'ehler ('Purnebi'), iriienaS'XW.
!.. W.), tal l i ad (), Coihonus Beitino).
Sul senso della frase erpuUi tn ludere.^ cf. fulil
ijud Kuner : J tfus Lttn der Grit^c/ih tnd 0
Ht^r u. s. w. 99, pa*;, 2y4, . B.
' LXX. Xr
Sel r tni ^i inu^nerunt -dut '^tonopes Serra-
fum itnde et et cognomen,, Hoe Pliiiio H, N.
XVU) , 9o < \ W4 V. MMsinn^ I V, 6). U cel-
U di IC. AUili Serr^i<4-ionole ' t , h. r, 497
5 u4 afire U ttmp Varrei i e parlare JrgH
busi ch avetaiY0*|>re0 iprede neUa44ei i one ki
fiiijp^flNlS. Qtfet1o' PsrgofMCMio detb satira.
1. PiluH : pelum W.), perum (B.), ptduni
<cikM. Palai', e BWiLH impei^utn <Qehler)b E t
hstts : koBiias ( Oeiiler e rachjiiann im
t,ucr. p. 5 r). /
2. Ttitacfterd io drederri l4e da^^cri-
Vfe nte r^|ii^aw crtif>e e#e rrrio pi
antico), thenHim t^. il senso ehiro >ed ctpo-
hi betU In luugo dr memsm hHDo
mehsem (tt, B, 1^. W.), mensiatM il Pttf>in,
i netitart il liiniebo. KXIX,' '5 .
4. ^mbtgito^{J ^\hh^tk)), ^ ^kilemli
Mm) t^iugliefrnfii), e ( urutho, XXIX^ 17),
'erffTo (hirtio\ i^rrti un dio^ eretio; Hf|urlo^l
Popmf, (VaKlii), ttruigrts R6pc<|. Fra
fanla varief ti*d<^ t fte ^nHguo n)ri prr-
iVrtnia:
AtUi us: Ani i tas fVohttxfhrK A4tiems
ffl: L. W K /iHaris^
erniidaWei>o'4 rl Kiese v j*r \l tothl.
hantm fni*iaie> da Popina iu ^ur ai :^
i^ta matS^elmt'{\^\ifhe)iumntctS:iB. I>. .Wi),
commaces. (luni>) /^iacor<^ macescebat (0 <Ad(r|.
Qui vi giufco di )^^, pcrdt ' Varrone
lrrivi 4iin^epieamtnle Ci/fie da eniti {\ ^.
De 1. L VI, 46. />e ai t. pofi, Rom. Lib'!.,
fram. 9). L Oeliler^ii studi * ^iteUo*dkc^e-
st^ fraimtictilo di 4wsns anno icui ia>scritta
la Mtvr: ma 1 puntello non regge, (ierck la
'crlturi.jtfflicifi* pter Uiui asai M|)iniv<<rn,
i^f^ch dato pure che qo liirtiHetse di*Uico,
bbf sappiani> dal #ao biografo Cofoelia <N^)dle
era pttto inclinalu a grilari vim le
<orpo <ngli A r i ' cos >ide m/wtt inMMg?ire:>pel
ieavagKo. Quetto ilio noi po^ easer cerio -
hi M. l Ol i NZK) VMUAON:
7 n
li!io Serrano da cui prende iilofu l salir; ma *
qualcuno dei suol siiccessfK e j ho ha hi 1mentii
quel Sesto AUlio Serrano GaTano rh fu irihtnio
del popolo nel 69^, di cui Ciceronti ih un passo
di as<ai incerta e difi. n iione lasci scritt
fpro P. Sesir ^.. 'i 3}: ' / i l ter ... itU erra-
nus al aratrOyS'ed ex dei er toGaui i Otli tur e
a ca nti s fa Golatis., iVToknihsen], Gaui s i n'Ca-
lafi nns Ati ti os i n si t u s' . . \,e parole di V^rron
polrebl>ero essere ironiche. Queslo e i due fram-
melili che seguono liirono da .ur. Miiller (p.
disposti 0 forn>a di trocaici loppi.
, T^ocasse ec. ( V a l e n . Non. p.
Questa fiirma variala nei codd. e ; *dilt;,
ma non metli? il conio di lnrne not.V,
LXXXIJ.
Nello acrivr il titolo<ddla> .salica aUda^j
sefiiifo le ^ra^rilella maggior par le iti cuiild.
di morilo, qaatiiuficpe ia riprotata dal ilp^r.
Altri codd. offrono Sesyuul ixes, Sesclixef^
Sesi fui ui ixes e coai scrive aempie il chiariss.
ed. suddetlo. Questo titolo stesso fra quelh
notali 0(41 lode da Plinio nella sua |refazione
\^p^ 4). in* c incerto. .11 Tur*
oebo (XV1I> a4) vi vede a<K>mbritto un uomo
di i pge g^ . fiue ed aitlulo, il Popma (fo^se m
fagiooe) iw t*lc ' b e va (Ititluando .iiirerlo fra
Y^rii tislrmi di filosofia, il Mommken.(H. U.
| 11, p. 568 HI uf.) n tale che abbia vacato
per.iS auni^ Pare die ai possa in qualche modo
reslHi^irc ordine co *. Una pilJura <flre oci a-
siooalmnte'motivo a parlare di Ulisse (1 VII),
ano dej:li inleilocul iri narra di un yiaj^^io di
mare e di una palila tempesta e come fu sedati
( X) e 4i i{uali^ paesi sia giunto ( ) e
ooine sia turnato in j>atria (XIV). lu appresso et
ii>fnc il mizo.d seguire il (ilo drlla iiarraiione
trovaiidsicenno dimilniae dicavalii (^V XV1I1|,
di. ai(K)ri {XX, XXl), |K>i (jelle scuole e (W'^isle-
mi thfsofiri. Sopra qorsla satira scrisse lar^^-
roeiilo il K|er nel Phi lol ogus (IX,
e uoi farcino uso.delU sua erudi&ioue.
I . 1^ s c r i t l u i t f di questo franinicuto <| UdS
c^sUu^e. In luogo di pii i tuni (prima del Merce-
ro pileun) ; il Ro|>cr sc^.: p^illium., Ulisse di-
pingeva^ii col pilco, coiue allesta Plinio {fi . N,
XXXV, 18) die ne fa risalir f us o a Nicoitiaro
(Cf, \Vinci(elinann, Hi st. art. X, 1, aG; tt,
Mailer, Ar c/ i atol . 4 *^i >)
11 pallium^di cui qui parola, era il cos detto
(Cf. Diof Laertio V^, 6s i 3, 3a) proprio
dei cinici. Naturalmeute qui, come nel frammento
segaenle, ai pacla di un piltuta.
s. Il fraromento c dato ioc^nipiutp, ma
facile supplire, clarum fnisst^ aeternum siL*
: ANNO! Al I . I H .L L K SVI DI .I I .CXi l SI Ol UCI
872
nomen comparntst ric. Anrht* <|ui c lisiorsu.tli
IMsie prolvtio xiiif^olarmciilc lia iVIiiieiVA. 11
H|>er ne trasse ilei seiuri.
3. Domum^ (fVper) duca (.. \V.), domo
pr oj tctum : prouectum (Kper, che in
Uro Uio|(o ^ 1 Uiiooe comuur).
4. Inritans (Cf. Noi. I. c.); inritare dictum
esi proprie prouocart ; tractum a^canibus, <fut\
cum prouocantur^ jnriunt. Questo frtninitnto
non che I traduzione di quel di Omero :
<{ i p.5vvfv (Od, V,
293. 93).
5. Jnaitari est replere (Non.). I codd. hanno
ipsum audi uino mutalo dal [\iese in uidi uino^
dal Lipsio in auide uinoy dal Mirrer in aui~
dum^ dal Vahien in auidum uino, dal Popraa e
tlair Oehier in audiui nino oon so con quanto
inndizio. lo noQ posso oon vedere, un allusii>ne
al tamoto Cliclape Ulto soebbriare da Ulisse, una
imitatione del racconto di Omero (Od. IX,
36o, 61).
avT/ / ireppv
> (7 > aypa-ittiaiv
Pernii la lezione che ho seguita risponda meglio
delle altre al contesto.
G. Perirne buona aggiunta del Bpei*. La
fine el frammento variata dagfti editori.
/Ohler scirisse : ^'aere Cauo sni 'tm etni stt
cotur ni x; c spieg: aerem cauti m i se aretn
conexuni ., cael u'm ut apud Oui d Mti m, I, 26
apud Ver g. Aen. tV, / J5i e'xpl tcare uerbum
u^nusfe usur patum dt dui qune cum l d-
r um rem i gl auras per uol et eas tumqam
txpl i cei : cotur ni cem nauti s pr o pr ognosti co
f ui sse terrae appropi nquanti s. Noi rigetliiimo
cor de et ani mo lezione eil iulcrprelaiinn. 11
Kits tire cauo [nunc'] soni tum l ^mi ]i nci ne
cor nui s. Meglio di tutti il RojMrr expl i cat
hi c nocturnus scii ccl , oTvtro ab ar e
Excubi tor .
7. Ventus succasu uehementius su fflare tt
calcar admouere. Cosi si legge nei Codd. il
trammento. I l succasu rrore m;miftSto : tu
l'tirrell o in sub occasu dal l unio e dai rOchl er,
in sub occasum dal I/ ipsio, in saeuo casa dal
I ,. Miillcr. La no.stra lezione che quella ornui
geueralmenie seguita s\ deve alla diligenza del
I toper. Il sufflare buccas anche in Piatito (Sti~
rhio^ V, 'j, /|I) ;
xige tibkeni quom' biisti rtfer ^d iubeai
likis
Sujffia cel eri ter .*4ibt buceqsi'
F. o.M' ^Ijriiale (111, 17, /j)
Suf/ lauit buccas %uus
8. yi ger e tiolilans mulsus. Cosi i Cdd.
(Jorres.iero il uigere., in iugere lo Scaligero, (Cf.
Festo p. 104 : i ugere mi l ui dicuntur cum
uocem emittunt) ; il mulsus in miluus V Ju^
ci. U Vahien sospetta che il mulsus qui pos
sa mutarsi io altro che Qon in miluus^ ma nuh
sa Irarseue altrimenti d'impaccio. Mi luus qui
uisus (Scalig.) I n aere uolitans (lunio). Altri
tentativi fecero il Guglielmi, il Keuvens, il ^u-
renberg, Oehier il Salmasiq (Plinictn. exercita
p. Looa).
9. (Quocumque: pi comune qt4Q cum nri -
nas., ori nas ( Wj , aereas (Laurenberg}, artas
(Oehier). Trochei dal Roeper, iambi lur<ino
tentati lai Vahien. Cf. Omero: Odfss. Xl l, 3a5 ,
IVlviva tic wyx an , ovcfi
> WCIT | ).
10. ALbumst mare manca in H, L. W., t
aggiunto dal I^aureuberg e pare assai a |>-
silo. Coi i i m uenero : cpssi nt utntr o (H. W.),
ctssi m reueuero (od. Pii), caesus (\ld,>. Ridue>
seru. iulcro ramm. a metro, il Ro^ei^ ed il
Vahleo. Ved. Ooi. Od. XVll, 39 aegg.. pel
tuccaiile episodio del oane di, Uliaso ,(C|*. M.che
Cioer. Fam, l,.<io). Per uso dej^-aw.
Cossi m V. Hand. Tursellin. Il, p 5 o, Per
lutto il 'raMifM ttuper loc. p;
, 11. Ubi ^uo4 >: Mbi quondam (QehjQr).
ai dee; inlemier certo .di Ronw^.e .
la.'. l l pruu df:l fran^i^t>^<i ^ fesatlo,
nel secondo ai riacoMlra ima lacuqa^.aili^tal^ i)al
metro e dal sen^>. Di qua i vi^rii tentativi |ier
suppliila^ Modesi i ej n inius (Oehier), ;//ioi/e>'/e
ami di (sopha) pasauni pectpra il Meineck,
prok jolerpreta i ni ti di ep^iebi per ,i gio.vaoi
itfnicsi tfh si davano alla. tilospHa, .
Htnicti (J uctusJ pus,un4 pectore M Rper U
cui emendazione non mi pare si raccon^ndf di
Iroppd. Il D 6 d i l c i p | U , pv2i6) cre
de <*he la lacuna ri^^vasdi.. un aggelivo
iffelli peclora^ e si conti apptiga #|
eomts puUa ueste si conlra|ipue a mdidi^ e
conghieKura : animosa. Ma uon VrMV^i i^ivorc.
CL Kpec 1- c. p. a6i , aCa.
i 3. Intendi dUa Lidia. Cf. Sai. XXVL 1I.(Ig^
per propone fi aui sse (gr. ^(. VV
I. 5o) in luogo di habutsst* 11 Vahlf'^ difpwie
il fratiiia. a seltenari trocaici,
14 Questo framniento, iu cui Varroue t oo
liavai delle supersiixioui volgari |>er totUarH a|la
pn^nia pavealata dei a^ait qtaulp ^lla
lexioaei conlroverio mette conlo ^Afcupar^^uc.
Al jRdper oe Irati diligeoleo>iile
JX, a^ora^^ e dar io bre?e il , risulM^o .delle
ue ric^osle*. Monio arreca i l . due v^Ue
a>t|o . quelle d<ie Unue Lur^Lui
m di. I bRbN^l O VARRONK
74
marina^ moUis pisar,^ r tti c^fa oc ^itrofin.; c
ltrpv . ' marimas . mol li s pil ps eie.
ScAl^iretiD {/d CiVi/n, v. 149) cmc ; ,^/
4it Senti r i t^ari naf pO^Sy ret, ei strop/tia.
proU molUs ommcfjui iion to se
nieiilicaiiz ' o it costiglio, cil ggiao^c : pii
hi dtfe pullarMtn,fuiss^ <fHO ^ nupturae
pi ias. cum p.up^ ' ^ str ^ki ol i s suspenderent
f^tnerL ajlCPi *mUo 1> non c iuori
di qiiesti^^ : Noq bbianio in iatti #Ur pwciu
ItMlimoiiiaMV cb le ver(|ini priip di; aO'Iar
fiKMMro UoAQ a Veq^e iJelhi pi i at l u
sori ae ; non par, d'alira pacte, da 14 laogo di
Cic^rpu^ (PpyharMsp. resp. a i , 44h che;luiie
1 tppte U#oiaMer<Pi io, sirophiunt^. e ai
pu dubitar aisai che questo giuucu della p i
la fosse proprio delle'giovani di onesto co-
slame, se si voglia tener conio del giadisio d
Ovidio Y^^r/. asn#^ lU, 3 6 i), di Iklarziale ^VJ],
167 4)i Plauta (Afos^ttll, 2i 73). ^Ala dato e
non Gonccssp, che tale i l qo^ume .delle
giovani^ aon .si pu ,DccorUr allo Scalilerp di ;
mulare il Lar i kus in, Venvi , .AbJ^aino per
cootraddir|&li le jilV^Mixioni d)hi s4;0lfasle Ctq-
quinsA ( A d Horu%^,sat. K 5^ ,69) o. di. Por-
^rioue. Lo Sfatigero MtefpreU nm^inas pi l as
p!(,^.palle che. non si la^ofaveno ini Roma, nw
veniwarw d^l di fuori; e io questo s ^ f o iutei-
preta^<M4 passo di CjfO 37, iv),r<<!i:I^Uuto
kJ Persa^ 2, 3,, 17), di usouie (Bpisi .
Ma qaeOa ipiegaztone non sl adalla, paiT, ^uaU .
mente, bene alle palle, essendo improbabilissimo
rbe a Hioa o oon le safi^sern larr, o non ?i
fesse chi si desse la curf di f'slibricarnr, QMesla
difficolt ndunse 4' Qvbjer < u^i' altra inlcrpre-
fazione moUp .rorno probabde per non dire
inetia. Vglle che si dicfMero mari nae qMCsIe
|ille, perch sttspendtrenlur Cari ^us post ejp
hausta ^^, //icir^.,11 Turneho lesse ma
r i ni s Laribus^ XX^V1|1, 3) ^ qucH(
guia che ^i trovano in |iv>o (XL,
pertn^arinos, , non ^iffdp. clie lii^ p;rfiM^
oo^loDUerM/iiMiefae, # drp^i^jli Livio, auto- ^
rizzi qu^sia .^qppgsii^MHie,. | si spiega l^ep
^l^rUniaiti .origine drlK ara ifiiialzala. pel Cam/
|>0<. Marzio (dunque d<;l .Pumer,ioj4 qntsli '
Lar.es Permari^i^ a cui /^i, sfM^iicaya prima i|i
pir,iiQa spd>zfp<)^ si^ di:^t<;rra che di
mare,, e fla cbi -rilori^xa (|a , via|;f io mari 11 j|
ma. Quest* diCferem# fra marir^f e pennati
j ms osservata nella, glossa di Filoxeno, dove il
priipo . tradotto ^1,^(, l altro <((.
adupqae u il mari uus ne il mari nis Mji
iiuon ^nsot convi^^e fivercare un' eioendazione.
Il mari nus dei, opdJk na^ (fcifip^nie. da UQ^
falsa Htrrpre^aziuue.deiraM rtviaziMie
tuias,. Vi scope^rsc^Ja parola Mni ai Gig^vap-
ni ftleurs ( E ^^c cW/. l i , l i u ) ed commeu-
daio da Qd. 51iUier (A4 Eestum^ qu. Vi l i , 9,
p ^ . 128), St per lei Pautorilii di Maciobiu
(Sutur a, J, ) di cui non ailrgo |w;r breyil le
parole Che cosa .fossrrq pvi queste //^ ne
Jato da Festo p. 129,(d. M.); J ^anias^J e
l i us /Sfilo, iit fi ct^ qu^edam ex /or/(iq i n homi -
num. figtAraSy\quia turp%sJ lanty guas al U ma-
niplas appellent,; AlaniaS' autem qufls nutri
ces ruiaifentur paruit iis. pateris esse luruaSy
i d est, inapcs deos <dfosque ; -qui A^t off infe
r is ad superos manant, aut Mania est eorutfi
aui a materna d uao scoliasie di l^rsio (6
\ Mani ae dicuntur i ndecori uultus perso-
M^e quibus pueri terrentur, E coniplflaudu la
trattazione con allie iesiinH>uAiizf,.si,pu9 ritene
re, per cei;t9, che.qaesif /fiamoe iosaero c^rli
ia^t(cci per lo pi di Una stisfKsi ai ritrovi
delle ve, con cui inlendcasi compensare gli spi
rili dcU* prt^Q dklli.pflerle di vHliiue coroMiif soli
le a Ursi l^ro in ^mpi moUa pi aiilichi,
16. Mi l Hi a (AtT%eTK>)ymitia (L. .Ww), A/iV&f-
ac ( Roper ). nolo che presso i Romani non
ppteasi Qtt(;pere alcuna carica, da chi non avesse
(iit^o ij, servizio militare.
I 7. Acer (L. Muller), ac uir (H. L, W,, OehI.,
y^hleii). ^1 Roper riferisce r./iOfr/Viif al cavallo,
S^PZA bisognf>.. Hqrr,ids miles avea gi
deMo iuuaiixKsiivhe Ennio (Ann* Vi l i ap. Gel'
lMm, XX, 10).
,18. Tr ossul i , 1 vai ieri Romani si chiama
rono sotto Romolp celeres^iudi flexamJ n^f^poi
per aver da soli senza soccorso di fanteria p r ^
'rosalo,.citt nove uiiglia di qua da Bolsena,
Tro^SnH^^ cosi si disi^ero fq dopo Caio Grac
co, V. ri i pi o, i fl - i f XXXIII, 9), il qu4 e riporta
a^f)reM, Je paro^ vdi Imu o Graffi hiaiio; qupil
eq/ i u( r w O/ditCtn qd^apt. ^ trossulos
uocpa^w i d ^u e fiu,iq^no^ ^^t^ros^ulo^
no^mefi i fui d ^alent^.mul^os I fpssul os up-
car i Da .quello nuonD^n^c) ^i Varrone mani-
ie^o ch^ i|,noQ)e p9 acqvift seo^ 4 >^8*
*wj*9. >*fl P j w ! w Sfli. !^a,xCf.
O. l ahn. ad loc,)

,^de istp- ^edecut^ i q quo


Tr ossu us exsul tat si bi p$r, subsell ia l eui s ?
(Vedi Marqfiardt^ Hist, eqmit, Hom. JJL.a, ^a).
i l Vablep, eoa , Qd^a qontra unisce que
sto, si lrataBt^ ^nlecedente^-r./^k /^o .* ut uul^o
(Vahlen), (illese). CL il gr, tiri t .
fQ. Pr aetor : praeJ ler (W\^ . Par ochos : la
tpiegazioiie cbe d Cioyio d i q t ^ t a ,vgce a<n per
mette di preotlerla nel senso stretto; <li colui il
Al I HAiVlM: btLLP. SATl K t K DLI l , i )GI STORi a 8 7
ij i i j i l e p r o v v e d e <lt nf ecef f r?o i mt p s l r a i t i c h e
via^rgiaii o p t r |uW?eo i nc i i Hc o , nra in i i i i pi
' ^f i i r r a l f ; t s t ^ n i h \ j c c No n i o , o f f i c i i j ^ u s
u d m i n i i t r a n t i h n s par^f.' Kaput. k\ cvi ii f .
ci i i s apev a ml e ^ , v o l l e r o p o p u -
// kfHil t*! i e^i i f f t f f ei j h c o f i t e r i n t i l i Idi Cot i ,
l f ar ci nu) , ' m a i^iie^lo e r a i t i c d o t i t at o ' ri el l a
llii{;Oa > ^c i ?i/e f a! i na, (l oveTKtoKf c n l r p ^ r r al
s e n a T i s . K p i ' f i i t l u r a t c h e ' m a n c h i tfii par ol a
la q u a l e rispoi Wi a bl k a p t ^ e quetta^ i i ou |>u
eneere c h e pes^e c o s ol l e hi ar i i o l i ha ioYnhf p i -
Verhi aFe agsai ii i u s o ( C f . P i a t i t o ' i n A i i n a r i t i ^
III, 3, j 38|.
1
Le. Ego kaput tritc ' aYgtnto fti tihi kodit
' r tpri ehdo '
f.i. Ego pes ftti .
A R, Qi ti nec kAput he'o p^s settnoi i l p- :
paret. '
\
Hopcr cre/le (6 ^I1tt(fr^i a Vt^iiiitlib
Batao. V. Gellio XV, 4, PI. 'N. VIH, ift ; V t l
Mass. VI, 9, 9, V'^elfero; 11, 6 5 ; Dionee Casaio,
XLI I l , 5 i.
2 0 . Be l yntz el egante pruder ti (No
Ilio), bella uxor t (Mercero), (jum Hlar uk-
rem (liipnio.)
21. Framihnio i1iflLI ipioatiiifie. Pi
V>iicui*o pet aliro, 1'<eiri aftr IciToiie Jj/riA-
pugnata dal Gtt^Yilmr acctnsum ^(ite|!tkita iief-
le (lue liiioni lei M rcero,) che lo (r<
me maschile, quasi r^zI' uno (jui in ^rai ti ti n et
fartnutaiu'tn -tn^retrithrh ahtotis ergo de^den-
Hoper I. c. p; 255).
22. Cciii ni Ir-w^e il Iranmf. kSei coiM: Nnnfa-
h : Putr itun comesqU tertnt tatagelo pUiVi
'htonlium lJ ta. Le Cifrezioni ''pi InipoitaiiH
fo cJvUte Mio Scdlrjr^ro. TeA/ey ho scrino' pa-
Vkiilhil |iT ffii|ortono cf*elet^'H "^^tef 'VticX-
yo: l/Ocl^et tenent^la'pi L ehlet'volle
iM^ittnere t^ohrruht taxa^mi (la VIgetfare co
me ^bhoh^iU tJatf Ttino ia laa ipifjpzione :
ti idehfr sse auetna hhe et gfctt
formatae. TI Vihleii ii lofm ^ieoiii con qu^
sta tornia ^
11 ramni. f>oi pcrsouifca Eco. CI'. Vahien
(Cni tct; p. i2()), citello ciedc una iuvocaziune
qtile pfuemib eletti satira.
a3. Ci oro (Uulh), oro (B. H. L. W.), dum
ar (Bentii)), ora (Piipnta), Oghj Mrtei^.
24. Artclie qui adombra'oMe i dl a i^alra ' ipt
Icoole lltotoftche Slitto Phirt^glne' tfi
i l r adeche liMmli d' dTni ptiillil' ,3F^/ii>i*e (lii-
'(^sius) unh^u^niafn ^ s r 'h'n tTise (H. L.
rtM/i/e (hiirtiOi nilit^is^
de'iabnlirsse {^ci\^.), dsUriitii'e
sostirte awai vi^mrile fa Ijo^il Jll f: fitto
ne. Ved. Phi loi o$ XV, 237, 2 5). %mo
pre\ qui il vt*rb per fnfotre/ Vi'Vk\ en
p. r i 5,'il OrMfei* p. 2t)8, dt el o \thjl pigHi per
poli re. cvrporiif^^con^k iptr^a Ciets-
roi r, />e F i n i b i t f y irjieSVa
25. Quest ^ r e allotlere acre fo^tA
ra^iotife grrattU^l aedHsst^ir \ Ctthft^att^.
<Jl vocabulo aatto ^li'aiHi^K sfefcno' itfwltca-
re eii iii|;e|;rH ioUile eit^cre. l;'P4rto, /|eitf.
2^ 4' In* 3. S,, r ; iloraL Sti.- r, >7, S i .
Peri, St. 5, 86; AcHiott.EpiPi* 4, 6 ; JiMii.-Con
troa. V,*54, R|>er. 1 c. p. 25,
11 defaf\tiare ^tev pVeHdi^rii it fcgtfl'%ei^so
chie \\ defu^tr e <del lriir#a;'inieeeilme
LXXXU^.
Ni>n -S pu aisc^eai^* cfel libito'esllrteirte
roftie fosse 4 a Varrune'nlUolafa quella iel4ra. 1
liioJil. coslMeineiite'quatfl. ^rt^icviilanO l foi'ma:
Sexgtsi II 0(1: Marti. Sexagei hi uSi IHifaijtl,
eo'mto rfovere, pi he all^o ontcst^ rtori
Hit jarr^be frtale inlifol<rla '#ejt^^dr/t/T, tW
lo (ii che fcdrtpe^a il p^over14d >X^^enaitb9 e
ponte Wt/rfe#n(fo^. C(MYetfc cio -la fce <^he*Vpri-
frti tempi IM\oioa c4te'm6i'aysro t a^siM-
Tanni i^tta#fi*no piiiil^e' Sublitib nl'-Tev-
rfr, < i^ua sr vlli rd trarre *vrabttK
dpniare^'' ^-\ Varrt)*^e Mesk' pfcr aMro'
tt. pf^p. r. ill| r<lTbuis'ctf'alia oHgint. qtie-
sici pro|V>jiio,lftilrt rt tue^Ho * <Nrii rti no
stro tolpei-'le prtl'Id L'inge /^/^
Att^thUirier\ 1. 'p. 35(j , '35't. Bdrltd
Optra a cui beir^li ci/iiHe i deiMt*O'\jrt Iradut-
lofv). Rif'er4ta fitta cotYeh^, che (lii
avesse torhVi esiarirauni ^idr iion a^'^5se Mifit-
o'al volo tiHhf cVnluHt^j irVijptVillatala comfe falsa,
a|f^iung(* : i,i,'perhi i vifcritl sessi^eifiris i ^ 'ulo
V an*an c|!lriU ^li''nuh^fi,' si IH>vavai*fi il
(|Uio tu stadio lla Sriti (V^rr'. pviSn^'Notiio, 358.
'R<1. Gellm'h ; Cnsbt^h. si ' chiartiavVn^ de-
po'ntfii^dalla )Mfdla /h^rt/t>, che ph^slKi ^ Oirttti
si^iiflc^va ir nufhero ili: Si hfom^raiio tndlo
efesio iionie (Patii, p. 75) qu^Tant(ci 1 |(uik
co ili fiptii*if timaua, i fcoul etti Ar f^i (Plat. Qu.
. 3^); vale a i>ii*e i bitteM, chl - ^^nes (Laiig*,
p. ().'63) Af quMf si itoHi 'rhncoii<t*are ;i
iesfpnHt'(Cic. p r A ^ , ^5, ie: V.
VVrohfevp^es Nn. 61, i l f 5; Gei^lah),'e'chlii
'getllsVanb ogni anno ni rS' tti Tn^' ''dii 'potate
SuhKrio. Da queste due Vote i'KdnAahi nt'lfa#
Wro un'mollo arguto, fni dal \cmpc( in bi fe
iit'iilaTc'ahlaVati'a Votarfe ps^^iido \
fche itictUtesilo tict fiigo dtlla vOfition^) ^i-Wan-
dn ' ^. i f^^nti of i h phre V.
877
DI . VABBOlSi; 8 7
^Va^ner. Quaer i tur qui d si t sexagenari um de
ponte. Liineburg i 8 3 t.
Un vccchio sesMgenariof probahilmenle Var
rone afesao^ era rvlomato iii Booia he ^0(ee non
aver pi . vedota ^la meno aeroln perch^ attoii^
ranl(aene IVuiciuUo* avealo collo come K|(imeni>
*lr (Cf. Varrofir^/^c l .X Vll^ 3), nn oiino di )in
qnant'annive trarand niulalo Paiipcllo cit
t, T()li pc|igio ii coslamiv non rifiuhrs di >rim.
piangere i beati tempi di sua iaiioiiilleita. Qiie*li
lai venfono mea dc wtoi ooneiliadiiri;,. che
riftiNxhi daUe neirie Io precipifana dai poQtebSuA
Mieto
AeccfieiawifDib' il Mominscsi. u Queatp linle
oonv*figoao ppooltuo iempi .di Catilii,
pocailopo qoali, Uteerblo^Varrete) dere ATcrle
tracciate ; ha gran (ondo di verili nrH arpa-*
ra chicila in ciii Maroo^ ramttognato per
cavM. ticf fooi rimproveri unr di 4empo e delle
ftuo aiaiiqaarie reniiiiiaceina, cx>n aUaii>ne, che aa
di parodi, d antiahisiimo Ugo Romano^ come
ittolile iettltardf\traacinato stil ponte e precipi
talo oeL Tyerf-. ;V*era aaeltameiite pi
iMogoviiK Rqnta per taJi
Neiht.niun^raxione dbi rammeali 41 trv>va
neUi. ifOiUa ediioMft uno 4i meno cU^ npi jnh
qudla del Bies<S perch iCinaQ.'ia -la^aMira
un quel pa^fo di Vrr4>ne (De L /; Vi i ,
mi rum ^uQfn non modo Epi meni des meuf
post m^nos L txperretus\ k multis non eogn^
icatur^ sed. ei i am T^uctr Li ni , (ac. Andr oni ci )
pst annoi s^ i ^nor el un Mi
l%arvc, HonvciMiwfM^e imnierare quello coj^li altri
IVaMinienli del Sexagessi s,
I. larn gii^r quurn Socrat.es; col uum,
aggiunge l'O^hler, ron alquanti rodd ^a pare #i
debba con.iidtran* il caluum quale gal
lutn esse (Benlinux), ;.$Qiira//.l cal ui tium (Schnei-
der). Probosci s . . . , est porrecta corpor is
par s inka^retis narilms^ qae exempto I wmine^
in al i i s ani ^a i Aus i nueni ur (Nihio)*
G. K inpoaaUfile in una tmdttiinoe.oeiMcr-
?ar il<giu<>c<> di par<4 a % Mu/rrre e follerei
Cf,,il^diftii^. fatto coMti^o 19):
Qi i i s neget Aeneae magna de stirpe Veronem
Sustul it hi c matrem sustul i t hic patrem,
,' Kaivf mo^o di' dire eomaniiai*
fao, per aignitieare che tJoe ^o pi p^l i \AoTrano
a^ere estuali portioni in mvdaln ^ua<lagtio 3 oufi
aa dut Itoviprann flcuna coi tra via^ Ia ci<a
Irv^ata^ dicetasi perch area ciatco^
no dirilta ad, un rael di etia^ Vedi altri , caero-
pii- iirPape. (Qrhch^, FbrterhikcI t. Ud, IL Biigen*'
aera). Seneca ad epr<ne^e la rar^katwa. idef
{Epit,. lai) usa avfeihio ia r,ommutH^
^^Fer ui t omniuo Ot-hler ;fer ui i animo.
19^ Pu/^ente* uiuere (Codit 1. Uehle/K
ui xer e (Guglielmi) -i i a patri am (L^ W.)^ oum
patri o (Li)iiu)||.i/f/fotr/e >(Gug)telini). en.prt
tri am (Lachmaiin)., a/ (Rieee). I/ Oehivr >
pprova la iiostiv leiionew laa. ha pev alleo lai>la
Irauchc^ada coutVa^are c h e qOt:il)a elisegli fegue
non dria4cou. iento, e ohe Don aa pescare un
rimedia^:
I. N^la rGiyoioron dormi ti o uigil abi l is.
Poich il tonno di quello nuu^o Epimenide non
d'*vea eaaer |>erpetuo, |iariin inoppoiiuna e falsa
la lezione di liaoid inuigUabUK
la. Credo ai ^olrrhhe molti faeiloieiile sup
plire alle lacone di qucaio verso (ili Ennio?) roo-
'ron.land( Ciceioiie fDe Diui n. I, 3 i): Adest
mdesljnes obuoliia sangmine at^ttt incendio.
13. Ugge ilirampii^ato r O h l e r : Qtti
nols^ ministr^ir^nt pur r i diebus fesi i ci eer
uirJ de tfui nos>prohoearw. adnoeare' ennh mi
deant U06 i l io reuoeare litremus ? mi
fii maraViglia la dioMaracione ch^ i fa di . ixtn
raacafteftz^rM. /f/W etfuis <ncs. k r!oi>gellf^ra dH
Riefe. Vi r i de nos : ( DOnizer ) J Uos . Ul o
(Rtete)us \
14. ar cul a l omatHso dall'Oehler^
uulga ZZ. bul ga ^ddertm^ ahderem ^Dousa).
i&.) SenibuA; settsibui (Meitiecfc ) homuis
bumi l i (L.). hmuli WvK //e* mul i (Scaligere).
. Pr gi s ( Ries^). Ertras ( B 1L: L .
OekJer) parcas. uel ompe/*cas (V^hlen) -r- /1^
mi nani s (AUlin)^. cr i mi ar j s.i ^. H. l^^ W.).
\ q.,Ani ti * (Godi Imiii); r V z n v ( R i b b a e l )
^^dripontawemur^ drpntare (Iiho), depor^
tare (Aldina), l lienso W IVanim.' chi^'O^V. Aa
pieg^ime^iUta al litolo<4 ella salra).
i6. Qui iella U'giunta deNo achrrso al nel
mfort jrtaiontm^ 11; lettori se ^ne sar arrorlo.
Le Tnau4(i.dir ticaauna i ni portami : C^sna*
res .- u Senein Osci tosnar^appelimmt. n VarraAr
(jDe JLi/f 'Vll^ 29), e eoli ancora PaHei ( fK 4?i
ed. M&IUr).
14^. Emisses^ quadripedem (Riese)v em. 4fua*
</rj<^.<ldd.) equi menti ; ae^atimeAli <A|d.)
equamenti (.)..
90. AgUi fenai i ( Berlino ^ agi penni s ( H,
L. W.)< ' (Pairnerio), remipedes
(Saitneider, ad Varr* D r. IH,. 11) Buxei s
eum r ostr i s (liiese); ^AfJrei>oxir>; (Rper).
JLXXXIV,
u Ini rv tFvveir
' n na epiegaiSpifia. Senibra die io questa
satira combaUease' Ja superbia, la qaU^ nome
ombra vaga, assedia gli spiriti senra tregua
70
ANNOI. AI FRAMM. I>ELLE SAI J RK E DKI LOGlSTORlCI 6 8 0
I . Te Anna o Per annu (Riet). Anna ac
Per enna (Codd.) nna Per anna (Perenna) era
uni dea che apprlencv al cicl railolo^tc) ili
iVIarie, e che veniva elttbirMa alle Mi' di Marco
(Ci. Oviilio, Fasti^ HI, 523 et seqq.). I/etimo
logia ile! ino fioroe Teiriva apef^ala dirramr|ite
fino dal temfin di Ovidio. Altri la fene%ano per
la sorella di Di*done facciala da Carfagiiie e ap^
predata nel Lmzi e per la gelosia, contro di lei
concefHla da J>aitii, apinla a preelpilarii nel
Numicio
pl aci di sam N^mph Nutni ci
.4 mne perenne latens Anna Per enna uoeor.
Per altri in lei si adohibrava la luna i sunt
bas^. dice Ovidio l una>er i <^i a mnsiBnt
impl eat anrum. queaia la apic^none< che
pi> fi raccomanda. Cot Alacrohia, che agghiD-
ge: eadem ^u0<fe mense {Martio) et pubice et
pri uati m ad Annam Per ennm sueri ficatam
itur^ at ainnare peremiareque tmthode l iceat
(Cf. Preller, Rm, Myth. p. 3u4 'e aeqq.). P an
da\ che aveva culto sul declivio del Campidoglio,
e che dava il nome alla cosi detta Por ta Pan^
dana.t tenuta dal Preller una cosa solavcuo Ce^
rere. Non parmi quantniique convenga con lui
ch'eaaa apprlenesae agfi Dei fecondaiori della
campagna ^ una dea della raccolga. Panda
Cei a (RJese^ Momrotei), / te L to iTur-
nebo). Ner i o valeva prcMo i Sabini coin la
ep<Ma di Marie, il quale era per etsi il proiel
tore dei marilag^i e deHa vita coniugale. Fu'essa
cambiata a vc4te con Minerva a v*4te 000< Ve
nere: Per riguardo al nome, Nero fi avVldna al
Romano uirtus^ percli nero n abino eqo^va*
leva a fartiSy sCrenuus^ tanscrtto nar^greco
dcyip. Coie moglie di Marte e protellricc'dei
matrimonio la troviamo in ^n iVammenlo del
fft antichi aiMialf romani^ dove Kmitia^ la abioa
n^pita dai Romolo, nel furor della'rAisehia fra
Sabini e Romani coi presta: Weria MarVis te
ohsecro^ pacem da^ uti iice^rt nu^ptiis pr opr ii s
et prosperts ul i i <juod de tni coni ugh con^Uio
contigit I tti nos itidem i ntegras raptrem^unde
l iberos ti bi et suis^posHrot^patriae^^Mretrent
(CT GelHo, XIII, l a , e Pcelle^r, p. Sos,>ei\ie(|q.^
a. Pemmi a J ucu/is^Cti tal. mi*
ni strans (Oebl er ), mi nistr at ( }uao'),
mi ni str ant (Scaligero).
4. i ssoci ata nej antia, Ajaai proba-
bilmentc aggiunte per errore al testo Varronia
no: SODO traile da l^uciUo.
5 . ^ Ofeciiro'i'iioD ifpiacerebbe 1
proposu Iviiooe di Rrvae : iucunde, >
LXXXV.
Non postiamo ala bili re la oonvenicnia^fi dne
titoli per lo scarso numero deMraiiiroeqli. In
molli luoghi si cita col semplice titolo EpUlms^
Una fabula palliala SynepUrbi^. fu acrilla da Ct>-
cilio Stazio, che la tolae (< tnaduaar) da Meoandro^
.e Cicerone ne ricorda alrofiik fnaroioeDti : p e.
De natura deorunt^ ^6, | 3. :
1. j lacuna coa aoppUlaMl! Rieae: nAet
pr aeter ^num Act^aeontm neminem comede*
runt canes Pl ur es canes dominos comedere
<fUam semi ( Carrio, emed. 111, 10). Richianta
alia melile il proverbio ; quot ser ui tot hostes, *-
Nugas %i U5 imdecKnabile (Cf. C a r i s i, p. i 5 j
Fasciano, Vv 649I.
2. Pr aecox idest prmeco^tt (Noiii)i Qui v' ha
f*rte ragione a temere che quesl'aUra parte Si
f i ga siasi aggiunta al frammento di Varrone aolo
per errore di copiali, lii altro luogo infatti
(Non. i 5o, i 5 ) cosi si legge: Pr aeex et prae^
eca i. e. i mmatura, Enni us ^ Luci l i us li*
bro III : ani cukt aspera atifue pr ueco^j ett
fnga, Era facile qindi lo scambio nofto gi
dal Pahnerio tot Romat iiii;<riox -^(Oeltlr),
cc/m o d o (ante Mercerum), fater (Ionio), oc/p
paedi cari os ( Popnn* ) : honestos^ btmt^ 'tot
(l>aafenberg), uili^simos (R^eseK ^ auidi^
si mo (Oehier), aut HS, senius,
4: Abbiamo preso ' neK^senSo in
cui fu-'aio in questo d i Plii^io (17. iV.^ XXXUI4
\t%). Qui pfi mus atr.epit cognomen Di ui ti s de*
coxi t credi tori bus (Cf. Othicr).
6. (Oehier), 4^ tGttilavb). /tedi-
rt/i (CoM ).
LXXXVI.
Il funerale ed il lumtilo.di Menippo daniao
luugu ad un disputa alla qwale apparteiig^Min i
frammenti dt qoeala satira. Ui che poi; ai-ilSpulasse
incerto; si vedono rimproveratr il^fabbricare
troppo aunitioso, la hissom dei'bdnchHifi e deU
le vesti; cosicch si pu conchiu(|ere facesse
riscontro fra le privazioni, la severa vila dei
cinici, e gli inumerevoli abusi che tutti aveano
corrotto gli oHini della romana repiublica.
I. Ueni pputi n cagione retti tu ito ^lalU Sea<>
ligero. Nei codd. era atato.assorbito daU'ulliiM
parole della iscritione ^ l i qui i {S^lig.^, iiquie
(edd.), i n terrae pi l a (Scalig.), in tr r a-pi i a
<Mercero)< io ritengo come fuori di qaestiotie la
boni>della lesiooe dello^ Scaligero: im. terrae
pi i a ;^tmemoQh^pi l a terrae et il modo d di*
re pi comune ad indicare quello che si sigm-
88
DI . TtRhNZlO VAliKONb 8 6 2
fico pi larJi colle parole cihhus terrae, Quan>
liin<|ue globus terrae fosse stalo tla Cicerone
ailo|>eralo [n pi luoghi (p. e. Tuscul . I, 28, 69.
Somn. Sci p. c, 4)i {>ure Plinio copilinu ser
virsi quasi sempre delia i irina pi aolica. nolo
rhc Mciiippo ai diede da a la luurle. In J.ucia-
no si legge ; u lo slesao (iVTeuippo) mi aTretlai a
correre ioconIr alla morte che non mi chiama
va qcora.
2. Nota riirbaoit della forma m Martio^
stadi o intorno a cui \u<>l cotidurre Tapoiie ch'ei
celebra ad onor di Mciiip|H> ; e siccome cosa
tutta di scienza, cisi chi in esio si misura nuo
apparlieoe alla classe degli atleli^ ma dtgli stoici^
i quali non si distingueyanp da' cinici che per la
sola tanica, rome d'ce Gio?eiialf, XVl l , 132.
V ha variet di lozioni, ma queste non fon teli,
che meriti se ne lenga conto gui (V^ahltn),
guom qui (Kiese).
3. Questo fraromenlo vuoisi riferire a Menip
po^, il quale anche morto era lo spavento della
geute a (ui vivo avea menato fieramente ad<li>sso
il fl4gelto. E |*cr questa paura eh' ei metteva
Degli apimi io reputo che qui VAirone (tiocevol*
roe^ute lo chiamasse L' Oehier inter
preta. invece: /af/ia .*coofeaso di non aver tro
vato alcun esempio che .mi,confermi tale apie-
gaziooe di cui qui pon v ha punto bisogno :
Teaetor ( Oehler ) : i Codd, tenebro mutato
dairjunio in tenebrio^ e lalf Aldina io Une~
brostis, 11 Vahien per trarre* credo, una fcMino
metrica, aiorza, torse, uu'po'tioppo la lezione:
(S//) Sal/trn i nftrni s tvntbr s <(
j4tque hhbtat /winhes so i ci fos quoti eum
Petus for mi dant qiiam ful l o uhihirn,
11 < ^( pu esser giuslifcalo dal
notissimo di ristotane (Kq. ver. 111)
- (xv} . A t
qui Uabet correise Kiese atque habeat (H. li.
VV. ed Oehler). Tenet nei teneat atque habeat
^odd.). Quani ful l o ululam. (Cf. Plinio. X,
I 2) : Quum . ful l ones maculas albarum ue-
si ium eluere s^erent^ nec meorum interesset
atribus uestibus u//, i nde Var r o el eganter di
xi t ful l ones ululas formidare^ quod sci l icet
l uctus eos ad inopiam adi geret
4. Foree il couretto intero questo : come
sihiioso un cane-a cui sia recisa Ia coda. coi o
Diogene o i snoi seguaci si remlono meritevoli di
diapretzo, per Ia nessuna curo dei loro esteriore.
Dove non contien lasnar trascorrere inosservato
(*he anche i cinici si cl>ianiavano semplicemente
col nome di canis. ^ Coda in luogo di cauda
ujalo con predilezione da Varrone (Cf. Schiiei-
der, Gramtn. lat, I, 69 scqq.).
S at i r f t L('Gistorici, di M. 1 ta. Vaurone
5. Usi oni (Nonio), domusi oni (Buoheler),
dumusioni (W. p. 24), ui x dum pusi oni (Ger-
lach, lezione che non pare in armonia col conlejto).
Il Uiese segu il domusi oni ; ma in questo omo
come trarsi d'impaccio se il trammento arre
calo appunto ad esempio di usus io femminile ?
. Si pu intendere di chi ammaniva la ceoa,
che si sia ritiralo cella parte iitteriore della casa
dove eraoo la cucina, le sale f>e1 pranzo. Feni-^
ti ssumae. 1 Codd. aveano quale avverbio, ma
come tale non si rioviene in Plauto. Come ag'
getlivo s ed in tre luoghi: Persa IV, S, 53 e
71 ex Ar abi a peaitissuin ; e Cistell. 1, 1, 6 5 :
pectore penitis^umo,
7. Ubi l ibet accubitum^ sono torse lolle
a Plauto (Menaechmiy 11, 3, ) Acci ti (Uic-
se). 1 CoilJ. accedo: evidente errore. 11 Vahien
corresse acctpto^ cio^ dopo aver sentito Tinvi^
to eie. I/ uso dell* ablativo a questo modo raro
s, ma non pu esser riprovalo. L'Oehler : a sede
(fortasse recte aggiunge il Kiese, il Vahien inve
ce ne giudica tulio l'opposto): at cedo. (Ribheck).
8. Inteudi forte di ono dei commeDa<di che (>er
tar apparire maggiormente l ' avarizia del cinico,
spicca gli acini e gli mangia, e l'uve corrotte
stende su! letto convivale in l ecti s quondam.
11 Uiese supplisce pul chr i s nunc cari e obrutis.
Il Popnoa corregge il quondam in spondam^tro
vandosi altrove nei C<dd, di Nonio quodagrosi
per podagrosi e quoeni ce per poenice o Phe
nice extendi t : expandi t (Vahien).
l o. Cos il luogo in Nonio: Ri cinum quod
nunc mafurtium di ci tur pal leol um femi neum
breue. Var r o Tafe Menippu ni hi lo magis dicere
muliebre quum de muliebri r icinio pal li um si m
pl ex. Meno la mutazione di dicere in decere^c
muliebre in mulierem^ Oehler ha conservata b
leziouc dei Codd. che grammaticalmente non si pu
sostenere ... 11 de oac<|ue forse da un id. e. (idest)^
per cui il pal li um si mplex si pu considerare
quale glossa. Il Rie^ qua^ato ricinio. Rigettai
b lezione perch troppo lontana dalla lettera dei
cod l. Le correzioni da noi adottale sono d-
vule al Vahien.(CI. Varr, Del . l . V, i 32): Anttr
quisstmis amictui ri cinium Id^ quod eo lUe'
bantur duplici^ ab eo quod dimi di am partem
retrorsum iaciebant^ ab reiciendo r i ctui m
dictum.
1. II iram mento cos in Nonio: 1>-
Totxoi edones liomanty ut turba i ntendat anno-
nam^tXc, Varii furono i tentativi per corre gere
queir informe ammalo di lettere greche. L' Oeh
ler corresse in , il Rolh. tatiavroi
o , il Vahien /. IJ Riese rre*
flette trovare un cntisiichio, tuise ili qualclir
tragedia antica, la ai prima parte politbbt e^s. r
50
m
AiVNOT. l liAYIM DLl J. l . SA IKU L DLf LOGI S l Ot l l CI 8'4
, \ IvJ'jv; c S sotloint^nih: confluunt un
dique, Non avendo di meglio, mi appigliai a que
sta congettura, d i e , sebbene si convenga al
rontcsio, non tale per altro che mi fcvi d' ogni
scrupolo. ]l MUhly propone Zcw.,^0he
il principio delle nubi di Aristofane. Scelga il
lellnre. Incendunt annonam: intendant (.
j . W. cd Oehier). incendere annonam era, tlir
C05, voce tecnica per indicare incarire dei vi-
vrrt. Annonae incendia dis<e Wanilio (IV, 168),
e Varf ouc (R. . , I l i , 2, ) . . collegiorum
cenae qua nunc innumerabiles t.Tcandrface
hant annonam . . . . quotus quisque enim est
annus quo non uideas epulum aut trium
phum aut collegia epulari quae innumerabiles
incendunt annonam. Pel rcifio dei franamento
rf. IJiiilo tram. 1. (IVIeineli, Com. graec.
fragn). IV, 38<); Al h. Vi , 228):
-ncpicxa <> ) yt ) 1 ovxtTi
>f oOJc cevcLivr^v i^iTv.
2. i nota la coosucludine che regnava pres-
xo i rustici romani. Per otto gioroi lavoravano
nei campi, al nono venivano a Roma per com
porre le k l i , per avere notizia delle leggi e cos
via. Ma ora le Itti, dice Varrooe, sono mutate
hi calunnie eoo cui uno al l' al tro tende insidie
ed agguati. .(^(: : Romani psammaco
sioe (Mercero), Romano ipsam marcotioe (L.
W. ), Romam (Vahien) Scol. confluebant olim,
i 3. Oppone alla It^uri a dei cibi l' esempio
Oella prisca Irugalit romana. La idea stessa Tro
vasi in un iVammento dello stesso Varroue De
Ulta P. R. (Jionio p. 162, j 3) nec pistoris no
meni erat nisi eius qui ruri f a r pinsebat^ no
minato ab eo quod pinsunt,
i 5. Sembra meglio unire latericiis^ con do-
HibuSy che non con lapidibus^ come Oelder.
Lapidetus leggono i Codd. II. \j. . Sujfun-
datum : dictum esi subiectum ; dicium a fan-
dnmentis (Nonio), i l l l oper erede il iritmro.
poetico !
if>. Vi r gul ti s obi i tus l uto. Cosi u i' orrcl4o
dal Biicheler il si ngul i ni s dei co<Id. di Nonio.
IJi/ altra lezione i'u proposta dal Uolh approvata
r sej' uila dall Oehier c dal Vahlcn : ut hi r undi -
nts i n cul i ni s obl i ti l uto ti gul as fi ngebant.
Per (|iinto possa parer probabile questa lezione
non credo che debba preferirsi a quella che ho
icceltala. liepnto iiiI'mI che in questa materia
nessuno debba lare outorit mag^iiore li Vitru
vio. L Vitruvio cos scrive ai Lih. i l , cap. I :
nonnul l i hi r undi ni s ni dos et aedi j i cati ones
f ar um i ni i tantts de l uto vt ui rgul ti s facer e
(r or per unt) I ota f/i mc Mi hi rrnt ; r pi stlo :
pri innm (que) f i r ci s erectis et ui rgultis inter-
positisy luto pari etes texerunt. Troppo innaiwi
procede TOebli r, 1h<, ammessa la feiione culihiSy
si dimanda : suntne hne cuti naefor tasse paupe
r um i l la sepul cra de qui l us Aggenus Comm.
in Fr ont. De l imi t agr. u sunt in suburbanis
l oca publica., inopum destinata funeribus^ quae
l oca cul i nas appel lant ? ^ Cf. anche Isicforo,
Ori g. XIV, j 2. Casa est agreste habitaculum
pal is arundi ni bus et uir gulti s contextum.
18-19. Alla prisca sempticil del fabbricare
oppone in questi due frammenti il lusso e ar
te railnala di rendere splendidi i palazzi dei grao
di romani. Nel primo ricorJa gli artiflcio5t (>a~
vimenti e le pareti incrostate di marmi preziosi.
Il secondo frammento noterole per gH sforzi che
cost agli eniditi per cavare dalle corrotte parole
di Nonio ttn qualche senso. Le pafole di Nonio
si leggono a questo mod<: Meander est plctU'-
rae genus asi mi l opere hbj rr inthorum ortum
cl aui cui i i inligatttm^ Var r Tafe Meni ppu
mi hi faci es maeandrata et uin*
cul ata atque eti am adeo inges orbem terrae.
Quello di cui pin difficilmente poteasi venire a
capo era trarre un sento da quel mostro greco.
Alcuni sperarono di^ppelirvi un secondo litoK>
della satira. I ^ Scaligero tent di correggere (V.
al suo Pesto sob. V. Meander) : ixvlmito9
a(pci ^ovraf *. mi hi faci es maeandra
ta et uermiculata, atque adeo cingens orbem
terrae onrisponde a ci die i latini
chiamavano pol li nctura cadauerum. Ma questo
titolo se p<jtrebbe pur reggere colU prima parte
della iscrizione, non trova buon londamento nel
la lettera sebbeti corrotta dei Codd i e di pi 119
ha che fare colla materia trattata nella satira. Buo
na correziune fu uermi cul ata, Cl. i versi di Lu
cilio presso Ciccione (De Orat, c. 4i) :
Quam lepide compostae ut tesserulae
omnes
A rte pauiuientoUque eml lemte uermi culato.
La voce Ttffl fc supporre %*che al Mercero
che qutrile |>an le appartenessero al iStolo e ne
trasse ncp oncvcfap^iuv. Congettura meno proba*
bile, come appare, che non quella dello Scaligero.
Il Popnia : r fiv^ov sci li cet
conclaue cui us faci es est i mpl exa et di stincta
par ui s i nsi ti ti i s tessulisy tum pictura orbis ter
rae exornata : si c enim l egendum r odi o pi n
gens. Non gli iaHi il buon voler nel correggere,
ma rcUetio non corrisposc alla diligenza. Non
so se debba chian>arc pi strana la spiegazione
o la lezione dell Ochicr : ^ (Nola !) wi-
hi facies maeandrata atque uermieulatOy at-
8H5 JMliaNZlO VAHUONfc ;
ifue adeo pinges orbem terfae^ c soggiunge :
corrigendum erat mpi^ovipt mihi facies, Xov-
Jpiay esi polentae uel alicae globulorum instar
ess^ eifestine usurpatur de facie uariolarum
cicatricibus insigni aut rugis persulcata pia
aeque similiter eius modi f acies solemus facete
dicere^ Erhsengtsichter ual Graupengesichter
(cio aUa lettera : Viso a puelli o vijo ad avei>a).
J>el retto sog(riunge : Sententia fragmenti pla
na e s i ! No credo essere iiecesa^rio termars a
confutare lauta slraneiza ; iM>tcr solo che Ia pa
rola ^reca c lolta di nuovo ronio, n credo chc
i'Oehler od altri jbhia iacoU di baller ili si
iaUa mouela. Anche il Bi*se arrischi troppo :
Iv^li sUcc dal # la tiUba p<av e unen-
fola con atque^ che susaegniva," ne trasse un
pinnata (i. e. quasi murorum pinnis ornata)
e scritae : trcpci;(vToi mihi f acies maeandrata
atque uiaculata pianataque et in medio pin-
ges orbem ter rat. Credo di non essermi |tpo>
sio male allontanaoilomi daila lezione del Hiese^
e segveixlo le correzioni addotlatc <lal Vahlen,
chc se non aarau^o infuInfrabilK offrono alme
no un aensp che s pu Mcetlare anche da pi
schivi, ed hanno buon tondaanenlo sulla lettera
di Codici. Devo aggiuugere tuttavia che il B-
per (Ph. XV, 289) non aacatla. Ma n il soo
giudizio, n la sua congettura mi eppugano. t g l i
inaniiroe il cho svppoqe arbitraria,
mente un din^iuutivo di di cui non ah>
biamo eseaapii, conserva uirgulala^ dispone il
iranimenlo io ottonai trocaici e spiega : questo
un fregio {Einfas^ung) di ona patele
nel cui campo dipinta una carta mondiale. 000
si scosta da questa, la spiegazione del Mahly: esso
scrive 5 (i contorni die Cmgebung)^ ua-
ria^ ed in luogo di in medio: intermedio.
2. Tare chc, qualunque si sia il difensore
dvlla semplicit antica, qui risponda alle obbiezio
ni del soo avversario, il quale si sbracciava a l o
dare i magnilci pavimenti marmorei principal
mente perch difendevano dall umido. Ma che
Decessila v ' mai, risponde il prirpo, di <ar scor
rere l acqua sul suol o? Se i vasi son rolli, rista
gnali : v hanno di pi, a non perdere Tacqua, gli
scoli e Turfrerio. Queste ultime deUrrainazioui
ci fanno nascere un ragionevole sospetto che Var
rone parli della cuciua ; ma ai pu facilmente
estendere ad altre parti della casa. L uso a cui
qui accenna Taulore, del piombo, illustrato da
Giovenale ( XIV, 3o8>:
dolia nudi
J>ion ardent cynici : si fregeris altera f i e t
Cras domuSy aut eadem plumbo commissa
manebit.
Il Conflutiium tu arceuiiali> in altra forma da
Palladio re rustica^ I, 37); coquinae Jttso-
riuni. Chc cosa fosse urnarium, (u S|ic^al>
da Varroue stesso l. /. V, \2) : crat ttr-
tium ^enus mensac et quadratae uasorutu^
Hpcatum urnarium.^ quod urnas rum aqua posi
tas ibi potissimum habebant in cuiina.
Plumbum : polubrum uar. lect. I. f\). 11
Iranim. in ottoiiarii iambici dal Vahien torse {/
a priiposito.
21. Questo framnculo rollcuat<> col pie-
ccdviite, e racchiude urbana ironia dal Valilrn
avvertita, dagli aliri commentatori eh' io vidi, tra
scurata. Questo ditonsore lei magitilci pa\imcn'
ti ai difendeva col dirC| chc gli piaceva uso
introdotto, perch serve a difendere dall*umidore.
Bene risponde altro. Ma nel tuo pavirarnto nofi
acconsenti che si lormi alcuna i)ozia pi r raci-o-
{iliere i ' aa|ua cho vi si pu riversare, la ({usic
|>er conseguenza vi slagna, e lu sei quello ch:
lemi di bagnarli i calzari se cannni i sopra un
suolo di terriccio ? Oh la logica !
22, 23. In questi due frammenti' continua la
discussione sui pavimenti. Il primo di essi sta
rebbe bene in bocca all' amatore dei nuovi mar
morei pavimenti. Fcr rilevarne uiilii cpli op
pone il csttivo stato delle vie non selciate. non
vedi, dice, lo sooncio che sueccde elle strade
dinanzi le botteghe 11 continuo succedersi della
gente solleva la pulvere a guisa d aiuole, ci che
non avrebbe luo*!o, se fossero selciale. K altro
ripremle : s, ma io veggo d' al tra parte che nei
luoghi selciali, come sotto ai maestosi peristilii,
se si vuole camminar franco e non scivolare si
getta la sabbia : non ifucsta opera sprecata*: non
sarebbe quindi pi opportuno lasciar le vie coper
te <li terra, come sono naturalmente V Quci tu
in quanto al senso : intorno :dia lezione poi dob
biamo notare alcune poche cose. Cosi le^'gesi il
frammento 2'^ nei codd. di Nonio non utdes
in publica noMte te tabernas qua populas^ etc.
11 tramai, non da certo, cos Ictto^ alcun S( nso,
mi sa strano che il lUese non abbiavi posto ma-
no. Lo Scaligero : publica nostra taberna ; lo
Schneider : publica porticu tabernas ; il Ger-
lach : publico nodo tabernas ; in publico ante
tabernas il Vahien, forma che grammaiicalmentc
trova riscontro nell' altra dello stesso Yarronc
nella satira Zcpoiiti;, in f o r o ante lanienas. Non
trovo poi alcun londarnento nella congettura del-
Oehier : tabernae de quibus Varro loquitur
uidentur lupanaria esse. Nieute invero costrin
ge a tale interpretazione
a3. l peristilii appartenevano alle case signo
rili. Cf. Vitruvio, (VI, *i) : nobilibus \fero qui
h^nores magistraiusquv gerendo praestare
887
ANNOT AI rUAMM. DELLE SAIIIU:: t DEI I .OGISTOlUCi 88
iicbent officia ciuibus^faci enda sunt uesiiula
regalia^ aita atria^ perj rsffii a amplssima. E
che qui \^arroiic [^arli pure di quelle case ma-
giiifcle si c<'io.cce cljlla aggiutila qui cryptas
domi non hahent^ e t i con(ermel<> da Vitiu-
fio (id. ih.): quae antemfr ur t hus r usti ci s ser
ti iunt., in eorum uestibulis stabula., talernae.,
in aedibus cryptae^ horrea apothecae cetera-
que quae ad fr uctus seruandos magis quam
ad eief;antiae decorem possunt esse, ita sunt
faci enda. Qnesli signori adunque per pass*pgiar
pi ad agio sellavano sul lastrico dei loco por
tici sabbia a pariete^ cio da quella p^rle, che
sia Ira la parete ei e colonne. Qui tulio Ico:
fa poi difficoll ci che si ^ nei libri
ili Ntoio a pariete aut egistis. Lo Scaligero
corresse aut e xystis^ correzione che io coiitcs>
so di non inlendcrc, e mi lusingo di non esser
s.o a trovarla, si t uenia uerbo^ inelfa. Il For-
cellini corresse ut in cryptis. Per allri moli?i
facili a vedersi si rigetta anche questa conget
tura. Ante xystos corresse il Riese. Ut in xystys
il Vahten. M attenui a questa. Infatti fra il xy
stum ed il peri stylium non correva altra diife-
rcnza chc il primo era allo scoperto {hypaetra
ambulatio. Vitru%io, VI, 7), altre coperto.
I/uno e altro potcano aver bisogno di questo
strato di sabbia, e regge l'analogia, c la corri
spondenza grammaticale.
LXXXVII.
In tatle le edizioni dei frammnti Varronia
ni questa satira conipariscc sotto il doppio titolo:
Testamentum^ ' Mi sono permesso
di levare questa seconda parte delP iscrizione per
tlue molivi, l / uno, che Gellio., il quale attesta
di averla letta, e ne cita un fiamnvenlo. In arre
casotto un titolo solo; Tellro, che questa a^giun>
t.n falla da un non so (|uale graniMalico, inu-
lifc, viziosa e sciocca. I filosofi antichi Usuarono
varii scrini sotto q<iesto titolo: scrisse un'ope
retta satirica anche Menippo a tale proposito,
prcndentlosi probabilmente gabbo dei te5lamenli
vanitosi. Se la satira di Varrone fos5c scritta con
questo stisso intendimento, mal si potrebbe sta
bilire dal troppo scarso numero di frabiloenti.
1. Adon qui nominativo, e contraddice
quindi alla sentenza di Ser\io (Ad Ecl , X, 18)
che la forma Adon oon fosse in uso presso i
latini:
2. Che cosa fosse questo testamento detto da
Verrone non potrei dir con certezza.
Eorse, intende on testamento in cui siano slabi-
Ht per eredi quelli, che si.no per eredi designati
dalla natura, per esempio il figli< Riconosce che
i Greci |er questo canto furono pi equi che i
Romani, alludendo per avventura, alla nota Icg^e
di Solone, la quale ovx S, cfte^xa; Jia^a5,
f wat <. Cf. Lange, Rm. Alterib. I,
p. 134.
3. E mea., ^^. Il Riese mut, c men,
>&^. Mi ttenni alla lezione comune che
mantiene come i (luattro codd. B. H.
L. quos Menippea haeresis : intendi tielle
sue satire in cui avea infuso tutto lo spirilo
di >1enppo. Qui rem Romanm eie. nn verso
d Ennio (Ann, v. 454- Vfthl.): Audi r e
est operae preti um ..., proceder e rette., qui rem
Romanam Lati umque augiscere utiltis: Quindi
sono dimostrate false le altre varianti al ci scete
augescere adsci scere eie.
4. E una parte del festamnto' tli Virroic.
Secondo antico dirilto decemvirale era stabilito,
che se un figlio nasoes^ undici mesi dopo la
morte del padre si dovesse tenere corhc s|Hirio,
perch credtr^ano chc soli dieci mesi corressero
dall ciuicezione alla lascita un fanciullo. Ma
siccome Aristotele {H st, anim. VII, 2) insegna
che possono correre anche undici tneii, cos Var
rone stabilisce net suo testamento; chc se undici
mesi lopo la sna morte gli nascesse figlio
esso goda pari diritti per rispetto airredil, che
I suoi fratelli. Solo egli esclude dal eoo lestamrn-
lo quei tra uoi figli che dovrebbero legalmen
te godere dtlla eredit, ma che f<>es>ero scemi,
inetti ad alcuna buona arte. Della forza delle
due sentenze proverbiati i dm Atto quod Tito^
ed \> dicemho, parianda delle satire a
cut Varrone die* questo titolo.
Lxxxvm.
La vecchiezza di*rit(e, fijjliodi Laomedonte,
era passata io provuibio: /^ 5isser
Teofrasto c Demetrio F^lcreo, e di pi Aristo-
i i e Geo. Cf. Cicerone : Cat, ap. 2 : Omnem
autem sermonem tri bui mus non Tithono^ ut
A r isto Ceus ; par um enim esset auctori tatis
in fabul a. Il Ritschel {Mus. phi l. 1, 19, I. Vi ,
542) ed il Krnhner {De Var r , phi l. p. 12) fo-
spetiaroto che Varronc tenesse anch' ^^1i'la stessa
strada di Cicerone (Riese). Pafn^i che i quattro
primi framinetili giustifichino questa supposizione.
T. Dopo metam ag(un^ono i c*i<ld. L, W ,
segniti dairOehler, aeuitas^ cn miglior fon
damento cassato da L. Miiller, p. 33.
2. l uueni l i tas pr : iutientus^ cd in altro
luogo : i uueni li tas quod oppyjv uel uocant
Gr aeci (Nonio). *
4. Matura^ l Oehler a natura. Quo sensu
corporeum corti cem . /. tr arr usurpat eo
889
DJ . TEBENZIO VARRONE i^go
dem al i i u fol li culum mposutruut. lU Lticil.
Sat. X X V 37, ed. Hsvrk. E^o qui m et quo
fol l i cul o num si m indutus non quaero^Ar no
bius .... in carunculae hui us fol l i cul o consti tu
ti s .... (Oehicr.)
5. I ambis^ buon correziooe dell' Oehler. 1
codd. o ambos o ambas o ambis,
DEXXiX.
11 proverbio qui 1 titolo significa che
mle ti appaiano cote ditsimili, cosicch dall' ag-
giunla *iK<pl <>, ti deve dedurre ch'egli cre>
dette non poterti gomporre intieme veochiezzM
e ben estere. Qoetto lilolo poi ti HusIra da dae
letUmooiaou, Pana di GeHio (Xlil, 29,5), al
tra di Ateneo (IV, p. 160): Vidtte^ diee il pri
mo, ittmen ne eseistimetis semper atque in
omni l oco u mortales mul ios pr mul ti s ho
mi nibus dicendum ne pi ane fi at Graecum
i l l ud de Var r oni s satura prauerbi um t l-rl tiJ
^fAvpov ; ed il secondo : (un filotofe
peripatetico) h -iripl 9 napoi-
fAav vayfaft Tovirn pvpov,
xac 6 ( (parla Larentio) 6
intuaXov^tifcf, *a rpoift'
fAotTvxSv ^fxatxShf ^9&
^ ^ 9^
tTnfiv & T . w Ateneo avevi
ragione, eh 'Gelifo stesso confemva, noi rin-
venirli il molte nei pMremiografi $ ma Taveano
gi usato i oomfneliografi Sratlide Soprate.
Priva di fondamento hi correzione di Tome
bo, ircpl ffVTr>e{oi{.
2. Multunummus (Vahlen)^ multinutnmus
o mul ti s TtcmmiV (Ionio, Oehler). Varrene diete
anche (De R. R, 111, i*j)\ mul iunumms alo
asinos i l l i (Rirse), ulla (Innt), i7/o (edd.)
ostrea u ostrea Var r o intellegi t tr idacna i lla
de quibus Pl i ni us XXX111, 5 ^ (Oehler).
3. Bellitsimo quetto precetto, e mollo pi
bello in bocca di Varrone!
XC.
1/elocutioiie prdverbile che n letta di
quella satira indie* etier nei figli espressa P im^
maginc paterna, non volo nei lineamenti, ma
ancora nei roslumi. Cf. S. Basilio, p. d Li ba
nium : ti rfi , \
'itaiiw, i * 9)<.
I . Si mules (Riese), Si mulas Godd.
a. Il trammenio alltnie a Carttlio: qui pr i
mus .... uxorem steri l i tati s causa 'di misi t (Val.
Max. Il, 1, 4) Btter e r r i r e annos multos
(l'urnebo), a se annos (Mreto), assa nn mnl
to post (Scaligero) Trocaico seti. (Vahien). For as
betere iubere era la formula solenne pei divorzi i.
3. Nonio : u Tetr i ca est seuera. Var r tu
patros TO fi4<f(ov ntfi ^ u an eti amsi
audi sset reddere potui sset muli er tetri cae hor
r enti s? ducat ad Appi am moribus bonis (Vek*^il.
A en, hbr VI1) qui tetri ce horrenti s rupi t mon-
temque seuerum, n L' lunio giustamente niu(
mul ier in mulieri^ed elimin horrenti s eviden-
temente oaocialosi per la vicintnza dei verso di
Vergilio. L' Oehicr per altro vuol conservato
horr enti s \ ed coti strana Ia ragione per cui
Ia fa, che mei^ita ascoltarla ; nos retinendum esse
censui mus (scilicet horrentes) uerborum sen
tenti a i psafl agi tante ; horrentes enim i l l i sunt
l iberi ad nouercam r educi horr entes eiusque
seueri tatem detestantes. Lo stesso commenta
tore crede moneo il senso delle parole ae non
< <i parola uirginem,
4. II frammento coti leggeti in Nonio : ac
quarcy si diu gens est ad amussim^ per me
l i cet ad sumas teneo ^. Furono fatti varii
tttitalivi per sanare le corruzioni di questo luo
go ; il diu gens fu mutalo in dium genus (Pal-
merio) di uum gens (Vahien), di a gens (Mercc-
ro), di ua %ens (Riese), geru (Wexio, Ann, phi
l oL 83, p. 76). La pi curiosa anche questa
volla la correzione dell' Oehler : Diogenes u Di o
genes nero for tasse est i l le Babyl oni us stoi
cus*celeberrimus^ cui us li brum de di ui nati o-
ne saepius l audat Ci cer o i n suo cognomini.
11 teneo cfteixov oorretsero in ytvc^Xtaxv (Oehler,
Bentleio, Riese), <( (lunio), stemma Acaxtfv
(R(er), yrvcacv Aiax^iv uel / \ln stesto). Il
Vahien, <$ ^^. Cf. Isocrates io
Phi l . or. 5, Sa ; *
TtfAStfi.
XC1.
So questo libro non abbiamo che questa testU
monianza di Appiano. Il titolo festevole d esso
fa supporre che fosse una satira. Esso allude
alla cospirazione de* primi Itinm^iri Crasso Ce
sare Fompeo, Quindi abbiamo un fondamento
aluriro del tempo in cui fu composto. E noto
gi che Varrone era di parte Pompeiana.
XCl l .
11 frammento N." 1 non appartiene a questa
satira ; ma lo arrecai solo perch spiega e dichia
ra il titolo sibillino. Il Merccro scrve: Ar gu
mentum l i br i j ui r tus a natura an ,
Vi detur docuisse ad eam perficiendam tria
quaeri^ naturam primo^ dtin'doctri nam^ (/nat
(JI
ANNOI . AI . UbLLL SATI RL L D t l LOGJSTOIUCI
dj)2
Ulani informet^ postremo usuni et exer ci ta
onem qui tUramqtie per fi ci at.... Hi nc ti tulus
l i br i Trj odi te tri foli o an trypilio^ qui a tribus
utts trtbus portis ptr utni l ur ad nirtuieni.
Poirchbe cMere ch c(|i lo^iibrasse Ire aiuole
4lusofn he : epicurea, la Stoica, oadrmia.
AJ ogni (iKxlo |)are posta in sicuro U lesione
0<(',. I/Oehier vuol leggere <0,
iDa Ja spi cgai i ooe clie ne lenta, nvii ha la mroi>
ma apparenia di vero : autem Tpiir-
Varronis^ nijalior^ rst homo dictas^qui
nullo ar ti um ui rtutumque genere antea inti-
tuius^ postquam in tri ni i s semel consenuit
atque incanuit^ i l li us non amplius potest as
suesci >. La eoleoia (tr presa invulnerabi
le : ma qui non regge al confronto dei fiammenli
e non so come spieghi ii tripoVos,
a. Pythaules Tu spiegalo da O r a i i o .(//. i?.
4): qui Pythia, cantal //^/ce/i, colui, cio^
che al suono della tibia canta il certame.fra Apollo
ed il serpeile l ilio. Conquesto framio. parodie
Varrone voglia, mosirare la oeceMl dcires^ftci-
tarsi per l)en ricsrife nei proprio, ufficio :.iun
sjnatore non si preseula mai sulla cova, se f>r^
rna in casa uoo si sia r^tli i polmoni a protare
e riprovare la tua pacte.
3. lu questo franmn|o ii profa, che non
baitauo le d5posiiiiuui naturali, se noo vi ag
giunga lo studi; a. quella guisa che un cavai-
io^ quaulunque per natura iatto pr eosicoer
re il cavaliere, pure se non sia ammaesi^ralo ad
un trotlo regolare, Kavalchtr piuiloito che im
S|K>rlare chi lo monta.
4 Cos presentalo dai Codd. il fraiumen-
lo .... i l l ud uero quondam meaa ut ego non
metuam fulmen^ non antspi um tristem^ simml
ac di ci non quaero. Insanabile chiama Oehler
questa lezione : tanl era adunij^ue la5ciarla coi
vecchi malori a<ldosso, senza aggravH rla vieppi.
Egli introdusse alcune mutazioni delle (|uali io
non son punto persuaso, e mi confido .anche il
lettore, l l l ud uero quondam e$l ui ego e t c . ...
si mulans di ci non quaero. Un sedet fu iotro*
dotto dallo Stewechio, che si mut in insi dent
pel metro, dal Vahlen. Si mul ac di ci t ^scil. aur
r uspex): introdussi Acl testo questa leggiera mu
tazione per legare in qualche modo le parole. 11
Riese propose si mulacra diuom quaero (ic. io/-
lere),
XC Ul .
era uao dei soprannomi di Pria
po. It titolo dovuto ad una felice emendazio
ne dello Scaligero. Abbiamo egualmente inlito-
lala una commedia di Nevio. Varianti di poca
im portanza. L* obscurat bvona correzione dei
Lanibecio. 1 Codd. H. L. VV. hanno curai .
Oehler i ta hi c cur ai , Aicao henc.
XCIV.
Due erano i giorni io oni.celebraMnsi le cosi
dette Vinalia: a 19 agosto, e dicevansi uinaliu
rustica^ ed era la era/WkCti della vendemmia:
onore della quAle veniva diviso fi a Giove e Ve
nere, ed ai aprile le cos dette uinal ^ pr i o
ra ; ed era il giorur in i:ui gustavsni per la ^ri
ma volta il vint nuovo (Ct. Varrane, De l. /.
VI, ao; r^inio XVlllvao^Cg^J reller^ Mh.
Kd. 11, p. 1 7 4 '^ S88)i Qui il titi>lo^ irtl^'il fa*aif^
mento mostrano che traltasi Je r e.uxor i u. Oltre
gli aatori vitali, i lettori consulieranoo enifruttn
la nola' ai libro VI,, dell\oper <li i^arrone De
L l , dcir illustre IVcfi'. ab. i iolro .Canai (che gwdu
noHiinan: a ^gioii (^i inoore), la lUi inodesiia
pari alU prepcaci ddrnge^utf.i0 alla vaiiil del
XCV.
Quet. verga operatrice di maraviglie pn
e)Bere.lof9 uu^ alluiione Ila Tamosa ver^a di
Circe. (Cf. PUit. Mor p, 5 ^ a,). Cicerone {De
iOff. I,..44)' qfiod si omnia nobis^ quae ad
. culiumq^ne pertinente quasi uir gula dir
ui/ia^ 9t suppedilurentur^ i um opiimo
quisque ingemio^negotii s omissis^ i otum se in
cognitione et sci enti a coUocturei. probabile
poi che questa uirgula di uina ooo fi altro che
la w 4i L V
1 iffamm. a-<5 furono^i^torj^li Scaligero
chc ne trasse versi Calecii
3. Lacte (Scaligerq), Oehler l uctu : sen
za riprovare per altfM> U legione lucte^ ed g*
giunge Poflo non de aui uerba ini el li gas. Que
sta anooUiione adatto i'uor di luogo : questo
ed il frammento seguente devono intendersi aazi
del nutrimrnto che la madre procaccia ai suoi
pulcini.
4. Pancar pi neus =z , cio un cibo
formato da ogni sorta di fratta a di biade Cf.
Festo ; panearpiae dicuntur coronae ex uar io
genere fl or um factae^ ci bo (L. W.), oci mo
(vulgo basilico) Scalig.
5. Li fnen in questo framm. nel seneo di
ingresso semplicemente, ui l is nel senao di
fr equente, comune. La corruai^ne del frammen
to dimostrato dalle iofpite varianti e propo
ste di correponL Fra queste merita la preferen
za la lezione da noi addottala dello Scaligero.
Insensata i|ueUa deir Oelder chc quasi mi grava
8>3 DI . TERbNZI O VABRONt
8a4
riferire. Atauus cu ni uo ucri s ueni t apnd iUos^
usqut ad i mi na ni di ottis uilis.
6. Questo frammento VI fu preso in senso
inlerrogativo'ilal Riexe. lo lo a questo frammen-
lo inler|ire<aiione che non vidi da alcuno
proposta; ma che forse non del lutto a riget
tare. Le parole hanno un senso proverbiale : io
intesi : un uomo virtuoso sempre preparalo a
sostenere le vicende della fortuna i rovesci della
sorte; nessun colpo gli pu giungere all'impen
sata; perch sempre al coperto, sempre difeso
dall sua virt.
IO. Questo frammenlo riportalo ds Por fi-
rione, oonmen4ando quel passo della satira Vi l i ,
in cui mrnire occupalo nei suoi
soriilegitv si spaventa dall' improvviso rreptlare
delle natich di Priapo, e fuggendo a precipiiio
|>erde U permea ( cai iandrum). Qui sembra si
tratti di un istrione. J gamemno^ nota Kie-
se, ai e uidetur esi e persona qa indutus Cri *
i oni a (i. e. K^x^viai) hi stri o in sctnam prodit.
XCVI.
I / iscrizione si ri ferisce all'usania dei cinici,
i quali non tacevano uso del vino. Le parole di
MiiesHeo sono riferite ila Ateneo (Deipnosoph.
1, 3a). 11 prandi um cani num illestrailo da que*
sto luogo di Gellio (XIII, 3o) il quale mi giova
qui riferire per la grande luce he arreca alia
nostra satira. Laudabat^ uenditabat4fue S9 nu^
per ifuisquiam in l i brari a sedens homo inep
tus glori osus, tamquam unus esset sub omni
coelo Saturar um M. Far r oni s enarrator, quas
pnr ti m rjrnitas^ al i i Meni ppas appellant. E t
i aciebat i nde quaedam non admodum di ffici
lia^ ad quae coni i ci enda adspi rare posse ne
minem dicebat. Tum for te eum ego librum r x
i isdem saturi s ferebam qui i nser i
pfus est. Pr opi us i gi tur occessi et : u /loi/;, i n
quam magister uerbum i l lud sci li cet e Gr ue
eia uttus^Musi cam quae si t abscondita^ eatp
esse null ius r ei Y Oro ego /e, I fgas hos ner sus
paucolos et prouerbi i istius^ quod in his uer~
si bus esty sententi am di cas mihi. u i 'ege
i nqui t tu mi hi poti us qune non intelligis^
ut ea ti bi ego enarrem, u Quonam v>inquam
paeto tegere ego possum^ quae non assequor ?
i ndi stincta namque fi ent et confusa quae
legero^ et tuam quoque i mpedient i ntentio-
nem. n Tunc al ii s etiam^qui ibi aderant^ com-
pluribus idem comprobanti bus desi deranti bus-
que^acci pi t a me l ibrum ueterem^ fi dei specta
tae^ l uculente scriptum^ acci pi t autem incon-
stantissimo uultu et moestisstmo. Sed qui d
deinde dicam ? non audeo., hercle^ postul are
at i d cVedatur mihi. Puer i in ludo rudes^ si
eum librum accepissent., non i i magis in legen
do der i di cul i fui ssent; ita et sententi as i nter
cidebnt^et uerba corrupte pronunci abat. Red
di t i gitur mihi librum^ mul tis tam r i denti -
buSf et : u F ides i nqui t ocul os meos aegros
assi dui s lucubrati oni bus prope iam per di tos:
ui x i psos li te rarum apices potui comprehen
dere : quum ualebo ab oculis^ reuise ad me, et
librum istum ti bi totum legam, n Rectey in-^
quam^ si t oculis^ magister^ tuis. Sed tn quo
i l li s ni hi l opus est.^i d rogo te., di cas mihi, Cs-
niiium prandium in hoc /Oco, quem legisti.,
quid si gni ficet? Atque i lle egregius nebulo.,
quasi di ffici l i quaestione perterr itus exsurgit
stati m et abi ens: n non u i nqui t paruam rem
quaer i s: talia ego gr ati s non doceo u ...........
Qui d si gnificet prandium caninum rem leui cu
lam diu et auxi e quaesiuimus. Pr andi um au
tem abstemium in quo ni hi l uinipotatur., cani
num dicitur^ quoni am cani s uino caret. Quum
i gitur medium uinum appeUasset., quod neque
nounm esset neque uetuSy et plerumque homi
nes ita loquantur^ ut omne uinum aut nouum
esse dicant., aut uetus^ null am uim habere
si gni fir aui t neque noai nequt ueteris., quod
medium esset., i dci rco pro uino non hoben-
dum., quia neque refrigeraret., neque caleface
ret. Refr iger ar e i d dixit.^quod graece
dicitur.
NO FRAMMENTI INCERTI.
Sollo a qucsia rubi ira di vonsi ri|oire lue
cIms ili tiarumenli : clrgli uni iiicerlo a qutle
salira apparteiguno, itegli altri fe a|parUnj(aiM>
alle salire e ila noi iiulicali col segno
Vr. 3. Qui d mirum AM. mi rum si ex.
4. I mpancrar unt (impancratiant^ Vahiti,)
u i mpacrare ei t inuadere : uerbnm a grueco
tractum quasi * consumere, Qdesio
Irammeiilo Ualo come a|>parleiienlt ad una aaU*
ra. Pappo aut iridige^che l'u rorrcllo <1 Sca
ligeri: Far r o in Eccl esia. correiione foco
probabile, ma il meglio che s'abbia.
5 . Qaeslo iraninieolo fu curreUo el oniinalo
a roet dal Uiese cbe vi suppl aereae, coiiic eia
esiliente diti cuntealo di Serrio. Ksso porlato
ad esniipio dell' uso di ni xae in luogo di nexae.
7. Un esempio che prova la verii dell' aser>
zione di Macrobio troviamo al framm. 12 della
satira Miviwirov. Le parole alessse poi mostra
no cbe lieve aver usalo parofa in
allri luoghi che ora 5on ira i perduti.
9. Si sa che il lavoro di Seneca, a cui apf>ar
tiene queslo frammeiio, era tutto nel p**endersi
gabbo leiriiMperalor Clauili, per bavia sdulazio>
ne dei senatori,' annoverato Ita gli dei. Claudio
si presenta alla soglia dell Olimpo per avere i
divini onori, ma Augusto gli si leva contro fie
rissimo oppositore. Si la quindi questione a che
classe di dei, volendo pure lar di Claudi un dio,
sarebbe egli da annoverare : a questa qtirstione
risponde il frammento. E noto che gli stoici attri
buivano agli dei la forma rotonda. Vedi Cicerone,
De nat. Deor. ], m, 2^, dove daU' Epicureo
Velleio dato il gianbo a questa pinione. La
defuiiiooe qui data del dio Epicoreo oonsooiia
quasi letteralmente con quella cooservalaci da
Oiogcne Laerzio (X, 1S9 seq.) ed-e^rema nelle
< d Epicuro |V, c. 3o, 65) cio: r i
f i a x a p t o v xal * o v t c o w ^ ^ p e T f i a T o r hMXi
&\\to , tradotta esattamente dii Gice>
rone (De nat. Deor. i, 17, 4^).
10. 11 De la Genia iniefpret qaesft Gio?i en*'
za capo quasi capi tibus minutos^ cio senza
riputazione ed onore. Qitesla spiegazione trova
appoggio io Suida che interpreta per
^TtpiOV.
12. L' Oehler studinssi cK assegnare la data
alta satira da cui fu/ tratto questo frammento^
ma i suoi sforzi a nulla approtiarOno, no essen
do tali le sue ragioni da appagare chi le esami
alquanto attentameole. Qualunque congettura si
facesse mancherebbe oeecssariaroente di fonda*
nreiHt, essendo incerto se tulle Je allegale (>arole
di Arnobio ap|iarten|isDo a Varione, o le sole
hi rundi ni bus hospitis <Cf. fr. come parreb
be pi probabile (V. Krabner, Var r . Curio., p. 2).
Ammesso poi ohe lutto il. passo fosse da attri
buir a Varrone, non se ne potrebbe trarre altra
conseguenza : se < che la sf lira appartenesse
ad un tempo in mi qnesU: depredazivHii avesse
ro gi avuto liMjgi, prima {dunque e dopo la
guerra di Pompeo contro i piiali ; indicazione
trop(K> vaga per assegnare Tanno G87 circa di
Roma, come tempo iu cui la scrilla la satira.
ANNOTAZIONI AI LOGISTORICI
I.
C^uesto logiitoricn, per la coelaiile lesltmo-
niBX ilei codd., (rallav Z>e numeri s. Una hi-
terprelaiione, frae aibitraria, di nn patto di Si-
doaio Apolliaartf (^pp Vili., G) inilneac il Manu
zio, seguito dal Ritachel, a<I intitolarlo De mu*
neriiis. Dclb coalumanza quiaccennala d non
Mniazxtr Tiltine air tra di Apollo Genitore in
Dclo, abbiamo altre tcfltmonianie. Forte allude a
qaetto libro Servio/a</^e/Zi 111, 85) quando dice,
che molti, fra i 4|ual Varrone, cteordaio che
oon sol di Apollo, ma quella ancora del tuo
Hgliaolo, 6 noa solo in I)clo ma. iu altri luoghi,
noti Tolea sacrilixii cruenti.
111.
Scorrendo i Irai inentr di quctlo logittvrico
Catus^ti vile di leggieri clic Varroiiv qui lratl
eoo tutta r a m p i c i ^ dcir iniporlaiite rgomealo.
dell'educazione di un fanciullo, eoti tolto il ri
guardo dello sviluppo tisico die de l l ' inielbitua?
le; aggiungendo di piiled intt^fpratjfiMlo le fante
consuetudini constrate dalla religione che avear
no luogo nei varii sla*lii della fanciciilttta
Dal frammento primo ai apprende che que
sto trattatello i u tcritto ad ittaiiza alirui ; ma a
chi lo dirigesse, chi fosie il Catus da cui prese
il titolo, ignoto. Nei manoscriui Nonini e setn*
pre Cato^ in quei di Gellio sempre Catus i ma
il sapere che i codici di Nonio sono d'ordinario
scorrettistimi, ci f' inclinare a dare il titolo,
quale oe fu serbalo da Grllio.
11 formarti dell* iiiiaute nl seno m;*lcrno,
tutte le cure che si devono ad un bambino, tutti
i suoi atli primi, erano sotto la protezione ili una
speciale divinile. Varrone ne accenna le princi
pali I Numeria^ la quale faceva il parto spedito;
Cunina^ b quale vegliava sopra la culla dcir in
fante, perch non vi potasse alcuna malia, o non
soffrisse sinistri (Cf. I>attanzi<s 1, 20, 3G; S. Ago
stino, De ciu. D. 1\ 3/|); Rumina^ perch i|
SaTIRB LoClSTuRlCI, I>l . VAREOtTE.
seio della madre o della nutrice non patisse di
tello di Ulte. Indi gli dei, dai Greci appellali
xoupoxpfoti come Educa e Patina^quasi a bene*
dire il primo cibo, la prima bevanda gustala dal
bambino, e cosi qyelli che presiedevano al pri
mo muover dei passi, e al primo aprirti delle
labbra a prooonziar U parola, etc.
La lezione comune del framoi. 7 hisce ma
nibus l acte fu etc., ma ci parve pi op(K>rtuno
adottare la correzione di Preller (Cf. Rni, Myth.
p. 54) numai hus. Dalle testimonianze in fatti di
Servio, di S. Agostino, di Censorino ci dato
condiscere, che numi na erano dette quelle divi
nit inferiori deputate mi nuti s opuscolis^ come
dice Agostino, pposle a quelle che da Varrone
sono dette di i sei eci i ; tutta in somma quella falan
ge (plebeia moltitudo, Agost. De ciu. D. VHt
2) (compresa negli J ndi gi tameata.
Deir ufTicio della dea Cun^ia abbiamo detlo
poco fa. Alla dea Rumina era anche innalzato un
tempio sul colle Palatino presso la grotta liuper-
cale. Alla stessa dea si sacnfnsava dai pastori pel
gregge ancor lattante, e si usavano le libagioni
di latte e non di , come ne fa f ede' Var
rone nel libro De r. r. II, 1 1, 5, eoo paro
le analoghe a quelle del nostro frammento : iVb/>
negarim ideo apud^ Di uae Rnmi nae saceUum
a pastori bus satum fi cum. I bi enim sol ent
sacr ificar i lacte pro uino et pro lactentibus.
Mammae enim rumes si ue rumae ut ante dice
bant a rumi,, et inde subrumi agri (Cf. Prel
ler, p. 36<j, e Corssen, Bei trge tUr tat. F or -
menlekre^ p. 4^9)
10. Questo due divinit Educa e Poti na pre
siedevano al cibo e alle bevande prese dal bam
bino svezzato. K malferma ia scrittura del nome
dr4la prima dea. Si trova infatti sotto queste va
rie forme Edudi ca (Agost. De ciu. Z>. IV, 11)
Edul a (Terlull. ad Nat, 11, 11), Edusa (Non.
Marc, anciie Riese). La pi dei moderni scrive
Educa Questa Kritlura i Mbr a la pi regolare,
57
. Al . l i fcl L L t SA 'l l K l i L Ul i l L OGI S'J OK I CI
iJOU
la s voglia <IcriviJ;i da tJ ttcer^ iiml1 ^enao di
nutr ir e (Cf. tdkeat mHrtXy Irvciiifi. 5), avvero
(la edert^ strcondu analujtia iti caducus J i du
cia^ manducus (Cf. Pul, Etym, Forschungen
a. Aul. II, 1, 38a).
11. Per Tui o delle verbene nei iacri rifi con
sulta ^1 sritluri di anticliil relgioe loniaDC :
tuht\ anch resa parola consacrala dall' uso sacro,
erano i|nei cannoncrlli usift dai Ironibellieri nel
sacrilizii (CI. Vairoiir, De l , V, 117, VI, 14).
yi polini s Geni tor is : \ .t edizioni romuui
Y^CdiWo yJ poUinis Geni ti ui , Ilo rreduto bene gi-
slificata la mia corrviioiic coirauloril di Cen-
oriiio, 11, 2.
12. Non pienanienle accerlala la forma e
di cbe si <*onipontse la turunda. Se esali U
ilerivazionc da , sii^iiificbrebbe una specie
di poleula di caoio. Vossio inlefide, uu |>eiBv siui>
u%ma foius)^cbe dalle nuli tei si d al ragnsk
Calone (De r. r. 9i>, 91) Varrone
r. r. I l i , 9) chiamano turunda una pasUi di ior
li farina, o di lariil d' orlo.per i polli.
Non ai dee coui^indcre cou tun^nda ud Mgui
lcalo di Usia.
j 3 . l (kriiul passi, U t>imo snodarsi della bar
f(Ua d'un bambino aveeiKi uu nuuic a prolellor^
Nci espressa diiaranirnle la dilTcrenu fra gli
ufficii d Statanus e Stal i li nus. L' uno forse si
prendca cura del fanciullo quaudo cuiuuciava a
reggersi sui |iedi, V alii o qyaudo avea bba*
slaoia di foria^ da tenersi sulle piaute senta bi
sgno di chi il soi;^esae. 1^ slessa diUeienia
ad aiumeller i be coirease fiia- il dio Fabul i
UHS il dio F^r i nus (aucbe Locut MsJ ^in i^uan-
lo al pjiiiio era afidala la cura del l>anibiiM> che
oio|jlit appena la liugua, all' allro quella dwl aurr
ciullu ulie gii parU spedii.
4 Alla voce Ul na iulini (aii^o
corrispondere bujiibo. C0S4 iu qu sonetto t\i Ani.
AUmaum:
4 Chi chiede hoibo cM papf9 chi ciceia. m
L a voce italiana bua fu usala anche da iiulori clic
t^nno aulorl in fatto di lingua, nra nel si^ui*
ficaio di u uisl Col lt>tteso autore son. itt:
^ Chi vuol dindi e dii cioccia e chi cocchi,
Chi ha la bua. n
i 5. Jn questo framiitcnio Yarioue coodanna
la i^uoraoia o delle u)adi?i o delle autrici che
pcealauo pi kde alle auperstioui delle iuilu*
vilie^ che alle d^Mle pressisiioui del uiedivo.
noia che i uienauH di schiavi per
dre inag^or spaccio alla merce li iiui>elieUa%anQ
e dot naviuia ; e qutaia oiuparaxione qui assai
^ro|>ositu |>er far veryognei e di Uro sUts:^! qu4^
$\ de^vMcri f4<i>|n>IU)ik' furti roiuaiii.
a i . l prinalca(MdU < ^ s i tarlavano dal capo
del Unckill doveaatr fxirsi siilt'ara di Apollo:
diceaiisi quindi i faociulli cirrati. Pare che iu
Ambracia ancora si serbasse questa cousueludinc,
solo che, io credo, essendo ivi n onore priuci
palmente Minerva, si sar prestato alle are di lei
questo ossequio.
27. Questo stesso ne attestalo da Seooloule
nella Ciropedia. A^edi J, 2, iG.
28. Pani s ci bar ius dicevasi il pane di peg-
gior qualit:, inferigno, il |*an di cruschello ;
Varrone us a.tcora uinum cibarium^ e fr ater
cibari us,
32. Encombomata, Encomboma {)
era pieso i Greci un bianco l^io |ortalo. dagli
.chiavi e dai |>aitoiS sopra la iih si
ciirgeva iuiurnu^ al e sr p (da ,, eago
uHt). Lioiigue. lUcf*. aS3.PllU&* 'Ov. 4% M9
Da. questo pasau di Vafrne^^; ved.<AM^ /o
ma era usala qucata >a|iecie di vste dalb Jao-
ctnUe: e si pu arguire^ jehe tion divraa>
dal tioairo grenibile. Akou biiifono f terto.
eneimibomata. ^ .4r mtci da$: ^#/iaor (df>oa(4
pare ohe fosse lina pclNcoia fatta, di pelle d' i
guello. La iroviaioo ricordalarM ArbUUutJfii
V. Piai. Conu. 320,65 Teolui AlcuMv^e
fra questi ii Hi^ scrivono ^mrme das\ fAi'ios
a dire il vero, non sapaei giusliftcsre; etModo-
ohc la voce c greca pretta: e io greco
e non . Par naci s iu a ragioue riprovato
e dal Fon el illi e dal George*.
In pHainaribiiS plagis^ Queste euponit .tra
punto ed istoriale iuriK> allixiv da Van*eoe 4thi
male si^liatae pta^ae. Vedi quebche tie abbiam
diauoi'so ueir auuottfz, alfraoi, la del Proiuetcu
libero.
34. Uda pltf uReuia e<*MsideMiiioiie sopra que
sto iraiduieiito per se iiuu. trMpfio chioto mi iu-
luce a darj;M uia diveiv^ta iulerpi^taaiunci Prl^go
adunque il lettore ad emend#ilo oos : Chi lavo
ra in biso> in Ui^os io>paluia, u o q lavori di s u
mano ; perch i libt'fj |jer ragiou dL guadagno
dislribuiatoQo Ira gli chiavi il l*voro.
35. P er Deum Fi di um, Inivruo a qliestn
divinit cf. Varrone, De /, i. V^, G6, e Prellcr
i>p. cil. 633^(]55, Kra di origine aabiiia : uun
cosa sola cui luru Sem Sanane avea un tem
pio sul QuirMale. Lt4 invocai^ spedaloienie nei
giuraiurnli culla furmola ; il/<; J ius Fi di us : iye^
coiido uso SabiiK uon si poleva giurare |>er
questu nume che a etti sertni fsub din) ; per*
ci iella ^lia del suo lempiu era pralieiio un
fori> da cui si siiof'gesse il cido : e cbi uella su4
C4sa per lui giurasse, duvea farlo nel cui liW.
ijol . . ., SAT. LOGI ST. . TKR. VAUK. 9^2
IV.
Per quel rhe spella at lo^Ulorico Ciir/o, a
non ripetere nenia pro' qaanlo fu tlello egregia-
mente la altri, rimnn1o al libro che in parli-
colare ne scrisse il Krahner nel i 8 5 i : Cur i o
Far r oni s.
I . Questa o(inione accennata ila S. Agostino
opinione stoica, la essi espressa colla for
mula ioyoi (Hiog. Laert. VII, l 3(i).
Cosi Balbo prrsso Cicerone (De natura Deor.
II, 34, 8G) omni um autem uerum quae natu-
ra admi ni str antur semi nator et sator et pa
rens^ ut i ta dicam^ atque educator et al tor
est mundus ric.
II. Valerio Sorano ricordato anche da Cice-
rene (De orai . Ili, 11) era oratore e poeta. Gli
si faceva carico dell aipreiza della voce.
a. Per questo frammento cf. Varrone, De l. l.
V, 58, e le sensate osservaiiuni del eh. Prof.
Pietro Ab. Canal a questo luogo. Tutto inclin
a ar credere che per Varrone i cos delti Ca
hi ri ( z z di i magni}., il culto dei quali confieri
riccrcare in Samotracia, gli dei potentes (secon
do alcuni, ma a torto, presi per i Dioecnri) e gli
dei 'lerra e Cielo non fossero che una cosa sola.
Le Ire iscritioni adunque non si devono riferire
a tre differenti divinit ; ma solo alla Terra cd
al Cielo. Cf. Macrobio, Sat. MI, 4 7 9
vio ad Aen. I, 3; ^ e 111, la (pasio evidentemen
te guasto). Altri confusero i magni di i coi Pe
nali : e spiegarono (anche il l^dewig) il Pena
tibus et Magni s di i s di Vergilio (IH, la. Vi l i ,
679) con dire che et n<n che eiplicalivo.
Questa opinione inammissibde. L idea dei Ma
gni di i tutta grrca, quella dei Penali tutta ro
mana^ e di pi contraddice al sistema teologico
d Varrone.
3. Per qufsto frammento mi rimetto a quan
to dissi annotando il framineiilo 4 della satira
Mani us.
I pochi frammenti degli altri logixtorici non
sembrano richiedere speciali osservaiioni, alcu
ni perch di s chiarissimi, altri perch gi il
lustrati ndle opere degli autori che li alle
garono, n presentano diBcolt .di lezione. Mi
resta a notare, che il libro De moribus con
poc^ ragione annoverato fra i 'ooisioric i ; ed un
lungo tratto ricordato da S. Agostino (De r i a.
Dei., XIX, 1-3) da alruni vieii coisilerato quale
frammento di un logistorico De phi losophia.
K pi probabile \ he esso entrasse nel corpo di
quei libri rhe formarono quasi un'eiicicI<>|K!da
ilvllo 9cil>ile e furono appellati da Varrone Di -
scl pti narum l i bri . Il secmilo tili)lo Tanaquil.^
dato al logitorico De pudicittOy lovuto alla
investigazione ili Mercklin. < per certo.
Probabile, che intitclando da Mar i us il logi-
storico De fortuna^ ponesse qual documento
della in<tabitit di lei il celebre abitatore. Com
il Sisenna, da cui prende il nome il logistorico
De historia., senza dubbia l. Corn. Sisenna
morto il 67 a. C, in Creta, dove era legato ili
Pompeo, lisso erasi acquietato gran nome quale
scrittore di Annali, commentatore delle comme<lie
di Plauto, e traduttore ilelle storie Mdexie li
Aristide. Vedine il bell elgio in Cicerone (Brut.
64, 74).
Scauro, da cui nominalo un l ogi st ori co,
M. Emilio Scauro, questire di Pompeo nella
terza guerra Mitiiilatica, c eh*, edde nel GqH, die
de i giuochi con tanto splendore che amlarono
lungamente famosi.
In Servio (Georg. I, 19) trovasi allegata un'o
pera li Varrone, De scni ci s ori gi ni bus uei in
Scauro. Questo fece nascere iluhbio in pare* hi,
th a questo modo dovesse ilai sf completo il titolo
del logistorico. Ma non c cos. Questa, De sce-
ni ci s originibus.^ dovea essere opera a parte tro-
va'udoseiie citato fino il ferzo libro, e li pi, Cen
sorino esattissimo nell'allegare i log8lorii i lirorda
quest' opera De sctn. orlg ^ senza aggiungervi
il titolo Scaurus.
Il Calenus., da cui Vorroue intitol altro logi
storico, probabile fosse Q. Fu Caleno, c* mc
tribuno del popolo gran fautore di Catilina, ami
co di Cesare e suo legato ntlla guerra Gallica,
vincitore in Grecia, console nel 47 * c nemi
co personale di Cicerone.
Noter ancore che Varrone nel logistorico
Messala d alla parola Diana una derivazione
etimobigira liffcrente la quella che ne ha dal
nel V, 68 De l. /., do\e e dello chiamarsi cox
perch in al ti tudi nem et l ati tudi nem si mul
eat. Nessuna delle lue derivazioni soddisfa ; for
se pi fondata quella di Cu:erone ( De nat.
Deor , 11, 27, 69): Di ana di eta qui a noeta
quasi diem efficeret.
9o5 j)oi>
Preghiamo la cortesia dei lettori a voler nei luoghi qui sotto annotati emendare
alcuni errori isfuggiti o dalla penna nel dettare o dagli occhi nel rivedere le bozze
della stampa di questi frammenti delle Menippee.
1colonna, linea do?e (lice
641 estrema Intorno alle Opere di M. Ter. Varrone. Satire Menippee di M. Ter. Varruiie
658 18 lo stcMp Marie . lo stesso con Marte
G6i
,^7
Baixe Baiae
664
17
roaggione. magione
666 3o Calamito ^ Ganimede
669 16 de salute . u De Salute
673
9
maturo suo maturo ouo
C75 16 obba . obbas
677 6 Dyouysia . Dionysia
CHi 46 b'Spcv h ty) vp<v TI r '
685
4
empaestuti empaestati
688 10 rispoodone rispondano
694
a per aver coperto un posto curale per ater coperto un posto di ma
gistrato
696 i 5 il Soladeo Sotade.
709
23 luci tal um tacitulus
7i a estrema sono . sieno
717 ao . *
735 IO praesly praestat
744
32 roi Toi
745
40 lumusioni. lum usioni
746 dolci sonni i dolci sonni
760 28 questi se scemi. questi, se scemi
754
7
altre altre cose
757 35 *Eitxovptio;
77 34
t perde la vita si sconcia
782
9
l i . I X
------ 26 clhrio elhria
787 a Sages Saeges
788
9
auri (uiri caslas) Ui cse-----casta Mei-
nek data etc..
auri (uiri castas, lUese .... casta, Mei-
nek) data etc.
49
parlando di gener i parlando di genui
732
49
Inclino alla prima sentenza Inclino alta prima sentenza, senza e
scludere per altro, che i framm.
2-5 si debbano interpretare in
senso rettorico
704
21 pr ometter e pr omi tter e
------ 25 irammento i. frammento 2
48 nelle edizioni 9. Nelle edizioni
5 i ngia Augia
799
IO Promisue . promisque
816 23 L. 33 L. I. c. 3 3.
8ao 6 iufamia
infamia (U VV.)
824 23 aggiunto . aggiunta
826 6 lezioni.
legioni
8 3 1 21 poesse. posse
833
7
Her cul es Socr ati cus{\ , Raep. p. 2$ 1)
Qoesto era ua appunto marginale e
fu Dlruso erroneamente nel lesto.
Quindi si orometla.
907
Alla colonna
(lu^ lice
834
'4
BUr a
4 . Bi ui r a
835 IO
neutro centro anche
neutro, aociie rcr.
3/ ,o
rslrema non audi o
non auef/ o (Coil. LeiJ )
3 lunga
longa
847 3G mai i
mui i
43

8.7 33
musi ca
musi ca pcXocTitv
86c 21 al C. Go De /. /.
al Libro V. C. Go De /. /.
8 7 9
3 alte [<li
agP I.Ii
883
24
le un.
le liti
I f r a m m e n t i
..
DELLA VITA DEL POPOLOROMANO
TRADOTTI ED ANNOTATI
DA FEDERI CO AB. BRUNET T I
PROLEGOMENI
D .
'al Catalogo vhe dell opere di Varrone ne ha lascialo S. Girolamo, e che nm
bbiamo pubblicalo alla pag. 609-640 di questo volume, venimmo in cognizione
che quel miracolo di erudizione e di dottrina, avea in un particolare lavoro, de
scritta In vita del popolo Romano. Ma quantunque quest* opera fosse gi da molli
conosciate, non era costante n il modo di citarla, n il numero di libri, in cui la
i voleva divisa. Egli un fatto, che in parecchi codici dei grammatico Nonio
Marcello, le fonte principale dei frammenti di Varrone, essa s trova allegala spesso
col titolo-: De uita palrtttn, rtel cod. Palatino per esempio e nel Marciano : e
con questo titolo ne troviamo citati i frammenti nelle edizioni tutte cli prece
dettero Aldina. Ma a qnesti codici possiamo contrapporne altri di nota miglio
re, che danno intere Fparle popii/ t rowanij possiamo farci forti dell uxiis /0-
queni della prosa latina, in cui la voce palre$ non f sinonia di nwioresj e Iro-
viamd facilmente l'orgine dell errore dalla mala interpretazione della sigla PR.
d un consenso, tranne un* unica eccezione, generale, ne fa fede che que
stopera fu da Varrone divisa in quattro libri ; quantunque alcuni editori tratti in
errore d una citazione del cod. Leidense, siene giunti ad accrescere fino ad un
dici il numero di qusti libri.
Varrone dedicava quest opera a Q. Cecilio Pomponiano Attico ( che prima
di essere adottato dallo zio chiamavasi T. Pomponio Atti co); e a nessuno con
pi ragione poteva esser diretto un libro, in cui con ordine cronologico era tra
mandala ai posteri la memria delle cose pi illustri operate dai Romani, e I Ioni
costumi e le loro istitazioni. Attico In fatti avea in una sua opera, eh ei diiam
Liber nuali%^narrata in breve la storia di Roma dalla sua fotidazione fino al-
anno 700, dandosi cura specialissima della cronologia. Di questo libro diceva
il suo biografo Cornelio Nepole {Alt. i 8), che non v era legge, n pace, n^guerra,
o fatto illustre che non fosse ricordato e messo a suo luogo ; e con elogio non meno
splendido Cicerone (Orai, c. 34, 490), eh egjii consematis nolaiisqtte ieniporibug^
nihil eum ilusire praetermitteret^ annorttm septingentornm memoriam uno libro
J J k u . a v i t a iki. V. W, DI M > t B . Va r r < wk . 5 h
i> L G 9*
rolligauit (Cf. ancora Bnitua 3, 44 dove dello che questa libro omnem remm
iiosfrarum memoritint breuitet e i . . . . perdifjertier eomph:eHi esl).
Con eguale certezza non si pu determinare, per altro, il tempo della composi
7one. Alcune allusioni tuttavia con molta assennatezza avvertite dallo Schnelder
f De Hit, et sn\ Farr.) che riscontransi in questi frammenti ne mostrano eh'esso
non poteva esser composto prima del 705 di R. (42) o, se non sono troppo larga
mente interpretati certi accenni al libro Annalin di Attico publicato nel 707, ne
i.>eremo II termine possibile pi lontano il 707. Attico mor) ultimo di marzo
lei 721 (32), dunque il libro dov essere scritto nel periodo fra il 707 ed il 722.
Fondati pqi sopra un giudizio conghietturale dell intima relazione fru questi libri
De nita pop, Rom, e. altro De gente pop. Rom, dello stesso Varrone, scritto
nel 744 (i 3), il Roth, il Mommsen, il Kettner, il Boisser fissarono a quest' anno
stesso la pubblicazione ancora di questo libro, i frammenti del quale diamo ora
pfr la prima volfa tradotti.
L'iscrizione del libro presa dai Greci. Una vita della Grecia ave gM
scritta Giasone discepolo di Posidonio. E prima di lui, Dcearco di Messeoe avea
lisciato un lodatissimo lavoro B/ cy in tre libri, nei quali coasideraTasi la
Grecia sottp il triplice aspetto : naturale, politico e morale^ con insertivi alauai
tratti poetici, dei quali avanzano ancora du frammenti. Ed ormai opIniaDe r i e-
vuta fra gli eruditi, che Varrone nHIo scrivere i suoi UM De uiiu P.
dinanzi agli occhi quest opera dell eruditissimo Siciliano, e oe aegtiss^ ordine
e il modo della trattazione.
Dovendo tessere Varronis la biof rafia ^ei popolo Romano ^ gK' era aeiM-
jiarip narrare le opere da questo compite, e toccare altres, per seinnii capi
iilqi)enp, quello che noi dician| o ie antichit publlche, private e sacre K dovaa aan
t)lo eipor questi fatti, ma esporli nelV ordine In cui erano sutcadtU. E tale
flsposizione fu serliata da Yarrne. Nel primo libro infatti, egli coasprete la storia
ilei re nel secondo le cose succedute dalla elezione dei primi cotfsoli Ino al prhi-
(ipip de)le gufrre Puniche. I l libro terso abbracciava gli avveninsenti che eb
bero luogo dal 490 di R. (264 a. C.) fino al 621 (438); il quarto eomprendeta
MI spazio dal 624 fino alla pugna Parsaliea. Questo ordine incootrastabiibien-
jt* a| tetato dall esame dei frammenti. Una falsa interpretazione di m passo
(, 24) dove deUo: Primum de re familiari parinbu^(altra lezione: a pairtbtu)
.\ t:cundo de mctu contueti^dinB primigenia^iertio de d9CpHnipriieis n^teuarii^
tHtaCj trasse il Popma conc^dere phe questi tre fossero 1 titoli dei lUir deir
opera De nita P. / ?., per cui si vide costretto a coniarne egli un quarto di sap
Mpii, e a trasferir da un libro all altin) quei fran^n^eoU ohe non vedesse eorrispon-
I Ve a quelli! divisione. Ma le parole di questo f^mn>ei| tq non son certo ) cMa^e
l i permettere qqcsta suppqsizione, e noi saremmo incerti sotto quale rubrica
disporre molti frammenti die nulla hanno a fare con quello iscrizioBe. Pi v-
% al vero si amniettere cl| e quello (asse ordioe seguito da Varrone^ Dqq
) 7 V ti I, ; t; t \ ,,,
4ie(ribut>ae generwle della materia, ma s nlla pariialt! 4d si ngol i Hhru
una prUaione adunque lecoodarie, e che oltre I e*poeitione storica i ripele^i*
ia tutti * quattro libH, come si usa fore aasi di spesso per ainor di cliiareaz.
in AperBj i Otti Unto vbeta si preseutu la mai eri u du svogl i er e. Non (a quasi
bisogna di avvertire che l ordine, che i offerto ora daMedleioni, non tabi-
Utd oht per Va 4i raffronti e di conghietture. I ft-ahimenti della nostra edizioKH
sono dlpoeti dletr6 le *omie che & Agostiitb (Oo ch, D: VI, , 5) fe fede es
tere tate seguito da Vdrrone nei euol libri J ntiqq^ ter. din. i hum.
IlKrabner> del suo Celebre libro De Frrmiu aniiqq. ft*. p. *, espose qunV
consiglio si foMe preposto Varrone nel deture l opera De uila P. R. Esso ave%ii
0 scopo BOD apedulAtTe seloma, e princlpalinnte, pratico. Le glorie di Ronii.
ohe^i veniva mano mimo diobidraado, p sono mai scompagnate dalie lodi dell.
virt priseh, dalle'queli tanto erano lonutni i suoi contemporanei i e'con questi
richiami oebtiniii alla setnpHeitA, alla Integriti, alla fortcaza dei maggiori ravvi
Idrati dall prova lamineelBsitna dei fatti, ei si credeva di far migliori i suoi con
cittadini; era in somm il coAsiglio medesimo da cui erano inspirate le Satire
nlppee^solo era differeate la scelta dei meisl. Come scopo seondario noi vi dol>-
blaOM ricoaoaeere anoora II render ragione di certe oofttqmnEe, la cui origirti^
s erb' palliala ool tei*p0 j dMondere altre ootlaie dagli terlttori precedenti v'
tmseiirate d erfobeamMite e*tKiete
Lo stile la eai detti questo fibre nn pUAto migliore di Quello che gli riin
praverato egli altri. Si risconCraiM 1 ledeeime duretae, le stesse negligenti*,
qMH affettaaione donUco, fche retfde csi diflipiie l interpretare ed il render in
altra litigtta i suol pertoieri.
Ora dire qualebe cesa dH n*o die si fece, dai grainnralici priiicipalmeOte-
d|: questi iibH. E primo ne si presenta Verno Flaoce, il quale per quanto >I
ptod arguire dalla oitatiobi del suo eumpendiatore Pesto e di Paole, ha fatto senau
dkbbio suo graa pr di quest' opera, perchi trattdndo del significato delle pa
role, non era possibile che non avesse del/ Continuo dinanzi agli occhi un libro,
che rendendo ragione di tante coelCumante romane^delle istitusioni militari, delle
cOnaaetudini faagliari, dei riti publici e privati^dovea offrire in pari tempo largM
teMro di voeboli che a tatti qocsti vori argomenti riferiscono. Cosi noi tro
viaia una aUilslone aMnifesta alframeti l i . 4, neHa spiegazione di Pesto del pro
verbio 4Magmurio$ 4e potUt (PesL, p. iSA u . tu texaijenarioi ). Cos al fram>-
mento'45.dl libro stesso Vdrrolie dice i nppeMafailifr, i/ uod aes milill
wmeaslre <imI annuum dabatur : cui datu*i nen esset ptopUr ignominiam^aere
dirulut eul; e in Pesto (nel compendio di Paolo, p. 69,17 ) leggiamo >Dirnlutd
aere mHtlem dicebant antiqui^cui ttipendium ignominiae cavita non erat dahim,'
quod aet diruebulur infiicion non in militis taccuum. Sebbene qui il nome di Var-
ro(^e non sia citato, pure iaanifesto che la senteuta e in parte.le parole sono .tolte
a Varrone. Uguale intima oonveniensa fra i due adtori dato di scorgere fra i 1<-
Ijfij P L \ G >1 I .,2.,
ghi di Varrone De uila P, R, i l i , dO, e Paolo, p. 85, 7, per non dir di altri riscon*
tri. Naturalmente, per indole diversa delle due opere di Verrio e di Varro
ne , pot succedere che Verrio descrivesse con un pi largo giro di parola
quello che dair altro era pi succintamente o con un vocabolo solo accennato (Cfr.
Paul., p. '128, 4, con Varrone De uita P, ., I , 44), e che, trattandosi di cose molto
remote, differissero talora nelle interpretazioni. Cf. Fest. 408,0, i i , e Paoi i84. i 3,
con Varr. De uita P. R,j I I I , 42, e Paol. 58, 8, con Varr. i l i , 49. Ma una citazione
espressa di quest' opera di Varrone non si trova mai in Festo ; alcoi editori ne
vollero trovar una l dove Festo tratta del rispetto meritato dai censori (Festo
285 a 34. M.), ma assai controversa, e per noi non pnnto probabile.
Veniamo a Valerio Massimo. noto che i fonti da cui Valeria trasse i suoi
esempi! ed i suoi detti memorabili sono quasi sclusivamonte Cicerone, Tito Livio,
Sallustio e Pompeo Trogo, cos che, a giudizio del Kempf ( Valer Mx., p. 26),
mettendo insieme tutti i luoghi ehe egli trasse da altri scrittori s avrebbe appena
materia a quattro capi. Ma non meno certo, che Valerio conoscesse opere di
Varrone, citandolo espressamente al libro 111, 2, 24. E siccome ormai provato,
che tuUe le notizie che ne giunsero intorno alle corone militari nelle opre di Ver
rio Fiacco, Plinio e Aulo Gellio devono tutto riferirsi a Varrone, cosi probabile
che a Varrone ancora avesse riguardo Valerio Massimo dove ne tratta al l i
br ol i l , 6, 5. E quantunque in altri luoghi parecchi citati dal Kettoer ai potei
pi 0 meno velato, pi o meno esatto trovarono qualche riscontro ConVarfone, pure
noi non abbiamo argomenti sicuri abbastanza per dir eoa fondamento cbe ie ailu*
sioni debbansi riferire proprio a questi libri De uita P. R, Ci pare pesxi da leoB-
cludere che Valerio Massimo o non mai o quasi mai traesse citazioni da questopera
di Varrone. Ma di essa fecero uso larghissimo Asconio, Carisio, Nonio Marcello,
Plinio ii vecchio, Emilio Aspro il vecchio commentatore di Vergilk). SerVi par che
vi si riferisca due volte. Lasciando, come dubbie assai, le allusioni che vi si yoft-
fero vedere in Dionisio d* Allicarnasso e in Ovidio, certo che ne trasse grande
profitto Plutarco. x
Ed ecco U libro, di cui ci proponiamo dar tradotti i frammenti, scarsi, e
vero, ma di non piccola importanza. La nostra lezione oi*dinariamente gioita
che fu data dal Kettner nella sua dissertazione inaugurale per la laurea in filo*
soia, dove diede emendati questi frammenti, corredandoli di qualche nota, di cui
noi faremmo nostro vantaggio, come lo abbiamo etretiameftte seguito e spesso ^
tradotto in questi prolegomeni. La benevolenza dei lettori e il premio he do
mandiamo alla nostra fatica, la quale, ci giova sperare, non sar sgradita ai
cultorl della classica lelteratura.

. . 1fiOnmeuti stanjpati in carattere corsivo soii quelli, sulla outenticil dei quali furoio
mossi dubttii, quetil cui apposto iin asterisco sono i frommenti di cui non si sa d certo
a qual libro appartenessero, queili ^egniti col scj^no -J -, i frarnmertti che per ragione
ooiighieituroli si sono nsseynati a un libro divei*so da quello ohe doto <iai ciclici.
. TERENTI VARRONIS
DE VITA POPYLI ROMANI
ADQ. CAECILIUM
L I B R O R V M Q V A T T V 0 R
QVAE EXTAWT
L I B E R P R I M V S
% I. 1 'leque ille Calitclcs, qualmium digitum
labrUis nobili cvra eu<^l fadaf , tamen iii pin
gendo aiceodcre poluit ad Euphraaorii allilu-
dinem.
. Neque entm obsonium in totam coeaam
coemptum e i iiariii rbai, cum. cooiecUim q
unam sportam, perspicitur.
3. Neque ila ut in siufuiif rebus diutius
moremur, ut dixi, aique eoudare subtilius ue-
limus.
4. Hanc deam Aelius putat esse Cererem,
sed quod in Aiylum qui confugisset panis da
retar, esse nomen iiclum a pane dndo pande
re, quod est aperire . . . .
5 . Sed quod ca et propter talem nsixivram
immoderatam exacisount, ita quoque temperatur
moderatura Bomuli u<la tripiici ciuitatis.
. Mettium Fufetium propter perfidiam in
teremit paene imperiosius quam humanius: nam
equis iad curricmlum tx utraque pirte deligatura
distraxit.
7. Et extra urbem in regiones XXVf , agros
uiritim liberis adtribuit.
8. Quibus eraot pecuniae satis,. locu|4elis, as
siduos; contrarios proletarios.
9. Cum Lucretia in lucubrando faceret iuxfa
ancillas lauam . . .
10. Tullum Hostilium in Velis, ubi nuuc est
edis deum Penatium ; Ancum in Palatio ad
portam Mugionis secundum uiam^ sub sinistra.
1. l l e mme n quel Callide venuto in htlla
fama pei suoi quadri cbe non misuravano pi di
quattro dita per lato, emul uella pittura la gloria
di Eutranore.
2. Perch, nemmeno il companatico compe
rato per l'intero pranzo, di varie sorte di cibi, %\
scorge, se si cacci in una sola sporta.
3 . E non in modo da fermarsi, come ho del
lo, trof}po a lungo cosa per cosa, e spiegarla con
sottiglieizB soverchia.
4. Elio di avviso che questa dea sia Cerere;
ma perch, a quelli che si rifuggivano in quel-
P asilo si forniva il pne, cos dal dare il pane si
formato pandet che aprire . . . .
5 . Ma come quelle cose |er causa di una
mal temperata mescolania vanno a male, cos
fu pure della vita della triplice citta per questo
temperamento di Romolo.
6. Fe morire per la sua perfiilia Metio Fufetio,
in modo, direi, troppo pi crudele che uma
nit noi comporti : peixKsch, fattolo legare ad
un CfMichio, i\i dilacerato dai cavalli.
7. E nei ventiiei quartieri fuori dlla cill,
assegn i campi agli uomini liberi tanti per lesta.
8. Quelli che aveano sufficienti ricchezie
(disse) ricchi ed assi dui ; gli altri, proletarii.
9. Essendo Lucreiia in mezxo alle ancelle oc
cupata in lavori di lana . . . .
10. Tulio Ostilio nelle Velie, dove ora il
tempio degli dei Penali, presso la porta di Mu-
gione lunghesso la via a roano sinislra . . .
933 U!iLl.A V n A D t L POPOLO ROMANO
11. Pecunia erM parua, ah eo (lauper-
las dicla, cuias paupetiaili iiiagtiBib leltiliionluio
il . . . .
12. A u l bouem^ aul ouerii, aut Ufitxrceiii
l i a b ! si|rfiui|B.
1 3. Ut itt c e Ur o o u l l v : qae fiut| c u i e e f l ^
4i e a , quoJ t u n t pauperl i na t i u e el eganti a ao
<:um ca^ttinona.
i 4 Haec aetiis quae inino tl^ a nni s '
posi tacla til^ iianK|ue omnia rgii l empor bus
<lelubra parua facla.
i 5 . Quid inler Kos loes iulerait et eoa qui
* roarmorr, ebt>re, auro duiifc filini ; arti*
tuo adueKere et horuin leniporuro dtuKias et
Iloruin |>aupertiee.
iG. bit a quibusdam d4i'ilur esse Vlk^ibii
Fortunae, ab eo, quod duabus itidMlatis toga
el operl4Hn, prolude ut olim rrges nostri et
undulatas et praetentas togas solili erant habere.
17. llaqae Kalendis kalabantur (Nomae) id
st uiHbanlur; et ab eu kalendae appellatae,
quod est tractuiii a Graedt, qui ucfe
dixerunt.
14 . In eorum eniea sacrtt liba cum siint
l*acla iocerni solent (arris eerniiia: ac dicere ae
ea februare, id esi pura iacere.
19. Quibuc temporibus in sacris iabatn iaclMl
ooctu ac dicuol, se Leroiures doino extrti ianu
eicere.
o. Quod kdendis 1 uniis el publioe i priua-
lim labatam pultem diis raaclaiiC
ac. Eiiaro pellis bubulas oleo prfusat per-
4*urrebaal, ibiqiie cei uuabanf ; a <|uo ille uerius
uelus est n carminibus : u ibi pasiorus ludus ia
<iuBt coriii Consualia. r>
aa. Primum de rc Camilmri a fiartul)a, ae^
eundo de uictuif oooauetudine primigeiii, tertio
de disciplinis |iriacis necessariis uitae.
^3. Nonius p. S3i, loi Nubeittes etere Seg/
Komaoa asiM i l i ad marituni ueuientes solere
peruebere atque uuaro, quem ia matiu tenerent;,
tamquam emendi cusa marito dare ; alium,
quero in pede baberenl^ in iueo Larum Umilia
rium ptuere% tertium, quem in saociperidne c*mi-
didia^enl, compito uicioali aoicre aacrare. Inde
Ver{*ilius Georgi^ lib. I ; Te^Ue si bi ^enttum
Tci/t/s emai omni bus ttsdis, Qooa ritus Vark^o
lib i De ai ta P . A ddigeoiiasitDe pcrourril.
^ I y Ppc^ die" 4j^^ine alia voce pau-
pr ts: %.<B cfuelia |jueti un gran docu
mento . .
12. Ha icr impronto, u uu bue, o una pecora
ud ini gps|rato.
^ i t. (^i|tne nel r e s t o delAraifmentu : e ^giste
cose sono consentanee, poirb meschine, punto
eleganti, e belle di pureixa.
Quefl^ Vqu^io che Tediam ggi, de?e
e^sr latto mol t i anni dappoi, perch piccoli era
no tutti i saiituarii all*et dei re.
i 5 . Qual diffVreQza corra fra questi Giovi e
q*lK ch^dsWii li^oValib di marmo, d' avorio
e d' oro : ti facile ravvisare la ricchezza di que
sto, la povert di quel tempo.
f . E Ja taluni ai vuole che aia (i l si mul acr o)
della Fortuua Vergine, perch coperto di due
toghe marezzate, come uscivano un tempo i nostri
re portar toghe marezzale e preteste.
17. Pertanto alle Caleiide kalmbantur^ cio si
gridavano (le None); e furono dette per questo
Cdkl^nJe^ cfce dalla voce greca <, la quale
significa u chiamare.
18. Perocch nei loro sacrifizi, latte le forac
eie, erano usi vaglial e i semi del farro, ^ que>
st^alto chiamavano fthar e^ bioe^ riraotidarei
19. In queftti gfor*i gtManu di udtlto nei faof
fiali le l'avc^ c diooo di cnckr di csisa, fuori Mi a
porta, le larve.
ao. Perch alle Calerle di Giugno in publico
in firivatu bbruciavado in duo h b degli dei le
faverelle.
al l Correvano aAtresi st>phi c n o ) bagnali d'olio,
ed ivi faceaiM i capitoni(ill4 <|Ueli* usanza al^
lude autioe verso dei carmi :
Sopra teuoj fQilo
Ivi i paalori t Consuali gMoUb?.
PrnK> delle ose di famil^lia tK>teinoiando
dal partii indi degli usi priaHlivi (ler i^igubrdo al
vitto, per ultimo>tlll< aUtkhe norme aeoesaarie
alla vita.
a3. Nonio l. c. I j t spuae kiotelle^ prtoseulan-
doai la prima volta al mari lo, erano solile, per
antica legge Hoioaiia,- portare Ire ssi, ed uno,
che tenevano io mano, darlo al niarilo quasi a
prezzo Vlt'Ma campera ) un alirov eh>3 aveano nel
piede, porlo nel tocolare dei Lari di laniiglia; ili
tefzos stato ^rima riposto iu mi borsello, conu-
erario nel tempio coiune ai vicini. Di qua quel
di Vergttio (Oeorgt 1 3 i) tu doM
T offra la Dea del mar onde sue tulle!
Varrotifci lib, 1 Del l a vi ta del P , ., tratt cou
mirabile ^ocuralez^a di questi fili.
9& DI . Ttl VCNZI O VARRONE
9 2 6
24. (?i fitlimHt oiorem Jubebat, iluahus col-
dl i i 9t tuabs lros plagul riim i t mt et . . .
a5 . Nonius^ p. 53o, a6: Quod htdi s pUer i
pr nesul es esreHt gl abr i ae depi l es 'propter
aetatemy quos anti qui ti omnni i fdi os appel
labant^ ut est i n l i br o J l 'tr of i s de ai ta
P . R, i deo Pl antas i h Al Ul nr i a :
Tti fstutft ^A I l um si Sapi i
Ol br oter nr eddes fni hi quai n uohus ludius^st.
26. Qiifr fin) si t arttn^ et postica. In p<>s1i(^a
|rle erat ellna, dici* ab eo quixl ibi cofebsot
i^nem. Lortt|i|elarufn dmiis fuerint aii-
^oeliis |iaop*rimi catar;'ip$a nomiiia IccUranl.
^7. Ad fo^om hiMie ac fiigoribm renltabanl,
elio tempore fti foco.propatk; rore m cbor-
Ic, in ttriw ii) tabolifio, quo<l Maen?aniim poeso-
hmi intelle^ert tabuli tabHcatam.
a8. lildards ortgg. XX, 1 1 , 9 : Sedes di ctae^
quod apud uefer es Romafi os non er at usus
aecumi^i%dk\ tmde et ensi ster di cebantur ,
Posi tn^ ut ai t f^r r de F i t a P opul i Romani ^
H t i di seanVbte Hef>ettint, mul i r ti sedere^
al a ttttpi s mistks est i n mul i er e aer.uhi tus.
^9. Ntiiin p. 59, 5 . J fefar tt pr opr i etatem
i n i ib. t de trita P . R. Var r patefeci t a
f ar r e : qnod adiretiin rl c|tio ecrlrali uti non
ilebeani^ non Irfliidn^ ned far. H o quoque i dem
adsi gnffi cat^ qod qui i ndi gni sunt qui #/-
ti ant nefar i i ocahtur . Ador eum qnoqut ab
to di ctum putat quod ci bi ora^ td est pmn
cipi um^ sft f a r .
3o. Pa^li loA et pane.4, hac uocl bi i l a panine,
qad i esie ^ tom pascere ^ din^bant.
3 i. Prolude ut elftonr
(| frigida fWYgebani.
piSem ex f*rre et
Quantc/piere ftb^temia.i mollvr^ volufHnt
ette, Uri ex exempla potcal Ulderi.
'3 3. Id^oqiie hoc h ore (liihtr oS(?Ium,
non a stiaoilalr, unde lauiom, t!|iiod ^au sit
lauiiire.
34. a. Aniiquae rrifilierea itialoresT itala bibe
bant lorant aut sapam ani defrutum au't pattum
f|uani rourrinam |uidam Plauium appellare pu-
|ant.
b. tolem murrina; loratn dccbemi in
Chi primo menava moglie, dopo stesi
aui leni due matera! e due ol trirt .
a5 . Nonio I. c. Perch nt-lle pompe dei giuo
chi andavano iniianxi fanciulli lsci e deboli per
U poca el. flag'i antirhi R imani delti I fdi i , co
me ne fa feilc Varrofie nel 1.^ Dell a vita del P ,
/?., Piatilo icrisie^ nell' A ul ul ar i
Tu e on ti^oi cbe If ronga male
Fammi quel pollo pnlit(> e spelalo
Pi che sia un garzonoMo da comparse.
26. A che serra la parte anteriore, a che fa
posterlot^. Nell* posteriore t ' era la cucina della
col i na perch i?i col ebant il fuoco. 1 nomi
stessi cl forniscnno una prova di quanto fossero
poveramente riitrelle le case anche dei piii
ricchi.
17. Erano solili prender la cena i d IreJdi
d Inverno al fuoco, estate, in luogo aperto,
cV era, hi villa il cortile, in citt il tahiino,
dello cosi, perch a credere fosse fabbricato
di tavole.
a5. Isidoro T. c. Furono delle sedi e perch
presso gli anlii'bi Romani non correva uso di
cenar coricati ; quindi che l diceva di essi
che consi stebant. Ma appresso, come dice Var-
iroil Itt quel Dl i a vtt di P . . , gli uomini
cominciarortrt a cenare coriatl e le donne se
devano, perch quel coricarsi pa^ve in donne
indecenta.*
29. 'Nonio, p. 59, 5 . fn qwel Detta vi ta dei
P. R al Iib. 1 Varrone mostr, che nefar i us
a derivare da J i i r perch il fano adoreo,
non il frumento di cui non debb<n mangiare
gli scellerati, ri fcd con ci cb'egli spiega, per
ch cm chiamino nefar i i quelli che non meri
tano di vivere. Slima poi he il farro siasi dello
adoreo, perch ore, cio il principio del cibo.
30. Pastiglie e pani li indicano col nome
cosa che ai mangia, perch allora 11 mangiare
dicevano pascer e.
3 f. Nello stesso modo in cui davano forma
al pane fatto col farro ed acqua fredda, e nel-
acqua pur cucinato.
3 2 . Un esempio anche solo ei mostra chiaro
con quanta severit vietassero alle donne uso
del vino.
33. Queslo perci si detto oscul um da OJ,
non da suaui tate^ da cui nacque saui um^ per
ch il bacio (saa m) soave.
34. a. (<e donne antiche eh' erano innmzi
cogli anni bevevano accpierello, o sapa o vin
collo o pao, che alcuni credono siasi da Plauto
chiamato mur r i na.
b. Poi il vin dolce; dicevano acquerello
93 7
DELLA VI TA DEL POPOLO ROMANO
uintlcma cam ex|reteiftent mnslam el
folliculos in dotiura roniecitsenl.
c. Pfsam nominabaot fi in uindcmi uuaro
dutiut coctam legerent eamqiie patii esieot in
iole adnri.
d. uino addito lorae, passum uocare coepe
runt : rouriolara nominabant, rum quod ex iiui
expreisum rrat passum et al folliculos reliquos
et uinacia adiciebant sapam.

e. Sapam appellabant, quod de musto ad me


diam partem decoxerant : defrutum si ex dua
bus partibus ad terliam redegerant deferuefa-
ciendo.
3 5 . Nec pistorie nomen erat nisi eius qui
ruri far pinsebat, nominati uero b eo quod
pinsunt.
3 6 . Praeterea quoil in lecto togas ante habe
bant; ea enim olim fuit commune uestimentum,
et diurnum el nocturnum, et muliebre et uirile.
37. Posteaquani binas tunicas habere coepe
runt, instituerunt Uocare subuculam et indusium.
3 8 . Cstula est palliohim praecinctui, quo nu
dae infra papillas praecinguntur, quo mulieres
nunc et eo magis utuntur postquam subuculis
desierunt.
39. F^t quod mulieres in aduersis rebus ac
luctibus omnem uestitum delicatiorem ac luxu
riosam |io9tca instilulMra, ponnnt, ricinium su
munt.
40. Minoris natu capite aperto erant, capillo
pexo, nittisque innexis crinibus.
4 *. Cocula, quae coqucbal panem primum
sub cinerem postea iii forno.
4a. Itaque ea sibi modo ponere ac suspen
dere, quae utilitas postularet : trulleum, matel
lionem, peluim, nassiternam, non quae luxuriae
causa essent parata.
43. Dicuntur enim patellae, salini, acetnbula,
catini, patinae.
* 4 4 *Urceolum aquacmanalem uocamus, quod
eo aqua io trulleo effundatur. Unde manalis la
pis jippelUtur in pontificalibus sacris, qui tunc
monetur cum pluuiac exoptantur : ita apu<l an
tiquissimos manaleni sacrum uocari quis non
norit? unde nomen illius.
45. Item ex aere, ut urnulae, aquales, matu
lae, sic ceterae.
4G. Item erant uasn uinari sini, cynibria,
culignae, paterae, gutti, sextarii, simpulum.
47. Ltiam nuQc |iocuIa quae oocan^ capulas
quello che oella fendemmia t r MT ddla vi
naccia, uscitone il vino, e git tati i fiocini nei
tini.
c. Era detto passo, il vino d'uva eh veodem- '
roiavano, dopo *che oltre usale rveano lasciata
cuocere al sole.
d. Aggiunto del vino all* acquerello comio-
ciarooo a chiamarlo patto : facevano la muri ol a
dopo che il vin passo era sprerouto dall* uva,
aggiungendo a quel che rioNncva di fiocini o
di vinaccia, la sapa.
e. Chiamavaip sapa quel che avaatava del
mosto fatto bollire fiuo a che ne riniaiictse<
met, dej ntto se la fona del fuoco lo aveste
ridutto ad una terza parte*
3 5. N ad altri si dava il Dome di pittore
tranne a colui che alla campagna tritata il far*
ro, la voce quindi a ripeter da pi nser e,
3 6 . Perche inoltre a quella prima et teneano
in letto le toghe : di queste usaad egualmeole
il d e la notte^ gli uomini e le douoe.
37. Introdotto il costume di portare due tu
niche, Tuna dissero subucula^ Taltra i ndasi um.
3 6 . Castula nna tonichella ohe si mettono
sulla pelle e cingono sol lo al seno : le dooae
la vestono anche adesso 4X>n taato pi di ragio
ne, perch si smesse uso della $ubuculm.
39. Le donne quando, per qualche sciagura
0 in tempo d lutto lasciano ogni veste deli
cata o di lusso quale se ne introdussero ap
presso, prendono il r i ei ni o.
40. Le giovanette stavano a capo scoperto,
aveano i capelli ravviati, e il crine s'intrecciava
con bende.
41 Cuoca quella che curinava il pne da
principio sotto la cenere, appresso nei forni.
42. Quelle cose soltanto si procacciavano e
so|pcndevano ( dai mani chi ) che utili fossero,
e non quelle he solo argomento di lusso, il
bacino, il mesciroba, il catino, la brocca.
43 Poich chianiavasi piatti, saliere, acetaboli,
catini, tondi.
* 4 4 Chiamiamo col nome di aquaenfanate
Torciuolo, perch da lui si effonde Tacqui nel
bacino. Quindi nella liturgia de'pontefici detta
pietra manale quella cbe si m^ove quando
bisogno di pioggia. El chi non sa che presso i
primi padri nostri, dicevasi manali s^ quegli a
cui era imprecata ira degli dei inferni 7 Di qua
origine del nome.
45. Eran pure di bronzo i secchielli, i me-
scirobe, i pitali, e cos gli altri.
46. Son da riporre altres fra i vasi vinarii,
1 fuselli, le cimhe^ \ nappi, le patere^ i gotti,
i sesiarii, il simpulo.
^7. E ancpr o f p le coppe che chiamiamo
1)29
) . TERKNZ10 VAaRONE 93
ac capidef ; itero armillum qpod urceo^ ge
nus uioarii.
48. QuoJ, aotequam nouum doliis p r o r a t u m ,
cum eliam i d genos u|^ram calpar dicerelur,
d a i o u i D calpar appellalaro.
49. Aotiquissimi in cooutuiis, ulres uini pri
mo, poalea linat ponebant, id eat modiolos cum
operculo, ac cupas, lerUo amphoras.
50. Lepestam dicebant, ubi eral uinum in
mensa posituro, aut galeolam aut sinum : tria
enim haec siroilia sunt, pro quibus nunc acrato
phoron ponitur.
5 1. Ut fere babeoi aeneum ali qui u^ndiiant
^>kum: lepestae etiam nunc Sabinorom fanis
pauperioribns plerUqae aut flctiles sunt aat
aenae.
* 5 2 . Facibui aul c*o4 ela, simplici aut ex
tuoicalo iacU cera nestiU, quam Jii aiQgebaoI,
appellaranl fmialia.
5 3 . Qua frontem lecticae struebant, es ea
hevba torta lorum appellalaro f hoc quod inici
lur, eliam nunc tarai dicitur } lecticam qui in-
uolqebaoU eegailria appellabant.
Cflpule e fapfdf: parimente V armillo che
una specie di orcie da .
4 8 . Perch questo vin nuovo prima che si
spilasse dalla botte chiaraavasi calpar^ tale es
sendo il nome di questa specie di vasi.
49. I primi nostri maggiori, apponevano nei
conviti da prima il vino in otri, poi in lini,
cio fiale col coperchio, e coppe, per. terzo nelle
anfore.
5 0. Aveano tre sorta di vasi per il vino che
slava nella mensa, la epesta^ la galeola^ il seno:'
gli chiamavano, per la lor simiglianza, con V uno
0 altro nome : in luogo loro si usa adesso a
cratoforo^
5 1. Come hanno di bromo lutti quasi i
vendUori d* ogiio : e a' di nostri ancora nella
maggior parte dei pi poveri Icnpi dei Sabini
1 vasi vinari detti l epeste sono di terra o di
bromo.
* 5 2 . Al lume di faci o di torcia; e questa,
o semplice o falla con ono tarae veftito di cera,
che quando era infitta^ dicevasi funal e,
5 3 . La parola tor o viene dall* erba torta con
cui formavano la fronte della lettiga : anche ^
adesso chiamasi tor al il cascino che vi si mette {
dentro ; davasi poi il nome dj segestr i a alla co
perta della lettiga.
D e l l a m i a d i i . P K . d i M . ' I t n . V a r r u w k .
LIBER SECVNDVS
I . I noster excrcilut ita sit iugatu&, ut
Galli Romae liot potili, neqae inde tnle aex
menaea cetserint.
* *t* 2. Auri pondo Juo milia acceperunt ex
aecliboa lacris et matrooanim oroamentia, qui>
bua poslea^d aurum et torquea aureae multae
relatae Romam atque consecratae.
3. Quibuacum turpe fecerant foedaa sioe
publico coniilio dederunt boatibua. Quid quod
Decioa imperator pro cxerciti salute ae dia Ma>
nibua deuouit?
4. Qua abstinentia uiri mulieresque Romauae
fuerint, quod a rege munera eorum noluerit
nemo accipere.
5. Mulli prediti pudore et pudicitia adule-
acentis perierunt, cum maiorem partem eius gra-
duis aetatis atipendia facerent.
6. Distractione ciuium elanguescit bonum
proprium ciuitatis, atque aegrotare incipit et
conscenescit.
7. Propter res secundaa sublato metu non in
commune spectant, sed suum quisque diuersi
commodum fucilatur.
8. Quod idem dicebantur consulea et prae
tores : quod praeirent populo praetores : quod
consulerent seuatum, consules.
9. Itaque propter curam locus quoque, quo
s;uaro quisque (curam) [domo] senator confert,
curia appellatur.
10. Itaque quod hos arbitros instituerunt
populi, ccnsores appellarunt ; idem enim uolet
censere et arbitrari.
II. Cum in qnintum gradum peruenerant,
atque babebant sexaginta annos, tum deniqne
erant a publicis negotiis liberi atque otiosi. Ideo
in prouerbium quidam putant ueniase ut dicere-
tur sexagenarios de ponte delici oportere, id eal,
quod suffragium non ferant quod per ponten
ferebant.
. I l nostro esercito fa meaio jn tal rotta
che i Galli ai fecer padroni di Roma n la la>
aciarono che dopo aei meai.
-f 2. Ebbero come preito due mille libbre
d' oro, tratte dai templi e dagli ornamenti delle
donne, c queat' oro e auree collane in gran
copia loro tolti, ripresi, furono riportali a Roma
e se ne fece uo dono ?otTo.
3. Si diedero in roano a'nemici coi quali avea-
no stretta un alleanza di privata autorit. che
dir del comandante Decio che si fol agU dei in
ferni per la salute dell'esercito ?
Quanto non fu il diaintereiae degli uo
mini e delle doune di Roma, allorch nessun
d essi volle accettare i doni dal rei
5. 5Iolti dei giovani, in cui era vivo il sen
timento dell' onore e della verecondia, perirono,
perch stavano quui tutto quel corso d' anni
stto le insegne.
6. Le parli cittadine lanno illanguidire il ben
essere proprio della citt, intiSichisce tosto ed
invecchia.
7. Cessata per la prospera fortuna la paura,
non si ha pi l'occhio al bene comune, ma cia
scun per s a vantaggio proprio si travaglia.
8. Perch erano easi e consoli e pretori :
pretori perch andavano innanzi al popolo ; con
soli perch consultavano il senato.
8. Da cura si disse Curia anche il luogo
dove ciascun senatore mette le sue cure in co
mune.
10. Li chiamavano adunque censori ^rch
aveanli designati arbitri del popolo. Censer e ed
ar bi trar i sono infatti voci di egual senso.
1 1 . Tocco che avessero il quinto stadio d' et,
che ejpa agli anni sessanta, allora erano liberi e
sciolti da ogni publico nifiiio. Di qui si volle
ripetere l'origine del proverbio: doversi i ses
sagenari precipitare dal ponte; cio, che pi
non vadano a dar i voli, perch per darli pas-
vano il ponte.
DLLLA V n A DEL P. R. DI M. TE RtNZl O VARRONli 1)3',
12. Hoc internano primuro forctisit digoiM
creul, alque ex tabernii Unienit argeotariae
factae.
13 . llaque bella et farde et magna diligeolia
auspiciebanl, quod bellum nullum nisi pioro pu>
lalxnt ger oportere : prinaqaara injicerent bel
lum ia, quibui inioriai factas iciebanl, fetiales
legalos ret repelilam mittebant qualtoor, quoa
oratore uocabant.
i 4 >Verbenarius ferebat aerbenam, iJ erat
caduceus pacis signum, quam Mercari uirgam
postumus aeatiroare.
15 . Stipendium appellabatur, quod aes mitili
semei)stre aut annaum dabatur; cui dafum non
esset propter ignominiam, aere dirutus estet.
16. Cum a noua nnpla ignis in face adfer-
relur foco eius sumptus, cum fax ex spinu alba
esset, at eam puer ingenuus ad ferret, contra a
uooo marito cum idem e foco in titione ex fe
lici arbore el in aquali aqua adiata esset
17. Mensae anteponebantur cum culleo ac
oino quod quae ucniebant ad foetam amicae
gratulatum, dis mactabant.
18. Natas si erat uHalis, ac sublatos ab obsle-
Ineo, aUttiebatur hi terra ut auspicaretur rtc\u%
esie: dis coniugatibus Pilumno et Picumno, in
aedibus kclos sternebator.
19. Sic in priuatis domibus pueri liberi et
puerae ministrabant.
ao. la conoioiia pueri modesli ut cantarcnt
carmina aiMiqua, in quibas laudes erant maiorum,
ct assa noce et cam tibiciue.
a i . Ne minos alio in genere sunt ludi ve
litis Galli, Germani petauristae.
aa* Tanrets neque capitia neque alrophia
neqae zonas.
a3 . Neque id ab orbita matrum familias iti-
siiluti, quod eae pectore ai lacertis erant aper
ti), nec capitia habebant.
a4 Nihilo magis propter argenti facti mnlti-
ladinem manserat in curia, quod propter censo
rum seuerilatem nihil loxariosom habere licebat.
35. Aut aliqua ex argentaria trutina aut lance
pensum prae se omnes ferrtnt.
12. In questo lasso di tempo si accrebbe di
gnit al foro, e le botteghe de' macellai lascia
rono il luogo a quelle dei banchieri.
13. IntraprendcTano pertanto le guerre, e
tardi e con gran diligenza, riputando che guerra
imprender non s doTcse che giusta non fosse,
e pria di intimarla a quelli da cui tapevano
aver patito aleno torlo, mandavano a ridoman
dare quanto loro era dovuto quattro feciali,
come ambasciatori, e chiamavanli oratori.
14. II Terbenario portava la verbena, ch' era
nn caduceo simbolo di pace, quale poisiam figu
rarci fosse la verga di Mercurio.
15. Chiamavasi stipendio, il soldo che in cap
ad un semeitre o ad un anno si pagava alla mi
lizta ; quello a cni, per castigo ignominioso, noil
si fosse pagato, dicerasi spiantalo di soldo.
16. Per parte della sposa novella era portato
il fuoco in una face accesa al focolare di lei :
la face era di spino bianco e tenevala un fan
ciullo ingenuo. 11 marito pef parte sua portava
fi fuoco in un tizzone di albero irullilVro preso
dal proprio focolare, e acqua in un'urna.
17. Si mettevano mnanzi le mense con uu
otre e col vino, perch le amiche le qnali ve
nivano pel mirallegro ad una pregnante, sacri
ficavano agli dei.
19. Se il pargolo accennava di vivere e fosse
stato dalla levatrice raccolto, si metteva in piedi
in terra per buon augurio eh' ei sarebbe diritto:
e si imbandiva in casa un leltisternio agli dei
coniugali Pilumno e Picumno.
19. Cos nelle case private si contenevano i
fanciulli e le fanciulle dei liberi.
ao. I fanciulh modesti cantassero nei convitr,
con o senza accompagnamento di tibie, antichi
carmi, che celebravano le glorie dei maggiori.
ai. N, in genere diverso, sono meno te
nere per giuochi quelli del velite Gallo o del fu
nambolo di Germania.
aa. Tuniche, r camicciuolc, n bende, n
cinti.
aS. N in ci ammaestrati dalla consnetudine
delle madri di famglia, perch queste aveano
scoperti il petto e le braccia, n usavano di ca
miccinola.
34. E tuttavia, per la gran copia di argento
lavorato, non gli riesci di rimaner nelU Curia:
non sofiferendo la severit dei censori quello che
sapesse di lusso.
a5. Tutti metterebbero innanzi qualche cosa
{tesata o sulla stadera o sulla bilancia dell'orafo.
LIBER TERTIVS
1. ..sconius i n C ctr . or at, i n Pi son. aa.
5a ed. Deiter, p. i 3 : ^ar r o quoque i n l i br o H I
De vi ta popul i Romani ^ quo l oco refert^ quam
gfatti s fuer i t er ga l ene meritos^ d ci t M uti ni
quod i n Si ci l i a cum equi tatu suo tr ansi er at
ad nos^ ci ui tatem Romae datam aedesque et
pecuni am ex aer nr i o.
a. Dflphos Apollioi roanera mi m: coronn
aurea pondo ducenlum.
3 . P. Aeliuf Paeliu cura eiset praelor orba-
nut et acdens in sella curuli ius diceret populo^
picut Marlius aduuUuii alqoe in capite eius
adsedit.
*|- 4 PocQui io iretum obuiam uenis'
sei noitrii et quosdam cepifsel, crudelisaime pr
palaogis cariois fubiecerat, quo roelu debililaret
noslros.
[ 5 . Posteaquaro Q. Fabio Maximo dictato
re . . . . tenatuj . . .
G. Nam lateres argentei alque aurei prmjim
conflati atque in aerario condili.
7. Aniraaduertendum primam, quibus de
causis et quem ad modum constituerint pacis;
secundum qua fide et iusliti^ eas coluerint.
8. Si cuius Irgati uiolali essent, qui id fecis
sent quamuis nobiles essent, uti dederentur ciui*
lati sl ataerunl, ft^tialcsque uigiula, qui de bis
rebus cognoscerent, iudicarent ct staluerrnt,
constituerunt.
9. Tum appellatus est dilectus, ct ab electione
legio; ab hac superuacaneorum constigudine ad
seriptiui.
10. Qui de adscriptiuis, cum craiU adtributi
decurionibus el centurionibus, qui eurum habent
numerum, accensi uorabantur. Eosdem cliam
quidam uocabant ferentarios, qui di*pqgnabant
fundis et lapidibus, is armis, quae ferrentur,
non quae tenerentur.
11. Rorari appellali^ quol imbribus fere pri
mum rorare incipit.
1. A.SCOOO l c. Auobe Varrone oel III Del i a
vi ta dei Popol o Romano^ dove ricorda quanto
questo si mostrasse grato verso quelli che arcano
di lui bene meritato, dice che fu data a Mutine
la cittadinanza Romana, e case, e denaro del pu
blico perch in Sicilia era passalo a noi colla ca
valleria.
2. Furono mandali a Delfo doni per Apollo^:
una corona d' oro del peso di aoo libbre.
3. Mentre P. Elio Pelo come pretore ur
bano, sedendo nella fella carole radTa ra*
gione al popolo, an pico, uccello di Marte, f ol
verso lu e gli si adagi sulla testa.
4* Essendo il Cartaginese venuto peUo Stret
to incontro a' nostri, presi che n' ebbe alcan4
li fe' sottoporre alle navi in luogo di curvi, per
togliere ai nostri, colla paura, ogui spirilo.
5 . Dopoch, fatto Q. Fabio Mauirao dit
tatore dl fenato.............
6. Poich si fecero per la prima volta ver
ghe oro e d* argento, e si riposero nell'erario.
7. t a por mente prima, per quali molivi e
per qual modo abbiano giurate le pad poi, eoo
quale fedelt e giustizia Gabbiano mantenute.
8. Fecero una legge: che se fosse violato
qnalrhe ambasciatore, i violatori, quantunque
nobili, avessero ad essere dati in mano alla citt :
e stabilirono venti fexiali, i quali in vesti gasser,
gindicassero, e ordinassero quanto a questo ar
gomento si riferisce.
9. Allora la leva fu detta dilectug^ e dalla
elezione che si faceva, legi o : i soprannumerari '
che si osava scrivere adscr i pti ui .
10. Questi adscri pti ui ^ quando erano asse
gnali ai decurioni cd a* centurioni, che avessero
gi il loro numero, dicevansi accensi . Alcuni li
chiamano fer entar i i ^ perch lor armi erano la
fionda e le pietre^ anni che si (>orUno e non si
impugnano.
11. Chiamali rorari t^ da roj, perch prima
di piovere comincia uno spruzzolo a guisa di
rugiada.
9^7
DE LLA VI TA DEL P. R. DI M. TERENZI O VARRONE 938
la. Referenlibaf cenlariooibus adopUli in
cohortes subibant, ut semper fleue esseiit le
giones ; a quo optionei in turrais clecurioouro et
in cohorlibas centurionum appellati.
iS. Qui in exercilQ donati essent, et equo
publico mererent.
4 Qui gladiis cincti line scuto cum binis
gessis essent.
15. Naro postea G. Lutatio consuli ad Aega
tis insutas, cam ipse catapulta ictus esset. . . .
16. Vt eius conuiuiro, qui triumpharet, in
Cepitotio uideretur esse proprium, ut ipse potius
donam reduceretur ceoatos a onotuio.
17W Qaod Miiqni plorii labolu contuncUS
codicM dteebant, a qo in Tiberi nauia codicariai
appellamus.
18. Qued hoikiatuf non ait, heredi porca
praecidanea suacipieoda Telluri et Cereri : aliter
iamilio prd non est.
19. Yt dum^ aopr terram esset, rkinis lo-
geipent, ianere ipao ut pullis pallis amidUe.
20. Propinquae adolescentulae etiam anthni
ciais; pf^>xnmae amicolo nigello, capillo demisso,
sequerentur luctom.
21. Quod ex lireditst Attalica aulaea, cla-
midek, plagae aureae...........
2. Ad Sybaritanam preaedam^ in qua sunt
tripodes, creterrae, anancaea, pornta nobilium to
reutarum.
23. Quo facilini aniioaduerlalnr, per omnes
articiflos popuU hanc mali gangrenam sanguino
lentam permeasse,
12. Udito il parere dei centurioni, essi entra
fallo a fiir par^ clelli; coorli, perch mai non ve
nisse a mancare il solito numero alle legioni :
quindi questi aiutanti, nelle turme dei decurioni e
nelle coorti dei centurioni, ti dissero optiones.
13 . Quelli che fossero, nell esercito, stati pre
miati con doni e facessero il servizio con cavallo
dato loro del publico.
14. Quelli che erano armati df spada, senta
scudo e con due lanciotti.
15 . Poich poscia a G. Lutazio console col
pito da un dardo presso Pisola Egali. . . . .
16. Acciocch apparisse che il conTito nel
Campidoglio era verameute per colui che me
nava il Ir ionio, ed egli, dopo cena, a preferenza
degli altri, Cosse aceqrapagnalo dal convito a casa.
19. Perch gli ntichi chiaroavno codi ces
pi tavole insieme commesse : di qua il noQie
di codi car i e alle navi che salgono il Tevere.
,18. Non essendo stalo seppellito in terra,
V erede dee immolr alla l*erra eil t Cerere
una troia pr aeci danea: allrrmentl la famiglia
noti si monda.
19. Fino a che fsse sopra terr, lo pianges
sero, coperte del r/cmio, ntta pompa fu nera >
le,' vestite di un manto oscuro.
20. Le parenti giovanettr, vestite anche di
nero, le pr prov<*ite, di dna sopravveste nereg
giarle, eoi capelli aciolti seguissero il mortorio.
22 Perch dall* eredit d'Attalo, paludamenti,
claniidi, lintei aurati . . . .
22. Alla preda di Sibari, irt cui sono tripodi,
idrie, craterri, lane lavorate da man maestra a
cesello.
2 3 . Acciocch pi facilmente si avverta che
la sanguinolente cancrena di questo male tutte
invase le membra del popolo.
LIBER QVARTVS
I. I n fpem addocebat^ oon plui ololoroi
qoam uellcnt: ini^uitM eqacilri oedini iudicU
Indidit ac bicipitem ctuilalcin fecit, discordia-
ram ciuiliam fontem.
. ]|itt Italiae oppida tool oailala, quae
prius fuerunt hoqiiouro referta.
3. Ita huiQS belli horribilia finia facta.
4. Quod Curio cum id fecisset dicebat ami
cit ut illi renuntiaretur, se obatringillaturum,
ne triumphus deocrnerctur aut ne iterum fieret
consul.
5 . Neque id caeci consules fecisient, qui man
data arcana T. Ampio dedissent, ut discedcn^
tem Gn. Magnum...........
. Caesar reuersiooera fecit, ne post occipi
tium in Hispania exercitus qui erant relinque
ret i quo se conicerei Pompeius, ut ancipiti ur
geretur .bello.
7. Itaque multis ciuibus ex utraque parte
sauciis, mullis occisis fugator.
8. Itaque rettulit auri pondo mille octin-
gentum septuaginta quinque.
9. Tanta porro inuasit cupiditas honorum
plerisque, ut uel caelum ruere, dummodo magi-
straluiD adipiscantur, exoptent.
10. Itaque propter amorem imperii magi
stratus gradatim seditionibus sanguinulentis aut
dominatus, quo appellerent...........
II. Si modo ciuili concordia exsequi ratio
nem* pareat, rumores faraaro difTerant licebit
tiosque carpant.
12. Ibi a muliere, quae optima uoce esset,
perquam laudari, dein naeniam cantari solitam
ad tibias et fides earum quae laudis tritas can-
titassrnt, hacc mulier uocata olim praefica usque
ad Poenicum bellum.
13 . LucuUun puer pud patrein nunquam
lanium conui tum uidit, iu quo plus semrl
1. L i laoeva sperare che uou atrebbero f e
gato pi di quello che loro fosse stato talento:
traaferi eoo maggiore ingiuittaia nel}' ordine
equestre la podest giudiciaria, e fe' di una aola,
due citt, fonte di civili discordie.
2. Furoo disertate le citlA stease d Italia
che prima erano fiorentisaime d'abitaolL'
3 . Cos fu posto fine a questa orribile guerra.
4. Perch Curione, fatto ci, diceva agli amici
eoo iotendimento che fosse cesto in favor di
colui, ch' ei ai sarebbe opposto a che gli de-
cretaase il trionfo, o si eleggesse console di
OUOfO.
5. Ne avrebbero fatto questo i conaoli in
consulti, i quali aveano dati ordini secreti a Tito
Ampio perch Gueo Magno die gi partiva . . . .
6 . Cesare die' volta per noo lasciarli dietro
le spalle gli eserdti di Spagna, dove ai cacce>
rebbe Pompeo per opprimerlo e per terra e
per mare.
7. Pertanto, feriti essendo dall* una e dal
altra prle molli cittadini e molli ucdsi, fu
messo in fuga.
8. Riport mille ottocento settanta cinque
libbre d oro.
9. Da tanta cupidigia di onori furono in?asi
i pi dc'cittadi i , che, avesse a cademe il cielo,
voleano un magistrato.
10. Pertanto per amore di comando di ma
gistrature o di signoria a cui tendevano, a passo
a passo per via di sanguinose aediiioni . . .
1 1. Se ora con la concordia civile son dispo
sti a far il dovere, imbocchino pure la tromba
della fama, e rivedano a noi le buccie.
12. Ivi esser portato alle stelle da una don
na, che avesse ottima voce, poi cantarsi la so
lita nenia sposata al suono di tibie e di cetre,
da una di quelle che erano osale a queste trite
lodi. Fino alia guerra Punica, una IM donna
dicevasi pr aefi ca.
13 . L, Lucullo, mila sua prima et, non vide
mai un lauto convito dato dal padre in cui s
94'
DELLA VITA DEL P, R. DI M. TERENZIO VARRONE
94
Graecum uiuam daretor: ipM cura reJiit ex
Asia inilia cadom congiariaiD dkiitit anpliui cen-
(um. C. Sentius, quem praetorem uidimui, Chiom
uDum suam doronm Dlaturo dicebat Ione pri
mum, curo sibi cardiaco mrdicas dedisses. Hor
tensios inpra decem milia cadum ht er di re
liquit.
i4 Badem postea carbasinea magis quam ut
pellibus tegereutur.
15 . Eoque pecuniam magnam consumpsisset,
quod arci, quoa summo opere fecerat, fessi pon
dere diu facti celeriter corruissent.
16. Graecia suas io aillaa comportasse
magnum pondus arlifciomm.
17. lu quo est superuacaum pro superus*
aaneo.
propinasse pi d'una volta Greco ; ma egli
di ritorno dall'Asia distribu pi di 100,000 cadi
di Tino per congiario. G. Sentio, che io vidi
qual pretore, diceva che il fin di Chio era en
trato per la prima Tolta in sua casa, quando il
medico gliene diede per guarirlo dal mal car-
diaco. Ortensio lasci al suo erede pi che 10,000
cadi di Tino.
14. Le stesse poi di lino sottile, piuttostoch
afessero a coprirsi di pelli.
15 . aveva mandata a male nna ingente som
ma d' oro, perch gli archi che a?ea fatti con
tanta cura, oppressi dal peso dopo costati si lun
go lavoro prestamente rovinavano.
16. Avet portato dalla Grecia nelle sue ville
gran numero d' opere d' arte.
17. Dove super uacuum usato per super -
uacaneum.
ANNOT AZI ONI
Il imio UHI DHill mi < pomo iomiiio
L I B R O P R I M O .
Cjhristuf I. VJhristuf ujlil. Grinim. I, p. ia6, a5 ,
cil. Keil: Di gi tum pr o di gi tor um F ar r o ad
Atti cum de ti i fa P . /?., l i br o I : neque i / l e . . .
al ti tudi nem.
chiaro il r^ffronlo nliluito da Varrone
Ira Callit le ed Eufranure, e fra la tua opera
Del l a \fita del P . R. ed il libro Annal i s di
Alli*o : ricorda modesUraenle ad Ailico che egli
rolla sua operetta Sul l a vi ta del P , ., non
rairgiunger raai la tanta procacciala a quello,
dal suo lodalistimo Uvoro cronologico ; come i
quadrelli di Caliicle, sebbene graziosi e ricer-
rati, non erano giunti a dare lo icacro a quelli
di Eufranore. Plinio, H. N. XXXV. 87, ricorda
egli pure, che Callide era usato mostrar la sua
arie in lavori minuti e al capo uno 8|den*
didu elogio di Eufranore Istmio che fioriva nel
Olimpiade Cl V. Egli non era meno celrbre
pittore che scultore rinomatissimo, ^ ci il ture
di cose artistiche. Cf. ancora Lbker Kealleni-
con, p. 159 (Il AuOage).
a. Nooius, p. 177, aS. Spor tas, Sal l usti us.
Var r o de ui ta P . ., li b. 1 : neque eni m . . .
per spi ci tur , 1 codd. hanno obsoni um i n tota
cena^ leiioue mantenuta anche dal Kettoer. Par-
verni pi oppofiiino correggere i n toi am ce
nam, Anche qui con questa siuiilitadine Var
rone alltide al suo libro, e par che voglia ren
dere ragione della sua parliione dell' opera in
quattro libri, acciocch il lettore possa meglio
vedere l'ampiezza e la bellezza della tela che si
proponeva di svogliere.
3 . Nonius p. i 5, ai. Enoda si gni fi cat ex-
planoy et guae si t pr opr i etas mani festum est^
i toc est nodi s exsol ue, Aeci us , . , , Var r o de
ui ta P . R, : ntque . . . . uel i mus, frammenio
dato scorretto dai codd. fu ristoralo dai >1errern.
A n h OT. Al MB. I>KL!.A VITA PEL P. li , DI M.
4. p. 44^ 7 Pander e Va^r o ex sti -
mat ea causa dici^ quod qui ape i ndi ger ent
et ad asyl um Cer er i s confugi ssent^ pani s da
r etur . Pander e er go quasi panem dare^ et
quod nunquam fanum tali bus cl auder etur
(queste parole giusti Ia emendatione di Lod.
Garrio antiqq. lect. 1, 3) de ui ta P . H, : hanc
deam aper i r e Qui si potrebbe agevol-
menle supplire : i deoque a pandendo di ctam
Pandam, lo ho gi avvertilo n d l ' annotazione
alla salir Menippea ^ come non sia
punto persuaso di fare una cosa si>la deHe due dee
Cerere e Panda, e che quindi non mi so accon
ciare alla derivazione etiroologif a che qi^i spac
ciata da Varrone, o, meglio, lUla da Elio e latta
sua da Varrone. 11 nome di Elio fu restituito
dallo Scaligero ( Conirct. in Varr. de 1. I. ed.
Durd. p. 80). K nome gi nolo agli studiosi di
Varrone.
5 . Nonius, p. 4) 26. M i xtur a et moder a
tur a. Var r o de ui ta P. R. lib. : seti qui d
dui tati s. Questo frammento dato corretto
dai coglici e quindi fu pi o meno accortamente
rabbercialo. Il Rolh, seguilo dal ReUner scrhse
sed quod ea et pr opter tal em mi xtur am mo-
der ata exaci scunt. lo, per tenermi quanto era
possibile vicino alta lett*;ra dei codici, ho scrit
to: mi xtur am i mmoder atamy serbando V exa
ci scunt. IVIi parve che la lezione a qneslo modo
desse un sr^nso, pi d' il altrj, soddisfacente. La
ui ta tr i pl i ci s dui tati s^ mi allude Varrone,
la triplice origine del popolo romano dalle trib
dei Ramnesi, dei Tiziensi e dei Lnceri. Dove
a notare, che quantunque questi Ire elementi
abbiano veramente dato origine al popolo ro
mano, pure e un trrore storico farli contempo
ranei di I tMinoio, ed a^crivcie a lui <| uojto lem-
' I' V a b r o w k (j.
947
ANNOI '. Al , I .I BI U) I. DI J .L A V HA t)M, 1. KOMANO
48
peramento. Se la IraJizionr, dice il Lange (Ro>
mische Allerth. [1. p. 67 ), ne ta sapere, che
Romolo, fondala Roma, difte la popoUiione
nelle tre trib dei Raraneai, dei Tiiiensi e dei
Luceri, esu non tuoI con ci che mostrarne la
"grande antichit. Ma altre saghe e traccie di pi
genuine tradizioni fanno conoscere che questa
tripartizione non che una favola. Il pensiero
di Varrone qui si scorge facilmente; resta in
esplorato altro termine del confronto. Credo
inutile proporre congetture che saprebbero di
indofinello, e tanto pi i:he la prima parte del
frammento a me odora di corruzione.
6. Nonius, p. 387, 19. Distrahere^ di ui de-
re, diffundere. Ver g. . . . Var r de ui i a P.
., Uh. I : M etum...........di straxl i . Il deli ga
tum correzione del Riccoboni. Ijfggasi la de
scrizione del supplizio di Mezio Fufezio graf-
ramente fatia da Tito Livio (Ab urbe cond. I,
28), il quale divide il pensiero di Varrone sulla
inumanit della pena, con queste belle parole,
che tanno onore al spniimento dello storico e
della sua gente : pri mum uUi mumgue i l l ud
suppli ci um apud Homanos exempl i purum
memori s legum humanarum fui t. I n al i i s
gl or i ar i licety null i genti um mi ti ores placui sse
poenas.
7. NoniuSv p. 43, 9. Vi r i ti m di ctum est
separati m et per si ngulos uiros, M. Tul l i us ....
Var r o de ui ta popul i lib, /, et extr a ....
adtrihuit. La partieella et me iiidi?a che prima
partavaei delle trib urbane. Questa distribu
zione deir agro, preso a nemici, fatta testa per
testa e non per centurie da Servio Tullio, at
testata anche da Tito Livio ], 26. L' opinione
che 26 foasero queste trib rustiche, fu da Var
rone tolta a Fabio Pittore, lo dimando d'essere
dispensalo dal parlar so questo argomento tanto
controverto, perch la nota si dovrebbe mutare
in dissertazione. Mi contento solo d'avvertire
che noi non sappiamo quale fondamento atorico
abbia questo numero di 26 assegnato da A^arrone
e da Fabio alle trib rustiche. Con. tutto il ri
spetto dovuto al patire della romana archeologia
non et sentiamo di accettai lo. Cf. I^nge op. cit.
1. 371.
8. Nunins, p. 67, a4 Pr ol etar i i di cti sunt
plebei., qui ni hi l reipublicae exhibeant^ sed
tantum pr ol em st^fficant. Cal o Var r de
ui ta pop. Rom. lib. i , (fuibus . , . proletari os.
Assi duo nemi nem uindi cem uoluerunt l ocu
pleti. chiaro che qui si parta delb riforma
Servians. Amroraso il latto storico che ufn p*
leaBO aver la pienezza dei diriiti nuloro che non
poasedeisero almeno il mi ni mum di propriet i
fondiaria, due inger di terra, si mostrerrbhe
falsa la derivazione etimologica di assi duus da
asse dando ; e si dovrebbe ripeter piuttosto da
assi der e. Parimenti l ocupl eti s ( ZZ pecuni osi
allevatori di bestiami, Cic. de rep. a, 9. Quin
tii. 7 10, 55 ) non sarebbero che i pouessori
di terra (Cf. Lange, op. c., I, 343). 1 nodemi
critici rigettano Itres la derivazione etimolo
gica che poco fa ulimroo dato da Nonio al vo
cabolo pr ol etar i i . Puoi averne un aaggio nel
Lange, op. cit., 1, 344 e srgg. paaso, che ri
porterei volentieri se non fosse lungo troppo pel
nostro scopo. Le parole assi duo l ocupl eti
dal Turnebo aggiunte al passo di Nonio ( v.
Adn. XKIX, i 5 e 19) non sono di Varrone,
ma di Gellio, N. A. XVI, 10.
9. Nonius p. 321, 33. l uxta est coni uncti m.
Var r de ui ta P. R. li b. I ........... cu m.............
l anam. 11 luogo fu corretto dal Popma sulle
traccie di Livio, che dice L ucr eti am .... nocte
ser a dedi tam l anae i nter l ucubr antes anci l l as
i n medi o aedi um sedentem i nueni unt (I, 57).
Ve.li anche Servio in Ver g. Aen, VIII, 646.
10. Noniue 53 i, 22. Secundum ntnt sol um
numer i et ordi ni s., uel pr osper um quod pl e
r umque posi tum legimus^ sed eti am i uxta.
Var r o de ui ta P . R. li b, I : Tul l um . . . . si
ni str a. Qui paria dei luoghi ove erano i pa
lazzi dei re.
11. Noniue, p. 43, 3a: Pauper tas di ota est
a pecuni a par ua, Var r o de ui ta popul i Ro
mani li b. I : pecuni a testi moni um, Qoi
pure resta a sapere con quali fatti Varrone pro>
vaue Ia povert di quei primi tempi. Coai dei
pari non ci facciamo garanti della esaltezM della
derivazione etimologica della paupertas^ che non
ci arride troppo.
12. Nonius, p. 189, i o: Ver becem, Var r
de ui ta P. R. lib. I : aut si gnum, Cf.
Plutarco Quaest. Rom. 41. Lo stesso autore,
nella Vi ta di Publicola.^ asserisce : che le pi
antiche moaet { dei Romani ) portavano im
pronto di un bue o di una pecora, oppure di
un |M>rco. n
13. Nonius, p. 162, ai : Pauper ti num, Var r o
de ui ta P . . , li b, 1: u t ...........casti moni a.
Frammento oscuro perch non ni sa a che cosa
si riferisca. 1 codd. hanno el eganti a. Lo Scaligero
( Conieot. in Varr^ e<lit. Ourdr.. p. aa ) emend
in el i ganti a. Cf. Schneider gramm. l/at. 1, 16.
io ritengo vera la rongi ttura dtllo Scaligero,
perch il verbo da cui si deriva el i go,
i 4 Noiiius, p. 494 ^ Aedi s nomi nati uo
si ngul ar i . Var r o de ui ta P , R. l i b. I : haec
Medi s / acta. F aci a sit^namqae omnia^ par-
mi buona emendatione della acriUnra dei co<ld.
fncta si t nguae om io. Il Risc<|. (de Capilo-
all
1>1 W. 11../ 10 VAI i KOM.
lio Kottoano ommenlar. !.. B iCCq, p. 160)
pens trovar qui fallo u acrenno alie lie
* del leinpio di Giotc Opiloline. 11 Keitner,
senza dirne il perch, riprova eooie errotca que
sta topposiiione. Certo sarebbe improprio uso
di aedi i iu questo aetisu* Ma di pi, se cm ftaec
aedi s li alludesse al leiopto d Giove Capitolino
non poleasi inteulere aliru che di quello rifattu
da Stila, e quindi aarel>be adoperala a torlo la
forma: mul ti t anni s post^ che, non credo, ab
bia la Torca di iiid'care uuo spatio di secoli.
Qui devesi intendere di un qualche tempio,
origine del quale voleasi far risalire e|oi:a
dei re; e, certo ancor, un qualche lenipio no
tevole per opere preziofe d arie o |er la ma-
gnificeuu deli' ardiilvttura.
15. Nouios p iGa, 17. Paupertates noue
posi tum numero pl ur al i, Var to dt ui to P, R.
ab. J : qui d . . . . paupertates. Qui un' allu
aione alla alalu di terra Hitla di Giove Capito
tino. Gi Pliuio, H. N. XXXIV, 34i notava che
lino alla souinicisioue del' Asia le statue dei
numi erano di lgno o di terra colla, e pi in
particolare di questa statua XXXV, 1571 f'^ui-
cam Fei i s accitum^ cui l ocar et Tar qui ni us
Pr i scus l oui s effigiem in Capi tol i o di can
dam ; fi cti l em eum fui sse et ideo mi ni ar i so
l i tum . . . . saepe di xi mus, E sull autorit di
Yerrio raccont# (XXXllI, 111) t h nei ,|:iorni di
solennit si u<>va colt>rir di miuio il volto di
Giove Capitolino. questa coalomania di fo roar
di creta le statue dei numi cceunava anche Pro
|erxio, i V, 1, 5 : Fi cti li bus di i s haec aurea
templa cruere,>* ritbianifndosi a questa laioa
nedesima di Giove, asseriva Vsrronc che i Ro
mani per pi di cento e settant' anui aveauo
adorali gli dei sema formar d'esai alcun simu-
Ucro. Cf. S. uguai. De C. D. IV, 3 i ; IMul.
Num. c. 6; Z<je^aio, de orig. et us. oelisc^
Rom, 1797, p. aaS. Dietro queste varie trslinio*
uianie^ sembra d rettificare asseriiooe di
Mommsen. Boiu. Geach. ed. Ili, xo\. I, p. a3 :
che cred^ si 1 non della slalua di Giove, ma
di Diaua Aveutina. Cf. Kctioer p. a3.
16. Nonins p. 189^ a5. Undulatum noue
posiium^ purum. yar r o de ui ta P, R. I : et
a . . . . hai ere. lo credo errala questa interprC'
taxione di Nonio: vesti undul ato corrispon
dono a quelle che n* i o>o eguale iniili*uilioe
chiamiamo maretxai e, L ' uso iu Roma u era
anlichisaimo, e Pl oi o W. N., Vl|4, 197, oe ri
corda iiB tessuta d Taiaquilla, ed erano pure
tenute in gran pregio.
Gli eruditi poi si dividono nel deteriniuare
quale fotte aimulecro di cui qui parola.
Varrone iteMo^ colle sue parole oe fa fede che
v' era al suo tempo pure controversia, e ila al
cuni era tenuto per la statua delU Fortuna Ver^
gine. Plinio, nel luogo allegato poco la, afa pel
simulacro Jella Fortuna e con lui Dione Cas
sio, 5 8 7. Ma |ier altro pi probabile che qui
si intenda U statua di Servio Tullio stesso. Di
questa opinione era, a>me appare, Varrone, di
questa Ovidio, il quale, scorgendo nel tempio
della Fortuna una statua coperta di toghe, escli-
ma ( Fast. VJ, G'.i4 e seg. ) :
.......... super i ni ecti s qui s l atet aer e togi s?
Ser ui us est : hoc constat eni m ; sed coitsa^ etc.:
di <(uesta Dionisio di AHcarnasso ( I V, ) : di
questa Vaici io Marciale, il quale (I, 6, 11) rac
conta anzi il miracolo che, distrutto da un i n
cendio il tempio della Fortuna, rimase iucohime
questa statua di Servio. Cf. illustrisione a que
sto luogo de! eh. prof. Pietro Canal, |>ag. 1814
della nostra colleiione.
leiione adottata dal Kettner ... pr oi nde
(altri per i nde) ut non (da altri omesso) reges
n o st r i ........... sol i ti si nt haber e. Non so se la
leaione eh io ho reputato opportuno di dare, e
che in parte ai appoggia alla KItera dei codd.
trover pi fasore. 11 non premesso a reges
non r k o riscontrato in altre edizioni; quantun
que si potrebbe sostenere dando al concetto un
senso ironico, che non voglio decidere ac qui
sarebbe bene o male a proposito. E questa lezio
ne del Kettner mi ditiene sempre pi sospetta
quando penso che queste toghe marezzate quanto
erano ni;i |rimi Umpi in favore, altrettanto cad
dero pi taidi iu dtmenlicanz, o come ai dice
poco ekgaBtemente, pi non furono di moda.
Comonque sa, lascio voleotier giudice il lettore
deMa bont dcl'a emendazione.
17. Nonias, p. a3 , a i . K al endar um aoco^a-
l um pr opr i um. F ar r o compl exus est de ui ta
popul i Romani lib I : i taque . . . . di xer unt.
Nel passo di Nonio, dopo hal abantur abbiamo
Nonae e questa aggiunta ci parve ben giusti
ficata dal* raffronto del passo d Varrone net VI,
37 de 1 . 1. : pr i mi di es mensi um nomi nati ha-
l endae ab co quod hi s di ebus kal antur eits
mensi s Honae a ponti fi ci bus.
18. Noiiius p n i , 20: Febr uar e posi tum
pr o pur gar e et purefmcere. F ar r o de ui ta
P . Ri li b. I : i n eor um . . . , facer e. 1^ radice
deila parola febr uar e du ricercare nella lingua
Sabina, come ne attestalo dal Vai rone
Vl,<5 a (Vedi annoi. <le> eh. prf. Pietro Canal
a questo luogo). Vedine i vari iherivati in Ovi<lio.
F asti 11, 19 e segg. Non cosi cerio quali fossero
le feste a cui qui allude Varrone. Geoeralrocnie
si erede le Lupercali ; ed io pure lo crdo dan
domene qualche conforto il luogo allegato del
cj5. ANNOT. AL UBRO I. DI I LLA VI TA 1>KL POP. I l OMANO 95a
opera dn l, l. 11 Kellner ne dubila suTaulorit
ili Centorno de d. n. p. G8, 4- Mulier ad
P aul i Festum^ p. 8 5 , i 3. Ho scrillo i ncer ni so
l ent J ar r i s semina^ lezione gi prroa
dal Riccoboni^ dal Mcroero, dal Preller, Rm.
M^thol . p. 116 II Kettiitr inT<*ce : f ar r i s semi ne
e si richiama all* Heindurf i n Nor . sai . Il, 47^i
ch' i o noo ho putulo vedere { n potsu quindi
discutere sulla honi dflle sue ragioni.
19. Nonius, p. i 3 5, 16. LemureSy l ar uae
noctur nae et ter r i fi cati ones i magi num et be
sti ar um, F ar r o de ui ta P . R, lib, l : qui bus
tempor i bus . . . . ei cer e. Per allro era p co-
iDQiM la credenza che i Lemuri fister Tauime
sirsae dei irapusali. A placarle erano destinale le
stesse Lemorieaig, 11 e i 3 maggio. Le rerimo-
nie di questa lesta sono cosi cantate da Otidio.
F ast i \ \ 4i 9e s egg . :
JVocr ubi cum medi a est^ somno qui si l enti a
pr aebet
E t cani s et uar i ae eonti ei scunt aues ;
a i e (cio ntpos) memor ueter i s ritus^ ti mi *
dusque dteorum
Sur gi t: habent gemi ni ui ncul a nul l a pedes,
Si gnaqme dat di gi ti s medi o cum pol l i ce innectis^
Occur at taci to ne l eui s umbr a si bi .
Ter ffi te manus pur as fontana per l ui t unda:
Ver ti tur ^ et ni gr at acci pi t or e fabas.
Auer susi j ut i aci t: sed dum i aci t: ffaee ego
mi tto ;
Hi s. inquit., r edi mo me meosque fabi s.
H oc noni es di ci t nec r espi ti t: umbr a putatur
Colli gere^ et nul l o ter ga ui dente sequi .
R unus aquam tangi t Temeseaeaque concr epat
atr a
E t r ogat ut teti s exeat umbr a sui i ,
Cum di xi t noni esf Manes exi te paterni.^
Respi ci t et pur e sacr a per acta putat.
V. anche Paul. Fest., p 87, i 3.
20. Non. p. 4 3a. aG. Mactar e est i mmolare^
F er g...... Var r de ui ta popul i Romani I H. I :
quod ...i mactant. Il Paloierio^ nello Spi ci l egi o
(presso il Griiter Larop. t. IV, p. 780) quot ka~
l endi s. Vedi in Otidio, F o f f i VI, 169, origine
di qoesia coeluroauu ccetMiata nel frammeuto.
]1 Merkvl, i n Oui d. Fast, CLXXXII, scrisse
baci am iu luogo di fabatam. Ma a torto. F a
batam era proprio la voce riluale, e ne puoi
avere io Plinio (H. N, XVIll, 118) la teslimoniau-
za : . pti sco r i tu fabai a sue r ti i gi oni s di i s
i n sacto est . .. (Vedi anche Macrub. Sat, 1,
l a, 33 e Feslo. Cf. Kellnr, op. cil., p. a3.
a i . Nonius, p. a i , 6. Cemnus di ci tur pr o
pr i e i ncli natus^ quasi quod ter r am cer naf.
L uci l i us . . . . Var r o de ui ta popul i Romam
lib. I : eti am . . . . Consual i a Di quest' uso <ii
far i giuochi aoprv pelli unte d't>lio troviamo uit
accenno in Vergilio, Geor g. Il, 3 8 4 , do?ei
demmiatori, Qompiti i latori. Ira gli altri diverti-
menti e seguendo un'antica usansa /
pr ati s unctos sal uer e per utr es. Qui, come st
vede, si tratta d** altra specie di giuochi, eh' erano
piuiiosto d' eqailibiio. Ma i*a maggioriuente al
nostro luogo annotazione di Servio al vers. 894
del libro X dir tlneide, dove alla voce cer nuus
avverte et ptter i quos i n l udi s ui demus ea
par te qua cer nuant uocantur : ut
eti am Var r i n L udi s theatr al i bus docet.
Consual i a. Vedi Varr. de 1. 1. VI, io. Erano feste
in onore di Conso. ossia di Nettuno : come ge
neralmente creduto (Til. Liu. 1, 9. Ma vedi an
notazione del Weissenborn a questo luogo). I
giuochi Consuali si fecero pi tardi nel circo
dote era ar a Consi coperta tulio il tempo
deiranno tranne il giorno della fe.ita ai 18 di
Agosto.
aa. Nniu, p. 49, 1 1 ; Vi ctui s pr ui ctas.
Var r d ui ta P. R. li b, I : pr i mum .... ui tae.
Qual signiKato l i ui da alcuno attribuito a questo
frammento, e quale inter e sembii U pi ragio-
uevoKf, abbiamo gi' avvertito nel brevi prolego
meni a quest opera. In luogo di a par tnbti s, i
codd. hanno ab parti bus. Questo errore evidente
fu emendilo da alcuni'in ab patr i bus., da altri in
a patr i bus., dal Ketiner In a par tubus.
a3 . Qui V* ha una controversia che non so
se potr essere definita, e che lei resto non
dr troppo grande importanza. Il dubbio , se le
parole in questo frammento sieho di Varrone o di
Nonio che abbia reso il concetto di Varrone usan
do di forme proprie. Motivo da dubitare porgono
le parole : Quos r i tus Var r . . . . per cucur r i t.
Il Rossbach* ( de matr i mon. Rom., p. 3 ; 4 ) tiene
la seconda sentenza, il Kettner la prima, lo non
saprei deeidermi o per una o per altra : ma
dovendo sceglierla, terrei io pure, che Nonio
non avesse che compendiato quanto Varrone scri-
tevM su questa usanza notala nel frammento.
Per sacci per i one v ha chi sdri^xe sacci pe
ri o. Questa voce era certo d* uso molto pi ri
stretto. Non ne abbiamo che un esempio: in Plau
to, Rndens II, 6, 64. Sol tr e sacr ar e. bu
na congettura tM Kettner. Altre lezioni: sol er e
resenare^ soler e r esonar e.
a4 . Nonius, p. 86, 6 ; Cul ci ta. Var r o . .
I dem de ui ta P . R. i i h. l : q u i .. . str asset.
aS. ra uso che i giuochi del circo e gli sce
nici ti aprissero con una solenne processione
(pompa). V aprivano alcuni giova netti v i qnsli
erano delti I jrdii: e pare che negli spettacoli del
1)53 DI . TERENZI O VARKONE
0^4
tc(ro corrjpoiiJessero alle noti re compar se.
Questa usatiu ti doteva ripeter Uj II' Eiraria: il
nome to dice chiaro. Era infatti opinione mollo
diffusa che gli Etmichi fossero di origine lidia :
e quitnto delle cosloraanzc d**Etruria siasi tra?a
sato in Roma cosa troppo noto perch occorra
parlariit*. Il passo di Plauto secondo la tradu-
l'one deir Angelio.
a6 Nonius, p. 55, a3. Col i nam uti er tt co^
qui nam di xerunt^ non ut nunc uul gus putai .
V atr o .... Var r de ui ta popul i Romani li b. I :
qua f i n i . . . decl ar ant. Servio ( a d Ver g, Aen.
Ili, i 34) ^i ilest che Varrone, nelP opera delle
Anti chi t^ avea data la etimologia di col i na :
quod i bi i gni s r ol atur . Qua f i ni r z qua
tenuSy i'ome fu unato da Catone e da Gellio.
Veili Feslo, p. 2586, 3a. Non avendo avvertito
a quest' uto, il Palmerio ( Spi ci l . npud Gr uter ,
L amp. T. IV, p. 772) si persuadeva che le pa
role qua fi ni . . . . posti ca tossei o il titulo del
capitolo.
27. Nonhis p. 83, 14 : Chor tes sunt ui l l n-
r um i ntr a macer i am spati a. F ar r o I dem
de ui ta P. R. li b. I : ad focum tabul i s
fabr i catum. Anche Valerio Massimo, 11, 5 5,
ricorda quale esempio della prisca frugalit che
i personaggi pi illustri non si vergognavano di
praniare io pr opatul o. La iraduii*ne eh' iu ho
dato deiroUima parte del frammento mostra
come io abbia creduto che queste parole non
ibsiero che una interpretazione etimologica del
tabul i num pi comunemente detio tabli num^
e che la voce maeni anum qui sia i^doperata irt
mi significato generico. nolo reme il tabl i
num fosse la parte pi notevole di lla rasa, dov)
sUva ordinariamente il padrone e dove si ser
bava archivio f.migliare. Alcuni ajranii del ta
bl i num della casa di Punsa possono fornirci una
idea della magniticenca eon cui era reso mae
stoso questo ricinlo: ivi statue, ivi c<piad'ogni
pt bella opera d arte, ivi candel abri di mirabile
lavorio, ivi suppellettili pre&iosissinie, ivi pavi
mento musivo, doratuie e rabis'hi a prolu
sione.
28. Consi der e, I codd. conseder e. Di que
st' uso antico, di cui cenno nel fraromeoto,
garante anche Valerio Maseim*, II, i , a, dove
dire Femi nae cun^ ui r i s cubanti bus sedentes
ceni tabant. Vedi la bella iUusiraiione a questo
luogo del prof. Pietro Canal a pag. 18^6 della
nostra colli zione : tavro, di cui tiou lamente
remo mai abbastanza la inierru&ioue, e che com
piuto, ci avrebbe data la idea pi chiara e pi
eaatta di quanto si riferice alla vita ed alle co- '
itumanic di Roma.
In un'altra delle sue opere, in quella De
gente popul i Romani ., Varrune aveva ricordata
come usanza degli antichi il mangiar seduti (per
quinto oe attesta Servio ad Aen. VII, 177),
aggiungendo di pi che tale otistume erasi deri
vato dai Laconi e dai Cretesi. 11 Krahner de
Var r . anti qq. libb.^ [. 18; il Francken. fr agm.
Var r . q. i nueni untur i n libb, Aug. d. c. D.,
p. 125; il Ritschel, iVeu. Rhei n. VI, p. 5o8 ;
A. KieKseling, de Di onj rs. Hal i car n. anti qq.
auctor . Latt,y p. 42, vollero so5tenere che questo
frammento allegato da Servio debba appartenere
ai libri de ui ta P . R. e non a quelli de gente
P . R. Io non posau actomodarnii a questo giudi*
zio per due ragioni : prima pen h non c' alcun
valido argomento per infermare P autorit di Ser
vio^ potendo benissimo una tale notizia trovar
luogo nel libro de gente P . R. ; secontia, perch
non si avrebbe che una oziosa ri(etizione. Parnii
del resto evidente che Isidoro e Servio attinges
sero a sorgenti diverse. CI. Svetonio Tranquillo
Vi ta Ti ber . 82 ( e ReiiTerschei!, Quaest. Sue-
ton.., p. 453 e p. 4^^)f Alerklin, i n Phi lolog.^
t. Ili, p. 271, e Kettner, p. 25.
39 Le parole del frammento ci mostrano co
me Nonio trascrivesse In senteuza, non le parole di
Varrone. Rettner giudica che Varrone potesse scri
vere: F a r undt nej ar i i dietim qui i ndi gni sunt
qui ui uanty quod adoreum est., nam (codd. in)
quo scel er ati uti non debeant., non tr i ti cum
sed far. Ador eum autem ab eo di ctum^ quod
ci bi ora,, i d est pr i nci pi um^ si t f ar . Noteremo
per aliro che questa etimologia varroniana non
trov lutto il favore. Coii Asronio Pediano in
3 Varr. spiega nefar i um : quod sacr a pol l ui t
far re pi o sol i ta Celebrari^ er go nefar i i sa
cr i l egi ,
30. Noniiis, p. 63, 29: Pani s pr opr i etatem
a pascendo putant ueter es aesti mandum. V a r
ro de ui ta popul i Romani l i br o J : pasti l l os
di cebant ^ H aec uocabula pastus: con f^rma
analoga Var r . de l. l. VU, 86, disse: uocabulum
est ci bi . Quod u esse n tum u pascer e. r>|
codd. hanno quod esset pascer e. La emendazio
ne del Kettner. Pel verbo pascere^ vedi Lu
ciano Muller, de r e metr i ca pot. l at., p. 4 5.
3 1. Nonius, p. 62, i 3 : L i xar um pr opr i etas
haec esty quod oj fi ci um susti neant mi l i ti bus
aquae uehendae ; I rjtam aquam ueter es uoca-
uer unt ; unde el i xum di ci mus^ coctum ( e noi
diciamo allesso ). L i x eti am ci ni s di ci tur^ uel
humr ci ner i mi xtus ; nam eti am nunc i d ge
nus l exi ui um uocatur (e noi pure diciamo lici-
va ) Var r o de ui ta popul i Romani li b. I :
pr oi nde . . . . fi ngebant.
32. Nonius, p. 68, 32. Abstemi us de ui ta
P. R. l i b, I : quantoper e .... ui dcr i . lii questo
ANNOI . AL L l i mO I. VH A DKh VOW ROMANO 05(
nei lue frainmenli che seguono discorio della
tem|)erunta delle tionne Uuiuane : e pare che
avpffKerr) tiinanii egli occhi questo tratto, Gellio
N. A. X, Si., I, che deve alludere mani Tesi amcnte
a Varrone colle parole : qui de ui ctu utqut cul tu
Popul i Romani scripserunt^Plinio H. XIV,
8o; Plutarco. Qu. Rorn, ^, e ,
. 2^4 A. ; lo Scoliaiie Veronese in Vergilio licl.
Vi l i , 2g, I. 75, 28, ed. Kt'il. Quello cui accen-
uavr Varroiie era il costume nei pai enti di : J e
wi ni s osculum dare ut sci rent an temetum
olerent. Dopo eia probabile che ricordasse gli
ciempi di Egnaiio Meleonio (o Mecennio) che
che uccise la moglie a colpi di iusta perch si
.corse che avea bevuto del t qo l'uor della bolle
(Cf. Pliiii, I. c.; Valerio Marziale, VK 3, 9), e tu
assolto da Romolo; e quello della matrona ialta
iDorire d'inedia da* suoi, perch scoperta che
ateva le chiavi della cantina, come raccont Fa
bio Pittore, e quello di C. Doroizio En^ibardo
che, come pretore, condann alla perdita delle
dila uiia donna, perch, ad insaputa del mai ilo,
avea bevuto pi vino di quello che le era slato
prcsjriilo per medicina. Cf. ancora Kellner,
p. 2G.
33. Nonius, p. 424 i 4 = Oscul um et i aui um
hi s intellectibus discernuntur^ quod ab ore
osculum^ saui um a suauitate di ci tur , Var r o
de Ul t a P, R. ; ideoque .... quod si mi l e si nt sa
uiunt. Questa la lezione scorretta dei rodd.
1 / Uaupt ( proaem, schol. aest. Ber ol . i 856),
corresse : quod si mi l e si i sauillo. Non intendo
la ragione del diminutivo, e il si mi l e parmi che
ai regga troppo sui Iratnpuli. Qualche stampa
p>ila quod si mi le si i suaui tate: anche qui v
del marcio. La nostra leiione, che quella emen
data dal Kellner, mi pare che assii si raccomandi,
et*. Festo, p. 197, 28.
34. a. Nonius, p. 55 1, i 5. Lor a conj ectae
poti oni s genus gr andaeui s aptum. Var r o de
ui ta P , R. lib. I : anti quae ... putat. Qui co-
munenienle citato il passo del Pseudol us (Jl,
4, 5 i) dove Plauto ,dice : murrinam^ defrutum^
melinam^ mei quoiquoimodi. A questo passo si
riportava Varrone ani-he nella IX (fVarom. 6)
delle Meuippee. Ma io non romperei una lancia
per Ianni paladino della identit della citaiione.
Dal passo allegalo del comico, o ch' i o Tedo
guercio, o che non y\ ha fondamento per gin
dicare che Plauto confondesse insieme il passum
e la murrina^ quando chiaro apparisce che ne
fa due cose diverse. Non volend > negar fede
alle parole di Varrone parmi si possa sospettare
che qui fosse cenno di una commedia Plautina
aidala perduta.
b. Nonius, p. 551, 5 Mur r i na (codd. mur
r una (potu confecta). Var r o .... Var r o de ui ta
P . R. lib. I : cum (codd. tu) autem . . . . conte-
ci ssent.
c. Nonius, p. 551, 7. Passum. Var r o de
ui ta P . R. li b. l : passum nomi nabant i n
sol e adur i ,
d. Nonius, p. 55i, 3o : Mor i ol am. Var r de
ui ta P . R. l i b I : ui no addi to .... ex di cebunt
sapam. Questa Irzione dei codd. Le parole
estreme del framm<M)t furono corrette dal Pop-
ma, c noi pure abbiamo se^fuito perch e-
mendumento ottimo. 1 codd. hanno aiioora
nomi nabant quod ex. Il Kellner corresse: no
mi nabant cum quod ex. Se Paolo riferisce giu
sto, mur i ol a era il nome cin cui le donne una-
ano chiamare il vino niirratq.
e. Nonius, p. 55i, 25 : Sapa quod nune mel
l aci um di ci mus^ mustum ad medi am par tem
der or tum, Var r o de ui ta P . R. lib. I : Se-
pam def'er uefaci endo. Vedi ancora Columella
c/e . . XII, 19, 1 ; 21, 1, 25. 3. Plinio al contra
rio . iV. XVl l I, 108 chiama defr uto quvllo
che da Varrone detto sapa^e viceversa. Plinio
fu seguilo da altri.
35. Nonio*, p. i 52, i 5 . Pinsere.^ tunder e
uel molere Var r o i dem de ui ta P , R.
lib. I ner. pi sunt. 1 codd. hanno nomi nati u, ab
eo. 11 Kettner corresse. Egualmente n*Ila satira
T a ^ Mfvt^irov framm. i 3, Hcc pi stor em ul l um
nossent^ ni si eum qui i n pi str i no pi nser et fa--
r i nnm ( Cf. Rilschel, Mus. P hi L Vi l i , p. 555).
E Plinio XVllI, 108: pi stor es tantum eos qti
f ar pi nsebant nomi natos.
36. Nonius, p. 54^, 33 : Toga non sol um
ui r i sed eti am f emi nae utebantur , Afr a*
ni us Var r o de ui ta P . R. lib* / pr aete
rea .... et ui r i l e. Di qiieet^'uso generale delta
toga fa lede anche Servio ad Aen. I, 282, pas<o
dove Vergilio potea chiamare i Roman> gentem
togatam.
37. Noniu% p. 542, 43: Subucul a. Var r o
de ui taP ^R . lib.. I : posteaquam et i ndu-
si um ((odd. i ndussam ). E nelP opera de i. l.
V, i 3 i. De" vestiti interiori uno, cio Ia ramici ,
si porta sotto, e per fu delta subucul a;
anche i vestiti esteriori son due: uno .... l ' a l
tro i ntusi um da i ntus perch al di denli>
(Trad. del Prof. Pietro Canal).
38. Nonius, p. 54H, aa : Castul m et cr o
cotulam^ utr umquea gener i busfl or um tr ansi
tum^ a cal ta et a cr oco. V er g...... Sed casta-
lam. Var r de ui ta P. R. lib. I pal l i ol um br e
ue uol ui t haber i : castul a .... subucul i s desi e
runt. Jl Riccoboni e il Popma giudicarono che
le parole allegate nel frammento sieno di Nonio
non di Varrone. vero che Wmodo di citax'o-
9^7
DI . TE RtNZl O VARRONt
ne ooii uialo ; m| fero pur anco che No
nio solilo aggiungere alla 'parola che cita, e-
aempio di qualche autore che abbia adoperata.
Qui, ammeste queste come parole di Nonio, egli
sarebbe venuto meno alla norma sempre seguita;
n ' ha buona raj^iona da supporlo. Per la pa
rola pr aeci nctui fedi Miiller ad Var r . de /. /,
V, 109.
39. Nonius p . 54a, 5. Ri ci ni um quod nunc
mafur ti um di ci tur pal l i ol um femi neum I reue.
F ar r o .... I dem de ui ta P. H, li b. I : et quod
.. . r i ci ni a sumunt. E nelP opera de /. /. V, i 3a.
Anti qui ssi mi s ami ctui r i ci ni um : id^ quod eo
utebantur duplici^ ab eo quod di mi di am pari
tem r etr or sum i aci ebanty ab r ei ci endo r i ci
ni um di ctum. Vedi anche Isidoro XIX, 25, t\,
40. Nonius, p. 286, 27. Aper tum^ nudatum.
Tur pi l i us. Var r o de ui ta P. R liB. I : mi no
r i s natu .... cr i ni bus. Cos) setOiido emenda
mento di Popma. I codtl. pexo uti que.
4 1. Nonius^ p. 531 3 i : For num et for naces
di cuntur a for mo^ quod est cal i do: i nde f o r
cipeSy quod candens teneant f er r um ; ut Ver -
gi l i us .... Var r o de ui ta P , R. li b. I : cocul a
for no* Cui us utr i usque vocabul um a f or mo
ductum i d est a cal dor e. Per la esattezza della
scriitura, fedi Schol. Veron. i n Ver g. Aen. IV,
146; Paul. Fest., p 83, 11. Cf. Mtlller ad Paul.
Festo, p. 39, 3. Anche Plinio ( H. N. XVl l l ,
107) atitsta che in Roma non furuno tornai fino
alla guerra contro Perseo, cio fino al 583 u. c.
42. Nonius, p. 547, 4 Tr ul l eum quo ma
nuS per l uuntur , Var r o de ui ta P . R. lib, I :
i taque ea par ata. Suspender e : s*:il. ex
ansi s (Kettner). E nel libro de /. /. V, 118, deri
va tr ul l eum da tr ua: si mi l e eni m fi gur a ni si
quod l ati us est quod conci pi t aquam^ et quod
manubr i um cauum non est.^ ni si i n ui nar i a
tr ul l a Matel l i onem. Al capo 1 19 aggiunge :
matel l i o a matul a dtcius^ qui^ posteaquam
l ongi us a fi gur a matul ae discessi t^ ab aqua
aqual i s di ci tur (Vedi f ramm. 5). E pi sotto :
pel ui s pedel ui s a pedum l aoti ane.
43. Noniufl, p. 546, i 3 ; Cati nus, Var r o ....
i dem de ui ta P. R. l i b I : d i cu n t u r p a t i n a e.
Cf. de l. /. Vy 120. Pati nas a patul o di xer e; ut
pusi l l as qui s l i bar ent coenam patel l as. Ca
ti ni . Cf. Varr. id. ib. Vasa i n mensa escar i a
ubi pul tem aut i ur ul enti qui d ponebant^ a ca-
pi endo cati num nomi nar unt ni si quod Si cul i
di cunt ubi assa ponebant. Acetabu^
I um era un faso che contenefa Ia 384*
delP anfora.
44 Noniuf, p, 547, 8 : Tr ul l eum quo ma
nus per l uuntur . Var r o de ui ta P . R. l i b, / ;
I taque ea par ata Nella n>slra edizione,
dopo il Kellner, abbiamo s<*parato le parole del
frammento 4^ c quelle del 44 che nei <x)dici di
Nonio sono congiunte. In queste infatti, dopo
le^parole essent parata^ seguita : ei us ur ceo
lum^ete. Questo ei us deve essere senza dubbio
erralo, li Kettner suppose che dovesse essere
sr.rUio : essent par ata. E t : ur ceol um ,... i l l i us.
Pel l api s manal i s vedi Paul. Fcst., p. ia8, 5,
3, 12, che lo deriva da manare. Era questo un
masso posto fuori della porla Cnpena prcsiio il
tempio di Marte che si faceva rotolare in citt
quando era bisogno di pioggia, e si repula\a
che tanto bastasse per aprire le cateratte del cie
lo, Ma, osservando la seconda parte del franr-
mento, si scorger di l<*ggieri che non regge
colla prima, e da questa etimologia quod mana
r et aquis.^ non si spiegherebbe in eterno per
ch si chiamassero manal es le persone esecrate
e maledette. Io sarei d'opinione che le parole
di Varrone non ci fossero serbate intere, e che
fi mancasse appunto la indicazione di un altro
l api s manaliSy di cui fa menzione anche Paolo
nelPultimo dei due luoghi citati, e che non sa
rebbe a derifare da mano., ma di manes. Si sa
infatti che nel comizio vi era una fossa profonda
della munduSy la parte inferiore della quale era
consacrala ai ManeSy e che si copriva con un
sas^o detto l api s manalis.^ il quale sollefavasi
Ire folte Tanno (24 Agosto, 5 Ottobre, 8 No
vembre). E siccome gli scellerati insigni con so
lenne giudizio si davano in balia, per cos dire,
a qualche nume, e specialmente agli dei infer-
nnli, perch puniti ( -
^ . Dion. 2, 10 ), cos si fede chiara
la relazione fra il l api s manal i s del comizio,
e questi uomini manal es: s questi che quello
a f e ano nn rapporto coi Manes. E qui la piog
gia e arsura non c'entrano per nessun ferso.
In luogo di nouer i t ho scritto nor i t. Vedi
Spengel, emendat. Var r . Spec. I, i 8 3o, p. 5.
45. Nonitis, p. 544 8. U t nul a est uas
aquar i um. Var r o de ui ta P. R. lib. I : i tem
ex aer e ... Si c ceter ae (codd. ceteras). Ur nul ae.
Diminutifo di urna, la cni derivazione etimo
logica dta da Varrone de l. /.V, 126: ur nae
di ctae quod ur i nant i n aqua haur i enda ut ur i -
nator . Ur i nar e est mer gi i n aqua. Aqual es.
Vedi framm. 42.
46. Nonin?, p. 545, 27. Cymbi a. Ver g.
Var r de ui ta P. R. Uh. I : i tem er nnt .... Si m-
pnui utn. Cymbi um era una spe ic di lana fatta
a foggia di barca. Vergil. Aen. 3, 67: i nfer i mus
tepi do spumanti a cymbi a l acte, ( f. V, 267.
Marziale ne ricorda fatte di creta : fi cta Sagun
ti no cymbi a mah ///o(VI1I, 6) Si nt. Cf. de /. /.
V, 123 ; uas ui nar i um gr andi us si num nb si nu
ANNOI . AL L1BR0 I. DE I XA VI TA D I Aj POP. ROMANO g6o
quod si'num (zz si nus) mai or em cauai tonem
quam pocul a habebant. Cul i gnae : Culigna
~ . l>o?iano ricorilalo qufito vaio anche
nei libri de r .r , d Calone (v.Paul.D. p. 55. a), ma
non ne ronoscianio eialtamenle la turma e Ia capa-
cilfl. Si pu snpporre che aveste la forma di calice.
Pater ae, Cf. de /. l. V, 122: i n pocul i s er ant
pater ae ab eo quod l atum -J- L ati ni i ta dicunt^
di ctae. Gutti i cf, ib. rap. 12^: qui ui num
dabant ut mi nutati m funder et^ a gutti s gut
tum appel l ar unt Sextar i i : Sextar i us era un
vate che cnnleueva la 4^^ P*r(e di un* anfora,
ossia 12 ciati. Si mpnui um. Vedi la mia annota-
Tone al frammento 5 della satira menippea E st
modus matul ae (XXX). Drvo reltifcare per al
tro un errore che mi corso, dove diceva esser
quello unico esem|>io di si mpuui um. Usarono
tal voce ancora Ci. r. p. 6, 2, P!in. 35. l a (46),
Giov. 6 343, Arnobio 4. 3 i e 7. pag. 29).
47. Nodus, p. 547, i 5. Ar mi l l um ur ceol i
genus ui nar i i . Var r o de ui ta P . R. li b, I :
eti am nunc .... ui nar i i . Abbiamo col Popma ret*
tameole cassate le parole eti am nunc pocul a
quae uocant., che nei cod!. sono ripelnte dopo
cnpi des. Cf. Varrone de /. /. V, l ai : quae i n
i l l a (scil. mensa vinaria) capi s et mi nor es capu
l ae a capi endo ; quod ansatae ut pr ehendi
possenty i d est capi . Questi vasi capi des sono
ricordali anche da Livio X, 7, 10. Cicerone de
nat, D. I l i , 17, 4^, li chiama capeduncul ae.
Ar mi l l um era un vaso vinario usato pei sacrifi
ci; dovea essere di grande capacit perch si por
tava sopra le sputile. ourioso il modo prover
biale anns ad ar mi l l um r edi t ( Lucii, apud No
nium p. 74i >3), che corrisponde quanto al senso
alla frase scrii turale r eder e ad uomi tum. Cf.
Appul. Met. 6. 22, 9. 28.
48. Nonius, p. 555, 3a. Cal par nomi ne anti
quo dol i um. Var r o de ui ta P. R, lib, I : quod...
appel l atum. I codd. hanno : Quody antequam
nomen dol i i pr olatum^ cum eti am i d genus., elc.
Questa lezione cerio errala. Tenendo conto della
notitia dala da Paolo (V. Paul. Fest., p. 46, 17),
che il nome di cal par davasi solo al vin nuovo
che spillavano pei sacriBii, In quale conviene con
altra del G/oJfario di Placido calpar^ ui num
qti od pr i mum l euatur e doUo^ si vede che al
principio del frammento dovea essfr espresso la
qualit del vino, a cui si riferisce V i d che
nella seconda met del Rammento strsso, e che,
nella lezione volgala, manca del tatto. SuiP au
torit adunque delle testimonianze allegate ab
biamo accettato l'emendamento, proposto dal
Kettner, ma da lui, non so perch, non messo
in atto, antequam nouum dol i i s pr omptum.
49. Nonius, p. 544^ 4 Cupas et ti nas. V a r
r o de ui ta P , R. l i b. I : anti qui ssi mi .... ter ti o
amphor as. Codd. i d est mor i l ongi . Questa er
ronea leiione fu variamente modificata. II Pppro
scrisse i d est f or i l ongi che vorrebbe interpre
tare come canaletti o tobi per cui far colare il
vino dal torchio. Ma qdesto non era certo arnese
da tavola, e quindi noi rifiutiamo le&ione e inter-
pretazi< ne. Fino a che non s a proposta una mi-
glioie, noi seguiremo la correzione del Rettner.
5 u. Scholia Veronensia in Verg. et log. VII,
33, ed. Kel, p. 75, 6 : ( Si num l acti s) . Asper .
Si num est uas ui nar i um ( Vedi framro. 46) ut
Ci cer o si gni fi cat non ut qui dam l actar i um.
P l autus i n Cur eul i one u hi c cum ui no si nus
J er tur . 11 Si num er go uas patul um [quod et
mascuin"] e si nus uoci tatum^ hi c autem si num
l acti s uas quodcumque l acte onustum. Var r o
de ui ta P , R. li b. I : [l epestam dt] cebant ....
qui bus nunc [acr atophor '] on poni tur . L-
pestani. Cf. de l. l. 123 . . . . di ctae lepestae^
quae eti m nunc i n di ebus saer i s Sabi ni s uasa
ui nar i a i n mensa deor um sunt posi ta. Apud
anti quos scr i ptor es Gr aecos i nueni appel l ar i
pocul i gnus : quar e uel i nde r adi ces
i n agr um Sabi num ei Romanum snnt pr oftc
tae. Vedi Ath. XI, 4^5 Arisioph. Pax. 9161
GaleolaI I I : un vaso vinario, a cui si dava la for
ma d'ebuo. Acr atophor on era un vaso per
tenere il vin piro. V*di Pollace 16,99. Cicerone
de F i n, III, 4. Varrone de r. r. I, 8.
Questo stesso frammento lo troviamo citato
in altri tre luoghi : 1. Ser ui us i n Ver g, ecl.
VII, 33 : Si num I ncti s ; si nus genus est uasis^
quod cum si gni j i camur ^ Si pr oduci t: eum
uer o gr em nm si gni j i eamus^ Si cor r i pi mus.
Var r o de ui ta popul i Romani : aut l epestam
aut gaUolam^ aut si num di cebant. Tr i a eni m
pr o quibus nunc acr tophor a di ci tur , 11. Pri*
scianus Inst. Giamm. VI, ed. U. L p. 262, 2 4 :
Gr adus quoque quar tae est., ut ostendimus.^ et
si nus; di ci tur tamen hoc si num Si pr oducto 9t
si gni fi cat uas. Var r o de ui ta popul i Romani
li b. I : ubi er at ^n u m i n mensa posi tum aut
gal eol a aut si num. III. Nonium p. 547 18: Si
num et gal eol a uasa si nuosa, Ver g. i n Bmcol i
ci s .... Var r o de ui ta P . R. li b. I : ubi er at ui -
num i n mensam posi tum aut gal eol a aut si nu.
u Lepestam di cebant uhi. w Pare che Servio
e Prisciano abl>iano drivalo il frammmto da
Aspro.
5 i. Nonius, p. 547, 2 3 . L epi stae. Var r o de
ui ta P , R. lib. I : ut f er e aut aenae, 1
codd. Aeneum al i qui uendi tant. II Reituer ae
neum qui uendi tant^ e spiega : ut pl er umque
habent homi nes uas aeneum i n quo ol eum uen
di tant, Io ritenni aliqui., solo, c sospetto n^avea
d6i DI . TL U tNZl O VAHROiNE 9 6 2
il Keltner stesso, lo separai, cosi che sia a/i z=
o/il. Lepi stae ZZ lepestae. Vetli fromm. ant.
52. Seruius in Vcrg. Aen. I, 727: Funal i a
sunt^ (juae intra ceram sunt: unde autem
di eta ? A funi bus quos ante usum papjrri etr a
ci rcumdatos hahutre maiores. Unde et funera
di cuntur quod funes incensos mor tui s praefe
rebant. Al i i funal i a appellarunt^ quod in fune^
ut ci cendi l a, lucet ( VcJi Bsrih. aJ ClauU.
Epillal. Hon. V, 206), quos Gr aeci uo
eant. Var r o de uita P, R, Faci bus .... J una
li a. Nonnul l i apud ueteres candelabra di cta
tradunty quae in capi ti bus unci nos haberent^
quibus nffigi solebant uel candclae uel funes
pi ce delibuti^ quae interdum erant minora^
ut gestar i manu et pr aeftr r i magi strati bus a
coena remeanti bus possent. 1 co<)d. ex eo f u
ni culo facto earum uesti gi a que ubi (cod. di
Folda: quod ubi^ ea fi gebant. 11 Salmasio e il
Daniele proposero altre emendazioni rigel tale dal
Keltner che scrisse aut ex funi cul o facta cera
uesti ta. lo credclli ben latto di mutare il uestita
in uestito e ritrirlo a funi cul o. Cf. anihe Isi
doro Origg. XI, 2, 34, luogo per altro scorrelto
e da emeodarti, secondo il Kfltner, cosi : quos
ante fer etr um ante usum papyri cer a ci r cum
datos ferebant. Lvideutementc Isidoro ebbe di-
iiaozt agli occhi Servio : ambidue i passi giustifi
cano la mia correxione.
53. Nonius, p. 11, i 3 : Tor or um et torali um
(codd. tori ali m et tor i ai i umj desi gnator est
Var r de ui ta P. R. lib. J : quod fr ontem
appellabant. 11 quod dei cod 1. t'a a ragione, par-
mi, mutalo dal Muller (in Varr. de i. l, V, 166)
d qua. Nel luogo or ora citato Varrone di-
cefa : lecti ca quod legebant unde eam face
r ent stramenta atque herbam ut eti am nunc
J i t in castris^e pi sotto : qui l ecti ^m i nuolue-
bant quod ftr e stramenta erant e segete se
gestri am appellarunt^ ut eti am nunc in ca
stris^ nis^si a GraeciSy nam '/. E al
capo seguente : Lati num toraly quod ante to
r um ; et tor us a torso^ quod i i s i n promptu.
Lucilio al lib. XV Penul a; si quaeris^canteri us
termi s segestre. Uti l i or mi hi quam sapiens.
Nota poi uso che se ne lece notato da Festo;
segestria uocari pell es nautuas quas Gr aeci
appellant.
LIBRO SECONDO.
I . Nonius, p. 498^ 17: Geni ti uus pr o abla-
tiuo. M. Tul l i us... Var r o de ui ta P. R. lib. I I :
ut noster.... gesseri nt. 1 coild. Romae Capi tol i i
si nt. Questa scrittura errata perch contro la
erl storica. Si potrebbe correggere : Romae
excepto Capitolioy ossero Romae praeter Ca
pi tol i um. Cf. Tit. Liv. V, 5 i, 3.
a. Nontus, p. 228, i 3 : Torquem generi s
masculi ni . Luci l i us .... Femmi ni ni . Var r o ....
I dem de uita P . R. lib. I : aur i pondo .... con
secratae. E CT dente dalla partizione di quest'o
.pera che nei codd. da riporre lib. 11 invece di
lib. 1. Il Niebhnr (Hi st.Rom^ voi. 11, p. 620,
Ed. II, Brrol. i 83) scrisse : matronarum orna^
mentis aureis^postea, etr. Non si scorge il biso
gno di questa correzione. Aur i pondo duo
mi l i a acceperunt. Quexta somma non conviene
con quella indicala da Tito Livio, V, 48 c <1
Pii io, H. iV., XXXl l I, 14, i quali due autori
scrivono che il prezzo pattuito fosse solo in 1000
libbre d' oro. Plinio anzi risponde all*obbiezione
che si taceva: essersene trovate 2000 laella sella di
Giove dove era]stato da Camillo riposto il deoaro
sorpreso mentre 'pesava ai Galli e dice : nec
i gnoro duo mi l i a pondo aur i peri i sse Pompei o
I I I cs e Capi tol i ni l oui s soli o a Cami l lo ibi
. AI LIBRI ULLLA VITA PEL P. H., DI M.
condita^ et i deo a pler i sque exi stumar i duo
mi l i a pondo coni ata (intendi: per riscattare
la citt) ; quod accessi t (cio 1000 lib
bre) e;t Gal lor um praeda fui t^ detractumque
ab i i s in par te captae urbe delubris. Di queata
generosit delle matrone romane, di cui cenno
nel frammento, ia fede anche l ito Livio, V, 5o,
7. Aur um et torques multae^ cio del peso
totale di 1000 libbre. Consecratae. Cf. Tito Li
vio, V, 5o, 6: aurum quod Gal l i s ereptum erat^
quodque^eie..........sacrum omne iudicatum et
sub l oui s sella poni iussum.
3. Nonius, p. 485, 17. Exer ci ti uel exerci -
tuis pr exerci tus. Accium .... Var r o de uita
P. R. lib. I I : quibuscum .... deuouit. Hosti
bus^ i codd. hosti : quicum .... dederunt hos^.
Il codice Lvidente quod quod^ gli altri codici
quot quot. Il Palmerio qui d quid, Exer ci ti :
non so perch il Kettner veda la necessit di
scrivere exer ci tui s quando esempio di Nonio
allegato proprio per mostrare che usavasi dire
tanto exer cui quanto exerci tui s. Cf. l^renz ad
Plauti Mostell. V. 1, 58 (v. 1093). Si allude
alla pace Caudina. Deci us : non so se si tratti
del padre o del figlio; del primo vedi Tito Li
vio, VI, 8, del secondo, X, 28.
. V a r r o r c .
I>ti3 ,. AL UBUO l i . DKLl.A VITA DliL POP. HOMANO
964
4. Nouius, 532, 12. Negati uas duas pr
negati ua una acci pi endas Var r o monsfr aui t
(le Ulta P , R. Uh. I l : qua ahsti neuti a .... acci -
pere. Un altro eiempio Ji due negazioni per una
fob to abbiamo veduto nel framiuenlo a della
aatira Bi mar cus, Quanto qui ricordato dal
frammeiUo ti riferisce ai leotalivi. falli dal re
INrro e dal suo legrelaro Cinnea per guadagnar
i Romani, e specialmente Fabrizio, ai desideri del
re a furia di doni. V. Plut. vi ta di Ptr r o^ cap. 18.
Anche Giustino, W^lll, 2, pot dire : nemi nem
cui ps domus thuner rus pater et (Cyneas i n
ueni t).
5 . Nonii^ p. 49 4 *5 : Gr adui s pr gr adus,
Var r o de ui ta jP. R. li b. I I : mul ti pr aedi ti , . .
i l i pendi a facer ent. 1 cudd. mul to e in luogo di
peri erunt,, di ner unt. Il codice Leidense di xe
r unt. Di questo dividere Pe l H per gradi abbia
mo altri esempi. Vedi pi sotto il trammento
11, e Censorino de d. /1., p. 83, 8.11 senio oscuro
di qussto frammento fu cos dichiarato dal Kett
ner ; cwn mai or par s adul escenti ae nempe
anni 17 usque ad 3o, confi cer etur in sti pendi i s
faci endi s^ consentaneum est (aut omnino i l l i s
tempori bus aut nesci o gua i n pugna ) mul tos
per i i sse adul escentes, et pr ae ceter i s eos qui
pr aedi ti er ant pudor e et pudicitia,^ cum i gnaui
per i cul i s non sol eant se commi tter e,
G. Noniusi p. 287, 9 : Di str aher e^ separare.
Ter enti us Var r o de ui ta P . R li b. I I :
di str acti one . . . . consenesci t. In senso trasiate
us anche de l. /. X, 16 il Yerho aegr otar e. Cf.
anche Lncret. 1116.
7. Nonius, p. 481, 11. Foci l atur , Var r o de
ui ta P . R .: pr opter ..foei l l atur . Parvemi buo
no seguire la lezione dei codd. e non adottare con
Ketlner il plurale J oci l l antur . Questa seconda
forma, bench ricca d' enempi (Cf. Zumpt. 1^-
tcin. Gramm. 3 6 ^), non fu mai adoperala da
Cicerone.
8. Nonius, p. a3, s8. Consul um et pr aeto
r um pr opr i etas, quod consul ant et pr aennt
populi s., auctor i tate Var r oni s ostendi tur^ de
Ulta P , R. li b. I I : quod i dem . . . . consul es. I
codd. Senatui . Cf. de l. l. V, 8o : consul nomi -
^t u s qui consul er et popul um et senatum ....
pr aetor di ctus qui pr aei r et i ur e et exer ci tu.
Ascolta il Lange (RomiKbe Alterthumer, I, 4 a4 ):
L' impero che enst ( L. Giunio Bruto L. Tar
quinio Collatino) ricevettero si aomin i mper i um
consulare^ perch coocesto in pari tempo due,
in opposizione all i mper i um r egi um. Quelli a
coi fu concesso quetO impero furono detti pr ae
tor es (Cic. de legg. Ili, 3, 8; Liv. I l i , 55,
Vi i , 3 j Fest., p. 161; Paul., p. 22 3 ; Plinio, H.
Pi.. XVIII, 2, 12; Gellio XX, i ; XI, 4^. 47),
non per la loro supremazia militare soltanto, ma
speiialmente perch stavano a capo dello Stato.
(Vedi Varrone I. c.; Nonio, p. i 5, ed. GerUch)
Avuto riguardo poi al loro potere collegisle, pare
che siculi chiamali pr aetor es consul es (?-
70 , Dion. 179 * ? ) * <1> la legislazione
decemvirale la denomiiiaiione coioanc fu solo
consul es (cf. Zonara I, 19, ttc yip c^ctoii (-
Toy ^poaayopfv^fivai. Liv. Ili, 55):
e questo trasse a dedurre falsamente questo ti
tolo dal verbo consul er e (Dion. IV, 76; Cic. de
or at. 11, 39; Pomp. Dig. 1, a, 2, 16; Varr. I. c.;
Non. I. c.). Per rispetto alla loro podest gindi-
ciaria potaano esser chiamati anche i udi ces (Cic.
de l eg.nU 3, 8; Liv. i l i , 55; Varr. dt l /. VI,
88 ), ma questo nome non pare che sia stalo
d uso comune.
9. Nonius, p. 57, a. Cur i am a cur a di ctam
Var r o designat^ de ui ta popul i Romani lib. I l :
i taque pr opter cur am l ocus quoque^ qua suum
qui sque domum senator confert^ cur i am ap
pel l at, Questa la lezione dei codd. conservata
anche dal Ketlner, tranne che, seguendo il Pop-
ma, mut ultime parole in : cur i a appellatur,,
e col Alercero il domum in domo. A me tutta
via questa lezione pare gravemente sospetta. Il
Lipsio. Epi st. quaest. IV, 23 : quo sententi am
qui sque senator , lo sospetterei di una lacuna
nei codd. che si potesie supplire con curam.^
cos che fosse a leggere : quo suam qul sque
cur am domo^ eie. A questo giuoco di parole
fra cur i a e cur a avea occhio \Srrone nella sa
tira '- quando diceva di Attilio uomo
gioviale che: in Cur i a macor e macescebat.
10. Nonius, p. 519, 20. Censer e et ar bi
tr ar i aeter es cognati one quadam soci a ac st*
mi l i a uer ba esse uol uer unt. Var r o .... Var r o
de ui ta P . R. li b, I I : i taque . . . . ar bi tr ati .
AI contrario e con pi ragione al V, 81 de I. I.
Censor ad quoi us censi onem^ i d est ar bi tr i um,
censer etur popul us (Ve li la nota del rh. prof.
Pietro Canal a questo l uogo). Egualmette Tito
Livio IV, 8. censor es ab re appel l ati sunt.
I r. Nonius, p. 523, 22. Sexagenar i os per
pontem mi ttendos mal e di u popul ar i tas i ntel
lexi t., cum Var r o de ui ta P . R, li b. I I ; ho
nestam causam r el i gi osamque patefecer i t:
cum i n qui ntum per pontem fer ebant, A
non dir le cose due volte, vedi per questo pro
verbio quanlo abbiamo discorso nella satira Se-
xagessi s p. 876 di questa edizione. Per i cin
que gradi tli ei fissati da Varrone v. Servio ad
Ver g. Aen. V, 295, e per questo quinto grado
Censorino d. d. n., p. 33, 8. Consulta anche
Paul. Feit., p 76, 7; Festo, p. 334i iC e Jaho
iMicrob. Sai. 1, 5, 10.
05 DI M. TKRENZI O VARRONI i
9 6 6
la, Noniup, p. 5Sa, 18 : Taber nas non uina-
ri as solum^ ut nunc dicimus^ sed omnes qnat
sunt popul ari s usuf^ auctori tas Romana pate
feci t, Far r o de ui ta P. R. lib. I I : hoc i nter
uallo J actae. Cf. RikscheI proero. ichol. aesliu.
Bonn. 1845, p. V. Hoc interual lo tempori s:
cio dal 3o5 di Homa (^49 * 44^ (33o)
Dice iiKetliier che questi fiiniti eslremi Ii desume
da tlue |assi di Tito Livio III, ^ 4<>, 16.
Quesia limitazione per allro troppo larga, per
ch il secoodo dei passi di Livio oe mostra, che
erano nel 444 ormn piantale le tabernae ar
gentari ae. Ecco le sue parole: tantum magni
fi centi ae ui sum in hi s (scilicet: eaptini s urmi s)
ut aurata senta domi ni s argentari arum (icili-
cet : tabernarum^cf. 1, 35, 9) ad for um ornan-
(ium di ui derentur. Queste botteghe erano luogo
i due lai del foro (cf. XXVII, 1 , 16). op
portunamente nota il Weissenbom : Che quan
tunque allora non avesjit'ro per anco i Romani
moneta d argento battuta ('. IV,Co, 6. Momrasen
Gesrh. d. Muni>ves 1, 421), pure poteano essere
in Roma baiieliieri e chiamarsi ar gentar i i ; per
ch dall'Italia inferiore e dall' Etraria venifa a
Roma mtla moneta d' argento (cf. VII, 21, 5).
La voce anienis^ quantunque sia la vera, non
c costante nei codd.
i 3. Noninj^ p. 629, 17: Feti al es apud e-
teres Romanos er ani qui sancto legatorum
officio ab hi s qui aduersum P. R, ni aut r a
pi ni s aut i ni ur i i s hosti li mente commouerant^
pi gnera facto foeder e i ur e r epetebant: nec
bella indicebantur^ quae tamen pi a uocabant^
pri usquam i d fui ssetfaeti al i buS denuntiatum.
f ' arro de P. R. lib. I I : i taque bella ora
tores uocabat^ I dem lib. I I I si cui us seqq.
Le prime parole, (giusta la congettura del Nie-
buhr, Ui st. Rom. (ed. II, Berci. 1827), voi. I,
p. 3 i 4 de l. /., V. 86. Feti al es quod fi dei
publi cae i nter populos pr aeer ant; nam per
hos fi ebat ut iustum conci peretur bellum et
ut i nde desitum^ ut foeder e fi des paci s con
sti tueretur. Res repetitum : dievasi r^es
r i peter e questa soddisfazione che era diman
data tlai Tei iati, perch in origine il casus
///nasceva da rapine d'uomini e di bestiami.
Ila cgujtle significato il verbo cl ari gare (Plinio
I I . IV, XXII, 3 ). Per quel che spetta al col
legio iliii Fcziali, a non estendermi fuor di pro
posito, mi tocca rimandare agli autori de ne
trattarono in particolare, p. e. I^aws, de feti al i
bus Romani s. Deutsche-Kroue 1842; Wctsels,
de feti al i bus. Groningae i 854 ; Lange Romische
Alterthiimer 49
i 4 Nonius, p. 528, 17. Caduceus paci i si^
gnum. Far r o pronunti at de uita P. R. Uh. U
uer bennatus .... possumus aesti mar e. 1 codd.
nam Mer cur i i , Plinio N. H. XXII, 5 : aucto
r es i mper i i Romani condi tor esque i mmensum
qui ddam et hi ne ( se. herhis ) sumpsere^ quo
ni am non al i unde sagmi na i n r emedi i s pu
bl i ci s fuer e et i n sacr i s l egati oni busque uer -
benae. Cer te utr oque nomi ne i dem si gni fi ca
tur^ hoc est gr amen ex ar ce cum sua ter r a
euul sum : ae semper e l egati s cum ad hostes
cl ar i gatum mi tterentur ^ i d est, res r aptas
cl ar e repeti tum^ unus uti que uer benar i us uo-
cabatur . Cf. Gellio N. A. X, 27, 3 . Per la rela
tione fra il catiuceo di Mercurio e Ic verbene
dfl P ater Patratus.^ vedi Servio ad Fer g. Aen.
IV, 294. Queste verbene erano stirpate dalla roc
ca Capitolina, e il capo delT ambasceria se ne cin
geva il capo ( Vedi Tito Livio 1, 24, XXX, 4 3 .
Servio ad Fer g. Aen. XII, 120, che pecca per
altro di qualche inesattezza. Fe^t. p. 821 sagmina).
15 . Nootif, p. 532, 7. Aer e di r uti appel l a
bantur mi l i tes, qui bus pr opter i gnomi ni am
sti pendi um i d est mer ces menstr ual i s aut
annua^ qu e esset i n nummi s aer ei s tubstr ahe-
bntur . F ar r o de ui ta P. R. lib. I I : sti pen
di um . . aer e di r utus esset, Codd. non si t.
Cf. Paul. Fesl. p. 69, 17. Cf. de L l. V, 182 ....
sti pendi um a sti pe di ctum quod aes quoque
sti pem di cebant. Dal 348 di Roma (cf. Tit. Liv.
IV, 69, 6) si pag del public\> erario, e uoa volta
tanto per ogni cjimpagna, cio, all* anno, da cui
Ia frase sti pendi a facer e.
16. Nonius, p. 112, 2 5 . F a xs pr o face.
F ar r o de ui ta P . R. lib. I I : cum a noua
nupta .... i n^nuus adfer r et. N<*nius p. 182, 19.
Ti ti onem^ fustem ar dentem. F ar r o de ui ta
P: R. lib, I I : contr a a noub mar i to ... adl ata
esset. Nonius, p. 3o2, 5 : Fel i x^ fr uctuosus.,
f er ax. F er g...... F ar r o de ui ta P . R. li b. I I :
contr a nouo al l ata esset, 1 codd. /ax, ma
le parole di Nonio Io niO^tiano che d*bba leg
gersi f axs E x spi nu. 1 codd. ex pi nu. I^a
prima da preferire. Vetli la mia alinolalfone
al framm. 14 della satira ^<
Curn i dem (i. e. gin). I codd. cum tem.
Thilo, p. 22, ex f el i ci ar bor e i gni s et i/i, etc.:
raggiunta oiiosa. Intorno a (|oesto frammento
vedi le giudiziose osiervaiioni lello Scaligero
( Coniect. in Varr. de l. ed. Dnrilr,, p. 28). Il
Popn>a le^gc* : f oco aedi l i s, |erch xt-condo Plu
tarco: cer tum est apud aedi l es i ncendi faces i u-
gal es consueui sse.
17. Nonius, p. 3i 2, i o: Foetum., oner e l e
tta tum. Fer g, F ar r o de ui ta P. R. lib. I I :
mensae mactabant. I codd. : ac uno i n
quoque ueni ebat! Mactar e. Vedi it fram
mento 20 del lib. I. Per usanza acccnaata da
9<7
. AL LIBHO 11. DE I XA VITA DEL POP. ROMANO
9
Varrone, ?. TcriuUiaoo De nnima^ ^9. PreMfr
RcMTifcbe, MyiboK, pg. i 3 4 >>43.
18. Nonius, p. 5a8, i 3 : Pi umnus et P i
cumnus di i pr aesi des auspi ci i s coni ugal i us
deputantur . F ar r o de ui ta poputi Romani
ih, H : natus si er at ... ster nebatur . E Ser
vio i n Ver g. Aen. X, 76 : Var r Pi l umnum
et Pi cumnum i nfanti um deos esse ait\ eis<fue
pr puer per a l ectum i n atr i o sterni.^ dum ex
pl or etur au ui tal i s si t <fui natus est. Lo stesso
i n Vergn Aen, IX, 4 ( P i l umnum et P i cum
num) Var r coni ugal es deos suspi catur . V.
Preller. Kom. AJilhol., p. 332. Questi dei erano
creduli IrateUi e iti origiue doveano e>ser dei
cam|ieslri : il primo portava uiu mazza (pilum)^
con cui iusfgn a tritare il grano, altro in
trodusse oso di concimare il campo, onde era
dello aocbe Ster qui l i nus (Ster^ui li ni us^ Ster
cutus (Stetcuti us). Non parlo di quest'uso di
metlere il bambino in terra, cciocch il padre,
o?e lo volesse riconoscere per figlio, e compiere
i doveri di padre lo raccogliesse, e dell' augurio
cbe quasi si prendeT* dal fargli toccare co' piedi
al suolo, perch soii cos troppo note.
19. Nonius, p. i 5 6 , iG. P uer ae pr o puel l ae
Var r o ... I dem de ui ta P , R. li h. I h hi mi hi
str ahant. Vedi egu^l uso della voce puer ae nella
satira Deui cti y iramm. 4* il Ketlner nota : Cum
pr i uati s domi bus opposi tae si nt aedes deorum^
suspicor^ pr aecessi sse menti onem cami l l or um
de qui bus, u. Varr. de l /. VII, 34, Paul. Fest.
p. 43, i 3, e pag. 63, 11, e pag. 93, 9 Macrob.
Sal. Dionys Halic.
20. Nonius p. 77, 3. Assa uoce, sol a uoce^
l i nguae tantum modo aut uoci s humanae^ non
admi xti s al i i s musi ci s tsse uol uer unt, Var r o
de ui ta P . R. li b. I I : i n conui ui i s . . . . cum
ti bi ci ne, Vedi per qaeslo, Catone oelle Or i gi ni ;
e Cicerone nelle Tuscul ane : mos apud mai o
r es hi c cscul ar um fui t^ ut dei nceps qui accu
barent^t caner ent ad ti bi as cl ar or um ui r or um
l audes atque ui r tuti s.
21. Nonius, p. 56, 3 1. Petaur i stae a ueter i
bus di cebantur^ qui sal ti bus uel schemi s l etti o
r i bus moner entur : et haec pr opr i etas a Gr ne-
ea nomi nati one descendit.^ n wiTatv^eti.
V^srro I dem de ui ta popU Romani Ub. I I :
nec mi nus . . . . petaur i stae, lu non direi che
petaur i sta derivasse da ma l da
Toui^y una specie d ruota oscillante in ari. Due
di questi giocolieri con contrario storzo si sto*
diafano )' uno di spingerla innanzi, V altro di
tenerla ferma; se vinceva il primo, il perdente
era laiK'iato in aria. Questo giuoco ricordato
in Lucilio, in Marziale, in Giovenale. V. Festo
ad u. e b illustrazione dello Scaligero.
22. Nonius, pag. 542, 25 : Capi ti a^ tegmi
na. Var r de ui ta Pop. Rom, lib, //, tuni
cas,., tonas. I dem i n eodem: neque i d. ... seqq,
H aec et capi tul a appel l aui t. Questa interpreta
zione di Nonio dimostrala falsa cKal seguente
passo di Varrone : Cnpi ti um ab eo quod capi t
pectus^ quindi una camicinol.
23. Nonius, p. 542, 27. Capitia.^ capi tum
tegmi na. Var r o de ui ta P . R. li b. I I : tuni
cas neque . . . . seqq. I dem i n eodem : neque
i d ... habebant, Haec et capi tal a nomi naui t.
Qui nota l'uso translato di or bi ti o e la coslru*
zione rara di i nsti tuer e.
24. Nooins, p. 465, 26. Mul ti tudo cum si i
numer i populorum^ ut qui dam putant^ V ar r o
pr o mul to non absur de eti am adscr i psi t de
ui ta P . R. li b. I I : ni hi l o magi s l i cebat.
1 codd. mul ti tudi nem i s er at fur andum. II
I^mbecto ( pr odr om. l ucubr . Gel l i an. 1647-1
p. 5o): mul ti tudi nem i us er at excur i andi :
approvato da I. G. Schneider : scr i pt. R. R, IV,
3, p.*tg 90. Qui discorso di P. Cornelio. Rn
fino, gi due volte console e dittatore, il quale
fu rimosso dal senato dai censori C. Fabricio
Luscino e Q. fclmilio Papo ( 4?9 ^i Roma, 279
a. C.) perch trovato possessore di dieci libbre
di argento conialo.
25. Nouius, p. 180, 3 i. Tr uti na. M , T ul
l i us Ci cer o . . . Var r de ui ta P . R. li b. I I :
aut al i qua . . . f tr r ent, 11 Kellner aut l i ngua
pensum. Aggiunge poi cbe il luogo inintelli-
bile. Confesso anch' io di non raccapezzarmi ;
ma ho cercato, emendando quel l i ngua che non
m'entra per aleno verso, d dare un senso che
non fosae troppo fuori di iuono.
LIBRO TERZO.
1. 11 tradimento del Nnmtila Multine rac*
contato da Livio XXVI, 40. Lo storico stesso
conferma le onorifcenze che furongli falle pel
bene che era veoulo ai Romani dalla sua mala
opera: Mutti nes el i am ci ui s Romanus f actus
r ogati one ab tr i buno pUbi s ex auctor i tate pa*
tr um adpl ebum /afa (XXVll, 5, x5). CI. Lange
Rum. llerth. 11, 67, 9.
9^
DI m. TERENZIO VARRONE
970
1. Nonio, p 163,3. Pondo ducentum none
F ar r o i aept; dt ui i a P . , lih, I I : Del fos
d^centum, Questo ptiio va rileriio SctpiuiM
Africano (549 ^ ** ^)> rileva cUl
coofrooto di uo luogo <]i Livio : L udi dei nde
Sci pi oni s magna fr equenti a et f auor e i peetan*
ti um celebrati ^ l egati Dei phos {Vedi Preller,
p. 67) ad donum ex pr aeda Hasdr ubal i s por
tandum mi ssi M, Pomponi us Matho ac Q. Ca
tiuSy tul er unt cor onam aur eam ec pondo et si
mul acr a spol i or um ex M pondo ar gento facta.
Dove il cc, come opportuiiameote al noatro fram
mento otsrrva il Weisseiiboru pu essere ducen
ta o ducentum (Ct. XXIJ, 87, 5 ; \ \ \ l l 4, 9).
3. Nonius, p. 518, 3o. Pi cumnus est aui s
M ar ti dedicata^ quam pi cum uel pi cam ko-
cant^ et deus qui sacr i s Romani s md\ i betur ,
Aemi l i us M acer ... Var r o de uitm P . , li* I I I :
Pel i us Paetus ... adsedi t. 11 Riocoboni enend
P , Ael i us Paetus* II fallo stesso e narralo da
Valerio Massimo V 6, 4 N. H. X, 4 >*
1 tre autori per altro, coacordi nella soslana del
fatto, variano nella deteriDoaaione Jel nome, per
ch Varrone noaina un P . Ael i us pr aetor ur
banus^Valerio uo L . Ael i us pr aetor e Plinio on
Ael i o Tuber o pr aetor ur banus. Vedi Kellner
prokgg.f p. 14^ i 5. 11 ftlo successe poco prima
della battaglia di Canne, dove il pretore con 17 (?)
dei suoi laK la vita.
4. Nontus, p. i 53, 27: Pal angae di cuntur
fustes teretes^ qui naui bus subi ci untur cum
adtr ahuntur ad pel agus uel cum ad l i ttor a
subducuntur ^ unde eti am nunc pal angar i os
dicimuMt qui al i qui d oner i s fusti bus trans--
uehunt, F ar r o de ui ta P , . li b, I U I . Cum
Paenus ... debilit<wet nostr os. I codd. li b. ////,
che certo da mulare in III giutia la partizione
cronologica che nei Prolegg. abbiamo dello se
gnila da Varrone in quesl' opera. assai pro
babile che Valerio Blassimo avesse questo luogo
dinanzi eli occhi quando scrveve IX, i l est. 1
(Kar i hagi ni enses) eadem usi cr udel i tate mi l i
tes nostr os mar i ti mo cer tami ne i n suam po
testatem r edactos naui bus suSbtrauerunt^ ut
ear um car i ni s ac ponder e el i si i nusi tata r a
ti one mor ti s bar bar am fer i tatem sati ar ent.
5. Ni<iuf,p. 4^4i ^ * Senati uel senatui s pr o
senatus Pl autus ... F ar r o de ui ta P . . li b. I :
posteaquam ... di ctator e. Codd. li b. I . La ragione
allegata nel frammento antecedente, per mutare
lib. 1111 in lib. Ili, ci ubbliga pare a correggere il
liU 1 in libro 111, perche si parla del dittatore Q.
Fabio Massimo, che ioti ve appunto al tempo della
guerra punica, il frammento mntilo : le parole
di Nonio ci costringono ad aggiungere senatui s
o senati che si^.
6. Nonins, p. 5 ao, i 6 : L ater es apud quos
dam^ ut scrobes., cui us gener i s habeantur^ i n
cer tum est : sunt autem gener i r mascul i ni :
F ar r o de ui ta P . R. l i b, I I I : nam l ater es ...
condi ti . Questo tempo sembra doversi determi
nare fra la Seconda e la terza guerra punica.
Dopo la seconda perch se crediamo a Plinio
(N. H . X X X u f 5 i ) fioo allora la republica non
usaTa imporre ai nemici che pagassero alcuna in
dennit in oro, ra sempre in argento : prima
della lena, perch sette anni avanti che questa
scoppiasse ( Plinio, I. c , 55 |, essendo consoli
Sesto Giulio Cesare e Lue. Aurelio Oreste (157
a. C. ), avetnsi nel tesoro publico 17310 libbre
d oro e aao8o d' argento in verghe (l ater es) .
Alla parola l ater es Plinio oppone i n numer ato^
e i n nummo.
7. Nonius, p. 149 i 3. P aces pl ur al i nume
r o noue posi tum. F ar r o de ui ta P , R. lib. I I I :
ani maduer tendum .... col uer i nt,
8. Nonius, p. 5^9, 16. Faeti al es apud uete-
r es Romanos erant^ qui sancto l egator um oj fi
CI O ab his., qui aduer sum P , R. ui aut r api ni s
aut i ni ur i s hosti l i mente commouer ant^ pi -
gner a faci o foeder e tur e r epetebant : nec bel l a
indicebantur.^ quae tamen pi a uocabanty pr i us
quam i d fui sset faeti al i bus denunti atum. F a r
r o de ui ta P . R, li b. I I : i taque bel la . . . seqq.
I dem li b. I I I : si cui us l egati et consti tue
r unt. Le uHime parole secondo le emendazioni
del Perotto. Vedi Libro 11, frammenti i 3 e 4.
9. Nonius, p. 57, 7. Legi onum pr opr i etatem
a di l ectu mi li tum^ F ar r o de ui ta popul i R o
mani l ib. I l i di ctam i nter pr etatur : tum ap
pel l atus es t ... adscr i buntur . Questa la lezione
dei cdd. seguita anche dal K)ttner. lo mutai col
Mercero adscr i buntur in adscr i pti ui ^ paren
domi che come Varrone avea data etimologia di
del ectu e di legio^ con qui desse quella di ad-
scr i pthi i . et . de 1. 1. VII, 66.
10. Nonius^ p. 5 ao, 8 ; Decur i ones et centu
r i ones a numero^ cui i n mi l i ti a pr aeer ant^ di-
cehantur . Accensi qui hi s accensebantury i d est
adtr i buehantur . F ar r o de ui ta P . R, li b. I I I :
qui de ... tener entur . 1 codd. depugnabant pu
gni s. Corretto in depugn, f undi s dal Popma e
bene. Anche Paolo infatti, p. 8 5 , 7 : fer entar i i
anxi l i ar es i n bel l o a fer endo auxi l i o dietim uel
qui a fundi s et l api di bus pugnabant^ quae tela
fer untur non tenentur^ i ta appel l ati . Cf. anche
d e l L VII, 57.
1 pi recenti studi sull'ordinamento delPeser-
cito romano hanno provata la inesattezza di que
sta esposizione di Varrone. Perch quantunque
sia vcriMimo che quegli stesisi che dicevanai ac-
censi^ si chiamassero anche adscr i pti ui (Pul.

. AL LIBRO IH. DELLA VITA DEL POP. RO>IANO


9 7
p. i 4 o<] dscr i pti u Vrr. de l, l. VII, 56^pres
so Nonio p. 356 ed. Gerlach ), fallo per il
punto <li vista sotto cui li inette Varrone. 11 nome
intatti li accensi dovea certO riferirsi alla parti
zione del popolo in relazione al censo, alla qoinla
chsie del qoale erano ascritti (Vedi Lange
mische Alterth. 69 e 61): i ciUadini di que
sta elasse erano per servirmi delle parole di
Paolo, p. 14: od l egi onum censum adscr i pn\
coi consuona Dion; ( 5, 67 ) -^
3^( h \. E per la medesima ragione,
dice il Lange (op. cit. p. 3q4)i per cui essi dal
punto di tista del censo chiamayansi accensi^
dal punto di rista delP ordinamento dell' esercito
okiamaTansi adscr i pti ci i . Fer entr i os. Cf.
dt I, L VII, 57. Fer entar i os a fer endo i d est
i nanem ac si ne fr uctu ; aut quod fer entar i i
equi tes hi di cti qui ea modo habebant ar ma
quae fer r entur ( qui nel senso di lanciare ) ut
i acul um. Potrebbe esser che fossero delti cosi
anche perch afessero P uffizio di portare le
armi dei legionari.
II. Nonias^ p. 5 5 3 , 5 . R or ar i appel l aban
tur mi lites^ qui ante quam congr essae essent
acieSy pr i mo non mul ti s i acul i s i ni bant pr oe
l i um ; tr actum quod ante maxi mas pl uui as
coel um r or ar e i nci pi at. L uci l i us , . . Var r o de
ui ta P . R, l i b, I I I : r or ar i . . . i nci pi t {Cf. Paol.
264,8, 14, 16). E nel VII, 58 d. 1. 1. Ror ar i i
di cti ab r or e qui bel l um commi ttebant ante^
i deo quod ante r or at quani pl ui t. Ma siccome
questi ronirl erano armati di fionda, cos po
trebbe estere, e a me pare pi naturale, che
fossero chiamati la! modo, perch i loro dardi,
cadendo, dessero aspetto di una pioggia ( Cf.
l/ange, op. c., p. 3<)4).
ia. Nooius, p. 68, a. Opti ones i n cohor ti bus
qui si nt konesti gradus^ ut optatos quod est
electos., ei adoptatos^ quod ascitos., Var r o de
de ui ta popul i Romani li b. I I I exi sti mat ap^
pel l atos: r efer enti bus. . . . appel l ati . Cf. de 1. 1.
V, 91.
13. Nonius, p. 34 4 i 3 a : Meres^ mi l i tas. L u-
cHi us . . . Var r o de ui ta P . R, li b, I l i : qui i n
exer ci tu . , mer er ent.
14. Noiiies, p. 5 5 5 , 12 : (re/a, tel um Oal i i a
r um tensum, Ver g. , . . Var r o de i ta P . R,
li b, I I I : qui . . . essent. Gei a. V. Servio ad
Ver g.A en. YII, 664.
15 . Nbnius, p: 55 2 , 22. Catapul ta i acul um
cel er uel sagi tta. Pl autus . , . Var r o de ui ta
P . R. lib. I I I : nunc postea . . . i ctus esfet. Sup
plisce il Keittier : i deoque pugnae i nterasse non
posset., tr i umphos decr etos. Cf. Valer. Miss. Il,
8; tt. Qih ricordata la famosa controversia t t ve
neta a B o m nel 5 i 3 a. G. fra tl censore C. I^t-
tallo 6 Q. \'alerio pretore pel trionto. Melfa bat
taglia alfe isole Egati il pretore area fatto egli
uffizio di capitano, perch il console ferito non
avea potato inter?enire. Il pretore dimandava
per s il trionfo, lo dimandava anche Lutaziu
perch si era combattuto co suoi auspici. Il giu
dice Attilio Calatino defn) la questione io fa
vore del console. 11 Popma : postea a C, L uta-
ti o consul e ... i ctus abesset.
16. Nonius, p. 94, i 5 : Cenatus ut pr an
sus^ ut potuSy ut laluSy i d est confecta cena.
Var r de ui ta Pop. Rom. tib. I l i : ut ei us
conui ui um .:. a conui ui o. Cf. Val. Mass. II, 8, G:
mor i s est ab i mper ator e ductur o tr i umphuni
consul es i nui tar i ad caenam^ dei nde r ogar i ut
ueni r e super sedeant, ne qui s eo die., quo i l l e
tr i umj ^ar i t., mai or i s i n eodem conui ui o sii
i mper l i , Cf. Plut. Qii. Rom. 80 ; Thilon, p. 29.
Quindi poti us zz. pr ae consul i bus.
17. Nonias, p. 535, 19. Codi car i as naues
eti am nunc consuetudo appellat^ eo quod i n
fl umi ni bus si nt usui , Sal l usti us , , . Var r o de
ui ta P. R. Uo^I I I : quod anti qui , . , appella^
*mus. V. Paul. Fest. p. 46. Salhist. ap. Non. I. c.
18. Nonius, p. i 63, 19: Pr aeci daneum est
pr aeci dendum. Var r de ui t P . R. lib. I I I :
quod humatus . , . pur a non est. Cf. de I. l. V,
23 . . . quom Romanus combustus est^ si i n se
pul cr um ei us abi ecta gl eba non est ; aut si oS
exceptum est mor tui ad fami l i am pur gan
dam^ donee i n pur gando humo est oper tas
(ut Ponti fi ces di cunt: quod i nhumatus si t), f a
mi l i a funesta manet. Vedi annotazione del
eh. prof. Canai a questo luogo: la conformit
con questo framroento mi ha latto conservare
il quod dei codd. in luogo del quoad che, se
qnesto non fosse, patiebbe da preferirsi. Il eh*,
prof, erede ancora che sarebbe da cassare il si t,
e specialmente ritenuto il quoad., la sua oster-
vaii tne giust*. Evidentemente per questo non
Vale il riscontro col nostro frammento.
19. Nonius, p. 549, 3 i ; P Uus col or est
qnae nunc Spanum uel nati uum di crtnus, V a r
r o de uffa P , ^. lib. I l i : ut dum sup^a . . . .
ami ctae, 1 codd. essent. Errore evidente, f^e
donne vestivano t\ r i ci ni o cn una lista purpurea
intessuta fino a che il cadavere fosse tu t a s a .
Quando era portato a seppellire esse indossvano
una sopravveste di color'oscuro e gettavano i
ricini sopra il morto perch fossero con lui ab^
bruciati. Pare che anche in quekto riguardo
sUsi dato nirgli eccessi, perch troviamo he una
lie^ge delle XII arvole proibiva che si gettassero
sul rogo pi di tre ricini. Vedi anche Cic. tl
* kgg.
20 Anthr aci nus^ ff^ger, a Gr aeco: nnthra^
97,3
. VARRONL
74
ots enim xarhon^s Lati n apptllan^
tufy eC est l ugenti um uestis, Var r o de ui i a P .
J R. lib, I I I pr opi nquae . . . luctum, 1 oodtl. pr o-
numo. La currciiuue Ui lunio, Capi ll us (?.
Cbarifius, P Putsch).
a i . Nonius, p. 5 3 ; , i 4 ' Aul ea genus uesti s
peregri num. Var r o de ui ta P. R. lib. I I I :
quod ex hereditate Attal i ca aulea clamides^
plagae aureae. V erg. . . . E t est quodam pal u
damentum bar bar i ci habitus mi l i tar i s. Nooius,
p. 537, 22: Plagae^ grande l i nteum tegmen
quod nunc torale^ uel l ettuari um fyndonem
dicimuSy quarum di mi nuti uum est plagulae,
Var r o de ui ta P, I . lib. I I I : clamydes^ plagae
uasa aurea. Cretio non si posia chiamare in
dubbio riJentil di questi duje iVammenli, quin
di che se ne debba iorroare solo al niodo
che abbiioi falto. 11 iietlner quod... clami dtSt
plagae aurae. Noq sp perch abbia omesso il
uasa. sm> supplisce mi gr auer ant Romam.
oolo che Alialo 111 re di Pergamo, morlo nel i 33
a. C., lasci il suo regno in eredita ai Romani.
22. Noniiis, p; 547 3i. Cr eter r a est quam
nunc si tul am uocant. Naeui us . . . Var r de
ui ta P. R. lib. I H : ad Safbar i tanm . . . na-
bi li um toreutarum. Questa voce dovuta ad uut
bella cougettuia del Roi h. Icudd. aveano Tar anr
ti norum. Anancaea. l'ro\iaroo roeniione di
questa specie di taxza anche oel Rudens di Plau>
lo. Non so se qui s alluda alla rovina della citt di
Sibari per le de?aslaiioni di Annibale che la prese
e mise a sacco nei 2>4 * C.
23. Nonus, p. 117, 26. Gangrena est cancer,
Luci l i us . ... . Var r o . . . . I dem de ui ta P . R.
lib. I l i ; quo faci l i us ... permeasse. 11 secondo
pa.^so citalo quello della satira rrc^l
iVamm 3.
LIBRO QUARTO.
1. Noniut^ pag. 4^4* Ricipitem^ quod i n
cor por ai um est., posse di ci V i r r o de ui ta P.
R, lib. I l i aperui t : .i n spem adducebat... dui -
li um fontem. Anche Floro, p. 68, 35. Cf. Halm.
i udi ci ar i a lege Gr acchi di ui serunt populun
Romanum et bi ci pi tem ex una fecer unt oiui^
totem. Qui si parla del tribuno C. Sempronio
Gracco, il quale diede un colpo mortale al Sena
to, colla sua l ex i udi ci ari a^ nel laS il. ., per la
quale veniva tolto ai ieaatori la podest giudixia-
ria c data all' ordine equestre. Dirittaraente giu
dica Varronr, che questa legge fosse fonte di ci
vili discordie: fu in varie maniere temperala e
mutala.
2. Nonius, p. 5oi , 14 i Geni ti uus pr datiuo.
Acci us ... Var r o de ui ta P, R. lib. I I I : i psa
$ j. . . referta. Vedi Mommeeu. Eom. Ge-
i;icMe HUp. 5 i 5.
3 . Noniuf, p. 2o5, 18 ; Fi netn mascul i no ge
nere di ci mus. Ver g. ... Femi ni no Lucr eti us ...
Var r o de ui ta P . R. lib. I I I : i ta hui us . . .
facta,
4. Noniua, p. 147^ >6; Qbstringiliare^ absta
re, Enni us .... I dem de ui ta P. R. lib. U H ;
quod Cur i o . . . . consul Questo Curioue C.
Soribon9 Curione, il quale, uome IribiMio nel 5o
a. C., lavor.indefeaiamenle ad agevolare Tiopera
di Giulio Cesare, dal quale par e fosse oompccato.
V Plut. Caea. 20. Suel. Caes.-29. Veli. Paler. Il,
48. Cicerone ave scorio in lui i germi di ao
grande oratore. V. Brutos 81, 280. Triste la
dipintura del suo carattere morale falla da Vel*
leio (l. c.): ui r mobilis.^ opulens audaxy suae
ali enaeque .et for tunae et pudi ci ti ae prodigus^
homo ingeni osi ssi me nequam^ et facundus
malo publico^ cui us i nsani s cupi di tati bus et
libidinibus^ neqne opes ullaty neque uohtpta
tes sufficere possent, Pare che Curio fngesse
di oppoisi a che Cesart^os^e fallo console per Ia
sccooda volta (^7o O. c. 481 a. C.), perch cos alti i
cessasse dal muovergli brighe e coutele conteo.
Essendo i consoli in Aria con Pompeo, Cesare
si fece eleggere dittatore per len.ere i comizi,
dove fu scelto intieme a P. Servilio. Che Cesare
avelie bisogno Ui giuilBeare la sua scelta pa<-
lese dal libro 111 lei suoi Ooromentari De bello
c hU Obstri ngi llare. Veili la satira Manius^
fr. 7. Nella satira Pr ometheus liber^ fr. 9, usa
obsui nf i l lator em.
5. Nonius, p. 525, 17: Caecum ueteres pr o
i mproui do di xer unt. Var r o de ui ta P . *
lib. I U I : neque i d. , . . G. Magnum. Cos il
frammento secondo la lesione di Martyoi-La<r
gune (ad. Cic. epiit. ad fam. VI, 12, voL 1,
pr. 11, p i 33ed. mai.). I codd. scorrei lamente :
;ie^<ie ,. qime mahdajta ar cana Ti, Ampi o
sedissent aut di ui di centum Gn. Magnum. L e
ditore auddelto supplisce: retr aheret a fuga
ex I tal i a. LVemendamento ben luogi dair es
ser sicuro: se si potesse credere quel di centum
una corruzooe.di Dyrrachium.^ sarebbe il caso
di trarne qualche non infelice oongellura
975
ANNOT. AL LIBRO IV. DELLA VITA DEL POP. ROMANO
97G
Caeci consul es. Anche Cicerone ( ad Att. IX,
9, 2) trova inconsulto Tabbandono d'Italia per
parte ilei consoli : Di scessu i l i or um acti o de
pace subl ata est. Cf. Gaes. Comm. de Bel , ci u.
f, 25, 2. Tito Ampio Balbo gi tribano del
popolo nel 62 av. C., era aniniatiasirao Pompeia
DO ( e t . Veli. Pater. II, 40) Era aroco ancora
di Cicerone, che, dopo la morte di Pompeo, gli
ottenne da Cesare d' essere richiamalo dall' esi
lio. Cr, Cic. Epi st. ad F am, VI, 12.
6. Nonius, p. 245, i 3 : Anceps dupl ex, L u
ei l i us , , . Var r de ui ta popul i Romani lib,
J I I I : Caesar . . . . bello. Cf. Caes. Comm, de
Bel i o ci ui l i 1, 29, 3o. noto che la Spsgna^'
la citeriore principalroente, era affezionata a Pom
peo, e che l erano le sue legioni pi fide. Se
Cesare inseguiva il suo nemico in Grecia^ si la
sciava dietro le spalle le legioni Pompeiane, e
correva pericolo si corrompessero Italia e la
Gallia. Vedi Boisser, p. 5 2 . E tudt sur l a vi e et
l ei oui frages de M, T. (si c) Var r on.^ (opera
coronata dalPAccademia, ma non dal suffragio
dei dotti, dice il Rettner).
7. Nonius, p. 398, 11 : Sauci i di cuntur pr o-
pr i e uul ner ati , non maesti^ si cut uul t consue
tudo. Acci us ... Var r o de ui ta P . R, li b. I I I J :
i ti ufue . . . fugatur . Forte qui allutione alia
pugna Farsalica. Vedi adulatore Velleio Pater
colo II, 5 2 .
8. Nonius, i 48> 18: Pondo mi l l e octi ngen
tum noue Var r o de ui ta P , R. li b, I I I I : i ta
que . . . qui nque ; Gr aeei eni m a mol e
di xer unt. ^
9. Nonius, p. 49^ Dai i uus pr o accu-
sai i uo, Ti ti ni us Var r o de ui ta P , R, li b.
I J I I : tanta exoptent,
10. Nonius, p. 45, 3 i : Sangui nui entum
cor por um potest esse. L ectum est et de i ncor
por ei s. Var r o de ui ta P , R. li b. I I I I : i taque
appel l er ent. Nola il Kellner: metaphor am quae
i nett i n uer bo appel l er e non r ecte del euer unt
uu. dd.
11. Nonius, 284, 16. Di ffer r e est spati um
tempor i s dar e. Ver gi l i us Di ffamar e^ di -
uul gar e. L uci l i us Var r o de ui ta P , R,
l i b, I I I I : si modo . . . . car pant. 1 codd. nos
quae. Aldo nos quoque. Kellner nos que: forse
sar meglio nos qui ,
12. Nonius, p. 145 a8. Neni a^ i neptum et
i ncondi tam car men quod adducta muli er^ quae
pr aefi ca di ceretur., i i s qui bus pr opi nqui non
essent, mor tui s exhi ber et. Var r o de ui ta P .
R. l i b. J I J I : i bi a ... at ti bi as et ui des, No-
Dtus, p. 67, 7. Pr aefi cae di cebantur apud iie-
ter es quae adhi ber i sol ent f uner i mer cede
conductae^i ei fi er ent^ et f or ti a f acta l au
dar ent. Pl autus ... Var r o de ui ta popul i R o
mani li b. I I I I : dei n naeni am . . . Poeni cum
l el l um. Dei due luoghi si fatto meritamente
un solo, e s ' mutato il ui des in fi des
palese errore. Ear um quae . . . canti tas^
sent. Kettner. I cold. eor umque l udi sti cas^cur -
si tassent. Lo Scaligero ( coniect. e!. Durdr.,
p. 142) eor um qui l udi s Tr oi ci s cur si tassent :
lezione che mi pare poco probabile, e meno
quella di A. Gtibel (de Troiae ludo. Drm i 85 i ,
p. 27) eorum qui l udi s Taur i ci s cur si tassent.
Questi g i o c h i Taurici infatto, introdotti da Tar-
qui io Superbo per cessare una pestilenza, non
si ripetevano che d rado e sempre per placare
io modo solenne Tire dei numi infernali. Il sa-
crifzio era celebralo di notte nei prati Flamini.
Non furono, per quanto io mi sappia, osali mai
nelle pompe funerali. Tfenia. Cf. t a b k e r , i 2ee/
l exi con des el assi schen Al ter thums 11 ed.
pag. 646. P oeni cus (ler P uni cus speuo in
Varrone.
i 3 . Pliuius, uat. hist. XIV, 9G. Qui bus ui ni s
auctor i tas fuer i t sua i n mensa^ i . Var r hi s
uer bi s tr adi t : L . L ucul l us ... r el i qui t, hacte
nus Var r o. Nonius, p. 544 >4* Cadi , uasa
qui bus ui na conduntur . L uci l i us ,*. Var r o de
ui ta P , R, li b. J I I : Hor tenti us supr a he
r edi r el i qui t, Nonius, p. 4 9 ^ 3o : Accusati
uus numer i si ngul ar i s posi tus pr o geni ti uo
pl ur al i . Si senna . . . Var r o . . . I dem de ui ta
P , R . li b, I I I I : Hor tensi us .... r e tol l i s, me-
di mnum^ V i n i mi l l e cadum. II Mercero s' ac
corse che nei vari codd. di Nonio era stata
omessa una linea, la quale si trova nell* esempla
re, da CUI lutti furono tratti:
Hor tensi us supr a decem mi l i a cadum her edi r e
\ L i qui t, L uci l i us lib. X V I I I : mi l i a ducen
tum fr umenti ]
Tol l i s medi mnum^ V i ni mi l l e cadum.
C, Senti us: Questi C. Sentio Saturnino che,
pretore in Macedonia, tocc dai Traci un scon
fitta ; della quale si ricatt vincendeli nelP 80
a. C. Cicerone lo ricorda nelP or. i n Pi sonem
34^ 84 i e i n Ver r em Act. Il, lib. HI, 98, 217.
Hor tensi us : K Q. Ortensio Orlalo il famoso
competitore di Cicerone nell'eloquenza forense.
Gli ultimi anni della sua vita si ritiro del lutto
de ogni briga, abbandonandosi a quelle delizie
che potea procacciarsi come ricco sfondato che
era. Aveasi racoolla una straordinaria copia di
capi d'* arte^ aveasi fabbricate grandi piscine ; e
la tua cantina era dai buongotlai tenuta in gran
dissimo conto, si per la quantit che per la qua
lit dei vini, tgli mor a 64 anni aprile
del 704/50.
977
ANNOI . AL LIB. I V. DbLLA VI TA DEL V. R., DI M. I t R . VARR.
97^
i 4 Noiiius, 4). 541* ao : Car basus pal l i um
quo fl uui i ami c u,i tur ^ uel opulenti ae causa,
ut serico^ aut l i no tenui . Fer g. . . . F ar r o de
Ul ta P. R. l i j , i n i : eadem postea . . . teger en
tur togae. Non si sa a che si riferiscano le pa
role di Varrone. Poproa le vorrebbe inlerprelare
delle tende per coprire il teatro. Questa conget
tura trota buon fondamento se si confronti col
ifgueute passo di Plinio (H. N. XIX, a3) : Car-
basi na ... uel a pr i mus i n theatr i s duxi sse tr a
di tur L entul us Spi nter Apol l i nar i bus l udi s.
Cf. anche Lncreiio VI, 109, IV, 74* Quindi
naturale che omettiamo il togae.
i 5. Nod'iU9, p. 77, l a. j4 r ci . F ar r o de ui ta
P. . li b. m i eoque pecuni am ... cor r ui ssent.
16. Nonius, p. 4C6, 3 : Pondus pr o numer o.
Var r o de ui ta P. R. li b. ////: e Gr aeci a . .
ar ti fi cum. I codd. e Gr aeci a asi as i n. II Gcr-
lach corresse sci as i n , . . ar ti fi ci or um. La
nostra Ia leiione dei Mercero. Non si sa di
ccrio a chi alluda Varrone t vuoisi a L. Lucullo
litornato d'Asia nel 687/67. Le deliiic di
Lucullo sono passale in proverbio. Cf. Vel-
lei. Pater. II, Si. Plut., vit. Lucul.^ 4'
17. Nonius, p. 525, i 3. Super uacuum non
putat opor ter e di ci Var r de ui ta P. . lib.
m i , sed super uacaneum : i n quo . super -
uacanto. Il pa5Su cosi monco che non ci la-
soia luogo a <jitgetlure. Cf. Feslo, p. 33.
AffifoT. Al. LI MO IV. DI M. lfi. V a h a o pe . (1
AP P E NDI C E
FRAMMENTI DI VARRONE
FALSAMENTE ASSEGNATI AI LI BRI
DELLA VITA DEL POPOLO ROMANO
P Merula. Commeni , i n E nni i annal .,
p. 3o8 : u Apu.l Calpurnium Pisonem lib. II
quo loco agit de uorum secliooe stue de Ime-
si : Seclo duplex simplicium et compositorum ...
Sectionum quas composita patiuntur nulla dalur
regula. Potius dicam cura Varrone lib III de ai ta
P , R. k plebisque scito raulum ne qui legarei
causaaue mortis donarel, supra assis mille,
quam cum Ennio lib. 111. u deque tolondt agros
laetufl atque oppida cepit, Et quae multa ibi
apud insignem auctorem alia tequuniur.
Pompeii Commentum ar ti s Donati {ed.
Lindemano. Ijps. 1820, p. 9 ). u Isiae literae
apud maiores oostros non fuerunt XXII1 sed
X\T. Poatea additae sunl aliae. Ita eliam tracta
toris est, ut doceat olim XVI fuisse, poslea ex
superfluo additas alias litteras et facias XXllI.
Habemus lioc in libris ad Attium apud Varro
nem, et cur tot aiat et quare eo ordine positae
et quare isdem nominibus uocentur. n Et p. 27 :
u Legiruui apud maiores nostros primas apud
Romaoos XI litteras fuisse tantummodo, ut dicit
Caeaar libro analogiarum primo [In libro analo
giarum Caesar hoc dixit, XI fuisse]. Varro docet
ili aliis libris, quos ad Actium scripsit, XVI luis
se, poslea tarorn creuisse et factas e.v^e XXlII.n
i .
P iMerula. Comment, i n E nni i annal.^
p. 3o8 : u Presso Calpurnio Pisooe al libro 11,
dove tratta della divisione delle voci, ossia della
tmesi. Questa doppia secondo che cade nelle
voci semplici o nelle composte . . . . Non v ha
regola per quella delle voci composte. Dir con
Varrone al libro 4 1 ^ pM i sque
sci to cautum^ m qui egar et caussaue mor ti s
donaret^ supr a assi s milie^ piattosto che con
Ennio al libro 111. Deque totondi t agr os l ae
tos atque oppi da cepi t. Quel valeole autore ag
giunge a questo proposito altre cose molte.
Pompeo. Commentum ar ti s Donati ^ I.
u Queste lettere non erano presso i ooslri mag
giori in numero di 23, ma di 16. Pi trdi ne
furono aggiunte altre. Spella perci alP esposi
tore insegnare: cbe un tempo le lettere erano 16,
e poscia per un di pi se ne aggiunsero altre
fino alle 28. Cos scritto nei libri di Varrone
ad Azio, e il perch ancora di questo numero,
e di quest' ordine e di questa denominazione.
E alla pag. 27: u Leggiamo che i nostri mag-
glori non aveano dapprincipio che 1 1 lettere, co
me dice Cesare nel primo libro dell analogie.
Varrone, al contrario, nei libri che scrisse ad
Alio insegna che furono iG. ma che ti arereb
bero poscia fnio a 23.
783
. Al FRAMM. UEI.I.A VI TA DIU, 1> . 1)1 . . >a U R .
,8/,
3.
RccoboDui in sua ed. Olini XXV miisi
exliibehanlur, seti ugemus qu ncl us licebalor
aerarius, eo quod de collalioDe populi exhi be
batur. >1
4.
Seruius, i n Verg. Aen, IX, 6i3 : u Dur um
a sti rpe genus. llaliae disciplina et uila laudatur :
quain el Calo in ori^nibus el Verro in genie
populi Romani commemorai,
Seruius, in Fer g. Aen. VII, 176: w Maio
res eiiira nostri sedenles epulabantur, quem mo
rem habuerunt a Laconibus et Cretensibus, ut
Varro ilioit in libris de gente populi Romani : in
(}uibus dicit quid a quaque traxerint ^er.te per
imitationem. ^
e.
Ludouicus Carrio, emendati , et obseraatt,
II, 3. u Mactare idem esie in si^crifiriis quod im
molar?, Nonius aliique tradiderunt : non recle illi
duas uoces confuderunt, si recle Varro separaue
rit ; aut potius, qoia Varro recte separauit, illi
perperam conluJerunt. Vejrba Varronis apud Por
phyrionem, qui apud me plenior est el integrior,
ad illud Horatii (Sal. i, 2, 3 i): u Macte Virtute
eslo, inquit sententia dia Catonis n ex libro secun
do de moribus Pop. R. nondum, quod sciam,
publicata funl haec: Mactare uerbum etlsacro
rum / dictum, quasi magis auj^ere
ut adolere, unde el magmentum, quasi maius
augmentum, nar^, hostiae tanguntur mola salsa, el
tum immolatae dicuntur, per laudationem, ilcm-
que boni ominis signifirationem, et cum iliis mola
salsa imponitur, dicitur: Macte esto, haec Varro.
7.
Festus, p. a8S a, 34 ed. Muli. : u Religionis
praecipoaje habelur Censo ( ria maicslas, cuius
in libris de ui ta P. R. ) Varro exempla haer
profert, elc.
3.
11 Riccoboni nella sua ed. : u Una volta si lau
cia?ano alla gara 100 bighe, quattro per volta ;
ogni quattro erano un mi ssus : il Tentesimo-
qninto dioerasi aerarius^perch si alleslifa con
denari raccolti fra tutto il |>opoIo.
4.
Ser?io I. c. Dur um a sti rpe genus. Son
lodali la vita e i costumi d'ilalia : di cui lasciaron
memoria Catone nel libro Del l e origini^ e Var
rone in quello Del l a gente dei popolo Roma no >
5
Servio 1. c. : u I nostri maggio ri a pranzo se
Mevano ; costume che tolsero dagli Spaclani e dai
Cretesi, come dice Varrone nei libri Del l a gnte
del popolo Romano^ nei quali discorso che cosa
abbiano e da quali popoli imitato.
e.
Lodovico Carrio I. c.; u Nonio ed altri lascia
rono scritto che mactar e vale nel linguaggio
Iella liturgia quanto immolare-', se Varrone di
stinse le due voci a ragione, quelli le (confusero
a lorto; o meglio, (>erch Varrone a diritto le
distinse, quelli le contusero a torlo. Le parole
di Varrone nel libro, Oei costumi del popolo Ro
mano recate da Porfrione ( di cui in mie mani
un esemplare pi copioso e con meno lacune) a
quel di Orazio (Sat. I, 2, 3 i ). Macte Vi r tute
ito^ i nqui t Sententi a di a Gatonisy e non an
cora, quanto io mi sappia, pubblicate, son le se
guenti : Mactar e una parola dei Mcrifzii usata
p. r eufemismo, quasi fosse magi s augere^ co
me adol er e: cos si dis>c magmentum quasi da
mai us augmentum^ poich le vittime sono ca
perle di mola salsa^e allora si dicono i mmolate
tanto a cagion di onore quanto di buon augurio :
e quando si coprono della mola salsa si pronun
zia: Macte esto. Fin qua Varrone.
.
Feito 1. c. u Si tiene in ispeciale rispetto la
maest censoria; e ne apporta questi esempli
Varrone nei libri Della (*ita del popolo Romano.
ANNOTAZI ONI
4.
I l nome lei Merula iresfe in inganno anche
il Poproa, il quale Della toa ediiione lei tram-
nienti Varroniani, asaegn al libro 111 dt ai ta P ,
R. il aegaeote come derifato dal libro J1 De
conti nenti a ueter um poetar um di L. Calpomio
Pisone : Pl eb sque sci to eautum^ ne qui l ega
r ei causane mor ti s donar et supr a as*tes mi l i e.
Giudica poi rettaraeote esser questo plebiscito,
quello ronosriulo sotto il nome di l^gge Furia
(an. 571/183), con cui era proibito lasciare Oltre
mille assi in eredit ad uno che non tosse pa
rente fino al sesto gralo (CI*. Cic. pr Blbo 8,
in Verrem 1, ^2 ; Gaio 2, 2a5). Anche il I^nge
assegn questo frammento ai libri de ui ta pop.
Rom. (V. Bm. Altert. 1, p. i^S). Ma cade ogni
londamenlo alla congettura quando si sappia, che
non si ha memoria di un grammatico Calpurnio
Pisone, e che quel nome una poco spiritosa fin
zione del Merula. C U ^ w i c k : de f r aude P . M e
r ul ae Enni anor um annal i um editori s^ di ster
tat i o (Bonnae i 853, p. aa seqq.).
Questi frammenti, compresi sotto il num. a,
furono dal Buhiiken e da altri assegnali ai libri
de ui ta P , perch congetturarono che io luo
go di ad Acti um o ad Atti um dovesse leggersi
ad Atti cun y e che c*>n questa indicazione si atcs-
srro a ii^endere i libri de ui ta P , R, Ma questo
modo di citazione contrasta con centiuaia di luo
ghi dove i libri che fan parte di quest'opera
sono allegati : n i libii ad Acti um o ad Atti um
si trovano mai ricordati come di Varrone. Noi
respingiamo adunque questa rongettura, come la
respingono lo Schneid>*r, il MIUt, il Bitschrl,
il Brink e il Kettner.
3.
Qur.<(to frammento c tratto dal commento di
Servio al vers^ 18 del libro III delle Georjjirhe
di Vergilio. Ma non so con quanto buon giudi
zio critico si voglia ripudiare autorit di Ser
vi, il quale espressamente dichiara che il fram
mento apparteneva ai libri de gente popul i R o
mani dello stesso Varrone, senza arrecare nes
suna ragione che la combatta o ne mostri la in-
congroeitza.
11 Krahner (de yarr. antqq. lib ^p. 10)
credette di mutare le parole di Servio in gente^
iieir Mi t r e in uita, (Via il chiarissimo uomo stona,
|>er avventura, li troppo la interpretazione del
passo Vergiliano, perch il poeta colle parole du
rum ab stirpe genuSy alludeva a tutt' altro che
ai Romani, ma s agli Italiani del Piceno, coman
dati da Numano : oppone anzi la iudumita fie-
ri-xza della propria stirpe alla mollezza dei Fri<>i
da cui urebbero derivati i Romani, se pur non
si volesse dire che Vergilio'mirava a lo lare indi
rettamente i Romani, perch il romano
avrebbe dovuto riconoscere in parie V origine da
queste stirpi itale. Non abbiamo del resto alcun
docamenlo da farci credere che Varrone non
trattasse nei libri de gente P . R.y per incidenza
almeno, dei costumi degli Itali.
5.
Per questo frammento mi riporto a quanto
accennai nella annotazione al frammento a8 del
libro 1.
e.
I l Popnia, suP autorit di questo passo di
C an i o, diede l uogo mila sua raccolta a questo
frammento, e lo un a quelli del libro secondo.
Ma hanno torto cosi Popma come Carrio. Pop-
mM pcrch i libii de mor i bus P . R. non sono
una sola e stessa cosa con quelli de ui ta P , R.
Carrio perch invent di suo capo quel titolo ;
dove a notare di pi. che si inganna direndo
78; ANNOT. AI FRAMM. DE LLA VI TA DEL POP. ROMANO
7 8 8
notalo da Porfrione al laogo allegato di Orato,
quello che invece dello da Servio^ presso il
qoale al commenlo del verso 67 del libro IV
lelteralroente fi leggono le parole che diceva
scrille dallo scoliasle Oraziano.
7.
Per rispello a questo fraroinenlo non posso
far meglio che darti letteralmente tradotte le
assennate csser?azioni del Ketlner ( Prolegg.^
p. 11). u Gli editori di Festo, dalP Orsini in poi,
credettero d'avere scoperto in Ini un ben lungo
irammento di questi libri (de ui ta P . R,). Alla
pagina iotalli 285., 34 Ed. M., cos dello,
come derivato dal codice : Rel i gi oni s pr aeci pue
habetur Censo V ar r o exe ; luogo dagli
edd. supplito a questo modo : Rel i gi oni s pr ae
ci pue hal etur Censor i a mai estas^ cui us i n l i
br i s de ui ta P . R. Var r exempl a haec pr ofer t.
e si annoverano appresso gli eseropii di questa
censoria maest per il corso non interrotto di
dieci lustri dall'anno 574-622 av. G. n Tutti
gli eseropii sono benissimo messi a lor luogo dal-
Ursino e dal Mailer, e presi da se, sono inappun^
labili ; ma la lezione in l i br i s de ui ta P . R,, e lo
stabilire anche il libro 111, passa i confini del
probabile. Imperocch quantunque il Lindemann,
in Fest. 1. c., p. 234) >oooti : a giudico che
qui si derivino da Festo le parole di Varrone dal
libro Rer um humanar um, o da quello de ui ta
P. R.^ in cui era discorso della maest censoria,
ricordevole, se non m* inganno, del frammen
to II, 34* <juod pr opter censor um seuer i ta
tem ni hi l l uxur i osum haber e licebat^ u pure
del tutto contraria all* indole di questi libri una
cos lunga ed accurata enumerazione di venti cen
sori che chiusero dieci lustri. Io scriverei piutto
sto : cui us i n r er um humanar um X. . . . Var r o
exanpl a haec pr ofer t.
I F RAMME NTI
DELLA GENTE DEL POPOLOROMANO
D I
M. TERENZIO VARRONE
PUBBLI CATI CON VERSIONI E NOTE
PBIl OCRA
DI FEDERICO AB. BRUNETTI
P R E F A Z I O N E
i xccade spesso che il titolo di un libro annunzi molto pi di quello che dalle
scriltore sar poi mantenuto; na talora avviene anche l'opposto: che con un
titolo modesto e non appariscente punto si presenti qualche opera degnissima di
essere studiata e conosciuta peiv la profondit delle ricerche, per la copia del-
erudizione e della dottrino. E se vero che anche da scarsi e mutili avanzi si
pu argomentare la magnificenza e la grandiosit di un rovinato edifizio, pare
a noi che dai pochi frammenti dello scritto De gente P. R. si debba conchiu-
dere, che era di quelli appunto che danno molto pi che non promettono. Noi
sappiamo quanto curioso scrutatore dell' antichit sia stato Varrone, e come non
si possii per poco immaginare argomento che a quella si riferisca che non ab
bia pi 0 meno largamente descritto. Una'parte molto principale delie ricer-
che di queir ingegno maraviglioso dovea essere senza dubbio lo stabilire poca
d*g1i avvenimenti di maggior rilievo, e in particolare di quelli che si connette
vano colie pi antiche memorie del popolo romano, e giovassero ad illustrarne
le origini. Frutto di queste ricprchc sono i quattro libri De gente P. R. Ma
s* ingannerebbe chi li credesse un semplice studio cronologico. I frammenti che
giunsero u noi bastano, per buona sorte, a farci conoscere che si era prefisso
uno scopo pi(i largo, cio, di collegare le origini romane col resto della storia
dell* umanit, d innalzare, cme dice con gagliarda espressione il Both ( Leben
(its Farro, 5, 27), l albero storico del popolo romano. E pi distesamente il Bois-
sier (fudes sur la Oie et es ouorcs de Farron): 11 voulait traiter le peuple
romain comme une noble fumille (gem) fire de ses origines et qui cherche les
bien tablir. Il faisait sa gnalogie, le sulvant avec un soin pieux travers
toute T histoire, et remontant de peiiple en peuple jusqu la source innie d o
ses plus anciens aeux luint sortis. Mais si Rome tait le bui de son travail
elle ne le remplissait pis tout enlier. Au lieu de l iaoler, pour etudier seule, il
semblait tenir au contraire la replocer parmi les autres nations, faisant mar-
cher ensemble, par de savnnts synchronismes, toute histoire du monde ancien,
et rungeant, pour ainsi dire, les traditions des autres peuples, avec leurs dtites
prci ses, autour lies anctres de Rme.
M f f . i . v . ' \ i ) f . L I*. DI M . I l b V a r \ o > e . Gii
Una citazione di Censurino^ De die nal,, c. la qual e si completa con al tra
di S. Agostino (De civ. D, XVI I I , 3), ci mette in grado di sapere non solo come
siasi rappresentata Varrone la cronologia universale, ma al tres quale fosse il
punto di partenza da lui fissato per determi nare la cronologia del popolo ro
mano. Varrone divise la cronologia universale in tre periodi : il primo^che chla-
ndvu hfKo;y perch era totalmente avvolto du impenetrabil e bujo, si stendeva
dalle origini prime dell uomo fno al tempo in cui la Beozi i ^u innondata dal cos
(tetto Catuclisma di Ogige, n sapevasi quanti anni abbracci asse ; il secondo
periodo di ci rca ^600 anni era dal cataclisma di Ogi ge fino alla prima Oli mpia
de, e chiamavai o 9 ^ perch i fatti storici erano mescol ati a molti favolosi ;
il terzo periodo detto perch gli avvenimenti erano provati da eicure
testimonianze, abbracci a lo spazio di tempo dalla I. Olimpi ade (77G a. C.) fino
ni ret dello scrittore. Varrone, secondo l 'espressa testi monianza di S. Agostino
(0. c. XVI I I 8, extr,) cominci la trattazi one dal principio del secondo periodo, cio
dal diluvio di Ogige, o dalla fondazione della monarchia di Sicione il piti antico
dei regni che egli crede fondato. Questi due avvenimenti non sono certo con-
tcm)ioranei, e Censorino stesso fa conoscere che vi corse framezzo un lasso d
tempo ; ma questa dliforenza non crea alcuna diTicolt, poich facile supporrt,
che Varrone non toccasse che di passaggio e a mudo d'i ntroduzi one degli avve
nimenti che s credevano col legati immediatamente coll* epoca del diluvio di Ogige,
e bcend$se ai parti colari soltanto collo stabil imento del r e^o di Sicione, la
qual cosa tanto pi credibile in quanto il tempo tra i due fatti non pu essere
ad ogni modo notevole.
1 due primi dei quattro libri nei quali Varronc avea distribui to la materia,
abbracci ano la cronologia dei fatti dal princi pio della monarchia di Sicione fno
alla distruzione di TrojH, uno spazio di 4200 anni, cio dal diluvio di Ogi ge fino
al rc;;iio di I naeo 400, e 800 da l aaco fino all eccidio trojano. E probabil e an
cora che il primo dei <jualtro libri finisse allo stabi li rsi della monarchia argiva
con I naco ; comprendesse adunque, come si detto, 4oO anni ; il secondo comin
ciasse con I nuco, e senza i he s interrompesse la serie dei re di Sicione^ vi si
aggi ungesse quella degli Argi>i e inoltre degli Ateniesi fino alla caduta di Troj^.
Colla fondazione del regno dei Latini cominci ava il terzo li bro, il quale com
prendeva la serie dei re Albani, e la notizia sulla fondazione di molte ci tt i ta
liche, colla occasione dall arrivo nella penisola di alcuni tra i Greci eroi reduci
da Troja. Pare che il terzo libro si dovesse chiudere con una digressione intorno
ai giuochi olimpici, secondo un frammento che si legge in Carisio, p. OQ, J 7,
ed. Keil. La prima Olimpiade fatta corrispondere al 776 a. C., anno che poco
si discosti! da quello assegnato dalla tradi zione allo sorgere di l Uma. Col terzo
libro adun(|ue che abbracci ava uno spazio di 400 anni Viirronc chiudeva l 'epoca
miticii. e (Opportunamente pole\d pisare nel (|uatLo libro a dire delle origini di
f^<)5 P R K K A Z l O ^ li
Roma. 1 rraminenli di questo libro sono )>iii carsi che <!egli altri; i a credere*
che si feriTasse alla cacciata di Tarquinio^ non (^i^ come a torto scrve il Bois
sier, a Ninna. I l proseguire pi oltre sarebbe stato alterare lo scopo che si ern
prefisso.
Da quanto siaiio venuti dicendo, apparisce che lo scopo precipuo di Vitr-
roiie in questo importante lavoro era di stabilire ordine cronologico degli av
venimenti mondiali^ perch errissero di lume alle ori^mi di Roma, e questa
potesse riconoscere donde e da chi fosse discesa. Ma dagli estratti dt S. Agostino
e da una pregiata citazione di Servio (Aen. VI I , 476) possiamo argomentare
sicuramente che Varrone fece nel corso delle sue ricerche anciie digressioni, dalle
quali apparisse inoltre il cammino della coltura presso le varie naiioni, quali ne
fossero i costumi e ie istituzioni, il sorgere delle scienze e delle arti, quali If?
idee religiose, e le pi venerate tradizioni degli dei e degli eroi : n vi doveano
mancare anche delle escursioni nel cnmpo etimologico, come si-potr scorgere
dalla lettura dei frammenti.
I libri De gente Populi Romani e gli altri De Fila Populi Romani si rispon
dono e si completano insieme. Poich avendo dimostruto che il popolo romano
non era che un ramo dei popoli pi civili, ne seguiva che molte delle istituzioni
religiose, sociali e della vita piivata trovassero riscontro con quelle dei popoli
fratelli, altre venissero imitate, per cui si veniva a stabilire quello che fosse pro
prio esclusivamente dei Romani^ quello che avessero comune con altre genti.
Nei libri De Vita Populi Romani era dipinta la Roma primitiva. In questi si
dimostrava origine storica di quelle costumanze.
Quasi tutto quello che noi conosciamo dei libri De genie Populi Romani ci
viene da citazioni di S. Agostino, il quale Dei libro X Y l l I della sua grand opera
De Civ, Deiy e qua e l nei libri posteriori vi attinse largamente. Onde non
possiamo per lo pi avere le parole stesse di Varrone, ma solo U sentenza.
Oltre Agostino ci salvarono qualche frammento Arnobio, Censorino, Carisio e
Servio, nessuno Nonio, contrario a quaiito pensa il Boissier.
Non tutti per i frammenti che porremo pi sotto si possono dire con cer
tezza tratti dair opera D gente Populi Romani, ma alcuni per congettura (noi
li segneremo con una croce), indotti da ragioni di convenienza e dall osserva
zione fatta pi sopra, che S. Agostino pel XVI I l suo libro si fond quasi esclu
sivamente suir autorit di Varrone nella sua opera De gente Populi Rotnani,
Di alcuni altri frammenti (e saranno segnati con asterisco) si sa che apparten
gono a quest opera, ma si dubita a qual libro.
Una citazione di Arnobio si fa conoscere anche a qual tempo probabilmente
fu condotto da Varrone il suo lavoro. Esso ci dice che Varrone avea calcolato,
che dal diluvio di Ogige fino al consolato di I rzio e Pansa fosse corso uno spa
zio di quasi 2000 anni. I rzio e Pansa furono consoli nel 714 (43 a. C.). Non ci
i j i j P R L l A Z I O N K
fj9i> [{ l. / I N L
occuperemo ora a scrutare perch Varrone abbia scelto questo anno come ter
minus ad quem^ contenti di ricordare come quello fu anno memorabile per la
morte di ambedue consoli (Ov. Trist IV, 40, 6 cum cecidit fato cotwil tifer-
que pari), e per il primo consolato di Augusto, e che fu scelto come terminus
ad quem anche nei Cronicon di Eusebio e da Solino, cap. 1, p. 3 (ad Hirtium et
C, Pansam consules anni septingenti et decem). Onde se non credo di potere col
Roth e col Momlnsen dire con sicuresia che opera De gente Populi Romani fu
composta nel certo per che non fu pubblicata prima di queir anno, ma
in questo o presso.
Giudicai di far cosa gradita ai lettori dando loro per i frammenti conservati
in 8. Agostino la versione che fa parte dei testi di lingua, per la quale usai
della ed E one romana del 4845. Dovetti permettermi qualche mutazione nei luo*
gW ove la leiipne aeguita dal traduttore era manifestamente erronea. Molto
aiuto mi Tenne per lo studio di questi avanai dell opera De genie Populi Ro
mani dalle iDrestigazioni del Kettner nei suoi Farronitelie Studien. Halle, 1865.
F. ab. BaVNETTi.
. TEREiNTI VARRONIS
DE GENTE POPULI H OMANI
LIBRORUM QDATTDOR
QU Ai; EXTA NT
L I BE R P RI MUS
1. i^ruoliius aJv. iiatl. V, 8 : Verro ille -
jiianBS roulliforioi eiuineiii <list:iplinis el iu ve
Inslatis indaga4ione rimalor, in lihrot urn qo'^luor
prDio quus Ue genie conscriplos Rumaiii p6|uli
dereliquit, curiosis coin|)u(atioiiibui edocei, ab
diluvii tempore cujus lupra fecimus mctitioneiu
(i. V. Deuralioiiis) ad usque Hiili coiisulalum i t
Paiifae aniiorum esse rnilia nuoduin duo.
a. Auguslio. de Civ. D. XVl l l , c. 8 exlr : Nam
Varro iuJe exorsuro est librum, cujus metiiiooem
superius feci (i. e. de geote populi Romani), et
uiliil sibi, ex quo perveniat ad res Humanas,
proponit antiquius quam O^cygi diluvium, hoc
^ctum temporibus.
Scbol. in Siat. I heb. ], Ogyges, ut Var
ro docel in libris d gente populi Romani, rex
fuit Thebanorum, sub quo primum diluvium
facfum est, longe ante quam illud quod sub Deu
calione lactum esse narratur.
* 3. Augustin. d. Civ. D. XXI, 8 : st in Marci
Varronis libris, quorum, inscriptio est dc gente
populi Romani, quud eisdem verbis, quibus ibi
legitur, el hic ponam : In caelo, inquit, mirabile
extilit purtrntum; nam in stella Veneris nobi
lissima, quam Plautus Vesperuginem, Homerus
Hesperon appellat, pulcherrimam dicens, Castor
scribit tantum portenturo extilisse, ut mutaret co
lorem, magnitadinero, figuram, cursuro ; quod
factum neque antea, neque poftea sit. Hoc facturo
Ogygo rege dicebant Adrastus Cyzicenus et Dion
Neapolites, inathcinttici nubiles.
1. Ar nob i o contro i Gentili V, 8: Quel Var-.
rone Romano tamoiu per.svarialo sapere e inve
stigatore diUgentissirou deirantiohiia nel primo
dei quattro libri che-lasci scritti intorno alU Gen
te del popolo Roncano mostra con curioso com
puto, che dal diluvio. di cui discorso pi. sopra
(quello di Deucalione) Hno al.consolalo d| Irzio e
Paasa non sono passali aooo anni.
2. Agostino, d^lla Citl di Dio C. XVIl l , c. 8
V. I. f. Per che Vrrone indi cominci il libro,
del quale i ofeci di sopra menzione (quello della
Gente del P. R.), e non si propoot ve una cosa
dalla quale pervenga alle cose romane pi aolica
che il diluvio d Ogige, cio tatto lli tempi di
Ogigc.
Scolio alla Tebaide J. Stazio I, i j : Ogige,.
come insegna Varrone nei libri della Gente del
Popolo Romano fu re dei Tebani : e sotto il suo
regno accade il* primo diluvio molto prima leirat-
Ir che fu a' tempr di Deucalione.
^3; Agoslioo,della Citl di Dio,c. XXI, 8. Scri
ve Marco Varronc.nel libro Della Gente del Pi R. c
qui porr le sue parole u apparve, dic<?, in cielo
un iiiaravigliuso miracolo ; per che Castore scrive
che nella stella Ji Venere nobilissima, la quale Plau
to chiama Ves|ierugine c Omero Hespcron liceii-
dola bellissima apparve cosa tanto meravigliosa
che mutava colore, grandeiia, figura e corso:
come non fa mai innanii u poi fatto. Questo
diceano Adrasto Ciiiceno e Dion Neapolite nobili
astrologi che fu fallo regnando Ogige.
GKNTl: DEL POPOLO UOMANO ItM/j
* 4 Au^uslin. il. Cv. D. XXl l , 2^: Mirahilins
utem ^^uUJam iVlarcus Varr ponl in lihri^,quos
conscripsit <le genie populi Romani, cujus pu
tavi Tcrba ipsa poneiida : Genetliliaci quiilam
scripserunt, intuii, esse in renascemJis liornnibus
quaiD appellant 'na^/yytvtaiav Graeci; hac scii-
pserant confici in annis numero quadriigenlis
quadraginta, ut idem corpus et eadem anima,
quae iuerul conjuncta in homine aliqoando,
camdefn rursum, redeant in conjunctionem.
5. Ceniorn. d. d. nal. c. 21, p.62 ed. Jahii. :
nunc vero id inlerralluro temporis tractabo quod
Varro adpellat. Hic enim tria discrimina
temporum esse tradit, primum ah hominum prin>
cipio ad cataclysiBoro priorem, quod propter igiio>
ranttam vocator Siniov, secundum a cataclysmo
priore ad olyinpiadem pt^imarn, quod, quia in eo
Tuull a fabulosa referuntur, pvOtxv nominatur,
lertiuni a prima olympiade ad nos, quod dicitur
iaxoftxoVf quia res in eo gestae veris historiis cofi-
tlnentur. Primum enim tempus, sive habuit ini
tium seu semper luit, erte quot annorum sit
non potest comprehendi, secamlum non piane
quidem scitur, sed tamen ad mille circiter et sex
centos annos esse creditur. A priore scilicet ca>
taclysmo, qaem dicunt Ogygii, ad loachi regnum
anni sunt circitor quadringenti, hinc ad excidium
Trojae anni octingeiMi, hinc*ad olympiadem pri
mam paulo plus quadringenti . De tertio autem
tempore fuit quidem aliqua inter auctores disseu-
sio in sex tepterave tantommodo annit versata :
aed hoc quodcomque caliginis Varro discussit, ct
pro cetcra sua segacitate nunc liversariim civita
tum coiiierens tempora, nuuc delectus eorumque
intertalla retro dinumerans, eruit verum, locem-
que ostendit, per quam numerus certas non anno-
rom^nodo sed et dierum perspici possit.
6. Cbarisius p. laS, i 3 ed. . : Contintnli
Varro de gente populi Romani libro 1 : in terra
continenti..
7. Charisius p. 3o, 5 ed. K. : Fagus Vano de
gente P. R. I. : fogus quas Graece vocint.
Id. p. 128, 27 ed. .: fagus Varronem diedre
sub f litirra dedimus exemplum.
-f 8. Auguft. d. Civ. D. XVllJ, 2: . . . secundi
reges erant. . . apud Sicyonios liurops, primi au-
It^in . . . Brlus hic Aegialeus fuerunt.
-|*Q. August. d. Civ. D. XVllI, 2 extr.: Sicyo-
norum regnum tunc teuebat Telxion. Quo re
gnante usque adeo ibi mitia et laetA tempora fue
runt, nt eum deluneluro velut deum colerent sa
crificando et ludos celebrando, quos ci primitus
institutos ferunt.
* /|. Agostino, della Citt;i di Dio, I. XXII, 28.
Ma pi mirabile cosa scrive Marco 'aronc nclli
libri Della Gente dei Popolo Romano e le cni
parole .^ono queste: Alcuni genetliaci scrivono che
li nomini avessero a rinascere, la qual c>sa si chia-
n in greco pal tngenesi a: la quale dicono che si
compie in numero di 4^0 anni, sicch quel me
desimo corpo e quella medesima anima eh erano
state neiriiQmo ritornino poi a quella medesima
conginniione.
f 5. Censorino. Del nal. dogli Dei c. 21, p. G2
ed Jahn. Ora. vengo a quell'epoca che Varrone
chiama storica. Poich esso distingue tre corsi di
tempi, il primo dalle origini delT uomo fino al
primo diluvio, c dicesi u oscuro n perohc non
punto conosciuto : altro, dal primo diluvio fino
alla prima olimpiade, clyc detto u mitico perch
vi sono mescolale molle favole : il terzo isto>
rico^ perch i fatti in questo compiuti sono regi
strati in veridiche storie. Della prima epoca, o
che abbia principio o che sia sempiterna, non si
pu naturalmente dire quanti anni abbracci. Per
la seconda non si sa di certo, ma si crede di un
1600 anni ; cio dal* primo diluvio detto di Ogge
fino al regno di Inaco 400 circa, da questo alPec
cidio di Troja 800, di qua alla prima olimpiade
poco dopo pi di 400 ... Per il terzo periodo il dis
senso degli scrittori non che per sei o sette anni,
ma anche questa liete oscurit fu dissipata da Var
rone, e colla solila sagacia ora confrontando le
cronologie d*^lle varie oitl, ora colmandone le le
eone risalendo per le et primitive, scopr il veto
e trasse la luce, per cni si pu conoscere esalto
numero non dt*li anni Siltaulo, ma dei giorni.
6. Carisio, p. 125, i 3 ed. K. Continenti. Ve
rone, nel 1 libro della Gente del Popolo Romano :
nel c>ntinente.
7. Cari.io, p. i 3o, 5 ed. K. Fagus-Varrone
Della Gente del Popolo Romano 1. Faggi che i
(ireci chiamano ^^.
Lo stesso, p. 128, 27 : Sotto la lettera F. abbia
mo recalo un esempio di fagus tialto de Varrone.
8. Agostino della Citt di Dio. XVIII, 2 . . . .
Lrano i secondi re, cio ... f^uropa appo l Sicionii
e li primi ivi (cio appo li Assirii) Belo, e qui
Egialeo furono.
-j-g. Agostiuo I. c. verso la fiile. Il regno delli
Sicioni il tenea allora Telexioue. Il quale regnan
te, tanto forono ivi pacifici e lieti lemf>i, che lui
morto il coltivarono per Dio, sacrificando e cele
brando li giuochi, li quali si dice che a lu primo
furono iitiluiti.
LIBER SECUNDUS
-A-ugusl. cl. C. D. XVII, 3 : ... regnanti-
bus . . . apud Sicyonios rhuriaco . . . septimis re
gibus. Regnum autem ArgiToruro . . . ortum est,
ubi primus regnavit Inachus. Sane . . . etiam apud
sepulcrum septimi sui regis Thuriaci sacrifcare
Sicyonius solere Varro reiert.
* 2. Ibid. : Regnantibus porro octavis regi
bus . . Sicyoniorum Leucippo et primo Argivorum
Inacho.
*j- 3 . I bi d. : . . . cum . . Phoroneus Inachi filius
.secundus regnaret Argivis His temporibus
Graecia sub Phoroneo Argolico rege legum et
judiciorum quibusdam clarior facta est institutis.
Phegous tamen frater hujus Phoronei junior cum
es5ct mortuus, ad ejus sepulcrum templum est
constilutum, in quo coleretur ut deus et ei boves
immolarentur. Credo honore tanto ideo dignum
putarunt, quia iii regni $ni pntte paler quippe
loca ambobus distribuerat, in quibus eo vivente
regnarent isto sarella coiistiluerat ad colendos
deos et docuerat observari tempora per menses
atque anno% quid eorum quatenus metirentur
atque numerarent. Haec in eo nova mirantes ru
des adhuc homines loorte obi Ia deum esse facturo
sive opinati sunt sive voluerunt.
4 ibid. : . . . quamvis alii scribant (scii. Isi
dem) ex Aethiopia in Aegyptum venisse reginam,
et quod late justeque imperaverit eisque loulla
commoda et litteras instituerit, hunc honorem
illi habitum esse divinum, postea quam ibi mor*
tua est, et lantum honorem, nl capitali crimine
reus fieret, si quis eam fuisse hominem diceret.
Ang. d. Civ. D. XVIII, . . . (Acgyplii) qui
non multum ante annorum duo milia litteras ma>
gisira Iside didicerunt? Non enim parvus auctor
est in historia Varro, qui hoc prodidit.
*{- j . Aug. de Civ. . XVIII*, \ : Regnantibus..
rtj;c . . Sit)onuruui iiono Mostfpo. <{ui eliam Cc-
* I. Ag o s t i n o della Citt di Dio. XVIII, 3 ....
regnando . . appo li Sici ii Turiaco . . . settimi re.
Ed il regno delli Argivi nacque .... ove regn e
il primo Inaco. Certo che non da passare che
Varrone riferisce, che eiiandio li Sicioni soleano
sacrificare appo il sepolcro del settimo re loro
Turiaco.
f Ivi. Regnando li ottavi r e . . . Leucippo
delli Sicioni ed Inaco il primo degli Argivi.
*t*3 . I vi . . . Quando Foroneo figliuolo d luaco
regnando secondo nelli Argivi. In questi tempi
la Grecia sotto Foroneo Argolico re divent pre
clara per certe istituzioni di giudizii e di leggi.
Fegous nondimeno tr'^tello minore di questo an-
litleito Foroneo, essendo morto, li fu fatto il
tempio appo il suo sepolcro, nel quale fu coltiva
to come Dio, e furonli sacrificati li buoi. Credo
che lo reputano degno di tanto onore, perch nella
parte del regno suo (per che il padre aveva di
si ributi ad amendue li luoghi dove regnassero)
costui aveva istituiti piccoli templi a coltivare li
Iddi ed aveva insegnato ad osservare li tempi
per mesi e per anni, come si dolesse misurare e
numerare. Le qaalicose in lui nuove maraviglian
dosi gli uomini ancora rozzi lo pensarono essere
fatto Iddio dopo morto ovvero sei vollero pensare.
* 4 Ivi posto che alcuni scrivono che 1 side
venisse regina d Gtiopia in Egitto, e che impe
ri e largamente e giustamente e istitu a loro le
lettere e molte ntilitj e che questo onore divino
fu fatto a lei poi che mori ivi, e tanto onore che
era pena la testa chi avesse detto che fosse stato
uomo.
Agostino della Citt di Dio, XVIII, 4 (1
quali libri raccolgono il numero delie stelle gli
Egizii), li quali non mollo pi di duomili anni
che appararono le lettere da Iside? Per che non
co.<l piccolo autore Varrone che dice questo.
*} 5 . Agostino Iella Cilt di Dio, X Vi l i , 4
gn.ijidu . .delli Sicioni il nono re Mesiapo,il quale
^ DELLA GENT t DEL POPOLO ROMANO 1008
phisot a quibus'lam liadifur si lameo duornro
uominum homo unus fuil ac non poliuf alterum
pro tKero putaverant fuhsA hominero, qui in tuis
potuerunt scriptis allcrum nomen, cum rex
Argivorum lerlius Apis esset.
*6. Angustio, il. C. D. XYl l I , 5 . ; Hjs tempo
ribus rex Argivorum Apis navibus transvectus in
Aegyptum, cum ibi mortuus fuisset, factus eit
Serapis omnium maximus Aegyptiorum deus. No
minis autem hujus, cur non Apis etiam post mor
tem, sed Serapis appelialus sit, facillimam ratio
nem Varro reddidit. Quia enim arca in qua mor
tuus ponitur, quod omnes jam sarcophagum vo
cant, dicitur Graece et ibi eum venersri
sepultum coe|K^rant, prius quam templum ejus
esset extructum : ?elnt soroi et Apis Sorapis pri
mo, deinde una littera, ut fieri adsolet, commuta
ta Serapis dictus est. Et constitutum est etiam
de illo (Cf. fgm. II, 4)^ul, quisquis eum hominem
fuisse dixisset, capiUlem penderet p6enani. Ei
quoniam fere in omnibus templis, ubi co
lebantur Isis et Serapis, erat etiam simulacrum,
quod digito bbiis impresso admonere videretur,
ut silentium fieret; hoc significare idem Varro
existimat, ut hominrs eos fuisse tiiceretur. Ille
autem bos, quem mirabili vanitate deeepta Aegy
ptus in rjus honorem di liciis adfliientibui alebat,
quoniam eum sine sarcophago vivum veneri*baii-
tur, Apis, non Serapis vocabatur. Quo bove mor
tuu quoniam quaerebatur c 1 reperitbilur vitulus
coloris ejusdem, hoc et albis quibusdam niacnlis
similiter tr.siguilus, mirum quiddam, et divinitus
sibi procuratum esse credebant.
7. Aug. d. Civ. D. XVIII, 6. : Apis ergo rex
non Aegyptiorum sed Argivorum mortuus est in
Aegypto. Huic flius Argus successit iu regnum,
ex cojus nomine <rt Argi et ex hoc Argivi appellati
snnt. Superioribus autem regitus nontlum vel
locus, vel gens habebat hoc homen. Hoc regnante
apud Argivos et apud Sicyonios Erato.. .
t 8. Aug. d. Civ. D. XVl l I, 6 exir. : Regnante
Argo suis coepit uti frugibus Graecia et habere
segetes in agricultura, delatis aliunde seniinibus.
Argus quoque post obitum deus haberi coepit,
templo et saciiticiis honoratus. Qui honor eo re
gnante ante dium deUtus est homini privato et
fuhninato cuidam Hoiuogyro, eo quod primus ad
aratrum boves junxerit.
* 9. Aiig. . Civ. D. X\ Hi, 7 : R gnantibus .
undeiimo Si* y o n i i T U i i i P'riuiiaeo et Argis adhuc
manente Argu...
( 10. Aug. d. Civ. D. XVII , 8. ; Cum ergo re
gnaret . . . . Sicyoniis duodecimus Orlhopolis et
Criasu< quir.ia% Argivis .. . R*gnHitibus n>emo a-
da alcani si chiama Cefiso se per fu un uomo
di due nomi e non pi tosto reputarono uoo per
un altro quelli, che nelle loro scritture possono
un altro nome ed essendo il terio re degli Ar
givi Apis.
* 6. Agostino della Citt di Dio, XVllI, 5 . l o
questi tempi il re degli Argivi Apis condotto per
nave iu Egitto, fu fatto Serapis il masiimo Iddio
di tutti gli Egizii. E perch non fu dopo la morte
appellato Apis, ma Serapis, ne rende agevole ca
gione Varrone. Per che perch Parca, nella quale
li pone il morto, che si chiama gi da lutti sarco
fago, si chiama sor os in greco, ed ivi lo comin
ciarono a venerare seppellito, nnanii che il tem
pio suo fosse fatto; quaai che Soros Apii detto
prima Sorapis, da poi mutata una Mtera, come
far si suole, Serapis, e fu eziandio ordinalo di lui
(V. framm. 4)i che chi <Hccsse che tosse stato
uomo, perdesse la testa. E per che quasi in tutti
i templi, ove si cultivavano Isis e Serapii, era
eziandio la statua, che lenendosi il dito a bocca
parea che anDoonisse che si tenesse silenzio; que
sto si pens il detto Varrone che significasse, che
si tacesse loro essere stati uornin. E quel bue, il
qtiale con mirabile vanit la ingannata Egitto
nutricava con tanto abbondanti delicatezze a suo
onore, perch il veneravano vivo senza sarcofago,
si chiamava Apis non Serapis. Il quale bue mor
to, per che si cercava e truovava un vitello di
quel medesimo colore variato di macchie bian
che, pareva una cosa maravigliosa e credeano che
fosse loro procurato da Dio.
J 7. Agostino della Citt di Dio, XVl l l , 6.
Aduiique Apis re non degli Egizii, ma degli Argi\i
mor in Eg i t i o. A costui succeddette nel regno il
figliuoli) suo Argus, del cui nome Argi, e poi Ar
givi S u n o appellati. Ed al tempo delli re di sopra
non avea ancora questo nome n quella gente n
quello luogo. Costui legnante appo li Argivi, ed
appo li Sicioni Erato ....
*]- 8. Agostino della Citt di Dio, XVl l I, 6. Re
gnante Argo, Grecia cominci ad usare li frulli, e
ad aver le biade nella agricoltura, recando li semi
d'altronde. Ed anche Argo dopo la morte tu te
nuto per iddio onorato di tempio e di sacrificii. Il
quale onore, regnando lui, fu latto innanzi a lui ad
un uomo privato e fulminato che avea nome
Omogiro, per che fu il primo che giunse li buoi
al P arat ro.
9. AgoSliuo leiU Citt di Dio, XVl l I , 7.
Regnante. .. e rnnlecimo delli Sicii ni Flemneo
ed agli Argivi ancora durante Argo ...
10. Agost i no dell j Ci t t ili Di o, X V 111, 8.
Regnando adunque e>l aMi Si ri oui il duodeci mo
Or t opol o c Cri aso il qui nt o dt l l i Argi vi . . . e r e -
1009
DI . TERENZI O VARRONE
fis regibus fuisse a qaibusJam creditur Proroe>
Ihens, quem propterea temni de luto formasse
hoiDoeS) quia oplimui sapieoliae doclor fuisse
perhibetur; nec tameo osletiililur qui ejus tempo
ribus fueHnt sapientes. Frater ejus Atlans magnus
fuisse astrologus dicitur; unde occasionem tabu
la invenit, ut eum coelum portare confingeret;
quaraTs mons ejus nomine nuncupetur, cujus al
titudine potius caeli portatio in opinionem vulgi
Tenisse videatur.
-J- 1 1. Aog. d. Civ. D. XVIII, 8; Multa quoque
lia ex illis in Graecia temporibus confingi fabu
losa coeperunt ; sed usque ad Cecropem regem
Atbenieosium, quo regnante eadem ciTilas etiam
tale Domen accepit. . . . rela(i sunt io deorum
numerum aliquot mortui. In quibus Crisi re
gis conjux Melantomice et Phorbas filius eorum,
qui post patrem rex Argivorum sexius fuit, et
septimi regis Triopae filius Jasos et rex nonus
Stbenelas sive Sibeneleus sive Slbenclux, varie
quippe in diversis auctoribos invenitur. His tem
poribus etiam Mercurius uisse perhibetur, nepos
Atlantis ex Maja filia, quod vulgatiores eliam lit
terae personant. Mullarum autem artium peritus
daruil, quas et hominibus tradidit; quo merito
eum post mortem deum esse volutruni, sive
etiam crediderunt. Posterior fuisse Hercules di
citur, ad ea tamen tempora pertinens Argivorum;
quamvis nonnulli eum Mercurio praeterant tem
pore, quos falli existimo. Sed quolibet tempoie
nati sint, conutat inter historicos gra%c5, qni
liaec antiqua litteris mandaverunt, ambos homi
nes fuisse, et quod mortalibus ad isiam vilam
commodius docendam beneficia multa contule
rint, honores ab cis meruisse divinor. Minerva
vero longe his antiquor; nam temporibus C^^ygi
ad lacum, qui Tritonie dicitur, virginali a p p a
ruisse ferior aetate, unde et Tritonia nuncupata
est, multorum sane ope rum inventrix, el tanto
proclivius dea credita, quanto minus origo ejus
innotuit. Quod enim de capite Jovis n a t a ca
nitor, poetis et tabulis, non historiae rebusque
gestis est adpiicandum... Sed quolibet tempore
fuerit, jam tamen Minerva tanquam dea colebatur
regnante AthenieMsibus Cecrope, sub quo rege
etiam ipsam vel inataoratam ferunt vel cotidilam
civitatem.
* 12. August. d .*. D. XVIH, y : Nam ut Athe
nae vocarentur, .juod certe nomen a Minerva es^,
quae Graece *3 dicitur, hanc causam Varro
indicat. Cum ap|>aruisscl illic repente olivae arbor
et alio loco aqua erupisset, regem prodigia ista
iDoverunt,et misit ad Apollinem Delphict^m scisci-
tatoiD quid intelligendumeiset quidve faciendum.
Ille respondit, quod olea Minervam significaret,
unda Neptunum, et quod esset in civium pote-
D e LLA G b STB DEL P. R. DI M. . V a b r o n e .
gnando Ii predetti re, si crede da alcuni che fosse
Prometeo ; il quale per dicono che form li
uomini di luto, perch si dice che fu ottimo mae
stro della sapienza; ma non si mostra per quali
sapienti Tossono al suo tempo. Il iratello suo
Atlas s dice che fu grande astrologo: onde la
favola trov cagione di fingerlo che porta il cielo:
posto che sia chiamalo dal suo nome uno monte,
la cui altezza piuttosto fece credere al vulgo che
il cielo fosse portalo.
* II. Agostino della Citt di Dio, XVIII, 8.
E molle altre cose in quelli tempi si cominciarono
a fngere favolose in Grecia : ma infino a Cecrope
re degli Ateniesi, il quale regnante, la detta citt
prese tale nome . . . furono^osli nel numero delli
iddii alquanti morti . . . nelli quali Melantomice
moglie di Criasore e Forbas figliuolo loro, il quale
dopo il padre fu il sesto re delli Argivi e del set>
limo re IViopa il figlio Jaso ed il re nono Stene-
1a ovvero Steneleo ovvero Stenelo, per che si
trova variamente in diversi autori. In questi tem
pi si dice anche che fu Mercurio nipote di Atlante
di Maja sua figliuola : la qual cosa suonano ezian
dio le lettere popolari : e fu dotto e chiaro di
molte ani, ed iiisegnolle alli uomD : per la qual
cosa dopo la morte vollono lui essere dio ovvero
set credettero. Da poi si dice che fu lircole in
quelli lempi delli Argivi : posto che alcuni dicono
che f(i innanti a Mercurio, la qual cosa credo che
falsa. Ma in <|ualunque tempo s sieuo nati, certo
intra li istorici gravi che scrissono queste cose
antiche, che ambedue furono uomini e rhe ai mor
isti feriono molti hcneficii a coinlurre la vita pi
agiatamente, e per rneriiamno li onori divini. Ma
Minerva mollo pi aulita di costoro, per che
si tlice clic nelli tempi di Ogige a uno lago che si
rliiama di Tritone ap[>arve in et virginale, onde
in chiamala Triionia : fu trovairice di molte ope
re; e lanlo pi inclinantcmente creduta dea quan
to meno si conobbe sua nazione. Per rhe si canti
dalli poeti e dalle favole che sia naia del capo di
Giove, nonsi vuole attribuire ad istoria, n a cosa
fatta . . . Ma in qualunque tempo si fosse, nondi
meno gi Minerva era adorala per dea, regnante
Cecrope in Atene, sotto il qual re fu fatta ovvero
ristanrata essa citt;.
12. Agostino della Citt di Dio, XVI1I, 9.
Per che questo nome d Alene viene da Mi
nerva la quale in greco si chiama Atrna, la cui
cagione narra Varrone : che apparendo ivi su
bito l' arbore della uliva e nascemlo in un altro
luogo acqua, questi miracoli mossone il re e
mand a dimandare A polline Delfico che si do
vesse intendere e che si dovesse fare. Quelli ri
spose che uliva significava Minerva, e acqua
61
slale^ ex cujus potius nomiii Jtioram deorum,
quorum illa igna essent, c t IAs rncaretur. ]lo
Cecrops oraculo accepto, cives omues olriusqae
sexus mos enim tunc in eisdem locis erat, ot
ellam feminae publicis consullationibns inleres-
senl ad ferendum suffragiom cootocaTit. Con-
sulla igitur multitudine luares pro Mepluno, fe*
minae pro Minerva lulere sententias, et qoia una
filus iDveula est feminarum, Minerva Ticit. Tunc
Neptunus iratus marinis fluctibus exaestuantibus
terras Atheniensium populatos e s t ; , . . cu)us ut
iracundia placaretur, triplici supplicio dicit idem
auctor ab Atheniensibus aTecias esse mulieres, ut
uolla ulterius ferrent sufTrafia, ut nullus oascen-
tium mternum nomen acciperet, ut ne quis eas
Athenaeas vocaret.
i 3 . Aug. d. Ciy. D. XVIII, l o: . . . Marcus
Varro., nec Areon pagon..vnIt inde accepisse
nomen, quod Mars, qui Graece * dicitur, com
homicidii crimine reus fieret, judicantibus duode
cim diis ili co pago sex sententiis absolutus est
quia ubi p r i s numeri sententiae fuiuent, prepo-
d absolutio damnationi solebat ; sed contra
istam. . . opinionem aliam quandam de obscura
rum notitia litterarum causam nominis hujus co
natur astroere.
i 4 Ibid. : His temporibus, ut Varro scribit,
regnante Atheniensium Cranao, successore Cecro
pis . . . diluvium fuit, quod appellatum est Deuca
lionis, eo quod ipse regnabat in earum terrarum
partibus, ubi maxime factum est. Hoc autem dilu
vium nequaquam ad Aegyptum atqne ad ejus vi
cina pervenit.
+ i 5. Ang. d. Civ. D. XVIIl, i i : . . c um . . r e
gnaret. . apud Sicyonios Marathus, apud Argivos
Triopas.
't' i6. Ibid. : . . regnante . . apud Sicyonios sex
to decimo Corace, apud Argivos decimo Danao,
apud Athenienses quarto Erichthonio.
*j- 17. Aug. d. Civ. D. XVIII, l a : Per haec
tempora. . . sacra sunt instituta diis. , a regibus
Graeciae, quae memoriam diluvii et ab eo libera
tionis hominum vitaeque tunc aerumnosae modo
ad alta, modo ad plana migrantium sollemni cele
britate revocarunt. Nam et Lupercorum per sa
cram viam ascensum atque descensum sic inter-
pretanti/r, ut ab eis significari dicant homines,
qui propter aquae inundationem summji montium
petiverunt et rursus eadem residente ad ima re
dierunt. His temporibus Dionysum, qui etiam Li
ber pater dictus et post mortem deus habitus, vi-
trm feront ostendisse in Attica terra hospiti stio.
fune Apollini Driphico instituti sunt ludi musici.
I
DE LLA GENTtt DEL POPOLO ROMANO
Nettuno, e che era in potest delti cittadini di no
minarla di quale nome volessono di questi due
iddii, delli quali erano questi due segni. Ed il re
Cecrope avendo ricevuta questa risposta, tece ve
nire tutti li uomini e tutte le femmine (per die
era usanza in quel luogo che le femmine andava
no al consiglio)^ e chiamolte a dare il volo a ci. E
adita tutta la mollitudine, gli uomini sentenzia
rono per Nettuno e le femmine per Minerva: e
perch fa trovata una femmina pi, vinse Miner
va. Allora Nettuno adirato f<*ce si gran tempesta
nel mare che guast tutte le terre degli Ateniesi. .
per la cui iracondia placare, dice il detto autore,
che le femmine furono punite d^lli Ateniesi di
tre tormenti; che ninna poi andasse al consiglio,
che niuno figliuolo pigliasse il nome della ma
dre e che niuno le chiamasse Ateiiee.
i 3 . Agostino della C.tt di Di o, XVi l i , 10...
Marco Varroiie . . . non vuole che Areopago abbia
ricevuto il nome quindi che Marte (che in greco
si chiama ^r es) quando per lo peccato dello omi
cidio sendo tvnulo obbligato, giudicandolo dodici
iddii in quella strada, fu assoluto da sei senten
ze (per che dov'erano le senlentie di pari nu
mero, Tassolaiione si soprapponea alla dannazio
ne); ma conira questa opinione altra cagione
di questo nome dalla notizia di oscure lettere si
sforza di trovare.
1 4. Ivi. In questi tempi, come scrisse Var
rone, regnante in Atene Crauao successore di Ce
c r op e . . . tu il diluvio chiamato di Deucalione^
pei che esso regnava nelle parti di questa terra,
ove fu m*ssimamente fatto. E questo diluvio non
giinse air Egitto, n alle parti vicine.
^ i 5 . Agostino della Citt di Dio, XVl Il , 11.
. . . quando appn . . . li Sicioni rrgnava Marato, d
appo li Argivi Triopas.
- 16. I vi . . . regnando. . . appo li Sicioni il
decimo sesto re Corace ed appo li Ai givi il deci-
ino re Danao, ed appo li Ateniesi il quarto re
Erittonio.
( 17. Agostino della Citt di Dio, XVIII, l a .
A questi tempi... furono istituite le sacre ... dalli
re di Grecia alli iddii . . . le quali ripresentavano
con solenne celebrit la memoria del diluvio, e
la liberazione delli uomini da quello e del gra
voso disagio deir andare ora ad alto ed ora al
piano. Per che la salita delli sacerdoti Luperci
e la discesa per la sacra via s o d o interpretale
da loro, con dire che per essi sieno significali
li ooi ini cbe per lo diluvio salivano per li monti,
e poi, passando il diluvio, ritornavano a terra.
In questi tempi si dice che Dionisio chiama
to il padre Libero, e reputato dio dopo la mot'
te trov la vite e mostrolla nella terra Attica al
i oi 3 DI . TE RLNZI O VARRONfc
1 0 1 4
ul pUcarelar ira ejus, qua pulabant affliclai ette
slerililale Graeciae regionei, quia non deieode-
riut leropluro ju, quod rex Daoauf, curo easdem
terras Ulli invaiif/Sei, inccudit. Hos aultm ludos ol
ifistiluerent, oraculo suot ejus admoniti. In Attica
ero rex Erichtliooius ei ludoi primus instiluit,
nec ei tantum, sed etiam Minervae, ubi praemium
victoribus oleum ponebatur, quod ejus fruclus
iiiTentricem Alinervam, sicut vini Liberum tra
dunt. Per eoa annos rege Xantho Creleiistum,
cujui apud alios aliud noroen invenimus, rapla
perhibetur Europa, ct iude geniti Rhadamanthus^
Sarpedon et Miuos... His temporibus Hercules in
Tyria clarus habebatur; sed nimirum alius, non
ille de quu supra (Igm. H, 11) loculi sumus. Se-
rreliore quippe historia plures fuisse dicuntur et
Liberi patres et Hercules. Hunc sane Herculem,
cujus iugentia duodecim tacta numerant, inter
quae Antaei Afri necem non commemorant, quod
ca res ad alterum Herculem pertinet, in Oeta
monte a se ipso incensum produnt suis litteris,
cum ea viriule, qua multa subegerat, morbum ta
men, quo languebat, sustinere non posset. Illo
tempore vel rex vel potius tyraunus Busiris suis
diis suos hospites immolabat, quem filium perhi
bent fuiise Neptuni ex matre Libya, filia Epaphi...
Erichthonii regis Atheniensium . . . Vulcanus et
Minerva parentes iuisse dicuntur. Sed quoniam
Minervam virginem volunt, in amborum conten
tione Vulcaoum commotum effudissea)unt semen
in terram atque inle homini nato ob eam causam
tale inditum nomin. Graeca enim lingua con>
tentio et terra esi, ex quibus duobus com
positum vocabulum est Erichthonius. Verum,
quod fatendam esi, refellunt et a suis diis repeU
lunl ista doctiores, qui hanc opinionem fabulosini
hinc exortam ferunt, quia in templo Vulcani et
Minervae, quod ambo unum habebant Athenis,
expositus iuveotua est puer dracone invoUitoj,
qoi com significavit magnum futurum et propter
commone tem|>lurn,cum esseat pareotesejus igno
ti, Vulcani et Minervae dictum esse filium: nomi*
oif tamen ejus originem fabula illa |>oiiue qaam
ista designat historia.
+ 18. Aug. d. Civ. D. XVIII, i 3 : His lempo-
ribus Ubulae fictae lunt de Triptolemo, quod ju>
beute Cerere anguibus porlaiui ^litibus, indigen^
tibus terris frumenta volando contulerit; de Mi
notauro, quod bestia fuit inclusa Labyrintho, quo
cum inlrassent homines, inextricabili errore inde
xire non poteraut ; de Centauris, quod equorum
homtnumque iuerit natura couiuncla ; de Cerbe-
ospite suo. Allora a<l Apolline Delfico furono isli-
luiti li giuochi musici, per placare Tira sua, per
la quale si credeva che avcue afflUle le coniradc
di Grecia di sterililade, perch non aveano difeso
il tempio suo, il quale avea arso il re Danao.avendo
presa quella terra per batUglia. Ma in Attica il re
Erittonio fu il primo che istituisse li giuochi : e
non solamente a lui, ma a Minerva ove per pre
mio alli vincitoci ti ponea olio, perch del suo
frutto dicono che fu trovalrice Minerva, sicco
me Libero del vino. Per quelli anni da Xanto
re di Creta, il cui nome si chiama da alcuni altri
diversamente, si lice che fu rapila Eurofta, e che
furono generati da Europa Radamantc,Srpeilone
e Mino . . . In questo tempo Ercules in Tiria era
tenuto preclaro : ma fu un altro non quello del
quale dicemmo di sopra. Per che per pi secreta
storia si dice che furono pi Ercoli e pi padri
Liberi. Questo certo Ercole, del quale numerano
I a smisurate fatiche e fatti, tra le quali non ri
cordano la moiie di Anteo Africo perch quella
appartiene ad un altro Ercole, dicono arse se me
desimo nel monte Oda, scrivendo che per quella
virt che aveva vinte motte altre cose, non pot
per sopportare la intermil della quale era grava
to. In quel tempo il re ovvero piuttosto il tiran
no Busiri sacrificava li suoi ospiti alli suoi iddii,
il quale dicono che fu figliuolo di Nettuno, di Li
bia figliuola di Epafo . . . In questi lempi di Erit
tonio re di Atene . . . Vulcano e Minerva si dice
che il generarono. Ma perch vogliono che Miner
va sia vergine, contendendo Puno eoiraltro. Vul
cano commosso dicono che sparse seme iu terra
e per questo fu posto tal nomea quelPuomo. Per
che in greco tr i s vuol dire conteuiione e chthon
la terra, e per fanno un vocabolo composto che
dice Erichlhon. Ma, come da confessare, lo ri-
fiulaoo i pi savi, e gittaoo dai lor iddii questa
lvolosi opinione ; ansi dicono che nacque cosi
questa tavola, perch nel tempio di Vulcano e di
Minerva che i f aveano uno intr'fimendue insieme
in Atene, fu trovato gittalo nn fanciullo invilup
pato in UQ dragone, il quale signific dovere esse
re gran fatto, e par lo comune tempio, non si tro
vando li parenti suoi, fu chiamato figliuolo di Vul
cano e di Minerva: ma Porigine del nome suo pi '
tosto il mostra quella favola che nollo disegna
questa storia.
*(* 18. Agostino della Citt di Dio, XVl l l , i 3 .
In questi lempi furono fatte le tavole di Tritlole-
mo, che per comandamento di Cerere fu portato
dalli unghioni delli uccelli, e volando gilt li fru
menti alle terre bisognose : del Minotauro che fu
una bestia inchiusa nel Labirinto ; nel quale en
trando li uomini, per errore inesUicabile non ne
poteano uscire : delli Cenlauri che fosse meschiata
i oi 5 DELr.A GENTE DEL POPOLO ROMANO 6101
, qaoJ lt Iricfps inferoraiD canit ; ile Phry*
xo et Helle eiui torore, quod ride ?ola-
T c r D t ; (le Gorgone, quod fuerit crinita serpeii
libus, et aspicieoles convertebat in lapides : de
Helerophonle, quod equo pinnit vulaule sii f e
ci us, qui equQs Pegasus^iclus esi ; de Amphio
ne, quod citharae soavilate lapides loulserit et
adlraxerit; de fabro Daedalo et eius Icaro fdio,
quod sibi coaplatis pinois olaTerint : de Oedipo,
quod rnonstruni quoddaro, quae Sphinga diceba
tur, humana facie quadrupedem, soluto quae ab
illa proponi soleret ?elut insolubili quaestione, luo
praecipitio perire compulerit; de Aulaeo, quem
necavit Hercules, quod flius lerrae fuerit, propter
quod cadens in terram fortior soleret resurgere ;
et si qua forte alia praetermisi.
19. Aug. d. Civ. D. XVJII, i 3 : ... finxerunt
a Jove ad stuprum raptum pulcherrimum puerum
Ganymedem, c{uod nefas rex Ttnialus fecit et
Jovi fabula tribuit, ?cl Danaes per imbrem au
reum adpelisse concubitum, ubi intelligilur pu
dicitia mulieris auro fuisse corrupta, quae illis
temporibus vel facta vel ficU sunt, aut facta ab
aliis et ficta de Jove ...
20. ]hid :.. . His temporibus Latona Apolli
nem pepcrit, non illum, cuius oracula solere con
suli superius loquebamur, sed illum, qui cum
Hercule servivit Admeto ; qui tamen sic esi Deus
creditus, nt plurimi ac paene omnes unum eun*
demque Apollinem fuisse opinentur. Tunc et Li
ber pater bellavit in India, qui multas habuit in
cxercitu feminas, quae Bacchae appellatae sunt,
non tam virtute nobiles quam furore. Aliqui
sane et vicium scribunt istum Li brum et vin
cturo ; nonnulli et occisuro in pugna a Perseo,
nec ubi luerit sepultus tacent ; et tamen eius
velut Dei nomine . ^. Bacchanalia sacra . . . sunt
instituta, de quorum rabio turpitudine poit
tam multos annos sic seoatus embuit, ut in urbe
Roma esse prohiberet. Per ea tempora Perseus
et uxor eius Andromeda postea quam sunt roor
lui, sic eos in caelnro receptos esse credideruiit,
ut iroaginei eorum stellis designare eorumque
appellare nominibus non erubescerent nec ti
merent.
-)* 21. Aug. d. Civ. D. XVl l I, 14 : Per idem
temporis intervallum extiterunt poetae qui etiam
theologi dicerenlnr, quoniam de diis carmina fa
ciebant ... Orpheos, Musaeus, Linus. Verum isti
theologi deos coluerunt non pro diis culti sunt ;
quamvis Orpheum nescto quo modo infernU sa
cris . . . perficere soleat civitas impiorum. Uior
e congiunta la natura ficir uoroo e dei cavallo:
di Cerbero che fu appo Io inferno uno cane con
tre capi ; di F'risto ed Elle sua sorella, che por
tati in su un castrone volarono: di Gorgone che
avea li serpenti in capo e faceva convertire in
pietra chi la sguardava : di Belleroionte che fu
portalo in su uno cavallo'volante colle penne, il
qnale si chiamava Pegaso : di Anfione, che per la
suavit della celer addolc le pietre e tirolle a s :
del maestro Dedalo e del suo figliuolo Icaro che
si fecero le ali e volarono : di Edipo che un mo
stro, che si chiamava Sfinge, colla faccia umana e
con quattro piedi, ciulta quella questione, che si
solca proporre, quasi che insolubile, costrinse a
morire traripandosi : di Anteo, che tu iatto mo
rire da Ercole, che fosse figliuolo della terra,
perch gettandosi in terra sempre si levava pi
forte : o se alcune altre ne ho lasciate.
-f* 19. Agostino della Citt di D. XVl l I, i 3 ...
finsuno il bellissimo fanciullo Ganimede essere
rapilo da Giove per adulterio, la quale scellera-
tezia fece anche il re Tantalo, e la favola P attri
bu a Giove ; ovvero che Giove richiese il con
cubito di Danae per la piova delP oro ; oTe s' i n
tende che la pudicizia di quella femmina fu cor-
rotla per Toro ... le quali cose furono in quelli
tempi o fatte o finte, o fatte da altri e finte di
Gi ove...
20. Ib. . . . In questi tempi Latona partor
Apolline, non quello che rispondea alti addiman-
danli, come detto di sopra, ma quello che con
Ercole servi Admeto, il quale nondimeno fu l i
creduto Iddio, che molti e quasi tutti si credono
che fu un solo e lo stesso Apolline. Allora Libero
padre combatt in India, il quale ebbe nello eser
cito molte femmine, le quali furono chiamate
Bacche non tanto nobili di virt quanto di furo
re. Alcuni cerio scrivono che questa Lbero fu
vinto e legato ; ed alcuD che fu ucciso nella bat
taglia da Perseo e non tacciono dove fu seppelli
to, e nondimeno come di Dio furono iilitoite le
baccanali sacre . . . della coi arrabbiata disonesta-
de dopo molli e molti anni se oe vergogn si il
senato che le viet essere in Roroa. Per quelli
tempi Ptrseo e la moglie sua Andromeda, poi che
morirono, furono si creduti essere ricevuti io
cielo, che non si temettero n vergognarono li
uomini di collooire le loro immagini selle stelle
c di chiamarli per li nomi delle stelle.
f 21. Agost. della Citt di D. XVIH, i 4 Per
quello intervallo di tempo furono li poeti che ti
chiamano teologi, pef che faceano versi delli
iddii .... Orfeo, Moseo e Lino. Bla qoeili teologi
coltivarono li iddii, ma non furono coltivati per
iddii, posto che Orfeo non 10 in che modo la d t '
t delli empii suole soprapporre alle lacre infer-
1017
DI . TERE NZI O VARRONE
1018
aatero rfgis Alhamaots, quae Tocabalur Ino, el
eius flios Melicertee praecipitio fpontaneo in ma>
ri perierunt, et opinione horoinum in deos relati
sunt, sicut iilii lioinines eorum temporum, Giitor
el Pollux. lllam sane Melicerls roalrem Leuco-
thean Graeci, Matutam Latini focaverunl, ulri-
que lamen pulantes deam.
+ aa. Aug. J. Civ. D. XVi l l , i 5 : Per ea lem-
pera regnum fiiitum esl Argiforum, translatum
ad Mycenas, unde fuil Agamemnon, et exortum
est regnum Laurentam, ubi Salami filius Picus
regnum primus accepit . . . Jam ergo regnabant
Laurentes ulique in Italia, ex quibus evidrnlior
dacilur origo Romana posi Graecos ... De huius
Pici patre Salarno ... negant hominem fuisse; de
quo ... alii scripserant, quod ante Picum filium
suum in Italia ipse regnaverit ... Sed haec poeti
ca opinentur esse figmenta et Pici patrem Ster-
cen potius fuis5e adseverent, a quo peritissime
agricola inventam ferunt, ui fimo animalium agri
fecundarentur, quod ab eius nomine stercus est
dictam ; hunc quidam Siercutiom vocatum fe
runt. Qualibet autem ex causa eum Saturnum ap
pellare voluerint, certe tamen hunc Stercen sive
Slercutium merito agriculturae fecerunt deuro.
Picum quoque fimiliter eius filiam iii talium
deorum numerum receperunt, quem praeclarum
augurem el belligeralorem foisse asserunt. Picus
Faunam genuit, Laarentum regem secundum ;
eliam iste deus illis sed est vel fuit. Hos ante
Troianum bellum divinos honores morluis homi
nibas detulerunt.
a3 . Aug. d. Civ. D. XVIII, i 3 : ... bellum ...
Troianam, ubi secundum librum Marcus Varro
de populi Romani gente finivit.
naii ... Ma Ia moglie del re Alamante che st chia
mava Ino e eno figliuolo Meliccrie si affogarono
spontaneamente in mare e perirono, e per la opi
nione delli uomini furono reputati iddii : siccome
quelli altri uomini di quelli tempi, Castore e
Polluce. Certo quella madre di Melicerle li Greci
chiamarono Leucotea e i Latini Matula ; e li uni
e li aliri per la tengono dea.
-{* aa. Agost. della Citt di Dio XVIII, i 5 .
Per quelli tempi fu finito il regno delli Argivi,
Iranslatato alli Miceni, onde fu Agamennone : e
nacque il regno Laurento, ove regn prima Pico
figliuolo di Saturno .... Gi adunque regnavano li
Laurenti in Italia, dalli quali si conduce pi aper
tamente la origine romana dopo li Greci ... Del
padre di questo' Pico, cio Saturno ... dicono che
non fu nomo : del quale scrissono li altri che in
nanzi a Pico suo figliuolo esso regn in Italia ...
Ma queste cose reputmo esser pioltosto finzioni
poetiche ed affermino che il padre di Pico
piuttosto Sterce, dal quale dottissimo lavoratore
fu trovato che li campi s' ingrassassero con leta
me, che dal suo nome chiamato sterco : cerio
alcuni dicono che fu chiamato Slercuzio. Ma per
qualunque cagione se l abbiano volato chiamare
Saturno, nondimeno fecciono meritamente questo
Sterceo o Stercuiio iddio delP agricoliara. E ri
cevettono anche Pico suo figliuolo nl numero
di cotali id<lii, il quale dicono che fa preclaro in
dovinatore e combattitore. Pico gener Fauno,
secondo re Laurento : ed anco costui , ovvero
fu iddio a coloro. E questi divini onori feciono
alli uoitaini morti innanzi alla guerra trojana.
a3. Agost. della Cilt di Dio XVi l l , i 3 ... la
guerra trojana ove Marco Varrone finio il secondo
libro della gente del popolo Romano.
LIBER TERTIUS
I. ^ u g . d. Civ. D. XVl l l , i 6: Troia ...ever
sa excidio illo ... quod ... est gestum ... regnante
iam Latino Fauni filio, ex qno Latinorum re
gnum dici coepii Laurenturoque ressatii/ Gracci
victorei deletam Troiam derelinquentes ei ad
propria reiueanles diversis et horrendis cladibus
dilacerati atqoe contriti sunt; et tamen etiam ex
eis deorum suorum numerum auxerant. Nam et
Dionjeden ecerunt deum, quem poena divinitus
inrogata perhibent ad suos non* revertisse :
ciusque socios in volucres luisse conversos non
fabuloso poelicoque mendacio, sed liisturica ad-
testatione Confirmant quibus nec deus, ut putant,
faclus humanam revocare natuiam vel ipse pn
tuil vel certe a Jove suo rege tamquam coelicola
novicios impetravit. Quin etiam lemplam eius
esse aiunt in imula Diomedea, non longe a mon
te Gargano, qui est in Apulia, et hoc templum
circumvolare atque incolere has alites tam mira
bili obsequio, ut aquam impleant et aspergaut ;
et eo si Graeci venerint vel Graecorum sUrpe
prognati, non solum quiclas esse, verum et insu
per adulare ; si autem alienigenas vi<leriiit, sub
volare ad capila, tamqne gravibus ictibus, ut
etiam perin.ant, vulnerare. Nam duris et grandi
bus rostris salis ad haec proelia perhibeniur ar
matae.
* 2. Aug. d. Civ. D. XVl i l , 1 7; Hoc Varro
ut astmat, commemorat alia non minus incredi
bilia de illa maga famosiuima Circe, quae socios
quoque Ulixis mutavit in bestias, et de Arcadi
bus, qui sorte ducti Iransnatabant qnoddam sta
gnum atque ibi coavertebantur in lupos et cum
similibus feris per illius regionis deserta vivebant.
Si autem carne non vescerentur humana, rursus
post novem annos eodem renatato stagno re
formabantur in homines. Denique etiam nomi-
natim expressit quendam Demaenetum, cum gu-
stasset dc sacrificio, quod Arcades immolato pue-
*I. Atio(t. Della Ciil <1 Do XVIII, >.
Distrutta Troja . . . per quello eccidio . . . il <|ua-
le fu fatto regnante gi inalino figliuolo di Fau
no, dal quale il regno Laurento cominci ad
essere chiamato Latino, li vincitori Greci lascian
do la distrutta Troja, e tornando alle proprie
c<>ntrade, furono fiaccati e stracciati d diverse
tribolazioni e miserie ; e nondimeno di loro fu
rono fall alcuni iddi. Per che feciono iddio
Diomedes, il quale ptr pena mandatali da Dio
non ritorn alii suoi : e li suoi compagni furo
no mutali in accell, la qual cosa si conferma
non per favoloso e poetico mendacio, ma per isto-
rica testificatione : alli quali n Diomedes, fatto,
secondo che credono, iddio pot rivocare uma
na natura, n ess novizio iddio pot impetrare
quekto da Giove suo re. Anche pi che dicono
che l lempio suo nell' isola Diomedea non mot
to dilunge dal nioote Gargauo che c in Puglia, e
questo tempio dicono che culli vano li uccelli vo
lando intorno con tanto mirabile ossequio, che
empiono il berco d' acqua e lavanlo : e se vi ven
gono li Greci ovvero di loro schiatta generali,
non solamente stanno quieti, ma eziandio fanno
loro festa ma se vi vengono stranieri, volano
sopra 'I capo e stracrianlo con si fatte ferite che
fino uccidono. Per che con becchi grandi e
duri si dice che sono assai armati a questa bat-
taglia.
* a. Agost. Della Ci iti di Dio XVIII, 19. Que
sta cosa per affermare Varrone, ricorda di quella
famosissima maga Circe altre cose non meno in
credibili, cio chc mut li compagni di Ulisse in
bestie, e quelli degli Arcadi h'erinu tratti a sor
te pastavano uno slagno ed ivi ai convertivano in
lupi e viveano colle fiere per deserti di quella
contrada. Ma se non mangiavano carne d* uomo,
anche dopo nove anni trapassavano quel medesi
mo stagno e riformavansi in uomini. Kd espresse
ezi ndio per nome uno Demeneto che mangi del
sicrifiio che li Arcadi solcano fare, nccreo un
loai DI M. TKRENZIO VARRONE
ro deo suo Lycaeo facere idercnt, in lupum
iaiete motatum, et anno decimo io figuram pro*
priaro reslitulom pugilatum ecae exercuiase et
Olyoipiaco tcmc oertamioe. Nec idem propter
aliud arbitratur historicuf io Arcadia lalo oomen
adfictum Pani Ljcaeo et Joti Lycaeo, oisi propter
hanc in lopos homioum mutationem, quod eam
nisi vi divina fieri non putarent. Lupas enim
Graece dicitur, unde Lycaei nomen appa
ret inflexum. Romanos eliam Lupercos ex illurum
mysteriorum Tcluti semine dicik exortos.
*|- 3. August. d. Civ. D. XV l l l , 19 : Eo tem
pore post captam Troiam atque deletam Aeneas
cum viginti navibus, quibus portabantur reti*
quiae Traianorum, in Italiam Tenit, regnante ibi
Latino, et apud Athenienses Menestheo, apud
Sicyonios Polyphide ... Mortuo autem Latino re
gnavit Aeueai tribas annis, eisdem in supradictis
locis manentibus regibus, nisi quod Sicyonio
rum iam Pelasgus eral ... Sed Aenean, quoniam
quando mortuus est non compamit, deum sibi
fecerunt Latini. Sabini eliam regem suum pri
mum Sancum sive, ut aliqui appellant. Sanctum,
rettulerunt in deos. Per idem tempus Codrus
rex Atheniensium Peloponnensibus eiusdem ho
stibus civitatis se interficiendum ignotus obiecit ;
et factum est. Hoc modo eum praedicant patriam
liberasse. Responsum enim aeceperant Pelopon
nenses tum demum se superaturos, si eorum re>
gem non occidisscnt. Fefellit ergo cos habitu
pauperia apparendo ct in suam necem per iur-
gium provocando ... Et hunc Athenienses tam
quam deum sacrificiorum honore colnerunt.Quar'
to Latinorum rege Silvio Aeneae filio, non de
Creusa, de qua fuit Ascanius, qui tertius ihi re
gnavit, sed de Lavinia latini filia, quem po
stumum Aeoeas dicitur habuisse, Melantho
Atheniensium sexto decimo ... regnum Sicyonio
rum consumptum est, quod per annos nongen
tos quinquaginta et novem traditur fuisse |ior-
rectum.
+ 4. Aug. d. Civ. D. XVIII, 20 ; Ah illo igi
tur tempore hi reges Latinorum esse coeperunt,<
quoa cognominabant Silvios; ab eo quippe, qui
filius Aeneae primas dictus est Silvius, ccteris
subsecutis et propria nomina imponebantur et
hoc non dtfnit cognomentam ... Tunc Athenien
ses habere deinde regea post Codri iuteritum de
stiterunt et magistratus habere coeperunt admi
nistrandae reipublicae . . . apud Latinos condita
est Alba, ex qua deinceps non Latinorum, sed
Albanorum reges appellari in eodem tamen Latio,
coeperunt.
5. Aug. d^Civ. D. XVl l I, 21 : Latium post
Aenean, quem deum fecerunt, undecim reges ha
buit, quorum nullus deus factus est. Aventinus
fanciullo, al loro iddio Liceo, e fu mutato in lupo
e Tanno decimo fu restituito nella propria figu
ra, il quale si esercit a' punzoni nella Olimpica
battaglia e vinse. E questo istorico non si pensa
che in Arcadia si sia posto questo nome a Pane
Liceo e a Giove Liceo, se non per questa muta
zione delli uomini in lupi, perch non si pensa
rono che si facesse se non per virt divina : ed
in greco lupo s chiama lycos^ onde si deriva il
nome Liceo. E dice che i romani Luperci sieno
derivati da quello come seme di cotali misteri.
3. Agost. Della Citt di Dio XVl l l , 19. Fra
quello tempo poi che Troja fu presa e distrutta.
Enea venne in Italia con venti navi, nelle quali
si portavano li scampali Trojani, regnando ivi
Latino ed in Atene Menesteo eJ appo li Sicioni
Polifide . . . E morto Latino, regn Enea per tre
anni regnando li sopraddetti re nelli predetti luo
ghi, se non che il re delli Sicioni era gi Pelasgo
... Ma Eaea quando mori, perch non fu poi ve
duto, sei fecciooo iddio. Ezisndio li Sabini mi-
sono tra li iddi il primo biro re Sanco, ovvero
come altri dicono, Santo. In quel tempo Codro
re di Atene Isconosciutamente si mise tra li Pe
loponnensi nemici della sua citt per essere mor
to : e cosi fu. Ed in questo modo il predicano
che liheroc la patria. Perocch li Peloponnensi
aveano risposta dalli iddi di dovere vincere se
non uccidessono il re d' Atene. Ingaonolli adun
que in abito ed in voce di povero apparendo e
pruvocoili con quistione a combattere. Costui
coltivarono li Ateniesi per iddio con onore di
sacrifiiii. Il quarto re delli Latini regnante, cio
Silvio tigliuolo di Enea non di Creusa, della qua
le fu Ascanio, il qule regn il terzo ivi, ma di
I^avinia figlia d Latino, il quale si dice che Paves-
se postumo ... regnan<lo sulli Ateniesi sestu de
cimo Melanto ... fu distrutto il regno delli Sicio
ni che avea durato per novecento cinquanta nove
anni.
f 4. Agost. Delta Citt df Dio XV i l l , 20. Da
quello tempo adunque cominciarono ad essere
quelli re delli Latini che s chiamavano Silvii :
per che da quello primo Silvio figliuolo d Enea
a tutti li altri si ponea per sopra nome Silvio ...
Allora gli Ateniesi dopo la morte di Codro man
carono di ayere re, e cominciarono avere magi
strati a reggere la repubblica ... Ap(So i Latini hi
edificata Alba, dalla quale, da quella innanzi, li re
non sf chiamavano Latini, ma Albani, ma nello
stesso Lazio.
f 5. Agost. DelU Citt di Dio XVIl l , 21. 1!
Lazio dopo Enea che fu fatto iddio ebbe undici
re : di quelli nullo ue fu fatto iddio. Ed Aventiiio
1023
DE LLA GENTE DEL POPOLO ROMANO
ioa4
aatero, qui duodecimo loco Aenean leqaitur, cum
esset prostratu in beUo el aepultas in eo monte,
qui eliam uuuc eitis nomine nuncupatur, deorum
...numero est addtius. Alii aaiie noluerunt eum
in proelio scribere occisam, aed non comparuisse
dixerunt; nec ex eius vocabulo appellatum mon
tem, sed ex adventu avium dictum Aventinum.
6 . Servius in Verg. Aen. VII, 65; : Aventi
nus mons urbis Rumae est : quem constat ab avi
bus esse nominatam : qaae de Tiberi ascendentes
illic sedebant ... Quidam etiam rex Aboriginum
Aventinus nomine illic et occisus et sepulius ett :
aicut etiam Albanorum rex Aventinus : cui succes
sit Procas. Varro tamen dicit in Gente poputi
Romani ; Sabinos a Romulo siisceptos istum ac
cepisse montem quem ab Avente fluvio provin
ciae suae Aventinum appellaverunt. Constat er
go, baa varias opiniones postea secutas. Nam a
principio ATentinus dictus est ab avibus, vel a
rege Aboriginum.
+ 9 . Aug. d. Civ. D. X V l I I , 2 i : Post hunc
(Aventinum) non est deus factus in Latio, nisi
Romulus conditor Romae. Inter istum autem et
illum reges reperiunturdoo, quorum primus est...
Procas ... Procas autem regnavit ante Amulium.
8. Charisius, p. 99, 17, ed. K. : Olympia fe
minino genere locus ipse dicitur, certamina ?ero
nculraliter, nam Varro ait ... sed idem De genie
populi Romani 111 : ludos Olympia fecerat.
f 9. Aug. d. Civ. D. XVl l l , 21 . Porro Amu
lius fratris sui Numitoris tiliam Rbeam nomine,
quae etiam Ilia vocabatur, Romuli matrem, Ve
stalem virginem fecerat, quam volunt de Marte
geminos concepisse, isto modo stnprum eius ho
norantes vel excusantes, et adhibentes argumen
tum, quod infantes expositos lupa nutrivit. Hoc
enim genus bestiae ad Martem existimant perti
nere, ut videlicet ideo lupa credatur admovisse
ubera parvulis, quia filios domini sui Martis agno
vit ; quamvis non desint qui dicant, cum expositi
vagientes iacerent, a nescio qua primum mere
trice fuisse collectos et primos eius suxisse ma
millas meretrices autem lupas vocabant, unde
etiam nunc turpia loca earum lupanaria nuncu
pantur, et eos postea ad Faustulum pervenisse
pastorem atque ab eius Acca uxore nutritos ....
Amulio successit in regnum Latiare frater cius
Numitor, avus Romuli, cuius Numitoris primo
anno condita est Roma ; ac per hoc cum suo
dgnceps, id est Koroulo, nc(iotc regnavit.
il quale il dadecmo dopo Enea, essendo mor
to in battaglia, e sotterrato in quel monte, il qua
le ora per lo suo nome si chiama Aventino, fu
posto nel nu/nero di quelli loro iddii ... Altri ve
ramente non vollero saperne che fosse morto in
battaglia, ma dissero, che non fu pi veduto; n
che dal nome di qoello si fosse chiamato il mon
te, ma che fu detto A ventino dagli uccelli che t i
furono veduti.
* 6. Servio al VII, 667 dell Eneidi. L Aven
tino un monte della citt di Roma, del quale f i
sa che fu cosi chiamato dagli uccelli che levan
dosi dal Tevere qui venivano a posare ... Anche
un re degli Aborigini detto Aventino qui fu uc
ciso e sepolto, come pure un re degli Albani
Aventino, al quale successe Proca. Tuttavia Var
rone nella gente del popolo Romano dice : che ai
Sabini accolti da Romolo fu assegnato questo
monte rui imposero il nome di Aventino da
Avente fiume del loro paese. Come si vede tutte
queste opinioni ebbero poscia segnaci. Poich da
principio Aventino trasse il nome o dagli uc
celli (avibus), o dal re degli Aborigeni.
-f* 7. Agost. Della Citt di Dio XVMI, ai . Do
po costui (cio Aventino) non tu fatto iddio nel
Lazio, se non Romolo edifcatore di Roma. E
tra costai e colui si trovano due re, il primo
<lei quali .... Proca .... Proca regn innanii ad
Amulio.
8. Carisio, p. 99, 17, ed. K. Olympia, inten
dendo del luogo, si usa al genere femminile ; ma
dei giuochi al neutro, poich Varrone dice . . . .
Questi per nel 111 della gente del popolo Ro
mano : ludos Olympia fecerat.
i* 9 Agost. Della Citt di Dio XVIII, 21.
Amulio certo la figliuola del fratello suo Numi
tore, che avea nome Rea, ed anche si chiamava
llia, madre di Romolo, avea fatta vergine vestale,
la quale, dicono che concepelte di Marte due bi
nali, onorando e scusando per questo modo il suo
adulterio, ed aggiungendo questo argomento che
la lupa nudr) quelli fanciullini gittati fuori. Per
che questa generatione di bestie credono appar
tenere a Marte, cio, acci che si creda chela
lupa diede le poppe alli fanciulli, perch li co
nobbe figliuoli del suo signore Marte : posto che
alcuni altri dicono che, essendo gittati e piangen
do furono ricolti da non so che meretrice e suc
ciarono prima le poppe sue (per che le meretrici
si chiamarono lupe, onde eziandio li luoghi loro
si chiamano lupanari) e poi pervennono a Fau-
stolo pastore, e' furono nudriti da Acca moglie
sua ... Ad Amulio succedette nel regno Laiiale il
suo fratello Numitore avolo di Romolo nel primo
anno del cui Numitore fu edificala Roma, e per
col suo nipote Romolo da quella i nanzi regnoe.
ioaS DI . TERENZIO VARRONE ioa6
IO. Gharjsiof, p. 6i , 6 e 187, 12: Mare. Virro
De gente populi Romani 111: a mare operta oppi
da, pro a luari, at refert Pliniui.
Serrius in Virg. Aen, IX, 6o3 ; llaliae di
sciplina et vita laudalnr : quam et Calo in origi
nibus et Verro in gente populi Romani comme-
raoral.
10. Cariiio, p. 61, 6 e 187, l a. Mare. Varro
ne Delia gente del popolo Romano 111 : a mare
iarono coperte delle citl in luogo di : mari :
Plinio ne fa testimonianza.
* Sertio al ferso 6o3 del libro IX dell Enei
de. lodata educazione e la ? ita degli Italici,
di cui fanno menzione, e Cafone nelle origini, e
Varrone nella genie del popolo Romano.
D i l l a csi r re d el P. \\ di M. Varhonc
)
LIBER QUARTUS
-J- I. il. Civ. D. XVIIJ, 22 : ... condita
esi civitas Ronia ... c. 23: Eodem tempore non
nulli SibyllaiD Erythraeam valiciualam ferunt.
+ 2. Aug. d. Ci v. D. XVIIJ, : Eodem Ro-
rouio regnante, Thales Milesius fuisse perhibe
tur ; unus e septem sapientibus, qui post theolo-
gos poetas, in quibus Orpheus maxime omni um
nobilitatus est, appellati sunt, quod est Ia*
li ne sapientes ... Mortuucu Romulum cum et ipse
non comparuisset, ia deos ... rettulere Romani ...
Regnavit dei nde Numa post Romulum Hoc
regnante Romae .... Samiam fuisse Sibyllam f e
runt.
-j* August. d. Civ. D. XVI l l , 25 : Regnante ...
apud Romftnos Tarquinio Prisco, qui succcsserat
Anco IVIartio ... Eo tempore Pittacus Mitylenaeus
alius e septem sapientibus fuisse peihibelur
Ili suni autem (quinque ceteri sapiente) : Solon
Atheniensis, Chilun Lacedemonius Pt^riandrus
Corinthius, Cl eobulus Lindiux, Bias Prienaeus.
Omnes hi, septem appellati sapientes, post poetas
theol ogos claruerunt, quia genere vitae quodam
laudabili praestabant hominibus ceteris et mo
rum nonnulla praecepta sententiarum brevitate
rompl exi sunt. Nihil autem monumentorum, quod
ad litteras adlinet, posteris reliquerunt, nisi qtiod
Soluu quasdam leges Atheni ensibus dtidisse per
hibetur : Thales vero physicus fuit, et suorun
dogmatum libros reliquit. Eo tempore et A-
naximander et Anaximenes et Xenophanes physici
claruerunt. Tunc et Pythagoras ex quo coeperunt
appellari philosophi.
+ 4. Aug. d. Ci v. D. XVUI , 26; ... Regnante
Romanorum aeptimo rege Tarquinio. Quo expul
so efiam ipsi a regum suorum dominatione liljeri
es5e coeperant.
LI BER TERTI US vel QUARTUS.
1. Scrviui in Verg. Aen. VII, 17O: Maiores
enim nostri sedentes epulabantur, quam murem
habuerunt a Lac^nubus et Cretensibus* ut Varro
I. ^ g o s t . Delia Cilt di Dio XVl l l , 22
fu edificata Ia citt di Koma ... c. 23. In quello
tempo dicono molli che profet la Sibilla Eritrea.
f 2. Agost. della Citt di Dio XVl l I, 24. Re
gnante quel Romolo, si dice che fu Tales Mile-
Ko uno delli sette sapienti, li quali dopo i teologi
poeti, tra i quali fu maseimamente nobilitato Or
feo, furono chiamati sof, che vuol dire in latino
sapienti ... E morto Romolo, e non si trovando
da poi ... non furono dalli Romani uomini morii
fatti iddii ... Regn da poi Nun^a dopo Romolo
Regnando costui a Roma ... si dice che tu la Si
billa Sa mia.
-| Agost. della Citt di Dio XVIl l , 25. Regnan
do ... a|>po li Romani Tarquinio Prisco, il quale
era succeduto ad Anco Mariio ... In quel tempo
si dice che fu Pittaco Mitileneo, un altro delli
selle sapienti ... Gli altri cinque sapienti sono,
Solone Ateniese, Chilone Lacedemonio, Perian
dro Corinzio, Cleobulo T.indio, Bias Prieneo.
Tulli questi, che fiorirono dopo li poeti teologi,
furono chiamati sapienti, per che per una ma
niera di vivere quasi singolare avanzavano tulli
li altri uomini e scristono alcuni comandamenti
di belli costumi con brevit di senteniie. Ma non
lasciarono ai posteri monumenti letlerarii, se non
che Solone, si dice che diede alcune leggi alli
Ateniesi : ma Tales fu fisico e lasci libri di sua
dottrina .... In quel tempo .... fiorirono Anassi-
mander ed Ansssimenes e Senofanes fisici. Allora
eziandio fior) Pittagora, dal quale tempo comin
ciarono a essere chiamati filosofi.
f Agost. della Citt di Dio XVl l I, 26 ... Re-
gnando il settimo re delli Romani Tarquinio. 11
quale cacciato, eziandio essi cominciarono ad es
sere liberi dalla signoria delli loro re.
LIBRO Ili o IV.
* Servio al v. 176 del libro VII dell' En. I
no.^tri maggiori usavano mangiare seduti, costu
me che toUero dai Laconii e dai Oefcsi, come
1 0 2 9 DLLI .A GLNTL IMA, POPOLO ROMANO DI M. . CIC. io3o
flocel in libris De genie populi Romani : in qui
bus cJicit quiJ a quaque traxerint gente per imi
tationem.
^ 2. Sorvius in Vcrg. Aen. VI, 7C0 ; Pura
hasta] ... el sine ferro. Nam hoc fuil praemium
apud maiores eius, qui ione primum vicisset in
praelio, sicut ait Varro iu libris De genie populi
Romani.
* 3. Serfius in Vorg. Georg. 111^ 18: Cmluni
quailriugos agitabo ad fl umina]-----unius diei
exibebo Circenses: quod ut Varro ditnt in libris
De gente populi Romani; olim XXV missus fie
bant, sed vicesimus quintus ducebatur aerarius
eo quod de collatione populi exhibebatur. Qui
desiit esse, postquam conferendae pecuniae est
consuetudo sublala : unde hodieque permansit,
ut ultimus missus appelletur aerarius. Krgo cen
tum currus secuodum antiquitatem dixit, sicul
etiam ad Humina. Olim enim in litore flumi is
Circenses agitabantur: in altero (alere positis
gladiis, ut ab utraque parte esset ignaviae prae
sens periculum. Unde et Circenses dicti sunt,
quia exhibebantur in circuitu ensibus positis:
licei alii a circumeundo dicant Circenses vocari.
insegita Varrone nei libri Delia gente del popolo
Rontnno, nei quali dice che cosa e da quali po
poli abbiano imitato.
* 2. Servio al verso 760, VI dt^lT tln. Pura
basta] cio, senza il ferro. Poich, come dice Var
rone nei libri Della gente del popolo Romano,
questo era il premio che dai suoi maggiori si so
leva dare a colui che riportasse la prima vittoria
in battaglia.
3. Servio al verso 18 de! libro III delie
Georg. Mander al palli cento quadrighe lungo it
fiume], cio, dar un giorno di giuochi Circensi :
perch, come dice Varrone nei libri Della gente
del popolo Romano, si faceano correre cento coc
chi, quattro [>er volta ; i quattro ultimi si diceva
no missus aerarius perch forniti con denari
racccolti tra il popolo. E questo cesto col ces
sare del costume di raccogliere questo denaro ;
ma si conserv uso di chiamare gli ultimi
quattro cocchi mssus aerarius. Disse adun
que: cento cocchi per ricordo ddP antichit, e
cosi del pari u presso al fiume, t Perch un
tempo i giuochi circensi celebravansi sulla riva
del fiume, di fronte alla quale erano disposte
delle spade, si da questa che da quella i dappo
co si vedessero minacciati. K dalP essere disposte
le spade in giro li dissero : giuochi Circensi,
bench dicano altri, che siensi appellati Circensi
dair andare intorno
AMOTAZIOOT
Il QlllTm IIBII DILLI GIKTEDEI POPOIiOBOItHO
L I BRO PRI MO.
2. O g f g i i diluvium. Tradizioni intorno ad
Ogig li ateano cosi nella Beozia come nelP tti
ca. ConTenivano io questo : cV esso foise il pi<
antico personaggio di cui si aTC^a notizia in am
bedue le terre. Il nome di * non che una
variel delPaltro 'Qcv, ossia il padre e gene
ratore di tutte le cose. Il dilnvio poi dello d
Ogi^e noo ricordava che una piena del lago Co.
paide, per la qoale fa allagata molta parte della
Beozia. Come io greco per questo nome si aveva
no le forme Qywyyji ; *Qyvyo; ; cos in
latino Ogjrges {Ogfges), Ogygus^ Ogfgius,
R e x f u i t Thebanorum, Anche de r. r. 3, i, 2.
Varrone lasci scritto che la fondazione di Tebe
era opera di Ogige: quindi per signifcare Tebe
l i diceva anche Ogygia motnia^ Cf. Fest., pagi
na 178, 9.
3In stella V eneris .... quam Plautus .... 11
passo di Plauto nelPAmphitr. 1, 1, ii^neque
vesperugo neque vergiliae occidunt e s ricorda
anche /. VI, 6 e Vi i , 5o.
Homerus Jlesperon . . . oelP Iliade XXII,
3i 8 , ? Iv .
Castor. un Rodiano ricordatu pi volte
dagli scrittori antichi come buon cronografo. Se
condo Suida era detto . Era contempo
raneo di A^arrone, e lasci tra le altre un'opera
//, alla quale forse qui accenna
Varrone.
Dei due matematici Adrasto e Dione non mi
venne fatto di trovare alcuna notizia.
4. Genethliaci quidam cto. Era uno dei no
mi onde si distinguevano quelli che studiavano il
corso e il moto delle stelle per 5piegare gli avveni
menti umani o predire il futuro. Il vocabolo pi
comune era a Roma Chaldaei. Cf. poi Mommsen.
Rrn. Chronol.f edizione 2.*, p. 184.
5. Non si pu dire con certezza se la dottrina
Varroniana coropendiata in questo luogo da Cen
sorino sa tolta dall opera De Gente P. R. o dai
libri antiqq. r. r. hum. divin.^ dove dal XIV-XIX
si trattava De temporibus. 1 critici pi recenti
stanno per la prima sentenza, osservando la con
venienza tra questo paso e S. Agosi., De Civ,
D. XX 1, 8.
Le parole primum enim tempus eie. accen
nano ad un quesiio che Varrone doveva avere
discusso nel logistorico Tubero, De origine hu
mana.
8. Come abbiamo avvertilo nei prelimmari,
Varrone stabiliva per punto di partenza della sut
cronologia lo stabilirsi del regno di Sicione. Il
primo re di Sicione lu Egialeo (Sicione era detta
anche /) ; e il principio di qtiella monar
chia sarebbe, secondo il computo varroniano, da
6ssare al i ;6o a. C.
LIBRO SECONDO.
1 ^ h u r i a c o . S. Agoitino stesso ci avverte che
altri chiamavano questo re non Thuriacut ma
Thurimacusi e di fatti era il nome comuniisi-
mo. Ci ci conferma sempre pi nell' opinione
che Tunica guida per il Santo Padre fosse in que
lla materia il libro De Gente P. R,
2. Inacho. Inachus che apre la serie dei re
argivi era veramente il fume d egual.nome ve
nerato come padre della genie. Quindi detto
figlk) deir Oceano, in un notevole frammento
di Soiocle (V/ Dion. II. 1, 25) "*
- *Qxcavcv ^17 ^
io35 ANNOI . Al FHAMM. \ GE NTK DE L POPOLO ROMANO io36
TC * re xoct , ) 7 .
Tradizioni posleriorif ma non fondate fanno ve
nire Inaco dairEgilto.
3. Phoroneus. il figlio d Inaco c dtlla nin
fa Melia ; secondo le tradizioni argi?e, il primo
mortale che abitasse la terra d' Argo, e quindi la
Grecia, perche gli Argivi credevano di essere i
pi aDi i c hi dei Greci. A lui era altriboila la fon
dazione d Argo e del cullo degli dei, e la diffu
sione dei principii fondamentali del viver civile e
deir agricoltura. Quello che nel resto di Grecia
era Prometeo, in Argo era Foroneo. Fu padre di
Api, da c ui V Argolide fu anche delta Apica, e
della infelicissima Niobe.
4. h i s non che un no[nc dalo pi lardi ad
Io figlia di Inaco. E gi notissimo come sia stala
mutata in giovenca, e come fosse da prepoleute
forza cofiretta a percorrere tutta la terra ; sim
bolo e personiBcazione della luna. Termin il cor
so della sua peregrinazione in Egitto dove ebbe
specialissimo culto. La storia d' Iside delle pi
importanti e intrelciale dell'antica mitologia, e fu
spesso argomento di stu<lii speciali. Un opuscolo
De Jside et Osiride srrisse Plutarco. Ve<li una
spiegazione in Preller Griech. Myth.^ II, p. 39>44i
e in Duocker, Storia deir antichit. Gl i Eg i
ziani^ pag. 73 e segg. della versione italiana (Ve
nezia, Antoneili 1866). Et quod late iusteque
imperaverit. Infatti fra gli appellativi d'Iside era
anche quello di t9opo. V. anche Appulejo
(Mei. 11, p. a4 0 . Forse per quesK> che Var
rone, secondo la testimonianza di S. Agostino {De
ciV. />., Vi l i , 37) e di Isidoro, Vi l i , 11, fa una
cosa sola di Iside e di Cerere.
5 e 6. Apis. Cos dello il figlio di Foroneo
secondo re d Argo. Abbiamo appena bisogno di
notare che non ha punto fondamento quello che
in questo frammento ci fatto conoscere intor
no alP origine del culto di Serapide, e che del
tutto falsa la etimologia del nome. Quantunque
non si possa dire con sicurezza come questo nn-
me (il cui culto originario di Alessandria) fosse
chiamato dagli Egiziani, perclic non stalo sct>-
perto ancora nei geroglifici e non comparisce
nella iscrizione di Rosetta, nel tempo, adunque,
di Tolomeo Epifane, indubitato per che il
nome era egiziano, e propriamente un appellati
vo di Osiris. Apis equivale a toro, simbolo di
Osiri dio della fecondit, adunque Osiris Apis e
da questo Osorapis, poi Serapis. Sappiamo ancora
che a Menfi il nome volgare era *(, e que
sta cognizione ci spiega'molto meglio la variet
del nome che non il ^ escogitato da Varrone.
Evidentemente la spiegazione fkisa (u conti'guen-
za delta falsa etimologa.
Dallff parole del frammento si dovrebbe anche
dedurre che il nuovo culto losse accettato senza
contrasto nell' Egitto ; ma sta invece il fatto, che
il sacerdozio egiziano si oppose violeiitemente
air introduzione del culto alessandrino, sebbene
a poco a poco riescisse a soppiantare tutti gli altri
culti (Cf. Preller, Rm, Myth.^ p. 723-733).
Il simulacro che col dito sulla bocca pareva
intimare silenzio Arpocrate, nel linguaggio di
Egitto Harpe-cruli, cio il fanciullo Horus, nato
da liide e Osiride. Siccome esso vendic il padre
Osiride ucciso da Tifone (ed ha in fatto nelle iscri
zioni il nome di u vendicatore del padre ^), e sic
come quando si rappresentava in quelP altitudine
lo si figurava sempre in et fanciullesca, cosi a
credere che s* intendesse signifrare che slava
preparando e maturando la vendetta : n lo si
sturbasse perci. La spiegazione che data da
Varrone di questo simbolo , pi che improbabile,
falsa.
l l l e autem bos eie. L animale che otteneva i
maggiori onori in Egitto era il toro consacrato
agli dei della generazione e della vita a Ptah, a
Ra, ad Osiride. Nel tempio di Ptah a Menfi con-
servavasi un toro nerissimo che doveva aver sulla
fronte un piccolo ciuffo di peli bianchi, sotto la
lingua una piccola escrescenza della forma di uno
scarafaggio, sul dosso una macchia bianca della
forma di nn* aquila, e coi crini della coda par
lili in due. Questo loro chiamavasi Api (egizia
no Hapi), e quando moriva, era lutto in tutto
Egitto per 70 giorni ; non a dire poi quan
te cerimonie ne accompagnassero la sepoltura.
Poi saccedevano Te cure di trovarne un al I r che
sostituisse il morto. Quando lo si fosse trovalo
era condotto a Nicopoli e lasciato in una prate
ria per quaranta giorni, durante i quali soltanto
le dpnne lo poteaiio vedere, poi sopra una barca
con grande apparato si portava a Menfi, dove si
festeggiava quell'avvenimento con selle giorni di
splendide feste (V. Erodoto a, i 5 3 ; Diodoro i ,
87 ; Strabone, p. 81 a).
Ai nostri tempi si poterono scoprire le se
polture dei buoi api ( i qu:>li successivaroente,
secondo narra Diodoro 1, 85, credevano gli Egi-
zii, erano stali albergo allo spirilo d ' Osiride) tra
Abusir e Sakkarah. In una estesa galleria si tro
varono 64 mummie di Api collocate in sarcofa
ghi di granilo, alcune fornite anche d ' iscrizioni,
che recavano V epoca della morte e per quanto
tempo ebbe gli onori del tempio. Vi si trova
sempre aggiunto al nome di Hapi, la critta
tt sempre redivivo del dio Ptah n e nei larcola-
phi u Otiride che sempre rinasce alla vila. w Cf.
Manette Al htn, francais oc/., nov, i 855 ;
Duncker, op. c., p. 92 e scpg.
7. Filius Argus, Secomlo le traditioni orgi*
io3y DI . TE HElNZI O VARUONE io38
Te quesf Argo, Ja cui poi avrebbe preso nome
il popolo, era il figlio iJi Niobe e di Giove.
10. Frater tjus Atlas magnus f uis se astro-
logus t\c, CI. llcrcul. De ncred. 4* v^p
axpoXoytaif
,
ifAvOcvOf) in* , cio :
Aliante fu il primo, come ta\io ch'era, a
iliare ailronomia, e perch prediceva le tempeste
e il mulo degli astri si favoleggi di lui che
sopportasse sugli om^ri il mondo. Di tale opi-
i>ione dovea esierc anche Virgilio se cauto : d o
cuit . . . . maximus Atlas (Aeu. J, (\ ).
11. Cecropes. 1^ pi antiche tradizioni del
Attica credevano questo personaggio autoctono
di questa terra; allri invece, ma posteriori di
tempo, lo facevaoo venir dall' bri l l o, quelle tra
dizioni stesse che credevano originario dell* Egit-
lo lo stesso culto di . Comune poi era la
opinione di attribuire a Cecrope i principii della
vita civile dell' Attica, e la foudazione di Cecro
pia che fu pi tardi Atene.
Phorbas, Un terribile pugillatore, acciso da
Apollo, re dei Flegii popolo amico ed affine dei
Minii di Orcomeno; suo fgliuolo U'riopas.
Lacum qui Tritonis dicitur tic. Tre erano
i luoghi di questo nome, uno nella Beozia, uno
in'J'essaglia, uno nella Libia (presso Cirene?):
da questo di Libia dicevano sorta Minerva (C.
Schol. A|iollon. I, 109). Certo per che averla
coni localizzala opera di et non remotissima.
Intorno alla spiegazione del moto che ia nascere
Minerva dal cervello di Giove et*. Prellcr Griech.
Mjth. I, 149, i 5o.
la. iVam ut Athtnae vocarentur ctc. Era
opinione comune che la citt di Alene avesse il
suo nome da Minerva *3, sebbene giovi ri>
cordare che si numinavano nno a nove citt di
questo nome. 11 nome pi antico della dea era
} e da questo *AOyjvar {Athenae)^ che alla
sua volta diede origine a una nuova torma, al no*
me della dea, cio ^, da cui *}3 qui
di Varrone. La radice del nome non si pot spie
gare ancora con sicurezza. V. Curtius Grundt.^
I. ai6.
Molto diffusa era altres la credenza di una
rivalit tra Nettuno e Minerva, di cui discorso
io questo frammento, tranne la particolarit della
strana assemblea dove e uomini e donne dovea>
no dare il voto per uno e per altro degli dei :
lo scioglimento della contesa narrato molto in
genuamente, ma non meno improbabilmente.
Una credibile spiegazione di quel mito noi
troviamo nell' ammettere che antica e tranquil
la popolazione primitiva dell' Attica dedita alia
coltura dei c^inpi, t(iuise turbala nelle sue pa
cifiche consuetudini dalla sopravvenuta popola
zione ionica piena di vita c inclinala alle avven
ture del mare.
Confessiamo per che la contesa avrebbe do>
vuto riescire favorevole a Nettuno; ma non di
mentichiamo che se nella Acropoli onore prin
cipale era di 51inerva, nel resto di Atene e del-
Attica il cullo di Nettuno e di Minerva era te
nuto in eguale venerazione ; n avrebbe potuto
essere alhimeuti.
'i. Ci duole veramente che S. Agostino non
ci abbia latto conoscere quella tale opinionem
de obscurarum notitia litterarum^ con cui Var
rone spiegava il nome dell' Areopago. La tradi
zione che avesse il nome, perch quivi si tenne
il giudizio di Marte accusato per la uccisione di
Alirrotto che avea faltu violenza ad Alcippe, pa
reva a Varrone lalsa. E tale sembra a noi pure,
sebbene per motivo diveiso che al grande ar
cheologo romano. Se vero, come si vnol rite
nere, che la istituzione dei dodici giudir:i areo-
pagili sia dovuta a Solone, contrasterebbe colla
credenza popolare. Ragioni di quel qome si sono
recate parecchie, ma s brancola nell oscurit.
Quia ubi paris eie. Minerva era creduta isti
tutrice di questa sanzione tanto umana; il pi
celebre esempio nella causa di Oreste, dove
essa gitt il suo famoso 'A6rivS;.
i 4 Deucalion. Noi per questo mito rono-
sciutiiisimo non faremo altroch invitare il let
tore a conlVonlario colla storia biblica di Noah.
1 amo meglio di vedervi una reminiscenza delle
tradizioni primitive, mantenutesi inalterate fin
ch le prime itirpi (ormarono un popolo solo,
che non imiitiserire un mito grandioso, come fa
il Prellcr, spiegandolo per l'avvicendamento del-
inverno e della primavera.
17. Namet Lupercorum per sacram viam eie.
E impossibile trovare un riscontro Ira il dihiviu
di Deucalione e il correre su e gi per la Sacra
Via dei Luperci.
Pare ormai fuori di dnbbio che quel corre
re simboleggiasse una espiazione a nome del po
polo, cio una lustratio, Varrone stesso in un
passo De l. l. VI, 34 di questo parere : quod
tunc februatur populus i, e. lupercis nudis lu~
st^atur antiquum oppidum Palatinum^tOioi. 1,
80, chiama questo discorrere .
Dionysium . . . ritum ferunt ostendisse in
At ti ca terra hospiti suo. Erano due i luoghi
dell' Attica che si vantavano di aver primi rice
vuto il dono della vite da Dioniio : Eleulera ed
Icaria. Ma Eleulera non essendo stala compresa
nell' Attica che dopo il ritorno degli Eraclid, re
sta che il vanto fosse per Icaria. lo questo demo
governava Icario, il quale accolse ospitalioenle Dio-
i o Sq
ANNOT. AI FRAMM. DELLA GENTE DEL POPOLO ROMANO
iiiso e ne ebbe in prcroio il primo tralcio di vile,
il quale, per uno di quei traiti ti' ingenuili che
ravvisi nelle favole dell' Allica, fu, qoati fi iden-
tificaise rei primo coltivtlore, dello aneli' esso
*,**, *^'. Ci. Preller Griech. Myth.^
2, 525 ; Osann : Ueher die ersie aupfianzung
und verbreitung des wtinstocks in Attika ; Cat-
sel 1843.
Tunc Apollini Delphico eie. Ci ignoto da
qual fonte lo tcrittore abbia attinia la origine qui
atsegnaU alle gare musicali dei giuochi Pilici, la
quale si oppone alla tradiiione universalmente aC'
celiata che ricordassero la uccisione del serpenle
Pitico. gara era in origine musicale, e e ragio
ne, perch Apollo era il dio dei carmi, il maestro
nelfarle d temprare la cetra, ispiratore dei poeti.
Erichthoniui. Verso la fine del frammento
data origine del nome, tale che Varrone stesso
non se ne mostra soddisfallo, lanto improba
bile, e la stessa seguirono poi liygin., f. 166; Ser
vio ; A'erg. G. 3, 1 1 3. Ma dobbiamo invece osser
vare che non si poteva considerare quel nome
che come un epiteto, il quale significa genio
della ferlilit, largitore di ogni benedizione del
terreno. Infatti spiegato gi dagli antichi per
> e la troviamo applicala ad altri benefattori
deir umanit, p. e., Mercurio '^
. Questo Genio occupa mol
la parie delle primitive tradizioni drlP Allica. Il
padre di Eriltonio era da tulli creduto Vulcano,
la madre da alcuni Minerva, da altri Ip Terra.
Varrone poi c spiega come si cercasse di salvare
la fama di verginit della dea. La credenza che
i'osse figlio di Minerva dovea essere mollo diffusa
se Euripide, p<*r es. lon. 267 e segg. mette tan>
lo in rilievo il contrario, e canta che Minerva Io
licevelle dalla Terra nelle verginali sue mani
senza averlo partorito - y
vcv. Fu poi il bambino tenuto sotto la
speciale custodia della dea nello stesso suo tem
pio, che quindi fu detto Eretteo ,
Odyss. 7, 8. E vero s che era rappresentalo
sotto il simbolo di un serpenle, ma la ragione
era beo altra da quella qui ricordala. Nell' At
tica si rappresentavano a quel modo tulli gli dei
e genii autoctoni. Non sar inalile ricordare che
Cicerone {De nat, Deor.^ Ili, 22, 25) senza fajjsi
scrupolo deirofiesa alP onore di Minerva, dice
naio da lei e da Vulcano, Apollinem eum^ cuius
in tutela Athenas antiqui historici esse i^olue-
runt ; cio quell Apollo che gli Ateniesi chiama
vano dio nazionale della loro gente, il
quale, sebbene sia sialo pi lardi identificato
con P Apollo Pilico, pure dcrvea essere senza dub
bio diverso da quello. Cf. Preller Griech, Myth.
1, i 58, 159.
Busiris, il nome di origine coplica. La sua
storia tragica, ma avea ricevuto in Atene forma
comica, e figurava nei drammi satirici. Busiride
era un figlio di Poseidone e di Lisianassa figlia
di Epafo. Era re di Egitto. Questa regione da
nove anni sofiriva desolante carestia, quando un
veggente (Frasio) si present al re Busiride an
nunziandogli da parte di Giove che la carestia
cesserebbe se s promette5se a Giove ln annuo
sacrifizio di uno straniero. Busiride cominci dal
far morire il malaugurato profeta. Intanto arriv
in Egitto Ercole, vittima designala esso, pure da
Busiride: si lasci legare e condurre alPaliare;
ma qui ruppe i legami : si gett sul re, sul suo
seguito, sui suoi sacerdoti, e fece una fricassa
di tulli. Ed essendo preparale le tavole con ric
che imbandigioni si fece trattare splendidamente,
la quale ultima parte forniva argomento agli
scherzi comici del dramma satirico.
17. Fabulae fi ctae sunt de Triptolemo tic.
Le tradizioni intorno a Triptolemo appartengono
al ciclo mitologico di Cerere. Siccome esso sim
boleggiava la coltivazione del campo, il fonda-
meijto del vivere civile, parecch[e citt di Grecia
aiiibifaoo d'intrecciare il nome di questo Genio
alle loro storie primitive. Non valsero per ad
oscurare la gloria delle tradizioni eleusine. E.
Ira questa la pi vulgata era di immaginare Tri
ptolemo mandato da Cerere e Proserpina sopra
un carro trailo per Paria di alalo serpente a
diffondere in tulle le terre la benedizione del
grano. Cos lo si trova rappresentato in molti vasi
di perielio lavoro, e contorniato da tutti gli
istrumenli usati per l'agricoltura, cosilo aveva an
che rappresentato Solocle sulla scena Nauch.,
Trag. gr., fr., p. 208;. Coiopiuto il giro della
terra ritornava ad Eieusi. Il suo nome vale quan
to wcolui che ara tre volle. CL Preller Griech,
Myth,,^ 11, 6oa*6o5. Allre tradizioni intorno a
questo Genio vedi nell inno omerico di Demo-
fonte.
De Minotauro eie. Era esso un antico sim
bolo del culto cretese di Giove a Gortinna ed a
Cnoso. nota la origine vergognosa.del mostro ;
ma giover pure ricordare che Io si Irov chia
malo anche semplicemente . Era rappre
sentalo con forma uraaoa, ma con lesta di toro
e in varii alleggi amenti : il suo cnlto raffronta
benistmo quello di Baal Moloch ; era il sole che
si adorava sotto forme sensibili. Onde da qual
che espositore moderno si trov di spiegare be
nissimo il labirinto come una vivace rappresenta
zione di un cielo stellato ; meraviglioso intreccio
come di linee concorrenti e inlrecciantisi in mille
forme e figure (Cf. Preller, op. c., II, 124).
De CentaurisA Centaiiri, immaginali diicen-
i o4i
DI . TKRENZI O VARKONE
4^
deoti di IssoM o di una nube, erano un popolo
di genii maligni, di natura demoniaca, di forme
mostruof^ roezxa d' uomo, meiza di eaTal lo, non
legato a leggi n divine n umane, Tivente di ra
pine, di omicidii e di caccia. La ragione etimo
logica del nome non si conoace, ma doteano rap
presentare orrore delle selve e del monte. Le
due sedi pi frequentale d Centauri erano il
Pelio nella Tessaglia e il selvaggio Foloe nel-
Arcadia.
De Phryxo ei Helle etc. Sono i figli di Ata-
mante della gente Minia, perseguitati dalla ma
trigna Ino, che induce il debole marito a sa
crificare intanto il primo per ottenere la fertilit
dei campi, preparando alla seconda oaoiri ingan
ni. Al momento del lacrfizio un montone dal
Tcllo * oro scende dal cielo, solleva i due fratelli
per trasportarli in salvo per aria. Frisao giunge
al termine del viaggio ad Eea : Helle era caduta
nel mare che da essa fu detto Ellesponto.
De Gorgone etc. La Gorgoni (cio le orribili,
le spaventose) erano tre sorelle Aeno, Burlalo e
Medusa ; mortale questa, le altre immortali. Me
dusa, eccitando colla bellMma chioma invidia
delle dee, le ebbe da Minerva cambiate in ser
penti. Essa fu uccisa da Perseo, che le recise il
capo. nolo che il capo della Gorgone rendeva
di sasso i riguardanti, onde diventava mezzo po
lente di oflesaiy di cui Giove arm la sua Egida.
Dal sangue della uccisa Gorgone sorse alato ca
vallo Pegaso.
De Bellorophonte etc. un simpatico eroe
della leggenda di Licia, che fu almeno in parte
accettata anvhe da altre citt, come da Corinto,
che adott anzi per stemma alalo cavallo do
malo dair eroe. Noi ci asteniamo di toccare del
le avventure romatizenche ddl eroe rimandando
il lettore 1 ingenua descrizione che ne ha fatto
Omero. 11. VI, i 5a - a i i .
De Amphione tXc. Anfione era figlio di An
tiope e di Nirleo, e nato ad Eleutera. Aveva un
fratello gemello di nome Zelo d' indole alla sua
tutta opposta : quegli lutto datosi alle nobili arti
della musica e della poesia, questi alla caccia e
alla pastorizia, rozzo e aspro di natura. ] due
Iratelli, ottenuta la signoria di Tebe, per difen
derla da pericolosi vicini la cinsero delle celebri
mura. Zeto faceva rotolare con la immane sua
forza immensi macigni, ma Amfion col suono
della sua lira faceva muovere da $ blocchi due
volle pi grandi. Questa la tradizione pi co
nosciuta e diffusa sul couto di Anfiouc. Si raccou
tavauo dei due fratelli altre avventure*, fra le quali
1 Itrribile punizione, con cui fecero etumiare
alla zia Dirce le ingiustizie cornmem a d4tnio
della loio madre Anliopc, iivveiiiinento racravi-
A n n o t . a i k b a mw PELf.A GENTK . . R. DI !^1. I e r . V ai \ r .
gliosamente espresso nel gruppo famoso che si
conserva a Napoli sotto il nome di Toro Farne
se, opera di Apollonio e Taurisco di Rodi.
20. Bacchanalia sacra etc. Le feste di Bac
co erano state da tempo introdotte in Roma e
celebrate seoza dar luogo a richiami ed a re
pressioni ; ma appresso una sacerdotessa di Cam
pania e qualche cittadino di Roma di bassa con
dizione e alcuni Etruschi ne alterarono indole
e lo scopo: le feste diventarono orgie, dove si
commetteva ogni maniera di oscenit. Si corrom
peva la giovent ; e il male faccvasi ogni giorno
pi grave ; tanto che la sicurezza dello Stato nn-
rebbe stata gravemente minacciata. Fu allora che
il magistrato e il senato intervennero: si lece un
processo severo, da cui apiari che oltre 7000 era
no iniziati in quei nefandi misteri : quelli che
non avevano che dato il nome furono tenuti in
carcere; gli altri, ed erano i pi, che s erano an
che contaminati in quelle brutture, si mandarono
a morte. Dopo d che il senato diede incarico ai
consoli : ut omnia Bacchanalia Romae pri
mum deinde per totam Italiam diruerent ex
tra quam s i qua ibi vetusta ara aut signum
consecratum esset: si faceva eccezione si quis
tale sacrum solemne et necessarium duceret
nec sine religione et piaculo id omittere pos
set^ con molte cautele per che rendevano im
possibile il rinnovarsi deir antico disordine. Si
conserva ancora originale del famoso S. C. da
hachnalihus che dell anno 18G a. C. uno adun
que dei pi vetusti monumenti di Roma. Si trov
inciso in una lastra di rame c ne pubblic un
facsmile Ritschl e un commento Mummsen C. I.
latinarum^ 1, 196, p. 43 e segg.
21. Orpheus . . . quamvis Orpheum etc. Or
feo il figlio di Oiagro e di Calliope e sposo della
ninfa Euridice, appartiene alla gente antica dei
Traci che s diceva avere abitato nella contrada
Piena e dell' Olimpo: esso il rappresentante
pi antico del culto delle muse e della potenza
del canto, se colla soavit dei suoni della sua
cetra traevasi dietro alberi e rupi e domava le
fiere, commoveva a piet fino efferato cuore
del signore dell* inferno. Non staremo ora a ri
petere le varie tradizioni sul conto di Orfeo
della sua Euridice, cai pietosamente cantate da
Virgilio Georg. IV, v. 4^4 tempo di
Pisistrato si form di Orfeo uu sacerdote e gli
si attribu islituzione dei misteri ( dal suo no
me delti orfici ), che s incontravano nel cullo
di Dioniso Lagrco, cun dottrine contrarie alla
teologia omerica Rpeciahnente rispetto alla couJi
zioi> delle anime dei morti.
lUusneus^ un mitico cantore ( tw^cc; ), veg
gente .acrrilote delT Attica, dpve %\ crede che
6G
AN.NOT. Al FRAMM. DfcLI .A GtNTI v Dt L POP. ROMANO 1044
abbia inlrodolta e diffusa la poesia religiosa nel-
el antiomerica. t facile inJoTiiiare, perch gli
si allribuisse a padre ora Orfeo ora Lino. Anda
vano sotto il suo nome olire poesie di argomento
sacro anche molle profeiie ( ^)
ordinale poi e alterate da Onoroacrtlo. Gf. Ero
dolo 7, 6 ; 8, 96 ; 9, 43 ; Piai. r. p. q, 7.
Linus. La tradizione pi anlica faceva di Lino
un vezzoso garzone rapito da immaturo falo^ co
me Narcisso di Beozia, Iacinto di Sparla; e di
rui ogni anno si celebrava la memoria con lugu
bri canti, che col nome di ricorda anche
Omero (H. 18, 570). tsso simboleggiava Tappas-
sire dei fiori nella stagione in cui Sirio (la Ca
nicola) appariva nel cielo. Ma in Tebe e nei luo
ghi a Tebe circoslsnti Lino fu trasformato in un
cantore strettaoienle collegato colle muse. Fu poi
tanto ardito da sfidare Apollo alla prova del cauto:
n ebbe in pena la morte. Nel monte Elicona era
lina grotta detta dal suo nome, e dove se ne
conserver immagine e in cui si facevano an
nui sacrifizii. Air epoca Alessandrina se ne fece,
('me Museo ed Oileo, anche uno scrittore.
Matrem Leucotheam Graeci Matutam etc.
iM<itula era lo d*a che simboleggiava il sorgere
deir aurora, o, come diceva!, quella rhe diiTon-
deva la rosea Iure delf albore mattutino: cos i.u-
crezio, V, G54, roseam Matuta per oras aetheris
auroram d[ffert et lumina pandit. Ii poi per
una sebbeii lontana relazione fu venerala come
dea propizia ai parli, e cpiimli le pre.^lavaiK) culto
peciniroente le donne, e le sue esle, che comin-
riavano agli 11 di Giugno, erano dette Matralia
(Cf. Ovidio, F. VI, 469) E forse f>erch il sole
sembra che spunti dall' onde, Matuta direnne an
che una dea marina. Avendo il cullo della dea
Lcncotea in Grecia moka conformit con quello
romano di Matula, le due divinit si confusero
spesso insieme : ma non erano, secondo apparisce
dalle parole del frammento, una sola. 11 culto di
Matula veramente italico; Servio le eresse nn
tempio nel foro Boario. Del pari si confusero
italico Porlumnus col ^reco Melicertes, e non
dobbiamo considerare che come sforzi d inge
gno te prove di antichi milografi per dimostrar
ne la identit.
32. Exortum est regnum Laurentum etc.
Il discreto lettore non si attcndei certo che si
faccia qui una digressione storica suir origine del
popolo Latino, che assumerebbe proporzioni tro(>*
po Taste per una noia. Baster il ricordare che
f Ijatini si credevano aborigeni ( >*(| -
7oot; Dyon. I, 10; ^ ; Servio Aen. Vi l i ,
3'28, Casci antichi, Ennio), e che il nome di
l^aurenti ebbe origine da un sacco lauro che era
il santuario delle genti nelPepoca in cui gli alberi
ricevevano onori divini: la celebrit dell*albero
fu cagione che si venisse formando l attorno una
comunit, che per ci fu detta Laiffrento. Cf.
Virg., VII, 6 3 :
Laurus erat tecti medio in penetralibus altis^
Sacra comam^ muUosqut meta servata per
annos ;
Quam pater inventam^ primas cum conderet
arces (di Laurento),
Ipse ferebatur Phoebo sacrasse Latinus^
Laurentisque ab ea nomen posuisse colonis.
Laurento fu poi un centro del culto a Marie,
e perch a questo nume era in parlicolar modo
sacro il p'rccho (picus), fu facile comporre Ia tra
dizione ch^ il primo re di Laurento fosse Pico,
figlio di Saturno. CL Virg. VII, 45 :
. . . . Picus pater.^ isque parentem
7V, Saturne, refert^ tu sanguinis ultimus au
ctor.
Altre tradizioni, delle quali ti fa copioso in
terprete Ovidio, Metam. XIV, 434i credevano che
il prode Pico dalla gigantesca figura, fosse mu
tato in picchio dalla maga Circe, |>erch il re era
infedele al suo amore. importante per le co
gnizioni archeologiche il passo di Virgilio intorno
a Pico, VII, 170 e seg.
Tectum augustum.^ ingens., centum sublime
columnis
Urbe f u i t summa., Laurentis regia Pici^
Horrendum silvis et religione parentum.
Hic sceptra accipere^ et primos attolere f a
sces
Regibus omen erat^ hoc illis curia templum ;
Hae sacris aedes epulis ; hic., ariete caeiby
Perpetuis soliti patris considere mensis
Ipse guirinali lituo parvaque sedebat
Succinctus trabea laevaque ancile gerebat
Picus., equum domitor^ quem capta cupidine
coniuJty
.4 urea percussum virga versumque venenis.,
Fecit avem Circe, sparsitque coloribus alas.
Le parole poi chc seguono assegnano a Pico
un diverso padre, cio Stercen o Slercotius; ma
secondo ogni probabilit non si possono accet
tare a quel modo. Si crede infatti che Sterceo
o Stercutius non sia diverso da Saturnas, conai-
derato per sotto un aspetto differente. Satumos
il padre dell agricoltura latina, a lui dunque si
pu ragionevolmente riferire anche Toperaiione
45 . 1ERKNZI O VAKHONL ^
cos iro|>*rltDte (li ieUmiuare i campi. V. anche
Plinio 11. N. XVl l , 9, G, preuo il quale haiHio
lo sletso valore le voci Slerces, Sterculut, Slercii
lius, Sltrcutui, Stercutiut. Ad ogni modo narrali
che in Ho i d b t folte un' ara Stercuti l'ondala,
diccTaii, da Pico, 11 Preller crede che il fonda
meolo di quMle relazioni non aia altro che una
rappreaenlaiione di certe abitudini non troppo
profumate del picchio.
Faunus il figlio di Pico e pi fortunato di
lui, ebbe culto difulgatiuioK) e Teneratiuimo.
Fauno uno degli dei pi antichi e popolari d' ita-
li, ed italiano il suo nome. Ben presto Tenne
idcntificalo col greco Fan, onde lo si fece Tcnire
dair Arcadia, come vandro, che non altro se
non la trailuzione in greco di Faunus, dio favo
revole benigno. Alla xua memoria si rollegavano
le pi benefiche iilituzioni, cos sociali eom&utili
al benessere materiale. Fra dotalo di spirilo pro
fetico, e spesso si credeva di sentirne la voce, spe
cialmente nel tumulto delle battaglie, quando
metteva nei nemici del popolo romano il timor
panico (Cic., Div. 1, 4^1 \o\y saept in praeliis
Fauni auditi), Consigfio al lettore di leggere in
torno a Fauno il bell* articolo di Preller, Rmischt
Mfthoagie, p. 334-346, perch sarebbe troppo
lungo anche a riepilogarlo. Merita solo di essere
osservato, che dal frammento Fauno apparisca
come uu semplice mortale deificato; la quale opi
nione era certo in contrasto rolla lede popolare,
almeno della genie di villa.
LIBRO TERZO.
Latinus eia dalla tradizione pi vulgata re
putato figliuolo di Fauno Laurente e ddla ninfa
Marica : dai Greci era detto per figlio di Ulisse
e di Circe, e dai Romani di Ercole e di una Fau
na; cos p. e. Giust. XLI l l , 1, 9, ex f d i a Fauni
et Hercue . . . . Latinus procreatur. V. anche
Dionys. /, 43 Divenne |>oi dio indigete di La-
vioio ; ed ebbe dal popolo Ialino nome ed onori
divi i sotto il titolo di Divus Pater Latiaris. Non
fa d' uopo certo che qui s ricordi come la storia
di Latino si iulrecci con quella del profugo nea,
essendo rota a tutti notissima.
Diomedem fecerunt deum etc. La leggenda
di Diomede era conosciutissima nel litorale del
mar Jonio e dell'Adriatico, sebbene non al grado
che tra il popolo dei Daunii nelP Apulia. Si sa
ancora che a Tnrio ed a Metaponto furono a! va
loroso Tidide accordati onori divini. Diomede
caccialo da kvf^o venne a fondare nell' Apolia un
regno rispettato e potente, e scomparve pi lardi
iieir isoletta che prese il nome da lui; come i
suoi compagni furono mutati in una specie di
aironi {Ardea)^ con abitudini ed istinti quali
esposti nel nostro frammento, cKe ricordavano le
loro relazioni colla perduta patria greca.
3. Aeneam quoniam quando mortuus est
non comparuit eie. La tradizione raccontava di
Knea che combattendo contro Mazenzio o Turno
scomparve noi fiume Numicio, e fu quindi v^
nerato come dio indigete ( nome di cui s pro
posero dagli antichi e dai moderni le pi svariate
anzi contraddittorie spiegazioni), ossia di genio
tutelare della terra. notevole il modo con cui
dai Latini si esprimeva lo scomparire dalla terra
di questi croi e fondatori delle antichissime ritta
del Lazio, colle formuli, cio non comparuit
o nusquam apparuit. Cosi, olire il luogo del no
stro frammento, ancora si legge una, sebbene inu-
lla, iscrizione pompeiana in onore di Enea : Ae~
neas Veneris et Anchisae f i l ius \cum nimbo
exort] o non con [paruisset dictus] est In-
diges (Cf. Mommsen C. 1. L. S, p. 83/. an
che Uionys. I, 64 Zonara, Ann. /''//, i ,
i r 6 , cvrt
OVTC 9 (( notpi 7.
Sancum eie. Sancus, e pi completamente
Seiuo Saneus, qualunque sia il modo con cui si
interpret queir appellativo, era una divinit Sa
bina ed Umbra, la quale corrispondeva al Diespiter
dei Romani. Era dello anche altrimente Deus Fi
dius, che vegliava alla santit delle promesse e dei
l^iuramenti. Gi nel V, 60 de L. Latina Varrone
ricorda la sentenza di Elio Stilone che nella lin
gua sabina Sancus equivalesse alP Hercules dei
Greci, ed e notevole che il nome greco facesse
dimenticare il nome nazionale. Da Curi fu porta
to a Roma il cullo di Semo Sancus {Deus Fidius)
ed ebbe un tempio sai Qoirinale presso alP altro
del dio Quirino. Cf. Ov. F. VI, 213 :
Quaerebam Ifonas Sanco Fidione referrem
An tibi Semo Pater? Tum mihi Sancus ait:
Cuicumque ex illis dederis, ego munus habeho
Nomina terna fero^ sic \^oluere Cures.
Un secondo tempio ebbe in riva al Tevere
dove fu trovata iscrizione
,
famosa per le controversie, alle quali diede origi
ne fra i primi apologisti del Cristianesimo, che la
i o 4 ;
ANNOI Al KHAMM. DELLA GKNTfc. DEL POP. ROMANO ebc.
Tollero iiilerprelare ili Simone Mago, T. Juit.
Apoi. I, 26, 5 6 ; Tertull. Apolog. i 3 ; Kuteb. Hiil.
Eccl. II, i 3.
Sebbene la radice iletia voce Sancui (Sangut)
sia la stessa d Sancio, Sancias, pore aalitiamente
ooD si disse mai Sanctus per Sancus; mentre pi
tardi divent al contrario cornane Sanctus per
Sancus. Oltre la testimonianta del nostro fram
mento leggiamo in Properiio (IV, 9, 78) : hunc
. . . Sanctum Tatiae composuere Cures ; oos
Tertulliano ad Nat. 11, 9: est et Sanctus propter
hospitalitatem a rege Tatio fanum consecutus^
ed una iscrizione (presso Orelli, q. 1861). Sanco
Sancto Semoni Deo Fidio Sacrum Decuria
Sacerdotum Bidentalium reciperatis veotiga
libus. Cf. Preller, op. cit. p. 634 *8
4, 5. Sihi os Silvius, Enea avea sposato La
vinia 6glia di Latino ; quando Enea scomparve
nel Numicio, essa era incinta, e per timore del
figliastro Aicanio ripar in una selva, dove diede
alla luce un bambino che per questo Tu detto
Silvius, e cresciuto, ebbe per volere del popolo,
la dignit reale in Alba in luogo di Julo, il quale,
per non contrastare ai desiderii del popolo stette
contento ella dignit sacerdotale. Secondo le
tradizioni seguite anche da Virgilio, Julo il
figlio che Enea ebbe da Creusa, Silvio da Ijavi
ni, e fn prescelto da suoi perch nato di ma
dre latina.
La serie degli altri re la seguente : Aeneas^
SihiuSy Latinus S i h i u s , /ilba^ Capetus^ Ca
pys^ Calpetus^ Tiberinus^ Agrippa Romalus
Sihi us poi Aventinus^ che diede il suo nome al
colle dove fn sepolto. La serie di questi re fu,
manifeitamente, un ripiego per colmare la la
cuna ira la fondazione di Alba e quella di Roma.
Non tutti per erano di questa opinione nello
spiegare il nome di Aventinus, come apparisce
dal fremmento che segue di Servio.
LIBRO QUARTO.
1. Erano, come noto, le Sibille profetesse
inspirale da Apollo. Le pi celebri, quella di Sa
mo, quella di Eritrea (forse la pi antica di tutte),
e la Cumana. Non raro trovare scambiata una
per altra ; e d' ordinario quella di Eritrea e di
Cuma erano leuute come una sola e stessa veg
gente, perch, dicevano, alla sibilla di Eritrea era
stata promessa vita lunga tanti nnni quanti era
no i granelli di sabbia del ino paterno lido a
patto che si cercasse on' altra patria, e la patria
nuova fu Cuma.
a e 3. intorno ai sette Savii di Creda, e alla
relazione loro coll' oracolo delfico fa belliisime
oseervazioni Ernesto Curtius nella sua storia di
Grecia, voi. 1, p. 4aS icgg* I)iitl le nervoae
sentenze di quei savii uon aveano in Grecia tanto
credito se non per autorit che attribuiva loro
oracolo : quello fcrittore la dice con una feli
ce fraae popolare u una rivelazione di seconda
mano, n 11 primo fu Talete Milesio notevole, per
ch fu il primo che cerc strappare alla natura
il secreto della formazione del mondo e dei suoi
elementi; il fondatore della scuola filosofica di
Jonia, alla quale appartennero anche Anassiman
dro e Anasiimene.
E oertamenle curioso il modo con cui oel
frammento 3 si parla di Solone : quasdam leges
Atheniensibus dedisse perhibetur^ come se d
tratiaise di cosa poco nota, o Soone noo aveMc
formato un intero corpo d leggi e di istituziooi
che modificavano capo a fondo la condizione di
Atene, e contenevano i germi della sua futura
grandezza.
LIBRO 111 e IV.
I frammenti 1 e 3 da alcuni erano falsamente
ascritti ai libri Debita P. R,y e noi li abbia
mo messi sotto quella rubrica e a quel luogo
illustrati : il frammento n. 3 qui dato pi pie
no. Non fa quasi bisogno di avvertire che aUu-
sione si riferisce ad un tempo anteriore a Tar
quinio Prisco che edific a quest' uopo il Gircos
Mazimvs fra il Palatino e A ventino.
. TERENZIO VARRONE
FBAM9 1 EIXTI MII XORI
TRADOTTI E ANNOTATI

FEDERICO AB. BRUNETTI.


H EBDOMADUM SIVE IMAGINUM
L I B R I XV.
^ le upcre di pi vasl mole dovute fella
insUocabile operoiili del doHiuimo Varrone
quella delle Hebdomades o aliriroenli delle Ima
gini^ con cui diamo principio alla raccolta d^
iVammenti minori, sotto il qual titolo intendiamo
coropreodere quelle scritture di coi sopravaoza-
rono scarsissime le reliquie.
innato desiderio di animo gentile cono
scere di persona gli uomini die per qualsivoglia
roeixo hanno contribuito al nostro benessere, o
hanno compiuto opere lodate di mano o di inge
gno, e se questi sieno o lontani o defunti sentia
mo viva brama di possederne almeno immagine,
di indovinare da quelle sembianze gli affetti,
sentimenti, di troyarfi come la traccia della ispi
razione, del genio.
N mancarono anche alP antica Roma quelli
che si dessero cura di soddisfare a tale bisogno.
Gi Asinio Pollione avea ornato con ritratti Patrio
della biblioteca da lui aperta al publico: gii
'>. Pomponio Attieo avea racrolto in- un libro le
imagini d' illustri Romani, indicandone anche in
quattro o cinque versi bre%issimamente i me
riti. u Attigit quoque, ne racconta il suo bio
grafo Cornelio poeticen ... namque vetsibus qui
honore rerumque gestarum amplitudine ceteros
romani popuU praestiterunt exposuit, ita ut sub
singulnrum imaginibus facta magistratusque eo
rum . . . quaternis quinisque versibus djescripie-
rit. yyVarrone s ' impadron di questo concetto, e
dando una proporzione vastissima al disegno,
raccolse niente meno che 700 immagini formando
ne opera Hebdomades^ l quale, oltre che per
ampiezza, si distingueva dall* opera di Attico
anche per questo, che accettava in parte, per lo
meno/uguale p i uomini celebri di Grecia.
La testimonianza pi eelebre iotorao a que
st* opera Varroniana troviamo in Plinio H. N.
XXXV, a .... tt M. Varr benignissimo invento
insertis voluminum suorum fecunditati septin
gentorum illustrium aliquo modo imaginibus non
passus intercidere figuras aut vetustatem aevi
contri homines valere, inventor muneris etiam
dU invidiosi, quando immortalitatem non solum
dedit verom etiam in omnes terras misit, ut prae
sentes esse ubique cea dl possent : et hoc qui
dem alienis ille praestitit, n 11 qual luogo, come si
vedr, non poi coti chiaro da non dar luogo a
parecchi e gravissimi dubbi.
Cicerone ricorda opera delle Hebdomades
in ima lettera al Attico (XVI, 11) e la paragona
al poema di Aristotele sul peplo di Minerva,
a itiiroypafcair Varronis tibi probari non mole
ste fero : e la videro e ne toccarono Gellio III,
f i ; Ausonio Mosell. 807, Simmaco I, ep. 4 ; Job.
Lyd., de magg., I, 3o.
Varrone adunque tra la numerosa schiera di
uomini che in Grecia ed in Roma aveano acqui*
stato il diritto di vivere nella memoria dei poste
ri o per imprese compiute vittoriosamente, o per
oivili virt, o per chiarezza d' ingegno o per mae-
atria singolare ntlle arti, o per altro qualsivoglia
titolo, ne ave scelti 700, ne avea latto designale
le immagini, e ogni immagine avea accompagnata
da una breve iscrizione in verso, che succosamen-
te diceva le lodi, *0 le circostanze pi necessarie
a sapersi della vita del personaggio ritratto, e for
se da un cenno biografico in prosa ; avea, per
usare una frase non elegante, ma comune, rac
colto una galleria di 700 uomini famosi di Grecia
e di Roma.
(>e parole di Plinio sono troppo esplicite :
non lalciano dubbio che il numero dei ritratti
fosse di 700 ; e non psrmi che fia da ricorrere a
io55 F R A M M E N T I
I w5(
luppofiiioni di cUre roloiiUe, quando con uno
studio diligCDle sulla probabile dislribuziooe del
opera si riesce ad oKenere quel nuraero con
precisione. N deve credersi improbabile per la
difficolti di trovare gli originali da coi derivare
i ritratti, quando da tolti si sa, che innumerevo
le copia di statue era dalla Grecia venuta in Ro
ma, e che i Romani stessi ai loro nomini celebri
accordavano questo onore.
Non manco chi roeravigliato dal gran numero
dei ritratti, sedotto dalle parole di Plinio u beni
gnissimo invento s lasciasse andare tanto lungi
colla imaginazione da credere che Varrone pre
venisse di quattordici secoli invenzione della
stampa. Certo che gli poteva venire in mente di
intagliare a rovescio nel legno le immagini ; ma
anche far stare in piedi un uovo era facile, e pure
convenne attendere tanto che nascesse Colombo !
D altra parte nulla vieta di supporre, che Varro
ne afesse preparato di lunga mano la sua raccol
ta, che fosse aiutato dall' opera degli amici, che
teneue ad un tempo medesimo occupalo un buon
numero di disegnatori : tanto pi se opera era
destinala ad aver diffusione anche fuori d'Italia,
e richiedeva quindi un Momero proporzionato di
copie.
Ed qui il luogo, ritornando alla testimo^
oiaoza di Plinio, di esaminare in qual modo
propriamente aieno da prendere la sue parole.
espressione : insertis . . . . illustrium aliquo
modo imaginibus si spiegare diversamente,
e fu veramente spiegata in varia guisa, lo credo
che aliamo modo sia una peci6caziooe delP i l
lustrium ; onde si tiene a dire che Varrone rac
colse le iinagtni di quelli che si segnalarono per
qualunque verso* e questa interpretazione, oltre
air acconciarsi meglio di ogni altra alle esigenze
grammaticali, parmi che spieghi anche meglio il
gran numero delle immagini raccolte, e si eon-
frapponga opportunamente alla invaaiione di At
tico, il quale nel suo libro non ave accollo ae
pon uomini di stato e generali romani.
La seconda interpretazione unisce aliquo
modo ad insertis. Ove si traducesse : u Per quan
to lo permetteva il doverle figurare in carta ; n
aggiungerei che non inclino ad accettare ac
coppiamento d aliquo modo ad insertis^ ma
uon potrei negare, che il secondo modo ancora
si pu sostenere. Non posso accettare invece Topi-
nione dei Buissier {tude sur la vie et Us ouvra-
ges de M. T. Varron\ che vuole spiegare ali
quo modo per u grossolanamente "n ( une ma
nire grossiere sans doute ). Io non vedo ne
cessila di ricorrerl a questa interpretazione, anzi
credo, che se Varrone si ioue accontentato di far
disegnare degli gorbi che avessero preteso di
essere ritratti, arrebbe per molta parte fallilo al
proprio scopo.
Questa ricchezza d' immagini tuttavia fu, e
doveva essere, di danno alla diffusione dtlP ope
ra ; come si conservarono in gran numero e mol
tiplicarono le copie, per esempio, della Catilinaria
e>del Giugnrtino, and perduta invece la mag
gior p r i e delle opere Liviane : e la difficolt del
ricopiare 700 ritratti contribuiva a restringere il
numero delle copie.
Parmi adunque che s* inganni di nuovo il
Boissier (op. cit.), quando insegna^ che Varrone,
preparando le Hebdomades^ intese fare un* opera
popolare; n Varrone lo in lese, n alcuno degli
antichi lo disse : Plinio fa sapere soltanto che Var
rone misit in omnes terras^ e pi innanzi con
espressione meno enfatica che hoc quidem alie
nis ille praestitity cio, che era sua intenzione
di diffondere la notizia di quegli uomini celebri
anche fuori d Italia.
E come ci tien fatto di vedere spessissimo
stampate due edizioni di qualche libro, una splen
dida d' illustrazioni e di fregi o di gran lusso,
altra comune per uso dei mortali non lilniali
n mlionarii, coil, in cerio modo, provvide anche
Varrone per la sua opera. Egli stesso ne, fece un
compendio (c^cto^iq) in quattro libri, nei quali
raccolse gli elogii in versi e (se veramente le scris
se come potrebbe indurre sospetto la espressione
di Simmaco 1, 4^hebdomadum libros epigram-
matum adiectione condiisse) le corte biografie
dei 7001, o meglio, di parte dei 700 uomi i illustri,
lasciando i ritratti.
Per le cose dette, parrai che la parola inven
tum non debba essere presa troppo rigorosameute
alla laltera ; nel qual caso converrebbe forse sta
bilire la priorit di tempo per la pubblicaiione
di Varrone in confronto di quella di Attico, cosa
alla quale repugnano quasi lutti i critici, e, pare,
anche le parole di Plinio.
lo ho fin adesso accuratamente omesso di dir
nulla della distiibuzione delle ininiagini, perch
il punto pi controverso. Che fossero distribui
te in libri certo da due citazioni di Gellio, 111,
IO, I. tt M. Varr in primo librorum qui inscri
buntur Hebdomades vel de imaginibus, e 111, 1 1,
7 : M. Varr in libro de imaginibus primo Ho
meri imagini epigramma hoc adposuil. n Cos
pure Simmaco, ep. 1, 2 u scis Terentium ... Rea
tinum... Hebdomadum libros epigrammatnm ad
iectione condidisse. Ausonio ( Mosell. 3o5 et
seqq.) paria di volumi u forsan et insignes nomi-
numque operumque labores (degli architetti gre
ci) hic habuit decimo celebrata volumine, Marci
Hebdomas. Di pi convien tcnq^ a mente c:he,
come attesla Gellio ed provato dal proemio g-
i o 57 DI . TERENZI O VARRONE t o58
ne ni e Operi, in l ull o il lavoro dorn oav la
il islribui one sellenari, e cle I' indice d S. Gi-
r<^amo assegna i 5 libri a ques f opera. Conviene
al l ri bui re il luogo doTulo alle fcarse citazioni che
si raccolsero dai posici iort^ e fnalmeule far risul*
lare il numero 700.
Di quesla queslione disput con molla dotlH^
na i l Ki l scbl {ladepc schojarum^in^unversitgte
Rhenana (oitfulaiido un' opi ni one del Mer-
rklin, e sebbene non si possa negare., che la sua
esposizione abbia pialcbe parte Tulnerabik, la
pili soddisfacenlc di Inde.
Nou credo che franchi la spesa di confuta
re la spiegazione del Boissicr, op. cit., il quale
divide opera in 101 libri, dando sette ritraiti
per libro (gran libri per verit !) e si accomoda
n)olto facilmente con Plinio pel 707 in luogo di
700, coi r assirurare che Plinio non volle che dare
una cifra rotonda.
Ora noi ci troviamo di fronl e due spi rgaii o-
ni : Tuna, seguita per esempio dalP Urlichs (C//re-
stomatia Pliniana)^ altra, la quale facciamo
nostra, del Ri Ischi.
Tui l i convengono rhe il primo libro conte
nesse una introduzione generale a tutta P opera, f
da Gell i o conoscianio che vi si trovava spi rgita
la ragione per cui era latto dominare il numero
settenario. Ora Urlichs Herl x credono che
d ogni libro successivo fosse premesso il ritrai
lo di uno, come rappresentante del genere, e cosi
fanno risultate il numero di 700. Ma questa con
gettura non pare iondata, perch non da cre
dere che in ogni libro si tr4)tasse, mi si passi e-
sprrssiooe, di una specie sola di celebrit, essendo-
cli, ammesso, ed probabile, che alternativa
mente un libro abbracciasse Greci, il successiTo
Romani, bi sognerebbe restringere a sette queste
classi di celebril a, ognuno vede con quanto sforzo,
e, di remo anche, con quanta inconseguenza. Ma
vi ha di pi : se sappiamo che il rilralto di Ome
ro era nel primo libro e lo attesi Gellio ; se nello
steiso bbro era il ritrailo di Enea, come attesta
Job. Lyd. De wagg.^chi sa suggeri re un proba
bile nessot Questa diiHcoll, che costringe a negi r
lede a tale ipotesi, mise in istrada a scoprire un
mudo di distri buzi one pi probabile, ed quello
del Mercklin e del Ri li chl, a iavor del quale
mi piace recare anche autorevolissima sentenza
dei r illustre prof . Canal, il quale, ricredutosi di
CI che aveva scritto nelle sue note ad Ausonio,
tosto che gli venne veduto Indice Varroniano
di S. Girolamo, d' avviso che u ipolcsi del
Ritschl Ta bens incontro a qualche diflcolt per
raggruppamento dei settenaril, ma in ogni modo
si regge da ogoi lato, n sarebbe facile trovarne
una migliore.
L ' ipotesi adunque, di cui fu Teramente auto
re il Mercklin, ma che fu poi commentata, difesa
ed emendata dal Ritschl : di aiiimetlere. che
il primo libro, oltre introduzione, contenesse
ancora i4 ritratli <a settimane), i quali rappre
sentassero! sommi, com'essi dicono, dei generi di
celebrit figurali poi nei libri successivi; o, se
condo propone con lieve cambiamento il ch.prot.
Canal, quattordici in genere fra greci e latini di
quegli antichi a cui si conveniva il nome di pa~
dri come Enea, Romob, Omero, Ennio forse
appaiaH a due a due, come potrebbe arguirsi dal
la unione di Omero con Esiodo nella citazione di
Geli io.
Fissalo questo punto di partenza, ci troviami
in pieno bujo. Non altro sappiamo, tranne che gli
arrhilelli greci erano raccolti nel decimo libro :
tutto il resto abbandonato alla feconda ima*
^inazione dei critici. Che potesse essere nna
corrispondenza esalta tra le fJebdomades dei Gre
ci e quelle dei Latini io non credo, ed essendomi
data anche la cura di riscnnlrare nel 10.libro di
Quintiliano se fos<e possibii* stabilire nna pro
porzione almeno per gli sci illori, non mi parve
poterla riscontrare, ed necessario amincllere che
pei suoi Romani Varrone fosse piuttosto generoso
nel giudizio, mentre, al contrario, ll>ma poteva
vantare tanti oratori valentissimi, da lasciar mollo
incerto Varrone quali accettare, oltre i somm,
quali escludere. E tra gli 1 listi quanti non ne
trovi ricordati nel solo Plinio? N ad ommet-
tcrc ancora, che essendovi alcuni che fi segnala
rono in pi guise, non si pu determinare qual
norma si fosse Varrooe prefissa; lanlo pi che
egli deve aver dato spazio ad ogni maniera di ce
lebrit, come appare, p. e. da Simmaco (I,cap. 4)^
tt llle pauperem Curium sed divitibus imperan
tem, ille severos Calones, gentem Fabiam, decora
Scipionum, totumque illum triumphalem senatum
parca laude perstrinxit. ^ Poco prima Io stesso
autore ci fa conoscere che i principali filosofi greci
vi erano tu Hi compresi.
Sema perci divagare nel campo dei possi
bili, e stabilita la distribuzone per sellenarii, e
che ogni libro (alternandosi Greci e Lalini) com
prendesse 7 srlfimane ossia {9 ritraiti, ecco lo
schema che il Ritschl propone di lulla l opera:
d i M. V a r k w n k .
f ,7
V R A M M t K '1 1 1 060
1. Introduzione e ril ral li 1)^
11. Re e capitani greci
4d
111. > n romani
49
IV. Uomini di Slato e iegisUlori greci
49
V . n n n m roaiani
4o
VI. Poe li greci
49
Vi i . rt romani
49
Vi l i . Prosatori greci
49
IX. 71 romani
49
X. Matematici c cultori delle arti liberali greci 49
XI. w romani 4o
X l l . Artefici greci
49
X l l l . n romani
4d
XI V. Miscellanea di greci
4i)
XV. di romani

7 0 0 .
K sccuine opera deUt* Hthdomadts pu di
re perduta dtl tulio, cuit si pu stabilire
ron certezza se ogni libro Tesse una inlruduzcti-
cella a parie, se i rilralli fosu*ro arconipaguati
allres da una rslielia biografia.
Degli epigranimi ne avanzarono due: un>
dedicalo ad Oiuero, *a!lro mutilo per Deinelrio
t'alerco. l o lio gi dello altrove (Prtfaz. alle Sa
lire 3Iciii[)per) di non a>er troi>pa ede nella t o -
cazione poetica del celcbre archeologo romano, e
non mi meraviglio quiudi se d:>gli ol i i hi che li
lessero non lusser questi epigramuii leiml in
mollo onore. Simmaco (1, ep. 4) I chiama so
bria ... hono metallo cttsa^ ma non torno exa
cta^ perch probabilmt nle Varrone si sar da lo
>opra ogni altra cosa pensiero di reslrio(^ere ii:
pochi versi quello che pi era necessario sape
re intorno al personaggio; e n'avea raccolto
tanli che gli bM.gnova una vena ben abbondante
di poesia per levarst*ne con onoro. Al qual pro
posito mi pare conveniente richiamare i'allenzo
no lei lettore ad uoa notizia che ci e fornita
dallo slesso Simmaco (I, ep. a), cio: che non tulli
gli epigrammi erano di Varrone, ma diversis no-
la[ba]nlur aucloribus. Questa circostanza parm
di qualche peso, poich giova a rendere molto
pi credibile conte potesse essere raccoho lauto
numero di e[>igrammi che avrebbero stancala la
A. ( j t l l i u s , 111, IO.
Septenarii numeri, (juem Graeci ap
pellant, virtuics poltslalesque luuIUs variasquc
dicit. Is namque numerus, inquil, septemlriones
maiores njii>orcs(jue, iacil'in coeb>, itr*m Vergilias
quas -T/.:toic?fli; vocant. Kacil enim stellas (pias alii
erraticas, 1*. Nigidius errones appellat. Cinulos
qiMMjuc ait in coel'j eiieuin longitudinem axis
pazienza e spostala Ia fantasia dclP uomo pi sof>
lertnle e pi immaginoso.
Noi t|ui soggiungeremo il riassunlo che Gel
lio ha ftillo di parie del proemio generale, nuo
va prova dilla sottigliezza d' ingegno di Var
rone, i4 quale, crediamo, che abbia rinvangale
tante belle propriet o virt del numero selle-
uario, pi per lar pompa di erudizioiie che per
convincimento che 11# avesse pro(iriamente.
Da questo siuilo di Gellio impariamo ancora
che l'opera Tu pubblicata da Varrone ntl ^i 5 di
Roma, a. C. 39 : dodici anni adunque prima del
la sua morte, quando avea composto gi 4o<^t'bri
di varia erudizione.
Qui autore tocca anche delle sventure a cui
le ire di parie lo aveaiio tallo bersaglio. Due
mesi dopo la morie di Cesare Antonio, condu
cendo una colonia a Capua e a Casilino, occup
una villa di Varrone, e la deluri> con vergogno
se orgie e gozzoviglie, come gliene ia forie rim
provero Cicerone nella 11 delle Filippiche (cap. 4 ^^
io4). Quando Augusto ed Antonio, riconciliati,
compilarono le liste di proscrizione, Varroue fu
compreso nella condanna, ma Fu fio Caleno (Ap
piano b. c. IV, 47) riesci a salvargli la vita. Non
si riusc in vece a salvare ilal furore di quegli
scellerati la biblioteca, e alcuni de^li scritti di
Varrone andarono in quell' occasione dispersi.
Kspone le molte e s\ai late virt ed influenze
del numero settenario da' Greci detto &.
Sette infatti, cou)c egli dice, sono le stelle del-
Orsa maggiore, sette della minore ; e selle puic
le Vergilie, o, come le chiamano alcuni, le Pleiadi :
sette i pianeli, che altri stelle erraticas^ P. Ni
gidio Volle delle errones. K eontiniia; sette aoiio
oGt DI . t f :u i :n / i o v a r u o m : ?
srptem C5 SC ; e qui Juos minimr' s qui axom ex
ternam langnnt, <;7oac appclbr liiii t, sed eo9 in
Sjihacra qiiac ; vocalur, proplcr brevitatem
non neste. Atque ncque Zoilarns 5cplenario nu
mero caret : nam in eplimo signo li solsliliuni a
hruma^ in septimo bruma a solstitio, in septimo
aequi noctium ab aequinoctio. Dieit dei nde II05,
qui buf halcyones hieme anni in aqua nidulantur
eos quoque cpicm csie dicil. Praeterea ycribii,
lunae curriculum confici integrum quater septenis
diebus : nam duodetricesimo diii luna, ex quo
vestigio profecta est, eoilcm retlit, auctorcmqne
opinionis buius Aristidem esse Samium. In qua
re non id solum animadverti di bere dicit, quod
quater septenis, id esi, octo et viginti diebus con
ficeret, iter luna suum, eel qnod is numerus se
ptenarius, si ab uno profcctus dum ad semel
ipsum progredit ur, omnes per quos progressus
est, numeros coroprebendat ; ipsumqne se addat,
facit numerum octo ct Tipinti : quot sunl dies
curri culi lunaris. Ad homines quoque nascendos
vim numeri istius porrigi pcrl i neri quc ait ; nam
cum in uterum mulieris genitale, i nqui t , semen
datum est, primis septem diebus conglobatur,
coagulaturque, fitque ad c?piojidam f i guram ido
neum : post deinde quai Ia hebdomada (juod eius
virile foetus, futurum est, caput ct spina, qnac
esi in dorso, i nf ormal ur: septima nuttm fere
bf' bdomade, id est nono cl quadrogrsitno dic, to-
tn, inquit, homo in utero absolvitur.
Illam quoque \im nutneri huius observnlam
refert, quod anle mensem scpli mum, ne(|ue ma
sculus, neque fen>ina snluliriter ac srrunthim na
turam nasci polcsi : quo<l hi, qui iuslisslme in
nlero sunl, pcsl ducentos sepluipinta tres dies
p^islquam suiil conccptl, quadragesima demum
b bdomade ila nascuntur. Pericula quoque vilae
fortunarumquc hominum , quae climaclerlras
Chaldaei a^'pcil.int, gravissime c|u.irqie fieri iflir-
mat septenarii^. Praeter haci', modum esse dicit
summum adolcscetidi humani corporis septem
pedes. Dentes quo<|uc cl in septem primis men-
sibns et seplt*nos ex utra(|uc p^^rle gi^ni ait. cl
cadere annis septenis et gciniin*>s na<:ci onnls fere
bis septenis. Venas etiam in hominibus vcl potius
arterias medicos musicos dicere ait numero moveri
septenario, quod ipsi appellant, , i t i
quae fit in collatione quaternarii numeri.
Di scrimina etiam pcrlculorum in morbi.s, maiori
i fieri putant in diebus qui conficiuntur ex nu
mero septenarii : eosque dies omni um maxime, ita
ut medici ap[>ellanl, *( ^ ^cuique vi
deri primam hebdomadam et secundam el lertiam :
iiec non id etiam esse ad vim facultatesque cius
numeri augendi, quod qulbns inedia mori consi
lium csl, Rpptlmo demum die morieni opprtutM.
i circoli celesti iolorno alP asse, dei quali >i due
pi piccoli I he ne toccano le estremit sogliono
chiamarsi po/ i c per la piccol ezia non apparisco
no n*lla cosi letta sfera armillare. Trova luo
go il numero sette anche nello Zodiaco, poich
quando sia il sole alla selllma casa, avviene il sol-
sl ii io <r estate c dopo scil e mesi dal solstizio^
inverno: stile spazli zodiacali disiano uno dal-
altro gli equinozi!. Attesta che sono sette anche
i giorni dei r inverno in cui covano nelP acqua gli
aleioni. L ' intero corso della luna, secondo le sue
parole, si compie in quattro spazii aellenarii, poi*
che al ventesimo ottavo gi orno la luna ritorna al
punto donde era partila, e ai riferisce per ci
air autorit di Aristide Samio. l i aggiunge, che
a questo riguardo non da notare soltanto che
lei luna compie il suo giro in venl ol l o giorni,
ma altres che se l i cominci d.^lP uno e si sommi
no tutte le cif re fiali' uno al sette, e si aggiunga il
selle al prodotto, s' ot t i ene il numero ventolto,
quanti giorni mette la luna a girare sua orbita.
Molta parte ha. il numero sette anche nella pro
creazione e concezi one degli uomini : in quattro
settimane quel lo che sar un maschio avr gi
conformala la lesta e In spina dorsale. Ire sctli*
mane appresso avr forma umana compiuta.
Ti piace notare altre vi rt del numf ro sette
nario 7 N maschio n femmina nasce vitale e
coiiforme natura prima dei sette mesi ; giusta
la nascila d quelli che vengono alla luce 2y3 {^or
ni dopo il cnnccpimento, cio all ' entrare Iella
quarantesima settimana. Seguito poi a dire che i
pi gravi pericoli che gli uomln: possono corre
re sia della vita, sia di quei beni dagli astrologi
chiamati climaterici, cadono ?d tni settimo gior
no. Nc basi.* : qn uomo non pu misurare della
persona [.l l di se*.te plcili : i denli spuntano
nei selle primi mesi, e sette dall* una parte e dal
l ' alt ra : cadono ai selle mini, e dopo selle c selle
anni son rinnovati. K assicura, es<cr i medici mu
sici di avviso che le vene, o meglio, le arterie bat
tono nel l ' uomo a movenze del numero selle, cio
ad Inlervalli di quarta o, come essi s csprinont>,
i t i : . Credono inoltre che nel
le malallie i giorni pi pericolosi sieno quelli do
ve entra in composizli' ne il numero sette, c pi
d lutti quelli o>e comincia il perodo di sette
giorni, tanto che s chiamano gi orni decisivi
(xpcTtxo), cio la prima, la seconda o la terza
settimana: e prova la vi rt del numero selle an
che il fallo che chi s lascia morire di fame, non
muore che al settimo i<trno.
fo<i3 loCJ
Scplem opra eise in oibe lorrarum rairanIa
et sapientei item Teleres sepleiu luifse, el curri*
cula ludorum Crrensiuni soleiiinia irptfm esse ;
al oppugnandas Tlicbai duce sepiem elcclos.
Tum ibi addii se quoque tam doodeciroam anno
rum hebdomadam ingressum esse, el ad eum diem
septuaginta hebdomadas librorum conscripsiase :
ex quibas aliqnos iam din, cum proscriptus es-
scl, direplia bibliothecis suis non comparwiase.
Homerof an Hesiodus naius prior sii paruni
eoDSlare dicii, sed non esse dubium, qum aliqno
rempore eodem vixerint: idque ex epigrammate
ostendit, quod in tripode srriptom est, qui in
monte Helicone ab Hesiodo positas traditur.
' <';
''Tfiviji - *,.
Capella Homeri candida haec tumulum indicat
Quod illi Jetae mortuo laciunt sacra ( Ib.,
lib. 111,0. 11).
Selle sono Ic rntrariglie dfi mou.lo : sdie ^Ir
anli( hi sapienti, e nei giu#rhi suleunl dei Ciroo
si fanno dai cocrhi sriie giri : sette furono gli
eroi fcthi per la contpisla di Tebe. E finisce coi
dire ( h^egli era entrato nella dodicesinja setcima-
na di anni e fino a quel giorno avea scritto set
tanta settimane di libii, dei quali alcuni non sr
erano Tcduti, perch nel tempo in ai visse in
bando, era stata messa a ruha la sua biblioteca.
Dice non potersi allermare con sicurezza se
sia issulo prima Omero od Esiodo, ma non es
ser dubbii che vissero qualche tempo insieme, e
lo profa da un epigramma che si legge scfilt(>
nel tripode di cui corre fama, che era sialo da
lsiodo messo nell'Elicona.
Poi che in Calcidc il vanto
Sopra Omero il divin ebbe del canto
Un tripode qui dona
tsiodo alle sarre Muse di Elicona.
Questa candida capretta ci rivela 1j loniha fi
Omero ; perch Ini morto onorano gli ieti di s-
crificri.
a n n o t a z i o n e .
Jeli (liftac) erano gli abitatori di Jo una pic
cola isola delle Sporadi fra Tera c Paros, prima
detta oiv(xv) ed ora Nio. Era celeberrirtia per la
fama che qui fosse slato sepolto Omero. Nel 1771
fu quivi scoperta una tomba, che si Tolle da laiu
00 spacciare per quella del poeta. Sul sepolcro di
OrMro gli Jeli aveano Kolpilo iscriiione :
^ , up-;
*Avc?pc5v , xocu-/ ;Topfli '.,,
Nonius. I.uces Lucis, . 528 ed. Me r e . . .
Luces (A. Lucis) numero plurali quot sunt dies.
Varro Ebdomadum (manca il numero dei libro,
senza indizio di lacuna ; ma setondo la nostra di
visione sarebbe il secondo) sub imagine Demetri.
Hic Denietriut est catus (al. ratus, al. natus). Quod
luces (al. quol luces o quol luci.) habet anous
absolutus.
Il eh. prof. Canal vi fa sopra q ues t a annota*
z i oDe . u Che v i si accenni alle 36o statue che Dio
gene, Laerzio e Plinio dicono poste in Atene a
Demetrio nessuno ne fa dubbio, bench Cornelio
Nepote eJ Ampclio le faimo all ingrosso 3oo,
Strabone pi di 3oo. Onde lo Scaligero, essendo
il metro evidentemente faleucio supplisce cos :
u llic Demetrius aeneas tot aptust, (|uol lucis ^
l e . ; e questa lezione lu accolla lallo Schradcr,
e ritenuta anche dal Player nell antologia di Iiur
iiMiin di lui rimaneggiata (I, n. 3; ) , scnourh
ad aeneas, che ne' buoni veci hi non par mai dit
tongare la prima sillaba sostituiscono aerens. Isac
co Vossio propose in vere : u llic Demetrius
aeneust Athenis, rt 11 Sopphmento e in Lullo ar
bitrario, salvo che nel CMneelto, e potrebbe ran
tarsi in pi modi ; per esempio u Hic Deme
trius est, catus Phalerens, Qui n eie. p. e. u qui tot
signa habuil merens Athenis, quod hicis habet aa-
nnsabsolutus ^ (rf. Plinio N. 11. XXXIV 12 ....
Phalereo Demelrio^Alhens .... CCCLX (stniuas)
slatnere, nondura anno hunc numerum dierum
excedente), u supponendo epigramma di pi di
due versi; giacch Tessere siala di un solo distico
la iscrizione posta ad Omero non ia che tutte aves
sero ad essere dellj slessa misura, e le iscrizioni
deir opera stessa di Attico erano composte qua
ternis quinisque versibus, come ci dice Cornelio,
e gli elogi composti dal padre di Simmaco a
imitazione dei Varroniani non meno sobri di
essi (Symm. 1, 4) lutti di sei versi (ib. 2).
Se non fosse che mancherebbe una parie neces
saria per intendere ultimo verso, io crederei
che Nonio, citato il s do principio delP epigram
ma, fosse venuto alla chiusa, che quella che fa
al suo proposito, sgabellandusi del testo con un
eccetera. Il vecchio sapote di catus^ e il giusto
procedere del metro in tutta la parte recata f l i c
Demetrius est caius^ e la facilit di compiere il
verso cui cognome preso dalla patria, che sembra
pur ifccessario, sembrami cosa di (pialihe [cjo. yf
II.
DE D I S C I P L I N I S
L I B R I I X.
alcuno ci ha corl esementc accompagnali
fino a qui nel campo veramenl e sparso di bronchi,
r, se mi si lasci correre Ti mniagiuc, segnalo <]a
tante rovine, delle opere Varroniane, potr forse
giudicare male spese ricerche cosi paiienii e minu
ziose tra mille incerlezxe, e spesso con un riauU
tato che non compensa la ftl ica. Ma ci sembra la
r5piindere che come chi ai accinge a Untare la
scofierla di una miniera non ai perde d' animo, se
le prime prove falliscono e scava e scava fino a che
gli sforzi vengano felicemente coronati, o la spe
raoza non diventi una temerit, cos anche noi ci
adoperiamo a ricosli uire, o almeno raccogliere le
spars^ pietre di on edifizio che al suo autore ar
rec tnta fama, edi fizio che rappresentava il
sapere, potrei dirr, universale dell* antichit, le
opere di Varrone, confulando sempre di poter, se
pi non ci venga fatto, additarne le basi, ^li or
dini, la stroltura.
E il nostro secolo ha il merito di aver rinfre-*
scala la memoria del grand' uomo : e ogni giorno
si vanno facendo nnovi atudii, e si va scoprendo
che il fondo della dottrina degli scrittori e gram
matici specialioenle, fino quasi tutto Pol l avo ae
colo era per molta parte dottrina Varroniana ; per
cui si pot con maggior sicurezza, o piuttosto, pro
babilit mettersi all' opera di restituire a Varione
quel lo che gli era dovuto, e formarsi un giudizio
meno infondal o sulla estensione, suIPindole, sullo
scopo ecc. dei molteplici lavori del celebre anti
quario.
Questi pensieri mi sorgevano spontaneamente
nci rani mo net mettermi alfesame di un' alt ra fra
le molle opere di Varrone, t o dire dei libri delle
Discipline che, certamente fino al f et di Cassi o
doro (*|- nel 675 d. C.), e di Isi doro Hispalense
(*)-64o) si avevano integri e chc da sicuri argo
menti si prova essere siali avidameiite letti e aver
dato come l ' i ndi ri zzo agli studi i. Dopo qnei rel
se ne perdono Io traccie, e lutti ne i nt rwedonu le
cause.
Fra i moderni il primo che approfondisse le ri
cerche e le ingegnose ipotesi intorno aH opera De
di sci pl i ni s con prodigiosa erudizione sostenesse,
fu il celebre F. G. Ritschl in una memoria pub
blicata a Bonna nel 18^5, memorin di quelle che
i Tedeschi con frase entusiastica chiamano daJ ar
epoca.
Quelli che ne trattarono appresso non pote
rono far altro che raccogliere il mollo detto dal
l ' erudi t o prufessore, c rettificare qualche inesat
tezza in cui egli era incorso. Gi ova notare che
la memoria del Ritschl fu di vulgala quando non
si conosceya ancora il famoso indice di S. Gi r o
lamo delle opere Varroniane, e che perci l' autore
stesso in un articolo pubblicato nel voi. VI del
Museo Renano fu coslrello a modificare parte
delle sue asserzioni. Delle quali alcune altre
iono a noi soverchiamente ardil e, come verremo
appresso notando.
Reminiscenze delPopera Varroniana De di sci
pl i ni s si trovano, come avvertiva, fino al tempo
di Isidoro Hi.<palense, il quale, conforme al con
cetto predominante nel medio evo, che lo scibile
comprendeva nel trivio (grammatica, retorica, dia
lettica) e nel quadrivio (aritmetica, musica, geo
metria, astronomi) chiama il complesso di queste
arti i//xcf/}/i/2ae (liberalium artium de orig. I, 2);
e cosi con lieve diversit, Cassiodoro.
{.a stessa clae' iitcazione us Marciano Capella
nella sua Enciclopedia, che mollo probabilmente
dovca essere intitolata Di sci pl i nae^ e, cosa da no-
lare, che fu ripartila in nove libri (due dei quali
d* introduzione?). S. Agostino attesta di se mede
simo {Rel r uct. 1, C) che si era accinto a scrivere
di sci pl i nar um libros^ dei quali non compi che
loG^
I R A M M K N T I
Ui Cft
({uello ( grammatica <* sei Iclln n<usica, <legli altri
solo le introiluzioni. Io non cr**lo coxuali questi
risconlri, ma si tJoTr, come il UilschI, attrilniire
a Varrone la pulernit del Iririo e del quadrivio,
coi fuoi libri De di sci pl i ni s ?
Non parm, spei ialmenle oiservando che nove
Teramcnte (uroiio le discipline in quest' opera
trattale da A' arrone, l ette ad ogni modo quelle
degli fcriltori ricordati.
Coo ci non intendo dire che non avesse un
moti vo Varrone di collegarc in un'" opera sola le
norme supreme di Ile varie discipline, e th non
osse nella sua mente, come ad altri peniatori, sor
to il sospetto che tulle le discipline si potessero ri>
condurre a principii comuni che ne slahilissero la
fratellanza, e conl'eri.^sero insieme alla coltura lel-
Jo spirito. Basterebbe per ci leggere il c. i o del
] libro delle Isliinzioni di Qiiintiliano, per non
toccare della cebbre leltcra I. XXXVIII di Seneca,
che non mi pare del resto molto opportunamente
chiamata in favore della sua tesi dalP erudi to te
desco. t giudico che bene si apponesse il Mcrcklin
(7/^.11, p. 737) quando pensava, chc Var
rone intendesse piuttosto a stabilire coi libri Dt
di sci pl i ni s il legame ir le Ictlere c le arti.
certo che i libri De di sci pl i ni s furono no
ve : lo provano Indice di S. Girol amo, la testi
monianza esplicita di Cassiodoro e deT llispalen-
se; inoltre, Vit ruvio, nella prefazione al libro VII
della sua arrhiiettnra, ci induce a credere che in
ogni libro fosse trattato appunto di una discipli
na u ........... Terentius Varro de novem disciplinis
(edidit volumen) unum de arcbiiccUira.ii Nel proc>
mio generale aH*opera Varr>ne ne avr distorsi i
motivi e i vantaggi se ad ess >si vogliano ri f erire
le parole li Cassiodoro (p. 58) u scire autem de
bemus, siiMit Varr dicir, utilitatis nlicuius causa
omnium arliurh exiilisse principia.
Per non esser costretti a ripetete due volte i
frammenti, avvertiremo 8<dtanto che si trovano
testimonianze per libri della dialettica e della re
torica in Cassiodoro (De ar ti bus et di sci pl i ni s l i
ber. arti um^ p. 536) e in Isidoro De or i g. II, a3,
della dialettica anche in Marciano IV, p. 96 ed. Grot.
e al libro della retorica probabilmenl e accennava
Prisciano, 1. IX, p. 872 P. che cita in 111 Rhetor i
coruni y qunndo non si sa d' altra parte che Var>
rone componesse un' opera di retoiica in [ libri,
e voleva forse indirare che il libro della retorira
aveva il terzo posto tra i nove. NelPi ndice di
S. Gi rol amo li ricordano Rhethor i or um l i bf. III.
Ma siccome non arrecala altra autorit che
quella accennala ora di Pi i sci ano, non no ar
gomcnio nuovo in contrario. Nnmerose autori
t ci lanno lede che uno dei libri trattava della
grammatica, e le ricorderemo a sno luogo. Io mi
acroido col Ritsrhl nel credere che esso fosse
il primo della serie. Pi spesso di questo della
grammatica citato quello della geometria, e cre
do che non sia diverso se non nel modo di cita^
zione il libro De mensur i s rhe Boezio {De geo-^
mefria^ p. i a 34. ed. Basii. i 546) dice di aver com
pendialo insieme al trattato De numer i s di Ni-
co!nco. Cassiodoro stesso ricorda ancora (p. 5Go)
il libro De astr ol ogi a. Per il libro De fl r chi -
tectur a abbiamo gi arrecato la testimonianza di
Vitruvi o. Che uno dei libri trattasse dell* aritme
tica certissimo da un frammento che ci fu con
servato da Gellio, X, 1 ; col qnale raffronta un al
tro framroento chc non differisce che lievemente
dal prl^no e conservatoci da un^grammatico in
certo (Agost ino?) a pag. 2008 P. E come abbia
mo creduto una cosa sola il libro De mensur i s e
quel lo De geometr i a; cos per noi sono nn* cosa
sola quello De numer i s e De ar i thmeti ca. Sappia
mo che anche la medicina aveva fornito la materia
di un libro e lo provano un i' ramroento i^alvato da
Nonio sub v. lusci ti osi ^ e una memoria che leg-
gesi in Pl inio H. N. XX, 20, 8i . Degli otto libri
ora ricordati solo il V e V i l i sono cosi espressa
mente notali : per gli altri detto in generale nei
libri delle Discipline, e a natura del (rammento
guida a determinare il titolo del libro, [\esla il no
no dei libri per il quale non si possono fare che
congetture. IVoviamo conservato da S. Agostino
un lungo tratto del libro De phi l osophi a \ era
qui sto appartenente all*o[iera De di sci pl i ni si
N.n si pu nc aiTermarc n negare con argo
menti di fatto e di autorii, ma dalTesame di ^uel -
Ki inporlaite frantmiMilo ap[)arisce che \^arrone
non aveva scritto un )ibro elementare di niosofia^
ma aveva esaminato alcuni tra i pi ardui proble
mi, come quello del supremo dei beni. Onde par
da concludere che esso facesse da s.
Il Kilschl propose di compiere la serie imma
ginando un libro De musi ca.
Un libro con questo titolo non ricordato da
alcuno, come non ci e detto che di musica si trat
tasse nei libri De di sci pVni s^ e quindi non abbia
mo che una congettura. Non mancano invece delle
testimonianze da cui dedurre che in qualche l uo
go Varrone parl di cose musicali, p. e. Cassio
doro, c. !), p. 557, porla autorit di Varrone per
confermare la irresistibile f o n a ch era attribuita
al tuono iperlidio : Marnano I. IX, p. ricor
da altre meravi gli e delParte musicale, di cui Var
rone asseriva essere stalo testimonio oculare :
Servio in Aen. XI, 6<8 trae da Varronc la dottri
na della tibia frigia destra e sinistra.
Vero chc queste cose si potrano trovare, al
meno di passaggio, in al'ri libri che non trattas
sero d musica, ma fino a che nfn venga proposta
9
DI . 'I KI l tNZl O VAl l KONK 1 0 ^ 0
utia coiigetUira migliore utcetlcrino t]uesta e
cuiDpirciifo coi libro D t tnusi ca il nuiutrru dei
I X libri De di sci pl i ni s. Li dispokuioiie luro era
crcdibilmcnte questa secondo ii RitschI :
/. Dt
II. Dc
I I L De
If^ Dt
V. De
VI , De
VI I , De
VI I I . De
XI. De
gr ammati ca.
di al ecti ca.
r hetor i ca.
geometr i a,
ar i tmeti ca.
astr ol ogi a.
musi ca (?)
medi ci na.
ar chi tectur a.
]n que>tj distri buzi one ufleude, |arrui, Tasse-
gi ure archjtellui'a posto; projiorrei
di ilarle il strllimo, lasciando al libro De musica^
anche perch trovalo per sola congel lura, di chi u
dere la serie.
Mi ai richiederebbe Iroppo spazio per com
battere parecchie asserzioni lanciale con grande
sicurczia dal Roissier (op. c. p. 837 e s^.) a questo
proposto. L^li cita il llitschl, ma mi la dubitare
(he non n' abbi a Uttu la memoria. N la ma
supposizione lemcraria. Il 13oissier in falli non mo
stra p. c. di sospettare neninianco che i I bri Dt
geometri a., De astrologia.^ De numer i s potessero
C5serf, solo per un errore che facilineule si s|Me^a,
indicate come o|vere a ic nel calalogo di S. Giro-
Urao, in luogo di esiere parti delTojiera De di sci
pl i ni s.
Ma Topera del Uoissier sebbene premiffta e co
ronala, scrina con deplorabile leggerezza; quin
di non ce ne occuinamu
Quel lo che si rircrisce ad ogni libro iu partii
colare ri cordei a suo luogo.
Il libri De di sci pl i ni s furono^una Ielle uhi -
me srrillure di Varrone. Se le parole di Pli no, li.
XXI X, G5, sul modo di guarire dai morsi
Ielle serpi, vanno, come si crcile in generale, i n
tese di nna dottrina derivata dal libro De medi
cina., uno di quei De di sci pl i ni s^ abbiamo la data
precisa che fisserebbe il lavoro alP ottantesimoler-
zoanno della vita di Varrone, acrcllando anche la
correzione L X X X I l l in luogo della lezione Vol
gata LXXXVHl .
Ognuno vede perci quanto danno sia deri
vato dalla perdita di queste opere in cui Varrone
aveva raccolto il f rutto di una vita di ricerche c
di stndii i pi varii ed estesi. Non pare iullto da
credere che l' opera De di sci pl i ni s fosse a guisa
di un manuale enciclopedico da d^re in mano poi
a giovani, o, come voleva il Boissier e di cono i
Francesi u Tuage dee gens du monde *.i, lua
che invece vi si trovassero raccolte le pi impor
tanti dottrine, ratubi to delle varie discipliue, i
loro sommi principii, le questi oni di maggi or pe-
so. Cos considerata quest' opera era veramente
degna che i pi eletti ingegni che illustrarono la
caliginosa et imperiale e i tempi in cui le i rru
zioni barbariche spenseroogui lume di lettere e di
icenze, la prendessero a norma direttiva dei loro
studii, e continuassero con essa la Iradiftione let
teraria e scientifica d' Italia.
LI B E R I.
D E G R A M M A T I C A .
Nel determinare qnali frammenti possono con qual che probabilit essere assegnati al primo
dei libri De di sci pli ni s., rio a quello della grammatica, ci troviamo tra ilifficoll maggi ori che per
gli aliri libri. Poich mentre per uno solo dei frammenti , il quinto, abbiamo la testimonianza di
Cornuto (in Casiodoro, cap. 1 De ortogr aphi a^ p. 5;G, b ; p. 2286 p) il' s^pcre quanto largamente
aveva sci itto Vurroue ili cose grammatic;di, non lascia con suiBciente certezza definire se i f ram
menti grammalii ali, di cui ' non sia indicata la sede, si debbano o no ascrivere a questo De di'
sci pl i ni s. Coft), ad esempio, se dal luogo di Cornuto si argomenta ecrl amente che nel libro De
gr ammati ca Vairone tratt delle lettere^ di queste tratt an<ra nei libri De ser mone l ati no
ad Mar cel l um^ c negli altri De or i gi ne l i nguae lati nae., < lo stesso grammatico allega auto-
riid di Varrone, comb;itlcndort, ri guardo alla lettera /1, senta dirci dove Varrone nc parlasse, ma
escludendo quello De g/ Ommati ca.
I07C F B A M M L N T l i o ; a
Perci, fcnra andare troppo lonlano con congetture clic mancano necessariamente di salJa base,
accetteremo come appartenente a (piesto libro i frammenti in cui :
a) Si (l la definiziune della grammalica ;
l) se ne stabiliscono i limili,
c) se ne determinano gli ufficii,
i/) si tratta delle lettere, tranne quelli per i quali indicala altra fonie,
) si discute delle parti del discorso.
Delle questioni die si riferiscono a questo libro discorrono il RiischI nella dissertazione sopra
ricordata, e il W'illmanns (De A/. Ttre.ntii Varronis ibris grammaticis^ Berolini, 1864 ), del
quale mi sono largamente giovato. Il lettore poi potr da s apprezzare la bonlA della congettu
ra, perch ad ogni frammento allfgheremo i luoghi donde fu tratto e, se faccia d uopo, gli altri
scriltori che bau no attinto ai fouli Varroniani.
I. Ut \^arroni placet, ars grammatica, quae a
iiobis litteratura dicitur, srienlia est eorum, quae
a poetis, historicis, oraloribnsque dicentur ex
parie maiore: cius praecipua oiFicia sunl quattuor
ut ipsi placet : scribere, legere, inlelligerr, pro
bare.
Mar. Vici. 1, i , 6, p. a54i, P. : ul Varroni
consisiil praecipue inlclleclu poetarum, et scriptorum, et historiarum prompta expositione, el in
recte loquendi icribendique ratione. Mari. cap. 111, 23, p. 5 i. Gr. offi.ium roeum (paila la gram
matica) lune fucral docte scribere legcrcque, nunc etiam illud accessit, ut roeum sii erudite intel
legere probareque. La defiiiizioue Varroniana collima con quella di Dionisio Trace nella sua opera
delP arte grammaticale a . ^(} I rrt
. r
La grammatica, da noi detta letteratura c,
per sentimento di Varrone, scienza di quelle
cose che per lo pi sono ricordate dai poeti, dagli
storici e dagli oratori : gli niTicii ne sono special
mente questi quattro: scrivere, leggere, interpre*
lare, criticare.
probare, Diom.^ p. 4a6, 18 : tota grammatica
2. Le parole degli assenti non fi potevano udi
re : per <}uesto fa d uopo ( reare le lettere, no
tando e distinguendo i auoni lutti della bocca e
della lingua. Ma non se ne sarebbe tenuto a capo
quando la moltitudine delle cose non si fosse Ira
certi e determinati confini limitata. La stretta ne
cessit di ci, fece avvertire al vantaggio del clas-
ifcare. Le quali due invenzioni diedero origine
alle due arti dello atodiare le lettere e del far di
conto, che furono come la culla della grammatica
che Varrone chiama litteratio (e io non eo pi
al presente come si chiami dai Greci).
La grammatica poteva dirsi fatta, ma perch
il nome eoo stesso richiama alle lettere, per cui
dai I>atini chiamasi anche letteratura^ avvenne
che quella abbracciaste di neceuit lutto ci che,
per eteerc degno d memoria, fosse affidato alle
lettere.
Augustin., De ord. 11, 12, 3S, I, p. 41^) cd. congr. S. Maari : illnd quod in nobis est ratio
nale, id est quod ratione utitor et rationabilia vel iacit,.vel sequitur, quia naturali quodam vin
culo in eorum societate astringebatur, cum quibus illi erat talio ipsa communis nec homini homo
firmissime sociari posset nisi colloquerentur, atque ita aibi mentes suas cogitaliooesque quasi re-
lun<lerent, vidit esse imponenda rebus vocabula id est significantes quosdam sonos, ul quoniam
sentire animos suos non poterant, ad eos sibi copulandos senso quasi interprete uterentur. Sed
audiri absentium .... praesenti recolo. Progressa deinde ratio animadvertit eosdem oris sonos,
quibus loqueremur el quos lilleris iam signaverat, alios esse qui moderato varie hiatu, quasi eno
dati ac simplices iancibos sine ulla collisione defluerent, alios diverse pressu oris tenere tamen
aliquem sonum, extremos autem qui nisi adiunclis sibi primis erumpere non valerent. Itaque lit
teras, hoc ordine, quo expositae sunt vocales et mulas nominavit. Deinde sylUbat notavit, deinde
vetba iu ^lo genera formasque digesta sunt, omnisque illorum motui integritas iunclura perite
2. Audiri absentium verba non poterant : er
go illa ratio peperil litteras, notatis omnibus oris
ac linguae sonis atqtie discretis. Nihil autem ho>
nim facere poterat si multitudo reram tine quo
dam defixo termino infinite patere nderelur. t r -
gb utilitas numerandi magna necessitate animad
versa est. Quibus duobus repertis nata esi illa li
brariorum et calculionum professio, velul quae
dam grammaticae infantia, quam Varro littera
tionem vocat (Graece autem quomodo appelletor
non in praesentia recolo).
Poterat iam perfecta esse grammatica, sed
quia ipso nomine profiteri se litteras clamat, un
de etiam Ialine litteratura dicitur, factum est, ot
quicquid dignam memoria litteris mandaretur ad
eam necessario pertineret.
l oj S DI . l l i BENZI O VARRONE 1074
sublilterque ditliocta suul, inde iaro naraerorum el dimensieois non iromemor, adiecit aiiimum
in ipsas vocum et ayllabarum variai moras atque inde ipalia temporis alia dupla, alia stmpla esse
comperi!, quibus longae brevcsque yllabae tenderentur. Notavit etiam ista et in regulas certas
disposuit. Poterat iam necessario pertineret. Cf. De mus. II, 1, 1 ; I pag. 564 Mart.
Cap. III, 229, pag. 5o, Gr. : tunc illa ut faroiliare habebat exponere percunctata et docere facile
quae ab eadem quaerebantur, penula a dextra curo modestia verecundiaqoe relerala sic coepit :
^ dicor in Graecia, quod /^ linea et ^> litterae nuncupentur, mihique sit at'
tributum litterarum formas propriis dgclil)us lineare. Hincque mihi Romolus lilteraturae nonteii
ascripsit, quamvis infantem me litterationem voluerit nncupare, sicul apud Graecos
Tiffvtxv) primitus ifocitabar^ tun et antistitem dedit et assectatores impuberes aggregavit. Ct. Joann.
Saresb. metalog. I, ai ; \^, pag. 60. Giles. Asper., Voi, p. 54y K. 3 : 1725. P., grammatica est
scientia recte scribendi ennutiandi inlerprctandique poetas per historiam formaUm ad usum ra*
tionemque verborum. Quam Terentius Varro primum ut adhuc rudem appellatam esse dicit
litterationem^ nei codd. litteraturam. Isidor. orig. I, 3, i primordia grammaticae artis litterae
communes exislunt, qiios librarii et calculatores sccuntur. Quorum disciplina velut quaedam
grammaticae artis infantia est, unde et eam Amarro litterationem vocat. Questo luogo d* Isidoro
, come si vede attinto non da A^arrone immediatamente, ma da S. Agostino (Cf. all' uopo Rettner.
Varronische Studien^ p. 11).
Controntando insieme i due frammenti apparisce, che la grammatica comprendeva due parti o
gradi, UDO inferiore {litteratio^ >-5 ), uno superiore (litteratura^ } : il primo
era arte d imparare a leggere c a scrivere, il secondo versava nell' interpretazione e nella eri-
tica degli scrittori, il primo insomma il corso elementare, altro il filologico. Fin qui la cosa
va coi suoi piedi. Si oiTre poi nna grave questione: come conciliare tutto questo culle parole del
frammento 3, dove gli ufficii della grammatica e sempre suIP autorit di Varrone sono da Dio
mede detti lectio^ enarratio., emendatio^ iudicium; mentre nel primo sono: scribere^ legere^ in-
telligere^ probare^ come Mario Vittorino dice aver trovato esso pure in Varrone? Non essendo
n da Diomede n da M. Vittorino indicata opera donde attinsero la dottrina, potrebbe essere
che i due avessero derivala quella divisione da due opere diverse, la quale cosa, ponendo mente
alla consonanza nel resto Ira i due grammatici, non mi pare gran fatto probabile. Se poi la fonte
fu ad ambedue il libro De grammatica^ bisogna ammettere che o uno o altro trascrisse in
fedelmente. ponendo a riscontro passi di retori greci fioriti prima del tempo a cui dovuto
il libro De disciplinis^ sembra da decidere in favore di Diomede. Per recarne un solo, lo sco
liaste a Dionisio Trace dice ben chiaramente : u le parti della grammatica erano un tempo quat*
ir, cio emendatio ( ), lectio (/ >^), enarratio (U^yr^txv), indicium (xpcxtxv).
Tale in breve quello che a questo proposito disse lungamente il Willmaniis. A me pare che
i due luoghi si possano supplire un l ' altro; cio, che Mario Vittorino, volendo parlare del pri
mo grado dello studio grammaticale, dicesse benissimo, che abbracciava il leggere e lo scrivere^
e poi (salvo sempre che altri non vi abbia messo le mani per guastare) senza distinguere come
accaralamente doveva, abbia riassunto anche gli uiBcii del secondo grado, comprendendoli nell' in
telligere ( che io non penerei molto ad ammettere possa abbracciare e lectio ed enarratio ed
emendatio, in quanto unite danno la piena conoscenza degli autori) e nel probare^ che in fondo
non che una espressione diversa per significare quello che Diomede volle dire con iudicium.
Seguirebbe quindi che Di mede abbia determinato solo gli nfficii del secondo grado della gram
fuaCica, della letteratura cio, o della gramnaatica propriamente detti.
Di questa conciliazione tra le due sentenze si occupa pure con copiosa s, ma opprimente c
non sempre giudiziosa erudizione il Willmanns, e il lettore potr scorgere come io pur, giovando
mi di Ini, abbia cercate quelle conchisioni, alle quali egli credeva cKfficile arrivare, lasciando f e l i
cioribus expiscanda le vestigia della dottrina Varroniana in questo laogo.
3. Grammaticae officia, ut adseril Varr, con
stant in partibus quattil^ ; lectione, enarratione,
emendatione, iudicio : leciio est artifi ialis inter
pretatio vcl varia cuiusque scri(>ti enuntiatio ser
viens dignitati personarum exprimens animi ha
bitum cuiusque. Enarratio est obscurorum sen
suum quaestionumve explanatio vel ex^quisitio,
K r a m .me w t i d i M. TtR. V a r r o .n e
3. Gli ufTicii della grammatica si riassumono,
come insegna Varrone, in questi quattro; il leg
gere, esporre, emendare, il giudicare. Il leg
gere : Ulta interpretazione artificiale, ovvero ;
esprimere il contenuto di uno sciitto, varia
mente secondo la qualit delle persone, dando
colla voce colore ai diversi sentimenti di ciascu-
r>8
1 0 7 5 F A N I 1 0 7 6
per quam uniufcuiuiquc rei qualilalem poeticii
glouulis exiolytrnuf. Emendatio esi qua lingula
prout ipsa res postulat iltrigimus aesiimaiitcs uai-
T c r s o r u m fcriptorom diTersam s e n t e n t i a m Tei
rccorreclio errorum qui per scripturam dictatio
iiemve fiunt, ludicium est quo omnem orationem
recte Tei minus quam recte prununtiatam specia*
iiter indicamus rei existimatio, qua poema cetera-
que scripta perpendimus.
na. Esporre : chiarire i luoghi oscuri e iotral-
ciati, oTTero : dichiarare con brevi glosse poetiche
il sentimento dei Tarii luoghi dello scritlore.
Emendare : assegnar ad ogni cosa il debito loo
go tenendo conto dei Tarii pareri di tutti gli
scrittori, oTTero : correggere gli errori incorsi o
nello scriTere o nel dettare. Giudicare : -
dicar volta per Tolta se uo discorso nelle sue
parli siasi o no pronnnii ate a doTere, od anche :
c U stima che si ia di un poema o di allre scrinare.
Dioro., 1. (Gr. Lai. 1) :z: pog. P* Grammaticae officia eie. In Massimo Vitlorino (VI, pa
gina 188 If zn 1988 P) gli liflcii della grammatica sono disposti in forma semplice : u lectio
quidem est secundum occenlus ad sensum necessitatemque pronunlialio : enarratio est secundum
poetae voluntatem uniuscuiusque discretionis explanatio : emendalio est errorum apud poetas el
fignierttornm reprehensio : iudicium est bene dictorum comprobatio, n Noi dobbiamo in questo
luogo allontanarci dal Willmanns : esso, trovando in Diomede riportati gli ufficii della grammatica
sotto doppia forma, ripudia la prima spiegazione credendola opera o di Diomede o di altro gram
malico, ma non di Tarrone (Cf. p. i o3 e segg.). L' ipotesi del tulio gratuita, e dato pure che
aTesse iondamenlo non sarebbe stala la prima spiegazione, ma la seconda che avrebbe dovuto la
sciare se ToleTa (come va fallo) mettere in relazione Diomede con Vittorino. Si pone sopra una
via molto ardila ripudiando delle spiegazioni perch non gliene arride la latinil. Luciando
stare che io non farei a credenza col buon gusto dei Tedescli?, io tallo di latino (almeno dal leg
gere i loro scrini), perch rifiuiare la forma cosi espressiva nella sua brevit artificialis inter-
pretatio? E come altrimenti re^ge il varia? E nella spiegazione del terzo ufficio non sono da
distinguere gli errori del copista da quelli dello scritlore?
Esaminando poi e paragonando insieme il luogo di Diomede con quello di Vittorino, mi pare
che non sia difficile, o, per lo meno, non improbabile ravvisare die non t ha differenza sostan
ziale e che nel secondo le doppie spiegazioni date da Diomede si riscontrano pure, sebbene fuse
sotto unica forma.
4. Nomen ani uKui usque litierae orones artis
latores praecipueqqe Varr neutro genere appel
lari iudicaveruDl et aptote declinari iosserunt.
4. Tull i i maestri di quest arte, e di tulli pri
mo Varrone, insegnarono che i nomi di ciascuna
lettera sono di genere neutro e uoo a'inflettono
per casi.
Prob. instit., art. IV, K ; p. 48, 35. Nomen litterae esl quo appellatur : sane nomen eie., nel
l' opera De l, /. un precetto che i nomi delle lettere a'abbiano ad usare al genere neutro non
si trova, ma ad ogni modo t si trovano sempre usati cos, la qual osscrvaiione basta a proTar
fero il iudicaverunt. Che sieno poi indeclinabili lo dice Varrone a IX, 38 e . M.
5. Tra le lettere alcune hanno e il nome e il
Talore di lettere come A, la B : allre il nome, ma
non il valore come H e la X : alcane n il nome
n il valore come e Y.
5. Litteramm parlim soni et dicuniur ut A
et B ; parUm dicuntur neque sunt ut U et X,
qnaedanMaeque synt neqne dicuntur ut et Y.
Cassiodori Cornut., p. 57C B; Garet., p. 22, 86 P: praeterea in libro qui est de grammatica
Varr coro de lineria dissereret H A (cosi scritto nei codici, ma nelle atampe h) inter lilleras non
esse disputaTit : quod molto minus mirum quaro quod X quoque litleram eue negai ; in qno
quid viderit nondnm deprehendi : ipsius Terba subiciam : litterarum partirti eie. Mar. Victor, I,
3f, 12, p. 24, 52 P VI, p. 6, K : nec dubitatur his litteris omnibus absqne sola V remotis, lalinae
linguae reliquas decem el septem posse salii facere. Naro pro U adspirationis nota, ni GraecS fa
ciunt, poni possel : F el P et eadem adspiratione compleretur X autem per C et S posserooi
scribere. 11 breve frammento Varroniano potrebbe fornire argomento ad una lunga illustrazione,
troppo lunga anzi per una noia. 1 nostri eruditi lettori sanno benissimo quanti stodii recen
temente si sieno fatti intorno al calore e alla storia dei snoni alfabetici, specialmente dal Corsenn
nella classica sna opera : u Ueber ausiprache Tokalismus and betonung der laleinischen Spraehe.
Hellc prime 29 pigine trattato dei segni grafici. Gli sludii moderni hanno confermato in ge
1077
. 10 VARKONt:
1078
nerale la doll rina Vdrruniana : tnlu aggtungereino riguardo iUa X, (he forse un soverchio amore
di bretit ha potuto retulere oscara la espositione di cui il giarnmatico raccoglil orc non li pot
far capace, perch la X cortie segno si Irova hi monumenti Ialini anlicbissimi., col valore di CS.
Vedi anche nella prima parte della teorica dei suoni la grammatica storico-comparaliva della lin-
gai latina del dott. Domenico Pezzi , ed. Loescher, 1872.
6. Proboe et Varr, alter eorum in duas par-
tea scribit et reliquas subirclas facit, alter in qaat-
tuor pr ut quisque potuit sentire.
6. Probo restrinse a due principali le prti del
discorso, subordinando k queste le altre : Varro
ne ne stabili, come ciascuno potr accorgerli ,
quattro.
Gledon. Ars. gramm. V, p. 10, K z z p . i 86f P : De partiens orationis. Probus tic, ^ sentire,
Nos vero convenit Donati sequi auclorilatem.
Mi par difficile poter assicurare che questo frammento appartenga al li bro De grammatica
Potrebbe essere derivato dalP altro De L. L. V i l i , 4 4 * ^ Orati secanda ut natura in quattuor
partes, in eam quae habet casus et quae habet tempora et quae neutrum, et in qua est utrum
que, bas vocant qui<lem appellandi, ut homo et Nestor, dieendi ut scri bo et lego, iungendi ut et
et at^ue^ adminiculandi ul docte et commode. ^ Ci. anhe De L. L, IX, 3 i *, X, 17.
In Prisciaoo ( XI , 6) si troTa altra dottrina che a due sole restri nge le parti del discorso*,
u Quibusdam philosophis placuit nomen et vtrbum solas esse partes orationis, cetera f e r o admini
cula vel iuncturas earum elc. m Vedi anche Qui nt. I, 4> 18 Wil lmann, p. a6 et seqq. e i i 5.
7. Lac oon debemus dicere sed lact. I 7. Non dobbiamo dire /<tc, ma lact.
Pomp. Cornm. V, p. 19Q K : u Nominativus singularis Iredecim litteris t e r mi na t ur . . . multi
(dubitant ?) utrum lac dicamus an lact, it revera si quaeras hoc rite iacit nec aliud : nam si dixeri s
lac, erit genitivus lacis, quemadmodum allec allecis, Lectum est saepius hoc praecipue apud Var
ronem ; ille dicit lac non debemus dicere sed lact. Alti i grammatici toccarono di questa questione
a proposito di Varrone, e alcuni, |>. e. Gledonius V, p. 48 K. i z p. 1904 P, facendo dire a Varrone
(ullo P opposto di quello che intendeva. Parnii certo che Varrone scrvesse taci, olire che per la
lettimoniania di Pompeo anche per quel la dr Probo (cathol. 1, p. 7, 3 K ) , tranne eh' es so asse
risce trovarlo nei libri De l. l. e lo Spengel (Philolug. XI, p. 4<>3) osserva che per testimonianza
del Keil al V, t o4 De l. l. il Codice fiorentino legge lact. Sappiamo ancora che Cesare si oppose
in questo a Varrone, attestand che nessun, nome tniva per due consonanti mule.
Cf . anche Diomede, p. 3o3, 3 . . . . soni qui addunt C ut lac qnod Varr artis grammaticae
e i terminat. Il Keil scrive Varr doctissimus artis grammaticae. Se U correzione fosse vera con
verrebbe assegnare altro luogo al f rammento; ma non fonlala. Cf . ^Vilmanns, p. t u , ai a.
8. Glossemata ut toreumata, enthymemata, poe
mata et his similia omnia Varronis regula, inquit
Pli nius, dativo et ablativo plurali in BVS diri gi l ,
quia si ngularii ablativus littera finiatur.
8. Nomi comtglossemataf toreumata^tnthy-
memata^ poemata e altri simili, nel dativo ed
abl ativo plurale, vanno finiti, dice Pli nio, confor
me insegna Varrone, in BVS, perche all* ablativo
singolare finiscono per la vocale L.
Ghar^ p. i 3i , 10. Glossemata elc. melior tamen ratio est quam sub A li tlera dedi
(p. 5a, a i ) ; et ideo haec et eiusmodi ex alia formula genitivum pluralem et ex alia dativum iura-
mil , horum glossematum, bis glossematis.
Mi pare a dubitar forte che Pli nio abbia addotto come regola di Varrone, una che sta contro
il t uo insegnamento e il suo esempio. Difalti Varrone n e i r Xl De l. l. (Cf. Char., p. 141, ag)
avca scri tto: u His poematis n dici debere; e di lu abbiamo un' opera inlitolata u De poematis.
La cosa pare spiegabile quando si sappia che Cari si o non conobbe i libri grammaticali di Pli nio
l e non per quello che trov in Giuli o Romano, grammatico, del resto, celebratissimo. Del resto
se Valia formula^ anch' essa, come nulla impedisce di credere, una regola Varroniana, sarebbe
iciolta ogni difficolt e loll a ogni contraddizione.
9. Sfi tautem pfonomin frita tria [ e g o , l u ,
i ll e], infinita teplem, minua quam finita tex, pos-
tetfiva quiti^ae : et haec ftinl prnomina XXI : in
rruib rtihfra pl uj ndo invcnief. Omnia pronmi-
9 . 1 pronomi definiti sono tre.(ego, tu, ille) :
gl i indefiniti sette : quelli che tengono del </e/?-
nito t di r indefinito,^ sei: i possessU'i cinque:
veri pi'onomi s'oh' questi, ne possibile trovarrfa
l li A 1 W E N 1 1
na quae suit iriTenta in latina fingila isla sunl :
(nita l unl tria, ego^ tu, ille, infnita sepleiDi quis,
qaalif, lalis, lantus, quanlus, quol os : luinus quam
finita sunt sex: ipse, iste, is, hic, idem, sui : pos-
sessTa sunt quin<|ae : meus, tuus, suui, noster,
?ester. Alia pronomina non invenies. Se<l dicere
raihi habes : dixisti inihi alia pronomina non in-
veuiri, sed inveoi alia. Dico l i bi ; ego dixi, quia
non sunt primigenia quae dicit Varr, sed dedu
ctiva. Mul tam interest utrum sit aliquid naturale
an aJiqiiid derivativum.
altri. 1 pronomi della lingua latina sono i l eguen
ii. 1 I r e definiti (ego, tu, ille) ; i selle indefiniti
(qais, qaalis, lalis, laotus, quantus, quotus) : i sci
che partecipano della natura dei defiiiti e degli
indefiniti (ipse, iste, is, hic, idem, sui) : cinque
possessivi (roeus, tuus, suus, noster, vester). Ol t re
di questi non troverai altri pronomi. Ma come?
puoi soggiungere, tu di' che altri pronomi non si
trovano, ma ne ho trovati altri. Ri spondo : io
dissi non trovarsene altri di quelli che Varrone
chiama primitivi ; non parlo dei derivati. Ci corre
molto, infatti, dalP essere originario e derivato.
Pomp. comm. ari. Don. V, p. 201, 29, K ~ p. 289 Li nd. Sunt autem sed deductiva.
In altri grammatici si trova la ragione delle quattro appellazioni. Cos Sergio p. 1785 P^Jnita
sunt quae recipiunt personas, id est quae definiunt personas. Infinita sunl quae unicuique per
^onae apiari possunt. Minus quam finita diruntur quae commemorationem habent notarum per
sonarum, altrimenti Cled., V, p. 40i P minus quam finita sunt quae nec finita
sunt nec infinita, nam iste et ipse et de praesentibus dicimus et de absentibus, e Diomede, ], K,
p. 32(), .5 u minus quam finita (qualts) est quae certis et incerlis personis aptari pOtest n cor
risponderebbero quindi ai nostri indeterminati. Possessiva dicuntur pronomina quae noe aliquid
possidere ostendunt. I.o ripetizione che trovasi in questo frammento, osserva con usala acntezia
il eh. prof. Canal, strana. Il primo peri odo avrebbe Pari a di un testo (dovrebb'* essere di Do
nato) commentato poi da Pompeo. Ma in Donalo non s ha il riscontro. Egli non distingue
( I V , p. 357 K ) che pronomina finita e infinita: i possessivi li classifica, come e gi usto, tra i
finita.
10. Pronomen quia non fungitur officio nisi
praemisso nomine, ideo haec pars a Varrone sue
cedanea dicitur, quia non potest in eadem locu
tione esse, hoc est quia bis nomen repeli non
potest. Ordo lamen hic custodiendus est, ut no
mn in praecedenti sii loco, pronomen in subie
ctis.
10. Perch il pronome non fa 1' ufficio suo, se
non lo preceda il nome, detto da Varrone sosti-
tuto^ non potendo trovarsi nella frase stessa in cui
il nome, il che vai quanto: non potendo ri pe
tersi due voll e il nome. L ' ordine adunque da
teuere questo : il nome abbia il primo luogo, il
pronome venga nella proposiiione aucceesiva.
Cl ed. comm. in Donat., V, p. 49 P pronomen . . . subiectis. Serv p. 5oi f^ind.
z r IV, p. 449 ^ pronomen dictum est quasi ' pro nomine, eo quod fungitur officio nominis ...
el ideo eliam in subiectis lucis ponuntur.
I I . Per C cum adverbium erit tempori s n l :
cum venerit, loqnemur, cum volee ibimus, cum
petieris Ures.
Varro adverbia localia, quae alii praeverbia
focant quatlaor esae dicit : cx, in, ad, ab. E x lo
cum significat unde egredimur, ut c x a r e a ; in
Jocnm in qnam ibimus, nt in aream ; locum
ad quem adimus: nt, ad parietem, ab locum a
quo discedimus, nt : a pariete.
Horum duorum adverbiorum, ex cl oA, po
steriores lilerae solent demi, alias rectc, alias per
peram. Quando ergo ex^ quando e dici oporteat
consequentibus vocabulis aoimadvertitur.
Item et apud locum significat nt qui domi-
nati apud me sunt, apud illum est. De quoque
1 1 . Cum scritto colla C sar avverbio di tempo
come: u cum veneri t, loquemur, cnm volel ibi
mus, cum petieris feres,
Varrone dice che quattro sono gli avverbii lo
cali, da alcuni chiamali preverbi^ ex, in, ai/, ab.
La ex indica il luogo donde usciamo, come : ex
area., \ in il luogo dove andremo come in aream^
la ad il luogo a cui ci accostiamo, come : ad pa
ritteniy la ab quello da cui ci allontaniamo, co
me : a pariete.
A questi due ultimi avverbii ex e ah si so
gli ono mozzare ultime lettere, talora bene, tal-
ora a sproposito. La parola che segue fa conosce
re quando sia da dire e, quando ex.
Anche apud voce di luogo ^ m e negli ejem^
pii : qui dominati apud m iunt ; apud illuni
i u8i DI . TE BLNZI O VAURONE 1 0 8 3
nonnunquam pro a ponilur el iionnonqaam pr
ear, pr a ut in hoc ... de provincia svenire qui
le dicit, nani perperam esf, imus enro in pro
vinciam ut in narem et in circum, exi mus ut e
nave, e circo aie e provincia. De provincia exlsli-
roamus cum de ea bene aul male praedicamus,
de nave dicimus cum longa an oneraria sit roga
mus, de circo cum fl aminias an maximus, l l em vi
tiose dici tur senatum habere apud aedem A pol
linis quod in aede dici oportet. Et de senatu
sententia viliose, oam debent dicere ut ex mea
sententia^ ex tua sententia^ sic ex senatus sen
t entia, i lem qui dicunt de senato redii potius
quam e senatu^ eo quod quo quom imus in dici
mus, iode cum redimus dicendum ex. E x senatu
eiectus potias quam de senatu. Male imptrrant
qai dicont de tabulis quid dicere. De tabulis
emm is dicit qui eas laudat aut culpat, e tabulis
is dicit, qui quud est in his scriptum recitat scri-
ptumve pronuntiat. Si eas videt, potius dici opor
tet legi^ contra quam dici, eas literas si non
spectat. A capite dempta qui vocant male appel
lant, quod sunt de capite dempla non a capite^
ad caput additum recte dicitur si est extra
caput quod additur. Qui transcribunt tabulas,
non describunt sed excrihunt^ qui quales sunt
scri bunt ii describunt. A scena venit spectator,
e scena veuit qui egit, contra spectator e theatro^
a theatro actor. De scena l oqui tar qui de ea be
ne an male ornata sit loquitur, in scena pronun
tiat actor. Qui hoc idem subtilius vul t dicere non
in scena sed pro scena dicit pronuntiare acto
rem. Nam scena significat graece domus^ e scena
actor exiil , venit in pulpitum [ad vestibulam'J (?)
pro scena itaque actor est. Cura eo venit dicimus
prodire^ qui domo excedit procedere^ qui ex ea
qoid ducit producere. Pro rostris dici oportet
eam i t qai contionatur iis dicit qai ante rostra
sani , pro rostris enim et ante idem sant. In ro-
stris ascendit, e rostris descendit, de rostris dicit
qui ea cuiusmodi aint dici. Jn contione stat, e
contione venit, de contione dicit. Inscribunt qui
dam literis t : datae e Gallia^ item e Roma^
viliuse. Nam sic dici oportet : in Gallia et Ro
mae. Dantor enim in locoy afferantur e loco, se
qui tur ut dentar in Gallia et Romae [prepositio
D o n n a m q u a m per nnam literam scri bitor, sed
per diminotionem ut ebibit pro exbibit"] ab Ro
ma Tcnio | est pro Roma.
est. Anche Ia de si nsa talora in luogo della ,
tal altra della ex. E in luogo delia a negli esempii
(qui vi ha una lacuna dei codici) .... chi dice :
de provincia venire, dice male, perch andiamo
in provinciam.^ come in navem^ in circum^
cos, al modo che usciamo e nave^ e circo, sar
d' uopo dire e provincia. Facciamo giudizio de
provincia, ^ ne diciamo bene o male, par
liamo de navey quani^o si domandi se sia da guer
ra o da cari co; e de circo se sia il massimo e il
flaminio. E modo erroneo pure: senatum habere
apud aedem Apollinis^ dove bisogna dire in
aede; e al tro; de senatus sententia, poich
come si dice : ex mea sententia., ex tua senten
tia., non altrimenti va detto ex senatus senten
tia. Quel li condannerai che dicessero de senatu
redii, poich si deve usare la ex per indicare il
ritorno da quei luoghi, per andar nei quali si usa
la in. Migli ore sar ex senatu eiectus che non
de senatu. Malamente ordinano taluni de tabu
lis quid dicere, esst-ndo che, dice de tabulis co
lui che le loda o biasima, dice r tabulis quegli
chc dice quanto vi scfi do, o secondo f i e scrit
to. Se ha la scrittura innanzi agli occhi megli o si
userebbe il verbo legere se non vi ha gli occhi
dicere. N seguirai quelli che dicono a capite
dempta, perch quel che 1 strappa strappalo
de capite non a capite: dirai bene ad caput
additum^ se quel che vi aggi nnto non appar
tiene al capo. Di qnelli chc trascrivono una pagi
na non si dice che la describunt ma la excri^
bunt, mentre la describunt qnelli che ci vrn-
gono a dire come essa si sia. Lo spettatore vie
ne a scena, attore e scena: al contrario, lo
spettatore esce e theatro.^ altore a theatro.
Parla de scena quegli che parla della sema sedera
p. e. bene o male allestita. Pal l or e rappresenta
in scena : e quelli che vanno per la sottile dico
no pi preciso che attore parla pr scena non
in scena, perch siccome scena vocabolo greco
che significa casa, attore esce e scena, ascende
sul palco, quindi pr scena. Quando arriva
col si dice che prodit^ quegli che esce di casa
procedit, chi porta i uod di casa alcun che pr
ducit. Se uno arringa persone che stanno dinan
zi ai rostri, va detto che arringa prorostris^ per
ch pr ed ante valgono il medesimo. Si tale
in rostra, si discende e rostris^ s dice de rostris^
quando se ne fa la descrizione. Si sta in contione^
si viene e contione, ai tieo discorso de contione.
Tal uni nel datare le letlere Mri vono p. e. e Gal
lia, e Roma : mate; bisogna dire in Gallia, Ro
mae. Poi ch si scri vono in loco, si trasportano
loco : onde souo scritte in Gallia e Romae
[le preposi zioni si scri vono talora con una sola
lettera, sincopale, come ebibit per exbibit'] : nella
io83 A E 84
frase ab Jioma venio vi ha mela||ysim) in luogo
J Roma,
Terenl i uni . Scauras, p. 2262, P. Per C Pel i cns ferei . Alii ii c : qiiotieoi V sequil ur, Q po
nendum, ul per QVO litterai : mequom, lequorn, quoius, quolieos, aiquol eni. In ceterii vocalibus
id ei t AEI O, c ponendum ni *|* recidit Cornelius citatus. Trarr adverbia . . . . animadvertitur.
Dopo queste parole segue una illustrazione del grammatico, che pare riassumere la dottrina Var
rODina alle parole item et apud eie. Ho voluio trascrivere tutto intero il passo per uno scru
polo torse soverchio, perrh non mi pare molto probabile che tosse dat iti questo libro De
gramthatica uno sti l uppo tate che corrispondeste v quello eoo cui si vde trattala qur una parte
della dotiriu sulle preposizioni.
l a . Ex his pronominibus sedecim tanlum Var
ro adverbia eius modi secundum sonorum ratio
nem fiefl demonstratit : i7/e, illic illinc illuc illo,
iste istis istinc istiic, /c hic hinc hoc, idem ibi
dem, qui quo, quique quoque, quicumque quo
cumque, quidam quonlam, quispiam usquam,
aliquis aliquo alicubi, qualis quali ter, meus me -
(im et significat more meo, tuus loaiim et signi-
6cat mpre tuo,, suus suatirn et significat more
suo, vesttr vesUatim et signifcat more vestro.
E x quibus pronominibus tantum quem ad mo
dum adverbia faut, sic uti Varro docuit demon
atravimus.
13. E Solo da questi sedici pronomi si possono
formare tali avverbii, lenendo conto della vari
qualit dei suoni, al modo che da Varrone di
mostralo. Si forma da i7/, illic illi nc illuc illo ;
da iste islic islinc istuc ; da /i/c, hic bine bue ;
da ide/i^ ibidem; da qui q u o ; da quique quo^
que ; da quicumque quocumque; da quidam
quondam ; da quispiam usquam ; da aliquis
aliquo alicubi ; da qualis quali ter; da meus mea-
tini e significa a mi modo ; da tuus lualim cio
a tuo modu ; da suus suatim, a suo mdo ; da
noster nostralim, a modo nostro : da vester ve-
straiini, a modo vostro. seguendo insegna-
merilo Ii Varrone abbiamo indicati come si f o r
mino da questi pronomi gli awerbi i .
Prob. insl. art., p. i 52, 3o : De pronomine. Ex his de pronoir/miLus elc. Vedi anche Pri-
sciano, XV, 5, p. 63, 18.
L I B E R 11.
DE D I A L E C T I C A .
Marciano Capel l a, IV, p. 9G, ed. Gros. z z l or , Eyss. fa ampfa testimonianza, che fa (Talcttica ancora
molto dolesse a Varrone, e che suo era il merito di aveila re^ nota e famigliare ai Romani, e di
aver trovato il modo di rendere in Ialino le epresson( greche relative a qusta disciplina. Onde
concludere che solo dopo Varrone e per opera di Varrone la dialettici entr a far parte in Roma
delle diicpline seolasitcbe : Ni Varroms mei (eosi fa dhe Marciano alla dialellica) inter Latiares glo
ri a celebriti mikt eruditio iodostriaque suppelerel, possem femini Dricae nafionis apud Romuleae
vocis e x mi n a aut dmodum rudis aut gatta b^-bar reperirti Quippe post Plalonis aurum flumen
tque Ari stotelcem facultaleni M. Tereati i prima m in Ialina m tocem pell etit industria ac fan (Ti
posti bi i i l t i en per scKolv Ausoiiias comparavit. Forse a questo li bro (clla dialettica si riferi-
cevo Kb parole di GeINo: Cum in dtaciplinM dialecticas induci atque imbui vellcmu, necessus
i oi t MKre lqoe eognoaeere quat vocani dialettici c(9ayuyi<, tum, quia in primo wrpi
disceidom, quae M. Varr alias profata^ alts proloquia appellat e. q. s. (XVI, 8). Erano chia
mati qUetl pr oUqui Bel X X f V De /. secondo ricorda lo stesso Gell io, onde non
fuori di qual che probi bi l i ti che fossero profata nel libro De dialectica^ come giudica
i^ Ritschl ; tt M trovare io Mirciaiio Capella costantemente proloquia non fa creder piuttosto
cbe Varrone abbia usato or un or af i r a voce ndl o stesso libro della dialettica come io credo
pii vero.
i o85 DI IVI. TERENZI O VARRONE 1086
L' uoico luo^o del noiUo libro (ii cui rimane memori conservalo quasi colle tleiae parole
(U Cauiodoro, c. 3, p. 536, e da Isidoro, 11^ c. a3, ed il segaeolc :
Dialecticam e t rhelorrcam Varro in Do v e m
disciplioarum librii lati siinililudiue defnTI :
dialectica rt rhetorica esi quod in manu hominis
pugmis astrictus ct palma distensa: illa verba
contrahens, ista distendens.
Varrone nei libri delle nove diicipline, U dil-
ferenta fra la dialettica e la retorica dichiar con
questa similitudine : la dialettica e la retorica so
no quello che n r l P uomo la mano stretta in pugno
e la stesa : quella ristringe il discorso, qiicit lo
dilata.
Cassiodoro: Dialccticam diitrnsa: illa brevi oratione argumenta concludens, ista facundiae
campos copioso sermone disnirrcns illa etc.
Questa famosa similitudine tratta da Zenone (Stxt. Emp. adv. malh., II, 7): >>
^ ? ^) , tyj \ itotXtv ^
, ^/ * <(3**^ , <fi '
(^ - ^ ^uyocp.eo; ^. Vedi anche Cicer. Orator, 32, i i 3 ;acad.,
H, 47, 45.
L I B E R
D E R H E T O R I C A .
Un solo e insignificante frammento di questo libro si trova in Prisciano, 1. IX, p. 872 P
pag 4^9 Hl * Varro tamen etiam adolui protulit in I I I rhetoricorum: postquam
adoluerunt haec inventus. Abbiamo gi innanzi toccalo della questione che si potrebbe mac
vere a proposito di queitA citazione E il solo Inogo in coi si trova citata un'opera d arte reto
rica di Varrone, n per altro motivo In aggiunta al famoso indice di S. Girolamo. Ma vi
forte ragione a dubitare che se ne debba fare o d lavoro a parie, e essere stato sconosciuto
tutti gli. antichi grammatici cercatori cos avidi dei libri varroniani, uo argomento (sebbene
negativo) di qualche peso. D**altra parte tanto iacile rendersi ragione del modo con coi Terrore
pot esser corso! Tutto indace a credere die il terzo dei libri De disciplinis si occupasse pro
prio della retorica, perch vediamo che in lavori simili le assegnarono il terzo luogo e Marciano
e Agostioo e altri molti, e quindi la citazione in I I I Rhetoricorum non vorrebbe dire altro che
nel 111 De rhetorica. Ben si sa che le citazioni nei codici, come nelle edizioni pi antiche erano
fatte per abbreviazione, e moltiplicatesi le trascrizioni e le edizioni si lasci correre errore che
cos divenne comune. I grammatici antichi non sono sempre accurati nel citare, e si trova p. e.
qualche pauo dei primi quattro libri De /. /. sotto la citazione Varr De lingua latina ad
Ciceronem^ o ancora: Varr ad Ciceronem^ quantunque quei primi libri non losiero dedicati
Cicerone. Co' altra osservazione reta fare, ed , che Cassiodoro ed Isidoro assegnarono nelle
distribuzioni delle materie della loro enciclopedia alla retoric* il secoodo laogo : ma il modo ohe
tennero ambedue nel citare il frammento dichiarato nel libro De dialectica sembra una oaov
conferma alla supposizione che in Varrone foase alUrimenii. Cf. Rilacbl, p. 5 e 6.
L i B E R
D E G E O M E T R I A .
Quanto sono scarse le testimonianze per il libro De rhetorica altreltanlo sono copiote qodU
per il libro. De geometria. Notevole il luogo di Cassiodoro {De art. et dep. c. 6, pag. 56o b)
iu mundi quoque iguram curioa5simus Varr longae rotunditati in geometriae volumine compa
ravit, formam ipsius ad ovi similitudinem trahens, quod in latitudine quidem rotundum, sed in
io8^ F B A M M E N T I 1 0 8 8
lougiludiue probatar obionguro. n Marciano, VI, p. 190 = p. 196 Ej i s. : u deniqae si Marcum
Terentium paucotque Romuleos excipias consulares, nulluf prorsus erit ( Eyssenhardt aggiunge
dii^ts per coogeltur) cuius isia {geometria) limen intravit. Si trova in un codice (Parce
riano) questo libro allegato coi nome di un personaggio al quale sarebbe stato dedicato : u Incipit
liber Marci Barronis de geometria ad Elufum feliciter Silvium , iscrizione per non offerta dalla
copia vaticana. Che il nome sia errato par sicuro, perch non ci erno in Roma famiglie di Silvii,
e a chi corresse Silium si risponde che nella famiglia dei Si l i i nessuno port il cognome di
Rufo. TiB iscrizione con quella chiusa fel i ci ter Sihium non regge: e tutto*il fatto oscuro*
Quello che importa notare si che quei frammenli i quali sono attribuiti sotto questo titolo
al libro De geometria^ non vi appartengono n punto n poco, errore da cui non si seppe
guardare il Popma come appre dalla edizione Bipoutina. L' esame diligentissimo fatto dal Blum
di quel codice mise in chiaro, che i frammenti del libro De geometria non vi si rinvenivano, e
riscrizione accennata si trova sulla fine del quaderno XI e al X l l comincia e s p o s i z i o n e c a i / f
litterarum. Per la qual cosa dubita con poco fondamento tuttavia il Ritichl che non appartenga
al libro De geometria neppure il, passo ricordato da Frontino De limitibus agrorum^ pag. 38,
ed. Goes. nam ager arcifinius^ sicut ait VarrOy ah arcendis hostibus est appellatus.^ che si
trova pur esso sntto il capo De casis litterarum. Nella breve prefazione abbiamo poi manifestala
opinione che il libro di Varrone De mensuris^ che Uoezio dice di aver compendialo, non sia,
tranne nel modo di citazione, diverso da quello De geometria,
Varrone divise la geometria in due parli : la prima per le cose che sono soggette al senso
della vista (^) e abbraccia quello che noi comprendiamo sotto il nome di ottica, e inoltre la
teoria delle linee e dei corpi () : la seconda per ci che cade sotto il senso
deh' udito (xavov(xii) ed il fondamento delta musica e quindi della metrica, la quale in questo
libro ( cf. Gellio XVl l l , i 5 ) fu messa in relazione colla geometria e col f aritmetica. Le applica
zioni della geometria furono da Varrone riparlile pure in due classi : la geometria (che Ietterai*
mente interpretata misura della terra) chiamasi gromatica (da groma istrumento da misura
re), se d le norme e i precetti per* misurare i campi agrimensura) \ geografia se applichi que
ste norme e precetti alla misura di tnlta la terra. Sono dunque da raccogliere sotto questo libro
i numerosi frammenti di argomento geografico che si hanno di Varrone, esclusi quelli che si rife
riscono a Roma e all Italia, perch di questi tratt nei sci libri De locis (VIl l -Xl l l ) che apparten
gono all' opera Rerum humanarum^ e quelli che pi comodamente si possono ascrivere alTaltra
oper;i che intitol Ephemeris navalis^ di cui sar discorso io altro luogo.
Era, perci, il pi importante forse dei libri De disciplinis^ e ci sarebbe stalo ben utile il
conoscere le relaiioni che trovava fra la geometria e la metrica, e le sue applicazioni alla teorica
dei numeri e dei suoni musicali. E poich abbiamo gi ammesso un libro speciale per la musica,
va inteso che in questo De geometria non si ur trattalo che in generale argomento che an
dava particolarmente evolto e dichiarato nel libro a ci. li inutile quasi avvertire che anche in
questa parte ci fu ottima e sicura e copiosa guida la pi \olle ricordata monografa del Ritschl.
Gelh XVI, 18.
1. Pars quaedam geometricae appellatur
quae ad oculos pertinet t pars altera quae ad auris
xavor.xv vocatur, qua musici ut fundamento artis
suae utuntur : nlraque harum spatiis et iutervallis
linearum et ratione numrroruin constat. }
iacit multa admiranda id genus, ut in speculo uno
imagines unius rei plures appareant : item ut spe
culum in loco certo positum nihil imaginet, alior
sum translatum faciat imagines : item si rectum
speculum spectes, imago tua fiat hujusmodi, ut
caput deorsum videatur pedes sursum, lleddil
etiam caussas ea disciplina cur istae quoque visio
nes falluot, ut quae in aqua conspiciuntur maiora
ad oculos fiant, quae procul ab oculis sint minora.
I. Quella parte della scienza geometrica che ha
relazione voW occhio, delta ottica ; quella che
con orecchio, canonica^ la quale d legge ai
maestri dell' arte musicale: s una che l'altra ha
fondamento nella lunghezza e negli intervalli del
le linee e nella ragione dei numeri. Sono effetti
deH'oHica molle meraviglie, come l'apparire in
Mixo specchio immagini moltiplicate delJo stesso
oggetto: che uno specchio posto iu uo luogo non
renila l'immagine, la renda, mutato sito; che
se ti presenti ritto dinanzi allo specchio la tua
immagine ti apparisca capovolta. Questa scienza ti
addila anche le cause di queste ed altrettali illu
sioni, come uo oggetto si mostri, veduto nell' a
equa, maggiore del vero, e minore, se sia discosto
dall' occhio.
1 089
DI . TE RLNZI O VARRONE 1 0 9
Kavevcxt$ tiilem longitudines et Ititudince -
cis cfDclitar : longior roensara voci dici
tur, atlior ^. hi t et alta species quae appella
tur pLcrpcxii per quam syllabarum longarum et
brevium el roediocrum iunelura et modus con-
f^ruens cum principiis geometriae aurium mensu
ra examinatur.
a. Sed haec, inquit M. Varro, aut omnino non
diseimas, aut prius desistimus quam intelligamu<
cur discendi sint. Voluptas autem, inquit, Tei uti
litas talinm disciplinarum in postprincipiis existit,
cum perfrclae abtniiilaeque sunt : in principiis
Tero ipsis, ineptae et iniusTM videntur.
eanonia misura TesteoMune la (urta
della voce : la durala delle note vocali detta
1>6 (ritmo), il loro accordo, melodia ().
Alta canonica otiopotla ancora U metrica che
studia accozzamento delle sillabe lunghe e bre
vi e di dopil o tempo, e come tulio ci si confor
mi ai principii della geometria e alle esigenze del-
rorec<'hio.
2. Ma silTatte cove, dice Al. Varrone,o non s'i
parano, o si smette prima di aTer inteso, perch si
dovrebbero imparare. Ala il piacere e utile di
tali insegnamenti si ente quando, superati i prin
cipii, se n'abbia piena e perfetta cogniiione; in sul
le prime hanno aria di inezie e tornano di nuia.
Il lettore non ugrad r^ spero, che, se non sia possibile avere te precise parole di Varrooe, se ne ab
bia almeno la dottrina.
()) era lo studio di misurare la intennta e durata dei suoni, alP incirca come
tarcamo noi dal numero delle vibraiion. - musica ttoretica si fondava parte *ulla canonica
parte snlla matematica. La dottrina della canonica pitagorica: fu poi detta armnica. Si legge
in Porfrione : u qnare canonicam dicimus? non ut aliquibus Tisum luit, a canone instrumento
aed a rectitudine. Siquidem ratio id quod est rectum repetit otentlo canonibua tive regulis har
monicis Yt (Versione del Gronorlo).
Nel frammento 1 dopo alia species si suole aggiungere che non necessario e che
non si trova nel cod. Ae^io, ottimo dei codici di Gellio. Lo Stefano aveva 9^^ q i \o geometriae ;
male, perch la metrira una suddivisione non della geometria in genere, ma della xavovtxii in
specie.
3. Gellio XVIII, i 5.
4. Marcus etiam Varr in lihris disciplinarum
scripsit observasse sese in versu hexametro, quod
omnimodo quintus semipes verbum linirel et quod
priores quinque semipedes aeque magnam viro
baherenl in efficiendo versu atque alii posleriorea
aeptem : idque ipsum ratione qnadaoi geometrica
fieri disserit.
4. Anche Marco Varrone scrisse net libri delle
discipline di a\er badato che nei *uoi esametri
quinto meno piede coincidesse assolutameotc col
la finale di una parola : e che i cinque primi
mezzi piedi influivano nella conftirmazione d!
ver^o tanto quanto i sette secondi, e mostra ci
nascere da una ceita relazione gtoroetrica.
Abbiamo dato questo frammento al libro De geometria indotti dalla chiusa; senza negare die
potesse trovarsi acconciamente anche al luogo dove parler di proposito della armonia, musicale del
verso. Le parole, come stanno in Gellio pare che debbano essere iuiese degli esameiri Varronian'
non deir esametro in generale, perch se vero che la cesura deve coincidere colla finale di una
parola, vero pur anco non essere di rigore che sia fatta dopo la quinta met di piede ( caea.
{( ) ; mentre pu essere fatta anche do|M> la sesta met (caes. )
dopo la settiqaa met di piede (caes. ), come pure che omnimodo quintus semipes f i n i
rei verbum^ non debba essere inteso in generale appare da tanti esempli che vi fanno contro, p. e.
io Virgili id metuens ifeterisque memor Saturnia beli; in Ovidio (.Mei. V, 4^4)* Sidero*
que ventique nocent avidaeque volucres^ ecc. La seconda parte del framixienlo pi degna d*
nota, e non pu essere pienamente intesa sen^a qualche aT\erlenza. 11 Terso esametro dobbiamo
considerarlo come diviso in due parti dalla cesura, e in qualunque delle tre sedi accennate essa
cada, la dottrina Varrouiana appaiisce verissima. Se la cesura cade dopo il quinto semipiede, com
1 V/ i
nel vcrio : Arma \irumque oano Trojee qui primut ab orfs, avren'imo lo scliema arma Tirumquu
. !
ceno II Trojae qui primus ab oris : oella prinri parte sono tre arsi, la seconda comincia ua
una aUaciQsi e si ripetono Ire arsi, onde c vero che priores quinque- semipedes habeut aeqtte
magnam vim atque ulii posteriores septem. Se Ia ce^ura cade dopo il settimo mezzo piede ab-
9! PI M. Tf R. VaRBOHR. 69
bUmo il rapporto di 4 ^ H pi tcmplice Jet rapporti muiicali poisibill, cooie in ; illi m predae
* ^ y i
ccmgunl II ilpibu<que fuiurii. Auche pr il terzo c mo troviamo tre arai per ciaicuna IcUc
parli, con una battuta di^hiusa nella prima, d' iotroduziune nt-lla fecoiula come ; id nictueni
cteriaque || nieiuor Saiuriiia belli.
Anche da Varrone la metrica fu considerala come parte della f rammalioa, >d ampie ricerche
fopra di questo argomento non furono fatte nei libri De sctplinis^ ma ne tratt di proposito nei
libri ad Marcellum de lingua latina^ nel i)ual luogo sarauuo da noi pure scbieiati illustrati
i frauimcnti die vi rifenscouo.
f r a m m e n t i 1 0 9 ,
M^rciauiis VI, p. aaS.
5. Figurarum quae geometrae appel
lant^ geuera sunt duo, planum et solidum. Haec
ipsi Tocant et oriprov. Planum esi quod in
duas partes solum liueas babet qua latum est et
^tta longum: qualia sunt triqueira et quadrata
quae in area Huni sine altitudine. Solidum est,
quando non longitudines modo et latituiines
planat numeri linearum eiBciunt, *sed etiam ex
tollunt altitudines: quales sunt ferme melae trian
gulae quas pyramidas appellant, vel qualPa sunt
quadrata undique quae illi nos quadranta
lia dicimus. enim est figura t x omni late
re quadrata, quales suni, inquit M. Varro, tesserae
quibus in alveolo luditur ex quo ipsae quoque
appellatae . In numeris etiam similiter
dicitur, curo omnelalus eiusdem numeri aequal)i
liter in sese volvitur siculi ft ciu ter terna du-
eunlur atque idem ipse numerus triplicatur. Hu-
iui numeri cubum Pythagoras %im liabere lunaris
circuli dixit, quod et luna orbem suum lustret
eptem et viginti diebus, qui numerus ternio qui
^raece dicitur tantundem ifficiat in cubo.
Linea autem a nostris dicitur quam Grae
ci nominant : eam M. Varro ita definit : linea est,
inquit, longitudo quaedam sine latitudine et abi
tudine. Euclides autem etc.
6. Sed Varro peritissimos latinorum huius no
minis (sc. geometriae) caussam sic extitisse com
memorat, dicens : priui quidem dimensiones (ho
mines dim. Cass.) terrarum terminis positis, va
gantibus ac discordantibus pupulis ( va^. pop.
CaiS,) pacis utilia praestitisse: deinde totius anni
circulum menstruali (mensuali Boeth.) numero
fuisse partitum (partitos ec. homines, Cass), unde
ftunc. Boeth.) et ipsi menses, quod annnm me*
liantur (metuuntur Bo.) dicti sunt. Verum post
quam ista reperta sunt, provocati studiosi ad illa
invisibilia cognoscenda coeperunt quaerere, quan
to t p l i o terra luna, a luna sol ipse distaret, et
usque ad verticem coeli quanta se mensura disten
deret : quod peritissimos geometras assecutos eue
eommemoral ^comm. ommesso da Boeth.).
5. Vi ha due specie di fi;$ure, che i geometri
chiamano : la piaua e la solida; detta
quella iriirc^ov, questa orcpcv. Piane quelle che
sono finite da linee che hanno dimeniioni nel solo
verso della larghezza e della lunghezza, quali sono
i triangoli e i quadrati che ai disegnano in uno
spazio, senza altezza. Sono solide le figure che
non sono definite soltanto dalle linee in lungbeZ'
za e larghezza, ma che hanno anche altezza, ver-
bigrazia, le mele triangolari dette piramidi, o
quelle figure che hanno sei faccie quadrate dette
dai Greci dai nostri quadrantalia.
dunque una figura quadrala da tutti i lati, come,
dice Varrone, i dadi da giuncare che per questo
hanno anche il nome di cubi. Similmente anche
nei numeri dicesi cubo quel che rigirasi equabil
mente in se slesso da tutti i lati, come, p. e. se
prendasi tre volle il tre e questo stesso prodotto
novellamente si triplichi. Pitagora insegn che
questo cubo del tre d la ragione delP orbita lu
nare, perch la luna compie il suo corso in gior
ni veutiselle, proprio come il cabp dtl numero
ternario detto dai Greci. Quella poi che dai
Greci detta ypapfn da noi detta linea, e la
definisce M. Varrone: una lunghezza senza lar
ghezza n altezza. Ma Euclide ecc.
6. Ma Varrone il pi dotto dei Latini ci ha
fatto conoscere, la ragione dd nome di questa
disciplina (la geometria). Da princi|}io, cos egli, si
ripartirono i terreni, fissandone i confini, la qual
cosa fece godere a quegli uomini erranti e tra lo
ro discordi i beneficii della pace; di poi si divise
il corso deir anno in quei periodi, che si nomina
rono mesi dal loro ufficio del misurare. Quando
ebbero fatte tali scoperte, stimolati alcuni dal de
siderio di conoscere le altre cose iufisibili, si die
dero a investigare quanto distasse la luna dalla
ferra, e dalla luna il sole, e quanta fosse la di
stanza dalla terra al punto pi alto del ciclo, e ri
corda che geometri peritissimi trovarono Ittttp
questo, e che appresso^ con calcoli di probabilit,
si pot determinare la periferia dell* orbe terre-
DI . TERF.NZI O VARRONE
Tunc et (limcDslouffn orbis terrae (Jiro. unTfr*
terrae Cats.) probabili rrfert ratione colle-
cUm : ideoqoe (ideo Bo.) ractam est ut disciplina
tpi geometriae nomen 8cci|*eret, qud per sacca
ia longa custodit (conslartt Bo).
stre, per cui questa scienia rbbe ii neme di geo^
mciria che da tanti seroli maoiivne.
Questo Iu go si legge cotte stesse parole (tranne le lieti differenze srgnate tra prcoiti) in
Cassiodoru c. 6, p. 558, 3, e nel Pseudo-Boeziis p, 1229.
Cassiodoro (Var. Ili, 5a), probabit mente dietro Tesorapio di Varrone, cotleg anch* eisu in
segnamento della gromatica, a quello delle forme geometriche. Marciano invece^ mentre non tocea
della grornatca fa esso pure due disripline congiunte la geometria e la geografa, solo che prima
Tolg< la geografa che noi diremo fsica e la tnpografica poi, exposita terrae aequorum^ue mth-
sura^ passa alla defuiiione delle lnee e delle figure. Merita che si senta come definisce la
metria (VI, p. 192): u Geometria dicor, quod permeatam crebro admen^amque tellurem, eiusquo
figuram, magnitudinem, locum, partes et stadia possim cum sois rationibus explicam, neque alia
sit in totius terrae dirersitate partitio, qnam non memoris cursu de.^criptionis abiolvam. n
Isidoro nelle origini tratta insieme della geografia e della gromatica, ma tratta a parte, e dopo
1ung interruzione dt-Ila geometria.
A questa parte della groniatca si dovr riferire ambe it frammento che si legi'e in Frontino,
p.ng. 38, ed. Goes.
7. Nam ager arcifuos, sicut ait Varr, ab ar-
rendis hostibu* est appellatus.
7. Poich il nome di arcifinius fu dato, se
condo dice Varrone, a tale confiue in quanto lit-
ne indietro i nemici.
In qu'Sio senso arcifinius ero sinonimo di oceupatorius^ confine naturate in opposizione
air artificiale, atabiiito in virt di accordi tra confinanti, o per volere della citt.
b non abbiamo difficolta alcuna di accettare anche quesl^ altro che si legge netto stesso Fron-
liuo (pag. 215, Goes.).
8. I^iniitnni prima origo, sicut Varr descri-
pil ad disciplinam arospicinam (?) noscitur perti>
'nere, quo I aruspice orbem terraruiii iu duas
partes dTserunl etc.
8. La prima origine dei confini, come deftni
*ce Varrone, notoriamente col legata arte
dell* aruspicina, perch gli aruspici divisero il
mondo in due parli ecc.
Abbiamo notato un ecc, alla fine del frammento, perch non si limita forse a questo Solo mu
ch Frontino ha fatto di Varroue, ma anche quello che seguito deriva molto probabilmente dalla
stessa fonte. Ne lasciamo giudici i lettori.
St-rvius in Vlrg. Geor. I, iuil.
9. Nani omnii terra, ul eliatn Varr ducet,
quadrifariam dividitur. Aut enim arvus est ager
i. e. saiionalis, aut consitus (cosi nel Coti. Vatica
no 3317 : le edizioni coiis livWs) i. e. aptus arbori-
bus: aut pascuus qui herbis tantum et animalibus
vacat; aut floridus (floreus Cod. Parigino 7969)
in quo sui:t horti apibus congraentes et floribus.
9. Perch vi ha, conforme scrive anche Var
rone, quattro qualit di terreni : vi ha il salivo
buono a seminarsi : arborato buono alla eoltora
degli alberi ; vien terzo il prativo lasciato ad erba,
ed a pascoli : ultimo che dicono florido il qua
le messo a giardino, opportucio alle api ed ai
fiori.
Abbiamo in Isidoro, E ty m, XV, i 3, 6, un luogo che accorda in lotto con questo : w Omnis antem
ager ul Varr docet, quadrifariam dividitur. Aul eoim arvas est ager i. e. salionalis, aat consitos
(RitKhl consitivus) i. e. aptut arboribos, ani pascuus qui herbie tantum et animalibos vacai, aut
floreus (RitschI floridus), iu quo sunt borii (Rii. orti) apibus congruentes et flor 1bus. Quod eliam
Virgilius in qualuor libris Georgicorum secutus est.
lo non ho ombra di dubbio che Isidoro abbia trasprtato di pianta il luogo di Servio nella
sua opera, c qaiodi non so intendere, perch il Ritfchl arrechi il passo coll autorit di Isidoro,
<ili vere che eoo quella del eomiBentatore Virgiliano. Resterebbe a sciogliere il quetilo proposto
dl Kctlner {J^arronische studien^ 16), se il ramiueuto app'arteoga ai libri De disciplina, 11
hiUcM veva, iiiicriilo, <leio iu Mvorc, e mollo prima di lui il Fopau. Il Uubilr< mi sem
bra rrgioiiefolr. Il iiuxio di cuxioii ut etiam yarro doctt pare che acetini essere stala tolta
da Varrotie soliamo iu genere la riparlitioae delle quaUru diiTerenli qualit di terreni ; al qual
pioposiio a notare, che non si tiuva in altro degli scritti di Varroiie conosciuti sinora una
cl^ssifcaiiuiie dei teireui qusle aiceuna il luogo Serviauo (V. p. e. De r. r. I, 5, 3 ; De /. /. V,
34-40).
10. Varrone, discorrendo di quella parie della
terra che delta Europa, fra i primi tre fiumi di
' questa mette il Rodano.
l oyj F R A M M E N T I 1 0 9 6
IO. Varr ufnu cum de parte orljia quae Ku-
rtpa diciiur, di>ccifl, in trihus primis eius ler-
irae (luminibus Rhodanum esse ponit (Gcltio X, 7).
La maggior parte tiri Iramiiienti che seguono di argomento geografico sono tratti dalla storia
naturale di Plinio, il quale nei libri dal terio al sesto abbracci u situs, gentes, maria, oppida,
porlus, montes, tlumiiia, mensuras, populos qui suni aut luerutit prendendo, tra j^li altri, a guida
il nostro Varroiie. Quindi per la distribuzione seguiteremo ordiue stesso di Plinio.
11. Pilli. Ili, 1 , 8 : in univeisam Ilisf*anaiu
W. Varr perveiii.t?c Iberos et Persas et Phoeni-
cas Celtasque et Poeiios tradit : Lusum enim
(eiiaiii?) Liberi palris aut < eo bacchan-
lium nomen desiisse Lusitaoiae, et Pana praeie-
ctum eius uiiifcrsae.
11. M. Varrone insegna che entrarono iu tutta
la Spagna, Iberi, Persi, Fenici, Celti e Cartagi-
ntrsi e che da Lusus o Lissa fenuto.il nome alla
Lusitania, per le feste del padre Bacco e pel furo
re dei haccheggianti in ronipapnia di lui e che da
Pane gofcrnatore del Dio si chiam intera re
gione.
la. L' Italia di^ta dalle terre circostanti, in
alcuni punti 1110 100 miglia dall'Epiro e dalla
Dalmatia 5o, dalP Africa meno di 20, secondo
M. Varrone, dalla Sarlena 120, dalla Sicilia poco
meno di un miglio e meizo, dalU Corsica meno di
80 miglia, da Lissa 5o.
12. bcst (Italia) a circumdetis terris Ishia ac
Liburnia quibusdam luris cenleiia . pass., ab
Epiro et lllyiiio<]uiiiqua(;inla, ab Africa miiiusCC
ut auctor est M. Varr, ab Sardinia CXX M., ab
Sicilia luiuuf pass. M. CCCCC, a Corsica minus
M. LXXX, ab Is^a quinquaginta.
Plinio 11. N. Ili, 5, (Cf. Marciano p. 2o5 G =z 2i5 Ejss.) Quantunque parlasse dklP Italia
nei libii antiq. r. hum, non contraddice che qui poteue darne qualche nozione generica. Nel fram
mento ( anche nella lezione del Hitschl ) abbiamo ab Sicilia M. CCCCC : mi pare troppo patente
Terrore: io credo che sia necessario il mutamento indicato per far risultare un miglio e mezzo, che
infatti la dislania tra il Faro e il lido opposto d' Italia, mentre, calcolando in gei cre la lunghezza
del canale di Messina, si ha la distanza di 8 chil. ne! punto pi stretto. Notevole che lo slesso er*
rore ai trovi ripetuto in Marciano Capella.
13. Patet (Magna Graeci) octoginta sex M.
passuum, ut anctor est Varr ; plerique LXX V M.
fecere.
i 3. Alla Magna Grecia Varrone assegna una
superfcie di ottaotasei miglia, che da altri s o d o
ridotti a ^S.
Pliuio H. N. Il i, 10, 95.
14* In Agro Rratino Cutiliae lacum, in quo
fluctuet insula, Itiiliae nmbiculum esse M. Varr
tradir.
14. M. Vsrron^ scrive che in quel di Rieti vi
ha il lago di Cutilia, con un'isola galleggiante che
il punto centrale d'Italia.
Plinio H. N. Ili, 12, 109. Della meraviglia dell'isola galleggiante nel lago d Cattgliaoo fra
Reale ed Interamna parlarono tarii scrillori. Varione stesso ne fa motto ntl V, 71 De l. ag
giungendo che per Ule commuoversi queste acque avevano il nome di Commotiae (?).
i 5. Nsrona era colonia del terzo distretlo gi
diziaro ... Riporta Varrone vhe ollaotaoof citt
vi accorrevano per farsi render ragione.
t 5. Narona colonia ter l i i confentus ...M. Var
ro LXXXIX ci vi tates co Tenli tatse auctor est.
Plinio U. N. i l i , 22, 142.
Narona era citt della Dalmazia ini fiume Naro a due miglia e nei xo dalla aoa Ibce nel V -
do. Ere ono dei Ire cottPtntus io cui era lUta diviia la Daliaaxia per amnioittraiiont dilla
giostizia.
101J 7 DI . TERENZI O VAllKONR.
16. Ex hc (Gi>).profecUin dclicatioreiu iexui-
nis vcslem auclor eit Varr.
1(3. TroTBsi in Varrone, che
1' uso Ji fiiissiiue \9li temniiail.
Plinio H. N. IV, l a, 6a. Isitl. XIV, 6, 18: u Coos insula aUiacens provinciae Aliicae, in
qua Hippocrates roetlicus natus est, ut Varr teslis est, arte lanificii prima in ornamentum femi
narum inclaruit, r Nel qual fianimento iaCla una osa sola di Coo e tli Cea. Per la qual cosa
apparisce che, come il solilo, Is itloro d o q atlinse alle sorgenti, ma a rivi. Egli copi di pianta il
luogo e lo svarione da Solino (poljst., c. 7, ed. Mommseo, p. G5) : u Miillae quidem insulae obia*
ccnt Alticae coiitiuenti sed suhuibanae (erme sunt Salamis Sunium Ceos Coos quae, ut Varro
leslii esi, subtiliori vestis micula arte lanificae scientiae prima in ornalum feminarum dedir. h
Air uopo mi giova qui collocare una osservaiione del eh. prof. Canal, cheottimaiAeule riassume e
complrta le ricerche falle dal Lachmann (ad Lucretium IV, i i 3o) per mettere in chiaro le con>
traddiziui che appariscono in questo frammento: u che le finissime t*le bombicine onde trattasi
lossero uua gloria di Coo non c dubbio : di Cg o le dicono Orazio^ Tibullo, Properzio, Ovidio,
Seneca; e l Ariitulelc \Hist, anim. V, ig) ci di<e nncora che fu una tal Parafila la prima a tes
serle. Ma nel dtlto pas>o di Plinio pu intendersi Co< ? Cerio isola di che vi si parla Cea,
percrh detta Euboeae ed equivalente ad Hydruisa. Vero che in Plinio stesso (XI, aa),
ove dice: prima eas retlordiri rursusqne texere invenit in Ceo insula mulier Painphib Laloi filia
non ftaudauda gloria excogitatae raiionis ut denudet iVminas vestis n, la pi parte dei codiri ha
Coo insula e Caos parimente legj^ono Isidoro e Solino ambidue citando Varrone. Ma non sarebbe
|H)ssibile che Isidoro e Solino o qualche amanuense di Plinio avessero mutato Cco in Coo, perch
le celebri sapevano essere le tele di Coo? Non pu esservi stata una tal quale incerlez<a nella
loro provenienza al tempo di Varroce, allonh f u s o u**era nuovo in Roma e per avere sba
gliato lo stesso Varrone al dirla invenzione di Cea anzich di Coo. A questa suppnsizione con
dotto il Lacbmarn dal trovare nel detto luogo di Lucrezio Cia fra gli ornamenti femminili in cui
scialacquavansi i patrimonii bene acquistati dagli avi. La mutazione d Cia in Coa non in nes
sun modo probabile laddoTe invrce Cia lum sarebbe che un' altra torma del Cea (Knoc). il riscon
tro ira il passo di Lucrezio e i due d Plinio era gi stato indicato dal Turnebo e prima ancora
da Gugl i e l mo Bellicier vescovo di Montpellier, per autorit de' qnali il Lambino ripose in liU-
crezio Cea. Se non tosse la dichiarazioce aperta d Aristotele che dice inventate queste tele in
Coo potrebbe sanarsi 'ogni contraddizione, perch Plinio uel secondo dei due luoghi, dopo di aver
dello dell* invenzione falla da Pamfila in Ceo soggiunge: Bombycas ei in Co insula nasci et\
Pare aduoque che Plioio non abbia trailo la sua notzia direllam^nte da Aristotele, ma da Var
rone, al quale perci apparterrebbe anche il secondo passo. Ad ogni modo la congettura dri
Lachmann resterebbe l'erma: che Varrone e l^ucrezio sarebbero stali tratti in error*, e Plinio,
raccogliendo con poc. discernimento, avrebbe ritt^nula la notizia data da Varrone e poi soggiunta
la relazione piena delle tele Coe e della loro fabbricazione ormai notissima al tempo suo. n
17. (Delum insulam) ad M. Varronis aetatem
Mucianus prodidit bis concussam.
17. Muciano lasci scritto che fino all*et di
Varrone isola Deio era stala due volte scosxa da
terremoto.
Plinio H. N. IV, 12, 66. Un'altra lezione con variata punteggiatura larebbe variet di senso:
u Delos .... sola motum terrae non sensit ad M. Varronis aetatem. Mucianus prodidit bis concus-
am. Il Rilschl crede che Plinio abbia tratta la notizia direttamente da Licinio Muciano, ma non
credibile che Plinio in una parte 10 cui si valse tanto di Varrone abbia qui citalo indireltamcn
te. Due scuotimenti di Dclo si trovano gi ricordati dagli storici greci *, Erodoto, un treinuolo
prima della battaglia di Maratona, Tucidide uno nel primo anno della guerra Ptloponnesiac.
Cf. anche Seneca, Nat, quaest, VI, a6. Varrone avrebbe ricordalo quindi solo alP ingrosso il sup
posto privilegio dtU* isola.
18. luter duos Bosporos Thracium et Cimnie>
rium directo cursu, ut auctor est Polybius, D M.
pais. intersoot ; circuita vero totias Ponti viciee
temei centeoa qQi nquagi ola M. ut auctor est Var
r et Tere vctcret (De Europee latere)... M. Varr
ed banc moduni oielitur : ab stia Ponti Apollo-
18. Fra i due Bosfori Tracio e Cimmerio vi
ha, calcolando in lnea diretta, la distanza di 5oo
miglia, secondo scrife Polibio. Per aentenxa di
Varrone e d quasi tatti gli amichi il circuito di
tutto il Ponto di a i 5o miglia . . . . M. Varrone
cos ne misura U parte europea : dall' imbocca-
1099
F R A M L N 1 I
niaiD CLXXXVl i M. D. pass., Cal^liii UalutiJem,
ail ostuin Islri CXXV ad Burysienem CCL^ Cher-
roliesum. Heraclealarum oppiJuin CCCLXXV M.
pafs.f ad Paiiticapaeuni quod alibi Busporum
vocant eztrefuuni in kluropae ura CCXl l M. D.
quae siimnaa eflBcil (redecits ceti lena et Irigiita
seplem iM. D.
Pliiiius fi. N. IV, l a, 77.
19. Ab Minio quem supra diximut M,
paif., ut auctor est Varr, ahest Aeiui
tura del Foiilo ad Apolloui^ miglio 187 da
qui a CeUti allreltaiite ; indi fi no allu foce del-
l ' h l r o laS, tino al Boriatene aSu, UIBoii*
tiene al Cbt*rroneso citt degli Eracleoli 375; di
qua a Panlicapeo, detto altrimenti Bosporu, ul>
(imo luogo nrl litorale europeo 2ta c meito ^
ossia insieme i 337 migli e mezzo.
19. Dal iVliuiu (Miuho) sopraddetto distante,
giusta il computo di Varrone, Eminio aoo mi
gli.
Plinio H. N. IV, 1, n 5. Sotio questo nome di Atminius va intrso il moderno liame *dj
Limay ma pi coniuiieineute era detto Limius o Limaeoy nume che si avvicina al moderno. Par#
per che Plinio n<>u ne sia persuaso.
ao. Ab eo (Tagi) CLX M. pass, promontori uni
Sacrum e media prope Hispaniae iioute prusilil,
XIV ceniena luillia pas^uuMi. Inde ad Pjreuaeum
medium, colligi V#rro tradit.
a>i. A distanza di 160 mijjiia dal Tago quasi
a met della iroute di Spagna sporge il promon
torio Sacro. E Varrone lasci scrtto che da que
sto al punto centrale dei Pirenei corrono 1400
miglia.
Plinio H. N. IV, a i , 1 15. Io mi sono allontanat^s prmi con buon fondamento, dalU lezione
seguita dal Ritscld, che confesso di non intendere, tisso fa punto dopo psuura, di poi scri\e :
tt Inde ad Pyreneum, medium colligi Varr tradii, y* t t i o, th una linea retta d*l Promon
torium Sacrum (Capo S. Vicenzo), al putito settentrionale opposto viene a tOccare il punto ili
mezzo drlla latena dei Pirenei, ma vrro anche che qui da Varroae calcolata la lunghezza di
questa liuea.
a i . At ubi coepit (Caspium mare) in latitu
d nem paridi, lunatis obliquatur cornibus velut
ad VIaeotium lacum ab ore descrnden, sicilis ar-
cus, ut auctor est M. Varr, sidiilitudine.
ai. Dove il ma** Caspia comincia a dilatarsi
nel verso della lunghezza ai torce a semiluna,
quasi discendendo dalle sue origini verso la palu
de Meolide in somiglianza d* un largo feiro di
lancia, conforme scrive Varrone, la figura di uii
arco Scitico.
Plinio H. N. VI, i 3, 68. 11 lettore si sar accorto della o curila del passo Pliniano che ritrae
proprio la confusione delle idee che ti aveaso da^li antichi intorno al Caspio. La Uzione sicHis
la comune dopo l'Arduino^che la Iroi in ottimi codici. La pi antica ern seythici arr.us. Ritschl
certo per errore di stampa slicis.
aa. llaustum ipsius maris (Scythici) dulcem
esse et Alexander Magnus prodidit et . Varro
talem perlatuiu Pompeio iuxta res gerenti Mi-
ihridalico bello, magnitudine tam dubie influen
tium amnium ricto sale. Adiicit idem Pompeii
luctio exploratum, in Bactros septein diebus ez
India perveniri ad Icarum flumeu quod in Oxum
influnt, et ex eo per Caspium in Cyrum subve
ctas quinque non amptius dierum terreno itinere,
J Phasin in Pontum Indicas posse develli merces.
aa. Alessandro Magno disse che acqua del
mar di Scizia dolce, e M. Varrone, che ne fu
portata a Pompeo che la vicino combatteva nella
guerra Mitridatioa : c la ragione la gran massa di
acque fluviali che ivi sboccindo vince la salsedine
del mare. Aggiunge lo stesso scriitre che n I
viaggio di Pompeo ti venne a conoscere che dal-
ludia s poteva in sette giorni giungere alle ter
re dei Battri presso il Uume Icaro il quale sbocca
neir Oxo e che le merci indiane d^ questo punio
trasportate attraverso il Caspio, fino al Ciro, di
qua con un viaggio di terra di cinque giorni e
non pi, si conducevano al Fasi nel Ponto.
Plinio H. N. VI, 17, 5 t. 11 maro scythicum il lago d^Aral. Non ho poi riscontrato in atcQo
aliro scrittore il nome di icarus come fiume della Scizia. Credesi il Rochsa. In alcuni codici sta
invece ad Achram (o iacrum) flumen e in un luogo di Solino (19* 3, p. to^, Mommsen) che de-
DI . TERENZI O VARHONK
rWa ]IU iDCtlcfinia fonie Varronian di questo, Dalierom ( Mommspn ad al i er um ) flumen. 11
pasto (li SoHim ilsegnenle: u Mare Caspium (7) dulce Alexandro Ma|(no probatam &t, mox
Pompeio Magno, qui bello Milhridalico sicul rommiiilo eius Varr Iradit, ipsis hanslibus perieli-
tari (idem Tntuil. Id evenire produnt e numero fluvium quorum tanta copia ibi confluit ut natu
ram raagis Terlant. Ntn omiserim qood per idem tempus eideni Pompeiu Mn^no liciHl ex India
diebng octo ad Baclroi usque Dalierum flumen tpio (quod ?) influii Oxam amnem pervenire, dein
de mare Caspium, inde per (^spium ad Cj ri amnis penetrare fluentum qui ArmeniMe cl Hibrriae
fines interluit, itaque a Cyro diebus non amplius quinqoe itinere terreno subvectis havibuf ad
Iveum Phasidis pertendit ; per cuius excursus in Puntum usqne ludos ailvehi liquido proba-
tuoi est. T
a3. Vull Varr Icarum Cretem ibi [ad Ica-
rum insulam) interisse naufragio et de exitu ho
minis impositu(n nomen loco.
a3. !icnlei)ia di Varronc che l'isola d' Jcaro
alibia avuto il nome da Icaro Creteie. presso U
quale questo fece naufragio.
Solin. Poljhist., c. i i . V, 3 i, p. 86, M. L' isola Ic^ria (Icaru^) ora Nikaria dieci miglia di
stante da Samo. Anche Ovidio Si*iegwi il nome colla narrazione mitologioa del figlio d Dedalo
(F. IV, a83):
Transif et Icarium Upsas uhi perdidit alas
Icarus et vastae nomina f e c i t aquae.
24. Auctor est Varro perfl<bdem ibi [ adAfri-
cae oram) terram veniis pmvtraotibus subita vi
apiritus citissinie aut revomtr; maria aut resor*
bere.
24. Insegna Varrone che sulla costa d' Africa
spirano venti impetuosi. Ia cni improvvisa violen
za assorbe rapidissiroanicnte le onde e le rigur
gita.
Solino, r. 37, 4' P <3o - i 3 i M. Questo tratto avrebbe potuto trovare egualmente luogo nel>
opera d Varroiie De littoralibus che da Solino ei*e conosciuta (V, c. 11). AHa quale tcrtlura
potrebbe appartenere anche quest*altro conservato pure da Solino c. 33, i , p. i 65, M.
a5. . . . Huhrum mare, quod Erythraeum ab
Erythra regc Persei et Andromedae , non
solum a colore oppellatufn Varr tlicii, qui aflir-
raal in littore mari isiiut fontem esse quem si
oves biberint, raolent vellerum qualitatem, et an
tea candidae amittant quem habuerint usque ad
haustum ac furvo postmodum nigrescant colore.
a5. Scrive Varrone che il mare, chiamato
Eritreo da Eritra tglio di Perseo e d Androme
da, ebbe il nome di rosso con per il colore sol
tanto ; ma che sulla tpia<!gia di questo mare vi
ha una fonte che fa mutare qualit alla lana delle
pecore che ne bevessero, per modo che quelle
che Ano allora erano candide, gustata di quel-
r.acqua, li tingevano in fosco.
Di meraviglie cotali Varrone ne conta non poche: .secondo lui (cf. Plinio l i , i o3) 01 altra
fonte in Beozia faceva mutare il colore del vello delle pecore da nero in bianco. Nel nostro pauo
il Mommfen diede la lezione amittant quod f ueri nt senza recare varianti.
a6. Insulam Samum scribit Varro prius Par-
theoiam nominatam, quod ibi Jano^ adoleverit,
ibique etiam Jovi nupserit.
Lactantioi Dir. init. ], 17.
27. DIcla Lybia ... ut Varr ait, quasi Xttnw
a6. Scrive Varrone che isola di SanM fu
prima detta Partenia, perch lA crebbe Giunone e
l and aposa a Giove.
37. 1 Greci chiamarono P Africa, Liia^ dalla
scarsezza delle pioggie ; coti (ensa Varrone. 9 roQ Cttv egent pluvia.
Servias ad Verg. Aen. I, a6.
Vi ha inoltre altri frammenti, i quali si potrebbero onire al libro De geometria^ perch di ar
gomento geografico; ma che riserbiamo per quello De medicina^ perch considerano certi luo
ghi sotto il rispetto della salate delP uomo, come degli efielti di certe acque. Al qaal proposito
a notare che essendo tutti gli accenaati efletii strani e roiracolosi, avrebbero potalo egualmente
far parte del logistofico Fundanius De admirandis.
>3 F R A M M E N T I
I 4
A questo libro Dt geometria ? pare tggifinlo il legarntc luogo che leggesi in CaisioJoro
{De art. et Hisc.^ c. 6, p. 56o, b).
38. Muntl (|uoque figuram curiosi^si lot
Varr longae r ul undi t al i in geometriae Tol umi ne
compar avi l , forniam ipui ad ovi si it ii li ludinem
t rabens, quod in l a l i l udi ne q ui de m r o t u n d u m.
ed in l ongi t udi ne probaiar obl ongum.
a8. Quel follile inTesligatore che fu Varrone,
nel Tdiume della geomelria disie : rhe la forma
della (erra era una lun^a rolondil;^ c la parago>
nava ad un uovo che nel verxo della largbeita
rolond, # allro biabin(>o.
N crediamo ingannarri riputando che altro non aia tl libro citalo da Boezio (peg. i a 34 ed.
Bafilea, an. i 546) col titolo De menfuriSy che quello De geometria, sebbene nel caialogu che lu
aggiunto a quello di S. Girolamo, ne sia stata fatta un' opera a parie, solo in virt di questa ci
tazione. Sarebbe poi a vedere ?e opera mensuralia citata da Prisciano Vi l i , p. 818, P K)
assegnala nello stesso catalogo e per questa sola citazione, sia una cosa sola con quella De geome
tria. Mi ripugna poi aTatlo di ammeilere ad ogni modu due opere distinte: De mensuris e
ffienturalin. Forse eiano una suddiitslone del libro De geometria^ cio la gromatica.
De arithmetica.
Verlranio Mauro nella ^ita che srrisse di Varrone (Lngd. apud haec. S**b. Giyph. i 563) alte-
stava di arer veduto io Roma presso il cardinale LorrDzo Siroizi, il libro De arithmetica ancora
integro. Della veiil della cosa lascciamo garante il Mauro: ci basta attestare che ora non a' ignora
che aiane avvenuto. La cosa era astserila anche dal Popma (Bibl. Varroniana, p. 497 B).
il quale aggiunge che PAlciato, il celebre giureconsulto, avea pruincs.o di pubblicare lo i c r i t t o
Varroniano, che poi non comparve. per aumentare la confusione Oehlei\ con quella avven
tatezza di giudizii di cuj ha dato saggio nella edizione delle Menippee, fuse insieme (Salir., p.* io)
Verlranio e TAlciatc. Merita poi di notare che il Ritscbl s' ingann negando resistenza d una
vita di Varrone scritta da Verlranio Mauro.
Certo che non si trova ricordato alcun frammento d cui espressamente si dica che apparte
neva al libro De arithmetica ; ma non per questo da dubitare che Varrone abbia scritto e
che e5so facesse parte dell* opera De disciplinis, lo giuilico che facciano perle di questo libro
quei frammenli che si dicono tratti da un libro De numeris^ e parrai di non andar lontano dal
vero. Ma ae, per esempio, Gtllio (X, i) tratta della diflerenza nell' uso degli avverbi numerali
ordinativi colla desinenza in um ed in o, e dice che la dottrina tratta dall' opera De discipli-
nis^ e precisaincote dal libro V, e trovo poi in altri grammatici la medesima dottrina insegnata
snlP autorii di Varrone nel libro De numeris^ come si potr negare che lauto per loro tosse
citare : T^nrro in libro De numeris o numerorum quanto Varr iu libro De arithmetica ?
N ini sembra henza peso anche autorit di Clauiliano Mamerto, il quale aveva certo dinanzi
agli occhi l' opera De discipli is quando scriveva: M. Varr sui saeculi peritissimus et teste
Tullio omnium sine dubitatione doctissimus^ quid in musicis^ quid in arithmeticis^ quid in
geometricis^ quid in ^ (Torse accenna al libro De dialectica) libris divina quadam
disputatione contendit^ nisi ut a visibilibus ad invisibilia^ a localibus ad illocalia^ a cor
poreis ad incorporea miris aeternae artis modis abstrahat animum etc, (De statu animae^
l. IL cap. 8, p. 4^0, ed. Gailand. Ven.).
1 frammenti adunque che, a nostro giudizio, appartengono al libro De arithmetica sono i
seguenti.
1. Verba M. Varronis ex libro disciplinarum
quinto bare sunt: tliud est quarto praetorem fie
ri et quartum, quod quarto l ocun adsignificat,
ae tret ante esse factos, quartum tempus adsignt-
fcat et ter ante factos. Igitar Ennius recte quod
scripsit Quintus pater quartum Jit eonsul ct
Pompeius timide quod in theatro ne adfcribfret
I. Le parole di . Varrone oel quinto libro
delle discipline sono le seguenti : altro esser
f*tto pretore quarto^ allro quartum^ perch
quarto ha relazione al Idogo e vuoi dire ehe ue
furono falli prima altri Ire, quartum ai riferisce
al tempo, e significa che fu fallo per la quarla
volta. Scrisse adunque bene Ennio Quinto pa
15 DI . TbRE NZI O V/ VI\ ROiNK I loG
consul ttrlium aut tertio exlrcroas lilleras non
nripiit.
dre nominato per la quarta volta console^ e
fu vino li roore quello Ji Puropeo, che Don sa
pendo deciilersi fra il consul tertium tertio^
fece nella iicri ione da collocare ne! euo lealru
otnel l ere ullime lettere.
Col qual luogo confronta questo di nn graramatico, di cui dubbio il nome, ma che comu-
neroentc creduto S. Agostino, p. 2008 P.
a. Secundo autem ad ordinem perlinet, ee
eundum ad numerum : ut puta cum dico, secun
do factus est consul, perlinet ut dixi ad ordinem
quod primo alter luctus sil tl sic aller secundo.
Cum autem dicimus secundum ronsul vel ter
tium vel quartum quintum vel exlum ad
numerum pertinet quod sexies fuerit consul ....
Hoc Varro distinxit in libro (vulgo /i) nume
rorum.
3. Duo asses, dussis, dupondium, tress5, qua-
draisis, decussis, vicessis, tricessis, quadragessis,
quiaqnagessis, sexagessis, septuagessis, oclogessis,
nonagessis, centussis, post quem numerum, teste
Varrone, non componuntur cum asse numeri.
3. Secundo spccificatione dt ordine, secun-
dum di numero : cos quando io dico : secundo
factus est consuly intendo significare che un al
tro tu fallo prima e questo appresso. Quando sia
dello invece console secundum o tertrum o
quartum o quintum o sextum^ vogliamo signifi
care che fu console per la sesta volta, quinta e c . ...
Cos distingue Varrone nello set il tu dei numeri.
3. Due assi, son delti, dussis^ dupondius^
tre, tressis^ quattro quadrassis^ dieci decussis^
venti vcessis^ trenta tricessis^ quaranta qua-
dragessis, cinquanta quinquagessis, sessanta
sexagessisy settanta septuagessisy ottanta octo-
gessisy novanta nonagessis^ cento centussis: oltre
il qual numero, non si formano, secondo dicc
\^arrone, numeri composti colla parola asse.
Prisciano de fig. num., p. i 35G, P, f ot K. Non improbabile che questo frammento non sia
che uno svolgimento di ci che leggesl nel V, 17 0, De l. I ^ e che parlandosi solo della
denominazione, non della cosa, appartenesse piuttosto ai libri sulla lingua.
Aulo Gellio al cap. HI, 14 d la differenza fra dimidius e dimidiatus^ togliendola da Var
rone. Non mi pare che basti per acceltare il frammento tra questi De arithmetica^ quantunque
al Ritschl non dispiacerebbe.
Avvertiamo intne che non si voglia confondere col oostro libro altro detto Atticus,^ De
numeris che appartiene ai logislorici. Oltre che lo scopo e quindi il modo di trattazione ne sa
rebbe stato diverso, bisogna ricordare th non e sicuro il titolo. Gi nella stampa dei logislorici
abbiamo indicalo il dubbio col segno (7), perch i pi recenti si accostano alP opinione di MaDU-
tio che scriveva Atiicus De muneribus. Cf. Sidonio Apollinare, epp. Vi l i , G, dalla dubbia inter
pretazione del quale sorse U controversia.
Dt astrologia.
Cassodurus, c. VJ, p. 5Go.
i.,Stalus stellarum est quod Graeci '/^
vocant : quia dum stella semper moveatur, atta
men in aliquibus locis stare videtur. Nam ct Var
ro libro quem De astrologia conscripsit, stellam
commemorat ab stando dictam.
I. Fj O stare delle stelle i Greci chiamano
oT^ptypov, perche sebbene una stella sempre si
muova, pure in qualche parie apparisce ferma.
Questa la ragione che indusie Varrone nel libro
D t astrologia a trarre il nome di stella dallo
stare ferma.
Cf. anche Marcianus VHl, p. 2^5 : dove in quel quendam Romanorum di* <j?li diceva a !<
non per omnia ignarum va seiiza dubbio inteso Varrone.
di . 1 tB V a r r o n e .
I i o ; l l{ A M 1 l: N '1 1 1io8
De musica.
Poich mi si ofific I opporlunila, parmi cloTere modificare alquaDlo i tliibbii che avca espresso
<]a principio sui luogo da assegnare al libro De musica^ essendomi sempre pi convinto che Mar
ciano Capella lece uso largo dell' opera De disciplinis (Vedi sulle fonli la Prefaiione dell' Eyssen
bardi, p. XXXULYl l l , ed. Teubner i866), e che ^a lui tolse sostanzalmenle il disegno della sua
enciclopedia delle selle arti liberali. Vedendo adunque come faccia susseguire all* astronomia la
musica, che occupa perci il settimo luogo della serie, ritengo fermo di lasciarle questo posto
anche nei libri De disciplinis. Resta per sempre che in altri scrittori, di cui parimente sicuro
che ebbero dinanzi opera De disciplinis^ c alla musica assegnato altro luogo. Coii Quintiliano e
S. Agostino la fanno precedere ai libri di matematica: Seneca la colloca fra la geometria e arit
metica, fra aritmetica e la geometria Boezio ed Isidoro ; credo per inaTvertenza, non essendo
credibile che i libri di geometria e quello di aritmetica fossero disgiunti. Come pure aTfertimino
pi sopra, la citazione espressa del libro De musica non ai trovata pur anco : i frammnti che
soggiungiamo saranno ascriui a questo libro per sola congettura.
Cass., c. 5, p. 55; b.
1. . quoniam hyperlydius tonus omnium
acutissimus septem tonis praecedit hyp||rdorium
omnium graTssimum. In quibus, ut Varr me
minit, lantae utilitatis virtus ostensa est, ut exci
tatos animos sedaret, ipsas quoque bestias nec
non et serpentes, volucres aique delphiuas ad audi
turo soae modulationis attraheret.
poich il tono iperlidio il pi acuto di
tutti avanza di sette toni Tiperdorio di tutti il
pi grave, b questo, conforme ricorda Varro
ne, si speriment mirabile a placare gli animi
concitati, ad attrarre colle sue modulazioni |>er-
fuo le bestie, i serpeuti, gli nrcelli e i delfni.
Trovansi gi in Marciano Capella stabiliti cinque tuoni principali, con due secondarii per cia
scuno, cio il lidio con l iper e Tipo lidio; il iaslio (jonico) coll' iper e Pipo iastio, eolio
coir ipo ed iper eolio; il frigio cul f i po ed iperlrgio, il dorio coll' ipo cd iper dorio : i due
punti estremi di questa gradazione sono dunque iperlidio per i suoni acuti, iperdorio per
i gravi.
Acro, in Hor. A. p. 2o3.
3. Varr ait in terlio (?) Disciplinarum et ad
Marcellum de lingua latina quattuor foraminum
fuisse tibias'apud antiquos et se ipsum ait in tem
plo Marsyae vidisse tibias quattuor foraminum.
2. Nel lerzo (?) dei libri delle discipline, e in
quello a Marcello della lngua latina Varrone lasci '
scritto che gli antichi aveano tibie a quattro fori,
e di averne co suoi occhi veduto di cosi fatte nel
tempio di Marsia.
Lo stesso passo con lievissime variet e riportalo anche dal commentatore Craquiense. Vi
roanifestamente errore nella citazione, perch non par vero che si trattasse delle tibie nel lerzo
dei libri delle Discipline, e molto si ingannerebbe chi da questo luogo volesse assegnare al libro
De musica il lerzo luogo Ira i libri stessi. Pi facile a supporre , che debba dire et in tertio
ad Marcellum. Presso i Romani'si distingueva la tibia destra dalla sinistra: la prima (il basso)
aveva tre o pi fori, la sinistra (soprano) per lo meno quattro: ma Varrone parlava delle tibie
usate neir Asia.
Servio in Aen. IX, 6i8.
3. Ut enim Varr ail, tibia phrygia dextra n-
num foramen habet, sinistra duo, quorum unum
acutum sonum hahet, alterum gravem.
3. La tibia destra dei tri gi i , secondo scrive
Varrone, haun solo foro, la sinistra due, dei quali
ano per i suoni acuti, altro per i gravi.
Erodoto, parlando di queste tibie, chiama maschile la destra^ femminile la sinistra^ e si chia
mavano destra o sinistra secondo chc si tenessero colla destra o colla 9nistra, o t imboccassero
dalla parte destra o sinistra della bocca: se si suonava ron due tibie ad un tempo, si diceva
109 1)1 . TKKKNZi O VAHUONK
saonsre con llhie pari bus^ quando tull e due erano dei lre o siii islrc; o se con una sinislra c un
deslra eoo i mpar i bus. Non so poi se debbano aUribuirsi allo slesso Varrone le |>arolc clic precedono
nello &less(^ coromcDlatore: u l ibiae aut sarranae dicuntur, quae sunt pan s et aequales iiabenl ca-
veroas, aul Phrygiae quae el iropares suot et inaequales babenl ravernas. lo sarei pi disposto a
credere di s di e non opposto.
De medicina.
(la pi parti arcerlalo che ono dei libri De di sci pl i ni s trattava della medicina, e che le era
da Varrone stato assegnato f o l l a v o luo^o. Oltre la precisa citazione di Nonio, p. i 35 v. l asci
tiosi^ e p. 551 v. portul aca^ ci utile coooicere, che Seneca (ep. q5, 9) aj^giunge la medicina alle
arti liberali: u Adiice nunc quod artes quoque pleraeque, imnio ex o/nnibus l i b r a i issi roae, habent
decreta sua, non tantum praecepta icul medicina, w E Marciano Capella IX (p. S a Gr. , 332 Eyse.)
dopo t h gi furono accettate per le festive nozze della filologia, la grammali ia, la dialeltica, la
retorica, la geometria, aritmetica, astronomia, la musica, t'a domandare a Giove quac proban
darum (vi rgi nut ) superesset. E mette in bocca ad Apollo la risposta: Medirinam suggeri i ar-
chitectonicamque in praeparatis assistere. Sed quoniam his mortalium rerum cura terrenornmque
eollertia est, nec cum aethere qaicquam habent superisque coofne, non incongrue ac si fastidio
respuantur in senatu coelico reticebunt, ab ipsa deinceps virgine explorandae discussus. Altre
lesliiuouiaiiTe che il Ritschl reca p. 16 e 17 della sua monografia lasciamo perch non t ha
d' uopo di esuberanti prove in r e mani festa.
Abbiamo assegnalo a questo libro i frammenti che trattano di cose di medicina tolti da Var
rone, anche se i\on si trova indicato che appartenessero questo libro. Essi si trovano per la mag
gi or parte in Pli nio, il quale raro, che dopo il nome dclP autore accenni anche l ' oper a cui ap
parteneva la sentenza c h' egl i allega.
Nonio p. i 35, v. luscitiosi.
. Luscitiosi, qui ad lucernam non vident et
vocantui a Graecis. Varro di sci pl i nar um
li bro Vi l i , vesperi non videre quos appellant lu
scitiosos.
I. Loschi quelli che non vedono al lume della
lucerna e sono chiamali dai Greci Varrone
nelPottavo De di sci pl i ni s: quelli che son delti
loschi non vedono di sera.
Lusci ti osi ^ ci parve bene di accettare questo vocabolo in luogo del l usci osi che in Nonio.
notevole che Festo d t u l f alira spi egazione del vocabolo: w Luscitio, vitium ocolorum quod
clarius vesperi quam meridie cernit, n
Id. p. 55i . Portulaca.
2,. \ztV0y di sci pl i nar um libro V l l l , mandu
cala portulaca cito t ol l i t ....
2. Varrone ncU' ottavo delle di sci pl i ne : la
portulaca ia a chi nc mangi s pari r e .....
11 passo in Nonio mutilo e non saprei che sostituire, non perch mi manchi di che, ma perch
gli usi della portulaca erano tanti da disgradarne la revalcnta arabica, facendo sparire crepature,
enfi ati, dolor di lesta, di denti, di collo ecc. ecn., comesi pu leggere in Plinio XX, 81, 20, Que
sti la chiama por ci l aca: anche noi abbiamo abbondanza di nomi (e lo meri t a! ): portulaca, por
cellana, procacchia, procaccia, porcacchia.
3. Auruginem vero Varr appellari ait a colo
re auri.
4. V^arro regium cognominatum arquatorum
inorbam Iradit quoniam mulso curetur.
3. Varrone invece dice, che si chiama (P itte
rizia) aur ugo dal color del Toro.
4. Varrone chiama regia 1 malattia degli it te
rici perch si cura col vin meliate.
l i primo dei due passi in Isidoro etyoi. IV, 8, i 3, il secondo in Pl inio II. XXII, 114.
E li ho messi a riscoolro perch si scorga di quanla confusione sia origine il mal vezzo di
1 R 51 E 1 i I l i a
cltre complelamcule le onli. lo mi Irovo qui in disaccordo oul RilKbl, il qoale giudica
(p. i8) che Isidoro abbia Iralto il luogo dai libri De disciplinis e (p. 52) poi luelie il luogo di
Plinio Ira quelli derivali dall'opera sleasa. Ma se accetto senza diifcoll per riguardo a ^iioio, d q o
c o i por Isidoro. Aggiunge infatti : a Regium aulem morbura inde aeslimaot dicturo quod fino
bono tt rrgalibua cibis iacilius curelur. n Le quali parole sembrano escludere che Varrone abbia
chiamata itterizia morbum regium; o^ almeno, che abbia chiamala cos io un medesimo libro.
Esaminando per il passo non mi pare difficile una conciliaiioiie che propongo per quel che Tal e,
cio: di fare una interpunzione meno forte dopo /, e di mutare V aestimant in aestimat: per
cui il passo d' Isidoro auonerebbe cos : a Aeruginem vero Amarro appellari it a colore auri : re
gium antem morbum inde aestimat dicium etc.
lodotio da quesla contraddizione il Ketlner escludeva il luogo di Isidor(^ dai libri De disci
plinis (p. 29). Il passo di Isidoro si trora anche nel rucabolario di Papias 10 v. Ictericos. Cf.
Mercklin Philol. Ili, p. 554.
5. Chiamano pila quel vaso concavo e utile
agli usi della medicina, in cui propriamente si so
gliono preparare le orzate e frangere erbe.
Ricorda Varrone che fu in llalia un tal Pilu
mno il quale insegn arie del pestar nel mdr-
taio. Per cui i seguaci di Pilumno si dissero pistores.
Egli fu inventore del pestello c del mortaio
con cui si pesta il farro, che presero il nome da
lui. Pilum arnese con cui si pesta tutto ci
che messo nel morlaio.
5. E s t ... pila Wi concavum e medicorum ap
tum usui) in qua proprie ptisanae fieri (?) et pig
menta concidi (Ritscbl confici) solenl.
Varr aulem refert Pilumnum qucndam in
llalia fuisse qui pinsemli praebuit arlem (codd.
Lue. au. et Floren. pinsendis praejuit arvis^iy
unde et Pilumni cultores pistores (RitschI, 1 codd.
et Pilumni et pistores).
Ab hoc ergo pilum et pila inventa quibus far
pinsilur et ex cius nomine ita appellata. Pilum
aulem esi, unde contunditur, quidquid in pilam
mittitur.
Isid. elym. IV, 11, 5.
lo credo che, come non raramente si riscontra in Isidoro, esso non abbia atlinlo immediata
mente alla fonie Varroniana, e che noiizie raccolte da pi parti abbia fuse insieme. prima
parte del frammento par lolla da S. Girolamo (iu Soplm. c. 1): u . . . . de pila sciamus dici in
qua frumenia tunduntur, vas concavum et medicorum aptum usui, in quo proprie ptisanae fe
riri (e cos hanno anche i codd. di Isidoro ; il feri correzione) solent, n Per la seconda parte
la fonte Servio: Pilumnus et Picumnus. . . . horum . . . . Pilumnus (usum invenit) pinsendi fro-
raenii unde et a pistoribus colitur. Ab ipso etiam pilum dictum est (in Aen. IX, , vedi anche
io Aen. X, 76). E lo stesso in Georg. 1, 267: pinsere quod significat pilo tundere quia el vulgo
cavatum saxum pilum dicimus. Per brevit ommetliamo altri passi che si potrebbe qui considerare
come Varrone De l. h v. i 38, Plinio U. N., XVIl l , 10; oltre le ricerche di Preller, Rm, My-
ihol. p. 331 e scgg., e quello che abbiamo annoiato al 11, fr. 18, De vita P. R. Resta poi a ve
dere se il frammento apparteneva al libro De medicina: a quesla domanda non si pu rispondere
che con grandi riserve: noi abbiamo accettato qui perch non trovavamo prr esso luogo pii
adatto.
6. Is (Hippocrates) cum fuisset mos liberatos
moibis scribere in templo eius dei (Aesculapii)
quid auxiliatum esset, ut postea similitudo profi-
cerct, exscripsisse ea traditur uique, ut Varro a-
pud nos credit, templo cremato instituisse medi
cinam hanc quae clinice vocatur.
6. Dicono che questo (Ippocrate), essendo co
stume che i risanati da qualche malattia lasciassero
scritto nel tempio di Esculapio i rimedii da cui
erano stati salvati, perch se ne usasse in casi con
formi, li trascrivesse, e, come tra i nostri crede
Varrone, mandato in fiamme il tempio, insegnasse
quella specie di medicina che detta clinici.
Plinio H. N.. XXIX, I, 4 Facendo la storia della medicina le notizie intorno ai medici anti
chi sono da Plinio accanale per lo pi da Varrone. A nostro giudizio la storia della medicina
avrebbe dovuto precedere la trattazione dei rimedii; ma in Plinio non cos. Era in Varrone?
Non si pu del^lftiinare. Forse erano stabilite delle c Im s di mali e di cure con una breve infro-
dazione ogni volta, come qni per la clinica.
i i i 3 . TtK L NZl O VARRONE 1 1 1 4
Cum f uis set mos e(c. La siesta uolizia 11 trova in Strabone, XI, G2a : colla slessa lormula tlu-
bitativa (dicuol).... C/ / ,... credit. ra corsa la Toce che Ippocrale areise di sua mano dato
fuoco al lempio di Esculapio per darsi vanto di inventore dei rimedii che ivi avea Irovatc scritto.
La diceria era recente, e si trovava anche nella biografa di Ippocrale scritta dal medico Andrea.
Pare che tra gli altri Varrone vi prestasse tede : il modo con cui Flitiio si esprime fa conoscere
eh' egli non era iavore^volc allfi credenza.
7. Trahebat (Asclepiades) praeterea mentes
artifcio mirabili, vinum promittendo aegris dau-
doque tempestive, tum {iam Urlichs) frigidam
aquam, et quoniam causas morborum scrutari
prius Herophilus inetitneral, vini rationem illu
straverat Cleophantus apud priscos, ipse cogno
men a (vinis et) frigida danda praeferens, ut au
ctor est M. Varro, alia quoque blandimenta exeo*
gitabat, iam suspendendo lectulos, quorum iacta-
tu aut morbos extenuaret, aut somoos alliceret,
iam balneas avidissima hominum cupidine insti
tuendo et alia mulla dicta grata atqne iucunda.
7. Si procacciava ancora (Asclepiade) credito
con studiosi arlifzii, promettendo del vino agli
ammalati e dandolo anche a tempo e poi medi
cando acqua fresca. Ed essendosi gi innanzi
Eroflo applicato a studiare le cause delle malat'
tie, avendo ormai Cleofanto illustrato il modo
antico d guarire col vino, egli che era, come
dice Varrone, soprannominato dal suo sommini
strare acqua fredda e vino, immaginava altre age
volezze, come di letti sospesi che ondeggiando o
alleggerissero il male o conciliassero il sonno, e
introduceva uso dei bagni pubblici con grande
avidit cerchi dagli uomini, e altre cose parec
chie che sarebbe piacevole riferire.
Anche questo frammento apparteneva alla storia della medicina, e il Ritschl crede che non
debba riferirsi a Varrone se non quello che riguarda il cognome che si acquist Asclepiade dal
modo immaginalo di guarire gli ammalati con la cura dell' acqua ghiaccia mescolala a vino. E un
po' difficile determinare quanto di vero abbia questa supposizione. Ma pili difficile sfangarsela
da altre incertezze di questo passo. Nella lezione che ho data accettai emendamento dell' Urlichs
(Chrestomafliia Pliniana, p. 24^) a vinisy che, se non m'inganno meglio della comune cognomi
nari se a frgida etc. corrisponde al principio del frammento e alla lettera dei codici cognomi
naveris e. Ma non sono tuttavia senza diibbii. La seconda difficolt ntW apud priscosy colla
quale formola dovrebbe ensere indicato un tempo anteriore a quello di Eroflo, cio 1' et di Cleo-
fanlo : ma oltre che vi ripugna la ragione cronologica, resa inutile dal prius precedente, il
Rilschl crede che quelle parole latine mascherino il cognome'greco dato ad Asclepiade per l eene
cure, il cognome che doveva esser conservalo da Varrone. Esso ne cerca parecchi e lascia la iceMa
fra i due >5 od -^. La ipotesi, lasciando della scelta del nome, mi pare bella e
vera. L Urlich, che ammette la cura del vino e dell' acqua, immagina >< cognome che
non ha sugli altri il vantaggio di spiegare come le parole greche abbiano potuto (se la supposi-
ione calza) trasformarti nell' apud priscos. Insomma quisquis in suo sensu abundet.
Non sar inutile, a sostegno della nostra lezione, notare che, secondo li legge in Celso 3, i 4i
Cleofanto curata (la terzana) con acqua calda e vino: Asclepiade avrebbe mantenuto il vino e
sostituito alla calda acqua fresca.
Riguardo ai bagni 1' invenzione di Asclepiade non potea consistere che nel far alternare i lava
cri a varie temperature.
Diremo infne che Asclepiade, di cui qni si parla, Asclepiade di Prusa (in Bitinia), che erasi
recato a Roma per gli studii dell' eloqoenza e che poi dedicatosi alla medicina divenne molto ce
lebre e fu invitato, sebbene indarno, alla corte di Mitridate. Cicerone l' aveva avuto per medico
e amico (De orat. 1, i 4i 6a ) ; ma al tempo in cui fa scritta quest' opera (699 di R.) doveva
esser morto.
8. Varr, quae sale et aceto pista est arcfacta-
que (caepa), 'vermiculii non infestari auctor est.
Plinio H. N. XX, 5, 43.
9. .... dignior e pnleggio corona Varroni qnam
c rosif cnbicolis nostrs pronuntiata est : nam et
capitis dolorem imposita dicitur levare.
8. Varrone insegna che la cipolla pesta col sale
e coll'aceto e latta Mccare, non pi tocca dai
vermi.
9. Varrone sentenzi che nelle nostre stanze
da preferire nn corona di poleggio ad nna di
rose, poich messa topra il capo, dicesi, che ne
faccia panare il dolore.
I R 1 >1 1: I
11iG
Pii io . . XX, /[, 52. 1 alcuna edizione in luogo di f^ar r oni si legge ver ti gi ni . 1! pa
l eggi o lina specie del genere menl<i^ di cui si faceva molto uso. La fragranza di quest' erba
spiega la frase di Cicerone ad iam. XVI, 23: A d cui us r utam pi i l egi o mi hi l ui ser moni s
utendum.
10. . Varro coriandro sublriio cum acelo
carnera incorraptam aeslate ser?ari puial.
Pii io H. N. XX, 20, 2i 8.
11. Voci eam (fabano) prodesse auctor est
M. Varro.
Plinio H. N. XXII, 25, 141.
12...... tradaU]ue M. Varro Servium Clodium
cquilem romanura magnitudine luloris in poda
gra coactum veneno crura perunxibse et postea
caroisse lensu omui aeque quam dolore iu ea par>
te corporis.
Plinio H. N. XXV, 3, 24.
i 3. Cato prodidit luxatis membris carmen au
xiliare, M. Varro podagris.
10. M. Varrone crede che ai preservino dal
la corruzione le carni nelP estate, col coriandolo
pesto coir aceto.
11. M. Varronc slima che le fave sienu utili
alla voce.
12. trovandosi ricordato da M. Varrone
che Servio Clodio cavaliere romano coslretto dal-
acutezza dei dolori della podagra si unse le
gambe di veleno e che perci cess coi^dolori ao>
che il senso di quella parte.
i 3. Catone tramand che certi incanti guari
vano le lussazioni ; M. Varrone, la podagra.
Plinio H. N. XXVl l l , 2, 21. Di queste formule iucantatorie prodigiose se ne trovano parec
chie in Catone r. rust. iGo : per le luuazioui valeva p. e. questa : u Motas racta daries dardaries
astatarief dissunapiter n, o quest'altra : u Huat, haut hant ista eis tar aia ardannabone'dunnaustra t).
Varrone si burlava (De r. rust. I, 2, extr.) di queste formule che erano sparse nell* opera di agri
coltura di Sisenna; ma, se Plinio qui non ci trae in errore, egli stesso sarebbe caduto io questa
lidicola superstizione.
i 4 Ob hoc Varr snadct palmam alltrua ma-
iiu scalpere (contra sternutamenta).
Plinio . . XXVIIJ, 5, 67.
5. Capita antem aperire aspectu magistra
tuum non yenerationis caussa iussere sed, ut Var
ro auctor est, valetudi is quoniam firmiora con-
suetudDc ea ferent.
Pii io, ib., Go.
14. Varrone consiglia per impedir lo starnuto,
di stroppicciare una coiitra altra le palme a vi
cenda.
i 5. Si prescrisse di scoprire il capo alla pre
senza dei magistrati non per alto di riverenza,
ma, conforme scrive A^arronc, per salute, perch
con queir abitudine il capo s fortificava.
<!^he lo scoprirsi il capo non fosse alto di rispetto vero, perch assistendo ai sacrifuii si por
tava coperta. Ma ignota la ^era causa per cui si scoprissero salutando. V. Plutarco. Quest.
KOD. IO.
iG. Cunctarer in proferendo ex bis remedio,
nisi M. Varronem scirem LXXXVi l i vitae anno
prodidisset aspidum ictus cfficacis^^^me sanari hau>
sta a percussis ipsorum ^fina.
iG. Starei in forse di esporre il rimedio con
tro questi animali, se non sapessi che IVI. Varrone
Panno 88 di sua vila scrisse che i morsicati da
gli aspidi pienamente guarivano bevendo la pro
pria orina.
Plini IJ. N., XXIX, 4i ^5. Questo frammento importante, perch guida a fissare il tempo
in cui si compilarono i libri De di sci pl i ni s, perch se apparteneva al libro De medici na^ e se
Varrone pubblic questo libro Panno 88 di sua et, rest^ determinato Panno ^aG di Roma. Dal
1117
1)1 M. \ VARRONK
iB
che appare che i libri De disciplinis furono uliimo lavoro di qualche ampiezza die li mellesse
fuori da quel grande iogegno. La lezione pi antica era LXXXI l l in luogo di LXXXVMI.
17. Auro verrucas curori M. Varr acclor esl.
Pli nio H. N. XXXI I I , 4, 85.
18. {Jpsis ignibus medica vis) ad convulsa
viscera aut contusa, ul M. Varr [demonstrat):
ipsis enim verbis eius utar : lix cinis est, inquit,
foci ; inde enirn cinis lixivius potus medetur, ut
licet videre gladiatores, cum deluserunt, hac iu>
vari poliooe.
17. M. Varrone dice che colT oro si guarisco
no i porri.
i8. (11 fuoco ancora ha virt medicinale) per
le viscere sconvolte o ammaccate, come dimostra
Varrone, di cui riporter le stessissime parole :
u La cenerata cenere del focolare eoo acqua bol
lente, perci, bevuta, guarisce, come si vede fare
ai gladiatori che sentono vantaggio usare di questa
pozione quando abbiano combattuto.
Plioio U. N. XXXVl , 37, 2oa. 11 frammento non ni quadra per ogni verso: non satei lungi
dal supporre qualche lacuna.
19. Varr auctor est Titium quendam praetu
ra functum marmorei sigili faciem habuisse pro
pter id vilium (vitiliginis).
Plinio H. N. XXXI, 2, 11.
20. Nam proprie robigo est, ut Varro dicit,
vitium obscenae libidinis quod ulcus vocatur.
Servio in Georg. I, i 5 i.
21. In Cilicia apud oppidum Cescum rivus
fluit Nus, ex quo bibenlium subtiliores sensus
fieri M. Varro tradit, at iu Ceo insula fontem esse
quo hebetes 6ant, Zamae in Africa quo canorae
voces.
19. Trovi ricordato in Varrone che per que
sto male [morfea) un tal Tizio gi pretore avea
il viso come di una statua di marmo.
20. A propriamente parlare, robigo^ per giu
dizio di Varrooe, olcera oscena.
21. Trovi scritto in Varrone che in Cilicia
presso la citt di Cesco scorre il finmicello Nus,
le cui acque fanno pi penetranti i sensi di quelli
che ne bevono, nelP isola Ceo, invece, v ha una
fonte che li ottunde, e a Zami nelP Africa una che
rende canora la voce.
Plinio H. N. XXXI, 2, i 5. La citt di Cescus era da alcuni messa nella Cilicia, da altri nella
Panfilia, da taluno'nella Pisidia. 11 doppio senso della parola (nome del fiume e mente) fece
adoperare il nome della citt frequentemente per ischcrzo e dicevano ovx , intendendo
non hai cervello.
22. Caelius apud nos in Averno ail ctiam folia
subsidere. Varr, aves quae advolaverint emori.
Plinio U. N. XXXI, a, 21.
23. Varr (scribit) ad Soracten in fonte cuius
sit latiindo qualtuor pedum, sole exoriente eum
exundare ferventi similem; aves quae degusta-
Terint, iuxla mortuas iacere.
Plinio H. N. XXXI, 2, 27.
24. Item (sc. aquam calculosis mederi) in Sy
riae fonte iuxla Taurum monlein auctor est
Amarro.
22. Celio dice che nel lago Averno fino le fo
glie vanno al fondo, e Varrone, che gli uccelli che
vi passassero volando cadono morti.
23. Varrone (scrive) che presso il Soratle vi ha
una fonte larga quattro piedi, la quale, al sorgere
del sole trabocca come fosse bollente e d la
morte agli uccelli che ne bevessero.
24. Fa testimonianza Varrone che ona fonie
di Siria pfesso il Tauro guarisce dai calcoli.
Plinio H. N. XXXI, 2, 9.
I I I 9
F R A |
a5. Varro pcrki bel foniem in Arcadia esse
ius intermal hauslut.
Solin. Polysl.., c. F. e pi toi l o :
aC. Varr opinaltir duo in Boeolia eue flumi-
Da, nalura li cci di s pr i miraculo taioen non discre-
panie, quorum all eram si o?il !am pecos debibat
poil um fieri colorem quem habuerit, allerius haa-
slu quaecumque vellerum fusca suni, in candidum
?erl t: addii Tideri ibi puteum pestilentem cuius
l iquor mors esi haurientibus.
25. Varrone lasci scri no che vi ha in Arca
dia una fonte di-acque mortifere.
20. Varrone crede che vi sieno nella Beozia
due fiumi, di natura differente in vero, ma pari
nella virt : uno muta in oscuro il tcIIo delle
pecore che venissero ad abbeverarvisi, le acque
dell* altro mutano in bianco la lana di quel le che
avessero nera : e aggiunge che si vede col un
poi zo pestilenziiile, di cui non si pu bere senza
mori re.
Tul t i questi frammenti che si riferiscono alle acque avrebbero potuto avere egual mtnle altra
sede, o nel l ogi sloiico De mirandis o nel libro De geographia.
De architectura.
Vi l ruvi o {praef, ad 1 librum De archit.) lamentava che pochi assai, in confroul e dei Greci ,
fossero i Romani, i quali avessero pubblicato qualche lavoro sull' architcttura, e dopo aver ricordato
che il primo fra i Latini fu Fuf i i o, segui l a: u Ilem Terentius Varro de novem ducipli nis onura
de architectura )), al qual luogo annota lo Schneider di aver odorato oei libri di VitroTio molli
indizii dei r ingegno e del linguaggio varroniano. Sopra di che nulla abbiamo a di re: tutta que
stione di naso: di cn invidiamo allo Schneider la sagacita.
Non abbiamo alcun frammento accertalo di questo libro : come dubbii annotiamo Ire seguenti.
I. Varr nigros (lapidea) ex Africa firmiores
esse tradii quam in Italia : e diverso albas tornis
duriores quam Parios : Idem Lunensem silicem
serra sicari, at Tusculanum dissilire igni, Sabinum
tuscum addito oleo etiam lacere.
Pl i ni o H. N. XXXVJ, i 8, i 35.
a. ... Quem lapidem (Parium) coepere Iycbni>
lem appellare, qaoniam ad lucernas in cuniculis
caederetur, ut auctor est Varro.
Pli ni o H. N. XXXVI , 5, 14.
3. Vesti bul um, ut Varro dicit^ etymologiae
non habet pro^irielalem, sed fit pro captu ingenii.
Servio ad Verg. Aen. VI, 275.
I . Varrone crede ' che Ia pietra nera d Africa
sia pi dura della nera d' Italia, e, al contrario.
Ia bianca pi dura a lavorare al tornio del mar
mo di Paro. Lo stesso scri ttore aggiunge che il
marmo di Lnni si taglia con la sega, e quel di T u
sculo getta fuoco, e che il nero della Sabina an
che riluce se vi si versi sopra dell' olio.
a. Se vero quel che attesta Varrone, comin
ciarono a chiamar lichnite il marmo pario, per
ch si tagliava nelle ente per fame lucerne.
3. La voce vestibulumy come dice Varrone
non si spi ega etimologicamente, ma come a ci a
scuno par meglio.
Non so poi se potesse far parie di questo libro De architectura anche la descrizione del se
polcro di Porsenna che si legge in Pli nio XX XV I , 8^ colle parole stesse di Varrone. In questo
l i bro X X X V l di Pli nio si trovano numerose testimonianze di giudizii lasciali da Varrone intoroo
ad opera d' arte.
FINK DUI LIBRI DEI Xt -DISCIPLI NL.
1)1 , !: . VAI! ROM;
h r i t ,
11 dolio e geuli le poeta del le Georgiche quaodo esclamava f e l i x qui potuit rerum cognoscere
causas si faceva inlerprele di quesla inclinazione dello spiri lo ornano ad investigare le ragioni
supreme delle cose, a scoprire le cause prime degli avvenimenli . Alcuni credono, ma a gran
torlo, che questi sludii sieno del tulio moderni, qutndo un tallo irrepugnabil e che gli antichi
ancora vi dedicarono opera lunga ed amorosa. Tali erano, p. e., quelli che cercavano di penetrare
il senso dei miti e delie tradizioni. Ne{>li storici greci apparisce meno questo spiri to d' i nvesti ga
zione, perch le l oro ricerche abbellite dalParl e dtd dire, e fuse mirabilmente col resto della nar
razione non spiccavano al modo che nei nostri scrittori. Ala la ricerca delie origini nianifesta-
mente palese in Aristotele, e divent argomento di un' opera speciale per erudito Alessandrino
Callimaco, il quale compose Ama, titolo che val e: le cause o le orgini. 11 fiorire di Callimaco
precedette il fiorire di Catone censorio,, e non mi par diffcile ammettere che questi ne potesse
aver cognizione, se, vecch'O, si diede con tutto artlore allo studio del grcco ( graecas litteras
senex didici quas quidem sic a^ide arripui quasi diuturnam sitim explere cupiens ut ea ipsa
mihi nota essent quibus me nunc exemplis videtis. Cic. De seiiec. VIII, 26), e se Ia prii ici-
pale delle sue opere credette dover chiamare Origines^ sebbene, come dice Festo, . 198, vi
preponderasse il racconto delle cose operate dal popolo romano.
iMa in nessuno apparisce tanto questo studio di trovare le cause e le origini qnanto in Var
rone, non solo per quello che si riferisce alla lingua, ma anche per tutto ci che ha riguardo alle
istituzioni religiose e civili, alle costumanze, alla cognizione dell uomo ecc. era questa di
Varrone operj, olire che di etulilo anche di patriotla, perch dava un mez<> di rimellere in
onore le istituzioni della repubblica da ogni parte crollanti. Nelle opere di Varrone si trova adem
pito questo ufficio in doppia guisa. In alcune di esse prevale la parte narrativa, e viene come
secondaria la li ccrca delle cause, in altre invece, quesla seconda la principale e si appalesa fin
dal titolo. A questa classe appartengono p. e. i logi sl ori ci : u 't ubero de origine humana, Scaurus de
scenicis ori ginibus ^ quello in cui (Quint. 1, 6, la) u initia urbis Romae enarrat e forse anche le
satire Aborigines^ cio della natura deir uomo e l ' al t ra -^, cio delle nascite; n
c' i nganni amo, credo, aggiungendo i quattro libri De gente populi romani^ nei quali era mo
strato che cosa i Romani aveaao tolto a imitare da altre nazioni : a questo scopo era diretta
la graAde opera del ie sue Antichit. Per le quali cose pienamente giustificato elogio di Cice-
i O n e : u T u omnium divinarum humanarumque rerum nomina, genera, officia, causas aperuisti.
Intorno al qual luogo notava il Krahner, che colla parola causas Cicerone avea voluto mettere i
ril ievo il colore filosofico come che Vtrrone avea dato ai suoi argomenti storici.
Sebbene, secondo abbiamo detto, Varrone avesse avuto sempre di mi i a questa ricerca delle
cause od ori gini, che si vogliano chiamare, tuttavia egli ne compose un li bro a parte intitolato
come quello di Callimaco (che tu certo letto da Varrone e anche Servio lo ammette) , di
cui avanzarono scarse reli quie, troppo scarse anzi da non lasciarci mezzo da determinare iu che
relazione fosse colle opere Varroniane di. soggetto affine, e in quali limiti si contenesse. E se non
fosse troppo ardito supporre, che di Varrone si conformasse in qualche cosa pi che nel
titolo a i r A m a di. Callimaco, si avrebbe un argomento da dedurre, che la materia fosse aggrup
pata in classi: ma, aromesso anche questo, resterebbe sempre a sapere se queste classi facessero
ciascuna da s, o fossero congiunte logicamente insieme e in che modo.
Mentre per nelle altre opere certi limiti erano imposti, se non altro, dall ' argomento, si vede
che in un opera come questa, poteva entrare tutto ci di cui si potesse ri cercare le cause, e
quindi non improbabile che la esposizione avesse la forma di una sequel a, per cosi chiamarli, di
aforismi. 1 quali non rendevano inutili gl i altri pi grandi lavori che erano stali da Varronc
pubblicati, iiuperciocih se, ad esempio, nella grande opera delle antichit divine eia ampiamente
esposto quello che relativamente alle reli gioni era pi degno di essere conosciuto dai suoi con
temporanei, non resta escluso che potesse in un lavoro a parte tener nota di certe idee o suo o
di altri intorno alle origini e alle cause di certe istituzioni, che o avrebbero turbato il disegno
dell* opera grande o furono il frutto di sludii posteriori. Poi noi vediamo che anche nell' opera
De l. l. (V. VI, i 3 e i8), si richiama alle sue Antichit.
l o diceva poco sopra che oltre il titolo Varrone poteva aver preso da Callimaco anche il disegno
del l ' opera; ma c fu per lui anche una sorgente di cognizioni? lo giudico di s, vedendo chc
F r a mw k n t i d i >1. I e r . Va r r o s e . 7 *
1133
1 y\ >1 - I
I 124
anche nell'opera De /. lai. lo arreca come fluturil ; ma la misuri c impossibile ilelerniinarla.
L' opera d Callimaro, quantunque il suo litoio f'oise per eccellenza crilico, non pare che di cri-
lica avesse molla fama ; almeno Marziale (X, 4) Io traila mollo male^ perch, dopo aver dello
a Mamurra che nei suoi Lpigraromi non trover le Iole dei Cettauri, delle Gorgoni, delle Ar
pie ecc., conclude :
Sed non ifis Mamurra tuos cognoscere mores
Diec te scire : legas Callimachi.
a sperare che Varrone a^r scelio dal poeta quelle notizie che fossero msggiormenle accer
tate. Pi giover prendere ad en' e opera di Plutarco Pc#pat*a, dove spesso citala
Varrone. Uo critico tedesco ha studiato i rapporti fra le due opere di Varrone e di Plutarco
(l^^us : Plutarchns J^arronis studiosus. Helsingfort, 1847); lavoro che io non ho potuto avere
alle roani. Anche qui il Boissier procede troppo alla leggiera ; asserendo che opera era a
domande e risposte, che non era composta per i dotti, ma lavorava (benedetto l ui ! ) a vantag*-
pio drs gens du monde., pubblico rispeltahilissimo, ma per il quale Varrone non scriteva, e che
mollo meno di adesso si occupava li cose Iciierarie ed erodile.
Anche la trattazione d^l Merkiin nel Philologus (anno 111) non compiuta ; ma quel che
dice, mi pare dello con buon giudizio. Egli mi ha giovalo cos per molte delle cose dette fin
ora come per la scelta e la esplicazione dei fiummenti.
I. Servius ad Verg. Aen. Vi l i , i a 8 : u h i n c
est illud p/-ovtrbium : herbam do i. e. cedo victo
riam. Quod Varro in Aetiis pouit : cum in agoni-
bus herbam in modum palmae dat aliquis ei cum
quo conttndcre non conalur et fatetur esse me
liorem.
I. Sergio I. c. u di qua il modo di dire; do
erba^ cio cedo la vittoria, che ba avuto origi
ne, come insegna Varrone nel libro delle Cause.^
dai giuodii agonali, quando uoo oiTrifa dell' er
ba Qmodo di palma all' avfersario con cut non
ardisse misurarsi, o che riconoeceise mollo di s
pi valente.
La citazione in tretiis non costantemente ammessa. Il cod. Guelferb. ha: etiis, l i Lipsio ha
corretto in antiquitatis libris^ ma non credo che sia punto da seguire, il proverbio herbam
dare si trovi in Paol. Diac., p. 99, come usalo da Plauto.
2. Servius ad Vcrg. Aen., 1, 4^> dextrac
iungere dextram u maionini enim haec fuerat
5a1utatio cuius rei t , i. e. causam Varro,
Callimachum secutus, exposuit, assrrens : omnem
corom honorem dexterarum constiisse \irlute. w
a. Servio al I. c. u l l modo di saluto degli
nlichi er di stringere destra a destra, e Varro
ne, togliendola a Callimaco, oe espone U cagione
dicendo, che per cs;ii ogni onore era riposto oi l
valore della destra, n
Le parole di Serrio Callimachum .secutus si possono prendere in due sensi, o che quest
notizia in partieobre era da Varrone stala presa da Callimaco, o che si trovava d c IP opera odrta,
in cui A'arrone si er preso a modello Callimaco. Mi |>aie che sia in questo luogo b accettare la
prima spiegazione.
3. Charis, p. 117, P. z i i 44 Spinn, ab hic
spina, Varr : in Aetiis ; fax ex spina alba prae-
tertor, quod purgationis causa adhibetur.
3. Carisio 1. c......... Varrooe nel libro delle
cause : si porta una face di spino bianco come
simbolo di parifioazione.
La edizione del Lindemann legge : Varr : In Asia f a x etc. e dice che questa un buona
correzione della lettera dei codd. in Asia fyluxe (Fabric. Jn Asia fyUx). Ma basta ricordare che
anche nei libri della t'aita del P. R. (libro 11^ ir. 16) accennata la stessa costomanu : u Cam
a nota nopta ignis in face eflferetur foco cius sumptus cum fax ex spinu (i codd. ptnnu) alba
esset 1 (Nonio sub. v. Faxs, p. i i a , a5) e che ne tocca anche nella salir ^^, per
ronchiuderc che parlandosi di costumanza romana non si p(teva accennarla eolie parole ; Jn ./^51 a.
La correzione adunque in Aetiis proposta gi dal Pupma mi par la sola giusta e la bont del
emendazione apparirli ili pi dal frammento che segue:
DI -. I KfU^N/ J O VAKUONK
1 1 26
4. Ser?, a d Yer{. . Vi l i , 29.
(Miie) Varro in Actiis Jicil [ s poi i i as] ( ileo )
faces praeire quod aniea dod nisi per noclem n u
benlei ducebantur a . Quas eliam ideo ait
limen noo tangere, ne a ucril egis inchoarent, si
deposilorae verginitatera calcent rem Vestae i. e.
numini cailissimo consecratam.
4. Servio i .
intoUi Varrone scrive nel lihro *lelle cause che
ei faiino precedere <la faci Ic spose, perch quc>
sie una volla erauo comlutle a caa gli sposi solo
di noKeternpo. E aggiunge, che erano solleva
te a braccia sopra la sojtlia, perche non coroin-
riassero da uu sacrilegio, calpestando, sul punto
di perdere il 6or virgioale, una cosa consecrata a
Vesta castissima dea. r>
Per la prima parte del frarorocnlo confronta Tallro della satira soprailegala : u Qiurha]] con
fluit mulierum tota Uoma : quae nocUi teri i ilio solila etiam nune S()ina lax indimi.
5. Serv. ad Verg. Aen. Vi l i , sparge marile
tiucex,
u idem Varr spargendarum nurum banc dicit
esse rationem, ut Jovis ornine matrimonium ce
lebretur, ut nupta matrona sit, sicut Juno. Nam
nuces in tutela sunt Jovis. Unde et iuglandes vo
rantur, quasi Jovis glandes. Nam illud vulgare
est, ideo spargi nuces, ut rapientibus pueris fiat
strepilus, ne puellae vox virginitatem deponentis
possit audiri.
5. Sers io al I. c.
u lo stesso Varrone dice essere origine dell' usan
za di spargere le noci questa : che il matrimonio
si celebrasse col favore di Giove, acciocch U na-
trona fosse di<posa*a al modo di Giunoni*. Si sa
infoili che le noci son xolto il patrocinio di
Giove, per cui sono lette anche iugianJeSy che
vale : ghiande di Giove. Ragione volgare al con>
Irario quella : che si spargano le noci, perch lo
strepito dei (anciulli che le raccolgono copra la
voce della fanciu!la che perde il fior verginale.
Sebbene per questo frammento non sia indicalo il luogo, pure essendo una continuazione
del precedente, io non dubito punto che appartenga all opera delie cause. Inoltre troviamo
usanza sles5a come appresa da Varrono,_ nell' opera delle Quaestiones romanae di Plutarco,
opera rhe egli stesso indica due volte col nome di . Laon<le non fuor di probabilit il
credere che quando nelle romane di IMuldrco troviamo riferirsi airaulitril di Varrone si
debba intendere dell' opera Varroniana , piuilosto che di qualunque altro dei inolicplici lavori
di quest* erudito. I / argoiuenlo sarebbe debole preso |>er s, ma si ringagliardisce considerando,
che, essendo presso a poco lo stesso lo scopo di Plutarco e lo scopo di Varrone, designando anzi
il Greco, talora il suo scritto col titolo stesso usalo dal Lalino, bisognerebbe avere ragioni posi
tive io ccDlrario per supporre una fonte diversa.
Cos guadagniamo i seguenti luoghi Iraendoli da Plutarco.
6. Queste cose (cio: il perche nel tempio di Diana sol monte Aventino si sospendono e
conficcano corna di bue invece che di cervo) olire a Varrone scrisse anche Juba ; se non che
il primo non scrisse il nome di Autrone, e dice che il Sabino lu ingannato non dal sacerdote
Cornelio, ma dalla guardia del tempio (2. R. IV, 2G4, D).
7. Plut. 9, R. 5, 64, E. u Perch non si costuma di ricevere per la porla, ma pel tetto colui
che torna d lontano paese, ove falsamente s era sparsa voce che fosse morto? Varrone ne rende
ragione al tutto favolosa, cio, che molli di quelli che si erano creduli morti nella guerra di
Sicilia tornarono poi a casa, ma presto si morirono, e tra questi reduci, uno, aiTacciatosi alla porla
di sua casa, questa spoutaneamente si chiuse, o per sforzi che facesse poteva aprirla: addor*
mentatosi quivi, ebbe in sogno ispirazione di penetrare in casa per il tetto; fece cos, e visse
fino a tMrda vecchiezza ; di qua origine della costumanza.
8. Plut. 9, R. 14^ 267, B. Perch i figliuoli maschi colla testa coperta, e le femmine eolie
treccie sciolte colia testa nuda accompagnano il coipo del padre c della madre quaudo sono
morti i^erch (come scrive Varrone) nel mortorio de' padri stanno colla medesinna riverenza
che si suole nei templi degli iddi, talch abbruciati i corpi e trovata ossa dicono il morto
eaere deificalo; ma non fu concesso in modo alcuno alle donne velarsi la fronte.
9. Plut. 9, R. 27, 271, . Perch stimano tutta la muraglia circondante la ciit sacrata ed
inviolabile e npn le porte ? Forse (come scrisse VaJ ronc) creder si deve essere sacrata la mur.iglia
acciocch i dilensori d essa non dubitino d irofiiv sopra gloriosamente? w r.
1127
l L l\ 1 I i a 8
10. Flut. 9 9^) Perch se si faccia saciifuio ad llrcole non ooiDnano aleuti
altro ijiliot u li ?ede alcun cane dentro al chioslro ? come icriue Varrone : n Dai framroenli co*
iiosciuli fin ora dt Varrooe nou apparisce la notizia che Plutarco vi ha trovala. Plutarco adopera
il verbo cWpvixcK, ma appunto questo verbo pu indurre a credere che la notizia fosse nel
l' opera aiTca e non in qualsivoglia allro libro di racconto disleso, per il quale verosimilmente
Plutarco avrebbe adoperalo allro verbo.
11. Plut. 9, R. l o i , a88, B. u Alla domanda perch i Roroaui mettevano al collo dei fan>
ciulli la bulla, dopo all re cagioni tratte da varii, aggiunge: credibile quel che dice Varroue
che nominandosi presso agli Eolici /7 consiglio (;) bolla (), per misero al collo dei
ianciulli tale ornaiuento per indizio di prudeuza e di buon consiglio. Non abbiamo anche per
questa derivazione etimologica alcuno dei frammenli varrouiani che la conlermi : la si trova anche
in Paol. Diacono, p. 9, ma senza nome di autore.
12. Plut. 9, R. i o5, 289. Per quale cagione non si costuma maritar dunzelle nelle feste pub
bliche, ma ben si rimaritano te vedove ? Forse (come disse Varrone) ( erch le donzelle si mari
tano con dolore e le vedove con allegrezza, e non si dee permettere che nella festa alcuno senta
dolore, eziandio forzatamente. Macrobio, Sat. 1, i - i 5, p. 284, ci fa conoscere anch'esso che Var
rone tratt della cosiumanza gi notala da Plutarco, e dd la spiegazione tolta a prestilo da Ver
rio Flacco, che noi tralasciamo perch troppo grassa.
13. Proh., p. 147C, P : u Sinceput, sincipilis. Vatro posuit in ciia (in Aelia Lindeiuann), n
L. 1, pag. i 33.
Tribuum liber.
Nel V (caj. 5C) fle l. /. Varrone, aver detto che anticamente ager RomanuS fu di
viso in tre parti Ira i Taziesi, i Ran ii ed i Laceri, e che perci furono detti tribus^ soggiun
ge : A d hoc quattuor quoque partis urbis tribus dictae ab locis Suburana^ Palatina^ Esqui-
lina^ Collina^ quinta qaod sub Roma^ Romilia. Sic reliquae triginta ab his rebus^ quibus
in tribuum libro scripsi. Le quali parole pare che, senza dubbio alcuno, s debbano intendere
di una opericciuola a parie intorno alle trib romane. Cos non parve fuitavia ad Oltofreddo -
ler, il quale sostiene, che questo delle Irib era uno dei sei libri de locis che facevano jarte
della grande opera dille Antichit Umane: ma la opinione, del IVlllcr manca di buon fondamen
to, per due ragioni, principalmente, che, cio. Ira i frainmenli conservati delle aotichit umane
nessuno si riferisce alle Irib, e poi, che come Varronr. ha altre volte rimandato il suo lettore
air opera delle antichit (V. p. e. De /. l. VI, i 3 e 18), cos se voleva anche in questo luogo
rimandare a quelP opera, non avrebbe, pare, mutato maniera. La quantit e la qualit stessa de
gli argomenti, intorno a cui scrisse Varrone, loccva s ch' egl i dovesse trallare in pi luoghi
delie stesse cose : in uno pi succinlamenle, pi largamente in un allro, conforme richiedeva il
soggetto. Non possibile che nell' opera delle antichit umane non trattasse delle trib, ma
questo non impedisce che, come ha trovato pure modo di trattare a parte delie origini, della
vita del popolo romano, delle ragioni, delle costumanze ecc., cos potesse maggiormente in una
operetta speciale sviluppare quello che alle trib ti riferiva. E non vediamo noi, per arrecare un
solo esempio di autore notissimo, Cesare Cant, trarre senza (ine dal magazzino della sua storia
universale argomenti di lavori storici parziali, che si potranno contianare sino alla foe dei secoli?
Il Mercklin (Index scbol. in Univ. Dorpatensi an. iBSi) si studiato d ricercare, poich fram
menti non esistevano, vestigia di questo libro delle trib, e riusc a stabilire che t ut ^ quello
che s trova intorno alle trib nell'opera di Feste, De verbb. sign.^ sia lutto derivato dal libro
Varroniano. Io non seguiter certo autore nelle erudite sue ricerche, poich, dopo avere pazieo-
lemeate pesati i suoi argomenti, mi parve di dover concludere che non passino i conBoi di una
tenuissima probabilit, di cui, credo, l autore stesso avesse coscienza trovandosi ad ogni mo
mento videtur^ credo^ video eie. 1 nostri lettori sanno certamente che sorta di compilazione sta
quella di Feslo e, che d pi, il fuoco divor anche una parte deir unico codice che fi era con
servato. Ora siccome Feslo compil opera di Verrio, cos resta a conoscere, non gi se Festo
abbia tratto quello che in lui si trova delle trib da Varrone, ma se possa averne tratto Verrio.
La cosa principale d e inerii <1a essere osservala c rhe Varrooc spiegava il nome Ielle Iren-
lacinque trib ilerivnndolo non gi, come altii molti, dal nome drlle rapile Sabine, ma dai luoghi
dove furono stabilite. Era questa una nuova scoperta di Varrone? No per fermo, perch altri
dotti ricercatori Ielle cose romane lo avevano prima di lui asserito de? pari. K tra questi dotti io
metto certo Verri, della cui erudizione e profonda cogniiione delle romane antichit si hanno tante
lestimonianie. Questi adunque non avea bisogno di ricorrere a Varrone per ispiegare con ragioni
locali il nome delle trentacinque trib. Festo compendiando Verrio trascrisse i nomi aggiungendo
la origine locale quale la trov in Verrio, senta quindi citare la fonte. Le due sole eccezioni
fanno contro il Mercklin, per h riguardo della trib Ufentina, la spiegaiiooe tolta da Lu
cilio, e per la trib Suburrana non si pu fare assegnameuto. vero infatti che Varrone fa
derivare Suburia da Succu5a {Dt l. l. V, 4^)^ lo stesso, riportando Festo, cita espressamente
Verrio: olire diche del tutto differente la illusirazione del nome: in Varrone: quod f u e r i t sub
antiqua urbe; in Verrio: a stativo praesidio quod solitum sit succurrere Esqnilis infestantibus
eam partem urbis Gabinis. E non sar inutile aggiungere (non importa ora cercarne il perch)
che in F'esto non si trovano tutti i nomi delle trentacinque trib, niancandovi tra le altre p. e.
la Palatiua, la Pollia, la Terentina,, come in Paolo Diacono non si riscontrano p. e. la Quirina e
la Stellatina. E non si potrebbe nemmanco dire che Verrio era stalo meiso sulla via dal passo
ricordato a principio di Varrone, perch noto che Vcrrio o non conobbe o tenne in pochissimo
conto opera De l. /., della qaale uon incontri in Festo alcuna citazione. D* altra parte non
vorr insistere troppo anche sopra un passo di .Gellio N. Att. XVUl , 7, dal quale si potrebbe
concludere che Verrio avesse in un'opera a parie trattalo delle trib e di altri argomenti aflni,
pago a sostencif, che se non si nega che A^errio conosccese il libro di Varrone sulle trib non
si pu provare che ne abbia usato. Adunqie certo :
I. che Varrfme scrisse un libro speciale sulle trib romane,
II. chc non ne avanza ali un f ramment o,
IH. che non sa ne trova latta memori in alcuno s<ritiore antico,
IV. che noo vi hanno indizii suffiuiinti per attribuire a Varrone quello che si legge in Ftsto
su questo argomento,
\ . che Verrio poteva trarre altronde che da Varrone le sue notizie, e quindi,
VI. chc opinione di Mercklin non ha altro valore rhe negativo, in quanto cio non si pu
negare che Verrio conoscesse quel libro e ne traesse qualche notizia, conclusione alla quale si
poteva venire anrhe senza il faticoso lavoro del dotto e degli scritti Varroniani benemerito pro
fessore Uorpatensc.
1129 )1 . *:20 VAIU\ 0M: 3
/ >'<4>)-/.
Questa opera di Varrone perita: era uno di quei lavori che furono dispersi allori che la
biblioteca del grande romano fu*messa a soqquadro, come udimmo narrare da lui stesso nella
prefazione ai bbri delle imagini, e come ripete nella lettera ad Oppiano. Varrone compendi
poi le notizie delP )'( in una lettera ad Oppiano, che daremo a suo luogo nel sunto che
ci ha conservato Aulo Gellio. Lo stesso grammatico intorno al primo lavoro lasci questa Doli z
(N. A. XIV, 7): u Cn. Pompeius consul primum cum . Crasso designatus est: eum magistra*
tum Pompeius cum initurus foret, quoniam per militiae tempora senatus habendi consulendique
rerum etiam expers urbanarum fuit, M. Varronem familiarem suum rogavit, ut commentarhira
faceret (sic enim Varro ipse appellat) ex quo disceret quid facere dicereque deberet
cum senatum consuleret. Eum librum commentarium, quem super ea re Pompeio fecerat, per
isse Varro ait in litteris quas ad Oppianum dedit, quae snnt in libro epistolicarum quaestio
num quarto, io quibus litteris, quoniam quae autem scripserat non comparebant, docet rursus
multo ad eam rem ducent'a. d Palla quale notizia si deduce che il libro fu compilato nel 683.
1 A '1 I i i S a
Epistoiae Epistolicae quaettioHet.
Vi hanno lantc difficolt e incertezze nelle ricerche dei iVamracnli Varrouiani, che io non so
comprendere come si cerchi di accuroularne da taluni eruditi di nuove, dando apparenza di non
veder subilo netta la cosa per la soddisfazione di combattere e di fare sfoggio di erudizione. Tale
il caso per le epistolae e le epistolicae quaestiones di Varrone. 11 RilschI ed il Mcrcklin si le
cero la domanda: sono una cosa sola questi due , oTTcro due laccolte diverse? Per me (Dio
me lo perdoni) la risposta tra pronta; ma per quei due eruditi non lu co5 e sudarono sangue
per venire ad una conclusione, che impossibile non si fosse subito aTMCciiita alla loro mente.
In fal l i : quanlo io trovo cilali dei frammenti che rimandano alle lettere degli altri che riman
dano alle questioni epistolari^ perch devo pensare che i grammatici possono aver confuso^
citato male^ invece che distinguere due raccolte diverse? Ma Nonio cita dieci volle le lellere, e
non mai le questioni epistolari; Gellio le questioni epistolari c non mai le lettere. E che perci.^
Forse che aveano Puiio e l' altro protestato di aver presi ad esame e citali tulli dal primo all' ultimo
i libri di Varrone? Korse che era uno stesso lo scopn per cui Nonio e Gellio ricercavano le
opere Varroniane? Nonio andava a caccia li voci strane, antiquate, fuori delPuso dolio, e nelle
lettere di Varrone ne poteva trovare : le cerc e le Irov. Gellio investigava invice usi e con-
sueti'dini, e per {ucsto gli faceva, come vedremo, d' uopo consultare piuttosto le qaeslioui epi
stolari; lo fece e trovato quel che cercava, cita queste sole. Che delle molte lettere che Var
rone deve avere scritto egli abbia falla una scelta e pubblicata, distribuendola in libri di cui
Carisio ricorda ottavo, non sar cosa he certo ad alcuno sembri strana, a me anzi sembre
rebbe strano l' opposto. Che colle epis!ole non si possano confondere 1^ questioni opislolari
egualmente cerio. Erano dette queslioui epistolari quelle che per evitar, forse, una certa solen
nit di trattazione, o per dare uno svolgimento pi a questa che a quella parte, senza che si
potesse appuntare lo scrittore di violalo rigore di distribuiione scientifica, si steudeTano a forma
di lettera; ma non aveano di lettera che apparenza: I ' introdazione e la chiusa: nel resto, erano
soslanzialirtentc Trattati. Di datali lettere si fa uso anche da noi, e che ne usassero anche i Uomani,
oltre questo esempio di Varrone, avremmo anche autorit di Gellio.
L siccome si conservarono frammenti cos delle epistole come delle questioni epistolari, cos
si pu istituire un, sebbene necessariamente imperfetto, confronlo, dal quale apparisce infatti che
le seconde hanno un fare serio e ben dal famigliare; e non vi Trovi mai diretto il di
scorso a quello a cui la cos delta leltcra spedila, mentre le altre hanno un aria Sfiigliata e
franca e talora burlevole.
Anche queste considerazioni avrebbero bastato a non dare . di difficolt e di cosa
oscura e tenebrosa, atl una ricerca cosi agevole e piana.
Dal poco che rimasto dalle lettere si viene a conoscere che prov anche Varrooe quella
molestia, da cui non si pu salvare uno divet:uto per poco celebre, cio di estere tempestato di
lettere da tutte parti; obbligato a rispondere, egli che avea abbraccialo lutto lo scibile a quel
tempo, a quesiti svarialissimi, e non di rado anche futili. m
Non si pu accertare la data che di una sola delle questioni epistolari, quella diretta ad Op
piano, di cui diremo appresso. Aggiunger in fine che Nonio cita anche epistola'latina^ episto
lis latiniSy di cui ricorda il 1 libro e il secondo. 11 Mercklin non sa cosa pensare e dice che sar
una lettera ia due libri, l o non avrei difficolt ad ammettere che Varrone avesse raccolto anche
delle lettere greche e allora tulio sarebbe spiegalo.
1. Epistola ad Jul. Caesarem. | i. A Giulio Cesare.
a) Interea prope iaro occidente sclera inhorrescit
mare.
Nonius V. horrendum, p. 4a3>M.
b) Convocat Plolomaeum cinaedologon, Nicona
petauristen, Diona ^.
a) Intanto quasi presso al tramonto il mare si
Kva in tempesto.
b) Si fa venire il buffone Tolommeo, il funambo
lo Nicone, Dione flautista.
Noniui T. Petauriitae, p. 5G, M. Non veilo alcuna ragione di mutare il convocat in cunt
vocat^ come vorrehbe il Popma. e mollo rrno di vedere in Plolomaeum. l'olommeo Aulete.
2. A Giulio Cesare.
DI 1. I LKLNZI O VAliUOiNl: n i ',
Non lui giunse appena annunzio ch'egli era
arrivalo a Uorna, che sema por tempo in mezzo
mi leci a corrergli incontro.
i i 33
a. Lpist. J. Caesaris.
Quem simulae Romam venisse mi attigit au>
res nuntiu,
iteroplo mcos, io curricolum contuli prope
re peiles.
Nonius. V. Curriculus, p. 263, M.
Da questo mudo, di Nonio epistula Jul i i Caesaris il Ritschl conchiuse che nella raccolta
Varroniana erano comprese anche le risposte o parte. La deduzione non sicura, percli troviamo
in Nonio: Cicero in epistula Cassii^ t . Tul l i us epistola ad Cassium^ e ambedue i luoghi si
leggono nelle lettere di Cicerone a Cassio: sono la i/|." e la 16.* del libro XIV.
3. p. ad Fabium. | 3. A Fabio.
Quod facie Satyrorum (?) similes sunf, quod
maximi funt iidemque imberbi.
Non. sub V. imbeiLi, p. 493 M.
f\. Ep. ad P'ufum.
Si hodie neouMi \etiis, crai quidtm si ' ve
neris meridie, ualali lurlis fortunae, Quinliporis,
Clodiani forias ac poemata gargaridians dices:
Quanti hanno l'aspetto da Satiri ! quanti sbar
batelli si vedono andare per la maggiore !
4. A Fu .
Se oggi nou vieni, e vieni domani sul mez
zogiorno, il d del natale della Forte Fortuna, re
citerai gargarizzando i profluvii e i versi di
Quintipore Clodiano :
O Fortuna ! O forte Fortuna di quanti beni
questo giorno (hai cumulato).
Non. gargaridiare, p. 114, M nenu, p. ii7> M fors fortooa, p. 4^5, M. Vedi quanto
intorno a Quintipore Clodiano e a questo passo discorso nella mia annotazione alla satira Binnr-
cus, p. 791 e 793 e pi sotto nello aggiunte. Il giorno natalizio della dea era il 2) di giugno,
in cui il popolo si portava sulla riva destra del Tevere dove era il tempio della dea e passava
una giornata in gran feste. Sarebbe a vedere se di qui ha origine il costume dei Roma di far
gazarra la notte di S. Giovanni.
O Fortuna ! O fora Fortuna ! quantis commo
ditatibus hunc diero.
5. . ad Marulluro.
Utrum meridie an vesperi lubentius ad obbam
accedai, locus, actus adventus declarabit.
5. A Marullo.
Vuoi sapere a che ora si beve pi volentieri
se di pieno giorno o di sera ? Dipende dal loogo,
dalle circostanze, dall arrivare.
Nonins obba, p. 545, M. Da questo fraromcnto apparisce adunque che s facevano Var
rone dette ricerche anche di altro genere che le scientifiche : ed comica la seriet della rispo-
fta. Non ao perch il Mercklin vorrebbe mutare QdaroUum in Marcellum.
6. Ep. ad Neronem. | 6. A Nerone.
Nam si tuam rhedam non habuissem, habe
rem varices.
Se non avessi avuto la lua vettura, mi si ia
rebbero gonfiate le varici.
Non. sub vv. varices, p. 26, M. rheda, p. 167, M.
A lare familiare Sosip, Char. lib. 1, p. i o5,
P - p . i 3o K .
7, Ep. ad Servinm Sulpitium.
In memoria sibi esse, quod L. Catulus cura-
ter restituendi Capitolii, dixisset, voluisse se
iiream Capitolinam deprimere, ut pinribns gradi
bus in aedem conscenderetur, suggestusque pro
iastigii magnitudine^ altior fieret, sed facerc id^^
Dal lare domejrtico.
] 7. A Servio Sulpizio.
Avere in memoris egli (Farrone) di aver sen
tito dire da Q. Catulo deputato al restauro del
tempio Capitolino, che aveo in animo d abbassare
lo (cpazto dinanzi al tempio, perch vi si dovesse
salire per pi icalini, acciocch la gradinata pi
i35
W A M S\ I. ^ I
i i 36
nequisse quoniam fas^issae impetlisicnt. IJ esse
celias quasJam el cisttrnas, quae in area sub ter
ra essenl, ubi reponi eolereiil ligita reter quae
ex co tempio collapsa eisent, ut alia quaedam re
ligiosa e donis consecralis.
Gelliu#, lib. 11, c. io.
Negat quiJrro se in literis invenisse, cur fuiu's^
sae dictae sint : leJ Q. Valerium Soranum soli
tum dicere ait, quos thesauros graeco nomine
appellaremus, priscos Latinos flavitsa diiitae:
quod in eos non rude aes argenlumque, sed Bata
signataque pecunia conilerelur : conicclare igilur
se detractam esse ex co verbo secundam litte
ram, et lavissat esse dirtas cellas quasdam et
specus quibus aeditui Capitolini uterentur ad
cnstodiendum res veteres religiosas. Id., ib.
alta meglio rispondesse 1 altezza del Frontone,
ma die n' era stalo im(H:dito dalle roti dette~
vissae. bd erano queste celle e cisterne sotlerra-
nee sotto L*are del tempio, dove si solevano ri
porre le statue del tempio guaste dall'et e altre
degli oggetti lasciati l come sacra oifcria.
I Gtllio, libro 11, c. IO.
l. aggiunge (Varronc) di non avere in alcun
libro fwtulu ripescare il perch di questo nome
favissoy ma che Q. Valerio Sorano era solito dire
dai vecchi latini chiamarli quella che noi ora
con voce greca chiamiamo tesoro, flavissa, perch
non vi ai riponeva oro e argento greixo, ma
lavorato e coniato : che perci gli parea da con>
chiudere che fognala la /, da flavissae aia deriva
to Jafissae ad indicare quelle come celle ecaver>
ne di cui proftlavano i curatori del tempio Ca
pilulino per custodirvi gli utensili e le cose sacre
guaste dal tempo. Gellio, ib.
Non ia bisogno dire che la etimologia \arronittoa non regge; mentre mollo pi naturale ri
congiungere tav5S3 a fovea. *
Tulli questi framnienti sono conosciuti dal nome delle persone a cui lurono spedite le lettere.
Della classificazione per libri fanno testimonianza i seguenti :
8. lu votum amicorum domus fumai ; hila
resco. Nonius, p. 121, . Varr. epistola latina,
libr. 1, hilaresco.
8. Fuma la casa dove si faranno voti per la
felicit degli arici : io sono in giolito.
I 9. Nessuno pu imitare il tuo lavoro.
9. Tuum opus nemo imitare potest.
Non. T. imitaty p. M.
10. Capillum pluraliter dici non (Tel>ere. | 10. Non si usa capillus al Silurale.
Char. 1, p. 81, P z z p. 104 K lo atcri?e al 111 delle ep.
II. Quinlum tricensimum annam dici siue et
cuniunctione, el similia, nec interponendam con-
iuoclionem in re ipfa conhaerentem, ut si dixe
ro : ad qointum el Iriceniimum praedium habeo,
iani duo significabunt, alterum ad quintum, alte-
rnm ad tricensimum.
I I . Convito dire trigesimo quinto anno, c
cosi del resto lenia la cotigiunzione copulativa :
a questa va inserita fra cose che non devouo es
sere prese separalameole ; cosi ad quintum et
tricensimum praedium habeo, verrebbe a signi
ficare che si ha una cosa tanto nel quinto quanto
nel trentesimo dei poderi.
Char. I, p. 55, P = p. 3, K lo ascrive al lib. VII.
12. Margaritum, margarita plura. 12. Margarita si disse anche al oeulro singo
lare e plurale.
Char. 1, p. 83, P ~ p. 108 K nel Codice Bubiense epistolarum Vil i.
13. Coroua navali. | 13. Dalla corona navale.
Char. I, p. 111, P zz p. i 38, K epislul., quact., lib. I.
I iSy DI >1. I L K K NZI O VAKKOiNL I
14. Maximain muUaiu di xerunt Iriuni luil-
l iuai cl vignli Msiom : quia licebat quoti
davi pl uri tus Irigenla bubua et Juibua ovibus
queniquaiB roullari : aesliraabalurque bus cen
lussibusy ovis decussis.
14. l<a pi grave delle mutle tra di 3o 20 asi,
|ierch non era lecito un lenopo multare nessunoiii
pi olle treola buoi e due pecore,e allora il prez
zo di un bue era di 100 aisi, di una pecora dieci.
l' esl us, p. \ (\ 2: u Multam Osce dici pulaiit poenara quiJani. M. Verro ail pqenain esse, sed
pecuniariam, de qua subtiliter in libro 1 quaesliunuro epistolicarum relert.
i 5. Gelli o, lib. VI I , c. X : u Verba Varronis
(alias Caloois) squl ex primo epislulicarum quat
&liouuni : p]gnoriscapl io ob aes militare quod aes
ex tribuno aerario miles accipere debebai , vora-
buluin seorsum fa.
iG. Cieli., Ib. XI V, c. VU ; u Vano in lilleris
quas ad Op|>ianuni dedit, quae sunt in libro epi-
ilol icaruni questionum quarto .... primum ponit
qui lueri ut per quos more maioruiu senatus ha-
l>eri soleret, ecsque nominai : dictatorem, cunsu-
lem, practures, tribunos plebi, inlcrregem, prae
fectum urbi : neqtie alii, praetcr hos, ius fuisse
dixit facere senat uKonsultuni ; quoti ensque usu
venisset, ut omnes isii magistratus eodem tempo
re Romae esseni, tum q ui supra ordine scripti
essent, qui eorum ptior aliis ess.cl, ti putissimum
senatus consulendi ius luisse. Addit deinde extra
ordinario iure tribunos quoque militares qui
pro consulibus fuissent, item dcccmviros quibus
imperi um consulare tum essel, item triumviros
reipublicae constiluendae causa creatos ius consu
lendi senatum habuisse. 1 ojtea scripsit de inter-
cessicnibns : dixi tque intercedendi ne senatus
consultum fieret, ius iuisse iis solis qui eadem
potestate, qua ii qui senatusconsultum farcrc vel
lent, maiore ressent. 'J'um adscripsil de locii,
in quibus senatusconsultum fieri iure possei ;
docuit(]ue conlirma\i lqtie uisi in loco per augu
res constituto quod Icmpliiin appellarelur, sena-
tosconsuitum factum esset, iustum id noii f ui s
se : propterea ct in Cui ia Ilu5ti|ia et in Pom
peia el post in Julia, cum protaiia ca hjca luis
sent, templa esse per auures cunslitnta^ ut in iis
senaltisconsolia more maiorum iusia fieri poscent.
Inter quae id quoque scriptum rchqui t non omnis
aeties sacras templa esse, ac ne aede<n quidem
Vestae templiiin esse. Post haec deinct-ps tlcii se-
nalusconsiiliuiii ante exort um aut pokt oc< a.suiii
solem facluin, ratum noii fuisse ; opus etiam (en-
sorium luisse exi.^liiuatos per quos eo iciuporc
senatusconsultum lactum esset. L)uc t deinde ini
bi inulta, qui bus diebui l ubvi e seiinl'jm ius non
sit, iinniolarciiue hostiam prius au5pi*ai ique le
Jicrc, qui senatum habiturus csscl ; <le rebusqne
divinis priusquam humanis a>l scnatufii rt l ei ci i
3 ! di M, T k r . Na i \ r o m .
15. Gelli o 1. c. : u Cos si esprime Vanone
(allii codici Catone) nel primo libro delle que
stioni c[tistolari u le due |>arti onde si compone
la voce pi gnor i scapti o si considerano feparalc,
rif erendosi alle paghe dei soldati che questi do
vevano ricevere dal tribuno erari.
i(3. Gellio, 1. c. Varrone nella lettera ad
Oppiano, che nel quarto libro delle ({uestioni
epistolari, ricorda prima di tuli o quelli che, se
condo usanza dei maggi ori, aveano lacoll d
raccogliere il senato, e sono : il dittatore, il con
sole, i pretori, i tribuni dtlia plebe, interr, il
prcf rl i o della citt, e che tn*s>uno altro, l uori di
(lue&ti, aveva il dii it to di formulare un senatocon-
sullo, e quando avvenisse che tulli questi magi
strali si trovassero insieme a Uunia, aveva a pr e
ferenza il diritto d interrogare il senato quegli
che avanzasse gli altri in dignit, nclT ordine che
abbiamo descritto. Aggi unge poi, che ebbero in
via straordinaria facolt di consultare il tcnal o i
tribuni militari con potere consolare, i decem
viri cui era stalo accordalo impero consolare, e
i tri umvi ri nominati per riordinare la repubblica.
Scrisse appresso dejl* intercessione, di cendo che
aveano diritto di opporsi che non si facesse un
seiialoconsulto solo quelli che avessero jvoIc-
st pari a qutlli che volevano che fosse latto, ov
vero una maggiore. Soggi unse quindi dei luoghi
in cui si poteva legalmente lare un senatoconsul-
to, e prova che un senatoconsulto non valeva se
non fosse fatto in un luogo de*igoal o dagli augu
ri, che chiaoiasi lempluni^ e clic, onde si poles-
;e l-re senatoconsulto, secondo la patria usanza
legittimo, erano siale dagli auguri disegnale come
tempi a la Curi a Oili lia, e quella li Pompeo, e op
presso la Giulia, mentre prima erano luoghi pr*
fani. E tra le allre cose lasci s i nl t o che non
tutti gli editzii sacri .sono tenpla^ neuimeiio
quel lo di Vesla. Dopo di io ric*jrdi, che non va
leva un seiiatocoiisullo fallo prima lUllo spun
tare o dopo il lri!inonl; del sule, e chi avesse \i-
lali questa cosl unni i i a doveva eiscre punito d,*i
censori. Insegna .quindi nella letlera medesima al
tie parecchie: in quali giorni non si pu rac
cesi tele il stilalo, che si devono immolare
picii ' lcre ^li aii5pi m da :olni clic avrebbe |*re-
j 3^ l A W i\ 1 I
I l 4 o
sieJulo al fenato, esier debito rilerirc al senato
lidie cote divioe prima che delle uuaaoe : e quin
di o i odel ermi nal ameDl e dello italo della cosa
pubblica, o in particolare, se ?i afe? di che ; ed
esser due i modi di tare un seoaloooDiullo o per
discessionem quaodo vi era modo di metterti Ji
accordo, o te la decisione fosse dubbia col diman
dare ciascuoo in particolare del proprio parere.
Nola appresso che tutti dovevano essere iuterro-
gati per ordine, cominciando da quelli che aveauo
grado consolare. ira i consolari essere tato oso
per lo addietro interrogare per prima il prncipe
del senato, e ricorda che, al tempo in cui scriveva,
erasi introdotta una coslamanxa nuova, cio es
sere in arbitrio di chi presiedeva adunauu in
lerrogare per primo chi meglio gli piacesse, pur
ch fosse dei consolari. Discorre in seguito del
pegno che si doveva dare e della multa che aveva
a pagare quel senatore che doq venisse al aeoato
quando vi era tenuto. Di queste ed altre sflatle
cose trattava il libro sopraddetto compendiato da
Varrone, nella lettera che icrisse ad Oppiano.
Da questo luogo apparisce che la lettera ad Oppianum non era una traacritione semplice del-
//, ioa che vi era tenuto conto delle niutaxioui che avvennero dopo il 6S3. Questa
lettera non pot essere scritta prima del 711, perch tra altre cote ricorda la basilica Giulia
che iu costrutta solo in quest' anno, e probabilroente nemmeno prima del ^aS, perch si ricor
dano i triumviri reipubiicae constituendae. Questo triumvirato non pu estere che il tecondo,
perch quelli che composero il primo non ebbero ufficialmente questo titolo, n come triumviri
ebbero diritto di coiivucare il senato, ma s invece i secondi. K dunque da mettere tra il
e il 737.
dum esse : tum porro referri oportere, aut infini
te de republica aut de singulis rebus fluite : se-
natusque consultum fieri duobus modis : aut per
disccssionem, si coiisentirctur, aut, si res dubia
esset, per singulorum sententias exquisitas : sin
gulas autem deberi consuli graJatim incipique a
consulari gradu. Ex quo gradu semper quulem
antea primum rogari solitum qui princeps io se
natum lectus esset, tum autem cum haec scribe
ret, novum morem institutum refert, per ambi-
tionem gratiamque ut is primus rogaretur, quem
rogare vellet, qui haberet senatum, dum is tamen
ex gradu consulari esset. Praeter hoc de pignore
quoque capiendo disserit, deque multa dicenda
senatori qui cum in senatum venire deberet, non
adesset. Hacc el alia quaedam id genus in libro
quo supra di i i ]\I. Varru epistola ad Oppianum
scripta exsccutus c&t.
17. Geli. lib. XIV, c. VIII : u M. autem Varro
in quarto epistolii?anim quaestionum ct Atejus
Capitoni coniectaneoruni CCLVIIII iusu5se prae
lecto senatus habendi dicunt,
17. Gellio, 1. c. ; tt M. Varrone invece nel
quaito libro delle questioni epittolari ed Atcjo
Capitone nella aSg. delle tue ricerche, dicono
che il prefetto della citt aveva il diritto di rac
cogliere il senato.
]| praefectus^ di cui qui si parla, il cosi detto Praefectus urbis feriarum latinarunt.
iS. A deorum sede cuni in meridiem*spectcs
ad sinistram sunt paries mnmli exorientes ad
dextram occidentes. Eo factum arbitror ut sini
stra meliora auspicia, quam dextra esse existi
mentur.
18. Se da settentrione rivolgi la faccia al
metioJ hai a sinistra il levante, alla destra oc
cidente. Questa fu credo la ragione per cui si
stimano pi favorevoli gli auspici! che vengono
dalla sinistra che non quelli della destra.
Festo che trasse il passo dal libro V delle questioni epittolari.

9. Eclogas ex Annali dcscriptas. | 19.1 spogli tratti da Annale.


Char.f lib. 1 (111?) p. 97, P z= lao K (IH?) dal libro VI delle questioni epistolari.
20. Quo loco per O et quo loci per 1 potest
dici sed ita, ut si de pluribus locis quaeras, ut in
Italia quiJ^ puta^ sit, an in Graecia quo loco di
cas; respondetur hoc loco: si autem de unius loci
parte quaeras, tunc quo loci per 1.
ao. Si pu dire quo loco e quo loci^ ma con
questa regola, che tetioerchi io quale tra' yarii
luoghi una cota tia, p. st., in Italia o in Grecia,
tu hai a dire quo loco e ti ti risponder hoc loco;
e se la domanda risguarda le varie parti di un
luogo stesso devi dire quo loci.
Cliar.f lib. I, p. 8^^ P<=: 109 R dal libro VI Ielle qnest. epist.
ai . A<J morl eni me perducere non sif. ] 2 1 . Non mi lafci trarre a mori e.
Dal libro VII cilalu da Dico. libr. 1, p. 71, P r z 3; 4, K.
22. Demolivit lecturo. | 22. Demoli il tetto.
Da libro ignoto delle quaett. epiil. Diomede I. 1, p. SgS, P z=
Giover Ddtar anche alcune otierTazioni e congetture intorno a quelli frammenti delle epi-
lole e delle qttetlioni eplitolar, proposte dairillutflre prot. Canal, che ebbe la bont di comu-
nicaripele.
I tramro 1 a). Nei codici di Nonio li leggera : Prope ad occidentem soem horrescit ma
r t : ho corretto interea prope iam occidente sole inhorrescit mare^ perch coti li trova in
Cicerone {De divin, 1, i 4, 2^) citalo da Pacuvio, e non rredible che Nonio ne cilasee uno
diverso. Il Quicheral nella ma recente editione di Nonio aggiunge alla citazione [ex Paci/t io],
aiccb il detto patio sta tratto per indiretto da Varrone, per ci che allegava in quell.i epistola,
trattandoli ftbrie ex professo dei varii usi di horreo e de' suoi derivati.
Framm. passo intricato e di lezione incertiisima. Il Quicherat legge: Quod fac ie Saty
rorum similes sunt^ quod maximi fiunt^ iidemque imberbi; e cosi Ifgge anche il Mercero, se
non che ripete sunt in cambio di f iunt. Ne' codici f a e i s non f a c i e ; Saturnorum non Saturo
rum o Satyrorum ; maxima fiunt o maximi sunt. Le mutazioni furono suggerite dal Culaccio
e dal Lipsio. Forte con troppo ardimento ( ma non veggo di meglio ) io leggerei : Quod ( per
quot) facie Saturorum similes su nt i quod (o meglio quani o qui) maxime futuunt^ iidemque
(o idemque) imberbi; cio a dire: quanti al vederli non somigliano ai Satiri! lusiuriosistimi e
laltavia tbarbati.
Framm. 4* ^ notare che il frammento raccorzato da Ire luoghi diversi di Nonio, e che
il nesso immediato del primo luogo che termina con le parole natalis forti s Fortunae^ col se>
condo non pi che probabile, quello del secondo col terzo certissimo, perch si compenetrano
io parte, e che il passo o Fortuna ! o f o r s Fortuna! quantis commoditatibus ... hunc [onera
x/ix] diem! preso da Terenzio (Phorm. V, 6, i-a). Il Quir.heral legge: Si hodie nenu venis ;
rras quidem si veneris m\ihr\ erit dies (codd. meridiem die potrebbe stare per diei nata
Its Fortis Fortunae (credo intenda: saia per me come il d natulizio ecc., cio una grande ven
tura. Ma in questo cato pereh sar Fufio e non egli che canter: O Fortuna^ o Fors Fortu.
na ecc. ? Pi vicino merid. sarebbe mi non mihi erit. Poco diverumente il Mercero
leggeva: Cras quideni si veneris erit dies eie.), Q u i n t i o r i s Ciadiani foriae (Codd. clodiant
foriae. Cos anche i( Giunio proponendo in margine clodicent. Ciadiani f orias il Lipsio, il Pal
mieri, il Carrione, f o r i a lo Scaligero similmente al cacata charta di Catullo) ; ac poemata eius
gargarizans ( il Carrione omette V eius il gargaridiare e gargaridians comune, il Quicherat
lo crede nato dalla scrittura gargaridiare ecc. Pi varroniano parrebbe gargarissare) dices : o
Fortuna I o Fors Fortuna I quantis commoditatibus hunc [onorastis^ diem ! Questo garga
rissare poemata simile al dantesco u quell'inno si gorgoglian nella strozza. Dopo di ci
tuttavia vi hanno nel passo delle difficolt insolubili.
Framm. G. Nella citazione p. 26, codd. hanno: Varr epist. ad Varronem: nam s i tuam
rhedam non habuissem haberem varices: nelPaltra p. 167. Varro epist. ad Varronem (nel
Guelferb. Verronen$) : Quod si tuam heri rhedam non habuissem varices haberem. La se
cnda fTma ha pi carattere d'autenticit, talvo forse che haberent varices par pi naturale. Per
me accetterei non solo Xheri^ come fa anche il Quicherat, ma eziandio il quod iir cambio di nam.
Ii i (i DI . IKRKNZIO VAKIU)N i i \ j
De phlosvphia,
UBER.
Iti un luogo Jelle AcaJemithe [Oslcriori (lil>. I, c. I) M. Tullio si fa a<l interrojjarc il condi-
scti)o!o euo M. Varione, perch, menlre avea scriHo so lauti e lauto 8vaii;*li argomenti, non scri
vesse poi anche Ji filosofij, nell quale era molto versato e che metteva innanzi aJ ogni altra
lisciplina. K risponde Vairone: tlie molle volle gli era venuto pensiero ili metterli a quest' ope
r.i, roa th non ne aveva fallo nulla, porche non gli pareva che valesse la pena di scrivere di
llost fii, quando le persone non colte non lo a\rebbero inteso, le colte non Io avrebbero curato,
preferendo queste, se sapevano di greco, di studiare nelle opere dti Greci, dai quali i Romani
aveano dedotte tutte le loro co{;niiioni filosofuhe; se nrn erano poi tento o qoanto apptofondite
nella coltura greca, non occupandosi nenmi eno di quelle sniiture latine le quali presuppcne^ano
la cognitione delle dottrine dei Greci.
Varrone tuttavia, non ostante questa esplicita e tormale dichiarazione, non s tenne rigorosa^
mente al proposito e tra le molte sue scritture se ne trovano anche due d filo soli a : una, col
titolo D e f o r ma philosophiae in lU libri, Taltra col titido De philosophia. Drllaupriroa non
NI conosce che il titolo, della sccon-la abbiamo la trama e lo scopo cooservatici da S. Agostino
nel libro XIX della sua Citt di Dio, e probabilmente non era ripartila in pi libri.
La fama di Varrone come filosofo sema paragone minore di quella che si acquist come
archeologo e grammalicc, ed nolo a lutti il giudizio di Cicerone che diceva a Varrone (arad. 1,
^3, 9), eh'esso avea sbozzato in parecchi luoghi la filoso Ha ; agli studii della quale aveva dato
impulso, raa sema farli gran fatto progredire.
qui viene naluralmcnte la domanda : quali dottrine filosofche professasse Varronc, a quale
scuola avesse dalo il none.
Varrone era stato con Cicerone e con Bruto iliscepolo di Antioro di Ascalona, il quale pro
fessava le dullrine della vrcrliia Arcademia, dille quali Cicerone invece si era alquanto ditcosiato,
per abbracciare ipielle dellj nuova, ed c a credi*re che Varrone vi s tenesse fedele perch, nel
caso diverso, sarebbe siala nna sconvenienza gravis'ima che egli fsse introdotto appunto come
difensore delia vrcchia Arcademia.
Ma andrebbe tultaia lungi dal vero chi facesse di Varrone un dommatico severissimo: nulla
di pi contrario all'indole romana, e al modo con cui essi intendevano gli slodii filosofici. K
quindi non deve punto sor[irentlere se nei libri De . /. c pi in qntlli delle Antichit io si
trovi difendere ed abbracciare anche delirine dilla Si allontanava con ci Varrone dalla,
scuola del suo maestro? Niente affatto, t i pare che An ioco si ft*sse adoperato li trovare una
conciliazione tra le due scoole accaderoica e stoico, e Cicerone dice di lui: che sarebbe stalo ^er-
manissimus stoicus s i pauca mutosset^ e cos il suo discepcdo [ler uno di quei tanti compro-
messi con cui devono sostenersi gli B'.clcltici, rimanendo nel fondo di scuola accademica, accett
dalla stoica il hteglio ed il buono, come trovi in lui dottrine [lilagoriche, epicuree, peripatetiche,
non fKlendosi tacere ancora che, specialmcnle nelle Me ippee, apparisce che Varrone non pren
deva sul serio la filosofia e forse, pi che altro, pendeva all' euevemerisrao.
E per venire pi dappresso al nostro libro, noi vediamo, come era comune presso gli scrit
tori rorpani, che la filosofia viene trattata non teoreticamente p, meglio, in astratto, roa nelle sue
applicazioni a qualche principio morale. Qui si tratta precisamente della grandi ricerca del supre
mo dei beni, ricerca vitale in vero, e non a torto dai filosofi antichi considerala come la pi im
portante d tutte.* u Quando sia messo in chiaro, scrve Cicerone nel quinto dei l.bri che dedic
ad illustrare questo argomento, quale sia il supremo dei -beni, la filosofia ha trovato il suo
fondamento. Imperocch ignorare e il trasc\irare qualunque altra cosa non porter danno altro
che relativo al pregio della cosa trascurata, ma il non conoscere quale sia il supremo dei beni,
vale tanto come il non sapet come vivere, nau'gare senza veder ou porlo dove trovar ripa
ro ecc. ecc. Nel trattare questa questione M. Tullio dichiara di tenersi alle distinzioni di Ctr-
neade accettale e difese da Antioco Ascalonita.
Ma curioso io vero il modo con cui la questione trattata dal nostro. Egli, priiaa di di-
charare il proprio sentimento, non solo espone in qaanti modi eia stata risolta prima di lui, ma
I 1 I /
1i45
IH M. TLIU'.NZIO VAIUIOM*: 1I 4()
in (|uanli poI reLbc essere t isolla, tn^olfaDilosi in .rJjissitcaiitMii a^sai inutili^ e creandosi delle
scuole flosofiche immi^inorie, j er lUlur poi le opinioni discordanti al loro t c i o numero, e come
apparir dal frammento ch* soggiungiamo^ a Iona di arzigogoli giungle a flabilire che intorno
al supremo dei beni si potrebbero avere niente meno che a88 opinioni d;Tercnii. K perch e
impossibile che tulle queste opinioni diilertscano solanzialmente tra loro tulle quante, ma molle
non simo discordi che in apparcnia, Varrone comincia a demolire redi f ui o innalzato, finch
riduce prima a sei le opinioni realmente diverse, come sei aveane stabilite anche Cicerone, e
poi a tre, Ira le quali Varrone ha da scegliere. E considerando egli, che uomo non u tutto
mati'ria n tutto spirito, ma che la sostanza materiale e vifificata daila spirituale, conchiude che
il supremo dei beni deve giovare ad ambedue queste sostanze e ripone la felicit nella vita sociale,
ins< guando che si deve cercare il bene degli amici come il bene proprio, non i est fingendo il
nome di amici a qielli che abitano la nostra stessa casa, ma comprendendo i conritladini; anzi
varcata la cinta delle mora, abbracciando lulte le nazioni che sono congiunte tra loro dai b' ga-
nii della umana sociila. Idte veramente generose, e che fanno ammirare in Varrone Uno spirito
ioperiore al suo tempo.
Nmi manc chi credendo troppo generosi questi sentimenti per un pagano, asseiisse che le
idte Varroniane erano state trasformale da S. Agostino. Io non lo crcdo^ perche sono idee gran
diose, vero, ma non ancora cristiane, e se S. Agostino le arreca, le arreca appunto per mostrare
in che iosa stitna ancora al disotio dalle massime della universale fratellanza sancita dal Vangelo.
Come abbi amo fatto al tra volta, il l ungo frammento abbi amo dato nella tradni i one che ar
cui l a fra i testi di l ingua. Di questo framruento di sput l. Krahner nella di s'erl azi cne ; De Var
rone ex Marciani safura supphndo^ che io non pol i i vedere; ma trovo nel Philologum (Xl l l ,
p. 7 0 1 ) ri assonte le sue i dee. Il Krahner ci ede che il l i bro De philosophia appartenga ai logi -
storici, che sia i mportante |<er ri conoscere quali* ci ilei io abbi a gui dato Varmne nel lo scegli ere
fra le di verse dottri ne di varie scuol e fihisofiche. Trova che il metodo i nqui si ti vo lo stoi co, che
anzi va pi ol tre degli stoici nelle categori e del le co>e di \i ne ed umane; che fra gli stoici fu sua
gui da princi pal e Cl eante, e che da Scnrca in pti , spui nl ni i nte i ra g'i Afi i tai .i , Varri ne consi de
rato come un'autori t anche in filosofia.
Per la intelligenza ili quel <he d u e seguire necessario premetlere la introduzione che fa
S. Agostino.
a . . . Chiamiamo ora il fne del bene non la co a che finisce per non es!<ere, mi^ la cosa
che si compie per essere picnaiueiite ; e fine del n>ale, non perch manchi d essere, ma ove
perduce nocendo. Sicch questi fini sono il sommo bene e il /ommo male. Delli quali trovare, e
mentre che noi siamo in questa vita, di acquistare il sommo bene, e di schifare il sommo male,
molto, dome io ho detto, si aiTaticaruno quelli che hanno studiato nella sipieniia, nella vanit
di questo secolo : e nondimeno, quantunque per diversi modi erranti, nin li ha permessi il ter
mine della natura disviare tanio dalla via della veiit, che alcuni non abbiano posti li fini delli
beni e delli mali nell'animo, alcuni nel corpo, ed alcuni nell* uno e nelP altro. Della quale tri
partita distribuzione quasi di generali sette, Marco Vrronc nel libro della filosofia not e cerc
sottilmente e diligeuteraente tanto graade variet di dottrine, che pervenne agevolmente a 288
sette, non che gi furono, ma che potrebbero essere, aggiungendovi alcune differenze, rt
La quale per mostrare brevemente, conviene che io cominci indi da quello che esso not e
pose nel detto lihrt) ; cio :
r.Quatuor esse quedam, quae homines sine
magistro, sine ullo doctrinae adminiculo, sine in
dustria vel arte, fiveodi, quae vir4us dicitur, et
procol dubio diacitur, velul naturaliter appetunt:
aut voluptatem, qoa delectabiliter raovetor cor
porie sensui; aut quietem, qua fit> ut oullam mo
lestiam qaitque corporii patiatur; aut utramque,
quam tameo qqIco Domine volopUtis picurui
appellat ; aut univenaliter prima naiurae, ia qui-
k> cl haec gunt, et alia^ ?el in corpore, ut mem
brorum integritas, et saluf *alqne iocolumilai
eius; ?el io animo, at eunt ea, ^aae Tei parva,
I. Sono quattro cose, le quali gli uomini na
turalmente appetiscono sema maestro, senza aiu-
torio d' alcuna dottrina, e senza iudustria od arte
di vivere, che si chiama virt, ed apparasi certa
mente; cio, ovvero il diletlo, per la quale si
muove dilettevolmente il sentimento del corpo ;
ovvero la quiete, per la quale uomo non patisce
molestia alcuna del corpo ; ovvero una e al
tera, la quale per un nome chiama Epicuro la di
lettazione; ovvero uoivertalmente le prime cose
della Datura, traile quali sono e queste ed altre
cose, ovvero nel corpo, come la integrit delle
'>47
l ' i: A M M 1. N T I 4
magna in lioniiniim reperiunhir ingentia. Ilare
igitur qualuor, id esi, voluptas, iiti iiinqiie,
prima naturae, ita soni in nobi?, ol vel virtus,
quam postea doctrina inserit, propter haec appe-
tenda sit, aut isla propter virtutem, aut utraqoe
propter'se ipsa : ac per hoc fiuot hinc duodecim
sectae: per hanc enim rationem singulae tripli^
cantor; quod curo in una demonstravero, difficile
non erit, id in caeleris invenire.
Coro ergo voluplas, omni virtuti aut subdi
tur, aut praefertur, aut iungitur, tripartita varia
tur diversitate sectarum.
Subditur sutem virtuti, quando in usum vir
tutis assumitur. Perlinet quippe ad virtutis -
cium et vivere patriae, et propter patriam ftios
procreare: quorum oeutruro fieri potest sinecor>
poris voluptate.
Naro sine illa nec cibos potusque sumitur, ut
vivatur ; nec concumbitur, ut generatio propage
tur. Cum vero praetVrlur virtuti, ipsa appetitur
propter se ip^am, virtus autem assumenda credi
tur propter illam, id est, ut nihil virtus agat, nisi
ad consequendam vel conservandam corporis vo
luptatem : quae vita deformis est quidem (quippe
ubi virtus servit dominae voluptati, quamvis nul
lo modo haec dicenda sit virtus), sed tamen ista
horribili/ turpitudo quosdam philosophos patro-
nos et defensores suos habuit. Virtuii porro vo
luptas iungitur, quando neutra earugi prnpter al
teram, sed propter se ipsas ambae appetuntur.
Quapropter sicot voluptas vl subdita, vel
praelata, vel iuncta virtuti, tres sectas facit ; ita
quies, ita utrumqne, ita prima naturae, alias ter
nas inveniuntur efficere. Pro varielate quippe hu
manarum opinionum virtuti aliquante subdun
tur, aliquando praeferuntor, aliquando iungan-
lur, ac sic ad duodeoarium sectarum numerum
pervenitur.
Sed iste quoqoe numerus duplicatur, adhibita
una differentia, socialis videlicet vitae : quoniam
quisquis scctatur aliquam istarum duodecim se
ctarum, profecto aut propter se tantum id aj^it,
aut etiam propter socium, cUi debet hoc velle,
quod sibi. Quocirca sunt duodecim rorum, qui
propter se tantummodo unamquamque tenendam
putant, et aliae duodecim eorum, qui non iohim
propter se sic vel sic philosophandum esse de
cernunt, sed eliam propter alios, quorum bo
nam appetunt, sicut suum. Hae autem tectae vi-
ginti quatuor iterum geminantur, addita diffe*
membra, e Ia salute c la sanila sua : ovvero net-
auiiD4 , rr>roe sono li maggiori ingegni ed indu
strie degli uomini. Queste adunque quattro cose
cio il diletto, la quiete, uno e altro, e le pri
me cose della natura, sono per tale modo in noi,
che eziandio la virt, che mette poi In coore la
dottrina, da euere desiderata per queste, ovve
ro queste per la virt, ovvero Pone e Taltre per
se medesime : e com sono dodici sette : per che
per questa ragione di ciascuna si fanno tre : la
qual cosa, quando io avr dimostrata in una, non
sar difficile a trovare nelP altre.
Conciossiaoosa adunque che il diletto del cor
po, ovvero si sottomette alla virt delP animo,
ovvero si soprappone, ovvero si giunge, si varia
in tripartita diversit di sette.
E sottomettesi alla virt, quando %\ piglia in
uso delle virt. Per che appartiene alPrtflcio del
la virt, e vivere alla patria, e per la patria gene
rare figKuoli : delle quali n P una n P altra csa
s pu fare senta diletto corporale.
Per che senza esso non si mangia, n beve
per vivere ; n si giace con la moglie per gene
rare figliuoli. Ma qoando si soprappone alle virt,
esso s' appetisce per s medesimo, e credesi che
le virt si debba pigliare per esso, cio, che la
virt non faccia niente, se non per acquistare e
conservare il diletto del corpo : la qual Tta dis
onesta; per che or che , se la v^rt serve alla
dilettazione come a sua donna ; posto che per
nullo modo questa si debbe chiamare virt : e
nondimeno questa orribile disonestade ebbe al
cuni filosofi patroni e difensori suoi. Cerio la
virt s' aggiunge alla dilettazione, quando niuna
d esse s' appetisce P una per P altra, ma ciascuna
per s stessa s ' appetisce.
Per la qaal cosa come la dilettazione o sog
getta, o soprapposia, o aggiunta alla Tirt, fa tre
sette ; cos la quiete, cos P uno e P attro, cos le
prime cose della natura, fanno tre sette per una.
Certo secondo la verit delle umane opinioni al
cuna volta sono sottomesse queste cose alte virt,
alcuna volta loprapposte, ed alcuna volta aggiun
te, e cos si perviene al numero di dodici sette.
Ma anche questo numero s ' addoppia aggiun
gendovi una differenza, cio della vita sociale :
per che ciascuno che seguita alcuna di queste
dodici sette, ovvero il fa solamente per s, ovve
ro anche per lo compagno, al qnale dee volere
quello rhc a s. Sicch sono dodici di coloro, che
reputano da tenere ciascuna di queste solamente
per a ; ed altre dodici di coloro, che si sono de
liberati non essere da filosofare cosi ovver cos
solamente per s, ma edandio per gli altri, il cui
bene appetiscono come il suo proprio. E queste
ventiquattro sette anche si raddoppiano, agglun
i>J. TtKLNZO VAlUlOM : ti5a
rentia ex cademids uovis, et fuot quadraginta
oclo.
Illarum quippe vigioli qualuor unamquam
que sectarum poletl quisque sic tenere ac defen
dere^ ut certam, quemadmodum defenderunt stoi
ci, quod hominis bonum, quo beatus esset, in
aoimi tantum virtute consisteret : potest alius ut
incertam, sicut defenderunt Academici , qnod
eis, etsi non centum, tanien veri simile videbatur.
Viginti quatuor ergb funt per eos, qui eas
velut certas propter veritatem, et aliae viginti
quatuor per eos, qui easdem quamvis incertas
propter veri similitudinem sequendas putant.
Rursus, quia unamquamque istarum quadraginta
octo sectarum polest quisque sequi habitu caete-
rorum philosophorum, itemque potest alius habi-
tu cynicorum, e i hac etiam differentia duplican
tur, et nonaginta sex fiunt.
Deinde quia earum singulas quasque ita tueri
homines possunt atque sectari, ut aut otiosam di
ligant vitam, sicut hi, qui tantummodo studiis
doctrinae vacare voluerunt, atque valuerunt ; aut
negotiosam, sicut hi, qui cum philosopharentur,
tamen administralione reipublicae regendisque
rebus humanis occupatissimi fuerunt ; aut ex
utroque genere temperatam, sicut hi, qui partim
erudito otio, partim necessario negotio, alternan
tia vitae suae tempora tribuerunt.
Propter has differentias polest etiam triplica
ri numerus iste sectarum, et ad ducentas octogin
ta octo perduci .... ^
Removet ergo prius omnes illas differentias,
quae numerum multiplicavere sectarum : quas
ideo removendas putat, quia non in eis est finis
boni. Neque enim existimat ullam philosophiae
seciam esse dicendam, quae nou eo distet a cete
ris^ quod diversos habeat fines bonorum t malo
rum. Quando quidem nulla est'homini causa
philosophandi, nisi ut beatus si t: quod autem
beatum faciat, ipse est finis boni : nulla est igilnr
causa philosophandi, nisi finis booi : quamobrem,
quae nullum boni finem sectatur, nulla philoso
phiae secta dicenda est.
Cum ergo quaeritur de sociali vita, utrum sit
tenenda sapienti ut summum bonum, quo fit bo
n o beatus, ita velit et curet amici sui, quemad
modum suum, ao suae tantummodo beatitudinis
causa faciat, quidquid laciat ; iiou de ipso svmmo
bono quaestio est, sed de assumendo vel non as-
sumendi socio ad huius participationem boni,
non propter sc ipsum ; sed propter eundem so
cium, ut eius bouo ita gaudcjt, sicut gaudet suo.
Ia Ia differenta delle novitadi di Accademia, e so
no quarantotto.
Per che ciascuna di quelle ventiquattro pu
aHri tenere e difendere come certa, come dife-
sono li stoici, che bene dell uomo, per lo quale
beato, sta solamente nella virt dell' animo:
puossi eziandio difendere, come la difesono li
nuovi accademici, come incerta, per che posto
che non sia certa, parea nondimeno verisimile.
Sono adunque ventiquattro per coloro, che le
difendono come certe per la verit, ed altre ven
tiquattro per coloro, che, posto che incerte, le re
putano per pure da seguire per la verisimilita-
dine. Anche perch ciascnna di queste quaran
totto sette pu altri seguitare per abito dell
altri filosofi, ed altri per abito delli cinichi, pe
r per questa differenzia si raddoppiano, e sono
novantasei.
E poi perch ciascuno pu altri seguitare e
difendere, ovvero per tenere ed amare vita ozio
sa e quieta, come coloro che vogliono vacare so
lamente alli studii della dottrina, e possono vaca
re; ovvero per tenere vita negotiosa, come quelli
che filosofando furono occupatissimi nella ammi
nistrazione della repubblica e reggere le cose
umane ; ovvero che mischiata delP una e del
l' altra maniera, come coloro che parte attribui
rono li tempi della loro vita alternatamente alla
quiete dello studio doltriuale, e parte al necessa
rio negozio dello operare.
Per queste differenzie si pu triplicare il na-
mero di queste sette, e fanno dngenlottantotto ...
Rimuove adunque prima tulle quelle diffe
renzie, che moltiplicano il numero delle sette;
le quali per reputa da rimuovere, per^^ non
in loro il fine del bene. Per che nou si stima
dovere chiamare veruna setta ^di filosofia, se non
differente dalle altre, perch abbia diversi fini
di bene e di male. Quando certo non veruna
altra cagione all' uomo di dovere filosofare, se
non per esser beato : ma quello che fa beato,
quello fine del bene : adunque non veruna
cagione di filosofare, se non il fine del bene:
per la qual cos^ quella che non seguita ninno
fine del bene, non si dee chiamare setta d alcu
na filosofia.
Quando adunque a' addomanda della vita so
ciale, se da tenere al savio, sicch curi e vo^ia
il sommo bene dello amico suo, per lo quale l' uo
mo diventa beato, siccome 51 suo proprio, ovvero
se faccia solamente quel che fe per cagione di s;
non questa quistiune del sommo bene, ma di
pigliarvi o non pigliarvi il compagno a partecipa
re questo bene, non per s medesimo, ma per lo
1 compaguo, sicch si goda cos del bene altrui, co-
1 li A >1 1. N 1
l um f i i n quifiil ur te acaileiuicis novi, qil>us
incerta uni omnia, ulriini ita sinl ree htlnnJae,
in cjuibus philosophunduro csl, an sicul aliis plii-
losophis pUcuil, cerlas eas liaberc drbeamus, non
<|uacritor quid in boni fine scclanJnm sii, eed de
ipsius boni verilale, quod srclandun Tdelar,
ulrtyn sii, nec ne, dubilandum : hoc esl, ul ita
planius rloquar, utrura ila serlanJura sii, ul> qui
seclalur, dirat esse verum ; an ila, ul qui secia
tur, dicat veruiD sibi videri, ctiamti forle sii fai-
eum ; lamen ulerque secletur unum atque idem
4)omim. io iUa etiara differenlia, quae adhibetur
ex habilu el consuetudine cynicoruip, non quae
ritur, quisnam sii finis boni, sed utrum in ilio
habitu el consueludine sit vivendum ei, qui te-
rum sectatur bonuro, quodlibet ei ?erum esse t
dratur atque seclanluro.
Denque fuerunl, qui, ciim diversa scquerrn-
lur bona fnalia, alii virlulcm, alii voluplateni,
curodem tamcn habituro et consuetudinem teiie>
bani, ex quo cynici appellabantur. Ita illud, c|uid
quid est, unde philosophi cynii.i discernuntur a
catlei is, ad eligendum ac tenertduro bonuro, quo
beati fierenl, utique nihil valebat. Nam si aliquid
d hoc interessei, prolVclo idem habitus euudcm
finem sequi rogeret, el diversus habilai eundem
sequi finem non sincri*t:l . . .
Marcus \^arro qualluor adhibens diflc-
rcntias, id esl, ex vila sociali, ex academicis no
vis, ex cynicis, ex isto vilae genere tripartito, ad
sectas CCLXXXVl l l pervenit, et si quae aliae
possunt similiter adiici ; remotis iis omnibus,
quoniam de sedando summo bono nullam infe
runt quaestionem, cl ideo sectae ncc sunt, nec
Tocandae sunt, ad illas duodecim, in quibus quae
ritur, quid sit bnnum hominis, quo asiecuto fil
bealGS, ul ex eis unam veram caeteras esse
osiendat, revertitur.
Naro roraolo illo tripartito genere vitae, duae
paries huius numeri detrahuntur, et sectae no
naginta sex remanent. Remota vero differentia ex
cynicis addila, ad dimidium rediguntur, el qua
draginta ocio fiunt. Auferamus etiam, quod ex
academicis novis adhibituro est, rursus dimidia
pars remanet, id esl, viginti quattuor.
De sociali quo(|ue vita, quod accesserat, stnii-
liler auferatur, ct duodecim sunl reliquae, quas
ista differentia, ut viginli quattuor fierent, dupli-
caveral. De his ergo duodecim nihil dici potesi,
cui sectae non siut habendae. Nihil quippe aliud
in eis quaeritur, quam finis bonorum et malorum.
Invenlis aulem bonorum finibus, profecto e con
trario sunl malorum. Mac autem ul funt duude-
roe dei proprio. Anche quando s'addonianda delti
accademici nuovi, alii quali sono tutte le cose iu-
certe, se 1 cose, nelle quali si dee filosofare, dob
biamo tenere per incerte, ovvero pure secondo
gli altri flosoB, tenere |>er certo, noo si cerca quel
lo che si debba seguitare nella (ine del bene, ma
quello che paia da seguitare tlella verit d' esso
bene, cio, se U dubitarne o oo : cio, per
dirlo pi chiaro, se si debba seg^tare, sicch chi
il seguila, dica che sia vero; o che dica che li
pare vero, posto forse anche che aia falso; e nou-
diroenu Tuno e altro seguitino un medesimo be
ne. Ld in quella anche differeotia che s' aggiu-
gne per abito e per usaoxa delli ciiiichi, non
si cerca qual aia il fue del bene, ma se si dee vi
vere iu quello abito ed in quella consuetudine,
chi vuole ifguilare il vero bene, che li pare vero
e da essere seguitato.
P*r che iiiroiio di quelli che segiiiUndo di
versi bviii finali, alcuni la virt, ed alriiiii il di
letto, nondimeno teneano quel medesimo abito e
consueludiiif, dalla quale erano chiamati cioirhi.
E cosi ci che s' e quello, ontle si disrernono li '
cinichi dalli altri, a eleggere e tenere il bene, per
lo quale diventino beali, non vale niente a ci.
Pt r che xe facesse alt uoa cosa a ci, certo si ri
chiederebbe, che quello abito costrignesse a quel
medcsinio fne, e il diverso abito non lascierebbu
a seguitare quel medesimo fine . . . . .
. . . . IVlarco Varrone aggiungendo quattro dif-
ferenzie, cio (>er la vita soziale, per li accademici
nuovi, per li cinich, e per questa tuaniera di vita
triparlila, pervenne a dugento otIanUilto selle,
e (|ualuiique altre si | h i k s o i i o similiiiente aggiugnc-
re ; perch non fanno quislioae del seguitare il
sommo bene, rimosse tulle quelle altre, e per
non si vogliono chiauHire selle, e non sono, a
quelle dodici, nelle quali si cerca che va il bene
deir uomo, il quale arquisialo diventa bealo, ri
torna a mostrare che J' una di loro vera, e tulle
le alire sono false.
Per che rimossa quella tripartita maniera di
. vita, si levano due parti di quesito numero, e ri
mangono novantasei sell^. E rimossa aggiunta
differenzia delli cinithi, si scema la mela, e riman
gono quaranlollo. Leviatine anche quello che
aggiunto dalli accademici nuovi, e rimane pure
la meta, cio ventiquattro.
K dello vita sociale se ne levi quella aggiunta,
rimangono dodici [che per questa differenza
erano state raddoppiate e risultarono
tiguatfro']. Di queste adunque dodici non si
pu dire nulla, perch non si debl>ano chiaroarc
sette. Per che non si cerca iu esse alito. che li
fini delli beni e delli mali. E trovati li fini delli
beni, lro\ii certo per contrario che sono li fini
DI . T KRtNZlO VARRONK u54
eira fecf^ae, iila qoallnor Iripicanlur, voluptas,
qui es iilrumque, <*1 prima naturae, quae priini>
genia Varro creai. Uec quippe qaatlQor dum
gingitialiru vjrluti aliquando nubtlunlur, ut non
proplcr se ipsa, sed propter oiHciuni virtutis |>
peleoda videantur, aliquando praolerunlur ut
1)01) piQpler ae ipia, aed propter haec adipisccn-
Ia vel conservanda^ oeceiiaria virtus putetur, ali
quando iuuguntur^ ut propter se ipsa d virtu% et
iata appetenda credantur; quaternarium iiume-
rum triplum reddunt, ei ad duudecim f<*ctai per
veniunt. x iilis autem quatunr rebua Varro tres
toUit, voluptatem scilicet, et quietem, et utrum
que : non quod eas improbet, sed qnod primige
nia illa uaturae et voluptatem iii se habaani, et
quietem. Quid ergo opus est, ex his duabus, tria
quaedam facere, duo scilicet cum sin^illatim ap
petuntur, voluptas aut quies, et teriium,cum am
bae simut : quaadoquidem prima naturae, et
ipsas, et praeter ipsas, alia multa contineant? De
Iribus ergo seclis, ei placet, diligenter esse tra
ctandum, quaenam sil potius eligenda..........
. . . . Qnia summum bonum in philosophio,
non arboris, noo pccoris, non Dei, sed huminis
quaeritur,quid sil ipse homo, quaerendum putat.
Sentit quippe in eius natura duo esse quaedam,
corpus et animam: elborum quidem duorum, me
lius este animam, longeque omnino praestabilius,
non dubitat; sed utrum anima sula sit liomo, ut
ita sit ei corpus tamquam equus equili, quaeren
dum putat, tquea enim uon homo et equus, sed
solus homo est: ideo tamen eques dicitur, quud
aliquo modo se habeat ad equum. Au corpus so
lum sit homo, aliquo modo se habens ad animam,
sicut poculum ad potionem : non enim talix ei
polio, quam continet calix, simul dicitur pocu-
Ittni, sed calix solus; ideo tamen, quod potioni
eontioeudae sit uccommodatus. Au vero necauinia
sola, uec solum corpus, sed simul utruraque sit
homo, cujus pars sit una, live anima, sive corpus,
ille autem totue ex utroque conitel, ut sit humo :
sicot duos equos )uuctos bigas vocamus, quorum
sive dexter, sive sinister, pars est bigarum, unum
vero eorum, quoque modo se babeal a<i alterum,
bigas nou dicimus, sed aiubus simul. Horuai au
tem trium hoc tligil tertium, hominemque nec
animam solam, ncc solem corpus esse, sed animam
simul et corpus arbitratur. Proinde summum bo
num bominis, quo fit beatus, ex utriusque rei bo-
Dif constare du:it, ct animae ^oilicei ei corporis.
Ac per hoc prima illa uaturae propter se ipsa exi
stimat eise expetenda, ipsamque viriutem, quam
doctrina inserit velutartem vivendi, quae iu ani-
Fr a mme n t i di M. T b . Va r r o r b.
delli miR Ma rhe queste si faociannT dodici *e4te,
fi tri(dicai)o quelle qnatlro, doc il diUlto, la
quiete, uno e altro, e k prime coe della
natura, le quali vuole A^arrone che li ciriamino
primigehK;. Hr che qiie.tte quattro, quando eia-
scuLna per se si soHomelte alia virt, licrb non
si a[)peliscano per l medesime, per servi re
alla virt ; ali;nna volta xi soprappor>gono, sic
ch la virt reputala necearia nun per. s
medesima, ma per acquietare e conservare quelle
cose; alcuna volta si congiunpono, cicche queste
6 >5 9*appetiscono per s, e la virt s* appolisce
prr s; il numtro di quattro tripliralo perviene
a dodici sette. !Ma di quelle quattro cose Varrone
ne leva tre, cio il diletto, e la quieie, e uno e
altro : non che le riprovi, ma perch quelle pri
migenie della naitira hanno in s diletto e quiete.
Or ohe bisogna adunque di queste due farne tre,
cio due, quuiitlo diletto e la quiete s'appeti
scono ciascun ftvr s ; ed il terzo, quando amen-
dne insieme ; quando certo le prime coe della
naiura contengono tise e molte altre cose pi 7
Di tre adunque sette li piare di trattare diligente
mente, quale d esse tre debbia pi^ tosto essere
elctla . .
Pi imamenie per che nella filosofia non
si cerca il sommo bene dell'arbore, n della be
stia, ni di Dio, ma dell' uomo, cerca cosa sia esso
uomo. Per che tenie nella sua natura essere due
cose, cio il corpo e anima : e d questa due
non dubita al postutto, che non aia meglio t pi
nobile l'anima; ma se l'anima sola sia tomo,
sicch il corpo li sia come il cavallo al cavaliere.
Per che l cavaliere non uomo e cavallo insie
me, ma solo uomo; nondimeno per si chiama
cavaliere, perch ha a fare qualche cosa col ca
vallo. Il se '1 corpo solo sia uomo, che ha a fare
qualche cosa all' anima, come la coppa al bere :
|er c he la coppa e'I vino, che contiene la coppa,
non si chiama beveraggio, ma solo coppa ; per
che fatta a tenere il vino. E se cos n aola
anima, n solo il corpo, ma uno e l'altro in
sieme sia uomo, la cui una parte sta, otvero Pani
ma, ovvero il corpo, ma tutto lui, acci che sia
uomo, sia composto dell' uno e deH' altro : come
due cavalli chiamiamo una coppia alla carretta,
delli quali o 'I diritto, o '1 manco, parte di
questa coppia rarrettiera, ma un di loro io qua
lunque modo si stia ii verso l' allro, uon chia
miamo coppia di carretto, ma ambedue insieme.
K di questi tre ha rielto questo teito, che 1' uomo
non sia sola anima, n solo il corpo, ma insieme
l'anima e il corpo. Sicch tl sommo bene dtll'uo-
1140, per lo quale diventa bi alo, composto delli
beui deir una coxa e dell'altra, do dell'anima
e del corpo, Per si stima che quelle prime cose
ii55 F R A M M E N T I m 56
roe bonis excellenliisimain boniim. Quspro-
pter eadem ?irlut, i< est, ars agendae vilae, rum
acceperit prima nalorae, quae sine illa eranl, led
laroen eranl eliam, quando ejus clortriita adhoc
deeral omoa propter se ipsam appetii, aimulque
elam se ipsam : omnibusque* timul, et se i|sa
utilur, eo line, ut omnibus delectetur, atque per-
trualur, m|;is minosque, ut quaeque inter se ma-
)ora atque minora sunt, tamen omnibus gaadens,
et quaedam minor, si necessitas postolal, propter
najora ?cl adipisaenda, rei teoenda contemoet.
Omnium autem bonorum, Tel animi, rei cor
poris, nibil sibi virtus omnioo praeponii. Haec
eoim bene atitur et se ipsa, et caeteris, quac bo>
moem iaciant beatum, bonis. Ubi vero ipsa non
est, qnamlibet moli siiit bona, non bono ejas
sant co jus suni ; ac per hoc jani nec rjus bona
dicenda sunt, cui male utenti ulilia esse non pos*
sunt.
Uaec ergo %ita bominif, quae virtote et aliis
animi et corporis bonis, sine quibus virlus esse
non potest, i'raitur, beala esse dicitur : si vero et
aliis sioe quibos esse virtus polest, vel ullis, vel
pluribus, beatior : si autem prorsus omnibus ut
nulluni omnino bonum desii, vel animi, vel cor
poris, beatissima. Non enim hoc est vita, quod
virlas; quoaiam non omnis vita, sed sapiens vita
virtus est: et tamen qualiscumque vita sine uUa
virtute potest esse ; virlas vero sine ulla vita esse
non polest. Hoc et de memoria dixerim atqoe ra
iiooe, et fi quid aliud tale est in homiue.
Sant euim haec et ante doctrinam, sine bis
autem non potest esse ulla docVi ius : ac per hoc
nec virtus, quae utique discitur. Brne autem cur
rere, pulcbrum esse corporr, viribus ingentibus
praevalere, et celera hujusmodi, talia sunt, ut et
virtos sine his esse possit, et ipsa sine viriute;
bona sunt tameo ; et secundum istos, etiam ipsa
propter se iptam dili|;itar virtus, utitarque illis
et imitor, sicut virtutem decet. Hanc vitam bea
tam, etiam socialem perbibent esse, quae amico
rum bona, propter se ipsa diligat, sicut sua ; eis-
que propter ipsos hoc velit, quod sibi, sive in
domo siut, sicQl conjax et liberi et quicamqae
domestici; sive in loco, ubi domus ejus est,siculi
est orbs, at sunt hi, qui cives vocantur ; sive in
loto orbe, ut sunt gentes, quas ei societas humana
coD)agit ; sive io ipso mando, qui censetor oo
mioe coeli et terrae, sicut esse dicunt deos, quos
volont amicos esse hominis sapientis. He bono>
rum autem, el e contrario malorum finibus ne-
della natura fi debbano desiderare per se medesi
me, e quella virt chela dottrina ci mette in coore
come arte di vivere, ai deve desiderare come eo
cruentissimo bene traili beni dell*anima. Per la
qual cosa quella virt, cio arte di menare bene
la vita, quando avr ricevuto le prime cose della
natura, eh'erano senia essa, ma erano anche quan
do non avevano la dottrina, ogni cosa appetise
per s medesima, e cosi eziandio se medesima : e
lotte insieme usa a a medesima, a fine che si di
letti io lolle, e che tulle le fruisca, pi e meno,
secondo che sono maggiori e minori, godendo
nondimeno di tutte, e dispretiando, te bisogna,
alcune minori, per acquistare e conservare le mag
giori.
Ma la virt non si soprappone nulla delli beni
o deir animo o del corpo. Per che questa oa
bt'iie s medesima, e li altri beni che fanno V no
mo beato. Ma dove non essa, quantuuqoe sieoo
molti beni, non sono per bene di colui, di cui
sono ; e per conseguente non si devono chiamare
suoi beni, a cui male osante non pofsono essere
utili.
Qoesta adunque vita, la quale froisce la virt
e li altri beui dell* animo e del corpo, senza li
quali non pu essere vi rio, si chiama beala : ma
se tVoisce li all ri, seuza li qoali non pu essere la
virt, sar pi beata : ma se li fruisce tutti, sicch
non manchi al pi>stutto veruna bene dell* animo
n del corpo, sar bealissiiiia. Per che noo aooo
una medesima cosa la vita e la virt ; per che non
ogni vita virt, ma la vita sapiente: e nondime
no ciascuna vita pu essere senza alenna virt :
ma la virt non po essere senza alcuna vita. E
questa dico drila memoria e di qoalunqoe altra
tale cosa che nell'uomo.
Per che queste cote sono innanzi alla dottri
na, ma senza esse non po easere veruna dottri
na : e per conseguente n anche la virt la quale
cerio s'impara. Ma bene correre ed essere bello
del corpo ed essere forte, e eotali altre cose sono
tali, che la virt pu essere senza esse, ed esse
senta virt : nondimeno sono beni, e secondo co
sloro la virt le ama per s medesima ed usale
e froiscele siccome si conviene alla virt. E cosi
dicono essere la vita sociale questa vita beata, la
quale ama l beni delli amici per s medeaima
come suoi e vuole a loro quello che vuole per
s; ovvero sieno in casa, come la moglie, li figliooli
e altra famiglia ; ovvero nel lougo, ov* la so
casa, siccome la citt, come sono li oomioi che
si chiamano cittadini ; ovvero in lotto Mmondo,
come sono le genti che ha congionta la compagnia
umana; ovvero in tutto il mondo, che comprende
il cielo e la terra, come sono li fiddii li quali vo
gliono essere amici all'uomo s a v i o M a delli pi
gant ollo modo Me dubitaiiUum, et hanc iiiler le
et novot academkos affirroaut cs^e diaUnliani,
oec Corani inleresl cfuidqoanl* sive ciuico, tive
afio quolibrl habilu et toIu in his Oniliu.s i|iiot
115; DI . T ERENZIO VARRONE ii58
eros potaut, quiaqae philosopkelur. E& Iribus
porro illie vitae generibus, oltoio, acluoacs et
quod ex alroqae corapotitum est, hoc tertom
Ibi piacere affirmat. Haec fenaitie ac docuisie
cademicoa veterea. Varr asiert, aoclore Antio
cho, magflro Ciceronis et suo^qacm aane Cicero
in plaribos tuitae itoicuio quan velerero acaile-
roimin fideri.
delli beili e lelli mali ntgano doTerii dubitare
per vtruuo nunlo, e dicono etseie quesla diffe-
renzia tra loro e li niio?i accademici, chiaminsi
qualuii|uii iMirie i vogliono, ed iisiai che abito
si vuole, ovvero cinichi o altri che si metta a filo
sofare in questi fini che reputano veri. Ma di
quelle tre maniere di vita attiva e contemplativa e
mischiata, efft'tmano che piace loro questa terza.
E dice Varrone che coi credettero e insegnarono
Li accademici v<?cchi, come dice Antioco maestro
di Cicerone e suo, il quale certo Antioco Cicero*
ne vuole che p)4 pi stoico che vecchio accade
mico.
Laudatio Porciae.
licordata nel catalogo di S. Girolamo questa scrittura di Varrone in onore di Porcia
sorella di M. Catone e moglie di Domizio Enobarbo, e non nc avanza alcun frammento. certo
per che Varrone Parevi coinposla |-c*rchc Cicerone in una lettera ad Aniro (, 4)
averla letta.
Orationum libri XXII.
Secondo opinione del Ritscbl (Mus. Renano VI, pag. 496) ventidue libri di orazioni che
nel catalogo di S. Girolamo si trovano ricordati, non si devono intendere altrimenti che per
a2 orazioni distinte, e orazioni non recitate, ma scritte per lemjdice esercizio retorico. nolo
gi che Varrone non ebbe mai fama di oratore, e Cicerone nella storia dell* arte oratoria che
tratteggi nel Brutus non fece menzione alcuna di Varrone come oratore, nemmeno alla sfug
gita. Tuttavia si andrebbe troppo oltre se si negasse risoliildmenle, che Varrone abbiadai tenuto
in pubblico discorsi, essendoch non conosciamo per appunto la sua vita pubblica; come va
probabilmente troppo oltie dal verso opposto il Boissier sentenziando che devono tenersi per
discorsi veramente recitati al popolo. Il giudizio di Cicerone fu confermato anche dai poste
riori. Quititiliaiio diceva di Varrone : th egli aveva pi fatta avanzare la scienza che la elo
quenza : S. Agostino si doleva che la lornia esteriore dello stile del suo maestro fosse poco at
traente. N queste sole sono per avventura le orazioni di Varrone scritte e non recitate: ma in
questa classe da annoverare forse e la Laudatio Porciae sopra ricordata e le altre laudationes
di cui trovi fatto cenno nelle Acad. Post. (2 extr.), sopra delle quali non parmi dovere insistere
troppo, perch il passo di Cicerone non criticamente senza qualche dubbiezza, mentre alcuni
lo ciedono integro, altri lacunoso. Le laudationes erano " discorsi tenuti in lode di un de^
funto illustre, e quindi potevano facilmente dare argomento a digressioni morali, o di altro ge
nere. Questa maniera di discordi era grandemente importante per la relazione che aveano colle
tradizioni delle famglie, ed erano uno dei mezzi coo cui i giovani cominciavano a far parlare
di se e a venire in rinomanza. E rettamente, parmi, questo carattere, direiito cos, (giovanile
delle laudationes^ da giudicare la causa, perch cosi di rado venissero poi divulgute (V. ' leuf-
fel, Gesch, der Rm. Littraiur^ pag. 52). a notare che le laudationes erano Ira le scritlure
.varroniane quelle avea mescolato multa ex intima philosophia (Cf. Cic. Acad. 1, 2, 8).
Suasionum libri I II.
Secondo la consuetudine del parlare romano si chiamavano Suasiones quelle orazioni, le
quali avevano per iscopo di raccomandare accettazione di una legge propo&ta : cosi Cicerone
ricorda una Suasio itgts Serviliae, Quantunque per Suasiones si chianoassero ancora i di
5rorsi i1i Gre delti itavr,>up(xoc ( Cr. Cic. Oralor. 11, 87; Quot. Il i , 4^ >4 * Hl. art.
reili. 9, 12), io credo die i tre libri delle Suatones Tarrooiaoe liano da intendere nel senso
primo e pi comuoe. l anche qui, come il solilo, mi IroTO .in disabcordo c<>l Buisiier, ii qoale
invece crede le Suasionts vu esen'izio retorico. Basta ricordare in latti, che, nei venti anni
ciica duratile i quali A'airone fu partigiano fedele e fervente di Pompeo, ben pi di una volta
si deve essere presentata occasi one d difendere qualche legge favorevole agli interessi del parti
to, e Varrone deve essere impegnato a cenvalidare colla sua autorevole parola le proposte, seox
per che per questo e|*li potesse o dovesse tenersi per oratcre propriamente detto. E non
.'tenia probabilit Pacnta osxervazione del RitschI (Mus. Rh., Voi. VI, p. 49?)i
ritenere come casuale, il posto ha due scritture di genere politico che assegnalo nel catalogo
di S. Girolamo alle Suasiones : non si polendo negare che, quantunque in molle parti ooa si
possa pi riconoscere, pure in generale quel catalogo condotto con ordine sistematico, dove
erati o messe assieme le scrilcure che aveaiio un carattere comune per argomento tratt al o. An-
I he delle Suasioiies^ come delle due scritture sopra ricordate non altro rimasto che la memoria.
5) F R A M M E N T I 1 1 6 0
Legationum libri I I I .
Quanto pi era da temere, che dopo la vittoria di Cesare il giudiiio dei posteri sarebbe
sfavorevole o almeno non pienamente coniorme al vero a riguardo di Pompeo, tanto era ma
giormente impegnalo Tenore di Varrone a lasciar egli delle veridiche memorie intorno uomo
di cui aveva con incrollabile fedelt abbracciate le parti, di cui aveva goduta la fiducia, di coi
aveva conosciuti e con ogni suo metio favoriti i piani, di cui aveva partecipato cos alle glorie
come alle disfatte. Tuttavia egli non si tenne obbligato a scrivere distesamente una.vita di Pom
peo; ma, come appare dal titolo allegato della presente scrittura, egli' si limit in questa apolo
gia politica a quegli anni in cui la storia di Roma e l'avvenire della repubblica erano legale
alla persona di Pompeo : anni dei cui avveiiimenli Varrone poteva far fede o come testimonio
di veduta, o come stretto in rapporti assai intimi cogli allori. Le nostre tradizioni fanno coiio>
scere che Varrone ebbe due volte parte attiva nel movimento dei tempi Pompeiani, e ambedue
come l eg^us Pompeii^ prima nel 687 durante la guerra piratica, poi nel 706 durante la guerra
di-Spagna contro di Cesare. Per questa seconda ci fa fede Cesare stsso; per la prima fcnno
testimoniania espressamente Appiano (Mithr. g 4) e Floro (111, 6), e indirettamente Plutarro
(Pomp. 25, 26). Le quali cose bastano per giustificare appieno, che fra le scritture di Varro
ne ve n' abbia una col titolo Lfgationum (intendi suarum)^ dove esso rendeva conto della parte
eh' egl i . ebbe in quelle imprese colia qualit di Itgatus. Ma e oltre queste non potrebbero es
servi state ancora altre legationes di Varrone 7 Nulla infatti di pi verosimile che quell'uomo
cos avido di cognizioni, che voleva acquistare la notizia pi sicura di tulli i popoli, di tatti i
paesi, e che lasci in cos numerosi frammenti, documento, che il suo desiderio non era stalo
n infruttuoso nc vano, e testimonianze tali da far conoscere ch egli non si era accontentato di
notizie attinte solo dai libri, ma che aveva veduto coi suoi occhi quello che scrveva, abbia fatto
molteplici viaggi: egli poteva come srnatore ottenere con grande farilil di quelle cos dette
liberae legationes per over opportunit di visitare le provincie e le lerre confinanti. Queste
ancora andrebbero comprese sotio il titolo generico legationes ; mu [iure, escludendo anche le
liberae^ non iniondato il leo.opetlo che le legationes piofniemente dette sieno di pi che le
due sopra ricordale. Alla guerra piratica segu coff imnie<liatametite la Mitridatica che non par
verosimile, che Pompeo abbia repentinamente licenziati litlli i.suoi 24 (o 25 che fossero) legati,
che gli aveano prestalo cos inlclligntc e utile opera, e li abbia mutali con altri ; e molto meno
che abbia da s allontanato Varrone, che, solo fra tanti, aveasi meritalo Tonore cosi raro di UDa
corona nax^alis {rostrata), come safipiamo e da Fcslo e da Pii io. E forse un argomento che
Varrone prese persontnlnicoie parte all spedizione Mitridatica si potrebbe trarre dal luogo aU
tro\e illustrAto di Plinio (VI, 17, 5 i ) : fldustuni ipsius maris (Caspii) dulcem esse et Ale~
xander Magnus prodidit^ et M. Varr talem perlatum Pompeio iuxta res gerenti Mithri-
datico bello^ magnitudine haud dubie influentium amnium victo sale. Adi i eit idem Pom
peii ductu exploratum in Bactros septem diebus ex India perveniri ad learum Jlumen quod
in Oxum influaty et ex eo per Caspium in Cyrum subvectas quinque non amplius dierum
terreno itinere ad Phasin in Pontum Indicas poste devehi merces. E forte non 1
lungi dal vero amraelleoJo, che U roaleria Kti tre libri legationum foste ripartila cos, che. uoo
comprendesse la legaxione nella guerra piratica, uno quella nella guerra Milridaliia, il lerio
juella nella (guerra di Spagna, poich, tehbenc k due prime ti sieoo in ordine di lerapo tuece-
dule imruedialaroenle, pure erano legalmente due distinte, tant' vero, che Pumpeo ti fu auto
rizzalo da due leggi diverte, la Gabinia e la Manilla. Dopo il trionfo invece di Pompeo, che
egli celebr nel 69/1, finita la spedLzioiie ssialira, fno al in cui scoppi la guerra civile, non
ti saprebbe veramente trovare occasione ad una legatio di Varrone. Dei pari dopo la legazione
di Spagna, la quale ebbe fine colla con5egiia delle legioni a Cesare, troviamo, vero, Varrone
tegnire Pompeo in Grecia ora a Durazzo (Cic. De div. 1, 3a), ora a Corf (De re rutt. I, 4);
ma non si potrebbe chiamar questa una speciale legazione, e il corto spazio di tempo che si
chiuse col disastro di Farselo non avrebbe presentato tale abbondanza di fatti che la materia
uguagliasse in ampiezza qutlla delle legazioni precedenti.
Del lesto, come aveva gi sujiposto lo Schnciilcr {De wVe et scriptis Varronis^ . 22),
forni%ano materia ai tre libri legationum noo soltanto i fatti di guerra, ma tutte quelle osserva
zioni ancora, che diremo scientifche, che Varrone poteva fare trovandosi sulla laccia dei luoghi.
E tra queste il primo luogo spetta alle geografiche. AI passo sopra ricordato intornp al mar
Caspio ti potrebbe quindi aggiungere questo intorno al punto pi stretto fra il mar Adriatico
e Ionio (Plinio III, 11, 101): Hoc iuteri>allum pedestri continuare transitu pontibus iactis
primum Pyrrhus Epiri rex cogitavit ; post e//m AI. Varro rum classibus Pompeii piratico
bello praeesset : utrumque aliae impedivere curae; sapendosi da Floro e da Appiano che
P Adriatico e Plonio erano le stazioni affidate alla guardia di Varrone in quella guerra. La
quale rosa da Varrone st*Sio di< hiarata espressamente : Sermonibus nostris collutis cum iis^
qui pecuarias habuerunt in Epiro magnas^ tum cum piratico bello inter Delum et Siciliam
Graeciae classibus praeessem (De rc rust. 11, praef. 9). luogo di Plinio (XVIII, 3o, 807)
ci fa credere che A^arrone visitasse Acarnania : Idem {Farro auctor est) fabam a Pyrrhi
regis aetate in quodam specu .4 mbraciae usque ad piraticum Ponipeii Magni bellum du
rasse^ corne uno di Servio (ad Aen. 111, 34o) si riferisce all autorit dello stesso Varrone per
il soggiorno nell ' Epiro : Farro 'Epiri se Juisse dicit et omnia loca iisdem dicta nominibus
quae poeta commemorat se vidisse. N Md altro tempo che a questo della guerra piratica ti pu
riferire il viaggio ciregli fece in Lidia, di cui fatto ric^'rdo nel IIJ De re rust. (XVII, 6).
Se si trattasse di altro autore che Varrone si potrebbe fare pi a fidanza nella distribuzione
dei frammenti, e nelP assegnare a questa pi che a quella st^ritlura Tona o l altra memoria che
si trovi negli autori i quali lo hsnno consultalo. IVIa per lui non si procede con cautela mai
sufficiente: coti p. e., trovando in Nonio, p. 24^: Caesar reversionemJeciC^ ne posi occipi
tium in Hispania exercitus qui erant relinqueret : quo se coniceret Pompeius., ut ancipiti
urgeretur bello^ sarebbe naturalissimo di attribuire questo frammento ai libri legationum^ ed
in vece il grammatico lo cita come tratto dal quarto libro De vita populi romani.
i i Gi DI . TEKfclNZiO VARRONE i i 6 a
De Pompeio Kbri III*
Credo bene separare le due scrittore, mentre il Ritschl, da cui sono quasi letteralmente tra
dotte le ingegnose ricerche intorno Wi libri legationum^ ne fratta insieme. Vero che le due
opere legationum e De Pompeio hanno un ne$so intimo, ma hanno tuttavia una ragione spe
ciale per andare disgiunte. Se nel primo strillo Varrone volle limolarsi a dire di quelle imprese
Pompeiane, alle quali egli prese parte personale ed attiva, in questo De Pompeio avr parlato
delle altre compiute djl celebre capitano, o del giudizio da fare intorno ai suoi intendimenti, o
dei suoi meriti, che non ti potrebbe ora determinare per l appunto, imperocch io non tono
lontano dal credere che in quetti I re libri De Pompeio.^ Varrooe ai limilatse ad un cerio ordine
di considerazioni principalmente, non intendetae iniomiDa scrivere la biografia di Pompeio, la
quale avrebbe forse portato il titolo De vita Pompeii.
Non sapendo poi dove potrei trovarle luogo pi adatto, colloco qui la seguente memoria
di Plinio (XXXllI, i o, i 36): Quem (Ptolemaeum) Farro tradit Pompeio res gerente circa
Judaeam octona milia equitum sua pecunia toleravissty mille com^iifat totidem aureis po-
toriis mutantem / eum f ercul is saginasse De?o noltre per, che nel luogo di Ploio allu
dendoti al tempo della guerra di Paleflina e della cacciala di Tolomeo Aulete, non improba
bile che VarruDe poteste aterne teoulo parola nel libro di e parlava della legaiione nella guerra
Mitridatica.
, 63 F R A M M E N T I 1 164
De tua vita libri III.
Neiriodice di S. Girolamo ti Irovaoo accennati Ire libri De suavitate. opinione da lutti
i critici accettata tenza difciitsione che vi ha errore nella tenitura., e la correzione De sua vita
tale d' appagare pieoanienir. Forte nel te va iitleto tres. Ad a?vaiorare la boit della corre-
lione batta ricordare che Cariiio, pag. 69 cita il frammento Uuius Serapis^ huius Apis come
tratto dair opera De vita sua^ tenia dire poi in quanti libri distribuita. a credere pure che
questo tosse uno degli ultimi scritti del grand' uomo.
De familiit Trojanis libri.
SerTo, commentando il luogo li Virgilio Aen. V, /; o4f ricorda che tu Naute quel Trojano
che port, istruito da PalUde Minerva, a Korna il Pallddiu, e che per questo la famiglia dei Nauzii
aveva la cura dei sacrifzii a Mitierv, sacrifizii adunque gentiliiii. Donde traeste direttamf^nte
Servio la notizia non dire, ma afigiunge per, che la aletta cosa ti trovava nei Ubri che Var
rone scrisse De f ami l ii s Trojanis^ libri che non si trovano iuserili nel tante volte citato cata
logo di S. Girolamo.
Il titolo. De fomi l is Trojanis^ dice il Ritichl ( Mus. Rhen. VI, p. So;) riceve la sua luce
dair intereise ttorico delle i'aioiglie patrizie di Roma, le quali ci tenevano mollo a far risalire
origine delle loro caie ad una antichit remotisnima, ed in relazione colle ricerche intorno
alla storia delle Umiglie romane, le qnali, come da molti indizii si conosce con sicurezza, for
mavano uoa rltsse speciale drlle investigazioni antiquarie. Noi sappiamo di fatti da Cornelio Ne-
pole (All. 18), che Attico oltre a studii genealogici generali intorno le principali famiglie, iilnslr
con monografe speciali la casa dei Giunii, dei Martelli, dei Fabii e degli Emilii. Sappiamo da
Plinio XXXV, a, 8, che, Valerio Mettala Corvino olire ad opere di genere vario e di n.ollo
merito pubblic anche Folumina de famiiiiSy e, come pare, con accuratezza da criliro. Servio
(ad Aen. V, 889) ricorda uno tcriilo di Igino De familiis Trojanis^ forte uno dei libri della
tua opera genealogiarum (Cf. Teuffil. Gesch. der Rm. lit.^ p. 4g4 e 495) Per le ragioni che
ho addotte a propotito del libro delle trib, non credo di accettare l'opinione d<1 RiitchI, che
derivino torse da questa opera di Varrone anche le notizie intorno a famiglie romane credule
derivare da Trojani, che ti trovano in Paolo, p. a3, 44) *^7 * * Servio ad Aen. V, 117. E
certo che Servio conotceva lo tcriilo di Varrone, ma certo del pari, eh' egli, per le origini
delle famiglie romane aveva, oltre alle varrAniaoe, altre fonti.
Annalium libri I I I .
Uu solo frammento riportalo da Carisio, p. 87, come trailo dagli Annali di Varrone, ci U
ooooscere u d allro lavoio storico dt i r infaticabile Romano. Ma la singolarii della citazione
motte sospetti, e con precipitazione forte soverchia il Krahner (Comm. de M. Ter. Varr. anli-
qaitalum ... libris, p. la) si f e' a gridare: u Quit vel laudo alquid accepit de Varrone Annalium
seriptore 7 neque tanti viri Annalet deposuisset Dionysios aliiqne historiarum auctores, e pro
poneva si mutasse Annalium in Antiquitatum libro HI. L* argomento del Krahner , se
vuoisi dire, di qusiche peso, ma ad ogni modo, argomento negativo, onde fino a prove pi sicure*
non vale contro uno positivo, e che non pu estere solidameote eomballuto.
Certo tuttavi ammessa aaleniiciti delP opera, bisogna non immsginaisi uu' opera
come gK annali di Ttto L t i o t di Tacito; ma niente pi che an compendio cronologico. Eira
fmpoiiibnf, dice il Rilfchl, che in tre libri Varrone potesie esporre la floria romana con le
particolarit dei fatti; io rispondo: vero; ma Penere citato da Canaio il libro 111 non prova
che opera ti componeste di soli tre libri : e non fa presa nemmeno altro argomento dello
stetfo Talentissirao tedeico 1 cio che Intla la storia romana era slata gi esposta coropiutamente,
sebbene non in ordina sincrono, nei libri delle cose umane: anzi ti potrebbe replicare: in questo
nuoTo lavoro Varrone pu ^arere iiiteio di esporre iti ordiiie sincrono qaella roateria che era
disgregata nelle sue antichit. Il Ritschl per non nega autenticit degli annali, anzi ioTealiga
negli scrifti dei grammatici posteriori traccie di quelli (v. Mus. Rhen. VI, p. 5 10 nota). Molte
congetture poi cadono a vuoto se vero quello che atiesfa il Ritschl^ che il numero 111 nna
interpolazione del Putsch, t che nei codd. di Carisio si trova solo il singolare Annal i senza
indicazione di libro, e propone che si supplisca uu 1 o II, indotto dal vedere che si parla di
una innovazione ascritta al tfmpo di Servio.
Il frammento conservato da Carisio il seguente :
ii65 DI . TERtNZlO VARRONE 1 1 6 6
I. Nummum argentcnm flalum primum a
Servio Tullio dicunt : ii quattuor scripulis naior
fuit quam nunc est.
I. Dicono che sia stato Servio Tullio il primo
a battete sesterzii d'argento: il sesterzio avea
allora un valore quadruplo del nostro tempo.
lotoroo a questo frammento V. Bockh Metrologie^ p. 347, lo scrupulum era </*4
ci. Plinio invece dice (H. N. XXXIll, 3). h Strviua rei primus signavit ee#.... argentum signa
tum anno urba CCCCLXXXV, Q. Ogulnio C. Fabio coss. quinque annis anta primum Pnni-
com bellom .... n
Resta a notare infine che gli scolii veronesi alP Eneide (11, 717) citano, a proposito della leg
genda di Enea e della presa d'Ilio, il li Historiarum a pi iunanzi Historiarum libio 1. Il
eh. Mai g'radic che estendo in pari tempo ricordati e ttico e L. Cassio Ueroina, quei libri
historiarum^ di cui del retto non ti ha altra notizia, non sieno altro che i libri annali. Altri
crede inveoe ehe vi aia un errore di acrittura |*er humanarum^ e nel secondo luogo anche nn
errore del namero. Io non posso che lasciare irretolula la questione, che mi pare d'altronde
poco importante, non avendo prove da determiiiardTi pi per T^nna che per P altra tentenza.
Rerum urbanarum libri III .
Certo il titolo del libro, e nulla pin. Il Ritscld crede che quest'opera conotdula da ana
tola citazione di Carisio (p. 108) sia propriamente una storia della citt di Roma in tento ri
stretto: cio storia dtlla sua fondazionre, del suo ampiamento, della sua divisione, delle varie vi
cende prr cui pass a causa di assedii, prese, incendii e cos via, e con riguardo principalment
al Campidoglio : e quiudi, giusta il tuo parere, la parte che primeggiava era la topografica. Rett
a sapere se la esposizione era fatta a modo delle dei Greci (che sarebbero a un da
presso quelle che noi diciamo Guide), ovvero se losse seguito Perdine cronologico. Lo stesso-
scrittore poi non disposto ad ammettere che P opera tosse divisa in tre libri di materia uni
forme, considerando, che res urbanae si contrapponevano alle cose di fuori^ a militia^ ed
res rusticae^ ed essere un puro accidente se, come si hanno tre libri rerum rusticarum (quc-
ati con unit di argomento), aieno ricordati anche tre libri rerum urbanarum,
Quintiliano (1, 6, la) cita nn libro di Varrone quo initia urbis Romae enarrat. Da quetta
citazione alcuni, come il Krahner (op. cit., p. 17) e il Doissier, si persuasero di dovere alle opere
di Varrone aggiungere anche questa De initiis urbis Romoe. Ma io non credo che sia neoes'
tario, potendo essere, che Quintiliano alludesse o al primo dei tre libri delle cose urbane, o
meglio, a quel libro delle antichit romane dove era narrato del sorgere di Roma. Di questa
opinione anche lo spesso ricordato Ritschl, op. cit., p. 5 i i .
11 passo di Carisio, p. io5 questo : Spartaco innocente coniecto :
quello di Quintiliano, 1, 6, 12: Lupus femina.
Sphemerii navalis Libri nova la.
Deir opera ephemeris navalis s pati con ilue parole il Rilscbl (p. 532); pi a lungone di-
tpula il Krehner, p. 18 dell* op. cil., ne dareoio le coiirlusioni. t^n Ielle cure <!i Vrrone era
di promaovere, quanto da f dipendeva, conutierci c Ila g<nie l);trhara spci iitlmcnle d' Asia e
d Al'rica, e di aprire noote vie alla navigazione, e icemare le mohe difficolt che i naviganti in
contravano per difello di cngniiioni scientifiche. queslo scopo intendevano parecchi suoi libri,
come De ora maritima, litoralia^ de aestuariis, che giusta I opinione del critico sono parte
distinte di un opera le ephemeris navais, la quale deve riputarsi ripartila in pi libri. ephe
meris nai^alis la stessa che citala da Vegeiio col titolo libri navales. D accordo col chia
rissimo Krahner che la ephemeri* navalis e i libri navales sieno una stea opera, non ci possiamo
accomodare ol suo giudiiio, che tulli i tre altri libri sopra ricoidati s.cno parte d questa opera, e
ne diremo a suo luogo le ragioni.
Neir Itinerarium lexandri Magni edito dal eh. Mai falla memoria dell Ephemeris navalis
di Varrone, ed insieme se ne trova indicato argomento : u I gi tur si Terentius Varro Cn. Pom
peio olim per Hispanias militaturo l i brum illum Ephemeridos sub nomine elaboravii, ut inhabi
les res eidem gesiuro ( aggressuro Bernhardy ) aoire esset ex facdi indiDaliooem Occani atque
reliquos motus aerios praescientiae fide peteret ut declinaret, cur ego Tibi .... non facem praele
ram, quoniam quanium ingenio minor, tantum h(c voto Varrone suro putior, n II qual luogo fu
con notevoK mutazioni trascritto anche dal Muratori (Antiq. Ital., t. 111^p. 968) da un manoscritio
non veduto dal Mai: u Igitur etc. ... elaboraTt ut res externas eidem gesturo a}>erirei ne is Oceani
pericula peteret aique omnes reliquos motus aerios praescientiae fide declinaret. Quaillum etc.
Lo scopo principale adunque della Ephemeris era li registrare, diremo cos, giorno per giorno
i mutamenti atmosferici che dalla positione degli astri c da altre osservazioni ti potevano pre*
vedere^ e cosi chiaramente far conoscere i segni precursori delle tempeste. Tale era lo scopo
della Ephemeris, e tale era altrei argQiuenlo dei l ibri navales citati da Vegezio (V, 11) u pr9
gnostica teinpeslalum fi^/ia quae Virgiiius divino poene coniprvhendii ingenio el Varro in libri
navalibus diligenter excoluit. Di qua si dedusse che fossero uua sola e stessa opera la Ephe
meris ed i libri navales. Bisogna confeS9are tuttavia che una tale deduzione si po dire tulio
al pi probabile, perch le parole di Vegrzio non fanno credere se non che in questi libri na
vali era trattato anche dei segni da cui si presagiscono le tempeste e nulla pi.
11 passo deir Itinerarinm trova nuova conferma nel luogo che citeremo pi sotto di Nonio.
Lorenzo Lydo certamente conobbe, e probabilmente trasse molti -insegnamenti dall' Epheme-
ris Varroniana, e il Krahner non dubita di asserire che sia tutta dottrina varroniana quella dei
pronostici che si trova nelP opera De menss. e nell allra De ostentis del Lydo. Che ne usasse,
tanno fede i seguenti luoghi, u Varrone dice che diciotio giorni innanzi le calende di Febbraio
avviene una lolla dei venli, rt e u alle none di Mano, allo spuntar del giorno la corone tramon
ta, e spira borea con impeto, e u il giorno innon/i le clende di Novembre la lira ai leva col
gole (Cf. De Menss., IV e i 3). E nel libro De ostentis dopo aver per tutti i giorni dell'anno
indicato che cosa significhino queste o quelle apparizioni, e quali presagi si possano trarre dalla
osservazione delle stelle ecc. soggiunge : u cos (insegna) Claudio che espone lelteralmenle quello
che apprese dai sacerdoti di Etruria, e non egli solo, ma Eudoco ancora . . . c Varrone Romano.
Il soprallodalo Krahner di opinione altres, che tutto quello che Ephemeris era trat
tato della diversa ragione del tempo, fosse da Varrone inserito pi tardi nei libri ilelle anticlul
che erano De temporibus. L* argomento per venire a questa deduzione tratto da un passo di
Pri' cano (VI, 14, p. 267, Kr ) : Varjro Ephemeride: postea honoris virtutum causa Jnlii Cae
saris, quia faslos correxit, mensis Julius appellatus est. n La corrctione del Calendario fatta da
Cesare posteriore per lo meno di venti anni olla spedizione li Gn. Pompeo nella Spagna, o c
casione per cui Varrone 'risse la Ephemeris^ e non poteva quindi esseni con)pres il passo
allegalo da Prisciano. 11 Krahner s'industria di irpiegarc la contraddixione col'dire che Prisriino
trovasse quel luogo nei libri delle antichit, dove Varrone avrebbe integralmente inserita una
parte della Ephemeris. Questa ipolfsi del Krahner certo e facdmenle vulnerabile, non aven
dosi alcun dato per concludere su questo inserimento, al quale io presto poca fede, e poi non
compreodo come fi poleise leggere nella Ephemeris anche inserita nei libri dalle anticliil un
passo che ocrtamente nelP Ephemeris stessa non si poteva trovare ; senza dire che anche il mudo
i i 6 7 F R A M M E N T I 1 1 6 8
<ti ciluioiie sarebbe stalo probabiloiente ili verso. Tra i varii moili che mi si offri?aoo di icio'
^Itere qoesla difficoiii*, mi pareva, che olire la Ephemeris navalis st potesse sopporre qualche
alira Ephemeris^ thive Prisciaoo trovasse il luogo coolroverso. E fui mollo lieto di scorgere, che
moli prima di me era sorto uno stesso pensiero al Ritschl e al Bergk. Il Rilschl suppone la
esisleuza di una Ephemeris rustica od agrestis (come un Calendario dell agricoltore), compo
tio dopo la riforma Giuliana, dunque dopo il 708 di Roma, e da trattare come n supplemenlo
o come un* introduzione ai libri De re rustica. Pare al Ri(schl che qoesla noova Ephemeris
rustica sia da cos buone ragioni difesa dal Bergk, che non fe ne dovrebbe rivocare in dub
bio la esistenia. 11 Bergk (rhein. mus. 3.* serie, I, pag. 367) si fonda sopra una Ephemeris ru
stica che fu verarofnte sroperla, scritta in greco, e che diceva di essere tratta dalle opere di
Varronc e dei Quintilii. In ogni modo non sarebbe provato ancora che esistesse una Ephemeris
rustica^ cos intitolata, di Varrone, e i pa.isi recali dal Bergk potrebbero trovar luogo altrove. Mi
piace confessare fran<'amente il lato debole airche della mia supposizione, che del resto non vale
meno delle altre pmprele. 11 Roissier crede che Varrone non abbia messo in publico il suo la
voro dopo mandalo a Pompeo, ma che abbia divolgato dopo parecchi anni, introducendovi le
correzioni gioliane. Aggiungo che eiisteva una Ephemeris anche di Varrone Atacino.
E se qualcuno desiderasse avere un'idea generale sul valore, sul merito, sulla importanza
di questo scrtto varrcnrano, io lo posso accontentare recando il giudizio sommario che ne fece
il Boisiier, che, conforme al solito, procede sicuro per la sua va con ona atuica imperturbabi
lit. tt 11 y entrai! peu da principes gnraux bauconp d* observations particulieres et assei d'ha>
aard et de superstition. C est, je me le figure, dee ces elemcnts divers, qoe se vomposait V Ephe
meris de Varron.
11 iolo frammento senza opposizione da lutti attribuito Ephemeris naifalis il seguente :
i 6 9 d i . T ERENZIO VARRONE 1170
I. Varr Ephemeride navali : Etesiae diutius
flaverant et autumnum ventosum fuerat.
Nonius V. Autumnus, p. 71.
I. Varrone nelP Eferaeride navali : gli Etesii
aveano troppo a luugo apirato, e autuojo era
stato ventoso.
II Lipsio (Var. letf. 111, ai) fraintese il passo di Nonio, e credendo che fosse citata una delle
satire Menippee, propose la seguente mutazione : u Varr Epiiemerides navales (vel nivales) te>
aiae etc. n L'* errore del Lipsio in parte giuslifcalo dal non aver coooscioto Itinerario di
Alessandro scoper!o tanto dojio di lu. In un errore simile cadde anche Popma, ma la sua cor
retione a navali (sr. vento) non giudiziosa.
Repoto inutile il ripetere qui altro frammeulo conservato da Prscano, del quale si e di-
acorao pi sopra. ^
Della scienza narale si occupano altri trattati che il Krahner, come dicemmo, crede parte di
a n ' opera fola, ma che noi distinguiamo, perch come opere distinte sono citale dai gramma
tici, che dico? taluna, dallo stesso Varroue; di altra apparisce che era distribuita in pi libri.
De oro maritima.
Sebbene il titolo (>osaa far credere che queala scrittura non avesse altro argomento che geo
grafico, pure dall* esame degli scarsiasimi frammenti, da considerare piuttosto come una ^uida
per la navigazione di costa.
Servio ad Verg. Aen., 1, i i a , i i 3 : u Tris Nolus in saxa latentia torquet: saxa vocant
Itali, mediis, quae iu fluctibus, aras, n
Has aras alii Neptunias vocant, sicut Claudius Quadrigari Varro De ora mariti
ma^ lib. 1.
1. Ut faciunt ii, qui ab Sardinia Siciliam, aoi
coatra petant. Nam si otramque ex conspectu
amiserant, sciunt periculose se navigare, at ve
rentur in pelago latente insulam, quem locum
\ Oleant aras.
I . Come quelli che fanno il viaggio dalla Sar
degna in Sicilia o viceversa. Perch se perdono o
questa quella di vista, sanno di correre pericolo
nella navigazione, e temono isola nascosta a fior
acqua, il luogo che si chiama j I lari,
F b a h mi k t ! d i M . V a s r o k k . 74
noto irallari qui delle tcogliere tra la Sardegna e la Sicilia, che ora sono dette Al Dia-
iiiar, o Zirubra e Zowamoore.
a. Servio ad Verg. Aen., Vi l i , 710. Japygia ferri: Vento qui de Apulia flaot optime ad
Orientem ducit. Japygia eniro pulia dieta est. Horatius: obstrictis aliis praeter Japyga. Quem
Varro de ora maritima Argesttn dicit, qui de occidente aestivo flat. 1*
Seneca nel V libro, cap. 16 delle questioni nainirali pariando dei venti, ricorda che Varrune
class i venti secondo la ragione del cielo da dove spiravano, e ne suppose dodici, cio quattro
cardinali e otto suffecti: non posso poi determinare se Seneca abbia letto ci nello scritto De
ora maritima o in altro di quelli che trattava di cose marinaresche.
1171 F R A : N '1 1 1 17 3
Littoralia,
11 Ritschl e il Krahner, il primo duLitulivamente, risolutamente il secondo inclinavano a cre
dere che littoralia e De ora maritima sieno due titoli di una sola e stessa opera. Potrebbe
essere, ma ad ogni modo, trovandosi ambedue le citazioni, e non avendo numero di frainmenli
sufficiente per il confronto miglior consiglio, lasciare la distiniione. Forse opera littoralia
era nna specie di portolano.
11 solo degli scrittori che ricordi quest opera Solino al libro 11.
I . Etiam suis temporibus sepulcrum Jovb in
Ida monte visitatum.
1. (Si legge in Varrone) che al suo tempo an
cora si andava a visitare il sepolcro di Giove sul
monte Ida.
Solino d altre notizie geografiche e curiose sull' autorit di Varrone, c noi ne abbiamo te
nuto parola nei libri delle Discipline.
De aestuariii
Di questo scritto snile maremme non abbiamo che il titolo conservato dallo stesso Varrone
nel IX De l. /., c. 26.
De gradibus likri.
Di questi libri abbiamo nna sola testiroonianza in Servio ad Verg. Aen. V, n il solo
passo conservato dal grammatico per ventura taJe che ci fa intravedere il senso, del resto vago
del titolo. Il luogo il seguente : u Germanus est secundum Varronem in lihris De gradibus.
De eadem genitrice manans non ut multi dicont, de eodem germine, xjucs ille tantum f r a
tres vocat, Di qua dedusse il KitschI Mus. Rhen., voi. VI, pag. 534 libro:
De gradibus necessitudinum. E siccome quest* opera di Varrone apparisce distribuita in pi
libri, cosi da credere che vi fosse contenuto qualche cosa di pi che una semplice esposizione
dei gradi di parentela, e forse, pensa lo stesso Ritschl, poteva esservi associata anche nna espo-
fizione del diritto famij;liare in relazione ai gradi di parentela.
J d Libonem libri.
Come riscontriamo pi volte in altri grammatici il nome dell'autore e della persona a cut
dedicato un libro, in cambio del titolo vero, p. e. Varr ad Ciceronero, ad MarctlFum, ad At
tium, cos troviamo in Macrobio Sat. 11, Varr ad Libonem primo, senza che si possa indo
vinate qual libro fosse questo destinato a l. Scribonio Libone. Kon vi ha ncmniaoco luogo a
congetture.
Il iiammento questo ;
1173 DI . T ERENZIO VARRONE 1 1 7 ^
I. Terentinae nuces a Terento quod ett Sa-
binoram lingua molle, unde Terentioi quoque
dictoi putat.
i . L ' appellativo di Terentinae dato a ana
specie di noci ?ien da terento voce sabina che
significa molle^ dalla quale furono cos delti an
che i Terenzii. Questa ( opinione di M. Var
rone.
Polyandria.
In Ainobiof VI, 6, si trova citata la Polyandriarn Varronis. La giudicarono un'opera ipc-
ciale il Popma ed il Creuzer ; ma si ritiene ora dai critici con maggior fondamento che Arnobio
non abbia usata che una espressione simbolica per indicare i libri delle cose divine. La ragione
poi per cui da Arnobio pot essere scelta questa parola sta probabilmente nella tendenza eume-
ristica che chiaramente si scorge e che , p. e., da S. Agostino provata, nei libri delle cose di
vine. Vedi Merckel ad 0 \. Tastus, p. CLXXXIX ; Oehicr Varr. Satyr., p. 68 e segg., Schnei>
dewin ^Philologus, I, 23).
Jugurum libri.
Macrobio, Sat. 1, , u eicat Varr in augurum. libris (?) ocribit in haec verba :
Tros vocare feriis non oportet : si vocant piaculum esto, Questa opera De auguribus non
si trova ricordata indice di S. Girolamo, e giustamente, parmi, da alcuni moderni sollevato
il dubbio sulla esattezza della citazione di Macrohio o degli amanuensi. Sappiamo che il 111 libro
delle co^e divine era tutto De auguribus^ onde ben facile che in luogo di : In augurum
libris^ sia da leggere in augurum libro^ e da intendere che il passo sia tolto dal 111 rer. div, A
questo libro lo trovo inserito anche dal Merkel.
De bibliolhecii.
L' indice di S. Girolamo reca una opera De bibliothecis in tre libri. Due insignificaDti fram
menti ne ha conservati Carisio. Uno citato due volte (I, p. 67, P r z p. 87 K e I, p. 106 P ^
i 3 i K) glutine et d i r o reficit (o refecit); il secondo vectigalium: n l una volta n l altra
citasi il libro. Quest'opera fu compostala parer nostro in quel tempo tranquillo in cui Var
rone ebbe da Cesare incarico di ordinare la biblioteca publica di cui fu il primo bibliote
cario. Noo si pu dire con precisione di che cosa si occupassero i tre libri, ma noo credo
di audare errato, supponendo che da questo traesse Plinio (H. N. Xl lI, 11, 68-70) le sue no
tizie sul materiale da scrivere e sulle biblioteche di Egitto. Cosi giudicano anche il Ritscbl
(Mns. Rhen. VI, 5 i 3) e PUrliche (ChresL Plin., p. 177). Il meglio che si possa fare di tra
scrivere il luogo di Plinio, u Hanc (cio chartam) Alexandri Magni victoria repertam auctor
est M. Varr, condita in iEgypto Alexandria; antea non fuisse chartarum usum. In palmarum
foliis primo scriptitatum, dein quarundam arborum libris; postea publica monumenta linteis vo
luminibus mox et privata plumbeis conRci coepta aut ceris, pugillarium enim usum fuisse etiam
ante Trojana tempora invenimus apud Homerum. Illo vero prodente ne terram quidem ipsam
quae nunc ^gypt us appelletur iotelligitur, cum in Sebenaytico et Saite eius nomo (distretto)
omnis charta nascatur, postea aildaggeratam Nilo; siquidem a Pharo insula, qoae nunc Alexen-
driae ponte iungitur noctis dieique velifico navigii cursu terram afuisse prodidit. Mox aemula
tione circa bibliothecas regum Ptolemaei et Eumenis, supprimente chartas Ptolemaeo idem Varro
membranas Pergami tradit repertas : postea promiscuo repatuit usus rei qui constat immortalitas
hominum. Nel qual luogo se lutto dovesse essere preso letteralmente, sarebbero da notare de
gli errori di fallo, che Plinio non si cura di rettificare. Per che l' uso del papiro () non
pu essere fssalo all'et di Alessandro, mentre lo si trova adoperalo anche ai tempi della quinta
o fino della quarta dinastia; come non sodo esatte le notizie sulla introduzione della pergamena.
L Urlichs pensa che Varrone intendesse parlare non della invenzione, ma di un perfezionamen
to Cos ho in qacslo paiso niaiitcuuU una traspoeizione dello slosso crilico. Nella edizione pii-
niana ai legge pub, mon, plumbeis voluminibus not*a et prii>ata lnteis confici eie. La cor
rezione mi pare nect^asaiia, |crcli, non si ha meoioria che per i documeoli pobblici si osassero
tavolelle di piombo e*queste non potendosi agevolmente rotolare non si chiamerebbero a giusto
titolo Tolomina ; mentre, al contrario, di libri si parla fino in Giobbe (eap. 19) per non ricordale
che un solo esempio, e documenti ufficiali scrvevano i Romani in libri lintei,
11 fondatore della biblioteca Alessandiina l'olomeo 1 ; quegli che Tacerebbe e imped espor
tazione del papiro Tolomeo 11. Che il passo nou aia preso letteralmente da Varrone chiaro
dal repatuit che un 5 Xeyifitvov pliniaoo. Plinio continua la sua descrizioue, ma senza citare
pi oltre Varrone.
i i ; 5 F R A E N T I 117C
De lectionibus libri III.
Se qualcuno indotto da una superficiale osserrazione al titolo di quest' altra icriltora tarro-
niana credesse che fosse questo un lavoro da paragonare^ alla Biblioteca di Fo%io ; un riassunto
insomma delle sterminate letture di Varrooe, dorrebbe smettere questo pensiero allo scorgere che
non le sono attribuiti che tre libri : oltre di che, il titolo suonerebbe piuttosto De lectione
sua o, meglio Lectionis suae. Per dirla iu breve, lo scritto De lectionibus trattava, salvo erro
re, d quel costume cos frequente io Homa, ami proprio romano delle recitationes^ le quali po-
teTano essere latte ad un publico pi o meno numeroso. A questa congettura si oppongono subito
due istanze: la prima, che il vocabolo con cu) si denotavano tali publiche letture era quello di
recitationes e non lectiones ; la seconda che non si vede come questo costume possa fornire
argomento ad una scrittura in tre libri, tanto pi che soltanto al teiupo, e per impulso di Asi
nio Pollione il costume delle letture publiuhe divenne comune e conquist una capitale impor
tanza (i). Prima di scendere ai particolari, egli bisogna tuttavia eoal'essare, che, se nou s poi-
sono allegate tra gli eruditi occupatisi fin ora di quei f argomento, di quelli che abbiano foste'
nula la nostra lesi, non si pu recarne alcuno dtl pari che abbia recati seni argomenti da
farla ripudiare. Nessuno Torr di fatti recare come prova le letture a quattr'occhi che soleva
fare Azio (Gellio, XIII, 2), ne quelle di Terenzio per provare i suoi drammi (V. Svet. in vit.), c
se Ovidio dice : u Carmina cum populo iuvenilia legiy nessuno pure creder, trattandosi di un
poeta, dover insister troppo sul legi. Bisogna ad ogni modo stabilire, per quanto possibile, il
tempo io cui si cominci ad usare di queste letture publiche, e per quauto si adoper il /e-
gtre che cedette il luogo poi al recitare. Importante, anzi decisivo per noi un luogo di Svc-
tonio (De granim. 9): u Crates nostris exemplo fuit ad imitandum hactenus tamen imitati, ui
carmina parum adhuc divulgata vel defunctorum amicorum vel si quorum aliorum probassent,
diligentius retractarent ac legendo commentandoque et ceteris nota lacerent : ut C. Octavius
Lampadio Naevii Punicum btllum ....ut postea Q. Vargunteius Annales Ennii, quos certis diebos
in magna frequentia pronuntiabat : ut I^aelius Archelaus Vectiusque Philocomus Lucilii Satiras
familiaribus suis (al. familiaria sui) quas legisse se apud Archelaum Pompeius Lenaeus, apud
rbilocomum Valerius Cato praedicant, w Cosi si arriva fino al tempo d Elio Stilone e del genero
di lui Sergio Cludio. Non importa affatto lo stabilire se si tratti della lettura di lavori proprii o
di altrui, quello che importa, , notare che [>er queste letture pubbliche co. poco fissata la voce
recitare che anche dove nel passo citato essa sembrava naturalmente richiesta, sostituita da
pronuntiare. In un altro luogo del capo precedente di Svetonio non per questa azione usato
il recitare., ma, se non il legere., il praelegere u Si quod ipsi (Livius et Eunius) latine compo
suissent,/^rae/e^ea/if, e altrove (c. 16); primus dicitur (Q. Caecilius Epirota) Virgilium et
alios poetas novos praelegere coepisse, r Non poi rigorosamente da riferire a questo senso
il legendo del primo dei passi recati ; inoltre, se si adopera il legere <lcllo scolare che legge per
studio un autore alla presenza del maestro, si adopera del pari per il maestro che legge uu ora
tore agli scolari per commentarlo e proporlo a modello. Nel primo senso va inteso il quos le
gisse se apud Archelaum eie. e cos al capo di Valerio Probo che: legerat in pro\^incia
quosdam veteres libellos apud grammatistam^ nel secondo senso 1 capo steuo : Magisque
probrio legentibus quam gloriae et f r u c t u i esse cd unum vel alterum vely cum plurimos^ tres
0 ) Per 1 recitatQnes vedi aoeht le cooti derai io i del TeufTel, Gesich. der rOm l Uf . , p. 374.
aut quattuor post meridianis horis admittere solebat cubansque inter longos ac vulgares
sermones legere quaedam. Ma con lullo ci espresiione legere non pu escluilere il senso <li
recilare in pubiito. Dalo anche che nel *8 di S?elonio k parole quas .... pronuntiabat e fa^
miliaribus suis non si riferissero al legendo commentandoque^ in qaanlo ven^a qui adoperata
una formula generale a cui si suggiungoDo le maniere particulari di leltuia, si du?r sempre accor
dare che : leggere innanzi agli scolari e cogli scolari, le ggere in una ristretta cerchia di amici, e
leggere alla presenza di una pi numerosa corona di nditori, suuo niente allro che gradazioni di
DO allo che soslanzialmenle sempre lo sleuo, dove la differenza, non che accidentale, del nu*
mero e della qualit di quelli che stanno a sentire. E quindi che cosa tm[>edisce di creilere che
in queslo suo scritto Varrone s occupasse non solo delle letture pubbliche propriaioente dette e
fatte dagli autoii in persona, ma anche di lezioni falle non a semplice diletto, ma con intendi'
mento d' istruire da persone perite nelle discipline letterarie? Sarebbe anzi da trarne argomento
per la diffusione di questa doppia n>aniera di letture e per la influenza che Varrone giudicava
esse potessero esercitare sopra lo SToglimento della coltura letteraria. Cosi il Ritschl (op. e i t , \ol. VJ,
pag. 521 e segg ).
1177 W TtK EN / VAUKONt: 1 17
De poematis libri I I L
11 titolo di questa nuova scrittura Tarroniana ci fa sospettare ragionevolmente che essa fosse
una specie di poetica^ dove era trattalo delle varie divinoni, e dei peneri dei componimenti poe
tici. Altrove abbiamo discorso della forma grammaticale del titolo De poematis che giustificato
dair insegnamento teoretico, oltre t h dalla pratica di Varrone., Non a dubitare nemmanco che
in questo trattato o per via di riscontri o per altra guisa si venisse a parlare dei generi poetici
dei Greci. Ed a questa forse che si riferisce il cortissimo frammento in Carisio, p. 76 P i n
p. 99 K. : Olympiam non accessit^ chr, cosi isolato, non pu essere inteso. Ponendo per mente,
avverte il Ritschl (op. cit, p. 116), alle condizioni della letteratura romana al tempo di Varrone,
da credere a buon diritto che il lotto uomo approfondisse i suoi sludii massimamente nella poesia
Irammalira; e che Ira i lavori drammatici si occupasse pi a lungo di tutto della comedia Plauti
na. Cinque per lo meno, probabilmente sei e forse sette, sono le scritture che fanno di ci testi
monianza; e di queste, tre 5ono gi annotale nel catalogo di $. Girolamo ; servono anche dal luogo
che occupano nell indice, a provare una cosa avvertita gi pi sopra, che il catalogo fu compi
lato con un certo nesso logico, lo acconsento benissimo col Ritschl, in quanto al principio gene
rale, ma mi pare, non sia inutile avvertire, che, appunto perch Varrone ha sviluppato in iscrit-
lure speciali, argomento della poesia drammatica, cosi come genere poetico, come anche nelle soe
varie espressioni, e in altre della poesia Plautina, non era d* uopo che in questa poetica vi desse
la prevalenza, potendo a quelle mandare facilmente gli studiosi.
De iimiliiudine verborum libri III .
La scoperta dell'indine d S. Girolamo ha finito le conlroverse sorte tra gli eruditi intorno un
lu^jio di Car5o, I, p. 91 P i z p. 91, 26 K, dove citava il II De similitudine K^erborum^ luogo che
lo S|>en^el Vi*1eva riferire al IX De l. lat ^mentre il iMiiller a ragione ne move\a furie dubbio. Questi
libri s aggiravano intorno alla grande qaeslione delP analogia nella declinazione e nella coniugazio
ne. Giover, per farsi un'idea dei principii che Varrone seguiva a questo riguardo, riferire ci che
intorno alla simigliaoza e dissimiglianza (analogia, anomalia) lasci scritto nella principale delle
sne opere gramii alita i : u De similitudine et dissimilitudine ideo primum dicendum quod ea
res est fundameulum omnium declinationum ac continet rationem veiborum: simile est quod
res plerusi|ue videtur habere tasdem quas illud cuius est simile. Dissimile csl, quod videtur esse
contrarium huius. iMinimum ex duobus constat omne simile, item dissimile, quod nihil potesl
esse simile, quin alicuius sit simile, item nihil dicitur dissimile quin addatur cuius sil dissiujile n
(X, 3). E altrove: u Cura utruuique nonnumquam accidat, ut et involunlaiia declinatione ani
madvertatur natura et in naturali voluntas quod utraque declinatione alia fiunl similia alia
dissimilio .....ego 'arbitror quod in declinatione voluntaria lit anomalia, in naturaii inag'S aoalo
gi . V Non ei potrebbe poi dctcrroioarc ee i Ire libri D t simil. vcrb. fossero preparazione ai
libri De lingua lat,^ o ac abbia con que*li tr speciali, difese l e opinioni manifesUte Dei libri
De lingua lat, contro i contradtlittori. Prese ad ogni modo un granchio a secco ( genere di pesca
cui abi l uato) il Boissier quando scrisse : le De similitudine verborum^ qui clail sans douU
quelque traile sur les synonynies.
Il solo frammcnlo che si cili di questo trattato il seguente :
u Pix singuUriter (licilur, ut il Varr de similitudine verborum secundo, quamvis Vergilius
(Gcor. 111, 450) dixerit/, idaeasqiie pices et pingues uoguine ceras, w grammatico incerto pub
blicalo da Maurizio Haupt dopo Halieutica di Ovidio, p. ^4 ^ Otto (Gissae i 85o)
<orruppe stranamente il passo scrivendo: P i x gen.Jem, ut f ' a r r o i Idaeasque pices. Altri qui
pr quo dello stesso grammatico proposito di citazioni varroniane dello stesso grammatico ha
raccolto il Wilmanus (De Varr. lib. gramm. p. i 35).
F R A M M E N T I 1 1 8 0
De utilitate sermonis libri,
strettamente rollegata colla precedente questa opera di Varrone, onoscnta da una sola ci
tazione di Carisio, I. p. 98 P nr p. i a 3, 3 K. che ne allega il libro IV. Nella scrittura De simi
litudine verborum, mostrato quanta parie si deve concedere nella formazione del lingnaggio
air analogia : in questa invece si difendevano le ragioni dell anomalia: le due opinioni si dovevaac
conciliare nell'opera De lingua latina. Non possiamo per dire nulla di certo sugli intendimene
di questo lavoro, far solo qualche congettura dal vedere anche altrove (De lingua lat., IX, 4^) ^
contrapposta la utilitas alla similitudo. Dice infatti a cum, inquiunt, utilitatis causa introducta
sit oratio, sequendum non quae habebit similitudinem sed quae utilitatem. Ego quidem utilitatis
causa orationem factam concedo, sed ut vestimentum, quare ut hic similitudines sequimur, nt
yirilis tunica, sit virili similis, item toga togae, sic mulieriim stola ut sit stolae proportione et
pallium pallio simile, sic cum sint nomina utilitatis causa tamen virilia inter se similia, item mu
liebria inter se sequi debemus, w E merita che Io studioso confronti quello che nel libro Vi l i , 26
e segg. dice c ont r o analogia. Chi vuol poi conoscere come Varrone si persuadesse di aver lefi-
nita la["controversia, dovr consultare il libro dfcimo De Ung. lat. E di l potrassi non improba
bilmente dedurre come fosse scritta la materia di questa e della precedente scrittura. a credere
che il Boissier non avesse un' idea netta di questa opera quando scriveva : u Le De utilitate ser
monis qui peut-tre se rattachait plus la philosophie qu la grammaire. w
Il luogo di Carisio, p. i 23, 3, questo: cc Aenigmatis Varro de utilitate sermonis 1, ait
enim Plinius: quamquam ab hoc poemate his poeroatibus facere debeat, tamen consuetudini et
suavitati aurium censet summam esse t r i buenda m. . . . et quia gracra nomina non debent lalinis
regulis alligari. ^
De antiquitate litterarum libri.
Nulla di pi conveniente, che Varrone, il quale avea studiato a fondo organismo e le leggi
del suo linguaggio nazionale, ne ricercasse altres lo svolgimento storico, cominciando dagli
menti, dalle lettere. Frutto di queste erudite ricerche sono due nuove opere dell operoso roma
no cio : De antiquitate litterarum^ duve esponeva quanto potevasi sapere dell' inveozione e
della diffusione delle lettere, e una seconda : De origine linguae latinae., in cui era accompagnato
mano mano il progredire della lingua latina cominciando dal tempo pi rimoto.
Facciamoci ora a considerare la prima, la quale non e registrata nell indice di S. Girolamo,
ma citata da Prisciano (1, 7, p. 8 H. n= 54o P.), che ne ricorda il 11 libro.
Il Ritscll con quell'acutezza di giudizio, che lo rese cos benemerito degli studii varrotiia-
ni, prov con buoni argomenti, che i libri ad Attium due volte citati dal grammatico Pompeo
(ad Donatum, I, 7, 17, p. 9, 27, ed. Lind. z i p. 98 e 108 K.) sono questi De antiquitate litte
rarum ad L. Attium, libri 111. Di vero, se in questi libri ad Attium trattavasi delle lettere del
l'alfabeto, et cur tot sint^ et quare eo ordine positae et quare iisdem nominibus vocentur^ a
quale altra opera si poteva alludere che a questa De antiq. litter. ? La cosa ti conferma meglio
quando si pouga meule, che altra opera De origine linguae aiinae, iu coi si parlava pure
dei segni di tcrillura e di Atti us noster^ era, come proveremo, dedicata a Gn. Pompeo, e che
vi era lui la la conveuenza di dedicare questa De antiq. liti, a L. Alio, il quale si er occupalo
mollo in s falle ricerche (Cf. Mar. Vici., 1, 4 P*g P)i cercalo d* intro
durre delle innovationi ortografiche quali di geminare la consonante se leguisse ad una vocale
lunga di natura. Troppo deboli invece si<no le opinioni contrarie dtl Krahner [De aniiqq. lib.^
p. lu e 20) che voleva correggere ad Atticutn^ dclP Osann che preteriva ad Atteium^ del Koth
che voleva ad Q. Axium,
Tarrone attribuiva P invenzione delle lettere ai Caldei, perch il nome delle lettere che nc
indicava in pari tempo la lurma, era caldeo: P alfabeto che Greci appresero dai Fenici non
aveva che ledici lettere, e non aappiamo a chi, fra le incostanti e varie opinioni degli antichi, si
associasse per assegnare il merito di aver trovalo P altre lettere che completarono Paltahelo gre
co. Egli credeva per che Evandro Arcade e la madre Carmenla avessero recato in Italia la co
noscenza delle lettere usale in Grecia, e solo le sedici pi antiche: oon dava luogo oelP alfahelo
air H, credeva superflue U K e la Q, perch poteano essere aupplite dalla C. Tulio il resto della
dottrina varroniana intorno a questo argomento ci ignoto, e mi sembra troppo ardito, come
inclina il VVilmanos, atlribuire a Varrone la paternit di tulio ci che intorno alla storia del-
P alfabeto si trova negli antichi graioroatici, i quali avevano senza dubbio, oltre Varrne, altre
fonti.
Se L. Attius, a cui noi crediamo de<Jicala P opera De antiquitate litterarum il tragico, co
me tulio ci induce a credere, ci dato siabilire anche un termine per il tempo in cui fu com
posta. I.. Alio muri verso il 670, dunque Varrone non avea pi che un treni* anni quando pub
blic il suo lavoro.
Soggiungiamo i luoghi dei grammatici che si riferiscono a quest' opera.
]. Priscian., 1, 7, p. 7-8: u Sunt indeclinabilia tam apud graecos elementorum Domina quam
apud lalioos sive quod a barbaris inventa dicuntur, quod esse ostendit Varro in secundo de an
tiquitate litterarum, docens lingua chaldaeorum singularum nomina litterarum ad earum formas esse
facta ei ex hoc certum fieri eos esse primos auctures litterarum, sive quod simplicia haec et
stabilia esse debent quasi fundamentum omnis doctrinae immobile, sive quod nec aliter apud
lalinos poterant esse, cum a suis vocibus vocales nominentur, serbivocalea vero in se desinant,
mulae a se incipientes vocali terminentur, quas si flectas, significatio quoque nominum una
evanescit, n
II. Pomp. comm. Ari. Dou., 1, 7 , pag. 9, Lind. ~ 98 K : u Istae litterae apud maiores no
stros non fuerunt XXl l I sed XVI: postea'additae sunt aliae. Ita etiam tractatoris {tractaturus
est K) est ut doceat olim XVI fuisse, poslea ex soperfluo additas alias litteras et factas XXIII.
Habemus hoc in libris ad Attium apud Varronem, el cur tot siut, et quare eo ordine positae
et quare iisdem nominibus vocentur, n
III. Id., 1, 17, pag. 27 Lind. 1 =1 08 K : u Legimus apud maiores nostros primas apud Ro
manos XI litteras fluisse tantum modo, ut dicit Caesar libro analogiarum primo. Varro docet in
aliis libris quos ad Allium scripsit, litteras sedecim fuisse, poslea tamen crevisse et iactas esse
XXl l I . l' amen primae quae inventae sunt fuerunt undecim: poslea quae {quam il Klussmann :
meglio il prof. Canal : quum aliae) inventae sunt fuerunt sedecim, poslea ilem XX et tres fa
ctae suni. Illic commemoratur qui illam litteram ftcit qui illam, n
Forse se ne pu aggiungere un
IV. Auctoritas tam Varronis quam Macri, teste Censur i no, nec K nec Q nec H in numero
adhibet literarum (Prisc., I, 16, p. i 3 H).
DI . TKRLNZIO VARROMi 1182
De oiigine linguae laiinae (ad Pompeium ?) libri ///.
Prima della scoperta delP indice di S. Girolamo questo lavoro era conosciuto da una citazione
di Prisciano; rna dallo SpengeI, il rinomato e paziente editore dei libri De ling. lat. era creduto
come il primo libro De ling. lat. Adesso tutte quelle congetture mancano di ogni fondamento,
come fu costretto pure il diligentissimo Ritschl a sconfessare la opinione difesa nell# sua mono-
grafa^sui libri]Z>e disciplinis (p. 54 e segg.), che questa De origine linguae latinae non differisse
che nel tilolo delP altra De antiquitate litterarum. Gli argomenlkdclle due opere in qualche parte
si convengono, come provalo la citazioni, ma in qaetia sccomla, era aprrlo campo pui vasfo
a ricerche storiche ctl elimologiche. Il Ly<lo {De magistr.^ I, 5) rifercinl, che Rom..|o e gli
altri romani tei sao tempo conoicevaoo il greco, cio il lialilto eokro che vi era stalo diffuso
ilair Arcade Evandro, ti appoggia soirautoril di Varrone nel proemio dei l i br i a Pompeo.
Questa cilaiione divise i critici. Lo Spengel vide giusto che il Lydo alludeva al libro De orig.
linguae latinae^ e che questo era dedicalo a Pompeo, ma eri A nel credere che dovesse essere
un libro d' iiilrodaiione a qnclli De lingua lat perch, se non altro, appare conveniente che
fosse dedicato a Pompeo il solo libro d introduiione. Peggio il Krahner^ che mes5o su falsa vit
si sostiene a furia di mutazioni, e dopo aver detto che fono una stessa oprra, quella che Pom
peo grammatico scrive mandala ad Jttium, e quest che Lylo dice dedicala a Pomppo, mu
tato V ad Attium in ad Atticum^ si Irova coslrelto a mutare il <* in ^ ^
yicy, e la di tutto la iniroduztone ai libri De lingua latina, e conclude: u Idem igitur liber
qui primus fuisset totins operis de lingua latina, vocatur a Prisciano de origine linguae Ltinae, a
Pompeio gramm. ad Atlicum, a I.ydo wp; nopwwvtov. Se fosse vera questa conseguenza si avreb
be lo strano caso di veder c4ato il proemio ad una prefazione^ perch non altro che prefazione
un libro d' introduzione.
Consi der ando quindi la congruenza del)'argomento, finch non sia scoperlo un'altro libro
che tratta dell'alfabeto e delle altre questioni che si collegano coi primordii della letteratura la
tina, e che si dica espressamonte dedicato a Pompeo, noi sottoscriviamo con piena sicurezza alla
proposta del RilschI, di giuilicare, che a non altra opera che questa De orig. ling. lat. allu
desse Ly*lo, e che questi tre libri losiero dedicali a Pompeo.
N ii saprebbe per verit trovar luogo pi acconcio per la testimonianza del Lydo, che ;
libri De origine linguae lalinae. Questo era proprio il luogo da dire che Evandro avea por
tato a Koroa il dialetto colico, il quale tanto confer alla formazione del linguaggio romano. La
cosa era stata notala tra |ili altri da Quintiliano (Inst. Orai., 1, 6, 3i), dove dice: u Continet
(etymologia) in se inultam eruditionem, sive ex graecis orla tractemus, quae sunt |>lurima prae-
cipueqne aeolica ratione, cui est sermo noiler simillimos, declinala, sive e<c. n E al nostro sco
po giova addurre on altro luogo dello stesso relore, perch ci tara strada a scopi ire qualche altro
docomento inH>rno al libro De origine linguae latinae : ed il laogo al capo V del libro I
( 55) tt verba aut latina aut peregrina sunl : peregrina porro ex omnibus prope dixerira genli-
bnt ni instituta eliaro multa yenerunt. Taceo de Tuscisy et Sabinis et Praenestinis quoque ....
plurima gallica valuerunt .... sed haec divisio mea ad graecum sermonem praecipue perlinet, nam
et maxima ex parte ronanas inde conversus est, el confessis quoqoe Graecis utimar verbis, ubi
nostra desunt.
]| Lydo (De magis., II, i 3) scrve: u L' arnese completo della lorka detto dai Galli Carta
mera^ e dal volgo per ignoranza, cartalamo. Che questo vocabolo non sia romano attestato dal
romano Varrone nel libro V della lingua latina^ in cui distinto quale voce sia eolica^ quale
gallica^ e che 1' una dovuta ai Tusci^ altra agli Etruschi^ dalla fusione dei quali dialetti
norse la lingua latina, che ora in voga, n questo luogo molto controverso, noi troviamo pri
ma di lutto da avvertire, che se t ' era opera in cui quadrasse ci che dice Lydo, degli elementi
cio che eoncorsero a formare il linguaggio romado, quella De origine linguae lat, dessa.
Che il Lydo abbia errato in qualche parte evidente. Difalti se si prendesse la sua citazioue
alla lettera, non vi sarebbe altra luogo per la notizia tratta da Varrone chc il capo 116 del li
bro V, al quale la vollero riferita, e lo Spengel, ed. varr.j pag. 5, l at e il Merkel (Ori d. Fast.,
pag. e v i ; questi pei non senza dubbii). Ma a ragione ne aveva dubitato il Mailer, e non vi
si acconcia acuto interprete dei libri De ling. lat. prof. Canal. In quel capo non si riscontra
no le due parole galliche recate dal Lydo, e Varmne dice anzi, che il nome di lorica che era
appropriatissimo alP arnese formato e loris de corio crudo, fu applicalo anche alla corraiza fer
rea dei Galli. E se la notizia del Lydo non tratta dal V libro De lingua lai,^ non potrebbe
averla tratta invece da quest' opera De orig. linguae lat. ? Pi facile a supporre uno sbaglio
nella numerazione, da non stupirsene in uno scrittore poco diligente, il quale esagerava certo
anche 1' opinione varroniana origine della lingua latina, che il Romano non considerava come
una fusione di elementi cosi eterogenei. Non parlo poi dell' aver fatto due cose diverse, dei Tesci
ed EtruKhi^ perch uscirci dal canpo delle mie ricerche, ma merita considerazione. Si era no
tempo immaginato che buona raccolta di frammenti appartenenti all'opera De origine l. l. si po
tesse trarre da Apolejo cos dello il minore nelle due scrtiure De nota aspirationis et de diphton
,i83 F R A M M E N T I n 8 /,
gis^ nel primo dt i quali, p. 10*7 (ed. Ounn) citato : in libro De origine /. nel secondo (p. i 25)
in libris De origine . /. AH no esame pi acculato mostr rana la speranza. Prima dt tatto io
credo sia a dubitar Corte, che Apulejo il minore rissalo nel secolo X se non pi tardi, abbia
fcdulo quest opera ; poi il confronto dei passi con altri De l. l. fa conoscere rhe da questi are-
ra attinto Apulejo non dagli altri De origine /. ampliando poi a suo grado *la dotlrina var>
roniana, senza che 1i faccii specie il modo di citazione, che polca essere dal grammatico, che
non dei celebri, travolto o per incaria o perch trovasse cos nei codici, se per es. : lo
stesso codice fiorentino ha per i libri V- VR il titolo De lingua latina^ De disciplina originum
verborum^ se 1 libri De l. l. sono detti De sferborum origine nel codice di Gotha, e per fino
De origine linguae latinae in on codice del monastero di Piesole.
11 Wilmanos (pag. r3a) ha raccolti tolti i luoghi di queste due scritture di Apulqo che con
cordano con lunghi varroniaoi dei libri De L l. lo accenner solo i due aopia i quali ctdeva
niassiniaiuente il dubbio, e i quali diedero la rooua alle ricerche.
Apoi. de not. aspir., pag. 107 (cd. Osann) : u M. Varr in libro De origine linguae latioae ah
hordeo horreum dtri\.iium aspirat, hordeum vero ab horrore tractum dicitur (dicit? Osann).
Questo luogo collima in parte con questo De l. /., V, i o5 dictum .... horreum ab hordeo. >
Apul. de dipbt., pag. 127; m A t aste de r^peHttlr id adts quod ab adeundo secnndam
Varronem derivatum est, r e Varrone nel V De l. l. 160 scrire aedes ab aditu. Nel quale se
condo luogo di Apulejo ho accettata la emendazione del Wilm^nns ab adeundo in luogo della
vulgata ah edendo^ che rendeva pi strana ancora la etimologia, onde a ragione il eh. prof. Ca
nal sospettava che Apulejo potesse artr trovato la etimologia di Varrone in altra opera che non
iu quella De l. /, sospetto che dalla proposta emendazione, se venga accolta, verrebbe tolto. In
un terzo luogo, pag. 129, Apulejo dice tutto diverso da Varrone : u Aes aeris quod Marcus Varro
ab asse, alii etc., mentre Varrooe De l. V, 169 fa derivare as ah aere.
Per cui dopo questa eliminazione restano da assegnare ai libri De orgine linguae latinae le
duttrine seguenti;
I. Joan. Lyd. de .magist., I, 5, pag. laS (ed. Bekk.) u dimostralo che Romolo c i sooi non
err.no, per quel tempo, ignoranti della lingua greca, dico della eolica; lo conformano Catone
nel libro delle antichit romane e Varrone nel proemio dei libri scritti a Pompro, dalf essere
venuti in Italia Evandro ed altri area<Ii, che innestarono il dialetto eol<co alla lingua di quei
barbari, n
II. Prisc., I, 39, pag. 3o, 12: u Seqornte G vel C pr ea (cio la N ) G scribunt Graeci et
quidam tamen vetustissimi iiuclorfs Romanorum ecphoniae causa bene hoc facientes, ut Agchises,
Bgceps, aggolus, aggens quod ostendit Varro in piimo de origine linguae latinae bis verbls:
ii85 DI . VABilONE 8
Ut Jon scribit quiuta vicesima est litera quam
vocant , cuius forma nulla est et commu
nis est Graecis et Latinis ut his verbis: aggulus,
aggens, aggiKlIa, iggerunt. In eiusmodi Graeci et
Attius noster bina G scribunt alii N et G : quod
in hoc veritatem videre facile eif, in ilio non est.
Similiter agceps, agcora.
Come scrive Jon, vi ha una venticinquesima
lettera chiamala cosi dai Greci come dai Latini
angma^ che non ha forma alcuna, e che si trova
ad esempio, nelle parole aggulu5, aggens, agguil-
la, iggeruut. Cosi falle voci i Greci e il nostro
Azio scrvono con due G, altri invece con NG,
perch in questo modo facile vedere e(imolo>
gi; non cos nelPaltro. Meilesinjamenle agceps,
agcora.
Jon forse quello di Chio (>oeta tragico, che oominaio anche come filosofo, e nelt' Etym.
M. pag. 574^ 6 come grammatico.
* una congettura d ten Brink (Varronis locuf de urb. Uom. pap. 2), poich il nome
della lettera dovea rsserc accomodalo al suono, lo per non ne trovato alcun esempio, come
neppure della corrispondente agma (nei codd. dell'Hertz).
Attius il poeta ricordato pi sopra al quale era dedicata l'opera De antiq, litterarum.
Vittorino, 1, 4. 4 * *45^ P, scrive; Attius cum scriberet anguis, angului. w A me pare
una opposizione bella e buona alla parola di Varrone, e non so come non lo voglia accordare il
VVilmanos che si contenta dire : che in questo luogo Vittorino satis negligenter scripsit.
L' ultime parole del passo di Pruciano ho dato secondo la correzione lei Ritscbl (luon. epigr.
I r, pag. 24), altri leggono K^eritatem (.^idere facile non est^ lezione che mi par da scartare.
F b a m h e r t i d i M. T e r . V a b b m r L. 7
1 1^7
\ A 1 I
Dq proprietate scriptorum libri III,
m 38
11 frammeulo lalvato da Nonio alla voce Liquidum^ pag. 344 punto a cono
scere a quale inlendiujenlo fosse Tolta questa scrittura ?arroniana che il RilschI crede segnare
il passaggio degli scritti storico-crilico-letterarii ai grmnjalicali. opinione dello slesso critico
che la sostanza dell'opera De proprietate scriptorum formassero studii comparativi fra scrittore
scrittore, scrittura e scrittura considerati dal lalo dello stile, senza escludere per qusto, am
mettendo anzi, che Varrone avesse penetrato pi addentro nella questione.
Il luogo di Nonio il seguente :
Nonius p. 334) a6. Quod aes aut quod aliud
eius generis ferve factum collicuisset, el in for
mam cssel iofusum.
Il bronzo o che che altro di simile che si fos
se liquefatto per forza di fuoco e infuso nella
fui tua.
De compositione satyrarum.
Nel proemio alla versione delle satire Menippee abbiamo tallo conoscere che gli antichi cono
scevano pi maniere di salire, e che questo genere di scritture aveva in Roma una storia. Dal-
esame che allora ci era imposto dall' argomento, apparve come non si possano conciliare lode
volmente insieme le opinioni dei critici, i quali si adoperarono per ricomporre questa storia dalle
espressioni degli antichi grammatici che, data occasione^ ne parlarono. Erano poi gli antichi
stessi concordi sui caratteri delle varie maniere di satire? 11 titolo conservato da Nonio di que
st' altro lavoro ci mostra il contrario. Varrone che avca coltivate le due specie di satira En
niana e Menippea, si vide coiitretto a trattarne anche teoreticamente in un libro a parte: Decani
positione satyrarum^ la quale dovea mettere in chiaro la storia per noi cos oscura ed incerta
della satira latina: neuuno poteva farlo meglio di Vanone. Il libro, tranne questo solo frammen
to, and perduto.
Nonius, p. 67 : u Pareclatoe adsunt, ntulierque, mulier, Venus, caput, Si sa che u parecla-
loe erano coloro che si trovavano in quell'et, che tra la pueritia e la pubertas^ ma non ba
sta questa notizia a spiegare, ammesso che non sia (come credo) corrotto, il frammento. Anche
il Quicheral nella sua recente edizione di Nonio non propone alcuna spiegazione del passo.
De fortn^ philotophiae.
Questa scrittura ricordala dal catalogo di S. Giroamo, che nc fa tre libri. Finora non si
trovato chr un solo frammento del secondo libro in Carisio. La scoperta dell' indice mostr quin
di false le supposizioni di alcuni eruditi, p. e. dello Schncider {^De vit. et script. Farr.^ p. 282),
che giudicavano non essere De f o r ma philosophiae che b seconda parie di un' opera pi vasta
de philosophia. Bastami del resto avvertire, che S. Agostino, il quale e conobbe e conserv un
lungo tratto dell' opera De philosophia^ ne parla cosi espressamente come di un libro unico, da
non lasciar luogo a dubbiezza. Bisogna ammettere ancora, che questa opera sia stata scritta dopo
la pubblicazione, delle Academicbe di Cicerone, perch non se ne trova fallo cenno l dove si
tocca delle scritture Varroniane, di argomento filosofico. 11 frammento che si trova in Carisio
non ci fa conoscere altro, che al 11 libro Varrone us la parola capparis al femminile. Con
fronta Ritschl op. c., [V 5o3.
De originibus scenicis.
Abbiamo gi in altro luogo avuto occasione di mostrare che la commedia era quella parte
della letteratura latina che Varrone avea preso specialmenle a illustrare, e tra i comici Pianto. 11
titolo dovuto a una correzione, della cui bont non si pu dubitare, perch oltre il trovarsi
cos citata da grammatici, quest'opera apre la serie degli scritti sopra l ' aite drammatica dei Ho-
mani. Nel solito indice IroTasi invece De originibus saeculi. Pi difficile a sciogliere aii dub
bio che sorge da una citazione di Servio (in Georg. J, 11). Vairo De scenicis originibus ^el
in Scauro, Vi fu chi volle vedere in questa citazione un logislorico Scaurus de scenicis ori
ginibus^ ma noi gi da un pezzo avevamo escluso questa spiegazione (v. p. 903), principalmeote
per il motivo che opera De scenicis originibus a^eva per lo meno tre libri, come nessuno
altro dei logistorici ; e poi perch mentre si trova citato pi volle an libro Scaurus che noi ab>
biamo messo tra i logistorici, ti trova citalo poi De originibus scenicis senza aggiunta Scau
rus. Adunque, ammesso che non vi sia errore (e questo noo si pu provare) nella citazione di
Servio, non resta altro a credere se non che (bitre opera pi vasta De originibus scenicis iu
Ire libri, ne abbia pubblicata un* altra, forse 00 compendio, in un sol libro col doppio titolo De
orig. scen, vel Scaurus: se la citazione errata^ oltre la scrittura De orig. scen.^ abbiamo un
logistorico Seaurus senza il secondo titulo e di argomento sconosciuto.
Ci si presenta qui opportunit di fare una rettificazione. Le parole che a pag, 776 nel lo
gistorico Seaurus abbiamo recate* come di Varrone devono ritenersi come di Servio, e al libro
De orig. scenicis appartengono altro che seguitano immediatamente :
1 1 8 9 DI . T ERENZIO VARRONE ' 1 190
Varr de scenicis originibus vel in Scauro.
Triptolemum dicit Nigidius sphaerae barbaricae
anb Virginis signo aratorem, quem Orona iEgyptii
vocant quod Oron Osiridis filiom ab hac educa
tam dicunt.
Varrone nel libro Delie origini dei teatro o
nello Scauro. Scrve Nigidio nella sua u sfera
barbarica n ohe Triptolemo aratore sotto Ia
costellazione della Vergine, chiamato dagli Egzii
Orone, perch credono educato da lui Orone figlio
di Osiride.
Si citano di questo lavoro anche questi due insignificanti frammenti :
Nonius, p. 196 M : Varr De scen. orig. lib. Ili : u Ubi compitus erat oliquis. ^
Charisius, p 83 : u Malres familiae r> che sarebbe ripetuto e nel secondo e nel terzo libro.
Anch^ Diomede dove tratta nel libro 111 della poesia drammatica cita pi volte Varrone per
cose ch^ si riferiscono a origini sceniche, ed per questo ovvio supporre che il fonte fossero
i libri Varroniani De orig. scen.., non per il fonte immediato che fu, probabilissimamente il libro
De viris illustribus di Svetonio. Oltre gli argomenti che ne adducono il Keil e il Reifferscheid,
basta vedere che Varrone citato per Indiretto e come di seconda mano, e che le dottrine var-
roniane si estendono pi che non apparisce dalle citazioni che anche allo itile si mostrano rima-
neggiate da altri. Per non dar adunque nel troppo, ricorderemo solo i Ire luoghi dove Varrone
espressamente allegato.
1." Diom. Ili, p. 487, K : a Tragoedia, ut quidanf a rpyy et dieta est, quoniam o!im
actoribus tragieis , id est hircus, praemium cantus proponebatur, qui Liberalibus die lesto
Libero palri ob hoc ipsnra immolabatur, quia, ut Varr ait, depascunt vitem.
2. Ih., p. 48 Comoedia dicta Ano ^ ; xwfiat enim appellantur pagi, id est con
venticula rusticorum. Itaque iuventus attica^ ut ait Varro, circum vicos ire solita f uerat ei
questus sui causa hoc genus carminis pronuntiabat, n
3.Ib., p. 489 K. ,tt Togatae fabulae dicuntur quae scriptae sunt secundum rilus et habitus
hominom togalorum, id rst Romanorum, (toga namque Romana est), sicut Graecas fabul as ah
habitu aeque palliatas Farro ait nominari, -n
De scenicis actionibus libri V.
Neir indice sono assegnati a quest opera tre libri, ma Carisio ne cita il qninto. L unico fram
mento che ti conservato di una scrittura, che dovea essere senza dubbio molto importante, per-
ch sul modo di condurre Taiione drammatica, il seguente di Carisio, p. 74 imberbi iavenef. 't*
De aciibut (?) scenicu libri III.
Non abbiamo di (jucsl' ahro lavoro sulla draromalica alcun l'ranifncnio. Nel calalogo gli sono
assegnali Ire libri e s iiililola De actis scenicis. La correzione, che giudico opportuna, e del
Rilschl. Questo arulissiroo critico, al quale tanlo devono gli studii sul dramma latino, nel Voi. IV
del Nuoto Museo Renano, pag. 6o8 e segg. faceva delle ricerche intorno alla iorma primitiva
delle Bacchides di Plauto, e delle sue conclusioni ci possiamo giovare prr illustrazione del
l' opera Varroniana sugli atti di un dramma, argomento, chi, chi consideri a prima giunta, par
rebbe impossibile potesse fornire materia t tre libri. Nessuno degli scrittoi- antichi ci ha dato
lame a riconoscere se e in qual modo si usasse dividere per alti un dramma. E tutto la credere^
che, quando si volle fissarne colla scrittura la forma letteraria, il dramma si ricompose coll' aiuto
delle parli che erano state Irascrille per ogni attore. Questi antichi drammi continuarono a rap
presentarsi sulla scena, e quindi era diventato studio non soltanto degli eruditi, ma anche dei di
rettori degli spettacoli, il poter determinare quale potesse essere la Torma primitiva del dramma, e
sapere dove poteva finire e cominciare un atto per alzare e abbassare a tempo opportuno la tela.
Quesio studio offriva incertezza e difficolt parecchie, e fra i, diremo cos, ricostruttori di uno
stesso drsmma chi taceva terminare Tatto in un punto, chi in uno diverso. Basterebbe per ogni
altro argomento autorevole attestazione di Donalo, il quale fin dal principio dtl suo commento
air Andria di Terenzio dichiarava che : u Divisionem actuum in lalinis fabulis internoicere dit>
fcile est. )) Dallo stesso Donato siamo assicurati, che anche queste ricerche sulla distribuzione
degli atti nel dramma avevano occupato Varrone, e nelP argomento airAccyra, alludendo, io cre
do, i qoest' opera De actibus scenicis dice : u Docet autem Varr neque in hac fabula neque
in aliis esse mirandum, quod actus impares scenaruro paginaramque sint numero, cum haec distri
butio in rerum descriptione, non in numero \ersuum constituta sit, non apud Latinos modo
verum etiam apud Graecos ipsos. E verso Ia fine delP argomento agli Adelphi u in dividendis
actibus fabulae identidem meminerimus primo paginarum dinumerationem neque Graecos neqae
Latinos servasse, n Sebbene adunque i comici latini nel pubblicare le loro commedie le avessero
mandale attorno senza divisione di alti, pure questi u a doclis veteribus discreti atqoe disiuncti
sunt (arg. Ad.). Da queste premesse non ci deve parere strano, che aiifatto argomento desse a
Varrone materia per tre libri, perch esso deve aver preso ad >esaroe quelle commedie antiche
che ancora si rappresentavano sulla scena, e per ciascuna anco proposta quella divisione in atli che
giudicava pi conveniente. c facile ad immaginare che le questioni e le incertezze doveano
germinare frequentssirae in questo campo, come n c estmpio il tentativo di una razionale rico
struzione delle Bacchiadi fatta, come sopra dicemmo, dal Rilschl.
Non bisogna tacere per altro, che tutto quello che siamo fn ora venuti discorrendo, non
ambisce che al carattere di probabilit, perch si fonda sopra una correzione, che noo sicura,
del titolo, che per annunziare argomento quale fu da noi esposto poteva suonare anche diffe
rentemente p. e. De distributione fabularum^ altrimenti.
l i g i 1' . k. N I' I
De penonii libri III,
Alle scritture destinate ad illustrare il dramma latino noi ascriviamo senza dubbiezze i tre
libri De personis. Eguale argomento aveva Iraltato Aristofane Bizantino nello scritto iripi irpo-
citato anche da A^eriio Flapc^ prcaM Pesto^ p. IMlaeson persona comica appellatur
aut coci aut nautae aul eius generis : dici ab inventore eius Maescnc comoedo, ut ait Aristopha
nes grammaticus, n La parte precipua dello scritto De personis doveva, a mio avviso, aggirarsi
intorno alle fabulae Atellanae, perch fu in queste che prima si introdussero le maschere come
tipi convenzionali, quali il nostro Zanni, e il Dottore ecc. Cos souo ricordala le maschere Ma-
cus, Bucco, Pappus, Dossenus divenute ben presto a Roma conosciute o popolari, come le altre
che vi si aggiunsero di Manducus, Mania, Pytho, Lauia. Del pari a credere che lo scrittore si
facesse strada a parlare degli altrF divertimenti popolani drammatici, massime dei mimi. L' argo
mento era opportunissimo e attraente, perch Varrone avr, certo, cercata ed esposta origine
storica, la introduzione, il carattere delle maschere da scena : argomento, di cui nou abbiamo
notizie a sufficienza piene e sicire. Dell opera De personis nessun frammento.
Dt Ducriptionibut. ( < \.
Nel catalogo di S. GiroUino si troTaiio nolali Ire libri De descriptionibus ; in Carisio, p. i^o
c citato il 111 ^rpt >. lo credo che le due opere sieno una sola con doppio titolo, greco
e latino, e ne dir le ragioni. E prima gio?a aTreriire, che conforme avevano fatto Oehler
il Riese ed altri rritici allo rcrillo wrpi io aveva fatto luogo tra le salire IVIenippee : ma
notava fin d'allora di non sentirmi sicuro, e che se non ci erano booni ergomenti da escluder
lo, non te ne avea di buoni neppure per animet(erlo. Io non conosceva a quel tempo le classi
che disquisizioni del KitschI aopra le opere Varroniane, e queste vennero ora a confermare i
miei dubbile farmi inclinare alla tua opinione, che opera De descriptionibus possa annoverarti
tra quelle con cui Varrone illusir la scena romana. La prima delle ricerche questa : quale po
lea essere argomento del libro? O (e vale lo stesso) che cosa intese Varrone per descriptio
nes? Descriptio senza un genitivo chc lo determini, accenna il dotto tedesco, Indir desrrixione
retorica per servire alia exornatio^ come ad Herenn IV, 3q, o, quello chc noi diciaro > carat
tere o ritratto. Aggiungo, che la parola descriptio si trova senza altra determinazione anche in
altro senso, ma sempre in luoghi dove il suo signitcato dal contesto deterrhioato : cos nel
Capo 1, 17, 38 delle Tusculane descriptionibus deve etsere inteso: col mezzo di figure geo
metriche.
A nefsuno per verr in mente che i tre libri De descriptionibus di Varrone si occupassero
di questa materia, come non sarebbe stalo argomento da svolgere io tre libri, quello delle de
scrizioni retoriche. Resta adunque che trattassero dei caratteri o ritratti di questo o quel co
starne. Ammesso ci, non si vede la convenienza del doppio titolo : De descriptionibus wcpt -
97 Cicerone insegna pure la corrispondenza esatta fra le due parole u descriptio quam
Graeci dicant (Top. 22), e noi in italiano adoperiamo la parola carattere nelP uso mede
simo. Molto opportuno altres arrecare un altro luogo di Cicerone del capo stesso delle Topi
che: u Descriptioni qualis sil avarus, qualis assentator, ceteraque eiusdem generis, in quibus natu
ra et vita describitor; w Insegnamento quasi colle tiesse parole ripetuto anche nelle Partizioni
oratorie. In questo tento e non io altro io credo che debba essere spiegato il titolo ; e pi chiara
allora apparisce la citazione di Caritio : Verro in tertio -mp . Se Varrone abbia avuto
dinanzi a($li occhi Teofrasto non ti pu dire, ma niente di pi probabile, e il tao libro avrebbe
potuto esserne una libera imitazione adattata alla societ romana. iVla bisogna confessare che il suo
libro sarebbe stato in questo caso detto descriptionum uon De descriptionibus.^ titolo che ac>
cenna a qualche cosa di teoretico, di dottrinario. Se quindi Varrone trattava dei caratteri.^ se
gno che ne esistevano sotto forma letteraria, e con tratti, diremo co5, tipici e tradizionali.
dove trovarli pi oppurtanemente che nella commedia, la quale si serviva per appunto di etti?
Se noi abbiamo e i l tiranno e il padre nobile e la servetta ecc. i Romani non erano 'meno
ricchi, come : u Leno periurus, amatur fervidos, servulas callidus, amica illudent, uxor inhibent,
mater indulgens, patruus obrurgator, nodalis oj/itulalor, miles praeliator, parasitas edax, parentes
lenacct, meretrix procax, -wNon mancava, come si vede, materia ad una ricca prosopografia fornita
dalla commedia, materia fatta pi ampia quando cominci a vincere la nuova commedia attica, an
eli* etta coi suoi tipi caratteristici disegnali con grande finitezza c precisione. Varrone avea perci
opportunit di continui riscontri fra i tipi romani e i tipi greci.
il luogo allegato da Carisio il seguente: u Coniata sunt adverbia. Varro sic ail in 111
, proprius, proxime, 11 Boissier (op. cit., pag. i 5it) nnisce insieme le due opere De
proprietate scriptorum e ircpi u ces deux titres ... Toe temblant iodiquer qu' il avait
consacr deux ouvrages ces sortes de classifications litterairet. w Niente vi ha per chc giusti
fichi questa supposizione, anzi il titolo dell'opera vi fa contro.
i..j3 DI . VARUONE i i q -
Quaettionum Plautinarum libri V,
detto innanzi, che Varrone aytva fatto lunghi e pazienti stadii sopra il pi popolare dei co
lmici latini, Plauto. Questi siudii erano ria5.^unti in due opere speciali, di cui b prima questa
col titolo gr nc r i co quaestiones plautinae. impossibile determinare per lo appunto di chc cosa
s occup^isero qacsl libri; liat lue froromenli che loggiangitmn c cerio che n l'arevano'parie
(litquisiiioD filologiche e gloiiografichc ; ed c probabile che venissero spiegali i vocaboli tieli e
strani, chiarile le allusioni, che comprendessero insomma un apparale per la sicura nlelligenxa
del ecchio poeta. Il Bilichi dubita che fi sia errore nel numero dei libri, e li ridurrebbe da
cinque a tre il pi ; nta siccome non sappiamo quale sviluppo Varrone pu arer dato alle sue
ricerche, cos non abbiamo ionilamenlo ad impugnare la esalleiza delP indice che nota: libri V.
1 due frammenti sono questi, ambedue traili dal libro li.
1195 F A IN 1 i i q 6
I. Nonius,p. 9 , 1 7 , alla voce examussim,\tm
(Amarro) quaestionum Plautinarum libro 11. Amus
sis est aequamen, levamentum, id est apud ia-
bros tabula quaedam qua utuntur ad saxa coag-
mentita (il Giunio : coagmentanda),
a. Diomede, p. 4BS, satura est uva passa el
polenta et uuclei pini ex mulso consparsi.
I. Nonio, I. c. Amussis il regolo lo spia
natoio, cio un legno di cui usano gji artefici per
le pietre commesse.
2. Satura aoa poltiglia di uva passa,^orzo
mondato, pinocchi sparsi di vino melato.
De comptdiii Plaulini$ liber.
Questo libro, di cui Gellio (111, 3) ci ha conservato imporlanli notizie, si occupava della cri
tica del testo di Plauto, e del determinare quali commedie fossero, tra quante andavano col nome
del Sarsinate, da attribuire a Plauto, quante da escludere. Fa un lavoro serio e importante.
Ben i 3o erano le commedie che si dicevano di Plauto, e di queste parte erano, per consenti
mento comune (//) e per solidi argomenti ascritte al poeta ; parte erangli attribuite per
soli argomenti probabili, e per ragioni di congruenza, ma non senta contrasto (ivrthy^tva) ;
altre, ed erano il numero maggiore, portavano falsamente il nome di Plauto (). Queste tre
categorie erano, dopo gli indici gi compilati da Elio, SeJigito td altri, stabilite da Varrone
stesso, il quale giusti(cva largamente il tuo giudizio sulla auteuticit o sulla origine spuria
di ciascuna delle commedie, dette Plautine. Elio avea numerate a5 commedie come certamente
di Plauto, Varrone le riduue a 21, e sono dette perci fabulae Varronianae,
Prima di procedere oltre, nulla di meglio che riferire importante luogo di Gellio : u Verum
esse comperior quod quosdam bene literatos homines dicere audivi, qui plerasque Plauti co
moedias curiose atquc contente lectitarunt non indicibus Aelii ncque Sedigili, nec Claudii, nec
Aurelii, nec Acii, nec Manilii super bis fabulis quae dicuntur ambigue credituros, sed ipsi Plauto
moribusque ingenii atqoe linguae eius. Hac enim iudicii norma Varronem quoque esse usam
videmus. Nam praeter illas unam et viginti quae Varronianae vocantur, quas idcirco a celeris
segrejavit quoniam dubiosae non erant, sed consensu omnium Pianti esse censebantur quasdam
item alias probavit adductus stylo atqoe facetia sermonis Plauto congruentis; easdemque iam
nominibus aliorum occupatas Plauto vindicavit, siculi istam quara nuperrime legebamus cui est
nomen Boeotia. Nam cum in iilis una et viginti*non sit et este Aquilii dicatur, nihil tamen
Varro dubitavit quin Plauti foret, nequc alius quisquam non infrequens Plauti lector dubitave
rit, *i vtl hos solos versus ex ea fabula oognoverit, qui quoniam suiit, ot de illiut more dicam,
Plautinissimi, proptcrca et meminerimus cos et adscripsimus. Parasitus ibi esuriens haec dicit :
A t illum di perdant primus (fui horas repperit
Quique adeo primus statuit hic tolarium
Qui mihi comminuit misero articulatim diem.
Nam me puero uterus erat solarium^
Multo omnium istorum optumum et verissumum^
Ubi ubi iste monebat^ esse^ nisi cui nihil erot,
Pfunc etiam qui est non est nisi soli lubet
Itaque adeo iam oppletum est oppidum solariis:
Maior pars populi aridi reptant fame.
. Marcos an tero Varro in libro de comoediis Plautinis^ primo Accii verba haec ponit :
tiam nec Gemini Lenones, nec Condalium, nec Aous Plauti, nec Bis compressa, nec Boeotia un
quam fuit, ncque Aypoixc;, ncque Commoricnles; sed M. Aquilii.
]q eoJem libro VarroDs iJ quoque scriplum esl : FUulum fuisse quempiam poeUm coiDoe-
Uiarum, cuias quoniara tabulae Plauli ioicripiae sunt noo Plauto . . . . Plautinae sed a Plautii
Planlianae . . . . Sed enirn Salurionem et Addictum et iertiam quamdam cuius nuoc mihi in
roeulein Domvu non suppetU in pristino euro scripsisse, Amarro et plerique alii memoriae tradi
derunt, cum pecunia omni quam operis arlificum scenicoium pepererat, in mercatibus perdi
ta, inops Romam rediiset et ob quaerendum ictum ad circumagendas molas, quae trusatiles ap
pellantur operam pistori locasset. n
Lasciando ora dtl modo in cui Gellio proporrebbe di risolvere la questione, pare che, olire
le 91 che sono come genuine ammesse in tutte le edizioni di Plauto, Varrone accordasse au
tenticit anche a queste 19 (21-^^191=14^ Scotio praef. ad comm. in Aen. Plautum alii di
cunt uuam et viginti l'ahuias scripsisse, alii quadraginta...), cio: 23 Saturio ; 23 Addictus; 24
Boeotia; 25 Nerrolaria ; 26 Fretum; 27 Trigemini; 28 Astraba; 29 Parasitus piger; 3o Parasitus
medicus; Si Commorientes ; 32 Condalium; 33 Gemini Lenones; 34 Feueratrix ; 35 Fri volarla ;
36 Sitellitergus ; 3y Fugitivus; 38 Cacistio $ 3g Hortulus; 40 Artemo.
Dovendomi restringere a quello che pu avere scritto Varrone, io non credo di dilungarmi
spiegare le ragioni, perch venisse a Plauto ascritta la paternit di tante commedie non sue.
\'edi Mommsen R. 'Ges. 1, p. 88a, e pi di tutti il KiIschi : Parerga^ dove occupa allo svilup
po della questione ben 174 pagine dalla 71 alla 245.
I I 97 DI . T EUENZIO VARRONfc; 1198
De poeiU.
Di quest'opera non si trova citato che il primo libro: si pu considerare come una raccolta
di biografe di poeti latini, e, crediamo, solo dei latinV."l utti concordano a credere che le bio
grafe fossero coi>4lotle con lungo amore e molto particolareggiate, e il Ritschl Parerga^ p. 622,
proponeva a modello la vita di Terenzio che tra gli scritti di Svetonio, il quale, secondo
il critico, Pavea per la massima parte derivata da Varrone.
1 luoghi, i soli fnora in coi citato il libro De poets^ sono i seguenti. Gellio 1, 24.
u Epigramma Plauti quod dubitastemas au Plauti ioret oisi a M. Varrone positam fuisset in
libro De poetis 1. -n
Postquam morte datus Plautus comoedia luget
Scena est deserta; dein Rsus LudiC Jocusque
E t numeri innumeri simul omnes collacrumarunt,
li secondo, nello stesso Gellio XVl l , 24.
u Consules sequuntor Q. Valerios et C. Mamilius : quibus nitum esse Q. Ennium poetam
. Varro in primo de poetis libro scripsit : eumque cum septimum et sexagesimum annum age
ret duodecimum annalem 8cri[>sisse idque ipsum Ennium in eodem libro dicere......... eodem
anno (619 di Roma) C. Naevius poeta fabulas apud populum dedit quem M. Varro in libro de
poetis primo stipendia fecisse (// in libris de poetis prima stipeudia) idque ipsum Naevium
dicere in eo carmine quod de eodem brllo scripsit, n
Ma se queste tono le sole citazioni precise, non bisogna creder t ht non si possa scoprire
qualche altra traccia di quest' opera tra gli scrilii dei grammatici e retori, lo invito lo studioso
a leggere la bella narrazione che si trova in Gcllio (1, 2, 2) dell'incontro a Taranto del pi
che ottuagenario Pacuvio col pi giovaue poeta Azio : a mio credere, anche questa derivata da
Varrone ; il quale pu a ragione venire indicato dalle parole con cui il racconto si iotrodoce
tt quibus otium et studiom fuit, vitas atque #etates doctorum hominum quaerere ac memoriae
tradere .... historiali) sct ipseruut huiuscemodi ctc. w
Ne) Urutos cap. XV, 60 stabilisce Cicerone come anno della morte dei poeta Nevio il 55o
(204 a. C.) sull'autorit degli antichi commeutarii ; soggiunge quindi: u Quamquam Varr noster
diligentissimus investigator autiquitatis, putat hoc erratum vitamque Naevii prodocit longius: n
le quali parole erano a loro luogo nella vita di Nevio.
Abbiamo detto da principio che il libro era dei poeti lati i ; ma per questo non si pu
escludere che di quando in quando abbia fatto dei riscontri coi greci, pei ci non mi sa mate
metter qui una notizia intorno al poeta Euripide, che avrebbe potuto, si sa, trovar luogo in
99
l' R IVI E N 1 1
allre operr, ma rhe qui pure non guasta. in Gellio XVII, 4 * Luripi*lein >1. Varr l,
cuiri quinque ri neptuaginla Iragocdias scripiert in quinque solis vitisse cam tum vinrerenl ali
quot poetae ignavissimi, y* Il Ritschl per una rosa cos dappoco va sulle tiirie, e dice che et deve
escludere aiTiilo questo frammento dalP opera De poetis^ perch non conosciuta al cuna
scr ittur a di Var r one in cui fosse trattata ex professo la stori a dei poeti gr eci (pag. 6i 4
del Museo Ugnano, ?ol. VI) : Teramente quandoque bonus eie., perch da questo solo luogo non
si polr mai dedurre che la sloria dei poeti greci fosse trattata ex projessoy e poi ex professo
o non, se Varione ha erritta quella tosa, poco imporla se abbia scriUa in uno dei libri di
lui che ronosci ni o, basta che abbia scritta.
* ^ de lingua latina.
Sula fonie per questo compendio delT opera De l ingua lati na il catalogo di S. Girolamo*
dal quale sa|ipiamo che i 25 libri delia grande opera grammaticale di Varrone erano da lui stati
ristretti in nove. Non ritorner ora au una questione trattata gi in questo medesimo volume
coir us9ta dottrina, dal prof. Canal : cio se Varrone abbia dato ultima mano e pubblicalo opera
De l ingua l ai , lo credo he i abbia compiuto il lavoro, n lo abbia mandato a Cicerone, e
mi conferma il trovare questo no\e libri di compendio. Poich nulla di pi verosimile, che non
avendo pi n il tempo n il comodo, di finire opera grande, o perch non gli paresse opera
per ogni parte degna di uscire col suo nome, o per qual altra ragione si voglia, egli le pi im
portanti dottrine in questi nove libri raccogliesse e mandasse fuori. Poteva del resto essere questo
un cx)iDpendio fatto anche per uso proprio; ad ogni modo non punto necessario supporre che
opera grande fosse compita. La iipartizioi>e generale dell'opera De lingua lat. spiega come
potessero essere nove . i libri del compendio. V opera De lingua lat. era distinta in quattro
parti, ogni parte si suddivideva in due corpi minori da Ire libri per uno : ora ad ognuna di que>
ste suddivisioni di tre libri dell* opera grande no corrispondeva uno del compendio; e come nel
l'opera grande andava aggiunto un libro di preamboli, cos nel compendio del pari, se non si vo
lesse invece dire, che.il nono dei libri era un riassunto generale deir opera.
De sermone Ialino ad Marcellum libri V.
L ' indice di S. Cirolamo assegna a questa seconda tra le maggiori opere grammaticali di Var
rone cinque libri ; n ai trovano infatti citazioni di libri oltre il quinto, tranne in Rufno nei cora
mentarii ai metri Terentiani dove (pag. 2707 P ) citato il VII due volle aucrcssive. Tuttavia
provato che in qnelT opera di Rufno sono corsi errori parecchi, ed era facile che fi scrivesse
in luogo di 1111. Talvolta (Gellio X.V1II, 12, 8: Acr o ad I l orat, art. poe. 202, enei due luoghi
citati di Rufno) questi libri sono detti anche De lingua lati na ad Mar cel l um: il quale difie-'
reme modo di citazione avea indotto il Popma (Ribl. ^arr., p. 409) alla falsa conclusione che i
libri ad Mar cell um facessero corpo cogli altri a5 De lingua lat. ad Ciceronem. Lo scopo del-
V ad Marcel lum eri 4]iverso ; qui si trattavano le questioni che aveano relazione colla na
tura e qualit degli accenti, colla retta pronunzia, colle aspirationi; qai erand delineati t carat
teri della genuina latinit: qui esposte le varie maniere di stile; qui tratteggiate le regole della
metrica latina. Era, se vuoisi, il complemento necessario dell' opera De lingua l ati na, ma, ad
ogni modo, opera da questa separata e distinta. Quantunque non sempre sieno fiiene le citazio
ni dei grammatici, pure si pu disporre i trammenti De serm. lat. con un certo ordine, e dare
come uno schema dell'intera opera; ricostruzione, la quale non intendiamo provata con assoluta
certezza, specialmente a riguardo dei tre primi libri di cui sono pi scarse le memorie.
prima doveva definirsi il significato preciso nel quale era presa'^la parola lermo, e quale
si doveva chian)are sermo latinus^ ossia in cbe cusa foese riposta la latinitas^ la quale si ve
niva a riconoscere prendendo a guide la natura, l'analogia, la consuetudine e l'autorit (Con
fronta Diom., p. 439<>i 5) Seguiva della natura della voce, come fondamento di cose la cui trat>
tazione era riservata altrove, e conforme alle dottrine stoiche si provava che la voce era iin
corpo, I.a voce si distingue [in articolata e lonfusa : articolata quella dii)' uomo, confusa quella
degli aoimali. L eleni en to pi semplice della voce arlicofata la lellera. Di qua il passaggio a
dire del calore e della pronumia convenienle a ciaicuna lettera in particolare. Questa trattazione
occupava il primo libro. Nel libro secondo si dispulava dei varii generi di sillabe, le quali erano
dislriboile in classi, come di barbare, greche, latine, aspre, dolci ecc. : e quale tra i dae modi
di scrivere e pronunziare qualche parqla Io m? da acegliere specie fra il modo pi antico e il pi
recente.
Nel terzo libro era discorso, e minutamente, della aspirazione: seguitava la teorica delPaC'
centuazione ; e, senza che si possa ora siabtlire in qual mudo si cofinetteasero, si trovano trattale
anche questioni ortografiche. Mi pare quindi che non sa da insistere troppo, come il Wilmanns,
aulla distinzione tra ortoepia e ortografia, ed escludere dal libro 111 la prima, riservandolo solo
alla ortografia. Sono due coae distinte, vero, ma collegate assai strettamente, coma la parola
parlata e la scritta.
La teoria dclT arcento sviluppata nel libro HI si connetteva con la teoria dei metri e dei
ritmi, argomento iltrl qnarto Hbro, che cominciava per lo appunto dalla differenza fra ritmo e
metro e dalla definizione di ambedue. Dopo queste nozioni generali, prendeva ad esame le varie
maniere di versi. Dei frammenti rimasti di questo libro nessuno relativo ai metri dattilici, qnal-
di e scarso ai giambici ; appena fatto menzione dei composti. Senza che alcuna citazione lo fa
vorisca, sostiene il Wilmanns che alla trattazione dei metri seguiva quella delParmonia imitativa
della prosa.
Nel quinto Kbro troviamo che era discorso della interiezione, e d e l l ' i o ; e wOo?, cio del
modo di ritrarre con fedelt e verit la natura morale, e del modo di eccitare gli afTetti. A que-
fta stregua erano giudicati i poeti, e quindi occasione a parlare delle virt e dei dello
scrivere in latino : delle tre qualit dello stile, copioso, mediocre, tenue : del significato dei vo
caboli conforme V uso della pi elegante latinit, e della forma che per alcuni di questi da
preferire.
Da ci facile scorgere che ampia molto era la tela dei libri a Marcello,^ i qoali formavano, per
dir tatto in breve, un corso completo di ammaestramenti di lingua e di stile latino.
La raccolta pi ampia dei frammenli dei libri Mar cel l um e quella del 'WilnRnnf ; il quale
li and investigando nelle opere dei grammatici e ne discorre con molta e fio troppa erudizione
(Z>e Ai, Ter enti i Var r oni s l ibri s grammaticis^ p. 479 I7o-ao8). Nella trascrizione dei fram.
menti suo uso ancora d' adoperare una certa larghezza, ma non puossi sempre giustificare che
i luoghi, spesso anche longnissimi, che reca, appartengano proprio pi a questa che a quell' opera.
Se noi volessimo essere conseguenti a questo sistema ingrosseremo sformatameute il nostro vo
lume, perche dovressimo portarvi dentro buona parte degli scritti dei grammatici antichi, che
studiarono accuratamente in Varrone, o ne attinsero, come Diomede, di seconda mano. Credetti
di escludere quelli in cui Varrone non era nemmanco ricordato, perch la nostra raccolta dei
frammenti di Varrone non la storia della sua dottrina.
I libri Ad Mar cel lum sono posteriori a quelli De l ingua l ati na : non furono quindi pubbli
cati prima drl 710 di R., com;; si conferma anche dal fatto, che, quando scriveva i libri De
sermone latino^ conoaceva gi opera di Tirannione finita nel 708 (Cf. Cic., ep. XII, 6). Disi
pubblicati, perch poteva avel preparati i nnanzi , e avervi dato solo l'ultima mauo dopo l' opera
De lingua l ati na,
II Marcello, a cui sono dedicati i libri, forse M. GlaAdius Marcellns console nel 708, av
versario ostinatissimo di Cesare, col quale non si volle mai riconciliare per quanto vi si adope
rasse anche Cicerone. Fu ucciso ad Atene nel 709. t vi era tutta la ragione di dedicarli a Mar
cello di cui Cicerone (Brutus 71, 25) f*a questa testimonianza u lectis (Marcellus) utitur verbis
et frequentibus sententiis et splendore vocis et dignitate motus fit speciosum et illustre quod
dicit, omniaque sic suppetunt, ut ei nullam deesse virtutem oratoris putem etc. n Si pu fare,
vero, coi Wilmanns P obbiezione del tempo, perch Marcello fu ucciso nel 709; ma si pu
anche rispondere, che se i libri A d Mar cel l um furono messi in pubblico non prima drl 710, non
vuol dire che non fossero gi in parte composti prima della morte di Marcello, e poi, che coaa
impediva che Varrone li dedicasse se non all' amico, alla sua memoria ? Comunque, se non
il Marcello sopraddetto, io non saprei a qnal altro di quella casa meglio che a questo potesse opera
De Srmone latino essere intitolata.
1 2 0 1 DI . T LRENZIO VAINONE laoa
FBAUMBirn DI M. T e r . . 76
12o3 F R A E N I 12o4
LIb . I.
I. CoDtUt.. . (latinims) ut ailserit Varr, his
qoiUuor : calura, otlogia, cootuetudioe, aucto
ritate.
I. La latinit, come alletta Varrone, riiulla da
queste quattro cose : dalla natura, dair analogia,
dair uso, dair autorit.
Diom., pag. ^ Latinitas eat loquendi observatio secundum romanaiu linguam, con
stat aoiem etc. n Seguita poi per quanta parte entri ciascuna delle quattro cose ricordale a dare
il colore della latinit. Ma non si pu determinare se sia dottrina Tarroniana. Non detto del
pari, se Diomede intenda parlare dei libri De sermone laiimo, lo credo che anche per queste
citazioni di Diomede sia d'uopo procedere con molta temperanza, perch pare certo che egli de
rivi la sua dottrina uoo direttamente dai fonti varroniani, ma che la prenda di seconda mano.
Col luogo citato di Diomede sar bene confrontare Carisio, pag. 5 o, i6, il quale, trattando del
medesimo argomento che Diomede, mostra di aver nulo della stessa fonte, convenendo quasi in
tegralmente i dne grammatici fin nelle parole. Carisio non cita Varrone, e non d la definizione
della latinit.
2. Lacrumae an lacrimae, maxumus an maxi
mus et si qua similia sunt quo modo scribi de
beant, qnaesitom est. Terentius Varro tradit Cae
sarem per 1 einsmodi verba solitum esse enuntia
re et scribere : inde propter auctoritatem viri
consdetudinem factam.
2. Si domanda se sia da scrivere l acrumae
l acr i mae: maxumus o maximus^e coii di altre
parole somiglianti. Terenzio Varrone ricorda che
Cesare era solilo pronunziare e scrivere cos fatte
parole colla 1 ; e che tale divenne oao comune
per autorit di un tant' nomo.
nnaens Cornutns, p. 2284. anche Quintiliano I, 4> Prisciano 1, 6 , e Velio Longo,
pag. 2228 P. Pare sicnro da molte prove di fatto, che la scrittura pi antica fosse per V. Ce
sare e Cicerone innanzi alle labiali m, p, b f, preferirono la 1 e Tuso divent comune. Per
come la V in queste parole non era un V schietto, ma un suono fra TV e I (cf. lu(i)bido ;
aoro(i)fer etc., cos anche il snono prevalso della I non fu di I schietto ; ma fra la 1 e la V, suo
no, come diceva Mario Vittorino pingui us quam /, exi l i us quam ii. Nella et imperiale questo
fluttuare tra la 1 e la V durava ancora, tanto vero che Claudio per questo suono misto avea
proposto on segno particolare l .
3 .........inconstantiam (in sono / scri bendo
atque enuntiando) Varro argoens . . . . {dicit) in
plurali quidem numero debere 1 litterae E prae
poni, in singulari vero minime.
3 . Varrone, condannando la incostanza (nello
scrivere e pronunziare il suono della 1) dice che
al plurale si deve alla 1 preporre la lettera ; noo
cos invece al singolare.
Terent. Scauro, p. 2286, P. La J lunga non ebbe suono costante. Lucilio gi aveva insegnato
a distinguere due suoni, quello esile, che egli voleva indicalo colla semplice 1 e uno pi denso,
pi cupo che voleva si indicasse con El, quindi p. e. che si scrivesse Mei l i ti a non militia. Dai
monumenti certo, che questa incostanza era nel parlar volgare. Varrone proponeva per rime
dio che si riserbaste la scrittura EI per i plurali, per es. puerei per pueri^ rimedio che, come
si vede, aggravava il male piuttosto che atlennarlo.
4. Apod (aotiquos) Mircnrius per 1dicebatur
qaod mirandarum esset rarum invntor, ut Var
ro dicit.
4. Gli antichi pronunziavano Mi r cur i us col
la I, come quegli che inventore delle cose
ammirabili.
Vel. Long., p. 2236 P. Come Mi r cur i us si pronunziava anticamente mii/f, commir ci um e
altra voce. Si notava del pari un arc^iismo opposto di voce un tempo pronunziala colla , in
seguito colla I, p. e. Menervai^ tempestatehus ecc.
5. Hanc litteram {digamma) Terentius Varro
dum vult demonstrare ila perscribit: VV.
Cassiodor. Corn., p. 2282, P.
5. Quando lerenzio Varrone vuole |>arlar dei
digamma, Io chiama VU.
laoS DI . T ERENZIO VARRONE iao6
6. Noo carel qaaeslionc eliam plebt et urbs
el Pelops, qaae Varro ita listinguU ut per B ct S
ea nominativo casu putet esse scribenda, quae
eandem litteram genetivo reddant at plebs ple^
bis, urbs urbis, ea veru per PS quae similiter ge
netivo eiufdem numeri in PIS excurrunt, ut Pt-
lops Pelopis.
6. Non vanno lulli di accordo nello scrivere
le parole quali plebs^ urbs^ Pelops. Varrooe d-
slingue; essendo suo parere, che si debbano scr
vere per BS quelle che hanno la B prima del
ascila del genitivo, come plebs^ pUbis ; urbs,
urbis : e per PS quelle che nel genitivo dello
slesso numero finiscono per PIS core Ptlops,
Pelopis,
Terent. Scaar., p. 2261. Chi vedere difes la sentenza contraria, cio che latte le parole
che nel nominativo finiscono per una labiale e la S, si debbano scrvere per PS, in conformiti
del greco, che per que5to groppo non avea che il segno , legga Cassiodoro Papiriano, p. 2291, P.
578 B Garei), il quale insegnava si dovesse scrivere urps^ traps eie. Per tagliare il nodo di
questa questione, si sa che Claudio voleva introdurre il segno o (antisigma) che aveva il valore
della . Quanti a Varrone confrontisi De /. /., X, 5^.
7. Charis., p. 124 12. R. Cretum Cicero Tuscalanaram libro 11 (14, 34): Cretum legeSy Cre
tenses Ennius, ut Varro libro 1 De sermone latino scribit.
Lib. U.
1. Syllabae, ut ait Varr, aliae sunt asperae,
aliae leTes, aliae procerae, aliae retorri dae, aliae
barbarae, aliae graeculae, aliae dorae, aliae molles.
I. Le sillabe, come dice Varrone, quali tono
aspre, e quali liscie, qoali ampie, e quali succinte,
quali dure e quali molli, quali barbere, quali
greche.
Diom., p. 4a8, 22, R. u sperae sunt ut trux^ crux^ traus ; leves, ut luna lana ; proccrae
sunt quae vocalem longam extremam habent aut penoUimam, ut fac il i tas ; retorndae sunt quae
malam habent extremam, ut /iic, hoc; barbarae sant ut gaut^ graecalae, ut hymnos^ Zenon;
darae ut ignotus; molles ut aedes, y*
2. Delirus placet Varroni, non delerus. I 2. Varrone preferisce delirus a delerus.
Vel. Long., p. 2233 P. Ommetlo le ragioni, certo del grammatico, che giustificano la prefe-
renxa, tanto pi che n per questo, n per i due frammenti che seguono si pu dire con qual>
che probabilit da quale scritto varroniano sieno derivati.
3. Varr dicit intervalla esse spatia, qaae sant
inter capita vallornm id est stipitum quibus val
lum fit, unde cetera qaoque spatia dicuntor.
Cais. Coro., p. 2284, P. ( 576 Garet.)
4. Narareper unum R scribetur, ut Varruni
placet secutus est enim etymologiam nominis
eias, qua gnarus dicitur, qui scit [el accipit] quod
loqui debeat.
Cassiod. Papir., p. 2290 P. (=: 678^ Garet.)
5. M. Varro in libro secundo ad Alarcellum
de latino sermone aeditimuni dici oportere cen
set, magis quam aedituum, quod alleram sit re
centi novitale fictum, alterum antiqua origine
incorruptum.
3. Varrone dice chiamarsi intervalli gli spatii
frapposti fra le sporgenze dei pali o tronchi che
formano il vallo, e che quindi con questo nome
si indic ogni spazio.
4. Varare si scrive con uno solo come pia
ce a Varrone, fondato sopra la ragione etimolo
gica, che si chiama gnarus quegli che sa ci che
deve dire.
5. M. Varrone oel libro 11 del linguaggio Ia>
lino a Marcello, d opinione che convenga dire
aeditimum piuttosto che aedituum^ perch que
sto una innovazione recente, V altro serba in
corrotta orgine antica.
Gellio, XII, IO, 1 . Cf. al contraro Fest. Paul., p. i 3 . Jf. aedituus aedis sacrae tuitor , , , ,
aeditimuSy aedis intimus. Vedi anche Char., pag. ^5 e 18, e il medesimo Varrone De l. l. VII,
12 Vi l i , C71.
i 2 o ; F R A M M E N T I lauO
11 libro 11 Marcello citalo da Gellio XII, 6 un' altra Tolta. Il luogo il seguente : u Quae
Graeci dicanl ai'nigroata, hoc gcDO quidam ex nostrli Tcteribus scirpos appellaverunt . . . .
quale est:
Semel minusne an bis minus non sai scio^
A n utrumque eorunif ut quondam audipi dicier^
lavi ipsi regi nolait concedere.
u Hoc qui nolet diutius apud sese quaerere, inveniet quid sit io . Varrunis De sermone
latino ad Marcellum libro lecundo. n
Lib. lU.
1. 11 sicut in quaestione est littera sit nccne,
sic nunquam dubitatum an secundo loco a qua-
cumquc consonante poni deberet, quod solus
Varro dubitat. Vult enim auctoritate sua cfficere
ut H prius ponatur ea littera cui adspirationem
conferat, et tanto magis hoc tentat persuadere,
quod vocalibus quoque dicat anteponi ut heres,
hircus.
I . Come non chiarito ancora se U sia
non una lettera, cos nessuno, tranne solo Varr*
ne, mosse dubbio, se debba, qualunque ia la coo-
sonanie, essere a questa posposta. Vuol egli col-
autorit del suo nome persuadere, che la H t si
messa innanzi alla lettera a cui d aspirazione,
e tanto pi si argomenta di protarlo perci che
la Hsi prepone pure a Tocali come in heresjiircus.
Cassiod. Coro., p. jaSS, P. ( p. 679 Garet.)
a. Varrooi placet R litteram, si primo loco
ponatur, non adspirar. Lector enim, ipse, inquii,
iotellegere debel Roduro, tam*n, etsi H nou ha
bet, Rhodum esse, returem rhetorem.
a. sentimento di Varrone che noii si aspiri
la R iniziale. Poich il lettore da se, dice, defc
intendere che Rodus Rhodus^ retor, rhetor.
iassiod. Gorn.y p. aa86, P. (z= |. Garet )
3. I Sabini, secondo scrive Varrone, dicevano
fasena V arena.
3. (Uarena) ut testis est Varr a Sabinis fase
na dicitur.
Traggo questo {rammento da un tratto lunghissimo di Velio Longo, p. aaaQ P. dove dispu
tandosi di Toci che da alcuni erano scritte culla nota dell'aspirazione H, da altri senza, il gram
matico insegna che da scrvere barena non arena^ anche per l'origine della voce, che secondo
lui la proposta da Varrone fasena. lo non vuglio entrare ora nel gineprajo etimologico, ma
noto che, ammesso il passaggio della s in r, che ha riscontri numerosissimi. (Gf. Varr. /. /. ^,
27; non si pu negare che la H latina abbia continuati e sostituito le altre aspiranti e sonore,
quindi nel latino prisco e nel ialisco fiaba per faba^ hordus per fordus^ cos i Sabiui f a e d u i per
haedus eie. Cos anche la gramm. stur. comp. della lingua Ialina di Dom. Pezzi, p. ; Mommseo
untertal. dial., pag. 358 e segg. e la vasta opera lei Corssen.
4. Negai Varr etiam Gracchu adspirandum
quoniam a gerendo sii cognominatus, matrem
enim cius qui primus Graccus sit dictus duode
cim mensibus utero euro gessisse.
Tereo. Seaur., p. aa56 P.
5. Graccuf et ortus sine adtpiratiotie dici de-
l>ere Varro ait, et urtum quidem, quod in eo
omuia oriantur, Graccum autem a gerendo, quod
mater eius duodecim mensibus eum gestaverit.
Charis., 8a, 7 K.
4^Secondo Varrone nemmeno Gracduts de
ve euere aspirato, perch il nome da gorert^
sendo che la madre del primo che si disse Grac
co, lo port dodici mesi.
5. Varrone dite che ortus e Graccui si deg-
giono pronunziare senza aspirazione; ortus^ per
ch in esso spuntano {oriuntur) di ogni inauier
I iante, Graccus, perch da gerere^ sendoch la
madre lo port dodici mesi in grembo.
1 2 >)
DI . T ERENZIO VARRONE
1210
6. rea ti b rditate dcilur non habet aspi-
ralionem, ti ab haerendo, ut In tabrictt videmus
babai.
6. Arena non ha aspiraiune se ai consideri il
suo essere arida ; si aspim te si consideri il suu
aderire^ come nelle fabbriche Tediamo.
Servins ad Verg. Aen. 1, 172. Arena: u Quaerilur hebeal necne uoroeu hoc adspirationein, et
Varr sic defnit : ti ab ariditate etc. w
7. Pulcrura Varr adspirari debere negai, ne
duabus consonantibus media iulercedal adspira-
lio, quod minime recium antiquis videbalur.
7. Varrone non vuole che si aspiri pulcrum^
perch aspirazione non cada ira due consonanti
conlro al sentimento degli antichi.
Char., p. 73, 17 R. Quantunque Varrone non sia nominato^ deve essere certo sollointeso in
questo luogo di Velilo Longo, pag. 2234, P. u non firmum ett calholicnm grammaticorum quo
censent ajpiralionem consonanti (in mtdio vocabuo Will.) non esse iungendam, cum et Car
thago dicatur et Pulcher et Gracchus et Olbo et Bocchus. Per la doUrina a cui si riierscono
i numeri 4*7, giover cosultare anche Quintiliano, I, 5, 19; Cassiod. Cornut.^ pag. 2286 P.
Mar. Victor., I, 4, 64, pag. 2266, P. ; Feti. Paul. pag. 4 3 ; 1 testimonianie dei quali sarebbe
troppo lungo recare qui per disteso, lanlo pi che uso ha determinata ormai la forma da e
guire ; non oslante clic qualche editore ollraroonlano scavi dai ruderi la ortografia pi obsoleta,
abbujando sema pr la inlelligenza degli sculari
Servio il grammatico nella sua operetta deU'accenlo (ed. Endlicber ed Eichenfeld nella Ana
lecta Granim. pag. 525 e segg.) allega spesso Pauloril di Varrone. Il Wilniauns d'opinione che
la sua teoria sia tutta teoria varroniana dedotta dal 111 libro A d Marcellum. Ma esaminando il.
lavoro con attenzione, non credo che le deduzioni deli'erudito tedesco sieno solidamente tonda
l e; e lutto il pi si pu ammettere che Servio, oltre ad altri che si occuparono della teorica de
gli accenti, come Alenodoro e Tirannione, conoscesse anche quello che e avea scritto Varrone.
Perche nulla manchi di quello che pu servire ad illustrazione delle teoriche varroniane, espor
r quello che Servio dice aver trovalo intorno agli accenti in Varrone.
Ricordalo che alcuni aveano ammesso due sole maiiiere d accenti, altri tre, l'acuto, il grave,
il perispomeno, aggiunge che Tirannione Amiseno a questi ne accompagn un quarto da lui chia
malo mei/fo, e che Varrone pure era di uguale sentimento, fondandosi per prova su quesU os
servazione, che la natura non fa nulla d'intero in cui non si possa distinguere un che di mezzo.
Come dunque v ha qualche cosa di mezzo, a cagion di esempio, tra le zotico e erudito, tra
il caldo e il freddo. Ira il dolce e l amaro, qualche cosa che non n una l' altra sola, ma
ha con aml>edue una qualche convenienza, cos a dire lo stesso della voce in cui Ira l'acuta e
la profonda si pu diatiiiguere anche una media e qua da ricercare la media prosodia. Var
rone in questa teoria seguitava altri rinomati maestri ch' egli assicurava di aver consultati all'uopo,
come Glauco Samio, Ermocrate Tasio, Teofrasto peripatetico e Ateuodoro. Essendo poi dissenso
sul l ' intonatura da darM a questo accento medio, tanto rhe Glauco lo poteva suddividere in tre, e
dubitando se il tuono fosse ascendente discendente, Varrone credeva che |>oles5e essere ora
l uno ora l'altro, ma che pi di spesso si congungesse col suono acuto.
seguilo nell opera di Servio non si incontra pi il nome di Varrone, quindi noi restiamo
dal proseguirne l esame.
8. Nell'opera a Marcello sul linguaggio latino
Varrone dice, che gli antichi avevano tibie da
quat t ro fori, poich di cosi fatte ne aveva veduto
co' suoi occhi nel tempio di Marsta.
8. Varr ait ad Marcellum de lingua Ialina :
qualluor foraminum fnisse tibias apud antiquos:
etenim et se ipsum ait in templo Marsyae vidisse
tibias quattuor foraminum.
Aero ad llorrt., ari. poet. 202 : u Varro ail in lerlio disciplinarum et ad Marcellum de lingua
latina qualluor foraminum luisse libias apud antiquos ait, et se ipsum in Marsyae templo eas
vidisse referi, v Pariando dei libri De disciplinis ho gi notato che in questi due passi le pa
role in tertio disciplinarum sono inserite per errore. 11 Wilmanns aggiunge il luogo i Servio
ad Verg., Aen. Vl I l l , 618, dove Varrone distngue le varie maniere di tibie: questo passo si
trover nel VII De disciplinis che trattava De musica.
9. In primore verbo] graves proaodiae quae
fueruol mancnt, reliquae niutant.
9. Gli accenti gravi in sul principio della pa
rola restano immutabili, gli altri si cambiano
F R A E N 1 r 1212
Geli., XVJII, la, i : u Varr libri qiioe <! Marcdlum <1 lingua latina fecit : (n primort
reliquae mutant inquit elegantiasiroe pro mulanlur. ^
IO. Faeneralor culi M. Varr in libro 111
(le sermone Ialino scripsit ; a faenore est nomi
natus: faenus autero dicturo ait a felu et quasi a
i'elura quaJaro pecuniae patientis atque increscen
tis. Idcirco et . Catonem et ceteros aetatis eius
feneratorem sine A littera pronuntiasse tradit,
siculi fetus ipse et fecunditas appellata.
lo. Faenerator^ come scrisse Varrone nel 111
libro dei linguaggio latino, formalo da faenus,^
vocabolo, egli dice, che viene da fctus o fetura^
pel produrre e molliplicare che t fa il denaro.
ricorda che per questo M. Catone e gli altri del
suo tempo proiiuniiavano faenerator senu la
lei ter A come f e t us e fecunditas.
Gellio, XVI, 1 2, I . Anche Nonio conosceva questo passo, pag. 5 4 : Faenus ab eo dictum
est, quod pecuniam pariat increscenti tempore quasi felus ant feiura : nam et fraece ^ dici
tur Tovf TlxTctv, 'qnod est parere. Varr libro 111 De latino sermone : faenus m I m dicium a
foetu et quasi foetura quadam pecuniae : nam et Cstonem et celeros aniiqniores sine A littera
faenus pronuntiasse contendit ut felus et fecunditas. Puoi consultare anche De /. /. VII, 96,
dote recasi insieme allre parole, come scaeptrum e sceptrum eie., anche faeneratrix t fenera
t r i x ad esempio d' incerta scrittura e pronunzia.
11. Ut tunicam muliere et epicrocnm iti
quoque habitarunt.
11. Come anche le donne usarono vestire la
tunica, cos alcuni uomini epicroco.
Non., pag. 3 i 8, 2 5 : u Habilare est inhabitare habere uti Varro. De serm, lat. ut tunicam etc. ^
Ut tunicam etc La lezione ut tunicam una correzione proposta dal eh. prof. Canal, la
cui bont apparisce a prima giunta al confronto colla lezione Volgata utrumque.
Epicrocum. Erano cos chiamate le vesti di un tessuto tanto sottile che ben si potevano dire
trasparenti. Fu indizio di grave corruzione del costume quando matrone romane non vergogna
rono d' indossarle ; ch diremo quando le assunsero gli uomi i ?
Lib. mi.
I. Varr dicit inier rylhmom qui latine nu
merus vocalnr et melrum hoc interesse qnod in
ter materiam el regnlum:
I. Varrone dice che il ritmo dello dai latini
nunterus e il metro diTeriscono tra di loro come
la materia e la misura.
Diom., p. 5 12, 37. Della differenza tra il metro e il ritmo parlano: lo steuo Diomede, pa
gina 4?4i fi|*rio Vittorino, 1, 10, 3, p. 24^4 P. ; Carisio, p. 289, i 5 ; Attilio Fortnoaz., pagi
na 2689 P. 337 G. ; Quini., IX, 4 5o.
2. Versus est, ut Varroni, plactt, verborum
iunclura quae per articulos el commata ac rylh-
mos modulatur in pedes. Incipit aulcm a dime
tro el procedit nsque ad hexametrum in bis
dnmtaiat versibus qui per singulos pedes diri
muntur in illis antem qui per dipodiam, usque
6d tetrametrum vel pentametrum nonnunquam
hexametrum procedunt ; quibus de divisione ac
scansione soum cniqne nomen est.
2. Verso, come piace a Varrone, chiamasi una
connessione di parole che variamente divise e ag
gruppate e modulale formano i piedi. Cominci
quindi dal dimetro e va Amo all' esametro in quei
versi soltanto in cui ogni piede si misura da se ;
di quei che si misurano per dipodie ve n' ha an
che da quattro, da cinque, e talvolta fino da sei,
ciascuno, secondo che si acande e divide, cou
proprio nome.
Mario Vici., 1, 14, i , p. 2498 P. Per la intelligenza di questo passo necessario avvertire
che lo stesso grammatico intende per colum o membrum, quod finitis constai pedibus^ per
esempio arma virumque eano ; comma invece in quo vel pars pedis est. Un comma quindi
parte di un colon, ed ogni verso di qualche lunghezza, come e&amelro, va diviso in due co/a. In
altre parole, il primo colon finisce in quella parte del verso dove cade una delle cesure princi
pali. Negli scrittori di cose metriche si scambiano talora colon e comma^ ma solo per impro
priet di linguaggio. Il Wilmanns procede pi innanzi col luogo di Mario Vittorino, ma siccome
non vi ha alcun argomento a dedurre che esponga dottrine varroniane, anzi ve ne sarebbe alcu
no contro, cos non credo di doverlo trascrivere.
i ai 3 Di . TERENZIO VARRONE
iai4
3. Mensuram esse in fabulis [hoc est fACTpov]
TereDlii el Pltuli et ceterorum comicorum et
tragicorum dicunt hi; Cicero, Scaurus, Firmiaiuis,
Varro . . . .
3. Che i drammi di Tereoiio, di Plauto e de
gli altri comici e tragici sieno scritti a misura,
cio melricarocnte, attestato da Cicerone, da
Scauro, da Firmiano, da Varrone . .
Rufiiius, comro. in metr. Terent., p. 2713 P. n: 887, G.
4. Varro (trimetrum heroum) ab Archilocho
auctum dicit adiunita syllaba et factum tale
u omnipolente parente meo w: huic si aoieras
ultimam syllabam eruut tales tres pedet, quos
prior pars hexametri recipere consuevit.
4. Varrone dice che il trimetro dallilicu fu
da Archiloco accresciuto d una sillaba, come il
seguente : omnipotente parente meo : se a que>
sto Ie?i ultima sillaba, otterrai tre piedi da cui
potrebbe cominciare un esametro.
Dioro., pag. 5 i 5, 14. Scrtio chiama inrece questa specie di ?ers Acmanio^ col qual nome
comprendeva anche il tetrametro dattilico finito per un dattilo. A difierenia di Varrone chiama
(e cosi pure Viltormo, pag. a5o8, P.) invece Archilochio il tetrametro dattilico acatalettico finito
per uno spondeo. Questo ci conferma maggiormente nell opinione prima esposta, che Servio nelle
cose di metrica non tolse 9 maestro solamente Varrone.
5 . At in extreroom seiiarram totidem semi
pedibus adiectis fiet comicus quadratos ut hic:
u heri alijuot adolescentuli coimus in Piraeo.
5. Coli' aggiungere alla fine di un senario un
piede trissillabo li forma il quadrato comico :
tale p. es.
\_/ I
he|ri al ijquoia d u|lescen|t u 1i|co i|ous in|Piraeo
Rufinns, comm. in metr. Terent., p. 9707 P. = 38o G. : u Idem Varro in eodem libro IV
(i codd. VII o in eodem septimo) De lngua latina ad Marcellum sic dixit: at in extremum ....
Piraeo, yy L'esempio tratto da Terenzio (Eon., I l i , 4i 0 Con questo patso eoofiene confrontare
i seguenti :
Diomede, pag. 5i 5, 3 : u Septenarium versum Varro fieri dicit hoc modo, cum ad iambicum
trisyllabus pes additur et fit tale quid immcreutibns noces, quid invides amicis? similis in
Terentio (Uecyr. 111,2, 14) Tersus e s t : -nara si remitteni quippiam Philnmenae dolores et iu
Plauto saepius tales reperiuntur .... Rufino nella pagina antecedente a quella citata riporta il
luogo di Diomede e poco innanzi continua : u Charisius sic : Septenarium versum fieri dicit Varro
hoc modo, cum ad iambicum trisyllabus pes additur, ut praefatum est et fit tale quid imme
rentibus noces, quid invides amicis f similiter in Terentio etc., tj come nel passo di Diomede.
6. Quare in huiuscemodi locis poni oportet no
taro 1 transversam inter syllabas freq^uentius ad
extremum versum senarium et similes, si pro
longa brevem habebunt extrtmam ut in hoc :
u amicus summus meus el popularis Gela n.
6. lu cosiffatti luoghi conviene fra le sillaba
mettere attraverso la nota 1 ; pi di frequente
alla fine del senario, e cosi degli altri quando
avranno breve invece che lunga ultima sillaba
come u amicus summus meus et populans Geta.
Ruf, comm. iu raetr. Terent., p. 2706 P. ( 378 G.) Varr De lingua latina ad Marcellum
sic : Jn huiuscemodi ... Ge/a. Di questo luogo e della connessione in cui va messo con quel che
precede e quel che seguita discorre anche il RitschI (Quaest, Varr.^ p. 35). Infatti dopo che nel
iramm. 5 era detto, che dal senario colP aggiunta di un piede trisillabo si forma un settena
rio, e nel frammento 7 parlandosi dell' ottonario, non v' luogo pi opportuno di questo per
quei settenarii, u quorum, (per usare le parole del RitschI) media syllaba brevis haberetur qualium
constat non minorem esse multitudinem quam quorum roedia syllaba admisit hiatuxn. lo huius-
modi igitur locis h. e. cum in mediis septenariis tura ubicumque brevis est pro longa syllaba,
ut in extremis versibus arsi terminatis, Varro poui iussit hanc notam metricam, n V. anche
G. Hermann, p. segg. L'esempio amicui summus etc. e tratta da Tereniio Phorm., 1, i , i .
7. Octonarius est, ut Varro dicit, cnm duo
iambi pedes iambico metro praeponuntur et fit
versus talis : u Pater meus diceus docendo qui
docet dicit docens.
7. Ottonario quel verso, dice Varrone, in
cui ad un metro giambico si fanno precedere due
piedi giambici, per es. : u Pater meus diccus do
cendo qui docet dicit docens. ))
I 3 i 5
F R A M M E N T I I 3 i 6
Diom , p. 5 i 5, 9 R : u Octonarius e s t .........doceus : lolle bine primo* tluos iambos el eril tale
quale illuil esl: Ibis Liburnis inier alla naTiura. I / esempio pater metts t u . non pare di
Varront, ma del gramro.
8. Ex iambioo no?um rarmen referl Varr
calus exemplum esl tale u pedem rylbmumque
finii, rt Si addas bic quae detracta sunt ex iambi
co eandem iambicam supplebis sio: u pedem
rythmumque Huil [alta navium] n potesl hoc
comma tale esse quale illud : u Philumeiiae dolo
res n qood esl ex iambico septenario.
8. Varrone annovera un altro genere di versi
derivali dai giambici, come questo esempio
u pedem rytbmumque finii r>. Se vi aggiungi
quello die ha meno di uo senario lorna on sena-
tio peritilo, se aggiunta sia invece ad esempio
tale Philumtnat dolores se iie ottiene un giam>
bico settenario.
Diom., p. 5 i 8, i 4 K : u Ex iambico .... septenario. Et illud hiiic est comma quod Arbiter lecil
tale: anus recocta vino [trementibus labellis], w
In luogo di novum carmen il liachmanu iu Lucr., pag. 2^6, propone iambionicum. Co-
munqne, le parole novum carmen non vanno cerio intese nel senso che questa maniera di versi
non lesse adoperala prima di Varrone se Plutarco^ per es., ricorda ( quacsl. Gr. 35 ) il carme
popolare delle vergini Tebane TttfAcv ', che appunto in questo ritmo, il luogo di Dio
mede non significa aliro che una nuova mani era di versi fra quelli presi ad esame da Varrone.
Marco Pluiio, pag. a64a P. (zz a^o G.) chiama qaeslo verso dimelro giambico calaUtbico. Nou
poteodo V alta navium appartenere al testo di Virrone, si pu credere che dal s i addas fino
alla fine sia farina di Diomede.
9. Archilochium Varro illud dicit, quod est
tale : tx liloribus properantes navibus recedunt.
9. Varrone chiama Archilochio nn verso co
me il seguenle ; u ex liloribus properaules ma
chinae recedunt, y*
Diom., p. 5 i 5, 19 K. II verso composto da Varrone e si iorma da nn pareroiaco (e non come
pensa il Pnlsch, p. 1825, parieniaco) e da un ililallico. Questi soltanto sono i frammenti re me-
trica^ di cui si pu credere con qualche certezza che direttameuie indirettamente si possano
atlribuire a Varrone; il Wilmanns abbond pi di noi, e pi sarebbe dis(K)sto ad accordarne
il flitschl (Quaest varr.^ p. 36) che pensa buona parte di quanto espone Diojmede nel capo De
persuum generibus^ p. 5o6, 19 essere dovola a Varrowe.
Llb. V.
1. ul ail Varr, de latino sermone li
bro V uullis aliis servare contigit, inquit,
qaam l'itinio, Terentio, Altae ; vero Tra
bea, inquit, Atilius, Caecilius facile moverunt.
I. A neuuno, come dice Varrone nel V del
lingnaggio latino, riesce ritrarre cos bene gli af-
felli tranquilli dell animo come a Titinio, a Te
renzio, ad Alla : meutre, dice, l rabea, Atilio, Ce-
cilio mossero le passioni.
Char p. 241, 27. Il nome conlra]i>posto a indicava animo quando non era com
mosso da alcun forte senliroento.
Tilinio contemporaneo a Terenzio, e il primo tra i poeti della commedia togata di cui si
abbiano notizie sicure. Si conoscono i 5 titoli delle soe commedie e titoli Ialini Da questo luogo
di Carisio il Bilschl (Parerga, p. 194 e seg.) vuole trarre argomento che Titino osse nato pri-
n>a di Terenzio, ma perch Terenzio scrisse e mise in scena suoi drammi mollo giovane, e non
si ha argomenti per provare che durante il fiorire di l' ertnzio si rappresentassero commedie togate,
anzi , si pu dire, cerio il cottlrario, le deduzioni del Rilschl sembrano troppo ardile, e sar
a giudicare piniloslo che Tilinio non si facesse conoscere come commediografo, che dopo morto
Terenzio. T. Quinzio Atta on altro scrittore di commedia togata : non si conosce unno della
nascita, ma quello della morte, che il 676 di Roma. ]l suo genere di commedie, di cui si con
servano I l titoli e pochi frammenti, era quello delle tabernariae. Anche al tempo di Orazio
(V. Ep. II, 1. 79) il suo nome era in fiore, e i suoi lavori studiali.
Trabea uno sentore di commedie palliale, e contemporaneo di Atilio nominato subito ap
presso: il loro fiorire verso !a mela del VI secolo. Nelle Tusculane Cicerone conserv due
frammenti di questo antico poeta.
l a i ;
DI . TERENZIO VARRONE
i ^i S
Atilf cone ecriHore di j^Uate conofciolo coll* appellati?o di ^^^, nemico delle donne.
Da Cioerone (ad H^ XIV, sos 3) cbiaraalo ^ot a durissimus^ e io o altro laogoJrrei/x
ser iptor ,
Dair csecre nominali quetli due poeii prna di Oci l i o, il Riltchl (Parere, i^4) ar^omeiiU
r.he aieno a questo anteriori di tempo.
Stazio Cecilio abbai!ani cotoofcitito perch ne debba lener diicorio. Noter 1 ohe il
genere delle tue commedie quello delle palliate, che da principio fu legoace d Plauto, ma
che, appropriatasi maggiormente la coltura ^reca, ecriase pi regolare ed elegante. V. RitschI,
Parerga, p. 44 e segg.
Nel pasto di Carisio. Ito accettato la proposta di qualche critico recente, che ctBgia io conti
git^ il convenit della Volgata.
A qutsio trailo sembra un po'singolare come ii congiuoga il tratto che segue, dove si parla
delle interiez(iii. Sar a dire, che Varrone, tratlaodo di queste, accennasse quanto servano a dar
colore allo stile e ad esprimere i farii seniimenti delPanimo. Cosi del P^of come del e che
di passaggio ricordasse quei poelt, da cui credeva opportuno derivare i tuoi esempiS. Ad ogni
modo Don oonvien dimeotioare che non abbiamo qi il Vrrao fenuiao, m un compendio
eotlaolo dei suoi peoeleii. Gli eaempii fon qui tratti da Tereiuio, e ^>eciaknec^ del primo, di-
ccfa Varrone, che non poteva non eocitare un vivo moto delP animo. Jo credo che anche gli
Cberopii suasgueiHi Cariiio dertraiie da Varrone. SegoiU adunque cosi:
tt Egone illum? qoae iHum quae me? qate non? aioe modo, mori me malim : sentiet qui vir
eiem r* (Ter^ Eun., Is ao) : >praedse, inquii Varr, generat animi paasionem. Quod novi g-
eris^com non sii iuUriectio sed adein4>tio, tameii ioteriecti animi caos Tocitamus: tu me homo
adigis ad insaniam (Ter. Ad., 1, a, 3; 1^irascentia et haec oratio est, licei nnlla si(^nleriecta
fiarUcuta. Tun cooablia qnicquam (Ter. A4 . J, a, ireiceulis oratio est. Tremo
borreoqoe poatqiiam aspefti hanc (Ter. Eun., 1, 4) adfectus ob amorem^ Hens hcus pater,
heus Hector a dolore mentu adfectus. Mane mane porro ut audiaa cupidit*i.< adfectus eat.
a. Id |vraMiole legalis ojoniLoe exercitui pru-
00044*1.
a. Qoesla cosa aoouoaia all e^ercUo, alla
4>reaeoxa di tulli i legati.
Donai, in Ter. Eun., 11, 3, 7. Nescio quid profecto ahsente nobis turhtum M domi:
ani subdistinguendum est et subaudiendum u me aut 6 figura est u ahsente nobis ^
pr a nobis absentibus. Pomponius u siiil ergo istuc praesente amicis inter cenam, Varro ad
Maroellom (Varro Marcello in iuiti i oodici, Varro in Marcellum la Volgata) : id praestM . . . .
proouniiat.
3. Later lotum iugmenUtom. I i . Mattone ereta compatta.
Cbar., p. i35, 17 R : tt I^ier an lateres? et huic nominativum singularem ahlaUvus restituet
aingularis, si E litteram deponat. Varro de sermone latino V later . : . . iugmeniatum.
4. Auctore M. Varrone is demuio caper dici
tur qui excastratus est
4. Secondo M. Varrone, ditesi capr queflo
che castrato.
Gellio, VH4I, 9,<8: u <Juo paclo (Vergliios) diceret i sai&v verba hercle non
raoalaiicia, ed coiosdam ^oativae dulcedinis? hoc igitor reliqoit et cetera vertit oon io4eftivtter
oisi qood caprom disit qoem TbeocriHia appellavit. Aoctore eoim M. Varrone------est.
II luogo di Virgilio che dava occasione alP osservazione di Gellio era qoello delle Bucoliche,
IX, a3 e segg.
Tityre^ dum redeo hrevis est via pasce capellas^
E t potum pskis affes Tityre, et iater agendum
Occursare capro cornu ferit ille caveto,
che Virgilio areta tradotto oolle motatiooi indicate da Gellip da qwesto'^ Teocrito, Id. IH, 5.
* Ipilv r i (pulore) ^ ^
1 & ^
xvaxttva |*5 tv |. ^
KaAOMavTi di . Taa. VAaaoaa.
1219
F R A M M E N T I
Terrone oel V De l. /., 97. Capra carpa 1 quo scriptam til omnicarpa$ apra$. Par tirano
che Gellio non rirordi il vir gregit ipse caper del medetimo Virgilio. Questo pare legarsi col
capus del framm. seguente. Nel Forcelliiii-Furlanetto ai assegna per origine (cavo) donde
s* imagina ^ cavalus exsectus (V. Caballus, capo, caper).
5. llernm ex gallo gallinaceo castralo fil
capua.
5. Cos an gallo castrato dicesi capus.
Cliar., p g . i o3, a6: u Capo dicitur nunc, sed Varro De sermone latino: iterum ..., capus.
Beda, pag. 2780, P. capo nunc aed Varro De sermone latina ait : ex gallo gallinaceo castrato
fl capus.
G. Poscere est quotiens aliquid pro merito
nostro deposcimus, petere vero est cum aliquid
humiliter et precibus postulamus.
6. Poscere domandare qualche cota perch
abbiamo meritata, petere domandare umil
mente e pregando.
Sertius ad Verg. Aen., VIIII, 194 ^^ Poscere esi secundum Varronem etc. vt Servio non dice
donde abbia tratto il passo, per congettura si assegna ai libri A d Marcellum^ doTe si trattava
anche della scelta delle parole. Lo Schulti invece nei suoi Sinonimi $ 33 notava altra essere la
diversit tra poscere e petere, ami esclude il valore che vi assegna Varrone, dicendo : petere ha
significalo comanissimo : cercare di ottenere qualche cosa, esso pu avere il senso di chiedvre o
exigere. Ma se questa spiegazione non soddisfa del tutto, meno felice mi pare la spiegazione di
poscere esigere^ cio dire con espressione bre9e e determinata che vuoisi avere qualche cosa
aenxa addurre motivo di sorta. ^
7. Char., p. i a6, 22: Dmi luae. mVarr De sermone latino libro V : nec enim potest ad
verbium dici cui suae pronomen adest. Cato de multa contra L. Furiam u domi meae saepe
fuit fi et est genitivus.
8. Motuo, ut Varro de sermone latino libro V
loquitar, io consuetodine est ; mutue vero at do
cte scribendum putat.
Charis., p. ao5, i 5.
9. Coram de praesentibus nobis, palam etiam
et absentibus.
8. La forma mutuoy come dice Varrone nel
V del linguaggio Ialino, la usata ; ma crede che
si dovrebbe scrivere mutue come per es. docte.
9. Si dice coram quando si Iratta di person
a noi presenti ; palam anche di lontane.
Serv. ad Verg. Aen., I, 595 : u Coram nonnulli ad personam ut coram Wro, palam ad orones
relerri volani, ut palam omnibus. Varr : Corara . . . absentibus. Cf. anche Svet. pag. aSd,
ReiT. ; Isid. diff. verb. 91.
IO. Char.| pag. i i r , 2 3 : u Quando particulam pro cum ponere Formianos et Fundanos ait
Varro, n Cf. anche Plauto nei Alenecmi ^111, 3, 23) u non habeo ; at tu quando habebis, tum
dato. 19
Questi due ultimi frammenti sono ascritti in quest* opera per sola congettura, e debole, dal ve
dere che trattavano degli avverbii. Pi incerto ancora il luogo aegaente che il Wilmanns asse
gna al libro V : u Prosa est producta oratio a lege metri soUila ; prosam enim antiqui productuoi
dicebant et rectum. Unde ait Varro, apud Plautam prosis lectis significari, rectia etc., - com
si trova (n Isidoro, Orig. I, 37, 1.
Tragoediarum libri FI.
Fo' gi agilata da parecchi critici la questione del merito che spelta a M. Terenzio Varrone
per lo svolgimento e perlezionaroeito della metrica latina. Ma la ricerca non pu essere sod
disfatta, perch dei lavori poetici di Varrone alcuni sono per la maggior parte, alcuni per
intero perduti. Noi abbiamo conosciuto Varrone come poeta e vario ed arguto nelle Satire
Menippee^ oncetloso e stringalo nelle Imaginex^ ei resta ora a ricordare eh' egli si prov in
hri Ire generi di poefia di cui priin U tragedia, L* indice di S. GiroUmo ricorda lei libri di
lrageHe. lo credo che non ti tiebha intendere altro se non che conipoae sei tragedie, delle quali
non ti coootce nemmanco il titolo, e multo roeno te furono on templice fgercizio letterario, ovtero
e di qoakheduna fu provata la rappretentaiione. Il cod. parigino, in luogo di tragoediarum^ ha
pseiotragatdiarum, tariantc mollo noletole, perch ti arrcbbe allora un genere nuovo,
cio la tragconiinedia, o, fecondo Suida^ llafoxfaytfHu, Non ho bisogno di a^fgiungere che questo
genere di rappreten lai ioni er gi introdotto a Roma, tolto il nome d RhintonicOy da Rintont
Tirantioo che la lece conoicere t gustare al popolo.
l a i i DI . T KRENZIO VARRONt ^2
Carminii (De rerum natura Lib.
Gi nella prefaiione alle Mciipf>ee (p. 63o) abbiamo avuta occasione di toccare della contro-
t e n i a : se Varrone si debba gindicar l autore di un poema didascalico D t rerum natura, 11 fon-
d>roento precipuo sul quale si a|>pog^t8no coloro che stantio per la sentenxa afferruativa, il nolo
luogo di Cicerone (Acad. posU, 1, 3, 9) ipse (Van o) sfarium et elegant omni ferme numero
poema f e c i s t i ^ parole dalle quali mi pareva che non si potesse sema dnbbii argomentare, che
Varrone aveate coropotto un poema De rerum natura^ perch quella retirinzione ferme doveva
tuonare troppo tpiacevcdmenle in un patto che tutto in esaltare i meriti di \arrone; senza
dire che quella indicazione troppo generale, troppo vaga, e che oscuro ci sembra allora quel-
aggettivo ifarium^ il quale, a mio credere, non si deve intendere di variet nel modo di Irai-
lare l ' argomento, ma solo nella forma esteriore del componimento, tanto pi che non si pu
scompagnar dall elegans. Non mi pare inoltre* che omni numero z z omnibus numeris abbia
il riscontro di altro esempio in latino. E perch non poteva Ciceroae con una sola parola almeno
darci a conoscere anche il soggetto d questo poema, non polendosi, in ogni caso, accordare, che
fosse cos celebre che tulli lo dovessero conoioere e indovinare da quel semplice accenno ? L ob
biezione pi grave sul modo d interpretare la voce poema^ e io non la sconfesso di certo ;
ma il dubbio, che rimarr sempre, sul modo di rendere quel vocabolo, non basta, credo, per
abbattere le difficolt che abbiamo indicate; onde io consigliava pi prudente lasciare quel luogo
da parte, come quello che o favorisce o corubatte egualmente chi afferma e chi nega. Che se
proprio Cicerone intendeva di un poema De rerum natura^ di cui difficile che gualche co5a
almtno non ti fotte conservato, perch nel catalogo troTamo notalo semplicemente carminis
li. tenxa altra indicatione? Perch il cambio fra carmen e poema? Sarebbe un arbitrio del
compilatore dell indice? da che lo ti prova?
Ma Don sono con questo finite le istanze. Quiiililiano vuole che il suo grammatico si conosra
anche di filosofia u vel propter Empedoclem in Graecis, Varronem ac Lucretium in Latinis qui
praecepta sapientiae versibus tradiderunt (Inst., 1, 44) P esplicito ancora Lattanzio, Dw.
inst.^ 11, l a, 4. u Empedocles . . . . De rerum natura versibus tcriptit, ut apud Romanos Lucre
tius et Varro 1* per cui Vellejo, II, 36, a, congiunse insieme come auctores carminum Varro-
nem ac Lucretium.
Per qoanto sembrino queste testimonianze favorire coloro che suppongono Varrone autore
di poema didascalico sulla origine delle cose, tuttavia non si pu giudicarle perentorie. Non
si ha infatti alcun argomento da credere che Quintiliano e mollo meno gli allri due avessero
veduto coi proprii occhi questo poema, come pure non si pu negare che quel Varrone, di cui
parlano Quintiliano, Lattanzio, Vellejo, sia Varrone Atacino e non il Realino.
Infatti, sebbene AUcino non abbia un poema proprio con questo titolo, pure una parte
della sua CosmograpUa tratta De rerum natura. Prendiamo ad esempio i due frammenti, uno
coBservato da Mario ViUorino (p. a5o3, P ~ 79, Gassi.), l altro da Isidoro (De mundo o De
rerum natura < antologia di Mejer, n. 79): il primo traila dell armonia musicale dei corpi
celesti, l altro delle cinque zone dell ae/Aerii/^ orbis. Ebbene, si l uno che altro sono citati
col semplice nome Varro^ e si dia poi quell importanza che si crede alP osservazione del Ritscbl
al primo frammeolo : che la eleganza nella fattura del veito rivela l opera delP Atacino. Comun
que, non si potr negare che le parole sopraccitate non si possano riferire all Atacino coti bene
come al Reatino.
Vi ha aoeh d Nonio, p. 4^7 on citniune : Idem (Vrro) rtrum natura Hb. 1, o f a
miiia rixentur cnm wcimx, qaeate parole sono prota aeria, c quindi poi dal Ltfsio im coiw
retto D t r t rustica, e allogato il Iramnieoto al capo i 5 del libro 1.
Queste consftlcrationi mi adducono, se non a negare recisaiBente, a supporre alipycoo com
dubbio di molto, che Varreoe scrtresse un poeii Da rarutn nmiuray e a credere ch Ci cer^e
anudesse all' uno o all' altro dei lavori poetici che Varrone a?efa gU pubblicalo, e le altre leati-
moniarfze recale radano intese di P. Varrope Atacino. Che seTarroiie presso Marco Tullio (a, ( 6 )
dice : nostra tu^ physica nosti^ alle quali parole si vorrebbe che Cicerone si riferisse nella rispo-
sta colle altre ipst varium atque eUgans poema ctc^ la conclusione non tiene, perch Var-
rone di questo argomento aveva tratlato sparsamente nei varii suoi lavori. Anzi siccome Varrone
nel ripassare le sue opere pubblicate non ricorda delle poetiche che le sole Menippee, se si vo
lesse trovare nella replica di Cicerone il raffroiilQ con ifcrupolosa diligenza, uon si potrebbe in
tendere di altre che delle utire Menippee, che certo ersno e varie ed eleganti, seppure non
si possono chiamare un poema.
i 5 F R A M M E N T I w i
Poematorum libri J .
Se dobbiamo accctrare la definizione di poema che Varrone stesso et ha dato, possiaei farei
nu concetto giusto di questi dieci libri di poemi, che gli si trovano attribuiti. P o m a dice Var>
rone (presso Nonio, pag. 4^^) l exis enrjrthmos, id est ^erha plura modico in quondam
coniecta formam. Itaque etiam distichon epigrammation vocant poema. Sarebbe adunque
uua raccolta in dieci libri di poesie minori, corte, di genere vario. Collo stesso titolo si trovano
usate altre simili raccolte di poeti antichi, per ei. hi Gellio, IX, la, delle poesie di CaWo e di
Ciiina, a XVIl l , i i di quelle di Furio. K per tutte basta PHnio, ep. IV, i 4 i Proinde sivo
epigrammata sive edylia sive eclogas sive ut multi poematia sen fuod aliud vocaro mal
lueris iicehit voces : ego tantum hendecasyllabos praesto.
Di questi poemetti smarrita ogni memoria.
Saturarum libri ir.
Non vi ha dubbio che le Satire, di cui fa speciale tnenzione il catalogo, sieno differenti dalle
altre Menippee, del genere quindi o di Ennto o di Lucilio, cio o con alternata variet di me
tri, o con versi di misura tulli eguale. A nostro giudizio, crediamo che pi che Enoio fosse in
queste satire seguito Lucilio. Dal nolo luogo di Oraiio ( Ser. 1, io, 46) dove ricorda la non bella
prova che aveano fatta gP imitatori di Lucilio, pare da conchiudere che egli conoscesse le salire
di Varrgne Reatino, perch allrimeuti non avrebbe espressamente indicato altro Atacino^ e che
Varrone Realino fosse piuttosto compreso in quel quibusdam aliis che segue. cerio difatti,
che Varrone Reatino avea tauto diritto al riapetto e alla riconoscenza dei suoi cittadini da Im
porre ad Orazio quel riserbo, e da fargli risparmiare il biasimo di cui il suo finissimo gusto
poetico avrebbe colpito le salire Varroniane. N Orazio sarebbe stato con ci il solo a far delle
eccezioni fra i meriti singolari di Varrone, per es. sappiamo da Plinto (H. N., VII, 3o, i i 5)
che quando Asiiiio Polliune difficilissimo, come si ss, a contentare, orn di statue la sua biblio
teca, tra i viventi allora Tu Varrone soltanto che ricevette onore che ne losse posta col Pe f -
tgie : u Haud minore, ut rquidem reor, gloria principe oratore et cive ex illa ingeniorum quae
tunc fuif raullitudine uni hanc curonam dante quam curo eidem Magnus Pompeius piratico em
bello navalem dedit,
Dal passo poi di Porfirione { ad Hor., ep. 1, 3 init. ): u Die Florus fuit utirarum tcriplor
cuius soni eleclae ( f sublectae?) e i Ennio, Lucilio^ Varrone n non si pu fare alcuna concia-
alone, essendoch quel Varrone pu essere egualmente il Reatino e Atacino.
Il non distinguerne la patria ha dato motivo a parecchi equivoci e dubbii.
De ture cwiK Hbri XV.
11 RilichI, meravif:tiato di trovare uii'opera coi larga luI liriito civile Ira gli luJii varro
niani, aggiuageva che neuuno dei giuristi Ii maggior conio avca sapulo 611 ora trovar tracci
Ji questa opera. Nod ci voleva di pi per istuxzicare Ia cariosila dei connazionali, ed eccoli
che Federico Daniele Sannio ti roeite roo grande alacrit alla riceica e raccoglie tanto da for-
roare uo giusto volume: F^arroniana in der Schriften der rmischtn Juristen^ cio dottrio
Varroniane negli scritti dei giuristi Romani (Liripzig, P^erlag i*on S. ir%el 1867). I / esame cade
principaTmente sopra il liber singularis enchiridii di Pomponio, giurista che fiori durante il re
gno di Adriano e M. Aurelio, scrittore fecondo quanti altri mai e teooto in gran conto, come
ai pu dedurre dalle 585 volte in cui i suoi lavori e la sua aulorii sono allegali nel Digesto.
Per restringerci ora alPEnchiridion, era questo un lavoro in cui data un concetto delle norme
upremc del diritto romano, e insieme si tracrisva succosamente la storia del diritto e della giu-
ruprudenia romana 100 ai tempi di Salvio Giuliano, il celebre iureconsulto, che per ordine di
Adriano raccolse, vagli e pubblic con ordine melodico gli editti dei pretori della repubblica.
Deir enchiridion o manuale di Pomponio, dove si rirercano le veatigia varroniane, si conserv nu
frammento lungliissimo nel Digesto, De origine iuris (I, 2, 2).
Noi giudichiamo ben fatto dare ona qualche idea del Khro del Sancio, certo poco conoscioto
in Italia, e vedere se e quanto Pomponio abbia derivato degli scritti di Varrone, principalmente
dai XV libri De iure civili.
questa influenta degli scritti varroniani si vuole scoprire fin dalle mosse. Imperocch Pom
poolo allontanandosi dalPnso degli altri giuristi, le parti integrali dell*antico ius civile romano;
/ex, interpretatio, legis aetio^ raccoglie insierar, e le parti o spezie del ius civile tratta eoo
riguardo alle varie et iuris et civitatis^ con un metodo che conforme all'esempio lasciato d
Varrone tielf ^ e i /, cio ricercando di ciascuna cosa nome, origine e il motivo da cui il
none c la ooaa furono introdotti.
Cosi mentre Cicerone, per es. De egg. 1, 5, 6, credeva di dover trattare dei principii del
diritto partendo da quella legge eterna {summa ex quae saeculis omnibus ante nata est) che
anteriore ad ogni legislazione icritla, Pomponio invece stabilisce come punto di partenza gli tura
eipflia P. R. ; e tale era pure avviso di Varrone, del quale era la sentenza (S. Agost.
ciV. D., VI, 4) : MSicut .... priur fber quam aedificium, ita priores sunt civitates, qusm ea, quae
a civitatibus sunt instituta * ( Cf . anche Servio ad Ferg. An.y 1. <25) sebbene queste parole
losiero rif<rrite ad altro proposito.
Del pari, se per Cicerone la somma delle attribuzioni varie dei vsrii magistrati dovea riferirti
al regere ci^itatem^ per Pomponio, era invece iura regere (zz reddere) in civitate^ differenia
importante, alla quale il giurista del tempo imperiale poteva estere indotto dalla distinzione gi
stabilita da Varrone {De /. /., 80) ne! definire i diritti del pretore : praeire iure et exereitu.
Prima per che tceudiaitoo in particolari a niotlrare ae non solo nel metodo t qui segnilo
Varrone, m se etso la fonte principale o mediala o immediata per tutta la tratiazione, bisogna
ftvverlire che nel l ' Enchiridion Pomi>ouiano il nome di Varrone non mai citato espressamente.
Nel frammento 39 De V. 5. che tratto dall Enchiridion, si d come autore deir etimo
logia di urhSy Vanis, ma noi crediamo con TEinecio, il Menagio e il Cramer, che sia Alfenut
Varui, e non Varro^ come volle correggere Ottofredo Mttller {ad Festum^ p. 877), perch, teb-
bene quella etimologia aia varroniana (cf. De /. /., V, 4 3 ) pure uo fallo che Alfeno Varo,
aoolare di Servio Sulpicio, doveva essere mollo eS]>erto negli Hudii varroniani, e quindi non fa
kaoa meraviglia il ritcontro.
sebbene non sia citalo Varrone, pure neo possibile non riconoscere per dottrina varr-
mMNi la spiegatione trlimologica di ralolli vocaboli del frammento aSc), De V, 5 ., che si riferi
scono ai riti sacrali delle fondazioni di Roma (cf. Varr. De /. /., V, i 4 i - i 43)^ * pi te ti ot-
tervi che gli tlewi vocaboli e coll stesse spiegazioni si lontano a trovare in Isidoro, Orig. IX, 4
iaterposte ad altre dottrine di Varrone, sebbene non attinte alla fonte, ma di seconda mano. Ha
pi che di aempliei riscontri di parole da far caso del metodo, che lo storico anche per la
in vesti gaxione etimologica, come n e l l ' a v e v a insegnato a fare Vsrrone.
Non manc chi fece notare invece i molti punti in cui convengono insieme Pomponio e Ci
cerone, specialmeDte nel libro I e nel 11 De rep. Ma questa osservazione, che noi ammettiamo
1225 DI . TKRENZI O VARRONE 122C
lenza riterT, artbbe piuMotlo UvorcTole alla ilifei delU aftuntt dimotrazione, perchi ci conduce
a supporre eucre tanto per una, che per altra opera fonie comune Varrone, che ae non aTCTa
pubblicale ancora le tue opere d maggior mole, a\eva per in un ttibisso di opere minori illu
strate tulle le aniichil remane. Cicerone si mise alT opera senza ater fallo diligenti lavori pre-
|varatorii di stori, e quindi poleTa scrivere ad Attico (IV, i^) ve/im domum ad te scribas ut
iti i/ti tui libri pateant non secus ae s i ipse adesses^ cum ceteri tum Varronis. Rst enim
miVii utendum ex iis libris ad eos fiio/ in manibus habeo (cf. IV, 16), quos ut spero tibi
^^alde probabo. quindi era naturale che Attico suggerisse a Ocerone che uno degli inter
locutori dei dialoghi De rep. dovesse essere Varrone, alla quale richiesta . Tullio tion accon
discese per i motivi esposti nella lettera ad Attico IV, 16, promettendo tultafia di farne ono
revole menzione in un proemio, che, se Cicerone attenne la parola, fra le parli perdute del*
opera De rep. Le quali osservazioni a pi forte ragione salgono per i libri De legg.^ sebbene
io non mi apingerei fino al punto a cui arriva il Sanniu da stabilire che i luoghi di Cicerone
paralelli a quelli di Pomponio, si possono considerare come surrogato per il testo smarrito di
Varrone.
Pomponi lincia le sue origines iuris dai principii civitatis seu urbis^ e al 1 dice^.
et quidem initio civitatis populus sine lege certa pf o iure certo primum agere instituit;
e quindi che conviene nello stabilire la consuetudine con quello che disse Varrone (apud Serv,
Je n , VII, 6oi) communis consensus omnium simul habitantium qui inveteratus consuetu
dinem f acit.
Nel framm. a.** le parole di Pomponio u postea acuta ad aliquem modum civitale ipsum Hor
mulum traditur populum in triginta partes divisisse: quas |YarliS curias appellavit, prupterca quod
Ione reipublicae curam per sententias partiom esram expediebsi r* trovano Ia loro spiegazione nelle
descrizioni che Varrone fa della curia (Varr, De vita^ p. R. ap. Non. v. curtam, p. 57 ; De l. /.,
V, i 55) riferita gi da noi a suo luogo.
Nel framm. la le(!ge con cui L. Giunto Biuto pronunzia la decadenza del re chiamala
lex tribunitia^ perch egli era tribunus eelerum, e queala espressione in questo luogo e a questo
prop<iSto non difficile a credere che sia dovuta anch* essa a Varrone.
Dullrina varroniana pure quella che Pomponio vien^ esponendo intorno al nome e al l ' ori
gine dei magislrati romani, se si confrontino le cose delle dal giurista con quelle di Varrone,
De l, V, 8o-8a, e dei frammenti dei libri delle Antichit che si leggono in Gellio (N. A. Xl l l ,
l a , i 3 ecc.).
Pomponio, 16 dice, che i consules furono cosi nominali, perch plurimum reipublica&^
consulerent^ Varrone {De l. V, 80) consul nominatus qui consuleret populum et senatum
(V. anche ap. Nonium, p. a3) ; nei quali due luoghi ai conviene nella spiegazione di consul, a
consulendo^ sebbene non si possa in ambedue dare al verbo lo atcsso significato. Ma la diversit
solo apparente, perch nel luogo di Varrone anche licordalo che si chiamava prima prae
tor^ da praeire populo, iniomma, secondo il suo fare etiologico vuole indicare, che la somma del
polare era in mano di qut'sli due nuovi magistrati; lo stesso vuol dire anche Pomponio, che ag
giunge un plurimum per dar a conoscere che era slata limitata la loro podest gtndiziaria. E
se argomt^ulo paresse debole ti osservino di grazia le parole che seguitano in Pomponio qu^
tamen ne per omnia regiam potestatem vindicaret e(c., con quello di Varrooe dal XXI ant.
r. hum. conservale da Gellio N. A. XlJl, la, del quale mi riservo a discorrere odia collezione
dei frammenti che appartengono ai libri delle autichit.
Ometto di pailare dei riscontri che il Sanio crede trovare nei frammenti 19, 18, 19 di Pom
ponio, dove si tratta dei censori, del dittatore, del maestro dei cavalieri ; perch i loro poteri come
la loro origine rrano coi bene conosciuti, e tramandali con 'ormole come consacrate, che non
si pu assolularoenle determinare, almeno a mio giudizio, se Pomponio derivnsse per via diretta
quelle notizie da Varrone, massime che vi ha fra corrispondenti luoghi dell'antiquario romano
una qualche differenza nel modo di trattarne.
Al ao offertasegli occasione, dsi tribuni delb plebe, Pomponio scrive u hi dicti tribuoi
quod olim ia tres parles populus divisus erat et ex singulis singuli creabantur ^ le quali parole
trovano un riscontro nel psMo che si trova in Varrone, De /. V, 81 : tribuni militnm (<//c<i)
quod terni Iribns tribubus Ramnium Lucerum, Titium olim ad exercitum miliebanlur n e con
altra che conservala da Servio (ad Aen, V, &6o) u sic aulem in tres partes diviseli fuisac
populum constat adeo ut etiam qui praeerant singulis partibus tribuni dicerentur.
r U A N 1 l aaS
In compicifo, nel parlare dei nagitlrati, leUbeue Pomponio distingua nella loro ilorla varie
epoche, pure ai attiene iioo tanto all'ordine cronologico quanto alla dislinzione o classifcaiione
che, come apparisce da GelHo (*N. A., 1. l a, i 3) era stala ssat da Varrone u iu ruagistratu
habent alii vocationem (i magistrali eoo impero); alii prensionem (quelli che hanno un viator
come i tribuni) alii neutrum (per ea. i questori) ole. lo credo quindi che Pomponio e conoscesse
e s giovasse non poco all'uopo di Varrone, ma che tutta la sua opera sia sugo di opere di Var
rone non rai sento di accordarlo, e credo impnfsibile che si dimostri con sicurezia.
Seguita nel Sannio una lunghissima investigazione intorno alla probabilit che sia dottrina
Varroniana tutto quello che dopo dei tribuni detto in Pomponio ilei questori, degli edili e spe
cialmente dei decemviri. Non fa mestieri riferire lutti i leggieri indizii che il pazientissimv)
tedesco va accumulando ; ma Io alesso bisogno di accumulare una opprimente erudizione fa cono
scere che i supposti indizii sono qui ancora meno avvertili che altrove, poich non si pu se
non altro stabilire accordo fra passi paralrlli di Pomponio e di Varrone. Come pure non mi
pare che si debba menar buono al Sanio, quando non gli vien latto anche con larga interpreta
zione di accordare il teato di Pomponio col varrooiano, di supporre rhe il giurista abbia con
critica erronea confuso luoghi varii di Varrone { unkrUische Benuttung Farronischer Erkl-
rung)\ essendoch, accordato questo, senta motivi serii e fondati, non vi per avventura cosa
che non si possa a diritto o a torto sostenere.
I.a quale osfervazionc mi dispensa di rendere conto di tutti i riscontri pi o meno lonlani
che il Sanio vuol trovare* anche in tutto il resto della aeconda parte del iramm. De orgine iuris^
il quale ai occupa dei magistrali maggiori e minori della repubblica romana.
Al 35 comincia una compendiosa raccolta di notizie biografiche e bibliografiche dei giuristi e de
giure romano, per le quali Varrone potea essere, chi non lo sa? fonte copiosissima, ma non era il solo.
Cqs il nostro autore giudica trailo da Varrone quello che in Pomponio al 36 detto in
torno ad Appio Claudio Cieco, nel Z) sopra Q. Mucio, nel 38 sopra la famiglia Porcia : io
non lo negher, sapendo, che Varrone ha trattato anche delle famiglie romane; ma non posso
non avvertire che altri parecchi aveano scritto sullo stesso argomento ; e per dire un solo esem
pio, Gellio ( Xl l I , ao, 19) cita il comentario De f ami l ia Porcia. Il Sanio ricorre anche ai
libri delle imagini, e pensa che Pomponio abbia introdotto nella sua opera alcuAe delle biogra
fie, di cui Varrone accdiopagnava i suoi rilrbllt. Sarebbe qui da avvertire che di queste biogra
fe, oltre gli epigramnti, non se ne sa proprio nulla, sebbene, come a suo luogo avvertimmo,
bacile credere che Varrone le aggiungesse ai suoi ritratti. Ma per dare tuttavia a conoscere
meglio come erudito scrittore cammini spesso sui trampoli dar ora breve saggio delle sae
conclusioni, traducendo fedelmente (p. i 3a). u Dal testo delle Imagines varroniane doveva essere
passato nella notizia di Pomponio qualche ecgium di uno od altro dei prudentes (cio in iure
civili), cos nel 38 Atilius (al. Acilius) primus a populo sapiens appellatus est (cf. Cicepo in
Laelio a), e ae Pomponio quel luogo avverte : Sextum j ielium etiam Ennius laudavit^ que
sto si riferisce indubbiamente al verso di nnio n Egregie cordaius /lomo, catus Aelio SextuSj
che, come in altro scritto di Varrone, pu essere penetralo anche nelle hebdomades^ perch sem
bra che vi abbia fatto luogo anche ad elogii composti da altri, ed anche certe frasi come per
esempio ciViie primus constituit generatim in libros decem et octo redigendo^ ri
cordano altre simili espressioni usate da Varrone nelle hebdomades ^ eie.
Nel 38 Pomponio si occupa dei giurisperiti di famiglie plebee, e conforme la pensa il
Sanio, questa distinzione fu seguita anche da Varrone nelP opera De iure civili. Mancando del
lutto ogni notizia sopra quest' opera ogni questione che se ne facesse deve restare senia ri
sposta; solo si pu auicurare, dal modo che Varrone legui negli altri suoi libri, che non vi sa
ranno mancate certo notizie biografiche intorno i veteres iuris magistri. Io temerei di stancare
senza vantaggio la pazienza del lettore, seguitando passo passo le ingegnose e apttili investiga
zioni del Sanio, le quali non potevano dare risultati fruttuosi, perch i dati per il'bonfronto sono
troppo scarsi e troppo vaghi, e non sarebbe da buon critico per una, forse casuale, concordanza
di qualche espressione, stabiPire a dirittura che l uno ha tolto dall*altro tutta la sua dottrina,
l'raltando un eguale argomento certi riscontri non potevano mancare ; onde io considero come
fallito il paziente studio del Sanio. Pi utile sar invece seguirlo nelle cousiderazoni che seguono
relative all'opeia De iure civili.
Prima che si scoprisse il famoso indice di S. Girolamo non si aveva alcuna contezza del XV
libri De iure civili^ di cui n Gellio, n Pesto, n altro grammatico, n scoliaste, n glosso
iaa3 TEKElNZIO VARINONE ta3o
grafo ha lasciato alrona roemora. Ma lulUvia non ti pu loipellare di errore nelP indice, fe,
come credono i crtici pi accrediiali, quello f a pubblicato gi da Varrone medeiiroo. E perch
di opera cos importante e vasta non si trova ricordo? Le ragioni possono essrre parecchie. Citi
pu negare infoiti che Varrone stesso, dopo scritta l'opera, non abbia t o I u U roeticre in pabblicoT
Non potrebbe eisere questa una delle opere che andarono sroarrile quando ne fu messa a ruba la
biblioteca ? E ammesso che avesse pubblicata) non poteva essere t h non fosse accolla con favo
re* ovvero, ristrettone uso a pochi giuristi, facilmente si smarrisse? Non tocc forse la sorte mede-
tima allo scritto De ture civili^ di Cicerone, sebbene pi compendioso di asiai e quindi pi maneg-
gievole, e pi facile ad essere molliplicato colte trasTiioni ? Avvenne altres che gli aolichi, auche
citando le fonti, ommettessero bene spesso di indirare opera dtrlP autore a cui allingono, come
fi Tcd per es. in Plinio. Altri, come Gellio, dopo aver letto opera maggiore delle antichit,
potevano credersi dispensati dallo studiare quelle cose stesse trattate da Varrone o da altri punti
di veduta o pi ampiamente in opere speciali. Altri invece, avendo dinanii agli occhi Varrone,
il quale citava qualche autore che lo avea preceduto, usavano ricordare questo solo autore, sema
dire che quella citaiione aveano derivata da Varrone: questo^modo ha tenuto per es. Festo. E
siccome, come abbiamo pi spesso veduto, tAOle volte una sola e casuale citazione ci ha fatto co
noscere delle opert nuove varroniane, ben facile con tanta trascuratezza spiegare che anche
notizie tratte dai libri De iure civili^ ci sieno rimaste ignote, o ascritte per sbaglio ad altro
scrittore. E se, come si ha dallo stesso Gellio (111, ). Varrone Jivea investigato omnia . . . a J
observationem disciplinamque iuris antiqui pertinentia^ che cosa <|i pi ovvio ad ammette
re, che egli cosi indefesso nel ridur tutto a classi, a sistema, abbia auche le sparse notizie rac
colte insieme in un tutto ordinato e sistematico?
E quale poteva esfere lo scopo, quale il disegno, quali i limiti delPopera De iure civil i;
quale la ragione del titolo ?
II Bitscbl, a pag. 5o5, della sua celebre monografia sogli scritti varronbni, crede che Varron
in quest' opera siasi occupato a preferenza del diritto privato romano^^ perch ius publicum
P if/i sacrum doveano euere largamente trattati nell'opera delle antichit. 11 Santo crede in
vece che ius publicum non vi potesse essere escluso, e pare anche a me che il titolo generico
De iure civili^ e l'indole di Varrone, e il metodo ch' egli era solito seguire facciano supporre
che egli abbracciasse ambedue, le parti del diritto civile.
Ammesso questo, e ricordalo altres che Varrone, come M. Tullio, non era un giurista di
professione, ci pare che lo scopo di quest'opera duvesse essere di preparare un manuale, una
propedeutica del diritto civile a vantaggio di tutti coloro che non aveano n tempo, n i n e
nazioni, n mente di fare di proprio erudite e pl*ofonde ricerche sopra una materia di uso
cos importante e frequente. Dal che apparisce che diverso era lo scopo inteso da Varrone d
quello che si era prefisse Cicerone, secondo mostra il titolo del suo lavoro t De iure civili in
artem redigendo,
Vaga*poi deve essere necessariamente la risposta al quesito intorno ai limiti che Varrone s^
prefisse alla sua opera, perch bisognerebbe conoscere quali cose Varrone riputava indispensabili a
conoscersi da un giureconsulto; ad ogni mdo bisogna accordare che non doveva essere un ma
nuale semplicemente storico, e quindi molto pi largo ed esteso di quello che pu indurre a cr e
dere Enchiridion di Pomponio. Comunque, noi sappiamo che Varrone fu scolaro di L. Elio
Stilone (Preconiiio) il fondatore della filologia latina, e che avea studiati e interpretati i pi an
tichi monumenti della letteratura romana, e tra questi quelli che si riferivano al diritto e alla
legislazione decemvirale. Una buona parte di questi studii Eliani, come li chiamava Cicerone (D^
or.y 1, 43, 193) dovea essere compresa nell'opera De iure civil i; e quanto essi si estendessero
si scorge dal luogo Tulliano or ora allegato. Non avr poi Varrone trascurato oltre L. t^io, an
che gli altri giuristi ; ma bisogna avvertire che non si trovano negli scritti varroniani citazioni di
giuristi posteriori a Q. Mucio, autore della disciplina iui^is civilis. Che se, come io credo bene,
Varrone si approfitt anche degli studii dei giuristi del suo tempo, non ne cita mai i nomi, per
ch, come avea gi osservato Ottofredo Miiljer (ad Varr. De /. /., V, 98/^ Varr aequalium^
testimonio perraro utitur.
Anche ristretti al modo indicato i limiti dell opera varroniana, doveva quest essere un uti
lissimo e prezioso manuale, per cui si pu ben ammettere che i giureconsulti ne abbiano fatto
so e tesoro; ma mi pare che vollero spingere le cose pi oltre^ anche coir erudizione prodi-
gioia del Saoio, sia non pi crtica, ma ipercritica.
i 2 l 4 F R A M M E N T I
Dt menturU.
Nei libri Ielle disciptioe, parUmlo della freomelria, aveva aTrerlilo, che li Irovava cilal
come Ji Varrone anchf un libro De mensuris^ t che Priiciaoo allegava i libri mensuraef. Oa-
tertaodo il legame alreltaamo che fra la geometria e la gromatica, mi pareva che non solo
i libri mensurales t quello De mensuris fotscro ona cosa elegia; ma aacora che qaeato trt-
lato di gromalica ti potesse considerare come oca sezione del libro De geometria. Tatlavia, ri tor
nando sopra qaeir argomento, e raccogliendo qualche altro indizio, mi sono risolto a modificare
in parte quella supposizione e roantcnere separato il iber De geometria da quello De mensu
ris^ come nelP iudice di S. Girolamo.
Per tcro, Don ripugna affatto a credere, che Varrooe, dopo aver dato nel libro De geome
tria le nozioni fondaroentali anche della gromalica^ le sviluppasse poi pi ampiamente, le compie-
tasse io un' operetta a parte, intitolandola De mensuris^ a quella guisa che pubblic un logsto-
rico (?) De vaeiudine tuenda^ sebbene avesse gi nei libri delle discipline trattato a parte De
medicina. A questa guisa s' intende pi facilmente che Prisciano potesse citare i libri mensurales.
E una circostanza della vita di Varrone mi di argomento per mantenere la divinone dei due
lavori. Nel GgS col iavore di Pompeo e del suo partilo Giulio Cesare faceva approvare dal po
polo due leggi agrarie, per la riparl^ione ai suoi soldati d e l f ^^e r Campanus e dello Stellali
no. Per condurre a termiue queste divisioni fu nominata una commissione di venti, tra i quali fu
anche Varrone (Vedi De re rustico^ I, 2 ; Plinio H, iV., VII, Sa, 176). Questa^ parmi, era uoa
occasione opportunissima per metter fuori la scrittura De mensuris.
Il RitschI propone di correggere il titolo coll*aggiunta di agrorum; ma non ne arreca ra*
gioni. lo non so poi dove il Boissier abbia trovato, che il Hilschl giudica quest'opera De men'
suris agrorum un trattalo di economia rustica. Ma che non abbia ad azzerarne una ? Del libro
De mensuris fa menzione Boezio, De geom. ; QUae de t e n s u r i s a yarrone ostensa suni
(Ed. di Basilea, i 546, a pag. i a 34).
1333 ni . T KRENZIO VARRONF, ia3/ |
Lifrrt singuhru X.
Nmi disbtlo ad escludere del lutti> opinione, che fra le opere varroniane ve ne fosse una
in dieci libri titolo di Singulares, Quindi il Hitachi nella rislempo deH' indke di S. Giro
lamo lo ha eicloso. Pare che questi 4ieci libri non aieno altro che dieci monografie d argo*
mento diverso^ raccolte iotieme aotto quel titolo generico. Seguiterebbe ancora che, o non eiiates-
ero^ o almeno, che ii eompMelore dell'iudice non conoscesse tra gli aerini varroniani che dicci
aoHanto in un solo libro. Me come avvenne nel catalogo delle opere di Origene che si trovasse
un titolo eguale ^, e poi alcuni degli scritti che vi erano compresi, si ripetessero nel ca.
lalogo con titolo apeoiale, quasi opere nuove, eosk potrebbe essere occorso ancke pel catalogo
di Varrone, che per cs. lo scritto De valetudine iuenda^ e quello De mensuris^ i qoal t ^ano
ntonobibli^ fossero gi da quel titolo generali compresi e abbracciati. Non ne possiamo dire di
pi, perch ci manoma gli argomenti a decidere.
De tua vita.
Neir indice si trovano ricordala uo'opera in tre libri De suasfttate^ che ricordata dal solo
Carisio, pag. 69. Parendo molto improbabile che Varrone scrivesse sopra tale argomento tre
Jibri, ed essendo invece mollo ovvio a pensare che egli lasciasse dei ricordi autobiografici, coti
tutti accettano concordemento la correzione gi proposta dal Ritschl De sua ^ita.
Anliquiialum rerum humanarttm dmnarnm
Libri XL1.
A (|uesla, Ia pi cclebrc, U pi iniporlanfe fra le molle opere di M. l'erenzio Varrone, non
locco orl migliore che alfe altre, e noi faremo Jel nostro meglio per roclterla in quella mag-
ior luce die per noi si possa, chiedendo con qoesla il lango e faticoso studio sopra te opere
Varroniane.
Gi dal tempo di L. Cinzio Alimento, il quale fiorila alla met del sesto secolo di Roma, c
dopo P esempio di Catone, parecchi si erono dati ad illu5trare riti, le cr stumante, quanto >
somma va compreso Sotto il nome di antichit del popolo romano; ma chi s' era limitato alP una
parte, chi all altra di questa Tastissima scienra, nessuno s era accinto all* opera di raccogliere in
iin lotto C09 svariate notzie e di esporle con ordine sistematico. Questo pensiero sorse a Varro
ne, il quali,' meglio che qoalunque altro, era acconcio a sobbarcarsi all arduo ufficio, come cohii
1 quale tutta fa storia del suo popolo, e origine delle sue costumanze, e del suo cullo e delle
religiose e civili isltuzioni erano famigliarissime. u Noi, o Varrone, scrife M. Tullio, andavamo per
la citt nostra erranti a caso, a guisa di forestieri, e lu, coi tuoi libri, ci hai fallo conoscere c
quali siamo e dove siamo. Tu ci hai manifestato el5 della patria, tu descritU i tempi, tu spie
gate le ragioni dei sacrifizii, il diritto sacro, le costumanze di pnce e di guerra, lu illustrati i
luoghi, tu STelat i nomi, i generi, gli ufiicii, le cause di tutU le cose divine ed umane^ lu
diffusa copiosa luce sui poeti nostri, anzi su tutte le lettere latine. Questo elogio, di cui non
so se altro pi splendido sia toccato mai ad alcun erudito e scrittore, era diretto a Varrone pre
cpuamente per la grand-opera delle Antichit, miniera inesauribile a coi attinsero in seguilo
quelli tutti che trattarono delle cose romane, fino a tanto che opera del tempo o quella, spesso
non meno invidiosa, deir domo non distrussero quasi interamente questo monumento che Varrone
aveva innalzato alla sua gloria e a quella del popolo romano.
Se non che Varrone, nelF accingersi a questo lavoro, aveva on' altra cosa, e principalmente, di
mira. Quale tosse lo icadimento del senso morale romano a questo tempo, quale la indifferenxa
per la religione, quale la corruttela di costoie, quale la miseria delle filosofiche dottrine, quale
amore dei guadagni, ambizione del primeggiare, non bisogno che io ora descriva, come cosa
ai lettori notissima. 1 pochi, ai quali sangainava il cuore per queste rovine che si erano faSHda
ogui parte, non sapevano ripensare miglior rimedio che richiamare i loro cittadini agli e d i i p i i
antichi, perch la corruzione avea cominciato a menare i suoi guasti allora che ti coroinctarooo
disprezzare e invilire le austere virt dei padri. Tra questi pochi era Varrone ; a tale aoopo
aveva inteso colle satire e con altre opere minori, a questo pore roirava con quella delle Anti
chit. E che tale fotse il pensiero degli nomini pi assennati di allora apparisce altres dalla te
stimonianza di Cicerone {De div.^ 1> a) : u Quod cuim munua reipublicae offerre maius radiuave
possumns, quam si docemus et erndimns iuventutem ? his praesertim moribus Qt^^ue tempo
ribus quibui i u prolapsa est, ut omnium opibus refrenanda atque coerenda sit. ^
Se queato vero, ognuno pu scorgere J'acilmente, che gravoso troppo e diffcile urebbe
stalo ricercare le opere che trattavano disgregatamente dell* uno o dell'altro dei molteplici aspetti
delle istituzioni avite, c che quindi faceva le part d buon cittadino Varrone raccogliendo iii>
aieme tulio quello che delle romane antichit divine ed umane era sparso negli scritti di
tanti, e che egli stesso aveva in occasioni varie pubblicato, offrendo cosi in nn sol corpo le ial-
tuzioni antiche religiose e civili del popolo romano. Varrone sapeva, quanto e meglio di qua
lunque allro, che la corruzione, la quale si era cos largamente difiusa, e la rovina imminente
di ogni ordine civile erano dovute allo scadimento del 4:uIlo, alla piet negletta, all'abbandono
dei tempii ; per questo, che a riaccendere amore alla religione dei padri, egli melle la mas
sima cura nella sua opera delle Antichit. Tale, conforme la testimonianza di S. Agostino {De
r/V. Dei^ VI, a), fu lo scopo primo che Varrone si prefisse : Cum Varr Deos ita col uerit
colendosque censuerir^ ut in eo ipso opere literarum suarum dicati se timere^ ne pereant^
non incursu hostili^ sed civium negligentia, de qua illos velut ruina liberari a se dic ti et
in memoria bonorum per huiusmodi libros recondi atque servari utiliore cura^ quam 3f e -
ttllus de incendio sacra vestalia et Aeneas de Troiano excidio Penates liberasse p r a e d i
catur, A qucsio intcndimenio xupremu Varrone servi lanio, thc prescelse talora ili essere incom-
I' k V. I ia3(;
plelo, e l parfre ignoriDle della verit di molte cose, poich, come uppiarao Ja S.[ Agostino
(1. IV, c. 3 i), giudicatk estcrT parecchie cote di cui era utile che il popolo non avene cogni-
Kiooe, ed egli perci non voleva disfelargliele ; altre, che il popolo credeTa falsamente, ma di cui
non voleva rivelare errore^ perch ne correva pericolo il buon costume. Cos, per esempio,
egli a hello studio si guard di rivelare al popolo le turpezze dei misteri Eleusini. A questo
pericolo avea cercato ovviare anche il celebre Q. Mucio Scevola, ma segui altra strada da quella
di Varrone. Imperciocch, sebbene Unto Scevola quanto Varrone diiUnguesiero una triplice teo
logia (ci. Aug., D t ciV. Z>., IV, B7 e VI, 5), cio una mitica^ la quale era il campo dei poeti ;
una JsicOy la quale era un pretto naturalismo (e di cui diceva benissimo Varrone essere auai me
glio tener discorso o tra le mura della casa o nei recinU della scuola, che portarla in piaiza) ;
una civile di cui si doveva nultire 1mfede del popolo, tnttavia usarono mezzi diversi. Scevola
s^fgreg, Varrone congiunse; Scevola ammetteva esser dannoso al popolo conoscere le divinit
dei filosofi e dei poeti, Varroue voleva fare una esposizione del culto tale, che giovandosi e delle
interpretazioni dei filosofi e delle fantasie dei poeti, non potesse essere n oppugnala dalla filo
sofia, n deturpata da invereconde invenzioni della poesia.
11 ttolo di Antiquitatet corrisppudeva pienamente al disegno dell opera, e ad opera non pri
ma tentata da altri ben si conveniva titolo nuovo. E poich tutte cose spettano o alle divine u
alle umane, cos opera si divideva naturalmente in due grandi sezioni ; la prima, che compren
de XXV libri, tratta delle aotichit umane; la seconda, in XVI, delle antichit divine, e il ttolo
pieno Antiquitatum rerum humanarum et divinarum libri XLl . Questo titolo ben raramen
te si trova citalo cosi pieno nei grammatici e negli antichi scrittori, i quali usarono invece pi
di spesso di allegarne autorit citando il titolo speciale deir uno o deir altro dei libri, per esem
pio, Aulo Gellio cita il libro qui f u i t de diebus^ o qui f u i t de bello et pace etc.
S. Agostino ci conserv, Iralio da Varrone, il motivo per cui furono fatti precedere i libri
delle Antichit umane (De ciV. />., I. VI, c. 4): Varr proplerea se prius de rebus humanis,
de divinis autem postea scripsisse testatur, quod prius exititerint civitates, deinde ah iis haec (cio
Ia cerimonie del culto. Ia teologia civile) instituta sunt; e si conferma da quel che segue : u Sicut
prior est pictor quam tabula picta, prior faber quam aedificium, ita priores sunt civitates quam
ea quae a civitatibus sunt instituta. E poco appresso : u Si de omni natura Deorum et hominuto
scriberemus prius divina absolvissimus quam humana attigissimus. >
Uoa costfiatta rebzione di dipendenza era immaginaU oche da Cicerone, il quale {De r. p.
I. L c. a) scrive : u Unde eoim pieUs aut a quibus religio? Unde ius aut gentium aut hoc ipsum
ei^flc quod dicitur? unde instilia, fides, aequitas 7 unde pudor, continentia, tuga torpiiudinis, adpe-
lentia laudis et bonestalis ? . . . . nempe ab iis qui -haeo disciplinis informata alia morbus confir
marunt, sanxerunt alia legibus, -n
Nel catalogo di S. Girolamo a quest' opera si trovano assegnati ripetotamente 4^ lihri, e tale
citra data anche da Rnflno ; o a errore patente, perch il prospetto particolareggiato
dei libri, come ci dato da S. Agostino (De ciV. Z>., VI, 3), cosi preciso, da non lasciar luogo
a dubitare.
Tutte le due sezioni erano suddivise in quattro parti, perch dichiaravasi : a) quali fossero
coloro che dovevano agire, ) ove dovevano agire, c) quando dovevano agire, d) che cosa dove
vano agire. Trattandosi poi del cullo, conreniva anche aggiungere una parte che facesse conuscero
ad onore di cui si doveva agire. Ognuna delle sezioni era preceduta da un libr d' nlrivluzio'
ue. Per cui si ha il seguente;
1237 T EKENZIO VRRONK laiih
!<R E i I
Schema dei libri delie Aniichil,
A) Amtichit Vman.
InlroduvioBe libro I ,
I. De homDbui (dal 11- VlI)
II. De l oc i e( dai r vl l KXI l ] )
HI. Ot leinporibut (UJ XIV-XIX) .
IV. De rebus (dal XX-XXV)
libri 1
vt 6
yt e
6
6
B) AnchUd Disine.
hr 95
libri
1. De homi-
nibufl
11. De locis
ni , De lein-
poribus
a) De pontificibus
) De auguribus
c) De XV virii sacro-
rum
a) De sacellis . . .
'6) De sacris aedibui.
^c) De locis religiosis.
'1
IVI
V
VI
VI! '
h)
l )
a) De leriis Vi l i
De ( circensibus 1|
De sccnicis X
IV. De rebus
V, Pe diif
a) De consecrationibus XI
De ssoria privalis. XII
r)DcsaecisptihUris. Xl l l
a) De liis ccrlis . XIVv
) De diis iocerlis. . XVf
c) De diis praecipuis |
al^uc sclccUs XVI;
rt S
I-
Libri i 6
Tq u u Jii^i 4
Come si fede, queste doIea oonMrraUn dt S. Aga&iiio e oh ci daMio il di lormare
uno specchio eitU della fteusioo c dialribuiion opcr, aiulano Mich asaiieeisao per
assegnare ai. varii iramneeli il luogo o oerio o probabile che loro spella^ e a rUificar alfine
cilaiiooi di aoliobi grtnoMiici*
Lo Schneider $i3o della sua v i u di VarroP con probabili arfMMOli alabiliaoc che i
libri delle Aolicbil furono pubblicati alla fine del 707 (47 sono Q evi CeiAfe era per la as
conda Tolta coofole). 4 cr^no dediotli proprio G. Cewre, al quale oom pootcfiee naisimo
correva obbligo di aiuUre afl^caqemeQle Varrove all* op^ra fialriotlic Ui rip^riifooe a mi mirafa
cou questo Uvpro.
Le Anlichit per cioque secoli furono avidamente cercate e studiate. L' ultimo, di cui ti sap
pia che le ebbe saaiMi M Prisciano, il quale f^or durimi impero di AMiaaio iuaque
oei pri ol aaiii del pesto 9coU. Gli autori che acrisicro dopo Prifciauo, focbe se eilatfto Varro
ne, lo citano di aecoada maoo. Cos, per recaroo un esempio soIq, Lorenzo Lydo {D0 I l i ,
75) scrive : tt O c o dicono i due Romani Fcoeatella e Siaenoa, di cui riporta la sentenaa Var^
roue nei libri delle antichit umane, libri che io non ho veduto giasiinai ( ^ nel qual ^ e a
rilevare anche V errore grossolano in cui caduto Lydo, facendo che Varrone riierisse le. parole
di Fenestella e Sisenna, invece di dire: Fenealella, che riporta la seutenza di Sisenna e Varro
ne. :! una prova che i libri delle antichit non si trovavano pi, perch, come dice in altro luogo
lo stesso scrittore, egli aveva adito aperto alle migliori biblioteche. Lb stesso valga per Caasio-
doro. Marziano Capella ecc. Il Mehus nella vita di Ambrogio Traversari (t. I, pag. a i 6, ed. dc|
i7aa) 8|irse la fama, che il Petrarca aveue scoperto i libri delle antichit vsrroniane. Ma basta
riportare le parole stesse del Petrarca nella sua lettera a M. Varrone (pp. ad Viros ili. Vel. 5)
per mostrare il contrario : u Nonnullae tomen extant vel admodum laceratae bonioi opruni
(Varrouis) reliquiae, e quibus aliquae pridem vidi et recordatione tgrqueor summis, ut aiunt,
labiis gustatae dulcedinis; et ea ipsa praecipue Divinarum et Humanarum libros, qui nomen
libi sonantius pepererunt, adhuc alicubi forsitan latitare suspicor, eaque multoa iam per
annoa me faiigat cura, quoniam longa quidem et sollicita spe nihil est importunius In vita, n
J1 pMso lrop|io chiaro, perch Mri possa dedurre che il Peirarra avesse veduti lihri delle
anlirhil.
Il Cardano e il Machia velli (?) asserirono clic i libri delle Anticliit lurono falli, cogli altri
libri di Varreoe, abbruciare da S. Gregorio VII. Coti il NMidco ( Nusideattis et Paliniaobi
P*|[ ^7)* ^ Machiavell el Cardaa oni dit que Gregoire VII avoit lait brler Iona les oeuvres
de Varron qui iail Romanorum dociiaaimu ne e x eius libris plagii posi t i insitnalai^i di\ms
Augustinus qui suos libros D t eifiiaU Dei iotos ex Varron* descripsisset, La qual calun
nia, ripetala da altri e perfino rteentcnirnte dall* Orhler, oltre ehe non ai fonda sopra alcun ar*
gomelo probabile, sloltisaima, perch se ai voleva allontanare da 8, Agnaiiiio Taccuta di pla
gio, btfognava ardere non i libri di. Varrene, ma opera De civitate Dei^ dove egli stesso con-
fesaa di aver fatto uso larghissimo, copiosissimo dei libri delle antichit, e in aeoondo loogo, se
i libri di Varrone, gi al secolo VI, erano smarriti, come poteva farli ardere S. Gregorio VI I ?
Sarebbe sialo necessario, che non solo fossero sopravvissuti, ma fossero anche moltiplicali.
Venendo a noi, io devo confessare di aver per questi franmeali delle Antcbit aiuti miaori
eh per gli altri libri. ricordata speaio la monografia Leoppldo Knrioo Krabncr: u Com-
menlalionis de M. Terentii Varronis Ani. Rer. Hum. et Div. librii XLI specimen , e dopo lunghe
care mi riescilo di trovarla. Ma riconobbi che la parola u specimen rgorosameote eaalla, e
quindi non mi giov gran fatto; e se si conaideri che quella dlserUtione non che una tesi
per laora scrilla 39 aonl or sooo si scorger fscilmente come non po giovare gran fallo ora ehe
hanno progredito di tanto gli studii varroniani, e che per alloia meritava gli elogii ehe te ne
fecero, come un primo tentativo di una ricottruiione iislemalica dei frammenti di Varrone, e
coma tentativo io lo lodo aineeramenU e qualche p r t i l o ne trassi, n Cosi anche il RilsehI nel
celebre rlieolo sulla Schrifsidlerei di Varrone, che ci ha giovato Unto per gli scritti anteriori,
non ci o0 re per questo alcun sussidio. Un' altra dissertatione inaugurale quella del Franckeo,
il quale ha, raccolto i inanimenti di Varrone che si trovano nel libri De civitate De i (Lugduni
Batavornm i 836); ma poco pi che una nuda riproduzione, e giova solo per le numerose
fonti a cui accetto. Pei frammenti delle Antichit divine molto beaemerilo il Merkel, che
li raccolse nella Introduzione ai Faati di Ovidio (Berlino 1841)1 e li accompagn di largo com
mento ( p. CV1*CGXLV11 ), di cui cercher di dare il flore. Appena bisogno che ricordi il
Boisaier, del quale leng pochissimo eonlo, perch anche qui, come sempre, superficiale e
leggero, lo quindi eoDio sulla benevolenza dello sludioeo, H quale vorr sapermi grado della in
grata, febbeoe fralluosa fatica, di ricercare lutto quello che possa servire a dare pi piena e pi^
chiara cognitione della straordinaria attivit lelteraria di M. Terenzio Varruue.
i 24i d i . TKRI^NZIO VARRONE ia4'j
Delle antichit umane.
Libro 1.
Come abbiamo detto, il primo libro era d' introduzione, un libro, nel quale, giusta le |a-
role di S. Agostino, de ofnnilus communiter loqueretur* Ma non si meravigli il lettore se
dobbiamo fin ^al principio lottare con drificolr, che non s possono dire mai coml^ttule vitto
riosamente. Vi ha parecchi dubbii a riaolvere, che non sarebbero aorli se gli antichi fossero
stati pi diligenti nelle cilszloni dei luoghi. Dal passo delle Aeademiche 1, a, che pi volte
ci fu d' uopo ricordare, sappiamo che, comunque si vogliano interpretare le parole, Varrone avea
trattato filosoficamenie argomento che dava materia a questo primo libro. Infatti M. Tullio
Cicerone fa dire a Varrqne . . . . Multa admixta e x intima philosophia^ multa dieta diale
d i c e . . . . in his ipsis antiquitatum prooemiis philosophice (?) scribere voluimus^ si modo
consecuti sumus. Che rosa era la filosofia di questo primo libro? Non si potrebbe rispondere
a questa domanda |er lo appunto; non si pu che cercare la maggiore verosimiglianza. Vj ave
va anche una parie astratta, speculativa f Parrebbe che s), quando vi si |arlava philosophice
de omnibus communiter. Come quella che Varrone (/. /. V, la) chiamata initiorum quadri
gae^ cio la divisione q u i s f uhi? quandoT quid?^ domin in tutta Topcr^i cosi ben da cre
dere che in questo libro ne Ibsfc resa la ragione. Quindi il libro primo poteva avere due aspetti,
P uno d'introduzione a tutta l'opera, Taltro d' introduzione speciale alla prima parte. Sotto il
primo as|>etlo doveva parlare del fine rhe lo moveva a scrivere (pieit' opter, e far la dedica, t hc;^
P R A b N 1 I 1244
air uso Tarruniaiio, polcva euer brevMina; ndi proporre giuslifcare U lvisione tlelP intere
o|era c dell ordine tenutovi. L idenlica quadriparziont fpiegala riloRuiicaincule anche nel V
D t L I . Il e 13, e par da ainiDcllere che rooltu pi diTusamente fusse spiegata nel I delle An
tichit. N vi (>blevan mancare, ae non erro, contiderazioni di filosofia ualurale e di filoiofa mo
rale : uuo stadio sulle forxe della natura, sulla influenza delle eondizotii fisiche sul morale, delta
aititi l umana e rose sifTalte. Che se jiouianio mente, aver Varrone nel proemio delle utichit
divine traUato D t animae humanae natura immortali (c(. %p. Aug. De civ. D.^ HI, 17), per
ch non si potr aromellere con qualche sicurezza che in questo proemio delle Antichit umane
esso trattasse invece De corporis humani natura^ facendo iosomnia centro delle sue considera-
ioni la parte materiale dell'uomo, come negli altri fece la parie spirituale? Questo argomento
di analogia acquista nel nostro iatto peso maggiore da altri riguardi.
Da citazioni di Prisciaiio c di Plinio ci fatto conoscere che in questo primo libro Varrooe
trov modo di pailare dei PsiJli e della natura loro prodigiosamente esiziale ai serpenti; noi tro
viamo ancora uello stesso Plinio e in Solino descritti degli esempi! di forza umaiia prodigiosa,
tratti da Varrone u in prodigiosa[rxiin] . virum relatioue, n Plinio : {In relatione prodigiosae
fortitudinis^ Solino, pag. 7). Ora, tra molteplici scritti e le svariaiissime memorie di Varrooe
Non abbiamo la pi lieve traccia di questa relazione speciale De prodigiosis viribuSy mentre, co
me ben pensava il Krahiier, pu trovare beuiuiioo luogo nella introduzione, dove si parlasse
delle attivit del corpo umano. si avverta ancora, che se nei libri delle Antichit Varrone ai
limit air Italia, nell' introduzione poteva opportunemeote allargarsi colle sue considerazioni an
che al di fuori della penisola, e quindi trovare modo di parlare, per esempio, dei Psilli. V Urlichs
{Anthologia Pliniana^ pag. 5i) sarebbe di opinione, che si rimaodassfo al logistorico Gallius
t'undanius De admirandis tulle queste descrizioni di cose straordinarie che noi siamo disposii
invece ad accettare nel primo libro delle antichit. Ma non crediamo che si debba fare, essen
doch quel logistorico comprendeva le cose meravigliose della natura inanimala (V. per esen^pio
Nonins, v. puteus^ pag. 916).
Per le dette ragioni crediiimo appartengano al libro 1 Ant, hum, i seguenti frammenti:
i . t t Varr in I humanarum. Ut habeni Pari!
qui vocantur Ophiogenes,et in Atrica Psylli: quo
rum ophiogenes, cum arbitrantur suppositum es
se aliquem in stirpe ei admovent ut pungat co
lubrum ; cum pupugerit, si tle genere &it, vivere,
si non sit mori. ^
I . tt Varrone I. c. Come tra quei di Pario i cos
detti ofiogeni^ e in Africa i Psilli. Quando ad uoo
degli ofiogeni sorge il dubbio, che sia stato per
frode fatto passare alcuno come ili loro stirpe,
gli accostano un serpente che lo {Minga ; se un
dei loro sopravvive, allriroetili muore di quel
morso, n
Prisciano, 1. X, pag. 894. Pari i souo gli abitanti di Parion, citt alf Elles|>onlo Ira Lampsaco
e Adrasteia. Nella gente dei Parii era memorabile la famiglia degli (Strabone, i 3, 588),
contro i quali non valeva il morso dei serpenti, e che ne guarivano col semplice tocco della
mano le punture (V. anche Plinir, H, iV., VII, 2, 2).
Psylli. Celebri scongiuratori di serpenti erano anche i Psilli, popolo che abitava nell interno
della Cirenaica, e denominato dal re Psillo, di cui mostravasi il sepolcro presso la gran Sirte.
Pliuiu, I. c , aggiunge ; Mos vero liberos genitos protenus obiiciendi saevissimis earum (xer-
pentiuw)^ eogue genere pudicitiam coniugum expefZendi, non profugientibus adulterino san
guine aatos serpentibus.
2. Admota aspis cum pupugerit, si non occi
dat, sdat ex Psyllorum stirpe esse.
Prisciano, I. X, pag. 894*
3. Amarro {tradit) eliamnum esse pauros ibi,
quorum salivae eoo tra ictus serpentum me
deantur.
2. Quando il serpente lo abbia morsicato sen
za farlo morire^ non dubiti che non sia drila stir
pe dei Psilli.
3. Varrone (lasci scritto) che vi sono ancorn
col {presso Pario) di quelli, la cui sali va guaii
sre dalle morsicainrr dei serpenti.
Pliuio, 7/. VII, 2, 2.
I a/ jTr
. r t l l LN ZI O VARKONt
\2\(j
4. u Murrata polione usos antiquos indicio esl^
(|iio(l etiam nunc aeililcs per supplicationes diLi
addunt ad pulvinaria, el quod XII tabulis cafetur
ne mortuo indatur ut ait Varro in antiquitatum
libro I. rt
4 u Che gli antichi usassero di pozioni mirra
te fi argomenta da questo, che gli odili ancoro
adesso appongono nei banchetti fesliri imban
diti per propiziare li dei, e che dalle 12 tavole
vietato che se ne aspergano i cadaveri, come dice
Varrone nel I delle Anlichit.
Feslo alla voce murrata potione (p. 174 I^) Della legge a cui accenna Feslo perduto II.
leato : taceva parte della tavola X {De iure sacro V, Cic. De leg,^ II. a4, Orllan. Storia della
legisl. Rom y ed. d Napoli, pag. 58).
5. Corpore veico sed extroiif Tribui Tri*
lanum(7 Trhutanum Uilichs) in gladiatoium,
ludo Sannilium armatura celebrem, filumque
eiut mililem Magni Pompeii el recto el Iranaver-
SOS cancellatim loto corpore babuisse oervos, in
brachiis etiam manibuaque, auclor est Varr in
prodigiosa[ru/n] viriom relatione, atque etiam
hotlem ab eo ex f^oTocatione dimicante inermi
dcxtra uno digito superatum et postremo cor
reptum in castra translatum.
5. Varrone nella sua rcbiione delle forre
prodigiose racconta di un certo Tritaqno gracile
della persona, ma di fona mcrafiglioaa, che di
enlo celebre combattendo con armatura San-
nitica nei giuochi dei gladiatori; c cos del
fglluot suo soldrlo di Pompeo Magno, Il quale
avea per tutta la persona^ fino alle Joraccia e alle
roani, i nervi a diritto e a traverso a modo di gra
ticolato, e che combattendo con uno dei nemici
che avcalo provocato, Io abbatt con solo un dito,
avendo la mano tlisarmata, e cos se lo traue
neir accampamento.
Plinio, f, N.y VII, 19, 81. fresco ZI gracili : la parola poetica.
Samnitium celehrem. I / armatura sannitica era staia dai Campani data ai loro gladialoii
ptr fare allo di disprezzo ver?o i Sanniti (809 a. C.), e cos pass a Ilotna. Tito Livio (XI, 4^)
la descrive : un grande scudo quadralo, che tuttavia nella parte interiore si andava restringen
do, un elmo con visiera t crnii>ra, uno schiniere per protggere la gamba sinistra, una corta
cappa di cuoio o metallo con un pezzo rilevalo {galerus) a difesa dtl braccio destro, e una
corta spada. Non abbiamo poi abbastanza sicuri docun>enti negli scrittori per determinare quali
fossero nell arena gladiatoria gli antagonisti dei Samnilrs, e no si pu riconoscerlo nemmanco
dai naonunienti delle arti rappresentative.
Cancellatim Vedi Plinto anche IX, i o3 e XI, aoi.
Uno digito forse da riferire grammaticalmente a eorrtptum,
Varrone pu essere stato testimonio oculare di questa tenzone, quando, finita la guerra pira
tica, accompagn Pom|>eo che andava a combattere Mitridate (an. 66 a. C.).
6. Idem Varr, u Rusticellus inquit Her
cules appellatus rooluni suum lollebai ; Puscus
Salvius duo centenaria pondera pedibus totidem
manibus et ducenaria duo humeris contra scalas
lerebat.
6. Lo stesso Varrone racconta : u Rusticello
dello Llrcole levava alto il suo mulo ; Fusco Sal
vio portava duecento libbre di peso coi piedi, al
trettanto colle mani e duecento per ciascuna spalla
sulle scale, m
Rusticellus un cognome assai raro. Cicerone nel Brulus 4^ 1^ ^lce Bononiensia: per,
osserva TJahn, le iscrizioni e le monete lo dicono Rusticelius.
Fusius z z Furius : sotto quella forma c un prenome esso pure rarissimo.
Duo pondera, Uq centumpondium equivaleva j l 65 libbre e 10 oncie del (leso parigino, la
libbra romana era circa Vs noitra.
7. Sane sicut Varr dicit, omnesqui fortiter fe
cerant Hercules vocabantur, licet eos primo XMII
enumeraverit.
7. t per verit, come dice Varrone, si chia
mavano Ercoli lutti quelli che aveano fatto mo
stra di fortezza, quantunque ne abbia annovera
te prima Xf^lII.
Servio ad Vtrg, At n. VIII, 5, e nei mitografi del Mai, pag. 274. Al Krahner non garba
\ lezione e propone, u Sane ....vocabantur, licet eos [in] primo XLI enumeraverit.
opinione del Krthoer prtv <li foncltmento, come ocUta il eh. prof. Canal. InfalU oon
solo Tecchi, ma anche il Bode nella tua ristampa mollo pi ccarala dei roitograA Valicaoi e
il dolio autore dell ariicolo Hercules oeir Enciclopedia reale del Pauly, giudicaodo che non tosse
senza l'ondamento da molar la lezione, inteDdono propriamente quarantatre Er c ol i annoverati
prima da Varrone. Prescindendo pure (che non si potrebbe a ogni modo contro 1* autorit
di codici stimatisiimi) dftlla proTaU bont delle lezioni, non si pu negare rhe sarebbe strano
il modo della citazione per indicare il libro primo delle Antichit. R poi che ayrebbe a fare
J1 dicei?
l o sono quindi multo ineerlo ancora se veramente questo frammento si possa riferire al 1 delle
Antichil, perch pare quasi impossibile, che in on libro ( introdasione si facesse un novero
rosi pieno e lungo di Ercoli, novero che, anche da quello sappiamo noi, non era al di sotto
della credenza comune. Comunque, in un libro che parlava della gagliardia delle membrat lAscia-
mo anche esempio pi celebralo ed illustre. Ercole.
Tuttavia anche in queste conclusioni, che non saranno, spero, giudicate fuor di proposito,
si polirebbe eccedere; ed ha ecceduto il Krahner, il quale tiene per certo che questo primo
libro ai possa accrescere con altre citazioni pliniane. Plinio ricorda i nomi e le pere di molli
artefici, i quali si acquistarono e nella scrittura e nella scoltura ecc. nobile fama, e molte volle
ne parla sulla leslimonianza di Varrone. Ora si dovranno accettare anche questi nel primo libro X
A mio avviso, no. Non si dimentichi che un libro d' introduzione, e che allargando come vor
rebbe il Krahner la mano, non so cosa non sarebbe permesso di farvi entrare. Egli vero che
opera di un artista pu essere documento di quello a cui pu arrivare la natura umana adde
strala dallo studio, dalP eserczio e cos via, ma vero d'altra parie che quei luoghi possono
servire a dimostrare molte altre cose ancora. E non nr meglio ammettere che in una od altra
parte delle varie sue opere Varrone abbia fatto menzione delle scuole artistiche (come io credo
certo che abbia fatto provandosi da citazioni sicure di opere conosciute, che qua e l seppe trovar
modo di parlare anche delle arti del bello), piuttosto che rimandare ad una introduzione minu
tissime particolcreggiate notizie ? Facendo una equa proporzione, questo libro sarebbe riuscito
sformatamenle grande. Ma non nego per questo, che di passaggio, o chi sa a qual proposito po-
leue essere ricordato un qualche artista. Cos per es. abbiamo in Nonio, pag. 5a alla Voce
Humanitatem,
1 2 4 7 F R A M M E N T I
8. u Varr rerum human, libro I. Praiileles
propter artificium egregium nemini est paulum
modo humaniori (ignotus), n
e. u Varrone nel 1 delle cose umane. Prassile^
le per la sua eocellenu nell* arie a ^ per
poco eh sia colio, scohotdnio. n
Questo esempio tuttavia non ci costringe td accettare tutti gli altri simili seou riserbo.
Lib. 11-VII.
De h o mi n i b u s .
Questi sei libri erano tutti di argomento storico, composti, come diceva Cicerone, ut posstmus
aliquando qui essemus agnoscere^ cio diretti mostrare le origini del popolo romano di
Roma, e quindi, le origini delle principali citt della penisola, e conservare le tradizioni degli
antichissimi popoli, che si vennero a stabilire in Italia, Aborigeni, Enotrii, Sabkii, Etnischi, ecc.
Seguitava un esposizione dei fatti dei re, continuando probabilroenle fino alfa invasione celtica.
Che arrivasse fino a questo punto si deduce dalla testimonianzA di Lydo {De mag.^ framm. 7^),
il quale scrisse, o meglio, trov nelle sue fonti, che Varrone nei libri delle Antichit parl dei
Galli e del loro duce Brenno. Non si trova citazione alcuna, la quale si riferisca ad avvenimenti
posteriori, e doveva essere cos, perch non era proposito <li Varrone fare un corso di storia
romana, ma di antichit romane.
Il numero maggiore di frammenti per questi libri raccolgo da Servio, il quale nel suo com*
mento a Virgilio ue deriv tutto quello che si riferisce al A venula dei Trojani alle avventure
del loro duce. Dalle parole dello lesso grammatico {ad Aen, 111, 349) s impara che in questa
^49
1)1 . T ERENZIO VARHONL
125
etpo^zione il doAliffimo Miliquario romano ti addhfiotir dili|;eiitlfsimOt e che, per qoaiito gii
tu possibile, visil di peraooa lolli i luoghi duve Kuca rittelle, come nell Eptro.
1d altro luogo ho gi a?Trlito, che Varrooe aTca franalo anche a parie delle origini di Ro
ma in uu'operetta speciale, ampliando torse quello che per la Tastila dell'argomento, c per
abbondanza delle notiiie, e per lo scopo di questi libri, aveTa qui succoiamenle narralo.
I. Ser?ius ad Verg. Aeu. i l i , 167 a Graeci et
Varr humanarum rerum, DardBura non ex Ita
lia sed de Arcadi urbe Pheeco oriundum dt-
cunl. -n
1. Servio I. e. M1 Greci e Varrone nelle Anti
chit ucMoe dieooo che Dmrdano lo oriundo non
d'Italia, ma di Fetico cillA di Arcadie, n
Pheueus la moderna Fmia all occidente di Stymphalus. La citt ricordata anche da Ome
ro, e Virgilio (Aen. VIJ, 16S) la diee residenia di E?andro.
a. Serviua ad Verg. Aen. Il, 636 u Varr
Heruro human, ait a Grecia ei (se. Aenea) con
cessuro ut el quos vellet secum et tua omciiii li
beraret.
2. Servio^ 1. c. u Varrone nelle aniidiit am'
ne dice : ater i Greci fatto lirenta ad Enea che
portasse seco, e chi volesse e tutte le cose sue. n
Nei supplementi al QpmineMlario di Servio, che Pietro Uauiele diee aver trovalo in un rat-
iiusciitlo l'uldeusc, ma che in veril nuii sono di Servio, il paiso si legge cosi: m Varr r. h. aii
permissum a Graecis Aeneae ut evaderet et quod carum pularei aul'errel : illum patrem liberas-
se, cum illi, quibus optio esset data, aurum et argentum abslulissetil. Sed Aeneae propter admi-
raiinnein iterum a Graecis concessum, ut quod vellet> auferret, ilt ut simile quod laudatiiro fuerat
laceret, deos peuales abstulisse tunc a Graecis ei concessum etc. 19
3. Vsrrosceundo {humanarum^ annalium?)
refert : Aeneam, capta Troja, arcem cum pluri
mis occupasse, magnaque hostium gratia obii
nui sse abeundi poleataleio. llay^ie (item ^uae
potissimum).......... velkt auferre. Cumque circa
aurum opesque aliaa celeri ararentur, Aeaeau
patrem suum collo tulisse^ mirantibusque Achi
vis bauc pietatem, redeundi Ilium eopiam datam
ao Deos Penates ligneis sigillis vel lapideis, ter
renis (7) quoque Aenean insuper . . . . quam rem
Graecos stupentes omnia sua atiferendi potesta
tem dedisse, caque . . . . n
3. u Varroue nel secondo (delle cose umaue
degli annali ?) racconta ehe, presa Troja, Enea
occup la citladelb e per gran favore dei nemici
ebbe iicensa di parllraeu. E cos . . . . portare
s>*co <qurllu ehe) gli piacesse. E mentre gli altri
adocchiavano Toro e altre ricchetce, egli si le
v invece il padre iu collo ; e ammiraudone
Greci la piet, gli accordarono che tornasse ad
Ilio e che Enea e . . . . gli dei Penali, cb erano
statuette di legno o di pietra, e perAno di terra
cotta . . . . per cui stupefatti i Danai, gli conces^
sero che portasse seco tutte le cose sue e que>
sic n
Questo frammento lo pubbiical> dal Mai tra gli interpreti antichi di Virgilio (Milano 1818),
ma noi abbiamo dato conlo^me la lettone e supplemento del Keil nella sua edizione del co-
mento di Probo e degli scolH veronesi (Halis 1848), non trascurando qualche utile osserva
zione d<rl eh. prof. Causi. Cos questi, in luogo dell itaque propone ; item quat potissimum s^tl
tet^ e la proposta inappuntabile. lacuna Ira Aenean e il quam il Keil la compie con urne-
ris^ meglio il Canal eon insuper. Qualche 1 nasce anche dal terrenis, che non si pu qui
interpretsre altrimenti ch^ per fictilibus. Dionisio d'licamsMo (Ani. Rom. 1, 58), parlando dei
Penati trasportati da Enea, cita Timeo, secondo il quale erano xT>fvxc xcu -
fAov {>. Altro dubbio del luogo donde si deve considerare tratto il frammento. Lo scoliaste
dice secundo historiarum; lezione che errala perch Varrone storie nou scrisse, ma scrisse
annali. Infatti a pag. 1166, io, accennando a questo luogo e ad un altro i.*he ricorderemo appres
so, avvertiva, essere, a parer mip, poco probabile che queste notizie oircostantiate apperteneisero
agli annali, che erano forse un semplice comiiendio cronologico iu tre libri. 11 Mai e altri valenti
corressero: in annalium^ correzione che non mi finisce tanto, ma che per l'autorit di chi la pro
pose e di chi la soslenne basta per infermare le mia : iu humanarum, L' errore ad ogni modo
non del copista, ma dello jooliaste, perch pochi righi appresso si lgge : u idem (cosi Keil in
tendendo Varrone V d i^ai item) historiarum libro I ait Ilio capto Aenean cum dis Penatibus
9 DI . TeR. VaBMoM. 79
A L N i I laS^
umeru |) ) erupisse luosquc hlio Atcaricum el ILurjble brachio eiut iiiiiiios ? ora
hottium praeter gr essos; datas eliani i naves coiiccssuroque ut c|uaa tellct de DaTibui securus
veheret.
4. Servius *(J Vcrg. Aeii. IIJ, u Varro ....
rrruiu humanarum sectimlo ait : Aeueani deos
Penates iu Italiam quaedam lignea vel
lapidea sigilla . . . . tane bos deos Dardauum tx
Samothracia iii Phrygiam ; Aeneaiu vero iu Ita-
liaru ex Phrygia transtulisse idem Varro testa
tur.
4. Servio I. c. m Varroue uel lecoudo delle en
se umaue (?) dice che Enea trasport in Italia gli
dei Penali, certe statuette di legno o di pietra...
lo stesso Varrone ricorda, che Dardano |>
queati dei da Samotracia in Frigie, Enea di Fri
gia in Italia. y>
Servio veramente dice r erum di vi nar um; ma la cosa narrala calta cos bene a queato secondo
libro delle Antichit umane, che non mi parve dubitare della bont della corretione proposta gi
tempo da Lo ber k (Aglaoph., p. la^i^ sebbene non si posaa negare che per un verso o altro
|Kteva trovarsi anche nel secondo dtlle Aniichil divine^ nel quale, come vedremo, si ritorna a
parlare di Enei. Lo atesso Lobeck corresse il r eduxi ss di Servio in deduxisse^ e la correzione
fili pare buona. In altro luogo (ad Verg. Aen. I, 36a ) Servio quasi colle stesse parole dice:
trarr deot penates quaedam si gi ll a lignea vel marmorea ab Aenea i n l i al i am di ci t esse
advecta . . . idem Far r o hot deos Dar danum ex Samothraci a i n Phrygiam^ de Phrygi a Ae
neam in I tal i am memorat portavisse.
Macrobio (Sat. III, 4) I* stessa notixia,, ma con una notevole aggiunta: Far r o humana
rum secundo Dar danum refert deos penates ex Samothrace i n Phr ygiam et Aeneam ex
Tr oj a in I tal i am detul isse. Qui si nt autem di i Penates in l ibro quidem meniorato Far r o
non expr imi t. Questo luogo un argomento per la correttone sopra ricordata di humanarum
in luogo del divinarum^ e se in questo libro Varrone non si occupava a determinare quali foa
sero i penali, segno che riaerbava questa spiegazione pei libri delle cose divine. Potrai cootul-
Ure utilmente L. Preller, Rmi sche Mithologiey a, Auflage, pag. 548.
5. Servius ad Verg. Aen., Il, 81. u Tabolam
i|ie (Palamedes) invenit ad comprimendailoti
eiercitus seditiones, ut Varr testatur.
5. Scr?io I. e. u PaUiioede, come aiftesta Varro^
ne, invent il tavoliere da giuoco per occuptre i
addali ozienti, si che non fMseeiero aedttiocii. n
Bene osservando il luogo di Servio, mi induasi a trascriverne solo qaeala perle, perch tutto
quello che detto innanzi della famiglia ed origihe di Palamcfde, delle sue inimicaiie eoo Uliase,
della sua morte trailo da Apollonio. Le parole ai rileriacono al tempo in cui t Greca stavano
sulla rada di Aniide attendendo noiali il tempo di paasare a Tro|a. Del tavoliere del dadi
trovati da Palamede fa menzione anche Sofolle (framm. 893, 438). Nella pianura d' i l i o poi mo
stravano. il sasso sopra cui i Greci assedianti pasaavano il tempo coi giuochi inventati da Pala-
mede (Eustaz. U. aaS-a, Polem. fr., p. 64)
6. Serviuf ad Verg. Aen. I l i , 349. m Varr
Epiri ae fuisse dicit et omnia loca iadem dici
nominibus quae poeta oommeniorat, se vidisse ...
idem Varr Trojam Epiri ab Aenea, si ve a comi
tibus eius Biopatore nuncupatam doret uhi Tro
iana classis Aeneam expectasse aocioaque eius ca
stra in Inmulia habuisse memoratur, quae ex illo
tempore Trojana appellantur,
7. Servius al Verg. Aen. IV, 6^a. u Varro ait,
tion Didonem, sed Annam amore Aeneae impul
sam se supra rogum interemisse.
6. Servio I. c. u Varroue dice di aver viaitalo
TEpiro e riscontrato, rbe tutti i luoghi portavano
^gli stessi nomi con cui il poeta (Virgilio) li ricor
da ... 1^ stesso Varrone dice, ehe Troja di Epiro
ebbe o da Enea o dai suoi compagni il nome di
Biopatore, e fu il luogo dove le navi troiane at>
tesero Enea, e dove t auoi compagni piantarono
il rampo sopra le alture che d** allora in poi ai
chiamarono campo Trojano, w
7 Servio I. c. u Varrone dice, che Anna, non
Didon, ti gett ad ardere sul rogo per amore
di che era stata presa per Enea, n
Questa tradizione era opposta all'altra, che avea divulgato: Anna, dopo la morte della IradiTa
sorella, essere slata cacciata da Cartagine e avere approdato nel Latin, dove Enea le fece lietissiroe
accogliente. Lavinia esserne diventata gelosa, onde Anna di notte si Unci dalla ftnestra e and a
1253 DI TERENZI O VABRONE ia5^
fellftrii nel Numicio di coi tliveone la ninfa : ParMi sum nfmpfm Numida Amne perenne latens
inma Perenna voeor (Ovidio).
8. Ser?iut ad Verg. Aen. IV, 427* mSciendum
tane Varronem dicere, Diomedem erat Anchisae
ntaa 6lio reddidisie. v
8. Servio 1. c. u Biidfna sapere che Varrone
lasci acritto, aver Diomede fatte diseppellire le
ossa di Anchise e restituitele al Aglio.
Qoesta IraditloDe ai contrappone alP altra, che era anrhe da Catone divulgata : essere cogli
altri profughi, il Tecchio Anchise altres approdato in Italia. Sertio, toccando al ?. 81 del libro V
la stessa questione, la scioglie qnasi coHe stesse parole : Hecepti iterum cineres (Anchisis) semel
ex Troja ; semel a Diomede qui dicitur ossa eius ernia cum Palladio reddidisse Aeneae.
9. Servio al luogo di Verg. I li, 3(>o e v g g .
tt fiilloreis ingens inventa sub ilicibus sus
Triginta capitam foetes ^ i x a iacebil
Alba solo recubans albi Hrcom obera naii
commenta : u Varro dicit etiam hoc aigni fuisse,
|uod cum etiam alterint colgris * in foelu
huius porcae fuerint albi tantummodo circa ube
ra sunt reperti, rt
10. Servius ad Verg. Aen. VIII, 51. u Sicut
it Varro : Nonne Arcades exnles confugerunt
in Palatium duce vandro ? n
u Varrone dice, clie v* ebbe di prodigioso an-
che questo, rhe la troja avease alie poppe soltan
to dei porcellini bianchi mentre ne avea partorito
pure di altro colore, w
IO. Servio al I. c. mCome dice Varrone : Non
furse vero che profughi Arcadi rondoni da
Evandro cercarono riparo nel Palatino 7rt
Non sarebbe a proposito riferire qui le opinioni dei critici moderni intorno a questa pretesa
immigraxione di Arcadi aotto la guida di Evandro. Certo la tradiiione travisata dai Greci, come
lo moatra il nome stesso di Evaudro, il quale non che il Fannus latino uno dei |i antichi
culti indigeni e diffuso, come vedremo poco appresso colla testimonianxa dello stesso Varrone, per
tutta Halia. un genio benefico che accorda la prosperila d-i campi, la moltiplicaiione del greg<
ge ecc. j o scambio facilissimo, perch la fama era, che appunto durante il regno di Fauno re
degli Aborigeni, Evandro fosse gettato ai lidi del l^ati.
II. Servtus ad Verg. Aen. V i l i , 976. u Var
ro ... humanarum libris docet in Aventino insti
tutum lauretum de quo proximo nionte decerpta
laurus sumebatur ad sacra quamvis ipae dixerit
populus Alciilae gratissima, rt
11. Servio I. c. u Varrone oei libri delle cose
umane narra che si piant nell' Aventino nn bo
schetto di lauri, donde sveRevano dei rami per i
sacrifizii ad rcole, sebbene abbia detto altrove,
che Ercole prediligeva il pioppo. ^
De quo proximo monte, I/Aventino non distava molto dal Palatino, alle radici del quale era
ara massinia aopra di cui si sacrificava al Ercole (Vedi Annal. delF Istituto archeol. di Roma^
anno i 854 pag. 28-36).
Populus etc. stesse parole in Virg., Eoi. V i i , 61 (Veli Ser%in ad I).
12. Macrobius, Sat. Ili, i24... Conatat quidem
nunc lauro sacrificantes apud aram maximam co
ronari: aed multo post Romam conditam haec
consuetudo sumpsit exordium, postquam in Aven
tino lauretum eoepit virere ; quam rem docet
Varro humanarum libro II.
i 3. Servius ad Verg Aen. II, 166. u Hoc (Pal
ladium) cum Diomedes halierei, ut quidam
4icunt (quod et Vergilius ex parte tangit Var
ro pleniasime dicit) credens sibi non este aptum,
propter sna pericula transeunti (per t^alabnaiii?)
12. Macrobio I. c. u ... Si sa ora da tutti, che
sacrificando a l i ' ara massima si portavano corone
di alloro : ma questo costnme s'introdusse molto
dopo la fondatione di Roma, quando cominci a
verdeggiare il boschetto di lauro delf Atentino,
come ne istruisce Varrone nel II delle ntichitH
omane. ^
13. Servio I. c. u II Palladio rest preda di
Diomede, e, come dicono alcuni (Virgilio ne toc<*a
di passaggio, Varrone diflusamente), credendo che
gli recherebbe sfortuna il possederlo, lo volle
cedere ad Enea che pasxaxa per quei luoghi. Ma
iiS5 F R A E N 1 I I25G
Acoeae ofl<rrre coiMlas ett. Scil cum se ille, fUln
capile, siicriHcaof, conferlissci, Nantes qotdam
acoepil siinulacram : uode Minervae Mcra non
Julia gena habuit aed Naoliorum. ^
eaieniloii questi, ioenlre sla fa col capo fetato
iacrifcaiiflo, voluto^ un lai Naote ' mpatlro*
D del siroulaoro, onde i tacrifiii di MinerTa
furono por falli non dalla gente Giulia, ma dai
Nsuzn. n
Virgilio era di altra opinioDe^ Secondo questo poeta e Dionisio (VI, 69) Nute era gi da
lempo io Ilio sacerdote e favonio di Palhde (Aen. V, vedi Servio ad I).
In altro Inogo (ad Yerg. Aen. Jll, 4^7) Servio ripete la notizia derivata dunque^ sebbene no
lo citi, dallo stesso Varrone: u Siguifcat eni n, ut diclum est, Diomedem q\ii curo multis casi-
bus adfligerelur, Palladium, quod apud ipsum eral, Trojanis oraculo iussuf est reddere: quod
cum fellei implere Aeneam invenit sacrificantem, qui, itl lupra diximof, sacrificii ordiitrm noii
rupit et Palladium Nauts accepit : unde Nauliorum familia Minervae sacra servabat.
i 4 Macrobius, Sal. , 6. u Varro ait (se. ut
omiies aperto capite sacrum faciant) graecom hunc
esse morem : quod sive ipse sive qui ab eo re>
licti aram maximam slaturranf, gracco rito sacri-
ficaverunl. n
14. Macrobio I. c. u Varrone dict, che il sa
crificare a capo scoperto bsania greca, perch
o fosse Ercole o altri che innalxasie ara massi
ma, il aacrfiiio si celebrava alla greca. <>1
Ho accettalo a quello luogo il passo di Macrobio, perch, se abbiamo ammesso, che Servio
le sue notizie sulParrivo di rcole e drlla istituiione deipara massima traesse dai libri Ber.
Al/man., a questi si deve riferire anche Macrobio.
i 5. Scolia Bobiensta in Gir. orat. pr Srxtio
XXI, 3, (i (Elrechtei) filiae virgines cum gravi
bello Athenae oppugnareotur, nec ulla spes salu
tis ostenderetur, sumptis infulis ad aram siele-
runt : nam ita responsum erat ut salas ptri ae
iam desperata hoc genere piaculi compararetur.
Auctor est exempli Varro libro humanarum se>
*niido. n
t 5. tt fiC vergini figlie (di Eretleo), essemlo
Alene stretta da graviuima guerra, e non rilu
cendo speranza di scampo, stettero dinanzi all'al
tare col capo cinto delle sacre bende, perch
oracolo avea risposto : che con questa manie
ra di espiazione si cercasse la salvezza gi di
sperata della patria. L' esempio recato da Var
rone Bel 11 delle Antichit umane. '>'>
Questo luogo ci fallo conoscere dall'interprete Cicaroniano j i r o r a t . p. Sexiio ( Cl an, Aact^
Cali. Vai , 1. 11, p. 187) seoaa che si possa determinare in c k relazione stesse col resto deir argo.
mento di qutsto libro.
16. 75, 20, V. Aelernsre: Varr Rernm 16. Nonio I. c.
Humanarum libro II.
Litterisquf ac laudibus aeternare.
17. Dionys. Balie., Antiq. Rom.^ p. 11. Sylht
u tSv Iv *~
. . . . < It '
* 'A vcw tr d v cv ^ Bpfw T c^i mo f
Aggiungendo Dionisio clie egli n tesseva il novero segeiUndo sempre lo stesso Varrone, gio
ver accompagnarlo neUa esposizione. Queste citt, nessuna delle quali distava da Roma meno
di una giornata di viaggio, erano: Palaaio a a5 stadii da Rieti; Trebula lontana da Rieti
60 stadii, edificata sopra un piccolo colle; Vesbob presso i monti Cerauni di allreltanto lunge
da IVeliula ; 4<> 1 *opo Vesbota Suna^ citt illustre con un famoso lem pi o d Marltf. t>i-
siaot 3o stadU da Sona, Mc6la e ^o sladii da Me fila, Orvinio. Chi da Rieti procedesse 80 sU-
dii per la via Giulb, incontrava Corsala presso il monte Corcta, e quivi vicino isoletta Issa,
prossimo ad Issa Naruvio distante sladii dal luogo cos detto Setteacque. Cosi chi da Rieti
movease verso il lano, vendeva al So. stadio Balia, e al Soo. sisdio Tiora della anche Ma-
Kternare colle lettere e eolie lodi.
17. Dioii^ I. c. u La maggior parie delle rilttf
dove da principio abitarono gli Aborigeni ... era
no in qnel di Reale non lungi dall'^Apennino, c o
me scrive Varrone nei Tibri delle Antichit, r,
ia57 DI . TERENZIO VARRONE 1358
tiera,.coD an oracolo fiinile al Dodoneo. Da questa cill ere distaule a4 sUmIh Lift U iDelr>>
poli degli Aborigeni. Sellania tUdii da Rieli era Cnlilta sui dosio di on inoote^ e con un lago
vicino dove era on' isolella naianle ogjiello di Tcneraiione per tulli i dintorni.
18. Dionys. \U\\c.^ Ant, Bom., p. i i i . u E
'((> ^ * ?y ' ocvrqv
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19* Varro palat Caere oppidum l^triinae Pe
lasgia cnm iifientes tnfenliim flumen proximum ...
aalolafsent ^ atque ea cauta id vocabaluro op
pido datum.
18. Dion. I. R. u Nel territorio di Reate, al
tempo in rui Toccupavano gli Aborigeni, una
ergine di quei luoghi e del pi nobile sangue
tenne nel tempio di Bacco per celebrar ri le dan
ze . . . R danzando la giovane nel luogo sacro al
nume. Tenne d* impro?Yfo rapita come fuor dr
s dallo spirito del dio, onde rompendo le danze
corre nel pi tnlimo penetrale del tempio, fi, con
forme la fama coinaae, fatta madre da Baceo,
partorisce n figlio di nome Modio e sopranno-
ifiinalo Fabidio. Il quale, giunto ad tl Tirile, mo
str un aspetto meglio divino che umano, e si
senll mosio dal desiderio di fondare una citta.
Racoolla quindi buona mano di gente di quei din*
torni, in un tempo brevissimo edifica la citi
della Curi, dandole questo nome, o perch, come
spongono alcnni,cosl si chiamasse il dio, dal qua
le la fama lo direva generato, o, come scrivono
allri, dalla lancia, perch i Sabini chiamavano cu
r/Ielaiicie Tutto queslo si trova scritto in Var-
rone,
19. Varrone crede che la rill Etnisca di Ce
re abbia ricevuto questo nome dai Pelasglii, per
ch avemlo scoperto, assetaii, l vicino un fiume
lo salutarono con (.
Anche questo frammento nella collezione degli antichi interpreti virgiliani (ad Aen, X, i 83)
pubblicali dal Mai ; ma non detto donde aia tratto. To non dubito ad asi rverlo ai libri delle
rose umane. Solo pu restar dulibto invece a quale di questi libri. Potrebbe veramente conve*
nire ai libri De locis^ ma lo ho tllegalo qui, osservando che nei libri De hominibus si parlava
delle pi antiche fra le citl Italia. Anche Slelauo Bizantino traeva il nome di Caere da ,
ma dandone ragione diversa, la stessa che d anche Strabone. Secondo loro Agjlla era ahitat
da Tessali e assediala da Elruschi. Questi domandano a un Tessalo che sulle mora il nome
della citt ed egli non intendendo risponde col salato ^ che vlen prtao dagli Etruschi pel
nome della citl.
Servio ad Aen. I l i , 600, dice che Varrone credeva Pelasghi fuselli che erano delti Tirrmi.
0. Festus ad v. Sabini, m Sabini didi ut ail
Varr lereui i us quod ea gens praecipe roUt
deos i wi Tov , n
21. Serviua ad Verg. Aen. l5S6 .u OeBolria...
dieta e s t ... ut Varr dieit, ab Oenolro rege Sabi
norum.*
22. Dionys. Halic. Ani B. 11, 4 7 * u OCoppiv
J i to vt i/ Aoo/ rt w-
( ^ t
*F^OJ ^
J(0t('p(9iv * avJpwv / ,
* (?) \ -
20. Festo 1. c. U 1 Sabini lurom eosX detti
dal greco , perch eraoo popolo, che
tutti, gli allri avanzava nelP onorare gli dei. r>
^t. Sorvio I. c. u 1/ Enotria fo cosi della,
secondo Varrone, da Enotro re dei Salini.
22. Dionisio 1. c. 4Terentio Varrone io que
sto dissente dagli altri, diceodo che Romolo ave>
va gi innanzi dato i aomi alle Curie, quanilo
fece la prima ^distribuzione della mollitudine,
prendendoli o dai condottieri o dagli osati Ira il
popolo. Dice ancora che le donne (sabine) intro-
125J
A E N 1 i:i(<>
, &\ mvreixo
xc x f i w m a ^ * tc owi'
T090VT ywtttxwv /1) \\.
^1/ { onJrSv ^cvvat ,
a3. Dionyt. Halle., Ant, p. ga : u
VMfUKotv aiK imu BtpantCttv ( Komolo ) t -
vtov, Iv 70VV 5 9 / ltpt
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fiircTV : yf ^* *^(
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I n i ^ cxrivov i f x U i ' ** H & Tcpivrco^ ^-
1* ^^ /.
messesi quali paciere non iurono trenta, ins cin
qiiecento ventotto, e non crede verisimile, che
abbiano foluto, essendo tante le donne, accor-
lare queir onore poche privandone la maggior
parte.
a3. Dion. 1. c. [Romolo] affid a molte per
sone il collo degli dei : e non ai potrebbe trovare
altra citt di receote edifkata io cui siciio su
bito sUti eleUi tanti sacerdoti moistri dei nu
mi, poich, tacendo di quelli che aveMio a lare i
sacrificii gentilitii, aessanta iiir4mo durante il suo
regno quelli che compivano i sacrificii pubblici
o per curie o per trib. Questo io aflermo |ier
quanto oe scrisse Terentio Wn>ne nelle Anti
chit. n
Questo passo poireblie |>er s stare anche nelle antichit divine, ma osservo: 1.** che fa part e
della viia di Komolo, i cui atli erano raasunii nei libri delle antichit uiiuiite; a., die Dionisio
ha altrove, |ier esempio, parlando delle Sibille, fuig. a6o Sylb. citato, Varrone nei libri dlie an-.
tichit divine, parendomi da interpretare cos le sue parole comtntar i i ieologici.
Nel corso della vita di Romolo, che narrata a disteso da Dionisio, si trova ancora il nome
di Varrone, ed certo che Dionisio lo avrva dinanti, perch raffmuta le opinioni de|di aliri
eruditi con quelle del grande Reatino. Noi invitiamo gli studiosi farne il raifronio. Il Krahner
dice : u Optimo iure bue (a qursti lil>ri) revocaverim tantum non omuia e quae et Varrone de
Aboriginibus Dionysius refrrt, pag. 11 (Sylb.), de Oentro Sabinorum rrge Servius, de Massilien>
Sibila Schol. Lucani et Isidorus, de origine Curium urbis Dioiiys^ |>ag. i i a atque id genus alia, n
1^ stesso vorrebbe ricondurre qui quanto in Festo di Nume e Servio, ma, a mio giudtio,
si e ingannato, come |Mire p*r riguardo ai Marsigliesi, perche tanlo negli scolli di Berna quanto in
quelli di Montepulciano, parlandosi li quei di Marsiglia Varrone non nominalo.
Liber 111.
a4 Nonius, p. 90, ao, M. Congermanescere,
*ongiungi vel conscMriari . . . . Varr rer. huma
narum libro III u poslea curo his una remiubli
cani coni ncti congermnitate tenuere, n
34. Nonio I. c. u Varrone nel III delle cose
umane u governano appresso la rota fiubblica in
sieme in accordo irairrno. n
1^ lesione incerta. I^a poser quella del Quicherat : 11 Mercero : et coager mani tenuere :
i codd. et eongermani ta tenuere. *
a&. Probua in Verg , Bue. 6, 3 i (p. 35a-353
liion) u de qua re, haec tradit Varro qui .... in
tertio reruni humaiiaruro reiert : Grntis Salenti-
nae nomen tribus e locis fertur coaluisse, e Cre
ta, Illyrico, lulia. Idomeneus e Creta, oppido
i^yctio pulsus per seditionem, bello Magnensinm,
cum graudi manu ad regem Clinicum vent, ad
lllyricon; abeo itain acvepta mano cum l ^r en-
aibua plerisque profugis in mari coniunctis, ami-
citiaque per similem causam aocialis Locros ap
pulit, vacuata eo metu urbe, ibique possedit ali
quot oppida et tondidit,in queis Uria et casirum
Minervae uobilissiflium. In tres partes divisa co
irla, io popolos duoilecim, Salenliui dicti |uod in
salo amicitiam fecerint, n
a5 . u Intorno a questo (d tempio nelis roc
ca di Minenra fondato da Idomeoeo e dai Sa-
lentioi) lasci scritto Varrone... nel terto delle
cuse umane : esser fana che il popolo dei Salen-
tini s formasse con genti Tentate di tre luoghi,
da Creta, dall'lllirio, d'Italia. Idomeneo caccialo
nella guerra dei Magnensi per una seditione da
Lytto citt di Creta, arriv onn grossa mano di
compagni a Clinico re dell*lllirio; e anche da
questo accrcsciulo di genti, e con molli profu
ghi Locresi che trov per mare e che la simi-
glianta dei casi fece subito amici, approd a
Locr, la quale per timore dei sopraggiunti rest
vuota, e quivi occu|> alcune citt, altri ne fon
d di nuove, tra cui Uria e la citt di Minerva
fiorentissima. Ia gfote si divise in tre trib, e
3 01 . lEKtNZIO VAKHOiNE:
1 3 6 2
in <lo<lici popoli ilelti Salenlini, perch Ira le
ulte on<le avetoo flrrlla turo amicizia. ^
Lyctus era a - li Cnouui c vantafa un celebralo culto di Apollo. Ku diitrultu tia Me>
(elhs na vi riioangooo ancora in piedi niemoraliili rovine.
Uria o Byria^ era a oiezu via tra Br i ndi f i e Tranlo, e capoluogo dei Mesupii.
Castrum (o Castra) Minervae era tra Oiraiilo e il Piomonlorio Giapigio : aveva il nome dal
tempio di Minerva che era edificato in alta rupe. Qiietiu leiopiu il primo oggetto visto da
tinea nell' aecostarsi al liili < Italia (Virg., Aeu. I l i , 53u) :
. . . portusqu patescit
Jam proprior tempiumquM iippartt in arce Mintriat.
Liber VI.
Festum, p. 375, 4 ^ Praerogativae ceoto-
riae dicimlur, ut d<icet Varro reiom bumanamm
libro VI, quae {suffragio praeibant^ ut caeteri
alii) Romani qui ignorarent pclilorea lacUiaa eoa
animadvertere poaaeat
a6. Festi I. c. u Furono ilrtle prerogaiite
quelle centurie, come iiise^uf Varrone nel VI
delle cose umane, perch davano prima il snflTra-
gio acciocch gli altri Romani, che non odnosce
vano i candidati, potessero pi farilmente rico>
noscerli. w
Il Bupplcmenlo del eh. pruf. Canai molto pi soddiafacente di quello dell'Ursino quod
rustici^ il quale non bastava a dare on aenso che appagasse. Che net frammento si parli dette
centurie prerogative aniicbe, par aicuro perch vi si usa il plurale e dioesi nel passato ignora
rem e po^em. Nel testo di Festo era qum rus ; ma il nome di centuriae rusticae sarebbe
nuovo, e ad ogni modo occorrerebbe lrop|io a legare con quello che segue. In questo caso *sa-
rel^e da'soltoinleoder suai o dicuntur.
27. Festus, p. 384 7^ ** censu classis in
itiorum Servius Tullius cum diiit in descriptione
lenturiarum accipi debet in censu, ut ait M. Varro
in libro VI rer. humanarum siculi pro aedibus,
Toris, pro Iribollali, pro testimonio, y*
2 7 . Feslti I. c. tt Quando Servio Tullio nel'
ordinamento della centuria disse pro censu clas
sis iunioruin, si deve, dice Varrone nel VI delle
eoae umane, intendere come avesse detto in cen
II, al modo con o li si suoi dite pr wilibos, fo
ris, pro tribunali, pro testimonio, n
........ In Plinio (H. N. X I I I , 2 *) narrala la storia del preteso scoprimento dei libri di Numa
nel consolato di P. Coioelio Cctego e M. Bcbo Panfilo, secondo le notitie, anzi colle parole
stesse di bmiiia. l'uttavia, ircome molli erano i pareri, cos Plinio trov anche spiegazioni varie
negli scrittori di cose romane, e quindi anche in Varrooe : chi diceva che erano tulli di filtsofia
pilagorica, chi met pitagorici, met del diritto pontificale; altri ohe erano \ decreti di Numa:
a8. u Ipse Varr hiimanarum antiquitatum
sello (tradii)... duos |Kintificsles latinos, tolidein
graecos praecepta philoso|>hiae continentes, n
28. u Varrooe nel sesto delle Antichit umane
dice u che i libri erano quattro: due del diritto
pontificale in latino ; due di prtcetti filosofici in
greco, n
Liber VII.
3 9 . Suffragatorei dicebantur apud Maiores
hi qui vulgo in usu erant candidatis^ cum qua
melius apparerent iuncla suffragia, suffragator,
quem quisque fieri vellet, notabat apposito pun
cto^ scriptis candidatorum horoinu/ / i nominibus.
Vsrro in I. V II rei uni hiimanainin haec traddit.
2 9 . I noilri antichi chiamavano suffragatores
quelli di cui ai servivano i candiilati perch me
glio apparissero i ricevuti suffragii. Scritti i nomi
dei candidati^ogni voto che uno o Taltro di essi
ricevesse^ il suffragatore segnava un punto ap
presso al nome. Lai not^ia nel VII delle Anti
chit umane di Vanone.
Questu luogo in Fcflu, p. 347, buller, il quale acceito qoi i i Uppl emt Dl i d c i r Ursino
1'he Uemmo iq carattere corsivo. 11 pasto era anche uella cd. Bipontiia, p. ao6 , ma senza i iup>
pleiDcnti, iniulciligibile. lu *questo sapplemento, ae, come pareta al Muller e coiue pare proba>
bile, fallo a dovrre; merita di essere notato l'uso di toffragator, che indicherebbe colui che oc
lava i punti o suffragii riportati dai candidali, non quello cht d il tuffra^io^ come anche
iel lexicon del Forcelliui, del Klotz ecc., significalo per il quale non credo decisivo uemmcao
il luogo di Cicerone pr Mur. VII, 16, dove potrebbe s, vero, ligaifioare e/ e/ lord> ma egual
mente bene puntatore 11 sigoificalo di Suffragator per elettore coaune nelPet d'argento
della lingua ; e in senso figurato anche in un altro hiogo di Varrone, De r. r.. I l i , 5. Fa appena
bisogno che io ricordi il notissimo omne tulit punctum di Orazio, al quale soggiungeva Por^
firione: Antiqui sitffragia non scribebant sed puncto notabant^ riportaudo ancora epi'
^raninia :
Ciconiarum Rujms ist conditor
Hic est duobus eUegantior Plancis
Suffragiorum puncta non iulis septem
Ciconiarum populus altus est mortm.
Da Festo ^bbiamo derivato i 10 framaeoli che tegvono. Nel 11 libro delle Aniiebti oro -
come sappiamo dallo stesso grammatico, Varrone aveva parlato del censo e della eelitur , e
quindi anche il Lindemann, pag. a34, i di opinione di far loro luogo qoi e non altrove. Altri
invece li ascrive ai libri De vita P. ., dove si parlava pure dei censori. Io indicai allora (V. pa
gina 783) il luogo come incerto, perch una cosi lunga enumeratione di 10 censure non mi pareva
convenire colla natura dell opera De vita P. ., e non mi pento di quel gradizfio. Qni sono tU
cordati i censori dei dirci lustri dal 576 al 6a3 (Vedi Valerio Mnsimo, IV, a, t). I snpplemvnii
sono del Mtller. Keligionis praecipuae habetur Censorie maiestas cuius in libris De vita P. II.
(e come noi invece crediamo in libris humanarum reraim) Varro exempla haec profert,
30. M. Fulvius Nobilior cum M, Aemilio Lepido Censor factus (an. 5 7 6 ) cum e/ admodum
inimicus antea extitisset saepe / udicia cum eo ipsi fuissent a P, , aliena existimans odia
quae in priva/ o vita exercuerat^ eo delato munert hominis inimicitias statim remisit: quod
eius animi indicium fui/ omnibus gratum et probatum.
31. A. Postumius R. Fulvius renwotet facti, |oslquam Fulvios duos filios in Illyrico
militantes^ et propter gravem morbum oculorum censuram gerere non poterat^ Postumius,,
ut libri Sibyllini adirentur auctor f u i t atque ut youblice sopp^cre/ i/ ttr pro vaietudine collegae.
3a T i. Sempronium cum a Ratilio Tr. Pl, Censoria fides labeftac/ ire/ i<r ob parietem diru
tum iratus cum esset aedis suae^ collega pro C, Claudio a popuXo coudemnato, fecit, ut
eaedem illae eodem quae in loco erant condemnatum absolverent centuriae,
33. L. Aemilii Psnli et Q. Philippi religiosa censura fuit. Laboravit Paulus morbo gravi et
paene amiasione capifix in eo honore (il supplemento incerto).
3 4 . Religiosa item et P. Conielii Scipionis Nasicae cui collega M. Popilius post consii/ m
qui fratrem vidit,, censura fuit : vadatus enim cum esset^ .... a P. R. liberatum constat (il sup
plemento incertissimo, il fatto oscuro).
35. . \t\erius Messala C. Cassias Zo/ iginus censores, quod in eorum magistratu subversa
pudici\\* fuerat famosi extiterunt^ nam palmam quae in Capitolio in ara ipsa Jovis optimi
maximi bello Pertico nata fuerat, tum prostratam ferunt ibique esse enatam ficom, infa
mesque fecisse illos qui sine ullo pudicitiae reeyectu fuerant censores.
36. L. ConiHii Lentuli C. Censorini sequitur censura,, Lentulus iudicio publico repetunda
rum damnatus fuer\ plurimi itaque timebant ne censor poenas repeteret,, sed ille nulli gra
vis fuit.
3p, P. Africani L. Mummi censura insignis; sed i/ i qua segnitiae io 9gedo aotetur Mum
mius. Is asellum nulla soluta potna ex aerar is exeruit Africani irrisa / everitate qni illum
fecerat aerarium.
38. Sed et L. Fulvii No&i7/ ori> et eius collegae Ap. Claadii Pulcri fuit uobilis^ma censura,
nobilitati tribus nolis inustis severissimis,
39. Q. Pompei et <2* Metelli Macerfo/ i<ci enum lectus/ enatus ; ad sisrom<im senatorei
moli sunt I r ei et eo lumine qui aliorum t^underent claritatem.
1:^03 A L N 1 i m64
ra69 Di M. 10 VARROiNH 1 3 6 6
4 0 . Lydiit de mag. fraroni. 74 ' ^
ycwTi ireXfi ? * * ivopio^
eS^vm 9 1 5 mtatVif ' Ix tT Ta
)*r Sv ircp) ' IwiircaovTwv -
4iyvia^iiLiiw, ^^ ^ ^ 1*-
^iVffiV ^l a^ofki wv, iti #({ 1
'PMficfti ^ MV ( ^ ^ lire
Bfunijmv 9 niyayrv.
4. LiJo I. C. U A PcMiiUDle citl della Gala-
zi. Quexlo luogo fu coti chiamato, perch quivi
fu dislrlla una immensa molliludioe di quei
Galli che abitarono intorno al Rodano, i quali
condotti da Breooo avevano invaia la regione,
costretti a fgombrare la terra detta del loro nome,
come dicono i Romani Fenestella e Sisenna di cui
riporta U seoteoza Varrone nei libri dtlle Coie
L i b r i r i l l - x i r De locii.
Fino al tempo di M. Varrone Reatino, e di P. Varrone Atacino lo studio della geografia fu
Ira i Romani mollo negletto. Per non parlare adesso che del primo, egli e per le svariatissime
letture e per i molti viaggi* aveva accumulalo un ricco capitale di cogni&ioni feografiche, di cui
fauoo fede non solo molti frammenti di opere varie, ma lavori strettamente geografici di coi ab
biamo a suo luogo lenato discorso. Dei trammenti poi di materia geografica che vanno col no
me di Varrooe noo si pu sempre determinare se appartengano all* Atacino o al Reatino, e
anche di questo dicemmo in altra occasione. Nei sei libri De locis Varrone non si occopaa
che della geografia d' Italia e dal proemio dell* opera De re rust. sappiamo che Varrone fu an
che il primo ad usare di ona carta geografica d'Italia. Secondo Cicerone, io questi libri erano
dimostrali sedium^ regionum^ locorum nomina^ genera; ma sono troppo scarsi i frammenti, per
poter determinare adesso come fosse disposto e trattato ampio argomento. Da un luogo di Fe-
^o, V. Septimontium^ p. 267, Liod. parrebbe che il libro V i l i fosse destinato alla descrizione
della citt di Roma, e perci a questo libro si possono assegnare alcune notizie intorno al nome
di Roma e ai pi antichi monumenti della cilta che sono nei grammatici Servio, Pesto, Macro
bio ecc. Il resto di questa sezione delle Antichi'a era probabilmente diretta a comprovare col
fallo il bello e affettuoso encomio che nel capo I De re rustica ovea tessuto della terra d 'Ita
lia, come la meglio collivala di quanti paesi mai si conoscessero, la pi fertile, la pi salubre, la
pi temperata, la pi ricca in ottime produzioni. Indicava quali prodotti meglio facevano nel-
runa o neiraltra regione, spiegava i nomi delle varie contrade, come quelli d'Italia, di Lazio,
di Campania, di Enotria, numerava i fiumi, i laghi (cf. Plinio, H. N.^ Il i , 17) le sorgenti sulfu
ree, per le quali abbiamo la testimonianza di Servio (ad Verg. Aen., VII, 563): Sciendum tane
^arronem enumerare quot loca in Italia sunt huiusmodi. Ma notizie etimologiche ed archeo
logiche intorno a citta italiane le pi antiche si trovano sicuramente anche nei libri precedenti
J)e hominibus^ e noo mi pare facile trovar modo da determinarsi per questi libri o per quelli,
potendo essere talvolta notizie di passaggio, richiami a cose gi dette ecc., come pure qualche
|.asso potrebbe convenire sotto un rispetto ad nna sezione, sotto altro ad altra ; incertezza
che impaccia anche per i libri successivi. E quasi non bastcssero le negligenze dei gramma
tici nelle citazioni, sono da aggiungere le lacune che troppo di frequente s incontrano in ensi,
e che, supplite variamente dai diversi eruditi, accrescono la confusione. Ne voglio arrecare uu
solo esempio. In questo libro V i l i , noi supponiamo, e non ci sembra a torto, che Varrone fa*
cesse in breve la storia delle citt di Roma e ricordasse i p antichi monumenti resi sacri dalla
tradizione, e quindi sia da allogare qui quanto in Festo, pag. 270, 21 .... u salam ait Varr .... i
bus quod sub ea a r .........Remo et Romolo........... a autem rumis........... di, e ci pareva dover
accettare il supplemento dell' Orsino : Ruminalem ficum appet\%Um ait Varr propter Cu
riam sub veter\hu% quod sub ea arbore eie. (Cf. Varr. l, l. V, 84). Ecco invece il Merkel (Ovi.
dio Fasti, pag. CLIV) levarsi e eoo larga erudizione e con roufronlo di scrittori greci e latini,
mostraodo che la celebre ficaja era in altro luogo ehe quello inteso dall'Ursino seguitato anche
dal MUller, proporre un altro supplemento che rimanda ad alira sezione il frammento : Rumina
lem ficum / / ltftam ait Varro rerum divinarum in Palatii faucihut quod etc., libro
nel qnale trattandosi dei luoghi religiosi poteva essere fatta menzione anche del celebre arbore
che leoza dubbio era cooserfato dalla tradizione, come nel libro stesxo si parlava del luogo dove
Tempia Tullia avea calpestalo il cadavere del padre, luogo rive era anch'esso re^iosus^ sebbene
FaAajMBirri Di M. T e*. V i a i on t . B
I 2C7 F R A E N I ia6e
in tento del (ulto contrario del primo. I t'rammenli adanque che ci sembrano appartenere ai libri
De l oci s sono :
r. Feslns, p. 3, e<]. M. = SSg L. u Oppias
(mons) appellatus est, ut ait Varro Rerum horna
narum libro V II, ab Opltre Oppio 'l'usculano
qui com praesidio Tusculanorum inifsus ad Ro>
mam tnendam, dum Tullus Hostilius Veios op-
pagnarel, considerat in Carinis, et ibi castra ha
buerat. Siroililer Cispium a Laevio Cispo Ana
gnino qui eiusdem rei causa eaic par tem hlsqui-
liarum^quae iacet ad yicum Patricium versus, in
qua regione est aedis Mefitis, tuilus est. '>'>
I. Feslo I. c. u II monte Oppio fu cos detto,
come ti trova nel V II delle Antichit ornane di
Varrone, da Opitre Oppio di Toscolo, il quale,
mandato difendere Roma con uoa mano di
Tusculani, mentre Tulio Ostilio era sotto le mo
ra d Vfjo, si era fermalo nelle Carine, qui^i
piantando alloggiamento. Del pari il monte Cis*
pio ebbe il nome da Levio Cispio di Anagoi,
che per lo stesso motivo guardava quella parte
deir EsqaiDa che Tolta al vico Patricio, dove
il tempio di Mefite, n
11 passo c anche nel Forcellini alle voci Oppi us e Ci spi us^ ma taciuto il nome di Var
rone, ed dato Oppi l a in luogo di Opi tre, La guerra contro Vejo quella di cui parla Tito
Livio, ], 37. Lat^us potrebbe essere il prenome di Cispio. Un Latvi us Ci sptus e ricordato da
Cicerone ad fam.^ X, 18 e 31. Da Levio Tenne la gente Levia e F^evinia. In alcone ediiiooi d
Pesto il passo apparisce come tolto dal libro V II delle Antichit.
2. Servio ad Vergl. Aen. 1, a8 i : u Urbis il
lius (se. Romae). Verum nomen nemo vel in sa
cris enuntiat. Denique tribunus plebis quidam,
ut ait ^ar, quia hoc nomen ausus esset enun
tiare in crucem levatus est. rt
a. Servio I. c. u Nessuno, nemmeno nei lacri-
fizii, ripete il vero nome della citt (di Roma).
Che anzi un tribuno della plebe, come lascio
scritto Varrooe, fu messo in croce per avere
dito pronunziare pubblicamente quel Dome.
Non parrai necessario ripetere qui le tante cose che si scrissero e da antichi e da moderni
intorno questo nome sacro e misterioso di Roma. Per chi ne voglia curiose notizie ecco alcune
citazioni: Plinio I I I , 5; X X V III, 2 ; Servio a Georg. I, d Aen. V, 7 8 7 ; Macrobio 111, g;
Plutarco, Questi oni romane^ 61 ; Lido De me/ 2/ ., IV, 5o. (Cf. Solin. 1, 6).
Altre questioni, e non poche, si fanno sul nome anche consueto di Roma, e una buona serqua
di congetture ne arreca Festo sotto la Toce Roma. 11 male , che sia lacunoso proprio il luo
go dove era recala la opinione di M. Terenzio Varrone; il qual luogo fu rosi supplito dell'Ursi
no : Romam antea Ror nul am appel \ i 9m Terentius quidem Trarr f ui sse ai t Romulo, deinde
detortam voca/ em detri tasque l i tter as f ui sse credibile. Per me il supplemento non arride gran
fatto, in quanto non si conrilia bene con altri luoghi varronian e la lezione non pare corretta
abbastanza : potrebbe premettersi al credi bi l e^ quod magi s.
3. Servius ad Verg. Aen. V ili , 5i. u Evander,
dimissa provincia sua exilio, non sponte, compul
sus venit ad Italiam, et pulsis Aboriginibus te
nuit loca, in quibus uunc Roma est, ct modicum
oppidum fundavit in monte Palatino, sicut ait
Varro, ru Nonne Arcades exules confugerunt in
Palatinum, duce F>vandro? Hic autem mons Pa
latinus ... est dictni ... secundum Varronem ... a
filia Evandri Pallantia ab Hercule vitiata et postea
illic sepulta ^
3. Servio 1. c. u Evandro avendo dovuto ab
bandonare non pec volont propria, ma per esi
lio, Ia patria, venne in Italia; e cacciati gli Abori
geni, occupo i luoghi dove oraUoma e gett le
fondamenta di una piccola citt sul monte Pala
tino, come attesta Varrone, wu Non vennero forse
esuli di Arcadia condotti da Evandro a cercar r i
paro nel Palatino ? Questo monte Palatino .... fu
detto, .... sulla fede di Varrone .... da Pallanzia
figlia di Evandro viziata da Ercole e quivi poscia
sepolta . . . . 1 9
Cf. De l. l. V, 53, dove, taciuto di questa, altre ^origini sono date al nome del Palati
4. Donatus in Ter. Eun. Il , a, 2S. u Varr
Homanarom rerom Numerius Equitius Cupes,
inquii, et Romai>ius (Manius? Omanius?) Macel
lus singulari latrocinio multa loca habuerunt in-
4 . Donalo I. c. u Varrone nelle Cote umane ;
Nuroerio Eqoizio Capedine e Ronaaoio (?) Ma
cello, raptcissir i ladroni infestavano raolti loo-
ghi. Cacciati in esilio, ne fnronu messi i beni
laH) DI M. TtRE NZI O VAHK ONt a j e
fetla. Hs in exiiiuro acli^ puLlicala luni bona,
et aedes, ubi habitabant dirutae, eque ca pecunia
fcolae Dem Penatium aedificatae soni. tJbi ha
bitabant, louus ubi venirent ea quae feneodi elusa
in orbera erani aliata. Itaque ab altero Macellum
ab altero forum Gupedinis appellatura est.
Ci. Varrone De l . /. 'V, 147.
incanto, abbattute le abitaifoni, e con quel
denaro eretti edifizii in onore degli Dei Penati.
Le loro case erano dove vendevansi le cose raan-
gereccie che si portavano a Roma : quindi ne
venne ad uno dei luoghi il nome di Macello,
air altro di piazza di Cupedi ne. n
Con questo luogo va confrontato il se^iuente che in Paolo, p. 3o, 5, ed. M. : mCuppes
et cuppedia autiqui lautiores cibos nominabant : inde (et) macellum et forum cupedinis appella
bant. Cupedia autem a cupidilate funt dieta, vel sicut Varr ail, quod ibi fuerit Cupedinis equi>
tis domus qui iuerat ob latrocinium damnatus.
5. Asconius in Pisonianam, p. i3, ed. Creili,
tt Varronem autem tradere M. Valerio quia sae>
pius vicerat aeiles in Paiatto tributas Julius Hy
ginus dicit in libro priore de viris claris, n
5. Asconio I. c. u Giulio Igino nel primo li
bro degli uomini illustri dice, a trovarsi scritto in
Varrohe, che si assegn a M. Valerio una casa sul
Palatino, a premio delle molte vittorie, y*
Cf. anche Tcuffel Gesch. der rom. ^
G. Frslus p. 2 7 4 ^ ^Raudusculana porta vi
detor appellata quod rudis et impolita sit relieta,
vel quia aere vincta fuit nam aes ut Varro ait in
libro Antiquitatum, r odus dicebatur atque ex eo
dici in mancipando ; ro<!asculo libram ferito, n
Cf. De /. /., V, i63.
7. Servius ad Verg. Aeu. V III, 33o. u Varro
Tyberim a Tyberino, quodam rege Latinorum
quod ibi interierit dictum tradit.
6. Fello, p. 2742 ^Pare che la porta Kaudu'
sculana fosse chiamala cos, perch si lasci roz
za e scabra, o perch era rinterzita di rame, sen-
do che, come dice Varrone nel libro delle Anti
chil, il rame dicevasi rodus^ onde la formola
nell^ vcH'ltlc : roduscul o l i br am f er i to. ^
7. Servio 1. c. w Varrone fu di parere, che il
Tevere siasi chiamato T f ber i s da Tiberino un
rt del Lazio che vi muri annegalo, m
Ho re alo qui questo luo^o per joverchio fosse di esattezza, ma, contrario all'opinione del
Krahner, io credo che Servio si riferisca al luogo De l. l. V, So.
8 . Probus in Verg. Bucol. VI, 3i (i>ag. 348,
Lion). u Huius .... fluminis apud quod purgatus
est Ore5lrs Varr raeminil Humanarum Xsc:
iuxia Bliegium fluvii sunt continui septem Lata-
padon, Migodes, Eugyon, Stacteros, Polme, Me-
leissa, ArgeaJes. In his a niatris nece dicilur pur
gatus Orestes, ibic^ue diu luisse ensem, et ab eo
aedificatum Apollinis templum, cuius loco Rbe-
giuos, cum Delphos proficiscereptur, re divina
iacta, lauream decerpere solitos, quam ferrent
vecum. n
9 . Macrobius Saturno II, Varro....
enumerans quae in quibus Italiae partibus opti
ma ad vicium gignantur, pisci Tiberino palmam
tribuit his verbis in libro Reium humanarum un
decimo. Ad victum optima fert ager Campanus
frumentum, Falernus vinum Cassinas oleum,
Tusculauum ficum, mei Tarentinus, piscem T i
beris. Haec Varro de omnibus scilicet huius flu-
uii is piscibas.
8 . Probo 1. c. u Ui questo ... fiume, nel quale
venne a purificarsi Oreste, Varrone fa colale
menzione nel X delle Cose umane: presso Reggio
vi hanno selle brevi corsi d'acqua uno dopo Tal
tro Latapado, Migode, Eugione, Stater, Polme,
Meleissa, ArgeaJe. Qui dicono che Oreste si pu
rific del matricidio, e c|ui a lungo se ne con
serv la spada, e fu da lui edificalo un tempio ad
Apollo, e di qua i Reggiani, recandosi a Delfo, do
po fatto i sacrifizii, svellevano un ramo di alloro
da portar sego, n
9 . Macrobio I. c. u .... Varrone .... noverando
le cose pi ricercate per la mensa che si trovano
in Italia e dove si trovano, d la palma al pesce
del Tevere : ecco le sue parole all' XI libro deUd
Cose umane, u Delle cose che si usano pel vit
to, la Caupania produce il frumento migliore.
Falerno il vino. Cassino olio, Tusculo i fichi,
Taranto il mele, il l e vere il pesce. Cos Var
rone, che coDpreftdt tuttii pesci di questo fiume.
A > 1 i
T ulli ricorUiiio i Tcrti ili Oraiio^ Sai. I. il, 2, 3i.
Vndt datum sentis^ lupus hi c Tibtrnus an alto
Captus hitt^ pantesne inttr iactatus an amnis
Ostia sub Tusci?
Vedi allri riscontri nel coinenlo dcU'Orclli a questo luogo.
1 ^ 7 2
fo. SerTus ad Verg. Acn. IX, 710. u Varr
a Baio Ulixit conile, qui illic tepuhus est Baiai
diclaa Iradit.
IO. Servio 1. c. u Varrone dice che B>)t ebbe
questo nome da Bajo compagno di Ulisse che
quivi fu sepolto.
I I . Prisciauus, pag. 3:*6, a4 K. =r 33i, 17 H. Varr in Antiquatum humanarum X II, a ab
Erythro mare orli, w
ja. Charii., p. 137, i4^K. Varr, Aniq. humanar, libro X l l ab Erythro mare orti. r>
i3. Charis., p. i45, 3, K. Tanaidis Varro Antig. human, XIII non huius Tanais ui Ti
leris inquit Plinius.
4 Gellius N. H. XI, i . u Timaeus . . . et M.
Varro io Antiqoilalibus rcr. huroan. lerram Ita
liam de Graeco vocabulo appellatam scripserunt
quoniam hovcs graeca veteri lingua vocitati
Sunt, quorum in Italia magna copia fueft, buce-
raque in ea terra gigni pascique solita sint com-
plitria.
14. Gellio I. c. u Timeo . . . e Varrone nelle
Antichit umane scrssero cbe Italia greco vo
cabolo, perche nel prisco linguaggio greco ai
chiamavano i buoi di cui Italia era ric
chissima, nascendo quivi e trovando pascoli grao
copia di gregge cornato, ri
De tempofibus lib. XI F -XI X.
Questa sexione dell'oper% delle Antichit assai scarsa di fraiumcnti, e doveva essere ona
delle pi importanti. 1 noilri lettori ben sanno che le qatilioni cronologiche sono tempre
difficili a sciogliere, masiirae se si tratti di tempi alquanto remoti ; onde tanto pi ci rincretce la
perdila degli tlodii varroniani, i quali, in questo argomento, erano venerari poco meno di ora
coli. si aggiunga, che questa ricerca di tempi ti doveva intrecciare coti altre parecchie, come
qnrlla che collegavasi colle orgini delle istitaiioni civili e religiose.
Ma non tutte le Dotiate cronologiche fornite da Vairone si possono rilerire ai libri delle
Antichit. Queste ricerche, unite alla eapoaiiione dei ialti pi antichi del popolo romano, davano
argomcnlo anche ai libri De ^ente P, H., al qual luogo ai possono riscontrare facilmente. Con
lutto ci non si vuol dire, che Varrone si abbia ricopiato, ma s invece che tratt diversamente
e da ponti di veduta differenti uno stesso argomento, negli ani restringendosi alla cronologia
di Roma itorica, negli altri ricercando anche i tempi del perioda antistorico e conciliando ia
cronologia romana con quella delle altre genti pi rinomale. I sei libri Da temporibus si po
trebbero forse suddividere io due parti : i due primi destinati alla spiegazione generica delle
varie manifestationi drl tempo, quindi le ragioni dei giorni, dei mesi, degli aont: del sorgere e
tramontare dei pianeti, delle fasi lanari ecc., insomma per dirla con voce moderna, la fisica
astronomica, quindi il X IV (?) poteva da Gellio esser chiamalo De diebus; gli altri quattro ab
bracciavano forse la cronologia storica.
A nessun altro luogo meglio che a questi libri si possono riferire le notiie riferite da Cen
sorino pei Domi dei mesi : qua forse si diceva dei tempi opportuni per narigare, per attendere
alle eure campestri ecc. con curiose investigaiioni sulle varie et dell' uoioo, di cai daremo qual
che saggio.
Crediamo aduoque di dover ascrivere a questi libri i frammenti che seguono :
I. Nonius, p. 4?9i M. m Fatiscantur pro f. Nonio I. c. u gli ani per ir , gli altri sono
fatiscant Varro rer. human. 1. X l l l l u altera ira prostrati per le ferite.
altera vulneribus fatiscuntur.
11 Quieherat : altera ita et altera eie.
DI . TERENZIO VARRONK
7
a. Gellius N. A. Ul, a. u M. Varr in li
bro Rcruro hamaotruro quem de diebus scripsit :
hominess inquii, qui loedia nocte ad proxiiDAUi
mediam noctera in hit horis XXllH nati aunt,
uoa die nti dtcuniur ... Athenienaes aulero aliler
obserfare idem Varr in eodem libro scripsil,
eosque a sole occaso ad Bolero iteruro occiden-
lero omne id medium teropus unum diem esse
dicerc. Babylonios porro aliter: a sole enim exor
to ad ciorlum eiusdem incipientem lolnm id
spatium uniut diei nomine appellare. Multos ve
ro in terra Umbria unum et eundem diem esse
dicerea meridie ad ij^sequentem meridiem : quod
quidem, inquit, nimis absurdum esi. Nam qui
Kaleodarum bora sexta natus est apud Umbros,
diei eiui natalis fiileri debebit et Kalendarum
dimidiatus et qui est post Kalendarum dies aute
horam eiusdem sextam. Populum autem roma-
num ita, uti Varro dixit, dies siof^ulos annume
rare a media nocte usque ad mediam proxiniam,
mullis argumentis ostenditur.
Quello luogo i legge Dcbe in Microbio (Sl. 1, 3) con leggeriuiine Taritxioni Ii forai. Nel
icguilo dello ileuo ca|H> Gellio nnoTer* qoeiie proie, noo dtriieuJole, liueDo e<clati**inenle,
da Varrone, ma, come dice egli, per atcrle trovale in l i br i t veterum. Coi pure lono in Macro
bio ripelule )oai alia leder, lanio da non pelerai dubitare che egli non abbia per luogo per
largo traacritto quello che Gellio a?eva raccolto.
Potrebbe appartenere a questo libro anche il seguente passaggio di Serfio ad At n, l i , a68 :
u Sunt autem solidae noclif partcs secundum Varronem haee tespera concubium, interopesta nox,
galliciniom, conticinium. Inciler diei : maoe ortus, meridiej, occasus ( \ . anche Dt l. /.
V II, 78, 79)
Lib. XV.
a. Aulo Gellio I. c. u M. Varrone In quel li-
^ro delle Cose umane che tratta dei giorni : tutti
quelli, dice, che sono nati nelle a4 ore da una
mezxanolte alP altra prouim si dicono nati in
uno stesso giorno . . . Varrone nello stesso libro
scrisse che gli Ateniesi seguivano altra legge, e
chiamavano giorno inlervallo tra un tramon>
10 il successivo. In Babilonia diverso : era un
giorno lo spalio da un levar del sole a quello
del giorno seguente. Invece in molti luoghi del-
Umbria ai calcolava il giorno da un meizogior-
no all' altro. E questo un controsenso, egli di
ce. Poich, ad esempio, chi nasce all' ora sesta
delle Calende, dovr per gli Umbri considerar
come suo giorno naialiiio, meno quello delle
Calende, e tutto Quello del giorno dopo le calen
de che precede Tor sesia. \L molti argomenti
comprovano che il popolo romano computava
11giorno da una metza uotte alla successira, co
me disse Varrone, w
3. Charis., p. i3o, 34, K. u Varr Antiquita
tu ni roman. lib. XV / ro#, foenum messi s,
3. Carisio I, c. Varrone uel XY delle Anli-
chtl umane : f r os f oenum messi s.
Gli amichi adoperavano f r os (frusT) seni la n quando tigoificava f r onda per distinguerlo
da frons f r onte, A questo modo mi pare che si dovrebb correggere il commento di Servio ad
yer g. Geor g, 11, 392 certamente corrotto, deve si dice che il nominativo di questo nome era
anticamente f r ondi s.
4 . Diomede I. c. mVarrone nel XV delle An
tichit umane : mettano i morti in sale, n
4 . Diomedes, p. Zj 2. u Varr Antiq. human.
XV : mortuos sallaut. n
Sal ant forma secondaria di salco, salire. Noto cosi di passaggio che nell'Italia meridionale
i viva ancora la forma antica dell'infinito sal i re^ e del participio sal i to.
E a questo libro adunque si potr riferire anche Censorino, il quale cosi dice (De di e nat.,
C. XVI) :
5.. . . praelerea fieri potest. . . qaod Varr
refert . . . Alexandriae inter eoi qui mortnos
solent conservare constare, hominum plus cen
tum anuis vivere noo posse :
5. ... pu avvenire inoltre ... quello che Var
rone riferisce . .. essere opinione fermissima in
Alessandria tra quelli che sogliono conservare i
cadaveri, non poter un nomo vivtrc oltre i r<*nto
anni ;
e similmente quello che abbiamo al Cap, XVII ;
1375
F A t r I
6. . . . leri po(eil quod rifer Varro . . . ho
minem plus cenlum anoit vitere q o d poste : i j
cor humaoMiD leclarsre eorum qui integri perie
runt sine corporis labe.
12 7 6
6. prubahile quello che riferisee Var-
rona . . . . non poter uu uomo suptrar i cento
anni, come lo mostra il cuore ili uno il quale sia
morto integro, senza corrv^zione del corpo.
Lib. XVI.
7* Non., p. 100, 9 . Duodevicesimo, u Var
r Renim humanarum, 1. XVI : mortuus est anno
duodevicesimo ... rex fuit annos XXI.
y. Nonio I. c. Varrone nelle Coee umane li
bro XVI : mori neti anno 18 .... dopo ai anni
di regno, w
Ho segnato una lacuna dopo duodetricesimo, che mi pare necessaria anche se non apparisca
nei codici.
Lib. XVIJ .
8. Gellius N. Aet. 1. I, . u Varr in XVII
Herum humanarum : Ad Romuli initium plus
laillc et centum annorum est. w
Questo luogo recalo [er provare che mille
quindi accompagnasi col verbo al singolare.
9. Ctosorinus C. XIV . . . u Ut climacterici
anni noscaoiur ; quid de gradibus aetatis sensum
sit, dicam. Varro quinque gradus aetatis aequa*
bditer putat ease divisos, oiiumquemquc scilicet
praeter extremos, in aonos XV. ila primo gradu
usque annum XV pueros dictos quod sint puri,
id eft impuberes. Secundo ad XXX aonuro, ado
lescentes ab adolescendo sio nominatos. Io tertio
gradu qui erant usque ad XXXXV annos iuve-
nei appellatos eo quod in re militari possunt iu-
vare. lu quario autem usque ad LX annum senio* '
res esse vociUtos, quod tunc primum seneicere
corpus incepiat. lialc uique finem vitae unius
cuiusque quinctam gradum /aeluni in quo qui
easent, senes appellatos quod ea aetate corpus se
nio i^ra Uboraret........ Elruscis quoque libris
Fatalibus aetatem bemiuia duodecim hebdoma-
dibof (?) deMribi Varro commemorat, w
8. Gellio 1. c. Varrone nel XVII delle Cose
umane: Oltre i mille ^ 100 anni prima di Ro
molo. 11
si poteva usare c.ome una unii un migliaio,
9. Cene. I. c. tt . . . perch si conoscano gU
sinni climaterici, riferir le opinioni ohe corsero
sui gradi delle et. Varrone crede, ehe i gradi
delle et siano cinque, tutti |ari di qundici anni,
tranne ultimo. Onde nel primo grado fino al-
anno i 5. o siamo detti pueri perche puri, ossia
impuberi. Nel secondo stadio Ano al 3o. anno
siamo adoleacentes perch si. cresce. Nel III fino ai
45 aiuii ci dcuno giovani, perch si pu giovare
adoperando le armi. Nel IV grado fino airan-
no LX gli uomini si chiamano seniores perch
allora il corpo comincia ad invecchiare. Dai 60
anni comincia il quinto periodo che va fiuo alla
morte di ciascheduno, e coloro che sono in que
sto gradu sono chiamali senes, perch in quelPtl
il corpo affetto da morbo sanile. Varrone rlcor-
da che anebe nei libri fatali (cio Stillini) degli
Etrusobi, detto: Pela dell'uomo coosprendrre
dodici settimane di anni (?). n
Lib. XVIll.
10. Censor, de die nat. XVll, i 5. uQuot . . .
saecula urbi Romae debeantur dicere mcum non
est, sed quid apud Varroocm legerim non tace-
bo, qui libro Antiquitatum duodevicesimo ait,
tuiae Vettium Romae in augurio non ignobilem
ingenio magno, cuivis docto in disceptando pa
rem : eum se audivisie dicentem ; 91 it# effet,
tradunt hiilorici de Romuli urbis condendae
auguriis ac duodecim vulturibus : quoniam CXX
nnos incolumis praeteriisset, popului romanus
ad MCC perventuros, n
10. Cens. l. c. u Non da me dir quanti se
coli debba durare Ia citt di Roma ; ma non la-
sciero di ricordare quello che lessi in Varrone, il
quale nel XVIll delle Antichil, ta fede : euervi
stalo in Roma un augure valente, di buon inge
gno, e a nessuno secondo nel disputare, di noroc
Vcxio, c di sterlo sentilo lire, che, se era ero
quanto uariavano gli storici degli auj;urii rice
vuti da Romolo nell'edificare la citt, e dei u
avoltoi, poich aveva superati incolume i cento
Tenti anni, avrebbe Roma durato fino dodici it-
coli,
77
DI . TE RiNZlO VARRONE lajS
I I . CeDfor. de ntt. Dfor. XXI, S. Varro ...
nuno Ji?erMrooi cifiUlioro cohferent (ecnpor,
onc defeclut, eonimqae interftUa retro di nu
meranf, eroit Terum, lucemque oilendit per
quam oonicrOa certus noo aDDorom nodo ted
ti dierum perspici pouit. Secundum q i ra-
tioera nisi fallor, hic annas, cuius telut indes
et titulus quidem est, Ulpii et Pontiani consula
tus, ab Olympiade prima millesimus est, et quar
tus decimos, ex diebus dumtaxat aestivis, quibus
agon Or^mpicus celebrator, a Rome autem con
dita lOCCCCLXXXXI, ct quibem ex Palilibus
unde urbis anni numerantur, n
1 1. Ceni. I. c. u Varrone .... ora confrontali*
do tra loro il sorgere di rare citl, ora risalendo
al tempo della loro decadenza e della loro do
rala, ne traise il Tero, e ci scopri una luce, la
quale ci fa scorgere non loltanto il numero giusto
degli anni, ma per fno dei giorni {della citt di
Roma). Giusta tale computo, se Vho inteso
dovere, queat' anno, che prende nome dal conso
lato di Ulpiano e Poniiano il millesimo dalla
prima olimpiade; e il 991 della fondazione di Ro
ma : il decimo quarto dei giorni di estate, in cui
si celebrano i giuochi olimpici, corrispondendo a
quello delle Palilie, il natale di Roma, n
Questo il luogo principale dal quale si riconosce Pera ?arroniana. Se Panno del consolato
di Ulpiano e Ponziano era il 991, e questi due erano consoli nel a38 dupo Cristo, segue che
Panno di Roma aia il ^53 a. C., ai ai Aprile, fsta delle Palilie, corrispoudendo alPanno 3
delP olimpiade 56.*,
11 computo di Varrone era esaUissimo : i moderni seguono il computo di Varrone accresciuto
di un anno e fissano quindi il 754 . C. come P anno della fondazione di Roma, mentre Catone
seguito anche da Tito Livio avcTa fissato il 751.
la. Soltn. I. 18 . . . uUt afirmal Varr auctor
diligentiuimns, Romam condidit Romulus, Marte
genitus et Rhea Sii?ia . . . Romulus . . . auspicalo
fundamenta murorum iecil,^ duodeviginti natus
annos undecimo kalendas Majas hora post secunda
ante tertiam plenam : sicut Lucius Tarutius pro
didit malhcmaticorum nobilissimus Jove in Pi
scibus, Saturno, Venere, Marie, Mercurio in
Scorpione, Sole in Tauro, Luna in Libra con-
slitulis.
la. Sol. 1. c. u Come afferma Varrone autore
diligentissimo, Roma fu fabbricata da Romolo
figlio di Marte o di Rea Silvia . . . Romolo . . . in
et allora di 18 anni, gett le fondamenta della
citta . . . dopo presi gli augurii, ai ai Aprile, Ire
giorni innanzi il plenilunio, alP ora seconda del
giorno, essendo Giove in Pesci; Saturno, Venere,
Marte, Mercurio nello Scorpione; il Sole in Tauro
e la Luna in Libra, come comput Lucio Taruzio
astrologo famosissimo, n
Intorno a questo fatto abbiamo anche una memoria in Cicerone, Z?iV., 1), 47 98 Lu- .
cius quidem larulius Firmai:u.i familiaris noster in primis ChalJaeicis rationius eruditus, urbi
etiam nostrae natalem diem repetebat ab iis Palilibus, quibus eam a Romulo conditam accepi-
mus, Romamque m iugo ( in Libra) cum esset luna nalam esse dicebat, nec eius fala canere
dubitabat. ^
1.0 stesso dicc ancora Plutarco nella vita di Romolo (r. 12) colP aggiunta che Taruzio cerc
oroscopo di Roma a richiesla di Varrone ( wpov^ali i ), usando dello stesso arti
fizio che usano per sciogliere i problemi geometrici.
i 3. L. Lido I. c. a Sono adunque dalParrivo
di Enea in Italia fino alfa fondazione di Roma
409 anni, secondo Calone il vecchio e Varrone
Romani.
i 3. Laur. l^yd. de msgisi.l, a. u
> in 9 Afvriev lirl <raprf<fev
Troie\ i ivvca *
^ )
^.
Le cifre non concordano. Dionisio dice, che Catone avea indicato come anno della fondizio-
e di Roma il 43a. dopo la guerra di Troja. Calcolaodo per Olimpadi i due romani diflferi-
vano beu di poco. Catone metteva la fondazione di Roma al primo anno della VII Olimpiade
(751 a. C.); Varrone invece al 111 anno della Olimpiade VI (75S a. C.); altri assegnavano altri
anni; ma meno probabili <V. Riiter., Hhein. M^seam 1843, pag. 48j).
14* Cens. XVII, 6 ... u in Tuscis historiis quae
celato eorum saeculo scriptae sunt, ut Varro
teslatur, et quol numero saecula ei genti data
i 4 Ceniorino I. c. ../ a nelle storie etroscbc,
scritte, a giudizio di Varrone, nelP ottavo loro
secolo, dello vuoi quanti sccoh deve ' virer
>379
F R A M M E N T I 13 8 9
iin(, etraniarlorum singula quanta fueriot, qui-
buiqoe oilenis eoruni cxtut deiignal sani eoo-
linetor. M
quella gente, t u o i quanto aA>bi ilurato a Ionico
ciaicuno dei lecol scorsi, e quali segni ne annun
zino il Iramontare.
Varrone stesso calcolata a 781 anni i selle primi secoi della nazione etnisca, dotiqoe il te-
colo etrusco abbracciava olire ^00 anni. Di ?ero, sembra che un secolo fosse il periodo corri'
spendente alla pi lunga vita di un uomo, quindi la ?ita di un' intera generazione. V. MtlHer,
D9 Eirusken, l i Band, pag. 323 e segg., Guigniaut : Jfoies aux religioni de tanti^uiis^
pag. i i 85 e segg.
i 5. Gens. XX^ a. u Annuro Tcrtentem Ronftae
Licinius quidam Macer et postea Feoeilella sia*
tiro ab inlio duodecim mensium fuisse scripsc>
runt, sed m>gis Junio Gracchano et Fulvio et
Varroni el Svetonio liisque credendum qui de
cem mensium putaverunt fuisse, ut tunc Alba-
uis erat unde orti Romani, n
i 5. Censorino I. c. u Licinio Macro e poacia
Fenestella scrissero che il periodo annno fu in
Roma fin da principio di dodici mesi, ma meri*
lano maggior fede Giunio Graccano, FiU^io,
Varrone, Svetonio e altri, i quali opinarono che
fosse sohanto di dieci, come tra gli Albani, don
de ebbe origine la gente romana.
Servano d'illustrazione a questo luogo i tersi di Ovidio (Fast. Ili, 4^0 *
Annus erat^ decimum cum luna receperat orbem.
Bic numerus magno tunc in honore fuit.
Seu ijuia tot digiti per quos numerare solemus
Seu quia bis quino femina mense parit:
Seu quod ad usque decem numero crescente venitur
Principium spatiis sumitur inde novis
Assuetos igitur numeros servavit in anno.
Moderni erodili sstengono che la opinione di Giuno Graccano, di Varroue ecc. di nn an
tico anno di Roma diviso in 10 mesi ossia in 3o4 giorni, noo avea fondamento, o, almeno, che
te anche fosse sialo a lai modo ordinalo il Calendario^ diremo, officiale, quella divisione non
aveva alcuna importanza per gli osi ordinarii della vita. V. Preller jRom. m/i/i., pag. i f i ;
Mommsen : Die Rmische Chronologie bis auf Caesar a. Aufiage^ Berlin, 1859 S. 47 ^
Per Licinio Moro ti giover leggere erudita nota del TeuCTcl ( i 43, 3 ), pag. ao6 del
edizione li.
Fenestella, che fioriva o agli oltimi anni di Augusto o ai primi di Tiberio, era, dopo Varroue.
autore pi ricercalo e pi sludialo per la ricchissima copia di notizie di ogni maniera di cui
erano riboccanti le sue storie.
Giunio detto Gracchanus per la sua amiciia a C. Gracco lasci un'opera De potestatibus^
di cui Varrone stesso si giov (Vedi De l, l. V, 4^ 9^) Merckliu serio#
ona monografia De Junio Gracchano (Dorpat, 1840) in due parti.
Il Fulvio, di cui qoi accenna Censorioo, e che io Varroue troviamo spesso auoeiato al none
di Giunio Graccano M. Fulviut. Nobilior console nel 565, il qoale eompote e pubblic una
notevole opera aui Fasti.
16 Censorinus XXII, 10. u Varr ... Romanot
a Latinis nomina mensium accepisse arbitrator.
Auctores eorom anliquiorea quam urbem fuiase
aalis argole doceL Itaque Martiom roeosem a
Marte quidem nomioatom credit, non qoia Ro-
moli fuit pater, led quod gens Latina bellicosa.
ApVilem autem non ab Aphroditesed ab aperien
do, qood tunc fere cuiicla gignantur, el nascendi
cleoatra aperiat natura. Mainm vero, non a maio
ribus sed a Maia nomen accepisse, qood eo mense
liem Romae quae antea in Latio res divina Maiae
16. Gens. I. c. u Varrone ... crede che i Roma
ni abbiano preso dai Latini i nomi dei mesi, e
mostra assai aottilmente, che coloro i quali tro-
varooli sono pi amichi di Roma. Crede adun
que che il Marzo aiesi dello cosi da Marie, non
perch fu padre di Romolo, ma perche la gente
del Lazio bellicosa : Aprile, non da Alrodile,
ma daira;>rire, {lerch allora quasi ogni coM ve
de la luce, e la natura apre del nascere le porte :
il Maggio, noo^ dai maggiori^ ma ebbe il nome
da Maia, perch in tal mese si faceano a Roma
laSi DI . TKHENZI O VAAHONK t^8 a
fiat t Mercurio. Joniam quoque o Janonc po-
tianquam a iuoioribu, quod illo mense maximi
Junoni hoooret babeaotur. Quinctilem, quod
loco apud Latinos fuerit quincti : ilern seililem
ao leincepi ad Decembrem a numeris appellatoi.
Celerum Januariam el Februarium poslea qoi>
deni addiios, ted nominibus iam ex Lalio aom
piis, el Januarium ab Jano cui attributus est, no
men Iraiisse, Februarium a Februa.
io onore di ^^laia e di iMercurio quei aaoriHzii cha
prima nel Latio. Cos non dai giuniori, ma da
Giunone tii oprannominato il Giugno, perch
era ii mese in cui ricevc?a cul^o pi solenne. Il
nome di Quintile, Tenne al mese successivo, per
ch aveva Ira i Latini il quinto poi o, e cos il
Sestile e poi di segnilo fino al Decembre ricevet
tero il nome dai numeri. Gennajo e Febbrajo fu
rono aggiunti pi tardi, ma i nomi si tolsero dal
Lazio, Gennajo da Giano a cni era consacralo,
Febbrajo da Februa.
Una illustratione piena di questo luogo ci metterebbe in un gineprajo, perch sono parecrhi^
te questioni che ne sorgono: accenneremo adunque solo alcune cose, le principali.
Il Marzo non mancava in nessun calendario italico, non occupava per in lutti lo stesso
luogo della serie, cf. Ovidio, Fast. HI, 89.
Tertius Ahanis^ quintus fuit Hit Faliscis
Sextus apud populos^ Iltmiea terra^ tuos
Quintum Laurentes^ bis quintum Aequiculus asper
A tribus hune primum turba Curensis hahet^ etc*
Lo stesso poeta ricorda anche ambedue le opinioni intorno l'origine del nome: quella ripio
vala da Varrone : '
Bomulus
Sanguinis auctori tempora prima dcdit ;
Et tamen ante omnes Martem coluere priores
Hoc dederat studiis bellica turba suis
Ia Varroniana :
Mars Latio venerandus erat quia praesidei armis
Arma ferae genti remque decusque dabant.
Kiguardo Aprile, Fulvio e iunio Graccano stavano per Ia tenlenia che si derifaMe da
Afrodite (cf. \'arrone De l. I, VI, 33) e cos Ovidio, Fait. IV, 27:
Sic renerem gradibus multis in gente repertam
Alterius vouit mensis habere locum
60
Sed Peneris mensem graio sermone notatum
Auguror: a spumis est dea dicta maris.
II poeta accenna quindi (85) opinione di Varrone e .'a rigetta:
Quo non livor aditi Sunt qui tibi mensis honorem
Eripuisse velint^ invideantque Fenus,
19am quia ver aperit tunc omnta^ densaque cedit
Frigoris asperitas^ fetaque terra patety
Aprilem memorant ab aperto tempore dictum
Quem Fenus intecta vendiemt alma manu^
e pi al i i 7-i 3a cerca dMnterpretare a favore di Vener le espressioni varroniane.
lif ohe erano le opinioni sol nome Maius : Ovidio V, :
Quaerentis unde putem Maio data nomina mensi?
Non satis est liquido cognita causa mihi
quia posse datur diversas reddere causas
Qua ferar, ignoro copiaque ipsa nocet,
FlAMHEKTl DI M. I t . VaKBOFII.
ia83 r R A B N J
4
Che il nome Jerivatse da Meia,. tra opBonc pi romunp, t Ua quello luogo ikik AnlichilH
conobbe Ovidio piuUoslo che dai libri De /. /. (VI, 33) opinione varrooiaDa. Varrooc diede
una spiegiiione del nome pi asirusa che lroTamo ia Lylo {De mensibut^ IV, Sa) e d cui
parleremo altrove.
II nome di Maiuf e Maia era anch' esso iolto quella forma comune uei calendarii ilalici (eoo-
ironia Feito, pag. i 34): gH Oicbi lo chiamavano Maeaiuf (Pesto, p. i 36).
Per rispetto al Giugno non si era sicuri : opinione varroniaua etpreiaa da Ovidio VI, 21,
che fa dire a Giunone:
Junius a nostro nomine nomen habet
Altri eruditi romani cercarono invece altre tpegationi diversissime. Per le due derivazioni di
Maius a msioribus, e di Junius ab iunioribus ecco quello che dice Festo : u Maius menift in
compluribus civitatibus Latinis ante urbem conditam fuisse videtur, qua de cauisa utrum a maio>
ribus, ut Junius ab iunioribus dictus sit an a Maia etc. n
Per origine dei nome Januarius da Janua tuiti andavano d'accordo dividendosi poi nello
apiegare la relazione di Giano, col calendario. Vedo che i moderni esposilori (per es. il Preller
Rm. myth.^ p. 141) considerano Giano, come il dio della luce solare; e allora ai Irova uu rii-
contro con la dottrina di Varrone {De /. /., VI, aB): Ot nvus annus Kalendae Januariae ab
novo sole appellatae^ e di Ovidio (Fast. i 63):
Bruma novi prima est veterisque novissima solis
Principium capiunt Phoebus et annus idem,
b^d strano, che, coniiilerandoii Giano come il principio, non abbia tosto da Nuroa il mese
a lui consacralo avuto il primo luogo nella .terie, ma abbia ancora perdurato per molto tempo
ad essere undecimo.
Non erano differenti Ira loro gran fatto le opinioni per l'origine del nome di Febbrajo : on
mese di purf!cazione, di espiazione per lutto Panno decorso, essendoch JeBruare vale quanto
purgare, sacrificare. V. anche in Paol., pag. 85 : u Februarius mensis quod tum populus
februaretur i. c. lustraretur etc. n E Macrobio l a : u Secundum mensem Numaa dicavit fe>
bruo deo qui lustrationum potens creditur. r>Molto materiale di dottrina Varroniana derivato, a
mio credere, dai libri delle Antichit che erano De temporibus^ si trova in Macrobio nei capi
toli Xll-XV del libro primo dei Saturnali. Baster lutla^ia, che riportiamo i luoghi dove ci
tato nomiuatamcnte. Cosi, dopo aver detto che .1 libro dei Fisti Cintio negava doversi spiegare
il nome del mese di Aprile con quello di Afrodite continua (I, ia, ia^.
17. Cincio etiam Varr consentii, aQrroans,
nomen Veneris, ne sub regibus quidem apud
Romanos, vel latinum, vel graecum fuisse; et ideo
non potuisse menicm a Venere uoiuinari.
17. A Ciuxiofa eco altres Varrone, il quale af
ferma, che in Roma, nemmeno sotto i re, ai co*
nobbe aotto forma latina o greca il nome d
Venere, e quindi non poteva aver dato il Dome
al mese di Aprile.
Le parole di Cinzio e di Varrone devono esaere prese nel senso, che non ai trovava il nome
di Venere nei carmi Saliari, e nei documenti pubblici e lacerdotali, e che quindi solo pi tardi
fu riconosciuta dallo stato una dea con questo nome. Ma il nome lolo fu poiteriore, la divinit
era conosciuta molto e molto anticamente, almeno nei Lazio ; e italico anche il nome Veuus, ae
e giusta la derivazione dalla radice ven, amare, desiderare, essere propizio (Kuhn, Zeitschrift
fiir vergi. 5/jrec/i/!, 1, 191; 2, 461).
18. Macrobio 1, i3. u Hune (Fulvium) arguit
Varro scribendo antiquisiituam legero fuisse io-
risam in columna aerea a L. Pinario e< Furio
consulibui cui mentio iiiterkalaris adscribitur.
18. Macrobio I. c. Varrone nega contro Ful
vio (che sia stato Marcio a trovare P intercalazio
ne), scrivendo : la pi antica delle leggi che sia
stata scolpita su colonna di bronzo essera quella
dei consoli L. Piuario e Furio, ai quali si fa me
rito di aver trovato il modo d'intercalare.
V i tra varicti< di sul tempo in cui ti incominci %iitlenalare. Licinio Mecro, era
kit rrrdeie lie si iosse intcrolatu lii dal Irnipo di Romolu; Anziatf, dl tempo di Numa, e
i 3 5 DI . TtRK NZI O VARRONK
questo si credeva Jai piu; Giunio Grtccano liceva, doversene alcivere P iiiYenzione a Servio
Tullio; TutJilano Cassio Emina ne lacevano merito ai decemviri; Fulvio, Ia cui sentenzi ri
batte Varrone, ne determinava il tempo al 56a di Roma, al principio della guerra tola lutfo
il consolalo di VIarcio ; Varroue, come si disse, ne dava I' onore ai consoli L. Pinario e P. Fu>
rio, adunque esso delerminertbbe Tanno a. C. 2^3 di R., e abbiamo int'alli di quest'anno
una Icx Pinaria De udiciis.
Nei due capituli XV e XVI del primo libro Dei saturnali Macrobio ha raccolto una quan
tit di notizie, dtlle quali molle sono senza controversia da attribuire a VarroDe. 51a non tutte
derivale dai libri delle Antichit. Cos, ad esempio, dando la origine della voce Idus dice che
voce ettusca, perch gli Etruschi a questo giorno davano il uome di ilus, ed egual cosa
si legge nel VI De l. 28, idus ab eo quod Tusei iius. Verso la fiue dtl capo XV Varrone
citalo due volle una ptr certa costumanza delle ferie che io rimando al corrispondente delle
utichit divine, dove vorrei che lo avesse riportato anche il Merkel ; altro il seguente:
19. u Ut Idus omnes Jovi, ita omnes Kalendas
Junoni tributas et Varronis et pontificalis affirmat
auctorilas.
20. Macr. Sat. 1, 16, pag. 267. u Ad rem taoe
militarem oihii attinere nolat Varr utrum l'aatus
vel nefastus dies fit, sed ad solas hoc actiones
respicere privatas.
21. Macrob. Sat. I, XVI, p. 266. u Varro ita
scribit, mundus cum palet, deorum tristium at-
que ioferum quasi ianua palet4 propterea non
modo praelia committi verum etiam delectum rei
militaris causa habere, ac militem proficisci, na
vim solvere, uxorem liberum quaerendorum cau
sa ducere religiosum est. n
19. tt L* autorit dei libri pontificali e di Var
rone ci assicura che tutte le Calende erano con
sacrate a Giunone, come tutti gli Idi a Giove, n
20. Macrob. I. c. m Varfone avverte, che per i
rispetti militari non monta, se il giorno sia fa
sto o nefasto, ma che questo riguardo soltanto
le cause forensi private. ^
Macrob. I. c. a Varrone scrive : quan
do aperto il cosi detto mondo^ , come fos
se aperta la porla agli dei del pianto ed inferni,
onde non solo nun lecito, in quei giorni dare
battaglia, ma nemmeno scrivere i soldati per
esercito, ordinare alle milizie di mettersi in
marci, n sciogliere le vele, n condur legitti
mamente moglie, n
24 Agosto, il 5 Ottobre, 8 di Novembre. Per
23 e Paolo, pag. i 56. Che cosa fosm il mundus
1 giorni io cui il mundus paehat erano il
queste stesse notizie confronta Fello, pag.
patens ci spiega Feaio, pog. i 54
Ho messo qui io luogo che a Iibri Rentm diifin. questo frammento, perch i Ire giorni del
mundut patens non erano una selennri religiosa (Cf. Mommseu C. I. L. 1., p. 373): h Dierum
triom quibus monduf patet fasti nostri non solom non enuntiant religionem, sed etiam primo
eorum sacrificium puhMcum adscribunt. liaque horum dierum religio necetsario aut non perii-
nebal ad ncrificia aut populari tantum superstitione observabatur, cnm publico senatus consulto
non esset agnita. ^ V. aoehe Festo, p. i f a, 23.
22. Macrobio 1, i 3. u (A Servio Tullio) nun
dinas institutas Varroni placet, n
23. Cbar. 77. 10 K. u Varro in Scauro ballea
diiit et Tuscum vocabulum esse. Item humana
rum XTIII.
22. Macrobio I. c. u Varrone deiravvisa che
le nundine sieno etate trovate da Servio Tullio.
23. Caris. I. c. u Varrone nello Scauro e nel
XVIH delle Cose umane, us baltea di genere
neutro e lo disse vocabolo etrusco.
Servio ad Verg. Atn,^ Vili, 520 scrive; Varr de saeculis^ audituni sonum tubae de caeio
dicit: questo libro De saeculis non pu essere che uno di questi De temporibus : ci e chiaro
rosi ohe avcan.i, olire II generico, un titolo speciale, onde Gellio pu citare un libro De diebus.
I uMy R A fe; N I
Libro XIX.
3^88
^4- Gellio, Noct. All. X], i, 4 ^ Quando ici
tur uunc quoque magistratibus P. R. mure roa-
ioruio multa dicitur tei roioiroa tei tuprema ob
servari tolct ut oves genere virili appelleutur. At-
qne ila M. Varr Terba baec Ifgitiiroa quibus
minima multa diceretur, concepit: . Terentio
quaudo citatus ncque respondit neque excusalus
st, ego ei unum otem multam dico : ac nisi eo
genere diceretur negaverunt iustam videri mol>
lam. Vocabulum autem ipsum mullae idem M.
Varro in undevicesimo Rerum humanarum oon
Utinum sed Sabinum esse, dicit idque ad suam
memoriam mansisse ait in lingua Samnitium qui
suut Sabinis orti, n
24. Gellio I. c. u Anche ora, quando, piusta il
costume dei maggiori, i magistrati impongono la
massima o minima multa, adoperano, come in an
tico, il nume ovis al maschile. E cos M. Varrone,
che compose ad esempio questa formola legale
per infliggere la minima multa: a M. Terenzio
che, essendo citato uon si present n si scus,
infliggo la multa di una pecora ; e aggiungono,
che non obbligherebbe la multa, se ovift non fosse
usato al maschile. Varrone nel XIX delle Cos
umane dice, che il vocabolo stesso di multa dei
Sabini non latino, e che a memoria sua si usava
in loro lingua dai Sanniti che derivano dai Sa*
bini, n
Questo luogo di Varrone accennalo da Gellio non si sa come poteaae aver luogo nei libri Ve
UMpQribut^ ami che in quelli De rebus, parrebbe allora che qui e non al libro XX dovesse
^giungersi il luogo che in Nouio, pag. 216, 33, sul genere di ovis adoperato al maschile. Nei
rodici sta uno vicesimo non undevicesimo, ond' chi legge uno et vicesimo^ cosi riroandereb-
besi^ il pasao ai libri De rebus. Al XXI lo ascrive anche O. MttUer (in Varr. /. /., p. 69).
L i b r i XX-XXV.
rebus.
I ra le quattro sezioni dei libri delle Antichit umane questa la pi povera di frammenti,
sebbene, a giudicare dalle cos che vi erano trattale, avremmo dovuto atteuderci lutto l'opposto;
uzi se non ci foise delio da Gallio che vi ai parU\a <Upace et belloy e degli edili, non sa
premmo Qenmanco quali argoiceuti vi fossero siali avolti.
Raccogliendo i pochi indiiii, possiamo conchiudere con qualche sicurezza, che si occu|iasse,
almeno compendioiamenle della legislazione, risulcndo dalP epoca in cui alla monarchia assoluta
furono sosliiuili i consoli (V. Nonio v. Reditio), che vi parlasse dei magistrali, ordinarii e straor-
dinarii, di .ui ti dichiaravano le attribuzioni ed i limili, le punixioui che potevano icfliggere .
quali avessero Vus vocotQnis^ quali Vius preken$ionis (A. Gellio, Xll l , la, i 3). Al primo ar>
gomeuto parmi da assegnare il libro so, a quello dei magistrati il 21. Vi si parlava dei varii or>
dini dei cittadini, e delle onorificenze con cui premiavasi il merito singolare di qualche cilladi-
no. Vedo essere opinione accolta generalmenle, che delle corone si tenesse nei libri delle Ami-
chil lungo discorso : niente di pi probabile, sebbene manchino citazioni accertale. So che il
Krahner ba scritta una monograBa su questo argomento, ma non mi venne fatto vederla. Abbia
mo poi certezza che vi si parlava delle cose della pace e della guerra: quindi sulle tregue, sulla
disposizione degli eserciti, sopra varie specie di armi ; sopra la costruzione delle navi. Un libro
solo non era troppo per quesla materia: io gli assegno il 25 indotto da alcone cHazioni Hi
Servio.
Libr. XX.
I. Nonius . Quadrifariam^ pag. 92, tS . . .
M. u Varr Rerum humanarum XX et ea quae
ad mortales pertinent quadrifarium dispertierim
in homines, in loca, in tempora, in rea.
1. Nonio 1. c . ... u Varrone nel XX delle Coee
umane ^ le cose che si riferiscono agli uomini ho
suddiviso in quattro classi : degli uomini ; dei
luoghi ; dei tempi ; delle cose.
Ui quesH
troduiionr.
riizionc non imporla che diciamo di vantaggio dopo averne discorso nella in-
ia89
DI . TKKENZIO VAfiUOiNK
t^
a. Noniut . Aedliio^ p. aaa, 17, M. Varr
RcruiD humanarum XX rt omnei l arquinios eie-
ctruol, ne quam reditionii per gentilitatem ipem
haberent. u Idem in eodem : ad inilitea pout re-
Tertioaero (? reditionem w
3. Noniuf, p. 4^5, 34 AntiqiQr, u Varr
Rer. human. XX : ncque idonei cives aliquid ha
bent aniiquiua lalule communi, n
4. Non., p. a i 4>3o, Su . Nundinum, u Var
ro Rerum humanarum I. XX : Decemviri cum
iuisieni arbitrati vi noa nundinum divisum ha-
buieae. n
2. Nonio I. c. u Varrone nel XX delle Cose
umane n cacci^runo tulli quanti i 'l'arquinii, per
toglier loro ogni aperenza di poter coli* aiuto di
quelli di loro gente ritornare h ... nello steaso
libro : u fa ritorno all' eaercil<f. w
3. Nonio I. c. MVarroiie nel XX delle Cose
umane : ai buoni cittadini niente sta maggior
mente a cuure della coniune salveixa.
4. Nonio I. c. u Varrone nel XX delle Cote
amane : Avendo creduto i decemviri che fossa
stato da noi separato a forza il tempo fra un giov^
no di mercato e altro, n
Vi nos^ correzione del Gnyet, accolta dal Qacherat in luogo di binoi. Comunemente leg-
geai rer, dhinarum ; ma ai sa che libri delle Cas^ dijrine erano solo 16. Anche al Quicherat
sfuggito il facile errore.
5. Non., pag. 80, 7. a Babe^ ohscure: Varr Rer. hnman., I. XX: Praeterquam duobus ia
primis eit scriptum balbe . . . . spedare (?) velit potius quam voluntatem debeam non datam dicere
magistratum,
Lezione incerta da non trarne costrutto. Il Quicherat segue virgola, dopo I* est^ chiude fr
parentesi quadra il balbe che, comunque ai accomodi il passo, non deve mancare, indica una la
cuna, e propone di aggiongere spectare. Il ih. prof. Canal propone per congettura : a Praeter
quam dubiis inscriptis, etsi scriptum spectare velint, potiusquam voluntatem decet noD balbe di
cere magistratus, n cio: u se lo scritto non sia dubbio, il magistrato, se pur vuole pi che al-
intenzione attenersi alla lettera, deve dare sentenza non ambigua. La correzione pare ottima.
6. Non., p. 92, 8 V. Cos. u Varr Rerun^ hu-
roanar., libro XX: Eo die cis Tiberim redeun
dum esi, quod de caelo auspicari ius nemini sit
praeter magistratum, n
7. Nonius, p. 47>t ^ V* Sortire, u Varro Re
rum human. 1. XX : com venerint crnsorei iiiter
se sortirent ... n
6. Nonio 1. c. tt Varrone delle Cose umane
libro XX: In quel giorno si deve riiornare di qua
dal Tevere, perch nessuno, tranne il magistrato,
pu^prender gli auspicii, n
7. Nonio l . c. u Varrone nel libro XX delle
Cose umane: quando fossero venuti i censori
traeuero a sorte Ira loro ... m
8. Noniut, pag. 5 19, aa. u Censere et arbitrari veteres cognatione quadam socia ac aimilia
esse voluerunt.
Varro Rerum human., I. XX u quod verbum
eenseo et arbitror idem poterai ae valebat.
Varrone nel XX delle Cose umane u i due
verbi censeo ed arbitror avevano la stessa fnrza
e valore, w
Non aar inalile aggiungere che cosa invece ne insegna lo Schlti nei suoi sinonimi, che
dovrebbero servire per gli aiudenti di ginnasio : arbitrari vale : ritenere una cosa per vera dietro
il proprio parere o convinzione morale senza punto corarsi dell*altrui sentenza e giudizio: . . . .
censere non dice una pura atticit dello spirito^ ma altres una produzione alC esterno del
attivit tessa, e coriis{ionde ad essere di an avviso e manifestarlo, uri qual caso il soggetto
ai suppone sotto la forma di una persona coscienziosa e rivestita di autorit. Poveri noi se
dovessimo esaminare a questo metro i passi degK scrittori, e sviluppare neUe Kuole questa
dottrina \
9. Non^ pag. 59, 4 Accensi, u Varr Re-
ram humanarum I. XX : Ut, consules ac praeto
res qoi sequuntur in castra accensi dicti, quod ad
res necetsariaa saepius acciaotor veluli accersiti. rt
9. Nnio I. c. u Varrone delle Cose umane
1. XX ; chiamano accensi quelli che accompagna
no i consoli t i pretori ai campo, perch spesto
devono essere chiamati (accersiti), richiedendolo il
bisogno, n
R A Al N 1
k a dubitare td K: parole i>e/ui/ acctrsiti fieno di Varrone, estendo la forma reettert giu-
ilamente gospelia.
Nel VII, 58 De l. : u Acoensoa ministratores Oalo eise acribil: poleil id ab aeci^ndo ad
arbitrium eius quoiui roiuislri. Gli aeeensi furono poi in tempi varii conoiciuti con varii no
mi. Forse non sono altro che gli aeeensi soprannuiiierarii, di cui patla Varrooe a 11, 56.
perch erano addetti al servizio dei conxoli e preturi (deputabantur)^ coti g ditter anche de
putati^ e in questo tengo Tuole dichiarato a q*teglo luogo il Tocabolo Nonio, come in Vegeiio,
De re mil. a, 19.
10. Non., pag. 345, 3 . Merebat, u Varr
Kerum human. I. XX : qui in ordine erat it aea
militare merebat, y*
11. Non. V, 4, 7 Modimperatores, u Var
ro Rer. human. I. XX. In conviviia qui tunt in
atiluti potandi, modimperatoret [id est magi-
atri]. w
10. Nonio 1. c. u Varrone nel XX delle Cote
umane : chi faceTa il tcrviiio militare nella ctu-
turia toccava la paga di soldato, n
11. Nonio I. c. u Varrone delle Cote umane
I. XX. Quelli che a introduaiero nei conviti per
moderare il quanto e il quando sia da bere ai dis
acro modimperatores, w
Le parole fra parenleai considero come un gloaaema. L' uso di cui qui si la cenno e che
si era imparato da'Greci, troppo nolo, perch bisogni tenerne parola.
la. Non., pag. 161 6 t. Patritus, u Varr
Rerum humanar. I. XX : secundum leges habitas-
set patrtu. rt
13. Nonio I. c. u Varrone nel XX delle Cose
umane : sarebbe vissuto conforme le paterne
leggi. "
Il Roth propose la corretione secundum leges avitas et patritas e parmi assai probabil
mente. notevole pure che nei ccdd. il frammento era dato come da un' opera Reipublicae ; la
correzione del Popma.
i 3. Nonint, pag. 894, 5 v. Spurcus4aevu$,
u Varr Rerum human. 1. XX : ne quia lictorem
spurcam hominem liberum pravhende iusiisse
velit.
La spiegazione di Nonio non pare eaatta.
i 4 *., p. 4181 II Urgeri a Varr Re-
rum human. : qua murum fieii voluil urgeoiur
in unum, y*
i 3.^ouio 1. . u Varrone nel XX delle Coae
umane : nessuno d ad un vii littore il comando
di catturare un uomo libero, w
14. Nnio I. c. tt Varrone delle Cose umane
I. XX : siamo stipati nel luogo dove fece alzare il
muro, n
Murum facere potrebbe tuttavia estere qui in sento tratlato. incerto te appartenga al
libro, XX : ad ogni modo il passo recato un esametro, ma ala a vedere di chi. Era golo alle
gato da Varroue o gli cadde inavvertitamente dalla penna ? 11 Popma lo crede an eaamctro di
Ennio, quindi scrive urgentur.
45. Non., p. ai6, a3 v. O w . u Varr Rerum
human. I. XX ; iis (?) eliam putantibus qui di
cunt oves duos non duas dicunt, Uoinerum secuti
qui ait 0(7. n
i 5. Nonio 1. c. Varrone nel XX delle Cose
umane : anche a giudizio di quelli che, conforme
uso Omerico, adoperano il nome opes ma-
scbile. n
11 Quicherat legge: Varr Rerum Divinarum^ libro XXl l l (uon si ga^perch divinarum^z
come ditnenlichi che i libri divinarum erano 16), ut etiam mutant ii qui oves duos^ non duas
dieuht^ Homerum secuti qui ait (I. 3i) < *7 (per consilium del Ginnio). Che questo
passo si colleghi con quello di Gellio recato tra i frammenti del XIX (u.** 24)^, |>ar quasi siearo,
se nonch le testimonianze rispetto al libro sono incerte in ambedue i luoghi, tuttoch meno in
quello di Gellio. Perci anche probabile la congeltura segoata nel margine del Ginnio, che
cambia putantibus in muctantibus. Forse : ut etiam ( = ad/tuc) a muitantibus [/?/], qui
secuti . . . .
93
DI . TERENZIO VARRONE
16. SerTQs ftd Vtrg. Atn. IX, 606. ... eqni-
les pud Tetercs flexalt dicebanlur, ticat U Ver
ro ReroiD haroanaram.
1194
16. SfrTo I. c. u I cavalieri ti chiamaTaao
Umi^ftxutis, comfe dice Varron nri libri delle
Coee umane.
In p*recckie editioni in luogo i\ flexutis si Irora fUauis ; i . , noi** il Sdmatio, come d
nrcus f artutit e arcitut, a erma, armitis od armutus, coii da ftxus ai dorr fare flt-
xUts tfltxutus. La rocejlexutis manca lollaTia anche in dixionarii ripnUti, cone nel Forcel-
lini e nel Klolt, nei quali gi irof infere fiexutnines.
Qiieala Toce nel aenao di cavalieri ha anche un cMinpio di Plinio (XXXIil, 4, 9) ; Celerea
uh Romolo regibuaque appellali iuni deinde flexuminet. Eaaendo per lo neno dubbia la
co*a, mi pare forte lrop|.o precipitala b conaeguenta, che ne Irae il De Vii u delenda eril 01
fltxumtnit el alteri hialoricae voci flexules Ialina civilas donanda, n
Libro XXI.
I. Gellios Noci. All. XllI, i 3. a Non panci ...
.eisliroabant us Tocalionii in (^f/aej/orem) prae-
lori non eise, qooniaca magistratus populi roroa-
ni^ profu? Jubio ewet, ef neque Toraii, neque, si
venire nollet, capi alque prehenili, salva ipsius
roagisiralus maieslafe, possel. Sel ego qui lum
assiduus in libris M. Varronis fui, cum hoc quae
ri dubilarique animadverlisseni, prolnli unum el
vicesimum librum in quo ila scriptum fuili qui
poleslatem neque Tocalionis populi Tritim ha-
brtil neque prehensionis, eos magisiralus a pri
valo in ius quoque Tocari est potestas. M. Levi-
nius aedilis curulis a privato ad praetorem in ius
esl deducUis : mine stipali servis publicis non
modo prehendi non pouunt, sed etiam ullro
summovfnt populutn. Hoc Varr in ea libri parie
de Aedilibus. Supra autera in eodem libro, quae
stores neque vocationem habere neque prehen
sionem dicit. v>.
I . Gellio I. c. u Nou pochi ... erano di parere
che il pretore non avesse facolt di chiamare iti
giudiiio un qufstore, perch senta dubbio alcu
no il questore un roagislralo del popolo ro
mano ; e quindi, non poteva, senza che la maest
del magistrato fosse violata, essere citalo in giu
diiio, e se ricusasse presentarsi, essere prego
trattovi a forza. Ma io che era allora assiduo
lettore dei libri di Varrone, sentito che di questa
cosa si era comincialu a investigare dubitare,
portai in canapo il libro XXI dove scritto : wquei
magistrali che non hanno diritto di far citare e
condurre a forza i cittadini, possono eggere traili
in giudizio da un privato. M. Levinio edile cu
rule fu da un privata costretto a presentarsi al
tribunale del pretore. Ora poi, stipati come aont
di fervi pubblici, non che possano essere Iratli
a forza in giudizio sono essi che mellofio gq il
popolo. Cos Varrone in quella parie del libro
he traila degli edili. Pi sopra del libro stesso,
dice, che i queslori non avevano il diritto di cita
re n di far trarre a forza in giudizio. 7
Grillo Noci. Ad. Xll l , i. u In qoadam epialola Allei C>pi|onia criplam legimoa, Labeo
nem Anlialiuro legura alque morum Populi Rnniaiii iuriai|ue ciiilij dorlum apprime Aiiiie. Ac ...
narrai qood idem Labeo per Tialorem a tribuno plebia Tbcalni, reapondcrit : cum a molieri
inquit quadam tribuni plebia adveraom eura aditi Getlianiiro ad eom roisiaaent, nt veniret et roe-
lieri reaponderet : iuaail cum qui roiaao eral redire, et tribonia dicere, ius eoa non hahere, ne
que te neque alium queroqoam tocandi : cnm moribua maiorum IribunI plebia prehenaionem b-
berenl, tocatioiiem non habrtnl : posie igitur eoa TCoire et prehendi ae iobere, sed Tocandi
bsrntem jus non habere. Cum hoc in ea Capilooie epistola sublegissemus, idipsum postea io
M. Varronis Rfrum bomanarum ono el vicesimo libro enarratius scriptum invenimus: verbaque
ipsa super ea re Varronis ascripsimus :
2. In magistratu .... habent alii vooalionero
Jii prehensionem alii neutrum. Vocationem ut
rongu)es el caeleri qui habent imperium : prehen-
eionem ul tribiini plcbia el alii qui habent viato
rem : neque vocationem neque prehensionem, ul
quaesloreg ct caeleri qui neque lictorem neque
viatorem. 0 vocationem habcoi, iidem prehen-
a. u Dei magistrali alcuni hanno il diritto di
citazione, altri di trarre a fona, altri n questo
n quello. Possono citare e i coneoli e gli altri
che hanno Vimperiam; possono tradurre a forza
i tribuni della plebe e gli altri che hanno un cur
sore, quelli che, come i queslori, non hanno n
lillore n cursore, non hanno facoll n di citare
1^95 F R A M M E N T I
Here, troerc, abJoccr poutinl, et bec omnia
sife aJtool qaos focant, live accre iosaeninl: (ri
buni plebii Tocaliorem habenl nullam. Ntque
roinai mulli iroprrili perinde alque haberent, et
usi sunL Nam qaldam non rooJo privatyro secl
etiaro confolero io rottra vOcari iutscrunC. go
Iriumfir Tooalua a Porlio Iribono plebifl non h i ,
auctoribuf prncipibue, l Tetus iua tenui. Item
tribuno cum estem, tocari neroinem u n , ncque
Tocatora a collega parere iofitaro. n
n di Iradurre a fona. Qaclli eh hanno diritto
di citasiooe, poasono del pari callorare aotle^
nere e trarre a tona, tanto se aieno presenti i
citali, quanto se li abbiano fatti citare. 1 trbani
della plel>e non hanno alcan poter di citatione.
Eppure molti non lo sapendo, osarono d questo
diritto come se loro competesse. Vi tu ami chi
non dubit di chiamare fin giudltio non che on
priratOf mi console, lo quando era triumviro,
Tatto chiamare dal tribuno delibi plebe Ponto, non
i andai consiglialo dai principali cittadini e feci
rispettare antico diritto: quando fui tribuno
non feci citare alcuno, e non feci forza che mal
suo grado obbediise chi fosse stato da uno dei
colleghi citato.
Non illustro questo passe, perch in tulli i trattali un po'estesi di Antichit romane se ne
truTa parlato a lungo : con abbondantissima erudizione ne parl recentemente il Sannio nel la*
voro ricordato alIroTe : Varroniana in den Schrifitn der rmischen Jurisiwn^ p. 70 e seg|^.
Lb. XXV.
De bello et pace (T).
1. Gellio Noct. All. X, 27. tt ..; Cem Q. Fabius
imperator romanns dedit ad Carthaginensei epi
stolam, ibi acHptum fuir, populum romanum
reisiase ad eoe hastam et cadoceam aigna duo
belli et pacis .... Varr autem non hastam ipsam
neque ipsum oaducenm missa dicit, sed dnai tes
serulas in quarum altera cadnccum in altera si^
melacra hastae erant incita, n
2. Gellio Noci. Ati. I, a5u Duobus modis M.
Varro in libro Humaoarum qiii st de bell et
pace indutiae quid sint definit. Indutiae, inquit,
sunt pax castrensis paucorum dierum. Iten in
alia loco : indutiae inqoit, sunt belli feriae. Sed
lepidaO magis atque ineundae brcfitatis utraque
definitio, quam pknfraut proba asse fidetor. Nam
lYeque pax est indutiae : beHum enim monet, pu*
gda ceaaat. Neqiie in solia castris, neqoe pauco-
rom tantum dieroio indutiae sunt.... belli anlem
ferias festi re magis dixit quam aperte atque de
finite. n
1. Gellio 1. c. u ... Nella lettera che II condat
tiero Romano Q. Fabio port ai Cartaginesi era
scritto, che i Romani mandavano loro nn caduceo
ed nn atta, simboli uno di pace altra di guer
ra .... Ma dioe Varrone, che non furono mandati
proprio un caduceo e un asta, ma due piccole
tessere in una delle quali era inciso un lsducfo,
auir altra la figura di nn asta.
2. Gellio I. c. tt Varrone nel libro delle Cote
umane che tratta della guerra e della pace, defi
nisce in due modi la tregua. Tregua, egli dice,
int pace di pochi giorni nelP accampamento.
in un altro luogo : tregua, aooo le ferie di guer
ra. St una che I*altra definizione mi pare pi*
di arguta e cara brevit, che piena e precisa. Poi
ch, la tregva non poce; euendoch la guerra
continua, s cessa dal combattere. E vi ha tregue
non nei soli accampanienti, e non di tt>li fiochi
giorni ... cosi il chiamar la tregoa ferie di guer
ra fa pinttosto una piacevolezza che non una pie>
na e rigorosa definizione.
Gellius Noct. All. XVll, 3 : u Adolescens quispiam non indoclut, sparli ... mura in terra Grae-
^cia diu incognitum fuiue dixil multoque post Hum captum tempestatibua ex terra Hispania adve
ctum. Riseranl hoc ad illudendam ex iis qui aderanl unus atque alter, male homines literati, qood
genus Graeci >< appellant, atque eum qui id dixerat librum legisse Homeri aiebant cui
versus hic forte deesset
1 4i Jevpa , k .
1*97
DI . TERENZIO VARRNE U9 6
ToDC ili proriDt iralui, non, inquit io co libro teriuf fcd nobis plaoe ooagifler defuil li ere*
4iti in co TcriQ fperU id lignificare qood nos fparturo diciniiis. Maiorem enim Tcro illi rbam
fabiiciuol, ncque tJcalilerunt niti libcr ab co prolatos esset Marci Varronis vicesimus qoiotu
Humatianim in quo de islo Uomcri tersu a Varrone ita scriptum est.
S. u Ego Sparla apud Homerum noo plus
aptrlum significare poto quam qui di-
cuolur in agro Thebaoo nati. In Graecia sparli
copia modo coepit esse x tiispania. Ncque ca
ipsa facullale usi Liburni sed lii pltrasquc naves
loris auebaot, Graeci maffis cannabo et sluppa
eaeterisque sativis rebus a quibus appel*
labant, i
3. Io credo che in Omero non sigoi*
fichi quello che noi iniendiamo per spartum^ ma
quello che chiamiamo (^iuncn) c abbon
da nclP agro Tebno. Cominci da poco a dif*
fondersi in Grecia lo sparlo importatovi di Spa
gna. Non ne usarono i Liburni, ma questi per lo
pi collegavano i tavolati con striscie di cuoio :
i Greci piultosto con canape, stoppia el altre cose
sative, per cui le dissero .
Lo vriipTov in Omero una conia intrecciata, quindi, secondo Varrone, non sarebbe venuto
alla corda il nome dalla qualit della materia onde era fatta, ma tutto al contrario, arbusto
farebbe stalo cosi detto d)la corda.
Lo era un appellativo di varie piante della famiglia delle graminee di cui si facevano
funi tenacissimi, e credo si usi ancora per la pesca del tonno. Le due specie principali sono lo
spartum scoparium iunceum^ che serviva a svariatissimi usi, e quello detto da Linneo spar
tum Lygeum che veramente prospera e abbonda nella Spagna, e noi chiamiamo egualmenie spar
ita o sparto*
4*Servius ad Verg. Aen., XI, 682. u Varr
ait : sparum, telum missile, a piscibus ducta si
militudine qui spari vocantur, n
4. Servio I. c. u Sparo, dice Varrone, una
specie di arma da lanciare cos chiamala dalla sua
iorma che si auomiglia a quella del pesce sparo, vt
5. Philargjrius ad Verg. Gtorg.^ Ili, 3i 3 u . . . . cilicia quae Celsus ait, retulisse Varro
nem, ideo aie appellari, quod usus eorum in Cilicia ortus sit. >1
6. Servius ad Ftrg, Aen.^ XI, 5oa : u Varro turmam Irigiola sex equites posuit, m
Servias ad Verg. Aen., XII, l a i . u V a n o
Rerum humanarum duo genera agminum dicit :
quadratum quod immixtis eiiam iumeniis incedii,
ot bivia|iostil considere: piLinm alterum, quod
aine ionentia incedit, sed inter se densum est,
quo facilius per iniquiora loca tramittatur. n
7. Servio I. c. u \^arrone nelle Cose umane
dice, esservi due guise di ordinanza; quadrata
una e che nella marcia trae seco anche i giu
menti per poter fare alto dovunque, pilata Tal
tra che marcia senza i giumenti, ma procede conv-
patta per attraversare pi facilmente i luoghi in*
sidiosi. n
8. Plinius H, iV., , 6, 6 : u Aemilianum ... Scipionem Varro auctor est donatum obsidio*
naii in Africa Manilio Consule III cohortibus servatis totidemque ad servandas eas eductis, quod
et statuae eius in foro suo divus Angustus subscripsit, n
Come abbiamo sopra accennalo, crediamo verosimile che in questa ultima ssione si parlasse
anche delle ricompense al valore.
Manilio consulti Tanno 149 a. C.
Il acconto che troviamo in Appiano (Puoic. io3) non pare tanto esatto, dicendo che Scipio
ne Emiliano, allora tribunus militum^ liber ona volta colla sua cavalleria quattro coorti da ona
ollioa dove eraoo stali circondati, e on* altra volta, due tribuni che in un assalto alle mura di
Cartagine erano in grave pericolo (vedi Liv., epil. 49 ^PP* 98). Non si pu determinare per
quale di questi due fatti all' Emiliano siasi decretata la corona, perch nel primo non falla mea-
xiooe della fanteria, pel secondo non si pu credere che potesse essere data una corona obsidio
nalis. Forse ti deve intendere il primo e, come ripeto, ritenere poco precisa la narrazione di Ap
piano Quod-suscripsit Nell'anno 2 d Cristo, Augusto nel nuovo foro che avea edificato non
lungi dal romano, innalz statue ai pi celebri romani aggiungendovi delle brevi inscrizioni (elo
gia) di coi si trovarono qoa e col copie. Una imitazione ne deve essere la seguente che i o
Aurelio Vi l l ore (D viris iUustr, 58) tribunus in Africa sub Manilio imperator eohor^
PsAUMi i m DI M. I b . Vabkove. 8 a
ls odo (leg^i tres) obsidione vallatas consilio et virtuU strvay^it a quibus corona ohsi^
dionali aurea donatus, Cf. Urlichs ad I.
>399 R A W fc N I
M. Terentii arrouit J utiqq. rertm divinarum.
Nell* poche parole che bbUmo prenede come inlroduxione d i opera tirile Amichiti, f.i
-letto qu*le cupo iiiduiie V.rroiie *1 luiig e .lifficile l.roro, e qu*le profitto le ne impromel-
lie; quindi, uiteii.limento ipeciWe e inipir.lo d^l more .li plri il puro che lo leee
doper.rti ilor,.o alle Anliihit Jivine. KgU ter.., che n.erilerl.b quell ecnn.U p. rt
ricerche accurilij.iine, e che racco)>lien<to e comparan.lo le varie nliiie in aulBctenl copia
conservatici nei libri Dt civitat, Dti Ji S. Ag...lioo, .rebbe alato poaiibile di premettere
ai rraiiimenti delle Cole divine uno atudio dal quale apparirle quali fossero i fiatemi teologici,
prima di Varrone, quale losie il propoalo da lui ; in che si vantaggiasse su quello di altri eru
diti romani suoi contenrporanei, quali idee axtsse ue proprie intorno a questo argomento, di
quali fosse ad allrt debitore, e finalmente quanto importino questi libri, per la iuterpretazion
degli acriltori, per ctempiii di Ovidio.
Io aveva gi qualche coaa disposto all oopo ; ma accintomi a colorire il disegno, lo vidi rie-
scire di tale ampieiia e offrire lali difficolt da su|)craie 1 oiie forze^ e dimandare P aiuto di
nessi di cui per r almeno non posso disporre; cerio, mi avrebbe costrelto a rimandare ad
un lerapo pi Uiogo la rootiuuazione di quesli franmriili che ha sema mia colpa proceduto
con parecchia lenUiza. Tultavia, per eoddisiare tu. qualche modo alle piusle esigenze degli slu-
diosi, che, a mio giudizio, dovrebbero scendersi questa dilucidazione preambola, pensai che po
tesse ewere alile per ora dare Iradollo quello th ne dincorse il Preller nella 9ua opera della
Mitologia romana^ dure Ira pareerhie pregevidissime notizie il Iriiore ne trover anche pi
<1 una debole e assai diapulabile, e ehe polri facilmente 4la per s stesso avvertire.
l/autOK comincia dal lamentare ehe sieno assai scarse 1 fonti sicure per conoscere quali
fossero le genuine tradizioni religiose italiche, es>endoch i monumenti furono per la massima
parte distrutti, e la letleralura latina sorge quando era preponderante la coltura greca, tanto
che i pi valenti ancora, come Calone e Varrone si stavano per Io pi contenti a interrogare
gli soritlori e mitografi greci, guide non troppo raramente fallaci. Dopo uua rapidissima scorsa
pri csmpo degli scrittori delle romane antichit, giunto a Varrone, conferma, che egli sia quello
che ha meritato meglio di qualunque altro dei Romani per lo studio e la diligenza nel meltere
in chiaro e ordinare qnanlo riferivasi alle istiluzioni religiose e civili, alla storia, alle coslnman-
te ere. del suo popolo, e venendo all'opera delle Antichit, ne di prima un idea generale, la
quale nell assieme conviensi con quanto abbiamo noi pure premesso ai frammenti di questo la
voro, indi continua :
u Varrone non voleva soltanto in quest opera mostrarsi un erudito, ma anche un maestro,
lo, non voleva essere solamente ricercatore delle antichit, ma anche teologo e filosofo. E per
questo egli si ado(>r a fare una esposizione delle verit religiose degenerste ormai in barbara
superstizione, che fosse insieme pi ragionevole e pi conveniente alla progredita civilt del so
tempo, e per lai modo rimetterle nell antico favore. Questo intendimento supremo lo costrinse
ad adottare un sistema d'interpretazione, il quale caratteristico per lui e per il suo tempo, ma
che no'i ha giovalo alla sua causa e non era corrispondeote all uopo, ed ha certo profittato meno
della inesauribile copia di notizie importautisMme cosi pfr rispetto delle antichit, coro# per il na
zionale, che, se non altri, i dotti vi attinsero. Il principio su cui appoggiava il aistema esegetico
di Varrone era quello di distinguere, come aveva fatto il celebre ponlefice e giarisU Q. Muzio
Scevola (quello stesso che in un tumulto al tempo di Mnro mise a rischio la vita per salvsre
\ fimularro di Vesta) una triplice religione, una mitologicas la quale si conviene specialnente
ai poeti e al teatro, e che diffondeva idee sulla divinit bene spesso indegne e ripugnanti al buon
senso, una^ naturale^ che quella dei filosofi e si fonda sopra una esatta cognizione della naturi
e delle oiigini e destini del mondo, ona terza, la ciVi/t, la quale deve servire in generale
norma della vita civile, e in particolare ai ministri del cullo ed al cullo; era insomoU, per ser-
TATs d una frase moderna, la religione positiva dello Sialo romano, iu quanto riposava sopra
iitiluiioni e costumanze avite. Questa terza religione u 1 ivile n bench gli sembras. uecess.
ria per gli nsi della vita dei cittadini, pure non erA per Ini la espreiiouc della verit : vera inve
egli crcdcv quella clic orgsie dal meiroI%rc U religione lei poeli quella li ftlosofi, e che
quetl' ultima iolamcote segnase 1 via al con seguimento del Tero. Con qneato noi Togliamo dire
che ideale religioso di Varrone era un nionoteiimo nel lenao della scuola stoioa e un culto
tenia immagini, quale avea avuto Roma nei primi 170 auni delia ma esiitenia. Di qua la sna
dottrina, che le idee religiose e il cullo divino della religione positiva debbano essere considersti
come un prodotto dello stato romano e della sua storia, e che quindi riputasse ben fatto, trat
tar delle cose disine nella seconda parte delle sue Antichil; di qua ancora la sentenia espressa
snta alcuna reslritione e senta aleuti velo, che ingannare, trattandosi di religione positiva, sia
oca solo necessario, n a anii iiUle. quale opinione per quanto si trovi acerba, era opinione
comune al maggior numero degli statisti romani, e per fno, come d mostra esempio di Sce^
vola, era difesa da quelli che occupavano il luogo pi alto, come ministri del culto. Tale prin
cipio ci d la spiegaiione del modo d" interpretare le storie mitologiche aeguite da Varrone. Era,
come in Ennio, un modo misto di principii filosofici ed euepieristici, o, eome diremmo noi
deuo, razionalistici, che Varrone, sebbene per il resto eclettico, segui uelle interpretazioni rcli
giose, inclinando al panteismo storico, che veramente meglio che ogni altra dottrina corrispon
deva alia fede dei Greci e dei Romani. E per questo serv di norma esegetica anche ai teologi
pi coscienziosi del tempo appresso. Cos, per esempio, Varrone giudica le divioit, specialmente
Giove, anima del mondo, e gli altri dei come le particolari forze e roanifestazioni di questo
Giove che anima c penetra tulto universo, e che Varrone proclama il roa^imo e Punico vero
dio. Dopo Giove, consente di dare il secondo luogo, tutto al pi, alla madre terra, spedaUnente
considerata con materia, e sotto il riguardo della fecondaiione. Questa opinione, come si vede,
era conforme ai principii della filosofia stoica, che usava mettere a capo della sua fsica il dua
lismo d un priucipio scmplicemente fecondatore, e altro semplicemente accendo ad essere fe
condalo. Non bisogna tacere tuttavia, che considerando da un altro punto la cosa, e mettendola
in accordo con alcuni altri principii della scuola stoica, Varrone cercava di sollevare il suo Giove
anche al disopra dell'accennato dualismo, e quindi lo aveva chiamato tanto progenitor che geni
irix, A chiunque apparisce che lo spiegare a questo modo Giove e con Giove le altre diviniti
greche e romane era un arbitrio bello e buono, e pel quale egli usava del metodo etimologico
ben capriccioso che noi conosciamo dai tuoi libri De lingua laiima.
La cosa va delta aecbe per la inlerpretaiione del periodo roiiko del popolo romano, che forma
argomento dell'opera De gente pop, e che egli avea eosi fuso colla storia mitica dei
Greci, quale si osava narrare dal tempo di Etoro in fjoi, che la storia di Creda, del Lazio e di
Roma, dovessero apparire una non interrotta coDlinuazione. Andie in questo riguardo Varrone
non ai era levalo sopra i pregiudtzii del suo tempo. 1 due primi libri al dell una che dell* altr
parte contenevano una rapida acorta al tmpo preistorico di Grecia fino alla guerra trojana, eoit
cui si collegavano le storie dei tempi remotissimi d'Italia, del Lazio e di Roma ecc., quindi la
fuga di Diomedr, d Enea e va dicendo, spargendovi da per tutto esortazioni morali e spiega
zioni prammatiche, non di rado scipite. Giudicai necessario scendere a questi particolari, u per
ch servirono di norma a quelli che scrissero dappoi della fede e del cullo romano antichissimo^
e bisogna aggiungere pur anco, che le sue tradizioni, si mantengoio o sempre o quasi, pure da
prammatisMio, come si pu vedere anche nei libri De l, /., dove separa accuratamente quello che
ci ha di fatto da quello che sua opinione particolare. Dei libri delle Antichit divine sono
pi ohe gli altri iipportanti per nei il quinto e il Jeslo, dove a' incontrano molti nomi di anti
chi saatuarii, di antiche feste e di altro che ha relazione colla religione romana, j *
Abbiamo anfecedeotemente notato die i libri ddle Cose divine erano intitolati a Cesare.
Ci retta solo da aggiungere a conferma del tempo ohe assegnammo alla pubblicazione, avvertire,
che Varrone slesao in qualche modo lo fa ^ronoscer, dieen4o, aver mudato la sna opera a Cesare
do|^ ohe questo ave gii compite la sue grandi gaerre aei nisi Caesar tidsief, neque te habifa-
rmm fuisie <iod |ier otium criberet, ncque Caesare* <}od acripiam sibique inserfpfum fege-
reL E f er ferit, sebbene Cesare iosse pontefice inasmo fto dal 694 area eiHne di ben altrtt
genere in cui occuprsi ; oltre di th non pare che prima M 707, e inoltralo, i d<e grndi
uomini ai ricoodliaiicr. fe notevole ancora che duo ?i ti trovi falla epeciele menzione, tra gH
alUi gsooohi iti qudll dclPaoitcatro iotrodelli per 1%prima voli da Cctire; potrebbe ets<rtf
tnltti una delle tasite menorie perdole^ -o che, pereh , oon dettero larga materir.
Resi .poi certo il fallo che qucsii libri {iroce^etlero gli ^Iri De l. 4. (Cf. VI, i l e 1) e diiltt
mt .le qqeslioni aoademiehc di Cioerone.
;3oi DI . TEEENZIO ViRRONh i3o2
FoS F R A M M E N T A
Liber I.
Quello libro trt ona intimatione o proemio ai quindici e, secondo S. Agostino
(De ci?. Dei, Tl S) De omnibus hquebatur^ t doveva risalire dai falli alle cause, se er eoo
siderato di tenore filosofico.
1. Acron. ad Hor. epp. I, io, 49 (ed. Basii,
del i 55S, p. /(i4) ^ Vicunam. Sed Varr in pri
mo Ber. dif. Victoriam ait el ea maxime hi gau
deo! qui sapientia vincunt. <
i.Acroii. I. e. u Vacuna. Ma. Varrooe nel l
delle Cose div. la chiama Vittoria ; e quelli mas
siioamente andarne lieti che vincono per inge
gno. y*
Con questo luogo va raffrontato Tallro del comm. Cmq, pag. 547 mScd
Varr primo rer. dtv. Minervam dicii, quod ea maiime hi gaudent qui sapientiae vacant, Far
mi che i due passi si debbano completare ^ altro, non correggere a vicenda, e non cre
derci buona la proposta del Preller {Rom. mfih.^ pag. 36o ) ... h Victoriam ait, et ea maxime hi
gaudent qui sapientiae vacant, mentre si sa che Vacuna era scambiala quando per la dea Vitto
ria, quando per la dra Minerva: onde i due passi possono restare ditliiiii. Nella edixiune degli
Scolli Orai, di Uavt hal legge.if dopo ait: Quod ea maxime hi gaudent ifui sapientiae vacent^
lexione presa dai migliori codici e conforme a quella del comm. Cruq.
Che la dea detta dai Sabini ^acna fpsse dai Romani scambiata per la dea Vietori^ noti
c dubbio, basta tra gli altri il fallo, che, riedifirato da Vespasiano il fanum putre Vacunae
lo chiam dilla \^ittoria, e ne esiste ancora il titolo dedicatorio (nell'Orelli, n. 86).
Che potesse ensere scambi ala per Minerva era facil9Smo a Spiegarsi per Vafrone, che deri
vava il nome di Vaccuna da vacare quasi fosse vacationis atque olii Tutela,
Certo pure che nel territorio di tteale Vacuna e Victoria erano una cosa sola, perch U lago
di Cutilia colla sua ceirbre isola natante, era consacrato alla Victoria, ossia a Vacuna.
Laonde non so se si possa accordarsi al Preller che Vacuna si spiegati con vacuare nel lenfo
di scaricare Tacqna sovrabbondante.
9. Augnsl. De civ. D., VJ, 4. m Varronis haec
ratio est : sicnt prior est, inquit pictor quam tar
buia picta, prior faber quam aeditcium, ita prio
res sunt civitates quare ea quae a ci%itatibus sunt
instituta. ^ Nam, ut ipse dicit, ti omnis*esset
natura deorum de qua scriberet, scribendi ordi
ne^ rebus humanis praeponenda esset, n
2. II motivo che ne reca Varrone questo:
euroe prima ii pittore e poi la pittura, prima
rariefice dell eilifzin, cosi prima sono le citt,
poi le istituzioni civli. Poich, come egli dice
se non avessi a scrivere che della natura degli
Dei, i libri delle Cose divine avrebbero dovalo
precidere quelli delle Cose umane, rt
Di questo passo, nel quale Varrone spiega perch abbia dato il secondo Inogo ai libri delle
Cose divine, ho detto nella prefazione. Si vede che Varaoue qui parla della religione civile, ossia
del cullo tradizionale, non di quel sentimento che impresso nell* animo umano di onore verso
la divinit. Con questo luogo di Varrone cf. anche Cic. De rep.^ 1, 3. La religione dei filosofia
che investigava la natura degli dei, non riscontrava sempre colla religione popolare, sancita dai
legislatori e fundalori delle citt.
3. Aug. de civ. Dei, VI, 3. u In divinis iden
tidem rebus eadera ab ilio divisionis forma ser
vata est, quanlnm allinei ad ea quae diis exhi
benda sunt. Exhibentur euim ab hoiuinibus, in
locis et temporibus sacra. Haec quattuor, quae
dixi, libris complexus est ternis : uam Ires prio
res de hominibus scripsit, sequentes de locisy
I t r l i oi de tfmporibuSt quarto de sacris^ etigm
hic qui exhibeant, ubi exhibeant, quando exhi
beant, quod exhibeant, subtiliseima* distinctione
commeudana. Sed quia oportebat dicere et ma*
urne id expectabatar quibus exhibeant, de ipsis
qwqitdiif Ire conscripsit extrcmoi, ui quin
quies terni quindecim fierent. Sunt autem omnes.
3. S. Agost. I. c. li Nelle Cose divine ba dl pari
segulla la stessa divisione, iu quanto si nterisco
al culto da rendere agli dei : poich si fanno da
gli uomini sacrifizii in luoghi e tempi a d. Ognu
na d queste cose , come ssi, comrpresa in tre
libri. Infetto scrsse i tre primi degli uomini^ i
secondi tre dei luoghi^ quindi i tre dei tempii
appresso i tre dei satrifixii: qui pure iottilmeoi
determinando : chi offre, dove offre, qnando of
fre, che cosa offre. Ma perch, bisogoaf dir, e
importava aopra tutto, a chi si offre, scrtaM^dopo
di questi Ire altri Ubri degli dei^ tlifcntarotto
quindici. Sono poi in tutto, sedici, perch li fc**
ce precedere da un libro speciale coibc introde*
i3oS DI . TKRtNZJ O VARROML
i3o6
ul Jiximuf, icJcciro^ qui el istoroni exordio
UDUiD sngnUrcm qoi |)riuj dt omnibus lutiue-
rctur^ appoiail ; <|uo absoluto consequenter cz
illa quiiiqoepartiU Jitlribulione Irei |reccden-
Ics, qui ail homines pertinent, ila ub*iivisit, at
primus sit de pontijtcibus^ sfcun Jus de auguri-
lertios de quindecemvtris sacrorum :9e
eundos tres ad loca perlinentia ita, ut in uno
eorum de sactllis^ allero de sacris aedibus^ di-
cerei, lertio de locis religiosis. Tres porro qui
illos sequentur, ad tempora pertinent, id est ad
dies festos, ila, ul unum laceret de feriis^ allerum
de ludis circensibus^ de scenicis terlium. Quar
torum tiium ad sacra perlinentia nni dedii con
secraliones, alteri sacra prifata, ultimo publica.
Hanc f elut pompam obsequiorum (T) in tribus,
qoi reytant) dii ipsi sequuntur extremi, quibus
iste nnifersus culins impensus esi, iti primo
cerii^ in secundo incerti^ in lertio cunctis no
vissimo dii praecipui at que selecti, n
liooe, doTe si parlava di (utio complessifamenta.
Finito questo, secondo Ia disiribuzionc sccenData
in cinque parli, suddifiie i tre libri segnentt de<
pii uomini, cos che il primo Irai lasse dei ponte*
firi, il secondo degli auguri, il lerzo del collegio
dei quindecemviri. Parimenl dei Ire che erano
dei luoghi, il primo si occupava delle cappelle, il
secondo dei tempii, il lerio dei luoghi religiosi.
Nei tre che veopono appresso dei tempi, cio dei
giorni festivi, il primo si aggirava intorno all
ierie, il secondo ai giuochi del circo, il terto agli
spettacoli della aceiia. Quindi nri tre che dedic
ai sacrifiiii, il primo dato alle consecrationi, il
secondo ai sacrifiiii privati, il terso ai pubblici.
Chiudono questa, per dirla feslivamenle, proces
sione gli dei ad onore dei quali questo culto,
e dei tre libri che restano uno parla degli dei-
certi, uno degli incerti, il terr che corapt U
serio, degli dei stetti e principali, n
Questo il celebre luogo d^ S. Agostin, che della pi grande importanza cd autorit per
la intelligenza e distribuzione dei frammenti delle cose divine. NulU impedisce* di credere che
le parole sieno di Varrone,
4. S. Aiigusl. de civ. Dei, V), 5. a Tria gene
ra tbrologiftc dict {Farro) esse, id est rationis,
qnae de diis explicatur, eorumque unum /avOixv
ppellari, allerum , tertium civile :
Deinde ait, appellant, quo maxime utun
tur potflae, f v9ixv, quo philosophi, civile quo
populi.
Primum, inqut, qood dixi, in eo sunt multa
contra dignilaltm ri naturam immortalium cta.
In hoc cuim est, ut dcns alius ex capite, alius ex
iemore sit, alius ex gutiis sanguinis natus : in hoc
ut dii furali sint, ut adulteraverint, ul servierint
homini : dcfiique in hoc omnia diis adtribuuntur,
qaae non modo in hominem, sed ctiam quae in
conlemptissimum hominem cadere possunt.
Secundum genus est, inquii, quod demon
stravi, de quo multos lihros philosophi relique
rant, in qui has est, dii qui sini, ubi, quod genus,
quale, ex qnonaro tempore au a sempiterno fue
rint, ex igne sint, ut credit Heraclitus, an ex
nomeris, ai Pjlhagoras, ex alomis, ut Epicurus.
Sic alia, qnae facilius intia parietes io scbola,
qaam extra in foro fcrre potsont aures.
Tertroni genua est qood in urbibus cives,
ma&ime saccrdolea nofse Ique administrare de-
beoU In qoo est qoos deoa poblice colere quae
sacra et sacri6cia facere qoeroque par sit r
4. S. Agost. I. c. u Tarrone dice esservi tre
generi di teologia, ossia della dottrina che si oc
cupa degli dei: e di quelli, uno chiamarsi mitico^
fisico il secondo, e il terzo civile. Quindi
soggiunge : detto mitico qti'|lo che serve pi
particolarmente al \>ot\yfisico quello che ai filo
sofi, civile quello che al popolo.
Nel primo dei sopraddetti generi, si sono spac
ciate non poche cose che contrastano colla dignit
e natura di dei immortali. Trovi di fatto che un
dio nato dal capo, un altro dal femore, un al
tro da stille di sangue ; ti narra di dei th fecero
furti, adulterii, che sono stati soggetti ad uomi
ni : in ana parola, attribuito agli dei non solo
lutto quello che pu fare un uomo, ma il pi
vile degli nomini.
Il secondo genere , come avvertii, il fisico; e
intorno questo i filosofi hanno lasciato libri iu
gran numero, dove detto, quali sieno gli dei e
dove, e di che natura, ed origine ; se furono oel
tempo o avanti ogni tempo; se dal fuoco, co
me vuole Eipclilo, dai numeri, come dice Pita
gora ; dagli atomi come insegnamento di Epi
curo. E altre cose ancora che si disposto ad adi
re piatlosto tra le pareli di una scuola, che fuori
alla luce della piazxa.
Il terzo genere quello che deve essere nelle
citli conoseiuto e seguito dai cittadini, tn ispecie,
dai sacerdoti. Ti addita, quali sieno gli dei a cui
conviene prestare publico culto, e quali sacrifizii
cd ooori sia debito, di ognooo loro tribulare, y*
5ey V R A M M h N 1 I iSo8
Con qnesi o luofo bisogna conirontere al i ro die in S. Agostino IV^ % : u RHaHiu est
itt lilleris doctissimum potitiftcera Scseyolain difpulssse tris genere iratlila leorum, unum a poe
tis, alterum a |ihtlofo|*hif, lertium a principibus rT iatis. Qaexto passo, a mio <^clre, leri-
valo da Varroiie. Ancl^e sul conto in cui tenere i tre rari i generi di teologa, aufla?no ili accordo
Sce?ola e Varrone; perch Scevola chiamava 11 genere dei puffi gtnus nugatorium quod n/ulia
de diti finguntur indigna^ quel dd filosofi non era da lui riputato sofBciente ai bis<tgni ddla
ila, ifuod hahtat aliqua suptrvacua aliqua, etiam quae alsit populis nasse^ p. e. non etst
deos BtrcuUm^ Aesculapium^ Castorem^ Pollucem.
Di questa triplice ripartEooe si occupa auche Kusebio sol principio dei libro IV Pre-
ptraiioae evangelica.
Pel primo genere st potri consultare oon otilit anrhe Minucio Flire (OctaT., a*) Cicero-
o iavece nel 1 De nat. deor.^ c. i6, 4^ * Velleio, che rooho danno %ennc dai de*
liraroenti dei filosofi, che non dalle in?eniioni dei poeti, sebbene aoch'esso ai dolga delle aUit
che propalarono lesero po|olari c>lla suavitA dei carmi. Contro poeti come sparciatori di fal
sili a riguardo degli dei v. PUtone, De rep.^ Tus c uL, I, 5 , i 6 , 11^ i i ; 111^
; IV, 3i ; De rep.^ IV, io.
Pel secondo genere dei filosofi notizie copiosMime 4roverai in Cicerone nel 111 De noi.
deorum,
11 terso genere que.jo a cui Varrone dedicher le sue cure nei libri delle Cose dTu.
5. S. Aogust. de cir. Dei, VIL, 6 e 9. a i)tcil
ergo idem Varr adhuc de naturali theologia
praeloqnens dem se arbitrari esseanimuni mun
li quem Graeci vocant ^^, et hunc ipsum
mundum esse denm. Sed sicuti hominem sapien
tem cum sit ex corpore et animo, tamen ab ani-
rao dici sapientem, ita n)undum deum dici ab
animo, aura sit ex animo et corpore. Dein
adiongit Varro: miindum dividi in duas paries
caelum et terram, et ratium bifariam in aethera
e( ara, terram vero in aquam et humum. qui
bus summum esse aethera, serundum trra, ter
tiam aquam, infimam terram. Quas omnes quat>
luor paries animarum esse plenas in aethere ct
are immurlalium in aqna et terra mortalium ; a
summo autem circuitu caeli usque ad cinnlom
lunae aelhereas animas esse asira ar sielUs eosquc
caelestes deos non modo intelligi esse, sed etiam
videri : inirr lunae ^ero |;jium et nimborum ac
venioram rammina arees esse anliM*!i, se<l ea
animo non oculis videri et vocari heroas et lares
el genios. ^
5. S. Agost. I. c. u Pariando in sui pripcipio
delia teologia naturale, Varrone dice, che giudi
cava essere Dio anima del mondo, cui i Greci
chiamano /, e Dio essere il mondo stesso. Ma
come un uomo sapiente^ sebbene sia composto di
anima e di corpo, detto sapiente dir anima,
cosi parimente il mon*lo detto dio daiP anima,
quantunque sia di anima e corpo formato. Sog
giunge quindi Varronc : il mondo si divide in
due parli : gielo e terra, e si suddivide, il cielo
in eiere ed aria ; la terra in a<*qua e nell' asciutto.
Di queste quattro, etere occupa la parte supe
riore, sullo Il quello aria, quindi acqua, e a
tulle sottoposta la terra. Tulle sono piene di ani
me : nelP etere envITaria, degli dei immortali,
neir acqua e nella terra dei merlati. Dalla pi
alfa vetta del cielo fino all'orbila della luna, sono
anime eteree gli astri e le strile, e come di ce-
lesli sono onn solamenle cre<luti, ma ancor si ve-
di'iio. Fra la luna e la regione dei venti stanno
anime aeree, che non sono vedute dagli occhi,
ma riconosciute dalP animo, e si chiamano eroi,
lari, genii. ^
Questo frammento richiederebbe un lungo discorso, cunir (uiidamento che apparisce del siste-
nit teolof^co di Varrone, confermato anche dalle sue dottrine nei libri De /. /., V, 57 e segg.
In on altro lungo pi breTementif ma non meno chiaramente (Ag., Vii, 5), Varr fatetur
anbnam mundi e partes eiut esse veros deos.
Dn confronto assai agevole con parecchi luoghi di Cicerone nel suo trattato De natura deo
rum ci iiersuade fibe Varrooe in questo riguardo la Sentiva cogli stoici. Per non arrecarne che
nna prova vedasi al libro I, c. 14.* Di Cleante il successore di Zenone nella scuola, quindi nn'au-
torllA |>e^Ti wtowci dice th : Ipsum mundum deum ... esse ... tum altissimum atque undique
ircumfitsum et extremum omnia cingentem atque complexum ardorem qui aether nomi
Hetur certissimum deum iudicat... divinitatem omnia t/^ibuit asiris. L Crisippo ... ipsumque
mundam deum dicii ette et eiut tifimi futimnem universum praeterea eum qtiem attk
dtxi aethera r tmm en (ptae natura fluerent atque mnnarent^ ut et aquam et terram et nira.
i 3o 9
DI . TEWtNZIO VARRONR
fSio
fewi, |K)i come V*rroiii, considerando c aequa e * ere. come le w i e forte dll nalura,
dio oprerao, credevano di puirr tottcnre Tunili^di Dio, e dicetano di chiamcre Dei qi i ^
forke per accomodarsi 1 linguag)(o po|>QUre. L' accordo Ira Varrone e aloici perfetto ; a
iiifatii alcuni filosofi, come dice Cirrrooe magni atqut nobiles (Socrate, Platone e Zenone) rco-
noaccvauo (er veramente Dio quella roeute che governa lutto l'universo, tale era anche opi
nione drl nostro teologo (Cf. S. A|^ost., IV i i ) : Hi soli mihi vidniur animadvertisst quid
tsset dtus qui crediderunt rum esse animam^ motu ac ratione mundum guhernntem. La
differenta fra loro e i Platonici era grande, perch Piatone nel l'imeo ingegnava che anima del
mondo ra creata, e il mondo ne dovei essere come il corp<Y.
In altro luogo ci sar data occasione <li mettere in rdazione, secondo il aisleo^a fanronia-
no, queste forie della natura diriiiiizata coi nomi osnali di Giove, Giunone ecc
Per vedere il raffronto tra la teoria varrouiana delP animtiione dell'aria, delP etere ecc. po
trai opportunamente consultare De nat. dtor,^ 11, i 5, dal quale appari:e che anche in ci Var
rone era di accordo cogli stoici.
6. Servius ad Aen. VI, 70S. In quo tractat de Platonis dogmate quod in Phatdona
pQsitum est ^ de qua re etiam Varr in primo divinarum pienissime tractavit.
9, Au(;. de c t . D., IV, 3i. u Varr in rebue
dlvinia ludoa scenicos, quamvis non iudicio pro
prio, posoit ... confitetur tamen non se illa iudi
cio suo aequi qnae eivitatem romanam instituise
commemorat, ut si eam ctTtatem no?arn ct)nsli
fueret, ex naturae potias formula, deos nomina-
que eornm "se luiise dedicaturum non dabitel
coufitri. Sed iam quoniam in vetere popolo es
et, acceptam ab antiquis nontinuni et cognomi-
nani historiam tenere, ut Iradiu est, debert se-
divit, et ad enm fiuem illa scribere et perscrutari
ut potius eoi magia colere quam despicere Tulgas
velit. y>
7. S.^Agoet. 1. c. 44Varrone, bench non ne
tosse in suo cuore persuaso, tra le cose d vinci
annovera anche gli spettacoli della scena ... con*
fessa tuttavia, che egli non approva quelle cose
che ricorda essere stale istituite da Roma, tanto
da non temer d* affermare : che se avesse a fon
dar di nuovo la citt, egli avrebbe dalla natura
tratti gli dei ed i loro nomi. Ma aggiunge che
vivendo tra un popolo gi vecchio, gli era debito
attenersi alla storia tradtxiooale dei nomi co
gnomi degli dei quale fa accettata dagli antichi,
e scrivefa e faceva ricerche so questo argomen
to, perch il volgo si determinasse a onorarli in
vece di dispregiarli. ^
iiatUrae formula^ deve significare : la ragione fisica, o, come dicevano, la teologia naturale,
di cui aveva dato un saggio nel XVI libro delle cose diviue
8, S. Agost. I. c. u Varrone coll* inierpretaxio
ne fisica, spiega come gli antichi immaginaro
no simulacri, simboli, ornamenti degli dei. Alla
vista di questi, coloro che erano penetrali al
fondo della dottrina, potesno rsppresentarsi alla
mente anima e la parte del mondo, cio i veri
dei. Quelli che li rappresentarono sotto forme
umane, vi furono indotti forse dall* osservsre che
animo delP uomo che nel corpo umano si-
migliantissimo a quello degli immortali ; e non
allrim^nli che se si ordinassero dei vasi per in
dicare gli dei, e nel tempio di Bacco si mettesse
una coppa da vino, questo vase rappresenterebbe
quello che vi deve essere contenuto, cosi un simu
lacro di forma umana simboleggia anima razio
nale, la quale, essendo di quella natura istessa di
cui o dio o gli dei che si voglian dire, conte
nuta in questo, per cosi dirlo, vaso, n
Alcuni, come il Franken e il Popma vorrebbero riportare questo laogo al libro XVI, 0
p^rroi che meglio convenga al primo, in cui Varroee esponeva in generale le lue idee suHa di
vinit sul colto da renderle.
8. Aug#de civ. Dei, VII, 5. 44lnter|)rctationes
phjsicas sic Varr commendai ut dirai, antiquo
simulacra deorum et insignia ornatosque finxis
se ) quae cm oculis animadvertissent, hi qui
addidissent doctrinae mysteria, possent animam
mundi ac partes eies, td est, deos veros^ aoinK
videre, quorum qui simulacra S(ecie hominis
fecerunt hoc videri secutos, quod mortalium ani
mus, qui est in corpore humano simillimae est
immortalis auini, lanquam si vaaa ponerentur
causa notandorum deorum et io Liberi aede oe
nophorum sisteretnr quod significaret vinum per
id quod continet id quod continetur, ita per si-
ninlacrum quod forniam haberet humanam si
gnificari animam rationalem quod eo velut vase
natura ista soleat contineri, cuius naturae deum
rolupt esse vel deos, n
i 5i i F R A M M E N T I i6 is
Varronc ra contrario al cuUo delle immafini (cf. Aaguat.^ IV^ 3i), ma, come bo dt(o,
efli ToleTa puittclUre la religione civile Spopolare ; e coooicenilo, come difatto, il culi
delle imaurgim eaiere ncccsfario roantenecc vita la fede religiosa, cosi Varrone cerca di giaati-
6are gli antichi di averle adotlate.
9. Augutt. de c t . Dei, IV, 9. u SimuUcmm
i Beri ipti (fc. Jovi) et laro Varroni ita displicet,
ut cum lanlae civitatis perteraa consuelodine
premcrrtur, nequaquam (Anen dicere r\ scribe
re dubitaret, qood hi qui populis instituerunt si
roulacr, et nietum dempserunt et errorero addi
derunt.
9. S. Agost. 1. c. tt Anche Varrone dispiace
tanto che si facciano simalacri, sia pire allo stcs>
so Giove, che, qiianloDque doresse imporgli la
pestima consuetudine di cos granale citti^, tal*
lavi* non ai perit di scrivere e di dire, che quelli
i quali diedero ai popoli le immagini dei oumi, U
spogliarono del timore e ti aggiunsero l ' errore, m
Non imlicalo che quello frammento appartenga a questi libri n a quale dei libri}
altri luoghi ancora parlato del cullo delle immagini srcondo Varrone, ma di numi fiarlicolari ;
questi rimander^no agli ultimi tre libri: abbiamo qui fatto posto ad uno cbe ne discorre?a pi
in generale.
10. Arno!)., VII^ i. u Varronis vestri srnten-
liam ....quia, inquii, ilii veri neque desiderant
ea nrque deposcunt : ex aere autem facto testa,
g^pio. Tei marmore multo minus haec curant :
carent enim sensu, ncque ulla contrahitur si ea
non feceris, culpa, ncque ulla, si ieceris, gratia, n
11. Aupust. de civ. Dei, VI, 6. u Ait (Varro)
ea quae scribunt poetae minus esse quam ut po
puli sequi debeant, quae autem philosophi plus
quam ut ea vulgura scrutari expediat. Quae aie
abhorrent, inquit, ut tamen ex utroque genere
ad civiles rationes assumpta sint non pauce. Qua
re quaesunt rommunia cum poetis una cum ci
vilibus scribemus. ^
la. S. Aog. de civ. D-, IV, a. u Cum Varro
deos ita coluerit colendosque censuerit, ut in eo
ipso opere litterarum (T) auarum dicat, se timere,
ne pereant, non incursu hostili, sed civium ne-
gligelitia, de qua illos velut ruina liberari a se
dicit, et in memoria bonorum per huiusmodi li
bros recondi aique servari utiliore cura, quam
Metellus de incendio sacra Vestalia ei Aeneas de
Trojano excidio Peuates liberasse praedicatur.
IO. Aroob. I. c. u Ecco il pensiero del vostro
Varrone ... perch gli dei veri ne desiderano n
domandano simulacri: quelli poi cbe sono o di
bromo o di creta, o di gesso, o di marmo mollo
meno e ne curano, mancando di lentimenio, c
in nulla pecchi non facendoli, nulla, facendoli,
meriti. *
U. S. Agost. I. c. u Dice Varrone che quanto
srrivono i poeti meno di quello che deve fare U
popolo ; quanto scrivono i filosofi pi A di quello ^
cbe convenga al volgo investigare. Queste cose
tuttavia non sono cosi contrarie che non si abbia
e dall'una e dall'altra potato derivare molte co
se per la religione civile. Quindi tratteremo in
sieme con quel clic riguarda il culto civile le cose
che sono anche dai poeti accordale, n
la. S. Agosti I. c. Varrone onor tanfo, e
tanto giudicava doversi onorare gli dei che io
quest'opera alessa delle cose divine confessa
di temere, che il culto perisca, non per incat'
sioni nemiche, ma per la trascuratezza dei citta*
dini, e che da questa, come, mina, erano gli dei
da lui scampati, c con questi libri, affidali e asti
curati nella memoria dei buoni, con maggior
vantaggio che non Metello quando salvo dall' in
cendio l'immagine di Vesta od tinea'che, co
me attesta la fama, salv dall'eccidio di Troj ai
PenaU.
Questo luogo omesso dal Merkel, ma mi pare quasi sicuro che debba riferirsi al libro
d'introdutlone, come quello che esprime Io scopo princi|iale a cui tendeva Varrone colla sua
fatica.
Il Metellus qui ricordalo C. Cecitio Metello pont. mass., il quale si illustr non tanto per
I tua belle imprese militari contro i Cartaginesi, quanto per la fama di pieti che si acquist
gillaiidoii Irt le fiamme per salvare l'immagine di Vesta.
Col nostro luogo si collega quest' altro :
|S. Angnit. de civ. Dei, IV, aa. u .... Pro in-
ffcoU beneficio Varr iactat praestare se civibus
i3. S. Agost. I. c. u Varrone ai vanta di far
ai suoi cittadiui un immenso beneficio, coU'espor-
. c
. TERLNZIO VARRONE
i 3H
suii qaia noo iolum commemorat deoi quof
coli oporictt a Roroaois Ttrum eliam dicit quid
ad quemque pertineat. Quomodo oibil prodeit,
inqoit, homioei alicuius medici nomen formam-
que notse, et qoid sit medicoj ignorarci ; ita nihil
prodest scire deum esse Aesculapium ai nescias
euro valitodini opitulari atqoe ita ignores cur ei
debeaa supplicari. Hoc etiam affirmat Varro alia
aimilitadine, diceiis, non modo bene vivere, sed
virere omnino neminem posse si ignoret, quis-
oam sit faber, quis pistor, quis tector quo
quid utensile petere possit, quem adiutorem assu
mere, qoem ducem, qnem doctorem, eo modo
nolli dubium est, ita eise utilem cognitiooero deo
rum, si sciatur, quam quisque deus viro et UcuU
latem ac potestatem cuiusque rei babeat. x eo
enim poterimus Kire, quem cuiusque causa deum
advocare atque invocare dtbeamus, nefaciamus,
ut mimi solent, et opiemus a Libero aquam a
Lymphis viuum. m
14. Non., pag. i i 5 M. v. Grandire, u Varro
Rernm divinarum lib. 1: quum aut humus seroina
concipere non possit, aut recepta non reddat aut
edita grandire nequeat. ^
re non soltanto a quali dei convenga rendere cul
to, ma anche quale cullo spetti a ciascheduno.
Poich come a nulla gioverebbe, egli dice, che
gli uomini conoscessero un medico di nome e di
persona, e non sapessero poi cbe cosa fosse un
medico, cosi a nulla approda sapere che Esculapio
dio, te ignori che esso ha cara della salute,
quindi, perch gli devi innalzare preghiere. La
siesta cosa conferm con un altro esempio, dicen
do, non cfie viver bene, non poter vivere con
che non sapesse chi tosse il fabbro, chi il foruajo,
chi imbianchino, e t chi rivolgersi per avere
questo o quello utensile, chi prendersi in aiuto,
chi a guida, chi a maestro *, cosi nessuno vhe non
vegga essere utile la cognizione degli dei quando
si sappia quale dio e di che cosa ciascuu abbia
fona e potere e aotorit. Per cui si verr co
noscere qual dei numi, secondo le varie oppor
tunit convenga invocare e adorare, per non far
chiamar in soccorso a modo dei mimi, e implo
rare da Bacco l'acqua dalle Linfe il vino, n
14. Nonio I. c. u Varrone nel 1 delle Cose di
vine : quando la terra non pu accogliere i seroi,
n rendere gli accolti, n i nati far graiidrg-
giare.
11 Quicherat seguendo il cod. Leidense e dopo P Aldina aKrive il frarom. al libro il. 1
luogo di semina concipere i codd. seminari incipere^ che il Popma corresse in semina re
cipere.
i 5. Non., p. 186 M. (i Pu[e]ritia id est puri
tas. Varro Rerum divin. libr. 1: quae pu[f]rilia
est in frequens pollula. n
i 5. Nonio I. c. u Varrone nel 1 delle Cose di'
vine : la quale purezza di frequente contami
nata.
Il Quicherat con altri corregge il pueritia di Nonio in puritia^ rigetta id est^ che manca
anche nei codd. Mi parve meglio separare in frequens^ a confessione dello stesso Quicherat
lezione anche dei codd., e che trova riscontri io forme eguali: in praesens etc.
16, 17. Non., pag. 197, M. u Castitas et casti
monia generis ieroinini : mascnlini [castus] : Var
ro Rerum divin. lib. I : nostro ritu suiit facienda
qoam bis civilibus graeco cast[it]u : Idem. Et
religiones et castus id possunt, ut ex periculo
eripiant nostro.
16, 17. Nonioi I. c. u Castitas e castirooaia so
no di genere teminile, castus maichilc : Varrone
nel I delle Cose divine : codesti (sacrifizii ?) con
viene fare col nostro rito anzich coi riti civili
deir astinenza all* uso dei Greci. Lo stesso : Le
sacre osservanze e le astinenze possono essere
la salvezza nostra, u
1 codd. hanno castiias . . . . nssculini Varr . . . . castitu. II Quicherat dalla falsa scrittura ca-
stitu trasse ottimamente casta e lo suppl' dopo la voce masculini. Castus voce che si riscon<
tra spesso nel linguaggio rituale dei Romani per indicare in generale abstinentia imposta dalla
consuetudine o dal rito : per es. Gellio dice che al flamine diale erano imposti multiplices castus
che poi viene determinando (X, i 5, V).
FBAMMi iiri DI M. Ten. .
i 3i 5
r A M M E NT I
Libri IHV.
D t h o mi n i b u s
Liber .
a) De pontiGcibus.
Sebbene taiio olireroodo scersi i Irammetili che si riferiscono a questo libro; io ti fili espre '
sameiite ciUli, due soli, tuttavia si pu averne qualche maggiore notizia leggendo nel lib. Il , si
63 (Terso la fine); 64) 70, 72, ^3 di Diunisio di Alicarnasso, il quale parlando dei collegii
sacri istituiti da Romolo e da Nnma^ dichiara di ater quelle notizie trovate nei libri delle Anli>
chit Varroniane. Lo stesso archeologo al libro IV, 62 esponendo la leggenda della sibilla che
port a Tarquinio i famosi libri degli oracoli, attesta di aver desunte quelle notizie dai libri dlie
Cose divine (/ J S ^ > wpay^etTtca). Daremo luogo a
questo passo nel libro IV dove ci pare che meglio convenga.
I. Serviui ad Verg. Aen., ], 3 8 2 . u Varr in
secundo rerum divinarum dicit : ex quo de Troia
est egressus Aeneas, Veneris eum per diem coti
die stellam vidisse, donec ad agrum Laurentem
veniret, in quo eam oon vidit ulterius quare et
terras cognovit esse fatales, vt
I . Servio 1. c. u Varrone nel I I delle Cote di
vine ilice; da quando Enea^usc di Troia vide
ogni giorno e durante tutto il giorno la stella di
Venere, sinch arrivato nella terra di Laurento
non la vide pi oltre, e per ci riconobbe essere
quello il luogo a lui assegnato dai fati. ^
La stessa notizia si ha in Servio i v. 11, 801 ; ma il passo interpolato.
2 . Serv. ad Aen., Il i , a56. u Varr in secun
do divinarum dixit : oraculum hoc a Dodonaeo
Jpve apud pirum acceperunt,
2 . Servio I. c. u Varj^ne disse nel l i delle
Cose divine che questo oracold fu loro dato da
Giove Dodoneo presso Kpiro. n
il famoso vaticinio della fame che avrebbero patito i Trojani, per cui avrebbero dovuto
aml sas... mal i s ahsumere mensas.
3. Gellius Noct. Att. X, j5. u Verba M. Var>
ronis ex secundo di\ inarum super flamine Diali
haeo sunt: is solus album habet galerum, vel
quod maximus est, vel quod Jovi immolata hostia
alba fieri oporteat, n
3. Gellio I. c. u Le parole di Varrone tratte
dal libro 11 delle antichit divine intorno tale
flamine di Giove, sono queste : esso solo pu por
tare un bianco pileo, o perch sia il principale tra
i flamini, o perch si fa il sacrifizio a Giove cou
bianca vittima, n
Varrone parla del flamen Dialis come ancora al suo tempo fiorisse quel secerdozio, mentre
da qualche tempo era cesaalo : lo ristabil Augusto.
Non si pu dubitare che Varrone non abbia fatte investigazioni etimologiche anche sulla
parola 5a/ iV, perch non tutti convenivano nel collegare la parola con saltare e salire^ ma non
potei trovare che Varrone venisse nominatamente citato. I luoghi dove si trovano le varie opini
lono in Servio ad Verg. Aen,^ V ili , 285 e 663 ; 11, 325 (col quale conf. Mller in Fest., pagi
na 329, 4); Festo, pag. 326^ 32; Plutarco vita Num., c. i3 e Dionys. Halic., 11, 70. Altri spie
gano diversamente : o perch il suo pileo dee farsi con la pelle della bianca vittima sacrificata
a Giove.
^ Varrone devono riportarsi molte se non tutte le notizie che si hanno intor
no tgli ancili e a Mamurio ^elurio, notizie, le quali non potendo, a mio credere, riputarsi tutte
desunte dai due luoghi De /. /., V II, 4^ ^ 4^i riferiranno a questo libro delle antichit.
Le citazioni a cui alludo sobo le seguenti : Ovidio, Fasti, IH, 377 esegg. ; Paul. Fest., p. i3 i, 7
e segg.; Dionys. Ualic., 11, c. 71 ; Plutarco vit. Num., c. i3 ; Servio ad Verg, Aen. V ili , 6641
VII, 1 8 8 ; II, 1 6 6 ; Isid. etfrn..^ XV l ll , 12, 3. Cf. anche Prrller Btn. p>g. 3i3 c acgg.
(H eJ .); Kettner rarronische studren, pag. 8 .
DI . TERKNZIO VARHOMi
i3ift
L i b er T er t i u s .
h) De auguribiie.
I. Nonias, p. 334 -^1 Varr livinaruru re-
rum lib. Ili : Luciu.1 Scipio rum aurum iactam
iiaberel in cifta vioinea, iuliuiue ita etl ictut^ ut
cifU eifei integra, auruo) culliquissel. n
I . Nonio I. c. u Varrone nel HI <ldle Coie
divine : Lucio Scipione mentre avera una cesta
a vimini con alcune orerie, fu colpito dal ful
mine ; e la cesta rimase sana, oro ai liquefece.
Ut cista. 11 Quicherat secondo i codd. isia coUiquisset, li Quich. collicuisset.
a..Servius ad Vcrg. Afii., 1, Sed
curo Amarro divinarum 111 qualtuor diis fulmina
Msifnet ...
2. Servio 1. c. m Ma assegnando Varrone a
quattro divinit il fulmine v
la Servio leggesi V in luogo di 111; ma la correzione mi pare probabile, tra questi quattro
dei, sono ricordati il fulmine di Giove, di Giunone, di Minerva, il quarto di Summano^ La scien-
za fulgurale divenne popolare in Rom, specialmente per opera di Aulo Cecine Volterrano
(v. Cic. De ditf. 1, 33); dfll'opera del quale ha fallo un importante riassunto Seneca, Qu. nat.
II, 3a*49 Oltre Nigidio Figulo anche Varrone avea fatto sludii sull arte fulgurale e scrillone.
Plinio . iV. ci dice che gli Etruschi attribuivano a nove dei il potere di lanciare fulmini, e
che questi erano di undici maniere, delle quali t Romani nou aveaiio accettj^lo che due, i diurni
e i nolluriii, questi lanciati da Summano, dio che aveva una cappella nel Campidoglio, e che do-
miuava le procelle notturne, quelli da Giove. In fatti, non so che si riconoscessero altre folgori
tranne il diurnum {diutf) e il nocturnum^ e se folgorava di giorno placavati Giove ; se folgo
rava di notte Summano: solo nel caso che si fosse incerto, noctu an diu esset factum si sacri-'
ficava a tutti e due (cf. Acta fratrum Arval. t. XLIII).
3. Servius ad Verg. Aen., Ili, 35g, u Varr
aulem qualtuor genera divinationum dixit, ter
ram, aerem, aquam, ignem : geomantis, aeroman
tis, pyromantis, hydromantis. n
i. Servio 1. c. (4Varrone dice potersi divinare
da quattro cose, dalla terra, dall'Arias dalP acqua,
dal fuoco: quindi i geomanti,gli aeromanli, i pi
romanti, gli idromanti. ^
Cou questo luogo cf. Isid. Etym. Vili, 9, i 3 u Varr dicit divinationis quattuor esse ge*
nera, terram, aquam, aerem et i^nem : hinc gcomanliam, hydromantiam, aeromantiam, pyroman.
tiam dictam 11 che si pu completare con S. Agost., De cisf. Dei., VII, 35 : Quod genus divina
tionis {/ifdromontio) idem Varr a Persis dicit allatum quo et ipsum Numam et postea
Pfthagoram philosophum usum fuisse commemorat., uhi adhibito sanguine etiam inferos
perhibet sis citari et vtxpofia^ruav graece dicit vocari^ quae sive hydromantia sive necro'
mantiOf dieatury id ipsum esty ubi videntur mortui divinare. Questo luogo di Agostino ap
parteneva al logistorico Curio : la qual cosa potrebbe far sospettare che dal libro stesso avesse
tratta anche Servio la sua notizia. Ma secondo i principii che ci parve di seguire uelU distribu
zione dei frammenti, cio, che apparisce pi verisimile, che i grammatici, in luogo di avere alle
mani tanto numero di opericciuole varroniane, si servissero piuttosto delle antichit dove trovava
no insieme raccolti compendiosamente quanto Varrone avea sparso in altri lavori senza numero,
parlo sempre di questo genere storico e antiquario (fui parve pi conveniente attribaiflo a que
sto degli auguri).
4 . Macrob., sal.I, 16, p. 226. u Vitabant vete
res ad viros vocandos... eli^m feriis, sicut Varro in
augurum librij [libro ?] scribit in[esee] haec ver
ba ! viros vocare feriii non oportet ; if vocavit
piaculum esto.
5. Feit., pag. 290, 5, sin u nsm [consules in
comitiis nunc] in perpetuum auguribus praeien-
4. Macrob. 1. c. u Anche nei giorni di ferie
era dagli antichi proibito cbiamare in giudizio,
come attesta Varrone nei libri (nel libro 7) degli
auguri trovarsi scritto : non si pu senza colpa nei
giorui festivi chiamare ili giudizio, d
5. Festo 1. c- imperocch ora nei comizii i
consoli si servono degli auguri presenti, come
F R A M M E N T I
3
tibfis ul]uDlor, Qt il [Varr, olim ftro Untum
iu uspijcio ... ^
dice Varrnt, mentre un tempo non ricorre fan
a loro che per gli auipicii. ^
lo che c<sa il coniole ti lerTMe deiraagure nei comizii fa insegnato da Varrooe nel VI, gS,
De 1. l. {?. pag. i 35).
6. Fenlut, p. 261, a6 dentr. u Quinque gene
ra signorum observant augures publici [ex caelo,
ex avibus, ex tripudii], ex quadrupedibus ex
[diris ut est apud Varronem].
6. Pesto 1. c. u Gli tuguri poblici traggono
presagii da cinque segni : dai celesti, dai Tolatili,
dal mangiare dei polli, dai quadrupedi, dalle co
se di mal augurio, come si trova detto in Var
Snila bont del supplemento ex caelo eie. non cade certo dubbio, potr essere sempre con-
iroversa parte del secondo.
Per i signa ex caelo non bisogno dir nnlU, perch di cosa troppo nota : erano i falmioi, i
tuoni {mantihia)^ cf. Cic. De div.y ]1, 18, ai.
Ex avibus^ cf. Servio ad Ferg. Aen.^ V, iS;, nulla ... a\fis caret consecratione quia singu
lae a^es numinibus sunt consecratae. Si sa gi che distinguevansi in tre classi, quelli di cui ai
osservava il volo (a/iVe^J, gli altri che davano segni col eanto {oscines\ ed altri, di coi si esser-
ava e il volare e la , p. e. il pcchio.
Ex tripudiis: qofsta specie di augurii {auguria pullaria) era la pi comune, specialmente
al campo, perch la pi fscile di tulle. Vedi anche Cicer., De di^in^ 1, 4>i 9^ t 34
Ex quadrupedibus. Questa specie di augurii chiamata da Paul., pag. auspieia pede
stria .... quae dabantur a vulpe^ lupo^ serpente^ equo ceterisque animalibus quadrupedibus.
Ex diris. Cf. Cicero De div.^ I, 16: augurio ex diris sarebbe stato p. e. inciampare co'pie
di ; il rompersi del legaccio dei sandali ecc.
10. Velius I^ngns De orthogr.^ p. aa33, P. Farro .... arispex ab arviga quae esset hosti
Liber Qoartus.
e) Oe quindecemviris saeroram.
Quando furono ufficialmente accelteti e riconosciuti gli oracoli sibillini, fu necessario instituire
anche on sacerdozio speciale che li custodisse e consultasse ; ed era il pi rispettalo e onorevole
dei collegii sacri. Da principio si scelsero a ci due patriziii, duumviri sacris faciundis^ cio
deputali a dirigere e sopravvegliere quei sacrifiiii che erano comandati dai libri sibillini, che per
lo pi erano celebrati graeco ritu. Dal 387 di Roma in poi, il collegio si accrebbe fino a dicci,
cinque patrizii, cinque plebei, decemviri sacris faciundis. Sulla ne port il numero a quindici,
quindi d'allora in poi si dissero XVviri sacris faciundis^ sebbene non di rado si continuasse a
dirli Xviri. Questo collegio era intimamente collegato col culto di Apollo, specialmente dopo
la fondazione del tempio di Apollo Palatino, in cui furono anche trasportali dal Campidoglio
i libri degli oracoli. Ai XVviri anche dovuta la istituzion dei giuochi secolari, ed essi, anche
quando furono da Augusto celebrali colla solennit che sappiamo, ebbero incarico di disporre
ogni cosa, perch riuscissero quali astuto principe desiderava, pi tardi erano eui che curavano
anche il colto della Magna Maler. Si conoscevano Commentarii dei XVviri, che sono citati anche
da Censorino.
1. Non. p. aaa, M. u Specoi genere masculi
no Varr Rerum divinarum lib. 1111: ibi quum
amissam capram (al. capream) desiderarent, ani-
madverlissentque qoemdam specum tenebrico-
fom.n
a. Charis., I, p. 77, P. u Anititita Varr divi
narum quarto. <>1
I . Nonio I. c. tt qni volendo ricuperare la
capra smarrita, ed essendosi accorti di una spe
lonca tenebrosa. ^
a. Carisio I. c. u Varront nel IV delle Cose
difine chiam Aolistita la sacerdoteisa.
iSai
DI . TERENZI O VARRONE
| 32S
Cf, Gellio Noet.Ju., XIll, *o : Saeer^dotes guoque fotminas Af, Hicero Antistitas dixit, non
secundum grammaticam Irgem Antistites. 11 luogo cui *i riferisce Aulo Gelli : AccuS, IV,
45, 99 : Sacerdotis Cereris atque illius fani antistitae.
3. Servio ad Aen., III, 444*^
lein palmaram Sibyiiarn scribere solere lesUtur
Vrro.
4. Servius ib., 44^ Sibylla appellati-
Tom est Doroeu adeo ut Varro quot Sibyllae fue
rint, scripserit.
3. Servio L c. u Varrone Uscio scritto ohe Ia
Sibilla era solita scrivere sopra foglie di palma, n
4 . Servio I. c. u Sibilla nome appellativo,
quindi che Varrone pot scrivere quanta Si>
bilie SODO state.
Sulle varie opioion, Deisuaa sicura, intorno alla etimologia della parola e sol loro
numero ecc. ha un dottissimo articolo il Pape, Handwrterbuch der Griechishcen Eigenna^
men, pag. i 38o (edizione II).
5. S. August. de civ. Dei,XV]lf, a3. u Eodem
tempore (quo condita Roma est) Sibyllam Ery
thraeam vaticinatam ferant. Sibyllas autem Varro
prodidit plores fuisse doq unan>. yt
5. S. Agost. I. c. 44Dicono che la Sibilla Eri-
trea Taticinasse al tempo in cui fo fondata Roma.
Varrone poi laKi scrittu che Sibille ne forpno
parecchie, non una sola, y*
Anche S. Agostino si riferisce al lugo stesso che era sotto gli occhi di Servio, e non mi
pare infondata sapposizione il credere che di qua derivasse le sue notizie anche Aulo Gellio,
?. Noet. Att.^ 1, 19.
6. Servios ad Veig. Aen., VI, 36 : u Multae
autem fuerunt, ut sopra diximus, quas omnes
Varro commemorat in libris Rerum divinarum
et requirit a qua sint fala Romana conscripta ....
Ducitur tamen Varro ut Eryihraeam credat
scripsisse, quia post incensum Apollinis templom,
in qoo fuerant apud Erythram insulam, ipsa in>
yenta sunt carmina. ^
7. Id., ib., , ui Varro dicit : in foliis
palopM interdum notis, interdum scribebant ser
monibus. Vt
8. Lactantius, 1, 6. u M. Varro quo nemo un
quam doctior ne apud Graecos quidem neqoe
apod Latinos vixit, io libris Rerum divinarum
qoos ad C. Caesarem scripsit poutif. max., cum
de XVviris loqueretur, Sibyllinos libros ak non
foiue ooius Sibyllae, n
6. Servio 1. e. u Molte, come detto' sopra,
furono le Sibille, ricordate totie da Varrone nei
libri delle cose divine, dove ricerca quale abbia
scritti i destini di Roma .... Varrone indotto
credere che fosse la Eritrea, perche quei vaticini
si trovarono dopo l'incendio del tempio di Apol
lo neir isola di Eritra dove erauo custoditi, n
7 Id., ib. (I come dice Varrone, scrivevano
nelle foglie di palma, talora con sigle, talora con
parole.
8. Lati, I. c. tt Varrone il pi dott di quanti
furono Greci e Lati i, parlando nei libri delle
Cote divine intitolati a C. Celare -pontefice mas-
simo, dei qoindecemviri, disse ; che i libri sibiU
lini non furono di ona sola Sibilla.
Vedi lo stesso scrittore. III, i 5 ; Lydus De mens.^ 1\ 34, con Taonotaiione di Ritlier.
9. Dionys. HaHcarn., IV, 6a. u Venne al tiranno fl'arquinio) una donna straniera ad offrir
gli di comperare note libri di oracoli sibillini, e non volendo Tarqoinio pagare tutto il prezzo che
era per essi richiesto, ella se ne and via, e abbruci tr di qoei libri : ritoroata oon molto dopo
cogli altri, dimand la stessa somma, e fu schernita come pazza, perch dimandava per on d u ^
mero minore di libri quel prezzo stesso che oon aveva pototo ricavare per uo numero maggiore.
Allootanatasi un" altra volta gett alle fiamme met dei libri che le erano rimasti, e riportando ^
tre che erano sopravanzati richiese la stessa aomma^d'oro che avea domandata per tutti i: no
ve. Allora il re, mosso a stupore da questo divisamento della doona, fece chiamare gli auguri, e
narrato per filo e per segno tutto il successo, oe dimand consiglio. Questi, accortisi da certi se
gnali che il re aveva rifiutato una cosa mandatagli per favore celeste, e che avea commesso on grao^
fallo a oon comperare lotH i libri, risposero che pagasse alla donna la somma richiesta, e rico-
|eraue i libri sopravaozati. dotnia, consegnatili, avvert che si coslodissero eoo gran dili
ftoza, e da quel momento non fo pi vedota. Tarquinio scelse due Ira gl'illustri cittadioi* cui
i 323 F rv A >1 M E N T I | 3 2{
aggiunse due ufTiciali ^\\^\Wca,{probimente due interpreti)^ e affil loro la oaslodia dei libri.
Uno dei duuniTiri, M. Attilio, Tenuto ih lospello di rnala fede e da uno dei euoi officiali accu
sato di parricidio, fu fatto gettare in mare entro un lacco di cuuio.
Cacciati i re, la citi, assaotAsi la vigilania lui libri sibillini, nomin per custodirli tra gli
uomini pi l'amosi, i quali durassero in ufficio per tutta ] vita, e liberi da ogni aUro incarico sia
militare che civile; e vi ai aggiunsero altri per commissione pubblica, seuza di coi non consen
tiio consultare i libri sibillini. Per dir lutto in breve, non vi ha cerimonia n sacrifizio per coi
i Romani usino tanta diligenza come per gli oracoli sibillini. Un senatuconsulto determina quan
do si debbano consultare, se lo stato della repubblica sia turbato da sedizioni, o abbia tocala
una solenne sconfitta, o se appariscano segni portentosi che annunzino qualche cosa di grave che
sia difficilissimo interpretare, come se ne videro di frequente.
Questi libri si conservarono incolumi fino alla guerra Marsicr, chiusi in un arca marmorea
nella cella soltcranea del tempio capitolino, sotto la custodia dei decemviri. Dopo olimpia
de 1 7 3 * , andato in fiamme il tempio capitolino o per mano di scellerati o per accidenle, an
che questi libri, insieme coi donativi a Giove, furono preda del fuoco, poich quIIi che si hanno
adesso, sono stati raccolti da varii luoghi, parte (bile citt italiche, parte da brelra, dove
furono trascritti da persone mandate a ci per decreto del senato, parte da altre citt trasentii
per opera di privati, nei quali si trovano parecchie cose suppositizie, come si prova dall esame
dei cos deiti acrostichi.
In questo racconto ho preso a guida Varrone, che ne tenne discorso nei suoi commentarii
teologici e (i libri delle Cose divine).
Per questa ultima avvertenza cf. Cic. De divin.^ Il, 54^ ivo. u Sibyllae versus observamua
quos illa furens fudisse dicitur. Quorum interpres nuper falsa quadam hominum fama dicturus
in senatu putabatur eum quem re vera regem habt^bamus, appellandum quoque esse rrgem si
salvi esse vellemus (allude al tentativo di . Antonio di far dare a Cesare il titolo di re). Hoc
si est in libris, in quem hominum et in quod tempus est? . . . . Adhibent eiiam latebram ubsca
ritatis, ut idem versus alias in aliam rem pos.e accomodari viderentur. Non esse autem illud
carmen furentis, cum ipsum poema declarat, est enim magis artis et diligentiae quam incitatio
nis et motus, tum vero ea, quae dicitur, cum deinceps ex primis \cuiusijue\ versus
litteris aliquid conectitur ut in quibusdam Ennianis Q. Ennius Jecit Atque in sibyllinis
ez primo versu cuiusque sententiae primis litteris illius sententiae carmen omne praetexitur.
Delie quali ultime parole non chiariuime e molto variate nei codici ha dato una spiegazione suf*
iicicDte Fr. Jacob nel Philologus (III, pag. 332).
Libri V-VII,
De locis.
a) Lib. V De sacellis
Sseellom, secondo Ia definizione di Trebazio (in Gellio, VI, 13) era locus parvui deo strra
tus eum ara^ e, come esto spiegava detto qnosi sacra cella^ o, come soggiungeva Gellio .Tra
rr deminutum.
I. Varro apud Augast., VII 28: u quoniam
at in f>rimo libro diii de locis, duo aunt princi
pia deorunx animadversa, de caelo et terra, a quo
dii partim dicuntur caelestes partim terrestres.
I. Varrone presso S. Agost. 1. c. ; u prich
come dissi nel primo libro dei luoghi, due sono
i principii donde derivano gli dei, cielo e terra,
si hanno gli dei celesti e terrestri.
Non ni occupo ora di questa distinzione, perch il luogo pi conveniente a trattarne
libro XVI.
il
a. Servias ad Verg. ecl., V, 66. Varr diis
auptris altaria, terrestribni aras, inferii focos
ilicari affirmat, n
a. Servio I. c. u A^srrone dice che agli dei del
cielo si dedicano gli nltari, ai terrestri le are^ agli
ioferni i focolari, m
i 3a5 DI . TKRENZI O VARRONE i 326
3. Alacrobius Saliirn. il, a>pag. 385. u InJe
Var r o di vi narum iil)ro qui ni o Ji ci t arai pri niuto
a^ai ilii tas. quod rsset necessari um a sacrifican
ti bus eas l eneri : anilis aut em teneri col ere vasa
qui s cl ubil et ? CoiDOOUtatioDe er^o li t Urarui u
aras dici coepta, ul Val esios et F' usios dictos
pri us nunc Val eri os et Furi os. n
3.*Miirrobio l. c. u Varrone ocl V delle Cose
divine dice :he ara eia anticunDcnte della asa^
perch bisognava che il sacrificatore vi tenesse
sopra le mani : e non forse vero che i vasi bi
sogna It^nerli pei fiianichi (ansae)? Colla sem
plice mutazione di una lettera si curoinci a dire
ara, come si dicono adesso Valerii e Furii quelli
che una volta A'aiesii e Fusii.
Se genuina la lezione, in Gellio, IV, 4<> avrebbe una conferma della frma pi antica
asa per ara, essendoch una legge di Numa l riferita, diceva : pellex asarn Junonis ne tan^
gito. Non si pu determinare con sicurezza la ori|:ine etimologica della parola, che comune^
mente si riconduce alla greca radice ap, ma potrebbe essere una voce anche coutratta, come da
scandtia si form scala, da mandela^ mala.
4. Servius ad Verg. Aen., IV, lag. h Veteres
asas dicebant, postet immotata littera s in r aras
dixcrun, sicut Valesios Valerio, Fuiios Furio
quod Varr libro quieto Rerum divinarum ple>
oius narrat. Necesse enim rrat aras a sacrifican
tibus teneri, quod Isi non feret, diis sacrificata
grata noa esset. ^
5. Mecrob. Sai. I, 9, p. 227 u unde et Varr
libro V Rerum diviuaruro scribit Jano duodecim
aras pro totidem mensibus dedicatas.
6. Servius ad Verg. Aen., 111, i 34 u Sane
Varro Rerum divinarum refert inter sacratas aras
focos quoque sacrari solere, ut in Capitolio Jovi,
Junoni, Minervae, nec miuua in plurimis urbibus
oppidisque et id tam publice quam privalim so
lere fi^ri, focum autem dici a (ovi et colinam ab
eo quod ibi ignis colatur, nec licere vel privata
vel publica sacra sine foco fieri.
4. Servio I. c. .1 Gli antichi dicevano asa^
poi mutala la 1 io r dissero ar a, come Valerii
Furii scambio d Valesii Fusii, conforme espone
diiTusameiite Varrone nel V delle Cose divine.
Poich uno che sacrificasse dovca toccare coll
mani Tara, altrimenti gli dei non aggradivano il
sacrificio, n
5. Macrob. I. c. u per questo scrive anche
Varrone nel Vdelle Cose divine che a Giano fu
rono dedicate la are, quante erano i racji del-
anno.
6. Servio 1. c. wNelle Antichit divine Varro
ne riferisce che ira le are consacrate si usava
comprendere anche i focolari, come nel Cam
pidoglio a Giove, a Giunone, a Miner;va, t cos
pure in parecchie citl e borgate, e tanto'per
parte dello stato che dei privati. Aggiunge che
il nome di foco venne da fovere^ come quello
di colina (cucina) perch ivi onorato (colitur)
il fuoco, e che non lecito fare tacrifizii u pub^
blici n privati senza fuoco.
Allude a questo luogo Servio anche nei due riscontri che jjegiiono
a) Ad Aen., XI, a i i : .4n quod focum dicat ubicumque ignis est et fovetur undt et Farro
focum dici vult,
i) Ad Aen. la, i i 8 : Quicquid ignem fo^et Jocus vocatur^ sive ara sii sive quod aliud i
quo ignis fovetur.
A questo alludeva, credo anche Otidio, Fasti, VI, ag5 :
At focus a flammis et quod fovet omnia dictus.
V. anche Paul. Fest. pag. 85, 5.
Da Servio invece immediatamente attinse Isid. Etym,y XX, io, i : Ab igne colendo culinam
antiqui appellaverunt focum. Focus quia < graece, latine ignis ei/, unde iuxta philoso
phos quosdam cuncta procreantur. Et revera sive calore nihil noscitur : sterili non quic-
quam frigore gigni. Varro autem focos ait dictos quod foveant ignes^ nam ignis ipsa
, flamma est: quicquid autem ignem fovet, focus vocatur^ seu ara sit^ seu quid aliud in quo
ignis fovetur (V. anche Papias vocab. sub. y. focus c Rhoeis., Mercklin, Philolog, 111, p. 554).
[,a etimologia di colina ripetuta da Varrone nella vita del Pop. Rom., I, f. aG.
7. Servius ad Verg. Aen., Vili, 363. w Varr 7. Servio 1. c. Varrone nel V delle Cose di-
enim divinarum libr. V Victorem Herculem - vine crede che blrcole abbia avnto il nome di
I S27
F R A E ? 1
3>
tal dicluni quoJ omn geous inimaliQfD decies
Oolie# ?) vicerii.
vincitore, perch le Unte voile super ogni sorte
di animali.
Servio ascrive quello rranimento al libro IV, ma pare pi a proposilo assegnarfi il posto al
libro V.
Il passo stsso abbiamo in Macrobio, i i i , 6, pag. 897, tranne, che vi manca la voce ieeies^
la qnale mi pare manifesto errore, lo la mutai in toties: il Merckel, trascrTeudo il passo, chi*
ma il decies voce molesta, ma non propone correzioni.
6) Liber VI.
Dt sacr aedibus.
Un segno dal quale si pu con certexxa determinare quanto sia vivo in un popolo il seati-
nenlo religioso, la cura dei luoghi consecrati al cullo, perch sieno tali da corrispondere
air alta idea di luoghi io cui si presta pi specialmente il debito omaggio alte divinit. Questa
cosa si pot notare anche in Roma : quando la religione tu negletta, si latfbiarono diroccare o
deperire i tempii, come lamentano tutti gli scrittori di quelfet, e Tordine dato di ripararli ai
salut come un felice presagio di tempi migliori. Ond che Varrone, il quale, come pi volte
abbiamo ripetuto, si proponeva di rideitare assopito senso della religione, dovea occuparsi con
diligenza di qnesta parte che si riferisce ai sacri lempii, e queso libro VI doTea essere per lu
di grande importanza. Ce ne rimangono pochissi mi frammenti.
A questo libro aveva riguardo S. Agostino (De ciif, Dei^ 111, 17 fin.) scrivendo: Nam quae
tun velut ad sedandam pestilentiam diligenter repetita fuerunt atque reparata nisi postea
eodem modo neglecta atque usurpata latitarent^ non utique magnae peritiae Farronis tri-
bueretury quod scribens de aedibus sacris tam multo ignorata commemorat.
I . Servius ad Verg. Aen., II, 5i 2. Varro
locom quattuor angulis cooclusum aedem docet
vocari debere. Idem rerum divinarum libro sexto
Intulit ideo loca sarra civitates habere volnisse, ne
per continua aedificia incendia prolabercntur, et
ot essent, quo confugerent pleriqne cum familia
aua in periculis, y
9. Servius ad Verg. Aen., II, aa5. u Varro
aotem Rerum divinarum libro XXVIl (VI) delu
brum esse dicit aut ubi plura numina sub uno
tcclo sont, ut Capitolium, aut ubi piaeter aedem
area sit adsumpla deum causa, ut in circo fla mi'
nio lovi Statori, aut iu quo loco dei dicatum sit
simulacrum ; ut in quo figunt candelam, cande
labrum appellant^ sic io quo deum ponant, de
lubrum, n
I. Servio I. c. u Varrone iusegna che deve
chiamarsi aedes ogni luogo tra quattro pareti. E
nel libro VI delle Cose divine si trova notato che,
le citt hanno stabilito dei luoghi sacri a parte,
perch non si dilatassero gir incendii se le abi
tazioni fossero tutte contigue, e perch nei pe
ricoli, un perseguitalo avesse dove riparare colla
famiglia.
a. Servio I. c. u Nel VI (?) delle Cose divine
Varrone dice chiamarsi delubro u dove pi dei
SODOsotto un medesimo tetto onorati, com il
Campidoglio, o dove oltre il tempio riserbeto
negli dei anche un libero apazxo, come nel Circo
flaminio per Giove Statore, o dove si trova un si
mulacro delle divinit, cosicch si dica delubri
dove collocato il dio, a quella guiu che dicono
candelabro dove infitta la candela, n
L ' indicazione falsa che nei codd. serviani del libro XXVIJ, si pu correggere attendendo
alla sostanza del luogo, che non pu meglio convenire che al libro VI. Noto tuttavia che io
Macrobio (Sat. Ili, 4 P^ 3qo), dove detta la stessa cosa, il frammento si dice trailo dal
libro Vili. Ma non mi p r tuttavia da recedere dalla proposta correzione. Dalle rarie spiegazio-
d etimologiche proposte da Varrone ultima sarebbe quella da lui accettata, come intendeva
anche Macrobio, il quale aggiunge: His a Varrone praescriptis intellegere possumus id potis
simum ab eo probatum^ quod ex sua consuetudine in ultimo posuit.
Da questo luogo dl Varrooe si intende che Giove Statore avea un' altra aedes^ oltre quella
decretata da Romolo, che era sotto il Palatino presto la casa del re sacrificulo, a capo della via
329 DI . TERENZI O VABRONE i33o
lacr*. QuciiU lecooda er nel Circo naroioio, o fecooilo iscrizione propella t)al Fabrelli ad
Circum flaminium^ ossia in portieu Metelli (Vetruvio, JJI, a,>. 25) : le quali due testimouianxe
fi spiegano una altra, se, come mi pare, tono accettate le illustrazioni del Nibhy, il quale
dimostra rhe il porticus Metelli era contiguo al Circo flaminio.
3. August. De cit. Dei, VI, 7. a Quid de Jove
senseruDt, qui eius nul ri cem in Capitoliu posue
runt? ... Epoloues, deos parasitus Jovis ad eias
mensam conslituisee Varr dixit. v
3. S. Agost. 1. c. u Che coacetto arevano di
Gio?e quelli che ne collocarono la nutrice nel
tempio Capitolino ? Varrone disse che gli
fecero sedere gli dei come parassiti ai
bnnchetti di Gio?e. *
La seconda parte del frammento trovo trascritta con molte variet, e anche, come nella Uipon-
lina in modo da falsare il senso, che non mi par dubbio, delle parole, fc certo che non si possono
intendere le parole che come un fiizio di Varrone per dimostrare le strane cose che si erano
spacciale sul conto degli dei. Ci d qualche lume anche Valerio Massimo, 11, 1, 3: u Jovit
tpulo ipse (Juppiter) in lectulum^ Juno et Minerva in sellai ad caenam invitabantur. Da
principio ai pontefici spettava anche la cura di allestire i solenni banchetti, in onore de^li dei,
che si offrivauo loro apfcialmente ludorum causa. Ma nel 196 a. C. non potendo pi per le
troppe teste, occuparsene i pontefici, si affid questo ufficio ad uu nuovo aacerdozio di tre detti
epuloneSy che poi diventarono sette {septemviri epulones).
Seguita in S. Agostino la favola della scommessa tra Ercole e il suo sagrestano che si (ruva
narrata anche da Macrobio, S. 1, 10, 11 e segg. ; Gellio, VI, 7 (che per la lesse in A^alerio
liate); PluUrco, Hom. 4^ 5 ; Quet. R. 35 ; Lattanzio, I, ao, 5. Dalla chiusa del passo si argo-
manta che S* Agostino la trov in Varrone.
4 Herculis aedituus otiosus atque feriatus luiit tesseris secum utraqae manu alternante in Una
coiistitueos Herculeo, in altera fcipsum ; sub ea conditione ut si ipse vicisset, de stipe templi,
sibi coenam pararet, amicamque conduceret ; si autem Victoria Herculis fieret hoc idem de pecu
nia sua voluptate Herculis exhiberet : deinde cnm a se ipso tamquam ab Hercule victus esset,
debitam caenain et nobilissimam meretricem Larentinam (cio Aeca Larentia) deo Herculi de
dit. At ilU cum <dormivisset in templo vidit in somniis Herculem sibi esse commixtum sibique
dixisse quod inde discedens cui primara inveni obvia fieret, apud illum inventura mercedem
quam sibi credere deberet ab Hercule persolutam. At sic ahennti cum primus invenis ditissi
mus l arutius occurrisset, eamque delectam secum diutios habuisset, illa herede relicta, defunctus
est, quae amplissimam adeptu pecuniam ne divinae mercedi videretur ingrata, quod acceptissimum
putavit esse numinibus Populum Romanum etiam ipsa scripsit heredem, atque illa non compa
rente, inventum est iestamentum, quibus meritis- eam ferunt etiam honores meraisse divinos.
Haec si poetae fingerent ad fabulosam theologiam dicerentur procul dubio pertinere et a
civili theologiae dignitate separanda indicarentur, cum vero haec dedecora, non poetarum, sed
populorum, i. e. non fabulosae sed civilis theologiae a tanto auctore (cio Varrone) produntur etc. n
Cf. anche Prcller, R. M., pag. ^a3.
5 . Philarg. ad Geor., IV, a65 : Varro divinarum 1. VI, Canalis eas dispesit. Templa
feminino genere canales dixit. La voce templa certo errore. Perch Ia voce canalis di
genere comune, potrebbe la voce templo mudarsi in Item e forse Pia. (zn Plaulus), come con
gettura il eh. prof. Canal.
6. Non^ pag. 47^. ^ Verro divinarum li
bro VII (meglio VI): postquam vidit misericordia
Ubasci mentem infirmam populi. ^
6. Nonio I. c. Varrone nel VI delle Cose div..;
dopo che vide i mobili animi del volgo per piet
titubare
Se, come mi sembra, qui si nlluda alla triste sorte toccata al valoroso e infelice M. Manlioi
Capitolino, il quale, tratto in giudizio per falsa accusa di affi'ttata tirannide, tn la prima volta
mandato libero per piet che sent il popolo pel suo liberatore, a questo luogo |)olr riferire
anche il seguente di Gellio (IV, N. XVII, ai):
7. Damnatusque (M. Manlins) capitis saxo
Turpeio, ut M. Varr ait, praeceps datus est.
8. Macrob. 1, 8, p, aaa u ... ({uanivi.< Varr
libro VI qui est de sacris aedibus, scribat aedeiu
F b au me n t i d i !V1. Tes. Vabromi;.
7. M. Manlio condannato a morie fu, come
dice Varrone, precipitato dalia rocca '1arpea.
8. Macr 1. c. ... quantunque Varrone nel VI
delle Cosr divine, chc tratta dei sa<ri teiDpii, seri-
84
i33i F R A, : N I i33a
Saturni (] iorutn faciendam locasse Tarqui-
D um re^em. T. vero, Larliuiu dr.talorem Salur-
neliblis eacD ledicasse.
va, eaiere sialo L. Tarquiiiio quello cbe fece erit
pere il tempio di Saturno verso il Foro, e il
dittatore 1'. Larrio quello -*he lo consacr nelle
leste Saturnali, ti
Varroue qui si oppone a quelli che iaccTano Tulio Ostilio istitulore del cullo di Sttfrno.
Dair opinione varroniana si allontana in qualche co5a Tito Livio (I. Il, c. ai ), il quale assegna
alla deJirftxioue de! lenijiio di Saluruo uu anno posteriore, cio il consolato di A. Sempronio e
M. Minucio.
Questo tempio era ai piedi del Campidoglio, colte una vulla consacrato a Saturno (V. Preller,
Regiontn d. Stadi Rom.^ pag. i 45 ; Canina Indicazione topo^afc di Roma Antica, pag. 376
ed. 4*) ristauralo pi volle, e ancora oggi ne sono in piedi otto colonne. In una cella po
steriore o sotterranea di qaesto tempio si custodiva il tesoro publico (aerarium Saturni). cu
rioso ancora che immagine di Satorno venerala in questo tempio fosse tutto l anno^ tranne
i giorni dei Saturnali, avviluppata e come impriginaia da bende. Il giorno della dedicazione
dei tempio coincide colla istituzione delle faie salornali.
9. Plin. H. N. Vii], 47 >94* Lanam iu
colu et i'usu Tanaqoilis quae eadem Caia Caecilia
>vocata est, in tempio Sangi durasse predente ae
uctor est M. Varr, iactamque ab ea logam re
giaro undulatam in aede Fortunae qua Serviui
Tullius fueral usus. rt
9. Plinio 1. c. u !VI. Varrone racpont, cbe nel
tempio di Sango si era sempre conservala 4a lam
nella conocchia e nd fuso di Taaaqnila con
altro uome C^ia Cecilia, e oel tempio della For>
luna la toga reale ondulala che essa prepar di
aua roano f)er indosaarne Servio Tullio. 9
Nei libri De vita Pop, Rom, ho avuto occasione di parlare delle ragioni per cui eaa cara e
venerala a Roma la memoria di Tanaquila, quindi non ritorno argomento.
In tempio Sangi. L' Urlichs in tempio Sangus. vero che si usa aucbe a questo inolio :
ne ha un esempio Livio (Vili, ao): in Sacello Sangus^ un altro in Feslo, pag. 241. Il tempio
qui ricordalo era sul Quirinale, e se ne celebrava la lesta alte none di Giugno {deus Fidius
in colie).
In aede Fortunae. Era il tempio della Fortuna uel foro Boarjio^ a cui cresceva special
luenie venerazione una misteriosa immagine di Servio Tullio, tutto velalo e che aolto pene gra
vissime era proibito non che scoprire, toccare (Cf. Ovidio, F. VI, 563 e aegg. ^ Dionys, IV, 37
e 40; Val. Mass. 1, 8, 11; Caniua, Monum. d. Inst. i 854^ p 60). Una iscritione presso il Fa-
bretti, pag. ^49' ricorda aedituus fortunae Tullianae.
Togam undulatam. Era quella maniera di tesfitura che ora dicono moir. Con 4|uesla toga
era avvolto il capo della ricordata flatua di Servio (Ovid. Sitque caput stmper romano teetus
amictu). Plinio racconta che questa toga senza logorarsi e senia che mai fosae levata dalla ata
tua dur fino ai tempi d Se^no (adunque 555 anni dopo la morie di Servio).
c) Liber VII.
De oeit religiosis.
Par da credere che prima di parlar dei luoghi da guardarsi con religioso riserbo, Varrone
spiegasse ii doppio senso iu cui le parole loca religiosa potevano essere prese, essendo religio
sus una di quelle voci che ab eadem profecta origine dive,rsum significare videntur (A. G. IV, 9) ;
e infatti cou lo sles5o aggettivo s* indicavano luoghi o venerabili vuoi per laere nemorie o vuoi
per monumenti del cullo, o luoghi che per qualche grave aceUcralezza erano ^Tentati oggetto
di sacro terrore e di ribrezzo.
I . Gellius Noe. All. XVlil, la. u Potesl etiam
id quoque ah eudem Varrone in VII divinarum
similiter dictum videri : Inti^r duas filias regum
quid nutet, inter Aniigonam et Tolliaiit esi ani-
loadverUre. i>
I . Gellio I. c. u Si pu considerare conae usa
lo allo stesso modo il verbo mutare da Varrone
nel VII delle Cose divine, dove vuole che si pon
ga mente quale differenza corra tra due figlie di
re, tra Antigone e 'lullia. r*
Anligone figh di E lifw e di Giocali 6lebrliisimB autii hil come randello di ifoore
f raittrrno e f^lialr ; essa volJe >srgoirc il padre ne) doro eslglo mi li'condann scopertasi
il secrflo dielle inccUuose sue nozze. Sofocle e Euripide oe trassero argomento a nobilissime
tragelie.
Nei libri delle Cose untane^ discorrendo del cdcbre ficus Ruminalis^ avveri iva, che sujtplf l i
do Tariamenle il lacunoso psaso di Festo (pa^. 270, ai) ai Veni? ad assegnare ai framroento di
Varrone anche uu' altra sple. F>co come stipplisce il Merckel. a [Ruminalem ficum a/7p<r/]lalum
ait Varro [/?#r. AV. lihr. F U in Palatii bus quod sub ea ar[Aore htpa a monte de
currens] Remo et Romulo [mammam praebuerit : mammja autera ramis '[cebaiurj.
E antica contea dote lt>sse propriamenic il fico rumatale, rea Varrone slava certo per il Pa
latino (cf. De l /., V, 54. E te Plinio (XV. 18, 77) c Tacilo (Aro. XIll, 35) dicono che era
nel comizio, bisogna intendere che dis5eccati>si il primo albero ne fu. piantato un altro net co
mizio che quel pi antico rappresentasse, come nel cproizio si Irascport anche la lupa di bronzo,
che una volta era nel Lupercale, e che forse la stessa che ora si ammira nel museo Capitoli
na. Questo simulacro era presso la slama dei celebre augure Atto Nafio, onde il fico tesso
trovaci ancbe chiamato ficus Wavia.
Del libro intoroo 1 luoghi religiosi non si salvato altro, quantunque mi pare che dovesse
essere uno dei libri pi copiosi di notizie, si per la grande quantit di cotali luoghi, come al
Ires^ per questo, che essendosi Varrone proposto di rivendicare tante nieroorie sacre di cui si era
perduto quasi non dissi, fino il nome, al suo zeio religioso e alla sua perizia archeologica era
apeito qui un vastissimo campo. Di questi luoghi religiosi ossia da riguardare con religioso timore
troviamo p. e. in Ovidio ricr>rdati parecchi : cos i s^ada Tarenti (Fasti, 1, 5oi) ; il acus Jutur
nae (ib., I, 708); il lacus Helerni (ib.. Il, 67; VI. io5); la porta Carmentalis (ib., Jl, aoi);
il Lupercale (ih., II, 879); il Luctis Lucinae (ib., 1, 436); il lucus Fauni (ib.. Ili, *ag5 ; IV,
^49); la palus Cuprea (ib^ 1|, 4^ ) ; il Utcus Jo^is Eli di (ib.. Ili, 3a8); il lucus Robiginis
(ib. IV, 906) ; Vaqua Mercurii ( i b . , 763); la porta Fentsfella {\h y VI, 678); oltre altri in
dicati senza u nome particolare (Cf. p. e., ib. "1, 5o3). Ho ricordato particolarmente Ovidio,
perch il poeta us senza dubbio dell'opera \arrouiana.
j333 di . TKRE NZr o VAKRONt , 3 3 4
Lib, Vlll-X.
De tempor i bus ,
a) Vili. De fenis.
Le teiie dobbiamo distinguere prima di tutto io due classi: quelle che si riferivano prioci'
palmcDle agli dei, e quelle che aveano piuttosto relazione coi negozii umaoi, p, e. le forenses.
Di queste seconde doveva essere discorso nei libri delle Cose umaiie clw IrallaTano ffe tempo
ribus, queslo Vil i delle Cose divine si occupava delle ferie religiose.
Ia parola feriae in senso sacro indicava un giorno consacrato al culto e io cui si doveva
cessare da ogni lavoro. Vi avea le feriae stativae^ le conceptivae^ le imperativae. Queste erano
ferie pubbliche, e Macrobio aggiunge anohe lo nun^inae^ sebbene dalla sua stessa esposizione
(Sat. 1, 16) apparisca che tra gli archeologi romani molli e valentifsimi gli facevano contro.
Feriae stativae quelle, che si celebravano a mcae e a>giorno sempre fisso e costante, e che
quindi colle debite prescrizioni si trovavano annoiate nel Calendario ; tali erano le Agonalia^ le
Carmentalia^ le Lupercalia, Conceptivae feriae erano quelle che noi siamo soliti a dire feste
mobili^ cio che apno per anno air ascegnavano a questo o a quel giorno a beneplacito dei sa
cerdoti o niagpslriti : tali erano p. e. le feriae Latinae^ le Sementinae, le Compitalia^ W Pa
ganalia^ sebbene per queste ultime non sia la cosa c <m eicuca per cerle espressioni Unto
chiare di Varrone {^De L , VI, a4). Feriat imperaaae eraoo finalmente giorni di festa atraor-
dioarii, che per peculiari circostaoate erano imposti o- dai consoli o dai puetori.
Molteplici poi polevano essere le ferie pcivale, perch li erano le feriae genliliiie come
qnclle della genie Cladia^ della Emilia^ della Giolia^ della Corneli: ferie che per consuetudi
ne il celebravano dairuna. o dall'allo iaioiglia. Facevano poi feria anche gli individui per ape-
eiali occMoni^ p. e. nel di nitalisio per qualche espiazione e va dicendo : o per antiche super-
335 F A E r I
33
liiiohi : cuA ci fa ipre Minrebio che ftriat obstrvabat qui nominasset Salutem^ Stmoniam^
Sejarny Segetiam^ Tutilinam : la moglie del flamine iliale doveva far feria ae aveaae fentK
il tuono ecc.
Da queslo nonnulla che abbiamo dello apparitce che copioio di notiiie dovea eiiere quel libro,
sebbene quasi del tulio ae ne lia perduta la memoria.. Se ne pu sapere qualche cosa coDSultan*
do altra opera Dt l. /. al libro VI, cap. ia-26, dove sono le noliaie pi iniportenli sulle fe
rie : ne discorre co qualche Jarghezia anche il Merckel nella prefaxione ai Faili di Ovilio,
pag. CLIV'CLIX,. e nelle dolle osservazioni ai Fasti Maffeiani; ma non ce oe possiamo occii>
pare, perch e si riferiscono pi propriamenle alle tllaslrazioni di Ovidio e perch ci trarreb
bere troppo in luugo cou discussioni critiche che non entrano nel nostro disegno.
I. Gellio N. A., Il, 28. u (Romeni) ubi lerram
movisse stoterani, uunciatumve crai, lerias eius
rei causa ediclo imperabant, sed dei noaien ita,
tibi solet, cui servare, feriss oporteret, statuere
et edicere, quieacebaut, ne alium pro alio nomi
nando falsa religione populam adligareiit. Eas
ierias si quis pulluisset, piaculoque ob hanc rem
opus esset, hostiam si deo, si deae immolabant,
idque ita ex decreto poutiicum observatum esse
M. Varro dicit, quoniam et qua vi et per quem
deorum deanimve terra tremeret, incertum es
iel.
a. Servius ad Georg. 1, 269. u Sane sciendum
secuodum Varronem contra religionem esse, si
vel irrif^enlur agri, vel laventur animalia festis
diebus: nymphae euim sine piaculo non possunt
moveri.
3. Plut. Quaes. R.,-c. i 35. u ( mxiav
tv ^*; vx --
6VCU9 / ; ^ > 6
) ? ^ di! 6( . -
9 1 ^, ^ J c ^tT pv)J cv ^
iroim, /Atjoc ^ ;
1. Gellio I. c. u 1 Romani, quando avessero
sentito o fosse anuuoziato q d lerremuoto, ordi
navano un giorno di feria, ma omettevano di di^
chiarare, come era il consueto, ad onore di qual
nume la feria era intimata, perch, nominando un
dio per un altro, il popolo non fosse obbligato a
indebili riti. Se alcuno avesse violato queste fe
rie, e per ci convenisse una espiazione, immola
vano la vittima colla f*rmola : si deo si deae ; c
Varrone dice che cosi si soleva fare per lecreto
dei pontefici, perch non si sapeva n qual frza
n quale degli dei o delle dre avesse scossa la
lerra. ^
2. Servio 1. c. u Bisogna sapere che, per quan
to n dice Varrone, si offendeva la religione, cot-
irrigare i campi e lavare gli animali in giorni
di festa : poich non st posfono senza colpa tur
bare le ointe. r,
3. Plnt. I. c. u Per qul motivo nelle ferie
publiche le vergini non vaono a nozze, e posso
no invece maritarsi le vedove? forse perch, co
me dice Varrone, le vergini Tanno coutr" animo
a marito, le duniie vedove con gioia; e nei gior
ni di festa nulla conviene fft di triste, nulla
t'onlro voglia? m
Cf. Macrobio S. I, i 5 : Feriis vim cuiquam fieri piaculare est: ideo tunc vitantur
nuptiae in quibus vis Jieri virginibus videtur etc.
b) Liber IX.
De ludis eireentibut.
1 giuochi del Circo dovevano essere trallati nei libri delle Cose divine, perch erano non
piccola parte del cullo di Giove Capitolino. La loro origine risale alP epoca dei primi re, avendo
Tarqai io Prisco, il vero fondatore di questa solennit, edificato Ira il Palatino e Aventino un
proprio e spazioso luogo per celebrarli. ssi erauo quindi mollo pii antichi dei ludi scenici che
i offersero la prima volti nel 3go U. C. i Ludi circenses si componevano precipuamente di tre
alti: un sscrifizio solenne al quale seguitava un copioso Epulum Jovis; una ricchissima proces
sione dal Campidoglio al Circo, nella quale erano portati in giro gli attributi delle divinit Ca-
pitoliue, e finalmente i giuochi propriamenle delti, dei quali, senza che ora scendiamo a* parli-
u>lari, si trovauo facilmente iq gran copia notizie. Questi giuocbi adunque aveano una storia,
un significato e Qu cerimoniale minuiitsimo, da non farci stupire che Varrone giudicaiac ucce*'
DI . TKRENZI O VARRONE i m
ario leUicervi an inirro librv Quancl'^! legni Ji apcompagnare inienie } iuili irctn^s agli
acenici, qucali prcedvaDo. A?rei |>oi )a proporre uAa domanda, che per ta miicauia di tram-
roenli realer ioioluta, cio e Varrone itt qucatt libro trattasse dei circense propriamente
delti, u degli altri giuochi incora in onore di altre divinit che pure si ceirbrafan nel Circo,
p. e. i Cereales^ i Florales etc. Non improbabile che tenesse discorso anche dei giuochi dei
gladiatori.
1. Macrobio Sat. I, i i , p. 233, dopo a?er narrala la crudelt di un iale Antonio Massimo che
fece condurre in giro pel circo prima che cominciassero i giuochi un suo servo lutto livido per
le percosse e colla forca legata al collo, aggiunge che Giove fece conoscere essergli spiaciula que
sta crudelt, e che oc fu tallo argomento di una discussione nel senato :
Ex senatuf itaque consulto et Maevia lege ad
propitiandum Joyum addituf est illis circeiiabus
dies is qui instauraticius dictus est, non a patibu
lo, ut quidam putant, Graeco, nomine tr
?, sed a redintegratione, ut Varroni placet,
qui instaurare ait esse inalar novare.
Un senato consulto quindi e la legge Mevia
prtacritsero che a placar Giove si aggiungesse'allc
feste del circo un altro giorno, e fu detto instau
raticius^ non dalla voce greca , cio u pa
tibolo, r*come si cre?e da alcuni, ma, come pare
Varrone, dalla circostanza che i giuochi si doTel-
tero rinnovare, cio instaurare^ che vale appnu-
to far di nuovo.
Era frequentissimo il caso che si dovrsse instaurare diem nelle feste i ui molte e minutiS'
ime erano le co5e da osservi^re. . e. nelle feste latine. Vedine esempli in Tdo Livio, V, 17 ;
XXXII, i ; XXXVll, 3 ; XLl, i 5, Plut. Camill. 4.
2. Fest., p. 35i, 32. u Taurios Indos Varr ait
vocari qod
2. Fest., I. c. u Varrone dice che i giuochi
Tanrii furono cos chiamali perch...........r>
Il resto del pas.<o varia me te supplito, ma in modo cos poco ftoddisfacente che ntfeglio
tacerne.
1 ludi Taurii si dicono istituiti da Tarquinio Superbo per allontanare una pestilenza, e il no-,
me di taurii dve essere meteo in relatione colla voce taureus cio sterile (cf. Servio ad f^er^.
Aen.^ 11, ifo), poich di tali animali s doveva fare il sacrifizio. I giuochi si celrbravao nel
Circo flaminio {De l. /., V, i 54)< e in onore degli dei inferni c sempre slraordinaramcnle. Tilo
Livio (XXIX, 22) li ricorda celebrati una volia, dupo una villori sui Celtiberi, |>er due giorni
di seguito religionis causa.
c) Liber X.
De ludii teenicit.
Gli sp'eUacoli flella scena, che trono da principio eseguiti da artiali Etruschi, si introdussero
in Roma non prima del 3go (364 a. C.). appresso % vide rappresentato un dram*
ma composto tu greci model i da Livio Andronico. Si considerarono come una parte dei *giuoclii
del circo e quindi hanno io orgine carattere religioso. Il giorno assegtialo ai ludi scenici era
quello degli Idi di Settembre ; ma ben presto si allung il tempo, e gi circa venti anoi dopo,
i ludi scenici si celebravano per 9 giorni alla fila dal ^2 Settembre, e le spese erano sostenute
dagli edili curuli. Anche nei giuochi plebei che si celebravano in Novembre a<l onore di Giove,
epulum Jovis era fatto precedere da spettacoli scenici di cui spellava la cura agli edili plebei
(Vedi Riischel, Parrrga, p. 261). Quelli che volevano tutte le istituzioni romane ricondurre ad
una imitazione dei Greci, credevano che i ludi scenici fossero una continuazione delle feste in
onore di Racco (Liberalia), che si facevano con gioia spensierata dai contadini dopo la vendrmraia
(Servio ad Ferg. Geor.^ Il, 38o), come alle feste di Dionisio s collega in Grtcia origine del dram
ma. Come foasero degenerati i ludi scenici s pti intendere abbastanza, a tacere di altri mollissimi,
da questo luogo di S. Agostino, De ciV. />., li, 6. u Ante ipsum tarnen delubrum (li Flora)
bi stffiuUcrom ilUid locatum eoo spiciebamus, uuiversi ondque confluentes, et ubi quisqne poterai
*339
F R A N 1* I
tiiM)(eii ludos ()ni iiilenliuimi peclabaraiis inluentex allornanle roniprclu hinc -
trciam |>oih|)fn, illinc virginem deam, liam nppliciler adorari, ante illam turpia celebrari : non
ibi padibondo& mags^ nullam verecuodiorcm fcenicam Tidimiis. ^
I. Augasl., De civ. /)., I, 32. u Ludi ecrntci, apeclacula furpittidinum . . . nan hominum rilii
aed deorum Teslrorofo iussis Komae inslituti sunt. Dii prppler ledandam corporum pcj^tilentiara
ludos aibi scenicos exhiberi iubebaot (11, 8 illoi ludos . . . . ipsos deos ni albi solemnitrr ede-
ren(ur el lionori suo ronseerarcutur acerbe imperando el qaodan>roodo eilorquemlo t'ecisse.
Nunc iogravcacente peallentia ludi acenici auctorUale |toiilficum Romae primilus instituti lunt
OIK >7>: inde in hac pestilentia scenicoi kidos altam novam pesiera . . . . intulerunt, n
Trascrissi questi luoghi di S. Agostino quantunque non fosse eapressamente allegalo Varrone,
perch li credo tanto e tanto da Varrone tlerivali, come pare che ci voglia dar a conoscere lo
scrittore stesso che al principio del libro W ha qeeste parole : u Haec ... probavimus pariim
ex litteris eorum qui non tanquAm in coolnmeliam^ sed tanqaam in honorem, deornm suorom
ista coscripla posleris reliquei'nnt) ila ut vr dtf liseimiis apud eos Vsrro eie.
a, Macr.> Sat. Vi, med. Cum Varr Rr-
ruto diyinarum libro decimo dixerit : nonnuUis
magistratiboa in oppido id genus umbraculi con
iressum.
I. Microbio I. c. u Adendo detto Varrone nel
X delle Cose dTiie che a taluni magi.itrati (u
concesso di usare in citt questa specie di om
brello.
Queste parole di Macrobio niiraveno Torse a spiegare il nome d sctna^ come in Servio {ad
jen.,, T, i64) e/ dieta setna ani : apud aniiquoz enim theatrais scena parietem non
habehat^ sed de frondibus umbracula quaerebant.
3. Con^e luogo incerto ricordiamo anche questo di Servio {od en.^ X, Sgi) : Unde et pueri
quos in ludis videmus ea parte qua cernunt^ stantes cernui vocantur^ ut etiam l'arro in
ludis theatralibus docet,
Io inclinerei a leggere in libris theatralibus^ come sarebbero : De originibus scenicis, de
actionibus seenicis.
Liber XI-XIU.
De iacris,
a) Lib. XI. De consecrationibus.
Una delle cure principali dei pontefici era. di def>utare persone o cose ad nsi sacri coi meno
delle consecrationi, le mi cerimonie erano deierminate e foniKilaie eoo grande miouleita con
una legge speciale di cni abbianu pieiicisi avanii, p. e. in Creili nscrip. 2488 ; Monimsrti
T. N.. n. 2488 (c. I, I. I, n. 6o3) ; Dion., I. V, 10. Si adoperava il verbo consecrare anche per
quelli che si credevano dopo morti ammessi nel cousorzio degfi dei (et*. Cic. de leg.^ II, XI , 27 e
Ov. / 'a#/ / , 11, 601 ; 11, '44* 7o3). Oltre le perAone si consacravano coae^come dice
Elio Gallio prt'sso Festo, p. 321 3 : u sive aeilis sive ara, sive sigQum, sive locus, sive (ecuaia,
sive quid aliud. n Dei templi e luoghi sacri non bisogno parlare; basti avtertire, che, consaocattdn
uo tempio, si intendeva consacrare anche tutto quello di cui era d'uopo pei sacrifitii sjMcial
mente, come dice Tertulliano, quaecumque in sacris incenduntur^ immolantur^ pollucentur
(Vedi anche Servio ad Ferg. Gror., Il, 38o, ed Aen.^ Ili, 118). Di questo libro non avaDz*roi|o
che due insignifcanti frammenti, da cui non si pu fare alcuua congettura auJI argomeiiCo Irai
lato nel libro.
. , ,. Balteus. . . u neutro
(genere) Varr Rer. divinar.* libro XI. Tragica
vincula baltea suoi, vi
I. Nonio 1. c, M. Varcooe ndl* XI dU Gota
div. adoper haltsus al genere Molro deve diitt
che il ballao un cingolo d* tragadia. iv
Hitengo errore tipografico la scrittura dei Markd Tragita s^inctda.
i34i DI IVI. TKKENZI O VARRONE
1342
a. Non., p. 290' 23, M. Pioiecla.. .. u ieininitii
generi). . . Vurru Kerum di vi narui u l:b. XJ. Pro-
jicieis exioruni tei in mcoMm porrkere. r
a. Nuio I. c. Prosccla Ji genera temmnik...
u Vftrruix! ffitjrXI delle Coee divine... imbeodi-
re Mille mensa porzioni <i ^i.\L*tri drile villim
Siicnr.
Prosecia tu solo usaiu da Lucili in luogu ili ptosectum^ t queala voce era molto pi comune
che alira di prosicits (aoche prosicium^ Paul., p. aa5, i 5) |ui uaau da Varroue, se pure, come
sembra al Quicherat e noo a lorlo^ la voce projcies^ che del reelo leusa eaeropii, non %\ debba
conaiderare come intrusa mal a proposito. Cosi oedo avrebbe tallo meglio a mutare U porrtfer9
in porricere^ che fra il verbo proprio per offrire sull' altare, e in questo senso adoperalo altre
folle dallo stesso Varrone, p. e r. r. I, ag, 3 ; De l. V, 3 ; V, 4
6) Liber XII.
De sacrU privatis,
Sacri ficti privati erano quelli che noa i celebrafano n per conando o dei poaUfici dei
lagislrati, u per lutto il popolo. 1 principali e pi usitali tra i aaorificii privati sooo indicati
da Festo, p. a8 : DUs natalei, operationes^ denecales ; dies natales per coromeraorare
il gioroo deUa nascita; operationes^ che erano sacrifiiii offerti dal capo di casa per tutta la ta
roigUa ; denicales cosi dette a nece^ il iscrifzio espiatorio e il bachetto funerale con cut si chiU'
deva la serie degli onori tributati a un defunto. Colali si possono egualmeote bene chiamare ^n
Fello sacra propria.
Giover ancora tecare un luogo opporlunissiroo di Terlulliano de idoloi^ p. 6a4, (ed. Pari
gi). Circa officia vero privatarum et communium soemnitatum^ ut togae purae^ ut sponsa
lium^ ut nuptialium^ ut nominalium nullum putem periculum.
I. NoiuSi p. 5io>a. Varro remin divinarum :
i (enfcB ut ileos colere debet comtDuoilus civi
iat, aie fingtilae familiae debemus, n
1. Nonio, I. c. Varrone nelle cose divine : Poi
ch come deve la citt rendere in comune onore
agli dei, rosi in particolare ogni faioiglia./w
A queaio luogo, di cui don sicurissimo che apparleiietee a questo libro, par che ai poaaa
anche il eegueula derivato da Servio.
a. ServiiH ia Verg. Aen., XII,6o3. Varr art:
u Suspendioeia quibus iuata fieri iut non sii, u-
spensia opiUis, velut per imitationem inortis pa-
rtfolari. n
a. Servio I. c. Varrone dice : u Non ssetido
permesso fare sacrificii funerali per quelli che si
sono ap(ccati, sene relthrava la memoria coirap-
peodere deUe immaginette agli alberi come per
ricordan>e il genere di morte, y*
Nei libri Pontificali era prescritto che si lasciasse insepolto chi si fosse appeso per la gola ad
un laccio ; e nella cronaca di Cassio Emina si legge che al irmpn di Tarquinio Superbo asendo
molti che ai uicidevaDo per soltrarai al penoso lavoro della cloaca, il re comand che i loro ca
daveri foiiero coofitti in croce, e qoesto bast perch quel disordioe cessassr.
c) Liber XHI.
Dt saeris pubicii.
Anche di questo libro, il quale, ammesso ancora che Varrone svolge molto compendiosamente
arpoBienlo, dovea essere molto riceo di notiiir, s pcrdtiia quasi ogni traccia. Per conoscere la
NdtipHcii delle feile sacre e dei aacrificii die si vennero roano maoo per svarialissitne cafiooi
islitueodo, sufficiente dare una scorsa all uno o all altro dei oakridani renani che si conserva
rono. Nof) sono meno di 276 i giorni nei quair era d' uopo o iart sacrifici b celebrare qualcha
1343
F R A M M E N T I
1344
commemoraxoik religio)^'per quella quella diviniU per oolevoli avTcniroenli. E qualche giorno
a pi dei rano oTrti eacrifiiii; p. e. : il i 3 Agosto eiao cuorat di sacrificii Giove (come io lalH
kI Idi), Diana e Vertamno sull'Aventino, Diana Nemorensis nel boschetto d Aricia, Catiore e
Polluce nel Circo Flaminio. It 9 Ottobre^ in cui si rinnovava la memoria della consecrazipoe di
Apollo Palatino^ si doveva sacriticare anche al Genio publico^ a Fauila Feiicil, a Venere Vincitrice
nel Campidoglio, e cos va dicendo.
Dei due luoghi che comunemente si sogliono assegnare a questo libro il primo molto dub>
bio ; ami il verbo ^ oca lo da Plutarco indurrebbe a credere che egli avesse attinta la noti
zia altronde che dai libri delle Antichit disfintt cio ad uno slortco.
Plul., Quarst. Rom.^ p. i 5o, Reisk. u rS
' [ ^-
, * ^ ;
iarpriXiv.
I . Plut., 1. U Perch, quando si ia sacriixio
ad Ercole non nominano alcun altro Dio, n ira
la cima si vede alcun, cane come narr Varrone f ^
Poco sicura ancora la sede da auegnare a quest'altro, ma si va pi spediti parlandosi quivi
dei sacriftii di Giove Elicio.
a. Augnst. De civ. Z>ei,lll,9. u Naro quid ille
n>olitus sii et quibus artibus deos tales libi vel
civitati cousoriari potuerit* Varro prodit.
2. S. Agosl., I. c. u Varrone lasci scritto a
quale opera colui si sia messo, e con quale arte
abbia (K>tuto Ifgare a se e alie citt tali dei.
Libri XIV-XVl.
De diis,
a) Lib. XIV De diie certis.
Non cos facile determinare rhe cosa inteiidene propiiaiaente Varrone per dii certi: nes
8una maraviglia per che si trovi tra gli espositori variet d giudiiio. Tra i moderni ne ha
trattato con qualche ampietxa il Merkel, lua, sceverali da interrriinabili digressioni suoi pensieri,
lascia desiderii parecchi, e la elassificnione degli dei da lui proposta nceria, e in parie, arbitraria.
Quella forse che soddisfa pi di tutte la spiegazione di Servio, il quale ci fa sapere che
Varrone intendeva per dii certi quelli che come <lei si erano, diremo co), ob immemorabili^
riconosciuti e adorali, ostia che non aveano ricetuto cullo per una posteriore consecrazione. Onde
r.he li pu chiamare per questo ab initio certi et sempiterni^ e altrove dii proprii o dii sem*
piterni.
Questi dei erano allri proprii, altri communes. La distlniione non esattissima perch manra
di certa precisione di linguaggio. Infatti, prendendo ad esame luoghi, apparisce che proprii si
chiamavano quelli che presiedevano ai singoli atti della \iia privala e pubblica, comuni gli allii
che poteano qnndi essere invocati in ogni occasione. Ma in allri luoghi si trova che Varrone
chiamava parimenti communes quelli che erano universalmente riconosciuti per dei, p. e. Ercole,
Libero ; pfoprii gli altri che aveano cullo presso qualche gente soltanto, come Fanno tra i Roma
ni, Tindaro presso i Lacedemoni e va dicendo, Dei quindi che Servio attesta essere da Varrone
medesimo chiamali anche privati. Va adunque ingannato il Merkel se restringe a quest' oltimo
senso la interpretatione di dei communes.
Non poi a dubitare che Varrone prendesse come a criterio i documenti sacerdotali, i libri
dei pontefici, le pubbliche formule di preghiere, e certo una non scaraa falange d dii certi gli
dovevano fornire gli Jndigitamenta. Coi egli reslava fedele all abbraccialo consiglio di illustrare
la. Tede popolare e tradizionale, piuttosto che di dare del suo una interpretaiione dottrinaria (con>
froota Preller R. iW., p 63).
Coo tutto questo per sonu ben lungi dall* anmeilere che ogni difficolta sia dissipala, poich
neesooo vorr certo asserire che gli dei selecti o praecipui fossero meno certi della dea Leva
no, del deus Forculus^ della dea Runcina ecc., come da altra parte indubitato che alcuni degli
dei da Varrone metii tra i praecipui e selecti entravano nel numero di quelli che erano ricor-
i 345 DI i>l. lEHLNZlO VARRONK i346
()ali negli i ni gi tamenta, Ciia via allo scioglimento di questo <]uesito. ci aperta dallo slesso
Varrone; ih quale dichiarava rlic nelP ullimo libro in cui accoglieva i pi ragguanlcToli degli
dei, avrebbe imilato Xenofane Co>tonio, cio si sarebbe abbandonato a spirgazioni^allegoriche.
Qiiindi, a nostro avviso, il libro degli Dei certi cont|>rendeva tanto i selecti quant o ^li altri
minori, sema per qnexto che vi toster ript'tizioni, perch tiegl dei selecti in questo libro si ri
feriva tutto quello che la tradizione e i libri sacri aveano sul conto h)ro divnl;*tn, mentre
all'ullimo libro era risei hata la interpretazione srientifca dei nomi e delle tradizioni 9ii questi
Dei maggiori. Per gli altri n<n factv d'uopo, perch il solo nome diceva tutto; (piando p. e. si
ricordava la dea Fructi-sca o la dea Cunina, lutti facilmente i nt endevano, che la prima era una
divinit che dovea prote{.*eie le (riiita, altra vegliare sulla culla degli infanti.
Dopo di questi veniva quella che noi abbiamo detto falange di numi, e che S. Agostino con
molta verit dice : P/ebein numinum mnltiiudo minutis opusculis deputata.
Nessuno dei nostri lettori ignorer che i Romeni aveano con na frase dedotta dalle i<tilu-
zioni civili divisi anche gli Dei in dei maiorum gentium e in dei minorum gentium. La ripar
tizione che ha fatto Varrone dei suoi Dei altra sicuramente, ma non esclude questa volgare; solo
che gli dei maioritm gentium sono 12, gli dei prneciprti di Varrone sono 20.
li faccio os5ervare ancora, che, anche Cicerone, il quale ammette la divisione in dii maiorum
e minorum gentium (Tuse., I, i 3) quando ne parla scienlificamente, li raccoglie invece in tre
classi le quali, come prinio di lutti faceva avvertire il Preller, sostanzialmente lono le tre tsiesse
di Varrone; solo che mi pare da disrentire dal eh. autore in questo, che egli trova il riscontro
tra le categorie degli dei cer//, inceftis selecti^ mentre io credo ch Cicerone invece avesse
piuttosto riguardo al cardine fondamentale della tecdogia Varrttniana del genus civile^ del genus
physicum e del genus mythicum^ la quale osservazione meglio ci fa intendere aiche la divisione
fra gli Dei certi, gli incerti, gli scelti.
Ecco infatti quanto si trova in Ciceron, De eg ^ 11, 8, 19 u Divoi et eoe qui caelestes sem-
per habili colunto, et olh>s quos endo catlo merita conlocaverint, Herculem, Liberum, Aesculapium,
Castorem, Pollucem, Quirinum, ast olla propter qviae datur homini adscensus in caelum, Mentem,
A^rtutero, Pietatem, Fiden, earumque lauiliim delubra snnto neve ulla viliorum. Mi pare che
non ai pnirnne pi ihiaramnte vedeivi indicate tra gli dei delta prima classe <|uelli che il popido
deve venerare quali i protettori della vita civile, come (jnelli che erano consacrati dalle anlichis-
iime tradizioni dei papiri, cmie quelli ins* nrna il colto dei quali formava la religione ilello Sl*to
(genus civile); quelli della seconda classe sono gli dei che furono assunti lale onore dopo
un corso di vita r.oiUle erbe traio artiomento al favoleggiare dei poeti (genus mythicum):, gli
ultimi fnalniente sono dei, diremo cosi, filosofici; sono le iurze spirituali e materiali diviiiiizaln
(genus physicuw).
E non apparisce cos chiaro il motivo della trattazione in tre libri ? Nel XIV si studiava e
spiegava il genus r/V.7e, gli altri due nei due successivi.
Questo XIV il liiro che pi abbonda di fr;mmenli e la ragione evidente; perch spe-
ialmente i conlroversisti cristiaii trovavano in questo materia copiosa per combattere il poliie-
ismo pagano.
Non bisogna credere, he essendo da Varrone accolla in questo libro la pltbeia numinum
multitudo^ consaerata dagli indgifamtnta^ la riportasse tale e quale da semplice trascrittore ;
no, esso cerc di mettere tra quella turba, che S. Agostino chiama infinita, un qualche ordine,
ordinandoli in due gruppi ja*iiicipali : i. quelli che proteggevano direttamente uomo, e pre
siedevano in varii casi della vita umana; 2. quelli che vegliavano ai bisogni pi comuni, p. e.
del nutrimento} del vestilo e delle abitazi
I. Servius ad Verg. Aen , VII], 275. ic Varr
dicit deoa alios esse qui ah inilio certi ei sempi
terni sunt, alios qui immortales ex hominibus fa
cti sunt : et de bis ipsis alios esse privalos, alios
communes : privalos (|uos unaquaeque gens colit,
ut noe Faunum, Thebani Amphiaraum, Lacaede-
monii Tyndareum : communes, quos universi ut
Castorem, Pollucem, Liberum, Herculem, n
FaAajMBNTi d i M. T e. V a i b o h e .
I. Servio I. c. Varrone dice de-li dei : alcuni
esser cerli e sempiterni, altri che, uoniui prima,
furono poi assumi agli onori immortali. Di questi
alcuni sono privati, altri comuni : privati quelli
che hanno cullo presso un popolo peculiare come
da noi Fauno, presso i Tabsni Anfiarao ; in S(>arta
l'indaro : comuni quelli che sono universalmen
te venerali, come Castore, Polinee, Libero, Er
cole.
85
2. Terluli. /?a/., ]I, 9 : u Nos vero bifanam Romanorum JOS recogiioeci[niiif^^ coromtines
et proprioi, il est, quos rum omnibus liabfnl cl quos <un( commenli. .. . Quare [cum]
comiuunes elei <|uam physico quam in roylhico comprehendantur eie. n
i347 F tl A E N 1 i348
3. Scrvius aJ Verg. Aen., 11, i 4i [conscia
Piumino veri], uBeoe medium lenuil,uam ea nu
mina invocans quae sunt conicia numina verila
lis: quia et pontifices dirunt singulis actibus pro
prios deos praesse: bos Varro cerlos deos appel
lai.
3. Seryio I. c. u Saviamente tenne una via di
mezzo (Virgilio), Tacendo invocare [da Enea]
quei numi che sono a cognizione del vero, |>oi-
ch anche i fK>ntefici dicono, ad ogni allo presie
dere un dio speciale: questi Varrone chiama dei
certi.
Ni*i tesii ordinariamente s legge cer/e deoSy ma la correzione inirodnlta dal Burmann, e giu>
stificata dal codice di Fulda in certoSj senza dubbio esatta.
4. Servius ad Verg. Georg., 1, 2i : [Studium
quibus arva tueri\ u nomina haec numinum in
Indigilamentis inveniuntur, id est, in libris pon
tificalibus, qui et nomina deorum et rationem
ipsorum nominum continent : quae etiam Varro
dkil, nam ut supra diximus, nomina numinibus
ex ofTiciis constat imposita, n
4 Servio I. c. u Questi nomi delle divinit si
riscontrano negli Indigitaroenti, cio, nei libri
pontificali dove sono raccolti i omi degli dei, e
le ragioni dei varii nomi: e questo confermalo
anche da Varrone, perch, come altrove dicemmo,
c certo che gli dei ebbero il nome dai loro ut-
fcii. n
Gli Indigitamenta sono propriamente uita parte dei libri pontifirali, quella cio che conte-
neva le varie formule di invocazione. Un liber de indigitamentis citato da Censorino 3.; in-
digitamenta Pompiliana^ vale a dire, o proposti o publicali da Numa, sodo ricordati da Servi
ad Georg.^ I, 21.
5. Augiist. De civ, D., VJ, 9. u Denique et ipse
Varr commemorare et enumerane deos caepit a
conceptione hominis quorum numerum exorsus
est a Juno; eamque seriem perduxit usque ad de
crepiti hominis mortem, et deos, ad ipsum homi
nem pertinentes clansit ad Naeniam deam quae
in funeribus senum cantatur : deinde caepit deos
alius ostendere qui pertinerent, non ad ipium
hominem, sed ad ea qoae sunt hominis sicuti est
victus, vestitus et quaecnmque alia quae huic vi
tae sunt necessaria, ostendens in omnibus quod
sil cuiusque munus et propter quid cuique de
beat supplicari,
5. S. Agost. 1. c. u Finalmente Varrone stesso
imprese a ricordare e fare il novero degli dei co
minciando dalla concezione dell' uomo. Mise Gia
no in capo della serie, e la condusse fino alla morte
di un vecchio doTepito, ultimo posto Ira gli
dei chc hanno relazione colf uomo assegnando a
Ntnia^ che celebrata nei funerali d<*i vecchi ;
poi si fece a mostrare gli altri dei che non aveva
no relazione coir uomo, ma colle cose li cni Puo-
nio usa ed ha d* uopo, come il vitto, il vestito e
tutto il resto che necessario a questa vita, di
chiarando quale sia ruiTcio di ciascheduno di essi
c quando sia da iunalzare loro preghiere.
K evidente che questo luogo di S. Agostino si riferisce al libro XIV.
Sotto il rispetto della generazione Giano era invocalo col titolo di Consit^ius (Riacr. 1,9, iG ;
August., VII, 2; Tertull. ad zia/., Il, 11), c negli Indigitamenta era detto anche Saturnus
(Aug. VII, 2).
La dea Naenia^ cio la personificazione dei lamenti con cui si accompagnava un defunto a
seppellire aveva una cappella fuori della porta A^iminale. Vedi Aruob., IV, 7; Festo, p. r6i, 33.
A Giano seguitavano Liber e Libera.
6. August. JV, j i ; Praesit nomine Liberi s^irorum seminibus (cf. VII, 2, qui marem
tjfuso etntne liberat) et nomine Liberae Jeminarum (cf. VII, 2, ut etiam ipsa emisso semi
ne liberaretur).
7. Gellius . Ili, iG, dopo ricordate le opinioni di altri sul tempo necessario a maturare
i parti, soggiunge:
mense nonnumquam octavo editum esse
pai Ium in libro XlllI Berum divinarum (Varro)
Vairone lasci scritto nel XIV delle Cose di
vine, l'hc ialora fu dato alla luic un figlio i>t-
i 39 d i . VArmOiNK 35
scriptum reliquit: quo in libro, cliani nuderimo
niruse ali(|uandu nasci posie honiiuein liiil : riui-
que i^nlentiae lam le Vi l i , qnaiu de \ 1 mense
rislQlelcm laudat auctorem . . . Anii(|uos autem
Uomanof Varro dicil recrpisie huiuscemodi
quasi roonitnisjs raritates, sed nono mense aut
decimo; ncque praeter hos alio partionem roiiie-
rix secundum naturam Hrii existimasse. Idcirco
eos nomina Parcis Iribus I*cisse a pariendi -t a
nono alque decimo mense : nam Parca, inquit,
immutata littera una a partu nominata. Item No
na et Decima a partus tem]iesiifi tempore.
laTo mese^ e nel libro stesso aggiunge, che uno
pu nascere per fino nrll' undecimo mese, e per
una e per altra opinione reca Tauloril di Ari
stotele. Ma, dice Varrone, ^\\ antirhi Romaoi
non ave\ano considerato que4i parti altrimenli
che rarit mo^iruoie, e credevano che non fosse
secondo ordine ili natura il partorire se non nel
nono o decimo mese, che^quindi, awano dato
il nome alle Ire Parche dal partorire* e dal nono
mese e dal decimo; poich Parca, so|;giunge,
delta da Parta colla muiaiione di una sola let
tera : e cos Nona e Decima dal lerupo in cui il
parlo maturo.
Di questa questione sul tempo necessaiio per maturare i parli Varrone tratt ancora nella
Satira Menippea intitolala Testamentum,
Ire Pareae erano propriamente dee della nascila, e quindi non pare i he s' inganni Var-
rope che trae orgine delle parole da Partus, K si chiamavano una Parca^ altra Nona^ la
l ena Decima^ la qual cosa ci delta anche da Tertulliano, De anint., c. 37.
Quando i Romani Tennero in co}>iiiiione della / greca, allora si omise il nome d Parca^
e le tre sorelle diventarono Nona^ Decima e Morta (Geli., Ili, i 6 ; 'Jertul. De an, c. 36). Il
grammatico ricorda anche un passo di Coell io Vindice: Tra nomina parcarum sunt; Nona^
Decima^ Morta et versum hunc Li^ii antiquissimo poetae ponit : quando dies adi^eniet quem
profata Morta est. Onde il nome Parca che prima era iodividuale, direut appellativo.
E quantunque non si ( ili Varrone, pure da lui sono senta dubbio dei ivate altre notixie sulle
divinit che doveano, diremo cos, elaboriire il parlo nel seno materno (e di cui, per buone
ragioni, ci accontentiamo tare solo memoria), e pi>i condui lo fuo alla pubert.
8. S. Ag., IV, Il : u Ipse >it Diespiter qui pailum perducat in diem ( l ei tuli. Ad nat.^ II, 11 :
qui puerum perducat ad partum) : ipse sit Dea Mena (l'eitull. ib., Fluvionia (aoche Fluviona e
t'iuonia) quae inl'anteni i nal er [^nutriat"]) quam pratieceiunt meustruis feminarum: ipse Luciua
quae a pailurieotibus invocetur (7, a. Viiumnus et Sentinus qpoium alter vitam alter leosus
puerperio largiantur; if. Terl ull, A d nat.^ l i, 11) : ipse opera ferat nascentibus excipiens eos
sinu terrae et vocetur Opis (Tertull. De an., c. 37. Partula quc.e fiaitum gubernet, /la/., 11, i f .
Gandelifera quoniam ad candelae lumina patiebant. Dove nuta che non polea in questa circostanza
tisere adoperato altro lame che di cera, in nessun caso lam[ada ad olio; cf. Plio. l i , iV., VII, 7 :
u Miseret alque etiam pmlet aesliimanlem quam sii IVivola animi>lium luperbissimi origo, cuni
plerumque abortus causa a lucernarum ial extinctu): ipse in vagiiu oi aperial et vocetur deus
Vaticanus : ipse levet d terra et vocetur dia Levana, ipse cunas tuealur et nocetur dea Cuoina
ipse in deabus illis quae iacla nascentibus raiiunl et vocantur Caimenles .... ii diva Rumina
mammam parvulo immulgeat . . . . in diva Poiina potionem ministret: in diva Kdulica (Alemona-
Tertull., De an,^ c. 37; Educa S. Ag., IV, 34) escam praebeat: de pavore infantium Paventia
nuncupetur: .... dea lu\enia (novorum togatorum Tertull. Ad nat.y l i , 11), quae post praetex
tam excipiat iuvendis aelalis exordia: ipse sii Koriuna Barbata quae adultos barba induat, n
Da questa esposiiione apparisce che tulle le svariale divinit fnotA riconlale non si devono
considerale che come allretlante astrazioni dell'idea generale di Juppiter nella sua qualit di sor
gente principalissima della vita e della luce, di animatore supremo di tutte le cose, di colui che
tutto trae alla luce Diespiter,
Lucina, 11 cullo di Giunone Lucina era cerio ono dei pi antichi, e forse il pi diffuso in Italia.
(Cf. anche De /. /., V, 74). Era quella per eccellenza che vegliava sui parli, onde era invocata
da tulle le donne, nei dolori del puerperio, e molte autche cerimonie ci tanno testimonianza
di questa lede in Giunone Lucina. Vairone racconta che le douoe solevano cousacrare a Giuno
ne Lucina le sopraccigli (Paul, pag. 3o4 Supercilia), e Tertulliano, che le pregnanti si cingevano
con una fascia che era stata innanzi consacrala nel tempio della dea ecc. 11 lempio era nelle
Esquilie circondalo da un boschetto, ricordato per parecchie memoiie e usanze licenziose.
Dea Opis. Era una di quelle dee a cui furono alzati altari fino dal tempo di l ' i l o Tazio
{De l. l ^Vf 74): qui da prendere in senso alquanto diverso da (|iiello dichiaralo di Varrone
i35i
F t N I i 35i
De /. /., V, 64 : onlinario si cons'ulerava come la moglie ili Saturno. E come il concello ilctla
ferlilil dei campi fu applicato beii facilmente alla fecondit muliebre, cos negli Indigitamenta
Ops veniva invocala fra gli dei che piesiedt-vano alle nativit nel mso es|>otlo da S. Agostino
^V. anclc De, c/V. />., IV, 21, e Plinio H. N.^ II, 63, gnae nos nascentes excipit eie.). Questa
irnma^fine della terra che ci accoglie appena nati nel ^uo ntalerno eno bella e la trovi anche
spesso nei nostri pueli.
Deus Faticanus. In altri luoghi chiamalo deus Fagitanus (Tertull.; qui in vagitu os
aperit). Cos S. AgosL, De civ. Dei^ IV, 8, out Vagitano qui infantum vagitibus praesidet
(Ala cf. IV, 21). La lurroa Vaticanus accertata anche da quello Ino^o di Gellio iXVI, 17):
u Al, Varr in libris divinarum. tradit istius nominis (sc. Vaticani) rationem. Nam sicut
Aius, iitquit, dens appellatus aiaquc ei statuta est, quae est in iufma nova fia, qood eo in loco
tlivinitus \ox edita erat, ita A^alicanus deus nominatu, penea qnem essent vocis humanae i
tia, quoniam pueri simulat atquc parti sunt, eaoi primam vocem edunt, quae primu in Valica
no syllaba est : iccirco vagire di<*itur expri lente verbo sonum vccis recenti, w
Dea Levnna. Si introdusse questa divinit dal nolo costume di mettere il neonato sopra ter
ra, perch il padre lo sollevasse dichiarando con tal a'to <li riconoscere come suo il pargoletto, e
di^assumere tutti i doveri di padre e di far valere sopra di lui i diritti della patria potestas.
Dea Cunina. Gli uifcii di questa dea sono pi pitrlicolarmente indicali da Lai lamio 1, 20, 36:
Coitur et Cunina <juae infantes in cunis tuetur ac fascinum submovet. Nonio reca un luo
go di Varrone dal logislorico Calo in cui era dello che alla dea Canina si libava col latte non
tol ino.
Carmentes. Avremo pi opportune occasioni di parlarne nel libro feguente.
Rumina era la divinila che doveva fornire al seno materno e della nutrice il nutrimento pel
bambino. Anche alla dea Rumina si libava col latte.
Potna el Edulica (od Educa): Varroi.e nel logislorico Cato : w Cum primo cibo et potio
ne initiarent pueros sacrificabantur, ab aedilibus Edusae (o Educae) a potione Potinae nutrices, n
II Tocabolo di Educa si spiega, secondo alcuni, da e<///care nel senso di nufrire^ come dice Var-
lone (Non., pag. 44?^ M) : educat nutrix^ secumlo allri, p. e. Il Poti {Etym. Forschungen^
I, 382, ed. l l f da edere secondo l'analogia di caducus^ fiducia., manducus etc.
Questo passo si troverebbe pi completo in Donato {ad Ter. Phorm.^ 1, 1, i i ) : u Apud
Varronem legiiur initiari paeroK Educae et Poticae et Cubae Divis eden<li et potandi et cubati-
di, ut primuni a lacte et cunis transfrruntur. rt Cuba adunque sarebbe la diviuit che presiede
rebbe al passaggio del bambino dalla culla al letto.
Juventas, Anche questo bisogna riguardare come personiflc ione di una delle propriet di
Giove, che fioriva di eterna giovanezza. Quindi alcune iscrizioni (vedi Henxen 5634 e 5635) re
cano Jupiter Juventus. La JuventaS sempre la dea della giovanezza dei maschi, e il giorno in
cui un giovane romano lasciava la toga praetexta per la virile, deponeva una moneta nella
cassetta del tempio della Dea Juventas.
Fortuna barbata. La prima volta t he un giovane si radeva la barba, si faceva una festicciuola
di famiglia, e i peli caduti si oTrivano alia Fortuna barbata o ad Apollo. Nerone vollo farne
offerta al Campidoglio.
Sulla traccia di S. Agostino si allarga mollo pi la serie. Vi ha tra la dea Cuba e l Juventus
una quantit di numi che presiedono ai varit atti e rrtomenti della vita dalla culla sino alla pu
bert. Quindi la dea Ossipago^ che rassoda ossatura; il divus Stalanus o Slatilinus e il divus
F'abulinus, ai quali si doveva sacrificare quando i) hnnibino cominciava a slar da solo in piedi e
a parlare, mentre il prim balbettare era sotto la vigilanza del divus Farinus. Per proteggere
il fanciullo che va e torna da scuola erano le due dee Iierduca e Domiduca. La dee lens apre
la intelligenza dei bambini, il divus Volumnus e la diva Vidumiia tie eccitano i desiderii. La dea
Venilia la dea di!le speranze sicure e l gli esili inaspettati (de Spe quae venii Venilia). Di que
ala divinit falla menzione auche nel seguente luogo che .^i suppl assai facilmente.
9. lolerpres. Mai. ad Vcrg. Aen., X, 76 (Var
r) rerum divinarum XIIII de diis certi u s(es
curo conciliata non frustra esset et evenisset (Ve
niliae sacririca)haoiur quam deam cuuj Neptuno
coniuogant multi. ^
9. L ' interprete virgiliano 1. c. u (Varronr) nel
XII11 delle Cose divine : quando la concepita spe
ranza non era alata vana e si era avverala, sacri
ficavano (Venilia) dea che molti associaoo a
Nettuno.
Afiche il commuoverli del senlimenl ffetuvo e Ielle passioQi, riconosceTa Jelle dtvinl ec
cilalrici, eJ ecro che S. Agostino, seguendo senipre Varroiie, ricorda la dea Volupia u (i|uae a
vojuptale appellnl est 'n De c. />., IV, 8) e la dea Lubentina (cui nomen a libidine), detta al-
Irimrule Lnbia (Servio ad Vtrg. Aen.^ 1, 92^) o Libi lina ^che la stessa da Cicerone chiamala
yenus Libentina {De nat. Devr.^ 11. a3, 61). Lascio, perch S. Agostino nc tace, della dea
Praestana o Praestitia (Tertull., jJd nat.^ Ut n ; Arnub. IV, 3) della Pollentia (Livio, XXXIX,
^). Ma da lui truviaiuo ricurdjta la de Agenoria (a quae ad ag^ndum stimularet vi) la dea
Stimula (u quae ad agetiduni ultra modum sLiniularet i>) la quale Tu poi aesiroilala alla Semele
dei Girt i ; la dea Murcia (u quae praeler nioduai non moverei ao facerei hominem, ut ait Foni-
poniua murcidum i. e. iijn.is desidiosum et inactuosum ^ De c/V. D,y IV, iC) vocabolo che poi
divent un appellativo di Venere (ci. Prelltr, pag. 285 e segg.). Seguitava la ilea Strenua
laceret slrenuiiat, De r.iv. D., IV, 11), e le dee Nutneria e Camena (u Numcria quae nume*
rare doceal, Camoeua quae canere, rt De ciV. />., IV, J1). Fare i giovaneiti deliri ed arcorli era
uTicio del dio Catius {De ci\>. />., IV, 21, m<|uod opus eril De* Callo Taire, qui caios i. e.
aculos Tacerei? r>), come apeiiava al dio Consus, praebere consilia (Amob., 111, 23) e alla dea
Sentia, inspirare sententtas (Arnob., IV, 8).
Una serie completa di divi \k nuziali eva ricordala e invocala Jndigitamenta ; S. Aj;o-
Slino, dietro la scoria ili Varrone ne ricorda parecchie, non tulle. Le racc<*gUerciuu quimli insie
me, indicando quelle che anno taciute, e illustrando quello che onestamente si polr.
10. S. Agostino De ci^. VI, 9: u Cum mas et leniina cuniungunlur adhibetur deu.t Ju
galnus : .... domum est duccnda quae nubit, adhibetur deus Domiduci^s : ut in domo sit, adhibe
tur deus Domitius: ut rnaneat cura viro adhibetur dea Manlurna : .... adeil euim dea Virginiensis
et deus Pater Subigus et dea mater Frema et dea Periunda et Venus et Friapus.
Deus Jugatinus al quale si associava la dea Juga (propriamente Giunone, da cui il vrcns
Jugarius) erano le due diiinit del connubium. Dopo di essi feiii\ la dea Afferenda ricordala
da 'i'ertnilianu {Ad nat.^ 11, 11) ab aHeieodis dot>bus.
Deus Domiducus^ e la dea Domiduca (anche llerduca) guidavano il corteggio nuziale con
mi la sposa era aceompagna'a solennemente a casa lo sposo con minuzioftissiaio cerimoniale, che
si trova agevolmente in og<ii trattalo di antichit romane. Noteremo solo, che ejtlrando la sposa
nella nuova casa bisognava ungere gli stipiti cc>n grasso od olio e ornarli di bende, cerimonia, la
quale era vegliate dalla dea Unxia^ che non pu essere che un altro degli appellativi di Giuno>
ne; e non maucavano le divinit proprie della soglia e dtll'entrare ed uscire: Forculus e
Limentinus e Cardea,
Manturna. La sposa si metteva solto la prplezione di Manturna^ quando gi era entrala
nel vesliliolo, e dopo che si era seilula sopra una pelle lanosa di pecora per indicare che avreb
be diligentemente atteso al lanifcio.
Dea yirgiftiensis. Epiteto anche questo di Giunone, la quale dovea prosperare il sacrificio
che la sposa laceva della ina \irgliiit, e in quanto ci era simboleggiato dallo slacciare del cinto
\irginale, era invocala anche col nouie di Cinxia,
Le altre divinit provvedevano alla consumazione del matrimonio. II dio Mulunus 'l'utuii
aveva anche una cappella \Feslo, pag. i54), nella quale le donne sacrificavano col capo velato:
nel 1654 lu scoperta a Bimioi una statua della dea Prema.
II. S. Agosl. >e ciif, , VI, 9. u Deinde coepit (Varro) deos alios ostendere qui pertinent
non ad ipsurn hominem sed ad ea, quae suut horoi is, siculi est victus, vestitus et quaecumque
alia quae huic vilae necessaria . . . . <
f2. id., IV, 8. u Posuerunt Forculuin foribus, Cardeam cardini, Limentinum l i mi n i . . . .
Di queste Ire divinit, cui colletiVMueote spettava la custodia della soglia; abbiamo fatto men
zione innanzi, cL Tert., De idol.^ i 5 : u certi esse debemus etiam ostiorum apud Romanus, Car*
deam a cardinibus appellatam, et Forculum a foribus et Limentinum a limine et ipsum Jauum
ab ianua. Arnobio (IV, 9), oltre ii dio Limentinus ricorda la dea Lima, ma pare scambio erroneo
di LDDcniina.
i 3. Id., IV, 21. u Dis agrestibus^t fractus uberrimos caperent et maxime psi divae Fructiseae
(Fructiseiae 7). La seconda parte della parola sembra derivata da sero svi (tedi Poli., Kifm.
Forsch.^ a, ed. II, i, 564).
i 4 Id., VII, 23. l'elluri, TeUumoni, Allori, Rasori.
Teliamo il principio, diremo, attive della fertilit del suohs Tellus il paziente.
i553 Di M. TERENZI O VABRONE i334
Per gli clue genii, come personificazion noti si irowi altra memoria che qocsta di
S. Agostino.
15. hi., IV, 8. Il Ruta <leae Kutinae, tuga moiitium leo Jiigalliio, collibus deam Collatinam,
vallibus Vallouiam i>rat;fecerunt, n
Va inteso che una altra di queste divinit era inTocata sfcondo che la terra da lavorare
fosse in pianura, o sul pendio di un monte, o in colle o iu una vallala.
16. Id., ib. u Praefecerunt ergo frumentis germinantibus Proserpinam, peniculis noditque
culmorum Deum Nodoium, involuioentis folliculorum Oeam Volulinani, cum folliculi palescant.^
ut spica exeal. Deam Patelenam. n
A r no bi o, IV, 7 distingue : u Palellana numeri est et Patella, ex quibus una est patefactis, pa
tefaciendis frugibus altera praestituta, w E questa e quella sono probabilmente una cosa sola colla
dra Patida cht; era onorala al piede del Campidoglio (cf. Preller, R, Af., pag. Sga).
17. Mm ib. tt Cum segrtes novis aristii aequantur, quia veteres aequare hoslire dixerant, deam
Hostlinam praefecerunt. bra quindi la dea che dovea lar crescere le spighe ad altexxa tulle
uguale. Pel verbo hostire zz aequare v. Fesio, pag. 3i 4 e Panii. di C. O. .Mtller. Plauto
(Asili. II, 2, 210) ha: u Promitto hostire contra che il nostro: rendere pan per focaccia.
18. Aug., De c q . D., IV, 8. u Florescenlibus frumeutis deam Floram, lactescentibus deam
Laclurciam, maturescentibus ileani Maturam pmefecerunL
La dea Flora era anche onorala di spudoratissimi giuochi (u ol omnia bene deflorescerent 1),
contro i quali i scagliarono lutti gli apulogisli crisliani. Lira fra le divinit cui, secondo Varro
ne. erano stati eretti altari da Tito Taiio.
Otam Lacturciam ; allri scrivono deum Laturcium : slann< insieme tutti due.
19. Servius ad f^erg, Georg,^ I, 3 i 5. . Varr ni libris Divinarum (cio il XIV) dicit Dcuni
esse tartan lem, qui se ini undit segetibus et eas facit lacieicei e. t l sciendum inter lactantem et
lactentem hr>c interesse, quod lactans est quae lac praebel, laclens cui praebelur. t*
Deum Maturum. 1^ maggior parte delln editioni, compresa quella del TauchnilL, hanno
Deam Matutam^ ma la lezione si deve ritenere come errata.
20. Aug., De civ. D.y IV, 21. u Nec deos Spiniensis, ut spinas ex agris eradicaret ; nec dea
Bubigo ut non accederet, rogaretur: una Felicitate praesenie el tuente, vel nulla mala exuri-
leittur, vel facillime pellerentur. r>
11 culto di (|uesto genio malefico, che mandava la ruggine al grano era antichissimo, aveva
anche un boschetto sacro poco luiigi da Roma, e feste proprie (Robigalia) ai 25 di Aprile; er>
vivano di villime dei cani rossi, dai quali venne il nume alla porla Catellaria (Paol., p. 4^) per
cut passava la processione
ai . Servius Verg, Georg.^ I, i 5i. u Robigo.. . genus est viiii quo culmi pereunt quod
a rustitanis ralamilas dicitur . .. Inde et Robigo deus et sacra eius VII K. Maias Robigalia appel
lantur. Sed haec res abusile robigo dicitur, nam proprie robigo est^ ut Varr dicit, vitium
obscaenae libidinis quod ulcus vocatur, n Cf. anche Gellio N, V, 12 fin.; Varro /. \,
i 32; VI, 16, De r. f., I, 46 ; Paul., pag. 267; Plinio, J5T. ., XVII, 44; XVllI, 28, G8; 29,69.
22. Id., De civ. />., IV, 24 u ... A pomis Pomunam (uuncupaveruni), non pomum sicut a
bubus Bubonam non bovem, n
Per Pomona Ia bella ninfa degli orti e dei frutteti V. Ovid. Met. XIV, 628 segg. Welle
tavole Iguvine si trova anche un dio Puemunus. Pomona aveva iu RoMia un proprio llamine, e
in varii luoghi della campagna luoghi consacrati in suo onore, p. e. un Poinonal fia A idea ed
Ostia. Onore di giuochi aveva anche la divinit lulebre del genere bovino, ed erano i ludi
Bubelii.
23. Id., De ciV. D.^ IV, 21. u Quid necesse erat . . . Bellonae (commendare) ut bene bellige
rarcot ; dcae Victoriae, ut vincerent; deo lioooii ut honorarentur; deae Pecuniae, ut pecuniosi
essent, deo Aescolano el flio eius Argentino ut haberent aereaiu argenteamque pecuniam ? . . .
Cur esset invocanda propter fessos diva Fessonia, propter hostes depellendos diva Pellonia,
propter aegros medicus vel Apollo, vel Aesculapius, vel ambo simul quando esset grande pe>
riculum ? .
Bellona. II cullo pare di origine sabina e porlato a Roma dai Claudii : uno di questa fami
glia le innalz il tempio (la festa della dedicazione era fissata ai 3 di Giugno), che ser\ non
di rado come luogo di radunanza al senalo, essendo presso al campo Marzio. La dea Firtoria
aveva in Roma molti e tempii e altari e nomi.
i355 R A 'I I ,35C
i 357 DI . TEKE NZI O VARUONE i358
Si cliiamava \UdeuS Argentinus figlio clair Aesculanus, perch Pargenlo non ai oomi
coniare che uri 485 di .
Alla (lea Fessonia ai pu unire la dea Quies^ che avea parecchi luoghi tacri. S. Ago*lino
nomina u P aedes Quielii exira porlaro Collmaro. n Per gli dei Apollo ed Esculapio non occor
re schiariinenlo.
2/J. Atigusl. IV, 8. u Neque .... aodeol aliquai parlea deae Cloacinae Iribuere. n
Lact. ], 20. rt Clocinae airaulacruro in cloaca maxima repertum 'laliua cousecraTI,' et quia,
cuius eMet effigiet ignorabat, ex loco illi nomen iiiipotuil. n
a5. Aug. IVv 20. cft Virtutem quoque deam fecerunt . . . et Fides dea eredita est . . . et Fides
et Pudicitia . . . . in aedihaa propriis altana meruerunt, n In Ruma \i erano parecchi tempii de
dicati alla Virlui, ma presa sempre la parola in senso militare. L'origine del cullo all dea
Fides risale a Numa (Varr /. V, ^4)* tempio della Fides pubblica era contiguo al capito-
lino (cf. Livio ], 2i). < lu Roma vi avra una cappella alla patricia, un'altra alla
dicitia plebea. La ragione di questo doppio tempio narrata da 'lito i^ivio (X, 23).
26. Servius ad Aen.^ V, 4^ dopo avere stabilito chiamarsi dei quelli che sono sempiterni,
divi quelli che ebbero gli onori divoi dopo un corso di vita mortale (quasi qui diero obierint),
continua :
sed Varr et Ateius contra sentiunt, dicentes di
vos perpetuos, deos, qui propter sui coosecratio-
nem timentur, ut sunt dii Manes.
ma Varrone ed Atteio sono di contrario senti>
roenlo. chiamando diifi quelli che furono sempre,
</ei quelli he sono vene rati dopo la loro conse-
crazione come i Mani.
Abbia ragione o torto Varronc, certo che da Cesare e Augusto in poi uso giostificava la
dichiaraiioue di Servio.
2. Servius ad Verg. Aen., Vil i, 5i. u Sicut
ait Varr : nonne Arcades exules confugerunt in
Palatinum duce Evandro? ^
28. Ter!oli. ad nat.. 11, 8 u ... vcl quos Varr
ponit, Casiniensiuro Dr[iuen]li[num], Narnien
sium A^sidianum, Atheniensium (Aternensium ?)
Numentinum, Faesulanorum Anchariam et quam
Vulsiniensium Nurtiam. rt
27. Servio 1. C. u Come dice Varrone: nn
vero ibrse che profughi di Arcadia condotti ia
Oandro vennero a salvarsi nel Palatino ? n
28. 'i'ertnlliano 1. c. u ... o quelli che Varrone
ricorda : Oelocnlino dei Cassinesi, Visidiano di
quelli di Narnia, Numeiitino degli Ateniesi, An
caria dei Fiesolani e Norzia dei Volsiniesi.
Deluentinum scrisse il Merkel in luogo di Deti. Ammetto che questa voce sia un errore, ma
avrei voluto che il correttore giustificasse la sua congettura, noo avendo io potuto trovar traccia
d questa divinit.
T'^isidianum, Visidianus era il dio protetlore di Naroia, e il Preller (pag. 828) spiega il nome
dal verbo virare o virescere^ col quale si spiega anche Virhius e Fires (ninfe buscliereccic)
Virites,
Humentinum. Anche di questa divinit non seppi trovare che si facesse degli antichi menzo>
ne. Non so se si potesse congetturare con fondamento che in luogo di Numentinum tusse da leg
gere : Nrroestrinum, un dio dei boschi o delle selve.
Ancharia. citata un' altra volta da Tertulliano, e la si trova ricordala come divi ita di Fie
sole anchc in una iscrizione (Orelli, i 844)
Et quam. I codd. di Tertulliano leggono et quampraeverint^ che attende ancora di essere
sanato.
Nortiam, Sotti questo nome veneravasi in V o Im i i o la dea Fortuna. Il Bergk (Philologus
XVI, 443) spiega Nortia Nevortia firpowo;. Forse condotto a questa spiegazione iiigegiioia dal
fatto che nel tempio della dia Norzia si configgeva ojjni anno il clavus^ come pi tardi tra i Ro
mani nel tempio Capitolino.
29. Terlull. ad nat.. Il, 9. Si Faunus Pici
ilius in ius agitabatur mente captus, l urari curo
magis quam consecrari decebat,
29. l'ertull. I. c. u Se Fauno figlio di Pico era
come scemo di mente tratto in giudizio, quanto
non era uteglio farlo sauo che farne un dio ! n
i 359
F R E N I
i3G.>
30. Macrob., Sat. 1, 12^ p. 173. u Varr Faant
fliam esse Irailit adeo puHicam, iil exira (>ynae-
coniiin Dunqnam sii rgressa, nec nomen cius in
publico fueril auililum, ncc vii um uiiquam Tde-
ril, nec a viro viia sii. r
V. anche Terlull. Ad nat.^ II, g.
31. Servius ad Vfr^, Aen., XII, i 3c). u Varr
Reruni divinarum XIV ait : Jiilurna Inler proprios
deos iiyropbasque ponilur. n
3o. Macr. I. c. u Varrone lasci scrino che la
figlia di Fauno u Unto pudica, che non usci mai
fuori del gineceo, n il suo nome fu udilo in pu
blico, ne mai vide alcun aoroo, n da uomo alcu
no fu veduta.
3i. Servio I. c. u Varrone nel XIV delle Conc
divine dice : Giulurna messa nel novero degli
dei proprii e delle ninfe.
Al nome di Giulurna si collegano parecchie traditioni che portano tulle Io stampo del La
zio. ltri la facr'vano un'amante di Giove, che la prepose a tulle le fonti e le acque del Lazio;
altri la sposa di Giano alla quale partor Fontos. In Virgilio la sorella di Turno rara del paria
Giove che a Giunone. Nel territorio di Ardea e di Lanuvio vi avea una fonte dedicata al suo
nome Teneralissima. Altre sorgenti consacrate al suo nome avea in Roma : il laghetto nel foro
presso il tempio di Castore era dello lacus Juturnae: una sorbente di Giulurna era nel campo
Marzio, tenuta come la pi pura, la pi sacra, la pi salutare di luilf, oud^ di questa sola si fa
ceva uso nei sacrifzii, e si dava a bere agli ammalati. La ftSia di Juturna era all* 11 Gennafu.
32. A. Geli. N. A,y I, 18. In quartodecimo Rerum divinarum libro M. Varr doctissimum
tunc civilatis hominum L. Laelium errasse ostendit, quod vocabulum Graecum vetus traductum in
lin}*uani romanam pro meraco et quasi a se primitus latine facium essel resolvit in vores latinas
ralione etymologica falu. Verba ipsa snper ea re Varronis posuimus: in quo Laelius nosler litteris
ornatissimus niemoria nostra erravit aliquoties. Nam aliquot verborum antiquorum praecorum, perin
de atque essent propria nostra reddidit rausas faUas. Non enim Lejoreni dicimus (ut ait) quod
est levipes sed quod est vocabulum antiquum graecum. Mulla enim vetera illorum tgnoranlun
quoti pro ii*, aliis nunc vorahulis utuniur ct ilioiuni esse pleriqne ignorenl groerum quem nunc
numinaul 7Uy.v : [>ulrum esse quod vorant ; leporem qu>d ie/ oov dicunt. In quo non
modo Laelii ingenium non r eprehendo, sed industriam laudo. Successum enim foilnna, experien>
tiam laus sequitur. Haec V^arro in primo scripsit de ralione vocabulorum sciiissinie, de usu utrin-
que linguae peritissime, de ipso Laelio clenirnlissime. Sed in posteriore eiusdem libro parte dii- it
furem ax eo dictum quod veteres Romani furvum alrum appellaverint el fures per noctem, quae
alra sit f>cilius furentur elc. u
Ho preferito di dar tutto di seguito il luogo di Gellio, perch offre, parmi, qualche difcollH.
Infatti noi vi troviamo accennato un titolo nuovo di un opera varroitiana, cio Ihe ratione vo
cabulorum^ un'opera adunque d' indole elimologioa. Ma io non credo che sia un opera 5pecia-
le, rna un titolo di qualche libro di una od altra delle opere gi conosciute di grauiniatica. Io
credo poi che avendo Varrone nel XI111 delle Cose livine credulo necessario (Dio sa a quale
proposito!) di parlare sul uodo seguilo da Lelio nel dare la ragione etimologica dei vorabol,
sitasi servilo quale esempio della falsa interpretazione di Lepor che avea gi recalo nell altra
opera grammaticale e cosi le due citMxion di Grllio si concilino.
Ad ogni modo parmi che il Merkel abbia preso errore trascrivendo come iramroento delle Cose
divine la spiegazione etimologica di yj/r, che certo nou apparteneva a questi libri, come ad evi
denza prova il capo di Gellio.
3a. Non., pag. 480, 1. M. u Varr Antiquita
tum livinarum lihro Xl l l l : viri nuptiis sacrilica-
baulur in cubiculo viduae. ^
3a. Non. 1. c. w Varrone nel Xl l l l delle Anli-
chil divine: rimaritandosi una vedova il sacrifizio
fi celebrava nella stanza, m
33. A. Gellius iV. XV, 36. u Petoritum ... est non x graera dimidialum, sed totum trans-
alpibus iaclum ; nam est vox gallica. Id sciiplum est, in libro M. Varronis ilecimoquarto rerum
divinarum. Quo in loco Varr, cum de petorito dixissel, esse id vcrbura gallicuin, lanceam quo
que dixil non latinum sed bispanicum verbum esse.
34. Lan. Lytlus de mensibus: Januar. 2. u *0
Betp^uv <y rfV9pc9x(^iKftr^ T0v <9 trpei>u
34. L Lido 1. c. u Varrone nel 11 delle
Antichit divine dice: che Giano fu chianaato dagli
i3t
DI . 10 VARRONE iS6t
*^ irapae & * }lt>ra6(
*4 ifofov on ( ^ %at A i
^ f9.fifta^oa ^*.
Etruschi Urano e peculatore li tutte le aziuoi e
Popanone perch nelle c^Jen^le gli si oflfriva una
upecie di stiacoUta della Ppaao. n
]1 luo^o (lai Mcrkel asiegnalo ai libro XVI, roa a torto. Qnenla stiacciala, chc i Greci chiamava*
oo friravov, pieiideva un nome proprio a Roma se veniva o0t*rla a Giano e diceTaki Janual.
Cf. Paul., p. lo^i u iaoual : cibi genus quod Jano tantummodo libalur.
6) Lber XV.
De d i i t i ncer t i s .
Non possiamo allrimeitti che per congettura determinare, quali divinit Varrone comprendesse
soMo il nome di dei incerti. Notiamo anzi tulio, che secondo Varrooe, chiaraavansi dei certi
quelli che P antico rito pontificale e i libri sacri aveano sempre considerali come deputali a pro^
sperare questo o quello momento della vita, e ciascheduna azione dell'uomo sia come privalo, sia
come ciltadBo; quindi per opposto, </ei incerti devono essere quelli a coi mancava questa san-
sione, quelli adunque coulru la divina natura dei quali si poteva muovere qualche fondala obbie
zione. A tale claue bisogner per conseguenza ascrivere lutti quelli che ebbero culto divino
sollanto per una consecrazione speciale, ma che ebbero vita e origine mortjali come Castore, Esco
lapio. Ercole ecc. Altri, come il Prelkr, si dichiarano aTalto contrarii a questa interpretazione e
intendono per dei incerti quelli sopra la coi natura Varrone non aveva nulla di sicuro e di pre
ciso da stabilire.
Erronea affatto , a mio giudizio, la spiegazione del Boissier (pag. a5o), il quale intende per
dei incerti gli dei stranieri, il culto dei qtjali, sebbene tanto combattuto, si fece a Roma strada
larghissima, e su questo concello sciupa i8 intere pagine. Non vi ha nessun frammento che gi
atifichi questa spiegazione, e non si vedrebbe ragione sufficiente d' applicare a questa divinit
straniera il titolo di dii incerti. Anzi vi sarebbe qualche autorit da apporgli direttamente.
S. Agostino De c. /?., VII, 7, distingue ti^a gii dei incerti e gli dei ignoti, e questa distinzione
troviamo anche in Teriuiliano adv. Man., 1. J, c. 8, espressa in questa notevole forma: Inifenio
ignotis deis uraS prostitutas^sed attica idololatria est: item incertis deis sed superstitio ro~
mana est, II Boissier conosce questo lungo, ma ne stravolge la spiegazine. Abbandonato Varro
ne da documenti venerabili come gli indigitamenta^ in questo libro dov dibaltersi fra dubbii e
incertezze, e dovea lare opera non di espositore ma di critico, senza per questo essere sicuro delle
ae conclusioni e senza pretendere d'imporle agli altri. 11 libro XV molto scarso di frammenti.
I . S. Augnsl. De c t . D., Vii, 17 ... a Trium
extremorum primum cum de diis certis absolvis*
et (Varro) librum, in altero de diis incertis dice
re ingressus ait : cum in hoc libello dubias de
diis opiniones posuero reprehendi non debeo.
Qui enim putabit indicari oportere et posse, cum
audierit, faciei ipse. Ego ciiius perduci possum
ot io primo libro quae dixi in dubitationem re
vocem, quam in hoc quae perscribam omnia ad
Aliquam redigam summam. ^
1. S. Agost. 1. c. u Compiuto il primo .dei tre
ultimi libri, che era degli dei certi, Varrone, cos
introduce il seguente degli dei incerti. Non mi si
ascriva a colpa se in questo libro non esporr
che delle opinioni dubbie sugli dei. Quegli che
dopo aver ledo creder che s debba e si possa
fare on giudizio sicuro, lo far da se. lo |)otrei
essere piuttosto indotto a revocare in dubbio
quello che ho esposto nel primo libro, che a dare
delle conclusioni sicure so quanto verr in que
sto esponendo, n
Onde poteva a piena ragione soggiungere Agostin u Ila non solum de diis incertis, sed
etiam illum de certis fecit incerlura. ))
1. Macrob. Sat. 111, a : Varro etiam in libro
qointodecimo rerum divinarum ita refert, quod
poutifex in sacris quibusdam vitofari soleat, quod
Graeci vocant.
F bahmbut i d i M. Tbb. Viamoni.
a. Macrob. I. c. Anche Varrone nel XV delle
cose divine ci fa testimonianza, che il pontefice
in certi sacrifzii schiamazzava per tlegrezza^ atto
che i Greci dicono
S
i363
A E I 364
Si conoiceva dee Vitula^ che r una dea della 'vittoria e del giubilo che fegue al b
vittoria. Donde il verbo viluiari e ii soitanlivo vitulatio che ii riiconlra negli atiliehi acrittor :
Eooio (ep. Feslufo, pag. 369), Netio (Nonio, |Bg. 14, 18), Plauto (Pert.| 11, 3, a). Macrob. poco
arami dice: u Uyllus (? H^ginus Mommitn C. ], L. 1, pag. 26) libro quero de diia composuit
ait Vilnlain vocari deara qoae laelitiae prae*ft ; Pilo ait Viiulam Victoriam oominari eie, Var
rone nel ^, lo^ cita il participio TtuUntes e il Preller (R. M., p. 359) proporrebbe che vi ai
ggiungec e V i t al a .
3. August. de civ. D., IV, a3 : Sicol eniro
apud ipfos le^itur, Romani veleres netco quem
Stinimaium cui nocturna fulmina tribuebant, co
luerunt magis quem Jovem, sed postquam Jovi
templum insigne ac sublime conatructum est,
propter aedis dignitatem aie ad eum multitudo
onfluxii, ut vix inveniatur qui Sommaui nomen
quod audire iam non potest, ac iam legisse me
niinerit.
3. S. Agost. I. c. Come ai legge nei loro acrit-
toru gli antichi Romani onorarono con culto pio
solenne di quello di Giove un non so quale
Summano cui attribuivano i fulmini notturni. Ma
dopo che i'u innaliato a Giove un eccelso e raa-
gnifico tempio, la dignit di questo attir tutta
la moltitudine, cos che ora si trova appena chi
ricordi di aver letto il oome di Suiomaiio che
pi 000 ai ode ripetere.
Per incUlente abbiamo dovuto anche pi sopra toccare del dio Sommano, del eaS culto anti-
chiasimo, un'altra testimonianza ci ha lasciata Varrone /. . V, 74* Sommano aveva ona cappella
uel Campidoglio, e sul pinnacolo di qoeato tempio ai elevava una itatoa di creta rappresentante
questo nume, la cui testa pi di qualche volta colpita dal fulmioe fu lanciata nel Teven* (Cre., De
], 10; Liv. Epi., XIV; Pln., XXIX, 4**4) altro tempio forae aveva presio il circo
Massmio e ieste proprie Summanala (Festo, pag. 348), e ai tacevano per il suo altare delle
focatcie in una forma tutta speciale, cio di ruota. La vittima a Summano era un montone nero.
La ragione del nome ai trova scomponendo le parole in sub-manus^ cio il dio di quel punto
della notte che fa luogo al nuovo giorno, cio verso il crepuscolo mattutino, tebbene si amaasie
meglio far prevalere il concetto di un dio della baia notte. Onde Pianto pot per iseheno for
mare il verbo summanare nel senso di rubare^ perch oscurit delle notte la beneditlone
dei ladri. CI'. Preller R. M., 107, 217, ai8.
4 . Servius Ad Gtor.y Ili, i . u Psies autem, ut diximus, dea est paholl, quam alii Veslam, alii
Matrem deum volunt Hanc Virgilius genere feminino appellat ; alii, iuter quoa Varro, maiculino
genere ut hic Pales. V. Append, n.* 33.
Arnobio, 111, ... Palem u non illam feminam qaara vulgaritas accipit, sed maicoliai ne
scio quem generis minislrom Jovis ac villionm. n Cf. anche Mari. Cap., 1, 5o ; V,
5. Geli., XVI, 16: u Esse autem paeros ia utero Varro dicit capite infimo niscs sursora
pedibus elatis, non ut hominis naUira est, sed ut arboris. Nam pedes croraque arboris appellai
ramos, caput stirpem et caudicem, n
Quando igitur, inquii, contra naturam iorte con
versi in pedes brachiis plerumque diductis rtll
neri solent, aegriusi|ue tum mulieres enituutur
huius periculi deprecandi gratia arae staluiae
aunt Rumae duobus Carmentibus, quarum alte
ra Postverta, cognominata est, Prorsa altera, re
cti perversique partus et potestate et nomine.
Quando adunque, dice, aieno rivolti contro l' or
dinario coi piedi air ingi e le braccia per lo pi
stese, allora le donne s sgravavano con meg^ior
pena. Per rimuovere questo pericolo s innalta-
rono in Ruma are a due delle dee Carmenti, che
si dissero una Postverta, Prorsa l'altra, indi
cando col nome il potere di liberare il parlo o
nella positura regulare o nella contraria.
Noter solo che pi frequente che Prorsa questa dea chiama vasi Porrima.
C. Interpp. Mai ad Aen., V, 2/|i : u Portunus,
ut Varr alt, purt[tnum purtajmmque praraes.
Quare hnius dies festus Portuualia, quo apud ve-
Ures aciUs in porta et feriac institutae.
6. Interp. 1. c.u Portuno, come dice Varrone,
presiede ai porli e alle porte. Quindi il giorno
della sua feata dieesi Portunalia, a memoria di
quello in cui gli fu dedicato dagli antichi un
tempio nel porto e furono istituite ferie in suo
onore. ^
i3C5 DI . TE ntNZi O YAftRONE i366
Quftlo framnenlo abbiamo dato gecondo Ic enrrezioni dei Preller (R. M. pa^. i 58). ICel testo
del Mai Portunalia qua apud vtftrts clasfes in forum adductas mare institutum^ lezione
accetlata dal Merckel colla .correiiuiie di piar in luogo di mare. Ma i iiileude lanio puco que>
ala come quella.
La doppia relaxionc di Portunuf colle porle e coi porti ai piega etimologiramenle. NelP
tico linguaggio romano portus eignifcava qualunque fabbrica per cui si enirasse o ei usciftte ;
quindi nella legge delle Xll tavole fi trova adoperala coin linonimu di domus^ e si collega ini
inedialameute con ^. Quindi anche Porlunui come Janua si trova rappresentalo con mia
chiave io mano (Paul., pag. 5). Portunus a?eva un tempio al porlo del Tevere presso il ponte
Emilio, e alle sue ferie (Porluualia) era assegnalo al 17 Agosto (Tedi gli aulichi Calendarii a XVI
Kal. Sept., e le noie di Mommsen, pa^. 899).
7. CKaris., 1. 1, pag. 119, P. u Varr anliquilalum divinarum decimoquinto. Volgus ru>
morem. n
8. Servius ad Verg. Aen., VIU, 564 : Quam
Varr liberiorum deaiu diril Feroniam quasi Fi>
doniam.
8. Servio 1. c. Varrone chiama Feronia quasi
Fidonia la dea dei liberii.
Feronta era onorata in diversi luoghi dMtalia e eoo iotendimenti molto varii. Per molti era
ana dea dei fiori, e che cos 1 veoeraaarro i Sabini atteslato da Varroue medesirao, /. /. V, 74
e da Dioaisio 111, 32. Altre tradizioni sono riportale da Servio al luogo citato, il quale aggiun
ge, che Feronia era anche uua ninfa di Campania e che era la dea dei Liberti nel cui tempio
agli schiavi veniva raso il capo e roeuo in capo il pileo come segno che erano ridonali a liber>
l, cerimonia di cui fa menzione anche Plauto neirAnfitionc u quod ulinam ille iaxil Juppiter,
ul ego hodie raso capile calvus capiam pileum, u Aveva Feronia un tempio anche in Terracina
dove trovavasi un setlile di vivo sasso coll'iscrizione. Benemeriti servi sedeant surgant liberi
Della etimologia della parola Fcronia e come conciliarla con Fidooia discorse il Poli, Zeitschrift
fur vergltichende Sprachf.^ IX, 34a.
9. Servius ad Verg. Aeo., IX, 4 ^ Pilumnum
el PicumDom . . . Varr cooiugales dcos suspica
tur, w
9. Servio 1. c. u Varrone sn<<pella che Pilumno
e Picumno sieno Dei soprastanti alle nozze, w
Il Merckel ascrisse anche questo frammento ai libri delle cose divine. Ricordandolo io pure,
devo aggiungere, che credo, Servio volesse alludere alP altro luogo di Varront, che nel 11 De
vita P. R, tt nalus si erat vitalis ac sublains ab osletrice, slatuebiilur io terra ut auipicarelnr
rectus esse, diis contugalibus Pilumno el Picumno in aedibus lectus sternebjfur. n E in un al
tro luogo Servio Ad Verg. Atn.y X, 76. Varr Ptluinuum el Picumnum infantium tkos ezw
ait eiusque pr puerpera leclum in atrio sterni, dum exploretur aa vilalis ait qni nalus est. n
Altro tuttavia era il costume dei ricchi e ne fa menzione lo Itesso commentatore Ad Verg,
E cl , IV, 6a.
Giover anche riferire il passo seguente di S. Agost. De ci^f, Z>ei, VI, 9. u Mulieri fo,etae
post parium tres Dei custodes adhibentur, ne Sylvanus deu^ per nociem ingrediatur el vexet ;
eorumque cnslodnm signifcandorum causa tres hominrs noclu circumire limina domos, et primo
llmen securi ferire, postea pilo, It^rlio decorrere scopis ul bis datis cullurae signis, Deus Syl-
vanns prohibeatur intrare ; quod neque arbores caeduntur ac potantur sine ferro, neqnc far
conficitur sine pilo, neque fruges coacervanlar sine scopis; ab his antem tribus rebus trrs nun
cupatos Deos Intercidonum a securis intercisione, Pilumnum a Pilo, Deverrum a scopis quibin
diis custodibus contra vim Dei Sylvani foeta conservaretur.
10. Servias ad Vrg. Aen., IX, 584* Plioos
nauticos deos Varro appellat, n
10. Servio I. c. u Varrone chiama i Palici Dei
dei maie. n
1 Palid f o D o propriamente demoni delle c m Uz o d sulfuree. Il loro culto era originato da
vapori che si sollevavioo da uno speiUo cratere fra Enua e Siracusa. Molle questioni ai colle-
goo a questo nome Iraitate dal Michelis in uu'opercUa a parto Die PalUen^ Dresda, i^56.
Non ti M comprendere per qoale reUiiooe dal nostro Archeologo potessero essere chiamali Dei
3; F R A M M E N T I 568
n . Arnuh., IV, 3. u Qnoil abectis inTantibiix
pepercit lupa non milix, f<uperr> nqiiil liea f<l
auctore appellato Varrone. ))
II. Ariiob. I.. mSe crrdiarao t Varrone fu
chiamala <lea Lnperca la lapa, perch, vorace Ji
natura, risparmi gli cspuili gemelli, n
Liber Sextus Decimus.
e) De diti telectii.
Abbiamo gii ntrccdentrinenle eipretso il noiilro lEntiiatnlo intorno *1 concedo <1* farli itclla
classitcaxione Jegli dei giusta la teologia Tarroniaoa, quntii non ci retta ora da ripetere, se non
che, gli Dei Seltcti erano quelli che ateano in Roma cullo pi fplendi(lt>, e tempii e tlalue nu
merose, e inoltre, che Varrone non ne imprendeva qui a parlare per la prima voH^ ; ma che
dopo averne trattato nel primo e secondo libro secondo il concetto popolare in questo lerzo li
considerava HlosoHcameute, in quant9 erano rappresentanti delle varie ione della natura. E in
latti da S. Agostino {De ctv. Dei^ VII, 17) si conosce che il libro XVI cominciava dal discorrere
degli u0cii o tiei limiti della teologia naturale; ed era il solo appello couveniente per conside*
rarli questo : di \eder divinizzate in essi le fone della natura. Noi abbiamo gi notalo quanto
numerosa falange di ilei fosse stata accolta e riconosciuta ufficialmente, ed certo che il loro
nui*nero ne faceva scapitare la dignit. Quindi non tard a farsi sentire la necessit di stabilir fra
Dei c Dei una gradazione di diguit; i rappresentanti delle forze pi attive della natura, biso
gnava che fossero trattati con un rispetto ed onore rhe avanzasse gli altri loro ministri e come
valletti. Anticamente questi dei privilegiati fi contraddistinsero col nome di pater e rnater^ ma
non bast, perch in seguilo si diede quesio onorifico appellativo anche a divinit minori e, se
lecito dirlo per celia, se ne volle acquistare il patrocinio lusingandone' Vambizione. Un fram-
inclito di Lucilio conservato da Lattanzio {Jnst. div.y IV, i n , a) ce n ' prova;
Ut nemo sii nostrum ^uin pater optmn"* divum
Ut Neptunu'" pater^ Liber^ Saturnu^ pater^ MenSy
Janu*^ Quirinu pater nomen dicatur ad unum.
Anzi come dice Varrone stesso (ap. g., VII. 3), alcuni degli dei pi recenli poterono oscurare
col loro credito la gloria di alcuni degli dei padri e delle dee matiri.
Gli dei da Varrone messi nel numero degli dei scelti o superiori sono venti: Giano, Giore,
Saturno, il Genio, Mercurio, Apollo, Marte, Vulcano, Nettuno, il Sole, Orco, Libero, la Terra,
Cerere, Giunone, la Luna, Diana, Minerva, Venere, Vesta. Quale criterio seguisse Varrone per que
ala scelta non ti potrebbe dire con sicurezza. Sia il fatto che a qualcheduno ancora di que5ti
dei di primo ordine sono assegnali non di rado degli ufficii molto vili. E mi pare, che a gravo
torto il Merkel accusi S. Agostino di euersi in questi fermato quasi con piacere, e perfino lo in
colpi di menzogna, il Merkel pare dimenticarsi, che S. Agostino era un controversista ciisiano,
e che doveva mettere in rilievo specialmente^ quti fatti che meglio dimostrassero il miserabile
treriamento dello spirilo pagano ; e incolparlo di menzogna una brutta calunnia, la quale non
dovea sfuggirgli dalla penna, perch abbiamo pi che sufficienti prove della scrupolosa esatlezta
del S. Dottore ; e se troviamo a proposito li qneslo libro attribuite da lui a Varrone opinioni
che non riscontriamo coi luoghi rimasti, come si pu fargliene carico, essendo quasi lutto il libro
perduto, e sapendo per esperienza, che Varrone non di rado nelle cose incerte proponeva due^
tre o pi tpiegaxioni, lasciando al lettore di scegliere la pi probabile ; o cercava di conciliare
opinioni discordi? E giacch siamo al Merkel, mi dispiacque in un uomo di lauto leuno. Ir*
vare accettata la favola che S* Gregorio il Grande abbia fatto arciere i libri delle antichit var-
roniane: solo eh'esso vorrebbe trovarne un motivo differente. Il Menckel crede che S Agoiti-
no abbia maliziosamente (Punica hominis pei fidia, pag. CCXXV) falsalo parecchie volle il senso
dei passaggi che cita, e che coll ardere opera di Varrone si volesse salvare S. Agostino dal bia
simo di falsario. A questa imputazione non occorre lunga risposta ; il carattere stesso di S. Ago*
alino ci distoglie dal pensare che esso fosse capace di una lai malafede, di cui bo d si po recare
on aolo esempio incontrastalo. Ho gi sulT introduzione a questo libro dnoslralo che il fatto
tieiso un infeDtiooe di cadivo gosto; e che fuori d dubbio che ancora nel lecolo XIV
qualche eaemplare delP opera delle Antichit era in mano degli eruditi.
E dopo che alla diligenza di S. Agostino dobbiamo la cotiser?azione di tanti luoghi di qucala
importaulissima opera, non dispiaccia che qui rechi anche poche parole che il Boiseier disse Do
aleaso proposito, u Sarebbe lavoro troppo difficile il voler conciliare tutte le contraddizioni che
si riscontrano nell'opera delle Anlichil, perch tulli i passi ci sono giunti sbocconcellali senza
legame che li congiunga e riportati da uomini che non aveano interesse a conservarne i luo
ghi migliori. Queste contraddizioni ci sorprenderebbero meno se avessimo tutta opera intera,
ma, io credo, che nemmeno in questo caso scomparirebbero. Varrone ha dovuto pi di una volta
essere impacciato dalla vastit stessa delie sue cognizioni: gli fu di danno essere troppo dotto e
troppo coscienzioso. L'interpretazione delle dottrine religio5e era uu rampo aperto alla iantasi
dei flusofi, ciascuno dei quali avea imagiiialo un suo sistema, e Varrotie, che li conosceva tutti,
non sapeva come dirigersi Ira lauta mollitudine di opinioni disparate. S. Agostino glielo rimpro
vera con vivacit. Esso mostra che Varrone non quasi mai d'accordo con t medesimo, che
p. e. dopo avere assegnala la terra alle dee ed il cielo agli dei, esso colloca un gran numero di
dei sulla terra e di tlee nel cielo t che a proposito di ogni divinit esso espone un gran numero
d' ipotesi non di rado contraddittorie, u Non far specie, egli dice, di vedere che un dio ad
un tempo medesimo pi cose, o che una cosa al tempo stesso pi dei? Quantunque non
si possa negare la verit di questi rimproveri, non si potr negare pur anco che neir ofiera di
Varrone si trovassero delle spiegazioni felici della religione popolare che la rendevano pi accet
tubile agh spiriti elevati. La vivacit stessa degli attacchi di S. Agostino, la cura eh' esso si prende
di mostrare Varrone in disaccordo con se medesimo, provano che questi saggi di interpretazione
filosofica non gli sembravano da disprezzare e che vi scorgeva un pericolo. Importava al dottore
cristiano di metter in piena luce le assurilit del paganesimo contro del quale aveva impegnala
la lolla. Era dunque un nemico naturale di tulli quelli che si sforaavano, come dice lo stesso
S. Agostino, di coprire con un velo decente tante infamie, di cercarne una ragione plausibile, e
col mezzo Hi queste pretese spiegazioni naturali, attenuare invincibile repugnanza che stillevano
neiranima umana. t> Questo luogo del Boissier (p. 28) mi pare savio, e P ho portato intem, non
olo perch faceva al proposito mio, ma anche |^er dare a qnello scrittore una qnalche soldisfa
aioue per le tante volte iu cui ho dovuto dissentire da lui, e rimproverarne la leggerezza.
1369 DI . TERENZIO VARRONE 1 3 7 0
1. Angus!. De civ, D., VII, 17. In lertio por
ro isto de diis selectis posleaquam praelocutus
rst quod x naturali theologia praeloquendum
putavit, ingressus est civilem theologiam expli
care. De deis, inquit populi romani publicis
qtiibus aedes dedicaverunt, eosqiie pluribus si
gnis ornatos notaverunt, in hoc libro scribam,
led ut Xenophanes Colophonius scribit, quid
putem, nun quod contendam, ponam. Hominis
est enim haec opinari, dei scire.
'2. August. De civ. D., VII, a. Deos selectos
Varro volumine complexus est ultimo ; sunt au
tem viginti : duodecim mares, octo feminae : Ja
nus, Jupiter, Saturnus, Genius, MertMiriui, Apol
lo, Mars, Vulcanus, Neptunus, Sol, Orcus, Liber
pater, Tellus, Ceres, Juno, Luna, Diana, Minerva,
Venus, Vesta.
3. Tertull. /id nat. II, la. u Ea origo deorum vestrorom Saturno, ut opinor, signatur. Ncque
enim si Varro antiquissimos deos Jovem, Junonem et Minervam refer^ nobis excidisse debet etc.
cf. Varro /. /. V, i 58.
4. Arnob. 111, 4 Varro, qui suoi inirorsuf atqoe intimis penetralibus, coeli deos esse cen
set, quos loquimur, oec eorom numerum nec nomina sciri. Hos consenles el complices Etrusci
aiunt et nominant, quod uoa oriaolur el occidant ana, sex mares et totidem feminas Dominibus
ignotis. Sed eos summi Jovis consiliarios ac principes existimare, n
1. S. Agost. I. c. In questo libro adunque de*
gli dei scelti, dopo aver premesse quelle cose
che gli parvero all' uopo intorno alla teologa na
turale, cominci a parlare della civile, lo scriver^
dice M) questo libro degli dei publici del popolo
romano, ai quali si dedicarono tempii e a' innalz
gran numero di statue : ma, per usare le paro
le di Xenofane Colofonio, esporr le me opi
nioni senza pretendere che sieno la verit. Poich
in queste cose Tuorac non pu che congetturare,
Dio solo ne sa il vero.
2. S. Agost. I, c. Varrone nell'ultimo libro
raccolse gli dei scelti che sono ao : dodici ma
schi, otto femine ; Giano, Gioe, Saturno, il Ge
nio, Mercurio, Apollo, Marte, Vulcano, Nettuno,
il S'di-, 1*Orco, il padre Libero,* la Terra, Cere
re, Giunone, la Luna, Diaua, Minerva, Venere,
Vesta.
13;.
F R A M M N T I 1371
Questo fstrallo di Arnobio piuttosto confuso^ Anche senza ammettere che V^rrooe si ocen
passe d e l sistema delle dTiii t eirasclie, anche sema sfonare il luogo De l. V, 74 per trovare
un sistema sabino delle dodici di?inil, brn probabile che assai presto si diffondesse per l'Italia
e si conoscesse a Roma il sistema greco delle dodici deili, che del resto conforme alP Etrusco.
c**rto che al principio delta seconda guerra punica era ufficialmente riconosciuto a Borea la
proTa troverai in Livio XXil, 10. Le dodici divinit racchinse Ennio nei noti due esametri.
Juno^ Vtsta^ Minerva^ Ceres^ Diana^ VenuSy MarSy
Mercurius^ Joves^ Neptunus^ Vulcanus^ Jpollo :
e Varrone, De r. r. I, 1, 4 ^ chiama dei eonsenteSf e ci fa sapere che, come quelli i quali formavano
Valto ronsi{;lio di Giove, avevano nel foro statue dorate. Notevole pure che Varrone chiamasse
questi la dei, deos urbanos^ ai quali ne contrapponeva dodici venerati nella campagna, anrh* essi
appaiati : Juppiter Telins, Sol Luna, Ceres Liber, Robigus Fiora, Minerva Venus, l^jmpha Bonus
Eventas. Del reato in questo libro, come apparisce, Varrone non segui nessuna di queste liste.
5. Aug. De civ. D VII, 3. Verro dicit diis
quibusdam patribus et deabus matribus sicut ho>
ninibus ignobilitatem accidisse.
5. S. Agosl. I. c. Varrone dice che a taluui
degli dei Padri e delle dee Madri, toccarono, co
me agli uomini, ignobili officit.
Intorno al titolo di Pater e di Mater dato ad alcune divinit, cf. Preller R. m p. 5i. V. anche
S. Ag. VI, IO, dove sono chiamati celibi e vedove quegli dei c quelle dee a cui Varrone non ha
assegnato o sposa, o sposo.
6. S. Augatt. De civ. D., VII, 7. Janos, a quo
Varr sum^>sit exordium, cum de naturali theo
logia praelocutus est, mundus est, ad quem re
rum initia iHrrtiiient cum fnes ad alterum perti
oeaot quem Termiiium voctnt.
6. S. Agost. I. c. Giano, da cui Varron** pre
se le mosse rifacendosi a parlare della teologia
naturale, il mondo : a lui spettano \ principii
delle cose, come a quell' altro che chiamano Ter
mine, la fne.
Cf. ArnoK, III, ag. u Incipiamus ergo solemniter ab Jaao, et oca, Patre, qaem quidam ex
vobis mundum, annui alii (cf. Varr. ap. Aug., VII, a8)^ solem esse prodidere oonoulli. d lo
propongo una mia congettura per qutl che vale, lo questo stesso libro, come vedremo, Varrone
assicura, che Giano era creduto anche il cielo; ma dire Varrone sles*o che il cielo era chiamato
a munditie^ mundus^ non |>oirebbe quindi essere la stessa cosa della in due modi diversi? Trovo
io Macrobio (Sai. I, 9) accennato che a questa maniera interpretarono la cosa anche gli antichi,
n, Aog. 7-4. tt De Jauo quidem non mihi facile quidquam occurrit quod ad probrum perti
nent. Et lortaste tali fuil, ut innocentius vixerit et a facinoribus flagitiisque remotui. Saturnum
fugientem benignus exrepit, cum hospite partitus est regnum, ut etiam civitates singulas conde*
reni, iste Janiculum, ille Saturnium, w
Credo che ci spetti indirettamente a Varrone, confrontanilolo anche con Tertull., ^d nat,
II, la, il qtfale, come anouniia nell'introd. per queste notiiie mitologiche ricorse alle o|>erc del
grande archeologo.
8. Angus!., De civ. Dei, VII, 8. Duas facies
ante et retro Janum habere dicunt, quod hiatus
noster cum os aperimus mundo similis vidratar :
unde et palatum cfOpayov appellant et nonnulli, in
quit Varro, poetae latini coelum vocaverunt pa
latum : a quo hiatus oris et furas esse adiium ad
dentes versus et introrsus ad fauces. Cum Janum
faciant quadrifrontem et Janum geminum ap
pellant ad quattuor mandi partes hnc interpre
tantor.
8 S. Agost. I. c. Dicono che Giano abbia due
ftccie, una dinanzi, una di dietro, perch in
terno della bocca, quando questa sia aperta, ha
una somiglianza colla forma del mondo, quindi
i Greci chiamano il palato ov|>avv, e alcuni dei
poeti latini, come dice Varrone, cielo i e l aper
tura della bocca mette dal di Tuori ai denti, dal
di dentro alle fauci. Quando fanno Giano quadri-
fronte e lo chiamano Giano Gemino, intendono
simboleggiare le quattro parli del mondo.
Parecchie spiegatiooi si davano del Giano bifrons e qnadrifrons: ne diremo qualche cosa.
tcuni vedevano io Giano il sole. Macrob. 1, 9. 9. u Jcnam qoidem solem demonstrari volunt
et ideo gtminun quasi otriosque ianuae coefcitis pofentem, qui exoriens aperiat diem, oecideni
claudat, n V. anche . Fasti^ I, 139.
i 3yi
DI . TKRENZIO VARRONE i3y4
Giano era il portinaio del pieJo, a lui bifognata prima di ogoi allro fare sacriAzio, come per
bocca di Ovidio,
C/i possis aditum ptr me qui limina servo
Ad quoscumque voles^ inquit^ habere deos.
Quindi a lai erano tacr luMi gP inpressi, gli archi, le porle. La doppia faccia doveva anche
ignificare che egli connate il passato e il futuro.
Tra i poeti Ialini a cni accenna Terrone va inteso Ennto, il quale, usando come i Greci la
parola ^ in doppio lenso, disse; caei palatum (Cf. Cic., Ve nat. deor.^ Il, i8, 4g).
Presso gli scriltori pi anlichi era usalo Janns Geminus per Janus bifrons, presso i posteriori
per Janus Geminns iutendefano quadrifrons, per il quale cf. Macroh., 1, 9 e Servio, Ad Verg,
Aen.^ VII, 610.
9. Nonios, pag. 197, 5. Varr Reram divin.
Ut deum signiicaa non partem mundi, sic paler
magnus materna (Matotinua 7) hisler (Falacer f)
coelua.
9. Noffrio: Varrone nelle Cose divine. Come
devi esser detto un Dio non una parte del mon>
do, cosi Padre Magno e Matntino, e FalaCro e
Cielo.
Luogo d'incertissima lezione : si capisce solo che vi si parla di Giano. Le due correzioni Matu
tinus e Falacer sono proposte dal Merkel. Per la prima non a dubitare che non si convenga
a Giano, per la seconda dubbio. In Varronr, De /. /. V, 84 e VII, troviamo ricordalo un
divus Pater falacer e uu flamen falacer. Ala il vero scuso della parola ai era smarrita: se oe
possono solo seguitare le traccie. Fala dicevasi un' impalcatura a modo di torre di notevole altezza
e da dove si combatteva (V. Ennio presso Nonio, p. 114, 7 fiunt tabulata falaeque) e Paul., p. 88
Falat dictae sb alliludine. 1/arma lanciata da queste altezze dicevasi quindi falarica. Gli lru-
schi chiamavano il cielo falandum. Quiud mi pare che, ammessa questa radice fai da cui si
formi naturalmente falaeer, e sapendosi espressamente da L. Lido (IV, a) che gli Etruschi chia
mavano Giano, cieloy il divus Pater Falacer, non sia altri che Giano, e non Giunone, come vorrebbe
il Preller, p. a5 i.
IO. Augnst.^ De civ. D., VIL 9. Jovis qui etiam
Jupiter dieitur. Deus est habeos poteslatem cau
sarum, quibus aliquid ft in mundo. Ei praeponi
tur Janus, qnoQiaro penea Janum sunt prima, pe
nes Jovem summa. Merito ergo rex omnium Jup
piter habetor.
10. S. Agost. 1. c. GioTe, che i detto anche
Jupiter, il Dio da cui dipendono le cause di lutto
ci che avviene nel mondo. Gli preposto Gia
no, perch a Giano spellano i principii delle cose,
come a Giove le pi alte ; quindi a ragione Giove
lenolo per re di tutti.
La ragione la d S. Agostino, te pure non lo stesso Varrone : u Prima enim indicantur a
anmmis, quia lict prima praecedant tempore, anmma superant dignitate; luogo che mi pare
mal tradotto dal Boissier ; u Car, en tout, dehuier est moins qu'accomplir. ^ Va inteso delle
formule di preghiere e invocazioni in cui Giano era nominalo sempre in primo luogo, Giove in
secondo. V. Cic. />., II, a ; ; Livio Vili, 9; Calo. De r. r., ^ e 141.
ii.Augusl., De civ. Dei, VII, 11. Dixerunt
Jovem, Rectorem, Invictum Opitulum, Impulso
rem, Statorem, Ceniompedum, Supinalem, Tigil
lum, Almum, Ruminum.
U. S. Agost. 1. c. Chiamarono Giove, Retto
re, Invitto, Soccorritore, Eccitatore, Statore,
Cenlumpeda, Supinale, Tigillo, Almo, Ramino.
Questo luogo certamente tratto da Varrone, perch in lutio il VII libro De civ. Dei le-
guilo da S. Agostino passo passo, e ad ogni istante citato come fonte, e giova anche perch si
trovano alcuni Ira gli appellai ivi di Giove che non si riscoutrano in alcun al l ro luogo. Quasi
Inni si riferiscono a Giove come a dio delle battaglie.
Victorem, Invidum. Accetto in parte la correzione del Merkel. La lezione comone recto
rem^ invictum. Mi parve ben fallo mulare il rectorem in victorem^ ma non cos, come il Mer
kel fa, di unire insieme i due appellativi. Infatti si onorava Giove col titolo di Victor, come lo
troviamo col solo titolo di Inviclus. Sul Capitolino c'era un tempio dedicato %Juppiter Fictor
ricordato da Dione Cassio (XLV, 17; XI.Vili, 4o; LX), e una iscrizione trovala a Cirta (v. Re-
*355 F R A M M E N T I i3;G
tiier^ Infcr. De Ag. I, n. 1890) ci descrive anche con die simboli era lavorata la slalua li
rgenio di Jovts Victor^ A Juppiler Victor aveva volalo un tempio Q. Fabio Maisimo KuHano
(Livio X, 29^ e un altro pochi anni dopo L. Papiriua Cursor. Coli tempii aveva Jupiter Invictus^
di uno dei quali ai celebrava la festa commemoraiiva agli idi di giugno (Cf. Moromten C. 1, L. 1,
p. 3c)5). Cic. De leg. 1], 11, 28 cognomina Slatoria et Invidi Jovia.
Opitulum, Questo attributo di Giove li riieriva tanto nel soccorrere nelle battaglie quanto
nelle altre occasioni. Qui dal contesto si vede che va preso nel primo senso, per il accoado
hbiaoio la teslimonianta di Paul., p. 184.
Impulsorem^ cio che d animo muovere contro il nemico ad assaltarlo.
Statorem, L origine di questo nome ci data da Tito Livio, I, la. Il primo tempio Giove
Statore fu consacrato da tomolo. Vedi occasione di altre simili consecraiioui e le fonti relative
in Preller, p. 176. notevole che Seneca, non accettando la comune spiegazione, oe d esso una
di nuova (De ienef. IV, 9) a Stator non, ut hisiorici tradiderunt, ex eo quod post Totnm su
sceptum acies Romanorum fugientium stetit, sed quod staut beneficio eiug omnia, stator stabili-
torque est. r>
Centumpedam in quanto d ai suoi tanta sicureixa, come uno che si appoggiasse sa cento piedi.
Supinalem perch euo fa cader supini i nemici.
Tigilhim. La spiegazione ci data da S. Agost. u ligillom quod tamquam tigillus mundum
contineret et sustineret)); nel qual luogo mundum il ciclo. Aoche nei canti orfici Giove dello
sostenere i cardini del cielo e della terra. Cf. Eusebio, Praep. evangel. Ili, 9.
Almum et Rumnum. Giove era, come noto, quello che dispensava le pioggie necemrie
alla frrt il it dei campi, e come tale era mollo veneralo nella campagna. Quindi per questa be
nedizione era detto almus e JrugiJer^ e in quanto a tutto porge incremento e alimento, anche
Ruminus da ruma mamma.
12. ugust, De civ. D., VII, 12. Jupiter voca-
tur Pecunia quod eius suoi omnia.
13. Augost., De civ. D., VII, i 3. Quid est
enim Saturnus ? Uiius, inquii {f^arro) de pro
ceribus (T) dis pcnes quem sationum omnium
dominitus est.
12. S. Agost. 1. c. Giove si chiama Pecunia
perch sue sono tulle le ricchezze ... (Cf. Arno
bio, IV, 9).
13. S. Agost. 1. c. Poich che cosa Saturno ?
Uno, risponde, degli dei principali che ha iu suo
governo tutte le seminagioni.
Cf. anche Aag. De civ, /)., VII, a, che riscontra con Varrone De l, /., V, by e 64, e Ter
tulliano, Ad nat., 1. 11, c. ia passim, e ls>doro Vili, 11.
i 4 Aug., De ciif. /)., VI, 8 . . . u idem opinaiur Varr, quod pertineat Saturuui ad semina,
quac in lerram de qua oriuntur, iterum recidant,
5. Augnst. De civ. Dei, VII, 18 e 19. Satur
nus pater ideo a Jove flo superatus est quod
ante est causa, quae periinet ad Jovem, quam se
men quod perlinet ad Saturnum.
Saturnum, inquit Varro, dixerunt, quae nata
ex eo essent, solitum devorare, quoil eo semina
unde nascerentur redire. Et quod illi, pro Jove
gleba irbiecta est devoranda, significat, manibus
humanis obrui coeptas serendo fruges, autequam
utilitas esset inventa.
Falcem hahet Saturnus propter agricolluram.
Saturno regnante, nondum erat agricoltura,
et ideo priora eius tempora perhibentur (sicut
Varro ipse fabellas interpretatur), quia primi ho-
ntnes ea bis viTebant aemioibus qoae terra spon
te gignebel.
i 5. S. Agost. 1. c. Saturno padre fu superato
dal figlio Giove perch la causa efficiente, che si
appartiene a Giove, preesisle alia semente che
spetta a Salurno.
Si narra, disse Varmne, che Satorno fosse sa
lito a divorare i suoi figli, per la qual cosa a in
tende che i semi ritornano alla terra donde sor
sero. se a lui, in luogo di Giove, fu sporta da
divorare una gleba, vuol dire che prima s cono-
sresse rutilil di lavorare la terra le sementi era
no sotterrate e coperte dall' uomo colla mano.
Saturno ha la ialce perch sua Tarte di la
vorare i campi.
Regnando Saturno non si collivavano le terre,
e la sua et creduta la prima (giusta inter
pretazione che ne d Varrone), perrh i primi
uomini vivevano di quello che la terra sponta-
peamente produceva.
- 3;y W. TtK tNZl O VAKKONli
1378
Ideo *licii Varro a quibusilam pueros ei soli-
toa iiuDiolar^ sicul a Poeuis el a quibaiJaui e l i a n
ruaiorcs sicut a Gallif, quia oiuiiium lemiuum
uplimuai est geoui humauuoj.
Quoti coelum, iuquit Varr, patrem Satur-
uum castraase io labolis dicitor, hoc significat pe-
uea Salurouoj uou peoes coelum lemeu esse di
viuum.
Kpovov appellatum dicit Varro, quod Graeco
vocabulo siguificat temporis spalium, sine quo
seoieo uou polesl esse fecundum.
Varrooe dice, che certi popoli, come i Carla-
giufci, immolavano a Saturno dei t'aociuUi, ed al
tri, come i Celti, degli adulti per questo, che Tuo-
DIO la pi eletta di tutte le seinetiti.
Se, dice Varrone, narrano le tavole che il pa
dre Saturno mutil il Cielo, significa, che Satur
no non il Cielo ha il seme divino.
Varroiic dice, che Saturno u detto Crono,
(che in greco significa spazio di tempo), perche
un tempo uecessario al seme per svilupparsi.
u Haec et alia, conchiu'le Agostino, de Saturno multa dicuntur: porro de Libero et Libera
id est Cererie, quod ad semeu attinet, tanta dicit Varr, quasi de Saturno nihil dixerit. 9
Soo troppo note le favole che si spacciavano intorno a Saturno e alla sua et, perch sia ne
cessario ripeterle agli eruditi nostri lettori. ci trarrebbe poi in lungo anche il riferire le inlet'
pretaiioni varie che ne hanno dato gli antichi scrittori per non dire dei moderni.
Rigusrdo alle origini dei sacrifizii umani ad unore di Saturno discorsero con molla dottrDu
il Buttmano, Aythologiey li, 4>> Hock Kreta, 1, i 65.
Per la mutilazione del Cielo utile udire Cicerone, D t nat, deor.^ 11, 24, G4 ... ^ vctus hacc
opinio Graeciam opplevit exsectum caelum a filio Saturno .... physica ratio inelegans inclosa
est in impiam labulam ; caelestem eoim, altissimam aethcreamque naturam, id est, igneam, quae
per sese omnia gigneret, vacare voluerunt ea parte corporis, quae coniunctione alterius egeret ad
procreandum. E per quel che spetta al nome di , continua lo stesso Cicerone : u
enim dicitur qui est idem id est spalium temporis, Quivi troviamo altre spiegazioni del
nome di Saturnus, ma meno probabili della varroniana. u Saturnus autem est ap|>ellalus quod
saturaretur aunis : ex se cnirii natos comesse finditur solitus, quia consumit aetas temporum spa>
tia annisque praeteritis ins^iurabiliter expletur, n Spiegazioni che insieme ad altre cos falle sono
giustamente ripudiale da Cotta, De fiat, </., Ili, 24, 62.
16. Augusl. De civ. D., VII, i 3. u Genius deus
est, iuquit (Varr) qui praepositus est ac vim ha
bet omnium rerum gignentlarum. r>
E pi avanti :
Alio loco Genius dicit (Varr) esse uoius cu
iusque aoimum rationalem cl ideo esse singulos
singulorum : talem autem mundi animum deum
esse... ut tauquam universalis geoius ipse muudi
animus esse creditur.
. S. Agost. I. c. u II Genio, dice (Varrone)
il dio che presiede c d la vita a tulle le cose
che deggioiio nascere.
11 Genio dice [Varrooe in altro luogo] Pani-
ma razionale di ciascuno ; quindi, quanti uomini
lami Geiiii : anima mondiale si chiama Dio
onde auiioa del mondo si pu come dire il G
nio universale.
La parola Geni uSy sebbene non abbracci tulli i sensi drlla sud corrisppndeote greca ^/,
pure ha una grande rstensione. Essa ha le stesse origini che gens, gigno, geno, quindi propria
mente Genius una sostanza (>rocrcalrice e animante, che si agita invisibile sempre dove vi ha
veramrnte una vita : quindi oltre il principio animatore deir indivduo, quello animatore di tutta
la natura; l'auima mondiale identificata eoo Dio. Non fa d'uopo avvertire che Varroue qui seguir
il panteismo stoico. Noteremo invece che da questo luogo ^i rileva una triplice classificazione delie
anime: come pri cipo.>lelia forza vitale, come principio della vita sensitiva, e come pri cipio inleU
lenivo. Quest' anima applicala all' universalit delle cose, secondo Varrone, si chiama Dio, nell' indi
viduo Genio. Tale pare che fosse l'opinione pi ili\ulgata inloruo al Genius, come apparisce
anche da Paul., p. ^4* ^ Genius est deorum filius et parens hominum ex quo homines gignun
tur, e anch : u genium appellabant deum qui vim oblineret rerum omnium gignendarum.
Vedi anche Mari. Capei., 11, 1.^2, che d una spiegazione etimolo);icameule falsa, ma praticamente
vera. Parecchie iormule latine confermano attivit procrealrice del Genius, p. e. gtnius tntus
nominaiur qui me t^tnuic^ e, ^enio suo indutgcre^ e, gtnium suum defraudare. Quindi appari-
d i M . l t R . V a b u o n b . 87
379
F R A M M E N T I 38
sce che non polea c3jere diicorso di Geni in proprio lenio che per gli uomini o concelli di geoere
mascolino ; sebbene riguardando principalinfnle al principio tuIc, si potesse dire beniuimo : u ge
niales deos aqaam, terram ignero, terem, ea enim sant semina rerum. n Notevole accora che per
ispiegare la lolta ira il bene e il male che ciascun uomo prova in s flesso, avessero immaginalo,
che ciascuno alla nascita sortisse due Genii opposti, e secondo che Tono o Tallro prevales>
se, dopo morte uomo fosse o condannato alla pena o destinato a viu migliore (Servius, Ad
f^erg. Aen,^ VI, 94^) ommeltere tante altre cose che si potrebbero dire su questo argo
mento, perch non si riferiscono strettamente al nostro luogo, ma ne discorse lungamente e bene
il Preller, R. M., p. 67 e segg. Come pure meritano di essere considerate le ricerche fatte dal celebre
Mailer nella sua opera sugli Etruschi, p. 89, dove, raccogliendo le notizie sparse nelle opere dei
^rammatici, venne alla conclusione che la dottrina varroniana del Genio fosse dottrina etrusca, e
quindi sotto appellazione di Genii fossero compresi cos i dei Lari coroe gli Eroi. Certo fa mera
viglia trovare un Genius proprio degli dei, ma tolgono ogni dubbio le scoperte iscrizioni, la pi no-
levole delle quali nella raccofta delP Creili n. 2488 e del Muminstn 1. N., n. 6011, dove si parla
di sacrifizii da fare al Genio di Giove. Marziano Capella ricorda il Genio Junonis sospitae, Petronio,
il Genio della Fama eie. (V.Orelli, n. 49, 171; '681 ; i 35i ; i 352 ; Henzen n. 5866). Consulterai
COI molto profillo Schumann, Opusc. Acad., 1, p. 35o-38o; Uckert nel voi. 1, p. iSn.219, della
raccoila di Memorie della R. Academia di Scienze di Sassonia.
17. August. De civ. D., VII, i 4 ^ i<lco
Mercurius quasi medius cnrtens ( Medicurrius
Serv. ad Verg. Aen., Vili, i 38) dicitur appellaUis,
quod sermo currat inter homines medius ... ideo
et mercibus praeease quia inter venJentes et e-
nicntes sermo ft medius : ideo alas ei io capite et
pedibus ponaut volentes significare volucrem
ferri per aera sermonem : ideo nuncium dictum,
quoniam per sermonem omnia cogitala enuncia-
renlur. n
17. S. Agost. 1. c. tt Merciirius iu cos detto
quasi medius currens, perdh la parola si diffon
de tra gli uomini ... preposto alla mercatura per
questo che la parola il mezzo da intendersi fra
chi compra e vende : Io rappresentano con ali alla
testa e ai piedi per significare che la parola
trasportata per aria sull' ali dei tenti : e lo chia
mano messaggero perch la parola la rivelatrice
dei pensieri, w
Questa per fermo una delle pi strane etimologie e interpretazioni the'sl possano incontrare,
e mi fa meraviglia che il Preller non ne abbia fatto cenno. Non ci dubbio che Mercurius abbia
la stessa radice di merces. Abbiamo iscrizioni antichissime in cui detto Mirqorios (che il nome
si scrivesse anche con J e detto da Velio Loogo, pag. 2286 P), parola in cui si trova la q osata
per c come in oquoltod nel senatoconsulto De Bacchanalibus in luogo di occulto, e in altre
molte parole (cf. Lachmann, Lucret., pag. 220). Non meno curiosa altra interpretazione dello
stesso Varrone che abbiamo gi riferita nei libri Ad Marcellum : Mircurius per i dicebatury
quod mirandarum esset rerum inventor^ ut Varro dicit.
18. Angus!., De civ. D., VII, 16. Apollinem
qaanvis divinatorem et n>edicum velinf, tamen
ut in aliqua parte mundi statuerent, psum etiam
Solem dixrunt.
19. August., De ci v. D., VII, j 4 Item qui a nec
Marti al i quod ^It menl um vel part em mundi in>
Veni re pot uer unt .... deum bel li esse di xer unt .
20. August., De civ. Dei, VII, 23. Ubi erit
Orcus frater Jovis et Neptuni quem Ditem pa
trem vocant ? Ubi eius uxor Proserpina quae se
cundum aliam in eiusdem libris positam opinio
nem non terrae faecunditas sed pars inferior per
hibetur ?
18. S. Agosi. 1. c. Bench avet.iero falto di
Apollo un vaticinatore ed un medico, pure per
fargli luogo in qualche parte delP universo lo
chiamarono anche il Sole.
19. S. Agost. 1. c. Parimente dio della goerra
chiamavano Marie, perch non seppero n che
parte del mondo n che elemento assegnargli.
20. S. Agost. I. c. u Dove sar Orco fratello
di Giove e di Nettuno, e che dicono con altro
nome Padre Dite Dove la moglie di lui Pro
serpina, che, come spiegato in altro luogo degli
stessi libri, rappresenta non la fecondit, ma la
parte inferiore della terra? w
31. Aug., De CIV. D., VII, 21. u Liberum liquidis seminibus ac per hoc non solum liquoribus
li uciuum, quorum quodammodo primatum viuum tenet; verum etiam seminibus auimalium prae-
lecerunt. In Italiae coiDpitis quaedam dixit \"arro sacra Liberi celebrata cura tanta licentia turpi-
3St DI M. TE RENZI O VARRONE i 382
luilinif, ut ili eioi honorem pndendji viriiU colerentur, non saltem aru|Manlum terecnniliore Secreto
sel in propatulo exullante neqnilia. Nam hoc turpe membrum per l.iher liee iestos cura honore
magno pioitellis impoiitum prius rure in com[>ilis et unque io urhem postea vectabatur.
aa. Aup. De eiv. />., VII, a8. u Liberum et Cererem praeponunt eminibus, vel illum imscolinis
illam femininis, vel illuro liquori, illum veio aridilati feminum.
a3. Aug., De civ. D., VII, a8. u Dicturas de
teminis, bo.*; est cie Deabus, Varro, quoniam, in
quit, at in primo libro dixi de locis, dno sunt
principia deorum animadversa de caelo et de
terra, a qao dii {wrtim dicuntur caelste.% parlim
terrestres : ot in sn|>rioribus initium fecimus a
caelo cum diximns de Jano, quem dii caelum alii
dixerunt esse mundum, ^ic de f^mi itium
srribendi fecimus a Tellure, r
a3. S. Ao*t. I. c. Facendosi Varrone a par
lare delle femmine, cio delle Dee, poich, dice,
nel primo libro dei luoghi ho fatto avvertire due
essere i principii divini, uno dal cielo e altro
dalla terra, onde, degli dei parte .^ono detti cele
sti ed altri terrestri, come nei precedenti, abbia
mo prese le mosse dal cielo discorrendo di Giano,
da alcuni detto il Cielo da altri il Mondo, cos
prendcmnio U mosse dalla l erra parlando delle
dee.
11 motivo deir ordioe seguilo da Varrone evidente quando si ricordi che a questa divinit
dee trovarsi una spiegazione nell* ordine fisico : elemento feminino il paziente. Lo avea gi
avvertito ^ Agostino stesso; u posuit (Varro) caelum esse quod faciat, terram quae patiatur; et
iileo illi masculinam vim tribuit, huic femininam.
2^. Augu.%t., De civ. D., VII, 2^. u Cur ergo
Pontifices, ut ipse (se. Varro) indicat, additis quo
que aliis duobns quattuor diis laciunt rem divi
nam, Telluri, Tellumoni, Altori et Rosori ? Alto
ri quare ? Quod ex terra, inquit, aluntur omnia
quae nata sunt. Rusori quare ? Quod, rursus, in
quit, can:ta eodem revolvuntur. t>
24. S. Agost. 1. c. u Perch adunque i Ponte
fici, come s' impara dallo stesso Varrone, aggiun
gendo ai due primi altri due, sacrificano insieme
a Tcllumone, alla Terra al Dio Altore c Rusore ?
Perch ad Altore ? Perch, risponde, la terra ali
menta tutto quello che nato. Perch a Rusore?
Perch, dice, lutto quello che c nato dalla terra
alla terra ritorna, -n
Tellus e Tellumo sono sostantialmenle gli stessi : Tellumo il principio mascolino, Tellus il fem
minino della terra (S. Ag., VII, 2 3 : u dna eademqne terra habet geminam vim et masculinam
quod semine producat, et femininam quod rrcipiat atque enutriat ; inde a vi feminina dictam esse
Tellurem a masculina Tellumonem ; di Altor e Rusor non si ha alcuna notitia tranne questa..
a5. Au^ust., De civ. D., VII, 29. u Varro
deam vult esse lellurem. Eandem, inquit, dicunt
Matrem Magnam : quod tympanum habeat, signi
ficari esse orbem terrae : quod turres iii capite,
oppida: qnod sedes fingantur circa eam, cum
omnia moveantur, ipsam non moveri qnod Gal
los huic deae ut servirent, iecerunt, significat
eos, qui semine indigeant, terram sequi oportere :
in ea quippe ornnia reperiri. Quod se apud eani
iactant, praecipitur qtii terram colunt ne sedeaut;
semper enim esse quod agant. Cymbalorum so
nitus, ferrameotorum iactandorum ac manuum et
eius rei crepitos in colendo aj>ro quid fit, signi-
ticant, ideo aere, quod eum antiqui colebant aere,
antequam ferrum esset inventuro. Leonem adiun-
gunt solotom ac mansuetum, ut ostendant, esse
nullum genus terrae tam remoturo, ac vehemen
ter ferum qood non subigi colique conveniat.
Deinde adiungit : 'rdlurero matrem et nomini
bus pluribai ei cognomi ibas qood nominarunt,
25. S. Agost. I. c. u Varrone fa ilella Terra
una Dea. La chiamano, dice, anche la Gran Ma
dre ha on timpano per indicare che la terra
rotonda e il capo turrito per segno delle citt :
si rappresentano vicino a lei dei seg^i, perch
essa, mentre tutte le altre cose si muovono, resta
ferma : aver deputato a sacerdoti di (piesta dea
degli eunuchi significava che doveano seguitare
la terra quelli che mancavano di seme, perch
nella terra tutto si trova. Il l or o agitarsi violeqto
al cospetto della dea voleva dire che non devono
mai darsi riposo quelli che coltivano la terra,
perch sempre qualche X:osa vi a fare. Il suono
dei cimbali, il battere dei sistri e delle mani raffi
gurano il rumore che si fa nel lavorare la terra, e
gli strnroenti sono di bronzo, perch, prima si
scoprisse il ferro, con istrumenti di quel metallo
si coltivavano i campi. Vi mettono vicino un
leone sciolto e mansueto per dar a vedere che
non vi ha terra cos remota e cosi selvaggia che
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F R A IVI M L N 1 i i36/ |
Deos exislimaloi esse complure. Atqiic ita Tellu
rem, inquii, putant esse Opem quod opera fit
melior : roairem, quoil pjorima paria! ; magnam
quod cibum pariat; Proserpinam quod ex ea
proserpant fruges : Vestam quod vestiatur her
bis. Sic alias deas non xbsurde ad illam revocant.
Cum quibus opinio maiorum de hifi deahus, quod
plures eas putarunt esse, ooii pu|{nat. Nam'potest
ewe, ut eadem res el una sil, et in ea quaed^
res lini plarrs. n
non debba essere coltivala. Aggiunge quindi:
La madre Terra fu chiamata con parecchi nomi e
cognomi, onde inferirono alcuni che fossero pi'
dei, e cos credono che la Terra sia perch
lavorandola si migliora, madre perch partorisce
molte cone, grande, perch prodace il cibo, Pro
serpina perch fuori del suo seno spuntano le bia
de, Vesta perch s copre di erbe. cos non
fuor di proposito altre dee riconducono alla Ter>
ra. Colla opinione dei quali non discorda opi
nione dei maggiori che ne facevano parecchie di
vinila distinte ; poich pu estere che, gebbenc
una tal cosa sia una, pure in esfa se ne trovino
alcre parecchie.
26. Ang., De riv. Dei^ VII, 20. u De saors Ct^reris in quibus praedicantur illa Eleusina, quae
npud Athrnienxes nobilissima furrunt, Varr nihii interpretatur, nisi quod attinet ad frumentum,
ipiod Ceres iiivrnit, rt ad Proserpinam, quam, mpiente Orco, (lerdidit. n
Et hanc ipsam, dicii, significare fecnnditalem
seminum, quae cum defuisset quodam tempore,
eademque slerilitate terra moereret, exoriam esse
opinionem quod filiam Cereris id est ipsam fe-
rnnditalcm, quae a proserpendo Proserpina dicta
esset, Orctis abstulerat, el apud inferos detinue
rat : quae res cum fuisset luctn publico celebrata,
quia rursus eadem fecunditas rediit Proserpina
redila, exortam esse laeriliam. et ex hoc solemnia
ronstitula. Dicit deinde multa in mysteriis eius
tradi, qnac nini ad frugum inventionem non per
tineant.
E questa pure, dice [Varrone]^significa Ia
feoondita delle sementi, la quale essendo mn cer
Io tcmp9 venuta a mancare, e deplorando Ia terra
rotale SOS slerilitR, cominci a spscciarsi Ia cre
denza, che r O r c o aveva rapila e trattenuta agli
inferi la figlia di Cerere, cio la stessa fecondili
che fo della Proserpina dallo spuntare quasi ser
peggiando dal terreno. 11 rapimento lu pianto con
pubblico lutto, e riapparve la fecondit di prima.
Al ritorno di Proserpina libera, generale iu
Pesultania e si stabilirono a ci feste. Aggiunge
che nei misteri di quesla dea osservansi molte ce
rimonie che non possono riferirsi ad altro che a1-
invenzione delle biade.
27. Scrviuf, j4d Verg. Aen.^ HI, i 3. u S^iie dominam proprie matrem denm dici Varr et
r.ieteri afifirmant. rt
28 Ang., De ew. /)., 1, 16 u Quandoquidem etiam matrem magnam eandem Cererem volunt,
f|uam nihil aliud dicunt esse, quam l erram, eamque perhibent el Junonem et ideo ei secunda
raugas tribuunt rernm. v
29. Aug , De civ. D., 1, 2. u Provinrinm mrnsiruntnm in libro selectorum deorum ipsi Jmoni
Vnrro assignat, quae tamquam Juno Lucina cum Mena, pracvigna sua eidem cruori praesidet, r
30. ]d., ib. tt Juno . . . q u a e in diis seleclix eiiam Itegina est. n In Roma aveva questo titolo
specialmente la Juno Capitolina, e con questo titolo di regina si trova ricordala in parecrhie
iscrizioni trovAte in diversi luoghi d'Italia. p. in Momoisen I. N., n. 5 i 64
3 1. ]d.. De civ. />., 1, 3. u Omnium purgandorum poletlalcm habet Juno et id;o ea non
deest purgationibus feminarum et pariubus homiuum. n
32. ll., ib. 44Juno esi llrrduca pueris el opus facil cum deabui ignobiiistimis Mena el Adeona. n
33. l d ib. u Eadem Juno domidnca est earuin quae oubebanl. ri
34 Angus!., De civ. D., IV, 10. Cur Jano
adiungilur Jo^i uxor, rati * est, qucd Jovem acci
piant iu ethcre, Junonem in aere el baec duo
elementa coniuncla sint, alterum superius alte
rum inferius.
35. Augasl., De civ. D., IV, 11. Ex physicis
rationibus modo Juppiter est corporei huius
34 S. Agost., 1. c. Giunone immaginata con>
sorte di Giove, perch Giove rappresenta Teie
re, Giunone Paria, e questi duo elementi tono
congiunli: il primo di sopra, di sotto il se
condo.
35. S. Agosl.. l. c. Interpretato fisiramete,
Giofe ora Panioia di questo mondo corporeo,
385 DI . TERENZI O VARRONE i38G
mandi animo, qui oniversam inlam molem ex
quattuor Tel piiiribat elementis connimctam al*
qoe compactam implet et movet, molo inde tnas
partei sorori et frktribas cedit : modo est aelher,
Qt aerem Junonem sapterfusam desaper ample
ctatur, modo tolum simul com aere est ipse cae
lum, terram vero tamquam conugem eamdcm
qoe matrera fecundis imbribus et seminibus lae
tet, modo aotem dens unos.
3. Augnst., De c t . D , VII, i6. Dianam per-
mansm eius (ApoUnis) simitiler (dixcninl) Lu
nam et viarom praesidem. Unde rt Trginem yo-
lunt quia via nihil pariat et ideo embas sagiitas
habere quod ipca duo sidera de caelo radios ter
ras usque pertendant.
che tolta empie e mooTC codesta mole formata e
composta dei quattro elementi, ora cede oiRcio
suo alla sorella el ai fratelli: ora Teiere che
abbraccia aria, Giunone, che di sotto diOiiaa ;
ora il cielo tulio coll' aria insieme, ed ha quasi
a consorte e madre nello sleso tempo la terra il
coi grembo con irrigue piog};ie e sementi fecon
da ; ora il Dio nnt versale c onico.
36. S. Agost., I. c. Diana sorella di Apollo fu
chiamata anche Luna e custode delle vie. La
proclamano anche vergine perch le strade nulla
producono : ambedue le dee si figurano armale
di saetta, perch il raggio dei loro astri arriva
fino alla terra.
La lezione del frammento incerta : abbiamo seguito la edizione Maurina. Altri leggono viV
go quia nil pariat^ lezione che mi par da non potersi accettare perch qui fi ricerca una ragione
fisica dei nomi, e questa direbbe idem per idem.
87. Aug., ib. Minerva humanis actibus prae
posita eadem vel summus aether vel etiam Luna.
38. Augost., De civ. D., VII, a8. Caelo tribuit
Varro mascnlos deos, feminas terrae ; inter qoas
posoit Minervam, qaam rupra ipstrm caelum ante
posuerat.
37. S. Agost., I. c. Minerva che ,la reggitrice
degli alti omani fu confusa talvolta col sommo
eierc, tal altra colla Luna.
38. S. Agost., I. c. Varrone assegna gli dei ma
schi al cielo, le femmine alla terra ; fra qoeste
annovera Diana, che di sopra avea collocata nel
cielo.
E continua: u Deinde mascolus deus Neptunu5 in mari est, quod ad terram polinf qoam ad
caelum pertinet. Dis pat e r . . . etiam ipse masculus frater amborum terrenus deos esse perhibetur,
sopertorem terram tenens, in inferiore habens Proserpinam coniugem.
notevole che non si trovi alcon frammento riferito a Venus.
89. Angoiit., De civ. D., VII, a3 . Pars animae
mundi, quae per terram permeat deum facit ter
ram sive tellurem.
4o. Aupust., De civ. D., VII, a3. Varro iu eo-
df*m <lc diis selectis libro tres esse adfirniat ani
mae gradus in orniii universaque natura : unum
qui omnes paries corporis quae vivunt transit et
non habet nensum sed lanium ad vivendum vale
tudinem. Hanc vim in nostro corpore dicit per
manare in ossa, ungues, capillo.^: sirul in mundo
arborrs sine sensu aluntur et crescunt et modn
quodam su6 vtvtini. Secimdum gradum animae
in quo senjns est : hunc vero pervenire in ocu
los, anres, nares, 09, tactnm. Tertium gradum
animae ease summum, qui vocatur aniniu<, iu quo
inttlligentia praeeminet : hoc praeter homines
omnes carere moriales: hanc partem animae mun
di dicit deum, in nobis au lem genium vocari.
.<e autem in mundo lapide.< ac terram quam vi
demus quo non permanat sensus ut ossa et un>
gues dei. So\eiu vero, lunam, stellas, quae senti
mus quibusque ipie drus seniit sensus esse ein.^.
89. S. Agost., I. c. Quella parte dell' anima
mondiale che penetra nella terra, fa di questa
una dea.
40. S. Agost., I. c. Varrone nel libro degli dei
srelli, afferma esservi Ire pradi nella vita dcU'uni-
versft. II primo Ia vila vegetativa che penetra
per tutte le parli d un corpo vivente, ma non ha
sentimento, e d sollanlo l ' essere : tale nel
ciirpo umano quello delle osa, delle unghie, dei
capelli : come nel mondo gli alberi che senza
nulla sentire, si nutrono, crescono e in qualche
modo si pu dire che vivono. Il secomlo della
vila ensitiva di cui mo forniti gli occhi, le orec
chie, le narici, la borea, il latto. Il terzo grado,
che il sommo, quello della vila inielletliva, di
cui tra gli esseri csislenli fornito sol l anl o uo
mo : qucNia parl i' deU' ani ma mui ul i al e di ce essere
veramente Dio, e chiamansi ncIP uomo Genio. E
cos le pietre e la terra che noi vedi amo, ma che
sono prive di senti'mento, essere le ossa e le on-
ghie di dio : il sole, la luna, le Blelle,[che sentono
e per mezzo dei quali dio sente, sono i suoi srnfi :
i 387 F R M M E N I i388
Aelhera pofro animnin ciuf : ex cuiis vi quae
pervenit in aslra, ipsom qaoqae facere deot ; et
per ea quod in (erram permeai, leonn Iclhirem,
quod antera inde permeai in mare atque ocea-
num deum esse Nfpluoum.
etere 1' animo di lui : la forza lua penetrando
negli attri ne fa degK dei, penetra nel auolo e fa
che sia un dio la terra ; penetra nel mare e nel
oceano e ne fa un dio ed Nettuno.
A P P E N I) I C E.
Quantunque non abbiamo risparmiata diligenza per iscoprire da ogni parie dote si poletano
probabilrnenle risronlrarc i frammenti varroniani, lullavia non ci riusc sempre di acoprirli lutti a
tempo: alcuni ne trovammo dopo che era gi pubblicala opera a cui si riferivano; altri ne sono
che abbiamo omessi avvertitamente perch ci mancavano buone ragioni per asiegnarli pi a que-
Rlo che a quel lavoro; altri che roaniletUmeule sono da ascrivere ad opere di Varrone di cui
and perduto il titolo. Perch nulla manchi alla nostra raccolta tulli qaesti frammenti raccogliamo
in una appendice, con cui ti chiuder la serie delle opere accertate di Varrone, leoza che preten
diamo per questo di aver messe tutte assolutamente insieme queste importanti reliquie : se non
altro avremo agevolalo la via a quello che, giovandosi di mezzi pi larghi che a noi non furono
sempre alle nani, riprender il lavoro. Finora la nostra la pi coropiota raccatta degli scritti
Varroniani.
1. Plinius, . N., VII, 53. V arro ... auctor est,
xxviro se agros dividente Capuae quendara qui
eflcretur, foro domum remeasse pedibus: hoc
idem Aqunii accidisse.
2. Plinius, 11. N., VII, Go. IVI. Varr primum
(horologium) statutum in publico secundum ro-
sira in columna tradit bello Punico primo a
IM' Valerio Messala coiisule Catina capla in Sici
li : deportaturo inde post i x x annos quam de Pa>
piriano horologio traditur anno urbis c c c c l x x x x ,
nec congruebant ad horas eius liniae : paruerunt
aulem eis annis undecentum di>nec Q. IMarcius
Philippus, qui cum L. Paulo fuit censor diligen
tius ordinaturo iuxia posuil, idque munus intcr-
cfnsoria opera gratissime acceptum est.
3. Plinius, H, N., III, lo ^i5). A Locris Italiae
irons incipit Magna Graecio appellata . . . . patet
octoginta duo millia palsaum, ut auctor est Varro.
1. Pii io I. c. Scrive Varrone, che, mentre
egli stava in Capua come commissario per la ri
partizione dei terreni uno che era portato a
seppellire riiorn a casa dal foto, coi suoi piedi :
e che lo stesso era accaduto in Aquino.
2. Plinio 1. c. Scrive M. Varrone che il primo
orologio fu quello esposto pubblicamente dietro
i rostri sulla colonna (Menia) tl tempo della prima
gueira Punica da Manio Velario Messala dopo la
presa di Catania in Sicilia. Di l fu portalo tren
ta aivpi dopo, cio il /(90 di Roma orologio di
Papirio. Fi sebbene le sue lince non corrispon
dessero alle ore, tutiavia si regolarono con quello
per 99 anni, finch Q. Marcio Filippo, che fu
censore cn L. Paolo, ne pose allato a quello
uno pi corretto ; e tra le opere dei censori
questa fu la pi gradita al popolo.
3. Plinio 1. c. Da Locri ominca la fronte
d'Italia, chiamata \ Magna Grecia luuga,
scrive \^arrone, 82 miglia.
Questo frammento va aggiunto agli altri di argomento gc(grafico che abbiamo provalo essere
compresi nel libro delle Discipline che era De Geometria^ e precisamente dopo quello indicato
col numero i 3 della nostra raccolta (colonna 1095).
i 389
DI . TL Rl i NZI O VAKRONK 1 3 9 0
4. Plioius, H. N., VUI, 29 (43). M. Varro au
ctor ett cuoicuJis suffossu fn iu Hispania oppi-
JoDi a talpis in Thessalia : ab ranis civilaleni in
Gallia pulsaro, ab locustis in Africa, ex Gyaro
Cycladum insula incolas a rouribos fugatos, in
Italia Amyclas a serpentibus deletas.
4. Plinio 1. c. Scrive M. Varrone, che in Spa
gna i congli cavarono sotto ona citt |tanto che
la ruinarono : e iu Tessaglia un' altra le talpe :
che nella Gallia una citt fu doTCta abbandonare
pel gran numero di ranocchi, e in Africa per le
locuste. Da Giare, isola delle Ccladi gli abitanti
^furono cacciati dai topi, e io Italia Amicla fu
disfatta dalle serpi.
Questo luogo appartiene forse al logistorico De admirandis^ dove A'^arrone afevi con mira
bile ingenuit sballato delle grosse novelle.
Gyaros ora Jura, un isola tutta chiusa da roccie, infruttuosa e gira per sei miglia. Della
favola accennata da Varrone non ho troyato traccia. Q\icst' isola era dagli imperatori romani usala
come luogo d deportazione (v. anche Giovenale, 1, 73).
Aniyclae. La citt chiamata da Virgilio la taciturna (Aen., X, 564). spiegaiioni
per giustificare tale appellativo Servio (a. I.) ricorda anche questa invasione di serpenti lalle
vicine paludi. La citt era scomparsa al tempo di Plinio.
5. Plinius, H. N., VII, 68 (43). Asinum ccce
millibus nuromnm emptum Q. Axio senatori au
ctor est Varr.
6. Plinius, H. N., IX, 56 (8a) . . . Saginam
(cochlearum) commentus est (Fulvius Hirpinus)
sapa et farrc aliisqne generil)us, vel cochleae quo
que altiles ganeam implerunt : cuius artis gloria
in eam magnitudinem perducta sit, nt octoginta
quadrantes caperent singularum calioef. Auctor
Marcus Varro.
5 . Plinio 1. c. Scrive M. Varrone che fu com
peralo, per Q. Assio senatore, un asino al prezzo
di 400,000 denari.
6. Plinio 1. c. Fulvio Irpino invent anche la
pastura per ingrassare le chiocciole, mescolando
la sapa col farro e con altre cose, acciocch le chioc
ciole ancora accrescessero vivande alla gola, e la
gloria di quest arte crebbe tanto che per nolizi
di A^arrone, un calice d chiocciole pigliava ottan-
quadranti.
lu questo luogo allude al libro HI, c. i 4<4^ trascrtto intero, perch completa
la notizia, e anche perch non del tutto sicurissima la lezione di quel passo che dal confronto
con Plinio viene accertata.
Il quadrans era una misura di capacit, la quarta parte del seitario: equivaleva a Ire ciati,
dunque presso a poco a tre dei nostri bicchieri ordinarii. Queste conchiglie adunque avrebbero
capilo 2t\o bicchieri di liquido. Scusate se poco !
7. Plinius, H. N., I. XIV, 4 (^) Amineam
(uvam) Varr scantianam vocat. n
7. Plinio I. c. u Varrone chiama scantiana la
vite Aminea. w
Varrone, De r. r., 1, 69, i , ricorda poma scantiana, ma non parla delP uva. Questa detta aminea
era ^i tralci portati dalla Tessaglia.
8. Plinius, U. XV, 8. Oleam s lambeudo
capra lingua contigeris depaventque primo ger
minata, sterilescere auctor est M. Verro.
8. Plinio I. c. Scrive Varrone che se la capra
rode o lecca ulivo nel suo primo germogliare lo
fa sterile.
Questo si riferisce al capo 11 del libro 1, De r. r.
9. Plinius, H. N., XVI, 28 (5o). M. Varr au
ctor est vitem fuisse Smyrnae upud mare bife
ram et raalum in agro Cosentino.
10. Plmius, H. O., XVi l l , 4. M. Varr auctor
est, cum L. Metellus in triumpho plurimos duxit
elephantos, assibus singulis farris modios fuisse,
9. Plinio 1. c. Ci Ia fede M. Varrone che a
.Smiroa sui mare era una vite che dava trutta due
volle, e cos in quel di Cosenza un melo.
10. Plinio l. c. Lasci scritto M. VariOiie rhe
al tempo in cui L. Metello illustr il suo trionio
col gran numero di elefanti, i l Jarro si vendevi*
1391
F R A M M E N T I 3<)3
i i cm ti ni coiigioi ficique siccae pondo x i x , otti
pondo Z, CMOif |)OOdo XII.
un fse al moggio, tioroe tllo sUsao pre&io li coiu-
perava un congio di %ino, o Ircula libbre di 6chi
MiGohiyOdieci libbre d'ulio^ododiciiibbre di carne.
Noo improbabile che anche le ooliiie che leguitano io riiuio iiiloroo ai preui dei viveri e
ddle cagioni che li fecero rincarare, iene dofuli alla aleaa fonie, acbbeoe si traili di epoche diffe
renti. Coti quello che dice lulle leggi di Licinio Stolone si riaconira col ca|>o a.* del I libro Dt r. r. :
la menzione di Serrano pare tolta dalla satira menippca dello stesso nome.
Il trionfo di L. Metello In celebralo nel 25o a. C. (5o4d. R.), e, come ricorda lo slesso Plinio
( Vi l i , i6) gli elefanti condotti a Roma in quell' occasione lurono 140 o i 4a.
F i c i siccae. Il prezzo dei fichi eia cos basso, |>erchc ne era proibita o mollo diflcoltata la
esporlaziooe.
II. Plinius, 11. N., XVI 11, la, 3o. u Faba . .
hebetare sensus exislimala, insomnia quoque fa-
cere. Ob haec Pylhagoricae sententiae damnala :
ul alii tradidere, quoniam mortuorum animae
luit in ea: qua de causa parentauilo utique as
sumitur. Varro et ob haec flaminem ea non vesci
tradit, el quoniam ia flore eiui litterae lugubres
reperiaolur. i>
II. Plinio 1. c. u Fu credulo che la fava in
grossi i sensi e (accia sognare. Per questa ragio
ne Pitagora viet ti suoi di mangiarne ; ovvero,
come dicono altri, perch anime dei morti stan
no nelle fave : e difalti nseoo fare le faverelle
nei sacrifzii pei morti. Varrone aggiunge che
oltre per le accennale ragioni, i flamini non ne
potevano mangiare anche perch nel fiore della
fava sono certe lettere di malo augurio.
Non importa che ci fermiamo a combattere le iiiesallexze di Pii io, perch Iroppo noto altro
essere il fondamento del divieto pitagorico. a notare come curiosila, che la consueludiue di
dedicare le fave alla commemorazione dei morti, sotto altro aspetto continui ancora in parecchi
luoghi d'Italia, p. e. nel Veneto.
la. Plinius, 11. N., XVl l l , 29,(69). m Robigalia Numa constituit anno regni sui XI, que nunc
aguntur a d. VII kalendas Maias, qnuniam lune fere segeles rubilo ttccupal. Uoc tempus Varro
determinavit sole Tauri partem decimam obtinente sicul lune lerebal rat i o......... Floralia IV. K.
easdem (Maias) instituerunt urbis anno DXVl ex oraculo Sibyllae ul omnia bene deflurtscerenl.
llunc diem Varr determinat, sole 'l'auri partem quartam decimam obtinente.
Pare che Plinio abbia tolto queste notizie dai libri delle Antichit, sebbene anche nel capo 1
De r. r., e nel VII De i. ne sa falla menzione, ma sotto allro rispello che il nostro. 11 gior-
no delle feste Robigalie era il a5 Aprile, e gi a 00 luogo abbiamo dello anehe di certe s|>e-
ciali osservanze per questa festa.
Per i giuochi Florali, che diventarono b**n presto licenziosissimi cf. Ov. f. V, a77, e seg., e
Tacilo Aon., 49> ^giuochi di Flora non si fecero da principio ogni ani^, ma d quando in quando
ai r occasione di qualche cattiva annata. Quando diventarono stabili ai fiss loro sei giorni dal
a8 Aprile al 3 Maggio.
i 3. Plinius ib. u Vinalia altera... aguntur a. d. XIV Kal. Septembris. Varre a Fidicula incipiente
occidere mane, determinai, quod vull initium autumni esse el hunc diem festum lernpeslaiibus
leniendis insliintum. f
Delle feste Vioalie abbiamo parlato a proposito della satira Menippea: Vinalia. Qui si parla delle
Vinalia rustica (per coi cf. De /. /., VI, ao) io onore di Venere (quindi il secondo titolo in Var
rone ), mentre colle altre Vinalia celebrale in Aprile si onorava Giove (ci. De /.
VI, iG).
14. Plinius, H. N., XV l l l , 39 (70). Varr au
ctor est, si Fidiculae occasu, quod est ioitium au
tumni uva piet consecretur ioler tiles, miout
nocere tempestates.
15. Plinius, U. N., XXIX, G (34). Alopecias
replet (ut Varro noster tradit) murinum limum
quod iltm musccrdas appellat.
i 4 Plinio I. c. Scrive Varrone che se nel tra
montare della Lira, che il principio deirautun-
no, si cousscra tra le vili uva dipinta, i mali tem
pi fanno poco danuo.
i 5. Plinio I. c. Insegna il nostro Varnme che
con slerco di topo che egli chiama inuiceida
guarisce U ligoa.
DI M. TtUL NZI O VARUONt j 3o4
iC. Plioiu*, H. N., XXXI (8). 42. u Varr
liam |iulmenlarii iict uso$ veleres (sale) uclui'
I .
*6. Plluio I. c. w. Varrone narra th gli auii-
ihi usarono il sale anche in luogo Ji viyaDJa. ^
In questo muJo Plinio spiegava il nolo proverbio ; che bisogoara mangiare insifnie molte mog-
gi ili sale prima li crctlersi amici sinceri, |ro\erbio th crw volgare anche Ir i Greci.
17. Pliuiu I. c. u Varrone [lasci scrillo che il
laleulo Egiiiaoo g8o libbre. ^
17. Pliuius, H. N., XXXIl l , 3, ( i 5). u Talen-
lura /Egyplimn poado lxxx {>alerc Varr tradii. r>
Gli Egiziani usavano come unit di moneta tanto il laKnlo babilonese quanto attico, come
lu aveva ridotto Soloue: il rappuito di questo a c|uello era di 3 : 5, e corrispondeva, come ci dice
Varrone, a 80 libbre roiui<ne ; 600 laltnli babilonesi equivalevano duoqne a 1000 talenti attici od
egiziani. Questi daii li abbiamo da Dioduro Siculo (11, 9), che li ha tolti ad Etesia scrittore rag
guardevole. Varrune ebbe a guida uno scrittpre alessandrino.
18. Plinius, U. N. , XXX1II, 12 (55). Varr se
et aercum signum (Dianac Ephesiae) habuisse
scribit.
18. Plinio I. c. Varrone scrive di aver (K>ssedu
Ij anche una statua di bronzo di Diana Efesina.
Oi W/tabuisse i pu argomentare che questa statua fosse depredata a Varrooe quando, essendo
stato proscritto (43 C.)^ gli misero a ruba la casa e la biblioteca.
19. Plinius, H. N., XXXIV, 8 (19). Proprium
<*ius (Polycleti) est uno crure ut insisterent signa
excogitasse, quadrata tamen ea esse tradit Varro
et paene ad exempluiu.
19. Plinio I. c. Fu Policleto il primo che co
minci a far le slaloe in modo che si reggessero
su un piede; Varrone tuttavia ricorda che erano
quadrate e quasi tutte ad un modo.
Quadratf^ cio, che tanto misuravano in alleila quanto in larghezza, calcolando questa dalle
due estremit delle braccia stese ad ai>golo retto. Il primo che ridusse le stalue a proporzioni
natuiali quadratas vtCtrum staturas permutando^ come dice pi innanzi Plinio, fu Lisippo.
Questo 4'apitolo sugli artisti gieci iu Pliniu iio(>ortantissinio, e sebbene Varrone sia citato di
rado, pure 10 lo credo per gran parte farina dtl sacco varroniano.
30. Plinius, H. N., XXXV., 10 (3^). Maeniana,
inquit Varro, onniia operiebat Serapionis tabula
sub veteribus t hic sceius optime pinxit, sed ho>
minem piogtre non potuit.
21. Plinius, H. N., XXXV, 8 (4o). Talentum
allicum Xvi taxat M. Varro.
2. Plinio I. c. Le pitture di Serapione, co
privano un teni|H>, dice Varrone, tutti i veroni
del fi>r>: esso fu abilissimo ne! dipingere le pro
spettive delle scene, ma uon seppe ritrarre |er>
sone.
21. Plinio I. c. Il talento Attico vale, secondo
VaiTone, i(i,ooo dentri.
92. Plinius, ib. u Lnla Cyiicena perpetua virgo Marci Varronis iuveota Homae et penicillo
pinxit et cestro in ebore irnuj^ines mulierum maxime et Ncapuli arcum in glandi tabula eie. r>
23. PlinMS, H. N., XXXV, 12 <43). Ante
hanc aedem (Caereris ad Gircum maximum) 'l u-
scanica omnia iu aedibns fuisse auclor est Varr,
et ex hac, cum reficeretur crustas |>arielum rxci-
sas tabulis marginatis indusas esse, item signa ex
fastigiis dispersa.
23. Plnio I. c. Prima del tempio di Cerere
presso il Circo, lutti i lavori nei tempii erano,
come dice Varrone, opere toscane. In questo tem
pio, quando si dovette rifarlo, le incrostature del
le mura furono chiuse entro tavole incorniciate,
come pure quelle stalue che erano state prima
sui frontoni.
11 celebre tempio di Cerere presso al Circo era stato consacralo nel 4o3 a. C. da Spurio Cassio
Tiscellino, il primo autore delle li-^gi sgraric (Vedi Livio, 2, 4 0 Il tempio era and^itu in liamme
nel 3 i a. C., e r'fallo per ordine di Augusto nel 27 a. C. : quindi sullo gli occhi di Vairone. La
consacrazione segu 10 anni tiopo (V 'l'acilu, aun, 2, /19).
FBAaRTJ DI M. T e h . Varbore. 88
i 3q 5
F R A E N 7 1 i 3cj6
Crustas, Qui crustae sono rilievi di terra colla, op^ra Ji Demofilo e Gorguso, che questi ar
tisti a\eai)o aggiunti nel cornicione della cella a oroare le loro pittore.
E x fastigiis dispersa. Le statue del rpnloDc del tempio andaroao duoqae in parie perdute.
Per le opere d arie di questo tempio puoi confrontare anche Velruvio, 3, 3, 5.
24 PliniuSx ib. M. Varr tradit > cognitum
Koraae Possim nomine, a quo iacta poma et uvas
ut non posses adspectu discernere a veris. Idem
magoifcat Arcesilaum L. Luculli tamiiarera, cu- .
ius proplasmata pluris venire solita artificibus
ipsis quam aliorum opera : ab hoc factam Vene
rem Genetricem io foro Caesaris et priusquam
absoUerelur festinatione dedicandi positam : ei
dem a Lucullo HSlx signum felicitatis locutum,
cui mors utrisque inviderit : Octavio equiti Ro
mano cratera lacere volenti exemplar c gypso fa
cium talento. Laudat et Pasilelen qui plasticen
malrem caelaturae et statuariae sculpturaeque di
xit et, cum esset in omnibus his sutumuf, nihil
unquam fccit antequam fnxit. Praeterea elabo
ratam hanc artem Italiae et maxime Kfruriae et
A'ulcam Veiis accitum, cui locaret Tarquinius
Priscus Jovis effigiem in Capitolio dicandam ;
fictilem cum fuisse et ideo miniari solitum; ficli-
les in fastigio templi eius quadrigas de quibus
saepe dixirus; ab hoc eodem facium Herculem
ijui hoilieque materiae noroeu in urbe relinet.
24. Plinio 1. c. M. Varrone dice, di aver cono
sciuto a Roma uno di nome Possi che faceva Puva
e altre frulla cos al naturale da non poterle ad
occhio distinguerle dalle vere. Celebre ancora
Axcesilao famigliare di L. Lacullo, le cui forme
erano comperale dagli artefici pi care che le ope
re degli altri. Dice, che costui lce una Venere
Genetrice per la piana di Cesare, e che per la
fretta, fu prima dedicala che finita. L. Lucollo gli
allog per , sesterzi! la statua della Felicita,
ma V uno e altro mor prima eh' ella fosse for>
nita. Volendo Ottavio cavaliere romano farsi fare
alcune tazze, costui gliene fece uo modello iu
gesso che cost un talento. Loda ancora Palitele,
il quale disse che la plastica la madre della scol
tura e dello intaglio, e bench egli fosse eccelleo-
tissimo in tolte queste arti, non fece mai nulla
che prima non modellasse in creta. Conchiude
che quest' arte fu con molto ardore coltivala io
Italia, specie in Toscana, e che fu chiamato da
Veio Volca a cui Tarquinio Prisco commise la
statua di Giove da collocarsi nel Campidoglio.
Questa statuo era di terra e perci si soleva mi
niare, come di terra erano le quadrighe di Gi o
ve sul frontone del tempio, delle quali abbiamo
toccato pi volte. Fu opera sua anche un rcole
che era a Roma e traeva il nume dalla materia.
Possim, Pare che losse nativo di Magnesia in Lidia.
Arcesilaum. Di c^ueslo artista troveremo qualche altro modo. Sue opere sono descritte an
che nel museo Borbonico, VII, 61.
Proplasmata. Sono i modelli in terra colla che venivano molto ricercati dagli artisti per studio.
Cui inciderit. L' avo di questo Lucullo qui nominalo avea fallo erigere un tempio alia
Felicit come ricordo delle sue vittorie di Spagna ( i 5 i , a. C.) : il tempio era edificato nel Velabro
presso la via trionfale e ornalo di uo portico. Lsseudo L. Lucullo morto nel 56 a. C. e il lempio
compito in tutte le sue parti e consacrato nel 4^ a. C. si rilev che in questo decennio mor
Arcesilao. Taulo questa statua quanto quella di Venere Genitrice restarono dunque, come pare
da conchiudere, allo stato di modelli.
Pasitelem. Questo non solo artefice ma scrittore di precelli d'arte fior al tempo di Pompeo
Magno. Cicerone, De iV., 1, 30, ricorda uu celebrato suo lavoro in argento che rappreseutava
Roscio avviluppalo tra le spire di un serpente, t a credere con huoo tondameoto che Plinio
si giovasse degli scrini di Pesitele per molte notizie di artefici e opere di arte che sono con
servale negli ultimi libri della sua enciclopedia. Aggiungo questo, perch qualche moderno, p. e.
il Kitschl, parmi che esageri un poco, volendo quasi solo fonte gli scritti varroniani, tanto che,
come esso si esprime, non si ricercherebbe che un litoio per formarne un altra opera. Certo
Plinio si giov di Varrone e forse anche pi che non apparisca dalle cilaxioni ma ad ogni modo
non fu il solo da cui trasse notizie.
Miniari. Di quest uso di dar di minio alla statua di Giove nei giorni delle sue feste abbiamo
parlato in altra occasione. Vedi anche Plinio, 33, m .
Herculem. forse quello ogi dello il Pompei no.
. 25. PJinius, . XXXVI, 4 (4^ Certavere inlcr se (Alcamenes, Atheniensis et Agoracri-
tus Pai ini) ambo disri]uli (Phidiac) Ventre facienda vicilque Alcjinenes non opere scd civitatis
'39?
DI . TERENZI O VARUONE 3 9 8
suffragiis contra peregriiioin stium favenlia, qaare goracrilus ea ie^e ignuio snum vendirlisse
traditur ne Athenis esset et appelasse Nemesin : id posilum est Hhamnutte pago Alticae, qood
Varr omnibus signis praetulit, v
Kharomis ora Ovrio-Kastn^ fra Oropo e Maratona, principalrocnte celebre per il lulto di
Nemesi. Il pi ambilo ornamento n era la statua della dea. Strabone 9, pa". 36G, la chiama
opera che emulava (cva/itUcv) quelle di Fidia : ma molti e antichi e moderni la dis5ero addirittura
opera del famoso scultore ateniese.
26. Plinius, H. N., XXXVI, 5 (4). u Sitae
fuere et Thespiailes ad aedem Felicitatis, quarum
unam amavit eques Romanus Junius Pisciculus,
ut tradat Varro, n
a6. Plinio I. c. Presso il tempio della Feli
cit furono situate anche le statue delle Tespiadi,
deir una delle quali innaniorossi Gi io Pisciculo
cavaliere romano, come trovasi scritto da Var
rone.
Le Tespiadi probabilmente erano statue delle Muse cos dette perch aveano culto a Tespia
di Beoiia.
27. Plinius, ih. Arcesilaum quoque magnifi-
ca( Varr cuius se marmoream habuisse leaenam
nligerosque Indentes cum ea Cupiilines quorum
alii religatam tenerent, alii cornu cogerent bibe
re, alii calciarent sociis, omnes ex uno lapide.
Idem a Caponio xrr nationes quae sunt circa
Pompeii theatrum f^fclas auctor esi.
27. Plinio I. c. Varrone loda ancora assaissimo
Arcesilao, e dice ch' egli ebbe di sua mano una
lionessa marmorea coo^Cupidi alati che con quella
scherza?ano: alcuni dei quali la tenevano legata,
altri la facevano bere con un corno, altri le met
tevano i borzaci-hini, e tutti di un solo masso. 11
medesimo srrive che Coponio lece le statue delle
(]ualtor(lici nazioni che sono collocate intorno al
teatro di Pompeo.
Di Arcesilao abbiamo latto memoria poco sopra. Di Copoitio noti mi venne folto trovare altra
notizia che questo ricordo li Varrone. Per la descrizione del teatro <li Pompeo, di cui si possiede
la pianta cf. Vitruvio, , 9.
28. Plinius, . iV., XXXV1, 3 (19). Italicum dici convenit (Labyrinihum) quem fecit sibi
Porsina rea Etruriae sepulcri causa, simul ut externorum regum vanitas quoque Italis superare
tur. Sed cum excedat omnia fabulositas uleinur ipsius M. Varronis verbi:
Sepultus sub urbe Clusio, iii quo loco monumen
tum reliquit lapide quadrato quadratum, singula
latera pedum tricenum, alta quinquagenum in-
que basi quadrata intus labyrinthum inextricabi
lem quo si quis introierit sine glomere lini exi
tum invenire nequeat. Supra id quadratum py
ramides staut quinque, quattuor in angulis et iu
medio ana, imae latae peduro quinum septinge-
num, altae centum quinquagenum, ita fastigatae
ut in summo orbis aeneus et peta-^us unus omni
bus sit impolitus ex quo peodeant exapta catenis
lintinabola quae vento agitata longe sonitus rete
rant, ut Dodona oliro factum. Supra quem or
bem quatuor pyramides insuper singulae stant
altae pedum centenum, supra qaas ud o solo quin-
que pyramides
Fu sepolto (Por^inna) sotto la ciH di Cliiusi do
ve si avea fatto preparare un mauitoleo di pietra
riquadralo in forma pur quadra. Ciascuno tiei
lati e delle faccie avevano trecento piedi di lar
ghezza e cinquanta di altezza. Dentro in base
quadrata uno iiieslricabile labirinto, d<*l quale
non troverebbe la via di uscire chi non vi en
trasse con un gomitolo di filo. Sopra questo qua
dro sono cinque piramidi, quattro nei canti e una
in mezzo : in iondo son larghe setlantacinque
piedi e alle centocinquanta, e nella cima di eia
scuna una palla di rame e un coperto, omle pen
dono alcune campanelle legale con catene, le quali
essendo mosse* dal vento, sonano di maniera che
si sentono di lontano, come gi era in Dodona.
Sopra di quel giro sono quattro altre piramidi
alte cento piedi. Sopra di queste era fatto un
piano e in esso cinque piramidi
quarum altitudinem Varronem pudet adiicere ; tabulae Firuscae iradunt eandem tuisse quam
totius operis ....
Favoloso era edifuio, e favolosa o, almeno, esagerata anche b narrazione rarroniana. Di
questo singolare cdifizio fu dagli arcbcolugi tentata varie volte c nelle pi varie maniere la
ricostruzione.
Sub-Clusio. Cio ai piedi delle colline sopra di coi stara Chiuii.
Dodonae. Nel luogo dell' oracolo di Giove Dodoneo in hpirn erano collocali topra due impal
cature un bacino di bronzo ed un faiiciullu pure di bromo con uno scudiscio che agitato dal
vento andava a percuotere sul bacino.
29. Plinius ff, XXXVJI, 3 (5), dice che in Roma non si ebbe che la sola raccolta di gemme
di Scaoro figliastro di Sulla u donec Pompeius Magnos eam (dactyliothecam) quae Milhritfatis
regis fuerat, inter dona in Capitolio dirarci, nt M. Varro aliique eiusdem aetatis auctores confir*
mant roultora praelatam Scauri. ^
i3q9 F R a K N T ^
30. Pompeius Ars. Gramm., ed Lind., p. i 43
u Varro ait, genera tantum Hia esse quae gene
rant. n
3 1. ScrViu* Ars. Gramm., ed. l/md., p. 491.
u Varro dicii, genera dirla a generando; qtiil
quid enim gignit vel gignitur, hoc potest grnus
dici el genus faccre.
3o. Pompeo I. c. u Varrone dire generi essere
quelli soli che generano.
3 f. Servio 1. c. Varrone dice che genere da
generare^ |ierrh tutto quello che genera od
generalo, pu euer dett genere o formar ge
nere.
Con questo luogo va confrontato un altro del precitato Pompen, p. i 54 Ait Plioios secon-
dns, secutas Varronem, quando dubitamus principale genus, redeamus ad dimimitionem, et ex
diminutivo cognoscimus principale genus. n
82. Mythographus ed. ab A. Maio (Clafls. Auct.,
I. Ili, p. 170). u Pdlem Varr masculino genere
(ipellat. T>
3a. u Vrfrrone us il nome Pales in*genere
mascolino.
Olire Varrone aliti scrillori, p. e. Virgilio, usarono Pales al maschile: ne a far maraviglia,
perch inltndevaiiu parlare di^ un e.MPre differente dalla Pales: quello era un genio dei pastori,
questa una lUa tutelare dei pastori e delle grrgg>e. Vedi De diis incertis, fr. 4
33. Festus, p. 38i, ed. Mu. u Va^'ro in Europa: Tutum sub sede fuissent.* Questo luogo
sospetto, dice il Mailer. Direi: errata la citazione; ma non v ha alcuna ragione per negare il
fntur..Juissent a Varrone. Il contesto d Festo ci indurrebbe a credere che il luogo varroniauo
giustificasse uso freqirente di tutumr=maiime^ ci che fa suporre pi che probabile una cor
ruzione nel lesto di Pesto. - cosa sarebbe diversa se si accettasse (e parrai che giovi) la corre-
lione proposla dal Muller u tutum pr luto frequentissime positum esse ab antiquioribus eie. n
34. Fcsius, }f. 372, Mii. Vapttla Papiria in
proverbio luit aniiquia. Vapulo posiinn: esse ait
Varr pr peri.
34. Gli aritiihi ateaiio il proverbio Trapala
Papiria, nel quale, dice Varruue, papulo signi
fica va alla malora.
1/ origine lei motto, che fu messo in giro da nn impiiden;c liberto, data dal Forrelliiiv
V. apulo., $ 2. spiegazione di Varroiie giiistifienta da parecchi altri esempli di cornili, p. e.
Plauto, Amph.^ I, 1, 214 (370); Asin., Il, 4, 72 1478); Ter., Phorm,^ V, G, 10; saiza perdersi ii>
poco Iratlunse indagini etimologiche che puoi trovare raccolte nel Lindrmann (Fest., p. 745).
35. Seneca, Cons. ad Helv, 8. u Adversus ipsuni mataliooem locorum, detractis ceteris incom
modis, quae exsilio adhaerent satis hoc remedii putat Varro doctissimus Romanorum, quod quo
cumque vrnimus eadem natui% utendum est.
3G. Plutarco Q. ., 2. Perche si accendono nelle nozze solamente cinqoe facelle, nomioale
cerei, e non pi n meno? Forse (cime dice Varrone), perch servendosi di tre i pretori e gli
edili di due, non ragionevole che n* abbiano pi dei pretori e edili insieme, e massime accen
dendosi dagli edili le farelle degli sposi? (Vers. Adriani).
Plutarco pu forse aver tolto queste notizie e le altre che seguono al libro che Varrone
chiam e di cui abbiamo gi parlato a pag. i i a a . PlutartN ne reca altra cagione.
37. Plutarco Q. ., 4. Perch negli altri tempK di Diana sospendono e conficcano le corna
di cervo ed in quello del monte Aventiuo le corna di bue? Tal costume s'introdusse per rimem
branza di un caso avvenuto anticamente. Narrasi che nel paese dei Sabini nacqne ad Antrone
Coruzio una vacca bella grande a meraviglia sopra tutte le altre e un indovino gli disse che
la cilti di colui che sacriticherebbc quella vacca sopra il monte Aventiuo sarebbe posfente di>-
minalrice tli tutta ltlia. Vnnc costui a Roma per sacrificaro la sua vac^; ma uu suo s*r?o
segretamente mirr il lotto a Ser?io allora regnante, e Servio a Cornelio sacerdote di Diaoa. Ver
che qaan<I ittilrooe si present per far sacrBiio, Cornelio gli comand che, secondo il coslome
dei sacrificanti, primieramente andasse a lavarsi nel Teiere. Partesi per lavare, e Servio antici
pando uccise la vacca in onore di Diana e sospende le coma alle pareti del tempio. Oltre a Varrone
scrisse ancora queste cose Giuba; K non che Varrone scrisse il nome li Antrone e non tlire
che Conielio sacerdote, ma la guardia del tempio ingann il Sabino (Veis. Adriani).
38. Plotarco Q. /2., Perch stimano tutta la muraglia circondante la citln sacrala el invio
labile e non le porle ? Forse (come scrive Varrone) creder si deve esser sacrala la muraglia accioc
ch i difensori di essa non dubitino di morirvi sopra generosamente.... e per lo contrario non
era lecito sanlificare te porle, perch oltre la necessit di mrtlere e cavare per esse molte cose di
coi la vita umana bisognosa ne traevano ancora i corpi dei morii (Vers. Adriani).
39. Clemente Alessandrino (Protrept p. 3o). u storico Varrone dire che anticamente in Ro
ma simulacro di Marte era la lancia. r>
40. Laur. Lyd. (De magist. Rom,^ pmem.). Capitone e Fonteio e il dottissimo Varrone ...attestano
che Numa tolse dagli Etruschi le insegue dri magistrati, come dai Galli le foggie delle armi.
41. Snida ad V. iyxax9*n^av, I mali d'Alessandria, capitale dell'Egitto, invasero Roma, dice
Varrone.
i4oi DI . TtK E NZl O VABftONE 1402
42. Schol. ad Pers., 11, 70. u Solebant virgi
nes antequam nuberent, quaedam virginitatis
suae dona Veneri consecrare. Hoc et Varro scri
bit. r
43. Schol. ad Pers., ], 7a. Palilia tam privata
quam publica sunt apud rusticos : ut, congestis
cum foeno stipulis, ignem magnum transiliant,
his Palilibus se eipiari credentes.
4a. Solevano le vergini, prima di andare a
marito, offrire a Venere in dono qualche cosa che
foste loro appartenuta nel tempo di loro^virgi
nifi.
43. 1 campagituoli aveaiio feste di P^le pub
bliche e private : e in queste credevano di puri
ficarsi saltando attraverso grandi fuochi di slo|>-
pia e d paglia.
I frammenti dal 3o al 43 furono raccolti dal De Vii.
44. Macr. Sat. I, V. a ... Licet Varr ... in septimo decimo hnmanarum diierit p h s mille
et eentum annorum est. w Noi abbbmo gi trovalo questo luogo notato da Gellio (V. p. 1375)
e l'abbiamo collocalo a suo luogo.
45. Macr. Sat. I, VII. u Nec illam causam quae Saturualibus assignatur, ignoro : quod Peb.^gi,
sicut Varro memorai, cum sedibus suis pulsi diversas terras petissent, conduxerunt plerique Do
donam et incerti quibus haererent locis, eiusmodi accipere responsum :
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ai'ceptaque sorte, cum Lati ni post errores plurimos appulissent, in lotru Atyiiensi enatam insu
lam deprehenderunt. Amplissimus enim cespes sivo ilie continens limus seu paludis fuit, coacta
compage, virguliis et arboribus in sdvae bcentiam comtus iactaniibus ptr amnem fluciibus vaga
batur, ut fides ex hoc etiam Delo facta sit quae celsa montibus vasta ranipis tamen per maria
anibulabrit. Hoc igitur miraculo deprehenso, has sibi ledes praedictas esse diclicernnt: vastalisqne
Siciliensibus incolis occupavere regionem, decima praedae secundum responsum Apollini conse
crata erectisque Dili sacello et Saturno ara etc. ^
46. Macr., Sar. 1, XVl l I. m Apollini el Libero patri in eodem monte {Parnaso) res divi
celebratur. Quod mm et Varro et ... affirment, etiam Euripides his docet etc. n
47. Isidor., elym., XI, 1, 5 i. Linguae a ligan
do cibuni putat Varro nomen impositum.
47. Isidoro, I. c. Varrone crede che la lingoa
sia stata delta coi <hl conglutinare il cibo.
Altra volla ci Wadul o di dover avvertire rhe d'ordinario le citazioni d' itidoro sono di
seconda roano: cos anche questa chc Icllcralnnenle si trova io Lattanzio, De opif, D.^ u. lo^ e
cos la seguente :
i/}o3 \ 1 44
48. Isid., ctym., XI, 1, 97. Renes ait Varr
dictos, quod rivi ab bis obscoeni homoris na-
scantur
48. Isid., I. c. Varrooe dice che le reni ebbero
questo n(9me perch ivi sieoo le fonti donde gli
osceni umori derivano
trailo da Lattanzio, op. c., c. i 4 Haec quid rennm gemina troilitudof quos ait Varr ila
tiirlos, quod rivi ab his obsceni humoris oriantnr. ^ Da Isidoro pass nel vocabolario di Papias
V. Rcnee (v. Mercklin, P/n'lolog.^ Ili, p. 554).
49. Terlnilianus, ad. nat., li, 2. Unde et Varr
igneni mundi atiimum i'acii, ul perinde quod in
mundo igni* omnia gubernet, sicut animus in no-
bis. Atqni vanissime. Nam cum est, inquii, in no-
bis ipsi sumus, cum eiit, emorirour. Ergo et i^nis
cura de mundo per fulgora proficiscitur, moodus
emoritur.
49. Terlull., ]. c. Varrone chiama il fuoco
anima del itiondo, perch il fuoco domina nel
mondo come animo nelP uomo. Jl paragone non
regge. Poich, continua, quando Panimo in noi
viviamo ; quando n' esce moriamo. Ma allora bi
sogna dire che anche il moodo perisce : quando il
fdoco n' esce colle folgori.
Isidoro (elym., Vi l i , G, ai), ha ripeluto questa citazione di Tertulliano con leggerissime mo
dificazioni di parole.
et. De l, /., 5, 59. u animalium smen ignis is qui anima et meii.^ : hic cahlor e caelo quod
hic innamerabiles ac immortales' ignes, insegnamento di Zenooe di Cizio e 5, 70 u ignia a n*-
scendo, quod bine nascitur et omnc quod nascilor ignis gignit: ideo calet, ut qui denascitur
eum amittit ac frigescit.
50. Tertull. A d nat.^ 11, 3. u Et tamen unde animalia Varroni videntor elementa? Quoniam
elementa moventur. Ac ne ex diverso proponatur, mulla alta moveri, ut rotas, ut plaustra, ut
machinas ceteras ultro praevenit dicens eo animalia credita, quod per sernctipsa moverentur. ^
II riiedesimo luogo troviamo in Isidoro, etym., Xl l l , i . 2.
Dunque anche Servio alludeva a Varrone quando diceva (In Verg. Aen.y IV, 254)
menla etiam animalia esse voluerunt.
Il frammento si riferisce ai libri delle Antichit divine o al primo o alla introduzione del XVI,
5 1. Terlull., De spect ,, c. 5. u Et si Varr ludos a ludo, id est a lusu interpretatur, sicot et
Lupercos ludios appellabant, qiiod ludendo discurrunt, tamen eum lusum iuvenuni et diebus festis
et templis et religionibus repulat.
I.o stesso luogn in Isidoro, ctym. XVl l l , 16, 2. I/opinione varroniana contrapposta al-
altra volgare che ludi fossero detti i giuochi perche i primi chiamati a darne spettacolo in
Roma fossero FUruschi (Lydi). Il passo si riferisce, io credo, al libro decimo delle Antichit:
divine.
Il Reifierscheid ha messo il luogo di Tertulliano Ira i frammenti di Svetonio, p. 332 segg.
(v. anche p. 4^3 segg.); ed ebbe buona ragione di tarlo. Lo stesso critico di opinione che tutto
il resto dei capo di liidoro dal n. 17 al 58, dove parla De ludis Romanorum,, sia tratto da Svetonio.
Isid., etym. XVIIL 5o. Saltatores autem
nominatos Varro dicit ab arcade Salio, quem Ae
neas in Ilaliam secuoi adduxit, quique primo do*
cuit Romanos adolescentes nobiles saltare.
52. Isid., 1. c. Varrone dice che i Saltatori fu
rono chiamati Salii, dal nome di Salio no arcade
condotto seco io Italia da Enea, e che fu il primo
ad insegnare la danza ai giovani oobili di Roma.
A pagina i 3 i 5 dove sono i framm. del II libro delle Coke divine, notava, che certamente
Varrone avea |)arlato dei Salii, registrava molte citazioni dove si cercava la etimologia delle pa
role, che mi asteneva dal recare per esteso, perch non era ricordalo espressamente il nome di
Varrone. No d mi era allora conosciuto questo di Isidoro che scioglie qualche difficolt, sebbene
sia confuso ed oscuro, perch avrebbe dovuto aggiungere che i Saltatores erano per que
sto chiamati Salii. Allora sarebbe Varron<; uno tra quelli di cui Servio ( Ad Verg. Aen.^
Vi l i , 63) dice che: Saios a Saio Aeneae comite dictum volunt. Tuttavia un esame accurato
come induce a credere che Isidoro abbia trascritto il suo passo da Svetonio, cos abbia coro-
peilialo per guisa Ja oscurare il concello vari'uiiiano, il quale pare ess^re invece^ non ^i che
Saltalores fossero chiamali Salii, roa che prima osscro chiamali Salii quelli che impararono dal-
Arcade Salio la saltalioneiii (Fest., p. 326, 3a) ; e che coiue.il loro moto concilato si
disse salire^ cos dalla stessa radice si formasse e il saltus e il saltator^ che iodicavano in ge
nerale e il rDovimenlo* di qualunque danza e chi esercitava. Tale conchiusionc si trae anche
dair esame di Dionisio d' Alio., 11, 70,: u Viv ot , ... ^ , ...
ir Ji ^ ... -/ ^
.
Ho piacere ohe questo luogo di Isidoro mi dia occasione di avvertire, che oel frammento 3,
p. i 3 i 5, dove i dice, perch il fl amtn Dialis portava U pileo bianco e dopo la interpretazione
di Varruoe a^^^iungeva m altri spiegano diveriamente : o perch il suo pileo dee frsi con la
pelle della bianca vitliroa sacrifcata a Giove; n il senso risulti stranamente alterato per un
errort*. di correzione. Tutte queste parole furono trasportate 7 linee pi sotto di dove andavano
collocate, cio dove si parlava dei Sali^ in modo da farmi dire, che fra le interpretazioni eti
mologiche solla parola Salii vi anche questa : perch portavano il pileo bianco. Se vero, che
i Salii SODO a saltando^ questo sconcio si presta a meraviglia a un facile epigramma : ma altro
che salto ! fu capitombolo 1
53. Schol. Lue., Ili, 33j, u Com Cyrus roarilimas urbes Graeciae occuparet et Phocenses ex
pugnali omnibus angustiis premerentur, iuraverunl ut profugerent quaro longissime ab imperio
Persarum, ubi ne nomen eorum quidem audirent. Atque ita in ultimos Galliae fines navibus
preterii, armisque se adversus Gallicam feritatem tuentes, Massiliam condiderunt el ex nomine
ducis nuncupaverunt. Hos Varro trilingues esse ait eo quod ;raece, latiue et gallice loquuntur.
Questo luogo letteralmenie ricopiato da Isidoro, elyni. XV^ 1, 63, e compendialo da S. Giro
lamo nel Comm. Epist. ad Galalas^ lib, 11. Non da dubitare che appartenga ai libri delle
Antichit umane; incerto e a quelli De hominibus (111-VII) o a quelli De locis (VlII-XVll).
E a questo proposito impoi tante riferire an altro luogo dello slesso S. Girolamo in Gene
sim., ed, i 684t I 111, p i 35, B. u legamus Varronis de antiquitatibus libros .... et videbimus
paene omnes infulas et totius orbis liltora lerrasque mari vicinas Graecis accolis occupatas, qui...
ah A malto et l auro montibus omoia maritima loca usque ad oceanum possedere Britannicum, n
45 1)1 . TEKL NZI O VAI I KOM!: i4oG
54. Servius in Verg. Aeo., 1, 62. [Aeolus], ut
Varro dicit, rex luit itfkularum, ex quarum nebu-
lis el fumo Vulcaniae insulae praedicens futcra
fljbra ventornin, ab imperitis visus est %eiitos sua
potestate relinere.
54. Servio, I. c. Eolo, come dice Varrone, fu
re delle isole dette Eolie, e perch dal fumo e dai
vapori che da quelle si sollevavano presagiva quali
venti avrebbero spiralo, la genie grossa riput
che fosse in suo potere-reggere i venti.
Da Servio ricopiarono il passo Isidoro, etym. XIV, 6-36 e i Mitogrufi, 11, iVlai, p. i o3 e 111,
M., p. 182.
55. Servius ad Verg. Aen.^ Vi l i , 620 . . . w Higinus dicit Pelasgus esse qui Thyrrheni suni,
hoc etiaiup Varr commemorat.
Probabilmente bel 11 dei libri delle Cose umane. Questo luogo d Servio avea sotto gli oc
chi hidoro, etym., IX 2, ^4> moli infedelmente riassunse la notizia del commentatore vir
giliano, facendo dire a Varrone quello che Servio ne esclude.
56. Isid., elym. XIV, 9, 2. u Spiracula appellatur ooiuia loca pestiferi spiritus quae Graeci
appellant vel Acherontea. Etiam Varro spiraculum dicit Uuiuscemodi locum et spiracula
rx eo dicunlur loca qua terra spiritum edit, n
Isidoro deve alludere ai libri De locis nelle Antichit umane, perch, come abbfamo allora
notalo, iu quei libri Varrone avea norninatameute indicali i varii luoghi d'Italia donde uscivano
dal suolo esalazioni sulfuree.
IsiJ., etym. XIV, 8^ 33. Amoeiia loca
Varr dieta ail, eo quod solum anjoreai praesU ni,
cl ad se aiitamla alliciant. Verrius Flaccus quod
sine munere sunt, nec quidquatn in his oiTicii
quasi amunia .... Inde diam nihil |iracslanlcs im-
muues vocantur.
57. Isid. I. c. Varrone dice che alcuni luoghi
furono chiamali ameniy perch noti spirano che
amore e non si pu non amarli. Verrio Flacco
vuole che sieno cus delti quasi amunia^ cio
luoghi di cui non sap|iiaino a che servirci ecc. ...
Quindi che 5 cliiainatto inununi (|utlli che non
hanno nulla a coilribuirr,
A L N 1' 1 1408
Quel l o passu oflre delle tliiBcoll |iiullosto gravi ai crtici. Notiamo prima di lutto che Fausto
Arevai nella sua riiiutatissima edizione d ' i i i d o r o (Uonia i 7<j7*i8o3), mette Vtrriui Flaecus io
luogo di rarro e viceTersa, a questo de\e essere stalo indotto daJ luogo di Servio (in Aen.^
VI, 638) : Amoena autem quae tolum amorem praestant: Tei a l sopra diximof quasi muoia,
lioc est sine fnictu, ut Varr et Carmioius dooent. <n Ma poi Servio stesso che rmetle lutto in
questione fondendo 1 due opinioni insieme: m Amoena sunt loca solius voluptatis ^ena : quasi
munb unde oullus ructus exsolvitur, uiide etiam oihil praestantes immunes vocantur n (/m
rerg, Atn^ V, 7, 34) ; passo che leiduro aveva, tompilandu la sua etimologia, davanti agli occhi. Il
Miiller nella sua edizione di Paolo Diacono (pag. a g) ammette che in Festo dovessero essere
notate tutle le due etimologie. Cosicch non si |> decidere se Isidoro abbia conglutinato il luo
go di Servio e tli Festo, o abbia tratto la doppia etimologia da Festo solo, o se avesse un testo
di Servio pi completo. La questione resta insolubile, ma non riKeva gran latto.
58. Isid.^ elym. VIIJ, 7, 3. Vates a vi mentis
appellatos Varro auctor est, vel a viendis carmi
nibus ... hoc est modulantes: et proinde poetae
Latine vates olim et scripta eoruni vaticinia di
cebantur quod vi qualam et quasi vesania in
ecribendo commoverentur, vel quod modis ver
ba conneclerent. Vierc euiro antiqui pro vincire
ponebant....
58. Isid. I. . Varrone dice, che il nome di
vati deriv da i>ii, (er la commozione della men
te, o da viert che legare^ perch i carmi devo
no avere un legame, cio euer e modulati : quin
di che i Latini ohiamarono anticamente i poeti
i^ati e i loro scritti vaticinii, o perch fossero ra
piti da una furza o quasi un furore, o perch le*
gaiaero le parole col metro. Essendo che io anti
co v9 rt ai usava per legare.
In parecchie edizioni di Varrone il frammento meuo fra quelli d' incerta sede, ma non
c o s ; mentre troviamo al VII De L c. 36 la dcrivazioue di vaits da viere. vero che
manca altro da w/i, ma bisogna notare che Varrone prometteva di tornare sull' argomento nei
suoi libri De poematis^ dove fioteva trovar luogo anche altra etimologia, fila tuttavia non mi |iare
probabile che Isidoro ricorresse alle opere minori varroniane, e quindi pi ovvio supporre che
la prima parte del frammento sia una semplice ripetizione di Servio, che {in Vtrg* Atn.^ I l i ,
443) dice : u A'ates a vi mentis appellatos Varro auctur est. Ogni questione poi messa da
parte se si approvi il partito del Reifleracheid (Svet., pag. 3^o) di credere che tutto intero il
luogo sia tratto di |eso da Svetonio, come dissi tante altre fiale aver fatto Isidoro.
5q. Isid., etym. X, 186. Nihili compositum
est ex ne et hilo. Hilnm autem Varr ait signifi
care medullam eius ferulae quam Graeci asphode
Ion vocant : et sic dici apud nos nihilum, quo
modo apud Graecus aiil .
Id., ib., X V I 1, 9, 95. Ferula dicta a medulla.
Nam ilum Varro tradit esse ferulae medullam
quam uphodeloD Graeci vocant.
1 due luoghi devono essere presi insieme, quantunque il secondo sia certamente storpialo.
Di dove poi abbia tratto laidoro le sue notizie non saprei render conio, perch non conosco al
cun luogo n di grammatico n di scoliaste che ripeta la steua etimologia che nou si trova, a' in
tende, in alcuna parte delle opere varroniane ora ronoacinle
60. Charisius, |>ag. 103, 14 K. u NihiI si dicas quantitatem notas, si vero nihili adiuncta
I huminis mores. Cuius nominis origo haec est :
Sg. Isid. I. c. Nihili formato da ne e itilo,
Hillum |K>i, secondo Varrone, chiamasi il midollo
di quel i^ambo che i Greci dicono asfodelo, e
quindi tanto vale il nihilum dei Lalini, quanto il
proverbiale dei Greci, cio un bel nulla,
11 nome di ferula venne dal suo midollo. Poi
ch insegna Varrone che ilum ifmidollo di
quel gambo che dai Greci detto asfodelo.
llilum Varr rt rum humanarum intestinum dicit
tenuissimum quod alii hillum appellaverunt, ut
intelligeretur intestinum proplrr similitudinem
generis: unde antiqui creberrime deiu|ita littera
hilum quoque dixerunt ; unde intelligimns nihil
9ne adspiratione vitiose dici.
Cf. anche De l /, V, i i i .
Varrone nti libri delle cose nmane chiam /7/,
come altri hillum il pi sottile degli intestini,
che da al< uni. perch vi fosse anche la conveoienia
nel genere fu letto hilum. Gli antichi, scempiata
la / usarono anche hilum. Ad ogni modo i hia
ro che usar nhil senta aspirazione errore.
<^09
DI . TKRtNZI O VARRONE
6 i . 1J. fclym. I, 38, i , ... Aii Varro, ^pu<l
riaoluni pi^fis Iecl>s 5*;nificre r e d i i .
6i . Isid. I. c. I>ice Varrone, che nella fraitc
di Plauto : prosis Uctis, il prosis k usalo
rectis.
Quantuoque li leggano aucora nelle commedie di Plauso paisi ia <ui prosus e prorsus tono
usali per productus e rectus^ quello riciHrJalo al ooslro 1uo(o non si couotce. Mi lece |k> me>
ravi^lia IroTare nel KcUoer arronsche Studitn^ pa^. 29) avvenenza, che Varroue oou abbia
lavoriilo, per quanlo si sappia, sulle commedie plautine. Quandoque bonus dormitat eie.
G2. Isid., De nal. rer., c. 38, a. wIlem Varr
dicit s'*gnum esse tempestatis, dum de parte
Aquilonis fulgel el duro de parte Euri intonai.
62. Iid. I. c. u Lo stesso Varroue dice, che
quando lampeggia a traraontana e tuona a levante
si splenda procella, n
trailo immediatamente tla Svelonio. V. Reiflerscheid, pag. 235 e Baker (Isid., Dt r. .,
pag. XYI).
C3. Isid.^ De nat. r., c. 38, 4i 5 : Item Varr
ait : Si exoriens (sol) conravus videtur ila ut in
medio iulgeat rt radios facili parlim ad austrum
parlim ad aquilonem trmpeslalem umidam el
ventosam fore st^nifial. Ilem iedm : si sol, in
quii, rubeat in occasu, sincerus dies eiit ; 91 paU
Jeat, tempestatem significai.
G3. Isid. 1. c. Varrone anche dice : Se il sole
apparisce levandosi concavo, cos che si moslri
splendido nel mezzo e diffonda i raggi parte ad
ostro parte a tramontana predice tempo umido e
vtntoso. Lo stesso: se il sole rosseggi tramontaa*
do, il di seguente sar bello, se cada languido,
attendili biirrasca..
Ancite questo luogo Isidoro iro\ in Svelonio. Cf. ReitPerscheid, pag. 287. 1 due pasti s
trovano ricordali altres negli scolli a Germanico, pag. 108. Cerca pure le osservazioni dello
Wachsmulh airopera di Lydo De ostentis^ pag. XXVIL
<34* Isid., De diiF. verh., 4>3. Inter prui*-
oum, el netanduro, el nelarium : nelariu, ul Var
ro exlimat, non digntjs farro, quo primo cibi
gtrere vita hominum susteulbalur. Neiandus id
est ne nominandus quidem. Profanus autem cui
sacris non licei iotcrease.
64. Isid. I. r. F'ra profano^ nefando e nefa
rio. Nefario , come pensa Varione, buo indegno
di gustare del farre^ la pi antica ira le varie
ragioni di cibo per soslentere la vita. Nefando
quegli che non merita nemmanco di essere ri
cordato. Profano colui che noti deve star pre
sente ai sacrifizii.
Questa citazione di Isidoro si pu coIlej;are coll' altra che ho riportato l frammento 29
del primo libro De vita P. R.^ annoiando il qual luogo^ faceva anche avvertire che la etimologia
varrouiana non avca trovato fra gli eludili favore. Potrei auclie aggiungere che specialmente il
nefarius troviamo applicalo anche a cose: p. e. Cic. pr Qoscio, Am. i 3 nefarium facinus.
G5. Strvius, ad Verg. Aeii., HI, 36, 6 (Isid.,
De dijf. verb.y 459). Varr ila definii : oslen
lum quod aliquid hominibus oiteodit ; porten
tum, quod aliquid futurum portendit ; prodigium
quod porro dirigit ; miraculum quod mirum' est ;
monstrum quod monti.
5. Servio, Isid. II. cr. wEcco le definizioni di
Varrone : ostentum^ ci che d qualche cosa a
conoscere agli uomini : portentum un presagio
del futuro, prodigium una predizione lontana,
miraculum quello che maraviglioso, moftj/ri/m
ci che mette sull avviso.
Ostenta^ monstra^ portenta^ prodigia^ si trovano uniti anche in Cicerone De N, X>., II, 3, 7, e
D t dii^.y l i , 12, 93, ed difficile determinare ia linea sottilissima che li distingue; perch, come
apparisce, questa di Varrone una ricerca etimologica e nulla pi, e, in parie almeno, non ac
cettabile, p. e. quella di prodigium. Potrai veder esaminali questi sinoninii nel Ddrrlei*n, par
te V, pag. \\ t pi brevemente nello Scliuliz, Sinonimi, pag. 260 della vrs. italiana: dove
dal confronto degli esempli sar facile meglio che per qualunque dichiarazione conoscere uso
vario di queste parole.
Per tutte queste citazioni di Isidoro consulterai molto utilmente le savie avvertenze c le c o
piose annotaziooi del Keltner, Uebtr die varronische Citate bei Isidorus Hispalensis nei suui
yarronische Studien^ Halle, j 865.
Fbamai5Ti m .M. '. . 89
4 I
F R A 1
l4t2
66. Quint. Inst. Orat.., Tl l I, 6. u Cicero iu
quuilam ioculari libdio :
FunJum Varro vocat quem poeiil roillere
funda
Ni lamcn excitleril, qii rava fonda patef.
67. Ful|;entius De Prisco Sermone, u Varro
scribil ; Sicinium Dentatum cenliim ei vicies pu
gnasse singolari cerlamiue, cicnlrices habuis.e
adversas qaadrfgiiita quinque, posi tergum nul
lam ; coronai accepisse s l v i , armillas c x l el isturo
primum.sacrum fecisse Marti. r>
68. Julius Pcrisiensii in epist. V^l. Maximi,
de praen. u Varro simplicia in Italia fuisse nomi
na ait, cxisliinationisque suae argumentum re
fert, quod Romulus et Remus el Faustulus nc
que praenomen ullum neque cognomen liabuc-
runf. ri
G9. Servius ad Verg., Ecl. VI, 72. u Varro aii,
vincla detrahi solita, id est compedes catenasqae
et alta qui intrabant in Apollinis Grynei lucum
et fixa arboribus.
70. Servius ad Verg., Ecl. III, 21. u Dt aulem
poetae invocent Njmphas ... haec ratio est, quod
secundum Varronem ip^ae sint Nymphae quae
et Musae, nam et in aqua consisttre dicuntur
quae de fontibus manant, sicut existimaverunt
qui Camaenis fontem consecrarunt: nam eis non
vino sel aqua sacrificari solet, nec immerito: nam
aquae motus musicen efficit ut in hjdraulia vide
mus. Sane sciendum quod idem Varro tres tan
tum Musas esse commemorai : unam quae aquae
nascitur motu ; alteram quam aeris irti eiBoii so
nus : tertiam quae in mera lantum voce con
sistit.
66. Quint. I. c. u Cicerone in un libretto di
facezie :
Fondo chiama Varron tanto terreno
Quanto gittar potrai con una fionda.
Purch non cada giti d quella parte
Dove riman la cava fionda aperta.
67. Fulgentio l. c. Varrone scrive, che Sici-
nio Dentato combatt 120 volte in singolare ten
zone, riport quarantacinque ferite nel petto,
nessuna sul dorso : merit 46 corone e 140 brac
cialetti, e che fu il primo a tar sacrifizii a Marie, rt
68. Giulio PMrigino I. c. u Varrone dice, che
in Italia ai us un tempo portare un sol nome e
argomenta da Romolo, Remo e Faustolo, di
cui non si sa che avessero n prenome n co
gnome. r>
69. Servio I. c. u Varrone dice, che quelli che
entravano nel boschetto farro ad Apollo Grineo
si soleva togliere Hi dosso e appendere agli alberi
ceppi e catene, tntto insonima che servisse a le
gare. rt
70. Servio I. c. u La ragione per coi i poeti
invocano le Ninfe questa ; che, come si trova
in Varrone, Muse e Ninfe sono una cosa stessa,
perch si dice che elle vivano anche nelP acqua
di sorgente, come parve essere il coocetto di
quelli che consecrarono un fonte alle Camene.
Di pi, nei sacrifizii alle Muse si usa acqua non
vino, e bene sta, poich il movimento delT acqua
produce i suoni musicali al modo che s vede
neirorgano idraulico. K giovi sapere che lo stes
so Varrone scrive, Ire sole essere le Muse, una che
nasce dal moto delle acque, un' altra dalle per
cussioni sonore dell'aria, la terza che la voce.
Queate opinioni varroniane riguardo all origine ed al numero delle Muse, e che si dilungano
tanto dalle tradizioni volgari, sono pel mitologo di non lieve importanza, e possono essere guida
a scoprire le origini di questa geniale invenzione dello spirito greco. Naturalmente non e un
cura questa che io mi possa assumere qui per sorpr/sa ; mi basti iicordre che nelle tradizioni
antichissime di Lidia le Muse sono propriamente Ninfe flu\iali, e in pari tempo le ritrotatrici del
arte ilei canlo e della musica nazionali'. Cos ricortlano tra gli ollri Plut ar co, De nius.^ 35, gli
scolii a Teoerito, VII, 9, Suida v. (cf. Preller, Gr, inyth.^ pag. 382). Cos certo pur
anco che olire le nove Mose s trova menzione di tre pi antiche, per fino nell' Elicona, sebbe
ne gli scoliasii e gli antichi poeti dissentano nei nomi e nelle genealoge (Cf. Preller, op. cit.,
pag. 386). Anche Cicerone, De nat. D.^ i l i , 21, 54^ ci fa conoscere che i teologi erano discordi
nello stabilire il numero e origine delle Mu^e.
Ufdrauia. Il meccanico alessandrino Ctessibo fu inventore di un organo ad acqua. Era
un sistema di sette cannr, ili cui alcune di. bronzo, dove c<d mezzo dell'acqua s mettevano
in moto le colonne d' aria e rosi si producrvano snoni. Il movimento pare rlie si regolasse con
una specie di tastiera. L ' istrumento s perfezion, e infatti s conferva un mosaico romano (di
jN(*nni^) rapprrscntante un organo idraulico a i4 anue, appog|;ialo sopra un piedeilallo molto
t$i3
DI . TERENZI O VARRONE
44
ampio, e il suonatore vi sta tlietro in allo di cercare tasti. notevole che alla saa sinistra
raffiguralo un altro in alto Ji accompagnare il suono delP organo con un corno ricar?o.
yt, Servius ad Verg., Ec. Vi l i , 12. u Varr
alt Liberum patrem propter calorem vini hedera
coronatum. Idem Varro etiam Musas ait hedera
coronari, rt
71. Servio I. c. u Varrone dice, che il Padre
Bacco si corona di edera per i^monare P anioni
del vino. Nello stesso Varrone si legge, che anche
le Muse hanno il capo redimito d'edera.^
Si atlcibuiva dagli antichi alP edera una virt retrigeranle, e che alleviasse il capo gravato dai
fumi del vino : e eos il buon Servio spiegava che anche i poeti ai coronassero di edera, perch
pare che uon possa essere buono e iapirato poeta chi non gusta eoo predilezione il succo della
vile: teslimonii Omero ed Oraiio.
;2. Servius ad Verg., tei . VJII. y5 ... Varr
[dicit] Pythagoreos putare imparem numerum
hbere finem parem ene infinitum 1 ideo meden
di causa icullaruro rerum impares numeros ser
vari, nam . . . superi dii impari, interi pari gau
dent.
72. Servio l.c. Varrone dice, che i Pitagorici
credevano, il numero caffo essere finito, il pari
infinito ; e quindi, compiacendosi di questo gli
dei inferni, di quello i superni, molle roalatti
guarirsi nsando di rimedii in numero impari.
yS, Servius ad Verg.^ Ecl. Vi l i , 99. Magicis quibusdam artibus [satae messes alio tra
ducebantur] : unde est in X I I tabulis : net^e alienam segetem pellexeris : quod et Varro et
multi scriptores Jieri deprehensum animadi^ertunt.
74. Servius ad Verg., Geor. I, 34- Varro ...
ait, se legisse, Kmpedocli cuidam Syracusano aqua-
dam potestate divina mortalem adspectum deter
sam : enmque inter cetera Ires portas vidisse tres-
que vias: unam ad si|!nnm Scorpionis qua Her
cules ad deos ipse diceretur : alterum per limi
tem qui eat inter Leonem et Cancrum : tertiam
esse inter Aquarium et Pisces. r>
75. Servius ad Verg., Georg. 1, 4^ Varro
Epistolicarum Quaestioiiuma inter mensem Fe
bruarium qui tunc esset extremus, et iuter Ka>
lendas Martias qoae taoc erant primae. ^
74. Servio I. c. u Varrone dice di aver letto,
che un tal Empedocle Siracusano ebbe per divina
virt purgato lo sguardo mortale, e che tra al
tre cose vide tre porte e tre vie: una pre!(o il
segno dello Scorpione, per cui lama che Ercole
penetrasse nel oielo: la seconda nello spazio tra il
Leone e il Cancro ; la lerce fra Aquario e i
Pesci, n
75. Servio 1. c. Varrone nelle Qnestioni Epi
stolari u fra il mese di Febbrajo che allora era
ultimo deir anno, e le Calende di Marzo da cui
allora cominciava anno. ))
76. Servius, ad Verg. Georg. I, 170. Varr ait : totum burim indici ab urbe., passo che
cos staccato non vedo come si possa interpretare, se, come va inteso net luogo di Servio, la
voce buris qui vuole significare ci che ha naturalmente la torma curva.
77. Servius ad Verg., Georg. I, 186. u [Cur
culio] Varro ait hoc nomen per autisioichum
dictum quasi Gurgulio, quoniam paene nihil est
nisi guttur.
77. Servio I. c. u Varrone dice che il gorgo
glione iu per iscambio di lettera dello in luogo
di Curculio Gurgulio, perch , puoasi dire, tutto
gol.
Infatti in Palladio (I, 5a), questo insetto devastatore del grano, che noi chiamiamo anche fon*
chio, dello gurgulio. Lo scambio delle lettere di egnal orbano si sa essere frequente, come la
^ la f?, la ^ e la c, e queste erano dai Greci detta .
78. Servius ad Verg.., Georg. I, 270 : Sane sciendum secundum Varronem cantra reli
gionem esse, vel si irrigentur agri vel laventur animalia f e s t i s diebus: nymphae enim sine
piaculo non possunt moveri.
II luogo, a cui allude Servio, apprteoeva probabilmente al libro 111 delle Aiilichil di
me dal libro strsso e tratto forse il segnenle:
4s F R A t N T l
79. Sertios ad Verg., Gorg. I, 2^5. Varr
ilicil : anliquos nundinas terielis dieboK agere io
stituisse quo facilius commercii raosa ad urbem
ruslk'i commearent et bene per haec omnia
osleudii frrA9 non pollui.
79. Servio I. c. Dice Varrone, che gli aoticKi
itabilirono i mercali nei giorni di leria^ perch i
campagnaoli pi facilmente foifero dal bisogno
di comprare e vendere tratti alla ritta ... c prova,
cbe questo non violare ia festa.
80. Serviui ad Ferg., Gcor. ), 375. Aeriae fugere grues efc.]. Hic locus omnis de V a r
rone esf : ille enim.
Tum Ikeal pelagi , tardaeqae paludit
Cernere inexpleto studio certare lavandi :
F.( telut insolitum pennis infundere rorem :
Aut argilla lacus circumvolitavit hirundo,
Kt bos su.^picifn* catlam (mirabile visu>
Naribus aerium patulis decerpsit odorem
Nec tenuis f)rniica cavis non evehit ova.
Gli aiigei vedresti del marino lito
E dei lento padule, gi nell onda
Tuffarsi a gara e rituffarsi, i vanni
Desiosi irrorando : i lghi intorno
La stridula aggirarsi rondinella
, a ridir maraviglia ! allo guardanda
Al del, coir ampie nari avido il bove
Ber V aere profumato e la minot
Formica tragger uova dalle tane.
Eodem modo Aratus ^ ollxt eie. Nam et Varr et Virgilius Aratum secuti sunt.
8r. Servius ad Verg. Georg. Jl, 201. a Dici.
Varri tantam til)frtalem fuisse in Rosulano agro
postquam VcliiUK sicraluii est lacus, ut ibi lon-
[teilratn magiiiiudo superaret herbarum,
8 1. Servio 1. c. u Dice Varrone, che, dopo pro
sciugato il liigo Velino, quel tratto cui solevasi
chiamare campo Rosulano divent rosi ubertoso
che erbe vi crescevano pi alle di una lunga
pertica, n
Ka irte5sa notizia un poco pi completa abbiamo anche nel comm. al VII, 712 dell Eneido,
dove Servio, d<ip^ accennato che comunenienle dicevasi ager Jlosuantts quello che Virgilio cliia-
ma Roseae rura^ aggiunge : Jarro tamen dicit lacum lume (cio il Velino) a Curio consule
in Nartem vel Narem^ fluvium derivatum {nam utrumque dicitur) esse diffusum : post quod
tanta est loci secuta fertilitaSy ut ettam perticae longitudinem altitudo superaret kerharum ;
quin etiam quantum per diem demptum esset tantum per noctes crescebat. Si sa gid che il
lacus Velinus e il campus Rosoianus erano nel territorio di Rieli.
82. Servius ad Verg., Georg. II, 4**4 f'*"igi'
dus et silvis Aquilo decussit honorem Varro
nis hio versos est.
82. Servio !.c. Di Varrone d verso :
Tolse il fregio alle aelve il erodo Borea.
83. Philargyrios ad Verg.^ Georg. Il, 533 . . . . totum mare quod a dextra Italici lltoris
est Tyrrhenum dicitur. Hoc Varro doctius dividit in provincias marinas.
84. Servius ad Verg.^ Georg. 111, 33. Scena aut versilis erat aut ductilis : versilis tunc
erat cum subito tota machinis quibusdam convertebatur et aliam picturae faciem ostende
bat. Ductilis tuncy cum tractis tabulatis hae atque illae species picturae nudabatur inte-
riot ... quod Varro et ... commemorant.
85. Servias ad Verg., Georg. 111, 273. u Var
ro dicit: in Hispania ulteriore verno tempi>re
equas nimio ardore commotas, contra frigidiores
ventos ora patefacere ad sedandum calorem ; et
eas dt*inde concipere et eilere pullus licet veloces
din tamen minime duraturos : nam brevis admo
dum viiae sunt, t
85. Ser?io I. c. u Dice Varrone, che nella Spa
gna Ulteriore a primavera le cavalle affannate
per soverchio calore si rivoltano dove spira aria
un poco pi fresca [er temperarlo, e che appresso
concepiscono e danno in luce puledri agilissimi s
al corsoy ma che non vivono a lungo.
Questo luogo poteva troverai in uno dei tre libri Legati
' 4' 7
DI M. TERENZIO VARRONE 48
86. Servius ad Verg.y Georg, 111, 44^' udisque aries in gurgite valli mersatur']: Musi
monem dicitf ducem gregis quem ita et Varro commemorat. Muiroo o raufimo il greco
, in generale un animale ihri'io, cio procreato da due aniniHli di apecie diversa^ Isid.,
etrm. XII, i , dice: Definiunt musimonem animal genitum ex ariete et capra^ forma arittis
villo caprinor^ sed latius haec vox patet etc* Cf. aii<he Plini*, Vi l i , 4o (75), e Io Schiiei<ltr
ad Varr., De r. r., II, 2, 12.
87. Servius ad Verg.^ Georg. IV, 4 76 Mantilia quibus manus terguntur Varro appellat
mantilia quasi manutenias.
88. Servius ad T'erg.^ Aen. 1, 126. Tyems duas res significat aut tempus aut vim venti
Accius : unde estis nautae huc hyeme delati. Sic et Varro.
89. Servine ad Verg., Aen. 1, a5o. Amarro ...
hanc fluviuin ( l imavuni) ab incolie marr dicil
iiuiniuari. |
89. Servio 1. c. Varrone attesta, che il Timavo
dagli abitanti di quei luoghi charoalo non tiu-
me si invece mare.
90. Servias ad Vrrg.y Aen. I, 4>9 Vnrro et plures referunt in hoc tantum tempio. T^e-
neris (cio quello di Paio) quibusvis maximis in circuito pluviis numquam impluere. Ad illu
strazione di qu*sto luogo valga la notizia che a Paio come ad Erioe ara masxiroa di Venere era
a cielo scoperto.
91. Serrins ad Verg., Aen. I, 65a. u Secnn
doro Varronena palla dieta est ab irrugatione et
mobilitate quae est in fine huiusmodi vestium
rcWttv.
92. Servius ad erg., Aen. 1, 653. Varr ita
refert : Ctesias ait in India esse arbores quae la
nam terant, liem Epicadus in Sicilia quarum flo-
rilNJS cum derupti sunt aculei ex his implicitis
mulieres multiplicem conficere vestem. Hinc ve
stimenta acanthina appellata.
91. Servio I. c. u Secondo Varrone il nome di
palla da! greco , perch qoeste maniere
di vesti all*estremo lembo sono mobili e s incre
spano. rt
92. Servio I. c. Si legge in Varrone, aver Cie-
sia detto : trovarsi nell' India alberi che si copro
no di lana, ed Epicado, esservi in Sicilia alberi,
che hanno per fiori bacche lanose, di cui, dopo
sveltine gli spini, le donne fanno vesti a pi dop-
pii. E per questo tali vesti si dicono acantine.
Questo pare il modo pi ragionevole per ispiegare la seconda parte del pa.tso, che vuol essere
messa in relazione rolla prima, dove si parla di alberi, da cui si Iragge una specie di lana. Quin
di non pare arcetlabile la spiegazione d' Isidoro etym. XVII, 9, 21, che chiama vesti acantine
quelle dove erano ricamali dei rami di acanto, e quella di Servio, il quale propende pure a spie
garla per una vesta ricamata a flessuosi meati che raffigurino il pieghevole acanto.
93. Servius ad Verg.^ Aen. J, 701. Ideo ... in domibus tendebantur aulea ut imitatio ten
toriorum fieret: sub quibus bellantes semper habitavere maiores^ unde et in thalamis* hoc
f i e r i hodieque conspicimus. Varro tamen dicit:
Aulea solere sospendi ad excipiendam pulverem
quia usus camerae ignorabatur.
94. Servias ad Verg., Aen. 1, ; 44 Proceres ...
ideo secandum Varronem principes civitatis di
cuntur quia eminent in ea sicot in aedificiis mu
tili quidam hoc est rapila trabiam quae proccres
nominautur.
95. Servios ad Verg., Aen. III, 67. Varro ...
dicit mulieres in exsequis ei luctu ideo solitas ora
lacerare ut sanguine ostenso inferis satisfaciant.
Si soleva sospendere il padiglione, perch tratte
nesse la polvere, non sapendosi ancora formare
la volta delle stanze.
94. Servio I. c. 1 principali di una eitt sono
detti proreres^ per sentimento di Varrone, da
questo : che spnrgono Ira gli altri come negli edi-
fizii le testale delle travi, che sono imlicate con
egual nome di proceres,
95. Servio 1. c. Varrone dice che nelP esequie
e nei giorni di lutto le donne si dilaceravano il
volto, perch quel sangue placava le deit inferne.
Era credenza diffusissima che sopra le tombe si dovesse verar sangue e angue umano : onde
di qua si ripete origine anche dei giuochi dei gladiatori, che si videro la prima volta nei fune
rali di U. G io Bruto nel 264 a. C.
96. Scrtius ad Verg.^ Aen. IJl, 85. Tradunt mulft\ inter quos et Varro^ esse aras tam
Apollinis quam f i ii eius non tantum Deit\ sed in plurimis locis apud quos hostiae non cae
dantur. Sed consuetudo sit deum solemnitate precum venerari.
1419 F R A M M E N T I 1420
97. Servius ad Verg.., Aen. III, 1 13. Dominam
proprie Matrem dem dici VMrro e ( . . . adfirmant.
97. Servio I. c. Varrone con altri aliesia, che
Ia Madre degli dei veramente chiamata Signora.
Anche dai Greci tanto Cerere quanto Proserpina erano per la seriet del loro culto chiamate
Afoirccvat ^ dominae.
98. Servius ad Verg., Aen. Il i , 279. Varr ...
lemplum Veneri ab Aenea conditum ubi ouoc
Leucatein dicit.
98. Servio I. c. Varrone dice, che Enea innalz
un tempio a Venere sul promontorio di Leucade.
Si ricordi che questo fu il celebre luogo dove solevano gittarti in mare gli aroaoli traditi ;
cf. Ov., Heroid., XV, i 65.
99. Servius ad Verg, Aen. 111, 334 Varr
(rciert) filiam Campi Campaniam dictam, unde
provimtiae nomen : post vero ... Chaoniam ab He-
Jeno appllatam, qui iratrem suum Chaonem...
dum venaretur occiderat.
99. Servio I. c. Varrone lasci scritto, che
Campo ebbe una figlia di nome Campania, dalla
quale fu cos delta la provDa, che rioovette poi
il nome di Caonia da Eleno io memoria del fra
tello Caone da lui ucciso cacciando.
Qui s parla dell' Epiro, che ebbe tra i pi aotichi re uno di nome Campo. Chaonia era pro
priamente quel solo tratto del litorale che va dal promontorio Acroceraunio fno al Thyamis.
100. Servius ad Verg., Aen. Ili, 386. Quinnnc
Circeius luons a Circe dicitur, aliquando, ut A*ar-
ro dict, incula fuit, nondum siccatis paludibus,
quae eam dividebant a continente.
100. Servio l. c. Quello che ora dal nome ili
Circe detto monte Circello, fu, per testimonian
za di A^arrone, un tempo isola, prima che si asciu
gassero le paludi, le quali lo separavano dalla ter
ra ferma.
La stessa notiiia, senta tuttavia che sia citato Varrone, si trova io Servio, ad Verg. Aen.y
VII, IO. Crediamo poi che A^arrone non si apponga al vero, ma che piottosio egli, e cou Ini
altri scrittori, abbiano preso scambio ira il monte Circeo e Pisola Circea, scambio di cui non
apparisce il motivo, ma che risale fino ai tempi omerici.
10. Servius ad Verg., Aeo. 111. Io foliis ... pal
marum Sibyllam scribere solere testatur Varro.
102. Servius ad Verg., Aen. 111, 45o. Varro ...
boves armenta vocari voluit quasi aramenta quod
eorum praecipue opera io arandis agris utamur.
103. Servius ad Verg., Aen. 111,678. Varro di*
rit : in diluvio aliquos ad mootea contngisse cum
utensilibus, qui lacessiti postea bello ab aliis qui
de aliis veniebant montibus facile ex locis supe
rioribus vicerunt, unde fictum est ut dii supe
riores dicerentur, inferiores vero terrigenae. Et
quia de humilibus ad summa reptabaot dicti suot
pro pedibus liabuisie serpentes.
104. Servius ad Verg., Aen. IV, 59. Hanc {Ju
nonem) Varro Pronubam dicit.
l oi . Servio 1. c. Varrpne scrive che la Sibilla
era solita scrivere sopra foglie di palma.
los. Servio I. c. Varrone crede che la voce di
armenta onde s' indicano i buoi sia sincope di
aramenta^ perch i buoi a preferenza si adope
rano per arare i campi.
103. Servio Le. Dice Varrone, che al tempo del
diluvio alcuni ripararono ai monti cogli otensili,
e che, provocati poscia a guerra da coloro che ve
nivano da altri monti, vinsero facilmente, come
quelli che combattevano da luoghi pi alti, onde
segu che quelli che stavano di sopra si dicessero
dei. quelli che erano di sotto terrigeni, E si ia-
vokggi che avessero per pieili serpenti, perch
dal basso si strascinarono verso alture.
104. Servio I. c. Varrone chiama Giuno Pro
nuba.
1 4^1
DI . TEUENZIO VAKRONF.
1422
105. Serviui al Verg., Acd. IV, 166. Varr
Pronubam diclt quae ante uupserii, quaeque uni
tanluni Dupla est.
106. Servim ad Ver., Afii. IV, iSy. Verro
dicit : aqua et igni roarili uxores accipiebant.
1o5. Servio I. c. Varrone chiama pronuba quel
la gi che prima (>aiaata a noue, e quella che
non ha avulo se non un solo marito.
106. Servio I. c. Varrone ricorda che i mariti
andavano ad incontrare la sposa con fuoco ed
acq*:a.
Tra le varie rerimonie lei rito nuiiale era, rhe nella processione, con cui la .posa era coiidollii
a casa del marito, vi fosse un fanciullo (patrimus et matrimus) che portasse una face di spino
bianco accesa, e un altro fanciullo (o fanciulla) con un bacino pieno d' acqua altinl ad una
sorgente viva, e nelle quale gli sposi lavavano poi i piedi.
107. Servius ad Verg., Aen. V, 11 a. Varr tra
dit talentum'prq bilance.
107. Servio l .c. Varrone fa fede che talentum
fu usato a indicare anche la bilancia.
noto gi che tale uso di remota grecit. Omero : ^ ivarrip Ixiravt .
io8. Serviuf ad F trg.y Aen, V, i 45. m Careeres quasi arceres secundum Varronem;
9 Servius ad Verg ^ Aen, V, 269. Lemniscatas coronas quae sunt de frondibus et dis
coloribus f a s c i i s sicut Varro dicit^ magni /tonoris sunt.
110. Servius ad Verg., Aeo. V, 4 >** Varro ...
dicit, sub Eryce monlc esse infecunduip campum
fere in tribus iugeribus io quo Eryx et Hercules
dimicarunt.
110. Servio 1. c. Dice Varrone che alle falde
del monte Erice si stende per quasi tre iugeri
una spianala dove avvenne la lotta Ira Erice ed
Ercole.
I I I . Servius ad Verg.^ Aen. V, 56o, per provare che la trib dei Luceri era formala di genti
etrusche s fonda sull'autorit di Varrone, il quale, confermando la tradizione volgare, dice? :
Homulum dimicantem contra Titum Tatium a
Lucumonibus id est Tuscis auxilia postulasse :
unde quidam venit cum exercitu : cui, receplo
iani Tatio, pars orbis est data, unde in urbe T u '
scus dictus est vicus.
1 12. Serviui ad Verg., Aen. VI, 2. Vairo ...
licit pyras ideo copresso circumdari, propter
gravem ustrinae odorem, ne offeudatur populi
circumstantis corona, quae tandiu stabat res^ran*
dens fletibus praefcae,... quamdiu consumpto ca
davere et collectis visceribus diceretur novissimum
verbum : Jlicet.
Homulo avendo guerra con Tito Tazio dimand
aiuto ai Lucumoni, cio agli Etruschi^ uno dei
quali accorse con un esercito, e, essendo gi stato
accolto nella citt Taxio, anche alP Etrusco fu
data parte di Roma da abitare, e quindi si ebbe
il vico ' loscano.
I la. Servio 1. c. Varrone dice che si metteva
no dei cipressi intorno alla pira, perch acuto
odore d abbruciaiifcio non facesse danno al po
polo astante che accompagnava i pianti della pre
fica non dipartendosi fino a che, arso il cadavere
e raccoltene le reneri, a' intimasse Testrema paro
la Jlicet^ cio : ve ne potete andare.
I l 3. Servius ad Verg.^ Aen. VI, 34. Tam senior] aut comparaticium pro positivo po
suit^ aut^ ut diximus^ senior est viribus senex; ut iunior intra iuvenem e st ; quam rem
a Farrone tractatam confirmat etiam Plinius.
114. Servius ad Verg., Aen. VI, 733. Varro
et ... dicunt quatuor esse pationea ; duas a bonis
opinatis et duas a malis opinatis rebus, nam do
lere et timere duae opiniones malae sunt, una
praesentis altera futuri. Item gaudtre et cupere
opiniones bonae sunt una praesentis, altera fulun.
1 1 5. 5 ervius ad Verg., Aen. Vl l , 664 (Dolus)
est secundum Varfpnem ingens contus curo
ferro brevissimo.
i i 4 Servio 1. c. Varrone con altri filosofi
dice essere quattro le maniere di passioni: due^
per apprensione di beni, due per apprensio
ne di mali, poich il dolore c il timore si eccitano,
qnello da uo male presente, questo da un futuro;
e del pari il godere nasce da un bene attuale, e il
desiderare da un bene avvenire.
1 15. Servio 1. c. Dolus^ per testimonituia di
Varrone, chiamavano una pertica lunghissima con
una punta ferrata mollo corta.
i4a3 F R M M K N 1 I
4
i i 6 . Ser\iut ad f^erg ^ Aen, Vi l i , frendere significat dentibus frangere unde et ne-
frendes infantes^ quia nonilum habent dentes et Varro frenox itine putat dictos,
J17. Servius ad Verg.^ Aen. Vi l i , ^33. Staiat acuta si l t x]. Bene ontnes hune silicem di
xerunt: nam et Varro ei Lucretius ita dixerunt.
1 18. Servius ad Verg , Aen. VllI, 3a2. Vairo
Idalium dici putat quod lalel llalia ioler pratci
pitia Alpium el Apeimi
118. Servio I. c. Varrone crede deridalo il
uoine di Latium la questu, rhe ila!ia conie
nascosta ira i |>recipixn delle Alpi e delP Apeii
nioo.
II lettore avr a prima giunta notato la sconvenienza delta conclufione, perch certo non si pu
confondere llalia con Latium, e molto uftno congiungere Italia con latere. Potrebbe tuttavia
esservi qualche lacuna nei codici Serviani o supporti che il grammatico aveue male compilalo.
1 1 9 . SerTius ad Vtrg^ At n. X, i35. A pt s quinque viis Varro dicit transiri posse:
una quae esi iuxla mare, per Liguras ; altera
qua iieunibal transiit ; tertia qua Pompeius ad
Hispaniense bellum profectus est ; quarta qua
Hasdrubal de Gallia in Italiam venit, quinta quae
quondam a Grat cis possessa esi quae exinde Al
lues Graecae appellantur.
una costeggia il mare attraTeraaodo la Liguria,
la seconda quella percorsa da Annibale, la terza
per cui pass Pompeo recandosi alla guerra di
Spagna : per la quarta Asdrubale cal iu Italia : la
quinta fu occupata uu tempo da Greci che lascia
rono a quella porzione delle Alpi il nome di Al
pe Graie.
Altera qua Hannibal etc. Si iormereblie per poco una mezza biblioteca con quello che si
scritto sul famoso pasuggio di Annihatt*, senza che, dopo tanto lavoro, si possa con ugni cer
tezza determinare il valico da lui attraversato. 1 pi recenti hanno abbracciata opinione di
Polibio, che Annibale passasse pel piccolo S. Bernardo. Questa opinione, che veramente sembra la
pi accettabile, pare che non fosse la varrouiana, perch avrebbe allora indicate qualtro non cio>
que vie alpine.
Cos non sappiamo quale via percorresse Pompeo, e per riguardo alla strada seguita da Asdru
bale, tanto Livio (XXVll, 89), quanto Appiano (De bello Hannibw 52) ci dicono che fu la stess
gi aperta da Annibaie.
Alpes Graecae : sono dal monte Cenisio al monte Bianco.
120. Servius ad VWrg., Aen. X, i 45. Varr
dicit propter caeli temperiem et cespitis foecun
ditatem campuin . . . Capuanum sive Campauum
dicium uuati siguum salutis et fructuum.
120. Servio 1. c. Varrone dice che le terre
Capuane o di Campania ebbero questo nome per
la mitezza del cielo e per la fecondit del suolo,
quasi il nome stesso indicasse salute e abbon
danza.
Varie furono le opinioni degli etimologi per spiegare il nome di Capua. Servio lo dice uu
nome etrusco; ma, se si devono accettare le pi recanti divinazioni sulP antichissima storia d' Ita
lia, da dire che la moderna Terra di I<*avoio prima he Etrus^a fu latina, come il nome
alesso di Campania, nome prettamenie latino n' intliiio. Capua riguardata adenso come remo-
tissimo stanziamento latino, e il nome si dere quindi interpretare con radici iMinc. Onde Tolsero
il vero tanto il nostro Varront*, quanto Tito Livio rhe dice : Capuam a campestri agro ap
pellatum.
1Ji . Servius ad Verg., Aen. X, 174* Varr
dicit'i Nasci quidem illic (se. opud Jham) ier-
rum, sed in tir icturam non posse cogi, nisi Iranf-
veclum in Populonum Tuacae civitatem ipti in
sulae vicinam.
121. Servio I. c. Varrone dice, che ad Elba si
trova il ferro, ma che non si pu ridurlo in ver
ghe se non si trasporti a Populonia citt etrusca
vicino air isola.
122. Servius ad Verg.^ Aen. XI, i 43 alii sicut Varr et Verrius Flaccus dicunt:
filius familias extra urbem decessit. Uberti amicique obviam procedunty et sub noctem in
Urbem infertur cum cereis facibus praelucentibus ad cuius exsequia nemo rogabatur.
i <a5
1. . lERENZlO VARRONE
l i 26
i a 3. Servius ad Ferg,, ^en. XI, 3o6 . f^arro et caeteri invictos dicunt Troiancs^ quia per
insidias oppressi sunt^ illos enim ifinci adfirmant, qui se dedunt hostibus.
4 Srviui ] Verg., Aen. IX, 6q6. quiUs
apud Tetcrcs Flexuutes vocabantur, ticul aii Var
ro Rerum Uumauarum.
i a 4. Servio L c. Gli aoliohi Romaoi chiama-
Tano Flexuntes i cavalieri, come dice A^arrone
oelle Coie umaoe.
Queelo frammeoto potremmo uoirlo agli allri dei libro XXV De pace et bello,
i a 5. Serviut ad Ferg., Aen, XI, 743. F ar ro. , , cum de suo cognomine disputaret, ai t:
eum qui primo Varro sit appellatus, in Illyrico
hostem Varrooem nomioe, quod rapuerat et ad
suos portaverat ex iosigoi facto meruisse nomen.
che il primo di sua famiglia a chiamarsi Varrone,
ricevette questo nome pel fatto glorioso di aver
in una guerra d' illiria ghermito un nemico, detto
Varrone, e portatolo tra* suoi.
i a 6 . Servius ad Verg.^ Aen, XI, 787. Farro ubique expugnator religionis ait, cum ^
dam medicamentum describeret:
eo uti solent Hirpini, qui ambulaturi per ignem
medicameoto plantas lingunt.
gli Irpini sogliono con qoelP empiastro ungersi
1 piante quando abbiano a camminare pel fuoco.
Fa specie la nota di biuimo inflitta da Servio a Varrone, il quale se nel fatto riesciva a
demolire il culto romano, riesciva a questo non per suo deliberato volere, ma perch il culto
slesao doveva infallantemente cadere ; Varrone anzi intende di puntellarlo del suo meglio.
137. Servibs ad V^g. , Aen. Xl l , 7. Varr ...
dicit, hoc nomen (latronem) posse habere etiam
latiuam etymologiam, ut latrones dicti sint quui
laterones, quod circa latera regum sit quos nunc
satellites vocapt.
137. Servio 1. c. Varrone dice che il nome di
latro si pu spiegare etimologicamente dal latino,
come una siucope di latero, guardia che sta ai
flanchi del principe e che ora detta sauUite,
ia8. Servius ad Ferg,, Aen, X, 894 . . . pueri quos in ludis videmus ea parte qua cer
nunt vovvr cernui vocantur, ut etiam Farro in Ludis theatralibus docet.
Non si pu sapere se Servio intenda alludere ad uno dei libri che trattano di cose perti
nenti al teatro, come p. e. De seenicis originibus^ o ad uno dei libri delle Antiehit divine, che
erano so questo argomento.
lag. Servius ad Verg,, Aen. IV, 4^' Varr de
Pudicitia ait : Auspices in nuptiis appellatos ab
auspiciis quae marito et nova nnpta per hos
auspices captabantur in nuptiis.
lag. Servio I. o. Varrooe nd libro della Po-
diciiia dice : si chiamavano nelle notte auipici
cos detti dagli auspicii che per loro metto era
no presi nelle notte dai novelli sposi.
Se non si voglia ammettere una scorretione di scrittura, questo testo ci farebbe conoscere ona
opera nuova di Varrone, che fino sd ora non trovai mai citata, nemmeno nel catalogo cosi ac
curato del Kitsch!.
i 3o. A. Gellios N. A., Ili, 14. Dimidiam li-
brum legi aot dimidiam fabulam audivi, vel quid
aliud huiuscemodi male ac vitiose dici existimat
Varro. Oportet enim, inquit, dicere dimidiatum
librum non dimidium, et dimidiatam fabulam
Don dimidiam. Contra autem si e sextario hemina
fusa est dimidium non dimidiatum sextarium fu
sum dicendum est. t qui quoque ex mille num
mum quod ei debebatur, quingentos recepit, non
dimidiatum recepisse dicemus, sed dimidium. At
FaiJiBBiiTi Di M. T e b. ^ .
i 3o. A. Gellio I. c. sentenza di Varrooe che
sia impropriet di linguaggio usare dimidius in
frasi quali : ho letto mezzo libro, ho assistito a
mezza rappresentazione, e che, scambio di dimi-
dius bisogni adoperare dimidiatus. Al contrario,
se si fosse rovesciata un' emina, ossia la met di
quello che conteneva un sestario, convien dire
che il sesiario mezzo non dimezzato. chi di
mille denari che gli erano dovuti ha riscosso solo
cinquecento, dir d' aver ricevuti mezzi i de-
90
J 27
F R A t: N 1* l 1428
s scyphui, inquii argenieus nlii cum alio com-
iiiuui$ ici iJuas jiartea Jisseclus dimitlialoii
eum iliceic cwe scyphuni dobeo nou diniiJium.
Argenli aulern tiuoil in eo seypho iiiest, dimidium
rneura s>e diinidialuni disseril., ac dividit
sublilis&iuit: tjuid diii)idii>ni diniidialo inlersil cl
O. tluiiiuiu sciciiler hoc iu uualibus dixis^e ail i
Siculi ee qui feral vas vini dimidialym.
Sic pars quae deesl a vaie non dimidiala dicenda
est, sed diinidia. Oronit aulein diipulalioais eius
quam suhiililer quidem, sed suboscure explicat
su mina haec est : lirnidialuni est quasi dismedia-
lum, el in parie dua peresdiviium : dimidialura
erjEo nisi ipum qnod divisum est dici haud con-
venil: dimidium vero est non quod ipsum dimi-
iliatum est, sed quae ex diroidialo pars tllera esl.
Cnm ifiitur parlem libri dimidiam lenisse volu
mus direre aul partem dimidiam tabulae aodisi,
si dimi*4iam tabulam me dimidium librum dice
mus perrabimus. Totnm rnim ipsum quod dimi
diatum atque divisum est dimidium dicis.
i 3 i. Fcslus, pag. 359- Talassionem in
Varro ait signum esse sacrificii : i. e. qua
sillum appellari Talassionem.
nari non i denari dimezzati. Mu se si sfiezzi, cusi
coutiaua Varrone, m due parli una lazza di ar
gento che posseggo iu comuue con un altro, de-,
vo dire essere ([uella lazza dimezzala, non esse
re mezza : mentre meizo mio e non gi di-
Qiezzalo argento della lazza. A. questo modo
diiliiigue sotlilcueule iu che cosa diiTerisca di-
rndus tla dimidiatus,, e dice che con grande
accuratezza e veril si espresse E q q o ueglt xiuali
cantando :
Come se alcuno rechi dimezzato
Uq cratere di vino.
Come pure la parte che manca dal vaso va della
mezza e non diiuczxata. La somma di quesU discus-
sioue Varroniana Sottile, ma alquanto oscura , che
dimidiatus vai quasi dismidiatus^ cio diviso ia
due parti uguali, e quiudi 0011 si pu dire di
mezzato se non quello che stato lifiso: dimi
dius invece, , non ci che stato diviso, ma la
met che resla dopo la divisione. Quando idua-
que si vuole intendere che si letta la met di un
libro, o che si ascoltato per met uo dramma, si
commetterebbe impropriet di linguaggio usando
la parola dimidius. Poich si dtc% dimidia tutta
iotera la porzione divisa.
i 3 i. Festo 1. c. Nella loleonit nuziale il gri
do di Talassio era un annunzio di ucrifizio, per
ch Talassio signiticava quello che il greco ^
cio paniere, rt
SvariU$iine furono le inlerprelixioni Jle all voce Tlajio, e all origine del coatume di gri
dare qoeilo nome nelle proce*ioni per accoropagoare la sposa a caia del marito. Le potrai trovar
rarcolie e prese ad eume dal Rcsbach nella sua opera ul malrimouio dei Romani (Die Rmi-
sche Ehe, pag. 34^). Quella di Varrone considerava Talassio come la persooificaiioDe del lanifi-
ci, cura precipua della donna romana.
132 . Feslu . . . Varr rebo natam Nocleio
ait.
133. Augustinus, Deciv. D. Vl,9. uKeligiosum
a superstitioso ea distinctione discernit (Varro), ut
a superstitioso dicat limeri deos, a religioso au-
lem tanlum vereri ut parentes, non ut hostes ti
meri, alque 9mnes ita bonos dicat, ut tacilius sit
eos nocentibus parcere quara laedere quemquam
iunocentem. r>
i 3a. Festo ... La Notte chiamata da Varro
ne figlia deir rebo.
i 33. S. Agost. 1. c. a Varrone dice : V uomo
religioso distinguersi dal superstizioso io ci, che
questo teme gli dei, quello li rispetta come i ge
nitori, invece di temerli quasi fossero nemici, e li
crede laoto buoni da perdonare piuttosto ad un
empio che ir del male ad uo innocente, n
Merilerii che con queslo luogo si conlropli Cicerone, De Nat, Deor.,, Il, 39, dove i trova
la spiegazione etimologica delle voci superstitiosus e religiosus, spiegazione accettaU un tempo
anche da S. Agosiino {Dt c, D., 10, 3), ma poscia da lui rifiutala (Ketracl., I, i 3. De ^era relig,
. 55, i i 3), per ter eco a quella di Lattanzio (IV, ab).
i 3 i Autsust. De ciif. Z>, III, f\. Confirmatum eral autorilate romana credere Aeneam
esse fitium F eneris ac Romulum Martis. Nihilominus ... Farro fal sa hatc esse^ quamvis non
audacter ntque Jtdenfer pene tamen fatetur^ sed utile dicite esse civitatibus^ ut se viri Jor-
tes^ etiamsi falsum sit^ diis genitos, esse credant: ut eo modo animus humanus, veiuti di
vinae stirpis fiduciam gerens res magnas aggrediendas praesumat audacius^ agat vehemen
tius et ob hoc impleat ipsa securitate felicius.
Nell a edi z. Bi ponl i n. % pa^. 337, notal o questo l uo^o tra quel l i ili l i bri i ncert i , ma pare d i e
a ila ascri vere al pri mo Ielle Cose di vi ne, in rui de omnibus communiter ecrposuit^ e dove
si davano i ommi rr i l er i i i lel le dott ri ne teol ogi che.
Non audacter^ per quel l a stessa rajri one che moveva Ci c erone a di r e {De nat. d.^ I l i , 3, 5),
che per quanto gl i pot essero parere i ncoerenti le dott ri ne popol ari sul conto legli dei, pure non
ai l aaci erebhe i ndur r e a non di f enderl e per ragi oni di dott i ed i ndol i i cle gl i vcni s5cro p o r
t a t e ; tanto i mport ava non togl i ere al l o Stato quest o punt e l l o: anzi arri va fi no a d i r e ( he e^ii d o
veva cr eder e ai maggi or i etiam nulla ratione reddita. K qui ndi Var r onc sl*5su, per -
der si alla c r edeni a popol are, lisse, conf or me ri port al o da Sol i no : Rowam condidit Romutus
Marte genitus et Rhea Silvia.
Diis genitos esse credant. Cf . Ci c . , De nat. d.^ I l i , 19 ... in plerisquc civitatibus intel-
ligi potest augendae virtutis gratia^ quo libentius rei publicae caussa periculum adiret
optimus quisQUCn virorum fortium memoriam honore deum immortalium consecratam.
K al X V del l e Cose di vi ne sar da a^gi nngere questo trat t o, che in S. Agost i no, De civ. /). ,
V I I , 38 :
135. Dict ubi ...se mutis iuditiis collegisse in simulacris aliud significare coelum^ aliud
terram^ aliud exempla rerum quas Plato appellat ideas : coelum Jovem., terram Junonem^
ideas Minervam vult intelligi: coelum a quo fiat aliquid., terram de qua Jiatexemplum
secundum quod fiat.
Nell a edi zi one Bi ponti na ni l ato questo l uogo tra quel l i del l i or o X V l , ma il col l etl orc non
ha posto mente che S. Agost i no, dopo avere esposte al cune doMri ne varroni ane, che cert amente
erano Iral te dal X V l l i br o, del nost ro l uogo di ce che, avea deri vat o dalla dott ri na che era in*
s uper i or e l i bro : dunque nel X V .
136. Aug. De doctrina christiana^ II, 17: Non audiendi sunt, errores gentilium super
stitionum qui novem Musas Jovis et Memoria^ filias esse finxerunt. Refellit eos trarr quo
nescio utrum apud eos quisquam talium rerum doctior vel curiosior esse possit. Dicit enim:
Civitatem nescio quam . . . . locasse apud tres artifices terna simulacra musarum quae in
templo Apollinis dono poneret^ ut quisquam artificum pulchriora formasset ab illo potis
simum electa emeret. Itaque contigisse ut opera sua quoque illi artifices aeque pulcra ex
plicarent et placuisse civitati omnes novem atque omnes emptas esse ut in Apollinis templo
dedicarentur., quibus postea dicit Hesiodum poetam imposuisse vocabula.
II l uogo Varroni ano r i guardo alla sostanza, ma non al la espr essi one; S. Agos t i no ci t a me>
mor i a; tanl ' e vero che cont essa, non ri cor darsi il nome del l a ci tt ila cui fu al l ogata la corai i i s-
si one <lelle nove statue.
Abbi nmo gi in al tra occasi one di scorso del l e ragi oni del n mero ter nari o assegnat o al l e Muse
da Var r one.
187. Tertull., Ad nat., I, 10. Serapem et Isidem et Arpocratem et jnubim prohibitos
Capitolio Varro commemorat.
Il cul to di queste di vi ni t ori ental i era ben presto penet rato anche nel l ' occi l ente, speci al ment e
i l Si t i l i ; e<1 a Pozzuol i , Pompei , Krcol ano ecc. si trovano tracci e anti chis<i me e notevol i di que
sti cul t i (CI. p. e. Mommsen, I. N , n." 33/{3, 35i^r), 358o, /|3 i 5 , 4^^^) dal l e provi nri e na
pol etane penet r nel T Lt r ur i a e il bel tempi o di S. Fi r e ni e in Fi r enze sorse mol l o probabi l ment e
sopra le rovi ne del gran t empi o dMsi de Re gi na; e in Roma al tenpo per l o meno di Sul l a qu e
ste rel i gi oni ori ental i avevano messo sal damente pi ede. Da que l l ' e poc a sono numerosi i decret i
del senat o per st ermi nare questi c ul t i ; s ebbene propri ament e si l i mi i nssero. a proi bi rne eserci zi o
nel Campi dogl i o e nel reci nto del l antica citt Il decr et o pi severo fu pubbl i cat o nel 58 a. C. ,
ed e questo a cui cert an cni e al l udeva Var rone, perch erano i nsi eme condannat i IsiIe e Sera
pi de, Ar pocr at e eil Annb i : e rie f ur ono at terrati gl i al tari. Ma eseciuiotie non tu cos facil e,
per ch il part i t o democrat i c o, o lei demagogi si oppose vi ohnt eni cnt e, sebbene inl arrio, perch
li vol eva venerati i nsi eme cogl i anti chi d*i nazi onal i . Vedi an l e m Teri uH. Apd. ; Arnobi o,
II, 73 ; Pr el l er R. M., pag. 72*.
DI >1. TKHENZI O VARRONI :
Anche l'oper di Terlalliano u alle Nazioni rt roporUnle per lo studio di Varrone e precisa-
mente per i raffronti dei libri delle Cose divine. 11 secondo libro infatti tallo tratto da Varr-
ne, perch voleva convincere i gentili coll' autorit di ano dei loro roaeatri pi celebrati. Ter-
lalliano tesso a dircelo ; Secundum vestros commentarios^ (fuos ex omni theologiae genere
cepistis gradum conferens^ quoniam maior in huiusmodi penes 9os auctoritas litterarum
quam rerum esty elegi ad compendium Varronis opera qui rerum divinarum ex omnibus
retro digestis commentatus idoneum se nobis scopum exposuit. Hunc si interrogem qui in
sinuatores deorum ? aut philosophos designat etc.
In vero nella raccolla gi taila dei iVararoenti delle Cnee divine, ne abbiamo gi nolato non
pochi di Tertulliano, i quali raffrontavano esattamente con quelli conservati da S. Agostino. Ci
resta da annoverarne altri due che ci vennero conoscinti troppo tardi per metterli a loro luogo.
i 38. Tertull., Ad nat.^ il, 3 ... quomodo volunt quos de elementis natos ferunt, deos ha-
beriy cum Deum negent nasci? Itaque quod mundi erit^ hoc elementis adscribetur^ caelo,
dicoy et terrae et sideribus et igni^ quae deos et deorum parentes adversus negatam generatio
nem Dei et nativitatem frustra credi proposuit Farro : et qui Varro indicaverat animali
esse caelum et astra.
iSg. Id., ib., c. s. . . . eX Varro meminit eius (Thaletis?), creditam praeterea dicens eie
mentorum divinitatem quod nihil omnino sine suffragio illorum gigni, aliiy provehi possit
ad vitae humanae et terrae sationem, quando ne ipsa quidem corpora aut animas sufficere
licuisset sine elementorum temperamento quo habitatio ista mundi circulorum conditioni
bus foederata praestatur^ nisi quod hominum incolatui denegavit enormitas frigoris aut
caloris : itaque deos credi soiem, qui diei de suo cumulet^ ffruges caloribus^ p\rovehat f] et
annum stationibus servet.^ lunam solatium noctium, patrocinium mensium gubernaculis ; item
sidera, signacula quaedam temporum ad mutationem notandorum ; ipsum denique caelum^
sub quo omnia; terram super quam omnia et quidquid illorum inter se ad commoda hu
mana conspirat: nec tantum beneficiis fidem divinitatis elementis convenire, sed etiam de
diversis quae tanquam de ira et offensa eorum incidere soleant, ut fulmina, ut grandineS'
ut ardores^ ut aurae pestilentes ; item diluvia ; item hiatus motusque terrarum et iure cre
di deos quorum natura honoranda sit in secundis, metuenda sit in adversis, domina scili
cet iuvandi et nocendi.
i43i F R A M M E N T I i 43*
FINE DELLK OPEKE CERTE U1 VARRONE.
A P P E N D I C E 11.
8ENTENTIAB M. TE BE NTI I VARRORIS.
Con qtifsla raccolta di senlenzQ termine alla longa fatica spesa intorno a Varrone. Ma
prima di risiacopare le lentenze che vanno sotlo il nome di Varronc bisogna che Iraliiamo
qualche quistione critica intorno a quesla raccolta^ cio, se si possa a ragione atlribuire a lui
questa serie d sentente che si venula maoo roano ingrosiando senia (uUavia che recassero qual
che luce alle altre opere o alle dottrine di Varrone, o servissero a crescergli fama.
11 primo a pubblicare sentenze di Varrone fu Gaspare Barth \^Advtrsariorum Comment,^
1. LX, Francof., i 6 a4), che ne divulg 17 che egli scrisse di avere scoperte in un vecchio codice,
Joh Gol. Schneider ne trov altre 4? n^gl> scritti di Vincenzo di Beauvais.
11 eh. Vincenzo De Vit oltre le gi conotciule ne trov pi che sessanta di nuove in un
cod. membranaceo del seinioario di Padova, nel quale tenevano dilro ad estratti dell' Isagoge
alla morale filosofia del ven. lldeberto, e delP operetta tulle quattro virt attribuita a Seneca^ ed
a sentenze cavate dalle lettere di Seneca a Lucilio^ ed altre oe aggiunse egli siesao facendo uii
nuovo spoglio di Vincenzo Bellovacense ; finalmente Carlo Chappuis, seralaodo varie scritture
del medio evo, ne pot raccogliere poche ancora di nuove e darne la edizione pi completa,
dove sono in numero di i 5G.
Le due raccolte manoscritte pi copiose delle sentenze varroniane sono anzidetto cod. pa
dovano, e un altro della biblioteca di Artois, in un codice membranaceo, che si giudica del prin
cipio-dei secolo XIV, e che nella prima pagina porta la scritta t Flores senterttiarum ex variis
auctoribus excerpti; % in fatti una raccolta svariatissima di pensieri tratti dalle opere di Quin
tiliano, Cicerone, Seneca, Varrone, Platone, Macrobio, Prisciano, Boezio, Petronio, l'erenzio. Sai*
lustio, Aulo Gellio e Cassiodoro. Varcone occupa il quarto luogo. L quantunque il manoscritto
d* rtois non sia n sempre corretto n d facile lettura, dai crilici preferito di mollo a quello
di Padova, che ha dato fatica non lieve al eh. De Vit. I due manoscritti derivano da una fonte
slessa, per quello che spella le sentenze varroniane, perch queste in ambedue si susseguono, salvo
lievissime difiEerenze, collo stesso ordine.
11 capitolo 59 del VI libro lello Speculum historiale di Vincenzo di feauvais come un
tessuto di 54 sentenze varroniane, che si ritrovano altres nello Speculum doctrinale dello stes*
so scrittore : ma perch le sentenze dello Speculum historiale susseguono quasi colla stessa dispo
sizione che nei ms. di Padova e di Artois, si pu concludere, dice lo Chappiiis, che il Bellova
cense avesse sotto gli occhi una raccolta di sentenze ansloga a quelle che possediamo. La quale
conclusione non inoppugnabile, perche verrebbe pi ovvio il dire, essere le ilue raccolte di Pa-
dov e di Artois tratte dall'opera divulgatissima del Bellovacense, essemloch il manoscritto di Ar
tois e qaello di Padova sono di parecchi anni il secondo, un secolo il primo posteriori alla morte
del celebre domenicano avvenuta nel i a 64i o, per ispiegarmi pi chiaro, vi ebbe chi dall'opera
del BelloTaeenie fece uno spicilegio di sentenze varronia ne, e questa.scelta quella che si trova
riprodotta nei due codici. Quel collettore, qualunque si fosse, non apparisce nomo di grande ac
corgimento e di molla dottrina. E manifesto che egli si era proposto un fine morale, essendoch
egli trascelse sol quei pensieri che si riferivano alP amicizia, alla virt, alla condolta ilelPuomo ecc.,
ma anche tra questi lasci da parte lutti quelli che offrivano qualche difficolt, qualche senso
oscuro, dimezz delle sentenze, ne un altre insieme che avrebbero dovuto andare lirise: scam-
b' per variet di sent* nze variel ili leiioni ecc.
i 435 S h ^ T K N Z K i 43G
]| si^. CI)a)ipii5 (roT pensieri rarroniani raccolli nella cos della crnnaca di Norimber^ai che
per dal tuo autore d ' flarlmann Schede!, morto nel inliloJata Chronicon mundi o Ciro-
nicon ctroncorum : altri ne trov riprodolli nel Supplementum chronicorum di Giacomo Fi
lippo F'oresli; e io Giacomo Colonna, antere di nna cronaca che dal Iradullore fu con eniatico
appellativo della Hiare historiarum, e in Antonino de Forciglioni neW Historiarum opus. Non
]>isogna lacere per, che tulli questi cronisii non compensano con fruiti copiosi la fatica dello
ricercarli, perch loro fonte sempre l'opera di Vincenzo di Beaavais, dal qnale chi ne trascris
se pi, chi me no: chi questo chi quello: giovano per il raffronto delle lezioni. Tanto s' intenda
dello pnche per opera De moribus iominum di Giacomo De Cexsoles, per il Sophologium
deir agostiniano Jacopo Magne, per nn lavoro che si conserva manoicrillo a Vicenza, e di cui
un" altra copia nella hihlio'.eca imperiale di Parigi (N. C0G9'). sotto il titolo De vitis philoso
phorum^ che ha |er autore nn Carlo Guidone del secolo XV, e finalmente per il cos detto
Liber Faticani, opera di qualche fama di Arnoldo di Olanda, scritta nel 1^24; c cosi di altre
raccolte d niuna importanza. 11 sig. Chappuis ne ha esaminalo 19, di coi d la serie a pag. 29
della sua monografia.
La qaestone pi iniporlanle poi : sono propriamente di Varrone qoeite seotenie ? Risposero
affermativamente Barlh, Schneider, Schoell, De Vif, Quicheral, Oehier, Chappais : altri, come
Ordii, negarono recisamente: non resta una vi di mezzo? S certamente, ed , credo io, la vere.
cerio che la raccolta non opera di Varrone stesso; impossibile che S. Agostino, Aulo
Gellio, Servio ecc. non ne avessero fatto molto, oltre gli argomenti intrinseci della lingua che
vi adoperala, la quale reca indubitabili iraccie di un et molto poiteriore.
cerio pure che prima del secolo Xl l l esisteva una raccolla di sentenze cos delle di Var
rone ; lo dice espressamente Vincenzo di Beawais, il quale confessa che da questa raccolta trasse
le pi notevoli, e s o do quelle da lui inserite nel suo Speculuni.
certo che questa raccolla era indicata tolto titoli avariatissimi, coree: Sententiae Farronis
ad Papirianum Athenis audientem ; Proverbia Farronis ad Paxianum., Sententiae Far ro
nis ad Atheniensem auditorem morales atque notabiles: Farro ad Atheniensem audito^
rem : Liber moralis quem Farro scripsit ad Athen. aud^ Farro in Moralibus ; Farro in
libro moralium: titoli tuttavia che si possono ridurre ad una tal quale unit, p. e. Liber mo
ralis (fr) Sententiae Farronis ad Paxianum (?) Athenis auditorem.
certo che Ira le opere di Varrone avaozate o in qualche modo cunosciate non ve ne ha
aleona con questo titolo di Liber moralis.
certo che lo stile del tempo della decadenza, anzi della barbarie : basta ci lare le parole
subditio^ alieniloquium, incontingens e simili, o frasi quali : ex illaborato^ venire ad emen-
dationem, f acil i tas intelligentiae, impedire ad profectum scientiae^ dicendi qualitas ecc.
L certo che una parte almeno di queste sentenze arieggia il pensiero rarroniano ; conviene
coi suoi principii stoici; talora riscontrasi con qualche penaiero che ai legge nelle opere aoprav-
vissute, o apparisce non indegno dello spiritoso scrittore delle Menippee : e quiiidi quanto al
roncelto sono varroniane.
certo che Vincenzo BelloVacense e gli altii cronisti, da cui ai trassero queste sentenze, non
attinsero direttamente alle opere varroniane, ma si servirono di spogli, rimaneggiandole cos che
in buona parie perdettero lo stampo primitivo. Per cui la questione ai riduce a aapere quale foaac
questa fonte a cui essi ricorsero, e quanlo questa sia fonte sincera.
Noi abbiamo numerosissimi esempii del medio evo, in cui per dar credilo a qualche lavoro
si soleva spacciarlo come opera di qualche famoso antico, e in cui lo scrittore, che con rodi
modestia si teneva Ira ombre, vi mescolava del suo piene mani. Ci sorge il sospetto che io
stesso sia avvenuto anche per riguardo alle sentenze varrouiane.
Come infatti pu ciascuno avvertire, esse sono per il pi gran numero attribuite ad un liber
moralis di Varrone che noti ha mai esistilo, perci nostro avviso che dalle opere ancora in
corso di Varrone sieno stale ricavate alcune sentenze, alle quali ignoto autore ne aggiunse di
sue o di altri, spacciando il complesso come merce marroniana, e cos si potesse formare una rac
colla di sentenze cos dette di Varrone.
Qualche volla citato come fonte opera delle An4ichit, di cui, come abbiamo in allra oc
casione provalo, esistettero fino al secolo XIII alcuni esemplari : per altre si pol ricorrere agli
estratti e citazioni, p. e. di S. Agostino, che ne ha in gran copia: nde il raccogliere nn cenli-
uaio di sentente non era cosa troppo ardua, e queste potevano servire di salvacondotto anche
per il resto ; ne far m^ravii^lia quindi, che a furia di eemptfcaziuiii s Irofino addirillura cita
lioni quali: Varr in sententiis; e Farro in sententiis libro sexfo, septimo.
Comunque, ci basti tener termo, che di queste seutenze, tali quali ora si leggono, Varrone
ripudierebbe senza alcun dubbio la paternit, essendoch o uon sono tutte sue, o anche delle
sue tnto sfigurala la impronta che pi non le riconoscerebbe.
Non aggiungo nulla intorno al PaxianuSy a cui questa raccolta di sentenze iutitolata, per
ch non si fa chi sia. Vi si sono travagliati intorno quelli che riconoscono autenlicit delle
sentenze, e il De Vit p. e. lo mut in P . Axianum : lo Schneider lo crede un errore di scrit
tura, e suppone niente altro che ad Atticum. L' Oehler va col suo pensiero a S. Paciano vescovo
di Barcellona morto sulla fine del IV secolo, lo Chappuis si ferma con compiacenza su Papiniano
autore di un trattato di ortografia citato da Cassiodoro e Prisciano. Qualunque sia, pare che
fosse uno il quale slava a studio in tene; e, a loio giudizio, sar quello a cui ignoto autore
del libro Moralis spaccialo sotto il nome di Varrone, dedicava la sua fatica. Il Merclilin cerc
aggiustar lutto coll'attribuire il lavoro ad un grammatico Varrone che visse al tempo dei Caro>
Ungi e di cui si conosce un operetta sulle otto parti delP orazione.
Du tutto ci il lettore pu facilmente accorgersi, che sarebbe fatica perduta accumulare altre
ricerche, per una raccolta di poca importanza, mutila, contraffatta e sformata, e dovuta ad uno
oscuro raccoglitore, e quindi diamo senz'altra mano a riprodurle, giovandoci delle illustrazio
ni del De Vit e dello Chappuis, quantunque bisogni confessare che avrebbero potuto e saputo
fare di pi e meglio, specialmente il primo.
Indichiamo per brevit con lettere iniziali le fonti delle sentenze varroniane.
) ruoldo di Olanda Liber Vaticani,
A) Codice d ^r l o i i , n. 3o5 : Flores sententiarum.
) Il Codice di Barth.
C) n Colberliano ora Parigino, n. 8543.
D) Doctrinale Speculum di Viuceozo di Beauvais.
F) Flosculi e variis^ Cod. Parigino 8818.*
Jl) Historiale Speculum di Vincenzo di Beauvais.
a) De vita et moribus veterum philosophorum et poetarum^ Cod. Vicentino.
P) Codice Padovano, n. 101.
) w w n. 126.
) Sophologium di Jacopo Magne.
V) Spicilegium Solesmense, Cod. della bibliol. di Saint-Victor, n. 640.
Noi ci atteniamo per lo pi alla lezione del Cod. di Artois, perch la guida pi sicura : dia
mo il secoudoMuogo al Cod. Padovano 101.
1437 ni . VAKRONK 438
SENTENTIAE VARRONIS.
i . Dii cfsemus ni moreremur.
I 1. Se uoD ci foue Ia morte saremmo dii.
P. Cf. Cie., Dt nal. deor,y II, c, 6 i . u P a r ct limilis {vita beata hominum) deorum (ic. vi
tae cf. Schomann, ad l ) nulla re nifi immorlalilale, quae nihil ad bene vifendum pertinet,
cedeoi coeletlibus. r, Eguale pensiero espresse Seneca, De const. sap.^ c. VIl l , e Varrone com
battuto a qnesto riguardo da S. Agostino, De civ, Dei VI, 8.
a. Expedit vngo timor mortis.
A. P. Cf. n. 100.
3 . Non est peias nasci quam mori : sed demus
Terba nostro seculo.
I 2.11 saper che si muore giota al volgo.
3. Dicooo : peggio oMcert che morire; sar 1
A. Il P. divide la sentenza in due. 11 De Vii quindi soppose che la sentenia sia monca. Ma
s inganna. In qualche codice manca la seconda parte. Forse la seoleoza c diretta contro i scgoa^
ci di Eraclito e gli stoici che pensavano essere la vita oa male.
4. Cum natura litigat qui mori grave fert. ) 4* ^ P** morte vai contro natura.
A. P. H. Ci. Cic., De senectute^ c. 4 e 5. Da qaesU tenUDia comincU la IvlUrf, dello
Schneider.
5. Duplex est malum, quam qaod necesse est
moleste ierimus.
A. F. H. D.
6. MorsnuUios nova, sed credila: vitamotrn-
qoe complectitor.
5 . Fai di Decessila virt, se no, hai il male, il
malanno e uscio addosso.
6. La morie ci pare una novit, n t a torio :
come fu prima sar anche dopo di noi.
A. P. A questa senienta alcuni, come lo Chappuis, danno una esicDMOoe che mi sembra so
verchia : cio, che si neghi la immortalit dello spirito. Mi pare che sia invece qoati una cooti-
noazione del pensiero precedente ; e che si dica inutile rivoltarsi contro ana legge ooiversale inti
mata al genere ornano. Nella stessa occasione il snllodato prof avverte che come conseguenza ne
cesuria Varrone approvava il suicidio e traeva questa dottrina dal passo di S. Agostino, De civ,
Dei^ XIX, 4 : dove, avendo parlato dei mali a cui uomo va soggetto, si conclude : quibut ut
eareas^ ex hac vita fugiendum est. So benissimo che per gli antichi il suicidio pot troppo
spesso essere riguardato non solo come permesso, ma perBno doveroso; ma quelle parole noa
bastano a provarlo. si negherebbe forse che potessero significare : che bisogna attendere in
altra vita condizione migliore? E non sarebbe allora un argomento per la immortalit?
La forma della sentenza mi fa sospettare che non sia di Varrone: comonqoe, alla interpreta
zione giova notare che Seneca (ep. 54) aveva detto pi diffusamente la stessa cosa, u Ego. mortem
diu expertus sum. Quando, inquis ? Antequam nascerer. Mors est non esse . . . hoc erit post
me, quod ante me f ui t ... iii hoc erramus quod mortem indicamus sequi, cum ille et praecesserit
et secutura sit. v Questo passo giova anche per intendere meglio la sentenza che segue :
7. Mors, si prima, d o o est peior ultima. 7. Morte quella di prima come quella di poi :
noo pi brutta questa di quella.
A. Se prima con iin correzione lOTrappnsta vt\ si. Il Quichcrat (Biblothqne eie E cole
He ChartfS^ 3. #erie, I. 1) arrelt lullo, lezione e correiione : inors vel si se prima. P. Mors
senis^ lezione reanifesIameDle errata, e che non ao come il Oe Vii non abbia cercalo correggere.
8. Loquaris ut oronea : aentias ut paaci, | . Parla coi pi, penta cui meno.
A. F. H. ]l P. lo^uen. Ve<Ii anche i omeri 9, 10, 5^, loi^ i o5 ; Senca, ep. 5, 18, i o3.
Abbiamo in altra occasione (roralo che si pregiava aasai tenere relate al Tolgo le doltriae filoso-
iche, e che, anche sapendo di dir falso si assecondarano in pubblico i pregiudizii e gli errori
olgari.
9. Ratiost flae io multam concedere torbam. | 9. Sparlarsi dlla gente bravura.
A. 11 P. Rebur est pif^e. Crediamo che la enlrni Toglia esaere toleta ne) senso : che chi si
dilunga nel modo di pensare e di agire da quello cle i pi fanno, si procaccia di molte molealie,
perch abbiamo altra, che il numero dfgli stolti infinito. Rispello alla forma si ricorda quello
di Oratio (Sat. 1, 4t *4*)
J c i^eluti te
Judaei cogemms in itane concedere turbam,
to. In multis con tra omnet sapere desipere est. j 10. Sarto cootra hilti, apesso un niiHo
F. H. D. Nel P. la sentem finisce con et averso: Ut k et e contra^ le qvali farebbero cre
dere che la selenia mancasse della seconda parte.
1 1 . SicfleI heres, ut puella viro nnpta : utrias> | 11. Pianto di erede, pianto di ipota : bagn*ti
qwe fletus non apparens est risas. | gli occhi, ridrote il cuore.
A. F. 11 P. ut puella nupta viro. 1^ enieuta ha proprio il colore ?. Anche Publio
Siro ha dello:
Pianto di erede riso
Sotto mentilo fiso (Versione di P. Canal.)
DI . VARRONE 4
la. {In moralibus). Ficte rcieras graliam in
vite danlL
A. V. H. D. Cf. Seneca, De henrfic, VI, 7.
13. VT datum ne pules l)eneficiam sed prae>
dam.
A. V. F. H. P. F i x ne datum.
14. Semel dedit qui rogalut, bis qui non.
H. V. A. D.
l a. A benefizio strappato rioonoscenza fiala.
i 3. Beneficio avuto a forza gli una preda.
4 Se di pregalo, fai ud regalo, te non pre
gato, ne fai due.
i 5. Extorquere est plus quaro semel rogare. | i 5. Chi fa insiilenta fa violenta.
V. H. D.
16. Turpitaimum est in datis foenns sperare.
16. Guadagnare sul dono da strotzino, lar-
pulcherrimum est cam foenore data reddr. ghetta di cuore, rendere coO'Oif ra il beneficio.
A. P. V. F.
SanTEVZB Df M. Va b i o v b . 91
' 3
\. (In moralibus) t x iiinio danlis centei-
tur munus iiugnuni.
. V. P.
18. Nec sequi nec fujtcre fuiiunarii Jectl, si
rooJu uou lua^is obsit quam iicni lioctal.
17. Dal cuore si misura il tfono.
S L N T Ii N Z E
'i 14
18. Se pi non sono i danni che temi Jei beni
cbe speri, non ben latto n correr lieiro u
f olltr le spalle alla furliifiir.
A. P. Si ricordi che uno dei grandi aforismi di scoola stoica era il nil mirari : confemre*
almeno a bocca, che tenevano come indiflVrenle uno sialo prospero o avverso di forlnna, pur
ch non iinp^dise il ronseguimenlo della viri, Seneca re lo ripete fino alla aaiiet. Yadrenio
in seguito che il nostro aretalogo sentenzia che il solo modo di farti soggetta la fortuna die-
pretiarfa. Predicavano bene, ma ratiola^ano male, S. Agoatiuo nel XIX, 3 della cilU di Dio
ci ha data la dotirioa di Varrone sil supremo dei beniv che era la f i t t ttlaoaa.
19. Poteotius imperare fortunae quam regi
bus : vir ergo bonus regum est maximus.
19. pi iorte chi comanda alla fortuna che
ai re : dunque uomo dabbene il pi grande
dei re.
A. P. Il De Vii scisse in due la sentenza e diede alla seconda qu**sta forma : \figor ionus
regnuft tfkaximtti e^f. Naii posto f>er guisa alcuna accmnedariiiivi, perch le due parli ti eerri>
afioiidono perf'eMamente. Chi abbia letto le salire e le epistole di Oraziu avr pi volte riso sa>
porilalfien/te alla'pittura <*he fa degli stoici^ ai quali colla pi buooa grazia di mondo fk legare
i peli sul grop[K>ne. E Ira le altre ragioni per cui li sberla era anche queste, che volevano es
sere tenuti in conto maggiore dei re ; e, la grazia ! conscutivaoo solo a credersi inferiori a Giove.
Cf. p. e., ep. I, 1. 106^
Sapiens uno minor est Jove, dives
rex deni^ue regum.
Quindi noe dubitare che la sentenza sia raet^a in bocca di uo Slosuto ituko che parla calla
solila modestia.
Meno male se la nilov'i tenlenza riparlala dal De Vii fosse acuta e graziosa, ma ta di slaaUa
cento miglia lontano. Sono proprio dolente di dover pi di qualche volta cootrattare opinione
di quei r uomo doliitihno c cosi benemerito delle lettere laliue.
20. (In moralibus stu in libro morali). Amici
divitum paleae sunt circa grana.
ao. Gli amici dei ricchi tooo come la pula che
disperde il vento.
A. V. H. D. La seolenza e bella e vera e detta con garbo. Quando il frumento ti batte la
pula ti disperde per P aria : quando la fortuna d un crollo al polente, tutti i tuoi leccaialupe
tfumano.
21. (lo libro morali). Vit experiri amicum ?
Caiaroitotut Has.
21. Vuoi provare un amico diventa uo pi
tocco.
A. D. V. F. U. Sentenza verissima anche questa e hanno alta bocca tino la ciane.
22. Nou re feri quit ted quid dical. 22. Bada alle parole di chi tu parli pi chc alla
pertouii eoo cbi parli.
Anche Seneca (dico Seueca, perch e il padre putativo) nell'operetta De mori6us\ verba ver
bis non personis aestimanda suni.
23. Capliotut de ver bit disputator canit eti
aereiu captant pro praeda.
A. P.
23. Chi ditputando clnciaehra sulle p ml e
un cane che latcit la carne e ingliiottc il vento.
1445
24. Novella ridetis non mai schielta.
. : v a r r o n e
24 Quiailit ut uditorum ntrr^tor iit num-
quaro fiel per docenti.
A. y . Forse perch ona o s m peanodo per varie mani perde la s a i fresoheiu e ai fciupa.
25. Prccarium habet faodamenlum qui ex alie- aS. Meglio le ^ n b e che le gruece.
nia pendei.
A. P. Lo Chappuis traduce: Science empmnte est un fondement mal assur. A parer
ino quindi la sentenza a5 continuerebbe la 24. Ma noo cooTiene fare troppo a fidanza con que
sti legami tra sentenze la cui origine cos) incerta come per le nostre : e una classificazione^
quando pur si possa Tare^ deve essere in questo genere di scritture sempre mollo larga. Quando
la sentenza latiua abbia un senso generico, e, se mal non vedo, tale quello della 25, la versio
ne non deve reslriugersi ad un senso speciale. Con che nou escludo la interpretazione dello
<Jbappuis; essa vi compresa^ ma ve ne potrebbero essere racchiuse altre ancora, euendoch se
vero che dii non parli o scriva se nou per essere iqihcDcala, sempre in pericolo di far cilecca,
vero altres che mal sicuro quegli che per condurre a fue qualsiasi opera ha dei cuoliouo bi
sogno deir altrui soccorso, e cus va dicendo.
26. Ad profectum scieotiae nil aeque impedit
ut diffidentia.
26. Bisogna muoversi per avanzar nella scienia.
A. P. Se il buon Varrone lusse tssuIo a' nostri giorni svrebbe risparmiala questa sentenza : non
c ' pericolo che si stia addietro per diffidare delle proprie forze; che appena mesio il capo fuori
del guscio ogni pulcino [retende volare: e a chi ricanta: o che non hai messo ancor le ali! gli
ai risponde con cer responsorii che m intend'io. Gi, si ripete, non son pi i tempi della re-
gioa Berta. Pensa buon Varrone se il tuo non era un altro mondo ! Tu credevi bisogno consi
gliare gli sproni, ora c' bisoguo di buon freno : ma si ha da far con puledri duri di bocca sai 7
27. Mediocriter nosse aliqua non nosse est. | 27. Mezza scienza ignoranza intera.
A. Il De Vit noscere. K qui, che Mania verrebbe sotto la penna! Ma sto alle mosse. Lo
spettacolo dovrebbe dare a pensare a Varrone se alzasse il capo dal secolare sepolcro. I mezzi
dotti, i mezzi scienziati sono il maggior numero. Va loro a dire, che sono ignoranti; e salvali la
pelle se puoi ! Che cosa iie sarebbe dei dottori omeopatici ? Che cosa degli enciclopedici T
28. Eo hodie philosophia perducitur ut prae
clare nobiscum agatur, si in his aetatem consu
mimus exponendis quibus antiqui suse portionem
commodabant contexendis.
28. ia filosofa ora ridotta a tale che ci pare
av^r fallo un gran che se passiatuo tutta la vita a
dichiarare quelle verit, la cui scoperta non avea
occupato che parte vita degli antichi.
A. Perducitur par da preferire al producitur del cod. . chfe finisce con ngatur^ e fa della
seconda parte una nuova sentenza : Si in iis ... restituendis^ che a questo modo resta intraduci
bile e inintelligibile. Lascio poi penssre al lettore se non dovremmo anche noi muovere eguale
lamento; e basta vedere che monti d' illus!razioni, schiarimenti, commenti crescono giorno per
giorno, perch passi la voglia di crederci tanto da pi dei nostri vecchi. E pazienza, se molli
non passassero invece la vita a confondere e combattere quel tesoro di dottrine che abbiamo ri
cevuto in eredit dai padri !
29. Apum mella comedimus, non ipsi fa
cimus.
29. Chi fa il mele non lo mangia.
A. P. Forse va inteso di quelli che consumano i patrimonii ereditati dai padri, che con per
severante fasica accumularono, e non sanno o accrescerli o, almeno, conservarli, ma ne si potesse
aronfettcre una connessione fra queste sentenze, il senso nascosto sarebbe : die non siamo buoni
ad altro che a sfruttare le tradizioni del saliere antico.
3o. O heredes niagninci qni rrfictis nil vcl
falsa adJiiiMis ! Nulla <| taii^, melku* fsset ad-
3o. Che moilrllo di eredi, i quali 1 patrimo*
Ilio redalo non altro sajipiamo aggiungere che
447
S E N T E N Z E
44*
ditio. Quae op(:ma ccepima ai( poalrros ex no-
bia corraptiasima pervenient.
fpropoaili Meglio averlo Fascialo incarto, che cos)
i noalri nepoti non avrebbero da noi guasto queN
lo che noi ricevemrao aano.
A. Qui relietis nil f a l s a : dove al acorce che il el loanca per errore di copiata, ma ri
chiesto dal senso. nche qua il cod. P. divide in due la seiilenia, delle quali la prima auoDa
cosi : o her. magn. qui nil dictis vel f a l s a addimus^ nulla quia talis melior esset additio, A
me pare che non se ne cavi costrutto, il De Vit la pubblic tale e quale, solo avvertendo cbe
probabilmente si doveva unire colla seguente, segno che a lui parsa abbastanza chiara, ed io
me ne compiaccio col eh. edit.
3 i . Imperfectum est quidqnid ad emendatio
ne venit.
31. Imperfetto (otto quefo che pu essere
fatto migiiore.
A. P. F. Anche Seneca, ep. 66, crescere pass imperfecttse rei signum exf, quindi con una
slot la deduzioire gli stoici concludevano, che la t i r l non poter aver gradi : a' iittende : la poasc
de vano essi soli, e tutta essi soli.
3a. Puerilis est amrcitia quam non praecessit
iuilicium.
3a. Amicizia atrctta a chiua occhi da fan
ciullo.
A. V. 11 P. quae non praecessit iud,^ lezione che noo mi pare accetlabile, anzi faUa.
33. Ali! concordiam, morra ad cohabilanlium
animos loruiare.
33. Brami vivere in pace? Paese che vai, usan-
za che trovi.
A. F\ H. D. II De Vii dice, che il senso apparirebbe pi chiaro ae ai invertisse ordine
[coit]formare mores ad cohab. animos alit amor, A dire il vero, lasciando in pace la sentenza
cume i end. la leggono, non pat che risulti oscurit alcuna.
Lo Chappuis richiama qui un altro pensiero di Varrone conservato da Servio {ad j4en,^ VII,
6ui), ma il richiamo inopportuno perch in quel luogo Varroiie slabiliva in che cosa propria
mente fof i e riposto il mos maiorum^ il quale, per la ripeliiione degli atti diventava consuc>
Indine.
34* Nemo soum putet quod extra iptum est. | 34 Quello che non in le non dirlo tuo.
A. P. V. H. D. Nella satira Meoippea irtpc Varrone tvea detto :
Unam virtutem propriam mortalibu' f e c i t
Ctiera promiscue voluit communia habere.
35. Nullius est qood nol t oram sse potest.
A. P. V. K.
I 35. Roba dei comun roba di nessun.
Commento a qucsia sentenza sono i bilanci (come dicono) dei munici|jii. Coniull ali.
$6. Vi r bonus, quocumque it, pairiam suam
securo fert, omnia sua animus eius cuitodif.
36. A i r nomo virtuoso tutto il mondo rasa,
perch anima ha i suoi tesori.
P. Negli altri codd. qualche variet di lezione, ma leggiera. Riporteremo il suffragio di Se
neca, Cuna, ad Hel., 8 : h Adversus ipsam mutationem locorum, detractis ceteris incommodis, quae
(\ilio adhaerent, satis hoc remedii putat Varro doctissimus Romanorum, quod quocumque Teoi-
inus eadem rerum natura utendum esi. M. Brutus satis huc putat, quod licet in exilinro eonti-
Ij us virtulrs suas ferre secum. Questo luogo importante, perch ci farebbe concludere che
Varrone non autore della sentenza. Uifatti c pensiero prellamenle stoico. Lo Chappuis ai ar
rabatta per mettere insieme luoghi, che provino dover uomo savio considerarsi cosmopolita,
tatica speu in vano. Perch qui non si dice che uomo savio trova in ogni luogo dove
>44o
01 . TEftENZIO VARRONE i45o
si rechi uoa patria, perch sua patria il moi tJo ; ma i nvectr, che non credenJo di poisedere
li) proprio che la sua virl, la lua duUrina^ duTuiique vada li porta seco, e quiudi troTaii, dire
mo, sempre a casa sua. Pensiero (|ueslu chc leggiamo pure negli antichi poeti gnomici (Ti Gre
cia, e ci fu riportato in lulU le lingue. Noi lu tro\inio anche nell a celebrata lettera del Boc-
caccio a Picco de' Rossi.
. (In rooralihu*). Eo vultii dimittendae suni
divitiae quo accipienilae.
A. P. V. F. H.
38. Vulgas, quid(|uid cum j^audiu ccipit, cum
fletu aroiltit.
37. l>a fortuna quando ?ien tienla, quando va
laseiala, sempre allegro.
38. volgo il bene acquistato coti gioia, per
de con dolore.
A. V. F. H. P. Accepit.
39. Philosophiae non acoommodari leinpos
sed dar i opor t e i ; ips eiiim praecipuus esi Dei
cultus.
89. Alla flosoGa bisogna dare tutto il tempo
nou i ritagli, poich il miglior modo d' onorare
Iddio.
A. Il P. ha una variante l eiooe notevole, ma non da preferire per questo : ipsa est prae
tiosus Dei eultus.
Cicerone nelle Accademiche, J , 7, fa dire a Varrooe u lotum igitur illud philusophiae stutlium
mihi quidem ipse sumo, et ad vilae constaoliam, quautum possum et al deteclaiionem animi;
nec ullum arbitror, ut apud Platooeni est, roaius aot mrlius a diis datum monus homini, n
]1 concetto della nostra- senleuza veramente profondo, e ci fa scorgere che un lampo delle
supreme verit qualche volta brillava alle menti deieli uomini di buona t'ede, quale certamente
era Varrone. Lo studio della filosofia ben diretto conduce a Dio, perch Dio il termine som
mo a cai intelletto conosce di doversi appuntare illustrato da un lampo di quella luce n-
pern di cui iu ogni uomo fatto partecipe. Ma Tant i chi t i mise davanti agii occhi una benda e
cos sbagli miserabilmente la strada. che direbbe Varrone se scorgesse ora tanta parte dei filo
sofi (diremo cos per aniifrasi) dirigere invece i loro stadii contro Dio termine supremo della
filosofia ?
4>. Ex negotio semper otinni sumendom eo
tamen ne ex continua auiduitate, necesse sii
deseri.
A. P.
4 . Hic perlecte methodum habet, qui idem
est repentinus qui praeparatus.
40. Lo scianto vien dopo il lavoro, prnh
sempre teso arco si spezza.
41. Colui sa Tarte davvero che riesce sempre
preparato anche colto alla sprovveduto.
A. Sic. P. Hic e finisce con habet qui^ cominciando un' altra sentenza con idem est ecc.,
errore evidentemente dovalo a colpa di amanuense, c che non doveva essere difficile al De Vi i
correggere. I.0 stesso eh. ed. crede repentinus un errore. Gli accordo che non abbiamo esempio
in latino di homo repentinus in queato significato; ma non dobbiamo dimenticare che queste
sentenze furono raffazzonate in tempi di gusto barbaro per le lettere. Riguardo foi alla inter
pretazione non mi pare che cogliesse giusto lo Chappnis, il quale traduce: jPt$voic se passer
de priparation c* est le propre du talent le plus accompli : il quale pensiero mi pare falso,
perch senza studio di preparazione non si far mai nulla di bene, e i pi grandi talenti sono
quelli che ci diedero ordinariamente esempio dell' applicazione pi severa. Colla sentenza dello
Chappuis gli sfaccendati dovrebbero credersi altrettabti Piaioni.
4a. Praeparatis favor, repentinis gratia adhi
benda est.
4a. Accogliamo con benevolenza i discorsi
preparati e con hentgnil gl'iui]irov\isdti.
i45i S E N li N Z
A. P. A mio giudizio qaetia l enlenia non ti arebbe Jotata staccare dalla precedenlf^ e
quindi ne reguilerehbe che anche in quella ti parlanse dell rie del dire. Tanlo maggiormenle
insisliamo |ier questo sulla interpretazione data, poich il poter parlare alP improviso senza farsi
compatire (inteso questo vocaUilu econdo usus loquendi forentioo) non si pu senza lungo
&lulio di meditazione. Altrinieiili si parler, ma sconclusionato, tutto annegando in un niar d
parole.
43. Ex auditis memoriae referas laudem ; ex
inTentis ingenio.
A. P. V.
44 Non tam laudabile ett merotaisie quam
invenisse : illud enim alieuum, hoc proprii rouue
ris est. Neutrum sine altero scientem facit.
43. Di ci che sai ricordare danne il meri lo
al'.a memoria : di ci che inventare all' ingegno.
44* Bello il ricordar^ pi bello TinTenlare, qua
lavoro sul mio, l sui t ' altrui. Ma tema
altro non fa scienza.
La sentenza raccozzala da varii codi ci : qual manca dell* una, qual deir altra parte: V. Ulud
enim alienum hoc K t gli altri codd. J7oc, tliud^ scambio accettalo anche dal De Vit ; ma,
a torto, se non fosse altro per Tanlibologia che ue conseguita. P. H. alienum est. In D. la
sentenza finisce con insfenitte^ uegli altri, tranne in P. con muneris. Si senta anche Seneca: ep. 33,
8. Memoriam in alienis exercuerunt : aliud enim est meminisse^ aliud scire. Meminisse
est rem commissam memoriae custodire ; at contra^ scire est et tua facere quaeque^ nee ab
exemplari pendere et toties respicere ad magistrum. Hoc dixit Zeno^ hoc Cleanthes. Perch
poi il contrapposto sia esatto, s' i nt ende che questo scire sia fratto delPalHvii individuale, ano
sforzo dell* intelligenza. Mi sembra che sarebbe da ritoccare H versione dello Chappais, per lo
meno, oscura : Nous valons moins par nos sonvenirs que par nos propres ides ; c est cown^
me dpendre d* autrui ou hien ne relever que de soi^mme^ i l faut un et autre eie.
45. (In moralilius). Non in liisciplinis fidem
sed scentiam hahe : ftdes est media opinionis et
scientiae, neuirum attingens.
45. Nei tuoi siuflii non fidarti sempre^ ma
cerea di per le : la fede sla in mezzo tra il sup
porre e il sapere ; restando lontana e da questo
e da quello.
11 solo cod. A. offre la sentenza completa, e quindi il De Vit, che non ne aveva cognizione,
ha dovuto dare una lezione senza cottruHo, c lo confessa: non in disciplinis fides est ... attin
gens, A me poi resta ^ravc dubbi) se lo Chappuis abbia coll o giusto traducendo opinio per
vane opinion : inclinerei a creder^ oppoilo, perch non aeguita oecessarameiitt che sia vana
una opinione, perch non scieolifca : cadremmo allora nelP esagerazioni pericolose di quelli che
rigettano ogni verit del senso comiine e della tradizione: le sne verit la filosofia non trova da
s, ma prova per riflessione. Il Irascendenlflismo germanico non deriv da altro errore ohe que-
sto. Non so poi se abbia interpretato io a dovere.
46. Elucentitsimum est docendi genua exem
plorum subditio.
46. Ammaestra astai bene, ctii dopo il precet
to, soggiunge esempio.
A. D. Elucentissimum : altri evidentissimum^ elegantissimum^ lucidissimum eie. pi
conosciuto della belooica V adagio di Seneca : longum iter est per praecepta., breve et ejficax
per exempla, 11 vocabolo subditio di conio recente : non ha cacmpio di acriltofe latino.
47. Corfi xavdi materiam saepius dant defui-
liooes.
47. li definire d spesso occasione al litigare.
A. 11 cod. P. Conversandi, lezione da rigettare senza dubbio. Chi sappia quaiMo sia lificile
una dtlioiiioue ben falla, non ai meraviglier se di frequente U detnire dia occasione a con-
Iruversie, e quiodi liover molto pi opportuno il corrixandi che il fiacco conversandi. Ci s\
potrebbe obbictlare che corrixare uon vocal>olo di buona lalinil, anzi che non ha al(*un
esempio. Quesl vrro ; ma uoo u il peggiore n il solo dei barbarismi che s' inconiranu in
453 DI . TKRL NZI O VAl iROi NE
J 4 5 4
queste seiileiize. QuainJo abbiaoio ingollalo il tuditioy l aol ' aisorbirci anche il corrixare, che
|>cr s htllo e! eflcacc vocabolo.
48. Nil illi certum cui uulla <liu placet seu
teiilia.
. P. Piacente e on>ette il diu,
49. Quod veruiD esl per le lucet : teJ 0011 Di
ti pertinaciter Jisquirciili apparet.
48. Non ha nulla di certo chi muta ad ogni
momento pensiero.
49. Splende da t il vero, ma u accoglie luce
chi apre gli cchi.
A. Disquirendi apparendum. Abbiamo preferita I let. del cod. P., tranne iu principio, dowe
chiaio che deve dire quod^ uoo come nel mai. Quindi il De Vii dice; diffitaUaie la
borat haec sententia. Forte omittendum qui. La Inione che abbiamu data, e che del realu
veniva dal contesto facilmente tuggerita, toglie ogni incertezza o difficoll. Il tento poi cosi ma
ni (etto che nolla pi : coti noo fuite Unto oomeroso lo aiuolo di quelli chc non vogliono vedere
questo splendore della veriti. Eppure : chi tenia etter cieco dicette ch il tole non plende ti
farebbe gridare pazzo: chi dice iiifece che d verit evidenti non ve n ha neppur una, ti pro
caccia nomra di apienton; corre tchio di buttarti qualche cattedra di univertila, e che Dio
perdoni ! qualche commenda.
5o. (In moralibus). FtcUils intelligeiitiie teti
parit negli^tenlirv^.
5o. Ingegno sveglio lovente pigro.
A. P. H. Ed vero: molto, anzi troppo, tpetto si vede che coloro i quali ebbero ingegno
acuto e pronto, credendo che questa atlirudine natnrtle batti tempre e per tutio, non si lanno
agli sltidii con diligenza e operosit, con grati danno loro ed altrui. Non v* ha maestro che non
faccia eco alla nostra sentenza.
Credo cbe lo Chappuis non abbia collo giusto traducendo : 0/1 f o i t peu de cas ct une veriti
qui S comprend aisment : farebbe quanto dire; ti ttima poco una cosa che ti pu avere a
buon prezzo. Il latino parmi che dica diverso.
5 i. Quod intricavit alieniloquium imperitia
ett giaviasimum : id recolunt, id amant, id magni-
faciunt: nituntui* ut inlellSganl, audent cum
sciant, gloriantur eum doceant.
5 i. Discorsi strambi in frati tiravolle fanno
gran colpo negli ignoranti, i quali te li ripentano,
te li accarezzano, e li levano a cielo : fanno di
tutto per capirli e te mai li arrivano te ne ten
gono, e godono di ripeterli bravamente agli altri.
A. P. sentenza ba nel tuo completso un certo brio di etprestione, che non ti taprebbe
come atcriverla a un tempo barbaro, come lo aiiountia alieniloquium^ formato, vero, come
breviloquium, soliloquium eie., ma che manca di esempii d acrittore latino. Il cod. P ba /ne/i-
tiuntur ubi intelligunt^ invano difeto dal De Vii, mentre un errore marchiaoo.
Qualunque poi sia l'autore della tentenza, batta per farci tettimonianza che l arte di tdoga-
nare gli errori pi grottolani col facile mezzo di parole tonore e bizzarre secchia, e pur troppo
ancora in credilo. E un fallo umiliante, ma innegabile, che quanto pi una cota annuvolata tra
parole da oracolo, tanto pare pi tubiime, e il volgo batte le mani, e t temidolli inarcano le ciglia
e gridano bravo. Se a lauti libri di filotoGa e delle cosi dette scienze sociali ti levatse questo
velo, apparirebbero nella loro tchifota bruttezza, e invece fanno il giro del mondo. Noi ridiamo
di cuore al vedere il popolino con tanto di bocca atcoltare un Dulcamtra ciurmatore, e poi sia
mo noi stessi lo zimbello di altri gabbamondi in farsetto, che ridono poi nel loro interno della
credulit di coloro che |>retendendol a gente esperta e illuminata, ricadono ogni momento nel
medesimo laccio.
52. Amator veri non taro spectat qaliter di
catur, quam quid : intelligentiani vero sequitur
indicium dictorum : ultimum t^t dicendi qua
litas.
5a. Chi cerca il vero do o bada tanto alla for
ma quanto al coocetto : di ci che ha udito Don
giudica se oou lo ha iotcso : lo stile per lui l ul
tima cosa.
i455
S E N : N Z E
i 456
A. P. Jn qualche milire mane Ij secomla parte, <li mi il De Vii fa ima tcnteiiia.
Per me creJo rlie questo numi ro 5a Irva vxterr .tlaorolo ih! numero prccedenfc, e che
aolo |>er nna lar(;liezza 11 espressione si p(s* lire ienteni. o prov*rliio. B^uarilo al ronretio,
(Uremo che, generalmente parlando, (fiuto ; ma rhe la honl, aggiustatezza, la precisione, la
trasparenza ilella frase, non sono da stimar tanto poco quanto pariehhe che si dovesse concludere
dalla nostra sentenza. Non si leggerebbe e studierebhe di pi p. e. il Vico se avesse fatto opera
di esprimersi meno barhararoentc ? L la lindura dello stile non una dolce esca allo studio e alla
ricerca del vero? Ma adesso che ai tiene della forma quel conto che i fanciulli dei garigli delle
noci ffgosciate un predicare ai porri raccomandare di scrivere bene, e quando aia bnooo il con-
tenuto (moderna eleganza) tutto salvo.
53. (1d libro antiquitatoro). lllum elige erodi-
torero, qaero magis roireria in aoii quam in
alienis.
53. Scegli a niaealro chi ha pi di suo che
non di quel degli altri.
Non dice molto diverso Seneca, ep. Sa : Eum elige adiutorem^ qutm magis admire^is cum
videris quam cum audieris, ^
54. Aot diligendi soni docloret aut non au
diendi.
54.11 m ^ l r o o amarlo o lasciarlo.
A. P. Invitiamo il lettore a notare qaanto fia savio il precetto: quello che concilia il maestro
al discepolo non sari mai la forza, ma la persaaiione e affetto: ie no; si avr disciplina da
caserma, ma educazione giammai.
55. Inimicorum dicta negliguntor non minus
ipfit.
55. Delle parole del nemico se ne fa quel con
to che d lu steuo.
A. P. Negliguntur. Qui sarebbe da lare delle riserve. Siccome uomo inclina a pensare di s
sempre iavorevolmente, ed rado rhe trovi un amico del cuore che Io aiuti a correggersi, e d
coi sia disposto accettare le correzioni, non sempre vero che il biasimo di un avversario sia
da tenere in nessun conto. Ci pu far avvertiti di qualche difetto cui non avremmo altrimenti
conosciuto.
56. Omnia nosse impossibile : pauca non lau- I
dabile. I
5G. ^e impossibile saper tullo^non bell
poi saper poco.
A. P. La prima parte della sentenza tratta dal a.* De re rust.^ 1. i , nemo potest omnia
scire. Se a un nuovo Varrone capitasse sott occhio uno dei libri di letlara.che noi ammanniamo
ai nostri bimbi dovrebbe ricredersi. Per nulla chiamiamo barbari i secoli andati noi.
57. Sunt quaedam quae eradenda essent ab
animo scientis : inserendi veri locum occupant.
57. Dair animo di chi impara ci sono delle
erbacce che bisognerebbe sterpare, le quali tol
gono il posto alla seminagione del vero.
A. P. Eradenda sunt quae sciendi veri. Raccomandiamo agli educatori questo pre
cetto. Quanto non a lagrimare il poco rispetto che si ha alle anime giovanili ! Da tutte le parti
si muovono lamenti che istruzione mette cos poca radice, ma intanto non si rerca e non si
cura se pur troppo prima del buon seme sia stata seminata la gramigna che impedisce la nuova
coltura. Questo molto pi a ragione va inteso della edarazione morale, che, gnastn, produce trop
po spesso piaga insanabile.
Questo pensiero espresao anche dalla sentenza che segue, che mollo probabilmente non
che una continuazione della precedente :
58. Incorruptum adolescentem docere unns
labor est : corruptum, vel duplei, vel nil profi
ciens. Sapiant vasa quidqoid primum acce)>ernnt.
58. Educare un giovanetto innocente la una
fatica, P educare un viziato come due o b bulli
via, che la botte d del vin che ha.
*457
DI . TERENZIO VARRONE i458
. Iridue il docere chc ivi doceri. Nel cod. P. la chma divena : sapiunt ^ata quicquid
{primo aggiunto di altra mano) conceperint. Sic est et de infantibus.
La prima |>arle della senlenz consuona con no frammento varroniano (ed. Riponi., pag. 321),
magnum est enim {ut Ariston scribit) in primordio puerili^ quemadmodum incipiat f i ngi ; ad
id quasi evadit, Varrone aleiao avea scritto un logittorico De liberis educandis, dote iniiste
molto tal cominciare dalla primitiima el ad Dilillare le virt negli aqimi dei giovaoi, e ricorda
le core che ti ebbero per la taa prima edacazione. una ferit cos lampante che nessuno ardisce
negarla .... a parole.
59. Contrarie opinare pluribos, nec in oroni>
bot coiifenieut nec in aliquibus inconlingens.
59. Pensare diferso dagli altri, n sempre
conviene, n sempi^ sconviene.
A. P. V incontingens un barbaro neologismo. Jl concetto delle sentenze non ha d' uopo
di schiarimenti.
60. Multom interest utrum rem ipsam an li
bros iospicias. Meus est, clamet philosophia, qaem
rea ipsae docoeront
60. Molto ci corre tra lo studiare sulle cose e
lo studiare sui libri. Mio, grida la filosofia, quegli
a coi b natura stessa fu maestra.
A. Inpieies. Il De Vii divide in due la sentenza. Non disjiiaccia sentire anche Seneca : Sa
piemia non t st in litteris : rts tradita non verba (ep. 88, 3 8 ) ; philosophia non in verbis
sed in rebus est (ep. 16, 3). E cos pensava la scuola stoica. Noi diremo, che la prima parte
della sentenza de?e accettare a chius'occhi da ognuno: non ci sottoscrivereio alla seconda
tenxa qualche riserva. Imperocch la sola conoscenza delle cose non filosofia, ma lo studio ri-
eet i o: di pi, non pu essere escluso da quello belliuimo studio tutto ci che non si pu co-
notoere intuitivamente : noi ci accomuneremmo allora colla stolta tcuula dei materialisti, peste
della nostra civilt.
61. Libri non nisi scientiarum paupercula mo
numenta sunt : principia inquirendorum conti
nent, ut ab hit negotiandi principia sumat ani-
nut , nil aliud agens nisi forte propter idipsum
intermittit, ne omittai.
6 1 . 1 libri non contengono che una parte as
sai misera delle scienze, esse segnano solo il prin
cipio da coi deve muoversi per quelle ricerche
che occuperanno animo nostro senza staccarlo
se non tanto quanto necessario a non soggiace
re alla fatica.
A. P. H. D. Senonch il P. fa due sentenze di quella che manifestameote una : la aeoonda
parte intatti, tola, non d tento. Del retto vero che i soli libri non bastano per fare un nomo
di scienza.
6a. Eo tantum studia intermittantur ne omit
tantur.
6a. Interrompi lo sIndio sol qusnto basta per
non lasciarlo.
A. H. Nelle edizioni e codd. vi ha variet di lezioni, ma non importanti. In H. D. seguita:
gaudet natura varietate^ che noi assegniamo alla 66. Nella nostra sentenza si consiglia di prendere
di quando in quando un solliefo, acciocch lo spirilo troppo abbattuto non si disaUaori dello
studio, e lo lasci.
63. Iniucunda tunt studia, quae non otium
exhilarant.
63. Sono sgraditi gli itudii che non danno
tollievo.
11 cod. A. Iniucunda sunt seria : studia nel P., e mi parve da preferire. Udo tludio in
fatti che non detse qualche soddisfazione allo spirito non sarebbe continuato: bisogna th ade
schi animo con quella certa attrattiva tutta spirituale che adduce la ricerca del bello e del vero.
64. Pauca scieiitibos eodeoi ipsis taedio fiunt. | 64 Scarso sapere disgustoso.
A. P. La ragione forse, perch qusndo uno si mette allo studio scoprendo dioaozi a s
immenso campo che avrebbe a percorrere, si sente accasciato e arvililo, e qualche volta vor
rebbe non avervi mai posto il piede.
Sbstbizb v i M. Tee. Vaieohb. 9*
'45d
S E N I E N Z E I 4C0
65. Nil illi laedio cui inquirendurum amplae
ct mullae palent viae.
A. P.
G6. Pulcherrimus locus lemper aiaidenti odi
bilis esi : gaudet nalora Tarielate.
65. Ghi negli siudii pu S|>aziare |er lungo e
per largo non conosce noja.
66. Ogni bel giuoco dura uo poco, difatli il
mondo bello perch vario.
A. Il cod. P. ... colla lezione locus est assidenti odibile non d senio.
67. (In moralibus) Nil magnifcum docebit
qui a se nil diilicit.
67. Nienle di bello insegner chi non ha im
parato da s.
A. H. D. P. Qui ex se ipso. Lo Chappuis traduce: Science emprunte ne f a i t point un
maitre remarquable.
68. (Ili libro moralium) Falso magistri nuncu
pantur auditorum narratores : sic audiendi sunt
ut qui rumores recensere magis ducunl.
68. Male sono detti maestri quelli che uoo
sanno che ridire se non cose udite : tanto nrebbe
lo slesso che sentire un contastorie.
A. P. ]n n manca la seconda parte. Questa sentenza non che uno svolgimento della pre
cedente e appartieue allo stesso contesto. Piace intendere ribadita la necessit che no maestro
non sia un semplice ripetitore d quello che ha letto ed intefo, ma che invece debba stodiare da
s, essere padrone della disciplina che protessa, a modo che solevano molti dei celebri uroaniil
italiani che resero famose le nostre scuole, quando era sconosciuta quella valanga di commenti e
illustrazioni che non lasciano al maestro altra fatica che quella ben facile di scegliere Ira i
molti che gli si proferiscouo a guide.
69. Non deprehenditur mentiens in bis quae
neino novit.
A. P. Avviso ai geologi e ai Bsiologi.
70. Viriutes ex tempore mntant genns.
69. Le bogie provano se non c' chi le spirati.
70. Le virt auumono un istante per aUro
faccia nuova.
Questo e li tre legitcnti si trovano senza variet in A e P. La interpretazione dubbia.
71. Simplex improbabilium
tia est, laus infnita, probatio.
erlio, demen- 71. Chi afferma senza prove coie inverosi
mili malto, chi le prova ha gran merito.
Vorremmo credere che le parole sieno dette per ironia: se no, verrebbero incielati i ctor
malori. non raro il caso di veder gli assurdi pi marchiani difesi con uo tal profluvio di
pretese ragioni, che i gonzi, non sapendo donde rifarsi, si dsnno per vinti. h il Talleyrand fu
profeta !
72. Excedere communem omnium vel plu-
rium cognitionem pulcherrimum est, si modo
non insanis.
)2. Se non pazzia generoso ardimento
allontanarsi dalle credenze aniversali e dalle opi
nioni dei pi.
V. n. 59. Per tempi in cui gli errori universali avevano seminato rovine da ogni parte e
quando non si vedeva da nessuna banda risplendere lampo di verit, quando il pi savio era
quello ch ingollasse meno spropositi degli altri, poteva avere un merito questo ardimento. S ' in-
tcMde che applicata alla civilt cristiana questa sentenza falsa, poich quella ci d un complesso
di verit da cui non lecito allontanarsi senza rinunziare oltre tutto il resto, anche al buon senso.
73. Aelales rum earum moribus mulari non
minus laudabile quam honeslmn,
Alla quale si congiunge la seguente :
73. A ogni et il suo costume, e il seguirlo c
lodevole ed onesto ;
i/ | 6 i
DI . TKRKNZIO VARRONK
<6
74* Tam riHentla io sene puerilitat qiiam ob-
slupeaceocla in puero oplimorum rooruro con
stantia.
A.
^5. Eril quoil omni planum omne nulli ape
riendum.
74. Perch se fa da rdere un vecchio tlie
bamboleggia, ta stupire anche un ragatzo coslanie
nel bene.
75. Inutile spiegare ci che inifso da lull'
A. 11 P. oratione scambio di omne. La sentenza giustissima, ma non sempre applicala : :
qual altro merito resterebbe a tanti e tanti, se venisse loro tolto quello di sfondare porle aper
te? qua mi fermo per timore che non mi s intuoni il: medice^ cura te ipsum.
76. Nunquam prudentia docuit : res ipsas
consule : in his negotiari oportet si verum vis
eluceat.
76. L accortezza non si comunica: ne vuoi
che ti si disveli la luce del vero, fatti a ricercarla
e a domandarla alle cose.
A. La lezione del cod. P. accolla senza alcuna annotazione dal De Vit depravata. IVis
quem prudentia docuit res ipsas^ consulem negotiari oportet in iis.
77. Hae rea non sunt quas verborum fecit
venustas.
77. Le cose alle volte non sono quali le mo
strano le belle parole.
A. P. Sennch in questo secondo la sentenza comincia : si ve/i mihi vis eluceat^ che ho
lasciata alla precedente. Non sono senza dubbii tuttavia sulla bont della lezione, parendomi so
spetto hacy che forse ai potrebbe soaliluire con verae. La interpretazione approssimativa : gi
lo Ghappuis aveva tradotto : le charme des paroles nout trompe sur la valeur des choses.
Ad ogni modo vi hanno occhi abbastanza acuii per penetrare il velo trasparente della parola,
e per discernere tra una venust schietta e quasi non dissi verginale, e nna per quanto si voglia
accortamente simulata e affettata. Al pubblico poi, che d' ordinario beve grosso, non diflcile
vendere lucciole per lanterne.
78. Il vero di una scrittura non chiara s de
duce da tutto il contesto.
78. In scriptis, quod verum est, ex proximo
sumendum, quum id ea non explicant.
A. II P cum ea ita non explicant. La sentenza, per me almeno, oscura, l o Ghappuis tra-
luce : Quand un texte manque de clart^ il n' en f a u t pas tirer de sens de trop lon. Non
accetterei cos senz'altro, perch parmi che quando uno scritto sia oscuro e confuso, per
ricavarne il netto bisogna risalire tanto indietro finche si possa trovare un filo che ne guidi: a
meno che autore non volesse dire, che le interpretazioni non devono essere troppo sonili. Resta
sem(9re che la versione, se non erronea ambigua, s'intende, per quello che ne pare a me.
79. Odere multi philosophiam, quia, cum sci-
ri multa necesse sit, non est rcs tanta nisi amplis
contenta spatiis : cum libet evagari qnocnmque
quid dubium est viam invenit.
79. Molti voltano le spalle alla filosofia, per
ch richieiie molto sapere e il suo regno im
menso, dovendosi far strada da ogni parte che
sia un dubbio a schiarire.
A. Il P. divide in due la sentenza, cominciando la seconda da cum libet: questa parte cnj
spostata non doveva offrire molla difficolt alla inltllgenza, e, se mal non veggo, oscura del
pa5so la spiegazione del De Vii : quuni deflectant aliqui a proposito^ omne quod dubium est
viam invenit. Mentre se questa parte 5a presa da sola non potrebbe significare altro (he que
sto : quando non si abbia un fondamento di dottrine, certo b5ogna finire col negar tutto o, per
dirla alla moderna: il razionalismo non ha altra uscita possibile, die lo scetticismo. Io accetterei
volentieri la divisione della sentenza, e Io scambio di quid in quod^ interpretandola al modo
ora detto.
Non si pu negare poi che gli stessi filosofi di professione contribuiscono di fatto a mettere
in discredito la loro scienza, perch ne assiepano di qneslioni intricate e forse insolubili i prin
cipii, che proprio uno strngimenlo di cuore, e snervano quelle forze che si dovrebbero con
servare integre affine di percorrerne ampio campo, che, come dice il nostro arelalogo, il piA
vasto di ogni altra disciplina.
i46S S E N 1 E N Z E
.464
80. SpectaculuiD eapienli pulcherrimum phi
losophiam iouiUem meolientef, quoDtro noo
pollicetur dTlias, tludiorom foem ; est aulero e
contrario pollicitant contemptum imperiosum.
80. Quanto non deve alo pini un tapiente al
leotr chiamare inutile la filosofia, perch non
propone come ultimo fine degli atudii la ricchet-
ta, ami promette d'ispirarceoe un solenne dis
prezzo !
A. 11 P. mollo discosto : comiocia da spteta dici studiorum ftnem^ poi come seconda sen
lenza est autem e contrario pollicitant contemtum. E imperiotum trasporta a capo della
sentenza che seguita.
81. Diadema sapientis philosophia quoniam in
mente sita esl, praemium et menti ioserendum
promittit ; fortuna oorpori, ipsa enim in corpo-
re : hanc imperitum vulgus videt, quia solo uti
tur oculo corporeo, corpore sitam, quae corpori
sunt pollicitantem : illam autem intuentur quos
mens altior erexit, studium provexit, ohlectamen-
tum attraxit.
81. Diadema dI sapiente Ia filosofia* perche
ha sede nella mente, e alia mente solo promette i
suoi beni : del corpo si prende cura la fortuna : e
perch essa s esercita tu\ corpo e ne promuove
la felicit, il volgo imperilo il quale non sguarda
con altro occhio che col corporeo vede sola la
fortuna, mentre uno spirilo qobile educato dagli
studii, attratto dagli allettamenti della filosofia,
noo pu a meno di non essere tempre a quella
rivolto.
A. Nel cod. P. ha nna varianle se non da preferire, cerio notevole, u lllam aotem intuentur
quos altior mens erexit. (Si) bine vita proceuit, oblectamen [rum] atlraxit. n II senso di lutto al
tratto chiarissimo.
62. Imperabis regibus, si imperes fortunae.
Qui scies ? Contemne ipsam.
8a. Sopra i re della terra avrai dominio se
reggerai la fortuna. E come? Disprezzandola.
A. 11 P. si scias contemnere ipsam. lo stesso pensiero che trovammo alla sentenza n. 19.
Questo disprezzare la fortuna era il tema obbligato di tutti i filosofi, massime stoici : lo predi
cava anche Seneca cinquanta volte milionario e cortigiano imperiale.
83. Non quae vel quot legeris, sed quae vel
quot scieris attendendum.
83. Considera non Ia variet e Ia copia delle
tue letture, ma la verit e la copia delle tue 00-
gnizioni.
84 Chi sa tutto di tutto, sa nulla di nulla.
A, P. sed quot scias.
84. Nil novit qui aeque omnia.
A. P. E noi sogliamo anche dire: guardati dall' uomo di un libro solo.
85. Cito trascnrsa citius labuntur. | 85. Acqua che scorre noo penetra.
A. P. F. H. D. A questo difetto hanno trovato rimedio certi tali col fare copia al secolo delle
loro Impressioni letterarie.
86. Sic multi libros degustaut, ut convivae
delicias.
86. Molti assaggiano i libri come le vivande
ad un pranzo.
A. H. F. D. 11 P. Disciplinas gustant^ ma non buona lezione. E trovi giovanotti di
primo pelo che a vent'anni non unno pi qual libro prendere in mano: e bisogna che editori
ad hoc pensino a manicaretti sempre pi appetitosi o pircanti. Ascoltino questi cotali cosa dice
con bellissima grazia autore della sentenza che segue :
87. Reouil philosophia faitidientera stoma-
rhum : ad simplicem coenam hilarem invitat con>
vivam, sed mutat pro tempore deliciarum varie-
Utem.
87. La filosofia oon vuole alla sua mensa sto
machi di carta pesta : elP ama chi con gioia si as
side al suo pasto frugale, che sa rendere delizioso
variando a tempo e luogo le imbandigioni.
A. In P. la sentenza mutila e corrotta.
i465 DI . TERKNZIO VABRONE 1466
88. Chi gira e rigira non li raccapetta mai. 88. Nescit quo leodat qui laallas tequitur
semitaf.
A. P. Setfuitur vias, E vaol dire che per riusciru a qualche cosa negli stndii bisogna pro
porsi uno scopo, e a questo dirigere letture, ricerche, ecc. Chi legucchia oggi un libro di filosofa,
domani uno di storia e poi d fisica e poi e poi ... di ogni altro argomento che gii* capiti tra ma-
Do, non far mai profitto che valga. Il concetto della seutenia par tolto dalla Ep. 4^ Seneca.
89. Taotum vasa retinent, quanto capacia
suDt; addita emanant.
89. Getta una goccia in vaso pieno fino al>
orlo : trabocca.
A. C. lo P. r e t i n e t e m a n a t . Il commento a questa sententa vecchia assai, na sempre, nuova
te lo fanno le mamme quando i loro bimbi tornano a casa da scuola colla testa come una zucca ;
e poerini ! anche s incolpano se il loro cervellino non ha conservalo tutto quel ben di Dio che
vi s voleva riporre : ma piova vuol essere, cari miei, non tempesta.
90. Non quaecaroque auris tuseipit et me
moria.
P. In a manca Pe/.
91. Canale fissura aoris, quae accepta memo
riae non commendat.
90. Beali noi se restasse nella memoria quan
to entra per le orecchie !
91. Canale sema sfogo orecchio che alla me-
inoria non trasmette quello che ha udito.
A. P. H. D. Come apparisce, la oottra non ona versione letterale della seuteoia, perch
canale fissum propriamente un canale, il quale avendo guaste le sponde sperde Tacque; ma
abbiamo preferito dare un altro tornio alla frase, perch rispondesse pi all' nffiiio dell orecchio.
A. P. C. H. D.
93. Nusqoam deveniet qui, quot videt sequi
tur calles.
A. E quasi una ripetizione della sentenza 88.
93. Omnia omnibus, vel pene adimss ; pau
perculum ex non ademptis divitem appellabis ;
est igitur pauperies minoribns ampliores aliorum
divitiae. Si nemo plus minosve alio possideat,
iam haec nihil sunt ; ex invidia igitur paupertatis
nomen profectum.
92. Non verr mai a capo del suo cammino
chi si mette per quanti viottoli incontra.
93. Fate repniiiti o qoi||i dei beni di tutti,
quel poco che resteri a un nomo poverissimo ba
sta per farlo chiamare un Creso ; povero adun
que quello che possiede meno di nn altro: se
nessuno possedesse pi o meno di un altro non
vi sarebbe n ricchi n povm : invidia sola in
vent il nome di povert.
A. Il P. divide la sentenza in due e preponendo la non all* ex ademptis oscura tutto il
concetto. NelPed. dello Chappuis dopo aliorum divitiae si legge Jelicitas et infelicitas ex com
paratione, non secundum se sunt^ parole che sono nel solo cod. C., e che io giudico niente
altro che una glossa. Io Chappuis le chiude fra parentesi quadre, il De Vii le accetta senza far
sene alcun carico.
La sentenza non mi arieggia Varrone, ma uno di quei filosofi che si compiaccino a sfoggio
di erudizione lavorare sopra ipotesi anche impossibili. Lo Chappuis cerea di puntellarsi per opi
nione contraria con cercare altri psssi paralelli che addimostrassero il pensiero varroniano, p. e.
De 9ta P, R, : pecunia quae erat parva ah ea paupertas dieta. Ma sono confronti inutili. Non
si tratta qua di cercare etimologicamente origine della parola povert, si tratta di stabilire che
cosa il popolo intenda sotto questa parola, e se il concetto sia esatto. La bisogna corre diversa-
mente. E lascia pure che erudito riesca sottilizzando a mostrare che uno pu essere detto a ra
gione povero, possedendo centomila io confronto di chi possieda un milione, non si acquieter
per questo il gagliardo appetito di chi non ha nn tozzo da mettere alla bocca ; e poi, inutile
provarlo, Tuomo non guarda chi ha dietro a s, ma chi gli va avanti. E come fare altrimenti?
467
S N E N Z K i4<>8
La seotenu itlunque, se pur la tuo chiamar tale, Ji c|uc)U. die laxcUno il lempo che Impa
no, almeoo fioo a che non sorgeranna catli novi et terrae no\^ae.
94. No q iiemuf paupere, si iiescremu quid
eMet paupcrtai.
94. Non potero hi ignora che coia sia po-
?erl.
Anche Don Ferrante, quando iulti' Iremavano per la peste che cominciava a lare stragi, pro
vando che la peste non era n Bostanza n accidente, conchiudeva che peste non cc n' era; ma
la peste sfatando i sottili sillogismi del filosofo mieteva le sue vittime. La favola significa roa
il lettore l ha colla per aria e basta.
95. Nescire quid sit paupertas, oplimus est
ad summas diviiias progressus.
95. Chi sopporta povert sulla via di gran
di ricrheiie.
A. H. D. quid est. Nel cod. P. la lezione scorrettissima. i>a sentenza non che una
ripetizione della precedente; o, diremo noi, una doppia trasiormazione di un solu concetto, sia di
Vairone o di altri. Le errate lezioni dei codd. avevano suggerito alP Orelli la emendazione: as
suescere paupertati : il De Vii gli d su la voce; ma non parmi che meritasse : la sentenza ci
guadagnerebbe mi tanto: perch di chi ignora che cosa sia la povert non si pu dire che sia
in strada a diventare ricco, ma che ii^^cco veramente, come abbiamo nella sentenza 94. Al con
trario, propriamente un progressus cominciare a sopportare con pazienta le strettezze della
povert, scemare i bisogni, moderare i desiderii, contentarsi di pochissimo, onde anche nelle an
gustie si pu aver l animo cos sereno, cos temperato da non invidiare a chi nuota nelle agia
tezze. Crederei che la correzione delP Orelli si potesse giovare anche di un luogo di Seneca,^
Ep. 62: brevissima ad ditntias^ ceu contemptum dipiiiarum via est, K Varrone avea cantato
nella Satira Menippea :
yon f i t thesauris^ non auro pectu' solutum^
Non demunt animis curas ac religiones
Persarum montes^ non atria divitis Crassi.
96. Non est miser, nisi qui se creJil esse. 96. Non infelice se non chi si crede in
felice.
A. F. U. vero, perch, vi sono tanli che pare facciano a bella posta per stare a questo
mondo peggio di quello che ordinariamente si vive : cercano malanni da per tutto : si fanno ombra
di tutto : credono che i loro mali nou abbiano rimedio, e cos si affannano, s cruciano, vivono
molesti a s stessi ed altrui. Ci sarebbe invece Parte di goder sempre; roa i precetti non ne sono
insegnali dalla flosoBa, n hanno l'uomo per autore, ma Dio stesso.
97. Vis fieri dives? Nil cogitando tibi addas,
sed aliis demas.
97. Vuoi farli ricco? Nel tuo pensiero del tno
non sbatter nulla, di quel degli altri sbattine met
della met.
A. C. Ecco che cosa ti pu insegnare la filosofa: fabbricarti dei castelli in Spagna: quel tal
altro maestro, di cni ti parlava test, insegna invece a non desiderare punto punto quel d' al
trui, e quella che ancora possiedi di tuo, credere cosa come a prestito e non in propri modo
oltre che vero anche pi sbrigativo di quell'altro impaccialo di levare agli altri e aggiungere a
a e tutto a furia d'immaginazione: ti crescer il solletico e nulla pi.
98. Ex minimis morum sumere signa licet. I 98. Da P unghia si conosce il leone.
A. C. Nota che hai qui un pentametro : onde, tranne che fosse ortu*o, la sentenza appari
rebbe dimezzata. Il concetto del nostro luogo giustissin^o : non nelle grandi occasioni che
impari a conoscere P uomo : allora sa di essere osservato e si bada : quando segue il sno natu
rale un nonnulla te lo fa conoicere proprio intus et in cute. Non c' era un tale che studiava
gli uomini dal modo con cui si annodavano la cravatta?
469
. TKRI iNZI O VAKRONE
'4?o
99. Dum vulgus colti iuslilini nil interest
utrum vera praedices.
99. Purch il vulgo onestameole vira, poco
mi preme di quel che gli predichi.
A. 11 P. ha una lezione nolevote: Dum vulgus colat, nihil interest an vera et f al sa
praedices.
Questa seotema considerata nudamente farebbe certaroente sorpresa, perch, trattandosi qui
deir iosegoameoto religioso, non si potrebbe capire senz' altro, come si chiami indifferente inse
gnare una o altra cosa, e come si possa sopporre che da un insegnacneoto falso seguili mo
rale buona. Ma bisogna che ci riportiamo ad altri tempi, e per non dilungarci soverchio ci
restringiamo al popolo romano. Nel primo periodo della vita romana si areva uniformit di cre>
denze e di culto : le flesse tradizioni erano accettate eoo eguale rifpetlo da dotti e da indotti,
dal nobile e dal popolano. Cominciatosi a sentire il bisogno d'investigare le origini e le ragioni
del rullo, doveva necessariamente sorgere ona divisione: l'uomo colto e sensato non poteva ac
cettare quel cumulo di favole; quelle tradizioni mitologiche tante Tolte disoDoreToli, e quindi o
si diede ad allegorizzare e abbracoi ona tpecie di razionalismo, o a dirittura rigett lutto in
massa e divent epicureo, scettico. 11 volgo non penetr queste ragioni dei dotti, e eontinn a
venerare il suo Giove, il suo Mercurio, la sua Giunone e gli altri suoi mille numi, a celebrarne
le feste, a freqaentarae i templi. E tra i due mali fa questo certo il minore, perch guai a un
popolo che non abbia un culto e una tradizione religiosa ! Quindi Varrooe tTea stabiliti tre ge
neri di teologia ; uno per i poeti, uno per i 6I0S01, uno civile per il popolo, e sosteneTa che tante
cose tametsi fal sa sunt, bisogna continuar a dirle. Cos pensaTa Cicerone, come abbiamo avolo
altre volle occasione di notare. Varrone fu dello per questo sovvertitore di ogni religione: non
vero, soggettivamente: esso cercava di sottoporre alP fdifizo crollante d'ogni parie puntelli;
ma non c'erano puntelli che bastassero a impedir; la rovina di un ediBzio sfasciato.
joo. Timorem mortis vulgo non demi sed
augeri, uli expedientius, oporiet.
100. Non spediente torre dal popolo il ti
mor della morte; meglio piuttosto Paccreicer-
glielo.
A. P. Ommette vulgo vel augeri^ uti expedii.
tulit.
. Multa scit sapiens quae cum nemine con io 1. Tante cose sa il savio che non le dice a
tutti.
A. P. C. Avviso per chi sdottoreggia a diritto e a rovescio senza altra scienza, forse, che di
frontispizii e d' indici. Questa petulanza giovanile, ora tanto io voga, disgusta tanto quanto impo
ne rispelto il riserbato, prudente e modesto conlegno dei dolli davvero.
ioa. Ex meditato non duceris in causam.
i
i o a .
giodizio.
loa. Per quel che pensi non sarai tratto i
C. A. mediato P. praemeditato. un aforitmo legale vecchietto 00 po', perch ora
neppur intimo pensiero salvo dall' occhio fine di alcuni giudici, che nell' accusalo condannano
fino la capacit a delinquere. Be' me' teopi antichi qoaodo osa? qaest aforismo legale 1 Oofea
ben esaer sor la soa parte quella gente!
%
i o3. Lingua mente unqne ooceotiua est. | i o3. Danneggia pi la lingua che il pensiero.
C. A. est nocentius P. nocentior est. Finch il pensiero non tradotto io opera non
fa male a nessuno, intendiamo nelle relazioni sociali; mentre il lasciarsi padroneggiare dalla pr-
pria lingua pu tirare addosso malanni n pochi n leggeri. Quante Tol t e ognuno di noi non^
avr dovuto esclamare : ah se non avessi parlato ! E si avrebbe qoi no cam|K> larghissimo da
moralizzare, se non fosse vero che si tratta di cosa a cui tutti, chi pi chi meno, hanno reso
testimonianza colla propria esperienza.
104. Non miraberis viscera ad videndum quid
senseris.
104. Non scruterai i visceri per conoscere le
tue opinioni.
l 4? I
A. lo P. la leiione corrotla. Auche la nostra per oicarelta. Non crederei che si do
vesse spingere U cosa lanf oltre da ritenere, che le parole sieno ana formale e assolala condanna
di ogni divinazione, e lo Chappuis a torto arreca la leslinjoniania di Socrate affidala ai Memo
rabili. Certo che n Varrone n Cicerone n altri savH potevano credere alle divinazioni, ma non
era uso di Varrone di condannare come mal fatto quello che era accettato universalmente dal suo
popolo. Direi che autore della sentenxa oondannwie uso di aspettare per la via ingannetole
deir osservare le viscere delle vittime, la rivelazione di ci per coi safficiente la riflessione della
coscienza. Anche nel senso pagano la dividazione non poteva avere alcun valore se non rispetto
air avvenire.
io5. Ad moref et opinooet audientiam pru
dens vocem tormabU.
io5. A chi pitee il bere parlagli del vino.
P. A. formabit C. opiniones hominum. Le parole vanne intese in buon senso, perch
s'* intende, che aatore boa consiglierebbe mai il parlare sboccato e peggio dei libertini, tra i
quali a caso li abbattessi.
io6. In singulis excellere et nullum prontere
tam laudabile quaio difficillimum est.
1 6. Saper d'ogni cosa bene e non parere,
difficilissimo e degno di lode.
A.
107. Innatum est coique tuis bonis gloriari ;
differt autem qnod sapiens pud se, imperiti in
publico.
A. C. cuique est.
108. Dignus est decipi qui cuius rei auctor,
eius et laudator est.
107. Naturale che ciascun se ne tenga dei do
ni suoi ; ma tra il saggio e lo stolto ci corre que
sto, che Tuno li dice a tutti, Taltro li serba in s.
108. Chi si loda s'imbroda e n' ha le beffe.
A. C. Rei est auctor et laudator est. P. Rei est actor et eius laudator. Ci pensi
dunque due volte chi non seguita altro consigliero che Pamor proprio, il quale fa vedere tutto
eoo occhiali di massimo ingrandimento.
109. Non tam modeste quivis tua miralur
quam aliena ; hoc autem fit quoniam nemo sibi
invidet.
109. Con noi non siamo tanto taccagni di
lode quanto con gli altri, per la gran ragione che
nessuno ha invidia di s stesso.
A. C. H. D. In qualche cod. manca la seconda parte. Anche qua la bella favola delle due hi-
aaocie trova una utilissima applicazione. Nelle Satire Menippee in pi d*un luogo Varrone si
prende gabbo di quegli uomini piccini piccini che si credono qoalcbe gran fatto.
110. Utilissima est propriae invidiae morda
citas scribenti publicanda. Quibus fuerit f ^ l e
ignoscendum, id mordacius lima coaequet.
110. A chi manda al palio le cose fae, va mol
to bene che ci aia chi gK riveda il pelo : con chi
poi Cs a fidanza col publico, allora quante legnate
altrettante indulgente.
La sentenza ai trova con molla variet nei codd. Lo Chappuis ha raecolto le differenti lezio
ni che qui lasciamo per brevit, perch non ce n' ha alcona che eambii il aeneo. 11 lettore coUsen-
teri che n i dispensi da alena, commento, perch^ dovend io faM prprio fidenta eolia sua
benevolema non poaso aagonrmi d me stesso tanta tempeala.
I I I . Imperitiae signum est, qnod difficilli
mam est exigere cito fieri.
1 1 f . Mostra stoUezxa chi vuol fatto presto ci
che a fare difficilissimo.
A. H. D. La dedichiamo a molti Mecenati.
473
DI . TKRENZIO VARRONE
'474
112. Nanqaam illi ars proderit, cui non pri
mum profuit exercitatio.
Ita. A chi prima non frova non gli gio?an le
regole.
A. C. V. Ma, caro maeilro delle senteoze, le regole ioiegnano a rigar diritto, e te vai, an
dando lolo, a ighirobescio e tmarrisci la Ta, se poi non ti raccapezzi pi, di chi la colpa? Una
Tolta insegnavano, che nessun nasce maestro, e il maestro un regolo, pur troppo 1 tante volte
di legno, ma sempre un regolo che insegna a fare. Dunque per andar bene prima le regole ; aju-
lalemi a dire, prima le regole ! a dispetto di qne' molti d' oggi che le chiaman pastoje e dance.
i i 3 . Nulla iactura gravior scienti, quam tem
poria.
I I 3. u II perder tempo a chi pi sa pi
spiace, w '
A. V. H.
1 14. Se utitur qui tempore. | 114. ProfUar del tempo profttar d sslesso.
Nel cod. A. questa sentenza congiunta colla i i 5, nel cod. P. colla i i 3.
i i 5. Non vivit qui cum bene agitur si vivat :
(in libr, antiquitatum) vita non sui causa ft :
aed ut ea praeclarum aliquid fiat. Viatores non
eunt ut eant.
1 15. Chi vive tanto per vivere si pu dir che
non viva. Non siamo nati solo per vivere, ma per
tare della vita Tuso migliore. Che direstu di
chi viaggiasse tanto per viaggiare ?
A. P. cum <fuo ed omette si vivat. In altri codd. manca lotta la prima parte che si deve
intendere per discrezione tanto scorretla.
1 16. Ad quod niti socordia non patitur, id
otiosi Totis sibi attribnont.
1 16. ozioso colui che si fabbrica in fantasia
ci che per indolenza non sa ottenere.
A. C. l il proverbio non ci ricorda: che pensiero non pag mai debitof
I l 7. Ex illaborato maxima attingere deside
rat omnis otiosus.
117. L' ozioso vuole fare e strafare, ma senza
scomporsi.
C. A. maxime. Altro proverbio ci dice: che l inferno tappezzato di buone intenzioni!
118. Inertes ad quae niti nolunt volis inhiant.
P. C.
119. Sic diligendi sicut amici, ut nos nobis
odio haberi putemus, si amicos.
118. 11 pigro propone sempre, ma non si ado-
pra mai.
119. Amiamo gli amici cosi da credere che
odieremo noi stessi odiando amico.
11 De Vit unisce a questa la seguente, e non mi fa meraviglia quindi se non ci capisce niente.
lao. Ex assiduitate commorandi languet ami
citiae desiderium.
lao. Lontananza non nuoce sempre ad ami-
stanza.
A. G. Uno degli eleganti scrittori del giorno d' oggi non si avrebbe lasciato scappare occa
sione per dire, che la consuetudine deleteria. Del resto vero che la convivenza se non scema
amicizia, la toglie quel certo che di vivacit e di ardore, che era ai primi tempi in cui fu
conchiusa.
121. Ne bonus sit quaerit qui otii causas se
ctatur.
. V. F.
SliKTRIfZE DI M. T e B. VAfiEOItB.
l a i . Chi va in cerea d' ozio perde bont.
i)3

S E fc IO
1476
122. Qui in magnis ncellit ioviliii eliani lau-
ilabiliir.
122. Chi bravo ilawero, non volemlo, ha
gloria.
. C. V. V. ecc. Ma il cod. P. etiarn in i^iiiis laudabitur. Questa lezione probabilmenle fal
sa ; ma accennerebbe un fallo pur Iroppo vero. Scrivo questa scoledza il giorno in cui s inau
gurano i moiiuiDcnti a orino.
123. Nunijuam ad suinma lendenlem laus
fruttirlaest.
. C.
124. Heredilarium pules quidquid audisti,
iucrum aulem quee inveneris.
A. V anche , *5o.
125. Inventores laudat, qui alienis gloriatur
\ C.
126. Non slrenunm appellabis negotiatorem
qui io nullo rem auxit, nec ergo hnuc philoso
phum, qui nil invenit.
.
123. Tendi ad acquistar vera glori questa
non l fallir.
124. Considera come un bene ereditato quello
che hai inleso dagli altri, un guadagno quello che
hai trovato da te.
125. Chi si fa bello della roba altrui loda il
padrone.
126. Chiameresti industrioso un mercatante
che lascia il suo avere tal e quale, sema aumen>
tarlo ? No, vero ? LI cos io, non chiamo filosofo
chi non seppe inventar nulla.
Non si prendano Iroppo alla lettera queste parole: ha bene meriUlo della scienxa e ha diritto
al nome di filosofo anche colui che le dollrine illuilrale dagli altri raccoglie eoo ordipe icieolifico,
distriga daiie questioni inutili, riduce ad unit ecc.
127. Sic audita ineminiise Bfmgni ducimus, ut
si, nos magnis ortos atavis, praeclarum putemus.
127. Non maggior merito ricordarsi le cose
udite dagli altri di quello che nascere di illustri
maggiori.
A. P. eos magnis athavis praeclaros putemus, Ci pare che il nostro autore lia a
rij;uardo di ci che noi sappiamo per udita dire, un poco esagerato ed ingiusto.
128. Nil laudabile quod cuique est possibile. 7
P.
129. Non est telicilas quae secum recipit mi
seriam [non ergo felicem faciant divitiae].
128. A tare ci che ognun pu fare bravura
non c" .
129. Non felicit quella che ha per compa
gna Pafflitone [dunque la ricchetia non fa l uo
mo felice].
A. C. In alcuni codd. manca la seconda parte che ha tutta Paria di un gloueiDt.
i 3o. [i/i libro Antiquitatum'], Adulationis i 3o. iVlostra adulare chi non pregato loda,
est specimen cum laus postulationem praecessil.
. Postulatione. Non so come diamine potesse tradurre Io Chappuis : Louanges que suivent
les prires ne soni que flatteries.
i 3 i. A peritis non observandarum plurima
imptriliae debentur.
i 3 i. L uomo colto deve per riguardo al roz
zo volgo far buon viso a molti pregiudizii.
A. e P. ohservantorum.
'477
DI . TERENZI O VARKONE
i 4;
132. In bis excellere quae neoio noTt, pul
cherrimum est, in sciente miraculum.
C. Il P. connette qaesta colle precedenti.
133. Gloria est seieolis stupor ignorantiam.
i 3a. Anche per le scienze vale il dettato :
terra di ciechi beato chi ha nn occhio solo.
i 33. Gloria dei sapienti lo stupore degli
ignoranU.
A. C. F. Se non che gP ignoranti stanno a bocca aperta anche alle pappolate dei ciurmatori.
134. Quod experimentum docuit scriptore*
cognoscitor: quod usu non est compertam ex
scripto non est facile.
C.
135. Qaod fieri facile est dictum intelligi fa
cillimam.
A. Dicta P. Demum.
136. Non quaecumqae possit sed qaae debeat,
demonstrator ad expositionem annectat.
134. facile scoprire nei libri quello che ci
ha insegnato P esperienta ; difficile che un libro
insegni quello che esperienta non ha potuto in
segnare.
I i 35. Facilissimo a intendere quello chc
I facile a fare.
136. Quando hai qualche cosa a dimostrare,
non dire tatto qoello che dir potresti, ma quello
solo che d" uopo ad illustrar argomento.
A. C. 11 P. A d lectorem lector adducat. Piace tanto quanto raro questo riserbo. La
smania di far pompa di facile erudizione confonde il lettore o ascoltatore, che trascioato qua
e col senza sapere il perch. Diceva benissimo Varrone, nel VII De l. lat. ( 109) a questo
proposito : nemo reprehensus qui e segete ad spicilegium reliquit stipulam.
137. Non tam qaae prosant, quam quae atti
neant, considerentur.
137. Nel trattare on argomento cerca non lau
to qoello che giovi, qaanto quello che sia al pro
posito.
A. e con lieti differenze il C. ed il P. La sentenza si coogionge coir antecedente.
i 38. Citra perfectionem omne est principium. | i 38. Ogni cosa al cominciare imperfetta.
A. P. C. Lo Chappuis cita un luogo di Varrone in Aalo Gellio, XVi , 18; ma non a pro
posito, perch in questo luogo Varrone diceva che non si pu gustare il piacere degli sludii se
prima non si abbia in questi fatto qualche progresso : nel nostro invece, che ogni cosa sorge im
perfetta : s raddrizza poi collo studio e colla esperienza.
189. Va al di l del vero chi dove tutto li
scio cerca intoppi.
139. Ultra veritatem est qui io planis quaerit
offendiculum.
A. Male in P. in paucis quaerit.
140. Cam vero subdolae excedunt disquisitio-
nes et interminatae, inefficaces, contentiosae et
nil proficientes sunt sapientibus, tum pulcherri
ma sunt apectacnla.
A. sunt specula P. spectacula. La sentenza non completa; deve mancare, che que
sto spettacolo magmfico agli occhi dei gonzi.
i 4o. Disquisizioni sottili, interminabili, steri
li, spinose e di nessun pr per i savii sono (per
altri) uno stupendo spettacolo.
x^i. Contemnendi eunt ineraditoVom con
temptus, si ad summa vis progredi.
A. C.
141. Se vuoi arrivare al sommo lascia che i
botoli ringhino ai piedi.
'479
S E N T E N Z E i 4Bo
142. (lo libro moralium). Molli laodem tmil-
lunl, quoDaro ipti eam da se praedicant
A. H.
i 4a. La ftuperbia Ta in carrom e torna a
piedi.
143. Hoc ano modo sapieue le laudat, qoae in I i 43. uomo Mfio non conoece altro modo
ipso apparent bona, in aliis admirando. I di lodarsi che ammirare in altri i suoi pregii.
A. Purch, non si serva degli altri come specchio.
144* Praeclare cum illo agitur qui non men-
liens dicit quod ab Aristotele responsum est sci
scitanti Alexandro quo docente profiteretur se
scientem : rebus, inquit, ipsis quae non nornnt
mentiri.
44 Beato quegli che senza mentire pud dare
la stessa risposta d'Aristotele ad Alessandro ; che,
chiestogli quale maestro avesse avuto, si ud dire,
la natura che non inganna.
A. P. fa due sentenze, tutte due quindi imperfette.
145. Prudenti disquisitio ignotorom tanto I i 45. Qurnto pi una ricerca sottile tanto
iucondior quanto subtilior est. | pi cara al dotto.
A. Tarn quam, P. Prud. ditq. tam tue quam subt. notione ignotorum,
146. Desiderata oon habita magni fiunt, habi' I 146. Cosa desiderata ti lembra un gran fatto ;
ta ?ilescunt. I quando la raggiungi ti scade in mano.
A. C. V. H. D.
147 Nil disquirenti nil perfecte notum. 147. Nulla sa di bene chi non t u o ! cercare
da s. *
A. lo altri codd. e anche in P. la sentenza comiocia: imperitis improbabile sed verum : pa>
role che non hanno nulla che fare col nostro contesto.
4. Auditis oon disquisitis gloriari in nullo
laudabilius, quam si, cervo a venatore tibi to,
egregie a te aliquid factum putes.
P. C.
i 49 litile, sed ingloriom est, ex illaborato in
alienos succedere labores.
148. Chi mena vanto di quello che sa per
averlo sentito dire e non cercato da s, parmi da
paragonare a quello che, ricevuto in dono un cer
vo da un cacciatore, n' andasse fastoso come
avesse egli ucciso.
149. alile, ma non onorevole trarre profitto
delle iatiche altrui, senza mettervi per nulla Tope-
ra propria.
C. D.
150. Alienom est quod auditor.
A. P. C.
15 1. Sic stadeodum, ut propter id te putes
oatam.
I i 5o. Ascoltare usare di quel d' altri.
i 5 i. Conviene studiare come se nato fotti per
questo.
A. C. Se la sentenza di Varrone, nessuno avea maggior diritto che lui di prooonziarla.
i 5a. Sui domioos est qui te philosophiae man
cipavit.
i 5a. Libero verameote colui che ai dedic
tatto alla filosofia.
A. Negli altri codd. scorrettiuima.
i 48 i DI . VARRONL 1482
53. [Pfo eroico saepe mori expedit]. | i 53. Giova lalvolu morire per amico.
libro moralitatum di Malteo Farinalore, dal quale sono traile anche le tre aeguenli.
i 54 [Iniquissimiim est, booo poblico dereli*
cto, amare solum se].
155. [Varr io senleulis libro seplimo : valde
aulem Iristaolur aoima et corpas, ad sui separa
tionem, et hoc propter naturalem et intimam
qoam ad se habent unionem].
156. [Varro in senlenliii libro sexto : In nnl-
lo avaros bonus, aed in se semper pessimus].
154. cosa torpissima amare il proprio bene
privato trascurando il pobblico.
155. Varrone 1. c. L ' anima e il corpo prova
no grande dolore al leparrsi, per la naturale e
intima onione che hanno tra loro.
156. Varron 1. c. L avaro cattivo con tutti,
verso s stesso tiranno.
Marius Victor. Expos. ad Rhel. Cic. L., pag. 19, ed. Orel. : Omnis ars duplex est se
cundum praeceptum sententiamque Varronis qui ait :
Ars est e x t r i ^c os ooa, alia iutrinsecos. Vi ha un' arte nascosta, un' altra apparKente.
FINE DELLE OPERE DI M. TERENZIO VARRONE.
I N D I C E
Libri di M. Terenzio Varrone intorno alla lingua latina, riv.
trad. ann. da Pietro Canal 1*LX1I, 1-606
Intorno alle opere di M. Terenzio Varrone pag. 608
I frammenti delle Satire Menippee e dei Logistorici, trad. e
ann. dirPederico Brunetti 620
De vita P. R. 913
De gente P. R. 997
Hebdomadum sive Immaginum libri XV 10^9
De disciplinis libri IX 1065
// 1121
Tribuum liber 1127
1129
Epistolae Epistolicac quaestiones 1131
De philosophia liber ll^l3
Laudatio Porciae l
Orationum libri XXII. < 1157
Suasionum libri III ^
Legationum libri III 1159
De Pompeio libri III 1161
De sua vita libri III \
De familiis Troianis libri. ( 1163
Annalium libri III \
Rerum urbanarum libri III 1165
Ephemeris navalis, libri navales. 1167
De ora maritima 1169
Littoralia.
De aestuariis
De gradibus libri*
Ad Libonem libri
Polyandria
Augurum libri / 1173
De bibliotiiccis '
1171
47 I NDI CE , 4 8 8
De lectionibus libri 111
Pag. H75
1 1
De poematis libri 111
De similitudine verborum libri 111
1177
De utilitate sermonis
1179
De antiquitate litterarum libri
De origine linguae latinae libri 111.
1181
De proprietate scriptorum libri 111.
De compositione satyrarum 1
[ 1187
De forma philosophiae 1
De originibus scenicis.
De scenicis actionibus libri V 1189
De actibus scenicis. 1
1191
'De personis libri 111 !
De descriptionibus.
1193
Quaestionum Plautinarum libri V
De comoediis Plautinis liber . 1195
De poetis 1197
, de lingua latina. |
1199
De sermone latino ad Marcellum 1

Tragoediarum libri VI 1219


Carmen de rerum natura. 1221
Poematorum libri X 1
1223
Saturarum libri IV !
De iure civili libri XV 1225
De mensuris 1
1233
Libri singulares X. . '
Antiquitatum Rerum humanarum divinarumque . 123SL.
a) delle Antichit umane m i
b) delle Antichit divine 1299
Appendice I. Frammenti vaganti 1387
> 11. Sentenze varroniane . i a33
F I NE .

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