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D E G L I
SCRITTORI LATINI
CON TRADUZiONE E NOTE
. TERENTIUS VARRO
I
QUAE SUPE RSUNT OPERA
VENETUS
EXCUDI T J OSEPH ANTONEL L I
AVHEIS DONATUS )
M.DCrc.YMl
OPERE
DI
. TERENZIO VARRONE
CON TRADUZIONE E NOTE
VENEZIA
DALLA TIP. DI GIUSEPPE ANTONELLI ED.
DI . *
i846
L I B R I
DI M. TERENZIO VARRONE
millO UU UKGill ut iu
R I V E D U T I , T R A D O T T I , A N N O T A T I
DA P. CANAL
.M. I' eR. Va&RONI r e LL L1!(GKA L TIAA
PREFAZIONE
i er coinuDe otttI so de critici, scrive II Mulier {Praef. in Varr, de L. L,),
non V* hfi opem classica che ci sia venuta In peggio stato che questa di M. Terenzio
Varrone sopra la Lingua Latina : erano venticinque libri, e i^n oe rimasero che
sei, dal quinto al decimo ; e questi medesimi, la pi parte monchi e stroppiati.
Pensa, o lettore,*^qaal faccenda dovette essere il farne una traduzione. Dico una
traduzione, perch son certo chc questo vocabolo no 1piglieral a tutto rigore :
se ci non fosse, avrei detto meglio interpretazione ; perch In una materia, dove
s spesso il discorso vuol lu parola latiha ella uu forme nativa, una traduzione
strettamente detta non possibile ; e poniam fbsse possibile, non sarebbe qaelTo
che tu desideri, poich nessuno si mette a leggere un libro di qdesta fatta, se non
intende o bene o male il latino. Ci che pu giustamente desiderarsi una succinta
parafrasl, la quale con qualche chioserella bene innestata e quasi nata dal testo ti
faccia tirare innanzi, senza che ad ogni passo t abbi a stillare il cervello o ricor
rere a note. E questo, se non m riuscito, m'ingegnai almeno di fare ; e per fdrlo
mi convenne cingermi la giornea del critico, arrischiar congetture, rompermi il
capo fantasticando. Vero che la via era gii stata aperta e lastricata in gran parte
da due egregii filoioghi, Leonardo Spengel e Ottofredo Mfiller ; Il prmo de* quali,
per confessione del secondo, merit assaissimo di Varrone, perch con la sua edi
zione {BeroL 4836) condotta sul codice Fiorentino, ricca di congetture e riscontri,
pose quasi un muro, che non si potr mai varcare senza grw rischio, fra la scrit
tura proprie deir autore e I" interpolata {MUUer, Praef. in Fai'r. p. XXVIII) ; il
secondo poi, per confessione del primo (Philol Gditing, XVII, SB8), in un solo
anno rinscl a fare pi che non ha fatto egli in pi di trentatr anrti : tanta la
potenza d* alcuni ingegni privilegiati. Pur tuttavi lo stesso Miiller si dlcea loittaiio
dal credere ch la sua ftlca fosse Cosa compititi e tale da tenei^if campo per
molte et ; solo afidato dalla coscienza del proprio merito, ripeteva di s e dello
Spengel unitamente d eh* rasi scritto altrtl volta del Leto e del Rolandello, chc
a rimettere il testo nella genuina sua forma basterebbe un altro, il quale facesse
qtianto avea fatto ciascuno di loro due {Praef, in Farr. p, X \ e XL Ltps. 4833).
Terzo in ordine di tempo^ma lontanissimo in nerito, vengo ora io con questa
nuova edizione dell opera varroniana; e a dirtela schietta, o lettore, ti vengo
Innanzi concessa non senza qualche vergogna, pensando al poco eh io feci, rispetto
a quello che il Miiller pareva esigere da un terzo che rimettesse mano a cos fatto
lavoro. Ritoccai, vero, forse non sempre infelicemente, pi centinaia di luoghi, o
lasciati stare dal Muller come sfidati, o racconciali in modo che non mi parve
probabile ; e quanti mi sembrarono veri miglioramenti, proposti da lui o da altri,
per quanto io li conosceva e li poteva conoscere dieci anni fa (perocch tanti ne
corsero tra la pubblicazione del testo e il tempo in cui scrivo), da tutti trassi
profitto ; sicch almeno pet questa parte la presente edizione avvantaggiasi sopra
le altre che s usano comunemente in Italia. Conservai anche la divisione in piccoli
paragrafi, introdotta dal Muller ; perch, oltre al vantaggio d agevolare le cita
zioni e di dar Jume al discorso in una materia di per s sminuzzata, mi tornava
bene per affrontar meglio la versione al testo. Soggiunsi poi non poche note, prin
cipalmente dirette a giustificare le lezioni date nel testo, o a proporne delle nuove
che non mi erano cadute prima in pensiero. Potrebbesi forte desiderare eh io
v avessi Illustrato anche le dottrine insegnate dall autore : ma ci avrebbe ingros
sato d assai la mole delle note gi abbastanza grande ; e da altra parte chi ha
questo desiderio, pu trovargli pasto nella dotta opera dello Steinthal, intitolata
Storia della linguistica preo i Greci e i Romani (Berlino 4802-63), nella quale
sono anche esposte le dottrine di Varrone intorno a questa materia. A ogni modo
quello eh io feci, qualche cosa ; e tuttavia mi lascierei troppo ingannare dal-
amor di me e delle cose mie, s io non vedessi che molto e molto rimane a fare,
aia che le mie forze e la mia diligenza fossero scarse alla gravezza del carico, o
sia anche in parte che a dipanar la matassa, quand ben bene arruffata, la mag
gior fatica da ultimo.
Ma come c donde, chieder qualcheduno, tantj sconci entrati nell opera Tarro-
niana ? Rispondo volentieri a questa dimanda, perch il soddisfarle mi condurr ad
esporre, come avrei dovuto naturalmente fare, la storia di questi libri, e le vie
tenute o necessarie a tenersi per rammendarli. Il male, secondo crede il Muller,
sarebbe cominciato fin dall origine, per ci che Varrone non avrebbe messo fuori
egli stesso la propria opera, ne datole ultima roano. Vediamo ond ei argomenti.
Certo che Varrone non si mise a questopera che dopo il 706 di R., allorch,
rotta nell agosto di quell anno in Farsaglia la parte Pompeiana da lui seguita, si
ritir nelle sue viHe eh ei possedeva ricche e numerose in Tusculano, in Cuma, a
Monte Cassino ed altrove, e attendea quivi agli studii cou tanta tranquillit danimo
che solo pareva in porto, mentre tutti gli altri erano ancora in gran mare (Ctc. ad
fam, IX, 6). lia conformit de casi, detimori, de mpderati consigli, rafforz allora
fra lui e Cicerone quel vqcqIo damicizia che la stmiglianza degli studii avea
VII PREFAZI ONE Vili
stretto gran tempo prima (Cic. Jcad, Post 1,4) ; sicch a Cicerone volle dedicata
questa sua fatica, toltone I tre primi libri che aveva innanzi promessi a Publio
Settimio, gi suo Questore (Farr. L. L. VII, 409). Che il vedersi cosi onorato dal
maggior filologo di Ruma solleticasse alquanto la nota vanagloria di Cicerone, non
occorre dirlo: ne prova impazienza, con cui qua e l nelle sue lettere il vediamo
attendere adempimento della promessa, e Tessersi senza pi apparecchiato a ren
dergli la stessa misura, e da vantaggio, se gli fosse riuscito (Cic. ad AiL XUI, 42).
A questo fine rifece le sue Jccademiche, sostituendovi a Lucullo ed a Catulo, che
non erano uomini da tali dispute, la persona molto pi opportuna di Yarrone che
aveva udito in Atene lo stesso Antioco (Cic, ad Alt. XIII, 49 : 48 ; <6 e 25) j
e come prima ebbe terminato il lavoro, che crebbe assai di mole da quel eh* era
innanzi, nel 709 ne scrisse ad Attico lagnandosi che Yarrone, dopo avergli dinun-
ziata gi da due anni una grande e solenne dedicazione, avesse fatto come quel
Callipide che correva sempre e non acquistava mai neanche un cubito di strada.
11 medesimo rimprovero, sebbene un po inzuccherato, ripet allo stesso Yarrone
neir inviargli la propria opera. Quantunque, cosi a lui scriveva, esigere un
dono (fosse anche a noi stato promesso) non si suol fare n eziandio dal popolo, se
non sollevato ; tuttavia aspettar che io fo la tua promessa mi fruga che io le ne
ammonisca, non che tei ridomandi. Ti mando dunque quattro rammentatori non
troppo vergognosi (ci erano i quattro libri delle Accademiche) . . . ; e non
vorrei che essi per avventura adoperassero il sollicitare, quando io comandai loro
di domandare. Yeramente egli un pezzo che io stava aspettando, e riteneva me
stesso di non esser io primo a scriverti pruna d* aver ricevuto qualcosa da te, per
aver cagione di ricambiartene con un dono che al tuo al possibile somigliasse. Ma
badando tu, o piuttosto (come io intendo) limando la cosa, io non mi son potuto
tenere di non dichiararti come noi d* afiTetto e di studii siamo congiunti, con quel
genere di lettere che io potea (Cic. adjilL IX, 8). E similmente in sul principio
della stessa opera (cad, PosL I , 4), dicendosi da Attico che le Muse di Yorrone
tacevano gi da pi tempo che non solev^ano, non, a suo credere, per ozio in ch^
egli stesse, ma perch teneva celato ci che scriveva : No davvero, risponde Yar
rone ; ch scrivere ci che si vuol celare, mi par pazzia : ma il lavoro che ho per
le mani, grande ; perocch un pezzo che tolsi a comporre, per mandarle pro
prio a costui (e qui addita Cicerone), alcune cose, non vo dir quali, ma che son
certo di peso e eh io vengo limando con qualche cura. per queste appunto, gli
soggiunge qui Cicerone^beni^h di gran tempo le sto aspettando, pur, non ho cuore
d importunarti ; perch so di bocca del nostro Libone .. . che non gi per
riposi che tu li voglia pigliare, ma per la moka diligenza che ci metti, non levan
done mai le mani. Or non v ha dubbio che l opera di Yarrone, a cui accennasi
In questi passi, non siano i libri eh ei scrisse intorno alla lingua latina ; perocch
questi erano appunto cosa di gran peso e diretta a Cicerone, n si sa d altra
eh egli avesse a lui indirizzata. Che anzi gli antichi grammatici, tuttoch i primi
IX . TER. VARUOHE DELI A LINGUA 1 X
libri fossero dedicati a Settimio^pur nel citare quest opera dicono uni?ersalmente :
Cos Farrone nel (ale o tal altro libro a Cicerone ; donde raceogllesi che niunaltra
opera fuori da questa era stata a lui ietitohita, e questa'continuava col nome di lui
fino al termine. Noi sappiamo adunque per fermo che Varrone adoperatasi con
grande amore in questo lavoro nell anno 709 di Roma e nell antecedente ; che '
prima di quel tempo erano forse compiuti^ma probabilmente non ancor ripuliti,
certo non pubblicati, l tre Kbri dedicati a Settimio ; che I rimanenti, se pur li
vogliamo in buona parte abbozzati, nondimeno nel 709 erano ancora tanto lontani
dall esser condotti a perfesione, che l autore credeva di non poterne leggere
neanche un saggio ad Attico o a Cicerone senza arrischiare il suo onore.
Con queste deduzioni concordane anche gl* indizi! che qua e l trovansi tiegli
stessi libri ; perch ci che dicesi nel quinto della glrafa nuovamente condotta da
Alessandria in Roma (V, 400), non pu essere scritto che dopo agosto del 708,
ehe fa il tempo in cui per la prima volta fu data mostra al popolo di ^ strano
animale ne grandi giuochi {Plin. N. H. Vili, i8, 69 ; Dio. Cass. XLIII, 23) : e
intervallo di un giorno che pomi nel sesto libro (VI, 23) fra i Saturnali e le
Opalie, non poteva porsi piima della riforma Giuliana, che fu messa in atto nel 709.
Che se non occordasi con la riibrma Giuliana ci che vi leggiamo non molto prima,
del cinque ultimi giorni che solean torsi a Febbraio, quando intercalavasi il mese
di suppKmento (VI, 43); non so perch questo non possa essere un preciso indizio
del punto, insino al quale Varrone avea tratto il proprio lavoro innanzi al comin-*
dare dell* anno 709, cio qlfa riforma de! calendario. Basta supporre eh* egli abbia
lasciato stare ci eh era scritto, differendone la correzione insieme con la ripuli
tura ad un altro tempo ; e questa supposizione mi par probabile di quello sia il
credere che tosi Y una come laltro passo fosse gi scritto prima della detta riformo,
e sia poi stato"corretto uno e dimenticalo altro. Ma comunque siasi, qui comin
cia iljdubbio che autore non abbia dato mai ultima mano a quest* opera : n
sei^za ragione il crederlo, se nel 709 essa era ancora si poco innanzi. Diciannove
libri che tuttavia mancavamo al compimento, not erano cosa da tirar gi in pochf
mesi ; massimamente volendola lavorare con diligenza, perch non riuscisse inde
gna di Cicerone. Ondech volentieri concediamo al Muller che nel 74 , allrch
Varrone fu compreso anch egli da Antonio nella lista de* proscritti e fu miracolo
samente salvato da Caleno nella propria villa (jppian, B, C. , 47), avesse bens
tratto a termine questo lungo e faticoso lavoro, ma non avesse ancora pubblicato
n riveduto. E se cosi era, qual maraviglia che questi Kbri sieno stati fra quei
parecchi che Varrone stesso dicea scomparsi al tempo della sua proscrizione,
messigli a ruba gli armadK {Geli, If. A, I II , 40) T qtial maraviglia che il rapitore
medesimo per avidit di guadagno, o qualche altro men tristo, aHe cui mani fssero
poi venuti, per amor degli studii, gir abbia dati fuori cosi come stavano, non ancora
limati n licenziati dal loro autore, piuttosto che avessero interamente a perire.?
Tuttavia queste congetture poco varrebbero, se non fosse Tesarne dell* opera
XI P E A Z 1 n XI I
Bteesq, qual ci venutu, che d loro tontp pto do niuUrle quasi in certezza.
Poniomo pure che u q i s* abbia a (are niun conto della testimonianza di Cicerone
quanto allo special cura eh ei dice messo dall' autore in cpiupUare quest opera ; o
teniamolo per un suo presupposto non fondato in altro che nell* essere ormai andiiti
due anni da che attendeva adempimento della promessa^eh ei non imaginava di
tanta mole : ma ad ogni modo era naturale che, dedicando uno scritto al maggior
lume della romana eloquenza, non la si corresse poi tanto. Or non v' ha dubbio
che la parte rimastaci di quel lungo lavoro^nonch vi si vegga uno studio perch
non avesse a tendere 11Ano giudizio di Cicerone, resta assai di sotto per forbitezza
di stile dal Trattato dAgricoUiira del medesimo autore; sebbene anche questa
fosse materia che sdegnava ornamenti, paga dell essere insegnata. Vero e che la
pecca di negligenza non apparisce eguali^epte diffusa per tutta l opera : v hanno
preamboli e ragionamenti, non dir splendidi, ma luccicanti, di quel fare rotto ed
arguto che Varrone lodava in Egesia (Cic. ad U, XH, 6), e nel quale riconosci lo
scrittore delle Menippee ; l intera opera e ciascun libro, (uli^vedi orditi e diramati
a eccellenza : il male quando si viene a grammaticherie minute e a filatesse di
esempli. In cotesti luoghi, massime nel settimo U^ro, par propriamente che auto
re, dopo aver piantato le varie partite e notato in ciascuna que vocaboli o passi
bisognosi di chiosa che gli si offerivano allora, la^ciasi^e il conto cori ste per ag
giungervi di mano in mano que nuovi passi o vocaboli che gli venbsero o sotto gli
occhi net leggere o in animo nel meditare. Fatto sta che qualche cpnto vi sembra
rimastp tuttavia aperto ; perch segni^tamente nel settimo libro, npn optante la
scusa che vi si fa (Vl|, 409), non so a chi poj^sa entrare che Varrone abbia creduto
di saldarla con si poca spesa, qual un centUnwo passi, non tutti notevolissimi.
N tutte le giunte che probabilmente 1 autore avea notato nel margine, paiono
portate nel testo al debito luogo ; com del passo di Pacuvio intramezzalo a due
di Plauto nel settimo libro (VII, 60) ; n sempre yi si seppe distinguere le vere
giunte da qualche semplice memoria eh ei s* avea faUa per propria regola ed uso
nel rammendare, donde par nato l inestricabile viluppo di due luoghi, l uno del
quinto, altro del decimo libro (V, 78 ; 5. Fedi le noie a qt^sli due hioghi)^ a
voler pur tacere d un terzo luogo del quinto libro (V, 44), doviB, se le parole
/tir a merendo et aere non si rigettino, siccome intr^se^s ha un periodo storpio o
arruffato, e un' ^tinvologia fuor di sito, ripetuta poi variamente a non grande inter
vallo (V, 178). Qu^ntuqque non sarebbe qesto il solo caso che s al^bianp ripeti
zioni ed anche contraddizioni aperte Qquest ^pera : vQlte vi troyiai>ip data la
spiegazione della voce iufyar, con la medesima eUmolpgia e coi medfs|n( es?mPM
(VI, 6; VII^76); due vplt^si dice il cosi chiamato da perch da
segno coir ai)baiare (V, 99; VH, 32);^ ci ohe p^ggi4>^4ppo ver derivato
ympha dalla lubricit del suo scorrere (V, 74), iq ^llro lupgp si dice nato da
nympha (VII, 87) ; e vaticin^ari^ che i\el ^esto |ibrp (VI B?) si fa originato, per
ci che pare, dalla particella peggiorativa pel furor proprio do vii^cinanti,
XliJ , TEB. VARROMl DELLA LINGUA LATINA XIV
nel settimo invece (TU, 86) si supporrebbe disceso da viere, di qui traendosi
vates^ quasi tessitore di versi. E a dire che nel primo luogo si promettea di parlare
pi pienamente di cl^quando si venisse a* poeti, e poi nel settimo libro^clie
de4le voci poetiche, ci si scambiano le carte in mano, e siam mandati, quasi da
Erode a Pilato, a cercare una spiegazione pi piena dove si tratter de poemi.
Lascio, perch n ho toccato pi sopra, incostanza dell attenersi in un luogo
alla riforma Giuliana, e in un altro no ; n metter in conto tutti quei disordini
che il Muller giudica nati dall* aver male innestato le correzioni o giunte trovate
nel margine, perch qualche volta il disordine pu parer dubbio o derivato da
altra origine (\I , 70. Fedi a nota X, 44) : ma non so quali dubbi! si possano fare
n della verit n della causa della confusione nel sesto libro dal paragrafo 43
al 50, n dal i 8 al 20 nel decimo, n in parecchi j>assi del settimo che sarebbe
lungo e noioso lannoverare. Conchiudiamo adunque che probabilissima opinione
del Muller, accolta anche dal Merklin {Ind. Schol, Univers, Dorpal, d852), che la
prima fonte, cui s ha a recare i difetti di questi libri, sia esser tratti dalle bozze
non per ancora limute n interamente compiute dell autore, involategli al tempo
della sua proscrizione, com el dice in genere di non pochi volumi. N sar inutile
aver chiarito, se non con certezza, almeno con grande verisimiglianza, lorigina
rla causa dei male, perch a mettere in su la traccia della cura nulla pi giova che
il sapere donde il male nato.
Un altra fonte d alterazioni dovette essere la natura stessa dell* opera, che
spesso avviluppasi in minutezze e spinosit. Par che Varrone medesimo se l aspet
tasse, allorch sul fine del settimo libro, dopo una tirata di voci vecchie tutte di
Nevio, terminava dicendo : Ma non ondiamo pi innanzi ; perch anticaglie si
fatte, temo eh* io sar biasimato pi presto d averne raccolto troppe, che troppo
poche (\1I , 409). E pi espressamente mostrava questo suo timore nell* ottavo
libro (Vili, Bi), laddove dice: In questo particolare (era quel de*pronomi)
non ho voluto distendermi troppo, vedendo che i copisti, nel dar fuori queste
parti alqtitmto spinose, non baderanno pi che tanto. Certo i vocaboli disusati
doveano riuscire di frequente intoppo a copisti : peggio poi certi vocaboli nuovi
che l autore stesso viene formando qua e l di proprio capo per rischiarare eti
mologie, e sono le giuste forme che le parole avrebbero dovuto avere, se fossero
venute su dritte dai loro ceppo, senza pigliare una mala piega dalle volgari pro
nunzie. Cos (V, 22), traendo terra da ierere, dice : Igitur tera terra j e il sentiero
lo dice chiamato aemita ut seniiter (V, 35) j e la vendemmia, dall essere vinidemia
o vitidemia (V, 87) ; e Diana, cio la luna, quasi Diviana^ perch fa due vie ad un
tempo, per alto e per largo (V, 68) ; e il calamaro, prima che oUigo suppone che
siasi detto voligo da volare (V, 79), e la turma terima da ter (V, 94), e gli armenti
arimenta da arare (V^96), e vitulus quasi vigiiulus, perch vispa e vegeto (ivi),
e la capra carpa, e ariete arviges, e i cervi gervi, e la brassica praesica, e i
cocomeri atrvimtres, t il cacio coaxtus, t la rapa ruapa, e lo scudo seaitum, e il
XV P R li P A Z 1 E XVI
pile perilum, e la lappa ruitrumy e gU erpici iirpicesy e U muro moenus, e la prcUa
partda (V, 97, 08, 4M, 408, i45, i l 6, m , 478); e per raccosUre
iesca alia supposta origine tueor, finge tue$ca (VII, 4J ), e ambagio ed ocies e cla
pere per ispiegare adagio e eociea e c l ^ r e (VII, 31, 71, 94) ; e perch interpre
tazione di septentriones per stiie buoi non paia in aria, le fa un po di letto cremMlQ
la forma intermedia terriones (VII, 74). Sarebbero bastati meno eaempii di questi
a provare che fu consuetudine di Varrone giustificare le etimologie de vocaboli,
soggiungendone alla forma corrotta e dell uso la genuina e nativa da lui supposta ;
a ogni modo non sar stato inutile aver moltiplicato gli esempli, percM da ei
apparisce che non solamente us farlo, ma che il pratic di frequente} di maniera
che in questa pratica s ha una buona regola per indrizxarvi sopra la correzione
d alcuni passi, dove la stranezza degrimaginati vocaboli e la loro prossimit ai
veri fu causa che furono contraffatti od omessi. Cosi giustamente il Miiller nel
paragrafo 43 del libro 1 scrisse adveniinum (non Jventtnum, com ne* codici)
ab adventu /iomintim e. nel 449 del medesimo Kbro pede/tiu secondo lo Seioppo,
non pedevis secondo i testi ; e nel 436, dove i testi portano a quo ruturbairi, mi
parve che si potesse mantenere quasi inalterata la lezione, scrivendo a quo ruiu
ruairi j n crederei in verisimile che nel 4i4, in luogo di Tunica a tuendo corpore
tunica ut in ^ca, o indica come hanno i pi de codici, s avesse a porre : Tunica a
tuendo corpot'e luica aut tuinicaj e nel 446, Oladius .. a cade . .. cladius, non
gladium o gadius, come leggesi comunemente ; e nel 448, cibo cibila dieta,
non eillxba, Quant poi alle omissioni, cui poteano dare occasione cosi fatti scontri
di vocaboli simili, credo che una ve n abbia nel paragrafo 438, dove la parola
pallia proprio necessaria ; come per lo contrario credo aggiunta senza ragione
dal Miiller nel 48, dopo di ut troula, la voce trulla : e leggerei volentieri nel 49
del libro VI, Quoni etiam in corpore pilij ut arista in spica hordeis horrent,
horror^ j e nell* 86 del libro VII, stella Ludfer, quae in summo quod habet lumen
diffusum, ut leo in capite iubam, iubar;!. N meno frequenti che nei tre primi, erano
certo , gli scontri di voci simili nei tre ultimi Kbri che trattano dell analoga i cosi
stretto il cerchio, per cui v spesso obbligato a rigirarsi il discorso, massima-
mente dov* entrasi in materia di forme. Ond ragione di credere che anche ivi
eieno rimaste aperte non poche piaghe per questa causa medesima delia facilit
che ha occhio di saltore da un luogo a qualch altro simile ; e che in questo
supposto sia da cercare innanzi a tutto il rimedio ne passi errati, come gi fece
assai volte il Miiller, e non ha guari il Christ nelle emendazioni do lui proposte e
soggettate poi a giudizioso esame dallo Spengel {PhiloL Gtting, XVI e XVII) nel
Filologo di Gottinga. Il male che nel riempiere l vuoti, poniamo pure che non vi
sia dubbio del senso, se occorrono troppe parole, non s mai sicuri d avere indovi
nato la forma e lordine dell autore; sicch almeno da usare gran parsimonia e
cautele, per non attribuirgli modi e costrutti, di cui egli stesso non ci porga esem
pli. Fa poi maraviglia che alcuni voeabolaristi (e son di quelli di prima riga) abbia-
1, Ter. VAfinewE \.. L
XVII AI LIBRI DI M. TER. VARR. INTORNO ALLA LINGUA LATInX XVIII
no preso per buona moneta qualcheduno di que* vocaboli matti che abbiamo detto
finti a posta, non perch abbiano corso, ma perch servano una sola volta ad age
volare lo spaccio d* unetimologia. Tale \ fanare^ registrato nevocabolari!, e, ci
che peggio, interpretato per dire j dove Varrone non Tusa che a dichiarazione di
profanatum^ e lo spiega egli stesso per fare de! fanoj cio lasciare per intero of
ferta in propriet del tempio (VI, 54). E similmente mi pare che non avrebbe avuto
diritto di comparire fra le voci latine, neanche come anticato, superrimusj per la
sola autorit di Varrone che il d per intera e naturai forma di supremus (VI, 5 ;
VII, 54) ; n lo stesso actiosus, da cui fa nato axitiosus di Plauto, tanto pi che
luogo d* incerta lezione (Vii, 66).
Ma lasciamo le intrnseche e originarie cause d alterazioni e di guasti : veniamo
alla sorte che tocc a quest opera ne' tempi di poi. i testi di penna, in cui. ci ve
nuta, non sono molti; ma neanche cosi pochi che, se fossero buoni e di origine
dair altro diversi, non potessero essere sufficienti. Ha per disgrazia derivano tutti
da una medesima fonte, e ben altro che pura : n sicuro argomento il trovarvi in
tutti questi soli sei libri ; in tutti le stesse lacune, gli stessi spostamenti e in gran
parte gli stessi errori. N intendo solo quei piccoli trasponimenti che discendono
forse, come ho detto sopra, sin dalla priaia trascrizione del testo varroniano : ie
parlo qui principalmente d* una grande e indubitabile spostatura che trovasi nel li
bro V, e fu gi osservata dal Buchanan (Turneb. Adoers. XX, 29), riconosciuta da
molti, riordinata nel suo testo dal Miiller. Tutto il tratto che corre di dopo le voci
qui ad humum del paragrafo 23 fino all ut Sabini del 32, ne codici vien dopo a
quello che di l stendesi fino al Septimontium del 41 ; i quali due tratti cosi disposti,
come stanno necodici, turbano affatto lordine della materia, e lasciano nelle estre
mit perodi mozzi che non si reggon da s n si collegano punto; dove per lo con
trario scambiandoli di luogo, come s fatto, s ha il giusto ordine nella materia, e
gli addentellati si combacian benissimo. Codesti trasponimenti di lunghi tratti na
scono naturalmente da sbagli commessi nellj ordinare i fogli quando si legano i 11-
br ; ed in questo caso ad una spostatura, dopo un giusto intervallo, ne dee corri
spondere un altra simil#e dugual misura : o, se ci non , il trasponimento s ha a
creder nato da carte staccatesi di sieme e non rimesse al debito posto. Or questa
appunto ne devessere statala causa nel detto luogo di Varrone; perch i due trat
ti scambiati pareggiane! nella misura, e ciascuno era sufficiente a riempiere una car
ta da s; non facendo noia il divario dun centinaio di lettere in due migliaia e mez
zo, massime in un codice, dove uso che vi si faceva dabbreviature, poteva toglie
re anche questa piccola differenza. E il conto torna giustissimo anche per quella
parte che precede al luogo del disordine; poich le 7400 lettere incirca che vi si ha,
formano prossimamente tre carte della stessa misura media di 2450 lettere per cia
scheduna, ond verosimile che ivi appunto cascasse il termine duna carta e il prin
cipio d'un altra, e che il distaccamento e la spostatura seguitane delle due carte sia
proceduta da una sola causa, cio dall essersi rotto nel filo della piegatura il fogliet-
XIX PREF AZ I ONE XX
to medio dei quaderno. Vero che una misura alquanto minore di f460 lettere
alla carta raccogllesi da quel brano del decimo libro (X^3435) che, stando fra
due lacune, in ciascuna delle quali i codici notano il mancar di tre carte, non pote
va occupare che un numero intero di carte, e precisamente due, contandovisi 4i40
lettere. Ma neanche questo divario non dee parere gran cosa, se si considera il bre
ve spazio d una lettera e quante ne vanno alla riga; tanto pi che la materia
stessa ivi trattata domandava forse in pi luoghi che si spaiieggiassero le parole,
n permetteva un largo uso d'abbreviature. Del resto il mancarvi di tre carte da un
lato e d altrettante dall* altro d fondamento a credere che il foglietto conservatosi
fosse il medio del quaderno; sicch al paragrafo 35 sarebbe incominciato un nuovo
quaderno, che avrebbe compreso il rimanente del libro cosi monco, qual ci rest,
per la perdita deseguenti fogli. E di vero dal paragrafo 35 sino al termine sha in
torno a 17000 lettere, che distribuite per otto carte ne danno da 2400 per ciasche
duna; misura vicinissima a quella del foglietto medio sopraccennato. Quant poi al
sesto del codice, la congettura fatta piglia fona anche da ci che vi si ha nna con
venevole ed ovvia spiegazione del perch il codice Modenese e due Vaticani, in sul
principio del libro \11, notino la mancanza di nove carte, dove il Fiorentino ed altri
non ne confessano che la mancanza di una ; cicch pot nascere naturalmente dal-
Vaver creduto alcuni copisti che, oltre alla carta, la cui mancanza era chiara, si fos
se ivi perduto un intera quaderno. Se da queste indagini del Muller intorno al sesto
del codice e alla contenenza delle sue carte possa ricavarsi qualche utile deduzione
rispetto a luoghi pi guasti e alle minori lacune o notate o supposte, per certe cor
rispondenze che shanno a trovare cosi nelluna come nellaltra cosa, n egli il dis-*
te, n io qui il dir, per non filar troppo sottile e tenermi tanto allo sdrucciolo; mas
simamente che il contenuto delle pagine apparisce minore nel decimo che nel quinto
libro, n si sa dove incominciasse a scemare. N possiamo neanche dire con buon
fondamento con che sorta caratteri fosse scritto il codice : il IViebuhr sembro averli
creduti Longobardici {Scritti Min. p. 260) ; ma al Muller sapeva male che quel
grand uomo n* avesse solo toccato cosi alla sfuggita, senza dichiarare da che lo in-
feHsse; perch, a dire il vero, se guardasi atesti che ne derivarono, ed ai loro pi
frequenti errori, non vi si trova nulla che accenni ad una pi che ad un altra scrit
tura: sono le solite sbadatoggini de copisti, aiutate dalle ordinarie somiglianze di
lettere, dalla mancanza del puntino nell t e di spazieggiatura tra parola e parola,
dalla stranezza di qualche vocabolo, dal frequente e non costante uso dabbreviatu
re. Poich abbreviature, ve navea certamente; ce lo dice la natura defalli e delle
varie lezioni, che vediamo ne* codici da esso usciti : n guasta che fosse scritto in
nanzi al secolo undecimo, al qual tempo ne fu tratto il codice Fiorentino; perocch
uso delle abbreviature antichissimo, e ne fanno fede i palinsesti delle Istituzioni
di Gaio ed altre vecchie scritture. E qui dovrei aggiungere uno specchietto delle
principali sigle ed abbreviature che probabilmente v erano usate, perch apparisse
qual fondamento abbiano alcune correzioni che possono sembrare un purtroppo ar
XXI AI LlBBl DI M. TER. VARR. INTORNO AfXA LINGUA LATINA XXll
dite: ma tetno da?TeN>, o lettor^di farti rinegare la panehza con tante minnterte;
onde qeMa parte io credo per ora di lasciarla, e di dartela solo a ritaglio e a stret
to bisogno ndle note.
Da quest codice^quale i abbiamo descritto secondo le congetture del Miiller,
lacfvo in modo da non offrire neanche una quarta parte deir opera ; guastato qua e
l d manbanie e da spostature di fogli ; difTormato da lacune^da abbreviature, da
ogni maniera di errori, salvo che volontari! e provenienti da saccenteria; da questo
codice cos malcapitato, mmle a poche tavole rimaste dopo il naufragio, uscirono
tutti, o immediatamente o mediatamente, i testi varronlani che possediamo; sicch
ogtti lezione'od aggiunta che non paia sgorgare da questa fnte o dalle citazioni de
gli attichi grammatici, sha ad etere per interpolata. Immediatamente mostra es-
Bem useito (onde giustamente il ricordiamo per
4.) il codice Fiorentino o Laurenziano, che indicheremo nelle note con la lette
ra P. itiembt'anaceo, di lettera Longobardica, del secolo XI: appartenne un tempo
alla biblioteca di s. Marco, e fu gi consultato dal Poliziano e dal Puccio. Un esatto
spoglio ne fece pi Pier Vettori, aiutato da Iacopo Diacceto, e lo annot in un esem
plare dell edizlon prima, che conservasi nella biblioteca di Monaco. Da questo tras
se h) Spengel l sua edizione, assicurato dalla nota diligenza di Pier Vettori e dalla
dichiarazione, che Aggiunse in fine dell'esemplare, <f avere usato fa pi scmpohsa
osseroanty fino a registrare le scoirezioni.f ut, non ostante la diligenza del Vetto
ri, convien dire che qualche variante gli sia sfuggita dagli occhi; perch alcune le
zioni che il Niebuhr trasse dal codice Laurenziano, non convengono in tutto con
quelle del Vettori; sebbene il Bandin (Calai Bihl Lattrenl. I I j p. B29) sinbri aver
dimstrato coft ben fondate ragioni che il codice Marciano spogliato dal Vettori
tutt uno col Laurenziano. Sarebbe quindi desiderabile che s esaminasse il codice
direttamente; tanto pi che i rscontri del Keil accrebbero i dubbi!. Angelo Mai fu
davviso che sia questa la fonte di tutti i codici varroniani che esistono: ma la sua
opinione fu confutata dallo Spengel coti buoni argomenti.
2. Dal medesimo archetipo, non direttamente da esso, n per via del codice Fio
rentino, ma mediante due altri codici collaterali del Fiorentino, credons! discesi i
tre Parigini che contrassegnansi colle lettere Oj b, c. Fratelli appariscono il secon
do (Bibl Imper. n. 6149) ed il terzo (n, 7635) ; ambedue imperfetti, non contenen
dosi in quello che i tre primi libri e sette paragrafi dei seguente, in questo una sola
parte del primo libro dal principio sino al paragrafo 4 2; ambedue pieni derrori
non volontarii, in mezzo i quali conservano qualche preziosa lezione. Da ottima fon
te, molto diversa da quella degli altri due, mostra dessere sgorgato il primo dei tre
Parigini (Btl. Imper. n. 7489), codice d accurata scrittura, che non cede forse a
nessun altro in bont, se tolgasi il Fiorentino. Ninno per altro di questi tre codici
cartacei pregevole per antichit; stante che ! due primi sono scritti nel secolo XV,
il terz nel XVI. Di tutti e tre lo Spengel pubblic le varianti in sul fine della
sua edizione, secondo che gli erano state trascrtte dal Donndorf; ma, al sentire
XXIII P R E F A Z I O N E XXIV'
del ikfifler, v h& iaoghl che blso^ferebbe riteoncrere di , non apparendone
il netto.
3.Da utio stesso esemplare, fratello del primo Parigino (e), erede II Mttller che
aleno stati trascrtti tanto lHaviiiese, qaanto il Oothano, ehe tono depi autorevo
li. LHavniese {H) cartaceo, in forma di piccolo quarto, scritto per ci che pare
In sul fine del secolo X.1V; difetta nel I. VI, doTe, Mnia alcun indizio di lacnna, dal-
k parole del paragr. 66 item ah Ugendo legtiii qui ieem (cos tI si legge) saltasi
all ut non ipondet ilh dl parafr. 79. Fa spogliato dai Niebubr ancora gloTineUo
In servigio del KOIer; e di queMo spoglio pot TatersI pienamente lo Spengel per
cortesia del Seebodio. Il OothtHa {G) membranaceo. In qoarto, di bella scrittura
in apparenza antica, ma in fatto non pi vecchia M aecolo XVI a giudizio del Blum.
Per buon tratto del I. V aggiunge daltra mano le iezloni detesti Interpolati, e di
pi annota nel margine qualche cengettara moderna, come il ruenimbihit del Cri
nito (V, 7). Fu spogliato con somma dillgenEa dal Regel in servigio del Milller, che
ne diede Intera la lezione, parte nelle note e parte In fine del libro.
4.Un de migliori (u anche testo a penna, di cui fece aso Adriano Turnebo.
Il Mfiller sospetta che sa tutt uno con quell' anno testo della biblioteca
Mesmes, di cui parla Isacco Vossio in una lettera indirizzata all Heinsio {Syllo-
gt Burmann. , 66S).
6.Un breve frammento del I. V (4166) conservasi In penna nel Monastero
dt Monte Cassino sotto H n. Sei ; la lezione ne f\ii pubblicata da Giambattista Mor
gagni bella Raccolta veneta d'opuscoli teientificij T. IV, p. S e seg., e da Enrico
Heil nel Museo Renano (184S).
I codici che ho notalo fin ora, sono i soli non interpolati, ia cui lezione siasi fat
ta pubblica con la stampa : havvene per alcuni altri che forono appena sfogliati, e
pure sono anch essi dei buoni d esenti da Interpolazioni. Tali sono tre Vatieani
(1666, S949, 330S), che Indicheremo con le lettere greche et, , y . Il primo, che
il migliore, cartaceo, trame il foglio 4.eh membranaceo ; ha fotma di quarto,
e serlttnra onciale, pare dei sec, XIV j tutto interpolato, ma d altra mano, e reca
nel margine parecchie giunterelle e indicazioni. Segue in uno stesso volume ad al
cuni lessici latini. Il econdo i parimente cartaceo in forma di quarto, e vien dietro
allopera De montibus, fuminibus eie. del Roocaccio. Il terzo in ottavo, cartaceo,
a due colonne, mancante dei primi 91 paragrafi j appartenne a Fulvio Orsino, del
^lale vi si legge II nome. Onesti tre odici, massime il primo ed il terzo, concorda
no fira loro in mdo che, a gfudixio del MSDer^formano una sola famiglia ; e chi
n abbia riscontrato uno, 11ha riscontrati tutti. Ei ne possedevo le varianti dei tre
primi paragrafi del 1. VII e le indicazioni delle lacune, copiategli da Olao Retler-
mann. Esente da Interpolazioni e non per ancora spogliato aeche II Gmlfetitita
no. I l Mtiller k avea ri cetto un saggio dalla ebrtesia dello Sehneide^in, e lo disse
non molto Averse, ma assai pi scorretto dei Fiorentino. A questi sono da aggiun
gere due codici membranacei, In 4.*, di belHssima lettera, imbedue pregevoli, non
XXV U LIBRI DI . TER. VARR. I STORSO ALLA LINGOA LATINA XXVI
per antichit^ma. per bont di leiione ; dieo V mbroiiano (Se. 74) e il Modenese
(n. 22). 11primo, secondo che leggeei nel frontispizio, appartenne ad Annibaie Co
mero : in sul principio d i vocaboli greci con gran diligenza, ma di poi li omette ;
tace il numero di ciascun libro, e massimamente nel determinar le lacune conformasi
assai al primo dei tre PariginL Un po pi antico di questo il Modenese, splendido
esemplare, in cui vanno uniti i libri d* agricoltura di Catone e di Yarrone ; d giu
stamente per quinto il primo de libri sopravvissuti ; le voci greche, le omette o le
scrive con lettere latine } scempia i dittonghi, secondo la volgare pronunzia, e tol
tone tniHa e Delphoi e quur e partisy per lo pi ammoderna ortografia ; non ren
de precisamente nessuno degli altri testi conosciuti, ma concorda quasi sempre con
qualcheduno de migliori ; abbonda massime ne primi libri, di giunterelle interli
neari e marginali, raccolte dal confronto d ottimi testi j pecca in parecchie omis
sioni, alle quali rimediasi in margine presso che sempre ne primi libri, ma rare vol
te negli ultimi. questo il codice che pi di qualunque altro dispiaceva al Miiller
di non aver consultato; ci chei dichiarava che non avrebbe certo lasciato di (are,
se avesse potuto impromettersi di dare un testo racconciato in modo da tenersi in
posto per lungo tempo. Quantunque ei vedeva bene, e il dicea 1 esame degli altri
codici, che i vizii di quest' opera sono assai vecchi, e per poco pu sperarsi dal
moltiplicare i riscontri, stante che era gi viziato il fonte, da cui derivano tutti i
testi o esaminati o non esaminati che possediamo. Glie ne posso far fede anch io che
tengo l intera lezione di questo codice diligentemente riscontrata sopra un esem
plare dell edizione dello Spengel, n mi rincresce gran fatto d* averla avuta dopo
che era gi compiuta la stampa di questa mia fatica, perch veggo che poco profitr
to n avrei potuto cavare. Giova non di meno il trovarvi qua e l confermata qual
che bella e contrastata lezione ; come per esempio il leggere espresso nel paragra-^
fo 54 del libro V, vimineta fuerant j e nel 434, Prius de indutui aut aniictui j e nel
i45, et quae vendere vellent : e di qualche compiacenza sarebbe riuscito al Mtller il
veder sostenuta dall* autorit di questo codice la sua congettura dove nel paragra
fo 46 del libro Vili egli legge, Propter eorum qui dicunt^ $unt declinati casus s e
lasciato in bianco uno spazio dopo la voce inficientem nel paragrafo 78 del libro VI,
ov ei sospett lacuna. Anche in quelle parti, in cui questo codice si dilunga dagli
altri, ha qualche cosa del buono. Non parlo d alcuni trasponimenti di parole o muta
zioni di tempi o rivolgimenti di costrutto ; non della sostituzione di qualche sinoni
mo, come di occisus ad interfectus (V, 46), di virum fortem a civem fortem (V, 448),
di invocent a invitant (IX, 48), i inscitiam ad inscientiam (IX, 4i3): queste
cose s hanno ad avere per la pi parte come sentori della saccenteria ormai nate,
e preludii de pi gravi danni che dovea soffrirne quest opera : parlo d alcune va
rianti che non danno presa a cosi fatti sospetti. Notevolissima quella che troviamo
al paragrafo 20 del libro IX, dove tutti gli altri codici^di cui sha Aotizia, recano
concordemente: Quem enim amor assuetudinis potius in pannis possessorem retinet^
quam ad nova vestimenta traducit? Che sia luogo errato, chi pu farne dubbio? ma
XXVII P R E F I I O N E XXVIII
trovarci 11rimedio sembra difflelle, n riasci ancora a nessuno : io stesso JHiiller si
content di segnarvi nna croce, e notare eh era passo manifestamente viziato, ma
che non vedea modo di raddrszario. Ora il codice Modenese con nna mutazione
lievissima par che vi rechi il rimedio, leggendovisi patri, cio palriit, in iscam-
bio di potins. Buone lezioni, eh io accoglierei volentieri, mi sembrano anche l ut
et culmi in luogo di ubi et culmi (Y, 37), e il quod hae proiiciunl ante eot (non
ante aKo : intendi muro. V, 14), e il quod ibi (non ubi VII, \ ) mytteria
fiunt aut tuentur, e il J fe[m]ia in luogo di Etmiut Ennia (IX, 65). Io
poi ebbi caro di trovarvi nel paragrafo 9 del libro TI ab tolui cos intero e lam
pante, che conduce quasi di necessit a credere che il seguente tohtm sia nato,
da un abbreviatura di solitus tum, eom io aveva congetturato ; e vedendolo pi
volte scambiare da neirten a non e da notr ete a nse, mi parve daver guada*
guato un sostegno alla lezione da me introdotta nel primo verso del par. 26 del
I. VII ; e qualche peso mi parve anche acquistare la lezione posta in sul principio
del par. del medesimo libro, standovi propriamente Ma del codice Mo>
denese basti cos; ne dar lintelra lezione, se ristamper, come spero e veggo
necessario di fore, questo mio lavoro ; veniamo ora agli altri codici. Due se ne
conservano in Roma, uno nella libreria Barberina (n. 2i60), l altro nella Chi-
giafia (H, VII, 319). Il Hiiller li pone fra quelli che sono esenti da Interpola
zioni : ma tranne l esser ricordati dal Blum nel suo Fiaggio fatte in Italia, e il
vedervi lodato per eleganza il secondo che scritto nel <140, del resto confessa
il Miiller medesimo non sapersene nnlla. Un altro ne possede la biblioteca reale
di Stuttgard : ma anche di questo, salvo che dicesi scritto in sul- cominciare del
secolo XV, non se n ha altro lume. D ottimo conio sembra essere stato quello,
non si sa qual fosse, cui ebbe per le mani il Sahnasio (ad Solin. p. S86) ; e buoni
sha a creder che fossero anche il Basileese e il Vossiano, della cui fede si vale il
Gronovio, insieme con quella del Fiorentino, contro lo Scioppio fObterv. /, ,
p. 49): ma neanche di questi non s ha aotizi.
Bendi siasi detto, qui il torniamo a dire, che poco profitto ci possiamo ripro
mettere dal riscontro di nuovi testi ; tuttavi sa male il vederne ancora parecchi o
dimenticati in tutto o non ispogliati che in parte. Il drivar tutti da uno stesso in
nanzi non toglie almeno la speranza di raddrizzate, per via di confronti, quegli er
rori che non provengono dal primo e comun fdnte; e quanto a questi, pur qualche
cosa il trovare nella costanza di certe spropositote e insignificanti lezioni un indizio
dli* antichit degli errori e della buona fede de codici, e cos accertare, e, dove va
riano punto, moltiplicare le tracce della giusta e genuina scrittura. Il male di cer
ti codici, direi quasi, rifatti, he possono trarre faeilissimamente In inganno perch
le sdruciture e le toppe non danno nell occhio, se non vi si fissa : sono lavoracci di
quella et, in cui i bumi studii rinati avevano ornai abbastanza dintelligenza e dar
dire da avvedersi degli errori e attentarsi alla correzione, ma non ancora tanto di
pazienza e di senno, quanto ce ne voleva per non acciarpare. E da uno di questi
XXIX Al LIBRI DI M. TER. YAllR. lUl ORWO ALI.A LWGUA LATINA XXX
codici interpolati, non per de peggiori, PompoDio Leto cav la prima editione, cbe
fu fatta in Roma nel i474 ; e il medesimo teeto fu ricopiato da iingelo Tiferna (Ro
ma, 4474, m 4.), senonehi qualche ritocco data qua e U fa vedere eli ei non era
sproTYeduto di buoni codici, cui sarebbe stato meglio seguire. Un testo in tutto si
mile al Pomponiano per detto del Hiiller, conservasi in penna nella biblioteca del
Senato in Lipsia. Molto meglio merit di Varrone il Trivigiano Rolandello fyenet.
4476, f), che esamin buoni libri e aan molti luoghi, tanto che, se ristringasi
a lu, non parve del tutto falsa la lode che gli si d in fine del libro con queste pa
role : Si quispiam tertio loco fragmenti Farronit lantum addiderit, quantum Pom-
poniut primo, deinde Francitcus Rhohndellus Trivitanut tecundo, tuo uterque stu
dio ac diligentia, contulit s nimirum . Farro rmivisceL Nella sua edizione com
pariscono le voci greche e non poche parle e fino a interi periodi, che mancano
nelle antecedenti ; e tutte queste cose egK trasse non dal proprio capo, ma dalla te-
stimonianaa de libri, di maniera che a giudizio dello Sp^ngel tale edizione da non
poterne far senza chi voglia rammendar Varrone. Solo qualche cosuzza, erede I
Spengel chegli abbia mutato di sua testa: n io il negher; noto soltanto che le due
lezioni, contra eam (V, -1) scand>io di contra sa, ed fstxcyttcf scambio di />
(V, S), trovansi anclM nel codice Modenese, bencti la seconda vi corretta
in Dtargine>11testo del Rolandello fu poi ristampato parecchie volte, per lo piA In
uno stesso volume<;on Nonio e con Pesto! se la cosa camminava cos, manco male.
Anzi qualche miglioramento vi si pu dire Introdotto nel ristamparlo da Battista Pio
(Mediol. 4610, f.y e da Michele Sentine (Perii. 45f9, m 8.*), e da qualche altro eh
non espresse il suo nome. I guai ricomincian peggio ohe mai con edizione che ne
fece nel 4667 in Roma Antonio Agostino, valendosi d* un codice, il ^uale, com di
chiara egli stesso in una lettera a Latino Latlnio {nted, Litter. Romae 4778,
voi. I l, p.SSO), fu dAchille Maffei, e concorda eoo uno (B) spogliato gi dal Vettori e
rapportato dallo Spengel. Qui le interpolazioni son proprio al cohno : glossemi anti
chi e nuovi intrusi mescolatamente nel testo, toppe mal enclte, locuzioni ammoiler-
nate, la grafia mutata. Fa maraviglia cbe il dotto uomo si sia lasciato IngaMiare da
queir apparente ricchezza e facilit, e che sottosopra la sua lezione aia quella che
ebbe corso fino a d nostri. E a dire l che II Tumebo non si perit di chiamare lA-
gostino il salvatore unico, il vero Escalapio) il tetto di Varrone 1 ben vero che al
la sincerit di queste lodi Io Spengel non crede, e pi che alte facili parole sta al
fatto de molti biasimi che tacitamente gli d nelle sue deraria. Certo il Turne-
bo era uomo dacuto e purgato giudizio; e di pi aiutato da un ottimo codice, eh* eb
be fra roano, vide pi avanti che qualunque altro di qoedotti vecchi nellemendare
Varrone ; ma nell encomiare Agostino, pi che al cattivo testo eh egli avea dato,
guard forse alle buone congettare, parte sue e parte de suoi amici, che vi avea
soggiunte. E non inutile opera iii materia di congetture e di note fecero anche il
Vertranio (Lugd. 4668,8), e lo Scaligero (Coniect. in Farr. ex offic. Htnr. Steph.
467S), e Io Sdoppio fattosi forte con la schede di Fulvio Orsino flngoltt. 4609,13):
XXXI P R E F A I I O N E XXXII
ma con tutte queste belle cose, noi vediamo il testo dell Agostino, ripetuto dal Got-
tofredo, dal Popma, dai Bipontini, portar corona fino a di nostri, e un' infinita d
citazioni erronee di l cavate allagare gli scritti di quasi tutti i grammatici, e per
due buoni secoli nessun pi attendere alla correzion di Varrone. Dico nessuno, per
ch non mi pare che eia da mettere a conto la Lettera Critica che G. D. Kciler in
dirizz air Heyne intorno a venticinque passi di Varrone, e che ad ogni modo fu
scritta nel 4790 (Duisburgi ad Rhen. 8 min. p. 39). Pi che le sue congetture no
tevole il grave giudizio eh ei da sul cattivo stato di questi libri^secondoch anda
vano attorno, e il maravigliarsi che, ove ad altri men degni soprabbondavano i com
mentatori, Varrone si lasciasse stare in ^ cenci. Ed una huova edizione ne pre
parava egli stesso ; ed a questo efifetto faceva esaminare il codice Havniese, e, diffi
dando delle proprie forze ed aiuti, ricorreva all Heyne.
Risanar Varrone, tenendo per fondo edizioni cosi interpolate come correvano,
non era cosa riusciblle : bisognava In tutto ventre al taglio ; buttare tn un canto
le edizioni veglianti ; farsi da alto, porre a fondamento un codice, se non per
fetto, ch tali non ce ne ha, almeno esente da frodi ed antico ; delle interpola
zioni de cattivi libri non far pi conto di quello che fassi delle congetture dei
critici, che, quanto pesano, tanto valgono. Ci appunto fece lo Spengel, pren
dendo ad innanzi delia sua nuova edizione il codice Fiorentino, corredandola di
tesori critici dogni maniera, e certificando con una diligente censura che di quan
to aggiungevasi dal codice dell Agostino e simili, non v avea parola che non fosse
suppositizia. N opera di ripurgar Varrone gli parve finire nel toglierne queste
nuove giunte : vide egli bene che di glossemi, ancorch meno macchiato, non era
tuttavia netto neanche il testo Pomponiano, n lo stesso codice Fiorentino ; ed
anche questi cerc di sceverare con fino giudizio. Tolti gli errori della saccen
teria, restavano quelli dell ignoranza : e in questa parte lo Spengel avvi il lavoro,
ma non lo tir molto innanzi ; perch la prima e necessaria cosa eh egli ebbe
in mire, fu porre il fondamento, su cui ed egli e gli altri potessero poi edificare
sicuramente. E di fatto Guglielmo Pape di l a tre anni diede fuori le sue Le
310111 Varroniane (Bero. i829) ; e .Io stesso Spengel nel <830 pubblic in Mo
naco un Primo ayjyio di Emendazioni Varroniane, Senonch lutti parvero am
mutolire e ritirarsi dal campo, quando con una nuova edizione vi fece mostra
delle gigantesche sue forze Ottofredo Miiller {GoUing. 4833, 8). L eccitamento a
questopera gli era venuto dal vedere in Varrone un tesoro di antichit Romane,
che per la scorrezione de testi si potea dire tuttavia nascosto ed intero ; e pi
avea confortato la buona riuscita del saggio fatto, quando, scrivendo Gli Elru
schi, gli venne sanata e chiarita mirabilmente quella parte del libro V che rag-
guarda gli Argei e le are di Tazio. Cosi preso animo, narra egli stesso dessersi
ingolfato tutto in Varrone, leggendolo e rileggendolo da capo a fondo pi volte ;
perche gli pareva che miglior frutto se ne potesse ritrarre dall addomesticarselo,
che da un minuto esauip di quanto crasi fatto e detto da critici intorno ad esso.
.M. l KB. VaRT. PKLI.A M>Gl'A ?\
\XXI I I Al LIBRI DI . \\. VAlUl. liNTOKNO ALLA LLNGIJA LATINA XXXIV
D(on disprezzo per gli studii altrui : lod quelli del Turnebo^deHo Scali
gero, del Popma, e ne cav il meglio ; di quelli poi dello Spengel mostr di fare
gran capitale, confermandone i giudizii e ponendo edizione di lui per fonda
mento alla proprio. Che mano miracolosa per molte piaghe di Varrone sia stata
quella del Muller, non occorre dirlo : basta la fama di queir uomo^e raBuaira-
zione della soa opera, tal che nessuno eh* io sappia, n mentre ei visse, n per
pi anni dopo eh ei mori, s* arrischi di ripigliarne seriamente la cura ; eccetto
che il J acobs pubblic le varianti d' un codice di Gotha (Lips, iS36), e il Lach-
mann tratt dalcune voci, dichiarate da Varrone, nel Museo Renano (4830,^843).
Torn finalmente K) Spengel agK studii varroniani, come ad an primo amore e
ad un antica sua gloria ; e ragion prima nel Giornale d' Antiquaria (1846)
intorno ad un brano del libro quinto (V, 7 5p.), poi della Critica in genere di
cotesti libri (Abhndl, der philos. histor, Cl der Bayer, Acad. 1864) e del modo
di rammendarli (iionac/f. 1858); e non ha molto rivide magistralmente nel Fi7o-
logo di Gottinga le congetture del Chrlst, il quale, insieme col Roth (PhiloL
Gdtltng, 1860) e con C. E. L. Ox (De M. Ter, Karr. eiymis quibtisdam, Gymn,
Pr. Rreuznach, 1858), va pnr ricordato fra quelli che novellamente occuparonsi
nel correggere ed illustrare Varrone.
Mi resto a dire d'una recente operetta dAugusto Wilmanns, pubblicata nel
1864 in Berlino, intorno agli scritti grammaticali di Varrone e ai loro frammenti.
Riprovandosi ivi, fra le tante cose, opinione dei Miiller che ai libri de lingua
/atma sia mancata 1 ultima mano dellautore, forse era meglio parlarne allorch
esposi questa opinione non discostandomene che in qualche piccola parte. Tuttavia
mi parve che non ne sarebbe seguito nessuno sconcio se avessi differito sino a
questo punto : ora poi che il discorso, seguendo ordine de lavori fatti su i detti
libri, v! caduto da s, non potrei passarmene. Rispondo adunque alle obiezioni
del Wilmanns che n il Miiller n alcuno di quelli che lo seguirono, pretende cer
tezza, ma probabilit ; e questa parmi sussistere. Sia pur vero che ad un uomo di
quella vena, di cui era Varrone, a conti fatti non fosse mancato il tempo per ulti
mare e pulire la propria opera prima d* esser proscritto ; sia vero che il silenzio
di Cicerone non basti a provare eh egli mor (nel Dicembre del 711) senaa aver
ricevuto il dono promessogli : ma che per ci? Se non manc il tempo, sovrab
bond forse ? Se il silenzio di Cicerone non conchiude, non ha tuttavia qualche
peso ? Pretender poi che questo lavoro di Varrne non gli avesse a costare gran
tempo perch in pi parti avea fonti greche ove attignere e in qualchaltra attinse
da suoi proprii scritti, assottogliarla un po troppo ; come se il raccogliere, lesa
minare, 1accomodare al latino, massime nella sintassi che era >ia non battuta an
cora da niun latino, fosse stata cosa da corrervi a spron battuto. E che vuol egli
inferire quando appunta il Muller d aver pigliato sicurezza da un dubbio asserto
del Popma che la divisione della festa d Opi dai Saturnali sia cominciata con la
riforma Giuliana, e d aver quindi precipitato il giudizii) nel corre argomento da
\ \ \ \ P K L l z O N t XXXtl
quelle parole del libro VI ( 22): Satut-nalia dicla ab Salurno qnod eo die feriae
eiuSj ut post diem lerlium Opalia Opis ? Se non v ha testimonianze in furor del
Popma, havrene forse in contrario ? E se non havrene delle contrarie, non dee
bastare dall* altro lato la stessa testhaonianza che ne rend^ivi \arrone? Chi auto
rizza il Wilmanns a credere che le parole post diem tertium sielio state intruse da
qualche saccente dopo il tempo d* Auf iisto ? La divisione di quelle dt>e feste con
IntervaUo d un giorno non riscontra forse con aggiunta di due giorni fatta a
Dicembre netta riforma Giuliana^? E se Macrobio fSat, I, 44) stette su le generali
senza specificare questa particolarit, s ha per a negare? Ma peniamo che in
questa parte abbia ragione il Wilmanns : tanto pi terr la deduzione finale del
Miiller che Yarrone non ripul la sua opera; n ci sar bisogno di supporre, come
fece il Muller, eh egli abbia ritoccato qualche luogo e qualch altro no. Ecco a
che riesce opposizione del Wilmanns. Ma, se quest Qpera fu carpita ancora im
perfetta air autore, ond , chiede egli, che nessuno di quegli antichi (e son pur
parecchi) che la ricordano, fa menzione di questo fatto? Come e quando usci ella
in luce, se non fu autore che la diede fuori ? in che modo Varrone ne pot fare
un compendio in IX libri, come sha dal catalogo di . Girolamo, se non la aveva
fra mano ? Oh 1questo voler sapere un po troppo. V* ha nessun libro varro-
niano di cui sia detto che fu trafugato all' autore e dato fuori cos imperfetto ? E
pur Varrone ci attesta che glie n erano stati trafugati non pochi. Sia pure chegli
intendesse di quelli che non andavano attorno e credea forse perduti ; ma non
vha nulla onde credere ehe i libri de lingua Ialina siano venuti in luce vivendo an
cora l'autore; anzi per non crederlo a ha largomento di Verrio Flacco che, per
confessione dello slesso Wilmanns, non pareva aver letto cotesti libri. Ma se Var
rone ne fece un compendio, li aveva dunque fra mano. Giusta di qualunque altro;
ma non dell autore, il quale era impossibile che non avesse in mente ordine e
la sostanza del proprio scritto, e nello smarrimento stesso dell originale aveva
uno stimolo a pubblicarne almeno un compendio, poi eh era troppa la noia del
rifar tutto da capo. Senonch il pernio della quistione non ist in queste cose che
abbiam sinora discusse : importanza quell ntima persuasione che nasce da
una diligente lettura dell* opera stessa, e fu qiiella che trasse il Muller e dietro
a lui il Mercklin, il Lachmann, il Ritschel in quel supposto. Contrastare a minuto,
punto per punto, se gli sconci possano venire da qualch altra causa, seminar
dubbii per non raccoglier che dubbii. Concediamo allo Spengel e al Wilmanns
che nel voler recare a questa origine ogni maniera di sconci il Muller largheggi
troppo: basta che dall altra parte mi si conceda che la negligenza apparisce in
quest* opera molto diffusamente, e creder giusto il conchiuderne che la radice
prima del male sta nellaqtore. Che se qqestopera, la quale inviandosi a Cicerone
avrebbe dovuto vincere in accuratezza le altre, n anzi scadente, e alla maestria
del disegno non accompagna la bont dell esecuzione; che s ha altro a dire se
non che autore non le diede ultima mano ? Ma di ci basti : di questo piccolo,
X X X V l l Al LI BRI Di M. I KR VAl \ R. I NTOU. NO AL l . A TJ NGUA L ATI NA X XX Vi l i
XXXI X FUI u FAZI OlNE a i LIBHJ 1)1 1>I. I L U . VAHUUNK XL
ma ricco volumetto del Wilmanne parler nuovamente nel supplimento ai primi
libri di Varrone che verr qui appresso.
Ora non altro mi resta se non chio preghi il lettore d* avere a mente che^sq
se nel rammendare il teto non trassi profitto da alcuni lavori che ho pur qui ri
cordati^io non poteva neanche farlo ; perch son forse dieci anni da che com
piuta la pubblicazione del testo : tanto son badati a seguirlo, n occorre dirne il
perch, questi preamboli. Del resto non temo eh' ei non sia per usare con me
quella indulgenza che merita la difficolta del lavoro, pensando che in si fatte cose
chi ne vede una e chi un* altra, nessuno le vede tutte.
. TERENTI VARRONIS
DE LINGUA LATINA
LIBRI I, II, III, IV.
^ intera opera Varroniana intorno alla lingua Latina era divisa in venticinque libri; e di
questi in sul principio ne perirono quattro. La prima cosa ci detta da 8. Girolamo nel suo
catalogo delle opere Varroniane; Taltra ricavasi da*migliori testi d penna e dalle citazioni
de* grammatici che danno per quinto il primo de*sei libri rimasti, e cos avanti gli appresso
(V. la nota 4 al L V). Se Varrone non tocca che di tre libri antecedenti a quello che diciamo
quinto (V. 4 ; VII, 409), ci mostra solo che il primo libro era come un preambolo ; e lascia
insieme vedere perch Aldo e parecchi altri editori abbiano creduto quarto quel che doveano
dir quinto. E di vero a persuadersi che il. primo libro era pi che altro un preaubolo, bosta
guardare ai disegno dell opera. Poich la materia vi si Riandava distinta di sei in sei libri ; e
ciascuna di queste parti, che naturalmente erano quattro, suddivldevasi in duo corpi minori di
tre libri per ciascheduno. Simili divisioni cosi uniformi, non ostante il dover parere puerili, se
la materia non vi si arrende spontanea, Varrone le am e le pratic a bello studio anche in altri
suoi scritti, certo nelle Imagini e nella grande opera delle cose umane e divine. Or la prima
delle quattro parti, che quella dell etimologia, pigliava le mosse dI secondo e terminava col
settinio libro ; ondech il primo non poteva essere che un proemio. Non ce n* rimasto di certo
nessun frammento : e non pu nemmeno alTermarsi con sicurezza che anche questo, come i tre
libri seguenti, fopse indirizzato a quel P. Settimio che Varrone ebbe seco in qualit di questore.
4 ogni modo non credibile che vi si spendessero molle parole nel dedicarglielo, quando vedia
mo che non se ne spende nessuna nell inviare il rimanente dell* opera a Cicerone. Resta adunque
che se non era in tutto simile al primo libro della Storia Naturale di Plinio, gli si avvicinasse
nella sostanziale sua forma, cio nell espoiTO il fondamento, 1*ordine, la divisione dell opera ;
che fa il modo tenuto da Varrone anche nel primo libro delle cose umane e nel primo delle
divine {S. ugusL C. D. VI,*3). La stessa forma, in cui l'autore ricorda in sul Gne del settimo
libro daver/a//o tre parti del suo lavoro, accenna ad una divisione proposta sin dal princi
pio ; e pi apertamente lo dice il cominciare del libro ottavo che : Ouom oratio natura tri
partita essety ut superioribus libns ostendi etc, ; dalle quali parole rnccogliesi che upu solo
XLIIl UBl \ l DI M. TE RE NZI O VARRONE
la divisione s* ora proposta iiegll ontecedenti libri (e quel altra vi si potrebbe intendere, se non
il primo ?), ma eh* erosi altres dimostrato eh essa aveva il suo fondamento nella natura. Le
parti eh egli avea fatto del suo lavoro, Varrone le dice tre ; perch tre sono i capi pi principali
della materia presa a trattare, cio Torgine, la declinazione largamente intesa e Tordinamento
delle parole: ma, eiecorao la seconda parte terminava col decimoterzo libro, e per restava
alla terza un numero doppio di libri di quei che s eranadaU a ciascuna delle altre due, cos
probabile che autore seguitando il suo passo abbia ridiviso in due questa terza parte, ed asse
gnato anche a ciascuna di queste parti nei libri. Ma voler dire qual fosse questa divisione, e
quale la sua suddivisione di tre in tre libri, sarebbe un fabbricare in aria, non trovandovisi in
ci che resta di Varrone nessun fondamento. Benel deir altre due parti, sebben non le abbiamo
che per met, ci resta quasi intero il disegno, ed questo :
Parte 1di libri V! dal 11al VII.
Suo argomento ; Ouemadmodum rebus Luiina nomina essent imposila ad usutn noslrum
(VII, 109,110; Vili, 1).
Sezione 1.* teorica, dedicata a P. Seltimio, dal l. II al IV.
Sezione 2.* pratica, dedicata a M. Tullio Cicerone, dal l. V al VII.
Libro II : Quae dicantur quor ^ ncque ars sii neque ulilis sii.
----- I li : Quae sinl quor et ars ea sii et ulilis sii.
----- IV : Ouae forma etymologiae.
Libro V : Origines verborum locorum et earum rerum quae in locis esse
solent,
VI : Quibus vocabulis lempora sint notala et eae res quae in lem
poribus fiunt,
---- - Vll ; De Poeticis verborum originibus (VI, 97).
Sua divisione
Sezione 1.*
(V,1;V1I,109)
Sezione 2.*
(ivi)
Parte 11 di libri VI dalPVm al Xlll,
dedicata a Cicerone.
Sezione 1.*
(X, 0
6; Mi T f c i l l i M l VAKHOi^lS
60
itero cundtlae ut Horoa^ cl ideo coloubc ot urbet
c o n d u D t u r , qiiod intra poincnum ponuntur.
44' Oppidum, quod primum oonditum in
Latio stjrpis Romanae, La^finium; nam ibi dii
Penates nostri. Hoc a la t i ni fdia quae coniuncta
Aeneae, Lavinia appellata. Hinc post triginta an
nos oppidum alterum conditum Alba : id ab sue
alba nominatum. Haee t navi Aeneae quom fu
gisset LaTinium, triginta parit porcos: ex hoc
prodigio post Lavinium condituro annis triginta
haec urbs facta, propter colorem* suis et loci na
turam Alba Longa dicta. Hinc malcr Romuli
Rhea; ex hac Romulus ; hinc Roma.
145. In oppido vici a via, quod ex utraque
parte viae sunt aediBcia. Fundalae a fundo, quod
eiitum non habent, ac pervium non est. Angi
portum^ si id angustum, ab agendo et porUi. Quo
conferrent suas controversias, et quae vendere
vellent quo ferrent,ybriim appellarunt.
146. Ubi quid gcneratim, addiium ab eo co
gnomen; ut forum boarium^ forum olitorium :
hoc erat antiquum macellum^ ubi olerum copia.
Ea loca ttam nunc I^acedemonii vocant macel
lum: sed Iones ostia ortorum macellotae orto
rum, et castelli macella. Secuuduni Tiberim ad
] unium + forum piscarium vocant: de eo ait
Plautus :
Apud piscarium^
Ubi variat res.
Ad Cometa forum cupedinis a Gupedio \ quod
Tnulti forum cupidiiris a cupiditate.
147. Haec onttiia poSslcaquam ronlracia in
unum locum* quae ad victum perlinebant, et
aedificatus locus ; appellatum macellum^ ut qui
dam scribunt, quod ibi fuerit ortus ; alii quod
domnt foerit qnoi cognomen fuit Maeellus, quae
ibi publice sit diruta; e^ua acdificatuai hoc quod
vocetur ab eo macellum.
stano piantati alcuni cippi oolonnelli Ui liiComc
mI Aricia ed intorno u Roma; L cstelldun-.
que cui, nd fondwle, si guidava fartorso P aratro,
o da orbis^ giro, o da urvum die H bure del-
aratro, ti dinominaroiio urbes ; o ifdle antiche
scritture le colonie romane soo tutte etibioatc
urbeSy perch si fondavano al modo steMo di
Roma ; e il fondare queste colonie e castelli dicesi
C0ndere cio riporre, perch i obiiBidono dentro
al ponerio.
i 44 11 primo castllo i ronien sangue, he
siasi fondato nel Laiio, fu Lavinio ; penHMh ivi
sono gli dei Penati de' Romani. Denominossi da
Lavinia, 6glia di Latino, maritata ad Enea. Da
questo di l a trent' anni fu edi6cato il second
castello, chiamalo Alba da una troia bianca che
dalla nave di Enea era fiiggita a Lavioio e sgra-
vaiasi di trenta porcellini. Per questo prodigio,
trent* anni dopo edificalo fjavinio si fece questa
nuova citt, e addomandoisi Alba. Lunga pel co
lore della troia per la natura del laogo. Di l
enneRea, madre di Romolo$4a questa Ranwl o,
e da Romolo Roma.
145. Nelle cilt le contrade ti disaera m i ,
peroh sono vie fiaocheggiate da (abbrdia. Le
vie cieche, prive d ogni ruacita^ on fitn-
dulae dalP aver fondo) e se liaiio Btrelte amgi^
porti da ager e portus^ perch vi si entra eomc
in un porto. Quel luogo dove portavano e le liti
a sciogliere e le robe a vendere, da Jrre che v
quanto dir portare, ' chiamato foro.
146. Secondo le particolari specie di merd che
vi si vendevano, i fori si contraditiftinaero con
vani epiteti ; come di boario da* buoi, e di e/i-
torio dagK ortaggi chiamati oler. Questo dtce-
vast anticamente macellum ; e ooa ehiamansi
ancora da' Lacedemoni cosi fatti luoghi: gU looi
in vece dicono macellotes le chiusure degli orli,
e macella quelle de'castelli. Lungo il Tevere,
presso il tempio di Giano, quel che dicono forum
piscarium^ cio pescheria ; di col scrive Plauto :
Presso la pescheria, dov di tulio.
Il mercato alle Comete si disse forum cuptdi-
'nis da un certo Gupedio: molli il vogliono quaai'
forum cupidinis^ws^ mercat deUe ghiottonecie.
147. Dopoch queste txm pertinenti al vitto
si raccolsero tutte in un solo luogo edificato a
quest' uso, gli si diede il nome di macellum per
esservi stato prima un orto, secoudoch scrivono
alcuni. Altri dicono in veea ok'era ivi la casa
d' un certo Macello e he fu atterraU per pub
blico ordine ; onde, essendosi poi fabbricato con
essa quel mercat, gir rest il nome di raaoelW;
D& UNG^A LATINA LIB! V. 7 0
4^ l i i foro i ecMi n C urthim Gurti o il
ei mn OMMiat;* e t (1 o tri cep ; neitt et
PradK(PBoo^Ml efli ^roi i t*qBd Pisa nee qood
9i Corn^l i as SlHo modHis. A Prod l i o r el ah i n in
eo I mo t k i tte l erram, ei id ex S. Coa. ad ru-
tpMe#tl atum c m ; r cfpossum Deum Maftiom
poal ul iontni postulare, id est civem rorl issfoum
eo deraiUi ; turo qaeudam Curl ium ci fem fortem
armafeon aaceodiase i o equnm el a Goacordia
versom oi m equo eo praecipitatum : eo fiiclo l o-
ttua ooMt 1<| ' corpus ^Mni tos hamasse,
o r al i qoi genti>aeae monvmeotum.
1^9. Fiso ID Annalibus scribit, Sabino beilo,
qood foit JBLoffittlo et Tatio, Tiram fbrlisenum
Melium Curlium SabinuAt qoom Romuktt cum
soie ex soperiore parie impressionem fecisset, in
locum paUstrem, qoi tum iuil in foro, nteqoam
ci oocioe sontiMtoc^ teotigitse atqoe ad suoi se *
in Gapitoliom recepisse ; ab 00 bcam invediaie
iSiO CornolSas et Lolaties; scriboni, eum lo
ia ilgaritum, et ea SeoatiM Goa. aeplom
m ; id qood fiMloBTntt a Conio CoofoU <}00i
MorcoaGcaolBfattooHeg&,Curlion appeUatam.
iSi* ^rs9 Ir arcando, qund is locus munitis-
si ni u urbis, a qno faetUtma poatit hos^ prohi
be ri Carberttoomeiidovqwde^ireiQolusi pro-
hibaaterw lo ifeoopott quae aub terra TuUianum^
ideo qood additnm a ToUo rege. Qood Sjracusis,
ibi: idem cianai cuatodsuntur, vooanlor latomiae,
imleZtfiiilMM vtmMlatumH quod hic qnoqoe in
o Imo lapidMioae f u m a i .
iSa. In eo Luretum ab eo qood ibi sepullus
est Taline rex qui ab Laurentibus interfectus est :
el * ab siira laurea, quod, ea ibi excisa, est ae-
diloalua Teos \ ut Inter Saeram viam et macel-
Ivfo edi ta ! Comta a , quae abseisaae loco
roHqoerant nomeof fA Escmlttum ah eaeolo di-
etom, >et Faguiml a fo ( nnde etiam Tohs Fa
faEisJ, qnod ibi, jMeUnm^
i S 3. ALrmUMSUtmm uh M99hku lualri. Locus
idem Cirtu Mmmiimut d^loa, qood, oincom
apaatncnUa aedificatia, ibi ludi fiiMl, el qud ibi
cifcoo malaalerliav fiompa etaqui corrunt. lia-
Quel luogo dd foro che chiamasi lago
Curzio^ tutti s'aocordau nel dire che fu denomi
nato da Curzio: ma se ne contano tre dircrse
storie ; poich Procilio dilungasi dalla narraxion
di Pisone, e Cornelio Stilone da quella d en
trambi. Procilio narra che in quel luogo s'*aperse
un tempo h terra ; onde per decreto dei senato si
ricorse agli aruspici, i quali risposero che il Dio
de' Mani chiedeva che gli si mandasse gi il cit
tadino pi forte ; e che allora un certo Curzio,
prode cittadino, mont armato a cavallo e, par
tendo dal tempio della Concordia, vi si precipit
dentro insieme col cavallo: ci fatto essersi chiusa
la voragine e, seppellito cos per opera divina il
cadavere, esaer passato quel luoge, come un suo
monumento, alla gente Cnrzia.
149 Pisone scrive negli Annali che, nella
guerra sabina fra Romolo e Tazio, avendo Ro
molo co soi>dato la carica-da un ponio pi allo,
nn valoroaissimo uomo Mezio Curzio aabioosi
ritir in un luogo palustre eh era allora nel foro,
prima che si facessero le cloache, e per di l si
ridusse appo i suoi nel Campidoglio} onde qnel
lago ricevette il nome da lui.
I So. Cornelio e Lutaxio acrivono che quello
un luogo colpito di fiUmiue, e per sbarrato
per decreto del Senato : come ci arvvenne n^
consolato dt Corzo eh' ebbe a coHega Masco
Genuxio, oos quel luogo essersi chiamato Curzio.
i 5 f . La rocca si disse arx da arcere che vale
tener lontano, perch la parte meglio riparala
della cilt^ ond' pi facile tener lontano il n>
mico. Carcere da oorcere^ afirenare, perch a
quelli he vi si chiudono tolto uscire. La parte
aoilerranta del carcere delU Tulliano^ perch
^ fu aggionta dal re ! nome di Latmmia
stocto da quel di latomia, onde chiamasi in Si
racusa il luogo ove guardansi simili condannati (
perch in qnel sito v' erano anche qui delle cave
di pietre.
152. Neir Aventino, quella contrada che ai
chiama Laureto^ ebbe, questo nome dall' etaer
sepolto ivi il re Tazio ucciao da que? di iMirenlo,
o dall' esservi stalo un boaoo di lauri prima che,
Uglialolo, vi si fabbricasse quella contrada ^al
modo stesso che altura fra la Via sacra e il Ma^
cello si nom Cometa da' cornioli che, sebbei^
recisi, Uaclarono il lor Toaaboio al liaago ; c E
Uraise*l nome dagl* iachi, e i l F a n a le
da' laggi} onde anche U cappella eho ivi aocge,
della Giwe FagiUaie.
153. JrmiJusUum.A %inv vi aifii
imI lustro. Lo slesso Inogo chiamasi anche Circo
Massimo^ perch vi si aia a gnurdar^ gli s p e l l a i v
ili loggie edAfiaie in cerchio, e io cerchio corro-i
, 1:1 VKKOWS
que Uicluo) in Ck>rnicularia millij adventu qucni
circumeunt ludentes :
Quid cessamus ludos facere i Circhi noster
ecce adest.
In circo primo unde millunlur equi, nunc dicun
tur carcereSf Naeviuj oppidum appellat. Carce-
rej dicli quod cocrceniur equi, ne inde exeant
antequam magistratus tignum misit. Quod ad
muri speciem pinnis (urribusque carcercs olim
fuerunl, scripsit poeta :
Dictator
ubi currum insidit^ peri^ehitur usque ad op*
pidum.
154. Intumus circus ad Murcitn locatur, ut
Prociiiat aiebat ab urccif, qaod ii locus esset in
ter figulos. dicunt a rourteto declinatum,
quod ibi id fuerit : quoius yeetigiam manet, quod
ibi sacellum etiam nunc Murteae Veneris, Itera
simili de causa circus Flaminius dicitur, qui cir
cum aedificatus est Flaminium campam, et quod
ibi quoque ludis Tauriis equi circom metas cur
runt.
155. Comitium .fkh eo quod coibant eo corni-
iiis curialis et litium causa. Curiae daonim ge
ncrum ; nam et ubi curarent sacerdotes res <lT-
nas, ot Curiae Veteres, et nbi senalus, bumanas,
ut Curia Hostilia quod primum aedificavit Hosli-^
Hos rex. nte hanc i 2ox i r a; quoius loci * id
ocabulum, quod ^ex hostibus capta fixa sunl ro
stra. Sub dextra huius a Comitio locus substru
ctus, obi naUonum subsisterent legati, qui ad se
natum csseot missi. Is Graecostasis appeltatas a
pavte, ut multa.
i 56. Senaculum sopra Graecostasim, obi ae
dis Concordiae et basilica Opimia^ Cenaculum vo
catam, nbi senatnsaut ubi seniores consisterent ;
dictum ut gerusia apud Graecos. Lauiolae a
lavando, quod ibi ad Janum Geminam aquae cal
dae iaeroot. Ab his palus fuit in minore Fela-
hroy a qoo, quod ibi vebebantor lintribus, Vela-
bram ; oi illud maias, de quo supra dictum esi.
Do i cavalli c portensi iu processione le cose sacre
intorno alle mete. Onde nella Comicularia, al
sopravvenir d ' s o l d a t o , gli vaiui< allonio con
befiCe cosi dicendo ;
Su, raano a' giochi ; il nostro irto froDio*
Le mosse, cio quel luogo in su principio
circo, donde si lasciano i cavalli, al presanic si
chiamano carceres ; ma Nevio le dice ^ppidmm.
Carceres son nonainale da co'reere^ affreaar,
perch vi si tengono in freno i cavalli, ch non
nc escano prima che venga il segno dal magisira--
lo; oppidum poi, cio castello, lo chiam il poeta,
scrivendo :
Come so cocchio il drtlator s'assise,
Fino al castel s nvania,
per ci che le mosse erano fatte a somiglianza
delle mora, coni merli c torri.
i 5{. La parte pi interiore del Circo dieesi
ad Murcim^ econdo il credere i Proctlio, diagli
orci, perch quel luogo era in raexao a'vasai.
Secondo altri da' mirti, de' quali ToglioM foaae
ivi un boschetto : certo ne resta on indizio, che
nella cappella ivi posta a Venere, le si d ancora
il nome di Murtea, Per sinriK cause fu denomi
nato anche il Circo Flaminio^ perch s co**
strutto intorno al campo Flaminio ed anche ivi
ne' giuochi Taorii i cavalli corrono circa le mete.
155. Comizio da coire, adonar^ perci
che in esso adunavansi per gli squittinii delle
curie e per cagion di litigi. Curie dal cacarvi
( poich ve n ha di due sorta ) o i sacerdoti le
cose divine, come nelle Curie Vecchiey o il se
nato le amane, come nella curia, chiamata Osti-
Ha perch edificata la prima volta dal re Ostilio.
Innanzi a questa sono i Rostri; il qual luogo hai.
il nome dall euervi fitti i rostri, o sproni, de'oa-'.
vigli presi a' nemici. Di presso a qoesti a roaoo
destra verso il Comizio si costrosse on luogo, in
cui s'avessero a fermare gli ambasciatori maodati
dalle altre naaioni al senato ; e da una natione
particolare, come s ' fatto io tanV altri Romi, si
chiam Graecostasis^ cio stanza de Greci.
156. Di l dalla Grecostasiy dov' il tempio
della Concordia e la baslica Opimia, era il Sena-
colo che cos nomossi dal dimorarvi del senato o
de' seniori, al modo stesso che Greci chiamano
gerusic simili luoghi. Lau/o/ae dal lavare ; per
ch ivi, presso al tempio di Giano Gemino, erono
fonti di acque calde, che formavano ona palvde
nel Vtlahro minore^ deoeminato anch esso da
DE UNGILA LATlflA LIB: V.
l i
1 q Mq*>twMeK iKmuir
poblioo qaod regouni oocaparR Toloit il. Loco
ad Busta Gallica qaod, Roma recuperala, Gal-
loruA.oMay qui pomdcrool urbero, ibi coacer
vala ac oonaepU. Locus qui vocatur Doliola ad
cluacam maxumam, nbi non licei detpuere, a
^AlioHsfob lerra. Koraim doae Iradtlae hieloriae,
quod falli ncife aiual oaaa cadaverumy, alii Nu
raaePoaipilti peligioea quaedam poeC mortem eius
ipioffa. ArgiHum suot qui aeripserunl ab Ar-
gola, aeu qaod it hoc yenert ibiqoe aitiepi^llas;
alii ab^rgilU, qeod ibi id genm ierrae.
i 58. CU90S Puhlicius ab aedilibaa plebei
PaUioif qui eam publice aedificaranl. Simili de
caoia Pullius et Cosconius^ quod ab hia t oco
ria diooniar aedificati. Clivoa proxomoa a Flora
BQiaTevfoi Capiiolimm vitas^ qnod ibi Bacellum
lovi, lanoniiy Minerfae^ et id mtiqaiot qoam
atdij q i a m CoqHtolio facta.
159. EtqoKt ptcvs Africusy quod ibi obd-
dea ex Africa beNo Ponieo dicantur cuatoditi.
Ficus Cypwims a cy^ro, quod ibi SbinroiTes
additi oonaederant, qui a bone ornine id appella-
mnt ; am cjpnim Sabine bonum. Prope bone
viems SceUratus^ dictin a ToUa Tarqoini Su
perbi oxore, quod ibi quoro iaceret pater occi-
aB, aspra cam cerpentam mnlio ut inigeret
it.
XXXill. 160. Quonim vicui eonttat ex do-
mibut, none eanim vocabohi videemui. Domui
Ovaccum ; et ideo in acdibui aacria ante cellam,
ubi ,aedet dei aunt, Gracci dieunt po^o/uar ; quod
poUi 2e<ft> ab adito, quod plano
pede adiiMDt Jtaque execdibus efferr indictiio
funarc praeoo etiam eoa dici! qui ex iabernit ef-
feruntur^ et ornaci iu ccneo Tillaa inde dedioa^
muaacdea.
161. Gavam acdiaai diotom qui loeiia tectua
intra parietes relinqiebatr patula, qui eaaet ad
commime omnium neum. In boc locuf ai nallua
eAerw, come il maggiore di cui ho parlato di so*
pra, perch vi fi andava sopra barchetle.
157. Aequimtlium dall essere stala iti la casa
di Melio, che fu poi spianala o, come i Latini di
cono, acquata^ dal pubblico, perch volea farsi
re. La perle della Busti Gallici^ fu cos chia
mata perch, come suona il nome, Tossa de Galli
che sperano insignoriti di Roma, quando la cill
fu ripresa, s ammonticchiaron tulle in quel luo
go e si chiusero con un ricinto. L allro sito, dello
i Dolioli^ presso alla cloaca massima, dov proi
bito sputare, ha trailo il nome da piccoli dogli
che vi stanno sotterra. La sloria narrasi in due
modi diversi ; perch*altri vuole che vi sian den
tro ossa di morii, ed altri alcune cose pertinenti
a religione che, dopo la morte di Numa Pompi
lio, siansi col sotterrate. W Ar^ileto^ scrivono
alcuni che siasi cos chiamato da un ceflo argivo
eoulo a Roma e col sepolto; altri da Mrgill,
per esser quivi tei qualit di terra.
158. 11 c/iVo Pu/fcio ebbe il nome da'Pu
blicii, edili della plebe, che edificarono a pub
bliche spese. Parimente il Pullio e il Coscorro
da dee soprantendenti alle vie, cos chiamati, che
li fabbricarono. Il clivo appresso, salendo dal lem^
pio di Flora, si dice Campidoglio vecchio per
essenri una cappella di Giove, Giunone e Miner
va, pi amica del tempio che si costrasse loro
nel Campidoglio.
159. Nelle Esquilie, il pico Africo deriv il
nome' dagli statichi africani che voce essersi
ivi cpstodfti nella guerra cartaginese. Il ifico Ci"
prio da cipro^ voce sabina che significa quanto
dtr buono; perch, essendosi accasati in esso i
Sabini accolti in citt, cos il chiamarono per
buoi augurio. Allato a questo il vico Scelera
to^ che trasse il nome da Tullia, moglie di Tar
quinio il superbo, la quale vedendo ivi giacere
so padre iioeisof comand 1 cocchiere d sospin
ger le mule e passargli sopra col cocchio.
XXXllI. 160. Siccome i vicoli son formati da
case, vediamo ora i varii nomi che appartengono
a queste. Domus^ che n' il vocabolo generale,
voce greca ; e per ne tempii la parte davanti
alla cella ov il dio, da Greci chiamasi TfoVo-
e la parte di dietro ^. Aedis si
nom da prima la casa a un sol piano dal verbo
adire cio andare, perch vi si va senza salire
Ond che nel bandire i moviorii, anche s ab
biasi a levare il morto da una baracca, il gridatore
usa il modo efferre ex aede ; e le case di cam
pagna si registran tulle nel caluto col nome di
aedes.
i6f. Capum oecfisim chinmarono qnel luogo
coperto che lasciavasi Kbero in messo il ricinin
deUa casa, perch fosse a comune uso di lulti. Se
T i W m t ^AHRCNIS
7(^
rekctm ertlt l ab diToqut m e t , ^kcbalor 4esiu~
do b lesliidinf miliiadine, ut est in |re(orio
in castrif. Si reliclnro rat in medio ul iucem ca
peret, ileorgiuD qao iroploebaC ciumimpiuv^fmit
autom qua compluebat compluvium ; ulromque
a pluvia. Tuscanicum dictum a Tuicie, poalea-
qam ittoroBi cavuni aedium gmulare coeperuut.
4 irium appellatum ab trialibiis Tuk s ; illine
eiiim exemplum fumptum.
16^ Gircam oaTam aedium ennt onina quo^
inique rei ntilitatia causa parietibof disaepla. Ubi
quid condilntn esse Tolebanl, a celando cellam
ppeUaruQt ; penariam^ ubi penua. Ubi cnbabani,
cub9uliim : ubi eoenabant, oemaculumyot\a^
bantf ui'atiam nane Laouvi apad aedem lunonis
et in cetero Lalio ac Faleris et Cordubae dicnn-
tur. PosUaqnum in parte coenitare
coeperant, snperiory domus universa coenacula
<jiicta : postcaquaro ubi coenabant, plura facerc
coepcrunt, ut in caslris ab hieme bibema, hiber-
ffum domus vocarunt ; contraria................
Bie defeeit rempfar fbliU duoina.
XXXIV. i 63................ ligionem Porcins desi
gnai 4|uom de tinnio acribens dicit eom coluine
Tutilinae loca. Seqoitur porta Naevia^ quod in
nemoribus Naevii* {Naevii ^ eteoim looa, ubi
en ) sic dicta. Deinde Rauduscula^ qnod aerata
fuit. CS rqudus dictam : ex eo veteribus ili man
cipiis scriptum :
Raudusculo libram Jento,
Hinc Lavernalis ab ara I^veroae^ quod ibi ara
eiui.
164. Praeterea intra niuros video portas dici
ili Palatio Mucionis mmugitu, quod ea pecus in
bucita ciccum antiqaom oppidum exigebant ; al
leram Romanulam, ab Eoma dictam, quae habet
grailus in Nova via ad Volupiae iracellum.
iG5. Tertia est lanualis dicla ab iano ; et
ideo ibi positum laiii signum; ei ius institutum a
Pompilio, ut scribit in Annalibos Piso, tti sit
ftf)erla smper, nisi qiiom bellum sit nasquam.
non vi si aveva lateiato alevno i p n i o scop(!rto, si
dicea testudo da ana colai soirtigliania cot nicchi
deUe leituggini ; e tal R prelotrto ncRa^milfoib.
Altrimenti, se nel mezxo vi aveva lasciai aw
vano, per cui entrasse la luce; la parte di sotto si
chiamava implutium e la superire Aim,
ambedae dal piovere^ da che questa vi^raegli^
va 00^snoi pendenti acqoa piovana, e Tallwi ta>
rioev^a. Questo vacao ia meizo la casi^ dopoch*
vi ai v^lc imkar la foggia de' Toschi, g im&
anche Tuscanicum ; come atriwm denomiooM^
il portico che gin Mdetto corflles perch se w
pigli esempio dai Toschi d' Adri .
i6a. lotomo al medesimo eorlHe efan fanff
luoghi separati da mari, quante sono le occr
rerne di casa. Dotc voleano riporre in serbo al
cun che, dal celare la diceano cella ; penaria^
s ' eran mangiari, perch penus ogni cosa da
mangiare. La stanza da letto, dal cubare si solca
chiamare cubiculum ; e il tinello, dal cenare,
cotnaculum ; siccome chiamansi ancora presso
il tempio di Giattooe in Ijuiavio^ e nei rert del
L a o e in Faleria ed iir Cordova Ma dopa cks
venne in uso il cenare nella parie sopodore della
casa, le stanse dell- oitimo pisao ai dissero4**
cencoli : e poich, oltre al mangiare, tollero s
farvi moli' altre cose | perci, ooo vocaboia^pvot
prio de' soldati che il trassero da hiems^ inverno,
si chiam anche il cenacolo hibernum omui^
cio il qnarliero d' invcrao delb casa........... ..
Qui nell uemplart m^nean due ffi
XXXIV. i 63................ r indica Porxio allora
oh, parlando di Ennio, dice ohe abit presso
airara di Tutilina. Vien poi la porta Nevia^ coti
chiamala dall' essere nella selva Nevia^ come que
sta da un Nevio che la teneva. Quindi la Ram
duscula, dall*esser coperta di rame; poich il
rame diceasi raudus^ ond' scritto aelie antichr
leggi de* maocipii : Raudusculo libram ferit&n
cio Tocca col rame la ^/eacto Sagnitando,
la porta invernale ; e qaesla si oooi da Lave*-
na, perch n' ivi l ' ara.
16 i. Anche delle porte che sono dentro alle
mnra, quella di Mucione nel Palalino apparisce
che si nom dal muggire, staale che per essa si
menava foori armento ai pasaoli eh' erano in
torno air antica cerchia. La seconda porla, cio
la Romanula, ebbe li nome da Roma, ed quella
ov" la scalea dalla cappella di Vulnpia in Via
Nuova.
i 65. La teria la Gianuale denomiuala da
Giano;, sicoh 0 ' .ivi la alaiaa, e per islituaone
di Numa, come scrive Pisone ne* suoi Annali, dee
restar sempre aperta, eccetto il caso che non
77
DE LINGUA LAI INI LIB. V.
Trailfii^: .floemorUe Poaiplio rege hfte
opcniMOk et fM>st Ti ipMunlio Coniale, bello Car*
tliagiiiieitfi priiDo confecto, et fcodem o q o
perUm^
XXXV^.i(6. Svper lechilia origines qua
Tcrli bae* IttcUca^ quod legebant ade eam fii
cerepi stnui^eala .atque herbam, nt etiara mine
fil ia dal iii , Ltc^ tquod, ne esfent d terra, su*
bl i ^ in bia ponebani; disi ab ^quod Graeci
aoliqu licebaat X^xrfor, lectrisiA potios. Qui
leclifam iavolfebaot, ^od fere stramenta crani
e segete, feststxiam appelUrunl, ut eiiaoa nane
iu castris ; nisi si a Graecis^ nam 9iy9^w^, Ubi
leaus mortui fertur^ UiceliaDt ftrttrum nostri,
Graeci 0e>frfoi^.
167 Poftleq<iMa Isansierunt aU culoltasi qood
in ea. aoosranl toaaeotaaa alindfe ^I<1 calrabanf^
eb inoaloando. cm/ci/o dieta. Hac qodqeid in
Icnadbattl^ab Vcwntt strugulum appeUal>ant.
/ iv/iiMer fcl a pbiribus rei a polulis dedinarnat.
43iibMS)opartbaotuv,<ofMrimnto^et pallia ^per^
fiuia dixecant; in bis malta peregrina,iit Mgmm
t i reo0 Gallica, et fouMocum et amphimallum
Graeca. ConAM-Lilinoai <orB/,qaod anta torom ;
et torus a torso, quod iis in promptu. Ab bac tl-
m^iUidin^ io jaulierie capite onMto;
1O8. Qua aimpUci scaaaione scandebant in le-
cUira non aitino, scaeUwn; in altioreni, scam
num. Duplicala scaMsio gradus dicitur, quod
gerii in inferiora sopeviorcm. Graera sunt
'giromata ci peripetasmata^ ci si alii quid ilem
convTi causa i b i
XXXVI. 169. Mtika pecuoiac signaUc roca-
buia siHit. Aeris et argenti haec. As ab aere. /^-
pondius a duobus ponderibus, quod uiium pon
dus ahsipandium dceba|r : id ideo quod aserat
libra pondus. Deinde ab itumero reliquum di<>
duro usque ad cenluasis, ut as aingalari numero ;
ab tribus assibus rcf/i/yct sic ppoportione uiqiie
^d 4tntssis4
aTe guerrar in Bcmtea |>arle. Narrali ebe aia
tata chiusa regnando Numa; poi di nocivo cbio-
sa nel consolato di Tito Manlio, dopo finka la
prima guerra cartaginese, e n d r anno sloia ri
aperta.
XXXV. 166. De* nomi che ragguardano il
giacere, le origini che ho notato aon queste. Lei-
tiga da legere ebe quanto a dir cogliere,
perch a farla coglievaai paglia ed erba, come
s' usa ancora tra soldati. Lectus s chiam il lello ,
da sublices^ cio da' piedi, so cui il sollevavano,
perch non islesse su la terra ; se per da prima
non fu detto leetrum per ci che gli antichi
Greci Taddomandavano Xixrfw, La coperta,'onde
involgevano la lettiga, si denomin segestria da
seges che significa biada, perch solitamente ser-
Ta di coperta la* paglia delle biade, com' a n c m
coslume nella milizia ; se anche segestria non si
trasse da' Greci, che la dicono Quel-
arnese, in Cui portasi il letto con sopravi il mor
to, i Greci lo chiamano piftrfifs feretro i nostri.
167, Quando si b' passaggio alle materasK,
come le riempivano di pula o borra o che altr
fosse ; cori da inculcare cio calcar entro, le dis
sero culcitae. Ci che vi distendevano sopra,
<hllo stemere chiamarono stragulum. Puhinar
il capezzale o da plures pi, o da polulus picco
lo, perch quasi un altro e minor materasso. Da
operire cio coprire, dissero operimenta le co-^
per te, ed opercula le sopraccoperte. Di queste
v ha molli nomi stranieri, come sagum e reno
gallici, gaunatum ed amphimallutn La
tino toraly che vien da toro cio cuscino, per-
tib.disfeiHlesi innanzi ad esso ; come loro da
iof t o, perch faceasi torcendo checche veniva, fra
fiaiio. Dalla somiglianza che ha con questi ruo-r
, ti chiam torulus quell' abbigliamento che
usano in capo le donne.
168. Quella predella a un olo scaglione, per
cui si monta su '1 letto ; se non sia moli* alio la
dicono sgabello ; altrimenti scanno^ da fcande-
re. Se gli scaglioni son pi, si chiamano gradi
da gerere^ portare, perch portano abbasso chi
sa di sopra. Peristromata e peripetasmata (che
cosi cbiamansi t tappeti ed i cortinaggi) son uomi
^reci, come anche gli altri vocaboli apparleneuli
ai paralo de' le,Ili per li convilL
XXX VI. 169. V* ha parecchi nomi di inonete.
Di quelle di rame e d' argento, i nomi soci que
sti. Jsse da acj, cio dal rame ond' fallo.
Dipondioy quasi di due pondi o libbre, si chiam
la moneta che valeva due assi, al modo che un
solo fondo o libbra si diceva assipondio ; c ci
perch 1* asse ew una libbra in peso. Da^ due
'assi ai cento, delti centuss^t^ i-uomi sou ii^lli lor-
inali da aM dal proprio numero, e dicousi nel
79
. VARRONIS 8
^. ] denario numero hoc rauUl, quoU prt-
iiiuiii csl ab decem assibus decussis^ secundum
ab duobus decussibus vicessis. * Reliqua cootc-
liiunt, quod esi ul tricessis proportione usque
ad centussis^ quo maius aeris proprium Tocabu-
lura non est ; nam ducenti et sic proportione quae
dicuntur, non magis asses, quam denarii aliaeye
quae res significantur.
171. Aeris minima pars sextula^ quod lexta
pars unciae. Semuncia^ quod dimidia pars an*
ciae : se Talet dimidium, ut in selibra et semo
dio. Uncia 'ab uno dicla. Sextans ab eo quod
exta pars assis, ut quadrans quod quarta, ei
triens quod tertia pars. Sentis^ quod semis, id est
ut dimidium assis, ut supra dictum est. Septunx
a septem et uncia collisum.
179. Reliqua obscuriora, quod a deminutio
ne, et ea quae deminuuntur ita sunt ut extremas
sj^llabas habeant. Uudeuna dempta uncia, deunx\
dextans^ dempto sex tante; dodrans^ dempto qua
drante ; bes^ ut olim des^ dempto triente.
173. In argento nummi: id a Siculis. Dena-
ni^ quod denos aeris valebaut; quinarii^ quod
quinos. Sestertius^ quod semis tertius ( dupon
dius enim et semis antiquus sestertius est, et f e
teris consuetudinis ut retro aere dicerent, ita ut
semis tertius, quartus semis pronunciarent), ab
scmistertius dictus.
174* Nummi denarii decuma libella.^ quod li
bram pondo aeris valebat, et erat ex argento par
va. Sembella^ quod libellae dimidium quod semis
assis. Teruncius u Iribus uuciis, quod libellae ut
hjec quuria pars, sic quadrans assit.
175. KaJeni pecunia vocabulum mutai, nam
potest item dici dos, arrabo, merces, corollarium.
Vos^ si nuptiarum caasa dala : btec Graece
rtvn^ ita enim hoc Siculi. Aii eodem ; nam
Graece, ut ipsi, et, ut alii, ' /ua et, ut Al
lici, . Arrabo^ sic data ul reliquum redda
tur: hoc verbum ilem a Graeco Reli
quum^ quod ex eo quod debituni reliquum.
sicifolare come asse. Cosi un tre assi ohiaroasi
tressis^ e via a questo modo fino a nonussis
oio ai noTe assi.
170. Quando viensi al dieci, v e questa Taria-
zion che i nomi procedono non pi per onit,
a per decine di assi ; sicch il primo decussis
cio dieoi assi,U secondo vicessis cio venti, il ter
to tricessis cio trenta, e cos aegoitaodo con la
stessa regola fino a centussis che vuol dir cento
assi ed la maggior somma in rame eh' abbia ro-
cabolo proprio ; perch da indi in sa, quando di
cesi o dugento o altro simil numero, del pari che
assi possono intendersi denari o altra cosa qual sia.
171. La parte minima delPasse si chiam sex
tula^ perch' un sesto d oncia. Semuncia quan
to dire meix oncia, perch la particella se signi
fica mezzo, come in selibra che mezza libbra,
e in semodius che mezzo moggio. Uncia da
uno. Sestante dall essere un sesto d asse, come
quadrante un quarto, triente un terzo. Sem^ss
dair essere in fatto mezzo asse, come suona il no
me per ci che ho dello di opra. Septumx da
feptem ed uncia con piccola collisione.
173. Men chiari sono i nomi delle altre parti
delibasse, perch le denotano per via di levameQ-
to, e la quantit da levare vi sta di nanitra che
tien ultima sillaba. Cosi deunx nn aste, tol
tone un' oncia ; dextans^ toltone un sestante ;
dodrans, toltone un quadrante. Bes poi <1 des^
come diceasi in antico, Tallre due parti che reata-
QO, tolto un triente.
173. In argento abbiamo 1 nummi, Toce Te--
nuta da'Siculi. Denari si dissero, perch Taleano
dicci assi ; quinarii quelli che cinque. Sesterzio
sincopato da semislertio^ perch anticamente
cambiava si per due aui e mezzo, ed il vecchio
uso nell indicar le somme degli assi era di con
tare all' indietro dal nomero maggiore pi prossi
mo : sicch due assi e mezzo diceausi semistertius
cio mezzo il terzo asse ; poi mezzo il quarto e
via via.
174* La decima parte del denaro si ckiMB
libella cio libbra piccohi, perch Taleva una lib*
bra di rame cio un asse, ma, essendo d argento^
era piccola. Sembella per sincope dall' essere
met della libella, come il semiitse dell* asse. Te
runcius da tre oncie, perch' la quarta parte della
libella, come il quadrante dell' aste.
175. Olire che per variet di valore, la pecu
nia mula Bomi per diversit di rispetti ; poich,
rimanendo una la quantit, pu dirsi ora dote,
ora pegno, e quaodo mercede e quando giunta.
Dote s'appella, se data per cagione di nozze ;
e questa anche i Greci, certo quei di Sicilia, cbia-
nMin imrtfn. Dalla stessa origine domo ; peroc
ch in greco, come il dicouo i medesimi Siculi,
8 DB-UKGL LATINA UB.lV.
|, guoia ipiaui r
fe(am qtiam quanti constat Lucrum^ ab lueiir
do, si amplius, quam ol exsolveret quanti esset,
caplum. Detrimentum a detrilu, quod ea quae
trita mmoris pretii. Ab eadeto mente intertti
mentum ab eo quod duo, quae inter se trita, ei
demii^ula l, q^UQetiam L^t^trigo dkla.
177. Jldulta pecMoiA quae a magistratu dicta
ut e^igi posset ob peccatum. Qood singulae di
cuntur, appellatae eae multae; quod olimunum
dice^nt mullam il^que quom ia doiium aut ca^
leuni ?iqm addunt rusUci^ pcima urna addita,
dicunt.eliam uunc..Pi>e/7a a pHnieado, aut quod
post pecca lMnx3equitur> Pretium quod emptio-
bi a aestimati|onisve caus^ constituitur, diclem a
peritia, qnod bt aoU possunt, facere recte id.
^78. Si quid dalujn pro opera aut opere, /ne/v
W a merendo.. Quod mana Caelum erat et datum
pro eo, manupretium a manibus et preUq. Co
rollarium $\ additum praeter quam quod debir
tam eius : ocfluro fictum a cocoUis, quod eae,
cura placuerant adores, in scena dari solitae.
Praeda est ab hoslibus capta, quod manu parta,
ut parida, praeda. Praemium a praeda, quod
ob recte quid factum concessum.
179^ Hi' datum quod reddatur, mutuum,^
quod Suculi /M^ror; itaque scribit Sopbroo/cioi'-
ro dwri . Et munus^ quod mutuo animo
qut auBti dant officii causa. Alterum munus quod
mniendi causa imperatum ; a quo etiam muni^
ciperi qui MoamuQUS fungi debent^ dicti.
180; Ea pecunia quae in mdiciun venit in
bmy sacramenium a saevo. Qui petebat et
<|oi jnfitiabatur, de aliis rebua utrique quingenos
aecis ad pontem deponebant, de alus rebus i4em
cevto alio legitinao.numero assum ; qui iudicio vi-
cevaty suum sacrsroentum e sacro auferebat, victi
ftil ararrum redibat.
M. T e r . Vabbow TWA.
^mo ; sccondocb altri, ; secoodoch gli
Aitici, dati, Arraho ti chiam il danaro dato a
patto ch'abbia a resliluirKne quel tanto che sar ^
di 4vre; t d anche questo Toebelo greoo.
Btliffunm si disse il danaro che da restituire,
perph' ,quel che rita dopo soddisfatto H debito.
%)&, Danno, da demere cbe yvuA dir lerare
quando d' una cosa si ritrae meno di qol ch^
costa. Lucrot da luere cio dal pagare, quando
si ricava pi che non avrebbe bastato a pagarci
del capitale. Detrimento da derere^ trassina-
nare, perch cosa trsssinata scema di pregio. Per
simil causa s diss inUrtrimentum il calo, per>
ch le cose con lo strofinarsi msieme ( eh oos
suona la paroU ) si logoralo. D qua ptire inUr-
trigo, scorticatura.
177. Malta somma iotimata da ort magi-
sCrato percb possa esigerti per qualche oolpa.
Siceome ibtimaosi voka per vaila, cosi s disiero
molte, perch in antico ' matta chiamavasi uno,
e i contadini anche oggid, nel rpri'e in botti
od in otri il vino, la prms secchia che vi ripon
gono, la dicono malta. Pena dal punire, o forse
anche da dopo, perch va dietro al pecca
to. Prezzo ds perixia, percM a far bene la stims
di d che da comperare o valutare, si vuol
perixia.
178. Ci che si dava per qualche servizio o
lavoro, dal meritare addomandossi mercede. I^e
manifatture, cio tanto i lavori di mano che il
prezzo dato per essi, da mano e prezzo si dissero
manupretia. Coro//ar/o, se s aggiongea qualche
cosa sopra il dovuto ; nome derivato dalle coro
ne che su la scena s' usava dare agli attori quan
do piacevano. Preda quasi parida parta^
cio guadagnala a dauno del nemico. Premio da
preda, come quel tanto cbe se ne donava ad al
cuno per qualche bel fatto.
179. Dare perch sia ridalo si dMe mutuo
dal sicilisno \ da che propriameBle^
quale il descrive Sofroae, 90 aurC /,
cio grazia per grazia. Di qua viene anche mu^
nus in qaant significa dono ; pereh coloro che
hanno aniipo Mrviziato e grazioso, danno per
cortesiar, L altro munus che vale incarieo, dal
munire ; dacch s impone perch il comune sii
ben guardato, Quindi municipes quei ohe hanno
a reggere iasieme cotesti carichi.
180. La somma che si di in pegm> nei litigi,
si nom sacramentum da sacro, l'anto chi rido
mandava in giudicio, quanto chi negava, depo
nevano entrambi al ponte in alcune liti cinque
cento assi, in altre altra somma, secondoch era
stabilito dalle leggi : il vincitore pigliava indietro
da quel luogo sacro il soo {legno ; quello del vin
to s incamerava.
6
83 . TERENTI VARRONIS 84
181. Tributum dictum tribubus, quod ea
pecunia, quae poputo imperata erat, tributim a
ingUlje pro porlione census exigebatur. Ab hoc
ea quae assignata erat, attributum dictum ; ab
eo quoque, quibus attributa erat pecunia ut mi
liti reddant, tribuni aerarii dicti ; id quod at
tributum erat, ats militare. Hoc eat quod ait
Flautoe :
Cedit miles, aes petit;
et bine dicuntur milites aerarii, ab aere, quod
stipendia facerent.
182. Hoc ipsum stipendium ab stipe dictum,
quod aes quoque stipem dicebant. Nara, quod
asses librae pondo erant, et ^ qui acceperant ma>
iorem numerum non in arca ponebant ; sed in
aliqua cella stipabant, id eSt componebant, quo
minus loci occuparet ; ab stipando stipem dicere
coeperunt. Stips ab fortasse^ Graeco rer-
bo. Id apparet, quod, ut tura institutura, etiam
uuuc diis cum thesauris asses daut, stipem di
cunt, ct qui pccuniam alligat, stipulari et re-
stipulari. Militis stipendia ideo, quod eam sti
pem pendebant. Ab co etiam Ennius scribit ;
Poeni stipendia pendunt.
i 83. Ab eodem aere pendendo dispeiisator ;
et in tabolis scribimus expensumy et inde prima
pensio et sic secunda aut quae alia ; et dispen
dium ideo quod in dispendendo solet minus fie
ri ; compendium quod, quom compenditur, una
fit: a quo usura, quod in sorte accedebat, impen
dium appellatum ; quae non accederet ad sortem,
usu usura dicta, ut sors quod suum ft sorte.
Per trutinam solvi solitum , Testigium etiam
nunc manet in aede Saturni, quod ea etiam nunc
propter pensuram trutinam habet positam. Ab
aere aerarium appellatnm.
181. Tributo k da trib, perch le graiezze
imposte al comune esigevansi per trib secondo
estimo di ciascheduno. Quindi il soldo asse
gnato a qualcuno fi chiam attributum ; e gli
ufficiali, a cui consegnayasi il soldo da distribuire
assoldati, tribuni aerarli; ed aes militare il
soldo da distribuire. Onde aes lo chiama Plauto
ove dice ;
Va un soldato, e vien altro e il soldo chiede ;
e gli stessi soldati si dicono aerarii^ perch stan
no a soldo.
i8a. Questo soldo militare si chiam anche,
stipendio da stips ch'era quanto dir asse. Imper
ciocch pesando ogni asse una libbra, e per usan
do coloro che pi ne ricevevano, anzi che riporli
tu cassa, stiparli cio metterli a mucchi in qual
che stanza, perch pigliassero men luogo ; inco
minciarono a dirli cos quasi stipe : e forse la
prima origine n il greco arotfiti che Tale altre
s mucchio. Certo delP antico senso della Toce
stips abbiamo questi documenti che, secondo
uso entrato allora, chi d qualche asse in limo
sina nelle cassette degli dei, si dice anche oggid
stipem dare ; e obbligarsi in qualche somma
a vicenda si dice stipulari e restipulari. Adun
que da questa voce e da pendere cio dal pesare,
si son nomati stipendii le paghe de' soldati, per
ch gli assi non avevano anticamente conio, ma
si davano a peso ; onde Ennio scrsse :
Pesano i Peni gli stipendii,
volendo dire li pagano.
i 83. Cos dal pesarsi delle monete si chiam
economo; e ne'^quaderni diciamo
expensum, cio spesa, uscita, e prima pensio,
secunda pensio altra che sia, le varie rate dei
pagamenti. Cos dispendium si nomin il disa
vanzo, e compendium il guadagno ; quello dallo
scompartire il peso nelle due coppe della bilan
cia, questo dal riunirlo in una ; da che ivi s' ha
contrasto e perdita, qui aggiunta del contrappeso
al peso. Cos impendium si chiam V usura in
quanto appongasi al capitale ; perch altrimenti
se non si lascia ad aumento della sorte, s* detta
puramente usura dall' uso, come sorte si deno
min il capitale, perch la sorte che il d. Che
ne* pagamenti scusasse della bibncia, ne vediamo
ancora un indizio nel tempio di Saturno, dov'
erario; perche vi sta ancora in pronto una bi
lancia a uso di pesare. Aerarium poi da aes,
che vai rame o moneta di rame.
85 DE LINGUA LATINA LB. V.
8G
' X X X V I I . 184. Ad Tocabula quae pertinere
samiu rati, ea quae loca et ea quae in locis suDt,
satis arbitror dicta; quod ncque pamm multa
funt aperta, neque si amplias yelimus Tplumen
pateretur. Quare in proxumo, ut in primo libro
dixi, quod sequitur de temporibus dicam.
XXXVII. 1 8 4 . Quanto a'nomi de'luoghi c
delle cose che son ne' ruoghl, parmi a bastanza
ci che ho gi detto ; poich degli altri non pochi
son chiar per s; e s io volessi seguire, noi soster
rebbe il volume. Passer adunque a trattare nel
seguente libro, come ho promesso da prima, ci
che tocca ora riguardo ai (empi.
. TERENTI VARRONIS
DE LI NGUA LATI NA
AD . TULLIUM CICERONEM
LIBER SEXTUS
I. 1. O r i g i n e i Terboram quae sini locoram
et ea quae io his, in priore libro scripsi. In hoc
dicam de Tocabolis temporum et earum rerum
quae in agendo fiunt aut dicuntur cum tempore
liquo, ut sedetury ambulatur^ loquoniur. At-
que, si qua erunt ex diferso genere adiuncla,
potius cognationi Terborum quam auditori ca-
lumnianti geremus morem.
a. Huius rei auctor satis mihi Crysippus et
Antipater, et illi in quibus, si non tantum acu
minis, at plus literarum, in quo est Aristopha
nes et Apollodorus, qui omneis verba ex verbis
ita declinari scribunt, ut Terba literaa alia assu
mant, alia mittant, alia commutent, ut fit in turdo
et turdario^ turdo licet. Si declinantes Graeci
nostra nomina dicunt Lucienum Ktmuntiw et
Quintium Kotrrfv ; et 'hfiarafxc9 illi, nos Ari
starchum^ et / Dionem : sic, inquam, con
suetudo nostra multa declinavit a vetere, ut ab
solui solitus sum *, ab loeheso liberum^ ab
Lasibus Lares; qnae obruti Tetustate, ut pote
ro .eruere conabor.
II. 3. Bicemns primo de tfmporibni, qumn
quae per ea finnt, sed i t ot ante de natura co-
I. I. IVelP altro libro ho dimostralo le origini
delle parole che s ' appartengono ai laoghi ed agli
oggetti che sono in essi : in quest esporr i nomi
de' tempi e di quelle cose eh si fanno o dicono
con rispetto a tempo, come siedesi^camminasi^
parlano; e se rerrammi in taglio qnalehe vo
cabolo d'altra natura, ma pur legalo con questi,
(ar pi caso deir affinit de* vocaboli che delle
accuse di qualche maligno uditore.
. Bastami in questo fatto autorit di Cri-
sippo. e d* Antipatro e di quegli ^Jtri che, se han
meno acume, hanno per pi di lettere, come
Aristofane e Apollodoro, i quali lutti insegnano
da parole nascer parole, quali col prendere, quali
col gettar via, quali col cambiar qualche lette
ra, come avviene in tordo e tordaio^ che pur
deriva da tordo. Se i Greci, traendo alla loro
(orma i nostri nomi, dicono per Zu-
cieno e Ko/mof per Quin%io ; e il simile fac
ciamo noi de' nomi greci, declinando Aristarco
e Dione e gli altri alla nostra foggia ; nella stessa
guisa col mutare dei tempi ci siamo dilungali in
parecchie voci dall'antico uso, e non diciamo pi
soluiy ma solitus sum ; non loehesus^ ma Uher ;
non Lases^ ma Lares : e questi modi ornai se
polti dal tempo, mi stnier quanto posso per
dissotterarli.
II. 3. Prima di venire alle cote che si fan net
tempi, dir degli steflsi tempi, e innanxi a tutto
rum ; ea enim dux fuit ad yocabala imponenda
homini. Tempus esse dicunt inler?allum mundi
motus. Id divisum in parleis aliquot maiume ab
solis et lunae cyrsu; ilaquc ab eorum tenore
temperato dictum, unde tempestiva ; et
a molu eorum qui toto caelo coniunetus, mundus.
9*
4. Duo motus* solis: aller cum caelo, quo
ab oriente ad oc^casum Tenit; quo tempus id ab
hoc deo dies appellatur. Meridies ab eo quod
medius dies : D antiqui, non 11 in hoc dicebant,
ut Praeneste incisum in solario vidi. Solarium
dictum id in quo horae in sole inspiciebantur,
quod Cornelius in basilica Aemilia et Fulvia in
umbravit. Diei principium ma/ie, quod tum ma
nat dies ab oriente ; nisi potius quod bonum an
tiqui dicebat manum^ ad quoiusmodi religionem
Graeci quoque, quom lumen adfertur, solent di
cere .
. TERENTI VARRONIS
5. Suprema summum diei ; id a superrimo.
Hoc tempns XII tabulae dicunt occasum eue so
lis : led postea lex Plaetoria id quoque tempus
iobet esse supremum, quo praeco in comitio lu-
premam pronuntiavit populo. Secundum hoc di
citur a crepero. Id vocabulum sum
pserunt a Sabinis. Unde veniunt, Crepusci no
minati Amiterno qui eo tempore erant nati, ut
Zucif prima luce; in Reatino crepusculum si
gnificat dubium. Ab eo ret dictae dubiae cre-
perae^ qaod crepuiculm dies etiam nunc sit
an iam nox, mullis dubium.
6. iVbx, qnod, ut Catulus ait, omnia, nisi in
terveniat sol, pruina obrignerint, quod nocet,
nox ; nisij quod Graece ; nox. Quom stella
prima exorta ; cum Graeci vocant no
stri vesperuginem ut Plautus :
Neque vesperugo neque vergiliae occidunt ;
id tempuf dictum a Graecis Latine ve
sper :ut ante tolcm ortam, quod eadem stella vo-
della loro natura ; perch fu questa che servi al-
Vuomo di guida nel nominare le cose. Il tempo
dicon che sia intervallo del moto del mondo.
Se ne distinguon pi specie massimamente pel
corso del sole e della luna ; onde dalla loro tem
pera o regolato tenore, si disse tempo^ come ci
mostra il derivato tempestivo che se ne trae. Si
milmente dal moto di que' pianeti che con
giunto con tutto il cielo, fu denominato il mondo.
4. Due sono i moli del sole : uno quello, per
cui insieme col cielo va da oriente a occidente ;
c dal dio che muovesi, il tempo di questo moto
s* detto di. Meridies da medius e dies^ per
ch in fatto il mezzogiorno, e dagli antichi si
proferiva col D in luogo della R, come ho veduto
inciso neir orologio solare di Frenesie. E poich
qui viene in concio, orologio in genere si chia
ma solarium^ perch i primi orologi furono i
Molari, e fu poi Cornelio che introdusse un oro
logio air ombra nella basilica Emilia e Fulvia.
11 principio del giorno si disse mane, o perch
allora emanala luce dairoriente, o perch gli
antichi dicevano manus per buono ed aveano
forse un religioso costume simile a quello che
vediamo anche presso de' Greci, i quali allorch
recasi il lume, sogliono dire aya^o^y cio
buona luce.
5. Suprema lo scorcio del giorno ; voce
sincopata da superrima^ estrema. Nelle dodici
tavole dichiarato come il tramonto del sole : ma
la legge Pletoria stabil poi che s'abbia ad avere
altres per suprema queir ora, qual eh ella sia,
che il banditore avr annunziato come tale al po
polo nel comizio. 11 tempo chc vien dietro a
questo, si dice crepuscolo da creperus che si
gnifica incerto. E voce presa da' Sabini. I Crepu
sci in fatti hanno questo nome, perch in Ami
terno, donde vengono, cos chiamasi chi nasce
al crepuscolo, come Ludi son quei che nascono
sul far della luce ; e in quel di Rieti crepuscolo
si usa per dubbio. Quindi res creperae si dicono
i casi dubbiosi e di rschio, perch del crepuscolo
molti dubitano se ancor duri il giorno, o 9*abbia
gi incominciato la notte.
6. La notte si deMa nox dal nuocere ; per
ch se non sopravvenisse il sole, lutto, come
dice Catulo, resterebbe indurito dalle brine : se^
nonch forse dal greco / che vale il medesi
mo. Quando gi nata la prima stella ; da che i
Greci la chiamano Esper e Vesperugo i Latini
com' in Plauto, ove dice :
Non le Pliadi, non Esper tramonta;
perci questo tempo s'addomanda ^ dai
Greci e dai Latini vespero. E poich la stella
9^
93
DE LINGUA LATINA LIB. VI.
94
calar iuhar qaod iobaU, Pacuvinue didt pa
stor :
Exorto iubare^ noctis dcurso itinere ;
o qu3 i
jiiax^ quod * lumen, iubarne in coelo cerno ?
7. Intcr TeaperogiDem et abar dieta nox in
tempesta^ a l in Bruto Gaisii quod dicebat Lu
cretia :
Nocte intempesta nostram devenit domum.
Intempettam Aelius dicebat quom tempui agendi
est nuUuM ; quod alii ooncuhium appellarunt,
quod omnes tunc cubarent ; alii ab eo quod \e-
rtiur^ silentium noctis: quod idem Plautas tem
pus conticinium ; scribit enim :
Videbimus ; factum ifolo ; redito conticinio,
8. Alter motus solis est aliter ac * caeli, quod
moyetur bruma ad solstitiom. Dicta bruma^
quod brevissimus tunc dies est ; solstitium quod
sol eo die sistere Tidebatur, aut quod ad nos ver
sum proximum est solstitium. Quom venit in
medium spatium inter brumam et solstitium,
quod dies aequus fit ac nox, aequinoctium di
ctum. Tempus a bruma ad brumam dum sol re
dit, vocator annus ; quod, ut parvi circuli anuli^
sic magni dicebantur circites ani ; unde annus.
9. Unius temporis pars prima hiems^ qaod
tum mulli imbres ; hinc hibernacula^ hibernum :
vel quod tum anima quae Oatur omnium appa
ret, ab hiatu hiems. Tempus secundum i^er, quod
tum virere incipiunt virgulta ac vertere se tem
pus anni ; nisi quod Iones dicunt ver. Ter
tium ab aestu aestas; hinc aestivum; nisi forte
a Graeco Quartam autumnus-----
medesima innanzi al nascer del sole si chiama
tubar^ cio Lucfero, perch ha quasi una criniera
di luce ; perci dice quel pastore presso Pacuvio :
Sorto in cielo Lucfero, e fornito
Della notte il cammino;
ed nnio :
Che lame, Aiace, quel che in eielo io veggo f
Lucifero forse ?
in ambedue i quali luoghi per Lucifero detto
iubar.
7. Lo spazio dair apparire di Esper a quel
di Lucifero si chiatna nox intempesta^ come nel
Bruto di Cassio quando dice Lucrezia :
AI nostro tetto
Ei venne che gi ferma era la notte.
Elio dice chiamarsi notte intempesta quando
non pi tempo da far nulla ; e questo quello
spazio che altri dissero concubium^ perch tutti
ornai dormono ; altri silenzio della notte^ per
ch s tace. Pianto chiam conticinium questo
medesimo tempo, l dove scrive :
Il vedremo ; lo vo' ; toma qui a notte.
8. L ' altro moto del sole diverso da quello
del cielo, perocch muovesi dalla bruma al solsti
zio, cio dal tropico boreale alP australe. Bruma
si chiam quasi brevissima, perch' il giorno pi
corto ; solstizio poi da sole e da stare, perch
in quel giorno il sole sembra far sosta, e sta per
rivolgersi nuovamente a noi. Quando giunto
alla met dello spazio fra un tropico e altro,
quel tempo detto equinozio^ perch i giorni si
pareggiano con le notti. 11 tempo consumalo
.dal sole, partendo dal tropico boreale, per ritor
narvi, s* chiamato anno ; perch a quel modo
che i piccoli cerchietti s\addomandano anelli^
cosi i grandi cerchi si diceano ani ; donde poi
si fece anno.
9. prima parte di questo tempo, cio V
verno, s* dello hiems per le pioggie che allora ;
abbondano ; o dair iato della bocca, perch allo
ra, ce alcuno alita, se ne vede il fiato. Quindi /-^
bernacula i quartieri d inverno, ed hibernum il
luogo in cui svernasi. La seconda parte o stagio
ne, cio la primavera, s ' chiamata ver o da ver
de, perch allora rinverdiscon le piante, o da ver
ttre^ girare, perch il giro dell'anno si rinovella;
o forse meglio da tff che il nome, onde appel
lano g r Ioni. La terza stagione della estate dii
95
. TERENTI VARROmS
9
IO............... ab sole, tic mensis a lanae mola
clictus, dura ab iole profecta rursas redit ad eum
Iona, qiiod Graece olim dieta ^, nnde illorum
\ ab eo nostri. A mensibus intermestris
dictus, quod putabant inter prioris mensis sene
scentis extremum diem et novam lunam esse
diem ; quem diligentius Attici {wnv xmi vicv ap
pellarunt ; ab eo quod eo die potest fideri extre
ma et prima lana.
\\. Lustrum nominatum tempus quinquen
nale a luendo, id est solvendo ; quod quinto quo
que anno Tectigalia et ultro tributa per censores
persolvebantur. Seclum spatium annorum cen
tum vocarunt, dictum a sene, quod longissimam
spatium senescendorum hominum id putaraat.
Aesfum ab aetate omnium annorum ( hinc acf*-
quod facium est eeferniimj, quod Grae
ci mva : id ait Chrysippus esse aa/ Ab eo
Plautus :
ffon omnis aetas ad perdiscendum est satis ;
hinc poetae Aeterna tempU eo4li,
111. la. Ad naturalia discrimisa ciTiiia veca-
buia dierum accctserunt. Dicam pris qoi deo
rum causa, ium qui homioam sint instituti dies.
Agonales per quos rex in regia arietem immoUl,
dicti ab agone, eo quod ielerrogaiur principe
civitatis ei prioeeps gregi imaiolatur. Carmen
talia nomiMaMur, quod era tum et fieriae Car-
mentis.
i 3. Luperealia dicta quod in Lupercali lu-
perct sacra faciuni. Rex, qoonj fierias menstruas
Nonis Februariis edicit, hunc diena Februatum
appellat. Februum Sabini pargamcBlum, et id
iu sacris nostris verbum ; nam et Lupercalia fe
bruatio, ul in Antiquitatum libris demonstravi.
Quirinalia h Quirino, quod ei deo feriae el
coriun bominitm qui Furnacalibus suis non fue
runt feriati. Feralia ab inieris et ferendo, quod
ferant tam epuks ad sepulcrum, quibas ius iiii
aestus die quanto a dir caldo : se Don invece
dal greco che significa ardere. Quindi
aestivum il soggiorno da state. La quarta si disse
autunno . . . .
10. Come dal giro del sole, cos il
mese ebbe il nome dal moto della luna ; perch
il tempo eh' ella consama per ritornare in con
giunzione col sale dopo essersene allontanata,
la luna.dagli antichi Greci era detta /iifri ; onde,
anch' essi denominarono { i loro mesi, e di';
qua poi venne il nome latino. Da mese si chiam
intermestris V interlunio, cio quel giorno che
poneano in mezzo fra la vecchia luna e la nuova.
Gl! Attici il chiamarono pi propriamente w
*ai via cio Tecchia e nuova, perch in quel
giorno medesimo pu vedersi il fine dcHa pre
cedente e il principio dell' altra luna.
1 1. Lustro si disse lo spazio di cinque anni,
da luere che significa anche pagare, perch ogni
cinqn' anni per mezzo de' censori si pagavano
le gabelle e le contribuzioni spontanee. Secolo lo
spazio di cento aonii da seoe, cio vecchio ; per
ch cent' anni parve L pi che un uamo possa
invecchiarsi. Aevum^ da cui eterno sincopato da
aeviternus^ si chiam intera et, cio lo spazio
indefinito di tutti gli anni dal greco itkr che ha
lo stesso valore e che Crisippo dice formato da
all' oK che quauto a dire sempre esistente.
Quindi leggiaoio ia Plaolo :
Scarsa ad nn amante
Per apprender saria inlera etade ;
e i poeti chiamano efeme le regioni del cielo.
HI. l a. Alle naturali disttnziom de* tempi si
aggiunsero le civili eoi lor proprii nomi ; e fra
queste dir prima de'giorni presi per gH dei;
poi verr agli uomini. Giorni agonali son quelli^
in cui stabilKo che il saerificolo imraoH nella
reggia nn ariete. Si son chnmati cosi, perch il
ministro nel vibrare il colpo, domanda prima
agone? che tanto a dire quanto cA' io vibri?
e ci domandasi al sacrficolo cio al capo della
citt, e immolato il capo del gregge. Carmen
talie si dissero dalla dea Carmenta, di cui ca
dono in quei giorni i sacrifizii e le ferie.
i 3. Le Lupercalie trassero Hnome dal sacri
fizio che laperci Amno nel Lupercale. Il sacrift-
coo, quando alle none di Febbraio annunzia le
ferie del mese, chiama questo d Jehruato; perch
fehruo in sabino vale purificazione, ed voce
usata nei nostri riti, ed anche le Lupercalie sono in
latto una purificazione, come ha fatto vedere nei
libri delle Antichit. Le Quirinalie nomaronsi dal
dio Quirino, d cui sono la festa ; alla quale par-
tecipano^anchc tutti quelli che non festeggiarono
9^
DK tlNGUA LATINA LB. Vi.
9
pfireiiUre. Terminalia^ qaod la diet anni extre-
mot constilotas ; duodecimus tfnim mensit fait
Februarias, e t , quom inteMlatur, inferiores
quinque diet duodecimo demuntur mense. Equi
ria ab equorum cortu ; eo di enim ludis cur
rant in Martio campo
1 f . Liheralia dieta, quod per totum oppi-
dura eo die sedent sacerdotes Liberi, anni edera
coronatae, cum Hbis et foculo pro emptore sa
crificantes. In libris Saliorum, quorum cogno
men Agonensium, forsitan hic dies ideo appel
letur potius Agonia, Quinquatrus hic dies unus,
at nominis errore obserfatur proinde ut sint
quinque. Dictus, ut ab Tusculanis post diem tex
tum Idus similiter Tocatur Sexatrus^ et post
diem seplumnm Septimatrus; sic hic, quod erat
post diem quintam Idus, Quinquatrus. Dies Tii-
hulustrium appellatur, quod eo die in atrio Su
torio sacrorum tubae lustrantur.
15. Megalesia dicta a Graecis quod ex libris
Sybillinis arcessita ab Attalo rege Pergama, ubi
prope murum Uegalesion templum eius deae,
onde advecta Romam. Fordicidia a fordis bu
bus : bos forda quae fert in ventre. Quod eo die
publice immolantur boves praegnantes in curiis
complures, a fordis caedendis Fordicidia dicta.
Palilia dicta a Pale, quod ei feriae, ut Cerealia
a Cerere.
16. Vinalia a vino. Hic dies lovis, non Ve
neris. Huius rei cura non Icts in Latio ; nam
aliquot locis vindemiae primum ab sacerdotibus
publice fiebant, ut Romae etiam nunc ; nam fla
men Dialis auspicator vindemiam, et, ut iussit
inum legere, agna lovi facit, inter quoius exta
caesa et porrecta flamen primus vinum legit. In
Tusculanis sacris est Mriptum :
Vinum novum ne vehatur in urbem ante
quam vinalia kalentur,
Robigalia dicta ab Robigo: tecundum tegetet
haic deo tacrificator, ne robigo occapet tegetei.
17. Diet Vestalia^ ut virginei Vettales, ab
Vesta. Quinquatrus Minusculae dictae Ioniae
Idot ab similitodine Maiorum; qood tibicines
tura feriati vagantur per urbem, et conveniant
ad aedem Minervae. Dies Fortis Fortunae ap-
M. TiB. Vamohb, d e l l a lingua ,.
il loro giorno nelle Fomacalie. Le Feralie da
inferi^ morti, e ferre^ portare, perch in quel
giorno si portano i funerei cibi al sepolcro di fa
miglia da chi v'ha diritto. Le Terminalie da
termine, perch ivi finiva Panno, da che il duo
decimo mese era Febbraio, e, quando aggiungesi
il mese intercalare, al duodecimo si tolgono i
cinque ultimi giorni. Le Equirie dalle corte
eqnettri, di cui in quel giorno ti d spettacolo
nel campo Marzio.
14. Le Liberalie si son cos dette, perch in
quel giorno stanno sedute per tutta la citt come
sacerdotesse di Libero cio di Bacco, certe vec
chie incoronate di edera, con focaccie e fornelli,
sacrKcando pei compratori Ne' libri de'Salii so-
prannomati Agonesi, potrebbe essere che questo
giorno fosse perci chiamalo Agonie, 11 Quin
quatro che accasca qui, non che un d solo ; ma,
per un errore nato dal nome, si osserva come
fossero cinque. Si chiam Quinqoatro, perch'
il quinto giorno dagl' idi, come i Tusculani chia
mano ancora Sesastro il d sesto dagP idi, c set
timatro il settimo. La festa delle Tubilustrie
s ' cos nomata, perch in quel giorno si purifi
cano nell* atrio Sutorio le tube dei sacrfiii.
15. Le Megalesie coschiamaronsi con greco
nome, perch Megalesion il tempio di questa
dea presso alle mura di Pergamo, donde fu por
tata a Roma, quando per consiglio de'lihri sibil
lini fu domandata al re Attalo. Fordicidie si
dissero da forda e caedere^ perch in quel gior
no s'immolan dal pubblico nelle curie molte
vacche pregne che, da ferre cio dal portare nel
ventre, i Latini chiamano forde. Palilie dalla
dea Pale cui sono sacre, come Ceree/ie da Cerere.
16. Vinalie diconsi dal vino ; e bench t si
onori anche Venere, tuttavia son propriamente
festa di Giove. Del vino si prendeano nel Lazio
non lieve cura ; perch in pi luoghi la vendem
mia doveva esser fatta prima da'sacerdoti, sicco
me usasi anche presentemente in Roma ; poich
il flamine Diale apre egli la vendemmia, e dopo
avere ordinato che si colga uva, sacrifica a Gio
ve un' agnella, e in quel tanto che fra uccisio
ne offerta, coglie primo uva. Nel ceremo-
niale de' Toscolani sta scritto : Il vin nuovo non
si porti in cittdy se prima non siansi bandite
le Vinalie, Le Robigalie tratter il nome dal dio
Robigo, a cui si sacrifica pretto i teminati, per
ch le biade non tiano ofTete dalla mbigine, cio
dal melnme.
17. Come Vettali le vergini, coti Vestalie ti
ditte il giorno consacrato alla dea Vetta. Quin
quatrie minori chiamaron gl' idi di Giugno dalla
tomiglianza con le maggiori, perch ti fctteggia-
no da' tonatori girando per la citt e raccoglien-
7
99
. TERENTI VARRONIS
pelUlus ab Servio Tullio rege, qaoJ is fanum
ForUs FortuQie secundum Tiberim ezlra urbem
Romam dedicavit luuio mense.
18. Dies Poplifugia videlar oominaloi, quod
eo die lumuUu repente fageril populos ; non
mullo enim post hic dies, quam decessus Gallo
rum ex urbe, et qui tum sub orbe populi, ut
Ficuleates ac Fidenates et finitimi alii, contra nos
coniurarout. Aliquot huius diei vestigia fugae* in
sacris apparent, de quibus rebus Antiquitatum
libri plura referunt. Nonae Caprotinae^ qnod eo
die in Latio lunoni Gaprotinae mulieres saerif-
cantur, et sub caprifico faciunt ; e caprifico adhi
bent virgam. Cur hoc toga praetexta data e i s .....
19. Apollinaribus ludis docuit po
pulum. Neptunalia a Neptuno ; eius enim dei
feriae. Furrinalia Furrinae, quod ei deae feriae
publicae dies is ; quoius deae honos apud anti
quos; nam ei sacra instituta annua et flamen
attributus: nunc vix nomen notum paucis. Por
tunalia dicta a Portuno, quoi eo die aedes in
portu Tiberino facta et feriae institutae.
20. Vinalia Rustica dicuntur ante diem xiv
Kalendas Septembres, quod tum Veneri dedicata
aedes, et orti ei deae dicantur, ac tum fiunt feriati
olitores. Consualia dicta a Conso, quod tum fe
riae publicae ei deo, et in circo ad aram eius ab
sacerdotibus ludi illi, quibus virgines Sabinue
raptae. Volcanalia a Volcano, quod ei tum fe
riae, et quod eo die populus pro se in ignem ani
malia mittit.
a i . Opeconsiva dies ab dea Ope Consivia,
qaoius in Regia sacrarium, qood ideo artum, ut
eo praeter virgine Vestales et sacerdotem publi
cum introeat nemo. Is cam eaty suffibulum ut
habeat^ scriptam. Id dicitur ab subviendo, ut
subligaculum. Vortumnalia a deo Vortumno,
quoius feriae tum. Octobri mense Meditrinalia
dies, dictus a medendo, quod Flaccus flamen
Martialis diccbat hoc die solitum vinum novum
ut vetus libari et degustari medicamenti causa ;
quod facere solent etiam nunc mulli, quom di
cant ; Novum vetus vinum bibo ; novo s*eteri
vino morbo medeor.
dosi nel tempio di Minerva, ita feste di Forte
Fortuna ebbe il nome e orgine dal re Ser
vio Tullio che nel mese di Giugno dedic il
santuario di questa dea foor di Roma lungo il
Tevere.
i8 Il giorno del Poplifugio p r cos nomi
nato per ci che in esso sia fuggito il popolo le
valo ad improvviso tumulto. Ed in vero questo
d poco dopo a quello, in che i Galli lasciarono
Roma ; al qual tempo i Ficolesi e i Fidenati ed
altri popoli presso, che formavano alloca i sob
borghi di Roma, le congiurarono contro. Ne' sa-
crifizii di questo giorno v'han.pi ricordi che
accennano a si fatta fuga : ipa di queste cose ho
trattato pi pienamente nei libri delle Antichit.
None Caprotine si d isser, perch nel Lazio le
donne in quel d sacrificano a Giunone Caproti-
na, e questi sacrifizii si fanno sotto on caprifico,
e vi si usano verghe di caprifico. Perch poi in
questo giorno concedasi loro la pretesta,.............
19................insegn al popolo co' giuochi A-
pollinari. Nettunalie chiamaronsi da Nettuno^
perch son feste d questo dio. Furrinalie da
Forrna, della qual dea questo giorno era la pub
blica festa. Perocch questa dea era in onore
presso gli antichi, talch le avevano istituito sa
crifizii annuali ed assegnato un flamine : ora po
chi sono che ne conoscano appena il nome. Por
tunalie si dicono da Portuno, a cui in quel gior
no fu dedicato un tempio nel porlo del Tevere
ed istituita una festa.
ao. Si d il nome di Vinalie rustiche al di
ciannove d' Agosto, perch in quel giorno si de
dic un tempio a Venere, ed a questa dea sono
sacri gli orti ; onde d feriato per gli ortolani
Le Consualie trassero il nome da Conso> a cui
onore si fanno allora pubbliche ferie, e da' sacer
doti nel circo presso all' ara di questo dio si ce
lebrano que giuochi, ne' quali furono rapite le
donzelle sabine. Le Fulcanalie cosi chiamaronsi
da Vulcano, perch son feste di lui, e perch il
popolo in questo giorno getta nel fuoco animali
in cambio delle proprie vile.
a i . La festa Opiconsiva ebbe il nome dalla
dea Opi Consivia, di cui nella Reggia sta il san
tuario, stretto a bello studio perch non vi possa
entrare nessuno oltre alle Vestali e al pubblico
sacerdote. Al .sacerdote leggiamo prescritto che,
quando v' entra, abbia una specie d'accappaloid
che vi chiamato suffibulum ; e questa voce I
da subviere^ cio legare di sotto. Vertunnalie s
dissero dal dio Vertunno, di cui sono ferie. Lei
Meditrinaliey che sono in Ottobre, dal medica
re ; perch in questo giorno, a detta di Fiacco
flamine marziale, s' usava libare ed asuggiare il
vin nuovo, chiamandolo vecchio e considerandolo
100
DE LINGUA LATINA LIB. VI.
32. Fontanalia a Fonte, quod is dies feriae
cius : ab eo Ium et in fontes coronas iaciunt et
puteos coronant. Armilustrium ab eo quod io
armilustrio armati sacra faciunt, nisi locus potius
dictus ab his; sed quod de his prius, id ab lu
dendo aut lustro, id est quod circumibant luden
tes ancilibus armati. Saturnalia dicta ab Saturno,
quod eo die feriae eius, ut post diem tertium
Opalia Opis.
23. Angtronalia ab Angerona, quoi sacrifi
cium ft in coria Acculeia etquoius feriae publi
cae is dies. Larentinae^ quem diem quidam in
scribendo Larentalia appellant,ab AccaLareotia
nominatus, quoi sacerdotes nostri publice paren
tant, secto die, qui ater dicitor dum parentatam
Accde Larcntinis.
24. Hoc sacrificium.'fit in Velabro, qua in
No?am viam exitur, ut aiunt .quidam, ad sepul
crum Accae ; ut quod ibi prope faciant Diis Ma
nibus Serxilibus sacerdotes ; qui uterque locos
extra arbem antiquam fuit non longe a porta
Romanula, de qua in priore libro dixi. Dies Septi
montium nominatus ab his septem montibas, in
quis sila Urbs est ; feriae non populi, sed monta-
norom modo; ut Paganalia^ qoi sunt aliquoiot
P*g
25. De statutis diebus dixi ; de annalibus nec
dum statutis dicam. Compitalia dies attributas
laribus Vialibus ; ideo ubi Tiae competunt, tum
in competis sacriHcatur. Quotannis is dies conci
pitur. Similiter Latinae feriae dies conceptivos,
dictas a f^tinis popolis, qoibus ex Albano monte
ex sacris carnem petere fuit ius cum Romaais, a
quibus Latinis I^lioae diclae.
36. Semtntipae feriae dies is qui a Pontifici-
bufldictus; appellatos a semente, quod sationis
causa susceptae. Paganicae eiusdem agriculturae
causa sosceptac, ut haberent omnis pagus, unde
paganicae diclae sunt. Praeterea feriae concepti
vae, ^oae non sunt annales ; ut hae quae dicuntur
sine proprio Tocabolo, aut cum pcrspicoo at No
vendialis sont.
qoal medicina. Molli il sogliono fare anche ades
so, dicendo certe parole che cos suonano :
Yin nuovo-vecchio beo ; curo con tale
Vio nuovo-vecchio il male.
22. Fonlanalie da Fonte, di cui qoel gior
no la festa ; onde allora gettan corone ne' fonti
ed inghirlandano i possi. Armilustrio dal nome
del luogo, in cui sacrificano armati ; se per al
contrario non fu il luogo che traue il nome dalla
festa. A ogni modo quello che primo si chiam
da lodo o da lustro^ perch giravano giocando
armati d' ancili. Saturnali si dissero da Saturno,
di coi son festa ; come, tre giorni dopo, le Opa
He da Opi.
23. Angeronalie da Angerona, coi si sacri
fica nella coria Accoleia, e di cui in questo giorno
si fa dal pubblico la festa. Larentine^ o Laren-
talie^ come alcuni le dicono, nome tratto da
Acca Lareniia, a cui i sacerdoti romani fanno
pubbliche esequie, dimezzando il giorno, che di
cesi atro finch non sieisi fatte ad Acca le dette
esequie.
24. Questo sacrifizio si fa nel Velabro, dove
si sbocca in Via Nuova al sepolcro d'Acca, come
alconi il dicono, poco discosto al sito, in cui i
sacerdoti similmente sacrificano ai Mani Servili.
Ambedue questi luoghi son foori dell' antica cer
chia, non lungi da porta Romanula, di cui ho
parlato nel precedente libro. La festa del Setti
monzio s ' nominata dai selle monti, su cui
posta Roma^ e non feria del popolo, ma de' col
ligiani soltanto ; come le Paganalie son ferie di
qoe' ch' appartengono a qualcbe pago.
25. Delie feste fsse ho parlato ; di qoelle che
si celebrano ogni anno, ma non han per ancora
giornata fssa, parler ora. Le Compitalie son
festa assegnata a' Lari Viali ; onde in essa sacrifi
casi ne'crocicchi ohe i Latini chiamano compita
da competere^ cio dal mettervi capo pi vie.
Festa non fissa son anche le Ferie Latine^ che s
stabilivano da' popoli latini che avean diritto di
partecipare in un coi Romani alle carni de' sacri-
fizii su '1 monte Albano, onde da que Latini
s'addomandaron latine.
26. Le ferie Sementive si stabiliscono da' Pon
tefici, e traggono il nome da semente, perch
istituite per la seminagione. Le Paganiche furo
no ancb' esse istituite per la coltivazione de' cam
pi, sicch vi dovessero partecipare insieme tutti
quelli d' uno stesso pago ; e per questo si sono
dette pagaoithe. Havvi inoltre delle ferie mobili
che non fannoei ogni anno; qaalison quelleehe
non hanno alcon nome proprio, ma eoi generale
vocabolo chiamansi conceptivae^ cio non fisse.
i o3 . I bREMTl VRROms
.o4
1V. 2j. De hie diebug nuiic iam, qui hominam
causa constiluli, rideamus. Primi dica roensiuro
nominali Calendae ab co quod bis dieboi calan
tur eius mensis Nonae a poniifcibus, quintanae
an septimanae sint futurae, in Capitolio, in curia
Calabra sic : Dies te quinque calo luno Casella.
Septem dies te calo luno Coiteli a.
a 8 . 19onae appellatae aut quod ante diem no
num Idus semper, aut quod, ut noTUs annus Ca
lendae Isnuariae ab sole appellatae, novus
mensis b * no?a luna Nonis ; eodem die enim in
urbem ab agris ad regem conveniebat populus.
Harum rerum veeUgia iu sacris Nonalibus in arce,
quod tunc ferias primas menstruas quae futura*e
sint eo mense, rex edicit populo. Idus eo quod
Tusci Itus, ?el poliufl quod Sabini Idus dicunt.
29. Dies postridie Calendas, Nonas, Idus ap
pellali /ri, quod per eos dies novi incipercnl.
Diesfasti^ pt*r quos praetoribus omnia verba
sine piaculo licet fari. Comitiales dicti, quod tum
ut esset populus constitutum est ad suffragium
ferendum ; nisi si quae feriae conceptae essent,
propter quat non liceret, ut Compitalia el La
tinae.
3o. Contrarii horum vocantur dies nefasti^
per quos'dies nefas fari praetorem do^ dico^ ad-
dico ; itaque non potest agi, necess^enim aliquo
eorum uti verbo, cum lege quid peragitur. Quod
si tum imprudens id verbum emisit ac quem ma
numisit, ille nihilo minus est liber, sed viti ; ut
magistratus vitio crcatus nihilo secius magistra
tus. Praetor qui tum fatus est, si imprudens fecit,
piaculari hostia, facta piatur; si prudens dixit,
Quintus Mucius ambigebat eum expiari, ot im
pium, non posse.
Si. Intercisi dies sunt per qaos mane et ve
speri est nefas; medio tempore inter hostiam cae
sam et exta porrecta fas: a quo, quod fastum
ioierccdit aut eo est intercisnm nefas, intercisum.
Die qui Tocatur sic: Quando rex comitiavit^
o se han nome proprio, P hanno per s patente,
come le Novendiali,
27. Ma tempo omai che parliamo de gior
ni istituiti per gli nomini. Il primo di ciaKun
mese si nom calende da calare che t u o I dir
chiamare, perch in quel giorno i pontefici nella
curia Calabra, in Campidoglio, chiaman le none,
cio bandiscono se saranno a d cinque o sette del
mese, con queste parole : Per cinque^ o Per sette
giorni ti chiamo Giunone Covella^ cio luna
nuoTa.
* a8. None si dissero, perch sono immutabil
mente il d nono innanxi agl' idi ; o a quel modo
che le calende di Gennaio dal nuovo sole si son
chiamate anno nuovo, cos esse dalla nuova luna
possono essersi chiamate none, quasi mese nuo
vo; perocch in quel giorno concorreva il popolo
dalla campagna in citt presso del sacrificolo. Di
queste cose resta un ricordo ne' sacrifizii che si
fan nella Rocca il di delle none ; da che in essi il
sacrificolo pubblica il principio di ciascuna feria
che dovr osservarsi in quel mese. Idi chiama-
ronsi, perch gli Etruschi li dicono i/i, o meglio
perch i Sabini li dicono parimente idi.
39. I giorni che seguono immediatamente alle
calende, alle none d agl idi si dissero a/ri, per
ch da essi incominciano nuove serie di giorni.
Fastiy da fari cio dire, si chiamarono quelli, in
cui i pretori possono pronunziare senza sacrilegio
qualunque delle lor parole solenni. Comiziali^
da comizii, quelli in cui era stabilito che il po
polo si raccogliesse a render partito, se non fosse
stala qualche feria mobile, come le Compitali o
le Latine, che lo vietasse.
30. 1 giorni di natura contraria a questi si son
chiamali nefasti ; vale a dire son quelli in che
vietato al pretore di profferire le parole do^ dico,,
addico^ cio do, giudico, aggiudico ; onde in quei
giorni non pu tenersi ragione, perch, quando
si d sentenza, d ' uopo usare qualcuna di quelle
tre parole. Che se un pretore in un di que' giorni
rabbia profferita inavvedutamente e con essa
abbia affrancato alcuno; l'affrancato libero,
bench dalla parte del pretore v' abbia difetto ;
come un magistrato per difetto d'elezione non
resta d'essere magistrato. Bens il pretore che
pronunzi in quel giorno quella parola, se fu
inavvertenza, se ne dee purgare con vittime espia
torie ; e se fu malizia. Quinto Mucio era di cre
dere che, siccome empio, non si potesse n anco
espiare.
3 1. Giorni intercsi son quelli, in cui la mat
tina e la sera nefasta ; ma il tempo che si fram
mette tra l'occision della vittima e l'offerta delle
interiora, tutto fasto ; sicch da questo interce
dere di tempo fasto, o meglio dall' esserne inler-
io5
DE LINGUA LATINA LIB. VL
i 6
fas^ is fliclus ab eo qaoJ co die rex sacrifictolug
ilal ad coroiliuro, ad quod lempag est nefag, ab
eo fas ; iUqne post i*l teropus lege acturo saepe.
3a. Dies qui Tocalur : Quando stercum de-
latum^fas^ ab eo appellatos quod eo die ex aede
VesUe stercns eTerritor et per Capitolinum cli-
Tom io locum defertur certum. Bies Alliensis
ab Allia A u t o dictus; nam ibi exercitu nostro
fugato Galli obsederunt Romam
33. Quod ad singulorum dierum Tocabula
pertinet dixi. Mensium Tocabula sunt aperU fere,
si a Martio^ ut antiqui constituerunt, numeres.
Nam primus a Marte. Secundus, ut Fulfius scri
bit et lunius, a Venere* quod ea sit Aphrodite ;
quuius nomen ego antiquis literis quod nusquam
inTeni, magis polo dictum, quod ver omnia ape
rit, Aprilem, Tertius a maioribus ; quar
tus iunioribus dictos lunius.
34 Dehinc quintus Quintilis^ et sic deinceps
usque ad Decembrem, a numero. Ad hos qui ad
diti, prior a principe deo lanuarius appellatus ;
posterior, ut idem dicunt scriptores, ab diis in
feris Februarius appellatos, quod tum his pa
rentetur. Ego magis arbitror Februarium a die
februato, quod tom febroatqr popolos, id est lo-
percis nudis lostrator antiquum oppidum Palati
num gregibus humanis cinctum.
V. 35. Quod ad temporum vocabula Latina
attinet, hactenus sit satis dictom: nunc quod ad
eas res attinet quae in tempore aliqoo fieri ani-
madverterentor, dicam, ot haec sont : legisti^
cursus^ ludens. De qois doo praedicere volo,
quanta sit mnltitodo eorom, et quae sint obMU-
riora quam alia.
36. Quem Terborom declinatuum genera sint
quattuor, unum quod tempora adsignificat neqoe
habet casos, ot ab lego legis^ alterum
quod casus habet neque tempora adsignificat, ut
ah lego leetio et lector; tertium quod habet
utrumque et tempora et casus, ut ab lego legens^
lecturus ; quartum quod neutrum habet, ut ab
lego lecte ac lectissime : horum vocabulorum si
primigenia sont ad mille, uk Cosconius scribit,
e i eorum dcdiaaiionibus verborom discrimina
cito il nefasto, son detti giorni intercisi. II dl che
si chiama : Quando rex comitiavit Jas, cio fa
sto dopo che il re fu al comizio, s' cos nomato
perch in quel giorno il re sacrificolo dee andare
al comizio, e sino a queir ora tempo nefasto,
da indi in poi^fasto, e per spesse volte dopo quel-
ora fu tenuto ra^one.
3a. 11 dl chiamato : Quando stercum dela
/cim, fas ; cio fasto dopo che fu portato via lo
sterco, s ' cos detto perch in quel giorno si
leva lo sterco dal tempio di Vesta e pel divo ca
pitolino trasportasi nel luogo assegnalo. Giorno
Alliese si disse dal fiume Allia, perch ivi i Galli
ruppero il nostro esercito e ne passarono a strn
ger Roma.
33. Quanto a' nomi de' vsrii giorni particola
ri, basti sin qui. Per ci che s appartiene a'mesi,
i loro nomi son quasi tatti chiar, le li conti da
Marzo^ secondoch li hanno ordinali gli antichi.
Perocch il primo da Marte. 11 secondo, Fulvio
e Giiinio il voglion da Venere, perch si chiama
Afrodite : ma io, non trovandola nominata in al
cuna delle nostre antiche scritture, credo in vece
che siasi detto Aprile pe ci che la pnmave-
ra apre ogni cosa. 11 terzo denominato Mag^
gio da' maggiori d' eia, come Giugno il quarto
da' giovani.
34.1 seguenti traggono il nome dal loro nu
mero, come Quintile dall' essere il quinto, e cos
gli altri fino a Dicembre. Dei due mesi aggiun
ti, il primo si chiam Gennaio da Giano, dio
principale ; il secondo avviso ai sopraccennati
autori che siasi delto Febbraio dalle esequie che
si fanno allora agli dei infernali : ma mi quadra
meglio che Febbraio sia dal d februato^ in cui
si purBca il popolo, cio i luperci ignudi giran
purgando l'antico castello Palatino, circondato
un tempo da greggi ed ora da uomini.
V. 35. DI ci che ragguarda i nomi latini
de* tempi parmi aver detto a bastanza ; dir ora >
di ci che appartinosi alle cose che notansi sicco
me falle in qualche tempo, quali sono leggesti^
corso^ giocante. Della qual ipatera parlando,
voglio premetter due cose, cio come grande sia
la quantit di cos fatti vocaboli, e quali sieno pi
oscuri degli altri.
3G. Quatlro sono le specie di derivativi fatti
da verbi : una hu la distinzione de' tempi, ma non
ha casi, come quando da lego si fa legis e leges ;
la seconda ha casi, ma non distinzione di tempi,
come, dallo stesso lego^ lectio e lector ; la terza
ha tutte e due queste cose cio casi e tempi, come,
parimente da lego^ legens e lecturus ; la qnarla
non ha n una n l ' altra cosa, come lecte e lectis
sime dallo stesso lego. Poniamo adunque che sia)
un migliaio di primitivi : variandoli secoudo tutie4
7
51. TERENTI VARRONIS to8
qiiiogenta milia esse possant iJeo, qaia singulis
verbis primigeniis drciler qaingcntae species de
clinationibus fiunt.
3^. Primigenia dicantur verba at lego^ seri
bo^ stoy sedeo et cetera quae uon sant ab alio
quo verbo, sed suas hibent radices. Contra verba
declinata suut quae ab alio quo oriuntor, ut ab
lego legii^ l^garn^et sic indidem hinc pe r -
multa. Quare si quis primigeniorum Terbornm
origines ostenderit, si ea mille sunl, qningentum
railium simplicium verborum causas aperuerit
uoa ; sin nullius, tamen qui ab his reliqua orta
ostenderit, satis dixerit de originibus verborum;
quom, unde nata sint, principia erunt pauca;
quae inde nata sint, innumerabilia.
38. A quibus iisdem principiis, antepositis
praeverbiis paucis, immanis verborum accedit
numerus ; quod praeverbiis mutatis, additis atque
commutatis aliud atque aliud fit ; ut enim pro
cessit et recessit^ ixK^accessit et abscessit ; item
incessit et excessit^ sic successit et decessit,
concessit et discessit ^Quod si haec decem sola
praeverbia essent, quoniam ab uno verbo decli>
nationum quingenta discrimina fierent, his de
cemplicatis coniuncto praeverbio, ex uno quinque
milia numero efficerent ; ex mille ad quinquu
gies ceotum milia discrimina fieri possunt.
39. Denocritu, Epicurus, item alii qui infini
ta principia dixerunt, quae unde sint non dicunt,
sed quoiusmodi siot; tamen faduni magnum,
quol, quae ex hia constant in mundo, ostendunt.
Quare si Etymologos principia verborum postu
let mille, de quibus ratio a se non poscatur, et
reliqua ostendat, quod non postulet ; tamen im
manem verborum expediat numeram.
4a De multitudine qnoniam quod satis est
admonui, de obscuritate pauca dicam. Verborum
quae tempora adsignificant, ideo locus difficilli
mus %^ quod nequ his fere societas cum
Graeca lingua, neque vernacula ea, quorum in
partum memoria adfuerit nostra. De quibus, ut
dixi, quae poterimus.
le quattro specie predelle, noi ne potremo avere,
come scrive Cosconio, fino a cinquecento migliaia
di forme diverse; poich da ogni primitiv sene
fanno da cinquecento.
37. Primitivi diconsi que verbi, come legg^
scrivo^ stOy siedo e gli altri, che non derivano da
alcun altro verbo, ma hanno in s le loro radici.
Derivativi in vece son quelli che nascono da
nn'altra forma, come leggiy legge^ legger ed
altri mollissimi che nascono tutti da leggo. I>aon-
dechi abbia dichiarato le orgini de* primitivi, se
questi sian mille, avr dichiarato a un tempo le
origini di cinquecentomila parole semplici ; e po
niamo non ne dichiari alcuna, ma fiiccta solo di
rapportare a'primitivi tutti i lor derivati, non di
meno avr fatto assai quanto alle origini delle
parole; perch le radici, onde nascono, saran
pochissime, e i derivativi che ne nascono, innu
merabili.
38. S aggiunge a questi un infinit di parole
che si fan tutte da que' primitivi medesimi col
premetter loro poche preposizioni ; poich dalle
varie combinazioni di queste e accozzate e scem
pie s' hanno altrettanti verbi diversi. Cosi da
cedere^ con aggiunta delle particelle pre o re,
s indicher avanzarsi o il ritrarsi ; con le par
ticelle ab o abs^ accostarsi o lo scostarsi ; con
la in o la ex il venire o il partirsi ; con la sub o
la de, il sottentrare in un luogo o il levarsene ;
con la cum o la dis^ accompagnar visi agli altri
o lo scompagnarsene. Ancorch le particelle che
possono preporsi a' verbi non fossero che queste
dieci ; tuttavia, formandosi da un solo verbo cin
quecento voci diverse ed essendo dieci i verbi
che per quella unione si traggono da un sol pri
mitivo, pigliato il decuplo di cinquecento, si
avrebbero cinque mila voci derivative per ciascun
verbo primitivo, e cinque milioni per mille.
39. Democrito, Epicuro e gli altri che pon
gono un indefinito numero d'elementi, di cui
non dicon le orgini, ma solo le propriet, senza
pi fanno assai col dichiarare le cose che nascono
da quegli elementi nell'universo. Cos se un eti
mologista assuma un migliaio di vocaboli elemen
tari, di cui non gli si abbia a chieder ragione, ma
bens da questi la renda di tutti gli altr ; non
istar per questo eh*egli non ispieghi un numero
tragrande di vocaboli.
40. Detto cos quanto basta su la moltitudine,
resta c h ' i o dica qualche parola su oscurit.
L etimologia delle voci che denotano tempo
tema difficilissimo ; perch fatti vocaboli rars-
sime volte hauno che fare col greco, e come no
strali hanno orgine cosi rimota, che non me
moria la qual vada s addietro. Ne dir adunque,
come ho gi avvertito, quel che potr.
109
DE LINGUA L\ 1 INA LIB. VI. no
41. Incipiam hinc primum quod dicitur ago,
Aelio i b agitatu facta ; hinc dicimua agit gestum
tragoedus, ct agitantur quadrigae ; hinc agitur
pecus pasturo. Qua agi potest, hinc angipor
tum ; qua nil potest agi, hinc anguliis ; quod in
eo locus angustissimus, quoius loci is anguKis.
VI. 4a. Actionum trium primus agitatus men
tis ; quod primum ea quae sumus acturi cogitare
debemus, deinde tum dipere ac (acere. De his
tiibus minime putat Tolgos esse actionem cogita
tionem: tertium, in quo quid facimus, id maxu-
mum ; sed et quom nos agitamus quid ei eam
rem agitamus in mente, agimus. Itaque ab eo
orator agere dicitur causam, et augures agejre
augurium dicuntur; quom in eo plura dicant
quum faciant.
43. Cogitare a cogendo dictum qoom * mens
plura in unum cogit, unde eligere possit. Sic e
lacte coacto caseus nominatus ; sic ex hominibus
concio dicta ; sic co'tnptioy sic compitum no
minatum. A cogitatione concilium ; inde consi
lium ; quod et vestimentum apud fullonem quom
cogitur, conciliari diclum.
44* Sic r e m i n i s c i ea quae teuaitmens
ac memoria, cogitando repetuntur. Hinc etiam
comminisci dicturo a con et mente, quom fin
guntur iti mente quae non sunt; et ab hoc illud
quod dicitur eminisci^ quom commentum pro
nuntiatur. Ab eadem roente meminisse dictum ;
et amens qui a roente sua descendit.
45. * Meminisse a memoria^ quom id, quod
remansit in mente, init, quod rursus movetur ;
quae a manendo ut manimoria, potest esse dicta.
Itaque Salii quod cantant Mamuri Veturiy si
gnificant veterem memoriam. Ab eodem monere.^
quod is qui monet proinde sit ac memoria. Sic
monimenta quae in sepulcris ; et ideo secundum
viam, quo praetereuntis admoneant et se fuisse
et illos esse mortalis. Ab eo cetera quae scripta
ac facta memoriae causa, monimenta dicta.
41. Gominciero prima dalle cagioni del verbo
agere. Azione si disse, quasi agitazione, dal muo
vere; code agere s" usa del tragico che atteggia,
e della qaadriga che scorgesi, e dell armento chc
menasi alk pastura. Quindi angiporto^ simil
mente da agere^ dove appena si pu passare ;
ed angolo^ dove pi non si passa ; perch d* on
luogo qualunque, angolo la parte, in cui pi
angusto.
VI. 43. Delle tre maniere d'azioni che s'han
no a distinguere, la prima quella della mente ;
perch, qualunque cosa abbia a farsi, bisogn
prima peiMare, e poi dire e lare. Di questa prima
maniera, cio del pensiero, il volgo non s avvede
eh un azione. Gerto azione massimamente la
tena, in cni facciam qualche cosa : m anche
quel moto spirituale della roente che raggira in
s alcuna cosa, bench non appaia di fuori,
azione; e per giustamente dicesi agifare la cosa
chi la considera dentro da s. Per simil ragio
ne diceai deir oratore che tratta nna cau
sa, e deir augure che interpreta gli auspicii;
tuttoch uno e altro vi spendano pi parole
chc fatti.
43. Cogitare si disse da cogere che significa
radunare ; perch la mente, quando che pensa,
raduna in s molle cose, da cui poter poi fare la
scelta. Dallo stesso verbo si chiam cacio il latte
rappreso, e coacione una radunanza di uomini ;
e nella stessa guisa da altri verbi si chiam com-
ptio la compera di pi cose a un tempo, e com
pitum il luogo dove concorron pi vie. Simil
mente dair ammassare si nom il concilio^ donde
poi consiglio ; perch conciliare dicono i Latini
anche de' panni, quando si ammassano e pigiano
presso il purgatore.
44. Gos reminisci si chiam il rammentare,
perch* ripetere co! pensiero ci che la memoria
e la mente hanno conservato. Quindi, da con e
da roente, si disse in vece comminisci chi finge
nella sua mente ci che non ; ed eminisci chi
10 esprme altres con parole. Per simil ragione
11 ricordare si chiam meminissent ed amens chi
fuori di roente.
45. Meminisse vien da memoria ; ed quan
do essa, movendosi indietro, rincontra ci che
rroase nella mente; sicch potrebbe essersi detta
memoria dal rimanere e dal muovere, quasi ma-
nimoria. Gosl i Salii, quando cantano Mamuri
Veturiy vogliono dire memoria antica. Dalla stes
sa (bigine venne monere^ perch chi ammonisce
altrui gli tien vece di memoria. Perci monimen
ta si dicono le inscrizioni de sepolcri ; e pongoosi
appunto lungo la via per ricordare a chi passa
che anch' egli, come coloro che sono ivi sepolti,
dovr morire. Di qui roonumcuti si chiamano
. TERENTI VARRONIS
46. Curare a cura dictam ; cura qaod cor
urat ; curiosus^ qui hac praeter modum utitur.
Recordare rursus in cor revocare. Curiae^ ubi
scoatus rempublicam curat, et illa ubi cura sa
crorum publica : ab his curiones.
47. Folo a voluntate dictum et a Tolatu, quod
animus ita est, ut puncto temporis pervolet quo
volt. Lubere ab labendo dictum, quod lubrica
nens ac prolabitur, ut dicebant olim. Ab luben-
do iibidOf libidinosus ac Poenus Libentina et
Libitina ; sic alia.
48. Metuere a quodam motu animi, quom id
quod maium casuram putat, refugit mens. Quom
vehementius in movendo, ut ab se abeat, foras fer
tur, ; quom pavit, ab eo pavor.
4g. * Hinc etiam, ut * metuo mentem quo
dammodo moto, vel metuisti amovisti ; sic, quod
frigidus timor, tremuisti timuistt Tremor di
ctum a similitudine vocis quae tunc quom valde
tremunt, apparet. Quom etiam in corpore pili ut
arista in spica hordei, horrent.
5o. Maerere a marcere, quod etiam corpus
marcesceret. Hinc etiam macri dicti. Laetari ab
eo quod latius gaudium propter magni boni opi
nionem diffusam. Itaque luventius ait :
Gaudia sua si omnes homines conferant
unum in locum^
Tamen mea exsuperet laetitia.
Sic quom se habent, laeta,
5 r. Narro cum alterum facio narum ; a quo
narratio^ per quam cognoscimus rem gestam.
Quae pars agendi est ab dicendo, ac sunt aut
coniuncta cum temporibus aut ab*his ; eorum hoc
genus videntur (.
anche tutte le altre cose o fcritte o fatte per con-
servar la memoria di qualche cosa.
46. Curare si ditte da cura ; cura da cor ed
urere^ quasi brncior di cuore : donde curiosus
chi usa di troppa cura. Da cuore si disse anche
recordare il richiamare in cuore ; e da cura pre
sero il nome le curie^ s quelle dove il senato ha
cura della repubblica, e s altre dove il pubbli
co ha cura delle cose sacre : donde curioni i sa
cerdoti di queste curie.
47. yolo si disse ugualmente nel senso di vo
lere e in quel di volare, perch anima di tal
natura che vola in un attimo a ci eh' ella vuole.
Lubere fu detto di cosa che piaccia, da labi cio
sdrucciolare ; perch a ci che la alletta anima
lubrica e piglia presto andare ; onde prolabi
dicean gli antichi questo correr df 1 anima a' pia
cimenti. Di qui libidine e libidinoso e Vener
Libentina e Libitina ed altri si fatti.
48. Metuere si chiam il temere da un certo
moto dell* animo, onde rifugge da un male che
stima gli abbia ad accadere. Che se pel troppo
impeto di questo moto animo spinto fuor di
s stesso, cos fatto timore da fuori si disse for^
mido; e se fa battere il cuore, da pavire cio daf
battere s* dett pavor,
49. * Quindi anche, a quel modo che si disse
metuere dal muovere o per un certo agitarsi del-
animo o pel fuggire eh* ri fa; cos, per quel
brivido cui produce il timore, si nom il temere
dal tremare ; e ce ne ia fede la maggior somi
glianza de' due passali tremui e timui, li tre
mito poi si nom per imitazion della voce, qual
essa appare in chi trema assai. Che se di pi s'ar
riccino i peli nel corpo, dal somigliare alle resi
d orzo, questo si chiam inorridire,
50. Maerere si disse V essere afiBitti dal mar
cire, perch l'afflizione dell*animo strugge anche
il corpo. Di qui pure venne il nome a' magri.
Laetari dissero il gioire da lato cio largo, per-
ch' un gaudio versato nell' anima pi largamen
te dal pensiero di qualche gran bene. Onde disse
Ginvenzio :
Se pur tutti i mortai ponetser tutti
I lor gaudi in un cumulo; la mia
Letizia a pareggiar poco saria.
Chi in tal condizione dicesi lieto.
51. narrare da narus che l'opposto di
ignaro ; perocch narrare far chiaro altrui di
qualche cou. Di qui narrazione si dice quella
che ci fa conoscere un fatto. Di questa seconda
specie d'azione che sta nel dire, le etimologie
de' principali vocaboli che han distinzione di tem
po, o nascon da questi, credo che sian le seguenti.
ii3
DE LINQUA LATINA LIB. VI. u4
5a. Fatur u qui prmura homo eigoi6oiJbUeqi
ore millit Tocem. Ab cq, quam ila faci^at,
puer dicoDiur infantes ; qqoin ita factan^ iam
fari; cura hoc vooabulura^ a similitudine Tocis
pueri, ac faluus fari sit dicturo. Ab hoc teiupore,
quod lum pueris constituant Parcae fando, dictum
fatum et res fatales. Ad haoc eandem Tocero qui
facile fantur, facundi dicti ; et qui futura prae
divinando soleant fatidici : dicti idem vati
cinari^ quod vesaoa meute faciunt. Sed de hoc
post erit usurpandum, quom de poetis dicemus.
53. Hinc fasti dies, quibus verba certa legiti
ma sine piaculo praetoribus licet fari ; ab hoc ne-
fasti^ quibus diebus ea fsri ius dod eil, et, si fati
sunt, piaculum faciunt. Hinc ^ata dicontor quis
augures fioem auspiciorun^ caeleslum extra ur
bem agris sunt efifati ut essel. Hinc ^ a ri templa
dicuntur ; ab auguribos enim fantur qui in his
iines sunt.
54. Hinc fana nominata, quod pontifices in
sacrando fati siot finem. Hinc profanum est quod
ante fanum, coniunctum fano. Hinc profanatum
quid in sacrificio, atque inde Herculi decuma ap
pellata ab eo est, quod sacrificio quodam fanator,
id est ut faai leg fit. Idem dicitur polluctum^
quod a prriciendo est fictum ; quom esim ex
mercibus libamenta porrecta eunt Herculi in aram,
lum polluctum est, ut, quom profanatum dicitor,
id est proinde ut sit faoi factom ; itaque ibi olim
fano consumebatur omne qood profanatum er^t,
ut etiam fit quod Praetor Urbis quotannis fi^it
quom Herculi immolat publico iuvencam.
55. Ab oodem verbo fari fabulae^ uti tragoe
diae et comoediae, dictae i hinc fassi ac confessi
qui lati id quod ab his quaesitum : hinc profes
si; hinc fama et famosi. Ah eodem falli^ sed et
falsum et fallacia ; qoao propterea qood fando
quem decipit, ac contra quam dixit, faciat. Itaque
si quis re fallit, in hoc non proprio nomine falla
cia, sed trala titio, ut a pede nostro pos lecti ac
betae. Hinc etiam famigerabile ; et sic c9mpofi-
titia alia, item ut declinata, multa, io quo et Fa
tuus et Fatuae.
50. Loqui ab loco dictum, quod qui prino
M. Ter. Varboue, de l l a lingua latiita.
52Fari si dice do' primi suoni significativi
che i fanciulli mettono; onde, avanti che il faccia-
no, chiamansi infanti^ e fanti quando gi il (#0-.
no ; perch con questo vocabolo volle; esprime^
re, per imitatone de suoni puerili, quel parlale^
a modo degli ^ m i , th per ci appunto diconsi
fatui. E perch sin da quel tempo le Parcho di
segnano a fanciullelti la loro sorte, pronuoiian-
dola con parole ; quindi^/o e cose fatali, palla
medesima origine, chi ha facile la favella s chia
m facondo^ e fatidici quelli che sogliono prono
sticare il futuro ; i quali por diconsi i^aticinare^
perch, quando il ianno, son fuor di s. Ma di
questo verr in concio il parlarf, quando apdre-
mo ai poeti.
53. Di qui fu^ti quei giorni, in cui i pretori
possono profferire sema sacrilegio le parole pro
prie de' giuilicii ; e per nefasti quelli che non
lecito, ed sacrilegio se il fanno. Di qui ^'ato
quello spazio fuor di citt che gli auguri hanno
dichiarato qual termine degli auspicii celesti ; ed
e^ari detto de tempii, perch i confini ne son
dichiarati dagli auguri.
54 Di qui il nome di fana venuto a tempii
per la medesima causa che nel consacrarli i pon-
tefici ne dicono i confini. Di qui profano ci che
innanzi a l ^ n o e peritene ad tuo. Di qui pro
fanata si dire la parte eh' offresi ne ^acrifiwi^ *
in particolare per la decima d Ercole ; perch
con una specie di sacrifiiio, viene, a cosi dire,
fanata, cio per legge divenU quasi del /ano.
Ondech profanatu, torna il medesimo che pol
luctum, voce storta da porricere che vale offrire ;
poich nelle libagioni delle merci, che fanuosi ad
Ercole,7>o//ac/i/m esse averle oramai oflerte
su la sua ara ; e profanatum quanto a dire che
la cosa ormai fatta del tempio; t per una voltai
ci eh' erasi profanato, cio oflerto, si consuma
va ivi tutto in uso del tempio, come s usa fare an
che adesso della giovenca, che il Pretore orbano
sacrifica ogni anno ad Ercole pel comune.
55. Dallo stesso verbo fari si nominaronoy-.
bulae le tragedie, le commedie e le altro recita
lioni; efassio confessi si dissero quelli che ben
dichiarato ci che fu loro chiesto; o si form pro
fessare e fama e famoso. Dallo stesso verbo si
tXoTst fallire e falso t fallaci ; e questi, perch
Jallire pigliare altrui con parole, e fare altri-
iDcnti da quel che si disse: onde chi tragga altrui
in errore coi falli, si dice usare fallacia, non per
propriet, ma per traslazione, a quel modo che il
vocabolo piede si trasporta da noi ai letti ed an
che alle bietole. Dallo stesso verbo in line si fece
famigerabile, e tantaltri e composti c derivativi,
come son Fatuus e Fatuae.
56. Loqui da loco ; perch chi incomincia a
8
i i 5
. TERNT1 VARRONIS 116
dictar iara fari, et ?ocabula et rellqaa Tcrba di
cit, ante quam sao quidque loco ea dicere polest,
hanc Ghrysippas negai loqni, led ot loqui : qaa-
re, ut imago hominii non lit homo; sic in cortis,
cornicibus ; poeris primitus incipientibus fari,
erba non esse verba, quod non loquantur. Igitur
ia loquitar, qui suo loco quodque verbum sciens
ponit ; et is tura primo locutus, quom in animo
quod habuit, extulit loquendo.
57. Hinc dicuntur eloqui ac reloqui in fanis
Sabinis, e cella dei qui eloquuntur ; hinc dictus
loquax qui nimium loqueretur, hinc eloquens qui
copiose loquitur; hioc colloquium quom conve
niunt in unum locum loquendi causa ; hinc ad-
locutum mulieres ire aiunt, quom eunt ad ali
quem locutum consolandi causa ; hinc quidam
loquelam dixerunt verbum, quod iu loquendo
efferimus. Concinne loqui cum cinno, ubi inter
se conveniunt paries ita, ut * instar cinni condiant
aliud alia.
58. Pronuntiare dictum enuntiare ;;?ro idem
valet quod aule, ut in hoc : proludit. Ideo acto
res pronuntiare dicuntur, quod in proscenio enun
tiant ; quo maxume tum id dicitur proprie, no
vam fabulam quom agunt. Nuntius enim est ab
novis rebus nominatus, quod a verbo Graeco
ifios potest declinatum ; ab eo itaque Neapolis il
lorum Novapolis ab antiquis nostris vocitata.
59. quo etiaia extremum novissimum quo
que dici coeptum volgo, quod mea memoria ut
Aelius, sic senes aliquot, nimium novum verbum
quod esset, vitabant ; quoius origo, ut a vetere
etustius ac veterrimum, sic ab novo declinatum
novius, et novissimum quod extremum. Sic ab ea
dem origine novitas et novicius,, et novalis in
agro, et Sub novis dicta pars in foro aedificio
rum, qod vocabulum ei pervetustum, ut Novae
viae^ quae via iam diu vetus.
60. Ab eo quoque potest dictum nominare^
quod res novae in usum quom additae erant, qui
bus ea novissent, nomina ponebant. Ab eo nun
cupare^ quod tunc civilale vota nova suKipiun-
lur. Nuncupare nominare valere apparet in legi
bus, ubi nuncupatae pecuniae sunt scriptae ;
item in choro in quo est ;
pronunziare i uomi e le altre parole, e sa
metterle ancora al loro luogo, si d i c e ^ n ; ma
loquiy cio parlare, nota Crisippo che non pu
dirsi, se non per una talquale somiglianza ; onde
a quel modo che imagine d un uomo non uo
mo, n tampoco d' un corvo, d' una cornacchia ;
cos insegna egli, ne' bambini che incominciano
allora ad articolare i suoni, non sono vere parole,
perch quello non parlare. Parla adunque sol
tanto quegli che intendendo pone ciascuna parola
a suo luogo ; ed allora solo comincia a parlare,
quando esprime parlando ci ch'avea nell animo.
57. Quindi eloqui e reloqui dice, nc tempii
Sabini, degli dei, quando parlano dalla lor cella ;
quindi loquace chi parla troppo, ed eloquente a
cui abbonda il parlare ; quindi colloquio^ quan
do ci troviamo in un luogo a parlare insieme ;
quindi a/Zo^i/i chiaman le donne il visitare altrui
condoleodosi ; quindi loquela dissero alcuni le
voci che mettiamo parlando. Concinne loqui si
disse, dai cinni o composte, quel favellare in cui
le parli conveugonsi fra di loro in guisa che, co
me gP ingredienti nelle composte, una parte di
condimento all altra.
58. Pronuntiare quanto enunciare ; se non
che la pr vi dice innanzi^ come in proludere
che il provarti iunanzi alla battaglia. Onde pro^
nuntiare si usa degli attori scenici, perch stanno
a recitare dinanzi alla scena ; e per con tutta
propriet ci dovrebbe dirsi di loro, quando fan
no qualche rappresentazione nuova : perocch
nunzio ebbe il nome dal dar novelle, cio da
nuovo; e nuovo pu essere dal greco via che vale
lo stesso ; onde quella che i Greci chiaman Neapo
lis^ i nostri vecchi solean chiamare Novapolis.
59. Di qui pure entr ora uel comune uso no
vissimo per estremo ; la qual parola mi ricordo
io che si schivava e da Elio e. da alcuni altri vec
chi come troppo nuova. Nacque dal declinare U
voce novum pe ' suoi varii gradi ; onde a quel mo
do che da vetus si fa vetustius e veterrimum^
cos da novum s volle far novius e novissimum
per indicar ci eh' ultimo. Dallo stesso fonte
novit e novizio^ e novale ne' campi ; e Sub novis
si chiama un ceppo di edifcii nel foro, e questo
gli nome antichissimo, come si segue a dire Fia
nuova^ bench da un pezzo si possa dire via vec
chia.
60. La medesima origine ebbe forse anche no
minare ; perch, quando si metteva in uso alcun
che di nuovo, gli si imponeva il nome per con
trassegnarlo e conoscerlo. La medesima origine
ebbe nuncupare^ quasi novum capere,, in quanto
signiQca imprendere nuovi voli per la citt; o
quasi nomen capere^ in quanto vale generalmente
oominare, come vedesi nelle leggi dove nuncu-
117
DE LINGUA LATINA L1B. VI 118
A enea ! Quii enim est qui meam nomen
nuncupat?
ileip in Medi
Quis tu eSy muliery quae me insueto nuncu
pasti nomine f
6i . Dico originem hubet Grecm, quod
Graece ius ^txn\ hioc eiiira dica^ atque hioc
dicare, Hinc indicare^ qaod tonc iat dicatur ;
hioc iudexy quod iudical, accepta potestate, id est
qaibasdafn verbis dicendo finit ; sic etiam^ aedis
sacra a magistrata, pontifice praeeante, dicendo
dedicatur ; hinc ab dicando indicium ; hinc illa :
indictivum indixit Junus^ prodixit diem^ addi
xit iudicium ; hinc appellatam dictum in mimo
ae dictiosus; hinc in manfpalis castrensibus dicta
ducibus; hinc dictata in ludo; hinc </ic/a/or
ragister populi, quod is a consule debet dici ;
hinc antiqaa illa: dicis numero ti dicis causa
et addictus.
6a. Si dico quid inscienti,quod ei quod igno
ravit trado, hioc doceo declinatum; vel quod,
qoom docemus, dicimus ; vel quod qui docentur,
inducantur in id quod docentur. Ab eo quod scit
docere qui est dux aut doctor, qui ita inducit nt
doceat; ab sciendo ducere disciplina et discere^
literis commutatis paucis. Ah eodem principio do--
eumenta qaae exempla docendi caasa dicuntur.
63. Disputatio et computatio ex proportione
potandi, qnod valet purum facere. Ideo antiqui
^xixjxm putum appellarunt; ideo putator^^io^
rbores pnras facit; ideo ratio putari dicitur, in
qua somma fit pura : sic is sermo, in qoo pure
disponontar verba, ne sit confusus atquc nt di
luceat, dicitor disputare.
64. Quod dicimos disserit^ item translatitio
atqoe ex agris verbo : nam, ut olitor disserit in
reas soi qooiutqoe generis res, sic in oratione
patae pecuniae equi tale a somme determinate^
similmente nel Coro ove dice :
Enea ! Chi noma il nome mio ? - r
e in quel luogo del Medo :
Femmina, chi te tu che mi chiamasti
Con insolito nome?
Gr. Dico da origine greca; poich da'Greci
il diritto si chiama ond' il latino dica^
da cni s' fatto dicare Di qui giudicare.^ quasi
ius dicere^ cio render ragione ; di qui giudice^
perch' deputalo a renderla, e il fa col profferir
certe formole ; di qui parimente dedicare i tem
pii, perch anche questo si fa dal magistrato col
dire certe parole, che gli vien suggerendo il pon
tefice; di qui indizio; di qui i modi indictivum
Junus^ indixitfunus^ ne'mortori! che intimansi
per via di bando ; e q u a n d o ag
giornasi ; e addixit iudicium^ quando si fa luogo
ad azione; di qui dictum e dictiosus del mot-
teggiare de'mimi, e dieta degli ordini dati dai
capitani ne'militari drappelli, e dictata degl'in
segnamenti impartiti nelle scuole; di qui Tessersi
chiamato dittatore il supremo magistrato del po
polo, siccome quello che dev esser dello, cio
nominato dal console ; di qui gli antichi modi
dicis numero e dicis causa quando si vuol salvo*
almeno il colore della giustizia, e addictus per*
dinotare chi passato in altrui potere per debiti.
6a. L'ammaestrare si disse docere o dal dare,
perch ammaestrando si d altrui quella cogni
zione ch ei non aveva ; o dal dire, perch s am
maestra dicendo ; o da ducere^ perch ammae
strato vien quasi scorto e introdotto in ci che
gli si insegna. E poich chi scorge o ammaestra,
sa scorgere se fa ch'altri impari; quindi da ducere
e scire^ cio dal saper iscorgere, si nomin, col
mutamento di poche lettere, disciplina la scnola
e discere imparare. Dalla medesima origine si
chiamarono documenti gli esempli chediconsi in
ammaestramento altrui.
63. Disputa e computo si disse per analogia
da putare che vale potare e generalmente pur
gare; onde gli antichi osarono putus per puro.
Quindi potatore^ perch purga gli arbori ; e si
milmente putare rationem^ quando si purga,
cio si liquide, un conto. Cos disputare fu detto
quel distribuire nel discorso le parole si netta
mente, che non v'abbia n confusione, n oscurit.
64. Anche disserere fu detto per metafora
tratta egualmente daU'agricoltura ; perch diser
tus si chiami qoegli che fa ne'tuoi ragionari a
>'9
. t e r e Ut i v a r r o n i s Mo
qui facit, disertus. Sermo^ opinor, esi a serie,
unde serta el io vesiimento sartum quod com
prehensum; sermo enim non polesl in uno ho
mine esse solo, sed ubi oratio cum altero con-
iuocla. Sic conserere manum dicimur cum ho
ste ; sic ex iure manum consertum vocare ; bine
adserere manu in libertatem quom prendimus ;
sic augures dicunt: Si mihi auctor est veruSy
rem mnu asserere dicit f.
65. Hinc* tonsortes; hinc etiam, ad quae ipsi
consortes, sors; hinc etiam sortes^ quod in his
iuncta tempora curo hominibus ac rebus ; ab his
sortilegi; ab hoc pecunia qua in foeoore, sors
rsl, impendium quod inter se iungat
tSS. Legere dictum, quod leguntur ab oculii
literae; ideo etiam legati^ quod, ut publice mit
tantur, leguntur, item ab legendo /e^u//qui oleam
aut qui uvas leguot ; hinc legumina in frugibus
variis. Eliam le^es quae lectae et ad populum la
tae, quas observet ; hinc legitima. Et collegae
qui uua lecti; el qui in eorum locum suppositi,
sublecti; additi adlecti; et collecta quae ex plu
ribus locis lo unum lecta. Ab legendo ligna quo
que, quod ea caduca legebantur in agro, quibus
in focum Qtereutur. Indidem ab kgendo legio et
diligens et dilectus.
67. Murmuratur dictum a similitudine soni
tus; dictus qui ita leviter loquitur, ut magis e
sono id facere, quam ut intellegatur, videatur.
Hinc etiam poetae murmurantia litora. Similiter
fremere^ gemere^ clamare^ crepare ab similitu
dine Tocis sonitus dicta. Hinc illa: arma sonant^
fremor oritur ; hinc :
nihil increpitanda commodes.
'68. Vidna horum tfuiritate^ iuhilate. Otii
ritare dicitor is qui Qoiriiftrt fidem t:laaiaos im
pl o r i . Quirites t Cnrasfbus, ab Hs qei c a
Tatio rege in locielattm \ettefant civitatis. IA
modo dell'ortolano, quando distribuisce i semi in
diverse aiuole secondo le diverse specie, ci che
dicesi propriamente disserere. Sermone pare da
serie, ond hanno il nome anche i xerfi, e sattum
dicesi ne' vestimenti ci eh' attaccato con cuci
tura; stante che sermone non pu essere in un
solo uomo, ma discorso appiccato con altrui.
Cos conserere manum diciamo razzuffarsi col
nimico, ed ex iure manum consertum vocare il
far querela al tribunale, e asserere manu l'affran
care. Cosi manu asserere dicono gli auguri il far
libero con l ' armi ci eh' tenuto o minacciato
dal uimico, allorch etmsigliano a battaglia con
questa formola : Se il dio non m' inganna^ sua
volont che franchiamo il nostro con la forza.
65. Di qui il nome di consorti; di qui anche
ior/e, in quanto quello, in cui siamo consorti,
cio compartecipi ; di qui le sortii come Ticende
annesse agii uomini ed alle cose, donde poi sor*
tilegi; diqui^enalmeDte lo stesso Home di sorte^
in quanto il capitale messo ad usura, perch va
crescendo con uuione del frutto.
66. Leggere si storse dal auo proprio lensa
che crre o scegliere, perch leggere ua coi^
re, che si fa con gli occhi, le lettere. Dallo stesso
verbo ebbero il nome i legati, quasi scelti per
esser mandati a nome del comune ; e leguli sad*
domandarono quelli che colgon uva o le olive }
a legumi s dissero pi maniere di civaie. Aiicht
le leggi han derivato il lor nome da questo fontei
perch sono lette e promulgate al popolo, acci 1^
osservi: da legge s poi fatto legittimo, E col-
leghi dallo stesso fonte si dissero gli eletti insie
me, e sublecti i sostituiti, e adlecti gli aggiunti,
e collecta le cose raccolte da pi luoghi in u d o .
Cos da) raccorre le legna morte ne'campi per
valersene agli usi del focolare, denominarono
legna; e dallo scegliere, legione e diligente e
di letto.
67. Mormorare voce formata per imitazione
del suono, e si disse di chi parla s piano, th
sembra aver voglia di susurrare pi che di farsi
intendere ; onde i poeti ch|amano mormoranti
anche i lidi. Voci formate per imitazione de' suoni
son anche fremere^ gemere^ sciamare^ crepita
re ; onde nacquero le locuzioni ^ttnano Varmi^
ttn fremito si Itv, e quel detto:
Nulla col tuo
lucrepar m'atterrisci.
68. Vicini a questi son quiritare e iubilare.
Quiritare si disse di chi implora gridando k fede
de'Qoriti, e Quiriti chiamoroasida'qiic Careia
che sotto re Tanto eotrarcao in comoosnza di
DE LINGUA LATINA LIB. VI.
quiritare urbanorum, sic iubiare msticoram;
ilaque hos imitans Apritaiue -|- ail:
r, Bacco ! Quis me hthilatt
Tricinas iuus antiquus.
Sic triumphare appellatam, quod com napera-
lore mUle^ redeuntetdaroitant per urbem ia Ca
pitolium eonli: Io triumphe, Id a ^^ ac
Graeco Lberi cogaomento, potest diotum.
69. Spondere est dicere : spondeo a sponte ;
nam id valet folanlate. Itaque LikIds scribit
de Cretea, cum ad se cubitum Teoerit ua -
luotate,
Sponte ipsam suapte adductam^ mt tunieem
el cetera reiceret.
Eandem voluntatem Terentius significai, oom it
satius esse
Sua sponte recte facere^ quam alieno metu.
Ab eadem sponte, qua dictum spondere, decli
natum spondet et respondet et desponsor el
sponsa^ item sic alia. Spondet enim qui dicit a
sua sponte : spondeo; spondettiMm sponsor^ qui
idem liioiat obKgatur.
70. Sponsus consponsus. Hoc Naetius signi
ficat, com ait consponsi. Spondebatur pecunia
eut iilia noptiaram causa ; appellabatur et pecu
nia el quae desponsa erat, sponsa ; quae pecunia
inter re contra spotisam rogata erat, dicla spon'-
sio; cei desponsa qune era, sponsus; quo die
sponsum erat, sponsalis.
71. Qui spoponderat filiam, despondisse di
cebatur, quod de sponte eius, id est d voluntate
exierat; non enia si volebat, dabat, quod sponsu
erat alligatus. Nam, ut in comoediis vides dici:
Sponden' Nictm gnatam filio uxorem meo ?
citt eoi Roroni. Come ^uiW/ere parola citta
dinesca, cos iubilare de'rustici dairinterie-
sione io ch*usan chiamando; onde Aprissio-f%
volendone initare il linguaggio, pose di ritconlro
iubilare ed io in un luogo che dice :
Ol, Buccooel Chi mi grida? Un vecchio
Tuo vicioo.
Simile origine ebbe triumphare,, dal gridar che
fanno : Io triumphe^ i soldati reduci dalla guer
ra, quando accompagnano per mezio la citt al
Campidoglio il lor comandante. Triumphus poi
potrebb' essere dal Greco eh un so
prannome di Bacco.
69. Spondere eqnivale a dicere^ ed tratto
dft spnte che significa volont. Onde LucKo,
parlando di Crelea che venne di sua volont a
giacersi con lui, scrive che
dal voler sospntii
La tonica gHt, con gK altri paimi ;
e dove qui dice volere^ tr i sse egli sponte. Nd
medesimo senso di volont l'uso Terenxio o?e
dice che meglio
Far di sno grado il ben, che dalla tema
Altrui costretti.
Da sponte., come si fece Spondere., in quanto
dire, cio significare altrui ci che vuoisi, vien
parimente spondere in quanto promettere o
salletare, e respondere e desponsor e sponsa^ e
cos via; perch chi promette, d la sua parola
di volont propria, e cos pur fa il malle?dore,
chiamato sponsor^ obbligandosi a stare per altri.
70. Sponsi s ' addomandaroD gli sposi, qnaii
promessi uno air al Ir: lo accenna Nevio c<^
dire consponsi. Ne'coniralii di noue si promet
teva o la figlia o q' amaoenda^ c tanto l una che
altra si dkea sponsa., cio promessa; la aomma
di danari stipulata per ammenda, chi avene man
cato alla fede data, si chiam sponsio ; e sponsus
quegli, a cui alcuna fidanzava ; sponsalis il
giorno, in cui fidsnzavasi.
71. Chi avea tdanxalo la figlia si dicea de
spondisse^ perch quanto a questo era omai fuori
de sponte., cio di libert, non istando pi in lai
il darla o no, dopo eh era legato dalla promessa.
Ed in vero a quel modo c ht dicesi despondere
filiam di chi promette la figlia, perch, come vedi
velie commedie ai chideva al padre:
DI . 690
CMVTi,
I. (It Ochlr . Ribbeck) (Non. a58, 27).
Age nane contende alleram genn
fov : oe quid ibi uiderit meliut. . . .
. (a, 8) (Non. 4g, 12).
Non aoimtdaertitis cetarios cum utderc tio-
lunl in mari thunnoi, escendere
u lu malum alle, ut penitui per aquam per-
spiciant pisccs? n
3. (3, 9) (Non. 169, i 4).
Ut cretntbto corpora
Fierent maiora, paruo ut tuclu caudidei
i ^ct i s-----
4. (4) (Non. 140, 10).
Deiu certo aluit iluclu, ut aiccum
Pareret luanium, quom ueuaruin
Sanguine riuos compleret.
5. (8. a) (Non. (J9, 28 ; 283, 3i).
Nil sunt Muiae Polyclii uestrae
Qua aerefice duxit ? . . . .
. (5. 3) (Non. 148, i 4).
Vi sidera cadi
Diunm, circam terrara alque axem
Quae uolonnlar molo orbito.
7. (7, 4) (Non. 266, 33).
Candens corpore
Taurus triuio lumine lunae.
8. (6, 5) (Non. 374, 9).
Non subsilies ac pisudes et ab Arato pnsces
astricam coronam? Quid enim hoc mirins?
9 (9 6) (Non. 243, 22).
. . Non uidetis unus [iste] ut paruulus Amor
Ardifeta lampade arida agal amantis aestuantis?
10. (10, 7) (Non. i 4>, 16).
t rex et misellus ille pauper amat babetque
ignem intus
Acrem : hic ephebum mulierauit, hic ad moechada
adulescentem
Cubiculum pudoris prirous polluit.
11. (1, 11) (Nun. 25, 21)
Nonne homullum scribunt eue grandibus
superciiiif, silonem, quadratum?
12. (12, 12) (Non. 402, 20).
Qui secundum naturam perfecti homines, ut
non mod) eof speciemus led etiam imitemur.
XXXVIII.
Sa t i r e . , d i M. 1>b Va r r ' f e
Conosci te ilesso.
38.
Su, confronta adesso altra classe di gente
cupida di ricerche ; (temo) lu abbia a trovare che
nod per quella il Tanlaggio.
.
Non a?ele osservato che i pescatori quando
vogliono vedere in mare i tonni, montano sol
Palio deir albero, perch non fuggano loro i
pesci di vista, spaziando per ampio tratto col-
rocchio?
3.
Perch i eorpi cretoeeeero per via d' incre
mento, come col snggere poco candido latte..
4.
Li alimenta dappoi con un tal succo, che
dissecchi il muticato cibo, perch, fatto sangue,
riempia i rivi delle vene.
5.
Sono esse ad avere per nulla le vostre Muse
effigiale in bromo da Poliole?
.
Come le stelle del cielo, e la celeste vlta
che si girano roleando intorno la terra e asse.
Un toro candido di corpo al lume della
trivia luna.
8.
Non balzerai di gioj^v non farai plauso, non
impetrerai da Aralo un'a.f/rica corona ? qusl
cosa pi mirabile di questa?
9
Non vedete come il piccioletto Amore da so
lo coir accesa splendente face incalza i focosi
amanti ?
IO.
Amor Ieri e il re e quell' iuielicc mendico :
entro li cuoce un' ardente fiamma : 1' uno vizi
un giovinetto di primo fiore, 1' altro fu il primo
a macchiare il casto talamo di giovane spo^a.
Non lo dicono un omictiallo dalle lolle so
pracciglia rincagnato del naso, quadrato ?
12.
Quali sieno gli uomini perfelli secondo na
tura, non per ammirarli soltanto, ma ancora
per imitarli.
6c>f FRAMiMKNI I D b L L t SATJRC MLNlPrEE
XXXIX. 39.
iiga
Hercules Socraticus,
1. (i) (Non. 168, 16).
Quid i sulrioas facere ioscius nihil, homo, agU?
2. (a) (Noo. ^4a, i 3>,
111 omuibua rebus boois conuiainua, cobo
in Sariliinie lapelibus> chlamyda cal purpurea
amiculn.
XL.
Uercuka tuam fdem,
( I ) (Noo. 4 7 , 3a>.
flociu Hannibalia curo fugaui exerri4uni
Tolanua ob talamlum Romae Duocupor ;
flACpropler omoea., qui labopaol^ iutocaul.
2. (2) (Non. 47, 28).
Non Tulilnam, quam ego pae iuuoeovquuJ
meae aurea aba te obaiikidur.
3. (3) (Noo. 4 6 7 , 22).
... per luafiiiioas oraa uaga(.
4. (4) (Non. iiy i),
Proceil frigida alle
ObriKil ccIuceiQ. .
XLI.
Idem ili quOd Titi.
(Non. 40) >)
Quid el ? quid lalra^V quid rahiv (|uid
f i i libi?
XLIi.
'^.
I. (2) (Non. 36, 29;.
Apulloniiim ideo excuriant <|ui nihil Kabebl.
2. (r). (Gt)liua 18, 5).
M. duteiu Varr i o satura Meiiippea quae
^ iuscripla et, equiles quuadam dicil
4 pedariot rt appvllalos : uidelurque eos signH-
care qui nondum i ccnsoribus in aeoalum Icvti
Ereok Socratico.
1.
Che ? Se noo sai fart i cahar non avrai,
uomo, ad occuparli ahramAt e?
2.
Nuotiamo nelle prosperit : mio lelto sona
i tappeti di Sardi, mia opravfesta una clainidr
di |K>r|iofa.
40.
Ercok (per) la tua fede.
L' aver messo in tuga di notte esercito J
Annibaie, mi valse in Roma, dalP officio del di
fendere, il nome di Tetano : perci m* invoca
chiunque in IravagKo.
2.
Non Tutilina, che invoco anch io, perch fr
mie orecchie sono da le assed*te.
3.
Ta vagando per le oMrine piagge.
4.
Una fredda procella sommerga del tutto
A i .
Ci che ti Aito di Tifa.
Che ? A che falri ? A he li rodi ? Che
ti vuoi?
4f.
l i Cttvatiere cinico (?).
Cacciano Apollonio di cuiia perch al verde.
2.
u Marco Varrone |>o nella satira >!eni|ipee,
che ha per titolo , dice esservi alcuni
cavalieri chiamali pedarii : sembra che egli in*
Icnda coloro che non erano senaltn, per he i
. TliHIiNZlU VAHKONfc
sentiores no eraot, ie<l quia Uonoribus populi
usi erani in senalum ueniebant cl scnicniiae ius
habrhaiit.
XLIII.
,
[TTfp ].
1. (i) (Non. 3, 24).
Phrygio, qui puluinar poterat pingere, soliar
<1epingebat.
2. (2) (Non. 83, 10).
Singulos lectos stratos ubi habuimus, ami
simus propter cariem et Uniam.
3. (3) (Non. 53; , 24).
Mulieres? aliam cerneres cum stola oitof.
>.
4. (4) (Non. 4, 20, 157, 20).
Propter cunam capulum posituro
Nutrix tradit pollictori.
5. (5) (Non. 538, 16).
Tog tracia est
l*Jt abolla data est; >1 lurbaro i i.
Fera militiai rouner^ belli
iJt praestarem.
6. (6) (Non. 224, 3).
Africa terribilis : contra concurrere civis
Ciui atque Aeaeae misceri sanguine sanguen.
7. (7) (Non. 5o3, 23).
Aique
At'grus fluctus quam lauit amne aquilo,
Saeuus ubi posuit Neptuni flius urbem.
8. (8) (Nuu. 233, 33).
Detis habenas animae leni.
Dum nos uentus flamine sudo
Suauem ad patriam pefdeoM.
XLIV.
*.
(Jun. Phylaiij. itd f^^rg. eorg. 47?)
eclipsis quando sil, cum luna labo
ret ; et si hnc ridiculum credunt, dirant quid
laboreni.
censori non liaveano ancora eletti; ma che, per
aver coperlo un posto cunile Tenifano in se
nato e aveano diritto di e.iporre il loro parere.
43,
La Mestola dei mondo.
[della dislnionc del mondo].
1.
Il Frigio che sarebbe Mat^dattnlo da isto>
riar origliere^ dipiogeva la coperta ilei soglio.
2.
Tutti veT*rao il proprio letto gi guemito.
ma cel divorarono gli anni^^ le ligovole.
. 3.
Donne? tu ne avresti veduta taluwi io veste
tutta di porpora.
i
\ natrice affida a) becchino il cataletto po
sto presso aUa calla.
5.
Ci fa levala la toga, e dta b cappa ipililare,
mi unii colla turba^ per compiere qual soldato,
il duro servigio di guerra.
6.
Terribile Africa: pagna il cittadino oon>
Ir il cittadino: sangue fi' Knea quel che in
ambo i campi scorre e ai oonfbode.
7
Cui lava la bruna onda deir Egeo, l dove
piant u citta il crudo figlio di Nettuno.
8,
Spirar deh! fate un'aura mite, fino a die
con tranquilto alito il ventos cara patria ri
adduca.
44.
i l Testiinoo cinico.
quando avvenga eclissi, perch si
scemi alla luna il sito raggio; e se tengono ci
ridicola eau, dicaDo essi, quali sono i lor studii.
1 OrOLl.K SAI IKK AIKMFHKK
\ L V
Kuvciiise^x^^ix ,
(Atiliui l'orliiiiatiaiiiis, p. 2676 Pulich).
u Sccundum primum npondeum insertus huic
hendecasyllabo anapaeelus iunicuni solaJeum ta-
cil sic :
cailae Jociis Pieriilcs nouem ^orres.
L\ quo DOD est mi r au<l um quoti Varr in
rynoilidascalico Phalccioo melram ioiiicum fri-
metrum appellat, quidam ionium minorero.
(Terentianas Maunii a. a633-a848)
t l quinlam brcutler tomen luquerour.
Sponileum siquidem inter et secundum
Quem scis dactylon hic solere poni.
Si tradas anapaeston inierasqur,
lungas caetera, iam uidebis ipsum
CoDSMto pede Sotaden loculum ;
Carmen Pirids dabunt sorores
Si dicam u lepidae ^ : palam est profecto ;
Quod sit pes anapaeilua : iniero ergo
Spondeo medium alqiie coaseqoenti
Hoc nomen u lepidae vi; 11 omne lale:
t( Carmen lepidae Pieride dabunt sorores, v
Idcirco genus hoc Phalaeciorum
Vir doctissimus undecunque Varro
Ad legero redigens iooicorum
Hinc natos ait esse, sed minores.
(Idero uersa. 2882 et seqq.).
u Nec mirum poto quando Varro vcraus
Hos, ut dixiiDot, ex Ione ot i o
Dislinguai numero pedum ntinorei.
XLVI.
.
(Diomede^ . 36;, 2(i)
Celerius mater amixit
XLVII.
Lex Maenia.
I. (6) (No d . 171, 11).
CoBtr lex Maenia esi io pielate, ne
patribus tuci claro suggillent oculos.
filii
45.
// caiechisino dei cinici.
u Un anapesto, inserito dopo il primo spon
deo di lale endecasllabo, lo mu!a in jonico so>
ladro, come :
Cstae docils Pierids nouem sorrrs.
Perci non a fr le meraTiglie se Varrone,
nel u Cjnodidascalico, chiama trimetro jonico
il metro Falecio, mentre altri lo dicono jonico
minore.
u E diremo brevemente della quinta cesura
(cio: degli eodecasillabi ). - Se dopo il primi
spondeo nel luogo che, come sai, per lo pi
occupato da un dattilo, tu t introduca un ana
pesto, vedrai nell' usalo suo metro parlarti il
Sotadeo : Sia ;
u Carmen Pirids dabunl sorres. m
Se dir epdae^ piede, come si tede, ana-
peslico e lo inserir fra il primo e il secondo
spondeo, ne risulla;
u Carmen lepidae Pierids dabunl sorres. r>
Per questo ^,' uomo per ogni capo dot
tissimo, riducendo questa specie di faleci sotto
la legge degli jonici, di qua esser nati asserisce
gli j onici a minori.
u N mi fa inaraTglia che Varrone chiami
pel numero dei piedi minori quelli Tersi, che,
rome detto, nacquero di Jonia. >*
46.
i l Cinko reiore.
La madre vesti pi presto
4 7 .
La legge Menta,
l'ulla piet al contrario la legge Nenia:
u che i fgli non chiodano in piatta gli occhi
ai lor padri.
DI . VARRONI :
a. (7) (Non. iu6, 5).
Si qui paireni, rntioreni prenlem extin-
in eo eit culpa; qao<1 facii pr sua parte
if, qui le eunuchat aut alioqui libero [non]
proJucit.
3. (8) (Non. 106, io ).
Nemo est tara fieglegeai, qoin s a mn dili
gentia elgat aiinum qui saam saliat equiUro.
4. (5) (Non. 79, ai).
Ad btuiraro uenio. Cum uellera ostendere
quid aellero, Metamelos, Inconstantiae filius me
reprehendit.
5. (a) (Non. 207, 16).
Lxercehar ambulando, ui siti capacior ad
cenam ueniret gultur.
6. (1) (Non. 369h 81. 38a, 4).
Nos admirautes quod sereno fantine
lonuisset, oculis coeli rimari plagas.
7. (4) (Non. a45, 18).
Non hos Pactolni aurea andai gens
Eripiet unquam e miseris;
8. () (Non. 397, 20).
Signa lune sacra esse desierunt, posteaqnaro
homines sunt lacti [sacri].
9. (1) (Non. 225, 32).
Neque in bona segete nullam est spicum ne-
qiiarh, neqne in mala non aliquod bt>fiura.
XLY IIl.
^.
(Non. 182, iG).
Haec lanigeras detonderi doruit tunii*areque
homtilhrti.
XLIX.
Jjong^ fugitqni suos fugit,
I. (1) (Non. 2o4i 22).
Sed uli seral haec legumina arte parua pa
ra uUa : cicer eruillam, sptr^gp (?) ; alioi o^prios
ccteri [relinquaQ.
a. (2) (Non. 271, 9).
Solus rex, solus rhetojr, solus turmoeus, fortis^
aequiis ifl ad aedilirium imodiuiu, purus putus :
2.
Reo chi attenta ai giorni della patria la
prima sua madre: e vi attenta, chi si mutila o
per altra ragione non geeera figliuoli.
3.
Nessuno cos negligente d. non scegliere
con gran cura asino per aver dalla saa cavalla
nobile prole.
4
1 eccomi alla donna che fu di due mariti
gi sposa. E mentre era per es(K>rle il mio desi
derio, il Pentimento, tglio dell'Incostanza, mi
riprese.
5.
Mi affaticava caniminando perch venuta Tor
di pranzo, la mia gola sentis.<e maggior desiderio
di bere.
6.
Maravigliati che avesse tunaio.a ciel sereno
scrutavam cogli occhi k celesti regioni.
7
Ne li leverebbe li travaglio unc|uauco il
Fattolo che oro nenie sue onde travolvc.
8.
Le immagini de' oami cessarono allora dal
esser sacre, quando gli nomini divennero scel
lerati.
9
V' ha tra Teletta messe alcuna spiga trista,
come a volte dei caiiivi uocclii ai ianoo di buo
ne scheggie.
48.
Guerra th parole.
Qiteti insegn a ttar le pecore, per Urne
air iimo vesti.
49.
Lontano fu^g chi i suoi fngge.
lUa semini questi che poca arte richieggono :
i ceci, il veggiolo, gli asparagi ( ?) ; agli altri
[luci] il resto dei legumi.
2.
Solo egli, re, solo retore, solo Tago, forte, giu
sto come il ronggio degli edili, puro senza mar
KRAIVfMIiNin ^:. SATIRE : 700
si a<l rliar^cUra Cieophanlus coiiuenint, ca
re alligeris honiincm.
L.
Mgnum taientnm,
(Priiciano, IX, p. 4^2i 3).
DelotoiKcral forcip'ihas uiliariiini leris.
LI.
. Manim.
I. (2) (Non. i 6 i , 4)
Funere familiari cororaoto anilo ar. patrito
more precabtmtor.
a. (i)(Non. 79, a8).
Aulumedo meut (quoti pad Plolium relho
rem babulcitarai) erilt dolori non detail.
3. (7) (Non. i 3i, io).
Htc ut quadrato latere tliptlae ftrnes.
4. (8) (Non. 5).
Quod dum adroinistrant, in scrobe fodiendo
inueniunt arcam.
5. (18) (Non. i 33, 27).
Tum ad n>e faerant, qnod KbellifMiem esie
tciebant.
6. (22) (Non. i 83, 1).
Nec natui est nec morielur u uiget ueget ut
(H>le plurimum, w
7. (17) (Non. 147, 9).
Lex neque innocenti propter simultatem ob
slringillaf, neqac ooopnli^ pcqpter amicitiam igno
scit.
8. (19) (Non. 543, 32).
Quodrca .oportel hositm ciueni legihu .parere
*?t deos c<>lt*re, in patellam^ dare .
9 (ao) (Non. 480, a).
Non maledicere, p e d ^ in focum n impo
nere, sacrificari.
10. (21) j[Non. 448, 4)
Li cara corrigia disrupta tdat haridum, reli
quum pedem penala scortea pertegere.
11. (i6j (Non. 74, 18).
Maoioi roan^ suscitat, rostrunr su) Vostra ad-
IVrt, popularo in Ibram condocit.
12. (i i) (Noo. 2 1 1, i 3).
Nec tumptibu' fuera
l.egihu' [nec Inxu] statues finem mrdamqne.
chia : se questo i( ritratto di CIfoUnto gnardati
da lai uomo come da peste.
oO.
// talento maggiore.
Colle <lure forbici avea poltio il vignelu.
Mania,
Cominciato il funebre r i t ^noi pregavamo co
me f a usanza deg^ avi e dei padri.
2.
Il mio Automedyute Ifcrch avea imparato a
schiamazzare foggia di bifpIcQ presso il retoFe
Plozio) divise il dolore poi 4110 padcooe.
3.
Qo come calaste di Upali quadrelli.
4.
Mentre sono in ci occupati, scavando una fos
sa trovano una cassa.
Allora venoero a n^perisb^.s^p^va^och io era
un tale che schiccherava de' libri.
6.
N principio ebbe, n avr fin*? wprospera, iti
fiore quanto pi esser lo potrebbe. ^
La legge non opprime per occulti odi Ti
cente, n al malvagio per amicizie perdona.
8.
Spetta, pertanto al buon cittadino obbedire alle
leggi, QDorare li dei, oifrire nei sacri tondi i
frusti di carne.
i)
Non maledire, nom ^ettere i piedi sul focola
re, sacrificare.
10.
E quando spezzandosi la erreg^la manda un
suono secco, coprir di una pelle l'altra parte del
piede.
1 1 .
Manio fa di buon tnattlno levar tutti, prta il
suo becco sotto ai rostri, raduna il pbplo nel foro.
la.
Colle leggi non porrai un Ireno alle spese, n
at lnsio, confine o misura.
701
>1. TERENZIO VAKRONt: 70:1
i3. (5) (Noe. 2a5, 32).
A gr (lerdDqaetemf m pertret
SqDnle tcabrcque, iniaoie I ui t l i l uJ M.
4 (9) (Non. i 3; 44^^
Habens
AnteposHam alimoDiain, MJetMaMiisalfeooYuuiplu,
xNecpie pli refpicico ncque ne prapltna, aedi
limuf iotra
Limites culoae.
15. (6) (N.. 159; 31).
Huoc Caere) dbi imaifU^ frugibus vais> p o mi .
16. ( i o ) (Non. aoi, 1).
Dulcen quam bibat salubrem et flebile esilet
oepe,
17. (la) (Nmi. 1 13, la).
Nam eum, ad queiu ueniunt in liosiJitium, lac
bumanum felasse.
18. (4) (Non. 87, 10).
Harum aeJitoin symmetria conflabat ar-hi(e>
ctones.
19. (3) (Non. 545, 10).
Haec adventoribus accedont: cellae, clauet,
claustra, caroaria, dolia.
ao. ( i 5) (Non. 543, 16).
Ledo strato matellam, luceruaia, (eteas res
esui usuique pr;ie se portaut.
21. ( i 3) (Non. 54, 25).
Alterane bene acceplum dormire super mphi-
lapa bene molli.
22. ( i 4) (Non. 487, S).
[Lectulo] strtit iuoentos quem labus inotlem
lodi.
LII.
Marcipor.
I . ( i 4)(Non. 4501 ^2; i o5, 3).
Hic in ambi io, naaem conscendimus palu
strem, quam uaulici equisones pei uiam, curn
ducerent, l oro. . . .
2. ( i 3) (Non. 254, ao).
Proponlis unda quam liqueuli caerula.
Natantem perfundit, cape !
8. ( i 5) (Non. 451, 5).
Hepenle noclis circilei meridie,
Cum pictus ar feruidis late ignibus
Cadi chorcan astiiceii oslcndcrt t,
i3.
Squallore, scabrezzi^, socxura^ abbandono fa
rebbero deserto il campo e ne andrebbe a rovina.
14.
Ha dinanzi aul desco pposlo il cibo, rimpiii^
za a spese d altri^ noo Biir mai n idnansi n it>-
dietro, ma colla coda dtiroeobio acflftpre all cocina.
i 5.
A costui. Cerere del fitto laioislr^, i suoi rtlt
dinieghi.
iG.
Be?a la dolce aqu salubre, la bgriuiosa ci
polla sia suo cibo.
7
Imperoocb (anche) quegli coi divenifano
ospiti aveva umano latte succhiato.
i 3.
L'aspetto regolare di queste case dava lo scac
co agli architetti.
19.
Ecco ci che si presenta ai lurestieri : guarda-
darebbe, chiavi^ sbarre, dispense ove si tengou le
carni, vasi ove si guarda il vino.
30.
Acconciato i^ letto, portauo i vasi acquarii, la
lucerna, i cibi e quauU spetta al servizio della ta
vola.
ai.
L' altro orinai ben sazio (di cibo e di v.ino) si
abbandona al sonno sopra uu molle tapelo d* am*
bo le parli velloso.
va.
Kuss^ (sul letto) la gioveul d<l travaglio
sihuta.
5f.
Itlarcipore.
Qui gtuiili ad un bivio moniiaino U palustre
nave, che accompagnata dai marinai con un cuo)u
lungo la riva . . . .
2i
L onda della Pi^ponlide, di cerulei sprazzi
irrora la nuotante ! 'rieiUi salda !
3.
D ' improvviso quasi-^ mezzo il suo corso era
la notte, Taere da mille ardenti luochi trapunto, ci
mostra le stelle che intrcccinn nel rido lor -
r.>le.
7o3 FRAMMfcNlI DLLLb SAllKt MENIPPIl L 704
4. (16) (Noo. 45, 32).
Nubei aquali, 'rigtdo utk leucs
Celi caaerDAf aureas subduxeraot,
Aquam uoroenlet ioterain mortalibu.
5. (17) (Non. 46, 4).
Vei Hqae frigido 8enb axe eruperaot,
Phrcnoli ci fepleiBtnoaom fitti,
Secum fereutes legulae raroos lyru.
6. (18) (Non. 79, 12).
Ai tiot caJuci, naufragi, ut cicooiar,
Quaruro bipennis fiHniins phimas uapor
Perussit, alle maesii in lerrani cecidimus.
7 (la) (Non. 4 5 i , 16).
Di xe regi, Medcam adueetam per aera in reda
anguibus.
8. (10) (Non. i 58, i 3).
Pelian Me[dea . . . ] et permisisie , ut se nel
iiiuum degluberet, duromodo rrddeiret fiuelluni.
f). (4) (Noo. 344, la).
Lodem conierisse mera roiracola nescio qua.
10. (11) (Non. 178, 29).
Uaec in ano bis terne tudiculasse.
11. (5) (Noo. i a6, 10).
Vi eat ac rempublicam administret, quod pulti
ieiiteot.
12. (19) (Non. 8a, 3 i).
Astrologi non suot qui conscribi Ila mo t pi>
gmeutis caelum ?
13. (6) (Non. 3 18, 19).
Qui quidem uideol es circumstant non rident
credo : uidere hiantes videor, ridentes oon audeo... .
14. (7) (Non. i 33, i 5; 214, 24).
Vi ri magis kunt pueri? hi pusilli pigri, qui
spectant nundinas, ut magister dimKal l usum?
(d) (Non. 213, 23).
Altera exoral patrem libram ocell atorum, alte*
ra uirum semodium rnargarilarum.
16. (5) (Non. 46, 1 1).
Spatul e euirauil omoes pueros ueueriuaga.
17. (2) (Non. 358, 24).
Dein mittit.
Virile ueret rumi n flumen, ofl eodi t bucuam Vo-
lumuio.
18. (3) (Non. 79, 12).
. del imat bipinnis ut leuis passerculus.
19. (8) (Noo. 358, 10).
L i Diogenes cynicos, qui ab Alexandro rcge
iutsus optare : quid ueUet se lacluruio
Le nubi aveano dal piovoso Irigido vel o l i be
rate auree grotte del cielo, d' aeqqa oo torrente
gi vomi ^ado a* mortali.
5.
Si erano dal freddo pol o scatenati i venti l're>
oetici figli del setteutroue seco tra voi vendo tego
li, rami, pol vere e fango.
6.
Ma noi mal fermi, naufraghi, col cuor pien di
meali a cademmo a terra, come ci cogne cui Par>
dor della acuta folgore abbruci ambo 1' ale.
7
Aver detto al re: che Medea fu per gli aerei
campi tratta nel suo cocchio da serpenti.
8.
Mt [ de a . . . ] aver acconsentito a Pelia si scuo-
jasse por vivo, purch rendesse il lauciullo.
9
L entro avea gittate noo so quali mostri.
10.
Che due o tre volte avea rimeicolati nel
pajnolo.
11.
Vada, prenda sopra di s il governo della re-
pubi ica perch i polli beccano.
12.
Non sono astrologhi quelli che usando dei
colori tutta tracciarono la superna volta
1 3.
Quel li che vi si trovao presenti non ri dono no,
io credo : |jarmi vederli a bocca aperta stupefatti,
oon ardisco peosare che rtdaoo.
4
Chi fra loro tien pi del i auciull o? Questi
pigri garzoni cui tarda il momento della fiera, per
ch il maestro cessi di lle lextoui, o . . .
15 .
L*una supplica il padre per una libbra di pal-
lotolline da giuoco, altra il marito, per un mea-
zo moggio di margarite.
16.
La liceuziosa crapula snerv tatti i fanciulli.
>7
18.
Mette a terra Tal e come agile passerotto.
>9
Ld il cnico Diogeoe che invitalo dal re
Alessandro a scegliere, ci che gli fosse pi a
grado ol t cnf i e da lui .
DI . TkHtNZIO VARRONE
7 0 6
Marcopoiis,
[trcpi ^].
I. (i) (. i8, 2.0-
Cui Celer -/ Anlipatri itoici
iilius, ruiro capul (1'SpUnat.
a. (2) (Nort. 81, 9).
Nat ura humani s oni ui a l u n t paria
Qui pole plui, urget, piscii ul laepe minutoi
Maguu' cunieat, ul n enicat accipiter.
3. (3) (Nou. 199, 18).
Nemi i Fortuna currum a carcere intimo rai sf um,
Labi inoffensum per aequor candidum ad calcm
sinit.
4. (4> (. 209, i6).
Seiisua portae, ueuae hydragogiae, cUuaca
intestini.
5. (5) (Non. 233, 33).
Noctducam tollo, ad focum ferro, inilo, ani
ma reuiuifcit.
LUI.
LIV.
3Ieleagri,
1. ( i ) (Nou. 49* ' 4)
Quaero uirum truclu's au delectationis cau
sa ? Si IVuctuis, ut ueudati s. .
. (2) (Non. 99, aj).
Sin autem delectationis causa uenamini, quan-
lo salius esi, saluis cruribus in circu spedare,
<|uam hi descobinatis iu silua cursare?
3. (3) (Non. 2o5, 6).
Currere, uigiiare, estirire : quando harc l'a
rere oportet ? quem ad tinem ?
4. (4) (Non. a36, a8). 5. (5) (Non. 386, i 4).
Non modo suris apertis, sed paene natibus
apertis ambulans, cum etiam Thais iVIeoandri
tunicam demisiam habeai ad talos.
. (6) (Non. 187, i 5).
si non malit uir uiraccam uxorem
habere Atalantam.
7. (7) (Non. 3a3, 1 1).
Adde hydram Lernae am et draconem Hcspe-
dnm. ' hextiae l\icrnut imm;*nt'c !
S a t i r k . . i m M. 'I ta. VAaar^rcr.
53.
L a citt di Marco.
[ fel governo].
I .
Celere Conunsohl emmatologoy figlio dello
stoico Antipatro, gli spiana con una zappa la
testa.
2.
Non fa natura diflerenia fra gli uomini : ma
chi ha maggi or la potenza gli altri opprime,
come il pesre gro.so mangia spesso il minuto,
come avoltojo fa strazio degli uccelli.
3.
A' nessuno fu concedo dalla Fortuna di di ri
gere incolume nel circo, dalla sbarra fino alla
candida mela, il suo cocchio.
4
I sensi ne son le porte ; le vene gli acque
dotti ; le inieslinn la cloaca.
5.
Prendo la fac*, la avvicino al focol are. stf-
fo, aria si riagita.
54.
/ Mekayri.
Vorrei sapere se il facciale o per guadagno
per liletto ? Se per guadagno, per ioler
vendere .
2.
Che se andate alla caccia a puro tollatzo,
(pianto noi) megli o starsene colle gambe sane
a goderla nel ci rco, che non zoppo o sciancato
ondare scorrendo per la selva ?
3.
Correre, patir di sonno, di fame, ma quando
tu ci necessario? K a qoal pr?
4, 5.
Camminando non solo coi calzari slacciati,
m, quasi non dis9, colle natiche al sole, quando
l>er fino la Taide di Menandro reste una tunica
talare.
t.
Se non sia piultoMo eh' egli ambisca pren-
l^re in mogli e la maschia Atalanta.
7
Aggiungi l ' i dra Lcni ea, il drago dello I.^pr-
rid. Mostri si %idero >anlo immani !
RAMMENTI DLI. Lf c S A' I l Kh MLNJPPLK 708
8. (8) (Non. 553, 26).
\ul ille, ceruum qui iiolabilem curren
Sparo i f c u t u s t ragul aue Iraiccil .
y* (9) a 53, 26).
Quid hic ueii alor non cepii ?
10. ( i o) (Non. 383, 33).
Qii em itieirco terra non cepil et caelum recepit.
I I . (11) (Non. 48, 5).
Funus exequiali slanles ad sepulcrum anti
quo more filictfrnium coniecirous, id esl (*
(fciirvov, quo [iransi discedentes dicimus alius
alii u uale.
LV.
M o d i n s.
I. (3) (Non. 17G, i 5 ; 180, 6).
Sed, o Pelrul le, ne roeunr l ai i s libruiu,
Si te defigeri t hic modus scenatilis.
2. (4) (Non. 96, la).
Si displicchil, tum libi Uturn njare
Parabit aliquam spongi am drietilem.
3. (i ) (Non. 17, 2^).
An qui gradu tolutili
Te medium usque agrum molliter uectus cito
Reli nquat ?
4. (5) (Non. 55, 29).
Non eos optume uixisse, qui diutissime ui
xont sed qui modestissime.
5. (6) (Non. 141, 3).
Qui d aliud est, quod
u Delphice canit columna litteris suis
My,^cv
iubens nos facere ad mortalem modum, u me>
di oxi mc ut quondam palres nostri loque
bantur ?
6. (2) (Non. 176, 19).
Omnes uidemur nobis esse belli, festiui, sa
perdae, CUDl simus aawpot.
7. (7) (Non. 362, 26).
Quod tum erant io Graecia coma promissa,
rasa barba, pallia trahentes.
8. (8) (Non. 448, 28).
.... quam istorum, quorum uitreac togae osteo-
tant tunicae clauos.
9. (9) (Non. 549, 18).
Sed cynicis inuolucrura et pallium luteum
non est.
10. (lo) (Non. i Gi , i 4).
Quis poculis argenteis chorum introibit popiuo?
8.
O colui, che ioseguendo a corsa un alato
cerTo lo pass parte a parte con agreste telo
o coi r asta.
9
E che prede non tV mai queeto caccialore?
10.
Lui perci la terra oon accolse, accolse il cielo.
11.
Compil a la funebre cerimonia imbandimmo
10 piedi presso il sepolcro, secondo uso antico,
11 funerale banchetto, e n e l f accommiatarsi dopo
il pranzo ci dicemmo l ' u n altro: u addio. )
5 .
I l Moggio.
Se ti ferisce, o Petrull o, questo mio modo
da scena, lascia dall' un canto il mio libro.
2.
Se ti spiace, ecco che il vasto mare ti prov-
Teder di spugna da cancellare.
3.
Forse quel lo che dopo averti di corsa c moU
lemeote portato fino a mezzo il campo ti lasci
d' un tratto ?
4
Otti ma vita non la langhissi ma, ma la mo
deratissima.
&.
Che altro mai vuol dire la lentenza u niente
di troppo, cui ci ricaota la delfica colonna
imponendoci di agire, come mortali, u moderata
mente, ^ secondo ne ripeteTano i nostri padri?
6.
Noi ci crediamo tutti belli, faceti, salsi,
quando putiam di rancio.
7
Perch avea allora in Grccia nomi i dall e
lunghe chiome, dalla barba rasa, strascicanti il
pallio.
8.
che di questi, le coi trasparenti t o
ghe lasciano vedere le porporine liste dtlla tunica.
9
(Via non s noc e i n la sottoveste, n il
pallio dei ciiii i.
Qual taverniere si insinucr/i nel coro co
argi ntce tazze?
709
1)1 . TERENZIO VARRONE
. ( i i ) (Non. 3G5, l a).
Capitis corona baccif [iiberi
Faciem labore fUlili uiridif premit.
12. (12) (Non. 5, 7).
. . trimodiam amphoramque eandem te
meti ac tarris modium.
i 3. ( i 4) (Non. 70, 14 ; 353, 32).
Asse uinum, asse pulmentarium, asse cunota
quo naturae aurigatur nos necessitudo.
*14 ( i 3) (Non. 55, 18).
Et hoc interesl inler Epicurum et ganeones
noti ros, quibus modulus esi uitae colina.
1 5. ( i 5) (Non. g 3, 11).
In bucolico cubiculo dormi re mallem, scilicet
Potus uinum meum cibarium, quam regiae domi
l eiunus cubarem.
16. (16) (Non. 93, ao).
Potat fore hoc, qnod his comedonibus con-
ueni t usu, quibus, mola roluptate cum edunt,
dumtaxat gula gaudet.
17. (17) (Non. 55o, 17).
. ! hanc eandem (ego) cluptatem
Tacitulum taxim consequi lapathio et ptisana
possum.
18. (i8) (Non. 229, 24).
Quaere, i, meas tibicinas ac tibios bilinguos.
L \ I .
Mutuum muli scabunt,
[TTcpl ].
1. (i) (Non 1 15, 19).
Vt, grallatores quis gradiuntur, perticae [soni
li gna] f<pvv axtvyjToc, Sed ab homine eo, qui i n
stat, agi tantur, sic illi animi nostri sunt : grallae
crura ac pedei nostri, ex se axtvtjrot, sd.ab ani
mo mouentur.
a (2) (Non. 157, 20).
Itaque st plures dies inler medici discessum
et aduentum pol lictoris interfnerunt, ecquid re
stet, uideas.
3 . (3; (Noo. 22, 25).
Vt ueoalem tanicolam poneret cotidie, ut nel-
leret colum, denique etiam [si] suis manibus
lanea tracta ministraret inlectori.
4. (4) (Non, 234, 3 i).
Vbi liicut opscus, teneris fruticibns aptos.
Una Terde corona d' uve, di coi ha cinto il
capo (io diresti lavoro di getto), scender a co
prirgli la faccia.
12.
. di tre moggia, c la stessa antera di vi
puro, ed un moggio di farro.
13.
Un asse basta pel t i no, un asse per la polla,
un asse per tutto quel lo cui bisogno di natura
ci domanda.
4
E questo corre tra Epicuro ed i nostri ghi ot
toni sfrenati, pei quali norma della vita la
cucina.
15.
Mi sarebbe pi caro dormi re in pastoral tu
guri o dopo i t e r bevuto il mio spregevole vino,
che non riposare in una reggia, ma a gola asciutta.
16,
Crede che avverr, come suol toccare a
questi ghiottoni ; mangiano non appena se ne
svegli il desiderio, ma solo a goderne e il palato.
>7
Lo stesso gusto posso io procacciarmi senza
un travaglio al mondo, col lapazio e colPorzata.
18.
Va, cerca le mie tibicine e le bil ingui tibie.
5 6 .
I muH si fregano V un V nitro.
[della separazione].
1.
Come le pertiche, che fan di tram
poli, sono di natura immobili, ma messe sono
in molo da chi sopra vi si regge, cos) le no
stre gambe, i nostri piedi fanno alP animo nostro
V ufficio di trampoli : per s immobil i, ma han
no il moto da lui.
Che se corsero pi giorni tra allonta
narsi del medico ed il giungere del beccbioo,
pensa to che ne rimase.
3.
Fornisse ogni giorno una tunica a vendere,
dinaspasie, e desse di propria mano al tintore
la lana flata.
4
Dove [] un' opaca selva, densa d ter.cre
piante
. S M I K K
LVI1 57
; r j
y at t r i u.
(1) (Non. |3, i 4).
Prisca horrida
Sileni oracla crepera in nemoribus
. (a) (Non. 76, i 5).
Licei uidere mullos coliJie liieme in ole
apricari.
3. (3) (Non. 46, 24).
'ulpinare moJo et concursa qualubel errans.
4. (4) (Non. a4, 19).
Ae< tJetVauJasse cauponem, bouam luto oble-
uiste, rum portitore serram duxe.
5. (5) (Non. 99, II). .
Sed tibi fortasse alius niotit et depsit.
. (6) (Non. 280, 17).
Illud urgeo, dos a temioa, ut auferaiur. Quae
mihi poslea quam ad concordiam ( ? ) dicla ei(
7. (7) (Non. 391, i 4). .
Nascimur enim spissius i|uani emorimur.
Vix duo homines decem mensibus edolalum
unum reddunt puerum : conira una peslilenlia
aut lioslica acies punclo temporis immanis acer-
uos facit.
LYIII.
Nescis quid vesper serus veh^L
(1) (Geli. X.11I, 11, I seqq.).
4; Lepidissimus liber est M. Varronis ex sa>
liris Menippeis qui inscribitur u Nescis quid uesper
serus uelmt, in quo disserit de apto conuiua-
rum nuoiero deque ipsius couuiuii habitu cul
tuquc. Dicit autem, conuiuarum numerum
incipere oportere a Gratiarum uumero et pro
gredi ad Musarum, id est proficisci a Iribus et
consistere in nouem, ui., cum paucissimi conui-
uae sunt, non pauciores sint quam tres, cum
plurimi, noD plures quam nouem. 3. u Nam
multos u inquit ^ esse non conuenit qnod turba
plerumque est turbulenta et Romae quidem stat,
sedet Atheois, nusquam auleru cubat, ipsum
deinde conuiuium conslat inquil cx rebus
quattuor, et Ium denique omnibus suis numeris
absolutum est si belli homunculi loniecli sunt ;
si electus locus, si tempus leclum, si apparatus
noti ueglectui. Nec loquaces antera u inquit n
conuiuas nec mutos letere or>nrlcl, quia elo*
/ Misit rii.
Tacciono nelle selve i prischi, orridi, incerti
oracoli.
Potrai vedere ogni d delT inverno molti a
pigliarsi il sole.
3.
Ora fa mostra di tue arti scaltrite, corri va
gando ove ti piaccia.
4
Aver Talbergalore rubato il denaro, tinlu il
vaso di l oto, garrito col gabelliere.
5.
*
6.
insisto perch ai privi quella femmina della
dole. Dopo che eisa mi fu promessa per la con
cordia (?)
7
Pi leilo il nascere rhe il morite. Due
uomini, n senza travaglio, danno la vita ad un
solo fanciullo in dieci mesi formandolo, mentre
una sola pestilenza od una schiera nemica fanuo
in un istante monti di vttime.
58.
I l maltino non risponde della $era.
I . (Gelilo XIII, II, I).
u V*hf un lepidissimo libro di J. Varrone,
fra le saiire Menippee, col t i tol Q : u Nescis quid
ueaper serus uehat, n io cui discorre, quanti
debbano essere i convitati^ e quale del coovi*
to la disposizione e la norma. 2., Dice poi che
il numero dei conviuti dee comiuciare dal nu-
mero delle Grazie e crescere fino a quello del
le Muse, cio cominciare lai tre e fermarsi ai
nove, co> che quando i commensali sono nel
minor numero, non aicno meno che tre, quan-
do reggiungono il numero maggiore non paasi>
no i nove. 3. Dfatti non convien u dice ^ che
sitano molti, poich la -roohiludine il pi spesso
turbolenza, e in Roma per vero sta in piedi,
siede in Alene, in nessun luogo si accascia. l
con vito stesso abbisogna, u egli dice * di quattro
cose, per essere perelto convito : che y\ abbia
una eletta di begli uomini ; il luogo c il tempo
sono scelti a modo ; e apparato non sis ne
i3 . 'I KUtNZIO VAKKONb
7'i
i|ueiili in ioro*el subsellio, xilciilium uero
iioii iti coiiuiiiio sei in (uliirulu iie debcl. ^
4 Scrnioues igiiur l lemporis hbea<lo cen
set nuli super rebus anxiis aul tortuosis^ seJ iu-
runJs alqae inuilabiles, el cum <|ua>iain itile-
cobra i uuluptale uliles, ex quihnt ingeoium
nusiruin neiiuslius fial et aiiioeiiiot 5. u Quod
prolecio u inqui -weuenicl i Je iti genus rebus
ail cuiiiinuneio uila: usum pcitinenlibus cnnfa-
hiileinur, de quibus in loro alque in negolits
agenli non. esl utaro. Dominum auleiti u in
quit n conuiuii esse oportet non lam lautum
quam sine sordibus, et in conuiuio legi non
minia debetil seti ea |>olissimum, quae simul
siili et deleolent. 1* 6. ^eque non de se
cuiiili5 quoque mensis cuiusmodi esse eas opor*
leal, praecipit. Ilis eniiti uerbis utilur u Bella-
ria u inquit ea utaxinie sunt niellila quae mel
lita non sunt; - eniiQ cum societas
iitliila. rt y, Quod Varr in loro hoc dixit
bellaria, ne quis l'orle io bac uoce baereat, si-
gniicat id uocabulum omiie iiiensae secundae
genus. Nara quae Graeci aul >-
dixerunt, ea uetere* nostri bellaria appella
ufrunt. Vina quoque dulfltr vai inuenire in
conioediit antiquioribus hoc nomine appellata
dietaque esse ea Liberi billaria.
a. (Gellius, 1, 2a, 4 seqq.).
llaque IVI. Varro in satira quae inscripta
esl : M. Nescis quid neaper aeras uekat r su|>er-
fuisse dicit immodice et in lempestiue luisse.
5. Verba cx eo libro haec sunl. u In eonuinio
lej;i nec omnia debent et ea potissimum quae
sini et delectent pttius, ut il quoque
uideaMir noi> deiuitae magis quam tufcribiese.
LIX.
Ociogeuis
[ v i ^ V0fM9fiCTv].
I. ( i ) (Non. 5 I O, a; ; ao lo).
^oslqualnauida libido rapere ac comedere cocptl,
Sincqve opifici non probiter clepere...........
a. <a) (Non. 17 i, i')).
Hoc erat iDConanodi quod Dcfcirbirout, te>
mei uDum singulum esse.
glelto. Ne sono, u dice, ma scegliere commensali
loquaci muli, peicli l'eloquenza a suo
luogo nel foro e nei tribunali, il sileoxio poi
non si addice al convito, ma nella stanza ove li
riponi a dormire. 4 Giudica poi che i discorsi
da tenere a questo ti*ro|o non abbiano ad essere
di cose o troppo serie od iiitrelciaie, ma lieti e
piacevoli, ed utili ancora, e con una ceita at
trattiva e giocondit, cos che il nostro spirilo ae
riesca pi cullo e ingentilisca. 5. E questo, u ag
giunge, n avveir senza f^llo, se i nostri discorsi
si aggireranno intorno a cose che spettano al-
1 uso comune della vita, ma di cui non ci dato
trattare nel foro o fra le faccrode. Bisogna di
pi, u riprende, che chi d il convito non tanto
si mostri splendido quanto non sordido, n a
mensa lecito legger qualsiasi cosa, ma solo ci
che Ionia ad utile della vita ed iusieme a diletto.
G. D ancora alcuni avvisi intorno alle seconda
mense. E cos ne parla : u Quelle ira le seronde
mense son pi dolci, che meno han di dolce:
poich, contriti e digestione se la dicono poco
bene insieme. 7. Varruiie adopera in questo
luogo la voce bellaria^ e perch essa non li
Uccia intoppo, sappi ch^ con quel vocabolo egli
intende, in generale, la seconda mensa. Impe
rocch, quelle che dai Greci furon dete wi/ o
Tpa>nfAaTa, S chiaiMroiio dai nostri vecchi btla-
ria. K troverai nelle commedie pi mliche coti
chiamarsi i vini pi dolci, c dirsi : u Liberi
bellaria, w
a. (Gellio 1, aa, 4 e seg ).
u INI. Varrooe nella satira che ha per titolo:
u Nescis quid neiper aerus uehal. w adopera su
perjuissty per: essere stato f u o r i ' d i modo e
di tempo. 5. E le parole son queste, traile da
quel libro : u Non si dee a menta leggere qual
siasi cosa, rea quelle apecialnenle che uniacaiK
air utilit il dilello, coti che che Mi c he
questo non vi mancato, piuttostoch esscr\i
stato di troppo. ^
59.
Ottanta assi /
[del denaro].
I.
Dacch le non mai sazie cupidigie, misero
su tutto la roano e divorar tutto, empiamente
rubando, senza durar alcun travaglio..........
a.
Questo ci dava pena : ignorare che un vi
uno fa uno.
'y5 FHAMMt NI I DELl . E SATl Hfc MbNl PPLt : 71G
3. (3) (Non. 98, 3).
lii quo nolt[if rfl]ilioi esi phii ippeum quol
accipiroun, quam quod bibimii i, cum altenim
ddamuf iii bulgam, all erum in ueaicain.
4. (4) (Pri sci enu VI, p. 209, II).
Non haec res le Venere paeta slrabam iacil.
5 . (5) Non. 5 i 3, 16).
Vine raeque aroa mutuiter.
LX.
Oedipothyetlet.
(Non. 473, a8).
Per ifem tempus Oedipus Athenas exui t c-
iiire dicebatur, qui coniolaret.
LXl.
h i f
1>btan^t< lf?'Wr Wrt cpiral<*hti'Sihiarinenlf)
al liioto <Wla sMr b^ 'ift arnrti i o
Lbc a qi'T rtoin * hoii ' a dare una
fropp^y largii esWttijidi, ma p^tiiloeto 'ter re-
f0iiWl!e <ibtf Viai^i^ite^nrehJeeieiH f a r b r t ni sua
IM^iVula:' tri qnHla at)f, dvr inpie-
gre^ilfard/por pernir u sr^o ftortfcmo^ rbt
per un tovo'iteewrUli* Verroev forte folle
riirarrel <4^allre doli' J r g l r anticbi
eer**i Koiimiif. Watrp^rer (Veti. ', XXXIIf,
aG ) nome comuninximo agli anticbi famigli di |
Romavi^omirclicfiieHi che Varrone IX, 2) ti
lagnflra eiserc) gU eadtlti in dtioso : qatue qui-
& S9ttt0S hbet /rriscrs nomnihus
af^irovan condannate le edpidgiei'cou'cfempi
li IMI tneroaanltafoipre in loft qpi ^ e crA^
rondi(I^VIW'<'Oll^ e^ropiadi PeHw(X>: Qu^
ale fiiho gUUArnibi tupeafituoti (*^XIV): AlPavif
(Jit ed alla libidine Uudonv fi fnlimB. XVXVI4I)[
Bral obi^ oottieblDiegme :(XiX>, s4 ildikkinare
le proprie togNe.
i r Equi snes\ 'Epi i $optr ^tt^ colui ebereg^t
il catallo, io aenao pia largo tu usala la^k.ar
iicbi per ai^oiAotre al; quale* spetti di .diri
gere qoftlaiaoi 'Coaai ' '
3 . firidiem, OH ^ticb^ dice-I<9otiid, d fan
fe<le ooH loro <mMUk che ehlaimfaii mfiritiii
non fulo mnidgiarMo, ma oobe la letona<lr.
Cftoreri astricen ; Onts / (luwio) (Vedi
Sat. IH fr. 8).
5 Sytui ' fw/w# H , syros j>i/x Sea-
\\:) ia<Gmeto f^agis^trwdtum est^<tm\ bv -
Hat no9 scapsi r usi if i ea aomi rte'^rti s
ffocd/iir. Gnr N(nioi Credo tiatlaviart:bc quantun
que la' drivatione eiitrinlcigiea 'fifl ciella, poie
no ^ia ogudaienle gitwio il ieifnrfej^lo |
ghinld da Noiiio, perch jryrif^'qui il %*t:oo
cio'iult qalU rbp fletie in-
ieme Iraactnalo amnionliccl^iatb per 1
pi dal i T ^ o : foUeie, iango', apaztature, ecr.
Per axi t ai iqiieipi peaao^ cmh hS questo
Uh^ ii06a^ il f>blij cUenlHoniile ( Cf . Verg.
^0|% 11, S90'>1U 'd5 i). i f ^r umr qui d qui d
misBuM st
6. Bi pemnit ; bteicoto | V<I ForceIKoi ad
uerbt^v
> ' (VAtiioeiKi 7-10 Wuiitm alla>lapnoe ati-
gticme dgli^Arffooaoii I* nel irany. Vi l i v*^ba
una lacuna cbe il Bfeat cnfde auppb>e mi M-
deam ^rfijxfe. l>et reato quetli-eeufil di Varrone
iidn cotvrtfagiMHi iMi quaiili vieti narrato A
Ofidio j#ri.< ^.y .
Oi i nt' nit^Wue'{Li J keetiioe noiy
(ati; Ald.K -AiPciwe aee m nobis
fMrcero). ' Gf pef. eiiio Orirf. ^^ 5i k > ^5 .
n . ; iknt^m,^^m essere
e *r urto lihroi
Pigmeutir Ailolt^is db parsemi ba^na,
qitesK^ cfWfofie dl -GugliHntt JII, i 5):
pi ngenU'{K \ e^ ^AA, H l i . :), fgmeni i s
(Oeblery.
I a.> ba M o n e qoeiK ffeiAnae^to^ Inei^'
ma; 9teWfA^rtWef#t^^.'L. M. W.);fiRl*e:
X?wi q M tm bidentem ti ^eunti i ant W-
) ' derlt^
(B> tOred^' Hdete htttnti, tiiSid hSoritf^ iioh
\ f dtn4i s].
QifMia/ bfxione idtt fr ^ >i ivor^niMldi''pd
bidtnten-, nt lale^tr^do. 4# porger il am
a<t pi chktri. It' pl fetie^ il leolalifo del^
I ' OeMert <i pti *qmdi eui deH^ irtxtntttnt^ non
credo ui dee hi^nteM id^ i dent t non
fillio;Non ivoglo 4 are un j^^udiuo M qucata ooci-
gbietlviras ^rbef U ailfpftt al ginditio dei dot
ti, qqantanqlie'per larlo fcneierti ^ R f t b o g l i o moti
i ricbiin<><oqbi t^mO. ifwkjumqutkudewiter
oircrnnsUittt noBj ridi^nt^ crdo, ri dere ki antes
iii</ros kridfinie 0/elegge ilfabbro prao-
0 fi Meveer<^ il ^lale l i t Mde ^ r o l e oone
dette <fla un srdo. Qui tfuid 0 t qUi?) uiden-
i hr oimrnstrnnt ridetti^tredin r l der t Ai-
anfer^>non audi o.'Qami 'r nUum parie'mi pare
4
ch asM si raccoiuaoili. 11 Geiiacli suppone le
parole ronie Ielle da 4>i persone. La lezione
che io adtlollai lata dal Vahleo^ il quale spiega
la io modo, che a p(iqi^i^U>,^fl9Vdis-
V |pllflipj:,iK up
cpgitari^, /,/(> i'Vll*.
s?nle, r i . ^ > d ^^^i voi, ,^i,de.U toI, pefic^^ ,i?p9
vi Uovji^le ^ l i e p9sl^,;p^ <j^ue'^
lroyaroq<^ |^r^eepi, p,yi^.a^rfpqp,rifO| p
sarfntio fta|f a fp^fa ,pec, n^aT^li^.,
roa non possp .lgiJWW . c ^,di i jciclefe a Tj ^r ^
punta voglia.
14. ioe^ ^^^ ^^ lp..4
Qone nprpf iiiveili di /11^14^, 4 N p w h
esempii, Non credo pe^eM^rip | Pot)^lein
M, p. ;8), crede;rlo ,un pMfQ s^pin<^. Gli sc<^
Uri, in, qcrlc cifcpi^t^^y c^ipe ^e\ ^^^^
aveano feria^ ed affrellaTaoo q a a ^ Aejpnpp, c^i
desiderii. Coij^e^^ipp^^!
.18. ^ JRor^el-
lini. l)la ^iss<; , torse |)?^^ egli.adot^p )f
lefix>ne ^elirn^e ip^^nis, Lp 3 ^ige^^
ter 11 ^ a o Jivenicbbe b^q Jlf;o.
un sa^gio^^^. il Jetlore ne a % f ^ . d ' u ^ v
Qorrciioqe dei (jpdicK di Nopic^ i)^^ir|; che
in Iu9f,9. i l^gg* /><^-
terf^{us. E ^^.,, ,(i4iiw
c c i m y l
hW.
N^n ,r(Pggqfldq,>^ ^ ^
,ler li 4^^cV4| dV9fl^rco,^.pff^
ip c r e d o c b e * . q i Yr^
rupie epooess# qp^k ^ceblw j i > g w l i fl k
B^^ioTvfo^MM ^ |Wr(ip^O:^;4WUJ<iegt4*
va^.(ffl^ei;f,^,i9osl,,ii#, pejr ioffmarnj^
ipfHl^lli\fii^,!Wl^r#Une^e Ja .i^pp
f 'Ch^.uMhW)WV;U ci^vschft,ioleino\#o9dare
J>^^V-^e,iTtpiniMSo Mosf> C^^D^II^ o se 9t
voglia, qvD94freflqu^f; ePV PMf) eej|fifp|p,}cw^
ttai^e^U xj uf^ebp ed^MUri ^,.#
siiwa; Ptrwk4p^#clM?r5>
,1. \ burM^,cngnamf,.qv^ ^fl9 .^i;Vitere>|i
il suo rondaroento storico in ci 9^ifaicp
.iiaiiiL ^ A ^Q . ^i ( mf f l C I > l V^l i i ( C da
un^ l^l;PCOpQfiwll^tg^^*
cppca fl^lriqppate
wpr f H. ^MPtpKflpiffim^^fl ^||;kgis^p.,
>8 ,(SF#U-
^tfoU ;
chiarbainio. ,.-, ,, f ,.> -i
3 * Mi h r$trAvig% a l c ^ j <wmf^9 l^lpiy
fiiilinu f r ricavare M acqo di quei
DI M, IJCimiNZip V ^ R Q i S b ,
vp^tpt w nM f , qt^ Varr4^qe
qon accenna^ n d , a l l ' ms t i ^ b | U : i > , 4 H 4
i'orluna. Pare che il trarre iuamagini dalle corse
s4 i?l'iWV'Q*M .MftMi con^tti ee^nac^e il
di dire a car cer e ad calcem^ prr signi
ficare d^l|irioipii$yaLAQc. .5 i u i ^r / i ^i U W ),
si ni t (Gugl.), subi i (Scalig.).
/ 9 . a ( K o r t i ) .
UV(.
.dell, aaUu Don oad dubbio.
(MU (^cHfOfm hiqarfUiidi un eaccialores fi
<9 xTpfif fi pi^pcacei Isr ntfonlc per sovarobio
4i\aridir^ si maci a.'4%>bla#e UU roaccic 4
UMft llBCH vi^epcrfappai)^ IShiflMi vpoi Mrleagri
i. pnepia^Mri,.parche MUJ^flis^iolo . i>eU;'fmtichiti
X^k m 4 .>lVMe4g<^. QgliiQ:i4#.iii)pi bla qcoile il
lAr^btle q)^hiNl^, UCeroni. iar alrage
^ 1^3; U rOM 4 ) Ire Iprinwifrimroeiilf lcchi
riujmqa sono le obbiezioni di uno ch avverso
.d / .' 1^' y. WI . *. -jj ;* :. *
ria caccia. Fructuis^ antica furma in luogo di
frtfiu$^d*raaj ailo)UrlKK<ovedtf/MMr dotns^
uiotis^ ^t/ Mt^i s^ri ^dir mnmir r i tui t,
<*. ) eaAtm dbbld ai f4r i ^ imara
Hpsion atte ^nfi t ti m^ liaecta di cireo, pef te
qfeaK ii nvfDanoier ^appMrionatUsifDOs cao-
eie che presero enormi proporzioni, se si pensi
cie>p*mt>tos. piO^^pikae kiAi^:ipao'Sd^t^ 5oo
M n i ^r.tnoR'fhjriid^alir* A4k dite ai fa*
^^.efiiballe#e lr*)ks^Qro^-^ereV aNe
oUf aavotav dsrvnoj(loto ila cacciai i oosi 4 rtli
bestiarii^ ovvero quelli tib\eraDb>adaqali ad
eitiaM )%\> ^uma9iim\ iPer quel che
aMa UziPDe, k*ddeiWriaoti^ptioipali s*dno:
eK/eotofra luogb di J^preiai^a, >* cumr \
lot^go di cuturtte, <Utir^sii^e l<prima (fra c4ii
r^Oehkried il 'Ritte)* t yi e j ^ -^^^wofe^ >:' we^e
sua o speetr mof aagio^kio. Ma r ddie |iasa,
arrecati a prova (Plauto, Aul uL IV, 8, 6, e Pe
lronb,^x^ 17) mm'si paiV^ stitfcihii per ittr-
roi me4ar\ di paem- La inuline WAr^ ^ rbe
comune dei libri e di lesa dall' Oehier (che la
fwbfokia^sil t^JesoavvMlta^QNis^'W^A % schfftn
- certoirvars >^rb nor4 <iiaBtea
^'^1 ttslMMhilt> D^l itvto. l nrfi
il f i ' b i e ^ * werwnr : bbe^se*
et6 frfctitWiHitfvo ipui'ia bencr lugo.
I rt'mwmeol^ 4^5 'deoia evidenieereote iame
nH i hr OI0 cbf 'talMnif^ pierIdeili che non
a ^ n o diritti' al lalidvlo ghmgev ehe'peo
al di sotto flel ginb^oUioS il portarbiVno al 'blone
era proprio delle matrone. Qui portato a bella
posta in campo Tesempio di Taide U nota (,
prrch queste di mal affare non t'iavaiio
ANNOT. Al FRAMM. DfeLLE SAttR E Dfl .OGISTORICI
la prolsM luima; eoe! che uVi laK: prK> At V^
(Nonio 54i , i o ), f i fa le mtvavi|;lie^: >
J hieretnet cum U49te i ungu ^ Per egr i n
i n hteo
Sol ent tutandi cauta tft^ sumere.
Mollo incerU la MrUtf Jet iram. 6. Eeio
suoiiaxxM in Nonio: uer ci um mmgnarum ui ri um.
Varr Meleagro, ti noti Ma i t u r ui r ati ut uxo
rem hab, j i taL, e nella pagina antecedente a?ea
scritto ui r i atum dietim er i 'mai^Hrtim irSum.
Prima di tutto a>labqno tocerto ae M e
ritenere crilfura di Nonio ui r i atat o uiratiut^
i n d i , ae la prol a debbati derirare da ui r i hut
da uiri i 9 (amkiHey. Questa seconda i s r e ^
be in o^ni modo ii qneito labgo da escludere.
Lo Sca|geiO n>eMdica il<vocabolo'uiVtfttam
(f. ad Fstuin sub d. uiretHiS), il quile fi ?
cina atuissimo, al lemma di Nonio irirrc/f/m, ed
alla scrittora di un codice Leldetfe ehtf in luogo
\ i nati us prcseiila la (orma : u r oQci i ^. V ht
poi, chi sostiene ui r aci ut {fe^ cui il RineK%e
Ip cpncocdf va i r . ..Parmi^vper altro che con-
tenga piji applicarlo ^Ai al antam^ s/0%\ afnosa
per la tua^roidtxU e ikirteaia.nella cccia^ e^p*
dileiia nelle oorse^ Vi r aoi a |> il grco
Tl9Mpai ; (.
7^ AMsios <ad Ercole^ 4Credo(mu1i|eiesporire
il recuonto latilologic cht. nofissimo. Tot^he^
sti ae t i Qual tHiese)^ i / mtt (Cod. Bemeee)^ yo/
(Oekler ed. L. W.)^ Tot qui l^sato^^coaae spsao
nel senso di elica Xdoii
9. 1| Vaklen. tonte inlendete qneeto . ed il
aeguenie Mn^uAo<di rfircele. <11 Ries ncloa
a irotarti im'aUuiionjft ad Ovioolei fanioio cac-
ciaiore egli .putfe ^^C^ Ovidio, F<ojiiV V, 54o).
Quam neffueami^dixit (icilioei Or i n\ ,ui ncr t
null a for oi e i l , e .ife leri pi setta
I /I
Otti i U Orift. Lmtotm ni tentibut a$i r it
Addi dU e/^ferillv/re)fvinvAV'^ hake, ^
i- 1.
11. Si ofi Ut. (Rise)^^ L auU (Lipsius,, Vablen^
OebWr), timm j a t ^ (Inniue), aui de (Mertero).
Si l i cer ni um. Cps* ^luaMtasi il.banchetto, jfuK
ner^e t:h4<sussfgwtia ^imrtlediatamantttAaUa .^Acir
matio. Mollo gvazioaatnenterferci^^erewp. (a<^
iV^ si^iei^niufr^up.teoehiq, |>er-
ohe gi <po nn p^4k. wil ..ftepolcro 41 vicina s r l
ce^vere onora della . iunAbn^rceiMUr(Vedi Pf^el
I tSi J iQm* 4 l i Aaii.) ,-
L V .
Qiiantn^u lla crto*^ che la salir direfla
i ookhbttr le Varie sfreiisieite, pecttlMcnlc
cntrspponet>do id ese^'s(fi>pif dfYr|!alif.V coh-
tinrixa, mdeitis >cc.V'^uV non si ^iotyclihe ^on
jri kiciirzta profe^?rii giudhTio sutla ragine
del litoio, qnatfdo non'ti tlcMe dl\pe cft^ e^li la
ihtitl cl nm^ di'viif^thshi/soti) fr -
ti^e che fn lult cntl^ ieVbi*e un ^liikio nt zi
t principlibet n ronngii^e e nel beic. C\
non si piace di semplici spiegazini ricorit a
quella specie di hr6^p1o he* Impo-
Vivan spr R rpo del lor SV!ru|)i<T. Guilichi
It lettore. Il pHhio Fiaf^metiio ne indica qiiale
dbtea sir 21 cIoV dato questa' salir d*a
Tarron^ 1(Vdi Mahly, F'a'rrmkhk^ che'h^li-
crr lnp). "U t. ,
I. Defger i t scrissi, r pr gt (ih cui la mu^a
U liquida Tann* Riie);*/)*^/^l2/ (11.
L iV.); pi gbi t ' (Turnb^i), "pj>if;'et (Scaligero),
defi 'gt \Ot\\tr)y pp geri t (Lue. Mulr Mahly),
haec rhd ienati ft \ . sr pslsse me) Ries,
hie rfidiit 7/ic modi '(Virh<^).
. De et l i i rioh 'qud datr fd qttod
' (Noiiib); Ii feconda (iiirt^ahimelt pi'
tarlanti: prahis (Afth'ly, lohi,,'Oeher),'
(Riese), par ato (Scaligero) in luogo di quntatn^
tuam tum ( Riese ), quantum (H. L. W.), tan
tum (luniuf). La leiion bhe seguii la propo
sta dal Mhly, che mi suddisf tra tutte.
3. i^i*atniiiertio d i senso'incerto e pi itircrlo
^11i lezione; thntte* ^ chfe essen/l arrecato
Nbni Stto la toc gl^adrii/t\ t^i^^sta tocf' poi
ffon ti HieoiSfra netl^'etnpi che inrea prva.
7*e mtdisqui^i B, L. W;>, te medi h vamph
(M^reefb), t mel iut^qunt {kthnk ed Oehtev),
i ute ni ofl i ter i H. U ^fi d Oehlc^, m/ (Mer^
cto); T t inettium uiifue dgmh'{^ee, sed du^
'bitrtter): S>er{iAl : aj^runi: Ag^ioti^d; ;bbe^e ia
bim looKbnb dM' ac<HrtlaMa; la ' d-l
Poprfi i fHke pratsidntior^ est H h qwi, gradu
tel e f i 'et cpdtt ' mierti^* Ve tto' pratuer fH
et eintctHty in)tuper mel us Utfui^ quM tu
qui mhi ter et oti os fuftti ueett. Che te ne
sembra' ieltb*^? '
5*.' Alunl dilrHMMit|)i>ier V^ueVlorfradimeb^
t iu^tktabid ottonari. Parnd*pid ptvipotiti^
(ipp*i-c^ Riis che le pemi D ef f ^k e^t u i s
sien trt^ Va^irnde= pkiiiia, e coe'rU
o^flei^bb atl^iirt)Wz<cn ^el pr^mi,^neo' |M#lerK
credere eh Varrtte* abbia 'voluto eaprr una
sentenza met in prosa mela in verso. (V.iMlhtj,
'f^arrriYi^ (>ag. i r )i Ho segnato Vehienda*
rhtoVo dMlfigk: fifeitv, in Inn^ di ymam* pr*
45 . TBRENZiO VARHONE 846
ponto flal Benfioot c ila! fiitK* c'ill uidtam; coi^
rutiuiic tlfr>o<}ic4
6. Saptrdmt qQii mphni es utl eeganur.
QiM*eU tpir|rpion^ t#r * ootofrmat: Jt
FeUK j y [Sope^ei ] g0atis j ^si mi
pl hci s sepi eni em sfgnifieat^ rfeiw ai i
Vur r \ nenur tuf^u 'sprdm^ cu{m fi mu
caitj^ocJ. A ilir -Terti'foiioo'inteodototte'queiU
ik vii sifMeni^'tl posfl mkt M l ^ i ^ di smi
perda: lo Iradotn^ m|so,* eareli>iicilo>giaiilU
rarni^ Sairif<KclUMDAvM> i fred do obui pctec
(li pco conio;eh*i ine4ii faklo MPioe I# m
ringhc c le ockiifhe tta etti apode pat apfwr*>
leneise^ (}uii(la^ |ii cfa ir m e ar ehaniMa\xo^^'^
xn^j 'Non avenl eiso (loBqile'alcuo .oarattcra
pedale per coi poeaae eabert 4)ut portalo ad
esea>fHo cralllt cht aok* il 4ale di citi ti naav
cuprtrlovfaae avolo ilinanti' agli ordii da Var
rone, o qoiodi repfe beoe i a op(>oaiaioo oao
oohrpc, a^ll>t adfiperalo per lo pi di pesci
die fi crrooipno e! c;adi poisano eaofi sci
Itili. Il cqlice MaNlno >dl Nonio l^gg eai^ ii*
mas .tfe/io/MV edi il aolo codice' che abijia que
sta lezione, lo noo ho inirodolU nel lotto;
l^erch noA m' eroipe/anafo. Kvmn99 tHeei il fior
di sanibuc0'U .f|tfale mondai 41I1. odore sgradTi
littim, ril)ullanle anzi^ come agradeol'e rfbot
lanle la snoiclv di .cgl<4^ rhe l eredon ricoUi
di prfgi e di af.Yetoeina o nori^e hancica. Dello
ci, io'pento che \<ariopi'i*t9o9 di acrllura
per ^ i ti \0 scaMbio ddl^ lettore ?i poi-
Ultare.
7. Quoti ; Oehirr: quot. Se mi ooo m op>
pot){;o fiarmi che Varrone qui alluda ai Iciioti
maeslri di tibia, e si aftebbe allora un bel rKon-
Ir con Oraiio :
. pwisc&e mo mm^te ac luscmritm ddi^
di i ar ti
TbUetf^ traxUqumua^ut pT pulpita ue$itm^
1 TroriMiicnii & e 9 poo haono binpgiio di aU
runa aniiolazione, n preienlano alcona ariaiHe
lexioiic che roerili dT r i i f r e rki>rdolai
to. ^r^n<cr/i(GflocK)vOn^nir<iiM><Oe)i1er,
Rie^), ar ge^t^m (Hv L; W,). Popm^ o il
uVerniero chi froquenla le Utorn. QmiM^ifui
(L.). Il fiUk\x\fX'Qiits poe^iis' or geai eum'r ofem
hibit popino ^j I!
TI. Questo iVaoDroeiilo c oa presetitalo).dai
Codd. Nuniani : ./>nrmr#ie, iger^ e^i Varr
llodio: eapi ti s emrfHta tatthi s^ Hrei fi i c^ui
iabare / I aliti uir i dt p ^mi L dovuto al Vah-i
Icn Mmerito d'^aVor rcao iotelliggibile questo
fraiorrtclitosC coiiYcnreoletiieiilc InterpfetalOk
rft Ltber i ipii non sarebbe altro l ' lUa {Ck\
Ovid Aie/. Ili, #6, racemfftr is' fr nUm ciV-
tumdaHith uis^ parlando di Raoro). Lbar f l a
ti li s qui Hon^v'eomeM|t vede, da iilerprHar alla
lettera, ma per rflaxiiMi df* sM|liaifza. Il tutto
poi non serve che a descrivere la corona di cui.
si dingeTiaol# Uremie net Verg. Ecl .
y tSi)^faseitr ti ltgn^s (SciHgeTo); faci tm ( I d.).
L'Oehlrr : Capi ti s cor ona fasti s i i ni t {se.
brat tic/ twgit)^e spiega il labor fl ati l i s in ma<
ifteii 'dir s t f m pe'Hoc|>dii% inella, pHr 'Sau-
sdlndero SUlUung r i n^mk l ^tst dtts ffr antt^
*rfii0rattle poodu della oorboa). Forat la tro- <
dtttioil eKo oUanlO' da retaro^to
ptrt^be HspooderO' al Mlhl^f^ <*be lodando V e
mtovdainenlo idi Vihien ^i 'ricdnla fht uua o'
r n rmpiiis^ eoprire- il volto.
la. F ar r i s: oooFiy# i(H. <L. W4, o r a m (D.),
tforrir <Odd)' Parigio 7666). <pef mo
dium Bi^'WuoiK.dii'cta dal Mably {Varroniana^
|K I7)k
i ^AskBf^^dSm\ u^i m sm^A,yN,y p. 70)^
1^ ui num a/<e (L. (Hib),
^aeiiiiiftiiix^^d^' La leziofe do 'Dovae^oita e dd
Miihly. Nelle edikioni ' inpaetl 'nerwssi tado va
osr #foK il^quale dfeT^'etafre cerio ervoi^e, perchc
nte9S4 htdo e iib Aire non fauno le fugna in*
Jieme, nti qui h^n sono eh la stesso cosa. Farmi
ben' fondala ancora la molaiione del sktnndai
in tnst^cmncta,
f 5. rarmi che anche hi 'qorlo frammento il
Vahlen abbia pnefereuia degli alirt edi^ri collo
diriltmenie hbtaegn,equtndi darvtttHiY H Inio-
ite^h' egli he ho dala.' Siccome atmoi eddd. da^n
cubiculo^all ri bucolico^coi probabile die ara-
bidue debbano andar congiunti. L'oiigioaria lc>
zione di Nonio : in cubiculo dormi re mallem
scilicet^ poti us ui num cibarium^ quam ego do-
Thiftus esemplo arrecalo a pinoposto di
cfaH9tm\ quod 'nane ait de pane sor di do
(Ved. Gler. Tuseul.^ L, V), ut de'ali o indigno
i/feafiir. Inluogo di'meiirn lesse il PopniO'me
nriir.11 Riese:'/^ ebi ouh dtmi r e mallkm'ti m
pl i cei (ti t licet^ Popma), prus {p'otiiis^ libri)
uinum meUm eiarium^ quam r egiae domi nus
rird^e fW (eorreiloiie di *HOper^ A dir il vero^
quatftufnqoe 41 thiar. si' ila giovato delle
erretioni di arii; parmi tin abbia ^ l o ona le-
alrine troppo felioe. E'chii dir deHa lezione e
della spiegazione dell Oehier ? Bsta notarle pet
glidiei^teMVi^tfColied dotmi t^ Malleyi sci li cet
potius^ mtuM yi num c nuM <^Uah ego^doml-
kits gustarent) Vtba\ ^ \ egii, uidentu^esse
domi ni uel pr ehi tor i s coni ui i qui lepide pr o
fi tetur se multo poti us mali e maxi nras i ncom
modi tates perfer r e quam ci bar i um stium^qttod
in cella seruet uinum^ustate. Videant consulcs
847
ANNOI. Al FR'AMi. DEJ l tX SATIRE E DEI LOGISIOUICI 8 (
Aiitho il ftliihly cmiuim ^uexlo |>am
nay 2^). Hi|>rovj. U Uilof^ JeU Qekilt d
'Oiiibania o par) Icoipg i Jiui Jt'guil^del
Vobleti ( :prtipvA<^ lil .iUA r
in cubi l i bktOQtko 4^rm T moM ^
j fotui uiokn\ ^ibrium^. ^^
gQ dorninns jfuui^^^tm^ *. .
Non ini perft flie quwU
lare Ja c mo u h qAeUa,Ud. Vhlet. li^
, qiMSle parole tt bocca d <li 4^rM
moderalo che: an^ nie((tiiutfoito fialtergt teilo>.|tu^
larfe uh ^Inrt oomunt ()lrTfftorkrst dalk'fMiohc
del fioroo^ pintlG8t<;h*^II Hmapo irrvaton
getUrs com, damii^us^ acipri oiueuQci leia,
sciita trovar pia ih llle {liume.
iy.$\l\'9fUM \ hk! iti Mt teaf/m'diHnnmoUa
salire iortoi9i)h^ir^u^teiiuf^^o<ii Su^j
tr acitus traxirn (B.), sol lo la voce pisantrt^com
|nire in Uh obilkedt Ij4 ' del secolo Ki. U Riese
crede il ff^otoien^toi pr^sai: na la rase.icu7Zci/
fax-im imOIkcreder poliou Fra l mariitfBDlalkyj
di corrcitaiKsaildoUai quello dd.Miblf.
i&. Noiio nreca^orfto iVairtin^fitb ad seiD*>
pio di tibia itt'getiene fIachi)e^ e Idv.ctJa ooM:
^larr fneof l uhi d nts ac ' bi l i ngui .
I / Oebler :c6l B.ifae,'(7a/4 mw J uhi boe.! Nt ll
quarty u il qual e qui sembrano )^ ^>
le varie W^ip9i ifd pery^ d# .p r e i e r i q u e l l a del
Malily, il qqal^ pep allro era ip qMalffbe mop
preveMiptPi p l e b i lup^ , b a - S Q C i U a > ( d
il Getrla^b ^u a ef meos ibicentr^ T i h ot :(Ar
(>er e Aietfe)* ^
un.
P;roverj3io uaitaCtfcinqo ',^^
Aw/i/. ((;i. Varrone vD L, I VU ad 4^^^
mal i ; SyiniTi..ep. X, l i ApSOQ.
ad mfinosfll\)^ e p4r^ #4P0<v'giMfi:bii elle r^dffi
la partita, h 9 notata,por aUeo th non rcOi^
nizM con aIquiiaUei fri^inpBli aUegJtli^olla qnt
lu 4i(olo,>e n^tp. oli SPo4 a ,
pV io pl^dorpel idiso io ,cii fu M4alq
da piaMie(Pbacd )^>cifi delU Sprax9ii4
ddraMma nel p<rp9i( ^^
,^TQV ,(|;). A cbi$ ,si pil>40|teDffe 40 dtH
prinii,jtra9ipiep|i. o !' !
I. Il ^amro^nlo. (^^ rIU/ille
corre^iioai di Y*aru.<Q(^^M PMOv^d.JNoninvv()fAl^
rufor^s ^t4ni, c^l qi af/ ffftri ^ grvKarfiytmm s^fM
fus.ts,^ui ,mi i tuni an ff rr^.^ii^tm mv i$4to^
ai A^i ^gr^ct iTipi ,^i*^i^iix\gr^alt^orSquigrm^^
^liuat^^ry^ptrli(j^,^4^y.^gn[^j^n^rtinQ^Ui ab
I tominc eq qui i^isjaf\/ingiii^ i{i4r j si c Hia^imi
axistrrysut gdUae^ cr ura ic pttti vtoverV,. es
siarentivrixot, sed ab homine ,^t>0utnUtit,y
l igneat ^i iU ani m^ propMOj.AWieii^y ^^
sbspea e>vid ghiifo per iqnaelOi credeUt
ohe lovesse miilliit*AMua/vDeegtca, ma quella da
lui tr2|fa cQDn^^k cl <onceiio(> < ^(vr^a
>U e pu uaieMffii.
corrti^iuDitida poiil4>lUla m t*Uiqne)jyb d^l V^bku,
perch M\ efi r n del;odoe.qorfispoi^^i i9rMir
gle<(quau<o1al Seiiao^ qiMtobositi* tforiliurai.\iori*
aio Sf4w: L(>4leiiso>h. dtl^4)fcdbSMiL da omeiece
unl , ligma. G> Mlla^jcciaiidilk|jan lUI ranl-r
fneplo ho ,se|iMio teinAerpwiiwoMe diri Krahner
{Dt 4i a^ phio^^ii^i t 5)^stic>iUi (A.f bomines
f u i 'gr al l i s stanici ani mi nosti eunt t>gral lae
[ R M afgM^u i 4 oe piuilii) f r r a oc pedes^.
Greduirbe il sDnita ilid l#ammfcplaih<in aia oacaru;
oirfoid'iii liHii <ihc PcrpafPb4< tiiQ.piediisi itMiove*
aebhcvo Offe'f* anima oon<ini|irifDeae^qro il fnoAf^
coin i trauditoli nvp sino^?bveb4en>setinofion
li Mit'urtvue e eonacniicastc* loro il aiolo Del reslu
in altro lno|rd Verrine'(Gii6, XVI4 i6> patv
goq piedi e lei gamc' delf liomo^ ai irami di
1Ibroi '
t ^ l i e^i d -restt. Gumftioife ><lel Vahlen<R;
Ji/lii' W. e^rOehker t et <id
) h i ^ i e e t edam, Goifgetlui^< diol ftie:
\iidre^tMm (t. fi.'Wv), uirei^trtam (Palme*
l)ilacere/.tni?:(8calig^>j (P^atUm ip geo^rc
tMtltro*c pi vaPOMsai ohetidn roaaohile; diate
pt altro apchei Tlbullii <i!^lg; L> Tractcquede
niueo uellere dacia. Injectori^ iniectori (li.),
if7tp40tcri^(Vi,).
I M h
Il Popma pensa che qui Varrone si lamenlasftc
daf^dispjctta^u cni eraoorailutv i :d^CB^rati mi
\^riis ^edo, se si tratti di Varrone, pi op|iortu-
no 4Tipular ^he\eqj, aoagliaaie* la soa pieira per
ischeriiirli cogli altri.
* ' 1. Cr epe^aziz^tbi a^ da sul crepusculum de
etepiUiS; en,
3. Er r ami ettias- (ti. L. IW.)
^^^Bouar.:PnA di iriccHo >gin6ealo Up'au-
tic ylnaa^ cuu esif srp^s^ forse
ialegniai<^ dii .an i veko'iTufr IdPgo ritagliar
lo ^qitasrft.foriv. di i|iistoatpent. Un knn
scritto presenta la legione cuponem^un altro ca-
pdnettt,<, C^a m vuole Iraralrvi caupartam,
ad.allri fNacqe> d ' f l Cu)acio ohbam.
L'>Qebkr ootolroU oMNNrcon tamam r^Ved.
Fslbiad 9.)^ e trede.qtii irMate altra
serm^ fr i at^e de MtapaU^re phor m^c^ol a
nel acio\ medi c qm batmm (V. Plip. XXI V, 8
ei XXVI, t) cnr^r J pl ti di usJ r auduUnt j r ar
849
. l l i BbN/10 VAUliQNK
85
iiJ icUs usus erat. Da uii vaso vinario aJ un
luraore non c troppa cliilania! Scciga il dii-
crelo Itllore quale Ira le varie leiiooi od iiiler-
prlazioni gli piace, eiiemlo quelle e quelle con
troverse.
6. I l l ud urgeo ; init uirgo (Oehler), inquU^
turo (Vahleii). Ad concordiam^ iulende Popma
il lenipio della Coecprdi dove si ioglievano e
coropanevano. le discordie mariLali.
y. pro|)abile che alla fine, di rqueelo
mcn^o fieno da aggiqngere le^ilLre parole aog-
giunte da Nonio : et {et per i i plus libri).
LVUl.
Non ia certo d uopo ipender troppe parole
jier ispi^gare che eignifichi il che Varrone
appQse ad ,uoa satira ip cui parlava delle d^i i i e
dei conviti. naturale ch'egl i adornbraese il pen
siero gi,pur troppo comune: goi}ere questo d
che ci dato senza prendersi pensierp delP in-
ceiclp domane proverbio usaronp Verg.,
GeQrg, 1, p, .6i Tilf> l^ivio, X L V, 8, 6. l l M er -
cklin volea aggiungervi anche -rtpc ^^. Ved.
pre^ao i l Vahien , p. ao5, con^t^ta quesU opi
nione. Gelido, come si vede, ne d il pensiero
della .sati^a^ opp Vprdinc ed il contento. 1 roede-
simi tratti, e quasi ad v^rburo^ li;ovifaio in Ma
crobio Sat. l , 11 ^
LIX.
L iofcriiione dovuta all' Othicr che giu-
slaniente corresse in octogessis^ le lezioni vol
gari oclogesif octogesis. octogesimo quelle
pi strana del Pproa : '-^^ (expul tr i x
angorum) In torno alla dt lla parola
rf. Prisciano De pondtr ibus (p. i 356. Ed. P.),
che la difende colf autorit dell stesso Varro
ne, il .quale ammetteva che tino a cen ussi s si
iormassero composti con assis.
. Comeder^. Correzione del Rper, con
cedere (B. H. U W.), co/ic/Were .(i.aurcnberc),
corri pere uel corradere (Oehler), caedere (L.
Mulli^). ^Sl neque (Kiesf) si yuae (Guglielmi),
sci tque (l^aurenberg), seque (B. H. L. W. cd
Oehjer ^che in questo taso, fa cepere : ~ sub^
trahere), Optjicio (Popma), opiiico ms. L.
\V. p. ao), opijice IL 1^. 5 i o), opifica
(Gugl.)
3. Nobi s^uti li us^oc\ } exerc. cri t. p. 27), no-
i i i us (H. \. Ochler), accepi mus (PiJmerio).
P^r ispiegafe in qualchq modo il senso del fram-
mfepto cooT|ien ammettere che oltre alla moneta
detta Fil i ppo si conospesse ed usasse una bevan
da di egMal nume, della quale per altro non ci c
STIBF H ^5, DI >1 '1FR. ^''
avanzata alcuna mcmuiia H V^hltn (Jnalecta.
Non. p. 25) fra il quam ed il quod erede si possa
proporre xvwiXXo uini. -r- Addamus : Guglielmi
in Plaut, Cist. c. 4 ' abdamus.
4. Ci. Horat, Sat. I. 3. 43 strabonem A p
peilat paetum ^/er seqq. Pressu Oehh r ve
di, se ti piace, la maravigliosa spiegazione di
questo passo data dal.Popma. Dopoyci/ in mol
te edizioni sp^ggiunto ^^*. a rite
nersi per glossa.;
LX.
il Ritsche giudica che EdipotieSte debba
aspriversi alle pseudotragedie. Si prendesse gabbo
delle incestuose libidini dei Romani, o le sfer
zasse non si pu aflerm^re. t credibile ch'egli
lamentasse e vituperasse tanto disordine ab-
hominazioni e le sciagure dj Edippo e di Tieste
godevano pressp gli antichi di tristissima, rino
manza.
LXI.
Questa satira miraya a provare la importan
za della musica |>er la educazione del cuore, e la
sua efficacia ad ingentilire gli animi eil i costumi.
Si combattono quindi coloro che non trovano
pi utile od amabile ricreamento, del girare pel
foro, del cacciareo di cpse siffatte, trascurando del
tutto la musica. L'iscrizione proverbiale, ed
abbreviata. A volte si trova:
^ . (Diogeniano, Vii, 33) ^ -
< wra * jetc. Vale
a dire: sei cos disposto per natura a gustare le
bellezze della musica come lo un asino ; ov
vero: in te morto ogni sentimento del bello, di
buon gusto, eco. Credo che vi possa corrisponde
re, in quanto al senso, il proverbio fiorentino:
Ppr^o non fatto per gli asini. Il Riese parmi
ordin molto saviamente i frammenti. Un mae
stro di scienze musicali {phonascus^ che corri*
sponde al nostro : maestro di coro) fa il j)anegi-
rico della sua arte quasi a mody di prologo
(1 Vili), indi asseri^c^ che amore alla mu
sica c insito nell' uomo ( X ), che ha molla
efficacia sopra gli animali (XI) e sopra gli uomi
ni ( XIII): si parla dei suoi progressi ( XV).
Si leva iwei sario ( ) e ne combatte
gli argomenti, per eui il framm. XVl l una op
posizione a quanto altro asser nei framm.
X1 - - X 1I; nel framm. XIX torca della vila di
sonesta dei musici, e (XX) da uno di, questi
preso a gabbo (XXI). Si decide ehe ogimno pos
sa vivere a suo talento. Al framm. XXl l non si
pu assrgfiaic )nogo si uro. (^oji .puea ditersilH
ANNOI . AI .. DELLL SAI IRL L OLI LOGSI OKICI
onliiM ci csfiune qiicsli f'iainrn. il Vilileii {Coni .
|). 3 sct|<| ). fi (Ubbccl liMama alleiiiione so
pra Antiopa di biuripiilt; i;iifs1an)(?nle : ma noVr
conveniva per altro insister troppo sull* imil-
ijiiiMie. TiallaiMio eguale argonirnlo, ini^tos*
iibile non isconlrar! qualche volta anche colle
eeii lenze.
2. Phonascus adsunt^correiione ili lupio,
iioJtl. ili Nonio foni ci a sur, Phcn c a adsum
(Oehier). Kffo cerca sostenere ibrida parla per
mezzo della etimologa : ) e cieo. Questo noi-
acnglio di greco e Ialino sa lale; n parnii alPuo
po farsi puntello del vocabolo praeci a zz prae
co. Photni ci s \>et for ni ci s adi um (Turnbo),
Phoeni ci ae (ScW^tvi). ^ u n i Ribbtck.
3. Non saprei come ispit'gare meglio (|ucsto
franunenlu cl ritenendolo uu allusione airar-
nijnia dei corpi celesti da Plagora e dal suoi
(Tiscepoli t'nat:emenlt difesa. Sera utile I cnsaK
lare Ma^robio al cap. Ili, lib. Il del suo com
mentario al Somnium Sci pi onis. Ritenni il
tfuadam dei codd. 11 Eiese proponeva c/am ae
qua. Harmoges in questo senso non notato n
dal Forcellini n dal Freund. Plinio lo adoper
deir armonia dei colori Cf. Cicerone De nat.
Deor.' I, /J6, 1 19.
Frammento riprato da G. anlero. i / e i i -
fer diede niutifo di un' piede if piimo tenariu ;
sMngand poi nel crcd'ere, che qin si lamenti Ti
trasruiarzij in g^ere,delle arti liberali. II con
testo ricbiede lie si debba restringere solo alla
musica ^ uel ^ (nnio), melo
dis naeniis (Scalig ). l i c inest. Buona couget-
tura Tel Riese.
5. Questo Framuiento e slrcttameiie co)U*galo
col precedent.////irii/az/i.' male interpretato lial*
Oeliter per rozzezza in generale, perch, co
me a\'vertimmo, c|ui ii>n si parla che di lii ca,
e ne dica ci che , d Freund, IMu ibtcirpre;
tato bcnusimo pe< : l hkunde in der Aiusih. Le
cilz. aiiticiie amasium.
6. La descrizione del Psalteri o data da
Dione Crisostomo in Pr oth. ad Psatm, e pi
opportuna al nostro luogo da S. Gio. CrisQ-
.itomo in psahn CX L I X . Orth opsal ti cum
Epiteto, se genuino, conialo Ja Varronc. Altri les
se orthopsalticum^ orthophal li cum, lo spiedo
ori hi opsai tfcus : il psallerios da cui si possono
trarre aripooie del '^ ^ ; vale a dire suo
ni acuti e giulrt. Doa parlicotarizzala dctcri-
ii(nc di (piesli vuot ci trarrebbe troppo in lungq.
io rioiando (]uindi agli autori cbc nc trattarono
4 parte. Chi volesse senza ingoifarsi in dlsijui^i-
7ofii minute acquistale (|uaichc biioiia Mca sulle
fC'iric londamrntaii deliba miisicj rc^a pn leg
gi l e il ca|) XI della Stori a della l etteratura
greca di Ott MQller. Dl cteri e^itvale certa
agli: (fx^fx/iaroi dei frreci. Ij'ailopcr trrcbe Mar*>
ziale, VI, 3 .
I
Omnibus ar r i des: di cteri a di ci t in &mrtS.
e. Nonib : 'comici nothidi . Ci naedi ci e tox^
rezlnc dello ^Scaligero. Il Vatileii scrive : ut mi^
mici., perch, egli dice, non si (MttrebberO tro
vare comici ch^ non Ibssero g)ente d^ tctna. Que
sto jwirebbe valer*, ^ Vairone qui non voles
se nchluiere anche tutti qcUi che senza essere
istrioni, davano dalla scena spettacoli al popolo.
Nothi di i (lunio), ni ti di (ante^Merceruio), noe
ti ci (Ribbeck), schemati ci (Idem). Soltoiiil. Si mu
omnes (Resr)/
iQ. C^>n questo frammento par ri s ^i da 9
i|uc1l{ che* troppo i fau torli iTlta dispositione
al canto connaturale uonio. 'S), vicn uatutv,
risponde^ ma bisogna vi cncr>rra a perfezinrf
Tarte, altrimeiiti noh v*i avr altro canto ihc
quello di vinileiniiifori o delle cucitrici. Nonio !
Sar ci natr ici s non ai qutdm ulunt u sar ei
i r i ci s ryquasi a Sarciendy sed magl r a sr ci -
ni i quod p ttti mum ustinm sumttnty {sant
per sumant corrrsse il Guglielmi in vroi. l, la^,
e bene mi pare). Il Gngteimi steS^ spiega che si
debba iniridere perV^bc^Z/i/i in qeft luogo:
machinae pergul ae sunt in quibs sarcinaCr^t
ce$ opus facti tabant non hoc modo Afi ner
uae^ sed al terum quoquo i l l ud^ni fallor^ Ve
neris. Questa seconda parte non ha certo che fare
C(d nostro' luogo, quantiiiique paia che tali donne
non godessero troppo bnh nome. Cf. Cicerone
(De pet. consul, cap. 2) qua tamen (C. Antonio)
/(i magistratu ami cam, quum patam domi ha
beret^ emi t de machi ni s.
1 i. Qui si prota con un esempio, che le fiere
non si possono sottrarre alla efficace azione del
la muMca, Per le refaziuni di leone col cullo
della magna dea potrai consultare il carme di
Catullo per Atti (CT. anche S Agostino De^ciu.
Q. Ili, 24). Il Koch, il RibCeck, il Vahlea ti
ingegnarono di ritlur a metro fraromento, na-
turalninle introducendovi atcine variet. Panili
senza scro|>olo si pssa considerare prosaico.
la. Il Moinmsen interpreto questo traromen-
lo. Achille celebra ancb cgTi col canto fe impre
se degli de? e legH eroi ; ma quantunque usi
sempre il verso eroico, pure a volte solenne
robusto, a vdle pi dimesso, pi lene: eia ra
gione di questo alternarsi non a ripeter che
dalle varie gradazioni di suoni che Brseide trae
dalla sua lira. Rltci i suam Br i s. 11 Blese pro
pose suitui. !>e sa a Srrivere neruitrs o nrui
in qnrslo luogo. Hi Ntniu! vedi Valileii. p. ' 3G.
DI . .N7J 0 VAKKONK
l i . Cerno, ('on^etlara, iJl- Uit sr, pi :<-
iic crebro. Chi ,qe*ia. Ivii<nc <lev
IjiQrre . ?crho un nrscisy per
^<^. Flectendo tibi is, f. fiectere^ ci\ntus
(Lue. VI, \ i ^^et^q^e . , . ut^cejn (Ovid.
i l , ^ %S)yfiectere ^onos (.-. N, XVJ. 171).
Nel aecooOo ?efSo ,in Iqc^p.fJi fr i gger (Vat^n),
il Uieie col Biiclieler Jesie er i gi !Vli uop mi par
ve opportuna la rnulauone.pcrcb U IVammenlo
arrecalo da Nonio a|i|mnto ad .esempio del-
M9o.^\ fr i ger e vt fr i ger e est ei j r i guti fe et f r i
ti nni re sussilir^ cum fo/op uel er i gi et exi l ir^
quod quatcunque fr i guntur uel fr i gent nimio
cal or e uel (ri gor e cum.fona susum sussi l i-
unt v. 11 cod. Marciipp hj iofatto fr i gi ^nitnos
eorum. Cqft\ n utari {^oali^^ro), Deorum in
luogo di eorum (Ri);)|bec|i)^ .
i 5^ ?| oipviQ nelPacl^, .mufif^c tle?e -
damare alle vari^ (copdj^^pi 4leli>
le pcrsoQe che agi^no^o allo sUtp deU'^nirpq;
e lo spiega cpn ire esempi : il (folqre, il vero
dplore amjis uu% ^res^qj i e tr.fnquilla ; aid ^chil
1^ cunyienf 110 g^f^e^gi^odio^^ solenne ; per i
danzatori, y un9, ^ V ^llro .di q i ^ i ,farebbe acou'
veiieote, e dimtndalo una |vi yito, pi inps>
so, I j Oehl^r, soriven<)i) '^^ ^^
cinaeifus^ ha yizialpja be(l^ senlci^i^a, e. intro
doMa uoa poslfqzioQe c^^oiofia. fiienp, r a
rigvVUrc Ia sua I pquifur scr i ptor
de pjantomimo inde quidem laudflndo guo4
<% Bris^ide^ ^ Patr ocl i
mor te^ maertati^ dolorem qui eti us ac,dten\is-
j/iLf, gu0m, uifjgo soiety repr^saent^utrat ^
quel chq i) ^ meraviglia si ch' ag^i icuessf
Ia sua congeUura e Ia sua iuterprelaiioue per la
sola vera ! Pepch convjQog^ ai miioi il genere
jinico, sar chiaro a chi abbia una qualche idea
della jonU roolleua. Cos\ l,<ucilio pr^ss^ Nonio.
Sl uU saltatum te i nUr uenisse ci naedos;
t Plauto (7. glor,^ 111, 1, 74)
Tum ad saltandum non cinaedus malacus ae>
qut$t^atqu9 ego,
Cf. eiiaodio PlauU {Stich* V, ,).; Pseud. V,
I, 29)v O#aio {Curm. JJI. 6, a;).
16. Qiiae sci t (&ies#)^ pi comune fci s.
IPVahleii Mttgae s^nt^ quo^.J keis. |l Hiu^^l;
l ar gar e ^ctpi t ;di er ns: quat i ptnfi i ci s e{,qHor.
f ...
Le prime parole io cifedo th rifuggali^ dal)
parere poetiche: il reslo lu trailo prr avvenlura
da qualche anlic pocla.
1;. Uno 1100 puu il'un trailo lai si |u i Uw
iieirarle Minsicah*. S^tiega qiie.Ma xrnlenza con un
esQn>pi(. Se in d'improv\i$o comandaxsi ad nn
tuo servo di vestire il coturno^ di emulare il I ra
gico Anfone, crederesti per avventura di venirne
a capo? Lo troveresti pi iropaccialc^ | i netto
del mio rouUltiero. Ch^ qui s'inle.nda parlare di
uno ^chiavo, e ipaniteeto cosi per sere contrap
posto al mulioy come iincora per la consuetutii-
romana, di cui fa lede il Momrosn, di chia
mare gli schiavi eoa doppio uome Timo proprio,
altro che qe indic^^se gli u(ficii Vedi altri escm-
pii preMo il V^ahlen (Co/i/Ve(. p\ 27).^D quc.<i(
I ragedo Anfiooe pon abbiamo, al Iri^ notiria che
qu^s^ di Varrofif^ e qii)nlunq\ie sia riteneir
che questo pome fosse una remiuisc^nif del fa
volosp fondatore fli. I V be, pur^ ai dee rigettare
.del ,t^Up rppinlone deirO^|iler ^(V. Korcel. alli
voce mlio) f^\i^mphi oni s agerepart^s voglia
significare in questo luogo fi di bus t ca^lu sa-
3^a fit I npidtS moutre. Manca nei codd. Nonn.
Tapodosi. Il Roper suppose un inu^n^iw.
18. 1pai significalo del vocaj^olp cfhari us
toc(;amf^p (, Earn^i non essere
opportuno abbandonare la spiegazione^ di Nonio
per riercarne una pi squisita riposta; co^i
y**ha chi vuole^ unire airi^ea di c/^eriMX quella
di collactaneus; c meno prolMbilmeplc il Gii^liel
mi spiega qui cibari us u qui congerroni suo
i mpendio cur^qt eiqu^ tanquam pr cibo est.'>'>
Aristoxeno era,un fip^fo e mu^co Tarj^i^o
( 3 i 8 f, a.. C.J discepolo di Ari^l<^leje. Scrisse
varie .opere, iVa le quali si, conservarono i tre
libri intitoligli pj^ovtx^ ^^, dpv^ egli il prjmo
cerq una legge razionale delU musira. Qui
u^io per ant^^pomasia.
ao. Pempe aut (l,Ueso)^ Nempe tu, (VahlenJ.
Ob aritm praecl. (Aldina). Vpdemma pi/i sopra
{Meleqgfi\ a. Varropc andawe poca a* ver*i
i|, tropp9 amore. alU oaccie.
2.1,. Jtem.,} luuio //, male ^ AJurimus {W.).
aa. Distico ricuperato d^^ I.achmpnn (in Lu
cret. p. 3), -T porro is dicorporis
^ )l bicorporis (Bentiiio), bicordis (Rotli), t ri
corporis (0 <ann.). Cf. Varr. De l. /. VII, ()3.
LXII.
Il iVIommscn tradusse assai felicemente il ti
tolo li questa satira colla voce popolare (che
sul gusto del Pape Satan ) Paj>perlapapp^ che
riunisce insieme il CQOcetia di scioechezza e di
go.SagiO^v.Pair ipsieoc^e poi dei Irammenli si ap
palesa che V^rrone qui comh^iUva <iucl modo di
lodare^ ,cV piut^pstp/adubre, per cui si vupi
far parere tutto belio,, lutto snblii ifi (hi si
ama, o a cui si vtiol (uarerc;.
55 . Al >. ULLI.l SA *: L Ubi lOGl STOBl CI 85G
1 cinque |irimi raiuiuenli sonu sUt con nii-
ral)ile ecnme o diligeiiia ricuperali tlallo Scali-
i^ero. In queste correzioni v'ha certo dett'* arb
trio, ma Wno ad ora non si seppe quasi far
roegli.
1. Nodo. Il Vahlen propose commode, L t
eJJ. comunemente modo. E x suholibus ero-
byl (Gifanio), ex cr ol f l i subpruuli (Rlese),
emittebantur (Hle), demitteharitur (Edd.), de-
mi ti uni uf (Scali^.), ut ci nci nni (t/ipso). Su-
petulis nigellis popul i (B. . L. W.), suppae
tul is nigell is pup l s {lunio). nigelti (Riese),
ocul is SMppoetu ni gell is pupul i (Ribbeck.
p. i(4) Quantum (Hiese), (fuandam (ScaKg.),
qtinm (libri), liquam (Glfani), ani mi tui \o
tenni collo Scaligero, perch ha niaggior Ibnda-
menlo nella lettera dei Codd. ntmlr (Riete),
animi (libri); Intorno ai ci ni nni Cf. Miiller {ad
Festum., p. 63). L OeMer non si accorsa che il
frammento fosse poetico.
2. Ti nctae, C/ncfae ( Scaligero ) , mohiles
septo (unio).
3. Frammento monco cosi sul principio che
sulla line. Lo Scalgero scrisse di suo apo
At rictus r is candi di [dentes candentes']
r i ctui ut p. Refrenat or e r oi ea [labr o] (R5-
per, phi l, IX, 2%^). Refr. ore ri su rosea [l a-
bila] (id. ib. XVll, 93), puri ssi mus ore fr e
nato (Li|>sio), refrenatus (GifMilo). I^a lezione
del Vahlen approvata e seguita dal Riese : r ictus
par ui ssimus ut refrenatu r isu roseo, ItWahly
ftellesue Var r oniana (pag. i 5) pi^pos la lezione
che a noi parve buono adotlare. L'aatore stes'
so voHe Spingere' pi innanzi la propr corre
zione mettendo in campo Urta seconda lezione :
ri ctus par ui ssimus ut reni det ori s r isu roseo.
Mi parve da preterire la prima delle lezioni che
meno s allontana dalla lettera dei codici.
4. Nonio scrive sul la demonstrat. Lo Scali
gero corresse Si gi ll a (anche Oehler). Nou pare
probabile, perch io f|uesto senso non ri sa che
sia Sl at o uftto questo vocabolo. Al contrario, la
fece lacuna ha parect^hi esempli. Cos Apuleio
[Fi or, l i , i 5) medio mento launa^ Ovidio
{Art. Amat^ 111, 283).
Si nt modici ri ctus paruaeque utri mque la
cunae.
Lacul l a (Rper), mento : inmento ( lunio),
pr i mor is di gi tul i (Guglielmi), demonstrant
(Edd.) Col lum fi ctum l ei ma^mre: eoo
egual fgura Ovidio disse : marmorei s pnti s
(if/el. Ili, 481) e niarmoreo poll ice (XHl, ^46)i
5 . Regi ll am tuni cam di ffingi tur purpura
(B. H. \,. W.), regilla tunica definitur purpur a
uel purpurea (Hopei); di sci ngi t (Othler), il
quale* ri aggiunge questtf memorabile spiegazio-
ne: di sci ngi t ( n prii^at h. e. praestat\^ diffi
ni tur (Scialig.), di stingui t (Vebleu). Ttmi cu-
lam ( Vahlen ). Delia tUn eula regi la abbianolo
memoria aaphe nell Epi dkb di Plauto (li, Sq),
dote si prende giuoeo dal variare ad ogni istante
fog^i^ o materia di* vestire. Quindi parmf ppor-
luno il genitivo; tn caso divei'So cnvied spie
gare col Rper pufpti ra ~ purpurea.
7. M i o quid in (Gifanio), improbabile;
laudabo (Gerlach), eonui ui tu uinum (Miiller,
p. 4 i 4).
8. Margar i ta "ut amethystus smaragdus
(luoio), uitrum. (Mercem),
smatr. (Gerlach ed Oehlef), stmargdos (Ribbeck).
Roper lo cre^e fr. pdetldo. '
9. Fer a : Versa (Codd.). Csi sta in Nonio
frtlriim. Qui potest laus uideri taers ? cum
mtus saepe fur aces ei semus. ac nequi ssi mus
ibis i uxta ac P , Afr icanUs, L ' Othler nou
mut che V i bi s m ciuis. Vdi apprMo la stesso
la spiegtione data dal Mrctoi^ che Questa volta
cammina sui trsfmpoli. La letin' ttoslr do
vuta alti cTtrigenta del Ribbeck.
10. Pr omi sear i s (H. .); pi^omis carus
(funio), promi s car i s ^Tumebo, XKIX, l a i .
Btlccheler, p. 44^)i proMi seo aui s (Reald), pro-
mi scum me (Laureoberg), promi scua aui s (MUl
ier, p. 415).
11. L' Oehler spiega al es gal lus per bella
persica (il gsltd ^ra insegna militare prraiana),
da Erodl descritto nei suoi li(>rr(inlilolli dal
le nove muse), lo credo che non si potrebbe H*
pescare pi a fondo.'
i a - i 4 La lezione di questi Tramm. , meno
pco ndevoli mutazioni, quasi eostanie.
i 5. Resi di s: resides (Mercero) si di t (Par.
7667), resident (Aid.), si lent (Roper).
II proverbio toscano risponde a capello cui
greco usato, s'iiileude, frequentemente.
L X l i l .
Avvenimmo gi non ascriversi questo fram-
menio alle Salire ae non perch non si sa a qual
opera assegnarlo. Il titolo senza dubbio cor
rotto, n si trov ancora la 'via di rabberotarlo.
V ha chf propose Pappus aut iader^ Pappus
aut I ndi ges, Pppus de I ndi gentia ( Riisehel
che lo annovera fra i logistorici) : Oohler sostie
ne nt I ndi gena: Pappo era tm veocfaib
introdotto sempre nelle Atellane. Vesti spi ca
(V. Varr. Dt /. /. VII, 12).
85 7 1)1 . TtRtNZI O VAKRONK 85
LXIV.
Anthe rigniHrdo a queel Iftolo tUmo c-
ttf^ettr a ooofeseare eerci iropoMib^le cbrtie
sodJTsboeffle s|)igitiDneV Si ctVco Intano iMri
crrere ad UD gf^co proverbi!: Ev -
h Hv {I n app. prou. Il, 87,
ap. ^uiirh. I, p. cio: bene l ; ma non ha
ehe far nieofir'cl porco di ParmenoiHe.
Qifetro^ proverbi, che ? a quelli che ti pfo-
' di imilanr aleun ^enta' Yleit^nri, Vachi
nato dall' abiUU di pit<^re Prmeiioni che
aveta dipinto un por^llino %ofl ianla bratnra
che parea ftao grdaiae, e 'tgfiera 'p^ranu d
far ^megif. Piorare irti V. i dieile Diiipti-
te CoirritraH narra la >ola ^iin po* dhrriaront.
<c Era Pjiriiienone oa \cdsllrfte cotitral!a<!itore
delln tee del prco : l^ino cmpgn peremo
Itilone fttro ancor uM lor pror t cntr-
renza, roa av^do di gf gfi ohntdi ripieni gli
orecchi del suono di costai . . . rispondeano spes
so : bene, ma non ha che far nreute col porco di
Parroenone. Il lettore s di gi accorto che
qsto proverbio* nn'si addatti putito n poco
Bf fraronentf; e <juesti sllessf no^ onthgono
trk di l'; cb, uri met parla dei tptagli per
ibbMttre'ttn ieWa; Taflrii' lihefi (rattb di poesia
e deir arte potica, troprb^abile V oi^loher del
MrcViirto, che questi sfeno IVamtanti di uh lo-
gitoric.
1. Ti menti s: le edix. timentes^ trmttis
(Kotk; p. 28) qadtnguldm (V. iScltg. ad
Vrr, D el , . V, p. 46, ed. B i p . ) i f^iirw/
f^ar ^f ugan (H:'L. W. ) , /i / ^ (B. H. L. W.
p. 451), fugel e 'etf, \^(l;2)^'fagar^M (Sca
ligero), (Tiirtebov X X I 17),
nrtm (A1d.);yiittr/i/nr(Of>ry, Hr/ /ie:tir7e. Ori-
dio nxi l i butpi agi i fM^t. l i , f99)t Tfofa II Lade-
\rig (ad 'Fetg, y4eti j che iet^et r tti Quelle
reti da caccia eh* erano a pi larghe maglie,
p agae qtttWe tht pmp^iaeaenle serri vabo a
prendere I aeWggint g wi i s a ^ arcydS : io ere*
derei false ixie^li^ seritre
a. Per framhiehtt I l -i IX^t. Ennio'
VI, frag. l ' d. Vahfb:
J nce^unt] arbu$t^^p^r\ alt^^ ^' cati ^n^
Per ,Q^unt <J u^cuJ ^xxciditt^tf . //fjp,
Fr oxi nu' fr angi tur at^u abi ts consteri\ i tur
alta
Pi nus proceras ptrifot^tui^t ; omne sonabat
Ar bustum fr emi tu si tuai fr ondosai ,
3. A/li (Rieie), edd. eis i n forrnna^sel-
feiiarii trocaici il V^ihleo, Sol^iiei, \. Mtlll^ (pa<^
gina 4'^) '
4. Cauo e Qu (Popma). Ahtni um . , .
olarhs^ congetturar del Kiese che sottoiritende
nenantur uiri. Le eiliziorii aur um . . . uocaHS.
Il Vahten
Cauo fonte uti cum i nr igaui t au
ri um anfracta i n si luam uocans,
ovfero per mutare il bachiaco in eretico: caua
gli spieg : Cmpti rti oni s r atio in eo fr ag-
ntnla haec esse uidetar^ ut in si lum ille
nsc'^ (fis Uodn aureS acr i uoce <fuasi f r i
^ida atfua i nr i gat dtcatur ,Scti \ hn veramehte
trdpp strab us d i nri gare i\it questo senso.
Aeeettaf l\ft'Corietifve ^rm/nVm, riteni tVuoans
dito da hiCtl cdei O'ttnendbsf, ahcH cih
s'ebhen mnco, pure n sen^. mni s {ter hi-
scello o ^((ttnto ardito; non pkM strano pr
altro se fu lecito Vergili^ osarlo ffell' acqua
Blleill *tb una daldaja {AeAJ VI I , 46&, Vedi.
XII, 4 ^7) ^tVanimnti V^IX furn ncuperaU
ed ordroati dallo SeaKge^.
8. Lots {Mttceto) utos (B1 H. m. s. L. W.),
I tius (Bentun)/ i i^/i^irfRies), fcftf (Vah-
Krn),'-^J^' (L. W. Ohler). Unisee II platno
i ltO' ^autre del Colei :
A M a plata'iii, i nter quai i mpi lotoS .
Prmi 6bb)a^ prtfc errore O'ehlir, 'fl qole mr -
r(ftbe finire iri uba sola sententa al ta fi ns -^
y;miS\ prima p e r d r h s i m cos^iratlne che
' i'e risulfa, dorer4h)S ahmettre patdnuS m ca-
s genitir; poi; perch fr ons Pal l ad s , se
condo* la cotuniisiifDa setitnta, olivo noh^il
](ilat^ric^.'
9. C r Gtollo, LXIV; log:
/
I l i a pr oeui r adici bus exturbata
Pr bn cadity l ate <jua est impetus, obi aftan.
gens,
IO. Sequatr : asseqatur (Vahlen), die sem
bra pi proprio detTuso latino in questo kenso.
Wdl prsso )o less, (pa^. ^), comens"*indnslria
di Itvlr uh game fra t{ueirlo ed i precedeVi-
ti* frammenti.
11. 11 Iramhienlo neHi nstra l^ione d-
futo a congetture del Riese. ll'VahUnf ri -
stum ed aitihiette na'lacdna che
rorr<^be Supplire con doet niM mtm amu
si am, e ritiene la leiione comune ^pudet me
tui,
la. Cur as; in altro luogo Nonio ^267, i 3 )
lesse lurtus.' Casta egli spiega : suauis iucun-
dot. Cf. Horal. Sat. 1, a, 110 et sqq.
r3. ' Pirfril' (Ribh^ck i2<J), patr i (Poprria)
pnci ih'(ri. L. W.)'^o^irta ' (Oehler), Compa
gi ni s id estJ xpov et (Valilenf.'
ANNOI 1 KHAAlM. Dt LMs - LOGl>TOKlCl 8<m
i 5. i^3 (9(v(Oi.l)lei).<Cl Carisio, p. 241 v
ift alt ra,rro.i e l atm9 sermafif^ librq y^nt4 '
l i s al i is seruare conutwt quftm Ti l i ni o. TV* ;
rentio ttae ; ifn utr o Trabea ^tilitAS Caf- '
ci l i us faci l e mouerunt. *
LXV .
Che qai.\"arcone trt(^ic ^Mle ,rie scuole
filo^pfioUe lo imparifoio. flal e Ul, prino
framoieiUn, l<> d e f i l i l e , ofv^ro raccoainn*Jwc
UDQ, ji|jeciaie siMema iraposMlie fqc^riare, .CC.
S..Agosliv ciu. Dfiiy X|Xu, I : M^f^arro
lam, ^ dog^maiuta. MarJ etaXew dili^em
fer et (( scrutqtus qdu0r4it\ /i< ^d
^L X X ^F i i l s^tas non quae 4 esun4^
Sfd quae e^seposseaty adkiben^ quaf4am diffe
r entias fpicill^nu peruenkreL
I. \\ ^ommcntQ questo iraipfpeuto^ fi ,iU)d
pieoiisimo da , A^s(ino ^ c[iu, D. i-3 .
Da etso ti deduce c(ic ^ueati ^qmpU^i ciop j
priacipii iyqdafn<enl^li c(i9 terTgao ,aUe jnvesli-
^aiionl Blosofii he era^a per Varrpne, :
uqluptcts^ ,, u/ rumfue^ pr i ma Ofiturjte, Le
ternae uiae^ in cui ciaj^un capo, i|. liparle^ .fi
ri&rUeonq alla firl, in qua^lo.che a' j as
SQggettap di pr efer i ta Q ,n\,rongiungt. 19^coh^
i;uiu)^q^o. di .upo tiM ^opr^dUetli. ,(^p|e9fo
apprliei^ .qiDdi alla t^rzf e que^p pfv
slo jgli fu aMCgm^9 Varrone/^e
phi iosop/ iia, \ qps^jc S Ag|osliuo .ha Iratlo le
idee che capere al ca|K> ciuio ; qui io vece gJi
dato il primo posto. Credo che ci qqu i^
sti per concludere^ c ^ : aiiro eguisse iii. un
libro, altro in altro. A ragione il Vahleo ri>
gelU^la .taccia data, avVarroqq i^jdl* O^hler, che:
exi tpm ft non. aia chp u^a ,laTtplugi^,,pirr-
la parola ^ qui usasi in doppio senso ;
nel suo naturale di /</?, ed in quello speciale di
i ommi f ben,e^c^mi? ^. Msato ilal.paiJar Iji^sp^co.
Nessuna T^r^le cfie; ^^riti peserVazione.
, Pe l ub^o, La Inione cpdci. e di quui
l^tle le tlanspc prima d^lo S^alige^p era puiu^
re. Partemi neceasario aeguire s buona correr
xipne. M tU o; mitico, ( y. L. \V).;L PL*h-
ler sUiCogli anl^hi, ,
3. ,CQntremula.: / ^GugUel-
mi^. aqtmltnta (i^) chi^rp pl^. q^i h cceiir
na alla luna.,
LX.V1.
11 MercUipa (. Xll,,
ya6,.^fyc^.), a(rerni^ nasiera q^^e*M.fatifa una
cp^ sola^oi^] quella. ^hcy^in1iV>lai
aespr */ir/ial. Tale ojiinion^r fu pjcii^a-
mctile conibattula dal Vahlen {op. cit. p. 206
eqq.); e con ragionv perch in una si danno le
norme per i conviti, nell altra si combalte la
yizipsa rioerca^ua^lo? cibi. Pr il catalofBO dei
cibi cf. Uoi% Sat. Il, Mf<*<^vjri4 (ir-
li if) ;.><eiiar. Dopo pectncul us i op4 fC biooo
una lacuoa/la quak daUe odd. f u <soppUla. coti
Chius : assai ,prPbahile^ so)p he|>arlan-
<k), di questa (V/i\f4iigUin Api^ip n) Plinio (JU.
N. IX, 4&) faop^ me^xiocK ^el l uff o in i^sa
pif^vAva mfgUp. I fc^n. 3 ,e 4*. aatriTo-
HP.a que^ jHt^a cUi^^fei-.o^HigetliMia <lell'HiioM!l
lierg .(nell',ed. tdi.^pivifo,a, 94 Ov.e<.^<1 !Rittolid
\ Pi(, l^arr.^^i^^ip, Jibi'p.rfiS).
Hq sie^ijip la l<^i#iie,U0ir<tumeilborg ; gui-
tpniipe avyer^irf e ^ r e inccj(U wsai
furj^ erri)t^lJa l^ i^ e .; ; t^uid^e di xi ,
I! nel|p^^. .*4 proppnv>:i l :
m4^ : . . k xw e | pp-
t^ebl^, diferidefe sapendosi .1 e ifi^ ia t venerea
dei blil^^f ideiti, pervio/ ^)che sqlaces^,
Gli: stoici, p erip eUc^^.il suicldi^^ Questo
prip^ipfv^ Hscfi^o^a.yarrpo^;Del|5|-fat^
ffl 4^;5^ .JLl j M e n ^ j in p . ^ ^cce .una c o ^
,U colla ^e^g^s^9y m a ^ co|^gralo ptens-
piemie fi^V (>oei. p. ao#).
Prufi i fldes; Pru^^(U (^)^ Cpsi pi;be
Lucilio (cL Gcllio, IV, 17) chiam Scipipoe 3 ci*
piadeSy^
a. ifVlo^.a. cpi. qui Sf allude vedi i
^ra| . ^ ^l upi ^s^i t^l tus.et ^njut^s (^onip)
in ffS exspuere \ uitqm. Altra j(^ipue ^
la :prima (| pu osfeaAre.cpl cunficunto di.
Mais. (Ili, hky^P P W q ( A iV, ^7), ch<parr
landa;d^:l)^ fof4ei;ja (|;.aniroo, ,rops^f^tn; da Aiias-
i ^ w a e.a|?iU^rU i ?pl^^
W^^JT^P*v li*uup di;t|MP> Uiaup.iknietlesi-
q^p. vrbPr ^ ;
..4. L ' Ue%wWk {EJ m doft^Vt^i, |^^.33) .47
jpa^Q, tuV&p L Ccammolo .a fiaimf; bfcphcp
tenia distribuzioue ip,ffr#Q |;Ki,bbec|( fece al
Vrpstentiliivp. fogDi|npf|P '(i M Ora?j; traccia
di cretici p. e: da corpari s ~f qper4$- ..
5 . Questo Irarameoto fu dal Ribbeck credu
to uri cntihxitioo del s^otld $ i ri^
leriWbbe ad Atidftea. IMbti ^tiindi par ih
pitera.
1
8.7 33
musi ca
musi ca pcXocTitv
86c 21 al C. Go De /. /.
al Libro V. C. Go De /. /.
8 7 9
3 alte [<li
agP I.Ii
883
24
le un.
le liti
I f r a m m e n t i
..
DELLA VITA DEL POPOLOROMANO
TRADOTTI ED ANNOTATI
DA FEDERI CO AB. BRUNET T I
PROLEGOMENI
D .
'al Catalogo vhe dell opere di Varrone ne ha lascialo S. Girolamo, e che nm
bbiamo pubblicalo alla pag. 609-640 di questo volume, venimmo in cognizione
che quel miracolo di erudizione e di dottrina, avea in un particolare lavoro, de
scritta In vita del popolo Romano. Ma quantunque quest* opera fosse gi da molli
conosciate, non era costante n il modo di citarla, n il numero di libri, in cui la
i voleva divisa. Egli un fatto, che in parecchi codici dei grammatico Nonio
Marcello, le fonte principale dei frammenti di Varrone, essa s trova allegala spesso
col titolo-: De uita palrtttn, rtel cod. Palatino per esempio e nel Marciano : e
con questo titolo ne troviamo citati i frammenti nelle edizioni tutte cli prece
dettero Aldina. Ma a qnesti codici possiamo contrapporne altri di nota miglio
re, che danno intere Fparle popii/ t rowanij possiamo farci forti dell uxiis /0-
queni della prosa latina, in cui la voce palre$ non f sinonia di nwioresj e Iro-
viamd facilmente l'orgine dell errore dalla mala interpretazione della sigla PR.
d un consenso, tranne un* unica eccezione, generale, ne fa fede che que
stopera fu da Varrone divisa in quattro libri ; quantunque alcuni editori tratti in
errore d una citazione del cod. Leidense, siene giunti ad accrescere fino ad un
dici il numero di qusti libri.
Varrone dedicava quest opera a Q. Cecilio Pomponiano Attico ( che prima
di essere adottato dallo zio chiamavasi T. Pomponio Atti co); e a nessuno con
pi ragione poteva esser diretto un libro, in cui con ordine cronologico era tra
mandala ai posteri la memria delle cose pi illustri operate dai Romani, e I Ioni
costumi e le loro istitazioni. Attico In fatti avea in una sua opera, eh ei diiam
Liber nuali%^narrata in breve la storia di Roma dalla sua fotidazione fino al-
anno 700, dandosi cura specialissima della cronologia. Di questo libro diceva
il suo biografo Cornelio Nepole {Alt. i 8), che non v era legge, n pace, n^guerra,
o fatto illustre che non fosse ricordato e messo a suo luogo ; e con elogio non meno
splendido Cicerone (Orai, c. 34, 490), eh egjii consematis nolaiisqtte ieniporibug^
nihil eum ilusire praetermitteret^ annorttm septingentornm memoriam uno libro
J J k u . a v i t a iki. V. W, DI M > t B . Va r r < wk . 5 h
i> L G 9*
rolligauit (Cf. ancora Bnitua 3, 44 dove dello che questa libro omnem remm
iiosfrarum memoritint breuitet e i . . . . perdifjertier eomph:eHi esl).
Con eguale certezza non si pu determinare, per altro, il tempo della composi
7one. Alcune allusioni tuttavia con molta assennatezza avvertite dallo Schnelder
f De Hit, et sn\ Farr.) che riscontransi in questi frammenti ne mostrano eh'esso
non poteva esser composto prima del 705 di R. (42) o, se non sono troppo larga
mente interpretati certi accenni al libro Annalin di Attico publicato nel 707, ne
i.>eremo II termine possibile pi lontano il 707. Attico mor) ultimo di marzo
lei 721 (32), dunque il libro dov essere scritto nel periodo fra il 707 ed il 722.
Fondati pqi sopra un giudizio conghietturale dell intima relazione fru questi libri
De nita pop, Rom, e. altro De gente pop. Rom, dello stesso Varrone, scritto
nel 744 (i 3), il Roth, il Mommsen, il Kettner, il Boisser fissarono a quest' anno
stesso la pubblicazione ancora di questo libro, i frammenti del quale diamo ora
pfr la prima volfa tradotti.
L'iscrizione del libro presa dai Greci. Una vita della Grecia ave gM
scritta Giasone discepolo di Posidonio. E prima di lui, Dcearco di Messeoe avea
lisciato un lodatissimo lavoro B/ cy in tre libri, nei quali coasideraTasi la
Grecia sottp il triplice aspetto : naturale, politico e morale^ con insertivi alauai
tratti poetici, dei quali avanzano ancora du frammenti. Ed ormai opIniaDe r i e-
vuta fra gli eruditi, che Varrone nHIo scrivere i suoi UM De uiiu P.
dinanzi agli occhi quest opera dell eruditissimo Siciliano, e oe aegtiss^ ordine
e il modo della trattazione.
Dovendo tessere Varronis la biof rafia ^ei popolo Romano ^ gK' era aeiM-
jiarip narrare le opere da questo compite, e toccare altres, per seinnii capi
iilqi)enp, quello che noi dician| o ie antichit publlche, private e sacre K dovaa aan
t)lo eipor questi fatti, ma esporli nelV ordine In cui erano sutcadtU. E tale
flsposizione fu serliata da Yarrne. Nel primo libro infatti, egli coasprete la storia
ilei re nel secondo le cose succedute dalla elezione dei primi cotfsoli Ino al prhi-
(ipip de)le gufrre Puniche. I l libro terso abbracciava gli avveninsenti che eb
bero luogo dal 490 di R. (264 a. C.) fino al 621 (438); il quarto eomprendeta
MI spazio dal 624 fino alla pugna Parsaliea. Questo ordine incootrastabiibien-
jt* a| tetato dall esame dei frammenti. Una falsa interpretazione di m passo
(, 24) dove deUo: Primum de re familiari parinbu^(altra lezione: a pairtbtu)
.\ t:cundo de mctu contueti^dinB primigenia^iertio de d9CpHnipriieis n^teuarii^
tHtaCj trasse il Popma conc^dere phe questi tre fossero 1 titoli dei lUir deir
opera De nita P. / ?., per cui si vide costretto a coniarne egli un quarto di sap
Mpii, e a trasferir da un libro all altin) quei fran^n^eoU ohe non vedesse eorrispon-
I Ve a quelli! divisione. Ma le parole di questo f^mn>ei| tq non son certo ) cMa^e
l i permettere qqcsta suppqsizione, e noi saremmo incerti sotto quale rubrica
disporre molti frammenti die nulla hanno a fare con quello iscrizioBe. Pi v-
% al vero si amniettere cl| e quello (asse ordioe seguito da Varrone^ Dqq
) 7 V ti I, ; t; t \ ,,,
4ie(ribut>ae generwle della materia, ma s nlla pariialt! 4d si ngol i Hhru
una prUaione adunque lecoodarie, e che oltre I e*poeitione storica i ripele^i*
ia tutti * quattro libH, come si usa fore aasi di spesso per ainor di cliiareaz.
in AperBj i Otti Unto vbeta si preseutu la mai eri u du svogl i er e. Non (a quasi
bisogna di avvertire che l ordine, che i offerto ora daMedleioni, non tabi-
Utd oht per Va 4i raffronti e di conghietture. I ft-ahimenti della nostra edizioKH
sono dlpoeti dletr6 le *omie che & Agostiitb (Oo ch, D: VI, , 5) fe fede es
tere tate seguito da Vdrrone nei euol libri J ntiqq^ ter. din. i hum.
IlKrabner> del suo Celebre libro De Frrmiu aniiqq. ft*. p. *, espose qunV
consiglio si foMe preposto Varrone nel deture l opera De uila P. R. Esso ave%ii
0 scopo BOD apedulAtTe seloma, e princlpalinnte, pratico. Le glorie di Ronii.
ohe^i veniva mano mimo diobidraado, p sono mai scompagnate dalie lodi dell.
virt priseh, dalle'queli tanto erano lonutni i suoi contemporanei i e'con questi
richiami oebtiniii alla setnpHeitA, alla Integriti, alla fortcaza dei maggiori ravvi
Idrati dall prova lamineelBsitna dei fatti, ei si credeva di far migliori i suoi con
cittadini; era in somm il coAsiglio medesimo da cui erano inspirate le Satire
nlppee^solo era differeate la scelta dei meisl. Come scopo seondario noi vi dol>-
blaOM ricoaoaeere anoora II render ragione di certe oofttqmnEe, la cui origirti^
s erb' palliala ool tei*p0 j dMondere altre ootlaie dagli terlttori precedenti v'
tmseiirate d erfobeamMite e*tKiete
Lo stile la eai detti questo fibre nn pUAto migliore di Quello che gli riin
praverato egli altri. Si risconCraiM 1 ledeeime duretae, le stesse negligenti*,
qMH affettaaione donUco, fche retfde csi diflipiie l interpretare ed il render in
altra litigtta i suol pertoieri.
Ora dire qualebe cesa dH n*o die si fece, dai grainnralici priiicipalmeOte-
d|: questi iibH. E primo ne si presenta Verno Flaoce, il quale per quanto >I
ptod arguire dalla oitatiobi del suo eumpendiatore Pesto e di Paole, ha fatto senau
dkbbio suo graa pr di quest' opera, perchi trattdndo del significato delle pa
role, non era possibile che non avesse del/ Continuo dinanzi agli occhi un libro,
che rendendo ragione di tante coelCumante romane^delle istitusioni militari, delle
cOnaaetudini faagliari, dei riti publici e privati^dovea offrire in pari tempo largM
teMro di voeboli che a tatti qocsti vori argomenti riferiscono. Cosi noi tro
viaia una aUilslone aMnifesta alframeti l i . 4, neHa spiegazione di Pesto del pro
verbio 4Magmurio$ 4e potUt (PesL, p. iSA u . tu texaijenarioi ). Cos al fram>-
mento'45.dl libro stesso Vdrrolie dice i nppeMafailifr, i/ uod aes milill
wmeaslre <imI annuum dabatur : cui datu*i nen esset ptopUr ignominiam^aere
dirulut eul; e in Pesto (nel compendio di Paolo, p. 69,17 ) leggiamo >Dirnlutd
aere mHtlem dicebant antiqui^cui ttipendium ignominiae cavita non erat dahim,'
quod aet diruebulur infiicion non in militis taccuum. Sebbene qui il nome di Var-
ro(^e non sia citato, pure iaanifesto che la senteuta e in parte.le parole sono .tolte
a Varrone. Uguale intima oonveniensa fra i due adtori dato di scorgere fra i 1<-
Ijfij P L \ G >1 I .,2.,
ghi di Varrone De uila P, R, i l i , dO, e Paolo, p. 85, 7, per non dir di altri riscon*
tri. Naturalmente, per indole diversa delle due opere di Verrio e di Varro
ne , pot succedere che Verrio descrivesse con un pi largo giro di parola
quello che dair altro era pi succintamente o con un vocabolo solo accennato (Cfr.
Paul., p. '128, 4, con Varrone De uita P, ., I , 44), e che, trattandosi di cose molto
remote, differissero talora nelle interpretazioni. Cf. Fest. 408,0, i i , e Paoi i84. i 3,
con Varr. De uita P. R,j I I I , 42, e Paol. 58, 8, con Varr. i l i , 49. Ma una citazione
espressa di quest' opera di Varrone non si trova mai in Festo ; alcoi editori ne
vollero trovar una l dove Festo tratta del rispetto meritato dai censori (Festo
285 a 34. M.), ma assai controversa, e per noi non pnnto probabile.
Veniamo a Valerio Massimo. noto che i fonti da cui Valeria trasse i suoi
esempi! ed i suoi detti memorabili sono quasi sclusivamonte Cicerone, Tito Livio,
Sallustio e Pompeo Trogo, cos che, a giudizio del Kempf ( Valer Mx., p. 26),
mettendo insieme tutti i luoghi ehe egli trasse da altri scrittori s avrebbe appena
materia a quattro capi. Ma non meno certo, che Valerio conoscesse opere di
Varrone, citandolo espressamente al libro 111, 2, 24. E siccome ormai provato,
che tuUe le notizie che ne giunsero intorno alle corone militari nelle opre di Ver
rio Fiacco, Plinio e Aulo Gellio devono tutto riferirsi a Varrone, cosi probabile
che a Varrone ancora avesse riguardo Valerio Massimo dove ne tratta al l i
br ol i l , 6, 5. E quantunque in altri luoghi parecchi citati dal Kettoer ai potei
pi 0 meno velato, pi o meno esatto trovarono qualche riscontro ConVarfone, pure
noi non abbiamo argomenti sicuri abbastanza per dir eoa fondamento cbe ie ailu*
sioni debbansi riferire proprio a questi libri De uita P. R, Ci pare pesxi da leoB-
cludere che Valerio Massimo o non mai o quasi mai traesse citazioni da questopera
di Varrone. Ma di essa fecero uso larghissimo Asconio, Carisio, Nonio Marcello,
Plinio ii vecchio, Emilio Aspro il vecchio commentatore di Vergilk). SerVi par che
vi si riferisca due volte. Lasciando, come dubbie assai, le allusioni che vi si yoft-
fero vedere in Dionisio d* Allicarnasso e in Ovidio, certo che ne trasse grande
profitto Plutarco. x
Ed ecco U libro, di cui ci proponiamo dar tradotti i frammenti, scarsi, e
vero, ma di non piccola importanza. La nostra lezione oi*dinariamente gioita
che fu data dal Kettner nella sua dissertazione inaugurale per la laurea in filo*
soia, dove diede emendati questi frammenti, corredandoli di qualche nota, di cui
noi faremmo nostro vantaggio, come lo abbiamo etretiameftte seguito e spesso ^
tradotto in questi prolegomeni. La benevolenza dei lettori e il premio he do
mandiamo alla nostra fatica, la quale, ci giova sperare, non sar sgradita ai
cultorl della classica lelteratura.
. . 1fiOnmeuti stanjpati in carattere corsivo soii quelli, sulla outenticil dei quali furoio
mossi dubttii, quetil cui apposto iin asterisco sono i frommenti di cui non si sa d certo
a qual libro appartenessero, queili ^egniti col scj^no -J -, i frarnmertti che per ragione
ooiighieituroli si sono nsseynati a un libro divei*so da quello ohe doto <iai ciclici.
. TERENTI VARRONIS
DE VITA POPYLI ROMANI
ADQ. CAECILIUM
L I B R O R V M Q V A T T V 0 R
QVAE EXTAWT
L I B E R P R I M V S
% I. 1 'leque ille Calitclcs, qualmium digitum
labrUis nobili cvra eu<^l fadaf , tamen iii pin
gendo aiceodcre poluit ad Euphraaorii allilu-
dinem.
. Neque entm obsonium in totam coeaam
coemptum e i iiariii rbai, cum. cooiecUim q
unam sportam, perspicitur.
3. Neque ila ut in siufuiif rebus diutius
moremur, ut dixi, aique eoudare subtilius ue-
limus.
4. Hanc deam Aelius putat esse Cererem,
sed quod in Aiylum qui confugisset panis da
retar, esse nomen iiclum a pane dndo pande
re, quod est aperire . . . .
5 . Sed quod ca et propter talem nsixivram
immoderatam exacisount, ita quoque temperatur
moderatura Bomuli u<la tripiici ciuitatis.
. Mettium Fufetium propter perfidiam in
teremit paene imperiosius quam humanius: nam
equis iad curricmlum tx utraque pirte deligatura
distraxit.
7. Et extra urbem in regiones XXVf , agros
uiritim liberis adtribuit.
8. Quibus eraot pecuniae satis,. locu|4elis, as
siduos; contrarios proletarios.
9. Cum Lucretia in lucubrando faceret iuxfa
ancillas lauam . . .
10. Tullum Hostilium in Velis, ubi nuuc est
edis deum Penatium ; Ancum in Palatio ad
portam Mugionis secundum uiam^ sub sinistra.
1. l l e mme n quel Callide venuto in htlla
fama pei suoi quadri cbe non misuravano pi di
quattro dita per lato, emul uella pittura la gloria
di Eutranore.
2. Perch, nemmeno il companatico compe
rato per l'intero pranzo, di varie sorte di cibi, %\
scorge, se si cacci in una sola sporta.
3 . E non in modo da fermarsi, come ho del
lo, trof}po a lungo cosa per cosa, e spiegarla con
sottiglieizB soverchia.
4. Elio di avviso che questa dea sia Cerere;
ma perch, a quelli che si rifuggivano in quel-
P asilo si forniva il pne, cos dal dare il pane si
formato pandet che aprire . . . .
5 . Ma come quelle cose |er causa di una
mal temperata mescolania vanno a male, cos
fu pure della vita della triplice citta per questo
temperamento di Romolo.
6. Fe morire per la sua perfiilia Metio Fufetio,
in modo, direi, troppo pi crudele che uma
nit noi comporti : peixKsch, fattolo legare ad
un CfMichio, i\i dilacerato dai cavalli.
7. E nei ventiiei quartieri fuori dlla cill,
assegn i campi agli uomini liberi tanti per lesta.
8. Quelli che aveano sufficienti ricchezie
(disse) ricchi ed assi dui ; gli altri, proletarii.
9. Essendo Lucreiia in mezxo alle ancelle oc
cupata in lavori di lana . . . .
10. Tulio Ostilio nelle Velie, dove ora il
tempio degli dei Penali, presso la porta di Mu-
gione lunghesso la via a roano sinislra . . .
933 U!iLl.A V n A D t L POPOLO ROMANO
11. Pecunia erM parua, ah eo (lauper-
las dicla, cuias paupetiaili iiiagtiBib leltiliionluio
il . . . .
12. A u l bouem^ aul ouerii, aut Ufitxrceiii
l i a b ! si|rfiui|B.
1 3. Ut itt c e Ur o o u l l v : qae fiut| c u i e e f l ^
4i e a , quoJ t u n t pauperl i na t i u e el eganti a ao
<:um ca^ttinona.
i 4 Haec aetiis quae inino tl^ a nni s '
posi tacla til^ iianK|ue omnia rgii l empor bus
<lelubra parua facla.
i 5 . Quid inler Kos loes iulerait et eoa qui
* roarmorr, ebt>re, auro duiifc filini ; arti*
tuo adueKere et horuin leniporuro dtuKias et
Iloruin |>aupertiee.
iG. bit a quibusdam d4i'ilur esse Vlk^ibii
Fortunae, ab eo, quod duabus itidMlatis toga
el operl4Hn, prolude ut olim rrges nostri et
undulatas et praetentas togas solili erant habere.
17. llaqae Kalendis kalabantur (Nomae) id
st uiHbanlur; et ab eu kalendae appellatae,
quod est tractuiii a Graedt, qui ucfe
dixerunt.
14 . In eorum eniea sacrtt liba cum siint
l*acla iocerni solent (arris eerniiia: ac dicere ae
ea februare, id esi pura iacere.
19. Quibuc temporibus in sacris iabatn iaclMl
ooctu ac dicuol, se Leroiures doino extrti ianu
eicere.
o. Quod kdendis 1 uniis el publioe i priua-
lim labatam pultem diis raaclaiiC
ac. Eiiaro pellis bubulas oleo prfusat per-
4*urrebaal, ibiqiie cei uuabanf ; a <|uo ille uerius
uelus est n carminibus : u ibi pasiorus ludus ia
<iuBt coriii Consualia. r>
aa. Primum de rc Camilmri a fiartul)a, ae^
eundo de uictuif oooauetudine primigeiii, tertio
de disciplinis |iriacis necessariis uitae.
^3. Nonius p. S3i, loi Nubeittes etere Seg/
Komaoa asiM i l i ad marituni ueuientes solere
peruebere atque uuaro, quem ia matiu tenerent;,
tamquam emendi cusa marito dare ; alium,
quero in pede baberenl^ in iueo Larum Umilia
rium ptuere% tertium, quem in saociperidne c*mi-
didia^enl, compito uicioali aoicre aacrare. Inde
Ver{*ilius Georgi^ lib. I ; Te^Ue si bi ^enttum
Tci/t/s emai omni bus ttsdis, Qooa ritus Vark^o
lib i De ai ta P . A ddigeoiiasitDe pcrourril.
^ I y Ppc^ die" 4j^^ine alia voce pau-
pr ts: %.<B cfuelia |jueti un gran docu
mento . .
12. Ha icr impronto, u uu bue, o una pecora
ud ini gps|rato.
^ i t. (^i|tne nel r e s t o delAraifmentu : e ^giste
cose sono consentanee, poirb meschine, punto
eleganti, e belle di pureixa.
Quefl^ Vqu^io che Tediam ggi, de?e
e^sr latto mol t i anni dappoi, perch piccoli era
no tutti i saiituarii all*et dei re.
i 5 . Qual diffVreQza corra fra questi Giovi e
q*lK ch^dsWii li^oValib di marmo, d' avorio
e d' oro : ti facile ravvisare la ricchezza di que
sto, la povert di quel tempo.
f . E Ja taluni ai vuole che aia (i l si mul acr o)
della Fortuua Vergine, perch coperto di due
toghe marezzate, come uscivano un tempo i nostri
re portar toghe marezzale e preteste.
17. Pertanto alle Caleiide kalmbantur^ cio si
gridavano (le None); e furono dette per questo
Cdkl^nJe^ cfce dalla voce greca <, la quale
significa u chiamare.
18. Perocch nei loro sacrifizi, latte le forac
eie, erano usi vaglial e i semi del farro, ^ que>
st^alto chiamavano fthar e^ bioe^ riraotidarei
19. In queftti gfor*i gtManu di udtlto nei faof
fiali le l'avc^ c diooo di cnckr di csisa, fuori Mi a
porta, le larve.
ao. Perch alle Calerle di Giugno in publico
in firivatu bbruciavado in duo h b degli dei le
faverelle.
al l Correvano aAtresi st>phi c n o ) bagnali d'olio,
ed ivi faceaiM i capitoni(ill4 <|Ueli* usanza al^
lude autioe verso dei carmi :
Sopra teuoj fQilo
Ivi i paalori t Consuali gMoUb?.
PrnK> delle ose di famil^lia tK>teinoiando
dal partii indi degli usi priaHlivi (ler i^igubrdo al
vitto, per ultimo>tlll< aUtkhe norme aeoesaarie
alla vita.
a3. Nonio l. c. I j t spuae kiotelle^ prtoseulan-
doai la prima volta al mari lo, erano solile, per
antica legge Hoioaiia,- portare Ire ssi, ed uno,
che tenevano io mano, darlo al niarilo quasi a
prezzo Vlt'Ma campera ) un alirov eh>3 aveano nel
piede, porlo nel tocolare dei Lari di laniiglia; ili
tefzos stato ^rima riposto iu mi borsello, conu-
erario nel tempio coiune ai vicini. Di qua quel
di Vergttio (Oeorgt 1 3 i) tu doM
T offra la Dea del mar onde sue tulle!
Varrotifci lib, 1 Del l a vi ta del P , ., tratt cou
mirabile ^ocuralez^a di questi fili.
9& DI . Ttl VCNZI O VARRONE
9 2 6
24. (?i fitlimHt oiorem Jubebat, iluahus col-
dl i i 9t tuabs lros plagul riim i t mt et . . .
a5 . Nonius^ p. 53o, a6: Quod htdi s pUer i
pr nesul es esreHt gl abr i ae depi l es 'propter
aetatemy quos anti qui ti omnni i fdi os appel
labant^ ut est i n l i br o J l 'tr of i s de ai ta
P . R, i deo Pl antas i h Al Ul nr i a :
Tti fstutft ^A I l um si Sapi i
Ol br oter nr eddes fni hi quai n uohus ludius^st.
26. Qiifr fin) si t arttn^ et postica. In p<>s1i(^a
|rle erat ellna, dici* ab eo quixl ibi cofebsot
i^nem. Lortt|i|elarufn dmiis fuerint aii-
^oeliis |iaop*rimi catar;'ip$a nomiiia IccUranl.
^7. Ad fo^om hiMie ac fiigoribm renltabanl,
elio tempore fti foco.propatk; rore m cbor-
Ic, in ttriw ii) tabolifio, quo<l Maen?aniim poeso-
hmi intelle^ert tabuli tabHcatam.
a8. lildards ortgg. XX, 1 1 , 9 : Sedes di ctae^
quod apud uefer es Romafi os non er at usus
aecumi^i%dk\ tmde et ensi ster di cebantur ,
Posi tn^ ut ai t f^r r de F i t a P opul i Romani ^
H t i di seanVbte Hef>ettint, mul i r ti sedere^
al a ttttpi s mistks est i n mul i er e aer.uhi tus.
^9. Ntiiin p. 59, 5 . J fefar tt pr opr i etatem
i n i ib. t de trita P . R. Var r patefeci t a
f ar r e : qnod adiretiin rl c|tio ecrlrali uti non
ilebeani^ non Irfliidn^ ned far. H o quoque i dem
adsi gnffi cat^ qod qui i ndi gni sunt qui #/-
ti ant nefar i i ocahtur . Ador eum qnoqut ab
to di ctum putat quod ci bi ora^ td est pmn
cipi um^ sft f a r .
3o. Pa^li loA et pane.4, hac uocl bi i l a panine,
qad i esie ^ tom pascere ^ din^bant.
3 i. Prolude ut elftonr
(| frigida fWYgebani.
piSem ex f*rre et
Quantc/piere ftb^temia.i mollvr^ volufHnt
ette, Uri ex exempla potcal Ulderi.
'3 3. Id^oqiie hoc h ore (liihtr oS(?Ium,
non a stiaoilalr, unde lauiom, t!|iiod ^au sit
lauiiire.
34. a. Aniiquae rrifilierea itialoresT itala bibe
bant lorant aut sapam ani defrutum au't pattum
f|uani rourrinam |uidam Plauium appellare pu-
|ant.
b. tolem murrina; loratn dccbemi in
Chi primo menava moglie, dopo stesi
aui leni due matera! e due ol trirt .
a5 . Nonio I. c. Perch nt-lle pompe dei giuo
chi andavano iniianxi fanciulli lsci e deboli per
U poca el. flag'i antirhi R imani delti I fdi i , co
me ne fa feilc Varrofie nel 1.^ Dell a vita del P ,
/?., Piatilo icrisie^ nell' A ul ul ar i
Tu e on ti^oi cbe If ronga male
Fammi quel pollo pnlit(> e spelalo
Pi che sia un garzonoMo da comparse.
26. A che serra la parte anteriore, a che fa
posterlot^. Nell* posteriore t ' era la cucina della
col i na perch i?i col ebant il fuoco. 1 nomi
stessi cl forniscnno una prova di quanto fossero
poveramente riitrelle le case anche dei piii
ricchi.
17. Erano solili prender la cena i d IreJdi
d Inverno al fuoco, estate, in luogo aperto,
cV era, hi villa il cortile, in citt il tahiino,
dello cosi, perch a credere fosse fabbricato
di tavole.
a5. Isidoro T. c. Furono delle sedi e perch
presso gli anlii'bi Romani non correva uso di
cenar coricati ; quindi che l diceva di essi
che consi stebant. Ma appresso, come dice Var-
iroil Itt quel Dl i a vtt di P . . , gli uomini
cominciarortrt a cenare coriatl e le donne se
devano, perch quel coricarsi pa^ve in donne
indecenta.*
29. 'Nonio, p. 59, 5 . fn qwel Detta vi ta dei
P. R al Iib. 1 Varrone mostr, che nefar i us
a derivare da J i i r perch il fano adoreo,
non il frumento di cui non debb<n mangiare
gli scellerati, ri fcd con ci cb'egli spiega, per
ch cm chiamino nefar i i quelli che non meri
tano di vivere. Slima poi he il farro siasi dello
adoreo, perch ore, cio il principio del cibo.
30. Pastiglie e pani li indicano col nome
cosa che ai mangia, perch allora 11 mangiare
dicevano pascer e.
3 f. Nello stesso modo in cui davano forma
al pane fatto col farro ed acqua fredda, e nel-
acqua pur cucinato.
3 2 . Un esempio anche solo ei mostra chiaro
con quanta severit vietassero alle donne uso
del vino.
33. Queslo perci si detto oscul um da OJ,
non da suaui tate^ da cui nacque saui um^ per
ch il bacio (saa m) soave.
34. a. (<e donne antiche eh' erano innmzi
cogli anni bevevano accpierello, o sapa o vin
collo o pao, che alcuni credono siasi da Plauto
chiamato mur r i na.
b. Poi il vin dolce; dicevano acquerello
93 7
DELLA VI TA DEL POPOLO ROMANO
uintlcma cam ex|reteiftent mnslam el
folliculos in dotiura roniecitsenl.
c. Pfsam nominabaot fi in uindcmi uuaro
dutiut coctam legerent eamqiie patii esieot in
iole adnri.
d. uino addito lorae, passum uocare coepe
runt : rouriolara nominabant, rum quod ex iiui
expreisum rrat passum et al folliculos reliquos
et uinacia adiciebant sapam.