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John Dee e la lingua segreta degli angeli

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lauratripaldi 6 ottobre
2020

La storia di John Dee: matematico, scienziato e astrologo inglese che ha


inseguito il linguaggio segreto degli angeli, l’enochiano.

di Laura Tripaldi

originariamente pubblicato su L’Indiscreto

Nel suo racconto La Biblioteca di Babele, Jorge Luis Borges descrive un archivio
sconfinato di libri i cui bibliotecari sono costretti a vivere come prigionieri, vagando da
una stanza esagonale all’altra senza alcuna via di uscita se non un pozzo verticale che
precipita nel nulla. Gli scaffali della biblioteca sono pieni di volumi che contengono
sequenze di lettere del tutto casuali, e il cui significato, se ne hanno uno, è del tutto
oscuro ai loro sventurati lettori.

A volte, tra le pagine interminabili di parole aliene, compaiono espressioni di qualche


idioma conosciuto; si ipotizza che la biblioteca contenga ogni combinazione possibile di
25 caratteri alfabetici, distribuiti in volumi da 410 pagine di 1600 battute ciascuna, e
che, in uno degli innumerevoli scaffali, si nasconda anche un libro capace di svelare il
mistero della biblioteca stessa.

In ogni caso, la probabilità che quel libro venga trovato è così trascurabile che la sua
esistenza, come quella di qualsiasi altro volume, è statisticamente del tutto
insignificante. L’architetto di questo immenso labirinto è, forse, un demiurgo
dotato di perversità sconfinata; eppure, il caos apparente della biblioteca
sembra richiamare un ordine divino superiore, per quanto del tutto
incomprensibile alla mente degli uomini.

“L’uomo, questo imperfetto bibliotecario, può essere opera del caso o di demiurghi
malevoli”, scrive Borges, “l’universo […] non può essere che l’opera di un dio. Per
avvertire la distanza che c’è tra il divino e l’umano, basta paragonare questi rozzi, tremuli
simboli che la mia fallibile mano sgorbia sulla copertina d’un libro, con le lettere
organiche dell’interno: puntuali, delicate, nerissime, inimitabilmente simmetriche”.

Del resto, la città di Babele, con il suo brulicare di idiomi frammentati e


incomprensibili, è il segno della rovinosa caduta dell’uomo dalla sua originaria
comunione, linguistica e spirituale, con Dio; i bibliotecari, ricercatori instancabili,
vagano tra i detriti di questa antica catastrofe, nella speranza – forse vana – di
comprendere la forma originaria della parola divina perduta.
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“An Alchemist”

Certamente, Borges fu influenzato, in questo come in molti altri racconti, da una vasta
tradizione di antiche dottrine mistiche e magiche, al cui cuore vi è l’idea che la
trasformazione delle parole attraverso procedimenti di permutazione
possa svelare una rete di occulte e potenti connessioni. Una branca della
Kabbalah ebraica nota come temurah, il cui più illustre esponente fu il mistico Abraham
Aboulafia, si basava proprio sulla pratica di combinare e permutare le lettere ebraiche
della Torah e dei nomi sacri di Dio, producendo una serie di formule capaci di
esprimere, nel loro continuo mutamento, la potenza divina e la splendida armonia del
cosmo. Questa idea è illustrata da Gershom Scholem in La Kabbalah e il suo
simbolismo, dove spiega che, secondo la dottrina di Aboulafia,

“gli elementi fondamentali, il nome JHWH, gli altri nomi di Dio e gli appellativi o
kinnuyim furono trasformati mediante permutazioni e combinazioni delle consonanti […]
finché in ultimo apparvero nella forma delle frasi ebraiche della Torah, così come le
leggiamo ora. Gli iniziati, che conoscono e hanno capito questi principi della
permutazione e combinazione, possono seguire il percorso inverso, dal testo all’indietro, e
ricostruire il tessuto originario dei nomi” con l’obiettivo di risalire “all’operare segreto
della potenza divina”.

Dottrine come questa esercitarono un’influenza incalcolabile sul pensiero


rinascimentale, in cui misticismo, magia e matematica si unirono a
costituire quella che è oggi universalmente conosciuta come tradizione
ermetica. L’influenza di questo pensiero magico sullo sviluppo della cultura moderna
è stata a lungo trascurata, fino a quando, a partire dalla seconda metà del secolo scorso,
fu finalmente riabilitato da diversi studiosi e accademici, tra cui spiccano, soprattutto, le
ricerche della storica Frances Yates.

Il prodotto forse più enigmatico e oscuro di questa multiforme corrente di pensiero è


il Sistema Enochiano di John Dee. John Dee fu un matematico, scienziato e
astrologo al servizio della corte di Elisabetta I, la cui carriera fu, tutto sommato, quella
di un rispettabile intellettuale del tempo. Nel corso della sua vita compose diverse opere
scientifiche e matematiche che riscossero un vasto successo; entrò nelle grazie di
Elisabetta I per aver composto, nel 1555, un oroscopo in cui prediceva la sua prossima
ascesa al trono. Quando Elisabetta divenne regina, gli fu concessa la possibilità di
proseguire i propri studi in autonomia, sotto la tutela della corona.

Ma, a partire dal 1582, le ricerche di John Dee presero una piega sempre più eccentrica.
Influenzato dalle opere di altri intellettuali dell’epoca, e forse insoddisfatto dalle
risposte offerte dalla scienza del suo tempo, John Dee cominciò a occuparsi di magia e
spiritismo, con l’obiettivo di penetrare, facendo ricorso a metodi più o meno
ortodossi, i misteri ultimi del cosmo. In questa impresa, fu affiancato da un giovane
alchimista dalla reputazione discutibile di nome Edward Kelley, il quale si
presentò alla sua casa di Mortlake rivelando un incredibile talento come medium.

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John Dee in un’incisione di F. Cleyn del 1658

Secondo le testimonianze contenute nei diari di Dee, Kelley era in grado di comunicare,
con l’aiuto di un cristallo di quarzo, con entità spirituali invisibili. Gli spiriti
contattati da Kelley nel corso delle sue sedute spiritiche con Dee, che si presentavano
nella veste di angeli e arcangeli, cominciarono ben presto ad avanzare pretese sempre
più esuberanti, costringendo i due a viaggiare incessantemente attraverso l’Europa per
trasmettere il messaggio angelico ai regnanti del tempo. Gradualmente, gli angeli
cominciarono a trasmettere i frammenti di quello che appariva come un complesso,
ma indecifrabile, sistema crittografico, composto da astrusi sigilli e
interminabili griglie di lettere.

Gli angeli rivelarono a Dee e Kelley una lingua sconosciuta, chiamata da Dee lingua
enochiana, costituita da un alfabeto di ventuno caratteri, nella quale erano
composte diciannove ‘chiavi’ simili a incantesimi di evocazione dal
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contenuto misteriosamente apocalittico. La turbolenta amicizia tra Dee e Kelley
si interruppe bruscamente nel 1587, e con essa terminarono anche le comunicazioni
angeliche di John Dee. A testimonianza delle loro imprese resta una nutrita raccolta di
diari e manoscritti, la cui prima pubblicazione risale soltanto al 1659, quando una parte
dei diari di Dee, contenente una dettagliata relazione delle sue comunicazioni con gli
angeli, fu fortuitamente ritrovata da un antiquario e fu data alle stampe.

Il retaggio dell’opera di John Dee è controverso e lo studio delle sue conversazioni


angeliche ha avuto una storia tutt’altro che lineare. A rendere particolarmente insidioso
l’approccio all’opera di Dee è soprattutto la vasta costellazione di studiosi che se ne
sono occupati, eterogenea e con interessi spesso incompatibili, che testimonia, del resto,
la ricchezza del suo pensiero. A partire dai primi anni del Novecento, l’opera di Dee
divenne il cuore pulsante di quello che lo scrittore Kenneth Grant avrebbe
ribattezzato il risveglio della magia: una corrente di esoterismo
contemporaneo inglese che prese le mosse dall’Hermetic Order of the
Golden Dawn, società segreta di stampo rosacrociano-massonico che mescolava il
sistema angelico di John Dee a forme di magia cerimoniale pseudo-egiziana.

In particolare, lo studioso ed esoterista Samuel Liddel MacGregor Mathers recuperò


i manoscritti di Dee, al tempo del tutto trascurati dagli accademici, diffondendoli tra gli
iniziati come base di un nuovo dogma di magia cerimoniale. Sulle orme di Mathers, fu
Aleister Crowley, il più importante esoterista del Novecento, a popolarizzare
ulteriormente il materiale enochiano tra i seguaci dell’occulto. Come documentato nel
libro The Vision and The Voice, nel 1909 Crowley percorse il deserto algerino recitando
le trenta invocazioni angeliche che gli avrebbero permesso di accedere ad
altrettanti stati di estasi mistica. Questi livelli di illuminazione, che Dee
definisce Aethyrs, sono popolati di visioni cariche di quel simbolismo magico che
caratterizza tutta l’opera di Crowley, in una sorprendente commistione di numerologia,
mitologia egizia e iconografia apocalittica.

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John Dee con Edward Kelley di fronte a un’apparizione da essi evocata

Davanti a una simile eredità, è facile trascurare gli scritti di John Dee come un’altra
espressione poco rilevante di paccottiglia occulta. Anche per questa ragione, diversi
studiosi, a partire dalla seconda metà del secolo scorso, si sono impegnati a riabilitare
l’opera di Dee, contestualizzandola all’interno del pensiero del suo tempo. Gli scritti
enochiani di Dee sono, a tutti gli effetti, opere magiche, nel senso che appartengono a
pieno titolo alla tradizione ermetica della sua epoca; del resto, Dee era in possesso di
una delle biblioteche più ricche d’Europa, ed era a conoscenza degli scritti

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dei più importanti esponenti dell’ermetismo, tra cui il De Occulta
Philosophia di Heinrich Cornelius Agrippa, uno dei più completi e influenti testi
di magia del rinascimento.

Molti degli scritti che ispirarono Dee contengono una curiosa commistione di
demonologia e crittologia; l’esempio più rilevante è sicuramente il
misterioso Libro di Soyga, un bizzarro grimorio costituito da 36 pagine di matrici di
lettere apparentemente incomprensibili, che furono decifrate soltanto in anni recenti,
svelando un complicato algoritmo crittografico. L’influenza di questo materiale è
riflessa nella complessità del sistema enochiano di evocazione, che, in accordo con il
neoplatonismo del tempo, utilizza un approccio geometrico-matematico per
comunicare con le schiere angeliche.

La magia di John Dee, come anche la storia della sua vita, è profondamente
malinconica. L’obiettivo dell’operazione magica di Dee era esplicitamente quello di
ricostruire una lingua perduta; si tratta della lingua che fu rivelata, secondo le
dottrine apocrife, al patriarca biblico Enoch, capace, come la parola divina della Genesi,
di operare miracoli. Negli esperimenti angelici di Edward Kelley e John Dee si
concretizzava l’idea religiosa di un paradiso perduto, che, però, non era un luogo o un
tempo dimenticato, ma che aveva la forma di un linguaggio universale originario,
una lingua adamica capace di unire i popoli della Terra in una nuova
comunione con il divino.

Questo emerge chiaramente in diverse comunicazioni angeliche, in cui la lingua


enochiana è presentata come un dono divino all’umanità precipitata nel
peccato e nell’ignoranza. Purtroppo, il sogno di Dee di ricongiungere l’umanità sotto
lo stendardo di un linguaggio universale si schiantò rovinosamente, come accadde ad
altri filosofi suoi contemporanei, primo tra tutti Giordano Bruno, contro la violenza
repressiva della controriforma. A questo proposito, è significativo il commento di
Frances Yates all’opera di Dee nel suo saggio Cabbala e occultismo nell’età
elisabettiana:

“Non sono interessata in questa sede alla ricerca del sensazionale che si è polarizzata
intorno alla vicenda di Dee e che ha teso a oscurarne il significato reale: la sua importanza
consiste, a mio avviso, nella presentazione, attraverso la vita e l’opera di un uomo, del
fenomeno del dissolversi del Rinascimento, nel tardo Cinquecento, fra le fosche
vociferazioni sul demonio. Ciò che accadde durante la vita di Dee al suo «neoplatonismo
rinascimentale» si verificava in tutta Europa nella fase in cui il Rinascimento affondò
nella tenebra della caccia alle streghe.”

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John Dee (seduto) con Edward Kelley

Gli stessi spiriti con cui Dee e Kelley intrattenevano le loro conversazioni appaiono
spesso freddi e calcolatori, così distanti da essere indifferenti alle preoccupazioni
umane. Le loro rivelazioni giungevano in modo frammentario, ed erano trascritte
faticosamente, spesso comunicate una lettera alla volta con l’aiuto di enormi tabelle
cifrate. Che si scelga o meno di credere che le visioni di Kelley fossero un autentico
fenomeno di spiritismo, è indubitabile che John Dee tentò, con tutte le proprie capacità
e conoscenze, di ricavare un sistema unitario dell’universo sulla base delle
informazioni che gli venivano trasmesse, ma senza mai davvero riuscirci.

Questo destino di mago maledetto è sicuramente uno dei più grandi elementi di fascino
nella vita e nell’opera di John Dee, che, però, non deve distoglierci dal rigore della sua
ricerca in un’epoca in cui la scienza contemporanea non aveva ancora visto la luce, e in
cui, davanti alla violenza delle persecuzioni religiose, molti speravano che un messaggio
mistico universale come quello ermetico-neoplatonico potesse riportare l’umanità a
un’età perduta di pace e splendore.

Lasciandosi alle spalle i progetti esoterici di restaurazione spirituale della Golden


Dawn e le visioni apocalittiche di Aleister Crowley, è lecito chiedersi come ci si possa
approcciare all’opera di Dee con una sensibilità contemporanea, senza sradicarla dal
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contesto culturale della sua epoca ma senza trascurare, al tempo stesso, il suo carattere
profondamente magico e mistico. La cultura popolare è, ancora oggi, affascinata dagli
angeli come rappresentazione mitica di un’intelligenza aliena; l’opera di Dee è stata
senza dubbio una delle principali influenze nella costruzione di questo nuovo
bestiario angelico.

L’aspetto più strettamente semiotico dell’opera di Dee, ovvero la ricerca di una lingua
universale capace di oltrepassare le barriere del linguaggio simbolico, è una questione
filosofica incredibilmente contemporanea: gli esperimenti linguistici di Dee e
Kelley sono un laboratorio di trasformazione della parola umana in un
codice capace di frantumare l’ordine simbolico, attingendo direttamente
alla fonte divina del senso. Ma a rendere soprattutto moderna l’opera di Dee è
proprio il carattere tragico e doloroso della sua ricerca; quella di un uomo
rinascimentale al confine ultimo di un’epoca di certezze, che si trovò a confrontarsi
coraggiosamente con le voci indecifrabili di un nuovo eone.

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“John Dee performing an experiment before Queen Elizabeth I” (dettaglio)

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