Sei sulla pagina 1di 324

BIBLIOTECA

D E G L I
SCRITTORI LATINI
CON TRADUZIONE E NOTE
M. TERENTIUS VARRO
QUAE SUPERSUNT OPERA
VENET1IS
E X C U D I T J O S E P H A N T O N E L L !
ACHF.I* DO SATUS * O U I t | | ATllC
3I.DCTC.XLVI
OPERE
DI
M. TERENZIO VARRON0
CON TRADUZIONE E NOTE
VENEZIA
DALLA TIP. DI GIUSEPPE ANTONELL1 ED.
P Rr a i ATO DI M I O i G M I OBO
l846
M. TERENZIO VARRONE
SGGIO STORICO
S OP RA
M. TERENZIO YARRONE
---------- M 4-----------
^ d a r o o Terenzio Vairone nacque anno di Roma 633 sotto il consolato di
Lodo Cedlio Metello e di Quinto. Chi fosse suo padre non noto ; notissima
bens nella romana storia si la famiglia Trenzia fra le plebee ed antichissima
ed illastre : questa probabilmente uscita era di Sabina, Sabino essendo, al dir di
'Varrone stesso, quel cognome. Ebbi essa poscia il soprannome da uno dei suoi
maggiori, il quale guerreggiando nell* Illirio, e<f azzuffatosi con un capitano, o re
nemico, robustamente lo abbranc, e viro a forza il trasse neromani accampa
menti ; e per tale egregio fatto.fu col nome del superato nemico, che Varrone
dicerasi, dai suoi popolani chiamato, di cui poi, come di domestico preziosissimo
monumento, i suoi posteri si compiacquero, e V adottarono.
Varrone fin dalla prima et si applic alle lettere, nelle quali ebbe a precet
tore Lucio Elio Stilone, cavalier romano, die a que tempi nella citt distinguevasi
per gli egregi costumi e per lo studio delle ottime discipline ; uomo della romana
letteratura, la quale cominciava allora a mettere profonde radici, ampiamente
benemerito. E poich ebb' egli sotto la disciplina di quel valentuomo acquistata
ogni parte di letteraria coltura , pass in Atene, ed ivi alla filosofia si consecr
sotto il magisterio di Antioco Aacalonita, soggetto nell' Accademia celebratissimo.
Sotto qoest insigne letterato ebbe a compagno de" suoi studii Marco Tullio Gce-
M. Tamiauo V a io li 1
rone, col quale fin d'alora contrasse U stretta amicizia, che poi costantemente
conserv.
Questi due rari ingegni, i quali poi e nelle lettere e nell1amministrazione
della repubblica ebbero tanta parte , avevano allora lasciata la citt in mano di
Lucio Siila, il quale abusando della forza delle armi, e per 1 indole sua e per la
protervia de1suoi favoriti, la reggeva da tiranno.
Varrone si restitu finalmente in Roma, non si sa poi ben dire , se prima o
dopo la morte del Dittatore ; bens certo che tosto cominci egli la sua vita
pubblica, che si diede all'eloquenza, che esercit diversi magistrali, e che fu con
giunto in amicizia coi pi insigni uomini in quell et viventi, tra quali contansi
Gn. Pompeo, G. Cesare, Pomponio Attico , M. Marcello, Servio Sulpizio , G.
Fundanio, Appio Claudio, Turanio Negro ed altri molli.
Quelli i quali suppongono che il nostro Varrone sia stato console, non hanno
della loro asserzione fondamenti chiari abbastanza ; poich ne" Fasti Consolari
non trovasi altro che M. Terenzio Varrone Lucullo, il quale non certamente il
nostro. Ma se non ebb' egli l1onore del consolato in una et, nella quale ad otte
nerlo valeva pia la cabala, che il merito, ebbe per insigni cariche : imperciocch
toffezkmto a Pompeo fa da lui nella famosa guerra de1Pirati messo al comando
delle flotte greche, e per Mtraordmaria destinazione fatto governator di Glicia, da
lui chiamata perci provincia sua.
quanta intelligenza nella condotta dette navali cose egli avesse, e quanto
ardimento , chiaramente manifestasi da ci che siamo per dire. Primieramente
'votmdo dall' Italia passar coll' esercito in Grecia, pens di gittare un ponte sul
mare da Idrante ad Apollonia, onde quel tratto di verso cento miglia valicassero
a piedi le truppe : impresa che avanti di lui tentata avea pel primo il solo Pirro.
In secondo luogo trovatosi a battaglia coi Pirati nelle acque di Glicia, con tale
ingegno e militar valore si diport, che assaliti i nemici, si spinse il primo contro
la loro nave maggiore, la ferm, e armata mano in essa salito, la prese. Per cotale
bravura ottenne da Pompeo la corona rostrata ; onore dianzi da ninno ancora
avuto , e che dopo lui non si ebbe fino ai tempi di Vespasiano, che da Marco
Agrippa per favore di Augusto.
Avea Marco Terenzio Varrone settantotto anni, quando scoppi la guerra
civile tra Pompeo e Cesare , nella quale , comunque a cagion dell' et potesse
dispensarsi di prender parte, volle nondimeno seguir Pompeo, che lo mand suo
379 SAGGIO STORICO 38o
36i SOPRA M. T&RKNZIO VARRONE 302
legato in ispagna^ ore, quantunque vi fossero del medeiioio due altri legati; cio
Afranio e Pelreo , ebbe per sua maiuioDe la difesa di tutta la provincia detta
ulteriore.
Ma poco gli accadde di operare per codesto capo del partito de" nobili ; con*
dossiack avendo saputo che Pompeo aveva abbandonata l ' Italia, e che le cose
di lai piegavano male, cominci a diffidare della fazione del medesimo, e a parlar
bene di Cesare. Diceva egli conoscersi prevenuto della legazione affidatagli, sentire
la forza della fede che lo legava a Pompeo, ma non dissimulare la propensione
che tolta la provincia aveva per Cesare, e l ' amicizia che, non men che a Pompeo,
a Cesare lo stringeva. Per lo che n all' una, n all' altra parte declinando per
aleno tempo, si stette spettater tranquillo degli avvenimenti.
E poich egli ud sequestrato Cesare a Marsiglia %e,che Petreo ed Airanio
radunavano le loro truppe per meditar grandi operazioni, alle quali tutta la pro
vincia sembrava prestarsi; e poich ebbe lettere da Airanio, che non solo dell'ac
caduto ad Uerda intorno alle vettuaglie lo ragguagliavano , ma con fidanza mara-
vigliosa lo eccitavano ad agire, cominci anch' egli a darsi moto.
E primieramente reclut per tutta la provincia onde compir due legioni, ed
aggiunse da trenta coorti : raccolse quindi quantit di frumento da spedire ad Afra
nio ed a Petreo ; ammass in Gade tutto il denaro e tutte le supellettili preziose
del tempio di Ercole, e spedi col in presidio sei coorti, delle quali ne diede il
comando a G. Gallonio cavalier romano, nella cui casa depose quante armi tro
vate aveva di pertinenza privata o pubblica. Ci Catto, si mise ad arringar contro
Cesare; e spesse volte montato in tribunale annunziava saper di certo che la for
tuna delle armi non era a colui favorevole, e che gran numero di soldati disertando
dal medesimo volgevasi al campo di Afranio. Le quali cose gli giovarono per
modo, che avendo spaventati i cittadini romani di quella provincia, gl' indusse a
promettergli grossissime somme di denaro, e quantit enorme di grani, onde con
tali soccorsi reggersi nel governo di que' paesi. N di tali disposizioni Sa egli
contento, ma ad ogni minuto affare discendendo, procedeva con gran rigore,
imponendo esorbitami tasse alle citt che stimasse amiche di Cesare, confiscando
e facendo vendere all' incanto i beni di coloro che parlassero contro la causa di
Pompeo, chiamala da lui causa della Repobblica ; mettendo forti presidi! ovun-
qne temesse movimenti ; tenendo d'occhio ogni privalo e sentenziando severa-
e nte ; ed obbligando Urti nella provincia a giurare fedelt a s ed a Pompeo.
Appena fa ragguagliato delle cose succedute nella Spagna citeriore, che si
preparo alla guerra, meditando di portarsi a Gade con due legioni, e di tener i n
ferme tutte le navi e il frumento, perciocch comprendeva die tutta la provincia
favoriva Cesare.
Cesare intanto vedendo d ie , arrestate le navi e le biade radunate in Gade,
non era diffidle ridurre in quella parte le sue cose a buon esito, sebbene maggiori
afiari lo chiamassero in Italia, pure deliber di non lasdare guerra aperta -in Ispa*
gna ; tanto pi che gli era noto, come nella provinvia citeriore Pompeo aveva
grande partito. Spedite dunque due legioni nella Spagna ulteriore, alla testa delle
quali aveva posto Quinto Cassio tribuno della plebe, egli con sdcento uomini a
cavallo s'inoltr a marcia sforzata, facendosi precedere da un manifesto,nel quale
ordinava che tutt i magistrati e gli abitatori prinrpali delle dtt fossero in aiuto
a Cordova. Ora divulgatosi tale manifesto, n fuvvi d t t , la quale subitamente
non mandasse a Cordova deputati ; n fawi dttadino romano alcun poco noto,
che non s affrettasse dandarvi in persona. Accadde inoltre che Y assemblea di
Cordova di suo moto proprio chiuse le porte della dtt a Varrone, mettendo
guarnigione sulle mura e sulle torri , la quale aument di due coorti, che per
ordine di Varrone capitate a Cordova a presidio della dtt, contro Varrone furono
ritenute. In que* giorni altro simile sinistro caso era a Varrone sacceduto, percioc
ch gli abitanti di Carmona avevano discacdato dalla loro rocca tre coorti, colle
quali Varrone signoreggiava. In questo frattempo Varrone alla testa delle legioni
sue affrettava il cammino verso Gade, sia per non vedersene tagliato I accesso
ritardando, sia per mettersi in luogo forte e vantaggioso, poich tutta ornai la
provincia era sorta a favor di Cesare. Ma strada facendo, eccoti lettere di quella
isola, dalle quali intende die gianlo col il manifesto di Cesare, inaspettato movi
mento era nato fra9popolani, i quali d'accordo coi tribuni delle coorti del presidio
cacdato ne avevano Gallonio, ritenendo per Cesare la citt e il paese. Fu egli
per tale fatto in grande imbarazzo ; ma pi quando divulgatasi nel suo campo la
cosa, una delle legioni da lui comandata, sotto i suoi occhi stessi pieg le bandiere,
e si ritir, volgendosi ad Ispali, ove and ad accantonarsi, senza dare inquietezza
alcuna a quegli abitanti. Or vedendosi fuor di stato di operare, n avendo libera
la ritirata in alcun luogo, prese la risoluzione di scrivere a Cesare, c di dirgli,
essere lui pronto a consegnargli la legione che gli rimaneva, quante volte alcuno
spedisse, il quale ne assumesse il comando. Cesare in fatti spedi a tal uopo Sesto
383 SAGGIO STORICO 3*4
365 SOPRA M. TERENZIO VARRONE *86
Cesare, e Varrone i incammin a Cordova anchegli, dove onoratamente diede
conto de) denaro pubblico che aveva presso di s, e l1esatta Usta consegn dei
magazzini e delle navi ; poi prese il cammino di Roma.
Stett* egli in Roma aleno tempo aspettando il fine della guerra d* Africa : e
come seppe che Cesare veniva in Italia, part, ito a rifugiarsi in campagna, finch
passate fossero le allegrezze del trionfo civile, e gli affari pubblici avessero preso
alcun ordine. Gli ottimi studii da lui coltivati sempre gran servizio gli prestarono
in quella solitudine, ed essi incremento maggiore da lui ricevettero : n per avven
tura da porsi in dubbio che molti dei tanti suoi libri non sieno stati composti
da lui a quel tempo.
Ma cedette egli in breve sia al genio di vivere neHa citt, sia agl inviti dei
suoi amici ; e ritornato a Rma, in piena intimit visse coi pi distinti soggetti, e
con Oppio singolarmente, e con Balbo, e con Irzio, amici di Cesare, e con Cesare
stesso ; il quale d' alto animo essendo, in Varrone contempl sempre non il
partigiano di Pompeo, ma il cittadino onorato e il dottissimo uomo ; e a lui diede
la cura di mettere insieme e di ordinare le insigni librere greche e latine, che a
servigio pubblico intendeva d ' istituire.
I bei giorni di Cesare passarono rapidamente, e nuove discordie e tumulti
nuovi afflissero Roma ; e vennero aspre guerre e proscrizioni atroci, per le quali
i pi onorati cittadini perirono.
L1iracondia sanguinaria di Marcantonio segn decreto di morte anche per
Varrone, o perch fosse questi troppo di Cicerone amico, o perch Marcantonio
fosse avido dei beni di lui, che copiosissimi e doviziosissimi possedeva. Ebbe
infatti Varrone ricchezze di bestiami e di gregge : ebbe splendentissime ville ed
ubertose,' fra le quali ancora si rammentano e la Cumana, e la Tusculana, e la
Pontina. Ma fu celebre oltre le altre quella eh egli ebbe alle falde di Monte Cas
sino, la quale per la eleganza e per I' artificio tutte le pi famose vinceva. Eravi
in essa un uccelliera che dicesi per I ampiezza e per la maravigliosa sua strattura
avere superato non solo quella di Marco Lenio Strabone, stata il modello di tutte,
ma eziandio la vastissima, che nella Tusculana fece fabbricare Lucullo.
Or fu questa superba villa di Cassino, che l ingordigia di Marcantonio prepo
tentemente si usurp. Che se in qualche modo v da rallegrarsi, che contento di
essa p i non insistesse a volere eseguita l ordinata proscrizione ; ben molto poi
abbiamo a dolerci che pel sacco a quella villa dato perissero insigni monumenti
dll dottrina di Varrone, n le copie soltanto di molte opere da esso lai date alb
luce, ma esemplari di nuove non ancor pubblicate, siccome egli stesso di avvisa
nel libro primo delle Settima**.
Sopravvisse pertanto Varrooe alla Repubblica e a Marcantonio ; e poich,
Citta Roma stato di Angusto, negli aSari non poteva egli pi aver parte, alla
campagna si ritir, non di altro occupandosi che dello stadio. Nel che certo
maravigliosa cosa che giunto agli ottani" anni, tanto vigor ritenesse da scrvere i
tre libri delle cose Rustiche, senza che per 1 enorme numero delle altre opere dai
lui scrtte dianzi, le quali ascendevano a ^aattrocento novanta libri, apparisse
stanchezza alcuna nel sno spirito.
Per la quale cosa non a stupirsi, se presso i suoi contemporanei ebb egli
altissima riputazione, della quale grande argomento deve riputarsi e il panegirico
che di lui vivente scrisse Pomponio Attico, e che Cicerone dice d aver letto, e il
ritratto che di lui, divenuto il Nestore della romana letteratura, Asinio Pollione
colloc nella celebre sua biblioteca, unico di scrittore ancor vivo. Pare eziandio
che Poltiooe ci facendo non temesse di sospitare V invidia, sebbene a quella et
molti e chiarissimi aomini fiorissero in ogni maniera di discipline e di stdi] ; i
quali siccome per la langa carriera, cos per 1 ampiezza delle cognizioni e per la
profondit della dottrina il nostro Varrone super manifestamente. Noi, diceva
di lai Cicerone nelle Qaistioni Accademiche, al pari di viaggiatori forestieri in
questa citt siamo dai tuoi libri guidati a conoscere e lorigine e i costumi nostri,
e questi luoghi che abitiamo. Imperciocch tu hai spiegata 1 epoca della patria
nostra, tu ci hai descritti i tempi, tu ci hai esposti i riti religiosi e le funzioni
de sacerdoti ; e tu ne hai additata la domestica economia ; tu la disciplina militare;
tu la posizione de' paesi e de* luoghi ; tu i nomi, le specie, gli officii e le cagioni
di tutte le umane e divine cose ; e sommi lami hai tu somministrati ai poeti
nostri, e ai Latini tutti, sia scrivendo, sia parlando ; ed hai composto un poema
per variet e per eleganza pressoch perfettissimo ; ed hai a varie riprese tanta
filosofia indicata, che se non basta a farci dotti, assaissimo per giova ad eccitarcene
il desiderio, a
Ed in quanto alla erudizione Varroniana, lo stesso Cicerone nel Brato
asserisce, che seguendo Varrone le tracce di L. Elio, uomo versatissimo in
letteratura greca e latina, e dottissimo nella romana antichit, nelle invenzioni dai
vecchi, ne fatti e nella cognizione degli scrittori gi stati, aveva poi codesta sdenta
38? SAGGIO STORICO 368
3t y SOPRA U. TKIKUZIO VARRONE 390
di per s amplificata e pi elegantemente. spiegata cogli scrtti laonde del mede-
imo parlando ad Attico, lai chiama scrittore riversale.
N de1soli contemporanei sooi ottenne egli a si alto grado la stima, che ansi
crebbe questa col circolare delle sue opere nell'et susseguenti; e perci reggiamo
Seneca chiamarlo il pio dotto dei Romani, Dionigi d Aliearnasso, e Plutarco, e
Qmintiliano, e Adogellio, e Solino, ed Anobio, e Lattanzio per 1? eccellenza della
dottrina e per la perizia della storia commendarlo. Le testimonianne de9quali e di
altri molti riserbando noi alla sottoposta nota (*), d contenteremo di riferire qui
nn di s. Agostino nel libro tw della GttA di Dio per ogni maniera p Varrone
vantaggiosissimo : Chi, dioe il coltissimo vescovo d* Ippoaa, pi accoratamente
di Marce Varrone ricerc tali cose ? chi pi dottamente le scopr ? chi pia atten
tamente le consider, chi le distinse con maggiore acote^aa, e pio diligentemente
(*) MARCUS TERENTIUS VARRO* Claruit ole Christum Aon. jlxyiu.
Philosophus el Pota. Nascilur Ad. i. Olymp. 166 aule C. N. 114 Obiit Ad. i. Olymp. 166
aie C. N- a6. Euseb* iu Gbroo.
Composuit xxi? libro* de l'ioga Lalina, quos Ciceroni dedicaverat ; Satyras Menippeas :
Antiquitate* rerum humanarum diviaarumque; libro* de viu Populi Romani: Opus Hebdo
madum, quod continebat imagines et elogia doctorum virorum ; librum de polis el Scenica ori
ginibus, eie.
Farro Philosophus Romanorum plurimae fuit in historia lectioni#. Plutar. in Romul.
Herman, Crus er. i nireprei
Farro doctissimus Romanorum. Senec. de Consol. ad Hei?, c. 8. Vir accuratissime doctas
atqoe eruditus. Apul. iu. Apoiog.
Varro ille Romanus multiforia ibus minens disciplinis, e l i n vetustatis iudagalioue rima
tor. Arnob. advers. Gent. 1. v.
M. Varro, qao nemo uaquam doclior, ne apud Graecos quidem, nadum apnd Latinos
vixit. Lactant, l. 1, diviu. lnslitut. c. 6.
Vir doctissimus apud eos (Ethnicos) Varra$ et gratissimae sudorilatis. Augusi. l. iv de
Civit. Dei, c. 1.
Quis M. Varrone curioius ista (de Diis Gentium) quaesiti!? Quisiuveail doctius? Qub
consideravit atleu li us? Quis distinxit acu li 14*? Quis diligenUus pUniusque descripsit? Qui laroeUi
minas est snavis eloquio, doctrina tamen atque seu tenti is ita refertus est, ut in omni eruditione
qaara nos saecularem. \\U autem liberalem jocant, studiosum verum tantuin is te doceat, qoan~
tam studiosnm verborum Citer delectat. Idem ibid. 1. ?i, c. a.
Terentius Varro, ?ir Romanorum eruditissimus. Plorimos hic libros et doctissimos com~
passi L, perilissimus Jinguae latinae, et omai* Antiquitatis, et rerum gr aecarum nostrarumque ;
plue tamen scientiae collaturus quam eloqueutiae. Quintii. I. x, Inslit. c. 1.
M. Terentius Varro, scriptor inter togatos sine controversia long* doctissimas. Zumc.
Casaub. De Satyr. Graec. Pol. et Rom. Sat, 1.11, c. i.
Terentius quidem Varro, ? i r cum graocis littri* perfectus et latinis* feun Antiquitatis
cum primis imitator diligens. Lipt. 1. iu, Var. lcot. c. 19.
Unicum Varronem inter Lalinos habemus libris tribus de Re Rustica qoi ?ero ao
pfeiiasophatus ait, imo nullus est Graeeorum, qai tam beat , inter eos altem qai ad nos per?eue-
r u u t O excellens opus ex quo, qualia ejus reliqua erani opera, congedare quivis potest! Sed quod
ed abbondantemente le tcrsce? II quale quantunque non abbia latta quella soavit
d sermone, che altri perawentura potesse desiderare, pieno per di dottrina e
di sentenze a segno, che in ogni genere di quella erudizione, la qoale noi secola
resca diciamo, ed essi appellano liberale, tanto egli istruisce gK studiosi di cose,
quanto que' di parole Gcerone diletta. Il qual Cicerone stesso di lai parlando nei
libri Accademici, nomo lo chiama sopra ogni ahro acutissimo e senza eccezione
alcona dottissimo. E poco dopo aggiunge : Tanto egli lesse, da doverci noi
giustamente maravigliare che avesse poi tempo da scrivere : e tante cose scrisse,
quante appena crediamo che alcuno abbia potuto mai leggere: uomo insignemente
grande per ogni maniera e d ' ingegno e di dottrina.
Si estinse,dice Valerio Massimo, nello stesso letticduolo e lo spirito di lui e il
corso delle egregie sue opere. Egli mor nell' ottantesimo ottavo anno di sua vita
mirum, non minus in Poti valuisse, fragmenta Pomatum indicant. Scalile rana prima, pag.
*46, 147.
Varro octogesimum agens annum, scripsit libro* de Re Rustica, et ila scripsit, a t ex hi*
videatur adbac alacri animo fuisse, et sensisse stadiorum duloedinem. Erasm. I. xxiii, epist. 5.
Rerum antiquaram Varrone doctiorem neminem fuisse constat. Baron. Voi. 1, Annal. p. 35.
Pleni Varronis ( doctissimi alioqain viri ) libri ineptissimarum Etymologiarum : quem eo
nomine merito Quintilianus etiam reprehendit. Nihil enim plerumque insulsius. Mer. Casaub.
De qoat. linguis p. i 5a.
Vel Varro ipse quam interdum in Vocabulorum veriloquiis absurdus est? Tumeb. Ad
versar. 1. 111, c. 7.
Varro more suo anxie Etymologias commxuwxKuT.Jo. ScaU conject. in Var. de ling. lat. p.90.
Varro in Ktyroologiis Varro non videtur : itaque a Quintiliano ridetur merito. Manut.
i. 111, epist. a3.
Docli haud ignorant, quid de Platonis Cratylo sit statneadum; quemadmodum et de
Varronis Originibus, qui saepe in tuis de linguae latinae libris prudens sciens fallit, fallitur-
que. Gerard. Joan. Voss. de Arte Historica, p. a.
Varronis de lingua latina libri Ires, intricati, ex illo dicendi more ipsi peculiari. Lud,
Viv. do Tradeod. Discipl. p. 5s 5.
Vitruvius orationem peregrinatione et plebitate, id est, verbis loquendique generibus infi
mae plebi familiaribus, ant ad transmarini graecanici sermonis consuetudinem ineptiuaeule
conformatis passim infuscat. Quae vitia una cum archaismis et novitatibus etiam apud V a r -
ronem inveniuntur, coi propterea elegantiam defnisse notavit Petrus Lavinius in lib. De ver
bis Sordidis. Gasp. Sciopp. consuit. p. 4 *
Magnam iu Varrone Antiquitatis doctrinam, magnam Veteris ritus Sacrorum et Cere
moniarum cognitionem : euraque in Ennii lectione assideam fuisse observo. Andr. Schot.
i. 11, c. 14 observ. Human.
in Plauto et Lucretio plura, in Varrone et Terentio nonnulla occurrunt obsoleti1, quae
hodie verius pro metallo adorandae rubiginis9ut Juvenalis loqui amat, quam puro putoque
obryzo habenda, nlcumque fuerint id temporis satis elegantia, satis aurea. Olaus Borrich. i o
cogitat. De variis lat. ling. aetat. p. 4
Ejus opera sive potias operam frsymwt o collectore Ausonia Popma, notis illustrata m a t ,
Lugdun. Batmv. in of t eku Christoph. Plantini per Christoph. Raphelengium 1601, in 8.
SAGGIO STORICO 39
393 SOPRA M. TERENZIO VARRONE 3q 4
sotto il consolato di Angusto e di Servio Apnleo Y anno di Roma 721 e volle
esser sepolto all1aso pitagorico in ona olla di terra cotta, facendosi avvolgere in
foglie di mirto, di olivo e di pioppo nero.
E queste sono le poche notizie che intorno a Marco Terenzio Varrone la
storia d somministra.
M . T r i e i i i o V a k b o b *
CATALOGO
DELLE OPERE VARRONI ANE
-------- * # 4 ----------
parato a noi opportuna cosa il raccogliere qui, come a piena trattazione delle
cose appartenenti a Marco Terenzio Varrone* le memorie che delle opere di s
valentuomo in alcun modo ci rimangono, persuasi essere questa la migliore
maniera di render utili le notizie storiche di uno scrittore.
De utilitate sermonis libri i r .
De proprietate scriptorum liber /.
De similitudine verborum Ubri j i .
Popma crede che in quest1opera Varrone patrocinasse il sistema dell1Ana
logia, su del quale nell1opera della Lingua Latina ha sospeso il giudizio, conten
tandosi di allegare quanto pu per Y una parte e per V altra riferirsi. Io osservo
che quando una lingua comincia a fissarsi, sempre avviene che qualche valente
scrittore si dia pensiero di assegnarne i principii. Cos ha (atto, Dante fra noi nel
suo trattato della Eloquenza volgare.
nEPI XAPAKTHPHN libri in .
Popma crede che questa sia l'opera De formulis verborums la quale Varronc
nel libro ix della Lingua Latina promise a Cicerone di scrivere.
De pomatis libri ///.
De gradibus libri . . .
De compositione satyrarum liber /.
De comoediis Plautinis liber /.
Io questa opera imprese Varrone un esame critico sul genio e sullo stile di
Plauto, onde determinare l'autografia delle Commedie del medesimo; ed inerendo
ai principii da lui fissati, tiecise essere di Plauto non sojo le ventuna Commedie
che allora correvano come di quello scrittore, e che sono giunte fino a noi, eccet
tuatane una, ma ancora diverse altre, le quali correvano allora o senza nome , o
con nome di altri. Queste erano 1 Aditus, il Saturio, la Boeotia , V Astraba, il
Colax, la Comicularia, il Condalium, la Frivolaria, il Gastro, il Parasitus piger%
il Phago, il Sinteliturgus.
Plautinarum quaestionum libri //.
Epistolicarum quaestionum libri ir.
Epistolarum libri m i .
Non si sa se in questi fossero comprese, oppure formassero libri a parte Y Epi
stole ad Fabium, ad C. Caesarem, ad Fufium, ad Maruelium, ad Servium Sulpitium%
ad Neronem, alle quali va unita lEpistola Julii Caesaris, e Lucii Atinii a Varrone.
Complexionum libri ri.
Vengono citati da Diomede; ma si dubita che non sia stato esatto nel riferire
questo titolo, non intendendosi come Varrone abbia scritti i sei libri sopra una si
limitata materia, quale questa, in quanto appartiene alla Rettorica.
Disciplinarum libri m i .
Questa era un1opera, nella qaale Varrone accumul quanti lumi possedeva
intorno alla storia e ai principii generali del gusto.
De grammatica liber /.
J)e astrologia liber i.
Di queste due opere fa menzione Cassiodoro.
De arithmetica liber /.
Vetranio Alciato dice che quest opera trovasi manoscritta in Roma. Egli
aveva promesso di pubblicarla, ma poi non lo ha fatto.
De geometria ad M* Coelium Rufum Uber /.
Giovanni Arcerio comunic a Popma un frammento di questo libro scritto
in carattere longobardo e affatto mutilato. Non dispiacer a nostri leggitori che
ne presentiamo loro un passo. Eccolo :
A Casu quae p A nomen habet finis super p montem habent $ sinistra parte
aquam vivam significat p
399 CATALOGO {o
B orientates pflrtes x i B significat
B Casu p B nomen habet, finis grandis habentes ante seyfinis subjacet contra
sextantem runsm significai finis circa se
C Casu quae P C nomen habet fines super se non habentes proximum %>enit in
alia finis fontem habentes subtus flumini A indicat terminum, transit fluoium
transit vias multas, transit limitem ejus p co, transit labacrum significat colles
rigora seqris, etc.
De musica . . . .
Fa menzione di questo trattato di Varronc Claadiano Mamerto vescovo di
Vienna.
De lingua latina.
Fa qaesta un'opera vasta, della qaale rimangono ancora alcani pezzi non
piccoli. Varrone la scrsse sotto la Dittatura di Cesare. Ebbe essa tre parti. La
prima fa di libri vi, e in questi espose come fossero messi i nomi alle cose. La
seconda fa di libri y i parimente, e in essi tratt del come i vocaboli si declinino in
casi. La terza di xu libri, e in essi spieg come le parole bene unite fra di loro riferi
scano un senso. Secondo qaesta esposizione tatta lopera sarebbe stata di xxrv libri ;
il che sembra evidentemente provato dal sapersi 1' argomento di ciascheduno dei
medesimi. per altro opinione degli eruditi che l'opera intera fosse compresa in
x m libri, poich si trova che altri yn furono indirizzati a M. Marcello, i quali
assolutamente non entrano nel numero dei n i v accennati.
Antiquitatum libri xzr.
Ecco un altr opera pi vasta ancora, ma sventuratamente perduta tuttaquanta.
Fa ossa divisa in due volumi. Nel primo tratt delle cose amane, nel secondo delle
divine. Il primo volume fu intitolato Purum humanarum , e contenne xxv libri,
divisi in quattro parti. Nella prima parl degli uomini, nella seconda de' luoghi,
nella terza de1tempi, nella quarta delle cose. Questi furono XXiv in tutto. Ma ne
premise ano a modo di proemio, ove in generale parl di tatta la materia. Ogui
libro poi ebbe il suo titolo particolare, come 1 Xi che fa intitolato dei giorni, e il
xiz della gaerra e della pace.
Il secondo volume fu Rerum dmnarum; e Varrone lo indirizz a Giulio Cesare
allora pontefice massimo. Questo volume comprendeva xvi libri, Y ordine e la
materia dei quali vengonci esposti da s. Agostino. Nei primi tre libri, dice il
vescovo d Ippona, scriss'egli intorno agli uomini, ne* secondi tre deluoghi, negli
{or DELLE OPERE VARRONIANE 4,
altri tre delle cose sacre ; e qui espose chi sieno gli offerenti, ore offeriscano,
quando, e cosa. Ma perch bisognava anche dir a chi offerissero, ed era anzi questo
il capo principale ; perci gli aitimi tre libri consecr egli agli dei. Cosi questi
libri farono quindici. Ma tutti insieme, come dicemmo, sono sedici, ed ecco il
perch. Varrone ne premise ano sai principio, ove parla in compendio di tatte
codeste cose. Se vuoisi poi an pi minato ragguaglio della trattazione Varroniana,
eccolo. Nei tre primi libri appartenenti agli uomini parl de1pontefici, degli aagari
e de* quindecimviri soprantendenti alle cose sacre. Ne9secondi tre relativi ai
luoghi parl delle cappelle, de1templi e di altri luoghi religiosi Ne'tre riguardanti
i tempi, cio le festivit, parl delle ferie, de1giuochi circensi e delle rappresen
tazioni teatrali. Ne1tre susseguenti, che abbracciano le cose sacre, parl delle
consecrazioni, de' sacrifizii privati e dei pubblici. Parl poi degli dei ne1tre ultimi,
distinguendoli in dei certi, in dei incerti, e in dei principali e scelti, n Fin qai
s. Agostino.
Oltre a ci sappiamo che Varrone scrisse quest'opera (mentre temeva che gli dei
de1Romani perissero non per invasioni nemiche, ma per trascuratezza dei cittadini),
onde liberarli da una specie di ruina e repristinarli medianti questi libri nella
memoria degli uomini : con che si lusingava di prestare gran servigio a1suoi
cittadini. E protest sapere ben egli che i Romani erano stati gl inventori del
modo di venerare gli dei ; e che nel culto dei medesimi non aveva egli ascoltato
il suo proprio senso, ma bens seguite le costumanze e le leggi della sua patria.
La quale dichiarazione prova che voleva egli allontanare da s ogni sospetto
d innovazione. Petrarca nella sua lettera a Varrone dice di avere veduta da
giovinetto quest opera, smarrita poi quando era capace di leggerla con profitto.
D cultu Deorum lib. . . .
Augurum libri.........
Non ben noto se queste fossero opere a parte, oppure porzione dell opera
grande che abbiamo annunziata. Macrobio parla della seconda. La prima viene da
alcuni collocata fra i LogistoricL
De gente populi romani libri i r .
In questi Varrone espose 1 origine dei Romani, cominciando dai re di Sidone,
venendo agli Ateniesi, da questi passando ai Latini, e dai Latini ai Romani.
Nei primi due libri comprese tutte le favole della storia precedente la guerra
troiana, facendo capo dal diluvio di Ogige, che si sappone accadato mille trecento
4o3 CATALOGO 4<>4
anni prima della fondazione di Roma. I due ultimi comprendevano la storia troiana,
e le cose dei Latini e de1Romani progressivamente fino al consolato di A. Irzio
e di G. Vibio Pansa cadalo all anno di Roma 711.
D initiis urbis Romae.
Fa menzione di questo libro Qaintiliano. Noi non sappiamo se si debba consi
derare come ona cosa diversa dal precedente.
De vita populi romani Ubri i r ad T. Pomponium Atticum.
Nel primo libro Varrone tratt delle faccende domestiche, dell* antico oso del
rito e delle vecchie discipline necessarie alla vita. Nel secondo tratt del senato,
dei consoli, de* pretori, de censori e d ogni altro magistrato, ed in fine degiuochi
e de1conviti. Nel terzo espose le varie sorte degli ordini militari, i diritti della
paee e della guerra, lo splendor del trionfo e il rito di piangere e di seppellire i
morti 11 quarto ebbe per oggetto le sedizioni, le guerre civili e 1 esterne.
De rebus urbanis libri in .
Di quest opera non abbiamo traccia veruna.
De scaenicis originibus libri i n .
De actionibus scaenicis Ubri r.
probabilissimo che qaesta sia 1 opera dal grammatico Servio citata sotto la
denominazione di Theatrales libri.
De famiUis trojanis ad Libonem lib. . . . .
Non sappiamo in quanti libri fosse distribuita quest1opera, la quale probabil
mente era genealogica.
Annalis, ossia Ephemeris.
Era qaesta un opera, nella quale Varrone parlava degli anni e de' mesi dopo
la riforma del Calendario fatta da G. Cesare. Carisio quegli che ci d il primo
titolo ; Prisciano e Nonio l hanno indicata col secondo.
Tribuum Ub.........
De aestuariis liber 1.
Da Varrone stesso abbiamo notizia di queste due opere.
De Uttoralibus liber 1.
Era quest opera scritta parte in prosa, e parte in versi.
De potis libri 11.
De bibliothecis Ubri //.
* Siamo senza notizie affatto di queste due opere. Si crede che la seconda fosse
4o5 DELLE OPERE VARRONIANE 4o6
scritta da Varronc dopo T incombenza che gli diede Cesare di mettere insieme
doe biblioteche Y una latina, l altra greca.
Tricipitina liber i.
Trattava della cospirazione di Pompeo, di Crasso e d Cesare* Ne parla
Appiano nel libro i delle gaerre civili.
Aetia.
Intitol cosi Varrone quest' opera ad imitazione di Callimaco. Callimaco ayev?
trattato di oscurissime favole tolte dalla pi rimota antichit, e eh' egli diceva
d avere imparate dalle Mose, colle qaali era stato in sogno. Varrone spieg le
cagioni degli antichi riti, specialmente romani.
Admiranda liber h
Servio chiama quest opera Mirabilium. Anche Gcerone scrisse un libro
intitolato Admiranda, qualche volta citato da Plinio.
Poliandria liber /.
In quest1opera Varrone descrisse i sepolcri degli dei e degli eroi, cio, come
dice Arnobio, di qaai tempii sieno coperti, o quali ampie moli vi si sieno innalzate
sopra. Si pretende per da alcuni che quest1opera di Varrone fosse fatta sul
modello del Peplo di Aristotele, in coi oltre aH1indicare i sepolcri e le iscrizioni
fatte sui medesimi, esponeva la genealogia dei priqdpi Anento va ti da Omero, e il
numero delle navi da essi condotte a Troia*
Htbdomadon^ ossia De imaginibus libri j x .
In quest1opera Varrone diede il ritratto di pi di settecento nomini illustri,
ed aggiunse ad ognuno un epigramma. Da quest1opera noi ricaviamo nn singolare
argomento della incisione nota agli antichi, e da Varrone coltivata. Ecco il passo
di Plinio che prova questo fatto. Io lo riferisco in latino, affinch nessuno sospetti :
M. Varr benignissimo invento insertis voluminum suorum fecunditati non nomi
nibus tantum septingentorum illustrium^ sed et aliquo modo imaginibus, non passus
intercidere figuras, aut vetustatem aevi contra homines valere? inventione muneris
etiam diis invidiosus, quando immortalitatem non solum ddit, verum etiam in omnes
terras misit, ut praesentes esse ubique, et claudi possente Varrone scrisse questa
opera di ottanta quattro anni. Allora aveva scritti quattrocento nonanta libri
De vita sua liber /.
Alcuni altri Romani avevano scritto le loro proprie vite prima di Vairone :
fra gli altri P. Rutilio Rufo e Q. Emilio Scaoro. Se questo libro di Varrone non
4<>7 CATALOGO 4o8
si fosse smarrito, noi avremmo delle sue geste assai cose ; laddove pochissime e
staccate notizie ci sono rimaste.
De philosophia liber /.
S. Agostino avefa letta quest* opera di Varrone ; e sappiamo da eso lai che
in essa aveva compilate ed esposte le opinioni delle diverse sette filosofiche, e ne
aveva notate fino a a84. Varrone era della setta degli Stoici.
Deforma philosophiae libri il,
Di quest' opera non abbiamo traccia che da Carisio, il qaale ne fa menzione.
De rerum natura.
Qaintiliano ci attesta che qaesta fa un opera di Varrone scritta in versi, ma
non d dice se il piano di essa fosse diverso da quello di Lacrezio.
HPAKAEIAION.
Cosa fosse questo Eraclidion, di coi fa parola Cicerone nelle lettere ad Attico,
cosa difficile a sapersi. Si crede che fosse an1opera di politica, forse cos intito~
lata, perch in essa aveva imitato Eradide Pontico, il quale aveva scritto della
stessa materia.
Menippea.
Questa fu an1opera satirica parte in prosa, e parte in versi d' ogni metro.
Forse Petronio e Marziano Capella tolsero molto dalla Menippea di Varrone, della
quale ci restano varii frammenti. Ecco i titoli dd diversi pezzi componenti la
Menippea Varroniana :
4<k ) DEjLLE OPERE VARRONIANE 4io
Aborigines.
Agatho.
Age modo.
AAAOS OTT0 2 HPAKAHS.
Andabatae.
Ammon METPI2 .
A N Q p n n o T P r i A .
Armorum judicium.
Bajae.
Bimargus.
Caprinum proelium.
Cave canem.
11. T s a b s x i o V a i 10* *
Columna Herculis.
Cosmotorine.
Cras credo : hodie nihil
Cygnus.
Cynicus.
De Salute.
De officio manti.
412 nAlAES 01 rEPONTES.
Dolium, aut Serta.
Endymion.
E n i T A w n N .
E m TH / *AKH/ MTPON.
3
411 CATALOGO ijia
Est modus Matulae. NOS ATPAS.
ETPEN H AOIIAS TO TMMAj. iu n iA S n A i m o s ,
Eumenides. Parmeno.
Exn SE. nEPI AIPESEHN.
E x demctricus.
HEPI EAESMATX1N.
EXIS nOTE. HEPI ESATXirHS.
Flexibula.
nEPI KEPATNOT.
Gemini'. Plutoriae.
Geruntodidascalus.
Pransus paratus.
m n o i SEATTON. Pseudulus Apollo.
Hecatombe.
Pseudonea.
Hercules tuam fidem.
Quinquatria.
Hercules Socraticus.
Sardi Venales.
Hippocyon.
SKIOMXIA vel KPIOMAXIA.
It/tm Acci quod tibi.
Serranus.
KENOAOSIA nEPI flONOT. Sesquiulisses.
0% Moenia.
Sexagesis.
Logomachia. Synistor.
Longe fugit qui suos fugit.
Syncphebus.
Magnum talentum.
Tanaquil.
Manius.
TA$H MENinnOT.
Marcipor.
Testamentum.
Margopolis.
Tithonus.
Meleager.
TOT nATPOS TO nAIAION.
Modius.
TPIOAITI TPI<MlAlOS.
Mutuum muli scatunt Triphalus.
Mystagogi. Vae victis.
Mysteria. Vinalia.
Nescis quid vesper serus vehat* Virgula divina.
Octogenis.
TAPOKPTON.
Oedipo thfest es.
Logistorici.
Questi furono vani dialoghi, ne1quali tratt di alcune importanti massime di
filosofia, aggiungendo gli esempii di alcuni illustri nomini* coi nomi dei quali
intitol riaschedun dialogo. Eccone Y elenco :
4 >3 DELLE OPERE VARRONIANE 414
Tubero. De origine humana.
Cato. De liberis educandis.
Articulus. De numeris.
Gallus Fundanus. De miris aquarum.
Marius. De fortuna.
MesaUa. De valetudine.
Orestes. De insania.
Pappus. De indigitamentis.
f t w. De pace.
Saserna. De historia.
Laterensis Nepos.
i &aur ar .
IIEPinAOr <&IA020<MA2 Wr* //.
In quest* opera Varrone fece la descrizione di tutt i luoghi e di tutti gli nomini,
dai quali, *o ne' quali rispettivamente fu inventata e coltivata la filosofia.
Prometheus.
Varrone in questo libro ha descritto la formazione dell' uomo immaginata da
Prometeo, raccogliendo ed esponendo con istile poetico quanto di Prometeo si era
detto nelle favole, unendovi, molti fiori filosofici. Tanto la prima di quest' opere,
quanto la seconda sono scritte met in prosa, e met in versi.
Rerum rusticarum libri i n .
Quest' 1' unica opera di Varrone che ci sia giunta poco meno che perfet
tamente intatta. Del merito di questa possono giudicare tutti quelli che la
leggeranno.
A perfetto compimento di questo elenco conviene finalmente notare che esiste
una preziosa raccolta di sentenze comunemente attribuite a Varrone ; ma credono
alcuni eruditi che questa sia I' opera di qualche studioso dei libri Varroniani,
DELL AGRICOLTURA
L I B R I III
CON TRADUZI ONE E NOTE
DI GIAN GIROLAMO PAGANI
P REFAZI ONE
----------------
]M[eoo d quella di Catone gianta a noi sfasciata e rotta l'opera che sulle cose
agrarie scrisse Marco Terenzio Varronc, nomo, se altri v'ebbe mai, in ogni genere
d letteratura coltissimo, e dai contemporanei suoi e dagli scrittori susseguenti di
comune consenso predicato pel pi dotto dei Romani. Della cui dottrina in fatti
sommo argomento si il vasto catalogo delle opere sue, che unito ai brevi prole
gomeni avr riscontrato il lettore curioso.
Trasse Varrone il fondo dell'opera sua dai libri dei Saserna, cittadini romani
dell' agricoltura benemeriti oltre ogni dire, dei quali parla anche Marco Porcio
Catone. Si approfitt delle opere di Magone cartaginese, che correvano allora in
Roma tradotte per pubblica autorit ; ed credibile che il libro di Catone gli
giovasse assai, sia che parlisi della materia che poteva somministrargli, sia che
vogliasi dir dell' esempio. Imperciocch se Marco Porcio Catone, scrittore pro
fondo ed eloquente oratore, dopo una lunga e brillante carriera politica si era
dedicato agli studii della rurale economia ; ben poteva nascere in colto ingegno
ed in valente scrittore, siccome era Varrone, caldo desiderio d1imitare un tanto
nomo. Il che supposto, dobbiamo poi aggiungere che di molto egli avanz nella
prova quanti preceduto lo avevano. Conciossiach pi ordine egli pose nella trat
tazione ; la materia ripul stata fino allora piuttosto aspra e rustica veramente ; e
di tale eleganza e gentilezza la vest, che pot comparire con buona fortuna anche
in mezzo ai molli e schizzignosi Luculli. Sebbene non per questi veramente si
moss egli a scrivere il suo libro, ma per Fundania sua moglie, la quale avendo
acquistato un vasto corpo di terreno lasciato per lo addietro poco meno che
incolto, si rivolse al marito, affinch la istruisse interno al pi& acconcio modo di
trarne buon partito. Vairone sembra essere stato anche in ci buon imitatore di
%
Catone, il qaale il libro suo aveva diana! scritto pel sao figlinolo.
Io non so, se perch appanto scriveva direttamente per Fandania, scegliesse
egli di scrivere l'opera saa m dialogo ; genere di scrivere che fa coltivato in qaei
di anche da Cicerone, e che pi di ogai altro dimostra lo spirito dell' autore, e il
grado di coltura, che al suo tempo la sua nazione distingue. Siccome poi a Var
rone piaceva il grecizzare ; cos di molte maniere greche riemp codesti saoi
dialoghi, e di molti provrbii li sparse, e interlocutori introdusse mirabilmente
opportuni. Che se da codesto sao grecizzar frequente si volesse per avventura
argomentare che alquanto pi all' ingegno suo don, di quello che acconsentisse
la circostanza ; ben resta ogni dubbio sciolto, considerandosi che Fundania era
donna de' greci stadii pratica, e conoscitrice perfetta de' greci autori ; perciocch
se tale non fosse stata, non le avrebbe Varrone suggerito che a' greci agronomi
essa ricorresse, ove morto lui, che allora agli ottant' anni dell' eli sua era gianto,
alcana cosa le abbisognasse sapere o intendere. Per la qual cosa nel preambolo
stesso del libro una lunga enumerazione le fa dei greci letterati che scrissero
intorno all' agricoltura.
Noi pochi esempii abbiamo di dotti nomini dalle mogli loro pregati a scrivere;
e tfiuno certamente di quelli che dalla moglie sieno pregati a scrivere di cose di
agricoltura. 11 che, quanta sia la differenza del secol nostro da quello di Varrone,
facilmente dimostra.
Ma parlando ancora alcun poco dello stile Varroniano, pare a me che questo
ne sia singolarmente il carattere, eh' esso diletta colle frequenti metafore e colle
inaeri te allusioni a storie e favole, delle quali Varrone era eruditissimamente sta
dioso, siccome dagli avanzi delle altre opere sue apertamente si vede. Se non che
a me sembra che duretto alquanto sia egli nell' andamento suo e nelle sue parole,
e che astniso riesca qualche non rara volta ne' suoi fraseggi. Le quali cose non
debbono sorprendere alcuno, sol che si voglia considerare, che siccome quando
Varrone cominci a scrivere, la prosa latina non aveva ancora nn perfetto mo
dello ; cos nel crearsi egli ano stile, non poteva nascondere affatto le tracce dei
saoi sforzi. E tanto pia resteremo di ci persuasi, se per avventura avvenga che
la copia delle aae idee si trovi in contrasto colla ristrettezza di ana lingua, non
ricca per anche di quella lussureggiante pompa di fraseggi e di giri, che conda-
4a3 P R E F A Z I O N E 44
cendola a perfzione, k danno poi i sasseguenti scrittori. Che se i nostri amichi
Toscani, per paragonar cosa a cosa, vengono da noi trovati ordinariamente chiari
nella loro didtara ( il che io affermare} essere il loro distintivo pregio ), d non
viene al certo dall'essere stati aomini di profonda dottrina, parlando almeno dd
pio, o dall1avere trattato i primi astrosa materia di arti o di sdenze.
Abbiamo detto di sopra che Y opera di Varrone gianta a noi meno sfasdata
e rotta di quella che di Catone d rimane. Egli danqae da avvertire che hannovi
in essa aleoni laoghi, ove apparisce la stroggitrce mano del tempo. I dotti com
mentatori, per empio, non tntlasdarono di accennarli ; e noi senza tessere qai
una generale rivista del testo, ricorderemo nn passo del libro i, gi a sao tempo
indicato, e ricorderemo pare il fine ddl opera, che non oggi tale, qoal con
ragione presumiamo essersi da Varrone scritto. Oltre di che sappiasi che Plinio
loda nn passo di Varrone certissimamente attinente all opera agraria che qai
prodadamo ; il qual passo nc* libri Varroniani che d restano, in modo alcuno
non trovasi (*).
Ma fortunatissimo stato Varrone in quanto molti illustri e dotti aomini ha
avuti diligentissimi in purgarne i vecchi codia, in rettificarne le lezioni, e in
accondarne ogni pi piccola parte. Primo fra tatti vuoisi qui nominare Vittorio,
il quale consultando e confrontando codici antichissimi, molti laoghi del nostro
autore accuratamente corresse ; nel che fare discrezione molta d mostr, e fu
sobrio assaissimo, ed oltremodo cauto ; cosicch poche novit introdusse, e queste
soltanto da forti appoggi sostenute. Condannasi Giuseppe Scaligero di arditezza
soverchia e di predpitazione, come quegli che troppo concedette alle congetture.
Nondimeno di Varrone fu assai benemerito ; e le sue note danno prova singolare
dello stadio profondo che fece sopra questo scrittore. Condannasi eziandio Ursino,
perch pi sollerto apparve in levare, che in aggiungere al testo ; ma certa cosa
che molto agevol anch1egli Y intelligenza di Varrone, e che si serv di buoni
codia. E gli eruditi non cessano di fargli onore, singolarmente per un certo passo,
il quale verr indicato a suo luogo, e che da codesto repristinatore Varroniano
dobbiamo noi assolatamente riconoscere. Ma che dir di Ausonio Popma di tutte
4aS F R . E F A Z I O N E 4a6
(*) 11 patto, del quale parliamo, viene da Plinio riportato cos ; Farro auctor est, si fidi
culae occasu quod est initium auctumni, uva picta consecretur inter vites, minus nocere
tempestates.
M. Teai bki o V a e r o s i \
P a E F A Z I O N B 428
le Varroniane opere e di tatti i (rammenti raccoglitore laboriosissimo, e bene
merito illastratore di qaesta che pubblichiamo qai tradotta ? Ella per certo
amara cosa che le note di Popma sieno state s malamente stampate, che, come
a Gesnero accadato, pia fatica barri a riattar quelle, che lo stesso testo Varro
niano. A tatti poi va innanzi, cred io, il valentissimo nostro Pontedera, uomo
per ogni maniera di dottrina filologica ornatissimo, che tutti ha sovranamente
illustrati e schiariti i passi difficili, intorno ai quali con incerta fortuna si erano
applicati gli altri commentatori : e dove la lunga et e 1 ignoranza degli antichi
copisti aveva corrotto il testo, con acuta rettificazione ha restituito e senso e luce;
talch se Varrone oggi s intende, a Pontedera se ne debbe la lode. Noi non pos
siamo pretendere di venire a competenza con aomini s illustri. Con tatto ci, se
le combinazioni ci hanno portati nel medesimo campo, e se siamo divenati, dir
cos, i successori loro nello stadio e nel colto de1Rustici Latini ; a qualche parte
di gloria possiamo senza temerit anche noi aspirare, massimamente sapendosi
che s ampia la messe, che molto ancora rimane in che adoperarsi.
Ed ecco ci che intorno a quest1opera abbiamo creduto di dovere accennare,
persuasi che inopportuno sia quanto potrebbesi aggiungere, perch ai nostri leggitori
appartiene il vedere quei pia che qai tralasciamo di dire iutorno alla medesima.
Se non che alla perfetta intelligenza dell' opera di Varrone pu giovare, io
credo, un breve saggio dello stato dell agricoltura presso i Romani dalla fonda
zione della loro citt fino al tempo nel quale egli scrisse. Al quale uopo io mi
sono proposto di dirne qui in breve le cose pi importanti.
Furono i Romani fino dal loro principio agricoltori; e n chiarissima la
ragione, perciocch non avevano essi altro capo d industria, da cui trarre costan
temente e sicuramente la loro sussistenza; ed io credo che meno per amor di bot
tino, che per una speculazione di economia profonda facessero le loro prime guerre;
cio per ottenere de terreni migliori dei loro e pi ampii. Del rimanente avevano
legata 1 agricoltura colla religione ; ed avevano un collegio di sacerdoti chiamati
Arvali che offerivano le primizie agli dei, e ne chiedevano abbondanti raccolte. Era
in tanta estimazione questo sacro ministero , che morto uno di que1sacerdoti al
tempo di Romolo, egli volle arrogarsene il posto : e d allora in poi non pot
essere uno degli Arvali, se non chi provasse nobilt insigne di nascita.
Le frequenti guerre che Romolo fece, pregiudicarono forse ai progressi del-
1 agricoltura ; ma ben presto venne per quest arte salutare un pi propizio tempo.
quando afi al trono il pacifico Nomi. Egli infatti in pia maniere Y anim e
I1onor ; e se la vita pubblica di quel re osserviamo, parr facilmente che del-
T agricoltura piucch d1altra cosa egli si occupasse. Anche Marzio segu le orme
di Numa Pompilio ; ed era solito a raccomandare al suo popolo il rispetto alla
religione e alla coltura dei terreni e del bestiame. Allora non conoscevasi altra
ricchezza che quella, la quale procedeva dal frutto della terra ; e la porzione pi
nobile, pi potente, e pi rispettabile del popolo romaoo era nelle trib rustiche,
ale a dire ne1coltivatori. Essi erano la parte pi numerosa del senato ; essi
coprivano le pi eminenti cariche della repubblica ; generali e dittatori si traevano
da esse. Dopo la presa di Cartagine e la conquista della Macedonia e della Grecia,
il lusso entr in Roma, e ne scacci Y amore della fatica, la frugalit, la modera*
zione ; n 1*agricoltura fu pi bella, che nei libri.
Eccoci ai tempi di Varrone. celebre il rimprovero che veggiamo fatto da
un senatore ad Appio Claudio, il quale distinguevasi per la magnificenza introdotta
nelle sue case di campagna. Mostrando quel senatore ad Appio la rustica sua
abitazione, gli disse : Qui tu non vedi n quadri, n statue, n intarsiature, n
terrazzi a musaico, n tavolati a rimesso ; ma ci vedi bene quanto fa d uopo al
lavoro delle terre, alla coltura delle vigne, e al nutrimento del bestiame. In casa
tua tutto splende d oro, d* argento, di marmo ; ma niun vestigio vedesi di terre a
frutto ; n in parte alcuna incontransi buoi, o vacche, o pecore ; non fieno nelle
cascine, non nelle cantine gl indizii della vendemmia, non quelli delle raccolte
ne1granai. Come puoi tu dunque chiamare la tua una casa di campagna ? e in che
si rassomiglia a quella che possedevano tuo nonno e tuo bisnonno ?
Si vede che codesto senatore aveva bisogno di fare un gran passo indietro per
ritrovare fiorente l'agricoltura romana. Laonde convien dire che i libri di Varrone
intorno ad essa non sieno gi la prova degli usi della nazione, ma siwero di quei
pochi Romani che o 1 et, o la mala fortuna condannava nelle campagne. E forse
perci Catone e Varrone non si applicarono allo studio dell1agricoltura, se non
finita la carriera politica, e vecchissimi.
Checch ne sia, certo egli per, che provano vigente un ragionato sistema
di agricoltura ; e provano che il lusso e l1ambizione non avevano distaccati i
primarii uomini della repubblica dalla campagna, a segno che avessero peritata
ogni traccia del mestiere de1padri loro.
Ed ecco, dir cos, il prologo, dopo il quale ognuno pu mettersi ad ascoltar!
4>9 P R E F A Z I O N E
F interessante commedia che Varrone ci presenta ; giacch otia specte di com
media, per giustificare la metafora osata, pu dirsi che sia il dialogo scrtto da lai.
Io ho pensato che di alcon lame alla piena intelligenza di Yarrone esser possa
ona dissertazione del signor de la Lande intorno ai tempi, de* quali parla il nostro
autore. Se questa non ci mette a portata di rettificarlo, ove per noi resta tuttavia
oscuro, perch Y antica astronomia era assai difettosa ; al certo serviri a darci
de* lumi intorno a quanto egli accenna circa il nascere e il tramontare delle
costellazioni, alle quali egli e gli agronomi antichi riportavano le faccende della
campagna.
Di ci che intorno alla famosa uccelliera di Yarrone potrebbe dirsi, parlerassi
opportunamente, ove quella elegante composizione si pubblicher. Godi intanto,
lettor benigno, di quello che ti si presenta oggi ; ed incontrandoti in cosa, la quale
ti paia meno acconcia, abbi io considerazione, che se Y illustrare i Rustici Latini
fu grave opera pe pi valenti filologi d'Europa, opera gravissima e laboriosissima
era poi il volgarizzarli. Per la qual cosa applauso ed incoraggiamento, anzi che
riprensione ci si debbe, comunque possiamo noi essere imperfettamente riusciti
nel disegpo nostro. Ed abbi a mente soprattutto che ne" difficilissimi lavori il
tentativo solo gran merito. Poi vivi felice.
$3i P R E F A Z I O N E
SPECCHI O
DELLE MISURE, DEI PESI E DELLE MONETE ROMANE
COLLE LORO VALUTE ATTUALI
-------- * # 4 --------
A . c p . Secondo il Usto di Yarrone, questo era
il nome che i Lilioi davano all'acUti quadra
tus. Veggenti to di ci le nottre annoUiioni
el capitolo x del libro i di Varrone.
AcTut qu a d u t d . questa osa mitora della t o-
perfide. Cento Tenti piedi di larghezza ed al
trettanti di longbezza formano l1actus qua
dratus ( Vedi Pia in Catone ). Si chiamare
quadratus per dutiogoerlo dVactussimplex,
chiamato da Columella nel libro t , capitolo i
mimimus, il quale non he che quattro piedi
di larghezza e cento Tenti di luoghezxa. Plinio
nel libro x t i i i , capitolo n i non fa alcuna dif
ferenza tra queati due actus ; ma dice che
l ' actus generalmente lo tpazio che due booi
posto no laTorare in no tolo tratto. Cotale defi
nizione pu effettivamente applioarti tanto al-
I actus quadratus, quanto al simplex, te
non ti ha in Titta che la loro lunghezza, la
quale la ttetta s nell' uno che nell1altro.
Ao t i o e a . Veggasi qaesta parola in Catone trat
tandoti t di un1anfora di qualtTOglie capa
cit.
At ( Vedi Ncnuut in Catone ). Varrone non a
torto ha detto, che avanti la prima guerra pu
nica pesava dugento ollaolollo scripula, per
ch petava una libbra, o dodici once: ogui
oncia era di vntiquattro scripula.
Bipalmis. Quetla parola nasce da bis, due volte,
e da palmus. Esso aveva la lunghezza di due
palmi ( Vedi Palmus in Catone).
Bipxoalis ( Veggati Catone a quella voce ).
C l a m a , Mitora di superficie, oot chiamata
dalla parola centum, cento, perch contenCTa
cento haeredia ( Vedi HaeeediomJ. E quetla
una superficie quadrata, di cui ogouno dei
lati aveva duemila quattrocento piedi di lun
ghezza ( Vedi Pat in Catone); per conseguen
za comprendeva dugento iugeri (VediJuoa-
aum in Catone), perch I1hatredium era di
due iugeri.
CoHGict ( Veggati quetta voce in Catone).
Cuarrut. Quetta misura di dittanza era presa
aopra la lunghezza ordinaria del braccio del-
V uomo, cominciando dal gomito, e terminan
do all1apice del dito di mezzo : ai valutava un
piede e mezzo ( Vedi Pxt in Catone ).
De b a e iu s (Veggasi la parola Nu mmus in Catone).
Dig it u s (Vedi parimente questa voce in Catone).
Dodeam. Si prende da Varrone per tre quarti
di un piede : ad esso si applicavano le divisioni
della libbra in uncia, sextans, etc, in quelle
guisa che qaeate ti applicavano a qualunque
cosa che fotte lutceltibile di misura, o di divi
sone (Veggasi Liaaa e Poh d o in Catone).
Ha e e k d i u m. Misura di superficie cos chiamata,
perch quest1era la quantit di terra stala di
stribuita da Romolo a ciascun cittadino: que
tta doveva pattare agli eredi, ed era il doppio
del iugero ; per conseguenza conteneva 57,600
piedi quadrali ( Vedi Ju g e a u m in Catone ). t
J u g b a u m. Quest1era la misura adottata dai Ro
mani e in tutto il Lazio. Saterna pretendeva
che per larorar cento iugeri di terra ballasse
<35 SPECCHIO DELLE MISURE, DEI PESI, EC. 436
nn paio di buoi, e che an solo uomo potesse
in quittro giorni lavorare no iogero di terra,
ma in un paese piano. Per seminare on iogero
d1 erba medica bastata nn sesquimodius di
semenza ( reggasi Se s q u imo d iu s ), quando che
bisognavano comunemente quattro modii di
fava, cinqoe di biada, sei d orio, e dieci di
formeoto ( Vedi Mo d i c i ). Un iogero si poteva
mieterlo iu un giorno di lavoro. Dal libro iu,
capitolo li si pn concl udere cbe un ingero
produceva cencinquanta sestertii di rendila
(Vedi Sb s t b b t i u s ). Ai tempi di Varrone un
parco di quaranta iugeri era considerabilissi-
n o ; ed il pi grande, di cui siasi fatta men
zione, era quello di Ortensio, il quale ne con
teneva ciuquanW.
J u g u m. Misura di superficie. Quest1 quello spa
zio di terra, che possono lavorare in un giorno
due buoi insieme aggiogati: quest' era la mi
sura di terra adottata nella Spagna ulteriore.
Gli Avergnati danno anche oggid il nome di
giogo a una pari estensione di terreno.
L a pi s . Misura di distanze. C. Gracco aveva or
dinato cbe tolte le grandi strade, le qnali par
tivano da Roma, fossero marcate di mille passi
in mille passi da una pietra, sopra la quale si
colpisse la cifra indicante il nnmero dei passi
cbe si erano percorsi; e quindi la voce lapis si
prendeva per uno spazio di mille passi ( Vedi
P a s s u s ).
Mo d iu s ( Veggati questa parola io Catone). Da
quanto dice Varrone nel libro i, capitolo xxiv
t i pu valutare qual fosse la forza motrice del
torehio a olio dei Romani, perch in uoa sola
stretta si dovevano avere censessanta, o alme
no centoventi modii d1olio. Per seminare on
iogero di terra bisognavano quattro modii di
fava, cinque di biada, sei d1orzo, e dieci di
formeoto (Vedi J u g e b u m). Gli antichi per far
s, che le biade si conservassero sane lunga
mente, bagnavano mille modii all1incirca di
biade con nn quadrantal di morchia (Veggati
Q u a d b a h t a l ).
Nu mmu s . Per nummus debbesi intendere sester
tius nummus ( Vedi Se s t e e t i u s ).
P a l ma b i s , cio della lunghezza di un palmus
( Vedi Pa l mu s ).
P a l mipe d a l is , cio della lunghezza di un piede
e di on palmo ( Veggaoti P bs e P a l u d i ).
P a l mu s (Vedi questa parola in Catoo).
P a s s u s . Columella dice nel libro v, capitolo i che
la misura degl1intervalli di tal nome aveva
cinque piedi di lunghezza ( Vedi Pxs); perci
colai parola molto differente dal sostantivo
passus, preso per lo spazio che trovasi tra due
piedi, allora che si cammina, essendoch que
sto spazio comune non che di due piedi e
mezzo, quando ilpassus%del quale qui si t r at t a,
il doppio di questo spazio. Deriva dunqao
dall1aggettivo passus che Tuoi dire esteso,
perch suppone essere questa la lunghezza
prodotta dalle braccia e dalle mani distese.
P e d a l is ( Veggasi questa parola in Catone ).
Pe s ( Vedi parimente questa parola in Catone ).
P o n d o ( Vedi questa parola in Catone ).
Q u a d e a u s . Si prende pel quarto del sextarius,
cui applicavano le comoni divisiooi della lib
bra io u/icia, sextans, etc. (Vedi Lib b a e P o b
d o in Catone). Qoello costituiva parmenle il
valore di tre cyathi^ perch il sextarius ne
conteneva dodici ( Vedi Sb x t a b iu s e Cy a t h u s
in Catone.
Q u a d e a h t a l ( Vedi quetta voce in Catooe ). Si
versava un quadrantal di morchia sopra
mille moggia all incirca di biada, onde questa
divenisse atta a conservarsi lungamente ( Vedi
Mo d iu s ).
Sa l t u s . Quetta parola, la quale ti usava quando
traltavasi di terre eh1erano state pubblicamen
te divise tra i cittadini, si prendeva pel valore
di qoattro centuriae unite insieme con due
altre di faccia ( Vedi Ce b t u b i a ).
Sc e i pu l u m. Quest1era nna vigesimaquarta parte
dell1oncia. Or perch Pax, la libbra e il ingero
ti dividevano tutti egualmente in dodici onoe
( vedi Lib e a e P o n d o in Catooe ), tanto nell'a/,
quando pesava nna libbra, qnaoto net iugero
si trovavano dugento ottantotto scripula;
quindi il iugero conteneva ventottomila otto
cento piedi quadrati di superficie, e il tuo
scripulum era uguale a dieci piedi tanto in
lunghezza, quanto in larghezza.
Se mipe s (Vedi qneila parola in Catone).
Semis , vale a dire sei once, o la met dell ax
( Vedi As).
Se mo d iu s ( Vedi questa parola in Catone).
Se s q u i mo d iu s . Parola composta di sesqui e mo
dius. Staodo al significato della voce sesqui
( vedi Se s q il ib e a in Catone), bisogna dire che
tal misura conteneva un modius e mezzo
( Vedi Mo d i u s ). Era mestieri un sesquimodius
di grano di erba medica per seminare un iu
gero di terra ( Vedi J d g e e u m ).
Se s q u i pe s ( Vedi questa parola in Catone ).
Se s t e e t i u s (Vedi questa parola in Catone). Al
cuna volta i Romaoi sopprimevano la parola
sestertius, e ne esprimevano soltanto la quan
tit : quando poi si servivano di un avverbio
per esprimere un certo numero di sestertii,
sottintendevano sempre il numero di cento*
mila aggiunto a questo avterbio : cos il qua
dragies del libro ni, capitolo x v i i signifioa
437
SPECCHIO DELLE MISURE DEI PESI, EC. 438
quaranta folte c e r c h il a sestertii, o t vc t o
quattro milioni di sestertii.
Sextabi. Queat' il tetto del iogero ( Tedi Juoi-
i c a ) , coi ai tfdattaT* la diritione ricevuta
della libbra io ancia, seaHant^ eie. (Vedi
Libba e Povno in Catone ).
Tebcbi abl ab (vites). Viti che produceTano t r e
cento amphorae di Tino, o quindici cullei
( Vedi Cu l l e u i e Amf h o ba ).
TmiMDAut. lo tetto del tripedaneus di Ca
tone, o t c ?edi queat1ultima parola.
Vaatut. Era ona mitora di terre adottata dagli
abitanti della Campaoia. Etaa oonteoeTa eento
piedi tanto in longhezxa, qoanto in larghexsa,
e per conseguenza era di diecimila piedi qua
drati ( Vedi Psa in Catone ).
UaciA. Qoetl la dodiceaima parte del iogero
( t edi Jugebum )v al qoale ti adattaTa la rice-
yot a diTitione della li bbra in uneia9 sextans%
eie,( Vedi Luba e Povoo in Catone ).
M. TERENTII VARRONIS
D E R E R U S T I C A
LIBER PRIMUS
--------------------- ------------------------------------
CAPUT I
G b a b o t L t u i q u i d i b j m o s t i c a s c * i m e u h t .
Otium ii e n t n consecuto*, Fondini*, oommo-
dius tibi baco scriberem, quae none, ot potero,
exponam, cogitans eite properandum, quod ( ot
dicitor ) fi est homo bulla, eo magii senex : annoi
enim octogeaimos admonet me, u| sarrioas colli
gam ante qaam proficiscar e vita. Quare, quo
niam emisti fundum, qoem bene colendo fructuo
sum conficere velis, meque ot id mihi habeam
curare roges, experiar ; et non solum, ut ipse
quoad vivam, quid fieri oporteat ot te moneam,
sed etiam post mortem. Neque patiar Sibyllam
noQ solum cecinisse, qoae, dnm viveret, prodes
sent hominibus, sed etiam qoae cum perisset ipsa,
et id etiam ignotissimis quoque hominites; ad
cujus libros tot anois post publice solemus redi
re, cum desideramos quid faciendam sit nobis ex
liquo portento : me, ne dnm vivo quidem, neces
sariis meis quod prosit facere. Quo circa scribam
tibi tres libros indices, ad quos revertare, si qua
m re qoaeres, quemadmodum quidqae te in co-
leodo oporlnl hcere.
M. Ti u k n V i i a o i i
CAPITOLO I
A dtoxi G ebci * L atihi, c h * solissimo
DX AGIICOLTUIA.
I o t insegnerei, Fandania (i), ose migliori (a),
se avessi tempo di scrivertele eoo cmodo (3) 9
le qnali al presente le esporr in q'oella guisa
che mi $a possibile, ben permaso ohe mi me
stieri affrettarmi, essendoch ( come si dice ), se
P oomo una bolla, molto pi la l'uomo vec
chio: di fatti V anno ottantesimo di mia eia (4)
pur troppo mi avverte di piegare il fardello,
avanti che esca di vita. Laonde poich to hai
comprato on fondo di terra, che vuoi rendere
fruttifero per mezzo di una buooa coltura; e
perch mi preghi eh1io voglia assumere la cor*
di renderti istrutta so di ci (5), ecco che io mi
accingo : e non solo ti mostrer quello che con
verr che to faccia fino che io viva (6), ma ancora
dopo la mia morte : n laseer di non imitar la
Sibilla (7), la quale predisse oon solo quelle cose
cbe sarebbero state utili ai suoi contemporanei,
ma aocora quelle che fossero per esser tali ai sooi
posteri, quantunque da lei non conosciuti. Ai
quali libri antichissimi noi siamo soliti tuttora
ricorrere in nome della repubblica, quando de
sideriamo di sapere quello cbe da noi da farsi
443
U. TERENTII VARRONIS
4 4
Et quoniam ( ni ajont ) dei facientes adju
vant, prius invocabo eos: ftec, ut Homerus et
Ennius, Musas, aed 111 deos consertis: neque
tamen eos urbanos, quorum imagines ad forum
auratHe stant, sex mares, et foeminae totidem,
sed illos xii deos, qui maxime agricolarum du
ces sant. Primum, qui omnes fructus agricul
turae coelo et terra continent, Jovem et Tellu
rem: itaque quod ii parentes magni dicuntur,
Joppiler, pater appellator, Tellus, terra mater.
Secundo Solem et Lunam, quorum tempora
observantur, cum quaedam seruntur et condun
tur. Tertio Cererem et Liberum, qnod borum
frnctus maxime necessarii ad victum : ab bis enim
cibus et potio venit e fundo. Quarto Robigum ac
Floram, quibus propitiis, neque rubigo frumenta
atqne arbores corrumpit, neque non tempestive
florent: itaque publicae Robigo feriae robigalia ;
Florae ludi floralia instituti. Item adveneror
Minervam et Venerem, quarum unius procuratio
oliveti, alterius hortorum | quo n mu ine rustica
vinalia instituta. Nec non etiam precor Lympham,
ac Bonum Eventum, quoniam sine aqua omnis
arida afa misera aJjrcoTlura, siu successu ac bono
eventu, frustratio est, non coltura, lis igitur deis
ad venerationem advocatis, ego referam sermone
ep#v qoos de egrioultora habaiaius nuper, ex
quibus,quid te lacere oporteat, animadvertere po
teris* in queis quae non inerunt et quaeres, indi
cabo a qoibua scriptoribus reperiti et grtecis, et
nostris.
Qui graece scripserunt dispersim, alius de
alia re, sunt pias quinquaginta. Hi sunt, quos
tu habere iu consilio poteris, cum quid consulere
voles, Hieron Siculus, et Attalus Philometor : de j
philosophis, Democritus physicus, Xenophon I
dopo la comparsa di qu*Uhe prodigio. I o n o n
soffrir che si dica, che solamente fino a t a n t o
che io souo vissuto sia stato utile ainniei f a mi l i a
ri (8). Laonde ti scriver ' tre libri, quai s o m m a -
rii, ai quali potrai ricorrere ogniqualvolta c e r
cherai di sapere quello ohe ti cenvenga ure n e l l a
coltivazione.
E poich, come si dice, gli dei aiutano q u e l l i
cbe a loro s'indirizzano (9), perci mi f a r
dall1invocarli : n pregher di aiuto le Mose (xo) ,
come fece Omero (11) ed Ennio (ia), ma i do
dici dei consiglieri (13). Non tuttavia m i a
intenzione d invocar que' dodici dei, sei ma
schi e sei femmine (i4) le cui immagini dor ata
i veggono nella pubblica piazza ; ma que' dodici
dei, che presiedono in ispezial guisa sopra gli
agricoltori. Primieramente invocher Giove ( i 5)
e la Terra (16), nelle mani dei quali sta s in cielo,
che in terra ogni frutto dell'agricoltura (17), e
perch questi due si chiamano i gran padri (chia
mandosi Giove il padre, e la Terra la madre ) ( 18).
In secondo luogo invocher il Sole e la Luna, i
cui giri si osservano non solo allora cbe ai semi
nino alcune cose, ma ancora quando si raccolgo
no. In terzo luogo chiamer in mio aiuto Cere*
re (19) e Bacco (ao), perch i frutti, che questi ca
regalano, sono assolutamente necessarii alia vita ;
o perch in grazia di questi dei la terra produce
il cibo e la bevanda. In quarto luogo drizzer le
mie preghiere alle dee Robigine (ai) e Flora (12),
onde merc il loro padroci io le biade e gli alberi
sieno preservati dalla robigine, e i fiori non com
pariscano prima del tempo. Per la guai cosa furo
no instituite in onore di Kobigihe le pubbliche
feste robigali (a3), e a onor di Flora ' io iti Coi
rono i giuochi florali (a4). Invocher, altrea
Minerva (a5) e Venere (a6), una delle quali ha la
sopranteadenza all oliveto, e 1 altra agli orti, in
onor delle qual i furono instituite le feste rustiche
vinse (27). N mancher dal non pregare aocora
la Linfa (28) e il Buon Successo (29), poich sfeza
acqua ogni genere di c1iura riesce arido e mi
serabile; e senza una felice riuscita e un buon
successo, ogni coltivazione opera perduta. Invo
cati adunque questi dei con tuttala venerazione,
riferir quei discorsi che poco fa abbiamo teouti
sul l1 agricoltura, dai quali potrai raccogliere
quanto ti sar mestieri di fare : e se avviene che
in questi non ritrovi quello cbe tu cerchi, t*indi
cher da quali autori greci e latini (3o) potrai
trarre quei lumi che chiedi (3 i).
Sono oltre cinquanta quelli che hanno scritto
in greco ; e chi di nna cosa, e chi d un' altra.
Questi sono quelli che tu all'uopo potrai consul
tare: Jerone di Sicilia (3a) e Aitalo Filometore (33) :
tra i filosofi il fisico Democrito (34), il socratioo
aoera tieni, Aristoteles et Teophrastos peripate
tici, Archytas pythagoreas; itera Amphilochus
Atheniensis, Anaxipolis Thasias, Apollodoro#
Lemnius, Aristophanes Mfleotes, Antigonus Cy
maeos, Agatocles Chios, Apollonius Pergamenus,
Aristandrus Atheniensis, Bacchius Milesios, Bion
Soleus, Chaeresteus et Chaereas Athenienses,
Diodorus Priennaeus, Dion Colophonius, Dio*
phanes Nicensis, Epigenes Rhodi as, Evagon
Tbasim, Euphranii duo, unus Atheniensis, alter
Amphipolites , Hegesias Maronites, Menandri
duo, unus Priennaeus, alter Heracleotes, Nice-
aius Maronites, Pythion Rhodias. De reliquis,
quorum quae fuerit patria non accepi, sunt An-
drotion, Aeschrion, Aristomencs, Athenagoras,
Crates, Dadis, Dionysius, Euphiton, Euphorion,
Eu bol uj , Lysimachus, Mnaseas, Menestratus,
Pleuthiphanes, Persis, Theophilus. Ii, quos dixi,
ouones soluta oratione scripserunt ; easdem res
etiam quidam versibus, ut Hesiodus Ascraeus,
Menecrates Ephesius. Hos nobilitate Mago Car
thaginiensis praeteriit poenica lingua, quod res
dispersas comprehendit libris xxvm,quos Cassius
Dionysias Uticensis vertit libris x x , ac graeca
lingua Sextilio praetori misit: in quae volumina
de graecis libris eorum, quos dixi, adjecit non
pauca>et de Magonis dempsit instar librorum vm.
Hosce ipsos utiliter ad vi libros redegit Diopba-
nes in Bithynia, et misit Dejotaro regi.
445
Quo brevius de ea re conor tribus libris expo
nere, uno de agricultura, altero de re pecuaria,
tertio de villaticis pastionibus; hoc libro circumcisis
rebus, quae noo arbitror pertinere ad agricoltu-
ram. Itaque prius ostendam, quae secerni oporteat
ab ea; tum de his rebus dicam, sequens naturales
divisiones. Ea erunt ex radicibus trinis, et quae
ipse in meis fundis colendo animadverti, et quae
legi, et quae a peritis audii.
-----
CAPUT II
QuAB DISJDIfOEHDA SDUT AB AGBfCULTUBA.
Sementivis feriis in aedem Telluris veneram
rogatus ab aedi timo, ut dicere didicimus a patri
bus nostris ; ut corrigimur a recentibus urbanis.
Senofonte (35), i peripatetici Aristotele (86) eTeo-
frasto (37), il pitagorico Archila (38), come pure
l'Ateniese Anfiloco (3g), Anasipoli di Taso, Apollo-
doro di Stalimene, Aristofane di Mallo (4o), Anti
gono di Foia naova (4 0 , Agatocledi Scio, Apollo
nio di Pergamo, Aristandro di Atene, Bacchio di
Mileto, Bione di i lesoli, Cheresleo e Cherea di
A tene, Diodoro di Palazia, Dione di Altabosco, Dio*
fan di Nicea (4a)t Epigene di Rodi (43), Evagone
di Taso, i due Eufranii, uno Ateniese e l'altro di
Antiboli, Egesia di Marogna (44), i due Menan
dri, uno di Palazia e l ' al t r o di Eraclea, Njcesio di
Marogna, Pizione di Rodi. Gli altri, dei quali non
so la patria, sono Androzione (45), Eserione (46),
Aristomene, Atenagora, Crate, Dadis, Dionisio,
Eufitone, Euforione (47), Eubolo, Lisimaco (48),
Mnasea ^ 9)i Meneatrato, P leu tifane, Persi, Teo
filo. Tutti questi, che ho nominati, hanno scritto
in prosa. Altri hanno pure trattato le medesime
cose, ma in verso, come Esiodo d' As cr a( 5o) e
Menecrate di Efeso. Magone Cartaginese (5i) ha
superato tutti gli anzidetti nella fama, per aver
ridotto a ventotto libri, scritti in lingua punica,
quanto erasi detto avanti di loi : i quali libri
sono stati tradotti in greco e ridotti a venti libri
da Cassio Dionisio d' Utioa, e da questo poi spe
dili al pretore (52) Sestilio. In questi volumi vi si
trovano aggiunte uon poche cose estratte dai libri
greci di quelli che teste ho nominati, e dall' ope
ra di Magone lev via quanto agguaglia otto libri.
Diofane di Bilinia ha ridotto utilmente (53) a sei
questi stessi libri, e gli spedi al re Deiotaro (54).
Laonde per esser pi breve sul medesimo argo
mento, mi sforzer di esporlo in tre libri : il pri
mo de quali tratter sopra l ' agricoltura, il se-
coudo verser sol bestiame, e il terzo si aggirer
sui pascoli villerecci. In questo primo libro omet
ter quanto io credo che non appartenga alPagri
coli ara (55). Pertanto mostrer primieramente
quanto d ' uopo segregar dall* agricoltura, del
quale poi ne parler altrove, seguendo le divisio
ni le pi naturali. Tutto quello che io dir, o
sar dedotto da quanto io medesimo ho osservato
nel coltivar le mie terre, o sar il risultato di
quello che ho letto, o di quanto ho adito dagli
uomini periti.
---- ----
CAPITOLO n
Q u a l i c o s e sono d a s b p a b a b s i d a l l ' a g b t c o l t u b a .
Nelle feste delle sementi () entrai nel tempio
della Terra, cos pregato dal sagrestano, che i
nostri padri ci hanno insegnato di chiamar col
446
DE RE RUSTICA UB. I.
ab aedituo. Offendi ibi G. Fundanium socerum
menni, et C. Agrium equitem R. socraticum, et
P. Agrasium publicanum, spectantes ia pariete
pictam Italiam, Quid vos hic, inquam, nara fe
riae sementivae otiosos huc adduxerunt, ut pa
tres et avos solebant nostros ? Nos vero ( in
quit Agrius), ut arbitror, eadem causa, quae te,
rogatio aeditimi. Itaque si ita est, ut annuis, mo
rere oportet nobiscum, dum ille revertatur. Nam
accersitus ad aedile, cujui procuratio hujus tem
pli est, nondum rediit, et nos, ut expectaremus
se, reliquit qui rogaret. Vultis igitur interea
vetus proverbium, quod est, Romanus sedendo
vincit, usurpemus, dum ille venit? Sane, inquit
Agrius; et simul cogitans, portam itineri dici lon*
gissimam esse, ad subsellia sequentibus nobis
proccdit.
447
Cmn consedissetnns, Agrtsius : Vos, qai mul
tas perambulasti terras, ecquam cultiorem Ita
lia vidistis? inquit. Ego vero, Agrios, nullam
arbit ror esse, quae tam tota sit culta. Primum
cum orbis terrae divisus sil in duas partes ab
Eratosthene, maxime secundum naturam ad me
ridiem versus, et ad septentriones : et sine dubio
quoniam salnbrior pars septentrionali* est, quam
meridiana ; et quae salubriora, illa fructuosiora :
dicendum magis eam fuisse opportunam ad co
lendum quam Asiam, ibique Italiam ; primum
quod est in Europa : secundo, quod haec tempe
rati or pars est, qnam interior ; nam intus pene
sempiternae hyeme*, neque mirum, quod sunt
regiones inter circulum septentrionalem, et inler
cardinem coeli, ubi sol etiam sex mensibus cou-
tinuis non videtur : itaque in oceano in ea parte
lie navigari quidem posse dicunt propter mare
congelatum. Fundanius. Em ibi tu quicquam
nasci putas posse, aut coli natura ? Verum enim
est illud Pacuvii : Sol si perpeiuo sit, aut nox,
flammeo vapore, aul frigore, lerrae fmclus om
nes interire. L"o hic, ubi nox et dies modice
redit el abit, tamen aestivo die, si non diffinde
rem meo insitilio somno meridie, vivere uou
possem : illic in semestri die, aut nocte, quemad
modum quicquam seri, aut alescere, aut meti
possit? Contra quid in Italia utensile non modo
uon nascitur, sed etiam non egregium fit ? quod
far conteram Campano ? quod trilicum Appulo ?
quod vinum Fal u. o? quod^oleum Venafro? Non
nome Jtdilimus (a), e che i moderni cittadini d
dicono di nominar Aedituo. Ivi m ' imbattei i n
C. Fundanio mio suocero, nel socratico C. Ag r i o
cava lier Romano (3) e in P. Agrasio pubblica
no (4)> * quali guardivano l' Ital ia dipinta s u l l a
pareie (5). Che fate voi qui ? (6) dissi loro. F o r s e
che vi chiamarono a goder di quest' ozio le fest a
delle sementi, in quella guisa che solevano i n o
stri padri e nostri avi ? Noi ( rispose Agrio ), come
io penso, siam venuti qui per quella causa p e r
cui tu vi sei, cio perch cos pregati dal sagre
stano. Dunque se cos , come fai cenno col capo,
bisogna che tu resti con noi fino a che esso r i t o r
ni ; imperciocch essendo stato chiamilo dall' e -
dile, che ha la soprantendeoza di questo tempio,
non ancora ritornato ; e lasci chi ci pregasse,
onde l'aspettassimo. Volete dunque,lo dissi loro,
che, fino a tanto che ritorna, ci Appropriamo
quell'antico proverbio, il qual , che il Romano
Vince sedendo ? (7) Ben volentieri, disse Agrio ;
e in questo ne ut r e facendo riflessione che le ce-
remonie consumano pi tempo a passar per una
porta di qoello che s'impiega nella strada, oude
giungervi (8), s' avvi a dirittura verso i banchi,
e noi il seguimmo.
Seduti che fummo, Agrasio disse ; Voi, che
avete corsi molli paesi, ne vedeste per avven
tura uno, che fosse pi coltivalo dell' Italia ? (9)
Quanto a me, rispose Agrio, penso non esser-
vene alcuno, il quale in tutte le sue parli sia si
bene coltivato. Primieramente essendo stata di
visa la terra in due parti da Eratostene (10),
una delle quali, conformemente all' ordine na
turale, volta al mezzod, e l ' al t ra a etton
i none ; e poich senz' alcun dubbio la parte set
tentrionale pi salubre della meridionale, e
poich i luoghi pi salubri, sono anche i pi
fruttiferi ( n ) ; quindi da dirsi che la parte
settentrionale quella eh' pi iu i' tato di esser
coltivata, che l ' Asi a; e cbe l ' Italia, qual con
trada settentrionale, quella che maggiormente
gode quest1avvantaggio : primieramente perch
in Europa ; iu secondo luogo perch la parte
pi temperata dell' iulerua ; imperciocch nel
l ' int erno dell1Europa vi quasi un conti nuo
inverno. N ci deve recar maraviglia per esser
questi paesi tra il circolo settentrionale e il po
lo (a), ove il sole uon si vede per lo spazio di
sei mesi conlioui ; e perci dicono cbe non si pu
uavigare nemmeno sull' oceano verso quelle
regioni per essere il mare agghiaccialo. Funda
nio. Pensi tu cbe in questo paese possa nascer
alcuna pianta, o che naia si possa coltivare ? ( i 3)
essendoch vei\> quel che disse Pacuvio (i^),
cio, che ove il sole, o la nolte conlinua, ivi
muoiono t uti' i frulli dell# terra, sia pel troppo
4*
M. TERENTII VARRONIS
449
DE RE RUSTICA L1B. I.
45*
arboribus oonsiu Italia est, ot tota pomtrieni
videatur? An Phrygia mtgis ritibus cooperit;
quam Homerus appellat dfunXotaretvi quatti
haec? t o l Argos, quod ideai pota *o9U/Vityar? Ia
qua terra jugerum unum denos, et qnraoi denos
culleos fert rioi, qK quaedam m Italia regfones ?
n non M. Cato soribit in libre Originum sie t
ager Gallioos Romanas voettar* qai virttitn cis
Ariminum dttueet ultra agrum Pieentium? in eo
agro aliquotfariam in singula jo g radena culle
vini fiant? Nonne item In agro Fareutino, t quo
ibi trecenariae appellantur rites, qnod jugerum
treceoas amphoras reddat ? Simul aspieit me :
Certe, inquit, L. Martin praefectus fcbrom tuus
i n fando tuo Favea lite hanc maltitodinera diee-
b a t t u t t reddere viles. Duo in primis spectasse
vi dent ur IUlici homipee ooleodo, poasentne fru
ctus pro impeott t e labore redire, et atrum sa
l uber locos esset an non ? quornm si alterutrum
decollat, et nihilominus quis vult colere, mente
est captus, atque ad agnatos et gentiles est dedu
cendus. Nemo eaim sanus debet felle impensa na
t c sumptum faoere in culturam, si ridet non
posse refici: nec,si potest reficere fructu, si f i
det eos fore, ut pestilentia dispereant. Sed, opi
nor , qui haec commodius ostendere possint, ad>
annt. Nam C. Licinium Stolonem, et Cn. Tremet-
l ium Scrofam video ventre, unum cuja majores
de modo agri legem tulerunt. Nam Stolonis illa
lex, quae veteat pia n j agert habere citem R.
et qoi propter diligentiam culturte Stolonum
eonfirmtril cognomen, qnod nnllus in ejus fundo
reperiri poterat stolo, quod effodiebat 01 ream
arbores, e radicibus, quae ntscerentur e solo,
quos stolones appellabant. Ejusdem gentis C. Li
cinius, tribunus pleb. cum esset, post reges exa-
ctos tnnis c c c l x v , primus populum t d leges t c-
cipiuodas io septem jugera forensia, e comitio
eduxit. Alterum collegam tnora, xx f i r qui fuit
ad agrosdifidundos Campanos, rideo bue renire,
Cn. Treraellium Serofrra, Tirana omnibus r i rtu-
tibus polituro, qui de agricoltura Romanus pe-
ritissimus existimatur. An non jure, inqoam ?
Fundi enim ejus propter culturam jucutidiore
tpectaculo sunt multis, quam regie polita aedifi
cia aliorum, cura hujns spectatura veniant filias,
non ut apud Lucullum, ut r i det nt , pioacothecas,
ted oporothecas. Hujusce, inquam, pomaria sum
ma Sacra Vie, ubi pomt veneunt, contrt tuream
imtginem.
caldo, sit pel troppo freddo ( i 5). Se io sttndo-
mene in questo ptese, ore il giorno e It notte
tono mediocremente lunghi, e si succedono t l t e r -
nativamente, non potrei virere (16), quando bene
in tempo di estate non diridessi il giorno a mez
zod, intramettendofi il sonno (17); come mti
in que1paesi, ne*quali il giorno dura sei mesi (18),
si potrebbe semioar alcuna biada, farla crescere
e mieterla? E per contrario qual pianta fruttife
ra in ltalit non solo vi nasce e non vi di r ent t
tncor t eccellente ? Qual farro paragoner a quel
lo della Campania? qual fermento al Pugliese?
qual vioo a que) di Falerno ? e qual olio para
goner a quello di Yenafro ? (19) Non l ' Italia
piantata d' alberi in guisa, che tutta sembra un
giardino? Forse la Frigia, cbe Omero chiamt
rinoia (ao), pi coperte di fili dell Italia? or-
vero Argo, che dal medesimo poeta chiamato
fertile in biade, It supert ( ai)? In qual parte di
mondo un iogero di terre produce dieci ed an
che quindici cullei di fino, come fanno alcnni
paesi d' I t al i a? Forte che Marco Catone nel libro
delle Origini non iscrive nel seguente modo : Si
chiamt terre Gallo-Romana quella che trorasi tra
Rimini e il Piceno (aa), e eh1 stalt ripartita
sopra ogni testa di soldato (a3): ort in questa
estensione di terreno ecceduto alcuna volta che
ogni iugero abbia prodotto dieci cullei di vino(a4)?
Non egli vero altres che nel terreno Faentino
ogni iugero rende trecento anfore di vino, e che
per questo ivi le fili si chiamano trecento (a5)?
E ci diceudo rivolte gli occhi a me, e soggiunse :
Egli certo che il tuo amico Libo Marzio (a6)
soprantendente agli artefici, Mie ri va che le sue
vigne piantate nel suo terreno Faentino gli ren
devano trecento anfore per ogni iugero; Sembra
che gl Italiani non si sieno dati alla cottura di un
terreno* se non fi concorrevano prima questi
due oggetti ; cio, guardavano se i fratti com
pensavano le spese e le fatiche, e se il luogo era
sano, o no. Se uno, di questi oggetti manca (37),
e se non ostante alcuno vuole coltivar quella
terra, qual mentecatto deve mettersi sotto la tu
tela degli agnati (28) ; imperocch non vi alcuno
di sana mente, il quale debb* e foglia far neppur
la minima spesa nella coltivazione di quello terra,
se non quando fede che pu esserne compensato :
e ancorch la raccollt dei frulli fojse tale da* ri
sarcirlo (29), non dere incontrare alcuna jpes,
se vede che i frutti corrono il pericolo di morire
pel luogo pestilenziale. Ma ecco che qui si pre
sentano soggetti, i quali, per quel che io ne pen
so, saranno pi al caso di provar queste cose ;
imperciocch io reggo reoire C. Licinio Stolone
e Co. Tremellio Scrofa, l ' uno dei quali conta
tra i suoi t r i l 1tutore di unt delle leggi, cbe ht
45i M. TERENTII V AREO MS 45*
Illi interea ad noi. E t Stolo : Nora coena
corneti! inquit, venimus? nam non L. videmus
Fundi l i um, qui nos advocavit. Booo animo
ette, inquit Agrius. Nam non modo oram il-
l ad ta bla t ora est, quod ludit circentibus no rit
ti mi curricoli finem facit quadrigis, ted ne illud
quidem ovum vidimus, quod in oeriali pompa
aolet ette primum. Itaque dum id nobiscum nna
videat it, ac venit aedi limus, docete not, agricul
tura quam t uomam habeat,utilitatemne, an vo
luptatem, an utrumqne ; ad te enim rudem este
agriculturae nunc, oli m ad Stolonem fuitte dicunt.
Scrofa: Priut,inquit, diteemendum, atram qnae
aerantur in agro,ea tola t i n t i n cultura, an etiam
qnae inducantur in r ura, nt oves, et armen
ta. Video enim qui de agricultura teripserunt,
et poenice, et graece, et latine, latina vagatos,
quam oportuerit. Ego Tero, inquit Stolo, eot non
in omni re imitando! arbitror, et eo melius fe
d i t e quosdam, qui minore pomerio finierunt,
exclusis partibus, qnae non pertinent ad hanc
rem. Quare tota pallio, quae conjungitur a ple-
ritque cum agricoltura, magis ad paitorem,qoam
regolato la misura delle terre : di fatti qacUa
legga di Stolone (3o), la quale proibisce c h e
ogni cittadino Romano possegga pi di c i nque
cento inger di terra (3i), ed egli ha latto c h e
per la ina diligenza nella coltivazione, acquistas
sero i suoi discendenti il soprannome di Stolo
ni (3a), perch nel sue terreno non si p o t e r
giammai trovare aloono stolone, essendoch egli
estirpava attorno gli alberi latte l radici che
foster nate in terra a pi dei medesimi, e le quali
si chiamavano stoloni. C< Licinio, ano de1 mag
giori del nostro Stolone (33), essendo t r i buoe
della plebe (34)i trecento sestantacinqoe anni dopa
l'espulsione dei re (35), fa il primo che eaaan
il plebiscito, in vigor del qual*il popolo ricevette
la legge di non posseder pi di sette ingeri per
testa (36). Vedo avviarti a questa parte il t ao col
lega Tremellio Scrofa, il qual fu ano de venti viri
destinati alla distribuzione delle terre della Cam
pania (37), nomo adorno di tutte le virt, e quegli
che t r a i Romani si giudica il pi perito nclPa
gricoltnra (38). Forse che qaesta riputazione,
rispondo io, non la gode per giutlo titolo? po*>
sciach le sue terre s bene coltivale offrono a
molli ano spettacolo pi grato di quello che
loro presenterebbero gli edifiiii ornali regalmen
te degli altri : e tanto pi, poich eglino si por
tano a veder le sue ville per ammirare in este
non gi, come in quelle di Lucallo (39), le gal
lerie, ma beati i granai. Aggiungo inoltre che i
pometi di questo sono situali in fondo alla Via
Sacra (4o), ove le frotta si vendono a peso d ' o-
r o (4i).
In questo frattempo ti avvicinano a noi;
e Stolone ci dice: Arriviamo noi forse a sena
terminata ? imperocch qui non veggiamo L.
Fnndilio (4a), che c invit. Siate tranquilli, disse
Agrio, posciach non tolo ti levato quell* no
vo (43), che ne' giuochi circensi indica il fine
della corta delle quadrighe, ma non abbiamo
veduto ancora quell* uovo, che snoie esser il pri
mo nei banchetti delle feste cereali (44)* Sicch
frattanto che stiamo attendendo la comparsa del-
T novo (45) e fino a che sis di ritorno il sagre-
stano, intlruileci intorno l agricoltura, e diteci
se sia'pi pregevole per la sua utilit, e pel dir
letto che ci porge, ovvero per l1aoa e per Va l
tra ; perch ti dice che tu ora delti le leggi del-
lf agricoltura, come una volta le dettava Stolo
ne (46). Primieramente, dice Scrofd, bisogna di
stinguere, te solo quelle cote che t* introducono
nel teno della terra, appartengano all1agricoltu
ra, ovvero te questo nome abbracci ancor quelle
che si conducono dentro la villa, come le pecore
e gli armenti; perch ostervo che quelli, i quali
hanno tcritto di agricoltura, tanto in lingua p-
453 DE RE RUSTICA UB. I. 454
ad agrieolam perlinere ridetor. Qoocirea princi
pe s, qoiatriquerei praeponuntor, Tocabolisqao*
qoe tuoi diverti, qnod unas vocator vilicus, al-
ter magister pecoris. Vilicus agri colendi eaosa
constitutus, atque appellata* a villa qnod ab eo
io eam convehuntur fractas, e t evehantur, cam
veneunt : a quo nati ci etiam nono quoque Tram,
veam appellant, propter vecturas, et vellam non
villam, qao vehant, et onde vehant Item dican
tor, qui vectaris vi vaut, rellaturam facere. Certe,
i nqai t Fundania, aliud [pastio, et aliud agricul
t ur a, sed affinis : at ut dester tibia alia quam
sinistra, ita ut tamen sit quodam modo conjun
cta, quod est altera ejusdem etrmibli modorum
iaoaotiva* altera s u o Mt i f i . Et quidem lioet adji
cias, inqoam, pastorum vitam Me incentivam,
agricolarum succentivam, auctore dottissimo ho
mine Dicasa sobo, qai Graeciae Titi qualis fuerit
ab initio nobis ostendit, a t superioribus tempori
bus fuisse doceat, cum homines pastoriciam rrtanf
agerent, neqoc i cireat etiam *arare terram, aut
serere arbore, aut putare ; ab bis inferiore grada
aetatis' susceptam agriculturam. Quocirca et suc
cinit pastorali, qood est inferior, ut tibia sinistra
a dextrae foraminibus. Agrius : Tu, inqait, tibi
cen non solam adtmis domino pecus, sed etiam
servis peculium, quibus domini dant, nt pa
scant, atque etiam leges oolonIcas toRIs, In qui-
bu* scribimus: Cd o n n r t n agro snrcnliirio ne ca-
pra natnm pattai : qaas ethim astrologia h1 coe
lum recepit, non longe ab Tauro. Cui Fundanius:
Vide, inquit, ne Agri, istftc *Tt ab hoc, conr h*
legibus etiamscribataTpecttsqnoddaid. Quaedam
evrim pecu des culturae sunt inimica, ac'Veneno, irt
istae, qoas dixisti, caprae: eaeetiinr omnia novel
la sata carpendo corrumpant, non minimum
viles alqae oleas. Itaque propterea institntnm
diversa de causa, vt x caprina gnere ad alii dei
aram bostia adduoeretur, ad alii non sacrifteare-
i or, cum ab eodem odio alter videre nollet, alter
etiam ridere* pereuntem velleL Sic factum, ut
Libero patri repertori viti hirci immolarentur,
proinde ut capite darent poewas ; con Ira, ut Mi
nervae caprini generis nihil immolarent, propter
oleam, quod eam, quam laeserit, fieri dveunt ste
rilem: ejuf enim salivam esse fractuis venenum.
( Licinius,) hoc nomine etiam Athenis in arcem
non inigi, praeterquam seme! ad necessariam
sacrificium, ne arbor olea, qaae primam dicitar
ibi nata, a capra tangi possit: Nec aliae, inquam,
pecudes agricoltnrae sunt proprie, nisi quae
agrum opere, quo cultior sit, adjuvare, ut eae,
quae janctae arare possunt. Agrasius : Si stne ila
est, inquit, quomodo pecus removeri potest ab
agro, cum stercus, quod plorimum prodest, gre
ges pecorum ministrent ? Sic, inquit Agrias, ve-
nica, quanto ud* Idioma greco e latino, P hanno
estesa pi di qoello eV era mestieri. Io poi, dico
Stolone, sono di parer* cbe quegli autori non si
debbano imitar in tutto, e che meglio hanno
operato certuni, circonscrvendosi e limitandosi
certi dati oggetti, escludendo da questa mate
ria quelli che non r i appartengono. Laonde tutto
M che spetta ai pascoli, e che da parecchi si as
sociano all' agricoltura, sembra piottosto appar
tenere al pastore che all1agricoltore. Quindi
quelli che si fanno soprastanti a questi due og
getti, hanno del pari diverso nome, perch uno
si chiama castaido, e 1 altro maestro del bestia
me, o pastore. 11 castalda quello eh1 destinato
a coltivare il terreno, e trae la sua denominatione
dalla villa (47), perch da lui si oonducono den
tro la medesima i frutti (48), e dal medesimo sa
trasportano fuori, quando si vendono. Per lo che
i contadini anche oggid chiamano vea la strada,
e d in grazia delle retture ; e dicono altres
velia non pilla il luogo, in cui conducono i frutti,
e da cui gli estraggono (49) ) e per la stessa ra
gione quelli che vivono vettureggiando, si dice
che fanno la vellatura. Egli il vero, dice Fun
danio, che altro il pascolo, e altro l agricoltura,
quantunque 1*uno coll* altra abbia dell1affinit;
a un dipresso come il destro flauto differisce dal
sinistro (5o), ma in modo per che ambidue sono
in certa guisa coagiunti, cosicch V uno nel me
desimo pezzo di musica fa il primo, e I1altro il
secondo. E tu poi aggiungere aUres, gli dissi,
che la vita dei pastori corrisponde al primo flau
to, e quella degli agricoltori al secondo, giusta
la testimonianza del dottissimo Dicearco (5i), il
qoale dimostrandoci qua) genere di vita siasi
condotto nei primi tempi della Grecia, c insegna
che a que1tempi gli uomini menavano una vita
da put or i, c cbe non sapevano arar la terra, n
tampoco piantar gli alberi, n potarli, e cbe sol
tanto ne* tempi inferiori a qoelli si data mano
all1agricoltura. Laonde poich Vagricoltura
posteriore alla vita pastorale, cos quella subor
dinata a questa, come il flsuto sinistro subor
dinato al destro (5a). Col metter tu in campo,
dice Agrio, il sonatore di flauto, non solo togli
al proprietario di aver del bestiame, ma aocora
ne privi i servi, ai quali lo accordano non pure i
padroni, onde lo facciano pascolare, per quindi
ritrarne del peculio, come altres le leggi relativo
ai castaidi (le quali ta in cotal modo logli ), nella
qnali trovasi scritto : I l castaido non condurr
allora a pascolar le capre nel terreno piaatsto di
germogli (53), le quali anche 1*astrologia le ha
collocate nel cielo non lungi dal Toro (54). w
Guarda bene, o Agrio, gli rispose Fnndanio, t h
dal tuo discorso non s inferisca, cos trovandosi
paUora greges dicemus agriculturam ette, ti pro
pier isUm rem habendam statuerimus. Sed error,
hinc, quod pecui in agro esse potest, et fructns
non in agro f^rre : quod non seqaendam. Nam
sic etiam res aliae diversae ab agro erunt osso-
mendae: ut si habeas piares in fando .textores,
Qtqae insti latos histonas, sic alios artifices. Scro
fa : Dij ungamus i git or, inquit, pastionem a coltura,
e t si qnis quid volt aliad.
455
Anne ego, iaqaam, sequar Sasernarum patris
et filii libros ? ac magis putem perlinere, figlinas
quemadmodum exerceri oporteat, qaam argenti
fodioas, aut alia et alia metalla, quae sine dubio in
aljqno agro fiunt? Sed at oeqae lapicidinae, oeqoe
arenariae ad agriculturam perlinent, sic figlinae :
scritto nelle leggi* che ogni pascolo proibita ( 5 5 ).
Egli k il vero eh* alcane specie di bestiame s o n o
il flagello e il veleno della collora, come lo c a p r e
che hai nominata ; posdacfc queste col loro d e n
te distruggono i novelli germogli, come lo v i g a o
e gli olivi. E da qui veneto l'oso di i m m o l o r
gli animali della specie delle capre a quel tei d i o ,
e per oontrario di non immolarle a on tal a l t r o ;
0 ci per ragioni beo diverse, ma tratto l a t t e
egualmente dal medesimo principio d ' avversione
contro essi, in grazia di coi quel tal dio non vuol e
oemmeoo averli sotto i suoi occhi, e che tal a l t r o
ama di vedrli morire (56). Quindi n* v e n a t o
altres che al dio Bacco, il padre o l ' i nvent ore
della vigna, s immolano i capri, come qselli o h e
debbono perci pagar la pena eolia lotta, e che
per oontrario non ai sagrificano a Mioerva otti
mali di questa specie, per la ragione che qoano
le capre hanno addentato l ' ulivo* lo rendono
sterile, per qoello almeno, che se ne diee (5?),
poich la loro saliva on veleno per qoosti frotta
( Licinio (59) ) Per, Ul cagione pare anche i n
Atene non s'introduce la capra nel tempio (5^
se non se nna sola volta, qoando si in necessit
di sacrificarla, aeciocch dalla capra non ai poam
toccar l ' ulivo che dicesi aver avolo origine in
questa citt. Secondo la mia opinione non vi so
d o altre bestie pi proprie per l ' agricoltore (6o)
che qaelle le quali possono aiutare col loro lavoro
onde il terreno riesca pi coltivato (61), come
altres quelle che aggiogate possono arar la terra.
Se la faccenda cesi, dice Agrasio, come mai sfc
deve tener (ontano dal campo il bestiame, quando
il concime, che giova mollissimo alle terre, et
viene somministrato da quello? Per 1' istessa re
gione adunque, dice Agrio, diremo che anche
ooa troppa di schiavi (6a) costituisce ooa parto
dell' agricoltura, se giudicheremo a proposito di
trarne la medesima utilit. Ma il tuo errore naaeo
da qui, che nella tenuta vi pe esser bestiame,
qoantonqoe non serva alla coltivauone, e non
ostaule essere olile alla tenota io generale (63) ;
il che non da segoirsi ; perciocch per ano peri
ragione si potranno introdorre molte altre cose
assolutamente straniere al terreno, come per
esempio, se nella tenota stabilirai oo gran no
mer di tessitori, operai di drappi, e varii altri
artefici. Separiamo dunque, dice Scrofa, il pa
scolo del bestiame dall' agricoltura e tutto quello
che altri vorr che vi sia nel suo podere.
E vi sono altre cose ancora ? (64) Forse, io dico,
dovr seguire i libri deiSacerna padre c figlio(65)f
E penser forse, ugualmente che essi, esservi
maggior relazione tra l'agricoltura e l ' ar t e delio
stovigliaio, che tra quella e le miniere d argen
to (66), o Ira altra e altra miniera, come pure tra
4
M. TERENTI1 VARRONIS
DE AB RUSTICA L1B. I. 458
neque ideo non in quo af r o idoneo* possa ut esse,
( non ) exercendae atque ex eb capiundt fractos ;
a t etiam si ager secundam viam, ot opportunos
viatoribos locai, aedificandae tabernae diverto-
riae, quae tamen quamvis siol fructuosae nihilo
magis sunt agriculturae partes. Non enim si quis
propt er agrum, aut etiam in agro profectus do
mino agricallurae aoceptom referre debet, aed id
modo, quod ex satiooe terra sit nalum ad fruen-
dum. Suscipit Stolo : Tu, inquit, invides tanto
scriptori, et obstrigillandi causa figlinas repre
hendis, cum praeclara quaedam, ne laudes, prae
t ermittas, quae ad agriculturam vehementer per*
t ineant. Cum sobrisisset Scrofa, qood non igno
r a b a t libros, et despiciebat, et Agrasius se scire
modo putaret, ac Stolonem rogasse!, ot diceret,
coepit : Scribit cimices quemadmodum interfici
oporteat bis verbis. Cucumerem anguinum con
dito io aqoam, eamqoe iofundito quo voles, nulli
accedeot : tei fel bubulum cum aceto mixtum,
unguito lectum. Fundanius aspicitad Scrofam: Et
tamen vernm dicit, inquit, hic, ut hoe scripserit
in agricultura. Ille : Tam hercle quam hoc, si
quem glabrum facere velis, quod jubet ranam
luridam conjicere in aquam, usque quo ad ter
tiam partem decoxeris, eoque unguere corpus.
Ego quod magis, ioquam, pertineat ad Fundanii
valetudinem, et in eo libro est, talius dicam :
nam hujusce pedes solent dolere, et in fronte
contrahere rugas. Dic sodes, inquit Fundanius
nam malo de ineis pedibus audire, quam quemad*
modum pedes betaceos seri oporteat. Stolo subri
dens ; Dicam, inquit, eisdem, quibus ille verbis
scripsit, velTarquennam audivi. Cum homini pe
des dolere coepi>scnt, qui tui meminisset, ei me
deri posse. Ego lui memini, medere meis pedibus :
u terra pestem teoeto, salus hic maueto (in meis
pedibus), n Hoc ter novies cantare jubet, terram
Ungere, despuere, jejunum cantare. Multa, i n
quam, item alia miracula apud Sasernas invenies,
quae omnia sunt diversa ab agricultura, et ideo
repudianda. Quasi vero, inquam, noo apud cae-
teros quoque scriplores talia reperiantur. An
non in magni illius Catonis libro, qui de agri
cultura est editus, scripta sunt permulta similia?
ut haec, quemadmodum placentam facere opor
teat, quo pacto libum, qua ratione pernas sallire.
Illud non dicis, inquit Agrius, quod scribit : Si
elis in convivio multum bibere, coenareque li
beat er, ante esse oportet brassicam crudam ex
aceto, et post aliqua folia v.
--------
M. T&BK5U0 VsaaoNe
qualsivoglia altra cosa, le quali tutte si esegui
scono io qualche fondo (67) ? No ; e comech n
le cave di pietre, n quelle di arena non appar
tengono all agricoltura, cos nemmeno l ' a r t o
dello stovigliaio : n io son quello che voglia
bandir dal podere l ' esercirlo di quelle arti, ove
ci si possa fare comodamente, e che non voglia
che dalle medesime si ritragga dell' utile (68) ;
come nemmeno io voglio che essendo la tenuta
s i t i l a presso la strada e in luogo opportuno pei
viaggiatori, ivi non si fabbrichino osterie, le
quali per quantunque dieno dell' utile, non per
questo si pu dire che sieoo parti dell' agricol
tura. Imperciocch non deve dirsi che quel pro
fitto, che ne ritrae il proprietario a motivo della
sua tenuta, o ancora nella stessa tenota, appar
tenga all'agricoltura (69), ma quello solamente
potr godere il proprietario come appartenente
all'agricoltura, che la terra avr prodollo, dopo
essere siala semioata (70). Stolone prendendo la
parola (71), Tu, dice, porti invidia a un tanto
scrittore, e per uno spirito di critica il riprendi
sull'argomento delle stoviglie, e per non aver mo
tivo di lodarlo, passi sotto sileozio parecchie eccel
lenti cose che appartengono strettamente all* a-
gricoltura. Scrofa avendo sorriso, perch non
ignorava qoantb contenevano q u e ' libri, ma H
dispregiava (72) ; e Agrasio, che pensava di es
serne ugualmente instruito, avendo pregato Sto-
loue, acciocch parlasse, cos cominci a dire :
L' autore d la maniera di ammanare i cimici
nel seguente modo : Riponi del cocomero selvag
gio nell' acqua, e spargendola ove tu vorrai, ivi
noo si accosteranno pi i cimici : ovvero col fiele
bovino (7S) misto all' aceto frega il letto. Funda
nio guarda Scrofa, e gli disse : Egli il vero
quanto asserisce di quest' autore, cio che questo
metodo si trovi nella sua agricoltura (74) ? S in
verit, risponde Scrofa, com' vero altres che,
se tu vorrai render liscio e depelare ateuno, egli
prescrive d' immerger nell'acqua una rana ver
de, farvela cuocere sioo a che svaporino due
terze parti, e con quanto rimane ungerli il cor
po. Quanto a me, cos soggiunsi, dir pi volen
tieri quel che riguarda la maggior salute di Fun
danio, e che trovasi in questo libro; perciocch i
suoi piedi sogliono a motivo del dolore produr
gli delle rughe sul volto (75). Dillo tosto, se
niente v' che l ' impedisca, dice Fundanio ; per
ch amo pi volentieri senlir ragionare de' miei
piedi, che apprendere come vadano piantali i
piedi di bietola. Stolone sogghigoando: Lo dir,
disse, colle medesime parole scritte dall' autore,
e che udii pronunziarsi anche da Tarquenna (;G).
Clii si ricorda di te, vale a medicar i piedi do
lenti dell'uomo; poich adunque io mi ricordo
M. TERENTII VARRONIS 4 6o
CAPUT m
13t i A l l SIT AOltCOLTDAA.
Igi tar, inquit Agrafias, quae dijaugendi es-
fent a callara cajusmodi sint, quoniam discre-
tam, de iis rebas dicendam, qoae scientia sit, et
quid in colendo nos docet, ars an sit, an qaid
aliod et a quibus carceribas decnrrat ad metas.
Stolo cum aspexisset Scrofam: Ta, inquit, et ae-
tate, et honore, et scientia quod praestas, dicere
debes. Ille non gravatus : Primum, inquit, non
modo est ars, sed etiam necessaria ac magna: ea-
qae est scientia, qaae dooel, quae sint in quoquo
agro serunda ac faciunda, quaeque terra maximos
perpetuo reddat fractus.
CAPUT IV
Q u a s a o e i c u l t u b a b s i h t p b i u c t p i a b t rins.
Ejas principia sunt eadem, quae mnndi esse
Ennius scribit, aqua, terra, anima et sol. Haeo
enim cognoscenda prius, quam jacias semina,
qaod initium frucluam oritur. Hinc profecti agri-
aolae ad duas metas dirigere debent, ad utilit*
di te, raglio altres t medicare i piedi (77). a T e r r a
tienli il malanno, la sanit qui rimanga (78). w
Egli comanda ohe ventisette volte si dicano q u e
ste parole, che si tocchi la terra, che si spuli, a
che quell* incanto si faccia a stomaco digiuno (79).
Parimente, dico (80), molti altri secreti ri troverai
nei Saserne, quali tutti non* hanno alcuna r e l a
tione coll*agricoltura, e perci da rigettarsi.
Quasi che, io dico, simili cose (81) non si d o r a s
sero ancora negli altri scrittori. Forse cbe io q u e l
libro, che il gran Catone pubblic inlorno lagri
coltura, non si trovano scritte mollissime cose di
tal natura, come le seguenti : in qual maniera
convenga far la placenta (8a), in qual guisa il li
bo, come siasi da salare il prosciutto. Tu tralasci
di accennare, dice Agrio, quanto prescriva i o
altro luogo : Se tu vorrai in un banchetto b e r e r
molto e mangiar con appetito, bisogna mangiar
prima del cavolo crudo coll* aceto, e dopo il
pranxo mangiarne all' incirca cinque foglie.
-----
CAPITOLO in
Il QUAL MAOTBIA L* AQ&ICOLTUTA U AETB.
Poich adunque, dice Agrasio, si sono disgre
gate quelle cose che debbonri distinguere dalla
coltura, e poich si sono individuate ; chi c* in
fl uisce di quelle eose che sono necessarie a sa
persi nella coltivazione (1)? E desia un* arte, o
tutt' altro che arte, e da quali principii prende
le mosse, onde giugnere al suo scopo ? Stolone
avendo rivolto gli occhi a Scrofa : Tu, dice, devi
dircele, come quello che e per I* et, e per il po
sto che occupi, e per sapere sei superiore a tut
ti (a). Egli niente offeso di ci : Primieramente,
dice, Vagricoltura non solo un' arte, ma ancora
un' arte necessariae molto estesa : e dessa le
scienza di quelle cose che noi dobbiamo semina
re, e di quello eh' da farsi in qualunque ter
reno, e che dimostra da qual terra noi possiamo
trarre pi copiosi frutti (3).
CAPITOLO IV
Q u a l i sono 1 r a m a r r i b 1f i s i d b l l ' a g r i c o l t u b a .
I principii dell'agricoltura sono quegli stessi
che Eonio (1) scrive esser del mondo, cio l ' a
cqua, la terra, l' ari a e il fuoco: laonde questi ai
debbono prima conoscere, avauti che si spargane
le semenze, per esser queste i principii dei frulli
46 i DE HE RC3T1CA LIB. I.
t e a el tolapUtem. Utilitas quaerit froctum, vo-
lapta delectationem. Priore parte agit qnod
ut il e est, qaam qood delectat. Neo non ea quae
fa ciao t (cultori) honestiorem agrom, pleraque
non solum fructuosiorem euodem faciunt, ut
cum io ordinem sont consita arbusta atqne oli
veta, sed ellam vendibiliorem, atqoe adjiciunt
ad fondi preliam : nemo enim eadem olili tate
non formosius qood est, emere mavalt pluris,
quam si est fructuosos turpis. Utilissimus aotem
i ager qui salubrior est, quam alii, qood ibi
fructus certus : contra quod in pestilenti, calami
tas, quamvis io feraci agro, colonam ad fructus
pervenire non patitor. Etenim ubi ratio cam orco
habet or, ibi non modo fractus est incertos, sed
etiam colentium vita. Quare abi salubritas non
est, coltura non aliad est, atqae lea domici vi
tae, ao rei familiaris.
Nec haeo non diminnitnr adentia : ita enim
salubritas, qaae ducitur e coelo ac terra, non
est in nostra potestate, sed in natorae; ot ta
men multam sit in nobis, qaod graviora quae
snnt, ea diligentia leviora facere posiamo. Et
enim si propter terram, aat aquam, odoremve,
quem aliquo loco eructat, pestilentior est fun
dos, aat propter coeli regionem ager calidior
ait, aut vento non bonus flet; haec vitia emen
dari solent domini scientia ac sumptu: quod
permagoi interest, obi sint positae villae, quan
tae sint, quo spectent, porticibus, ostiis ac fe
nestris. An non ille Hippocrates medicus in ma
gna pestilentia, non unum agrum, sed multa op
pida scientia servavit? Sed quid ego illum voco
ad testimooiom? Non hic Varro noster, cam
Corcyrae esset exercito ae classis, et omnes do
mos repletae essent aegrotis ac faneribos, im
misso fenestris novi aquilone, et obstructis pe
stilentibus, janoaque permotata, caeteraqoe ejus
generis diligentia, soos oomites ac familiam in
coiarne redaxil ?
-----
da raccogliersi (a). Quindi gli agricoltori parten
dosi dalla cognizione di questi principii, debbono
diriger in progresso i lorostndii verso due scopi,
all' utilit e al diletto: V utilit va in cerca dei
frutti, e il diletto del piacere. Quello eh' utile,
deve primeggiare sopra il diletto, come altres
debbono anteporsi qnell cose che rendono pi
bello il terreno (3), parecchie delle quali non solo
reodono pi frolli fero il terreno, come aocade
quando gli olivi e gli altri alberi sono pian
tati con ordine; ma ancora fanno s che sia
pi facile a venderti, e che dalla teouta st ritrag
ga on maggior prezzo. Imperciocch non v'
alcooo, il quale, Ira doe poderi che sono ngaal -
mente utili, non ami di comperare a pi caro
prezzo quello e h ' di bell' aspetto, che quello il
quale ha una catti va apparenza (4). La tenuta poi
la pi olile quella eh' la pi sana, perch ivi il
prodotlo certo : per oontrario il fondo peslileo-
ziale, quantunque sia fertile, pieno di calamit,
e non lascia che il coltivatore giunga alla raccolta
dei frulli. Imperciocch dove mestieri lottar
colla morte, ivi non solo incerti sono i frutti, ma
mal sicura altres la vita dei coltivatori : laonde
ove non v ' sanit, la coltivazione non viene ad
esser altro che un rischio della vita del proprie-,
tario e della sua roba.
N a riparare a quesl' inoonveniente vale la
scienza (5) : cosi pure la salubrit locale, che
proviene dall' aria e dalla terra non in no
stro potere, ma dipende unicamente dalla na
tura (6). Non per altro che quegl' inconve
nienti, i quali sono i pi gravi, non si possano,
merc la nostra industria, render pi soppor*
tabili : imperciocch se il fondo pestilenziale
per la terra o per 1' acqua, o per 1' odore che
esala io qualche luogo, ovvero s' troppo caldo
in grazia del clima sotto il quale situato, ovvero
se ivi non soffiano buoni venti ; tutti questi ma
lanni si possono correggere dal proprietario, per.
mezzo della scienza e delle spese. dunque della
massima importanza che si esami i il paese, in
cui sono le tenute, la loro estensione e la loro
posizione relativamente ai portici, alle porte e
alle finestre. Forse che Ippocrate (7), quel gran
medico, non preserv colla sua scienza da ona
gran peste, non dico nn sol laogo, ma anche
molle altre citt ? Ma perch io vado in cerca di
straniere testimonianze ? 11 nostro Varrone qai
presente, non ha egli sapalo ricoodur sani e sal
vi i suoi compagni di viaggio e la sua famiglia
nel tempo che l'armata e la flotta erano a Corf,
quantunque ivi tutte le case fossero piene di am
malati e di cadaveri, facendo noove finestre, per
le quali potesse entrare il vento aquilonare, e
chiudendo quelle, per le qaali entrava I ana pe-
M. TERENflI VARRONIS
<64
CAPUT V
Q u o t v a i t b s h a b e a t d is c if l w a k c u l t o * a .
Sed quoniam agriculturae, quod esset initium
et finis dili, relinquitur quot partes ea [disciplina
habeat, a t sit videndum. Equidem innumerabi
les mihi videntur, inquit Agrius, cum lego libros
Theophrasti complures, qui inscribuntur, ptniiv
/fofictiy et alteri purtx** airiw. Stolo : Isti, in
quit, libri uoo tam idonei iis, qui agrum colere
volunt, quam qui scholas philosophorora : taeque
eo dico, quod non habeant et utilia, et commu
nia quaedam ; quapropter tu potius agriculturae
partes nobis expone. Scrofa : Agriculturae, in
quit, quatuor suat partes summae : e queis prima
cognitio fundi ; solum, partesque ejua quale*
sint : secunda, quae in eo fuudo opus sunt, ac de
beant esse culturae causa: lerlia, quae io eo prae
dio colendi causa sint faciunda : quarta, quo
quidque tempore in eo fundo fieri conveniat. De
his quatuor generibus singulae minimum in bi
nas dividuntur species ; quod habet prima ea,
quae ad solum pertinent terrae, et quae ad villas,
et stabula : secunda pars quae moveantur, atque
in fundo debeant esse culturae causa, est itero
bipartita : de hominibus, per qaos colendum, et
de reliquo instrumento : tertia pars quae de re
bus dividitur, quae ad qaamque rem sint prae
paranda, et ubi quaeque faciunda: quarta pars de
temporibus, quae ad solis circumitum annuum
fint referenda, et quae ad lunae raenslrnom cur
tum. De primis quatuor partibus priut dicam,
deinde subtilius de octo tecnndit.
tlilenztale, noti aha cangiando V apertura dell e
porte, a mettendo io opera altre diligente d i ai -
mil genere T
--- 0----
CAPITOLO V
Qearrfc aowo l i *AaTi d e l l 1a i t i agbabi a.
Dopo aver parlato dei principii e dei fini del-
T agrieoi tara, resta a dirsi di quante parti com
posta quest arte. Per verit mi sembrano innu
merabili, dice Agrio, quando io considero i molti
libri che ha eomposti Teofrasto, e che sono inti
tolali della Storia delle piante (i), e delle Cause
della vegetatione. Questi libri, dice Stolone, sono
pi utili per quelli che frequentano le scuole dei
filosofi, che per chi vuole coltivar la terra. N io
dico che (a) non contengano alcune cose utili, e
che alcune anche non possano giovare s agli uni,
che agli altri. Laonde tu piuttosto spiegaci le dif
ferenti parli dell1agricoltura. Quatlro sono, dice
Scrofa, le parti principali dell1agricoltore : delle
quali la prima la cognizione del terreno, cio
la cognizione del suolo e delle sue differenze. La
seconda la cognizione (3) di quanto fa mestieri Hi
on podere, onde sia coltivato. La terza la cogni
zione dei lavori, che sono da farsi per ben colti
var la tenuta. La quartale cognitione del tempo,
in cui debbonsi eseguire i lavori del podere.
Ognuna di queste quattro parti (4) fi suddivide
almeno in due altre. La prima parte ha di mira
non solo quanto riguarda le terre, ma ancora
quanto concerne le ville e le stalle.4 La seconda
parte che ha per oggetto le mobiglie, che deb
bono trovarsi in un fondo per la coltura, t i divi
de parimente in due parti ; la prima delle quali
comprende gli oomioi che servono alla coltive-
sione, e la seconda abbraccia gli attrezzi rurali
La terza parte, che si aggira sopra i lavori, ri n
chiude le preparazioni che si ricercano in ogni
lavoro, e la cognizione dei luoghi, ne' quali at
debbono fare. La quarta parte, che abbraocia i
tempi distinti ne1 quali sono da eseguirai i lavo
ri, comprende quello che sta in relazione al corto
annuo del sole, e al corao mestruo delia luna.
Dir primieramente delle quattro parti princi
pali, dippoi per minuto parler delle otto parti
seconde.
4G5 DE RE RUSTICA LIB. I.
46G
CAPUT VI
Da s o l o r m r o i q x j a b s t q o o t s n r r v i d b b d a .
Igitnr primum de solo fondi videndum haec
quatuor : quae sii forma, quo in genere terrae,
quanlus, quam per se tutus. Forma* com duo
genera sint, ooa qoam Datura dat, altera qoam
sationes imponant : prior, quod alius ager bene
natos, alios male ; posterior, qood alias fandus
bene consitas est, alius male : dicam prius de na
turali. Igitur cum tria genera siot a specie sim
plicia agrorum, campestre, collinum, et monta
num, et ex iis tribus quartum, ut in eo fundo,
in quo haec duo vel tria sunt, ut mallis locis licet
videri. E quibas tribus fastigiis simplicibus, sine
dubio infimis alia cultura aplior, qoam summis,
quod haec calidiora quam summa : sic collinis,
quod ea tepidiora quam infima, aut summa. Haec
apparent magis ita esie in lalioribus regionibus,
simplicia cum sunt. Itaque ubi lati campi, ibi
magis aestua. Et eo in Apulia loca calidiora ae
graviora. E t obi montana, ut in Vesuvio, quod
leviora, et ideo salubriora*
Qui colunt deorsam, magis aestate laborant ;
qui sursum, magis hierae : verno tempore in
ea u p e s tri bos maturius eadem illa ser ant ur ,
quam in superioribus: et celerius hic, quam
Ulic coguntor : oec non ursum, quam deorsum
tardius seruntur, ae metuntur. Quaedam in mon
tanis prolixiora nascuntur ac firmiora, propter
frigus, ut abietes ac sappini : hic, qood tepi
diora, populi ao salices : sursum fertiliora, at
arbutus ac quercus; deorsum, ot uucea grae-
ese ae mariscae fici. In coitibus humilibus so
cietas major cum campestri fructus, quam cum
montano : in altis contra. Propter haeo tria fa
stigia formae, discrimioa quaedam fiunt sationum,
quod segetes meliores existimantur esse campe
stres, vio eae collinae, silvae montanae : plerum
que hiberna iis esse meliora, qui colant campe
stria, qood tunc prata ibi herbosa, putatio arbo*
CAPITOLO VI
Q o a l i * QUAVTB cosa sono d a o s s k &v a &s i
IRTOENO IL SUOLO DBL FONDO
Dunque intorno il suolo del fondo sono da
esaminarsi queste quattro cose (i). Qual ia sua
forma, di qual natura la sua terra, quanto
esteso, e quanto sicuro in s stesso. Coraech
sono due le specie di forma, una delle quali vie
ne dalla natura, e 1 altra si procura per mezzo
delle piantagioni, perch in grazia della prima
un terreno di ottima qualit, uu altro di cat
tiva qaalit, e io grazia della seconda un foodo
beo piantato, e l ' al t r o malamente ; tratter per
ci prima della sua forma naturale. Poich dun
que vi sono tre generi di terre, che pi si acco
stano a quella specie di terra, eh' semplice (a),
cio le terre situate in pianura, sulle colline e sui
monti; havvi ancora un quarto genere misto, che
trovasi in quel fondo, ove si d ona mescolanza
di due o tre specie delle indicate terre, come si
pu vedere in molti luoghi. Tra questi tre ge
neri semplici, fuor di dubbio che la coltura, la
quale acconcia per le pianure, non conviene ai
luoghi elevati, per esser quelle pi calde di que
sti : del pari le colline, per esser tiepide, addi-
mandano quella coltivazione (3) che oon si ad
dice alle pianure ed ai monti. Queste differenze
si fanno pi manifeste nelle regioni pi estese,
soprattutto quando non vi sia nelle medesime
che terra di un sol genere. Sicch quanto pi
saranno estese le pianure, tanto maggiore sar
ivi il caldo ($). Per la qualcosa nella Puglia Paria
pi calda e pi grossa : e similmente ne' luoghi
montuosi, come sol monte Vesuvio, 1' aria pi
leggiera, e per conseguenza pi salubre.
Quelli checoltivanoi terreni bassi, soffrono pi
in tempo di esUte ; e per contrario maggiormente
patiscono in tempo d ' inverno quelli che coltivano
i luoghi montuosi (5). In tempo di primavera si
semina pi per tempo V islessa semente nelle
pianure che nei terreni elevati, e la raccolta si fa
pi presto io questi aitimi che in quelle : come
ancora si semina e si raccoglie pi o meno tardi
ne luoghi montuosi, in proporzione della loro
maggiore o minore altezza. Alcune piante che
nascono sulle monlsgoe, diventano pi lunghe e
pi solide pel maggior freddo, come sono gli
abeli ed i sapini : altri alberi non nascono che in
luoghi temperali, come sono i pioppi e i salci :
certuni non provano bene che nei terreni elevati,
come sono i corbtzoli e le querce ; qaaodo che
altri non alligoano che nelle terre basse, com'
il mandorlo e il figo inspido. Vi maggiore ana-
467 TERENTII VARRONIS 46*
rum tolerabilior. Contra aestiva montanis locis
commodiora, qaod ibi tum et pabulum mullum,
quod io campis aret : ac coitura arborum aptior,
qood tum illic frigidior aer. Campester locas is
melior, qni totos aequabiliter in uoara partem
vergit, quam is qui est ad libellam aequas, qaod
i t, cam aquae non babeot delapsum, fieri solet
uliginosus : eo magis si quis est inaequabilis, eo
delerior, quod fit propter lacunas aquosus. Haec
atque hujuscemodi tria fastigia agri ad colendum
dispariliter babent momentum.
CAPUT VII
Q n u i i t o v t u k u s , q u i s b t p e o x i m u s , e t q u i i
DBlSCBPS.
Stolo: Quod ad banc formam naturalem per
tinet, de eo non incommedeCato videtur dicere,
cum scribit optimam agrum esse, qui sub radice
montis situs sit, et spectet ad meridianam coeli
partem. Subjicit Scrofa: De formae cultura boo
dico, quae specie fiant venustiora, sequi, ut ma-
jore quoque fructu sint : ut qui babent arbusta,
i sata sunt io quincuncem, propter ordines at
que intervalla modica. Itaque majores nostri ex
arvo aeque magno, sed male consito, et mioos
mal tum, et minas bonum faciebant vinum et fru
mentum, qnod quae suo quidque loco sunt po
sita, ea minus loci occupant* et minas officit aliud
alii ab sole, ac luna, et vento. Hoc licet conjectu
ra videre ex aliquot rebos, ut noces integras,
qaas uno modio comprehendere possit, qaod
logia tra le fratta delle colline basse e quelle
delle pianure, che tra quelle delle montagne : i l
contrario accade nelle colline pi alte. In grazia
adunque di questi tre generi differenti di forma
naturale, hanno origine ancora le differenze che
si osservano nei prodotti delle seminagioni'e delle
piantagioni, essendoch le biade, che si raccol
gono nelle pianare, hanno rinomanza : cos pu r e
godono maggior fama le viti delle colline, e l e
foreste delle montagne. D* ordinario V inverno
il tempo il pi favorevole per quelli che colti
vano le pianure, perch esse allora hanno i pr ati
erbosi: cos il taglio degli alberi vi si pu ;fare
pi tollerabilmente in questa stagione. L' estate
per contrario pi awantaggioso (6) per quelli
che coltivano i luoghi montuosi di quello che
per le pianure, perch nei monti trovasi allora
molto pascolo, nel mentre che le pianure hanno
l ' erbe abbruciate, e la coltura degli alberi vi ai
t pi comodamente per esser ivi allora P aria
pi fredda, che nel piano. Quella pianura mi
gliore che latta uniformemente pende verso una
sola parte, di quel che sia quella eh' esatta
mente a livello ; e ci perch non avendo scolo
le acque, va soggetta a diventar maremmosa : e
qaesl inconveniente peggiore, quanto pi il
terreno ineguale, poich nelle parti basse si rac
colgono le acqoe e ristagnano. Per la qual causa
questi tre generi di forme naturali nelle t erre so
no altrettante ragioni che debbono determinare
a coltivarle differentemente (7).
c a p i t o l o v n
Q u a l s i a i l t b e b b e v o o t t i m o , q u a l b s i a i l p i
V1CIWO A QUESTO, E QUALI SlEffO I TEBBEH1 IB-
FBBIOE QUALIT.
Stolone. Pare che non mal a proposito ap~
partenga a questa forma naturale quanto dice
Catone (1), scrivendo che il miglior terreno
quello, il quale situato alle falde del monte,
volto al mezzogiorno. Scrofa soggiunge : I nl or oo
alla forma che un terreno riceve (a) dalla coltura,
io porto ferma opinione, che quanto pi offre
all occhio an aspetto elegante, debba segui r
ne (3) che dal medesimo si abbiano a r i t r a r r e
anche maggiori proveoti; come appuolo addivi**
ne nepiaoi di alberi piantati in quinoonce, i quali
rendono pi dei piani confusi, a motivo dell' o r
dine, col quale sono disposti questi alberi, e de
gl intervalli reciprochi moderati. Per la qa a l
cosa i nostri antichi da an terreno egualmente
grande, ma piantato e seminato malamente, rac-
puUmfoa ino loco quaeque babai natura compo
sita, cum easdem si fregerit, vix sesquimodio
concipere possis. Praeterea quae arbores in ordi
nem satae innt, eas aequabiliter ex omnibns par
tibus so! ac lona coqaaot :qao fit, ut uva et oleae
plores nascantur, el a t celerias coquantur, quas
res doas sequantur altera illa doo, at plus red
dant mosti et olei, et pretii piaris. Sequi l ar se
candam illud, qaali terra solam sit fundi, qaa
parte vel maxime bonos, aut non bonas appelle
tur. Refert enim, qaae res in eo seri nasciqae, et
eajusmodi possint. Non enim eadem omnia in
eodem agro recte possaat. Nam ut alius est ad
vilem appositas, alias ad frumentum, sic de cae-
teris lias ad aliam rem. Itaqae Cretae ad Gorty
niam dicitor platanus esse, qaae folia bieme non
a mi t t a t : itemqoe ia Cypro, ut Theophrestas ait,
una : item Sybari, qui nuno Thorii dicantor,
qaercas simili esse natura, qnae est in oppidi
conspecta. Item contra atque apud nos fieri ad
Elephantinen, ut neqoe ficos neqae vites amit
t ant folia. Propter eandem causam malta sant
bifera, a t vites apud mare Smyrnae : malas bifera,
ut in agro Consentino. Idem ostendit, quod in
locis feris plora ferant: ia iis, qaae sant culta,
meliora : eadem de causa sant, quae non possunt
vivere nisi in loco aquoso, aut etiam aqua : et id
discriminalim, at alia in Iacubut, a t arundines in
Reatino ; alia in fluminibus, ut in Epeiro arbo
res alni ; alia in mari, ut scribit Theophrastus,
palmas et squillas. In Gallia Transalpina intus ad
Rhenum, cam exercitam dacerem, aliqaot regio
nes accessi, ubi nec vitis, neo olea, neo poma
nascerentur; ubi agros stercorarent candida fos
sicia creta : abi salem nec fossiciam, neo mariti
mum haberent, sed ex quibusdam lignis combu
sti, carbonibus salsis pro eo terentur. Stolo: Cato
qnidem, inquit, gradatim praeponens, alium alio
agrum meliorem dicit esse in novem discrimi-
bus, quod sit primus, ubi vineae possint esse
bono vino et multo ; secundus, ubi hortus irri
guus ; tertius, ubi salicta ; qbartus, abi oliveta ;
quintus,abi pratum; sextus, ubi campus frumen
t arius; septimus, ubi caedua silva ; octavus, ubi
arbustum; nonus, ubi glandaria silva. Scrofa:
Scio, ioqoit, scribere illum : sed de hoc non con
sentiant omnes, quod alii dant primatum bonis
pratis, ut ego quoque: a quo antiqui prata parata
appellarunt. Caesar Vopiscos aedilicius, causam
cum ageret apud censores, campos Roseae Italiae
dixit esse sumen, in quo relicta pertica postridie
non appareret propter herbam.
----- * -----
469
coglievano vino e biada io minor copia, e di qua
lit pi inferiore, che in un terreno, in cui tutte
le cose sono al loro posto ; poich in pieno occu
pano minore spazio, e reciprocamente meno si
ouocono, per la ragione che le uoe non intercet
tano alle altre gl1influssi del sole, della luna e
delP aria. Ci ti rileva di leggieri da un para
gone preso da certi corpi ; imperciocch se esat
tamente si empie on moggio di noci intere, a
dappoi si rompono, appena possono capire in un
moggio e mezzo ; e ci perch i gasci e la sostan
za della noce erano disposti in ciascheduna nel
loro luogo, che naturalmente dovevano occupa
re (4)- Inoltre quegli alberi che sono piantati con
ordine, sono maturati egualmente da t uli' i lati
dal sole e dalla luna ; dal che ne nasce che pro
ducono molta uva e molte olive ; e che queste
frutta sono maturate pi presto : due effetti che
sono seguiti da due altri, rendendo cio pi mo
sto ed olio, e per conseguenza maggior denaro.
Ora viene il secondo articolo, cio di quale spa
zio di terra debba esser composto il suolo del
fondo, per esser chiamato o sommamente buono,
o non baoao ; poich importa che si sappia qaali
cose nel medesimo si possooo piantare, qoali vi
alligneranno, e come vada governato. Di fatti
ogni sorta di pianta non germoglia egualmente
bene nel medesimo terreno ; imperciocch tal
terreno proprio per la vigna, tal altro per la
biada ; e generalmente parlando un terreno ac
concio per una cosa, e un altro per un* altra. Cos
si dice che in Creta presso Cortioia vi un pla
tano, che uon si spoglia delle sue frondi in tem
po d1inverno (5) : parimente scrive Teofrasto es-
servene ano di tal natura nell1 isola di Cipro :
similmente in Sabaro, ohe oggid' chiamasi Cala-
mata, si dice esservi querce di tal natura, le quali
sono in faccia alla citt, l a pari guisa succede
ne' nostri paesi quel che accade presso Elefantine,
oio che i fichi e le vigne non si spogliano delle
loro foglie (6). Per la medesima causa molte
piante fruttano due volte alP anno, come sono
le viti di Smirne presso il mare (7), e i pomi che
vengono nel territorio di Cosenza. La medesima
cosa si fa palese nei luoghi selvaggi ed incolti
ove sono pi varie le produzioni : in quelli per
che sono coltivali, i prodotti sono migliori (8).
Per lo stesso motivo sono vi piante^ che non pos
sono vivere che in luogo acquoso, od anche che
non vivono che in mezzo alPacqua. Queste pianto
inoltre non tutte amaoo ogni specie di acqna,
perch alcune piante vivono meglio nei laghi,
come le caoue nel lago Reatino (9) ; altre nei fiu
mi, come gli alberi dell1alno nel fiume Epeiro ;
altre nel mare, come scrive Teofrasto (10) esser
le palme e le squille. Quando io era alla tetta
47*
DE RE RUSTICA L1B. I.
<7*
M. TERENTII VARRONIS
47*
CAPUT v r a
Q o o d s p e c i e s v i t i s p l u s i m a e i i h t .
Contra vineam aant qai patent sampta fru-
clam devorare. Refert, inquam, quod genus
vioeae sit, quod sunt multae species ejns ; aliae
enim humiles ac sina ridicis, ut in flispania: aliae
sublimes, ut qaae appellantur jugatae, ut plerae-
que in Italia : quarum nomina duo pedamenta,
et juga : quibus stat rectis vinea, dicuntur peda
menta : quae transversa junguntur, juga: ab eo
quoque vineae jugatae. Jugorum genera fere
qualuor, pertica, arundo, restes, vites : pertica,
u t in Falerno ; arundo, ut in Arpino : restes, ut
in Brundisino ; vites, ut in Mediolanensi. Juga*
tionis species duae, una direct, ut in agro Canu
sino : altera compluviata in longitudinem et lati
tudinem jugata, ut iu Italia pleraeque. Haec ubi
domo uascuntur, vinea non meluit sumptum;
ubi multa ex propinqua villa, non valde. Primum
genus, qnod di i, maxime quaerit salicta ; secun
dam , arundineta : tertium junceta, aat ejus
dell' armata, trovai dei paesi1situati nell i n t e r n o
della'Gallia Transalpina, pretto il Redo (i i ) , n e t
quali noo nascevano n vigne, n divi, n p o m i ,
ove non si letamavano i terreni che colla c r e t a
bianca estratta dalla terra, od ove non vi e r a n
sale fossile, n marittimo, ma si adoperava sol
tanto quello che somministravano i carboni s al s i
di certi legni brnciati (12). Stolone dice: Q u a n d o
Catone espoue gradatamente (i3) le varie s o r t e
di terreni, per dir poi quale il migliore, le d i r i d e
in nove classi : dice dunque chela prima , o r e
si possono piantar le vigne ,che abbondino d i
buon vino ; la seconda, ove vi un orlo eh s ' i n a
cqua; la terxa, ove si trovano sa Ice ti ; la quart a,
ove si danno degli oliveti ; la quinta, nella qual e
non mancano le praterie ; la sesta, ove t erreno
per biada; nella settima vi sono legne da taglio;
P ottava abbonda di albereti ; e la nona fornita
di querceti. So bene, dice Scrofa, che cos egli ha
scritto ( 14) ; lutti non tono del suo parere,
perch alcuni danno il primato alle buone pra
terie ; del che ne convengo ancor io. Da ci n*
venuto che gli antichi gli hanno chiamati prati
comech se fossero sempre preparali ( i 5). Cesare
Vopisco trattando una causa avanti i censori do
po la sua edilit (16), disse che le campagne (17)
di Rosea erano le pi grasse delP Italia (18), per*
ch se vi si lasciava una pertica, nel giorno dopo
non si poteva pi ritrovare per essere cresciate
1' erbe.
----- <.------
C A P I T O L O V i l i
Le s p e c i e d e l l e v i t i sono m o l t e .
Obbieltano alcuni contro la vigna (1), pen
sando che le spese, eh'essa ricerca, consumino
qnanto si ha di prodotto dalla medesima, i m
porla, io dico, distinguer le varie specie di
vigne, delle quali ve ne sono molte; imperocch
alcune sono basse e non bisognose di pali, come
nella Spagna : altre sono alte, come quelle che si
chiamano aggiogate, e delle quali ve ne sono
parecchie in Italia. Queste ullime sono di due
specie, chiamandosi P una vigna a palo, e l' altra
vigna a giogo : nella prima i pali si piantano
perpendicolarmente ; e quindi detta vite e
palo : nella secooda si piantano i pali vertical
mente, e poi in questi se ne ficcano degli altri
trasversali; e perci queste vigne si cbiamauo a
"iogo, e da questo nome han preso questo di
aggiogate ( a ). Sono prassappoco quattro le
specie di gioghi (3) : cio le pertiche, le canne,
le corde ed i sarmenti. Le pertiche si usano nel
g e o d i rem aliquam : quartum arbusta, ubi
traduoes poconl fieri viti**, ul Mediolanense
Ariani io arboribus, q u i voeant opuloi ; Canu-
ini in harandulalioiMi in fieia. PedamenUun item
fera qua taor generant. Unum robustum, quod
opli maa aolel afferri io vineam e quercu ae
janipercr, el vocatur ridica: alterum palus e
pertioa, melior e dura, qood diuturnior : quem
cum infimam terra voluit, puter evertitur, ei fit
aolum aamaeam: terjium quod horum inopiae
eobndio misit arundinetum ; inde enim aliquot
colligatas libris dimittant in tubulos fictile, cum
fundo pertuso, quos cuspides appcilaut, qua
buaaor adventicias transire possit : quartum eat
pedamentum nativum ejus generis; ubi ex arbo-
ribue in arbores traductis vitibus vinea sit; quos
traduces, quidam rumpos, appellant. Vineae alti
tudini modus, longitudo hominis. Intervalli
pedani en torum, qua bove juncti arare possint
Ea minos sumptuosa vinea, quae aine jugo mini
strat acratophoro vinum. Hujua genera duo :
unum, in quo terra cubilia praebel ovis, a t in
Aaia mullis locis, quae saepe vulpibus et bomini-
bos fit commuois | nee non si parit humus ma
res, minor fit vindemia, nisi tota* vineas opplea-
ri s muscipulis, quod iu insula Pandataria faciunt
Alterum genus vineti, ubi ea modo removetor a
terra vitis, quae ostendit se afferre uvam. Sub
eam, ubi nascitur uva, subjiciuntur circiter bipe
dales e surculis furcillae, ne vindemia pereat, et
vindemia f ot a denique discat pendere in pal
mam aut funiculo, aut vincla quod antiqui
vocabant eestum. Ibi dominns simnl ac vidil
occipitium vindemiatoria furcillas reducit hiber
natum in tecte, ul sine sumptu earum opera
allero anne oli possit Hae consuetudine in Italia
utnnlar Reatini. Haec ideo varietas maxime,
qood terra cojusmodi sit, refert : ubi enim natura
hamida, ibi altius vitis tollenda, quod in pario
et aliaaoaio vinum, non nt in calice quaerit
aquam, aed solem : itaque ideo ( ot arbitror )
primam e vinea in arborea ascendit vilis.
47*
M. Taaanio V a i a o s b
territorio di Falerno ; le canne nell1Arpinate ;
le corde nel territorio di Brindisi ; ed i sarmen li
nel Milanese. In due maniere si attaccano le
vigne al giogo : l una di aitaccarvele perpen
dicolarmente, come si fa nel territorio di Canosas
l ' altra di attaccartele a guisa df pergolato
facendo che i loro rami s' incrocicchino nel
mezzo, come sono la pi parte delle vigne d ' I t a
lia (4). Se questi gioghi nascono nel proprio ter
reno, non da temerli che la vigna costi ; quando
poi la maggior parte dei gioghi si traggono dalla
vicina villa, la spesa viene ad esser poca. La pri
ma specie di giogo spezialmente si trae dai sai-
ceti (5); la seoonda dai canneti; la terza dal
giuncheti, o da altra cosa equivalente ; la quarta
si usa in nn piano d ' alberi, ai quali si possono
attaccare i rami delle viti, come fanno appunto i
Milanesi con quegli alberi che chiamano oppii, e
quei di Canosa coi fichi, i coi rami sono soste
nuti dalle canne (6). 1 pali sono pure pressappoco
di quattro specie. La prima e la pi robusta, e la
migliore che si possa adoperar per la vigna,
quella che si trae dalla quercia e dal gioepro : e
questa sorta di palo si chiama palanca. La secon
da specie si chiama palo : questa pertica mi
gliore quanto pi dora, perch sussiste lungo
tempo; quando la parte piantala in terra si
marcisce, si volta, e si ficca in terra l ' altra estre
mit (7). La terza specie quella che sommini
strano i canneti, quando mancano le doe prime,
A) qual effetto unite medianli le scorte alcune
canne, le mattono io canaletti di terra aventi il
fondo pertugiato (8), detti in latino cuspidex,
onde l'acqua della pioggia possa uscire. La
quarta specie di palo ei viene somministrata
dalla natur a, quando da un' albero ad un altro
si tirano i rami della vite: alcuni chiamano que
st' intrecciamenti traduces, ed altri li nominano
r nm^i. L altezza delle vigne deve pareggiar
quella degli uomini; e le distanze rispettive dei
pali debbono esser tali, che i buoi aggiogati pos
sano passarvi, qaando si ara. La vigna meno
costosa quella che senza aver bisogrio di giogo,
rende nn acratophoron di vino (9). Di qaesta ve
ne sono due specie ; nell' una la terra serve di
appoggio ai grappoli, come si osserva in molti
luoghi dell' Asia, ove per sovente se ne appro
fittano non tanto le volpi (10), quanto gli uomi
ni ; e se ivi la terra genera dei sorci , chiaro
che viene a diminuirsi la vendemmia, quando
bene non si distribuiscano per tutto il vigneto
delle trappole, come si fa nell' isola di s. Maria.
L' al t r a specie di vigna quella, i cui rami che
promettono f r ut ta, s'inalzane sopra terra. In
quel luogo, ove pendono i grappoli (11), si met
tono sotto delle forcine d'albero, della lunghezza
1
474
DE &E RUSTICA L1B. L
4;5 M. TlRLNTll VHRONIS
CAPUT IX
Q o o d t b i b u s h o d i i t b b b a d i c a t o * b o i a , a u t b o i
BOBA, A UT CONMUBIS.
Terra, inquam, cu j usmodi sit refert, et ad
qoam rem bona, aut non bona sit ; ea tribos mo-
dii dicitar, communi, proprio, et mirto. Com
muni, at cum dicimus orbem terrae, et terram
Italiam, aut quam aliam ; in ea enim et lapis, et
arena, et caetera ejus generis sunt in nominando
comprehensa. Allero modo dioitur terra proprio
nomine, quae nullo alio vocabulo, ncque cogno
mine adjeoto appellatur. Tertio modo dicitur
terra, quae est mixta, in qna seri potest quid et
asci ; ut argillosa, aut lapidosa, sic aliae ; cum
in hao species non minus sint multae, quam in
illa commani, propter admixtiones : in illa enim,
cum sint dissimili vi ao potestate, partes permul
tae, in qneis lapis, marmor, rudat, arena, sabulo,
argilla, rubrica, pulvis, creta, glarea, oarbuneg-
lus ( id est, quae sole perferve ita fit, ut radices
satorum comburat ): ab iis, quae proprio nomine
dioitur terra, cum est admixta ex his generibas
aliqua re, tum dicitur aut cretosa, aut glareosa,
et sic ab aliis generum discriminibus mixta ; t
uti horum varietates, ita genera haec, ut prae
terea subtiliora sint alia; nam minimum in sin
gula freies terna, quod alia terra est valde lapi
dosa, alia mediocriter, alia prope pura. Sic de
aliis generibus reliquis admixtae Terrae tres gra-
di doe piedi allo incirca, acciocch la vendem
mia non tenga meno; e fatta che siasi la ven
demmia, si aacostuma insensibilmente il sarmento
a diventare on ratto a frutto, cb perci si
attacca alla pianta o per mezzo di una cordi
cella, o con quel legame che i nostri antichi
chiamavano cingolo (ia). Non s tosto sono partiti
i vendemmiatori, che il proprietario deve por
tare alla sua casa le forcine, ed ivi tenerle m
coperto nelP inverno, afBnch, sema incontrar
nuove spese, possa servirtene nel vegnente anno;
il che accostumano in Italia i Condoiani (i3).
Importa moltissimo meUere,in opra questi diffe
renti metodi, secondo la varia natura delle terre ;
imperciocch dove la terra naturalmente
umida 04), ivi mestieri inalxar molto la vigna,
acciocch il vino nella sua nascita e nel suo
'kocrescimento non cerchi P acqua, come quando
nel bicchiere, o\a il sole (i5) ; e perci , per
quel che io ne penso, i rami della vigna non si
tosto lo possono, che abbandonano la pianta per
arrampicarsi sugli alberi*
-----
CAPITOLO IX
Ih n a n i n n i si d ic b c s b l a t b b i a bimba ,
o c a t t iv a , ovvaao comma.
Importa dunque, oome dioeva ( 1), il saper di
qual natura la terra, e per qual cosa est
buona, o cattiva. Sotto tre aspetti si prende que
sta parola terra, la quale o comune, o propria,
o mista. Noi la prendiamo in senso comune, quan
do diciamo il globo della terra, la terra d ' Italia,
o qualunque altra regione | imperciocch sotto
questa denominatione ti comprendono e le pie
tre e la sabbia e le altre parli, delle qoali com
posta (2): la prendiamo poi in senso proprio,
quando diciamo aemplicemente terra, senza ag-
gioogervi alcun1altra denomiaazione. Nel terso
senso poi la prendiamo, quando alla parola terra
vi aggiungiamo un epiteto, per indicare il miscu
glio, di cui composta : in grazia di che riceve
io s le semenze e le fa crescere, com1 la terra
cretosa, o pietrosa, ovvero ogn1altra specie di
terra. 11 nome di terra, preso in quest1 ultimo
senso, non comprende pi poche differenze di
specie della terra, presa in senso comune ; e ci a
motivo delle mescolanze. Imperciocch nella ter
ra, presa in senso comune, essendovi mollissime
parli dolale di differente virt e polare,tra le quali
si annoverano la pietra, il marmo, i rollami di
pietra, P arena, la sabbia, l1argilla, la terra rossa,
la polvere, U creta, la ghiaia e il carbone (quelle
476
4 7 7 if e RK RUSTICA L1B. I. 475
das ascendant eosdem. Praeterea hae ipsae lr-
Die ipect Uroas in se habcnt alias, qaod par
tila sani humidiores, partim aridiores, partim
mediocres. Neqoe non haeo discrimina perlioent
ad frnctns vehementer. Itaqoe periti in loco ho-
midiore far adoream potias serunt, qoam triti-
cnm ; contra in aridiore hordeam potias, qaam
far, in mediocri otraoqae. Praeterea etiam dis
crimina omniam horqm generara sabtiliora alia,
u t in sabulosa terra, qaod ibi refert, sabato albas
si t , an rubicundus : quod sabalbas ad serendos
forcalo* alienas, cantra rabieondior appositas.
Sio magna tria discrimina terrae, qaod refert
a t r a m sit macra, an pinguis, an mediocris; qao
a d coituram pingais foecundior ad malta, macra
contra. Itaqae in iis, a t in Popinia, ncque arbo
res prolixas, neqoe viles feraces ncque stramenta
videre crassa possis, neqae ficam mariscam, et
arbores plerasqae, ac prata retorrida et muscosa.
ConLra io agro pingai, a t in Hetraria, licet vi
dere segetes fructuosas ac restibiles, et arborea
prolixas, et omnia sine mosco. In mediocri au-
tem terra, ot in Tiburti, quod proprias accedit,
at non sit macra, qaam ul sit jejana, eo ad om
nes res commodior, qaam si inclinavit ad illad
qaod deterius. Stolo: Non male, inquit, qnae sit
idonea terra ad oolendam, aat non, Diopbanes
Bithynias scribit, signa snmi posse aat ex iis qaae
nascantur ex ea ; ex ipsa, si sit terra alba, si ni
gra, si levis, qaae cum fodiatur, facile frielar,
naturaque non sit cineri lia neve vehementer
densa : ex iis autem, quae enata sant fera, si suat
prolixa, atqne ea, qaae ex iis nasci debent, earam
rerum feracia. Sed quod seqailnr, tertiam illad
de modis dice*
parti cio che il sole tanto riscalda, che giungono
ad abbruciare le radici delle piante) ; del pari
quando la terra, propriamente terra, mescolata
ad alcuna delle indicate parli, trae la denomina
zione dalla parte a cui si trova mista ; ed allora
si dice o terra cretosa, o ghiaiosa, o aHramenti,
secondo che mescolata ad altre parli (3) : e
quante sono le variet degl1ingredienti, altret
tante sono pare le specie di terra ; anzi ognuna
di queste specie pu esser ancora suddivisa al
meno in tre altre (4), poich una terra o moltis
simo pietrosa, o lo mediocremente, o non lo
che in minimo grado. In simile maniera ogni spe
cie di terra mista pa suddividersi in Ire altre
parti. Inoltre ognuna di queste tre parti pu es
sere in s suddivisa in tre altre, potendo essere
o umidissima, o secchissima, o esser tra l1umi
do e il secco. Tulle qaeste differenze influiscono
mollissimo sopra le frolla. Per la qual cosa le
persone perite in un luogo troppo umido semi
nano piuttosto il farro adoreo (5), che il fer
mento ; all* incontro nel terreno troppo secco
seminano piuttosto l 1orzo, che il Carro, ed am-
bidue in quello che non n troppo umida, n
troppo secco. Inoltre tutte queste specie di terre
hanno ancora ulteriori differenze : per esempio
nella terra sabbionosa importa molto a sapersi
se bianca o rossa, perch nella bianchiccia no
ai possono piantar gli alberi ; e per contrario
pi acconcia per questa piantagione quanto pi
rossa. Parimente vi sono tre altre grandi dif
ferenze nella terra che fa mestieri conoscere),
cio ae la terra sia o magra, o pingue, o me
diocre. Rigaardo alla coltura, la pingue uni
versalmente pi fertile della magra: sioeh m
questa terra, come appunto la campagna Po
pinia, n gli alberi diventano alti,, n le vigne
fertili ; n ivi potrai vedere paglie grosse, n
fichi insipidi : ivi pure la maggior parte degli
alberi sono pieni di muffa, come ancora i prati
che sono inoltre aridi (6). Per contrario nel ter
reno pingue, com1 qaeHo dell1Etraria, le terre
lavorate producono molto, quantunque nessun
anno si lascino in riposo: gli alberi sono siti, e
tutti senza muffa. La mediocre terra, com1
quella del territorio Tiburtino, pi adattala a
tutte le cose, secondo che si accosta pi alla gras
sa, che alla magra (7); e il contrario succede
quando il terreno si approssima maggiormente
alla terra magra. Non senza ragione, dice Sto
lone, Dio fan di Bitinia indica ebe per sapersi
se una terra atta alla coltura, o no, i segni
o sono da desumersi da quanto nasce nella me
desima, ovvero dalla stessa terra. Si osserva dun
que se questf sia bianca, se nera, se leggiera,
se, quando si smove, facilmente si sciolga (8) ;
479
M. TERENTII VARRONIS
480
CAPUT X
Q u o t m o d i s i i t u i t u i x o e a .
Ille, Modos, quibus metirentar r a r a , i l i a i
alios consti lai t Nam in Hispania ulteriore me
tiantur jugis, io Campania Tersibus, pad d o s ia
agro Romano ac Latioo jageris. Jugum vocant,
qaod juncti boves ano die exarare possint Ver
sam dicant centum pedes quoquoversum qua
dratum. Jugerum, qaod qaadratos duos actus
habeat. Actus quadratas, qai et latas est pedes
Cxx, et longas totidem; U modos aoaaa Latine
appellatur. Jugeri pars minima dicitar scripulum,
id est decem pedes in Koagiladinem et latitudi
nem qaadratam. Ab hoc principio mensores
noananqoam dicunt ia subsicivam esse andana
agri, aat sextantem, aat quid aliad, cam ad joge-
ram pervenerant; id habet scripula c c l x x x v i i i j
quantum as antiquus noster aote beltom Punicum
pendebat Bina jugera quod a Romulo primam
divisa (dicebantur) virilim, quae (quod) haeredem
sequerentur, haeredium appellarunt. Baec postea
(a) ccntum Centuria dicta. Centuria est quadrata
i n omnes qoatuor partes, at babeat latera longa
pedam od * D Hae porro qua tuor centariae
conjunctae, a t sint in utramque partem binae,
appellantor in agris divisis virilim poblice saltas.
CAPUT XI
Quo SIT VILLA ITATUBBTDA MODO, ST QUABIS VILLA.
In modo fandi non animadverso lapsi sunt
snnlti, qaod alis villam minas m^na m fecerunt
quam modos postulavit; alii majorcm, e o a olrum-
se di soa natora Don ia eenerioia, n molto
densa. Gli argomenti poi, che si desa mono dallo
prodaiioiy, *000, et i prodotti nati senta eoitara
sono alti, e se sono abbondagli le fratta che na
scono dai medesimi (9). Ma ora parlaci del t er s o
punto relativo al suolo, cio della sua misera.
CAPITOLO x
I* q u a s t b l A f r n i i ai m s u i A i o l b t k b b b .
Scrofa. Intorno alla misura delle terre ehi ha
adottato un modo, e ehi on altro ; imperciocch
nella Spagna di l dai monti si miserano per
jugum (1), nella Campania per versus, e noi a
nel territorio Romano, come nel Laiio le mba
riamo per iugeri. Si chiama jugum quello spatio
di terra che possono lavorare in un giorno duo
buoi aggiogali (a). Si dice versus uno spailo qua
dralo di eento piedi tanto in lunghetta, quanto
in larghetta. Il iugero il doppio delVactus qua-
dratus, e questo longo centoveoti piedi, a
altrettanti largo. Qaesta misura si chiama lati
namente aenua (3). La pi piccola parte aliquota
del iogero si dice scriptulum (4): essa equivale a
dieci piedi quadrati. Gli agrimensori partendo da
questo principio dicono per lo pi cbe sotto il
iugero (5) vi Vuncia, o un sextansy ovvero
qualche altra parte, come V ast perch il iogero i
composto (6), di dugentotlanta otto scriptula (7),
vale a dire che ne contiene tanti, quanti ne con
teneva il nostro antico as (8) avanti la guerra
Punica (9).Due di questi iugeri che, per quanto si
dice (io), sono stati anticamente distribuiti da
Romolo a ciascun cittadino, sono stati chiamati
haeredion, perch psssavano agli eredi. Cento
poi di questi haeredion si sono chiamati in pro
gresso centuria ( it). La centuria an quadrato,
del quale ognuno dei lati ha duemila quattrocen
to piedi di lunghezta (a). Quattro poi di queste
centurie onite, ma in maniera che sieno due in
ambi i lati, si chiamano saltus nelle terre eh*
sono state divise pubblicamente sui cittadini.
CAPITOLO XI
Q u a l g b a b d b z z a d e b b a a v b b b l a v i l l a , q u a l i
COSE d b b b a n s i b i t b o v a b v a l l a m e d e s i m a .
Molti sono caduti in errore non avendo beo
atteso (1) alla misura del fondo; perch alcuni
hanno diminaito la villa pi di qaello che reai-
qoe il oon Ira r t m b o i l i n t t ae fraetsm ; ma
fora oim tecta et aedificamns p l ani , e t taemar
j ampl a majore ; minora eom soni qaam posto
la! fondai, frotta solent disperire. ( Licinias. )
Dakism eaim non est, qain cella vinaria major
Il facinnda in eo agrp, obi vineta noi ampliora:
u t horrea, si fra mentano* ager est. Villam aedi
ficandam potissimom, ot intra septa villae ha
beat a qoam : si non qoam proxime; primam,
qnae ibi sii n a t a ; secandam, qoae iofloat pe
rennis. Si omnino aqoa non est v i t i , cisternae
Jackmdae sob tectis, et lacas sab dio, ex altero
loco a l bomines, ex altero ot pecoi ali posti!.
48i
CAPUT xn
Qvo s t r l o c o f o n s t a n n i s t a t u b v d a v i l l a .
Bandoni operam, ot potissimam sub r adia
bas montis silvestris villam ponas, nbi pastiones
rio! laxae, ila at contra ventos, qoi saluberrimi in
agro flaboot. Qoae posita es! ad exortas aequi
noctiales, aptissima, qaod aestate habet ombram,
hieme seleni. Sio eo gare secondo m flamen aedi
ficare, earaodom ne adversum eam ponas; hieme
enim fiet vehementer frigida* et aestate non sa
lebris. Advertendam etiam si qaa erant loca pa
lustria, et propter easdem caosas, et qood are-
eant, crescant animalia qoaedam minata, qaae
non possont ocoli eonseqoi, e per ara intas ia
corpo per os ac nares perveoioot, atqae efficiant
difficiles morbos. Fondanias:Qoid potero, ioqait,
facere, si istiosmodi mi fandos haeredite obve
nerit, qao mioas pestileotia noceat T Istoc vel ego
p o t s e a respondere, iaqait Agrias. Vendas quot
assibus potsis: aot si neqaeas, relinquas. At Sero-
fi : Vitandam, inqoit, ne in eas partes specte!
Yilla, ex qoibos veotos gravior afflare soltat ;
neve in ooovaUi cava; e! a! potias io soblimi
loco eedifioes ; qoi qaod perflator, si qaod est
qa od advereariam inforator, fccilius disootitar.
Praeterea, qaod ab sole toto die iMastrator, sala-
Brior est, qood et bestiolae, si qaae prope nascun
tor et inferuntor, ait efflantor, aat ariladine cito
menle Io era, e per conlratfo a l t r i T hanno in
grandita : I* ano e 1* altro inconveniente con
t r i t i o all interesse d d proprietario, come ai
fratti provenienti ^ t t a terra. Per verit e spen
diamo di pi qoaodo gli edificii sono pi grandi,
e si mantengono dbn maggiore spesa : e se si
faedaoo pi piccoli di quello che ricerca la te
nuta, i frolli corrono per ordinario il pericolo
di essere rovinati (a). Imperocch (3) oon vi
paolo dubbio che la cantina non si debba far
pi grande io quel terreno, ove i vignai sono
molli ; come del pari che converr fare i granai
pi grandi, se'il terreoo sia lotto a biada (4)- Ab
biasi attenzione particolarmente che la %jlla da
fabbricarsi conteaga nel suo recinto dell a-
cqoa (5) ; o almeno che l1acqua sia in vicinanza.
da preferirsi qoell1acqaa che ivi nasce, in se
condo luogo quella che d ' altronde si deriva. So
non vi si trova ponto di acqoa viva, si deb
bono far delle citeroe coperte e degli abbe
veratoi scoperti, alcuoi dei qaali serviranno per
gli uomini, e alcani altri pel bestiame.
c a p i t o l o x n
I n q u a l l u o g o d b b b a s i s p e c i a l e h t a
FABBB1CAB LA VILLA.
To devi fare in maniera (i) ohe la villa s!
trovi specialmente ai piedi di un monte selvag
gio, ove i pascoli sieno estesi, e che sia esposta ai
veoli i pi saoi che soffiaoo in qaella piaggia (a):
Quella villa migliore eh* situata all' oriente
equinoziale, perch nell' estate gode V ombra o
nell* inverno il sole. Se la necessit ci storia di
fabbricarla presso il fiome, de veti procurare di
non situarla rimpetto il corso del medesimo (3) ;
perche in inverno sarebbe freddissima, e malsana
in estate. Bisogna schivare ancora, ae ve ne sono,
i looghi paludosi noo solo per le caose allegate,
qoanto accora perch diventano aridi e vi nasco
no certi aoimali minali (4), che non si possooo
veder oogli occhi, e che nell1atto di respirar l1a-
ria eotraoo nel oorpo per la bocca e per le narici,
eqoiodi prodacono difficili malattie. Se oo foodo
di tal natura mi toccasse in eredit (5), che potr
mai (are, dice Fondanio, onde non mi nooccia
quest'aria pestilenziale? A questa dimanda posso
rispoodere aoeor io, dice Agrio : vendilo a qaa-
looqoe prezzo, o, se oon puoi, lascialo io abbao-
dooo. Ma Scrofa ripiglia, eh1 da schivarsi che la
viUa sia volta a qaella piaggia, da coi saole sof
fiare il vento che snerva (6) : come nemmeno si
deve fabbricarla in na valle troppo profonda,
DE RE RUSTICA L1B. I.
483 M. TERENTII VARRONIS 4 8 4
pereant. Nimbi repentini ac torrente* Antii* pe
ricolosi illis, qoi in humilibos ac cayis locis edi
fci a habent,etrepeolioae praedonum manas, j a o
improvisos facilius opprimere possunt. Ab hoc
utroque superiora loca tuliora.
CAPUT xm
Q u o d n r v i l l a , p e t v i t u s pa c t u h d a s i b t b u b i l i a , b t
OVILIA, BT CELLAE, VASAQUB VIBAEIA, OLBABIA
BT ALIA.
Io villa facionda stabola, ita ot babilia sint
ibi, hieme qoae possint esse calidiora. Fractus,
o t est T i n a m et oleam, loco plano io cellis, item
ut Tasa vinaria, et olearia potius faciandum. Ari
das, a t est faba, et foenum in tabulatis. Familia
ubi versetur providendum, si fessi opere aat fri
gore, ut calore obi commodissime possint se
quiete redperare. Vilici proxime januam cellam
esje oportet, eomqoe scire, qui introeat aat exeat
noeta, quidve ferat : praesertim si ostiarias est
nemo. Io primis colina videnda, ut sit adraota,
quod ibi hieme antelucanis temporibus aliqoot
res cooficinnlar, cibus paratar ao capitur. Fa-
ciuodum etiam plaustris, ac caetero instrumento
omni, quibus coelam pluviam inimicam, in co
horte, a t satis magna sint tecta ; haec enim si in
tra clausum in coosepto, et sob dio, furem mo
do non metuunt, adversas tempestatem noceo*
texn non resislaot. Cohortes ia fundo m a g n o
duae aptiores ; una, ot interius compluvium ha
beat lacum, obi aqua saliat, qui intra stjlobatas
cam venit, sit aemipisdna. Boves enim ex arvo
aestate redacti hic bibant, hic perfunduntor ;
nec raiaas e pabulo dum redierant anseres, sues,
porci. In cohorte exteriore lacomesse oportet, ubi
maceretur lupinum : item alia, quae demissa in
aqoam ad usum aptiora fiunt. Cohors exterior
crebro operta slrameotis ac palea ooculcata pe
dibus pecodom, fit ministra fundo, ex ea qaod
evehatur. Secandum villam doo habere oportet
sterqoilinia, aut unum bifariam divisam ; alte*
ma piuttosto in oo luogo elevato, perch e s s e n d o
ivi esposta ai venti, sopravvenendo qualche c o *
perniciosa, facilmente trasportata altrove ( 7 ) .
Inoltre qael luogo, ch illuminato tolto il g i o r n o
dal sole, pi salnbre, perch le bestioline, c h e
nascono ne' contorni o che d ' altronde vi s o n o
portate, o dal vento vengono portate a l t r o v e ,
ovvero per la t i c dt i muoiono tosto. Le p i o g g e
improvvise e che cadono eoo empito, come ancor a
i Borni rapidi (8) sono funesti per qudl i c h e
hanno fabbricali gli edifizii ne' looghi basti e d
incavati ; e tono pericolati allret, perch le ra
paci mani dei ladri possono facilmente sorpren
derci all' impensata. Dall1uno e dall' altro ma
lanno possiamo gaardard fabbricando la villa
ne1luoghi elevati.
--
CAPITOLO x m
CflB BELLA VILLA SI DEBBONO F0EMAB PRUSA I BO
VILI, GLI OVILI, LE CARTINE, I TOBCXI DA VIBO,
DA OLIO, ED ALTBB COSE.
Nel fabbricar la casa di villa devesi aver at
tenzione che le stalle pe buoi sieno sitoate io
quel luogo, in coi possono esser calde nel tempo
d ' inverno (1). Devesi aver V occhio altres che i
fratti, com il vino e Volio, possaoo ritrovarsi
io istaaze sopra terra, cos pure i torchi per (spre
mere il vino e 1' olio : inoltre devesi fare in gnisA
che il frutto, quando secco, ed il fieno si possa
no collocar sopra de1solai (2). Bisogna procurare
ancora che vi sieno due luoghi per la famiglia,
in uno de' quali si ricovrer o sia stanca per U
fatica, o tormentala dal freddo, o dal caldo ;
nell1altro ove possano coraodissimameote colla
quiete e col sonno ristorarsi (3). La camera dei
castaido bisogna che sia vicina alla porta, onda
egli sappia chi entra e chi esce di notte, e vegga
d ohe si porla ; e d rendesi necessario spe
cialmente se non vi portinaio. Primieramente
da farsi che la cucina (4) non sia lontana da
lui, perch ivi in tempo d* inverno nelle ore to
nami d si fanno alcuni lavori, si prepara il dbo,
e si mangia. Bisogna ancora far nel cortile dei
portici abbaslaoza grandi per riporvi i carri
tutti gli altri attrezzi rurali, oode la pioggia oon
arrechi danno ad essi : altrameoti se si rinchiu
dono soltanto nel recinto (5), e te si lasciano
esposti all' aria, corrono non solo rischio di estere
rubali, ma ancora non potranno resistere ai cat
tivi tempi. Quando la tenuta grande, faooo
molto a proposito due cortili, uno dei qnali ab
bia una fossa esposta alP aria aperta, ed ove con
rata enim pariem fierri oportet e villa novam,
lieram veterem tolli in agmen ; qaod enim in-
i er t ur recens, minaj bonam ; id cum flacuit* me
llas ; necnoo aierqailiniam mellas illud, cajas
latera et tammom virgis ac fronde vindicatam
ab sole. Non enim sucum* qaem qaaerit terra* so
le ante exagere oportet, l taqae periti (qai pos
sint ) a t eo aqaa influat* eo nomine faciant. Sic
enim maxime retinetor sacus, in eoqae qaidam
aelUs familiaricas po n a n t Aedificiam facere opor
tet* sub qaod tectam totam fandi abjicere posiis
messem* qaod vocant qaidam nobilarinm. Id
secandam aream faciundum* abi Iritaras sis fru
mentum, magnitadine pro modo fundi ex ana
par li apertam, et id ab area, qao et in tritaram
proroere facile possis* et si nabilare coeperit* in
de ut rorsos celeriter rejicere. Fenestras habere
oportet ex ea parli* onde oommedissime perflari
possit.
4*5
Fundanius: Frnetuosior, inqait* est certe fun
dus propter aedificia* si potias ad anliqaorum
diligentiam* qaam ad borom laxariam dirigas
aedificationem. Illi enim faciebant ad froclaum
rationem* hi faciaat ad libidines indomitas, lta
qae illorum villae rusticae erant majoris qaam
urbanae* qaae nunc suut pleraeque contra ; illic
laudabatur villa, si habebat culinam rasticam bo
nam, praesepias laxas, cellam vinariam et olea
riam ad modam agri aptam* et pavimento pro
clivi io lacum \ qaod saepe* ubi conditum novam
corra V acqaa piovana (6), e se vorrai che Ia fossa
diventi ana piccola cisterna, vi porrai attorno dei
piedistalli (7). Ivi i bovi* che ritornano dal campo
in tempo di estate* beveranno e vi si bagneranno:
cos pare vi s*imbagneranno, quando ritorne
ranno dal pascolo (8) le oche, le troie e i porci.
Nel cortile interno bisogna che vi sia ana segre
gata cisterna, ove si macerino i lupini, e tatto ci
che non pa essere acconcio pe nostri usi, se non
dopo eh' stato macerato nell* acqua (9). Il cor*
lite esterno sar continuamente coperto di strame
e di paglia per essere calpestata dai piedi del be
stiame* onde diventi concime, che si trasporter
poi ad ingrassare il terreno. Bisogna aver presso
la casa di villa due letami, ovvero un solo diviso
in due parti, nell' una delle quali si trasporter il
nuovo letame raccolto nella casa, e dall1altra si
lever il vecchio concime per trasportarlo sul
campo ; perch non troppo buono per le terr
quel letame che vi si trasporta ancora nuovo, e
quello eh1 infracidato migliore (10). Quel
letame inoltre migliore eh difeso dal sole la
teralmente e nella sommit per mezzo di rami e
di foglie, perch non bisogna che il sole lo spogli
prima di quel succo, di coi la terra avida. Per
la qaal cosa gli uomini periti* quando il possono*
fanno s che coll1oggetto di conservarlo umido
ivi concorra P acqua : di fatti in tal modo vi s
conserva ottimamente il suo sacco. A quest' og
getto pure certuni vi fabbricano per di sopra i
cessi comuni (11). Bisogna che l edilzio sia fatto
in guisa che vi si trovi an laogo coperto detto
da alconi porticale, sotto cui tu possa tenere a
coverto tutta la messe della tenuta. Questo da
fabbricarsi in vicinanza dell aia, ove t a hai da
trebbiare il grano ; sar di una grandezza pro
porzionata a quella del podere ; dovr essere
aperto in una parte, e i n quel luogo che corri
sponde all1aia, acciocch quando si sar per treb
biare la messe* ta possa di leggieri gettarla sul*
l aia* e per contrario con prestezza ritiramela
sotto il porticale* se l ' aria principia ad anongo-
larsi (ia). Bisogna che 1*edilzio abbia le fenestro
volle a quella parte* da cui possa facilissimamen
te essere esposto al vento.
Egli certo* dice Fundanio, che la tenu
ta reude maggiormente in grazia degli edificii ;
massime se nel fabbricarli avremo in vista pi
la diligenza usata dagli antichi che il lusso
dei nostri (13) ; imperciocch quelli facevano gli
edificii proporzionati alla quantit dei f r a t t i ;
laddove questi non guardano che alle loro sfre
nale passioni. Per la qual cosa le case ville
recce degli antichi erano di maggior prezzo
che le loro case di campagoa, parecchie delle
quali al presente sono per contrario di mag-
486
DE RE RUSTICA LlB. 1.
inani , orcae ia Hispania fervore matti ruptae,
neque non et dolia io Italia ; item caetera ot es*
aeot io Tilia hojuscemodi, qoae cultura quaere
ret, providebant. None con Ira T i lia m arbaoara
qaam maximam ac politissimam habeant, daot
operam : ac cum Metelli ao Luculli villis pessi
mo poblico aedificatis certant: qno hi laborant,
ot specteot soa a e s t i v a inclinane ad frigos orien
t , h i b e r n a ad solem occidentem, potius quam,
yit a n t i q a i , in qaam partem cella T i o a r i a aut
olearia feneslras haberet, cam fructus ia ea vina-
rios quaerat ad dolia ara frigidiorem ita olea
ria caldiorem. Item videre oportet, ai est collis
( nisi quid impedit ) a t ibi potissimam ponatur
villa.
<#7
CAPUT XIV
Q | )BPTIf, QOi> TUTANDI FCHDI CAUIA FI EU
DXBBANT, BT QUAUTIft*
Nane de aeplis, quae tatandi caasa fandi, aat
partis fiant, dicam. Earnm tatelaram genera iv;
n a m natorale, alleram agreste, tertiam militare,
quartum fabrile. Horum nnnmqaodqae specie*
habe! piares. Primam naturale sepimentum,
quod obseri solet virgultis aut spinis, qaod habet
radices, ac (vivae sepis) praetereuntis lascivi non
meluct facem ardentem. Secanda sepes est ex
agresti ligno, sed non vivit. Fit aat palis statutis
crebris, e virgultis implicatis; aut latis perforatis,
ct per ea foramina trajectis longariis fere biais
aut ternis : aut ex arboribos truncis demissis in
terram, deinceps eonstitutis. Tertiam militare
sepimeotum est fossa, et terreos agger ; sed fossa
ita idonea, si omnem aqoam, qoae e ooelo venit,
recipere potest, aut fastigium habet, ut eieat e
gior p r e t t o delle case rustiche. A que tempi ai
lodava una casa rusticana, se aveva una buona
rustica cucina, se le stalle erano vaste, se la can
tina e il cellario da olio era proporzionato alla
grandezza della tenuta, se la cantina era fornita
di un pavimento, che pendesse verso uoa fossa
ove potesse raccogliersi il vino, perch sovente
accade che quando il ooovo vino si rinchiuso*
net bollir che fa, rompe non solo gli orci in Ispa-
gna, ma ancora le botti in Italia ( i 4) Final menta
eglino avevano tutta le cura cbe la casa villeree
eia fosse provveduta di tutto qoello eh era ne
cessario per la coltura. Ora all' opposto i loro
stadii sono rivolti a far si che la loro casa di cam
pagna sia grandissima ed elegantissima, e vanno
a gara con quelle che Metello e Lncollo hanno
fabbricate oon grande seandalo della Repubblica,
perch i moderni aono intesi a rivolgere i loro
tinelli di estate al fresco dell oriente, a ^oeltt
d inverno al tramontar del sole, piuttosto eha
fare, in pari modo degli antichi, che nell* una a
nell altra piaggia si trovino le fenestre della can
tina, del cellario da olio, quando che se il vino
rinchiuso nelle botti fosse esposto alla prima
piaggia, godrebbe un' aria fresca, di eui abbiso
gna, e similmeote l'olio sarebbe esposto nella se
conda ad un' aria pi calda, di cui amante (i5).
da vedersi inoltre se nella tenuta siavi una col
lina per piantarvi specialmente la casa rusticana,
quando non siaovi impedimenti che vietino di
fabbricacela (16).
48
CAPITOLO XIV
Di i x s c i n t i c n ai d b b b o i o f a s e a m o t i v o di
D1FBBDB1 LA TBVUTA, I l QUAL MABIBAA SONO
DA FOBMA1SI.
Ora dir delle chiusure che si fanno a motivo
di mettere in sicuro o tutto il podere, o ona parta
del medesimo. Questi recinti sono di quattro spe
cie : uno naturale, l ' altro campestre, il terzo
militare, e il quarto artifiziale. La prima clausura,
che io chiamo natorale, quella che suolsi for
mare piantando virgulti o spine; e perch
fornita di radici e di una siepe vegetante, perci
non teme le fiaccole accese dell insolente p a t -
MfSero (0* U seoondo recinto, e h ' di qualit
campereccio, tratto dal legno, ma non vegeta (a).
Questo si fa o piantando de' pali spessi e i nt r o
mettendovi de' virgulti, ovvero si puntano l ar ghi
e si traforano, e dentro i fori si introducono due
o tre perticoni; ovvero sia si forma coi t r onchi
degli alberi distesi per terra e insieme uniti (3).
M. TLRENT1I VARRONIS
4*9 DE RE RUSTICA LID. I. 4 9 0
fondo; agger i t ^ onot , qui iotriosecas j a octus
fossa, ut ite ardbtv, ut eam rranscendere non
sit facile. Hoc geout epe* fieri secundum vias
publicas soleat, et secundum amoes. Ad viam Sala
riare, io agro Crutiumioo, videre licei l odi ali-
qoot coojunclos aggeres cum fossis, ne flumen
agris noceat. Aggeres qqi faciunt sine fossa, eos
qaidam Yoctnt muros, ut in agro Reatino. Quar
tam fabrile sepimenturo est novissimum, maceria:
hajus fere species quatuor ; quod fiunt e lapide,
ut in agro Tusculano; quod e lateribus coelili
bus, ut in agro Gallico ; quod e lateribus eradit,
ut in agro Sabino ; quod ex terra, et lapillis com
potitis in formi*, ut in Hispania, et agro Ta
rentino.
CAPUT xv
Ad q u i d i i v i i T i i u r b s .
Praeterea tino septit fines praedii, sationis,
nolit arborum lulioret fiunt, ne familiae risenlur
cum vicinis, ac limiles ex lilibns judicem quae
rant. Serant alii circum pinos, ut habet uxor in
Sabinis ; alii cupressos, ut ego habui in Vesuvio ;
alii ulmos, ut multi habent in Crustumino : quod
ubi id pote, at ibi, quod est campus, nulla potior
terenda, quod maxime fructuosa, quod et tasti-
net tepem, ac colit aliqnot corbulas uvarum, et
frondem jucundissimam ministr! ovibus ac bu
bus, ac virgas praebet sepibus, et foco, ac furno.
Scrofa ; Igitur primum haec, quae dixi, quatuor
videnda agricolae; de fundi forma* terrae natu
ra, de modo agri, de finibus tuendis.

AI. T i a a m o Vabbove
II terzo ricinto il militare, ed o d fosso e un
argioe di terra ; ma il fossato buono a questo
effetto se pu ricever tutta la pioggia, ovvero s
un poco in pendio, onde I acqua esca fuori del-
F alveo. Queir argine poi buono, che esterna
mente ha unito un fosso, e eh' tanto alto, che
non sia facile il saltarlo (4). Questa tpecie di chiu
sura suolti fare lungo le strade pubbliche e h
fiumi. Nella strada Salata, nel territorio di Pa
lomba r a, si possono vedere in alcuni luoghi gli
argini uniti ai fossi, acciocch i campi oon sieoo
danneggiati lai fiume (5). Gli. argini senza fosso
tono chiaaaati da alcuni mari, come nel territorio
di Campo Pendente (6). Il quarto ed ultimo re
cinto l'arlifiziale, ed fatto di mura, delle
quali ve ne tono pretto a poco di quattro tpecie;
peroh te ne fanno di pietrer come nel territorio
Tusculano; o di mattoni colti, come nel territorio
Gallico ; o di mattoni cri^di, come nel territorio
Sabino ; o di terra mista a sassi riposti tra due
tavole, come nel territorio Spagnuoloe in qoello
di Taranto (7).
--> --
CAPITOLO XV
A CHS OGGETTO SONO ITATI 15VB1VTATI I B1CIHTI.
Si postono ancora tenta chiusure mettere in
sicuro i confini della teouta, o di una porzione
di terreno, piantandovi degli alberi, i quali ser
viranno a fissarne i confini, onde tra quelli della
famiglia e i vicini non abbiano ad insorgere risse,
ed acciocch p* F incertezza dei confini non si
sia obbligati di ricorrere al giudice (1). Piantano
alcuni attorno i rido li dei pini (a), come ha
fallo mia moglie nel territorio Sabino: altri
de1cipressi, coroc io feci presso il Vesuvio (3):
altri degli olmi, come molli hanno fatto nel ter
ritorio di Palombara; il che, ove sia postibile a
farti, come in quest*ultimo territorio eh* posto
in pianura, F olmo da preferirsi (4), perch
l albero che rende pi di tutti, per la ragione
che e* sostenta la chiutnra, e t a quell* albero ti
collivan delle vigne che rendono alcuni corbel
loni di uva (5), e somministra frondi le pi gra
dile alle pecore e ai bnoi, e fornisce rami pei r i
cint i , pel fuoco e pel forno. Scrofa: Dunqne
primieramente F agricoltore deve esaminar le
quat t r o cote, delle quali ho parlato, cio la forma
del podere, la natura della terra, la tua eiteotio-
ne, e la ticurezza dei confiui (6).
8
49'
M. TERENTII VARRONIS
4 9 *
CAPUT XVI
D* BIS QUAS K1TBA FtJBDOM COMMODA FIAHT, AUT
IICOMMODA.
Relinquitor altera pars, q n e est extra fan
dam. Cajas appendices vehementer pertinent ad
celtaram propter affinitatem. Ejus species toti
dem : si Ticina refio est infesta; si qae oeque f r a
ctos exportare expediat, neque inde, quae opus
sont, apportare ; tertiam, ai viae aat flo vii qua
porUntnr, aut non suot, aut idonei n#n suot ;
quartam, si qaid ita est in confinibns fundis, ut
nostris agris prosit aat noceat. G qoeis quatuor,
quod est primam, refert, infesta regio sit, necne:
mnltos enim agros egregios colere non expedit,
propter latrocinia vicinorum, ut in Sardinia quos
dam qui sunt prope Cqliem, et in Hispaoia pro
pe Lusitaniam.
Quae vicinitatis invectos habent idoneos,
qoae ibi nascuntur ubi vendant, ct illinc inve
ctos opportaoos ad ea, quae io fondo opus sont,
qood proptefea sont fructuosa. Mulli enim ha
b e nt i a praediis, quibus frumentum, aut vioum,
aliudve quid desit importandum : contra, non
pauci, quibus aliquid sit exportandutn. Itaque
sub orbe colere hortos late expedit, sic violaria
ac rosaria, item multa, quae urbs recipit, cum
eadem in longiuquo praedio, obi non sit quo
deferri possit venale, non expediat colere- liem,
si ea oppida aul viciniae, aut etiam divitum co
piosi agri ac villae, unde non care emere possis,
quae opus soni in fundum, quibusque, quae su
persint, venire possiat; ut quibusdam pedamen
ta, aat perticae, aul arundo ; fructuosior fit fun
dus, quam si longe sint importanda, nonnunquam
etiam, quam si colendo in Ino ea parare possis.
Itaque in hoc genas coloni potius anniversarios
habent vicinos, quibus imperant medicos, fullo
nes, fabros, quam in villa suos habeanl : quorum
nonnonquam unius artificis mors tollit fundi
fractum: qnam partem latifandis divites dome
sticae copiae mandare solent.. Si enim ab fundo
longius abfant oppida aut vici, fabros parent,
quos habeant iu vilh : sic caeleros u e cessa rios
artifices, oe de fuodo familia ab opere discedat,
ac profestis diebus ambulet feriata potias, quam
opere faciundo agrum fructuosiorem reddat. Ita-
CAPITOLO XVI
DtQUXLLB c o s i CSBTBOTA99I HJOBI DELLA TEMI7TA,
B CHE AIBBCAKO COMODO BD (SCOMODO.
Resta a esaminarsi V altra parte, la qa al e si
aggira sopra ei che trovasi fuori del podere ; le
coi appartenerne esteriori per P intima connes
sione ehe hanno colla coltura, v* influiscono mol
lissimo. Questo artioolo si divide io tante parti,
quanto il primo. Bisogner esaminar se il vicino
paese alberghi malandrini : se questo sia un paeae,
in eui non ci lorni conto portarvi i nostri fratti,
n trarne quanto ci far mestieri ; in terzo luo
go, se non vi sieno strade o fiumi, col m e n o
dei quali agevolare il trasporlo dei fratti ; o se
par vi sono, se sieno al caso : in quarto luogo,
se ne' poderi limitrofi vi sieno cose che giovino
o nuocano alle nostre tenute. Quanto alla pri
ma di queste quattro parti, importante il sa
pere se il vicino paese sia infettato da malan
drini, o no, perch non giova talvolta coltivar
molte eccellenti terre pei ladronecci dei vici
come sono certe terre nella Sardegna in vici
nanza a Celie (i), e alcune altre della Spagoa
presso il Portogallo.
Quanto alla seconda, bisogna esaminare se le
terre abbiano comuuicazioni facili coi paesi allo
intorno, ove portarvi a vendere i fratti cbe na
scono nelle medesime, e da quelli t rarre qoelle
cose che fanuo di bisogno nella tenuta ; nel qual
senso le terre riescono utili (a). Perch molti abi
tano in terre (3), nelle quali bisogna portar bia
de, vino, o altre cose, delle quali mancano : per
contrario a1tri abitano in terre, dalle qu*li si
possa trarre alcuna cosa. Per lo che giova mol
lissimo coltivare i giardini in viciuauza della
citt : cosi pore piantarvi delle viole e delle rose,
e molti altri fiori che si smerciano in citt : al-
l' incontro non tornerebbe conto coltivare i fiori
in una terra lontana, ove non vi fosse un luogo,
in cui si potessero portare per venderli. Simil
mente se le citt, o i paesi viciui (4)i ovvero
anche se le terre e le ville vicine souo popo
late di persone ricche, dalle quali si possano
comprare a non caro prezzo quelle cose che fanno
di bisogno nella tenuta, e alle quali pure si pos
sano vendere quelle cose che sono superflue,
come vendere ad alcuni o de' pali, o delle per
tiche, o delle esime ; in tal caso la tenuta pi
utile di quello che lo sarebbe, se si fosse io ne
cessit di procurarsi le cose bisognevoli molto
luugi; e alle volle sarebbe anche pi utile, an
corch quanto fa di bisogno nel podere, si ri
traesse per mezzo della coltivazione dal fondo
qne ideo S u e r u e li ber pneeipit, ne qais de
faodo e x u t p h e t e t vificua et promana, et
onora, qaem vilicus legit : ti qais coatra exierit,
ne irapaoe abeat ; si abierit, vi in filicara ani
madvertatur. Qaod p o t i n s i u praecipiendam fait,
ne quis iojassu filici exierit, neque vilicas in
jussu domini loogias, quam al eodem die re
dierit, aeque id crebrius, quam opus esset fondo.
te
Ter fio eandem fandura fruclaosiorem faciant
veci arae, si vite sant, qua plaustra agi facile pos
sint ; aat flamina propinqua, qua navigari possit:
quibus atrisqae rebus evehi atque inveht, ad
mulla praedia sci mai. Quarto refert etiam ad
fructus, quemadmodum vicinas in confinio con
sitam sgram habeat : si enim ad limitem qoer-
oetum habet, non possis recte secandum eam sil~
v a n serere oleam, qood usque eo est contrarium
oatora, at arbores non solum minas ferant, sed
etiam fagiani, ut inirorsam io fundum se recli
nent, ut vitis adsita ad olus facere solet : at quer-
eas, sic juglandes magnae et crebrae finitimae,
fuudi oram faciant sterilem.
0*-
del medesimo. Cos i proprietarii delle terre, che
godono quest avvantaggio, amano stipendiar,
per cosi dire, all anno i loro vicini, onde questi
somministrino ad essi, qaaodo il dimandano, i
medici, i tintori e gli operai, piuttosto che man
tenerli a proprie spese nella villa (5), perch
alle volle la morte di an operaio fa perdere tutto
il profitto della tenuta : laddove i ricchi, che pos
seggono tenute estese, hanno ordinariamente al
loro comaodo quegli operai (6). Ma se il po
dere troppo lontano dalle citt o dai borghi,
hisogna necessariamente mantener nella villa gli
operai, e coti pare ogni specie di artigiano ne
cessario, acciocch si eviti che gli operai ooa
abbandonino il lavoro della tenuta, e che nei
giorni di lavoro non vadano a passeggiare oo-
rne se fosse festa, in veoe di rendere fruttifero
il terreno per mezzo della fatica. Per questo
appunto Saserna ordina nel sao libro ohe nes
suno esca fuori del podere, tranne 11 castaido,
quegli che fa le provvisioni (7), e chi avr scelto
il castaido per agire una qualche csa. Se alcuno
uscir non ostante che gli sia proibito, vuole
che sia punito; e se non ritorna pi,che il ca
staido abbia a portarne la pena. Ma avrebbe do
vuto piuttosto ingiungere che nessuno non avesse
ad uscire della tenuta senza ordine del Castal
do, come altres che il castaido non avfcsse ad
uscirne senza ordine del padrone, n che dovesse
andar pi lungi, onde non avesse a ritornar nel-
l islesso giorno, n pi frequeotemente di quello
che ricercasse il bisogno della tenuta.
In terzo laogo la oomodit del Irsporto fa
si ohe il fondo sia pi utile (8), come se le strade
sono tali, che i carri vi possano facilmente scorre
re, o se i fiumi vicini sono navigabili. Io quarto
luogo il profitto di ana terra (9) dipende incora
dalla maniera, con cui il vicino ha piantato l i
sua sai eoo fini della tua ; imperciocch se ani
confine trovasi piantato un querceto, tu non fa
rai saviamente a piantar presto il medesimo
l ulivo, essendoch qoeste due specie di alberi
^000 tanto reciprocamente contrarie, che non
solo gli alivi renderanno meno, ma aocora fug
giranno la vicinanza delle qaerce io guisa, che
ai ripiegheranno verso la tenota, come h l i
vigna piantata presso il cavolo (10). L* effetto
che producono le qaerce, lo pr decono pare
anche le noci, le quali, se sono grandi, e te molte
se ne sono piantate sull estremit del Ibrido, lo
rendono sterile (11).
49*
DE RE RUSTICA LB. I.
495
M. TERENTII VARRONIS
49
CAPUT XVII
Q u i b u s b e b u s a g i i c o l a r t i ?*.
De fundi i? partibus, quae cam solo haereat,
et alteris i t , quae extra fundum suut, et ad cul
turam pertinent, dixi. Nunc dicam agri qnibua
rebus colantor: quai res alii dmduut in duas
partea, in homines, et adminicula hominum, sine
quibus rebus colere non possunt. Alii in tres
paries instrumenti genus vocale, et semivocale, et
mutam : vocale, in quo sunt servi, semivocale, in
quo sunt boves, mutum, in qoo suot plaustra.
Omnes agri coluntur horaioibus servit aut libe
ris, aut utrisqoe. Liberis, aut cum ipsi colunt, ut
plerique pauperculi cum sua progenie ; aut mer
cenariis, cum conducticii* liberorum operis res
majores, ut vindemias, ac foenisicia administrant:
iiqoe quos obaeratos uostri vocitarunt, et etiam
nunc sunt In Asia, atque Aegypto, et iu Illyrico
comploret.
De quibas universis hoc dico: Gravia loca
utilius esse mercenariis colere, quam servis, et in
salubribus quoque locis opera rustica majora, ut
saot in condeodis fructibus vindemiae, aut messii.
De his cujosmodi esse oporteat, Cassius scribit
haec: Operarios parandos esse, qui laborem ferre
possint, ne minores aonorum xxn, et ad agricul
turam dociles. Eam conjecturam fieri posse ex
aliarum rerum imperatis, et more incolarum e
novitiis requisito, ad priorem dominum quid
factitarent. Mancipia esse oporlere aeque formi
dolosa, neque animosa. Qui praesint esse oporte
re, qui literis, aliqua sint hnmanitale imbuti,
frugi, aetate majore, quam operarios, quos dixi:
facilius enim his, quam minoribus natu sunt di
cto audientes. Praeterea potissimum eos praeesse
oportet, qoi periti sint rorum rusticarum; non
solum enim debere imperare, sed etiam facere,
ut facientem imitentur, et ut animadvertant eum
cam causa sibi praeesse, quod scieutia praestet et
usu : neque illi concedendum ila imperare, ut
verberibus coerceat |>otius quam verbis, si modo
idem efficere possis. Neque ejusden) naiiouis plu
re parandos es s e, ex eo eoini potissimum solere
offensiones domesticas fieri. Praefectos alacriores
faciundum praemiis, dandaque opera, ut habeaut
c a p i t o l o x v n
Di q u e l l e c o s e c h e sono v e c e s s a b i b p b b t*a
COr.TIVAXIOFB d e l t b b h e r o .
Fino ad ora ho parlato di quelle quattro d e l l a
teuula, che riguardano il suolo, come altres d i
quelle altre quattro parli che hanno relazione a
quanto v fuori del podere, e che egual ment e
appartengono alla collivaiione ; al presente t r a t
ter di quelle cose che si adoperano per colt i var
la terra (i) ; le quali alcuni dividono io due p a r t i ,
cio in uomiui, ed in cose che aiutano gli uomini,
e senza le quali non possono coltivar la terra.
Altri le dividono in tre parti, cio in istromento
vocale (2), io semivocale e muto. Nel vocale vi
entrano i servi, nel semivocale i buoi, e nel muto
i carri. Tutti i campi sono coltivati o da uomini
schiavi, o da liberi, o dagli uni e da/li altri :
si coltivano dai liberi, sia quando essi mede
simi collivano il proprio podere, come fanno
parecchi poverelli unitamente alla loro figliuo-
lanza, sia quando si prendono mercenarii, sia
quando si prendono a giornata uomini liberi per
far pi gagliardi lavori, come le vendemmie e il
tagliameulo dei fieni, sia quando si prendono
quelli che i nostri antichi chiamarouo indebi
tali (3), e dei quali ve ne sono molti anche al di
d oggi in Asia, in Egitlo e nellMIlirio.
Generalmente parlando di tutti questi lavo
ratori, dico essere pi utile che i luoghi malsani
sieno coltivati dai mercenarii, che dagli schia
vi (4), e che quelli sono da adoperarsi aoche nei
luoghi sani, quando nella campagna sieno me
stieri lavori gagliardi, come sono la raccolta dei
frulli della vendemmia, o delle biade. Cassio {5)
scrive che bisogna in queste sorte di genti si tro
vino queste qualit. Essere mestieri provvedersi
di quegli operai che possano sostener la fatica, che
non abbiano meno di venlidue anni, e che sieao
idonei per l agrieoi tor (6). Si potr congetturare
se sieno atti per i'agricullura, comandando ad essi
opere di un altro genere (7), e ricercando a que
sti nuovi operai quali faccende abbiano eseguite
nell* agricoltura presso il loro primo padrone (8).
Gli schiavi non bisogna che sieno n troppo pau-'
rosi, u troppo coraggiosi : quelli che presiedono,
bisogna che sappiano scrivere e che abbiano una
qualche cognizione (9), che sieno ouesti e di mag
gior et degli operai, dei quali ho parlalo ; per
ch quelli di maggior et obbediranno pi facil
mente che i giovani il padrone (10). Inoltre bi
sogna destinare a capi quelli che sono peliti nelle
cose rusticane ; poich non debbono aoltauto co
mandare, ma ancora agire, acciocch la famiglia
497
DE RE RUSTICA LIB. I.
49
peculi ino, e t eonjonelas conservas, e quibus ha-
beant filios: eo enim fiunt firmiores, ac conjun
ctiores fundo. Itaque propler has cognations
Epirotieae familiae saot illustriores ac canores.
Ad iojicieodam foluptatem hia praefecturae, ho
nore aliquo habendi anot : et de operariis, qoi
praestabunt a l i q u i , commooicaodum quoque
cum iis, qoae faciunda soot opera; quod ita cum
fit, minus ae putaut despici, alqne aliquo numero
haberi a domino. Studiosiores ad opus fieri libe
ralius tractando, aut oibariis,aut vestita largiore,
aut remissione operi*, concessioneve, ut peculiare
aliquid in fundo pascere liceat, aat hujuscemodi
rerum aliis, ut quibus quid gravius sit impera
tum, aut animadversum, qui consolando eorum
restituat voluntatem, ac benevolentiam in do
minum.
--o*--
CAPUT x v m
Db u n n o f a m i l i a s b c s t i c a l i s , q u o t o p i e i s q u i s -
QOI AGEB COLI POSSIT, BT N ISO DO CUJUSQUE.
De familia : Cato dirigit ad duaa roetas, ad
certum modum agri, et genua sationis, scribens
de olivetis e t vinetis ut duas formulas; unam, in
qua praecipit quomodo olivetum agri jugerum
c c i l instruere oporteat. Dicit enim in e o modo
haec, mancipia x j u i habenda, vilioum, vilicam,
operarios v, bubulcos ui, asinarium i, subulcum i,
opilio nem i. Alleram formulam scribit de vinea
rum j ugeribus centum, ut dioat haberi oportere
baec: xv saaaeipia, vilicam, vilicam, operarios x,
bobuknm, asinarium, subulcum. Saaerna scribit,
satis esse ad jugera vm hominem uaum ; ea de*
vedendoli operare, li imiti ; come altresi perch
oonosca che quegli il quale si destinato a suo
capo, lo io grazia del suo maggior sapere ( i t ) .
N a questi capi da permettersi che comandi
no in guisa, che facciano uso piuttosto del b a
stone , che della voce. B ( quando ci si possa
ottenere ) bisogna schivare di aver molti lavora
tori della medesima nazione, perch ci suole
d ordinario dar origine alle contese domesti
che (ia). Bisogna animar l attivit dei capi con
premii, onde eseguiscano quelle cose che loro fu
rono comandale (i 3). mestieri procurare inoltre
che abbiano del danaro e che si ammoglino eoa
conserve, affinch abbiano defigli; poich eoo
tal mezzo diventano pi strettamente attaccati
al fondo : e perci io grazia di cotali parentadi
gli schiavi dell Epiro sono celebri e di caro
prezzo. Bisogna creare in questi operai la spe
ranza di un qualche onore, e che qoelli, i quali
si distingueranno pi degli altri, potranno giu-
gnere anche ad essere capi: bisogna pure con
sultar coi medesimi intorno ai lavori che sooo
da Carsi ( i 4); il che facendosi, pensano che non
sieno tanto da diaprezzarai, e che dal padrone
ai tengano in qualche considerazione. Si rendono
pi amanti del lavoro trattandoli pi liberalme&le
o nel cibo, o nel vestilo, o sollevandoli aleuna
volta dalla fatica, o permettendo che nella tenuta
possano far pascolare qualche bestia che sia loro
propria, e altre oose di tal fatta ( i 5), acciocch
quando ad essi avr comandato qualche lavoro
troppo pesnle, ovvero quando gli avr corretti
troppo severamente, abbiano on qualche sollievo
che li consoli, e che rianimi io essi la loro buona
volont e benevolenza verso il padrone \i6).
c a p i t o l o x v m
D b l r u m b b o d e l l a f a m i g l i a b u s t i c a h a : coir
QUAffTE OPEBB SI PU COLTIVABB OGflI TEB
BERO : E QUAL BEGOLA K DA USABSI IH OG1TUHO.
Catone si era p r e f i s s o due scopi intorno il
n u m e r o della famiglia ; guardava cio all esten-
aione della tenuta, e al genere di*coltivazione,
cui era desliuala ; e propose il numero di peraone
per 1 oliveto e pel vigneto, quali formolo per
ogni altra specie di terreno (i). NeUuna prescri
ve il numero delle persoue, delle quali bisogna
fornire un oliveto di c c x l iugeri. Egli dice, che,
data questa estensione, si debbono aver xin schia
vi, cio uu castaido, una castalda, v operai, in bi
folchi, i asinaio, i porcaio, i pecoraio (a). I / altra
formola che prescrve, riguarda un vignaio di
499 M. TERENTII VARRONIS 5oo
bere e a m o o n f o d e r e diebus x l i , tamtlfi quaternis
operit lingula jugera poistt ; sed relinquere se
operat m i , valetudini, tempestati, ioertiae, indul
gentiae. Licio i at : Horum neuter talis dilucide
modulos reliquit nobi<. Quod Cato si voluit (ut
debuit) uti proportione, ad raajorem fundum ?el
minorem ndderemui vel demeremus, extra fami
liam debuit dieere vilicum et vilicam. Neqoe enim
ii m k i a t o c x l jugera oliveti 'colas, non possit
n i n u t uno vilieo habere : nec si bis tanto amplio
rem fundam, aat eo plut colas, ideo duo vilici,
aut tret habendi fuere. Operarii modo et bubulci
pro portiooe demeudi vel addendi, ad minores
majorette modot fundorum ; hi quoque ti timi Iit
ett ager ; n o ett ita dittimilit, d t totus arari non
ponit, ut ti it eonfragotut, alqae arduut clivis,
minus mulli opus t unt boves et bubulci. Mitto
iUud, quod modum, neque unum, nec modicum
proposuit c c x l jugerum. Modicut eoim centuria,
el ea cc jugerum, e quo qaum texla pars i i t ea x l ,
quae de c c x l demunlur, noo video quemadmo
dum ex ejut praecepto demam sextam partem :
et de xiii mancipiis nihilo magis si vilicum et
vilicam removero, quemadmodum ex xi Sextam
partem demam. Quod autem ait iu c jugeribus
vinearum opus esse xv maocipia, ti quit habebit
centuriaro, quae tit dimidium vioeti, dimidium
oliveti, sequetur, ut daos vilicot, et duas vilieat
habeat: quod ett deridieulum. Quars alia ratione
modus mancipiorum geoeratim est animadver
tendus, et magis in hoc Saserna probandus, qui
ait singula jugera quaternis operis uno operario
ad conficiendum talitetse. Sed ti hoc in Saieroae
fundo in Gallia talit fuit ; non continuo idem in
agro Ligustico moutauo.
Itaque de tamiliae magnitudine, et reliquo
instrumento commodissime scies, quantum pares,
si tria animadverteris diligenter. In vicinilate
praedia cujutmodi ftiut, et quanta, et quot quae
que hominibus eohtntur; et quot additis operit
aut demtis melius, aut deterius habeas cultum.
Bivium enim nobis ad culturam dedit natura,
experientiam, et imitationem. Antiquissimi agri
colae tentando pleraque oonstitueront, liberi e*
rum magnam partem imitando. Hot utnunqoe
cento ingeri, e dice che fanno mestieri xv s c h i a
vi (3) : un castaido, una castalda, 1 bifolco, i asi
naio, i pecoraio (4). Saseroa scrive che per v i t i
inger sufficiente mi uomo, e che dve lavorarl i
co ir x l t giorni, quantunque in quattro gi or na
te ti possa lavorare ogni iogero (5) ; ma egli di ce
che lascia da parte xm giornate pi casi di malat
tia, di cattiv tempo, di svogliatezza e di riposo.
Licinio : Nessun per altro di questi due autori ci
hanno lasciate formolo abbastanza chiare (6). Che
se Catone ha voluto (come deve averlo voluto) che
la formola foste iu proporzione della maggiore,
come pure della minor estensione del terreno,
debbonti donque accrescere e diminoir gli ope
rai. Inoltre non deve aver computato tra la fami
glia n il castaido, n la castalda (7). Imperciocch
te la devi coltivare un oliveto minor di c c x l in
geri, non potrai far di meno di nou avere almeno
uu castaido; n te tu coltiverai un podere due
o tre volle pi graude, devi perci avere due o
tre castaidi. Per lo pi gli operai e i bifolchi ti
debbono accretcere in proporzioue della gran
dezza del fondo (8). Parimente il numero di que
sti deve adattarti alla minore e alla maggiore
ettentione dei fondi, purch il terreno iia simile
per tutto ; ma te poi cosi dissimile, cbe non
posta ararti in tutte le tue parti, per easer pie
troso e interrotto da montagne, in allora si ri
cercano pi pochi buoi e bifolchi (9). Ci inter
pongo, perch proponendo c c l x ingeri per misura
comune, non si punlo servilo d1uoa misura
che avesse un nome noto, ed ha ecceduto i limiti
della pi graode pottettione (10) ; perch la pos
sessione la pi forte la centuria (11), e<f essa
di cc iugeri : ora te per formar questa ti levano
via x l iugeri, che tooo il tedicetimo della mitora
di c c x l , io oon veggo, fecondo it metodo di Ca
tone, in qual mauiera potrei levare la sesta parte
dai xm schiavi, conia nemmeno da xi, postoch
io levassi dal xm il cattaldo e la castalda. Quello
pai, eh egli dica riguardo ai c iugeri di vigne,
pei quali fanno mestieri xv tohiavi (ia), sa alcuno
avesse una centuria, di cui una met sia a vigne,
e l ' al t r a ad olivi, ne seguirebbe che dovrebbe
aver due castaidi o due castalde (i3) ; il che ana
ridicolosit.
Laonde in altra maniera bisogna determinare
in generale il numero degli schiavi 9 ed in ci
da lodarsi maggiormente Saserna, il qaal dice che
per lavorar on iogero sufficiente un solo opera
rio, il quale vi lavori dietro quattro giornate (i{).
Ma te ci aoeadde alla tenuta di Saserna situata
nella Gallia (15), non perci lo stesso succede nel
terreno naentuoso Ligustico (16). Sicch intorno
al numero della famiglia e ad ogn1altro i n s t i
mento saprai molto bene qoal mi cacto sia mestieri
facere debemus, et imitari alio, et aliter ot Cada
mi u experientia tentare qaaedam, sequentes ooa
altana, sed rationem aliquam: ut si altios repasti
naverimus, aut minus, qoam aliiv quod momenw
(um a rei hebeat; ut fecerunt ii, in sariende
ilerum, el tertio, et qui insitiones ficaloa ex
verno tempore in aeitjvaiB c o n t a k m n t
5oi
CAPUT XIX
Q d OT JUGA BOUM S1RGDL1S JUGEEIBUS SA TU SI0T ;
q o o d a r r a o M E a r u M a o e b s t b s e m i v o c a l i b u b -
COHTDB.
De reliqua parie instrumenti, quod semivo
cale appellatur, Saseroa ad jugera cc arvi, boum
j o g a duo satis esse scribit. Cito in olivetis c c x l
jogernm, bovts trioos : i u fit, ut Saerna dicat
verum, al ceolum jugera jugum opus esse, ai
Gaio, ad octogena. Sed ego ueutruni ho rum ad
omnem agrurn convenire palo, el ulrumque ad
aliquem, alia enim terra facilior aut difficilior
est alia. Ter r am boves proscindere oisi magnis
viribus non possunt, el uepe fracla bura relin
quunt vomeres ia arvo. Quo sequeudnm nobis
ia singulis fundis, dum sumus novicii, triplici
regula, superioris domini iustiluto, et vicinorum,
et experieutia quadam. Quod addit asiuos, qui
stercus vectent, treis, asinum molarium, in vinea
jugerum c jugum boam asinorum jugum, asi
num molariam : in h>c genere semivocalium,
adjicieodum de pecore, ea sola, qoae agri colendi
causa erunl, ut solent esse pecuaria, pauca ba-
benda, quo facilina mancipia, quae solent se (ae
ri, et assidua esse posiiot. In eo numero non
modo qui prata habenl, ut potias oves quam
sues habeant, curant, sed etiam qai prata non
habent, quia non solum pratorum causa habere
debent, sed etiam propter stercus*
'8 1
provvedere, se diligentemente farai attenzione a
tre cose (17) ; cio di qaal natura e di qual esten
sione sieno i poderi vicini ; e con quanti uomini
si coltivi ognuno di questi ; e quanti aggiungen
done, ovvero quanti togliendone, si reoda la col
tivazione migliore, o pi cattiva. Imperciocch
la natura ci ha mostrato il bivio da seguirsi nel-
l agricoltura, T esperienza e l imitazione. Gli
antichissimi agricoltori hnnno stabilito molte r e
gole collo sperimentar molle cose, e i loro figli
ne hanno stabilite una gran parte imitandoli. Noi
dobbiamo fere Funo e P altro ; e imitare gli altri,
e far qualche saggio da noi stessi, onde trovar
nuove cose. Non dobbiamo per altro camminare
a caso, ma esser guidati da una qualche ragio
ne (18): per esempio se tornando a pastinare pi
o meno (19) profondamente degli altri, quale uti
lit indi ne ridondi. In pari gaisa sperimentarono
quelli che sarchiarono e le due e le tre volle,
come pure fecero quelli che differirono gP innesti
dei fichi dalla primavera all* estate.
------
CAPITOLO XIX
Q o A S T l O l O f t l I DI BUOI s o n o SUFFICIENTI P I I O O l l
nJGEEO, OSSIA QUARTI STBUMEBTl CHIAMATI SE
MIVOCALI FA *HO MESTI E l i .
Riguardo agli altri strumenti, che si chiama
no semivocali, Saacrna scrive che per cc iugeri
di terreno sono sufficienti due gioghi di buoi.
Catooe dice ohe in na oliveto di c c z l iugeri
fanno mestieri Ire gioghi (1) di booi ; quindi ne
nasce che, se crediamo a Saserua (a), basta on
giogo per cento iugeri, e se a Catone, on giogo
mestieri per soli ottanta (3). Oda io peuso che n
l*una n l'altra formola di questi convenga a qual
sivoglia terreno (4), e che siauvene alcune, alle
quali convenga o 1 una o P altra ; imperciocch
vi sono alcune terre pi facili a coltivarsi, come
d'altronde ve ne sono altre pi difficili (5). Alcu
na voltai buoi non possono rompere ona terra,se
non con grandi sforzi, e sovente rompendosi gli
aratri, lasciano il vomere nella terra. Per la qital
con in tutti quei terreni che ancora non cono
sciamo, dobbiamo stare attaccati a tre regole,
cio alla pratica del precedente padrone, a quella
dei vicini, teular qoalcbe sperienza. Rispetto a
quello che Catone aggiunge, che nell oliveto bi
sogna aver tre asini che portino il letame, e un
asino per moliuo (6), e che uel vigneto di c iu
geri mestieri di un giogo di buoi, di un giogo
di asini e di un asino pel molino, parlaodo di
questi strumenti semivocali avrebbe dovuto
5oa
DE RE RUSTICA LIB. 1.
5o3 M. TERENTII VARRONIS
5o4
CAPUT XX
D * ELIGENDIS BUBUS, DB MODO PROBANDI BT
EDOMANDI NOVELLOS JUVENCOS.
Igitur de omnibus qaadrnpedibas prima est
probatio, qai idoDei sint boves, qui arandi causa
emaotur, qaos radis, neque rainoris trimos, nc
que roajoris quadrimos parandum ; ut viribus
magni siot, ac paret, ne in opere firmior imbecil
liorem cooficiat: amplis cornibus, et nigris potias
quam aliter : ut sint lata fronte, naribns simis,
lato pectore, crassis coxendicibus. Hos veterauos
ex campestribus locis non emendam in dura ac
montana : nec non, ita si incidit at sit, vitandum.
Novellos cam quis emerit juvencos, si eorum
colla in furcas deititutas incluserit, ao dederit
cibam, diebas paacis erunt mansueti, et ad do
mandum proni. Tam ita sabigeodum, ot minu-
tatim assuefaciant, et a t tironem cam veterano
adjangant; imitando enim facilias domatar. Et
primum in aequo loco, et sine aratro, tum eo
levi, et principio per arenam, aat molliorem
terram. Quos ad vectaras, item institaeodum, at
inania primam do eant plaustra, et si possis, per
vicum aut oppidum. Creber crepitas, ac varietas
rerum consueludine celerrima ad utilitatem ad
ducit. Ncque pertinaciter, queip feceris dexte
ram, in eo manendum. Quod si alternis fit sini
ster, fit laboranti in alterulra parte requies. Ubi
terra levit, at in Csmpaoia, ibi non bubus gra
vibus, sed vaccis aut asinis quod arant, eo faci
lius a d aratrum leve adduci possunt, a d molas, et
ad ea, si quae sunt, quae in fundo convehuntur.
In qaa re alii asellis, alii vaccis ac mulis utan-
t ar, exinde ut pabuli facultas est ; b a m facilias
asellus, quam Tacca alitar; sed fractaosior haec.
In eo agricolae hoc spectandam, quo fastigio sit
fundus ; in confragoso enim ac difficili haec va-
aggiungere che di bestiame non da m i D l e o e r s i ,
se non qoel solo che sar mestieri nella c o l t i v a
zione del terreno : come pure che gii schiavi a b
biano poco bestiame in loro propriet, Mc i oocb
questi non perdendo, com il solito, il t e m p o
intorno a quello che ad essi appartiene, p o s s a n o
essere pi assidui al lavoro (7). Per questo a p
punto non solamente quelli che hanno p r a t i
fanno in modo, che riguardo al bestiame, m a n
tengono piuttosto delle pecore, che de1p o r c i ;
ma cos pure fanno quelli, i quali non lo m a n
tengono, in grazia de' prati per motivo del l e
tame (8).
-----
CAPITOLO XX
D i l l a s c e l t a d e i b u o i , e d e l m o d o c o i c o i s i
ADDIMESTICANO E Si DOMANO 1 GIOVENCHI.
Tra tuti1i quadrupedi, sono i buoi cbe addi-
roandano la nostra prima attenzione. Quelli che
si comprano per arare sono a ci acconci, ae sono
nuovi pel lavoro, se hanno meno di tre aoni (1)
e se non oltrepassano i quattro, come pure se
sono robustissimi egualmente e di pari statura,
acciocch nel lavoro il pi forte non saperi il
debole; se hanno ampie corna, e piuttosto nere,
che altramente colorate ; se forniti di larga fron
te, di sari schiacciale, di largo petto e di grosse
cosce. Non bisogna comperar vecchi baoi assue
falli alla pianura, per quindi poi trasportarli iu
terreni duri e montuosi : n per altro, qaaodo
ci sia, da evitarsi il contrario (a). Se alcuno
avr compralo de* buoi novelli, in pochi giorni
li addimesticher, e facilmente li domer, se i
colli di questi staranno rinserrati tra la curvatura
di on legno fsso e stabile, e se in tale giacitura
dar loro il cibo (3). Indi poco a poco si dovran
no assuefare al giogo, e unire al giovane nn vec
chio bue, perch pi facilmente si doma quello
che vede l altrui esempio. E primieramente fallo
camminare soggiogato su d1un terreno piano e
senza aratro, poi attaccalo ad uno leggiero, e fa
che ari prima l' arena, o una lerra molto tene
ra (4). Quelli che destinerai alle vetture, gli am
maestrerai nel medesimo modo (5), cosicch pri
ma tirino carri vacui, e, se possibile, facciasi
che li menino per mezzo al borgo o alla citt :
lo strepito continuo e la variet degli oggetti fa
ranno s che prsstissimamente riescano utili (6).
N devi ostinarli a lasciar sempre alla destra quel
bne che da principio mettesti a questo lato ; che
se alternativamente il farai sinistro e destro, sar
DE HERUSTICA LIB. I,
5oG
lentiora piraod^m, t potias e, q u e plus fro*-
etam veddcre possint, caia idem opcris Cadant.
CAPUT XXI
Db c a v i b i ts , s u b q uibus u t i q u b v i l l a v a i u i
TUTA UT.
Canes potio* cora dignitate, et aqr^spaucos
b a b e n d o m , qoam molto* ; qaos consuefacias
potius ndcta vigilare, a t . interdia clausos dor
mire. De indomitis qoadrupedrbas, ac pecore
( facinndom ). i prata sant in* f ondo, neqoe
pecas habet ; danda opf ra ut pabulo vendil o,
alienam pecas in suo fondo pascal ac stabolet.
.CAPUT x x n
Qt A LI TB UinvBBSUS mSTBUHBlTTbBUV' FUHDI
APVABATUS IjrtTITATUB.
De reli qao instrnmento moto, in quo sant
corbulae, et dolia t i alia^.haeo praecipienda.
Qaae nasci in f a n d Q , ac fieri a domesticis pojne-
runt, eorum ne quid ematur, a l fere sant, qaae
vx viminibos et materia rustica fiunt, ni odrbes,
fisci pae, tribola, mallei, rastelli. Sic qu*e fiant
de cannabi, lino, jonco, palma, scirpo, o t fanet,
vtstes, tegetes. Qoae e fondo stimi non [>oternt,
a si empta er ant p o t i o i s d atilitatem, qoam ob
speciam, s a p p i a fractam non extenuabunt ; eo ]
M. T b b b b z i o Va b b o v b
aleno poco allegger lo neU' dno dei lati. Ove la
lenra leggiera, come nella Campania (7 ), ivi per
arare non faono mestieri booi frti (8), ma vac
che od asini (9); e qtfetti e quelle pi facilmente
si assoceranno a*tirar l ' aratro leggiero, a girar
la macina, come pat a trasportar nel fondo tolto
quello che vi occorre. Pel quale oggetto alcuni si
.servoqo di asinelli, e altri di vacche e di muli,
secondo la quantit de* pasooli cbe posseggo
no (10); perciocch si notrisce pi facilmente ao
afioello, cb una vacca ; ma questa rende di pi!
l o torno alla scelta di qoesti animali l agricoltore
dete fare attenzione alla nalara della superficie
del terreno, perch in quello, eh* montaoso e
difficile a lavorarsi, non occorre che questi ani
mali sieno da' pi robusti (11), e piottosto si deb-
bono provvedere quelli che possono rendermag*
gior/frutto, quando siano al caso di farcii mede
simo lavoro.
----- -----
CAPITOLO XXI
D b 1 c a v i , s ur zA d b q u a l i l a c a s a v i l l b b b c c i a
POCO I I SIUBO.
Torna conto mantener pochi cani, ma di va
lore c bruschi,, che averne molti : i qoali gli
assuefarai a vegliar*piuttsto la notte e a dormire
serrati tra il giorno (1). Intorno agli altri qua
drupedi, che non si addimesticano, come pure
rigoardo i bestiame ammaestrato e ai cani, de-
vesi far quello che ho detto (a). Se (3) il proprie
tario ha nella stia tenuta de prati, e se non ha
bestiame, deve procurar, di vendere i pascoli, e
che l alimi bestiame entri a pascolare nella soa
tepata, e che alia nelle sfalle della medesima.
----- ------
CAPITOLO x x n
COMB SI PBBPABANO TUTTI GLI STBUMBBTI
HBCBSSABU ALLA TENUTA.
Ioiorto agli strumenti muti, nel numero dei
quali vi sono le picciole corbe, le botti e le altre
cose, ci da prescriversi t ' che non bisogna
comprar niente di tutto quello che potr nascer
nel fondo e farsi dai domestici, come a un
dipresso quanto si fa coi vimini e col legno che
nasce nella tenuta: di questa fatta cono le corbe,
i panieri, le trebbie, i martelli e i aastrelli : pari
mente quanto si fa colla canapa, col lino * col
giunco, olla palma e collo sparlo (1) : tali sono
9
M. TERliNTU VARRONIS 5o8
rnagtf, ti iude empia erant poliuirnum, ubi ea et
bona, et proxime, et vilittimo mi poterant.
Cdjut in trameni, varia discrimina ac mollitudo
agri magnitudine finitur, qaod plora oput suat,
ti finet distant late. Itaque, Slolb inquit, propo
sita magnitudine fandi, de eo genere Cato acri-
bi t : Oliveti jugera c c x l qai coleret, eum intt rae-
r e ita oportere, a t faoeret Tata olearia juga t ,
qoae roembratim enomerat ; a t ex aere aheoea,
urceos, nassiternam, item alia; t i c * ligno et
ferro, a t plostra majora tria, aratra cam TOtoeri-.
b a t sex, cratet ttercorariaa qaatuor, item alia ;
aio de ferramentis qaae sint, et quet opat ad
roultiludiuem, ut ferreat octo, aaroala totidem,
dimidio minat palat, item alia. Item alteram
formulam Instrumenti fundi Tinarii fecit, ia que
scribit : Si ait centom jugerum, habere oportere
Tata torcularia instructa trina, dolia cuin oper
culis calleoram octingentorum , ocioaria xx ,
frumentaria xx; item ejusmodi alia: quae minut
molis quidem alii, ted tantam nuraeram culleo
rum scripsisse puto, ne cogeretur quotannis ven
dere vinum. Vetera eoim qutm noTa, et adem
alio tempore, quam alio pluris. Item sic de ferra
mentorum Varietate scribit permalfa, et genere,
et mollitudine qua sibi^ u t falces, palas, rastros.
Sic alit, quorum nonnulla genera species halient
plures, at falces; nam dicantur ab eodem scri
ptore vineaticae opus esse sex, tirpicalae T, silva
ticae t , arborariae in, et rntlariae x. Bic haec.
At Scrofa: Intlramentam, et sapellectilem rtti-
cam omnem oportet habere scriptam in urbe et
rare domiaam ; vilicum cntri e i rori omnia
certo tuo quaeque loco ad villam ( debent esse)
posita. Qoae non potsnt ette sub clavi, qaam
marfime facere, at sint in conspectu, oportet ;*eo
magis ea, qaae in rariore sunt uau, ut qaibos ia
Tindemia aluntnr, a t corbulae, et tic a l i a ; quae
enim res qaotidie vi dentur, minat metuunt
forem.
le corde, i canapi, 1 stuoia (a). R i g u a r d o m
quell* eoae, ' le quali non si potranno t r a r r e d a l
fondo, te nel comprarle ti avr pi occhio alla
utiliU, che alla bellezza, la apeta non d i m i n u i r
mollo II profitto del. fondo; e molto pi te si s a r a n
no comprate particolarmente dove e ti p o t r a n n o
comprare b a o n e , in vicintoxa, e a viliaamo
pretao. La grandezze del podere determina le
varie specie la quantit di questi strumenti, d
quali ne occorrono ittolti in ana tenuta che sia
molto Tasta. Per questo appunto, dice Stolone,
ch Catone (3) comincia dtl determinar la gran*
dezza -del fondo, dicendo che chi coltTa on
oliveto di c c x l iugeri, bisogna che in tal modo
lo fornitea, onde, faccia che >i sieno (4) v specie
di utensili per F olio, che parte a parte anno
vera, come pure (parlando di quelli di rame) (5)
delle caldaie, degli orci, un vaso a tre manichi,
ed altri utensili di rame : parimenti ne dorr
avere di lgno e di ferro, confe tre grandi carri,
sei aratri ei loro vomeri, quattro craticci da
telarne, ed altri attrezzi pure di legno e di ferro:
del pari ne dotr avere di ferro, i quali tieno
' tinti, qoanti taranno i lavoratori (6), de otto
forche (7), altrettanti tarchi, quattro badili alake*
no, ed altri attrezzi di Ul fatta. D ancor# un1al*
tra formoli.(8) per fornir di tiramenti ira terre
no piantato a rigne, dicendo, Che te di cento
inger, bisogna aver tre torchi (9) con tutte le
loro pertinenze, delle botti col loro covtrchio,
le quali oon tengano ottocento colei (10), xx botti
per riporvi gli acini, ed altrettante per mettervi
la biada, come pure altri utensili di simil genere.
Questi stramenti soao, per vero dire, pi pochi
negli altri autori ; ma pento che Catone abbia
sqriilo un s gr t n numero di clei, affinch non
si fosse qella necessit di vendere il vino tulli gli
anoi percioccl^ i vini vecchi ti vendono a pi
cato prezzo, che i nuovi, e parimente ti vendono
a pi prezzo in unt stagione,- che in un* altra.
Scrive pure iutorno gli tiramenti di ferro, dei
quali nc descrive le differenti specie e ne deter
mina il numero, quali ton le falci, i badili -e i
rastrelli. Vi sono alcuni di - quatti attrezzi, i
quali si tuddividopo i n . m o l t e 1 paci* : tali tono
le falci (11); imperciocch da quetlo scrittore t i
dice che. ftnno .mestieri x l ( i a) ronche da- tagliar
viti,- v per tagliare i legami della Trte, v per
tagliar la legna del bojco, i u coltellacci per
raondtr gli alberi, e x falci d a tagliare i rovi ( i 3).
Ci ditte Catone* Mt Scrofa soggiunge : Bisogna
che il proprietario abbia u t a nota dittinla e in
citt e in villa di ogni strumento e di ogni mo
bile ruslioano : per contrario il caalddo deve
nella casa villereccia disporli tatti con ordine ai
loro adattati luoghi (14). Quelli cbe non pottono
DE RE RUSTICA LIB. 1.
5i o
serrarsi sotto chiave, bisogna procurar sopra!*
t utt od fare in modo che sieno sotto gli occhi (i5),
e molto pi quelli <;he si adoperano rare f o l t e ,
come iono gli utensili ohe si adoperano nella
vendemmia y per esempio le piccole corbe ed
altri di tal fatta ; perch quelle cose che si t eg-
g?no ogni giorno, meno corrono rischio di essere
rubate.
c a p u t x x r a
Q u a * * r 900 QurDqui l o c o ma x ime i t i u i
OFOATKAT.
Sascipit A gradui : Et qoonijutt habemus illa
duo prima* ex di visione qdadriparlita, de fondo,
et de inslrumeoto, quo coli solct ; de lerlia par-
le expecto. Srofa : Quoniam fructum, inquit,
arbitror esse fundi eum, qoi ex eo satos nasci-
i u r utilis ad aliqoam reiq ; duo consideranda^
qpae^-el quo qnidqne loco mrxime expediat se
rere. Alia enim looa apposita sont d foenom,
alia ad frameotum, alia ad vhram, aUa ad oleum.
Sic .ad pabdlom qnae perfluent, in qu*est oci
mum, Carrago, vicia, mediefl, cytisum, lapimus. '
Ne qut in pingui terra omnia secpntur rect^
neque i n macra toihil. Recti as enitp in tenaiore
terra ea, qaae non multo indigeat saco, at eytl-
sam et legamioa, praeter cicer : hoc enim quo
que legumen,*at caetera, quae velluntur e terra,
nOn subsecantor t quae quod ita leguntur, le
gumina dicta. Io pingui rectius, quae cibi sunt
maioris, ot holos, trHieom, siligo, linam. Quae
dam etiem serenda non'tam propter praesentem
fructum, qaam ln annom prospidentem, quod
Ibi. sabsecta atqe relicta terram faciunt melio
rem. Itaque lupinum cum necdum siliculam cepit,
et noonunqnam fabalia, si ad siliquas non ita per-
teoiti at fiabam legere expediat, st ager macrior
est, pr o steroore toara^e olrt. Nec minus ea
discriminanda fio conserando, quae sunt fructuo
sa, propter totaptatem, ot quae pomaria ac (Io-
ralla a p p e l l a n t o r . Item illa quae j d botainum t i
f osa ae sensam, delectalionemque non perli
t ant, neque ab agri atiKtate itfnt dijuncta,
c a p i t o l o x x m
Q o a u p i a j t o , 3 m q u i i , l u o g o s p b c u l h b v t i
MSOGS A UMIIAU 00*1 IAHTA.
Agrario.imprende a parlare: E poich hai
finito di trattar delle dae parli della quadripar
tita ditisione ( 0 , cio del fondo e degli st ra
menti, eo' quali si coltiva, sto attendendo la trat-
taxione della terta. Siccome io penso, dice Scro
fa, che quello si debba dir frutto del fondo, il
qaale t i nasce in conseguenza di esservi semi
nato o piantato, e che a qualche cosa pa es
serci alile ; cosi su questo articolo sono da con
siderarsi due cote,, cio quali generi, e in qaal
luogo ognuno di questr contenga specialmente'
seminare o piantare; impercioedi alcuni luo
ghi sono adattati al fieno, altri alla biada, altri
al* vino, e altft all olio : lo stesso di tolto quel
lo die appartiene al pascolo, come Vofzlmo, la
farragine, la teecia, la cedrangola, U citiso, il l a-
pino m va bene seminare indistintamente quest!
foraggi nella pingue terra, come nemmeno noo
seminar niente nella magra; imperocch se si
fa bene a seminar nella debole terra (a) quelle
sementi che non abbisognano di molto succo,
come sono il citis e tatt* i legumi, tranne il
cece (3), essendoch anche questo legume, corno
tutti gli altri che si diradicano e non si tagliano,.
sono detti legumi, perch appunto Cos si raccol
gono (4) ; d' altronde si fa ottimamente a se
minar nella pingoe terra quelle semenze che ab- *
bisognano di molto nodrimento (5), come gli or
taggi, il frumento, la. siligine, il lino. Si deb
bono ''ancora seminare alcune piante, non tanto
per trarne fratto in quell* aano, quanto ancora
per provveder meglio alla terra nel tegnente
anno, perch tagliandole a pelo di terra, ed ivi
lasciandotele, la rendono migliore. Per la qual
cosa, se la terra magra, sogliono sotterrare,
arando, il letame misto al lupino, quando non
ancora (6) comparso il baccelletto, e alle tolte
ancora t i uniscono i fusti dalle fate, purch le
silique non sieno comparse, e quando non torni
pi conto raccoglier la fava medesima. N ai-
515 M. TEHENT1I VARRONIS 5 i C
CAPUT XXV
VlBEA QUO4GJ10 SBBURDASIT.
Vinea, quo Io agro seronda sit, sic observao~
dnm. Qai locas optimos vino sit, et ostentat soli, '
Amioaeam minascalum, et geminam egeneom,
helveolum minasculam seri oportere \ qai locat
crassior sit, siit nebulosas, ibi Aminaeunl mejas,
aat Murgentinum, Apicium, Lacsnum teri;. eae*-
terat viles, et de his miscellas maxime, in omne
genus sgri convenite.
CAPUT XXVI
Quo n LOGOBIDJCABIVVIBIA FISI DBBBABT,
BT At QUABPABTIM.
Id omni tinea diligenter observant, ot ridica
iti ab septentrione versas legitor ; et si cupres
sos vivas pro ridicis ioterunt, ' alternos ordinet
imponant : neque eas crescere fcltius, qaam'ridi
cas patiaotar, neqne propter ess adierunt vites,
qaod ialer se haec inimica. Agriar Fundanio: Ve
reor, iiiquil, ne ante aedi.timus veniat huo, qaam
hic. ad qaartum actum ; vindemiam enim exp-
cto. Bono Anim es, inqitit Scfofs, ac fiscinam
erpedi, et a r n a n .
c a p u t xxvn
Qu o t d iv i d a t u mbbs ibu s b t t e mf o b ib u s a w t j s ,
BT IB QUIBUS QUID SEBI OPOBTIAT,.. ACCOLLIGI
DB AGIO SOCIATA.
Et quoniam tempora duorum genertkn sunt
anum tonale, qaod sol circuitu sao finit : alie*
rum menstraum, qaod luaa circomieos compre*
htndit : prius dicam de sole. Ejos cursus annalis
primum fere circiter ternis mentibus ad fractus
est divisus in jv partes, et idem subtilius sesqui
mensibus in yiii. In qustuor, qood dividitur in
e r , et aestatem, et automnum, et hiemem. Vere
sationes quaedam fiuut, terram radem proscin
dere oportet, quae sont ex ea enata, prlasqaam
ex iis quid seminis cadat, at sint exradicata ; et
CAPITOLOxxv
T* QUAL TMBIBO ^ DA PIAKTBBSI LA t I G WJL*
Ci i da osservarti nel terreno, nel q u a l e ai
pianter la vigna. In quel luogo che sar o t t i m o
pl vino che sar esposto al sole, b i i o g n e r
piartarvi (i) la picciola Animine, ambedue Io
eugenie, le piccole elveotc-j e in quel laogo 'h*
pi'grasso^ pi nebbiosi, vi J i pianta 1*A r a m i -
neo maggire^ il Myrgentjno, 1 Apicio, jo il L a -
cano. Le altre viti; e particolacmente quelle c h e -
prodooooo neri grappoli, si adattino a qaal si vo
glia terreno (a).
CAPITOLO XXVI
iB 'QUAL LDOOO DBLLA VIGNASONODA PlJfcWABlr
LB PALABCHB, BDIrf QUA&PASTI.
.Scrupolosamente si osserva in ogni vigoeto,
cbe la vite sia coperta dalla palanca dalli parte
di settentrione ; e se in luogo*di palanche alcuni
piantane cipressi vivi, q u a l i li piantano alterna
tivamente tra gli ordini (i), n permettono che
crescano pi alti delle palanche, n in vicinam*
delle vili vi mettono cavoli, perch quetfe du
piante son antipatiche (a). Agrio dice a Funda
nio : Temo che qui se ne ritorni il sagrestano' pri
ma ohe non sia terminato il quarto alto, sospi
rando io moltissimo la vendemmia (3): Fatti co
raggio, dice Scrofa, e prepara i panierie le broc
c e (4).
CAPITOLO XXVII
In QUABTI VBSI B TBMPI SI DIVIDA L*AB*, B IH
QUALI TBMPI COHVBBOA SBMlrfAB QUELLI TALI
SBMBBTI, B BACCOGLIBBB I SEMINATI.
E poich il tempo d i dae maniere, ano an
nuo, nel quale il sole termina il suo corso, d ' a l
tro mestruo che comprende il gir della Iona,
perci dir prima del sole ; il coi -corso an
nuo (i), considerato rispettivamente ai fratti
della terra, si divide prima in iv parti, ognuna
delle quali a un dipresso di tre mesi : si pu
ancora dividerlo pi minatamente in vm parli
di uo mese e mezzo. La prima divisione in quat
tro parti abbraccia la primavera, l estate, 1' au
tunno e l ' inverno. In primavera bisogna arar la
DE RE RUSTICA LIB. I. 5f8
siimi) glaebis ab sole percalefactis aptiores faoere
ad accipiendum imbrem^ et ad opos faciliores,
relaxatas; neqne eam minos bis arando*, ter
melius. Aestate fieri messes oportere. Autumno
siccis tempestatibus vindemias, ae silvas excoli
commodissime : tane praecidi arbores oportere
secundam terram. Radices autem prioribas im
bribus at eflbdiaotur, ae quid ex bis nasci poa-
sit.' Hieme potari arbores damtaxat bis tempo
ribus, com gelo cortices et imbribus careant et
glacie.
CAPUT XXVIII
Q c o t d i b s h a b e a t q u a e l i b e t q u a b t a f a e s a v x i ,
ET IV QUIBUS COXL1 SIGEIS IETEEET.
Dies primas est veris in Aquario, aestatis ia
Tauro, aatomoi i n Leone, biemis in Scorpiooe.
Cum anioscujosqoe horum qoatuor signorum
dies tertios et vicesimas, quatuor temporali sit
primus ; efficitor a t ver dies babeat xci, aestas
xeiv, automnos.xci, hyems xxcix. Qaae redacta
ad dies civiles nostros, qui nunc sunt primi Verni
temporis ex a. d. t u Jd. Feb. aestivi ex a. d. iv
Idjb. Afaji : autumnales ex a. d. vul dib. Sext. hi
berni ex a, d. iv ld. Novemb.
Subtilius discretis temporibus obeervanda
quaedam sont, ea qoae in partes t u i dividuntur.
Primum a favonio ad aeqoinoelion vernam
dies x l ; hi ac a d Vergiliarum exortam dies x u v ;
ab boe ad solstltiom dies x l t i u ; inde ad Cani
culae sigoom dies xxix ; deit ad aeqomocliom
autumoale dies l x v h *, exin ad Vergiliarum occa
sum dies xxxii ; ab hoc ab bromam dies l v i i ;
inde ad Javoiyam dies x l t .
terra dora (a), non tanto perch si sradichino
latte le produzioni spontanee nate dalla terra*
prima che lascino cadere i loro semi, quanto
perch le zolle che nell istesso tempo s innalza
no dall1aratro siano al caso di essere riscaldate
dal sole, e pi disposte a ricever la pioggia, e
quindi essendo ammollite, pi facilmente fanno
il loro uffizio (3). N bisogna arar la terra meno
di due volte: sar meglio per ararla tre vol
te (4). Nell estate bisogoa far le raccolte ; nel
l' autunno bisogna vendemmiare nelle giornate
secche, e coltivare i boschi : opportunamente in
allora bisogna tagliar gli alberi appresso la ter
ra (5). Bisogoa poi fin dalle prime piogge strap
par le radici, acciocch non germoglino. Nel-
T inverno mestieri potar gli alberi, ma sola
mente j n qua tempi, nei qaali le cortecce non
saranno coperte di brine, di pioggia, o di
ghiaccio.
--C*--
c a p i t o l o x x v r a
Q o a h t i Gjoam a b b i a o g n i q u a b t a p a s t e b e l -
l ' ABHO, E m QUAtl SEGEI CELESTI COMIBCI
OGNUBA.
L i primavera principia qaando il sole in
Acqaario, 1 estate qaando in Toro, l autunno
quando in Lione, e V inverno quando nello
Seorpione. Siccome il primo giorno di qaeste
quattro stagioni non principia se non qoaodo
sooo passati ventitr giorni, dacch il sole en
trato in ognooo de mentovali segni, quindi ne
egue che k primavera ha xci giorni, l estate,
xciv, l autunno xci, e l inverno lxxxix (i). I
quali giorni se ai riferiscono ai nostri civili, quali
sono presentemente (a), il primo giorno di pri
mavera corrisponder all ottavo giorno avanti
gl1Idi di Febbraio (3), il primo giorno di estate
al quinto avanti gl idi di Maggio, il primo gior
no di autunno (4) allottavo avanti gl Idi di Ago
sto (5), e il primo dell inverno al quinto avanti
gl Idi di Novembre.
Se pi minutamente si divide l anno, cio in
otto parti, questa distribuzione porta seco alcu
ne osservazioni (6). La prima comprende x l
giorni, e principia dal tramontar del sole in quel
punto in coi spira il vento- favonio (7) sino all e-
quinozio di primavera: la seconda abbraccia
x l iv , e principia dall equinzio di primavera
sino al levar delle pleiadi : la terza ha x l v u i, ed
tra il le*ar delle pleiadi e il solstizio-: la qnarta
di xxix giorni, ed ha principio dal solstizio si
no al levar della canicola: la quinta di Lxvit
M. TERENTII VRRONS 6ao
CAPUT XXIX
Q u i d i i t u f a v o b i u m e t a r q i o c t i u m f i e u
OPOATEAT.
In primo intervallo, inler favooiom et ae-
qoiooctiom T e r n u m , haec f i e r i oportet. Semi
naria omne geuas ut serantor, putari io primis,
circom vites ablaqueari, radices, quae in summa
terra sont, praecidi, prata purgari, salicta seri,
segetes saliri. Seges dicitur, quod aratam satum
est: arvum quod aratum, nec dum salum est.
Novalis, obi satum fuit ante, quam secunda ara
tione renovelur. Rursum terram cum primum
a r a n t , proscindere appellant; cum iterum, of
fringere dicunt; quod prima aratione glaebae
grandes solent excitari ( cum iterator, offringere
vocant ) ; tertio cum arant jacto semine ( boves ),
lirare dicuntur : id est, cum tabellis additis ad
vomerem simul, et satum frumentum operiunt
io porcis, et soleant fossas, quo pluvia aqua de
labatur : nonnulli postea, qui segetes 'non tam
latas habent ( ut in Apulia ) id genas praedii per
saritores occare solent, si quae in porcis relictae
grandiores -sout glaebae. Qua aratrum vomere
laconam striam facit, solcus vocatur. Qaod st
ioter duos sulcos, elata terra, dicilur porca, qood
e t seges frumentum porricit. Sic quoqac exta
deis com dabant, porricere dicebant.
-----
giorni, e priocipia dal levar della canicola sino
alP equinozio aataonale : la sesta contiene x x i u
giorni, ed tra questo e il tramoptar delle ple
iadi : la settima ha l y i x giorni, e4 tra il tra
montar di qoeste e il solstizio d inverno : e Pol
lava comprende giorni x l v , e co mi nei a da que
sto, e termina qaando il sole tramonta al luogo
da coi spira il vento favonio (8),
CAPITOLO XXIX
Q u a l i c o s e s o n o d a f a i s i t e a i l t e m p o , i v c u i i l
SOLE TRAMONTA, DOVE SOFFIA IL FAVONIO,
L* EQUI80X10 DI PftULAVKBA.
Queste cose sono da farsi nel primo inter
vallo, in coi il sole tramonta, ove spira il fa
vonio, sino all equinozio di primavera. Biso
gna seminar de' vivai di ogni genere, potar nei
luoghi temperati (i), scalzare attorno le viti, ta
gliare alle medesime quelle radici che sooo sopra
la terr, nltare i prati, piantare i salceti, sar
chiar le terre arale che in latino si chiamano
segetes. Si dice seget quella terra che arata,
ma oon ancora seminata (a). Si chiama novale
quel terreno che si seminato senza aver avolo
bisogno di una seconda aratura. Inoltre chiamano
tagliar la terra, quando arano l prima volta, e
dicono romper le grandi zolle la seconda ara
tura,* perch la prima d* ordinario non fa che
alzarle (3). Quando si ara la terza, volta dopo
avere sparsa la semenza, si dice formare i sol
chi (4). Questa l ena operazione si fa quando at
taccano col vomere delle tavole, e quando nello
stesso tempo che coprono nelle porche il gramo
seminalo, scavano anehe i solchi, ove possa colar
P acqua piovana. Alcuni poi, che non hanno ter
reni mollo estesi (come i coltivatori della Puglia),
sogliono far erpicare siffatti terreni da quelli che
sarchiano, pstoch nelle porche sieno rimaste
delle zlle troppo grandi. Sr chiama solco quella
scanalatura diritta, e per totto uguale che for
ma il vomere dell* aratro (5); porca poi si dice
la terra ebe trovaci inalzata tra dae solchi, per
ch appuoto questa porzione di terra alta (6)
quella che in latino si direbbe porricit, o getta i a
allo il grano : cos pare dicevaao porricere%
quando sagrificavano agli dei le interiora delle
vi tt i me^).
5ai
DE RE RUSTICA LIB. I.
CAPUT XXX
Q o a b i r r u a e q u in o c t iu m v b b n u k b t Ve e o i l i a -
1 D1 BXOETUMFXBBI DEBBANT.
Secondo iotervallo iotcr vernam aeqnino-
e l i o n i , e l Tergiliiniffl exortam hiee fieri. Sege
tes r a o c a r i ( herbam segelibas ex porga ri ), bb-
ve* t e r r a m proscindere, salicem caedi, prala de-
f endi ; qoae soperiore tempore fieri oportoerit,
e t n o n i oni abtoloU, ante quam gemmas agaot
ac florescere incipiant, fieri : qaod ai, quae folia
a m i t t e r e solent, ante frondere inceperint, sta ti m
ad t er endam idoneae non sont. Oleam aeri, in-
t e r p o U n q o e oporlet.
----- -----
CAPUT XXXI
Q u a * u t t e b V b i g i l i a bu m b x o b t u w a d s o l s t i-
Tira FIBBT OFOBTBAT.
Ter l i o intervallo, Soler Vergiliarum exortom
e l solatili oro, haec fieri debeat. Vioess novellas
f o d e r e, aot arare, et poslea occare, id est coro-
voiooere, ne ait glaeba; qood ila ocddoot, occare
di ca nt . Vites pampinari, sed a seienle; nam id,
qaam potare majas, neqee io arbusto, sed io
viuea fieri. Pampioare est ex sarmento cole*, qai
nati j n n t , de iis, qai plurimam valeot, primum
ac secundam, nonnooquam eliam tertioro, relin
quere, reliqoos decerpere, ne relictis colibas
tarroenlum neqoeat ministrare succom. Ideo io
vitiario priroitos com exit vilis, tota resecari
aolet, u t firmiore sarmento e terra exeat, atqoe
io parieodis colibus vires habept majores. Ejun-
adora eoim aarmeotam propter infirmitatem
iterile, oeqoe ex se potest ejicere vilem ; qoam
vocaol mioorem flagellom, majorem eliam, no de
uvae nascuntor, palmam ; prior litera una mo
lata declinata a venti flato, simili ler flabellum ac
flagellum ; posterior, qoo ea vilis immitlilor ad
u t ** periendas, dicta primo ?idetor a parieodo
parilema : exio molatis literis, a t io mallis, dici
coepta palma. Ex altera parte cajprea dieta, qnod
parit capreolam ; is est colicalas viteos intortus,
ot cincinnos ; is eoim viles, ot teoeat, serpit ad
locato capiundam ; ex quo a capiendo capreolus
dictos.
M. Tebbit zio Ya e e o b e
CAPITOLO XXX
Q u a l i c o s b s i d e b b o n o f a b e t e a l ' e q u i n o z i o d i
FB1MAVEEA, B IL LEVAB DELLE PLEIADI.
Convien far le segatoli cose nel secondo in
tervallo, cio tra l1equinozio di primavera e il
levar delle Pleiadi. Bisogna nettar le terre (i),
tagliar la terra co1 buoi (a), tagliare il salceto,
proibir cbe entri l acqua nei prali (3), far qoello
che conveniva farsi nei tempi precedenti, e che
doveva essere terminato negli alberi, avanti che
compariscano le gemme e i fiori. Che se alcooi
alberi, i quali sogliono gettar le foglie, haooo
cominciato a frondeggiare, io allora non occorre
piantarli (4)- Bisogna pisolare e diramar 1' olivo.
CAPITOLO XXXI
Q g a l i c o s b b i s o g n a f a b b t e a i l l e v a * d e l l e
P l e i a d i e i l s o l s t i t i o .
Le seguenti cose sono da farsi nel terzo inter
vallo, cio tra il levar delle Pleiadi e il solstizio.
Bisogna zappare attorno le vigne novelle, ovvero
arare, e poi erpicare (i) cio ammazzare la terra,
onde non vi resti alcooa zolla. Quelli che in tal
modo distraggono le zolle, fanno quello che in
Ialino dicesi (a) occare, dalla parola occidere.
Bisogoa spampanare le vili ; il che deve farsi da
ooa persona istrutta, imperciocch qoest1ope
razione imporla pi cha il potare (3): e ci non
da farsi in una vigna maritata all'albero, ma in
quella eh1 isolala. Si spampana quando al sar
mento non si lasciano che due e alle volte aoche
tre pampaoi dei pi robusti, strappando gli altri,
acciocch, restando tulli, non sia pi in caso il
sarmento di somministrsre ad essi il nodrimento
necessario. Perci oel vigneto novello, quando la
vigna comincia ad alzarsi, suolsi tagliarla intera
mente, onde esca della terra fornita di uu robu
sto sarmento (4), il quale anche avr maggiori
forze in produrre de' robusti pampaoi ; imper
ciocch il sarmento sonile, quanto il giunco (5),
sterile per esser troppo debole: o po la vite,
che chiamaoo minore, produr luoghe e forti
verghe, dette in latinoflagella; quando chiamano
in latino palmae, o capi della vile quelli, dai
quali nascono anche i grappoli (6).l primi trag
gono il loro nome dal soffio del vanto, che in
Ialino si dioe flatus ; e ci in grazia del pangia-
mento di una lettera, onde si abbiano i sioonimi
flabellum e flagellum. 1 secoodi sembrano essere
io
AI. TERENTII VARRONIS 5 2 *
Omne pabulum, primum ocimum, farraginem,
viciam, novissime foenum secari; ocioom dictum
a Greco verbo tixiw, qood valet cilo. Similiter
quo ocimom in horto. Hoc amplios dictom oci
num, qood citat alvum bubas, et ideo iis datur
ut purgentur; id ex fabuli segete viride sectum
ante quam genat siliqoas. Cootra ex segete, ubi
sata admixta ordeum et vicia, et legumioa pa
buli caosa tiridia, quod (far) ferro caesa, farrago
dicta, aol nisi quod primum in farracia segete
seri coeptum. Ea eqoi et jomeota caetera verno
1empore purgantur ac aagioaotur. Vicia dicta a
vinciendo, qood item capreolos habet ot vitis,
quibus cum sursum vorsom serpit ad scapum
lupioi, alinrave quem, ut haereat, id solet vin
cire. Si prata irrigua habebis, simolac foenum
austoleris, irrigare. Iu poma, qoae insita erunt,
siccitatibus aquam addi quotidie; a quo, quod
indigent potu, poma dicta esse possunt.
alati chiamati prima parilcma dalla parola pro
durre, o parere in latino, perch sono dest inal i
a produr le ove (7); dappoi cangiatesi aleone
lettere, come si fa io molte etimologie, ai tono io
progresso detti capi di vite, o in latipo palmat.
La vite produce inoltre dei viticci, i qoali sono
piccolissimi aarmeoti di vite attortigliali, com' il
riccio ; questi di fatti, onde la vite col loro mezxo
ai attacchi ove serpeggia, s* iooalzano dalla me
desima, e si attorligliaoo, e abbracciano i rami
degli alberi ; e perci sono detti viticci, e in Iali
no capreoli dal preodere che faono, ossia dalla
parola Ialina capere (8).
Bisogoa tagliare ogni sorta di pascolo ; e pri
ma r ozzimo, poi la farragine, iodi la Yeccta, ed
ultimamente il fieno. E detto oziimo dalla pa
rola greca vxivfy perch vieoe presto (9). Simil-
meote si chiama ozzimo il basilico dei giardioi
per la medesima ragione (10). Si detto inoltre
ocinum, perch ai buoi sollecita gli scarichi di
ventre; e perci si d a questi per purgarli (11).
Questo ozzimo, che si trae da un terreno il
quale produce favuli, si taglia verde, avanti che
generi i baccelli (ia). Per contrario le mescolan
ze d* orzo, di veccia e di legami seminati insie
me nel medesimo terreno, onde servano di forag
gio (perch qoesti miscugli si tagliano verdi eoi
ferro), sono delti ferrana, e farrago io latino,
quando bene qoeste mescolaoze non ai dicano
cos, perch prima si seminavano in oa*terreno
destinato a prodar aoltaoto ferrana ( i 3). Con
questa si purgano e s*ingrassano in tempo di
primavera i cavalli e gli altri giomenli. La veccia,
detta in latino oicia, cos chiamata dalTavvio-
cigliarsi, ossia dalla parola latioa vincire, perch
essa ha dei viticci, come la vite, per mezxo dei
quali ascende in alto, e ai attortiglia attorno il
gambo del lupino (i4) o ad un' altra pianta, eoi,
acciocch vi si attacchi, suole attorcigliarla. Se
avrai prati che si possano adacqaare, non mancar
di irrigarli, sabito che ne avrai levato il fieno.
Bisogner ogni giorno verso la aera inacquare
in tempo di secchezza quegli alberi che produr
ranno fruita, e cha si saraooo innestati ( i 5), i
quali possono essere alati chiamati in latino, po
ma, perch hanno bisogao di bcYtnda che io
Ialino dicesi potus (16).
5a5 DE RE RUSX1CA MB. I. 520
Q u i d i n t e b s o l s t i t i u m e t c a n i c u l a m
FACIUNDUM SIT.
Quarto i nt e r ni l o inUr solstitium et canicu-
k m plerqae measem faciunt, qod frumentum
dicant quindecim diebos esse in vaginis, qainde-
eim florere, quindecim exarescere, cum sit matu
rum. Arationes abaolvi, quae eo fructuosiores
fionf, qao calidiore (erra aratur. Com proscide
ris, offringi oportet, id est iterare, ut frangantur
glaebae ; prima enim aratione grandes glaebae ex
terra scinduntur. Serendum viciam, lentem, ci
cerculam, ervilam, caeteraque, quae alii legumi-
na, alii ( ut Gallicani quidam ) legaria appellant,
utraque dicta a legendo, quod e non secantur, sed
feliendo leguntur. Vineas veteres iterum oceare,
noveJlas etiam terlio, si sunt eliara tum glaebae.
CAPUT xxxn
--0--
CAPUT xxxra
Q u i n t o i n t e e v a l l o i h t e e c a n i c u l a m e t a e q u i -
OCT1UM AUTUMNI QUAE FIBRI OPOITEAT.
Quinto intervallo inter canicnlam et aeqni-
noctium autumnale oportet stramenta desecari,
et aoervo construi, aratro offringi, frondem cae
di, prata i r r igua iterum secari.
< < -----
CAPUT XXXIV
S e x t o i n t e r v a l l o a b a e q u i n o c t i o a u t u m s a l i
QUID FIERI OFOETEAT USQUE AD BRUXAM.
Sexto intervallo ab aeqaiooctio autumnali
incipere ( scribunt ) oportere serere, usque ad
diem xci post brumam, nisi quae necessaria causa
coegerit non serere, quod tantum intersit, ut
ante brumam sata, septimo die; qoae a brama
sata, x l die vix existant; ncque ante aequinoctium
incipi oportere putant, quod si minus idoneae
tempestates sint consecutae, putescere semina
C o s a s i a d a f a r s i t e a i l s o l s t i z i o e l a c a n i c o l a .
Nel qainto intervallo tra il solstizio e la cani
cola alcuni fanno la raccolta, perch dicono che
il formento sta per quindici giorni rinchiuso nel
suo guscio, che in quindici'fiorisce, che in altri
quindici si secca, e che maturasi nel nono me
se (i). Bisogna terminar le arazioni, le quali sa
ranno tanto pi utili, quanto pi sar calda la
terra, quando si ara. Quando avrai tagliala la
terra, bisogner che tu la sminuzzi, cio che di
nuovo ari, onde si rompano le zolle ; poich nella
prima aratura non si fa altro che fendere le gran
di zolle. E da seminarsi la veccia, la lente, la ci
cerchia,.! piselli, quell* altre piante che alcuni
chiamano legumi, o legumina io latino, ed altri
(come certi Galli) legaria, ambe parole tratte
dal verbo legere, perch queste piaute non si
tagliano, ma si raccolgono, strappandole. Bisogna
nuovamente erpicare le vecchie vigne, e tre volte
le novelle, quando vi sieno ancora delle zolle.
c a p i t o l o x x x n
c a p i t o l o x x x r a
Q u a l i c o s e b i s o g n a f a e e b e l q u i b t o i n t e r v a l
l o , Cio TEA LA CABICOLA E l EQUINOZIO DI
AUTUBNO.
Nel quinto intervallo tra la canicola e l equi
nozio autunnale (i) bisogna tagliar la paglia, e
metterla in mucchi, sminuzzare la terra arata,
dibrusca re gli alberi, e segar di nuovo i prati che
si adacquano.
----- -----
CAPITOLO XXXIV
Q u a l i c o s e s o n o d a f a r s i n e l s e s t o i n t e r v a l l o ,
DALL* EQUINOZIO AUTUNNALE SINO AL SOLSTIZIO
d ' i n v e r n o .
Nel sesto intervallo, dopo V equinozio autan-
nsle, bisogoa cominciar a seminare (i), e progre
dire sino al giorno l x x x v i i i ( 2 ). Dopo il solstizio
d ' inverno non ben fatto seminare, quando non
ci sforzi a farlo la necessit. E tanto importa se
minare avanti il solstizio d' inverno (3), che queste
seminagioni spuutan dalla terra nel settimo gioruo,
laddove quelle che si fanno dopo, appena esceuo
5a7 M. TERENXII VARRONIS 5a8
soleant. Fabam oplimeieri ia Vergiliarum occasu.
Urat autem legere, e t vindemism facere io t e r ae
quinoctium autumnale, et Vergiliarum occasum.
Dein v i t e s putare incipere, et propagare, et serere
poma. Haec aliquot regiooibut, ubi maturius fri
gora fiunt asperiora, melius T e r n o tempore.
c a p u t x x x v
SiPTIMO 1HTEETALLO 1RTEB VbEGILIAEUM OCCASUM
BT BEUMAM, QUAE FIBBI OPOBTBAT.
Septimo intervallo inter Vergiliarum occa
sum et brumam haec fieri oportere (dicuat).
Serere lilium, et crocum, qaod jam egit radi
cem; r o s a m : ea conciditur radicitus in Ti r g o l a s
palmares, et obruitur ; haec eadem postea trans
fertur facta viviradix. Violaria in fundo facere
non est utile, ideo qaod necesseest terra adrueu-
da, pulvinos fieri, quos irrigationes et pluviae
tempestates abluunt, et agrum faciunt macrto-*
rem. Ab favonio asque d irct uri exortum re
fi te serpullum e Seminario transferri : quod di
ctum ab eo quod serpit. Fossas novas fodere,
T e t e r e s tergere, vineas arbuslumque putare, dum
in xv diebus ante et post brumam, ut pleraque
ne facias : nec non tum aliquid reete seritur, ut
ulmi.
C A P U T x x x v i
OcTATO IBTBBVALLO HfTBB BBUMAM BT PAVOVIUM
QUAB FLBB1 OPOBTBAT.
Oeta?# intervallo inter brumam et f a T o n i u m
haec fieri oportet ; de segetibus, si qua ett aqua,
deduci: sin siccitates sunt, et terra tcneritudi-
d e l l a terra d o p o x l giorni (4). Sono di opinione
che non sia mestieri seminare aranti l ' equinozio,
perch s o p r a T T e n e n d o tempi poco buoni, sogliono
m a r c i r e le semenze. Ottimamente si t e m i n e l e
faTa Te r s o il tramontar delle Pleiadi. E d uopo
poi raccoglier l ava e vendemmiare Ira l1eqoi-
nozio autunnale e il tramontar delle Pleiadi.
Dappoi occorre principiar a potare le Ti t i , pro
p a g a r l e , e p i a n t a r gli alberi ohe producon fratta.
In que paesi, ne' quali il freddo imperversa di
buon' ora, meglio far queste opertiiooi io pri
mavera.
c a p i t o l o x x x v
Q u a l i c o s e t o n o d a f a e s i b e l s e t t i m o i m a v a l
l o , c i o t b a i l t e a m o r t a e d b l l b P l e i a d i b i l
s o l s t i z i o d * i b v b e h o .
Nel s e t t i m o i n t e r v a l l o , t r a i l t r a m o n t a r d e l l e
Pleiadi e il s o l s t i z i o d ' i n v e r n o , b i t o g n a f*r le se
g u e n t i cose ( f ) : p i a n t a r e il g i g l i o e l o z a f f e r a n o ,
che a b b i a n o g i p r o d o t t e l e r a d i c i , come pure U
r o s a ( a) , le c u i r a d i c i a n c h e s i t a g l i a n o i n p i c c o l e
T e r g h e l u n g h e u n p a l m o , e si p i a n t a n o in t e r r a :
q u e s t a T e r g a , d i T e n t a t a c h e sia m a r g o t t a , t i t r a s
porta p o i a l t r o r e . Non u t i l e p i a n t a r ne l l a ( e n a
t a delle Ti ol e, p e r c h n e c e s s a r i o a m m u c c h i a r l a
t e r r a , o n d e f o r m a r d e l l e p o r c h e alte (3), d a l l e
q u a l i o le i r r i g a z i o n i , o l e s o p r a T v e n i e n t i p i o g g e
s t r a s c i n a n o s e c o l a t e r r a m i g l i o r e , e q a i o d i r e n
d o n o il t e r r e n o p i m a g r o (4). Dopo i l t e m p o ,
in coi il s o l e t r a m o n t a , ove soffia i l T e n t o fa
vonio, s i n o al levar d e l l a r t a r o o t t i m a m e n t e s i
estrae d a l m a i o il s e r p i l l o , c o s d e t t o , perch ser
peggia. Bisogna s c e T a r d e l l e nuove f os s e , nett ar
le vecchie, p o t a r le T i g n e e P a l b e r e t o . Quindici
g i o r n i a T a n t i , e altrettanti d o p o il s o l s t i z i o d* in-
verno ta devi f a r m o l t e di q u e s t e o p e r a z i o n i ; n
in q u e s t o i n t e r T a l l o va bene p i a n t a r e alcune p i a n
te, come g l i olmi.
-----
CAPITOLO XXXVI
Q u a l i c o s e s o n o d a f a b s i h e i . l o t t a v o i b t e b -
TALLO, Cio TEA IL SOLSTIZIO D* ltVEERO E IL
TEMPO IH CUI IL SOLE TBAMORTA, OTB SOFFIA
IL FAVOEIO.
NelP o t t a v o i n t e r v a l l o , cio tra il s o l s t i z i o d i
i n T e r n o e i l t e m p o in c u i il s o l e t r a m o n t a , a quel
p o n t o da c u i s p i r a i l T e n t o f a v o n i o , b i s o g n a f ai 1
DE RE RUSTICA LIB. I. 53o
nem habet, sarire ; vineas, arbuslaque potare.
Cum in agri* opus fieri ooo potest, qaae sab
teeto possunt, tane oonfidenda antelucano lem-
pore hiberno. Qaae dixi, scripla et posila ha*
ber e in villa oportet, maxime ui vilicus norit.
-----
CAPUT XXXVII
D LUVABIBOS DIBBU9
Dies lanares quoqne observandi, qai qnodam-
modo bipartiti. Qaod nora lana crescit ad ple
nam, et inde rursus ad novam lunam decrescit,
quod veniat ad intermenstruum, e qao die di
citur luna esse extrema, et prima; a quo eum
diem Athenis appellant ivnv xa vjavyTftaxafa
alii; quaedam faciunda ia agris potius crescente
luna quam senescente; quaedam conira, quae
metas, ut frumenta et caeduam silvam. Ego ista
eliara, inquit Agrasias, non solum in ovibus
tondendis, sed in meo capillo a patre acceptum
servo, ni decrescente luna tondens calvus fiam.
Agrius: Quemadmodum, inquit, luua quadripar
tita ? et quid ea divisio ad agros pollet? Tre-
meilius : Nunquam rure audisti, inquit, octavo
Janam ( lunam ) et crescentem, et contra sene
scentem ; et qoae crescente Inna fieri oporteret,
( e t ) tamen quaedam melius fieri posi octavo
Janam ( lanam ), qaam ante ? et si qaae sene
scente fieri conveniret, meli as quanto minus ha
ber et ignis id astrum ? Dixi de qaadripartita
forma culturae agri.
Stolo : Csl altera, inqnit, temporum divisio
conjuncta quodammodo cam sole et lana, quae
in sex partita, qaod omnis fere fructus qainto
denique grada pervenit ad perfectam, ac videt
in villa doliam, ac modium, onde sexto prodit
ad usam. Primo praeparandam, secando seren
dam, lerlio nutricandum, quarto legendum,
qainto condendum, sexto promendam. Ad alia
in praeparando, faciendi scrobes, aat repasti-
le seguenti cose. Se nelle terre arate vi del
l'acqua, questa bisogna derivarla altrove ; ma se
la terra secca, e se non tenace, mestieri sar
chiarla. Conviene potar la vigna e P albereto.
Quando nei campi non si pu lavorare, in allora
tutti que lavori, che si possono fare nella casa,
si debbono fare in tempo dinverno innanzi d (i).
Tatto quello che ho detto, bisogoa scriverlo e
metterlo in vista (a) nella casa villereccia, accioc
ch il castaido soprattutto nou lo ignori.
CAPITOLO XXXVII
Dsi GIOBBI LUtTAil.
Meritano pure osservazione i giorni lanari, i
quali sono come divisi in quattro parti, perch la
luna dal nono giorno cresce sino alla sua pienez
za, e poi per contrario decresce sino al nono
giorno, e da questo sino a che giunga alP inter
lunio, nel qual giorno si dice che la luna al
sao fioe e al suo principio (i), e che i Greci
chiamano ad Atene il giorno antico e nuovo, eJ
altri il trentesimo giorno della luna (a). Alcune
faccende vanno meglio fatte nelle terre a luna
crescente, che a luna calante, e ceri* altre quan
do cala ; come mietere le biade e tagliare i bo
schi (3). Io, dice Agrasio, secondo P insegnamento
di mio padre, pongo io esecuzione tal metodo
non solo nel tosar le pecore, ma ancora nel ta
gliarmi i capelli, poich non me li taglio che a
luna calante, onde non divenga calvo (4). In quat
maniera, dice Agrio, divisa in quattro parti?
e quale influenza ha questa divisione sopra le
terre ? Non hai forse mai udito in villa, ripiglia
Tremellio, parlar delP ottavo giorno avanti la
luna piena, e per contrario dell1ottavo giorno
dopo la luna piena, e dir di quelle operazioni che
sieno da eseguirsi a lana crescente, e che alcune
altre meglio farle dopo il gioroo ottavo di lana
piena (5), che avanti ; come altres che alcone al
tre va meglio farle a lana vecchia, e allorquando
qaesl astro d minor ! nme? E questo quell<j
die doveva dire di questi quattro quarti relativi
alla coltura delle terre (6).
Vi no altra divisione de* tempi, dice Sto
lone, congiunta in certa guisa col sole e colla
luna, la quale si divide in sei parti, per la ra
gione appunto che quasi tati* i frolli non arri
vano alla loro perfezione, e non riempiono le
botti e i moggi della villa che nel qainto grado,
e da questo non si traggon fuori pe' nostri usi,
che nel seslo grado. Questi frutti bisogna prima
prepararli (7), secondo seminarli, t e n o nodrirli,
531 m . t e Tr e n t i i v a r r o n i s 53a
nandum, aat sulcandam, at ti arbaslam aat po
mariam facere velis; ad alia arandam, aut fo
diendam, a t si segetes instituas; ad qoaedam
bipalio vertenda terra, plus aut minus ; aliae enim
radices angustius diffundant, a t cupressi, aliae
latius, ut platani, usqae eo, ut Theophrastus scri
bat, Athenis in Ljceo, cum etiam tane platanas
novella esset, radices trium et triginta cubitorum
egisse. Quaedam si bubus et aratro proscideris,
et iterandum ante , quam semen jactes. Item
praeparatio si quae fit in pratis, id est, at de
fendantur a pastione, quod fere observant a pi
ro fiorente: si irrigua sant, ut tempestive irri-
gentar.
----- -----
CAPUT xxxvm
Db s t e b c o e b b t s t b e q u i l i u o .
Qaae loca in agro stercoranda videndum, et
qai, et qoo genere potissimum facias ; nam dis
crimina ejus aliquot. Stercus optimam scribit
esse Cassias volacriam, praeter palastriom c
nantium. De hisce praestare columbinum, qaod
it calidissimam, ac fermentare possit terram.
I d a t semen aspergi oportere in agro, non ut
de pecore acervatim poni. Ego arbitror prae
stare ex aviariis turdorum ac meralarura, quod
non solum ad agrum utile, sed etiam ad cibum
ita bobus ac suibus, ut 6ant pingues. Itaque qui
aviaria condacunt, si caveat dominus, stercus ut
in fundo maoeat, minoris condacunt quam ii,
quibus id accedit. Cassi^ secundum columbinam
scribit esse hominis. Tertio caprinum, et ovil
lam, et asininum. Minime bonum equinum, sed
in segetes ; in prata enim vel optimum, ut caete-
rarum veterinarum, quae ordeo pascantur, quod
multam facit herbam. Sterquilinium secuudum
villam facere oportet, ut quam paucissimis operis
egeratar. In eo si in medio robusta aliqua ma
teria sit depacta, negant serpentem nasci.
quarto raccoglierli, quinto rinserrarli, sesto ca
varli fuori pe' nostri usi. Ve ne sono alcuni, U
preparazione de1quali rioerca delle fosse (8), o
ano sfondamento del suolo, o de'solchi, come
quando vuoi fare degli albereti o de' verzieri :
in prepararne altri conviene arare, o zappare,
come nelle biade ; per la preparazione di altri
mestieri voltar pi o meno la terra colla vanga ;
imperocch alcune radici non si estendono (9)
molto lungi, come sono quelle del cipresso ; altre,
come quelle del platano, vanno molto lontane,
e tanto che Teofrasto scrive esservi in Atene
nel Liceo (10) un giovane platano, le cui radici
non avevano meno di trentatr cubili di lun
ghezza. Alcuni altri frutti vogliono avanti d es
sere seminali non nna aratura, ma due (11). Pa
rimente se i prati addimandano alcuna prepara
zione, questa consiste nel difenderli dall' ingres
so del bestiame ; il che per ordinario si proibisce
quando il pero in fioritura : se si possono ada
cquare, ci da farsi a tempo opportuno.
----- 4* -----
CAPITOLO xxxvm
D e l LETAME B DELLO STEBQUIMBIO.
Ora da vedersi qua! terreno e quai luoghi
del medesimo sono da letamarsi, e di quale spe
cie di concime eonvenga particolarmente servirsi,
perch ve ne sono di varie sorti. Cassio scrive
che il migliore di tutti quello de* volatili,
tranne quello dei volatili, ohe soggiornano nelle
paludi o nell' acqua. Quello per de' colombi
da anteporsi a tutti (1), perch il pi caldo e il
pi acconoio a fermentar la terra. Questo bisogna
spargerlo sul terreno, come s fa del grano, n
occorre ammucchiarlo, come si usa eon quello
del bestiame. Io penso che sia da anteporsi a tutti
quello che si trae dalle uccelliere dei tordi e dei
merli, perch non solameute utile alle terre,
come ancora perch serve di cibo s ai buoi, che
ai porci, onde diventino grassi (a). Per lo che
quelli che prendono a pigione le uccelliere, le
prendono a un minor prezzo, se il proprietario
ritiene il letame per le sue terre (3), e danno
un maggior prezzo, se il concime vi compreso.
Cassio scrive che dopo il colombino viene lo
sterco nmano, e in terzo luogo quello delle ca
pre, delle pecore e degli asini (4)* H P' tfe*
riore di tutti quello dei cavalli, almeno nelle
terre lavorate (5), ma pei prati il migliore di
tutti, come anche quello delle altre bestie da vet
tura, le quali perch si pascono d' orzo, perci
questo letame produce molta erba. Bisogna fare
533 DE RE RUSTICA LIB. I.
CAPUT XXXIX
Q u a t u o r k m b g i r e r m i n M , f t q u a e q u o
TEMPORE AC LOCO SEBI DRBEANT.
Sationi* aotem gradus ecandoi hanc habet
na loram, ad quod tempas cujusque seminis apla
sii ad serandum. Nam refert in agro ad qaam
partem coeli quisque locas spectet, aie ad quod
quaeqae tempas rea facillime crescat Nonne vi-
demos alia fiorer veroo tempore, alia ae?tivo :
ncque eadem aatumoali, qaae hiberno t liaqae
alia aeraotur, atqae iaseruotar, et metantor ao-
te aat post, qaam alia ; et com pleraque vere
meli ut, qaam aatamno ioseraotar, circitet* sol-
titiom interi ficos, nec non bramalibaa diebas
ceraaoa. Qoara com semina fere qaatuor sint ge
ne r a i , quaa transferuntor e terra in terram, vi-
vira di ccs ; qnae ex arboribaa dempta dimittitor
in hamam ; quae inaerootur ex arboribus in
arbores ; de aingalis rebas videndum, qaae quo
que tempore locoqoe facias.
CAPUT XL
Q o A SINT GENERA SEMINUM, QURMADMODUM PROBA
GARI DEBEANT, QUIBUS BT QUO LOCO SBRI DR-
BEANT.
Primam semen qaod est prindpiam genen
di, id duplex ; unam, quod latet nostrum sen
sam ; alUram, qaod apertum : latet, si sani se
mina in atre, ot ail physicas Anaxagoras; el
si aqua qaae influit in agram inferro solet, at
scribit Theophrastus. Illad qaod apparii ad agri-
il letamaio presso la casa villereccia, onde par
trasportarlo a* impieghino pochissime opere. S
nel mezxo di questo si pianter un qualche pexzo
di rovere, non vi nascer il serpente, per quanto
se ne dice (6).
534
CAPITOLO XXXIX
Ch b QUATTRO SOHO LB SPBCIB DI SEVEN1E, B IH QUAL
LUOGO B IH QUAL TEMPO CONVENGA SBMIBARB CIA
SCUNA.
Riguardo al secondo grado (1), cio al semi-
namento, questo particolarmente da osservarsi,
che ogni semente devesi spargere in quel tempo
che pi le conviene. Imperciocch se importa a
sapersi a qual piaggia del cielo sono esposte le
differenti parti del campo, cosi pure essen
ziale a sapersi il tempo in cui ogni cosa cresce
pi facilmente (a). Forse che non veggiamo al-
enne piante fiorire in tempo di primavera, altre
in estate, e che quelle, le qaali fioriscono in
aatnnno, non sono le medesime di quelle che
fioriscono in inverno ? E dbs altre n seminano,
altre a innestano, e alcune si racoolgooo prima
0 dopo di altre : e poich parecchie piante ama
no meglio enere innestate iu primavera, che in
autunno, cos ve ne sono alcune, come i fighi,
1 quali a* innestano meglio verso il solstizio (3),
e alcune altre nello atesso solstizio, come le ci
liegie. Poich daoqae vi sono quattro specie di
semenze (4), ona formata dalla natara medesi
ma, e tre altre scoperte dall arte, cio le mar
gotte, che si trapiantano da una terra in un* al
tra (5), i rami che si prendono dagli alberi e
che si piantano in terra, e qnei rami di alberi,
che s' innestano in altri alberi ; cos da ve
dersi qual tempo e qual luogo convenga ad ogni
e singola specie.
CAPITOLO XL
QpALI SIERO LB SPECIE DI SEMENZE, IR QUAL MA
RI BEA SI DEBBANO PEOPAGARB, QUALI SIERO DA
USARSI, B IR QUAL LUOGO SI DEBEARO SEMINARE.
11 primo seme, eh' il principio della ge
nerazione (1), di due sorte, una delle quali
nascosta ai nostri sensi, e V altra facile a ve
dersi. Si sottraggono ai nostri sensi, se i semi
sono nell* aria, come dice il fisico Anassago
ra (a), e se, come scrive Teofrasto (3), vi sono
535 11. TERfcNTll VARRONIS
536
coit, id fidendam diligenter; quaedam enim
ad genendum ( pro plere* ) usque adeo parva, ui
sint obscura, al cupretsi ; non enim galbuli,
qui nascunlur, id esi lanquam pilae parvae cor
ti ciae id semen ; sed in iis intus. Primigenia
semina dedii natura, reliqua invenil experiealia
coloni. Num prima, quae tine colono, priusquam
sala, naia ; secunda, quae ex iis collecta, ueque
priusquam tata,nata. Prima teraina videre oportet,
ue veluslate t ini exsucta, ani ne tint admiita, aut
ne propter similitudinem tint adulterina. Semen
vetus tantum valet in quibusdam rebus, a t na
turam commatet ; nam ex temine brassicae ve-
tere talo nasci ajant r t p t , et contra ex rapo
rum brassicam.
Seconda semina viflere oportet, ne onde tol
las, nimiam cito, aat tarde tollat. Tempus enim
idoneam, qaod scribit Theophrastus, Tere et au
tumno, el eanicolae exorta : neqae omnibat
locis ac generibas idem. In sicco el macro loco,
et argilloso, Ternam tempas idoneam, quo mi
n a t habet bumoris. In terra bona ac piagai,
aulumoo, quod Tere multas humor, quam sa
tionem qaidam melianlar fere diebas xxx.
Terliam genas s e m i n i s , qaod ex a r b o r e per
s u r e a l o s d e f e r t u r i a t e r r a m , sic i n h u m a r a de
m i t t i t u r , a t i n q u i b u s d a m t a m e n s i t T i d e n d u m ,
u t e o t e m p o r e s i t d e p l a n t a t a m q a o o p o r t e t ; i d
e n i m f i t a n l e q a a m g e m m a r e a u t f l o r e r e q u i d
i n c i p i t : e t q u a e d e a r b o r e I r a o s f e r a t , u t ea d e
p l a n t e t p o l i u t q a a m d e f r i a g a s : q u o d p l a n t a e
s o l a m s t a b i l i a s , q a o l a t i a , a t r a d i c e s f a c i l i a s
m i t t a t ; ea c e l e r i t e r a n t e q a a m s u c a s e x a r e s c a t ,
i n t e r r a m d e m i t t a n t . Demum i n o l e a g i n i s se
m i n i b u s ( a r b o r e s ) T i d e n d a m , u t s i t d e t e n e r o
r a m o ex u t r a q o e p a r t e a e q u a b i l i l e r p r a e c i s a m ,
q u a s a l i i cl aTol as , a l i i t a l ea s a p p e l l a n t , a c f a
c i u n t c i r c i t e r p e d a l e s .
strascinali dalla pioggia che cade sai campo.
Gli altri semi, che cadono sotto i sensi degli
agricoltori, meritano di essere esaminati dili
gentemente ; imperciocch alcuni di questi prin
cipii generativi sono tanto piccoli, eh1 difficile
a vederli, come sono quelli del cipresso; poi
ch le noci che nascono dal cipresso (4), non
sono gi le semenze, ma qaali picciole palle, che
inviluppano il seme che dentro vi nasoosto.
I p r i m i s e m i g l i ha p r o d o t t i l a n a t u r a , e g l i
a l t r i g l i h a t r o v a t i 1* e s p e r i e n z a d e l l ' a g r i c o l
t o r e . Imperciocch i p r i m i s e m i s o n o n a t i senza
T o p e r a d e l c o l t i v a l o r e , e s e n z a che p r i m a f o s s e r o
s e m i n a t i (5) ; g l i a l t r i a l l ' i n c o n t r o , che t r a g g o n o
o r i g i n e d a i p r i m i , n o n s o n o n a t i s e n z a e s s e r e
s t a t i p r i m a s e m i n a l i . Bisogna a v e r ben 1* oc
c h i o a t t e n t o che i p r i m i s e m i non s i e n o s e c c h i
p e r troppa T e c c h i e z z a , cbe non sieno m i s t i a d
a l t r i , e che n o n sieno f a l s i f i c a t i i n g r a z i a d e l l a
r a s s o m i g l i a n z a . La Te e c hi a i a h a ai g r a n f o r z a
s o p r a certi semi, c h e n e c a n g i a l a natura ; i m
p e r c i o c c h s i d i c e c h e d a l l 1 aver s e m i n a t o l a s e
mente d i c a T o l i Teochi s o n o nate d e l l e r a p e , e
per contrario s o n o n a t i de* c a v o l i d a l l a s e m i n a
g i o n e d i s e m e n z a Te c c h i a di r a p e .
Bisogna aver attenzione c h e i semi seoonda-
rii (6) non si trapiantino n troppo presto, n
troppo tardi ; imperciocch il tempo opportuno
per quest' operazione , secondo quello che seri*
veTeofrasto (7), la primavera, l autunno e quan
do leva la canicola : n questo tempo da adot
tarsi indislintemente in t utt i luoghi e in tutte
le semenze. Il tempo acconcio per piantare nei
terreni secchi, magri e cretosi l a p r i m a T e r a ,
perch allora hanno poca umidit (8), e nel ter
reno baono e pingue 1 autunno il tempo pi
confacente, perch nella primavera abbonda di
troppo umido. Certaai limitano queste pianta-
gioni a xxx giorni all' incirca.
La terza specie di semeuza, la quale s i , trae
dai rami dell albero per piantarla in terra, ri
cerca che quando si pianta in terra, sia in quello
stesso momento lolla dall albero ; il che importa
mollo ad osservarsi (9). Queslo slrappamento poi
si fa avanti che gli alberi comincino a gemmare,
o a fiorire. Ed abbi attenzione che i rami, i quali
tu torrai dall albero per piantarli, sieno dis
taccali con diligenza, onde non si rompano (io),
perch quanto pi il piede dal ramo piantato
largo, tanto maggiormeole sodo, e perci pi
facilmente getta le sae radici. Questo ramo s i
deve piantare in terre con tulta la oelerit, a Tan
ti che si disecchi il sao socco. Riguardo ai semi
degli ulivi, abbiasi attenzione di scegliere an r a
mo tenero, e di tagliarlo uniformemente in ambe
le estremit. Questi rami, che alcuni li chiamano
537
DE RE RUSTICA UB. I.
538
Qoarlum genui seminis, qood traimi ex ar
bore i o aliam. Yi de odoa, qua ex arbore io q a a a
transferatur, et qao tempore, et quemadmodum
obligetur ( oon enim piram r edpit qaereos ; ne-
qae eoim ci malus piram. Hoe feqaaotar malli,
qai aruspices aadiaot maltam, a quibas prodi
tam, i n singulis arboribas qaol genera ioti la
fiat, oso iota tot fulmina fieri illad, qaod fal-
mea concepit ; si in piram silvatioam intereris
piram quamvis bonam, non fore tara jueundum,
qaam fi in eam, qaae silvestris oon sii. In quam-
cooqne arborem interas, t i ejasdem generis est
daotaxsit, n t sii ntaraqne maina, ita i ome r e opor
tet ref er nte ad froetom, meliori genere n t cit
torcala*, qaam est, qoo veniat, arbor. Est altera
spedes ex arbore ia arborem ioterendi naper
animadversa in arborbot propinquis. Ex ar
bore, e qaa qoit volt habere sor col am, io eam,
qaam interere vult, ramulum tradaci*, et in ejat
ramo praeciso ae difitto implicai eom locom
qai eoo tingit ; ex ntraqoe parte, qood in Ir ett,
falce extenuator,.ita nt ex ona parte, qood ooe-
lam vitarnm ett, orticem com oortice f i a t
qaatum habeat. Ej a t ramuli, qoem intereret,
eaenmen nt direetam t i t ad coelom, c a r a t Po
tier o anno com comprehendit, node propaga
tam e t t , ( ab altera arbore ) praecidit
CAPUT XLI
Da TBvpoaiaus r m a a t m t i f o o a u n s u a c u t o a u n , b t
q u i a p o c t s a t i o h b i i oasxavARDA t n r r .
Qno tempore qoaeqae transferat, haec in
primit videnda, qood qaae prot verno tempore
interebantur, nunc etiam toltlitiali, ot ficai,
qaod denta materia oon ett, et ideo teqaitar
caldorem. A quo fit, ut in locit frigidii fioeta
fieri non p o t t i a t . A qaa recenti imito inimica;
tenellam enim cito faeit patre. Itaque qaod io-
aeritar caniculae tigno, commodittime exislima-
lur interi ; qaae aatem natara minus sunt mollia,
M. Tx e b n z io Va e i o b b
in latino clavolae, ed altri talca*yli lagliano lun
ghi on piede all' iuciroa (i i).
Rispetto alla quarta tpecie di temenze, la qua
le da un albero patta in no altro, da farti at-
teuzione all albero da cui si trae, e a quello in
coi ti trapianta (ia), al tempo e al modo col
quale t* inneit ; imperciocch la quercia non ri
ceve il pero, come il pomo riceve I* innesto d d
pero (iS). A ci ahbedano quelli che confidano
molto negli arutpici (i4), i qutli danno per certo
che quanti tono gl* innetti che ti trovano t u
certi alberi capaci di attirare il fulmine, in un
tratto tante volte vi piomber ( i 5). Se topra an
pero talvalieo * innetta un pero anche di eccel
lente qualit, le fratta non taranno tanto tapo-
rite, come lo farebbero, te ti fotte fatto I1innetto
topra aa pero non lalvitico. Qaalanqae sia 1*al
bero che t* innetta, purch tia della medetima
tpecie, come te ambidue tono pomi (16), biso
gna che 1* albero da cui si toglie l innesto, sia
di miglior qualit di quello sopra cui *inne
tta. Vi- i un* altra maniera d* innestare un al
bero topra un altro, la quale ti scoperta poco
fa, e che non ti mette in opera che negli alberi
vicini. Dall* albero che ti vuole rimettere ti fa
pattare in quello che t i vnole inneit re un p i o
colo r a mo, e fendendo un ramo dell* albero
che ti vuole innestare, vi * interttee il ramo
dell* albero vicino per mezzo dell* et tremi l i , oon
eoi reciprocamente ti toccano : quella parte, febe
'introduce, t i assottiglia colla falce, e ti fa io
guita che quella parte, la quale retta all* aria
Ubera, t i unitea elettamente eolia tua toorza
alla i c o n a del ramo, nel quale imerifa (17)
Si fa in maniera che la dma del ramoscello, che
ti innestato (18), abbia la tua direzione verso
il cielo; e quando nel tegnente anno ha ben
preso topra Valbero innettato, ti separa da quel
lo dal quale si tolto per propagarlo (19).
----- 4-----
CAPITOLO XLI
Dai T i a n n* r n u i r a i l c p u b t s , a di qubl lb
COIB GHI 10*0 DA OSfBBVABJI DQPO L* OSSUTO.
Riguardo al tempo in cui l ' innestano le pian
te, tono da osservarti prindpalmeote queste om :
che quelle, le quali in avanti s* innestayano i n
tempo di primavera, oggid 1* innestano -anche
nel solstizio di. estate, om.e tono i fichi, perch
il loro legn non compatto* e perci*hanno bi
sogno di calore (1) ; dal che ne viene che nei*
luoghi freddi non s possono fare de7fichereti.
L* acqua arreca" grandi danni ai-novelli ioneiti,
i i
vas aliquod supra alligant, on Je stillet lente aqua,
oe prius exarescat sarculo i, qoam coalescat} cujus
sarculi oorliccm integram servandum, et cum sic
exacuendam, ut non denudes medullam; neexlrin-
secoj imbres ooceaot aut nimios calor, argilla
oblinendum, ac libro obligandum. Itaque vilem,
triduo antequam ioserant, desecaot, ut qui io ea
nimius est humor, diffluat ante, quam iaseratur;
at io qua inserant, io ea paullo infra, qoam insi
tam est*, incidunt : aude humor adventicius ef
fluere possit; contra io fico, et malo Punica, et
si qua etiam horum netura aridiora, continuo.
Io aliis translationibus videndum, ot qaod trans
ferat io cacuiBco, habeat gemmam, ut in ficii.
53r)
De his ( primis ) qua t oor generibus seminum,
qoaedam quad tardiora, urcalis potias uten
dum, ut ia ficetis faciunt. Fici enim semen natu
rale iotus in ea fico, quam edimus; quae tuot
minuta grana, e quibas parvis, quod enasci coli-
eoli vix queunt. Omnia enim minuta et arida
ad crescendam tarda ; ea quae laxiora, et foecun-
diora ; ot foemina, qoam mas : ex proportione
in virgoltis item ; itaque ficos, malus Pooica, et
vilis, propter foemioeam mollitiam ad crescen
dam pronat contra palma, et cupresaus, et olea,
in crescendo tarda; in hoc enim hamidiora
qoam tfridiora ; quare ex terra potius in semina
riis sarculos de ficeto, qoam grana de fico expe
dit obroere: praeter si aliter nequeas: ut si
qaando quis traos mare semina mittere, aut inde
petere vult ; tum enim resticulas per ficos, quas
edimus, maturai perserunt, et eas cum inarue
runt, complicant, ac quo volunt mittunt, ubi
obrutae in seminario pariaot Sic genera ficoram,
Cbiae, ac Chalcidicae, et Lydiae, et Africanae :
item eaetera transmarina in Italiam perlata. Si
mili de causa oleae semen cum sit naclens, qood
ex eotrdias enascebatur cotis, qoam e taleis,
id/eo potius in seminariis taleas, quas dixi, se
rimus.
poich essendo troppo teneri, di leggeri li fa
imputridire ; per lo che i giudica essere migliori
quegl* ionesti ohe li fanno al tempo della cani
cola (a). In qoelle piante poi, che sono di loro
natura poco umide, sopra l ' innesto vi attacca
on qualche vaso (3), da eui stilli goccia a goccia
1*aoqoa, acciooch 1*innesto non si disecchi pri-
ma di essersi incorporato all'albero. Bisogna
conservare intera la scoria dell* innesto, la quale
si deve assottigliare in guisa, che non fi metta
alto scoperto la midolla (4)* Per far poi, che
esternamente non nuocano le piogge e il troppo
caldo, bisogoa vestir 1*innesto di argilla e legarlo
strettamente colla scoria. Per la qaal causa o taglia-
' no la vite da innestarsi tre giorni avanti, aodoc-
cb svanisca il troppo umido, di cui essa sovrab
bonda ; ovvero sia, dopo averla innestata, land
nn taglio un poco al di sotto dell* innesto, onde
per quella parte possa nscire tutta 1*umidit che
vi si presenta (5). Per contrario s* innestano su
bito il fico, la melagrana, e tutti quegli alberi
ancora, che sono di una natura pi secca (6). Ne
gli altri traspiantamenti da tv venirsi che quella
semenza la quale si traspianta,, abbia la gemma
nella cima, come si osserva ne* fichi (7).
Tra queste quattro specie di semenza (8) ve
ne sono alcune che tardano a crescere; e perci
meglio piantare i germogli, oome si fa ne* fi
cheti : perciocch il seme naturale del fico na
scosto dentro quel frutto che noi mangiamo, i
quali semi per essere grani minali, possono ap
pena produrre piccoli fosti (9); perch lult i
semi minuti ed aridi sono tardi a crescere, e
quelli che sono pi grandi e meno secchi, fruttano
anche a buon* ora, come veggiamo accader nelle
femmine che sono pi primaticce de* maschi (10):
10 stesso luccede a proporzione ne* virgulti. Cosi
11fico, la melagrana e la vite crescono pi facil
mente, perch si accostano alla femminea mol
lezza ; per contrario tardano a crescere la palma,
il cipresso* 1*ulivo: laonde crescono pi di leg
gieri le semenze pi umide, che quelle le quali
sono pi secche (ii). E dunque meglio formare
un vivaio di fichi coi germogli di fico, che co
prire in terra i grani del medesimo (12), almeno
che oon si possa far diversamente, come quando
s in necessit di spedir oltremare le semenze,
o da di l farle trasportare: allora s* infilzano in
in una cordicella i fighi maturi che noi mangia
mo (i3), e qaando sono secchi,<* inviluppano e si
spediscono dove si vuole ; ed ivi si cuoprono di
terra io un vivaio (i4), onde germoglino. In tal
maniera sono stati trasportati io Italia i fichi di
Scio, di Calcide, di Lidia, di Africa e lutti gli
altri oltramarini. Per la medesima ragione, sic
come il seme di ulivo il nocciolo, quindi perch
54o M. TERENTII VARROWS
DE Bfc RUSTICA. LIB. I.
54a
CAPUT XLD
Di V1UCA, SBC m e d i c a .
De m<Iica io primij observes, oe io terram
nimiam aridam, sol variam, sed temperatam se-
racn demittas; io ingeram unum, si est natura
temperata terra , sribant opas esse medicae
sesquimodium ; id serilar ita, ut semen jactator,
quemadmodum scilicet cam pabulum et frumen
tum serilar.
----- -----
CAPUT XLUI
Dl CTTUO.
Cytisum seritur in terra bene subacta tan-
quam semen brassicae: inde differtur, et in
sesquipedem ponitur ; aut etiam de cytiso duriore
virgulae deplantantur, et ita pangitur in serendo.
--4--
CAPUT XLIV
Q u o t m o d i i s e r a r t u r f a b a e , t r i t i c i ,
HORDEI, PARRIS.
Seruntur fabae modii 111 in jugero, tritici v,
ordei vi, fabris x, sed nonnullis locis paulIo am
plias, aut minus : si enim locus crassus, pias ; si
macer, minos; quare observabis quantum in ea
regione consuetudo erit sorendi : ut tantum facias,
qaaotum valet regio, ao genus terrae ; ut ex eo
dem semine aliubi, com decimo redeat, aliubi
eam qointodecimo, ut in Hetruria, et locis ali
quot, in Italia ; in Sybaritano dicuot etiam cum
centesimo redire solitum ; in Syria ad Garada, et
in Africa ad Byzacium item e i modio nasci cen
tum. Illad quoque multum interest in rudi terra,
an in a seras, quae quotannis obsita sit, quae
vocatur restibilis : an in vervacto, qoae interdum
requierit. Cui Agrius: In Olynthia quotannis re
da questo nasceva pi laydi il fasto, ebe da un
ramo tagliato nelle due estremit, noi abbiamo
piantato ne1vivai' ( i 5) piuttosto di questi rami,
dei quali gi dicemmo;

CAWTOliO XLI1
De l l 1b r A m e d i c a *
Riguardo all1erba medica d ot servarsi spe
cialmente di non ^spargere f i suo sema in una
terra troppo arida, q frugola, ma temperata (i).
Scrivono che in un iogpro, quando il terrno sia
di sua natura temperato, fa mestieri uo moggio
e mezzo di erba medica (a). Questa si semina
gettando il seme in terra (3), in quella stessa guifa
che si fa quando si seminano i foraggi e ie biade.
CAPITOLO XLIII
D e l c i t i s o .
Si semioa il citiso in una terra bene* lavorati,
come appunto. suolsi fare pel seme dei cavoli:
dappoi si traspianta, e le piaote debbono avere
tra di loro la distanza di un piede e mezzo (i).
Si prendono anche sopra un forte citiso dei pic
coli rami che vanno piantati coll1acoennata dir
stanza.
--
c a p i t o l o x j l iv
Q u a r t i m o g g i d i p a v a , d i p o r m b r t o , d p o r z o ,
B DI PARR SI SE MI RARO I UH IUGBRO.
In un iugero si seminano tre moggi di fava,
cinque di formento, sei di orzo, e dieci di farro ;
ma in alcuni luoghi di queste semenze o se ne
sparge un poco di pi, o un poco di meno : poi
ch se il terreno pingue, se ne accresce la qoan-
tit, come si diminuisce in un magro (i). Laonde
intorno alla quantit della semenza osserverai
r uso del paese, aociocch tu semini quella misnra
che richiede la natura del paese e del terreno;
essendoch la medesima quantit di seme d in
certi luoghi il dieci, ed in altri il quindici per
uno, come nell1Etruria e in alcuni altri paesi di
Italia. Dicono ancora, che nel terreno Sibaritico
suolsi ritrarre il cento per uno, e che lo stesso
pure si avvera nella Siria presso Gadara (a), e in
543 M. TERENTII VARRONIS 544
slibilia t u e dionnt,;sed iU o Urlio quoque anno
uberiores ferant fractas Licinias: Agrum alternis
annis relioqui oportet, $o^panilo levioribus n -
tkmibas serere, id est, quae'minus sugunt ter
ram. Dicetur, inquit Agrius de tertio gradu, de
nutricationibus, atque alimoniis eorum. Liciniui:
Qaae naia iant, inquit, in fando alescunt, adulta
cncipiuot, praegftatatia cum fcunt, matura pa
r i a n t pomf , aut spicam :-sta alis. Simile ei, a qao
profectam, redit semen. l q a e *i florem, acer-
bamque pirum, aliure quid decerpseris, in eo
dem Jooo, eodero anno,, nihil. renascitor, qaod
praegoa^oois ideil bis ha bare non potest; ut
enim malieres habent a d p j r t a m diei certos, sic
arbores ae fragts.
CAPUT XLV
S a *A QUOTO* QOAE QUE DIB DB TEEEA PEODBAHT.
Primam plerumque t terra exit ordeum die
bus t u ; nec malto poit triticam ; legumina fere
quatri duo, aat quinione . diebus, praeterquam
faba; fa' eilim serius aliqoento prodit seges.
Ostendit Idem milium et sesama et caetera simi
liter aequis* fere diebut, praeterquam si quid
regio, aul tempestas filii attulit, quo mioui ita
fiat. Quae in seminario nata, si loca erunt frigi
diora, quae molli nalara sant, per brumalia
tempora tegere oportet fronde aut stramentis: si
erant imbres secali, fideodom neeabi aqaa eoo-
sistat; tenenam enim gelum radicibus teoellii
sub terra, et sapra f ir gallis, qaae neo eodem
tempore aeque creicunt; nam radioes aatamoo
aat hieme magis sub terra, quam sapra adole*
aeunt, qaod tectae terrae tepore propagantur,
capra terram aere frigidiore r inguntar; id que
iU esee docent silfestria, ad quae sator non acces*
ait ; nam prius radioes, quam ea qaae ez iis solent
nasa, cresca ot ; neqae radioes longias procedunt,
nisi quo tempore fenit sol ; his daplex causa,
Africa ael Bixado. Parimente importa molto a
sapersi se t a semini in ana terra incolta, o in ana
che si semina tolti gli anni, e che in latino m
chiama restibilis ; o t fero in ana che si lascia
quieta di tempo in tempo, che dai Latini si dice
vervactum, e da noi maggese o norale. Agrio
gli disse : Si pretende che in Olinto si seminino
le terre tatti gli anni, ma che per oon produca
no frutti copiosi che ogni t e n o anno. Licinio ri
piglia : Bisogna che la terra si lasci riposare an
anno si, ed ano no ; o almeno non caricarla ogni
seoondo anno che di semense leggiere, cio di
quelle ohe poco assorbano il sacoo della terra.
Parlaci dunque, dioe Agrio, del t e n o grado (3),
cio delle oolritioni e degli alimenti delle scanni
l e. Le eemenli che sono nate, crescono, dic' egli,
nel fondo ; fitte adulte concepiscono, e quando
sono pregne e mature partoriscono fratti, o spi
ghe. Similmente prodacoasi gli altri fratti. Ogni
semenza riproduce sempre una simile semente.
Per lo che se tu staccherai il fiore, o il fratto
immaturo del pero, o di qualsif oglia altro albero,
iu quel luogo dove i m i colto o l ' uno, o l'altro,
non f i nascer. niente in quell'anno, perch il
medesimo fratto non pu essere concepito dee
folte in an giorno (4) ; nella stessa gaisa che le
donne hanno i loro giorni Assi pel parto, coti gli
alberi e i frutti della terra.
CAPITOLO XLV
I h q u a l g i o b h o i v a b i i s e m i e s c a v o d e l l a t b e e a .
D'ordinario esce della terra primo di tatti
l ' orzo, il quale spunta sette giorni dopo essere
stato seminato. Il fermento esce Dn molto tempo
dopo. 1 legumi spantano fuori quasi dopo qoat*
tro giorni o cinque, tranne la (afa, perch que
sta esce di terra alcuu poco pi tardi (1). 11 campo
seminato fa apparire parimente tra i quattro o i
cinque giorni il miglio, il sesamo ed altri simili
graui, quando bene non sieoo ritardati o per di
fetto del paese, o per la catlira stagione. Se il
terreoo troppo freddo, bisogna coprire, ael
lejnpo d d solstiiio d1inferno, di foglie o di p
glia quelle piante che sono nate oel riraio, e che
sono di una natura dii ics U. Se ai freddo poi t er
ranno dietro le piogge, si faccia in guisa che l acqua
non ristagni io alcuo luogo ; perch il ghiaccio
un f eleno non tanto alle tenerelle radici che sono
sotterra, quanto ai fusti ohe stanno *1 di opra,
quantunque s le une, che gli altri non crescano
egualmente nel medesimo tempo, perch le radici
sotto terra crescono pi io aotaono o in inf er no
545 DE BE RUSTICA LIB. L 5 4 6
quod I radicum ma Urum aliam, qoam aliam
longius projicit D a t u r a ; el quod Ki t e r r a alia
facilius viam d a t .

CAPUT XLVI
Ex qunui r ot u i coevosa possint assi temtoea.
Pr opl e r ejuimodi rei admiranda discrimina
suoi naturalia, qood ex quibusdam folii propter
eorum versuram, quod i it anni tempo, dici pos
sit, ul olea, et populus alba, et salix. Horam
enim folia, cum converterunt se, solstitium dici
t u r fuisse; nec minua admirandum, qood fit in
floribus quoi vocant beliotropia, ab eo qood ad
olis ortum mane spectant, et ejus iter ita sequan
tur ad occasum, ut ad eum semper specient.
-----
CAPUT XLVn
Q u u a d m o d p m SATA TOENDA H I T .
Io seminario qoae surcolis comita, et eorum
molliora e r uot nator cacumina, ut olea ac ficus,
ea inmma integenda binis labellis dextra e t sini
stra deligatis, herbaeqoe elidendae, et dum tene
rae sunt vellendae*; prius enim aridae factae ri
xantur, ae celerius rumpuntur, quam sequuntur.
Contra berba in pratis ad spem foeniiiciae nata,
noo modo oon evellenda io outricatu, sed etiam
non calcanda ; quo pecus a prato ablegandum, et
mne jumentum, ac etiam homines ; lolum enim
bdminis exitium herbae, s t semitae fundamentom.
---0----
dei fosti che staono al di sopra (a), per la ragione
che coperte di terra, il calore di questa serve a
dilatarle ; laddove quanto havvi sopra la medesi
ma, viene ristretto dall* aria eh* pi fredda (3).
E che sia cosi, ce lo dimostrano le piante selvag
ge, delle quali il coltivatore non ha alcuna cura;
imperciocch crescono prima le radici di quanto
suole nascere dalle medesime : e le radici non si
estendono pi da lungi, se non in quel tempo, in
cui il sole le riscalda (4). Due sono le cause dei
maggiore allungamento delle radici: la prima
dipende dalla natura, la quale allunga pi alcune
radici, che altre ; e la seconda dipende dal terre*
00, essendovene alcuni che danno pi libero il
passaggio alle radici di altri.
CAPITOLO XLVI
Da q u a l i f o g l i e ti p o m a t o conoscati
1 TEMPI DELL* ANNO.
In grasia di consimili ragioni si osservano dif
ferenze meravigliose nella natura; perch dal ve
dere a qual parte sono rivolte alcune foglie, si po
sapere in qoal tempo di anno si (1). Tali sono le
foglie dell* ulivo, del pioppo bianco e del salice ;
perch quando la foglia di queste piante si sono
rivolte, si sa essere gi passato il solstizio di siate.
N meno maraviglioao quello che si osserva io
alcuni fiori,chiamati girasoli,! qoali oella mattoa
si volgono a quella parte, da cui nasce il sole, e lo
seguono nel suo corso sino a che tramonta, dimo
doch sono sempre rivolti verso il medesimo.
c a p i t o l o XLvn
l a QUAL KANIEtA SI DIPENDANO I SEMINATI.
Qoe* vivai che sono piantati di germogli, e le
cime de* quali sono di loro natura pi tenere,
come sono quelle dell* ulivo e del fi00, si debbono
coprire nella sommit per mezzo di doe tavole
insieme ooite, una delle quali sia a destra, ed
una a sinistra (1). Debbonsi ancora sradicare le
erbe ed estirparle prima, e fino a tanto che sono
tenere ; imperciocch, Citte adulte e forti, resi
stono e piuttosto si rompono che lasciarsi sradi
care (a). Per contrario, I*erba nata ne* prati, e
che d speranza di buona raccolta di fieno, non
solo non si debbe sradicare nel tempo che si nu
trisce, ma ancora non si debbe calpestare coi pie
di (3) : in allora si dovr tener lontano dal prato
M. TERENTII VARRONIS 545
il b u t t a n e ogni giumento non solo, ma anche
gli uomioi, perche il piede dell nomo 1 mina
dell'erba che calpesta, com1 il fondamento di
nuovi sentieri.
c a p u t XLvra
Q g a x s p i c s i n t o c s u l a , k t c a u s a i k o k u b .
In segetibus autem frumentum, quod cnlmus
extulit. Spica ea, quae mutilata non est, in ordeo
et tritico trja habet continentia, graoum, glu
mam, aristam : et etiam primitus spica cum ori-
tur, vaginam ; granum dictum, quod est intimum
solidum ; glnma, qtai est folliculus ejus ; arista,
quae ut acus tenuis longa eminet e gluma ; pro
inde ut grani theca sit gluma, et apex arista. Ari
sta et granum omnibus fere nolum : gluma pau
cis. Itaque id apud Ennium solum scriptam scio
esse in Evhemeri libris versis ; videtur vocabu
lum etymon habere a glubendo, quod eo folli
culo deglubitur granum; itaque eodem vocabulo
appellant fici ejus, quam edimus, folliculum Ari
sta dicta, quod arescit prima ; granum a geren
do; id enim seritur, uti spica gerat frumentum,
non ut glumam aut aristam gerat: ut vitis sari
t ur , non ut pampinum ferat, sed nvam. Spica
autem, quam rustici, ut acceperunt antiquitus,
vocant specam, a spe videtur nominata ; eam enim
quod sperant fore, seruut Spica mutica dicitur,
quae noo habet aristam : eae enim quasi cornua
aunt spicarum, qoae primitus cum oriuntur, nc
que plane apparent, qua sub latent herba, ea
vocatur vagioa, uti qua latet coodilum gladium.
Illud aulem somma in spica jam matura, quod
est minus quam granum, vocatur frit ; quod io
infima spica ad culmum stramenti summam,
Stem minus quam granum est, appellatur urrun
cum.
-----
CAPITOLO XLVni
Q u a r t i h o m i s i d u i o v i l l a s p i c a , k p e e c h oot)
CHIAMATI.
Tra i grani che si annoverano nella classe del
Tormento, quella parte che costituisce la sommit
della pianticella, si chiama spica (1). Questa che
nell or*o e nel fomento non troncata (a), ab
braccia tra parti, cio il grano, la lolla e la barba,
senta contare anche la vagina che porta la spica,
quando comincia a nascere. Si dice grano il
corpo solido rinchiuso nel guscio ; lolla il folli
colo del medesimo grano, e barba que fili che
escono dalla sommit del guscio, e che si pro
lungano come un ago fino; di maniera che la
barba come la corna del grano (3). La barba
ed it grano sono quasi noti a tulli ; ma la lolla
nota a pochi. Per quanto a me consta, so ohe
soltanto ne fa menzione Ennio nei libri di Eu
hemero (4)> eh egli ha tradotti. Pare che 1*eti
mologia della lolla, detta in latino gluma, derivi
da dilollare, ossia dal verbo latino glubere, per
ch si spoglia il grano del suo follioolo ; perei
questo medesimo vocabolo si d al follicolo di
quel fico che noi mangiamo. La barba detta in
latino arista, perch la prima a sfocarsi. Il
grano si chiama in latioo granum dal verbo ge
rere, o portare, essendoch si semina il fermen
to, onde questo porli la spica, non gi la lolla, o
la barba ; in quella guisa che si pianta la vite,
acciocch questa non porti i pampani, ma bens
1 uva. La spica poi, che i eontadini chiamano in
latino speco, parola antica,*eh eglino hanno con
servata, sembra essere stata cos delta dalla pa
rola spe (5), speranza, poich seminano il grano,
sperando che produrr delle spiche. Si chiama
spica scornata quella eh priva della barba,
perch le reste sono oome le corna delle spiche,
le quali, quando principiano anasoere, e qaando
distintamente non apparirono, tono inviluppate
dall erba, delta vagina, come pure si chiama cos
il fodero che rinchiude la spada. Quel oorpo poi,
che si trova nella aommit della spioa gi ma*
tura, e eh pi picciolo del grano, si chiama
f r i t ; t si dice urruncum (6) quel corpo eh
nella parte pi bassa della spica all estremit
superiore della paglia, e che parimente pi pic
ciolo del grano..
5.<9
DE B t RUSTICA Llfi. I. 55o
Di pb u c v ib u s l T v i r t c i p r e ms , d b f o e n is ic io
BT 9K3ILITIOHB FBATOBI7M.
Com conticuisset nec interrogaretur de nu
tricatu, credens nibil desiderari : Dicam, in qai I,
de fractiboc maturis capiendis. El ille, primam
de prati summissis, herbe cum crescere desiit,
et est a rese* t, subsecari falcibus debet, et qaoad
perarescat, furcillis versari ; cura peraruit, de
his manipulos Beri, ao vehi ad villam ; tam de
prlis stipulam rastellis eradi, atqae addere foe-
nisiciae cumojom. Qao facto sicilienda prata, id
est, falctbas consectanda, qaae foeniseces prae-
terieront, ac qoasi herba tuberosam reliquerant
campam A qaa sectione arbitror dictum sicilire
pratum*
CAPUT XLIX
CAPUT L
D i MESIS BT CAUSA HUJUS VOCABULI, QU^BB HBSS1S
APPELLATA, QUABB PALBAB AC FTBAMINTA.
Messis proprio nomine dicitor io i i s , qoae
metimur, maxime io frumento, et ab eo esse vo
cabulo declinata. Frumenta tria genera sunt mes
sionis, anum, at in Umbria, ubi falce secundam
terram succidunt stramentum; et manipulum, ut
quemque snbsecueruut, ponant in terra; ubi eos
fecerunt multos, iterum eos pereensent, ac de sin-
gulis secant inter spicas et stramentum : spicas
conjiciunt in corbem, atqoe in aream mittunt;
stramenta relinquunt in segete, onde tollantur in
acervum. Altero modo metunt, ut in Piceno, ubi
ligneum babent incarvamba tiliam, in quo sit ex
tremo serrula ferrea ; haec cum comprehendit
fascem spicarum, desecat, et atramenta stantia
io segete relinquit, ut postea subsecenlor. Tertio
modo metitur, ut sub urbe Roma et locis ple-
risque, ut stramentum medium subsecent, quod
manu sinistra summum prehendunt: a quo me
dio messem dictam puto; infra manum stramen
tum, quod terrae haeret, postea subsecatur. Con
t ra, quod cum spica stramentum haeret, cor bibas
D i l l a b a c c o l t a d b 1f r u t t i m a t u b i , d e l t a g l i a
v e n t o DEL FIENO, B DEL SECONDO TAGLIO DBI
PBATI.
Essendosi taciuto, n venendo ulteriormente
interrogalo, e credendo che intorno all* nutri
zione delle piante non vi sia altro a desiderare :
Dir, die1egli, della raccolta de1frutti maturi, e
primieramente de prali baisi (i). Quando 1*er
ba ba terminato di crescere, e che il caldo co
mincia a seccarla, bisogna tagliarla ralente, alla
terra, e moverla colle forche, finch sia intera
mente seccata : dopo di che li formano de1muc
chi, e si porta nella villa il fieno (2). Ci fatto,
col rastrello si rade 1' erba rimasta ne' prati, e li
aggiunge al mucchio (3) dell* erba tagliala. Dopo
questo, bisogner di nuovo tagliare quell1, erb
che si sar lasciata indietro nei prati dai segatori,
e la qual erba fa che il terreno sia come lube-
roio (4)> Da questo secondo taglio de* prati io
penso che sia derivila 1 parola latina sicilire,
ossia tagliare.
CAPITOLO L
D e l l a b a c c o l t a , b d e l l a b a g i o n b f e b c o i c o s
s c h i a m a ; c o m i a n c h e d e l l a b a g i o n b p e b c u i
LA FAGLIA . DETTA I I LATISt) P J L E J B STU-
MEitTuar.
La panHa raccolta, che in latino si dice mej-
sis, non si applica in senso proprio che alle cose,
le quali misariamo (1) : e questa voce derivata
dal verbo misurare, ossia dal latino metiri. Ti
sono tre maniere di raccogliere la biada : una che
si usa nell Umbria, e consiste in tagliare colla
falce a fior di terra la paglia, e nel mettere in
terra ogni manipolo che si tagliato rasente hi
stessa. Quando di questi manipoli se ne sono
tagliali molti, di nuovo si prendono per mano, e
si taglia ognuno tra la spica e la paglia : le spiebe
si pongono in una corba per farle portare sul-
1' aia, e le paglie si lasciano in terra, e dappoi si
ammucchiano. Nel Piceno si miete iu uu altra
maniera, adoperandoli una pala di legno incur
vata, nella cui eilremil si mette una seghetta di
ferro (a). Con questa si prende un fascio di spi
che, si tagliano, e si lasciano in piedi sopra il
terreno le paglie per essere dipoi tagliate rasente
terra. Nella terza maniera si miete ne* contorni
di Roma e in parecchi altri luoghi, tagliandosi
CAPITOLO XLIX
55t M. TERENTU VARRONIS 55i
io aream defertur ; ubi discedi! i n aperto loco
palam: a q u o potest D o m l o t l t esse palea. Alii
stramentum i stando, ot stamen dictura putant.
Alii ab stratu, quod id sobsteroator pecori. Cum
est matura seges, metendam, com ia e a jugerom
f e r e o o a o p e r a propemodom ia facili a g t o sitis
esse dicitor : messas spicis corbibus io areim
deferre debent.
CAPUT LI
Ab b u i q u a l i * b i s b o f o b t b a t .
Aretm esse oportet io egro, toblimiori loco,
qaam perflare possit veotos ; hanc esse modicam
pro migoitadine tegetis, potissimum rotundi m,
et meditor piallo exlamidtm ( at si plaerit, non
consistit i q a t , et qaam brevissimo itinere extra
aretm defloere possit ; orone porro brevissimam
in rotando e medio i d extremam ), solidi t e r n
pivitim, maxime si est t r gil l t, ne iet<a prtemi-
nosa io rimis ejus grana oblitescint, et recipiiot
qaam, et ostii iperiaot maribus te formicis.
Itaque amaret solent perfuodere ; et enim her-
bt r am (est inimici), et formictrom,et ttlptrum
veqenum. Qaidam t r et m ot habetnt solidam,
vnnniunt lapide, aut etiam Cadoot ptTimentam ;
npnnalli etiam tegunt treta, nt in Btgiennis, quod
ibi siepe id temporis inni oriantar nimbi ; abi e t
retecti, et loci calidi, prope aream faciundom
a mbncal t, qao sacoedint homines io testa tem
pore meriditno.
ivi Ii pi glit alla meti dellt sua a l l e t t i , e lenendo
nella mino sinistra It sot estremit : e perch si
taglia in medio> ossia per lo metto, credo percio
che si sit delta messis, o raccolti (3) : dopo ti
taglii fior di terra e tolto U miao la paglie
che i t i r i t t i sopri terra. Per oontrario quelli
paglia cui i l t i o c i t i l i spici, si porti per met t o
di orbe sali* aia, ore si septra di l l i spici, e l i
pigili si por t i io an laogo ipert o e t i l t scoper
t i ; e forse d i questo pu estere s t i t i detta pa
lea (4). Alcuoi pensano che la pt gli i t i di ci ia
latino stramentum di i verbo start, o restare
t opr t terra, nella stessa guisa che si dice stameJt,
o stime dillo stesto verbo (5) : altri vogliono che
'derivi da stratus, o steso, perch U pi gl i i st
stende sotto il bestiime. Qotndo l i bitda ma
tara , a debbe mietere. Si dice che bista quasi
on* opera per mietere on iogero di b i t d i , porche
il etmpo non sii difficile t mietersi. L t epiche
mietale si mettono in corbe, e poi si portano sol-
Paia.
-----
CAPTOLO LI
Q u a l e DEBBA BSS1BB L* AIA.
Bisogni che P t i t sii on campo aperto oel
laogo pi elevato del medesimo, e che possa es
sere esporta al vento. Questa debb* essere pro
porzioniti t i l t grandezze delle terre lavorate,
piuttosto r ot ondi , ed ilcon poco elevi ti o d
mezzo, cosicch piovendo l* acqua non vi si fer
mi, inzich possi usdre fuori dell* aia per la pi
breve strada (poich nella figura rotonda, la
strada la pi breve, qaella dal centro all* estre
mit). Bisogna che sia formata di terra solida
ben battuti, e spedai mente farli di ereti, accioc
ch il troppo ctldo non le nooet, e non vi n a
scano delle fissare, nelle qoali si nascondino i
grani, vi entri I* toqot, e vi possino entrare sorci
e formiche (t). Per l i qml cosi sogliono bt guar i i
di morchii, perch qoesti quii veleno per 1*er
be, per le formiohe e per le tilpe (a). Alcuni poi,
per tvere un* t i t pi solidi, l i listritno, o V am-
mtllonino. Non mtnctno altri, i qnali la coprono,
oome fanno i Bagienni (3) ; perch ivi, ne) tempo
appunto che il grano sull* t i t . Diacono sovente
de* nembi. Qutndo P t i t allo scoperto, e che il
paese caldo (4), bisogna fare in v i d n i n t i ad
essa degli ombracoli, ove possano andarvi sotto gli
uomini, quando infierisee il caldo del meitod.
-----
553 DE RE RUSTICA LIB. 1. 554
CAPUT LH
1 S SM BIT QUEMADMODUM SPICAS SBCBBVI OPOTBAT,
BT DB TRITURA.
Qaae seges grandissima atqae optima fuerit,
seorsum in aream secerni oportet spicat, ut semen
optimam habeat. E spicis in aream excali grana;
qao fit apud alios jamentis junctis, ac Iribulo; id
fit e tabula lapidibus, aut ferro asperata, quo
imposilo auriga, aut pondere grandi t rahitur ju
mentis junctis, at discutiat e spica grana : aut ex
assibus dentatis cum orbiculis, quod vocant plo-
stellum poenicum. In eo quis sedeat atqne agitet,
quae trahant, jumenta, ut in Hispania citeriore,
et aliis locis faciunt. Apud alios exteritur grege
jumentornm inacto, et ibi agitato perticis, qaod
ungulis e spica exterantur grana ; iis tritis, opor
tet e terra subjactari vallis, aut ventilabris, cum
ent us spirat lenis : ita fit, nt quod levissimam
est in eo, atque appellator acus, evannatur foras
extra irearo, ac frumentum qood est ponderosam,
parum veniat ad corbem.
0------
CAPUT un
D b STIPULA.
Messe facta spicilegium venire oportet, aut
domi legere stipulam : aut si sunt spicae rarae, et
optrae carae, compasci. Summa enim spectanda,
ne in ea re snmtus fractum saperet.
CAPUT LIV
D b V1EDEM1A FAC1BHDA.
Io vinetis uva caro erit matura, vindemiam
ita fieri oportet, ut videas a qao genere uvarum,
et a quo loco vineti incipias legere; nara et prae-
M. I s B i m o Va r r o n e
c a p i t o l o Ln
D e l l a m a n i e b a c o n c u i b i s o g n a s e p a r a r e d a l l e
SHCH8 LA SBMBNZA, B DELLA TREBBIATURA.
Onde li abbia un'ottima semenza, bisogna
mettere a parte nell' aia le spiche che saraono
state prodotte dalla pi bella e dalla migliore
pezza di terra (1). Nell'aia si traono fuori dalle
spiche i* grani ; il che si fa appresso alcuni coi
giumenti e colla trebbia. Questo stramento si fa
con una tavola armata sotto di pietre o di ferro,
sopra la quale salitovi il conduttore, o messovi
un peso considerabile, si fa strascinare da1giu
menti aggiogati, onde dalle spicbe si traggano
fuori 1 grani: ovvero composto di travicelli
forniti di denti e di picciole ruote; e questo
strameato si chiama carretta cartaginese (a). So
pra questa vi sede alcuno pe r condurre i giu
menti che la tirano, come si fa nella Spagna cite
riore e in altri luoghi. Appresso altri si separa il
grano, cacciando tra le spiche una truppa di
giumenti, e battendole nello stesso tempo con
pertiche, fino a che per mezzo delle ogoe siati
interamente separato il grano (3). Battute che
sieno le spicbe, bisogna trarre in alto il grano
con vagli, o con palle, quando soffia un vento
leggiero : con che si fa che quanto havvi misto di
leggiero, ossia la lolla, si getta fuori dell ' aia; e
in tal maniera la biada, per essere pi pesante,
si ripone senza alcun mescuglio nelle corbe.
--^ --
CAPITOLO LUI
DBLLE SPIGHE CHB LASCIAVO ADDIETRO I MIETITORI.
Fatta la raccolta, bisogna vendere (1), o co
glier le spiche lasciate addietro dai mietitori, e
portarle a casa : ovvero, se le spiche tono rare e
gli operai a caro prezzo, bisogna farle pascolare;
imperciocch si debbe aver tempre in vitta V u-
tile, onde in tale faccenda la ipeia non superi il
profitto.
CAPITOLO LIV
D e l l a m a n i e r a d i f a r e l a v e n d e m m i a .
Quando 1' uva sar matura ne' vigneti, cos
bisogner fare la vendemmia, esaminando prima
da quale specie di ava, e da qual luogo del vi
t a
555 M. TKRKNTU VARRONIS 556
oox, el miscella, quam vocant nigram, multo ante
coquitur ; qoo prior legenda i et qnae pars arbu
sti ac vineae magis aprica, prius debet descendere
de vite. In vindemiam diligentius uva non solum
legitur ad bibendum, sed eligitur ad edendum.
Itaque lectius defertur in forum vinarium, unde
in dolium inane veniat: electa in secretam corbu
lam, unde in ollulas addatur, et 1n dolia plena
vinaceorum contrudatur ; alia, quae in piscinam
in amphoram picatam descendat ; alia, qnae in
ream, ut in carnarium ascendat. Quae calcatae
uvae erunt, earum scopi cum folliculis subjiciendi
sub prelum, ut <si quid reliqui habeant musti
exprimatur in eundem lacum. Cum desiit sub
prelo fluere, quidam circumcidunt e i trema, et
rursus premunt : et rursus cum expressum, cir
cumcisi tum appellant, ac seorsum, quod expres
sum est, servant, quod resipii ferrum ; expressi
acinorum folliculi in dolia conjiciuntur, eoque
aqua additur : ea vocatur lora, quod lota aciua,
ae pro vino operariis datur hieme.

CAPUT LV
1>S OLIA L W I I I i .
De oliveto ; oleam quam maou tangere pos
sis e terra, ac scalis, legera oportet potius quam
quatere, quod ea, quae vapulavit, macescit, nec
dat tantum olei ; quae maou stricta, melior ea,
quae digitis nudis legitur, qutm illa quae cum
digitalibus; duricies enim eorum non solum
stringit bacam, sed etiam ramos glubit, ac relin
quit ad gelicidium relectos. Qui manu taogi non
poterunt, ita quali debeat, ut arundine potius
quam pertica feriantur ; gravior enim plaga rae-
dicum quaerit. Qui quatiet, ne adversam caedat ;
saepe enim ita percussa olea secura defert de
ramulo plantam ; quo facto, fruelnm amittunt
posteri anni ; ut haec non minima causa, quod
oliveta dicant alternisanois noa ferre fructus,aut
non aeque magnos. Olea ut uva per idem bivium
redit ia villam, alia ad cibum eligitur, alia ut
gnaio si debba cominciare vendemmiare ; im
perciocch e 1 ava primaticcia, e quella mista,
che chiamano negra, si matura lungo tempo
avanti 1' altra ; per il che debbe essere la prima
a raccogliersi. Parimente dovranno essere le pri-
me a distaccarsi dalle vili quelle ave, le qaali,
sieoo esse maritate agli alberi, o no, sono espo
ste al sole. Nella vendemmia che si fa sotto un
diligente proprietario, non solo si raccoglie 1*ava
per bere, ma si sceglie ancora quella che si mag
gia ; sicch l* ava raccolta (i) si porla nel luogo,
ove si spreme, per riempiere dappoi le botti ; e
la scelta si mette a parie oelle corbe, sia per
riempiere delle picciole olle che si cacci ano den
tro le bolli piene di vinacce (a), sia per conservarla
in anfore impegolate e che si mettono ia con
serve d acqua, sia per riporla io a a aito allo,
per poi attaccarla io alto nella dispensa (3). Quan
do poi i grappoli saranno stali pigiati, bisogne
r spremere nel torcolo i racimoli de* grappoli
in uno ai gusci delle uve, onde quel poco di mo
sto che oonlengono, si unisca nella fossa al pri
mo. Quando dal torchio non esce altro mosto,
alcuni sogliono tagliare attorno le vinacce, e
spremerle di nuovo : e quel vino che si trae con
questa seconda spremitura, si chiama in latioo
crcumcisitum(b)ye lo mettono a parte, perch sa
di ferro. 1 gusci dei grani spremuli si ripongono
in botti, e sopra vi si versa deir acqua. Questo
vino si chiama acquerello, perch s* innacquano
i gusci de* grani, e si d agli operai iu luogo di
vioo nell* inverno.
-----
CAPITOLO LV
D e l l a m a n i e r a o i a a c c o g u e e b l * o l i v a .
Dell* oliveto. Quell* oliva cha ta puoi, stando
ia piedi, o per roeuo di scale, toccare colle mani,
bisogna piulloslo raccoglierla colla maoo, che
abbacchiarla ; perch quella che si b a t t a s i sma
grisce e non d molto olio. Raccogliendola colla
mano, sar meglio coglierla colle dila nude (i),
che colle dita fornite di ditali ; imperciocch la
durezza di questi non solo stringe di troppo la
bacca (2), ma scorza ancora i rami, e li lascia
esposti al ghiaccio. Que* rami che oon si potranuo
toccare colle mani, si dovranno piuttosto battere
con canne, ebe ferire colle pertiche ; perch una
ferita considerabile non pu far di meno di me
dico. Chi batter gii olivi, guardisi dal batterli
rovescio, perch sovente abbacchiandoti in tal
modo T oliva, seco strascina anche dei ramo
scelli : dal che oe nasce la sterilit ae* vegnenti
DE EE RUSTICA L1B. I. 558
eliqoescat, ac non tolam corpos intns angaat, sed
edam extrinsecus : itaqne donimim et balneas,
et gymnasiam sequitor. Haec, de qaa fit oleam,
eongeri solet acervatiaa por dies singulos In la-
boiata uti ibi mediocriter fracescat, ac primus
qoisqne acervo* demittatur per seria, ao rata
olearia ad trapeta, in qoae eam tereot molae
oleriae doro et aspero lapide. Olea lecta si ni-
aaium dio fuit in acervis, caldore fracescit, et
olaom foetidam fit. Itaque si neqoeas malore
ooo fice re, io acervis jictaodo ventilare oportet.
Ex olea fractos duplex ; oleam, qood omnibus
notam, et amorca, cojus utilitatem qood igoo-
tant pleriqoe, licet videre e torculis oleariis
floere in agros, ao non solum denigrare terram,
sed moltitudine facere sterilem : cam is hamor
modicos, com ad moltas res, tomad agriculturam
pertineat vehementer, qood ei ream arboram ra
dices infondi solet, maximo ad oleam, t obicuo-
qoe in agro herbo nocet.
-----
CAPUT LVI
D* roaao COVDSIDO.
Agrios : Jam dadom, inquit, in villa sedens
expecto eom clavi te Stolo, dom flroctns io villam
referas. Illo : Em qoio adsum ; venio, inqoit, ad
Umeo, foros aperi ; primam foaoisteiae conduntor
melios sob tecto, qoam io acervis, quod ita fit
joco odio pabolum ; ex eo intelligitar, qaod
peen n t r oqae posito libentias est.
anni. E qaesta ana forte ragione, per eoi di
cono che gli oliveti non produoono fratti eho
ogai seeoodo anno, o che almeno non ne por
tano io eguale abbondante (3). L ' oliva, ugnai*
mente che 1* uva, si porta alla villa pei medesi
mo bivio ; cosicch per una strada si manda quel
la che si mangia, e per 1 altra quella che si spre
me (4), onde il liquore che se ne trae unga non
solo il corpo internamente, ma ancora esterna
mente ; poich questo liquore dee seguire il pro
prietario tanto nel bagno, quanto negli eserciiu
ginnastici (5). Qoella oliva, con coi si fa 1*olio,
si m macchia giorno per giorno sui tavolati (6),
acciocch ivi alcun poco si ammollisca ; e ra-
acun macchio si dee portare con vasi, adattati al
torchio ed al macinatoio, ove l ' oliva sar In
frante sotto alle maeine da olio, le coi pietre
dovranno essere aspre e dare (7). Se 1' oliva rac
colta si lancia lungo tempo in macchio, si am
mollisce col favore del caldo, e prodace an olio
raacido (8). Sicch se non paoi spremere V olio
a buon' ora, bisogoa spargere le olive ammac
chiate, e sventolarle. Dall' oliva si ritraggono
doe liquori ; l ' olio, eh' noto a lotti, e la mor
chia ; la coi utilit, perch molti la ignorano,
perci si vede colare dai torchi da olio sai cam
pi, ove oon solo annerisce la terra, ma collo
troppa qoantit la rende sterile; quando ohe
questo liquore, adoperato moderatameote (9),
pu giovare a molte 00se, e specialmente all* agri-
col tara ; poich si costuma spargerlo intorno allo
radici degli alberi, e particolarmeote intorno
all' ulivo (10), e io tutti qae' laoghi, ove l1erba
nuoce.
CAPITOLO LVl
Del i i f o &a b i l f i ano.
gi da lungo tempo, dice Agrio, che me ne
sto sedato in casa e che aspetto te, o Stolone, colle
chiavi,onde tointrodoca nella medesima i fratti.
Eccomi (1), dico Stolone, arrivato alla porta:
aprila. Primieramente meglio mettere il fieoo
sotto il tetto, che lasciarlo ammucchiato, perch
cosi riesce no pascolo pi grato al bestiame;
essendoch se a questo si metter avanti ddl'uno
e dell' altro, si comprender che proferisce il
primo (a).
M. TERENTO VARRONIS
D i TUTICO COHDEIDO.
Al triticum condi oportet in granaria subli
mia, qoae perflentur Te n t o ab exor lo, ac septen
trionum regione, ad quae nolla aora hnrnida ex
propinqui* locis adspiret ; parielet et s o l a m
opere tectorio marmorato loricandi f s i minus,
ex argilla mixto acere e frumento, et amurca,
qood murem et vermem non patitor e s s e , et
grana facit solidiora, ac firmiora; quidam ipsam
triticum conspergant, cum addant in circiter
ruille modium quadrantal amnrcae. Item alias
aliud adfriat, aat aspergit, ot Chalcidicam a a t
Caricam cretam, aot absinlhiom ; i lem hojas
genens alia. Qaidam granaria habent sab lerris,
speluncis, qaas vocant ot io Cappado
cia ac Thracia ; ali i , ot io Hispania citeriore,
pateos, ot in agro Carthaginiensi, et Oscensi.
Horam solum paleis sabsternuot : et curant ne
humor, aot aer tangere pos>it, nisi cana promitor
ad asum ; quo enim spiritus non pervenit, ibi
non oritur curculio. Sic conditam triticum ma
net vel annos quinquaginta : milium vero plus
annos centam. Supra terram granaria in agro
qaidam sublimia faciant,ut ia Hispania citeriore,
et in Appolia. Qoidam quae non solum a lateri
bus per fenestras, sed etiam sobtus a solo ventas
regelare possit.
CAPUT Lvn
CAPUT Lvm
De VABA ET LEGBMIE1B0S ET U?IS COIDBBDIS.
Faba, legumina in oleariis vasis oblita cinere
perdia incolnroia servantur. Cato ait, uvam amin-
neam minosculam, el rnajorem, et apiciam in ollis
commodissime condi ; eadem in sapa, et musto
recte; qaas sospendas opportunissimas esse du
racinas, et aminneas, et scantianas.
D e l b i p o e b i i l f o b m b b t o .
Ma il formento bisogna chiuderlo in granai
a l t i , i quali sieno esposti ai venti che soffiano
dalla piaggia orientale e occidentale, e fa mestieri
che sieno difesi da ogni aria umida che potesse
penetrarvi dai luoghi vicini. Le pareti e il suolo
debbono essere coperti di marroorino; se no,
quest'intonacato si faccia di argilla mista alla
paglia del formento e alla morchi ; e ci ad og
getto che i sorci ed i vermi non vi possano pene
trare, e che i grani diventino pi solidi e pi
resistenti. Alcuni spruzzano sopra lo stesso for
mento della morchia, di cui ne mettono in opera
an quadrantal (1) in mille moggi allo incirca.
Altri parimente vi trit ano, o vi spargono so
pra altre materie, come della creta diCalcide (a),
o di qaella di Caris, o dell'assenzio, ovvero con
simili cose (3). Certuni, invece di granai, hanno
sotterra delle spelonche che chiamano
come nella Cappadocia e nella Tracia. Altri
hanno de1pozzi, come nella Spagna citeriore e
nel territorio di Cartagioee di Osca. Qaesli cao-
prono il suolo di paglie , e procurano che n
T amido, n l ' aria vi penetrino, se non qaando
si estrae il formento per servirsene (4); posciach
dove non entra aria, ivi non nasce il gorgoglione.
Chiudendosi il formento en queste cautele, si
conserva anche per cinqoant1a n n i , e il miglio
poi per pi di cent' anni. Alcuni fanno aopra
terra, in luogo elevato e nello stesso campo, dei
granai, come gli abitanti della Spagna citeriore
e della Puglia (5) : e qaesli granai non solo pos
sono essere rinfrescati lateralmente dal vento
eh* entra per le fenestre, ma ancora per di sotto
dal vento ripercosso dalla terra (6).
----- -----
CAPITOLO LVm
D e l l a m a h i b e a d i c o h s e & v a e l a y a v a , . i l e g u m i
E L1 UVA.
La fi va e i legumi () si conservano lunga
mente sani nei vasi da olio coperti di cenere. Ca
tone dice (a), che molto bene si conservano nelle
olle 1' uva amminea maggiore e minore , come
anche Tfcpicia. Queste uve pare si coniervano
ottimamente sane nella sapa e nel mosto. Quelle
che pi di tulle si mantengono sane, sospenden-
dole, sono le duracine, le amminee le stanzia^
ne (3).
CAPITOLO LVII
561
DE RE RUSTICA LIR. I. 56
D b r o m i COVDBHDI9.
De pomis, conditiva mala struthea, cotone,
s c a nt i a na, qniriniana, orbiculata, eI qoae aotea
mas t e a vocabant, nunc melimela appellant, haec
omnia in loco arido, et frigido sapra paleas po
sita servari recte potant. Et ideo oporothecas qui
f aci aot ad aquilonem ut fenestras habeant, atqoe
a l eae perflentur, co raol ; neque tamen sine fori-
colis : a e cum humorem amiserint pertinaci vento,
vieta fiant. Ideoqoe in iis, camaras marmorato,
et parietes, pavimentaqoe (laudabiliter) faciunt,
qao frigidius sit : in quo etiam quidam triclinium
st er oer e solent coenandi causa. Etenim in quibos
l uxnr i a concesserit, ut in pinacothece faciant,
quod spectacolum datur ab arte, cur non qood
natura datum o t a ot ur i o venustate disposita po
morum ? praesertim quidem, cum id non sit
f aci endam, qaod qoidam fecerunt, ut Romae
compta poma ros intulerint ia oporothecen in
struendam convivii causa. In oporothece mala
manere potant satis commode : alii in tabulis, ot
in opere marmorato, ali i substrata palea, vel etiam
floccis : mala Punica demissis sois sarculis in
dolio arenae: mala cotonea, struthea io pensili
bus j un c t i s : contra in sapa condita manere pira
Aniciana, et sementiva ; sorba quidam dissecta,
et io sole macerata, nt pira ; et sorba per se ubi
cunque sint posita in arido facile durare. Servare
rapa consecta in sinape, noces joglaudes in arena,
Punica mala et in arena jam decerpta, ac matara,
nt dixi, et etiam immatnra com haereat in soa
virga, si demiseris in ollam sine fondo, eamqoe
si conjeceris in terram, et obteris circum ramum,
si xtrinsecos spiritus afflet, ea non modo integra
eximi, sed etiam majora, quam in arbore onqoara
pependerint.
CAPUT LIX
-----
D b LLA MAVIS* A DI COMBBVABE LB FRUTTA.
Parlando delle frotta i pomi che si serbaoo,
i cotogni, gli scanziani, i quiriniani,i rotondi (i),
e quelli che prima si chiamavano pomi dolci come
il mosto, o mustea, e che oggi si chiamano pomi
nani, o melimela(2) in latino: tolte qoeste frotta
si couservano ottimamente, per qoanlo si dice,
mettendole sopra la paglia distesa in on luogo
arido e freddo (3). E perci qoelli che faono
delle conserve per le f r a t t a , procorano che
queste abbiano delle feneslre verso aqoilo-
ne, e che il vento vi possa entrare libera
mente: n per trascurano di mettervi delle por-
ticelle, acciocch, in grazia della continuazione
del vento, non perdano tutto il succo, e non di
ventino appassite. Per la qoal cosa incrostano le
volte, le pareti e il pavimento di roarmorino (4)?
onde le couserve sieno pi fredde. In queste
sogliono pure alconi mettervi de* Ietti per man
giare. Imperciocch qoelli, i c^oali, a motivo di
lasso, mangiano (5) in tinelli forniti di quadri,
spettacolo che oon si riconosce se non dall* arte,
perch non potranno servirsi dello spettacolo
somministrato loro dalla natora, distribuendo le
frotta con ordine elegante? Ci p?r verit si po
fare, porche non s ' imilino qoelli, i qoali com
prano delle fratta in Roma, e le portano a for
nire i tinelli di villa col solo oggetto di on con
vito (6). Alconi pensano cbe le frutta si conservino
sofficieotemente sane nelle conserve: altri credono
che meglio si conservino sopra tavole, o sul xnar-
morino (7) ; e certuni sopra la paglia, o anche
sopra la tana. Le melagrane si conservano, met
tendole attaccate al loro ramo in una botte piena
di arena ; e i pomi cotogoi e quelli che si serba
no, attaccandoli in alto (8). Per contrario le pera
aniciane e quelle che sono mature, si mantengono
sane, mettendole nella sapa. Alcuni tagliano le
sorbe e le pera, e le fanno seccare al sole, onde
si conservino facilmente in qualunque luogo cbe
si mettano, purch sia secco ; e le sorbe ai man
tengono sane, sebbene si lascino nel loro stato
naturale. La rapa tagliata si conserva nel senape,
e la noce nell1arena : cos pure si conservano
nell arena le melagrane racclte non tanto ma
ture qoanto ancora immature, ma attaccate
al lor ramo, e poste in un' olla seosa fondo,
e sprofondate in terra : si calpesta all' intor
no del ramo la t e r r a , se dall1esterno pene
trasse l ' aria nell1olla (9). In cotale maniera
non solo si trarranno fuori intere e sane, ma
saranno diventale ancora pi grosse di quello che
se fossero state attaccate all' albero.
CAPITOLO LIX
5*5 M. TERENTII VAERONIS 564
D b o l b a c o b d b b d a .
De olivitate, oleas emi optime condi ieri bit
Cato, orchi tes, et paoses aridas, tei t irides io
nor i a, vel lenii $00 contata. Orchitei nigras, Mie
si tini confricatae dies qoinqoe, et tum tate es
cono biduum ti in iole potitae fuerint, maoere
idoneas solere; easdem line sale in defrutum
condire.
CAPUT LX
CAPUT LXI
Db a m u b c a c o b d b b d a .
Recte amurcam periti agricolae tam in dolili
condunt, quam oleum, aot tinum. Ejus conditio,
cum expressa effluxit, qood stalim de ea deco
quuntur doae partes, et refrigeratum conditur
in vasa. Sunt item aliae conditiones, ut ea, in
qua adjicitur m astum.
----
CAPUT LXH
Db p b o m b b d i s f b u g i b u s t u b b d i c a u s a .
Quod nemo fractus coodit, niti at promat,
de eoqooqoe vel sexto gradu animadvertenda,
panca. Promant condita aut propterea, quod
int tuenda, aut quod utenda, aut quod ven
denda. Ea quae dinimilia innt inter se, alind
alio tempore toendom et utendum.
D l U i I U I I 1 A DI COBSBBVABB LB OUVB.
Riguardo alla maniera dr conservare le olive,
Catone scrive (i), che tra quelle che si mangiano,
si conservano ottimamente le orchiti, o olive gros
se, eie paosee secche (a), mettendole nella salamo
ia, se sono verdi, o nell1olio di lentisco, ae sono
ammaocate. Egli aggiunge, che te le orchiti
nere si fregheranno dentro il tale, e vi si la
scino per cioque giorni, e, dopo scosso il sale,
si espongano al sole* per due giorni, si conser
veranno intere e buone (3). Dice inoltre, che
si possono conservare senza sale, mettendole
nel vino cotto.
----- -----
CAPITOLO LXI
D i l l a m a b i b b a d i c o b s b b v a b b l a m o b c b t a .
Ottimamente i periti agricoltori rinserrano
la morchia in botti (i), in quella guisa che fanno
coll' olio, o col vioo. La maniera di prepararla
, che appena spremuta si fa bollire sino alla
consumazione della met, e ti verta dappoi, raf
freddata, ne* vasi (a). Vi sono pure altre maniere
di prepararla, come quella, nella quale vi si
aggiunge del mosto.
CAPITOLO LX
c a p i t o l o L xn
DsL TBABBB tUOBI I FBUTTV, A MOTIVO DI FBB-
SIBVABL1 SAJII.
Comech nessuno oonserva i frutti che col-
l oggetto di trarneli fuori in progresso, di que
sti pure, ovvero del sesto .grado (i), sono da
avvertirsi alcune poche cose. Si eitraggono i
frutti rinchiusi o per preservarli da qualche
danno (a), o per mangiarli, ovvero per venderli.
I tempi ne* quali si debbono cavare fuori per
preservarli, o per mangiarli, debbono estere va
ni , secondo la differenza de' fratti.
565
D RE RUSTICA LiB. L 566
Q u e m a d m o d u m n u i u m i u t MLOMEVDUM.
Toendi cium promendam id frameotam,
qaod curculiones exeue ioespianl ; id enim cam
promptam est, ia ole ponere oportet qaae ca
lino, qaod eo coaveniuat, at ipsi m aecent cur-
caliooes. Sub terra qui habent frameotam io
iis, quos vocaat JfWf, quod cam pericolo io-
troitur recenti apertione, ita a t quibusdam sit
olerdasa i d m , aliqaaoto post prona ere, qaam
aperueris,, oportet. Far, quod ia spicis condi
deris pe r messem, et ad ojos cibatus expedire
alis, promendam hieme, a t in pistrino pisetur,
ac torreator.
CAPUT LXni
CAPUT LXTV
t ) s AMEBCA TUMIDA AC FBOMESDA.
Amorca cum ex olea expressa, qui est humor
aquatilis, ao retri meo tora conditum io vas fictile,
id quidam sic solent tueri diebus x y , eo, quod
est levissimum ao fammum, dtflatum at trajiciant
in alia vasa, et hoc idem intervallis, doodecies
sex measibai proximis, item faciant. Com id no
vissime, potissimam trajksaiit, cam senescit lana ;
tunc decoquunt in aheois levi igoi duas parte
qaoad regerunt, tam desiqoe ad usam recte
prteaitar.
CAPUT LXV
Da viso MLoauo.
Qood mostom conditur io doliam, a t ha-
beamas vinum, non promendum dam fervet,
neque etiam eam processit ita, ot sit vinom fa
cium. Si vetas bibere velis; qaod noa fit ante,
qaam acqesaerit annus, t am, cam foerit ennica-
I s QUALB M ABUSA SIA DA TSASS1 FPOBI
IL FOBMBBTO.
A motivo di preservarlo sano, si debbe estrar
re qoel formeuto che i gorgoglioui comiociano a
corrodere. Tosto che sia estratto, bisogna met
terlo al sole iu catiui pieni d' acqua, perch nella
medesima i gorgoglioni si ammazzeranno per s
stessi. Quelli che hanoo il fermento sotterra io
quelle caverne che si chiamano 9 % ooo deb
bono trarnelo fuori se non dopo qualche tempo,
dacch si sooo aperte ; perch appeoa fatta I*a-
pertura, si oorre uo grande pericolo a entrarvi
tosto ; e tanto grande, che alcuni hanoo per
dala la respirazione (i). Quel farro che avrai
rinchiuso io ispiche nel tempo della raccolta, e
che vooi preparare, oode cibartene (a), si dee
trar fuori io tempo d ' inverno, per pestarlo nel
pistrino, e per arrosiirlo.
---C---
CAPITOLO LXTV
D i l l a m a k i s i a d i c o s s s a v a s s l a m o o c s i a
S DI BSTSAMLA.
La morchia premula dalle olive, e che oon
altro se non se no liquore acquoso e il fondi-
gliuolo dell'olio rinchiuso in vasi di terra, in tal
modo sogliono alcoui conservarla: passali quin
dici giorni, soffiano sopra il vase, acciocch,
qoaoto vi di pi leggiero e di galleggiante,
passi io altri vasi : replicano parimente qaesta
operaziooe ogni quindici giorni fino a dodici
volte, e per sei mesi continui. Nel fare quest' o-
per azione l'ultima volta, hanoo specialmente at
tenzione di farla a lana vecchia : dopo ci la
(m m i o bollire a lieve fuoco io caldaie, fio tantoch
sia ridotta alla met, e finalmente si cava foori, e
a li Intente allora si pu adoperare.
------* ------
CAPITOLO LXV
D i l l a m a s i b b a d i e s t r a s s e i l viso.
Quel mosto che si mette nelle botti, oode Cara
del vioo, ooo si debbe estrarre quaodo bolle,
come nemmeno subito eh' fatto. Se vaoi beverlo
vecchio, il che oon ha da soocedere che dopo
passato Panno, in allora si po estrarre (i). Se
c a p i t o l o LXin
567
M. TERENTII VARRONIS 568
Ium, prodit* Si vero est ex eo genere a vae, qood
maiore coacescat, antevindemiam contami, aot
venire oportet. Geoera toni yini, io quo Falerna,
quae quanto plorea annos condita habaeroot,
tanlo, com prompta, sont fructuosiora.
CAPUT LXVI
D i OLIA PEOMBITOA.
Oleas albas, quas condideris novas, ti celeriter
promat, niti condideris, propter amaritudinem
illas respuit palatam. Item nigras, niti prius eis
sale maceraris, ut libenter in os recipiantur.
------
CAPUT LXVH
Da l u c a b t p a l m u l a .
Nocem juglandem, et palmulam, et ficum
sabinam quaoto ciliot promas, jucoodiore alare,
qood veluslate ficus fit pallidior, palmula cario
sior, nux aridior.
CAPUT LXVUI
D a UVIS, MALIS, I T SOIBIS POSILI BOt P10MEIDIS.
Pensilia, ut uvae,'mala, et sorba, ipsa osten-
dant, quando ad osum oporteat. promi : quod
colore mutato et contractu acinorum, si non dem-
seris ad edendam, ad abjiciendum descensarum
se minitantur. Sorbum matorum mite conditam
citius promi oportet, acerbam enim suspensam
lentias est ; quod prias domi maturitatem asse-
qoi vult, quam nequit in arbore qoam mitescat.
poi di quella specie di ifva, per cui inagrisca a
booo1o m , bisogoa beverlo avanti la vendemmia,
o venderlo. Vi sono alcune specie di vini, e tra
qoesti si annoverano quei di Falerno, i quali
quanti pi anni si tengono rinchioti (a), tanto
maggiormente rendono, qaando ti estraggono.
CAPITOLO LXVI
D l L TIMPO P I I BCTEAEIE LB OLIVI.
Le olive bianche che avrai rinchiuse, se trop
po presto le caverai ancora nnote, e se di nuovo
non le rinserrerai, a motivo della troppa ama
rezza, non saranno grate al palato (i). Parimente
le nere v se prima non le terrai taffete nel sale,
non saranno ricevale volentieri in bocca.
c a p i t o l o L xvn
D i l l a h o c b i d e l d a t t b i o .
Quanto pi per tempo si estraggono le noci,
i datteri e i fichi sabini, tanto pi riescono grati,
perch i fichi vecchi contraggono la muffa, i dat
teri si tarlano, e le noci si seccano.
----- -----
CAPITOLO LXVm
D l L TBMPO DI ISTEAEIE LB UVE, 1 POMI, L I t o a s t
SOSPESE I I AEIA.
Le fruita sospese in aria, come I* uva, i pomi
e le sorbe, dimostrano di per t tiesse, qaando
bitogna estrarle per mangiarle; perch il cangia
mento di colore e il diseccamento dei grani di
ava ci minacciano, che se non ci daremo premu
ra a distaccare queste frutta per mangiarle, ci
converr poi levarle di luogo per estere gittate
altrove. Le torbe mature e njolli rinchiuse (t),
debbouti et trarre pi pretto di quello che se si
fossero sospese acerbe, perch chi vuole che si
maturino in casa, non dee lasciare che le sorbe
diveolino prima molli soli* albero (2).
569
DE RE RUSTICA LIB. I.
Da r u i i p i o m i i d o v i l a d c i i a i u , v u a d s a -
TIOIEM, TI L AD VIIDUDUM.
Mena m far promendam hieme io pii trino ad
torreodom, qaod ad oibatam expeditam et se
velis. Qaod ad sationem, tam promendam, cam
egelet matarae tool ad accipieodam. Itera qaae
pertinent ad sationem, tuo qaoqae tempore pr-
menda. Qaae tendenda, fidendum, qaae quoque
tempore oporteat promi; alia enim, quae manere
oon pot ino t, ante qaam te commutent, a t celeri
ter promat, ao' T e n d a t : alia qaae ter Tari pouuot,
ut tom vendat, com caritas etl; taepe enim diu-
tiut servata non modo aiuram adjiciaut ; sed
eliam fractum duplicant, ti tempore promas. Cura
haec dicerei Stolo, T e n i t libertas aedilumi ad
not f l e n t , el rogai ot ig no tea mas quod timut
relenti, et nt ei ia funai poslridie prodeamas.
Oqmet cootargimat, ac timul exclamamus, quid
in f a n n t ? qaod faoat ? qnid est factam? Ule
flent n a r r a i , ab neteio quo percunara cultello
conciditte, qaem qai esset, animadvertere in
t or ba non potuiste, ted tantummodo exaaditte
vocem, perperam fecitte. I pse , cam patronam
d o m a m tuitaliiset, el paeros dimisisset ut medi*
com requirerent, ac mature addacerent ; .qaod
pot iot illad adrai istrtssel, qaam ad nos venisset,
aequum ette tibi ignotei. Nec ti eum serrare non
potuisset, q u i n non multo post animam efflaret,
tamen palare te fedite recte. Non moleste feren
te! deicendimot de aede, el de caso haraano ma
gia quaeren t e i , qaam admiranlet id Romae
factam, ditee dim a t omnet.
CAPUT LXIX
Del t e m p o d i i r r i A i i i i l p a i i o p e e m a i o i a i i i ,
O P I I IIM1IAISI, O P I I ' TI I DBISI .
11 farro mietuto, e che T u o i appretiare per
eitere mangiato, ti debbe etlrarre in tempo di
i n T e m o , e portare oel pitlrino per arroilirlo(i).
Quello che deitinerai alla temina, lo caverai al
lora che le terre arate taranno in iitato di rice-
Te r l o . Parimente tulli que grani che t o n o detti-
nati per semema, t i debbono eitrarre n e l mo
mento di etsere adoperati. Riguardo a qae* grani
che t o n o da T e n d e r t i , bitogna vedere quale t ar i
il tempo pi conveniente a ciatcheduno per
etlrarli ; imperciocch alcuoi che non poitono
durare lungamente senza guastarsi, bisogna ,
estrarli presto, e venderli; e quelli che si conier-
Tano tani lungo tempo, non Tanno venduti, te
non quando tono a caro prezzo; imperciocch
alcuni grani conservali lungamente, non tolo ci
danno l ' usura del Ta l or e, ma raddoppiano anche
il capitale, se a tempo opportuno si estraggono.
dicendo tali cose, ecco che a n o i ten Ti e n e
piangendo il liberto del cuttode del tempio, il
qaale a n o m e del tao padrone ci prega di perdo
nargli, perch si fallo-aspettare, e nello s t es s o
tempo ci prega di assistere a1suoi fanerali nel d
vegnente (a). Tulli ci lerammo, e insieme escla
miamo : che cosa mai la ci dici ? ai suoi funera
li? e di q n a l funerale t a parli? che mai acca
duto ? Egli colle lagrime agli occhi ci racconta
che i l suo padrone stato ammazzato da un in
cognito con an colpo di coltello ( che tra la folla
n o n ha potuto distinguere I*uccisore, e che tol-
tanto ha adito una voce, la quale diceva di avere
ci fatto inavTertentemente (3). Egli aggiunte
eh* era ben giuilo che gli ti dovette perdonare,
te prima d ' allora non era a noi venato, per
eisere stato occupatp in condurre a casa il
padrone, e in mandare per mezzo d e i fami
liari a ricercare un medico, acciocch met
tesse in opera qaanto era necessario. E quan
tunque con tatle queste care non abbia potuto
ottenere che da l a poco tempo non morisse,
credeva nonostante di aver fatto qaanto doveva.
Gli menammo per baone queste scuse e ci par
timmo dal tempio, pi intesi a deplorare qaeita
umana vicenda, che sorpresi di una catastrofe di
questi natura accaduti in Roma.
CAPITOLO LXIX
M. Tee sazio V Aiaosa i l
M. TERENTII VARRONIS
DE R E R U S T I C A
LIBER SECUNDUS
--------------------------------
PROOEMIUM
D t B t BBCQABIA.
V i r i magni nostri majores non sine cansa prae
ponebant rustico* Romanos urbanis ; ut rori
enim, qui in villa vivunt ignaviores, qaam qui in
agro versantor in aliquo opere faciuudo : sic qui
in oppido sederent, quam qai rura colerent, de
sidiosiores putabant. Itaque annum ita diviie-
rnnl, ut nonis modo diebus urbanas res usurpa
rent, reliquis vii ut rura colerent. Quod dum
servaverant institutum, utramque suut consecu
ti, nt et cultura agros foecundissimos haberent,
et ipsi valetudine firmiores essent : ac ne Grae
corum urbana desiderarent gymnasia, quae nunc
vix salis singula sunt : nec putant se habere vil
lam, si non multis vocabulis reliueant Graecis,
qanm vocent particolatira loca, vfoxoirvayva-
enro4tnrnftOfi 'Tif/<fu\ov, o ? t r i -
fifUSroj otmfolhixnv. Igitur quod nane intra
marum fere patres familiae correpseront relictb
falce et aratro, et manas movere maluerunt in
theatro ac circo, quam in segetibus ac vinetis,
frumentum locamus, qui nobis advebal, qui sa
tari fiamus ex Africa, et Sardinia : et navibos
vindemiaib condimus ex insula Coa, el Chia.
INTRODUZIONE
D l L BtSTIAHB.
]Von senia ragione i pi distinti nostri antenati
preferivano i Romani della campagna a quelli
di citt : parimente riguardavano come pigri
ed inerti quelli che vivevano nel recinto della
villa, in confronto di coloro che lavoravano alla
campagna ; e del pari coloro che sedevansi al-
1*ombra della villa, erano riputati infingardi a
petto di qaelli che lavoravano la terra. E per
questo motivo eglino divisero Tanno in maniera,
che non si dovessero trattare gli affari della villa
se non ogni nove giorni, e che negli altri sette si
dovesse attendere alla coltivazione della terra ( i ) .
Fino a tanto che si tennero a quest oso, due
beni ottennero ; quello di avere le terre coltiva
te, e quindi pi feconde, e di godere essi mede
simi una sanit pi robusta : e quello di ooo
desiderare gli esercizi! ginnastici che i Greci
hanno nelle loro citt ; perch oggid che li
abbiamo lutti, appena ci sono bastauli. E tanto
siamo andati oltre, che non crdiamo di avere
una villa, se essa non risuoua (a) di una folla di
nomi greci corrispondenti ai varii luoghi che
la compongono, come rfoxoirmra (3), xaXai'-
M. TLRENTU VARRONIS
Itaque in qua terra colleram agri docuerunt
pastores progeniem suam, qoi condiderunt ur
bem, ibi contra progenies eorum, propter avari-
tiara, contra leges, ex segetibus fecit prata, igno
rantes non idem esse agriculturam, et pastionem;
alins enim opilio, et arator : nec si possit in agro
pasci, armentarius non aliud ao bubulcus. Ar
mentum enim id, quod in agro natum non creat,
sed tollit dentibus; contra, bos domitos causa
iit, ot commodius nascatar frumentum in segete,
el pabulum in novali. Alia, inquam, ratio ac
scientia coloni, alia pastoris ; coloni, ut ea quae
in agricultura pascantur e terra, fructum faciant;
contra pastoris, ut ea quae nata ex pecore;
quarum quoniam societas inler se magna, pro-
ptereaquod pabulum in fundo compascere, quam
vendere plerumque magis expedit domino fundi ;
t stercoratio ad fructus terrestres aptissima, el
maxime ad id pecus appositum : qui habet prae
dium, habere utramque debet disciplinam, el
agriculturae, et pecoris pascendi, et etiam villa
ticae pastionis. Ex ea enijn quoqne fructus tolli
possunt non mediocres, ex ornithonibus, ac le
porariis, et piscinis. E queis quoniam de agricul
tura librum Fundaniae uxori propter ejus fun
dum feci : tibi Niger Turrani noster, qui vehe
menter delectaris pecore, propterea quod te
emtnrientem in campos Macros ad mercatum
adducunt crebro pedes, quo.facilius sumlibos
multa poscentibus ministres, quod eo facilius
faciam, quod et ipse pecuarias habui grandes, in
Appulia ovialias, el in Beatino equarias : ( Qua )
de re pecnaria breviter ac summalim percurram,
et sermonibus nostris collatis cum iis, qui pe
cuarias habuerunt in Epeiro magnas, tum cura
piratico bello inter Delum et Siciliam Graeciae
classibus prae essem, incipiam hinc.
(4) > ( 5), (6) > o f r i -
ScSva (7) > (8), qt vq (9). Per la
qual cosa oggid quasi tutti (10) i padri di fami
glia a poco a poco si sono introdotti dentro la
mura della citt, hanno abbandonato la falce
T aratro : e perch amiamo di oonsecrare lo
uostre mani al teatro e nel circo, piutlosloch
alla campagna o nei vigneti ; perci siamo ridotti
al caso di eleggere all'incanto (11) chi per satol
larci ci porti la biada dall1Africa e dalla Sarde
gna, e siariao nella necessit di ricorrere alla
navigazione per t rarre il vino dall1isola di
Coo (ia) e di Chio. Per tal motivo adunque quel
paese che fu fondalo da1pastori che insegnarono
ai loro figli I1agricoltura (iB), oggid i discen
denti dei medesimi, per avarizia e in disprezzo
delle leggi, porgono un esempio contrario, aven
do ridotto le terre lavorate in prati, senza far
attenzione che l1agricoltura molto differente
da quell arte eh1 in lesa a nodrire il bestiame;
imperocch altra cosa il pastore* ed altra cosa
l ' aratore: e quantunque il bestiame si possa far
pascolare ne1campi coltivali, nulladimeno diffe
risce il cnslode del medesimo, quando pascola,
dal boaro che Io conduce, quando lavora. Di fatti
le mandre del bestiame non producono biade,
anzich le distruggono coi denti: per contrario
il bue addomesticato, caosa che nascano pi
lietamente le biade nelle terre lavorate, ed i
pascoli nel maggese. 11 metodo, io dico, e ta
scienza dell1agricoltore, differisce da quella del
pastore : quegli fa in guisa che ritrae frulli dalla
*terra, mediante i prodotti originati dairagricoU
tura; per contrario questi trae profitto da quanto
nasce dal bestiame (i4)* Ma poich queste due
arti hanno un intimo legame Ira di loro, perch
d'ordinario giova pi al proprietario del terreno
che il pascolo sia consumalo dal bestiame sulla
tenuta, che venduto; e poich I1ingrasso della
terre molto acconcio a fare che la terra frutti,
e specialmente essendo mollo a proposito il con
cime del bestiame ; perci ogni possessore di
fondi debbe abbracciare questi due oggetti, Tarla
cio deli1agricoltura, e quella d1ingrassare non
tanto il bestiame, quanto ancora gli animali che
si allevano nel recioto della casa rusticaua (i5J.
Da quest1ultima arie si possono trarre egual
mente frutti non pochi, come dalle uccelliere,
dai parchi e dalle peschiere. E siccome di una di
queste, cio dell1agricoltura, ho composto gi
un libro per Fundania mia moglie, acciocch a
norma di questo possa coltivare la sua tenuta;
cos a te (16), o mio Niger Turranio, indirizzo
questo secondo trattato, perch ti diletti mollis
simo del bestiame, e per comperare il quale ti
porti sorente al mercato nelle terre bagnale dal
577
DE RE RUSTICA UB. II.
57S
CAPUT I
Ds VXCVDIBUf, AEIETISDS J t t AGHI.
Cam Menste diseessisset, Cossiniot raihi :
No te non dimittemus, inquit, snte qaam tria
ilia explicaris, qaae coeperas no per dicere, cum
soma ioterpelhti. Quae tria, inqoit Adorno?
An ea, qaae mih beri dixisti de pasloricia re ?
Ista, inqoit ille, qaae coeperat hic disserere, quae
easet origo, qoae dignitas. quae ar : cum Petam
fesnm visere venissemus, ni medici adventus nos
interrupisset. Ego vero, inquam, dicam duntaxat,
qood est / o-rofixor, de duabus rebus primi, quae
accepi, de origine, et dignitate ; de tertia parte,
abi est de arte, Scrofa suscipiet ; a t semigraecis
pastoribus dicam Graece,. . . osr<r'p fjut ro&or
aptirmv. Nam is magister C. Lucilii Hipri generi
toi, cujo nobile pecoariae in Brotii habeatur.
Sed haec iUi a nobis accipietis, inquit Scrofa, al
vos, qui estis Epirotici, pecaarii athletae, rema
neremini nos, ac quae sciti, proferatis in me-
dium. Nemo enim omnia potest scire. Cum acce
pissem conditionem,ot meae parte essent primae
(oon quo ion ego pecoarias in Italia habeam, sed
non omne qai habent citharam, sunt citharoedi).
Igitor, inquam, et homines et pecua cura semper
fuisse sit necesse natura (sive enim aliquod fuit
principium generandi sniraaliutg, ot puUvit
Thales Milesias, et Zeno Cittieus : sive contra
principium horum extitit nullum, ut credidit
Pythagora Samius, et Aristotele Stagerites),
necesse est humanae vitae a summa memoria gra
datim descendisse ad haoc aetatem, at scribit
Dicaearchus : et summum gradum fuisse natura
lem, cum viverent homines ex iis rehos, quae
inviolata altro ferret terra : ex hac vita io secan
dam descendisse pastoriciam, e feris atqae agre
Macra (17), onde con questo mezzo poter sup
plire facilmente alle molte spee che per vivere
si ricercano. Di leggieri soddisfar a questo,
perch io stesso ho posseduto numerose truppe
sia di pecore nella Puglia,sia di cavalli nel terri
torio di Campo Pendente. Laonde brevemente
sommariamente tratter del bestiame, riferen
do parimente non solo i discorsi (18) che ebbi
con qoelli, i quali allevarono nell1Epiro nume
rose truppe di bestiame, ma ancora quelli che
ebbi eoa altri, quando nella guerra dei Pirati
presiedeva alle flotte della Grecia tra Deio e Is
Sicilia (19). Dar dunque principio da qaesli
discorsi.
c a p i t o l o 1
Da l l *o b j o i s s s d e l l 1 e c c e l l e n z a d a l l a
SCIBffZA I>s FASTO EX..
Essendosi partito Lena (1), Cossinio volse il
discorso a me, e disse : Non ti lasceremo partire,
se prima non ci spieghi que tre punti che test
avevi presi per mano, quando fummo interrotti.
Quali sono questi tre p a o l i , dice Murrio ? Non
sono forse quelli, dei quali mi parlasti ieri, e che
riguardano la scienza dei pastori ? Appunto ci,
disse Cossinio. Yarrone aveva cominciato a disser
tare sopra questa materia presso Peto (a), cui
andammo a visitare, perch ammalato, e ad esa
minare quale fosse la origine di questa scien
za, quale l'eccellenza, e in quale classe di
arti si dovesse riporre, quando fummo interrot
ti (3) dalla venata del medico. Quanto a me, dissi
allora, tratter soltanto la parte storica, cio i
due primi punti, che sono l' origine e l'eccel
lenza di questa scienza, e dir tutto quello che
mi fu insegnalo. La terza parte poi, che riguarda
l ' arte (4), verr trattata da Scrofa ovnri? fxv xoX-
Xor fditviv (5), per adoperare uoa frase greca a
petto di pastori semigreci. Di fatti egli fu mae
stro di C. Lucilio Uipro (6), tuo genero, che si
reso celebre per la bellezza della gregge che pos
siede nella Calabria. Io vi consento, dice Scrofa,
purch voi altri che siete molto abili sull'articolo
delle gregge (7), vogliate ricompensare la mia
compiacenza, dicendo quanto ne sapete, perch
nessuno pu saper tatto. Avendo eglino accettata
la condizione (8) che io dovessi trattare primo di
tutti la parte storica (9) ( non gi perch non
avessi sneh' io delle gregge io Italia, ma perch
non lutti qoelli che hanno una cetra sanno sonar
la ), dissi adunque, che siccome necessario ohe
secondo l ' ordine della natura abbiano sempre
U. TERENTII VARRONIS
libas, al ex arboribus ac virgultis decerpendo
glaudero, arbutum, mora, pomsque colligerent
ad Qiom ; tic ex animalibus, cum propter eandem
utilit lem quae potient silvestria deprehende
rent, ac concluderent, at mansuescerent In queif
primum non tine causa potant ovet assum t as,
et propter utilitatem, et propter placiditatem ;
maxime enim hac natura quietae, et aptissimae
ad vitam hominum ; ad cibum enim lacie at ca-
aeom adhibitum, ad corpus vestitum el pelles
atloleront. Tertio deoiqqe gradu a vita pastorali
ad agriculturam desceoderqnt ; in qua ex duobus
gradibus superioribus retinuerunt multa; et qno
descenderant, ibi processerunt longe, duro ad
nos perveniret. Etiam nunc in locis moltis genera
pecudum ferarum sunt ajiquot, ot in Phrygia
ex ovibus, ubi greges vidntur complures ; ut in
Samothrace oaprarum, quas Latine rotas appel
lant; sunl enim in Italia, circum Fiscellam et
Tetricam montes, multae. De suibus nemini igno
tum, nisi qui aprot uoo putat tues vocari. Boves
perferi etiam nunc soni multi io Dardania, et
Media, et Thracia. Asini feri in Phrygia, et Ly
caonia. Equi feri in Hispaniae citerioris regio-
nibas aliquot.
Origo, quam dixi : dignitas, quam dicam.
De antiquis illustrissimus quisque pastor erat,
ut ostcodit Graeca at Latioa lingua, et veteres
podtae, qui alios vocant voAc/opra*, alios vo\v-
fufXtft, alios qoi ipsas pecudes pro
pter caritatem aureas hahuittepelles tradideruut,
ut Argis Atreus, quam sibi Thyestem subduxe
queritur : ut io Colchide Aeta, ad cojus arietis
pellem profecti regio genere dicuntur Argonau-
esistito uomini e animali (io) (sia che abbia do
vuto esistere an priocipio di generazione degli
animali, come pens Talete di Mileto ( n ) e Ze
none di Chite (ia) ; sia che questo principio ooo
abbia esistito, giusta l'opinione di Pitagora di
Samo (i 3) e di Aristotele di Stagira (i\) ) ; ne
cessario altres, come descrive Dicearco ( i 5), che
T umana vita, secondo le pi antiche memorie,
sia gradatamente ascesa sino all'et presente (16);
che il primo grsdo fosse conforme alla natura,
vivendo'gli oomini di qoe* frutti che spontanea
mente e seni' arte produceva la terra ; e che da
questo primo stato fiero e selvaggio (17) sono di
scesi gli uomini al secondo, cio alla vita pasto
rale, nella quale raccoglievano per gli usi della
vita sugli alberi e sui virgulti i frutti, come le
ghiande, i corbeztoli, le more ed i pomi, a
dagli animali traevano quanto poteva loro easer
olile, al quale oggetto li arrestavano, li rinserra
vano, e li addomesticavano. Non seoxa ragione si
crede ehc le pecore sieno state le prime ad essere
prese,nou tanto perch sono utili, quanto ancora
perch sono facili di essere ingaooate (18); im
perocch queste sono naturalmente molto quie
te e le pi olili per la vita deU a omo, sommini
strando per nostro cibo il latte e il formaggio, e
al nostro corpo la lana e la pelle (19). Finalmente
gli oomioi dalla vita pastorale sono discesi al
terzo grado, cio all agricoltura, nella quale ri
tennero molte cose dei due primi ; e quanto pi
si distaccarono da questi due gradi, tanto pi se
ne allontanarono nel modo del vivere, cosicch
a <jnel ponto in cui lo vegglamo oggid. Anche al
giorno d oggi si trovano in molti luoghi alcune
speci? di bestie selvagge, come nella Frigia, ove
veggonsi molte troppe di pecore selvagge, e nella
Samotracia, ove veggonsi delle capre selvagge,
dette dai Latini rotae (ao). Di queste se ne trova
no pure molte nell'Italia p necoutorni delle mon
tagne di Fiscello (ai) e di Telrica. Ognuno se
esservi de porci selvaggi quando non ti voglia
dire che ai cinghiali non convenga il nome di
porci. Anche oggid sooovi buoi selvaggi io
quantit nella Dardania, nella Medica (aa), e nella
Tracia ; cos pure degli asini selvaggi nella F r i
gia e nella Licaonia, e de carelli parimente sel
vaggi in alcune contrade dell* Spagna citeriore.
Ho parlato dell origine; ora dir dell eccel
lente del bestiame. Tra gli antichi, i personaggi
pi illustri erano pastori, come si vede dalle
esprettioni della lingua greca e latina, e dalla
lettura dei poeti, i quali chiamavano i loro eroi
ora voAt/ofitaf (a3), ora vo\u(i*\x( (a4), ora <ro-
Xvfin rat (a5). Questi medetimi poeti raccontano
eziandio ch eranvi del bettiame, le cui pelli era
no d oro, per dinotare il loro gran costo, come
DE RE RUSTICA LIB. II. 56a
toc: al in Libya ad Heiperidn, nude aurea mala,
id est, secati dora antiquata consuetudinem, ca
pras et oves, (qnas) Hercules ex Africa io . Grae
ciam exportari t. Ea enira sua voce Graeci appel
la nini fuxka* Nec multo secos nostri ab eadem
voce, aed ab alia litera ; vox earum non me, sed
bee tonare videtor ; ovei baciare vocem eflferen-
tes : a <pio belare dicunt, extrita litera, ul in
multis. Qaod si apud antiqaos non magoae digni-
tatis pecu* esset, in coelo describendo astrologi
non appellassent eorum vocabulis signa, quae
non modo non dubitarunt ponere, ed etiam ab
bis principibus xu signa multi nomerant : ut ab
ariete et tauro, cam ea praeponerent Apollini, el
Hercali ; ii enira dii ea seqauotur, sed appellan
tor Gemini. Neo salii putaront de xn signs
sextam parte obtinere pecodom nomina, nifi
adjecissent, ut quartam tenerent, caprieornnm.
Praeterea a pecuariis addiderant capram, baedos,
canes. An non etiam item in mari terraque ab bis
regionum notae? (a pecore) in raari, quod nomi
naverunt a capris Aegeam pelagns : ad Syriam
montem Tauram : In Sabinis Canterium mon
tem : Bocpborum ooum Thracium, alterum Cim
meriam. Nonne in terris multa, ul oppidam in
Graecia 19*109 afyojf Denique. Italia a vitulis,
ul scribit Piso. Romanorum vero popalnm a
pastoribus esse ortum quis oon dicit ? quis Fau
stulum nescit pastorem fuisse nutriciam, qni
Romulum el Remora educavit ? oon ipsos quo
que fuisse pastores obtinebit, quod parilibus
potissimum condidere or beni ? 000 idem, quod
multa etiam nunc ex Teiere instituto bobus et
ovibus dicitar? et qaod aes antiquissimum, quod
est Batum, pecore esi notatam? El quod urbs
cum condita est, tauro, et vacca, qui essent muri
et portae definitum ? Et quod populas Romanas
cam lustratur, suovitaurilibus circamaguntur ver
res, aries, taorus ? El quod nomina mulla habe
mus b utroque pecore : a ma jore, et a minore ?
minore, Porcius, Ovinius, Caprilios : sic a
majore Kquitias, Taafos cognomina adsigoifi-
cari,.quod dicuntur ut Annii Caprae, Statilii
Tauri, Pomponji Vituli: sic a pecndibus alii
multi. Reliqoom est de scientia pastorali, de qaa
est dicendam ; quo Scrofa noster, cui haec aetas
defert rerum rustiearum omnium palmam, quo
melius poles, dice.
quello d Argo, per coi Alreo (a6) st lamenta,
perch gli fa rubato da Tieste (37) ; quello di
Aeta (28) nel Coleo : ool eran vi degli arieti, e
per acquistarne il vello partirono de* principi di
regia stirpe, conosciuti sotto il nome di Argo
nauti (39). Tale era finalmente quello che trova*
vasi presso gli Esperidi nella Libia, paese dAfri
ca, da coi Ercole (3o) trasport in Grecia le mala
doro, le qoali, secondo l uso eolico di dire, oon
sono altro che le capre e le peoore. Queste si chia
marono, a motivo della loro voce /tinXo oome pres
sappoco i nostri, con un altra lettera bens, ma
a motivo della medesima voce (perch la voce di
queste non pare che noni me, ma bee) dicono
che le pecore esprimono la voce belare ; nel che
hanno levato una lettera, come sogliono fare in
molte etimologie (3i). Che se tra gli antichi non
fosse stato molto stimato il bestiame, gli astrono
mi non avrebbero nella descrizione del cielo
tolto da esso dei nomi per denotare i segni, e
non solo non ebbero alcun dubbio in ci fare,
che anzi molti nell eoumerasione..dei dodici
segoi misero alla testa qoelli che portano qoeate
specie di nomi, dando, per esempio, all* ariete
ed al toro la preferenza sopra Apollo ed Ercole :
e quantunque questi sieno dei, non sono collo
cati che nel secondo posto sotto il nome di Ge
melli (3a). N solameute hanno creduto sufficien
te che la sesta parte dei lodici segni traetsei
nomi dal bestiame, ma hanno aggiunto ancora il
C a p r i c o r n o , acciocch oocupasse (33) la quarto
parie. Inoltre dal bestiame trassero anche la
capra, il becco ed il cane. Forse; che molte con
trade del mare e della* terra (34) n o n si sono di
stinte con questi nomi? Trassero dal bestiame il
nome per contrassegnare il mare Egeo (35), il
monte Tauro (36) verso la Siria, il monte Canle-
rio(37) nel paese de* Sabini, ed i due Bosfori (38),
l uoo Tracio e l'altro Cimmerio. Forse che molti
paesi di terra non furono egualmente contraddi
stinti, come quello oella Grecia (39) chiamato
' r r / o r (40) Finalmente l Italia cosi
detta dai vitelli (4 0 , come scrive Pisone (4*). Chi
dir poi che il popolo roipano non tragga la sua
origine dai pastori ? E chi ignora che Faostulo (43)
non sia stato qoel pastore ohe abbia allevato Ro
molo e Remo ? E v luogo a dubbio che questi
medesimi non sieno stati parimente pastori (44)>
perch nella fondazione della citt scelsero spe
cialmente il giorno delle parilia (45) ? Non si
pu concludere lo stesso anche da ci, cbe oggid
si condannano i colpevoli, secondo I uso antico,
ad on ammenda in buoi ed io pecore (46) ? che
la pi antica moneta coniata aveva un improoto
di bestiame ( ^ ) ? che quando si fabbricata la
citt, si sono adoperati un toro ed una vacca,
58J
M. TERENTII VARRONIS
Cam convertissent io cam ora omnei, Scrofa :
Igitur, inquit, est scientia pecoris parandi, ac
pascendi, ut fructus quam possint maiimi capian
tur ex ea, a qoibuf ipsa pecunia nominata est;
u n omuis pecuniae pecus fundamentum. Ea
partes habet novem discretas, ter ternas.: ut sit
una da minoribus pecudibus : cujus genera tria,
ovi, capra, sos; altera de pecore roajore, in quo
suat item d tres species natura discreti, boves,
asini, equi ; tertia pars est in pecuaria, quae non
paratur, ut ex iis capiatur fructus, sed propter
eam; aut ex* ea sio t, muli, canes, pastores. Harum
unaquaeque in se generales partes habet novenas,
quarum in pecore paraodo neoessariae quatuor;
alterae in pascendo totidem; praeterea communis
una. lia fiunt omnes partes minimum octoginta
t una, el quidem necessariae, nec parvae.
Primum ut bonum pares pecus, anum scire
oportet, qua aelale quamque pecudem parare,
habereque expediat. Itaque in bubulo pecore
minoris emitis anniculam et supra decem anno
rum, quod a bima, ant trima fructum ferre inci
pit, oeque Jogius post decimam annum procedit.
Nam prima aetas omnis pecoris, et extrema, sle-
rilis. quatuor altera ars est cognitio formae
uniuscujosque pecudis, qualis sit. Magni enim
interst, cujusmodi quaeque sit, ad fructum. Ita
potius bovem emunt cornibus nigrantibus, quam
albis: capram amplam, quam parvam : sues pro-
oero corpore, capitibus ut sint parvis. Tertia pars
st, quo sint seminio quaerendum. Hoc nomine
enim asi i Arcadici in Graeoia uobilitati, io Italia
insieme Aggiogati (48), per descrivere il luogo
delle mura e delle porte? che quando il popolo
romano vuole purificarsi (49), le vittime solenni
chittm%le suoviiaurilia (5o), che si conducono
attorno di esso, sono un verre, Un ariete ed un
toro? e fiqalmente da ci, che noi medesimi ab
biamo tratto molti nomi da tultaddue le specie
di bestiame? Dal piccolo (5i), per esempio, si
sono tratti Porcius (5a), Ovinius (53), Capri
lius (54) ; e cos dal grande quelli di Equitius (55),
Taurius (56), Asinius (57); I cognomi eziandio
si trassero dal bestiame, chiamandosi gli Annii
Coprati gli Statilii Tauri, i Pomponii ^7/ii/i(58):
del pari molti altri cognomi si trassero dal be
stiame. Ora resta a parlare della scienza pasto
rale, di cui tratter il nostro Scrofa, come quegli
che a questet primeggia, e che per conseguen
za pu parlarne meglio di lutti (59).
Avendo'tutti rivolti gli occhi verso Scrofa,
cos disse : Quella scienza che insegna a compe
rare ed a nodrire ii.besliame in guisa che da
questa si traggano i maggiori frutti possibili si
chiama pecuaria per questi frutti medesimi;
imperciocch la base di tutta la scienza pecuaria
il pecuSs ossia il bestiame (60). ssa comprende
nove parli dislinte* o almeno tre. La prima si
aggira sopra il piccolo bestiame, di cui ve ne
sono tre specie, cio le pecore, le capre ed i por
ci : la secouda abbraccia il grosso bestiame, di
cui si coniano ugualmente tre specie distinte dal
la nalnra, che sono i buoi, gli asini ed i cavalli :
la terza parte comprende quel bestiame che non
si compera ad oggetto di. trarue. de' frutti, ma
coll oggetto solo che si abbiano (61) muli, cani
e pastori. Ognuna di queste nove parti ne com
prende altre nove (62) ; quattro delle quali ri
guardano la compera del bestiame, quattro il
mantenimento di questo, ed inoltre pna eh' co
mune. In tal modo si forma un totale di ottan-
tuna parte almeno, ma tutte necessarie, e non
picciole.
Primierameote per comperare on buon be
stiame, una cosa necessaria a sapersi 1 et, nel
la quale giovi pi provvedere le differenti specie.
Sicch, parlando de' buoi, si debbono comperare
a minore prezzo quelli di un anno, e quelli che
oltrepassano i dieci, perch non producono frut
ti che nel secondo, o terzo anno, e cessano di
fruttare oltre il decimo ; perch quel bestiame
eh' sterile nella sua prima et, lo parimente
anche nella sua ultima. La secooda delle quat
tro parti che hanno per oggetto la compera,
consiste nel conoscere la forma di ciascheduna
specie di bestiame ; importando mollissimo di
saperla, perch influisce sui frulli : per questa
ragione si compera pi volentieri un bue che
565 DE RE RUSTICA LIB. II. *86
Bottini, usque eo, ut mea memoria asinus venie-
rii extertiis millibai l x , et ante quadrigae Ro
rate constiterint quadringentis roillibns. Qoarta
per s est (de jure io parando), quemadmodum
quamque pecudem emi oporteat civili jure. Qood
enim alterius fuit, id ot fiat neam, necesse est
aliquid ioteroedere. Neqoe in omaibns satis est
stipulatio, aut solutio nomorum ad mutationem
domini. Io emtione alias stipulandam statim,
case e vale ladina rio, aliai e sano pecore,' alias e
neutro.
Alterae partes qoitoor sont, com jam emeris,
observandae, de pastione, de foetura, de nutricato,
de sanitate. Pascendi primus locas qoi est, ejus
ratio triplex. In qua regione quamqne potissi
mum pascas, et quando, et queis; ut capras io
montoni potius locis et fruticibus, quam in her
bidis o m o pis; equa* coatra; neque eadem loca,
aestiva et hiberna, idonea omnibus ad pascendum.
Itaque greges oviura looge abigantur ex Appulia
io Samnium aestivatum, atque ad publicanum
profitentur, oe, si iuscriptum pecus paverint, lege
sensoria committant. Moli e Rosea campestri
testate exigantur in Gurgures alios montes. Qui
potissimum qoaeque pecudum pascatur, habenda
ratio ; nec solum, quod foeno fit satura equa aut
bosf cum sa es hoc vitent et quaerant glandem :
sed quod ordeum et faba ioterdom sit quibus-
daaa objiciendum, et dandum bubos Inpinom, et
talariis medica et cytisom ; praeterea qnod ante
admissuram dis bos xxx arietibus ac tauris datur
pios cibi, ut vires habeant : foemiois bubus de*
nitar, qood maceseenles melius concipere dican
tar. Seconda pars est de foetura. Nunc appello
faturam a coneepto ad partum : hi enim prae-
gnatioflis primi et extremi fines ; quare primum
videndum de admissione, quo qoaeqoe tempore
at ioeaot facere oporteat ; nam, ut suillo pecori
s favonio ad aequinoctium vernora putant aptum,
ovillo ab arctari occasu osqoe ad aquilae
oteasom. Praeteret habenda ratio, quanto ante
M. T i u n i o V a t o i t
abbia le corna nericce, che bianche ; una capra
di grande corporatura, che una picciola ; e on
porco di corpo alto e di testa picciola. La terza
consiste nell1esaminare la razza, da coi deriva
il bestiame ; perch, io grazia di questa, nella
Grecia sono p stimati gli asini di Arcadia, e
nell' Italia quelli di Rieti: e tanto ci vero,
che io mi ricorJo di aver veduto vendere on
asino sessantan.ila leslerzii, e che ooa muta di
quattro cavalli si pagata in Roma quattro-
centomila. La quarta parte traila delle regolo
del diritto che bisogna seguire nella compera,
e delle forme prescritte dal diritto civile per
la compera di ogni specie di bestiame ; imper
ciocch, oude avvenga che quello, il quale fu
d altri, diventi mio, necessario che abbiano
luogo certe solennit : e generalmente parlando,
per trasferire il dominio non basta la stipula
zione del contralto, come nemmeno lo sborso
del danaro. Quando si compera del bestiame,
bisogna nell* alto della compera fare alcune di
co t a de, cio se esso proviene da un gregge mal-
saoo, o se da un gregge sano ; e le risposte del
veoditore dovranno essere scritte nel contratto:
alcuna volta anche non si fa al venditore al
cuna domanda (63).
Le altre quattro parti da esaminarsi dopo
la compera sono relative al pascolo, al portalo,
alla nutrizione dei parli, ed alla sanit. Riguardo
al pascolo, tre cose sono da considerarsi : il
paese, in cui convenga specialmente far pasco
lare ogni specie di bestiame, il tempo del suo'
pascolo, e il genere di pascolo che gli convie
ne : cos le capre si debbono piuttosto far pa*
scolare ne* luoghi di monte e coperti di frn-
tid, che nelle terre fertili di erbe : facciasi il
contrario relativamente alle cavalle. In secon
do luogo i medesimi terreni non sono ugual
mente buoni in estate ed in inverno pel pasoolo
di ogni bestiame. Per la qual cosa in tempo
di estate si fanoo passare le pecore dalla Pa
glia nell* Abrnzzo, dandole prima in nota ai fi
nanzieri, perch se si facessero pascolare senza
averle fatte registrare, incorrerebbero nella pena
pronundala dalla legge dei Censori (64). 1 muli
in tempo di estate dalle pianare di Rosea si
fanno passare sulle alte montagne Gurguri. Fi
nalmente bisogna avere in considerazione la
specie di pascolo, che conviene ad ogni bestiame:
n solamente da sapersi che si nodrisce it
cavallo o il bue di fieno, il qnale lo schivano
i porci che vanno iu cerca di ghiande ; ma ezian
dio che havvi del bestiame, cui alle volte da
darsi dell* orzo e della fava, che ai buoi da
darsi de* lupini, e dell* erba medica e del citiso
a quelli che allattano. Parimente di stptrsi
qaam incipiat admissura fieri, mares a foemiois
secretos habeant : qaod fere io omnibus biais
meosibus aole faciunt et armentarii el opiliones.
Altera pars est in foelora, quae sint observanda,
qaod alia alio tempore parere solet ; equa euiin
ventrem fert t u menses, vacca decera, ovis et
capra quinos, sus quatuor. In foelura res incredi
bilis est in Hispania, sed est vera, quod iu Lusi
tania ad oceanum in ea regione, ubi est oppidum
Olysippo, monte Tagro, quaedam e veuto couci-
piont certo tempore equae, ut hic gallinae quo
que solent, quarnm ova ornvi/ma appellant. Sed
ex his equis, qui nati pulli, oon plus triennium
vivunt. Qaae nata suut matura et chorda, ut
pare et molliter stent, videndum, et ne obteran
tur. Dicuntor agni chordi, qui post tempus na
scuntor, ac remanserunt in volvis intimis ; vocant
a quo chordi appellali. Tertia res est, de
oatricatu quid observari oporteat, in quo, qoot
diebas matris sugant mammam, et id quo tem
pore, et abi : et si parum habet laciis mater, ut
abjiciat sub alterias mammam, qai appellantor
subrumi, d est sub mamma ; antiquo enim voca
bolo mamma ramis, ut opinor. Fere ad quatuor
menses a mamma non dijunguntur agni, hoedi
tres, porci duo ; e quei*, qooniam puri sunt ad
sacrificium, ut immoleotur, olim appellati sacres,
quos appellat Plaatus, cam ait : Qaanti sunt porci
sacres? sic boves alliles, ad sacrificia publica
saginati, dicuntur opimi. Quarta pars est de sani
tate : res multiplex, ac necessaria ; quod morbo
sum pecus et vitiosum, et quando non valet,
saepe magna gregem afficit calamitate. Cujus
scientiae geoera duo : unum ut in bomioem, ad
quem adhibendi medici ; alterum, quo ipse etiam
pastor diligens mederi possit. Ejus paries sont
tres : nam animadvertendum, quae cujusque
morbi sint caosae, quaeque signa earum causa
rum sint, et quae quemque morbum ratio curan
di sequi debeat. Fere morborum causae erunt,
quod laborant propter aestus, aut propter frigora,
nec non etiam propter nimium laborem, aut
contra, propter nullam exercitationem, aut si
cam exercueris, statim sine intervallo cibum aut
potionem dederis. Signa autem sunt, ut eorum,
qui sive ex aestu, sive e labore febrem habent,
adapertum os, huraido spiritu crebro, el corpore
calido. Curatio autem, cum hic est morbui, haec:
perfunditur aqua, et perunguitor oleo et vino
tepefacto, et item cibo sustinetur, et injicitur
aliquid ne frigus caedat, sitienti aqua tepida
datur. Si hoc geuus rebus non proficitur, dimit
titur sanguis, maxime e capite. Item ad alios
morbos aliae causae, eliara alia signa in omni
pecore, quae scripla habere oporlet magistrum
pecoris.
58;
che per trenta giorni si d agli arieti ed ai t o r i ,
avanti che si accoppino colla femmina, un p i
copioso cibo, onde acquistino forze : per con
trario si sottrae alle vacche, pretendendosi cbe
concepiscano meglio quando sono magre. Lo se
conda parte versa sopra il porlato. Ora.io chiamo
foetura, o porlato, il tempo compreso tra il con
cepimento ed il parto, perch questi sono i p r i
mi e gli ullimi momenti della gravidanza. Laon
de primieramente da aversi in vista V ac
coppiamento, ossia il tempo, in cui bisogna che
il maschio monti la femmina : perch siccome
si crede che riguardo ai porci sia pi acconcio
il tempo eh' tramezzo al tramontar del sole,
nel punto da cui soffia il zaffiro e P equinozio
di primavera ; cos riguardo alle pecore credesi
essere il tempo che scorre tra il tramontare di
arlcro e quello dell' aquila. Inoltre i da sapersi
quanto tempo si debbano tenere separati i ma
schi dalle femmine, avanti che si accoppino per
la prima volta : questo d' ordinario io tutte le
specie di bestiame di due mesi ; e cos appunto
praticano i custodi del bestiame ed i pecorai.
L' altro punto da esaminarsi nel portalo , che
hannovi delle bestie, le quali partoriscono pi
per tempo di altre, perch la cavalla porla il
feto nel ventre dodici mesi, la vacca dieci, la
pecora e la capra cioque, e la troia quattro. Be
lati vameole al portato, io dir una cosa vera,
quantunque incredibile ; ed che nella Spagna
Lusitauica trovami verso I' Oceauo, e in quella
provincia ov1 la citt di Lisbona e il monte di
Sinara, alcune cavalle, le quali concepiscono in
certo tempo per mezzo del vento (65) ; in quella
stessa guisa che sogliono parimente essere fecon
dale qui le galline, le cui nova si chiamauo per-
, ci vvntipta (66). Ma i figli oati dalle anzidette
cavalle non vivono pi di tre anni (67). Sia poi
che i figli uascauo al tempo consueto, o pi tar
di, bisogna aver cura di lenerli netti e con mol
lezza, ed evitare che non sieno schiaociati. Si
dicono agnelli chordi quelli che nasoono dopo
il tempo stabilito dalla natura, e che sono rima
sti pi lungamente inviluppati nelle membrane
interne, chiamate quindi chordi chia
mati (68). Il terzo oggetto si aggira sopra quello
eh* da farsi per la nutrizione de' figli, cio
quanti giorni debbano succhiare le poppe alla
madre ; io qual lempo, ed ove ci sia da farsi.
Che se la madre avr poco latte, si metteranno
sotto le poppe di un' altra : questi ultimi si
chiamano subrumi, vale a dire che sono sotto le
mammelle ; perch, a quel che io penso, rumis
uo vocabolo salico che significava mammella.
Non si distaccano gli agnelli dalle poppe se non
quasi dopo quattro mesi, i capretti in capo a tre,
5M M. TERENTII VARRONIS
5S*
DE RE RUSTICA LIB. II.
.>90
Relinquitur nonura, quod disi, de numero,
utriusque partii commune. Nam et qui parat
pecus, neeesteeat constituat numerum, quot gre
ges, et quanto iit pasturai, ne aut saltus desint,
ant supersint, et ideo fructus dispereant. Praeter
ea scire oportet in grege quot foeminas habeat,
quae parere possunt, quot arietes, quot utri usque
gneris soboles, quot tejiculae sint alienandae.
In alimoniis si sunt plores nati* ut quidam fa
ciunt, sequendum, ut quosdam subducas ; quae
res facere solet, ut reliqui melius crescant. Vide,
inquit Atticus, ne te fallat, et novenae istae
partes non exeant extra pecoris minoris ac ma-
jorii nomen. Quo p e t o enim erunt in mulis
et pastoribus novenae partes, ubi nec admis
surae neo foetorae observantur f In canibus
enim video posse dici. Sed do etiam in homini
bus posse novenarium retineri numerum, quod
in hibernis habent in T i l i i s mulieres, quidam
etiam in aestivis, et id pertinere putant, quo
d i porci dopo due. Quando questi erano puri
per essere offerii in sacrifizio, si chiamavano una
volta sacres (69). Con questo nome si chiamano
da Plauto (70), quando dice : A qual presso sono
i porci sacri ? Parimente i buoi pingui ed ingras
sati pei pubblici sacrifizii, si chiamano opimL La
quarta parte versa lopra la sanit del bestiame ;
e quest' on oggetto diramato e necessario, per
ch il bestiame, quando ammalato, o ha dei
difetti (71), sovente arreca degran mali al gregge.
Questa scienza ha due oggetti : nell9uno si ado
pera il medico, comesi fa per l ' nomo, e oelPal
tro poisooo baita re le cure del pastore. Eisa ss
divide in tre parti, perch bisogna osservare le
cause di ogni malattia, i segni che le caratte
rizzano, e la maniera di medicare ogni malattia.
Quasi tutte le cause delle malattie o riconoscono
il troppo caldo, o il troppo freddo, o un ec
cessiva fatica, o per contrario on difetto di
esercizio, o il cibo e la bevanda data subito dopo
il lavoro senza laidar correre qualche tempo.
I segni poi per conoscere se la febbre nasca dal
caldo o dalla fatica sono la bocca aperta, l t
respirazione umida e frequente, e il corpo cal
do (72). Ecco come si guarisce questa malattia :
si bagna V animale coll' acqua ; si frega coll' olio
e col vino tepido 5gli si d poco cibo (73); si co
pre con qualche drappo, acciocch il freddo
non gli arrechi qualche danno ; e avendo sete,
gli si d dell acqua tiepida. Se questi me
dicamenti a nulla giovano, si cava sangue (74)
principalmente dalla testa. Ognuna' delle altre
malattie ha altres le proprie cause ed i proprii
segni differenti in ciascheduna specie di be
stiame ; del che il sovrantendente al gregge debbe
averne un regiitro in iscritto.
Reit la nona parte, la quale versa sul nu
mero del beiliame, come ho detto (75), ed
comune alle due prime divisioni ; imperciocch
chi compra del bestiame, bisogoa che ne fissi
il numero, che eiamini quante gregge potr
far pascolare, e di quante teste debba ognuna
essere composta (76), aociocch non vengano a
mancare i pascoli, ovvero che ne restino di su
perflui, e che perci vadano a male i frutti.
Inoltre biiogna sapere quante femmine ca
paci di partorire debbansi trovare io un gregge,
quanti becchi, quanti figli di ambi i sessi, e
quante teste sieno da vendersi a nfotivo della
et, o di qualche malattia (77). Riguardo al
nodrire i figli, se la madre ne ha partoriti pa
recchi, si segue il costume di alcuni, i quali li
diminuiscono di numero: e ci si suol Aire,
onde gli altri crdbeano meglio. Vedi, dice Atti-
co (78), di non ingannarti, e che queste nove
parti non escano dai limiti assegnati al bestiame
M. TERENTII VARRONIS
*9*
facilias ad gregei putore* retineant, el puerperio
familiam faciant majorem, et rem pecuariam fru
ctuosiorem. Si, inquam, oumerus non st, ul sit
adamassim, utnoa est, oum dicimus mille naves
iisse ad Trojam, centumvirale esse judicium Ro
mae ; deme (si ?is) duas res de molis, admissu
ram, el pariaram. Vaccins, Pariaram? inquit;
proinde ul non aliquoties dicator Roraae pepe-
risse mulam. Coi ego oi succinerem, sobjioio,
Magonem et Dionysium scribere, molam et
eqoam, cum conceperint, duodecimo mense pa
rere. Quare non, si hic io Italia cum peperit
mola sit portentum, adsentiri omne) terras. Ne-
qoe enim hirundines et ciconiae, qoae io Italia
pariant, io omnibus terris pariunt. Non scitis
palmulas, caryotas in Syria parere in Judaea, in
Italia non posse? Sed Scrofa: Si exigere mavis
sioe mularum foelura el nutricatu numerum
ctoginta et unum, est qui expleas duplicem
istam lacunam : qood extraordinariae fructuum
pecies duae accedunt magnae ; quarum una est
tonsura, quod oves ac capras detondent aat vel
lant: altera, qoae latins patet, est de lacte, et
caseo, qoam scriptores Graeci separatim rafo-
//* appellaverunt, ac acripseroot de ea re
permalta.
caput n
D b p e c u d i b u s , a b i b t i b u s b t a g h i s .
Sed quoniam nos nostrum pensom absolvi-
mps, ac limitata est pecoaria qoaestio : nunc
vnraoi vos reddite nobii, o Epei rotae, de una
qeaque re, ot videamus, quid pastores a Perga
mide, Maledove potis siol. Aflicas, qui tunc T.
Pomponius, nunc Q. Caecilias cognomine eodem :
Ego opinor, inquit, incipiam primos, quoniam
compreso sotto Ia denominatione di grande e
di piccolo. Di fatti, corae queste nove parti pot-
ono aver luogo nei muli e nei pastori, oe quali
non si esamina n accoppiamento, n portato?
Veggo bene che nei cani possono aver loogo;
ed acconsento anche che tutte nove possano
aver luogo negli uomini, perch hanno delle
donne nelle case villerecce d' inverno, e alcool
anche in quelle di estate ; e che ci facciasi ad
oggetto che pi facilmente i pastori non si di
partano dalle gregge, e che colla figliuolaoza ai
faccia pi nomerosa la loro famiglia, onde fratti
maggiormente il bestiame. Se, gli risposi, il ou-
mero non esattissimo, come non lo nem
meno quando diciamo che mille navi si sono
porlate a Troia (79), e che a Roma v ao
tribunale di cento giudici (80), toglieoe por doe,
se ti piace, dai muli, cio V accoppiameoto ed
il porlato. E perch toglierne il portalo ? dice
Vaccio, quasi che non si dica in Roma che al
cuna volta le mule hanno partorito (81). Ed
io, per fiancheggiare il suo detto, aggiungo che
Magone e Dionisio scrivono, che 1 mula e la ca
valla, ingravidandosi, partoriscono nel dodicesi
mo mese. Laonde se prodigio per I' Italia il
parlo della mula, non lo certamente per tolti
gli altri paesi; imperciocch nemmeno le rondi
nelle e le cicogoe partoriscono io tutti gli altri
paesi, quando iu Italia realmeote partoriscono.
E non sai che le palme ed i datteri frullano od
ia Siria e nella Giudea, e non gi nell1Italia? Ma,
soggiunse Scrofa : Anche togliendo il portato e
V allevamento de* figli delle mule, e volendo to
che sussista il numero di otlantooo, v' eoo che
compierlo, aggiongendo due specie considerabili
di fratti straordinari ; Puna delle quali la to
satura delle pecore e delle capre, aia tagliando il
pelo o strappandolo ; e I' altra eh1 pi estesa, e
che versa sul latte e sul formaggio. Queat' ultima
quella parte che gli aotori greci haooo special-
mente chiamata rtffCT9tteaf (83), e sulla qaala
hanno scritto mollo.
----
CAPITOLO n
D i L BBiTlAMB, DEG ABI STI B OBOLI ACHILLI.
Ma poich noi abbiamo terminato il lavoro
assegnatoci, e si limitata ogni questione relativa
al bestiame, ora tocca a voi, o Epirii, a parlare,
secondo l ' ordine da noi proposto, di ogni specie
di bestiame, e a farci vedere la capacit de4pa
stori di Pergamide o di Maledo (1). Io credo*
dioe Attico ( qoegli il qoale una volta ehiamavasi
5 9 $ DE RE RUSTICA LIB. II.
ia me fider coojeeissc oralo* : el dieam de pri
migenia pecuaria. E feris eoim pecudibus primam
dicis ore# compreheosas ab hominibus ao man-
soefactas; bat primom oportet bonasemere.Quae
ita ab aetate, ti ncque vetolae sunl, neqae mene
ago a e : qood alterae jam nondum, alterae jam
DOD possunt dare fractam; sed ea melior aetas,
qoam sequitor spes, qaam ea, qaam mors. De for
ma, ovem esse oportet corpore amplo, qaae lana
mulla sit et molli, villis altis et densis toto cor
pore, maxime circum cervicem et collum, ven
trem quoque ut habeat pilosam; itaque quae id
non haberent, majores nostri apicas appellabant,
ao rejiciebant; Mie oportet croribai hamilibns,
caudis observare, al sint ia Italia prolixis, ia Sy
ria brevibus. In primis videndam, al boni semi
nis pecas habeas; id fere ex duabas rebus potest
animadverti, ex forma, et progenie. Ex forma, si
arietes sint fronte lana vestili bene, tortis cornibus
pronis ad rostrum, ravis ocnlis* lana opertia aori-
bos, amplis pectore et scapulis, et clunibus latis,
cauda lata et longa : aniroadvcrtendorn quoqae
lioguaae nigra,aut varia sit, quod fere qoi ea ha
bent, oigros ant varios procreant agnos. Ex proge
nie autem animadvertitor, si agnos procreant for
mosos. Io emlionibas jare ali i d or eo, qaod lex
praescripsit;in ea enim alii plnra,alii pauciora ex
cipiant. Quidam enim pretio facto in singolas
oves, at agni chordi dao pro ana ove anoame-
reolor, et si cai vetustate dentes absont, itero
binae pro singnlis ot procedant; de reliquo anti
qua fere formala atuntur ; cam emtor dixit:
Tsuti sant mi emfae Tet ille respondit : Sant, et
expromisit numos : emtor stipulator prisca for
mula sio : lllasce oves, qua de re agitur, sanas
reste esse, oli pecas ovillum, quod recte sanam
est, extra luscam, surdam, minam, id est, ventre
glabro, neqoe de pecore morboso esse, habereqoe
rtcte licere, haec sio recte fieri spondesnef Cum
id faetom est, tamen grex dominum non muta
vit, nisi ai est adnui&eratum. Nec non emtor
pote ex enoto vendito illam damnare, si non tra
det, qaam'is noo solverit nomos : at ille emto-
rem simili jadicio, si non reddit pretium.
T. Pomponio, e che ora chiamssi Q. Ceeilio At
tico (a), perch ha conservato questo cognome ),
di dover essere il primo a parlare, poich veggo
che gli occhi sono rivolli verso di me ; e perci
parler del primitivo bestiame. Tra le bestie sel
vagge, ta dicesti, che le pecore sono le prime che
gli nomini abbiano prese e addomesticale. Queste
primieramente bisogna comperarle buone , le
quali si conoscono (3) se sono tali riguardo alla
eli, se non sono n troppo vecchie, n troppo
giovani ; perch queste non ancora sono al caso
di fruttare, quelle hanno cessato di partorire:
meglio per altro comperarle di quell* et, da
coi si possano sperare de' frutti, piuttosto che la
morte. Quanto alla forma, bisogna che la pecora
sia di statura alla, che sia fornita di copiosa lana
e molle (4), di vello lango e dens io tatto il
corpo, particolarmente attorno la cervice ed il
collo : bisogna eziandio che abbia peloso il ven
tre ; e perci quelle che non avevano questa qua
lit, erano chiamate dai nostri antichi apicae (5),
e le rigettavano. Bisogoa che abbiano le gambe
basse ; e facciasi attenzione che nell* Italia abbia
no la coda langa, e corta nella Siria. da pre
curarsi speoialmenle che si abbia on ariete (6) di
buona razza ; il che d ordinario si conosoe dal-
l esame della forma e della stirpe. Influir la
forma, se gli arieti avranno la fronte larga e folta
di lana (7), le corna torte e piegate sopra il ma so,
gli occhi rossi, le orecchie ooperte di lana, il petto
largo, le spalle e le natiche larghe, e la coda lan
ga : da esaminarsi ancora se hanno, la liogoa
nera o macchiata, perch d ordinario qaclli che
1*hanno tale, generano agnelli neri o macchiati.
Si pu arguire che la loro stirpe di boona razza,
quando generano de belli agnelli. Nelle vendite
si conformer alle condizioni dettate dal proprie
tario, in virt del soo diritto di propriet, poich
aleoni v' iuseriscono molte clausole, ed altri po
che. Ye ne sono di qoelli che fissano on deter
minato prezzo per ogni pecora ; come che due
agnelli nati dopo il tempo oonsneto, si oon ti no
per ona pecora, e che doe pecore mancanti di
denti per 1*et , non si contino che per una.
Per le altre condizioni, d* ordinario si sta all* an
tica formoli : vale a dire, che qaando il compra
tore ha detto al venditore: me le Tendi per tanto T
ed avutane 1*affermativa, egli promette solenne
mente di pagarne il prezzo ; indi il compratore
introduce questa stipulazione presa dall'antica
formola : mi prometti che qaesle pecore, delle
quali si parla, sieno sane, come debb essere que
sto bestiame (8), il quale sano a dovere, qaando
non cieco in oo occhio, non sordo, e qaando
non ha la mina (9), Tale a dire, ohe sia pelato
etto il ventre; oh esao non proviene da una
M. TERENTII VARRONIS
De alteris qualnor rebas deinceps di etra : de
pastione, foetara, nutricatu, sanitate. Primum
providendum, nt lotum annum recte pascantur
intos et foris: stabula idoneo loeo ut sint; ne
ventosa; qnae spectent magis ad orientem, quam
ad meridianum tempus : ubi steot, solum opor
tet esse eruderatum, et proclivum, nt everri fa
cile possit, ac fieri purum ; non enim solura ea
uligo lanam corrumpit ovium, sed etiam ungu
las, ac scabras fieri cogit. Cum aliquot dies stete
runt, subjicere oportet virgulta alia, quo mollius
requiescant, purioresque sint; libentius enim ita
pascuntur. Faciendum quoque septa secreta ab
aliis, quo incientes secludere possis, item quo cor
pore aegro; haec magis ad villaticos greges ani
madvertenda. Contra illae in ssltibus quae pa
scuntur, et a tectis abiunt longe, portant secum
crates aut retia, quibus cohortes in solitudine
faciant, caeteraque utensilia ; longe enim et late
in diversis locis pasd solent, ut multa millia absint
saepe hibernae pastiooes ab aestivis. Ego vero
seio, inquam; nam mihi greges in Appolia hiber
nabant, qui in Reatinis montibus aestivabant.
Cum inter haec bina loca, ut jogum continet
sirpi culos, sic calles publicae distantes pastiones:
easque ibi, ubi pascuntur in eadem regione,
tamen temporibus Julingunt, ut aestate quod
cum prima luce exeunt pastum, propterea quod
tunc herba roscida meridianam, qoae est aridior,
jucunditate praestat : sole exorto puto propel-,
lunt, ut redintegrantes rursos ad pastum alacrio
res faciant. Circiter meridianos aestus, dum de
fervescant , sub umbriferas rupes et arbores
patulas subjiciunt, quoad refrigerato aSre vesper
tino, rursus pascant ad solis occasum : ita pascere
pecus oportet, ut adverso sole agat ; caput enim
maxime ovis molle est. Ab occasu parvo inter
vallo interposito, ad bibendum appellunt, et rur
sus pascunt, quoad contenebravit ; iterum enim
tum jucunditas in herba redintegravit. Haec ab
Vergiliarum exortu ad aequinoctium autumnale
muxime observant. Quibos in locis messes sunt
factae, inigere est utile dnplid de causa, qnod ct
caduca spica saturantur, el obtritis stramentis
et stercoratione Cadant in annum segetes mdio-
res. Reliquae pastiones hiberno ac verno tempore
hoc mutant, qnod pruina jam exhalata, propel-
greggia malsana, e che liberamente passa in asso
luto mio potere ? Ci fatto, oulladimeno il gregge
non cangia padrone fino a cbe non si sia oontato
il danaro. Pu il compratore, per 1' axione della
compera e ddla vendita (io), far coodaonare il
venditore, se oon gli fa la consegna del gregge,
quantunque non 1*abbia ancora pagato ; e pari
mente questi, per un egoale diritto, pu far con
dannare quello, se non paga il pretto oonvenuto.
Ora parler degli altri quattro punti, che
sono il pascolo, la geoeraziooe, il nodrimento
de' figli, e la sanit. Primieramente da procu
rarsi (i i) che le pecore sieno ben nodrite tutto
Panno, tanto in casa, quanto fuori* Le loro stalle
debbono essere collocate io un luogo convenien
te, senza essere esposte al vento; e volte piuttosto
all1oriente, che al meriggio (12). Il suolo, sa coi
dimorano, deve essere uguale ( i 3) ed in pendio,
affinch di leggieri possa essere scopato e nettato
dair orina (14) ; perch l ' umidit guasta non solo
la lana delle pecore, roa ancora le unghie che ver-
rebbro attaccate dalla soahbia. Fa duopo disten
dere sul suolo dei virgolti o delle paglie ( i 5),
onde le pecore riposino su d' un letto molle, e si
mantengano pi nette. Dimorato ohe abbiano sa
questo letto per alquanti giorni, bisogna rifarlo
con altri virgulti. In tale maniera mangiano pia
volentieri. Risogna fare altres de'rednli separati,
onde poter segregare qudle che sono prossime al
parto (16), e anche qudle che sono ammalate.
Cotali atteoiioni le ricercano sperialmenle le
greggie che soggiornano nella casa rustica. Per
contrario qudli (17) che le fanno pascolare sulle
montagne, e che sono lontani dalle case, portano
seco de craticd o delle reti di ginestra di Spa-
goa (18) e degli altri uleusili per costruire dd
parchi nd luoghi di solitudine, perch saolsi con
durle a pascolare in luoghi lontani (79) ed anche
tra di loro distanti ; ed avviene non di rado che
i pascoli dell' inverno sieno distanti molte miglia
da quelli ddla stale. Lo so bene, io dico, perch
l e mie greggie passavano l ' ioverno ndla Puglia,
e la state sui monti di Rieti. Tra questi due laoghi
di pascoli lontani vi sono delle strade sdvagge
che li uniscono ; io quella guisa che un giogo
unisce due panieri (ao). Anche le pecore che pa
scolano sempre nella medesima contrada, cangia
no pascoli secoodo la stagione ; poich ndl* estate
si conducono a pascolare sul far del giorno, per
essere allora l ' erba coperta di rugiada, la qnale
fa che riesca pl grata al palalo di quelb dd
meuod, perch pi secca. Nato che sia il sole,
si conducono a bere (ai); acciocch ristorate,
ripiglino con allegria il pesoolo. A oggetto che
venga meoo il calore bruciante dd mestod, si
conducono sotto l*ombra ddle rocce sotto
597
DE RE RUSTICA UB. II.
59
Iu d I i n pabulum, el pascant diem totum, ac me
ridiano tempore semel agere polum salishabent.
Qood ad pastiones attinet, haec fere sont : qaod
ad foeturam, qaae dieam. Ariete , qaibas sis
asarusad foetaram, bimestri tempore anle secer-
uendum, et largius pabulo explendum. Cam re
dierant ad stabula e pasta, ordeam si est datum,
firmiores fiant ad laborem sustinendum. Tempas
optimum ad admittendum, ab arcturi oocasu ad
aqoilae occasam, qood qoae postea coocipiunt,
fiunt vegrandes, atqae imbecillae. Ovis praegnans
est diebus c l ; ilaqae fit partas exita autumnali,
com aer est modice temperatas, et primitus ori-
tur herba imbribus primoribas evocala. Quam-
dio adraissara fit, eadem aqaa oli oportet, quod
commutatio et lanam facit variam, et corrumpit
a ter am. Cam omnes conceperunt, rarsus arietes
secernendi: ita factis praegnantibos quod sant
molesti, ( obsunt ). Neque pati oportet minores,
quam bimas saliri, qaod neque natum ex his ido
neum est, neque non ipiae fiunt eliam delerio-
res : et non meliores, quam trimae admissae ;
deterrent ab saliendo fiscellis e junco, alia ve qua
re, qaod alligant ad uatarara. Commodius ser-
Tanlur, si secretas paicunt. In nutricatu cura pa
rere coeperunt, iniguot in stabula ea, qaae habent
ad eam rem seclusa, ibique oala recenlia ad ignem
prope ponunt, quoad convaluerunt, biduum aut
triduum relinent j dom agnoscant matrem agni,
et pabulo se satnrent ; deinde dum matres cura
grege pastura prodeunt, retineut agnos, ad quos
cum reductae ad vesperum, alunlur lacte, et rur
sus discernuntur, ue noclo a matribus conculcen
tur. Hoc ilem faciunt mane ante quam matres in
pabnlom exeant, ut agni satulli fiant lacie. Circi
ter decem dies cam praeterierunt, palos offigunt,
et ad eos alligant libro, aut qua alia re levi di
stantes, ne tolo die cnrsantes inter se teneri,
delibent aliqujd membrorum. Si ad matris mam
mam non accedet, admovere oportet, et labra
agni unguere butyro aut adipe suilla, et olfacere
labra lacte. Diebus posi paucis objicere his viciam
moli la m, aut herbam teneram, anle quam exeuot
paslum , et cum reverterunt. Et sio nutricantor
quoad facti sunt quadriemestres. Interea matres
eorum his temporibus non mulgent quidam,qui
ut melius, omnino perpetuo, quod et lanae plus
feruut, et agnos plures. Cum depulsi sunt agni a
malribus, diligentia adhibenda est, ne desiderio
senescaut; itaque dellniendum in nutricatu pa
buli bonitate : et a frigore et aestu ne quid labo
rent, curandum. Cum oblivione jam lactis non
desiderant matrem, tum denique compellendum
in gregem oviom. Castrare oportet agnum non
minorem quinque mensium, neque ante quam
calores aut frigora se fregerunt. Qaos arietes
quella degli alberi aventi i rami distesi, finch si
rinfreschi P aria (22), per far ad esse poi ripigliar*
il pascolo sino al tramontar del sole. Bisogna
che il bestiame pascoli, tenendo le parti di dietro
verso il sole, perch la testa del medesi/no, e
massimamente quella delle pecore, delicata.
Poco tempo dopo che il sole tramontato, si
conducono a bere ; e nuovamente si fanno pasco
lare fino alla notte, perch allora si rinnovella il
sapore nell'erba. E questo da osservarsi spe-
cialmenle dal levare delle Pleiadi sino all1equi
nozio autunnale. Giova per una doppia ragione
condurre (a3) le pecore, ove gi si fatta la rac
colta : la prima , perch si satollano delle spiche
cadute in terra ; la seconda, perch calpestando
la paglia, ed ingrassandola collo sterco, fanno s
che la terra si migliori per l1anno venturo. Gli
altri pascoli d1inverno e di primavera differisco
no (a4) dagli anzidetti in ci, che le pecore non
si conducono al pascolo, se non quando gi
esalata la brina, che si lasciano pascolare tolto il
giorno, e che basta condarle a bere uoa sola T o l t a
a mezzogiorno. E questo qaasi tatto ci che
riguarda il pascolo ; e quello che sar per dire,
riguarder la propagazione. Gli arieti che t o o
adoperare per la propagazione, separali due mesi
avanti, e d loro maggior copia di cibo. Se vuoi
renderli pi robasti per sostenere le fatiche della
propagazione, d ad essi dell1orzo, quando ritor
nano alla stalla dopo il pascolo. 11 miglior tempo
per I1accoppiamento dal tramontare di artnro
sino a quello dell1aquila (a5); e quegli agnelli
che nascono in progresso, diventano malamente
grandi e deboli (a6). La pecora porta centocin
quanta giorni ; per conseguenza partorisce alla
fine di autunno, qnando l'aria moderatamente
temperata, e quando comincia a nascere l 1erba
eccitata dalle prime piogge. Nel tempo che il
maschio si accoppia colla femmina, bisogna dar
gli a bere sempre la medesima acqua, perch il
cangiamento di questa*^) fa che la lana diventi
di vario colore e che si nuoca all1utero. Quando
tutte hanno concepito, bisogna segregare nuova
mente gli arieti ; perch, se sono molesti (a8),
noocono a quelle che hanno concepito. Non bi
sogna permettere I accoppiamento a qaelle che
hanno meno di due anni, perch il frollo non
sarebbe buono, ed esse medesime deteriorereb
bero. Le migliori di tolte, per essere montate,
sono qaelle di tre anni. Si garantiscono le fem
mine dall1accoppiamento, attaccando alle loro
parti genitali dei cestelli di giunco o di qualche
altra materia : meglio per si preservano, facen
dole pascolare separatamente. Riguardo alla nu
trizione de1figli, quaodo le peoore sono vicine
al parto, si fanno passare in istallo destinate a
59#
M. TERENTII VAERONIS
submittere volant, potissimum eligant ex ma
tribus, qose geminos parere tolenl. Plersqae
si osili ter faciendum in oviboa peli i lit, quae pro-
pter Unae booilatem, nt sunt Tarentinae et At
ticae, pellibus integuntur, ne lana inquinetur,
quo minus vel infici recte possit, vel lavari, ae
parari. Harum praesepia ao stabula ut sint pura,
majorem adhibeant diligentiam, quam hirtis ;
itaque faciunt lapide strata, ut urina necubi in
stabulo cousislat. His quaecunque jubentur, ve-
sountnr, ut folia ficnlnea, et palea, et vinaceae ;
furfures objiciuntur modice, ne parum aut
nimium saturentur; utrumque enim ad corpus
alendum inimicumj at maxime amicum cytisum
ct medica ; nam et pingaes facit facillime, et ge-
i t lao. De sanitate sunt multa , i<d e ( ut dixi )
in libro scripta magister pecoris habet : et quae
opus ad medendam, portat stcom. Relinquitur
de numero, quem faciunt alii majorem, alii mi
norem; nulli enim hojus moduli naturales; illud
fere omnes in Epeiro facimus, ne minus habea
mus in eentenas oves hirlas singulos homines :
io pellitas binos.
quest' operatione, cd iti si mettono presso al
fuoco i neooaii, e si obbligano a starvi per due
o tre giorni, finch si fortifichino, finch cono
scano la propria madre (29), e sieoo in istato di
mangiare, lodi, quaodo le maJri escono col greg
ge al pascolo, si trattengono gli agnelli in istalla ;
ai qnali si fanno passare, quando ritornano la
sera, acciocch li nodrisoano col latte ; e nuova
mente si separano, onde nella notte non sieno
calpestati dalla madre* Pariraeote si fa lo iteao
la mattina, avanti ohe U madri escano al pascolo,
acciocch gli agnelli diventino beu satolli di latte.
Passati dieci giorni all' incirca, piantano dei pali ;
e a questi si attaocano, a uua qualche distarne,
per metto di scorte d'alberi, o di qualsivoglia
altro leggiero legame, per evitare che, correndo
qua e l tutto il giorno, non si urtino tra di loro,
non si rompano qualche membro, perch sono
teneri. Se Vagnello noo si accosta alla mammella
della madre, bisogna avricinarvelo, ed ungergli
le labbra di burro o di grasso porcino, e fargli
annasare il latte per metto delle labbra. Pochi
giorni dopo, si d agli agoelli della veccia mari*
nata, o dell* erba tenera, tanto avanti di coodurli
al pascolo, quanto allora che ritornano (3o). E
cosi si nodriscooo finch abbiano quattro mesi.
Alconi noo mungono in questo tempo le loro
madri; e fanno meglio di quelli che conlinoa
mente le mungono ; perch nel primo modo esse
producono maggior copia di lana e parecchi
agnelli (3i). Quando gli agnelli aono ribattati
dalle madri, da procurarsi che oon vengano me
no pel desiderio, e perci, a oggetto di raddolcire
la loro pena, si nodrijcono con buoni pascoli, e
si ha la cura di preservarli del tutto dal freddo e
dal caldo. Quando uoo pensano pi al latte calla
madre, allora sar il tempo di uoirli alla troppa
delle pecore. Non bisogna castrare gli agnelli
avanti i cinque mesi, come nemmeno avanti che
si moderi il caldo od il freddo. Riguardo agli
stallooi, si scelgano quegli arieti che nacquero da
madri, le quali a un tratto furono solile di par
torire due agnelli. Pi'essappoco da farsi lo stesso
riguardo alle pecore che si coprono eoo pelH (3a),
it che si fa per la bont della loro lana : tali sono
le Tarentine e quelle dellAttka, le quali cosi si
coprono, onde la lana non si sporchi, e possa es
sere bene tinta, lavata e nettata (33). Osano mag
giore diligenza in tener nette le mangiatoie e le
stalle di queste, che quelle delle pecore di lana
grossa; e perci lastricano di pietre le stalle, af
finch non si arresti in alcun luogo I1orina. Man~
giane qualunque oosa che si metta nelle mangia
toie, come foglie di fico (34) P*0l>* vinacce : si
d ad esse dalla crusca, ma moderatamente, af
finch non ne mangino n in troppa, n in poca
6#i DE RE RUSTICA LIB. II.
CAPUT i n
D i c a p r i s , h i r c i s r t h o r d i s .
Coi Cossioius : Quoniam satis baiasti, inquit,
o Faustule noster, accpe a me cam Homerico
Melanthio Chordo de capellis, et quemadmodom
oporteat breviter dicere, disce. Qoi caprinum
gregem coottitaere vult, in eligendo animadver
tat oportet, primum aetatem, at eam paret, quae
jim ferre possit fractam, et de iis eam potias,
qaae diutios : novella enim qoam vetus utilior.
De forma videndam, at sint firmae, magnae, cor
pus lene at habeant, crebro pilo, nisi si glabrae
ont ; dao enim genera earum : sub rostra duas
ot mammulas pensiles habeaot; qood eae foecon-
diores sunt ; ubere sint grandiore, ut et lac mul
tum , et pingue habeant pro portione. Hircos
molliori et potissimum pilo albo, ac cervice et
collo breve, gorgulione longiore. Melior fit grex,
fi non est ex collectis comparatos, sed ex contue*
lis una. Oe seminio dico eadem, quae Atticus in
ovibos; hoc aliter, oviom semen tardios esse, quo
hae'sint placidiores; contra caprile mobilius esse,
de quarum velocitate in Originum libro Calo
scribit haec : Io Sauracti, Fiscello eaprae ferae
saot, quae saliunt e saxo pedes pias sexagenos.
Oves enim, quas pascimos, ortae saot ab ovibus
faris; sic caprae, qaas alimus, a capris feris sunt
ortae, a que is propter Italiam Caprasia insula est
nominala. De capris qood meliore aemioe eae,
qoae bis pariant, ex his polissimom mares solent
sobmitti ad admissuras ; qaidam etiam dant ope
ram, nt ex insula Media capras habeant, quod ibi
maximi ac pulcherrimi existimantor fieri hoedi.
De emlione aliter dico alque fit, quod capras
sanas sanus nemo promillit; nunquam enim sine
febri sunt. Itaque stipulantur paucis exceptis ver-
bis : ac Mamilius scriptum reliquit sic: HUs capras
hodie recte esse, et bibere posse, habereqae recte
M. Tl u e bi i o Va be o bb
copia ; essendoch loro nnoce il troppo il pooo
cibo. Ma particolarmente loro utile il citiso e
l erba medica, perch facilmente s ' ingrassano,
e generano molto latte. Riguardo alla loro sanit
vi sono moliealtrecose;ma queste, come dissi^S5),
debbe averle scritte sopra il suo libro il sovrao-
tendeote alla greggia, e portarle seco, quando
occorra medicare. Resta a parlare del numero (36)
che alcooi vogliono maggiore, ed altri minore ;
in ci la natura non ci d una regola fissa. Quasi
tutti nell' Epiro facciamo che abbiano un pastore
cento pecore di lana grosse, e due pastori altret
tante capre.
----- -----
CAPITOLO m
D e l l a c i p r i , d r i b b c c h i r d i i c a p i b t t i .
Cossinio gli disse : Poich, o nostro Faustu
lo ( i ), hailungamenle parlato intorno alle pecore,
qual Melanzio Cordo (2) di Omero', impara da me
ci che riguarda le capre, e come convenga par
larne brevemente. Quegli che vuole formare un
gregge di capre, dee nella scella badare primie
ramente all et, e provvedere qaelle che sono
gi al caso di fruttare, e preferire quelle che
frutteranno per lungo tempo ; perch le giovani
sono pi utili delle vecchie. Quanlo alla forma,
bisogna aver l attenzione che sieno di statura
grande e soda, di corpo sottile, di pelo denso,
quando 000 sieno di qaelle che sono pelate,
essendovene di tuttadue le specie ; che abbiano
due papille peodenti sotto il mento, il che
indizio di fecondila ; che abbiano grandi mam
melle, onde in proporzione il latte sia e copioso
e grasso. Quel becco migliore (3) , il quale ba
specialmente il pelo bianco, la testa e il collo
corto grosso, e protuberanie il capo dell1aspe-
rarteria (4) Quel gregge migliore, eh com
posto di capre solite a stare insieme, che riunite
per la prima volta. Quanlo alla razza, dico lo
stesso che ha dello Attico riguardo alle pecore,
cou questa differenza (5), che la razza delle pe
core pi quieta e tranquilla, perch sono pi
mansuete, e per contrario quella delle capre pi
spiritosa e leggera. Ecco quello che scrive Cato
ne nel libro delle Origioi in proposilo della loro
leggerezza. Nel monte Soralte e Fiscello (6) vi
s o d o delle capre selvagge, le quali saltano sopri
la rocca a una distanza di sessanta piedi e pi.
Siccome le pecore che noi alleviamo sono nate (7)
da pecore selvagge, del pari le capre che allevia
mo nacqoero da capre selvagge ; e per qaeslo
appunto si nominata Capraia quell isola eh
6 os
6o3 M. TERENTII VARRONIS
licere, haec spondesne ? De quibus admirandum
illud, quod etiam Archelaus scribit, oon ut reli
qua animalia Daribuf, sed aoribus spiritum daoere
aviere, pastores cariosiores aliquot dicuol.
De alteris quatuor , quod est de pastu hoc
dico : stabulatlhr pecus melius ad hibernos exor
tas si spectat, quod est alsiosum. Id ut pleraque
lapide, aut testa substerni oportet, caprile quo
minus sit uliginosum ac lutulentum. Foris cum
est pernoctandum, item in eandem partem coeli
quae spectent, septa oportet substerni virgultis,
ne oblinantur; nec multo aliter tuendum hoc
pecus in pastu, atque ovillum, quod tamen habet
sua propria quaedam, quod potius silvestribus
sallibus delectantur, quam pratis. Studiose enim
de agrestibus fruticibus pascuntur, atqae ia locis
cultis virgulta carpunt; itaque a carpendo caprae
nominatae: ob hoc in lege locationis fundi excipi
olet, ne colonus capra natum in fundo pascat.
Harum enim dentes inimici sationis, quas etiam
astrologi ita receperunt in coelum, ut extra lim
bum xii signorum excluserint. (Sunt duo hoedi
et capra non longe a tauro). Quod ad foeturam
pertinet, desistente autumno exigant a grege ili
campos, hircos in caprilia, item ut in arietibus
dictam. Quae concepit, post quartum mensem
reddit tempore verno. In nutricatu hoedi, trime
stres cum sint facti, tum submittuntur, et in gre
ge incipiunt esse. Quid dicam de earum sanitate,
quae nunquam sunt sanae ? nisi tamen illud
unum, quaedam scripta habere magistros pecoris,
quibus remediis utantar ad morbos quosdam
earum, ac vulneratum corpus; qaod usu venit iis
saepe, quod inter se cornibus pugnant, atque io
spinosis locis pascuntnr. Relinquitur denumero,
qui in gregibus est minor caprino, quam in ovil
lo, quod caprae lascivae, et quae dispergant se ;
contra oves, quae se congregent, ac condensent
io locum unum. Itaque iu agro Gallico greges
vicina ali' Italia. Le capre di miglior razza sono
quelle che partoriscono due figli in una volta ; e
perci i maschi nati da queste sono specialmente
quelli cbe si sogliono usare per istalloni (8) .
Alcuni procurano ancora di avere delle capre
dall isola Milo (9), perch sono persuasi esserli
col de' capretti grandissimi e bellissimi. Riguar
do alla compera di queste, bisogna (are altrimen-
te di quello che si usa in quella delle pecore (10),
perch nessun uomo di sana mente pu mante
nerle sane, essendoch non sono mai senza feb
bre (11) ; e perci si stipala il contratto, toglien
do dalla formola poche parole. Ecco la forinoti
lasciataci scritta da Manilio (ia) : Mi prometti lu,
che queste capre sono oggid in isfato di bea
mangiare e bere, e che potr possederle libera
mente? Alconi pastori curiosi raccontano una
singolarit sorprendente, scritta anche da Arche
lao (13) ; ed che le capre sogliono respirare per
le orecchie, non gi per le nari, come fanno gli
altri animali (i4)
QuaLto agli altri quattro punti, ecco quel
ch'io dico riguardo al loro nodrimento. La stalla
per questo bestiame meglio che sia volta all o-
rieute d1interno ( i 5) , perch sono sensibilissime
al freddo. Qaesta, come sono molte altre stalle,
debbe essere lastricata di pietre o di mattoni
cotti (16), onde non sia n umida, n fangosa.
Quando si faranno pernottare foori di qaesta, si
faccia che i recinti goardino parimente al mede
simo lato de) cielo, e sul suolo si distendano dei
virgulti, acciocch non si sporchino (-17). Riguar
do al pascolo, questo bestiame si tratta pressap
poco egualmente delle pecore: ha per questo
di particolare, che ama piultoato i luoghi selvag
gi e le rupi, che le praterie. Di fatti le capre con
grande avidit pascolano i frutici selvaggi, e nei
luoghi coltivati raccolgono (18) e addentano i
virgulti; e perci si sono chiamale caprae dal
verbo capere, o cogliere. Per questo, quando si
affitta pna tenuta, suolsi al finanziere eccettuare
nel contratto che non faccia pascolare nella me
desima la capra (19) ; perch i denti di questa
sono dannosissimi alle piantagioni ; e quindi gli
astronomi parimente la accolsero nel ciclo, ma la
esc lasero dal circolo dei dodici segni. 1 due ca
pretti e la capra non aono molto lungi dal
toro (ao). Per ci che spetta alla propagazione,
verso il fine di autunno si fanno passare nel
1 becchi, come si detto degli arieti (ai).
Quelle che hanno concepito, partoriscono dopo
il quarto mese (aa) in primavera. Quando i
beccherelli che si sono allevati, hanno compito
tre mesi, in allora si lasciano andare cogli altri, e
cominciano ad essere parie del gregge. Che dir
della loro sanit, poich esse non sono giammai
6o5 DE RE RUSTICA LIB. IT.
parts potius faciont, quam magnos, qood in ma-
gnu cito esisUI peitileoiU^ quae ad perniciem
tum perdiical. Satii magnam gregem pataol esse
circiter quinquagenas ; quibos atsenliri putant
jd, qaod aiu venit Gaberio eqoili R. la enim,
com in suburbano mille jugerum haberet, et a
caprario qnodam9qui adduxit capellaa ad orbem
x, sibi in dies tiognloa denarioa tingalo* dare,
audisset, coegit mille caprarum, sperant ae capta
ram de praedio io diea sioguloa denariam mille.
Tantam enim fefellerit, at brevi omnea amiserit
morbo. Contra in Sallentinis et in Casinati ad
centenas pascunt. De maribus et foeminis idem
Cure diictymeo, at alii ad deius capras singulos
parent hircos, at ego : alii etiam ad xv, at Me
nai : nominili etiam, at Marrins, ad figinli.
--
CAPUT IV
Di s v i .
Sd quii e portai poti Italico prodit, i c de
ilio pecore expedit ? tametsi Scrofam potissi
n a n de ea re dicere oportere, cognomen ejoj
tignili eat. Gai TremeUiaa : Ignorare, inquit, vi
dere, cur appeller Scrofa. Itaqae at etiam hi pro
pter te sciant, cognoaoe meam gentem satUum
eognomeu non habere, nec me esse ab Eamaeo
ortam. Arne mens primam appellatas est Scrofe,
qoi quaestor cam esact Licinio Nervae praetori
ia Macedonia provincia relictoa, qni prieesaet
exerutos dum praetor fedirai, hostes arbitriti
oeeaaionem ae habere victoriae, impressionem
laeere coeperant in eistra. Avos, cam cohorta re
tor milites, ot caperent arma atque exirent ooor
sane ? Questo solo dir, che i sovmntendehli 0!
bestiame bisogna th abbiano aerini certi rime
dii (a3), dei qnali si servano per guarire alcune
delle loro malattie, e le ferite, cai sono sovente
esposte, perch pugnano tra di loro eolie corni,
e perch pascolano in luoghi ripieni di spine.
Resla a parlare del numero, il quale debbe essere
minore in un gregge di capre, che di pecore,
perch quelle sono lascive e vagabonde, e queste
amano di stare unite e di raccogliersi in un solo
luogo. E per questo gli abitanti delle Gallie
fanno piuttosto parecchie troppe, che queste
stesse pi numerose ; perch nelle numerose fa
cilmente le epidemie vi allignano, e quindi muo
iono. Si considera essere un gregge numeroso
soffcienlemenle, quando si hanno circa cinquan
ta capre; e pensano di confermare ci con quanto
accadde a Gaberio cavaliere Romano ; impercioc
ch egli che possedeva mill^ ingeri di terra nel
sobborgo, avendo inteso dire da un certo capraio
che conduceva dieci capre alla citt, che ogni
capra gli rendeva al giorno nn denarius (24),
form quindi una truppa composta di mille capre,
colla speranza che il suo fondo di terra gli frul
lerebbe mille denari al giorno ; ma tanto a in
gann nel suo conio, che in breve tempo mori
rono tutte per malatlie. Per contrario, i Salenlini
e quelli di Cassino fanno le loro truppe di cento
teste. Quasi la medesima divertila di opinioni
havvi rispetto al numero de' maschi che deggio*
d o coprire le femmine ; perch alcuni, come io,
danno un clprone a dieci capre, altri nn caprone
a quindici, come fa Menes (25) ;.e alcuni altri,
come Marrio, fanno che basti an beoco per
montire venti capre.
-----
CAPITOLO IV
Dlt'tOlCO.
Mi qaal quell Italiano ingrassatore di por
ci (1), U quale comparisca, sulla scena a trai*
tare di questo bestiame? Egli senza dubbio
Scrofa, il coi soprannome annuncia (a) che que
st* argomento conviene a lui. A cui Tremo
lio rispose : Pare che tu ignori la ragione, per
la quale mi chiamo Scrofa.^ Laonde, accioc
ch ancora quelli che sono qui presenti il sap
piano nel mentre che il vieni r sapere ancor
ta, degg* io farli conoscere che la mia famiglia
non he acquistato questo soprannome fra1 porci,
e che io non discendo ponto da Eumeo. 11 mio
evo-A il primo che sii stato chiamato Scrofa.
Essendo egli questore (3) i Licinio Nerva (4)
6 on M. TERENTII VARRONIS 6 0 6
tra dixit, celeriter te illo ( nl scrofa porcos ) dis
jecturam ; id qnod fecit : nam eo proelio hostes
ita fodit ac fugavit, ot eo Nerva praetor Impe
rator sit appellatus* avos cognomen invenerit, ot
diceretur Scrofa. Itaque proavus, ac superiores
deTremelliisnemo appellatus Scrofa; nec minus
septimus snm deinceps praetorios in gente nostra.
JNec tamen defugio, qoin dicam qaae scto de suillo
pecore. Agri eoim culturae ab initio fui atndio-
tos : nec de pecore tuillo mihi el vobis, magnis
pecuariis, ea res non est communis. Quis eoim
fundum colit nostram, qain sue habeat, et qoi
00 audierit patret noitros dicere, ignavam et
lamptaosum esse, qai succidiam in carnario su
spenderit potias ab laniario, qaam ex domestico
fondo f
Ergo qui toum gregem valft habere idoneam,
eligere oportet primum bona aetate, secondo
booa forma. Ea est, cum amplitudine membro
rum, praeterquam pedibus, capite, anicoloris
potius quam variat. Cum haec eadem ut habeant
verres videndum, tam utique tint cervicibus am
plis. Boni seminis saes animadvertantur a facie,
et progenie, et regione coeli. A facie, si formosi
sint verres et scrofa ; a progenie, si porcos mul
tos pariunl ; a regione, si potius ex his locis, ubi
nascuntur, amplas qoarn exilis pararis. Emi solent
sic : Hiasce sues sanas esse, habereque recte licere,
noxiique praestare, neque de pecore morboso
esse, spondesue? Quidam adjiciunt perfunctas
esse a febri et a foria. In pastu locos huic pecori
aptus uliginosus, quod delectatur non solum
aqua, sed etiam luto ; itaque ob eam rem ajunt lu
pos cum sint oacti sues, trahere usque ad aquam,
quod dentes fervorem carnis ferre nequeant. Hoc
pecus alitur maxime glande, deinde faba, et or-
deo, el caelero frumento; quae res non modo
pioguitudinem efficiunt, sed etiam carois jucun
dum saporem. Pastum exigunl aestate mane, et
antequam aestus incipiat, subigunt in umbrosum
locum, maxime ubi aqua sit; post meridiem rur-
sos lenito fervore pasco ut ; hiberno tempore non
pretore (5) della provincia di Macedonia, que
sti il lasci col a comandare all1 armata fino
al tao ritorno. Immaginandosi gP inimici che
questa fosse ona buona occasione di riportare
la vittoria, cominciarono a sforzare il sao cam
po. Il mio avo, nell1atto che etortava i soldati
ad impugnare le armi, e ad andare con Ito fl
nemico, ditse loro che in un momento dissipe
rebbe gP inimici, in quella guisa che nna troia
dissipa 1 porci (6) : il che di falli esegui, perch
in quella battaglia tanto disfece gl* inimici, e
tauto li fug, che il pretore Nerva, in eonte-
guenza della vittoria, ebbe il titolo d imperato
re (7), e il mio avo il soprannome di Scrofa (8).
Laonde n il mio bisavolo, o gli altri Tremellii
miei antichi ai tono mai chiamali Scrofa ; ed io
tono il tetlimo pretore della mia famiglia, la
quale ha etercitata qaesta carica di padre in fi
glio. Io per non ricato di direqaanto ao intorno
il.bestiame porcino, perch fino dalla mia pri
ma et fui studioso delP agricoltura ; e quanto
riguarda i porci, appartiene non meno a me, che
a voi, perch alleviamo molto bestiame. Qual
di fatti quegli ohe coltiva le sue terre, senza che
abbia de* porci ? E chi non ha udito dire dai no
stri padri, che quegli negligente, e che fa tpete
considerabili, quando attacca nella diapente la
carne porcina salata o affumicata (9), preta piut
tosto dal beccaio, che tratta dal sao proprio
fondo ?
Dunque chi vnole avere an baon gregge di
porci, dee prima tcegliere ona buona et, e in
secondo loogo una bella forma. E questa ha
luogo nelle troie, quando hanno grandi membra,
oltre i piedi e il capo ; e quando tono piuttosto
di un solo colore, che screziate. da farsi atten
zione che queste medesime qualit ti trovino an
che nei verri, come altres che sieno di grande
cervice. Si conosce, se i porci tono di buona
razza, dalla loro figura, stirpe e paese (10). Dalla
loro figura, quando le troie tono belle (11); dalla
loro stirpe, qnando in un tratto partoriscono
molti figli ; e dal paese, quando si comprano
piuttosto grossi, che piccoli in quei laoghi, ove
nascono tali (ia). Ecco la formola osata nel con
trailo : mi prometti che qaeate troie sono sane ;
cbe esse passano in pieno mio diritto ; che sar
esente dai danni che avessero apportati ( i 3 ) ; e
che non derivano da un gregge ammalato ? Al
cuni aggiungono che sieno esenti dalla febbre e
dalla diarrea (14). Rispetto al pascolo, i laoghi
fangosi sono quelli che convengono a qaeslo be
stiame; perch ama non solo l'acqua, quanto
anche il fango: per la qual cosa corre il detto,
che quando i lupi trovano de* porci, gli strasci
nano nell* acqua, perebi loro denti noo potreb-
prioi exigunt pastum, quam pruina evanuit, ae
colliquefacta est glaciet. Ad foeluram Terres duo-
bui mentibut ante secernendi. Optimum ad ad-
jnissuram tempus a favonio ad aequiooclium
Ternum; ita enim contingit, ut aestate pariat;
quatuor enim menset est praegnans ; et tunc pa
ri t, cum pabulo abundat terra. Neque minores
admittendae quam anniculae ; melius xx menses
expectare, ut bimae pariant. Cum coeperunt, id
lacere dicuntur usque ad septimum anuum recte.
Admissuras cum faciunt, prodigunt in lutosos
limites ac lustra, ut Tolutentur in luto, quae est
illorum requies, utlaTatio hominis. Cum omnes
conceperunt, rursus segregant terret. Verris octo
mentium incipit talire : permanet, ut id recte
lacere possit, ad primum ; deinde il retro, quoad
perreniat ad lanium ; hic enim conciliator suillae
carnis dalut populo.
6o 9
Sut Graece dicitur <?;>olim thyias dictus, ab
illo verbo quod dicunt $itvyquod est immolare.
Ab suillo enim genere pecoris immolandi initium
primum aumptum videtur, cujus T e s t i g i a , quod
initiis Cereris porci immolantur, et quod initiis
pacis foedus cum feritur, porcus occiditur, et
quod nuptiarum inilio antiqui reges ac sublimes
viri in Hetruria in conjunctione nuptiali nova
nupta et novos maritus primum porcum immo
lant. Prisci quoque Latini, et etiam Graeci in
Italia idem faclilaise videntur. Nam et nostrae
mulieres maxime natrices, naturam, qua foerai-
nae sunt, io virginibus appellant porcum, et
Graecae X*Tfot, significantes esse dignum insi
gni nuptiarum. Suillum pecus donatum ab natura
dicunt ad epulandum. Itaque iis animam datam
ww proinde ac salem, quae servaret carnem. E
qoeia succidias Galli optimas et maximas facere
consueverunt. Optimarum signum, quod etiam
nunc quotannis e Gallia apportantur Romam
bero sopportare il calore delle earni jie' porci.
Questo bestiame si alimenta particolarmente di
ghiande, indi di fava, di orzo e di qualunque
altro grano. Cotale nodrimento non solo lo in
grassa, ma contribuisce ancora a rendere sa
porita la sua carne. 1 porci nella state si condu~
cono a pascolare la mattina, e avanti che princi
pii il gran caldo ; e sul mezzod si fanno passa
re ( i 5) in luoghi ombrosi, ed ove specialmente
siavi dell1acqua. Rattemperato il caldo dopo il
meriggio, si conducono nuovamente al pascolo.
Nell1inverno non si conducono al pascolo se non
dopo eh1 svanita la brina e ehe si squagliato
il ghiaccio. Per la propagazione, bisogna prima
metterli in disparte (16) per doe mesi. 11 tempo
migliore per Vaccoppiamento dal momento in
cui il sole tramonta al punto, dal quale soffia il
ventp favonio, sino all1equinozio di' primavera,
essendoch ne viene che la troia partorisca nella
stale, perch porta quattro mesi, e partorisce al
lora che la terra abbonda di pascoli. Non si la
scino coprire le troie che hanno meno di un an*
no ; ed meglio aspettare che abbiano venti mesi,
onde partoriscano di due anni. Si pretende che
dopo il primo accoppiamento, generino bene an
che per altri sette anni. Nel tempo dell1accop
piamento si conducono in siti fangosi e in lagune
fangose (17), onde si voltolino nel fango, il qual
un luogo di riposo per esse, come il bagno lo
per 1 uomo. Quando tolte hanno concepito, nuo
vamente si segregano i verri. Il verr di otto
mesi comincia a montare le troie; e continua a
generare bene sino all1et di tre anni (18) ; indi
ai diminuiscono le sue forze generatrici sino a che
cade nelle mani del beccaio, qual canale, per cui
la carne porcina passa al popolo.
11 porco in greco si chiam anticamente
ti diceva bus (19) dal verbo x/0/r, che tignifica
in latino immolare ; perch pare che dai porci
siasi cominciato a sagrificare l1altro bestiame (ao),
le cui tracce si ravvisano nei sagrifzii di Cerere,
nei quali a1 immolano i porci, come altres dal
tagritzio di un porco nella conclusione della
pace, e da un pari sagrifizio nel principio dei
matrimonii degli antichi re e dei personaggi il
lustri dell1Etruria (ai), nei quali la sposa ed il
marito facevano cotale cerimonia. Pare altres
che anche i Latini antichi ed i Greci d1Italia
abbiano fatto lo jtesso ; poich le nostre donne,
e specialmente le nutrici, chiamaoo nelle vergini
porcum la parte che distingue il loro testo,
e che le greche dicono fcaffor, come per fare
intendere che questa parte merita di essere in
signita dell1onore del matrimonio. Si pretende
che la natura abbia regalato all1uomo il porco,
onde vivesse lautamente, e cbe non abbia dato
6 1 0 DE RE RUSTICA LIB. II.
M. TERENTII VARRONIS
pernae tomacinae, el taniacae, et petasiones. De
magnitudine Gallicarum snccidiarom Cato seri-
bit his verbis : io Italia in scrobes Urna atque
quaterna millia anlia succidia. Vere sus uiquea-
deo pinguitudine crescere solet, ut se ipsa stans
sustinere non possit, neque progredi usquam.
Itaque eas si quis quo trajicere vult, in plostroin
imponit. In Hispania ulteriore in Lusitania sus
cum esset occisus, Attilius Hispaniensis, minime
mendax, et multarum rerum peritus in doctrina,
dicebat L. Volumnio senatori missam esse offu-
JUm cum duabns costis, qnae penderet iu et x i
pondo : ejusque suis a cute ad os pedem et m
digitos fuisse. Cui ego non mious res admiraoda,
quam mi esset dicta, in Arcadia scio me esae spe
ctatum suem, quae prae pinguitudine carnis non
modo sorgere noo poste t, sed etiam ut in ejus
corporo sorex exesa carne nidum fecisset, et pe-
perisset mures. Hoc etiam in vineta factum coepi.
Sui ad foetoram quae sit foeennda, animad
verto nt fere ex primo partu, quod non multum
In reliquis mutat. In nutricatu quam porculatio
nem appellabant, binis mensibus porcos sinunt
cum matribus ; sed eos, cum jam pasci possunt,
secernunt. Porci qui nati hieme, fiunt exiles pro
pter frigora,et quod matres aspernantur, propter
exiguitatem lactis, et quod dentibus sauciantur
propterea mammae ; scrofa in sua quaeque hara
uos alat oportet porcos, quo alienos aspernan
tur : et ideo si conturbali sunt in foetara, fit de
terius. Natura divisus earum annus bifariam ,
quod bis parit in anno; quaternis mensibus fert
ventrem, binis nutricat. Haram facere oportet
cirdter trium pedum altam, et latam amplius
paulo, ea altitudine abs terra, ne dum exilire velit
praegnans, abortet. Altitudinis modus sit ut subul
cus facile circumspicere possit, ne qui porcellus
a matre opprimatur, et ut facile purgare possit
cubile.In haris ostium esse oportet, et limen infe
rius (altum) palmipedale, ne porci ex hara, cum
mater prodit, traosilire possint. Quotiescunque
baras subulcus purgat, toties arenam injicere
oportet, aut quid aliud quod exugat humorem,
( in singulas injicere debet : ) et cum pepererit,
I' anima a quest1animale se non qtul sale che
conservasse la sua caroe (aa), I Galli accostumano
di tagliare in grande copia della carne porrina,
che poi salano ed affumicano, e eh1 molto
buona. Una prova della loro boui si , che an
che oggid si trasportano lutti gli anni dalla Gal
lia a Roma delle mortadelle, delle tania'cae (a3),
dei prosciutti. Intorno alla carne porcina fatta ia
pezzi e poi salata, o affumicata, ecco quello che
dice Catone : Nella Insobria (24) si trovano sino
a tre in quattromila pezzi di questa carne. Il
porco (25) snoie tanto crescere in grassezza, che
d'ordinario non pu reggersi in piedi, molto
meno camminare ; e perci quando si vuole farlo
passare in qualche luogo, si dee trasportare col
carro. Lo Spagnoolo Attilio, uomo veridico,
dotto a perito in molle cose, raccoutava di avera
spedito al senatore (26) L. Volumnio un pezzo
composto di due coste, che pesava ventitr lib
bre, tratto da un porco ammazzato nella Spagna
ulteriore in Lusitania, e che dal principio della
testa sino all' estremit del grugno eravi la lun
ghezza di un piede e tre diti (27). Cui io risposi
di sapere un fallo noo meno sorprendente di
questo, perch ho vedulo in Arcadia una troia,
la quale era tanto grassa, che non solo non po
teva alzarsi, ma aveva anche lasoiato che nel suo
corpo uu sorcio vi divorasse tanta carne per farvi
nido, e che ivi partorisse i suoi figli (28). Del
pari ho udito uua simile cosa essere accaduta
presso i Veneti (29).
Quasi dal primo parto si pu sapere se una
troia sar feconda, perch negli altri portali non
vi molta differenza (3o ) . Riguardo alla cura di
allevare i porci, che si chiama iu latino porcu
latio, si lasciano per due mesi seguire le madri ;
indi si separano, quando possono pascotar di
per si stessi (31). 1 porcelli che aasoono nell' in
verno, diventalo sten nati e pel freddo, e perch
le madri li maltrattano, a motivo che quaili fer*
scono coi denti le mammelle, nell? quali trovano
poco latte (3a). Inoltre ogni troia bisogna che no*
d risca i proprii porcelle Iti in separali recinti,
pereh flirtano anche gli altrui (33) ; e perci sa
sono nodriti promiscaamente, si fi mala ai figli*
P e r l e troie l ' anno diviso dalla natura in due
parti, perch partoriscono due volte all anno
impiegando quattro mesi nel portato, e due nel
nodrimento. Bisogna fare il porcile alto tra piedi
incirca, e largo uu poco di pi ; e che il suolo
non sia tanto sopra il livello della terra, che la
troia pregna, nell' uscire del porcile, non vada
soggetta a sconciarsi. L altezza sia tanta, che U
porcaio possa di leggeri guardare all' ingi (34)
per vedere se qualche porcellino in pericolo di
essere schiacciato Arila madre ; e per far s ohe
largiore cibatu sostentare, qua fatilo* Ite suppe
ditare pottit; in quibas bordei circi ter binas
libras aqtta madefactae dare solent , et hoc quo
que conduplicant, at tit mane et vespeti, si alia
qaae objidant non habuerint Com porci depulsi
sast a mamma, a qoibasdam delici appellantor,
neqae jan lactentes dicantor ; qai a parto dedmo
die habentor pori, ab eo appellantor ab antiquia
sacret, qaod lam ad sacrifidnm idonei dicontar
primom. Itaqae apad Plautam in Menaeehmis,
cum intanum qnem potai, ot pietor in oppido
Epidamno, interrogat: Quanti hic pord tont
sacret TSi fundot ministrat, dari tolent vinacea,
ac teopi ex ovit. Amisso nomine lactentis, dican
tar nefreodes ab eo qood nondom fabam fren
dere possunt, id est, frangere. Porcos Graecam
est nomea antiqnam, sed obscuratum, qaod
nane eam vocant In eorum foeto scrofae
bis die ot bibant, curant lactis caota. Parere tot
oportet porcos, qaot mammas habeat ; si minus
pariat, fructuariam idoneam non este ; si piares
pariat, esse portentam. In qao illad antiquissi
mum fuisse scribitor, quod sos Aeneae Lavinii
xzx porcos pepererit albot. Itaque quod porten
derit, factum xxx annia, ot Laviniensea condi
derint oppidum Albam. Hujus suis, ac poreorom
etiam d o o c vestigia apparent Lavinii : qnod et
timulacra eorum ahenea etiam none in publico
potita, et corpns matris ab sacerdotibus, quod in
saltare fuerit, demonstratur. Nutricare octonoa
porcos parvulos primo possunt: incremento facto,
a peritia dimidia pars removeri solet, qnod mater
neque potest sufferre lac, neque congenerati de
scendo roborari. A partu decem diebus proximis
oon producunt ex haris matrem praeterquam
potam ; praeieritis decem diebus, sinant exire
pastam in propinquum locum villae, at crebro
redito (laete) alere poasit porcos. Cum creve-
ruot, capiunt seqai matrem pastum : domi que
secernant s matribus, ac seorsum pascant, at
desiderium ferre possint parentis, quod decem
dieboa aatequontar. Suboleat debet consuefacere,
omnia at fadant ad bucinam. Primo cura inclu
serant, cam bucinatum est, aperiunt, ut exire
possint in eum locum, ubi ordeum fusnm in
longitudine. Sic enim minus disperit, quam si in
aeervot potituro, et pjures facilius accedunt, ideo
ad xii convenire dicuntur, ot silvestri loco di
spersi, ne dispereaot. Castrantor verres comodis
sime anniculi, utique ne minores, quam semestres:
quo facto oooaen motant, atque e verribus dicun-
flar majales. De sanilate tunm anum modo exem
pli e t a sa di eam. Porcis lactentibus si scrofa lac
oon potest suppeditare, triticum frictum dari
oportet, (or udum enkn solvit alvum) vd ordeum
objici e x aqua, quoad fi aut trimestres. De nume*
6i3
si posea nettare II covile, bisogna che nd porcile
tiavi nna porta, la eoi et tramiti inferiore aia alta
ao piede e aa palmo aopra il tivdlo dd suolo dd
pordle (35) , aodocch i porcellini non possano
saltare fuori del medesimo, quando la madre si
fa uscir foori. Qualooqoe volta il porcaio netta
porcili, tante volte bisogna cbe in ognono (36}
getti delParena, od alcuna altra cosa che assorbr
l'umidit. Quando la troia ha partorito, bisogna
sottenerla con molto dbo, acciocch possa fornire
pi facilmente del latte Sogliono dare anito a
questo cibo doe libbre all inoirca di orzo cotto
nell acqua (37) : raddoppiano altres l'orzo, per
ch lo danno la mattina e la sera, quando non
hanno altro da dare alla troia. Quando i porcel
lini sono slattati, da alcuni si chiamano deli-
ci (38) , non gi di latte. Nel giorno decimo dopo
la nascita (3g) si considerano come puri ; e perci
dagli antichi ci chiamavano sacres-, perch da
quel momento pottono essere adoperati ne'sa-
grifizii. Laonde Plauto nei Menechmi fa dire ad
uno de' suoi personaggi, che vuole purificare
nella citt di Durazzo un uomo che crede insen
sato : di quale prezzo sono qui i porcelle Iti
sacres ? Si danno ordinariamente ai porcdlelti
delle vinacce e dei racimoli di uva, se la tenuta 11
somministra. Perdendo il nome di lattanti, si
chiamano nefrendes (4o), perch non possono
ancora frendere, ossia frangere la fava. La voce
porcus un vecchio nome greco, ma disusato,
essendosi sostituito oggid quello di ^/for. Quan
do le troie allattano, si ha la cura di farle bere
due volte al giorno, affinch abbondino di latte.
Bisogna che le troie partoriscano tanti figli,quante
sono le mammelle (40 ; se ne partoriscono di me
no, non meritano il nome di fruttifere: se ne par
toriscono di pi, quest' un prodigio.Un esempio
antichissimo di questa fatta scrivesi essere stato
quello della troia di Enea, che partor trenta por-
celletti bianchi in Lavinia (42): e cos qaesto prodi
gio pronostic quanto avvenne, poich gli abitanti
ili Lavinia fabbricarono trentanni dopo la citt
d' Alba. Appariscono a Lavi ia anche oggid le
tracce di questa troia e de' tuoi porcellini, ove
le loro ttatue in bronzo sono ancora esposte ia
pubblico, ed ove i sacerdoti mostrano il corpo
della madre conservato nella salamoia. Nei primi
gioroi possono essere nodriti otto porcellini ; ma
quando sono cresciuti, suolai dai periti sottrarse
ne la met, perch n la madre pu sommini
strare sufficiente latte, n fortificare tutto il
portato nell'atto che cresce (43). Nei primi dier
giorni dopo il parto non si permette alla troia
eh' esca dd porcilo, se non per bere ; ma passati
questi dieci giorni, si lascia che vada a pascolare
in vidnianza alla casa, affinch spessa volte ritorni
6 1 4 DE RE RUSTICA L1B. IL
6i5 M. TERENTII VARRONIS 616
ro, incenium tues decem terret talit ette potant;
quidam etiam hinc demant. Greget majoret
inteqaabilft habent ; ted ego modicam poto cen
tenarium ; -aliquot mtjore faciant ita a t ter
qainqaagtnot habeant ; porcoram gregem alii
duplicant, alii eliam majorem faciant; minor
grex, qaam major, minat tumptaosus, qaod
comites tubulcus pauciore quaerit..Ilaqae gregis
numeram pastor ab ua utilitate constituit, non
a t quot verret habeat ; id enim a natura tumen
dum. Haec hic.
CAPUT V
D e BUBUS ET VACClt.
At Q. Lucienat senator, homo quamvis hama-
nat, ac jocosas, introiens, familiaris omnium no-
atrum, ctmtrtffvrcuy inquit, et Varro
nem nostram, inquit, <ro//udV Xaur, Scrofam
enim mane talutavi. Gum alius eum talulatset,
alias conviciatus esset, qai tam sero venisset ad
ad allattare (44) proprii figli. Qoando tono
cresciuti, desiderano (45) di seguire la madre al
pascolo : pia ritornati a casa, ti segregano dalle
madri, e ti di ad essi del iero di latte (46), ondo
si avvezzino a non desiderarle (47) ; il che ti
ottiene in dieci giorni. Il porcaio debbe attaefare
le nutrici a far tatto a suono di corno. Fino dalla
prima et si rinserrano i porcellini, e non ti
apre ad essi, m non dopo che si sonato il cor
no, affinch possano portarsi a quel laogo, ove ti
sar formata nna linea retta di orzo ; perch io
tal modo e meno si sparpaglia di quello che foste
ammucchia lo, e pi facilmente possono accostar*
visi molti porcellini. Laonde si ammaestrano a
raccogliersi al suono di corno, affinch non si
smarriscano, qaando si trovano sparti pei bo
schi (48). I verri si castrano molto bene di an
anno (49), non mai prima che abbiano sei mesi :
dopo quest operazione cangiano nome, e, da
verri che si dicevano, si chiamano majales (5o).
Intorno alla sanit dei porci, non dir che una
sola parola, la quale servir di esempio. Se la
troia non pu sommioistrare il latte ai porcelletti
lattanti, bisogna dare ad essi del formento arro
stito (perch il crudo scioglie il ventre), ovvero
dell1orzo stemperato nell1acqua finch abbiano
tre meti. Quanto al namero, ti crede che dieci
verri battinoper cento troie. Alcani diminuisco
no anche questo numero. Variasi altres nel
numero componente ooa greggia di differente
et e setio (5i) ; ma io penso che an centinaio di
teste un namero sofficiente ; altri la compon
gono anche di cencinquanta. Alenai fanno che il
gregge dei verri tia di nn doppio numero ; ed
altri il fanno ancor pi nameroto. Il gregge
piccolo di minore spesa del grande, perch il
porcaio toon ha mestieri che di pochi compagni.
Laonde il pastore, intorno al numero delle teste
componenti il gregge, non debbe consultare che
la sua utilit, e non la qoaatit dei verri che gli
sono nati, perch qaesta quantit on effetto
puramente fortuito della natura. Ecco quello che
dice Scrofa.
----- *0*-----
CAPITOLO V
Dei b u o i a d e l l e v a c c h e .
Ma il senatore Q. Locieno, oomo che mollo
amano, burlevole e nostro amico cornane, nel
l'atto di entrare ci dice : Miei compagni di Epiro,
io vi d il buon giorno ; ma ecco, soggiunge il
nostro Varrone (1), H pastore dei popoli, perch
gi questa mattina ho attutalo Scrofa. Alcuni gli
constitutam : Videbo jam vos, inquit, balatrones,
at hac oSeram meam corium et flagra. Tu T e r o ,
Murri, veni mi advocatos, dum astes solvo Palili
bus, si postea a me repetant, ut testimooiom per
hibere postis. Atticus Murrio : Narra isti, mqoit,
eadem, qui sermones sint habiti, et quid reliqui
sit, ut ad partes paratas T e n i a t : d o s interea se
cundum actum dt.majoribus adtexamus. In quo
quidem, ioquit Vaccius, meae partes, quoniam
boves ibi. Quare dicam, de bubulo pecora, quam
acceperim scientiam : ut si quia quid ignorat,
discat ; si quis scit, nuncubi labar observet. Vide
qoid agas, inquam, Vacci. Nam bos io peouaria,
maxima debet esse auctoritate: praesertim in
Italia, quae a bubus noupen habere sit existimata.
Graecia enim antiqua (at scribit Timaeus) taoros
vocabant /roXtJf; a quorum multitudine et pul
chritudine et foelu vitulorum Italiam dixerunt.
Alii scripserunt, quod e Sicilia Herculea persecu
tos sit eo nobilem taorum, qui diceretur Italus.
Hie socius hominum io rustico opere, et Cereris
minister. Ab hoc antiqui manus ita abstineri vo
luerunt, ut capite sanxerint, si quis occidisset;
qua in re testis Attice, testis Peloponoesos. Nara
ab hoc pecore Athenis Bozuges nobilitatus, Argis
vyufof. Novi, inquit ille, majestatem boam, et
ab his dici pleraque magna, ut /SaVc/aov, finrcu-
a, fittXtfioVf j W t / t ; uvam quoque bumammam;
praeterea scio hunc esse, in quem potissimum
Juppiter se convertit, cum exportavit per mare e
Phoenice amaos Europam ; hunc esse, qui filios
Neptuni e Menalippa servarit, ne in stabulo in
fantes grex boum obtereret; denique ex hoc pu
trefacto ?asct dulcissimas apes mellit matres, a
quo eas Graeci fittyotat appellant, el hinc Plau
tium locutum ease latine, cum Hirrium praeto
rem reonneiatum Romam in Senatum scriptum
habere. Sed bono animo es, non minus satisfa*
ciato tibi, quam qui Bugoniam scripsit.
6 1 7
Primum in bubulo genere aetatis gradus di
cuntur quatuor. Prima vitulorum,secunda juven-
M. T E R b B i i o V a b u o s i s
corrisposero col saluto, ed altri il rampognarono,
perch fosse Tenuto pi tardi dell* ora stabili*
ta. Eccomi ad appagarti, riprese egli, o balatro
nes (a) ; e qui t presento il mio dorso e la sferza
per espiare la mia colpa. Ma tu, o Murrio, aiata-
. mi e difendimi, e sii qual testimonio che possa
attestare eh' io pago la mia tangente in daoaro
a Pale (3), caso che dipoi me la raddomandassero.
Attico'dice a Murrio : .Narragli le cose gi dette ;
quali discorsi si sieno tenuti, e cosa rimanga a
trattai*, affinch egli si prepari per la sua parte,
che noi frattanto passeremo al secondo atto, cio
parleremo del grande bestiame. Questo argo
mento di mia pertinenza, diefe Vaccio (4), per
ch Centrano i buoi. Laonde io vi dir quant1io
so di questo bestiame, acciocch impari questa
scienza, se v1 chi la ignori ; e se alcuno la pos
sed, mi corregga. Guarda bene, 0 Vaccio, gli
dico io, intorno a quello che tu dirai, perch il
bue, tra il bestiame, quello che merita grande
stima, particolarmente in Italia, la quale credesi
che siasi cos chiamata dai buoi. Di fatti P antica
Grecia, come soriTe Timeo (5), chiaraaTa7 ra>*(
i tori, i quali perch erano molti e belli, e perch
geoera vano de1vitelli (6) in questo paese, perci
la chiamarono Italia. Altri scrissero che sia stata
cos chiamata, perch Ercole dalla Sicilia sino ia
questo paese insegu un famoso toro chimato
ltalus. Il bue il compagno dell1uomo ne lavori
camperecci, ed il mioistro di Cerere. Tanto gli
antichi ToleTano ohe fosse rispettato, che aTeTano
stabilita la pena di morte per chi ne aTPSse am
mazzato ono ; come lo attestano le leggi dell1At
tica e del Peloponneso (7). Per questo bestiame
si rese celebre in Atene Buznges, a oryvfof (8)
in Argo. Cooosco, dice Vaccio, la digoit del
buoi ; e so che da essi traggono il nome parecchie
cose grandi, come fitfeuxov (9), fiiivat&a (10),
fiisXt fJtov (11), $0**1* (12), e Bumammam ( i 3),
parlando dell1UTa: so inoltre che Giove prefer
quest' animale nella sua trasformazione, quando,
divenuto amante di ELoropa ( 14)>1* lev dalla Fe
nicia, ed attravers il mare : che on boe fa que
gli, il quale preserv nell*infanzia i figli che Net
tuno ( 15) ebbe da Menalippa, e che correvano il
rischio di essere schiacciali in istalla da un
gregge di buoi ; e che finalmente dal bue na
scono le api (16) madri del dolcissimo miele ;
per lo che i Greci lo chiamano fittyom (17):
espressione che Plaocio ha latinizzata, quando
disse al pretore Irrio, che denunci come autoro
di un libro scritto contro il Senato : Siate tran
quillo, io oon vi tratter con minore equit, che
se aveste composta una Bugonia (18).
Primieramente in questa specie di bestiame
si contano quattro et. La prima quella dei
i o
6 1 8 DE RE RUSTICA LIB. II. .
corura, (crii* boom novellorum, quarta vetulo*-
rum. Discernuntur in prima vitulus et vitata ; in
feconda juvencus et jnvenca ; in tertia et quarta,
taurus et vacca. Qaae iterilis est vacca, laura
appellata ; qoae praegnans, horda ; ab eo in faslia
dies hordicalia nominantur, qood tunc hordae
boves immolantur. Qui gregem armentoram
e mere vult, observare debet primum, ut tint hae
pecudes aetate potias ad fr oclus ferendo inte
grae, qaam jam expartae; ut tint bene composi
tae, ut integris membria, oblongae, amplae, ni
grantibus cornibus, latis frontibus, oealis magnis
et nigris pilosis aaribus, compressis malis, subfi-
raisve, gibberi spina leviter remissa, apertis nari
bus, labris subnigris, cervicibus crassis ac longis,
* colio palearibus demissas, eorpore amplo, bene
costatos, latis humeris, bonis clunibns, caudam
profusam usque ad calces ut habeant, inferiorem
partem frequentibus pilis subcrispam, cruribus
potias minoribus, rectis genibas, eminulis, di
stantibus inter se, pedibus non latis, neque ingre-
dieulibus qui displodantur, uec cujus ungulae
divaricent, et cujus ungues sint leves et pares,
corium attacta noo asperum ac durom, colore
potissimam nigro, dein rubeo, tertio heluo,
quarto albo ; mollissimas enim hic, ut durissimus
primus. De mediis doobus prior qaam posterior
melior : utrique pluris qaam nigri et albi. Neque
iion praeterea, at mares seminis boni sint, quorum
el forma est spectanda, et qui ex his orti suot, ut
respondeant -*d parentum speciem ; et praeterea
quibus regionibus nati sunt, refert; boni enim ge
neris in Italia plerique gallici ad opus: contra nu
gatorii ligustici. Transmarini epirolici non solam
meliores totius Graeciae, sed etiam Italiae; tametsi
quidam de italicis, quos propter amplitudinem
praestare dicunt, ad victimas farciunt, atqne ad
deorum servant supplicia ; qui sine dubio ad res
divinas propter dignitatem ampKtudiuis et coloris
praeponendi ; quod eo magis ft, quod albi in
Italia non tam frequentes, quam qui in Thracia
ad niXatua xoXvovy nbi alio colore pauci. Eos
r.um emimus domitos, stipulamur, sic: lllosce
boves sartos esse, noxisque praestari f cum emi
mus indomitos, sic : lllosce juvencos sanos recte,
deque pecore sano esse, noxisque praestari spon-
desne? Paulo verbosius haec, qui Mamilii actio
nes sequuntur. Lanii, qni ad cnltrnm bovem
emunt, et qui ad altaria, hostiae sanitatem non
colent stipulari.
G)
vitelli ; Ia seconda di giovenchi ; la lena dei
buoi giovani ; la quarta de' vecchi. Si distinguono
nella prima il vitello e la vitella ; nella seconda
il gio venoo e la giovenca; nella tersa e nella quarta il
toro e la vacca. La vacca eh' sterile, si chiama / a u
r a (ig); la pregna korda\ e quindi nal calendario si
nomina il giorno intitolato hordicalia (ao), per
dinotare la festa, in coi *' immolano queste vac
che. Quegli che vaole comprare ona troppa di
questo bestiame, dee prima esaminare se di nna
et piuttosto atta a fruttare, che indebolita ; se
di bella forma ; se di membra a^ne ed intere ;
se lunge e grosso; se ha le coraa nereggianti (a i ),
la fronte larga, gli occhi grandi e neri, le oreeebio
pelose, le guance compresse; se alquanto schiac
cialo dalla fronte sino alla bocca ; non protabe-
rante, ma bens lievemente com prosso nel dor
so (22); se ha le nari aperte, le labbra alcun poco
nericce, il collo carnoso, lungo e fornito di pelli
pendenti* alP ingi (a3), il petto ompio (a4), le
costole bene rilevate, le spalle larghe, le natiche
sode, la coda pendente sino aVtallone * e nella
parte inferiore folta di setole uo poco crespe, le
gambe piullosto picciole e ritte (a5),Ie ginocchia
un poco prominenti e tra di loro distanti, i piedi
stretti e che non fanno strepito qoando l' ani
male cammina (a6) : dee avere allre le unghia
lisce fd uguali:, -e la pelle non aspra e dora al
fatto ,1 colori tili filmati in questo bestiame sono
it aegro, poi il rosso, in terzo luogo il palKdo-
rosso, e 6nalmente il bianco. Tra i due colori
medii, migliore il primo delPultimo ; ed pi
stimato del negro e del bianco, perch qnest* ul
timo indica debolezza, come fortezza il primo (37).
Inoltre importa che i maschi sieno di buona
razza : e dee farsi attenzione ai figli che nscono
da questi, per vedere se la loro forma corrispon
da a quella dei genitori (a8). Importa ancora
sapere i l . paese, in coi sono nati ; perch, per
P Italia, sono di boona razza parecchi della Gal
lia (29), come quelli che resistono alla fatica ;
laddove i liguri sono pigri. Gli ollvamariui
dell' Epiro non solo sono i migliori di lotta la
Grecia, ma anche sono da preferirsi agl' italiani;
quantunque alconi pretendano che gP italiani
per la loro grossezza sieno da preferirsi ne'sagri-
fizii, e che si serbino quando occorra pregare gli
dei (3o) ; i quali senza dubbio sono da anteporsi
agli altri ne' sagrifzii, per la superiorit che
hanoo nella grossezza e nel colore : e ci si fa
tanto pi, perch nell' Italia non sono tanto co-
muoi i bianchi, come Io sono nella Tracia verso
il golfo Mela (3i), ove se ne trovano pochissimi
di un altro colore. Quando si comperano addo
mesticati, io tal modo si stipula il contratto : Mi
prometti che questi buoi sono sani, e eh' io non
C)2S> 11. TERENTII VARRONIS
<*21 DE Rp: RUSTICA LIB. II.
Pascantur armenta commodissime io oemo-
ribas, ubi virgulta et front malta : hiemc ( com
hibernent) sectindam mare; aetta abiguntur ia
montes frondosos. Propter foeturam haec servare
toleo : anta admissuram mensem uoum, ne cibo
et potione se impleant, quod existimantur faci
lius macrae concipere; contra, tauros duobus
roeosibas ante admissuram herba et palea ac
foeno facio planiores, et a foeminis secerno. Ha
beo taurototidem, quot Atticus, a d matrices l x x
duo, unum anniculam, alterum bimum. Hoc,
secundam astri exortum facio, qaod Graeci vo-
eant Xt/far9fidem noitri ; tum denique tauros in
gregem redigo. Mas an foemiua sil concepta, si
gnificai descensa taurus, cum iniit ; siquidem, si
mas est, in dexteriorem partem abit; si foemina,
in sinisteriorem ; cur hoc fiat, vos videritis, inquit
mihi, qui Aristotelem legitis. Non minores opor
tet inire bimas, ut trimae pariant, eo melius si
quadrimae. Pleraeque pariunt in decem annos,
quaedam etiam in piares. Maxime idoneum tem-
pos ad concipiendam a delphini exortu usque ad
dies XX., aot paulo plus ; quae enim ita concepe
runt, temperatissimo anui tempore pariunt; vac
cae enim mensibus decem sunt praegnantes. De
quibus admirandum scriptam inveni, exemptis
testiculis, si statim admiseris, concipere. Eas pasci
oportet in locis viridibus et a q u o s i s . Cavere
oportet, ne aut angustius stent, aut feriantur,
aot concnrrant. Itaqoe quod eas aestate tabani
concitare solent, et bestiolae quaedam minutae
sob eaada, ne concitentur, aliqui solent includere
septis; iis substerni oportet frondem, aliudve
quid in cubilia, quo mollias conquiescant. Aestate
ad aquatn appellendam bis, hieme semel. Cam
parere coeperunt, secundam s t a b u l a pabulum
servari oportet integram, quod egredientes de
gustare possint : fastidiosae enim fiunt. Et pro
videndum, quo recipiunt se, ne frigidus locus
sit ; algor enim eas et famis macrescere cogit. In
alimoniis armenticium pecus sic contuendum,
lactentes cum matribus ne cubent: obterantur
euim ; ad eas mane adigi oportet, et cam redie-
sr soggetto ad alcuna pena pei danni che po
tessero avere prodotti? Ma quando li compriamo
non ancora addomesticati, in tal modo si stipola
il contratto : Mi prometti che quei giovenchi tono
realmente sani, che provengono da nn gregge
sano, e che non sar soggetto ad alcuna pena pel
danni che potessero avere prodotti ? Quelli che
vogliono seguire la formola di Mamilio (3a),
danno maggiore estensione alle parole de! con
tratto. I beccai che comprano il bue per isc*n~
narlo, come altres quelli che lo comprano pel
sacrifizio, non soglion stipulare la condizione
che sia ano (J3).
Gli armenii si fanno pascolare molto bene nei
bosehi, ove souo dei virgulti e molte foglie : nel-
V inverno, e quando infierisce il freddo (34), ti
conducono presso il mare ; e nelle montagne co
perte di frondi nella stale. Riguardo alla propa
gazione, ecco quello eh* io soglio praticare. Un
mese avanti P accoppiamento, fo che le vacche
non mangino, n beano troppo ; perch si erede
comunemente, che quando sono magre, concepi*
scano pi facilmente: per contrario, due mesi
avanti P accoppiamento, fo che i tori si nodri-
scano bene di erbe, di paglia e di fieno, e II
separo dalle femmine. Nella stessa guisa di Attioa
fo che a settanta vacche bastino due tori, uoo
dei quali sia di un anno, e P altro di due. Fo che
si accoppino al levare della costellazione che i
Greci chiamano Xufavy ed i Latini fides (35). In
questo tempo adunque permetto che i tori passi
no nel gregge. Si conosce se la vacca ha conce
pito un maschio od una femmina, osservando da
qual parte discende il toro dopo il coito (36) ;
perch se un maschio, discende dalla parte de
stra ; e dalla sinistra, se una femmina. La ragio
ne di ci, disse volgeudo il discorso a me, la
saprete voi altri che leggete Aristotele. Non biso
goa che le vacche sieno montate prima che ab
biano due anni, affinch esse partoriscano dopo
i tre anni ; ma meglio sar che figlino sui quat
tro anni. Parecchie possono partorire sugli anoi
dieci ; e alcune atiche pi oltre. Il tempo pi
acconcio pel concepimento dal levare del delfi
no (37) sino a quaranta giorni dopo, o nn poco
di pi ; perch quelle che concepiscono in questo
tempo, partoriscono in una stagione dell* anno
temperatissima, atteso che esse portano per dieci
mesi. Io ho Ietto un fatto maraviglioso, ed che
se dopo la castrazione farai subito che il toro (38)
monti la vacca, questa concepir. Bisogoa con
durre a pascolare le vacche ne' luoghi coperti di
verzura ed acquidosi ; e bisogoa procurare che
non istieno troppo strette, che non si feriscano,
o che le ane non corrano dietro alle altre. E
pereh d ' ordinario i tafani le tormentino nella
Ga3 M. TfcRENTII VARRONIS
runt e pesta. Capo creverant vitali, levandae
matres, pabulo viridi objiciendo i praesepiis.
Item bis, ot fere in omnibus stabnlis, lapides
.substernendi, aut quid item, ne ungulae patre-
scant. Ab aequinoctio autunnali una pasountar
cam matribus. Castrare non oportet ante bima
tum ; quod difficalter, si aliter feceris, se reci
piant ; qai autem postea castrantur, duri et ino-
liles fiunt. Itera ut ia reliquis gregibus peeasriis,
delectas qaotaoois habendus, et rejiculae reji-
ciundae, quod locam occapaat earam qaae. ferre
possunt fructus. Si quaefcmisU vitulam, i suppo
nere oportet eos, quibus noa satis praebent
matres. Semestribas vitalis objiciant furfures
triticeos, et farinam ordeaceam, et teneram her
bam : et ot-bibanf mane et vesperi, carant. De
sanitate sant cora p lars, quae exseripta de Msgo*
Dis libris, armentarium meam crebro ut aliqnid
legat, caro. Numeras de tauris et vaccis sic ha
bendus, nt in sexaginta, unus sit anniculus, alter
bimas. Qaidam habent aut miaorera, aut roajo-
rem niimerum ( gregum ). Nam apud eum dao
tauri in septaaginta matribus sunt. Numerum
gregum alius facit aliom; qaidam centeoarium
modicam potant esse, ut ego. Atticas centamvi-
ginti habet, ot Ladenos. Haec ille.
state, e perch alconi piccioli insetti (39) le tor
mentano sotto la coda, quindi alcuni sogliono
rinserrarle ne1recinti, acciocch non a' irritino*
Bisogna stender sul saolo delle stalle o foglio
od altro, affinch riposino mollemente. Nella
state si conducono (4o) a bere due volta al
giorno, ed ona sola volta nell inverno. Qoando
sono vicine al parto, bisogna mettere in disparta
presso la stalla del foraggio fresco, acciocch
possano assaporarne qoando escono fuori della
medesima ; perch allora hanno molto in fastidio
il cibo. Bisogna procurare altres cbe il loogov
ove si ritirano, non sia freddo, perch questo a
la fame le fanno infallantemente diventare magre.
Qoaodo esse allattano i proprii figli, abbiasi la
cara che nella notte (40 non riposino colle loro
madri che gli schiaccerebbero : bisogna condurli
alle madri la mattina, e quando esse ritornano
dal pascolo. Qoaodo i vitelli crescono, convien
sollevare le madri, mettendo del foraggio verde
nelle loro mangiatoie. Le lro stalle, come quasi
tutte quelle degli altri animali, debbono essere
last ricate di pietre, o d* altra simile materia, affin
ch le unghie non si corrompano. NelPequinozio
autunnale si conducono i vitelli a pascolare colle
madri. Non bisogna castrarli avantj P et di due
anni, altrimenti difficilmente guariscono (fa) :
se poi si castrano pi tardi, diventano indocili ed
inutili al lavoro. Tatti gli anni bisogna fare una
scelta di questo bestiame, come si fa nelle altra
gregge, e rigettare qoeile femmine che sono di
fettose, perch occupano il luogo di quelle che
possono figliare. Se alcuna perde il sao vitello,
si mettono sotto di essa quei vitelli, ai quali le
loro madri non somministrano bastante latte.
Quando i vitelli hanno sei mesi, si d ad essi della
crusca di Tormento, della farina d orzo e dd-
l' erba tenera, e si fanno bere mattina e sera.
Havvi on gran numero di osservazioni relative
alla loro sanit, che ho trascritte dai libri di
Magone, e che sovente fo leggere (43) al custode
del mio armento. Il numero dei tori a delle vac
che da regolarsi nel seguente modo ; cio a
sessanta vacche si d un toro di un anno, ed uno
di due. Sonovi di quelli che ne hanno di pi, o
di meno (44) ; perch questi (45) non hanno che
due tori per settanta vacche. Il numero delle
bestie componenti il gregge voluto da alcuni
maggiore, e da altri minore : alcuni, come io,
pensano che bastino cento teste; ma Attico e
Lucieno fanno che il gregge sia di centoventi
teste. Ecco quello che disse Vaccio.
-- --
Ga5
DE RE RUSTICA LIB. II.
De isiwu.
Al Marnai, qui, dam loqaitar Vacci a*, cara
Lucieno rediisset : Ego, inquit, de asini polissi-
iDum dieam, qaod som Reatinas, abi optimi el
maiimi fiant, e qao seminio ego bio procreati
pullos, el ipis Arcadibus vendidi aliquoties. Igi-
lor asinorum gregem qai facere tul i bonum,
primam videndam, al maree foeminasqoe bona
aetate amai, utique al qaam diutissime fractam
ferre possiot: firmos, omnibus partibus honestos,
corpore amplo, seminio bono : ex his locis, unde
optimi exeunt, quod faciunt Peloponnesii, cum
potissimum eos ex Arcadia emaot ; io Italia ex
agro Reatino. Non enim si muraenae optimae
flutae sunt in Sicilia, el ellops ad Rhodon, con
tinuo bi pisces in omni mari similes nascantur.
Horum genera duo ; anum feram, qaos vocant
onagros, ia Phrygia et Lycaonia suul greges
multi ; alterum mansuetum, ot saot in Iialiii
omnes. Ad seminationem onagros idoneus, quod
e fero fit mansuetus facile, et e mansueto' ferns
nunquam. Quod similer parentum genuntur, eli
gendi et mas et foemina, com dignitate at sint.
In mercando itera ut caeterae pecudes emtionibus,
et traditionibus dominam matant, et de sanitate
ac noxa solet caveri. Commode pascantor farre,
et furfuribua ordeaceis. Admittuntur ante solsti
tium, ut eodem tempore alterius anni pariant ;
duodecimo enim mense conceptum semen red
dunt. Praegnantes opere letant; teoter enim
labore nationem reddit deteriorem. Marem non
dijoDgunt ab opere, quod remissione laboria fit
deterior. In pastu eadem fere observant, qoae in
equis. Secundam partam palio? anno non remo-
tent a ma tre ; proximo anno noctibus patiantur
esse cam his, et leniter capistris, aliate qaa re
habent tinctos; tertio anno domare incipiant
ad eas res, ad qaas quisque eos tul t habere in
usu. Relinquitur de namero, quorum gregei non
sane fiunt, nisi ii, qui onera portent. Ideo qood
plerique deducantur ad molas, aat ad agricultu
ram, ubi quid tehendum est; aut etiam ad aran
dam, ubi letis est terra, ut io Campania. Greges
fiunt fere mercatorum, at eorum, qui e Brandi
sco, aut Appulia asellis dossuariis comportant
ad mare oleum aut tinam, ilemque frumentum,
aot quid aliud.
---- fr
CAPUT VI
D e g l i a s i s i .
Ma Mnrrio, il quale, nel mentre che par
lata Vaccio, era ritornato con *Lucieno : lo,
disse, tratter particolarmente degli asini, per
ch io sono di Rieti, ove trotansi i migliori e i
pi grandi ; e appunto di questa razza, ed es
sendo ancora piccioli, ne ho fatti tenire qui (i),
ed alcuna tolta ne ho tendulo anche agli Arca
dici. Quegli adunque che vuole formare uti
buon gregge di asini, dee prima procurare di
prendere i maschi e le femmine di giotane eli,
affinch possano figliare per lungo tempo ; che
abbiano il passo ferino e sicaro, che sieno io tut
te le parti bene proporzionati, di grande cor
poratura, e che sieao di buoaa razza, tale a
dire che si traggano da qaei paesi, ote oascono
i migliori asini ; come fanno appunto que' del
Peloponneso, i quali comprano specialmente
quelli di Arcadia, e gl Italiaoi che comprano
quelli di Rieli ; perch dal trotarsi in Sicilia delle
ottime murene galleggianti (a) e degli ellops a
Rodi, non per questo ne segue che nascano que
sti pesci egualmente buoni io ogni mare. Sonott
due specie di asini : 1' asino seltatico, che si chia
ma onger, e di cui te ne sono molte greggio
nella Frigia ed in Cogni ; e I? asino mansueto,
come sono tutti quelli dell Italia. Per far razza
acconci V asino saltalico, perch da questo
si procreano facilmente asini mansueti, e dal
mansueto non si generano mai asini settaggi.
Perch i figli si generino simili ai genitori, si fa
in guisa che si scelgano maschi e femmine di
stinte. Quanto al commercio di questi animali,
cangiano padrone, egualmente dell* altro be
stiame, per mezzo di compere e di presenta-
gioni ; e suolsi garantire per la loro sanit e
pei danni che potessero avere arrecati. Si nodri-
s c o d o bene col farro e colla crusca di orzo. Si
fanno montare le asine avanti il solstizio, accioc
ch partoriscano nel vegnente anno (3) allo
stesso tempo, perch esse portano un anno. Le
pregne si dispensano dal lavoro, altrimenti si
danneggerebbe il feto (4) : i maschi per contrario
si fanno lavorare, perch il riposo l renderebbe
cattivi. Nel parto (5) si segue a un dipresso
quanto si mette in opera per le cavalle. Dopo
il parto, si lasciano i figli colla madre per un
anno ; e nell* anno dopo, uou si lasciano con essa
che la notte; e teugousi legati mollemente per
mezzo di cavezze, o con altra specie di legame.
Nel terzo anno si comincia a domarli, e si as
suefanno a quelle cosc, cui si vogliono destinare.
CAPITOLO VI
G2 7
M. TERENTII VARRONIS
G28
CAPUT VII
D b b q o i s e t b q u a b u s .
Lucienas: Ego qaoqoe advenient aperiam
carceres, inquit, et equos emittere incipiam, nec
solum mares, quos admissarios habeo, at Atticas,
singulos in foeminas denas, e qoeis foerainas Q.
Modius Eqaicalus vir fortissimas etiam patre
militari juxta ac mares habere solebat. Horam
eqaoram et equaram greges qai habere volue
rint, at babent aliqai in Peloponneso et in Ap-
pulia, primam spectare oportet aetatem, quam
praecipiant. Videndum ne sint minores trimae,
majores decem annorum. Aetas cogooscilar equo
rum, et fere omniam qai angalas indivisas ha
bent, et etiam comatarum, qaod equbs triginta
mensium primnm dentes medioi dicilar amittere,
duo superiores, totidem inferiores ; incipientes
qaartum agere annom itidem ejiciunt, et totidem
proximos eorum, quos amiserunt, et incipiunt
nasci quos vocant columellares. Quinto aono in
cipienti item eodem modo amittere bioos, quos
caniuos habent : tam reoasoentes eis, sexto anno
impleri : septimo omnes habere solent renatos, et
completos. His majores qui sant, intelligi negant
posse ; praeterquam cam dentes sint facti broc
chi, et supercilia cana, et sub ea lacanae, ex
observata dicunt eora equum hsbere annos sede
cim. Forma esse oportet magnitudine modica,
quod oec vastos, nec minutos decet esse; equas
clanibus ac ventribus latis, equos ad admissuram
quod velis habere, legere oportet amplo corpore,
formosos, nulla parte corporis inter se non con
gruenti. Qualis futaros sit equus, e pallo conje
ctari potest, si caput hahet noa magnam, nec
membris confusis: si est oculis nigris, naribus
non angustis, auribus applicatis, non angusta
juba, crebra, fusca, subcrispa, subtenuibus setis,
implicata ia dexteriorem partem cervicis, pectus
lattina et plenum, humeris latis, ventre modico,
Reata a parlare del numero : certamente che non
si formano troppe di asini,, perch molti si de
stinano a girare la macina, o alP agricoltura,
quando occorra portare qualche cosa, ovvero
anche ad arare, ove la terra leggera, come nel
la Campania (6). Alconi anche non li destinano
che a portare de' pesi. Sicch nou si fanrfo t rup
pe di asioi se non se quasi dai soli mercadanli,
i quali, per mezzo di asini che portano sai dor
so (7), da Brindisi o dalla Paglia fanno traspor
tare sino al mare delP olio o del vino, come an
che della biada o altre mercanzie.
-4--
CAPITOLO VII
Dei c a v a l l i b d b l l b c a v a l l e .
Io pare, dice Lacieno, alla mia venata aprir
la barriera, e principier a lasciare libero il corso
ai cavalli ; n soltanto ai maschi^ dei quali, ia
pari guisa di Attico, ne tengo ano per istalloot
per ogni dieci femmine, ma anche alle cavalle,
di cui il valoroso Q. Modius Equiculus era so
lito servirsene nelle armate (1), egualmente che
de' maschi. Quelli che vogliono formare delle
troppe di cavalli e di cavalle, come sono qaelle
di alcune persone nel Peloponneso e nella Puglia,
debbono prima esaminare P et ; e voolsi cbe si
procuri (a) che non abbiano meno di tra, n pi
di dieci anni. Si conosce P et de' cavalli, come
anche quella di quasi tolte le bestie che oon
hanno separate le unghie, o che hanno le cor
na (3), perch si dice che il cavallo di trenta
mesi perde prima i denti di mezzo, cio due in
alto e due abbasso. Quando entra nel qoarto
anno, parimente ne perde altre llan ti lateralmente
a quelli che ha gi perduti, e cominciano a na
scere quelli che si chiamano canini ; c nel princi
pio del quinto anno ne perde pure nella medesimi
maniera due. Que' denti che allora rinascono
incavati (4), si riempiono nel sesto anno ; e nel
settimo suole il cavallo averli tulli rinati e
riempiti. Passato qaest' anno, v' opioione che
manchiuo i segni per conoscere P et, fuorch
quando i denti diventano molto promineoli, le
sopracciglia bianche, gli occhi sprofondati nelle
occhiaie, perch allora si dice che il cavallo abbia
sedici anni (5). Bisogna cbe le cavalle nella forma
sieno di una corporatura moderata, perch non
hanoo ponto di grazia, quando sono troppo
grandi o troppo picciole (6), che abbiano U
groppa ed il venire largo. I cavalli che si voglio
no adoperare por istalloni, bisogna sceglierli di
grande corporatura, di bella forma, e bene pr-
DI* RE RUSTICI LIB. 11. G3o
lumbis Jeorsum vertam pressis, scapulis latis,
spina maxime duplici ; sin mino, non extanti,
coda ampla subcrispa, cruribus* rectis et aequali
bus, genibus roloodis, ne magnis, nec iotrorsa*
spectantibus, ungulis duris : toto corpore ut ha
beat venas, qnae animadverti possint, qood qni
hujuscemodi sit, et cum est aeger, ad medendam
est appositas : corpore malto. De stirpe magni
interest qoa sint* quod genera sont mulla ; itaque
ad hoc oobiles a regiooibos dicantur, io Graecia
Thessalici eqoi, a terra Appoli, ab Rosea Roseani.
Equi boni faturi signa sot, si cam gregalibas in
pabulo contendit in cprreodo, alia ve qua re, qao
polior sit : si, cum flameo travehaadam est,
gregi ia primis praegreditur, ac non respectat
alios. Emtio equina similis fere ac boam et asi-
norom, quod eisdem rebus io emptiooe domi
num mut ant, ot io Mamilii actionibos saot
perscripta.
Equinam pecas pascendum io pratis polissi-
faum herba ; in stabulis ac praesepibus, arido
foeno. Cum pepererant, ordeo adjecto bis die
daoda aqua. Horum foelurae ipilium admissionis
facere oportet ab aequioootio verno ad solstitlam,
ut partus idooeo tempore fiat ; duodecimo eoim
mense, die decimo, ajoot nasci, qoae post tempos
nascootur, fere vitiosa alqoe inutilia exislant.
Admittere oportet, cam tempas aooi venerit, bis
in die, mane et vespere perorigam ; is iU appel
latur ; qniqui admittit ; eo enim adjolaote equae
alligatae celeripi admittantur, neque eqai frustra
cupiditate impulsi semen ejidont. Quoad salis
sit admitti, ipsae significant, quod se defendooL
Si fastidiam salieodi est, scillae mediam conte
runt cum aqua ad mellis crassitudinem : tam ea
re nataram eqoae, cum menses fer uni, Ungant;
ntolrs, ab locis equae nares equi tangunt. TameU
ii incredibile, quod usa venit, memoriae man
dandum; cum eqous matrem uttaUret addaci
nuo pussct, et eum capiU obvolalo peroriga
portionali in tutto le parti del corpo. Si po
oongettorare cosa far per divenUre il giovane
puledro, osservando se ha la UsU picoola, lo
membra bene sviluppato (7), gli occhi neri, le na
rici aperte, le orecchie aderenti alla cote del
capo e diritte, la cervice molle (8), la chioma
larga, folta, bruna (9), alquanto erespa, formata
di crini nu poco sottili, piegati alla parte destra
della collottola ; se ha il petto largo p pieno di
muscoli, gli omeri diritti eie scapole larghe (10),
il ventre poco largo, i lombi verso il basso com
pressi .e larghi (11), la spina del dorso incavata,
0 almeno non promipeote, la coda laoga e al
quanto crespa, le gambe diritte, molli ed alte, fi
gioocchi rotondi, noo graodi, n volti .all in
dentro (12), le uoghie dure, e tutto il corpo
sparso di vene facili a vedersi, perch salUodo
facilmente all occhio, pi aoconcio ad essere
medicato, quaodo si ammala ( i 3). Importa molto
conoscere la razza, da coi derivano, perch hav-
vene molle specie ; e perci i pi stimati si chia
mano col nome del paese, da cui derivano, come
1Testatici nella Grecia, i Pugliesi nella PogUa (i{)
ed i Roseaoi che nascono nel territorio di Rosea.
Quaodo an cavallo oel pascolare co suoi com
pagni si sforza di superare gli altri sia nella
corsa, sia allramenti ; quando nel travalicare un
fiume il primo che cammina alla tesU de) greg
ge senza guardare gli altri ; questi sono segni
che diveoteri buono. La compera dei cavalli
presso a poco simile a quella de' buoi e degli
asioi ; cio che per far caogiare ad essi padrone
per mezzo della veudila, bisogoa adoperare
per gli ani e per gli altri le medesime formalit,
a norma delle prescrizioni di Mamilio.
1 cavalli debbono pascolare l erba pertico-
larmeote nei prati, e deggiono mangiare il fieno
secco nelle mangiatoie, quando sono io isUlla.
Quando le cavalle hanno partorito, si d ad esse
anche deli* orzo, e due volte del d si d loro a
bere dell acqua. Perci che spetta alla propaga-
ziooe di qaesli animali ( i 5), bisogna principiare
1 accoppiamento dall equinozio di primavera
contionare sino al solstizio, affinch il parto sac
ceda in tempo propizio (16), perch dicesi che il
feto nasca nel giorno decimo del mese dodicesi
mo dopo il coito ; e quelli che nasoono pi Ur-
di (17), sono quasi tutti difettosi ed* ioatili. Ve
nuto il tempo opportuoo, bisogoa che Yoriga (18)
faccia mooUre la cavalla dallo stallooe doe volte
del d (19), cio mattina e sera. Si chiama orga
quegli che fa qoesU funzione, e per la eoi
opera le cavalle sono tenute ferme,acciocch
sieno mnUte pi presumente, e lo a tallone non
perda invano il seme pel troppo ardore. Le stes
se cavalle se schivano ulteriormente il coito,
adduxisset, el coegisset matrem ioire, cam de-
scendenti demsisset ab colis, ille impetam fecit
ia eam, ac mordicas interfecit., Cam conceperant
eqaae, videndam ne aat lsboreat plascalam, aut
De frigidis locis sint, qaod algor maxime prae-
gnaotibos obest. Ilaqne io stabulis ab humore
prohibere oportet humbm, clansa habere ostia ac
fenestras, et inter singulas praesepibus interji
cere longurios, qai eas discernant, ne ioter s
pugnare possint. Praegnantem neque implere ci
bo, neqae esarire oportet. Alternis qui admit
tant, diuturniores equos, et meliores pullos fieri
dicuot, itaque ot restibiles segetes essent exactio
res, sic quotannis qaae praegnantes fiant.
031
In decem diebas secandum partam cam ma
tribus in pabalum prodigendum. Ne ugulas
com b a rat sterous cavendum. Quinquemestribus
pullis factis, cum redseti sant in stabalum, obji
ciendum farinam ordeaceam molitam cum furfu
ribus, et si quid aliud terra natum libenter edent.
Anniculis jam faotis dandum.ordeum et furfures,
usque qaoad erunt lactentes, neqae prius biennio
confecto a lacte removeodum ; eosque cum stent
cum matribus, interdum tractaodum, ue cum
sini dijuncti, exterreantur ; eademque causa ibi
frenos suspendendam, at eqaali consuescant et
videre eorum faciem* et e mota audire crepitas.
Cum jam ad manus accedere coosaerinfc, inter
dum imponere iis pueram, bis aut ler pronam in
ventrem, postea jam sedentem ; haec facere cam
sit trimas ; tam enim maxime crescere, ac lacer
tosum fieri. Suol qui dicant post annum et sex
menses equulum domari posse, sed melius post
trimum, a quo tempore farrago dari solet ; haec
eoim purgatio maxime necessaria equino pecori;
quod diebus decem facere oportet, nec pali alium
ullum cibum gustare. Ab uudecimo die usque ad
indizio che sono state bastantemente montate.
Se* lo stallooe ha a noia 1 accoppiamnto, ai
pesta della midolla di scilla (ao) nell* acqua
sino a che sia ridotta alla deosit del miele ; indi
con questo medicamento si fregano le parli na
turali della cavalla, quando io amore ( a i ) ; a
d' altronde si fa che le nari dello stallone toc
chino qaelle parti della cavalla. da eternarsi
la memoria di on avvenimento certissitno, quan
tunque appaia incredibile. Uno stallone negava
di montare la propria madre, e 1' origa gli
bend gli occhi, lo condusse presso di quella,
e T obblig a montarla : terminala cbe ebbe la
operazione, e quando ebbe gli occhi scoperti,
si gett sopra 1 origa, e coi denti lo ammaz
z (aa). Quando le cavalle sono pregne, biso
gna evitare che oon lavorino p i i del dovere,
e che non abitino in laoghi freddi, perch il
freddo nuoce moltissimo alle gravide. Per la
qual cosa bisogoa impedire che sai suolo delle
stalle si arresti P umido, e che entri per le porle
e per le finestre, le quali, a quest oggetto, si
tengono chiuse : bisogna ancora attaccare alle
mangiatoie delle lunghe stanghe, onde una ca
valla sia separata dall altra, e non possano bat
tersi insieme. Le cavalle pregne non debbono
mangiare troppo, n soffrire la fame. Qoelli che
le fanno montare ogni altro auao, asseriscono
che si conservsno pi lungamente (a3), e che ge
nerano migliori figli ; perch, siccome le terra
che frollano tatti gli anni, diventano saervate,
cos pare diventane tali le cavalle che figliano
ogni anno.
Dieci giorni dopo la nascita, si coodocono i
figli colle loro madri al pascol. Si abbia atten
zione che lo slerco non abbruci (a4) le unghie di
questi. Quando hanno cinqae mesi, bisogna, al
lorch ritornano alla stalla, dare ad essi della
farina d orzo unita colla crusca, come altres
qualche altra produzione della terra, cbe potes
sero mangiar con piacere. Quando hanno dodici
mesi, si d loro dell orzo e della crusca ; e ci
fino a tanto che poppano ; n bisogna slattarli
prima de due anni. Nel mentre ohe convivono
colle madri (a5), si toccano colle mani di tratto
in tratto, acciocch non si spaveolino, toccan
doli quando sono slattali. Per la medesima ra
gione si attaccheranno nelle stalle, ove dimorano
colle madri, dei freni, onde ipolledrucd si assue
facciano a soffrirne la vista, e ad adirne lo stre
pito, quando si muovono (26). Assuefatti che sono
al tocco delle mani, bisogner di tempo in tempo
mettere sai loro dorso an fanciullo, il quale
prima si sdraier col ventre per dae o tre volle,
e poi sedera sopra il dorso dei medesimi. Ci st
faccia quando il cavallo abbia Ue anni, perch
6Sa M. TERENTII VARRONIS
M3 DE RE RUSTICA L1B. 11. 634
qeqrtam d ed ma i dandum ordeum, quotidie
adjiciendo min alala j qaod quarto die fecerit,
io eo deum diebat proxiorit manendum, ab eo
tempore mediocriter exercendum : et cam roda
rti, perunguendum oleo. Si frigat erti, in equili
iaoaeodai ignit. Eqai qaod alii tool ad rem mili
tarem idonei, ahi ad vectaram, alii ad admitto-
ram, alii ad cursaram, non item tuoi speetaodi
atqae habendi. Itaque peritas beiti aliot digit,
alqae Kt, ac docet : aliter quadrigarias, ac desal-
tor ; neqae idem, qui vectarios facere vult, ad
ephippium, aat ad predam ; qaod al ( ad rem
ariti ta rem, qaod ) ibi ad castra habere volaat
scres, sic eoo Ira io viit habere malant placidot ;
propter qnod discrimen maxime inttitntom, ul
eaitrentor equi ; demplis eoim testiculis fiuot
quietiores, et ideo qaod temine carent, ii cantero
appellali, ul m sai ba roajatea ; gallis gallinaceis,
capi. De medicina, vd plorimi suol in eqoit el
sigoa morbo rara, et geaera coratiooam, qaae
pastorem scripta habere oportet. Itaque ob hoc in
Graecia poliaaimom lAedici pecoram / r r/ et rf o i
appellati.
CAPUT Vffl
Db b u l i s b t b i h i o j l i j .
Cam haec loqueremur, venit a Menate liber-
lui, qui dicat liba absolata esse, et rem divioam
paratam ; al velleot, veoirenl illac, el ipsi pr ae
aaeri fica ren la r. Ego vero, inquam, voa ire noo
patiar aot t, qaam mihi reddideritis tertiam a-
M. T i u n i o Va b b o b b
specialmente allora cresce e diventa robutto. So-
novi alcni, i quali pretendono che si potsa do
mare il puledro quando ha un anno e mezzo;
ma meglio far ci dopo i tre anni, oel <Juat
tempo saoiii dargli della farragioe, perch que-
ata an purgante necesaaristimo per cotale
bestiame. Qaetto mescuglio d erbe teoere biso
gna darlo per dieci giorni, e noh permettere
che mangi altro cibo. L undecimo giorno gli
ai dar dell1orto, Ja coi dose ai accrescer gr-
datamente ogni giorno sioo al decimoqaarrto :
e quella quantit d' orzo che si dar nd dci
mo quarto (27), la stesta si dia ogai giorno pt
altri dieci con secati vi : dopo di ohe bisogner
esercitarlo moderatamente (a8), e ungerlo dolio,
quando avr sudatpr'Se sar freddo, si accen
der fuoco nel fa alalia. Jfoo tatti i cavalli ri
cercano il medeaimo trattamento, n tutti tono
acconei alta medesima cosa ; e perd alcuni tono
atti alla guerra, altri alla vettore, altri alla pro-
pagaziooe, ed altri al eorao (9). Di falli, il pe
rito neH arte militare sceglie a quest effetto
que tali cavalli, ed altrameoti gli addestra (3o)
del cocchiere che se maneggia qoattro sotto il
cocchio, e di quello che salta da un cavalle al*
I altro: diveraamente ti fa per qoelli che si
destinano a vettura, a sella, ed a carrozza (3i ) :
quelli che ti deatloano atta guerra, vuoisi eh*
sieno vivi e spiri tosi : e per contrario placidi
queHi che ti adoperano pegli altri usi : e per
questa differenza appunto si imaginato di aa
strarli, perch tono pi quieti, qoando ai tol
gono ad essi i testicoli, per la ragione (3a) ohe
diventaoo privi di teme. Questi cavalli castrati
si chiamano canttrii (33), come majalti i porci
castrati, e capi i galli castrati. Quaoto all* arte
di guarirli, da sapersi ohe i cavalli hanno wm
gran numero di segni che indicano le loro ma
lattie, e che sooovi varii metodi di guarirti
(cose tolte che debbe avere scritte il pastore ), e
appunto per ci i medici in Grecia, che guari*
scono anche l ' altro bestiame, sono chiamati
/T*r/*Tfo#. (34).
CAPITOLO Vffl
Dai PIOLI VATI d a l c a v a l l o e d a l l a s m a ,
b d a l l a s i v o b d a l l a c a v a l l a .
E nel dire quette cose venne a noi il liberto
di Menate (1) ad avvertirci che le offerte delle
liba (a) erano terminate, e che tutto era proolo
pel sacrifizio, e per conseguenza che dovessero
col portarsi qoelli che avessero voluto sacrifica-
*7
635 M. TERENTII VARRONIS 636
ctoni, de molis, de canibus, de pastoribus. Brevis
oratio de istis, inquit Murrius ; nam malli et
bioni bigeneri, atqae insiticii, noo saople genere
ab radicibus ; ex equa enim et asino fit mulus ;
contra ex eqao et asina hinnus. Uterque eorum
id osum utilis, parlu fractos neuler.^ Pullum
asininum a parlu recentem subjiciant equae, cu
jas lacte ampliores fiant, quod id lacte quam asi
ninum, ac alia omnia dicant esse melius. Praeter
ea educant eum paleis, foeno, ordeo. Matri sup
positiciae quoque inserviunt, quo equa ad mini
sterium lactis cibum pullo praebere possit. Hic
ita eductas a trimo, pol est admitti ; neque enim
aspernatur, propter consuetudinem eqainam.
Hone minorem si admiseris, et ipse citios sene
scit, et quae ex eo concipiuntur fiunt deteriora.
Qui non habent eum atioam, qaem supposaerunt
equae, et asinum admissariam habere volunt, de
asinis,qnem amplissimam formosissimumque pos-
sant, eligunt ; quique seminio natas sit bono,
Arcadico, ut anliqai dicebanl, ut nos experli su
mas, Reatino : obi Ireceois ac quadrigenis milli
bus admissarii aliquot veoieruol ; quos emimus
item at eqaos, slipulamurque ia emendo, ac fa-
cimns io accipiendo idem, quod dicium est in
equis. Hos pascimus praecipne foeno atque or
deo, et id ante admissuram largius facimus, ut
cibo suffundamus vires ad foeturam. Eodem tem
pore, quo eqaos addocentes, iidemque ut ineant
qaas per origas curamas. Cum peperit equa
malum, aut mulam, uotricantes educamus. Hi, si
in palastribos locis, atque uliginosis nati, habeo t
angulas molles ; iidem si exacti sunt aestivo tem
pore io montes, qaod fit ia agro Reatino, duris
simis ungulis fiunt. In grege mulorum parando,
spectanda aelas et forma ; alleram, at vectaris
sufferre labores possint ; alterum, at oculos aspe
ctu delectare queant; hisce enim binis conjun
ctis omnia vehicala ia viis ducantur. Haec me
Reatino auctore probares, mihi, inquit, nisi tu
ipse domi equarum greges haberes, ac mulorum
greges vendidisses. Hinnus, qui appellatur, est
ex equo et asina, mioor quam mulus corpore,
plerumque rubicundior, auribus ut equinis, ju
bam et caadam similem asiui. Item in ventre est
(ut equus) menses duodecim. Hosce item ut
equulos et educaut et alunt, el aetalem eorum
ex denlibus coguoscuul.
re persoaalmeate per si stessi. Io, dissi loro, boa
permetter che partiale, ae prima oou terminate
il leno atto che versa sui mali, aoi caai e sai
pastori. Sooovi poche cose da dire io loro o ai pri
mi, dice Murrio, perch i muli, sia quelli che
sono generali da un cavallo e da un asina, sia
quelli che nascono da un asino e da una cavalla,
sono animali generati da differenti specie, ed in
nestati, per coi! dire, sopra an ceppo straaiero ;
perch il molo nasce dall asino o dalla cavalla, e
V hinnus dal cavallo e dall asina (3). L ano e
P altro possono servire a Varii usi : n V ano, n
l'altro per possono generare (4). L* asinelio ap
pena nato si di a nodrire alla cavalla, il cui latte
fa che diventi pi grande, perch iaolsi che que
sto Ulta sia migliore di quello dell asina, o di
ogai altro auimale. Oltreci si nodrisce di paglia,
di fieoo e di orxo. Oaooo parimente alla madre
posticcia una maggiore copia di cibo, onde essa
possa somministrare latte baslaote aoche al pro
prio figlio (5). Allevato in tal modo P asino, pu
soi tre anni montare le cavalle; n egli vieoe
rigettato, perch convive con esse. Se ai fari
montare pi giovane, invecchieri pi presto ; e i
figli che genereri, non saranno booni. Quelli
che non hanno un asino aHevato dalla cavalla, e
che vogliono avere nn asino stallooe, scelgano
Ira gli asini quello eh* pi grande e pi bel
lo (6), e eh di buona raxxa, come di Arcadia,
secondo quello che dicevano gli antichi, o di
Rieti, secondo la nostra esperienxa, ove alcuni di
questi stalloni si sono pagati trenta e quaranta-
mila sestertii (7). Noi comperiamo gli asini co
me i cavalli colla medesima formola di contratto,
e in pari gaisa de cavalli ne facciamo la coose-
gnaiione. Li uodriamo principalmente di fieno
e di orxo, ed in maggior copia avanti V acooppta-
mento, onde si somministrino forxe bastanti per
la generatione. Noi abbiamo cura che P origa
faccia montare le cavalle da questi in quel tempo
che i cavalli montano queste (8). Quaodo la ca
valla partorisce uo malo o una mola, noi li alle
viamo e li nodriamo. Se qaesli uascono in luo
ghi paludosi ed umidi, hanno le unghie molli ;
ma se si menano nella stale sai monti (9), 00me
si pratica nel territorio di Rieti, diventano du
rissimi nelle unghie. Nel (ormare un gregge di
muli, bisogoa avere in vista la loro el i e forma :
la prima, onde possano tollerare le fatiche della
vettura ; e la seconda, affinch possano piacere
alla vista ; perch non vi ha vettura che non si
possa condurre sulle strade da due di qoesti uniti
insieme. Tutto ci devi credermelo, disse, vol
gendo il discorso a me (10), perch sono di Rie
li ; e potresti accertartene, se tu non possedessi
che delle troppe di cavalle, e se noo avessi ven-
63;
DE RE RUSTICA LIB. 11.
638
doli i mali. Il molo chiamato hinnus, nasce da
o d cavallo e da un1asina ( u ) : pi picciolo di
corpo dell' altra specie, comunemente pi rosso,
ha le orecchie come il cavallo, la giubba e la co-
da simili a quelle delP asino (ta). Dimora, come
il cavallo, on anno nell aler. Si allevatio e si
nodriscono quesli moli, cornei cavalli, e pari
mente si conosce Ja loro et dai denti.
CAPUT IX
De c a n i b u s .
Relinquitur, inquit Atticus, de quadrupedi-
bos, qnod ad canes attinet, maxime ad nos, qoi
pecos pascimus lanare. Canis enim ila custos pe
coris, ut ejus, quod eo cortile indiget ad se de
fendendum ; in quo genere sunt maxime oves,
deinde caprae ; has enim lupus captare solet, cui
opponimus canes defensores. In suillo pecore
tamen sunt, quae se vindicent, sues, verres, ma
jales , scrofae ; prope enim haec apris, qui in
silvis saepe dentibus canes occiderunt. Quid
dicara de pecore majore? curo sciam mulorum
gregem cum pasceretur, eoque venisset lupus,
ultro mulos circumfluxisse, et ungulis caedendo
eom occidisse? et tauros solere diversos assistere
duoibus cootinuatos, et cornibus facile propul
sare lupos ? Quare de canibus, quoniam genera
duo, unum venaticum, etperlinel ad feras bestias
ae silvestres : alterum, quod custodiae causa pa
ratur, el pertinet ad pastorem : dicaro de eo ad
formam artis expositam in novem partes. Primum
aetate idonea parandi, quod catuli et vetuli neque
sibi, oeque ovibus sunt praesidio, et feris bestiis
noonunquam praedae. Facie debent esse formosi,
magnitudine ampla, oculis nigrantibus aut ravis,
naribus congruentibus, labris subnigris aut rubi
cundis, neque resimis superioribus, nec pendulis
subtus, mento suppresso, et ex eo enatis duobus
dentibus dextra et sinistra, paulo eminulis, supe
rioribus directis potius, quam brocchis : acutos,
quos habeant, labro tectos : capilibus et auricu
lis magnis ac flaccis: crassis cervicibus accollo:
internodiis articulorum longis: croribus rectis,
et potius varis, quam vatiis : pedibus magnis et
altis, qui ingredienti ei displodantur : digitis
discretis : unguibus duris ac curvis : solo nec ut
corneo, nec nimium duro, aed ut fermentato ac
molli : ac feminibus summis crpo re suppresso :
spina neque eminula, neque curva : cauda crassa :
latratu gravi: hiatu magno: colore potissimum
albo, quod in tenebris specie leonina. Praeterea
foeminas volunt esse mammosas aequalibus papil-
CAPITOLO IX
D e i c a v i .
Sull argomento dei quadrupedi, non ci resta,
dice Attico, che di parlare de* cani (i); punto in
teressante per noi che nutrichiamo del bestiame
lanoso ; poich il cane il custode del bestiame,
e particolarmente di quello che da esso accom
pagnato, e che ba mestieri di difesa (a), come le
pecor in primo luogo, e poi le capre : difatti il
lupo suole portarsele via; e perci mettiamo alla
loro difesa dei cani. Nella elasse dei porci per se
ne trovano di quelli che sanno difendersi, come i
verri (3), i maiali, 1 troie ; perch questi anfanali
si avvicinano ai cinghiali, i cui denti hanno so
vente ammazzati dei cani uei boschi. E che dir
del grosso bestiame ? Non so io forse che porta
tosi un lupo ove pascolava nn gregge di muli,
quesli, per un istinto natorale, lo circondarono,
e lo ammazzarono a colpi di calcio ? Non so io
forse che i tori separati si riuniscono reciproca
mente per di dietro, e che facilmente rispingono
i lupi colle coma (4)? Laonde dei cani (dei quali
ve ne sono due specie ; cio quelli da caccia che si
destinano a cacciare le bestie selvagge (5) e fiere;
e quelli che servouo a far guardia e che appar
tengono al pastore ) parler ; e particolarmente
di quesli ultimi : e per conformarmi (6) al tno
metodo, divider quest* argomento in nove parli.
Primieramente bisogna prendere cani di conve
niente el, perch i cagnolini ed i vecchi non
possono difendere n s slessi, n le pecore, anzi
alle volte sono preda delle bestie feroci. Deggiono
essere di bella figura, grandi nella corporatura (7),
di occhi uericci, o di colore tan (8); il colore del
nsso dee corrispondere a questo ; le labbra deb
bono essere nericce o rossicce, oon camuse (9)
superiormente, n pendenti in basso; il mento ha
da essere corto ; dalla mascella inferiore debbono
nascere a sinistra e a destra due denti uu poco
sporti allo iofuori ; e quelli della mascella supe
riore hanno da essere piuttosto diritti, che sporti
infuori : gli acuti denti poi hanno da essere co
perti dalle labbra : bisogna che abbiano la testa
639
Rf. TERENTII VARRONIS
4*
lis. Item videndum, ul bogi leminii sinL llaqae
* refiooibas appellai?lar Lacoues, Epirotici, Sal
lentini. Videndum, ne a vena tori bu* , aut laniis
cane* emas; alteri, quod ad pecua sequendum
inertes ; alteri, ai viderint leporem, aut cervum,
qnod enm. potius , quam oves aequentur. Quare
aot a pastoribus-emta melior, quae ovea sequi
consuevit : aut aine ulla consuetudine quae fue
rit; canis enim facilius quid assuescit, eaque con
suetudo firmior, quae sit ad pastores, quam quae
ad pecudes. P. Aufidius Pontiauus Amiterninus,
cum greges ovium emisset in Umbria ultima,
quibus gregibus sine pastoribus canes accessis
sent ; pastores ut deducerent in Metapontinos
saltus, et Heracleae emporium : inde cum domum
redissent, qui ad locum daduxerant, e desiderio
hominum diebus paucis postea canes sua aponte,
cuip dierum multorum via interesset, sibi ex
agris cibaria praebuerunt, atque in Umbriam ad
pastores redierant ; neque eorum quisquam fece
rat quod in agricultura Saserna praecepit: Qui
vellet ae a cane aectari, uti ranam objiciat coctam.
Magni intereat ex semine esse canes eodem, qnod
cognati maxime inler se sont praesidio. Sequitur
quartum deemtioue: fit alterius, cum a priore
dopino secundo traditum est. De sanitate et noxa
atipulaliones fiunt eaedem, quae io pecore, nisi
quod hic utiliter exceptum est. Alii pretinm fa
ciant in singula capita canum; alii ut catuli
aequantur matrem ; alii ut bini catuli unius ca
nis numeram obtineant, ui solent bini agni ovis ;
plerique ot accedant canes, qui consuerunt esse
nna.
grande, e le orecchie grandi e pendenti, la collot
tola ed il collo grosso (io) ; che siavi una larga di
stanza nella separatione de'nodi degli articoli; che
abbiano le gambe diritte, alte e piuttosto piegata
infuori, che indentro (i i ) ; le zampe larghe e eh*
facciano dello strepito nel camminare; ledila sepa-
rate; leunghie dure e curve (i a); la pianta del piede
non cornea, n troppo dura, ma molle, e per cos
dire, dilatabile ; che il corpo sia schiacciato supe
riormente ed internamente alle cosce ( i 3) ; che la
spina del dorso non sia n prominente, n curva;
che la coda sia groasa ; 4' abbaiamento forte ; 1*a-
pertra della boaca grande. 1 cani deggiono essere
specialmente bianchi, onde facilmente ai diatin-
guano (i4) nelle tenebre. Vuolai inoltre che le
femmine abbiano grandi zinne; e in ambe le
parti uo eguale numero di capezzoli ( i 5). Bisogna
procurare altres che sieoo di buona razza ; e
perci, secondo i paesi, da1quali sono tratti, si
chiamano Lacortes, Epirotici, Sallentini. Guar
dati dal comperare cani dai cacciatori o dai bec
cai ; questi perch non sono assuefatti a seguire
le pecore ; e quelli, perch vedendo una lepre,
od un cervo, vi corrono dietro, piuttosto che ae-
guire le pecore. 1migliori dunque sono quelli che
ai comprano dai paatori, e che sono aolili a aeguirt
le pecore, ovvero quelli che na sonoaasoe&Ui a
niente ; perch il cane di leggeri ai accoatnma *
tutto. 11fatto seguente mostra che hanno maggiore
atlacaroeoto pei pastori, che pel bestiame. P. Aufi
dio Ponziano(i6)diaap Vittorino compr nel foe
do deirUmbria delle gregge di pecore, e ooaveaaa
che i cani, e non i pastori, foaaero compreai nella
vendita, colla ooudiaione per, che questi doves
sero condurre le gregge ne' boschi meUpoqUnj
ed al mercato di Eraplfia (17) ; e che oi fatto,
dovessero ritornare alla propria caja (1.8) : ma i
cani, pochi giorni dopo, rammaricati per la pfr-
dita dei pastori, ritornarono a raggiungerli nella
Umbria, non nutricandosi che di quello che ritro
varono ne' campi, quaptnnqpe la dialanza da un
luogo all'altro foste di molte giornate, eaebbeoe
nessuno de' pastori uvesse messo in opera quanto
prescrive Saserna nella sua agricoltura cio, che
qpegli, il quale vuole essere seguilo dal cane, gli
presenti una rana cotta (19). Impqrta nipllisaimo
che i cani del gregge sieno di nna stessa razza,
perch quaudo souo parenti, si difendono in
iipecialit tra loro (20). Ma (parlando del quarto
punto, cio dell* vendila) il cane passa in altrui
potere, quando dal primo padrone ai conse
gua al McouflQ. IfltQrAo Mia sanit ed ai d^oni
che aveiaero prodpui, ai stipula 4 cqnljrattQ come
ai pratica qel he*li*me, quando ai faglia ec
cettuare u w quache azione gt^le (ai). Alcuni
y p w u > e ft w j *
D$ R*> RUSTICA m . a
Cibali canis propior hominis, qaam ovis ;
pat dt ar enim e culina el ostibat, noo berbij ani
frondibus. Diligenter ot habeaul cibaria provi-
deodum ; fames enim boa ad quaerendam eibnm
dncet, ti oon praebebitur, el a pecore abducet.
Niti ti (n i qjDuJam puUpt) etiam ili ac pervene-
riot, proferbiacn ot tollant antiquum : vel etiam
ot (ivy aperiant de Actaeone, atqoe in domi
nam afferant dentea. Nec non ita panem ordea-
ceom dandum, I non potint eum in lacte det
intritami qood eo contacii cibo oli, a peoore non
cito detcitcunl. Morlicinae ovis non patinntar
vetci carne, ne dncti tepore miout te abstineant
Dani etiam jot ex ottibut, et ea ipta otta contuta.
Dente# enim acit firmioret,et ot magii patulum :
propterea qood vehementius didocnntnr malte,
acrioresque fino! propter medullarum saporem.
Cibum capere consuescant interdia, ubi pascun
tor : vesperi, obi tlabalaniar. De foetura, prin
cipium adcqiUcodi faciunt verit principio: tunc
enim dicuntur catulire, id est, ostendere velle te
maritari. Quae cum admit*a*, pariunt circiter
aoJalitip; praegnanlct enim toleul ette ternot
antei. Io foetoca dandam potiat ordeaceot
quam trilioeoa paoet ; magit enim eo alantur, el
lecti* praebeat mejorem faoultalem. In nutricatu
secandam partnm ti plure* tool, ttalim eligere
portet quot babere velit, reliquot ab>icere;
qoam paucittimot reliquerit, tam optimi in alen
do fiant propter copiam laelit. Subtteroilur eia
acus, aut qaid item tliad, qaod molliore cubili
faciliat educantur ; catuli diebut xx videre inci*
pioni. Dnobat mentibut primit a parta non
di junguntur a matre, sed minutatim desuefiant.
Educant eos plures in anum locum el irritant ad
pugnandum, quo fiant acriores, neqae defatigari
patinntur, quo fiant segniores. Coutue quoque
faciant ut alUgari poatint, primo*' levibus vin-
dit : quae ti abrodere .conantur, ne id consae-
tcaol facere, verbaribat. tot deterrere tolenl
Ploviit diebut cubilia substernenda fronde aut
pabnki, doabut de oautis, ut ne oblinantur , ani
*perfrigescant. Qoidam eot castrant, qaod eo mi
nat putaat relioqnere gregem; qaidam noa
faciunt, qood eot credunt minat acret fieri
Qaidam aoabm Graecit ia aqaa triti perun
gant augete et .inter digitos : qood motcat, el
rieini, et palicat soleant (ti hae anguine non tit
atet) eepxnlterere. Ne vulnerentur a beatiia im-
p e n a t o r ku qua# m o n t a r maelium,
cagnolini fegyirtnno la m*dre, ed altri che da
cagnolini non saranno contati che per un cane,
coin due agnelli non ti contano d* ordinario che
per una pecora : parecchi sogliono comprendere
nella compera tutti que1cani che tono assuefatti
a convivere insieme.
11 ndrimento del cane ti avvicina pi a quello
dell* uomo, che della pecora, perch si nodrim
di brodo (aa) e di ossa, non gi di erbe o ili
frondi. Bisogna procurare con diligente che H
cibo non manchi mai ai cani, altraraenii diserta*
ranno dal gregge, e la fame li cotlringer a cer
care il cibo altrove : potrebbero anche, come al
cuni pensano, fare di peggio, e rinnovare T antico
proverbio (aS), od anehe scoprire il sento alle*
gorico della favola di Atleone, addentando il
proprio padrone (a4)> Si pu etiaodio dare ad
essi del pane d' orto, ma dopo averlo prima in-
triso nel latte, perch assuefatti a cotale cibo, non
istanno lungamente lontani dal gregge. Non ti
permette che mangino la carne delle pecore morte
da s, affinch, allettati dal sapore, non mangino
le vive. Si d altres a loro del brodo di ossa, ed
anche le otta medesime ridotte io petti : in laL
modo fanno i denti pi forti, e Vapertura della
bocca pi larga, perch con veemente aprono le
mascelle, ed il sapore che trovano oella midolla,
li reode pi aspri. Sono soliti maogiare di giorno,
ove pascola il gregge, e di sera, ove rientrato.
Quanlo alla loro propagatione, si priocipia ad
accoppiarli nell1ingresso della primavera : allora
s dice che le cagne vaono iu amore e che mo
strano il desiderio del maschio. Montate in quel
tempo (5), partoriscono verso il tolstiiio, perch
sogliono tiare grtvide per Ire mesi. Nel tempo
della gravidanta si d ad ette piultotto del pane
d orto, che di formento, perch il primo le no-
dritee meglio, e fa che abbiano anche maggiore
copia di latte. Riguardo al nutricare i cagnolini,
te qaetti tono parecchi, fino dal priocipio della
loro nascita bitogna scegliere quelli che si vogliouo
serbare, e gettare gli altri : meno che ne lascerai,
meglio saranno nodriti per la maggiore quantit
di latte. Si mette sotto di essi della paglia (*6),
od altra simile cosa, perch quando riposano pi
mollemente, cou maggiore facilit si allevano. I
caguolini principiano a vedere in capo a venti
giorni (37). Ne primi due mesi dopo la loro na
scita non ai separano dalla madre ; ed in pro
gretto ti fa ci poco a poqo. Molti ae ne condu
cono in an luogo, ove ti eccitano a pugnare
insieme per renderli pi vivi ed ardenti, n ti
permette che ti fianchino, onde oon diventino
pigri. Si avvettapo allreal a lasci irsi legare nel
principi? con legami leggeri; e quando fanno
degli storti per rodarli, apolli biMeclj, acefowbft
H. TERENTII VARRONIS
644
id est, cingulum circom collao ez corio firmo
cum clavulis capiUlis, qaae intra capita insuitur
pellis mollis, De noceti collo duritia ferri. Quod
ii lupus, aliasve quis his volueratas esi, reliqaas
quoque canes facit, quae id non babent, ot sint
in iulo. Namerue canum pro pecoris multitudine
solet parari ; fere modicum esse putant, ut sin
guli sequantur singulos opiliones: de quo nume
ro alius aliam modum contituiL Quod si sunt
regiones ubi bestiae sint mullae, debent esse
plures ; quod accidit iis, qui per calles silvestres
longinquos solent comitari in aestiva et hiberna.
Villatico vero gregi in fundum satis esse duo, et
id marem et foeminam. Ita enim sunt assiduio-
res, qood cum allero idem fit acrior, et si alter
indesinenter aeger est, ne sine cane grex sit. Cum
circumspiceret Allicas ne quid praeterisset : Hoc
silentium, inquam, vocat alium ad partes.
CAP UT X
Db p a s t o b i b u s .
Reliquam enim in hoc acia, quot, et qaod
genus sint habendi pastores. Cossinias: ad majo
res pecades aetate saperiores, ad minores etiam
poeros, et utroqae horum firmiores, qai in calli
bus versentur, quam, eos, qui io fundo quotidie
ad villam redeant, ltaqoe ia sal libas licet videre
javeatalem, et eam fere armatam, cam in fundis
noo modo pueri, sed etiam puellae pascaot. Qai
pascant, eoi cogere oportet, ia pastione diem to-
non ne contraggano I abito. Nei giorni di piog*
gi, si stendono sui loro canili delle foglie o del
foraggio ; e ci per due ragioni, perch non si
sporchino, e perch non abbiano troppo freddo.
Alcuni li castrano, perch cosi sono meno tentati
di abbandonare il gregge; ed altri ci non fanno,
pereh credono che cosi diventino meno corag
giosi. Alconi pestauo oelP acqaa delle mandorle
amare, e con queste fregaao le orecchie, e tra le
dita (a8), perch le mosche, le zecche, e le pulci
sogliooo ulcerare queste parti, quando non si
fregano con tate unguento. Per evitare che sieoo
feriti dalle bestie feroci, si adattano ad essi dei
collari che si chiamaoo milla (29), vale a dire
intorno il collo si mette una cintura, fatta di cuoio
forte, e fornila di chiodi a testa. Sotto questa testa
si cace una pelle pi molle, per impedire cbe la
durezza del ferro nuoca al collo. Che se il lupo, o
qualche altra bestia resta ferita dai chiodi, gli
altri caui si trovano in sicuro, quantunque non
abhiano il collare. Suolsi provvedere quel o a mero
di cani, che sia proporzionato a quello del bestia
me. Si crede comnoemenle che basti che un pastore
sia seguito da uo cane; ma generalmente, riguardo
al numero, ognano ha il suo metodo particolare.
Che se il paese abbogda di belie feroci, i cani
debbono estere parecchi; il che mettono in opera
quelli che fanno cammini lunghi per istrade t d -
vagge e strette (3o), a oggetto di condurre il
gregge ai quartieri di estale o d inverno. Pel
gregge che sta oetla casa rusticana (31), basta che
nella tenula si trovino due cani, cio un maschio
ed una femmina (3a) ; perch in tal modo diven
tano pi assidui, e per emulazione pi vivi ed
acri: d'altroode se V uno, o V altra ti amma
lano (33), il gregge non resta privo di cane. At
tico (34) guardava intorno come per dimaodare
se aveva ometta qualche cosa, e veggendo che 00:
Questo silenzio, io dico allora, annaozia che altri
dee trattare il sao soggetto.
---- 4-----
CAPITOLO X
De i p a s t o b i .
Per compiere quest atto, da parlarsi del
numero dei pastori e delle loro qaali l. Cossi-
nio. Pel grande bestiame si ricercano uomi
ni piuttosto di et avanzala, e pel piccolo, ba
stano anche i fanciulli. Deggiono poi i pa
stori essere pi forti e degli uni e degli altri,
quando hanno da passare per istrade rimole,
strette e selvagge, e deggiono essa re pi forti
di quelli che ogni giorno cooducoao il gregg*
645 DE EE RUSTICA L1B. II.
tom ciie, pascere commaniter;contra, pdrnootare
ad toam quemque gregem ; esse omnes sub ano
magistro peooris : cura esse majorem nata polias
qaam alio*, et peritiorem quam reliquos: quod
iis, qai elate et scientia praestant, animo aeqaio-
re reliqui pareot. Ila tameo oporle 1aetate prae
stare, ut ne propter senectutem minus sosti nere
possit labores ; neque enim senes, neqae paeri
calliam difficultatem, ae raoQlium arduilatem,
atque asperilatem facile ferant: quod patiendum
illis, qui greges sequuntur, praesertim armenti
cios sc caprinos, quibus rupes ac silvae ad pabu
landum cordi. Formae hominum legendae, at
sint firmae, ac veloces, mobiles, expeditis mem
bris: qai non solum pecus sequi possint, sed
etiam a bestiis ac praedonibus defendere: qui
onera extollere in jamenta possint, qai excurrere,
qai jaculari. Non omnis apia nalio ad pecnariam,
qaod neqae Basculus, neque Turdolus idonei:
Galli appositissimi, maxime ad jumenta. In no
tionibus dominum legitimum sex fere res perfi
ciant : si haeredi latera justam adiit: ai, ut debait,
mancipio ab eo accepit, a qno jure civili potuit :
aut si in jare cessit, cui potuit cedere, et id ubi
oportnit: aut si usu coepit : aut si e praeda sub
corona emit: lumve cum in bonis seclioneve co-
jus publice veoit. In horum emiione solet acce
dere pecalium, aut si excipiet, slipalatio interce
dere, sanam eum esse, furtis noxisque solutum :
aut si mancipio non datur, dupla promilti : aut
si ita pacli, simpla. Cibas eorum debet esse in
terdia separatine oniascujnsque gregis, vesper-
liaus in coena, qui sunt sob uno magistro, com
munis. Magistrum providere oportet, at omnia
sequantur inslrumenla, qaae pecori et pastoribus
opas sunt, maxime ad viciam hominum, et ad
medicinam pecudum : ad quam rem habent ju-
meata dossuaria domini, alii equas, alii pro bis
quid aliod, quod onas dorso ferre possit.
dalla tenuta alla casa, o da questa so quella (i).
E per queslo reggiamo ne boschi dei giovani
per lo pi armali, qoando nelle campagne il
gregge condotto al pascolo non solo da fan
ciulli, ma ancora da fanciolle. Quelli che fanno
pascolare ne luoghi selvaggi, bisogna ehe di
giorno tengano unite insieme lotte le gregge,
affinch pascolino unite (a) : per contrario si fa
che ogni gregge dorma separatamente. Bisogna
che tuti' i pastori sieno soggolii a an solo ed
anico sovranlendenle al bestiame, che deve es
sere il pi vcchio ed il pi sperimentalo de
gli altri (3), perch pi facilmente e volenlieri
obbediranno a quello che loro superiore di
ele di esperieosa. Bisogna per altro che l'et
noo aia tale, che per la vecchiaia non possa
sostenere le fatiche ; perch tanto i vecchi, quan
to i fanciulli non sostengono facilmente le fa
tiche originate dalla difficolti delle strade e
dai monti alti e dirupali ; al che debbono as
soggettarsi quelli che conducono le gregge,
particolarmente se sono di bestiame grosso e di
capre, come animali che ai dilettano di pasco
lare solle rupi e nelle selve. Bisogna scegliere
la forma di questi uomini, i quali debbono es
ser robusti, veloci, lesti ed agili nelle membra,
onde non solo possano seguire il bestiame, ma
ancor difendersi dalle bestie e dai ladri : deb
bono eziandio essere capaci d innalxare de pesi
per caricare le bestie da soma, di correre e di
lanciare. Non tutte le naiioni sono abili a qoe*
si uopo : tali sono i Vasco li ed i Tordoli : per
contrario i Galli sono molto acconci, e soprat
tutto per le bestie da soma. Vi sono quasi sei
maniere per fare che i pastori passino Iegiltima-
meute sotto un altro padrone : cio andando al
possessodi una legittima eredit, di cui facevano
parte ; ricevendoli, secondo le forme della man
cipatione (4), da una persona, cui il diritto
civile peribette di trasferirne la propriet ; ov
vero ricevendoli da chi pu farne la cessione,
e in presenza delle persone legali (5) ; acqui
standone il dominio per diritto di possesso (6) ;
comperandoli colla corona'in testa, perch sono
di preda (7); ovvero comperandoli all incanto,
quando fanno parte di beni confiscati. Quando si
vendono, il loro pecalio (8) suole, per diritto di
accessione, appartenere al compratore, ovvero
espressamente eccettuarsi (9). Il venditore stipu
ler che I uomo sano, che non ha rubato ed
apportato danni, e che in caso di eviziooe, pro
ra e ile di dare il doppio, o solamente il prezzo
ricevuto, se cos si conviene. Il cibo del giorno c
da prendersi separatamente dai pastori presso il
loro gregge (10), e la sera debbono cenare insie-
me sotto un solo sovranteodente (11). Questi
4?
* . TERENTII tARRONlS
4#
Quod ad foeturara humanam pertioet {festo-
frdm, qui in fundo perpetuo manent, facile est,
quod habeant conservam in villa; nec hae venas
pastoralis longius quid quaerit. Qai autem sunt
in saltibus et silvestribus locis pascunt, et non
villa, sed casis repentinis imbrei vitant : his mu
lieres adjungere, quae sequantur greges, ac ciba
ria pastoribus expediant, eosque assiduiores fa
ciant, utile arbitrati multi. Sed eas mulieres esse
oportet firmas, non turpes, quae in opere, ut iu
multis regionibus, non cedaot viris, ut in Illy
rico passim videre licet, quod vel pascere pe-
cos, vel ad focum afferre ligna, ac cibum coque
re, vel ad casas instrumentum servare possunt.
De nutricatu hoc dico, easdem fere et nutri
ces ct matres. Tremellius, simul asptdit ad-me,
et: Ut te addii dicere, inquit, cum in Liburniam
Tenisses, te vidisse matres iamilias eorum afferre
ligna, et simul pueros, quos alerent, alias singu
los, alias binos, quae ostenderent foetas nostras,
quae in conopeis jacent dies aliquot, esse levnn-
cidas, ac contemnendas. Cui ego: Certe, ioquam,
nam in Illyrico hoc amplius, praegdautem saepe,
eum venit pariendi tempus, non longe ab opere
discedere, ibique enixam puerum referre, quem
non peperisse, sed invenisse putes; nec non etiam
hoc, quas virginei ibi appellant, nonnunquam
annorum xx, quibas mos eorum non denegavit,
ante nuptias at succumbercnt quibus vellent, et
incomitatis, ut vagari liceret, et filios habere.
Qaae ad valetudinem perlinent hominum, ad
pecoris, ut tine medico curari possint, magistram
acripta habere oportet. Is enim sioe literis ido
neas non est, qaod rationes dominicas pecuarias
conficere nequidquam recte potest.
debbe avere cara che tatti gli stramenti neces
sarii pei pastori e pel bestiame seguitino il greg
ge, e particolarmente quelli che spettano al vitto
degli uomini e alla cura delle malatte del bestia
me : per la qaal cosa i proprietarii mantengono
deHe bestie da soma, o delle cavalle, ovvero altri
simili animali che possano portare sul loro dorso
gli anzidetti stramenti.
Qaanto alla propagazione de pastori, per
quelli che dimorano sempre nella tenuta, si fac
cia in guisa (ia) che abbiano nella easa rusticana
una compagna di servaggio, perch il pastore
non molto delicato ne*suoi amori. Quelli poi
che vivono ne* boschi e che fanno pascolare il
bestiame ne luoghi selvaggi, e che si difendono
dalla pioggia non sotto le case di villa, ma sotto
eapaone fabbricate sul momento, bisogna, se
condo il parere di molti, che abbiano delle donne
per compagne, le quali accompagnino il gregge,
ed apprestino il cibo ai pastori, onde attendano
questi continuamente al loro dovere. Ha convie
ne che queste donne sieno robuste, non difformi,
e che nel lavoro non la cedano agli uomini (i3),
come si pu vedere qua e l nell Illirio, ove o
fanno pascolare il bestiame, o raccolgono le le
gna pel fuoco onde cuocere il cibo, o faono
guardia agli strumenti nelle capanne. Per la nu
trizione de figli asserisco che comunemente
meglio che esse sieno e msdri e nutrici, la que
sto momento volge gli occhi a me (if), c dice :
Appunto io t intesi dire, quando ti portasti in
Croazia, che tu vedesti delle mogli dei pastori,
che portavano delle legna, e nello stesso tempo
anche degl infanti che allattavano ; che alcune ne
portavano uno, ed altre due ; e che queat esem
pio dimostra che le nostre donne da parto, le
quali per molti giorni giacciono dentro le u n a -
riere, sono deboli come il giuoco (t5) ; e perci
da disprezzarsi. Questo fatto, io gli rispondo,
certissimo ; anzi v di pi nell Illirio (16) ; per
ch, venuto il tempo che la donna gravida ha de
partorire, essa non si discosta molto dal lavoro ;
partorito che abbia, porta il nato ove era par
tita, cosicch tu diresti che 1 abbia piuttosto
trovato, che partorito. Ivi si vede ancora, che
aoveote delle donne d'anni venti ( i u c c h e in
quel paese si chiamano vergini, senza andare
contro l uso, si prostituiscono avaoti il matri
monio con chi piace loro, e che hanno la libert
di vagare senza compagnia a loro piacere, e di
farsk anche ingravidare. Cossinio (18). Quanto
alla sanit degli uomini, bisogna (19) che il so-
vrantendente al bestiame abbia uno scrtto re
lativo, affinch possano essere medicati senza
medico : per lo che non sarebbe al caso nn nomo
che non sapesse scrivere ; e questi non potrebbe
4*
DE RE RUSTICA LIB. II.
Di ramer pastorum iKi angusti ut, alii Iuhm
e o o i t i i i M r e solent. Ego in octogent birtas o t m
singulos pastores constitui, Alticus ia centeoas.
Io gregibus o i i a n , sed magnis, quos milliariof
fteiuot qaidam, facilina da summa hominum de-
trabere poesont, qaam de minoribas, ut suol et
Attici et foei. Septingenarii enim mei: tu opinor,
oetingenarios habuisti; nec tameo non ut nos
arietum decimam parleo. Ad equarum gregem
qainqaagenariatn bini homines ; otique aterque
bonim at seeum habeat eqnas domitas singnlas
in ii regionibus* in quibas stabulari solent equa*
abigere, ut Ja Appalla et m Lucanis accidit saepe.
CAPUT XI
Da l a c t x , g a s b o , l a v a .
Quoniam promissa absolvimus, inquit, ea
mus. Siquidem, inquam, adjeceritis de extraor
dinario pecudum fructu, ut praedictum est, de
lacte in eo, et tonsura lanae. Est omnium rerum,
quas oibi causa capimus, liquentium maxime ali
bile, et id ovillum, inde caprinum. Quod autem
maxime perpurget, est equinum, tum asininum,
dein bubalum, tum caprinum. Sed horum sunt
discrimina quaedam et a pastionibus, et a pecu
dum natura, et a m oleta. A pastionibus, quod
fit ab ordeo et stipula, et omnino arido et fir
mo cibo pecude pasta, id alibile ; ad perpurgan
dum id, quod ab viridi paseno, et eo' magis flo-
xe ex herba, quae ipsa sumta perpurgare cor
pora aoptra solet. A pecudnm natura, quod lac
melius est a valentibus, et ab iis qnae nondnm
veteres aant, quam si est contra. A mulgendo,
atque orta optimam est id quod neque emun
ctum looge abest a mulso, ueque a partu conti
nuo est aamtum.
Ex hoclaete oaiei qai fiant, maximi dbii unl
M. T u s u i o V a x i o i i
tenere il registro esatto dell* amministrazione
del bestiame, per renderne conte al propriet-
rio ; n potrebbe eseguire simili cose con intelli
genza (ao).
Riguafdo al nomero dei pastori, alcuni so
gliono averne un maggiore, ed altri un minor
numero. Io per ottanta pecore di lana grossa
mantengo un pastore; ed Attico uno percento
delle stesse. Nelle gregge composte di molte
teste (a i ), come qoelle di alcuni che le fanno di
mille, facilmente si pa diminuire il numero de
gli aomini, di quello che nelle piccole, come
sono appunto quelle di Attico,e le mie; perch
le mie sono di settecento teste, quando che io
credo che tu le faccia di ottocento, e che ugual
mente di me assegni an ariete a dieci pecore (aa).
Per on gregge di cinquanta cavalle, bastano due
aomini. Ognnno de* primi e dei secondi debbe
vere a sua disposizione ana cavalla addomesti
cata, per condurre le cavalle io que' luoghi, ove
si sogliono rinserrare nelle stalle, ovvero ove si
sogliooo condurre a passare la state o T inver
no (a3), come ordinariamente si f* nella Paglia
e Basilicata.
CAPITOLO XI
De l l a t t i , d b l p o i m a g g i o m d e l l a l a v a .
Poich abbiamo soddisfallo alla nostra pro
messa, dieegli, separiamoci. II faremo (i), sog
giungo io, quando tu abbia trattato, come si
convenuto di sopra (a), del frutto straordinario
che si trae dal bestiame, cio del latte, del for-
maggio (3) e del tosare. Il latte tra tutti i cibi,
e specialmente parlaodo di fluidi, quello che
nodrisce di pi : il pecorino il primo, ed il
secondo il caprino (4). Quello che pi di tutti
porga, quello di cavalla, poi di asina, indi di
vacca, e finalmente quello di capra. Ma le pro
priet di queste differenti tpecie di latte sono
varie, secondo la differenza de1pascoli, la na-
tura del bestiame, e il tempo io cui si munge.
Differisce in ragione del pasoolo, secondo che
il bestiame mangia orzo, paglia, o del foraggio
secco e solido (5). Differisce poi nel purgare, se
la bestia avr mangiato deir erba verde ; e mollo
pi se avr mangiato di quell erbe che prese
internamente sogliono purgare inostri corpi(6).
Riguardo alla natnra del bestiame, si trover
esser migliore quel latte eh tratto da bestie
sane e che noo sono ancora veoehie, di quello
che si traesse da bestie ammalale o vecchie.
Rispetto al tempo di mungere il latte, lottimo
j quello ohe noo si munge molto tempo dopo
il parlo, n subito dopo il parto (7).
1 formaggi pi nutritivi tono quelli di latte
651 M. TERENTII VARRONIS
bubuli, et qoi difficillime transeant anati ; fe
condo ovilli ; minimi cibi, et qai facillime deji-
ciaotar, caprini. Eil etiam discrimen, utram ca
sei molles ac recentes sint, an aridi et veteres.
Cam molles sont, magis alibiles, in corpore non
resides : veteres et aridi contra. Caseam facere
incipiant a Vergiliis vernis exortis ad aestivas
Vergilias; raulgent vere ad caseam faciundam
mane, aliis temporibus, meridiani* horis, tametsi
propter loca et pabulum disparile non usqae
qnaque idem 6t ; in laciis daos congios addant
coagulum magnitudine oleae, at coeat ; qaod
melius leporiaam et hoedinam qaam agninum ;
alii pro coagulo addant de fici ramo lac et ace
tum ; aspergunt ilem aliis aliqaot rebus, qaod
Graeci appellant alii Vd*, alii cfoxfi/o*. Non ne
garim, inquam, ideo apud divae Rumiae sacel
lum a pastoribus satam ficam ; ibi enim solent
sacrificari lacte pro vino, et pro lactentibus;
mammae enim ramis, sive rumae, ut ante dice
bant, a rumi : et inde dicuntur sabrumi agni;
lactentes, a lacte. Quin aspergi solent sales : me-
Kor fossilis qosm marinus.
De tonsura ovium, primum animadverto ante
quam incipiam facere, uum scabiem aut ulcera
habeant, ut, si opus est, ante curentur, quam
tondeantur. Tonsurae tempus inter aequinoctium
vernum et solstitium, cum sudare inceperunt
oves; a quo sudore recens laua lonsa sucida ap
pellita est. Tonsas recentes eodem die perungun
tur vino et oleo: oou nemo admixta cera alba,
et adipe suillo ; et si ea tecta solet esse, quam
habuit pellem injectam, eam intrinsecus eadem
re perinungunt, et tegunt rursus. Si qua in ton-
snra plagam accepit, euro locum oblinunt pice
liquida. Oves hirtas tondent circiter ordeaceam
messem: in aliis locis ante foenisicia. Qaidam
has io anno bis tondent, ut in Hispania citeriore,
ac semestres faciunt tonsuras ; duplicem impen
dunt operam, quod sic plus putant fieri lanae ;
quo nomine quidam bis secant prata. Diligen-
tiores tegeticulis subjectis oves tondere soleat,
nequi flocci intereant. Dies ad cam rem suman
tur sereni, et iis id faciunt fere a quarta ad de
cimam horam : quoniam sole calidiore lonsa ex
sudore ejus lana fit mollior, et ponderosior, et
colore meliore; quam demptam ac congloba*
di vacca, ma sono pi difficili a digerirsi ; ven
gono poi quelli di pecora; quelli di capra no-
driscono meno degli altri, ma pi facilmente
si digeriscono. V1 anche differenza tra i for
maggi molli e recenti, e quelli che sono sec
chi e vecchi. Quando sono molli, nodrisoono
di pi, e non si arrestano nel ventricolo ; ed
il contrario succede, quando sono vecchi e sec
chi. Si comincia a fare il formaggio dal levare
delle Pleiadi in primavera sino alle Pleiadi del
la stale (8). Per farlo io tempo di primavera
si roaogono gli animali nella mattina, e a mez
zod nelle altre stagioni ; quantunque altrove
non si faccia lo stesso, secondo la differenza dei
luoghi e dei pascoli. Per coagulare due congii
di latte, vi si mette dentro la grossezza di una
oliva di presame (9). Il caglio di lepre e di bec
co migliore di quello di agnello. Alcuni,
invece di presame, nsano del lalle eh1 esce dai
rami del fico e del l'aceto, ovvero altre cose (10).
I Greci chiamano il latte di fico ora ordr (11),
ora axqvw (12). Non negher, io dico, che
per questa ragione i pastori abbiano piantalo
il fico presso la cappella della dea Rumina ( i 3),
poich ivi sogliono sacrificare del latte e degli
animali lattanti, invece di vino e di animali di
due denti (i4)* essendoch le mammelle si chia
mano rumis ( i 5), ovvero sis, come dicevano
gli antichi, rumina ; e da qui nato ancora che
gli agnelli lallanti si chiamano subrumi (16)
da rumi. Cossinio. Suolsi spargere (19) del sale
sopra il formaggio : il fossile per migliore
del marino.
Intorno al tosare le pecore, esamino prima
di cominciare, se hanno della rogna o delle
ulcere, affinch, se sia d1 uopo, si medichino
prima di tosarle. 11 tempo della tosatura tra
T equinozio di primavera ed il solstizio, e quan
do cominciano a sudare le pecore: e appooto
per questo sudore U lana appena tosata si chia
ma sucida (18). Nel medesimo giorno che si
sooo tosate le pecore, si fregano con vino ed
olio : alcuni vi uniscono anche della cera bian
ca e del grasso di porco. E se si sono tosale
pecore che si sogliono coprire con pelle, si frega
questa internamente coll* indinata inescolan
za (19), e nuovamente si coprono. Se si feri
scono ueir allo di tosarle, sopra la ferita si fa
colare della pece. Le pecore di !ana grossa si
tosano verso la raccolta dell1 orzo ; ed in altri
luoghi verso il tsgliamenlo del fieno. Alcuni
le tyosauo due volte all1anno, come fanno quelli
della Spagua citeriore, cio le tosano ogni sei
mesi (20). Fanno una doppia tosatura, appunto
perch credono di raccogliere maggiore quan-
' tit di lana : per la stessa ragione alcuni ta-
| gliano i prati doe volte all' anno. 1 pi dili-
653 DE RE RUSTICA LIB. II. 654
tim alii veliera, a l i i T e l a m i Da appellaat ; ex quo-
ram vocabolo animadverti licet, prius lanae vul-
saram qaam tonsuram inventam. Qai etiam
none vellunt, ante triduo habent jejunas, qaod
laogaidae mino* radices Unae retinent. Omnino
tonsores in Italia primam venisse ex Sicilia di
cuntor post R. C. A. GCGCLim ; ut scriptura io
publico Ardeae iu literis ex tat, eosque adduxis
se P. Ticinium Menam. Olim tonsores oon fuisse,
adsignificant antiquorum statnae, quod plerae-
que habent capillum et barbam magnam. Susci
pit Cossinius : Ut fructum ovis e lana ad vesti
mentum, sic capra pilos ministrat ad usum nau
ticum, et ad bellica tormeoU, et fabrilia visa.
Neqqc non quaedam nationes harum pellibus
sunt vestiUe, ut in Gelulia et iu Sardinia ; cu
jus usum apud antiquos quoque Graecos fuisse
apparet, quod in tragoediis senes ab hac pelle
vocantur et in comoediis, qui in ru
stico opere morantur, ut apud Caecilium in Hy
pobolimaeo babet adolescens, apud Terentium
io Heautontimorumeno senex. Tondentur, quod
magnb villis suut, in magna parte Phrjgiae ;
unde Cilicia, et caelera ejns generis ferri solent.
Sed qaod primum ea tonsura io Cilicia sit in
stituta, nomen id Cilicas adjecisie dicunt. Illi
hoc : neque ab hoc, quod mutaret Cossioius ; et
simul Vitnli libertus in urbem veniens ex hortis
divertitur ad nos : Et ego ad te missus, inquit,
ibam domum rogatum, ne diem festum laceres
breviorem, et mature venires. Itaque discedi
mus ego et Scrofa in hortos ad Vitulum. Niger
io Turranii nostri; illi partira domum, partim
ad Lenatem.
genti sogliono mettere sotto le pecore che to
sano delle piccole coperte, onde non si perda
alcun fiocco di Una. Per quest' operazione si
scelgono giorni sereni ; e si fa verso la quarta
ora del giorno sino alU decima (21), perch
tosando la pecora nel tempo dell* ardore del
sole, essa suda (aa) ; e perci la lana diventa
pi molle, pi pesante e di miglior colore. La
Una tosata e ridotta in globi chiamata da al
cuni veliera, e da altri velumina (a3). Dalle
quali voci si pu raccogliere (a4) che prima si
trovato il modo di strappare la lana, e poi
di tosarla. Quelli che anche al presente la strap
pano, sogliono tenerle digiune (a5) per tre gior
ni, perch quando sono Ungoide e deboli, le ra
dici della Uoa sano meno attaccate. Di fatti, dico
io (26), i barbieri, per qoanto si dice, sono venuti
in Italia la prima volta dalla Sicilia quattrocen
to cioquantaquattro anni dopo la fondazione di
Roma (37), come trovasi scritto in on monumen
to pubblico nel tempio di Ardea (28), dal quale
si raccoglie che sono stali condottila Roma da
P. Titino Mena. Che i Romani non sieno sUti
anticamente barbieri, lo dimostrano le statue de
gli antichi, parecchie delle quali hanno i capelli
ed una lunga barba. Cossioio ripiglia il discorso:
Siccome la pecora somministra il frullo delU
Una pei vestili ; cos la capra somministra i peli
per la marina, per le macchine da guerra, che
lanciano i corpi da lungi, e per gli strumenti de-
gli artigiani (29). Vi sono alcune nazioni, le qua
li si vestono colle pelli di questi animali, come
quelli di Gelutia e di Sardegna (3o). Quest' uso,
per quanto apparisce, era in vigore anche presso
gli antichi Greci, perch i vecchi nelle tragedie, a
motivo di queste pelli, si chiamano fiat (3i):
e parimente si chUmano cos anche nelle com
medie quelli che lavorano alla campagna, come
raccogliesi dal giovane nell' Ipobolimeo di Ce-
cilio (3a), e dal vecchio nell' Eautontimorumeno
di Terenzio (33). NelU maggior parte delU Fri
gia si tosano le capre, perch hanno peli lunghu-
simi ; e da di l si porUno in Roma delle mani
fatture di questi peli, che si ohiamano Cilicia.
Ma perch colale tosatura si prima eseguita in
Cilicia, cos a quelle manifatture si aggiunto il
nome di Cilicie (34). Cos egli disae; n fuvvi
Icano che censurasse quanto aveva detto (35).
In questo un liberto di Vitulo, che dai gUrdini
era arrivato in citt, si accosta a me, e dice : lo
soao sUto spedilo per voi, e andava alU vostra
casa per pregarvi di non accorciare il giorno d|
fesU, e di portarvi per tempo presso il mio pa
drone. Partimmo dunque, o mio caro Nigro
Tarranio, Scrofa ed io verso gli orti di Vita-
Io (36) ; e gli altri parte si portarono alla propria
| casa, e parie presso Menate (37).
M. TERENTII VARRONIS
DE R E R U S T I C A
LIBER TERTIUS
--------------------------------
CAPUT I
D i VILLATICIS FASTIOIIBUS.
C o n doM vitae traditae sint hominam, rustica
et urbana, Q. Pimi, dubium b o o est, quia hae
ooa solam locom discretae sint, sed etiam tem
pore diversam originem habeant ; antiquior enim
malto rustica ; qood fok tempus, cam rara ede
rent homines, neqae arbem haberent. Etenim
vetustissimum oppidum eum sit traditum Grsc-
eum, Boeotiae Thebae, quod rex Ogyges aedifi
cant ; in agro Romano Roma, quam Romulas
rex : (Nara in hoc nunc denique est, ut dici pos
tit, non cam Ennius scripsit : Septingenti sunt
paulo plua aut minns anni, Augusto augurio post
quam inel ita condita Roma est ). Thebae, qoae
ante cataolysmon Ogygi conditae dicuntur, eae
tamen circiter duo millia annorum et centum
sunt ; quod tempus si referas ad iUud principium,
quo agri coli sunt coepti, atque in casis et tugu
riis habitabant, nec murus, nec porta quid esset
sciebant : immani numero annorum urbanos agri
colae praestant ; nec miram, quod divina nstura
dedit agros, ars humsna aedificavit orbes; eum
srtea omnes dicantur in Graecia intra mille anno-
nim taptrlae, agri nunquam non foerurt in ter-
CAPITOLO IO
Dell' i s g i a s s a b b o u a j u h a l i c h b n a o o i u c o a o
h b l l ' i o t i b h o d i l l i c a s i d i v i l l a .
ccome si contano due generi di vita adottati
dagli uomini, o Q. Pinnio (a), cio la villereccia
e l'urbana, cos non v1ha dubbio che queste non
sieno distinte tra di loro non solo per la differenza
di luogo, ma anche per quella del tempo, coi
sale la loro origine : di fatti la campereccia di
lunga mano pi antica, perch fuvvi un tempo,
in eai gli uomini coltivavano i campi, seoia che
vi fossero citt. E vaglia il vero, la pi antica
citt della Grecia (3), secondo la tradizione,
Tebe nella Beozia, che stata fabbricala dal re
Ogige (4), come la pi ntiea del territorio R*
mano Roma, ch' stata fabbricata dal re Romo
lo (perch soltanto adesso, e non gi al tempo in
cui scriveva Ennio (5), si pu dire con verit che
sooo settecento anni, un poco pi, no poco meno,
dacch sotto gli auspicii augosti stata fabbricata
P inclita citt di Roma). Quantunque si dica che
Tebe sia stata fabbricata avanti H diluvio di Ogi
ge (6), si po non ostaote far salire la fondazione
di qoesta citt a duemila e cento anni ali' i od rea.
Ma se questa antichit si confronti col principio
della coltivazione de1campi (7), e quando gli uo-
659 M. TERENTII VARRONIS
ris, qai coli possint. Neqae solam tnliqaior cul
tor* agri, sed etiam melior. Itaque non sine causa
majores nostri ex urbe in agrii redigebant suos
cives, quod et io pace a rusticis Romanis aleban
tur, et in bello ab bis toebantur. Nec sine causa
Terram eandem appellabant matrem et Cererem,
et qui eam colerent, piam et utilem agere vitaro
credebant, atque eos solos reliquos esse ex stirpe
Saturni regis. Cui consentaneum est, quod Initia
vocantor potissimum ea, quae Cereri funt, sacra.
Nec minus oppidi quoque nomen Thebae indi
cant antiquiorem esse agrura^quod ab agri gene
re, non a conditore nomen ei eit impositum. Nam
lingua prisca et in Graecia Aeoleis Boeoti i sine
afflatu vocant collis Tebas : et in Sabinis, quo e
Graecia venerunt Pelasgi, etiam nunc ita dicunt;
cujus vestigium in agro Sabino via Salaria non
longe a Reate milliarius clivus appellatur Thebae.
Cum agriculturam primo propter pauperta
tem maxime indiscretam haberent, quod a pasto
ribus qui erant orti, in eodem agro et serebant
et pascebant: qui postea creverunt, peculia di
viserunt, ac factum, ut dicerentur alii agricolae,
alii pastores. Quae ipsa pars duplex est, tamelsi
ab nullo satis discreta, quod altera est villatica
pastio, altera agrestis. Haec nota et nobilis, quod
et pecuaria appellatur, et multum homines locu
pletat, et ob eam rem aut conductos, aul emtos
habent saltus. Altera villatica, quod humilis vide
tor, a quibusdam adjecta ad agriculturam cum
esset pastio, neque explicata tota separatim, quod
sciam, ab ullo. Itaque cam putarem esse rerum
rusticarum, quae constituta sunt fructus causa,
tria genera, unum de agricultura, alterum de re
pecuaria , tertiam de villaticis pastionibus : tres
mini abitavano sotto capanne e tugurii, ae n a
sapere cosa si fosse un muro od una porta, gli
agricoltori precedono di uno smisurato numero
di anni gli abitanti di citt. N ci debbe recare
maraviglia, perch i campi ci sono stati dati dl-
T autore della natura (8), e perch le citt sono
state fabbricale dall* arte umana. E tanto ci i
vero, che si accerta cbe non sono pi di mille
anni dacch in Grecia son stale trovate tutte
le arti, quando che non si pu determinare uo
tempo, in cui non vi sieno stati sulla terra campi
suscettibili di coltivazione. N solo la coltura dei
campi il pi antico genere di vita, ma anche il
migliore. E per questo, non senza ragione, i no
stri maggiori facevano che i cittadini passassero
dalla citt alla villa, e perch in tempo di pace
venivano nodriti dai contadini Romani, e perch
in leropo di guerra erano difesi dai medesimi (9).
Non senza ragione davano alla Terra indistinta-
menle il uome di Madre e di Cerere; e credevano
che quelli, i quali la coltivavano, conducessero la
vita la pi innocente e pi utile, e che questi
fossero i soli cheraoo rimasti della stirpe del re
Saturno (10). Un'altra prova dell' antichit della
coltura de' campi si desume da ci, che Initia
(11) si chiamavano specialmente quei sacrifixii
che si offerivano a Cerere. Nemmeno il oome di
Thebae (ia) indica che sia questa citt pi antica
de' campi ; perch colai nome non le fu imposto
in grazia del suo fabbricatore, ma per una certa
specie di terra. Di fatti nell'antica lingua, e nella
Grecia gli Eolii che souo usciti dalla Beoiia,
danno, senza aspirazione, il nome di Tebae (13)
alle colline. Parimente i Sabini cbe abitano un
paese, ove i Pelasgi vennero dalla Grecia, anche
oggid chiamano in tal modo i colli ; del che ae
ne vede uo vestigio nel territorio Sabino, nella
via Salaria, non lungi da Rieti, ove si chiama
Thebae un colle luugo mille passi.
L'estrema povert ha fatto che l ' agricoltura
nella sua origine fosse indivisa, e che qoelli, i
quali erano nati da pastori, seminassero e faces
sero pascolare il medesimo terreoo; ma dopo che
si arricchirono (1 4 ), divisero il loro patrimonio ;
e quindi ne venne che alcuni furooo chiamati
pastori, ed altri agricoltori. I pastori per altro
vanno divisi in due classi, quantunque nessuno
fino ad ora le abbia beo distinte; comprendendo
la prima l ' ingrassare gli animali nell' interno
delle case di villa, e l'altra l'ingrassarli nella
campagna. Questa nota e nobile, e si chiama pe
cuaria; ed a quest' effetto gli nomini molto ric
chi o prendono in affitto, o comprano de'boschi
a pascolo ( i 5). L' altra, cio il pasturare gli ani
mali dentro la casa, perch sembrala nmile e
bassa (16), stata aggiunta da alcuni all* agrieoi-
6 6 i DE RE RUSTICA LIB. 111. 6 6 3
libro* io iti lui, e queis duo scripsi; primum ad
Fundaniam uxorem d* fricuilura, seoundam de
pecuaria ad Torranium Nigram ; qui reliquas
est tertia* de v i lia licii fructibus, in boo ad te
mitto, qood risus sum debere pro nostra Ticini-
tale et amore scribere potissimum ad te. Cum
enim villam haberes, opere tectorio et intestino,
ac pavimenti* nobilibus lithostrotis spectandam,
peram putesees esse, ui tais quoque literis exor
nati parie tea essent. Ego quoque, quo ornatior
ea esse posaet fructu qoam facta, quo ad facere
possem, haec ad te misi, recordatas de ea re ser
mones, quos de villa perfecta habuissemus; de
quibas expooendU iuiliam capiam bine.
--
CAPUT II
Da villa paaracTA.
Comitiis aediliciis, cum sole caldo ego et Q.
Axius senator tribulis suffragium tulissemus, et
candidato, cui studebamus, vellemus esse prae
sto, cam domum rediret, Axios : Mihi dum diri-
meator, io quit, suffragia, vis potius villae publi
cae olamur umbra, qoam privati candidati
tabella dimidiata aedificemus nobis ? Opinor,
ioquam, non solum quod dioitur: Malum consi
lium, consci tori est pessimam: sed etiam bonom
consilium, qui consulit, et qui consulitur, booum
habendum ; itaque imus, venimus in villam. Ibi
Appiam Claudium augorem sedentem invenimus
io subselliis, ut consuli, si quid usos poposcisset,
essft praeolo. Sedebat ad sinistram ei Cornelius
Merula consolari familia ortus, et Fircellius Pavo
Reatinus ; ad dextram Minutias Pica, et M. Pe
tronios Passer. Ad quem cum accessimus, Axius
Appio subridens : Recipi* nos, inquit, in tuam
ornithona, abi sedes inter aves ? Ille : Ego vero,
inquit, te praesertim, cujos aves hospitale* etiam
tora ; n , per qaanto io so, stala trattata da
alcuno in tutte le soe parti. E siccome io sono
persuaso che nell' economia rurale hannovi tre
strade per procurarsi de* fratti, cio l ' agricoltu
ra , il pasturare il bestiame, e l ' ingrassale gli
animali dentro le case di villa ; cos ho stabilito
di scrivere tre libri. E perch ne bo gi scritti
due, il primo de'quali, che versa sopra l ' agricol
tura, l ho intitolato a Fundania mia moglie, ed
il secondo, che tratta del pasturare il bestiame,
a Turranio Nigro, non mi resta che >1terzo, il
quale ha per oggetto i frutti che si traggono dal-
l'ingrassare gli animali nel riduto della casa rusti
cana, e che ho deliberato d ' indirizzare a te, cui il
doveva in {specialit intitolare e per la nostra vici
nanza e per lo squisito tao gusto. E possedendo ta
ana casa di campagna stimabile e per l'intonaoo in
terno delle muraglie e per gli eleganti pavimenti di
pietra, hai creduto che potesse esservi ana man
canza, quando le pareti non fossero anche fornite
di libri (17). lo pura a oggetto di contribuire,
per quanto in me, che sia pi elegante per
parte dei frutti che potrai ritrarne, che pel fab
bricato, ti spedisco quest' opera ; per comporre
la quale (18) ho dovuto richiamarmi alla memoria
i discorsi che ebbi unitamente ad altri intorno al
modo di rendere perfetta una casa villereccia. Da
quanto segue adunque comincer a ripigliare
questi discorsi.
-----
CAPITOLO n
Dilla piararrA casa rusticaha.
Dopo che da Q. Assio senatore della mia tri
b (1), e da me si diede il voto nei comizii (a)
per l ' elezione degli edili per quel candidato (3)
che ci stava a cuore ; e volendo noi essere a por
tala di accompagnarlo a casa : Vuoi tu, mi dice
Assio, che in tanto che si separano e si numerano
i voti, ci mettiamo, ora che il sole abbrucia, piut
tosto all' ombra della pubblica casa villereccia,
che al coperto sullo la privata casuccia del candi
dato (4) ? lo sono persuaso, gli risposi, che sia
vero non solo quanto si dice che un cattivo con
siglio pessimo per chi lo d, ma ancora che il
buon consiglio salutare e per chi il d, e per
chi il ricusa (5). Ci portammo dunque alla casa
villereccia, ove trovammo Appio Claudio augure,
sedente sopra uno scagno, ed in atteggiamento
di dare dei consigli, se il bisogno l ' avesse ricer
cato. Sedeva alla sua sinistra Cornelio Merula di
famiglia consolare, e F irceli io Pavo di Rieti ; ed
alla destra sedeva Miuuiio Pica * e M. Petro-
663 M. TKREinil VARRONIS
duo rector, quu mihi apposuisti paoeis sole
diebus in villa Eeitiot ad lacum Velini, eunti de
controversiis Interamnatium et Reatinorum. Sed
non haec, inqoit, t Ui qoanqoam aedificarunt
majores nostri, frugalior ac melior eat quam
lua iUa perpolita in Reatioo. Nuncubi hio videa
citrum aut aurum ? num minium aut arme
nium ? num quod emblema aut lithostrotum ?
quae illic omnia contra. Et cum haec sit com
munis universi popuK, illa solius tua ; haec quo
succedant e campo cives, et reliqui omnes, illa
quo equae et asini : praeterea com ad reinpubli-
cam administrandam haec sit utilis, ubi cohortes
d delectum consoli adductae eonsidant, ubi
arma ostendant, obi censores censo admittant
populum. Tua , inquit, haec in campo Martio
estremo utilis, et noa deliciis sumptuosior, quam
omnes omnium Reatinae? com et oblita tabulis est
pictis, nec minus signi* ornata. At mea*vestigium
ubi sit nullum Lysippi aut Anliphib, sed cre
bra satoris et pastoris. Etqpm villa a*n sit siae
fundo magno, et eo polito coltura, tua ista neque
agrum habet ullum, nec bovem, nec equam.
Denique quid tua habet simile villae illius, quam
tuos avus et proavos habebat ? nec enim, ut illa,
foenisicia videt arida in tabulato, nec vindemiam
in cella, neque in granario messim. Nam quod
extra orbem est aedificiom, nihilo magis ideo
est villa, quam eorum aedificia, qui habitant
extra portam flnmentanam, aut iu Aemilianis.
Appius subridens : Quoniam ego ignoro, io*
j|nit, quid sit ville, velim me doceas, ne labar
imprudentia quod volo emere a M. Sejo in
Ostiensi vittam Quod ai ea aedificia villae non
nio (6) Passero. Accostatici ad Appio, Astio gli
dice sorridendo 3 Vuoi riceverci nella Ina ncoel-
Kera (7), ora che siedi tra gii uccelli ? Al che ri
spose: lo vi ricever, e particolarmente, cbe alcu
ni giorni sono nella tua casa villereccia di Rieti
presso il lago di Piedilnoo (8) mi facesti mangiare
degli ooeelli forestieri, de1quali ne ho anoor* il
gusto in bocca, allora quando mi portava ad ag
giustare le differente eh1erano insorte tra qoelli
di Terni e di Rieti* Per altro questa, soggionge
egli ( quantunque i nostri maggiori abbiano fab
bricato piuttosto con ineleganza (9)), non forse
pi semplice e migliore di quella elegante e for
bita casa che tn possiedi nel territorio di Rieti T
Vedi tu qui alcuna opera di legno di cedro e di
oro (10) ? Ci vedi forse brillare 1*armenio (11) o
il minio ? o finalmente opere intarsiate o pavi
menti di pietra f In questa v' tutto il contra
rio (ia], quantunque sia comune a tutto il popolo
Romano, e quella appartenga soltanto a te : que
sta serve di ritiro ai cittadini che escono dai co-
mizii, non che a tutti gli altri ; e quella non serve
di ritiro che alle cavalle ed agli asini. Questa
inoltre di una utilit relativa all'amministra
zione della Repubblica, perch qui si conducono
le coorti (i 3) avanti i consoli (14)* foooo
la scelta, ove queste fanno la mostra delle loro
arme, ed ove i censori ( i 5) fanno passare il popolo
per farne la numerazione (16). Ma ripiglia Assio,
quale credi tu che sia pi rozza ed inelegante (17),
questa tua situata nell'estremit del campo di
Marte, e che accoppia in s una magnificenza ed
nna splendidezza, cui non istanno a pareggio tolte
quelle di lotti gli abitanti di Rieti insieme, per
ch ornata di pitture non solo, ma ancora di
statue ; ovvero la mia, ove non v' alcun vestigio
di Lisippo (18) o di Antifilo (19), ma aibbene ove
per tutto si trovano le tracee dell' agriooltore e
del putore (ao)? Se non pud darsi unacasa rusti
cana senaa on gran fondo di terra ben co! ti rata (ai);
e perch mai qaesta tua priva di terre, di buoi
e di cavalle? Finalmente questa tna easa in ehe
mai rssaomiglia a qoella che possedeva il Ino avo
ed H too bisavo ? Di filiti nella tua non si vede,
eome in questa de' tuoi maggiori, n fieno seeo
sopra il Amile, n vendemmia in cantina, n meste
sol granaio. Certamente ohe non ogni edifiaio, il
quale sia posto fuori della citt, da dirsi nna
casa campereccia, come non lo sono nemmeno gli
edifizii di quelli che gli hanno fabbricati fuori
della porta del Popolo, o fuori della porta degli
Emilii (ai).
Appio gli dice sorridendo : Poich lo ignoro
oosa sia una casa di campagoa, vorrei che tn me
lo insegnassi, affinch noo m ' inganni per igno
r ant i ara ohe veglio comprarne m i nel territorio
665
DE RE RUSTICA LIB. IH.
66G
sant, qaae asinam (aam, quemmihi quadra gin la
mDlibas emtom ostendebas apad te, non habent,
metao, ne pr villa emam Ostiae in litore Seja
nas aede. Qaod aedifidum hio me L. Merula
impulit at caperem habere, eam diceret nallam
te accepisse villam , qaa magis delectatai esiet,
cum apad eam diei aliquot fuiiset ; nec tamen
ibi se vidisse tabulam pictam, neque signum
ah e neam, aat marmoream alium : nihilo magis
torcala vasa vindemiatoria, aut serias olearias, aut
trapetas. Anxius aspicit Merulam, et: Quid igitur,
inquit, est ista villa, si nec urbana habet orna
menta, neque rustica membra ? Cui ille : Non
minus villa tua erit ad angulum Velini, quam
neque pictor, neque tector vidit anquam, quam
in Rosea, quae est polita opere tectorio elegan
ter, qoam dominus habet comroanem cum asino.
Cum significaste! nuto, nihilo minus esse villam
eam, quae eitet simplex rustica, quam eam, in
qua esset ulrnmqae (et ea, et urbana), et rogaste!
qoid ex his rebas colligeret : Quid ? inquit, si
propter pastiones tuus fnndus in Rosea proban
das sit; et quod ibi pasritnr pecus ac stabulatur,
recte villa appellatur : haec quoque simili de
causa debet vocari villa, in qua propter pastiones
fructus capiuntur magni. Quid enim refert, utrum
propter oves, an propter aves fructus capias ?
anne dulcior est fructus apud te ex bubulo pe
core, unde apes nascantur, quam ex apibus, quae
ad villam in alveariii opus faciunt? et num plu
ris nunc tu e villa illic natos verres lanio vendis,
quam hic apros macellario Sejus? Qui minus ego,
inqait Axius, istas habere possum in Reatina
villa? nisi si apad Sejam Siculum fit me), Corsi
cam in Reatino : et hic aprum glans cum pascit
emticia, facit pingaem ; illic gratuita exilem. Ap
pius. Posse ad te fieri, inquit, Seianas pastiones
non negavit Merula : ego, non esse, ipse vidi.
Dao enim genera cam sint pastionum : unum
agreste, i n quo pecuariae sunt, alterum fidati-
com, in qao sant gallinae, ac columbae, et apei,
et caetera, quae in villa tolent pasci ; de quibas
et Poenas Mago, et Cassias Dionysias, et alii qoid
separalim ao dispersim in libris reliquerunt, quos
Sejus legisse videtur, et ideo ex his pastionibus
ex una villa majores fractus capere, quam alii
faciunt ex toto fando.
M. Tssemzio Va b e u > e
di Ostia da M. Seio. Che se gli edifizii, i qaali
non rinchiudono asini, com1 appunto quel tuo
che mi mostrasti, e per coi pagasti quattrocento-
mila (a3) sesteirzii, non sono case di villa, temo
che invece di comprare una tal casa, faccia acqui
sto nel lidp di Ostia di una semplice casa di Seio.
E per questo L. Merola mi fece nascere il desi
derio di possederla, dicendomi che nessuna casa
di campagna, in cui sia entrato (2^), lo dilett
maggiormente di questa, allorch stette parecchi
giorni presso Seio, quantunque ivi non abbia
trovato n quadri, n statue di bronzo o di mar
mo, o molto meno torchi, vasi per la vendemmia,
orci da olio, o macinatoi. Assio goarda Merula, e
gli dice : E qual sorta di edifzio codesta casa (25),
priva com di ornamenti di citt e degli attrezzi
rurali? Merula gli risponde: Forse che (a6) non
sar una casa campereccia quella che possiedi
all angolo di Velino, quantuuque non abbia mai
veduto pittore e imbiancatore, ugualmente di
quell altra che hai nella campagna di Rosea, le di
cui muraglie sono elegantemente intonacate, e di
cui ne hai comune la propriet coll asino ? Ed
avendo fatto segno Assio che taoto era una casa
da villa quella che era semplice, quanto quella
ohe era elegante (27), interrog Merula quale
conseguenza quindi fosse egli per trarne. Quale
conseguenza ? dice Merula : che se da commen
darsi la tenota che possiedi nella campagna di
Rosea pei pascoli, e se a buon diritto essa si chia
ma una casa di villa, perch ili pascola il bestiame
e gli si d la stalla; per una pari ragione si debbe
chiamare ugualmente casa di villa ogni edifiiio,
da cui si traggaqo frutti considerabili, merc i
pascoli. Che imporla di fatti che i fruiti si trag
gano dalle pecore, o dagli uccelli ? Forse che
trovi pi dolci i frutti che ritrai dai buoi, ani
mali che generano le api, che qoelli delle api,
quando li lavorino negli alveari presso la casa
rusticana ? Forse che quegli che condisce le carni
porcine, vende a pi caro prezzo i verri, appan-
to perch sono nati nella tua casa di villa, di
quello cho Seio venda i cinghiali a quelli che
vendono il companatico (28)? Ma chi mi vieta,
dice Assio, di avere queste api nella mia casa di
villa di Rieti? E sar vero che soltanto Seio fac
cia il miele Siciliano, e che nel territorio di Rieli
non se n abbia che di Corso (29)? Che presto
Seio i cinghiali diventino pingui, perch nodriti
di ghiande comprate, e che presso me si sma
griscano, perch nodriti di ghiande non com
prate? Appio gli risponde: Merula non nega
punto che anche presso te non si possano ingras
sare gli animali, egualmente che presso Seio (3o):
io posso per altro accertare di avere veduto al-
I trameni; Baffi due specie di nodrimeati (3i) ;
M. TERENTII VARRONIS
G2 8
CAPUT VII
D b b q u i s b t e q u a b u s .
Lucienns: Ego quoque adveniens aperiam
carceres, inquit, et equos emittere incipiam, nec
solum mares, quot admissarios habeo, at Alticns,
singulos in foeminas denas, e qoeis foerainas Q.
Modius Equiculus vir fortissimas etiam patre
militari juxta ac mares habere solebat. Horam
eqaoram et equaram greges qai habere volue
rint, ut babent aliqai in Peloponneso et in Ap-
pulia, primam spectare oportet aetatem, quam
praecipiant. Videndum ne sint minores trimae,
majores decem annorum. Aetas cognoscitur equo-
rum, et fere omnium qoi ungulas indivisas ha
bent, et etiam comatarum, quod equbs triginta
mensium primnm dentes medios dicitur amittere,
duo superiores, totidem inferiores ; incipientes
qaartum agere annom itidem ejiciunt, et totidem
proximos eorum, quos amiserunt, et incipiunt
nasci quos vocant columellares. Quinto anno in
cipienti item eodem modo amittere bioos, quos
caninos habent : tum renasoentes eis, sexto anno
impleri : septimo omnes habere solent renatos, et
completos. His majores qui sont, intelligi negant
posse ; praeterquam cum dentes sint facti broc
chi, et supercilia cana, et sub ea lacunae, ex
observatu dicunt eora equum habere annos sede
cim. Forma esse oportet magnitudine modica,
quod oec vastos, nec minutos decet esse; equas
clunibus ac ventribus latis, equos ad admissuram
quod velis habere, legere oportet amplo corpore,
formosos, nulla parte corporis inter se non con
gruenti. Qualis futuros sit equus, e pullo conje
ctari potest, si caput hahet non roagonm, nec
membris confusis: si est oculis nigris, naribus
noo angustis, auribus applicatis, non angusta
juba, crebra, fusca, subcrispa, subtenuibus setis,
implicata io dexteriorera partem cervicis, pectus
lattina et plenum, humeris latis, ventre modico,
Resta a parlare del numero : certamente che non
si formano troppe di asini,, perch molti ai de
stinano a girare la macina, o alP agricoltura,
quando occorra portare qualche cosa, ovvero
anche ad arare, ove la terra leggera, come nel
la Campania (6). Alcuni anche non li destinano
che a portare de' pesi. Sicch nou si fanrio t rop
pe di asioi se non se quasi dai soli mercadanli,
i quali, per mezzo di asini che portano sol dor
so (7), da Brindisi o dalla Puglia fanno traspor
tare sino al mare dell1olio o del vino, come an
che della biada o altre mercanzie.
----0-----
CAPITOLO VII
D b i c a v a l l i e d b l l b c a v a l l e .
Io pure, dice Lacieno, alla mia venuta aprir
la barriera, e principier a lasciare libero il corso
ai cavalli ; n soltanto ai maschi^ dei quali, ia
pari guisa di Attico, ne lengo uno per istalloot
per ogni dieci femmine, ma anche alle cavalle,
di cui il valoroso Q. Modius Equiculus era so
lito servirsene nelle armate (1), egualmente che
de'maschi. Quelli che vogliono formare delle
truppe di cavalli e di cavalle, come sono qaelle
di alcune persone nel Peloponneso e nella Puglia,
debbono prima esaminare P et ; e voolsi cbe si
procuri (a) che non abbiano meno di tre, n pi
di dieci anni. Si conosce P et de cavalli, come
anche quella di quasi tolte le bestie cbe non
hanno separate le tjngbie, o che hanno le cor
na (3), perch si dice che il cavallo di trenta
mesi perde prima i denti di mezzo, cio due in
alto e due abbasso. Quando entra nel quarto
anno, parimente ne perde altrettanti lateralmente
a quelli che ha gi perduti, e cominciano a na
scere quelli che si chiamano canini ; c nel princi
pio del quinto anno ne perde pure nella medesimi
maniera due. Que denti che allora rinascono
incavati (4), si riempiono nel sesto anno ; e nel
settimo suole il cavallo averli tulli rinati e
riempiti. Passato qaest anno, v' op io ione che
manchiuo i segni per conoscere l et, fuorch
qoando i denti diventano molto prominooli, le
sopracciglia bianche, gli occhi sprofondati nelle
occhiaie, perch allora si dice che il cavallo abbia
sedici anni (5). Bisogna cbe le cavalle nella forma
sieno di una corporatura moderata, perch non
hanno punto di grazia, quando sono troppo
grandi o troppo picciole (6), che abbiano U
groppa ed il ventre largo. I cavalli che si voglio
no adoperare por istalloni, bisogna sceglierli di
grsnde corporatura, di bella forma, e bene pr-
pecore mortai ero ni antere*, aot pavone*. Coi
alle:Quid enim interest, otram morlicinatedilit
voloorea, an pisoes, qaot nifi morloot etlit nun-
qaam ? Sed oro l e , inquit, indace me in ? i a i
disciplinae villaticae patliooit, ac vim formam-
que ejo* expone, Merula, non gravale.
669
CAPUT i n
Q u i i v i l l a a a c u i r v K k n a l i v k l
VAICI POSSIHT.
Primum, inquit, dominnm tdealem et*e
oportet earum rerum, quae io villa, circum?e eam
aU ac pasci possint, ita at domino tini frodai ao
delectationi. Ejui disciplinae genera tunt Ina,
ornilhonei, leporaria, pitcinae. None ornithon*
dico omnium alilom, qaae inira pariete* villae
tolent pasci. Leporaria te accipere volo, non ea
qaae tritavi nostri dicebant, ubi soliti lepore*
lint, ted omnia sepia, afficta villae qaae sant, et
habent incluta animalia, qaae pateautnr. Similiter
pcinai dico eas, quae iu aqua dolci aut salta in
banchetti dentro le porte di Roma. L. Alba-
zio (39), uomo, come sapete, dottissimo, e le coi
satire hanno del carattere Laciliano (4o), non
diceva forae che la eoa tenuta nel territorio
Albano era tempre superata dai nod ri menti de
gli animali nella easa di villa; poich quella
non gli frollava nemmeno diecimila sestertii%
qaando che questa gliene rendeva pi di ven
timila ? Diceva ancora, che *e avesse potuto fab
bricare la caa di villa presso il mare, ed in
luogo di suo piacere, si sarebbe procurata ana
rendita oltre centomila sestertii (4 0 - Dimmi :
non forse vero che M. Catone (4*) accett ai
gioroi nostri la tutela di Lucullo (43), e che dalla
vendita del pesce delle peschiere di questo abbia
tratto quarantamila sestertii (44)? Mio caro
Merala, dice Astio, pregoti di accogliermi quale
scolare, ed insegnarmi Parte di nodrire gli ani
mali nel ricinto della casa di villa. Merula gli
risponde : Aniich dar principio noo s tosto
che mi avrai promesso il mio Minerval, cio un
pranzo (45). Assio dice : Io acconsento a ci an
che in ^ i , anzi sovente li far mangiare degli
animali nodriti in quella gaisa che la m inse
gnerai (46). Appio ripiglia : Sono permaso che
non s tosto moriranno nelle troppe degli ani
mali co nodriti de pavoni o delle oche, che
me li farai mangiare. Assio gli risponde : Che im
porla che si mangino gli ncoelli od i pesci morii
naturalmente, perch non si mangiano se non
quando sono morti ? Ma pregoti, o Merula, gli
dioe, d iniziarmi nell' arte di nodrire gli animali
nell* interno della casa di villa, e di espormi
tutti gli oggetti, sai qaali si aggira, non che i
metodi di praticarla. Merula di bnon animo coti
principia (47).
G j o
c a p i t o l o i n
D i g l i A n i L i a i a s i f o s s o v o aooaiaa o b i l l ' i i -
TUBO DELLA GASA DI VILLA, O IVTOABO LA H l -
DBSiaA*
Bisogna prima che il proprietario sappia qaa
li beatie pa nodrire e far pascolare nell io terno
di ana casa di villa, o ne suoi coutorni, onde ae
tragga profitto e diletto. Quest arte abbraccia
tre oggetti : le ucoelliere, i leporarii, le peschie
re. S intende nel nostro secolo per nccelliera on
luogo dentro la casa di villa, ove suolsi nodriro
ogni specie di volatile. Per leporarii tu non devi
intendere quelli che cos chiamavano i nostri an
tichi, ne quali mettevano soltanto le lepri (1),
ma lalli i recinti che tono annessi (a) alla casa di
DE RE RUSTICA LIB. III.
datos habent pisces ad villam. Haram singule
genera minimum in binas species dividi possunt;
In prima parie al fini, quae terra modo sunt con
ico It, ut sunt pavones, tortores, turdi; altera
Species sunt, quae oon sunt conteoU terra solano,
sed etiam aquam requirunt, ut sunt anseres,
querquedulae, anales. Sic alterum genus illud
venaticam duas babet diversas species : unam, iu
qua est aper, caprea, lepus. Altera item extra
villam quae sunt, ut apes, cocleae, glires. Tertii
generis aquatilis item species duae, partim quod
babent pisces in aqua dulci, parlim quod in ma
rina. De bis sex partibus: ad ista tria genera ar
tificum paranda, aucupes, venatores, piscatores,
aut ab bis emenda, quae tuorum servorum dili
gentia taearis in foelura ad partus, et naia nutri-
cere sagiuesque, in macellam ut perveniant. Ne
que non eliam quaedam assumenda in villam tine
reiibus aucopii, venatoris, piscatoris, ut glires,
cocleae et gallioae.
/
67
Earum rerum eultara institata prima, ea
quae iu villa habentur ; non enim solum aogares
Romani ad auspicia primum pararont pullos, sed
eliam patres familiae rare. Secunda, quae macerie
ad villam venationis causa eluduntur, et propter
alvearia ; apes enim subter sobgruodas ab inilio
villatico usae tecto. Tertia piscinae dalces fieri
coeptae, et e fluminibus captos recepere ad se
pisces. Omnibas tribas bis generibus suat bini
gradus : superiores, quos frugalitas antiqua ; in
feriores, quos luxuria posterior adjecit. Primus
enim ille gradas antiquus majorum nostrum erat,
in quo essent aviaria, duo dantaxat: in plano
cohors, in qua pascebantur gallinae, et earum
fructos erant ova et pulli ; alter sublimis, in quo
erant columbae in turribus aut summa villa.
Gonlra, nunc aviaria saot nomine motato, quod
vocantor ornithones, qaae palatam soave domini
paravil, ot tecta majora habeant, qaam tam ha
bebant totas villas, io quibus stabalentur turdi
ac pavones. Sic in secunda parli c leporario pa
ter tuos, Axi, praeterquam lepusculum e venatio
ne vidit nunquam. Neque enim erat magnum i(l
sepium, quod nunc, ut habeant multos apros ao
villa, e che rinchiudono io t degli animali che
si nodriscono. Similmente per peschiere inten
do quelle vische d'acqua dolce, o salsa, che
ono vicine alla casa di villa, e che rinchiudono
in s dei pesci. Ognuno (3) di questi oggetti si
saddivide almeno in dae classi; cosicch nella
prima v' entrano gli animali, cui basta la terra,
come i pavoni, le tortore, i tordi ; e nella se
conda quelli che oltre la terra ricercano anche
1 acqua, come le oche, le sarchetole e le anitre.
Del pari laltro oggetto, che appartiene alla cac
cia, si divide altres in due classi ; la prima delle
quali comprende i cinghiali, le capre selvatiche,
le lepri; e P altra quegli animali che si allevano
parimente fuori della casa di villa, come le api,
le lumache, i ghiri. II terso oggetto, che abbrac
cia gli acquatili, si divide egualmente in due
classi, perch parte dei pesci si nodriscono nel-
l ' acqua dolce, e parte nella salsa. da trattarsi
adunque di queste sei parti. Per ognuno dei tre
oggetti bisogna apprestare parimente tre specie
di artefici, cio uccellatori, cacciatori, pescatori,
ovvero da questi bisogna comperare quanto hi
d1uopo, affinch colla diligensa de1tuoi schiavi
tu possa provvedere a quelli animali dal oonee-
pimento fino al perto, nodrire ed ingranare i
loro figli fino che sieno in istato di essere por
tati sul mercato. Bisogna ancora allevare nel re
cinto della casa villereccia alcuni animali, come i
ghiri, le lumache e le galline, quali non si pren
dono colle reti dell1uccellatore, del cacciatore e
del pescatore.
Intorno a quest oggetto, gli uomini si sono
primieramente occupati (4) di qaegli animali che
i hanno nelP interno della casa villereccia ; im
perocch gli auguri Romani non sono stali sol
tanto i primi che sicnsi serviti di polli negli an-
spixii, perch anche i capi di casa ne ebbero nelle
loro campagne. Dopo si volsero ai recinti chiusi
di muri in vicinanza alla casa rusticana a motivo
della caccia ; e gli alveari (5) si eccettuarono;
perch le api in principio erano assuefatte a slare
sotto il tetto dei portici della casa campestre (6).
In lerxo luogo n occuparono in fare delle pe
schiere di acqua dolce, nelle quali si gittarono i
pesci presi nei finmi. In tutti quesli tre oggetti si
considerano due stati : lo stalo de nostri anti
chi, che si limitava alla frugalit ; e quello, coi
il lusso ,de posteri diede s grandi aumenti. Di
fiatli nel primo ed antico stato del primo ogget
to, i nostri antichi non destinarono che due luo
ghi pei volatili ; un luogo basso pel cortile, nel
quale nodrivano le galline, ed i frutti di queste
erano le uova ed i pulcini, ed un luogo elevalo,
come le torri o il tetto dell edifizio, ove mette-
vanii le colombe. Per contrario oggid si can-
6 7 M. TERENTII VARRONIS
capreas, complora jogera maceriis concludant.
Noo tam, inquit mihi, cam emisti fandam Tusca-
lanam a M. Pisone, io leporario apri fuerunt
ni t i ? In tertia parti qais habebat piscinam, nisi
dulcem, et io ea dantaxat squalos ac mugiles
pisces ? Quia contri none Rhinton oon dicit sna
nihil interesse, atram iis piscibus stagnam habeat
plenam, an ranis ? Non Philippus cum ad Immi-
diam hospitem Casini divertisset, et ei e tuo flu
mine lupom piscem formosam apposaisset, atque
ille goslasset, et expoisset, dixit: Peream, oi
piscem potavi esse? Sic nostra aetas, inquam,
luxuria propagavit leporaria, ac piscinas protulit
ad mare, et in eas pelagios greges piscium revo
cati!. Non propter hos appellati Sergios Orata, et
Licinias Marena ? Qais enim propter nobilitatem
ignorat piscinas Philippi, Hortensii, Localiorum ?
Qaare onde Telis me incipere, Axi, dic.
6^3
CAPUT IV
Di a v i b u s h i o b m r x .
lUe : Ego Tero, inquit, ( ot ajont ) post prin
cipia in castris, id eat, ab bis potius temporibos,
qoam superiori bos : qood ex pavooibos fructui
capiootor majores, quam e gallum. Atque adeo
non disaimoUbo, qaod volo, de ornilhooe pri-
id i ib , qaod lacri fecerunt boo nomea turdi, se-
xagiota enim millia Fircellioa ex cande me fece
rant eopidilate. Merula : Duo suot, ioqoit, orni
thonis geaera ; ooum delectationis causa, ot Var
ro hic fecit noster sub Casioo, qood amatore
ioveoit m altos ; alteram fractas causa, qao ge
nere macellarii, et io orbe quidam habent loce
giato nome al loogo destinato agli occelli, per
ch si chiama ornithon ; e questo appresta cibi
pi delicati al palato dei proprietario (7) ; ed
ora i tordi ed i pavoni albergauo in edifizii pi
grandi di quelli che ooa T ol ta occapavaoo le io-
tere case di villa. Parimeote riguardo al secoudo
oggetto, cio al leporario, il padre tuo, o Assio,
non vide certamente io questo altri aoimali da
caccia, fuorch i leprettini. Effettivamente allora
il parco non era tanto grande, quanto oggid, per
ch ora si cingono di mori molte jugera di ter-
reoo, affinch possano contenere molti cinghiali
e molte capre sabatiche. Forse che, mi dice, al*
lora quando to comprasti da M. Pisone (8) la te
nuta di Frascati, non vi erano nel parco molti
cinghiali ? Quanto al terso oggetto, noo forse
certo che a l l o r a 000 v' erano che peschiere di a-
eqoe dolce, e che queste noo albergavaoo altri
pesci, fuorch gli squali (9) ed i muggini Hav-
t per eoo Irario oggid un solo Ehinton (10), il
quale non dica ad a l t a voce che voole ed uoa pe
schiera pieoa di quei pesci, ed aoa piena di rane f
Filippo esseodo aodalo ad alloggiare a Cassino
presso Ummidio (11), ed avendogli questi appre
stato oo bellissimo pesce lapo (12) che aveva pe
scato nel tao ( t 3) fiume, dopo che l ' ebbe assa
porato e sputato, noo disse : Muoia, se oon l'ho
preso per oo pesce ? 11 lasso del nostro secolo
altres (i4) ha esteso i parchi, ed ha proluogato
sino 1 aure le peschiere, ed io queste si s o d o
trasportate molte troppe di pesci marioi. A que
sti pesci forse noo debbono il loro nome Sergio
Orata ( i 5) e Licinio Moreoa? E chi non conosce
per la loro celebrit le peschiere di Filippo, di
Ortensio (16), e dei Lucolli ? Merula (17)*
mi, o Assio, da quale parte t o o ta che io prin
cipii ?

CAPITOLO IV
Digli uccklli ih gbhekali.
Qaanto a me, dioe Assio, amo meglio, come
si dice, restare dopo le principia (1), vale a dire,
Tederli cominciare piuttosto dai preienti tempi,
che dai passati, perch i pavoni frullano pi del
le galline. Non ti dissimuler per altro che vo
glio che locomioci dalle uccelliere, perch i lor
di guadagoarono questo nome ; e il frullo dises-
santemila sestertii, che Fircellina (2) ritrasse da
qoesli, mi fa ardere di voglia di possederne. Me-
rela dice : Hannovi due specie di uccelliere ; una
che da piacere, oom1 quella che il nostro
Varrone qui presente ha fabbricata sotto Cas-
6 7 /, DE RE RUSTICA LIB. III.
6?5 M. TERENTII VARRONIS G;6
clausa, ct rare maxime condocta in Sabinis, qaod
ibi propter agri nataram frequentes appareo!
tordi. Ex bis tertii generis volait esse Lacullas
e o o j o D C t o m aviariam, qood fecit io Tuscolano,
nt in eodem tecto ornithonis inclusum triclinium
haberet, obi delicate coeoi tare t, et alios videret
io maxonomo positos coctos, alios volitare cir-
com fenestras captos. Quod inutile invenerant.
Nam non tantam in eo oculos delectaat intra fe
nestras aves volitantes, quantam offendit, qaod
alienas odor opplet na rea.
c a p u t v
D b t u b d i s .
Sed qood te malle arbitror, Axi, dicam de
boo ornithone, qood fractos caasa faciant, aode,
non obi, samaotnr pingues tardi. Igitar testudo
( a t peristylam teclom tegulis, aat rete) fit ma
gna, io qoa millia aliqoot turdorom ac merola-
ram incladere possiot. Qaidam com eo adjicioot
praeterea aves alias quoque, qoae pingoes veneant
care, nt miliariae ao coturnices. Io boc tectam
aqaam venire oportet per fistalam, et eam potias
per canales angastas serpere, qaae facile exter
geri possint ; si enim late ibi diffusa aqaa, et
inquinator facilias, et bibitor inotilius ; et ex eis
caduca ( qaae abundat, ) per fistulam exire, ne
lato aves laborent. Ostium habere bamile et
angustam, et potissimum ejus generis, quod
cocbleam appellant, ot slet ease in cavea, in qoa
taori pugnare soleo t. Fenestras raras, per qaas
poo videantar extrinsecus arbores, aat aves;
qood earum aspcctus ao desiderium macrescere
facit volocres inclusas. Tantam luminis habere
oportet, ot aves videre possiot abi assidant, obi
cibas, obi aqua sit. Tectorio tacta esse levi cir
cum ostia ac fenestras,ne aqua intrare, mos,
alia ve quae bestia possit. Circam bojas aedificii
parietes intrinsecos mullos esse palos, obi aves
assidere possint; praeterea e pertieis inclinatis
ex homo ad parietem, et in eis transversis grada-
tim modicis intervallis perticis annexis, (ad) spe
ciem cancellorum scenicorom ac theatri; deor
sam io terram esse aquam, qaam bibere possint ;
siuo (3) ; e di questa molti oe tono amanti : V al
tra da fratto : questa prescelta dai venditori
di commestibili : anzi alcuni hanno a quest* og
getto de luoghi chiusi in citt, e alla campagna
soprattutto nel territorio Sabino, ove le affit
tano, perch ivi sono frequenti i tordi, a motivo
della qualit del terreno (4). Lucullo dall'unione
di queste due specie, ha dato origine ad nn' altra
uccelliera, come ha fatto nel territorio di Fra
scati, ove nell' interno dell' uccelliera (5) e sotto
il medesimo tetto ha fabbricato un tinello (6),
affinch potesse mangiare morbidamente, e ve
dere dei tordi cotti disposti sul piatto, nel men
tre che altri imprigionali volavaoo d' intorno le
fenestre. Ma questo trovato non si accolto ;
perch Io spettacolo cbe offrono qaesti accetti
che volano tra le fenestre, non ricrea tanto la vi-
sta (;), quanto sono ammorbste la narici riem
piute di un odore s stravagante.
c a p i t o l o v
Dai t o b d i .
Ma come parrai che la voglia, o Assio, dir
primieramente di qoell' uccelliera che si fa per
trarne frutto, e da cui si traggono I tordi ingras
sati ; non gi di quella in cui si msogiaoo (i).
Si fa duoque una copola ( ovvero un peristi
lio (a) coperto di tegole, o di una rete) grande,
nella quale si possano rinserrare alcnne migliaia
di tordi e di merli. Quelli che vogliono, vi ag
giungono inoltre (3) degli altri occelli, i qoali,
qoaodo sono ingrassati, si vendono a caro pres
to, come gli ortolani (4), e le qoa gli e. Si fa ve
nire 1' acqua in qnesta sala a volta per mesto di
un canale, e si fa passar in piccioli canali (5) ser
peggianti, perch in tal modo possono facilmente
nettarsi ; laddove se I' acqua si spargesse in lar
go, di leggeri si sporcherebbe, e noo sarebbe
buona abeverai. Bisogna che 1' acqua caduta (6)
esca fuori per metto di un canale, affinch gli
uccelli non patiscano pel fango. Bisogoa che la
porla sia bassa e stretta, e sulla forma di quelle
cbe si chiamano cochleae (7) negli anfiteatri de-
atinati ai combattimenti dei tori. Le fenestre
haono da essere poche, e disposte in guisa, ohe
non si veggano n alberi, n uccelli al di fuori,
perch la veduta di questi e di quelli farebbe
smagrire di desiderio gli occelli rinserrati. Ha
da esservi tanta luce, quanta fa mestieri agli uc
celli per vedere ove possano reggersi in piedi,
ove siavi il cibo e 1' acqua. S ' intonacher 000
diligenza con un intonaco reso liscio I' esterno
<>77
DE RE RUSTICA LIB. III.
cibato! offu poti Ut; ete maxime glomerantor
ex ficii et farre mix lo. Dieboi vigiliti antequam
quis tollere Tult tardo, largius dat cibum, qaod
pio ponit, et farre sobliliore incipit alere. In
hoc tecto caveaque labalata habeaot aliqaot ad
perticae sapplementom. Contra hoc aviariam est
aliad minat So qao qoae mortuae ibi sant ave,
Qt domino oameram reddat, curator servare
solet. Ctim opos sunt, ex hoc aviario ut soman-
tor idoneae, excladantur ia minascalam avia
riam, qaod st conjunctam cam majore ottio,
lamine illustriore, qaod secla sori aro appellant.
Ibi com eam nomerum habet exclasom, qaem
amere vult, omnet occidit. Hoc ideo in teclaso
dam,ne reliqai, si videant, despondeant animam,
atqae alieno tempore venditoris moriantar. (Non
Qt advenae yolocres pollot faciant, in agro cico
niae, in tecto hirundines, sic aat hio aat illio
tordi, qai cam sant nomine roares, re vera foe-
minae quoque suot: neqae id non secatam a t
esset in merulis, qaae nomine foeminino mare
quoque sin t. Praeterea volocrescom partim adve
nae sint, ut hirondioes et groes ; partim verna-
colae, at gallinae ac colombae : de ilio geoere
sant tardi adventicio, ae qaotannis in Italiam
trans mare advolant circiter aeqainoctiam autu
mnale, et eodem revolant ad aeqalnoctiom ver
nam . Et alio tempore tortore ac coturnice!
immani namero ; hoc ita fieri apparet in insulis
propinquis Pontii, Palmariae, Pandatariae. Ibi
enim in prima volatura com veniunt, morantor
dies paucos requiescendi causa. Idemqae faciant
cam ex Italia trans mare remeant). Appias Axio:
Si qoinqae millia hac conjecerit, inquit, et erit
epulum ao triumphas, texaginta millia qaae vU,
statim in foenat des licebit.
giro delle porte e delle finestre, acciocch per
ivi (8) non posta avere ingresso n sorcio, n
alcuna altra bestia. Si ficcheranno molli pali den
tro ed intorno le pareti interne di questo edifi-
zio, sopra i quali possaoo poggiarsi gli uccelli:
inoltre si pianteranno in terra delle pertiche, ma
obbliquamente (9), cosicch la loro estremit su
periore tocchi la parete: sopra queste se ne at
taccheranno delle altre trasversalmente, che sa
ranno tra di loro parallele e poco dittanti, co
ree sono a un dipresso i cancelli (10) dei teatri.
Quaoto al cibo dei tordi (11), loro si daraono del
le masse formate specialmente di fichi misti alla
farina : inoltre si daranno ad essi di quei grani
che sogliono mangiare, particolarmente quelli
che mangiano con avidit. Venti giorni avanti di
levarli dall aceelliera, ti dar ad essi maggiore
copia di cibo, si comincer a nodrirl con fa
rina pi sottile (ia). In questo edifizioedin que
sta gran gabbia sianvi, oltre le pertiche, alcuni
tavoUti fi 3). Accanto a questo si fabbrica un'no-
celliera pi piccola ( i r n e l l a quale il custode
degli uccelli suole nerbare quelli che sono morti,
onde rendere al proprietario an conto esatto dei
medesimi. Quando occorre levarne dall uccel
ler, si traggooo fuori i boooi ( i 5), e ti mettono
nella picciola che vi attaccata, che ha ana por
ta (16) pi grande della prima, e che nello stesso
tempo anche pi lucida : questa picciola si chia
ma seclusorium (17). Quando ivi si sono fatti
passare quegli uccelli rho ai sono voluti estrar
re dall* uccelliera, tutti si aramaxzano, ma di
nascosto ; perch se gli altri vedessero questo
occisioni, fi dispererebbero, e morrebbero ; il
che non piacerebbe al venditore. Sonovi degli
Uccelli di passaggio, che partoriscono dei fi
gli (18), come le cicogne nelle campagne, e lo
rondinelle sotto il tetto ; ma non lo ttesto
dei tordi, i quali oon generano qui n in nn
loogo, n In on altro: e quantunque i tordi si
chiamioo turdi con nome mascolino, non per
questo da dirsi che non vi sieno anche delle fem
mine, come non da dirsi che non vi abbiano
dei merli maschi, quantunque portino on nome
femminino, cio merulae. Inoltre gli uccelli
sooo parte forestieri, come le rondinelle e lo
gru; e parte nativi, come le gallioe e le colom
be : della prima specie (19) sono i tordi, i quali
tutti gli anni volano in Italia da oltramare verso
I equinozio autunnale, e ritornano d onde tono
partiti verso quello di primavera (ao). lo un al
tro tempo comparisce iu Italia un numero ster
minato di tortorelle e di quaglie, il cui passaggio
osserva nelle vicioe isole di Ponza, di Pai ma-
rola e di s. Maria (ai), ove soggiornano pochi
giorni, a oggetto di riposarti, allora quando vea-
6 79 M. TERENTII VARRONIS
Tam mihi: Ta dic illad alleram genus orni
thonis, qui animi cama constitutus a te sub Casi
no fertur, in quo diceris longe vicisse non modo
rchetypon inventoris nostris pviborfopitiv M.
Laenii Strabonis, qui Brondusii hospes noster
primus in peristylo habuit exedra conclasas aves,
quas pasceret objecto rete, sed eliam in Tuscu
lano magno aedificio Luculli. Cui ego: Com ba-
beam sob oppido Casino flumen, quod per villam
fluat liquidum et altum, marginibus lapideis,
latum pedes l v i i , et e villa in villam poutibus
transealur, longum p. d c c c c l , directura ab insula
(ad Museum), quae est ab imo fluvio, ubi confluit
altera amnis ad summum flamen, ubi estMuseum.
Circum hujns ripas ambulatio sub dio, pedes
lata denos. Ab hac ambulatione in agraro versus,
ornithonis locas ex duabns partibus dextra et
sinistra maceriis altis conclusus. Inter quas locus,
qui est ornithonis, patet in latitudinem p. x l v i i i ,
deformatus ad tabulae lilerariae speciem cum ca
pitulo. Forma, qua est quadrata, patet in longi
tudinem p . l x x i i ; qua ad capitulum rotundus
est, p . xx?ii. Ad haec, ita at in margine quasi
infimo tabulae descripta sit ambulatio, ab orni
thone plumula, in qua media suot caveae, qua
introrsus iter in aream est. In limine, in lateribus
dextra et sinistra porticus sunt primoribus colu
mnis lapideis, intermediis arbusculis humilibus
ordinatae, cum a summa maceriae ad efflstylium
tecta porticas sit rete cannabina, et ab epistylio
ad slylobaten j hae sunt avibus omne genus op-
pletae,qnibus cibus ministrator per retem, et aqua
rivulo tenui affluit. Secundam stylobatis interio
rem partem, dextra et sinistra, ad summam aream
qnadratam, e medio diversae daae non latae, sed
oblongae sunt piscinae ad porticos versas. Inter
eas pisoinas tantummodo accessus semita in tho
lum, qui est altra rotundas oolumnatus, ut est in
aede Catuli, si pro parietibus feceris columnas.
Extra eas colamnas est silva mana sata, grandibus
arboribus tecta, nt infima perluceat, tota septa
maceriis altis. Intra tholi colamnas exteriores
lapideas, et totidem interiores ex abiete tenues,
locus est p . v latus. Inter columnas exteriores pro
pariete reticuli e nervis sunt, ut perspici in silva
possit, et quae ibi s u nt , neque avis eas transire.
Intra interiores columnas pro pariete rete avia
rium est objectum. Inter has et exteriores gra
datimi substructum, ul iar?/cf<or avium ; mu-
gotto ia Italia; ed ove dei piri soggiornano,
quando abbandonano V Italia per ripassare il
mare. Appio dice ad Asaio : Se porrai cinquemila
occelli in an' uccelliera, e che siavi qualche pub
blico banchetto od n trionfo, potrai tosto dare
ad interesse quei sesuntamila sestertii che tu so
spiri (aa).
Indi volgendosi a me : Descrivimi qneiraltra
specie di occelliera che, per quanto si dice, hai
formata per piacere presso Cassino, e nella costru
zione della quale si pretende che tu abbia dilunga
mano superato non solo il too modello, cio
M. Lenio Strabone (a3), inventore di qaeste uo-
celliere, e che fu il primo a Brindisi ( ove mi ac
colse qual ospite) a rinserrare edanodrirein un
gabinetto fatto a peristilio e coperto di reti degE
uccelli ; ma ancora q n e l l a che si ammira D e l l 'am
plissimo edifizio di Lucullo posto nel territorio
di Frascati. Tu sai, gli dissi, che ho presso la
citt di Cassino u n finme che passa per la mia
casa di villa, e ch ha un acqua chiara e profon
da : le ripe sono di pietra (24) ; largo cioqaa-
taselte piedi, e si passa dalla c a s a di villa al-
l ' isola per mezzo di ponti (a5) : fungo nove-
centocinquanta piedi, e si dirige dal!' isola verso
10 studio : qaesta situata nella parte pi bassa
del fiume, ove se ne unisce un altro. Nella parte
superiore del fiume e lateralmente alle ripe, hav-
vi un passeggio scoperto, .largo dieci piedi (26).
Tra questo passeggio e la campagna situata U
mia uccelliera, rinchiusa a destra ed a sinistra da
alte mura, le quali lasciano tramezzo un luogo
per T uccelliera, eh' ( che rappresenta a nn di
presso una tavoletta da scrivere fornita di una
lesta rotooda (37) ) di forma quadrato, largo qua
rantotto piedi, lungo settanladue, e che nella
parte rotooda ha ventisette piedi di pi. Inoltre
11 passeggio delineato in maniera di formare
come il margine inferiore della tavola, ed dis
giunto dIP uccelliera : nel mezzo del passeggio
havvi un ingresso cbe conduce nell'area dell1uc-
celliera (28). La principale facciata ha lateral
mente a destra ed a sinistra un portico regolare,
le cui colonue anteriori di pietra (29) hanno tra
mezzo dei piccioli alberi e poco alti. La sommit
dei mnri laterali a destra dell architrave interno
del portico, coperto da una rete formata di filo
di canape: ed unaltra simile rete pende dall ar
chitrave sino al piedestallo continuo (3o). Queste
sono le gabbie piene di ogoi specie di uccelli (31),
ai quali si d il cibo attraverso la rete, e la be
vanda loro somministrata per mezzo di on ru
scelletto. A qualche distanza (3a) dalla faccia in
terna del piedestallo continuo ( tanto da quella
che dall ingresso principale sino al muro a de
stra, quanto da quella che da questo medesimo
66
tali crtri oraoibut colUiafill Capotili, tedili
aviam. Ialra retem avei toni osine genos, max
fbe cantrices, ot lusciniolae ao merolee, quibui
sqaa ministrator per cafia)tculm, cibai objicitor
tab reter. Sabter columnarum stylobatem est
lapis a falere pedem et dodrantem alta ipsnm
flere ad dao pedes altom a stagno, latam ad
quinqoe, ot ia eafeitas et colamellas ooavivae
pedibos circumire possint. Infimo intra falere
est stagnm com margine pedali, et imnla in
medio parra. Circum falere et navalia sant exca
vata anatiom stabola. In insnl* est colameli#, in
qua intos axis, qai pr mensa sastinet rotam
radiatam, ita a t ad extremam, obi orbile solet
esse aeatnm, tabula cavata sit, ot tympanum in
latitudinem dao pedes et semipedem, in aitila-
dioem palmam. Haeo ab ano paero, qai ministrat,
ita vertitor,at omnia ana ponantar et ad biben
dam et ad edendam, et admoveantar ad omnes
convivas. Ex soggetto faleris, nbi solent esse
frifim+rarfActra, prodeant anates in stagnam,
ao nant, e qao rivas pervenit in dnas, qaas dixi,
piscinas, ac piscienti nitro ac citro commeant:
cam, et aqaa ealida et frigida ex orbi ligneo men
sa qo e, qaam dixi in primis radiis esse, epitoniis
versis ad unumquemque, factam sit, nt fluat in
convivam. Intrinseco* sab tholo steli* luciter in
terdi u, noeta hesperas,ita circameant ad infimam
hemisphaerium, ac moventor, at indicent qnot
sint horae. In eodeip bemisphserio medio circam
cardinem est orbis ventornm octo, ut Athenis in
horologio, qaod fecit Cyrrhestes ; ibiqae eminens
radias a cardine ad orbera ita movetur, at eam
tsogat ventam, qui flet, ot intes teire possis. Cam
haec loqueremur clamor fit in campo. Nos athle
tae comitiorum ana, cum id fieri non miraremur
propter studia suffragatorem , et tamen scire
vellemus, quid esiet, venit ad nos Paotalaeius
Parra. Narrai ad tabulam, cum diriberent, quen-
daoa deprehensum tesserolas conjicientem io lo
culum, eum ad consulem tractum a fautoribus
competitorum. Pavo surgit, qaod ejus candidati
costos dicebatur deprehensos.
63 r
---- <0----
M. Te ek r zio Va h o u *
ingresso tino al mur a sinistra), cominciano due
peschiere poco larghe, ma allungale, e situate io
direzione contraria a quella del portico : queste
si estendono sin pretto V estremit della parte
quadrangolare del piano. Tra queste due pe
schiere havvi un sentiere tanto largo, quanto
basta per poter passare oltre il piano quadran
golare, e portarsi nell* edifizio rotondo fatto a
colonne, e simile a quello di Catulo (33), se in
luogo di colonne si mettessero de'muri. Oltre
queste colonne, vi ha un bosco piantato colle
mani, coperto da altissimi alberi ; ma io guisa
che sia chiara tutta la parte inferiore: questo
bosco qoati tatto (3^) circondato da rpuri alti.
Tra la fila delle colonne esterne di pietra, e quella
di un pari numero di colonne interne, che sono
di tapino e svelte, havvi ano spazio largo sei pie
di. Tra le colonne, esterne vi in luogo di on
muro una rete fatta di crde di budella, accioc
ch fino da U possano gli uccelli (35) vedere il
bosco e quanto havvi nel medesimo, senza per
che possano passare nello stesso. Tra le colonne
interne, invece di moro, vi una rete cornane (36).
Tra le colonne interne ed esterne V innalza gra
datamente una fabbrica, qual piccolo teatro per
gli uccelli (37) : i pali sono frequenti, posti tra
tutti gl' intercolonni, e sono come i sedili degli
uccelli. Entro qoesl'qltima rete havvi ogni specie
di uccelli, e particolarmente quelli che cantano,
come gli usignoli ed i merli, ai quali si sommi
nistra l ' acqua per mezzo di un canaletto; ed il
cibo attraverso la rete. Ai piedi del piedistallo
continuo (38) vi una lapis (39), elevata sopra
il falere (fo) on piede e nove pollici ; e quello
stesso falere alto due piedi sopra la superficie
dello stagno (4 0 e largo cinque (42), affinch i
convitali possano camminare (43) a loro bell'agio
tra le colonne ed i letti. Abbasso del flere evvi
ono slagno circondato da un viottolo (44) largo
on piede ; e nel mezzo dello stagno bavvi una
picciola isola. Nella circonferenza del falere ao-
novi scavati, a guisa di porti, delle tane per le
anitre (45). Nel mezzo dell' isola t ' innalza ana
coloona, nella quale vi assodato on asse, il qna-
le, invece di ana tavola, porta una ruota a raggi >
ma questi raggi, invece di portare nejla loro cir
conferenza un circolo (4 6 ), sostengono una tavola
scavata oomc un tmpano (4 7 ), larga doe piedi e
mezzo, ed alla un palmo. Questa, dallo schiavo
che serve a-tavola, in tal modo si fa girare, che
in un momento si appresta quanto ipetta alla
bevanda ed al cibo, anzi ai mettono.anche presse
tali1i convitati. Dall' interno del falere (48), nel
quale si distribuiscono i letti (49) escono le anitre
nello stagno per nuotare : questo comunica per
mezzo di un ruscelletto colle due raentorate pe-
21
G&a DE RE RUSTICA LlB. i n .
633
i. TERtNTII VARtlONlS C8 4
CAP UT VI
Db PAVOMBUS.
Axius : De pavone, inqoit, libera fieel dfcas,
quoniam discessit FircelBas, qui secai ti quid
diceret de iii, gentilitatis elusa, fortasse t n tecum
daoeretsernm. Cui Heruli : De pavoibns nstri
memoria, inqoit, greges haberi coepti, et venire
magno. Ex iit M. Aufidlos LnrCo sopri tfexagena
millia nomam in inno didtur capere, li aliqaanto
panoiores se debent mares, qaam foemioae, si
ad fractam spectes ; s i d delectationem, contra :
formosior enim mas. Pafronum greges agrestes
transmarini esse dicantor in insulis, Sami in loco
Junonis, ilem in Plaasia insala M. Pisonis. t i ad
greges constituendos parantur bona aetate, et
bona forma ; baie enrm natura format e volucri
bus dedit palmam. Ad adnrisiaram hae minores
bimae non idoneae, nec jam majores nato. Pa-
Jcuotur omne genus objecto frumento, maxime
erdeo ; itaque Sejus iis dat io menses singulos
ordei singulos modios, ita nt io foeiura det ube
rius, ct ante quam salire incipiant. Is a procura*
schiere, ed i pesdolini vanno e vengono da que
ste a quello. DaHa tavola posta, come si detto,
alT estremit dei raggi della mota (5o) di legno,
esce i piacere dei convititi V aoqaa caldi o fred
da, secondo cbe si gira il turacciolo (5i). Inter
namente sotto la capoti, al vede di giorno l i
stella lucifer (5a), e di notte P hetperus; e que
ste stelle girano nel bisso dell emisfero (53) ; e
movendosi indicano le ore. Nel messo di mede
simo emisfro, ed all Intorno del centro, ri sono
dipinti, come fece io Atene ndP orologio P arte
fice di Cirro (54), in circolo gli otto venti (55) :
P indice prominente ; e movendosi alT intorno
del centr, indici netti dreonfrensi il vento cbe
soffia); e si si quii Tento domini, l nti osdre il-
P aria aperta. Nel mentre cbe da nei cosi paria-
vasi, si sente ddlo strepito nd campo di Marte.
Non fummo sorpresi per questo sUtpilo,che al-
triboimteo i l partito dd votanti, i quali fecero lo
nesso pure tolte le volte cbe noi concorremmo
nei cornisi] ; e nd mentre cbe volevamo sapere
chi fosse P eletto, viene a noi Piotatelo Parra (56),
e d dice che, nelP atto die si separa vino i voli,
fu trovato ooo che gettava dd bollettini in eoa
borsa (5^), e che perci i patrocinatori degli altri
candidati lo avevano tradotto evinti il console.
Pavone sorge, perche dicensi cbe era stato sor
preso il custode del candidilo eh' egli proteg
gevi.
c a p i t o l o v i
Dbi pa v o f i.
Astio dice : O n tu puoi liberamente parlare
del pavone, poich partito FI redi io, il qaafcse
fosse stato presente, e che tu avessi parlato con
qualch libert, forse sarebbe insorta qualche
alterazione tra P affinit che passa tra esso e que
sti animali (). Morula ripigli danqne cos : Ai
nostri tempi si cominci*to ad aver cori dd pa-
voui e a venderli a caro presso. Si dice che M.
Aufidio Lurco traeva dui pavoni ona rendita an
nuale almeno di sessantamila sesterni (a). Bisogoa
che i maschi sieno un poco meno di uumero delle
femmine (3), se non si ha in vista cbe il profitto ;
ma se poi si cerca il diletto, si faccia il oonlrario,
perch i maschi sono pi belli delle femmine. Si
dice che oltremare si trovano in alcune isole
delle gregge selvagge di pavoni (4), come per
esempio, nel bosco dedicato a Giunone in Samo (5)
e nelP isola Planasia (6) che appartiene a M. Piso
ne. Quando si vogliono formare ddle gregge, si
scelgono di buona et e di bdla forma ; tanto pi
605 DE RE RUSTICA MB. ni .
tore ternos pallos exigit, eosquC cara creverant,
quinquagenis denariis vendit, ut nulla ovis hunc
assequstur fractam. Praetera ova emir, ac sup
ponit gallinis, ex qaibas ( ex iis ) excusos pallai
refert in testadinem eam, in qaa pavopes habet ;
qaod tectam pro multitadine pavonum Beri de
bet, et habert cubilia discreta, teotorio levata,
qao aeqae serpens, neqae bestia accedere alla
possi L Praeterea habere locam ante se, qao pa
stam exeant diebus apricis. Utrumqoe locam
par am esse volunt hae volucres ; itaqae pastorem
earam cam batillo ci r cara ire oportet, ao stercas
tollere, ae conservare ; quod t t ad agricujtiirsm
idoneam est, et ad sobstramen palloram. Primus
Hos Q. Hortensias augurali adjictali coena porais
se dicitar; qaod potius factam tam luxuriosi,
qaam severi boni viri laudabant ; quem cito se
cati malti extulerant eoram pretia, ita ut ova
eoram denariis veneant quinis, ipsi facile quin-
quagenis, grex centenarias facile quadragena
millia sestertia a t reddat, at <(uidem Albutias
ajebat, si in singulos ternos exigeret pullos, per
fici sexagena posse.
CAPUT vn
Db o o l u v b i s .
Interea venit apparitor Appii a oon sale, et
aegares ait ettari. Ule Coni exit e villa. At in fiU
laaa intro involant oolnmhoe ; de qai bos Merala
Axio : Si unquam oonstituisses,
has toas ette putares, quamvis ferae essent. Dao
enim geoera earum in p esse sebat:
u a e a affaste, ul alii dicunt, saxatile^quod habe-
che la nafara ha dato a quest1noeello 1 palma
sopra gli altri in proposito di bellezza. Non
bene che le femmine sieno montate prima dei fra
anni (7), come nemmeno qoando sono vecchie. Si
nodriscono, dando ad essi ogni speoie di grano,
ma soprattutto dell'orzo; e perci Lareo sommi
nistra ogoi mese a sei pavoni (8) an modius di
orzo ; e ne accresce la quantit quando le*fem-
mine sono per partorire, come anche avanti che
i maschi le montino. Egli ripete dpi sovranten
dente tre pavoncini per ogni pavonessa (9) ; e
qoando sono cresciuti, li vende cinquanta denarii
T ano ; di maniera che non vi alcuna pecora
che dia tanto gaadagno. Egli compera inoltre
delle uova di pavonessa, e le mette a oovare sotto
le galline, e tosto che queste hanno (atto nasoere
i pavoncini (10), li porta in quella stanza a volta,
ove trovami gli altri pavooi. Questa stanza debbe
farsi grande, in proporzione del numero de pa
voni ; ed i letti dei medesimi debbono essere tra
di loro separati, ed alti da terra (11), acciocch
non entri negli stessi n il serpente, n alcana
altra bestia. Bisogna inoltre che avanti questa
stanza (ia) si trovi an luogo, ove possano andare
al pascolo ne* giorni sereni. Questi volatili amano
che questo laogo e la stanza sia netta ; e perci
a mestieri che il custode dei medesimi visiti so
vente e questo e quella per raccogliere col badile
lo stereo, e per conservarlo, perch giova molto
per P agricoltura, e perch pu servire di letto
a pavoncini. Si dice che Q. Ortensio augure ( i 3)
sia stato il primo a servirsene in uno splendido
pranzo; ma questa azione Cu piuttosto approvata
dai lussuriosi (i4K che dagli aomini onesti e seve
ri. 11 ano esempio Cd seguito da molti ; e quindi
n' venuto che il prezzo di questi cresciuto tal
mente, che le loro nova si vendono cinque dena
rii V uno, che ogni pavone si vende senza pena
ciuquanta denarii, e che ana truppa di cento (15)
potrebbe facilmente rendere quarautamila seste r.
/11, ed anche sessantamila,seper ogni femmina (iG)
si ripetessero tre pavoncini, eome diceva Albuzio.
c a p i t o l o v n
Dii c o l o m b i .
In questo frattempo si presanta un apparito-
re (1) d Appio ad avvertirlo per parte del eoo*
sole che gli angari erano citati Egli esce della
easa di villa ; e in queste mentre volano dentro
la stessa delle colombe : intorno a ohe disse Me
rula ad Assio : $c tu avessi giamaaai oosfarutlo una
colombaia) l1immaginarci li ohe fossero tue (a),
68; M. TERENTII VARKONIS 685
tur io torribus ac columinibus villae, qao ap
pellatae colamba e, quae propter Umorem natnra-
lem anima loca ia tectis captant; qao fit, at
agrettes maxime leqaaatur turres, in qaa ex agro
eTolant aaapte ponte, ac remeaot. Alteram genas
illad columbarum est clementias, qaod cibo do
mestico contentam intra limioa januae solet pasci;
hoc genus maxime est colore albo ; illad alteram
agreste sine albo, vario. Ex his duabas stirpibus
fit miscellum terliam genus frutus causa, atque
iaoedant in locum uoam, qaod alii Tocant
Siftwer alii 'rffJSff0Tfo$<iov ; in qao uao saepe
Tei quinque millia sont inclusae. ITff/g'fffaJr fit,
ut tcttado magna, camera tectus, ano ostio ao-
gusto, fenestris Punicanis, aut latioribus, reticu
latis utrinqae, at locus omnis sit illustris, neve
qaae serpens, fcliudve quid animal maleficum in
troire queat. Intrinsecus (piam levissimo marmo-
rato loti parietes ac camerae oblinantur, et
xtrinsecus, circura fenestras, ne mus, ant lacerta
-qua adrepere ad columbaria possit ; nihil eaim
timidius columba. Siagulis paribus colombaria
fiunt rotuada ia ordinem crebra ; ordines quam
plurimi e*e potino t a terra uqae ad cameram.
Columbaria siogala esse oportet, ut os habeant,
quo introire et exire possit ; intus ternorum pal
morum ex omnibus partibus. Sub ordiaes singulos
tabulae fctae ut sint bipalmes, quo alantur vesti
bulo, ac prodeant. Aquam esse oportet, quo in
fluat, unde et bibere, et ubi lavari possint ; per
mundae enim.sunt hae volucre. Itaque pastorem
columbarium quotquot mensibus crebro oportet
everrere; est enim quod eum inquinat locum
appositam ad agriculturam, ita ut hoc optimam
esse scripserint aliqaot ; sive quae columba quid
offenderit, ut medeatur; si qua perierit, ut effera
tur; si qui pulli idonei sunt ad vendendum,
proma L Item qaae foetae sunt, in certam locam
ot disclusum ab aliis rete habeant, quos transfe
rantur, e qao foras evocare possint matres. Quod
faciunt duabus de causis ; una, si fastidiunt ut
inclusae consenescunt, quo libero aere cum
exierint in agros, redintegrentur ; altera de causa
propter illicium ; ipsae enim propter pullos, quos
habent, utique redeunt, nisi a corvo occisae, aut
ab accipitre interceptae. Quos columbarii interfi
cere solent, duabus virgis viscatis defixis in ter
ram, inter se curvatis, cum inter eas posuerint
obligatum animal, quod item pelere soleant acci
pitres, qui ita decipiuntur, cum e obleverunt
Tisco. Columbas redire solere ad locum Ucet ani
m a d v e r t e r e , quod multi in theatro e sinu missas
faciunt, ( alqae ad locu<n r adeunt ) quae nisi re-
T e r t e r e n t u r , non emitterentur. Cibas appoditur
circum parietes in canalibus, qaas extrinsecus
per fistulae sappUnt. Delectantur milio, tritico,
quaolanque selvagge, perch in una colombaia
soglioTi essere da# specie di colombe; ima dalla
quali selvaggia, o, come altri dicono, sassaiuo
la (3), perch dimora sulle torri o opra il eotu-
men, o colme della casa di villa $ dal che n
Tentilo ohe a questi auimali si dato il Mine di
columbae, le qaali, a motiro della loro timidit
naturale, si ritiraao sopra i luoghi pi alti dei
tetti : e per questo i colombi selvaggi amano spe
cialmente le torri, dalle qaali seo volano spoota-
neamente sui campi, per ritornare poi alle stesse.
L*altra specie poi di colombe - pi domestica,
perch si contenta del cibo che si d ad essa nella
case, e si suole allevare nell interno della casi.
Qaesta specie particolarmente bianca, ma la
prima screiiata e senta tinta di bianco (4). Da
queste dae rane se ne tre una te rea, eh* di
colore mischio, e che si alleva, affinch frolli.
Questa s<rinserra in una specie di edifisio che
alcuni chamano rtftfHtra (5), ed altri artf/ySf Tf
(pitoy (6). Sovente in uno di questi luoghi se ne
rioserrano fino a cinquemila. Questi edifixii deb
bono essere coperti a guisa di uoa grande cupola,
non avere che una porta stretta e delle finestre
alla cartaginese, o pi larghe e graticciate di
dentro e di fuori, affinch tutto il luogo ia
chiaro, e non possa avervi ingresso il serpente, o
qualche altro animale nocivo. S intonacano di
marffio pesto tati i muri e le volte internamente;
e quest' intonaco si rende liscio pi che si pu :
del pari si fa le stesso esternamenle intorno le
finestre, per impedire che il sorcio, o la lucerla
possa aggrapparsi sino agli occhi della colombaia,
perch non vi ba animale pi timido della colom
ba. Per ogni coppia di colombi si distribuiscono
con ordine degli occhi rotondi e spessi : quesli
ordini di occhi possono essere molti, cominciando
da terra sino alla volta. Ogai occhio bisogna che
internamente abbia in tuli' i sensi tre palmi, e
che l ' ingresso*sia tal# che la colomba possa en
trare ed uscire (7). Sotto ciascua ordine di occhi
si attaccano alle muraglie delle tavolette, larghe
dae palmi, le quali servano di vestibolo, e so cut
possano i colombi poggiarsi avanti di entrare
negli occhi. Questi volatili sono nettissimi (5) :
per la qual cosa il custode della colombaia dea
nettarla parecchie volte tra il mese (9); e lo
sterco che lorda il luogo, tanto acconcio per
V agricoltura, che alcuni autori hanno scritto (1 0)
essere questo il miglior concime. Bisogna che
medichi le colombe ammalate (u ), che levi quelle
che sono norte, e che tragga fuori quei colom
bini che sono buoni a vendersi* Parimente il
custode della colombaia debbe fare in guisa, che
le colombe selvagge sieno ben separata dalle altre,
al quale oggetto le traspor ter in a a lt*ogo egre*
9
DE RE RUSTICA LIB. III.
ordeo, piso, fcteoUs, tiro. liem k m bu io tur-
ribos, e ranunii rillis, qui .habent, agrestes oo
lambas quoad possonl immittendum in if/-
aetate bona; parandam neque potlos,
neque letiliSi totidem mares qnot ioeminas.
Nihil columbis foecundios; ilaqne diebn
quadragenis concipit, et parit, et incubat, et
educat. Et hoc fere totam annnm (adaat : tan-
tammodo intervallum faciant a bruma ad aequi
noctium Ternum. Pulli nascuntur bini, qui si
mulae cr er erunt, et habent robur, cum matribas
pariunt. Qui solent saginare pullos columbinos,
quo pluris Tendant, secludunt eos, cum jam plu
ma sunt teeli ; deinde manduca to candido farciunt
pane : bieme hoc bis, aestate ter, mane, meridie,
Tesperi ; hieme demunt cibum medium. Qui jam
pinnas incipiunt habere,relinquunt in nido illitis
cruribus, et matribus, uberius ut cibo uti possint,
objiciunt; eo eoim loluaa diem se, et puUos
pascunt ; qui ita educantur, celerius pinguiores
fiuut quam alii, et candidiores. Parante eorum
Romae, si sunt formosi, bono colore, integri,
boni seminis, paria singola rulgo Teneunt doce-
ni numi, nec non eximia singolis millibus no
mum, qua nuper cum mercator tanti emere
rellet a L. Axio equite Romano mioori quadrin-
gsntis denariis daturam nega?it. Axiu: Si postem
aure, inquit, factam, quemadmodum
in aedibus cum habere vellem,-emi fiotilia colum-
bwu, jam i issem amlcuo, et miiimra ad filiam.
gato : dal pari dare e serri un luogo, a cui riehia^
mar possa dalla colombaia le madri. Ci i fa per
due ragioni : la prima, che Infastidendosi, od an
noiandoti di sltr rinchiuse, possan ristorarsi al-
l aria libera, quando roleranno ne campi (ia)|
e seoondariamente per adescare delle altre di por
tarti alla colombaia (iS), cui non mancheranno
di ritornare, per motiro dei loro figli, qaando
bene non sieno ammazzate dal corro, orrero ra
pile dallo sparriere. Quelli che hanno la cara
della colombaia, sogliono ammazzare questi ani
mali, piantando in terra due rerghe ineschiate,
currate tra di loro, e attaccando tra queste quel
li animale che gli sparrieri sogliono assalire (i4):
ia tal modo restano ingannati ed inrischiati.
facile il rarrisare che le colombe ritornano
donde sono partite ; poich molti nel teatro le
traggon fuori dal seno, e le lasciano in libert (i5);
e se non ritornassero, non le lascerebbero in li
berti. Il cibo si mette intorno le pareti. Biogna
che l'acqua ia netta ne truogoli (16), i qaali si
riempiranno per meiao di canaletti che sono al
di fuori, affinch possano bere e lavarsi. Amaoo
il miglio, il formento, l orzo, i piselli, i fagiuoli
e 1 orobo. Parimente chi possiede queste colom
be selvagge sulle torri e sui colmi delle case di
riila, dere aver cura, per quanto possibile, di
farle passare nella colombaia (17). Bisogna pren
derle di buona $( (18), cio n troppo gioranl,
n troppo recchie ; e si faccia che il nnmtro dei
maschi agguagli quello delle femmine.
Non ri animale pi fecondo delle oolombe,
poich nello spazio di quaranta giorni concepi
scono, partoriscono, Corano, ed alterano i colom
bini. Ci (anno quasi in tutto Panno; e sola
mente intralasciano (19) dal solstizio d inrerno
fino all equinoaio di primarera. Nascono i loro
figli s due alla rolla ; i quali, cresciuti che sieno
e fortificati, partoriscono colle loro madri (ao)t
Quelli che sogliono ingrassare i colombini per
reoderli pi cari, mettono da parte quelli che
pono gi coperti di piume ; dopo di che gl in
grassano eoo pane bianco masticato, di cui ne
danno ad essi due rotte nell inrerno, e tre nella
state, cio la mattina, al mezzod e la sera : nel
l inrerno, sottraggono la porzione del mezzo
d (ai). Quelli che cominciano ad arer le ale, ai
laaciano nel nido, ma i rompono ad etti le zam
pe, e da una delle loro ale si strappano alcune
penne (aa) : alle madri poi si d nn pi copioso
nodrimento, aociocch ed esse ed i loro figli pos
sano mangiare in tutto il giorno. I colombi alte
rati in tal modo, s ingrassano pi presto degli
altri, e dir cetano anche candidi (a3). Quando i
padri e le madri sono belli, di un bel oolore,
senza difetti, e di una buona rana, un paio si
Cnj i M. TERENTII VARRONIS frja
Qoasi Tero, inqoit Plet, non in urbe qnoqae sint '
molti. Ao tibi colombari* qui io tegolis babent
non videntor habere cam aliquot
supra xcen tu ; millium sextertium habeant instrn-
mentora ? e queis alicujos totam enat censeo, et
ante qaam aedifioas rare, magnam condiscas hie
io urbe quotidie lucrum, assem semissem condere
in locatos

caput vra
De TUBTumnos.
Tam Merula : Perge deinoeps. Ille : Tortori
bus item, inqoit, locum constituendovn proinde
magnnm, ac maltitodioem alere Telis ; eamqoe
item, at de colombi dictum est, at habeat ostiaro
ac fenestras, et aquam puram, ac parietes, ae ca
meras monitss tectorio. Sed pro columbariis in
pariete mutulos, aut palos in ordinem, sapra
quos tegeticulae canoabinae sint impositae. lofi-
num ordinem oportet abesse a terra noo minas
tres pedes, inter reliqaos dodrantes, a sommo
ad cameram ad semipedem, aeqae latam ao ma
ialai a pariete extare potest, io qaibas dies no-
ctesque pasountar. Cibatui qaod ait, objiciant
tritioam siooum in oeateuos fieeooi fartores fere
semodiam, qootidie CTerrentes eoram stabula, a
ataroore ne offendantur, quod item servator ad
agrum oolendam. Ad saginandum appositissimam
tempus circiter messem. Eteoim matres eoram
tooc optimae sont, cum pulli plurimi gigoontor,
qai ad farturam meliores. Itaqoe eoram fractas
id temporis maxime ooosistit
T e n d e comunemente In Roma dugento nummi,
ed anche mille, quando sono d i ona rara bellet
ta. Test un compratore esib questa somma a
L. Aaaio (m ca Tal iere Romano ; ma questi ooo
T o l e r a per un paio meno di quattrocento denarii.
Assio dice : Se potessi comperare uoa colombaia
bella e fatta colla medesima faciliti, eoa cui ho
comperato degli occhi di terra cotta per la co
lombaia, q o a o d o ToleTa averne presso di me, ben
T o l e n t i e r i andrei a comperarla, e la spedirei alla
mia caia di villa. Qoasi che, dice Pica, non t
fossero molti anche in citt, i qaali hanno delle
colombaie sotto il tetto (a5). Forse che a te non
pare che abbiano una colombaia quelli che in
colombe hanno an fondo di pi di oentomila
sestertii t E perci io penso che to compri, da
qoelli che ne possedono, un fondo intero di co
lombe, e che avanti che ta fabbrichi nella cam
pagna una colombaia, impari q o i in citt (16) a
mettere ogni giorno nella borsa nn mezzo as.

CAPITOLO v r a
DlLLB TOlTO&aiXI.
Poi Pica d is s e a Merala : Continua a t r a t t a r e
il Ino soggetto (1). Bisogna, d i c e Merula, a p p r e
s t a r e p e r le t o r t o r e l l e , i o p a r i guisa d e i c o l o m b i ,
un luogo c h e a b b i a u n a g r a n d e z z a p r o p o r z i o
nata al n u m e r o c h e T o r r a i n o d r i r e , i l q u a l e d e b
b e e s s e r e , u g u a l m e n t e d e l l e c o l o m b a i e , c o m e si
d e t t o , f o r n i t o d i u n a p o r t a , d i f e n e s t r e , d i a-
c q u a p a r a , d i m u r i , e d i T o l t e b e n e i n t o n i c a -
t e (a). Ma i n r e c e d i o c c h i d i c o l o m b a i a , si f i c c h e
r a n n o n e l m a r o , e si d i s t r i b u i r a n n o c o n o r d i n e
d e i p o s a t o i o d e i p e d o o c i , s o p r a i q a a l i ai d i s t e n
d e r a n n o d e l l e p i c c i o l e s t u o i e d i c a n a p e . Bisogna
o h e P a l t i m o o r d i n e sia a l t o d a t e r r a a l m e n o t r e
p i e d i ; c h e t r a g l i a l t r i s i a v i o n a d i s t a a z a r i s p e t
t i v a d i a o v e p o l l i c i (3) ; e c h e d a l p i a l t o s i o o
a l l a v o l t a (4), s i a v i un i n t e r v a l l o d i mozzo p i e d e .
1 p e d u c c i p o i u s c i r a n n o d a l m u r o tanto, q u a n t a
s a r l a r i s p e t t i v a d i s t a n z a d e g l i o r d i n i ; e a o p r a
q u e l l i s t a r a n n o giorno e notte. Per c i b o si d a
n o n u m e r o d i o e n t o v e n t i t o r t o r e l l e qoaai on se-
modius d i f o r m e n t o seoeo (5) ; e d o f ni giorno ti
s p a z z a n o le l o r o s t a n z e , oode non r e s t i n o offese
d a l l o s t e r c o , i l q u a l e , u g u a l m e n t e che q u e l l o dei
c o l o m b i , ai s e r b a p e r la o o l t n r a d e i terreoi- Il
t e m p o p i a c c o n c i o (6) p e r i n g r a s s a r l e , v e r s o
l a r a c c o l t a ; p e r c h in qnesto tempo le l o r o m a
d r i s o n o g r a s s e , ed a l l o r a (7) g e n e r a n o m o l t i f i g l i ,
i q u a l i s i n g r a s s a n o m e g l i o che in a l t r o t e m p o ;
e p e r c i i l frutto che si trae dalle tortorelle, con
siste specialmente in questo tempo.
DE RE RUSTICA UB. HI.
D i ALLIBII.
Aliai : Ego q n t nqoiro n n o m none
membra de palombi*, de gattini die sodes fl-
rtda : fon .de reliquia, si qoid idoneom foerit,
raeemari lioebit Igitr aanl gallinae quae vocan*
tur geoeniio Iriom, villetieee, et rusticae, et
Africanae. Gallioae Tillatioae sunt, q n u deiooeps
rora haboot io rtiUs. Debi qoi rffrj&q&tntfm
instituere volani, iidem adbibita scientia ae evira,
ot apsaot magb o i froctos fot maxime feetitave-
nini Deliaci) haec qotoque maxime animedver-
tant oportet: de emtioee, cajasmodi, et qoam
nraltas parent, de foetura, qaemadmodom admit
tant et pariant ; de ori, quetoadmodom incu
tetti et excudant ; de pallis, qaemadmodom, et
a qoibos edocentur. Hitcc appendix adjidtur,
pars qointa, qaemadmodam 3 agi nentor. E queis
triboa generibus proprio nomine tocantor foe-
mmae, qoae sont villaticae, gallinae ; mares galli ;
capi semimares, qood saot castrati. Galles ca
straci, ut smt capi, candenti ferro inerente* ad
infima crora, asqoe dam rampelur; at qood
extat ulcus, oblinant figline creta. Qui spettai ni
ot*i*9fir*$4 9Pperfetta habeat, siot licei ge
nera ei tria paranda, maxime villaticas gallinas ;
e queis in parando eligat oportet foecundas, ple*
rumque rubiconda pluma, nigris pinnis, impari
bus digitis, magniscapiiibu periata erecta, ampla;
hae enim ad partiones sont aptiores. Gallos sala
ces ; qui animadvertunt si sunt lacertosi, rubenti
crista, roeteo brevi, pleno, acato, oculis ravis, afct
nigris, palea rubra subalbicanti, coUo vario, aol
aureolo; feminibus pilosis, cruribus brevibus,
unguibus longis, caudis magnis, frequenltbns
ptnaie. Item qui elati sont, ac vociferant saepe,
in eertosnioe pertinaces, et qoi animalia, quae
noceat gallinis, uon modo noo pcrfaoeacant, sed
etiam pro gallinis propugnent. Nec tamen sequen
d o s in seminio legendo Taitagrioos, ac Medicos,
et Chalcidicos, qui sitic dubio sunt pulchri, et
ad proeliandum inter se maxime idonei, sed ad
partus sunt steriliores.
CAPUT IX
Dxixa GALLO.
Assio : Io ti chieggo in grazia d' inslrulrmi, o
Merula, intorno al modo d ' ingrassare i palombi
e le galline (1), die noi graspoleremo, se rimarr
alcuna cosa che sia buona da dirsi. Merula (a) : Ti
dir dunqoe che sonori tre specie di volatili
chiamati galline $ le galline ddla casa villereccia,
le sdvagge e le Africane. Le galline della casa
villereccia, delle quali parler poi (3), sono qaelle
che si mantengono alla campagna nelle case fatti
cene. Coloro che si propongono di allestirla*
gallinaio, acciocch ne traggano un gran frutto
( mettendo per altro in opera quanto si sa e tutta
la diligente ), in quella guisa che hanno (atto spe-
cia]mente qad di Ddo (4Kbisogoa che prindpal-
mente attendano a queste cinque cose. Nella com
pera debbesi guardare alla qualit ed al namero :
nd tempo del parto, come vadano nodrite (5), e
come partoriscano: nd tempo delta covatura,
come covino le uova e le facciano nascere ; ed
da sapersi come e da chi sieno da allevarsi i pul
cini. A qoste si aggiunge un appendice, cio,
come ona quinta parte (6), la maniera d* ingras-
sarle. Tra queste tre specie, si d specialmente il
nome di galline alle femmine che ai allevano nelle
case di villa ; i maschi si chiamano galli, e capponi
quelli che essendo castrati, non sono maschi che
per met. 1 galli si castrano, affinch diventino
capponi, bruciando con on ferro rovente i lombi,
ovvero gli sproni sino all* estremit delle zampe,
fino a che restino couaamati (7) ; indi si stropic
cia con creta da slovigliaio T ulcere che risalta
per questa operazione. Chi vuole formare un gal
linaio, dee provvedere le tre accennate specie (8),
ma singolarmente le galline Che si allevano nelle
casa campestre ; e nella compera di qaeste, pre
ferisca le pi feconde, le quali per lo pi hanno
le piume rosseggianti, le ale nere, le dita ineguali,
la testa grande, la cresta levata, la corporatura
ampia (9): le galline di tal fatta sono pi atte alla
propagazione. Bisogoa scegliere i galli i pi la
scivi (10); il Che ai giudica, quando sono musco
losi, qaando hanno la creata rossa, il becco corto,
grosso ed acuto (11), gli occhi di colore tan, o
negri, i barbigli di an rosso bianehicdo, il collo
screziato, od uu poco dorato, le cosce pelose, le
zampe corte, le nghie lunghe, la coda grande, e
tatto il corpo bea fornito di piarne. Del pari si
giudica che souo tali, quaodo sono fieri, quando
cauUno spesse volte, quaodo sono ostinati nel
combattimento, e quando, lungi dal temere gli
animali che nuocono ai polli, ii battono per
CAPITOLO IX
6y5
M. TEHEimi VARRONIS
6 9 6
Si doceatis Iere retis, loco septas attri
buendus , in qao date careae oonjunctae ma-
gnae constituendae, qote spectent td exorien
tem Te r s o s , utraeque in longitudinem circiter
decem pedes, lttitadine dimidio minores, (qotm
in) altitudine ptollo humiliores, ulraqae Cene*
slrt lat* tripedtli, et eo pede tltiores e timi-
nibos bette raris ita ot lomen praebeant mat
tam, neqae per eas quidquam ire iotro possit,
qoae nocere solent gallinis. Inter dots osliom
sit, qui gallintrius, curator etrnm, ire possit.
In ctveis crebrae perticae trijeoiie sint, ot
omnes sustinere possiot gtllinas. Contri singolas
perticis in ptriele exsculpti sint cobilit etrom ;
ante s i t (qt dixi) TCstibolom septam, in qoo
diorno tempore esse possint, atque in polvere
Tolutari. Praeterea sit celli gnndis, in qoi curi
tor hibitet, ita ot in ptrielibys droam omnia
plena sint cobilia gallinarum, tot ex scalpta, tot
afficta firmiter; motos enim com incobint nocet
In cubilibus, com pirtorient, acos substernen
dam ; com peperemo t , tollere substramen, et
recens aliud subjicere, qood polices el cieten
D i s c i solent, qute gtllinim conquiescere non pt-
tiantar; ob qotm rem ova tot inieqoibiliter
mitarescant, int consenescant. Qute relis ineo-
bet, negant ptos x x t oportere ova incubare,
qaamris propUr foecundititem pepererit plora.
Optimam esse ptriom teqoinoctio Terno, i d
autumnale. ltiqoe qate inte tat post niti sunt,
et etiim primi eo tempore, non supponendi : et
ea quae subjiciat, potius retulis, quam pullastris,
et quae rostra aot ungues non habent acutos,
quae debent potius in concipiendo occupatae
esse, quam incubando. Appoiilissimaead partum
sunt anniculae, aut bimae. Si ora gallinis pavo
nina sobjicies, cum jam decem1dies paTonina
fovere cofpit, luih denique gallinacea subjieere,
ut una excudant. GaUinSceis enim pullis bis deni
dies opos suot, pavoninis ter noreni. Eas inclu
dere oportet, ot diem et noctem iocubent, prae
ter quam a mane et Tespere, dum cibus tc potio
bis detur. Curitor oportet circumeat diebus in
terpositis tliqaof, tc Ter tere ovi uti aequabiliter
concalefiant. O n plent sint, itque utili a^becneT
animadverti ijont posse, si demiseris iu iquarn ;
quod insne, natat ; plenum, desidit. Qoi (ot boe
inteUigant) coocutiiut, errare, quod in eis vitiles
Tenas confundant In iis idem ajunt, cum id
lumen sustuleris, quod perluceat* id eise ob
inane. Qui haec t olunt Jiulius servire, perfri-
difendere questi. Non bisogni per altro nalUi
scelta delle raue prerirt i galli di A ni tona, di
Media (ia) e di Negroponte, quantunque sieno
senzt contradditione belli e atti penalmente
per battersi insieme, perch qoesti tono sterili.
$e Torrai alterare dogento polli, dividerai il
gallinaio in maniera, cbe trovimi unite due grandi
capanne che sieno folte a lerante : ognuna avr
una longhetti di circa dieci piedi, nna larghetti
minora della met, ed un* ilteiia alquanto minora
della lunghetta (i3). Ciascuna capanna i vr i la
fienestre lirghe tre piedi (if), ed alte nn piede :
saranno tessale di Tinehi tra di loro distanti, af
finch per le medesime entri molta Ine*, seatach
par diano il passaggio a cosi cbe possa nuocere
alle galline. Sit inoltre una capanna grande,
nella quale abiti il enstode del gallinaio ( i 5). Tra
le dne capanne si trovi una porta, per eoi passer
il custode del gallinaio. Siavi altres aranti queste
un piociolo cortile chiuso di usa rete, ove tra il d
polsino dimorare, e voltolerai nella polvere. Ogni
capanna sia attriTersata di molte pertiche, capaci
di portare tutte le galline; e dirimpetto ogni perti
ca, si scarioe nel muro i nidi per le galline ; ma
m maniera che sieno disposti con ordine intorno
i l muro, e cip sieno sodi e noa tremanti, tanto sa
sono s c i t i li nel muro, quinto te il medesimo
sono attaccali ; perch il menomo moto nuoce,
quando conno. Aranti il nido siiti an restiboto,
ore posstno posarsi, quando discendono o ascen
dono al nido. Quando le galline cominciano a
partorire, si mette della pagUa ne loro nidi ; e
qoando hanno terminato di partorire, ai Ieri la
paglia, e ie ne rimette di nuora, perch sogliono
nascere nella pigtia e pulci ed altri insetti (16), i
qnali non permettono che Ugallina trori riposo:
per la qual oosa le uovi o nascano inegualmente,
ovvero ai corrompano. Si mole che la gttin
non debba corare pi di renticinque nora, quan
tunque sii feoondt e ne tbbia partorite molle. Il
tempo migliore per furie covare, dall* equinozio
di primarera fino t quello di lulunno (i 7). Leoo-
de non mettonii 1 conre quelle nora cbe sono
nate aranti, o dopo quel tempo, come nemmeno
le prime nora delle galline novelle : e qoette oon
cbe si vogliono ftr nascere, si diano piuttosto 1
covare alle galline vecchie, e a quelle che non
hanno il becco o le unghie acute ; perch le pol
lastre deggiono piuttosto essere inteie a conce
pite e a partorire le uora, che a covarle (18). Per la
covaziooe sono molto acconce te galline di un
anno, o di due. Se tu darti a covare alla gattini
delle uora di parone, passali che sieno dieci gior-
ui dacch li con (19), metterai dQpo le oo n di
gallina, acciocch tutte sboccino n dl istesso tem
po ; perch quelle di gallina hanno bisogno per
cant sale minato, tal maria, tr# aat quatuor
horas ; eaque ablata condant ia farfares, aat
aoos. In supponendo ova observant, at sint na*
mero imparia. Ova,'qaae incubantur, habeantne
semen palli, caratar quatriduo, postquam incu
bari coepit, intelligere potest, si oootra lameo
tenuit, et param ankumodi esse animadvertit,
putant ejiciendum,t aliad subjiciet) dum.
6 #
Excusos pallos sabdaceadam ex singulis nidis,
et subjiciendam ei, qaae habeat paaeos; ab eaque,
ti reliqua sint ova pauciora, tollenda, et subji
cienda aliis, qnae nondum excuderunt, et minus
habent xxx pullos; hoc enim gregem majorem
non faciendum. Objiciendum pullis <}iebus i t
primis mane subjecto pulvere ( ne rostris noceat
terra dura) polentam mixtam cum naslurtii semi
ne, et aqua aliquanto aote facta intrita, ne tum
denique in eorum corpore turgescat; aqua pro
hibendum. Quando de clunibus coeperint habere
pinna*, e capile, et e collo eorum crebro eligendi
pedes; saepe enim propter eos consenescunt.
Circum caveas eoram incendendum cornum cer
vinum, ne quae serpens accedat : quarum bestia
rum ex odore solent interire. Prodigendi io
solem et in sterquilinium, ut (te) volutare pos-
liot, q*od ita alibiliores fiunt; neque pullos
tantnm, sed omne 8fvi&ofio*xi?oiry cum aestate,
tum utique com tempestas sit mollis, atque apri
cum ; intento supra rete, quod prohibeat eas
extra septa evolare, et in eas involare extrinsecus
accipitrem, aut quid aliud ; evitantem caldorem
et frigus, quod utrumque his adversum. Cum
jam pinnas habebunt, consuefaciendum, et unam
Qt duas sectentur gallinas, ceterae ut potius ad
patiendum sint expeditae, qoam Sn nutricata
ccupatae. Incubare oportet incipere secandam
M. T u b v x i o V a j j l o p b
nascere di Tenti giorni, e di trenta (ao) quelle
di pavone. Bisogna tener rinserrate le galline
acciocch covino giorno e notte ; e non si per
mette che escano se non la mattina e la sera,
tempo in cui si di ad esse (ai) da mangiare e da
bere. Fa mestieri che il custode del pollaio le t i -
siti ogni tanti giorni, per rivolgere le uova, affin
ch il calore le penetri egualmente in tutti lati (22).
Come mai si pu sapere se le aova sieno piene e
buone, ovvero se sieno il contrario f Si pretende
che ci si sappia, immergendole nell.acqna, per
ch le piene vanno abbasso, e le vote galleggiano.
Quelli che per accertarsi di ci, le scantono, fanno
male, perch in tal modo confondono le vene vie
tali dei germi (a3). Si dioe parimente che le nova
aono vote, qaando poste avanti il lume, compari
scono trasparenti (24). Qualii ohe vogliono con-
aervarle lungamente, le stropicciano col sale ben
pesto, ovvero le lasoiaoo nella salamoia per tre o
quattro ore (a5) ; indi le asciugano, e poi le met
tono nella crusca o nella paglia. Vogliono che le
uova, le qaali si danno a covare, sieno di nomero
dispari. 11custode del pollaio potr sapere, dopo
quattro giorni dalla eovaiione, se le nova abbiano
il germe, o no : credasi dunque he quell aovo
sia da scartarsi, e da sostituirsene un altro, se
guardato contro il tnme, il vegga trasparente ed
uniforme in tutte le sue parti (26).
Bisogna ritirare dai nidi i pulcini sbocciati, e
darli ad allevare a qaelle galline che ne hanno po
chi ; e se a queste restano poche uova (87), si
danno a covare a quelle che non ancora fecero
nascere le proprie : per altro non si d ad allevare
ad una sola gallina pi di trenta pulcini, essendo
ch non debbesi fare nn gregge maggiore drqae-
sto numero. Nei primi quindici giorni ai pulcini
ai getta sulla polvere e di mattina una polenta fatta
di grani di nasturzio (aS), ed impastata di alquanta
acqua ; ed acciocch questo cibo non gonfi il loro
corpo, si proibisce che bevano dellacqua. Qaando
cominceranno ad avere le ale (29), si toglier di
sotto la loro groppa lo sterco eh* vi si attacca, e
dalla testa e dal collo si toglieranno soventi volte
i pidocchi pollini, perch d ordinario quest in
setti gl indeboliscono. Si bracer iotorno alla
Joro capanne del corno di cervo, onde alle stesse
non si avvicinino i serpenti (3o) ; perch lodore
di questi animali suole ucciderli. Si condurranno
al sole e sul letamaio, ove possano voltolarsi, perch
cos diventano pi forti (31) ; nci si faccia sol tan
to coi pulcini, ma ancora con tutto il pollame, tanto
nella state, quanto allora che la stagione sar dol
ce, e risplender il sole. L ampio vestibolo (3a),
come ho detto* sar circondato da una rete, per
impedire che il pollame voli fuor del recinto, e
die dal di fuori voli dentro lo stesso lo sparviere,
ai
698 DE BE RUSTICA LIB. HI.
699 M. TERENTII VARRONIS 700
n o v a m l a n a m , q n o d f e r e q o a e a n t e , p l e r a q u e n o n
SQccedunt . Diebu f e r e x x e x c u d a n t .
De qaibus villaticis (qoooiam vel nimium
dictum ) brevitale reliqua compeniabo. Gallinae
rusticae sunt in orbe rarae nec fere mansuetae
aine cavea videntur 'Romae, similea facie non his
villaticis gallinis nostris, sed Africanis aspecta
ae facie incontaminata. In ornatibus publicis
solent poni cum psittacis ao meralis albis, ilem
aliis id genas rebus inusitati#. Neque fere in vil
lis ova ac pullos faciunt, sed in silvis. Ab his
gallinis dicitur insula Gallinaria appellata, quae
est in mari Thusco secandum Italiam contra
montes Ligusticos, Intemelium, Albium Ingaa-
nam | alii ab his villaticis invectis a nautis, ibi
feris fiaetis procreatis. Gallinae Africanae suot
grandes, variae, gibberae, quas ptXsa>f/<tof ap
pellant Graeci. Hae novissimae in triclinium ga
neariam introierunt e culina, propter Csslidium
hominom. Veneunt propter penuriam magno.
De tribas generibus, gallinae saginantur maxime
villaticae ; eas includunt in locum tepidum, el
augustum, et tenebricosam (qood molas earum
et lux pinguitndinLinimica), ad banc rem electis
maximis gallinis, neo continuo his, quas Melicas
appellant falso, qaod antiqui nt Thetin Thelim
dicebant, sio Medicam Melicam vocabant. Hae
primo dioebanlur, quia ex Media propter magni
tudinem erani allaUe, qaa eque e i iis generatae
poatea propter similitudinem. Amplas oriines ex
Us, evolsis ex alis pinnis et e osuda farciunt tu
rundis ordeaceis, parlim admistis ex farina lolia
cea, aut semine liui ex aqoa duld. Bis die cibum
dant, observantes ex quibusdam signis, ut prior
sit concoctus, quam secandum dent. Dato cibo,
quam perpurgarunt capat, ne quos habeant pedes,
rursus eas concludunt Hoe faciuol usque ad
dies xxv ; tunc denique pingues flunt. Quidam
ex triticeo pane intrito in aquam, mixto vioo
bono et odorato, farciunt, ita ut diebas xx pin
gues reddant ac teneras. Si in farciendo nimio
cibo fastidiunt, remittendam in datione, pro
portione, ac decem primis prooessit, in posterio
ribus, nt diminuat eadem ratione, ut vigesimus
dies et primas sit par. Eodem modo palambes
farciant, ae reddunt pingues.
o qualunque altro animale. Bisogna garantire al
tres il pollame (33) dal freddo e dal caldo, per
ch l1uno e l ' altro nuoce allo stesso. Quando i
pulcini cominceranno ad avere le ale (34), ai av
vezzino a seguire una o due galline, acciocch le
altre sieno pi intese a partorire, cbe ad allevarti.
Bisogoa priocipiare a far covare le nova dopo la
nuova luna, perch molte d i ^oelle che si f i s s o
covare avanli, d ordinario norf ischiudonsi. Na
scono le nova per lo pi nel periodo di venti
giorni.
Ma poich delle galline, eh* si allevano nelle
case di villa, si parlato di troppo (35), compen
ser questa prolissit, parlando pi brevemente
delle altre specie. Le gslline selvagge sooo mollo
rare in Roma, ove non se ne vedono gaari di
addomesticale che in gabbia. Qoi (36) non sono
simili nella testa alle nostre galline di villa9 ma
alle Africane. Seriza belletto e nella testa e nelle
altre parti soglionsi esporre nelle pompe pubbli
che (37) unitamente ai pappagalli, ai merli bian
chi, ed alle altre rarit di siffatta specie. Queste
d'ordinario non partoriscono le uova, n le fanno
nascere nelle citt, ma sivverone* boschi. Si dica
che a motivo di queste galline si chiamata Gal
linaria T isola che nel mare di Toscana, io vici
nanza all' Italia, dirimpetto i monti della Liguria,
e Vintimiglia ed Albenga (38). Alcuni vogliono
che P isola Gallinaria sia stata cos chiamata per
essersi quivi trasportate dai marinai le nostre
galline della casa di villa, la eui razza divenuta
selvaggia in progresso (39). Le galline Africane
sono grandi, screziate, ed hanno rilevate alarne
parli del loro corpo : i Greci le chiamano /nUn-
yf ifas (40). Queste altime dalla cucina tono pas
sate ne1tinelli voluttuosi (4> ), affine di togliere la
fastidiosaggine degli nomini. Si vendono a caro
prezzo per la loro rarit. Fra le tre speoie accen
nale, a*ingrassano specialmente le galline che si
allevano nelle case di villa, le quali si rinserrano
in un luogo tiepido, stretto ed oscuro ( perch il
moto e la luce impediscono ehe ingrassino ). A
quest effetto si scelgono le pi grandi galline,
senza per altro preferire quelle che si chiamano
Melicae per uoa oorrozione di lingua, originata da
ci che gli antichi dicevano ona volta Malica per
Medica, come dicevano anohe Tkelis per Tke-
tis (4*). Queste primieramente si chiamarono
medicae, perch si sono trasportate dalla Media,
a motivo della loro grande corporatura, e si
continuato a chiamarle oos, perch la ra n a ha
continuato sempre a rassomigliare alle praae,
cio, tutte sono nate grandi (43). Si strappano a
queste le penne dalle ale e dalla coda (44) c a' in
grassano eoo globetti un pooo lunghi (45), fitti di
farina d' orzo : altri (46) fanno entrare io q u a l i
7oi DE HE RUSTICA LIB. 111.
CAPUT X
Di AVSBAtBOt.
T r a m i , inquii Alias, du dc io illad genus,
qaod vos philograeci vocali qaod
noo est ulla filiate terra coptentom, sed requirit
piseioa% io quibas obi anseres aluntor, nomipe
X*vofio*xtov appellatis. Horum greges Scipio
Metellas, et M.Sejas habent magnos aliquot. Me
rula, Sejas, ioqait, ita greges comparati t anseram,
ut hos qainqae grados observaret, quos io galli
nis dixi. Hi saot de genere, de foclura, de ovis,
de pallis , de sagina. Primom jobebat servam io
legeodo observare, ot essent ampli et albi : qood
plerumque pullos similes sai facioot. Est enim
alterum genas variam, qaod feram vocator, oeo
cam iia libenter congregator, nec aeqoe fit man-
seotum. Anseri bos admittendis tempas est aptis
simum a bruma : ad parieodom et incubandam
a Kal. Martii usqoe ad solstitium. Saliant Care io
aqua, inunguntur in flamen, aot piscinam. Sin
gulae non plus quater ia aono pariante Singulis
obi pariant, fadoadum bar as quadratas circum
binos pedes, et semipedem ) eas substernendam
palea. Notandum earum ova aliquo signo, qaod
alieoa noo eifisdoot Ad incubandum supponunt
plerumque i x aot x i ; qai boo minus, v i i : qui
hoc plus, x v . Incubat tempestati bos dies xxx,
tepidioribus i i t . Cum excudit, quinque diebus
primis patiuntur esse eum matre; deinde quoti*
die serenum cum est, prodocunt in prata, item
globelti detta farina di loglio, o della semenza di
lino, e gl* impastano coll* acqua dolce. 11 pollame
si nodrisce due volte al giorno ; ma avanti (47) di
dare il aecondo nodrimeato, i dee sapere da certi
segni, se il primo aia digerito. Dato che siasi da
mangiare alle galline, t dopo che esse avranno
nettato il loro capo (48) dai pidocchi pollini che
possono avere, si rinserrano noovameote. Ci si
fa per venticinque giorni, in capo ai qaali esse si
trovano iograssate. Alcooi le ingrassaoo col paoe
di formeolo sminuzzato ed inzappato neiracqoa
mista al vino buono ed odoroso ; mediante che
diventano grasse e tenere nel periodo di venti
giorni. Se nell* atto che s* ingrassano, vien loro a
noia il troppo cibo, questo si scema a gradi, co
sicch ni dieci giorni posteriori, lo diminuiscono
in quella goisa che lo avevaoo accresdato nei
primi died ; talmente che il cibo dd vigesimo
giorno sio in quantit ogoale a quello del pri
mo (49). Nell1istessa maniera s ' ingrassano i co
lombi salvatici.
CAPITOLO X
De l l e o c h b .
Passa preseotemente, dice Assio, a q nella ape-
de di aoimali, che voi grecizzaodo, chiamate
dfitylfliov(1), perch oon si contentano soltanto
della casa villereccia e della terra, ma ricercano
ancora le peschiere, chiamale xirrojSorxe/oir (2),
qoando io qoeste si allevano le oche, delle qaali
Scipioo Metello (3) e M. Seio ne hanno gregge
considerabili. Seio, dice Merula, nel formare le
gregge di oche, attese a quei cinque articoli, dei
quali parlai trattaodo delle gallioe : vale a dire
alla loro specie, al portato, alle uova, ai figli uati
da queste, ed al loro ingrassamento. La prima
cosa che comandava al soo schiavo, era di osser
vare nella scelta, che quesli amfibii fossero gran
di e bianchi, perch d* ordinario le madri parto
riscono figli simili ad esse; e perch bavvene
on1altra specie screziata (4) che si chiama oca
selvatica, la qaale oon si ooisce fadlmente colla
prima, n si addomestica egualmente che questa.
Il tempo pi acoondo per 1*accoppiamento delle
oche (5) dopo il solstizio d'ioveroo; e per
partorire e covare, dopo le caleode di Marzo sino
al solstizio. D1ordinario ai accoppiano nell1acqua,
poi s1immergon nel fiume (6) o nella peschiera.
Esse non partoriscono pi di tre volte (7) alfan-
no. Per ogni oca si fanno delle loggette quadrate,
aventi in tott i lati (6) dae piedi e mezzo, ove
partoriranno : si far il loro letto di paglia. Le
no Z M. TERENTII VARRONIS 74
piscinas aat paludes : iisque faciant baras supra
terram aot subtus, io queis non includant plus
vicenos pullos ; easqae celiai provident, ne ba-
beaot in solo humorem, et at molle babeant sub-
stramen e palea, aliave qaa re, neve qua eo acce
dere possint mustelae, aliae ve bestiae, qoae no
ceant. Anseres pascunt io homidis locis, obi
pabulum serunt, quod aliquem fructum ferat,
serunt que his herbsm, quae vocatur seris, quod
ea aqua tacta etiam cum est arida, fit viridis.
Folia ejus decerpentes dant, ne si eo inegerint
obi nascitur, aut obterendo perdant, aut ipsi
eruditale pereant; voraces enim sunt natura;
quo temperandum iis, qui propter cupiditatem
saepe in pascendo, si radicem prenderunt, quam
educere velint e terra, abrumpunt collum ; per
imbecillum enim id, ut capnt molle. Si haec
herba non est, dandum ordeum aul frumentum
aliud. Cum est tempus farraginis, dandum ut in
seri dixi. Cnm incubant, ordeum iis intritam in
aqua apponendum. Pullis primum biduo polenta,
aat ordeum apponitur, tribus proximis nastur-
tiom viride consectum minotatim ex aqoa in vas
aliquod. Cam autem sunt inclusi in baras aut
speluncas, at dixi, victui objiciant bis polentam
ordeaceam aut farragioem , herbam ve teneram
aliquam concisam. Ad saginandum eligunt pullos
circiter sexqaimense qui sunt natu : eos indadunt
in saginario, ibique polentam et pollinem aqua
madefacta dant cibum, ita at per dies saturent;
fecundum cibam large nt bibant faciunt potesta
tem ; sic curati drdter duobus mensibus fiant
pingues. Quotiescanque sumse runt, locas solet
pargari : qaod ipsi ament locam param, neque
ipsi altam, abi fuerint, relinquunt purum.

uova di queste si contrassegneranno con qualche


sego, perch le oche non Canno nascere d|e
qudle della propria specie (9). Ad esse d* ordina
rio si danno arovare nove od ondid nova; il
minor numero di sette, come il maggiore di
quindid. Per fare che nascano, ricercanti trenta
giorni nella stagione fredda, e venticinque nella
tiepida. Nate cbe sieno le ocbe, si lascia che stiano
colle loro madri nei primi dnqoe giorni (10), pas*
sali i quali, ed essendo tempo .sereno, si condu
cono ne' prati, o nelle peschiere, ovvero nelle pa
ludi Per le oche si fauno sopra terra dd covac
cioli ovvero delle spelonche (11), nelle quali non
se ne cacciano dentro pi di venti ; e si ha la
cura che questoriliri' sieno preservati dtlT umi
dit del terreno, e che sieno forniti di an letto
molle di piglia o di qualuoque altra cosa,* e di
difenderli iu maniera che non possano entrarvi lo
donnole, o qualsivoglia altra bestia nodvt. L
oche si fanno pascolare ne' luoghi omidi, ove ai
seminano delle piante (ia), dalle quali si possa
trarre qualche profitto; come per esempio, T er
ba (13) chiamata seri*, la quale, quantunque dis
seccata, rinverdisce non si tosto che sente Paequa.
Si slrsppano le foglie da qaesta pianta (14) e si
danno alle oche, le quali se si cacciassero ove
nasce, la calpesterebbero e distruggerebbero coi
piedi, ovvero elleno stesse morirebbero, man
giando eccedentemente di qudle foglie, perch
tono di loro naturi vortd : laonde debbonsi mo
derare, perch hanno nna s grande avidit di
mangiare, che incontrandosi in una radice, e vo
lendola estrarre dalla terra col becco, sovente si
slogano il collo, pec. essere questa parte debolis
sima, ugualmente che il capo. Mancando questa
erba, diasi ad esse dell* orto, ovvro alcun* altra
specie di grano. Nel tempo ddla farragine, dia
sene alle oche in quella guisa che ho detto (i5)
rapporto all1erba s t r i s . Quando covano, va dato
P orto pesto nell' acqua. Alle oche nei due primi
giorni si d della polenta o deir orto (16); nei
tre conseca Livi, dd nasturtio verde tagliato mi
nutamente, e posto in on Ttse pieno d* acqua ;
ma quando poi ai rinterrano nelle loggette o
ndle spelonche, ddle quali disai di sopra si no
driscono di polenta d orto o di farragine, o fi
nalmente di qualche erba teoera tagliata minutsk-
mente. S* ingrassano le ocbe che hanno quattro
o sei meri (17) : si rinserrano nd luogo destinato
ad ingrassare il pollame, ed ivi loro si d della
polenta e della farina senta crusca, ma bagnata
di acqua : questo dbo diasi travolte al giorno (16).
Dopo il dbo si permette che possano bere copio
samente. Trattate io tal guisa, s ingrassano a nn
dipresso in due mesi. Tutte le volte che mangia
no (19), anobi nettar* il laogo, ove hanno man
DE RE RUSTICA LIB. 111.
CAPUT XI
Db AiATtin.
Qai autem volani gregei aoatiam habere,
ac oonstiluere vttraorfoQtior, primam locum
cai est facultas, eligere oportet palastrem, qaod
eo maxime delectantur ; si id non, potissimam
ibi, obi sii naturalis aut lacas, aat stagnum, aal
manafacla piscina, quo grada ti m descendere pos
sint. Septum altm esse oportet ubi versentar,
ad pedes xv, al vidistis ad villam Seji, quod ano
otlio claadatur; circum totam parietem ralrin-
secas crepido lata, io qua secnodum parietem
fiat tecta cabilia : ante eai vestibulum earam ex
aequatum tectorio opere testaceo. In eo perpe
tua canalicio qoam et cibus ponitor iia, et im
mittitor aqua ; tic euim ci barn capiuat. Omnes
parietes tectorio levigantor, ne facies, aliare quae
bestia in tratte ad nocendam possit, idque se
piam totum rete gfandibus.maculis integitur, ne
eo infoiare aquila posti!, neve ex ea evolare
anas. Pabulum iit datur It ili cam, ordeam, fina-
cei, arac ; nonnnnqaam etiam ex aqaa cammari,
et qoaedam ejusmodi aquatilia. Qaae in eo acpto
erant piscinae, in eas aqum large influere .opor
tet, at semper recens sit. Sunt item don dissi
milia alia genera, ut querquedulae, pbalarides ;
sic perdices, qae, ut Arcbelaus scribit, voce ma
ris aadita, concipiant; qaae, at superiore*, nc-
qac propter foccanditatem, ncque propler sua
vitatem saginantur, sed sic pascendo fiunt pin-
goes. Quod ad villaticarum pastinura primum
actum pertinere som rata, dixi.
giato, perch esse amano che il laogo sia netto,
e perch esse medesime imbrattano quei luoghi*
nei qaali si fermano.
-- --
CAPITOLO XI
DELLB ABITE B.
Quelli che vogliono avere delle troppe di
anitre, e formare un luogo per allevarle, debbono
primieramente, quando si possay scegliere un
terreno palustre, perch qacati animali amano
un tale terreno. Se noo si pu averne di tal fatta,
si scelga principalmente un luogo, ove siavi oo
l#go* formato dalla natura, ovvero uoo stagno,
od anche un serbatoio artifiziale d' acqua, in cui
possano discendere per mezzo di gradini. 11 ri
cinto ove si metteranno, debbe essere chiuso da
muri, alti quindici piedi ; come bai tu veduto
praticarsi nella casa di villa di Seio, ove non h
da esservi che una sola porta (i). Internamente,
lungo la muraglia, vi sar un largo marciapiede,
sopra il qiiale si fabbricheranno i loro covili che
deggiouo essere coperti, e precedali da on vesti
bolo (a) piano, lastricato di mattoni. Tutto il ri-
cinto sar diviso da un canale continuo pieno
d' acqua, dentro la quale si getter il loro nodri-
mento, perche non lo prendono che nell acqua.
Tuli i muri avranno.nn intonicelo liscio, affin
ch non possano entrare nella chiudenda n gatti,
n qualuoque altra bestia nociva. Si coprir tut
to questo r'icinto cou una rete a grandi maglie,
tanto perch non possano volare dentro le aquile,
quanto per impedire chele anitre fuggano. .A
qneste si d per cibo della biada, dell orzo, del
le vinacce (3), ed alle volte ancora dei gamberi
di acqua (4), ed altri animali acquatici di questa
specie. Bisogna che fuori del ricinto siavi dell a-
equa in copia, per far s che nei serbatoi della
chiudenda possa sempre rinnovarsi. Sooovi an-
. cora dei volatili della specie delle anitre, come i
germani e le phalerides (5). In tal maniera si
allevano anche le pernici, le quali, come scrive
Archelao, concepiscono al solo udire la voce del
maschio (6). Queste s ingrassano, coin si detto
riguardo ai precedenti volatili, e non si ha per
iscopo di renderle feconde, o pi squisite al gu
sto : nutricandole nella maniera che abbiamo
detto, diventano pingui (7). Io credo che non mi
resti a dire niente intorno al primo alto dei no-
drimenti che si fanno nelle case villerecce.
M. TERENTII VARRONIS
Db l k p o a i b u i .
lo le rea redit Appios, et percuotali nos ab
ilio, et ille e nobis, qoid esiet dictum ac factum,
Appius: Sequitor ioqoit, actus secuodi generis,
afficticius ad villam qui solet esse, ac noraioe au-
tiquo a parte quadam, leporarium appellatum*
Nam oeque solam lepores eo indaduotor silva,
ut olim in jugero agelli, aut duobus, sed etiam
cervi, aut capreae io jugeribus mallis. Q. Fulvio
Lippi nas dicitur habere in Tarquiniensi septa
jugera x l , in quo sunt inclusa non solum ea, quae
dixi, sed etiam oves /erae, etiam hoc ma jus hic
io Sutonensi, et quidam in locis aliis. In Gallip
Tero Transalpina T. Pompejus tantam septum ve
nationis, ut circiter ao ao oo oo passuum locum in
clusum habeat. Praeterea io eodem consepto fer?
habere solent (de animalibus) coclearia, atque
alvearia, atque etiam dolia, ubi habeant conclusos
glires. Sed horum omnium custodia, i ner emea
tam, et pastio aperta, praeterquam de apibos.
Qois enim igoorat septa e maceriis Ita esse opor
tere in leporario, ut tectorio tacta sint, et sint
alta? alterum ne faelis, aut maelis, aliave quae
bestia iotroire possit; alteram ne lupus transilire :
ibique esse latebras, obi \eports interdiu delite
scant in virgoltis atque herbis : et arbores patu
lis ramis, quae acjoilae impediant conatas. Quis
item ii esci t paucos si lepores, mares ut foeminas
intromiserit, brevr tempre fore ot impleatorf
taola foecooditas hojus quadrupedis. Qoataor
modo eoim intromisit in leporarium, brevi solet
repleri. Fit enim saepe com habent catulos recen
tes, alios ut in ventre habere reperiaotnr. Itaque
de his Archelaus scribit, aonorom quot sint si
quis velit scire, inspicere oportet foramina natto-
rae, qoae sioe dubio alius alio habet plura. Hos
quoque nuper inslitutbm ut saginarent pleraque,
cum exceptos e leporario cooclodant in caveis,
et loco clauso faciant pingues. Corum ergo tria
genera fere sunt. Unum Italicum hoc nostram
pedibas primis humilibus, posterioribus altis,
superiore parie polla, ventre albo, auribus longis ;
qoi lepas dicitur, cum praegnans sit, tamen con
cipere. Io Gallia Traosalpina et Macedonia fiant
permagni : io Hispania et io Italia mediocres.
Alterius generis est, quod in Gallia nascitor ad
Alpes, qai hoc fere motant, qood toti caodidi
sont; hi raro perferuntor Romam. Tertii generis
est, qood in Hispania nascitur, similis nostro
lepori ex quadam parie, , sed homile, quem cuni
culum appellant. L. Aelius palabat ab eo diclum
leporem, (a celeritudine,) quod levipesesset. Ego
CAPUT x n
De l l e u n i .
In questo frattempo ritorna Appio, ed aven
dogli noi dimandato -ci che era avvenuto, ed
egli pare aveodoci chiesto quanto da noi si era
detto e fatto, ci dice r Segue al preseole il secon
do alto (i), ciq i parchi, che sono d ordioario
adiaoenli alla casa villereccia, e cbe conservano
ancora il nome aolico di leporajria (a), qaaolan-
que le lepri ooo formioo cbe noa parte del parco,
perch oggid (3) noo ai rioserraoo soltanto delle
lepri io uo boaoo di questo, come faoevasi antica
mente, destinando a quest'oggetto un picciolo
terreno di uno o di due jugera, ma ancora dei
cervi e delle capre, per le qoali si destinano molte
jugera. Si dioe ohe Q. Fulvio Lupinus (4) ha nel
distretto Tarqoinieose ona chiodeoda di quaranta
jugera, nella, qoale ha rioserrato noo solo gli
animali, dei quali ho parlato, ma ancora delle
pecore selvagge. Evvi anoora ehi poaaiade nel
distretto Stalonense (5) ua pi grande pareo, ed
altri pure in altri luoghi ne posaedooo. Nella
Gallia poi Transalpina T. Pompeio (6) ha formalo
per la caccia un s considerabile ridnto, che con
tiene quarantamila passi all iocirca (7). Inoltre
nel medesimo riciato sogliono quasi sempre avere
dei luoghi destinati alle lumache, alle api, ed an
che delle dolia per tenervi rinchiusi i ghiri
Ma non porla sec difficolt quanto riguarda la
custodia, P accrescimento ed il nodrimento di
questi animali: non lo stesso per delle api
E chi mai ignora che il parco debb essere circon
dato di mora ben intonacate ed alte? perch
T intonico fa che il gatto domestico ed il salvsti-
co (9), od alcuna altra bestia non possano entrare
nel ricinto ; e l1altezza delle mora fi che no*
possa saltarle il lopo. Bisogna ohe nel parco
siaovi dei oascoodigU di virgolti e di erbe, ove
le lepri possaoo oascoodersi tra il d, come an
cora degli alberi a rami molto distesi, i qoali
impediscano gli sforzi delle aquile. E chi pari
mente ignora che introducendo nel parco poche
lepri mascoline, come anche femminine (10), in
breve tempo si riempir? taola la feconditi di
questo quadrupede. Difatti se alcuno iotrodar
ra (11) nel parco quattro lepri, d* ordinario si
riempir in breve tempo; essendoch sovente
quesli animali hanno dei figli appem} nati (ia)
nell' islesso tempo cbe ne portano altri nel ven
tre. Archelao scrive (i3), che volendosi sapere gli
anni di questi animali, basta guardare il numero
degli orefizii che hanno nel ventre, perch consta
che alcuni ne hanno di pi, ed altri di meno.
c a p i t o l o x n
DE RE RUSTICA LIB. III.
arbitror i Graeco vocabolo antiquo, qnod eum
Aeoles Boeotii Xiroftv appellabant. Cunicoli dicti
ab co, qaod sub. terra amicalo* ipti iuere soleant,
obi lateant io agrii. Horom omninm tria genera,
fi possis, in leporario babare oportet; duo qui-
dem ntique te habere poto, at qaod in Hispania
annis it* faisti multis, ot inde te cuniculos pene-
calca credam.
c a p u t xm
Da aravi.
Aproa quidem posie habere in leporario, nec
magno negotio ibi et capti voi, et ci care*, qui ibi
nati sint, pingnei solere fieri, icis inqusm Ai.
Nsm qoem fondum in Toiculano erait hic Varr
a M. Papio Pisone, vidisti ad buccinam inflatam
certo tempore apros et capreas oonvenire ad pa
bulum , cam e superiore loeo e palaestra apris
fonderetur glam, capreis vicia, ant quid aliud.
Ego vero, inqnit ille, a pad Q. Hortensiam coro
in sgro Laurenti essem, ibi istoe msgis
fieri vidi. Nsm silva erat (ut dicebat) sopra quin
quaginta jugerum maceria septa, quod non lepo
rarium , sed appellabat. Ibi erat
locus excelsus, ubi triclinio posito coeoahamus.
Quinius Orphea vocari jussit ; qui cum eo venis
set eam stola, et cithara, et cantare essel jussos,
buoeinam inflavit, ubi tanta circumfluxit nos cer
vorum, aprorum, et eoe te rarum quadrupedum
multitodo, ot non minbs formosum mihi visum
Test si inventato, dingrassare le lepri (14),
prendendole dal parco e chiudendole in gabbie,
perch rinserrate, diventano pingui. Sonovi pres
sappoco tre specie di lepri (i5). La prima com
prende la nostra lepre d'Italia, la quale hai
piedi anteriori (16) bassi ed alti i posteriori, il
'dorso bigio, il ventre bianco, e le orecchie lun-
*ghe. St dice che le femmine di questa specie con
cepiscano, quantunque sieno pregne. Nella Gallia
Transalpina e nella Macedonia le lepri diventano
grandissime, e mediocri nella Spagna e nell Ita*
lia. La seconda specie nasce nella Gallia presso le
Alpi (17), e non differisce dalla prima, se non
perch tutta bianca : rare volte si porta in
Roma. La terza specie nasce nella Spagna, la
quale in alcune parti simile alle nostre lepri ;
ma pi bassa (18), e si chiama cuniculus (19).
L. Elio pensava che la voce lepus derivasse da
epipes (ao), cio, perch corre velocemente. Io
sono d'opinione che derivi da un antioo vocabolo
greco, perch gli Eolii (ai) usciti della Beozia,
chiamavano quest' animale Ai-rof/r. Il nome di
cuniculus (aa) deriva dai bochi che i conigli
sogliono fare sotto terra per nascondersi nei
. campi. Quando si possa, bisogna avere nel par00
le tre specie di questi quadrupedi, lo penso, o
Varrone, che tu ne abbia due specie, perch di
morasti molti anni in Ispagna ; e per quanto io
credo, tu allora avrai avuto l'opportunit di
procurarti dei conigli (a3).
-- --
CAPITOLO xm
Dii a i o v i u .
Tu non ignori, o Assio, continu Appio (1),
che un parco pu essere popolato di cinghiali, e
che senza difficolt soglionsi ingrassare tanto
quelli che nel medesimo si sono rinserrali, quanto
coloro che ivi sono nati ; imperocch tu stesso
vedesti che nella tenuta, la quale Varrone qui
presente comper da M. Pupio Pisone (a) nel di
stretto di Frascsti, i cinghiali e le capre selvatiche
si raccolgono al suono del oorno in certi dati
tempi (3) per ricevere il cibo tutte le volte che da
un luogo elevato e destinato agli esercizii ginna
stici (4) si gettavano ai primi le ghiande, ed alle
seconde la veccia, od alcun'altra cosa. Io vidi
succder ci, rispose Assio, io un modo pi tea
trale (5), quando mi trovava presso Ortensio nel
territorio di s. Lorenzo (6); imperocch, com e
gli diceva, aravi una selva oltre i cinquanta j u-
gera, circondata da muraglie, Is quale non si chia
ma vs leporarium, ma (7). Eravi io
?i I. TERENTII VARRONIS 713
fi! i^eolfeolaiD, qoam m circo n i i i a o Aedilium,
tine Africani bestiis cam fiant ? coctione*.
CAPUT XIV
Db coca l u i .
Axias : Tass* partes ( inquit ) sublev avit Ap
pias, o Merula noster. Qaod ad venationem per
tinet, breviter secundus transactus cit aetns. Nec
de cocleis ac gliribus quaero, quod reliquam
st; neque enim magnum emolumentum esse po
test Non istuc tam simplex est, inquit Appias,
qaam tu putas, o Axi noster ; nam et idoneas
sub dio snmendus locas cocleariis, quem circara
totam aqua claudas, ne quas ibi posueris ad par
tum, non liberos earum, sed ipsas quaeras Aqua,
inquam, finiendae, ne fugitivarius sit parandus.
Lotas is melior, quem et non coquit sol, et tan
git ros. Qui si nataralis non est ( at fere non
saat in aprico loco ) neque habeas inopaco, ut
facias, ut sant sub rupibus ac monlibos, quorum
alluant radices lacus ac fluvii, manu facere opor
tet roscidum ; qui fit, si eduxeris fislulam, et in
eam mammillas imposueris tenues, quae eractent
aquam, ila ut in aliquem lapidem inoidat, ac late
dissipetur. Parvas iis cibus opus est, et is sine
ministratore. Et huoc, dnm serpit, non solum io
rea repent, sed etiam, si rivus non prohibet, in
parietes stantes invenit. Denique ipsae exgrami-
nantes ad propalam vitam diu producant, cum
ad eam rem panca laurea folia interjiciant, et
aspergant far fu res non multos. Itaque coquns
has vivas an mortuas coquat, plernmqae nescit.
Genera coclearum sunt plura, ut minutae albatae,
qaae afferuntur e Reatino, et maximae, quae de
Illyrico apportantur, et mediocres, qaae ex Afri
ca afferantur. No quo non in bis regionibus
quibnsdam locis, eae magnitudinibus ( non ) siot
dispariles : nam et valde amplae sunt, quamquam
ex Africa, quae vocantur solitaonae, ita ut in eas
l x x x quadrantes conjici possint, et sic in aliis
regiooibas eaedem inter se collatae et minores
saot, ac majores. Hae in foetura pariant innume
rabilia. Earam semen minatam, ae testa molli,
questa selva mhiogo elevato, ovi per mangiare
vi avea un letto da tre persone, ed ove Qainto
fece chiamare Orfeo (8) : -il quale essendosi pre
sentato in lunga roba e colla cetera, ed avendo
ricevalo V ordine di cantare, son la tromba, al
cui suono fammo tosto (g) circondati da s gran
de quantit di cervi, di eingbiali e di altri qua
drupedi, che tale spettacolo non mi parve men
bello di quello che danno gli Edili (10) net gran
de circo, qaando si fanno le cacce, ma seoza pan
tere (11).
--0--
CAPITOLO XIV
Dbl l b LUMICO*.
Tu, o nostro Menila, dice Assio, sei stato sol
levato nel tuo offizio da Appio ; poich breve
mente ha terminato il secondo atto che riguarda
la caccia. Dico terminato, perch non conto mol
to quaulo resta a trattarsi intorno alle lumache
ed ai ghiri, non essendo quest' articolo molto
difficile (1). Non peraltro tanto facile (a), ri
piglia Appio, come tu credi, o nostro Assio,
perch bisogna scegliere allo scoperto ao faogo
acconcio per le lumache, e circondarlo tutto
d'acqua, affinch quelle madri che ivi avrai po-
stc per ia propagazione, non vadano altrove, e
invece di cercare i loro figli, to non abbia an
che da cercare le stesse (3). Bisogna, diceva,
circondarlo d' acqua, onde tu non debba appre
stare an fugitivarius (4). Il luogo migliore
quello, il quale non bruciato dal sole, ed
irrorato (5). Che se non tale formato dalla
oatura ( come d ordinario accade nev luoghi
espoiti al sole ), e se si manca di uo luogo opa
co per farlo, come si potrebbe fare sotto le
rocce ed al basso dei monti, bisogna renderlo
rogiadoso per mezzo delle mani. 11 che si ot-
tiene ianalzaudo sopra terra un tubo coronato
da piccioli capezzoli, i quali gettino P acqua
in maniera che cada sopra qualche pietra, af
finch zampiHi da lungi. A queste fa d' uopo
pochissimo nodrimento, e non hanno bisogno
di chi lo porga ad esse, perch (6) sanno tro
varselo di plr s non solamente in terra, ma
ancora sopra i muri (7), qaando an qaalohe
ruscello non to impedisca. Finalmente vivono
lungo tempo, nutrendosi della loro propria so
stanza (8), a imitazione di qaelli che rivendono,
perch basta gettare ad esse di tempo in tempo
poche foglie di lauro e poca cresca : e per qoo-
sto il cooco per lo pi non aa se le {accia eoo-
eere vive o morte. Sooovi pareochie specie di
DE RE RUSTICI L1B. III.
7*4
dlutarnitate b d a m d t Miglili inoli* In reti
fretis, magnam bolom deferunt tris. Hat quo
que Mg inart tolent ita, ut ollam eum foramini
bus incrustent sape, et forre, o b i pascentur, quae
foramina habeat, at intrare air possit. Vifsx
eoim haeo natura.
CAPUT x v
Di o l i m u s .
Glirarmfai aatem dissimili ratione habetur,
guod non aqua, sed maceria loous sepilur. Tota
levi lapide, aut tectorio iotrinsecus incrustatur,
ne ex ea erepere possit. In eo arbusculas esse
oportet, quae ferunt glandem ; quae, cum fructum
non ferant, intra maceriam jacere oportet glao-
dem el castaneam, onde aaturi fiant. Facere bis
cavos oportet laxiores, ubi pullos parere possint;
aquam esae tenuem, quod ea non utuntur mul
tum, et aridam locum quaerunt. Hi saginantur
ia doliis, quae etiam ia villis bebent mulli, quae
figali faciunt, mallo aliter atque alia ; qood in
lsleribua eorum semitas Cadunt el cavum, ubi
cibam constituent. In hoc dolium addunt glan
dem, aut nuces juglandes, aat castaneam. Quibus
io tenebris, cum cumolalim positum est in doliis,
fiuut pingues.
lumache (9), come le piccolissime bianchieoe
le quali ci veogone dal territorio di Frascati,
le grandi che ci sono trasportate dall Mino,
e le medioeri che T en go n o dall Africa. Noo
gi che alcuni luoghi dei menzionati paesi
non (10) ne producano di differente grandez
za ; perch e sono grandissime alcune dell1-
friea (11), che si chiameno solttanae^ oosicch
la loro conchiglia pu contenere (ib) ottpnte
quadrantes di liquido ; e perch, paragonando
tra di loro le lumache degli altri paesi, alcuni
ne somministrano di piccole, ed altri di gran
di. Queste partoriscono ona quantit prodigiosa
di aova (i3), le quali sono minutissime e di
nn guscio molle, ma che col tempo s ioduri-
ac*. Formano delle grandi elevazioni di terra
* T olta, e lasciano una. grande apertura pel
passaggio dell aria (14)* Sogliono ingrassarle,
mettendole in un olla fornita di molti Cori (i5)
pel pestaggio del) scia, che incrostano ool via
(sotto misto alla Carina, affinch abbiano oon eho
aodrirsi. Le lumache seoo naturalmente vivaci.
- -
CAPITOLO XV
Dai ovai.
Il luogo destinato ai ghiri si costruisce ha un
nodo differente (1), perch non si circonda di
acqua, me di mura, le qusli si fanno di pietra
liscia, ovvero internamente s incrostano d ' into
nico, aociocch noa possano (a) arrampicarsi.
Bisogna cbe in questo luogo siaovi degli arbo
scelli che fruttino delle ghiande ; e nel tempo che
non ne produoono, se ne gettano, come oche
delle castagne, dentro il ricinto, affinch possano
nodrirsi. Bisogns che si facciano dei fori abba
stanza larghi, ore possaoo partorire i loro figli.
Non necessario che siavi molta sequa, di cui ne
fanno poco neo, perch emano i luoghi secchi.
S ingrassano nelle botti, come sono quelle che
hanno parecchi nelle loro case di ? illa : quelle
boti} che Canno a quest effetto i pentolai, sono
mollo differenti da queste, perch sono fornite di
sentieri nei lati, e di an loro, oel quale si mette
il nodrimento. Si gettano io queste botti (3) delle
ghiande, delle noci, 0 delle castagne ; e s ingras
sano all oscaro, mettendo un coverchio sopra le
boUitf).

M. IciBinio V,
7 i5
M. TERENTII VARRONIS
De a pi b u s .
Appius igllar : Bdinqoitor, inquit, de pastio
ne villtica tertias actus de piscini. Quid tertias ?
inqait Axius. An quia tu solitus es In adblescen-
tia ta domi mulsura non bibre propter parsi
moniam, nos mel negligemas? Appius: Nobis
verum dicit, inquit. Nam cum pauper cum duo
bus fratribus, et duabus sororibus essem relictus;
(quarum) alteram aine dote dedi Luoullo, a quo
baereditate me cesta primum, et primus mnlsuii)
domi meae bibere coepi ipse, cum interea nlhMto
vuinu* pene quotidie in convivio omnibus darem
nralsuih. Pi'aeterea tnem erat non tuum, erfi
novisse vottiefres, quibus pldrimum natura ingenii
atque artis tribuit : itaque eas melius me notte
quam te, ut scias, de incredibili earum viam
natara audi. Aierula, ot-eaeVera fecit /$#?/***>
quae sequi meKtUirgi toieant, demonstrabit. Pri*
mum apes nascuntur partim ex apibus, partim
ex bubulo corpore putrefacto. Itaque Archelaus
in epigrammate ait, eaf eisf nri-
troTtifuiva r / x v . l d e m crtyUxti ytvidj
t*4*X6sv futXtffo-a/. Hae apes non sunt solita-
ria natura, ut aqcrifae, s4d ut homines. Quod
si hoc faciuot etiam graculi, at non idem :
hic, societas bperit et aedifiioram, quod
itlia non est. Hicratio atque ars, ab his opot
facere discant, ab bis aedificare, afe his dbarit
condere. Tria enira harum, cibat, domai, opus.
I
c m j T x v i
Neqae idem qaod cibut cera, neo quod ea
mei, nec quod mei domus : non in favo tex an
gulis cella; totidem, quot babet ipsa pedes?
(quod geometrae 4%y*vov fieri in orbe rotnndo
ostendunt, ut plurimum lod includatur). Foris
phscuntur, intus opus faciunt: quod, dulcissimum
quod est, et diis et hominibus est acceptam; quod
favus venit in altaria, et mel ad principia convivii,
et in secundam mensam administratur. Hae at
hominum civitates, quod hic est et rex, et impe
rium, et societas, quod sequuntur omnia pura;
itaque nulla harum assidit in loco inquinato, aut
eo, qui male oleat, neque etiam in eo, qui bona
olet unguenta ; itaque his uncius qui accessit,
De l l k a p i .
Resta dunque, dice Appio; il tetto atto che
abbraccia i nodrimenti che si fanno nelle casa di
villa, cio delle peschiere (i). Che cosa intendi
mai tu pel terzo atto, dice Assio ? Forse noi avre
mo da trascurare il miele, perch fino dalla tua
giovent non sei solito di bere vino melato per
risparmio ? Egli dice il vero, rispose Appio (a) ;
perch avendomi i miei parenti lasciato povero
con due fratelli e sorelle, una delle quali (3) la
maritai senza dote a Lucullo ; e questi avendo
mi (4) instituito suo erede, fui il primo a bere
nella mia casa del vino melato, e a tati* i convi
tali ne do quasi ogni giorno. Inoltre spetta a
me (5) e non a te il conoscere a fondo qaesli vo*
laliH, favoriti dalla natura di molto ingegno e di
molta industria : e per questo, affinch la sappia
che io li conosco meglio di te, ascolta le incredi
bili cose eh' eglino operano (6). Lascer poi a
Merula la cura di mostrarci istoricamente, come
ha fatto degli altri-animali, cosa sogliano prati
care quelli che ne allevano. Primierameute le api
parte nascono da altre api, e parte dalla putrefa*
zione del corpo del bue : e perci Archelao nd
suoi epigrammi dice che esse u sono la genera
zione volante di un bue morlo. r>11 medesimo
autore (7) dice che le vespe son generale dai
cavalli, e le api dal vitelli. * Queste (8) non vi
vono solitarie, come le aquile, ma in societ,
Come fanno gli uemini : che se in ci convengo
no anche le cornacchie (9), V per questa dif
ferenza, che le api s uniscono colP oggetto di
formare insieme delle opere e degli edilizi, lad
dove le cornacchie non hanno questa vista. La
ragione e l industria raccoglie le api ; ed insegna
ad esse a lavorare, a fabbricare e a provvedere
dei cibi : di fatti esse haqpo trt Oggetti; il dbo,
la casa d il lavoro.
pei1dire il ver, vi differenza tra fa casa
ed il loro nodrimento, come V ha tra il roiele e
la cera, e tra la loro casa ed il miele. II favo (io)
ha cellelle osagone, e tanti lati quanti sonoi piedi
delle api ( questa figura si chiama dai geometri
esagono, i quali dimostrano che un esagono in
scritto in un drcolo contiene pi superficie di
qualsivoglia altra figura (11) ). Al di fuori si ci
bano, ed internamenle lavorano (ta) il miele, il
quale dolcissimo, e piace tanto agli dei, quanto
agli uomiui ; poich il favo si mette sulle art, ed
il miele si appresta nel principio del convito e
nella seconda mensa (i3). Esse hanno delle citt
simili a quelle degli uomini, essendoch fi si
c a p i t o l x v i
puqgoQl; non at muscae liguriant ; quoj nemo
ha* videi (pt illas) in carne, aat sanguine, eut
adipe : ideo modo ceoiidunt io qao est sapor
dulcis. Minime malefica, quod nollius opus velli
cans facit deterius : neque ignava, ot non, qui
ejas opus conetur disturbare, resistat. Neque
tamen nescia suae imbecillitatis; quae cam causa
rausarum esse dicantur volucres, quod et siqaan-
do displicatae sunt, cymbalis et plausibus, nu
mero reducunt in locum anum. Et ut bis diis
Helicona atque Olympon attribuerunt.homines,
sic his floridos et incultos patnra attribuit mon
tes. K egeto suum sequuntur quocunque i t , et
fessum sublevant; et, si nequit volare, succollant,
quod eam servare volunt. Neque ipsae sunt infi
cientes, nec non oderunt inertes ; itaque inse
ctantes a se ejiciunt fucos, quod hi neque adju
vant, et roel consanyint: qnos vocificantes plures
persequuntur etiam paucae. Extra ostium alvei
obturant omnia, qua venit inter favos spiritus ,
quam fi$axw appellant Graeci. Omnes ut in
exercita vivunt, atque alternis dormiunt, et opus
faciunt pariter, et ut colonias mittunt. Hique
duces conficiunt quaedam ad vocem ut imita
tione iobae ; tum id faciunt, cum inter se signa
pacis ac belli habeant. Sed, o Merula, Axius no
ster ne, dum baec audit, physicam addiscat, quod
de fracta nihil dixi, nane carsa lampada libi
trado,
7*7
Merula : De fracto, inquit, hoc dico, quod
forUsse an libi satis sit, Ax,i, in quo auctorem
habeo, non solam, qui alvearia sua locata babet
quotannis quinis millibus pondo mellis, sed etiam
hunc Varronem nostram, quem audivi dicentem,
duo.(nilitesse habuisse in Hispania fralrea Vejanio*
ex agro Falisco locupletes, quibas cum a patre
relicU esset parva villa, et agelhis non sane major
jugero uno, hos circum villam totam alvea
rium ferisse, et hortum habuisse , ac reliqnam
thymo et cylo obsevisse et apiastro, quod alii
trova nn re, nn governo ed una teeiel. Esse non
ricercano se non ci eh* puro ; per lo che non
vedesene alcuna arrestarsi in u q luogo impuro, o
di cattivo odore, come nemoeno in quello che
sparge soavi odovi : difalli esse pungono chi loro
si accosta profumato di buoni odori (i4)> Le api
non mangiano avidamente come le mosche ; ni
mai si vedono arrestarsi, io pari guisa di queste,
sopra la carne, sul sangue, o grasso, ma solamen
te sopra i corpi di un dolce sapore. Esse noo fan
no alcun male, .perch non guastano alcuna opera
che pungano ; d' altronde per sono coraggiosa
per far fronte a quelli che volessero minare la
loro opera, quantunque conoscano molto bene la
loro debolezza (i5).. A ragione si dice che sieno
gli uccelli delle muse, poich se qualche volta
accade che si spargano, subito si riuniscono ai
suono dei cembali e *1 batter delle mani : inoltre
siccome gli nomini hanno assegnato a queste dee
1' Elicona e 1 Olimpo, cosi la natura ha assegnalo
alle api i monti fioriti ed incolli. Esse seguono
per tutto il loro re, lo sollevano quando stan
co ; e se non pu volare, lo portano sulle spalle,
perch vogliono conservarlo. Codesti volatili noo
isporcano nulla, ed odiano gl inoperosi ; e per
questo si scagliano e scacciano (iG) da s i pec
chioni, perch questi non dauno alcun aiuto e
consumano il miele. Punto non le spaventa il ru
more strepitoso che questi fanno, anzi esse li
perseguitano, quantunque sienu meno numtrese
di loro, Esse otturano al di fuori V arnia in tult' i
luoghi pei quali polesse passare l aria ed insi
nuarsi nei favi con una materia che i greci chia
mano iftaxn* (17). Codeste vivono come fanno
i soldati all' armata, dormendo ognuna alternali -
vamente, e in tal modo del pari lavoraudo. Spe
discono pure anche delle colonie (18). Eseguisco
no le api alcune operazioni al suono della voce
dei loro capi, come fanno i soldati a quello della
tromba : ci si fa parlicolarmente quando tra di
loro havvi dei segni di pace e di guerra. Ma ao>
ciocch il noslro Assio non si annoi, sentendo (19)
questi racconti di fisica, e perch non ho detto
niente dei frulli che ci somministrano, ti pre
sento, o Merula, la fiaccola.
Quello che io dir dei loro frulli, dice Me
rula, sar forse sufficiente per te, o Assio. lo fian
chegger i miei delti non sok> oli autorit di
uno die trae tolti gli anni dall afftto de suoi
alveari dnquemila libbre d miele* ma ancora
con quella del nostro Varrone qui presente, dal
quale ho inteso che egli aveva sotto i.suoi ordini
nella Spagna due fratelli soldati, detti Veiani, e
del paese dei Falischi, i quali erano diventati
molto ricchi ( quantunque il loro padre non afes
ae lasciato aU e**i che nna piccola casa* rusticana
; i 3
DE RE RUSTICA L1B. 111.
ftiXfpolk**, alii quidam piXtvot,
ppellant. Hol nunquam minus, ut peraeque do
cerent, dena millia sexterlia ex nelle recipere
esse solitos ; tum eos et velie expectare, nt suo
potius tempore mercatorem admitterent, quam
celerius alieno. Dic igitur, inquit, obi et cnjns-
modi me frcere oportet alvearium, ut magnos
capiam fractas. Ille : (JUXirrAvas ita facere opor
tet , qaoa alii /uXtrfo^tict appellant, eandem
rem qaidam mellaria. Primam secandam villam,
potissimam ubi non resonent imagines ; bic enim
sonus harum fagae (causa) existimator este. Pro
ceram esse oportet aere temperato, neque aestate
fervido, neque bieme non aprico, ut spectet po
tissimum ad hibernos ortu* quae prope se loca
habeat ea, obi pabulom sit frequens et aqua
para. Si pabulum naturale non est, ea oportet
dominum serere, quae maxime sequuntur apes;
ea sunt, ros, serpyllum, apiastrum, papa t er,
faba, lens, pisam, ocimum, cyperam, Medica et
maxime cytisum, quod alentibus utilissimam
est. Etenim ab aeqoiuoctio verno florere incipit,
et permanet ad alterum aequinoctium autumni.
Sed ut boc aptissimum ad sanitatem apium, sic
ad mellificium thymam. Propter hoc Siculum
mei fert palmam, quod ibi thymum bonum et
frequens est. ltaqoe quidam thymum contundunt
in pila, et dilaunt in aqua tepida : eo conspergunt
omnia seminaria consita apium causa. Quod ad
locum pertinet, hoc genus potissimum eligendum
}uxta villam ; non quo non in villae porticu
quoqua quidam (qao tatius essent ) alvearia col
locarmi.
7 1*
Ubi sint, alii hciunt ex liminibus rotundas,
alii e HgUo ac corticibus, alii ex arbore cava, alii
fictiles, alii etiam ex ferulis qoadratas loogas cir
citer pedes ternos, latas pedem, sed ita,uti com pa
rum sit qua compleant,eas coangustent, ne in va*to
loco et inani despondeant ani uram ; haee omnia
vocant a mellis alimonio, atvos: quas ideo viden
tur medias facere angustissimas, at figuram imi
tentur earum. Vitiles fimo bubulo obKount falnt,
ed un csmpieeHo, non maggiore certamente di
un iugero ), perch avevano disposto all intorno
d tutta la casa della arnie, messo ad orto una
porzione del campiceHo, e piantata l altra di
timo, di citiso a di melisi che alcuni chiamano
ftsX/pu \ o f (ao), altri /ufXf*9o9irik' (ai), ed al
ca ni p 4\t * w ( 22). Qaesli fratelli, computando on
anno coll1altro, non ritraevano meno di diecimi
la sesterzi di miele ; ed aspettavano a venderlo,
amando di Carne la vendita in un tempo che fosse
favorevole ad essi, e si guardavano dal venderlo
troppo presto, acciocch non fosse pi favorevole
al compratore. Dimmi dunqoe, dice Assio, qual
laogo e qual forma io debb assegnare alle arnie
per ottenere in copia i frutti. Ecco, rispose Ufo
rota, quello che bisogna fare per gli alveari, delti
da alcuni /usA/mfrtt da altri /tisXrrpopf/a, ed
In latino mellaria (a3). Primieramente bisogna
collocanti presso la casa villereccia, soprattutto
10 an luogo, ove non si senta l eco ; perch si
giudica che il rumore dell eco te faccia fuggire.
Inoltre (24) bisogna metterli in un laogo tempe
rato, che sia fresoo iu estate ed esposto al sola
nell inverno ; e particolarmente debbe essere
volto al nascere del sole nell inverno e in vici
nanza a looghi, ove siavi molto pascolo edacqaa
pura. Se non vi sar pascolo naturale, il proprie
tario avr cara di piantare specialmente quetfe
piante che sono ricercale dalle api, come la rosa,
11 serraollino, la melissa, il papavero,-la fava, la
lente, i piselli, il basilico, il cipero (a5), l erba
medica, e particolarmente il citiso, il quale in
modo speciale conviene a quelle cbe sono poco
sane (26). Questo comincia a fiorire dall equino
zio di primavera, e dura sino a quello di autun
no (27). Ma ficco me il citiso contribuisce molto
per la sanit delle api, cos il timo per la coropo*
sizione del miele. Per la qoal cosa il miele di Si
cilia porta la palma sopra tutti gli altri, perch
col il timo buono ed in copia ; e perci alcuni
peitano il timo nel mortaio, e lo spargono aopra
tutte le seminagioni che si sono seminate per le
api, dopo averlo prima stemperato nell acqua te
pida. Riguardo al laogo da collocarsi gli alveari,
si preferir la vicinanza alla caia rusticana, quan
tunque alcuni li mettano anche volto il portico
della stessa, affinch fieno pi sicuri.
Ovunque ai mettano, alcuni Hfanno rotondi,
sia di vimine, sla di legno e di scoria, sia con un
tronco d albero scavato, gi di terra cotta, ed altri
li fanno quadrati di ferula, e danno agli alveari
la lunghezza di tre piedi allo incirca, e 1 lar
ghezza di un piede ; ma quando per le api sono
in piccolo numero per riempirli, li ristringono,
acciocch non si scoraggiscano in 00 luogo trop
po visto (8). A tulle queste sperfe di aleeri
11. TEfiEKTll VARRONIS
et extra, ae u p i r U U b i l t r m B t v j eatqne
tiro* ila collocent in malaHt perietft, ot ne gi-
tastar, nere inter te contiagant, cura io ordium
aint potitae} aie Intervallo interposito, illarum
et terliom ordinem infra faeton t, et afoni potiut
ki'M demi oportere^ quam addi qoartum. Media
aho, ia qaa introeant apet, faeioat foramina
parra destra, ae sinistri. Ad extrema,' qoa mel
larii favam eximere possant, operoola Imponant
alvis. Optimae fiaat eorbeiee, deterrimae fictiles,
qaod et frfgore hieme, et tettale oalore vehemeo-
t a i ae hie eommoveatkir.
9*1
Temo tempore el aettivo fere ter in mense
meQarnu faspicere debet fumigans leviter eat,
et a aparciriU purgare alt aro, et vermicaio* eji
cere. Praeterea at animadvertat, ne regali plores
exiftant : iaatiles enim fiant propter teditiones ;
et, ot qaidam dicant, tria genera cam tint daeom
in apibut, niger, r u b e r , variat ; ut Menecratet
scribit dao, niger, et varias : qai ita, melior ;
at expediat mellario, cam dao tint eadem alvo,
interficere nigram, quem scit cam altero rege
esse seditiosam, et corrumpere alvam, qaod
faget, aat cam maltitadloe fagetar. De reliquit
apibai optima est parva , varia , rotanda. For,
qai vocator ab aliis focos, alter eat, lato ventre.
Vespa, qoae timilitudinem babet apis, neqae
toda est operis, et nocere tolet mortu, qoam
apee a se seceraant, Eae differant inter te, qoae
ferae et cica res tant. Nane ferat dieo, qoae in
ailvcatribas locis patcilant ; ejeoret, qoae ia cal-
tii. Silvettrea minores tant magailudine, et pilo-
tae, tad opifioet magit. In emendo emtorem
videre oportet, valeant, ao tint aegra. Sani Ut it
tigna, ti tant freqaentet in examine, et ti nitidae t
ct ti opaa, qaod Caciant, ett aeqaabite, ae leve.
Miaat valentiam tigna, ti snnt pilosae et horri
dae, at pulveralenlae, niti opificii eas urget
lempas; tum eoim propter laborem asperantar,
ac maeeicant. Si traotferendae taul alvi in aliam
locam, id boere diligenter oportet, ct tempora,
qaiboa id potittimam faciat, animadvertendam ;
ct loca, qao transferaa, idonea providendam.
Tempora, at verao potiat qaam hiberno, qaod
hieme difficulter oootoeacaat,qao tant traatkataa
manere: itaqae fttgtanl plerumque. Si e bono
di (n latino 11 nome di a h i (*9), pereti il micia
ferve di nodrimeoto; e* pare appanto che gli
abbiano fatti atrettiisimi in netio, onde Imitino
la figura del ventre (3o). Gli alveari di vinchi (3 1)
ti vestono dentro e fuori di sterco bovino,*ccioc-
ch la loro asprezza non impedisca che le api vi
ti accostino. Sopra modiglioni piantati nel moro
ti mettono le arnie, ma in maniera che non ti
tmovtno, o cbe ti tocchino reciproca mente,
qoando tono disposte eoo ordine. Formato che
tiasi oo ordine, colla debita distante, ti fa di tolto
no tecoodo ed on terzo ordioe. Si pretende che
tia meglio formar toltanto due ordini, cheag-
giongerne un qnarto. Alla meli delPalveare, per
dove (3*), ea treno le api, si fanno de* piccioli fori
a destra e a sinistra. AIP estremit superiore
quelli che haono in cura il miele, mettono dei
coverchi, affioeh postano trar fuori i favi. I
migliori alveari sono qoelli di scorsa, ed i peggio
ri qnei di terra, perch oelP inverno vanno sog
getti al grao freddo, eome al gran caldo nella
alate (33).
Chi ha in core il miele, deve nella primavera
e nell'ette te viti tare gli alveari* qoati tre volte al
mete, profumarli leggermente ogni volta, nettarli
dalle tporcizie e acacciare i vermicelli. Inoltre
abbia T occhio attento, nde no ti trovino pa
recchi re nella medetima arnia, altrimenti frutte
rebbe scarsamente per le tediziooi ; 3 siccome,
secondo P attentane di alconi, ti contano tre
specie (34) di capi delle api, cio il nero, il rotto
e lo screziato ; e due fecondo Menecrate, vale a
dire il nero e lo tcreziato, coti, perch qnest al
timo migliore (35), giova, che trovandosi due
capi oelP it tetta arnia, che il aoprastante al miele
ammatzi il negro, perch sa che sedizioso coa
tro P altro re, e che inteso alla distrazione del-
P alveare, sia facendo fuggire le api, tia fuggendo
egli fletto e tirandosene dietro una gran quan
tit. Riguardo alle altre api, le migliori tono la
picciole, le screziate e le rotonde. I ladro, o pec
chione, che da altri ti chiama in latino faems,
nero (36) c largo nel ventre. La vespa, la quale
rattomiglia all ape, oon lavora panto inficino eoa
qoesta, anzi tuoi* nuocerle col morso ; per lo che
le api la scacciano dalla loro societ. Le api sd-
vagge differiscono dalle addomesticate (37). In
tendo per aelvagge quelle cbe vivono ne' luoghi
selvaggi, e per addomesticate quelle cbe vivooo
ne* luoghi coltivati Le prime tono pi picciole,
pelote e pi intese al lavoro. Bitogna che nelf at
to della compera ti esamini se fieno saoe od am
malate. segno cbe ooo tane, te formino uno
telarne nameroeo, te tono locidb, te il loro lavoro
uniforme e liteio : ed poi ttfgno cbe tono em
ettiate, se fono peldie, brutte, 0 pitae di poi*
72*
DB RE RUSTICA UBL i n .
M. TERENTII VARRONIS
loco transtuleris eo, obi idonei pabulatio non est,
fugitivae fiunt. Nec n ex alvo io ilrom in eodem
loco trajiciat, negligenler faciendam; sed si trans-;
itura* snnt apes ea, apiastro perfricanda, qaod
illicium hoc illis : et favi melliti intos ponendi,
faacibns non longe, ne, cam animadverterint,
ut inopiam escae habaisse dicantar, aut cam
aant apes morbidae propter primores vernos
pastas, qni ex floribus nncis Graecae, et corna
fiunt, coeliacas fieri, atque orina pota refici.
De his propolim Tocant, e quo faciant ad fo*
ramen introitai proteetam in ilvam maxime
estate. Qaam rem etiam nomine eodem medici
ntantur in emplastris ; propter qoam rem etiam
caricis in sacra via, qoam mei veoit. Erithacen
vocant, quo favos extremos inter se conglnlinant,
quod est aliud meile, propoli : itaqne in hoc vim
esse illiciendi ; quo circa txamen obi volant con
sidere, eam ramum, alia rave quam rem oblinunt
hoc, admixto apiastro. Favus est, quem fingunt
multicavatum e cera, cam cingala cava sena latera
habeant, quot -singulis pedes dedit natura. Neque
qnae afferuntur ad quatuor res facieodas, propo
lim, erithacen, favum, mei, ex iisdem omnibus
rebus carpere dicantor ; simplex, qaod a malo
punico, et asparago cibum carpant solam, et olea
arbore ceram, e fico mei, sed non bonum ; duplex
ministerium praeberi, ot e faba, apiastro, cocur-
bita, brassica ; ceram, et cibum ; nec non aliter
duplex, quod fit e malo et piris silvestribus,
cibum et mei ; item aliter duplex, quod e papa
vere ceram, et mei ; triplex ministerium quoque
fieri, uti ex nuce Graeca, et e lapsana cibum,
rael, ceram; item ex aliis floribus ita carpere, ut
alia ad singulas res sumant, alia ad plures ; nec
non etiam alind discrimen sequantur in carptura,
ant eas seqoatur, ut in meile, quod ex alia re
faciont liquidum nel, nt ex sisere flore : ex alia
contra, spissum, nt e rore marino. Sio ex alia re,
nt e fico mei insoave, e cytiso bonam , e thymo
optimum. Cibi pars, quod potio, et ea iis aqua
liquida ; onde bibant esse oportet, eamque pro
pinquam, quae praeterfluat) aut in aliquem locum
vere (38), qaando peraltro non sia il tempo,.ia
coi sono sollecitate al lavoro, perche io. allora il
lavoro le rende brnlte e dimagrate. Se le arnia
si debbono trasportare da oo luogo all altro, ci
si (accia eoo diligenza, e scelgasi il tempo ed il
luogo pi conveniente. Riguardo al tempo, acel-
gasi piuttosto la primavera, che I' inverno, perch
nell1inverno difficilmente si assuefanno a realare
dove si sono trasportate ; laonde per lo pi fng-
gono (39) : fuggooo parimente, se da nn boon
luogo si trasportano ove non siavi on paseoi
acconcio. Bisogna essere diligenti anche quando,
senza farle cangiare di luogo, si fanno passare da
un alveare all' altro ; nel qual caso si stropiccia
colla melissa l'alveare, in cui passano (4o), essen
doch quella pianta ha la virt di attirarle. Biso
gna altres mettere presso l ' apertura dell1arnia
dei favi, acciocch per iscarsezza di cibo non
dispiaccia loro la prima abitazione (40. Che se
accade che i primi nodrimenti di primavera, che
somministrano i mandorli ed i cornii, promova
no ad esse la diarrea, si ristorano dando loro a
bere dell' orina.
Si chiama propolis (42) la materia, con cui
cuoprono, particolarmente nella state, l'apertora
dell'arnia. I medici l'adoprano negli empiastri
sotto il medesimo nome (43) ; il che fa che si veoda
nella via sacra a pi caro prezzo pel miele. Si chia
ma erithace la materia, con cni essa conglutinano
insieme i favi nell' estremit ; e quella differisce
dal miele e dal propolis (44)* Si crede quindi che
1' erithace abbia la propriet di attirarle ; e per
ci, quando si vuole che uno sciame si poggi so
pra on ramo, od altrove, lo fregano con questa
materia mista alla melissa. Il favo un'operi
bucata di cera : ogni foro ha sei lati, quanti ap
punto sono i piedi che ad ognnna diede la oatura.
Si dice eh' esse non raccolgano (45) indistinta
mente sopra ogoi pianta quanto loro (a di bisogno
per la formazione del propolis, dell 'erithace,
del favo e del miele. Soddisfano ad un solo og
getto, cio raccolgono il cibo (46j sopra il granalo
e I' asparago ; dall' olivo traggono la cera, e dal
fico il miele, il quale per non buono. Altre
piante servono a due fini ; come la fava, la melis*
sa, la zucca ed il cavolo, dalle quali traggono la
cera ed il nodrimenlo. Servono altres a due fiui
il pomo ed il pero che sieno selvaggi; e questi
somministrano il cibo ed il miele ; lo stesso del
papavero, da cui traggono cera e miele. Sonori
pure delle piante, per mezzo delle quali soddis
fano a tre oggetti, come il mandorlo ed il cavolo
selvaggio, da cui traggono il nodrimenlo, il miele
e la cera. Parimente con altri fiori servono o ad
un solo fine, ovvero a parecchi. Havvi ancora
un'altra differenza ({7), cni abb&dano le api nel
inffuat, ita ut nt iltitodlni aicepdat duo tal
tre* digito* : ia qaa aqua jacesnt testa*, aat la
pilli, ita al exteot paulum, abi assidere, et bibe
re possint. In qo diligenter habenda cara , ut
aqua sit para, qaod ad mellificium bonam vehe-
meftter prodest. Quod non omnis tempestas ad
pastam prodire Ion gio patitur, praeparandus his
cibas, ne taro meile cogantur solo ri?ere, aat re
linquere exinanitas alvos. Igitur fi coram pin
guium circiter decem pondo decoquunt in tquse
congiis sex, qnss coctas in offas prope apponant.
Alii aqaam malsam in vasculis prope ut sit curant,
in qoae addunt lanam purpuream, per quam
sugant : nno tempore ne pota nimium implean
tur, hot ne incidami in aquam. Singula vasa po
nunt? ad alvos singulas, et hac snpplcntur. Alii
uvam passam et ficum, cum pinserunt, affundunt
saptm, atque ex eo factas offas apponunt ibi, quo
forai bieme q pabulum procedere tamen possint.
p 5
Com examen exiturum est, qnod fleri solet,
cum adnatae prospere sunt multae, ac progeniem
veteres emit ter volunt in coloniam, ut olim cre
bro Sabini factitaverant propter* multitudinem
liberorum ; hnjus quod dao soleat praeire signa,
citor. Unum, quod superioribus diebus, maxime
'vespertinis, rullae ante foramen (ot uvae) aliae
ex aliis pendent conglobatae. Alterum, quod cum
)amevolaturae sont, aut etiam inceperant, con
sonant vehementer, proinde ut milites faciunt,
com castra movent. Quae primo tum exierunt,
in eonspecta volitant, reliquas quae nondum
^ogregalae sont respectantes, dum conveniant.
Cum a mellario id fecisse suot animadversae,
jaciondo in eas pulverem, el circumtinniendo
*re, perterritas quo voluerit perdocet. Non lon-
gt inde oblinunt erithace, atque apiastro, caete-
risque rebus, quibus delectantor. Ubi oonsede-
nuit, afferunt alvum prope eisdem illiciis illitam
succhiare 1#piante, o per meglio dire, questa dif
ferenza forzata pr esse ; imperocch da alcune
piante traggono un miele liquido, come dal fiore
del cece (48), e per contrario da altre denso, co
me dal ramerino. Egli lo stesso delle altre pian
te : il fico d nn miele insipido, il citiso Io d
buono, ed ottimo il timo. Siccome la bevanda
una parte del nodrimento, e questa non consiste
ohe nell* acqua chiara (4g), cos bisogna che pos
sano trovarne e in vicinanza, sia poi di ruscello,
ovvero di fontana : non debbe per l'acqua essere
alta (5o) pi di* due o tre diti : si metteranno
dentro l'acqua dei mattoni o dei sassi, ma in
maniera che la sormontino un poco, acciocch
possano poggiarsi e bere. Abbiasi tutta la cura,
onde l'acqua sia purissima, perch giova moltissi
mo per la bont del miele. E perch non in ogni
tempo possono andare lungi a cercare il cibo, bi-
sogns tenerne di pronto, onde, esiedo cattivo
tempo, non sieno obbligate a vivere di solo miele,
ovvero ad abbandonare ed a laaciare vacui gli
alveari (5i). A quest'effetto si fanno bollire in
sei congii d'acqua dieci libbre allo incirca di
fichi graasi, i qoali ridotti (5a) in pasta, si mettono
presso di esse. Altri hanno la cura che in vicinanaa
si trovino dei vasetti oon entro dell'aeqoa mela
ta, in cui mettono della Una nettissima (53), at
traverso della quatte possano succhiare: in qoesto
modo e s'impedisce che bevano troppo, e si sciira
ohe cadano nell1-acqua. Avanti ad ogni arnia si
mette uno di questi vasi, che si mantengono som-
p r t pieni. Altri pestano insieme dell' uva passa a
dei fichi; e dopo avere bagnata questa massa
eolia sapa, formano delle offe, ohe mettono avanti
gli alveari (54), ma in maniera che possano, an
che iu tempo d ' inverno, andare a procurarsi del
cibo.
Qoando lo sdama par nseire dall' arnia, il
cbe suole succedere quando la propagazione
atata felice ed abbondante, e le vecchie api vo
gliono spedire una colonia, come una volta face
vano sovente i Sabini per la quantit dei figli, ci
d' ordinario precedalo da due segni. Il primo
si , cbe alouni giorni avanti, e particolarmente
la sera, si vedono innanzi l ' apertura molli grop
pi di api insieme appiccali, come i grani dei grap
poli di ova ; ed il secondo, che quando sono per
volare, ovvero che hanno gi cominciato, man
dano uo rombo straordinario, simile al tumulto
de' soldati che decampano. Le prime che sono
uidle deir arnia, volteggiano in faccia alla stesss,
ed aspettano che le altre, le quali non si sono
ancora raccolte, vengano a raggiungerle. Quando
vede ci quegli che ha in cura le api, getta sopra
di esse della polvere, e girando i contorni oon
qualche strumento di rame, sopra eui batte, la
72G DE RE RUSTICA LIB. III.
7*7 V. TERENTII VARRONIS 7*8
lotas : et prope appoiits, forno leni circamcuodo
cogunt eas iutrere : nt quse io noram coloniam
cum iotroierant, permanent deo libenter, at
etiam ti proximam posueris illam altum, ondi
exierunt* Umeo d o t o domicilio potitu fiat con
tentae.
Qaod ad pastiones pertinere som ratos, quo^
niam dixi, oooe jam cajas caesa adhibetor ea
cora, de fructu dicam. Eximendorum fetorum
sigoum somoot ex ipsis, cam plenas altos habent,
el eam iUos geminaverint; ex apicas eoojeoUiram
capiunt, si fotas ferie at bombano, et eam ia-
troant, ao foras' trepidant, et si opereala alvi
eom remota sint, favorum foramina obdoota
ridentor mellis membranis. Cam siot repleti
meile, in eximeodo qaidem dicaot oportere ao
em partes tollere, decimam relinquere; qood
ai omoe eximas, fere ot discedant Alii hoe pias
rdinqaunt, qaam dixi ; at in aratis, qoi fedunt
restibiles eegetes, plus Ullaot frumenti ex inter
valli : sic io alfis, ai non qaotaoois eximas, aat
non qooqae maltam, et magis his assidoas habeas
apes, et magis fractaosas. Eximendorum fa*oram
primam patant esse tempas Vergiliarum exorta ;
secandam aestate acta, ante qoam totas exoriatdr
Arctoros ; tertiam post Vergiliaram occasam, et
ita si foeoanda sit alvus, ot ne pias tertia pan
eximator mellis, reliqoom hiemationi relinquatur;
si tero alvos oon t fertilis, ubi qoid eximator,
exemtio cam est mejor, neqoe aoitersam, oeqoe
palam faeere oportet, ne defidant animam. Feti
qai eximantur, siqna pars nihil habet, aot habet
inquinatam, coltello proeseeetar. Providendum
ne infirmiores e reiculioribus opprimentur ; eo
enim mioaitar fractus, ltaqae imbecilliores se
cretas subjiciant sab alteram regem. Qaae cre
brius inter se pugnabant, aspergi ea oportet
aqua mulsa ; qao faeto neo modo desistant pu
gne, sed etiam conferciont se liegentos, eo magis
ai mulso snnt aspersae, qeo propter odorem iti-
dias applicant se, atque obstupescant poteutes.
Si ex alto mira* frequentes eradont, ac sobsidit
liqua pars, soffumigaodam, el prope apponen
dum bene olefetium herberum, maxime epiastrom
et tbymara. Protidendam rehementer oe propter
aestum, aot propter frigas dtspereaot. Si qaando
eubito imbri in pasta sont oppressae, aut frigore
sobito, ante quam ipsae providerint id fore
(qood aoeidit raro, at decipientur), et imbris
guttis uberibus offensae jacent prostiatae, et affli*
sparente, e le conduce o r e gli pUee. In q m l e t f
disteaza ange an ramo d* albero, o quakbe a l t r a
com (55) di fni ocs, di melissa o di altro drogo
che piaccia alle ap. Fermate che ai sieno, si tic
ticino ad esse an1arnia (56) pota di dentro s di
fuori colle indicate esche ; e girando I n t o r n o a l l e
medesimo con nn famo leggiero, si obbligano e
rientrare nell* arnia. Quaodo sodo entrate m
questa nuora colonia, tanto volentieri ti diaao-
rano, che se anche si arriciuasse ad esse P arnia*
da coi sono nsdte, preferirebbero non ostante
questo nuoto domicilio,
E poich ho terminato qaaoto creder di dire
intorno al modo di allevarle, ora parler del
loro fratto, oggetto per cai si preodono tento
cure. Esse.medesime danno a conoscere eoa dif
ferenti segni (57) qaaado bisogna levare i fati
gii ripieni. 11 primo quando sonori dot ladri
nell1arnia ; il che si congettura dal bisbiglio che
si sente internamente, e se le api entrando ed
uscendo tremolano. 11 secondo , che levando I
coverebi delle arnie, si vedono i fari ottarati da
picclole membrane di miele ; il che non accade
se non qaando sono interamente pieni. Alconi
togliono che quando si lere il miele dalT alreare,
si lasci dentro lo stesso una decima parte (58) ;
perch se si letasse tutto, le api fuggirebbero.
Altri ne lasciano in maggior quantit, in quella
guisa che i la foratori alla campagna lasciando
riposare le terre (59), raccolgono poi pi oopia
di biada. Lo stesso si fa nelle arnie: se nfen si
lete il miele tolti gli anni, o se in nn tratto non
letaseoe molto (60), le epi non faggirann, e
frutteranno di pi. Si crede ohe la prima sta
gione gec letare i fisti sia al nascere delle Pleiadi ;
la seconda al terminare della siate e aranti che
P Artaro sia ioteramente letato ; e la tersa dopo
il tramontare delle Pleiadi ; nel qual caso non si
debbono lerare pi di dae leni di miele (61),
supposto che P ernia sia fertile, e lasciare il di
pi . per V inverno. Se poi 1*arnia non fer
tile (62), non si tolga niente. Qaando poi togli*-
sene ana parte considerabile, non bisogna levarlo
tutto (63), n in palese, acciocch le api non per-
daoo il coraggio. Se nei fari che si (erano, trota fi
qualche parte senu miele, oppure se re n' di
aporco, si taglia oon un eoi tettino. Si proregga
onde le forti noo opprimanole deboli, perch
cosi si diminuirebbe il fratto ; e perci ai sepe-
rauo lo deboli, e si sottopongono ad an altro re.
Qaelle che sovente combattono tra di loro, si
bagoioo coll1 acqua melata, medicate dio noo
solo cerneranno di combattere, ma ancora si rio-
nirannfc tutte per leccarsi; e tanto pi se si saran
no spronate di rioo melato, perch V odore del
rino ha la rirt potente di riunirle, e diventano
ctae, colligendum u i ia ?ti ali qood, et rtpotwn*-
jam io taoto loco, a o tepido, pronta in die,
qaam maxime tempestate bone, et attere foto e
Icibeis -Jignis iefriandam penilo piai caldo
gasa tepidiore; deinde concutiendam leviter,
al manu noo tenges, et pooendte ia sole. Qaae
eoim tio concaluerant, restituant se, m revivi
scunt, al solet similiter fieri in moscia eque ne
catis. Hoc fadondam seeaadam alvo*, nt reeoo*
dliatae ad n on qnaeqoe opos el domidliom
redeant.
7 V
stupide nel suochtarlo. Se dall* arnia noo esoe ni
baoa no mero di api, e se dentro re ne resta uoa
boooa copia, ti faccia d o de suffumgi, ed in vici*
nanaa ti metta <64) qualche erba odorosa, spedai
mente delta melissa e del timo. Abbiati latta la
cara che il caldo od il freddo non le facda mo
rir. Se qeaado pascolano vengono sorprese da
una pioggia o da on freddo improvviso, avaoti
cbe esse abbiano potato prevedere questi acci
denti ([ cbe accade di raro) ; e seia folta pioggia
le avr gettate a terra e me languide, bisogna
raccoglierle, riporle in nn qualche vaso, e portarlo
in un luogo coperto e caldo (65), e non ritirarle
di l che qoando buon tempo. Avanti per altro
di ci fare, si getta sopra di esse della cenere di
legno di fico, che ha da essere piuttosto calda,
cbe tiepida: dopo si scuoter leggermente ii
vase (66), perch non vanno toccate colle mani,
e si esporr al sole. Qudle che in tal modo si sona
riscaldate, si rimettono e riprendono vita, come
snoie per appunto accadere alle mosche annegate.
Si facda quest operazione presso gli alveari, ao-
docch, quando avranno acquistate le forse,
possa ognuna ritornare alla sua caia e ripigliare
il lavoro.
73o
DB HE RUSTICA UB. TU.
CAPUT XVII
Da pisciata.
Interea redit ad nos Pavo : Et, si vallis, tq-
quit, ancoras tollere, latis fabalis sortitio fit tri
buum, ac coepti sunta praecone renuntiari, quem
quaeque tribas fecerint Aedilem. Appius con fe
stini sargi t, ul ibidem candidato suo gratulare-
ter, ac discederet in hortos. Merala : Tertium
actam de pastionibus villatids postea, inquit,
tibi reddana, Axi. Consurgentibus illis, Axius
mihi, respectantibus nobis, qnod et candida-
tum nostrane veniarum sciebamus : Non laboro,
inquit, boo loeo disoessisse Merulam; reliqua
eoim fere mihi sont nota. Quod cam piscina
rum genera sint duo, duldum et salsarum ; al
terum a pad plebem, et ( non ) sine fractu, ubi
Lymphae aquam piscinis nostris villaticis mini
strant, illae autem maritimae pisdnae nobilium,
quibas Neptunus, nt aqaam, sic et pisces mini
strat, magis ad oculos pertinent, qnam ad vesi
cam, et potius marsupium domini exinaniunt,
quam implent. Primum enim aedificantur ma
gno, secondo implentur magno, tertio alantar
magno. Hirrias drcam pisdnas suas, exaeiifidis
doodea* millia sextertia capiebat; eam omnem
aaereedei eids, quss dabat pttabus, consu
l i . Ttasitzio Yasokb
-------4 0
CAPITOLO XVII
Dbl l b pucaisai.
Frattanto ritorna a noi Pavone (i), e dice :
Se vi piace, levate pure le ancore, perch ai ti
ra alla sorte per torre 1 eguaglianza dei voti
delle trib (a), e si gi comindato dal Prae
co (3) a pubblicare i nomi di quelli che da ogni
e singola trib sono stati eletti Edili. Appio sorge
tosto per andare a congratularsi col suo candi
dato, e poi ritorna agli orti. Mernla dice ad
Assio: Io ti dir in nn altro momento il tene
atte dei nodrimenti ohe si Anno nelle case di
villa. Levatisi tutti, e nell atto che noli due,
Assio ed io, d guardavamo in volto, perch gi
eravamo prevenuti ohe il nostro candidato sa
rebbe venuto a trovarci (4), Assio mi dice : Sono
indifferente che Merula sia partito di queste
luogo, perch so quasi tutto quello che resta
a dire. Sonovi due specie di peschiere, di >leld
e di salse : Ve prime sono senzs spesa (5) ed
adottate dalla plebe, perch le Ninfe sono quel
le che somministrano le acque alle nostre pe
schiere di villa : le seconde poi sono quelle di
mare adottate dai nobili, alle quali Nettuni,
siccome somministra 1 aequa, cos ai pesci
somministri P esca : queste sono fatte piut-
?3i
M. TERENTII VARRONIS
mebat. Non tui rum ; uno tempore eoim memini
bane Caesari dao millia muraenarum maina de
disse io pondus, el propter pisoiam multitudi
nem quadragies sextertio tiliam veniste. Quare
nostra piscina ac mediterranea plebeja recte di
citor d alcis, et illa amara. Quis enim nostram
non ooa contentos est hao piscina f qais contra
maritimas non ex piscinis singolit plores conjoo-
etas babet ? Ploris : nam ot Pausias, et oaeteri
pictores ejusdem generis, loculatas magnas ha
bent arculis, obi discolore* sint cerae, sio hi lo*
colatas habent piscinas, obi dispares disclusos
babeant pisces, quot, proinde ut sacri sint, ao
sanctiores quam illi in Lydia, quos sacrificanti
tibi, Varro, ad tibicinem Graecum gregatim ve
nisse dioebas fd extremum litus, atque eram,
quod eos capere auderet nemo, cum eodem tem
pore insulas Ludinorum ibi choreosas vidisset ;
aie hos pitces nemo cocus in jus Tocare audet.
Q. Hortensios fcmtflarfi noster cum piscinas
haberet magna pecunia aedificatas ad Baulos, ita
saepe com eo ad Tiliam fui, ut illum sciam sem-
per in coenam pisoet Puteolos mittere emtum
aolitum. Neque salit erat eum non pasci piscinis,
nisi eos ipse pasceret ultro; ac majorem coram
jsibi haberet, ne ejus esurirent molli, qoam ego
habeo, ne met in Rosea esuriant asini; et qoidem
ntraqoe re, et cibo et potione, com non paullo
eomptoosios, qoam ego his ministraret victum.
go enim uno servulo, ordeo non multo, aqua
domestica, meos multino mos alo asinos. Horlen
tius primum, qoi ministrarent, piscatores habebat
comploret, ct ii piscicolos minutos aggerebant
freqoeater, ut a majoribos absomerentur. Prae
terea salsamenta in eat pitcioas em lilia conjicie
bat, cum mare tnrbaret, uti per tempestatem soit
piscibus e macello celariorom, uti e mari, obso
nium praeberet, cum neqne everriculo illi in li
tus educere potaent vivam saginam, plebejae coe-
tosto per piacere alla titia, ohe per profitto;
e contribuiscono pi a votare la borsa, che a
riempirla. Imperciocch primieramente costano
molto per fabbricarle, per popolarle di petci,
per nodrirle. Egli il vero che Irrio ritraeva
dodicimila sestertii dalle pertinenxe delle rat
peschiere ; ma tutto questo profitto il consu
mava in nodrire i pesci. N ci fia meraviglia;
imperciocch io mi ricordo che in una fola vol
ta prest a Cesare (6) duemila murene, col pat
to che gli fossero restituite a peto ; e che la
tua casa di villa fu venduta qoattro milioni di
sestertii per la gran quantit di pesci che con
teneva. E per questa ragione a buon diritto si
dice che le nostre petchiere mediterranee a
plebee sono dolci, e quelle de' nobili amare.
Chi di latti tra noi che ti contenti d una
sola peschiera della prima specie t e qual quel
nobile che si contenter di una sola peschiera
marittima, e non piuttosto di molte ? dico di
molte, perch siccome Pausia (7) e gli altri pit
tori nel medetimo genere (8) hanno varie gran
di cassette distribuite in nicchie, in ognuna
delle quali ripongono le cere di color dif
ferenti ; cos le persone delle quali io parlo,
hanno parimente delle peschiere distribuite ia
varii alvei contenenti variet di pesci che net-
tun cuoco ardisce di toccare (9), come se fos
foro sacri e pi rispettabili di que pesci, i quali
tu dici, o Varrone, che hai vedati in Lidia, e
che nel tempo che tu sacrificavi in quel paese,
ti attruppavano aul lido e fino presso V altare
al suono di flauto che tonava quel Greco, tenia
che alcuno osaste di prenderli. In questo me
desimo paese vedesti pure danzare nello stesso
tempo delle isole (ro).
Allorch 1' amico nostro Q. Ortensio pot i
dava queste peschiere fabbricate con grande
spesa presso Bauli, mi accaduto sovente dt
andar eon lui alla sua casa di villa per assicu
rarmi che aveva P oso di spedire a comprare
a Pozzuolo del pesce per la sua tavola. N so
lamente si rimaneva dal mangiare il pesce delle
sue peschiere, che anzi si dilettava di nodrrlo:
ed egli aveva pi a cuore che le sue triglie
non avessero fame, di quello che io m abbia
per i miei asini, acciocch non diventino fa
melici nella mia casa villereccia di Rosea. Inol
tre egli spende pi io oibo ed io bevanda
per i pesci, che io nel vitto degli asini; per
ch io, quanlunqoe tragga del profitto, non he
bisogno, per nutricarli, che d un picciolo schia
vo, di un poco d' orzo, e dell acqua che b
in casa ; laddove Ortensio aveva prima, per ser
vire i suoi pesci, molli pescatori occupati per
lo pi in raccogliere de* minati pesci, o*d
73
j 33 DE RE RUSTICA. UB. 111.
?34
nae plseea. Celerius volontate Hortensii ex equili
educeres rhedariat, at libi haberes, molai, qutm
e piscina barbatam mallam. Al, iuqail ille, non
mioor cara ejas erti de aegrotis piscibus, qoam
d e minas falco libas servii ; itaqae minai labore-
bat, ne servas aeger, qaam aqaam frigidam bi
berent sai pisces. Etenim haa incaria laborare
ajebal M. Lucnllam, et piscinas ejus despiciebat,
quod aeslivaria idonea non haberet, ac ( io ) re-
lidem aquam, et locis pestilentibus habitarent
pisces cjus. Conira ad Neapolim L. Localius po-
steaqaam perfodisset montem, ao maritima flu
mina immisisset in piscinas, qoae reciprocae
fluerent, ipse Neptuno non cederet de piscatu ;
lactum esse enim, ut amatos pisces suos videatur
propter aestas eduxisse in loca frigidiora, ut
Appuli solent pecnarii facere, quod propter ca
lores io montes Sabinos pecus'ducnnt. Iu Bajano
antem tanta ardebat cura, ut architecto permi
serit, ot saam pecuniam consumeret, dummodo
perduceret specas e piscinis in mare, objectacu
lo, quo aestus bis quotidie ab exorta luna ad
proximam novam introire, ac redire rursus in
maro posset, ac refrigerare piscinas. Nos haec.
At alrepitus a dextra, et eccum recta candidatus
noster designatus Aedilis. Cui nos occurrimus, et
gratulati in Capitolium prosequimur ; ille inde
condo tuam domani, nos nostram. Opinionis no
strae termonem de pastione villatica sommatim
hunc, quem expotoi, habeto.
Ser fissero di esca ai grandi. Inoltre comprata
del pesce salato, e lo faceva gettare nelle pe
schiere, quando il mare era agitato, e quando
appunto perci il mercato dei pesci non som
ministrava Pesca, in pari guisa del mare (11),
ed i pescatori non potefano tirare sulla rifa,
per mezxo delle reti, dei pesciolini vifi ehe so
no il nodrimenlo del popolo. Ortensio avrebbe
piuttosto acconsentito che dalla scuderia si le
vasse una muta di muli (ia) per fartene un
dono, che trarre fuori della peschiera una tri
glia barbata. Egli aveva pi cura de1 pesci am
malali, che de' servi parimente ammalati ; e
perci era meno inquielo se un servo ammalato
avesse bevuto dell1 acqua fredda, che se ne aves
sero bevuto i suoi pesci. E per questa ragione
diceva che Lucullo era an negligente, e disprei
zava le sue peschiere, perch non aveva quar
tieri acconci per la stale (i3) ; e perch lasciava
che i pesci albergassero in un1 acqua stagnante
ed io luoghi malsaoi. Per contrario L. Lucullo
ha fallo traforare an monte presso Napoli (i4)
e procurato che i fiumi vicini al mare im
mergessero nelle peschiere, e che quelli fluis
sero alternativamente (i5) ; periocha non la ce
deva per la pesca allo stesso Nettuno. Sembrava
quindi che avesse trasferiti t suoi cari pesci in
luoghi pi freschi, per difenderli dal gran cal
do , in quella guisa che i pastori della Puglia
sogliono difendere dal gran caldo il gregge,
conducendolo tui monti Sabini. Egli era tanto
appasaionato per le sue peschiere di Baia, che
diede ampia facolt al sug architetto di rovi
narlo ancora, purch facesse an canale totter
raneo, per meizo del quale potessero avere co
municazione col mare, affinch, mediante una
diga, il flusso potesse entrarvi due volte al gior
no, cominciando dal primo quarto sino alla
nuova vicina luna, a oggetto di rinfrescare le
peschiere. In questo frattempo si fa del rumore
alla parte destra ; ed ecco venirsene a noi io
porpora (16) il nostro candidato eh' era stalo
elello Edile, coi noi andammo iocontro (17) ;
e dopo averci congratulali seco lui, Io seguim
mo nel Campidoglio (18). lodi egli se n and
alla saa, e noi alla nostra casa. O nostro Pia
no (19), degnati di aggradire questo discorso
eh1 io ti tenni sommariamente intorno ai nodri-
1 menti che ai fanno nelle case di villa.
ANNOTAZIONI
AI LIBRI DE RE RUSTICA
DI
M. TERENZIO YARRONE
4
LIBRO PRIMO
Cai. I. (v) Quest' la moglie dal nostro auto*
r e , oome ai raeeoglie dal seguente capitolo, ore
parla di nn C. Fundanio woo toocero.
(a) Se ci fotte mancato l'appoggio ddl'edizlo^
ai Gentooiaoa, Bolognese, Reggente e deGiuoti,
cbe ha ooo potius essem consecutus, ooo ei ta-
remmo non ostante rimatti dal tradarre coeren
temente a questa Tarlante, essendoci sembrato
cbe io questo caso otium o commodius deano
b ttesso. Se ti traduceste se avessi mo, t i scri
verei queste cose con comodo, non ti fkrebbe
ahe ripeter l it tetta idea ; ed pi ragionevole
che ti t o n f a n o cote migliori con zio e co n Sen-
testa, che oon fretta originata dall'et avanzate,
onde oon rimanga V opera imperfette.
(3) Aldo ha potie in principio si, qoando ra
wo a qoosio foogo ; coti trovandoti appunto
nell' edizioni Gensoniane, Bologneae, Reggente,
a de'Giunti; onde fa letto si commodius tibi
haec scriberem.
(4) V' gran contea* tra gli eroditi, te debbe
leggerti annus enim xxci admonet me. Urtino,
Arduino e Ponteder ti eocordano in asterire che
Varrone ha acritto questo libro nell' anno ottan
tennio primo di toa eli : all' incontro Popma e
Stbooreox totteogono l'anno ottantesimo. I pri-
^ * fondano sull' asserzione di Plinio, il quale
dice che Varrone ha composto qnett'opera in et
d'anni oltanlono. Ma e perch non enppor piut-
tailo che l ' errore di Plinio, o de' suoi copisti ?
Foraeeh tutt'i codici di Varrone noo haaoo
che l'anno ottantedmo f Questa uniformit dei
codici ci sembrata di tal forza, che noo d hi
punto motti a seguir Plinio.
(5) In questo luogo vi sono moltissime varian
ti, le qoali per non differiscano sostanzialmente:
quella che d ritenuta nel testo, ha nn sepor
antico ed on grecismo Varroniano.
(6) In un antichissimo codice ha trovato Vit
torio , non solo in questo luogo, ma ancora in
molti altri, acritto quoad per quo ad: lo stesto
pure trovati nel codice Polizianeo. Vittorio per
altro ci ha dato questa pdlegrina notizia, senza
far alcun cangiamento. Qui si avverte una volta
per sempre, che il lodalo autore ha collalionato
molti eodid Varroniani; perci d varremo sovente
della sua autorit, oome quella che gode uo soli
do appoggio.
(7) I Pagani davano il nome di Sibille a tutte
le donoe cbe avevano il dono di predir l ' avvo-
nire. Ve ne sono state died, che d resero celebri
colle loro predizioni. Ai tempi di Varrone trova
vano tra k mani di lutti i libri che dalle Sibille
erano stati scritti ; ma perch erano confusi, e
ben non d sapeva quale delle died fosse I1autrice
di questo, o quell' altro libro, perci si conside
ravano come l ' opera di nna sola Sibilla. Non vi
erano che i soli libri della Sibilla Cornane ; ma
questi si guardavano con tutta la gelosie, e non
potevano essere consultati che dai quindicemviri.
(8) Ursino dispone le parole dd testo in altro
guisa, come altres fa oso di un* altra interpnn*
;39 ANNOTAZIONI AL LIB, 1 DE RE RUSTICA ri*
ione. buono veder M il senio riesci pi chia
ro. Neque enim patiar Sjrbillam non solum ce-
cinissty quae%dum viveret^ prodessent homi-
nibus, et id etiam ignotissimis quoque%sed
etiam quae%cum perisset ipsa (ad cujus libros
tot annis post publice solemus redi re, cum
desideramus, quid faciendum si t nobis ex ali
quo portento) : me, ne dum viIvo quidem, ne
cessariis meis quid prosit facere. Egli iggion-
ge che io vece di nobis si po leggere novisse,
perch li lettera b so?ente si cangi* in v dai librai.
Mi eoo fona per litro che da questa lezione noo
si po trarre on gioito senti mento.
Noi triboliamo la gioiti lode a Ponteders per
alerei appianata li itrada airiotelligeou di que
sto testo intralciito. Egli ragionevolmente pensi
che il debbi leggere : Mene dum veivo quidem
necessariis meis quod prosit, facere ? u Cum
frigidum quiddam, dice egli, alque inane enei
cusum, me, nedum vivo quidem, necessariis
meis quid prosit facere : alio modo, juncto id
me ne, ut seotentii Varrone digna fieret, scri
bendum dpximus. Quam ut aperiam, inperiora
repetenda sunt. Experiar, inqoit Varro , et non
solam dum vivo, quid in coleodo fando, quem
emisli, fieri oporteat, ut ti moneim, sed etiam
poit mortem. Nam si Sybilla acri pii t quae, non
solum dura viveret, sed etiam vita functa, igno-
tiasimis hominibus prodessent, mene (non pude-
bit) dum vivo tintom familiaribus meis quod
prpsit, lacere ? Virgilio! fortasse ex Varrone, nt
multi alia, non dissimili modo cinit :
........ Mene incoepto desistere victam f
(9) Gasnero erede che rida detto : Dii adjm-
pmnt saera tllis facientes.
(10) Queste ermo dee, ebe i poeti Unsero fi
glie di Giovo e dilli Mtmoria, alle quali diedero
1*imperio della poesia e della musici. I Pagani
ni contavano novi, quintunque in origine Giove
noo ne eveise croate ohe tre. Mi s. Agostino nel
tuo trattato delti Dottrini Cristiini neeonti che
ani citt, di cni non si ricorda il nome, comand
1 tre ilatuarii di icolpir lo tre Moie, per indi ool-
locar nel tempio di Apollo quelle tre ehe fosiero
meglio scelle. La bravnra degli ititoirii fu tale,
che ninno ii superava ; e la bellesu delle statue
colp in siffitti guiii, che tutte nove furono ere-
dote degne di mettersi nel tempio di Apollo. Il
poeti Esiodo diede poi 1 cadauna di qneste il
nome.
(11) 11 vero nome di qoesto primario poeti
delti Grecii era Meteiigene. Egli vivea 160 inni
primi dilli fondazione di Roma.
(12) Eoniooicque 1 Tirinto 5io inni dopo
li fondazione di Romi,
(13) Intorno 1 qaesli dodioi dei presidenti
all agrieoi tara ti hanno di belle notizie in Servio
e in 1. Agostino. Il primo dice ne1suoi commenti
al libro 1, verso at delle Georgiche di Virgilio :
11 Fabiui Pictor hos deoi enumerat, quos invocat
Flamen tacrum Cereale facieni Telluri et Cereri:
Vervactorem, Reparatorem, Imporcitorem, Ins
to rem , Obaralorem, Occatorem, Sarritorem,
Subruncinatorem, Meisorem, Convectorem, Con
ditorem, Promitorem. E se si computano
distintamente la Terra e Cerere, ii hanno peri
mento dodici dee. Pooo avanti avei detto Servio
ut ab occatione Deus occator dicatur ; a sar-
r itione deus Sarritor; a stercoratione Ster
culinius%ovvero Stercutus e Sterculius, come
ii chiami di Plinio, di Macrobio e da Lattanzio.
Pi pienamente per s. Agostino nel libro de Ci-
vitate Dei xv, 8 : MNec agrorum munos uni ali
cui deo committendum arbitriti sunt, sed ruri
deie Roiinae ; juga montium deo Jogalino; ool-
libas deim Collatinam ; vallibus Valloniim prae
fecerunt. Nec saltem potuernnt unim Segeliim
talem invenire, coi semel segttes commenda
rent: sed sita frumenta quamdiu sub terra essent,
praepositam voluerunt habere deam Sejaa; cum
vere jam supra terram eiseot^t segetem faoereat*
deam Segetiam; frumentis vero coileotii atqoo
reconditii, nt tuto servirentur, deam Tnlilioim
praepotuerunt. Cui non inffioere videretur illa
Segetis, quamdiu teges ib initiis herbidis usque
ad aristas acidas perveniret f ........Praofocental
(tamen) Proserpi mm fromentis germinanti boa ;
geniculis nodisque culmorum , deam Nodotno;
involumentis foUtcolorum, deam Volutinim; eum
folliculi patescunt, ot ipiea exeat, d*m Fatele
nam ; cup segetes bovis aristis lequintor, quia
veteres aequare hostire dixerunt, deam HoctHi-
nam ; flo reo ti bos fromentis deam Floram; la
ctescentibus deam Lacturtlam ; mitortsceolibos
deim Mituram ; cum rancantor, id est 1 lerra
inferuntur, deim Runcinam. Nec omnia comme
m o r o , quii me piget, qood itloe non pudet
(14) Questi dodici dei, che formino il consi
glio di Giove, ii trovino raeaxkmati in dna
versi ittribuiti il poeti Eooio:
Juno, Vesti, Minem, Ceres, Dirai, Venos, Man,
Mercurios, Jovi, Neptunus, Vulcanus, Apollo. *
(15) Qaeito il dio principale dei Pagani,ni
i poeti diedero il titolo di padre degli dei e dagli-
uomini.
(16) Quest il nome ehi i poeii d i na s alla
dei delle terra.
DI M. TERENZIO VARRONE
?4
(17) In tatto It edittali anteriori quella jU
Aldo e nel codice PoHiiarfea, come ancora in nn
altro Laarenzlano ti trova omnis fructus, in Ino*
f o di omnes f r u c tu s . Noi abbiamo Mg alto le
miche edizioni.
(18) ragionevole che I abbia da scrivere hi
per zi, come an pronome relativo Ticino ai og
getti Giove e Terra. Se non avessimo otto edi
zioni antiche, cbe leggono hi, un nuovo argo
mento ii ripeterebbe da Varrone medesimo, il
qnale poco sotto dice : Tectio Cererem el L i -
berum, quod ho rum fructus maxtume neces
s a r i ad pictum; ab heis enim ceibui et patio
v e n i te fundo.
Ursino sospetta che manchi la pertioella /,
che si debba leggere parentes et magni ; ina-
perciocch sono dae epiteti. Schoettgenio Tool
che ai legga assolatamente qaod due hi parentes
magni dicuntur%trovandosi quod e duo nel
nel codice Richiano. Questi mole inoltre ohe si
rigetti itaque.
Non tenia ragione ha contraddistinto il no-
atro autore coi titoli di parentes magni Giove e
la Terra ; perciocch il nome di padre e di ma
dre semplicemente sono oomnni a molti dai e a
molte dee. Di fatti Catone chiama Mars pater,
e lo ittsso Virgilio nel libro ni dell* Eneide lo
dica:
Gradivumqae patrem, Geticis qai praesidet
arvis. *
Nettano pura chiamato pater da Virgilio :
Qaidve pater Neptune parat. *
Padre parimente nominato Giano, Sommano,
Dita a Saturno. Nel libro n della Georgiche e
detto Bacoo :
a Hoc palar o Lenaee Teni.
Il anatro Varrone del per nel cap. 2 di questo
Kbro intitola padre il dio Bacco ; ufi Libero pa
t r i repertori pei ni ircei immolarentur. Tatti
quelli, cbe fino ad ora abbiamo nominati, sono
caratterizzati col nome di padre da Lucilio nei
seguenti Tersi :
Utnemo sit noitrum qain paleroptumu' Divom,
Ut Neptuoinu* pater, Liber, Saturni pater, Mars,
Janu*,Qairetun' pater, nomen dicatnrad unum,
N solamente furono onorati del nome di pa
dre gli dei, ma ancora i fiumi, tra i qoali ri
corderemo soltanto 8 flame Tarava, di ani aosl
dice Virgilio nel libro t i d delT Eneide :
Nymphae, Laurentea Nymphae, genus amafbua
onde est,
Tuque, o Tybri tuo genitor cam flumine sancto.
Accipite Aenean, et tandem arcete periclis*
Racconta Tito Livio Dee. 1, lib. n, che Orazio
Coclite qaando si gett armato nel Tevere, feoa
la seguente preghiera : Tiberine pater, te san
cte precor., haec arma, et hunc militem pro
pitio flumine accipias.
Similmente le dee si decorarono col nome di
madre, come la madre Vesta, la madre Afa luta*
Non senta ragione adunque si contraddistinto
Giove col titolo di gran Padre, a la Terra, ostia
Cibale, con quello di gran Madre.
Qoi si presenta una non lieve questiona, se
Jupiter, pater appellatur, Tellus, u r r mater
fieno parole introdotte nel testo. A ben esaminar
la faccenda, pare che queste fossero parola fcritta
a lato del tasto, a poi bonariamente iutrnse da
qualche ignorante copula. La qnal cosa per t
manifesta, perch ripetesi con poco bel garbo lo
stesso, e perch nei codici Cesenate e di a. Reparata
trovasi scritto io questa maniera : Japi ter pater
appellabatur, Tellus terra mater: dunque
raccogliesi che appellabatur cosi dagli antichi a
da quelli che adoravano gli dei. Non si sa inten
der, perch Vittorio abbia introdotto nel testa
Tellus e Terra. Forse Tellus e Terra non so
no la medesima cosa ? E stato pi avveduto Gen-
son, il primo cbe abbia stampato Varrooe, emet
tendo appellabatur, e cambiando terra in pero.
Ursino con noi nel dire che Jupiter pater ap
pellabatur, Tellus terra mater un1annota
tione di uno Scoliaste, lo fona dunque delle al
legate ragioni abbiamo creduto bene d ' includer
quelle parole tra parentesi.
(!9) Quest la dea delle biade: ella era figlia
di Satarno e di Opi, e madre di Proserpina.
(20) Quest* il dio del Tino, ed figlio di
Giove e di Semele.
(ai) Qaesta dea era adorata dai Romani, ac
ciocch preservasse le biade dalla nebbia.
E da notarsi che Varrone adopera io genera
mascolino questa dea, quantunque debba ehia-
marsi, secondo quello che dice Schoettgenio, Ru
biginem : egli si appoggia pirticolarmente a quel
ver*o di Oridio Fast. iv, 911 :
Aspera Robigo parcat cerealibus herbif.
Ma non potrebbe darsi che Varrone intendes-
! se parlare del dio Robigo, come quello eh* era
745
ANNOTAZIONI AL LB. I DE HE RUSTICA
744
inteso i preservsr dalli nebbia le biadi, e di eoi
parla Varroni nel lib. t de Lingua Latina, Gel*
lionellib. v,cap. ia?
(ai) Fiori en ani dono* che vendeva le tot
graiie pubblicimente. Con qaetto mestiere gua
dagn* mpilo soldo, ehe leg il popolo Romano,
con questi conditione per litro che 001 porzione
di diniro foste impiegata i celebrare il tuo gior
no natalizio coi giuochi florali. Il scosto beo si
aecorse ohe qoesti en ani fesli contraria ai boom
coitami ; e per nobilitarla ascrisse fra gli dei que
sti donna, eoi, i motivo del suo nome, si assegn
T'imperio sopri i fiori.
(aS) Queste feste farono instituite di Numi
scH'undecimo inno del suo regno, e tf celebrivi-
too ai i 5 di Aprile, tempo ia coi sode dordinario
la nebbia danneggiar le biade.
(a4) Questi giuochi si cdibnvmo il primo
i l Maggio.
(a5) Pretendono i Pagani che questa dei sii
citi dii cervello di Giove. Qaett1 l i dei di
latte le irti.
(26) Venere en figlii di Giove.
(27) Bisogni distinguere qaeste feste rustiche
vinose dalie vinose semplici, che si celebravano
In onor di Giove, e il cui oggetto en differente
da quello delle mitiche. Le vinose semplici ti
celebravano verso la fine di Aprile ; laddove le
rustiche si celebravano in onor di Venere ai a4
di Agosto, come si raccoglie da due luoghi di
Festo e da Varrone medesimo, u Rustica Vinalia,
dice Festo, appellantur mense Augusto xtv Kal.
Sept. ete., eodem autem die Veneri tempia suut
consacriti, al temiti ed Circum Maximum, lite*
rum in loco Libitinensi. Quia in ipsius tuteh
sant horti. E lo stesso sutore in un frammento
dice : u Rustici Vinilis mense Augusto xiv Rai.
Sept. Veneris dies festus, qood eodem illo die aedes
ei deae consecrati est. Jumenta qnoque et olitores
b opere cessant, quia omnes horti in tutela Ve
neris esae diouatur. Varrone poi oel libro v de
Lingua Latina scrive : Vinalia rustica dicun
tu r ante diem xiiKal. Sept. quod tunc Veneri
dedicata aedes, et horti ejus tutela assignan-
tur.
Potrebbe insorgere una questione, se vera
mente queste feste, si celebrassero nel giorno x n
Kal. Sept., come si ha in Varrone, ovvero nel
di xiv, in quella guisa che dice Festo in dueluo-
e come si raccoglie dal Calendario Romano
e dal lib. xvni, cip. 19 di Plioio. Noi siamo di
opinione che si sciolga la presente questione con
dire che al tempo di Varrone non si era ancora
ben segnato il corso del sole, mancando due
giorni, i quali si saranno poi aggiunti dopo la
sua morie.
(28) Sotto la Linfa si debbono intendere le Nin
fe che si credevano presiedere alle fontine e alle
equi dolci. Antieiiaenti li scrivivi Lympha
per Nympha, ed ibhmo incor oggid li parola
lymphatus.
(39) Credevano i Romani che questo dio fosse
quello ds tfoi dipeadesse l i feliee nasciti nelle
nostre imprese. In Roma gli fa eretto aa tempio.
Li sai ststaa tenevi selli mino destra li patera,
e nella sinistra li spfgs e il pspavero. Molti au
tori hanno parlato di questo dio, ma pi di tatti
iMoreia de Miatoar nel tomo iv, pag, 78 deir Ae-
cidemia delle Inacrisioni di Parigi.
(30) Varrone dice a saa moglie che al caso
che non trovasse nel suo libro di agricoltori
.quanto le facesse bisogno, si volgesse egli latori
greci e latini, dei quali gliene darebbe l i listi.
Ora in Virrooe non si trovi citilo in questo
luogo nemmeno Citone; dal che di congettu
rarsi che qoi siivi ani lieuni nel testo. E questa
conghiettura si fa pi forti dal vedersi che Pli
nio copiindo quasi piroli per piroli Varrone,
icoenni gli latori latini, come inehi i greci,
eccettuiti i tre aitimi. Saboureax crede di scio
gliere il nodo, dicendo: a Mais sana mpposer une
lacune aussi considrable, ne peut-on pas dire
que Virron n ' a pis fait mention des aoteurs
Ialina, com me tant su ffisamment conno* de ceux
pour qui il tfcrivnit.n Schoettgeoio e Gesnero
hanno procurato di supplire 1 questa reincinxi,
mettendo in ordine di alfabeto tutti gli autori
greci e latini.
(31) A quibus auctoribus reperias. Succin
tamente riferiremo le varie opinioni degli autori
sopra questo luogo. Pietro Vittorio ha trovato in
un antico manoscritto reperitas ; dal che argo
menta che reperias da scartarsi. Non per
eh' egli si acquieti a reperitas, proponendo in
aria di dubbio, se fosse bene leggere reperias.
Non da dubitarsi, soggiunge Scaligero, che il
testo non sia fallato; ma non si fconf coll'ele
ganza di Varrone, come di qualsivoglia altro an
tico scrittore la bassa espressione di Vittorio
reperire ab aliquo. Egli inclina 1 leggere indi
cabo a quibus scriptoribus reperitas; essendo
ch reperitare significa lo stesso che reparare.
E quando tu, ecco come egli spiega, cercherai
ne' nostri scritti ci ehe ti abbisogna, e non tro-
vandovelo, ti mostrer in qual guisa potrai sup
plire e riparare alle mie mancarne. Popma ama
di leggere reperites posto io luogo di repares%
cio, com'egli spiega, requiras, recuperes. Pon-
tedera finalmente vuole che si legga repetitas.
Ecco com'egli la discorre: quod ullimum (cio
reperias) in antiquis exemplaribus reperitas
invenerat Victorias, neque tamen probabat, com
antiquis haberet repetas^ qao<| nter excasa ab
Joanne Parvo vagalur. Id certe noo conlemoen-
dum; verumtameo aut vetustam reperitas potias
existimarem, aat aaa inversa literula, repetitas;
qnid eoim illa, quae proxima eonuectunlnr : qui
Graece scripserunt dispersim alius de alia
re, sunt plus quinquaginta : hi sunt quos tu
habere in consilio poteris, cum quid consulere
voles, aliud indicant, quam ab iisdem scriptori*
bas rusticarum rerum praecepta use saepias re
petenda ? r>
(3a) Questo re era oalo a Siracusa. Egli fa
innalzato al trono io grazia della sua bravura
nel comandare. Non ebbe alcuna educazione; e
solo si dedic allo studio della fisica, quando fu
colto da una malattia.
(33) Quest Aitalo era re di Pergamo, e fra
tello di Eumene. Fu tanto amico del popolo Ro
mano, che lo istitu suo erede. Aveva il sopran
nome di Flometore, a motivo che dimostrava
ana gran teuerezza per sua madre. Studi mollo
le piante, e in tutt i regni della natura cerc dei
rimedii traiti dal regno animale.
, Non lasceremo di accennare le contese degli
eruditi sopra questo passo. Ursino pretende cbe
i manchi la particella el, e cbe teda letto He-
ron Siculus, Attalus, et Philometor reges. Egli
si appoggia specialmente a Columella e a Plinio,
il primo dei quali nel lib. i, cip. i dice : Siculi
quoque non mediocri cura negotium istud
prosequuti sunt Hieron et Epicharmus, Aegy
ptii Philometor et Attalus. Il secondo nell in
dice del lib. xviii ha : E x auctoribus Philome
tore rege et Attalo rege. Popma amerebbe cbe
si leggesse : Hieron, Siculus r e a A t t a l u s , Phi
lometor. Questi furono, diss egli, tre re Sicilia-
nive celebri autori di argomenti agrarii, come ce
lo attesta Plinio nel lib. xvm con queste parole :
De cultura agri praecipere principale f u i t , et
apud exteros ; siquidem et reges fecere, Hie
ron, Philometor, Attalus, Archelaus: et duces
Xenophon, et Poenus etiam Mago. Adduce
inoltre la testimonianza di Columella allegata di
sopra.
L opinione di Cupero ci sembra la meglio
fondata di tutte; e noi la riporteremo coile sue
tesse parole : Ausonius Popma pulat scribi debe
re: Hieron, Siculus rex, Attalus, Philometor.
Quod si regis titulus excidit, ego crederem scri
bi debere . . . voles de regibus, Hieron . . . quia
mox sequitur de philosophis. Noq satis caute
autem vir doctus tres ex duobos regibus facit
duiioctionc sua. Hio tertius Attalorum fuit, po-
puloque Romano regoum suum testamento lega
vit; et Philometor etiam vocatur ab auctore
prologi in Justinum lib. xxxvi, et Appiaoo libro
M. Taaanio VAaaoa
?45
de bello Milhrid.eunderaque hortorum studiosum
fuisse patet ex Justino xxxvi, 4 quaoquam ne
quaquam regium fnit colere hortos ad amicos
interficiendus. Pliuius xvm, 3 binis dictis regi
bus jungit Archelaum; et Columella i, i ita
loquitur: Siculi quoque non mediofri cura
negotium istud prosequuti sunt, Hieron et
Epicharmus discipulus, Philometor et Att a
lus. Errat autem Columella, si el AlUlam Sicu
lis adscripsit ; deinde Philometor et Attalus est
idem, qui Attalus Philometor, quomodo et hoo
cognomen proprio praeponitur apud Plinium.
Sed quid sibi vult Epicharmus discipulus? An-
non scribendam Epicharmi discipulus ? ut sci
licet ab Hierone distingueretur. w
(34) Era nativo di Abdera in Tracia. Egli bt
viaggialo molto, ed ha scritto parecchie opere,
tra le quali ve ne sono anche di agricoltura.
(35) Quest' nato in Alene; e in grazia della
sua eloquenza si chiamava la Musa Attica. Egli
ha scrilto un' opera sopra l agricoltura.
(36) Era di Stagira, discepolo di Platone, e
maestro di Alessandro. E morto in et d* anni
sessanta tri.
(37) Questi l'allievo e il saooessore di Ari
stotele nelle scaole di Atene, e il maestro del
poeta comioo Menandro. Era dell isola di Lesbo,
e si chiamava Titamo, che gli fu cambiato in
quello di TeofrastQ, a motivo della sua eloquenza.
(38) Era di Taranto.
(3$) Questi aveva scritto uo trattato sopra
l avena e il citiso.
(40) Ursino coll appoggio di medaglie di ar
gento e di codici entichi legge Mallotes.
(41) Promiscuamente dicevano gli antichi Cy
maeus e Cumaeus, secondo che si scriveva alla
greca, o alla maniera latina.
(4a) Questi i quello stesso, di coi parla pi
abbasso. Egli dopo aver compendiato i libri di
Magone, ha pure scritto sopra I arte veterinaria.
(43) Plinio nel lib. vii, cap. 5<>gli d il titolo
di autor gravissimo.
(44) Quantunque in Poliziano e in tre antiche
edizioni si trovi scritto Agesias, nulladimeno
da leggersi Hegesias, perch cosi vuole l ordino
alfabetico usato da Varrone. Quest Egesia ha
scrilto sulle propriet dell acque.
(45) Plinio nell indice del lib. vm dice che
aveva composto un opera sull agricoltura.
(46) Parimente dall indice del libro vin di
Plinio ai racooglie aver composto unopera sopra
l agricoltura.
(47) Avanti Vittorio leggevasi Oades, Dio
nysius, <rtf/ porvy etc.y ove trovansi due errori
che si oppongono all ordine alfabetico tenuto da
Varrone. E quantunque in alcuni manoscritti di
4
746 DI M. TERENZIO VARRONE
747 ANNOTAZIONI AL LIB. I DE RE RUSTICA
Columella ti legga Eveton per Euphiton, non
pertanto si creduto di preferir quetto a qael di
Varrone.
<48) Dall* indice del lib. vm di Plinio ti ha
che questo autore di un opera di agricoltura.
(49) Colamella nel lib. xit, cap. 4 lo intitola
aulor celebre Ira i Greci.
(50) Esiodo era della citt di Cuba nella Eoli-
de, ree comunemente si chiama il porla d Ascra,
perch ivi fsso il suo soggiorno. Vi sono alcuni,
i quali pretendono che tia vissuto dopo Omero :
altri il fanno contemporaneo di questo, preten
dendo trovarne le prove nella descrizione eh e-
gli fa del levar di Arturo, nel qual caso sarebbe
vivaio mille auni allo iocirca avanti la venuta di
Cristo, tolto il regno di Stiamone in Giudea.
Plinio asserisce che Esiodo stato il primo che
abbia dato de' precetti di agricoltura.
(51) Colamella nel lib. 1, cap. 1lo chiama il
padre dell'agricoltura.
(5a) Il Pretore era il magistrato preposto Ila
giustizia.
(53) u Utiliter ( dice Scaligero) est vulgatis
simum verbuin juris hic. Nara j u t utile praeto-
ridm est, el opponitur legitimo. Sic infr, utili-
ter excipere. Elegantissime igitur traostulit ad
correctionem Diophanis. rt
(54) Questi quel Deiotaro che il senato Ro
mano avea eletto re di Galaiia a istanza di Pom
peo, e che Cesare colloc sul trono. Fu accusalo
di aver attentato alla vita di Cesare, ma fa difeso
da Cicerone.
Ursino pretende che questo fungo debba este
re iiiterpunto e letto nel seguente modo ; E t mi
sit Deiotaro ; ego quo breviut de ea re conor
tribus libris exponere, uno de agricoltura,
altero de re pecuaria, tertio de villaticis pa
stionibus, hoc circumcisis rebus, quas non
arbitror pertinere ad agriculturam, ita prius
ostendam, quae secerni oporteat ah ea.
(55) Rebus, quae non arbitror pertinere.
Non si penti alcuno di correggere qua in quas,
perch infiniti sono i luoghi di Varrone, ne' quali
coti parla, e che per brevit ti omettono. N solo
Varrone, ma lo stesso Cicerone ancora non ha
accordato il pronome relativo, come si racco
glie dalle Lettere Familiari xvi, 4 ; Sumptu ne
parcas ulla in re, quod ad valetudinem opus sit.
Cap. II. (1) Avanti Vittorio >i scriveva Semen-
tinis ; ma ti corretto in sementivis, si perch
nei codici e qui ed allrove trovasi scritto coti,
come anche perch in Catone ti ha pira volema,
Aniciana, et sementiva*
Qnette fette si celebravano verso la fine di
Gennaio ; e avevano per iscopo che 1frolli della
terra avessero a crescer bene.
(2) La parola Aeditimus non dinotava cbe il
posto di quel guardiano al tempio, e cbe noi di-
ressimo sagrestano, nella stesta guita che f i n i t i
mus voleva dire presso i confini, e legitimus
presso la legge, o conforme alla legge. La parola
Aedituus per contrario dinotava la sua funzione
derivante da aedes, (empio; e da t u e r if cio
guardate; dal che viene che Lucrezio 11, 1273
gli d il nome di Aedituens
(3) I cavalieri Romani erano dell' ordine dei
cittadini, e il loro grado trovavasi tra i seoa tori
e gli altri cittadini. Tra le altre prerogative go-
devan quella di avere no cavallo mantenuto a
spese della repubblica ; dal che veone loro H
nume di Equites.
(4) I pubblicani erano quelli che aveVano so
pra di s le imprese dei pnbbtici aggravii. Eglino
componevano un ordine numerosissimo, e i mem
bri erano tolti dalle pertone le pi dittiate della
repubblica.
(5) Erano dunque sin d* allora m oso le map
pe geografiche; anzi i conquistatori facevano di
pinger le provincie da loro acquatale, che mo
stravano al popolo nel giorno del loro iugretto
trionfale. Properzio v, 3, 35 :
u Et Jitco, qua parte fluat viocendus Arazes ;
Quot siue aqua Parthus millia currat equus:
Cogor el tabulis piclot ediscere mundos,
Qualis et haec docli sil positura dei.
Quae tellus sil lenta gelu,quae putris ab aestu,
Ventus in iUliam qui bene vela ferat. *
Ma Puto delle tavole geografiche pi antico,
poich esao rimonta ai tempi di Ciro, e furono
delineate da Anassimandro. Veggati Perizuoio
sopra Eliano V. H. 111, 28, e Fabricio nella Biblio
teca Greca iv, 2, 10, pg. 38 e seguenti.
(6) u Non ingratum, dice Gesnero, fore lecfcK
ribus putavimus, signare maja*culo charactere
nomina personarum, quibus unamqaamque ser
moni! pariem imposuit Varro. Refert sane non
naraquam scire, quae pertona loquatur. ftaqoe
Varronianum etiam inquam 11I aliquantam exU-
ret, operam dedirau, quo facilini animadver
tatur, n In qnetla edizione ti creduto ben
fatto intralasciar il carattere majnscolo nei nomi
degli interlocutori, ed il corsivo nel Varroniano
inquam. A togliere poi lo sconcio che risultava
Malia estemione della traduzione paragonata al
testo, ti tono diviii alcuni capitoli in varie sezioni
arbitrariamente, vero, ma in modo che la divi
sione oon ripugna, anzi ritchiara maggiormente
il testo.
(7) probabile che il dittatore Fabio abbia
749 DI M. TERENZIO VARRONE 75o
dato luogo a questo proverbio, poich secondo
qaeilo che dice Tito Litio ne! tib. xjn, Cap. a4,
sedendo et cunctando bellum gerebat.
(8) Ecoo come spiega questo passo Gemer,
che noi abbiamo seguito Dei nostro volgsrizza-
meolo : u. In apparatu saepe plas consumi tempo-
ri*, dum ad porlam venias,* qoam io ipso ilinere.
Tempus non vult Agrios impendi verbis honoris
aoliquiorem loco ni recosanlium et offerentium. w
Sicch aggiunge subito.
(9) Ecquam cultiorem Italia. Dall'aver dello
di sopra Varrone che Fandaoio e gli altri erano
allenii a osservar la mappa d Italia dipinta sol
moro, prende di qai occatione di parlar della
fertilit e della cultura delle terre d'Italia: e
quindi si 1 strada a parlar dell'agricoltura.
(10) Era tos tene era di Cirene. Tolomeo Ever-
gele primo lo fece venir da Alene in Egitto, on-
de presiedesse alla sua biblioteca Alessandrina. Si
potrebbe dire aver egli solo eomposto una biblio
teca di libri : tanti io no i libri scritti da questo
filosofo. Per questo motivo alcuni lo chiamavano
eoi nome da Plato minor, ma pi comunemente
si diceva il B dei filosofi dell'accademia di Ales*
sa od ria, perch non era che del secondo ordine,
e non primeggi mai, qoalunqae fosse la parte di
filosofia, coi si applicasse.
Intorno questa divisione della terra in dae
parti, cosi dice Varrone nel libro iv De Lingua
Latina; Ut omnis natura in coelum et ter
ram divisa est; sic coelum in regionts, terra in
Asiam et Europam. Asia jacet ad Meridiem
Austrum ; Europa ad Septentriones et Aqui
lonem. Il qual luogo o si corregge col seguente di
Varrone, o almeno ana rischiara P altro. Ecco
dunque come Ursino vorrebbe leggere e punteg
giare : E t sine dubio cum salubrior pars septen
trionalis sity qaam meridiana ; et quae salu
brior, illa fructuosior ; dicendum, magis Eu
ropam, ete.
(11) Plinio nel lib. xvm, cap. 5: Sunt quae
dam partibus anni salubria. Qoi Varrooe paria
di quel precedo di Catone e di Regolo, nel qaal
ti dice ch' da evitarsi quel terreno che oon
sano. Nihil autem salutare est, nisi quod toto
anno salubre.
(ia) A parlar giusto non si vede per sei mesi
continui il sole, se non sotto Io stesso polo. Ma
questo on ponto, n sono paesi : gli altri paesi
hanno quella notte coti longa pi breve, qaanto
pi si discostano dal polo.
(i3) A u t coli natum. Si potrebbe legger, dice
Ursino, anche ali natum; iropereioceb cos
parl anche Varrone in questo stesto libro al
cap. 44* dicendo : quae nata sunt, in fundo
alescunt.
(14) Pacuvio nato a Brindisi da ana sorella
di Ennio : morto di novant' auni. Egli si acqui
st del nome nel tempo della distrazione di Nu
mantia; ma comunemente si caratteriuava qaal
poeta di niuna eleganza.
(15) Questo verso di Pacuvio si legge in varie
maniere. Vittorio dice che Ta letto cos : Flam
meo vapore torrens terrae foetus (fetum) exus
serit. Presso Festo si trova scritto uel seguente
modo : Flammeo vapore torrens terrae foetum
exusserit. Ursiuo finalmente vuol che il testo di
Varroue sia cos : Sol, si perpetuo sit flammeo
vapore torrens, terrae foetum exuri.
(16) Questo un luogo difficile e oscuro. Ursi
no crede di averlo rischiarato nel seguente modo :
Ego hic, ubi dies modice abit et redit, tamen
aestivum diem si non diffinderem meo insititio
somno meridie : ovvero cos : tamen aestate
diem s i non, etc. ; poich nel lib. 111, cap. a dica
Varrone : Quidni noverim, ubi aestate diem
dividere soleam ?
(17) Ponledera con Vittorio nel leggere
tamen aestivo diem, etc.: uoi l'abbiamo seguito
nella traduzione.
E qoesto au laogo che ha dato motivo agli
eruditi di discorso ; e ooi, secondo il solito, com-
pendieremo qnanto essi hanno detto. Vittorio,
a cui si unisce anche Scaligero, trov ia tatte
I' edizioni errori massicci ; perciocch in un co
dice di Poliziano si trova scritto deffenderem
meo insiciosum: diem vivere. Nelle tre anti
chissime Gensonians, Bolognese e Reggense si ha
diffiderem in ap insiticiosum muneri die vi
vere ; e finalmente nell' edizioni de' Gianli e di
Gimnico si legge defenderem me in aestuosum
meridiem. Vittorio per coll'appoggio di ottimi
codici autichi ha reslitaita al testo la sua parit
ed eleganza; ed quello appunto, che trovasi
nella nostra ediziooe ; se non che amerebbe Pon.
teder che a norma del oodice esaminato da Vit
torio si scrivesse somnu invece di somno, perch
questa una maniera di dire antica, qual ap
punto qaella del nostro autore.
Varrone chiama insititium somnum meta
foricamente il meridiano, perch in certa guisa
s'innesta e si attacca al lango sonno della ootle.
Popraa applaudisce a Vittorio, e solo brame
rebbe che si adottasse somnu ; del che riporta
varii esempli analoghi.
uPuto scribi oportere, sono parole di Cupero,
meridiem : idest si non dividerem meridiem tei
negotia mea, qaae post prandium facere debeo,
som no meridiano, qaem insititium vocant, quia
ille ipsi quasi innalus forei, siogulisque diebus
eandem repetere debebat. Videntur alii legisse
intersititius ; carte ila haoelocom a viris doctis
75r ANNOTAZIONI AL LIB. I DE RE RUSTICA
laudari tideo ; sed ego volgatam lectionem prae
fero, cam insititiui idem il, qood innatus,
oode Cicero jungit insitum et innatum, w
(18) IUic in semestri die, aut noe te. Diran
no alconi, perch tralasciar nella traduzione
aut nocte? Risponder per noi Pontedera e
Ursino, a Ex tribos codicibai, Pootedera che
parla, Florentinis, quorum anni fait Politinni,
ot egregius Lagomarsinus noster raihi exscripsit,
semenstri, qaod ex sex et mensibus glatioatur,
sumpsiraas; neqoe illad aut nocte, ut opinaba
tur Ursinus, alienam judicamus ; nam ibi modo
diem seraenitrern, modo noctem. r>Ursino pensa
che aut nocte sieno parole aggiunte da un altra
mano.
(19) Ursino e Schoettgenio pretendono che
si debba leggere Venafrano, oon gi Venafro.
Plinio nel lib. xv, cap. 2 dice : Principatum in
hoc quoque bono obtinui Italia toto orbe, ma-
xime agro Venafrano, ejusque parte, quae
Licinianum f u n d i t oleum.
(20) La Frigia fornita di molte i l i ; del che
parla Omero nell'Iliade V, 143. La medesima lo*
de d Claudiano nell'Eutropio 11, 270 alla Frigia:
mPlanities Cererique favet, densisque ligatur
Viti bos, et glauoos f r o d a i attollit olivae, w
(21) Pontedera ha al i at o la voce per ben due
Tolte, e finalmente stato ascoltato, u Distingua-
ma i igitur, ne felicisiimam Titium nost rarum
obertatem ad alias gentes t r aducant : Aut Argos
qood idem poeta ToXtfvufov PIn qua t erra, etc.
Omero dice che Argo abbondant e io frumento
nell Iliade OV372.
(22) Ursino Tuole che si faccia attenzione se
fosse meglio leggere : A g t r Gallicus togatus
vocatur, qui viritim contra Senati auctorita
tem per Flaminium datus est, etc,, la qual
lezione Y ha ca Ta t a da una corrotta scrittura di
leoni codici antichi; imperciocch, diss* egli,
dalle parole iniziali C. S. A. (che significano
contra senati auctoritatem) che io varii codici
si trorano scritte diversamente, o'oato che si
letto cis Ariminum, o Caesenatibus, ovvero
a Caesare, etc. Per difender la sua opioione
allega che le parole iniziali mentovate significano
seni'alcun dubbio contra senatus auctorita
tem,, e che senati per senatus si detto anche
da Catone. Che poi la Gallia si dica togata, ella
cosa notissima a tutti. E per illustrar questo
luogo cita un passo di Cicerone, il quale nel
libro de Senectute scrive : Q. Fabius C. Fla
minio tr, pi. quoad potuit restitit agrum Pi
cenum et Gallicum contra senatus auctorita
tem dividenti.
II G, Flaminio qoi mentovato da Cicerone,
quello che fa tribano del popolo, che fa doe volle
console e censore, e che mori odia battagli di
Trasimene. Egli fu qoello che port la legge
Agrria, di cui parlano qai Catooe e Cicerone,
io vigor della quale si distribairooo ai soldati
quelle terre, dalle quali i Romani discacciarono i
Galli Senoni. Questa legge si trova pare alata
da Polibio oel lib. xr.
(23) Qui viritim cis Ariminum datus ese
ultra agrum Picentium. Vittorio ha corretto
bene il testo, perch oltre le varianti allegate da
Ursino nella nota precedente, correvano perle
stampe qoeste altre Caesarem inundatus est,
o Caesenatibus datus est, ovvero Caesare
jubente datus est. Egl* invita gli eruditi a riflet
tere sulla sua correzione in un luogo eh* vera
mente difficile e intrigato.
Pontedera altra volta ti mostrato contrario
alla correzione di Vittorio; ma, cangiata opioiooe,
veouto poi nel sentimeuto del benemerito Vit
torio.
(24) Ursino vorrebbe legger quindena cullem,
non dena cullea. La ragione so coi fonda,
tratta dal lib. iu, cap. 3 di Colomella : Atqire,
ut omittam veterem illam felicitatem arvorum,
de quibus et ante jam M. Cato, et mox Teren
tius Varro prodidit, singula jugera vinearum
sexenas urnas vini praebuisse, id enim maxi
me asseverat in primo libro rerum rusticarum
Varro, nec una re'gione provenire solitum,
verum et in Faventino agro, et in Gallico,
qui nunc Piceno contribuitur. da ootarri
per V iotelligeoza di questo pasto, che ogoi cul
leo contiene venti anfore, cio qoaraoia orne;
per comegoenza quindici cullei faooo appooto
seicento urne. E quaotuoque Ursino sappia che
Plinio espressamente dice nel lib. xiv, cap. 4 che:
Idem Cato denos culleos redire ex jugeribus
scripsit; nulladimeuo non ti acquieta, e dice
esservi errore anche in Plinio. Ma dal vedersi
che tutt i codici, tulle le edizioni ; che Plioio, e
che Nooio alla voce cul leum cooservano la pa
rola dena, ragion voole che si conservi assolata-
mente dena. Pi patente per si far la cosa
nella seguente nota.
(25) Urtino voole che si legga trecenariae vi
tes, e trecenas amphoras eoo Ir Polizia 00 e gli
altri tutti. Gronovio pure de P. V. c. m, p. 18,
persuasissimo che ri debba leggere come ita oel
lesto. Varrone fa duedimande: nella prima ri
cerca qoal quella terra foori d ' Italia, che dia
dieci cullei per ogoi iugero Te a questa dimanda
rispoode colla teslimooiaoia di Catooe : e nella
seconda chiede : ooo egli vero che il terreno di
Faenza prodace quindici callei per ogoi iogero,
cio treceoto anfore, ossia seioeoto ornef Chi
DI M. TERENZIO VARRONE
lo riflette, Tedesche io questa mterrogaiiooe
non v* entra per niente Catone, e che tolta di
Varrone ; il cbe avendo confuso Columella, n1
nato P errore che di sopra abbiam notato.
dunque da leggersi trecenariae vitet, e
trecenas amphoras, cio trecento; altrimenti
dicendo tricenariae e tricenas, non si dice che
trenta.
Treicinariae veites,et treicenas amphoras:
cos scrive Pontedera. u Si qnis animadvertit ve
tustissima consuetudine tre* scribi treis, et tris
ex Graeca radice r f t f deducta, cujus exempla in
nostris item rusticis servantur, mibi poli ores
fuisae antiquas scripturas qoatoor Florentinorum
Codicum praesidio nitentes, quam nuperrimas
trecenariae, et trecenas, minime mirabitur.
(a6) Ne1tempi posteriori il praefectus f a -
brum i i chiamato praefectus fabricensium,
come si pu riscontrare in Guterio De officiis
domus A ug. m, ia.
Non si sa comprendere, perch Aldo abbia
messo soltanto V iniziale L. e non piuttosto Libo,
che pur trovasi nelle tre prime editioni e in tre
codici Fiorentini.
(a^) Sopra la parola decollat si sono pur fatte
le molte parole* Tralasciandone molte, riferiremo
solo quanto dice Gcsnero,che compendia le altrui
opioioui. u Decolandi Yerbum omnero forte
auctoritatem hodie debet summo viro I. F. Gr-
novio, qui ad Livium xxvn, 17, magno studio
docuit, decolare esse defluere, quasi per colum
et paulatim evanescere. Neque tamen probari
potuit ea sententia vel ipsi Vossio (ut de anti
quioribus triumviri*, Turnebo xxix, aa, Scali
gero, Casaubono nihil dicamus ), qui in etymolo
gico a collo derivat, atlerius rationis, tacilo licei
aaclore, f*ct mentione ; vel Marlinio in glossa
rio, vel denique G. B. Ursino, qui obss. philol.
c. ix, p. 137, s*q. dedita opera contra Gronovium
disputat, decollare esse oppositum r i succolla
re, et de crumena proprie dici, a collo suspensa,
cum ea aufertur. Nostrum non est, tantas compo
nere lites : sed illud modo monemus, revocandam
hic esse io memoriam observationem Festi, et
aliorum de littera / geminari non solila : ut adeo
nihil juvet Gronovianam sententiam, si decolare
semel iterumque uno / scriptum in bonis etiam
libris Plauti aut Varronis reperiatur. Sed illi
adversantur omnia exempla bona, quae litteram
cam geminant.
(a8) Varrone allude qui alla legge delle Dodici
Tavole, la quale ordinavi che i matti fossero posti
olio la tutela dei loro parenti agnati. La legge
era concepita in questi termini : si quisfuriosus
siet, agnatorum gentiliumque endo eo pequnia-
qe ejus potestas estod. Lo stesso si ba in Colu
mella nel lib. 1, cap. 1. Giovenale nelle Satire, e
Oratio, di cui si ha belle Satire 11, 3, ai6 : ffuie
adimat ju s Praetor et ad sanos abeat tutelo
propinquos.
Per dir anche qualche cosa sull* ortografia
antica, diremo con Pontedera, che in Politiano e
nelle tre prtoe editioni si trova scritto atque ad
adgnatos.
(29) 1 nostri leggitori troveranno difficile
questo luogo. Caper pensa che si debba leggere
cos : nec sic potest, cio com egli spiega : a licei
quis io id incumbat, ut reficere fructus Yelit, non
tameu id facere potest, si videt eos a peslilentia
perijp: id quod respicit locos insalubres: ita
pestilens ager opponitor salubri apud Varr. 1,
et Cicer. Orat, in Rull. : Ager propter sterilita-
tem incultus, propter pestilenti am vastus atque
desertus. wGtsnero pensa che Varrone dica qui
quello che soleva dire Attilio Regolo, e la cui sen
tente trovasi registrata da Pii io nel lib. xviti, 5:
Neque foecundissimis locis insalubrem agrum
parandum, neque effoetis saluberrimum. Eos
avanti fo r e lo crede uu pleonasmo, di cui nell'in
dice si hsnno moltissimi esempli.
(30) Questo qoel C. Licinio Stolone, il quale
dimenticandosi che on legislatore debbe essere il
primo a sottomettersi alla soa legge, acquist
mille iugeri di terra, cinquecento dei quali gli
acquist sotto il nome di suo figlio, che a q*esto
effetto aveva emancipato io frode della sua pro
pria legge : per la qual cosa fu accusato da Bf.
Popilio Leo a Tanno di Roma 397, cio 355
avanti Ges Cristo, sotto il secondo eoo solato di
Cn. Manlio Imperioso e di C. Marcio Rulilio, e
condannato a 10000 nummi di ammenda.
Goesio pensa cbe qoesto passo si debba inter-
pongere in qoesta guisa : Nam Stolonis illa lex,
quae plus D jugera habere vetat civem Roma
num. E t q u i . . . . quos Stolones appellabant,
ejusdem gentis. Ma nemmeno in questo modo si
fa parlar chiaramente Varrone, cosicch quel C.
Licinio tribuno della plebe sembra esser diverso
da quello che promulg la legge pei cinquecento
iogeri. Gesoero ba pensalo che meglio cammioi il
discorso nel seguente modo : Nam C. Licinium
Stolonem, et Cn. Tr. Scr. video venire unum9
cujus majores de modo agri legem tulerunL
(Nam Stolonis est illa lex, quae vetat plus D
jugera habere civem Romanum ) %et qui . . . .
appellabant. Ejusdem, ut coepi dicere, gentis
C. Licinius tribunus plebis cum esset, post re
ges exactos Annis U. C. exactis c c c l x x x v pri
mus populum, ete. Cos si fanno parole di qudlo
Stolone che diminu le racchette de* potenti, li
mitando ognuno dei ricchi al possesso solamente
di cinquecento iugeri ; e cos pure li ricava che
7^5 ANNOTAZIONI AL LIB. I DE RE RUSTICA
questo, dopo I espulsione fai re, stato il primo
a distribuire selle iageri di terra per cadauno
del popolo.
(3i) Di questa legge faouo menzione Tito Li-
vie xxxkv, 4*e Cioerooe contro Rullo n, 8.
() Stolonem confirmavit. Uraino vuole che
si legga conformavi/, imperocch -egli il primo
che ottenne questo soprannome.
(33) Questo C. Licinio il medesimo Stolone
som mento va lo, il quale nel medesimo tempo che
colla saa legge proibiva di posseder pi di cin
quecento iugeri di terra, ne distribuiva sette ad
ogni cittadino. Jn questa maniera togliendo al
pi ricchi il superfluo, lo distribuiva ai pi poveri.
(34) La voce tribuno deriva da quella di Iri-
b. In principio ? erano tre trib, e si dava il
nomedi tribuno al magistrato ch'era alla testa
di ognuna. In progresso vi furono altre specie di
magistrature di questo nome. I primi tribuni del
popolo furono creali sul monte Crustumerino
(diciasetle anni allo incirca dopo l espulsione
dei re) dal popolo che si era separato dai senato
ri, e che crasi ritirato sopra questo monte, che
dopo si chiam Monte Sacro. Il popolo dichiar
ioviolabili i tribuni, i quali avevano il diritto di
eonvocare il popolo per fargli emanar dei plebi-
aciti, che obbligavano a sottoponisi noo solo il
popolo, ma ancora gli stessi senatori*
(35) Qoesta espulsone avvenne Tanno 608
dalla fondazione di Roma, cio 144 *Da *vanli
Ges Cristo. Fanno a questo proposito le parole
di Plioio xv ai, 3 : Manii quidem C urii... nota
concio estt perniciosum intelligi cwem; cui
septem jugera non essent satis. Haec autem
mensura plebis post exactos reges assignata
est.
Geso ero dice che si ha da leggere cccLXXzr,
ovvero l x x x f i .
() Ci ha pur creala la gran molestia questo
luogo di Varrooe! e non meraviglia, perch i
delti commenlatori sono tra loro discordi nella
spiegazione del medesimo. Piacerebbe ad Ursioo
che si leggesse in septem jugera e foro, ac co
mitio eduxit, u Nam (continua Ursioo) quod
docli viri opinantur de foro Licioii iotelligendum
esse, ut in eo a se constituto Licinius septem ju
gera virilra diviserit, uon penitus satisfacit. Fuit
enim forum Licinii in llalia Transpadana, leste
Plinio m, 17, et lam longe colendi causa Roma
nos tunc processisse verisimile non est, cura seri*
bat Columella 1, 3 post reges eiaclos Liciniana
illa septem jugera plebi assignata fuisse, et in
praefatione libri tradat, C. Fabricium et M. Co
riam, alteram Pyrrho fiaibas Italiae pulso, do
mitis alterum Sabiois, accepta, quae virilim
dividebantur captivi agri septem jugera, non
minas industrie oolaisee, qaam fortiter armi a
quaesisse.
La legge agraria Licioiana lodata da Colu
mella nel lib. 1, cap. 6 dicendo egli : Post exactos
reges Liciniana illa septem jugera, quae plebi
Tribunus viritim diviserat, majores quaestus
antiquis retulere%quam nunc nobis praebens
amplissima vervacta. Popma congettura che
questa legge sia stata promulgata da C. Licinio
Crasso tribuno della plebe, essendo consoli Q.
Fabio Massimo e L. Ostilio Mancino nell anno
Devili, ossia c g c l x v anni dall espulsione dei re,
nel qual tempo promulg la legge che il diritto
di creare i sacerdoti dovesse quindiananzi appar
tenere al solo popolo. Ora questa legge antica,
e fa rinnovata da Cn. Domizio Aenobarbo, essen
do consoli Mario e Fimbria. Cicerone la ramme
mora nel Brato e nel Lelio con queste parole :
Q. Maxumo fratre Scipionis, et L. Mancino
Coss. q uam popularis lex de sacerdotiis C.
Licinii Crassi videbatur. Cooptatio enim Col
legiorum ad populi beneficium transferebatur.
u Sed cur Varro ( Popma che parla) septem
jugera forensia dicit? ao quia tum primam po
pulo assignabantur lege tribunitia in foro lata,
non senatus coosultii, ut antea, anno c c c l x , L.
Lucretio Ser. Sulpitio Coss. SC. factum, Ut agri
Vejentani septena jugera plebi dividerentur,
nec patribus familiae tantum, sed ut omnium
in domo liberorum capitum ratio haberetur.
Iterum anno c d l x i i i , senatus decreto adsignata
Sabini agri, qui panilo ante victoria M. Curii in
poteslaiem venerat, seplena jugera plebi, ipti
Curio quinquaginta: quae ille noluit accipere,
parum idoneum reipub. civem existimans, qui
eo, quod reliquis tribueretur, contentus noa
esset, ut refert Valerius Maximus lib. 1, et Pli
nius lib. xvm ; M. Curiiyinquit, post triumphos,
immensumque terrarum adjectum imperio no-
ta concio est, perniciosum intelligi civem, cui
septem jugera non essent satis; haec autem
mensura plebi post exactos reges assignata
est. rt
Queste ultime parole di Plinio ai sono credute
dal celebre Sigonio come quelle che appartenes
sero alla legge tribunizia eraaoala dopo la prima
legge agraria di Sp. Cassio Viscelino, cbe pro
mulg, essendo console per la terza volta, venti
cinque anni dopo la espulsiooe dei re: ma in ci
s1inganna moltissimo ; perciocch Plinio ioteade
parlare di quella distribuzione dei sette inger,
che si fece d ordine del seoato ; qoando la legga
Liciniana fu pronunziata dopo P espulsione dei
re, c c c l x v anni, com1 manifesto da Varrone.
Cupero applaudisce a Popma, se non che ere
de che si debba leggere forensi comitio, onde si
distiognano i eoraizli che s teoevano in Campo
Marzo.
Goesio interpretii forensia per justa et legi
tima. Noo occorre pi oltre diffonderti, conteu-
ti di Ter detto sommariamente le principali e
pi accreditate opinioni; chi volesse avere mag
giori notizie, ricorra a Pighio ad an. 608, a Cre
der epist. 11, p. 66, e al padre Ardoino tom. n,
P " .
{Zy) xx vir q u i f u i t . Si creavano venti sog
getti, i quali presiedevano alla divisione delle
terre. Cicerone lib. xx, epist. ad Atticum dice:
Repudiari se totum magis adhuc, quam in x x
viratu putabit. Frontino de coloniis: Capua
colonia muro ducta Jaia Felix Imp. Caes.
a x x viris est deducta. Parimente Velleio Pater-
oolo fa mentione di questi venti soggetti: Cae
sar in consulatu (primo manea ) legem tulit,
ut agtr Campanus plebi divideretur, suasore
legis Pompejo ; ita circiter viginti millia vi
rum eo deducta, etc. Dal luogo lette allegato di
Plioio si raccoglie che anche Varrone fa uno dei
venti soggetti. Il padre Arduino conferma me
glio questa opinione, avendo egli trovato ne1co
dici di Plinio xx viro se; la qaal variante la cor
robora con altri autori antichi.
Coraech corrono nella nostra lingaa le pa
role decemviri, cinqueviri, quindecemviri, cos
noi abbiamo nsato la parola ventiviri; e mollo
pi perch latti gl' indicati soggetti presiedeva
no alla distribuitane delle terre, creandosene ora
cinque, ora dieci, ora quindici, ed ora venti.
(38) Ursino dice che le parole video huc ve
nire abbondano, poich gi le ha delta di sopra :
nam C. Licinium Stolonem, et Cn. Tremellium
Scrofam video venire : ci vero ; ma vero
altres ohe queste parole indicano che si fa ritor
no al primo discorso, dopo una lunga parentesi.
Ursino vorrebbe che in vece di omnibus virtu
tibus pulitum si scrivesse omnibus artibus;
pereh e cos parl altrove Varrona, e perch
Cicerone nel lib. 1 de finibus disse: non satis
politus ii s artibus.
(^9) P. Licinio Lucallo fu questore, poi pre
tore io Asia. Ivi si rese celebre, e discacci Mi-
Iridate dal suo regno. Dopo questa spedizione
ritorn a Roma, ove divenne s famoso per le
spese eooossive che vi fece, che il suo nome pass
in proverbio per dinotare le persone pi splen
dide e magni6che. Nelle sue spedizioni acqui
st s grandi ricchezze, che quantunque le spese
che faceva, fossero eoormi, non poterono giam
mai rovinarlo.
<4o) Questa quella strada, per coi passa
vano i trionfatori, quando volevano trasferirsi
si Campidoglio, ove terminava.
7*7
(40 Contra auream imaginem. Saremo
compatiti aocor noi, se non avremo colto nel
vero sento, quando anche i pi celebri erodili
confessano di non penetrarlo. Noi secondo il
nostro iustituto accenneremo le varie interpre
tazioni, lasciando che i nostri leggitori si ap
pigliano a quella che loro sembrasse la migliore.
Vittorio brevemente si tbriga, dicendo che
in un buon codice si trova contra aurum ima-
go : non oslante egli ti attacca al nostro tetto*
Scaligero fa gran caso della lezione di Vitto
rio, ed persuaso che Varrone abbia scritto:
Ubi potoa vaeneunt contrd aurum. La parola
imago la cambia in id est magno, e soggiunge
che nemmeno io questa guisa si scritto da
Varrone, sapponendo che id est magno tia ana
glossa di an qualche copista, passata dappoi
net testo. Non era veramente mestieri interpretare
una s coniane maniera di dire vaenire contra
aurum, estendo per s chiarissima.'Gli antichi
avevano il costarne di servirsi della metafora
tolta dalla bilancia, alla quale si appiccava il
danaro ; e quello che preponderava, si diceva
contra esse. A questo proposito sfoggia la pi
recondita erudizioue e greca e Ialina che ooi,
per oon eisere troppo lunghi, ommettiamo, at
taccandoci a quello che pi da vicino riguarda
il nostro autore
Gn. Treraellio Scrofa (coolinaa Scaligero)
possedeva fecondissimi verzieri ; ma, qael che
pi importa, erano situali in quel luogo, ove
le frutta si vendevano a peso d* oro, nella Via
Sacra, di oui coti si parla in un epigramma :
u Quaeque libi posai lanquam vernacula poma,
De sacra nulli dixeris esse via. *
Ovidio parimente :
u Rure saburbsno dicas libi missa licebit
llla, vel in sacra sint licei empia via.
Ursino vuole che si legga ; contra aurea ima-
gine, cio uoa moneta d' oro, io cui vi fosse im
pressa T imagioe di alcune deit. Quelle mercan
zie che si vendevano a caro prezzo, si dicevano
costare auro contro, come apparisce da molti
luoghi di Plauto.
Dal vedere che Pietro Vittorio ha trovato
T accennala variante di contra aurum imago,
inferisce Popma che si debba leggere contra
aurum in aginam; e perci spiega le parole
veniunt contra aurum per appenduntur ad
auri equipondium.
Per ben tre volte Pontedera ha scritto sa
questo luogo di Varrone : noi d attaccheremo
DI M. TERENZIO VARRONE
759
ANNOTAZIONI AL LI. I DE RE RUSTICA
all' oUkna. Coti dunqae legge : Hujusce, in-
f cifir% pomari suma saera pia ubi poma ve
neunt* Contra aurum imago ilei interea ad
no*. Noi ooo decideremo se l'abbia maggior*
mente oscurato od illastra to. Giover pertanto
centi re le sue ragioni : . Dio moltumqoe io hoc
loco perpendendo versatam, oihil ad tempos me
proferiste fateor : dora ex recepto et probaio
ordine illa cootra aurum imago ad pomorum
tabernjm pertioere arbilrabar, eademque ad si-
goom de laberoa fuspeoinm, ot volgo fit, Ira-
dacebaro. Nuoc ad priucipts editiooet, codices-
qoe vetustos conversos, in qaibas contra au
rum imago, sive contra aurea imagoy ab iis
ube poma veneunt separantur, et cum ilei inte-
terea ad nos conjunguntur, quid scripserit Var
ro, sub oscura luce perspicere noo (emere opi
nor. Primnm autem orationis membrana : huju-
sce inquam, pomari, etc. ut vetoitum est ; ita
per se clarum, ejecto Aldioo pomaria et repo
lito pomari, quod tam codices, quarti maoo exa
rati libri serant, affirmare oon verebor. Poma
rium vero oporotheca, obi poma custodiantur,
ut Plinias lib. xv, cap. 16 osarpat diceoi : Po
mari a in loco frigido ac ficco contabulari,
septentrionalibus fenestris sereno die patere.
Hojus poma obi veoire solila designat Anetor in
suma sacra via ; quare contra ad appropin
quante* Licinium et Tremelliom, qui, doni lo
quitar Varro, ex adverso incedebant, perlioet.
Sed quid aurum imago f Graeca verba, quae
imperiti librarii vitiata stmper reddunt, mihi
foisse videntur, taoquam contra m/todpttof. Il ei
interea ad nos.
(4a) Avanti Vittorio correva Fundanium;
ma ne* vecchi codici si trovato Fundilium.
(43) Vittorio sull1appoggio di uo antico co-
dice corregge il testo nel seguente modo : Nam
non modo cum illud. Ovum. Scaligero poi pre
tenda aggiustare il tato oos : Neque ovum illud,
qmod indicat extremum extremi actus Circen
sis curriculum, sublatum est : neque illud ovum
videmus, quod solet esse coenae primum ; ov
vero : Neque ultimum Circensium ovum vidi-
mu/, neque primum coenae.
Colale scherzo di Varrone relativo a doe
osi de Romani ; uno dei quali era di cominciare
i loro pranzi da un portato di uova ; e il secon
do consisteva in delinear nel Circo delle figere
ovali, che servivano di direzione a ciascheduna
corta delle quadriglie. Queste figure si chiama
vano uova ; eappnoto su qaesta parola ti aggira
la facezia di Varrone. Qnesto uso accennato dal
nostro autore si potrebbe confermare con molte
testimonianze di scrittori antichi. Cicerone dice :
Ego ad ovum integram famem affero : e io al
tro laogo : ab 090 ad mala. Lo Hetso Varrooe
Endjrmionibus : Discumbimus museali daw-
nus matura ovo coenam committit
Salmasio ne saoi commeotarii sopra Solito
pag. 6 4 0 pretende che qaette nova foner eli
macchine mobili, delle quali una se ne lavava,
terminata che foste una corta ; dimodoch dal
numero delle macchine ovali che rimaoevaoo, ai
argomeotava il oomero delle corse cbe restavano
a farsi.
(44) Le fette Cereali si celebravaoo io oo giorno
del mete di Aprile, oel qual giorno, dopo che si
erano terminati i giuochi ciroeosi, ti dava dal
tagrestaoo del tempio di Terra uo pubblico
pranzo eh' era veramente magnifico. Per lo che
Plauto io Menaechmis disse: Cereales coemas
per indicar eh' eraoo falle can grande apparate:
Cereales coenas dat, ita mensas extruit, T o m-
tas struices concinnat patinarias. Varrosw
chiama ce reale m pompam i molti portati ohe ti
facevano nel pranzo cereale.
(45) Quest' T aulica lezione cavala da Vit
torio da an vecchio codice, perch io loogo di
videatis oorreva nelle prime edizioni sedenti*,
o sedetis. Certameote che videatis si riferisce
iU' uovo, perch poco a v so ti dice Varrooe ; Sed
ne illud quidem ovum vidimus.
(46) A d te enim rudem esse, u Veto Iute
esi lectio (dice VUtorio ). Fortasse ad te, pr
apod le : ul in 11 De oratore : ' Tum cum ille du
bitare*, quod ad f r a tr e m promiserat. Nam
quod buio sententiae respondeat panilo poti,
fuisse ex iisdem antiqois legimei. 9Quetta ma-
oiera di dire di Varrone ad te per penes teyov
vero apud te an arcaismo.
Questa uoa metafora presa dai maestri dei
gladiatori, i quali portavaoo uoa tpecie di ba
stone di comaodo, che ti chiamava rudis. Dun
que per rudem t' iotende il diritto del maestro
dei gladiatori, cui apparteneva il jot di dettare
le leggi. Giovenale : Scripturus leges%et re
gia verba lanistae. Cicerone 11 Antoniana :
Qui ea tamquam gladiatorum libellos palam
venditaret. Si pa non ostante prender qoetlo
rudis come aggettivo, a detta di Gian Creo eeteo
Grooovio, obs. i v , 6 , p a g . 87, oel qual ceto U-
togoerebbe tradarre : perch si pretende che il
pi abile in materia di agricoltura non che
un ignorante appetto te. In qualunque modo
che volgarizzi, sempre cotta che Trenaellie Scro
fa primeggiava uelP agricoltore, oome urna volle
vantava H primato Stolone. La prima ma oser
per altro pare la pi elegaote.
(47) Villa quod a b e o . * \ idtolor haec verbo,
loco teo mota com tiot, ita repooeoda ette : V i l
la, ab eo quod in oam convehuntur fr uctu s :
;6| DI M. TERENZIO VARRONE 76a
eos Urtino. Le due editioni dei Giunti e di Gin
nico appellatus a Villa. Villa quod, etc.
Bench ogni cutildo tia un villino, non per
ogni villino un eistald*. E come qui Vtrrone
parli di un soprastante, quindi non ibbiimo
polulo usare U voce villano, cbe corrisponde
rebbe molto bene ella sui ridice villa.
(48) E t unde vehunt. Amerebbe Urtino cbe
ti leggeste : E t uude avehunt.
(49) Tulle quetle parole vea, vella, vellatura
derivino, seoondo il nostro autore, di quelli di
veho, chi vuol dire condurre.
(50) In un vecchio codiee esaminato di Urtino
ti lgge: E t, ut dextra tibia, alia omnino,
quam sinistra, ita tamen, ut s i t, etc.
Per intendere questo luogo bisogni rieorrere
ad Apuleio lib. i Floridor: Primus Hyagnis
manus in canendo discapedinavit, primus
duas tibias uno spiritu animavit, primus lae
vis et dextris foraminibus acuto tinnitu, et
gravi bombo concentum musicum miscuit.
Dille quili pirole e digli intichi monumenti
marmorei si ricava che si suonavino col medesimo
fiato due Asoli, uno de qaali si tenevi nella mino
destri e 1 Uro nella sinitlra. Festo : Dextra
rum tibiarum genus est, quae dextra tenen
tur. Servio nel lib. ix delP Eneid : Ut enim ait
Varro, tibia Phrygia, dextra, unum foramen
habet; sinistra duo: quorum unum acutum
sonum habet, alterum gravem. Dii che appiri-
tee che il destro flauto eri acuto, e il sinistro
griTe.
(51) Questo discepolo di Aritlole eri di Mes
sina. Egli compose tre libri sopra i popoli e le
citt della Greeii. Gli Spartani ordinirono ohe
ogoianno si dovesse legger pubblicamente il libro
che avea eomposto sopri la loro repubblica, e
che i giovani dovessero troTirsi presenti questi
letture.
(52) Urtino oon tutti la modestia diee te fosse
meglio leggere coti : Quocirca ea succinit pa
storali, quod est inferior, ut tibia sinistra
dextrae, essendo egli persniso che a for amin
bus sieno pirole aggionte : ovvero propone da
leggerti : Ut tibia sinistra dextrae a for ami ni
bus. Caper idi opinione chea sii da omettersi.
Volt enim (dicegl) tibiam illam tuednere libile
dexlrie vel ejut foraminibus, quod nnum idem**
que est : et mihi videlur per succinere firmari
eorum tenlentii, qoi acutiorem sonum dextrte,
qoam sinistrie tribuunt. *
Getnero di parere che Varrone tbbii scrtto
ut tibia dextra sinistrae. Silmisio ad Vopise.
p. 826, ed. Hack, pensa che si debba leggere a
dextra, e vuole che inferior a dextra sia lo
slesso che inferior dextra, e dice, che * idqne
M. T k b b j i i i o Y a r r o m b
genus dicendi, ubi id iblalivum compitatiti ad
juncti est tt a, pluribus intiqnornm ao recentium
notorum loois demonitrire. potte. In quello
luogo pirli molto a lungo de tibiis dextris et
sinistris, incentivis et succentivis; mi tutto
tono cote che non giovano a niente per intender
Varrooe.
(53) Capra natum pascat. Ita emendavi,
diee Vittorio, ex velluto codice, et ex illo looo
libri 11: Ne colonus capra natum in fundo par
scat. Nam veteret libri aliquantulum depravati;
tie eoim habent: Ne capra tum pascaL Prima
igitur syllaba hnjns verbi Natum defecerat. *
La correttane di Vittorio ite capra natum
pascat approvala da tolti, come quella che gode
I1 autorit di un s gran uomo, e come quella cho
gode V appoggio di Varrone medesimo nel lib. u.
Ma chi attentamente guarder quanto Varrone
dice avanti e dopo, non s di leggeri si acquieter
in Vittorio. Dice Varrone che eoi metter tu in
campo il tonato re di flauto non solo togli al pro
prietario di aver del bestiame, ma ancora ne privi
i servi, ai quali lo incordino non pure i padroni,
onde lo Esodano pateolare, per quindi ritrarne
del peculio, oome altres le leggi relative ai ca
staidi ( le quili tu in cotti modo togli ), in cui
trovisi scritto : Colonus in agro surculario ne
capras tum pascat, quas etiam astrologia in
eoelum recepit non longe ab Tauro. Dunque Ia
legge relativa agli agricoltori, di cui parla Var
rone, noo proibisce, inzich permette che le ca
pre possi no pasootire ; imperdocch te ci vie
tasse, verrebbe id innullir li legge, li quile per
mette ehe le cip re possi no pttcolire. O si iltendi
Ile lotiche editioni, le quali banoo: ne capras
cumpascat, ovvero quinto hi pubblicito Vit
torio : ne capra natum pascat, oon si viene
forse id illontanir totilmente di un terreno
piintito di alberi le capre ?
Eoeo per il modo^con cni si potrebbe aggiu-
stsre il nostro testo, dietro al codice di Poliziano
e alle intiche edizioni: aggiungendo soltanto li
lelteri / alla parola capra. Poliziano dunqoe,
come altres le prime edizioni, hanno : ne capra
tum pascat: ora aggiungendo la lettera / s ha
ne capras.
Qui per non si riferisce tolta intera la leg
ge, ma solo uni parte della medesima. L inte
ra legge * li segnente : 11 ctitaMo oon facdi
pascoli re le capre in un terreno piantato di
alberi quando germogliano i virgulti e le viti,
quando appunto qoelli sono teneri, e proprii per
essere iddentitl, e queste qumdo sono cariche di
uva. Sar poi permesso farle pascolare, illorquan-
do sir terminata la vendemmia, e le piante e le
viti tiranno diventate legnose ; nel quii tempo Ife
.63 ANNOTAZIONI AL LIB. ! DE Bfc RUSTICA 7 6
capre non potranno nuocere a quelle piaole. Dan-
^oc da questa legge da conchiudersi che per un
certo dato tempo non ti permette alle capre di
pascolare in on terreno piantato d'alberi. Le
leggi relative ai eatialdi tono varie e consone alla
natura, all' indole del terreno e agli alberi pian
tati nel medesimo ; e perci dicendo Varrone nel
lib. 11 : ne colonus capra natum in fundo pa
teat, viene ad escludere totalmente dal terreno
le capre: n a torto, perciocch ove si coltivano
gli ulivi, ti corre rischio che entrandovi le capre
pascolare addentino le frondi, e scortichino i
tronchi anche in tempo d' inverno. Forte si diri,
e che vuol dire in questo luogo tum ? Qui lo
s t e s s o di tunc : e che tum siasi adoperato in vece
li tunc, si raccoglie da Cicerone lib. vn ad Attico
Ep. vi : Nisi fo r te haeo illi tum arma dedimus,
ut nunc cum bene parato pugnaremus.
(54) Quas etiam astrologia, etc. u Videtur,
dice Cupero, scribi debere quam, uti referatur
ad capram ; sed respexit in genere ad haec ani
malia, et notum est ex Hygino, non solum capram
Amallhaeam in ter aatra relatam et sedere in ha-
mero sinistro Heniochi, verum eundem etiam
raanu sinistra duos haedos estare.
(55) Ursino di opinione che le parole pecus
quoddam sieno superflue, e che tutto questo
luogo si debba leggere cosi: Vide, inquit, Agri,
ne istuc sit ad hoc, eum in legibus etiam co-
veatur ; adducendo a questo proposito quanto
dice Varrone nel lib. 11, cap. 3 : Ob hoc in lege
locationis f u n i excipi solete ne colonus capra
natum in agro pascat : dalle quali parole appa
risce che vi si deve introdurre la voce surcula
rio. Ila siccome nella prefazione nel lib. 11 scrit
to : armentum id, quod in agro natum non
colit, sed tollit dentibus ; cos resta a conside
rarsi se nella legge dell affittanza della tenuta la
voce capra sia posta io sesto caso, e che do
vesse dire : ne Colonus quod in agro natum sit,
capra pascat. Terra natum lo disse pure Salin
aio, intendendo di parlare di quello che nasce
nel terreno, coma sarebbero gli alberi e simili
cose.
Ecco come Popma parafrasa questo luogo.
Forte Agri ne. Cave putes, Agri, inquit, leges
eolonicas vetare colooom in fundo capras compi
acere, quasi pastio omnino aliena sit ab agricul
tura, cum eaedem leges permittant pecus quod
dam pascere. Sed hoc cavetur ideo, qaod caprae
tunt inimicae sationi. Lib. 11: In lege locationis
fu n d i excipi solet, ne colonus capra natum in
fundo pascati harum enim dentes inimici sa
tioni. T
(56) Le parole diversa de causa sembrano
essere, a delta di Ursino, di altrui mano.
(57) Quod e a m ........sterilem. Plinio nl
lib. xv, cap. 6 dice: Oleam si lambendo capra,
lingua contigerit, depaveritque, primo germi
natu sterilescere auctor , est M. Varro. E nel
lib. vili, cap. 5o : Olivam lambendo quoque ste
rilem faciunt, eaque ex causa Minervae non
immolant. Dalle quali parole apparisce che nel
nostro testo si debba leggere : Quod eam, quam
lamberityfieri dicunt sterilem. Il verbo laeserit
una glossa di lamberit. Festo dice che lambere
lo stesso che scindere ac laniare. Veggasi No
nio vili, 62, Mere. p. 491? 10.
(58) Licinius. Mihi, dice Gemer, nullara
dubium est, quin ad hnne locum applicanda sit
observatio viroram doctissimorum, de qua agitar
ad Varronem lib. 1, cap. 2. Saoe importane hio
inculcari personae nomen videtor, n
(5g) In arcem non inigi, u Inigi, dice Vitto
rio, quemadmodom est in antiquis libria,*aervpa :
quo verbo saepe M. Varro usus est Sextaa Poas-
pejns : Inigere pecus est ager.
(60) Noo sono maocati eroditi, che poco con
leu li della parola propriae hanno voluto sosti
tuire propitiae;eaci vi tono itati indotti par
ticolarmente da Varrone medetimo, che di topra
aveva detto : Quaedam enim pecudes sunt cul
turae inimicae : per conseguenza hanno volato
contrapporre propitiae ad inimicae. E per altro
da preferirsi la comune lezione, poich per pecu
des proprias s ' intendono quasi i soli baoi. Di
fatti non ha Varrone ricercato di topra ae il
bestiame e l ' armento appartiene all'agricoltura T
Ed avendo escluso dall'agricoltura quel bestiame
che soltanto si mantiene per farlo pascolare, come
altres quello cbe naoce ai terreni, aggiunge
finalmente e ricerca quali animali appartengono
all' agricoltura^ quali sono quelli che aiutino la
medesima, e che sieno come proprii della fletta.
E quest' opinione riceve maggior peto da qoeQo
che segue : Ut eae, quae junctae arare possunt.
A questo luogo fa molto a proposito qnanto dice
il nostro autore nel lib. iu, cap. 5 : Socium ho
minum in opere rustico, et Cereris ministrum.
(61) Ursino oondanna la parola opere, dicen
do eh' e di altroi mano. Inveoe di adjuvare vor
rebbe cbe si leggeste adjuvant. Ma egli non ri
flette che la voce opere tecnica dell'agricoltura,
e cbe adjuvare dipende da possunt.
(62) Urtino non vuole che si venalium
greges, ma bens volucrium greges. Egli si fon
da sopra il cap. 38 di questo stesso libro, scriven
dosi ivi : Stercus optimum esse scribit Cassius
volucrium, etc., e nel lib. ut, cap. 2 : I b i vidi
greges magnos anserum, gallinarum, colum
barum, gruum, pavonum, etc. u Neque hic,
risponde Ursino, attentiti pottum viro doctisai-
ino. Servos absolute venales dictos esse etiam a
Varronc re! illa satyra. Sardi venales osteodit.
Argumentatur Agrias ila. Si propterea ad agri-
callaram aliqaid referiar, qaia osus illias est ia
agro, eliam de venalibus, boo est serri et loto
ilio genere erit praecipiendum, atc. n
(63) Ursino legge et ) ructus in eo fe r r e . Nel
codice di Poliiiano manca pare non : e di fatti o
si deve levare non, ovvero toglier di mezzo in
secondo, poich se il bestiame.noo aiuta la coltu
ra, non si po negare per altro ohe non renda
delP utile. Pooe dopo dice Varrone : Si quis
propter agrum, aut etiam in agro praefectus
domino agriculturae acceptum referre debet,
sed id modo quod ex satione terrae natum ad
fruendum. Confessiamo per altro di ater piat
tono parafrasato cbe tradotto questo passo.
(64) lo tre codici Fiorentini, ano dei qaali
molto lodalo da Poliiiaoo, si troTa scrino diver
samente: Scrofay djungamus igitur, inquit,
pastionem a cultura, et sei quis quid volt aliud.
Aliud Anne egoyinquam, secuar Sacernarum
patris et f i l i librasi Scrofa aveva inferito che si
dovessero segregar gli animali da pascolo dall1a-
gricoltura, e altri oggetti ancora, se cos agli altri
piacesse. Al che rispondendo Varrone, qaal nomo
collo da maraviglia dice ali ud Ci siamo fatti
premura di conservar questa interrogazione gra
ziosa.
(65) Le antiche medaglie ci assicurano che
quelli Sacerna erano della famiglia Ostilia.
(66) Quam argentifodinas. Scaligero voole
che si legga arenifodinas, confermando ci da
qaaoto segue : Sed ut neque lapidicinae%neque
arenariae ad agriculturam pertinent, sicfigli-
nae. Un simile errore dice essere corso uel lib. iv,
De Lingua Latina, dicendosi ivi aerifodinae,
quando i codici hanno aretifodinae%osia, come
Scaligero corregge, eretifodinaey poich l arena
e la pietra compresa sotto il uome di metallo.
Ego ila potabam, gli risponde Gemer. Saser-
nae ad rem rusticam retulerant figlioas ; Varr,
eadem ratione eliam referendas esse metallorum
fodinas, hoc est neutras.
(67) Ecco qual leiione correva avanti Vitto
rio ; A u t aliam, et aliam, et alia ; ed egli ha
preteso di corregger meglio, facendo ohe si dica
aut alia et alia metalla, appoggiandosi a Catul
io, il quale disse elegantemente : Haec atque illa
dies, atque alia%atque alia. In progresso si
seguila da tolti la correzione di Vittorio. Ma in
Poliziano trovandosi la prima leiione da noi ri
ferita, crediamo che aliam et aliam rigoardi f o
dinas, delle qaali ve ne sono di pietre e di sab
bia, che poco dopo si accennano, e cbe alia abbia
di mira tutte le altre utilit cbe si posiono trarre
765
dalla tenuta: di fatti ii fa menzione anche del-
V osteria, qaal prodotto della teouta. E perch
cambiare il testo, qoando non siavi niente cbe
ripugni ?
(68) u Ulrum una, dice Gesnero, harom nega
tionum librariis debetur ? an ila pleonastici lo
cala* est Varro ? Posterioris rei exemplum desi
dero. Itaque alteram non includendam curavi* n
(69) Non enim s i q u i s ....... debeL u Videtor
legendam si quidy ct referri : ut dictio profectus
sit generandi casos: oos dice Ursino, e cos
pare trovasi in un codioe e nelle tre prime edi
zioni.
(70) Sed id modo%quod ex satione. Qaesta
correzione di Vittorio, perch avaoti correva
quod nec satione : e ci lo conferma con qoanto
dice Varrone in qoesto medesimo libro: Quo-
niam fr u c tu m arbitror esse f u n d i eumyqui ex
eo satus nascitur utilis ad aliquam rem. Vit
torio ha avolo tutta la ragione di allontanarsi e
dsi codici e dalle edizioni ; poich dice Brenck-
mann : . Quid enim aliud est, nec satione terra
natum esse, quam sine saliooe et cura terra
idest sponte provenire ? Quod si quid motandam
sit, mallem v tecta, quod in optimo codice ha
betor, in tenera mutare, ut esset, quod nec sa
tione tenera sit natum ; idque qaod ad sensum
eodem recidit, n Gesnero soggiunge : u, Ego vero
putaverim, nihil sanius Victoriana lectione, nihil
conjectura sapientissimi senis certius. Agricultu
rae objectum, ut scholae vocabolo ulamor, noo
sont res nec satione terra natae%sed quidqoid
ex satione terra est natum adfruendum.
(71) Obstrigillandi causa. Ecco come spiega
Schoeltgenio: a Strigare notat quiescere, stare,
inde strigiilare et obstrigillare, quod obstare
significat. Nonioi 11, 608 Obstringi/lare ( ila
eoim semper scribi l), obstare: in quam rem
unum Enuii, et iria Varronis, in qaibus uosler
medius est, loca profert.
(72) E t despiciebat. Pare che sia meglio leg
gere sed despiciebat: almeno in colai guisa
l'opposizione pi chiara.
(73) Lo stesso ha Didimo ne' Georgici gre*
ci xm, 14 : Si amurcam coctam felle bubulo
mixtam cum oleo ipsis adsperseris.
(74) Ci parso necessario in questo luogo il
punio interrogativo.
(75) Scaligero di opinione che si debba
ometter dolere, c che sia da leggersi : Nam hujus
pedes solent in fr onte contrahere rugas. Coai
pure ha detto, dio1egli, Orazio : Ne sordida
mappa* corruget nares ; ed persuaso cbe dm
lere sia una glossa marginale, poich contrahere
rugas lo stesso che dolere.
Ita legilur vulgo, sono parole di Popaa,
;C6
DI M. TERENZIO VARRONE
767 ANNOTAZIONI Al/TJB. I DE RE RUSTICA 76
ed illud dolere, osi gioitemi et ea re expungen
dam, qaod et doctissimo Scaligero videtor ; vel
legendum dolore in fr onte, ut dicat, dolorem
pedom frontem corrugare, el Iriilem reddere,
addoctumque Tallam. Juvenalis Sai. 14:
u Hoc quoque si rugam lrahit,exlenditquelabellum.n
Dell' istesio parere di Scaligero pare Gesnero,
se non che ba volalo stare attaccato al codice di
Poliziano.
il testo per altro da noi tradotto il seguente :
Nam et hujusce pedes solent dolore in fr o n t e
contrahere rugas. E quello an tetto trailo
dalle prime edizioni, dai codici di Poliziano, di
s. Re parata, Cesenate, e da due Medicei della
biblioteca Laoreniiana.
(76) Vel Tarquennam audivi. Qui si prende
pel in loogo di etiam. In questo senso italo
uaato da altri. Tereniio Pborm. Act. 11, Se. 1:
a Poliremo sei nullo alio pacto, vel focnore. n
Virgilio lib. xi deir Eneide :
u Vel Priamo miseranda manus...............
Finalmente lo adoper Cicerone nel lib. 111 de
Legibus : Islo modo pel consulatus vitupera-
bilis est.
Vittorio persuaso che quello Tarquenna
fosse uno di que' lettori che leggevano quando i
Romani si cibavano. Ma pi probabile che fosse
un ciarlatano Etrusco, come fi ricava dal nome,
ch analogo a Porsenna, Cisenna : almeno l'E-
truria era eccellente di colali prestigie supersti
tioni.
(77) In quest' indiavolato luogo tacciono tutt' i
commentatori, abbondanti tempre di parole, ove
il bisogno minore. Gemer ci fa grazia sola
mente di dirci che haec verba forte sont in
Fandanii personam conferenda, qui cura pedibus
laboraret, statina arripit quod dixerat Stolo. Hic
aatem verba tolenoia vel carmen statim affert,
Terra pestem. V. Calo c. 159 et 160.
Il gran Pontedera per altro ci ha non poco
illuminati, e noi siamo andati dietro a lui quasi
alla cieca. MPerpende ounc, dic' egli, qaae ex
Tarquenna acceperit Sacerna. Pedum dolore Ubo-
rauti homini, qui tui meminissent (al primi tal
cusam ; meminisset eaim ab Aldo est) ef posse
mederi. Ego tui memini, mederi tuis pedibus
(possum). Qui tui merainil, pedibus homiuis do-
lenlibui valet mederi : qaoniam igitur tui sum
memor, tuis quoque pedibus mederi possum.
Qoae inter se convenire opinor, restituto vetusto
mederi, s i t o mederier, pro Aldino medere^ et
meis iu tueis verso. Verbum possum, valeo, aat
quid item deperditom existimo. Nane Tolfita el
recepta videamus: Ego tui memini,medere meis
pedibus. Quorsam isla? Qui tui meminit, mederi
potest.Sic illa ostendunt, qui tui meminissent, ei
(homini pedum doloribus excruciato) mederier
posse, Tarquenna pollicebatur.
(78) In meis pedibus. Vittorio, a coi 61 eco
anche Pontedera, persuasissimo che queste Ire
parole sieno stale aggiunte da altri, quantnnqne
si trovino pure ne' manoscritti. 11 sospetto fon
dato , perch alcuno avr voluto dichiarare coca
s ' intenda per l avTerbio hic, cio in meis pedi-
bus. E questo sospetto acquista maggior peso dal
considerarsi che lolle di mezzo le parole in meis
pedibus, i due membri, che si recitano, T e n g o n o
ad aTere quasi un egaal numero di sillabe e una
consimile desinenza ; cose alle quali n attende
con tutto lo scrupolo da chi mette in opera cotali
superstizioni.
(79) In Plinio qaesti riti si trovano pi svilup
pali. Egli nel lib. xxvm dice : Eadem etiam
ratione terna despuere deprecatione in omiii
medicina mos est. E nel lib. xxvi, cap. 9 : Ex
perii affirmavere plurimum referre, s i virgo
imponat nuda, jejunia jejuno, et man* supina
tangens dicat: Negat Apollo pestem posse cre
scere, cui nuda virgo restinguat ; atque ita
retrorsa manu ter dicat, tot ics que despuant
ambo, etc.
Tra le superstizioni degli antichi si trova,che
quando eglino nelle loro preghiere nominavano
la terra, la toccavano, come ti raccoglie da Ma
crobio 3 Satu mal. : Cum tellurem dicit, mani-
bus terram tangit; e per contrario qaando no
minavano Giove, innalzavan le mani verso il cielo;
del che ci fa Cede Ennio Thyeste : Aspice hoc
sublime candens, quem omnes pocant Jovem.
Inoltre nell'atto che recitavano i versi tpntavana
tre volte , e colla saliva si bagnavano la fronte,
per tener lontane le malie. Tibnllo nel lib. 1 :
Ter cane, ter dictis despoe carminibus. *
E Petronio: Turbatum sputo pulverem medio
sustitit digito, frontemque repugnantis signa-
pit, hoc facto carmine jussit exspuere.
(80) Multa, inquam.Qtenero tramota inquam
iu inquit, onde non si tolga la continuazione del
discorso di Stolone, al quale dappoi soggiunge
Varroue: quasi pero non caeteros, etc. Ma da
riflettersi che questo inquam si torna a replicar
da Stolone dopo aver dette altre simili oose. Cori
Marco Tullio Phil. iv: ffunc unum diem, hunc
unum , inquam, hodiernum diem defende, si
79
PI M. TliBLNZIO VARRONE
pote s: laonde ooa dii cambiarsi inquam in
in qui t.
(81) Quasi vero inquam. Seooodo Uraoo
da leggerti: quasi vero inquit Agrasius%perch
non et?i frapposta alcuna persona, e Agrario
difende Saseroa. Torna iu campo Gesnero col
voler che si cambi 1 ono o I1altro di questi
inq u am. MUt rum sit, soggiunge egli, lector,
disputa, si qoidem Unti videator. Mihi prius vi
debatur, qaia quasi co a d lui o sunt eorum, quae
Stolo dixerat. ,,
(8a) Catone parla della placenta nel eap. 76,
del libo nel capo 75, del prosciolto ntl cap. 162,
e del cavolo nel capo i 56.
Ca p. III. (1) Chi confronter la traduzione di
questo breve capitolo col testo, trover varii
cangiamenti, de' quali per ora non rendiamo
conto, volendo premettere quel poco cbe ne han
no detto gli altri.
Ursino permaso di leggere deinceps dicen
dum in luogo de iis rebus dicendum ; e alquan
to sotto dopo Carceribus indina a leggere pr-
fecta, quas decurrat ad metas, perch verso il
principio del segueute capitolo Varrooe ha det
to : Hinc profecti agricolae ad duas metas di
rigere debent.
Gesuero cbe sta attaccato alte regole graffia
ti cali, fa dire doceat a Varrooe ; ma soggiunge
per : u sed etiam alias interrogative directe non
interrogantia graeco more cum indicativo con
structa videas. Unum landabimns Cic. Alt. v i i ,
12, pag. 762 Graev. Sin discedet, quo aut qua
aut quid, nobis agendum est, nescio. r>
(a) Ora si esamini il testo e si dicano le cor
rezioni. E t avanti cujusmodi si tralasdato da
Aldo, qoaodo si trova nelle tre prime edizioni :
parimente si cangiata 1*interpunzione ; e qui
bisognava meglio separarci membri del periodo.
Si tolto di mezzo dicendum, come qoello che
noo riconosce per autore che Aldo ; poich il
sentimento questo : de ieis rebus, quae in
scientia s i n t , quis in colundo nos docet? Le
antiche edizioni mettono quod in colendo : ora
questo quod, che si omette dai codici di Polizia
no, di s. Reparata, e Cesenate, si tramutato da
Aldo iu et quid. Se per si cambia in quis, si
viene ad avere on pi giusto sentimento. Di fatti
Agrasio avendo dimostrato quaoto era da segre
garsi dall agricoltura, e dimostrandosi deside
roso di sapere tutto ci che strettamente spetta
all agricoltura, diee: poich al presente sappia
no quanttf da disgregarsi dall agricoltura, chi
ora c istruisce di quello che appartiene alla col
tivazione ? Allora Stolone rivolgendo gli occhi a
Scroti, che da Varrone sopposto il pi capace
d istruire: Tu, lice,devi insegnarcelo e per l et
ina, e pel tuo rango (egli fo pretore o uno dei
ventivi ), a pel sapere onde vai fornito.
Vero si che nei codici di Poliziano, di s.
Reparata, e Cesenate ai legge quae in scientia
sit ; ma vero altres che le tre prime ediiioni
che equivalgono a tanti codici, h*ono quae in
scientia sint. Inoltre si da noi rigettata la le
zione d Aldo ars an sit, e abbiamo adottato ars
H trovasi in Poliziano e od Cesenate ; nelle
tre prime edizioni si ha ars sit. Finalmente ab
biamo sostituito qua praestas delle prime edU
aioni a quod praestas di Aldo. Sicch recapito
lando ecco il testo che da noi si tradotto: i g i
tur, inquit Agrasius, quae dijungunda essent
a cultura, et cojusmodi sint, quoniam discre
tum : de ieis rebus quae in scientia sint, quis
in colundo nos docet ? A r s id, an quid aliud,
et a quibus carceribus decurat ad metas Sto-
lon quom adspexisset Scrofam: Tu, inquit, et
aetate, et honore, et scientia, qua praestas,
deicere debes.
(3) Parimente nel restante di questo capitolo
abbiamo abbandonato il testo di Aldo. NeUe tre
prime ediziooi e nel codice Polizianeo si trova ac
in vece di et avanti magna. Quattro codice Fio
rentini e il Cesenate mancano delle parole quae
docet, che ancor noi abbiamo tralasciate, molto
pi perch senza di queste si viene ad avere on
senso perfetto ; essendo che l ' agricoltura est ars
(eorum) quae sint, etc. E da tramutarsi V Al
dino quoquo in quoque, perch appunto cos s
legge nelle tre prime edizioni, in Poliziano, e in
on codice Fiorentino. Abbiamo in Poliziano quae
a qua tera in luogo di quaeque terra : di fatti se
1 agricoltura insegna qoello eh* da farsi in qua
lunque terreno, d dimostra ancora da qual terra
noi potremo trarre grandissimi frutti. Egli
chiaro che l abbondanza dei fruiti corrisponde
alla bont del terreno ; iraperdocch in ano ste
rile, quantauque sia lodevolmente coltivato, mai
si avranno ubertosi frutti.
Il testo duoque da noi volgarizzalo il se
guente: llle non gravatus preimum, inquit,
non modo est ars, sed etiam necessaria et ma
gna. Eaque est scientia quae sint in quoque
agro serunda, et faciunda, quae a qua terra
max su mos perpetuo reddat fr u c t u s .
Ca*. IV. (1) 11poeta Ennio aveva tradotto dal
greco in btino dei pezzi tratti da Epicarmo poeta
e filosofo pitagoreo, e questi versavano sopra la
natura delle cose. Egli diede a quest' opera il ti>
tolo di Epicarmo. Epicarmo era di opinione che
i principii delle cose erano anche quelli degli dei.
Il1
ANNOTAZIONI AL LIB. 1 DE RE RUSTICA
Lucrezio in pari modo di fnoio chiama il 10I0
fuoco, T aria V anima :
Ex igni, Terra, atqoe anima procrescere, et im
bri. n
E Virgilio nell'Egloga 6:
u Semina, Terrarum que, Marisqoe fuissent..
Varrone De Lingua Latina i t , pag. 17 dice :
Epicharmus Ennii de mente humana dicit%
Jstic est de Sole sumptus ignis, etc.
() Ursino mole che ti legga: quod hinc
initium.
(3) Gemer ha io tal modo punteggialo, per
ch in prima dopo delectat vi era nna semplice
virgola, e an ponto dopo agrum. ragionevole
qnetta paoteggiatura.
Uriioo persuaso che la parola cultura so
vrabbondi ; e perci anohe Gemer l ha mesta
tra parenUai.
(4) Multa hic ( tono parole di Urtino ) ?&-
Xta^txHi ab expotitoribat adjecta ex margine in
textam irrepteruaL Tolat autem locus ila vide
tor emendandnt : Nemo enim eadem utilitate
non formosius quod est, emere mavult pluris.
Utilissimus autem is agery qui salubrior esti
quod ibi fr u ctus certus. Contra in pestilenti,
quamvis f e r a c i agro%colonum ad fr u c tu s per
venire non patitur. Columella 1, 3, 2 : Nec rur
sus in pestilenti, quamvis je ra ci pinguique
agro dominum ad fructus pervenire, etc.
Avanti Vittorio correva fructuosius turpey e
in alcane potlerior edizioni si ha anche fr uctuo
sius turpius, u Qui ab hac ( dice Gesoero della
lesione del nostro testo) Medicei eliam codicis et
Commelini lectione discedant, veriti videntur, ne
param accurate loqueretar Varro. Sed illa se ne
qae alias in ordinem cogi palitur. Fructuosus,
turpis ad nomen ager eogitatione re t oliste po
test.
(5) Haec si riferisce a calamitas, di oai si
detto di sopra ; ovvero ad alta.
() Sed in naturae. Urtino persoato che
queste tre parole tovrabbondino.
(7) Ippoetale preserv la Grecia dalla pesti
lenza, facendo chiader le gole delle mootagne
che guardavano verso l'Hlirio, ove dominava la
peste, e facendo accendere de* gran fuochi, onde
si pnrgasse V aria.
Se di altri soggetti abbiamo fatto alcane pa
role, ci sia permesso di fermarci alquanto sn di
Ippoerate, come quello che nell' eserciiio della
medicina noi ci abbiamo sempre prefissi di se
guire.
Ippoerate nacqne nell1isola di Coo il primo
anno dell'ottantesima olimpiade, verso la Rne
del 460 avanti G. C. Egli fu istrutto nell* me
dicina e nella belle lettere da sao saocero Ippo-
crate e da suo padre Eraclide, i qaali non solo
erano gran medici, ma versati ancora in ogni
genere di letteratura. Eglino lo istruirono nella
logica, nella fisica, nella filosofia naturale, nell'a-
stronomia e nella geometria. Stadi l ' eloqoeoia
sotto Giorgia Leontino, il pi elebre retore dei
saoi tempi. Viaggi per lo spazio di dodici anni
in molte proviocie, onde acquitlare quelle cogni
zioni che non itperava di acquistare nell' iaola di
Coo. Percorse la Macedonia, la Tracia e la Tetta-
glia ; e in tutti questi paesi raccolse U maggior
parte delle preiiote osservazioni che contengoso
i saoi epidemii. Nel mentre che viaggiava, ai fer
m ia Efeso presso il tempio di Diana, ove tra
scrisse e miae in ordine le tavole di medicina,
che ivi trov : lo stesso fece di qaelie che trov
nel tempio di Esculapio in Coo.
Lo riputazione d ' Ippoerate cresceva di gior
no in giorno. Molti principi e molti re tentarono
di ritirarlo alla loro corte; ma non volle giammai
abbandonare la sua patria, quaotunqae fossero
splendide e generose le offerte che ad esso face
vano. Celebre quetla risposta che Ippoerate
diede al governatore di Ellesponto, il qoale lo
ricercava a nome di Artaserse Loogimano: Dite
al vostro re, che io sono abbastania ricco: che
l ' onore non m i permette di aver suoi doni, e
di andare in aiuto degP inimici della Grecia.
Siccome Ippoerate esercitava la medicina per
nn poro priocipio di umanit, qaiadi non si con
tent, ugualmente che gli altri Asclepiadi, d ' in
segnare la sua professione soltauto a quelli della
sua famiglia, ma la insegn altres agli stranieri:
e appunto da questo momento cominciarono a
divulgarsi i suoi precetti.
Ippoerate visse nna looga vita, sano di corpo
e di meote, ed era ben degoo di esserlo. Tatto il
mondo lo ha onoralo come il padre della medici
na. morto a Larissa, citt della Teaaaglia, di
novant' anni. Vi sono per autori, i qaali opinano
e iter egli vitsato fino a cento e quattro anni ; al
tri poi credono che abbia toocato i cento e nove
anni. Fa interrato tra Sirtona e Larissa, ove si
mostra anche al d d' oggi la sua tomba.
In tempo di sua vita se gli accordarono onori,
che non si arano reti ad alean uomo. Qaelli di
Argo gli innalzarono dopo morte uoa stataa di
oro : gli Ateniesi gli decretarono corone, e man
tennero non solo lui, ma anche i suoi discendenti
nel Pritanneo : n oontenli di ci lo iniziarono
altres ne' loro pi grandi misteri : distinzione
che rade volte si aceordavano agli stranieri, e di
cui soltanto Ercole era stato onorato.
77S DI M. TRRESZIO VARRONE 774
Tppocrat* non aveva molto buona opinione di
i tiiio, e eoo tolto il otndore confettava i tuoi
proprii errori ; il ohe lo earatteriaza per an nomo
veramente grande, veramente saggio. Per la qaal
cosa egli era solilo dire ehe quello pi da lodtr-
ai io ipedicioa, che fa pi pochi errori. Quindi in
ogni tempo stato considerato come an modello
per tatti quelli che si dedicano ella medicina, e
come il pi fedele interprete delle natura.
Termineremo questa lungi digressione con
un bel pi sso di Montigoe : La plus riche pie
que j e sache avoir i t i recue entre les vivans,
e t e o/f e des plus riches parties et dsirables,
c' est celle <T Hippocrate ; et <f un autre cti,
j e ne connois aueun crit <f homme, que j e
rgarde avec aut ani <Thonneur et d* amour.
Cap. V. (i) Qui scribitur pvrmt ffoffaf*
u Vetus haec est lectio (dice Ursino) ne peram
quidem a nobis immutala. Ila siepe a veteribus
auctoribus libri Theophrasti citantur, quod ex
Athenaeo multis locis cognosci potest : quamvis
nunc in excusis libris aliara inscriptionem ha
beant. n
(a) Ursino amerebbe cbe in vece di neque eo
dico quod si dicesse neque eo dico quo ; ma per
liro sarebbe meglio che si fossero seguite le
prime edizioni, che hanno quin habeant.
(3) Secunda, quae in eo fundo debeant esse
culturae causa, tertia, quae sint facienda,
quarta, quo quaeque tempore fieri conveniat.
De his quatuor generibus. Cos da leggersi
qoeslo luogo, secondo il parere di Ursiuo, esclu
dendo le altre parole, che sono glosse. Vuole che
si consideri ancora, se in luogo di generibus
nasi da dire partibus, poich di sotto si ha : De
primis quatuor partibus dieam.
(4) D* his quatuor generibus singulae.
Putabam legendum singula (dice Gesnero). Sed
video Varronem hic promiscae dicere genera et
partes. Ceelerum de prima parte scilicet genere
primo agit cap. 6 ; de alteri cap. 17 ; de tertia,
quae quidem ita perfunctorie^ tractatur, cum
tamen maximi sit momenti, ot aliquid deesse
arbitrer, cap. aS ; de qaarta denique cap. 37. w
Cav. VI. (1) Delia prima ne parla in questo
capitolo, della seconda nel capitolo 7, della
tena nel capitolo 9, e della quarta nel capi
telo 14. Ognuna poi si suddivide, come la pri
ma, in forma naturale, di cui dice in questo
capitolo, e della forma che acquista il terreno
per meato dell1altura nel capitolo 7, ee.
(a) Nel seguente modo vorrebbe Ursino che
si correggesse il testo : Jgitur cum tria genera
tini agrorum, campestre, collinum^ et monta-
narra, et ex his quartum, ut in eo f undo, in
quo haec duo pel tria sunt, ut multis locis
licet videre. E quibus tribus fastigiis simplici-
bus, sine dubio infimis cultura aptior, quod
haec calidiora ; sic collinis, quod ea tepidio
ra. Haec apparet, etc. Noi per altro confessia
mo cbe meglio s' intende la lezione di Vittorio o
di Commelino.
(3) u Forte excidit (dice Gesnero) certe subau
diendum inter haec duo verbi (sic collinis) alia,
scilicet cultura aptior: htec enim tepidiora
iunt duplici intellectu, noo ita frgida, quau
somma, nec ita calida, quam infima. Similia bre
vitas reearrit mox.
(4) Qoi suppone V autore una grande esten
sione di pianura, e per molto lontani i monti,
dai quali scende il vento ohe rinfresca.
(5) Nei manoscritti si trova scrtto susum o
deosum scoti r, e costantemeote sono tempre
critti cos. 1 grammatici per altro insegnano
che gli antichi hanno scritto promisca amento
sursum e susum.
(6) Le tre antiche edizioni hanno contra
aestiva montana his locis ; Polizitno poi ha
montana iis locis; e questa la miglior lettane,
che noi abbiamo espresta nel nostro volgariz
zamento.
(7) Eo magis s i quis est inaequalis. Ursino
Tuole che ti levi ria qis, e che in vece di dispa
riliter ii legga dispar, o disparile. Questo loogo
tolto da Teofrasto 11,6 De causis plantarum,
Ca v . VII. (i) Veggasi Catone al cap. 1.
(a) Persuaso Ursino che qui si sieno prese del
ie licenze tanto dai eomentatori, quanto dai co
pisti, ha aggiustato il lesto nel seguente modo :
De forma culturae hoc dico, quae specie sunt
venustiore, sequi, ut mqore quoque f r u c tu
sint, ut s i sata sunt in quincuncem. Itaque
majores nostri, etc. Anche per con formae
cultura, si po dinotare, come dice Gesnero,
u non absurde studium venustatis,
(3) Nei capitolo 4 di qoeslo libro si parla
di ci.
(4) Cum easdem si fregeris. La particola si
abbonda, per sentimento di Urtino; e poco dopo
da leggersi appellatur, non appelletur. Chi
rifletter con attentione, vedr che l'una o 1*al
tra delle pirticelle cum, o s i da levarsi. Fori*
quest1 un pleonasmo di Varrone.
(5) Nel seguente modo vuole Ursino che !
corregga il testo, appoggiato a Teofrasto lib. 1
delti Storia delle Piante, e al lib. xii, cap. 1 di
Plioio : Itaque Cretae ad Cortyniam dicitur
platanus esse, quae folia hieme non amittat,
itemque in Cypro, ut Theophrstus ait. Una
ANNOTAZIONI AL LIB. I DE RE RUSTICA 776
item Sybari, qui nunc Thurii dicuntur, quer
cus simili esse natura, quae est in oppidi con
spectu. Le parole di Plinio tono queste : E s t et
Cortynae in insula Creta, j u x t a fontem pia-
tanus una, insignis utriusque linguae monu
menti,f, nunquam f o l ia dimittens, statimque
ci Graeciae fabulositas superfuit, Jovem sub
ea cum Europa concubuisse: ceu vero non
alia esset ejusmodi generis in Cypro, etc. E
ne! lib. x? 1 cap. 21 : In Thurino agro, ubi Sy
baris f u i t , ex ipsa urbe prospiciebatur quer
cus unat nunquam fo l ia dimittens ; nec ante
mediam aestatem germinans, tic.
a Ex locit aatem adducti* (soggiuoge Ursino)
videtor apnd Varronem legeodom : Una iltm
Sybariyut d o s emendavimus : apod Plinium vero
super ea, non sub ea ; nam in nummo argenteo
rofrw/nr baec fabula ila expresta est, ot non
sub platano, sed ipsi plane platano infidere Eu
ropa videa Lar : el Theophrastus, a qoo Plinius
accepit, habet inri ra(Jrx.n
Plinio rammentando quel fenomeno celebrato
tanto dai Greci, quanto dai Latini, prende occa
sione di deridere i Greci per le loro favole, a feu
do etti divulgato che solamente otto quell* al
bero Giove avesse avuto commercio con Europa,
quasi che fosse unico nel suo genere.
(6) Teoftasto lib. 1, cap. 6 della Storia delle
Piante. Dicendo Plinio oel lab. xvi, cap. 27, che
questa quercia non cominciava a far germogliare
le sue foglie cbe verso la met dell* estate, da
concludersi che tutta la m#raviglia di quest* al*
hero non consisteva che nel prodor le foglie pi
tardi degli altri alberi, e che per conseguenza era
anche l ' ultimo a spogliarsene.
(7) Vites apud mare Smymae. Le ediziooi
di Plinio, avanti quella del padre Arduino, ave*
vlbo : M. Harro auctor est vitem fuisse Smyr
nae apud mare biferam; cos) ha Plinio nel
lib. xvi, cap. 27. Ma il padre Arduino avendo
trovato nei manoscritti Matroum, cio presso il
tempio di Cibele, la madre degli dei, in luogo di
mare, ha adottata quella lezione, che vorrebbe
anche introdotta in Varrone, u II est certain
( dice Saboureux ) par Pii ie xtv, 4' et P*r Stra-
bon I. iv, qoe ce tempie existoit Smirne ; mais
est ce uoe raison aaffissante pour corriger notre
Auteur, et ce tempie est lui-mme ne pnvoit-il
pas tre aapra de la mer, et donner lieu ces
leox Auteurs de dsigoer 00 seoi et rame en-
droit ; I*un par le voisinage de la mer, et l'autre
par celui du tempie.
(8) u Non poto ( dice Gesnero) idem referri
ad Theophrastum ; sed esae neutrius generis pro
nomen et qoarti casns, relaturo ad id qood diri-
tur sopra Refert enimy quae res in eo. etc.
Poterai clarius ita : Eandem rem ostondit illud,
quod, etc. Noo voloisse hic Varronem ad Theo
phrastum provocare, inde etiam mihi fit credi
bile qood statico subjicit mentione Tbeopbcacti
Verbi Idem ostendit, quod hoc volunt, qnod
proxima, eadem de causa. Hoc observandum
propter volgatom errorem circa tWf quod.
(9) Avanti Vittorio correva io Aretino, ma
posteriormente si scritto Reatino.
(10) Nel lib. 1, cap. 7.
(i ) Intus ad Rhenum, u Varroniana {dice
Pontedera ) scribendi regola Re num poecit m
afflato, ot Cassiodoros ex Agnaeo Cornuto refert;
ila it, 6 Rodum non Rhodum; in, 3 R i Mommo*
Rhinton, c. 17 redarios noo r he darios.
(12) Plinio nel lib. xxxi, cap. 7 dice che per
quest* uso riesce meglio in alcuni paesi il carbo
ne di quercia, e io altri quello di Doccinolo. Gal
liae Germaniaeque ardentibus lignis mquam
salsam infundunt... Quercus. . *per so ci me re
sincero vim salis reddit ; alibi corylus lauda-
t ur : ita inf uso liquore salso carbo etiam in
salem vertitur. Paro donqne da qsanlo dioc
Plinio, che il carbone, qoalonqoe s sia, non
contragga qnesta propriet, sa noo quando vi si
getta sopra deH*aeqoa salata nel tempo che il
earboofc nel fuoco.
(13) Cato... praeponens. Senta debbio, dico
Ursino, da leggersi proponens; imperciocch
nel cap. 18 dice : Cato modum neque unum,
neque modicum proposuit. Veggasi Catone al
cap. 1.
(14) Scrofa, scio, inquit. da aggiunger
seoondo Ursino ita, onde si abbia: Scio, inquit,
ita scribere.
(15) Pontedera ha scritto tre Tolte sopra que
sto luogo di Varrooe, senza che Gesnero abbia
voluto ascoltarlo. Pontedera vorrebbe aggiungo-
re nn po* troppo, appoggiato soltnto ad altri
aotori, non gi ad aleun codice di Varrooe. Nei
riferiremo l'oltimo suo sentimento, come quello
eh* il pi ponderato.
u Scrofa, scio, inquit, scribere eilum. Sed
de hoc non censentont omnes; quod ali dami
preimatum baneis prateis u ti ego, a quoque
anteicei prata parata adpelaront. Caesar Vo
piscus, etc. Antiquitate haec magis, quam ad hoc
tempus probata Aldina, excellant: ut ego quo
que: a quo antiqui; prima enim cosa, et codf-
ees Politiani, et ad s. Reparatae quoque omitlunt;
et itla a quo in laodatis codicibus suot a quoque*
Qoae tamen etsi vetusta oon perspicio clare. Pro-
pterea quia prata primatum in praedio obtinent,
parata appellare debemos ? Qoicaroque de pra
torum etymo teribuot, pratom dictum asserunt,
quia sine opere et sumpto semper est ad prae-
7 7 7 DI M. TEttENZIO VAKRONE 778
beodam fructum pirilaa ; quod neque foditor,
neque aratur, neque iu id tementi impenditor.
P r a t u m (doeet Ulpianus da verb. signif.) est,
i n q u o ad fr uctum percipiendum falce dun-
t a x a t opus est, ex eo dictum quod paratum sit
a d f r u c t u m capiendum. Idem praecipit lib. 11,
cap. a Columella : Tertia, ait, ratio loci irrigui
s i n e impensa fructum reddere potest. Hanc
p r i m a m Varro (ila enim, non Cato ut in cusis)
ess e dicebat, qui maxime reditum pratorum
c a e t e r i s anteponebat. Deinde cap. 17: Et ideo
n e c e s s a r i u s ei cultus etiam prati^ cui peteres
R e f i n a n i primas in agricolatione tribuerunt.
H o m e n quoque indiderunt ab eo, quod proti
rtus e s s e t paratum, nec magnum laborem de*
s i d e r a r e t. Ab hoc Iti dorrai Ub. xv haec : Pratum
est, c u j u s Joeni copia armenta tuentur, cui
v e t e r e s Romani nomen indiderunt ab eo, quod
p r o t i n u s sit paratum, nec magnum laborem
c u l t u r a e desideret. Qaare non quia inter fandi
parte utilitale praestat prato no, dicitur paratum,
eram quia temper eat ad fructum tine impensa
tribuendum parttum. Id ipsum exprimit noster
aactor de L. L. lib. it dicent : Prata dicta ah
ea, q u o d sine opere parata. Idoirco illa a quo*
que ad preimatum oon possunt referri. Propter
quod nemini obscuram este videtur, nonnulla
vetustate deperdit*, quibas, cur pratum para
tum diceretur, explicabitur. Petrus Crescentias
4e AgriculU lib. 11 ex Varrone memorat ista :
A l i q u i dant primatum bonis pratis, quia mo
dicas a u t nullas requirunt expensas. Qoid
illud nam, quod in principibus Varronis cusis
forma libri ad r Caesar appositum legitur?
Item littera a ante quoque in vetustis codicibus?
Quid, amabo te, reliquiae istae indicant? Nonna
manifeate deperdita arguunt? Ista etiam quae in
Varrone sequuntur de vinea : Contra peiniam
sont quei propter sumptum putent fructum
deporares non imperfectam superiorem senten-*
tiam dedarant ? Videlicet Csto primatum dabat
vineis, quae .propter sumptum fructus fere omnes
consumunt : ego pratis potius, quae parata appel
lantur, nam modicas aut nullas reqoiruot expeo-
sas. Hao de causa ductus conjectura censebam,
illud a, de quo retuli, extremam fuisse de prata
quod suo loco amissum ex alio librarii repara
runt, nempe . . . uti ego. Prata quoque anteicei
parata adpelaront ; nam modicas aut nullas
requirunt expensas.t
(16) Plinio nel lib. xvn, cap. 4 dice : Caesar
Vopiscus ^ cum causam apud censores ageret,
campos Roseae d ix it Italiae sumen esse, in
quibus perticas pridie relictas gramen ope
riret.
Gli Edili erano magistrati, i quali avevano Ia
AI. Ttaemo Ya i b o i i
sopran tendenza dei giuochi pubblici, dei tempii
e della politia di tutta la citt.
I Censori erano magistrati incaricati a fare la
numeratione del popolo. Invigilavano ancora
sopra i costumi a sopra la condotta di tutli t
cittadini.
(17) Fpjto parlando delle campagne di Rosea,
dice : Rosea in agro Reati0 campus appella
tur, quod in eo arpa rore humida semper
serant.
Ca*. Vili. (1) La prima frase di questo capi
tolo evidentemente una continuatione di quel
lo cbe precede, cio la spoiitione di una se
conda opinione opposta al sentimento di Catone,
che preferir le vigue a tatto. Da questo appa
risce chiaro che la separatione di questo ca
pitolo dal precedente mal collocata, e che al
pii si potrebbe tollerare tilt seconda frase. Ed
ecco una nuova prova, come ha detto egregia-
mente P ab. Compagnoni nelle soe Annotazioni
a Catone, che la divisione dei capitoli noo dei
nostri autori.
(a) Quarum nomina duo pedamenta et j u
ga, quibus stat rectis pinea, dicuntur peda
menta. Quae transpersa junguntur, juga. Or
sino arditamente corregge in ridicarum nomi
na, e cambia quae transpersa in ijueis trans
persa junguntur juga.
Per nessuna ragione si pu esser del senti
mento di Ursino, perch la ridica non si divido
in pedamentum e in jugum, ma bens per con
trario il primo si divide in ridicam, palum,
arundinem, et arbustum. Ci apparisce da
quanto dice Varrooe poco dopo : Pedamentum
item fkre quatuor generum, unum robustum
quod solet afferri in pineam e quercu cc ju n i
pero, et pocatur ridica, alterum palus e per-
f i c a . '
Pontedera oon niente persuaso che si deb
ba corregger in queis traspersa junguntur, di-
cendp egli : , Per ridicasne transversa firmantor,
an per rimioa ? Aedepot, per vimina. Queis igi
tur cui aptabimus ? Certe, si quicqoam hoc in
loco innovandam est, haberem ntiqaios : qua
rum nomine, hoc ett quarum causa; qood pro
pter jugatas vites duo dicuutur, pedamenta et
joga, cam io stratis aut sine ridicis recito voeia
neque pedamenta, neque juga qubus non indi
gent, noraioentur.
Gesnero pore alta la voce contro Ursino.
Qoid enim ? ( die1egli) ridicarum appetlatio-
ne comprehendi dicemos perticam, arundinem,
restes, vites ? Quid si ad pineas referamus su
blimes f Non ignoro, vineas noo esse pedamen
ta ; sed sublimet vineae fiunt aut per pedamenta,
ANNOTAZIONI AL LIB. I DE RE RUSTICA 7&0
aut per joga, etc. De re ipsa Columella , 3o.
Illud etiam alterum, quae transversa jungun
tur, rectum puto : alioqnin, ai queis ponti cam
Tiro docto, legendam erit etiam transversae.
Juga transversa junguntur vitibus noo zninot
quam Ti l et jugis : de qaoram generibat contu-
lendas qaoque Columella i t , 17.
(3) Intorno a questi paria Columella nel
lib. iv, cap. 17.
(4) Ecco la spiegazione che Gesnero d della
parola compluviata : u Si consideres loca om
nia, obi compluvii Tel compluviatae vilis men
tio fit, nihil aliud deprehendes esse compluvia
tam vitem, quam decussatim jugatam, nt qua-
drttae in medio areae relinquantur. Complu
vium area subdivalis aperta, et aedificatione in
clusa, quae, si qua partem superiorem considere
mus apertam, impluvium vocatur. Ita intelligo
Varr. de L. L. p. xxxvui, 33 : Si relictum erat
in medio1ut lucem caperei deorsum, quo im
pluebat : impluvium dictum : et sursumy qua
compluebat, compluvium itaque com-
pluvium et impluvium, ut profundum et altum.
Sed Varronis ratio subtilior forte quam Terior.
Vid, Ti r i docti ad Ter. Ean. m, 5, 41-
(5) Sopra i salceti e i canneti Yeggasi Colu
mella iv, 3o e 3a.
(6) Giovanni Battista Porta vii, 9 citando tut
to questo luogo di Varrone, omette le parole in
Harundulationt, forse perch non le intese. Qui
ti parla della quarta specie di gioghi delle vi
gne, che consiste in attaccare i sarmnti delle
viti, che di s stesse non ti possono sostenere,
alberi. I Milanesi adoperano a quest uso
gli oppii, e qoei di Canosa i fichi, i rami dei
quali per esser deboli e fragili ti tostentano e
li fortificano colle canne ; e questo quello
che intende Varrone colla parola arundulatio.
Pontedera per non tuo] leggere n harundu-
latione n hardulatione, ma bens in harum
jugatione, dicendo egli : cum directo jugo in
vineis utantur Canusini, traducet per ficorum
tabulata in jugum suspendunt. Porro non seri-
bit lib. xvii Plinius saluberrimam in jugo arun
dinem connexam fasciculis, et quinis annii du
rare ?
(7) Noi abbiamo teguito Gesnero, cambian
do volvit iu solvit, cio render putrido. Pare
certamente che questo tia il sentimento di Var
rone : puter enim evertitur seu convertitur, et
Jit solum scilicet imum, quod ante fuerat, jam
summum.
(8) Cum fundo pertusa. Per sentimento di
Ursino la particella cum t di pi. 11 codice
Richiano ha pertusos; sicch unendo la va
riante di Ursino con quella del codice ti pu
leggere fundo pertusos. Non abbiamo veramente
uoa parola italiana corriapondcnte cuspides :
dalla descrizione dei medesimi contU che in
s.contengono le canne che ti piantaoo in terra,
che hanno il fondo pertugiato, pel quale eaea
V acqua piovana, e che impeditcono che la terni
umida non tocchi le estremit delle canne pian
tate in terra, cbe altramenti diventeeebbono
marce.
(9) Quest1 una tpecie di Tato in coi ti ri*
pone il vino puro, come ti raccoglie dal tuo
nome derivato da oxforof, che vuol dir puro,
e da vfVy portare. Cicerone li nomina nel li
bro 111, 4 de Finibus : Ne hoc ephippiis et aerar
toplioris potiusyquam prigmenis et apoproeg
menis concedatur.
(10) Intorno il danno cbe arrecano le rolpi
alle uve, si Tegga la Cantica 11, i 5.
(11) Pontedera appoggiato a Columella pre
tende di correggere il nostro tetto. Ecco quan
to dice Columella nel libro t : Sed ex zi, ques
ipse cognovi, maxime probantur oeluti arbu
sculae, brevi crure ; sine adminiculo per se
stantes: laonde Tuole che io Varrooe ti legga
cosi: Ubi arbusculae modo removetur e terra
vitis. Quae ostendit se qfferre pam, sub eam9
ubi ( uTa ) nascitur\ subjiciuntur circiter pe
dales e surculis furcillae, u Quibus modo ex
Politiaoo Jeosooioque interni, ea de arbuscu
lae diminutum, ac depraTat um ratos. Reliqua
per se clara nostrae diligentiae non repogoanl.
Caeterum hujusmodi Tineae discrimen ia gracili
et saxoto loco tantum putator,
Ursioo poi Tuole che ti legga : Sub eam
subjiciuntur circiter bipedales e surculis f u r
cillae ; persuaso egli estendo che le parole ubi
nascitur uva tieno una glotia di en qualche
commentatore. Parimente Torrebbe forre dal
testo vindemia Jacta^ e leggere palma non pai
mam. Non ai po ester dell1 opinione di Urtino,
perch colle parole ubi nascitur uoa ti deaoia
quel luogo, ove ti deTe sottopor la forcina :
ed appunto quel luogo che ha mestieri di
essere sostentato, perch creicendo P ura Tiene
a diventar pi pesante. Inoltre colle parole di
scat pendere in palmam Tuole significare che
f i a t palmay oTTero tia nn palmes pi robusto,
il quale non potendo nemraeo etto aostenerti
da s, abbisogna di una cordicella, o di nn cin
golo per mezzo del quale tia raccomandato al
tronco della Ti t e.
(ia) Non si pu ommetter quanto ci dice
Pontedera intorno alla parola cestum, u Hoe
autem xffoV, qui, quod in cingulum aco con
texebatur, a xig'tiv nomen invenit. Hinc apad
Homeram Uiad. Veuui traditur xs^oV
Jqqob dedine, qao circi liaam posilo, viram
obnoxiam ibi reddereft Jano. Gettai ilaqae
cingulas lire biscia, a qao cistillus deducitur,
arcolai nimirum vel oblonga falcia contextas,
vel al?a, vel junco, Tel quo item, quem qui
onos capite feri, libi capili superimponit. Ce
stoni quoque vetustissimi Latini Timi ne aut scir-
po ad feniculi rei circuli modam intextam, ia
qao ava per palmam bine et bine racemoram
teaai amputatam luipeudebatnr, vocarunt; qaem
inferior telai a vinciendo in vinctum nomine roa-
tavlt. Et quoniam ex calia live oblongis fasciolis
de vimine aat libro formatnr orbi, haec qaoqae
celiai dicitar, at ia Catone libi eoarravi.
( 13) Reatini. In Poliziano i legge Uriatini,
cio di Uria, paeie della Paglia.
(14) Lo iteiao dice anche Creicenzio iv, 3.
(15) Yarrone intende dire con ci che le viti
estendo troppo baise in an terreno amido, cor
rono rischio i grappoli di uva di attrar troppa
aeqaa, e perci di prodarre aa vino iuacqaato.
Cat. IX. (i) Non ti pensi alcuno, come altri
hapno creduto, che inquam in questo laogo de
noti il principio del discorso.
(a) Urtino vuole ehe si faccia attenzione, se le
parole in nominando, sieno da levarsi: pari
mente vuole cbe si tolgano di mezzo anche que
st* altre clic vengono dopo : in qua seri quid
potest et nasci; e alquanto pi avanti amerebbe
di leggere : quam in illa communi, propter ad-
mixtiones etenim cum sint dissimilia ac pote
states, etc.
(3) Ursino di parere che soprabbondi la pa
rola mixta, e che dopo si debba leggere cos :
Ita genera haec, et praeterea subtiliora sunt,
nam minimum in singulis facies terna, etc.
(4) Nam minumum in singola facies terena.
Cos hanno costantemeQte latte le edizioni anti
che e tutt i manoscritti. Non per altro da cre
dersi che terena equivalga a terrena, ma bens a
terna, perch subito soggiunge: quod alia terra
est valile lapidosa, alia mediocriter, alia prope
pura. Laonde terena qai lo stesso che terna.
Forse si pa addar ana qualche congettura so
pra l ' origine della parola terena io forza di ter-
na. Terena danqae deriva da quella origine, da
da eoi nascono le parole bini, terni, quaterni,
quini; imperciocchbinibisivoi da i f 4r$ unus.
E che vnol dir danque bini se non se bis unus,
terni, tres unus, quaterni, quater unus etc.
Da qaesta anticaglia conservataci da Yarrone,
da inferirsi che presso gli antichi Latini si ado-
prassero le parole biseni, tjsreni, quatereni, etc.
Se non si temesse di esser troppo lunghi, si po
trebbero accennare altre cose analoghe.
j8
(5) Plinio nel lib. xvm, cap. 17 dice: In loco
humilif a r adoreum potius, quam triticum se-
runt ; temperato et triticum et hordeum : e
Columella nel lib. 11, cap. 6: Triticum sicco loco
melius coalescit, adoreum minus infestatur
humore. Ora da quanto dice Yarrone e Colu
mella consta che in Plinio da leggersi ftumido,
non humili.
Noi abbiamo consultato varii letterati accioc
ch ci dicessero a quale dei nostri grani corri
sponda 1' adoreo degli antichi. Chi ci scrisse una
cosa, e chi l ' altra. Sarebbe beo da desiderarsi
che alcuna delle societ di Agricoltura rivolgesse
i suoi pensieri ad alcani termini adoperati dagli
antichi agricoltori, e che ci diceste a qual genere
da noi conoiciuto ti riferite* quello o quell' altro.
(6) Quo ad culturam pinguis. Secondo Ur
tino da leggersi quod pinguis, etc.
Itaque in iis, etc. Vittorio persuasissimo
che i vecchi codici sieno guasti in questo luogo :
neppure pertuato della comune lezione : Itaque
in veiis, ut in Pupinia ; e da quauto dice Var
rone poco dopo, ti raccoglie che qui da leggerti
diversamente : In agro pingui, ut in Hetruria,
etc. , in mediocri autem terra, ut in Tiburti.
Ursino poi di opinione che forte si debba legge
re in ea. Dal primo libro, capitolo quarto di Co-
lamella si rileva che il territorio di Pupinia
magro e pestilenziale. Da Feslo alla voce Pupinia
a' inferisce, quantunque il luogo ivi sia mutilalo,
che Pupinia era presso la citt di Frascati. Pon
tedera sta per la lezione in iis, e condanna quella
di Aldo veiise di Genson nux ; poi in altro luo
go vuole che nux, la quale lezione trovasi in due
codici Fiorentini, si debba cambiare in hac. Ulti
mamente ha adottato hic. Questo certo che la
parola tanto controversa dev'essere una di quelle
che si riferisca a macra, qaal appunto quella
del territorio di Pupinia. Ecco adunque il testo
che noi abbiamo tradotto,'e nel quale vi sono
degli altri cangiamenti introdotti dal Botanico di
Padova, di cui poi soggiungeremo le ragioni, alle
qaali si appoggia.
Seic magna tria discrimina terrae, quod
refert utrum sit macra, an pinguis, an medio
cris ; quod ad culturam pinguis fecundior ad
multa: macra contra. Itaque heic, uti in Pupi
nia, neque arbores prolixsae, neque veitesfera
ces ; ntque strumenta videre obi erasa poteris,
neque ficum Mariscam, et arbores plerasque^
ac prata retorida muscosa, u Perpensis vetustis
dictionibus nux et nus, ut quid, quod locas po
scit, eliceretur ab iitdem non longe dissonans,
nihil potias nbis succurrit, quam heic, quod ia
nux et nus facile depravatur. Illa enim in iis, ia
his, in viis plura exigunt, quae ia monosyllabis
7 8 3
DI M. TERENZIO VARRONE
illis nux ac nus oon conlinentur. Heic autem
ad proxima macra contra referiar. Quouianz
Tero oon prolixas arbores, ut io Aldibis, veram
prolixae arbores vetusti libri nobis exhibr.t,
verbum proveniunt, aut quid simile subinlelligi
videtur. Qaae si recto casu adminiculantur, hec
neque stramenta videre ubi erasa poteris sunt
separanda. Animadvertas velim in in primis casis
nlc erasa insertum, quod in obi prisca forma,
nempe ibi, efforruau.
(7) Ursino non vuole che si legga quod pro-
pius, ma quo propius. Gesnero dubbioso se
aia da leggersi per inclinavit, o inclinarit ovvero
inclinaret.
(8) E pereb da Aldo si cangialo feritur,
delle tre prime edizipni, in f r i e t u r ? Quest* un
verbo cbe deriva da f e r o r , c che significa, secon
da Pianto, distrahor e dispergor. Plauto iu Ci-
itelL Act 11, Scen. 1.
tExsa minor, feror, disferor, distrahor, diripior, n
(9) Earum rerum fe racia . Queste sono pa
role di altrui mano, ovvero un pleonasmo simile
a quello del capitolo 17 : adminicula hominum,
sine quibus rebus, etc.
Cip. X. (1) Avvertiamo qui che le parole cor
sive si trovano spiegale nello Specchi dei pesi
e delle misure di Varrone, al quale si potr ricor
rere per la intelligenza degli uni e degli altri.
(a) Jugum vocant. Nel lib. xviii, cap. 3 di
Plinio si legge : Jugerum vocabatur, quod uno
jugo boum exarari posset, etc. Ma da questo
luogo di Varrone consta eh' da leggersi jugum,
non gi jugerum. Veggasi inoltre Varrone de
L. L. lib. iv, p. 10. Il psdre Ardaino ha corretto
qoeslo luogo di Plioio, ed ha sostituito jugum.
(3) Acnua latine appellatur. V gran chias
so tra i commentatori intorno alle parole acnua
latine. Vittorio ha ripudiato la lezione antica
modius ac mina, ed asserisce che la lezione del
nostro lesto 1' ha ritrovata in tutt'i codici. Ur
sino vuole che li legga : Is modus acna latine
appellatur.
Non si sa comprendere perch dica che in
latino si chiama acnua, quando gi ha in latino
il nome di actus quadratus. Acnua poi una
parola veramente latina ? Varrone scriveva latino
c nella sua lingua ; e perci non era mestieri il
dire che cos si chiama latinamente. Quando in
troduce parole straniere, ne porge l avviso ; ed
allora necessario dire che cos si chiama dai
Greci, dai Sabini e da quelli della Campania ;
ma quando scrive vocaboli latini, dice nostri:
del che si potrebbero recare in meizo molti
?83
esempi). probabile che questa sia una parola
corrotta e sfigurala di agna, simile alla porca,
altra misura* di cui parla Columella nel lib. v,
cap. 1, e della qaale si servivano sollanto i conta
dini. Columella nel luogo allegalo dice espressa
mente: Hinc actum provinciae Boeticae ru
stici acnuum vocant. Tolte queste ragioni mi
fanno credere che le parole del lesto iP modus
acnua latine appellatur non sieoo che an cat
tivo commentario tolto da Columella, e che un
qualche ignorante avr aggiunto sopra un qual
che codice di Varrone, c che io tal modo sia
giunto sino-a noi.
(4) Con buone ragioni prova Pontedera eh'
da leggersi scriptulum e non scrupulum.
(5) Subsicivum esse. Varrone nel lib. iv de
L. L. : Romani multa duodenario numero f i
nierunt, et illud quidquid erat ita fi n it u m , as
appellarunt ; unde fac tum esty ut jugerum as
appellaretur, et in totidem partes dividere
tur, etc. u In divisionibus autem agrorara (dice
Ursino) cum jugerum oon poterat expleri, sed
relinquebatur, aut duodecima agri pars, aat
sexta, tunc dicebatur in subsicivo esse aat uncia,
ut sextans,
(6) A noi pare che abbia ragione Ursino di
correggere il testo cos: cum ad jugerum non
pervenefunt. Egli si fonda principalmente sopra
Siculo Fiacco de limitibus agrorum e sopra
Frontino. Il primo dice: Qua comparatione
f t e t a , quando minus fue rit , quam centuriae
modus esse debet, subcisivum vocatur. E Fron
tino : Subsicivorum genera sunt duo, unum
quod in extrehtis assignatorumfinium ceniti
ria expleri non potuit, etc. .** ex quibas verbis
(soggiunge egli) apparet legendam hic apad Var
ronem : cum ad jugerum non pervenerunt. Nam
cum sive centuria, sive jogeram expleri oon po-
. terat, ea pars agri, qaae restabat, subcisiva di
cebatur.
(7) I d habet scriptula ccLxrxnir. Quest'
la vera e genaina lezione. Da qaesto loogo cor
retto di Varrone possono trarre di bella cogni
zioni quelli che si danno a decifrare i pesi e le
misure degli antichi. L'oncia contieoe, come tutti
satioo, ventiquattro scrupoli, e con dodiei 00ce,
che formano appunto l ' ms, si vengono a formar*
dugento ottantotto scrupoli. Laonde Varrone
disse con verit che il iugero contiene dugento
ottantotto scrupoli, in pari guisa dell' as.
(8) Nelle tre prime edizioni si ha quantum
autem ad antiquos nostros ante, e in Poliziano
quantus as antiquos noster. La parola antiquos
scritta alla maniera antica forse stata la caos*
che questo laogo siasi in leso malamente. Fre
quentemente io Varrone si trovano le parol*
7*1
ANNOTAZIONI AL LIB. 1 DE RE RUSTICA
?B5 DI M. TERENZIO VARRONE 78G
scritte coIT ortografia alica, come ouom, auos,
equos per ovum, avus, equus. Sextantarii
asses, dica Festo, in usu esse coeperant ex eo
tempore, quo propter bellum Punicum secun
dum, quod cum Hannibale gestum est, decre
verunt Patres, ut ex assibus, qui tuno erant
librarii, fierent sextantarii, etc. Lo stesso ia
altro lopgo : Grave aes dictum a pondere, quia
asses singuli pondo libras efficiebant. Sed bello
Punico P. R. pressus aere alieno singulis as
sibus librariis senos fe cit , qui tantundem vale
rent. E Plioio : Librae autem pondus aeris im
minutum bello Punico primo, cum impensis
Respublica non sufficeret, constitutumque, ut
asses sextantario pondere f e r i r e n t u r . Ita
quinque partes factae lucri, dissolutumque
aes alienum, etc. Dai qaali luoghi apparisce che
qui da leggersi : Id habet scriptula c c l x x x f i i z ,
quantum as antiquus noster ante bellum Pu
nicum pendebat. L' as avanti la goerra Panica
pesava nn' intera libbra, cio lodici once, ovrer
sia dogento ottantotto scriptula; nell atto della
guerra diventato sextans, poi uncia, e final
mente mezz*uncia. Dnuque quando Pax pesava
nna volta 388 scriptula, per conseguenza il iu*
gero ai divideva in altrettanti scriptula.
(9) Varrone intende parlare della prima guer
ra Panica, la quale cominci fanno 490 dalla
fondazione di Roma, cio a6a avanti Ges Cristo.
Veggasi Plinio lib. xxxur, cap. 3.
(10) Bina jugera, quod a Romulo, primum
deiveisa deicebantur vireitim, quae haeredem
secuerentur, haeredion adpellarent. Hoc po
stea centum centuria. Cos deve stare il testo.
Se quod, che trovasi tra quae e haeredem da
togliersi, non cos da levarsi dicebantur, oome
61 Gesnero : il primo manca in tutt i codici, non
eos dicebantur. Sosipater Charisius nel lib. 1,
inst. Gramm. : Idem (Varro) iu, annal. num
mum argenteum conflatum primum a Servio
Tullio d i c u n t . . . Ora questo Servio Tullio
tato il sesto re Romano. Se dunque dice Var
rone dicunt parlaodo di Servio Tullio, quanto
pi non lo dovr dire rimontando sino a Romo
lo f No egli vero che sono pi dohbii quei
fatti, quanto pi sono antichi ? Oltre di che di
cebantur si legge nell* edizione Reggiana e nel
codice Cesena te. Nonio in Heredium cita pure
cos qnesto luogo di Varrone. Festo dice : Cen
turiatus ager in diversa jugera definitus, quia
Romulus centenis civibus ducenta jugera agri
distribuit. Cicerone nel 11 della Repubblica ap
presso Nonio : Ac primus agros, quos bello Ro
mulus ceperat, divisit viritim civibus. Siculo
Flaoco : Centuriis vocabulum datum ex eo est,
antiqui Romani agrum t x hoste captum
victori populo per bina jugera parti sunt, cen
tenis hominibus ducenta jugera dederunt, et
ex hoc factb, centuria juste appellata est. Pli
nio nel lib. vili, cap. ia: Bina tunc jugera
P. R. satis erat, nullique majorem modum
attribuit: e nel lib. xix, cap. 4 : In xn'tabulis
legum nostrarum nusquam nominatur villa :
semper in significatione ea hortus, in horti
vero heredium.
(11) In Poliziano e in Genson si ha hec, che
siccome da riferirsi a haeredion, cos da can
giarsi in hoc, non mai in haec del nostro testo.
Avanti centum vi e a, che a ragione da omet
tersi : cos pure dieta, di coi mancano ^codici.
(ia) La lezione comune, che correva avanti
Vittorio, la segueute: Centuria quae dupli
cata est quadrata in omnes quatuor partes:
all incontro i manoscritti hanno: Centuria est
quadrato, etc. u Qaae ( dice Vittorio ) si mendo
vacat lectio, intelligit M. Varro centuriam il
lam quae vetas nomen 'habebat, quamvis summam
jugero duplo majorem haberet. Et sane verisi
mile est ita loqui Varronem, quemadmodum etiam
Sext. Pompejus facit ; quamvis enim non osten
dat se loqui de duplicata, a illi tribuit, quae
duplicatae conveniunt; tunc enim omnes, centu-
riam cum audiebant, duplicatam, quamvis nihil
adderetur, intelligebant. Centuria, inquife Se
xtus, in agris significat ducena jugera. Ia v
de Lingua Latina M. Varro,quo loco rationem no
minis reddere debnit, totam rem explicavit: Cen
turia prima centum jugeribus dicta, post du
plicata retinuit nomen. Ut arbitror nonnulli
correctores, eum centuriae nomen attenderent,
neo cogitarent Varronem consuetudine loqueodi
sui temporis uti, mendum esse suspicati, verba
commutarunt. Nam vix fieri posse puto^ ot in
aliquibus pervulgatam lectionem manuscriptis
codicibus intenturus oon fuerim, si illa vera hu
jus loci ac germana esset. Quod volent tamen de
bac re docti viri judicabunt,
A questo luogo da riferirsi nna questione,
insorta pei nnmeri del testo, di cni eoco quel
che ne dice il sollodato Vittorio : Latera longa
pedem o C. Cum stodinm meum exprimen
dae antiquitatis non bene percepissent operae,
quae postea libros excuderunt, integrum hunc
loeum depravarunt. Quibus enim notis somma
pedum, quae centnriam conficiunt, in optimo
exemplari descripta est, iisdem in nostro codice
designari volebam. Sicantem in illo scriptum est,
Pedum 00 00 C. Q tjpographi priores lineam,
qua postrema litera dissecta est, lituram esse cre
dentes, nt arbitror, lileram totam tanqnam a me
deletam, reliquerunt, falsumqne numerum pedum
posuerunt. Neque hoc tantum hoc loco fecere, sed
ANNOTAZIONI AL LIB. I DEI RE RUSTICA 788
iti Urlio eliam libro in eadem relapsi sont, qao
facilini qoid eos deceperit suspicari poloi. Ita
enim ille qooque locos legi debet, cap. 5 : Lon
gum P. J) c c c c l . Non solum antem haoc noUm
in fidelissimo Varronis codice, led in aliis etiam
prisd foooimentis inveni: ot Romae in T e i e r e
lapide, qoi laudes Diodi agitatoris extculplas
habet. Eit autem io volumine Epigramma!, ant.
urb. 17 exscriptus. Dao igitur hi loci corrigendi:
nec seduliUs mea studiumque renovandae vetu-
sUtii reprehendendum: quamvis res hic aliorum
colpa male cesserit. Gemer poi diee : u, Edilio,
cujus iphalma corrigit, eit Gryph. 1541 Aliae
omnes a^ Viclorianas castigationes comparatae,
in alio mendo, qood indicavimus, conspirant.
Vides etiam Lector uuc ene in editionibui Jen-
soniana, Bononiensi, Regienii, quarum aliqua
forte in fraudem indoxit correctorem, ut Unlo
facilini D illud trans versa line signatum piane
inductum puUret. Restituto poilea D ; C pr eo
omittendum putarunt. Non incongruum, spero,
fuerit, post Victorium de littera disputare. Si
nihil aliud, certe illuni verum est : si talium dili-
gentes semper foissent homines, barbariem non
fuisse invalitorsm. Itaqne illud eliam placel ad
jicere, de nota ]) forte adhuc dispiciendum esse.
Licei enim qoiogeotos e a noUri vulgo tradatur,
tameu non praetereundum illud T i d e t u r , qaod
CI. Gaipar Bachelus Meziriacns in observat. ad
Pln. xxxiii, 3 (commentariis ejus ad Ovidii He
roidas Gallicis adjoocta ) p. 9, demonstratum a
se ait aliai ( forte ad Diophanlum a se editom ),
hanc ipsam notam, sive D transversa linea j u g u
latam, non jam quingentos notare, sed quadrin
gentos*.
Cap. XI. (1) Non animadverso. Queste dae
parole, teeondo il parere di Ursino, sono itale
aggiunU dai copisli.
(a) Il lesto dovrebbe essere il seguente: Ma
j o r a enim teda et aedificamus pluris, et tuen
tu r sumptu majore. Minora enim sei sint
quam postulat fundus solent dispareire. Qui
Varrone adopera il verbo tueor in lignificato
paisivo : cos pure lo ha adoperato' nel lib. 111,
cap. 1 : E t in belo ab ieis tuebantur. Io cinque
edizioni, cio nelle tre prime e in quelle di Basi
lea e di Gimnico si legge tuentur, ed Aldo ha
ha preso tuemur da Columella, appresso il quale
nel lib. 1, cap. 4i legge quello sentimento di
Varrone: Diffusiora enim consepta non solum
pluris aedificamus, sed etiam impensis majo
ribus tuemur. A t minora cum suntyquam po
stulat fundus, dilabitur fructus. Da Columella
pore ha tolto Aldo cum sunt, quando che nelle
prime edizioni si ba enim si sint. Se mai ii
avesse da introdurre qualche cangiamento, sa
rebbe di cangiar l1uno o I1altro enim in ttiam^
ovvero item.
(3) Licinius trovasi nel Ulto: negli antichi
codici trovasi semplicemente la lettera iniziale L.
la qoae dal margine passaU nel Ulto. Toti' i
dotti sono- di qoeit' opinione.
(4) Ursino vuole che i legga ut horrom am
pliora, non gi ampliora: ut horrea.
(5)* In villa aedificanda hoc potissimum.
Appresso Genion, Aldo, i Giunti e Gimnico cosi
si legge; .altramenti poi nelle edizioni di Sufa-
no, de' Grifii, di Commelino, di Popma e di Be-
revfouzio, leggendoviii Villam aedificandam
potissimum, il che trovali anche nei codici Va
ticani. Crescenzio pure nel lib. 1, cap. 5, copi
Varrooe, transcri vendo villam aedificandam
potissimum. La vera lezione forse villam ae
dificandum potissimum, leggendosi io Varrone:
serendum viciam, lentem, cicerculam: colli
gendum eas : faciendum quoque septa secreta
ab aliis: acus substernendum, objiciendum
farinam hordeaceam: Praefectos alacriores
faciundum praemiis.
C a p . XII. (1) Aldo, Ginmico e Popma danda
opera ; gli altri tutti, e tra quesli anche Crescen
zio nel lib. 1, cip. 5, hanno come nel Usto.
(a) Cos hanno pubblicato Stefano, i Grifii,
Commelino e Berewouzio, e diversamenU Aldo,
i Giunti, Gimnioo e Popma, avendo essi: ita ut
contra ventossqui saluberrimi in agro Jlabunt,
posita sit, ad exortus aequinoctiales apertis
sima, dai quali Genion e Brusch differiscono
soltanto nell' inUrpanzion . . . in agroJiabunL
Quae posita sit, etc. Presso Crescenzio cos si
legge questo luogo : aut ubi venti saluberrimi
flabunt. Quae posita est ad exortus aequino
ctiales apertissima. Qui per altro da correg
gersi aptissima. PonUdera lascia cbe gli eruditi
considerino se Varrone avesse scritto : Dandum
operam, ut potissimum sub radicibus montis
silvestris villam ponas, ubi pastiones sint la
xae ( ossia latae come si legge in Crescenzio e
iti aleone edizioni di Varrooe ) ubi venti salu
berrimi flabunt. Quae posita est ad exortus
aequinoctiales aptissima. Columella certamen
te nel lib. 1, cap. 5 scrisse : E t ut aedificii fr ons
aversa sit ab infectis ejus regionis ventis, et
amicissimis adversa, cum plerique omnes ae
state vaporatis, hieme fr igi dis nebulis cali
gent : quae nisi vi majore inspirantium ven
torum submoventur, pecudibus hominibusque
conferunt pestem. Optime autem salubribus,
ut dixi, locis ad orientem vel ad meridiem :
gravibus ad septentrionem villa convertitur.
789 DI M. TERENZIO VARRONE 790
altroYe t 8 ed procul et eUlmre situ ( villam )
condere, et frons ejus ad orieMam aequino
ctialem directa sit.
(3) Sin cogare secundum flumen aedificmrt,
curandum ne adversum eum ponas. Sopra la
parola eum ti tono fa Ite por le molle parole dai
commentatori, u Ita habenft ( dice Vittorio ) an
tiqui libri : qoae si recipitor lectio, respondit M.
Varro alio genere ac sapra osos fuerat flamini.
Nam .magis ositate dixisset i<2,non eum, taoqoam
ai fluvium aut amnem antea posoisset. Sententia
sane idonea est. Idem etiam significare volens
Plini os, inquit, neque juxta paludem ponen
dam esse, neque adverso amne. In pervulgata
lectione mendum esse facileomnes, qui attente
perspiciant, videbont. Nam et rei ipsi et iis quae
supra tradiderat Varro sententia ipsius repugnat/
Dixerat enim villam ad exorlus aequinoctiales
aptissimam esse. Eurum aotem ab orto solis flare
quis nescit ? ventosque qui iode spirant, saluber
rimos esse ? Orsino di parere cbe Ia to<fe eu-
rum, che correva anticamente in luogo di eum
sia corrotta, e che in vece si debba dire cursum\
imperocch di sopra ha detto si dogare secun
dum flumen aedificare, ete. Popma sta per eum,
e non fa gran caso della diversit del genere, di
cui si hanno non pochi esempii in Varrone, che
per brevit si omettono, u Non enim verbo (sog
giunge egli ) in serie orationis expresso respon-
det verbum ejusdem geoeris; sed intelligitur
aliud dissimile genere, notione par, ob qaod ge
nus mutalar. Questa variet di generi usata ;
nel qual cal il genere non si riferisce alla paro
la, ma alla cosa, come li ha io Sallustio nel lib. v
dell1 Istori : Legiones Valerianae comperto
lege Gabinia Bithyniam et Pontum Consuli
datuiru,.missos esse. Pontedera per inclinereb*
be a leggere eam, cio villam\ perch subito ag
giunge: Hieme enim fiet vehementer frigida,
et aestat'e non salubris. Gesnero finalmente
non molto lontano dall* adottare il sentimento
di Pontedera, che fu anche quello di Buenero ;
se non che orede ancor egli che eum non si ri
ferisca a flumen, ma al sinonimo fluviuni.
(4) Cioqoe opinioni differenti si leggono in
questo luogo, che sommariamente noi indiche
remo. Nell* edizione di Genson si ha : Advertet1-
dum autem siqua erunt loca palustria, et pro
pter easdem causas, et quod arescunt ere-
scuntque animalia quaedam minuta. Aldo
mette . Advertendum. . . . causas, et quod are
scunt, et quod in iis crescunt animalia. La
terza di Crescenzio : Animadvertendum est
si juxta erunt loca palustria, et propter eas-
dem causas, et quia cum arescunt, crescunt
animalia quaedam minuta. Viene io quarto
luogo quella di Vittorio : Advertendum .cau
sas, et qtiod arescunt, crescunt animalia.
Popma seni appoggio di alena codice, ma ap
poggiato unicamente a nna congettara di Fulvio
Ursino, il qnale ha cangiato arescunt in ale
scunt, ha pubblicato qaal genuino testo di Var
rone il seguente : 'advertendum . . . . causas, e$
quod in iis alescmat animalia. Noi siamo per
suasi ohe nessuna di qneato lezioni debba aver
luogo, ma bens quella di Poliziano, eh1 aver
tendum, e crescuntque animalia etc. Non ad
vertenda adunque i luoghi paludosi, se ve ne
sono, ma bens avertenda ; imperocch aoche
Columella nel lib. 1, cap. t , dioe : ne paludem
quidem vicinam esse oportet aedificiis. Siamo
persuasi ancora che la particella que non si deb
ba levare, anzi unirsi a crescunt, come appunto
hanno le tre prime edizioni ; altrimenti il sen
timento sarebbe imperfetto.
Varrone adunque condanna il fabbricar gli
ediftzii presso i luoghi palustri, non tanto per
ch le vicine paludi mandano cattive esalazioni
che danno origine a malattie, quanto ancora
perch diventando aride in estate procreano mol
ti sciami di animalelti, i quali dispergendoli per
la villa vengooo ad esser nocivi non solo agli
uomini, ma ancora agli altri animali. Columella
pure nel luogo allegato riferisce ambidue questi
inconvenienti, dicendo : Quod illa ( palai ) ca
loribus noxium virus eructat, et infestis acu
leis armata gignit ammalia, quae in nos den
sissimis examinibus involant: tum etiam ma
tricum,serpentiumque pestis hiberna destituta
uligine, caeno, et fermentata colluvie venena
emittit, ex quibus contrahuntur caeci morbi.
Ci effettivamente si osserva ne* luoghi paludosi
diventati aridi ; come per esempio, ove si coltiva
il riso. Venuto il tempo della raccolta si sottrae
l1 acqua, e quindi gli abitatori de' eontorni van
ii0 oggetti a gravissime malattie. N meravi
glia, poich dal pantano esalano non .solo vapori
velenoii, ma vi si generano altres parecchi aoi-
malelti, i quali trovandosi privi di acqna, e stinto
ti dal caldo sen volano altrove.
(5) Fundus haereditate. la Poliziano si ha
haereditati. Forse Varrone ha scritto cos. Simili
parole di doppia uscita si trovano in Varrone,
come oel vegnente capitolo: E x una parti aper
tum : e poco dopo : fenestras habere oportet ex
ea parti. Ci si conferma anche coo Plauto
Menaech. Act. ///, Scen. 11: Satur nunc loqui
tur de me, et de parti mea.
(6) L autore iotende forse qui quel vento che
viene da mezzod, e ehe noi chiamiamo scirocco.
(7) Qui quod perflatur---- discutitur. Pon
tedera sospetta che qui manchino alcune parole.
ANNOTAZIONI AL LIB. I DE RE RUSTICA
Per verii vi sono molte cote nocive, che d'al
tronde non provengono, ma ivi nascono: tali
tono gli animaletti e le cattive esalazioni delle
paludi. E il sospetto si fa pi forte oon qaanto
dice Crescenzio : Eo quod cum perflatur, si
quod ibi est adversarium^ facilius discutitur.
Parrebbe che l ' intero sentimento di Varrone
fosse questo : Qui quod perflatur, si quod sit
ibi adversarium, aut si quod inferatur, f a c i
lius discutitur: ci almeno conferma qaanto se
gue : Quod et bestiolae, si quae prope nascun
tur, et inferuntur, aut efflantur, aut aritudine
cito pereunt. Ma qnesto, dir alcuno, on ag
giunger troppo.
(8) Nimbi repentini, ac torrentesfluvii: cos
appunto si legge in cinque edizioni ed in Cre
scenzio ; se non che in questo ai trova scritto per
errore torrentis. Altri hanno pubblicato pres
sappoco lo stesso, cio: Nimbi repentini, et f l u
vii ac torrentes. Ambe qoaste lezioni si possono
difendere : la prima per altro la migliore, come
quella dei codici. E qual sar quel proprietario
che voglia fabbricare la caia di campagna presao
un torrente, da cni non si possono aspettare che
danni, non gi alcun comodo od uliUf Torrens,
come dice Isidoro lib. ziti, oap. ai, est aqua
veniens cum impetu. Dictus autem torrens,
quia pluvia crescitv siccitate torrescit, idest
arescit. De quo Pacuvius: Flammeo vapore
torrens torret. Cui Graeci ab Hyeme nomen
dederunt, nos ab aestate : illi a tempore quo
succrescit, nos a tempore quo siccatur. Dun
que il torrente, quando gonfio d acque, suole
arrecar de* danni, e qnando arido, non d alcun
utile. Dal che. da congetturarsi che Varrone
abbia qui inteso un fiume, non gi un torrente;
essendoch il fiume, secondo la definizione d' Isi
doro, est perennis aquarum decursus afluendo
perpetim diftus e poich questo, piovendo
assai, si accresce, e le sue acqae corrono con cele
rit, perci si aggiunta la parola torrens, per
indicare appunto la sua celeril maggiore.
In pari maniera di Varrooe scrisse anche Vir
gilio nel lib. v i i dell1Eneide:
u Hic tantum boreae curamus frigora quantum
Aut numerum lupus, aut torrentia flumioa ripas, n
E nel lib. n delle Georgiche :
u Nec non et torrentem undam levis innatat alnus
Missa Pado. . . .
Del qual fiume leggasi Plinio nel lib. n, cap 16,
e Aggeno Urbico ne'comroentarii sopra Frontino,
de Limit. Agr.%ove chiamalo torrens.
Da tutte queste autorit chiaro adunque che
il fiume, quando gonfio e corre con grande ve
locit, si chiama fluvius torrens. N questo epi
teto si dato soltanto ai fiumi, ma ancora e
qualche ramo di acqua corrente, ae accadeva che
per la sovrabbondanza delle acque si gonfiasse e
corresse con rapidit. Siculo Fiacco, de Condit.
Agr~, disse : Etiam publicae utilitatis causa
quod vi tempestatum rivi torrentes subito
alveos cursumque mutent. Finalmente Giustino
nel lib. iv ha chiamato torrens quello stretto di
mare eh' tra l ' Italia e la Sicffia : Primum quod
nusquam alias tam torrens fretum, nec solo
citato impetu sed etiam saevo.
Ca p. XIII. (1) Vitruvio nel Uh. vi, cap. 9 di
ce : In cohorte culina quam calidissimo loco
designetur ; conjuncta autem habeat bubilia,
quorum prae sepia ad focum, et orientis coeli
regionem spectent, ideo quod boves lumen et
ifnem spectando, horridi non fiunt. Pontedera
propone se foste da leggersi cos: I n villafa*
ciundum stabula bubilia et ovilia, ita ut bubi
lia sint hyenie quae possint esse calidiora. E
questo testo lo desume dal titolo del capitolo che
trovasi nelle edizioni di Gensou e di Brnsch., il
qual : Quod in villa primitus facimada sint
bubilia et ovilia: et celloe: et vasa vinaria: et
olearia, et alia ; perciocch i librai sogliono
trarre gli argomenti dalle prime righe del ca
pitolo.
(a) Se in Varrone ' en qualche luogo oscu
ro, e ve ne sono non pochi, questo per verit
oscurissimo. Nell' edizione Gensoniaea si legge :
Fructus ut est vinum et oleum loco plano in
cellis : item vasa vinaria et olearia potius f a -
ciundum in locis aridis : Fructus ut est faba :
lentes: ordeum :f a r : etJbenum in tabulatis. In
a4tra guisa si legge in Aldo : Fructus u t est vinum
et oleum loco plano in cellis, ita ut vaia vinaria
et olearia potiut sint in locis aridis quam hu-
midis.fr uctus ut est faba , lentes, ordeum, at
f a r ^ e t foenum in tabulatis. Ursino vuole che ai
legga cos) : Fructibus humidis, ut est vinum et
oleum in loco plano cellas faciundum ; aridis,
ut est faba, lentes, ordeum, f a r : et foenum in
tabulatist etc. La lezione di Crescenzio non de
disprezzarsi : Item cella in loco plano, ubi vaso,
vinaria et olearia esse possint. Item ubi con
dantur fr uctus aridi, ut granum, et foenum
in tabulatis. La lezione per altro degli antichis
simi codici di Varrone da preferirsi a qualsivo
glia altra. Eccola : In veila faciunda stabula
ita, uti bubilia sint obi, hieme quae possint
esse caldiora : f r u c t k s , uti est veinum et oleum,
loco plano in celeis * item uti vasa veinaria et
DI M. TERENZIO VARRONE
olearia potius faciundum : aridus uti est, et
f e n u m im tabolateis* Qoesta quell pure di
Vittorio, ae noq ohe ti omette faba, di cui u1
privo Podisi ao.
Diamone prese* torneo te la spiegazione. Po
tius faciundum uli fructus, uti est veinum et
oleum esse possiut loco plano in celeis, Iiem
poti ut fumando ra obi rasa veinaria et olearia
esse possint : itera potias faiuodnm, vii fr u ctus
aridus u t i est, et fe nu m esse possint in tabola-
teis. Apparisce dunque che alcuue parole delle
in prima sono qui da sottintendersi. Potius poi
da intendersi, oome se la nostra primaria cura
debba rivolgersi pi particolarmente intorno ai
luoghi, ove riporre il vino, Polio, i (orchi, le
biade e il fieno, che intorno le stalle degli ani-
mali. E la ragione chiara, perch la casa di villa
si fabbrica a oggetto di riporvi i frutti della ter
ra ; per lo che i luoghi ove collocarli debbono
occupar la nostra primaria cara.
Procuriamo ora di sviluppare aridus uti est,
et fe nu m in tabolateis. Egli certo che le biade
sono il primario scopo degli agricoltori : i grani
inoltre sono que1prodotti aridi, che prima si rac
colgono degli umidi ; e in grazia di questi due
oggetti avrebbe dotato pensare Varrone al luogo
delle biade. Pare dunque che nel nostro testo
manchi frumentum, ovvero granum, com in
Crescentio. Cos dir taluno che non far allen
inone allo stile serrato di Varrooe : realmente pe
r non manca niente nel nostro testo. E qui me
stieri riferire an passo di Columella del lib. i,
cap. 4 : Pars autem fr uctuari a dh idi tur in
cellam oleariam, torculariam, cellam vina-
riam, defructariam, foenilia, paleariaque, et
apothecasy et horrea^ ut ex his quae sunt in
planoycustodiam recipianthumidaram rerum
tanquam vini, aut olei venalium : siccae au
tem congerantur tabulatis, ut frumentum,
foenum, frondes, paleae, caeteraque pabula.
Il frutto adunque si divide in umido e secco :
frutto amido il vino e l olio ; secco poi la bia
da. 11 fieno e gli altri foraggi non sono veramente
da annoverarsi tra il frullo, comech dalla loro
vendita ne ridondi dell utile; perci sotto questo
punto di vista si possono in largo significalo ri
porre sotto la classe del frutto.
Veggasi dunque se Varrooe abbia inleso di
fare questa distinzione. Faciundum, die egli, che
fructus u t i veinum et oleum esse possint in loco
plano in celeis. Qni dunque si descrive il frutto
umido senza nominarlo generalmente, ma speci
ficandolo : all incontro il fratto aridusy ossia il
Meco, non lo individua paratamente, perch i
grani seno molli, ma solo lo nomina in generale,
tasi appunto pori# Varroue : faciundum che il
frullo, il quale umido, uti veinum et oleum, si
trovi io istanze sopra terra : aridus uti estt ei
fenum debbesi procurare che si possa mettere in
tabolateis.
Qui da avvertirsi, che per vasa veinaria et
olearia non si debbono intendere que vasi, nei
qaali si conservano il vino e l ' olio, ma bens i
torchi, chiamandosi cos appnnto i torchi presso
i giureconsulti, o particolarmente presso Gi*
liano.
(S) Tralasciando le controversie che vi sono
sa questo passo, ci attaccheremo a quella lezione
che noi crediamo la pi genuina. Noi danque
siamo di opinione che si debba leggere cos : Sei
f e s e i opere, aut fricorey aut calore, et ube
commodisume possint se quiete reciperare.
Qui dunque si assegnano due luoghi per la fimi-
glia; in uno i servi possono ricovrarsi, se sono
slaachi per la fatica, o se sono tormentati dal
freddo 0 dal caldo ; e nell' altro possono darsi al
sonuo e alla quiete per riparar le forze, e per ri
storarsi. Laonde la particella et delle antiche
edizioni, che senta ragione stata omessa da
Aldo e da lutti quelli che hanno voluto seguirlo,
' assolutameli te necessaria. Questo passo puro
riferito da Crescenzio.
(4) Ursino giudica che piai tosto si debba leg
gere : In primis culina videndum ut sit ad
modum apta%perciocch poco dopo in questo
capitolo si dice: Cellam vinariam et oleariam
ad modum agri aptam, Columella nel lib. i,
cap. 6 : A t in rustica parte magna et alta cu-
lina ponetur, ut et contignatio careat incendii
periculo, et in ea commode Jamiliares omni
tempore anni morari queant.
Noo si pu lasciar di avvertire, che presso gli
aotori antichi altra cosa era colina, ed altra cit-
lina, come ce lo dice espresumente Nonio Marcel
lo nel cap. i : Culina veteres colinam dixerunt,
no/t, ut nunc vulgus putat. Varro Modio: at hoc
interest inter Epicurum, et ganeones nostros
quibus modulus est vitae colina. Plautus Must.:
u Exi e colina sis foras mastigia,
Qui mihi inter paliuas exhibes argutias.
Farro de vita P, R . lib, i, qua f i n i : sit antica
et postica: in postica parte erat colina dicta
ab o, quod ibi colebant ignem.
Festo dice, che culina vocatur locus, in quo
epulae in funere comburuntur. Aggerio Urbico,
nel libro de limitibus agrorum, lasci scritto ;
Sunt in suburbanis loca publica inopum desti
nata funeribus, quae loca culinas appellant.
Si vede dunque qaal differenza pa*s* tra colina
-1
ANNOTAZIONI AL LIB. 1 DE RE RUSTICA 7 0 G
culina. Laonde tanto in questo laogo di Var*
rone, quanto altrove da legger colina.
(5) Haec enim si intra clausum in conse-
pto. Forse le parole intra clausum sono di pi,
perciocch segue in consepto.
(6) Cohortes. Si acri ve ancora Cortes, come
ti ha da Nonio 11, 112: Certes sunt villarum
intra maceriam spatia. Perch i cortili si fab
bricavano rotondi, si traslat la voce cohors
nell' arie militare. Varrone nel lib. ir, pag. 23
de Lingua Latina: Cohors%quod ut in villa
ex pluribus tecteis conjungitur, ac quiddam
fit unum ; sic haec ex manipuleis copulatur
cohors^ quae in villa dieta, quod circa eum
locum pecus corceretur.
Ursino propenso a leggerei una interior
in compluvio habeat lacum, ubi aqua saliat,
4fuae intra stylobatas cum venit, etc. Noi cre
diamo che si debba leggere cos: Cohortes in
fundo magno duae aptiores: una uti interdius
compluviom habeat lacum.
Dal vedere Aldo che vien dopo il cortile
exterior, ha credulo che, perch qui ai parla
prima del cortile interior, ti dovesse darlo a
conoscere ; e perci ha cangiato interdius delle
tre prime edizioni e dei codici io interius; e
qtiiudi anche Ursino ha proposto una interior.
Ma realmente deve stare interdius, parola com
posta di inter e dius. Dius che viene da A/a*,
ti preude in significato di cielo e diaria; quindi
tallo di si sente fub dio, per dinotare all aria
aperta. Perch poi da A li uasce Deus, e da Deus
il sole, si forma il dies, perci si prende ancora
diu per diexe interdius, come altres interdiuy
per die. Dunque la parola interdius significa
duo cose, l aria aperta, e quello spazio di tempo,
io coi il sole sta sopra l orizzonte. Danqae uno
dei oortili abbia una fossa interdius, cio esposta
all'aria aperta.
Che cos veramente abbia voluto intendere
Varrone, se lo rileva anche dal cap. 11 di questo
Jibro, dicendo ivi : Cisternae faciundae sup
tectis%et lacus sup dio, et altero loco uti ho~
miness et altero uti pecus uti possint. Questa
fossa, di cui si servono le bestie, sub dio, cio
appunto Interdius. E comech in questo luogo
parla della fossa, a cui abbeverare gli animali,
perci essa deve essere esporta all1aria aperta.
chiaro dunque che qui non da leggersi, come
in Aldo una ut interius, n con Ursiuo una in-
Serior, ma bens una uti interdius.
(7) Pontedera vuole che si legga : Vbe aqua
Saliate qui inter ftilobatos quom velis, sit se-
mipifceina. Ex vetusto velit ( dice Pontedera)
mutata littera extrema, velis efformavi ; cujusmo
di alia muli ia Varrone, nempe ponas, aedifi
ces, poter is, triturus sis, habeas, possis, coge
re: et hac ratione egregia sententia elucescit. St
velis, inquit, ut lacus sit semipiscina, stilobate
circum statueris. Stilobatas vero in antiquis per
i, non per quod stilus, non stylus in la timi m
desceodit. Ex vulgata scriptura ubi aqua saliat,
qui intra stelobatas cum venit, sit semipiscina,
absonum quid elicitur; lacus enim quomodo io*
ter stilobatas veoit, qui effossa terra continetur?
Nel volgarizzamento siamo stati attaccati a
Pontedera : nulladimeno non vogliamo lasciare
di metter qui la traduzione di Saboureux: u II
est propos d avoir deux basses-cours, lorsque
la terre est d une grande tendue; il y aura, aa
milieu de la >atse-oour intrieure, une ci teme,
et l eau de pluie qui viendra s y rendre, pourra
d un cot servir da lavoir, lorsqa elle passera
daos Ies rigoles pratiques sur les Stilobates de*
coloones qui souliennent les toits, d on autre
cte d un abreuvoir, dani le quel les boeufs . *
(8) Nec minus et pabulo dum redeuntKam-
seres, sues, porci : cos vuole che si legga Urti
no. Nonio alla voce Cortes cita qaesto laogo di
Varrone nel seguente modo: Nec minus et a pa
bulo cum redierint anseres, sues, porci in
corte exteriori. 1 Poliziano si legge : Nec minus
a pavolo quom redierunt anseres, sues, porcei:
al qual proposito, dice Pontedera, u deperditam
vocem pavolum, ut efferebat prisca aetas, sive
cum posterioribus pavulum malamus, ex vetuslii
monumentis restituemus Romanis, Hoc e pasco
pavi originem ducit ; et pavulum locai est, ubi
pascit pecas, et etiam actus pascendi. Pubulum
vero, quod ex alio fonte emanavit, ut nostris
Epistolis ostensum est, proprie pecudum cibas,
qui de pavulo sumitur,
(9) Assolutamente queslo luogo da leggersi
altramenli, Nel volgarizzamento abbiamo espres
so che qui si parla del primo cortile, ossia dd-
l ' interno, perch il cortile secondo, ossia I ester
no c crebro operta stramenteisy ac pale a op-
culcata pedibus pecudum ... 11 lesto da noi tra
dotto queslo: In cohorte exteriorem lacum
esse oportet, ube maceretur lupeinum. Non
che di Aldo chorte: exteriore trovasi solo uel-
l edizioni : lacum si legge in tatle le edizioni.
Insegna dunque Varrone che dalla fossa, a cui
bevono gli animali, devesi derivare u altra
piccola fossa, la quale sia esteriore alla prima, e
segregala a parte, acciocch l acqua preparata
pel bestiame uon sia corrotta dal lupino mace
ralo. Columella nel lib. 1, cap. 6, ricorda di do
versi far lo stesso nella casa rusticana, dicendo :
Piscina minime duas j alteram quaanseribus
pecoribusque serviat : alteram in qua lupinum%
yimina et virgas, atque ali, quae sunt usib*s
nostris apta, maceremus. Laonde exteriore
non si pu riferire a cohortem, ma alla fossa.
(io) Vittorio avverte che V antica lezione
differente da quella del nostro testo. Egli la
espone lal quale T ha trovala ne* vecchi codici,
badando poi agli eruditi la cura di trarne il
pi verisimile testo. Ne' migliori codici dunque
si trova : Quod enim, quam recens, quod con-
facuit melius. In un codice poi di non vecchia
data si legge conflavit in luogo di confucuit.
Scaligero sta per la lezione dei codici riportata da
Vittorio, se non che amerebbe di cangiar confa-
cult in confracuit. Ursino propone se si avesse a
corregger cos : Quod est quam recens, quod
confracuit melius.
Pontedera si dichiara per l 1 antica lezione
dei codici, cio ch da leggersi confacuit. Haec,
soggiunge il Botanico di Padova, de optimis fon
tibus hausit Victorius, non taroen Varroni resti-
tuit, verbi, opinor, confacuit insolentia offen
sus. Id porro vel ab ea origine veuir, unde f a e x ,
quamvis nunc obscuram et obsoletum ( nihil
eoim temere de antiquitate pronunoiandum, ne
eoram mores qai plerumque damnant, quod
no intelligunl imitemur), vel fuit confracuit
a fraceoy ex qao fraces. Nam si oleam, quae ni
mis in acervis fuerit, fracescere ait Varro, hoc
est calore macerari, et mox corrumpi ; cur non
potius dicemus fracescere stercus, quod coacer
vatura item concalescit, et concalescendo mace
ratur, quousque fiat patre, el tertio denique anno
terra ? Nonne apud Nonium fracescere est tan-
quam f r i a r i et putrefieri vetustate ? Ul at res
ae habeat, spero fore ut intelligam, tibi fuisse
meliora vetusta, quam ab Aldo edita, et retenta
a Victorio. Neque enim dubitandum quin vul
gata Aldina sint, cam primae editiones quam
vis vitiatae, veteris scripturae imaginem refe
rant : Quod enim quam recens, quod cum f a
ciunt, melius, n
(ti) Noi siamo d'opioione che il testo debba
essere il seguente : Itaque pereilei ( quei pos
sint ) uti eo aqua influat, eo nomine faciant ;
seic maxsume retineatur succus. Eoque quei-
dam selas familiaricas ponont. Le tre prime
edizioni, e il codice di Poliziano meltouofaciant,
oos pare retineatur. Due codici haano eoquae,
cbe ai corretto in eoque, perch pi ai accosta
alla brevit usata da Varrone.
Scaligero vuole che qui si dica semplicemente
sellas, persuaso egli essendo che non si parli che
delle latrine delle camere. Ursino inclina a leg
gere cellas, bench non rifiati auche la parola
sellas. Per altro qui Varrone intende i luoghi
comuni, i qoali hanno on canale che corrispoude
sul letamaio.
M
(ia) Aediflciom fieri oportet, sup quod te*
ctum tutam fundi supicere possis mesem^quod
vocant queidam nubilariom. Id secundum
aream faciundum, ube triturus sis frumen-
tumy magnitudine pr modo fundi, ex una
parti apertum, et id ab area, quo et in tritura
proruere facile possis, sei nubilare coepit, et
inde rursus celeriter reicere. Questo testo a
norma dei codioi e delle prime edizioni. Avverti
remo solo che si sono ingannati quelli che hanno
vulnlo correggere quo et in tritura in quo et in.
trituram, non essendo questo uo unico esempio,
in cai siasi adoperata la proposizione in, dino
tante moto, col sesto caso. Varrone nel lib. ir,
cap. io : in quibus stabulari solent ecuas apa-
gere ; e nel lib. in, cap. i : Itaque non sine cau
sa majores nostrei ex urbe in agreis redege~
bant suo ceivis. Catone nel cap. 146 : Quae in
fundo inlata erontypigneri sunto; e.nel cap. 152:
In aserculo adlegato. Froalmente Columella nel
lib. vi, cap. 4: Ac postero die spicas ulpici, vel
allii cum vino conteras,et in naribus injundas;
e nel lib. xir, cap. ai : Sal autem quam candi
dissimus conjicitur in urceo fictili sine pice.
(13) Propter aedificia. Ursino pensa che
queste sieno parole allrai. Vuole poi che dopo si
legga cos : Itaque illorum villae rusticae erant
majores, quam urbanae, quae nunc sunt ple-
raeque contra.
Sopra questo lusso dei Romani si legga Lipsio
de Magnit. Rom. ul, 14* Meorsio Roma luxu-
riante, Greenio de rusticatione et villis vete
rum lib. 11.
(14) u Antiqua haec lectio (dice Vittorio);
nam quae in medio plura verba posita erant, ia
nullis a nobis MSS. inventa sant. Ea dcclaralio-
nem alicujus faisse arbitramur. Quod tamen illis
verbis declaratur, sine ipsis intelligi pulchre posse
manifestum est. 11 nostro testo quello pure
che si trova nell1edizioni di Stefano, dei Griffi,
di Commelino, di Berewoucio e di Popma. lo
quelle di Aldo, dei Giunti e di Gimnico si legge :
Et pavimento prclivi in lacum, in quo si con
tigerit, defluens vinum excipiatur, ne pereat,
quod saepe ubi conditum novum vinum, orcae
in Hispania fervore musti ruptae, nec non et
dolia ut in Italia. Queste parole non sono sem
brate necessarie a Vittorio, come non lo sono di
falli ; ma non da rigettarsi totalmente la lezio
ne delle tre prime edizioni, che hanuo ne vinum
ploueret. Egli cerio, che il sentimento riesce
imperfetto, stando al solo testo ; e perci credia
mo che correrebbe bene, se si dicesse quo vinum
proluerent dopo Italia* Palladio nel lib. 1, tit. 18
de cella vinaria prescrive : Ad quod inter duos
lacus, qui ad excipienda vina hint inde depres
79*
s i M. TERENZIO VARRONE
ANNOTAZIONI AL LIB. 1 DE RE RUSTICA 8 0 0
si sint, gradibus tribus fere aut quatuor ad-
scendatur. E di noovo: Quod si cupis locum
suum deputabimus ; is locus ad calcatorii si
militudinem podiis brevibus et testaceo pati
mento solidetur, ut etiam si ignorata se cupa
diffuderit, lacu subdito excipiantur, non peri
tura vina fluxerint.
Per ultimo da aggiungersi che dalle editioni
di Aldo, dei Giunti e di Gimnico da levarsi la
particella ut, e eh da leggerti orcae in Hispa
nia, come trovasi in quella di Stefano e nelle al
tre tutte. Cos Nonio Marcello de Gener. Vas. et
Poc. dice nell Ito di riportare le parole di Var
rone: Saepe ubi conditum novum vinum orcae
in Hispania fervore musti ruptae.
Avvertiremo con Plinio, xiv, 47 c^e queste
botti noo erano di legno, come sono le nostre,
ma di terra, e che si seppellivano sotterra, o si
lasciavano esposte all1aria. Per queslo motivo si
cerchiavano di piombo, o almeno con cerchi di
legno forte, onde potesse resistere all1umiditi, e
qnindi impedir che le botti si sfasciassero.
( 15) Pessimo publico. Livio 11 disse: Neque
ambigitur, quin Brutus idem, qui tantum glo
rine superbo exacto rege meruit, pessimo pu
blico idfacturus juerit.
Fenestras haberet. Ursino propone da con
siderare se fosse meglio dire habeat: cos pure
crede che st debba leggere : Cum fructus in ea
quaerat, ut ad dolia aira frigidiorem, ita ad
serias caldiorem. Egli ci congettura per aver
trovato in un vecchio codice ad dolia. Crede al
tres che la voce vinarius sia stata sicuramente
aggiunta, perch, eome dio'egli, qui Varrone non
parla solo del vioo, ma ancora dell' olio ; e la pa
rola olearia secondo lui una glossa, a Revocavi
ea (dice Gesnero) ; nifi forte qais dicat, non ad
cellam, sed ad cavum referri pronomen. Illa qui
dem facilis esset ratio excusandi soloecismos. Cre
scenti sententiam modo retulit hujus loci v, 19:
Varro scribit cellam oleariam ad partem ca
lidam habere debere fenestras: sed vini ad
frigidam.
Dopo aver riferito quanto hanno detto a que
sto luogo i commentatori, mettiamo ora il lesto,
che da noi si crede il genuino: Nunc contpa veir
fim urbanam quam maxsumam, ac poleitisu-
mam habeant, dant operam, et cum Meteli, ac
Luculi veileis pe sumo poblico aedificateis cer
tant, quod hei laborent, uti spectent sua ae
stiva tricleinaria adfbigus orientis, hiberna
ad solem opeidentem, potius quam, uti antei-
cei, in quam partem cela veinaria, aut olearia
fenestras habeat, dum fructus in eo veinariut
quaerat ad dolea aerea freigidiorem, item
olearius caldiorem.
Rendiamo ora conto di questo Iulo: Quod
hei laborent trovasi in Politiano e in altri codici
antichi : cio n' nato quindi per lo scandalo pub
blico di Metello e di Lucullo, che gl'imitatori
di questi laborent ut, etc. Le tre prime editioni
hanno potius quam orientem, antiqui non
curabant, in quam ..... haberet, qaando deve
stare habeaty cos trovandosi io Politiano e in
nn codice della biblioteca La urenti ana : inoltre
habeat corrisponde meglio alla parola spectent:
vale a dire gl'imitatori di Metello e di Lucollo, e
che seguono tale pubblico scandalo, si studiano di
fabbricar le case di campagna in goisa che le fo*
nestre sieno pi acconce per la molletta e pel
lusso, che procurare che in quella piaggia la
cantina e il cellario da olio habeat le fenestre.
Dumfructus in eo veinarius, etc. In eoy ossia
in eo loco. Trovasi dum nelle tre prime editioni,
e in eo%si legge nelle suddette, io Vittorio, e nei
codici Polizianeo e Lanrentiano : ea di Gesoe-
ro. Pu anche stare soltanto eo sema in, esempio
non raro negli antichi scrittori.
(16) Item videre oportet, etc. Ponleder* e
Sabourenx sono di opinione che quest' altimo
periodo non sia di Varrone, atteso che non le
gato a quanto precede e a quanto segue. Non sa
rebbe questa forse un'annotatiooe di qualche
commentatore per richiamarealla memoria qaan
to aveva detto Varrone nel capitolo precedente,
dicendo : Et ut potius in sublimi loco aedificest
e poi ab hoc utroque superiora loca tutiora
Cap. XIV. (1) Ognuno accorder ehe questo
un luogo diffcile. Diremo prima in ristretto il
sentimento degli eruditi. Ursiuo erede ferma
mente rhe le parole vivae saepis sono fuori di
luogo, e che ta loro sede naturale : primum
naturale saepimentum vivae saepis. Gesnero
le ha messe tra parentesi, persuadendosi cbe
debbano essere collocate al tuogo assegnato ad
esse da Ursino. Chi ben rifletter, vedr che de
ve stare vivae satpis, e che questo periodo da
leggersi cos : Preimum naturale saepimentum
quod opseri solet virculteis aut spineis ; qmod
habet radicis, ac veivae saepis praetereuntis
lasceioi non metuet facem ardentem Sol tao to
ia Aldo si legge sepimentum. In Politiaoo, in
un codice della Laurentinoa si ha opseri. Lepre*
posizooi oh, ab, sub vengono da av e oW e
da qoesto esempio da arguirsi che gli antichi
Latini abbiano usato il p per b. Quod habet ra
dicis, ac veivae saepis : cos si trova nelle prime
ediiioni, in Politiano e ne' codici Laorenziaoi :
stpes soltanto di Aldo. Noi ci lusinghiamo di
aver espresso nella tradntiooe il sentimento del-
l'aotore. Di fatti,quelle siepi, che sono vegete e com
DI M. TERENZIO VARRONE
radici, rigettano Jl faoco, perch appunto verdi.
E perch accade che alcune piaoterelle, anche
dd genere delle erbacee, germoglino tra le pi-
ne, e che in tempo d ' overoo diventino aride ;
e perch le spine medesime, quando invecchiano,
hanno alenni rami secchi, particolarmente se so
no rovi ; se si d il caso che il fuoco si attacchi
alle siepi, e cbe si abbruci quanto vi di secco,
tuttoci eh1 verde, non s facilmente si pu
bruciare, e quanto si consuma dal fuoco, vien
riprodotto dalla viva radice.
Praetereuntis lascivi. Avanti Vittorio si
trovava viatoris avanti praetereuntis. Ed a ra
gione lo ba levato, s perch non si trova ne vec
chi codici, come altres perch sarebbe superfluo.
Varrone nel libro v de Lingua Latina ha posto
soltanto ^raelereu/i/ij .*Et ideo steundumviam
praetereuntis admoneant, et se fuitse et illos
esse mortales. In Tacito xxix trovasi lo stesso che
qui accenna Varrone : Faces in manibus, quas,
ubi praedas egesserant, in vaCuas' domos, et
inania templa per lasciviam jaculabantur,
etc. Da Svelonio in Aug. si rileva che gli anti
chi viaggiavano di notte coo fiaccole accese. Per
nocturnum iter lecticam cumfulgur perstrin-
misse^ servumque praelucentem exanimasset.
(a) Non si pu dare niente di pi sciocco
quanto la lezione dei nostro testo: Secunda se
pes est ex agresti ligno, sed non vivit, quando
che deve stare : Secunda saepes est ex agresti
e ligno, sed non veivit, cos leggendosi nelle
prime edizioni e nei codici di Poliziano e della
Laorenziana. Di fatti cos* il lignum agreste ?
Forse perch nasce dal terreno ? Ma ogoi legno
non nasce in qoalche terreno?
(3) Deinceps constitutis. Per sentimento di
Ursino, queste parole sono state aggiunte dai
copisti.
(4) Aut'fastigium habet. Ci vuol dire un
dolce pendo ; cos pare dice nel cap. xx. Ursino
vuole che si legga : Agger si intrinsecus ita
arduus s i t , etc. perch questo senso dipeode da
quelle parole : Sed fossa ita idonea fiat, si om
nem aquam, etc. Agger ita idoneus, si intrin-
secus, o piuttosto extrinsecus.
Pontedera a questo luogo fa alcune leggere
correzioni. De qnibus (dic egli) mihi cogi
tanti videri solet perfectior senleutia, si scriba
mus: fossa ea idonea, ut agger is bonus ; si ve
quoniam in Jenspnio : Sed et fossa ita idonea*
ted ea fossa ita idonea. Praeterea : aut ita ar
duus legerem : ac ita arduus, sive, vel excuditj
Jensoaius, sed ita arduus ; nam aut fossam ex
cludit, de quo septi genrre agitur postea : agge
res qui faciunt sino fossa, eos quidam vocant
mmros.
(5) Questo fiume il Tevere.
(6) Gesnero inclinerebbe a leggere: Aggeres
quidam jaciunt sine fotta, eosque vocant mu
ros. U vero testo Ageres sine fosa. In tutte
le prime edizioni e in tutti i codici si trova
oos, laonde le due parole qui faciunt sono di
Aldo.
Uti in agro Retino. Questa variante tratta
dai codici di Poliziano e della Laorenziana.
(7) Et lapillis compositis in formis, Ponte
dera vuole che si diea, come pubblic Genson,
informe, riferendo quest' aggettivo e saepimen
tum, Gesnero non punto persuaso di informe,
dal che ne parla pi a lungo nel lib. ix, cap. 7
di Colonnella.
Non poi vero cbe ut in Hispania, et agro
Tarentino sia il genuino testo di Varrooe, poi
ch nei codici di Poliziano, di s. Reparata e nel
terzo Laurenziano si ha: Uti in Hispaniae
agro, Tarentino. R deve far maraviglia che
tra le parole agro e Tarentino non si trovi la
copula et, poich anche Cicerone la tralasci nel
lib. xm delle Lettere, nella Lettera 29 : Ut ipso
judices homini te gratissimo, jucundissimo be
nigne fecisse. Ennio pure Ach. presso Nonio : Ita
moYtales inter se pugnant, praeliant. Lo stesso
Varrooe la tralascia nel principio del seguente
capitolo, dicendo r Praeterea sine septisfeine
praedi, sationis, noteis arborum tutioresfiunt.
E nel cap. 18 : Ad majoris, ad minoris modos
fundorum iei quoque.
Cap. XV. (1) Confessiamo di buona voglia
che Ia correzione di Gesnero rischiara molto il
sentimento di Varrooe. Noi per contrario pensia
mo che Varrone avr scritto come sta nel testo,
appunto perch intralciato. Egli dunque vor
rebbe che si leggesse: Praeterea sine septis
fines praedii satius, notis arborum tutiores
fiant, . . . . ac litis ex limitibus judicem quae
rant. Di questo parere parimente d Arnaod
otlle sue congetture sopra Varrone pag. 19.
Sicolo Flacco de conditionibus agrtorum
pag. 7, 8 espone pi ampiamente quauto conden
si io questo capitolo.
Ne familiae rixentur cum vicinis. Cos
Vittorio ha trovalo scritto in tutte le ediziooi e
in tali' i codici. Ma se si ascolta Nonio, altrimenti
debbe leggersi, affermando che qoi Varrone ha
scritto rixent : ivi dice pure cbe quando si trat
tava di cose coutrarie, gli antichi adoperavano
rixat per rixatur : e per ci comprovare, allega
parecchi passi di Varrooe. Per altro nell'edizio
ne di Nonio dataci da Meroier si trova allegato
questo luogo di Varrooe, come appunto sta nel
nostro testo, qoantonqoe dal coabito fi rilevi
8o3 ANNOTAZIONI AL LIB. I DE RE RUSTICA
chiaramente che tato usato da Nonio questo
verbo io senso attivo.
(a) Serunt alii ciremm pinos. Coti ha volu
to leggere Aldo, tralasciando saepes, e quindi
oche tutti quelli cbe vennero dopo, quantunque
questa parola si trovi nelle tre prime ediiioni.
E da congetturarsi che Aldo abbia omesso saepes,
per aver trovato scritto nel principio di questo
capitolo : Praeterea sine septeis feines praedi,,
sationis, notis arborum tutiores jiunt. Egli
duoquesi immaginato che si dovessero tralasciar
le chiusure, perch gli alberi erano sufficienti ad
indicare i confini della tenuta. Ma fallo sta che la
faccenda cammina diversamente ; paich Varrone
afferma cbe senza ricini possono esser sicuri i
campi relativamente ai vicini, e che per indicare
i confini, basta mettervi degli alberi. N per ve
rit sono superflui i ricini net confine del po
dere ; perciocch quesli impediscono 1 iogresso
non tanto ai ladri, quanto alle bestie. Pi aperta
mente ci si conferma da quel che segue, poich
consigliando Varrone di piantare, in preferenza
ad ogni altro albero, l'olmo, il loda appunto,
perche tra le altre cose sustinet saepem. Dun-
que il lesto dev esser : Seront ali circum saepes
peinos.
(3) Non s immagini alcuno che q u i si parli
dei poderi di Varrone : egli Fundanio che parla.
(4) Cicerone pr Caecin. 8, ricorda a questo
effetto anche 1*olivo.
(5) Vittorio asserisce che ne1 vecchi codici si
ha appunto come nel testo, cio : Quod ubi id
pot, ut ibi, ec. Gesnero sviluppa questo passo
alquanto duro. La traduzione lo rischiara quanto
basta.
Ac colit aliquot. Noi abbiamo tradotto un
po'diffusamente la parola colit, senza per vio
lare il sentimento. In Nonio si legge cogit in vece
di colit ; ma Vittorio di parere che qnejlo sia
nn errore di stampa, del che non si mostra puuto
persuaso Scaligero, volendo egli che tanto in
Varrone, quanto in Nonio si legga cogit. Del pa
rere di Scaligero anche Ursino, il quale ha tro
vato scritlo in un vecchio codice di Nonio cogit.
A quesli eroditi si unisce per cogit anche Gro-
novio Obs. iv, 3, pag. 34- Tamen colit ( dice
'Gesnero ) mihi etiam Varronianum videbatur, n
(6) De fundi forma, terrae natura. Pou te
der vuole che si legga: Defundi forma, de
terrae natura, etc. perch in Genson si ha : De
fundi forma : Tterrae natura : De modo agri:
Etfinibus tuendis. giusta la riflessione di Pon
tedera, cio che la lettera T, come coche la par
ticella Et sono ne1codici alterate e poste in luogo
di De. Varrone nel l i b . i i , cap. i si valse di queste
particelle quasi alla medesima foggia : Alterae
partes quatuor sunt cum jam emeris obser
vandae ; de pastione, de foetura, de nutricatu,
de sanitate. Parimente nel lib. ni, cap. io :
Ut hos r gradus observaret, quos in gallinis
dixi, hi sunt: de genere, de foetura, de ovisf
de pullis, de sagina, u Illud Tterrae natura
non observavit in Jensoniana is, qui meo jussu
accoratissime illam editionem cum proxima Bo
noniensi contulit, w Noi per altro possiamo assi
curare contro Gesnero, di avere esaminala la
Geosoniana e di aver letto come scrive Pontedera.
Ci p . XVI. (i) Prope Celiem. Propone Ursino
in aria di dubbio se fosse da leggersi Caralimi,
cio Cagliari, eh' nna citt della Sardegna.
Popma dice che Pomponio Mela lib. nd e Sardi-
nia scrive : In ea antiquissimi populorum suni
Ilienses : e Pliuio nel lib. in parlando della me
desima dice : Celeberrimi in ea populorum
Ilienses, Balari, Corsi ; per Io che credo che
vada letto Jolienses, e in Varrone Joliem.
(a) Quae vicinitatis invectos. Ursino vuole
che si legga invectus ; e poco dopo : et illinc
avectus oportunos ad ea, quae in fundo opus
sunt, propterea sunt fructuosa. Non si mostra
troppo contento di quelli, i quali congelturaoo
che sia da leggersi : in fundo supersunt; bench
poco dopo si dica : quae supersint, venire pos
sint. Cupero di opinione che si debba scrivere
invectus, onde s ' inteodano le strade o i fiumi,
per mezzo dei quali u vehi ad illam res neces
sariae possint r>: cos pure legge : et illinc evectus
opportunos: a quomodo paullo post importare
et exportare opponuntor T* Schoettgenio aveva
messo : quae vicinitates evectus habent ido
neos . . . . uti vendant, et illinc invectus oppor
tunos. mComodissime ( soggiunge Gesnero ) ita
legi apertum est, malui tamen hic legi, quam su
pra. Invectos per o potest esse heterocliton ar-
chaicum. Caeterum iolelligendum certe est boe
secundum caput esse eorum, quomodo proposita
sont. n Pontedera sta per la leziooe del nostro
testo.
(3) Multi enim habent praedia. Secondo
Ursino da leggersi in praediis, perch cos pure
disse pi sotto Varrone. Ma quest' autore od
lib. m, cap. i disse habere urbem in significato
di abitare.
(4) Item si ea oppida, u Credo { dice Gesne
ro ) ipsura sapienlissimum virano Victoriam, si
viveret, irate non laturum, nos hic ab ipsius edi
tione aliquantum discessisse. Non potuit enim ita
stalim oblivisci divisionis snae Varro, nt tertium
faceret, quod secundi pars est, quartum au Iero ^
quod aperte tertium dixerat. Ne quid vero dissi
mulem, antiquum oportet hoc mendum Varro-
8o5 DI M. TERENZIO VARRONE
niaoos libros obsedisse, cum etiam Crescen
t i u, 37 quatuor ista cspiU ita enumeret : i si
regio prox ira a est infesta; a si in regione propin
qua sint homines, qai emant quie io fundo sunt
venalia; 3 si nimis longinqaa eit 1 k vectarie.
Sed qais non videt secuodum ac terliura tamquam
opposita ad idem capat referenda: illud autem,
qaod quartam fecit Varro, et satis magni momen
ti est, plane orailti ? w
Ursino di parere che si debba leggere oppi
da aut vici. Vuole pure che la parola quibusdam
avanti pedamenta, che viene poco dopo, sia da
levarsi.
(5) In hoc genus coloni. Ecco la spiegazione
che d Gesnero di questo periodo, u Hoc est,
talium praediorum domini, qui viciniam babent
copiosam, potius in singulos annos mercede sibi
condncunt a vicino operas medicas, fullonia,
fabriles, quam ut sua pecunia paratos id genus
homines suo saroptu alant, cum periculo, ne man
cipii ejusmodi pretiosi morte damnnm fiat aequa
le fructui fqndi, etc. Sed divites haeo artificia
omoia habent in familia. Jocosa quaedam festi
vitas est in verbia anniversarios itemque im
perant. n
(6) Latifundii divites. Orazio lib. j/t ep. 2
disse lo stesso: Multarum divite rerum : e Carm.
lib. iv, od. 8 :
u Divite ... scilicet artiam,
Quas ut Parrhasius protulit, aat Scopas.
u Latifundii vero divites ( sono parole di Urifno)
dicit eos, qui magna latifundia habent. Hi enim ex
domesticis habent servos medicos, fullones, fa
bros, quos imperant stipendio annuo constituto:
ob quod annuum stipendium anniversarios eos
Varro fortasse appellavit, ti
Domestica copia, e non domesticae copiae,
trovasi ne' codici di Poliziano e della Laurenzia-
ua. u, Itaque ex domestica copia, come spiega
Pontedera, sive propter domesticai* copiam divi
tes eam partem nempe artifices mandare solent, *
(7) E t promum. Cos) ha corretto Ursino, tro
vandosi nelle tre prime edizioni, io quella di Ba
silea e di Gimnico patronum. Qui assolutamente
non v1 entra la parola patronus.
(8) Tertio eundem fundum, u Etiam hoc
adscivimua ( dice Gasnero ) ex editionibus anti**
quis. Causam ante diximus, et dicet, quisquis
attenderit.
(9) Quarto refert. * Quarto ex auctoritate
(sono parole di Gesuero ) librorum Undatorum
supra, vel ipsam potias rationem secqti posuimos.
Pol aat vero fieri, ut bic omissum ab ipso Varrone
numeri adverbium torbandi librariis oecastonem
dederit,
(10) Secondo Ursino da leggersi et intror
sum reclinent, ut vitis, etc. ; perch le parole
in fundum sono senza dubbio sUte aggiunte dai
commentatori.
Varroue ba chiamato olus il cavolo, come
provano con molte autorit Ursino e Scaligero.
(i) Ut quercus, sic juglandes. Cosi ha cor
redo Vittorio : u Spero sane, dice egli, castigatio
nem hanc studiosis viris probatum iri. Volui ta
men pusillum licentiae, quo usus fueram, aperire.
Nam in antiquissimo et optimo libro jugulande
scriptum observavi : ut io illo etiam loco in
eodem hoc libro : Nuces jugulandes in harena.
Ursino poi vuole cbe si legga : Sic juglandes
magnae, crebrae, finitimae, perch sono una
glossa le parole : fundi oram faciunt sterilem.
Cresaenzio nel lib. 11, cap. 37, riferisce queslo
passo : In fundum se reclinent, et in confinio
vitem et fundum faciunt sterilem. Ma ha moz
zato di troppo il sentimento di Varrone.
Ca p. XVII. (1) Questo un altro membro
della divisione di sopra proposta al cap. 5.
Secoodo Ursino la parola rebus dopo quibus
una glossa, come altres le parole che seguono
parte scilicet, che trovansi nell1 edizioni dei
Giunti e di Gimnico, qaando che Varrone he
scritto: Alii in tres in vocale, etc., cos leggen
dosi appanto ne' vecchi codici. Si potrebbe per
altro dire cbe la parola rebus no pleonasmo
familiare a Varrone, qual qoello che leggesi nel
cap. 9 di questo libro : Atque ea, quae ex iis
nasci debent, earum rerum Jeracia. Vittorio
ba gi levato dal testo scilicet.
(a) Focale ; cos il chiama, perch sono do-
Uti della facolt di parlare.
(3) Obaeratos. Vittorio dice che ne'codici si
trova scritto obaerarios ; il ohe giudica essere
nn errore ; e perci ha adotUto la lezione co
mune obaeratos. Gesnero dice che gli obaerati
si chiamano aocbe nexi, oome si raccoglie dallo
stesso Varrone nel lib. vi, pag. 82 De Lingua
Latina : Li ber, qui suas operas in servitute
pro pecunia, quam debeat, dat, dum solveret,
nexus vocatur, ut ab aere obaeratus. PonUdera
per vuole che si riUoga V antica lezione obae
rarios, cio h qui ob aes aliena curant. Quapro
pter opera primum ob aera et operarius obae
rarius ; nam servi in domini fundo opus faciunt,
liberi in proprio agro : operarii qui item liberi,
ubi mercede conducti.
Nella liogua francese trovasi la parola obr
per dinotar uno, i cui affari sono poco in sesto.
Generalmente ci si verifica in ehi ha debiti.
ANNOTAZIONI AL LIB. 1 DE RE RUSTICA
(4) Nelle tre prime edizioni e ne' codici di
Poliziano e della Laurenziana ti legge : De qui
bus univo rses heic deico, gravia loca utilius
esse mercenari*, quam strveis coli, etc* Doo-
que hoc soltanto di Aldo. Heic poi Io testo
che in hac re, come si vede io Piloto A d . r,
Sceiu ii in Bacchid. :
u Jamdudam, Pisloelere, tacitas te seoaor.
Spectans, qaa tute res hoc ornata geras.
Nam ita me di ament, uti Lycurgus mihi qoidem
Videtor pose heic ad oequiliam adducier.
(5) Quest' qoel Cassio Dionisio d Utica, il
quale aveva tradotto iu greco 1' opera di Magone
il Cartaginese, e di cui se o parlalo nel primo
capitolo.
(6) E t ad agriculturam dociles. Nell istes
sa manira disse Cicerone 9 ad Trebat. : 0 medi
cum suavem, meque docilem ad hanc disci
plinam !
(7) Eam conjecturamJieri pose ex aliarum
rerum inparatis : cosi voole che si legga Pon-
tedera. * Simpliciora ( die1 egli ) verborum vo
cales litteras ab anliqois retineri in compositis
baud ignoras; idcirco com impero sit ab in et
paro, inparo potias antiquitas, quam impero.
Quid vero inparo, nisi in aliam paro, hoc est
jabeo hoc ab illo parari, vel fieri : ut etiam di
citur imperare pecuniam, tributum, obsides f
Ab antiqua scriptura imparare, quae iu val
gum descenderat, vernaculum imparare habe
mus, quod est discere ; nempe qui magistri
imperata recte ac diligenter suscipit, is sibi im
perat, et ab hoc iraperaodo discit, n
(8) Et more incolarum e novitiis requisito.
Se il lesto di Varrone fosse veramente questo,
U cosa sarebbe chiara ; ma fatlo sta cbe oon
questo nemraea per sogno. Talli i commenta
tori sono discordi fra di loro. Vittorio asseri
sce che questo passo al sommo corrotto nei
vecchi codici, e che molto lontano dalla cor
rente leiione. Egli dopo avervi fallo sopra dei
molti studii non riascilo di aggiustarlo ; e
perci ne lascia la briga agli altri: soltanto dice
che 1 antica lezione la seguente : Et in eo
eorum e novitiis reliquisitio ad priorem, etc.
Scaligero persuaso che oon si debba fore alcun
conto dell* antica lezione, e che si perdereb
be il tempo dietro ad essa, si immaginalo che
Varrone abbia detto : E t in eo eorum e novi
tiis reii, quis itio ad priorem dominum: quid
ctitarent. u Utrum ad agriculturam sint doci
les, necrw, conjectura, inqoit, duci potest ab iis,
qui immediati et imparati ad opus vocabuntar.
lune eoim ex illis, quinam operam io nome-
rato habebuot, facile intelligi polerit. Nam im
peratis hoo ett imparatis, ut sopra, reperiiare,
pro reparitare. Praeterea, inqoit, oon solsaa
periculum faciendum est io illis, qui operit ru
llici oon ignari, tamen inopinato ac imparati
ad specimen operae suae edendam provocaotor:
sed eliam io illis, qui loter illos rudes adhoa
suoi ; nam io superioribus, eztemporaoeom,
io istis, docile iogeniom requiritor, lmperalos
rerum vocat, ut postea oovitios rei, sed cifrai-
vpi est reii pr rei. Ita eoim fere semper
scribebant, quod primam in ea voce prodoea-
rent : ut videmus apud Lucretiam. Et apud
Mariora Victorium versas Plaati ex prologo
Militis ita legilur: magnireii publicai grati*.
Quod commentum quare sibi adscriberet Ga
briel Farnus, causa noo erat. Quod sequi
tur : Quis itio ad priorem dominum, quid fa
ctitarent, dooj habet archaismos: primus est
in genere quis itio, ot quis tu es mulier; alter
est quis aut quae itio, de quo postea. Deiode,
inqoit, videndum an saepias ad priorem domi
num eaot, ad opas faciendum : et qoid apud
eum factitarint, cessatoresne an labori ioleoli
fueriot. Nam saoe, qui crebro ad eondem domi
num commeant, argumentum est, eorom seduli
tatem domino salis spectatam esse, qoi eoram
opera lolies oli velit. Quis itio, est freqoeo-
tissimos loquendi modus comicis, ae veteriboa
Romanis, ut, quae tibi huc ventio est hoc est
quare bue Venisti ? ilem, quae illam tibi ta
ctio est, et similia, n
Pi semplicemente bens, ma arbitrariamente,
Ursino legge : Eam conjecturam f i e r i posse
ex aliarum rerum imperatis, et requisitione
ad priorem, etc. ; cio si pa coogettarare, se
sieno atti all1 agricoltora, comandando ad essi
altri lavori, e ricercando pure ai medesimi qoa
li fatture abbiano eseguite presso il primo pa
drone. Popma predilige l1 antica lezione, c la
spiega cos : u Operarii ( inquit ), utram sint do
ciles ad agriculturam nec oe, conjectura fieri
poteat, si alias res imperaveris, et io opere ru
stico e novitiis et tironibus si reqoisieris, apod
priorem domioum quid factitarint. Requisito,
secondo Popma, lo ha adoperato Varrone io qod
se oso che Sallustio nel lib. v Histor. disse : At
Lucullus audito Q. Martium regem pro com-
sule per Lycaoniam cum tribus legionibus in
Ciliciam tendere : e Livio nel lib. xxxi disse :
Satis comperto Ordiaeam petituros Roma
nos. In vece di apud ai adoperato ad, coirne
lo us Varrone gi avanti : Ad te enim rudem
agriculturae esse nunc : e oel lib. 111 ha detto:
Posse ad te fieri.
DI M. TERENZIO VARRONE 810
Gesnero lasciaudo che ogodno la pnsi a mo
do suo, ba creduto di f*r bene, adottando la le
zione dei Ginn ti, eh appunto quella del testo ;
td egli la piega coli, a Si pu venire in cognitio
ne del talento dei:lavoratori riguardo all agri
coltura primieramente ex aliarum rerum im
peratis, vedendo cio "se gli esegoiscono a do
vere ; in lecoodo lupgo , tum more incolarum,
dai quali'sono partili, e a noi sooo giunti, e no-
vitiis requisito, vale a dire, ricercando ad essi
qaai metodi nell arare e nel mietere ii accostu
mino nel loro paese ; e ricercando ad essi inoltre
ad priorem dominum quid factitarent; dalle
quali risposte si potr agevolmente comprende
re se sieno atti, o no perV agricoltura.
Pontedera a questo luogd se la prend*fiera
mente contro* tott i commentatori ; le quali in
vettive, perch non fanno al nostro proposito,
ben volentieri le omettiamo. Diremo solo, ch'egli
vuole che si legga : E t in eo eorum e novitiis
reliquisitio ad priorem dominum quid factita-
rent. 11 qnal testo quanto sia lontano da quello
adottato da Gesnero'e da tutti gli editori, si ve
de a colpo d' occhio. Tutta la difficolt egli la fa
consistere nella parola reliquisitio, che la ag
giusta in redinquisit ; parola composta da in
quiro e da red, come sono anche i seguenti
verbi redinvenio, redabsolvo, redadopto.
E qusto tutto quello cbe ne dice Ptfnt^de-
ra : e a tanto poco si riduce, che noi ci troviamo
nel primo buio. E poich tutti han detta la sua,
diciamo ancor noi la nostra, la quale se noif altro
avr questo vantaggio che sta attaccata ai cadici
di VUtorio, di Poliziano, Ceseoate e Veneto.
Adottiara dunque la lezione : Et in eo eorum
e novi tiis redinquisit, etc., vale a dire et e no-
vitiis redinquisit in eo%cio in ea re, 0 in e
argumento, ovvero sia 111 agricoltura, eorum
quid factitarent ad priorem dominum, La tra
duzione, che noi abbiamo data, ci pare naturale
i legata al testo antico.
Per non ometter niente, daremo anche la tra
duzione di Saboureux. On pourra se mettre
ni noe de conjecturer s ils ont cette aptitude, en
leur commandant des ouvrages d1un autre genre,
porir voir comtneut-ils s' en acquilleront, en les
questionnant sur les usages de leurs pays relatifs
l ' agricolture, au cas qu ils soient novices dans
cet art, et en s' informant de ce qu ils auront
it auparavant chez leur ancien maitre, n
(9) Qui litteris. Secondo Scaligero la parola
litteris una glossa, poich appresso gli antichi
litterae e humanitas sono lo slesso : a compro
vare il che cita un passo di Cicerone v De fini
bus : Sed animi cultus ille erat ei quasi qui
dam humanitatis cibus. E Varrone disse: iVa-
M. Tse e nz i o Viiant
x itele s, qui propter artificium egregium ne-
mini est paulum modo humaniori incognitus.
Ursino iodina a leggere : Qui sint aliqua, etc!;
perciocch, secondo Iui, le parole quam opera-
rioSy quos dixi sono state* aggiunte dai commen
tatori. A Gesnero-sembra molto migliore quella
lezione che trovasi in cinque edizioni, la quale
dopo la parola litteris v inserisce la copula et.
Noi crediamo indispensabile in chi capo il
sapere scrivere, come pure che non sia del tutto
ignorante: due idee che abbiamo espresse ntl
volgarizzamento.
(10) Siamo di parere che io questo luogo
prendano uno sbaglio i domtaen latori. Vittorio
dice che i vecchi codici sono corrotti, avendo
essi : Facilius enim 11, quam minore, ete. Pro
pone da leggersi ei quam minori: cesi pure poco
dopo inclinerebbe a dire imitetur et animmd*
vertat, e parimente illis e co'rceant contro
quello che leggesi nelle edizioni. Scaligero sta
per i vecchi codici, e rigetta francamente le cor
rezioni di Vittorio : vuole danqne che si legga :
Facile eniui 11, quam minore natu sunt dicto
awfientes. Fa qui osservare che si detto ei per
*7, come per contrario disse poco dopo : non
enim solum debere imperare, sed etiam facerey
ut facientem imitentur, riferendo/ac/enfero a
peritos, a Mena igitor (soggiunge Scaligero) Var
ronis haec est : Faciliuj, inquit, tali et ejusmodi
prnefecto sunt dicto audientes, quam alii cuivis
minore natu. Nam latine dicitur: Frater majori
aut minore-natu ; et minore natu hic est dandi
casa ei, qui est minore natu.
Per far che i nostri leggitori scelgalo quella
lezione che pi a loro piacer come pure a og
getto -di difendere il nostro volgarizzamento,
metteremo Ye varie lezioni. I codici di Vittorio
hanno : Facilius enim 11 quam minore natu
dicto sunt audientes. 1 codici Cesenate e Veneto
differiscono io ci che hanno hi, invece di ii.
Nelle tre prime edizioni si leg^e: Facilius enim
his quamvis minores natu dicto sunt audien-
tes, $ finalmente in Aldo si legge: Facilius enim
his quam minoribus natu dicto sunt audien
tes : e questo il testo comunemente adottato,
u His propositis ( dice Pontedera ) inquirendum
est breviter quae praestent, ut meliora sequamur.
Ante omnia praenoscere oportet, scribendi am
biguitate plurimum delectatura Varronem, ceu
in Dio de uva: Itaque lectius defertur in forum
vinarium, ut in dolium inane veniat ; forum
enim vinarium, et veniat de uva vendenda su
spicionem facit, quando forum pars accipitur in
strumentorum quibus vinum cogitur, et veniat
pro eat sive importetur. Ambigua quoque e l t re
mi hujus libri sententia : non meUxte ferentes
28
8 u ANNOTAZIONI AL LIB. I DE HE RUSTICA n
distedimus de aede%ubi qaod de mora ett intel-
ligendum, de aeditui morte qaae proxioaa nar
rata est, non moleste illos tulisse videlur indicare.
Similiter haec de foeta Asina : venter efiint la
bore nationem reddiC deteriorem: dura natio
nem ad asininam genus referri opinamur, par
tam esse invenimus. Haud secus hoc looo obscure
ct ambigue loculus est Varro, nisi diligenter at
tendatur. Praecipitor enim qui aetatem praestant,
facilius quam jnniores domino esse dieto audien
tes. Sed quem hoc pacto <fe excusis libris intel
lecturum putemus? Quem etiam primo intuitu
ex antiquis sine aliqua ingeoii contentione? Et
tamen quae protulit Victorius, cur non Integra
existimanda? Cur etiam paulo attentius intuenti,
ana littira t iu minore posita, non aperta et di
lucida ? Quod quo melius cognoscere possis, ap
ponam iterum eadem caro superioribus juncta :
Qui praesint, esse oportere qui litteris aliqua
sint humanitate imbuti, Jrugi, aetate majors
quam operarios quos -dixi ; facilius enim ii
(sive Ai) quam minores natu, dicto s un p du-
dientes. Qui ista indiligenter perlustrarunt, id
ibi accipere yisom est, quod io moribus frequen
tius positum videbant, majoribus natu facilini,
ac promptius obtemperari , qoam minoribus.
Propterea Varronis verba tanquam vitiata ad
eam opinionem declarandam .immutare coepe
runt, et priranm sensim ac circnmspecto judicio,
ut Jensonfus; deinde repente et ioconsiderate, ut
Aldus. Hao ratione boni isti vir^ quorum libri
magno veneunt, Varronianum mouitam ad aliud
transtulerunt, n
(i i) All ritraenti noi leggiamo : Praeterea po
tissimum eos praeesse oportet, qui pereitei sint
rerum rusticarum ; non solum enim debere
inparare, sed etiam facere, uti facientem imi
tetur, et uti animadvortat eum cum causa sibe
praeesse, quod scientia praestet. Nei codici di
PoliLiaoo e nel quinto e quarto codice della Lau-
reoziana si ha imitetur in loogo di imitentur, e
negli stessi pure trovasi animadvortat per ani
madvertant. Tutte le edizioni avanti Aldo man
cano di et usu : cos pere non si trovano nei co
dici della Laureniiana e di Poliziano. Qui certa
mente parla Varrone del capo di famiglia, e della
stssa famiglia che deve obbedire allo stesso ; e
perci non si serve del numero plurale, perch
facientem relativo al capo, come altres eum,
quod scientia praestet: laddove le parole imi
tetur, animadvortat %i riferiscono alla famiglia.
(1 a) Neque eileis concedundum ita inparare,
uti verberibus coerceant potius, 'quam verbeis.
Et (sei modo id exs/acere posis) neque ejus
dem nationis pluris parandos esse ; ex eo efiim
potissimum solere opfensionisdomesticasfieri:
e * l appunto rfamo persuasi ohe si debba leggere,
perch ne' codici di Poliziano e 4ella Lenremsana
si ha illis e cofrceant, io loogo di illi e coher-
ceat. Vittorio ha oredoto che Queste parole si ri
feriscano all' imperio che ha il ptdrooe v a i o il
capo, qoando 4he, se si parlasse di questo, non
sarebbe mestieri parlar di bastone, poich non
sarebbe molto difficile ridorlp alle cose del dove
re colle semplici parole. E denque da arguirsi
che qui si parli del capo verao la famiglia. Et
(sei modo id exsfacere posis) neque : questa
era la lezione he correva avaoti Vittorio: n si
sa comprenderei perch si*sia cangiata : di fatti
non difficile trovar de 1* voratori della medesima
nazione, come per contrario oon cos facile
trovarne di varie nazioni.
( 13) Praefactos alacriores faciundum prae-
mis ad faciunda. Tal la lesione di Polizhno e
delle tre primeedizioni.
(>4) Pontedera appoggiato a solidi fondamenti
legge : Iniciundum voluptatem praefactorum
honore aliquo habendo, et operaris, qtieiprae-
stabunt alios communicandum, quoque cum
hei* quae faciunda sint opera. u Perpensis an
tiquis monumentis, in quibus iniciendum volu
ptatem et iniciendam voluptatem, perpenaoqne
Varroniano more, quo multa hujusmodi eradan
tur . . . vetustis restitutis, vulgata ad injiciendam
voluptatem abjecimus, Reliqua item ad antiquam
exemplum casligavimns . . . Quoniam omnis ho
mo honore ducitur, eoque d majoraaoeenditur,
iujiceft oportet, ait Varro, operariis, honore ali
quo i u bendo, spem aliqoam> qoa sibi persua
deant fore aliquando, ut ipsi praefacti consti
tuantur.
Vittorio propone se in vece di voluptatem
fosse da leggersi voluntatem, dicendo che queste
parole sono state sovente confuse dai librai : della
qual cosa adduce due esempli, uno di.Quintiliano,
*e l altro di Lucrezio. Scaligero rappezza questo
periodo cos: Injiciendum voluntatem prae
fectos in aliquo honore habendo, et de .opera
riis qui praestabunt, aliquot ; e condanna che
si sia scrilto voluptatem per voluntatem, u Adhi
bendum est calcar ( dice egli ) inquit, non solum
si praefcctornm aliqua habealur ratio : sed et si
ex ipsis operariis praeslantiores qui erunt, honora
afficiantur. Ursino legge: Ad injiciendam vo-
luntatem praeceptorum, aliquo honor haben
di sunt: vale a dire, se il padrone colmer di
qualche onore gli operai, questi obbediranno pi
vernieri a'suoi comandi. Ma Ursino dall'aver
trovato in an Vecchio codice : Ad injiciendam
voluptatem profectorum, vorrebbe che si leg
gesse ad eliciendam voluntatem praefectorum.
Pojnia sta per quest antica lezione^ e ia spiega
cori: Injieies ( disse Varrone ) voluptatem et lu
tea tiam operis rullici, ai et praefectorum et ope
rariorum praejLantiore* qui erunt, honire ali-'
quo habueris. Cos appunto ha deito Cesare
Del lib. v. de Bello Gallico : Quos praecipuo
semper honore Caesar habuit. A Popma per
altro piacerebbe di leggere praefectos in hono
re ; perch Livio nel lib. xxxvui disse : Chios
egro donarunt, et in omni praecipue honore
habuerunt.
Secondo Ursino le parole de operariis .sono
da levarsi, e la voce aliqui da oangiarsi in alios,
perch oos, dic' egli, si trova io on vecchio co
dice, e perch cos pare disse Catooe. appresso
Nonio io proposito di educare i figliuoli : Non
solum, qui primus in alterutra re praestat
alios, sed etiam qui sit secundus et tertius..
(15) $tudiosiores ad opus ....pascere liceat,
aut hujuscemodi rerum aliis. Nelle tre prime
edizioni, In . Poliziano e in tutti i codici della
Laurenziana manca aut ; n a (orto, perciocch
nella parola hujuscemodi vi frammischiata la
particella ce, eh' tolta da xai e che significa et;
e che perci fa lo stesso effetto.
(16) Manca, secoodo Ursino, il verbo sit, onde
fi Jeggt constando.
Ca p. XVIII. (i) Catone parla dell' oli Te lo nel
eap. io, e dfel vigneto nel u .
() In un vecchio eodice ha trovato Ursino
dopo subulcum /, salictarium i.
(3) Questa citazione non esatta, poich Ca
tone ne ammette sedici.
(4) Ancor qui Catone vi frammette sali
ctarium.
(5) Quaternis operis singula. Columella nel
lib. ii, cap. 4, sviluppa questo luogo di Varrooe.
() Licinius. In un vecchio eodice ba trovato
Ursino soltanto la lettera iniziale L. che facilmen
te dal margine passala nel testo.
(7) Scaligero fa le maraviglie perch questo
passo corrono sia sfuggito al diligentissimo Vit
torio. Ma, com' egli congettura, Vittorio si con*
tentato dr render conto solameule deUa mano
scritta lezione. Scaligero dunque noo dubita che
Terrone non abbia scritto cos: Quod Calo s i .
voluti^ ut debuit, uti proportione : ad majorem
fundum vel^minorem addere vel demere: extra
familia debuit dicere villicum, u Na;n (soggiun
ge egli ) ad itiajorem fandum vel minorem adde
re, vel demere, hoe vocat uti proportione : nisi
et ipsum est glossema.
Gesnero cos piega questo passo, * Simplici
ter haoc sententiam puto, quod si Cato voluit ot
\ u t i enim eoojuoctionis vim habet) proportione
(vel proportione, cura utruraque eandem vi a
ni 3
habeat) adderemus ad majorem fundum, vel
demeremus de minore. Dixit minorem, vel quia
complexus est uiramqtte dictionem una formula,
quod syllepteos geous dicere possis; vel quod
ad retulit ad proportione, n
Noi per leggiamo: Quod Cato sei valuti
( uti debuit) sit proportione, ad majorem f u n
dum, et minorem adderemus^ et demeremus.
P ratterea extra familiam debuit deicerevili-
cum et vilicam. B primieramente .ne' codici dt
Poliziano, della Laurenxiana e nel Cesenate si ha
sit proportione, nelle tre prime edizioni ut
proportionem : in secondo luogo et minorem
adderemus, et demeremus, come per appunto
hanno le Ire prime'edizioni e luti' i codici, tranr
ne il Cesenate, cbe ha ut minorem. Aldo ha
omesso praeterea avanti extra, di cui non man-
cano le tre prime edizioni. Qui da riflettere che
il verbo sit - da riferirsi alla parola anteriore
modutos. 11 senso dunque :* Quod modulus sei
voluit Cato ( uti debuit) nt sit proportione, ad
majrem fundum et minorem adderemus, et
demeremus. Si potrebbero addor molti esempii
per confermare la maniera di dire quod sit pro
portione : ci contenteremo di riferirne alooni.
Cicerone nel lib. vi delle Lettere Familiari nella
lettera i 5, disse : Fac animo magno, fortique
sis : nel lib. xiv, lettera 3 : Pisonem nostrum
mirifico esse studio in nos : parimente nrl
lib. xvi, lettera i 3 : Incredibili sum sollicitudi-
n de tua valetudine. pini tosto elegante la
lezione del codice Cesenate uti minorem, in lao
go di et minorem: Varrone stesso se 00 err|
parlando delle lepri : Paucos sei lepores mares,
utifoeminas intromiseris
(8) Ideo duo vilicei, aut tres habendi. Fere
operari modoet bubulcei proportione addun-
dei. Questo testo per verit diverso dal nostro,
ma esso trailo da puri fonti ; perch nei codiri
di Poliziano della Lanrenziana si ha : Ideo . . . .
habendi. Fere (e nrglj stessi, come altres nelle
prime edizioni) bubulcei proportione addundeii
laonde demendi vtl sono aggiunte proprie sol
tanto di Aldo. Fere %i prende alcune volte in
significato di plerumque. Cicerone adoper l'av
verbio fere in qoeslo senso nel lib. 11 de noent.,
dicendo ut fere f i t ; come anche lo us nel lib. li
de Oratore : Semper fere cum aliquo rustica-
ri. Dice Varr.ooe adunque che.il nupaero degls
operai e de' bifolchi da adattarsi per lo pi al-
l1estensione del podere ; perciocch chi ne dimi
nuisce il numero, mostra chiarandnte di avere
sbagliato nel numero : e sarebbe taociato d ' impe
rito chi provvedesse per una tal data tenuta dieui
operai, quando ne bastano quattro, e che perci
fosse nella necessit di levarne sei.
614
DI M. TERENZIO VARRONE
ANNOTAZIONI AL. LIB. 1 DE BE RUSTICA 8 * 6
(9) Sin est ita dissimilis. Scaligero ha pre-
teio di aggi aitare il lesto nd leguente modo*:
Sin est ita dissimilis, u t 'totus arari non possiti
quod sit confragosus ; atque arduis clivis. Ma
ia verit da leggersi : Ad minoris, ad majoris
modos fundorum iei quoque, sei similis est
ager. Se in autem ita deisimilis, uti arari noft
possit, quod sei confragosus, atque arduis
cleiveis, meinus multei opus sont bves et bu
bulcei. In luit' i codici della Laurenziaoa e di
Poliziano ai legge : Ad minoris pari
mente ne'saddetti codici e nelle tre prime edi
zioni si ha : Sin autem . . . . uti arari ; dal cbe
e facile congetturare che sin esi e totus sono
parole di Aldo : sono pare di Aldo ut si sic con-
fragosus, e arduus, diversamente leggendosi
uegli accenuali. codici e nelle Ire-prime edizioni.
Aggiustalo in questo modo il testo, il lento
chiaro, oltre l ' essere genuino.
(10) Nel codice Cesenate si ha inicio: nelle
Ire prime-edizioni, in Poliziano* e in due codici
della Laureniiana initio. Neque modicum in
tulli, nel solo A4do nec modicum. Che inicio
ai scriva con un polo 1 di mezzo, si ha da Cice
rone nelle lettere, dicendo : Cum mihi in ser-
monem iniecissct, se velle Asiam visere : e al
trove: Bruto cam saepe iniecissem de ^uoTXo/a.
(u) Modicus, enim centuria. Siamo dovuli
andar per- le luughe per tradarre queslo passo,
che cos spiegalo da Gesnero : u Credo modius,
quod post Victorium proditos libros insedit,
sphalma esse typographorun) improvide repe-
ti tura. Modicus modus, hoc eit ille modus (scho
lastici quantitatem dicunt), qui modum alii)
praebet, mensura mensurans, et norma normans,
est centuria cc jugerum, a quo numero sexta
pars modi Catouiani abest, idest x l ; neque ta
men apparet, quomodo de summa hominum iu
formula Catonis proposita sexta pars dematur,
ut servari adeo queat proportio. *
Pontedera inclina a leggere cos : E quo cum
sexta pars absit ea x l quae de c c x l demuntur.
(12) Nonip de numeris et casibus cita queslo
luogo senza la particella in, Carisio nel lib. 1: Ju
geribus quidam Grammatici itp dicendum pu
tant, quasi sit hoc juger, tamquam hoc tuber.
Varro R. R. lib. 1 ; jugeribus saepe dixityquod
utique descendit a juger ut tuber. Noo io ci
cita senza, i/z, quantunque non sia mestieri le
varla ; ma riguardo al numero degli schiavi non
discorda da Varrone, quantunque pello slesso
Catone si troti il numero xvi.
Questo luogo per altro da leggersi altra-
meuli : Quod autem ait c jugeribus veinearum
opus esse xr mancupia, sei quis habebit cen-
luriam, quae deimidinx veincti dtimidiom
vleiveti, secueretur, uti duo pilicos, duas vili-
cas habere deberet Nello tre prime edizioni
oei cojici di Poliziano e dfclla Laurepziana man
ca sit avanti <Uimidiomye questa parola e lotta
di Aldo: habere deberet si legge nelle tre pri
me edizioni : habere debeat in Aldo, e fuaeat
in Vittorio, e tutti in progresso hanno messo sem
plicemente habeat.
(i3) Avanti Vittorio si leggeva duos vilicet,
cosi pure in Stefano, in Ervagio e in altri ; ma
Vittorio coll' appoggio di antichissimi codici ha
reslituito al lesto duo vilicosye cosi pure ha tro
valo Ursino. Che le parole ambo e duo non sieno
alle volle coniugate dagli antichi aerittori, ne
fanno leitimonianza alcuni eterapii che qui sog
giungiamo. Afranio ( parlando di ambo) in Pan-
tal*: revocas nos ambo ad praelium. Terto*
Andr. : Eug o Charine, ambo opportune voi
volo. Virgilio nella Buccolica :
u . . . . Nam saepe senex ipt carminila amba
Luserat. . . .
e nella Georgica :
Verum abi ductores acie revocaveris ambo.
E riguardo a duo Q. Claudio Quadrigario pres
so Gellio disse:: Cum interim Gallus quidam.
nuduSy praeter feutum, et gladios duo torque
atque .armis decoratus processit. Tereozio A-
delph
u Tu itloa duo olim pr re tolerabas tua.
Accio nel Epinausimache : Mar Les armis duo
congressos crederes. Presso Carisio Insiti.
Gramm. lib. /, e nel libro de Analogia si leg
ge che gli antichi hauno adoperato ambo, e dao
io luogo di ambos e duos ; e perci alcune volte
faono male que' librai, che vogliono in queslo
proposito corregge gli antichi autori.'
( 14) Quodait singula. Orsino legge; Quod
ait singula jugera quaternas operas ad confi-
ciendum^ etc. Di sopra in questo stesso capo
Varroue avea detto : Saserna scribit satis esse
ad jugera m i hominem unum. U pera, secon
do Pliuio, il lavoro che fa ua uomo -in an
giorno.
(i 5) Sed sei hoc in Sasernae fundo in Galla
f u i t : nel nostro lesto si aggiuulo satis, quando
che de sono prive le tre prime edizioni. Fati
in queslo caso fa le veci di evenite nel qual sen
so lo adopr Cicerone nel lib. v ad Atticum^
DI M. TERENZIO VARRONE
Epist. aa, dicendo : Si erit ut volumus: e Orazio
nel Jib. m delle Odi, Ode i :
.u Est, ut Tiro *ir latius ordtoe
Arbusta tulcis.
Si adopera anche in significato di* solet, corae
lo os Cicerone nella lettera ao del lib. m del
le Lettere Familiari:.Quod si, utes, cessabis,
lacessam,
(iC) In: agro Ligustico* montano, Poliziano
nette Ligusco,.duc oodici della Laurenziana
hanno Ligus comontano, ossia Ligusco mon-
tano+ e nomentano in yece di montano le tre
prime edizioni. Vittorio in on oltimo e anti
chissimo codice legge Ligusco, non mai Ligu
stico, benoh.*ljrove si legga Ligusto. u. Scri
bimus ( sono parole di Scaligero ) ex veteraro
librornm auctoritate, Liguico; ot alibi semper
apnd Vartonepi band ali ter scriptam model P.
Victorias. Nam Ligusci, ot Etrusci. Eadem
quippe analogia Liguria, Etruria. Et Etrurts
potoit asse nt Ligures nUrsin conferma finalmen
te cbe ne1 vecchi codici, si ha Ligusco, che forse
nasce da Liguria, come Etrusco da Etruria,
(17) Scies, quantum pares, se stiamo al solo.
Aldo; ma se faccianl conto delle tre prime edi
zioni e di tali* i codici, dieono quantam pa
res. Aldo rifer quantum a instrumentum, e
Varrone alla familia, di coi tratta appunto m
questo capitolo, qoando che degli altri stra
menti ragiona nel vegnente;
(r8) Non aleam, cio la sorte e la fortuna.
Varrone in qoesto significato 1 ha adoperata di
sopra, quando disse : Ubi salubritas non est,
cultura non aliudest atque alca domini vitae,
et rei familiaris periculum.
(19) Aut minus quam alii. Crede Ursino che
questa sieno parole aggionte dai commentatori.
Cap. XIX. (i)* Cato in olivetis. Catone ne
parla nel cap. 10, e parimente nel lib. v delle
Origini: Sed protelo trini boves unum aratrum
Varrone interpreta per tre gioghi, cio per sei
booi.
(a) Ad centum. da leggersi, secondo Ur-
sino, ad centena jugtra jugum opus esse, Ca
lo ad octogena, Ma qui da osservarsi che ut
Saserna dicat verum, significa si Sasernae ere
dimtis.
(3) Si Cato ad octogena* *Non senza ragione
sospetta Pontedera che dopo octogena va ag
giunto o il numero 1, ovvero unum, cio an
bue, perch l xxx la terza parte del nume
ro ccxl.
(4) Sed eg ntutrum horum ad omntm
agrum convenire pmto, Quid horum (dice
Pontedera ), mi A14(% quocum glatinas, qui ve
tus casum praecedens modum, qood etiam Poli*-
tianus codex, et ille qui ads* Reparatae, bec non
Ambrosiaops in morum depravatum servant*
su bt talis ti? Atocipitem esse scripturam non cernis;
qifae tam ad anetorom modorum, quam ad mo
dos ipsos potest referri ? Reponamus itaqne ve
tera : Sed ego neutrum modum horum omnem
ad agrum ( sic Politianus codex ) conveneire
puto. troppo ragionevole la correzione di
Pontedera, e noi Gabbiamo adottata.
(5) Alia enim terra. Ursino non ha al
cun dubbio ehe questo luogo non sia corrot
te.; ed egli lo corregge cos : Alia enim terra
facilior, alia difficilior est. Alte terram pr
scindere. Ma perch non abbiamo da seguire
l ' ottimo codice di Poliziano, che ha : difficilior
est. Aliam terram boves, etc. Appresso Nonio
in Bura 11, ga si troVfc : Boves. . . .fracta bu
ra, relinquunt vomerem arvo.
(6) Qui mestieri certamente punteggiar
meglio, perci il primo asino da macina appar
tiene air oliveto : dunque bisogna mettere al
meno doe ponti avanti in vinea.
In un antichissimo manoscritta ha trovato
Vittorio Molendarium, e non molarifim : ap
presso Catone per si ha : Asinos plostarios
ii, asinum molarium. In un codice poi non tan
to antieo ha letto molendinarium, della coi
parola si sono serviti pure i ^giureconsulti ; e
questa forse la vera lezione di Varrooe. Ur
sino e Popma sostengono che in Catne non
si trova molarium ; ma da avvertirsi che Var-
rooe cita il sentimento di Catone non gi le sue
stesse parole. Pontedera sta per molendarium^
come anohe hanno le tre prime edizioni ; e al
cuni si sono presi la licenza di trasferir mola-
rium di Catone a Varrooe.
(7) In qoesto luogo non abbiamo seguito al-
eono dei commeatatori, ma quello che ci sem
brato pt- verisimile. Ma siccome non siamo ben
certi di aver colto oel punto, cos qui soggiun
giamo la varie opioioui.
Pecuaria. lo On vecchio codice di Vitto
rio .lggesi poculiaria, e in Poliziano peclio*
ria ; e perci egli vuole che si legga ; Quae
solent esso peculiaria, pauta habenda. Pecu-
liaria poi disse quelle cse che sono compe
rate dagli schiavi col proprio peculio ; quindi
al cap. 17, disse : Ut peculiare aliquid infun-
'do pascere liceat ; e quindi pore Ulpiano scrs
se peculiarias res, in luogo di peculiares. Da
ci nasce il sospetto che ia Varrooe lib. iv Do
Lingua Latina si debba leggere: Ut peculia
re* ovcSy aliudve quidt in vece di piculatoriae;
imperocch, come disse Fette : Peculium ser
vorum a pecore dictum* est. Noo mi pare cbe
Vittorio dice male ; molto pi perch SU at
taccato ai codici.
Gemer-lasciando che. gli Uri interpretino
|a voce pecuaria, dice sembrargli che Varrooe
sia di parere che debbaosi alimentar nella te
nuta poche bestie di quelle che servono soltanto
alla coltura del terreno, e. che noo apportano
alcun altra utilit, acciocch si possano mante
ner pi schiavi, i quali doq consumerranoo mol
to tempo dietro al bestiame, essendo in pchis
simo numero. Cor zio ad Sallustium Jug. 88, 4,
legge ea solat quae agri'colendi erunt, e lascia
fuori causa. Dia non permesso dar di eahio
ai codici.
Viene adesso Pontedera, il cqi sentimento
lo diremo eolie soe stesse parole, Qui enim st
toetur, non est assidua*; et contra. Illum comi
tatur pigritia, desidia, vecordia, languor, olium :
bunc vero diligentia, cura, solieitudo, anxietas,
labor. Commodiora ilaqoe apad Jensonium et
Bruyschium habemus: pauca habenda, quo f a
cilips mancipia quae solent Sfi tueri, et as
sidua esse non possunt. Attamen ex Victoria-
nis quae ex Caesenate libro confirmantur^ raen-
*di coarguuntur. Quid igitur ? RevolvCmiirne
ad ldum, a quo tam diversa tam pertarbala,
tam ficta, a veritate demum taro aliena excusa
sunt ? Islaoe approbem et reoipiam : pauca ha
benda, qu factius tueri possint; quoniam
mancipia 'quae' solent esse assidua, esse non
possunt ? Quis tanta liceali* ad nobilissimum
acriptorem corrumpendum'Aldum abusum cre
deret? Nara Parvus ac Gjmnicus, qui ab Aldo
sumpserunt, etsi culpa non careant, minus ta
men peccasse videntur, qui Aldi nomine, quod
apud omnes fama percrebuerat, decepti-errore
sutcubuere. Praeclare Junta unas ex Aldinis
sectatoribus, qui s ab illis abstipuit, evertit-
que, et vetera expressit. Ab Aldiois os quoque
on sine indignatione oculos averlamas ad prir
ma conversi, quae poliora habenda tum melio
rum editorum couseniu, tum etiam codicum et
Victorii, et Caesenalis, et illorum quos Jenso-
nius ac Junta exscribebant.Operae autem pretium
eit cognoscere quanta facilitate porgentur, illu
strentur que. Unius'literae immutatione*hae om
nes turba* conticesco ut. Igitur et ad antiqnam
sedem tueri restituto, fit tuerier, cujusmodi
innumera veteres carmine, ac soluta etiam ora
tione, ut indicatum e*t, psurpant. Itaque: Ad
jicientium fa pecore ea sola quae agri colen
di causa erunt ; ut solent esse pecuaria, pau
ca habenda ; quo facilius mancipia quae so-
lent se tuerier, assidua esse possint, Quo plu
8 mj
ra enim animalia io fundo aluntor, oo sseprai
ab opere mancipia. avontar ; doni in paacaaai
agant,dum potum propellono dum stercus eve
hant, dum strameota stanno t, Qofre qui sibi
prospicit, loogam tempas terit, et negligentiae
ac desidiae hoc nomihe indulget.
Nobis ita videbatur (risponde Gesnero), Prae
cepit de Aainis. Ili non habentur nisi agri ca
lendi caaM, neque enim lac praebeat, neque la
nam, neque carnem denique ; hoc genas igknc
animalia panca habeoda, quo faeilius mancipia,
qoae solent ipsa se tueri, nec aliena cora indigent
(ut asini'v. g. agasone) et opus esae possint in
fundo, et assidua esse in opere, non onerandis^
agi laudili curandis asinis intenta. Itla verba? ut
tolent esse pecuaria, includenda nunc viden
tor. Forte aliquis adseripsit exegipluaft anisaa-
liiim, qoae non habeatur agri colendi caosa, sed
mercaturae, ut fit*io pecuariis omne genus.
Saboureux di opinione.che il testo sia ni-
ni festam en te troncato, ed ha pensato di aggiou-
gere : u mais qoe pour les autres besliaux que
1' on i an aatre fin, on.pent ics avoir eo pias
grand oombre. *>
(8) Sed etiam qui non solum%etc, Questa
lezione 1' ha trovata Vittorio ne' manoscriIli, e
particolarmente in* an antichissimo cdice. Le
editioni di Lione del i 54i, e i 543 di Roberto
Stefano non hanno seguilo Vitto rio.. Quantunque
la lezione del nostro testo non sia quella dei co
dici di Vittorio, non ostante si folpta adottar*
da Aldo e da lotti quelli che veneero dappoi.
Rigettalo adunque il testo Aldino, mettiamo
qnello cbe trovasi uelle Ire prime edizioni, in
quella de Ginnti, in quattro codici Fiorentini,
nell Ambrosiano nel Ceseoate : Sed etiam
quei non*solum pratorum causa habentpre-
pter stercus. Vale a dire, non mantengono il be
stiame, perch hanno dei prati, con cbe alimen
tarlo ; ma bens perch necessario aver del le
tame.
Cap. XX. ti) Budis usato per rtfdex.Scali-
ligero perde molto tecfepo o far osservare uoa cosa
facile, cio che qui si omesso minoris quam
trimos. Queste reticenze sono familiari a Var
rone.
(a) Bos veteranos.Columella nel lib. vi, cap. %
dice : Infestatur bos conditione regionis, sicut
ille qui ex planis et campestribus locis in
montana et aspera deductus est, vel ex mon
tanis in campestria. Itaque etiam cum cogimur
ex longinquo boves arcessere, curandum est,
ut ex similibus patriis locis traducantur, etc.
Da qaesto luogo di Columella vuoi iufertre Ur
sino che io Varroue siasi da leggere: Hos ex
dao
ANNOTAZIONI AL LIB. 1 PE II E RUSTICA
DI 31. TERENZIO VARRONE
am pes tribu locis emendum, non in dura ac
montana, nec contra. WovehSy etc, O guano di
leggeri scorger che Columella ha spresso sem-
plicememte il tentimento di Varrone, ieoiYado
perar le parole di questo.
Il difficile sla io queile poche parole: Nec
non9ita si incidit ut sit, vitandum, che hanno
fatto parlar molto i commentatori. Vittorio dice
che nn antichissimo ed ottimo codice discorda
dal nostro testo, e che questo .quello di alcune
edizioni e d i o n codice non tanto antico. Quel
codice per non intatto 4 questo luogo, n dlie
sne parole si pn trarne nn giusto sentimento.
Fa osservare per altro che forse f i si trovano le
tracce della vera lezione, giafcch. di 'quella- di
testo non si troya troppo contento : e quantn
que da altri editri siasi variata, nulladimeno
non ci.hanno esibito*) genaina lezione. Il codice
adunque dice coq i Nec nostra si incidit, etc. ;
quindi propone ai dotti, se fosse da cambiarsi nna
lettera, da leggersi : NeC'contra si incidit pf
sit vitandum: tale a dire, che siccome i buoi
vedehi assuefatti al pian non sono da adoperarsi
nd* luoghi pietrosi e montani,, cosi pr contrario
non da temersi ehe poto riescano nel piano quei
huoi che nel laoghi duri ed aspri so00 stati alle
vati nel lavoro, I* qual cosa si osserva scrupolo-
sameote da tatti gli agricoltori.
optna adotta la lezione di Vittorio, mi la
splrga in senso-opposto : dice .ddnqne che i buoi
vecchi non sono da provvedersi alla pianura per
poi farli lavorare al monte ; n al contrario sono
da comperarsi al monte per far che servano al '
piano. In comprovazine di ohe cita no pass di
Columella del lib, v, ove dice che Omnis bos in
dgena melior est quam peregrinus, nam ne
que paludis, nec coeii' mutatione Jentatur%ne
qae infestatur conditione regionis, etc,
Assolutamente eh* da lodarsi la felice eon-
gettara di Vittorio ; laddove Ptfpma adottandola
lezione: Nec conira si incidit ut sil, vitandum
interpreterebbe in modo contrario a quanto di
cono le citate parole. Non forse vero che i buoi
allevati al piano non possooo servire sol monte,
non tanto perch non vi troverebbe queU' abbon
dante pascolo, di cni dotata il piano, quanto
perch avendo le unghie moUi e tenere, correreb
bero rischi di zoppicare, se si facessero lavorare
ne' luoghi sassosi e montani TPer contrario quelli
che dal monte discendono alla pianura, paiuano
in un luogo migliore, facilmente vi si assuefanno,
e perch sono forniti di unghie dare, riescono
pi utili in qualsivoglia lavoro e fatica*
(3) In furcas destitutas, Tutt codici esa
minati da Vittorio hanno cos; laddove le edi
zioni mettono destinata in luogo di destitutas.
Nonio insegna che destitui presso gli antichi
scrittori significa anche rursus statui; e d con
ferma coll' esempio di Nevio Gimnastieo : In alto
navem jubet destitui anchorisy. e con quello di
Ceeilio Simbolo: Destituit omnes servos ad
mensam ante se. Ursino sta per le parole in f r -
cas destitutasy.qio, com'egli spiega, Jixasy et
statuts.; e cita un passo di Gracco in orai de
legibus promulgatis apud A. Geli: x, 3 : Idcirco
plus destitutus est in foro; eoque adductus
sua civitatis nobilissimus homo M, Marius,
vestimenta detracta sunt, ei virgis caesus est.
Non per altro da -rigettarsi del tutto la le
zione delle altre edizioni, che hanno destinata,
la qual parla si riferisce a colla; e vorrebbe dire
deligata, adst ricta,
E superfluo dajr qui 1a descrizione di' questo
strumento, poich dal volgarizzamento facilmente
Se ne forma l'idea.
(4) Le. prime edizioni abbondano in.parole; e
appunto q a est e ridondanza in un autore, quale
Varrone, di lingua- serrata, ci sospetta. Essa
hanno cosi : E t primum eos aequo in loco, et
sine aratro, aut e levi.simul gradi facias: et
principio per ar$namy aut molliorem terram
leniter procedant. Virgilio nelle Georgiche al
lib. in sviluppa maggiormente questo passo di
Varrooe* dicendo:
Ac primum laxos tenui de vimine circlos
Cervia subnecte, dehinc, ubi libera colla
Servitio aSsoetint, ipsis e torquibus apts
Jung e pares, el coge gradum conferre ju
vencos.
Atque illis'jam saepe rotae ducantur inanes
Per terram, et spmmo vestigia pulvere si
gnent, h
Ove da osservarsi che nel primo verso si dice
quello che precedentemente dice Varrone : Si
eorum colla in furcas destitutas incluserit; o
nel quarto trovasi quanto si ha in Jenson: Simul
gradi facias.
Non ci rimarremo dal far osservare la licenza
di Aldo, che contro i cpdicl le prime edizioni
dice arare facias, in vece di gradi facias%e
dum consuescant, iu luogo di leniter proce
dant.
(5) Quos ad vecturaSy item instituendum. Se
crediamo a Cresceuzio, qui manca la parola pa
ras, dicendo egli f Quos ad vecturas paras%
item instituendum; Ma forte questa un'ag
giunta di Crescenzio, perch non se ne trova al
cun mollo nei codici, e nelle prime edizioni.
(6) Per vicum aut oppidum- Creber crepi
tus. Pontedera cbe sta attaccato alle prime edi
823 ANNOTAZINI AL LIB. I DE RE KST1CA 8><
zioni, vuole cbe aggingi ubi dopo oppidum.
Gesnero ha credalo di poter far di meno di .u6j,
metiendo oa punto avanti creber.
(7) u Gerle non ubique *( dice Gesnero ). De
Erborino Companiae nobili pr opl er fertili ta-
tenj campo Plin. xvii, 4: Idem solum ubicumque
arduum operff difficile cultuybonis suis acrius
pene^ quam vitiis posseL, adfligit agricolam.
Quid ti Irajectif voci bot scripseril Varro ibi non
bubuf gravibus, ut in Campania
(8) Urtino di parere che si debba leggre:
Ubi non bubus grandibus ' r e si appoggia e
qpanto dice Columella oellib. 11, eap. a : Et in
hoc.a Celso dissentio, qui reformidans impen
sam, quae lrgior est in amplioribus atmen-
tis, censet exiguis vomeribus .et bidentalibus
terram subigere, quo. minoris formae bubus
administrari queat ^ etc. M si pu difendere .
rfoch'e la.comuife lezione, interpretando Nonio
obe grave si prende alle volte per multum et
valde. Farro, dic egli* ubi graves pascantur
atque alantur pavonum greges. Alcuni leggono
semplicemente bubus seni# raggiunta di gran
dibus. *
(9) Che gli asini si sieno adoperati ne1tempi
antichi per arar la terra, oltre che ci si raccoglie
da Varrone e da Columella, si ha ancora dalla
sacra Scrittura, di coi ne cita molti luoghi Schef*
fero De Me Vehic. i,,8. Plinio nel lib. xvir,
cap. 5 : In Byzacio Africae illum centena
quinquagena fruge fertilem campum, nullis,
cum siccus est, arabilem tauris, post imbres
vili asello^ et a parte dltera jugi anu vmtrem
trahente, vidimus scindi.
(10) Exinde u t pabuli. Ursino vnole che si
legga proinde ; ma Varroof si servilo di questa
voce nel medesimo significalo nel cap. 24 di que
sto libro.
(11) Pontedera, che noi abbiamo segnilo, di
parere che si'debba leggere nec valentiora. Di
fatti se si fa seria altensione a qoeslo luogo di
Varrone, chiaro che qui deve slare necyovvero
no*equivalente particella negativa; perch in un
.terreno montioso e duro non torna conio al pro
prietario mantenervi buoi forti e per conseguenza
di valore, non tanto perch un terreno sterile
noo ricerca armenti di tal fatta, quanto ancora,
perch un arido e sterile terreno non pu dare
abbsslanza per mantenere buoi robusti e grandi,
e che perci mangiano di pi. luollre Varrooe
ha dato per precetto che : Si fandus sit confra
gosus atque arduis clivisy ivi bisogna avere po
chi buoi e bifolchi. Ma molto ci si fa manifesto
da qaanto vien dopo : Et potius ea ( paranda )
quae per se fructum reddere possint, cum id
operis faciant. Se dunque queslo lavoro si pu
far non tanto da buoi forti, qaanto dalle vtoche,
o dagli asini, ognun-vede che non torna conto
avere i primi, ma bens vacehe ed sini, perch a
costano e mangiano meno; laonde devonsi piut
tosto comperare :*Quae plus fructum reddera
possint, per la ragione che i buoi servono, sol
fante ad arare,, quando che le vacche col latto
sornministrrfno altri proventi, danno de' viteUi,
e gli asini servono aucora a girar la macina e a
porlar dentro la tenuta, o a trasportarne faori e
i prodotti t quanlo fa mestieri nella medesioia.
Cap. XXI. (1) Et interdiu clausos dormire.
Le tre prime edizioni e parecchie delle posteriori
aggiungono dopQ dormire: El catena vinctos:
ut soluti acrioreifiant. Non trovandosi ia alcun
codice, facile congetturare che saranno di alleni
mano
(2) De indomitis ....faciundum. Scaligero
vuol* togliere di mezzo l'ultima parolafaeiun-
dunwy asserendo che dal lemma passata nel te
sto ; il qual lemma aveva coti 1 Si prata sunt in
fundo, pecus non est, quid sit faciundum. Se
condo lai Vrrctae aveva scritto: De indomitis
quadrupedibus, ac pecore: si prata sunt in
fundo* come di sopra avea detto: De familia:
Cato dirigit.
mestieri intrattenersi sa questo pasto al
quanto, onde con una qualche verisimiglipia sa
adotti qtfanto. pu essere di Varrone, resti tuendo
quanlo gli altri capricciosamente hanno rigettato.
Negli antichi editori si trova prefisso a questo
capitolo tale argomento: De indomitis quadra*
pedibus: de pecore instructo at canibus hoc
faciundum. Ne' codici di Vittorio e nel Ceseoato
queslo .titolo si riduce a pi poche parole, cio,
come abbiamo nel testo : De indomitis quadrm-
pedibus, ac pecore faciundum. U titolo, che ha
un anlico codice.(quantunque bisogni confessare
che non sia di Varrone), fa sospettare che queslo
capitolo fosieuria volta diviso ia due parti, nel-
1' una delle qaali si parlasse dei cani, nell' altra si
trattasse del pascolo; perciocch 1*argomento
del capitolo il seguente: 'De canibus : sina
- quibus villa parum tuta sit. Posto questo argo
mento antico, dimando ora, ove si parla in que
sto 'titolo de- quadrupedi, che non si addimesti
cano ? ove del bestiame ? ed ove del pascolo? E
perch si tralasciano nel Jeratna di un capitolo al
breve, quando che gli altri 4itoli, quantunqno
sieno ibolto concisi, pure non lasciano di-accen
nar sommariamente quanlo si tratta nel capitolo P
Certamente che ci si Fatto non senza ragione ;
anzi un indizio certissimo che si sono omesso
le altre cose nel lemma, perch appunto manca
vano nel capitolo.
DI M. TERENZIO VARRONE 8*6
Mi i toglier* >0401 questione, appoggiamoci
ai codici di Vittorio. Egli ci dice che in codici
aolichi ti trovaoo gl iodici dei capitoli distri
buiti 0*1 tegnente modo ; cio che tra T indice
del cap. ai De Canibus, e 1 altro del cap. aa in
titolato De Muto Instrumento, si trovano isolate
e non attaccate ad alcan capinolo le seguenti pa
role : Si prata sunt in fundo, pecus non est,
quid sitfaciendum. Coosta dunque che il cap. ai
era distribuito In dne parti distaccate, le quali in
progresso si sono unite. Ora da cercarsi, posti
suddetti indici, qnanto si trattava nella prima
parta, e quanto nella seconda. Nella prima
chiaro che si parlava dei cani, e nella seconda si
insegnava : Si prata sunt in fundo, pecus non
ett, quid sit faciendum. Ove dunque si fanno
parole de* quadrupedi, che non si addimesticano,
ed ove si parla del bestiame ? Dunque da con
chiuderai cbe tanto le parole dell1edizione di
Genson : De indomitis quadrupedibus, de pe
core instructo ac canibus hoc faciundum, come
quelle di Vittorio : Deindomitis quadrupedibus,
et pecore faciundum non sieno di Varrne?
Cosi appunto da dirsi, se si prendono quali pa
role del titolo ; quali genuine e Varroniane poi,
se si considerano come una conclusione ed un
epilogo di quanto erasi detto anteriormente. Si
mili clausole si trovano sovente in Varrone.
Concludendo dunque, diciamo che Varrone
dopo di aver trattato del modo di addimesticare
i giovenchi, che dopo di aver parlato del bestia
me, considerandolo come un istrumento del fon
do, e che finalmente dopo di aver detto dei cani,
conchiude dicendo : De indomitis quadrupedi-
bus, de pecore instructo ac canibus hoc f a -
ciundum, ut dixi. Le ultime parole ut dixi sono
state trovate da Stefano io un antico codice, e si
sono aggiunte anche nella edizione di Basilea.
(3) Avanti Vittorio, ecco il lesto che correva :
Si prata sunt in fundo, neque pecus dominus
habet, etc. Noi vi abbiamo inserito dominus,
perch Varrone trattando dello stesso argomento
nel lib. 11 non lo omette: Propterea quod pabu
lum in fundo compascere quam pendere, ple
rumque magis expedit domino fundi.
Cap. XXII. (1) In vece di scirpo, Pontedera
vuole che ai legga sparto. Veggasi su di ci il
csp. *3.
(a) Nonio accenoa questo luogo, dicendo:
Tegetes m tegendo. Farro de He Rustica lib. 1:
Sic quae fiunt de canabi, lino, junco, etc. n
(3) Al cap. 10, ove si ricorra per aver mag
giori dilucidazioni.
(4) Su di ci si ricorra ai cap. iu, ia e >45.
(5) Pontedera noo vuole cbe si legga ex aere
M. Te u ki z i o Va i i o pb
ahenea, ma ex aere aena> poich In Genson si
ha ex aere ahena.
(6\ A d multitudinem. Queste parole, secondo
Ursino, sono state aggiunte..
(7) Ferreas. Gesnero a questo luogo di Ca
tone rende ragione perch siasi da leggere fur
cas e non ferreas.
(8) Di questa parla Varrooe al cap. 11.
(9) Fasa torcula e non torcularia ripeti
nnovamente Ursino che si ha da leggere.
(10) Valorosamente difende questo numero
dt'culei Vab. Compagnoni alla nota 1 del eap. 11
di Catooe.
(11) Veggasi intorno le falci la tradazione di
Catone, pag. 144'
(ia) Opus esse sex. Vittorio avverte eh* da
correggersi opus esse x&, perch trovasi appunto
tal oumero in Catooe. Olire di che in nn ottimo
codice di Varroue trovansi le tracce del numero
quarauta.
(13) Avanti Vittorio si leggeva Rusticariae.
Festo dice : Rustum ex rubus.
(14) Ursino inclina a leggere: In urbe domi-
num, villicum contra ea ruri omnia suo quae
que loco posita, etc.
(15) Q^ae non possunt esse sub clapi.~.
oportet. Secondo Ursino abbonda oportet. Pon
tedera congettura che invece di sub clavi debba
stare sub tutelam, perch n1codici antichi si
trova sub elam, e subelam. u Ut enim tutor
( dic' egli ) alieni patrimonii custos dicitur, sic
villicus rusticam suppellectilem, quam sibi cu
stodiendam tradit dominus, tueri debet. Se<)
quoniam multa suot, quae sub tutelam villici esie
non possnnt, sive quia magna clauso loco conti
neri nequeant, nt plaustra, aratra, sive quia in
quolidiauum operariorum usom requiruntur,
adjectum est certo in loco esse oportere, et om
nium in oonspeclu. Quare prisca forma habeto :
Quae non possont esse suptutelam, quam ma-
xume facere, ut sint in cQnspectu, oportet.
Ca p. XXIU. (t) Et quoniam . . . . quadri-
partita. Senza ragione vorrebbe Ursino esclu
dere la particella et come di pi; ma il nostro
autore suole spesse volte cominciare il periodo
da et, di coi se oe ha un esempio al cap. 37
di queslo libro. Quejla divisione quadripartita
stala propoila avanti al cap. 5.
(a) Rectius enim in tenuiore. Queslo pre
cetto stato copiato alla lettera da Plinio nel
lib. xvm, quantunque taccia il nome di Var
rone.
(3) Con questo luogo di Terenzio ai pu cor
regger Plinio, il quale nel lib. zvm, cap. 17,
coti scrive : Subtilis est illa sententia^ seren-
a9
ANNOTAZIONI AL UB. 1 DB RE RUSTICA
da ea in tenuiore Urr, quae non multa in
digent succo, ut cytisus et cicer, exceptis le
guminibus, quae velluntur e terra, /ioti *6-
secantur, nrfe legumina appellata, quia ita
leg*nturyetc. dunque da leggersi in Plinio :
ni cytisus, e/ cicere excepto, legumina, quae
leguntur e terra.
(4) In lingue italiani svanisce P etimologia
di legumen, cos detto da fcfe, cio da racco
gliere.
(5) Quae cibi sunt majoris. In tulle le edi
tioni anteriori e Vittorio si leggeva succi, in
luogo di cibi. Dall aver egli (rotato in tatti i
codici aeritto Ibi, he felicemente congetturato
cbe si debbe leggere cibi. In an codice non tan
to antico, dopo majoris ai trova aggiunto vir
tutis, di sopra passate in silenzio la parola
Mucci> ovvero cibi. Elegantemente ose' Verrone
il traslato di cibo ; il che us acche Lacreiio
nel lib. i, verso 354:
* Qaod cibus in tota usque vel ab radicibus imis,
Per truncos ac per ramos diffunditor omnis, n
Cosi pare Plinio chiam le piogge il cibo degli
alberi e delle foglie, dieendo al lib. xvii, cap. a :
Imbris pero tum expetendi evidens causa est,
quoniam arboresfoetu exinanitas, et filiorum
quoque amissione languidis naturale est avi
de esurire. Cibus autem earum imber. Lo
stesso pare dice Teofrasto in, a6, de c&us.plant.
Ursino e Scaligero fanno plauso a Vittoriq
per aver corretto il testo, metiendo cibi.
(6) Cum nec dum siliculam. In tali' i codi
ci Vittorio ha trovato : Cum dominus siliculam:
cus pare hanno le tre prime edizioni. Vittorio
oon festa ohe qui manifestamente v* errore;
ma egli non ardisce introdurre alcuna corre
zione. Scaligero poi non tanto timido; e a
dirittura cancella dominus, e legge : Cum sili
culam coepit* Ursino dubita se sia da leggere,
siliculam incepit, o siliquare coepit, appog
giandosi a quanto dice Pliuio nel lib. xvn, cap. 9:
Inter omnes autem constat, nihil esse utilius
lupini segete, priusquam siliquetur, aratro
vel bidentibus versa, etc. Veggasi Varrone in
qaesto stesso libro al cap. 3i. Popma cambia
dominus in non nimis, pereb Terenzio poco
dopo dice : Si ad siliquas non ita pervenit, ut
legere expediat; e ti fa forte col passo allegato
di Plinio, e con quanto dice Catone : Quod
granum capiate e Ramum, quem radicem ca
pere voles. Salmasio pure ita con Popma, leg
gendo con pooe differenze: quando minus si
liculam cepit.
Pontedera con molto ingegno spiega le pa
rola dominus in significato di donec. Qaae
modo ab Aldo ( dic egli ) edite ad hanc aeta
tem per omnia votumioa propagete sunt. Non
ea licentie abusi qui primi Varronem per f o r
mas, nt dicunt, exfttdeaditra curarunt, Jenso
ni ai nempe ao Bruyschnt : qaod in manoscri-
ptis erat, cura fide expresserant : Itaque lupi,
nurh cum dominus siliclam cepit. Qaam scri-
ptaram ex canclis codicibus aSert Victorius, eam
in Veneto qaoqae reperiatur, nec non in Cae-
senate. De qua dictione dominus qoid censeas,
sive ut verius dicam, quid conjieiana indicabo.
Opinor igitur donicum fuisse, qood a prisci
Latinis pro donec turpatura ab bomiooaa me
moria cum evanuisset, secala aetas snae impe
ritiae nimis indulgens, quia nihil aptias quod
ex illo conglutinaretur, occurrebat, in dominus
deformavit. Neqae iste error hec solo exemplo
patet : asserit Victorias saepe in hac voce a li
brariis esse peccatam, ut es Lacreiio ostendit
atque ex Catone, apud qaem donicum solatum
erit in domino curn solutum i r i t inverterant.
Itaque lupinum cum donicum siliculam ce
pit; rei : lupinum donicum siliculam cepit;
at enim in illo Catoniano donicum factam do
mino cum, ite hio cum dominus ; videlicet
qaoad siliculam ex flore emicantem ostenderit
( at de asparago Cato : usque licebit vellas, do
nicum in semen videris ire ) inarato. Si enim
ad siliquam -pervenil, nihil vel param ad ster
corationem refert n
(7) Quae sunt fructuosa propter volupta
tem. Pontedera vorrebbe caogiar propter in
praeter, e si appoggia a quanto disse M. Te
renzio nel cap. 7 : Quae specie fiunt venustio
ra, sequi ut majore quoque fructu sint ; ut qui
habent arbasta, si sata sunt in quincuncem
propter ordines atque intervalla modica. Egli
aggiunge che, oltre il diletto che arrecano i fiori,
qnesti si vendono, e in tal gaisa rendono frutti
fero il terreno.
(8) Scaligero vuole che si legga cosi : Item il
la quae ad hominum victum, ac sensum dele-
ctationemque non pertinent, neque ab agris
utilitate sunt dijuncta, idoneus locus eligen
dus, ubi facias salictum. Egli rende ragione
di qaesto cangiamento, dicendo che il talee to n
pu servire per nostro nodrimenlo, n po dilet
tare i sensi. Ma oguun vede che facendo punto
fermo avanti idoneus, si distacca un sentimento
dall altro.
(9) favam. E da leggersi ubi, secondo il
parere di Ursino ; imperciocch il sentimento di
pende dalle anteriori parole idoneus etc. Forse
forse non ha tutto il torto.
( i o) Lo flesso Urtino vool che si legga: Item
alia, quae arida loca sefuuntur, sic ut umbro
sis locis aita se ras, ut corrudam : quod ita
petit asparagus : et apricis, ut ibi se ras pio*
lam, et hortos facias^ quod a sole nutricantur*
Ma nemmeno cosi da leggerai, poich altra-
meati e 4 Uriino e dal ooitro tetto si ha Delle
tre prime edizioni, in qoella de'Giunti, Mi co
dici Fiorenti fri, nel Geseoatc e nell' Ambrosiano :
Seic uti untbroseis loeeis alta seras, uti coru
da, quod ita petit asparagus : et apreica, uti
ibe seras violam et hortos facias ; quod ea so
le nutricantur. Che P asparago arai i luoghi alti,
ce lo insegna anche Catone nel cap. 6 : Seicube
io ieis locis reipae........ibe corudam serito. G
pereki laoghi ombrosi abbondano a ocbe. d'umi
do, e perch il sole non li prosciughi, quiodi Co-
lamella nel lib. xi, cap. 3, iotegoa che i semi de
gli asparagi Uliginosis e contrario in summo
porcae dorso collocanda ; e rende la ragione
perch debbano mettersi nella sommit della
porca, dietndo ne humore nimio laedantur.
Dunque per tatte qaeste ragioni dorrebbe leg
gersi alta.
( n) Unde viendo quid facias. Tatte le edi
zioni, eccettuate quelle di Basilea e di Gimnioo,
hanno utendo, in luogo di viendo. Nonio dimo
stra eh' da Reggersi viendo, del cui verbo ne
spiega la forza e il signifieato al lib. u, pag. 189
dell* edizione di Mercir, dietro 1' autorit di M.
Varrone, di cui cita questo luogo, dicendo Fiere,
vincire, inflectere. Varro de R. R. lib. 1. Lo
tesso Varrone de Lingua Latina spiega 1fiere
per vincire. Viere ( dice ) vincire, a quo est in
Asoto Ennii: ibant malaci viere veneriam
corollam. Parimente Festo: Viere alligare si-
gnificaty unde vimina et vasa viminea quae
vinciuntur ligata.
Me se felicemente abbiamo restituito a Var
rone ciendo, e se ora il significato di questo ver
bo chiaro, non lo cos la lettera maiuscola L
avanti quidy che trovasi in un antichissimo co
dice. Vittorio confessa di non saperne P uso.
Scaligero pretende di averne sciolto il nodo al
cap. 5a di questo libro. Frattanto diremo con
Pontedera, che forse sono le reliquie di aliquid.
Anche nel codice Cesenate si legge L quid facias.
(ia) Ursino vuol leggere qualos, in luogo di
vallos. Gesnero fa derivare vallus da vanno,
come villum deriva da vino, catella da catena,
catillus da catino, pulvillus da pulvino, bellus
da bono e beno, e ullus da uno Anzi, eontro
Popiuione di Ursino, sospetta che qualus sia
nato da vallo.
( i 3) Ubi aucupare. In sentenza di Gesnero
sarebbe meglio dire aucupere.
6*9
(i4) Sic ubi cannabim. . . . paleas ...fune**
Differenti s o d o le congettsre de commentatori
sopra qoesto luogo. Ervagio odia sua edizione
ha aggiustato il testo cos : Sic ubi cunnabiwi,
linunf, juncum t spartum, unde lineas, restes,
funes facias, quibus nectas boves, paleas ; et
alia quaedam loco eodem, et alia ad serun-
dum idonea. Budeo a Sla pel ne' commenti sopra
l'istoria delle piante di Teo fra s lo lib. l, cap. 8,
e Gailandino de papyro c. 9, pag. 373 e seg. in
luogo di paleas leggono soleas, dicendo che si
formano delle scarpe, colle qaali s* investono i
piedi dr.' buoi, quaado s o d o offesi. Schoettgenio
dioe che in Colamella lib. vi, cap. ia si accenna
no qaeste scarpe pei baoi, ivi leggendosi ac so
lea spartea pes induitur.
Queste congetture per altro-non mi finlsoone
podio, ma piutlotto mi piaoe la congedare di
Pontedera, di coi per non n ben certo. Ecco
la qualunque si sia colle soe stesse parole: Din
multumque tota ingenii mei ade contendi, ut
qoid ex iis stiepibas eontexeretar, appellarelar-
que palea, cognoscerem: operam tamen, el labo
rem losi. Nune nescio quid drea palearia quod
in torque ad jugum anneoteodum babos implica
retar, paleae nomen a palearibus ductum occur
rebat : nunc cam Gailandino Badaeoque Stapelio
non paleas, sed soleae quibas ex sparto junoove
i q lex lis claudicantis bovis pedem induunt armen
tarii, ut esset conabar. Verum alrumqae e vesti
gio displicebat. Animadvertebam enim soleam
inter fuoes et lora nen proprie poni, neque rater
quotidiana in* tra meata quod perraro uso veni
ret : ilem paleas a palearibus neo commode fin
gi, nec licere sine exemplo, idqae ex verteram
mouamenlis non superesse, qaamvis molti ita de
re rustica seripserint, nt si nomen in villa habuis
set palea, locamqae inter funes, vel minas at(en~
dentibus aliquando excidisset. Hinc alia aUjae
alia diligenti meditatone animo volvebam, et
cam malle fingerem, ae refingerem, delebam
continuo omoia. Qooties etiam tentavi ex Aldo
(qui hoc esemplo Varroniana miscaerat: Ubi
cannabim, linum, juncum, 'Spartum, unde li*
neas, resteisy funes facias, quibus nectas boves.
Paleas et alia) quod scripsisse non poenileret,
vel invenire, vel comminisci? Cum ad capnt xxn
abi de stirpibus ad texendam aptis traotalar,
regressas Varronem vidissem nsrrantera quae
fiunt de cannabi, lino, junco, palma, scirpo, ut
funes, restes, tegetes, stati m in animam inda-
xi paleas esse a palmas vel palmam deforma
tam ; qaod praeter Varronem, molta ex palmi*
fieri aactores sant Colamella, Pliaias, et alii.
Non praetereundam tamen videtnr esse in illis
qoae de capite xxn commemorabam, qood non
63#
DI M. TERENZIO VARRONE
ANNOTAZIONI AL LIB. 1 DE RE RUSTICA 83 a
acque ao caetera probem. Unam oim eaademqM
stirpem faine f eteribas juncum ei icirpom (oam
hoc tempore in plora genera a nbis separantur)
qais ignorat? Propter qaod vel delendam scir
po, ut iu ulroque loco eodem quae ad e9sdem
ti militer cam laudantur, inter te conttent, io
sparto mutandam. Hac ratiooe palma paleae
manas commodiut implere poterit, dummodo
atraque similia pariter ordioeolur, ut palma
quae capite xxii sparto adnectitor, capite xxm
cam eodem copuletur, Columella eliam palmam
a* sparto non separante, n
(t5) Quaedam loca eadem alia ad serendum
idonea, u Eadem (avverte Getuero) primus casus
est, alia quarius: sententia, quaedam loca simul
ad diversa serenda sunt idonea, w Pontedera
vorrebbe cbe meglio si distinguesse : Quaedam
loca eadem, alia ad serendum idonea.
(16) Desitis seminibus. Vittorio avverte che
gli antichi codici hanno dessitis. Non contento
per altro n della comune lezione, n di quella
dei codici. Scaligero spiega che desita semina
sant in agro surcnlario deposili malleoli ; neqae
mendum est in bac lectione ; nam deserere, in
terram deponere. Tibullus :
u Nam veneror, sen stipes habet desertus in agris,
Seu velai in trivio florea seria lapis. *
Nam desertus et desitus idem ab origioe. n Ursi
no aggiunge che non fa mestieri cangiar questa
lezione; solo vorrebbe leggere dissitis. Pontedera
si attacca ai codici di Vittorio, e legge dessitis.
(17) De sationibus. Ponledera pensa che que
ste parole sieno state aggiunte dagli espositori.
Catone parla di ci nel cap. 6, e lo cita Plinio nel
lib. xvn, cap. 7, con queste parole: Catonis
haec sententia est, in agro crasso et laeto
Jrumentum seri, etc.
Ca p. XXIV. (1) Ecco qui uno di quegli etera-
pii, di coi se ne trovano molti io Catone, il quale
mostra che la divisione dei capitoli si fatta sen-
x1alcuu fondamento, poich il principio di questo
capitolo il seguito di un passo che si trova in
no .solo e medesimo capitolo di Catone. Noi di
remo qui una volta per sempre, che non ci
parso bene cangiar le divisioni de1capitoli, perch
e questa massima ti adottasse, bisognerebbe can
giar le divisioni di quasi lutti gli autori s sacri,
che profani ; il che farebbe che le prime edizioni
noo ci servirebbero pi. Avvertiremo per all1oc
casione ove queste divisioni non avranno luogo.
II capitolo dunque 24 comincia Stolo ad haec.
Aldo forse persuaso che non avesse luogo quesU
divisione, ed altronde vedendo necessario oo
verbo, aggiunse all* ottima parola delT antece
dente capitoloyrf, qaando che qoi deve ioteo-
dersi il verbo serere, che trovasi io fioe di qae
sto primo periodo.
() Oleam conditaneam. Catone oel cap. 6
ha conditivam, e cos pure legge Plinio nel lib. xv,
cap. 5 ma Nonio iu questo luogo di Varrooe leg
ge conditaneam, e interpreta t}oeir oliva quae
condi, pel condiri possit.
(3) Colminiam. Catone nel cap. 6 ha Colmi
nianam, come pure Plinio nel luogo suaccen
nato.
(4) Nisi qui inventum. Plinio, oel lib. xv,
cap. 5, dice : Spectare oliveta inEavonium lece
exposito solibus censet. E nel cap. 6: Nec ulle
alio modo laudat condi olivas opti me orchites
et pausias, quam vel virides in maria, vel
fractas in lentisco, etc.
(5) Licinianam seri oportere. Ursino ei av
visa che in an vecchio codice ti legge oportet* e
non oportere* Plinio, nel lib. xv, cap. 3, ha Liei
niam per Licinianam.
() In nn ottimo codice di Poliziano, in un
altro Fiorentino a nell* Ambrosiano si ba ei f e
rendo: in tre altri codiei, cio nel Cesenate, oel
Fiorenlino-Laurenziano e in qaello di s. Reparala
si legge ei serendo : laonde da leggersi : Sei ia
loco craso et caldo poseiveris, hostom nequam
fieri, et exsferundo arborem perire. gi noto
agli agricoltori che gli alberi col troppo frollare
muoiono. Per altro effero per produco io ado
pera anche Cicerone nel Bruto: Ager, qui mul
tos annos quievit, uberiores fruges efferre
solet.
(7) E x uno facto olei reficitur. Gesnero in
clinerebbe a leggere conficitur, ovvero efficitur.
(8) Exinde ut vasa. Abbiamo gi avvertito
nelle note al cap. ao, che exinde si adopera da
Varrone per proinde.
(9) Catone ha circum coronas, io laogo di
cireum fundum. Coo qaesto passo dunque di
Varrone si spiega la parola corona.
(10) Un de frons ovibus. Le parole di Catone
tono uti frondem ovibus et bubus habeas, e
perci non adopera il cato retto. da tcriversi
fros senza /1, come insegna Carisio lib. 1 Gramm.
Inst. dicendo: Fros, sine littera n, ne faciat,
inquit Plinius* frontis. Varro Rerum Rusti
carum lib. / .* Ulmos ac populos unde est f r o s .
Idem Antiq. Roman. lib xr: fr o s , foenum,
messis.
(11) Sed hoc neque .... sine detrimento, u Il
lud sed ( dice Pontedera ), cum interpuncto prae-
cedeule si tollas, concinnior erit oratio, et respi
ciet ad verba, quod Cato ait. Certe ant hoc sed,
aut quod illud periodum inchoant abest rectius.
833 DI M. TERENZIO VARRONE 834
Alio modo sepe Moda sunt : Sed hoc nque in
omnibus fundis opus est^ neque in quibus est
opus propter frondem maxime. Sine detri
mento.
(12) Sine detrimento .... plaga* etc. Il senso
vuole che dopo ponuntur si metta nisi, che forse
si sar perduto. Verrooe obbietta due cose al
preoetto di Catooe * nella prima che non in om
nibus fundis opus esse, perch alcune tenute
possono esser senza alberi ; dappoi che anche in
quelle che ne abbisognano, a motivo delle frondi,
non posse.poni sine detrimento; e perch?
perch colla loro altexia faono ombra a intercet
tano i raggi solari; e perci queste piantagioni
non ai possono fare nisi septentrionali plaga,
ovvero parte, perch cos hanno le Ire prime
ediiioni e il codice Cesena te.
(13) Catone ne parla nel cap. 6. Qni chiaro
che parla Stolone.
(14) Aptam esje utrique andem. Ursino
vorrebbe che si leggesse: Apta esse utrique
eodem.
Cap. XXV. (1) Qui locus optimus. Queste
cose sono gi traile da Catone, e per intenderle
pienamente, ivi si ricorra. Siccome ibi si legge
anche in Catone, cos Pontedera vorrebbe che
del pari in Varrone si dicesse: Soli, ibi aminaeum;
e mollo pi, perch Marco Terenzio solito tra
scrivere le parole di Catone come apparisce anche
in queslo capitolo : Qui locus erassut sit et ne-.
bulosus* ibi amineum majus.
(2) Et de his. Queste parole abbondano, se
condo Ursino: di fatti non si trovano n nel
cap. 6 di Catone, n uel lib. v, cap. 4*di Plinio.
Ca. XXVI. (1) Secondo Ursino da leggersi
observatur : in alcune edizioni si trova figatur
per tegatur, eh1 dei codici. E chiaro gi, che
ridica posta in sesto caso.
Le stesse cose insegna Plinio nel lib. xvn,
cap. a; con questa differenza per, che le vili
non sieno difese dall aquilone, perch il soffio di
queslo vento rende pi forti e pi robuste non
tanto le viti, quanlo i rami delle medesime. Qual
differenza poi passi tra V aquilone e il setlenIrio
ne, la insegna nel lib. 11, cap. 47.
(2) ll/eque propter eas. Scaligero dice che in
grazia del sepso e dei codici aotichi da leggersi
eos, poich qui intende di riferire il discorso ai
cipressi. Imponunt messo in luogo d' interpo
nunt. Budeo a Stapel ad Theophrasti hist.
plant. iv, 6 spiega imponunt nel significato d' in
terponunt: egli pure adotta la correzione in eo/,
la quale parimente confermata dal codice Ry-
ckiamo. Vittorio ei avverte che l'antica lezione
4 : Neque prpter eas ut adseruntf e t c e che
di aopra ai legge eos.
Scaligero insiste di nuovo, e dice che non
da lasciarsi V antica lezione : Neque propter eos
ut adserunt vites. Spiega egli aduugue: *Neque,
inquit, propter eos ordioes ila adseruntur arbo
res, ut adseruntor vil.es almi maritandis, qaae
dicuntur propterea aiKitae vites. Compendiose
igitur suo more dixit, pr, Neque propter eoa
ordines eupressorom ita ponuntur vites, uLadseri
solent ulmis, Hoc est. Non maritandae sont co-
pressi illis vitibus, sed' interjiciendi ordines vi
lium, ut vitae non adsitae ad cupressos videan
tur, quemadmodum ad ulmos solent;*sed at cu-
pressos scandant, ut in rumpis et traducibus fieri
solet, n Gesnero non ha voluto distaccarsi dalla
lezione Vittoriana : eas si riferisce a eupressos:
lasciando Scaligero ut slato nella necessit di
dare al verbo adserunt un significato totalmente
peculiare, e ristretto sol boto agli olmi.
Tutti hanno detto la loro congettura, la qaale
per noo appoggiata ad alcun solido fondamen
to, n fiancheggiata da altri antichi autori, n
tampoco adottala altronde da Varrone; per con
seguenza si pu produrne un' altra, la quale avr
se-uon alfro questo di buono, che si conformer
a quanto disse altrove Varrone.
Se stiamo attaccati a questa lezione, bisogna
dire che la vile e il'cipresso sooo tra di loro ini
mici. Ma se la vite ha dell'antipatia col cipresso,
e perch dunque questo se le pianta in vicinanza,
perch fa le veci della palanca, e perche.si fa che
sostenga la vite, o che vi si rampichi sopra ? Dun
que siamo obbligali a dire cbe il cipresso non
poi tanto inimico della vile. Il cavolo per con
trario e in sentenza di Varrone e degli antichi
creduto inimico alla vite. Cos pure peus Teo
frasto, e cos pure scrisse Plinio. Ma senza vagare
in altri autori citiamo la testimonianza di Varrone
medesimo, il quale apertamente parla di quest' i-
nimicizia ed antipatia nel Jib. 1, cap. 16: Si enim
ad limitem quercetum haeret*non possis recte
secundum eam silvam serere oleam; quod
usque eo contrarium est natura, ut arbores
non solum minus ferant* sed etiam fugiant,
ut introrsum in fundum se reclinent: ut vitis
adsita ad olus jacere solet. N piccolo indizio
di tale lezione ci somministrano i codici antichi
di Vittorio, leggendosi : Neque propter eos ut
adserunt vites* probabile essendo che olus sia
stato corrotto in eos ut.
(3) Quam hic ad quartum actum, u Nisi hac
parte ( dice Gesnero ) laxatas aat corruptus eat
Varro 9 quartum actum iutelligit membrum
quartum divisionis supra 1, 5 propositae, de tem-
poribaj, in quibas quartam ttmpas vai quartus
ANNOTAZIONI AL LIB, 1 DE RE RUSTICA 836
(ut i, 17 loquhar) gradui est kgeodi, m q no
esi vindemia, de qua c. 54 praecipitur, ut adeo
aatis matare fiscinam expedire et urnam jubea
tur Agrius; quod nescio quam inconcinnum
mihi quidem videtur. Praeterea tertia haec pars
libri primi cap. a3 ad 26 multo videtur negli-
geolius tractata caeleris. Ubi eoim verbum de
Ais, quae ad quamque rem sunt praepara ndat
qood promittitor 1, 5. Ex Catone plura inculcata,
quam ad rem facere videbantur. Breviter dicam:
aut egregie fallor, aat hac parte lerlia aocidit ali
quid Varroniano libro* ut non talis ad nos per-
venerit, qualem vir doctissimos dederat, *
(4) Fiscinas expedi, u Fiscinis uvae ( dioe
Ursino ) ex vinea in torealar portaotur et oleae,
aruis vero es torculiri et Uca in dolia. Verum
priusquam de fructibus agat, quartam aclum,
hoc est de temporibus finit, n
Cap. XXVII. (1) Cursus annetti*. Secondo
Ursioo la parola annalis abbonda.
(a) Ve re sationes quaedam fiunt. Ursino ha
letto in un vecchio codice stationes; roa tanto
gli, quanto Gesnero vogliono assolatamente leg-
leggere sationes. E singolare il cangiamento di
stationes in sationes, quando che tuti i codici
hanno stationes. Questa uniformit nei codici
a congetturare che la parola italiana stagione
siasi votola latinizzare in statione. Noi intendia
mo per istagione le quattro parti dell1 anoo, e
talvolta ancora il tempo opportuno di fare alcu
na cosa..laonde non sembra fuor di ragione it
credere che le parole stationes quae fiunt sieno
parole Inarginali, per avvisare che a quel luogo
M. Terenzio insegna ci che convenga fare in
tutte 1 stagioni, cio nella primavera, nell' esta
te, nelP autunno e nell inverno. E quindi appa
risce pur chiaramente quanto sieno pi corrotti
i codici Ceseaale e di Uriioo, i quali haono oon
stationes, ma beni) sationes. Di qual semina
gine qui ai parla ? Non egli vero che in pri
mavera non si fa alcuo semioamento ? Se ai fosso
detto pere arationes quae fiunt, non avrebbero
dallo tanlo male, perch appunto, come insegna
Varrooe, in primavera si ara, non mai s semina,
floi dunque persuasi che non abbiano luogo le
indicale parole, a dirittura le abbiamo omesse.
(3) Et simul glaebis a sole percalefactis ;
oos ba corretto Vittorio, perch avanti lui cor
reva capis io luogo di glaebis. I codici antichi
hanno claebis, e Poliziano claepis ac. Le let
tere C t O %i trovano confuse tra gli antichi li
brai. Ursino ha trovato in un vecchio codice :
Et simul glebis ab sole percalefactis. Egli in
clina a leggere diversamente : Glebas ab sola
percalefactas aptiores fi eri ad accipiendum
imbrem et ad opus faciliores reddi. Neqme eam
minus bis, etc., perch aventi precede : Terram
prescindere oportet. Egli cita a qaest* effetto
Plinio, it quale nel lib. vl, cap. a6 dice : Terra
in futurum proscinditur, Virgilio maxime
auctore, ut glebas sol coquat. Pontedera legge
con Ursino : Et simul glebas, eie. Lo stesso Pon
tedera, cangiata opinione, legge in altra gain
nelle sue lettere : o si ba da dire : Claebis per
calefactis ad caeler a aptiores, faciliores, rei**
xatas redigenda sant ; ovvero da frammettersi
segetes, la qual parola o si perduta, o pure a
bella poeta si cangiata dagP ignoranti corretto
ri in simul, non sapendo i varii significa ti di
seges. et Hoc de segetes si dabia (soggiunge
egli) et illud neqne ea in eas mutalo. Noscere
etiam oportet, nt exscripsit Poiilianoi, glaebis
nimirum claepis, onde vocaboli fons operitur,
ex xXel*, frango, alqae uu, terra, inserto , al
primam, deinde aepum. Qaod enim de
dura segete dum proseiuditur, magnae glebee
solent exrtari, ideo glaeba sive clatpa lerrae
membrum, vel pars de terra evulsa.
Virgilio oelle Georgiche ha espresso divina
mente le arazioni di primavera, dicendo :
a Pingue solom primis extemplo a meosibosanni
Fortes invertant tauri, glaehasqoe jacentes
Pulvernleota coqnat maturis solibus aestas, n
(4) Neque eam minus. Gesnero ha adottato
la correzione di Ursino, perch prima si leggeva
ea per eam. Forse che la seguente lettera avr
assorbito la lettera simile m.
(5) Aestate fieri messes oportere. Secondo
Uriino qui soprabbonda P al ti ma parola. Cice
rone nel lib. v de Repub. dice : Cumque A u
tumno terras ad conficiendas fruges patefe-
eerity hieme ad conficiendas compresserit, pe
re ad effundendas rtlaxaperit, aestate ali*
maturitate mitigaverit, alia torruerit.
u Vix dubitarem ( dice Gesnero ), quin nlro-
que loco legendum sit oportet ; sed adest etiam
excoli commodissime. Mirum, nisi turbas hic
dedit aliquis,-qui lemma adposnit,. incolcatom
deinde ab alio in ipsa verba Varronis.
Nel nostro testo si aggiunto da Ursino opor
tere avanti secundum, parola da lui credula ne-
cetsaria. Dice che invece di oportere si potrebbe
anche mettere oportune. Aestate f i e r i messes:
autumno siccis tempestatibus vindemias^ ae
silpas excoli; commodissime tunc praecidi
arbores, etc. Questa interpunzione pi giusta.
Cap. XXVm. (1) Gesnero s contentato in
quatto capitolo di adottare I numeri deU'edbiooe
837 *>l *1 TERENZIO VARRONE 138
di Commettilo e di aggi anger le varienti. Noi
per ia oo aliare d spinolo e difficile, abbiamo
procurato di aggiungervi quaoto ne haono de Ito
i dotti. Prima di tatto avvertiamo che nei no-
meri si de noi segnilo Saboureux, come quello
cbe ba procurato di rischiarare cose tanto oscu
re. Le edizioni variano mollo, come si pu rac
cogliere dii seguente quadro. Genson e Braschio
fanno 1 estate di 95 gioroi, le altre ediiioni di
94' Quelle fenno l autunno di 91 giorno, e cos
pare Grifio, Stefano, Commeliuo ; laddove Aldo,
i Giunti il faono di 92. L inverno in quelli ab
braccia 89 giorni, e con quesli convengono Gri
fio, Stefano, Comiaelino ; ma Aldo, i Giunti e
Gimnico danno all inverno 88 giorni. Laonde la
somma dei giorni dell anno presso Genion e
Braschio di 366, e appresto gli altri di 365 ; il
che pi ragionevole. Qui li divide l anno an
che in otto parti; e in.questa seconda divisione
li danno 361 giorno all anno tanto in Genson,
quanto in Braschio, qaando debbono euer 365,
come li trova in Aldo e in tulli quelli che l han
no leguito. Sono viiioie anche le edizioni di
Grifio, di Commelino e di Stefano, formando
mio 36a gioroi.
(2) Qui l interpamione guasta, dovendoti
distinguere coii: Quae redacta ad die s civiles
nostros, qui nunc suntr primi verni tempo
ris, etc.
(3) E x a. d. n i Id. Feb. Queite parole le
cita Florenlinut Geopon. 1 , 1 , da catti rileva
ehe le lettere iuisiali a. d. significano anta diente
perch Fioreo lina* mette tempre <r?J.
1 Romani nel metter la data del mete osava
no una maniera differtote dalla nottra, ettendo-
eh il mete lo dividevano io tre epoche princi
pali ; cio avevano l epoca degl idi, delle none
e delle calende. Gl idi dividevano il mete in dae
parti, e quesli cadevano nel giorno deeimoquinto
ei meti di Marzo, Maggio, Luglio e Ottobre, e
nel giorno dedmoterzo in tatti gli altri meti,
secondo le no tira maniera di contare. Le none,
e*i chiamate, perch cadevano nel nono giorno
avaoti gl* idi, erano per conteguente il tetlimo
giorno dei quattro mesi che abbiamo nomioati;
e il quinto di tntti gli altri ; quindi deriva la
diffrena* delle Nonae septimanae, e delle No
nae quinianae. Le calende erano il primo gior
no di ciascun mese. Tatti i giorni, dall una di
queite epoche tino all altra, prendevano il nome
dell epoca eh etti precedevano. Cos ti diceva :
ta) giorno avanti le none, tal giorno aventi le
caleade, tal giorno aventi gl idi ; per oonsegueo
aa il aettimo giorno avanti gl idi di febbraio es
sendo il tette di febbraio, tecondo la nostra
aies di contare, il giorno th to precedeva^ di
cui parla qui Varrone, ante diem n i ldib^s
Februariis corrisponde a tei di febbraio : coti
pure ir Idibus Maji corrisponder agli undii
di Maggio; rii Idibus Sext. ai tei di Agosto; e
i r Id. Novemb. ai nove di Novembre.
(4) Autumnales. E chiaro eh da leggerti
autumnalis, come ti Catto perai, aestivi* hf-
berni, 10 Ilio tendendoti temporis.
(5) E x a. d. r n Id. Sext. Pontedera vuole
che ti legga u i Id. Sext.
(6) Pontedera vuol cheti legga: Subtilius
deseretis temporibus, observanda quidem sunt
ea quae in partes m i dividuntur. Nelle prima
edizioni ti ha descriptis per discretis.
Plioio nel lib. x v i i i , cap. a5, per f a r e questa
divisione io otto parti, ti eoo tenia di dividere
per met il tempo, eh tramezzo i toltiizii e gli
equinozii. Quest autore, eome anfche Columella
nel Ubt ix, cap. 14* non ti accordano eoa Vafro
ne n intorno il namero dei giorni compresi in
ciascheduna stagione, n ini giorni, he'quali ette
cominciano.
(7) Noi t i a m o s t a t i Del l a n e c e i s i t d i d e c i f e -
r a r e m e g l i o a favonio; p e r c i o c c h s e a v e s s i mo
t r a d o t t o al l a l e t t e r a dal favonio, l a t r a d u z i o n e
s a r e b b e s t a t a v a g a e d i n d e t e r m i o a t a , p e r c h si
s a r e b b e p o t u t o i n t e n d e r e il p r i m o t e m p o i n c u i
c o m i o c i a a s o f f i a r q u e s t o v e n t o , e n o n m a i i l
p u n t o * d a c u i p a r t e q u e s l o v e n t o , e d o v e va a
t r a m o n t a r e i l sol e.
Pun t e d e r p r e t e n d e li a g g i u s t a r e i n u m e r i
n e l s e g u e n t e m o d o : A favonio ad aequinoctium
vernum dies n o n x l , s e d x l v : hinc ad Vergi
liarum exortum dies n o n x l i v , s e d x l v i : inda
ad caniculae sidus dies n o n x x i x , s e d x s i v :
dein ad aequinoctium autumnale dies n o n
l x v n , s e d l x t i i i : exin ad Vergili arum occasum
dies n o n x x x i i , s e d x l i v : ab hoc ad brumam
dies n o n l v u , s e d x l i v .
(8) Secondo questi calcoli, la prima divisione
dell anno per istagioni d 365 giorni, quando
che la seconde non ne d che 362. Cotale diffe
renza ba prodotto in queslo capitolo una folla
di varianti. Noi abbiamo tentato di conciliar non
solo Varrone con s stesso,-ma anche con Plinio,
Columella e con tutti quegli autori cbe gli si sono
opposti. I nostri sforii essendo riusciti vani, ab
biamo ( dice Saboureux ) stiaaato bene di consul
tare a quest uopo il de la Lande, come la perso
na la pi capace di accordare i varii sentimenti
degli autori. Egli ne ha astunto di buon grado
P incarico ; ma dopo on .matoro esame, ci ba re
scritto essere impresa inutile, come si raccoglier
dalla qui annessa risposta.
Vaaaons, egualmente ehe molti autori anti
chi, parlano spessissime volte del levare a del
a*9
ANNOTAZIONI AL. LIB. I DE RE RUSTICA
tramontar delle stelle; ma i loro passi sono per
lo pi o inintelligibili, o manifestamente difetto
si'. Generalmente si conoscono tre sorta di levate,
la prima delle quali la levata eliaca. Ogni
anno il sole col suo movimento proprio d1 occi
dente verso oriente, s'incontra nelle differenti
costellazioni dell1ecclitica, che rende invisibili
gli occhi nostri, in grazia del suo splendore.
Quando il sole, dopo avere attraversato una co
stellazione, abbastanza lontano da questa per
levarsi un1oca pi tardi, la co*tellazione comin
cia a farsi vedere la mattina, levandosi nn poco
avanti che la luce del sole sia tanto considerabile
per farla dileguare a' nostri occhi. E questo
quello che si dice levata eliaca o solare delle
stelle. Parimente il tramontare eliaco accade
quando il sole si avvicina ad una costellazione,
perch avanti che l ' abbia raggiunta, essa cessa di
farsi vedere la sera dopo il tramontar del sole,
perch essa tramonta dopo questo pochissimo
tempo dopo. Rendesi necessario soprattutto, per
la intelligenza della Cronologia e de' poeti, di
avere un' idea di questa levata eliaca.
Il levar di Sirio, da aooo anni a questa parte,
accadeva in Egitto verso la met di estate, quan
do dopo uoa lunga sparitione qaesta stella co
minciava a ricomparire il mattino, un poco avan
ti il levar del sole. La stagione che regnava alto-
fa, ovvero la situazione del sole, era presso a
poco ({nella stessa eh' tra di noi ai ia di Lu
glio : e quest1era il tempo iu cui le etesie, sof
fiando dal nord soli1Etiopia, vi accumulavano i
vapori, le nuvole e le piogge, e producevano il
traboccamento del Nilo. Per tal motivo il levare
di Sirio si dsservava con tutta la diligenza.
Gli antichi distinguevano ancora parecchie
altre specie di levare e tramontare eliaco delle
stelle ( Gemini elementa). 1 moderni, a imita-
zion di loro, hanno, distinto il levare cosnticoy
che si pu chiamare il levar del mattino, e il tra
montar cosmico, o tramontar .del maltiuo : cos
pare hanuo distinto il levare e il tramontare
acronico, che sarebbe meglio chiamar il levare,
o il tramontar della sera. Il momento del levar
del sole regola il levare o il tramontar cosmo.
Quando le stelle si levano col sole o tramontano
allo spontar del iole, si dice ch'esse si lavano o
tramontano cosmicamente ; ma quando le stelle
si levano o tramontano la sera nel momenta in
cui tramonta il sole, questo si dice levare o tra
montar acronico ; dal che ne segue che il tra
montar acronico succede dodici o quindici gior
ni dopo il tramontar eliaco, almeno per le stelle
vicine all' ecclitica, e che il levar cosmico pre
ceda della medesima quantit il levar eliaco.
Il p. Pelavio ha calcolato oon una tatola molto
ampia queste differenti torta di levare e di tra
montare delle differenti ttelle per il tempo di
Giulio Cestre; e nelle dissertazioni di quest*au
tore (lib. ii, cap. 8 ) si trovano molte inesattezze
e parecchi errori tcoperti negli antichi.
La maggior parte delle loro detcrizioni ai ri-
feriscono manifestamente a luoghi lontaniatimi a
quello in cui viveano, e a molti secoli addietro.
L'antica sfera greca attribuita a Chirone, si rife
risce a i35o anni allo incirca avanti Ges Cristo.
Vi tutta la probabilit di credere che sia stala
regolata da alconi astronomi egiziani ( D/eiut
de la Chronologie par M. Freret^ pag. 45g).
La divisione del Zodiaco forse pi antica di
Chirone; essendoch ragionevole il pensare cbe
sia stata fatta in quel tempo, io cui i levamenti
sensibili del principio di ciascheduna costellazione
precedevano di quindici giorni i punti cardinali,
vale a dire gli equinozii ed i aolstizii.
Al tempo di Esiodo, g5o anni avanti Cristo, i
punti cardioali erano nell' ottavo grado delle co
stellazioni ; e il sole entrava negli asterismi, o
nelle costellazioni otto giorni avanti d'entrare
nei punti della dodecatemoria, che portavano i
medesimi nomi : cos il sole entrava nella costel
lazione dell'Ariete otto giorni avanti l'equino
zio, cio avanti il tempo in cui i giorni erano
uguali alle notti. Columella, nel lib. ix. cap. *i4t
ci dice cbe i calendarii rustici di Metone, di Eo-
dosso e degli antichi astronomi seguivano questo
metodo, e ohe i giorni delle Ifeste, i quali dipen
devano^) principio delle stagioni, erano regolati
sopra queslo piede, a cui vi ti adatta egli ttesso.
Non vi si adattano per altro Varrone, Ovidio,
Vitruvio, Plinio, Igino, lo Scoliatte di Arato,
Marziano Capella, e nemmeno i calendarii del
venerabile Beda ( nato iu Inghilterra nel 672 ),
come osserva if p. Petavio (Disserta*, lib. 21,
cap. /r, pag. 43, editione di Anversa ipo5 ).
Pare che verso quel tempo si siano regolali i
calendarii, nei qoali il levare e il tramootar delle
stelle erano segnati in una maniera pi conforme
alle apparenze, che nella sfera di Chirone. Lt
idee astronomiche cominciavano a diventar pi
comuni nella Grecia per mezzo del commercio
cogli orientali : il calendario (atto al tempo d
Esiodo fu ricevuto dai Greci, e dopo dai Romani,
i quali lo adoperavano seoza esame, come ae foaee
alato fatto pel tempo e pel clima in cui eglino vi
veano. Cos bitognt levar 38 all1incirca dalle
longitudiui che hanno le ttelle nel 1770, te ti
vogliono far calcoli, i qoali sieno d'accordo ooi
passi di Ovidio, di Plinio, ec., seoza per altro
poter dire cbe abbiano segnila costantemente la
medesima regola.
Eadotto, che tcriveva 670 aoni circa avanti
Di M. TERENZIO VARRONE 4a
Ges Cristo, pare che abbia deteri IU U sfera
dietro una traditione pi antica ancora del tempo
di Esiodrf. Newton nella sua Cronologia pensa
ohe V abbia fatta sopra la sfera di Chirone, e ne
fissa l epoca a 936 anni m o l i Cristo ; ma Wiston
nella confutazione che ha fitta alia cronologia di
Newton, e Freret dopo lai, profano che la sfera
descritta da Eudosso e dal poeta Arato, si riferisce
all anno i 253 avanti Ges Cristo allo incirca.
Maraldi la fa rimontare a pi di isoo anni avanti
Cristo ( Mm. Acad. 1733, pag. 438).
Queste variet fannef che sia quasi inalile di
volere spiegare, o corneo Ure i pavi di Varrooe,
ore si parla di Astronomia. II p. Petavio ha con
fatato Scaligero e Salmasin, i quali hanno voluto
spiegare alcuni passi degli antichi ; ma pi facile
il contraddire alle congetture di un altro, che
trovarne di verisimili. Veggasi l Astronomia di
de la Lande, lib. viti, ore sono spiegati i principii
di questa materia.
C*. XXIX. (1) Putari in primis. Vittorio
non ba introdotto qoi atcnn cangiamento, avendo
trovalo della variet ne codici, i quali hanno in
pratis. Confessa per che la lezione del testo
non buona. Scaligero converte la lezione dei
codici putari in prato in putari vipretas ; im
perciocch, secondo lui, gli antichi scrivevano
vpres per vepribus, come dice di aver letto so
vente ne vecchi codici : al che non facendo atten
zione i librai, probabile che vipretas lo abbiano
convertilo in pratis. Aggiunge che tra gli altri
Prisciano dichiara che gli antichi hanno scritto
io femminino vepretm e myrtetam. Egli crede
verissima questa correzione, e la conferma col
l'autorit di Catone, da cui Varrone ha desunto
questo luogo, leggendosi in quejfo: Viam publi
cam muniri, vepres recidi, ortum fodiri, pra
tum purgari, virgas vinciri, spinas runcari,
etc. Pensa dunque che cos sia da leggersi: Puta
ri, circum vites ablaqueari, vipretas, radices
quae in summa terra sunt, praecidi. Pbpma
non persuaso n della lezione del testo, n della
correzione di Scaligero,einclinerebbe a leggere in
paratis. u Paratae vineae sont (dic'egli) qua rum
paralio instituta post vindemiam inter aequino
ctium autumnale et Vergiiiirnra occasum, denuo
repetitur et absolvitur inter Favonium et aequi
noctium vernum. Varro infra,: Deinde vites pu
tare incipere, et propagar$ et serere poma. .
Columella lib. xi: Itque ab idibus Januarii,
quod habetur tempus inter brumam et adven
tum Favonii. Si major est vineae yel arbusti
moduSy quirquid ex autumno putationis super-
fuity repetendum est.
Per nesso na ragione si pu ammeller Ia cor-
H . T b i e h u o V a b r o h b
rexione di Scalgero. Il luogo allegato di Catone
versa ju quanto permesso di fare ne1 giorni di
festa, e quali opere sono proibite ne1 medesimi,
tra le quali annovera il seminare, potar le viti,
sarchiar le biade e scalzare. Sspendo egli che gli
spineti oon si potano, ma si tagliano, cos stra
volge Varrooe putari: circum vites ablaqueari,
vipretas, radices quae in summa terra sunt
praecidi; e peroio gli spioeti, ehe secondo la
soa correzi one debbono essere retti dal verbo
putarif li a diventar sotto il verbo proscidi.
N pi felioe la eongellora di Popaaa putari
in paratis ; perciocch qual degli autori antichi
ci ha mai detto che la vinta parata sia la stessa
che semiputata ?
Pontedera finalmente dopo avere promulgate
varie congetture, si fermato a questa ; e in luo
go di leggere in primis, come nel nostro testo,
o in pratis, come si trova in tott* i codici, legge
intemperantis, a Qui in codicibns (dic' egli) le
gendis versantor, ut etiam ex rosticis exscriptum
habeo, haud raro est invenire tempratis el tem
prata scriptum ; propterea com in loe invenis
sent in tempratisi suhduclis lem, in pratis fe
cerunt. Proprius ad antiquam formam cpdex ad
s. Reparatae accedit, plura servans : putarim in
pratis. Si de putarim removes m , in facile
habebis, et secundnm in r i tem reliquias esse
non inficiaberis.
(a) Seges. . . arvum. . . satum est. Una delle
due : o la definizione, che qui si d della parola
seges, ha da aver luogo, e per conseguenza la
vera ; ovvero bisogna dire che in molti altri 1uo*
ghi si ingannalo Varrone, e seco tutti gli altri
antichi scrittori. questo dunque 00 passo im
portante, su cui ci fermeremo non poco, onde
apparisca chiaramente che altrimenti va definita
la parola seges.
Ecc9 la nostra proposizione : per seges s'in
tende quel campo che si suole arare e seminare;
* chiamasi segetem questo medesimo campo tanto
se nou arato, che arato, tanto se seminato, o
che si sia raccolta la messe. Varrone nel cap. 37
di.questo libr chiama espressamele segetem la
terra non arala, n seminata : Ad alia arandum,
aut fodiendum, ut si segetem instituas ; e nel
lib. 11: Ibi contra progenies eorum propter
avaritiam contra leges ex segetibus fecit pra
ta. Se Ia seges fosse una lerra gi seminata, noo
avrebbe detto Catone uel cap. 36 : Stercus co
lumbinum spargere oportet in pratum, vel in
hortum, vel in segetem : nemmeno avrebbe
dello nel cip. 38 : Virgas et sarmenta, quae
tibi usioni supererunt, in segete comburito.
Ubi eas combusseris, ibi papaver serito : e
finalmente non avrebbe dello nel cap. 39 : Sur-
4
ANNOTAZIONI AL LIB. I DE RE RUSTICA
44
cus dividito sic: partem dimidiam in segetem,
ubi pabulum seras, invehito. Nonio ci ha con
servato un frammento del libro intitolato Hor
tensius di Cicerone, in cui sonovi le segaenti
parole i .Ut enim segetes agricolae subigunt,
aratris multo antequam serant. Virgilio pure
con noi l dove disse nel principio delle Geor
giche : Quid faciat laetas segetes : e nel lib. n.
delle sieste. Ante locum similem exquirunt,
uj>i prima paretur Arboribus seges . Tibullo
parhnenle nel lib. i ;
ttFert casiam non calta seges, totosqne per agros
Floret odoratis terra benigna roris,
L'autore dei Moretum:
u ...............Tecl usque galero
Sob joga parentes cogit lorata juvencos,
Atque agit in segelem, et terrae condit aratrum. *
Finalmente, L. Attio* in Oenomno : Ferte ante
auroram radiorum ardentum indicem, cum
e somno in segetem agrestis cornutos cientyut
rorulentas terras teras ferro infidas proscin
dant glaebas%arvoque ex molli excitent. Da
tolte le allegate autorit si raccoglie adunque
cbe seges non n una terra arata, u seminata.
Ora si dimostrer che per seges si intende
una terra arala, ma non ancora seminata. Tra i
precetti Catoniani si trova questo : Segetem ne
defruges ; vale a dire non seminar in segetem
maggior quantit di semente di quella eh1 ca
pace di portar la terra. Varrone nel lib. i dice :
Quod ad sationem, tum (far) promendum, cum
segetes maturae sunt ad accipiendum. Plinio
nel lib. i disse : Segetes iterare.
Resta da mostrare che si chiama seges la
terra, in coi si fatta la messe. Varrone nel lib. i :
Licet videre segetes fructuosas, et restibiles.
Quod far ferro caesum farrago dictum, aut
nisi quod primum in farracia segete seri
coeptum. Strame Ata relinquunt in segete,unde
tollantur in acervum. . . Et stramenta stantia
in segetem relinquit, ut postea subsecentur.
E per fine Plinio : Segetes quae interquievere,
fundere rosam.
* E dnnque da inferirsi che per segttem non
s ' intende una lerfa arata e seminata, ma che si
riserba nel fondo per ararsi e per seminarsi.
Quanto fino ad ora abbiamo detto, ottima
mente corroborato dalle tre prime edizioni, da
dne antichi codici Vaticani e dal codice Veneto,
leggendovisi semplicemente : Seges dicitur quod
aratum necdum satum est.
La definizione, che qot si d dell' arvum,
ossia del campo da lavoro, quella appunto che
compete a seges, essendoch arvum # seges o d o
sinonimi. Gli antichi divideanoil fondo in prato,
in terra da biade, in bosco e vigneto, e il podere
cosi distribuito il chiamavano segetem o arvum.
Quesla distribuzione fatta anche da Servio,
dicendo : Aut arvum est ager idest sationalis :
aut arboribus conserendus : aut pascuus pe*
cor ibus : autfloridus, in quo sunt horti apibus
congruentes. La qaal divisione stata leoota
anche da Virgilio. Catullo in Mentulam ehiama
arvum quello che era* seges : Mentula habet
instar triginta jugera prati, Quadraginta
arvi, caetera sunt maria. Virgilio nel principio
del lib. n delle Georgiche disse : Hactenus arbo
rum cultus, al qual luogo dice Servio: Mire
iteravit illum versum : quid jaciat laetas sege
tes ; e senza citar Orazio e altri luoghi di Virgi
lio, che fanno oon noi, si potrebbe anche addar
l1autorit di Colamella.
In quella gyisa cbe seges una terra n arata,
n seminata, dtl pari 1' arvum una terra n
arata, n seminata. Columella oel lib. i : Interim^
qui frumentis arva preparare volent ; t nel
lib.. li: Non igitur fatigatione, quemadmodum
multi crediderunt, nec senio, sed nostra scili
cet inertia minus benigne nobis arva respon
dent; e poco dopo : Neque enim idcirco rudis%
et modo ex silvestri habitu in arvum traducta
foecundior haberi terra debet, quod sit re
quietior, et jejunior. Plinio nel lib. xvm ; Or
deum in novali, et in arvo quod restibile possit
f i e r i ; parimente: Omne arvum rectis sulcus,
mox et obliquis subigi debet. Plauto Trucj Non
arvus hic, qui arari soleat, Sed compascuas
ager. Tibullo :

u Agrcolaeque modo curvum sectarer aratrum,


Dum subigunt steriles arva serenda boves.
Si pu inoltre dimostrare che un suolo arato,
e non ancora seminato, si chiama arvum, come
si provato cos dirsi anche la segetem. Testi-
raonio*he sia Columelia, il quale nel lib. n dice:
Nam penitus arvis sulcatis, majori incremento
segetum, arborumque foetus grandescunt. Lo
stesso ci dice pure Plinio nel lib. xvm i. Male
aratum arvum, quod, satis, frugibus occan-
dutn est.
Per arvum si intesa ancora uoa terra arata
e piantata; del che si pu citar Varrooe, il quale
nel lib. i, parlando del vigneto, ha : Itaque ma
jores nostri ex arvo neque magno, sed male
consito et minus multum, et minus bonum f a
ciebant vinum et frumentum, Ma per tralasciar
molti passi di Virgilio, ci attaccheremo a no passo
di PJioio, eh nel lib. xvm : Ideo circa Mace
doniam Thessaliamqu cum florere (Ciba) in
cipit, vertunt arpa. Rubigo quidem maxima
tegetum pestis, lauri ramis in arvo defixis,
transit in eorum folia ex arvo. Reliqua pars
nonnisi cum salce arva visit. Pinguia arva
ex una seminis radice fruticem numerosum
fundunt, densamque segetem e raro semine
emittunt.
Pioalmente, si chiama arvum anche quella
lem, che dopo aver prodotto i suoi frolli, que
sti sono sUti portali altrove. Ci si ha da Cols-
mella nel lib. tt. : Quia constat arva segetibus
ejus macescere ; pari meo le : Nam vineis jam
emaciatis^ et arvis optimum stercus praebet
( lopinuin ). Pliaio parlando del tapino diee :
Pinguescere arva hoc satu vineasque diximus;
timilmeole : Vieia pinguescunt arva.
Dunque da inferirsi chiamarti lo slesso ar
vum e segetem.
Si poir obbiettare qaanto diee Feito : Seges
dicitur ea pars agri, quae arata et censita est:
arvum diximus agrum, necdum satum. ,Ma si
pu rispondere che alcuno avr inserito in Var
rone colali defioiaioni di Festo, o, eh' pi pro
babile, le definizioni arbitrarie innestate in Var
rone si taran pare inserite in Festo. Le autorit
da noi mentovate sono tali cbe facilmente ci per
suadiamo essere quelle defioitioni sparie e repu
gnanti a qaaoto ha detto altrove lo alesso Var
rooe.
(3) Renovetur rursum. Terram . . . . cum
iteratur, offringere vocant. Cosi ha eorreUo e
interponto Ursino, perch di sopra diate M. Te-
reozio: Terram proscindere oportet. A Schoett-
geoio sembra oscura la defioixiooe del aovale,
e perci qai mette quella deir autor aulico del
libro De limitibus, come pi chiara:.est tro
vasi sita pag. 293 delC ediiioae di Goetio : No
valis ager est primum proscissus, sive qui alr
ternis annis vacat novandarum sibi virium
causa. Novalia enim semel cum fructu erant,
et semel vacua. Egli propone te con quetla de
finizione foste d' aggiustarti quella del nostro
Tereniio. Ma risponde Gesnero che V autore
De limitibus u ulramqae tignificalioncm voci
novalis interpretatur. Varro illam modo respicit,
abi agrum notat, qui soperiore anno quieverat,
el nunc tanto matnriat conteri poleit, quod alias
etiam vervactum appellatur. Definitio Varroniana
obscura ett, quia ad etymologiam respiti L Se
canda aratione scilicet iteratione oon opai etl in
terra, qaae qaievit
Da noi non si sono tradotte le parole tra pa>
rentesi emm iteratur, offringere vocant, perch
8{S
tono manifestamene di altrui qumo ; del che to
na penaatitti mi Ursino, Pontedera e Geioero.
(4) Tertio . . . . lirare dicuntur. Siccome
Varrone ha detto di topra appellant, vocant, co
ti vorrebbe Pontedera che ti dicette dicunt, e
ometter boves. LucUq appretto Nonio: Qua^
propter deliro, et cupide officiofungor bovo-
rum. fsidoro Origin. xv, i 5 : Porca est quod
in arando extat, lira quod dejossum est : quio-
di aggiunge lirare, Uras, in quas femen jactum
est, addita tabella operire. E finalmente, per
tacer di altri, Plinio nel lib. xvm, cap. ao: Ara
tione per transversum iterata, occatio sequi-
tur, ubi resposcit, crate vel rastro: et sato semi
ne iteratio. Haec quoque ubi consuetudo pati
tur crate dentata, vel tabula aratro adnexg,,
quod vocant lirare, operiente semina, unde
primum adpellata deliratio.
(5) Qua aratrum vomere lacunam. E qoeslo
un luogo molto combattuto. Urtino ha trovalo in
un> vecchio codice striam in luogo di lacunam.
Egli definisce la stria qael canale, o quella fotta
che si vede nelle colonbe striale. Popma so spelta
cbe lacunam sia una gioita, ed ancor egli defini
sce la stria per on canale. Pontedera dice che la
parola striam un' aggiunta, ovvero tia ooa pa
rola sospetta, e che iu instriam tia da correggerti.
Aldo ha fallo di meno di striam, come pure an
che Vossio, Nonio Marcello 1 , 3o5 riferisce le pa
role di Varrooe nel tegnente modo : Qua aru-
trum vomere lacunam istriam fecit, sulcus
vocatur. Vi tutta la ragione dr credere che tale
debba etsere anche Unostro letto, tolo che q ve
ce d istriam da leggerti instriamv ettendoti
forte perduta la lettera n. Tanto Urtino, quanto
Popma t' ingannano apertamente in dire che
stria il canaletto, quando anzi quell1eminen
za che trovasi Ira due tolchi,come con molle ra
gioni ci avverte Baldo nel Lettico Vitraviano.
Vuol duiique dire Varrone che quella lacuna, la
qual tar instria, cio che in tutto il tuo tratto
tara priva di eminenze, ti chiama tolco. E qai fa
vedere la diligenza dell1aratore, il qaale non de
ve fare an tolco torto e qua batto e l alto, ma per
latto egualmente largo e profondo. Qael cbe
Varrooe chiama lacunam instriam, detto da
Catone sulcus perpetuus ; dunque lacuna in-
stria, cio tedia eminenze.
(6) Fa molto qui a proposito no1etimologia
dell1immortale Redi, la qaale alla pagina ag4
del tomo 11. u Prace. Quello spazio di terra, ch'
tra due solchi, dai Fiorentini dioesi porca ; a
dagli Aretini prae*. Porca dei Fioreolini nata
dar latino porca, che coti fa chiamata a por
riciendo, te vogtiam credere a Marco Terenzio
Varrone, cbe nel libro degli Affari della villa et
846
DI M. TERENZIO VARRONE
47
ANNOTAZIONI AL LIB. 1 DE HE RUSTICA
*4*
fasci scritto : Quod est inter duos, etc. Prue*
degli Aretini Tetra ti da ovvero rfar/ri
dei Greci, le qoali voci sigoifieaoo lo stesso cbe
prace . . . . Sono per alcuni, che affermano che
sieoo siate chiamate Tfao'tal dalla voce nrqovt,
che vale porro, perch nelle praci si semioano i
potri ed altri simili agrumi..
Seges qoi. posta in laogo di terra. .Micro
bio ni, a dice eh1 da leggersi porricit, e non
porrigit o porrigat. Festo : Porcas, quae inter
duos sulcos fiunt, ait Varro dici quod porri-
gunt frumentum ; ma qoesto medesimo Festo
riferisce un'altra etimologia, diceodo: Porcae
appellantur rari sulci, qui ducuntur aquae
derivandae causa ; dicti, quod porcant, idest
prohibent aquam Jrumentis nocere. Nam ere-
brio res sulci vocantur limi, o piuttosto por
cae. Ma Colamella oel lib. xi, cap. 3 : Liras ru
stici vocant easdem porcas, cum sic aratum
est, ut inter duos latius distantes sulcos me
dius cumulus siccam sedem frumentis prae
beat. Alfeno in L . D. de aqua et aquae plu
viae ha : Vicinus loci suf>erioris ita arabat, ut
per sulcos itemque parcas aqua ad inferio
rem venireU
(7) Sic quoque exta deis cum dabant, por-
ricere dicebant, u Sic ( dice Vittorio ) ex iogeoio
mend'vi. Antea eoim porrigere, corrupte lege
batur. Veteres enim librarios h*s litteras com
mutare solitos, manifestum est. Adnolavi io op
timo exemplari Grates, et Alagriores pro Cra
tes et AlacrioYes, scriptam esse : et contra Vir-
culta, et Fricor a, pro Virgulta et Frigora.
At vero porricere, exta dare, oon porrigere,an
tiqui io re divina facienda vocabant, qaod testi
monio elitra Virgilii confirmari potest, qoi in v.
Aeneidos extaque salsos Porriciam in fluctus
dixit, naro ita eam scripsisse nobiles grammatici
osteodunt. * Popma dice che ae Varrone avesse
icritto qaeste parole, avrebbe detto : Exta diis
cum dant, porricere dicunt. Egli di opinione
che qoesle parole sieno uoa glossa e uo' aggiunta
de* librai, poich Nonio cita le precedeoti parole
a tralascia qaeste altime. Dell* opinione di Popma
pare Pontedera.
Ca p. XXX. (1) Segetes runcari. Nel nostro,
tetto si ba dopo : herbam e segetibu expurgari,
le qoali sodo aperta mente glosse degli espositori.
Ursino aggiooge che ne* vecchi codici dopo run
cari si trova aggiunto id est.
(a) Boves terram proscindere. La parola
boves di pj, secondo Ursino, che vaole che si
legga proscindi per proscindere, e seri opor
tuerat io laogo di fieri.
(3) Prata defendi. Caper legge diffindi,
e dice che. bisgna etrooanto i prati di siepi, o
di altro, onde 000 eo trino gli armenti e le bestie.
Schoettgeoio pure fa piatito a Caper, e dice
che Varrooe al cap. 37 di questo libro ha : Jtem
praeparatio, si quae f l t in pratis, id est ul
defendantur a pastione. Ma noi abbiamo volato
seguir le tre prime edixiooi, le quali hanoo pra
ta aqua defendi.
(4) Quod si quae folia amktere. Vittorio ba
creduto di aver cos corretto il lesto : ed accioc
ch si confronti la differenza che passa tra P an
tica leziooe e quella del testo, non manca di ri
portarla : Quod si quae f olia mittere solent an
te frondere inceperunt, stati/n ad serendum
idonea non sunt. <4Primam syllabam indefinito
tempori addendam censui, t pro mittere, amit
tere scribendum, ul per quae jolia amittere
solen^ iotelligat qaae Graeci appellaat pe'&ofb-
Xirra. Animadverti eoim M. Varronem ila coa
vertere ex Tbeopbratto po&qfcXtiV. n
Questa la leziooe di Vittorio, e io progres
so stata adottata la tatti. Se beo si riflette It
leziooe dei codiei antichi, che confermata da}
codici Cesenate e Veneto, 000 da disprezzarsi;
im perciocch gli alberi oon mitterent folia, os
sia non frondeggerebbero, se prima non amisis
sent Jblia, cio te prima ooo avessero perdute le
foglie.
C a p . XXXI. ( 1) E t postea occare.Nonio 1, 3o4:
occationem ab occaecatis seminibus, qua id
afficitur, dici M. Tullius voluit de Senectute.
Terra cum gremio mollito atque subacto spar
sum semen excepit, primum occaecatum cohi
bet, ex quo occatio, quae hoc efficit, nominata
est. Sereno pare pretto Nooio : Occatio occat-
catio est.
() Quod ita occidunt, occare dicunt. Tale
ii ooslro testo. Festo particolarmente legge oc-
caedunt, diceodo : Occare, et occatorem Ver
rius putat dictum ah oecaedendo, quod cae
dant grandes glebas terrae, cum Cicero venu
stissime dicat ab occaecando fruges satas. Se
reno dooqae, Cicerone, Festo e Nooio haoo oc-
caedo ; perci io Varrooe da leggersi occae-
dere.
(3) Varrooe ha preso questo luogo da Teofra-
sto De causis planL in, 19. Colamella nel lib. it,
cap. 37 : Nam id plurimum refert non inscite
facere. Siquidem vel magis pampinatio, quam
putatio vitibus consulit.
(4) E terra. Ursiao persuaso che queste
sieoo- parole aggiunte.
() Eiuncidum. Questa leaione antica, se
condo Vittorio, avanti il quale correva evinci-
dum. ^l ' edizione de'Grifi delPaaoo t 54> ti
DI M. TERENZIO VARRONE 85o
ba junci dum y cio coltile quot o il giunco. Qai
da osservarci che, secondo I1 ortografia antica,
ei vale lo testo che i, come in eitur, eidem,
quei, postivi, etc., onde ancorch ti scriva eiun-
cidum, sempre s ' intender la sua derivatione da
junco.
(6) 1 nostri leggitori saranno benigni, se per
avventura non avremo bep tradotto questo luogo.
In compenso mettiamo quel poco che ne dicono
i commentatori, i quali ci abbandonano sovente,
ove il bisogno maggiore, a Majorem etiam
unde. Forte ( dice Gesnero ) trajectis vocibus le
gendum: Majorem unde etiam. Nisi tamen hoc
voluit Varro, majorem vilem non flagellum modo
appellari, sd etiam palmam v. Schoett genio ci
dice solo che pi comunemente si dice palmi
tem in luogo di palmam. Pontedera legge cosi :
Minoremflagellum ; majorem enim, unde uvae
nascuntur, palmam:prior, Utera una mutata,
declinata a varitiflatu flabellum similiter ac
flagellum : posterior ( nempe vitis major ) .......
u Quibus a Varrone doceri reor, qmi/xir/e fla
gellum uvas parit, a pariendo palmam dici ; qua
capreolum emittit, capream. Finalmente cos
traduce Saboureux: u Car, lorsqn un sep est minee
et dli comme un jonc, sa foiblesse le rend ste
rile, et il n' a pas la force de donner des tiges.
Lorsque ces liges soot petites, on les appelle fl a
gella ^mais lorsqu' elles sont grandes et en lat de
porter des grappe, on les sppelle palmae: les
premtres....
(j)'Quo ea vitis immittitur. Qui immittitur
si prende per submittitur.
(8) Exin mutatis .... capreolus dictus. Tutte
le ediiioni anteriori a Vittorio sono corrotte in
qtftsto luogo, leggendovisi o ex immutatis, o ex
imminutis, quaudo in Politiano si ha exin mu
tatis.
Vittorio ci d la lezione dei codici che, secon
do lui, abbisognano di correxione; e perci ha
ritenuto la corrente. L'antica questa: E x al
tera parte parit capreolum; is est coliculus
viteus intortus, -ut cincinnus : is enim vitis
quibus teneat : id qua serpit ad locum capien
dum quo capiendo capreolus dictus. Scorgesi
dunque che qui si tralasciano le parole caprea
dicta quod ; il che pure non si trova nei codici
Polixianeo, Rickiano e Cesenate. Popma, a ragio
ne, le ba intralasciale nella sua edizione.
11 seguente testo si legge io quattro maniere.
Aldo : ls est coliculus viteus intortus, ut cin
cinnus, etc. come sia oel testo. Nel codice Cese
nate : Is es t.... teneat id quod serpit ad locum
capiendum cum capiendo capreolus dictus.
Genson : Is es t .... vites quibus teneat: et quas
eripiat: et ad locum capiundum se erigit. Ex
quo a capiendo capreolus dictus. La quarta
maniera quella di Vittorio da noi gi riferita di
sopra. Dalla lesione di Vittorio e da quella di
Genson si pu trarre il seguente testo : Is est co
liculus viteus intortus ut cincinnus. Is enim,
vitis quibus teneat id qua serpit%ad locum ca
piundum se erigit, ex quo a capiundo capreo
lus dictus. Di fatti non il viticcio qoello che
serpeggia, ma la vite, ed quella che seco lo trae.
Scaligero dice chiamarsi capreolus u lascivia
quadam propter teneritudinem, n Veramente il
viticcio non tenero, anzi durissimo in eonfronto
delle altre parti della vigna ; ed tanto attaccalo
ai sermenti, che non si pu svellere se non oon
grande difficolt. E perch non si potrebbe anche
dire chiamarsi capreolus per una qualche rasso
miglianza alle corna delle capre?
(9) Quod valet cito. In Nonio ti legge: Varr
de Re Rustica Ubroi... quod venit cito. **Quae
magit \ dice Pontedera ) probanda; quia Graeca
lingua adeo familiaria Latinis erat, ut Graece
quid pronuueiautes explicationem apponere su
persederent Ideo Varro non quid etset mndmf,
nam notum omnibus, sed qua de causa ocinnm
dicium,, videlicet quod venit cito, posuisse vide
tur. Hoc et Plinio etiam confirmatur, qui a Var
rooe ocinnm appellatum a celeritate proveniendi
e Graeco quod diennt xitx, refert.
(10) Similiter quo occimum. In Nonio si ba
similiter quod,
(11) Quod citat alvum bubus. Plinio nel
lib. xviii, cap. 16 dice: Apud antiquos erat pa
buli genus, quod Cato ocymum vocat, quo si
stebant alvum bubus. Arduino sospetta che io
Piioio si debba leggere citabant, io vece di siste
bant; quaodo bene, aggiunge egli, Pozzimo non
produca effetti assolutamente opposti, secoodo la
maggiore o minore quantit. Come mai questo
celebre commentatore ba procurato di favorire il
sistebant di Plinio con tal raziocinio, quando
Varrone, il quale avea fatto nascere i suoi sospetti,
dice positivamente che si d ai buoi per purgarli,
e cbe a. motivo della prontezza, con cui opera
quest'effetto, stalo detto ocimum ?
(ia) Vittorio vi avvisa che ne'vecchi codici ti
legge: Id jst fabuli segete. In Plinio si ha: Id
erat e pabulis segete viridi desecta, antequam
gelaret. Sopra di cbe dice il p. Arduino : a Ita
Mss. At e l Varrone sincerius, antequam siliqua-
ret, vel generei siliquas. Ala tanto in Varro
ne, quanto in Plinio da leggersi, checch ne di*
cano gli Uri editori, e fabuU, ovvero e fabali, e
genat. In tuli i codici di Varrooe si trova genat.
Molli ignorando il verbo geno, hanno corretto
gerat. Prisciano libro x : Gigno genui, pr qua
geno vetustissimi protulerunt, Varro in Ando*
551 IN NOTAZIONI AL LIB. I DE RE RUSTICA
85t
bata^ sed quod haec loca aliquid genunt. Lutra*
ci nel lib. in ti servito delP infinito passivo:
a . . . Tanto magi* inficiendum,
Totum pone extra corpus durare, genique. n
Nel lib. xxx delle Pandette Fiorentine ti ba : Si
quis ita legaverit, si qua filia mihi genitur, i
haeres meus centum dato.
(i3) Ubi sata .... seri coeptum. Urtino pre
te* de che la parola sala tia una glosa). Egli vuole
inoltre che poco dopo si leggafarratea, oon gi
f a ra d a. Gesnero di opinione cbe la parola f a r
ia dal margine tenuta nel letto; e crede che
questo foste avvertimeuto di alcnno, acciocch
l etimologia ti prendesse piuttosto dafar, che da
Jerro. Schoettgeaio avverte che nel codice Rikia-
bo ti legge inde, in laogo di nisi. Finalmente
Gesuero cosi spiega Varrone: Ocinum est ex
illios mente viride sectum ex fabuli segete,
antequam genat siliquas. Contra ex segete,
ubi sata alia admixta,e. g. ordeum et vicia et
legumina alia, recisa pabuli causa viridia,
farrago d%ctay etc.
Sopra tutti Pontedera ha colto nel punto,
u Priranm cusam quod ante far ex binis codici*
bus Politianeo, et altero ad s. Reparatae quo con*
atitoarn ; nam quo pro quoniam et quia adhiberi
notura, et nota Ciceronis verba in Verr. vi : Non
quo quicquam metueret, aut suspicaretur.
Deinde ex tribus vitiatis codicibus, oerope ex
Politianeo ubi quo fare ferro caesa ; ex altero ad
$. Reparatae quo f a r t ferro caesa ; ex tertio
Caesnate quod f a r ferto caesa ; videbis si con
jectura nostra ferenda sit: quo facta fero caesa
jerago deicta. De farre quidem nullo modo su-
spioari possumos; miscentur enim una hordeum,
vicia, ei alia legumina in farraginem, non far.
Eropterea primom etymon affert ex ferro Varro;
ideo in Beroaldi editione, in tribus codicibus
Florentinis, et Caesena te non farrago, sed jer-
rago a ferro scribitur. Verum quid farta? Cum
farcire sit ex dissimilibus quid constituere; unde
farcimen ex concisis carnibus ct condimentis
mixtura; et fartum pars fici interior, quae ex
carne, humore, membranis, seminibusque in
unum cogitur; sic immixta et confusa in anum
hordeum, vicis, et' alia legumina, jarta. Appo
nam nunc prisca scriptura ( nam et virdea pro
liridiay ex quo ternacnlum nostrum verde, ex
tribus Florentinis codioibus; coepta pro cuso
coeptum ex quatuor codicibus, Florentinis et
Caesena te, confirmata habeto) hoc exemplo: Con-
tra ex# segete, ube sata admixta hordeum, et
f f i c w , $i legumina pabuli tusa virdea^ quo
farta fero caesa ferago deicta, aut neisei quod
preimum infaracia seri coepta, w
04 ) Quibuscunty etc. Ursino indio* a legge
ra : Quibus cum sursum vorsum serpit, et md
scapum aliudve quid adhaeret, id solet vincire,
etc. Qui non mestieri correggere id in f a n ,
come si fatto in alcune edizioni, ma bens in-
dispentabile.correggere quibus cum in qui cam,
riferendosi a capreolus.
(15) Quotidie. Nonio i , 3o5, ove riferisce que
sto passo di Varrone, sggiunge a quotidie vespe*
ri: la qual parola, come d avvisa Merder, si trova
in un ottimo codice di Vairone e ia al cane edi
zioni. Vesperi iooltre una parola necessaria,
perch questa faccenda ti fa appunto nel dopa
pranzo.
(16) Quod indigent potu. Nonio pag. 61
dice che qui fu scrtto .da Varrooe potvi, scri
vendo : Dativus pro ablativo. Sisenna Histo
riarum libro ////, Alii saltui ac velocitati cer-
tare. Varro de Re Rustica libro primo. A qao
quod indigent potui poma dicta esse possmnt.
Vittorio ci avverte di aver conservato la comune
lezione che trovasi nei codid ; e aggiuogeebe qui
vi la lettera L, la qual lettera, come congettura
Vittorio, vi stata posta per indicare la differente
maniera, con coi la scrive Nonio. Pontedera vuol
leggere potuis ; ed ecco le ragioni ch'egli ne allo
ga : u Dum ex Varrone huno locata refert Noniua
Marcellus, et potui tertii casas pro potu sexti
memorat, exemplari usam Nonium opinor, in quo
extrema littera in potui desiderabatur, ut nunc in
cunctis Varronianis duae; sed gignendi casum
potuis positum a Varrone existimo: qualia multa
ex Varrone apud Nonium supersunt, ot quaestmis
anu i s , rituis, partuis , vie tuis, fructuis pro
quaestus, anus, ritus, partus, victus, fructuf.
Porro vofia cum sit potus, recte hinc appellata
poma quia indigent potuis tradit Varro,
Ca p. XXXII. (i) Quarto intervallo..... cam
sit maturum. Rendesi necessario intrattenersi
aleno poco tu questo pasto. Plinio nel- lib. xvm,
cap. 17, ha: Varro quater novenis diebus f r u
ges absolvi tradit, et mense nono meti. Perch
danque in Varrone ti legge giorni quarantadn-
que, chi ha corretto Plinio con dire quinqaies
novenis, e chi con quadragenis quinis. Ma per
verit P errore non ist in Plinio, bens nel testo
di Varrone. Plinio inoltre ha seguito Teofraslo
nel lib. vili, cap. 3 della Storia delle Piante, il
quale dice che particolarmente in Egitto I orso
fiorisce in sei giorni, che nella Grecia fiorisce il
formeoto entro il settimo giorno, e cbe in pa
recchi altri paesi fiorisce nell' ottavo giorno. E
che sia il vero aver Plinio seguito Teofrasto, si
853
DI M. TERENZIO VARRONE 85f
raccoglie dal tegnente passo, dicendo oel lib. xvui:
Sed non ante supra dictum geniculorum nu
merum conceptus est spicae : qui ut spem sui
fecit, quatuor atit quinque tardissime diebus
florere incipiunty totidemque aut paulo plus
deflorescunt triticum et ordeum ; verum, eam
tardissime, septem.
Reca veramente ma rati gli a che per la fiori-
tura delle biade il assegnino da Varrone quindi-
oi gioroi, quando cbe da Teofrasto e da Plinio
se ne assegnano al pi sette, e da Columella ollo.
Egli ben vero ehe secondo il clima, il tempo
per la fioritura si accorcia je si al loga ; ma
certo altres che generalmente nell* Italia non si
oltrepassano pel formento i dodici giorni. I do
dici giorni, assegnali da Plinio in snleoza di
Varrone, si possono passare, dividendo in due
tempi la fioritura, dicendosi che i primi quattro,
o cinque giorni riferiti da Teofrasto e da Plinio
si consumano dal primo principio della fioritura
sino all intera spiegazione de1 fiori, e che gli
altri selle vanno consumati tra la intiera spiega
zione de', fiori e la totale caduta dei medesimi.
Varrone dunque ha tolto il numero pio alto
riguardo alP Italia, per cui dava i precetti, e non
si servito del numero medio, che conviene alla
Grecia, ove, pel maggior caldo, tutto si matura
pi presto. Per l ' istessa ragione ha prolungato
sino al nono mese la raccolta del frumento in
Italia, quando nella Grecia o rarissime volte, o
forse non mai si tocca il nono mese, come si
raccoglie da Teofrasto medesima e da Plinio,
dicendo questi : In Aegypto enim hordeum se
xto a satu menseyfrumenta septimo metun
tur. In Hellade ordeum in Peloponeso octavo,
et frumentum etiamnum tardius.
Concludiamo dunque con Pontedera: uCum
Aegypti mense citius quam Graeci*, fruges secent,
tertio gradu descendens Varro, nono in Italia id
fieri indicavit. Quoniam . . . . frumenta in Var
rone cum totam spicam ediderint, citius ad ma
turitatem pervenire, quam editores designant:
qoaolo rectius*est credere majori intervallo in
Columella a vero aberrasse in cujus libro n, fru
ges diebus x l post florem ad maluritatem deve
nire describunt!
Pontedera non senza ragione persuaso che1
giusta quello che dice Plinio, si debba aggiun
gere dopo maturum, nono mense. u Etenim
( die1 egli ) scriptum esse a Varrone : cum sit
maturum nono mense, non est cur dubitemus.
Hoc erat, qaod inter maturum et arationes in
priscis editionibus: collige. Inde suggestum est:
aut vacuam sedem, aut vitio deformatam, qui
primi id commenti.sunt, invenere, aut ipsi per
belle ita deformarunt. Cum itaque quid necessa
rio sit addendam, nihil commodius duco, qoam
si eo modo legamus ; nam triticum, peracto au
tumnali aequinoctio, mense octobri terrae com
mittitor, nt capite xxxiv docetur, atque eirea
solstitium quod ex a: d. vi eal. Quiot. conficitur,
tollitur; ideo nono mense a satione demetilur
maturum.
Ca p. XXX1H. (i ) Aequinoctium autumnale.
Varrooe si servito della parola autumnalycome
scrive Charisius de analogia, dicendo: Autum
nal. Varro aequinoctium autumnal, quod
idemyPlinius lib. n notat.
Cap* XXXIV. (i) Scribunt. Pensa Gesnero
che scribunt sia uoa glossa ; per lo che lo ha
posto tra parentesi.
(a) Come mai, diranno i nostri leggitori, cam
biar xci in xxcviu? La cosa tanto evidente,
che non ba bisogno di replica, poich dall1equi
nozio autunnale fino al solstizio d1 inverno non
vi sono cbe xxcviu giorni.
(3) Vi sono inoltre Columella e Plinio, i quali
noo solo condannano le seminagioni dopo il sol
stizio d inverno, ma ancora avanti il medesimo.
Columella vuole nel lib. n, rap. 8, che xx gioroi
avanti queslo solstizio, e altrettanti dopo, n si
ari, n si potino le vili e gli alberi; e Plinio nel
lib. xviii, cap. a4, dice: Inter omnes autem
convenit, circa brumam serendum non esse,
magno argumentot quoniam hiberna semina,
cum ante brumam sata sint, septimo die erum
pant : si post brumam, vix quadragesimo.
(4) Existant. Tuli' i codici hanno existant;
e pure stalo da molli adottalo exeant%quasich
in queslo luogo non volesse dire lo stesso. Il
Romano Oratore nel lib. ii, cap. a3 De divina
tione disse: Tages quidam dicitur in agre
Tarquiniensi, cum terra araretur, extilissc
repente.
Ca p . XXXV. (i) Dicunt. Secondo Ursino e
Gesnero da levarsi dicunt, non ritrovandosi
in un vecchio codice, come nemmeno nelle tre
prime edizioni,
(a) u Prius tfimen ( dice Pontedera) quae ad
rosam spectant, a croco sunt separanda, serere
liliumy crocum, quod jam egit radicem, ro
sam; ea (sive etiamy ut in primis editionibus,
vel etyut in Caescnale exemplari ) conciditur.
Etenim crocus qui autumnali tempore floribus
explicatur, citoque evanescit, nec libratarum ra
dicum eget, ut seratur; nec sic radicatus tuto
transfertur, nec dum demersis Vergiliis, id fit,
ob radiculas quas tabidas fert, verum ob bulbos
in quibus custoditur, plantatur. Rosa est, qoae
855 ANNOTAZIONI AL Lift. 1 DE RE RUSTICA 656
i radicem egerit, facta viviradix e seminario in
destinatam sedem ante brumam transit; sin radi
catam noo habueris; ut radicem capiat,i o virga-
lai patinare conciditor, obrnitarqne.
(3) La lezione che correr avanti Vittorio,
questa : Ideo quod necesse est e terra ad ea
obruenda pulvinos Jeri. La lezione del nostro
testo, che Vittorio non aveva introdotta che con
mano tremante, tata in progresso accolta e
difesa da tolti.
(4) Avanti Vittorio correva minorem, in lao
go di macriorem: V antico minorem piace pi
a Pontedera che il moderno macriorem, perch
Varronem totam sabolet; ablata entra terra,
tenaior para ac melior abducitor, et agrara mi
norem relinquit, n
Tempestates abluunt. Frulerio Verisim.
lib. n, cap. 22, interpreta abluunt per dissoluunt:
subtilius fortasse (dice Gesnero) et tamen ve
rius, nisi fallor, a veteri luo, qaod est apad Fe
stam m Lues.
Cap. XXXVI. (i) Hiberno. Qaesta parola ab
bonda, secondo Ursino.
(2) Posita. Ursino ha trovato in an vecchio
codice proposita, in luogo di posita. In Poli-
siano pare si legge proposita. In conferma di
che Ursino allega on passo di Plinio lib. xxxv :
Perfecta opera proponebant in virgula (f. per
gula) transeuntibus ; e uu allro di Cicerone:
Scriptae enim et datae sunt, ut proponuntur
in publico.
Cap. XXXVII. (1) Dies lunares. . . ad in
termenstruum. Varrone in queslo stesso capitolo
divide il corso mestruo della luna in quattro
parli, dicendo: Quemadmodum luna cuadri-
partita ? Et quid ea divisio ad agros polet ?
Tremelius, nunquam rure aude isti, inquit,
octavo sanam et crescentem, et contra sene-
scentem, et quat luna crescente fieri oporte
ret, et tamen quaedam melius fi er i octavo
post Janam, quam ante?Et sei quae senescente
fieri conveneiret, melius quanto minus habe
ret ignis id astrt^m ? Dunque poich la luoa
qaadripartita, e poich qai si accenna il giorno
ottavo avanti la lana piena, e parimente il glbrno
ottavo dopo la luna piena, cio il plenilunio, per
ci i giorni lanari non sono bipartiti, ma cua-
dripartiti, come pensa anche Ursino.
Stante le parole del nostro testo non sar
giammai la luna quadripartita. Oltre di che la
lana, da piena che era, noo cala sino alla nnova,
ma solo sino a quel punto io coi pi noi non la
reggiamo, per indi passare all* interlunio. La
prima divisione della lana dal sao principio
sino al nono giorno, il qual nono giorno cpd
omesso da Varrone, ma accennato nel lib. nt,
cap. 17, leggendosi nelle prime ediaioni: Qua
aestus beis cotidie ab ortu lanae ad nonam
proxsumam introeire, ac redeire rursms in
mare poset. La seconda parte dal giorno nodo
si d o al plenilunio, la qaale si chiama a oche octa
vo Janam. La terza quando rursus ad nanam
luna decrescit, la quale anche si chiama odava
post Janam. La quarta parte iodica la da queste
parole: quoada nona venitad intermenstruum;
e questa par(e si chiama ancora lana senescens.
Il codice di s. Reparata sincero e genaino, ed
ha: Dies lunares quoque opservandei, quei
quodammodo cuadriparteitei ; quod a nona
luna crescit ad plenam, et inda rursus ad
nonam descrescit, quoad veniat ad intermen
struo rn, a quo die de icitur luna esse extrama
et preima.
Ursino vuol che si legga : E t inda rursus
decrescit, quoad veniat ad intermenstruam,
quo die, etc., poich (dic egli) la parola inter-
menstruam si riferisce alla luna, non gi a dies:
io conferma di che cita Plinio lib. xyid, cap. ia :
Maxime autem intermenstrua mediaque ster-
corato ; e Catone nel cap. 37 : Stercus egerito,
nisi intermenstrua, lunaque dimidiata.
(a) Ursino vuole che s legga : Quo die diri-
tur esse extrema, et prima, a quo Athenis
eam diem appellant irnr xai rien. Pretende
dunque che siano da levarsi le parole luna e
rfioftaVo, le qaali, secondo lui, dal'm a r g i n e sono
passate nel testo. Varronc nel lib. v de Lingua
Latina dice : Luna quod Graece olim dieta
(virny unde illorum pam : ab eo nostri menses,
a mensibus intermenstrua dicta, quod puta-
bant i/iter mensis senescentis extremos dies,
et novam lunam esse diem, quem diligentius
Attici irnr xai ria* appellarunt, ab e, quod
ea die potest videri extrema et prima luna.
Vittorio pensa diversamente che le parola
rftaxada alii non sieno da intralasciarsi, perch
si trovano ne'codici antichi, k Eam (lectionem)
autem (die* egli), veram esse facile omnes intdli-
gere possunt. Quem Athenienses diem twwwaaut
rica appellant ( inquit Varro) alii Graeci
rftaxada vocant. Aristophanes, lepidissimas poe
ta, in hac voce jocatus est, in fabula, quam rtQiXms
inscripsit, fr ydf i f i xai ria tipi fa, ioterprea
ipsius multa de omni hac re et con snellitine
Atheniensium enumerandi dies mensis expo sai t.
Quemadmodum aatem apad Lartinm legimus,
primus Solon r f taxadety tmr xai rien appellavit
Caeduam silvam. Nelle prime edizioni si
legge caeduas silvas, per lo ebe verisimile che
85; DI M, TKRENZIO VARRONE
851
debba dire caedas silvam, ovvero silvas. Mo
nitore ao* est opus (soggiunge Pontedera) ot co
gnoscas, qood decrescente looe et fi eoa, silvam
in materiam eaedi, eam ad perennitatem id plu
rimam oonferte credatar nemini ignotam. At
eaedaam silvam, crescente lana, detondent, qao
eitias et melius regerminet ac resurgat.
Ne decrescenti. Ursino inclina a leggere
ut decrescente%etc. Plinio nel lib. xvi, oap. 39:
Tiberius idem et in capillo tondendo servavit
interlunia. M. Varro adversus de fluvia prae*
cepit observandum id (cio di tagliare) a pleni-
luit i is.
(5) Numquam rure. . . octavo Janam lunam,
quam ante. Ursino voole che si legga nel se
guente modo : Nunquam audisti, inquit, octavo
Janam lunam crescentem, et contra senescet1-
tem, et quae crescente luna fieri oporteat, ta
men melius Jieri post octavo Janam lunam*
Et si quae, etc. u Mihi videbatur (dice Gesnero)
lana glossema esse ejas, qai Janam sive Dianam
interpretari vellet, et illad et ancinis inclusam
abesse debere : nisi pro et tamen mslis attamen.
Octavo Janam eadem forma dicitar, at octavo
Kalendaty vel Idus intellecta r ante. Commode
hic jam Undaverat Macrobii locum Cl. Schoett*
genius, qoi Sat. 1, 9 : Pronunciavi*, inquit, Ni-
gidius, Apollinem Janum esse Djariamque Ja
nam ; adposita d littera, quae saepius i litte
rae decoris causa aponitur. Veggasi Scaligero
Emend. tempor. I. 11, p. 174.
La luna chiamata anche Jana o Diana, e
perch dunque la luna nel sao corso menstruo
chiamata luna Jana f Forse si potrebbe sospet
tare che la luna Jana fosse il plenilnnio, nel qaal
tempo riflette a noi tutta la luce che riceve dal*
sole; e siccome il sole si chiama Janus, cos si
dice Jana, qaando a noi manda latta la lace che
riceve da Janus. Dunque 1 ottavo giorno avanti
lunam Janam, h il settimo giorno di laaa nuova,
cio il giorno ottavo avanti il plenilunio; e per
conseguenza l'ottavo giorno dopo lunam Janam
alP incirca il vtgesimo primo giorno della luna,
cio Follavo giorno dop il plenilunio. Alle quali
divisioni se vi attendevano gli antichi, molto pi
vi attendono i*moderni ; e massimamente dopo
che P illustre Tosldo con una serie ragionata di
osservazioni ba messo io chiaro lume l influenza
della luna. Veggasi il suo anreo libro intitolato
Saggio meteorologico.
(6) u Haec nimirum ipsa est (dice Gesnero),
qaae lonae periodai in quataor, qaas hodie vo
cant valgo, quadraturas dividitor. Nam octava
Janam crescentem est prima quadratala ; o-
ctavaJanm decrescentem est quadratura ul
tima. rt
M. Tiatmio ViatoBi
(7) Varrone tfitta in progresso di tutte 1
parti di questa divisione, cosicch della prima
ne parla nel cap. 38 ; della seconda dal 3g al 44 ?
della terza nel 44? della, quarta dal 49 *1 55 ;
della qninta dal 55 al 61 ; e della sesta dal 62
sino alla fine del libro.
(8) Ad alia in praeparando, faciendi scro
bes. Avanti Vittorio correva at in praeparan-
do\ ma egli* dietro i codici antichi ha corretto
come sta nel testo, perch M. Tereozio in que
sto stesso capitolo dire ad alia arandum,
poco dopo ad quaedam, bipalio vertenda terra.
Qoi nsa in genere mascolino scrobes; il ohe,
secondo Nonio si osato anche da altri anti
chi scrittori.
(9) u Apparet *( diee Genero) offensos essa
qaoidam forma adiva diffundunt. Sed potest
credo, intransitive accipi, at terra movet, et
huic similia : qnanquam hic nequidere opus est.
Aliae int. arbores, radices suas diffundunt.
(10) Teofrasto parla di ci nel lib. 1, cap. r i
della Storia delle Piante. Plinio nel lib. xn,
cap. i, itando questa maraviglia, dice che qoe
slo albero si vedeva nell' Accademia e non nel
Liceo; ma noto che qaesli erano dae laoghi
separali. Cicerone Acad. 1: Quierant cum A ri
stoteley Peripatetici dicti sunt, quia disputa
bant inambulantes in Lycio : llli autem, qui
Platonis instituto in Academia, quod eSt al
terum gymnasium. Ma il padre Ardoino, per
conciliare Plinio con Varrone, fa vedere che sot
to il nome d' Accademia si comprendeva anche
il Liceo.
(11) Ursino legge cos : Ad quaedam si bu
bus et aratro proscideris, iterandum ante%
quam semen jactes. Item praeparatio si qua
Jt in pratis, ea est, ut defendantur, quod
ferey etc.
Ca p. XXXVili. (1) Veggansi i Gergia Gro-
ci, 11, ai.
(a) Plinio fa le meraviglie, perch ai tempi
di Varrone si dessero tante uccelliere, dalle quali
si traesse con ehe letamar le terre. A noi vera
mente ci non reca puoto maraviglia, perch ei
sono note le sterminate ricchezze e il sommo
lusso de' Romani s ne* trionfi che nelle cene
.de1 collegi,ove si adescava la plebecon eibisqui
siti. Non nemmeno da maravigliarsi cbe gli ani
mali diventino pingai collo stereo, poich le Sa-
aera Scrittura ei dice che V oomo po vivere collo
sterco delle oolombe, e che nell* assedio di Sama*
ria stato vendalo quartam partem Cabi ster
coris columbarum quinque argenteis.
(3) Si caveat dominus. Ursino diee cbe is
3i
B5f> ANNOTAZIONI AL LIB. I DE RE RUSTICA *60
n vecchio codice ti legga: S i cavetur ster*
f u e t t o .
({) Plinio nel lib. xvii, cap. 9 dice : Proxi
mum deinde caprarum est, ab hoc opium, de
inde boum, novissimum jumentorum, etc. Da
.questo pasto di Plinio congettura Ursino che ih
Varrone forse si debba leggere : Tertio asini-
num, tum caprinum, deinde ovillum ; non es
tendo verisimile, dice egli, che M. Terenzio ab
bia fatto di egnal virt qaesli letami.
(5) Minime bonum equinum. Plinio nel lib*
xvn, cap. 9 : Varro praeceptis adjicit, equino;
quod sit levissimum, segetes alendas, prata
pero graviore, et quod ex ordeo fiat, multas-
que gignat herbas.
(6) Robusta aliqua materia. Questa lezio
ne antica : avanti Vittorio si leggeva robustea.
Catone: Arbores stipites robustas facito, aut
pineas. Da robore dunque nato robustus. Pli
nio not pure questo precetto di Varrone, q nan
do disse nel luogo allegato : Palo e robore
depacto fieri jubet. Urtino vuole cbe si legga
aenza la particella in : Si modio robustea, etc.,
tome ha fililo Columella nel lib.'ii, cap. i5 : Sed
eodem medio loco robustam materiam figere
convenit.
Ci p . XXXIX. (1) Qoeslo secondo grado re
lativo alla divisione fatta nell antecedute cap. 37.
() Ursino vuole che si legga : Nam refert,
ut in agro ad quam partem, etc. Sic ad quod
tempus, etc.
(3) Inserificos. Forse qui da sottintender
ai melius : superflua 1 aggiunta di solet delle
edizioni Giuntina e di Gimnico.
(4) iocontrasUbile che qui manca la quar
ta semenza, poich si fa menzione soltanto di tre,
quando dovrebbero esser quattro. Popma, Ursi
no, Vittorio, Scaligero e Gesnero hanno ricono
sciuto questa mancanza, a supplire alla quale si
recinto Pontedera.
Se si fosse posto l ' occhio sulle prime edizio
ni, si sarebbero trovate le tracce di questo difet
to : esse hanno : Qua re cum semina fere qua
tuor sint generum, quae transferuntur e terra
in terram per se a natura, alia ex industria,
ut faciunt viviradices 2 quae ex arboribus, etc.
Qui certamente si trovano le vesligia di questa
maficanza, ma sono fuor di luogo. Prima per di
andar oltre da cercarsi ei cbe manca.: il che
faremo dietro Teofraslo, come quello a cui allude
Varrone* Egli dunque nel lib. 11, cap, 1 della Sto
ria delle Piante ha cos : u Le generazioni degli
alberi e generalmente delle piante, provengono
o sponlaueamente, o dal seme, o dalia radice, o
dallo stolone, o da soreoi o, o da ramo, o dallo*
stesso tronco, o anche dal legno inciso in piooole
parti. Da qaesto luogo di Teofrasto a raccoglie
ehe le piante nate spontaneamente tono quelle
che da Varrone si dioono per se a natura;
Che le piante nate dal seme si dicono ex indu
stria, delle qaali genera lioei ne parla Varrooe
nel seguente capitolo. Ma come poter asserire
ehe le piante quae transferuntur de terra in
terram per se, ci nasca a natura t Queste as
surdit stata evitata da Aldo, avendo egli nella
sua edizione : Quare cum semina fere quatuor
sint generum, quae non transferuntur e terra
in terram, sed per sefiunt a natura alia ex
industria, ut faciunt viviradices. Ove da os*
servarsi che se le ultime parole ut faciunt pivi-
radices le ha prese come un* eccezione della
prima specie, pu correre; che se poi le ha tolte
come nn esempio, ha detto il falso ; poich noa
vere che le msrgetle non si trapiantino da ooa
terra in un1altra ; corae d ' altronde falso che
ci si faccia spontaneamente dalla natura, dipen
dendo il tutto dall* arte : il che si eoo ferma da
quanto dice Varrone nel seguente capitolo : Pri
mum semen quod est principium genendi, id
duplex; unum, quod latet nostrum sensum;
alterum, quod apertum ; latet, si sunt semina
in a re, ut ait physicus A nax agora ; et s i aqua
quae influit ia agrum, inferre solet, ut scribit
Theophrastus. Illud quod apparet ad agri-
colaS) id pidendum diligenter. Qai dunque si
parla di due specie di semi, nno dei quali na
scosto ai nostri sensi, e l1 altro cade sotto i me
desimi. Di ambidue cant egregiamente Virgilio
nel lib. 11 delle Georgiche': del primo ne parl ia
qnesti versi 1
4 Principio arboribus vatia eat natara erean*Ks :
JVamque aliae, nullis hominum cogentibus, ipeae
5 pool e sua veniant; campoeque et flnmioa lato
Cerva lenent, ut molle siler, lentaeque genistae,
Populus, et glauca canentia fronde salicta ; n
e del secondo ne fece parola ne seguenti :
a Pars autem posilo surgnnt de semine, ut altee
Castaneae, nemorumque Jori quae maxima fron
det
Aesculus, atque habitae Grajis oracula qaercos.
Dalle quali cose si pu inferire che Varrooe
avr scritto verisimilmente, o in altra maniera
aualoga : Quare cum semina fere quatuor sint
generum, quae per se fiunt a natura, alia ex
industria.
1 codici di Vittorio e il Cesenate hanno :
Quae transferuntur e terra in terram vieas-
radices, ovvero pivairadiceS : Genson vi ag
giunge ut faciunt vivas radices. La quale spe
cie, siccome abbiamo vedo ter di sopri in Teo (Va
sto, si suddivide; poich una trae la sua ori
gine dalla radice, e di cui cos dice il Poeta Man
tovano:
u Pullulat ab radice aliis densissima silva,
Ut cerasis, ulmisque, etiam Parnassia laurus
Parva sub ingenti matris se subjicit umbra :
e r altra dallo stolone. In tre maniere si ado-
pra questo stolone: o si svelle dalla madre, e si
pianta :
a Hic plantas tenero abscindens de corpore ra-
De posuit sulcis; trum
avvero si enrva e si cuopre colla terra, o cme
dice Virgilio :
\
Silvarnmque aliae pressos propaginis arcua
Expectant; w
ovvero sia, come ti accostuma ai nostri giorni
negli agromi, si fa passare in nn vaso di terra
cotta, oode preoda radice
Ora viene la terza specie, indicala da Var
rone con queste parole: Quae ex arboribus
demta demittuntur in hmmurru Di questa terza
specie se ne fanno quasi due parli da Tcotra-
sto, le quali per oon differisoono che nella gran
dezza, e sono il sorcolo e il ramo, Virgilio par*
land di questo disse:
Rii radicis egent aliae, snmmumque pulator
Haud dubitat terrae referens mandare cacumen.
E parl d e i primo quando scrisse:
t Hic stirpes obruit arvo
Quadrifidajque sudes, et acato robore vallos,
A questa tersa specie di Varrone si riferi-
ceno altres le due ultime specie accennate1
da Teofrasto, dicendo egli che le piante na
scono dallo stesso tronco, o anche dal Irooco
inciso io piccole parti. Virgilio parl di am
bedue; e della prima disse:
* Sed truncis oleae melius, propagine vites
Respondent, solido Paphiae de robore myrtuf ;
della seconda :
Quin et caudicibus seelis ( mirabile dictu ! )
Truditur a sicco radix oleagina ligno, n
8Gi
Luigi Alemanni nella sut Coltivazione cant :
a Ma quel eh* pi, che dalla morta oliva
11 gi secco pedal segando in basso
Si vedran germinar le barbe anoora. n
Passiamo finalmente alla quarta ed ultime
specie compresa in queste parole: Quae imeA
runtur ex arboribus in arbores, e che da Teo
frasto i divisa iu due parli, cio in innesto e
occhio ed innesto a rametto: delle quali due
incisioni cos> disse Virgilio t
a Neo modus inserere atque oculos imponere sim
plex;
Nam qoae se medio traduot de cortice gemmae*
Et tenues rumpunt tunicas, angustus in ipso
Fit nodo sinus, huc aliena ex arbore germen
Includunt, udoque docent inolescere libro.
Aut rursum enodes trunci resecaptur, et alte
Finditur in solidum cuneis via, deinde feraces.
'Plantae immittuntur, nec longum tempus, ek
N ingens
Exiit ad coelum ramis felicibus arbos,
, Mirata estqne novas frondes, et non sua poma. *
Cap. XL. (i) Quod est principium genendi.
Questa la vera lezione, quanlunqde si abbie
nelle edizioni anteriori a Vittorio oriundi. I c o
dici hanno cenendi; errore nato dal cangiar il
G in C. Quanto dice qui Varrone, si trova in
Teofrasto de Causis Plantarum^ lib. i, cap. 5.'
(2) Aq s i s s gora era di Clazomeoe, e abban
don il suo patrimonio consideGebile per dedi
carsi allo studio. morto a Lampsico, dopo aver
fatto molti viaggi, a motivo d*istruirsi.
Il nostro Marco Terenxio ha preso tutto que-
sto dal lib. ut, cap. 25 della Storia delle Piante
di Teofrasto.
(3) Et si aqua. Secondo Ursino da leggersi s
Et aquanty quom plu i t, inferre solet: nelle
edizioni di Basilea e di Gimnico si legge : In aqua
qua fluii et int etc.
(4) Galbuli. Reca veramente meraviglia,come
Tornebo, uomo dottissimo, abbia voluto correg
gere galbuli, ovvero sia galguli ( voci ambedue
usale dagli antichi ) in globuli. Se Varronc si fosse
servilo della parola globus%non sarebbe stato me
stieri aggiungere la spiegazione id est tanquam
pilae parvae corticiae, essendo oosa nota anche
ai fanciulli ; ma sicoome ha usato una parola non
tanto nota, quindi stato nella necessit di ag
giungervi la interpretazione. Nelle glosse antiche
galgulus si trova interpolalo per bacca, e nel
lib. xvn, cap. 10 di Pii io si spiega galgulus per
pilula. Ursino poi di parere ohe le parole tan
86* ni M. TERENZIO VARRONE
863
ANNOTAZIONI AL LIB. I Dfc RE ROSTICA
66{
quam pilae parvae corticiaes iena d'altrui mano.
Teofraslo <Mce lo tetto nd lib. i* cap. io della
Storia dell* Piante.
(5) Num prima, etc. Aldo colP aver cangiato
nam m nmm ha volato dubitare quando che
Varrone non ha alcan dubbio, coftie conila dille
parole anleeedenli. I codici Polistaneo e Veneto
hanno nam.
(6) Secunda semina... a Non ex prima divi
sione e. 39, aed ex generali, qaa modo temina
mnia in prima et feconda divisit. Caeternm haec
Terba j secunda semina occasionem dedisse puto
laconae. Verba enim, qoae sequuntur, tempus
enim idoneum, etc. aperte nimis ad secundum
genus divisionis quadripartitae de qna cap. 39,
pertinent; qaod etiam Cresceotii locas jam pro
ferendas indicat Librario igitur vel vox tempus
bit potita vel secunda semina errandi occatio
nem et omittendi, qaod centies factam est, dede
re. Itaque lacunae signam adpotai. Cosi Ge
snero.
(7) Lo stesso ti ha in Teofratto nel lib. 1, cap. 6
de Causis Plantarum.
(8) Vernum tempus idoneum. quo minus
habet humoris. Nelle ediiioni anteriori a Vitto-
rio le quattro ultime parole si trovano in primo
laogo, persuadendoti gli editori che qui Varrone
dicesse che la primavera ha poca umidit. Ma ci
falso, perch queste quattro ultime parole ti
riferiscono al terreno magro e tecco, il quale in
tempo di primavera scarseggia di umidit. Se gli
antichi codici non avettero disposte le parole ac
cennate M qaeir ordine, con cui stanno nel tetto,
sarebbe alato ovile di meno mestieri cangiarle di
luogo, perch Teofrasto le ha poste altramenti
dalla tuddelle edizioni. Dunque il verbo habet
M i ti riferisce alla primavera, ma bens al ter
reno.
Creicenzio nel lib. 11, cap. aa, dice: Fiunt au
tem plantationes praedictae de mentibus Octo-
brit vel Novembris in locis aridis et montuosis
et calidis: ut ejusdem terrae superflua siccitas
circa plantas humiditate hiemis temperetur :
in humidis autem et vali i culo sis et frigidis
convenientius in Februarii et Martii semen
plantatur, ne superflua hiemis et loci humi-
ditas debilis plantae naturalem calorem extin-
guat. a Scilicet Theophrastus (aggiunge Gesnero)
et Varro praeaenem loci statum considerant,
Crescentias in fuluraro prospicit, etc. Caeterum
hanc observationem pertinere, statim subjungit
Crescentias, ad ea quae cum radicibus plan
tantur; quod est ipsam secandum genus semi
num quadripartitae divisionis, in quo versari
hanc locum apparet
(9) Quod ex arbore per surculos, etc. Vit
torio ha ritenuto la cornane, lesione, oon perch
crede che questa sia la Vera, ma perch qoalUi
dei codici parimente guasta : Quod ex arbore
per surclos defertur in terram si in humum
dmittitur in quibusdam, cum est videndum,
etc. Scaligero ha trovato pure ne1codici lo stesso
di Vittorio, te oon che hanno sarclos.io luogo
di surculos. Egli persuaso di leggere destri-
tury e non defertur; quantunque confessi che
sia tollerabile anche defertur. Secondo lai si in
humum demittitur sono ana gtaisa. E danqne
1 persuaso che Varrone abbia scritto : Tertium
gtnks seminis, quod ex arbore per surclos
deseritur in terram. Videndum, ut eo tmpo*
re sit deplantatum, quo oportet.
* Ursino ba Ietto in un vecchio eodice disseri+
tur, rat forse, secondo lai, meglio leggere dif
fertur, come si legge nel cap. 4a di qaesto libro.
Egli crede pure che le parole : Sic in humum
dimittitur, ut in quibusdam tamen sit sieoo
state aggiunte. Popma dice che deferre semina
in terram, vale lo stesso che disserere et demii*
tere. Columella nel lib* xi: Tunc etiam lupini
haec erit praecipua quidem satio, quem vel ah
area protinus in agrum deferri putant opor
tere; e nello stesso luogo: Per hos dies qaae*
cumque semina deferri debent, arbuscmlaeque
omnis generis recte ponuntur.
Noi crediamo che il vero testo sia il seguente :
Tertiom genus seminis, quod exs arbore per
surclos defertur in teram, quom in humutn
dimittitur, videndum, Uti eo tempore sit de
plantatum, quod oportet: Ora stando alla lettone
riportata dai codici, perch metterla condizionale
si in humum dimittitur T Forse che ci sempre
non si fa ? e noo tolgono i rami dagli alberi per
piantarli io terra? In quibusdam cum est videa-
dum, o come hanno le prime edizioni in quibus*
dam tamen est videndum. Qoi facile V accor
gersi che queste parole sono false, perch ci 000
si deve osservare solamente in alcuni sieno essi
soreoli, magliuoli, sarmenti, o verghe, maio tatti.
Dunque queste parole in quibusdam cum est
sono spurie. Si potrebbe rendere afta ragione
'probabile di qoest aggiunta, dicendo, che alla
parola si vi .sar stalo on segno, e che on altro
corrispondente si tari messo al margine eoa
queste parole in quibusdum cum est, cio chi
in alcuni codici in luogo di si si legge cum. Qee-
sto certo che rigettando quali sparie le aoii-
dette parole si ha un ottimo ed intero sentimento.
(10) Virgilio nelle sue Georgiche si servito
delle medesime parole di Varrone.
(11) Demum in oUagineis seminibus
alii taleas appellant. Vittorio non ha introdotte
in questo luogo slcon cangiamento, perch i
865
DI M. TEftBKZIO VARRONE
8 G6
co ilici variano Ira di loro : in titani ti )egge dum
in laogo di demum; e io atlri ai legge aliis eia-
volas per alii clavolas. Urtino pare e Scaligero
vogliono leggere dum, bench il primo creda
cbe tia meglio dire tum; e ambidue ti accordano
el rigettare la parola arbores%cbe da Gesnero
ai . metta tra partateli.
tt Non demum ( dice Pontedera ) sed tantum
dum io vetostia non impeettit libris invenit*
tettata r Victorias; ideo cam proximam praece
dat demittunt, ex ntroqae faiste demittundum
eam aliis aadeam affirmare. Qaod tam hoic sen
tentiae aocommodatint, qotm Varroni te inficit-
tarara non pnto. Reliqoa vero: In oleagineis
seminibus atqae appellanhtrii fortasse qai de-
murtata et lacera ex Nonio tibi probaverit; com
bic ex Varrone plara sumpsisse videatur, videli
cet : Taleas scissiones lignorum vel praeseg
mina Varro dicit de R. R. lib. t ; nam etiam
nunc rustica poce intertaliare dicitur divide
re pel exscindere ramum ex utraqu parte
mquabiliter praecisum, quas alii clavolas,
alii taleas appellant. Sed nam ita ineptas Var
ro aat Noniat qai taleam ette a Graeco $a\{a
non noverint : aut non ingenio a<leo obtaso et
piagai qai intertaliare ex hoe nostro vernacolo
termone atqoe a talea qaae secando fit, tale a re
primam, deinde tagliare ortnm non agaotet-
motf Qaare ista: nam etiam nunc rustica poce
intertaliare dicitur dividere vel exscindere
ramum ex margine, remotis Varronianit, irre-
paiate, ut mox alio in loco apad Noniuvn factum
stendam, atterere nolint lubitab*. Ergo qai
verbam intertaleo latinilate donarant, qao ju
re, quo aaetore, et qao exemplo fecerint, ipsi
viderint. Talea itaque $a\iay 9a7LiOj SaAof
venit, haec autem pullulo: clavola vero,
pro qao in antiquis impressis libri*, el non im-
prettit etiam legitur corropte sclavola, t clapa
ob timilitadinem deducitor, noroenqae trahit.
Concludamus taoe nihil-esse, qaod in Varrone
a t vitiatum daraneroas ; qaigpe illa etiam qoibas
Boannlli offendantur : ut sit semen. . . . praeci
sunt, quas alii clavolas, alii taleas appellant,
dilucida snat, ceq illud lib. ii horum (asinorum)
generea duo : unum feram, quos vacant Ona
gros. n
(ta).Pare che sia da levarsi il punto avanti
ridendmm, e che vada posta nna virgola.
( i 3) Secondo Urtino da leggersi : Neque
enim si malum pirus, hoc sequendum. Multi
mruspices audiunt, a quibus%etc. a Qaid j i el-
liptit bie ette! ( dice Getnero ) ita sapplenda,
neque enim hoc procedit, et si malus pirum
recipiat TTrantpotita verba nihil haberent diffi-
oltatia. Neque enim si malus pirum recipit,
etiam pirum recipit q u e r c u s Pontedera dutri-
boitee le parole di Varrooe oel tegutnle modo :
Non enim pirum recipit quercus; neque etiam
si malus pirum, hoc sequuntur multi qui aru-
spices audiunt multum, a quibus proditum*
(14) Si chitmtvtno a r dtp ici quelli che predi
cevano T avvenire dairostetvaiione delle vitecre
degli animali.
(15) Plinio, nel lib. x v i t , cap. pare 17, dicet
Quoniam ramo jam seri religio fufgurum
prohibet. E altrove nel libro e cap. i 5 : Neque
omnia insita misceri f a s estysicut nec spinas
inseri^ quando fulgura expiari non queunt
jacile; quotque genera insita fuerunt^ tot f u l
gura uno ictu pronunciantur. Veggasi aache
Palladio al mete di Febbraio.
(16) u Ut sit utraque malus. Videtor legen
dam ut si; ett enim exemplum ejat, quod dixit,
si ejusdem generis est. Verba vero, referentem
ad fructum, abundant, Cos Urtiao.
(17) Ex arbore .... exaequatum habeat. Le
tre prime editioni omettono quis: in vece di
e qua ti trova quam in Gentob e in Poliziano.
Pontedera amerebbe di rigettare surculum, e
leggerebbe aemplicemente : Exs arbore quam
volt habere, e/., ci che il proprietario desi
dera di rimettere per metzo del vicino albero.
Coti parafrasa Getnero questo laogo diffioile:
a In trbocit, coi interendut ett nobilior tarcufut,
ramo praeciso, uli mofit est, ac diflsso implio*
agricola, hoc ett inserii eum locum surculi ar
bori suae adhuc continentis, qui cohtingity hofc
est pertingit ad raraum praeciso no ac diffissum.
Hujus sarculi utraque pars, qoa intrare fi ituram,
et ioteriora rami contingere debet, extenuatur
et laevigatur falce, ita ot retiqat pars, quae coe
lum, hoc est liberum a$rem ( non accurate Iptara
regionera superiorem) visura est, corticem cum
cortice rami iptiut exaequatum habeatt tanto
uemp ftciliat cotlitarum.
(18) Quem insereret. Secondo Ursino > da
leggersi inserit, ovvero inseret.
(19) Ab altera arbore. Qaeste parole le cre
de Ursino di altrui mtno. Icuoo qai, o anche
lo stesso Varrone, avr voluto dichiarare la fona
di unde. Lo stesso si trova nel seguente capitolo
e io Terentio, E un. prolog. 11: Scripsit cau
sam dicere prius, uode petitor, aurum quare
sit suum, quam illic qui petit. Unde petitur%
cio reum, a quo petitur.
Ci r . XLI. (1) Caldrem. Le prime editioni
hanno calidiorem, ed il codice Politianeo cal
diorem. Crescenzio nel lib. v, cap. io, si servito
della parola calidiorem. Varrooe per altro ador
pera promiscuamente caldus e caldor.
86* ANNOTAZIONI AL MB. I.DE RE RUSTICA 869
(a) Quod inseritur caniculae signo, com*
modissime existimatur inseri. Qaesto il le
sto di Aldo, che servilmente si segaito Qpo ai
noitri giorni; ma se sliamoalle edizioni di Gon
ion e di Bruschio, a tnlt i codici esaminati da
Vittorio, al codice Polizianeo, e al Veneto e al Ce-
senate, si legge qui Jit caniculae signo. Alcuni
obbietteranno he qui non neutro ; al che si
risponde che appunto qui si adoperato in am
bedue i generi da Terenzio nell Eunuco, di-
ceado:
Hunc ocolis saia
Nostrarum nunquam quisquam vidit, P hae d ria,
e da Plaato Vidui. :
Die mihi, si aodes, qais ea est
Quam vU docere uxorem f
t Igitur qui ( aggiunge Pontedera ) cum sit pro
mite tue naturae, neutram erit, ex qoo cam d
insilitio ex prisca scriptura quid habemus. Simi*
liler cujus ia secando casa, et cui in tertio at-
qoe in sexto qui de omni re declarator. Nec se
cat queis vel quibus ior mollitudinis namero, et
ques quod non Unium qui eiqnae, cum de plu
ribus dicitar, sed etiam quos et quas significat.
Quapropter quid est cur apad nonnullos Unto-
pere hic Plauti versas exhorrescat f
An ita ta es animata, at qui expers matris im
perii sies. y
Tatto questo capitolo di Varrone tratto dal
lib. i De Causis Plautarum di Teofrasto.
(3) Lo stesso ba Teofraslo nel luogo citato.
(4) Questo precetto si trova pare in Teofrasto
nd luogo test allegato.
{5) Itaque vitem triduo . . . . humor ad-
venticius effluere possit. Per far s che l ' inne
sto delle viti don patisca, a motivo della troppa
umidit^ di coi abbondano, suggerisce Varrooe
o di troncar la vite tre giorni avanti d1 innestar
la, ond' etea il troppo umore, ovvero tia d ' in
nestarla senza tagliarle il capo, e di faiie sotto
1' innesto on taglio circolare, per dove possa
uscire il ridondante succo. Dunque avanti tri
duo va potto aut, che nel codice di Poliziano si
trova corrotto in cum, ed aut invece di at : tro
vati apponto aafnei codici Fiorentini, nd Poli-
liaoeo, od Cesenate e nelle prime edizioni. Inol
tre nell' edizione Aldina si legge qui in ea,
qaando le prime edizioni, doe antichi codici
Fiorentini ed il Polizianeo mettono quod ea,
che qui va preso per eae, perch siccome gli an
tichi dicevano ila, ilae%ilaeyilam, cos scrive
vano ea, eae, eae, eam. Finalmente da riget
tarsi V unde di Aldo, ed da soslitoirsi in yoo,
che trovasi taoto nelle edizioni, quanto nei co
dici, Sicch reca pilotando, ecco il tsto che noi
abbiamo tradotto : Itaque vestem aut tridu
ante, quam inserunt, des icant, uti ( quod eoe
nimhts est) humor disfluat ante, quam inse
ratur: aut in qua imerunt, in ea paulo infra,
quam insitumest^ incaedunt, in qma hamorad
venticius ex s fluere possit.
(6) Et si qua etiam ho rum natura aridio*
ra, continuo, u In quibus major ne fuerit Aldi
audacia, qoi priscam cusam aridior, Politianio
quoque libro nixom, io aridiora depravaverit f
ao secotae aetatis'editorom negligeotia, qai ad
nos tam foedum vttiuo} propagaverit, miraberis
Coti Pontedera.
(7) Ut quod transforas, meglio dir tom
Genton transferatur, e mettere una virgola
avanti in cacumen,
(8) De his (primis) quatuor generibmtk
Certamente che primis sovrabbonda ; e percio si
messo tra parentesi da Gesnero,
(9) E quibus parvis, quod enasci. Si legat
9 quibus, quod parvis, enasci coliculi vix que*
unt, nihil difficultatis fuerit. Volgata lectio oisi
ioepta, certe mihi est obsoarissima. Cod Ge
snero.
(10) Lo stesso si ha in Teofrasto nel lib. v,
eap. 8 De Causis Plantarum, e in Plinio nel
lib. xvn, cap. i 3.'
(n) Itaque fi cus .......... in hoc enim humi-
diora quam aridiora. Ursino legge calidiorm
in luogo di aridiora ; n si ta daqaal font*ab
bia tratto questa parola. Ursioo rigetta le pa
role in hoc enim liumidiora quam aridiora*
u Illud qaidem video ( dice Gesnero ) ibi haeo
verba esse obtcorissima ; sed ejicere propter ea
non ausim. Sono per veri l* osco re, ma riesco
no chiare se non si riferiscono a contra palma,
et cupressus, et olea, in crescendo tarda ; ma
beml alle superiori ficus,malus punica, et vitis*
etc. donque da interpretarsi : IUqoe in hoc
nempe. ad crescendum prona magis valent humi*
diora quam aridiora,
(ia) Orsino rigetta ex terra, e legge : Qaare
potius inr seminariis. Senza imitar Vardire di
Urtino, ti faccia et di ex, e si toglie ogni oscu
ri t.
(13) Il codice di Poliziano e le tre prime edi
zioni leggono diversamente da Aldo : Tum cmim
per resticulam foicos, quas edimus, maturat
perserunt.
(14) Ubi obrutae. Forse da leggersi, dice
Ursino, ut q luogo di ubi Qai certamente ne*
necessario questo eaogtamento, perch prece
dono le parole quo volunt mittunt.
(v6) Quam e taleis . . . . serimus. Ursino
dice che le parole quam # taleis sono stale ag-
giuole dagli spositori. Siccome qol precede ena-
cebatur, perci sarebbe forse meglio leggere
sevimus in luogo di serimus
Cip. XL1I. (i) De medica, Vittorio non trov
ne1codici queste due parole, e sospetta che vada
no trasportale ad in jugerum unum, qaal lemma
dell'erba medica. Scaligero con Vittorio; aozi
persuasissimo cbe tulte le parole del lesto sino
ad in jugerum tieno una coulinuaziooe dell'an
tecedette capitolo, perch l'erba medica spargi-
tur, e. P olivo demittitur, Popma e Pontedera
sono della stessa opinione: di falli l'erba mdica
addiroanda an terreno pingue e ben lavorato,
non gi arido e fangoso, cme ci assicurano anche
Virgilio, Columella, Plioio e Palladio.
(2) Sesquimodium. Culumell^ nel lib. l,
cap. 11, semina nn cyathum di erba medica in
uo' estensione avente dieci piedi di lunghezza, e
ciuqiie di larghezza ; per consegueoza nel lib. xvui,
sez. 43 di Plinio, non da leggersi in jugera
modia vieena, ma forse in jugerum modii bini,
o\ vero in jugera vicena modia tricena.
(3) I d seritur. Ursino lesse in uq codice id
dif fer t ur. Pontedera sembra approvare questa
lezione ; ma da rigeltarsi, poich l'erba medica
non si traspianta. Gesnero e Pontedera vogliono
die si leg^a semel jaciatur, oode non sia neces
sa rio seminare nuovaraeute. Vittorio trov nei
codici un X iu luogo di scilicet; e perci,Pon
tedera lo voleva esclusa dal testo.
Cap. XL11I. (1) Sesquipedem. oscuro in
questo luogo Varrone, non sapendosi ben dire
se il piede e mezzo appartenga alla pYofondit
della fossa, ovvero alla reciproca distanza delle
piante. Colamella nel lib. v, cap. 12, prescrive
cbe le piante del citiso sieno per ogni parte di
stanti ira di loro quallro piedi; e Plinio assegna
a quelle che hanno la lunghezza di an cubito,
uua fossa d i nn piede.
Cap. X L 1V. (1) Si macer, minusf Colamella
nel lib. 11, cap. 9, dice apertamente il contrario.
Ursino onrette poco dopo serendi, ed egregia
mente corregge il teslo cos : consuetudo erit, ut
tantum facias : quod tantum valet.... terrae,
ut ex, etc. P brevemente si pu dire facias.
Tantum valet,
(2; Garada. Non si sa esservi alcuna provin
cia, o citt con questo nome. Forse da leggersi
Gadara, di cui ona volta ve ne furono due nella
Siria. Cos correste Schoeltgenio, applaudito an
che da Gesnero. con questi Bocharto al lib. 1
delle 6eorgiche di Virgilio, ppg. 525. Ponte4m
oorregge Varrone per metto di Plinio, il quale
in d<ie luoghi dice apertamente che il terrene di
Bitacio frotta il cento cinquanta per ano.
(3) Debbesi ricorrere al cap. 37 di queslo li
bro. 1 commentatori discordano tra di loro sa
questo passo. Noi ci siamo fatto lecito, dietro i
codici e le edizioni, di cangiare Licinius in ///e,
qoasi che chiaramente non s ' iutendesse che Li
cinio ripiglia il discorso; Sarebbe da mutarsi le
corrente iolerpretazione cum sunt, matura pa-
riunt poma, perch certo che.gli alberi, 9 le
biade non partoriscono subito frulli malori, do
vendo prima precedere il concepimento e poi la
maturazione. Dicasi adanqoe praegnantia, cum
sunt matura, pariunt poma. Stando alle antiche
edizioni da tralasciarsi simile eiye da scriversi
Sic alia. A quo profectum, redit semen.
(4) Idem bis. Saggiamente Ursino e Pontedera
restituirono l'antica lezione, facendo diem idem
bis, conformandosi in ci anche a Teofrasto nel
lib. 1, cap. 14 De Causis ' Plantarum, Gesnero
difende senza TBg\oue.praegnatiortis; e vuole
che sia lo stesso di praegnationes.
Cip. XLV. (i) Prodit seges. Teofrasto nel
lib. vili, cap. 1 della Storia delle Pianl, e da
dove Varrone La trailo queslo sentimento, dice
che la fava esce un poco pi tardi dell altra bia
da; e perci sarebbe da dirsi prodit quam segts%
cio la biada. Pliuio oel lib. xvm, cap. 7, fa che i
legumi escano di terra sul quarto giorno,od al pi
lardi nel settimo. Non senta ragione adunque
voleva Ursino che dietro a Teofrasto e Varrone si
leggesse in Pii io legumina quarto, vel cum
tardissime quinto, Ursioo di parere cbe seges
ostendit sieno uoa glossa ; ma stando ai codici
ed alle auliche ediiioui da leggersi prodit. Se*
ges ostendit. Per seges qui da intendersi il
campo, o la terra seminata.
(2) Quam supra adolescunt. Pontedera, per
mezzo di Teofrasto, saviameote corregge il testo
eos: quam quae supra adolescunt, Ursino ri
getta la voce radices come superflua.
(3) Ringuntur. 1 codici esaminati da Vittorio
hanno tinguntur. Forse, secoudo lui, da leg
gerti tanguntur, cio feriuntur, caedunturque,
perch Varrooe nel lib. 11, parlando dei dannp
cbe ricevono le bestie dal freddo, ditte : Et inji
citur aliquid^ ne frigus caedat. Scaligero mette
restringuntur. Urtino restinguuntur, Schneide-
ro con Crescenzio c coo 00 codice V eoe to eingun-
tur, e Pontedera stringuntur, Gesnero sta per
la lezione del testo, dicendo che qoi si adopera
870 DI M. TERENZIO VARRONE
7i ANNOTAZIONI AL LIB. I DE RE RUSTICA 87*
quello verbo metaforicamente. Noi abbiamo tra
dotto Mringuntur, essendo certo che in gratia
della circostante aryi fredda gli omori si Mden-
m d o nelle piante, e cbe quindi interdetto i l ger
mogliamento. Gellio disse mare gelu stringi; e
Lucrezio morbus ut indicat, et gelidai stringar
aquai* Appoggiati a Poliziano ed ai codici, non
gi ad Aldo, da dirsi poco dopo : Nam prius
radices, quam ex eis quod solet nasci, cre
scunt.
(4) Neque radices longius. Scaligero per
suaso cbe si debba leggere nisi quo pervenit sol.
Urtino poi cangia tempore in tepore, e toglie di
meno longius, perch Teofrasto e Plinio dicono
lo stesso. Pontedera sta per la lezione del lesto.
Noi abbiamo volgarizzato il seguente testo dietro
a Popma : nisi quo tepor venit solis. Si potrebbe
nclie dire nisi quotenus pervenit sol. Forse fla
solis nacque his che,-come inutile, rigettalo da
Poliziano e da Crescenzio.
Cap. XLVI. (i) Dici potest. Stando a Teofra*
sto ed 11 Plinio da dirsi disci potest^ e poco
dopo discitur. Un argomento che conferma que
sta correzione, ce lo somministra il titolo. L'os
servazione smentisce qoanto asseriscono Teofra
sto, Varrone e Plinio circa il volgersi del girasole.
Deriverebbe forse questo dalla differenza del cli
ma? ovvero V heliotropium differente dal no
stro girasole? Egli certo anche oggid che le
foglie di parecchie piante seguono la luce del
sole, come sono alcune delle pinnatifide, le cui
foglie si serraoo nella notte, e si aprono la mat
tina : questo fallo per non ci avverte della sta
gione corrente.
Cap. XLVII. ( i ) Deligatis. Ursino vuole che
un poco avanti si legga molliore e che si riferisca
a natura, perch nel cap. 45 di?se quae molli
natura sunt. Lo stesso Ursino leva via deUgatis ;
uel che non ha tulio il torto, perch qui non si
adoperano che due gole tavole, le quali, per co
prire le cime delle pianticelle, basta cbe sieno
reciprocamente inclinate, e che nella sommit st
Combacino. Se fossero Ire, bisognerebbe allora
legare le laterali alla superiore.
(a) Aridae Jactae. Questa lezione falsa. Gli
agricoltori non debbono aspettare che le piante
diveutino secche, perch allora sarebbe toperflao
di sradicarle: d'altronde j semi delle medesime
sarebbero gi cadali in terra ; il che iocolca Var
rooe di evitare nel eap. 37 di questo libro. Si
pu dira o adultae, o vividae, ovvero validae.
(3) In nutricatu. Ursrao crede che sieno spu
rie questa parole. La seguente vooe quo o dt
interpretarsi per quare, ovvero da leggerai con
alcune edizioni fttin.
Cap. XLVIII. (1) Ursino taglia fuori frumen
tum. Due codici eie prime editioni danno il se
guente testo t frumentum, in quo culmos ex
tulit spicam. La sentenza di*Varrone riesce cosi
chiarissima, cio che tra i grani che si semina
no vi la biada, dalla col sommit spunta la
spica! in tal roodoii viene a distinguete la bia
da dai legami, dalla sommit dei quali escono
lateralmente le silique.
() Mutilata Indica Varrone che vi sono dae
speoie di spiche; una delle quali, oltre il grano
e la lolla, ha ancora la barba, come P orxo ed il
formenlo ; l'altra manca di barba, come l avena
e la spelta.
(3) Theca. Questa nn invenzione di Aldo,
perch Varrone ha gi detto di sopra, che la
gluma l ' involucro del grano. Dal vedersi poi
cbe nei cdici gluma et arista sano separate
dalle parole antecedenti e conseguenti, e che
restando isolate non danno alcun sentimento,
si ha nna ragione plausibile di sospettare che
sieoo parole marginali introdtte nel testo. Quel
lo dunque che noi abbiamo tradotto, il se
guente : arista quae uti acus tenuis longe emi
net e gluma, proinde uti grani apex sit'
(4) Enhemero era di Messina in Sicilia. Egli
compose la Storia degli dei dietro le inscrizioni
che aveva raccolte nei pi antichi tempi. Que
sta storia stala tradotta da Ennio.
(5) Spes. E messa in ridicolo da tatti cotale
origine* Veggasi Festo in spicum, ed Isidoro
Orig. xvn, 5.
() Frit. . . . urruncum. Noi non accenne
remo nemmeno le lunghe dissertazioni fatte da
gli eruditi su queste due parole : ci limitere
mo solo a dire che cotali parle non si trova
no nella lingua latina. La prima anche priva
della terminazione latina. Nulladimeno hanno
tentato alcuni di farla derivare dalla vooefrio,
per significare che questo grano senza sostan
za, e perci anche moltissimo friabile. Quando
anche ci fosse, ilche contro il fatto, essendo
queslo picciolo grano durissimo ; per qual ra
gione il grano inferiore, ugualmente senza so
stanza, e del pari friabile del superiore, avreb
be o nome differente? Si voluto parimente
cercare in queste voci on' etimologia greca, per
ch Varrone, se si fosse servito della propria
lingua, avrebbe cercato nella medesima la loro
etimologia, come ha fatto riguardo alle voci gia
mo, arista, granum, spica. Il pretesto fbraa
ragionevole; ma fiuo ad*ora le etimologie gre
che sono tanto ridiooje, che non possibile
87? DI M. TERENZIO YARRONE 874
che un 0000 tenuto ne faci* alcun etto. E ,
per lasciando che copra di est i minuti gra-
matiel ai lambicchino latto il carrello che han- '
no, noi ci delermineremf a credere ona delle
due: o che qoctle parole aono radici, o chc
aono corrotte. Ma, supponendola errori, il che
pi verisimile, come lieUbilirle nella loro in
tegrit, non essendovi alcun autore che froda
menzione di friL, o di urruncum ?
Cip. XL1X. (1) Se li sta al nostro lesto, pa
re che di sopra non ai sieno fatte parole della
nutrizione delle piante: on tale dubbio tosto
ai toglie, distinguendo il testo coti: Cum con
ticuisset, nec interrogaretur, de nutricatu ere-
dens nihil desiderari, dicam, inquit, de f r u
ctibus maturis capiendis. Ursino e Pontedera
vogliono, dietro alle prime edizioni, escluso il
le. Qui da avvertirsi che si parla del quarto
grado proposto al cap. 37 di qoesto libro.
(a) De his, Ursino e Gemer credono che
queste parole sieno di altrui mano. Quello che
certo si , che ninno sa a chi riferirle ; quando
bene non si sottintenda gramina^ voce dino
tata da Varrooe per herba.
(3) De pratis. Ancor queste sono parole
aggiunte, in sentenza di Ursino, e crede che
dal margine sieno passate nel teslo.
(4) Tuberosum. Pii io nel lib. xvni, cap. 28
dice: quoties secta sint, siciliri prata, hoc
est, quae foenisices praeterierunt, secari. Est
enim in primis inutile enasci herbas semen
taturas. Da Plinio adnnque si raccoglie il per
ch convenga siciliri prata : forse Varrooe avr
voluto esprimere lo slesso ; ma le soe parole
noo s o d o chiare abbastanza, per intendere cosa
sia il prato tuberoso.
Cap. L#. (i ) Metimur. Le edizioni anteriori a
Vittorio hanno metuntur ; il cbe meglio. Non
vi ha per altro alcuna pi assurda etimologia :
qui fa soltanto al nostro proposito il sapere a
quali cose applichi Varrone la voce messis. E da
cangiarsi con Ursino esse in est.
(a) Batillum. Gesnero persuaso che questa
pala non sia molto differente da quella che Var
rone nel lib. nr, cap. 6, vuole che si adoperi per
raccogliere il letame. Ma chi legger Plinio nel
lib. xvm, sez. 72, e particolarmente Palladio al
mese di Luglio, vedr che Gesnero andato lun
gi dal vero. Dietro a Plinio poi da cangiarsi in
Varrone batillum in vallum.
(3) Messe m. Non poi tanlo da disprezzarsi
questa etimologia. Varrone ha avuto in vista la
parola greca pivot.
M. T e r e u z i o Y a r r >n p.
(4) Come ti vede, Yarrone fa derivare la pa
rola pafea da palam che lignifica allo sqqperlo.
(5) Ut stamen,. Ursino crede che queste pa
role sieoo una glossa, come qltres le posteriori
in eqi. Tuli' i commentatori trovano oscuro que
sto loogo : di fatti non apparisce a quale dei tre
mdi appartenga 1' opera ; quando anche ci
fosse, certamente che non oonviene ad alcuno;
laonde o questo membro fuori di loogo, ov
vero si sono perdute delle parole. N Plinio, n
Columella d porgono alcnn aiuto per rischia
rarlo. Leggasi te non altro per maggiore chia
rezza in eoe, do in ejus segetis jugerum, ov
vero cum in jugerum, etc.
Cap. LI. (i) Nooio nel riferire qoesto passo di
Yarrone, cangia aestu in situ. Ognuno sa che
iti creta, di sua natura tenace, si ammollisce ben
s, come fa qualsivoglia terra, dalla muffa e dalla
umidit, ma non si contrae, n forma delle fis
sure : per contrario il troppo caldo e il secco,
facendo svaporare 1*umido, la addensa e la rende
piena di fissure. Duuque non fa al nostro caso
situ, ma solamente aestu ; c perci quello che
aestu est paeminosum fa delle future d pe
netrato dal sole, e quello che soffre la sferza del
sole non soggetto n a situmy n a paedorem.
(a) Est inimica. Queste parole oon ai trova*
no ne codia, ma in loro vece havvi de amurca.
Queste sembrano annotazioni marginali intro
dotte nel testo dagli imperiti : almeno egli cer
to che il senso intero senza di esse; e perci
Gesnero ha fatto bene a metterle tra parentesi,
(3) Bagiennis. Qoesti sono forse quegli stesti,
dei quali parla Plinio nel lib. 111, cap. 5, i 5 e ao,
che egli poi chiama Vagienas, e che li meUe nel
l a Liguria. Quanto dicono Silio v a i , 607 e Plinio
riguardo a questi popoli, si accorda totalmente
con .quello che qui dice Yarrone. Nei luoghi
moluosi o poco lootani dal mare, o al principio
de' fiumi, s ' inalzano nel tempo della messe dei
nembi.
(4) Retecta. Abbiamo tradotto questa parola
coerentemente alla spiegazione che ne fa Ursi
no. Questi vuole tolto di mezzo tempore me
ridiano ; ma a torto, perch allora il caldo
maggiore.
Cap. LI1.*(i) Chi vorr maggiori schiarimenti
su questo capitolo, ricorra alla pregevolissima
opera dell* illustre Scboettgenio, intitolata de
Antiquitatibus Triturae, pag. 35. L1 uso cbe
si fa della trebbia appresso molle nazioni Asia
tiche, descritto daSchaw ne'suoi Viaggi,Tom 1,
pag. 287, e da Graclin nell' Itinerarium rusti-
cum%Tom. ui, pag. i 4<
8t 5 ANNOTAZIONI AL 14B. I DE RE HOSTICA 8?
(a) Pontedera propone da esaminarsi il ae-
gueol* lesto : E x spicis in area exenti grana:
quodf i t apud alios jumentis junctis mi tribolo.
Id f i t e tabula lapidibus, aut ferro asperata
(quo imposito auriga, aut pondere grandi tra
hitur), aut ex assibus dentatis cum orbiou-
culis, etc.
(3) veramente ridicolo il dire che i giu
r a c o l i debbano essere b a l l a t i con pertiche, on
de il grano esca della boccia. Noi, come si Te de,
abbiamo modificato il teslo. Forse queste parole
appartengono ad un1 altra maniera di batteip
il formento, q u a l e appunto quella delle per
tiche, e di cui parla Columella nel lib. 11, cap.
21. Dunque qui havvi una lacuna, e non riman
gono che alcune tracce* Schoeltgenio ha tutta
la ragione di leggere quo ad ungulis; e noi per
ci P abbiamo seguito nella nostra traduzione.
Cap. L1II. (1) Venire. Qoi significa vendi,
al trameni non avrebbe pi luogo V alternativa.
Cap. L1V. (1) Lectius. Avanli Vittorio leg
getesi lectae jus ; ma egli corresse lectius per
ch nei codici trov cos. Altri leggono lecta ;
lezione che quadra pi delle altre, essendoch
per fare il vino, basta raccogliere 1* uva ; per
conservarla poi, fa mestieri scegliere la migliore.
Pontedera amerebbe che si dicesse sequius, vale
a dire che la pi catliva si porta al torchio per
ispremerla.
(j ) L'eruditissimo Reinesio Variarum leclio-
num, pag. 187, ha creduto che vinacea fossero
vasi per conservare le *ve; e si appoggiava a
Plinio, il quale, 1, 64, dice : Uvae in vinaceis
servatae faciunt screantibus sanguinem ; ma
chiaro cbe aono le vinacce.
(3) Areani. Ara abbiamo tradotto, perch
cos leggesi in molti codici ripulatissimi. Per
ara s' intende quel luogo elevalo della villa,
sia che si faccia di muri, come nel torchio di
Catone, ovvero di pali piantati in terra e di
stribuiti in quadrato, sui quali si mettono delle
pertiche trasversali e delle stuoie. Su quesle si
distende 1' uva e si fa seccare al sole, e poi si
allacca nell alto della dispensa.
(4) Circumcisitum. I Francesi chiamano que
slo viuo vin de taille, e Columella tortivum.
C a p . LV. ( i ) Legitur. Vittorio e Poliziano
lessero ne' codici laudabilior L. quam, etc. Sic
come di sopra vi melior, cos qui non avrebbe
luogo laudabilior.
(2) Non solum. Varrone in queslo luogo parla
di due incomodi originali dal cogliere le olive
per mezzo de' ditali : uno di questi quello chc
rigoaaia V offesa de rami ; 1' altro oon apparisce.
Pare dunque che quest ultimo sia, che racco
gliendosi le ave coi ditali, se ne lascino addietro
molte per la durezza dei medesimi. Dunque, ac
ciocch quest1incomodo oon fosse intralasciato,
era da aggiungerai una parola negativa, e ti ire
non solum non stringit baccam. Potrebbe an
cora darsi che in luogo di non fosse da leggersi
nimium, per la ragione che per la durezza dei
ditali stringendoli di troppo le bacche, noo solo
restano offese, ma anche si fa si che in uno alla
morchia sia spremuto qualche poco di olio. No
nio, citando questo passo di Varrooe alla voce
stringere, dice : Varr de Re Rustica lib. i,
quod non solum celeriter praeterire stringere
vocant, sed etiam re transglubit, Ogouoo vede
quanto corrottamente si riferisca questo passo di
Varrone da Nooio; ed da credersi che alle pa
role di Varrone non stringit baccam vi fosse
nel margine annotato cosa esse significassero, e
che perci ivi si trovasse scritto celeriter praete
rire. Inoltre sed etiam re transglubit sono pa
role corrotte; e forse re e trans sono le tracce
della voce ramos di Varrone.
(3) Alternis annis. Ponleder cooobbe che
qui v era un errore massiccio, coi Gesnero non
ha voluto abbadare, quantunque oe fosse avver
tilo. E dunque da dirsi singulis annis, o non
alternis annis, ovvero, il che megiio, alternis
annis non singulis ferre fructus.
Columella, nel lib. v, capitoli 8 e 9; Plinio,
nel lib. xv, cap. 3 ; Alamanni, nel lib. iv della
Coltivazione, e Vittorio, in quel libro che ha per
titolo Delle lodi c della coltivazione degli ulivi,
parlano in modo oon dissimile da Varrone. Ma
chi ben esamina la faccenda, vede che la ragione,
per cui gli ulivi oon rendono frullo e 000 dei
due anni l'uno, o mollo poco, noo da ripetersi
soltanto dal battere che si fa la pianta in senso
contrario, quando si raccoglie P ava; perch se
vero che si schiantano molti ramoscelli, vero
altres che quelli, i quali restano illesi, dovreb
bero mostrarsi carichi di fruita. Sembra proba
bile cbe ci derivi dall' essersi votati i vasi del-
l ' ulivo di materia oleosa, la quale oon s facil
mente si produce nel seguente anno. E tale scar
sezza di fruita si ravvisa nell'anno dopo iu tutte
quelle piante che ne produssero io gran copia
nellantecedente. Dunque, sebbene ogni anno fio
risca l ulivo, non perci lutti gli aani abbonda di
succo oleoso in maniera di poter nodrire tolti i
fruiti.
Bernard, alla pagina i 43 e 2f, insegna che
quella specie di ulivo che ha le cime lunghe, pro
duce frulli ogni anno. Egli* alla pagina 290, de
scrive e dipioge una specie di verme proprio del*
P olivo, che corrode e disecca molti ranmoetyi ;
io gr ni t di che cadono factfoaenle in uno alle
elive, qoaodo ti balie la pianta colle pertiche.
Inoltre qoesto verme, dal cui danfto parla anche
Plinio nel lib. xvii, cap. 24, PD " t o oorrode le
foglie dell1olivo, ma ancora, per mette dell* om
belico, * introduce dentro it nocciolo dellr oliva,
e fa ri be e^b innanzi tempo. Quelle olive cbe
cadono iu tal maniera el meae di Agosto e di
SeUembpe danno pochissimo olio; ma qoelle che
cadono dopo qoesto tempo, si possono raccoglie
re, bench l'olio che se ne trae sia di an ingrato
sapore, qoaodo si rompe il nocciolo, in coi si
trovano depositati de1neri escrementi. Quindi
molti pensano cbe debbasi evitare la rollora del
nocciolo, facendo cbe le marine da olio sieno so
spesa in maniera che il nocciolo non si franga.
Qoesti vermicelli amano di annidarsi nelle olive
abbondantissime di polpt.
1 Fiorentini, secondo la teslimoniania di Toz-
xalti, conoscono negli olivi on1altra malattia,
delta da essi rogna ; e questa la osservano ogni
qaal volta la corteccia abbonda di nodi, ne'quali
albergano de' vermi.
(4) Eligitur. Abbiamo abbracciata la variante
legatur del Polizianeo. Dunque 1*oliva si porla
alla villa per on bivio: per noa strada si spedisca
( legatur) quella cbe debbe servir di cibo, e per
l ' altra (legatur) quella che si spreme. Un poco
aranti leste Ursino cedit, e non redit. Qui cer
tamente cedit fa le veci di it. Esempli di tal fatta
se ne hanno io Lodile, io Varrooe ed in Pianto.
(5) Et balneas. Qoi certamente va aggiunto in
avanti balneas. da osservarti con Varrone De
Lingua Latina, lib. vii, pag. 93, e vi 11, pag. 114,
che adoperandosi balneas in plorale, si dinotano
i bagni pobblici, e cbe s* intende il bagno privato
colla voce balneum.
(6) Mediocriter fracescat. Secondo la testi-
moniaoza di Cresceozio lib. v, eap. 19, Aristotele
4ice che le olive sftlT albero non acquistano mai
on perfetto matorameolo, bench per molti anni
stessero sulla pianta. La vera e perfetta matura
zione la acquistalo tenendole ammoochiate per
molli giorni, perch -in tal modo si sviluppa il
fuoco, il qoale pienamente le matura.
(7) Per strias. Tntti gli eruditi hanno a voto
opiniate disparatissime. Noi per brevit noo
ammolleremo se ooo quella che ci sembrata pi
erisiarile. Varrooe, nel lib. in, cap. 2 De Villa
Sejana, dice : Nihilo magis torcula vasa vinde
miatoria, aut serias olearias aut trapetas. Si
tede duuque che i va vendemmiatori si oppon
i l o seriis ac trapetis ; e perci con Ursino
*Q*o da lasciarsi fuori le parole vasa olearia.
Di fatti l'olio si Ai per meno dei trapeli e dei
*77
Nfrchi, e si riceve nei vasi detti seriae. Osservisi
. per altro qui, che Varrone adopera un ordine
inverso, mettendo in ultimo loogo il torchio.
In quae eam terent. 1 commeotatori sono di
visi in doe partiti : chi legge come oel testo, e
chi quae res molae oleariae. Vittorio, Scaligero,
Popaia e Schaeidero stanno per quest1 ultima le
zione, ed aggiungono che quae res s o d o una
formola per ispiegare cosa sieno i trapeli. Cre
scenzio fiancheggia qoest* opinione, dicendo:
trapetas, et submittitur molae oleariae, quae
est de duro et aspero lapide. Presta* nel lib. 11,
pag. 141, la chiama pietra dura e bucherata.
(8) Fracescit. Propriamente le fraces sono le
reliquie della carne, o della polpa delle olive
frante; da qui nato il verbo fracescere, il quale
significa la mollezza delle fruita, ed il principio
della loro fcorrozione. A tutti noto che il caldo
ed anche il freddo producono la mollezza e la
corruzione particolarmente nelle olive ammuc
chiate. Celso, net lib. 11, cap. 24, oppone le pira
fragilia a quelle che si serbano. Di fatti, le prime,
quantonqoe sieno di on sapore austero, facilmeo-
te si guastano e si corrompono.
(9) Modicus. Pontedera vorrebbe leggere
medicus. Vero si che la morchia usavati per
curare il bestiame, come anche le piante amma
late ed aride degli ulivi; ma vero allret che
avrebbe nociuto, se si fosse adoperata in troppa
copia.
(10) Pare che questo precetto lo abbia tolto
dal cap. 93 di Catooe.
Cap. LVI. (1) Qui si parla del sesto grado, di
coi si fatta menzione nel cap. 37 di questo libro.
(2) Varrone in qoesto laofo oscuro per la
troppa brevit. Secondo Gesnero,avrebbe parlato
pi chiaramente diceodo: Id ex eo jntelligitury
quod pecus utroque posito illud libentius est,
ovvero quod, cio utrum horum, sit jucundius,
ex eo intelligitur, etc.
Cap. LVI1. (1) Veggasi il nostro Specchio
delle misnre, dei pesi, ec.
(2) Forse qui da intendersi la Calcide di
Negroponle, i cui laoghi, secondo l1asserzione di
Columella,lib. 1, cap. 4, aono tepidi nell'inverno,
e caldissimi nella state. Teofrasto nella Storia
delle Piante, lib. vin, cap. ultimo, afferma lo
stesso riguardo al villaggio di Cerinto, parimente
in Negroponte.
(3) Item hujus generis. Ursino vuole che si
legga : Item hujus generis quidam habent sub
terris, uti speluncas, quas vocant siros. Secon
do la testimonianza di Millerpacher e' suoi Ele
menti di agricoltura stampati a Buda nel 1777,
878
DI tf. TERENfflO VRRONE
a?9 ANNOTAZIONI AL LfB. I DE RE RUSTICA 8 8 0
Tom i, ptg. 439i 1 dei tiri, o del possi per
custodire il formento dar*anche oggid nell1Un
gheria : lo ttesso ti pratica nella Paglia. Insegna
inoltre due altri metodi per conservare il Tor
mento, ano dei qaali di formare de1macchi e
di bagaarli leggermente, ma tpette folle di
acqoa ; con cbe ti viene a fare che i grani della
auperficie germogfmo, e per contegaenza le pio-
dole 'radici vicendevolmente intrecciano ,. e
formano ana erotta che impeditee l ' ingretto
all1aria. Il tecondo poi oontiite nel coprire di
calcina il mucchio.
(4) Solum. Forse sarebbe da aggiungersi con
Cretcenzio, nel lib. in, cap. a, et latera, e fare
che il nostro testo fsse : Horum solum et latera
paleis sufaternunt. Nella traduzione italiana ti
ha : Alcuni altri fanno un pozzo, ed alle latera
pongono pa0ia, e tosi di sotto. 11 che pare che
tia necessario a farsi ; imperocch bitogna non
solo vettir di paglia il fondo del pozzo, ma ancora
i lati, quando nel medetimo ti ponga il formento
tpoglio de' sooi involucri. E cbe in tale ttato ai
debba riporre il formento, chiaramente si rileva
dallo stesso Varrooe, il qaale dice nisi cum pro
mitur ad usum. Vero si che Pliaio scrive che
ti melte ne' pozzi fornito dei saoi involucri ; ma
a chi ben riflette, non pare probabile che si deb
bano formare pozzi tanto ampii. Che te poi ti
rinserrano le spiche del formento, basta coprire
soltanto il fondo di paglia ; e in tal caso non oc*
corra introdurre alcun mutazione n in Varrone,
n in Plinio. Pontedera dice che le parole ne hu
mor, etc. abbastanza dinotano cosa sia da farsi ai
lai
(5) Apulia quidam. II secondo quidam con
vertito da Pontedera, dietro il codice Cesenate,
in quaedam. Nei lib. xvm, cap. 3o di Plinio, ti
ti trovano qoette parole di Varrooe riferite altra-
meoti, oio : Alibi contra suspendunt granaria
lignea columnis, et perflari undique malunt^
atque etiam a fundo. Qai, come ognuno vede,
in luogo di sublimia havvi suspendunt che equi
vale al supra terram di Varrone; per lo che sa
rebbe fortemente da sospettarsi che sublimia
fosse stato sublicia, come ti dice ponte sublicius,
cio sublicis, ostia aostentato da colonne di le
gno ; il che si accorderebbe molto bene con
Plinio.
(6) Regelarje. Urtino corrette il letto coti:
sed etiam subtus a ventis refrigerari possit.
Qualunque ia il verbo cbe si voglia adottare,
egli pare fuori di controversia che qui si debba
intendere rinfrescare, come dice anche Plinio nel
pasto allegato.
Cap. LV1II. (1) Fabaylegumina. Tolte le edi
zioni anteriori a Vittorio mettonofaba et legumi
na, altrimnti parrebbe che la fava na fotte on
legame. Plinio, nel lib. ivm, tez. 93, aggiunge :
Idem ( Varrone) fabam a Pyrrhi regis aetate im
quodam spem Ambraciae usque ad piraticam
Pompeji magni bellum durasse annis circiter
centum viginti. Quest# parole si tono perdute
nel testo di Varrone, d invece si tono 90 sii tui le
le parola tratte da Catone. Varrone, 00me si ae da
lai stesto, gaerreggi con Pompeo nella Grecia. I
Georgici greci, 11, a5, spruzzano di acqua marina
la fava? e Col omelia, lib. n, cap. 10, preserva ca
la lente.
(a) Cio nel cap. vii.
(3) Et Amiti *eas. Urtino, Pontedera e Schnet-
deco vogliono che ti omettano qaeate parole, ov
vero che ti legga id est Aminneas^ o aut. Havvi
nel testo V ava amminea e la acaoziana, ma Cato
ne nel cap. 9 non parla punto dell ava scagliane ;
e Plioio, nel lib. xit, cap. 4* dioe eapressamente
che Varrone d il nome di toanziana a qoella cbe
Catone chiama amminea ; per conseguenza ra
gionevole la correzione dei tre mentovati eroditi.
Cap. LIX. (i) Si crede che i pomi rotondi
tieno quelli che i Francesi chiamano p&mmes
de Rambure.
() Si dicono mustea, perch dolci qaanto
il motto ; e melimela, cio dolci quanto il miele.
(3) Supra paleas posita. Stando a questo
testo, non bene si comprende quanto insegna
Varrooe. Nelle prime edizioni e ne' codici ti ha
che in luogo arido e freddo ai ditlende la pa
glia, e cbe poi topra di quetta ti mettono i
pomi. Duoqae tono da ritUbilirti le parole an
tiche supra posita palea. Cicerone nei lib. m,
cap. 5 dell1 Oratore, conferma questa maniera
di dire.
(4) Laudabiliter faciunt. In molti loogbi
di Varrone inoonlrasi questa vooe laudabiliter,
e perci, dietro la scorta di Scaligero, avverti
remo cosa significa. E da sapersi che gli anti
chi grammatici, qaando approvavano una qual
che sentenza, erano soliti scrivere un L nel mar
gine, nella stetsa guisa che i grammatici greci
mettevano un X in simili ceti, ovvero una tketm
qaando disapprovavano la sentenza dell* autore.
(5) Etenim in quibus. Sdineidero amereb
be che ti diceste etenim ii, quibus. Qoeato me
desimo ci avverte che ut in pinacothece f a
ciant, equivale a ut coenent in pinacotheca,
() Si vendevano in Roma nella via Sacra:
cggasi il cap. a di qoeslo libro.
(7) In tabuis. Alcuni intavolavano queste
dispente, ed altri le facevano a volto e col pa
vimento, acciocch fotsero pi fredde. Donqee
DI M. TERENZIO VARRONE
nella dispensa tot folata i pomi li mettevano
aopra le tavole, e in quella a tolto, sol pari-'
mento, ostia aopra il roarraorino; per conae-
gnenza qai da leggerti in opere marmo
rato.
(8) Junctis. Varrooe nel cap. *68 di questo
libro, come anche Plinio, chiamano pensilia i
pomi : ma i cotogni grandi e piccoli sono da
tutti rinterrali, anzi da essi si tiene lontana
T aria : danqae questi frutti non appartengono
i pomi cbe ti attaccano in alto, come sono ap
punto varie specie di uva, le sorbe e alcuni al
tri pomi. Quindi da inferirti che nei testo
ti sotto perdute molle parole relative ai pomi
che attaccano in alto; e perci dopo mela
cotonea, struthea, si dorrebbe mettere un seguo
indicante una lacuna.
(9) Pontedera aggiusta il lesto cos: Puni
ca mala et in arena jam decerpta, ac matura
et etiam immatura cum haereant in sua vir
go, et demiseris in olla sine fundo, eaque si
conjeceris in terram, et obteris circum ramum
si extrinsecus spiritus ajfflet. . . . Noi abbia
mo tradotto coerentemente al botanico di Pa
dova.
Ca p. LX. () Nei captoli 127, 128.
(2) Aridas. Questa voce noo si trova in Ca
tone, n tampoco in Plioio che riferisce le pa
role di Catooe. Pontedera voleva che si leggesse
albas ; ma da avvertirsi che non tnlte le oli
ve diventano bianche avanti di diventare negre.
(3) Manere idoneas solere. Ursioo voleva
levare queste parole, perche noo si trovano in
Catone. Ma Varrone non solito di riferire sol
tanto le parole di Catone.
Cap. LXI. (i) Doliis. Avanti Vittorio legge-
vati ollis; e perci Pontedera per questa va
riante. Catone per altro nel cap. 10 ha le dolio
amurcaria.
(2) Quod statim. Nel cap. 64 dice Varrone
qoal sia la natnra della morchia, ed ivi pari
mente la cuoce, e la serba in vasi. Sospetta dun
que Schneidero che questi due capitoli non sa
ranno stati in origine che uno solo, e che i co
pisti gli avranno separati.
Gap. LXll. (i) Ut sexto. Gesnero- cosi vuole
che ai legga. Di questo setto grado si parla nel
p. 37.
(2) Promunt. Tott* i codici e le antiche edi
zioni mettono primum. Pontedera inclinerebbe
a leggere promundum, perch dopo viene tuen
dum, utendum.
CaK LXIII. (i) Interclusa animo. Questo
accidente nasce ancora a quelli che nettano i
pozzi, le fosae, o che entrano neUe cantine* ove
bolle il mosto.
(a) Pistrin. Pontedera pretende che sia da
dirsi pis tino ; e ci dice dietro due aotiohisai-
mi codici. Forte oon ha tulio il torto, perch
dioeti pistillum%pistillus e pstor. Secondo il
soddetlo autore il pistinutn era un luogo, in
cui si ammucchiavano le spiche del farro per
separare il grano dalla buccia ; al quale ogget
to, e per maggiore facilit, si arrostivano le piche.
Cap. LXV. (i) Pontedera e Schneidero cor
reggerebbero o metterebbero tra par ent i quod
non f i t anni cum accesserint, quasi chq Var
rone censurasse i costumi del suo sfeolo. *<fa
dirti promito e non prodit.
(2) Galeno Antidotorum 1, S, rammemora
due specie di vino di Falerno, una delle quali
diventava col tempo amarognola, e 1' altra dol
ce : quest' ultima si chiamava vino faustiano.
Cap. LXVI. (i) Pontedera dai codici ha trat
to il seguente tetto cbe noi abbiamo seguito
nel volgarizzamento : oleas albas quas condi
deris, novas si celeriter promas, nisi condi
deris propter amaritudinem, respuit palatum.
Cap. LXVIII. (i) Maturum, mite. Ursioo
vnole che si tolga, qual glossa, maturum; ma
nella seguente annotazione diremo che quest*
parola necessaria.
(2) Quam mitescat. Pontedera avrebbe vo
luto che si dicesse quin mitescat; ma avverte
saviamente che anche la lezione corrente pu
aver luogo, purch quam. mitescat si riferisca
all' antecedente prius ; ma cos facendo, ne
cessario mettere una virgola dopo arbore Le
sorbe mature sono quelle che gi hanno acqui
stato il loro perfetto accrescimeoto e quel co
lore che indica eere state sufficientemente cot
te dal sole. Dopo avere toccato tale stato, di
ventano mitia, cio molli ; il quale accade, qoan
do soli albero acquistano l'ultimo grado della
maturazione. Acciocch dunque non diventino
troppo molli, stato eh' il pi vicino alla pu
trefazione, si colgono dall'albero alqoanto acerbe.
Ca p. LXIX. {1) Schneidero a questo loogo
fa nn diseorso aopra qnest' operazione.
(2) Stolo. Aldo ba aggiunto capricciosa men
te questa parola, di cni ne tono privi i codici
683 ANNOTAZ. AL LIB. I DE BE RUSTICA DI M. T. VABRONE
e le prime edizioni : di falli chiaro ohe Sto
lone quegli che parla.
(3) Ferisse. In oo ottimo codice esaminato
da Poliziano ci ha fect se. Questa variante ca
povolge il sentimento. Seooodo il nostro lesto
le parole perperam ferisse, si riferisoooo ali' oc
cisore : laddove la lesione Polizianea le riferi
sce al eostode del tempio ; il quale perperam
fecit sey o mettendosi avanti al coltello, o noo
itchivando il colpo, o frammischiandoti a quelli
che brigavano tra di loro, ovvero in altro modo.
ANNOTAZIONI
Al LIBRI DE RE RUSTICA
DI
M. TERENZIO VARRONE
<
LIBRO SECONDO
Paef. (i) Ogni nove giorni era vi in Roma
un pubblico mercato, chiamalo perci nundinae,
al qaale concorrevano in folla i contadini ro
mani. In quesli giorni si proponevano le leggi,
ma non si pubblicavano se non erano stte pro
poste per tre giorni consecativi di mercato, af
finch ognuno, le sapesse avanti la loro pubbli
cazione, e fosse anche nel caso di dirne il suo pa
rere.
() Retineant. Si d maggior peso al discord
di Varrone, dicendo con Gesnero retinniat.
(3) 11 vestibolo della camera da dormire, e nel
quale si tenevano per Io pi gli schiav?.
(4) U luogo destinalo agli esercizii.
(5) 11 luogo in cui si meltevano le vesti ovau-
ti di entrare nel bagno, o nella stanza della pa
lestra. 1 Latini lo chiamano spoliarium.
() I peristili!.
(7) Le uccelliere.
(8) Le colombaie.
(9) Le stufe.
(10) Fere patres. Con Colaroella si perfezio
na il testo : dice egli nel principio del lib. 1 :
Omnes enim ( sicut M. Varr jam tempori
bus avorum conquestus est ) patres familiae,
etc. Ai tempi di Columella il lusso era cresciuto
moderatamente, e perci egli omelie fere: ma
ai tempi di Varrone, il popolo riteneva alcun
poco dell* antica semplicit; per conseguenza
mette il temperamento di fere : dicasi dunqaa
fere omnes.
(11) Nelle prime edizioni e ne* codici si legge
ac avanti frumentum, indizio che si perdalo
ia Varrone ad hastam, e che si legge nel luogo
citato di Columella. '
(ia) Il vino di Coo era mollo stimato dagli
antichi; e quiodi procuravano di contraffarlo
col vino d ' Italia.
( i 3) Agri docuerunt. Pontedera di parere
che dopo agri vada aggiunto dii, perch Colu
mella dice : Itaque in hoc Latio et Saturnia
terra, ubi dii cultus agrorum progeniem suam
docuerunt. Ma da avvertirsi che Varrone inti
tola i pastori i fabbricatori della citt, laddove
questi medesimi sono chiamati dei da Cola
meli.
(r4) Columella nella prefazione del lib. vi di
ce pi saccintamente : ille ( P agricoltore ) f r u
ctum e terra speret : hic ( il pastore ) e pecore.
Stando a qoeslo passo di Colameli* e a molti
codici, Pontedera aggiusta il testo cosi : coloni
ea quae agricultura factum ut nascerentur, e
terra sperat: contra pastoris ea quae nata ex
pecore.
( i 5) Utramque. Come mai possibile che nel
teslo correnle sieno due gli oggetti trattati da
Varrooe, e non piuttosto tre? Dicasi dunqae, in
conseguenza di buone scorte : qui habet prae
dium, habere utrumqpe debet, et agricultu
ram, et disciplinam pecoris pascendi, et etiam
ANNOTAZIONI AL LIB. II DE RE RUSTICA 866
villaticae pastioni$. Io cotale mioien ha laogo
utrumque.
(16)Feei: tibi, Pontedera pretende di ag
giustare il testo, dicendo feci hunc : tibi ; Ursi
no poi voleta ohe si mettessero tra parentesi le
parole prcpierta , . . equarias.
(17) Macros. Il 6nme Macra, detto oggid
Magra, posto da Plinio nel fine della Liguria,
e da Strabone tra Lana e Pisa.
(18) Et sermonibus. Non si sa comprendere,
perch Gesnero abbia fatto rivifere cotale pessi
ma lezione delle prime edizioni, quando chiaro
eh1 da dirti ex sermonibus.
(19) 11 nostro Varrone ricevette in questa spe
dizione da Pompeo la corona natale.
Cip. I. (i) Contengono tutti gli eruditi che
qui v una lacuna ; ci confermato anche da
tutti i codici, i quali hanno hic intermisimus.
Curtu probabile che queste contersazioni si
sieoo tenute nel tempio della dea Pales. Ponte
dera ci fa fona di dire piuttosto Laenas che
Menatesi perch il primo entra gi nel discorso,
e perch Varrone nel lib. ir de Lingua Latina
dice che si chiama Latnam quod de lana. Cice
rone nell oraziooe a favore di Balbo nomina L.
Cossinio Tiburte; e perci Ernesto crede che
Yarrone parli di questo.
() Petam. Scaligero corresse coti : Cum por-
tam ( cio in partam ) sesum vis e re venisse
mus (cio sessum vix commodum venissemus )
ne medici adventus nos inredisset, cio irre
tis set ac retardasset. Nega egli che Pela tia
un nome romano. Ursino meglio di tutti cangi
Petam in Paetum, t interpret fessum per am
malato.
(3) Interrupisset. Ursioo lesse ne' vecchi co
dici inrediisset ; e perci fa impediisset. Ge
mer segue Ursino; ma Triller Obsrv. i t , 37,
trae inretisset, o irretiisset.
(4) Ubi est de. da approvarti la correzione
di Ursino che legge quae est de.
(5) Vale a dire, egli che mi mollo tuperiore.
() Hipri. Ursino trot in un vecchio codice
Hirpi. Gli scrittori, parlando della gente Luci
lia* non ricordano alcuna famiglia col nome di
Hipri ; piuttosto se ne trotaoo nella Quinzia e
nella Fulvia. Il cognome dei Lucceii fu Hirrus,
Cicerone ne nomina molli : sarebbe forse da
dirsi C. Lucceji Hirri?
(7) Epirotici. Soltanto le prime edizioni dan
no questa voce : laonde Pontedera amerebbe cbe
si dicesse : qui estis pecuris ( tei pecuarii) a-
thletae remuneremini nos.
(8) Accepissem. Ha tutta la ragione Ursino
di correggere e di fare accepissent, cio gli altri
interlocutori rispetto a Varrone, il qoale gi dis
se-: Ego vero dicam duntaxat, etc.
(9) Primae. Per eseguire queste parti isteri
che fanno pi al caso i libri e la memoria, cbe
V esercizio dell' arte.
(10) Natura, sive. da lodarsi la correzione
di Ursino : Nam sive aliquod. I librai da nam
atranno formato natura.
(11) Uno dei sette Saggi della Grecia, e fa il
primo filosofo che coltir l1astronomia, e che
seppe predire an* ecclissi di sole. I pescatori di
Mileto arendo trovato un trepiede d' oro, glielo
portarono, perch V oracolo d Apollo aveva or
dinato di darlo all* uomo il pi saggio. Mor ia
et atanzala di caldo e di sete, per arere assistito
d un combattimento di lottatori.
(12) 11 capo della setta degli Stoici. E n egli
tsnto rispettato in Atene, che le chiari della citt
si depositaraoo presso di etto : ritpelto ben me
ritato da un filosofo, il quale faceva cbe tutta la
felicit consistette nella virt. Fini i suoi giorni
di novantanni in un modo straordinario, per
ch, nell' uscire della sua scuola, cadde sopra
una pietra, si ruppe un dito, e si strangol dopo
di avere detto : Io ducendo da Niobe ; perch
mi chiami tu? Quest1 allatiooe orgogliosa aveta
in ritta la fatpla di Niobe, di cui tati* i figli fu
rono ammazzati da Apollo e da Diaoa, ai quali
Latona loro madre ateta ordinato ci per gelosia.
(iS> 11 capo di una sella di filosofi che porta
no il tuo nome. Era figlio di un mercante, e viag
gi per istruirti : mor a Melaponlo in Italia, e
della sua casa si fece un tempio.
(14) Veggasi il cap. 1 del primo libro.
(15) Veggati il cap. 2 del primo libro.
(16) Abbiamo seguito Urtino, il quale corres
te humanam vitam . . . . adseendisse.
(17) Tuli1i commentatori accordano che que
llo passo pieno di spine : Urtino lo corregge
coti: iis, quae. . . terra, et ex hoc in secundum
descendisse, cum e feris atque agrestibus ar
boribus . . . .sic animalibus^ etc. Ma in tal mo
do si tagliano fuori molle parole. Noi ci siamo
attaccati a Pontedera, il quale distingue e cor-
regge facendo: Ex hac vita in secundam de
scendisse pastoriciam e feris atque agresti-
bus, ut arboribus ac virgultis fructus decer-
pendo, glandemt arbutum, moraypoma colli
gerent ad usum: sic ex animalibus, cum propter
eandem utilitatem, quae possente silvestria de
prehenderent, ac concluderent, et mansuesce
rent.
(18) Placiditatem. In tre codici ti legge la-
ciditatem ; e perch etcludere dalla lingua latina
colai voce ? Laciditas derita dal verbo lacio ;
come anche lacidus. Festo ha lacitt decipiendo
DI M. TERENZIO VARRONE 8o#
inducit. L a x enim fraus est. L aci t in fraudem
inducit. Egli facile ingannare le pecore, come
qaelle che tono sta pi de : non si po dire se sieno
placidae e non dopo che si sono prese e profa
te. Schneidero avrebbe lelto facilitatem.
(f 9) Q b 1 tu'*0 da riferirsi alle pecore; t per
ci sono vane tolte |e correzioni.
(ao) Rotae. Nessuno de commentatori vuole
leggere cos. Noi siamo con Schneidero nel leg
gere strapsicerotas, delle quali parla Plinio nel
lib. x i f sex. 45, * nel lib. xvm, sez. 80. Qoeslo
quadrupede ha le corna ritte e scanalale a tra
verso : la portano 10 fronte tanto il maschio,
quanto la femmina. Egli abita nelle montagne
della Grecia, nelle isole dell Arcipelago, nell Un
gheria e nella Va Machia, Qaelle che Varrone di
ce trovarsi nell Italia, sono forse le camozze e
gli stambecchi, ai quali Plinio assegna per di
mora le Alpi.
(21) Pliuio nel lib. 111, sex. 17, mette il Fiscel
lo presso i boschi di Vaccone. Ardaino avverte
esservi oggid an monte con qaesto nome nei
confini dli' Abruzzo ni te riore presso Civita rea
le. Di Tetrica parla Silio vui, 417 nei confini
del Piceno.
(aa) Media. Un ripa latissimo codice Pollzia-
neo mette Medica. Pare che Varrone abbia io
vista Bonaso, situato una tolta nella Medica e
nella Peonia. Si rammemora ancora da Livio nel
la Decade iv, lib. x.
(a3) Cio proprietarii di molli agnelli.
(a4) Cio proprietarii di molte peoore.
(a5) Cio proprietarii di molti buoi.
(26) Tatti sanno la storia di questi due fra
telli, le loro inimicizie, ed il loro fine tragico ed
abbomi nevole.
(27) 11 nostro autore ha avolo io vista i versi
di Pacatio, che contengono questi lamenti, e che
ti trovano nel lib. ni, 27, de Natura Deorum di
Cicerone.
(28) Questo re di Coleo era, secondo la favola,
figlio del Sole e dalla ninfa Perseide,
(29) Si chiamavano cos dal nome del vascello
che montarono in questa spedizione, che si chia-
ava Argot; forse cos dello dal nome del fab
bricatore, ovvero da dfyi) veloce. Quesli prin-
tipi erano doquanlaqaattro, ed avevano alla testa
Giasone.
(30) Era figlio di Giove e di Alcmene, e fa
posto fra gli dei per la soa forza straordinaria.
(31) 11 testo da noi tradotlo il seguente :
Eas enim a sua voce .... ab eadem voce, sed
Ha li ter a ( vox earum non me, sed bee sonare
videtur) .... vocem efferentes dicunt, efc. Il oor-
renle troppo ridondante, e oon fi accosta alla
brevit osata da Varrone.
il. Taatmio Va s s o s *
(32) L opinione la pi oomaue , che ilsego
dei Gemelli sia stato cos chiamalo per onorare
Castore e Polluce : noo mancano per altro astori,
i quali, d acaordo oon Varrone, dicono che ai
abbia voluto onorare Apollo ed Krcole.
(33) E perch non dire con quallro codic*a
colle prime eduioni'teneret Capricornus? Di
stribuendo a Ire a tre i dodici segni, il Capricorni
occupa la quarta classe.
(34) Ursino rigetta come superflue le parole m
pecuariis addiderunt ....ab his regionum no
tae a pecore; e Gesnero mette Ira parentesi
soltanto a pecore. Il testo corretto, e da noi tra
dotto, il seguente : An non item in mari ter
raque ab his regionibus notae f A pecore, in
mari quod nominaverunt Aegeum pelagus,
etc. Dietro Poliziano e le prime edizioni si ri
gettato etiamye dietro queste medesime e quattro
codici si corretto in ab his (ciopecuaris) re
gionibus. poi superfluo capris, perch qoesta
on annotazione marginale per ispiegare cosa
fosse Aegenm, altrimenti bisognerebbe aggiun
gere a bove avanti taurum, e ab equo castrat*
avanti canterium.
(35) Dalla parola greca chyn che significa
capre.
(36) Dalla parola taurus ohe significa toro.
(37) Dalla parola canterius che significa ca
vallo castrato.
(38) Dalla parola latina bos ohe vuol dire bue,
e dalla greca pfu che significa portare, perch
questi stretti sono si poco larghi, ohe un bue K
pu pestare a nuoto.
(39) In Graecia. Pontedera avrebbe voluto
che si aggiungesse magna, perch Virgilio e Pli
nio mettono questo paese, chiamalo anche Argi-
ripa, nell Italia.
(40) Dalla parola greca tntTef che significa
cavallo.
(4>) li vitello in greoo si chiama raXet; e da
qoesta voce si formala la parola latina vitulus.
Festo dice: Italia dicta, quod magnos italos,
hoc est boves habeant; vituli enim itali sunt
( dicti).
(42) L. Calpurnio Pitone Frogi fa console
l anno 621 dalla fondatioae di Roma e censore
l anno 634- Egli ha composto degli anoaH, e forse
di qoesti intende parlare Varrooe.
(43) Egli trov in abbandono qoesti due io-
fanti, e li fece allattare dalla saa donna chiamata
Acca Laurentia. E perch questa era ona donna
scostumata, quindi n venete la favola di essere
stali allevati da ooa lupa ; perch lupa io latioo
significa non solo ooa donna disonesta, qoante
anche ooa lopa.
(44) Ursioo rigetta la voce nutriciam. Pare
he Varrone metta io dubbio fa favola che sujv
pooe questi fondatori figli di Marte ed Uia.
probabile che sia stata immaginata per farli di
scendere da un illqstre origine. Servio racconta
. ' i l fatto di tal tnaniera. Amulio deironizz sao
fratello Numitore, ammazz il figlio di questo, e
la figlia di lui la fece sacerdotessa di Vetta, onde
non fosse al caso di avere de1figli, i quali avreb
bero potuto un giorno vendicare il loro avo. Ma
Marie ebbe commercio con questa, e partor Re
mo e Romolo. Ci veduto da Amulio, ordin che
]a madre ed i figli fossero precipitali nel Tevere;
ma chi.ebbe quest' ordine, gli espose soltanto sulla
riva, ove furono trovali da Faustolo e dati da
llallar alla sua donna.
(45) Parilibus. Cinque codici e le prime edi
zioni mettono Palibus, vale a dire feste che ce
lebravano i pastori il ventuno di Aprile. Veggasi
Foggini, pag. 56, ove parla eruditamente di ci.
(46) La pi grande ammenda non poteva ol
trepassare i Soao as, perch i Romani nella loro
origine non condannavano alcuno a pagare una
ammenda superiore a trenta buoi ed a due peco
re. Per legge era fissato il valore di un bue a cento
as, e qoello delle pecore a dieci. Se il delitto me
ritava, per esempio, un1ammenda di trecento asy
il colpevole doveva pagare tre buoi. La rarit
delle pecore, e la molliplicit de' buoi faceva che
quelle dovessero essere due in confronlo di trenta
buoi. Da ci si pu inferire che nei primi tempi
fosse pi in vigore i? agricoltura, che' il nodri-
mento del bestiame. Da Plutarco abbiamo che
gli Ateniesi davano, per una legge di Solone, al
T uccisore di un lopo cinque dramme, ed una
dramma a quello che uccideva uoa lupa; ma es
sendo poi diventato caro il soldo, a quello si die
de un bue, ed a queslo una pecora.
(47) H re Servio fu il primo ad imprimere
sulla moneta le pecore ed i buoi.
(48) Ursino e Schneidero con sode ragioni
leggono: Et quod urvo urbis. A illustrazione di
questa cerimonia, riferiremo soltanto due passi.
Varrope, de Lingua Latina, lib. iv, pag. 34, ha :
Quam viam relinquebant in muro, qua in op
pidum portarent, portas. Oppida condebant
in Latio Etrusco ritu multa, id est junctis
bubus, tauro et vacca, interiore aratro cir
cumagebant sulcum. Hoc faciebant religionis
causa die auspicata, ut fossa et muro essent
munita. Terram unde exsculpserant, fossam
vocabant, et introrsum factum murum. Po
stea quod fiebat orbis, urbs. Principium quod
erat post murum, pomerium dictum. D.* queslo
passo si raccoglie ancora che nel nostro testo
mauca junctis dopo vacca. Isidoro Originum
xr, a, dice: Urbs vocata .... vel ab urvo; parte
&<ji
aratri, quo rr\uri designabantur, unde est illud:
Optavitque locum regno.... et concludere sul
co. Locus enim futurae civitatis sulco desi-
gnabatur, id e s t , aratro. Cato: qui urbem^
inquit, novam condit, tauro et vacca aret^ ubi
araverit, murum faci at : ubi portam vult esse,
aratrum sustollat et portet, et port am voceL
Ideo autem urbs aratro circumdabatur dispa
r i sexu juvencorum propter commixtionem
familiarum et imaginem serentis fructumyue
reddentis. Cicerone, Philipp, u , 4i diceche
questo rito era in uso nella formazione delle co
lonie.
(49) Questa cerimonia fscevasi ogni cinque
anni dai censori.
(50) Veggasi Catone nel cap. 1 4 *.
(51) Qui Aldo ha capricciosamente confato,
aggiunto, ed alterato il testo: ha confuso i nomi
coi cognomi: ha aggiunto a majore, et a mino
re, parole che sono superflue, avendo gi i detto
utroque: ha alterato, perch Taurus e cognooc,
e Taurius nome. Avendo Varrone nominalo (re
nomi tolti dal bestiame minore, ed altrettanti
cognomi, probabile che si sari perdolo on nome
tolto dal bestiame maggiore, cio Asiniut. E
tanto pi ci verisimile, perch nel seguente
capitolo dislingae il bestiame maggiore In bue,
cavallo ed asino. Molti Romani ebbero qaesto
nome : Plinio e Macrobio nominano Asinio Pol
lione, e Asinio Celere. Dunque il testo da noi
tradolto il seguente : ab utroque pecore : a
minore Porcius . . . . Taurius, Asinius. Et
cognomina quod dicuntur, ut Annii Ca
prae, etc.
(5a) Dalla parola porcus, che vuol dire porco.
(53) Dalla parola ovis, che significa pecora.
Anche Ovius fu una volta nome.
(54) Dalla parola capra, che significa p n .
(55) Dalla parola equus, che vuol di r e cavallo.
(5G) Veggasi Tannotazioue 36.
(5;) Dlia parola asinus, che vuol di r e asino.
(58) Vengasi l'annotazione 4 r *
(5j>) Quo melius potest, dicit: cos da cor
reggerti. Di fatti Scrofa non aveva mestieri di
eccitanti, egli che gi aveva dello che avrebbe
parlato dopo Varrooe.
(6 0) Nel lesto corrente non bene si comprende,
se 1' origine della pecunia derivi dai fruiti dd
bestiame, ovvero dallo stesso pecu$. Pare pi
probabile la lezione delle prime edizioni che
hanno ipsa pecuaria .... onnis pecuariae. Qui
Varrone non parla dell origine della pecunia.
(6 1) Siamo con Ursino nel leggere, a norma
di un vecchio codice, sedpropterea ut ex ea, etc.
(6 2 ) Habet novenas. Le quattro prime edi
zioni mettono partes omnium, e Poliziano par Ut
ANNOTAZIONI AL LIB. I l Dii RE RUSTICA
DI M. TERENZIO VARRONE
hominum: pare dunque che Unio qui, quanto
poca dopo si nasconda omnino.
(63) I commentatori non hanno potuta dige
rire che nn venditore fosse obbligato a dichiarare
che il bestiame da lu venduto derivava da un
gregge malsano, qtyui che non fosse certo che il
bestiame, in apparenza sano, non corresse rischio
d ammalarsi, appunto perch deriva da un greg
ge malsano, Ciha dato origine a molte varianti.
Per altro le parole alias e neutro non lasciano
alcun mezzo tra on gregge ammalato ed uno sa
no. Bisogna dunque intendere questo passo nel
seguente modo : se il venditore ha dichiarato cbe
il bestiame apparleueva a on gregge malsano, non
sar responsabile degli accidenti che verranno in
seguito, perch da supporsi che il compratore
lo avr avuto a minor prezzo, quantunque mo
strasse di essere sano nel momento della vendita:
per contrario il venditore sarebbe in dovere di
mantenerlo, se falsamente avesse dichiarato che
derivava da uo gregge sano. V il terzo caso, in
cui non ai dimanda al venditore alcuno schiari
mento ; e questo caso pare che specialmente sia
da applicarsi alla fendila delle capre, perch, se
condo il nost ro autore ( veggasi il cap. 3 di que
sto libro ), non si pu mai accertare eh1esse pro
vengano da un gregge sano.
(64) Festo dice a qoesto proposito : publicus
appellaturt in quo ut pecora pascantur, cer
tum aes est ; quia publicanus scribendo confi
cit rationem cum pastore. Questo registro si fa
oggid dal tribunale della Dogana della mena
delle pecore di Puglia. Veggasi Swioburne, Viag
gio di Napoli Tom. i, pag. 164. I censori affit
tavano i terreni e le gabelle. Al giorno d oggi si
fanno passare, in tempo di autonno, le pecore
deir Abruzzo nella Puglia, ed ivi partoriscono.
(65) Culnmella nel lib. vi, cap. 37, mette in
vece il monte Sacro. Plinio nel lib. xvm, cap. a4*
mette che queslo fatto succeda presso il fiume
Tago. Salraasio e Schoeltgcoio correggono in
monte Artabro, perch il promontorio Sacro
troppo lontano da Lisboua ; laddove l ArUbro
tanto vicino, che molli anche lo chiamarono Li-
sbonese, secondo la leslimonianza di Plinio nel
lib. v, cap. ai. Quantunque questo fatto sia asse
rito da molti autori, nonostante favoloso. Que
sta favola da ripetersi forse tanto dalla fecon
dit delle cavalle di quel paese, quanto d*lla loro
somma velocit nel corso: si sar quindi detto
metaforicameole che erano ingravidale dal vento;
a colale espressione figurata si sar presa in se
guito in senso proprio.
(G6) Vale a dire concepite sello il vento. Pli
nio nel lib. x, 60, le chiama zephyra. Le galline
partoriscono senza coilo delle uova, ma sono in
feconde. Blumenbachio nel auo Saggio di fisiolo
gia comparata tra gli animali vivipari ed ovipari
di sangue caldo, stampato a Gottinga nel 1789,
pag. 6, ha trovato i corpi lutei, quantunque le
femmine di quegli animali non avessero osato il
coito. Niccol Stenone Aota UauniensiaTom.
pag. 229, trov nelle mule i medesimi corpi lu
tei : lo stesso asserisce anche Brugnone nella sua
lodatissima opera della Cura,de'cavalli, pag. a i 3.
(G7) Silio in, 383, pi liberale, prolungando
la vita a questi cavalli fino a selle anni. Egli fa
che questi nascano nel paese de' Vettoni.
(68) Scaligero e Schneidero censurano con so
de ragioni questa etimologia.
(69) Saviameute avverte Ursino eh* da leg
gersi quam puri.
(70) Poeta comico, e di cui dice Varrone, che
se le Muse parlassero latino, esse si servirebbero
del suo stile. Era tanto povero, che per vivere gli
conveniva far girare la macina.
(71) Et quando non valet. Ci sono sembrate
tanto inutili e spurie queste parole, che le abbia
mo omesse nella traduzione.
(72) Ut eorum. Pontedera dice che antica
mente sar stato scritto ut eorum, cio ut equo
rum. I codici di Vittorio hanno qui si e labore
febrem habent ; e perci insegnano a medicare
una febbre dipendente dalla fatica. Ursino toglie
le parole ut eorum . . . habent, e aggiusta le
seguenti cos: et crebro, corpore calido. Cu
ratio autem haec, etc.
(73) Sustinetur. Ursino legge abstinetur.
Pare piuttosto che sia da dirsi et pauco cibo
sustinetur ; almeno Apsirto xvi, 4* fa lo stesso.
Pontedera pretende che qui si parli della ma
lattia originala dalla sola fatica ; e perci crede
che debba aver luogo il corrente testo ; e tro
va conveniente che in tal caso si ristorino col
cibo le forze indebolite per la troppa fatica.
Columella, Vegezio, Crescenziq ed i Veterinarii
greci danno da bere dell1 acqua fredda : il solo
Apsirto con Varrone.
(74) E piultoslo da dirsi demitur in luogo
di dimittitur.
(75) De numero. Queste parole sono ripu
tate spurie da Ursino.
(76) Quanto. Gesnero persuaso della cor
rezione quantos di Ursino, senz1 averla per
adottata.
(77) Rejiculae. Scaligero dal leggere ne1 co
dici quod epulae, congetturava che fosse da leg
gersi o quot petilae, o quot taedulae, o piut
tosto quot pullae. Popma legge quot depulsae.
Pouledera ritiene epulae, cio, com'egli inter
preta, quegli agnelli e que' castrali piugui che
si vendono per essere mangiali. Ma questi si
flg5 ANNOTAZIONI AL LIB. Il DE RE RUSTICA *<j6
hiamano la Calone oves deliculae, cio scelte
d ottime, dal verbo deleco io vece di deligo.
Varrene nel cap. 4 di qaesto libro chiam pa
rimente delicus cotale popco. Gesnero ed Dr-
lino padicauo che le oves epulae sieno quelle
che possono essere am Aizzale, onde mangiarle.
Ila perch tanto qu, qaanto altrove si fanno
parole di nna foce cbe gi da Varrone mede*
aimo spiegala appresso Nonio, pag. 168 della
edizione di Mercerio ? Et ut in grege opilio
oves minus idoneas removere solete quas rei
culas appellat ; saepe enim unus puer petulans
atque impurus inquinat gregem puerorum.
(98) Atticus. Ursioo amerebhe. che si dieet-
ae Vacciut, perch qaesli risponde aoche in que
sto capitolo. Quanlo a noi, crediamo che dica
il rero, se non cbe obbietta Gesnero cbe nel
cap. a vi entra anche Attico.
(79) Secondo il calcolo di Ditte di Creta, che
scrisse in lingua fenicia la storia della guerra
di Troia, coi si trov preseote, ertovi 1293 ne
vi ; e secondo quello di Darete di Frgia, che
scrisse la medesima storia in greco, ve n era
no 1 aoa.
(80) Eranvi ia Roma trentacinqae trib, da
ognuna delle qaali ai prendevano tre giudici per
comporre questo tribunale ; laonde i giudici era
no effettivamente to5 ; ma si dinotavano con nn
conto rotondo, chiamandoli Centumviri. Non
mancano aotori, i qaali pretendono che dopo Au
gnato fosse salito questo numero fino a 180, e
ohe non ostante queslo tribunale consertasse il
n o antico titolo di Centumvirale.
Avendo letto Orsino ne1 codici quare demes,
non senza ragione ha corretto, facendo: Sic, in
quam . . . quare demas.
(81) Alconi autori hanno raccontato simili
parti-che sono stati posti tra'prodigi, e che pro-
aoslicatano qualche grande attonimento. Parle
remo lungamente di ci in Columella.
(8a) Vale a dire maniera di fare il formaggio.
Cap. 11. ( 1) Qoesti doe paesi sono ignoti. Forse
sar sbagliato il tejto.
(a) Questo T. Pomponio Attico era stato adot
tato da Q. Cecilio suo zio materno; e perci
prese il suo nome conformemente alle leggi di
adozione di que tempi. Cicerone si congratula
con Attico per questa adozione: teggapsi le let
tere ad Attico.
(3) Cresceopio ix, 57, ba: oves bonae cogno
scuntur ab aetate, etc. Dicasi dunque: Quae
ita cognoscuntur ab aetate.
(4) I Georgici greci xviii, 1, dicono essera
oltimt quelle pecore che hanno una lana semplice
e piana ; e ehe per contrario una lana inercspati
indizio di poca fortezza.
(5) Apicas. Festo : A pica dicitur ovis* quae
ventrem glabhum habet ; e Plinio nel lib. mi,
ses. 4^, ha : quibus venter nudus esset, apicas
mppellabqnty damnabantqu*. Cotale voce deriva
dalla parola greca errs/xa*, da a privativo, e da
nri / xofy lana. Non si sa capire, perch Pontedera
volesse dire atricas da rfixmfy e perch Geaoero
sospettasse che fosse da dirsi apilas.
(6) Pecus habeas. Qui sicorameate va Ulto
arietem habeas.
(7) Fronte lana. Crescenzio 11,69, ha : ***<*
longissima et lata, curtis cornibus, pronis ad
rostrum, lana opertis auribus, amplo peci ore,
scapulis et clunibus latis velleris depressit
fronte lata, etc. Come ben si vede, molte eoae le
ha tratte da Varrone e da Palladio al neie d
Luglio iv.'Non per altro da dirvi io Varreoe
curtis cornibus, altrimenti in qnal modo potreb
bero essere pronis ad rostrum f Oltre di cbe
Columella, nel lib. vti, cap. 3, dice: fronte lata....
intortis cornibus: lo stesso ripete anche Palla
dio. Consta dunque oh* da dirsi intortis corni-
bus, quantunque anche i Georgici greci ivut, 1,
colla voce 0\ t y t z 4ftrrct< sieno con Crescenzio.
poi da leggersi fronte lata con Columella e eoa
Crescenzio, sebbene i Georgici greci fieno eoa
Varrone colla voce Noo ottante si
potrebbe lasciare aassistare la corrente lezione,
purch ti adottaste io Colomelfa la variante del
codice Polizianeo velleris densi in fronte latm%
e che in Varrone si leggesse fronte lata lanavo*
stili bene. Ma in amhidoe questi autori da pr*
ferirsi sem pii cementer nte latei, e le parole di
Varrone lana vestiti bene sono piuttosto da ri
ferirsi al ventre, di coi noo ne ia menzfoaeil
tetto, e che debbe aver laogo, dicendo ColamtlU
ventre promisso atque lanato.
Ampio pectore da correggerai eoa Creteea-
zio e eoa Ursioo. La parola lata non pa aver
luogo oella coda de1 nbstri arieti, perch di sopra
difse Varrone, che la coda debb etsere hiogi
nell*Italia, e corta nella Siria : ora la coda corta
quella cbe suole e essere larga e abbondante
grasso. Dunque la toce lata ha cambiato sito,e4
da porsi dopo fronte, quantunque Crescenzio
dica cauda longissima et lata. Colle prima adi
zioni da dirsi eam ( linguam) habent.
(8) Pecus ovillum. Ursiao toglie qaetta pa
role, e dice che qui ha laogo P aatica formoli
dej contratti Q. R. F. E. V., cio quod racle
factum esse voles.
(9) Minam. Urtino ci attorte che le parola
extra quam, e qua de re agitur, tono formoli
solenni osate dagli antichi ae'contratti. FeUo dice;
<,? DI M. TERENZIO VARRONE 89S
minam, ait Aetius vocitatam mammam alte-
r+m, lacte deficientem ; laonde sarebbe luII al
tro che la pecora priva di lana sotto il ventre.
Inoltre quest ao difetto elle salta rabito agli
occhi . Pontedera interpreta la voce mina per
istorile, come sarebbe appunto quella che avesse
le mammelle secche e pccole ; laonde sarebbero
da levarsi le parole id ett ventre glabro. Pare
difatti che anche Columella nel lib. vii, cap. 3,
alluda a questo luogo di Varrone, dicendo ? ma
j o r e m trima dente minacem%sterilem repu
diabis. Gli Italiani chiamano sterpa la pecora
Iterile.
(io) E x emto vendito. Vittorio interpreta
queste parole per I azione del comprato e del
Teoduto. Net lib. zix delle Pandetle vi nn titolo
di diritto con queste parole : De actionibus emti
ac venditi. Parimente Cicerone nel lb. ni, 3o,
de Natura Deorum ha: Reliqua quae ex emto
aut vendito, aut conducto, aut locato, contra
fidem f i u n t .
( n ) Pontedera dal leggere in Crescenzio de
pastione primum videndum esty ut per totum
mnnum, etc. voleva, e noo senza ragione, e secon
do il costume del nostro Terenzio, che si leggesse:
De pastione, primum, etc.
(ia) Tempus, ubi stent. Queste parole tono
riputate spurie da Ursino. Popma voleva legare
poitanto tempus : di fatti non suona bene il dire
che qualche luogo guarda ad tempus meridia
num. Si pu difendere ubi stent coir autorit di
Crescenzio, il quale dice : in stabulo idoneo sint,
non ventoso, quod magis ad orientem .... me
ridiem spectet ; ubi s t e n t .... esse virgultis aut
paleis aut aliis straminibus stratum atque
declivum, ut mundari ac purum fi eri jb hu
mi ditate urinae facile possit, etc.
( i 3) Eruderatum. Dal passo allegato di Cre-
seenzio, Poni edera sospetta che in Varrone si
ieno perdute delle parole, come si raccoglie an
che dalle seguenti subjicere oportet virgulta
alia. Columella nel lib. xn, cap. 3, ha: deturque
opera, -ne quis liumor consistat, ut semper
quam aridissimis filicibus vel culmis stabula
tonstrata sint, quo purius et mollius incubent
foetae, neque earum valetudo infestetur ulgi
ne, Varrone piti sotto prescrive che le stalle delle
pecore coperte con pelle sieno lastricate di pie-
tra, onde P orina non si arresti nella stalla.
(14) Ea uligo. Questa lezione ricerca che in
avanti si legga con Crescenzio purum ab humi-
ditate, ovvero purum ab urina.
(15) Steterunt. Crescenzio ha: subjicere
oportet alia virgulta vel paleas, quo melius
requiescant. Apparisce dunque, siccome avverti
anche Pontedera, che antecedeotemente si sono
perdute delle parole ; e per riempire qnesta lagu
na, alcune editioni mettono virgulta et alia.
Forse ha avuto qui luogo soltanto una traspost
isene di parole, ed da leggersi : fi eri cogit.
Itaque substernere oportet virgulta v d paleas,
quo mollius requiescant, purioresque sint\
Cum aliquot dies steterunt, Subjicere oportet
virgulta alia. Libentius enim, etc. Co A si da
noi tradotto.
(16) Crescenzio ha: faciendum quoque in
firmis et his, qui agnos parvos habent secreta
septa ab aliis, quo eas recludere possis. Appa
risce dunque che Vittorio ebbe totta la ragione
di correggere enitentes in incientes. Festo alla
voce gravida : inciens propinqua partui, quod
incitatus sit foetus ejus.
(17) Contra illae. Abbiamo tradotto coeren
temente ad Ursino : Contra illi in saltibas qui.
(18) Retta. Plinio, nel lib. xvm, sez. 53, ha:
sunt qui optime stercorari putent sub dio nunc
retibus inclusa pecorum mensione. Qui Varro-
nei n tende le rti tessute di ginestra di Spagna,
delle quali Columella, nel lib. s u , cap. 44* d
serve per difendere gli alberi dagli uccelli. Ogf
g di nella Spagna si rinserrano con simili reti le
pecore che si conducono qua e li.
(19) E t late. Crescenzio aggiunge et varie:
per contrario Ursino voleva che si togliesse come
superfluo ef late. Pontedera approva l ag-giuota
di Crescenzio.
(ao) Sirpiculos. Scaligero intende una speete
di carro che da Varrone nel lib. iv, pag. 3$, de
Lingua Latina si chiama sirpea. Per contrarlo
Gesnero intende nn legno incurvato avente nelle
estremiti due panieri. Noi siamo con Gesoero.
Schneidero penta ohe le Calles sieno luoghi sei*
vaggi, pei quali passa il bestiame quando si con
duce da lontano a pascolare nelP inverno. Sveto-
nio Caes. c. 19, conferma quest opinione, dicen
do : ut provinciae futuris consulibus minimi
negotii, id est siUae callesqus decernerentur.
(ai) Puto. Pontedera cangi* questa voce in
potum. Virgilio nel lib. 111, verso Bafi e Colu
mella, nel lib. v i i , cap. 3, comprovano questa cor
rezione.
(aa) Aire vespertino. Il codice Polizianeo
mette refrigeratur ar et: meglio per sarebbe
leggere: dein refrigerato aire, vespertino rur
sus pascunt: lo stesso codice mette pascunt.
(a3) Inigere. Ursino e Popma hanno cangiato
interest rhe correva aranti. Crescenzio confer
ma tale correzione, dicendo : Cum messes sunt
factae, teneantur in stipulis, quod est utile
duabus ex causis, etc. Questo cangiamento
necessario, perch interest e utile signiAca lo
stess i. Nel codice Cesenate leggesi inter est, e
appresso Beroaldo iter est. Noo da Irascararsi
quest' al ti ma lezione, di cai si serre anche Cice
rone, perch allora bisognerebbe dire eh utile
andare colle pecore in quelle campagne, nelle
qoali si gi fatta la raccolta.
(a4) Qui da aggiungersi che i Greci assue
facevano fino dalla giovent de' maschi ad essere
i condottieri delle gregge : lo stesso fanno og
gigiorno anche gli Spagnuoli.
(a5) Vale a dire dopo il sedicesimo giorno
avanti gl1 idi di Maggio, secondo Plinio xvm,
ly, sioo al tredicesimo avanti le calende di A-
goito, fecondo il medesimo autore xiv, 39. Bi-
aogoa per altro osservare che Plinio vm, 4?* fis
sando, egualmente che Varrone, questo tempo
tra il tramontare di arturo e quello dell' aqui
la, si spiega meno vagamente del noftro Teren
zio, e che comiocia dne giorni prima, e termina
tre giorni pi tardi.
(a6) Pliuio vm, 47* ove sembra seguire Var
rooe, dice che sono gli agnelli quelli che sa
ranno pi deboli, non gi le madri. dunque
da correggersi Plinio con Varrone, ovvero que
sti con quello ? ovvero da dirsi che abbiano
luogo due effetti, ma che ognono di qnesli ao-
tori non ha parlato che di nn solo ? Popma,
Ursino e Schneidero correggono concipiuntur :
poi fanno qui. . . imbecilli. Similmente Varrone,
parlando dei cavalli nel cap. 7, dice : quae post
id tempus nascuntur, fere vitiosa atque inu
tilia nascuntur.
(37) Di quest* opinione sono Aristotele, Elia-
no, Pii io, i Georgici greci e Crescenzio. Lo
stesso si prescrive da Anatolio per le cavalle.
(a8) CresceazQ nel lib. ix, cap. 69, dice :
Ut ait Varro : Cum oves conceperint, arietes
secernendi sunt, quia cum sunt molesti, ob
sunt: quindi Pontedera voleva che si togliessero,
qual glossi, le parole ita factis praegnantibus.
Per contrario Scaligero toglier soltanto ob
sunt\ e pensava che qui occorresse cangiar luo
go alle parole, o dire quod ita factis prae
gnantibus sunt molesti. Tutto il testo si pu
difendere, aggiungendo si avanti sunt.
(39) Crescenzio, nel lib. ix, cap. 74, ci sta
to di scorta nella tradnzione e nella separazione
de' varii membri. Egli ha : cum parere inci
piunt oves, pastores eas injiciunt in ea stabu
la, quae ad tam rem habent seclusa, ibique
agnos, recenter natosy ad ignem apponunt, et
per biduum aut triduum retinent cum matri-
bus dum cognoscunt matrem, et pabulo se sa-
turant.Dal leggersi in Poliziano ad cognoscant,
abbiamo tradotto quoad cognoscant.
(3o) Un passo parallelo di Columella far ve
dere il torlo di Gesnero nel difendere mollitam,
8U9
e che le parole antequam exeunt pastum, et
cttm reverterunt sono viziose, e appartengono
alle madri : sjatisque est mane priusquam grex
procedat in pascam* deinde etiam crepusculo
redeuntibus saturis ovibus admisceri agnos ;
qui cum fi rmi esse coeperunt, pascendi sunt
intra stabulum cytiso vel medica, tum etiam
furfuribus%aut si permittat annona, farina
ordei vel ervi.
(30 Ut mancava nelle edizioni anteriori a
Vittorio ; e Ursino saggiamente il tolse. Questo
medesimo voleva che dietro i Georgici greci si
leggesse et agni pinguiores. Schneidero difende
questa correzione, dicendo che le pecore che
hanno partorito, non sono da mungersi, accioc
ch gli agnelli diventino pi piogai, poppando
la madre, non gi acciocch questa partorisca
pi agnelli. Crescenzio omette totalmente que
ste parole. Si pu per altro difendere la cor
rente lezione, dicendo che nell' Italia partico
larmente le pecore partoriscono sovente de' ge
melli, per conseguenza non mungendosi, hanno
pi di forze per concepire e per nodrire inter
namente i gemelli.
( ) Avendo vednto Diogene presso Mega
ra,- che tntte le pecore erano coperte di pelli,
e che i ragazzi, per la loro estrema miseria,
erano ignudi, disse lepidamente che amerebbe
piuttosto di essere 1' ariete di on abitante di
quella citt, che il figlio.
(33) Parari. Poliziano ha lette putari. Ap
presso Festo leggesi : imputatus nondum pur
gatus. Poco dopo da dirsi adhibent^ perch
segue faciunt.
(34) i Georgici greci xvm, a, nominano il
citiso, I' erba medica, il fien greco, 1' avena, le
paglie dei legumi e dell orzo spruzzate special
mente <li salamoia, i fichi immaturi caduti, e le
foglie di fico seccale. Gli abitanti dell' isola di
Zea davano alle pecore il citiso, le foglie di fico,
le foglie cadute dagli ulivi, le paglie de' legami,
ed una certa spina, secoodo Eliano svi, 3a. Forse
Varrone il solo che dia alle pecore le vinacce:
Columella nel lib. vi, cap. 3 le d ai buoi.
(35) Ut dixi. Qui parla Attico : intorno a
questo registro del pastore aveva gi detto Scro
fa nel cap. 1 di qneato libro : item ad alios
morbos aliae causae, etiam alia tigna in omtd
pecore, quae scripta habere oportet magistrum
pecoris. Laonde Morgagni voleva che in que-
to luogo si leggesse dixti, ovvero che quelle
parole non fossero da mettersi in bocca d Scro
fa, ma di Attioo.
( ) Molte cose si sono perdute in questo lao
go, perch lo slesso Varrone disse nel cap. 1,
che auebbe parlato della uona parte : Relinqui-
9 0 0 ANNOTAZIONI AL LIB. Il DE Rfc RUSTICA
DI M. TERENZIO VARRONE
tur nonum quod dixi de numero utriusque
partis commune. Nam M qui parat pecus,
neeesse est constituat numerum, quot greges
et quanto sit pasturus, ne aut saltus desint,
vut supersint, et ideo fructus dispereant. Prae-
ferea /c/r* oportet in grege quot foeminas ha
beat, quae parere possunt, quot arietes, fuof
utriusque generis soboles, rejiculae sint
alienandae, /c. Dunque qui manca la massima
parie di queste cose. Intorno ai pastori dice di
sotto nel cap. i o: De numero pastorum alii
angustius, a/ii laxius constituere solent. Ego
in octogenas hirtas oves singulos pastores
constitui^ Atticus in centenas. Parimente dat
cap. 3, ore si parla delle capre, si pu arguire
che qui manca molto, dicendosi ivi : relinquitur
de numero, qui in gregibus est minor caprino
quam in ovillo, quod caprae lascivae. Final
mente Crescenzio, nel lib. ix, cap. 69, conferma
alcune di queste mancanze : Centum ovibus unus
aries sufficere fertur, et quotque sunt cente-
naria, tot arietes sujficere ait Varro. Ma il
testo corrotto anche in fine del capitolo, asse
gnandoti dae pastori a cento pecore coperte con
pelli, quando secondo la testimonianza di Colu
mella nel lib. vii, cap. 4i queste rare volte si con
ducono al pascolo, ma si alimentano dentro la
casa. Anche la lezione di Crescenzio i alterata ;
perch duro a credersi che un ariete baiti per
cento pecore, quando lo stesso Varrone nel cap.
3 assegna un becco a venti capre. Noi abbiamo
segnito la lezione di Poliziano e delle prime edi
zioni cbe hanno caprae binos, cio caprai bi
nos ; e questa ci sembrata pi ragionevole.
Ci p . III. (1) Egli fa allusione al nome del pa
store cbe allev Romolo e Remo. Col verbo ba-
lare si esprime la voce delle pecore, secondo
1 antica maniera di parlare.
(2) Chordo. Melanzio appresso Omero il
pastore delle capra di Ellisse nell1 isola d ' Itaca.
Forse Varrone avr volato per ischerzo nobili
tare il pastore Melanzio con un cognome di fa
miglia romana. Anche Quintiliano, lib. x l v , av
verte esservi stale molte famiglie di questo co
gnome.
(3) Molliori. Columella, nel lib. t u , cap. 6,
dice : Caper cui sub maxillis bnae verruculae
collo dependent, optimus habetur, amplissimi
corporisf cruribus crassis, plena et brevi cer
vice^ flaccidis et praegravantibus auribus, exi-
guo capite, densoque et nitido atque longissi
mo pilo ; nam et ipse tondetur. Quindi si ricava
cb' da scartarsi molliore, da sostituirsi Ia le
zione delle prime edizioni melior is et. Auche
il codiee di Poliziano con mulior voleva dire lo
stesso. Dietro poi Columella, Crescenzio ed i
Georgici greci abbiamo aggiunto crassis o ple
nis dopo brevi.
(4) Gurgulione longiore. Chi rifletter che
T asperarteria nei quadrupedi non pi lunga
del cllo, e che Varrone prescrive che questo ha
da attere corlo nei becchi, vedr chiaramente
che qui non da intendersi la canna polmonare,
ma bens la testa della laringe, la quale pi
taberante nei maschi, che nelle femmine. La gros
sezza della glandula tiroidea prodace questa dif
ferenza.
(5) Hoc aliter. Questa ana formoli antica
che usatasi nel pronunciare le sentenze: dicevasi
anche hoc amplius. Plinio uel lib. vm, sez. 76,
dice, in proposito delle capre: nec unquam f e
bri carere Archelaus auctor est ; ideo fortas
sis anima his quam ovibus ardentior calidio-
resque concubitus.
(6) Soractis, dice Servio ai lib. 11 dell Enei
de, vers. ; 85, mons est tiirpinorum in Flami
nia collocatus. situato questo monte presso
11 Tevere, non mollo lontano da Falera e da
Scrofano. Abbiamo da Silio Italico vm, 493, e
v i i , 662, che in questo monte eravi un tempio
consacrato ad Apollo. Schoetlgenio fa le mara
viglie, come Varrone unisca Soratte a Montefi-
scello, quando sappiamo da Plinio nel lib m,sez.
12 che la Nara nasce da Montefiscello, e Che So
ratte ti trova ove la Nara si scarica nel Tevere.
Ma si nominano uniti perch entrambi hanuo
delle capre selvagge.
(7) Schneidero vorrebbe cbe si dicesse ut or-
tae sunt ab ovibus, perch segue sic caprae^etc.
(8) Crescenzio ha : ex capris meliores sunt
quae bis pariunt, ex his potissimum mares
sunt eligendi ad admissuras. Dunque in Var
rone da dirsi: Ex capris meliores seminio
sunt, quae bis pariunt. Ursino voleva che si di
cesse quae binos, perch di sopra, nel cap. 2,
disse : quos arietes Submittere volunt, potissi
mum eligunt ex matribus, quae geminos pa
rere solent. da approvarsi la correzione di Ur
sino. Questi crede spurie le parole ad admis
suras.
(9) Media. Scaligero la interpreta ptrmelum
pel cambiamento della lettera / in d, come per
contrario si sono chiamate galline melicae quel
le che erano medicae. In molte isole del mare
thrl Peleponneso vengono bene le capre, appunto
perch il terreno montu so e selvaggio.
(10) Atqueft Meno generali e pi determi
nate sono le parole di alcane edizioni : aliter
utque de ovibus dico.
(i ) Ecco an fdIlo osservabile che ba molta
relazione colla febbre delle capre. Un certo Co-
*>3 ANNOTAZIONI AL LIB. Il U RE RUSTICA $ 0 4
telerio nacqoe a Nimes oel 1626 e nel tempo
della peste, per coi mor la soa natrice. Maocata
qaesta, si fece nodrirc da noa capra. Si otterr
che in tolto il tempo di soa vita risse malinco
nico e malaticcio, e che la febbre noo lo abban
don giammai. Cotale fallo merita di essere to-
nosciuto da quelli che propongono il latte di ca~
pra per nodrimento degl' iofaoti.
(ia) Famoso giureconsnllo, contemporaneo
di Mario e di Siila, e ohe Cicerone pareggia a
P. Mucio Scerola, il primo giurisperito del tuo
tempo. Egli era di famiglia senatoria ; ma poich
Cicerone gli d il preoome di Marco, non do
rrebbe estere della famiglia Manilia, te si presta
fede a Festo, il quale dice che codesta famiglia
avera decretato che nessuno de' suoi membri
non porterebbe giammai il nome di Marco, per-
eh Marco Manilio, il difensore del Campido
glio contro i Galli, era stato condannato a morta
per avere aspiralo al titolo di re. Forse quetta
la ragione, per la quale molli commentatori vo
gliono che tanto qui, quanto in Cicerone, si leg
ga Mamilius in luogo di Manilius ; ma cotale
ragione non debbe essere superiore all* autorit
delle Pandette Fiorentine, ove si legge Manilius.
(13) Quesl an autore egiiio che ha fatto
parecchie ricerche curiose sopra la natura degli
auimali. Compose so quesl* argomento degli epi
grammi che dedic al re Tolommeo. La capra
selvaggia avr dato origiue a qoesta favola: di
fatti queste haooo lateralmente alle corna due
ciechi seni cutanei. Aranti Archelao aveva ci
detto Alcmeone, come si raccoglie dl lib. 1 della
Storia drgli Animali di Aristotele. Questi per
altro considera come upa favola cotale asserzio
ne ; essendo rero che questi animali sternutano
in pari guisa degli altri, e che per conseguenza
respirano per le narici. Alcuni autori, per con
ciliare queste differenti opinioni, hanno preteso
che respirassero per tolte dua le parli ; e pare
cbe Varrooe sia appunto di questo partito, poi
ch, dicendo che sogliono respirare per le orec-*
chie, non esclude la facoll di respirare per le
narici.
(14) Pastores. Qui r qualche difetto, il
quale si pu togliere innestando ut avanti etiam
Archelaus.
(15) Stabulatur. Crescenzio dice : huic pe
cori stabula meliora sunt, quae spectant ad
hibernos solis ortus, quae lapide aut testa
sunt strata, ut caprile mi nus sit uliginosum
aut lutulentum. Item substernantur . . . . obli-
niantur teneri, et pasci hoc pecus debet quasi
ovillum ; sed kabet propria quaedam , . . .
Quindi Urtino corregger stabulum melius
ad . . . . exortus spectat, pecus quod%etc. Ma
dietro Crescenzio da dirsi : Stabulum huic po
co ri melius ad . . exortus spectat.
(16) Testa. Secondo Vi Ir via nel lib. n,op.9t
tono questi i mattoni colli.
(17) Substernitur. Colamella ha : ipsum ver*
caprile vel naturali saxo vel manu constratum
eligi debet9 quoniam huic pecori nihil subster*
nitur ; diligens que pastor quotidie stabulum
converrit, nec patitur stercus aut humorem
consistere, lutumve fieri, quae cuncta sunt ca
pris inimica. dunque da maravigliarti, coma
Columella non distenda aul suolo niente d* vir
galli anche oella stalla d* inverno. Forse egli ebbe
in rista quella specie di capre, che ha il pelo
corto, oon F altra che lo ha lungo, e che fore
stiera.
(18) In locis cultis. Pontedera voler cheti
leggesse in locis incultis. Ma gi Varrone aveva
di questi parlato, quando disse de agrestibus
fruticibus pascuntur: oltre di che i virgo Iti ooa
sono differenti dai frutici, se noo io ci, che quelli
possono anche attere piantati, coma tono quelli
degli ulivi, ec.
(19) Capra natum. In tale gnita ti permetto
Piugresso alla capre, e si et eia do no sol tanto t
capretti. Dunque noo regge il correote tetto. Di
cati dunque con Crescenzio capram ia fonda
pascat.
(ao) Sunt duo .... tauro. In senlensa di Ursino
qoesle qoesle voci si tono tolte dal lib. 1, cap. a,
e qui traslalate; e perci Getnero le ha poate tra
parentesi.
(ai) Qai ci siamo prete delle licerne non po
che, delle quali brevemente rendiamo ragioco.
Crescenzio ha : post autumnum exigunt in gre-
geni hircos, quia, quae concipit post quartum
mesem, reddit tempore verno. E Columella
dice : Tempus admissurae per autumnum fere
ante mensem Decembrem praecipimus, ut p r o
pinquante vere gemmantibus frutetis parius
edatur. Palladio finalmente ha : Concipiant No
vembri mense ut Martio pariant. Ursino qotndi
aggiustava il teslo cosi : exigunt hircos ia ca
prilia. 11 luogo a cui allude Varrone, io propo
kilo delle pecore, il seguenle : arietes, quibus
sis usurus adfoeturam bimestri tempore, ante
secernendum et largius pabulo explendum.
Cum redierunt ad stabula e pastu, ordeum si
est datumyfirmiores fiunt ad laborem susti-
nendum,.... cum omnes conceperunt, rursus
arietes secernendi, ita factis praegnantibus
quod sunt molesti. Costa dunqoe che non po
aver luogo la corrente lezione ; e con Crescenzio
ed Ursioo da leggersi: exigunt in gregem
(caprarom) hircos: (ante separatos), ometteodo
il restante. Forse si sono perdute alcune parole.
{22)*Quartum mensem. Uriino, dietro Ari-
itotele, Pii io ed i Georgici greci, volevi che si
leggesse quintam. Plinio nel lib. fin, oap. 5o,
dice che concepiscono in Novembre, e che parto
riscono in Marzo, senza per limitare il namero
dei mesi e dei gioroi. Noi per altro noo veggiarno
che Varrone contraddica agli aozidetti atori,
perch dice che partoriscono dopo il quarto mese,
cio uel quinto. Nessun autore peraltro asserisce
rhe la capra partorisca dopo il quinto mese, ma
che porta il feto cinqoe meii, egualmente che la
pecora.
(a3) Noi abbiamo tradotto quaedam remedia
scripta oportet habere.... quibus utantur die
tro V edizione di. Basilea e*di Gimnico. Nel cap. a
di queito libro diise : de sanitate sunt multa,
sed ea, ut dixi, in libro scripta magister pe
coris habet: et quae opus ad medendum por
tat secum.
(a4) Quest immenso profitto derivava versi-
milmeote dall1adoperare in medicina il latte, ve
dendo in Plinio nel lib. xxvm, eap. 9, che osa
tasi mollissimo nella guarigione di parecchie ma'
h|tlie. Questo rimedio per *ltro ancora in nso.
(aS) Sarebbe forse qusti quel liberto d Sesto
Poinpeo, il quale era potentemente ricco, e che
ottenne da Augusto la permissione di portare l a
nello d'oro ?
G a p . IV. <(1) Scaligero voleva che t i correg
gesse cos : Sed quis Epirota post ita ilico pro
dit, perch nel cap. j d questo libro nomina quei
del 1*Epiro eome dediti all'educazione del be
stiame. Non ii po esserte deir opinione di Scali
gero, perch esclude gl' Italiani. Ursino e Ponte
dera fanno delle parole vane. Ci. piace iomina
mente la congettura di Gesnero: Sed quis e por
culatoribus italicis prodit. Triller Observ. iv,
27, congetturava che fosse da dirsi : Sed quii
expertos post istat alia prodit ?
(a) Scrofa vuol dire una troi. Macrobio, 1,6,
racconta il fatto in altra gdisa. Gli ichiavi di un
certo Tremelfio avevano rubato una troia ad uoo
dei loro vicini, e l ' ammazzarono. Il vicino fece
invertire la casa di Tremellio, e gli intim di re
stituirgliela. Ma Tremellio bistratto del ladronec
cio, e che gi aveva fatto nascondere la troia* iolto
de panni, sui quali era coricata la sua donna,
permise al vicino di frugare ove volesse. Arrivato
col vicino alla camera da letto, giifr che non
aveva altra troia in tutta la sua (asa, che quella,
la quale era sdraiata sui panni. Cotale giuramento
baffoneco arrest le perquisizioni del vicino ; e^
secondo Macrobio, fu quindi dato il soprannome
di Scrofa a quel Tremellio e a tutti i suoi di
scendenti.
M. Tb RNZIO Vi l l vKB
go5
(3) 11 questore .era on ufficiale dell1ordine
senatrio, cbe accompagnava i generali deH ar
mata, cio i consoli ed i pretori. Aveva il maneg
gio dei soldo destinato al pagamento delle trup
pe; e presiedevi al ripartimento del bottino, la
seguito vi. ebbero altre specie di questori; raA
queste non hanno alcuna relazione con quella, d
cui parla Vtrrone.
Eumeo ra il porcaio di Ulisse; ed celebrato
da Omero nel quattordicesimo libro dell1Odissea.
(4) Tito Livio, nel lib. x l i v e x l v , ci dice che
questo* A. Licinio Nerva fu prima spedito 1' an
no 585 dalla fondaz one di Roma a fare la rivista
delle armate di Macedonia, e che due anni dopo
fu crealo pretore di questa provincia.
(5) Si chiamava pretore ogni magistrato che
aveva dell autorit sopra le truppe.'In origine
non ve o ebbe che nn solo in Roma, il quale, in
'mancanza de consoli, esercitava la giustizia, e s
chiamava urbanus. Ma in segnito l affluenza dei
forestieri in quella citt, rse necessaria la -crea
zione di on secondo pretore che si nomin pere
grinus. Finalmente dopo l conquista di molte
provincie, si cre un pretore per ognuna delle
medesime ; ed egli era alla testa dell'amministra
zione tanto civile, quanto militare della provincia
(6) Plauto Trucul. ri, a, i 3 : Ego te hic mu
lier, quasi sus catulos pedibus proteram. Se
condo Schneidero, dalla parola greca yffiQoi
derivata la voce scropha.
(7) La parola Imperator, a parlare propria
mente, significa quello che comanda. Presso i
Romani era on titolo di onore, che i soldati da
vano ai loro generali, quando o eglino medesimi,
o i loro subalterni riportavano una vittoria con-
iiderabile.
(8) Ursino di opinione che le parole ut di
ceretur Scrofa sieno di altroi mano.
(9) Varfrone, nel lib. tv, pag. a8, de Lingua
Latina fa derivare ta voce succidia dal tagliare
in pezzi i porci. Appresso Gellio xnr, af, si dice
per bocca di Catone, che si sono fatte delle sue-
cidiae umane ; qoindi. da inferirsi che l1eti
mologa tratta dui verbo succido.
(10) Regione.coeli. Pontedera d aivertl che
era da omettersi coeli, come voce che qui non vi
entra per niente; e di fatti in progresso non si fa
alcuna menzione del clima.
(.11) Ragionevolmente voleva Ursioo che si
dicesse : siformosat sunt scrofae ; perch dopo
si parla soltanto di troie, noo gii di verri.
(ia) Ursin corregge amplae quam exiles
(scrofae) paratae. Noi siamo colle antiche edi
zioni nel leggere amplae quam exilis ( formae)
pararis ; perch per la buona razza, tratta da ua
bnon paese, ricercasi principalmente che si com-
9 0 6 Dl M. TERF.NZIO VARRONE
prino (toU grolle, ma questo bnon paese debb es-
sere-appunto quello, q cui allignino Iroie grosse.
( i 3) Ursino rammemora la lezione noxisque
spraestare^ ch egli interpreta noxisque solutas
praestare. Qai per qllro .da dirsi colle prime
edizioni praestari,
(i/j) Fqria. pntilo,Inscriptionem^ pag.g3a,
oleva leggere soria, cio suria dal verbo suri-
re; ma va hene foria : quella malattia incura
bile ne* porci, secondo Aristotele.
(i5) Subigunt. Leggasi: meridie subigunt
Columella nel lib. vii, cap. io, prescrive che nei
giorni canicolari ti conducano due volle del d
*11' acqua, e cbe anche ti facciaoo stare presso qo
fiume, o una palude, ove possano tuffarsi, perch
aono di tempera rnen lo focosissimo.
(iG) Nel periodo di quesli due mesi bisogna
ingrassarli, onde diventino robosti per 1' accop
piamento.
(17) Lastra. Abbiamo tradotto questa Yoce
coerentemente alla spiegazione di Festo: Lustra
significant lacunas lutosas, quae sunt in silr
vis, apr or um cubilia.
(18) Primum. Aristotele dice che tono atti
Ila generazione sino ai tre anni : e Plinio, nel
lib. vm, cap. 5i, traduoe lo Stagirita diceodo:
mares ultra trimatum non generant. Colu
mella nel lib. v i i , cap. 9 , dice che sono atti alla
generazione fino ai quattro anoi. Ragionevolmente
adunque voglioito Scaligero, Ursino, Popma*
Morgagni e Sohneidero che si legga ad trimum.
(19) Con sode ragioni Scaligero, Casaubooo,
PonleJera e Schneidero leggono in luogo di
tkfSUS, o di &UT*<.
(20) Pontedera dietro le prime edizioni ed i
codici legge: Ab sullo enim pecore et genere
immolandi, etc. Orsino toglie, quale glossa, la
voce pecoris. Per altro dal lib, ir, pag. 28, de
Lingua Latina di Yarrone pare che li possa
arguire che si sia principiato dai porci, perobsi
maagiata la carne di questi ; Rine (ab oleribus)
ad pecudis carnem perventum est. Suilta sic
ab illis generibus cognominata. Rane primo
assam, secundo elixam, tertio e jure uti coe
pisse natura docet. Vale a dire, il sacrifizio fatto
col porco diede occasione di mangiare prima ar*
rollila la carne porcina. Lo stesso dice.anchfe il
comico Alenio presso Ateneo ziy, pag. 660.
(21 ) Ateneo, 111, pag. 96 dice cb nella Grecia
l i sacrificava una troia anche a Venere. Festo
chiama confoeta sus quella troia che s ' immolava
ju uno a tuli' i suoi feti. Tale appunto fu quella
cbe sacrific Ene.
(22) Senza quest anima, la carne del porco ai
corromperebbe, dice il filosofo Crisippo.
(23) Scaligero dice che sono quelle che i Fran*
97
cesi chiamano longes. Intorno a qaeste non si ha
niente di accertato. Potrebbe darsi cbe qui fosse
da leggersi lucanicae, vale a dire la lucanica, da
Lucca; ip quella stessa guisa che dicevasi Fali
scus per indicare uqa specie di salsiccia inveoUta
dai Falisci,
(&4) I n t o r n o a qoesto passo T a n e sono l e o p i
n i o n i . No i abbiamo t r a d o t t o quella d i Tornello:
In Italia Insubres tema atque quaterna mil
lia succidiaf habere.
(25) Vere. Parecchi dotti opinaoo che qaesta
voce non possa aver qui luogo. Crescenzio corro
bora queit' opinione, dicendoc Sus 1isque adeo
pinguedine crescere salet, ut se ipsa stans, etc.
(26) Ccescenzio ba: nam Lusitania fertur
sus esse accisus, qui fitit inventus viginti tri-
bus pondo, id est quingentis septuaginta quin
que libris, ejusque suis a cute ad os pedem et
trs digitos fuisse, id esty habuisse lardum
cum carne uno pede et tribus digitis grossum,
ut ait Varro. Questa spiegazione di Crescenzio
melle in chiaro di pi il testo di Varrooe. Cre
scenzio crede che il pondo contenga venticinque
libbre,
(2) Questo senatore era molto amico di Ci
cerone. 1 senatori erano cos chiamati dalla voee
senes, perch Romolo scelse cento persone della
pi sperimentate, onde gli fossero consiglieri oeJ-
l amministrazione della Repubblica. Si chiama-
vano anche patres ; e questi oosti lui vano il primo
ordine della Repubblica romana.
(28) Crescenzio dioe : Addit Varr, etiam
se in Arcadia vidisfe suem, quae prae pingue
dine non modo surgere non posse/, sed eliam
ia ea murem nidum fecisse et perperse mu
res. Ursino lesse io n vecchio codice scio esse
spectatum, tralasciando me come disadatto. Per
allro, dietro Crescenzio, si dovrebbe leggere:
Std etiam in ejus corpore sojricem ... fecisse ^
peperisse mures. Plinio oel lib. xi,ai. 85, dice:
sues spirantes a muribus tradunt arrosas. Qui
nrfu ha a che fare la t o c c carne introdoltsi da
Giocondo : forse va delto excfja adipe.
(29) Vineta, Anticamente legge vasi juvence;
ma Vittorio e Scaligero lessero Venetiam.
(30) Gli antichi avevano il oostume di accop*
piare i porci coi cinghiali, ed i figli si chiamavano
hjrbridi. Poco dopo da dirai appellant eoa
Ursino.
(31) Seeos, cum. Scaligero ed Ursioo, die-
tro il codice PcHizianeo e di s. Reparata, ove leg-
gesi secundo ea, correggono secundum ea ; e
confermano questa correzione con Florenlinio,
uno de' Georgici greci. Ma meglio dire: kinis
mensibus porcos sinunt cum matribus sequen
do eas : cum jam, etc.
9 0 8 ANNOTAZIONI AL LIB. II DE RE RUSTICA
(Jfl) Pontedera, da noi l egai to nell* trada
zione, coi Aggiusta il testo : lactis quod denti-
bus sauciaretur. Praeterea sorofa, etc. Pliniof
sei lib; vm, sez. 77, dice, in sentenza di Nigidio,
che i porci i tempo d* inverno hanno i denti,
non s'tosto che hanno compilo i dieci giorni.
(33) Scaligero si accorse che la corrente' le
ttone era guasta ; e perci lesse qao alienos
spetnant, cio separent. Pontedera legge quo
alieni spernantur ; ma cos non apparisce la
ragionevolezza delle seguenti parole et ideo si
conturbati sunt: laonde dee precedere ia men
tione della facilit, con cui la troia lascia che si
attacchino alle sue poppe ^ache gli ajtrni figli.
dunque da preferirsi la correzione di Ursino quia
alienos non aspernantur, corroborala dai Geor-
giei greci, e specialmente da Col omelia, il quale
nel lib. vii, cap. 9, dice i curet maxime, ne quis
sub nutrice aliena educetur, nam facillime
porci, si evaserint haram, miscent se, et scrofa
cum decubuit, aeque alieno ac suo praebet.
Itaque porculatoris maximum officium est%
ut unumquamque cum sua prole claudat.
Siamo tentati di asserire che le seguenti pat
itile in foetura, fit deterius siedo corrotte. Var
rone nel cap. 1 di questo libro chiama foetura il
tefopo chi passa tra il concepimento ed il parto:
inoltre si chiama foetura il nuovo frutto, cio il
feto partorito ; e la nutrizione dello stesso detta
porculatio. Danqne non si legge bene in fetu-
ra ; e fi t deterius non si sa a chi si riferisca, cio
se alla madre, od ai porcellini che sono la foetura.
F acendo conturbati sunt,foetura it in deterius%
il male cade sopra i figli, i quali non poppano a
sufficienza, subito che il latte lo d agli altri.
(34) Circumspicere. Le edizioni de'Giunti e
di Gimnico mettono despicere: lezione da adot
tarsi, perch Varrone vuale appunto che l ' altezza
del porcile non sia tanta da impedire al porcaio
di vedere per disopra se i porcellini sono in peri
colo. Columella parimente comanda che dalla
parte superiore feda il porcaio se manca qualche
porcellino, o se alcuno in pericolo. Egli ordina
che il porcile abbia qnattro piedi di altezza.
(35) Va punteggiato altrimenti dal testo : op
primatur ; et ut facile purgare possit cubile,
in haris ostium, etc.; diversamente non appari
rebbe P uso, cui destinata la porta, perch il
porcile non si netti per di sopra, ma pi como
damente per la porta. Ursino condann la voce
altum, come superflua, e perci Gesnero 1 ha
mussa tra parentesi ; ma era necessario metterla,
acciocch si sapesse che questa misura noo appar
tiene all1altezza del porcile, ma bens a quella
della soglia.
(36) da leggersi: totics in singulas are-
99
nam .... humorem : et cum pepererit, etc. Cos
appunto si ha nelle prime edizioni; e Crescenzio
omette anch egli in singulas injicere delet.
(37) Madefacta aqua. Dobbiamo interpretare
con Columella 1 orzo cotta nell' acqua. Maderc
per coqui stato adoperalo da Virgilio e da altri.
Pontedera, dal leggere in molti codici dcpubli-
cant, voleva adottare questa lezione: egli lesse in
tre altri codici, ove nel cap. 8 si parla della coda
del cavallo, depubjicata in dexteriorem par
tem cervicis, cio sparsa ; ma mane et vesperi
vogliono piuttosto conduplicant.
(38) Giammaria Gesnero, nel Tesoro della lin
gua latina, sospetta che si dicano porci delici, qui
delinquantur a matribus, ut reliqui, qui re-
linquantur ; deliculas vero oves dici, quae de*
linquuntur seu venduntur aliis dominis.
(39) Plinio, nel lib. vnr, cap. 5i ha: suis foe
tum quinto die purum esse, pecoris octavo,
bovis trigesimo. dunque corso uq errore o i a
Varrone, o in Plinio. 11 padre Arduino persuaso
che l errore sia in Varrone, perch Plinio, ci
tando tre esempii di animali che sono puri io
oerti giorni, osserva.una gradazione nei numeri,
che non avrebbe pi luogo se il dieci fosse i
luogo del cinque. Ma chi ci assicura che Plinio
abbia pensato a questa gradazione? Pare pi
probabile che il numero dieci fosse in Plinio,
egualmente che in Varrone, espresso colla lettera
z, e che coll'andare del tempo si sar cancellata
la parte inferiore di questa lettera, e non sar ri
masta ne manoscritti che la lettera v, eh1 il se
gno dinotante il cuque.
(4) Festo, alla voce nefrendes, disse che con
tal nome si chiamano anche gli arieti cjie non
ancora possono'frangere coi denti ; e perci que
sti si trovano nell* infauzia. Altri esempii si po
trebbero allegare per comprovare che gli antichi
distinsero con accuratezza le va/ieta degli animali
domestici.
(41) Plinio, nel lib. xr, sez. 95,-dice che le fe
conde troie hanno dodici mammelle, e le altre
due di meno'; ma questo namero di mammelle
varia negli animali domestici. Pare che i Romani
abbiano caratterizzate per feconde quelle troie
che erano di colore biancq; perlocch disse Gio
venale vi, 176: scrofa foecundior alba ; quando
bene non abbia avuto in vista quella troia favolo
sa, di cni poco sotto si fa menzione, e che gli
scrittori dicono che fosse bianca.
(42) Vittorio, dalla lezione jamne sim, form
Lavinii, e Poutedera, Interamnae, cio Terni.
Morgagoi vede le tracce e di Lavinia e di Roria;
il cho non pare a noi, che siamo dubbiosi intorno
alla scelta, perch la storia antica tace intorno a
questa favola.
910
DI M. TREN2IO* VARftONE
ANNOTAZIONI AL'LIB. Il DE RE RUSTICA 9 a
Quelli l'eroe <lll Eueid di Virgilio, il
quale, dopo la rtiina di Troia sua pairia, perven
ne, non senza difficolt, a stabilirsi io Italia. Egli
era figlio di Anehisc e di Venere ; ed conside
ralo come il ceppo del popolo romano. Se si pre
sta fede agli amori com tempora nei che hanno
scritto della guerra di Troia, come Ditte di Cre
ta, e Darete di Frigia, Enea non fo che un tradi
tore, il quale, di coocerto con alcuni altri Tro
iani, consegn la saa pairia ai Greci. Ma se ci
fosse, come combinare il vanto dei Romani, ap
punto perch discendono d* Enea?
(43) Sufferre lac. .Piacerebbe a Gesnero leg
gere sufficere. Crescenzio ha : sufficienter po
test lac praebere. Anche Vjrgilio nel lib. ti,
vers. 4^3, 435, disse sufficere: lo.stesso ha Gi-
slino xliv, 1 y 4*
(44) Non da escludersi con Urtino e Scali
gero lacte%perch* anche Cresceozio ha crebro
reditu lacte alere possint porcos, perch altri
non pensi che la voce crebro reditu si riferisca
al pascolo: qui le trie debbono ritornare sovente
ai figli per somministrare ad essi del latte.
(45) Cupiunt. Molti leggono cupiuntur, o
capiuntur, ed interpretano nn vivo desiderio di
seguire la madre; ma Pontedera interpreta il
contrario, cip impediuntur; e cita mlli esempii
di capare io significato d'impedire. Pare che la
questione si decida con Crescenzio e collo stesso
Varrone : quegli ha : creverint secuntur matrem
ad pastum, etc ,e quesli disse in qneato capitolo :
binis mensibus porcos sinunt cum matribus
sequendo eas: cum jam pasci possunt, secer
nunt.
(4<S) Seorsum pascunt. Ursino congetturava
che fosse da dirsi sero pascunt, perch Catone
nomin.i i porci serarii, dicendo nel cap. 4 :
Porcos serarios in oves denas pascat, etc. In
lai modo apparisce Ia ragione del come si tolga ai
porceMetti il desiderio della madre: perch nu
tricati Ioli d siero di latte, si fa che poco a poco
si scordino del latte. Crescenzio, omette intera
mente da pas'cunt sino a subulcus.
(4;) Ursino toglie la voce parentis, qaal glossa
del desiderio. Vittorio lesse parentis nutrices
ne* rodici e nelle prme edizioni; e quiodi so
spett, come anche Scaligero, che fosse da leg
gersi nutricis. Qui con Crescenzio da dirai :
Nutrices subulcus, perch prima bisogna assue
fare le madri al corno. Gjanfrances<*o Gronovio
corresse possint parntis nutricum^ ed inter-
pret nutriets per ubera.
-(48) Ideo ad xu. Qui va corretto certamente
ideo fid buccinam. Gesnero amerebbe che si di
cesse docentur in luogo di dicuntur, SchneidcrO
interpreta la lezione del testo: ideo dixit debere
convocri buccina. Meglio aggiungere una
lettera, e fare discuntur.
(49) Varrone .tace la maniera di castrare i
ferri. Colnraella ne insegna due nel lib. vi, cap. 364
e nel lib. vii, cap.-11.
(50) Majales. Isidoro ha: Majalis porcu*
pinguis, quod deae Majae sacrificabatur, qua
si ma t r i Mercurii,
(5 ) Greges majores. Pontedera leggo : Gre
ges majalium inaeqles, e viene a coititoire
tre classi : una quella, in cni pascolano le troia
ed i verp ; la seconda quella de* maiali; a la tersa
quella de1 porcellini non ancora castrati. Ma q
cotale gaisa non si determina nel gregge i l na
mero delle troie. Varrone soltanto avverte del
numero dei verri che si fanno entrare in cento
troie, qnaodo il gregg* aia composto di tante ;
egli per non ha ancoro detto qtiale sia i l namero
cbe approvi. Schneidero inteode per greges ma
jorum le troie, i verri, i maiali, ed i poreelletti,
che prima g aveva detto Varrooe di condurre
al pascolo separatamente.
Cap V. (1) Et Varrone nu Gesser difendo
cotale insolita maniera d* parlare, con dire che
una reticenza di saluto, della cui figora si sareb
be amato di vederne an altro esempio. Avrebbe
dovuto ancora insegnare, perch si eccettui il so
lo Varrone, e perch singolarmente si saluti. Per
contrario Brencfcmann ( in epistola ad.Schoet-
tgen edita in Observ. Misceli. Belgicis pag.
579) corregge : en Varronem nostrum* inquit.
(a) Balatrones. Non si sa dir niente con cer
tezza intorno al significato di qoesla parola. Ora-
zio 1, Serm. a, a, la usa per dinotare una qaal-
che professione, la qaale non nemmeno infa
me, come si raccoglie dallo stesso Orazio Serm,
ii, 8, a i , ove Mecenate tiene alta saa tavola
Servilio baiatro, che forse si iar cosi chiamato,
perch esercitava qaalche uffizio sol teatro.
(3) Palilibus. Varrone fa che i discorsi so
pra il bestiame si sieno tenuti il giorno delle
Palilia^ che era ana festa dei pastori, come nel
cap. a del primo libro fa che s Ungano i di
scorsi sopra 1 agricoltura il giorno della festa
delle semenze. Ma qnesto soldo a chi si paga?
alla dea Pale; laonde da dirsi Pali o non
Palilibus.
(4) Questa facezia cade sopra il nome di Tac
cio, che viene da vacca.
() Qaesl* autore era di Tanftmania in Sici-
Ha. Plutarco Jo dipinge qaal nomo arrogante,
cbe si vantava di essere migliore storico di Tu
cidide, quantunque entrasse sovente .in digres
sioni indegne delli gravit storica. Diodoro di
93 DI M. TERf NZIO VARRONE
0*4
Sicilia, tra gli litri* difetti^ lo accusa di essersi
diffuso sopra parecchie miuuzie.
(6) I vitelli si diooQo in greco traXoi ; e
per Questo voleva Pilone cha si fosse detta Ita
lia. Io uo frammento del libro delle Origiui
di Catone, si trova ima traccia di poesia favola:
Etsi Graeci de mre quidam a bobus Her-
culis, vel quod optimos gignat Italia, ut oit
Helladicus, aut a vitulo egresso, ut Herodor
fa/, vel quidam Graeci boves vocant IraXtt'c,
ut fabulatur Timaeus.
(7) Quantunque oon si vegga cbe le leggi ro
mane avessero stabilita la medesima pena, 00IU-
dimeno Plinio nel lib. vm, sez. 4$, cita un esem
pio, dal quale coita che on cittadino fu condan
nalo a 11 esilio dal popolo romano, perch am
mazz in villa un bue, ad oggetto di* compiacere
uno schiavo che mollo amava, ed il quale desi
derava, di, mangiarne. La ragione che quest au
tore allega di questo giudizio, , perch nelP uc
cider il*bue, aveva come aceiso nn sao lavora
tore. Ma questo cittadino sarebbe andato eienle
dall1esilio, se fosse vissuto quando il lqtto t' era
introdotto fra Romani, e quando P agricoltura
era soltanto nelle mani del basto popolo.
(8) Bu%uges. Plinio, nel lib. vii, cap. 56, pre
tende esservi sta lo. un-Ateniese di questo nome,
che fu P inventore di aggiogare i buoi alP ara
tro : altri aotori vogliono che questo non sia un
nome proprio, ma on epiteto formato dalle due
parole bue, e JWy**, giogo, e dato alP in
ventore delP aratro, che alcuni credono es*ere
Ercole, altri Epimenide, altri Trittolemo. Che
che'oe sia, il sacerdozio risiedeva in Atene in
una famiglia che si chiamava Busygia ; il che
sembrerebbe confermare P opinione di Plinio.
Columella, nella Prefazione del lib. vi, ba :
mas et femina boves aratro terminum signa
verunt, velut pecus : quod item Acticis Athe
nis Cereris et Triptolemi fertur minister :
quod inter sidera particeps coelit quod dein
de laboriosissimus'adhuc hominis socius in
agricultura, cujus tanta f u i t apud antiquos
veneratio, ut tam capital esset boverh necuisse
quam civem. Sebbene questo passo sia corrotto,
come lo' i u d i c . n o le parole velut-pecus, non
ostante apparisce che Columella lo ha tratto da
Varrooe, e che quegli fesse a nn dipresso eo i :
qui diceretur Itaus. Qua in re testis Attice,
testis Peloponnesus. Nam ab hoc pecore Atri-
cis Athenis utyges, Cereris et Triptolemi
minister nobilitatus, Argis O no gyrus. Hic
socius hominum in rustico opere 5 ab hoc an-
tiqui. . . accidisset. Novi, inquit ille, etc. Non
si sa cosa sia queil* Onogyrus d f Argo, qoando
ftoo foste il sacerdote della dea Giupooe, che,
secondo la testimonianza di Servio al lib. 111,
vera. 53a dalle Georgiche di Vi rgi i o, era solito
di portarti al tempio co? buoi aggiogati.
(9) Che voole dire o d grosso fico, da
bue, * vox**, fico. Festo, alla voce Bulimam, ha:
Hinc est quod grandes pueros bupaedas ap
pellant, et mariscam ficum busycon,
(10) Che significa ao grande infante, da fiis,
bne, e vts, infante.*
(11) Che signific ona grande fame, da
bue, e fi me.
(12) Che vuole dire ona persona* cbe ha graa-
di occhi, da./dst bue, 4 , occhio. Quest1 *
P epiteto che Omero d i sovente alla regiaa de
gli dei.
( t 3) Che vupl dire a grosse papille, da $u( la
tinizzato che significa bue, e da mamma che l i
gnifica mammella. Columella, nel lib. i u, cap. ^
la chiam alla greca bumaston.
(14) Quest' era la figlia di Agenore, re di Fe
nicia, che Giove rap sotto la figura di ntt bue,
e che trasport io Creta.
(15) Quest' era, secondo h favola, figlio di
Saturno 9 di Opi. Questo dio aveva P impero
sopra il mare. Questa favola dei meutovati figli
perduta, e non ci restano che alcuni vestigi in
Dionisio d' Alicarnasso. Vengavi V argomento
della tragedia di Euripide ad Hyginifabulas 186.
(16) Orsino eon tutta la cagione voleva che si
cancellasse opes, ovvero che si leggesse dulcis
simi. Molti autori parlano di qoesto feoomeoo,
ma segnatamente Virgilio nel lib. iv delta Geor
giche.
(17) Vale a dire generate dai bnoi, da bue,
e ywif, razza. Scaligero nega che le api si chia
mino in greco {hryfCK, ma fieyinTi, come fanno
parecchi poeti.
(18) Bugonam. Vale a dire P opera la pi.
melata. Questo loogo di Varrooe quasi inintel
ligibile; ed i eomentatori* cercano di deoiferarlo,
ma inutilmente, perch ignoriamo la storia. Sa-
boureox crede di' svilupparlo eon dire che M.a
Plaucio Silvano, tribuno della plebe, nelP anno
di Roma 664, port colP assisteoza de' nobili
nna legge per diminuire P impero dei cavalieri
romani. A quest effetto i ordin che ti sareb-
be creato on tribunale composto di quiudicl
giudici, tratti per quell anno dalle trib ; e in
forza di qaesta legge i giudizii forono comu
nicati ai senatori ed ai plebei. Il pretore Hir-
rius attacc apparentemente qoesta legge ; eap
punto in quest* occasione, dice Sabooreux, PIau
ci parl nella guisa accennata net testo, dicen
dogli cio di produrre il sao seritto. Tarnebo,
coll* introdurre molte correzioni nel testo, Spie
ga qoesto passo altrimenti. Egli dice che Var-
y i 5 ANNOTAZIONI AL LIB. U DE RE RUSTICA 916
rone desiderava che Hirrius fosse ascritto nel
numero dei senatori ( leggendo : In senatu seri-
ptum averes, invece di in senatum scriptum
habere), che Plaiicio avendo saputo .eh egli
era pretore, ne rec la nuova a Varrone,.e gli
disse: Tranquillizzatevi^ io vi reco una buona
nuova, e vi far tanto piacere, quanto se vi des
si un' opera sopra le api ; il che era una specie
di proverbio per dinotare le cose pi piacevo
li. Scaligero, paragonando questa spiegazione
col testo, ne di quel giudizio che Socrate pro
nunzi intorno a Dio, quaodo disse : u Io non
so ci che sia, ma so bene ci che non . n Fi
nalmente. Pontedera, dietrb a quattro codici, leg
ge . . . .Roma/ium in senatum scriptum habe
mus; u nempe cum habemus renunciatnm Hjr-
riurn praetorem, occultare (vel quid item) scri
ptam in senatum Romanum.
(19) Taura. Festo dice, in sentenza di Ver
rio, che si chiamava taura quella vacca che non
partoriva che t or i } ma pi verisimile qnanlo
*ggiungei c che questa voce deriva da Tafa
che in greco lignifica vacca. Servio .nei suoi co-
menti al lib. 11 dell' Eneide, dice : Quae steri-
}is- autem est taurea appellatur, unde ludi
Taurei dicti. Una sciocca etimologia partor la
voce taurea in luogo di taura.
(20) Ho r di calia. 11 nostro antore, nel lib. v
de Lingua Latina, ha : Fordicidia a fordis
bubus. Bos forda quae f e r t in ventre. Gli an
tichi cangiavano facilmente 1* h in f ; e perci
niuno si maravigli se' questa parola la trova
scritta diversamente. Veggasi tra gli altri Fogr
gini ad Fastos Verrii Flacci pag. 72. Questa
fesla s celebrava il d 17 prima delle Calende di
Alaggio. Si estraeva dal!' utero delU Vacca-il vitel
lo, il quale si abbruciava; e dallo ceneri di que
sto ai formava un suffumigio, mr di ante cui si
purgava il popolo e la ci li nel giorno delle
Palilta, che cade ai 21 1i Aprile, secondo i
Fasti Verriani pag. 56. Incombeva alla prima
ria delle Vestali T abbruciare questo \itello. Nel
giorno delle Palilia non era lecito immolare
aldina bestia che avesse anima. Veggasi 1' an
notatione di Foggini alla pag. 56. Ursino tro
v in un vecchio codice nominatur : difalli nn
solo giorno si destinava alle Hordicalia.
(21) Intorno alla forma delle corna non dice
niente Varrone , veggasi per Columella e Pal
ladio.
(22) Subsimisve. Ursino, dietro i Georgici
greci, corregge subsimae, ne gibberae, sed spi-
na. Columella ha : naribus resimis patulisque,
dorso recto planoque, et subsidente : lo stesso
ha pure Palladio. La congettura di Urtino
confermala totalmente dai colici e dalle prime
edizioni. Non vi sari alcuno, il qoate voglia
leggere malis subsimis, perch la voce simus
negli animali dinota quella linea tirala dalla
.fronte sino alla bocca, e che divide le narici. E
dunque del tutto assurda la correzione di Gesne-
ro, il quale volle* leggere subsimis, ne gibbe
ris, pinna levitar remissa apertis naribus.
Egli interpret la pinna delle narici pel tra
mezzo delle stesse. 11 nostro volgarizzamento
si fatto dietro Columella, Palladio ed i Geor
gici greci, i quali per spina intendono il dono.
(a3) Qui s* intende quella pel l e mol le cbe
consta di sola cute.
(2<{) da tradursi pectore ampio, perch
cos ha Columella, Palladio, Florenlinio, ed an
che lo stesso Varirone nel lib. 1, cap. 22, diceo*
do, parlando de' buoi , lato pectore.
(a5) Columella ha/ cruribus compactis ac
rectis, genibus eminulis ; U> stesso hanno pa
rimente i Georgiti greci; dunque rectis deve
appartenere a cruribus, non g i i a gentbus.
(26) Si fa strpito coi piedi, qaando I ani
male li ha piegali all esterno, come prova eoo
molti esempii Pontedera : dunque uel nostro
caso debbono essere piuttosto volti all' interno.
(27) Prior quam. Parimeli le Columella nel
cap. vi, cap. , dietro Magone, preferisce i buoi
di colore fosco : lo stesso dice anche Palladio al
mese di Marzo. Questi di colore fosco, sono ap
punto quelli che Varrone chiama helvi. Festo
he : helvacea genus.ornamenti ( ma forse da
dirsi condimenti) Ljrdii dictum a colore boum
qui est inter rufum et album appellaturque
helvus : lo stesso diee : Heh'ela h oler minu
ta : e poco dopo ; Helus et Heusa antiqui di
cebant, quod nunc holus et'holera. uoa certa
specie d' erba quella che si nomina helva, heU
vla ed helvella, come si ha da Cicerone ad Di-
vers. vii, 26, fungos helvellas, herbas omnts
ita condiunt, ut nihil possit esse suavius. Co
lumella nel lib. 111, cap. 2 nomina le viti helvolae,
delle dagli altri variae, cio n rosse, o nere.
Nelle seguenli parole havvi una contraddizione
manifesta u Varrone. Pontedera.voleva che si
leggesse utrique ad laborem pluris, perch ia
Plinto si ha : nigri coloris candidive ad labo
rem damnantur. Gesnero dice che le parola
nigri et albi significano varii seu maculosi. Ma
cos non si scioglie il nodo, perch Columella e
gli altri scrittori geoponici preferiscono agli altri
i rossi, d i rossi-pallidi, ed i Greci danno la pre
ferenza ai rossi, dietro all' autoriti di Varrooe ;
dunque questi lessero utique pluris; etc., cio,
certamente il rosso da lodarsi pi del negro e
del bianco. Ma v* un' altra difficolti : e perch
mai Varrone vuole che si legga colore polissi-
Di M. TERENZIO VARRONE
mum nigro TUrsi d o crede?* l i toglier) con di
re : colore potissimum robcoydein ni gr, tertio
helvo, Ma questa correzione totalmente con
traria si sentimnto di Varrone. Bisogna donqoe
stabilire che Yarrone a noo vera pritaa generai-
mente i colori che si haono in vista nella com
pera, e cbe li distriboisce con ordine, cosicch
dal negro discende ai pi lucidi : ci fallo, li ca
ratterizza tulli quattro, e pronunzia il suo giu
dizio intorno alle loro rispettive qualit. Dun
que la. voce potissimum non sigoifica che Var-
roue approvi sopra tulli il colore nero, ma che
particolarmente si considerano nei buoi quattro
specie di colori. Per*fare poi che il nostro Te
renzio non contraddica a s stesso, e per fare
che nella distribozione delle parole vi sia orili
ne, leggasi: quarto albo. De mediis duobus
prior quam posterior melior ; utique pluris
quam nigri et albi ; mollissimus enim hic, ut
durissimus primus. Dick>on n, pag. 479* h*
corso un* altra strada; eil di opinione che le
prime parole cofore potissimum nigro, etc. si
riferiscano al giudizio cbe si Irae dal colore in
torno alla mollezza, o all1asprezza della cute;
le altre poi al comone giudizio, nel quale non
si ha alcuna vista di asprezza, o di mollezza di
cute.
(28) Ursino e Schneidero, coerentemente, al
cap. 4 di questo libro, ove loggesi : boni seminis
sues animadvertuntur a facie et progenie et
regione coeli, vogliono che qui si legga : neque
non ut mares boni seminis sint%et qui his
orti sunt%eorum forma est spectanda, si re
spondent ad parentum speciem, Ursino poco
Uopo condaona irragionevojmente refert.
(29) Siccome sa Scaligero <;he i buoi della
Marca d' Ancona e quelli che nascono verso il
fiume Po sono buoni, cos congettura che Var
rone parli di questi. La Liguria abbooda di pic
cioli buoi, iu seutenza di Yarrone, lib. i n, cap. 8,
e di Columell, lib. 111, cap. 8. 1 buoi dell Epiro
sono molto lodali d Arislotele e da Plinio.
(30) Victimas farciunt. Non si sa compren
dere come tanti nomini dotti abbiano lasciato
correre farciunt in luogo di faciunt lezione
delle prime edizioni, e vocabolo .usato comune**
mente per sacrificare. La. Cerda al lib. n, veri.
*46, fa menzione dei buoi nati presso i^ fiume
Clituqno, e cbe si preferivano oe sacrifizii, per*
che erano bianchi.
131) Ove il fiomtf Mela si scarica oel mare
dell' Arcipelago. Secondo U testimonianza di E-
liano uella Storia degli animali xu, 36, in Negro-
ponle nascono pelr lo pi buoi bianchi.
(3a) Veggansi sopra questo Mamilio le anno-
taiioui ai cap. 3 di questo libro.
(33) E cme ci, quando consta che non si
potevano immolare che vittime, le quali avessero
Iuli' i requisiti e che fossero tenia difetti ? Ecco
la risposta che j i pu dare : altra cosa che nn
animale abbip tult i requisiti e che'sia senza di
felli ; ed altra cosa che sia sano. La prima qua*
lit, e la sola che si ricerca nelle vittime, salta
tubilo agli occhi, ma non cos la seconda ; poi
ch la sanit pu dipendere da un vizio interno
e nascosto. Non ti ttrebbe dunque potuto, a ca
gione di esempio, immolare un bue cieco di un
occhio, o zoppo, ma ti tarebbe potuto sacrifi
carne uno che avesse la febbre : iu lat modo era
inutile stipulare che era sano.
(34) Se Aldo avesse esaminata P edizione di
Beroaldo, avrebbe letto cum hibernat. Qui si
gnifica il crudo dell1inverno*; e perci non da
mettersi tra parente^.
(35) Quesl* la Lira, la quale, secondo Plinio
lib. xvtu, cap. ad, si leva it giorno delle None di
Gennaio.
(36) Una simile sciocchezza intignala dai
Georgici e Veterinarii greci, e da Columella.
(3y) Plinio, nel lib. vm, . tez. 70, ha : Coitus
a delphiui exortu a. d. pridie Nonas Janua
rias diebus triginta ' aliquibus et autumno.
Come dunque conciliare Varrone e Plinio eon
Columella, il qoale dice positivamente che biso-
gua far salire la vacca dal toro nel mese di Gio-
gno, acciocch partorisca nella vegnente prima
vera ? Ursino crede che sia mestieri correggere
Plinio, e leggere Junias in luogo di. Januarias.
Cotale correzione farebbe per verit accordare
Plinio .con Columella intorno a questo ponto,
ma si troverebbero ancora opposti in altri pno-
ti ; poich, secondo Plinio, e posto che non si
introducesse qna nuova correzione, il delfino si
leverebbe P antivigilia- delle None di Giogno*
e la mattina; qoando che, seeoodo Columella,
lib. vi, cap. 24 si leva il delfino la sera dei
quattro prima delle Idi di queslo mese. Non si pu
dunque ammettere qaesta correzione ; e non ti
pu stabilire oiente di certo intorno, alle osser
vazioni astronomiche degli antichi, come abbia
mo fatto vedere nel cap. 3 dei lib. 1 di Var
rone.
E dunque meglio in quest* occasione ricor
rere soltanto a Plinio, il quale dice che ti ac
coppiano nel mete di Gennaio, ma soggiungendo
che alcuni non escludono P autunno, e che i
popoli che non vivono che di latle, non hanno
alcuna regola, e che pensano tolo di aver latte
in tutto P anno.
(38) da aggiungerti taurum dopo admi
seris , perch il tenti mento cos ricerca, e per
ch trovati in un vecchio codice. Varrooe ha
ANNOTAZIONI AL LIB, II DE RE RUSTICA
tratto questo caso dal lib. ix, cap. 5o della Sto
ria degli animali, e dal lib.. 1, cap. 4 della G.e~
aerazione di Aristotele. Lo stesso dice acche
Columella. Ma quello fenomeno ooa debbe ria-
cir aorprendente, perch *gi il seme aranti
la castrazione trovava raccolto nelle vesclchet-
te seminali del toro.
(3g) M inut me. Crescenzio, ix, 65, nomina le
i a Dia re, le mosche ed i tafani. Varrooe inten
de qai V aestrus bovillus et haemorrhoidalis
di Linneo, il qaale fa le aova nelle nari e nel-
I1 ano dei buoi. Linneo chiama i tafani pestis-
armentorum.
(4o) 'Pontedera approva 'appellandum, per-
th i bovari chiamano i buoi colla voce.
(40 Lactentes. Avanti questa voce da ag
giungerai noe te con Crescenzio.
(4 a) Aristotele e Magoo discordano ia qae
sto paato da Vairone.
(43) A ragione condann Gesnero aliquid.
(44) Gregum. Con . Popma e con Gesnero
non abbiamo tradotto gregum, perch del nu
mero componente il gregge si parla poco'dopo.
(45) Apud iam.<Popma legge apad Se/um ;
Urtino apud Atticum, perch di sopra disse:
habeo tauros totidem quot Atticus, ad ma-
tricet septuaginta duo. Qai certameftte da
i o tendersi alouno degli interlocutori che Vaccio
mostra a dito, e probabilmente questi Attico.
Cap. VI. (i) Procreavi. Non lenza ragione
corresse Giocondo oellAldina procuravi perch
oon li fece generare in Roma, ma vend in Roma
agli Arcadi quelli che aveva Catti generare in
Rieti.
(a) Flutae.Mcrobo Saturnal. il, i a, ci dice
che si chiamavano flutae, e che ooi traduciamo
galleggianti, perch a forza di nuotare sulla su
perfcie dell* acqua, il iole le diseccava io modo,
che non poteyaoo pi curvarsi per immergersi
nell* acqua: ridotte a tal punto, era facile di
prenderle anche colle mani. Qnesta mdrena si
chiama da Linneo Muraena Helena.
Culumella, nel* lib. vm, cap. i 6, -diee che il
pesce ellops regna nel mare di Panfilia.* Veggasi
anche Macrobio h i , i 5. Questo pejce ci ignoto
oggid.
(3) Crescenzio aggiunge aestivum dopo sol
stitium : queito stsso ha dipoi ; ut in eodem
tempore alternis annis pariant: avanti Vittorio
leggevasi pare alternis annis. Colamella attesta
che le cavalle nobili non si facevano montare dai
cavalli e dagli asini che ogni altro anno.
(4) Nationem. Festo ci stato di scorta nella
traduzione di queslo vocabolo ; nationem item
apud antiquos naium.... in pecoribus quoque,
bonus proventus foeturae natio dicitur.
(5) in pastu. da dirsi in partu, perch poco
dopo viene secundum partum. Di .topra aveva
gi detto che gli asini si nodriscooo mollo bene
di farro e di crusca di orzo.
(6) Nisi ii. Crescenzio ba: in usp; nam ali
qui eos non eligant nisi ad hc ut onera por-
ten^ olii ut molas ducant, nonnulli eos ad ve-
hendum disponunt, et plerique ad arandum*
ubi levii est terra. Da questo pltso parallelo si
raccoglie manifestamente qaanto sia alterato il
testo di Varrone. Si fanno dunque dai ma rea dati li
delle troppe di asini, dei quali si servono per
portare le merci al mare : per gli altri usi poi si
adoperano o soli, od apparati. Si aggiusti dunque
il lesto boti: non sane fiunt, ideo quod pleri
que .... Campania. Aliqui eos non eligunt nisi
ad hoc, ut onera portent. Greges itaque fiunt
fere mercatorum, etc.
(7) Ursiuo ridicolosamente fa che gli asini
diventino mercatanti, perch toglie asellis dos~
suariis, e cangi) 'comportant in onera portoni.
Cap. VII. (i) Ursino, secondo P autorit .di un
antico codice, voleva che si leggesse : Q. Modius
Aequicolus.... etiam in re militari, e paragona
Plinio nel lib. viti, cap. 4* : Scythas per bella
feminis uti malie, quod urinam cursu non im
pedito reddant. Egli certo che non ti vede a
chi riferire le parole patrt militari.
(a) Ursino voleva che si leggesse: spectare
aetatem, ne sint minotes triunu, majores de
cem annorum. Oresaenzio ha ix, 1 : habere vo
luerit .... aetatem, videat .... trium annorumt
majores decem a/i/ioram.Danqae questi confer
ma la correzione di Ursino ; e perci converreb
be togliere praecipiunt videndum. Schoeidero
toglie il punto avanti videndum; e Pontedera
coi codici e colle prime edizioni legge: Videmus
ne sine....
(3) Con Cresceuzio da dirsi quae ungulas..~
cornutorum. Pontedera colla voce cornutorum
voleva intendere quegli aoiraali cbe haono le
uughie divise; altrimenti Varrone avrebbe omes
se le pecore, i cani, i porci e gli altri animali, la
cui et si conosce egualmente dai denti : e ci
sarebbe vero, dice Pontedera, te la voce cornu-
tunk si prendesse qui per corniferum. Ma sap
piali che Varrone inteude parlare soltanto degli
animali domestici ; e Pontedera non doveva igno
rare cbe col nome d animali cornati s1intendono
auche le pecore. Si sa che gli antichi credevano
che i porci non cangiassero alcun dente : questi
uon sono compresi da Varrooe.
(4) Caninos* Nel l o d i l e Uo r e a x i i o o e Cese
llate h e w i cavos, ed ia altri canos, cio cavos.
L*autorit di Crescenzio, di Pliaio e di Apsirto,
me p i di tatto il fatto, vogliono cbe qui si legga
cavos.
(5) Crescenzio interpreta la voce brocchi per
plicati ; e nel lib. 11, cap. 9, per torti : ma s' in
t endono que denti* cbe diventano prominenti
ol tre l e gingive, perch qaeste si tono ri lirate.
Colamella, nel lib. n , eap. 29, li chiama promi-
nentes, e coti anche Palladio v, i 3. Apiirto alla
pag. 227, dice'th non solo s incavano le occhia
ie, ina che diventano incaviti anche gli tiessi oc
chi. Si potrebbono addurre altre autorit per
provare qaanto nella interpretazione abbia errato
Crescenzio. Pli ni o. ed Apsirto contengono eoo
Varrooe che questi segni appariscono sai tedici
anni; e per contrario Colamella dice ohe appar*
scoao s ol decimo anno: il fatto per sta eon Var
rone. Quattro codici Fiorentini e I' Ambrosiano
mettono hoc id luogo di hit ; il che non da
omettersi, perch hoc l o ttetto dell anoo u l t i
mo. Siamo con Pontedera nel leggere tum io
l aogo di equum, perch i codiei haono equorum^
oi i i , secondo P ortografia eolica, ecom, parola
cbe nelle lettere non ti diteotla molto da tum.
(6) Bisogna correggere assolutamente il tetto
con Crescenzio, il quale nel lib. ix, cap. a, ha :
formam esse oportet, ut ait Varroy magnitu
dine media, quia nec vastas nec exiles decet
esse equas, clunibus ac ventribus latis. Qui
non ti parla n dello stallone, n dei cavalli io
generale, ma.soltanto delle cavalle : lo stessp ha
pure Apiirto xvi, 1. Pontedera lette in quattro
codici vales in l uogo di pastosit in an1antica
edizione li Cretceniio ti ha valos : sarebbe per
ci tentato a leggere coti : A an aomo alto, gracile
e che n o n proporzionato nelle tue parti ti dice
ch'egli un palo. Non da iprtzxarti quest'o
pinione.
(7) Membris, confusis. Abbiamo abbracciata
la correzione di Urtino membra confusa: oel
capo non vi sono membra, ma parti. Apsirto nel
laogo citato, parlando degli stalloni, ba lo stesso.
Schneidero amerebbe cbe queste parole si met
tessero dopo congruenti.
(8) Ursino aggiunge cervice molli dopo ap-
plicatis, perch Columella, nel luogo citalo, ha
cervice molli lataque non longa : lo stesso baff i
pure ne1Georgici gteci.
(9) 11 medesimo Ursioo rigetta le parolefusca,
subtenuibus setis, e legge inclinata in luogo di
implicata, perch oos ti legge ne' Georgici greci.
Columella pur^ tralatcia qoetli legni. Berengero
rende la ragione perch gli antichi faoef ano pie
gare la chioma alla parte deitra : solevasi, dic' e-
M. T e i s m o V a x o n
9i
gli, salire sul cavallo per la parte destra ; e iti
quest' atto prendevasi -con una mano la chioma.
(10) Humeris latis. Coi Georgici greci da
dirsi humeris rectis, scapulis latis. Columella
abbraccia 1' uno e P altro membro con dire gran
dibus armis et rectis. Inferiormente alle scapole
si articolano gli omtri, i quali deggiono essere
diritti.
(it)-Ursino ha foluto leggere molto bene
lumbis deorsum versus pressis ac latis, peroh
Columella ha latis lumbis et subsidentibus.
{12) Cruribus. Colnmella ha: mollibus atque
altis rectisque cruribus, tereti genu parvoque
neque introrsus spectanti, e le prime edizioni
aequalibus, introversi* : potius figurata, geni
bus, etc! Quindi Pontedera voleva che si dioesse :
aequalibus non intrbversis, potius figura alta*
genibus, etc. E da seguirsi Pontedera neti' ag
giungere potius figura alta, offerofigura altis;
il che espresse anche Culumella, e Varrone nei
cap. 5, parlando de1buoi cruribus potius mino
ribus, rectis, genibus eminulis, distantibus
inter se. Apparisce da questo passo che sbaglia
Pontedera nello attribuire la voce introversi* alle
gambe, peroh appartiene al ginocchi?. Ma in que
sto laogo per ginocchio non da intenderti il fero
ginocchio avente per di topra la rotola, perch
questa nop salta tanto all' occhio nei quadrupedi,
come lo negli uomini ; tpa sibbene da intendersi
la giuntura delle ossa della gamba colPosso del
metatarso, chiamato dai Francesi os de canon,
Dunque per ginocchio da intendersi Pindicata
articolazione. E siccome vuole Varronc che i gi
nocchi ue'buoi tienp tra di loro distinti, cod
hanno da essere appunto anche nei oavalli, affin
ch non si urlino reciprocamente nel camminare.-
Ecco dunque il testo da noi volgarizzato: cruri
bus rectis mollibus, potius figura altis, geni
bus rotundis, nec magni?, neo introversus spe
ctantibus, etc.
(13) Deggiono essere patenti le vene, onde
facilmente al caso ti taglino. Non abbiamo tra
dotti corpore multo, perch qoetle o iono pa
role spurie, o fuori di luogo, dioe Pontedera.
(14) A terra Appuli, Ursino correggeva i/s
Italia Appuli ac Roseani, perch, parlando dei
cani, dice pi sotto : Itaque a regionibus appel
lantur Lacones, etc. Pontedera voleva piuttosto
che si dicesse a terra Appalla Appuli,
(15) Pontedera si aooorse bene che qui da
leggersi : .De horum foetura : initium admis
sionis : coti pure disse nel cap. 9 di questo litro :
de foetura : principii+m, etc.
(16) Tempore fiaK Crescenzio aggiunge : sci
licet multarum herbarum, ut mater habeat
abundantiam laetis. Jx hoc enim corpus ei
85
9 aa DI M. TERENZIO VARONE
oa3 ANNOTAZIONI*AL LIB, 11 DE RE RUSTICA 9 * 4
membra pulii grandiora fient. Duodecimo, c/e.
Coti hanno pare i Georgici.grcci e Colameli* nel
lib. vi, cip. 27. Forte qui ?i tono delle parole di
Varrooe.
((7) Qui chiaro ehe Varrone tappane che
1'accoppia me pio ti faccia dopo il solstizio.
(18) Perorigam. Tanto qai, quanto altrove ti
nomina queata parola, la quale n scritta come
nella traduzione. Si dice origa ab oreis, tpecie
di freno che ti adattava alla bocca de' cavalli, fe
condo la testimonianza di Festo.
(19) I Veterinarii greci, pag. 56, fanno nuova
mente montare le cavalle dopo vanii gioroi, e Cre-
tcenzio vuole che ogni altro gioroo ti facciano .
montare. Non ti taprebbe ben dire te coti avetse
scritto anche Varrone. Plinio nel lib. vin, sei. 66,
ha per intervalla admissurae dantur, nec ta
men quindecim initus ejusdem anni valet.
.(ao) ln Eliano, lib. ix, cap. 49? * trovano ac-
oeooali altri rimedii per accendere la libidine, i
quali e collo irritare le parti genitali e colla loro
forza ignea mettono in ardore. Pi di. lotto giova
introdurre internamente questi stimoli per mezzo
del cibo..
(ai) Varrone fa che le cavalle vadano sog
gette mensualmente a questo Dumo dell' utero ;
il che contro il faUo, perch annuo. Lo stes
to fa che succeda Bu/Tone nelle tcimmie: ma
stato combattuto da Blqmeobach nella sua Fi
siologia , pag. 421. Questo espediente, secondo
i Georgici greci, da metterti in opera dopo i
menstrui.
(22) Questo caso succeduto nel territorio di
Rieti, tecondo Plinio.nel lib. vm, vap. 42. Parec
chi autori raccontano differenti esempii di que
ata specie di pudore naturale negli animali ; ma
il torprendente ti , ta loro si crede, che quetti
esempii tono alcuna volta succeduti presso popoli
che punto non erano scrupolo per simili accop
piamenti.
(33) Equos. Qui assolutamente va letto equas:
lo stesso ha pure Aristotele e Columella.
(a4) Qui i commentatori vorrebbero intro
durre delle novit nel testo ; ma cosi va bene.
(a5) Cum stent. Urtino voleva leggre cum
stabulantur ; ma da dirti con Cretcenzio doni
cum stant.
(26) Ursino condanna, come superflue, le paro
le e motu. Cresceozio, nel lib. ix, cap. 4i prescrive
che quando il puledro ha doe anni, si debba le
gare mollemente con un Jaccio grotso, forte e
fatto di lana, perch la lana, per essere pi molle,
pi acconcia del lino, o del canape. Gli antichi
attaccavano a questi freni anche dei sonagli. Veg
gasi Bereoger Tom. i, pag. 189 : The history o f
Horsemanship.
(27) Quod quarto. Ursino vide ch'era da ag
giungersi decimo. Crescenzio ha lo stesso.
(28) Exercendum.TnlV i commentatori sono
divisi : chi legge strigandum, chi extergendum
atque exercendum, echi eximendum (hordeum).
Scbneidero persuasi di leggere: eo tempore
exigendum, mediocriter exercendum, et cum
sudarit, extergendum et perungendum oleo.
(29) Qursuram. Le prime edizioni aggiungono
alii ad praedam*Crescenzio aggiunge invece ad
quadrigam. Mi piacerebbe aggiungere ad rhe-
dam oon Ursino: difatti si addestrano! cavalli
anche a ci.
(30) E da dirsi oon Gesnero atque alitar
docet.
(31) da aggiungersi oon alarne edizioni:
neque eodem modo parantur ad ephippium.
Queste sono parche necessarie. Molti commenta
tori cangiaoo ad praedam in ad rhedam. Ur
sino giudica spurie le parole quod ibi ad castra;
e Gemer le parole ad rem militarem quod.
(3a) Pontedera ci avverte eh da dirsi quie
tiores, ideo quod semine carent ; ii, etc. La
sciando sussistere et vi apparenza di ana etiaao-
logia, la quale qui non ha laogo.
(33) Canterius vaol dire anche una pertica.
(34) Quantunque i medici del bestiame non
trattino solamente i cavalli, ma ancora te altre
bestie da soma, purp i Greci li haaoo chiamati
cos dalla voce inrvofj che vuole dire cavallo, e da
iarfosy che vuole dire medico. I Latiui per non
fecero un tanto onore al cavallo, perch diedero
a questi medici il nome di veterinarii, che si ap
plica a lotte le bestie da soma, poich viene dalla
parola veherey che sigoiftea portare, lo tono ma
raviglialo che quest ultimo nome sia auto adot
tato da un popolo pi militare, che agricoltore,
e presso il quale quasi lutt' i titoli di nobilt sono
tratti dal cavallo.
Ca p . Vili. (1) Si ricorra al capitolo 1 diqae*
sto libro.
(a) Liba. Catone, nel capu 75; parla della com
positione di questo pasticcio.
(3) Rinnus. 1Latini il chiamavano cosi dalla
parola hinnitus, che esprimeva il nitrito del ca
vallo.
(4) Dietro le prime ediziooi da leggerai
partusfructu neuter. Poco Aopo ai possono tra
lasciare, setondo l ' autoriti di Ursioo, le parole
ac alia omnia.
(5) Gesnero e Pontedera si accorsero che il
testo sbagliato 5laonde il prillo il corregge,
lasciando fuori ad e cibum ; ed il secondo, fa
cendo che equa diventi aequa* cio parem ad
*>t5 DI 11. TERENZIO VARfeONE 9s6
lactis ministerium, Pootedera ha P appoggio
aoohe di Palladio al mete di febbraio a5.
(6) Pontedeta voleva leggere colle prime edi
zioni quemque amplissimum et formosissimum
quam possunt. Con Ursino e Schneidero tasta
cangiare quem in quam,
(7) Plauto ulql. 111, 5, aij.oonferma qoesto
eccessivo prezxo de1moli : egofsxim muli, pre.
tio qui superant equos, ut sient viliores Gal
licis cantheriis ; e cosi'pure Marziale, 111, 6a.
(8) E da distinguersi questo membro oos:
quo equos, adducentes, iidem ut ineant equas,
per origas curamus: vale a dir sono da onirti
le parale udducenes per origas curamus
(9) Sui monti pure si mandano a quest1effet
to ancbe i cavalli nati oel .territorio di Rosea,
dei quali ai parlato oel cap. 7 di questo libro.
(10) Qui p*r|a Murrio di Rietifrdel quale leg
gasi di sopra il cap. 6 . 1 commentatori credono
che volga subito il discorso a Varrone ; e cbe a
questo appartengano le parole mihi inquit.
per altro .diira qoesta interpretazione. Alcune
edizioni banfao mi Attice, nisi.
(11 ) Ex equo et asino. Qaeste parole sem
brano superflue a Pontedera : difatti aveva gi
detto di sopra che il mulo hinnus nasce dal ca
vallo e dall asina.
(ia) Anche Gesnero vide cV alterato il to
sto. Leggasi auribus ut equi, ita juba et cauda
similis, ovvero similior asini.
C a p . IX. ( 1) Pare a d Ursino che s i a d a leg
gersi quod ad omnes, ovvero : Relinquitur, in
quit Atticus, de canibus, quod attinet maxime
ad nos, etc.
(a) Ut ejus quod. Scaligero voleva leggere
ut enim quod, ed interpretava per siquidem ;
ma non adduce alcun esempio cbe ci confermi :
pinllosto da dirsi coi codici e colle prime edi
tioni curtos ett pecoris, et ejus qui'eo comite,
etc., perch dopo segue in quo genere sunt ma
xime oves, deinde caprae. Crescenzio ha: canis
est custos ejus pecoris, qui eo comite indiget
ad se defendendum, etc.
(3) Sues. Le paro)? del tetto : Jn suillo pe
core tamen sunt, quae se vindicent, ben di-
mottrano cbe in quetta claste se ne eccettoano
alcuni ; ma, lasciando correre suesynessuoo te ne
eccetloa. Oltre di che Varrooe per sues intende
i porcellini, i qoali non tono capaci di far fronte
al lupo. Se per sues intende Varrone le troie cbe
uon hanno partorito, il tetto pu correre. Si
ometterebbero dunque i porci, otsia, i piocioli, i
quali iu questo caso deggiooti etelodere.
(4) Getnero stato testimonio di on boe eht
colle corna si difeto dal leone. Si raccootano
altri simili tpeltaooli, oe* qoali ti ottervato ohe
i booi ti ritiravano in on angolo per aoo ettere
atta li ti di dietro.
(5) Quoniam genera. Abramo Gronovio in
dic che Marklando nelle lettere critiche, pag.
i 3, corrette quorum genera. Abbiamo adotta
ta qneita oorreziooe. Pontedera dalle variaoti
del codice Polizianeo oon gel tara va che dopo
fotte da leggersi : pertinent ad feras (cioy*-
rai,ferae) vestibula silvestribfUs ssi lustreis.
Di fatti, siccome il cane domestico appartiene al
vestibolo della casa, cos quello da caccia ap
partiene ai vestboli delle* fiere. Nooio dice che
si tono chiamate assae quelle notrici ohe stanno
tempre coi lattanti, e che da essi noo ti dipar
tono giammai ; perci ti possono chiamare assi
que cani che continnamente vanno io cerca dei
vestiboli e dei covili delle fiere.
(6) Urtino voleva ohe ti leggette a te dispo-
sitam. Crescenzio dice ad formam hujus artis.
Dpnque ti dice ad formam artis dispositam.
Qui d avvertirti che paria ancora Attico.
(7) Dicati piuttosto magnitudine ampli.
(8) Ravis. Festo ioterpreta per il colore ra
vus quello che tra il giallo e 1' asterr ; e av
verte che le spiche gialle delle biade ti chiamaoo
ravae.
(9) Noo ti sa comprendere qoali sieno le lab
bra resima. Aristotele dice che i grandi e roba-
' sii cani haono le labbra sottili, e che negli an
goli sono talmente rilattate, che la parte del lab
bro superiore vicina all1angolo della booca, ai
ripiega in t all* angolo inferiore.
(10) Bisogna distinguere tanto negli nomini,
quanto negli animali la collottola dal oollo, per
ch la prima la parte superiore del collo attao-
cata alla tetta.
(11) Magnis et altis. La voce altis debbe
appartenere alle gambe, e noo ai piedi ; perch
ti chiama piede toltaoto la tuperficieche poggia
tolla terra, e questa so per fi eie faon pu essere
alta.
^ (l) Crescenzio dice il oootrario, perch ha
et ungulis duris neque curvis: e Plinio nel
lib. zi, tef. 101, ha : ungues recti canibus,prae
ter eum, qui a crure pleris que dependet.
(13) A feminibus summis. Qui ti tradot
to a cato. Per femina a1 intende specialmente
la faccia interna dei femori, otsia la parte pi
molle della tommit della coscia *come poi p6t
quette cocce potta dirsi corpus suprtssum^ ooo
so capirlo. Nettooo autore antico, o moderno
parla di ci.
(14) Il tetto oertamente alterato. Cretceo-
(o ha colore potissimum leonino, e Colomel-
la, nel lib. vii, cap. ia : pastor album probat...
ne, si non sit albo coloro conspicuus, pro lu
po canem feriat : laonde Ursioo cosi corregge :
quo in tenebris eos a lupis pastor discernat,
radiantibus oculis etiam in tenebris specie
leonina. Conrado Gesnero nella Storia de qua
drupedi, pag. 266, voler che si aggiungesse a '
lupo et aliisferis facilita dignoscantur.Schut-
dero .persuaso che 1 parole specie leonina
appartengano piuttosto al petto grande e pelo
so, quale appunto- ha da essere quello del cane
da villa, secondo Columella.
(15) La parola aequalibus relativa al nu
mero dei uapezzoli, fecondo noi ; poich si sa
ohe varia questo numero nei cani e ne porci,
cosicch in qualche lato sovente ne manca uno.
(16) Cicerone ad Atticum, xii, 44i nomina
on Ponziano amico di Attico.
(17) 1 commentatori fanno lunghissimo di
spute su questo passq. Scaligero persuaso che
vada scritto : Pastores ut deduxent, in me lam
pi nos saltus se traclepere ; cio, com egli spie
ga, postquam deduxissent, se clam subduce
rent. Egli crede che questi monti mentampini
ai sieno perduti nella memoria degli uomini.
Ursino cangia solo la lezione antica deduxerunt
in deducerent. Popma con Scaligero. Ponte
dera finalmente legge ut dedurent, cio che i
pastori seguano il gregge, in metapontinos sal
tus et tracleperent ; a pensa che il mercato di
Eraclea si nomini in un altro luogo, ove si trat
ta non del gregge da vendersi, ma venduto. Ma
per varie ragioni si pu avere condotto col il
gregge. Gianfrancesco Gronovio congettura che
fosse da leggersi ad Heracleae forum. Nella
traduzione .non ci siamo dipartili dal teito cor
rente.
(18) Scaligero pensa che sieno una glossa le
parole qui ad locum deduxerant.
(9) Quest abitudine dei cani di ritornare
ai loro snlichi padroni, mi richiama alla.me
moria un tratto piccante di Diogene contro Pia-
tone. Questi parlando di qualche materia gra
va in presenza di Diogene, che non lo ascolta-
tava punto, fuurtato talmente da questa disat
tenzione che non pot far di meno gli dirgli :
Ascolta le mie parole, o cane : a cui rispose Dio
gene senza turbarsi : lo per altro non sono ri
tornato nel paese, ove sono stato venduto, co
me fanno ordinariamente i cani. Con tali oscure
parole volle egli censurare acremente Platone,
il quale, ritornando in Sicilia, ai rimise sotto
la potest di Dionisi il tiranno, di cui aveva
gi sovente sperimentato I animo caltivo e sen
za fede, come si vede io Cicerooe pro Rabi
rio. In tal modo il filosofo cinico fece che Ta.
burla cadesse sopra Pjatone,poich ognuno dis
9*7
approvava I inconseguenza della condotta di
Platone $ anzi pubblicamente si diceva he nero
era punto da maravigliarsi che Dionisio fesse
in Corinto, ma sibbene che Piatone si trovasse
io* Siracusa.
(ao) Scaligero dal eodid e dalle prime edizioni
traeva*Il seguente testo : praesidio: sed quod,
quarum ; oio sed interest, quod semeti sit, et
quarum canum. Pontedera, da noi seguito, la
aggiusta pi facilmente, facendo: Sed, quod
quartum de emptione, fit alterius
(21) 1 Giurisperiti romani chiamavano un'a-
zione utile quella che non era espressamente no
minata dalla legge, ma che l utilit, o lo spirito
della legge rendevano necessaria nei casi simili a
quelli eh essa aveva .preveduti.
(aa) E culina. Ursino trov in Teee ia nn
vecchio codice j u r e ; e perci saviamente corres
se, facendo pascitur enim jure et ossibus, non
herba et frondibus.
(23) Per quatto si vede, qaesto proverbio era
cos noto ai* tempi d i Varrone, eh* egli credette
inutile di riferirlo. 1 commentatori noo sanno in
dicarcelo, nemmeno spiegare le parole prover
bium ut t oli aut. Certamente che non si po dire
cos, se non o* cangiando lo stesso proverbio, ov
vero sopprimendolo. Popms ci fa riflettere, se qoi
abbia luogo il proverbio quot servi, tot Jkostes
cangialo in quot canes, tot hostes.
(24) Ovidio nel lib. in delle Metamorfosi dice
che questo celebre cacciatore fu cangiato in cer
vo, e divorato dai snoi proprii cani per avere ve
duto Diana che si lavava. Altri autori vogliono
che cotale disgrazia gli sia succeduta, perch ebbe
de desiderii impudichi verso questa dea nell atta
che egli cacciava d intorno al suo tempio, ovvero
perch egli si vantasse superiore ad essa nell arte
della caccia. Checch ne sia, il senso allegorica
che d Varrone a questa favola, non si avvicina a
quello che si legge in Fulgenzio. Atteone nella
sua giovent era appassionatissimo per la caccia;
ma nell et matura, riflstteudo ai pericoli di
questa passione, fu cangiato in cervo, vale a dira
che divent timidissimo, e che abbandon qoeslo
piacere, senza peraltro che veoisie meno il suo
attaccamento pe cani, ch egli mantenne sino a
che fu divoralo dai medesimi, cio sino a cbe
consum il suo patrimonio nel nodrirli.
(a5) Quae cum. Dicasi con Ursino quae tunc,
cio nel principi di primavera. Aristotele, Pol
luce e Teofrasto osservano che soltanto i casi
cangiano il tempo dei loro amori.
(26) Acus\ Schneidero leggerebbe acubus,
ovvero un altro vocabolo derivato dalla fava.
*(27) E come accordare d cor esperienza, la
quale c insegna oh essi aprono comunemente g l
936 ANNOTAZIONI AL LIB, I I ' DB RH RUSTICA
9* 9 DI M. TERWZ10 VRRONE o3o
occhi nell* ottave gtono ? Oangieremo noi venti
in otto, ooipe hanno fatto alcuni commentatori ?
Ma questa correzione contraria a toti i codici
ed a tutte le edizioni. Non farebbe forse meglio
spiegate il nostro astore con Plinio,- il quale nel
lib. Ti r i , sez. 62, dice che qoanto pi ti nodriscono
i piccioli cani, tanto pi tardi aprono gli occhi f
Aggiunge per che non li aprono giammai n pi
tardi del ventesimoprimo giorno, n prima del
settimo. Aristotele, nella Storia degli animali, t i ,
ao, dice che qaesto namero di giorni dipende
dalla stagione, in coi le cagne s' ingravidano.
(28) Pontedera vuole che si legga amaris in
luogo di graecis.
(29) Maelium. Scaligero preferisce melinum
dalla voce greca fjmXurJ, pelle di pecora : con tale
voce poi si chiamata in progresso ogni specie di
pelle ; e quindi da Pianto si chiama melina una
bisaccia di pelle. Egli pensa per'che cos si chia
mi anche il collare, detto anche milium^ e di cui
Festo dice : Millus collare canum venaticorum,
factum ex corio, confixumque eia vii ferreis
eminentibus adversus impetum luporum. Sci-
pio Aemilianus ad populum: Urbis, inquit,
reique publicae praesidio erit is quasi millus
cani. chiaro dunque eh da dirsi milium.
Forse i Brescisoi haobo cootervala nella loro
lingua questa voee, dicendo mei a codesto collare.
Ursino, poco dopo, corregge quibus intra insui
tur, e omette capita : per contrario Gesnero di*
lende il testo orrente, ed interpreta le parole
intra capita clavulorum per propius collum
canis. Ma Gesnero ha tarlo; ed da leggersi oon
Ursino quibus intra insuitur, ovvero,cui infra
capita.
(30) Calles. Nella tradazione di questa voce
abbiamo seguito Giattino, x l i v , 4 : Postmodum
hunc domum relatum in callem angustum, per
quem armenta commeare consueverant, proji
ci jussit.
(31) Villatico. Crescenzio ha : nam in villa*
tico grege sufficiunt unus, scilicet masculus,
aUer femina, eo quod simul sunt assiduiores
et idem cum altero fit acrior, etsi alter aeger
est, ne sine cane grex sit, quos consuefaciant
nocte vigilare et in die clausos dormire. Non
si sa se Crescenzio abbia lette qoeste olliine pa
rle in qaesto laogo di Varrone,-ovvero ie le abbia
tratte dal lib. 1, cap. 21, ove leggesi: Canes po
tius cum dignitate et acres paucos habendum
quam multos, quos consuefacias potius noctu
vigilare et inter diu clausos dormire. Lo stesso
insegna anche Catone nel cap. 124*
(3*) Indesinenter. Vittorio dal leggere in an
antico codice etsi alter videm fiter aeger est9
ooagettarsva che fossa da leggerei idenfam.
ovvero sia ohe tanto questa vooe, qaauto qaelle
che si metloft# in luogo di qeste,.sino super
flue, come quelle ohe sono nate dalla ripetWene
e dalla variet delle antecedenti parole altero
idem f i t acrior. Scaligero pania che qui sia da
leggersi et si alter itidem uter, vale a dire, cbe
abbia luogo la figura tmesis, e che il senso sia
itidem si alteruter. Non ti ha 11 coraggio, di
adattare cotale correzione : 'piuttosto si tralasce
rebbe indesinenter, come voee omessa ynche da
Crescenzio, e nata forse dalle varianti anteriori.
Pontedera coagetturava che fosse da dirti : etsi
alter videlicet aeger est, ovvero etsi alter qui-
dem fieret aeger%ne.
(33) Et id marem'. Urtino legge id est ma-
rem: correzione 000fermata da Crescenzio, il
quale ha scilicet. Gemer interpreta et id come
posto in luogo di 9sque.
(34) Ursino e Popma omettono, dietro le pri-
me edizioni, Atticus.
Ca p. X. ( i ) Crescenzio ha: ad majores pecu
des necessarii sunt aetate perfecta : ad minores
parvi quandoque sufficiunt. Et qui in collibus
versantur, firmiores requiruntur, quam qui in
fundo quotidie ad villam redeunt. Dicasi don*
que: ad minores etiam pueri sufficiunt. Utique
horum.firmiores esse debent, qui 4n callibus
versantur, quam eos, qui quotidie in, villam,
quotidie in fundo redeant. Cosi si tolgono tolte
le dubbiezze dei commentatori. Ci sono state di
scorta ancora le prime edizioni e Poliziano.
(2) Crescenzio mette cos) : puellae pascant in
die ; pascere greges simul communiter omnes
, oportet. Pernoctare ad suum gregem quemque
oportet. Da qaesto passo e dalla lezione di alcune
edizioni in Mtibus greges cogere, si po trarre
il seguente testo: Qui pascunt in saltibus, gre
ges cogere, atque interdiu simul comjnuniter
omnes pascere oportet. Pontedera vaol leggere
qui pascunt\ eo cogere, cio, com egli spiega, eo
loco in saltibus, ubi totum diem pascunt.
(3) Potius quam alios. Ursino omette qoeste
parole, perch Cretcenzip ha : Major naturi ce
teris peritior esse debet magister pecoris, ei-
que omnes alii parere debent. Uo adtiea edi*
zione priva delle prole magister pecoris. Or
sino parimente leva in questo luogo il vocabolo
pecoris.
(4) La mqncipadtone era 11n modo di acqui
stare, che esigeva parecchie aolenoit. Presso gli
antichi Romani le cose mancipi eraoo le cose del
pi grande valore reale, dome le lena te estese si
taste io Italia, gli schiavi, e.
(5) Cui poiuit. Scaligero dalla lezione cui
potius cedere, trae?a qui potis cedere, cio io
quale maniera ti possa farne la essione. Ursino
legge cui potius cedere, e Gemer qui potuit.
cedere. Pontedera, dietro tre codici, legge: aut
si in jure qui cessit, potius cedere. Checche
ue sia, i Romani chiamavano cessio in jure una
maniera di acquistare qualunque cosa, che ricer
cava p\ poche solenni l della mancipatione.
Bastava che v' intetvepnissero ire persone, il
proprietario, il compratore ed il pretore. Nella
traduzione vi abbiamo fatto entrare questa so
lennit.
(C) Vale a dire dopo averli posseduti di buona
fede per un anno di seguito, ed in virt di an
titolo traslativo di propriet: questo modo si
chiamava dai Romani usucapere.
(7) Presso i Romani il commercio degli schiavi
non differiva*da quello che usiamo noi per gli
animali. Varrone mette i pastori nella classe dei
muli e dei cani, perch a questi si metteva .ima
corona sulla testa, per avvertire che erano da
vendere. Ai cavalli da vendere attacchiamo noi
Ila coda della paglia.
(8) Per peculium s'intende tutto quello che
acquistavano gli schiavi colla loro industria, o
fatica. Questo peculio potevano amministrar
lo liberanoeute, e non erano tenuti a renderne
capto.
(9) Aut si excipiet. L edizione de.Giunti
ha aut excipi: cos pure hanno l ' Aldina e Poli
timo. D'Arnaud, Variar. Conjectur. pag. 3ao,
legge .cos. Avanti stipulatio d mettersi et coi
Giunti.
(10) Gregis Nei codici si legge iu itcegisves
gregis, oode Popma faceva cisve gregis, cio
presto le gregge. Pontedera legge cis vis que gre
gis, ovvero cis visve gregis. Ma, secondo Schnei
dero, non da toccarsi il lesto, e mlto meno da
togliersi con Ursino la voce gregis.
(11) Qui sunt. Le quattrp prime edizioni e
Poliziano mettono quisit. Questo relativo appar
tiene al cibo, e non ai pastori; per conseguenza
noo da introdursi cangiamento.
(ia) Facile est quod habeant. Pare che sia
piuttosto da leggersi faciundum ut habeant.
(13) Ut in multis regionibus. Le prime edi
tioni ed un codice di rsino omettono ut in:
dunque da iuferirsi che multis regionibus fos
sero in origine annotazioni marginali per indi
care quello che si usa ici molti paeii; a lira menti
bisognerebbe omettere il c#so particolare dell II-
lirio. Ursino legge cedunt.
(14) Tremellius, simul. Nelle prime edizioni
ed in Poliziano si legge in vece semel simul ;
onde Scaligero legge et matres esse melius. Si-
mjil adspicit ad me. Noi abbiamo abbracciala
9* 1
questa congettura. Pontedera vuole leggere 1
matres simul. Tremllius adspicit ad me ; ed
Ursino et matres esse simul adspicit ad me. Si
vedr pi-sotto, che nelle antiche edizioni otte
per simili lezioni la vooe Tremellius,
(15) Leuuncidas, Tutti i commentatori con
vengono che qui da leggersi ejuncidas, Qaeste
specie di letti forniti di zanzariere ai aono portati
a Roma da Alessandria,
(16) Illyrico, Ursino voleva leggere ih Ligu
stico ; ma avanti ba parlato della Croazia, la
quale uoa-parte dell lilirio; perci va bene
cosi. Egli vero altres, che le donne della Liga
ria fnno lo stesso.*
(17) Ursino pensava, e noo senza ragiooe, che
qui fosse da leggersi quadraginta, perch si ag
giunge nonnunquam. Di fatti non lauto avan
zata quest et d1anni* venti, che si debba dire
nonnunquam, *Esempi! di tele fatta non sooo
rari anche oggid.
(18) Pare che qui si sia perdala la parola d
Cossinius, come quegli che di sopra s ' incaric di
trattare quert'articolo riguardante gli schiavi.
Pootedera cangia ad in ae ; ma di sopra parl
Yarrone della medieioa pel bestiame : vuole altre
s che si cangi ut in et. Se ci fosse, bisognerebbe
tradurre altramenli questo periodo.
(19) Ursino voole, dietro un codice, ohe io
vece di ut sine, si legga nequaquam,
(ao) A noi piaciuto tradurre questo pasao
oon Crescenzio, il quale ha : eo quod rationes
dominicas conjicere, nec aliud qmicquam ra
tione fheere ptest,
(ai) Scaligero dal leggere nelle antiche edi
zioni greges, e magnum in Poliziano, voleva
che qui si dicesst greges ovium, sed in agnum,
cio greges non solum ovium, sed et agnorum.
Ponleder sospetta che nella voce magnum si
nasconda magnorum. Ursino corregge, dietro on
suo codice: Greges ovium, sed m a g n i . q u a m
minores.
(au) Nec tamen. Ursino legge nec tamen
ut non ; ma forse volava aerivere nec tamen
ut nos.
(a3) Ursino rende intero questo pasao nel se
guente modo : singulas, et in iis, .... stabulari
solent, et in iis qao aestivatum aut hiberna
tum solent abigere. L'errore sar nato, perche
due volte v' entra solnt. Yarrone avverte di pas
saggio che le Cavalle debbono pascolare separata
menle dai cavalli, come prescrive anehe Colo-
niella.
93
Cap. XI. (1) Inquit. E chi mai? forse Cassi-
nio. Spesse volte si osservato che la parola in-
ANNOTAZIONI AL LIB. 11 DE HE RUSTICA
$33' DI M. TERENZIO VARRONE 93A
quit iodica cbe In medesima persone contino -a
parlare. Urtino dai vestigi dei codici trae il se
guente testo : Si quidemadjecerit', inquam,....
lacte inquam et tonsura lanae, etc.
() Qui si ha io vista quinto si de tip di sojjra
oel cap. i di questo libro.
(3) Abbiamo seguit Pontedera, i l quale ag
giusta il testo cos : de lacte, casco, et tonsura.
Si vede dnque, che omette la voee lanae, che
viene tralasciata anche in altri Inogbi, come nei
cap. i e a.
(4) Est omnium. Pontedera corregge : Lacte,
ait) omnium. G piace la lezione delle prime edi
tioni: Est anim lac. Sohneidero vorrebbe toglie
re et id.
(5) Id alibile. Queste due parole mancano
nelle prime ediziooi ed in tutti i codici. Di falli
qui riferisce Varrone le differenze del latte io
ragioue del aodrimento ; cosicch dice che nodrf-
sce pi il latte tratto da ooa bestia ehe abbia man
giato deir orzo; che della paglia, o. del fieno.
( ) Qui v1i uoa farragine di Tarlanti. Scalige
ro aggiusta il lesto cos : ad perpurgandum ea
quae ab viridi paspuo ; ea magis, si ex herba,
quae ipsa sumta, etc. gli penta che quest* erba
aia il malmavisco. Popma poi, che quasi sempre
la scimmia di Scaligero, dalla variante ussae
ex herba, traeva hibisci ex herba. Ursino e
Schneidero leggono : et eo magis si usa est ea
herba. Noi diamo la preferenza a Pontedera, il
quale ha : A d perpurgandum ea quae a viridi
pastu, eo magis f u i t si ex herbis quae intro
sumptae perpurgare solent corpora nostra.
(7) Lasciando da parte le stiracchiate ragio--
ni di Gasnero in difendere il corrente testo,
oon trovandosi ne' codici, e nelle prime edizio*
Oi emunctum, attacchiamoci piuttosto ad Ursino,
il quale aggiusta il testo coti: A mulgendo quod
optimum est id, quod neque longe dbeSt, ne
que a partu continuo est mulctum. Egli ha
corretto Varrooe con Aritlolele, il quale nel
Hb. ni, fap. aa della Storia degli animali inse
gna che ogni latte utile, ma che inutile il
primo, o quello che si trae subito dopo il par
to. Il primo latte si chiama colostra j I* ultimo
poi troppo denso. L errore nel testo non sem
bra nato da ci ehe gli spositori hanno aggiun
to a mulso alle parole longe abest, per signi
ficare eh' meglio il latte recente e che si trae
non luogo tempo da quello che si manto,
di quello che non tanto recente. Nelle prime
edizioni in luogo di emunctum havvi enim, e
nei codici enim cam. Tultadot queste lezioni
non beo no qui aleno" luogo, secondo P autorit
anche di Pontedera.
Paatedera car regge : ad escortas vergi-
lias aestivas;] perch la tempo di primavera
tramontano alle none di Aprile, secondo 1 au
torit di Qesare che pare seguitato da Varrooe;
e perch stannp nascoste per trentaqaiattro gior
ni. Pare che Columella, nel lib. xu, cap. i 3, fac
cia il formaggio per uso di casa nel mese di
Luglio. Palladio vuole che si faocia nel mese di
Maggio.
(9 ) Questo coagulo * un certo acido ehe si
trova del ventricolo di alcuni animali, quando
non mangiano che del latte. Per raccoglierlo,
si' ammazzano avanti che sia terminata la di
gestione.
{10) Acetum. Ursino sospetta che sia da dir
si cnecum ; ma Dioscoride asa 1 aceto.
(11) Che vuol dire succo, umore.
(ia) Che vuol dire lagrima.
(i3f Questa era una dea' (Tei Sennon^la qua
le mungeva il latte pe* fanciulli appena nati,
come si raccoglie da Nonio, il quale dice : Cu-
ninae propter cunas, Ruminae propter rurham\
id est prisco vocabulo mammam, a quo etiam-
num subrumi dicuntur agni. Pontedera si ac
corse che va scritto *Rumina, non Rumia, per
ch deriva da rumen. Plioio nel lib. xx, sez.
ao dice a queslo proposto : Colitun jfcas ar
bor in foro ipso ac Comitio Romae nata, sa
cro fulguribus ibi conditis, magisque ob me
moriam ejus, quae nutrix f u i t Romuli, et
Remi conditoris appellato ; quoniam sub ea
inventa est lupay infantibus praebens rumen
ita vocabant mammam ; miraculo ex aere
juxta dicato^ tamquam in Comitium sponte
transisset Alto fi avio augure. Illic arescit;
rursusque cura sacerdotum seritur.
(14) Et pro lactentibus. Ursino pensa che
qni manchi bidentibus, e che si debba leggere
et pro bidentibus lactentibus : vale a dire, egli
crede che alla dea Rumioasi offe ri itero e latte
e animali lattanti, e agli altri dei poi il vioo
e gli animali di due denli. Abbiamo abbrac
cialo questa congettura dietro anche Npfiio, Per
contrario Gesnero legge lacte pr vino pro la
ctentibus ; vale a dire: pro lactentibus pueris
divae Ruminae sacrificant lacte, quod pro
vino adhibent. Ma si fa che pro eseguisca va
rie figure.
(15) Rumis. Scaligero nel seguente modo
corregge qnesto luogo alteralo e corrotta^: mam
ma enim rumis sive rumina ; ea re, ut ante,
dicebant, a rumi. Ursino poi aggiosta il testo
oos : mamma enim rumis sive rumina, ut an
te dicebant: a rami inde dicuntur subrumi
agni lactntes Pontedera lesse in cinque ce
dici e nelle prime edizioni rumus sive rumi
nate : ora egli aggiasta il lesto cos: Mammaa
M ANNOTAZIONI AL IIB. 0 DE BE RUSTICA 936
enim rumutysive rumis nominatae, uti an-
/e dicebant: a rumi etiam inde subrumi
dicuntur agni. Finalmente Schnei4ero legge
mamma enim rumis si ve rumina antfi dice*
bftnt ; et inde dicuntur subrumi%etc. Coatta
dunque che tatti questi dotti tralasciano a lacte
qual glossa ; anzi Silbqrgio toglie?* anche, qaal
glossa, a rumi. Noi abbiamo tolto e dagli ani
c da^K litri.
(16^ Subrumi. Come per dinotare che sono
sotto la mammella. *
(17) Qui replica il discorso Cossinio, stato
interrotto da Varrone; onde per evitare le con
fusioni abbiamo aggiunto qaeslo nome. Casino.
legge qui inspergi. Pontedera dall* variarle di
Poliziano qua spargi meliorem, faceva
quo (terrarum parte) spargi solente melior
erit fossilis.
(18) Sucida. Che vuol dire .plena di omo*
ri. Oggid ti chiama parimente con tal nome.
(19) Ursino pensa che sia superflua la voce
injectam. Gli antichi, come'sf raccoglie, non
lavavano.le pecore: all1 incontro i Tedeschi pre
sentemente le lavano, quantunque non vada be-
ne. Gli Spagnuoli d1 oggigiorno sono cogli an
tichi ; e fapno ottimamente a tosare le pecore,
senza lavare la lana. Columella nel lib. zi, cap.
a vuole ohe si lavioo soltanto nel mese di A-
priie le pecore di Taranto, ossia quelle che si
coprono con p<lli. Si adopera a quest1 effetto
la radice della lanaria, ostia la nstra sapona*
via* La lana soccida si serbava per oso di me
dicina ; t V altra si la?a?a. Festo ha : Acquila-
ifium significat ex toto dimidium ; dictum a
lavatione lanae, quae dicitur aequilavio redi-
re, cum dimidium decedit sordibus.
(ao) Dunque gl* Italiani tosa?aoo le pecore
upa sola volta all1 anno, come dice anche Co
lumella.
(ai) Si distinguono i giorni naturali, ed i
giorni civili. 1 primi sooo compresi tra due tra
montare del sole ; e si dividono in ventiquat
tro parli eguali, che si chiamano ore; ed i se
condi tono compresi tra il levare ed il tramon
tare del sole; e si dividono io dodici partir
egualmente chiamate ore; ma queste ore sono
pi, o meno lunghe, secondo che il sole si le
va e tramonta pi presto, o pi tardi; Qui Var
rooe parla dei giorni civili e delle ore che li
compongono.
(aa) E x sudore ejus. Saviamente avverte
Geinero, che qui da leggersi sudore ovis. Gi
di sopra avverti Varrone, che le pecore si to
sano qoando sudano. Home, nell1 opera intito
lala: The Gentleman Farmer, stampata ad
Edimburgo oel 1776, dice alla pag. 197, ohe non
bisogni tosare le pecore appena lavate, ma che
conviene aspettare che la lana abbia contratto
per mezzo* del sudore' qualche poco di grasao,
onde la lana acquisti un bianco pi candido.
(a3) Scaligero e Facciola ti leggono velli-
mina.
(af) Perch ambedue derivano da veliere^
che significa strappare.
(a5) Plinto nel lib. vm, cap. dioe che
co tal uso sussisteva anobe al sue tempo.
(a6) Plinio nel lib. vii, cap. 59 dice a que
sto proposita; In Italiam ex Sicilia venere
post Romam conditam anno ccccuiii adduce*-
te P. Ticinio Menar ut auctor est Varro: an
tea intonsi fuere. Per questo Ttballo, li* 1, 34,
. chiama intonsi gli antichi Romani. Ardaino
persuasissimo cbe sia da leggersi Titinio. Ponto-
dera, seguito*da Schneidero, cangia dicuntur in
dicunt^ perch viene dopo eosque dduxisse.
(37) Cio 398 anni avanti Ges Cristo.
(a8) Piioio .nel lib. xxxv, ez. 6 e 37 dice cbe
le pitture che si trovaoo nell1 antico tempio di
Ardea, sonai le pi andche di Roma ; e aosi pure
le iscrizioni di qael tempio.
(39) Pontedera, dietro i codici e le anti
che edizioni, aggiusta il testo cosi, fructum ut
ovis..........sic caprae pilus administrat, etc.
Riflette Pontedera che Varrooe varia H modo
di dire.
(30) Le eroine libiche sono vestile di pelli di
capra da Apollonio Rodio, Etodoto, ec. Eliano,
xvi, 34, riferisce che i Sardi si coprivano di pelli
tratte dai musmoni di specie caprina.
(31) Cio vestiti di pelli, dalla voce. fa,
cbe vool dire pelle.
(3a) Cecilio Stazio, che da alcaui si fa origi
nario della Gallia, e da altri di Milano, era un
poeta comico contemporaneo di Ennio. Cicerone
lo cdnfanna per lo stile; non cos Orazio.
(33) Questo poeta era di Cartagine, e fa re
so libero a Roma da Terenzio Lucaoo, il quale
lo fece tanto bene educare, che merit di di re
ni re amico dei pi grandi aomini di qael secolo,
e segnatamente di Lelio e di Scipione. Egli ha
scrilto con tale purit, di.lingua, che si credula
che Lelio e Scipione lo avesse aiutato nella com
posizione delle sue commedie : e botale opiaiooe
era in voga anche al tempo di Terenzio, oome si
vede dal prologo de1 suoi Adelfi.
(34) Ursino fa cbe il testo sia Ciliciis adje-
citte, e rigetta dicunt. Sisenna, appresso Nonio,
ha : Puppes aceto madefactis centonibus inte
gunturs quas supra perpetua classi suspense
cilicia obtenduntur. Filargirio alle Georgiche,
111, 3i 3, dice : Cilicia, quae Celsus ait retulis
se Varronem ideo sic appellari, quod usms
eorum in Cilicia ortus sit. L autorit danqne
conferma la congettura di Urtino.
(35) Urtino corregge : Cum ile hoc, neque
quis quam abnutaret, simul Vituli^ etc. Qai
va tolto Costioio, perch egli continua a parlare.
Gesnero aggiusta mollo bene il tetto, facendo :
Me hocy neque ab hoc qui mutaret, et simul.
(36) Bisogna adottare la correttone di Urtino :
937
Vitulum, Niger Turrani nos tergali i partim. .
ad Maenatem. Qaesto tecoado libro itato
trasmetto da Vanrone a Turranio Nigro, il terto
a Q. Pinoio, ed il primo a Fandania taa moglie,
come ti raccoglie dalle prefazioni diqaetti libri.
(37) Qui t ' intende qael Menate, di cai parla
nel 1 ed 8 cap. di qaetto libro. Popma oon Ur
tino ; ma tempre si a bello colle tpoglie altrui.
g38 DI M. TERENZIO VARRONE
ANNOTAZI ONI
Al LIBRI DE RE RUSTICA
DI
M. TERENZIO YARRONE
------ ----------
LIBRO TERZO
C a p . I. ( i ) Queit piuttosto no io traduzione,
come sooo appunto quelle che si trovano nel prin
cpio dei due altri libri ; ma non abbiamo voluto
caugiare le divisioni per capitoli, introdotte gi
ue nostri autori.
(a) In tre codici trovasi ni: dunque oon
fuor di ragione il dire che forte Varronc avr
scritto Q. mi Piani. Cicerone nomina nelle sue
lettere uu Q. Pinnio ed un suo figlie, che era
molto studioio ed erudito. Epistolarum ad
Div. j m , 61.
(3) Graecum. Urtino vuole che si dica in
Graecia, perch poco dopo viene in agro ro
mano.
(4) Questo uno dei pi antichi re, dei quali
si faccia memione nella Storia : e per questo i
Greci, quando vogliono dinotare una cosa anti
chisti ma, si servono della voce myuym.
(5) 11 poeta Enuio morto nell* anno 58i dopo
la fondazione di Roma : per conseguenza questo
passo ehe si trova nei suoi annali da lui scritti
verso Panno 558, molto contrario alle leggi
della cronologia : e quantunque sia permesso ad
un poeta il prendersi delle libert, pure questo
autcronismo tanto considerabile, che Yarrone
fa molto bene a criticarlo. Questo passo, per con
trario, conviene nel tempo in cui scriveva Varrone,
essendoch egli scrisse questi libri verso l an-
no 717 dalla fondazione di Roma, poich egli mo
r, secoudo Eusebio, d' 90 anni oelPanuo 736,
ed aveva gi 80 anni quando scrisse questi libri,
come il dice espressamente egli stesso oel cap. 1
del primo libro.
(6) Sant Agostino, de Cfoit. Dei x i i , 8, dice
che questo diluvio oon quello che succedette al
tempo di No, e che senza essere tanto conside
rabile, quanto qnesto, fu per pi strepitoso di
quello di Deucalione, che fu posteriore. Checch
ne sia, Eusebio ed Orosio fanno ehe il diluvio di
Ogige sia succeduto 1040 anni avanti la fonda
zione di Roma. E poich Varrone scrveva questo
libro verso l anno 717 dopo la fondazione di
Roma, Tebe dnnque, secondo il nostro autore,
sarebbe stata fabbricata 343 anni allincirca avanti
questo diluvio. Ma chi oser dire qnal'che cosa di
certo, trattandosi di cose tanto antiche e favolose?
(7) Agri coli. Pontedera dal leggere nelle
prime edizioni ed in Poliziano agricolae, voleva
che il lesto fosse il seguente : agricolae sunt
coepti, qui in casisy etc.
(8) Ursino \uole cbe ai ometta divina .... hu
mana, e che si legga possent per possint.
(9) In agris. Nelle prime edizioni e nel codice
di Ursino hawi in agros. Schoettgeulo voleva
che s dicesse in urbem ex agrisyvale a dire,che i
Romani ogui qual volta volevano convocare i
loro cittadini, o 1 loro senatori li facevano venire
dalle campagne e dulie ville; ma cuiaro eh*
Varrone non parla io questo loogo di ci. Le
prime editioni dopo tuebantur aggiungono et
alebantur. Pouledcra crede necessaria quest ag
giunta per rendere compilo il seulimenlo. Quii il
9^3 ANNOTAZIONI AL LIB. IH DE RE RUSTICA 944
verbo tueri auto passivamente ; di ci non
mancano esempii.
Nel principio Roma non abbondava che di
nomini, i quali, perch non possedevano niente
nelle campagne, ivi si erano rifuggiti per trovarvi
an asilo. Bla dopo che i Romani si sono arricchiti
colle spoglie de1 vinti e colle terre che conquista
rono sugl inimici, accordarono a questi rifuggiti
nna porxione pi o meno considerabile di quelle
terre, secondo l importanza de*servigi che avo
vano resi alla repubblica. Ed ecco una delle ra
gioni, per le quali le trib rustiche erano pi
considerate a Roma delle trib di citt, come
quelle che furono le prime a possedere de1fondi
( Veggasi Plinio nel lib. xvm, cap. 3 ). Per tutto
la prima nobilt stata quella dei proprietarii di
terre ; e l origine del dritto feudale pi antica
di quello che comunemente si crede.
(io) Questo re, che da1 mitologi stato creato
dio, era figlio del Cielo. Egli detronizz suo pa
dre, come ancor egli fu detronizzato da suo figlio
Giove. La favola racconta che mangiava tutti i
suoi figli. Cicerone, nel lib. u de Natura Deorum,
espone con molto ingegno il senso allegorico di
tolta questa favola.
(n) Sono misteri e sacri fi zi di Cerere ; e sono
cos chiamati, perch da essa dipende il principio
della vita, ovvero perch que sacri fi zi erano il
principio di una vita migliore.
(ia) Ursino voleva che si togliessero, quali
parole aggiunle, oppidi quoque. Con pi veril
vuole Pontedera, che colle prime edizioni si legga
.indicat antiquum, perch si riferisce a nomea e
ad antiquum.
( i 3) Scaligero parla molto a lungo intorno
all origine del nome della Tebe Siriaca. Egli crede
che questa voce significhi navicula, perch ap
punto Cadmo, il fabbricatore di Tebe, venne a
queslo luogo dalla Siria per mezzo di una barca.
In nessun autore greco trovasi Iraocia del nome
di Tebe, secondo il significato di VarrOne. Iool-
tre, perch i Sabini hanno chiamato un colle
Tebe, forse da dirsi che tutti i colli si chiamino
cos ? Non per altro da dubitarsi che al linguag
gio de'Sabini, degli Etruschi e degli altri popoli
dell'antica Italia non si sieno mescolate molte
voci dei Greci e dei Pelasgi che andavano a pian
tare in quei luoghi delle colonie. Veggasi la bel-
P opera di Luigi Lanzi, Saggio di lingua etru-
sca e di altre antiche <TItalia.
0 4 ) Qui postea. Dicasi piuttosto quae colle
prime edizioni, pronome relativo a peculia.
(15) Facendo che il testo sia quello di quattro
codici Fiorentini e delle prime edizioni, si ba un
altro senso : inoltre quod fa clie sia nobile anco
ra, perch chiamato pecuaria, Dicasi dunque :
nobilis, quae et pecuaria nominatur.... homi
nes locupletes ob eam rem^ etc.
(16) Ursino corregge cos: Altera^ quod huc
videretur .... agriculturam, neque explicata
separatim. Di falli non bene si corrisponde vi
detur e cum esset, Ci piace pi la seguente cor
rezione di Schneidero : Altera villatica pastio,,
quod humilis videretur .... agriculturam est9
neque explicata, etc.
(17) Schneidero applaudisce a Gesnero, perch
ha congetturato che qui sia da leggersi t u i io luogo
di /ui;,cio, oom egli iolerprela, ia biblioteca la
quale a que tempi era un ornamento delle case di
campagna. Non sappiamo se Piunio sia stato let
terato.
(18) Quam factu. Ursino ama di leggere
quam sumtu; Gesnero, tam fructu quam factu.
Schneidero persuaso piuttosto di leggere quam
structu.
Ca p. II. (1) Cicerone, uel lib. ni delle Leggi,
dice positivmeole che la voce trib viene dai
numero delle classi, nelle quali fu prima diviso il
popolo Romano, perch in origine non ve ae fu
rono che tre. Dopo si accrebbe qoesto numero
sino a trentacinque ; e ci non ostante non per
dettero la loro antica denominatione di tribus.
Tra queste trenlacioque se ne contavano quattro
di urbane ; ed in queste si facevano entrare i li
berti : e trentuna di rustiche ; e queste erano
composte di uomini liberi, e per conseguenza
erano pi onorevoli.
(2) Si chiamavano cos le assemblee det po
polo Romano, che si tenevano a Roma per la ele
ttane dei magistrati e per la creatione delle leggi.
(3) Datasi in Roma questo nome a quei citta
dini che aspiravano a qualche magistratura, per
ch erano vestiti di bianco, onde fossero coolras-
segnati. Plutarco crede che la ragione morale di
questo vestito fosse per mostrare che gli aspi
ranti ricercavano le magistrature con candore,
pel solo ed noico bene della repubblica, e che,
senta confidare nel loro merito, non venivano a
queste promos.'i che per la sola bont del popolo;
al quale oggetto comparivano avanti il medesi
mo spogli di ogni distinzione esterna. Si pre
teso ancora che fossero privi di toga, e che non
avessero che il sotto-abito, noa tanto affinch si
vedesse cbe non potevano nasoondere sotto la
loro toga del danaro per corrompere i cittadini,
quanto ancora perch si potessero vedere le ci
catrici delle ferite che avevano riportate, e che
erano i migliori titoli per acquistare gli onori ;
finalmente per mostrare la loro sommissione al
popolo con questa specie di annegatone di si
stessi, dinotata colla nudit.
DI M. TERENZIO VARRONE
(4) 1 commentatori correggono il testo di Ter
sa meo te. Ma perch oon sappiamo a chi dare U
preferenza, percorreremo succintamente le loro
plausibili opiniooi, oode i leggitori scelgano
quella che pi loro piacer. Bisogna prima sa-
pere che quando il popolo si raduoava ne) cam
po di Marte per dare il suo yoto, una parte ti
ritira?a all ombra di una caca pubblica, nell1at
to che ti separavano e si contavano i voti ; ed
on' altra parte si metteva all1 ombra sotto le
tende cbe i candidati facevano innalzare nel cam
po di Marte e per s stessi e pei loro partigiani.
Ci posto, Scaligero pensa che qaesta tenda si
chiami dimidiata, per essere male fabbricata,
male coperta, e per lo pi troppo stretta in con
fronto del uumero delle persone. Ovidio, nel lib.
u de Fetio Annae Perennae, ci dice di fatti, che
erano coperte di foglie, di rami d1 alberi e di
abiti. Turnebo dica a uo dipresso lo stesso. Ur
sino corregge il testo, faceodo che sia : privata
candidati tabella, ovvero umbella umbrifice-
mus nobis? e riferisce uo passo di Festo, in cui
si ha : Umbrae vocantur Neptunalibus casae
frondeae pro tabernaculis. Si potrebbe aggiun
gere che Varrone dice privata per contrapporla
alla villa publica. Pontedera persuaso che
Varrone scherzi intorno alla tavoletta che si con
segnava al popolo per dare il voto. Voole dun
que che questa s* innalzasse contro il sole, e cos
si difeodessero gli occhi con questa ombra tanto
poco estesa, in quella guisa che si fa quando ca
liamo le ale del cappello. Ne viene dunque, dice
gl, che io cotale modo eglino medesimi fabbri
cavano, perch procuravaoo I' ombra a s stessi.
Dunque egli non introduce alcuna novit nel te
sto. Gesnero si sforza di provare che tabella
un diminutivo di taverna ; del che allega moltis
simi esempli analoghi. E chiaro per altro che qui
da inteodersi o la taberna, ovvero il taberna
culum. Murena, come si sa, stato accusato di
ambito, o di broglio, perch nel foro e nel circo,
ove al popolo si davaoo de' giuochi, fece acquisto
per gli amici e per le trib delle taberne, come
si raccoglie da Cicerone, il quale oel cap. 35 di
ca : Quid statuetur in viros primarios, qui in
circo totas tabernas tribulium causa compara
runt ? Non dunque da maravigliarsi che anche
i candidati abbiano fallo lo slesso nei comizii del
campo di Marie. S'inleuda dunque anche qoi
una simile taberna per gli amici e per quelli della
trib del caodidato. Si potrebbe aoche dire tedi fi-
cemus, io laogo di aedificemus, o domificemus%
ovvero umbrificemus. In uo frammento di Var
rone bavvi taberna publica, per villa publica.
(5) Con Ursiuo diremo esse pessimum, e con
Pontedera cui consulitur.
(5) Gli aotichi il chiamavano Pavusy e non
Pavo ; quindi Lucilio oella Sai. i 4, appresso No
nio io Nebulones ha :
Publius Pavas mihi Tuditanus quaestor Hibera
Iu terra fuit, lucifugus, nebulo, id genus sane. *
Ursino elogerebbe Petronius io Caetronius,
perch gli storici e le antiche iscrizioni danno alla
famiglia Cetronia il cognome di Passer.
(7) Ubi sedes inter aves. Queste parole sono
giodicale spurie da Pontedera, perch ove havvi
uccelliera, sooovi aocbe uccelli. Per altro qui l'ue-
celliera di Appio si chiama Ja pubblica casa vil
lereccia, ove sedeva in figura di augure. Questa
facezia versa sui soprannomi degli assisleoli Me-
rula%Pavoy Picay Passer, cbe sooo altrettanti
volatili.
(8) Ad lacum Felini. Uriino rigetta questa
parole come spurie, e tratte dalle parole di sotto
ad angulum Felini. Cicerooe, ad Atticum v,
i 5, rammemora 1 casa rustica di Q. Assio scul
tore posta in Rosea, pertinenza del territorio di
Rieti. Ivi fa menzione di qaesta controversia.
(9) Filla. In Poliziano e io on codice di s.
Reparata leggesi vilia ; laonde facciasi che il te
sto sia inquit ( vilia quanquam. . . . nostri) fru
galior, etc.
(10) Citrum. Marziale xiv, 89, ha :
. . . u mensa cifra,
Accipe felices Atlantica munera, silvas,
Aurea qui dederit dona, mioora dabit,
Quindi da inferirsi che qoesto legno era pi
prezioso in Roma dello stesso oro, e che col vi fu
portalo la prima volta dall' Africa. Leggasi intor
no a ci aoche Plinio, il quale, nel lib. sui, cap. 15,
riflette che se gli uomini rassomigliano alle don
ne nel lasso delle pietre preziose, le doone pare
somigliano agli uomini nella folle passione per le
tavole di cedro.
(n) Il colore srmeoio annoverato da Plinio
e da Vilruvio tra'colori preziosi.
(ia) Le prime edizioni e quattro codici Fio
rentini hanno contra aurum%vale a dire coi1-
trarium, posto avverbialmente io luogo di con-
trarieyo di contrario.
(13) Queste eraoo le truppe d infanteria,
composte di molle compagnie, come souo a uo
dipresso i nostri reggimenti.
(14) Qaesli erano i primarii migistrati della
repubblica. Eglino erano due ; ed il primo sce
glieva tra le coorti quelle, cui voleva comaadara
nel tempo del sao ministero. Leggesi io quattro
codici Fiorentini dilectum : si sar detto antica
*j\n ANNOTAZIONI AL LIB. Il i Dli RE RUSTICA jV*
mente diUgo per seligo. Abramo Gronovio dica
cbe da Vigoolio si asserisce rappresentarsi in ri
lievo questa casa pubblica io una medaglia della
famiglia Fonteia.
(i 5) Qaesli erano magistrati destinali al oeuso,
cio all enumerazione del popolo. Ogni cittadino
doveva, ogni cinque anni, portarsi avauti i cen-
aori, ed ivi lare il suo nome, il numero dei suoi
schiavi, e la qualit e quantit de' suoi beni. Que
sta magistratura durava cinque anni, quando
tutte le altre di Roma duravano nn solo anno.
(16) Censu. TJrsino voleva cbe si leggeste ceru
SUS) cio com'egli spiega, ut censeatur. Si fa
forte sopra Livio iv, aa : ViUam publicam in
campo Martio aedificaverunt, ubi primum
census est actus. Ma Gronovio difende la le
sione del testo de Pecun. vet. pag. a64, ed in ter*
preta che si dica censu, come si dice comitiis,
ludis gladiatoribus, circensibus, vale a dire,
tove si facevano i comizii, i giuochi, ec. Gesnero
pensa che possa essere un dativo antico posto ia
luogo di ad censum, Vittorio mette quella casa
pubblica nel nono qusrliere della citt di Roma.
(17) Queslo pasto si corretto in varii luoghi.
Primieramente ai posto colle prime edizioni e
con quattro codici Fiorentini universae avanti
Reatinae ; indi dietro quelle e questi si tramo*
tato cum et in tum enim, e si omesso et e or
nata ; e fualraeule si cangialo utilis in pilis,
e at mea in an mea. La voce utilis alterava il
sentimento, il quale dehbe corrispondere a quanto
aveva dello di sopra Appio vilia quamquam ae
dificarunt majores nostri. Lasciando at mea si
toglie la relazione alle parole tua ne haec vilis.
Qui da avvertirsi che oblita significa lo stesso
di ornata, diceudo Cicerone nel Bruto: ut se
externis oblinirent moribus. Ecco dunque il
tosto da ooi volgarizzato: extremo vilis, et non...
omnium universae Reatinae, tum enim oblita
tabulis pictis, nec minus signis, an mea ....
(18) Alessandro tanto era persuaso del merito
di questo scultore, cbe v^lle essere ritratto in
pietra da lui. Plinio, nel lib. xxxvu, cap, 7, ci as
sicura che ha scolpite i 5oo slatoe, ognuna delle
quali lo avrebbe fallo passare per no eccellente
scultore.
(19) Plinio, nel lib. xxxr, cap. 10, fa menzione
delle opere di questo pillore egizio. Varrooe il
mette a fianco del primo scultore, non perch
credesse che fosse nn pittore di prima classe, ma
per criticare il falso gusto del suo tempo, che
consisteva in quadri rappresentanti de buffoni.
Antifilo dipinse eccellentemente un ritratto, io
fondo del quale scrisse Gryllus ; e perci, dopo
lui, questa specie di pittura si chiam Gryllus.
(ao) Satoris. 11 semiualore quegli cbe meno
lavora alla campagna : laonde Pontedera voleva
che si dicesse sartoris. Ma il sator qui quegli
che coltiva il terreno, ostia P agricoltore, a eo ti
ooutrappoue al pastore.
(ai) Et cum villa* Ursiuo avrebbe colato
leggere eoi oodioi et cum illa. Lo aie*40 ocIte
cultura ; il che noo piate a Genero : egli paro
non ci dice come sia da interpretarsi qaeeU p*-
rola.
(aa) Ideo da omettersi colle prime edizioni.
Anche Ortensio aveva una casa da villa faori
della porta del Popolo, come si ha da Cicarooo
ad Atticum v i i , 3. Si detta Porta Baliana,
perch forse gli Emilii avranno abitata ver la
medesima. Era vicina al canapo di Marte.
(a3) Di sopra, nel cap. 8 del lib. 11, dioemm
eh' da leggersi quadringentis. Urtino, persua
sissimo della brevit osata da Varrone, condanna,
come spurie, le parole Oeliae in littore.
(a^) Hic me L. Merula. E sfuggito a tutti i
commeuUlori, fuorch a Pontedera, ehe qai va
detto colle prime edizioni e cou PoIzmi# ki*e%
perch qui non i parla del presente inteHoeetoce
Coruelio Merula, ma sibbene di Lucio Merula
lontaoo. Bine ludica in qaesto caso la ragione,
per cui Appio desidera di possedere la casa di
Seio. ffinc per ex hoc stato adoperato da*Ci*
cerone Offic. lib. 111, cap. 8: hinc sdcmt* hinc
venena, hinc falsa testamenta nascuntur. Ur
sino e Scaligero sono persuasi di leggere acces
sisse per accepisse. Nonio per altro n, i 5, rifo*
risce queslo passo di Varrone, come sta oel testo;
e perci si pu difendere, eoo dire ehe abbia vo
luto esprimere a nulla se villa aceeptum, e
exceptum fuiste.
(a5) Et quid igitur. Ne' codici e Delle prime
edizioni manca igitur, ed invece havri gus ia
alcuni, rus in nn altro, e sus in an terzo: ia
questi per ed in quelle trovasi un voto di sei
lettere. Se lecito indovinare, d ee Pontedera,
supplirei alla lacuna in tal modo : Et quod aedi-
f i d i genus est ista villa, si nec9 eie. Noa da
disprezzarsi la congettura di Popma ehe legge et
quid genus, inquit, est ista villa. Noi abbiamo
segaito il botanico di Padova.
(26) Non minus. In quattro codici leggesi
nummius, cio num minus.
(27) Ci siamo abbandonati alla correzione di
Ursino, il quale aggiust it testo cos : simplex
quam eam, quae esset polita et rogasset.
(a8) Pontedera si presa ana sola licenza,
qaale quella di caogiare / in t nella voce ven
dis ; il restante gode l appoggio dei codici e delle
prime edizioni. Ecco il testo ridotto, e da noi se
guito nel volgarizzamento : Anne dulcior f r u
ctus apud te ex bubulo pecore, unde apes na
o t o
DI M. TERENZIO VARRONE
scantur, quam t x apibus, qkae ad villam st
iti alveariis opus faciunt T et num pluris tua
villa illino natos verres lanio vendit, quam
hinc apros macellario Sejus T 1 avver
tirti che Scio lien era preteste; e perci hic
era da cangi irti in hinc, dietro quattro codici.
]l lanio di Varrone quagli ehe condisce la carne
porcina.
(29) Dioscoride 11, 102, dite che il miele di
Gortrca amaro, peroh le api occhiano i fiori
li assenzio : per contrario il miele di Sicilia porla
la palma topra tutti, oome dice pi sotto Varrone,
perch col il timo abbondante ed dorotitaimo.
Il aaiela di Judica noto per la saa eeoellenti.
(30) Urtioo vorrebbe togliere dal testo le pa
role Sejanas pastiones.
<31) O che da leggersi duo genera sunt pa
stionum, ovvero che da leggerti con Urtino e
dietro le prime adizioni duo genera cum sint
pastionum.
() I*Romani hanno alternativamente man
giato oon piacere le gru, oome consta da Gellio
?u, <6, e da Plataroo oel priooipio Disputa side
Esm carnium.
(33) Caettra venationis. Gli editori, dal leg
gera nelle prime ediiiooi ed io Poliziano eaete-
rae venationes, dovevano sospettare che Aido
ha seguito il proprio capriccio. Il codice di 1. Re*
parala ha di fri ti cmeteraeve nationes, ovvero
sia caeteraeve natio nisy vale a dire animali di
altra specie, come tono le lepri, i oooigli, i cam
le capre.
(34) Cicerone Agr. n, 5, chiama librarius
qwello ohe descrive la legge pobblica: qui Varr-
De per librarius inteode quello che tiene il regi*
*tro dell' ammiuiatraaiooe rurale.
(35) Seooodo Ges ero, qaeaU tia Firsellia.
Veggasi nel lib. ni, cap. i&
( ) Quinto Gecilio Metello Pio Scipione, ov*
Tero P. Seipiooe Nasica ebe ebbe l1adottaone
Metello Pio.
(37) E t hanc. Ursino oorregge cos : si hanc
spectabis summam, spero tibi non decoquet
ornithon ; neque hoc excidat, Aaeha Gesoero
fett T altra particella negativa : questi per
nuli reliquis verrebbe ehe si mettesse quin o
a1altra simile perticali*.
($8) Quae nunc annonam. Ursino legge
ir*numerabilia. probabile che queate parole si
eoo replicate qui e tolte superiormente, ovvero
qui tradatale di sopra. Ursino poco dopo vor-
*bbe aggiungere et, c lare sed et propter.
Quelli ootfti ehe mrt suo esilio in Atene,
m diede rattraaaeuU alle selene, oome si vede
lib. iv delle Questioni Tusculaoe di Cioerooc.
^uc^JOlo burla in una satire, di cui Cicerooe d
ha conservato un frammento, Intorno alla sua
mani* per le opere greche.
(4<>) Lucilio il primo poeta satirico che siasi
acquatalo un nome in questo genere di poesia.
morto in Napoli in eli di 46 anni, ed ivi fu
sepolto a spese pubbliche.
(40 E villa. Getnero, quantenqoe abbia po
sto qaeste parole tra parentesi, dietro il giudizio
di Urtino, per altro persuaso che Varrone ab
bia detto ex illa. Ursino rigetta di topra pastio
nibus.
(4*) Questi quel Caton d' Utica, che dopo
la battaglia di Farsaglia si ritir in Utica con
Scipione, ove ti ammazz. Cesare il rimprovera
per avere oeduto soa moglie all amioo Ortniio,
e per averla ripigliata dopo la morte di questo,
perch la inslitn sua erede.
(43) Qaetli figlio di quello, del quale si
parlato nel cap. 2 del lib. x.
(44) Quadraginta. Urtino corregge quadra
gies sestertium, perch Plinio, nel lib. iz, cap. 54,
parlando di Lucullo ba : xxxx sss e piscina de
functo illo veniere pisces. Per la stessa ragione
corregge Columella, nel lib. vm, cap. 16, e Ma
crobio, nel lib. ni, cap. i 5, il quale dice : M. Var
ro in libris de Agricultura refert M. Catonem,
qui postea Uticae periit, cum haeres testamen-
to Luculli esset relictus, pisces de piscina
ejus xxxx as vendidisse. Qui per altro abaglia
Macrobio, perch Lucullo non lasci erede Cato
ne, ma soltanto tutore.
(45) Si chiamava cos un regalo che gH solari
facevano al loro maestro avanti la festa di Miner
va, nel qaal tempo gli seolari avenno le vacanze.
(46) Schneidero aggiusta il testo cos : miner-
vai, id est coenam, incipiam inquit. A x i u s ,
ego vero non recuso vel hodie, et ex ista pa
stione crebro, persuaso inoltre che la parola
eoenam sia ancora faori di faoge, e che sia d
dirsi : Ego vero coenam non recuso. Ebbe ra
gione di aggiungere Axius colle editioni dei
Ginoti e di Gimnico. Gi piacerebbe dire oon Pon-
teder atque ex ista pastione crebro.
(47) Va messo un puoto avanti Merula, ed
nna virgola dopo gravate, peroh le parole Me
rula non gravate eoutionano col principio del
seguente capitolo. Altrove Varrooe fece lo stesso :
dicendo : Me non gravatus primum inquit.
Ck9. III. (i Ubi soliti leporef, Gelilo, ir, 20,
legge ubi Soli lepores.* leziooe applaudita da
Ursino, da Vittorio, da Schneidero e da Pootede
r, quando bene, accendo quest1 ultimo, non si
sottintenda pasci.
(2) Afficta. Vittori# dine th ia significato
di adfixa.
ANNOTAZIONI AL LIB. I l i DE EE RUSTICA 95i
(3) Harum. Saviamente avveri Ursiuo, che
da dirti /iorum.
(4) Prima ea. 0 eoo Paliziano da dirsi dopo
habetur, ovvero con Ursino primo quae.
(5) Et propter. Schneidero amerebbe che ti
dicessepracltr alvearia; perch di topra ditte
Varrone, che le api, le lumache ed i ghiri vanno
posti fuori della casa, qnaodo avanti si allevavano
tra le pareli della medesima. Columella, ix, prefa*
zione a, dice: Apibus quoque dabatur sedes
adhuc nostra memoria, vel in ipsis villae pa
rietibus excisis, vel in protectis porticibus ac
pomariis. Le seguenti parole confermano prae
ter, corae lo indica Ia voce subgrundas.
(6) Le subgrundia di Vitrovio, n, 9, tono in
terpretate da Palladio, xu, i 5, per la fronte ed
estremit dei felli, vale a dire, la grondaia degli
Italiani. Ma Varrooe nel cap. 16 di qoetto libro
intende un altro luogo : Non quod non in villae
porticu quoque quidam, quo tutius essent, al
vearia collo cari ni. Donque le subgrundae tono
i portici della cata campestre.
(7) Domini. Egli cerio che i doe codici d
Politiano mettono donum ; quindi Pontedera
congettura che anticamente sar stato acritto dom
num in luogo di dominorum, come addimandano
i due verbi tegnenti habeant e habebant. Da
domnus nacque il dono degl'italiani usato nello
Messo significato dei Latini. In Dante ed in Villani
hanoovi simili esempii.
(8) Crede Schneidero che questi fotte M. Pa
pio Pisooe Ctlpurniaao. Nel cap. 13 di quetlo li
bro si agginoge il nome di Popio ; ma nel cap. 6
havvi solamente M. Pitooe.
(9) Squalos. Nelle prime edizioni leggesi sca
ros ; e presso Festo alla voce pollucere legge
squalus, pesce che non era permesso di sacrifi
care. Plinio, nel lib. ix, cap. metle questi pe-
tei nella classe di quelli che invece di spine hanno
delle cartilagini, con questa differenza per, che
non sono pialli come gli altri pesci cartilaginosi.
Quaotuoque il padre Arduino sia persuaso che
questo pesce sia il cane di mare, non pare per
altro che Varrone parli di questi, poich egli qui
fa parole dei pesci di acqna dolce. Ma pi facile
sapere quali sieno gli squali negativamente, che
positivamente.
Mugiles. Plinio, nel lib. ix, cap. i 5, dice eh*
qaesli pesci tono tanto veloci, che saltando, atlra-
versano i vascelli da on bordo all1altro. Questo
medesimo autore racconta, nel cap. 17, che quesli
pesci, quando sono spaventati, nascondono la loro
testa, credendo che in tal modo trovisi nascoslo
tutto il corpo. 11 p. Ardoioo vuole che questi
pesci sieno quelli che i Francesi chiamano Mu-
letSy ovvero anche Cabots} ma non imponga la
franchezza del p. Arduino. Confettiamo piuttosto
la nostra ignoranza relalivameote ai nomi antichi
paragonati ai nostri.
(10) Rhinton era il nome d on famoso oonioo
di Terenzio. Siccome qoesti era non Canto celebre
per la sua ghiottoneria, quanto per le sae buffo
nerie, cos Varrooe eon tal nome avr Toluto di
notare i comici Esopo padre e figlio, ambi due
famosi in ghiottoneria e prodigalit, come ti po
vedere nel lib. x, cap. 5i di Plioio. Potrebbe an
che darsi che Varrooe avesse volato d ino Lare ia
generale un uomo di batta ettrazione.
(11) Ursino, dietro un antico codice, legge
Ummidium: le inscrizioni pare corroborano
qoesta correzione. Veggasi Spanemio, de gante
Ummida, distert 10, ed i commentatori alla sa
tira 1,95 di Orazio, ore Ummidio caratterizzato
qual ricco ed avaro.
(12) Plioio, nel lib. xxxn, cap. a, racconta
che quando questo pesce circondato dalia ra
te, raspa colla coda la terra, onde fare un ba
co, in cni tta appiattato tino a che la rete tia
passata oltre. Se accade poi che tia preto all'a
mo, dimenati fortemente col fine di allargare
la ferita e di fuggire dall'amo. Sa ci vero,
queslo petee sarebbe molto industrioso e co
raggioso.
(13) E tuo. Le prime ediiioni mettono suo ;
ma pi probabile cbe Merala dirizzi quatte pa
role a Varrone ; perch il noatro autore posse
deva tolto Cattino una caia villereccia, 00me
vede dal capitolo tegnente.
(14) Ursino corregge coti : Nostre, inquam,
luxuria propagavit. Pontedera pennato cbe
Merula continui a parlare, perch nou volge fl
discorso ad Assio, che alla fine del capitolo ; per
il che da rigettarsi inquam. Due codici metto
no distaccato in quam ; cinque oodici poi e le
prime edizioni hanno luxuriam, c quindi Pon
tedera legge : Sic nostra aetas in quam luxw-
riam propagavit leporaria, etc.
(15) Crede si che la nostra orata ria para la
orata dei Latini.
(16) Chiamava nel foro il re degli oratori,
a motivo della tua eloquenza : i tuoi scritti per
erano mollo ioferiori alla stima cbe ai aveva di
lui. Veggasi Cicerone nel libro intitolato Brutus.
(17) Avanti quare da aottintendarti la per
tona di Merula.
Ca p . IV. (1) Scaligero corregge cos : a post
principiis, et in castris. Ursino dell' attesto
parere, te oon che vorrebbe tolto anche in ca
stris. Popma difende tcioccamente il tetta, quasi
che fosse scritto : Ego te volo asse post princi
pia in c astrisy id est, ab his potius temporibus
953 DI M. TERENZIO VARRONfc 54
quam prioribus Incipere. Per T intelligenza di
qoesto pro Terbio, da aapersi che chianuTaai
principia la parte del campo, ove era la tenda
del generale, quella dei tribuoi militari e dei primi
affiliali, e del laogo ove si castodivaoo le aquile
delle legioni e le insegne delle coorti. Si dava a
questa parte il nome di principia o perch era
la testa del campo, ovvero perch ivi stavano i
primarii uffiziali.
() Qaesto il oome della zia materna di Var
rone, di cui si parlato nel cap. a.
(3) Si dar la descrizione di questa nel capi
tolo seguente. Antonio si appropri qaesta uc-
oelliera, come si pu vedere nella seconda Filip
pica di Cicerone.
(4) Ivi abbondano gli alivi, i coi fratti piac
ciono mollo ai tordi.
(5) Questa uccelliera di Lucullo diede occa-
sione a quell* arguto molto di Pompeo citato da
Plutarco. Essendosi ammalato questo grand' uo
mo, i medici lo consigliarono di mangiare dei tor
di ; ma i suoi schiavi prevedevano che in quella
stagione di estate sarebbe stato difficile di tro
varne, e che solo nell* uccelliera di Lucullo si sa
rebbero trolaii. Ci udito da Pompeo, cos disse
loro : Vale a dire, se Lucullo non desse da man
giare a Pompeo, quesli oon viverebbe : ed ordi
n che si comprassero a qualanque prezzo.
() l Romani chiamavano triclinium i nostri
lineili dalla voce rfiff, tre, e xX/V, letto. Si sa
che mangiavano sul ledo colle gambe incrocic
chiale, come fauno oggid i Turchi.
(7) Quod alienus. Ursino correggi : offendit
alienus odor, qui opplet nares.
Ca p. V. (1) Ci piace dire colle prime edizioni
e con Poliziano primo de ornithone : anche Ur-
smo non trov hoc in un vecchio codice. Qai
Varrone descrive quell* uccelliera, dalla quale si
traggono fuori gli uccelli ingrassati, noo gi
quella elegante uccelliera, in cui si mangiavano.
(a) Ut peristylum. E da seguirsi la lezione
di un codice Polizianeo che mette aut per ut ;
imperciocch I' uccelliera o ai fabbricava a cupo
la, nel qual caso non era mestieri di rete, e forse
anche di tegole; or vero a peristilio, com' qael-
la di Strabone, accennata in queslo stesso capi
tolo, e questa era coperta da una rete. 11 peristi*
lio il tetrastulum di Vitruvio iti, a, vi, 3, e
dei fratelli Arvali.
(3) Quidam. Ursino, dietro nn vecchio codi
ce, voleva cbe si leggesse : Quidam cum eo con
jiciunt alias quoque. Alle volte cum eo stato
adoperato per praeterea : quest1 ultima voce
certamente una glossa. Forse, dietro Crescenzio
>1. Tubbnzio Vahbokb
lib. ix, cap. 93,' da leggersi : Qui eolunt eo
adiicimnt. *
(4) Miliariae. V#rrone nel lib. iv, pag. ai
de Lingua Latina, spiega cosa sieoo qaesli uc
celli detti miliariae : Ficedulae et miliariae
dictae a cibo : quod alterae fico, alterae milio
fiant pingues. Qai, come si vede, pattasi degli
ortolani, e non in generale degli uccelli cbe man
giano il miglio.
(5) A ragione Crescenzio omette potius. Egli
scrive canales angustos, e non angustas, come
in Varrone. Ma questi e Catone hanno osato al
cune volte il genere femminino.
(6) Quae abundat. Queste parole si eredono
spurie da Ursino, perch Frontino 11, articolo
94 dell1edizione di Poleni ba : A quam quae ex
lacu abundat, nos caducam poca mus. Crede
inoltre che sieno superflue le parole perfistulam:
lo slesso avverti aoche Scotio Observ. m, 8, ri
guardo alle prime parole. Forse, dietro Cre
scenzio, da leggerti : et ex potu quae abun
dat, avendo egli et quae superat ad potum
avium. E incontrastabile per che da dirsi con
Gesntro caducam, perch regge il verbo oportet.
(7) Queste porte, chiamate cochleae, erano,
secondo Gesnero, rotonde ed aperte diametral
mente, come sono appunto quelle che volgar
mente si chiamano ruote nei conventi delle mo
nache, se non che queste sono aperte in un solo
lato. Quaodo i\ facevano girare, davano il pas
saggio all animale, e per contrario con un altro
giro si vietava ad esso I1 uscita. Qaesta la) porla
mollo a proposito per arrestare la velocit de
gli uccelli, o per domare V impeto delle bestie
feroci che si scioglievano sul teatro. Che se una
tale macchina si crede troppo artefatta, il che non
crede Gesnero, si potrebbe anche supporre che
codeste porte fossero fatte in guisa, cbe si apris
sero pi, o meno per mezzo di una vitq; e che
quindi si fossero chiamate cochleae, perch co
chlea vuol dire anche vite. Schneidero per
suaso che si debba intendere qui la catarracta
dei Latini, la quale, per mezzo di funi, o di ca
tene, poteva in un momento essere innalzata e
calata. Lipsio Amphitheatro, cap. 9, intende
per cavea lo stesso anfiteatro. Cosi appunto ab
biamo tradotto.
(8) Crescenzio ha '.circa ostia ac fenestras
talis sit munitio, ne mus vel mustela vel alia
bestia intrare possit ; il che piace pi del cor
rente testo ne aqua intrare. Abbiamo ubbidito
a Gesnero nel leggere colle prime edizioni ne qua
intrare. Sarehbe quest1 intonaco molto debole
per tenere lontana Tacqua; e d altronde noo si
vede perch con tanta cara dcbbasi tenere lon
tana.
37
955 ARNOTAZIONI AL LIB. Ili DE RE RUSTICA
956
(9) Ciwceozlo ha : Circa hujus aedificii. . .
multi tint paliyet etiam perticae inclinatae . .
parietes, quibus multae perticae adnectantur
ex transverso modicis intervallis ad speciem
cancellorum. Cibatui turdorum ponantur of
fae, etc. Si conferma dunque con queslo passo
parallelo hi lezione di alcuoe edizioni: praete
rea et perticas inclinatas . . . transversas gra
dativi . . . . perticas annexas ad speciem, etc.
Cosi vogliono che si legga Ursino e Schneide
ro, i quali fondatamente rigettano ac theatri,
come una glossa del vocabolo scenicorum. Ge
snero incluse ad sulla supposizione che tulio
riuscisse chiaro; perch la voce speciem dipende
ed retta da oportet esse.
(10) Questi cancelli erano formati di tavole
parallele ai gradini, e poste un poco sotto il
gradioo, acciocch quello che era seduto, po
tesse mettere i suoi piedi sotlo queste tavole,
senza timore di essere incomodalo dalla tavola
del gradioo inferiore. Eranvi inoltre sopra que
ste tavole alcune barre perpendicolari per so
stenere il corpo di quelli che eraoo sedati so
pra il gradiuo inferiore, affinch, poggiandosi
colla schiena, non incomodassero quelli del gra
dino superiore. Vcggaii Borroanno ad Orici
Amor. 111, a.
(11) Deorsum . . . . bibere possint. Come si
fede daH annoiaz. 9, Cresceozio omette queste
parole; e di fatti di ci ai detto superior
mente, n occorreva farne, la replica. Stando al
testo cibatui offas positast bisogna sodio ten
dere esse oportet ; ma meglio dire con Cre-
sceuzio cibatui turdorum ponantur offae. Co
lumella nel lib. vm, cap. 10, Palladio, 1, a6, e t
Georgici greci xiv, *tr queste masse com
poste di fichi e di farre, danno ai tordi (a ogget
to che mangiando sempre lo stesso cibo, non
riesca ad essi fastidioso ) anche dei grani di mir
to, di lentisco, di oleastro, di edera e di corbez
zolo, come frutti eh'essi amano mollissimo: la
onde non abbiamo puoto esitato di aggiungere
con Crescenzio : mixto. Caeteris tribuantur
grana, quibus uti consueverunt, et ea quae
praecipue avide sumunt. Diebus etc,
(la) Quod plus ponit. Dieeudo largius dat
cibum, e plus ponit, non si dice forse lo stesso ?
Laonde o V uno, o V altro si rigetti. In quattro
edizioni si voluto correggere qaesta ridondan
za, facendo largius dat cibum, et aquae plus
ponit} ma non era mestieri replicare che l'acqua
debba essere abbondante, avendo Yarrone gi
detto di sopra : in hoc tectum aquam veni
re oportet per fistulam. Se non altro era me
glio adottare la lezione delle prime edizioni e del
codice Veneto, largius dat, cibumque plus po
nit, Soprattutto ci piaee Crescenzio, il quale ba:
largius det cibum, et farre, etc,
(13) In hoc tecto. V oscoriU di qoesto posso
ha messo a tortora i migliori ingegni. Non abbiano
avoto il coraggio di segoire alcun commentatore.
Dai codici di Vittorio, nei qoali havvi caviis
quae caviis . . . habeant aliquod adportat sub-
plementum, Tumebo Advers. nx, a8, traeva il
seguente testo: caulis, quae caulis habeat tabu
lata >aliquod adportat supplementum, S in
terpreta da esso caulis per caula, ossia auht.
Per contrario Scaligero fa ehe il lesto sia : in hoc
tecto caviisque avis tabulata habeant alquota
ed interpreta caviis per caveis, ed avis per aves.
Secondo lui, per tabulatum da intendersi il
Wri&fer di Omero, ossia il vestibolo, ove reg
go ni i sui piedi tanto gli uccelli ehe eotrano*,
quanto quelli che escono, lodi vuole cbe si legga
ad portae sublimentum, cio sublimen, ossia
limen superius : ovvero sia leggere ad portam
sub limentum. Piacerebbe a Popma di dire ad
portae supplementum, perch i tordi non si la
sciano volare fuori della porta, come si permetta
alle colombe e ad altri occelli ; e perci debbono
esservi questi tavolali, onde volino in alto gli
occelli. Pensa Pontedera che Varrone abbia vo
luto dire : fi a t veluti cella in cavea ad por
tam, , in qua aviarius mortuas aves servet ;
io conseguenza di ci, aggiusta il testo cos : In
hoc tecto caveisque caveae tabulata habeant
aliquot ad portae sublementum contra hoc:
aviarius quae mortuae ibi sunt aves, at . . .
Solet ibidem servare. Egli scriva alla maniera
antica cavia in loogo di cavea ; a da qaelfta voce
fa derivare la gabbia degl* Italiani nella qoale si
mettono e gli uccelli e le fiere. Non si sa com
prendere come in oo peristilio coperto di reti ai
possano fabbricare questi tavolati, a peroh,
oltre le pertiohe vi debbano essere aoche i tavo
lati, qoando gli occelli reggooai e dormono bone
so quelle. Noo crediamo che si possa intendere
qoesto passo senza l ' aiuto di migliori codici.
Non si potrebbe forte sospettare ehe le indi
cate parole si fossero qui trasportate, quando
dovevano appartenere al pollaio? Varrooe de*
scrive pi abbasso on* altra uccelliera, nella qoale
v' entraoo pali e cancelli di teatro, non gi i ta
volati, i qoali sono parimente esclusi dal tornio
di Colamella. Per contrario Columella nel lib.
vm, cap. 3, fabbrica il gallinaio simile a quello
di Varrone; e in questo fi che v entrino i ta
volati : sublimitas dividatur tabulatis, quae
supra se quaternos et infra septenos liberos
pedes habeant, quoniam ipsa singulos occu
pant. Utraque tabulata gallinis servire de
bent . . . tabulatis insistere dormientem avem
o57 DI M. TERENZIO VARRONE ort
not expedit, ne suo laedatur stercore ; quod
cum pedibus uncis adhesit, podagram creat :
ea pernicies ut evitetur%perticae dolantur in
quadrum^ ne teres levitas earum supersilien
tem volucrem non recipiat, etc. Nel cap. ix di
Varrooe noo ti f alcooa parola di questi tavo
lati ; e perci da crederti cbe dopo le parole
s i n t cubilia earum^ti *ieno perdute le segoenti:
I n hoc tecto caveisque tabulata habeant ali-
quot a d perticae ( ovvero perticarum ) supple
mentum. Columella dunque, ugualmente cbe
Varrone, fa che il pollaio tia compotio di dae
stanze, e t aggiunge due livoIaiU tui quali alie
no le galline uel d, quando rhe nella nolie deb
bano tiare tulle pertiche. Miyer oel la tua tradu
zione ledetcaba seguito Scaligero; ed interpreta
che questi tavolali ti tono potli ad oggetto che
uccelli noo reggano e noo friggano per la
porta, q u a n d o ti apre.
(>4) Nelle prime edizioni ed in qaattro codici
leggeti aviarium quae mortuae ibi sint aves ;
e perci Pontedera corregge coti: aviarius quae
mortuae ibi sunt aves . . . solet ibidem serva
re. Omette dnnque la voce curator, come tu-
perflua in tal cato.
(15) Opus sunt.fc da approvarti la lezione
di Cretcenzio : opus est, ut ex hoc sumantur
aviario, excludantur idoneae: te oon altro,
nella corrente ti faccia sumantur, idoneae e x
cluduntur.
(16) Ostio. Cretcemio ha : ostium lumine
illustriore ibi sit, cum numerum habet exclu
sum . . . . secluso clam debet facere, ne reli
qui si videant, terreantur et ante tempus ven
ditionis moriantur. Ursino voleva leggere ma-
fore majore ostie. Dietro tre edizioni, Schnei
dero fa ohe il testo tia cum majore, ostio et lu
mine.
(17) Perch ferve a separare gli uccelli che ti
vogliono prendere, dalla parola secludere che
T u o i dire rinterrare a parte.
(18) Non ut advenae . . . quoque sint. Ge-
tnero persuasissimo che tutte queite parole
fieno di Varrone, ma potle fuori di luogo ; co
sicch vorrebbe che precedesse^ praeterea volu
cres . . . trans mare remeant. E gi nolo che i
copisti, quaodo si accorgevano di qualche omis
sione, ti divano premura di restituirla anche in
un luogo meno acconcio. Conveniamo con Ge
mer intorno al cangiamento di laogo, quantun
que siamo pertossi che la maggior parte di que-
tle parole sieno disidatte : nonostante ti ti che
Vin one solito dilettarti di cotali tcherzi.
(19) Adventicio. Siimo con Urtino nel cre
dere superflua qaetta parola, perch bssta de
ilio genere.
(ao) Plinio, oel Gb. x, sei. 35, ba : Abeunt
et merulae turdque et s tur ni simili modo iu
vicina; il ohe ha egli tratto da Aratotele nella
Storia degli Animali vm, 16, ove dice che gli
tlornelli, la merla, la tortorella, la lodola ed il
tordo ttanno oatcotli, ma soprattutto la torto-
retta che in tempo d1inverno oon ti mai veda
la. Inoltre Plinio nella tez. 36 dice che i tordi e
le torlorelle ti latcitno vedere per tre meti ; ed
Arittotele affermi nel cip. 3, che la tortorella
ti liscia vedere nella Grecia soltanto nella fia
te, e che impinguatasi, ten vola altrove, come
ti ha oel cap. 16. Non oega per altro nel cap.
ia, che alcune torlorelle e quaglie non ti fer
mino nell1 inverno ne* luoghi esposti al tole.
Dioendo Plinio che i lorditi fermano nell'Ita
lia per tre mesi, o ha inteso parlare di quello
che noo nominato da Varrone, ovvero egli
dice il falso, perch Colamella nel lib. vm, cap.
9 dice che la maggior parte dei tordi ti irre
tii nell* Ittlii in tempo d* inverno. Aldrovtodi
xvi, 1, afferma che rare volte vedeti io Itili
il tordo pilare ed iliaco. Celti Ornith. Sar
die. pag, i 54 ittesta che abbonda soltauto nel-
l ' Italia il tordo musico ; cbe il pilare ( il tor
do mezzano, Olioi fol. 5, a ) parte dall' Ita
lia verso P equinozio autunnale, e che daietten-
trione ten va verso mezzod nella Sardegna,
ove dimora in tutto l inverno, mtngiindo del
lenlitco, delle ^>live, dell1 oleislro e dei frutti
di corbezzolo. Avverte inoltre Celli cbe il ma
re nominato di Vairone I1 Adriatico, ma quel
li parie del medetimo che verso il settentrione
deir Italia ; e che Delle itole nomioate da Var
rone non passano i tordi, ma bens le torlo
relle e le quaglie. Le torlorelle vanno in Sar
degna nel mete di Mario, e passano da col nel-
I1Africa nel mese di Settembre. Ma I1interpre
tazione di Celti non pu aver luogo, perche
Varrone, dopo avere uominato i tordi, nomina
il mare ; e parimente ne fa raemione di nuovo,
parlando del pissaggio delle lortorelle e delle
qutglie, le qutli si fermano alqumto in qoelle
isole nell1 ingresso non solo, mi eziandio nel-
P uscire d1Ittlii. Dunque in Varrone noo da
intenderti il mare Adriatico, mi tibbene quello
di Sicilia ; quando non ti dica che ne) ritorno
travalichino P Adriatico, e si arreftino aleno
poco in illre itole.
(ai) Plinio, nel lib. ni, tez. ia, mette V ito
li di Santa Miria nel g >lfo di Pozzuolo, Palma-
rola nel mare di Totcana, e Ponri contro For-
mia. Altrove, nella sez. i 3, nomina nn1 altra Pon
za dirimpetto a Velia. Tolte queste itole giac
ciono sol lido meridiontle d1 Italia.
(sa) Qui ti ha io vista il cap. ft di quetto
9 5q ANNOTAZIONI AL LIB. Il i DE RE RUSTICA 9 6 0
libro; e perci Ursino avrebbe volato leggere
sexaginta illa. Piuttosto da dirsi aut trium
phus, perch si davano banchetti senza trionfi.
Scaligero, appoggialo a monumenti antichi,
legge : sexaginta quaevis millia lice
bit multum. Dic illud. Ursino, salia scoria
di an vecchio codice, corregge : Mihi tunc
dic illud, e Pontedera mihi tum dice illitd al
terum.
(aB) Plinio, nel lib. z, cap. 5o, dice : Aviaria
primus instituit inclusis omnium generum
avibus M. Laelius Strabo, equestris ordinis,
Brundusii. Qai, come ben vide Pinziano, da
dirsi Laenius, e non correggere Varrone con
Plinio, siccome ha fallo Ursino. Cicerone ad Di-
vers. xiu, 63, xiv, 4 M. Lenio Flacco abi
tante ili Brindisi ; e nell'orazione/?ro Plancio 41,
e pro Sextio 63, ricorda gli orti di Brindisi del
padre e dei due figli.
U4) Plinio, nel lib. 11, sez. 96,dice: In Casina
te fluvius appellatur Scatebra, frigidus, abun-
dantior aestate. In eo, ut in Arcadiae Stym
phali, enascuntur aquatiles musculi. Non si sa
di quale intenda parlare Varrone. Anche Colu
mella nel lib. vm, cap. 16, parla di un fiume vi
cino a Cassino, ma non lo no min*.
(a5) Et e villa in villam. Ursino vuole che si
dica et e villa in insulam, perch segue directum
ab insula, quae est ab imo fluvio. Popma dice
che la casa di villa di Varrone era situala nella
parte pi alta del fiume, che la aMraversava, e
che Pisola era posta nel luogo pi basso dello
stesso, per dove usciva : dunque, secondo lui,
dalla casa alla villa si passava per mezzo di pooti
il fiume, il qaale era diretto verso Pisola, posta
nel luogo pi basso del fiame, ed ove se ne univa
an altro. In tal modo Popma approva la corre-
zione di Ursino ; ma questa non abbracciala da
Schneidero, il quale pensa che Varrone, parlando
della larghezza del fiame, dica essere tale, che
per passare dalla casa villereccia di Varrone in
quella del vicino, sia mestieri passare pei ponli.
Varrone inoltre assegna la lunghezza della saa
casa e qoella del fiame che appartiene alla sua
tenuta. Saboureux persuaso che dicendo Varr-
ne che il fiame passa attraverso la saa casa di vil
la, si possano quelle parole e villa in villam in
terpretare cosi : che qaesta casa fosse divisa in
varie parti dal fiame, e che per passare da una in
an'altra, fosse mestieri dei ponti.
Cicerone, nel lib. 11, 1 de Legibus, rischiarer
questo baio. Egli descrive la sua casa di villa nel-
P Arpicate colle seguenti parole che Irovansi nel
cap. 1 : vii ne in insula, quae est in Fibreno,
sermoni reliquo demus operam sedentes? Cos
gli parla Attico ; e Cicerone gli risponde : sane
quidem ; nam ilio loco libentissime solco uti,
sive quid mecum ipse cogito, v i p e quid aut scri
bo aut lego. Qaesto il Museum, ossia lo sludio
di Cicerooe posto nell1isola. Cootinua poi nel
cap. 3 : Ventum in insulam est. Hac vero nihil
est amoenius; etenim hoc quasi rostro findi
tur Fibrenus, et divisus aequaliter in duas
partes latera haec alluit, rapideque dilapsus
cito in unum confluit, et tantum complectitur,
quod satis sit medicae palestrae loci ; quo ef
fecto, tamquam id habuerit operis ac muneris,
ut hanc nobis ejjiceret sedem ad disputandum,
statim praecipitat in Lirem. Si veda dunque
ehe quest1isola era posta nella parte pi bassa
del fiume, e che nell uuioue dei dae fiumi eravi
lo studio di Cicerone : circostanze tatte cbe com
binano perfettamente colla casa di villa di Varro
ne. E perch dunque non si dir cbe il Museum
di Varrone si trovava parimente nell1 isola ? il cbe
essendo, non occorre rigettare con Gesnero ad
Museum, ma bens dopo dire summum flumen*
ubi est circum hujus ripas, etc.
(26) Columella, nel lib. l, cap. 6, vuole che
questi passeggi sieno volti al meridiano equino*
ziale, acciocch nell inverno sieno molto esposti
al sole, e poco nella state. Cicerone ad Atticum
xm, 29, aveve anche nella sua casa di villa un
passeggio coperto.
(27) Soltauto Orsino si accorse che qai vi un
trasponimelo di parole, come rilevasi anche
dalle prime edizioni. Egli voleva inoltre cbe si
omettessero forma e ad capitulum, e che si can
giasse quadrata in quadratus. Questo ultimo
cangiamento da approvarsi, come altresi da
leggersi ornithonis, deformatus.... cum capi
tulo, forma qua est quadratus, patet in latitu
dinem p. TLViu, in longitudinem, etc. Scaligero
dice oUimamenle cbe si chiama capitulum quella
piccola aggiunta rotonda di legno, che nella sua
estremila traforata, onde si possa attaccare e
trasportare da un luogo all altro la tavoletta
quadrata da scrivere. Chiamasi tavola quella, ove
sogliono scrivere i fanciulli.
(28) L uccelliera di Varrone stata sempre la
tortura degl%ingegni. A togliere molle difficolt
riferiremo di tratto in tratto quanto ne hanoo
detto gli altri. Scaligero corregge: Ab ornithone,
p. /. v. 111, via, in qua media. Egli interpreta e
distribuisce qaeste oote nel seguente modo : Ab
ornithone pe<L l m i , via, qua iter in aream
est, in qua media sunt cavae. Pietro Piloeo
Subcis. 1, 12, vuole che il passeggio, che dopo
1 uccelliera, fosse lungo quarantotto piedi, e lar
go cinque. Turnebo zzi, a3, avverte che alcuni
interprelapo la plumula per pterygium ; ma egli
con Emaro Rauoooeto persuaso che in Ulc voce
9 6 i DI H. TERENZIO VARRONE
96*
corrotta si nasconda il namero dei piedi, e che
perci sia da correggersi p. n n %lat. non aggiun
ge poi la lunghezza, com qaella che si raccoglie
abbastanza dalla larghezza. Gesnero crede che il
passeggio si faccia longo tanto, qaanto il fiqrae.
Opina dunque che nella voce plumula s nasconda
p. ucccc via, cio una strada lunga novecento
piedi. Sabooreox cos traduce questo passo : de
sorte cependant qu%i l y a entre eette prome
nade et ma voilire une esplanade de cinquan-
te-huit pieds de long, au milieu de laquelle
rpond la principale porte par laquelleony
entre. Dunque egli ha voluto correggere: ab hac
inter ornithonem area est p. Lrm longa, in
qua media sunt cavae ( o cavea), qua introi-
tur : ma nessuno mai ha detto cavea la porta.
Pitoeo fa cbe queste caveae sieno sospese ; e Ge
snero te assomiglia ai palchi del teatro, e posti in
tutto il margine inferiore di questa tavola* Tur-
nebo le interpreta per l'area dell1uccelliera : 1. A.
de Segoer nella sua descrizione le omette del
tutto. Pare per altro di poter dire, che abbastanza
siasi determinata di sopra la larghezza e la lun
ghezza del passeggio, cio che tuttadue queste
misure corrispondessero alla lunghezza e larghez-
ta dell1 uccelliera : duuque nella voce plumula
aon si nasconde alcuna misura ; dunque sarebbe
piuttosto da dirsi: ambulatio ab ornithone dis-
juncta, in qua media introitus in aream est,
che quadrata, e di cui parla dappoi Varrone.
Le parole poi sunt caveae, sono fuori di luogo,
e debbonsi trasportare altrove, cio dopo stylo-
beten, come si dir.
(29) chiaro, quantunque Varrooe noi dica,
che queste colonoe erano inalzate sopra piedi
stalli, e non sopra uno stilobato, o piedistallo
continuo ; poich in ogni intercolonnio eravi un
alboriscetto : per oontrario le colonne interne
( il che debbesi supporre, quantunque V autore
non ne faccia cenoo ) dovevano essere inalzate
sopra un piedistallo contiouo, e oon interrotto,
cominciando da uno dei muri laterali, e termi-
nando alP altro, eccettualo per altro P intercolon
nio di mazzo, il quale doveva esser privo del pie
distallo continuo, affinch si avesse per quella
parte P ingresso principale. Varrone parla poi di
queslo piedistallo interno, che continuo. Eranvi
dunque due ordini di colonne, uno esterno, e
P altro iuterno : ora P interno non poteva poggiare
sopra un piedistallo continuo, come Varrooe, di
ce, senza che poggiasse anche P esterno aopra un
simile piedistallo, o se non altro, senza che pog
giasse sopra piedistalli tanto alti, quanto il piedi
stallo continuo; altrimenti il portico noo sareb
be sialo regolare. L perch 1 piccioli alberi sono
iocompatibili col piedistallo eoiitinuo ; dunque i
semplici piedistalli erano quelli ehe portavano le
colonne esterne.
(30) Io tal modo la prima rete formava il cielo
di questa maggior parte dell1uccelli era, e sollaoto
i portici eraoo difesi dalla pioggia. Gli uccelli n o n
entravano sotto questo coperto, perch la seconda
rete discendeva dall* architrave sino al piedistallo
contiouo ; e taoto P ona, quanto l1altra erano il
termioe interno della parte qoadraogolare del-
P uccelliera, ove gli uccelli erano rinchiusi. D al
tronde i portici sono coperti nel medesimo tempo
che sono aperti io tult'i lati; per lo che erano
composti almeno di due ordini di colonne isolate;
ed era ben naturale che si riserbasse all1occhio
curioso il solo coperto che offriva P edifizio da
queslo lato. Cos Saboureox.
(31) Hae sunt. Nessuno dei comentatori ha
detto se questo pronome sia da riferirsi agli an
tecedenti portici, che si nominano in vicinanza,
ovvero alle caoeae nominate di sopra a riflessibi
le distanza, quantunque importi moltissimo qoe
sta distinzione per ben determioare il sito di lutto
P edifizio. Di sopra, nell1annolaz. a8, si gi
detto che le parole sunt caveae erano fuori di
luogo : ora qui si trasportino, e si faccia : Hae
sunt caveae avibus omne genus%etc.
(3a) Interiorem partem. Noi abbiamo segnilo
nella traduziooe di queslo periodo Saboureux, il
quale, combattuto da Schneidero nel seguente
modo: uQuae aream interiorem, non maceriam
exteriorem respicit, raonenle Gesnero. Longe
aliter Gallus*: A' quel que distance de la face
intirieure du stylobate, tant de celle qui rgne
depuis r entre principale jusqu1au mur d
droitet que de celle qui rgne depuis cette mi
me entre jusqu' au mur d gauche, commen-
cent deuoe viviers peu larges. u Scilicet Gallas
imagioem cavearum, ornithonis, areae et porti
cuum situs longe diversam animo suo informave
rat, quam ez formula ab eo descripta lector pote
rit facile cognoscere. Loco enim eo, ubi Varro am
bulationem, sub diu ornithoni in infimo margine
tabulae quadratae anteposuit,Gallus porlicus duas,
vel unam potius porta divisam collocat; cujus 00-
lumnis anterioribus (in ipsa versiooe exteriores
dixit ) intermiscet arbores humiles ; interioribus
seu posterioribus, stylobatae insistentibus, prae
tendit rete aviariam. Deiode a maceria summa
utrinque rete caonabioum planum tendit ad epi
stylium columnarum interiorum seu posteriorum,
atque ita omuem aream quadratam, retibus con
clusam, avibus destinat. Haoo ejus opinionem
demonstrant verba in nota posita: r un comme
P autre taient le terme intirieur de la partie
quadrangulaire de la voiliire, ou les oiseaux
taient renftrms. Sed Gallum a situ porticuum
o63 ANNOTAZIONI AL LIB. I l i DE EE RUSTICA 9 6 4
el loci, avibus definiti, aberraste, docet vel mo
lai a quae tenuis, quem non opus eral affi aere
loco, avibas attributo, ti ipta area quadrala con-
duaao erant, abi piscinae duae aderant , qoae
palum et lavacrum avibus submiuislrare pote
rant io margioe astideolibus. Gallo praeiverat
Tnrnebus, qai stylobatis interiorem partem ad
aream,exteriorem ad ambulationem spectasse ait...
Diversae. Semita divisae, at postea monebit. Sed
mihi verba e medio difficultati* aliquid habere
videntur, quae plane omisit Gallus. Hic vero ali
ter etiam erravit in versione. Sic etiam facit Var
ronem loquentem : mais oblongsy en sens op
posi celui du por lique : iis s ' i tendent jus qui*
au prs de T ex trmiti de la partie quadran-
gulaire du pian. Scilicet nt errori sao de posi
tione porticuam opitularetur, verba, ut porticus
versus, plane aliena sententia interpretatus est.
Editio Broscbiana, qaa cum editiones prindpes
consentire suspicor, habet quadrato jam e me-
dioy in qua leclioae forte melior letet, a viris
doctioribus exscalpenda, w
(33) Qaesti quell' orator* che, essendo con
sole oon Mario, disfece i Cimbri, e cbe da qoesto
S te sao Mario fa condannato alla morte, malgrado
le istanze di molti cittadini cbe lo domandarono
io grazia. Catulo si rinserr nella soa camera da
letto, ove mor soffocato dai vapori dei carboni
accesi. La saa casa era contigaa a quella di Cice
rone.
(34) Bisogna trasportare la virgola dopo /olo,
al tra meo li come mai si sarebbe potata vedere la
oooelliera, stando nel botco, at questo foste stato
circondato in ogni ponto da alti muri T quindi
abbiamo tradotto quasi tutto circondato.
(35) Perspici. Le prime edizioni ed il codio*
di Breslavia dicono eon maggior fondamento
prospici. Gli uccelli rinchiusi vedono da lungi
qndli che liberamente volano nel bosco, senza
che possano per altro passare nd medesimo : co
tale veduta li consola alquanto nella loro prigio
nia. Dopo sarebbe da leggersi : postini, et quae
Hi sunt, usque avis ea transire. Tarnebo voleva
che si leggesse : ut perspici in silvam possit.
(36) E da riflettersi che la rete, le quale ser
viva di ddo alla grande uccelliera, era di filo di
canape piuttosto grosso, perch essa era esposta
alle intemperie dall1aria ; e d1altronde noo po
teva nascondere la vista di cosa che convenisse a
vedersi : quella poi che divideva il portico df in
gresso, era formata parimente di an simile filo,
perch, in pari guisa ddla prima, era esposta alle
iutemperie dell* stagione, e non era necessario
che fosse sottile per vedere attraverso; ma qndla
ehe inviluppava la rotonde, era formata dioorde
di bodella, onda fosse nd medesimo tempo e
sottilissima e fortissima. Conveniva ehe foae set*
tilissima, atteso che doveva permettere che ti ve
desse dd di fnori dentro la rotonda, e da questa
al di fuori, come dtreadal portico d'ingreaao
nel bosco ; doveva poi essere fortissima, perch,
come le dae prime, trovavasi esposta alle ingiurie
dell aria. Finalmente la rete interna non era che
quella comune, con coi si prendooo gli oocelli ; e
perci era sottilissima, e mollo pi perch non
era esposta alla pioggia, e la sola che tetta a co
perto.
(37) Per ben intendere qoesto pasto, bisogna
richiamarsi alla memoria quanto ha detto di so
pra Varrone in proposito dell1ocedliera de* lor
di. Egli coti disse : Circum hujus aedificii pa
rietes intrinsecus multos esse p*los%uhi mot
assidere possint : praeterea et perticas incli
natas ex humo ad parietem^ et in eis transver
sas gradatim modicis intervallis perticas t-
nexas ad speciem cancellorum scenicorum ac
theatriGiovanni Alberto deSegner da ona parte
e dal l ' altra delle colonne ed on pooo indietro
della rotonda, pianta dd mutili, e sopra questi
mette delle verghe, qnai sedili pi a proposito
per gli occelli, perch credeva che sui molili lar
ghi non potessero reggersi comodamente ; ma in
questo luogo i mutuli sono semplia pali,oome ben
lo dimostra l dlegato passo di Varrone. Lo stesso
de Segoer vuole che qai s intenda il teatro, for
mato di parecchi mobili eooii di legno, ognuno
dei qoali potesse essere collocato o rimosso, ae
cos bisognasse, dalf ioteroajponio, ma tatti poi
disposti io guisa che rappresentassero nna specie
di teatro. Cotale inlerpretaxione qoadra molle
bene col passo riferito da Varrooe ; e differisce
solo io questo, che le pertiche potevano etare
iodinate verso le pareli, laddove io questa ac*
celliere dovevano essere incastona te e eoo giunte
tra di loro colle pertiche trasversali, affinch po
tessero stare diritte. Se ci vero, come v* tolta
la verisimiglianza, malameole dunque ditte Sa-
boureax odia nola ia, pag. 3oi : u 11 faot top-
poser qoe le gradin suprieur est le sommet de
stylobate, et qua ce stylobate n' a de largear cn
cel endroil que ce qu ea exigent les baaei de le
colonoe de pierre, et qu' il repreod tuooetaive-
menl de sa largear poar former chaqae gradin :
qa' enfia leur hauteor est mesnre de manire,
qu iis parta geni gdement entre,eux la differenee
qui se tronve entre le sommet du stylobate sor
les colonnes extrienres, et le plein pied doni il
va tre question, lequd est an bas des gradina.
On coofoit qoe celle diffrenee est rachete poar
les ooloooes intrieares, per oa sode sons la beta
de ehacune.
(38) * Ce stylobate est uniqoe poar le* d*x
g65 DI 11. TERENZIO VARRQNE 066
rangs de colonne*, et molile cd faveur des gra-
dins. n Coti uola Saboureux.
(89) Lapis. Une assise de pierres. u Celte
au ite, dice Saboureux, ett rgle suplriearement
en parquet, pour enteudre en tirant au centre le
plein-pied. t
(\o) Falere. Saboureox traduce le socie, Tur
nebo io tende il contorno di pietra dello stagno,
cos chiamato dalla candidexxa della pietra, per-
ch il colore candido si chiama in greco pdXnfw.
Voleva per altro che si scrivesse phalerum, per
ch imita on porto. Scaligero con Turnebo ; e
paragonando I* saxeam pilam di Virgi
lio, fa che Haleria e Faleria derivi da nrafd riir
ia. Pop no* sciocca meni e fa derivare questa voce
da pdXaj capo. Segner crede che sia una macchina
fabbricala di (avole di legno.
(40 Di qaesto stagno ne parla poco dopo.
(4^) En saillie horisontale sur le v i f du sty
lobate, aggiunge Saboureux.
(43) In culcitas. Segner voleva che si dicette
inter culcitas et columellas, come prova con
sode ragioui in una tua dissertazione intorno alla
uccelliera di Varrone. Parimente Saboureux di
quest' opinione : aftn que Ics convivs puissent
marcher V aise entre les colonnes et les lits;
ed aggiunge in una nota: Car cet emplacement^
ainsi qu1on va le voir, sert de satte manger.
Per contrario Scaligero interpreta la voce culci
tae per torosae stylobatae projecturae extra
solidum procidentes, ut in peristyliis mona
chorum videre liceat; in quibus pulvinatae
coronae stylobatarum extra perpendiculum
praeberent sedes opportunas fessis deambu
lando. Nessuno per altro ha seguito quest1opi
nione, stata gi prima anche di Turnebo, eccetto
di Popma. Turnebo, volete che si leggesse colu
mellam, perch egli pensava che il banchetto si
facesse nell' isola : ma Varrone chiama columel
lae le svelte colonne di abete, che sono interne
nella rotonda.
Convivae. u Hoc verbam ( dice Schneidero )
et menlio peripetasmatum, quae aectio seqnens
ait in suggesto phaleris esse solere, monaisse vi-
dentar Gesnerura ; ut in hoc phalere lectos con
vivis itratos et convivium ipsum actum fuisse pu
taret ; quam quidem opinionem ante eum jam
olim prodidit Tumebua, eamque recte secuti tunt
recentiores interpretes. Nescio igitur, ut culcitas
cum Scaligero interpretari quam ad conviviorum
et lectorum nontivalium usum referre mallet m
(44) Infimo intra falere. Gesnero voleva si
leggesse : In infimo falere ; ma meglio dire col
codice di Ursino: Infimo in falere. La voce mar
gine tradotta senter da Saboureux. Gesnero
dalle altre misure congettura ehe Pisola fosse
appena di nn piede ; e pensa che lo stagno fosse
coperto dalla tavola posta solla ruota. Varrone
assegna a questa tavola la larghezza di due piedi
e mezzo. Gesnero permaso che questo stagno
contenesse un'acqua morta, e che fosse tanto
picciolo, che tenisse coperto dalla tatola posta
sopra la colonna. Seneca, nel lib. 111, cap. 17 delle
Questioni naturali, ha avuto in tiata questa spe
cie di stagno, quando disse : in cubili natant
pisces et sub ipsa mensa capitur, qui statim
transfer a tur in mensam.
(45) Ut navalia. E piuttosto da approvarsi la
lexione del codice di Ursino, che ba uti navalia.
(46) Orbile. Non possiamo far meglio che ri
ferire le varie opinioni in succinto colle flesse
parole di Schneidero. u Turnebus interpretatur
rotonditalera ipsint orbis, acutiorem in Ane. Re
ctius Scali ger, euro que secotus Popma, axis capitu
lum seu cardinem, qui in modioli foramen coo-
veniebat : Graecia rjffyya. Praeterea S caliger
corrigebat : orbile solet esse, acetabula cavata
xif;intetpretatus acetabulam pro acetabulo. Con
tra Scheffer orbile tuli esse rolae perlpfteriam, et
corrigli hoe loco orbile solet esse, arcus cunk
tabula. Uude Gesner duxit soam conjecturam,
arcuatum, et pluribus arcubus compositum in
terpretatus. Schefleri ratiooecn juvare videtur,
quod Varro paulo post tabulam, quam hic tym
panum vocat, in primis radiis ait, quos Schef-
ftr extremos interpretatur; quem sequitur gal-
licits interpres; Popma Scaligerum. Schefferum
sequi ipse non dubito, quoniam ipse Varro dein
ceps orbem ligneum mensam que vocat, quam
hoc Io00 orbile et tabulam. Sed orbis is non so
let esse acutus; igitur aot Schefleri emendatio
est probanda, aut legendnm orbi solet esse li
gneus.
(47) Tympanum. Cio ana roota senza rag
gi, ma solida e piena. Cotali ruote senza raggi
sono nominate nel lib. 11, vers. 444 delle Georgi
che di Virgilio. Tali ruote ti usano oggi*)k in ai-
coni luoghi della Spagna, come racconta Towu-
send TraveI, Toro. 1, pag. 6 e 69.
(^)Ex suggesto. Pensa Schneidero cbe que
ste parole sino ultro ac cito commeant abbia
no cangiato luogo, e che debbano stare di topra
dopo : Circum falere uti navalia sunt excava
ta anatium stabula. poi da dirti : Dum et
aqua calida, etc.
(49) u Gesner pntat, ipsum phaleris sugge
stum vicem lectorum accubitoriorum praebuisse,
unde peripetasmata dependere soleaot. Eadem
peripetasmata in apparata lecti convivalis poni
monet apud Varronem L. L. iv pag. 40. lin. i 5.
Breviter, in hoc suggestu phaleris convivat col
locat Gesuer. * Coti Schneidero.
0 C>; ANNOTAZIONI AL LIB. I l DE RE RUSTICA
(50) Primis. Scheffero interpreta summit,
cio le loro estremit : per contrario Scaligero
interpreta privis, Tale a dire singulis.
(51) Epitoniis. Vittorio voleva che si legges
se cos, perch appuoto havvi epitoniis in tutt i
codici. A questo proposito cita Vaipiano de actio
nibus venditi, ed an codice di Vitrario; ma qaeste
non sono autorit di grau peso, essendoch que
st' una voce alterata. Del parere di Vittorio
sono pure Urtino Bynkershoek e Gesnero. Vit
torio e Scaligero interpretano per epitoma no
istrumento teso da corde, per meno del quale si
estrae V acqua ; e Gesaero interpreta il turaccio
lo. Ma* non da alterarsi la leiione delle prime
edizioni e di Aldo epistomiis, come ci persua
dono molte autorit.
Factum sit. Tarnebo correggeva: radiis
essh ; epitoniis versis ad unumquemqne f a
ctum sit utfluat in convivam: per contrario
Scaligero voleva che si dicesse : ad unumquem-
que actum, sic adjluat in convivam ; ed inter
preta actum il momealo in coi lo schiavo lo gira.
(5a) Vittorio e Sabooreux accasano di errore
Varrone, perch fa cbe sieno due stelle distinte
Lucifer ed Hesperus. Per contrario Ursino da
nn passo di Plinio del lib. il, cap. 8, ove leggesi :
infra solem ambii ingens sidus appellatum,
Feneris alterno meatu vagum, ipsisque co-
gnominibus aemulum solis ac lunae. Praeve
niens quippe et ante matutinum exoriens%Lu
ciferi nomen aecipit, ut sol alter diem matu
rans : contra ab occusu refulgens, nuncupatur
vesper, ut prorogans lucem, vicemque lunae
reddens, etc. voleva che Lucifer fosse il sole, ed
Hesperus la luna. Nou pare probabile che Var
rone fosse tanto ignorante in astronomia. Piut
tosto da dirsi che V artefice avr fabbricate e
poste nella cupola le immagini di Lucifero e di
Esper per distioguere le ore del giorno da quel
le della notte.
(53) Ad infimum. u Io summa hemisphaerii
parte horologium collocat Turnebus ; Gesner
interpretatur in margine concava lecti hemis
phaerii, et in parte convivis obversa ; et negat,
horologium hoc ex automatorum genere fuisse,
contra Castellum, afiirtoanlera, quem sequitur
etiam lo. A. de Segner. Gesner nilitur loco Pli
nii v i i , sect. 6o, qui clepsydram publicam cele
brat. Qui, inquit, potuit praetermittere Plinius,
qui clepsydram publicam celebrat TAt, bone,
a quo positam ? A Scipione Nasica, collega Lae
natis, primo horas aequinoctium ac dierum a-
qua divisas fuisse referi anno U. C. 5q5. Quid
igitur opus Plinio erat seorsum commemorare
Varroais horologium privatam, jam diu osu ejus
publicato ? n Cosi Schneidero.
(54) Vitruvio, nel lib. i, cap. 5 dtando que
at' orologio, ne fa autore dello stesso Aodronk
Cirreste, cio della citt di Cirro ; per coesa-
gaenza Cirreste oou an oome proprio, ma la
patria dell* artefice, che Varrooe ooo nomina,
perch gi aar stato noto a quelli, ai quali par
lava.
(55) Gli antichi non distiosero io prindpio
che quattro venti, poi otto, e fiualmente ne ag
giungo altri quattro a questi otto ; il che b
dodici venti: con tutto questo vollero tenersi
Ila aulica divisione di otto, come si ha la Pliaio
oel lib. ii, sez. 46.
(56) Parra il oome di ao uccello cbe si con
siderava come di cattivo augurio, ed il coi casto
era disgustoso. Varrooe che sceglie sempre per
saoi iaterlocutori personaggi, i coi nomi siano
analoghi all'oggetto che tratta, avrebbe forse
affettato di seguire tal metodo sino in qoesto
personaggio episodico ?
(5?) Per intendere questo passo, bisogna sa
pere come ti faceva a Roma la eleziooe de' aia-
gistrati. Ognuno portava seco nn ballettino, ta
bula, sopra il quale era scrilto il nome del can
didato che si voleva Dominare ; ovvero nel cam
po di Marte davasi ad ogni cittadino no balletti*
d o in bianco, affiueb sopra il medesimo si scri
vesse il nome del candidato. Ognaoo metteva il
suo bullettino in un' urea ; iodi si separavano,
dirimere, ( e oel letto va detto coo Ursiao diri
merent) i varii bnllellini, per sapere quanti ap
partenevano a questo, od a qodl' altro candida
to. Quest' operazione si faceva in dae guise ; o
scrivendo sopra una tavola il numero dei voti
favorevoli eh'erano toccati ai rispettivi candi
dali, o trasportando, come qui, dall1unta, in cui
erano tuli' i voti, io uoa borsa particolare locu
lus, quelli che favorivaoo uo tale candidato; e
perci tante erano le borse, quanti erano i eao-
didati. Si vede quiadi eh' era necessario cbe vi
fossero dei custodi, custos, i quali io vigilassero,
acciocch non nascessero frodi. Ora questi co-
stodi avevano 1' occhio aoche respelli vanente
tra di loro, ed accadeva alcuoa volta che venissero
colli sul fatto qudli cha commettevano qualche
frode, come appunto avvenuto nel nostro caso.
La frode la pi comune consisteva iu accresce
re il numero dei voli, a favore di nn candi
dato, con un numero di bnllellini che una me
desima persona gettava o nell' urna generale,
ovvero odia borsa particolare di qad candida
lo. Plutarco, nella vita di Catone di Utica, ri
ferisce uoa frode di questo genere. Catone et*
seodosi accorto oei comizii, che si tenevano per
1' eleziooe degli edili, che la medesima mano
aveva scrtto un grau uumero di bnleiiiai ia
9 C9 DI M. TERENZIO VARRONt
favore di un candidato, giudicando quindi
che qael candidato, che egli favoriva, non sa
rebbe alato scelto, scopr la frode, e fece annul
lare quanlo si era fatto.
Ca p. VI. (i ) Questa piacevolezza cade sopra il
nome di Pavone, che portava Fircellio.
(2) Nei codici si legge LyrcliOy e nelle prime
edizioni Lurco. Plinio, uel lib. x, sez. 23, ha:
Paeonem cibi gratia Romae primus occidit
orator Hortensius aditiali coena sacerdotii,
Saginare primus instituit circa novissimum
piraticum bellum M. Aufidius Lurco, ex que
co questu reditus sestertium sexagena mil~
li a habuit. Cicerone pure pro L . Flacco il
chiama Lurco.
Supra sexagena. Nelle prime edizioni si ha
S. ossi# Ia cifra de' sesterzii, in luogo di supra ;
dunque dicasi sestertium con Plinio ; ci con
fermalo anche dal calcolo. Pontedera attesta che
nel codice Cescnale si ha minimum in vece di
numum ; variante da non isprezzarsi.
(3) Crescenzio, nel lib. ix, cap. Sa, dice : Uni
masculo quinque foeminat sufficiunt, quod
servandum est, ut ait Varro, si ad fructum
spectes ; nam tunc pauciores debent esse ma
res,y quam foeminae . . . . enim est masculus.
Palladio ha egualmente che Crescenzio ; non si
sa poi ben dire, se in Varrone si leggesse pari
mente cos.
(4) Pavonum gregei. Ursino voleva togliere
queste due parole, ovvero dire agrestium greges
transmarini.
(5) Ateneo, xiv, pag. 655, dice che i pavoni
da quest* isola si sono sparsi per tutta la Grecia,
Viltorio avverte che per qaesta ragione le moneto
di Samo avevano il pavone.
(6) Planasia insula. Ursino crede che la voce
in silva si sia corrotta, e che quindi sia nato in
sula. persuaso inoltre che debba dirsi in silva,
oode corrisponda al luco di sopra nominato.
Popma con Ursino.
(7)Birnae. Nel lib. v m, cap. 11 di Columella
ti ha : Hoc genus avium cum trimatum exple
vi/, optime progenerat : lo stesso pure hanno i
Georgici greci, xiv, 24 ; Plinio, x, 59; Aristotele
nella Storia degli Animali, vi, 7 ; ed bliano, v, 32.
Laonde si dica con Ursioo trimae.
(8) Itaque Sejus. 1 commentatori vogliono
che Varrone alluda a quel Seio cbe ha lodalo nel
capitolo secondo di questo libro. Ma le prime
edizioni hanno senis his dant : lezione questa
da preferirsi (cangiando sollauto dant in dat) 9
quantunque sia da dubitarsi intorno alla quan
tit dell'orzo, che da uessuii autore viene deter
minala. Olire di che, subiloch delcriuiuavasi la
li. Tunsoizio
quantit defi'orzo, conveniva anche determinare
il namero de* pavoni, ai quali era da darsi tate
quantit di orzo. Varrooe duoqoe assegna la mi*
sura del cibo da darsi a sei pavoni, poich egli
vuole che a cinque femmine basii un maschio, e
che poi questi sei individui si debbano rinserrare
insieme in ooa stanza particolare, come imparia
mo da Columella. Qui, come si vede, Varrone ha
voluto seguire Vesempio di Lorco, qual primo
autore dei pavoni; non mai ba preteso di farne
autore Seio. Dunque le parole dat9e poi is sono
da riferirsi a Lorco. Schneidero di opinione che
abbondi il secoodo singulos.
(9) Is a procuratore. Le prime edizioni met
tono hos, e cinque codici has ; e nel finevdi qae
sto capitolo si ha : si in singulos ternos exigent
(exigerent altri) pullos : laonde molto proba
bile che Varrone avr scritto in singulas q pro
curatore, etc., le coi tracce si hanno in has che
anticamente era las. Lurco duoqoe non ripeteva
tre pavoncini per ogni maschio, ma per ogni
femmina.
(10) E x iis. Gesnero, dietro il precetto di
Ursino, ha rigettale queste paoele quantunque
*i possano difendere : a quibus, cio gallinis, ex
iis, cio, oy/f, excusos.
(11) Tectorio levata. Crescenzio, nel lib. x,
cap. 82, dice : Cubilia debent eis fieri sub tecto
discreta, et a terra elevata, ut neque .. . bestia
accedere ad ea possit, ut ait Varro.
(12) Crescenzio ha : Praeterea locum ante
se purum habere. Ursino vool togliere habere,
perch oon si trova in un antico codice, e perch
oo verbo totalmente soperfluo.
(13) Hortensius augurali. Ci piace dire con
Vittorio Hortensius augur.
(i 4) Poutedera interpreta cos : quod factum
potius luxuriosi nepotis, quam severi boni viri
laudabant; ita enim mores tum ferebant:
dunque per ironia si sono detti boni viri.
(15) Ursioo voleva che si dicesse Albutius
ajebat : ac si ut Sejus ternos, etc. ; ma nell* an
notazione ottava si rigettato il oorae di Seio.
(16) Singulos. Nell'annotazione nona si
dello che va scritto singulas.
Ca p. VII. (1) Si dava questo nome ad ogni
uffiziale subalterno.
(2) Pontedera dal leggere in tre codici expe-
risterotrophio, e dal vedere che nelle prime edi
zioni manca has, perch suppone che Menila
mostrasse gi le colombe col dito, voleva che il
testo fosse il sgoente : si umquam de
r?o<pii< constituisses, tuas esse putares.
(3) Saxatile. Crescenzio, nel lib. x, cap. 88,
dice ; Ex is, qui ponuntur, meliores sunt sa-
3
Xaroli, et post ipsos lurgni ; sic a vulgo ex
pennarum colore vocati ; tales enim in colum-
bar iis melius durare cernuntur, quam caeteri.
I primi si chiamano in italiano sassaiaoli, ed i
tecoudi turchini. Il sassaiuolo di Sardegna
stalo descritto da Celti, Tom. n, pag. 182.
(4) Agreste sine albo. Ur>ino le crede super
flue; ma il passo eh1egli allega di Columella, ooo
fa per la sua congettura.
(fi) Che vuol dire colomba.
(6) Da 'raf/ggffli colomba, e da che
significa nodrire.
(7) E stata rigettata la correzione di Vittorio
di habeant in habeat, quantunque qaesta goda
) ' appoggio ili tre riputatissimi codici : qui, come
ni vede, habeat appartiene alla colomba ; per con
seguenza da dirsi possit: dicasi anche coi me
desimi codici quomodo in luogo di quo. Si po
trebbe anche difendere habeant, facendo che
questo veTbo appartenesse a singula paria ; ed
in tal caso bisognerebbe poi dire possint. Atanti
Gesnero correr qaesta interpanzione : possit.
Intus . . . partibus sub, etc. Egli vi ha rimedia*
10 ; ma crediamo che cos si debbano disporre le
parole : Columbaria singula esse oportet intus
ternorum. . . partibus, et ut os habeat quomo
do introire et exire possit.
(8) Aquam ... possint. NelPannot. 16 si diri
11 perch questo periodo siasi coli trasportato.
(9) Columbarium. Crescenzio e Poliziano
mettono columbarum. Crescenzio poi cos conti-
aua : saepe debet eis mundare locum etfimum
reponere, qui ad agri culturam est optimus.
Apparisce quindi che qai si sono perdute alcaoe
parole, come et recondere. Noo perch lo sterco
si scopa, per questo bisogna dire che sia utile al-
I*agricoltura : ti serba, perch il miglior con
cime*
(10) Aliquot. Le prime edizioni mettono ali
qui. Vittorio diede aliquot ; il cbe si potrebbe
tollerare in Palladio.
(it) Ursino persuaso che sia da leggerti : Si
quid offenderit, ut medeatur ; si qua perierit,
ut efferatur, etc. ; le altre parole le crede ag
giunte da altri e sparie. Egli, dietro i Georgici
greci, xv, 6, voleva che il custode della colombaia
avesse P occhio al fabbricato, non gi alle colom
be che albergano nella medesima; ma tbaglia di
grosso, perch qui ti parla delle colombe amma
late.
(12) Item quae foetae ... redintegrentur.
capovolto tutto questo passo. Indicheremo le
principati mutazioni. Si cangiato foetae i n f e
rae, perch in dae codici havvi cosi, e perch in
un codice di Crescenzio, che serbasi in s. Giustina
di Padova, leggesi : Item si qui sunt nimis feri,
7 1 ANNOTAZIONI a l l i b
et bellicosi ut alios laedant, eos inde remo
veat, et in alium lo cum secretum ab ilio per se
ponat. Nelle prime edizioni ed in Poliziano si ha
ree te in luogo di rete. Tre codici e le prime edi
zioni mettono habeat, e quattro codici transfe
ratur. Sette codici e le prime edizioni etque . . . .
ex peristerone evocare. Vittorio e quattro c^>
dit i pongono matresque ; e finalmente in quella
edizioni ed in quattro codici si ha quod libero.
Dietro qnesti pretidi si tradotto fi! segatola
testo : Item quae ferae sunt, in certum locum
ut disculsum ab aliis recte habeat, quo trans
f e r a t : ut et quo foras ex evocare
possit matres. Qaae faciunt duabus de causis...
una, s i ... consenescunt ; quod libero... redinte*
grentur. Vuole dunque Varroue che si formino
per le colombe dae luoghi ; nel primo dei quali
dehbonsi cuitodire quelle che aono selvagge, e
nelP altro sono da chiamarsi faori della colom
baia le madri, affinch ti ristorino ne1campi at-
P aria aperta. N occorre aggiustare Varrooe per
mezzo di Colamella, lib. vm, cap. 8, perch ivi ti
mette la rete per difendere le colombe dagli au
gelli di rapina, e non si parla per niente delle
colombe selvagge, come si far ancora pi chiaro
nelP annot. 1 7 .
(i3) Non sappiamo deciderci ad abbracciare
con Ursiuo e Schneidero pulliciem, ovvero tilt-
cium con Vittorio, Scaligero e Gesnero. Parreb
be che fosse da dirsi illicium, perch, se ai di
cesse pulliciem, si farebbe che Varrone, amante
della brevit, replicasse lo stesso con dire propter
pullos. Schneidero se la prende fieramente con
tro illicium : u quam sententiam (dic'egli) perse
ineptam etiam, nullo modo ex verbis Varronis
licet extorquere ; nec boni viri et honesti hoc est
facere stadere. * Egli si fa forte anche con Colu
mella nel luogo citato e coi Georgici greci, xrv, 1,
i quali, secondo lai, seguono Varrooe. Non lasce
remo di dire che de causa sono parole rigettate
ragionevolmente da Ursino.
04) Item petere. Siamo con Salmasio, ad So-
Unum, cap. 4> pag* 614, nel leggere impetere.
Crescenzio, nel lib. x, cap. 28, in tal modo de
scrive la maniera di prendere questi uccelli ra
paci. Si piantano in terra due, o tre bacchettine
invischiate, aa pooo tra di loro distanti, e Puna
verso P altra piegata : oel mezzo di qaeste si lega
un qualche uccello, come Un colombo, o an pollo,
ovvero della carne, od anche un sorcio pei nibbH,
e per alcuni altri uccelli di rapioa, che amano tali
animali: questi uccelli restano impaniati nelPatto
che assaliscono quegli animali.
(i5) Atque ad locum redeunt. Gesnero fece
molto bene a togliere con Ursino queste parole.
(t6) Qoi certamente vi una lacuna. Nessuno
111 DF, RE RUSTICA 9 7 2
degli antichi ha messo il cibo dell* colombe io
canali. Si po Ir ebbe dire che ci si fa ad oggetto
che gettandolo per terra, noo retti imbralUlo
dallo sterco. Ma se ci fosse, in qual maniera si
potrebbe per di faori introdurre col meno di
canaletti il cibo ne'truogoli? Malamente adun
que si applicalo queste parole al cibo : piuttosto
appartengono all'acqua, e per errore di luogo si
erano trasportata di sopra ( vedi 1 annoi. 8 ). I
Georgici greci, xiv, 6, si accordano con Varrooe.
Si restituisca duoqoe tulio al suo rispettivo luogo,
e si faccia che il testo sia il seguente : circum pa
rietes. Aquam ( mundam si aggiunga colle edi-
liooi dei Giunti e di Gimnioo ) esse oportet in
canalibuSy quo influat, ei quas extrinsecus per
fistulas supplent, unde et bibere et ubi lavari
possint.
(17) Item feras has. 11 solo Aldo mette cosi:
negli liri leggesi o feras hasyovvero fere haec.
Schneidero si accorse che in queste varianti si
nasconde la genuina lezione, perch quella del
testo certamente corrotta. Pontedera persuaso
di leggere : Item fera haec in turrius ac sum
inis villis qui habent, quoad possunt, immit
tendum in Egli rigetta, come fa an
che Schneidero, agrestes columbas, quale in
terpretazione di fera haec. Dunque si vede che
fera haec sono quelle colombe che di sopra ma
lamente si erano detlejbefae (vedi l annoi. 12),
e cbe aucora queste debbousi rinserrare nella
colombaia, come avverte Varrone ; perch se ad
esse si lasciasse la libert di volare sulle torri, o
sopra i colmi delle case, di leggeri ritornerebbero
i loro primi padroni. Gesnero vorrebbe che ai
dicesse quae habent, cio habitant. Abbiamo
anche, come si vede, cangiata l ' inlerpuuziooe
del teslo.
(18) Debbesi togliere il ponto dopo bona, e
nieller avanti aetate.
(19) Intervallum faciunt. Ursino vuole che
i legga intermittit, e avanti facit. Schneidero
amerebbe dire con Crescenzio, ut, 91, interval
lant. Gellio, xvn, ia, ha le febbri intervallatae.
(20) Ma Crescenzio aggiagoe cbe gli uomini
speriiueulali assicurano che le colombe non par
toriscono se non dopo sei mesi, dacch sono nate,
che iu progresso partoriscono quattro, cinque,
ci, ed anche pi volte all anno, purch trovino
di che nodrirsi, ovvero se loro si somroiuislra il
cibo in copia : che se poi si fanno scarseggiare di
cibo, partoriscono almeno tre volte nella state.
Aristotele pure nella Storia degli Auimali, vi, 4,
fa che le colombe noo partoriscano se non dopo
ehe hanno sei mesi.
(21) Hieme demunt cibum medium. Queste
parole sono omesse da Cresceuiio, <ju ntuuque
ancor egli nelP inverno noo dia da mangiare ai
colombi che due volte al giorno. Forse va tolto
il cibo del mezzod.
(22) Per vedere quanto manca nel nostio lesto,
bisogna riferire due passi paralleli, 1' uno di Co-
lamella, e 1' altro di Cresoenzio. 11 primo dice :
Pulii vero facilius sub matribus pinguescunt,
si jam firmis, prius quam subvolent, paucas
subtrahas pinnas9 et obteras crura, ut uno
loco quiescant^ praebeasque copiosum cibum
parientibus, quo et se et eos abundanter alant ;
ed il secondo : Eos vero, qui jam pennas ma
gnas habere incipiunt, relinquunt in nidis,
fractis cruribus, matribus nutriendos vel im
pinguandos, vel extrahunt de pennis unius
alae ; nam, qui ita educantur, celerius impin
guantur, quam caeteri, ut ait Farro. L* accor
do perfetto di quesli due autori, fa credere che
il loro lesto era genuino, e cbe nel oorreoie souo
da innestarsi le segueuli parole: vel extrahunt
de pennis unius alae ; nam qui, etc. Parimeute
Varrone, nel cap. 9 di questo libro, parlando del
modo di ingrassare le galline, dice: Eas evulsis
ex alis pinnis et e cauda farciunt turundis%
ove veggasi la nostra annotazione.
(23) Et candidiores. Pare ad Ursino che sieno
da togliersi le parole quam alii, et candidiores.
Schneidero persuasissimo che sia corrotto il le
sto ; ed egli lo aggiusta leg^cudo : quam alii
grandiores, u Columella (dic egli) steriles et
sordidi coloris culumbas veteres et adultas, ut
gallioas saginari ail; caodidas vendi solitas fuisse,
inde iotelligilur. Iliuc eliaca vilium vulgatae le
ctionis apparet, wNei codici Poluiaueo e di s. Re
parata st legge et candidae fiunt : seeondo T or
tografia antica sar stato sentio candidci, ed ei
si sar cangiato posteriormente in ae. Noi siamo
persuasi eoo Pontedera di dire: qui ita educan
tur , celerius quam alii pinguiores et candidi
fiunt.
(4) L. Axio. Plinio, nel lib. x, cap. 37, dice:
Lucius Axius eques Romanus ante bellum
civile Pompejanum denariis quadringentis
singula paria venditavit, uti tradit M. Varro.
Columella pure nel lib. vm, cap. 8, conferma
colle parole di Varrone P eccessivo prezzo di uu
paio di colombi.
(25) Pontedera mette il puulo interrogativo
avanti cum aliquot. Si corretto il le*U> dietro
Pedizione dei Giunti e di Giinuico. E da avver
tirsi cbe qui si chiamano instrumentum le co
lombe ; e perci quelli che possedevate queste,
possedevano anche le colombaie, sebbene uon ai
tenessero in un luogo fabbricato a bella posta,
ma sotto il tetto, ovvero dentro la casa. Columel
la, nel lib. vui, cap. 11, ha : fiant arundinea se
bi M. TERENZIO VARRONfi
ANNOTAZIONI AL MB. Il i DE RE RUSTICA 9 7 6
pia in modum cavearum, qualia columbaria
tectis superponuntur. Il lesto corredo it se
guente: multi columbaria ....habent ; an tibi
non videntur habere, etc.
(26) Ursino corregge cos: aedifices rure
magnum, condiscas hic in urbe quotidie asses
condere in loculos, lo alcune edizioni leggesi :
t x asse semissem, lezione che da Gesnero in
terpretala nel seguente modo: u Ponamns, impen
disse aliquem 365 denarios in columbarium ;
quotidie autem illi nummos redire binos sester
tios, h. e. asses (qui hic denarii sunt) dimidios a.
semisses. Nonne ille dici possel quotidie lucrum
condere in loculos, et quidem ex asse foenoris,
dimidium s. semissem annuae nsurae? Questa
interpretazione non piace a Schneidero, bench
non dica come vada spiegato qoesto passo.
Cip. VIII. (1) Popma, Gesnero e Schneidero
verrebbero leggere: Tu, Merula, perge; almeno,
dice Gesnero, Merula qui vocativo. Le antiche
edizioni ed i codici Fiorentini mettono : Tum
Merula sic : perge, etc. Queste parole apparten
gono certamente a Pica, come quegli ohe conti
nua a parlare, avendo gi interrotto di sopra As
sio. Se ci ,dicasi piuttosto : Tum Merulae sic:
perge deinceps. Si vede dunque che Pica eccita
Merula a continuare la trattazione dell* intra
preso soggetto.
(2) Ordinem. Due passi paralleli dimostre
ranno cosa manca in Varrone. Crescenzio, dopr
vere ora e suo ac camaras, cos continua : tecto
rio ; et in eis habent multos palos infixos, sup
per quibus commode morari possint ; et lo
cum paratum congrue in quo pascantur. Ci-
batui, etc. ; e Columella ha : Ad lineam mutuli
per parietem defixi tegeticulas cannabinas
accipiunt praetentis retibus, quibus prohibe
antur volare. Apparisce dunque che dopo ordi
nem va inserito infixos.
(3) La correzione di Ursino : inter reliquos
ab imo ad camararn ad semipedem aeque la
tum ac mutulus a pariete extat, in quibus%etc.,
solidamente combattuta da Gronovio, Pecunia
Veter., pag. 429, ve difende il testo corrente.
Sbaglia per nell1 interpretare le parole aeque
latum ac mutulus . . . . potest.
(4) A summo ad camaram. Schneidero vor
rebbe cbe si dicesse : summum ( ordinem ) a ca
mara ad semipedem, aeque latum, etc. ; per
ch in tal modo infimum ordinem oportet abes
se a terra non minus tres pedes, e meglio e
pi acconciamente si uniscono le seguenti parole
aeque latum alle altre. Varrone, dice Schnei-
dero, parla della distanza che dee trovarsi tra il
pi alto ordine e la volta, perch a quel laogo le
pareti s spiegano a volta. Gronovio per contra
rio, le parole aeque latum, le riferisce mala
mente al peduccio, che, secondo Ini, ha da essere
aeque latum, cio che debbe avanzar fuori della
parete nn mezzo piede. Ma pi naturale il rife
rirle a eiascon ordine, e dire che il peduecio usci
r faori del muro tanto, quanta sar la rispettiva
distanza degli ordini. Pontedera, appoggialo a
Colamella, dice che qui manca la rete ; perci
egli corregge : a sumnio ad camaram ad semi
pedem rete latum ac mutulus, a pariete extare
potest : vale a dire, che dall' ordine basso sino
alla volta debbe essere disteta ona rete, distante
dal muro un mezzo piede, e ehe appunto il pe
duccio ha da essere fuori del muro un mezzo
piede.
(5) Colamella mette, oltre il fomento, anche
il miglio : lo stesso ha pare Crescenzio. Forse si
sar perduto in Varrone.
(6) Appositissimum. Creseenzio deterive il
modo, con cui si prendono e s ' ingrassano a Cre
mona.
(7) Cum pulii. Ci piace Geinero nel eagiare
optimae in opimae ; ma pi di tatto Pontedera
che legge tuncpulii : correzione cbe salta subito
agli occhi.
Cap. IX. (1) Tutt1 i commentatori discordano
tra di loro nel correggere ed interpretare queto
passo. Turnebo e Scaligero antepongono Farsu
rae, ma non soddisfano punto nell' interpretar
ne il senso. Ursino avrebbe voluto leggere: A-
mius: Ego duo requiro farsurae membrande
palumbis ac gallinis ; e pensa che la voce or-
surae sia nata dall* antecedente sarsurae. Pon
tedera corregge cos : Axius : Ego quae requi
ro assaturae assae membra de palumbis, de
gallinis dice sodes Merula, ed ioterpreta :
u Ego qaae de palumbis membra simpliciter as
sata requiro, dic de gallinis. Merula, w Altrove
poi congetturava che fosse da dirsi : Axius : ego*
que requiro . . . die, sodes, Merula, ed inter
pretava : 1 Et ego etiam in palumbis a su loram
assam malo quam alio modo, qaod ia gallinis
proprium, de gallinis notriendis narra naibi,
Merula ; r>e crede di confermare la sua corre
zione con un passo di Apicio, nel lib. vi, cap 5,
ove nel titolo assaturae si legge assaturam
assam. Ma cosa ha mai a che fare in questo
luogo assatura ? Meglio di tolti avrebbe fatto
Gesnero, se per troppa riverenza a Vittorio, non
avesse introdotto soltanto nelle note farturae, o
farsurae, come si ha nelle prime edizioni. In
luogo di de gallinis, dicasi piuttosto et gal
linis.
() Ille igitur : Stati gallinae. Cosi havvi
nelle edizioni lei Giunti e di Ginnico : di fatti
ora comincia Merula a parlare delle galline.
(3) Deinceps. Uriino avrebbe volato leggere:
quas omnes fere habent, ovvero : quat fere
omnes habent villae, perch Columella, par
lando della gallina della caaa villereccia, dice :
Cohortalis est avis, quae vulgo per omnes
fere conspicitur villas. Che qui manchino al-
cane parole, lo dimostra un fcodice Fiorentino,
nel quale vi aoa laguna tra deinceps e rure.
Si potrebbe anche supplire oos ( deinceps ut
dieam ).
(4) Dal non trovarli nelle prime edizioni
ed in tre codici ut avanti capiant, e dal leg
gerai in un codice Polizianeo vulut, ut, cio vo
lani ut, ai corretto il letto nel aegaente mo
do : De his. . . . volunt, ut, adhibita scientia
ac cura, capiant, etc. Pii io, nel lib. x, cap.
5o, dioe che questi popoli aono itati 1 primi
ad ingrassare il pollame; e qoesti tanto aono
andati avanti in quest1arte, che Cicerone dice,
nel lib. li delle Qoeationi Accademiche, trovarsi
Ira quei di Deio alcuni, i quali alla sola vista del-
l'uovo pronunziavano con franoheaza quale era
alala la falline che lo avea partorito.
(5) Admittant. Dicati piuttosto colle prime
edizioni adnutriant.
() Pars quinta. Nelle prime edizioni si ha :
scilicet que. Sa. pars r ; da sospettarsi quin
di che in alcuni libri ai ara letto : scilicet quasi
pars quinta.
(y) Ad infima crura. Schneidero, dietro tre
ediiioni, corresse, facendo inurentes calcaria
ad infima rumpantur, qual lezione voluta
dal seato, e confermata da Columella, nel lib. vili,
cap. a, ov-e leggesi : ferro candente calcaribus
inustis, quae cum ignea vi consumta sunt,
facta ulcera dum consanescant, figulari creta
linuntur. Ursino voleva leggere semimares ca
pi. . . . inurentes infima . . rumpantur, ac
quod, perch dice che nei ondici havvi : ac quod
oblinunt figulina ereta. Schueidero oon esita
un puuto nell1adottare la correzione di Ursiuo
oc quod. Plinio per, nel lib. x, sez. a5, ha : ca
strari gallos ait candente ferro lumbis adu
stis aut imis cruribus ; per lo che sarebbe da
dirsi in Varroue : candenti ferro inurentes
lumbos aut calcaria ad infima crura, usque-
dum consumantur. Questa maniera di castrare
antichissima, e si trova anche in Aristotele, nella
Storia degli Animali, iv, 5o, cosicoh oon pare
probabile che Varrone l1abbia omessa, quantun
que 1 abbia intralasciata Columella. Nessuno de
gli antichi parl della castrazione ebe si fa ai gal
li, strappando ad esai i lealicoli ; operazione usa
977
ta oggid da tatti, mentre le altre dae si trascura
no totalmente. Vero si che Columella dice : neo
tamen id patiuntur genitalibus amissis, sed
ferro candente, etc. come un1 operazione disap
provata. Non potrebbe forae darsi che Varrona
l1 avesse intralasciata, appunto perch la castra
zione lombare era disusata al suo tempo ? In un
cibreo accennato da Apicio, nel lib. iv, cap. 3, si
aggiungono *testiculi caponum : parimente Ga
leno, nel lib. in delle virt degli alimenti, parla
dei testicoli estratti agii animali, e che si mangia
no; ed aggiunge che per cibo si commendano
soltanto i testicoli del pollame ingrassato. Se per
alcuno volesse quindi ioferire che, perch si parla
dei testicoli estratti ai galli, fosse noia agli antichi
qaesta maniera di capponare, si ingannerebbe di
grosso parlando Galeno solamente dei testicoli
estratti ai polli ingrassati; e questi appunto sono
qoei testicoli mentovali da Apicio. Dunque chia
ro che gli antichi ignoravano questa maniera di
capponare.
(8) Sint licei. Scaligero corregge cos : scili
cet ei genera tria parandum. Gesnero fa eoo
a Scaligero, perch io Poliziano si ha sic licei.
Ursino poi legge: sint licei genera tria, paran
dum tamen villaticas. Piace pi quest' ultima
correzione della prima, perch in questa si ripete
che sonosi da apprettare tre specie di galline, che
gi di sopra si sono distintamente annoverate da
Varrone.
(9) Ampla. Con Poliziano direi amplas ; e
mollo pi perch Columella ha nel luogo citato :
rectis rutilisque crittis . . . et sub hae speci
quam amplissimae. Ursino con Columella di
rebbe crista recta.
(10) Ursioo lese in un vecchio codice : Gal
los salaces, quod animadvertunt : lezione da
preferirsi ; ovvero da leggersi eoo-Gesnero ani
madvertuntur. Dopo salaces da sottioleodersi
eligat oportet.
(11) Pieno acuto. Columella ha : rostra bre
via et adunca: alcune edizioni omettono pieno;
e Cresceniio meU* piene ara fo. Forse in origine
sar stalo scritto pene acuto.
(ia) Medicos. Nelle prime edizioni e nei co
dici di Poliziano e di Vittorio si ha Melicos:
cotale vizio nella scrittura rimbrottato da Fe-
slo e da Columella, oel lib. vm, cap. a : Meiicae
gallinae, quod in Media id genus avium cor
poris amplissimi fi at, L littera pro D substU
tuta. L' islesso errore corso nell1erba medica,
perch Crescenzio, Alberto e gli altri scrittori dei
medio evo, ed anche i recenti chiamano melica
e melca quella che dagli odierni Italiani chia
mata saggina, bench Vittorio creda che questa
sia differente dalla medica degli antichi. Gl' Ita
97
Di M. TERENZIO VARRONE
liani chiamano saggina il miglio indioo , otiia
I1 holcus sorghum di Linneo, che avanti Piiuio
fu trasportalo dall'1 odia nell'Italia, come alleala
nel lib. xvm, cap. 7. I Bresciani sogliono chia
mare rnelga la melica, ossia la melca.
(i3) Quam in altitudine. Stando al testo, bi-
segna dire che l1altezza debba essere minore
alquanto della largheiia, cio meno di einqae
piedi ; il che un assurdo, perch il custode del
gallinaio bisognerebbe cbe stesse sempre curvo,
nel tempo che dimora nelle capanne. Dunque,
dice Ponleder, corrotta la voce in altitudine,
ed invece ila leggersi minores: quam in longi-
tudine paullo humiliores. Crescenzio co ha:
parandus in quo duae caveae, id esc, mansio
nes conjunctae sunt, quae versus orientem spe
ctent et sint longitudinis circiter decem pe-
dum, latitudinis paulo minus, in altitudine
paulo humiliores ; e Columella, nel lib. vin, cap.
3, dice; totius officinae tres continuae extruunr-
tur cellae, quarum perpetua frons orienti sit
obversa. In ea deinde fronte exiguus detur
unus omnino aditus mediae cellae%quae ipsa
tribus minima debet esse in altitudinem et
quoquoversus pedes septem ... Utraque cella
longitudines et altitudines duodenos pedes
habeant ; nec plus latitudinis quam media.
Varrooe nomina qui soltanto due capanne, per
ch si riserba a parlare della tersa pi avanti ;
onde io questo si combina con Columella ; ma
discordano nella misura. Comunque siasi, tanto
Columella , quanto Crescenzio parlano dell1 al
leila ; ed probabile che ne parli anche Var
rone. Secondo le leggi dell1 architettura, I' al
lena risolta dalla lunghezza e dalla larghezza ; e
perci qui dovrebbe essere di selle piedi : di
fatti pare a noi che il testo dovrebbe essere mi-
nores, altitudine paullo humiliores (longitu
dine).
04) Utraque fenestra. Crescenzio ha : una
quaeque habeat fenestra tripedalem uno pede
altiorem ex viminibus factam raris . . . quid
quam intrare possit, quod nocere solet, etc.
Columella voleva che i tavolali fossero illuminati
da feneslre, e che di queste se ns trovsssero an
cora sotto i medesimi. Varrone parla di queste
ultime, e Columella cos dice : infra tabulata
majores fenestrae aperiantur, et eae clathris
muniantur, ne possint noxia irrepere anima
lia, sic tamen, ut illustria sint loca. Gesnero
vuole che si corregga il testo corrente dietro le
edizioni dei Giunti e di Gironico, le quali haono:
utrisque fenestrae altitudine tripedali, vale a
dire che iu tulle due le capanne si debbano
fare parecchie fenestre. Cos appunto va detto,
come altres da dirsi con Cresceuiio uno pede
979
ditiores. Qui iu Varrone non al ianoo parole dei
tavolali che pure dovrebbero Irotarvisi ; ed
ragionevole il sospello che le parole mentovala
nel cap. v, ove ai parla dell1uccelliera dei tordi,
dovessero trovarsi qui: vale a dire trasportare
a questo luogo : In hoc tecto caveisque tabu
lata habeant aliquet ad perticae supplemen
tum,,
( 15) Onde sia minore la nostra temerit, per
aver trasportata ed agginnio, brevemente rende
remo regione della nostra operazione. Cre*ceo-
110 ba : inter ipsas duas sit estiuin, quo galli
narius curator . . . tractae sint. Queste parole
di Varrope sono poste fuori di luogo, ed appar
tengono alla capanna del guardiano del galliuaee.
Crescenzio omelie le parole ; Praeterea sit cella
grandis, in qua curator habitet. Scaligero
vuole cbe si tolgano le parole curator earum,
oome uua glossa del vocabolo gallinarius, ed
Ursino toglie gallinarius quala interpretazione
di curator earum. Ursino per altro confessa
cbe nei codici si legga sempliceaaeoie qua gelli-
narius eorum; per lo che si conferma il supel-
lo di Scaligero. 11 primo exsculpta tralasciala
da Crescenzio ; ed da ometter, perch si ado
pera dopo, quando si parla ea maggiore eccera-
leiia della situazione da' nidi.
Cresceniio mette: Adsit quoque sterni dSxi,
in luogo di ante sit, ut discL Qai Terrore ma
nifesto, perch Yarrone non ha aocors parlata
del vestibulo; u iu questo le galline dimorano,*
si rivolgono nella polvere, ma si posano in esso
per discendere, o per salire al nido. Che sia cos,
si senta Columella : ila crassos parietes aedifi
care convenit, ut exisa per ordinem gallina-
rum cubilia recipiant ... hoc eaim salubrius
et elegantius est, quam quod quidam faciunt,
ut palis in parietem vehementer actis vimineos
qualos super imponant. Sive autem parieti
bus cavatis sive qualis vimineis praeponende
erunt vestibula, per quae matrices ad cubilia
perveniant. Ma 1 galline che stauuo rinchiuse,
debbono avere un ampio vestibulo, circoodato
da reli, ove possaoo passare a godere il sole, come
si ha da Columella, nel lib. vili, cap. 4 : habere
etiam clausum oportet amplum vestibulum^
quo prodeat et ubi apricetur, idque sit retibus
munitum, ne aquila vel accipiter involet. Dao*
que da aggiungersi amplum al primo vestibu
lum, perch le galliue che si tenguuo rinchiuse,
debbono avere un cortile ove passare. Columella
dunque ci sialo di acorta nelP aggiungere :
ante sit vestibulum positum* ubi consistere
possint, cum descendunt vel adscendunt. Veg
gasi la nota Sa.
Ursiuo \ole va cbe si leggesse : ita ut in pa-
la NlNOTAZIOHI AL LIB. HI Db KK RUSTICA
DI M. TERENZIO VARRONE
rietibuf circum omnia plena sint cubilibus
gallinarum aut exis is aut affixis. La lezione
plena sint si omessa: Vittorio letto non ha
ardito di accettarla. Ora mettiamo per disteso il
letto da noi volgarizzalo : gallinis. Praeterea
sit cella grandis, in qua curator habitet : in-
ter ipsas duas sit ostium, quo gallinarius ire
possit. Adsit quoque amplum vestibulum rete
septum, in quo diurno tempore esse possint,
atque in pulvere volutari. In caveis crebrae
perticae trajectae sinty ut omnes sustinere
possint gallinas. Contra singulas perticas in
pariete sint cubilia earum, ita, ut in parieti-
bus circum ordine posita sint cubilia gallina-
rum, aut exsculpta, aut afficta firmiter ; mo
tus enim cum incubant nocet. Ante sit vesti
bulum positum, ubi consistere possint, cum
descendunt vel ascendunt.
(16) Et caetera. Crescenzio ha : eo quod pu
lices et alia nasci solent, quae gallinas quie
scere, etc. ; e Colameli, nel cap. 5, dioe : nam
pulicibus aliisque similibus animalibus replen
tur ; per lo che *iamo tentati a dire con Crescen
zio pulices et alia animalia. Pontedera voleva
rhe in Varrone si sostituisse pedibus, o pediculis,
ed in Columella pedes, perch le*galline sono
tnoleslale particolarmente dai pidocchi pollini,
Don gi dalle pulci. Varrone dice pi sotto : a col
lo eorum crebro eligendi pedes. Le palline sono
incomodale, oltre le pulci, anche dai pidocchi e
dalle zecche ; insetti che tono annoverati da Lin-
beo nella classe degli aeari che camminano eoa
otto piedi. Quegli insetti cbe molestano le colom~
be, sono chiamati da Crescenzio sexcupedes, cio
pidocchi.
(17) Secondo Urtino, qoi mancano delle pa
role, come si raccoglie dai Georgici greci, i quali
hanno tradotto questo passo di Varrone. Da que
sti si accennano due tempi, uno pel parto, cio
dallo spirare del Favonio sino all' equinozio ; ed
no per la covazione, cio principiando dallo
stesso eqainozio di primavera. I copisti hanno
realmente corrotto questo Inogo: frattauto dicasi
con Crescenzio ab aequinoctio.
(16) Potius vetulis. Questo testo si accorda
colle prime edizioni, coi Georgici greci e con
Columella, nel lib. vm, cap. 2, il quale avverte
inoltre cbe le galline fornite di sproni sono reilie
*1 coto, e che cogli slessi rompono le uova, quan
do covano. Varrone non vuole che le galline ab
biano il becco e le unghie acote, affinch non
rompano le uova o rivoltandole, o covandole.
Laonde da maravigliarsi, come in questo luogo
e nella descrizione della gallioa, non abbia fatto
parole degli sproni. La lezione di Vittorio da
^provarsi in quitto, che alle veeehie galline ri
danno a covare le nova, non gi, come in an1 an
tica lezione, si daono a covare le nova partorite
dalle vecchie galline ; il che dice anche Columella :
novellae magis edendis quam excludendis ovis
utiliores sunt... veteranas igitur aves ad hanc
rem eligi oportebit, quae jam saepius id fece
rint, moresque earum maxime pernosci, quo
niam aliae melius excludunt, aliae editos pul
los commodius educant. Il rimanente del pasto
di Varrone ai pu accomodare, dietro an' antica
edizione di Crescenzio, nel seguente modo: non
sunt supponenda, et ea quae subjicias, vetulis
potius, et quae rostra aut ungues non habent
acutos. Nam pullastrae, debent potius in con
cipiendo et ovando occuputae esse, quam in
cubando. Aggiustando Varrone con Crescenzio,
ne viene che il verbo ovare di Varrone slesto*
Plinio, nel (ih. xxix, cap. 3, us la voce ovatio,
Turnebo, Adversar., xix, cap. 28, voleva che io
luogo di pullastris si leggeste pullinis: Scaligero
preferiva pullitris, o pulletris, perch le pulla
strae sono, secondo Ini, le galline nane; e per
contrario le pulitraa quelle cbe non ancora, o
non mollo lunno partorito : in qaesto sanso si
chiama anche porcetra la troia. Dell'opinione
di Scaligero anche Pontedera : Urtino loda pul-
licis, qual lezione di un antico codice. Noi stia
mo per pullastrae, perch cos havvi in un anti
chissimo codice Polizianeo, ed in an antica edi
zione di Crescenzio.
(19) Gesnero ben si avvide che la sintassi ri
cercava che qui ti dicesse fovere coeperunt ; ma
ti pu far di meno, perch quattro codici Fio
rentini hanoo subjicias ed exeudat. Dunque
coepit ed exeudat ti riferiscono ad una sola gal
lina ; per conseguenza colle prime edizioni e col
menzionati codiei si faccia che il lesto sia: subji
cias, cum jam decem dies fovere coepit, galli
nacea tum denique . . . ut una exeudat.
(20) Ter noveni. Columella, nel cap. 1 r, dice:
decimo die omnia gallinacea subtrahantur, el
totidem recentia ejusdem generis supponan
tur, ut trigesima luna (hoc est expletis triginta
diebus, aggiunge Palladio), cum pavoninis ex
cludantur: cos hanno pore Palladio, I. xxvnr,
ed i Georgici greci, xiv, 18.Si fi quindi manifeste
1' errore del nostro testo col meltere ter noveni.
Oscuramente avvert questo errore Turnebo, Ad-
vers., viti, 8, ove non stato inteso da Gesnero.
Vero si che Columella, nel oap. 5 del lib. vnr,
dice : diebus ter septenis opus est gallinaceo
generi, at pavonino et anserino paulo amplimi
ter novenis ; ma d ' avvertirsi che il numero
de' giorni si accresce, o diminuisce, secondo il
calore della stagione.
(2*) Ursino, appoggiato ai Georgici greci,
83 ANNOTAZIONI AL LIB. Ili DE RE RUSTICA 984
corresse datur ia detur: coti pure ba Crescendo,
il quale, unitamente alle edizioni dei Giunti a di
imnico, omette a avanti mane.
(aa) Colale metodo di rivolgere le uova,
condannato da alcuni, perch lemono che ti possa
danneggiare il pulcino. Ma senza ragione ti opera
tanto da una parte, quanlo dall'altra; perch
non mestieri di rivolgerle, facendo quest ope
ratione la stessa gallina; e d altronde il germe
essendo posto nella parte superiore dell uovo,
non ha bisogno di essere rivolto per essere riscal
dato ugualmente in lutl'i punti, perch gii la
gallina lo riscalda, qualunque aia la situazione
dell' uovo* Per la medesima ragione vano il
timone di quelli che credono, che battendo le
nova, si rompano i primi principii e V orditura
del pulcino.
(23) In eis vitales venas. Le prime ediiioni
ed i codici di Vittorio mettono inanes vitales ;
laonde Scaligero voleva che si dicesse u quod inas
vitales, cio venas. Festo: llia dieta ab ina,
quae pars chartae est tenuissima. Marcello
Empirico, cap. 3i, ha : ad ulcera in ano facta
chartae combustae seu i narum ejus dracma, t:
e questa voce la fa derivare da /ri;, vale a dire
jibrae ; e ci conferma coll1auloiil dei Georgici
greci. Per contrario Ursino dalle tracce di un* an
tica lezione traeva animales vitales venas, ci
tando Plinio, nel lib. x, sez. a5. ove dice : Quarto
die postquam coepere incubari, si oontra lu
men cacumine ovorum apprehenso una manu,
purus et unius modi perluceat colort sterilia
existimantur esse, proque eis alia substituen
da^ Et in aqua est experimentum: inane fl u i
tat: itaque sedentia, hoc est plena, subjici vo
lunt. Concuti vero experimento vetant, quo
niam non gignant confusis vitalibus venis.
Salmasio, ad Solinum, cap. 3o, pag. 378, con
Scaligero. Finalmente Pontedera legge inanes
vitales venas, perch le vene sono, secondo lui,
vacue nel loro principio; ed essendo vacue e de
boli, facilmente si confondono, u Mihi placet in
nantes venas vitales confundant ( dice Schnei
dero ) ; quod probabunt, qui naturam ovornm et
puocli salientis cognitam habent. r>Non sappiamo
cosa intenda colla voce innantes: d'altronde
bisogna ricordarli che le teorie fisiologiche d1og
gid non si confanno colle antiche ; ed alle volle
col dire il vero, ai dioa il falso. Noi ci siamo al
lontanali dal testo.
(a4) In iis. Gesnero approva con ragione la
variante in iisdem delle prime edizioni. Tolgati
ob avanti inane, perch non si pu dire obinane,
come in greco i/roxuw, iu quella guisa che pen
sava Scaligero.
(a5) Crescenzio ha: quae optime servari
possunt diu si perfricantur ...per tres horas,
deinde abluantur et furfure ac paleis recon
dantur. Per altro Cretee oca o mette qaeste parola
nella fine del capitolo ; e dopo le parole ob inane
aggiunge tosto : Ova oblunga acuta masculos,
rotunda foeminas tribuunt. Insuper ponenda,
etc. Lo stesso insegna Columella, ooo gi Palladio,
nel lib. vili, cap. 5 ; e perci Crescenzio non tolse
queste parole ohe da Varroae atetto. Bechstein,
nella Storia Naturale^ degli uccelli di Germania,
ha scoperto test che le uova allungate non dauno
che volatili di collo lungo.
(a6) Crescenzio dice: insuper ponenda . . . .
incubantur, habeant semen pulli nec n e . . . .
postquam incubare coeperit; onde sarebbe da
leggere habeant semen pulli, nec ne, come dice
di so|>ra ova plena sint atque utilia, nec ne.
chiaro eh1 da dirti con Pliuio coeperunt in
luogo di coepit. 11 oorrente tatto non senza er
rori : Crescenzio mette: tenuerit et purum quod
unius modi animadvertit esse ; quindi ti dica :
tenuti, quod purum et unius modi esse ani
madvertit, etc.
(27) Quatto testo noo genuino. A chi mai,
dice Schneidero, si riferiscono le parole ab ea-
quer Varrone prescrive che dai nidi si tolgano i
pulciui subiloch sooo nati ; e che restando po
che uova, qaeste si dieoo a covare alle galline che
non ancora fecero schiudere i pulciai. Dunque si
dello ab eaque%comech avanti aveste dello de
unaquaque matre%o gallina che covasse. Fino a
qui lutto cammina a dovere. Ma cbe cosa vogliono
mai dire le seguenti parole : ct minus habent
triginta pullos ? cootinua Schoeidavo. Qaae
noii lum excuderunt oia, iitdem reliqua ovatup-
pooi vult; et tamen tubJil: quae minus 3opul
los habent. At omnino nondum habeul ilUe pul
los ! Igitur locus est vitiosus el lacaoosos. Crede
dunque che a questo luogo debbaosi trasportare
le parole che si accenneranno neU annot. 34*
(28) Non sono minori le alterazioni del testo
in questo Inogo. Crescenzio dice : primis pullis
debet objici pulvis, ne rostris .... dura*eisqme
milium optimum et lolium et grana minuta
tritici satis competunt ; sed gallinarum pabu
la sunt, quibus praecipue delectantur; vermi-
culi, triticum et fere omnia grana, et praeci
pue dandum est eis lolium, quod eis competit
et hoc est humano corpori inimicum : e Colu
mella. ha : farr e ordeaceo cum aqua incocto*
vel adoreo farre* vino resperso* modice alendi
sunt, priusque, quam emittantur ad recentem
cibum^ singuli tentandi, ne quid hesterni ha
beant in gutture ; nam si vacua non est inglu
vies, cruditatem significat* abstinerique de*
bentt dum concoquant.... c^fgrina hordeacei
putandi dmm corroborentur, cavendumque ne
o serpentibus afflentur, quorum odor tam pe
stilens est, ut interimat universos ; id vitatur
saepius intento cernu cervino. 1 Georgici grtci
aominano pire il farro e il vino u t , 9; laonde
Pontedera voleva una volta leggere: et aqua
aliquanta antefarre intrita ;t*\ un altra volta:
et aqua aliquando ante tactam et vino, ne tum
denique, etc. Ma da dubbiarti mollissimo se i
Georgici greci e Columella abbiano votolo copiare
hi qaesto luogo Varrooe ; perch i primi omettono
molte cose, ed il secondo ne aggiunge mollissime.
Pare che anticamente sari stato scritl : et ne
tum denique .... turgescat aqua, prohibendum.
10 mancanza di migliori aiuti, siamo siati attac
cati al testo.
(29) Continuano lotiora i guai nel testo. Ur-
amo conobbe che qai v* ooa lacuna ; e credette
di supplirvi, facendo che il lesto foste: quom
eoeperint habere pinnas, eae de clunibus evel
lendae : rea oon peos 1 a orno grande ohe le
pinnae non nascono in clunibus, e che ivi hanoo
luogo soltanto te plumae. Columella disse: pri-
mis pertractandi sunt, plumulaeque subcauda
clunibus dttrahendaey ne stercore coinquina
tae durescanty et naturalia praecludant ; e
Varrone, insegnando di sotto ad ingrassare il pol
lame, dice che ci si ottiene evulsis ex alis pin
nis et e cauda. Ma qiri fa molto a proposito oo
passo di Columella, uel lib. vm, cap. 8, ove parla
del modo d ' ingrassare il pollame : pluma omnis
e capite et sub alis atque clunibus detergetur ;
illic, ne pediculum creety hic, ne stercore loca
naturalia exulceret : per lo che da sospettarsi
ehe anticamente sar stalo scritto : Quando coe
perint habere pinnas, de clunibus detergendum
st ere us y e capile et e collo crebro eligendi pe
des, Columella nomina i clunes sotto la coda. Si
chiama con lai voce propriamente Posso lomba
re, composto per lo pi di cinqae vertebre.
(So) Intorno alle propriet del eoroo di cervo
veggasi Tomm. Bartolino de Vnicornuy cap. 33,
11 quale vorrebbe leggere con Poliziano ne qua
serpens accedat.
(3i) Cretceozio, dopo le parole noceat terra
dura, meotovale nelPannot. 28, cos continua:
pulii parvi proferendi sunt ad solem et ster
quilinium ut in eo volutari possinty quod ita
validiores fiunt: per contrario le prime edizioni
hanno : prodigere deinde solent in sterquili
nium, ut volutare possint ; e perci Ursroo vo
leva leggere : prodigere solent in sterquilinium,
ubi se volutare possint. Vittorio difende l a le
gione Poliiianea ut volitare possint ; ma ognuno
a che i pulcini nog volano che rare volte, e che
volato anche rateale terra: le galline poi non I
M. Tbibiiio Vaeboik
9
dilettano di volare Dicasi con Crescenzio : prodi
gendi in solem et in sterquilinium, ubi valu
tari possint, 1 pulcini sul letamaio non diventano
alibiliores, ma ben validiores, perch con
quel moto replioaio esercitano il corpo ; si prefe
risca dunque la lezione di Crescenzio validiores.
(32) Solameote in queslo luogo si parla del
vestibolo ; e i questo luogo appunto andava tras
portalo : ante sit .... volutari. Il passo parallelo
di Columella, riferito nelP annoi. i 5, dimostra
chiarameute che queste parole debbono trotafsi
qui. Nessuno dei coramenthlorl, fuori di Schofci-
dero, ha sospettato di una lacuna: se non altro
s indichi la stessa dopo mollis. Abbiamo credalo
necessario di aggiungere nella traduzione: L'am
pio vestibulo, come ho detto ; bramenti il leg
gitore non avrebbe saputo di che si parlaste. Colle
prime edizioni dicasi atque in apricum.
(33) Evitantem. Noo beo ai unisce qaesta
voce colle antecedenti. Urtino, appoggiato ad on
vecchio codice, voleva leggere evitandum calo-
rem; ma dioasi colle prime edizioni: evitare
item.
(34) Negli altri scrittori non ti ha nn passo
parallelo : solo Columella, nel lib* vui, cap. 5, ha :
pulli autem duarum aut trium avium exclusi,
dum adhuc teneri sunt, ad unam quae sit me
lior nutrix transferri debent.... negant enim
hoc ampliorem gregem posse ab urm nutriri.
Dalle serie di queslo discorso pare a Schneidero
che queste parole sieno distaccale dalle superiori,
accennale alP anoot. 27 : u Ibi igitur sequi debe
bant haec verba Varronis, quibus modum adhi
bere debebant verba: hoc enim gregem majo
rem non faciendum. Legendum tamen esse cen
seo : Antequam pinnas halkbunt. Nam primo
quoque die transferendos esse, monet Colameli,
dum maler snos et alieoot propter similitudioen*
dignoscere noo possit. Nihil mulal Crescentius,
qui haec verba subjecit superioribus alibiliores
fiunt.n
(35) Villaticis, Ursioo crede spuria qoesta
voce; e Gesnero scioccamente voleva che ti leg
gesse : De avibus villaticis: perch le galline
oon si possono chiamare augelli, quantuuqoe ci
abbia fallo Columella oel cap. 8 del lib. iv, ove,
parlando dette galline, disse : maximam quam
que avem lautioribus epulis destinare,
(36) Salmasio, ad Solinumy pag. io5, voleva
ehe le galline selvatiche fossero i francolini : Ge
nero e Baooero credono che sieno i Csggiaoi, e
Schoettgenlo di parere che sieoo uoa specie di
tetraone, chiamalo dai Francesi coq debois, ov
verofaisand bruyanty e dai Tedeschi haselhuhn.
Ma tolti s ' ingannano, perch la gallica tei va tic*
qoella ehe si chiama dagli scrittori Romani
98 6
DI M. TERENZIO VARRONE
987 ANNOTAZIONI AL LIB. IH DE RE RUS11CA 9**
perdix grisea, Dativa d' Italia, e diverta dalla
perdix rubra graeca, come dimostr Schneide
ro in Comment. ad Frideric. //.
Non his villaticis. Il contrario iotegoa Co-
lamella, nel cap. a del lib. vm: rustica quae
non dissimilis villaticae per aucupem decipi-
tur, eaque plurima est in insula, quam in Li-
gustico mari sitam producto nomine alitis
Gallinariam vocarunt. Dietro dunque Cola
mella, Scaligero interpretava che fosse da dirsi :
non solum his villaticis . . . sed etiam Africa
nis. Popma con Scaligero ; e tutti due rifer-
cono Tarti etempii di simili reticenze. Tutto va
bene; ma come ti accorda ci con cinque codici,
i quali mettono non hic villaticis ? Dunque bi
sogna interpretare Varroue coti : rusticas gal
linas similes facie non hic villaticis nostris
gallinis, sed villaticis Africanis.
(37) Scaligero crede che sieno di altrui mano
le parole aspectu ac facie ; e perci corregge :
l n conto miniato in ornatibus, etc. Schneidero
persuato che qui non ti parli della gallina sal-
Tatica, come quella che nativa di Italia; ed es
tendo tale, non poteva mettersi tra le rarit ed
a petto dei pappagalli : laonde di parere che
siavi una laguna, e che tiensi perdute alcune pa
role relative alla pernice greca e rotta. Chi per
altro non vuole dipartirsi da cinqae codici, leg
ger ; incontaminatae in ornatibus, etc., Tale
a dire che queste galline selvatiche non ti colo
rivano, quando ti offrivano al pubblico, per es
sere di per s stette bellitsime. Per beo inten
dere qaanto dice qui Varrooe, da saperti che i
magittraii che davano io Roma qualche spetta
colo, erano solili di colorire col minio non solo
i bastoni, sui quali erano appollaiati gli uccelli
stranieri, ma ancora gli uccelli medesimi, e tutte
le rarit che esponevano alla curiosit del popo
lo. Vi tono i t al i anche alcuni trionfatori, come
Camillo, i quali abbellirono di minio di loro vito
nella cerimonia del trionfo. Quest1 aria trion
fante tanto piaciuta alle oostre donne, che si
direbbe volentieri col nostro autore nel cap. a,
che il lusso giunto a tal grado, che ai potrebbe
quasi dire esservi lutt i giorni dei trionfi in Ve
nezia.
(38) Tutto queslo luogo stato alterato, come
ben lo dimostrano le molteplici varianti. I nomi
delle citt qui mentovate sono certamente di al
trui mano, ed inseriti ove non era a proposito.
Di fatti, dopo di avere detto che l1isola Gallina-
ria in vicinanza dell1Italia e rimpetto i monti
della Liguria, non era uecessario inculcare nuo
vamente chc T isola trovasi dirimpetto Vinlirai-
glia ed Albenga. L1isola Gallinaria si chiama og
gid isola d1Albenga.
(39) Alii. da scartarsi la leziooe aliis delle
prime edizioni. Se sana quella del lesto, da
interpretarsi come abbiamo tradotto. Ci piace la
correzione di Gian franeosco Gronovio procrea.-
tos volunt. Columella non parla di qaesta secoo-
da maniera.
(40) Plinio, nel lib. x, cap. 26, dice che la
tomba di Meleagro in Beozia, stata qoella che
le ha rese celebri ; e che si eono coti chiamale,
perch iu certi tempi porlavaosi presso qoesta
tomba per ballerai ; in quella guisa che dall' fc-
tiopia si portaTaoo tutti gli anni a Troia, per bat
tersi sopra la tomba di Memnooe, e che quindi
ti tono chiamale Memnonidae. Checch siane di
questi racconti, facile decidere di qaale specie
erano queste galline. Varrone e Plinio accertano
che queste sono galline africane ; Columella pa
re, nel lib. vm, cap. a, di quest opinione,
quantunque dica che il loro colore differisce da
quelle di Numidia, le quali sooo parimente * A-
frica. Salmasio, Scaligero e molti altri autori
vogliono che queste aieno le nottre galline d ' Io-
dia. Altri pretendono per contrario che i nostri
polli d India non abbiano alcano di qoe' carat
teri distintivi che Ateneo, nel lib. xiv, d nella
descrizione delle meleagridi. Di fatti la prim
cosa che dice Ateneo, si , che ette rassomigliano
al pollame comune : ora egli certo 000 esservi
pollame comuue, per grande che tia, che possa
essere paragonato al pi picciolo pollo d' India.
Ma ci che prova iuconlrastabilmente la falsit
di questa opinione, si , che i polli d India d
sono stali portali dall1 America, ignota agli an
tichi .
(40 Genearium. Turoebo legge in tricli
nium coenae avium, ed interpreta avium missus
et fercula. Scaligero, trasportando alcnne lette
re, corregge genianum, e lo fa derivare dare
mo. Per contrario Ursino crede che sia aoa
glossa di triclinium. Pontedera dalla variante
genavium trae alienigenarum, dicendo Pliuio :
quae novissimae sunt peregrinarum avium in
mensas receptae propter ingratum virus. Noi
preferiamo quest1 ultima correzione.
(4a) Abbondiamo di simili etempii di cor
ruzione di lingua. Teli moglie di Peleo re
di Tessaglia, figlia del dio marino Nereo, e ma
dre di Achille.
(43) Si tradotto secondo la correzione di
Ursioo similitudinem amplae omnes.
(44) Columella, nel cap. 7 del lib. tui, strap
pa la piuma da tutto il capo e quella sotto le
ale ed alle cosce per impedire la generazione
de1pidocchi e delle ulcere. I Georgici greci, xiv,
7, strappano le penne dalle ^le, affinch il pol
lame, stando rinchiato, perda il detiderio di to-
lare. Noo si fede poi le ragione, perch voglia
che si strappino aoehe le penne dalla coda. Co
lumella nel luogo citalo fa che da uoa parte
della gabbia esca il capo, e dall opposto la co
da e la groppa. Vero si che in tal modo si
imbrattano anche le peone della coda, ma que
ste non produrranno giammai ulcere, come ac
ca il crebbe lasciando sussistere le piarne fra le
cosce. Pare dunque che oel testo di Varrooe
sia nata una qualche corrottela.
(45) Turundis. Abbiamo tradotto secondo la
interpretazione di Scaligero. Colamella le chia
ma offae.
(46) Partim. Qneila voce significa qui a/i7,
come si rileva anche da Columella nel luogo ci
tato.
(4?) Qyam secundum. Ci piacerebbe dire
antequam secundum.
(48) Quum perpurgarunt. Colale faccenda la
debbe fare il pollame stesso, come si raccoglie
anche da Columella : Cum deinde satiata est
avis . . . si quid est quod eam stimulet aut
mordeat, rostro persequatur.
(49) Ac decem primis processit. Scaligero
ed Ursino trovano soltanto d' avvertire che pro
cessit in significalo di processerit, qaando
colle prime edizioni da cangiarsi ac in sicut,
da dirsi diminuant, e da leggersi pari (scilicet
ratione )y ovvero sint pares.
Ci p . X. ( t ) Da fjtpay che vuol dire due, e da
@{o( vita ; come chi dicesse di animali che hanno
due generi di vita, Tona peli acqua, e l'altra
opra la terra. Poeo dopo Ursino, in luogo di
ulta, leggerebbe sola ; ma meglio dire con
Gesnero una.
(a) Da TQ1 dire oca, e da (Mvxitfy
che significa nodrire.
(3) Di queslo si parlato nel lib. ni, cap. a.
Egli P. Scipione Nasica, adottato da Metello Pio ;
e perci chiamato Q.Cecilio Metello Pio Scipione.
(4) Columella, nel lib. vm, cap. i 4* ha: ut
mares foeminaeque quam amplissimi corporis
et albi coloris eligantur: nam est aliud genus
varium, quod a fero mitigatum domesticum
factum est: id neque aeque foecundum est,
nec iam pretiosum : propter quod minime nu
triendum est. Da questo passo si rileva essersi
alterato il lesto di Varrone. Le prime ediziooi
hanno nec non aeque f i t inconsuetus ; dal che
Pontedera trae nec non aeque f i t inconsuetum,
come si ha nel codice Veneto. Sarebbe bene cbe
vi avesse aggiunta l ' interpretazione.
(5) Vittorio corresse cos dietro Colamella, il
qaale ha anseribus admittendis ; ma i codici
99
Polizianeo e Sangermanense mettono anseribus
ad admittendum : cos si faccia in Varrone.
(6) Inungentur. Tuti i commentatori o lo
dano questa voce, ovvero ne mettono an' altra
equivalente. Il solo Pontedera mette exin ungun
tur,, perch Varrone vuole che dopo il coito s ' im
mergano nell' acqua, come per purificarsi. E da
dirsi dein merguntur in flumine, aut piscina,
perch hanno quasi lo slesso le prime edizioni,
perch Arisloiele, sialo molle volte codiato da
Varrone, nel lib. vi, a della Storia degli Animali,
di quest'opinione, e perch il Callo ci confer
ma. L' anonimo autore appresso Vincenzo, xvi,
cap. 5o, dice: post coitum frequenti caudae
motu et rostri se aquis immergens (il cigno)
purificat. Alberto il grande, pag. a33 : post coi
tum sicut et ceterae aves aquaticae%immer
gunt se aquis tam mas, quam foemina. Veg
gasi anche Schneidero, Comment. ad Fride-
ric. II.
(7) Quater. Columella ha singulaeque ter
anno pariunt ; laonde dicasi quam ter con Ur
sino, Popma e Pinziano.
(8) Circum pedes. Columella, nel lib. vnr,
cap. 14, prescrive che ogni Soggetta abbia tre
piedi in tutt'i sensi. Gesnero voleva leggere cir
citer ; ma Varrone vuole dir quoquo versus.
(9) Columella nel citato laogo, ed i Gergie!
greci, xiv, 22, si acaordauo con Varrooe; ma la
sperienia dimostra il coalrario, non essendovi
dounicciuola, la quale non possa contraddire sa
quest'articolo.
(10) Quinque diebus. Colamella insegna il
contrario : decem primis diebus pascitur in
hara clausus cum matre, postea, cum sereni
tas permittit, producitur in prata et ad pisci
nas. Lo stesso dicono Palladio ed i Georgici greci:
laonde Ursino voleva che si dicesse anche in Var
rone decem diebus.
(11) Dicasi con Ursino in quasy perch si ri
ferisce ad haras. Poliziano e Crescenzio mettono
includant. Pontedera pare persuaso di ind-
eant, quantunque Vittorio non abbia osalo di
adottare questa lezione, perch pi sotto dice
Varrone : cum autem sunt inclusi in haras%
aut speluncas^ ut dixi. E daoque probabile ehe
in questo luogo Varrone avr scritto specus in
laogo di subtus: noi abbiamo creduto bene di
tradurre specus.
(12) Ubi pabulum. Pontedera vuole ehe die
tro le prime edizioni si faccia locis. Et pabulum.,
perch, secondo 1' autorit di Columella, o piut
tosto di Palladio, le oche offendono col loro becoo
tati' i seminati, e gli sporcano collo sterco ; per
conpegaenz&oon si potr raccogliere alcun fratto,
ove le oobe pascoleranno. Ma Columella, nel
99
DI M. TERENZIO VARRONE
ANNOTAZIONI AL LIB. Ul DE KE RUSTICA 9 91
cap. i3, dice : sicubi flumen aut acus est, her-
baeque copia, nec minus (ovvero nimis, il cbe
meglio) juxta satae fruges, id quoque genus
nutriendum est. Palladio per cootrario.ha l.xxz:
anser nec sine herba, nec sine aqua facile
sustinetur ; locis consitis inimicus est, quia
sata et morsu laedit et stercore polluit. Var
rone per ellro non discorda in questo luogo da
Columella, perch questi nel cap. *4 dice: palu-
stris quoque sed herbidus ager destinetur,
atque alia pabula conserantur, ut vicia, trifo
lium,foenum graecum, sed praecipue genus
intubi, quod Graeci riftv appellant. Dunque 1
oche si facciano pascolare Ira quesli seminati, ai
quali noo cuoceranno. Varrone poi iotende, per
piaote che producano qualche fratto, U veocia
e gli altri legumi nominati da Columella.
l i 3) Seruntque his. Ursino di opinione che
aia da dirsi sed praecipue herbam, e p*nsa ohe
da sed sia nato serant. Pontedera pretende cbe
veda lelloyjrraf, plerumque his. Si crede che il
seris sia una specie di cicorea, che si chiama
endivia.
(14) Columella dice : cavendum e s t . . . . ne
esuriens mittatur in pascuumt sed ante con
cisi* intubis vel lactucae foliis saturetur ; nam
si adhuc parum firmus et indigens ciborum
pervenit in pascuum, fruticibus aut solidiori
bus herbis obluctatur ita pertinaciter, ut coi
Ium abrumpat. Si Te d e dunque che Columella
ba letto in Varrooe fruticem, non gi radicem.
bens Tero che in Plinio, nel lib. x, sez. 29, si
l e g g e : quando apprehensa radice morsu saepe
tonantes avellere ante colla sua abrumpunt.
1 commentatori vorrebbero leggere in tutti que
sti lnogbi il verbo obrumpere. Egli cerio che
veramente il collo noo va soggetto a rottura, ma
bens a lussazione. Per altro chiaro che i copisti
banno (orbato qoesto luogo, poich qoesle parole
aono relative alle oche aocora picciole, e le prime
tpettaoo al l e oche adulte.
(15) Ut in seri dixi. Le prime edizioni ed i
codici variano tra di loro in queito luogo ; laonde
chiaro che il testo corrotto. Ora chiama f a r
rago ci che di sopra nomin pabulum, Tale a
dire la veccia, il trifoglio ed il fieno greco.
(16) Colamella nei primi cinque giorni, da
die sooo nate le oche, da ad esse della polenta,
o del farro ammollilo nell1acqua, come usa coi
pa Toni | perch nessuno, che sia di sana mente,
dar alle oche di questa et l1orto senz1alcuna
preparazione. Beocb miuore sia la difficolti,
dando Torio ammollito nell1acqua, nulla di meno
a questa prima et oon ben s'addice cotale orzo;
sarebbe quindi pi ragionevole il leggere ordea-
ceumfar, chiamandosi cos ogoi specie di grano
macinato minatamente. Aggiungasi ebe Varrooe
poco depo dice; cum autem sunt inclusi haras%
aut speluncas, ut dixi, victui objiciunt his
polentam ordeaceam, aut farraginem, her-
bamve teneram aliquam concisam. Consta dun
que chiaramente cbe cotale luogo alalo alterato
a capriccio dai copisti.
(17) Sexquimense. Le prime ediiioni beano
sex qui menses . . . nati; quindi Ursioo corresse
sesquimenses. Ma nessuno ingrassa di qoesl1et
le oche. Columella ha: mox ubi quatmor men
sium facti sunt, farturae maximus qmisqmt
destinatur : lo slesso pare ha Palladio. E dunque
secondo la u tura e 1*autorit il correggere cos :
quatuor sexve menses nati.
(18) Ut per dies. Io questo luogo v* discre
panza nelle varianti. Ursino lesse molto bene ter
in die saturent, perch Columella e Palladio di
cono appunto lo stesso.
(19) Sumserunt. Qoi da intendersi il cibo.
Cap. XI. (1) Colamella ehe ba attioto a que
sto luogo, non U nemnteno meaiique di questa
porta.
(2) Columella ha: Ora lacus ne corrumpan*
fur violentia restagnantis undae, quae semptr
interfluere debetyopere signino consternuntur,
eaque non in gradus oportet erigi* sed paula-
tim clivo subsidere v ut tanquam e litorc de-
scendatur in aquam. Columella dunque chia
ma ora lacus ci che Varrooe dice vestibulum.
Qui si accorger ognuoo che i oopisti haono allo
ra lo quasi tutto questo capitolo.
(3) Vinacei, uvae. Pontedera a tutta ragione
vuole che si tolga la voce uvae, perch nessuno
che sia di sana mente dar per cibo alle anitre
dell1uva. Le vinacce poi, non gi Tuta, si danno
alle anitre da Varrooe, Columella, Palladio^ Pli
nio e Didimo. Se quesf ultime voce non si voole
togliere, almeno si faccia vinacei ex uva, come
gi disse Varrooe parlando dei porci: dari solent
vinacea ac scopi em uva.
(4) Columella ha : Aquatilibus arnUm cihiss
si sit facultas, dmiur camma rUs t rivalis ale-
cula, vel si qua sunt incrementi parvi fluvio-
rum animalia. Queslo luogo corrotto; ovvero,
ove si legge ex a qua, da intendersi in Verrette
aquatiles cibos, peroh i gamberi stauuu tulli
nell1acqua. Vero si che si d una specie di
gamberi terresH che sono amfibiii ma questi,
ohe si chiamano da Linneo cancri curtores,
erano ignorati dagli antichi, ovvero molto eoo-
cernente ne hanno parlato, e da essi furoao detti
equites Syriae.
(5) da scriversi phaleridte oelle prime
DI M. TERENZIO VARRONE
994
editioni, i come ai dir oel lib. ?ui, cap. >4 di
Colamella. Il padre Ardui no nelle aoe annet. lib.
x, cap. 48 di Plioio, dice che sa ae trovano molta
ae' cooloroi di Soissoas e di Beauvais, o cbe ai
conoscono sotto il nome di pieties.
(6) Qoaalo dica Varrone, lo asserisce talla
autorit di Archelao^ corae fa pare aache Aristo
tele e Plinio, il quale nel lib. x , m i . 5 i , rac
conta altre meraviglie di questa natura, tutte
relative alla facilit che hanno le pernici di con
cepire, aeaxa essere loccate dal maschio. Qaesta
fefola si appoggia alla aorpreadeole libidiut di
tutte due le specie delle pernici, le qaali o aden
do la voce del maschio, ovvero comprimendosi
scambievolmente e titillandosi le parti geniUli,
gettano fuori bens le uova, ma infeconde. Da
qoeslo da ripetersi forse 1' errore di Archelao.
(7) Urtino vorrebbe leggere eoo no vecchio
codice, e come hanno le prime edizioni et sic
pascendo. Non ti ta peraltro comprendere, come
le pernici possano trovarsi ia compagnia dei
volatili acquatici, quando quelle amano on vitto
campereccio. Il testo stalo pur troppo lace
rato ed alterato. Se poi il testo sano, qui
da intendersi la pernice rossa o greca, trala
sciata da Columella; perocch questi vuole che
la volgare bigia o rustica, mangi in libert nella
casa rusticana, quantunque ivi oon partorisca
nova.
C a p . XII. (1) Actus secandi. Ursino voleva
che si leggesse: actus secundus ejus generis
ajffictitium ad villam quod solet essey perch
nel cap. 3 di questo libro havvi : pastionis vii*
laticae sunt genera tria, ornithones, hpora~
ria, piscinae. Leporaria te accipere volo om
nia afficta ad villam quae sunt.
(a) Vale a dire de* lepri : leporarium, deriva
dal vocabolo lepus, che significa lepre.
(3) Silva. Ursino vuole che ai tolga questa
voce : pi tosto da preferirsi la lezione in eo.
A qaesto luogo appartiene quanto dice Gellio, 11,
ao : quae leporaria Varro dicity haud usquam
memini apud vetustiores scriptum. Sed quod
apud Scipionem legimus roboraria%aliquot
Romae doctos viros dicere audivi id signifi
care, quod nos vivaria dicimus, appellataquc
esse a talibus roboreis quibus septa essent :
quod genus septorum vidimus in Italia loeis
pleris que. Dopo mette uo pezzo del discorso di
Scipione, cio : aliis per vineas medias, aliis
per roborarium atque piscinam, aliis per vil
lam.
(4) Lippinus. Vittorio ed Uraino hanno vo
lato leggere cosi, qaando nelle prime ediiioni
leggasi Lupinus. Plioio, nel lib. yui, ae*. 38, ha :
Vivar im aprorum ce tero rum que silvestrium
primus togati generis invenit Fulvius Lupi-
mus, qui in Tarquiniensi feras pascere insti
tuit. Lo slesao per, nel lib. x, sei. 81, lo chia
ma Fulvius Hirpinus. Arduino molto inco-
ataote, perch nel primo luogo scrive Lupinus
coi codici Regii, ed Hirpinus nel secondo luogo,
appoggialo all* adizione di Parma. Avverte per
mollo a proposito eoa Feslo che i Sanniti chia
mavamo irputn il lupo : e cbe quindi Hirpinus
lo slesao di Lupinus. Po* qoesla ragione ab
biamo adottata questa ultima voce. Varrooe, co
me si veduto, chiama i suoi personaggi eoo no
mi analoghi agli oggetti che tratta.
(5) Plinto, nel lib. 111, sei. 8, nomina gli Staio-
meSy come quelli cbe abitano presso i Tarqai-
uiensi. Lo stesso, nel lih. u, sezione 95, nomina il
paludoso distrailo Sialo nenia unitamente al lago
Tarqoiniense, il quale, secando Arduino, p
sto nella Toscana, e si dice lago di Bracciano.
Tuli1i codici Regii mattono Stationensi ; ma in
due altri luoghi Stateniensi. Queslo distretto
appartenne anticamente al ducato di Castro.
(6) Le prime ediiioni mettono Cn. Pompe-
jus. Pare che qui si debba intendere quel Poca*
peo, peritissimo agricoltore, cbe diede il nome
di Pompeja ad un fico, come si ha da Plioio. Ad
Ursioo sembralo cho sia di altrui maoo il vo*
cabolo septum.
(7) Abbiamo tradotto queste cifre numerali
secondo la spiegazione di Gesnero.
(8) De animalibus. Meritamente si rigeltauo
da Ursino e da Gesnero queste parole.
(9) Maelis. Molti credono che quest1 animala
aia il Trachum di Aristotele, ovvero il tasso dei
recenti. Per contrario Salmasio opina che sia del
la specie dei gatti, ehiamati comonemeole mor
tes. Molti con iscioeche ragioni hanno voluto
combattere I opinione di Salmasio. Gianfranca-
sco Gronovio in Plauti Epidico del sentimen
to di Salmasio. Noi abbiamo tradotto coerente
mente a queati ultimi.
(10) Ursino voleva che colle priaie edizioni ai
leggesse autfoeminas. Crescenzio dell' opinio
ne di Ursino: nulladimeno non da approvarsi
questa lezione, pereh debbono introdursi nel
parco e maschi e femmine. Potrebbe per altro
alcuno sospettare che Varrooe fosse del parer
di Democrito, il quale voleva che le lepri fossaro
ermafrodite. Veggasi anche Eliaao, oel lib. x m ,
eap. i a . In cosa contraria alla natura, abbiamo
credulo bene di stare al corrente testo.
(11) Intromisit. Dicasi oolle prime editioni
e oon Ursino intromissis. Sono assolutamente
da scartarsi le parole : Quatuor . . . r eplsri, oo*
me una repeliziooe di quanto ai detto avanti,
ANNOTAZIONI AL LIB. Il i DE RE RUSTICA
99
perch si tono inehe in Infoici* te di Cre
scenzio.
(12) Fit enim. Le prime edizioni hanno ut
enim; e perci Urtino leggeva etenim : le alea-
ae mettono poco dopo : alios in ventre habere
reperiuntur : lezio oc adottata da Creioenzio e
da seguirsi unitamente a quella di Urtino. Oggid
nota la anperfetazione delle lepri, bench Pli-
uio, nel lib. vm, sez, 81, la voglia privati?! dei
conigli, diceodo : tolus praeter dasjrpodem ru
pe rfaetat aliud educanst aliud in utero pilis
vestitum, aliud implume, aliud inchoatum ge+
rens pariter.
(13) Crescenzio ha interpretato diversamente
Varrone, dicendo : Itaque, qui scire volet ma
sculum a f o t mina discernere, mt Archelaus
scribit, naturae foramina debet inspicere ;
nam sine dubio masculus unum,foemina duo
inveniuntur habere, si caute et subtiliter in-
spiciatur. Plinio, nel lib. vm, aez. 81, con Var
rone ; poich dice : Archelaus auctor est, quot
sint corporis cavernae ad excrementa lepori,
totidem annos esse aetatis.
(14) Saginarent pleraque. Macrobio Satur
nale if, 9, ha : Varro de agricoltura lib. ///,
cum de leporibus loquitur, sic ait : Hoc quo
que nuper institutum, ut lepores saginaren-
tur, cum exceptos e leporario quidam in ca
veis, et loco clauso faciunt pingues. Alcuni
codici, in luogo di quidam, mettono condunt.
Anche Giovanni Sariiberiense, vm, 7, citando
questo patto, dice : Hoc quoque nuper institu
tum est saginari et lepores. Laonde non si dli
bi tato di correggere il testo nel seguente modo :
Hoc quoque . . saginarentur lepores. .. lepo
rario condunt in caveis . . . clauso faciunt pin
gues. Alcuue di queste correzioni tono adottate
anche da Genson, Ursino e Schoetlgenio ; ma
Pontedera vorrebbe ut saginarent, ut plera
que; ed interpreta : quae in villa et circa vil
lam nutriuntur ; quod etiam cochleas et glires
saginari docet. Per altro Plinio, nel lib. 11, aez.
85, insegna il contrario, dicendo quaedam non
pinguescunt, ut lepus et perdix: ma 1' anonimo
autore de Rerum Natura appresto Vicenzio,
xviii, cap. 62, del parere di Varrone, diceudo
che tenendosi rinchiuse le lepri, e proibendo ad
esse il moto, s smoderatameote a ingrassano so
pra le reni, che muoiono.
(15) Sopra queste tre apecie veggasi Senofon
te nel cap. v della caccia, ed il celebre Pallas No
va Glirium spec. pag. 2 e tegg.
(16) Primis. Corrigo prioribus. Nam to
ti pedes priores snnt humiles, non pars prima
tantum. wCos Schneidero.
(17) Ad Alpes. Io uq vecchio codice leste
Ursino dasypus: lo stesso quasi leggesi io Poli
ziano e nelle prime edizioni. Plinio, nel lib. i n i ,
aez. 81, dice : E t leporum plura sunt genera,
in Alpibus candidi. Egli vero che le lepri
nell inverno sono candide, ma quando si squa
glia la neve, cangiano colore, e diventano rossic
ce. Senofonte pure nel luogo citato sta per que
sto cangiamento di colore. Sarebbe dunque da
eoVreggersi cos; qui colorem mutant, quod toti
candidifiunt.
(18) Humile. da dirsi con Crescenzio hu
milis. Con fiacche e mendicale ragioni Gesnero
difende humile.
(*9) Questi souo i conigli. ^
(20) Cio da piede leggiere. Ursino orede che
sieno di altrui mano le parole a celeritudine.
Vero si che anehe Crescenzio le omette ; ma
non occorre intralasciarle, dicendo Isidoro xii, 1:
lepus quasi levipes, quia velociter currit.
(21) Ursino vuole leggere : quod eum e Si-
coleis Graeci Xrf<rof/r appellabant, perch Var
rone nel lib. v De Lingua Latina dice : Lepus,
quod e Sicoleis quidam Graeci dicunt \iwof ir,
a Roma, quod orti Sicoli, ut annales nostri
veteres dicunt, fonasse hinc illuc tulerunt, et
hic reliquerunt id nomen. Vittorio lesse nei
codici Aeolis et bonum leporum; su di che Sca
ligero, Popma e Pontedera hanno proferite varie
congetture. Ma ignoriamo il vocabolo greco, da
cui possiamo derivare la voce lepus.
(22) Cuniculi. Plinio, nel lib. vm, aez. 81,
parlando dei conigli, diee: Leporum generis
sunt et quos Hispania cuniculos appellat, foe-
cunditatis innumerae....foetus ventri exsectos
vel uteribus ablatos non repurgatis interaneis,
gratissimo in cibo habent, laurices vocant:
indi, dopo di avere parlato dei furetti che danno
la caccia ai conigli, soggiunge : injiciunt eas in
specus, qui sunt multi formes in terra, un de
et nomen animali. Arduino, nel luogo citalo di
Plinio, si sforza, ma senza aolidi appoggi, di pro
vare che la voce cuniculus una voce Ialina,
quando consta che si trasportato dalla Spagna
a Roma, e che quivi si chiamato coH antioo
nome spagnolo. Altri antori, come Marziale e
Vegezio, hanno preteso che i buchi sotterranei si
chiamassero cuniculi, perch li fanno i conigli.
(a3) Persecutos. Uraino voleva che ai leggesse
prosecutos. Qui da togliersi et avanti quod. E
chiaro che Appio indirizza il discorso a Varrooe,
come a quello che dimor lungamente in lspagoa,-
come dicemmo nella vita di Varrone.
Cap. XIII. (1) Crescenzio dice : Apros habere
posse in leporario et capreolos et cervos nou
est dubium ; e perci pare ohe io Varrone abbia
997
DI M. TERENZIO VARRONE
99
letto ibi et capreolos et cervos. Non pare pro
babile che Varrooe abbia tralasciato di parlare
dei cervi, dei caprioli e delle capre selvatiche,
per essere questi quadrupedi nativi d'Italia. E
ehi mai pa chiamare domestici i doghiali nati
nel parco ? Noo ostante abbiamo tradotto come
sta nel testo.
Non pa erer laogo li voce inquanto perch
non Varrone quegli che parla, oome ben lo di
mostrano le parole aeguenti. Siamo piuttosto per-
soasi di leggere con Ursino e Pontedera : Scis,
inquit Appius, A x i .
(a) Pisone Calpurniano, intoroo al qoale
veggati Vindice Ciceroniano di Ernesto. Questi
chiamato di sopra nel cap. 3 M. Piso; e Plinio
dice due volte che slato console.
(3) Certo tempore. Urlino vuole che si legga
uno tempore, cio simul. Col corno parimente
unisce Varrone i porci nel lib. n, cap. 4* c Colu
mella le vacche nel lib. vi, cap. 23. Polibio, xm,
pag. 389, attesta che io Grecia i sonatori del
corno non istanno dietro le gregge, ma avanti, e
che in colai guisa si separano le varie gregge.
(4) Palaestra. Ursino voole che si tolga e
palaestra, ovvero che si legga e fenestra. Ma
Scaligero combatte Ursino con Marziale 111, 82;
lo stesso fa pure L'piio.
(5) Crescenzio, ix, 80, ha: magistraliterfieri
vidit ( Varr). Forse voleva dire magis theatra-
liter.
(6) Festo : Stura flumen in agro Laurenti
est, quod quidam Asturam vocant. Questa citt
presentemente tra Anzio ed Oslia.
(7) Vale a dire un ricovero di ogni specie di
bestia selvaggia, da iovy bestia selvaggia, e da
rfiptry nodrire.
(8) Ponledera preferiva la lezione delle prime
edizioni : Apud quod Orpheay cio apud in lao
go di ad (triclinium). Orfeo stato il pi fa
moso cantore della antichit. Alcuni lo faono
figlio di Apollo e di Calliope, ed altri del fiume
Eagrio e della musa Polinnia. Egli discese all' in
ferno per chiedere a Plutone la sua Euridice.
Veggasi il lib. v delle Georgiche di Virgilio.
(9) Scaligero approva la lezione trovata da
Vittorio nei codici ut tantum circumfluxerit
nos9 ed omette multitudo. Ursino voleva che si
leggesse : ubi tantum circumfluxerit ( forse era
saa intentione di dire colle prime edizioni cir
cumfluxit) mox, e similmeule tralascia multi
tudo. Lezione questa da seguirsi. Crescenzio
mette subito in luogo di mox.
(10) Aedilium. Cio spectaculum. Scaligero
avrebbe voluto leggere aedilitium.
(11) Sine Africanis. Tre edizioni mettono
non sine Africanis. Al tempo di Varrooe non
erano rare le africanae, ossia le pantere, che si
chiamavano anche variae. Ma Varrooe ha qoi in
vista l'antico decreto del Senato, il qnale proi
biva di portare in Italia le pantere. Gneo Aufi
dio, Iribano della plebe, nell'anno 670 dalla
fondazione di Roma, fere che il popolo decretasse
altramente ; ed in progresso ognuno ne port,
pnrch si destinassero al Circo. Secondo Plinio,
nel lib. vm, sez. 24, Scauro edile fa il primo a
farne venire ; e perci Varronc aggiunge aedili
tium spectaculum ; appunto perch era lecito
trasportarle pei pubblici giuochi del Circo.
Ci p . XIV. (1) Abbiamo tradotto emolumen
tum secondo l1 interpretazione di Palmerio, Vit
torio, Daviis e Voss.
(2) Simplex est. Ursino voleva cbe si dicesse:
simplex, inquamyut tu put<is%perch poco dopo
si legge aquamyinquam ; ma saviamente avverti
Gesoero non esservi mestieri di quest1aggiunta.
(3) Gesnero permaso che Varrone scherzi
colla formola liberos quaerere. Schneidero
piuttosto persuaso cbe ci siasi detto in laogo
di : ne frustra matres etiamynon solum liberos
eorum quaeras. Qai dalla menzione dell acqaa
apparisce chiaramente che si mangiavano le lu
mache terrestri.
(4) Questi quegli che va a raggiungere gli
schiavi fuggitivi.
(5) Villorio, Variar. Lect., xxxm, cap. 23,
illustra questo luogo con due passi, dai qaali
consta, che le lumache escono dai loro nascon
digli dopo una pioggetta, oode cibarsi di ortag
gi. Secondo Schneidero, dopo ros, debbe segui
re : ut fere non sunt in aprico loco, sed sub
rupibus ... ac f l u v i i ; e dopo da soggiungersi :
Qui si naturalis ...ut facias, manu facere, etc.
Le prime parole sono non solo distaccale da altre
che loro sono relative, ma ancora iotrase in luogo
non suo.
(6) Ursino avrebbe voluto che si leggesse;
etenim dum serpit.
(7) Ursino vuole che si legga in pariete, per
ch cosi havvi nelle prime edizioni e ne'codici.
In parietes stantes viene inlerpretato da Gesne
ro in parietibus stantibus. Ma il testo certa
mente alterato, essendoch le pareti sono stantes
di loro nalara , n si pu dire altramente. In
secondo luogo la parete non pu somministrare
alcun cibo alle lumache, perch quelle sono sec
che. Per contrario, se il luogo destinalo alle
lumache si stabilir sotto le rocce ed i monti,
e che sia rug:adoso ( situazione principalmente
commendata da Varroue), in allora potranno le
lumache nodrirsi anche sai lati dei monli,quando
non sia ad essere di ostacolo no qualche ruscello.
ANNOTAZIONI AL UB. IH DE BE RUSTICA
Penta dunqee Schneidero che qui ia da leggerci
pariete adstante, e che quetla parete tia da
terpretarii il la lo della roccia, o del monte.
(8) E da dirsi eoa Urlino, Scaligero e Comme*
lino propolam.
(9) Vedi Plinio, ne) lib. iz, aez. 82.
(10) Non da rigellarti.
(11) Quamquam. E meglio dire colle edizio
ni dei Giuoli e di Gimnico quaedam ex Africa.
(12) Qui da restituirsi l aulica lezione che
correva avanti Vittorio: solitanae>, ita utearum
calices quadrantes octoginta capere possint.
Questa 000ferra*li anche da Plinio, nel lib. ix,
tei. ia. Inoltre determina qoella specie di luma
ca, di cui facevano uso gli antichi, perch tooovi
delle lumache ignude e senza guscio. Plinio, nel
lib. vm, aez. 59, commenda per eibo le lumache
a guscio, traile dalle Alpi mari llime, dalla Torre
di Patrie e dall* isola Astipalea. Nel lib. xxx, aez.
i 5, loda nuovamente le solitanae, le Siciliane,
quelle di Maiorica e di Minorica, e di Aslipalea.
Pare che si lieno chiamale solitanae dal promon
torio del Sole, eh' nelP Africa, e che gl inter
preti di Plinio dicooo che aia le Cap Cantin. 1
nostri mangioni si cibano volootieri dell' Helix
pommtia di Lioneo.
(13) Intorno alle uova della lumaca oriente,
otsia pomatias veggasi l'egregia opera di Swa-
inerdam Biblia Naturae la v. iv, Lisler, e le osser
vazioni di Antonio Felice e di Arder, che tro
vanti oel tom. 11, pag. 85 e tegg. delle opere di
Malpighio.
(14) Ursino crede spuria la voce atris. u Me
taphora (dice Schneidero) etl ducta a pi tea lo rum
floXvy jaclu, cum rele educlo vident capturam.
Equidem malim conferuntn
(15) Ecco la maniera ioaegoata da Apicio, nel
lib. yii, cap. 16, per nodrire e preparare le luma
che: Accipies cochleas, spongiiabis, membra
nam folles {ciotti coverchio) ut possint prodire,
adjicies in vas lac et salem uno dies ceteris
diebus lac per /e, et omni hora mundabis ster
cus ; quum pastae f u e r in t , ut non possint se
retrahere, ex oleo friges. Similiter ex pulte
pasci possunt.. . Cochleas viventes in lac sili
gineum infundis: ubi pastae fuerit, coques.
chiaro dunque che ti preparavano anche col
guscio. Altrove, nel lib. vm, cap. 7, ioaagoa la
maniera di prepararle col brodo, ma seoza guteio.
ragione crede Urtino ehe tieoo sparie le parole
cum foraminibus, peroh subito egue qume
foramina habeat.
Cap. XV. (1) 1 Renani mangiavano questi
animali ; teeoodo quello cbe ci dim Plinio nel
lib. xx, 16, i eentori fecero delle leggi per fre
nare qaesta voracit pi (astata cbe delicata.
(a) Ne ex ea. Urtino ynole ehe ti dica ne ea,
e pensa che ex tia nato da ea. Va detto possint,
(3) In hoc dolium. Urtino corregge : in eo
addunt glandem.... quibus in tenebris fiunt
pingues. Non beoesi comprende la forma di que
ste botti descritta da Varroue, perch in queslo
cato riasce oscuro il vocabolo semita. Pare che
queste semitae dovessero essere coperte.
(4) Pontedera legge : cum affatim positum
est ( cio il cibo ) in doliis. Plinio, oel lib. vin,
tei. 82, deteri re i costumi dei ghiri ; ma pi pie
namente ti trovano descritti da Alberto, dtAni-
malibus%pag. 221. I Francesi chiamano queat* a
nimale Loir, quei delU Carimi Billigyo Wil-
ligy e Linneo il nomina Sciurus glis.
Cap. XVI. (1) De piscinis. Urtino non trovi
quelle parole in un vecchio codice: lo stessete*
gai tee dai Georgici greci, xv, a, ohe in questo
capitolo manchino molta cote in Varrone, perch
quelli, dietro Tauloril del nostro Tereuiio, rac
contano che nascono le api dal cadavere del bue.
(a) Mutando V interpunzione, come ba fallo
qui Getnero, ooo mestieri leggere eoa Ursino :
Axius nobis .... inquit. Gli eruditi arguiscono
da Gicerone, Epist. ad Divers.y 1. ix, 34 cht
Appio avesse tre sorelle.
(3) Quarum. Earum vogliouo che si legga
Soaligero ed Urtine. Gianfranteseo Gronovio
corregge meglio di tuiti duarum alteram.
(4) Afe. Secondo 1*uto antico dice me in loege
di mi hi. Veggati Feito e Periionio ad Sanctii
Minerv. I. vi.
(5) Ci dice a motivo del oome di Appius,
chi Viene da apist nella tletta guita che Vaccio
diceva, nel cap. a del lib. 11, toccare ad esso a
parlare dei buoi, perch aveva oome Vaccius.
|6) Pooleder incliutrebbe a leggere colTAm-
brotiauo arte io luogo di avium.
(7) Idem. Queslo verso di Nicandro, e leg-
gesi al verso della Teriaca : Urtino dnoqne
in luogo di idem leggerebbe Nicander.
(8) Ursiuo toglie, come to perflue, le parole
sed ut homines* e qual glossa la foce apes.
(9) Graculi. Varrone, nel Jib. iv de Lingue
Latina, crede che coti ti chiamino dal velari
gregatim: ma Feslo ed Itidoro ripetono quetlt
parola dal mono della loro voce.
(10) Gesnero ha voluto cangiare nam in noi1,
ed aggiungerei! puulo interrogativo; ma sarebbe
stalo meglio eon Ursiuo omettere nam. Qui per
certo non v* entra punto interrogativo.
(11) E ooto a' geometri che il poligono rego
lare interitio nel circolo ha maggia re superficia,
looi
DI M. TERENZIO VARRONE tooa
quanto pi ha di lati, essendoch il circolo non
altro che un poligono regolare composto di in
finiti angoli. Vegga anche Reaomur nella sua
egregia opera delle api.
(12) Opus faciunt. Forse senta ragione Vit
torio ha cangiato P antico (esto favos meile f a r
ciunt.
(13) I Romani adoperavano molto miele nei
sacrifzii e cominciavano i banchetti dal bere del
ino melato, detto da essi mulsum : quindi n'
venula la voce promulsis per dinotare il princi
pio di nn banchetto. Eglino credevano che quan
do il ventricolo era voto, bisognasse cominciare
ad omettarlo con un liquore dolce. Noi invece
facciamo uso di cibi indigesti e duri, delti dai
Francesi hers <Toeuvre; nel che forse siamo
meno saggi.
(14) Quasi tutto quello cbe dice Varrone in
torno la natura e gli osi delle api, lo ha tolto da
Aristotele, ix, 4 della Storia degli animali.
(15) Imbecillitatis. Avverte Ursino che dopo
questa voce si sono perdute delle parole, alla cui
perdita vuol egli supplire co'Georgioi greci,xv, 3 ;
ma chiaro eh essi non hanno sempre segoito
Vairone. Sono vi in queslo capitolo molle altre
lacune.
(16) Insectantes, Cresceotio espresse la ge
nuina ed antica lezione, pubblicando ineptum
facientes. Noi attribuiamo ai calabroni la voce di
vocificantes, quantunque possa egualmente attri
buirsi alle api; poioh esse roaoreggiano quando
si battono contro di quelli. Ursino dal leggere in
Plioi, xi, 11 : abigunt fucos, multaeque singu
los aggressae trucidant, voleva che si leggesse
in Varrone paucos.
(17) Plioio, xi, 7, diee che Veritraee serve 4*
nodrimenlo alle api ; e Varrone pi abbasso fa
che il propolis sta la materia, eoo coi le api ottu
rano i luoghi, pei quali potrebbe eotrare Paria
dentro le arnie. Pare che qui siavi una laeuoa.
(18) Con Crescemmo sarebbe da leggersi : ut
colonias mittunt, harumque duces. Conficiunt
.... belli habent,
(19) Addiscat. Tuti'i codici hanno altramen
te : il Cesenate ha maciscat, da preferirsi qoe
sta lezione, ovvero fatiscat, perch quella del
lesto ha on senso totalmente contrario. pure
da rigettarsi mute, e da sostituirsi eolie prime
edizioni e ceo quattro oodiei non.
(ao) Come chi dieesse foglia di miele,da plkofy
foglia, e da /rfX/, miele.
(ai) ome si dicesse foglia di ape.
(ao) Questa parola greca ignota. Scaligero,
dietro il codice Polizianeo, voleva che si dicesse
meliina, voce egualmente ignota. Vittorio ci av
verta cbe da altri chiamata (uXirratwa, Filar
ci. Tt&estzio Via a oh*
girio ne* tuoi comenti al lib. tv, vers. 63 delle
Georgiche, dice: Melisphylla herba est, quamt
ut ait Farro, alii jzpiastrum, alii melinem
appellant ; e Servio al luogo test allegato ha :
Varro hanc herbam apiastrum dicit in primo
libro operis rustici.
(a3) Tutte queste voci si riferiscono al micia
che si chiama fiiXt in greco, e mel in lalioo. La
voce (tXtTfopua deriva e da quest' ultima parola
e da quella di che vuol dir nodrire, per
ch le arnie tono il luogo, ove si nodriscono le
pi che fanno il miele.
(24) Scaligero ha preteso di correggere il te
sto, facendo: hic enim sonus harumfugae exi-
stima tur esse protelumy interpretando cos :
ejusmodi sonis lon*e protelantur in fugam,
Gesnero ha seguito Scaligero ; e perci ha messo
tra parentesi causa, qual glossa derivata da pro
telum. E pi semplice la correzione di Ursino :
praeterea locum esse oportet ; e l abbiamo
adottata.
(a5) Cyperum. Il cipero non ha fiore, ma solo
alcuni filamenti che sono ioulili per te api. Me
glio sarebbe leggere cypiron eh il giaggiuolo,
pianta non inutile per le api, e di cui parlano gli
altri autori di agricoltura.
(26) Ursino ci stato di scoria a tradurre mi
nus valentibus, Columella, nel lib. ix, cap. 5,
eoo ferma qaesta correzione, dicendo: sunt re-
tnediOy languentibus cytisi.
(27) Pontedera vuole che si tolga alterum
ovvero autumni.
(28) Tre codici Fiorentini mettono : ted ita
uti parum sunt quae compleant, ut eas conan-
gustent in vasto loco inani despondeant ani
mum, Come si vede ubi si corrotto in ufi, e si
perdolo ne avanti in: in oltre le parole looo
inani sono uo* interpretazione della voce vasto :
difilli oon si pu chiamare uo luogo vacuo, ove
sonovi delle api, bench in poca quantit. Cor
reggasi dunque il lesto cos : Sed ita ubi parum
sunt, quae compleant, uti eas conangustent,
ne in vasto despondeant animum.
(39) Che significa ventri. Ognuno sa che nel
Tentre si digeriscono i cibi, e che da di l parte
il sostentamento di lotta la macchina umana.
Veggasi Festo a questa voce.
(30) I Romani chiamavano cinguli qnelli che
avevano questa figura.
(31) Vitiles. Vittorio, appoggiato a codici ed
alla ragione, cangi fictiles in vitiles ; ma Pon
tedera pretende che vada meglio fictiles, perch
quesli si vestono anche internamente per essere
aspri ; laddove quelli di vinchi si vestono ester
namente, oode non entri P aria. I Georgici gre
ci, xv, a, incrostano esternamente con una roe-
40
io3 ANNOTAZIONI AL LIB. Ili DE RB RUSTICA
s c ol ami di cenere e ili stereo bovino gli alveari
Ji legno per difenderli dalla corrottela. Colo
nnella, oel lib. ix, cap. 14, col faogo misto al men
tovato sterco incrosta all esterno le fessure ed i
fori ; e Plinio, nel lib. xxi, set. 47>dice soltanto
essere cosa utilissima circumlini alvos fimo bu
bulo. Varrone disapprova gli alveari di terra,
onde pare probabile che qui parli di quelli di
vinchi, i quali appunto vanno incrostali e di den
tro e di fuori.
() In qua introant. E da mettersi tra pa
rentesi i/?, perch subito segoe qua mellarii f a
vum eximere possint, e non possunt colle vec
chie edizioni.
(33) Hic. Gesnero voleva che si cangiasse in
Ztae, ovtero in haec ; ma piuttosto da ommet-
tersi.
(34) Nessun autore conosce tre specie di capi,
ma soltanto due oon Aristotele, ix, della Sto
ria degli animali. Pontedera, sulla scorta di quat
tro codici correggeva net seguente modo: sedi
tiones ducum. Et , ut quidam dicunt, tria ge
nera . . .
(35) Qui ita melior. Gesnero amava che si
dicesse hic ita melior, ut ; e Scaligero sospetta
va che anticamente fosse scritto : Menecrates
scribit, duo : niger et varius ; ma da dubi
tarsi se Menecrate abbia sempre seguito Aristo
tele, perch egli era poeta di Efeso. Qoello che
si pu dire di certo, si , che queslo luogo al
terato e corrotto : ed a sospettarsi che dall'ave
re veduto tre colori, abbiano creati anche tre
capi doll'istesto colore.
() Alter. Dietro al luogo citalo di Aristo
tele, Scaligero ben vide che andava letto ater.
Plinio, nel lib. xi, sez. 18, conferma questa cor
rezione dicendo : quanquam defucis video du
bitari,, propriumque iis genus esse aliquos
existimare, sicut furibus grandissimis inter
illas, sed nigris, lataque alvo, ita appellatis,
quiaf irtim devorant mella. Ursino, e special-'
mente Beckmanno, Antigonum Carystium, pag.
io5, sono d' opioione che le parole qui vocatur
ab aliis fucus sieno ona glossa, perch Aristo
tele distinse sempre i ladri dai fuchi: difatti
quelli sono rapaci, fanno parte della specie delle
api comuni, e diventano ladri o per occasione, o
per necessit. Che se la corrente lezione non
gua*la, in allora bisogna credere che Varrone, o
Meoccrafe si *ieno ingannati sopra Aristotele, il
quale non ignorava che i fuchi si chiamavano
tagli autori anche ladri, siccome si fatto da E-
Jiaoo nella Storia degli animali I. ix. Pontedera
con, cinque codici vorrebbe leggere : Fur, qui
vocabitur ab aliis fucus, est alter: est lato
wntre vespa, quae . . .
(37) Quae ferae. Schneidero* pensa che si
da dirsi qua ferae. Vedi a questo proposito Pli
nio, nel lib. xi, set. 19.
(38) Ut pulverulentae. E da dirsi certamente
aut in luogo di u/, come costa anche da Virgilio,
il quale ebbe in vista qnesto luogo, quando disse:
u Namque aliae turpes horreot, ceu pulvere ab
alto
Quum venit, et sicco terram ipnit ore viator. n
Quindi apparisce lo sbaglio di Colamella, che
nel lib. ix, cap. 10, riferiva questi versi di Vir
gilio ai re delle api.
(3g) Quo sunt translatae, manere. Secondo
Ursino queste sono parole di altrui mano ; e se
condo Pontedera non sono di Varrone nemme
no te parole itaque fugiunt plerumque. Diffatti
te api nell' inverno si trovano intormentite nel
le arnie, n escono a pasturare, se non quando
il cielo tiepido e mite; e perci falso che
per lo pi friggano. Nelle prime edizioni ed
in tre codici si ha quod translatae manere. Ita
que fugiunt plerumque.
(4o) Dietro alcune edizioni da dirsi sed et
alvus, in quam transiturae sunt apesyapia
stro . . .
(40 Ne cum animadverterint. . . . Popma
apport al testo la seguente medicina : animad
verterint fav i inopiam esse, habuisse divitis
malint, vale a dire habitare divites alvos ma
lint ; indi corregge cos: Cum sunt apes . . .
urina pota reficiendum. Pontedera tror mol
te variet sulla voce urina pota ; dal che con-
ojuse che siccome 1' ape di saa natora corre
dietro a quanto puro ed odoroso ; e siccome
la variante urinte si discosta poco dalla scrit
tura di cerinthe ; cos crede che qui abbia luo
go quest' erba mollo amata dalle api, e di cui
in tal modo cant Virgilio, nel lib. ivr vers.
Ga delle Georgiche :
u . . . . Huc to jussoi adsperge sapores,
Trita melisphylla, et cerinthae ignobile gramen.
Gesnero e Schneidero hanno tutta la ragione di
credere che qui siavi una benna. Ci che dice
Varrone in proposito de' cornii, lo afferma an
che Plinio, anzi egli aggionge che tati i Bori
gustati dalle api ne' primi giorni di primavera
nuocono alle stesse. Columella insegna che i fio
ri d olmo generano la diarrea.
(4a) De his. Ursino ben s' accorse che si so
no perdute delle parole avanti queste.
DI M. TERENZIO YARRONE ioo6
(43) Si Tede da questo passo di Varrone
che i medici, fioo dal tempo di Varrone, da
vano aoche alle cose le pi comuni nomi scien
tifici.
(44) Cosi trov scrilto Vittorio ne suoi co
dici ; ma Ursino avrebbe voluto che si legges
se melle et propoli, o piuttosto mel e propoli,
secondo che hanno le antiche edizioni.
(45) Afferuntur. Gesoero voleva che si di
cesse offeruntur . . . . ex iisdem omnia rebus :
inoltre gli sarebbe piaciuto leggere colle prime
edizioni dicunt.
(^6) Simplex. Sarebbe da aggiungersi colle
prime edizioni ministerium. Ursino crede che
avanti semplex si sieno perdute molte parole;
al cbe acconseoloao anche Geinero e Schnei-
dero.
(4^) Discrimen. Ursino voleva che si omet
tesse questa parola, e si leggesse : nec non etiam
aliud sequuntur in carptura, ut id sequan
tur in melle. Scaligero legge : ut eas sequa-
tur, e che si solliutenda herbas, e Pontedera:
aliud eas sequatur, ovvero sequitur. Ma pare
che sia da dirsi : sequuntur in carptura, ut
in melle ; quod etc., oraetleudo le parole inter
medie aut eas sequatur, le quali, a quel che
sembra, hanno avuto origine dalle varie lezioui.
(48) Sisere. Scaligero pensa che sia da leg
gersi sisarae ; e pretende che qui si parli del-
r erica di Plinio e del miele che le api trag
gono da questa pianta. 11 uostro Ermolao Bar
baro al corollario.! del cap. >25 aveva dello
lo slesso avanti Scaligero. Pontedera d' opi
nione contraria, perch il miele tratto dall eri
ca non liquido, ma arenoso ; e dimostra con
sode ragioni, perch dall erica si tragga piut
tosto un miele denso, che liquide. Crescenzio,
nel lib. x, cap. i o o , dice : Item ex alia re Ja
ciunt liquidum mel: ut ex ciceris flore, ex
alia e contra spissum, ut rore marino. La
traduzione italiana concorda pienamente.
(49) Cibi pars. Scaligero voleva leggere :
Cibi pars quod potio : et ea iis aqualicula,
unde bibant . . . . eamque liquidam , . . . ov
vero eis aqualicula. Egli iuterpreta per aqua
licula Tasi pieni d' a c q u a ; ed ea per ideo. Ur
sino, dietro un Tecchio codice, leggeva : cibi
pars quod potio, et ex iis aqua, unde bi
bant, etc.
(50) Ascendat. Crescenzio ha : ne profunda
ultra duos aut tres digitos sit ; laonde qui
sarebbe da leggersi : ascendat ultra duos aut
tres digitos.
(51) Aut relinquere. Urtino e Pontedera
vogliono leggere ac relinquere. Non neces
saria questa correzione, perch o le api vivono
di solo miele, se ad esse non ai d del cibo,
ovvero, mancando 1 uno e V altro, abbandona
no 1 alveare*
(52) Coctas. A ragione da leggersi con Ur
sino coactas, dicendosi di sotto: offas ex eo
factas apponaat.
(53) Purpuream. Le autorit di Columella
e di Crescenzio ci sforzano a leggere perpu
ram, diceodo il primo nel lib. x : quibus li
quoribus mundam lanam imbuere oportebit ;
ed il secondo : alii aquam mulsam ut sit pro
pe curant, in qua addunt lanam puram.
(54) Apponunt ibi. Ursino, appoggialo al suo
codice, legge : ibi, quum foras ie me in pabu
lum procedere non possunt: sospetta che la voce
hieme sia una glossa. Pontedera corregge : ibi,
quo foras ad pabulum procedere tamen pos
sint. Gesnero ha bens corretto con Ponleder
quo foras, ina ha lasciato sussistere hieme ; il
che era da togliersi, perch le pi sono intormen
tite nell inverno. Noo saprei dire se hiems si
possa adoperare iu significato di tempestas.
(55) E da dirsi con alcune edizioui inde ra
mum vel quid aliud oblinunt, perch di sopra
disse: Examen ubi volunt condere, tum ramum
aliamve quam rem oblinunt.
(56) Prope eisdem. Ne codici e nelle vecchie
edizioni si legge easdem, cio apes, e adpositae
(alvo) : leggesi pure in quelli e in queste circum
dato in luogo di circumeundo.
(5?) Sumunt. Scaligero e Vittorio non sanno
come aggiustare queslo passo. Popma stalo il
primo a segnare la vera strada, volendo che si
legga : ex ipsis, si fures alvos habeat, quem
concerminarint, ossia, comegli interpreta, quas
concerpserint. Appoggialo a Columella, avveri e
che si sa essersi il miei* maturato, allorquando
si Te d e che i fuchi sono scacciali e fugati dalle
api. Le seguenti pa^Ie conjecturam faciunt le
riferisce alle api ; e secoudo lui, bisogna distin
guere il primo seguo, eh certo e chiaro, dalla
congettura eh iucerta ed oscura. Pouledera ap
prova la prima parte della correzione di Popma,
e vuole che si legga : fures si alvos habeat, nam
cum germinavit, conjecturam capiunt, si intus
faciunt; ovvero cosi : fures alvos habealne,narn
cum germinarti. Itta utinmeno iu questa manie
ra si aggiusta il testo. Qui bisogna distinguere
con Popma i segni certi dalle congetture. 1 segni
si traggono dagli stessi favi pieni e coperti da
picciolo membrane. Si congettura poi dalle api
se i favi sieno pieni e se debbasi levare il miele
maturo, quando si sente del bisbiglio, quando le
api qua e l correndo tremolano, e finalmente
quando ammazzano i fuchi. Vedi Palladio al roe?
di Giugno, vii.
ANNOTAZIONI AL LIB. III DE RE RUSTICA 1008
(58) Decimam. I Georgici greci nella prima
vera e nella stale lasciano addietro una decima
parte, e nell autunno nna terza parte : in Plioio
poi te ne lascia nell1alveare una dao decima, ed
in Columella una quinta.
(59) Ursino avrebbe volato che ai diceise non
restibiles segetes. 11 campo restibilis quello
che ti semina per due anni continui, ed il nova-
lis qaello che qaalche anno si lascia riposare.
(60) Quoque multum. Ursino corregge quo
tannis multum. . . . magis assiduas. La voce
his qui superflua.
(61) Tertia pars. Crescenzio dice : sed Var
ro scribi f, quod pars tertia favorum tantum
modo t+llatur pro hieme, reliquum relinqua
tur, licet plena sint alvearia meile. Si vede
dunque che Crescenzio lesse iu Varrone; etiamsi
foecunda sit alvus. 1
(62) Si vero alvus. Ursino, dietro un vecchio
codice leggeva : si non sit fertilis, ni quid exi
matur exemtione deficiant animum. Favi cum
eximuntur. Ponledera congettura che sia da leg
gersi : sane alvos non f i t fertilis, nisi quid exi
matur. Varrone mette in confronto all arnia fe
condi* la slerile, e qui parla delta terza raccolta.
Schneidero aggiusterebbe il testo cos : reliquum
hiemationi relinquatur^ ne dejiciant animum,
exemtio cum est major ; neque universam,
neque palam jacere oportet. Si vero alvus non
sit fertilis, ne quid eximatur. Noi abbiamo tra
dotto sit fertilis.
(63) Universam. Relativamente alle dieoi
parli, delle qnali parl di sopra.
(64) Apponendum. Pontedera vuole che si
aggiunga con Crescenzio aliquid.
(65) Tecto. Crescenzio ha : tecto, loco tepido
et bene cinere tepido plus calido quam tepido,
ejiciendum super eas et excutiendum leviter
vas%et apes, manu non tflngas, et ponendum
in sole quo reviviscant juxta suos alveos, ut
ad domicilia redeant. Scaligero cosi corresse
qoeslo luogo : Promendae quam maxime tem
pestate bona ; ed Ursino voleva cbe si dicesse :
promendumque maxime, ovvero promendum-
que vere maxime. Columella e Plinio insegnano
che in primavera ritornano in vita mettendole
al sole, e spurgandovi sopra della cenere di fico.
(66) Concutiendum. Uriino legge : concu
tiendum leviter ipso vase, ut manu non tangas.
Cap. XVII. (1) Questi era partito di sopra
verso il fine del cap. 5 di questo lib.
(a) Si tirava prima alla sorte per sapere con
qual ordine dovessero volare le trib necomizii;
e quando molti competitori avevano un egual
numero di trib iu loro favore, nuovamente si
tfrava alla sorte, per sapere quale di essi fotte
preferito. Cicerone parla di queste dae estrazio
ni, e le chiama sortitio : della prima fa parola
celta seconda Filippica; e della seconda nell ora
zione a favore di Plancio. Qui per altro noo ti
tratta della prima, perch Varrooe ed Assio ave
vano gi dato it loro voto nel cap. a, e nel 5
era fatto il conteggio dei voli.
(3) Questi era on ministro, il coi uffizio con
sisteva in chiamare le trib al loro posto, onde
votassero ne comiiii. Egli pubblicava anche il
nome dei magistrati eh erano stati eletti per la
lettura delle leggi che si proponevano; citava :
giudici, i testimooii e gli accasati ne gi.
e finalmente era banditore nelle veodite.
(4) Ursino corregge con eleganza quod ea
candidatum.
(5) Aldo capricciosamente raffazzon qoeslo
passo; Gesnero vi aggioose non avanti j*fl*,qaaD-
do che le prime edizioni e quattro codici oe tono
privi. Meglio era piuttosto sospettare che fructu
fosse on errore del copista, dovendosi leggere qai
sine suc/u; ed allora si concorda qoaoto segue ;
perch alle peschiere di mare, che costano troppo,
si oppongono quelle di acqua dolee, che si man
tengono sine suctu. E perch mai Aldo s fece
lecito di cangiare et piscibus delle prime edizioni
e di cinque codici in sic et pisces? Le peschiere
di mare, come dice poco dopo, costano molto
per il nodrimenlo, aluntur magno; e lo confer
ma coll' esempio d Irrio, il quale consumava il
guadagno, comperando l esca pei pesci. Si
dunque perduta la voce excam, ed da dirsi sic
et escam piscibus ministrat, li 1 sentenza di
Varrooe, i proprietarii delle peschiere solevaoe
mantenere dei pescatori, i qaali andavano a pe
scare dei minuti pesci per versarli dappoi nelle
peschiere.
(6) Questi il famoso dittatore ed il pi gron
de eroe che sia vissuto. Si pu a buon diritto
riguardare come il capo d' opera della natura
umana, prescindendo dai suoi costumi, e come le
delizie della fortuna, eccettuato per altro il ano
fine tragico.
(7) .Questo pittore era di Sicione e scolare
di Panfilo che fa anche il maestro di Apelle. Egli
dipingeva all encausto (veggasi la nota seguente)
quantunque adoperasse anche il pennello, e fo il
primo che immagin di dipingere le volte e i
dintorni delle stanze.
(8) Questa specie di pittura ai chiamava en
caustum, perch si adoperava il fuooo. Gli anti
chi in varie guise dipingevano all encaosto. Pii-
oro, nel lib. xzxv, sez. 39, le descrive, ma non fa
parole di quella in cui entrava la cera, e di cai
parla Varrone. Para che a intagliassero primadal-
DI M. TEKKNZIO VARRONE l o i a
le 4 a Tolette di legno e che dopo ti empissero i
o Ic Kmo c s di cera fusa e di Tarii colori ; io<
riscaldando queste tavolette per di tolto, si fa
ceva che la cera si sprofondasse di pi ne1sol
chi, ed io guisa che oon potesse pi uscire.
(9) L'espressione latina presenta oa giuoco
di parole, e h ' impossibile di tradurre in nostra
lingua. Questo giooco fondato topra la doppia
significazione della voce jus, che Tuoi dire giu
stizia e brodo : di maniera che vocare in jus,
che alle Tolte lignifica citare io giutl i zi a, qui
lignifica meilere in brodo.
(10) Plinio, nel lib. n, cap. a5, parla di qoeito
fatto, il quale, quantunque aingoiare, non per
inesplicabile. Queste isole non saranno state forte
che picciole parti di palude,che si saranno smosje
nell'allo che si damava ne* contorni.
(11) Schoeidero approva con Ursino la lezione
delle prime edizioni eh* : ut per tempestatem
macellum piscinis, ut mare obsonium prae~
beret Noi coi codici e colle prime edizioni abbia
mo aggiustato il testo cos : ac per tempestatem
macellum piscinarium, uti mare obsonium
praeberet. Ursino vuole che si ometta pisces.
(12) da approvarsi la lezione aulica r he da
rios ... mulos, come quella che meglio couvieoe
nel presente giuoco di parole. E da dirti poco
dopo atque illiye da mettersi tra parente ejus,
perch Yarrone continua a parlare.
(13) Plinio, nel lib. x, cap. 55, dice che Lu
cullo ebbe tanta debolezza per ona morena, che
pianse quando mor. Vogliono alcuni che si legga
aestivaria, ma da dirsi aestuaria.
(14) Plinio dice a questo proposito, oel lib. x,
tez. 80 : Lucullus, exiso etiam monte juxU*
Neapolin majore impendio, quam villam aedi-
Jicaveraty euripum et maria admisit, qua de
causa Magnus Pompejus Xerxem togatum eum
appellabat.
( 15) da dirti con Urtino quae reciproce ...
i p s i ... cedere.
(16) Eccum recta. da dirsi cum lata%ci#t
porpora, con cui si Testivan+i candidati!
(17) Occurrimus. Cos fi corrotto da molti;
ma dicasi occidimus, parola antica, e di cui Fe
sto dice : Occidamus Plautus pnti pro con-
tracedamus.
(18) Il Campidoglio era una cittadella fabbri
cata in Roma sopra il monta Saturnino da Tar
quinio il Superbo. Si chiamava cos a capite,
perch nell'allo che si scaTaTa per la fondazione
del tempio di Giove, si trov uoa testa d'uomo.
(19) da dirsi col codice di Ursino : O Pinni
noster, sermonem, etc.

Potrebbero piacerti anche